Nightmare before die

di Luna95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1

Savin' me

<< Hey ragazzi… qualcuno sa perché siamo qui? >> domandò Geoff sorridendo, per nulla preoccupato.

<< Veramente no. Mi è arrivato un messaggio di Chris, diceva di trovarci tutti qui… >> rispose Tyler. Qualcuno esclamò “Sì, è arrivato anche a me!” che scatenò un brusio generale di assensi.

Nessuno voleva riprendere a lavorare; la pausa era durata troppo poco, un’altra stagione come le altre li avrebbe definitivamente distrutti.

Però Chris non si era presentato e ora si ritrovavano tutti in quel vecchio locale a riempire Chef di domande, il quale rispondeva, scuotendo le spalle, che ne sapeva meno di loro.

<< Conoscendo Chris, sarà uno dei suoi soliti giochetti. Aspettiamolo, starà preparando un’entrata trionfale >> osservò pigramente Noah, per poi tornare al suo libro.

Tutti annuirono: i ragazzi iniziarono a chiacchierare tranquillamente e a bere i cocktail che gli assistenti – sicuramente stagisti sottopagati – offrivano loro, fiduciosi in una repentina svolta interessante della serata che però non avvenne.

 

Passarono all’incirca venti minuti ma Chris non sembrava aver intenzione di mostrarsi.

Heather si sedette su uno sgabello e accavallò le gambe; tamburellava le dita sul bancone con impazienza, sbuffando di tanto in tanto.

Si stava annoiando terribilmente, e le chiacchiere di Sierra di certo non la aiutavano a svagarsi tuttavia le ascoltò diligentemente; interrompere Sierra mentre parlava del suo Cody poteva essere davvero molto pericoloso.

 

<< Hey, Heather. >> Gwen corse verso di lei, seguita da Duncan; gli occhi le brillavano di curiosità.

<< Mi hanno dato questo… io non so che cosa sia, tu lo riconosci? >> era un semplice foglietto di carta piegato in quattro, su cui erano stati scritti il suo nome e quello di Gwen.

Heather assunse un’espressione accigliata.

<< L’hai già aperto? >> le domandò, scrutando quel foglietto come se potesse prendere vita all’improvviso e trasformarsi in un mutante.

<< No, volevo leggerlo con te >> rispose la gotica, posando il pezzo di carta sul bancone.

Proprio in quel momento passò un assistente dall’aria anonima, che distribuì dei drink.

L’asiatica ignorò il bicchiere e dispiegò il biglietto, poi lesse velocemente in silenzio; la sua espressione si fece sempre più corrucciata e cupa, ma decise di rileggerlo ad alta voce a Gwen.

<< Non ha alcun senso >> esordì << Ma te lo leggo comunque. C’è scritto: “Lascerete questa vita alle vostre spalle; vale la pena salvarvi?” >>.

Gwen scosse la testa << Non ne comprendo il significato. >>.

Heather dondolò le gambe indolenzite << Uno scherzo di pessimo gusto. >> disse, bevendo qualche sorso del suo drink, imitata da Gwen; entrambe tossirono e sputarono la bevanda.

<< È amaro! >> esclamò Heather, disgustata, e l’altra convenne con lei.

Abbandonarono il cocktail e rimasero in silenzio per un po’; Gwen si appoggiò al bancone di legno con la schiena, cercando di trovare un significato al biglietto.

 

Dopo diversi minuti le due ragazze iniziarono a sentirsi strane: Heather non faceva che passare le mani sulla gola e alla base del collo, sentendo un improvviso disagio, e Gwen continuava a strofinarsi il viso con espressione preoccupata.

Il respiro si fece sempre più incalzante, il petto iniziava a risentire dei primi, flebili spasmi.

 

Gwen cercò di ignorare la strana sensazione… eppure c’era qualcosa. Lo percepiva sotto la pelle, scorreva nelle vene, la corrodeva dall’interno; era qualcosa d’invisibile, di spaventoso… e lei non poteva fermarlo.

Fu un momento: in un sobbalzo prese il cuore e lo tenne stretto nella sua morsa dolorosa; poco dopo anche i polmoni sembrarono riempirsi di ghiaccio.

Il respiro divenne affannoso, la vista iniziò ad annebbiarsi; con un ultimo spasimo Gwen voltò la testa e si accorse che anche Heather ansimava violentemente, spaventata quanto lei.

Le gambe di Gwen ormai tremavano, le forze le iniziarono a venir meno… le mani di Duncan furono le ultime cose che sentì: il buio dei sensi la inghiottì subito dopo.

 

 

 

Heather sapeva bene di essere in un sogno: l’aria era troppo tranquilla - non spirava vento e le foglie erano congelate sui rami – non si sentiva il vociare dei bambini o il gridare preoccupato delle madri.

Era tutto troppo calmo.

Eppure lei si sentiva così serena, così sicura in quel nido tiepido e confortante: era il suo sogno, non sarebbe potuto accaderle niente di brutto.

 

Una risata ruppe l’atmosfera ovattata e scaraventò la ragazza in una stanza bianca.

Heather cercò una via d’uscita, una finestra, una porta… ma fu una ricerca vana; il bianco era così intenso da accecarla, e i suoi occhi feriti distinguevano a fatica il pavimento dai muri.

Si rannicchiò in un angolo, schiacciata da tutta quella luce; una risata familiare la fece sussultare all’improvviso, ma non vide nessuno.

 

“Così va meglio?” domandò dolcemente l’uomo, comparendo davanti ai suoi occhi. Lei annuì, spaventata.

“Ah, Heather, questa luce ti fa male?” non provò neanche a nascondere la malignità nella sua voce “Sai, non è così forte.”

Non era un tono canzonatorio; sembrava volerle far prendere consapevolezza di qualcosa con la forza.

“Che cosa è successo?” balbettò infine l’asiatica cercando di guardarlo negli occhi, senza però riuscire nel suo intento: il bagliore che lo circondava la costrinse ad abbassare di nuovo lo sguardo.

“Sei morta” le rispose semplicemente; nessun ‘mi dispiace’, nessun tatto o rispetto per la sua paura.

Quella verità nuda e cruda la terrorizzò.

“Non è vero!” negò debolmente; ma dentro di sé sapeva che lui non le aveva mentito.

“Invece ti ho già convinta, mia piccola Heather.” – sorrise “Sai, avvelenarti è stato fin troppo facile.”

 

Non voleva ascoltare i dettagli della sua morte: in quel momento cercava solo un modo per uscire da quella stanza infernale.

“Fammi uscire!” pigolò, odiando quel tono così penoso con cui gli si rivolgeva.

“Ma certo, mia cara”.

La riportò nel parco, ma ora la flebile luce del sole le faceva male come una fiamma viva sulla sua pelle.

Strillò di dolore, cercò riparo da quei raggi che le procuravano una rovente sofferenza, si coprì gli occhi con le mani: tutto questo sembrò divertire l’uomo, che ridacchiò e la riportò subito nella stanza bianca.

 

“Hai visto, mia cara Heather?” sospirò teatrale, ma nella voce c’erano ancora i rimasugli di una risata sadica “Ti sto proteggendo”.

Heather boccheggiò, ancora sconvolta per l’angoscia e il terribile dolore.

“Perché mi è successo tutto questo?” mormorò infine, con una voce flebile che lui udì perfettamente.

Gli sfuggì un’altra risata.

“Ah, questo non lo so… svegliati, così potrai spiegarmelo tu.”.

Il nero la travolse di nuovo, ma stavolta Heather sapeva che il suo sonno sarebbe durato poco.

Note dell'autrice.
Ehm... salve gente ^^'' sono io! Stavolta con una long....
Vi rivelo una cosa: sono piuttosto scettica. Sì, perché io ho il difetto di essere alquanto incostante e questa cosa *indica schifata la fanfiction* è assurdamente lunga e complicata da sviluppare. Non so come andrà a finire o se devo andare avanti, perché non mi convince granché: per ora ho già scritto qualche capitolo, più o meno sei, ma sono ancora indietro. Terribilimente indietro.
Boh, non lo so... ditemi voi.
La citazione del bigliettino è una frase un po' riadattata che ho preso da una canzone, "Savin' me" dei Nickelback, che mi ha fatto da colonna sonora per la stesura della fanfiction.
Per i primi capitoli la storia sarà incentrata su Heather e Gwen, che però passeranno il testimone a quasi tutti gli altri personaggi.

Spero di non avervi annoiato... al prossimo capitolo (forse) :D

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Capitolo 2
*** 2 ***


2

Qualcuno urlò e tutti accorsero; il cast vide Gwen e Heather crollare a terra, svenute.

Noah mise volentieri da parte il manuale di chimica e si avviò anche lui, incredibilmente interessato.

<< Non respirano! >> gridò Duncan, chino su Gwen.

 

Noah si fece strada a spintoni fino a Heather; tutti brulicavano intorno alle ragazze svenute e nessuno fece caso ai due drink, posati sul bancone del bar lì vicino quasi per caso.

Si avvicinò e ne saggiò il contenuto, molto attento a toccare appena la lingua con il dito inumidito dalla bevanda: era la cosa più amara che avesse mai assaggiato.

Un’idea fulminea si fece strada nella sua memoria e tutto ciò che aveva letto riguardo ai veleni gli era chiaro davanti agli occhi come pagine stampate; lo travolse un’eccitazione febbrile, la stessa di uno studente seduto in prima fila che sa la risposta esatta ad una domanda dell’insegnante.

 

<< Fate spazio! >> gridò, colto da un improvviso fervore.

Lui poteva salvarle.

<< Hanno ingerito della stricnina >> spiegò, cercando di sentire il battito del cuore sul polso di Heather: era debole, forse troppo, e lui non aveva abbastanza tempo…

Harold annuì velocemente: probabilmente era l’unico ad aver capito a cosa si riferisse Noah.

<< La stricnina è un alcaloide tossico. >> disse il nerd.

Poiché nessuno sembrava aver capito, Noah decise di intervenire.

 

<< È un veleno >> spiegò velocemente, prendendo in braccio Gwen e stendendola su un divano in una stanza adiacente; DJ fece lo stesso con Heather.

<< Ho bisogno di Benzodiazepine! >> esclamò, cercando di farle respirare meglio.

<< E come credi che troveremo un medicinale così specifico, qui dentro? Ci siamo solo noi! >> gli fece notare logicamente Courtney, indicando con un gesto della mano il locale.

<< Nessuno di voi ha del Diazepam? È un ansiolitico… >>.

Tutti scossero la testa; ma Noah non si aspettava che qualcuno fosse in possesso di un tale farmaco, perciò allontanò gli oggetti appuntiti che vedeva perché le ragazze non si ferissero e cercò di calmare le convulsioni come meglio poteva.

 

<< Non servirebbe in ogni caso >> sussurrò Harold << I drink sono lievemente alcolici… del Benzodiazepine servirebbe solo a creare una depressione respiratoria e un collasso. >>

<< Maledizione! >> borbottò Noah, masticando tra sé un’imprecazione peggiore.

<< Andate a chiamare aiuto! Presto! >> urlò infine, vedendo che tutti sembravano paralizzati sul posto; Courtney afferrò il cellulare, Bridgette cominciò a correre per la stanza cercando di aprire le porte << Sono chiuse a chiave! >> pianse, agitata; Noah prese di nuovo in mano la situazione e dava indicazioni ai ragazzi.

<< Geoff, Trent, aiutatela! Courtney, hai chiamato il 911? >> il ragazzo parlava velocemente, ma Courtney sembrava aver inteso nonostante cercasse di sentire disperatamente qualcosa al telefono.

<< Non c’è campo! >> urlò, con voce stridula per il panico.

 

Bene, – pensò Noah – tutte le uscite sono sbarrate e il cellulare non prende.

<< Ho bisogno di tranquillità! >> esclamò infine il ragazzo, cercando di sembrare il più calmo possibile << Potrebbero riaversi da un momento all’altro e devono restare in pace. >>

<< Hey! >> esclamò Duncan, minaccioso << Io voglio vedere che cosa fai alla mia ragazza! >>.

Noah alzò gli occhi al cielo << La stricnina causa spasmi e convulsioni. Una bella crisi respiratoria dovuta all’agitazione è proprio quello che ci vuole per ammazzarla >> osservò, acido.

Il punk grugnì qualcosa d’incomprensibile e si fece da parte, ma Noah non aveva tempo per mostrarsi soddisfatto.

<< Non so se ce la farò >> sussurrò << non ho gli strumenti… cercate di chiamare aiuto, potrebbero non sopravvivere fino a domani. >>.

Note dell'autrice

Ehm... salve :D sì, lo so cosa state pensando: per favore, uccidetela! xD purtroppo devo ammettere che avete ragione, ma colgo ugualmente l'occasione per ricordare che la violenza non è mai una soluzione *sbatte le ciglia*

Be', dovevo postare il capitolo in giornata perché domani parto, gente! E andrò in un posto dove c'è mare, caldo, ma soprattutto dove NON c'è connessione internet... per quei venti/venticinque giorni cercherò di arrangiarmi come posso, magari inviando i capitoli (già scritti) 3 e 4 sul pc di mio padre e lì tenterò come posso di aggiornare, giuro che ci proverò xD ma sarà dura, tifate per me (a meno che non stiate esultando perché non potrò aggiornare questa schifez... ehm... questa fanfiction ^^'' ò.ò).

Ovviamente non sono un medico, ho cercato di documentarmi quindi correggetemi se ho sbagliato qualcosa... vi ringrazio tanto per le recensioni! Vi adoro <3 

Baci, Luna.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Erano passate ormai delle ore; Duncan si spazientì ed entro nella stanza, dove Noah si stava affaccendando intorno ad Heather, con un’espressione concentrata e rassegnata al contempo.

Forse non aveva mai manifestato così tante emozioni in tutta la sua vita, pensò il punk.

Gwen era tranquilla sull’altro letto, in posizione supina: sembrava che dormisse.

 

Rimase in silenzio per un po’, osservando Noah muoversi freneticamente per la stanza; alla fine il ragazzo si allontanò anche da Heather e si lasciò cadere su una poltrona, stanco e svuotato da ogni energia e da ogni speranza.

 

<< È finita >> sussurrò, e le spalle curve sembravano arrendersi al peso di qualcosa, un qualcosa di troppo grande e pesante per lui. Qualcosa che non poteva portare da solo.

Duncan stava per chiedergli che cosa intendesse con quel “è finita”, ma Geoff e un assistente biondo entrarono all’improvviso, gridando << Ci siamo riusciti! La porta è aperta, sta arrivando l’ambulanza >> ma lui li guardò con aria esausta e colpevole.

<< È tardi >> esalò Noah << sono morte tutte e due. Mi dispiace. >>.

 

<< Che cosa vuol dire “sono morte”!? >> ringhiò Duncan, furente, afferrando l’altro per il colletto della camicia.

Anche gli altri accorsero, preoccupati per le grida del ragazzo.

<< Le loro funzioni vitali sono cessate >> disse freddamente Noah << così va meglio? >>.

<< Non possono essere morte! >> gridò il punk, fuori di sé.

No, non era possibile. Non doveva finire così…

 

<< Non sono un medico, Duncan >> Noah soppesò accuratamente le parole << e soprattutto non avevo gli elementi necessari per combattere un avvelenamento da stricnina. Non ho potuto creare un antidoto. >> abbassò gli occhi, vergognandosi di se stesso e della sua incapacità.

<< Ha sofferto? >> gli domandò infine Duncan, ancora attonito per dolore che quella notizia aveva portato con sé.

<< No. Gwen è morta per arresto respiratorio >> rispose Noah, ma fu di ben poca consolazione per Duncan e Trent.

<< Si è sentita soffocare ed è morta dopo qualche minuto. È stato veloce >>.

Era tutto vero, naturalmente, ma non riuscì a dare conforto agli amici.

 

<< E Heather? >> la voce di Alejandro era ridotta a un flebile mormorio.

Noah decise che non c’era necessità di mentire: nessuno di loro si meritava una bugia, neanche Alejandro. Neanche Heather.

<< Per lei è stato infinitamente più doloroso. >> scosse la testa, con aria mortificata << L’agonia è durata molto di più: è morta per esaurimento fisico. Era allo stremo, ha sofferto tantissimo. >>

Tutti guardarono il corpo di Heather e Alejandro emise un suono strozzato, incredibilmente vicino al pianto; ma d’altronde molti piangevano già senza ritegno.

 

<< Heather è rimasta cosciente per tutto il tempo, ha sentito ogni singolo spasimo, ha sofferto per ogni convulsione, era consapevole di tutto il dolore… >> Noah s’interruppe, sopraffatto da quella confessione troppo crudele << Mi dispiace così tanto… >> sussurrò infine.

Alla fine anche lo spagnolo aveva ceduto alla sofferenza e aveva abbandonato ogni precedente riserva, scatenando la sorpresa e la pena degli altri ragazzi; lacrime amare gli bagnavano le guance.

 

 

L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo e trasportò i due cadaveri in ospedale, ma anche i medici riconobbero che c’era ben poco da fare.

Fecero degli esami accurati delle due bevande e Noah non fu sorpreso quando gli comunicarono che contenevano una dose di stricnina sufficiente ad uccidere un lottatore di sumo.

Uno di loro diede una pacca sulla spalla di Noah, complimentandosi con lui per l’intuizione geniale e per la diagnosi esatta, ma il ragazzo la sentì appena.

Presto considerarono il caso chiuso, lasciando che la polizia si occupasse delle indagini.

 

Ma Duncan, Trent e Alejandro non consideravano per nulla il caso chiuso; rimasero a vegliare sui corpi delle ragazze per tutta la notte, sperando in un qualche miracolo.

 

Sembrava un’illusione disperata, ma prima dell’alba il miracolo avvenne.

Note Autrice

Ciaaaaao gente! Avete visto? Sono riuscita ad aggiornare! Non sono stata brava? ** 

Oggi niente mare perché mi sono bruciata... -.- (non è colpa mia se ho la carnagione paragonabile a quella di Gwen xD) quindi ho preso in ostaggio il pc di papi per postare il nuovo capitolo xD.

No, davvero, ho smosso le montagne per riuscire ad aggiornare xD solo per voi.

Ora corro a rispondere alle vostre recensioni (a proposito, grazie cari <3) e se riesco a farmi una scorpacciata di qualche bella storia (e magari recensire).

Vi ho annoiati abbastanza.; fatemi sapere che ne pensate del nuovo capitolo! :D

Baci, Luna

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Capitolo 4
*** 4 ***


Heather si risvegliò all’improvviso e subito annaspò in cerca d’aria; non faticò a immetterla nei polmoni, ancora indolenziti per le convulsioni, quindi inspirò ed espirò dolorosamente un paio di volte, fece ancora dei respiri profondi e si premette una mano sul petto: le faceva un male terribile.

Stava lentamente riappropriandosi del controllo del proprio corpo; percepì un forte dolore ai muscoli e alla gola, tossì e si piegò su se stessa, cercando di non vomitare.

 

Poco dopo si accorse che Alejandro la stava sorreggendo con una profonda preoccupazione e una radiosa felicità negli occhi; non credeva che le due emozioni potessero coesistere, in passato, e le sfuggì una piccola risata, che le scatenò un altro minuto di tosse convulsa.

<< Stai bene, mi amor? >> le domandò con voce apparentemente calma, forse un po’ tremolante per l’emozione. Be’, d’altronde la sua quasi - ragazza era resuscitata davanti ai suoi occhi…

<< Sì. Meglio. >> rispose lei; la voce di Heather sarebbe dovuta essere aspra o gracchiante per le ore passate in silenzio e per il tono seccato che voleva ostentare la ragazza, ma in realtà fu incredibilmente flautata.

 

La testa le pulsava terribilmente, sentiva la gola riarsa e una sensazione terribile le asciugava la bocca: aveva sete, una sete terribile!

Tutto il corpo le doleva, persino le gengive; il torace risentiva dei precedenti spasmi, le gambe non riuscivano a sorreggerla.

Si abbandonò esausta sul petto di Alejandro, la cui preoccupazione non diminuì ma, se possibile, aumentò.

 

Anche Gwen si stava alzando su quel tavolo di metallo, ancora intontita per le ore passate da morta.

Duncan e Trent l’avevano abbracciata stretta, dimenticandosi della rivalità: era viva!

 

I tre ragazzi chiamarono immediatamente delle infermiere che chiamarono a loro volta dei medici e l’espressione nei loro occhi rispecchiava la medesima sorpresa e incredulità: com’era possibile?

<< Gwen, Heather >> esordì dolcemente una donna, facendo allontanare Duncan, Trent e Alejandro con un lieve gesto della mano << sono la dottoressa Cameron. Vorremmo fare delle analisi, se siete d’accordo, e trattarvi con del carbone attivo per eliminare ogni traccia di stricnina. Va bene? >> la voce della donna era amabile e persuasiva, tant’è che le due ragazze si ritrovarono ad annuire senza accorgersene; quella dottoressa ispirava fiducia.

 

<< Riuscite ad alzarvi? No? Aspettate sedute lì, i miei colleghi >> indicò un medico biondo con una cartellina e un massiccio uomo di colore << prenderanno immediatamente delle sedie a rotelle >>.

<< Non è necessario >> disse tranquillamente Alejandro << Posso portare io Heather. Non c’è problema. >> per ribadire il concetto, fece passare le braccia intorno al collo e alle gambe di Heather e la adagiò delicatamente al suo petto; in un’altra situazione la ragazza si sarebbe sicuramente divincolata e gli avrebbe ordinato imperiosamente di metterla giù, ma ora non ne aveva le forze e non era il caso di fare storie, sprecando energie preziose.

 

La donna alzò le sopracciglia, ma non ebbe nulla da obiettare.

<< Va bene, se ce la fai. >> disse, rimettendo in tasca il cercapersone.

<< Vieni, ti mostro una stanza. >> il biondo lo accompagnò per i corridoi dell’ospedale, in silenzio.

 

La dottoressa si rivolse a Gwen << Tu preferisci che ti porti una carrozzina? >> le domandò con tono rassicurante, ma Duncan fu più svelto e la prese in braccio.

<< No. Mi faccia strada, la porto io >>.

Cameron scrollò le spalle << Certamente. >> disse, e gli mostrò il percorso.

 

Trent tornò in dietro fino ad arrivare nella sala d’aspetto, dove trovò i suoi compagni.

<< Sono vive! >> gridò, col cuore colmo di gioia.

Tutti si guardarono, felici, e alcuni scoppiarono in lacrime per la commozione.

<< È un miracolo! >> gridava Bridgette, abbracciando Geoff.

“Sì” pensò Trent, tra sé “è davvero un miracolo.”


Note Autrice
Salve! Avete visto come sono brava? Riesco ad aggiornare regolarmente *-* (ringrazio il mio papi e il suo pc, ovviamente xD altrimenti avrei pubblicato ad agosto).
Ultimamente faccio davvero poco mare D: tutta colpa dell'incombente matrimonio di mio zio, con relativi scleri e giri infiniti per trovare vestito, scarpe, borsa...
So che è un capitolo cortino, ma questi sono capitoli di transizione... siate pazienti, cari, ancora un po' e ci saranno chiarimenti ^^
Ho sparso un po' di indizi qua e là... qualche ipotesi? Sono curiosa di leggere le vostre teorie!
Nei prossimi capitoli sarà ancora più evidente, ma preferisco mettere prima il desclaimer già da prima; i medici che ho citato sono i primi componenti del cast di 'Dr. House' e faranno la loro piccola apparizione in questa fanfiction come mio personale cameo a una serie tv che adoro; i personaggi sono di proprietà di David Shore o di chi detiene i diritti della serie tv 'Dr House'... in ogni caso non sono di mia invenzione.
Già che ci sono, ci tengo a precisare che nemmeno i personaggi di Total Drama mi appartengono ma ovviamene sono di proprietà di chi ne detiene i diritti e io li uso soltanto per mio diletto ^^.
Oddio, le note sono più lunghe del capitolo xD quindi smetto di annoiarvi e vi saluto :D Ciao ciao!

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Capitolo 5
*** 5 ***


<< Devi solo restare ferma e fare dei respiri profondi >> la istruì il dottore biondo, che aveva poi rivelato di chiamarsi Chase.

“La fa facile, lui” pensò Heather: ogni respiro le faceva maledettamente male.

Il medico le fece tutti gli esami, poi la riaccompagnò nella camera.

<< I risultati vi saranno comunicati a breve, non appena ce li diranno >> dichiarò distrattamente, mentre trafficava con i fili delle apparecchiature nella stanza.

 

<< Questo serve a monitorare il battito cardiaco, questa invece è la flebo; fa’ attenzione a non muoverti troppo bruscamente >> spiegò il dottor Chase, che ogni tanto guardava anche Alejandro come se la spiegazione fosse rivolta anche a lui.

<< Accidenti >> borbottò, mentre cercava di collegare la macchina; i fili erano tutti ingarbugliati, così il dottore dovette farsi aiutare da una paziente infermiera.

 

<< Ecco fatto! Ora dovrebbe funzionare… >> Chase guardò il monitor, speranzoso, ma quello rimase stabile sullo zero.

<< Annette, non è possibile… è acceso… >> balbettò all’infermiera, in evidente imbarazzo.

<< Magari dovremmo solo spegnerlo e riaccenderlo >> azzardò la donna, mentre ripeteva l’operazione.

Il risultato fu il medesimo.

 

 

 

Gwen intanto, nell’altra stanza, rimaneva nel letto lasciando che la esaminassero passivamente.

Duncan le era sempre rimasto vicino e aveva più volte esibito il suo sorriso sghembo che doveva essere rassicurante, ma la ragazza si sentiva svuotata di ogni energia.

La dottoressa era addirittura indecisa se collegarla a un respiratore artificiale perché Gwen sembrava respirare appena e a fatica, ma alla fine considerò che riusciva ad ossigenare il corpo da sola.

 

<< Se dovessi avere problemi con la respirazione >> le sussurrò pacatamente Cameron << dovrai solo dirmelo ed io provvederò per aiutarti, va bene? >>.

Gwen annuì; voleva solo dormire, quel mal di testa la stava uccidendo… ma quando Trent entrò nella stanza, anche il mal di testa si attenuò: gli occhi le brillavano di contentezza e le labbra parvero incurvarsi per un secondo.

Lui si sedette accanto a lei in silenzio, ma la sua sola presenza fu sufficiente a rendere un po’ meno pesanti i momenti passati in quella stanza d’ospedale.

 

 

 

Gli occhi azzurri di Chase si posarono su Heather, e il suo sguardo si fece dubbioso.

Avanzò verso di lei, le afferrò il polso; vi posò due dita e scrollò il proprio braccio sinistro per mostrare l’orologio da polso, poi aspettò.

La sua espressione divenne sembra più sorpresa fino a trasformarsi in una smorfia d’orrore: lasciò cadere il polso di Heather e indietreggiò.

 

Afferrò una lama, la disinfettò e si avvicinò di nuovo alla ragazza.

<< Scusami, ma è necessario. >> disse frettolosamente all’asiatica, poi le fece un taglio sul braccio.

Heather lo guardò, basita, e ritirò in fretta il braccio; non urlò soltanto perché le avrebbe fatto di certo più male di un taglietto.

Il sangue fluiva lento, viscoso dalla ferita e di un colore inconfondibile: era sangue in gran parte coagulato, c’erano poche tracce di sangue fresco.

La ferita si richiuse in pochi secondi; il dottore corse a chiamare aiuto.

Angolo dell'autrice

Salve gente! Vi annuncio che il matrimonio di mio zio è finalmente terminato e io sono libera di sguazzare al mare quanto voglio :D okay, non interressa a nessuno xD passiamo alle cose serie...

Vi ringrazio tanto per i commenti, li leggo sull'Iphone e mi tirano sempre su il morale *.* e incrementano un pochino la mia autostima, una cosa nient'affatto negativa :D (Noah: in effetti, al momento è sotto zero. O meglio, non è mai salita molto in alto).
Be', considerando che una persona mi ha detto che non so scrivere e sono noiosa e poco professionale... *piange disperata* okay, devo ricompormi ç.ç

Carissimi, non avete trovato tutti gli indizi! Male male, rileggetevi i capitoli u.u *in realtà gongola soddisfatta*

So che questi capitoli saranno noiosetti, ma sono di transizione... sto spargendo indizi qua e là, servono per permettermi di assestare un discreto colpo di scena quindi... pazientate e godetevi il cast di Dr House ;D (nonostante l'abbia reso un tantino OOC, va be' ç.ç)

Ribadisco il desclaimer e vi saluto... alla prossima, cari :D

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Capitolo 6
*** 6 ***


<< Heather, devi dirmi che cosa senti. Hai dolore? Dove? >> le domandò nervosamente il dottor Chase, mentre compilava dei fogli.

<< Ho sete. >> annaspò lei.

Un’infermiera le portò dell’acqua che lei bevve in fretta, ma non placò la sete terribile che sentiva.

<< Chica, io vado a parlare con il dottor Foreman >> le sussurrò Alejandro, indicando l’uomo di colore che aveva visto prima << sarò subito da te. >>.

Heather si sentiva terribilmente in colpa; lei lo aveva spinto giù da un vulcano, ma ad Alejandro non sembrava importare. Era preoccupato e molto più premuroso di prima.

 

<< Gwen >> balbettò Heather << come sta Gwen? Dov’è? >>.

I medici le sistemarono le apparecchiature e i cuscini per farla stare seduta senza l’aiuto di Alejandro, ma lei non riusciva a stare ferma: tremava e si agitava, ovviamente per quanto il suo fisico esausto lo permettesse.

<< Forse è una crisi di panico >> ipotizzò Chase << comunica a Cameron i risultati delle analisi di Heather; forse anche l’altra ragazza è nelle stesse condizioni. >>.

 

 ***

 

La gotica giocherellava distrattamente con il cibo che le avevano portato; aveva già finito l’acqua, ma la sete non le era passata.

<< Devi mangiare >> le disse Duncan, accarezzandole un braccio << non ti faranno uscire, se non ti vedono in forze. >>.

Alcune gocce salate cominciarono a scivolare sulle gote di Gwen.

<< Hey, va tutto bene >> le sussurrò il ragazzo, passandole una mano sulla schiena.

<< Scusami >> mormorò, asciugandosi cautamente le lacrime e cercando di non strappare i fili che la collegavano alle macchine << non riesco a controllare l’umore. >>.

<< Questa è l’ultima cosa di cui dovresti preoccuparti, Gwen >> la scrutò con i suoi liquidi occhi azzurri << questi idioti ti dimetteranno presto >> la rassicurò poi, abbracciandola con attenzione: aveva quasi paura di spezzarla.

 

 ***

 

<< No! Vai via, lasciami in pace >> pianse Heather, gridando contro un uomo che vedeva sogghignare, appoggiato alla porta.

I medici cercarono di tenerla ferma per impedire che si facesse male.

Alejandro tornò subito nella stanza, quando vide le deboli convulsioni della ragazza, e aiutò i medici afferrandone i polsi e mormorandole parole tranquillizzanti; ma invano.

 

<< Lasciatemi! Non sto sognando, è lì! È lì! Fatelo andare via! >> singhiozzò la ragazza, dimenandosi ancora più violentemente per scappare.

<< Ha le allucinazioni, Foreman, iniettale un calmante >> disse il biondo, cercando di tenere ferma Heather; l’altro eseguì l’iniezione ma senza l’effetto immediato che avevano sperato.

 

“Mia cara Heather!” esclamò l’uomo, cordiale “Ti sei svegliata, alla fine.”

<< Vattene, Chris >> disse ad alta voce l’altra, con voce roca per lo sforzo.

“Non hai sete?” la voce del conduttore era suadente, ipnotica “Puoi placare questa fame che ti divora… dormi, al tuo risveglio l’istinto saprà guidarti.”

Non voleva ascoltarlo, non voleva dormire, ma aveva così sonno…

 

Il sedativo fece effetto dopo diversi minuti, lasciando sbigottiti i due medici: si aspettavano un effetto repentino, poiché la somministrazione era per via endovenosa e il calmante avrebbe dovuto raggiungere velocemente i centri nervosi tramite la circolazione sanguigna.

 

Foreman guardò nella direzione in cui Heather aveva detto di vedere qualcuno.

<< Forse si riferiva a Chris McLean, il conduttore. >> ipotizzò Chase, come se avesse letto nei pensieri del collega << Quel reality è stata una tortura e il conduttore è un pazzo sadico. Non mi stupisce che abbia ancora gli incubi. >>

Note dell'autrice

Eccomi. Lo so, vi starete chiedendo dove io sia finita, se mi abbiano tenuta in ostaggio,  rapita gli alieni, o roba simile ma... no. Sono solo una delle tante vittime del "blocco dello scrittore", abbinato a una sana dieta a base di abbondanti verifiche e professori pazzi (come diavolo si fa a infilare nove verifiche in una settimana?): insomma, per farla breve, sono stata profondamente scorretta nei vostri confronti: vi chiedo perdono, mi cospargerò il capo di cenere e indosserò tutti i giorni il cilicio.
Non appena ho avuto un attimo di respiro (leggasi: le vacanze natalizie) sono andata a leggiucchiare qualcosina e, soprattutto, scrivere il decimo capitolo: the story must go on!
Dopo aver pubblicato, mi metterò subito a lavoro per rispondere alle vostre recensioni (a proposito, grazie di cuore: siete tutti meravigliosi <3).

Spero mi perdonerete per questo indecente ritardo... vi saluto!
Un bacio, Luna95.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7

<< Heather presenta episodi di paranoia e allucinazioni >> disse il dottor Chase alla collega, snocciolandole sbrigativamente i sintomi.

<< crede di vedere Chris McLean. Anche la tua paziente ha le allucinazioni? >>.

La dottoressa annuì.

<< Sì, stessi sintomi. Non dovremmo trattarle separatamente, ma come un caso solo. >>

Foreman continuava a controllare le cartelle, sempre più irritato.

<< Non c’è un nesso. L’avvelenamento da stricnina non causa allucinazioni, per prima cosa, e poi non appena si sono svegliate abbiamo fatto loro un’accurata lavanda gastrica e abbiamo provveduto a trattarle con carbone attivo… non ci sono più tracce di veleno nell’organismo. >> concluse l’uomo, posando la cartella di Gwen sul tavolo.

<< Magari è una malattia autoimmune… che ne dici dell’anemia emolitica? >> sussurrò Cameron, poco convinta.

<< No, spiegherebbe solo una minima parte dei sintomi. >> intervenne Foreman, stroncando la teoria della donna.

<< Forse non è la stricnina a causare quei sintomi. Forse c’è qualcos’altro. >> suppose la dottoressa, ma l’ipotesi venne subito smentita da un’osservazione del suo collega biondo.

<< Non hanno nient’altro in comune, Cameron, a parte l’avvelenamento. >>.

La donna si sedette, stravolta; non sarebbero mai riusciti a elaborare una diagnosi in tempo…

 

 

Alejandro osservava Heather dormire: era stata sedata per evitare un’altra crisi.

Era attaccata a un respiratore artificiale e le sue braccia erano piene di flebo: gli sembrava di essere tornato indietro di qualche mese, quando era lui a essere sdraiato su un lettino d’ospedale.

Ora la vedeva così minuscola, ingarbugliata nelle lenzuola, così indifesa… era un piccolo pulcino inerme, così fragile da scatenare il suo istinto di protezione: ora toccava a lui difenderla.

 

 

 

Gwen si era risvegliata, quella notte, e si era guardata furtivamente intorno: non c’era nessuno.

Era stanca di rimanere chiusa lì dentro; aveva recuperato un po’ di forze, abbastanza da riuscire a staccare delicatamente i fili delle macchine dalle proprie braccia e sgattaiolare fuori dal letto.

Il fantasma di Chris la perseguitava, le ricordava ogni volta che la sua gola ardeva di sete. Lo odiava.

Si appoggiò al comodino, cercando di rimanere in equilibrio sulle proprie gambe, ferme da molte ore.

 

Quando riacquistò un po’ di fiducia e di esercizio, mosse qualche passo al di fuori della stanza, verso il corridoio dell’ospedale.

Voleva fuggire da lì.

Aprì prudentemente la porta, controllando che non ci fossero delle infermiere che facevano il turno di notte in giro; non c’era nessuno. Perfetto.

S’infilò un paio di babbucce da ospedale e sgusciò fuori dalla stanza, cercando di non fare rumore; chiuse la porta dietro di sé e si girò di nuovo verso il corridoio, ma andò a sbattere contro qualcosa che le fece perdere l’equilibrio e il panico la colse improvvisamente; delle mani grandi e ferme le impedirono di cadere rovinosamente a terra.

 

Gwen trattenne il fiato, col cuore ancora a mille per lo spavento.

<< Trent! >> esclamò, espirando di scatto; una pessima mossa, perché il petto le faceva ancora un male d’inferno.

<< Sei forse impazzita? >> le domandò duramente il ragazzo, guardandola con evidente preoccupazione << Non puoi ancora camminare, devi rimanere a letto o rischierai di farti male sul serio >>.

 

La ragazza abbassò lo sguardo.

<< Non voglio rimanere lì dentro da sola: Chris mi sta facendo impazzire, Trent, ho paura. >> gemette lei, fissando i suoi occhi umidi di pianto in quelli di Trent.

Il ragazzo sospirò e il suo sguardo s’intenerì.

<< Vieni, rimango io con te. >> la prese in braccio senza sforzo e la riportò nel letto; poi avvicinò una sedia e rimase lì vicino a lei finché non si riaddormentò.

Quando Gwen scivolò nel sonno, Trent chiamò un’infermiera perché le riattaccasse la flebo e controllasse velocemente la salute della ragazza.

Quella notte si ripromise che non l’avrebbe più lasciata sola.

Note dell'autrice 

Ehilà :D come promesso, il settimo capitolo è online in tempi decenti!
Aw, non sapete quant'è bello poter tornare ad aggiornare questa storia... sono felice, è come tornare a casa! ^^.
Perdonate la scandalosa brevità (e lo scandoloso contenuto ç.ç) di questi capitoli, ma sono un passaggio obbligato: li uso per distribuire indizi e aMMMore,
A proposito... avete gradito le scene diabetiche? Portate pazienza, non sono una scrittrice romantica: giuro che mi sono impegnata tanto per inserirne un po' qua e là xD.
Vi ringrazio qui, oltre che in privata sede, i recensitori (grazie, siete sempre meravigliosi!), coloro che preferiscono/seguono/ricordano la fanfiction e i lettori.
Arrivederci, miei cari, all'ottavo capitolo! Baci, Luna.

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Capitolo 8
*** 8 ***


“Hey, piccola Heather!” la chiamò allegramente Chris “Come ti senti?”

La ragazza, ora sveglia, si voltò nella sua direzione evidentemente seccata.

<< Tu non esisti. Sei una proiezione della mia mente, l’hanno detto i dottori >> mugugnò, cercando di alzarsi con cautela. Dov’era Alejandro?

“Deve essere andato in bagno, o forse al bar…” le rispose, pensieroso. Lei gli lanciò un’occhiataccia e il conduttore scoppiò a ridere.

“Certo che lo sono, Heather.” le disse l’uomo suadentemente “Non sono altro che un’illusione, una visione, un fantasma; ma se il tuo subconscio vuole dirti qualcosa, forse dovresti ascoltarlo”.

Heather strinse le labbra, che divennero pallide per quel semplice sforzo.

“Hai sete… una fame ti divora, non dimenticarlo” le ricordò Chris “e tu non hai malattie che in questo posto possano curare.”

 

Quando Alejandro entrò, la visione di Chris era già scomparsa ma si era appropriata della mente di Heather abbastanza a lungo da provocarle un debole attacco di panico.

L’ispanico la bloccò con dolcezza e le sussurrò parole rassicuranti, dicendole che era tutto un sogno e nessuno l’avrebbe ferita; riuscì a smorzare quella piccola crisi in pochi minuti, ma Heather si accasciò lo stesso sul suo petto, esausta.

 

 

Trent si era allontanato per chiamare sua madre e Geoff, il quale avrebbe a sua volta aggiornato gli altri ragazzi sullo stato di salute delle ragazze: erano migliorate un po’, ma lui era comunque preoccupato.

Una gentile infermiera gli portò anche un caffè e gli diede una pacca sulla spalla, dicendogli che Gwen si sarebbe rimessa presto e che era molto nobile da parte sua vegliarla senza sosta; lui la ringraziò di cuore e le sorrise.

 

Quando rientrò nella stanza, trovò Gwen sul pavimento e tutti i fili e le flebo staccati dalle braccia; si precipitò da lei, inizialmente preoccupato e immaginando uno svenimento o un malore, ma la trovò seduta per terra con un’aria imbronciata: si era strappata senza troppi complimenti i tubicini, che ora le penzolavano dalle braccia, e aveva tentato di alzarsi ma era caduta a terra, ancora troppo debole per alzarsi.

<< Odio questi aggeggi >> borbottò la ragazza, abbracciandosi le ginocchia << e odio questo posto. Ah, e odio anche Chris. >>.

Trent sospirò, intimamente sollevato.

<< Non posso lasciarti da sola cinque minuti che tenti la fuga? Vieni, ti aiuto a rialzarti. >>.

Il ragazzo la rimise sul letto ma Gwen si rifiutò categoricamente di farsi riattaccare a quei “cosi infernali”: la dottoressa Cameron dovette insistere molto per rimetterle almeno le flebo che servivano a idratarla.

 

<< Non voglio rimanere più qui, Trent. Portami via >> lo supplicò la gotica.

Trent cercò di mantenere un tono fermo e di non farsi smuovere da quelle parole pietose.

<< Quando ti sarai rimessa >> le promise, spostandole una ciocca di capelli dal volto.

 

 

 

Quel pomeriggio un biglietto identico fu recapitato nelle camere di entrambe le ragazze; assomigliava a quello che avevano ricevuto il giorno prima - la carta e l’inchiostro erano gli stessi - e vi erano scritte queste poche righe:

 

“Vi auguro un buon risveglio, mie meravigliose creature… spero che renderete più semplice il mio lavoro, vi basterà ascoltare il vostro istinto: dimostratemi che è valsa la pena salvarvi.”

C’era anche un post scriptum, alla fine; “PS: Uscite da quel luogo così triste, la cura per il vostro male è più accessibile e facilmente reperibile di quanto crediate.

 

In stanze diverse, le due ragazze stracciarono il biglietto, ma qualcosa in loro gridava e scalpitava per scappare, persuaso dalle parole e dalla fame, quell’incontenibile appetito che era riuscito in breve tempo ad annientarle.

Complice della loro bramosia, Chris vegliava su entrambe con aria strafottente: aveva già vinto, e lo sapeva.

Lo sapeva perfettamente.

Note dell'Autrice

Ehi gente! *saluta con la manina* ma quanto sono brava? ben DUE capitoli consecutivi online in tempi ragionevoli xD ... sorvolando sulla loro indecente brevità, s'intende. E sui contenuti. E...
BUON ANNO! Anche se con spaventoso ritardo, ci tenevo a farvi gli auguri ^^ 
Come avete passato Capodanno? Vi siete divertiti? Per quento mi riguarda, non poteva iniziare peggio; ma, si sa, la delusione fomenta la mia voglia di scrivere (non so se questo sia un bene o un male!), così cercherò di vedere positivamente codesta delusione per il genere maschile: più idee, più fanfiction *coro di NOOO di sottofondo*.

Dato che ci sono, rinnovo il desclaimer (i personaggi di Total Drama mi appartengono, ma ovviamene sono di proprietà di chi ne detiene i diritti e blablabla...) e ringrazio, come al solito, coloro che preferiscono, seguono o ricordano questa fanfiction, i lettori e ovviamente i miei meravigliosi recensitori!
Al prossimo capitolo! Baci, Luna.

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Capitolo 9
*** 9 ***


<< Cameron, non sto scherzando. Il suo cuore non batteva e da un taglio sul braccio ne è uscito più sangue coagulato che fresco; il calmante non ha fatto effetto subito perché il cuore non riesce a pompare il sangue in tutto il corpo! >> urlò Chase, sbattendo una risma di fogli sulla scrivania con aria frustrata.

<< Certo, come no! A quest’ora sarebbe all’obitorio, non in una camera per vivi a respirare aria come tutti i comuni mortali… >> replicò sarcasticamente la dottoressa, fulminando il collega con lo sguardo.

<< Ora basta! >> intervenne Foreman, cercando di mitigare la situazione << La mancanza di sangue che porta ossigeno al cervello potrebbe causare le allucinazioni. >>.

<< Sì, ma se non sappiamo perché il cuore batte appena non possiamo curarla >> sospirò Cameron, passandosi una mano tra i capelli.

<< Possiamo farle una trasfusione, poi passeremo al problema del cuore >> propose Chase.

<< Se è una malattia autoimmune o qualcosa di simile, il corpo potrebbe respingere un aiuto esterno… e potrebbe farle più male che bene >> osservò Foreman, pensieroso.

<< Ma se non facciamo nulla, morirà! >> ringhiò l’altro, infuriato per la prudenza quasi ridicola dei colleghi.

<< E se facciamo qualcosa potrebbe stare peggio di così! >> rispose a tono la dottoressa << Ieri sera le ragazze stavano già meglio; dovremmo rimandare l’inizio di una cura. >>

I tre medici annuirono; avrebbero sospeso ogni medicinale, per il momento.

 

**

 

 

<< Voglio andarmene da qui >> sibilò a fatica Heather, togliendosi con uno scatto rabbioso la mascherina del respiratore artificiale.

<< Mi amor, sai bene che non è possibile >> sospirò pazientemente Alejandro << non finché non starai meglio, almeno. >>.

Heather bevve con bramosia l’acqua che un infermiere le aveva portato, evitando lo sguardo del ragazzo. << Io sto già meglio >> replicò freddamente.

L’ispanico sospirò. Lui non poteva proteggerla, se lei faceva di tutto per impedirglielo… perché la sua ragazza doveva essere sempre così complicata e testarda?

 

**

 

Duncan svoltò a sinistra, addentrandosi in un vicolo piuttosto angusto e buio; non era spaventato, lo percorreva tutti i giorni per arrivare a casa prima.

Saltò la staccionata di legno traballante e si addentrò ancora di più nello stretto viale che divideva due casupole, ormai disabitate da anni; improvvisamente una mano afferrò il suo collo e lo sbatté contro il muro con violenza, mentre il punk si divincolava, spaventato e sorpreso.

 

Il suo assalitore, protetto dalla coltre d’ombra umida del vicolo, portava un cappuccio nero che lo rendeva irriconoscibile, strinse Duncan così forte da impedirgli ogni possibilità di divincolarsi e premette delicatamente la lama fredda di un coltello contro la sua gola.

<< Le ragazze devono uscire dall’ospedale >> sussurrò l’aggressore, con voce appena udibile; attese una risposta da parte di Duncan, che, confuso, annuì febbrilmente; in quel momento percepiva solo il freddo della lama e dallo sfarfallio dell’adrenalina nel suo stomaco.

Non appena ottenne la conferma desiderata, l’assalitore lo lasciò cadere bruscamente a terra e corse via, indisturbato, con la consapevolezza di aver vinto di anche questa volta.

 

**

 

Gwen decise che aveva voglia di sgranchirsi le gambe: non ce la faceva più a rimanere seduta nel letto a farsi controllare di continuo, era stufa.

Chiamò un’infermiera che la aiutasse ad alzarsi, prese la sbarra di acciaio a cui era agganciata la sacca con la sua flebo, s’infilò le scarpine e mosse qualche passo nel corridoio, sorretta dalla donna; il sostegno della flebo era freddo, ma le dava una certa sicurezza.

<< In che camera sta Heather? >> domandò all’infermiera, sussurrando per non sforzare la voce.

<< Oh, credo sia quella lì in fondo: vuoi andare a trovarla? >> le chiese la donna gentilmente, spingendo insieme a Gwen l’asta: la ragazza sembrava troppo debole per riuscire a muoverne le ruote da sola.

Lei annuì, abbozzando un sorriso.

<< Certo, cara. Vieni, cammina con calma… >>

 

**

 

Alejandro aveva insistito molto perché Heather rimettesse la mascherina; la dottoressa Cameron gli aveva affidato l’oneroso compito di assistere la ragazza, anche quando faceva i capricci, sottolineando in particolare l’importanza di un’accurata ossigenazione.

Heather, però, non era dello stesso avviso; aveva indossato malvolentieri la mascherina del respiratore ma si era rinchiusa in un cupo silenzio, aveva incrociato le braccia ed era sprofondata tra i cuscini con un irresistibile broncio.

 

Era addirittura riuscito a persuaderla a tenere acceso il saturimetro, un’impresa non da poco che era stata precedentemente abbandonata da un esasperato dottor Chase.

Insomma, l’ascendente che l’ispanico aveva su di lei si era rivelato molto utile.

Gwen bussò ed entrò, salutando Alejandro con un cenno del capo.

<< Ehi, Heather. Come stai? >> le domandò allegramente ed entrò, cercando si non inciampare nelle ruote della staffa.

L’asiatica guardò di sbieco Alejandro, che le tolse la mascherina con un’espressione divertita.

<< Bene >> le rispose, soddisfatta; finalmente riusciva a respirare un po’ da sola, senza quell’odiosa mascherina.

Gwen alzò le sopracciglia, scettica, e il suo sguardo si posò platealmente sul respiratore e poi di nuovo sulla ragazza, che sbuffò seccata.

<< Al, come vedi, esagera sempre >> rispose Heather all’implicita domanda, calcando malignamente sull’odiato soprannome dello spagnolo.

 

 << Possiamo parlare? >>

 

Heather guardò sottecchi Alejandro, che recepì il messaggio senza bisogno di parole.

<< Va bene, va bene >> capitolò infine lui, dopo un altro sguardo eloquente della ragazza << ma solo cinque minuti >>.

<< Se dovessero esserci problemi >>, aggiunse l’infermiera << suonate il campanello e sarò subito da voi >>; le pazienti annuirono debolmente con la testa.

Lui e l’infermiera uscirono dalla stanza, chiudendo la porta e le ragazze finalmente ebbero l’opportunità di parlarsi liberamente.

 

<< Io non voglio rimanere qui >> disse Gwen, cupa, e Heather annuì: nonostante non si sopportassero, stipulare una tregua silenziosa poteva essere un buon compromesso.

<< Nemmeno io. So che quel biglietto era inquietante, ma ha ragione. Qui non ci cureranno, sono stanca di rimanere in ospedale. >> sibilò l’altra, con voce ancora flebile.

<< Allora andiamocene >> sussurrò la gotica, con un sorriso furbo sul volto.

Note dell'autrice

Salve! Qui qualcosa sta iniziando a smuoversi... chi sa che cosa avrà in mente l'autrice? *risata malefica*

Be', non credo ci sia molto da dire su questo capitolo... ma se avete qualcosa da chiedermi, sarò felice di rispondere alle vostre domande! (a patto che non siano di importanza fondamentale per la trama della storia, of course xD).

Vi ringrazio e vi saluto! Alla prossima :)

Baci, Luna.

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Capitolo 10
*** 10 ***


<< Non se ne parla! >> ruggì Alejandro, con gli occhi spalancati << Non uscirai di qui, non m’importa se senti di dover andartene… qui si tratta di salute, Heather, non ho intenzione di transigere su questo… >>

<< Nemmeno io >> replicò Heather, lapidaria. << Non rimarrò in ospedale a farmi iniettare acqua fisiologica, non sono stupida. Se dovrò morire, succederà nel mio letto. Mi sono spiegata? >>.

Alejandro si trattenne a stento dallo schiaffarsi una mano in fronte; con Heather qualunque discussione sarebbe stata una battaglia persa sin dal principio.

 

**

 

La dottoressa Cuddy, il capo dell’ospedale dov’erano ricoverate le due ragazze, per la prima volta non sapeva che cosa fare; rigirò ancora una volta la minacciosa lettera tra le mani per poi firmare, un po’ perplessa, l’autorizzazione del rilascio di Gwen Fahlenbock e Heather Wilson.

Lanciò un ultimo sguardo sospettoso alla lettera; forse avrebbe potuto far uscire le ragazze dall’ospedale, ma di certo non fermare House.

 

Sorrise, scettica: se Gregory House si fosse impuntato su quel caso, nessuno avrebbe potuto dissuaderlo dall’intervenire. Neanche lei. Neanche lui.

 

**

 

Il giorno dopo, molto prima che i timidi raggi del sole s’insinuassero tra le pieghe delle persiane bianche, le valigie di Gwen e Heather facevano bella mostra di sé sul letto dove prima giacevano le loro proprietarie, accuratamente impacchettate da una perplessa infermiera e dai ragazzi, le cui espressioni erano a dir poco furiose.

<< Che cosa diavolo ti frulla in testa, Gwen? Credevo che almeno tu avessi un po’ di sale in zucca, santo cielo! >> sbraitava Trent da almeno mezz’ora, << Tu stai male! Entrambe state male, e ti dirò di più: potreste rimetterci anche la pelle! Per tutti i santi, Gwen, mi stai ascoltando? >>.

La diretta interessata, in realtà, aveva mantenuto un’espressione neutra durante tutta l’eterna sfuriata di Trent: il suo volto cinereo non mostrava alcun segno d’interesse o di reazione.

<< Sì. >> asserì semplicemente, stringendo in una linea sottile le labbra pallide e, stranamente, prive di rossetto colorato.

<< E allora si può sapere perché non rinsavisci? Posso capire la testardaggine di Heather, sarà uno dei suoi soliti colpi di testa, ma mi stupisce la tua completa mancanza di buonsenso! Duncan, diglielo anche tu! >> ringhiò il chitarrista, ancora furioso: Gwen realizzò, ascoltando una vocina flebile nella sua testa, che probabilmente Trent non si era mai arrabbiato tanto prima d’ora.

 

Il punk fece una smorfia pensierosa, quasi buffa.

<< No. Se vuole uscire, va bene: a quanto ho capito non le stanno somministrando alcun farmaco, giusto? Che differenza fa se rimane qui o se torna a casa? >>.

Trent serrò le labbra e sgranò gli occhi, impietrito.

Era una congiura, quella? Si vedeva costretto a desistere; << Va bene >> sospirò tristemente << ma al primo malore torneremo immediatamente. Chiaro? >>.

Gwen si limitò ad alzare un sopracciglio, vagamente divertita: Trent proprio non ce la faceva a sembrare autorevole, neanche ne andasse della sua stessa vita.

<< Andata >> acconsentì, scrollando le spalle magre.

D’altronde, che differenza avrebbe fatto?

 

***

 

 

Alejandro sospirò profondamente per raccogliere tutta la pazienza che gli era rimasta in corpo.

<< Heather, querida, luce dei miei occhi… ti prego, ripensaci. Hai tutta l’aria di chi sta per svenire da un momento all’altro. >>

La ragazza lo fulminò con lo sguardo, sillabando chiaramente, senza bisogno di parole, che non aveva alcuna intenzione di ascoltarlo.

L’ispanico si passò una mano sulla faccia, esasperato, cercando inutilmente di contenere la disperazione.

<< Voglio tornare a casa. Adesso. >> la voce di Heather, seppur vagamente afona, pronunciò quelle poche parole con il tono imperioso di chi è abituato a comandare: sapeva che Alejandro l’avrebbe accontentata anche quella volta.

 

**

 

 

La macchina percorse il vialetto ben lastricato della villa, frenando dolcemente per parcheggiare: dall’auto sportiva scesero Alejandro e, da lui sorretta, Heather, che esibiva un’espressione di palese e profonda irritazione.

Il finestrino del conducente si abbassò, rivelando la slanciata figura di un ispanico, di circa ventitré anni, che guardava Alejandro con aria piuttosto preoccupata.

<< Ehi, Al, la chica non ha una bella cera. >> disse << Vuoi che ti aiuti o resto qui? >>.

Alejandro ebbe un fremito involontario, ma non aveva tempo per rimproverare il fratello per l’odioso soprannome.

 

<< No, Carlos, me la cavo da solo. Resta qui. >> rispose, distratto da Heather che bussava alla porta d’ingresso di casa sua con nervosa debolezza.

Gli occhi di Carlos, di un castano caldo e rassicurante, si adombrarono sotto il peso di un cipiglio inquieto.

<< Okay, ma chiamami, se serve aiuto. >> borbottò, ma le sue parole si persero tra il suono secco del finestrino che si chiudeva e il frastuono insopportabile dei pensieri di Alejandro.

 

**

 

<< Oh, cara >> esalò Margaret Wilson, quasi incredula nel vedere la figlia e poterla finalmente stringere tra le braccia << Heather… tesoro… >> le parole le morivano in gola e le lacrime premevano dolorosamente per uscire, incastrandosi tra le ciglia come piccoli cristalli.
Sua figlia, che i medici avevano dichiarato morta e, dopo poche ore, miracolosamente resuscitato, stava in piedi davanti a lei, cerea come un fantasma, tanto che la madre dubitò dei suoi occhi: una triste vocina nella sua testa le suggeriva che poteva essere solo l’immagine di Heather, la stessa pallida figura che aveva sognato con la disperata forza di una madre che ha perso la figlia.

 

<< Ciao, mamma >> la voce di Heather fu lieve e fioca, ma per la madre era più che sufficiente per convincersi che era davvero sua figlia, la ragazza pallida che si reggeva appena in piedi, e non l’ennesima ombra distorta della sua mente.

Margaret regalò uno dei suoi rari sorrisi al ragazzo ispanico che sorreggeva Heather, e si scambiò con lui uno sguardo carico di gratitudine; non ci fu bisogno di parole.

Angolo Autrice

Ehm ehm... buonasera! :D perdonate il lieve ritardo, ma ho dei problemi con il pc che, purtroppo, non so quando potranno essere risolti... perciò spero perdonerete la mia assenza forzata, è a causa di forza maggiore ^^''

Ma non temete, in qualche modo riuscirò ad aggiornare :)

Vi lascio con l'ennesimo capitoletto insapore in attesa di più interessanti scene (che ho già scritto, of course, e saranno online a breve... spero) e corro a rispondere alle vostre recensioni!

Ringrazio tutti i lettori! Un bacio, Luna.

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Capitolo 11
*** 11 ***


Catherine Fahlenbock si torceva nervosamente le mani, seduta nella piccola sala d’attesa: era stata chiamata nel cuore della notte da un’infermiera che si era categoricamente rifiutata di lasciare che, come l’aveva testualmente definito, “quel ragazzo punk poco raccomandabile” accompagnasse Gwen a casa.

Poche ore dopo, la donna aveva visto passare l’altra ragazza del reality, quella mora con i capelli lunghi e un colorito notevolmente cadaverico, scortata da due ragazzi ispanici; dentro di sé si domandava se anche Gwen fosse in quelle condizioni…

 

La ragazza comparve faticosamente: un ragazzo con stupefacenti occhi verdi la supportava, mentre un flebile sorriso increspava le labbra della figlia.

Catherine deglutì dolorosamente, scrutando con affanno il viso della ragazza e catalogando quasi per un riflesso involontario, affinato in anni di normali preoccupazioni materne, tutti gli inquietanti elementi che, sul viso di Gwen, sembravano urlare dolore e morte: il pallore, per esempio, paragonabile a quello dell’altra ragazza o le occhiaie, più simili a lividi; il tutto venne incassato da sua madre come fossero pugni nello stomaco.

 

Catherine aprì la bocca, forse per dire qualcosa, ma, mentre le parole le sfioravano la lingua, decise di recidere ogni possibile discorso; la abbracciò e la riaccompagnò a casa, stringendo le mani fredde della figlia come se non ci fosse un domani.

 

 

***

 

 

Alejandro risalì sulla macchina sportiva del fratello ancora un intontito, un po’ per il sonno e un po’ per gli assurdi avvenimenti di quelle ultime ventiquattro ore.

Nell’abitacolo riecheggiavano sorde le parole di una canzone spagnola, attutite dai sedili e dall’agrodolce pensiero che Heather era ancora viva.

 

<< Come sta la chica? >> domandò Carlos, cercando di sembrare disinvolto.

Alejandro sollevò pigramente la testa, inclinandola un poco da un lato, e rispose con altrettanta disinvoltura: << Bene. Spero solo che non muoia per mancanza di ossigeno nel suo letto o nella doccia. >>.

Il tono delle sue parole era freddo, ma Carlos percepì la sofferenza graffiante che dilaniava il fratello come fosse sua.

 

<< Casa sua dista venti minuti di macchina dalla nostra… >> sussurrò, soppesando attentamente le parole << posso prestarti la mia macchina o accompagnarti, se vuoi >>.

Il ragazzo gli scoccò uno sguardo di sincera gratitudine.

<< Grazie, Carlos. Lo apprezzo davvero. >>

 

 

***

 

 

Duncan attraversò i corridoi dell’ospedale con le mani affondate nelle tasche, fischiettando distrattamente per cancellare dalla sua mente l’immagine di Gwen che si allontanava e il suo volto pallido, riflesso nel vetro dell’auto.

All’uscita scorse Trent a pochi passi dalla porta, seduto su una panchina, che fissava con consapevole tristezza il punto da cui la macchina della signora Fahlenbock era frettolosamente partita; il suo sguardo amaro, che sembrava specchiarsi in quello di Gwen, lo colpì, sorprendentemente, come uno schiaffo in pieno viso.

 

 

**

 

 

Una figura sogghignò, nascosto dalla penombra, mentre ripiegava con cura delle buste di carta; scrisse lentamente i nomi sul retro e lasciò che l’inchiostro asciugasse all’aria, mentre osservava pigramente il liquido trasparente in una boccetta, che bolliva emettendo di tanto in tanto sbuffi di vapore.

 

La sua mano guantata afferrò una busta di carta, che recava l’indirizzo dell’ospedale; sapeva che cosa voleva fare quel fastidioso, inopportuno dottore: Gregory House era una spina nel fianco, la sua curiosità e la sua testardaggine lo infastidivano non poco.

Si premurò di spedire la suddetta lettera alla direttrice Cuddy la sera stessa, sperando che il Dr House non si fosse già intromesso in una situazione che non lo riguardava.

 

Le ragazze dovevano seguire il percorso che aveva preparato per loro, e uscire dall’ospedale era la prima tappa; non poteva permettere che uno sciocco dottore intralciasse il suo piano.

 

Un poco infastidito, prese i due fogli di carta e, controllando che l’inchiostro fosse asciutto, aggiunge un post scriptum che lo tranquillizzò un po’; conosceva il potere di quelle lettere.

 

Sorrise appena: sapeva di aver escogitato il delitto perfetto.

Nessuno lo avrebbe fermato.


Note dell'autrice (ritardataria!)
... sono in ritardo. Un tremendo ritardo.
... Perdono! ç.ç So bene di non avere scuse, ma in mia difesa posso dire che la scuola ci ha massacrati e che non ho avuto un momento libero... mi sono dileguata da questo fandom per troppo tempo, era ora di tornare! xD.
Che posso dire di questo capitolo? Avevo voglia di un po' d'introspezione... e di dedicare qualche riga al fantomatico lui; vi è piaciuta l'idea? ^^
Vi ringrazio tanto per la vostra costanza nel seguire questa ff, nonostante venga aggiornata in modo tutt'altro che costante xD
Un grazie speciale anche ai recensitori! <3
A presto (spero xD), Luna.


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Capitolo 12
*** 12 ***


Il cellulare vibrava insistentemente sul comodino di legno scuro, tanto a lungo da meritarsi un’occhiata scocciata di Noah, che, dopo diversi minuti di frastuono, si arrese; lo afferrò e rispose, sospirando per la noia.

<< Noah! Amico! >> esclamò un ragazzo, la cui voce era fastidiosamente amplificata dall’apparecchio.

<< Sì, Geoff, che c’è? >> sibilò l’indiano, irritato: erano le quattro del mattino, per la miseria!

<< Sai che le ragazze sono tornate a casa? Me l’ha detto Bridgette >> gongolava rumorosamente il festaiolo, irritando, se possibile, ancora di più l’interlocutore.

<< Wow. Sono felice che stiano meglio >> replicò Noah, desideroso di interrompere la conversazione e tornare a dormire.

<< Oh, no, non credo stiano bene, anzi: penso che non volessero morire su un letto d’ospedale >> ciarlò il biondo, privo di una qualsiasi, minima quantità di tatto; ma Noah era troppo stanco per accorgersene, e di mattino non aveva abbastanza pietà né energie per sdegnarsi.

<< Sì, bene. Ciao. >> chiuse la telefonata, laconico come d’abitudine, e tornò a dormire.

Almeno, ci provò; l’idea delle due ragazze, apparentemente morte e poi miracolosamente sopravvissute a un avvelenamento (che superbo materiale di studio!), gli impedì di chiudere occhio per tutta la notte.

<< Vita, perché mi odi così tanto? >> sospirò, ma, come al solito, non c’era nessuno ad ascoltarlo.

 

**

 

Cody tamburellò le dita sul tavolo, senza più riuscire a prendere sonno; pochi minuti prima era stato chiamato da un’entusiasta Sierra, che gli aveva comunicato le ultime novità: Gwen e Heather avevano deciso di tornare a casa, e lei non vedeva l’ora di andare a trovare quest’ultima per aggiornarsi e distribuire generosamente succosi pettegolezzi.

Era indeciso se chiamare Gwen o se andare a trovarla, ma la sua stalker ufficiale sicuramente glielo avrebbe impedito… e in più Sierra era capacissima di controllare i suoi tabulati telefonici, perciò decise saggiamente che era meglio non rischiare.

Emise un lungo sospiro, poi riprese in mano in cellulare per chiamare Bridgette e aggiornarla sulle ultime novità.

 

**

 

Chef osservò con curiosa perizia il biglietto che gli era stato da poco recapitato e infilato sotto la porta d’ingresso; il messaggio, stampato su carta bianca e spessa, riportava le indicazioni di Chris, o almeno così immaginava, che voleva organizzare un secondo incontro ufficiale del cast, visto il triste esito del precedente.

L’omaccione non si fece troppe domande: scrollò le spalle, ripiegò il foglietto e si preparò per tornare - finalmente - a dormire.

 

**

 

Il mattino dopo, i signori Wilson si svegliarono presto, elettrizzati all’idea che la loro figlia minore stava davvero dormendo al piano di sopra, nel suo letto, dopo molti mesi di assenza trascorsi tra reality e ospedale; bastarono poche ore di convivenza per convincerli che, forse, non era poi così bello come sembrava.

<< Tesoro… >> tentò debolmente la madre di Heather, guardando la figlia con espressione quasi timorosa << che ne dici di mangiare un po’? >>.

La ragazza la guardò senza vederla davvero, con un’aria smarrita e decisamente poco accomodante.

Margaret sospirò, affranta: Heather non aveva più detto una parola, era rimasta seduta tutta la mattina sul suo letto, intorpidita, fissando il vuoto con una smorfia di dolore.

 

Quando il campanello suonò, la donna corse ad aprire la porta d’ingresso quasi con gratitudine.

<< Sì? Chi è? >> domandò gentilmente, socchiudendo l’uscio di casa.

<< Sono il Dr House, signora >> replicò l’uomo che le stava davanti: portava delle scarpe da ginnastica, del tutto inadatte alla sua età, e aveva un bastone << avevo in cura sua figlia, mentre era in ospedale. Posso entrare? >>.

 

La signora Wilson boccheggiò, sorpresa. << Dottore… sì, certo, ricordo il suo nome ma… non credo di averla mai vista, mi sbaglio? >> balbettava, cercando di mantenere la sua consueta, pacata educazione.

L’uomo parve divertito << Certo che non mi ha mai visto, di solito non voglio avere nulla a che fare né con i pazienti, né con i loro adorabili parenti >> disse il dottore, e, mentre parlava, a Margaret parve quasi di vedere l’ironia trasudare dal suo sorrisetto beffardo.

 

La donna serrò le labbra e assunse una posizione altera, che accompagnò a uno sguardo freddo e sospettoso.

<< Entri >> sibilò, facendosi da parte per permettere il passaggio del dottore.

L’uomo zoppicò fino alla stanza di Heather, scortato da una sempre più diffidente signora Wilson.

 

Una volta giunti nella stanza della ragazza, il Dr House socchiuse lievemente gli occhi e inclinò la testa, come per studiarla meglio.

<< Affascinante… >> si lasciò sfuggire qualche piccolo commento tecnico, mentre misurava a grandi passi l’ampiezza della camera: aveva bisogno di riflettere.

La madre di Heather rimase appoggiata allo stipite della porta per tutto il tempo, come una civetta che attende il momento propizio per afferrare il topolino e portarlo lontano.

 

A un tratto si fermò davanti alla ragazza - che appariva persino più pallida del giorno prima, quasi del tutto esangue – e si abbassò sulle ginocchia, finché il suo limpido sguardo ceruleo non incrociò gli occhi grigi e assenti della ragazza.

<< Ti ho visto in televisione, sai. >> esordì, del tutto calmo << So come sono fatte, le persone come te: credono di difendersi dietro un muro di strategie e battute al vetriolo, ma sappi che con me non funzionerà: io sono molto, molto peggio. E sono autorizzato a usare il bisturi. >> continuò poi, divertito, << Quindi è meglio che tu collabori, cara Heather, così sarà meno traumatico per entrambi: se tu e la tua amica tornerete in ospedale, ti prometto che renderò la cura il più veloce e indolore possibile. >>

 

Heather, per la prima volta in quella giornata, alzò lo sguardo: gli occhi si erano riaccesi di una flebile vivacità.

<< Se ne vada. >> sussurrò, come se le costasse un enorme sforzo spingere fuori le parole, muovere le labbra aride: << Lei non può curarci >>.

 

Il dottore aggrottò le sopracciglia, ma non insistette; c’era un particolare che aveva catturato la sua attenzione, qualcosa di degno d’essere analizzato.

Aveva visitato entrambe le ragazze, in quella giornata, e le aveva trovate nella stessa posizione: al suo discorso – perfettamente uguale per entrambe – avevano dato la stessa, enigmatica risposta.

 

La madre di Heather si agitò un po’, come se stesse aspettando solo un rifiuto da parte della figlia per parlare.

<< Heather è stanca, dottore. Credo che il suo aiuto non sia necessario. >> sillabò gelidamente.

Ma l’uomo non la ascoltò: uscì, zoppicando, dall’enorme villa, immerso nei propri pensieri.

Note dell'autrice.

Eccomi qui! *non vola una mosca* ehm, bene... ragazzi, vi rendete conto? 100 recensioni! Io vi adoro! ** non mi sarei mai aspettata un numero a tre cifre! (be', neanche di continuare questa storia, in effetti xD ma non importa...)

Bene, avrei una piccola curiosità: il grande momento si avvicina, siamo già al dodicesimo capitolo! vi confesserò un segreto: il prossimo capitolo, il tredicesimo, è il mio preferito in assoluto, rispetto a tutti gli altri che ho scritto... per questo motivo vorrei un giudizio imparziale di voi lettori; finora, qual è stato il vostro capitolo preferito? Come mai? Questa è una piccola curiosità che vorrei togliermi, nulla di più... fatemelo sapere nelle recensioni, mi raccomando :D

A grande richiesta, è comparso il Dr House! Su, non siate tanto delusi, l'avevo detto che sarebbe stata un'apparizione piccina... inoltre ho ritenuto opportuno dare un piccolo spazio anche agli altri personaggi, visto che finora si sono visti poco!

Credo di aver detto tutto... ringrazio, come al solito, tutti i lettori: alla prossima!

Baci, Luna.

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