Tutta colpa di Parmigianino

di _amethyst_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo: partenza... ***
Capitolo 2: *** ...e arrivo! ***
Capitolo 3: *** Tra stranezze e notti insonni. ***
Capitolo 4: *** Nuovi arrivi. ***
Capitolo 5: *** Galeotta fu la paperella di gomma. ***
Capitolo 6: *** Una 'tranquilla' serata al bar. ***
Capitolo 7: *** Flusso di coscienza. ***
Capitolo 8: *** E' ora del bowling! -part. 1 ***
Capitolo 9: *** E' l'ora del Bowling! -part 2 ***
Capitolo 10: *** 10. Persecuzione o perfezione? ***
Capitolo 11: *** Tra vendetta e incomprensione. ***
Capitolo 12: *** Segreti inconfessabili. ***
Capitolo 13: *** Le bugie hanno le gambe corte. ***
Capitolo 14: *** Giù la maschera! ***
Capitolo 15: *** Il quaderno. ***
Capitolo 16: *** La dura verità. ***
Capitolo 17: *** La ragazza di ghiaccio. ***
Capitolo 18: *** Buon compleanno Prue! ***



Capitolo 1
*** prologo: partenza... ***


TUTTA COLPA DI PARMIGIANINO
partenza,






 
- Prue vuoi spegnere quella STRAMALEDETTA svegliaaaaaaa?!!! -
Lunedì mattina. Ore 5.01 e 34 secondi.
Sembra tanto una normale esclamazione isterica provocata dal suono alquanto irritante di una sveglia decisa a trapanarti il cervello fino all’ultimo, ma in realtà è stato l’inizio di tutto. 
Sì, perché quel lunedì non era un giorno come un altro e, purtroppo, io e mia cugina ce ne ricordammo un po’ troppo tardi.

 
 
OH MERDA! - fu la mia reazione molto matura quando rammentai, esattamente alle 7.03 del mattino, che proprio quel lunedì saremo dovute partire.
Il motivo scatenante della mia reazione, che  fu quella di lanciare le lenzuola in aria, farle arrivare fino al soffitto, inciampare goffamente su ogni oggetto esistente e buttarmi a capofitto su mia cugina lanciando un agghiacciante ululato da film horror fu la consapevolezza che alle 8.30 in punto saremmo dovute già essere all’aeroporto, accessoriate di biglietto e di valigia nonché profumate, lavate e vestite in modo decente per salire sull’aereo.
Azioni che richiedevano tutte quante, nessuna esclusa, una vasta quantità di tempo che noi avevamo ampiamente sprecato ronfando come maiali.
- Ahi!!! Perché mi sei saltata addosso…? E perché gracidi come una rana??! - chiese Prudence, con il tono lamentoso di una ancora del tutto tramortita dal sonno. 
Non aprì gli occhi ma, se possibile, si ancorò ancora di più al cuscino che, come al solito, si era tenuta per lei per quasi tutta la notte. 
-CHE-DIAVOLO-CI-FAI-ANCORA-ADDORMENTATA???!!!!!! VEDI-DI-MUOVERTI-SE-NON-VUOI-CHE-TI-LANCI-ADDOSSO-UNA-SECCHIA-DI-ACQUA-GHIACCIATA-E- TI-STAMPI-SUL-CULO-IL-TACCO-DEGLI-STIVALI!!!!!! TI-RENDI-CONTO-SPECIE-DI-CAPRA-TROGLODITA-CHE-SONO-ESATTAMENTE-LE- 7.04 E-CHE-DOBBIAMO-ESSERE-ALL’AEROPORTO-ALLE 8.30???!!! -
Ululai tutto così in fretta da non impiegarci nemmeno quattro secondi, non avendo scandito le parole come imponeva il corretto uso della lingua italiana, ma quei quasi quattro secondi bastarono a sortire l’effetto sperato… volendo.
Mia cugina cadde con la leggiadria di King Kong sulle mattonelle e in meno di mezzo millesimo secondo si era già risollevata ed era già ri-inciampata sulle lenzuola che pochi secondi prima avevano fatto amicizia con il lampadario. 
Beh, non si poteva dire che non si fosse svegliata del tutto!
Dopo vari tentativi di rimettersi in posizione eretta senza incespicare in qualcosa, riuscì a sollevarsi dal pavimento e a guardarmi ad occhi sbarrati. 
- Perché non mi hai svegliata prima?!!! - mi chiese, strillando.
- Ti ricordo che quella che ha spento la sveglia due ore fa’ sei stata tu e non io di certo!!! -
- Cosa, cosa, cosa???!!! Sei stata tu a dirmi di spegnerla se non te lo ricordi bene! -
- E ovviamente a te non è neanche passata per l’anticamera del cervello l’idea che fossi talmente intontita dal sonno che stessi parlando a vanvera!!! -
- E a te invece non è passata neanche per il giardinetto del cervello che fossi talmente intontita dal sonno da non riuscire a fare qualcosa di sensato!!! -
- Ma tu non fai mai niente di sensato!!! -
- LA VOLETE PIANTARE?! QUI C’È GENTE CHE DORMEEE!!! - quell’urlo disumano proveniva senza dubbio dalla stanza affianco, dove dormivano Logan e Kimberly. Riconobbi la vocetta stridula di Kimberly ed ebbi il buonsenso di tappare la bocca.
Effettivamente erano le 7.05 del mattino ed era logico che fosse presto per mettersi a litigare come delle ossesse, soprattutto quando in casa c’erano altri che non avevano l’obbligo di prendere un aereo alle 8 e mezzo!
Io e mia cugina ci trucidammo con gli occhi, poi spostammo lo sguardo verso la porticina in fondo alla stanza: il bagno.
Ci guardammo di nuovo e allora capii. 
Mi misi a correre verso quella porta, talmente veloce da fare concorrenza a Speedy Gonzales, ma ci ritrovammo tutte e due con le mani sulla maniglia. 
Niente da fare, non mollava la presa; e nemmeno io.
- Lasciami il bagno!!! - strillò, ma non dovevo demordere.
- No! Lasciamelo tu! - risposi a tono.
- Neanche per idea! -
- Lasciamelo ho detto! -
- E io ho detto di no! -

 
Alla fine, dopo minuti sprecati a litigare in perfetto stile “mammaaaa mi ha rubato le caramellee” trovammo un modo molto maturo e degno di due diciottenni diplomate con il massimo dei voti di scegliere chi per prima dovesse entrare nel bagno: 
ci sfidammo a morra cinese.
Lo ammetto, effettivamente non era un modo molto maturo, ma era quello più efficace e più rapido, dato che ci serviva essere veloci come razzi. 
Ovviamente con la grandissima fortuna (si fa per dire) che mi ritrovavo vinse Prudence che con un ghigno soddisfatto entrò in bagno. 
Aspettai pazientemente, sperando che non si dilungasse troppo a contemplare pancia inesistente o fantomatici chili di troppo che evidentemente non aveva, come faceva di solito. 
Ma dieci minuti più tardi era già fuori: doveva aver capito che non era il momento giusto per guardarsi allo specchio. 
Entrai immediatamente e mi feci una doccia rapidissima, che mi diede almeno modo di non puzzare come una capra di montagna, e mi spazzolai i capelli.
Niente piastra, pensai con una fitta di orrore per le condizioni pietose in cui si trovavano i miei capelli.
Non dubito che se la donna delle pulizie mi avesse trovato immobile a testa in giù mi avrebbe scambiato senza alcun dubbio per una scopa. 
Pazienza, quando mi sarò sistemata nella nuova casa avrò modo di rendermi accettabile.
Per fortuna ero stata dieci volte più veloce di mia cugina, che era ancora alle prese con la scelta dei vestiti…aspetta un attimo… scelta dei vestiti?!
- Prue non stiamo di certo andando ad una sfilata di moda, dobbiamo soltanto metterci addosso qualcosa e riuscire a salire su quel maledetto aereo prima che prenda il volo! Quindi muovi quelle chiappe, prendi la prima cosa che ti capita e indossala senza troppi convenevoli, please! -
Lei mi guardò stizzita, come se avessi appena urlato una parolaccia impronunciabile.
- Ma così non è giusto! Metti che incontri su quell’aereo l’uomo della mia vita e io non lo sappia, eh? Eh? Ti sembra giusto?! -
- Non me ne importa un accidente Prue! Muoviti e basta, altrimenti sull’aereo del “ragazzo della tua vita”… - mimai con le dita le virgolette - …non riuscirai a metterci neanche la punta del tuo grazioso piedino! -
- Dai cugi! Cerca di essere meno acida! -
La guardai incredula, arrestandomi di botto. 
Meno acida eh? pensai, irritandomi all’istante.
Sembravo una pazza omicida: i capelli gonfi e tremendamente mossi, gli occhi spalancati colmi di incredulità e una scarpa tacco 12 nella mano destra come possibile arma del delitto.
Sì, sembravo una pazza omicida, anche se il verbo ‘sembrare’ non sembra più tanto adatto alla situazione; in quell’istante avrei davvero potuto uccidere mia cugina.
- Meno acida?! Arriveremo all’aeroporto in ritardo cosmico, saliremo sull’aereo in tempo record, sempre se riusciamo ad entrarci ovviamente, ho i capelli che non sembrano capelli ma una massa arruffata di peli di gatto che danno l’indubbia idea di una scopa, sono sudata come un maiale, non profumo di violette come al solito, ho il nervosismo alle stelle e TU… tu mi dici di essere MENO ACIDAAAA???!!! - misi talmente tanta enfasi nelle ultime due parole da spaventare per davvero Prudence, che arretrò visibilmente. 
- Scusa, allora continua ad essere acida come prima… - alzò le mani in segno di resa, ridacchiando nervosamente. No, non era decisamente il momento giusto per farmi incazzare.
- Allora muoviti a metterti la roba che io sono già pronta! E… per l’amor d’Iddio Santissimo vorrei farti sapere che sono le 8 meno un quarto! Pensa che dobbiamo fare il viaggio di qui all’aeroporto che è una buona mezzoretta e si fanno le 8 e un quarto! Poi dobbiamo fare i biglietti, salutare i nostri genitori e prendere l’imbarco!!! Come cazzo facciamo??? -
- Ah non lo so. In qualche modo ce la faremo ovviamente! Ricordati i soldi e la valigia! -
- Come fai ad essere sempre così ottimista?! Sei irritante a volte, anzi molto spesso. -
- Sei tu che sei troppo pessimista. - rispose semplicemente, innervosendomi ancora di più per quel sorrisetto rilassato che le si era dipinto in volto. 
Lei tranquillamente tranquilla e io nervosamente nervosa! pensai, ok basta con questi giochetti di parole patetici…
A malapena mi accorsi che i minuti passavano, quando la voce di Prudence mi risvegliò dal momentaneo torpore in cui ero sprofondata.
- Ehi, io sono pronta. Possiamo andare. -
- Finalmente! Prendiamo la mia macchina. -
- Guido io alloraaa! -
- Nuooooooooooooo!!! -
- Perchè no?! - 
- Guidi come un bradipo, in situazioni come queste è meglio la mia guida. -
- Io non sono lenta guidando, rispetto il limite di velocità! -
- Appunto. Se rispettiamo il limite di velocità quell’aereo non lo vediamo nemmeno con i binocoli. - prima che potesse aprire bocca per replicare dissi - niente ma! Fai come ti dico e basta… per una volta! - Prudence non replicò. 
Si limitò a caricare in macchina le valigie e i bagagli a mano, sedendosi poi sul sedile del passeggero in religioso silenzio.

 
 
Correvamo con i biglietti stretti tra le dita, mentre la voce della hostess chiamava i passeggeri ritardatari come noi. Quando passammo da quelle parti notammo con una stretta al cuore i nostri genitori. Purtroppo non potevamo fermarci a salutare, altrimenti avremmo perso il volo, così sventolammo una mano in segno di saluto e loro risposero, un po’ confusi. 
All’arrivo gli avrei spiegato tutto con calma.
Fortunatamente riuscimmo ad imbarcarci senza problemi, merito di qualche spintone (degno di una bimbaminchia al concerto del suo gruppo preferito) a qualche uomo d’affari un po’ troppo di disturbo al nostro passaggio, e quando finalmente mi sedetti al mio posto chiusi gli occhi, tirando un sospiro di sollievo. Per fortuna non mi avevano sistemata vicino al finestrino, altrimenti mi sarei sentita male. Prudence intanto guardava davanti a sé, sfinita.
Come darle torto in fondo? La notte prima con gli amici avevamo fatto baldoria fino a tardi, avevano insistito per passare la nostra ultima serata insieme prima della partenza ufficiale, e le occhiaie che ci contornavano gli occhi come dei panda ne erano la prova evidente.
- Ce l’abbiamo fatta… in un ora e mezzo. Non credevo che fosse possibile fare tante cose in soli novanta minuti e invece ce l’abbiamo fatta. -
- Mmm. - rispose con un mugolio Prudence, chiudendo gli occhi.
- Prue, ti rendi conto che stiamo partendo alla volta di Roma??!!! Cambiamo vitaaa! Scommetto che l’Università è bellissima, non vedo l’ora di andare! E poi chissà che coinquilini ci toccano, magari sono anche carini! Speriamo, anche perché… - venni improvvisamente interrotta da una strana sensazione. Mi voltai con le sopracciglia leggermente aggrottate e sobbalzai. Sbattei le palpebre, accigliata.
Il vecchietto del sedile dietro mi aveva pizzicato la spalla.
La visione era orribile, ma tentai di tirare fuori la miglior faccia cortese per evitare di mostrare la mia perfetta faccia schifata; aveva rughe dappertutto, forse anche nei capelli, e dal naso gli spuntava una massa di peli folti e grigi: sembravano aghi. Che schifo.
- Sì? - chiesi, pregando in greco, in cinese, in giapponese e in aramaico che quelle agghiaccianti cose grigie che gli spuntavano dalle orecchie non fossero lo stesso dei peli. 
Le mie preghiere però a quanto pare non ebbero nessun effetto, perché quelli erano proprio schifosi peli delle orecchie.Oddei, è più peloso di me da bambina. 
Non lo ritenevo possibile e invece… pensai, inorridita.
- Credo che la signorina accanto a lei si sia addormentata e che non abbia sentito una parola di quello che lei ha appena detto. - era come in un film di Matrix. 
Avevo notato con i raggi X la nuvola verde che usciva dalla bocca del vecchietto e avrei tanto voluto piegare la testa all’indietro ed evitare quel terribile alito di gatto morto che sentii subito dopo. Triplo che schifo. Bleah. Puu. E infiniti esclamazioni rimasero confinate nella mia mente.
Quando mi ripresi da quell’alito altamente tossico feci un sorrisetto e mi voltai, tramutandolo in un’espressione sconvolta da “Ma che bella figura di merda… e che alito di merda!”
Scossi la testa e per ripicca diedi una gomitata a mia cugina, che si rigirò nel sonno.
Il viaggio verso l’aeroporto era forse una delle scene che nella mia vita non avrei mai dimenticato. 
Avevo superato la soglia dei 180 partendo in sgommata, schivando prontamente cani, gatti, topi, ricci, procioni, pinguini e vecchiette come in un film di Fast and Furious e, in seguito ad uno sfortunato pronto intervento di mia cugina che aveva tentato di mettere il piede sul freno, avevo pressato ancora di più l’acceleratore, trovandomi a guidare a 200. 
Il viaggio per l’aeroporto era durato meno di un quarto d’ora.
Prudence era uscita dalla macchina con le gambe che le tremavano e aveva vomitato per cinque minuti buoni, facendomi perdere ancora più tempo. 
Ma era normale; se non avessi avuto uno stomaco di ferro avrei fatto lo stesso.
La guardai e la prima cosa che mi venne in mente fu la nostra diversità. 
Tanto fisicamente quanto caratterialmente.
Io avevo i capelli castano scuro, mossi e lunghi fino a sotto le spalle e gli occhi castani (scuri anche questi). Di media statura e nella norma come peso. 
Pessimista fino all’osso, sfortunata fino al midollo e lunatica fin dentro le piastrine. 
Questa ero io, o così mi definivo, Bethany Stephens. 
I miei amici più stretti e la mia famiglia mi reputavano la persona più pazza e vendicativa della Terra, e su questo concordo. 
Altri mi reputano una bella ragazza, e su questo non esprimo il mio parere. 
Non mi piaccio granché, non ci posso fare niente, anche se ogni tanto mi sorprendo a guardarmi allo specchio, cercando qualcosa di particolare sul mio viso che potesse regalarmi un po’ di autostima in più. 
Prudence Gray invece non potrebbe essere più diversa da me.
Altissima, talmente magra da poterle contare le ossa della gabbia toracica, ottimista, logorroica e… la persona che mangia di più su questa Terra! 
Chi l’avrebbe mai detto eh? Magra ma golosa.
Era castana, sia di capelli che di occhi, ma di un colore più chiaro rispetto al mio. 
Diverse come il Sole e la Luna.
Io ovviamente la Luna. 
Misteriosa, lontana, luminosa e, spesso e volentieri, divisa in due metà: quella di sempre e quella mai conosciuta. 
Lei ovviamente il Sole.
Solare, allegra e trasparente come un diamante. 
Era facilissimo capire cosa le passava per la mente.
Diverse anche sotto un altro punto di vista. 
Prudence odiava farsi chiamare Prudence. 
Preferiva farsi chiamare Prue. Odiava il suo nome. 
Io invece amavo farmi chiamare Bethany e se qualcuno osava chiamarmi Beth o Betty o qualsiasi altro nomignolo similare non gli rivolgevo la parola per giorni interi. 
Sia chiaro, odio i diminutivi, anche perchè non mi si addicono affatto, anche se quando stavo con Manuel amavo farmi chiamare stellina. 
Sorrisi avvolta dai ricordi, poi chiusi gli occhi, stanca e stressata dalla corsa, addormentandomi quasi all’istante.

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Capitolo 2
*** ...e arrivo! ***


Chapter 2.

...e arrivo!

- Cosa vuol dire che avete perso il mio bagaglio??!!! - strillai, isterica.
Come poteva abbandonarmi la mia solita merdosa sfiga? Doveva starmi per forza attaccata alle chiappe, altrimenti non potevo chiamarmi Bethany Stephens!
- Si calmi signorina, vedrà che glielo troveremo entro domani mattina. -
- Aaaah lo spero per voi!!! - esclamai, fuori di me, gesticolando come una pazza.
- Cuginetta calmati! Ti hanno appena detto che faranno tutto il possibile per trovare il tuo bagaglio, devi solo avere un pizzico di pazienza e di fiducia. - intervenne Prudence, con il solito sorrisetto rilassato.
Le lanciai uno sguardo di fuoco e si zittì. Facile parlare quando a te è andato tutto liscio come l’olio e il bagaglio ce l’hai tra le mani! Sempre così ottimista e così irritante!
- Ti ricordo che dentro quel bagaglio ho tutte le mie cose! Vestiti, scarpe, libri e anche altre cose alle quali non voglio affatto rinunciare! Perciò evita di farmi saltare i nervi con il tuo inutile ottimismo e tappa quella boccaccia! -
- Io la bocca ce l’ho per parlare e parlo quanto voglio. -
- Non metto in dubbio il fatto che tu possa parlare quanto vuoi, ma per il momento dovresti prendere in considerazione il fatto che la bocca potresti avercela anche per tacere, cara cuginetta. -
- Invece tu dovresti considerare il fatto di sorridere alla vita e pensare in positivo, almeno per una volta. Non è difficile sai… -
- Non è difficile neanche chiudere la bocca e smettere di produrre dei suoni, tanto per cominciare. -
Finalmente smise di controbattere ed alzò gli occhi al cielo.
- Scusate se vi interrompo, ma signorina… gentilmente potrebbe darmi il suo numero di cellulare e l’indirizzo della vostra residenza? Quando ritracceremo il vostro bagaglio ve lo faremo recapitare. -
- Oh, certo… -
Scrissi il numero e l’indirizzo sul foglio che mi era stato messo sotto il naso e, quando finii di scrivere, uscimmo dall’aeroporto verso il parcheggio dei Taxi.
Dato che eravamo sprovviste di macchina avremmo dovuto usufruire del servizio.

Arrivate a destinazione salimmo le scale del condominio con fare timoroso e bussai alla prima porta del terzo piano, dove abitava la donna che ci avrebbe dato le chiavi del nostro appartamento. I secondi scorrevano lenti e, nonostante fossero passati solo pochissimi istanti, mi sembrava che fosse passata un’eternità quando ci aprì.
Irene non era come la immaginavamo io e Prudence.
Sulla quarantina, aveva un visetto tondo e simpatico contornato da una massa di morbidi ricci biondi che le arrivavano appena sotto il mento e che oltretutto mettevano in evidenza i suoi bellissimi occhi neri. Gli occhiali rossi dalla montatura quadrata la facevano assomigliare ad una amabile maestrina delle scuole elementari. 
Era certamente una donna a cui non mancava mai il sorriso, notai con un certo sollievo, almeno non era una di quelle capo-condominio litigiose, rompipalle che usavano ricordarti la data di pagamento dell’affitto ogni dieci secondi della tua preziosa vita. Almeno… così pareva.
- Voi dovete essere le nuove arrivate. -
- Sì. - rispondemmo in coro.
Ci fece entrare nel suo appartamento, indicandoci - sempre con il suo immancabile sorriso - il divanetto di pelle al centro del salottino. 
Ci accomodammo entrambe lanciandoci un’occhiata stanca, poi volgemmo lo sguardo verso la poltroncina sulla quale si era seduta la bionda e prestammo attenzione a ciò che aveva da dirci, prima di farci dare le chiavi del nostro appartamento.
- Allora, per prima cosa. Esigo che non ci siano ritardi nel pagamento mensile dell’affitto. Sembro tanto buona, ma le regole vanno rispettate e io farò in modo che voi le rispettiate, chiaro? -
Il suo tono era severo, ma non aveva abbandonato ancora il sorriso, che strano…
Annuimmo in silenzio, incitandola a continuare.
- Secondo. Gli orari nei quali dovete necessariamente fare silenzio vanno dalle 13.00 alle 15.00 di pomeriggio e dalle 23.30 alle 5.00 del mattino. Terzo. Non urlate nei corridoi, indipendentemente dagli orari di silenzio. Quarto. I vostri coinquilini dovrebbero arrivare stasera, esattamente il loro aereo atterra qui a Roma alle 10.00. Ho già sistemato le camere e vi ho portato qualcosa da mangiare per questa settimana, visto che adesso avrete bisogno di riposare un po’. -
- Volevo chiederle una cosa… quanti letti ci sono a camera? - chiese Prue.
- I letti sono due per camera e le camere sono tre. -
- Perfetto! - esclamò entusiasta.
- Beh, ora è meglio che andiate nel vostro appartamento per sistemare tutti i vostri oggetti. Queste sono le vostre chiavi - ci porse due piccole chiavi argentate - e, quando arrivano, avvisate gli altri coinquilini di passare da me per avere il loro paio di chiavi. -
Presi la mia chiave e mi sollevai lentamente dal divano, seguita successivamente da Prudence.
- Grazie tante Irene. -
- Figuratevi. Se vi serve qualcosa chiedete pure. -
- Okay, arrivederci. -
Ci accompagnò fuori dalla porta, senza smettere un secondo di sfoggiare il suo sorriso perfetto, e quando sentimmo la porta chiudersi alle nostre spalle scendemmo le scale: il nostro appartamento era al secondo piano. Appena entrammo nella nostra nuova abitazione ci guardammo intorno, sbalordite. 
Era spaziosa, accogliente e molto piacevole.
Le camere erano piccole ma comode e il bagno era decisamente pulitissimo e candido.
Meglio così, perlomeno non era un appartamento dove le blatte avevano piantato la loro bandierina, regnando indiscutibilmente sul loro territorio.
A quanto pare quelle preferivano il piano di sotto.
Mi sdraiai sul mio lettino, quello più vicino alla finestra della camera, e chiusi gli occhi.
Il viaggio non era stato lungo ma mi aveva stancato a sufficienza: tutto lo stress per la partenza e la perdita del bagaglio avevano contribuito ulteriormente.
Mentre aspettavo che mia cugina terminasse di farsi la doccia presi il mio adorato iPod e misi le cuffiette nelle orecchie, poi premetti play.
La musica era l’unica cosa al mondo che riusciva a farmi passare il malumore, a parte le amiche, che ovviamente non avrei potuto portarmi dietro e che non avrei rivisto per tanto tempo, troppo. Naufragando nei ricordi i miei pensieri scivolarono pericolosamente verso l’addio più doloroso di tutti quanti: Manuel.
Sapevamo entrambi che prima o poi ci saremo dovuti lasciare, ma avevamo provato lo stesso ad uscire insieme. 
Risultato? Io e Manuel ci eravamo messi insieme.
Ma la domanda più giusta è: com’è finita? Conclusione: ci siamo lasciati.
Tutto per colpa della sua ex ragazza, tornata dal passato per rovinarci il presente, ed il futuro.
Mi aveva lasciata per tornare insieme a lei, e questo era successo esattamente una settimana prima della mia partenza. 
L’addio sarebbe stato comunque inevitabile, ma il modo in cui ci eravamo lasciati era il vero motivo per cui soffrivo ancora.
Ricordai le ultime parole che mi disse, prima che il mio cellulare prendesse il volo verso il cielo.

“Bethany… dobbiamo lasciarci. Vedi, ho capito di provare ancora qualcosa per la mia ex e non mi sembra corretto nei tuoi confronti continuare a stare insieme quando in realtà penso ad un’altra. Mi dispiace che finisca così, sei una persona fantastica, ma non voglio prenderti in giro. Magari possiamo rimanere amici, no?” La mia risposta era stata un cinico e sprezzante “NO!!!” con tanto di lancio del cellulare fuori dalla finestra, che purtroppo non era riuscito a cancellare in me il desiderio di correre fino a casa sua ed evirarlo.
Non erano servite a nulla le consolazioni della mia migliore amica Kimberly, che mi aveva preparato due confezioni intere formato famiglia di camomilla e calmanti vari.
I ricordi continuarono a percorrere la mia memoria come i fotogrammi di un film; li vedevo come se non mi appartenessero davvero, come se tutto ciò che mi era capitato non mi riguardasse veramente. Rivivevo tutti i baci che io e Manuel ci eravamo scambiati nel brevissimo tempo in cui eravamo stati insieme, ma non provavo nulla.
Sapevo che era solo un amore adolescenziale, non il vero amore.
Niente lacrime.
Ero una ragazza che spesso e volentieri non piangeva, soffrivo in silenzio.
Non sapevo se considerarlo un pregio o un difetto, tuttavia a volte mi scambiavano per una ragazza insensibile e fredda, cosa che non sono. 
Solo chi mi conosce per davvero sa come sono ciononostante spesso anche le persone a cui sono più legata faticano a capirmi.
In realtà neanche io alle volte mi capisco, a volte brancolo nel buio dei miei pensieri senza trovare una spiegazione al mio comportamento.
- Cugi ho finitooo!!! - la sentii strillare dalla stanza accanto, poi fece la sua comparsa da dietro la porta, avvolta nell’accappatoio rosa. Mi guardò con un gran sorriso poi venne da me e mi staccò le cuffiette dalle orecchie, spegnendo l’iPod.
- E basta con questa musica deprimente!!! Di certo non ti aiuta ascoltare questa roba. - le lanciai uno sguardo assassino. Che cosa c’era che non andava nelle mie canzoni?!
- Era così bello quando eri sotto la doccia e non venivi a scocciare… perché non vai a ripassarti un po’ lo shampoo? Almeno mi lasci in pace. -
- Lasciarti in pace significherebbe lasciarti deprimere con quelle canzoni? Non se ne parla proprio! Vai immediatamente a darti una lavata che tra un po’ arrivano i coinquilini! -
- Sì, ora vado. Ne ho proprio bisogno. A proposito, ti va di prestarmi la piastra? La mia a quanto pare è dispersa in chissà quale parte del Mondo. E mi servirebbero anche degli asciugamani e della biancheria. Scusa, sto sfruttando tutte le tue cose… -
- Scherzi? Non è colpa tua cugi. Certo, prendi quello che ti serve fin quando non ti porteranno il bagaglio. -
Le sorrisi e la ringraziai, poi mi diressi verso la sua valigia e presi il necessario.
Entrai in doccia e aprii l’acqua, lavando via la tensione e la tristezza.

***

Avvolsi l’asciugamano attorno al mio corpo, sistemandolo in modo da non farlo scivolare in terra e strizzai i capelli per non gocciolare in tutta la casa. Feci appena in tempo a mettere piede fuori dal bagno quando sentii qualcuno bussare alla porta.
Non avevo tempo per mettermi qualcosa addosso, né di rendermi almeno presentabile, così dovetti andare ad aprire avvolta soltanto dall’asciugamano verdolino.
Con ogni probabilità erano i coinquilini. Prudence era andata a farsi un giro per dare un’occhiata alle vetrine dei negozi, perciò ero costretta ad aprire in quelle condizioni.
Sperai con tutto il cuore che non fossero dei tipi con la puzza sotto il naso e che non sarebbero rimasti scandalizzati. 
Misi la mano sulla maniglia e la spostai verso il basso, tirando verso di me. Rimasi letteralmente a bocca aperta.
Davanti a me c’erano due ragazzi, alti e snelli, che mi osservavano più o meno con la mia stessa espressione sbalordita. 
Vabbè… io boccheggiavo per la loro bellezza sfacciata e loro sicuramente per lo stato in cui ero andata ad aprirgli.
Merda! Sono impresentabile e loro sono… oh merda!!!
Mi ricomposi e tentai un sorrisetto, poi mi scostai per farli entrare.
Prima di riuscire a comporre una frase di senso compiuto mi sarei dovuta riprendere.
Entrarono in casa e notai che il primo mi aveva appena fatto l’occhiolino.
Merda. Arrossii, poi decisi che quel silenzio era davvero molto imbarazzante.
Decisi di cominciare un discorso puntando sulla simpatia.
- Beh, io sono Bethany. Una delle vostre nuove coinquiline. Spero che non vi siate scandalizzati per lo stato pietoso in cui sono venuta ad aprirvi, non vorrei farvi scappare, ma sono stata costretta. - Il ragazzo che mi aveva fatto l’occhiolino scoppiò in una risatina.
- Piacere Bethany, io sono Will. Beh in effetti sono rimasto scandalizzato dal fatto che la tua bellezza soffoca indiscutibilmente la mia. Dovrò rimediare… -
Merda! è davvero carino.
Il ragazzo dietro Will alzò gli occhi al cielo, poi si fece avanti tendendomi la mano.
- Io sono Matt. - disse semplicemente, senza mostrare una minima ombra di sorriso.
La strinsi, interdetta.

Merda, è bellissimo!!! Fu il mio unico pensiero.
Il restante 99% del cervello era occupato dall’immagine del ragazzo con gli occhi azzurro cielo e i capelli neri che mi aveva appena stretto la mano.
Aveva davvero un viso bellissimo, per non parlare del resto del corpo.
Mi sentivo stranamente leggera, come se il suo sguardo fosse riuscito a scavare talmente a fondo da svuotarmi. Mi sentivo come uno stupido involucro. 
Una blatta, al confronto.

Continuai a sostenere il suo sguardo, di un azzurro sovrumano, finché Will non mi ricordò della sua presenza.
- Scusalo, lo so che è uno di poche parole ma non è affatto antipatico, anzi… quando vuole sa essere molto simpatico e divertente. -
Matt lo fulminò con lo sguardo, ma Will non ci fece caso.
Al contrario… sorrise. Che tipo strano.
- Non ho mai pensato che fosse antipatico. Credo che solo conoscendoci potrò scoprire se è così simpatico come dici tu, no? -
- Sagge parole ragazza! Che ne dici di farci fare una visita turistica alla casa? Non ci offendiamo mica se ci fai vedere dove dormiamo. -
Feci un gran sorriso. Will era davvero un ragazzo simpatico, e anche molto bello.
Aveva capelli ed occhi castano chiaro e davvero un bel fisico.
- Però se non vi dispiace prima mi metto qualcosa addosso. -
- Nooo perché??! Stai così bene con quell’asciugamano… - protestò scherzoso, facendomi un altro occhiolino, che quasi mi fece prendere un colpo.
- Matt non mi sembra dello stesso avviso. - a giudicare dalla sua espressione sbigottita non gradiva che rimanessi a camminare mezza nuda per la casa. 
Mi incamminai verso la mia stanza e gettai l’asciugamano sul letto, poi indossai la biancheria ed il resto dei vestiti.
Dopo averli asciugati e pettinati, misi le forcelline nei capelli per metterli un po’ in ordine e passai un po’ di cipria sugli zigomi.
- Matt sei sempre il solito guastafeste!!! - sentii da dentro. Scossi la testa, sorridendo.
Sentivo che con Will sarei andata d’accordo.
Quando tornai in cucina vidi che si erano già accomodati sul divanetto e mi aspettavano pazientemente. 
Matt si guardava le mani, mentre Will giocherellava con un braccialetto.
Mi schiarii la voce e quando si accorsero che ero tornata si alzarono in piedi e mi seguirono.
Come previsto, la casa era di loro gradimento. 
Avevano sistemato le loro valigie nella stanza che avevano scelto ed erano andati a prendere il loro mazzo di chiavi da Irene.

- Uff perché non dividiamo la stanza insieme, Beth? -
- Primo: perché la condivido già con mia cugina. Secondo: non ho nessuna intenzione di dividerla con un ragazzo. Terzo: Non provare a chiamarmi Beth. Chiamami Bethany ok? -
- Non è giusto!!! Io volevo dividerla con te invece che non quel musone di Matt…! -
- Chi sarebbe il musone??!!! - la voce del figo di ghiaccio arrivò fino alla cucina.
Se ne stava in camera sua, da solo. Will lo ignorò.
- Ok, va bene, so che ci conosciamo da un’ora a malapena e che forse sto prendendo troppa confidenza ma Beth ti sta benissimo. -
- Will non è questione di confidenza. Odio i diminutivi e il mio nome mi piace molto. -
- Uhm… neanche Betty? -
- No… -
- Bethan? -
- No. -
- Betta? -
- NOOOOO!!! -
Sicuramente Matt si divertiva parecchio nella stanza accanto, lo sentivo sghignazzare da almeno mezz’ora. 
Per quanto fosse bello, quel ragazzo cominciava a darmi sui nervi ed era passata solo un’ora dal nostro incontro! 
Se ne stava chiuso in camera sua senza fiatare e a fare casino con chissà cosa e intanto ascoltava le nostre conversazioni.
- Okok, tranquilla. Ti chiamerò semplicemente Bethany! -
- Will… per caso sai che cosa sta facendo Matt in camera sua? - quasi lo sussurrai, non volevo che lui pensasse che volessi farmi gli affari suoi.
- Ah già. Non ti ho detto che Matt scrive canzoni vero? -
Scossi la testa. Veramente non mi aveva ancora detto niente dell’amico.
- Beh è così. È da quando è bambino che è appassionato alla musica. Accompagna sempre ciò che scrive con la sua batteria. -
- Frena. Batteria hai detto? E da dove l’ha portata? Io non l’ho visto entrare con la batteria. -
- Per forza. L’ha portata mentre aspettavamo che ti mettessi qualcosa addosso. Cosa che oltretutto ritengo sia stato uno spreco di tempo… - Lo interruppi.
- Capisco. Spero che si ricordi gli orari di silenzio, Irene non transige su queste regole. -
- Non preoccuparti, è un ragazzo responsabile. -
- Lo spero. -
- Ma sì dai, dagli un po’ di fiducia. So che non è il massimo della compagnia, ma vedrai che con il tempo la timidezza gli passerà. -
- Mmm, non credo che sia un ragazzo timido. Gli piace soltanto starsene per conto suo. -
- Sì, anche troppo. A differenza sua a me piace stare in compagnia. Soprattutto se la compagnia è una ragazza bella come te. -
- Sei un po’ troppo dolce per i miei gusti Will. -
- Ah sì? -
- Sì. -

Sentii la porta aprirsi e vidi Prudence trafficare con alcune buste mentre canticchiava una canzone che non avevo mai sentito in vita mia. 
Doveva aver fatto shopping.
Appena vide Will aggrottò impercettibilmente le sopracciglia.
- Tu devi essere un nostro nuovo coinquilino! Giusto? -
- Esatto. Tu sei la cugina di Bethany, vero? Prudence? -
- Sì, ma chiamami Prue. -
- Perché? Hai un nome così bello… -
- A me non piace. Tu sei..? -
- Io sono Will. Matt è nell’altra stanza. Adesso vado a recuperarlo… -
- Stai seduto, vado io. - dissi, sbrigativa.
Era meglio se li lasciavo parlare un po’, almeno avrebbe stressato un po’ anche Prue.
Bussai alla porta della camera dei ragazzi e aspettai un segnale che mi invitasse ad entrare.
- Avanti. -
Entrai e con un tuffo al cuore mi accorsi di avercelo davanti, ma quella volta non furono solamente i suoi occhi celestiali a catturarmi.
Indossava soltanto un paio di jeans stretti ed era a torso nudo.
Ne aveva tutti i diritti (in fondo eravamo in pieno agosto), c’era caldo, ma quella visuale rischiava di farmi venire un infarto.
Non era normale svenire addosso ad una persona che conosci da poco più di un’ora, e nemmeno sbavargli sopra era tanto normale.
Mi guardava dritto negli occhi, non distoglieva lo sguardo nemmeno per sbattere le palpebre.
Trattenni il respiro quando si passò una mano sui capelli neri, evidenziando ancora di più la muscolatura perfetta.
Cercai di darmi un po’ di contegno, il tanto giusto per pronunciare una frase in modo comprensibile.
- Volevo solo… presentarti mia cugina…è…è appena arrivata. -
- Ah ok. -
Come previsto Will era già riuscito ad attaccare bottone con Prue, ma c’era qualcosa di strano.
Lei lo guardava di traverso, come se avesse appena detto qualcosa di impronunciabile.
Magari uno dei tentativi di approccio di Will l’aveva infastidita, ma era quasi impossibile che accadesse. 
Prue non era una tipa che si arrabbiava per delle cazzate.
- Matt, lei è Prudence, ma preferisce essere chiamata Prue. Prue lui è Matt. -
- Piacere. - dissero in coro.
Passammo tutta la serata chiacchierando (io, Prue e Will; Matt se n’era già ritornato in camera sua a fare casino con la batteria.) del più e del meno, dei nostri hobby, raccontammo barzellette, insomma… ci divertimmo. Ma era come se il ghiaccio non si fosse ancora del tutto sgretolato.
Sentivo che c’era del gelo tra Prue e Will e non ne capivo il motivo.
Più tardi le avrei chiesto ulteriori spiegazioni.


NDA:  Lo so, lo so che mi volete fucilare. E ne avete tuuuutto il diritto ç_ç ma, chiedo venia, il mio computer è deceduto.
O meglio, il caricabatterie del mio portatile ha esalato il suo ultimo respiro un mesetto fa e solo ora ho scoperto che la mia cara cuginetta (che nella storia sarebbe Prue XD) aveva una copia di un bel po' di capitoli della storia. Perciò per ora mi arrangio con questi.
Il capitolo è molto lungo come potete notare, ma questa storia è una long-long-long-long fic, perciò è logico che dovrò fare anche capitoli impossibili.
Mi auguro che lo leggerete comunque *__*
E che perdoniate il mio estremo ritardo.
Ringrazio le anime pie che hanno letto il precedente capitolo, e ricordo che c'è anche un'altra storiella in corso, come potrete vedere nel mio profilo, che si intitola Stay close, don't go.
Comunque, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, e che lo recensiate, e che magari mi critichiate aspramente u.u come chiedo ogni volta.
Kiss kiss, frens.

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Capitolo 3
*** Tra stranezze e notti insonni. ***


 Capitolo 3
Tra stranezze e notti insonni.




- Prue… che c’è che non va? -
- Eh? - eravamo in camera nostra, la luce era spenta ed eravamo tutte e due sdraiate sui nostri lettini.
Erano da poco passate le 2.00 del mattino e ancora non eravamo ancora riuscite a prendere sonno.
Prue fissava il soffitto da almeno mezz’ora e questo voleva dire che c’era qualcosa che non andava.
Avevo la netta impressione che Will c’entrasse qualcosa.
- Cioè è da mezz’ora che guardi il soffitto e non ti sei ancora addormentata. Poi credi che non abbia notato la tua freddezza nei confronti di Will?
Che c’è che non va? -
- Sai cugi, tu sei molto brava a capire ciò che sta intorno agli altri, ma non ti accorgi mai di quello che capita intorno a te. -
- Cosa vorresti dire? -
- Niente, niente. -
- Dai Prue… dimmelo. -
- Scusa, ma adesso ho sonno. È stata una lunga giornata e domani lo sarà lo stesso. Arrivano gli altri coinquilini. -
- Cugi… -
Niente, non rispondeva. Non capivo questo atteggiamento misterioso, di solito mi diceva sempre tutto quello che le passava per la mente, anche le cazzate (beh, a dire il vero soprattutto le cazzate). Ma allora perché si ostinava a nascondermi il significato delle sue parole?
Vabbè, gliel’avrei chiesto il giorno dopo.
Non dormii e, anche se credeva che non me ne fossi accorta, sapevo che quella notte nemmeno Prue aveva chiuso occhio.


Erano quasi le quattro del mattino.
Non avevo dormito per tutta la notte ed ero stanca di rimanere a letto, così mi alzai e uscii dalla stanza, cercando di fare meno rumore possibile.
Non mi diedi la pena di vestirmi, in fondo alle quattro del mattino chi mai potrebbe rimanere a girovagare per la casa invece di dormire?
Rimasi in camicia da notte e mi diressi in cucina.
Sperai con tutto il cuore che ci fosse del caffè da qualche parte, ne avevo davvero bisogno.
Aprii lo sportello della dispensa e cercai con lo sguardo, ma di confezioni di caffè neanche l’ombra.
Sospirai, rassegnata.
Vabbè, l’avrei comprato più tardi.
- Cercavi questo? - sussultai e mi voltai di scatto, trovandomi a meno di dieci centimetri di distanza da un ragazzo alto e muscoloso. Matt.
Indietreggiai senza farmi notare, finché non sentii il bancone contro la schiena.
Il cuore batteva all’impazzata, in preda ad una strana frenesia.
Ma che diavolo mi prendeva?
Quando diedi un senso alle parole che aveva appena pronunciato spostai lo sguardo sul sacchetto di caffè che teneva in mano.
Tentai un sorrisetto, giusto per non rimanere a bocca aperta come un’ebete.
- Sì. Grazie. -
Presi il sacchetto e lo appoggiai sul bancone, poi presi tutto il necessario per preparare il caffè.
Percepivo il suo sguardo bruciarmi la nuca con insistenza, poi sentii la sua voce e il mio cuore iniziò ad intonare l’Ave Maria.
Mi scappò dalle mani il cucchiaino con cui stavo travasando il caffè, che si rovesciò sul bancone.
Lo sentii ridacchiare alle mie spalle, poi me lo trovai a fianco.
Rimasi immobile mentre puliva il casino che avevo appena combinato.
- Non c’è bisogno che lo prepari, l’ho fatto poco fa’. -
Mi bloccai. Quella era la frase più ricca di verbi e complementi che avessi mai sentito uscire dalle sue labbra perfette.
Mi chiesi se fosse il caso di preoccuparmi di questo sforzo immane nel tentare di socializzare con la sottoscritta.
Mi voltai a guardarlo e con stupore notai che mi sorrideva.
Era così tenero… non mi stupiva più di tanto che avesse un bellissimo sorriso.
Essendo perfetto tutto il resto come poteva non esserlo anche quello?
- Ah, ok. - tutto ad un tratto ero io quella che parlava a monosillabi.
Il mondo si era proprio capovolto, proprio come fece il mio cuore appena notai che era praticamente nudo.
Era in boxer. Merda, quant’era bello.
Poi ricordai di essere in camicia da notte. Merda secca.
Dovevo essere una visione spaventosa, soprattutto alle quattro del mattino.
Rimasi a fissare estasiata il suo splendido corpo mentre versava il caffè in due tazzine microscopiche e metteva il latte in tavola.
Evidentemente si accorse delle mie attenzioni, perché quando si sedette sulla sedia mi chiese:
- Ti da’ fastidio se rimango in mutande? Sai, siamo ad Agosto, fa un po’ caldo. -
- Noo!!! - esclamai, un po’ troppo in fretta forse, e aggiunsi - cioè, a me… a me non da fastidio.
A te scoccia se… se sto in camicia da notte? Sai, fa… fa un po’ caldo. -
Merda, stavo balbettando. Che scena patetica.
Lui mi osservava, sicuramente divertito dalla mia reazione esageratamente timida, ma non sembrava imbarazzato;
come se non fosse mezzo nudo davanti ad una perfetta sconosciuta!
- No, non mi da fastidio. -
Rimasi in silenzio e versai lo zucchero nel caffè, poi ci aggiunsi un po’ di latte.
- Posso chiederti una cosa? Sempre se me la vuoi dire… -
- Sì, certo. -
- Come mai sveglia a quest’ora? -
Sospirai, poi presi un bel respiro e risposi.
- Pensavo. È stata una lunga giornata e sono successe tante cose… -
- Tipo? -
- Se te lo raccontassi rideresti per tutto il giorno. -
- Se vuoi parlane. -
- Non c’è bisogno che mi chiedi il permesso. Puoi chiedermi quello che vuoi. - feci un sorriso timido, più per incoraggiare me stessa che per incoraggiare lui.
- Va bene, allora raccontami cos’è successo. -
Gli raccontai della festa d’addio, del ritardo cosmico per prendere l’imbarco, del vecchietto puzzolente e del mio bagaglio disperso chissà dove.
Tratteneva le risate già da quando gli avevo raccontato della corsa in macchina stile Fast and Furious, ma fu quando gli raccontai del vecchio zio Pelo che scoppiò in una sonora risata.
Per mia sfortuna mi andò di traverso il caffè nel tentativo di fargli fare silenzio e mi ci volle almeno mezz’ora per riprendere a respirare regolarmente, oltretutto tra le risate sguaiate di Matt.
Sperai di non aver svegliato nessuno con tutto quel casino.
- E tu perché non riuscivi a dormire? -
- Ehm… Will ti ha detto che scrivo canzoni vero? -
Annuii, incitandolo a continuare.
- Ieri non sono riuscito a scrivere e questo non capita molto spesso. Di solito riesco sempre a scrivere una canzone al giorno, ma ieri... black out.
Quando non scrivo divento nervoso e non riesco a dormire. -
- Come mai non sei riuscito a scrivere? -
- Beh… pensavo ad altro. Non riuscivo a… concentrarmi sulle parole. -
Lo vidi abbassare lo sguardo. Che peccato, avrei voluto perdermi nei suoi occhi più a lungo.
Mi chiesi che ci fosse di così interessante sul fondo di quella tazzina.
- E a cosa? -
- Mmm, forse un giorno te lo dirò. -
- Dai, io però ti ho raccontato… -
- Te lo racconterò. In un altro momento. -
- Promettimi che me lo dirai. -
- Ok. Te lo prometto. -
Incrociai le braccia, imbronciata.
Ero troppo curiosa, non mi piaceva che mi nascondessero le cose.
Però, ripensandoci, ci conoscevamo da pochissimo.
Magari pensava a qualcosa di troppo personale per rivelarlo dopo un solo giorno di conoscenza.
Sì, doveva essere così.
- Ti manca casa tua? - mi chiese, tutt’a d’un tratto, distogliendomi dai miei pensieri.
Di certo aveva cambiato argomento apposta.
Furbo… ma non quanto me.
- No, sinceramente. Forse perché sono via solo da un giorno. A te manca vero? -
- Un po’. Mi mancano soprattutto le mie tre sorelline. E tu? Famiglia numerosa? - sorrise.
- Sono figlia unica a dire il vero. -
- Davvero? Non l’avrei mai detto… - Sembrava sinceramente sorpreso.
- Cioè? -
- Beh, le figlie uniche sono un po’ viziate diciamo, permalose… invece tu sei simpatica. -
- Anche tu sei simpatico. Forse un po’ troppo solitario, ma sei simpatico. -
- Lo so, sono l’esatto contrario di Will in pratica. Una specie di pecora nera. -
Una pecora nera molto affascinante, aggiungerei.
L’unica pecora che mi porterei a letto a dire il vero!!!
- Perché dici questo? -
- Lui è tutto ciò che io non sono. Sì, lui è quello positivo. Io quello negativo. - oh tesoro non hai proprio niente di negativo - Lui ama stare in compagnia, mentre io amo stare da solo con i miei pensieri. Lui parla sempre, mentre io sto sempre zitto. Lui è impulsivo, io sono un tipo più riflessivo. Lui piace alle ragazze, io no. -
Sgranai gli occhi. Matt non piaceva alle ragazze???
No, non era possibile.
Sicuramente scherzava.
Sicuramente mi prendeva in giro.
- Ma che cosa stai… -
- Andiamo Beth, ho visto come lo guardi. Ti piace e a lui non sei per niente indifferente. -
Scossi la testa. Will era molto carino, ma non mi piaceva.
Per una volta sorvolai sul fatto di che mi avesse chiamata Beth.
Come poteva pensare che fossi interessata a Will se non lo conoscevo neanche da un giorno?
- Matt, Will non mi interessa. Davvero, io… per me è solo simpatico, tutto qui. - si può sapere perché mi giustifico con lui?!
Non dovrei di certo dargli delle spiegazioni!
- Non c’è niente di male ad ammetterlo Beth. -
- Ma a me non piace, Matt… davvero… -
- Ne sei sicura? -
- Sicurissima. Per me Will non potrebbe essere altro che un amico. Tutto qui. -
- Sei fidanzata vero? -
M’irrigidii. Per un bel po’ di tempo non avrei più voluto sentire quella parola.
- No. -
- Ah. -
Incrociai il suo sguardo e mi persi nuovamente nei suoi occhi azzurro cielo, che mi scrutavano attenti.
Questa volta fui io ad abbassarlo, non volevo che scorgesse la tristezza che era appena riaffiorata dal mio cuore.
Le ferite inferte da Manuel sanguinavano ancora.
Bruciavano come fuoco.
- Che c’è Beth? -
- Non chiamarmi Beth. -
- Ah giusto, non ti piacciono i diminutivi. Comunque, che hai? -
- Niente. -
- Beth… -
- Non chiamarmi Beth. -
- Io ti chiamo come mi pare. Che hai? -
- Ti ho detto niente. -
- Beth, non lo dico a nessuno. Quello che mi dirai non lo saprà nessun altro. -
- Perché ti ostini a chiamarmi con quel nomignolo orribile? -
- A me piace e… rispecchia molto la tua personalità. Beth mi sa di dolcezza, ti si addice. -
La mia espressione si addolcì visibilmente.
Come potevo non abbandonare la mia momentanea acidità di fronte a quello sguardo da cucciolo bastonato che mi si presentava davanti?
Era stupendo anche quando faceva la vittima. Il mio cuore prese il volo.
Sì, era davvero fantastico.
- Allora, mi vuoi dire che hai? - La sua voce mi riportò alla realtà.
Non capivo perché gli importasse tanto, ma pareva che il mio stato d’animo gli stesse a cuore per davvero.
O forse voleva soltanto farsi i fatti miei.
Ma che importava in fondo?
C’eravamo solo io e lui e sapevo che prima o poi avremmo dovuto affrontare l’argomento.
Sentivo di avere uno strano bisogno di parlare con lui di Manuel.
- Prima di partire qui a Roma il mio fidanzato mi ha lasciata. - confessai, abbassando lo sguardo verso la tazzina ormai vuota.
La sua espressione non cambiò di una virgola.
Rimase immobile, trafiggendo i miei occhi in cerca di qualcos’altro.
Capii che non si sarebbe fermato a quella spiegazione, avrei dovuto raccontargli la storia dall’inizio.
- Vedi, io e lui non stavamo insieme da tanto; inizialmente sembrava che tutto andasse alla grande.
Lui era un ragazzo dolce, simpatico, mi piaceva molto e forse cominciavo a provare qualcosa di più forte nei suoi confronti.
Lui sembrava provare lo stesso nei miei, ma… una settimana fa’ mi ha mandato un messaggio dove in poche parole mi confessava di essere ancora innamorato della sua ex ragazza. Come se niente fosse mi ha pure chiesto se volevo che rimanessimo amici. Che tristezza.
Sto malissimo, ero convinta che fosse una persona diversa, che gli importasse almeno un poco di me, invece è come tutti gli altri. Un autentico… -
- Ci hai fatto sesso? - diretto, conciso, senza troppi giri di parole.
Arrossii di colpo. Ora si che non sarei più riuscita a sostenere il suo sguardo.
Avrei voluto guardarlo negli occhi per osservare la sua espressione, per capire meglio il perché di quella domanda tanto imbarazzante, ma se solo avessi incontrato i suoi occhi azzurri per un attimo soltanto si sarebbe accorto del rossore che si espandeva lentamente sul mio viso.
- N-no. N-niente sesso. -
- Come mai? -
- N-non sentivamo il bisogno di farlo. -
- Allora era inutile continuare a stare insieme. -
Mi sentii ferita da quelle parole.
Quindi secondo lui l’amore senza sesso non esisteva?
Matt sembrò accorgersi della mia reazione perché subito si corresse.
- No, Beth, scusa non mi sono spiegato bene. Volevo dire solo che se non sentivate attrazione fisica non sarebbe durata lo stesso.
Con questo non voglio dire che senza sesso non c’è amore è solo che se non c’è trasporto… se non senti il bisogno, se non c’è la passione… una storia non ha senso. Devi accorgerti di non riuscire a vivere lontano da una persona, di non riuscire a non desiderarla, di pensare solo a lei. Tu non provavi questo giusto? -
Scossi la testa. Avevo capito cosa intendeva e aveva ragione.
Nella mia storia con Manuel non c’era passione, non c’era desiderio.
Ci volevamo bene e basta.
- Allora non era amore, non lo sarebbe mai diventato. Quello che tu pensavi fosse amore era solo e soltanto un amore platonico. -
Sollevai lo sguardo e incontrai i suoi occhi.
Sentii il mio viso ribollire e capii di essere arrossita.
Per fortuna era buio e la luce che filtrava dalla finestra chiusa non mostrava il mio improvviso rossore.
Più lo guardavo più mi convincevo che era bello, anzi bellissimo.
- Ma io ci sto male lo stesso. Mi ero affezionata a lui. -
- Stanotte pensavi a lui? -
- Anche. -
- Smettila di pensarci allora. -
- Non ci riesco. -
- Basta che pensi ad altro. -
- E a cosa dovrei pensare? -
- A ciò che ti ho detto poco fa’. -
- Non sarà facile. -
- Non lo è infatti, ma vedrai che alla fine ci riuscirai. -
Silenzio. Non sapevo cosa rispondere, così decisi di non parlare.
Mi limitai a continuare ad ammirare i suoi occhi magnetici, senza sosta.
Erano bellissimi, così profondi, così dolci, così attraenti.
Non seppi per quanto tempo rimasi incantata a studiare nei minimi particolari il suo viso, ma sentivo che erano passati parecchi minuti quando lo vidi sollevarsi dalla sedia.
Mi allarmai. Avrei tanto voluto che rimanesse più a lungo, più si allontanava più sentivo la sua mancanza. Mancanza???
Non lo conosco neanche da un giorno e ne sento già la mancanza?
- Sai, forse riuscirò a finire questa canzone. -
- Torni in camera tua? -
- Sì. Buonanotte Beth. -
- Buonanotte e… non chiamarmi Beth. -
Sorrise, poi sparì dietro la porta della sua camera, lasciando dietro di sé il lontano ricordo delle sue parole.


Per tutta la mattina continuai a pensare alle parole di Matt, senza sosta.
Sapevo che non le avrei mai dimenticate, erano troppo vere, troppo importanti, le avrei sempre dovute tenere a mente.
L’avevo soprannominata teoria del vero amore.
E stranamente mi ero ritrovata a non pensare più a Manuel, magicamente era sceso di importanza.
E allora avevo capito che Matt aveva avuto nuovamente ragione: non era stato nient’altro che affetto.
Per Manuel non avevo mai provato amore.
- Latte e cereali? - spostai lo sguardo verso la figura sorridente di Will.
Mi ci vollero almeno dieci secondi per rispondere.
Ero assonnata, non avevo dormito nulla, colpa della conversazione notturna con Matt, della quale Will non sapeva niente.
- Sì, grazie Will. - risposi, sostenendo il viso con le mani.
Mi coprii gli occhi e sbadigliai sonoramente.
- Notte in bianco? -
- Mmm… -
- Wow, che risposta esauriente. Mi raccomando Bethany, risposte più brevi, altrimenti mi si inceppa il cervello con tutte queste parole! -
- Will, stai zitto… - mugugnai, tappandomi le orecchie in perfetto stile bimba capricciosa.
- Tesoro così mi offendi. Credevo ti piacesse la mia parlantina. -
- Non alle 8 e mezzo di mattina, quando non ho dormito per tutta la notte e sono nervosa a livelli impensabili! -
- Ok, mi limito a sfamarti allora, dato che sei così acida. Magari nel latte aggiungo un po’ di miele così ti addolcisci un po’. -
- Fai quello che ti pare, basta che non parli. -
- Prrr!!! - mi fece la linguaccia e continuò a preparare la colazione.
Dopo pochi istanti sentii il rumore delle ciabatte di mia cugina strisciare sulle mattonelle.
- Buongiornoooo!!! Finalmente ti sei svegliata, bella addormentata!!! - Will era proprio di buon umore quella mattina, a differenza di Prudence che gli lanciò un’occhiata inceneritrice e si andò a sedere sulla sedia a fianco alla mia senza neanche rispondergli.
Si limitò ad incrociare le braccia sul tavolo e appoggiarci la testa sopra.
Fissava il vuoto, persa in chissà quali pensieri.
- Cagatemi quando vi pare! - sbuffò Will, trafficando con un bollitore pieno di latte bollente.
Prese tre tazze dalla credenza e le riempì, distribuendole per tutto il tavolo.
Continuai a fissare quella tazza e ricordai quando, poche ore prima, avevo fissato una minuscola tazzina dello stesso colore di quella che in quel momento avevo davanti in compagnia di un sensuale e perfetto diciannovenne con due occhi decisamente fantastici.
Presi i cereali e li gettai nel latte, poi riposi la scatola e ne mangiai un cucchiaio.
La colazione passò in silenzio, tra gli sguardi assenti di Prue e quelli indagatori di Will.
- Vi decidete a dirmi che caspita avete tutte e due? -
Prima che potessi rispondergli, Prudence intervenne.
- Non mi pare che siano affari tuoi. -
- Da che parte ti sei alzata stamattina Prudence? Mi sa che hai sbagliato piede… -
- Non chiamarmi Prudence. -
- E come ti dovrei chiamare? Mi pare che il tuo nome sia questo. -
- Mi fa schifo il mio nome. -
- E sentiamo… come dovrei chiamarti? -
- Prue, per esempio. -
- E invece no. Non storpierò il tuo bellissimo nome. -
- Invece sì che lo farai. -
- No, Prudence. -
- Will, non sto scherzando! Non permetto che tu mi chiami con quel nome orribile! -
- Neanche io sto scherzando, Prudence. -
Prue si sollevò dalla sedia e si fiondò fuori dalla cucina come una furia, strisciando la sedia contro il pavimento e provocando un chiasso allucinante.
- Fa sempre così o è solo un po’ nervosa?! - mi chiese Will, sinceramente arrabbiato.
- Veramente non lo so. È da ieri che è un po’ strana. Di solito non si comporta così. - ero davvero confusa: non era da lei comportarsi in quel modo rabbioso.
Se non mi avesse dato una spiegazione soddisfacente entro dieci secondi mi sarei incazzata con lei per davvero!
- Ma che problema ha?! -
- Odia il suo nome. -
- E aggredisce così tutti quelli che per sbaglio la chiamano con il suo nome?! -
- Beh, no veramente. Davvero, scusala, non so cosa le sia preso. Non è sempre così… -
- Lo spero proprio. -
- Adesso vado a parlarle ok? -
- Forse non è il caso… -
- Sì che è il caso! - uscii dalla cucina ed entrai in camera, dove trovai mia cugina china su un vecchio album fotografico.
Era intenta a guardare delle fotografie.  Sì, c’era qualcosa che non andava, questo era certo.
- Prue… -
- Che vuoi Bethany? - non staccava lo sguardo da quelle fotografie.
Non voleva parlarmi. Brutto segno.
- Volevo soltanto sapere che diavolo ti è preso poco fa. -
- Non ha importanza. - mi sedetti sul letto, accanto a lei. Tentai di dare uno sguardo a quelle foto, ma prontamente chiuse l’album, gettandolo poi con noncuranza nella valigia ancora aperta. Quel gesto mi fece arrabbiare più del necessario.
- Invece sì che ha importanza. Will c’è rimasto davvero male per come l’hai trattato. -
- E dovrebbe fregarmene qualcosa? -
- Basta con questo atteggiamento Prue! Se c’è qualcosa che non va devi dirmelo. Lo sai che io ti ascolto sempre.
È da ieri che sei strana, credi davvero che non mi sia accorta che non hai dormito un solo secondo stanotte? -
- Non sono affari tuoi. -
- Invece sì che sono affari miei. Cugi, se c’è qualcosa che non va… -
- Se avrò bisogno di uno strizzacervelli ti chiamerò, ok, lo so. - la sua freddezza mi preoccupava.
Per la prima volta mi era difficile decifrare i suoi sentimenti e capii che forse, nel profondo del cuore, anche Prue era capace di soffrire.
E pensai che per la prima volta non ero stata in grado di capire il motivo della sua sofferenza.








NdA: Lo so che è lungo, e che sembra mazzoso, ma mi dareste ragione se sapeste quanto è lunga questa storia ç___ç
Mi uscirebbero talmente tanti capitoli da riempire l'intero EFP!
Spero che nonostante la lunghezza vi piaccia, e che la storia vi stia incuriosendo.
Mi domando perché non lasciate una recensione di tanto intanto,
giusto per farmi sapere se sto aggiornando questa storia per sport o se effettivamente a qualcuno interessa leggerla.
Intanto ringrazio i lettori silenziosi (se ci sono) e chi ha recensito precedentemente, sperando che da questo capitolo in poi si aggiunga qualcun altro.
Vi ricordo anche di http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=785629&i=1 questa storia u.u
e di tutte le one-shot/flash-fic che ho scritto su Harry Potter e che spero leggerete.
Le trovate, ovviamente, nel mio profilo.
Vi ho annoiati a sufficienza, vi mollo u.u
Un bacione a tutti i lettori.
Kiss kiss, Frens. 
 

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Capitolo 4
*** Nuovi arrivi. ***


Nuovi arrivi.
Capitolo 4




Uscii dalla stanza con lo sguardo perso nel vuoto e tornai in cucina, dove trovai Will stravaccato sul divanetto, intento a guardare la televisione.
Mi sedetti accanto a lui ma non distolse lo sguardo dallo schermo, teneva gli occhi puntati davanti a sé, come ipnotizzato.
Evidentemente non c’era niente di interessante da guardare, perché la spense dopo circa due secondi.
Si accorse del poco spazio che mi aveva lasciato per sedermi, così si mise composto.
- Hai parlato con Prudence? - mi chiese, senza spostare lo sguardo dallo schermo.
- Sì. Non mi ha voluto parlare e questo non è un buon segno. Qualunque cosa abbia non lo scoprirò tanto facilmente. Quando sono entrata in camera stava guardando un album di foto. -
- Che le manchi di già casa sua? -
- Ne dubito. Me l’avrebbe detto. -
- Cos’ha allora? - scossi la testa.
Mi chiedevo esattamente la stessa cosa dalla notte prima.
- Buongiorno… - alzai la testa di scatto. Un piacevole brivido caldo percorse la mia schiena in tutta la sua lunghezza.
Avevo riconosciuto quella voce, la sua voce. La voce di Matt.
Mi chiedevo se per lui indossare una maglietta fosse un optional o se non ne fosse capace, fatto sta che girava per la cucina con i suoi boxer a strisce nere e verde pisello, ovviamente a petto nudo. Quella visione celestiale mi regalò un momento di alta inibizione più una scorta maxi di saliva che rischiava di colare dagli angoli della bocca se solo mi azzardavo a guardargli il culo un secondo di più.
Quella notte non avevo notato quando fosse bello.
Anche quello. Possibile che non avesse un cazzo di difetto??!!!
Appena vide le nostre facce da funerale aggrottò lievemente un sopracciglio.
- Ehi perché quelle facce? Di solito il musone sono io, non vorrete rubarmi il titolo? - strizzò l’occhio in mia direzione, senza farsi notare da Will, e mi sentii arrossire fino alle doppie punte dei capelli. Non sorrisi, ero ancora preoccupata per Prue, in più i muscoli della mascella non rispondevano ai comandi.
Il cervello era ancora annebbiato dall’immagine ingrandita del didietro perfettamente sodo di Matt.
Si accorse della mia espressione da triglia e la sua espressione si fece seria.
- è successo qualcosa? - chiese. Non risposi e non lo fece nemmeno Will.
Mi alzai e uscii dalla cucina. Era il momento di farmi una doccia, ne avevo bisogno.
Forse l’acqua fredda mi avrebbe chiarito le idee a proposito del problema di Prudence.
E forse se mi fossi lavata la faccia l’acqua avrebbe lavato via dalla mia retina il poster formato gigante del corpo di Matt, con tanto di ingrandimento speciale per la magnificenza del suo culo.
- Beth, che succede? -  Quest’ultimo (PS: l’individuo dal culo d’oro) mi seguiva in tutto il corridoio.
Calmati Bethany. Non pensare che un individuo dal culo divino e dai pettorali di marmo, con tanto di affascinanti occhi azzurri, ti sta inseguendo, per di più mezzo nudo.
- Quante volte ancora devo dirti di non chiamarmi in quel modo??? -
- Perché non rispondi mai alle domande che ti fanno? -
- Bene, succede che mia cugina è momentaneamente incazzata per non so quale motivo e se l’è presa con Will per non so quale altro motivo. Lui c’è rimasto male, io non riesco a capire che cazzo ha Prue e sono preoccupata. Sono molto preoccupata! Ti va bene come riassunto? -
- Sì grazie, molto esauriente. Domanda di riserva: perché scappi? -
- Non scappo. Semplicemente vado a farmi una doccia. Hai presente? È l’unico modo che abbiamo per non morire di asfissia e per non far morire di asfissia gli altri… -
Scappo perché se ti guardo ancora rischio di violentarti, imbecille altamente scopabile. Oh Dio Santissimo sto andando in iperventilazione!!!
- Il sarcasmo pungente la mattina non sta bene con il latte e i cereali, perciò evita. -
- E allora non fare domande idiote. -
- Ok va bene, ho capito che oggi non sei dell’umore giusto. -
- Credevo che non avresti capito, che bravo. Adesso scusami ma ho un appuntamento con la doccia, a più tardi. -
- Divertiti. -
 

Toc Toc.
- Vado io!!! Devono essere gli altri coinquilini!!! - disse Will allegramente, posando la forchetta sul piatto e alzandosi dalla sedia per andare ad aprire la porta.
- Ma va? - ribatté prontamente Prue. Per tutto il pranzo non aveva fatto altro che lanciargli sguardi d’odio profondo e fargli battutine sprezzanti.
Will la ignorò, ma nel suo sguardo leggevo l’esasperazione.
Dopotutto che cosa aveva fatto di male per meritarsi quel trattamento?
Andò ad aprire, così ne approfittai per fare una pacifica chiacchierata con mia cugina.
- Senti Prue, non so che cavolo hai contro di lui, ma devi smetterla hai capito? Mi sembra che non ti abbia fatto niente! Non capisco perché sei così acida! -
- Mi sta antipatico va bene??!!! -
- No, non va bene per niente. - si alzò dalla sedia e battè il pugno sul tavolo.
Sussultai. Non si era mai comportata in quel modo.
- Invece di pensare agli affari miei perché non ti chiedi cosa succede intorno a te, eh? - mi alzai anche io, inalberandomi sempre di più.
- Forse è il caso che ti spieghi meglio! Che cosa starebbe succedendo intorno a me?! -
- Dico, sei cieca??? È talmente evidente che… -
- CHE COSA è evidente?! -
- Ragazze, piantatela. - Matt intervenne, pacato come al solito, ma nessuna di noi lo ascoltò.
- Lasciamo perdere. Me ne vado in camera! - prima che si potesse muovere di un solo centimetro, il mio orgoglio mi ordinò di uscirne a testa alta.
- No, sono io che me ne vado!!! - e così dicendo uscii dalla porta, sbattendola con furia.
Mi rintanai nella mia cameretta e mi gettai a capofitto sul letto.
Non volevo pensare alla scenata di mia cugina, altrimenti mi sarei arrabbiata ancora di più.
Volevo, anzi dovevo, calmarmi e concentrarmi su qualcos’altro.
Così mi alzai per prendere le cuffiette dell’mp3 e le misi nelle orecchie, accendendo il lettore e immergendomi nella perfezione della mia canzone preferita.
In quella stanza faceva troppo caldo, sudavo, così decisi di togliermi il vestito per respirare almeno un po’ di più.
Solo che appena me li tolsi la porta si aprì, rivelando sulla soglia un ragazzo decisamente imbarazzato.
 

(Pov. Matt)
Rimasi incantato a guardare il corpo perfetto della ragazza che avevo di fronte, senza riuscire a pensare, senza riuscire a dare un senso alla situazione, senza riuscire a muovere un solo quarto di muscolo. Ero come pietrificato.
Sapevo solo di essere di fronte alla ragazza più bella che avessi mai visto; era perfetta, splendida, divina.
Sicuramente in quel preciso istante avevo l’espressione più idiota che si potesse mai scorgere sulla faccia della Terra, ma non me ne importava niente; non sarei riuscito molto facilmente a distogliere lo sguardo dal corpo quasi nudo di Bethany.
Era come una calamita per i miei occhi, come se la gravità spingesse il mio interesse verso di lei.
Mi stavo comportando da pervertito, me ne rendevo conto, avrei dovuto smettere di osservarla già da quando mi ero accorto del fatto che si fosse spogliata, ma in quell’istante avevo bisogno di guardarla, era come se il suo corpo reclamasse il mio sguardo.
Sfortunatamente, la sua voce mi riportò alla realtà troppo presto.
- MATT! Potresti almeno bussare prima di entrare!!! - la vidi togliersi le cuffiette dalle orecchie, raccogliere frettolosamente il vestito che indossava poco prima e coprirsi momentaneamente con quello, mettendo fine all’incantesimo che mi aveva lanciato poco prima.
Perché ero quasi certo che mi avesse lanciato una maledizione, un qualcosa di sovrannaturale che mi aveva fatto desiderare di toccare quel corpo, di averlo.
Molto più di quanto non lo bramassi già.
Mi sorpresi a desiderare di strappargli di dosso qualunque cosa avesse lo scopo di coprirla.
- S-sì scusa, dovevo portarti il bagaglio. È… arrivato adesso. -
Benedetto bagaglio!!!
- Ah… grazie. Quindi i coinquilini non sono ancora arrivati? -
- No, falso allarme. -
- Oh beh, grazie di avermelo portato. Però ricordati di bussare la prossima volta. - mi sorrise imbarazzata e il mio cuore perse un battito.
Per fortuna non si era messa a strillare come avrebbe fatto qualunque altra ragazza nella situazione in cui si era trovata Bethany.
In fondo ero pur sempre uno sconosciuto per lei, magari d’ora in poi mi avrebbe classificato come pervertito cronico e mi avrebbe snobbato per tutto il resto della nostra convivenza insieme; speravo di no. Non volevo allontanarla, al contrario, mi sarebbe piaciuto starle sempre più vicino.
Forse il mio obiettivo era quello di starle molto vicino.
Più di quanto fosse lecito, veramente.
- Sì. Non pensavo che ti stessi cambiando, scusa. -
- Avevo un po’ di caldo a dire la verità, questa stanza è peggio di un forno. -
Sento caldo anch’io, ma non sono sicuro che sia del tutto colpa della stanza…
- Hai ragione. Qui dentro fa un po’ troppo caldo. -
Sperai che non cogliesse il doppio senso della frase e che cambiassimo argomento, anche perché di lì a poco avrei potuto fare qualche gaffe che mi avrebbe potuto far passare davvero per un pervertito cronico.
Aspettai che rispondesse, ma continuava a tacere.
Non mi guardava negli occhi, il suo sguardo era perso in un angolo vuoto della camera e, senza capire il reale perché, mi sentii infastidito da quel suo comportamento.
Volevo che mi guardasse negli occhi, che rimanesse in contatto con me.
Ecco, stavo diventando assolutamente patetico.
Non era di certo questo il tipo di contatto che avrei voluto avere con lei.
Dopo aver intuito che il nostro silenzio si sarebbe dilungato ancora per molto tempo decisi a malincuore che non era il caso di rimanere in quella situazione così imbarazzante, la soluzione migliore era quella di uscire immediatamente da quella stanza e tornare in camera per darmi una regolata.
- Ehm, io torno dagli altri. -
- Ok, a dopo… -
Uscii dalla stanza e, appena mi chiusi la porta alle spalle, tirai un sospiro di sollievo.
Sentii la serratura della sua camera scattare: doveva aver capito che era il caso di chiudersi a chiave per evitare altri spiacevoli inconvenienti.
La immaginai sdraiata sul letto, con indosso soltanto le mutande e il reggiseno mentre ascoltava la musica, con i capelli che le cadevano dappertutto.
Merda! Meglio pensare ad altro.
Tornai in camera mia e improvvisamente mi venne voglia di scrivere una canzone.
Sì, forse quella notte avrei dormito, dopo giorni e giorni di insonnia.
 

(Pov. Bethany)
Quella sera volevo davvero essere perfetta per i nuovi arrivati.
Dopo due giorni di imprevisti che mi avevano tenuta a debita distanza dalla mia dolce piastra e dalla mia borsa dei cosmetici, finalmente li avevo di nuovo tra le mani e potevo darmi un aspetto più umano per evitare di spaventare chi per sfiga m’incontrava sul suo cammino.
Lisciai per bene i capelli e mi truccai con cura, coprendo la pelle con un po’ di cipria e colorando le palpebre di un intenso color terra.
Misi matita e mascara e, per chiudere in bellezza, stesi sulle labbra uno strato maxi di lucidalabbra trasparente.
Un trucco semplice e leggero, naturale.
Per valorizzare ancora di più il mio viso, misi gli orecchini a cerchio, quelli grandi.
L’effetto era buono, non potevo fare di meglio d’altronde.
Mi vestii piuttosto comodamente, ma con stile: camicetta blu notte abbastanza scollata e jeans stretti; ai piedi portavo semplicemente delle ballerine nere. Niente di speciale insomma.
Sperai che valesse la pena di mettersi in ghingheri per i nuovi arrivati; dato che non li avevo mai visti in tutta la mia vita potevano essere chiunque, anche dei cessi puzzolenti e alcolizzati. Comunque valeva la pena tentare, dato che i primi due arrivati erano certamente a posto, sia fisicamente che caratterialmente parlando. Erano mooolto a posto.
Prue era vestita come al solito, non dava molta importanza all’esteriorità, ma come darle torto?
Lei era bella anche senza un filo di trucco e vestita da scaricatore di porto, chiunque l’avrebbe apprezzata in ogni caso. Beata lei.
Erano le 16.23, gli inquilini misteriosi dovevano essere già scesi dal treno e senza dubbio non avrebbero tardato ad arrivare al condominio; ero stranamente agitata, non come il giorno prima, quando erano arrivati Will e Matt, quel giorno avevo altro per la testa.
Quando mi presentai in cucina dagli altri, Will si lasciò andare ad un fischio d’ammirazione.
Lui e mia cugina stavano seduti sul divanetto, l’uno a debita distanza dall’altro.
- Come sto? - chiesi, facendo una smorfia.
- Sono un po’ geloso Bethany. Quando siamo arrivati noi non ti sei messa così in ghingheri per venire ad aprirci la porta. -
- Non me ne avete dato il tempo e poi la mia valigia e tutte le mie cose in quel momento chissà in quale parte del mondo erano…! -
- Stai benissimo. - mi voltai di scatto, presa improvvisamente da un forte batticuore.
Matt era apparso alle mie spalle come un fantasma, cogliendomi di sorpresa come riusciva a fare solo lui. Per mezzo di una radiografia completa al figo dagli occhi celestiali compresi che a quanto pare non ero la sola ad essermi impegnata a migliorare il mio aspetto.
I suoi capelli non erano più disordinati come al solito, li aveva fissati con il gel in modo da non cadergli sugli occhi ed indossava una maglietta nera con un paio di jeans strappati al ginocchio. Beh, come eleganza non era il massimo, ma per lui doveva essere stato un grande sforzo mettersi qualcosa addosso dato che il più delle volte vagava per la casa sfoggiando buona parte del suo culetto d’oro e dei suoi pettorali da bronzo di Riace.
- Grazie. Neanche tu sei male. - Sei altamente scopabile come al solito, chiappe di ferro.
Sorrise, poi tutt’a d’un tratto cambiò espressione.
- Che c’è? Qualcosa non va? - gli chiesi, seguendo il suo sguardo.
Merda, mi guardava la scollatura.
- Sì. Vedi, non mi piace molto questa. - prese i lembi della camicetta e velocemente la abbottonò fino al colletto, fin quando non mi ritrovai del tutto coperta.
Ero diventata color ciliegia, non tanto per il fatto che Will e Prue fossero presenti e che stessero osservando la scena quanto per le sue dita che distrattamente mi avevano sfiorata.
Avevo la pelle d’oca, speravo non ci avesse fatto caso.
- Grazie tante, mammina. - commentai acida, poi mi allontanai e mi posizionai di fronte allo specchio del corridoio, sbottonando di nuovo la camicetta e rimettendola com’era prima che mister chiappe di ferro me la sistemasse a mo’ di suora.
Matt fece per ribattere, ma prima che aprisse bocca per replicare mi scappò una frecciatina.
- Ehi, credevi di poterle vedere solo tu le mie tette? -
Per la prima volta in due giorni di conoscenza vidi qualcosa che non avrei mai creduto possibile che potesse accadere: il figo di ghiaccio arrossì.
Quindi la mia freccia aveva colpito nel segno; tanto meglio.
- Ci siamo persi qualcosa? - chiese Will, malizioso.
Prue alzò gli occhi al cielo. Proprio non lo tollerava.
- Niente di particolare. Solo che al fig… che a Matt piace entrare nelle camere altrui nei momenti meno opportuni. -
- Non l’ho fatto intenzionalmente! - si difese prontamente.
- Non ho detto che l’hai fatto di proposito, ho soltanto fatto una battuta. -
- Beh, non era divertente. -
- Mi dispiace che non sia stata di tuo gradimento, la prossima volta proverò a fare di meglio. - gli feci l’occhiolino tanto per deriderlo un po’, ma lui rimase impassibile.
- Comunque copriti, ti stava meglio prima la camicia. - continuò imperterrito.
Sollevai un elegante sopracciglio e mi voltai verso Will.
- Will, mi sta meglio adesso o com’era dopo l’intervento non richiesto di Matt? -
- Che domande, ti sta meglio adesso! - gli sorrisi complice e gli diedi il cinque.
- Ma dai Will, non può andare ad aprire la porta a quelli con quella camicia così scollata! -
- Non capisco che te ne dovrebbe fregare. Che c’è di male? - mi difesi, seccata.
- Niente. - intervenne Prue, guardando fisso Matt - perché non ci spieghi cosa c’è di male Matt? Perché io non ci trovo niente di sbagliato. -
- Prudence mi ha dato ragione?! Mi hai dato ragione? Dio esiste! - intervenne Will, alzando platealmente le braccia al cielo. Prue lo guardò come per compatirlo.
- Non davo ragione a te idiota, davo ragione a Bethany. -
- Dando ragione a Bethany la dai anche a me tesoro. -
- Chiamami un’altra volta tesoro e con te ci faccio lo spezzatino per la cena. Intesi? -
- Certo cocca. - le mandò un bacino e lei alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa, come per dire ‘Ma chi me l’ha mandato???!!!’
Toc Toc.
Mi affrettai ad andare ad aprire… con Matt alle calcagna.
Affrettai il passo, ma quando misi la mano sulla maniglia quella del ragazzo coprì la mia.
Accadde tutto in un solo istante.
Avete presente quando sentite il cuore aumentare i battiti così in fretta da sembrare di aver appena messo il piedi sull’acceleratore di una macchina?
Avete presente quando il vostro cuore arriva ai duecento battiti al secondo come i duecento chilometri orari di una macchina?
Bene, in quel momento, quando avvertii il calore della sua mano sulla mia era come se avessi passato i trecento, e sempre meno lentamente cominciavo ad avvicinarmi ai quattrocento… ma percepivo il pericolo della velocità bruciare la mia pelle.
La rapidità con cui arrivai ai cinquecento e frenai a cinquanta mi tolse il fiato, perché lui aveva mollato la presa sulla mia mano e l’aveva spostata sui miei occhi.
Più avanti rammentai di avere il dovere di aprire ai nuovi arrivati, così distolsi lo sguardo dai suoi occhi azzurri e aprii la porta.
Sbattei le palpebre un paio di volte, sconcertata dal gran pezzo di figo che mi trovai davanti… in compagnia di una ragazza; merda, ma perché tutte le sfighe dovevo avercele io?!!! Indubbiamente era la sua fidanzata: diciamocelo, un ragazzo del genere non poteva essere single, era matematicamente impossibile.
Era basso (in confronto a Will e Matt) ma più alto di me di almeno cinque centimetri, biondo e con gli occhi di una sfumatura che andava dall’indaco al… lilla chiaro?
Erano fantastici, quasi cangianti.
Gli sorrisi, ignorando bellamente la ragazza che aveva al fianco, e mi affrettai a presentarmi.
- Ciao, siete i nuovi arrivati giusto? Io sono Bethany e il musone a fianco a me è Matt. - alla parola musone Matt mi lanciò un’occhiata omicida; io gli feci la lingua per tutta risposta.
- Piacere… sì, siamo i nuovi inquilini; io sono Chase e questa acidella alla mia destra è Ileen. -
- Non sono acida, sei tu che mi fai incazzare! -
- Piacere. - dissi io, ghignando.
Mi accostai al muro per lasciarli passare con i bagagli e ne approfittai per lanciare un’occhiata vagamente interessata al retro del nuovo arrivato.
Niente male, ma non era ancora ai livelli di perfezione del mio figo di ghiaccio.
Purtroppo quest’ultimo aveva notato dov’era casualmente andato a posarsi il mio sguardo ed era scoppiato in una rumorosa risata, che s’interruppe istantaneamente per merito di uno scappellotto ben assestato sulla nuca.
Appena raggiungemmo la cucina notai gli occhietti di Prue radiografare lo strafigo Chase da testa a piedi ed i suoi occhi esalare scintille.
Sì, decisamente approvava anche lei… come me.
- Bene, farò io le presentazioni. Loro sono lo straf… ehm, Chase e la piatt… ehmmm Ileen. Quei due seduti sul divano sono Will e Prudence, la mia dolcissima cuginetta. Come potete notare quei due si vogliono un gran bene, a modo loro. - terminai, ovviamente con una manciata di sarcasmo non indifferente. Fortunatamente ero riuscita a non chiamare Chase ‘strafigo’ e Ileen ‘piattola’ anche se avrei tanto voluto farlo.
Prue levò un sopracciglio al cielo e diede un calcio alla gamba di Will, che intanto si era messo a ridere per la mia allusione pungente.
- Oooooh ma quanto è bella quella camicetta tesoro!!! - cinguettò Chase con un inconfondibile accento da checca.
Merda, era gay!!! Che spreco, pensai affranta.
- G-grazie. - mormorai, accennando un sorriso.
- Però dolcezza, fattela sistemare un pochetto. Hai un seno troppo seducente per non metterlo in mostra come si deve! - arrossii a questo suo complimento così esplicito.
Si avvicinò e palpò la stoffa blu scura, poi fece un gesto che mandò decisamente in bestia Matt, a giudicare dal colore violaceo che si estese sulle sue guance ceree: slacciò la camicetta di un solo bottone, ma bastò a scoprire parte del seno e a mettere in bella mostra il reggiseno nero che portavo sotto.
- Così sei assolutamente perfetta. Dopotutto la lingerie in esposizione è molto in voga quest’anno!!! - trillò entusiasta.
- Ma ha praticamente tutto di fuori! - protestò Matt esasperato.
- Oh e se lo può permettere! -
- Ancora con questa storia Matt? Bethany è adulta e vaccinata e può vestirsi come più le pare! Non capisco perché ti dia tanto fastidio, a me non dispiace affatto, anzi… magari tutti i giorni. - sempre il solito, smielato, Will!!!
- Aaaah lasciamo perdere. Non capiresti. -
- Aiutaci a capire il perché di tutte queste opposizioni allora! - intervenne Chase bonariamente, neanche minimamente infastidito dall’atteggiamento di Matt.
Aspettavo come tutti gli altri che finalmente ci illustrasse il perché di tutto quel casino, ma sembrava non avesse la più flebile intenzione di darci delle spiegazioni. Io ero curiosa da morire, in fondo mi aveva vista mezza nuda non meno di tre ore prima e non mi era sembrato che gli facessi tanto schifo.
Anzi, mi era parso di non fargli per niente schifo.
Tuttavia c’era sempre l’eventualità che mi sbagliassi; magari per lui ero talmente brutta da non essere oggettivamente guardabile. Se era così che la pensava allora mi sarei regolata in modo da non farlo vomitare al mio passaggio. Decisi che la via più breve era affrontare apertamente il problema, senza aspettare spiegazioni che non mi avrebbe mai dato.
- Non ti capisco Matt. Vuoi che mi copro perché non ti piace il mio corpo? Okay, va bene, se sono brutta a un punto tale da non poter essere guardata cercherò di vestirmi scollata soltanto quando non mi ronzi intorno. - vidi Matt sbiancare del tutto e abbassare lo sguardo.
- Io veramente… -
Sentii Prue ridacchiare sommessamente dal divano.
- Io non credo che Matt ti reputi inguardabile, cugi. Sono sicura che sei del tutto fuori strada. -
- Grazie tante della spiegazione, ma non mi hai chiarito granché le idee Prue. - se non era perché ero inguardabile allora perché si incaponiva a volermi coprire???
Più ci ragionavo, più mi allontanavo dalla soluzione.
Era come il rebus in un giornale di gossip e la frase nascosta si ostinava a fuggire dalle mie dita.
Un rebus senza indizi, completamente vuoto.
Non potevo neanche sbirciare le soluzioni nelle ultime pagine del giornale, perché quelle mancavano del tutto.
Avrei dovuto arrivarci da sola, Matt non ne voleva sapere di confessare che diavolo lo spingesse a comportarsi da guastafeste.
- Io credo che il comportamento di Matt non sia così bizzarro come pensate. Io credo che si possa racchiudere tutto il concetto in una sola parola… -
- Ovvero? - cos’era tutto questo mistero??? Io volevo la verità e se mia cugina non si fosse sbrigata a smettere di fare così la saputella e si fosse limitata a dire le cose come stavano l’avrei tartassata con le mie domande per tutta la sera.
- Ovvero una parola di sette esatte lettere che inizia per G e finisce per A. Come ausilio per la risoluzione di questo grande enigma avete a disposizione tre aiuti: il 50:50, l’aiuto del pubblico e l’aiuto da casa! Potete usarne solo e soltanto uno perciò avete un secondo esatto per decidere quale dei tre usare, ma siccome il tempo è già scaduto non avete nessun aiuto e dato che è finito anche il tempo per darmi una risposta vi annuncio che non avete vinto neanche un euro. Arrivederci e buon proseguimento di serata. - avevo sempre immaginato che mia cugina si facesse filmini in testa, ma non mi sarebbe mai passato che per la mente che il suo cervello andasse talmente oltre da organizzarsi un discorso completo, con tanto di soggetto, verbi e complementi, da presentatrice di quiz televisivi come ‘Chi Vuol Essere Milionario’.
- Non posso comprare una vocale? - intervenne Will, apparentemente serio.
- No, hai sbagliato programma. -
- E una consonante? -
- No, neanche quella è compresa nel prezzo. -
- Neanche una piccola piccola piccola??? -
- Mi prendi per il culo? -
- Certo che no cocchina. -
- Ho la carie ai denti da quanto sei zuccheroso! - esclamò Prue, nauseata dal suo tono sdolcinato e stucchevole.
Io ci avevo fatto l’abitudine.
In soli due giorni era riuscito a chiamarmi con gli pseudonimi più dolci, smielati, sdolcinati e idioti che si potessero mai affibbiare ad un essere umano.
Ma questo era un altro discorso…
- Dai Matt, parla, qual è il problema? - gli chiesi repentinamente, cogliendolo impreparato.
Will e Prue ancora bisticciavano per quel ‘cocchina’ che per disgrazia quel rompipalle si era fatto scappare, mentre Ileen e (quel gran pezzo di figo di) Chase avevano approfittato del litigio dei primi due per sgattaiolare via nella loro stanza per sistemarsi i bagagli, per cui nessuno era lì ad origliare la chiacchierata fra Matt e me.
- Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. -
- Eh no bello, questa facoltà non ce l’hai con me! Rispondi o rispondi. Con le buone o con le cattive. Scegli tu il metodo che preferisci. -
- Dipende da quali sono le buone e quali le cattive. -
- Le buone sono quelle che usavo poco fa’ tentando di ottenere una risposta cortesemente, le cattive sono quelle che, nel caso tu non mi voglia rispondere, adopererò in questo preciso momento! -
- Ah davvero? Vediamo quali sono quelle cattive, perché non ho nessuna intenzione di parlarne né tantomeno di risponderti. -
- Per quale assurdo motivo non dovresti rispondermi? Non credo che la risposta sia così difficile da spiegare con una frase, a meno che tu non abbia dei seri problemi nel parlare. Sai, se fossi balbuziente potrei dare un senso anche al solito stato di coma in cui scivoli abitualmente per evitare di affrontare l’oneroso problema della socializzazione! -
- Io non entro in coma per evitare di socializzare e non sono balbuziente! -
- Non cambiare argomento, pervertito asociale! -
- Adesso mi dai anche del pervertito asociale?! Tu che saltelli per casa con le tette al vento??! -
- Io non saltello per la casa e tantomeno con le tette al vento! -
- Ah no?! Perché oggi sono molto coperte devo dire! -
- Di certo lo sono molto di più di quanto non lo fossero quando le hai viste stasera! Non mi pare che prima ti seccasse così tanto che le tenessi in bella mostra! - colpito e affondato.
Sentivo il profumo delizioso della vittoria estendersi nell’aria.
- Io non capisco perché senti la necessità pressante di litigare con me per una cosa talmente infantile che se solo ci penso non riesco a credere che tu abbia quasi diciannove anni! -
- Parli di infantilità proprio tu che ti scandalizzi per una scollatura neanche troppo profonda! Figuriamoci cosa combinerai quando mi vestirò per andare in Discoteca! Che farai? Appello al Papa? Mi denuncerai per atti osceni in luogo pubblico? -
- Miaoooooow. - percepii qualcosa di soffice strusciarsi contro le mie gambe e con stupore mi accorsi che era un gatto. Un gatto? Un momento… nessuno di noi aveva un gatto!!!
Perdinci, che ci faceva un gatto nel nostro appartamento???
Matt era perplesso più o meno quanto me.
Per un istante dimenticai del battibecco in corso con quest’ultimo e mi chinai a guardare dritto negli occhietti il felino che si era materializzato silenziosamente tra le mie gambe.
- Mamma mia quanto sei brutto… - gli dissi, corrugando la fronte. Era uno di quei gattacci pelosi con il muso schiacciato e l’espressione sempre torva; non li sopportavo, i gatti. Mi sollevai e mi voltai verso Will e Prue, che non si erano minimamente accorti di nulla indaffarati com’erano a discutere su chi dei due fosse più insopportabile, così reclamai la loro attenzione.
- Scusate se mi permetto di interrompere i vostri amorevoli dibattiti, ma qualcuno di voi due saprebbe spiegarmi per quale bizzarra ragione c’è un gatto in questa casa?! -
- Quale gatto? Io non vedo nessun gatto. - affermò Prue, sconcertata.
Alzai gli occhi al cielo e mi chinai a raccogliere quella massa di pelo informe che avevo tra le gambe; lo afferrai per la pancia e lo sventolai a mo’ di banderuola.
- Ecco… ora lo vedi??!!! - chiesi, esasperata.
Possibile che quando bisticciavano, cioè sempre, non si rendevano conto di niente?
- Sì, ora lo vedo. - Lasciai andare il gatto, che con un agile scatto cadde sulle zampe.
Mi girai nuovamente verso Matt.
- Tu sai a chi appartiene questo micio? - scrollò le spalle e fece un’espressione da ‘ma che vuoi che ne sappia io??!’.
- Comunque, prima che questo gatto ci interrompesse, stavamo parlando di cose serie… -
- Oooooh quant’è carinoooooo!!! - riconobbi all’istante l’identità della persona che produsse quell’urlo disumano, ma non per questo feci in tempo a scansare Ileen che con gli occhi a stelline si era gettata a capofitto sul gatto per accarezzarlo, senza essersi però accorta che mi aveva letteralmente spinta via, facendomi cadere proprio addosso all’ultima persona a cui sarei voluta andare addosso.
Appena sentii i suoi pettorali contro la mia schiena persi completamente il senno e il poco controllo che esercitavo su me stessa.
Arrossii violentemente appena le sue mani fecero presa sui miei fianchi.
- Ma che stai…? - mormorai, sconcertata dall’intensità del suo sguardo.
- Faccio in modo che tu non ti faccia male. - ghignò, probabilmente a causa della mia stupida espressione.
- Non mi sarei fatta male comunque. -
- Lo so. -
Aggrottai le sopracciglia, non capivo.
Beh, sinceramente non ero sicura che sarei mai riuscita a comprendere quel ragazzo, ma quella volta era davvero strano.
E la più strana fra tutte le stranezze era che… sorrideva.
Intanto nessuno degli altri aveva prestato attenzione a noi, né al fatto che continuasse a tenermi ben stretta per i fianchi nonostante non fossi più in ‘pericolo’.







Nda: Lo so, lo so che sono in un tremendo ritardo e che mi volete fustigare ò.ò
Ma... la voglia di aggiornare mi mancava.
Però intanto il capitolo è sufficiente lungo, e spero divertente, per farmi perdonare.
Tanto ammmore per Chase, che personalmente adoro *-*
Ileen sembrerà l'ochetta di turno, ma non lo sarà. E indovinate come si chiama il gatto??? u.u
In ogni caso non sperateci: non vi anticipo nulla XD
Ora scappo.
Spero che recensiate in tanti <3
Kiss kiss

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Capitolo 5
*** Galeotta fu la paperella di gomma. ***



Capitolo 5
Galeotta fu la paperella di gomma.






Nuvole candide, rosa, azzurre, poi uno strano suono.
No, non poteva essere definito esattamente un suono, si avvicinava di più ad un fastidioso baccano, che con il passare dei secondi diventava sempre più forte e irritante.
Aprii un occhio per osservare ciò che mi stava intorno per dare un senso a quella strana situazione, ma l’unica cosa che vidi furono le spalle di una ragazza bionda, intenta ad utilizzare uno strano aggeggio che dopo istanti di stordimento post-dormita collegai alla parola ‘aspirapolvere’.
Un momento… che ci fa una ragazza bionda nella mia camera con un aspirapolvere?
Mi raddrizzai sul letto, appoggiando i gomiti sul cuscino ed osservai la scena che mi si presentava davanti agli occhi.
Identificai la bionda come la piattola, alias Ileen, e capii che ciò che stava facendo si chiamava: pulizia della camera.
Certo, un’azione apparentemente normale, se solo non fossero le 7 del mattino ed io non fossi mezza nuda sdraiata sul mio letto!
Continuai a trucidarla con lo sguardo, finché non si voltò per passare l’aspirapolvere sotto il mio letto, e fu allora che si accorse che mi ero svegliata.
- Oh ma buongiornoooo cara! Dormito bene? -
Non doveva essere una buona intenditrice.
Giusto il mio sguardo, i miei capelli e i miei occhi ridotti a fessure le avrebbero dovuto suggerire che il mio risveglio non era stato dei migliori, ma a quanto pare non capì.
- Benissimo, prima che arrivassi tu con quel dolcissimo e silenziosissimo aspirapolvere sognavo di vagare per immense nuvolette di cotone rosa! -
- Ops. Ti ho svegliata? - mi chiese, innocente.
Noooooo, non mi hai svegliata!!! È stato il troppo silenzio ad insospettirmi!
- Tu credi? Mi pare che prima che entrassi in questa stanza stessi ronfando come un maiale! -
- Ma se è stato il mio aspirapolvere a svegliarti… come mai Prue è ancora addormentata? -
Il mio sguardo fece il giro completo della stanza, per poi posarsi sulla massa informe che occupava il letto a fianco al mio.
Era spaparanzata sul materasso in una posizione indefinibile: una gamba che penzolava fuori dal letto, completamente scoperta, l’altra piegata all’indentro e le braccia che strizzavano il cuscino talmente violentemente da rischiare di farlo esplodere in miliardi di piumine bianche da un momento all’altro. Possibile che quella capra fosse in grado di dormire anche se nella sua camera si fosse appena scatenata la seconda guerra mondiale?
A quanto pare era possibile eccome.
- AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!! - quell’urlo da oltretomba fu talmente energico e stridulo da far cadere dal letto la capra, mandare in frantumi i miei timpani delicati e svegliare tutti gli altri coinquilini che, spaventati dall’ululato agghiacciante della bionda, accorsero in massa in camera mia.
La situazione era davvero paradossale: io e mia cugina in mutande e canottiera, Will, Matt e Chase in boxer (quest’ultimo accessoriato di mascherina rosa da notte e slip con i cuoricini) e quella rompicoglioni di Ileen che indicava con il dito un punto imprecisato sulle lenzuola, l’espressione inorridita stampata sul visetto magro.
Mi sollevai il lenzuolo fino al mento per coprirmi dagli occhi di ghiaccio del ragazzo che si era appena materializzato di fronte alla porta e lo stesso fece mia cugina; si sollevò immediatamente dal pavimento e si nascose sotto le coperte, imbarazzata come mai prima.
Will e Matt ci fissavano stralunati, consapevoli della nostra mezza nudità.
Incontrai gli occhi del ragazzo che in quei tre giorni di convivenza era stato l’oggetto dei miei pensieri e mi sciolsi come neve al sole; uno sguardo di ghiaccio capace di farmi bruciare fino ad impazzire ma specialmente di sopprimere in me ogni emozione.
- Che è successo stellinaaa???!!! - strillò Chase, strappandosi la mascherina dagli occhi per mostrare un’espressione del tutto allarmata.
Per tutta risposta Ileen si limitò a tenere lo sguardo fisso sul lenzuolo di mia cugina, gli occhietti spalancati per il terrore e la bocca semiaperta.
Mi sporsi per dare un’occhiata al motivo di tutto quel casino, ma non trovai niente di così spaventoso da scatenare una reazione isterica degna di un film horror, a parte una grossa macchia di Nutella.
Ricontrollai meglio… niente, sempre e solo quella macchia.
- U-u-una… - a giudicare dalle sopracciglia corrugate dei presenti, tranne Chase, nessuno aveva capito perché Ileen stesse balbettando, né perché i suoi occhietti avessero assunto la forma di due palle da bowling.
- Tesoruccio, è solo… - intervenne Chase, venendo interrotto quasi subito da una Ileen davvero molto irritata.
- Non dirlo! Non dire che è solo una macchia!!! -
- Cioè, fammi capire bene… tu hai svegliato ME e tutti gli altri per una miserabile macchietta di Nutella? - dissi, sempre più incredula.
No, si stavano sicuramente prendendo gioco di me.
Chi mai si sarebbe messo ad urlare alla vista di un’innocente macchia di Nutella?
Matt scoppiò in una sonora risata, attirando l’attenzione di tutti gli altri e la migliore delle mie occhiate omicide.
Appena se ne accorse rise di più, irritandomi a livelli impensabili.
Alzai gli occhi al cielo: era proprio uno stupido cretino.
- Bethany, dico… l’hai vista??! Hai visto QUANTO è grande quella macchia??? - strepitò Ileen, come se fosse perfettamente normale il suo comportamento.
- Sì, l’ho vista, ma non è certamente una buona ragione per mettersi ad urlare alle 7 del mattino!!! Ti sembra normale passare l’aspirapolvere a quest’ora? -
Continuavo a sentire le risate di Matt trapassarmi le orecchie e iniziavo ad adirarmi sul serio.
Mi alzai dal letto come una furia e mi scaraventai su di lui, cogliendolo di sorpresa e costringendolo ad indietreggiare di parecchi passi.
Lo spinsi contro il muro e lo guardai con un’ostilità che non avevo mai provato nei suoi confronti, cioè… mai così forte.
- Finiscila di ridere, mi innervosisci lo sai?!!! - proruppi, tra gli sguardi incuriositi degli altri.
- Non posso nemmeno ridere? Mi pare che sia nei miei diritti… -
- Non quando la causa scatenante delle tue risatine sciocche sono IO! -
- Chi ha detto che sto ridendo di te? - Incredibile come ti riesca bene rigirare la frittata, chiappe da oscar! pensai, riducendo gli occhi a due fessure e lanciandogli uno sguardo inceneritore degno di me.
- Lo so per certo. -
- E sentiamo… da cosa l’avresti capito? Il tuo ego è così grande che credi che tutto ruoti intorno a te? -
- Ragazzi se volete vi lasciamo un po’ di privacy. - disse Will, ammiccando in nostra direzione.
Lo guardai ad occhi sbarrati e dalla sua espressione seria compresi che non stava affatto scherzando.
Notai con la coda dell’occhio che Prue si era infilata velocemente una maglietta e dei pantaloncini e seguiva gli altri fuori dalla stanza.
Così mi ricordai di essere soltanto in mutande e canottiera.
Merdaccia.
- Ehi, Prue!!! Dove state andando tutti quanti? -
- Vi lasciamo un po’ soli!!! - l’eco di un sogghigno lontano di mia cugina risuonò nella mia testa, provocando prontamente una reazione che normalmente viene chiamata ‘diventare rossi’.
Sul viso impertinente di Matt vidi aprirsi un sorriso, che prontamente fece suonare il campanello d’allarme nel mio organismo, bloccandomi le vie respiratorie in tempo record.
Driiin Driiin DRIIIIIIIN!!!
Purtroppo tutto questo m’impedì di liberarmi appena in tempo delle mani del moro, che avevano afferrato i miei polsi con decisione.
- Che ne dici di invertire le posizioni? -
- C-cosa stai…? Matt, MOLLAMI!!! Prue!!! Brutta stronza aiutamiii! -  l’unica risposta che ottenni fu una risata collettiva che molto probabilmente giungeva dalla cucina, dove tutti si erano affrettati a sgattaiolare, convinti che forse ci occorresse un po’ di privacy.
Ma quale privacy?!!! Merda. Matt mi aveva appena messa con le spalle al muro, ma non nel senso retorico della frase, nel vero significato della parola.
- Sono quasi del tutto sicuro che tua cugina si sta divertendo in cucina con tutti gli altri, senza minimamente darti ascolto. Perciò dimmi… cosa potrebbe essere così divertente da farmi ridere di te in questo preciso momento? - stronzo. Stronzo. Stronzo. Stronzo…
- Per esempio il fatto che la mia unica copertura sono un paio di mutande di cotone ed una canottiera mezzo trasparente, per non parlare della mia espressione estremamente minacciosa di poco fa, che direi ti ha fatto molto ridere. -
- Wow, perspicace la tipa. Non l’avrei mai detto. -
- Matt non mi piacciono le prese per il culo. Vai da solo a cagare o ti ci mando io? -
- Mmm, te l’avevo già detto Beth: il sarcasmo pungente la mattina non sta bene con i cereali. -
- Lo sai che in questo momento mi stai simpatico quasi come un calcio nei co…? -
- E sai che in questo momento con quella canottiera sei proprio sexy? -
- Ti ho già mandato a fanculo oppure devo rinnovarti l’invito per andare a ca…? -
- Quando ti arrabbi il tuo sex appeal sale alle stelle. -
- Te le faccio vedere io le stelle! Aspetta solo che mi liberi e…! -
Ecco lo sapevo. Lo stavo guardando negli occhi, segno che ormai le forze mi lasciavano del tutto: ma che mi prendeva?!
Perché quando incrociavo il suo sguardo mi era difficile, se non impossibile, comportarmi razionalmente?
E per quale illogica ragione in quell’istante mi lasciavo sollevare il mento dalle sue dita, limitandomi a restituirgli uno sguardo decisamente ebete?
Da quando in qua cedevo così facilmente al suo sguardo di ghiaccio, tanto da concedergli di esplorare i miei occhi come più gli faceva comodo?  
E da quando il suo sguardo era così diverso, così particolarmente… morbido?
Era come se il mio cervello avesse dato le dimissioni, improvvisamente, senza neanche fornirmi un motivo valido; il motivo era forse lo stesso per il quale Matt si avvicinava sempre più a me? Era forse lo stesso per il quale i nostri respiri si fondevano nel ristretto spazio che divideva le sue labbra dalle mie?
Un rintronante clangore metallico proveniente dalla cucina polverizzò la serenità che poco prima aleggiava nella stanza da letto.
Appena recuperai il tanto giusto di lucidità essenziale per recuperare l’attività motoria e cerebrale, mi liberai dalla stretta di Matt e lo spinsi via.
- Che cosa credevi di fare??!!! - strillai, afferrando il lenzuolo e coprendomi dal suo sguardo profondo.
- Scusa… io… - dopo un po’ mi accorsi che aveva smesso di fissarmi, per rivolgere lo sguardo ad una molto interessante crepa nel muro.
Aspettai che continuasse la frase, poi compresi che non l’avrebbe più terminata e che il discorso finiva certamente lì.
- Io vado a vedere che cos’è successo in cucina. - mormorai, sgusciando via il più in fretta possibile da quella camera improvvisamente troppo infuocata.
 
- Che era tutto questo casino?! - esclamai, facendo il mio ingresso nella cucina spaziosa.
- Ad Ileen è caduto il bollitore. - mormorò Will, guardandomi come per farmi una radiografia.
Mi resi conto con orrore che mi guardavano più o meno tutti allo stesso modo, tutti tranne Ileen, troppo indaffarata a raccogliere il pentolino per seguire gli altri.
L’unico rumore che si sentiva era il canticchiare sommesso della bionda.
Non capivo il perché di tutta quella tranquillità, quella casa in tre giorni non aveva mai sentito così tanto silenzio.
Ma allora che diavolo succedeva?
- Il gatto vi ha mangiato la lingua? - sbottai, sedendomi a fianco a Will sul divanetto.
- No, aspettiamo solo di sapere cos’è successo tra te e Matt adesso. - rispose Chase, sfoggiando un luminoso sorriso a cinquecentomila denti.
Sorrisi anche io, non certo perché la sua domanda fosse divertente, ma per evitare di prenderlo a calci nel sedere; calmati Bethany, in fondo è solo una domanda…
- Non è successo niente, contenti? - Beh, non era successo quasi niente.
- Io non ci credo. - affermò Prue, conquistandosi una mia occhiata assassina.
- Affari tuoi. Sei libera di non crederci come di crederci, io non ho nulla da raccontare. -
- Bugiarda, stai arrossendo! -
- Non sto arrossendo! È… il fard! - Cazzata più grande non avrei potuto inventare, ma era la mia unica via di fuga dall’interrogatorio pericoloso di mia cugina.
- Il fard la mattina?! -
- Ieri non mi sono struccata ok??? -
- Se se… non ci crede neanche Parmigianino a tutte queste stronzate! -
- Chi? - Parmigianino? Ma di che cosa stava parlando?!
Mi sa che ieri ha bevuto un po’ troppo…
- Il gatto, Parmigianino. -
- Quale gatto? -
- Il gatto che ieri si è tranquillamente acciambellato sulle mie cosce dopo cena! -
- Quella palla di pelo puzzolente dalla faccia antipatica si chiama Parmigianino? - sbattei un bel po’ di volte le palpebre, confusa: doveva essere una grande presa per i fondelli di Prue, sì, insomma, come poteva un gatto chiamarsi… Parmigianino?
- Parmigianino non è né puzzolente né antipatico! È dolcissimo! - okay, non mi prendeva per il culo, l’indignazione con cui stava difendendo quell’ammasso di pulci era autentica.
Il che voleva dire che quel gattaccio si chiamava effettivamente Parmigianino e che per lei era realmente dolcissimo.
- Quel gatto è insopportabile! - non ero stata io a pronunciare quelle fatidiche parole, bensì Will e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso già abbastanza in bilico.
- Tu sei insopportabile! -
- Ah sì? Guarda cosa mi ha fatto il tuo adorato gattaccio! - indicò la linea retta di un graffio sulla guancia sinistra; era piuttosto grande.
- Ma che peccato. Chissà perché non mi dispiace affatto! - Feci in tempo a sollevare lo sguardo.
Will si era alzato dal divanetto, precipitandosi fuori dalla stanza; tempo due secondi e avevo sentito chiaramente la porta d’ingresso sbattere con violenza.
- Will dove vai???! - lo chiamai, ma ormai era già uscito.
Lanciai a Prue uno sguardo di rimprovero, ma lei si limitò a lasciare la cucina per andare a rintanarsi in camera.
Sbuffai e chiusi gli occhi, abbandonandomi allo schienale del divano.
- Scommetto che quei due litigano dal primo giorno che si sono visti. - commentò Chase.
Distolsi lo sguardo dal ragnetto che minacciava di cadere dal soffitto al centro esatto del mio cranio e mi concentrai sull’espressione divertita che si era accesa sul viso del biondo.
- E tu come fai a saperlo? -
- Semplice intuizione. Sono sicurissimo che se ne vedranno delle belle con quei due, tu non credi? - avrei voluto rispondere a quella domanda con uno dei miei soliti ‘NO’ ma mi sembrava una risposta leggermente acida; l’ultima cosa che volevo era inimicarmi quel bel figone di Chase.
Con lui non mi sarebbe piaciuto di certo farci la guerra… peccato che fosse gay!
- Ehm, per caso sei una specie di veggente? Irene non mi aveva detto che uno dei coinquilini aveva poteri sovrannaturali. Buono a sapersi. -
- Non è stato poi così problematico indovinarlo, è stato più o meno facile come capire cos’è successo poco fa tra te e Matt. -
- Tra me e Matt non è successo proprio niente se proprio vuoi saperlo! -
- Se proprio vuoi saperlo Chase, io e Beth abbiamo condiviso l’ossigeno giusto per qualche secondo prima che quel bollitore facesse tanto casino. - ecco, era arrivato Matt.
Come previsto non si era dato minimamente la pena di mettersi qualcosa addosso e di questo non ne ero affatto sorpresa, né tantomeno mi dispiaceva, sia chiaro. Alla vista dei suoi magnifici pettorali e del suo maledetto culo perfetto sentii il latte che non avevo ancora bevuto rimescolarsi nello stomaco; temevo di avere l’espressione di un bambino a cui era stato messo sotto il naso un delizioso lecca-lecca: quasi sentivo la bava colare dagli angoli della bocca ed allagare la cucina.
Immaginai Parmigianino lasciarsi trasportare passivo da un’ondata di bava, poi ricordai che era ora di rispondere per le rime al soggetto della mia spudorata ammirazione.
- Io con te non ho condiviso proprio un bel niente Green! -
- Oh adesso mi chiami anche per cognome? -
- Ti chiamo per cognome perché mi stai antipatico ok??? -
- Non mi sembrava che poco fa’ mentre eri avvinghiata a me mi trovassi antipatico. -
- Non mi sono avvinghiata proprio a nessuno, meno che mai a te. E ricordati che preferirei baciare un cetaceo piuttosto che baciare te! -
- Mmm, non credo che un cetaceo abbia i miei stessi muscoli. -
- Ma non ha neanche la tua stessa arroganza. Per fortuna… - rimase immobile a squadrarmi per qualche secondo, poi fece un sorrisetto e uscì dalla cucina.
- Io vado a farmi una doccia, a dopo Beth. -
- NON CHIAMARMI BETH. -
- Certo, certo… - ero del tutto certa che stesse ridacchiando, lo capivo da come mi aveva risposto. Sarai pure un figo, ma quanto mi stai sul…
- Aaaah, l’amour. - sentii sospirare. Mi voltai di scatto, pronta ad incenerire con il calore bruciante del mio sguardo la persona che si era arrischiata a dire una cosa del genere.
- Cosa??? Ho capito bene? -
- Sì tesoruccio hai capito benissimo. -
- Sentimi caruccio… con quella bestia non ho nulla a che fare! Non c’è niente di amour, né di altro, ok? - ero arrabbiata, ma non con Chase, forse con Matt, o forse con me stessa.
Una rabbia che effettivamente non stava né in cielo né in terra, dato che non c’era motivo di essere arrabbiate; forse un po’ infastidita dalle grandi cazzate che aveva sparato poco prima Chiappe d’Oro, ma a quelle ormai c’ero abituata.
Quando abitavo ancora in Sardegna erano all’ordine del giorno, soprattutto in un paese piccolo come il mio.
Mi ritrovai a sopprimere una fitta di nostalgia al pensiero della mia reggia personale e di mio padre che fischiettava allegro mentre innaffiava il prato; improvvisamente sentii le lacrime supplicarmi di sgorgare dai miei occhi.
Erano passati solo tre giorni dalla mattina della mia partenza, eppure sembrava che fosse già passato più di un anno.
Quasi dimenticai della presenza del biondino, che mi osservava attento.
- Ti senti bene? - la sua espressione si era trasformata da maliziosa a preoccupata in meno di cinque secondi. Evidentemente era un buon osservatore, doveva aver notato il brillio lontano delle mie lacrime. In meno di un secondo era passato tutto.
Dopotutto ero fatta così; ero sempre stata una ragazza forte caratterialmente, già dalla morte di mia madre avevo dimostrato di sapermela cavare egregiamente.
- Sì… solo un attimo di nostalgia. -
- Ne vuoi parlare? - mi sorpresi di come quel ragazzo riuscisse a rasserenarmi e a infondermi nell’animo una sensazione di pace, come se tutto ciò che volessi fosse raccontargli tutto e liberarmi del macigno che portavo dentro il cuore.
Malgrado ciò ero consapevole che lui per me era un perfetto sconosciuto.
- No, è passato. -
- Va bene; quando vuoi ci sono. - annuii, un po’ sconcertata dalla naturalezza con la quale sentivo di poter parlare con lui. Chissà come ci riusciva…
- La colazione è prontaaaaaaaaa! Su tutti a tavolaaaaa!!! -
 
Continuavo a girarmi e rigirarmi sulle lenzuola, senza trovare una posizione abbastanza comoda da permettermi di stare immobile per ore senza che mi venissero i crampi. Sapevo che avrei cominciato a lasciarmi trasportare dalla malinconia della musica e che dopo sarebbe stato difficile scacciare via la tristezza che quelle parole suscitavano in me; troppi ricordi erano legati ad esse, piacevoli e non.
Ricordi della mia storia passata invasero la mia mente, facendomi sprofondare nella tristezza più assoluta.
Magari non era stato vero amore, come diceva Matt, ma io ci tenevo davvero al mio ex, gli avevo voluto davvero bene e il modo in cui mi aveva mollata era stato veramente troppo doloroso per me.
Vederlo tornare insieme alla sua ex pseudo-cessa era stato un trauma, anche perché non capivo come si potesse amare una schifezza del genere; al confronto mi sentivo bellissima, e ci voleva tanto per farmi sentire così.
- BETHANYYYY! - tolsi immediatamente le cuffie dalle orecchie e mi precipitai ad aprire la porta con il cuore in gola, rischiando di inciampare nella bottiglia d’acqua che stava ai piedi del letto.
Era successo qualcosa?
Appena aprii la porta mi ritrovai davanti un Chase piuttosto tranquillo, che quando mi vide sorrise serenamente.
Io d’altro canto avevo gli occhi gonfi e rossi ed una faccia da funerale da fare invidia a Morticia della famiglia Addams.
Non ci misi più di due secondi a decidere di sbattergli la porta in faccia.
Era evidente che il motivo per il quale Chase mi aveva chiamata non era un’urgenza, perciò era inutile stare ancora lì davanti alla porta mostrando a tutto il mondo le mie debolezze.
- Bethany… apri la porta. - le opzioni erano tre:
1) Aprirgli la porta e dirgli il motivo per il quale sembravo la Morte in persona (da escludere)
2) Non aprirgli e fargli capire che non stavo bene (ma in quel caso sarebbe subentrata mia cugina e allora ne avrei viste di tutti i colori)
3) Uscire con il tanto giusto di falsità in viso, mostrare un sorriso a duecento denti e fischiettare allegramente come se tuuuutto fosse a posto (prendendo per il culo me stessa e tutti gli altri; opzione da testare.)
Aprii la porta della camera, stirando le labbra in un sorriso piuttosto forzato e chiesi, con voce talmente smielata da fare schifo anche a me stessa:
- Cercavi me, Chase caro? - ovviamente la mia reazione sorprese il biondino, che mi guardò come se fossi un esperimento andato male. Probabilmente si stava chiedendo quale droga avessi assunto per essere così serena e tranquilla, dato che solitamente ero più acida del limone.
Infatti, mi chiese subito dopo:
- Dì un po’, me lo dai il nome del tuo spacciatore? - la maschera che mi ero imposta di mantenere crollò in meno di mezzo secondo, lasciandomi con la stessa espressione da morta vivente con cui mi aveva vista poco prima.
- Mi dispiace, segreto professionale. - sbottai acidamente.
- TE LO DO IO IL NUMEROOOO!!! - entrambi scrutammo il vuoto in lungo, in largo e pure in obliquo per cercare di dare una collocazione geografica a quella voce, ma le nostre ricerche non sortirono il risultato sperato, alias: nessuna traccia di corpi umani nelle vicinanze.
Solo dopo secondi di panico nei quali pensai a fantasmi, zombie, non-morti, voci di Gesù Cristo in persona, pecore nere e pseudo-clown spaventosi capii che quella voce proveniva dalla stanza a fianco, cioè dal bagno, dove sicuramente mia cugina faceva la doccia.
La ignorai, come al solito del resto.
- Lasciala perdere, le piace intromettersi sempre nei discorsi degli altri e le sue entrate sono sempre costituite da cazzate… - sussurrai, cercando di non farmi sentire da mia cugina.
- TI HO SENTITA!!! SCORDATI CHE TI PRESTO LA MAGLIETTA CHE MI HAI CHIESTO IERI SERA!!! - scossi il capo ma, come prima, mi limitai ad ignorare.
Spostai la mia attenzione su Chase, che non aveva battuto ciglio, anzi sorrideva.
- Sei sicura che vada tutto bene? -
- Sì, è tutto una meraviglia. Vivo nel mio mondo felice, nella mia vita felice e sono felice. - ero del tutto certa che non credesse ad una sola parola di quello che avevo detto, suonava ridicolo persino alle mie orecchie. Mia cugina, uscendo dal bagno, diede voce ai miei pensieri.
Forse non era proprio un aquila a capire i suoi problemi, ma quando si trattava degli altri (soprattutto di me) diventava una specie di psicologa con tanto di blocchetto delle Winx e occhiali a mezzaluna di plastica che tirava fuori quando voleva farmi innervosire (durante le sue sedute da “psicologa”).
Fortunatamente quelli li aveva lasciati a casa sua.
- Stai dicendo un mucchio di cazzate cuginetta. -
Prue mi guardava con un sopracciglio sollevato e come al solito aveva capito il motivo del mio stato catatonico, più da morta che da viva.
- E tu come al solito invece di fare la psicologa a me, falla a te stessa. -
- Si… certo. - come? Adesso anche lei usava la strategia: annuisci e ignora???
Esaminai più attentamente mia cugina, accorgendomi pochi istanti più tardi che era vestita di tutto punto e stranamente non girava per la casa in pigiama, come al solito.
- Ehi, dove vai così elegante? -
- Elegante? Se solo avessi uno dei miei vestiti a portata di mano ti mostrerei cos’è la vera eleganza. Questi straccetti non lo sono di certo, e poi vado solo a fare la spesa! Tornerò più o meno tra un’ora o due. - La spesa la poteva anche fare… l’importante era che la tenessimo lontana dalla cucina.
Era uno degli argomenti che avrei dovuto trattare con gli altri coinquilini: la strana avversione che mia cugina aveva per la cucina = Prudence non avrebbe MAI dovuto arrischiarsi a preparare del cibo. Risultato? Intossicazione alimentare sicura.
A proposito… parlo per esperienza personale.
- Comunque, io vado. A dopooo! - si diresse in cucina e quando entrò la sentii dire - Ricordatevi di dare da mangiare a Parmigianino!!! -
- Io quel COSO non lo tocco! E poi avrà pure una casa! - sentii borbottare Will, sicuramente spaparanzato sul divano per guardarsi una importante (a suo dire) partita di calcio.
- Nessuno ha detto a te infatti! Ci vediamo dopo, bye bye. -
- A dopo. – le urlai dietro, ignorando l’epiteto non troppo carino col quale Will l’aveva salutata.
Sospirai, poi ricordai che Chase mi guardava (in attesa di spiegazioni) e spostai la mia completa attenzione su di lui. Non capivo per quale motivo gli stesse così a cuore il mio stato d’animo, non riuscivo a trovare un’interpretazione alla sua curiosità.
- Vuoi dirmi sì o no perché sei così triste? – mi chiese con un sorriso dolce.
Mi sorpresi di tutto il calore che sentii appena pronunciò quelle parole.
- Io invece vorrei sapere il perché di tutto questo interessamento da parte tua. –
- Andiamo Bethany, condivideremo l’appartamento per cinque anni! Non credo che tra noi sia necessario erigere delle barriere. Non credo che servano. –
- Ma neanche mi conosci. A malapena sai come mi chiamo. –
- Permettimi di conoscerti meglio allora. –
- Sei un po’ testardo o sbaglio? –
- Non è pienamente esatto; io sono molto testardo e, mi dispiace vantarmi di questo, ma il mio intuito è molto sviluppato, perciò sono quasi del tutto certo che in tutta la tristezza che leggo nel tuo sguardo c’è lo zampino di un ragazzo. –
- Lo sapevo – gli puntai un dito contro con fare minaccioso – tu sei un veggente! –
- Non sono un veggente. Dai, adesso dimmi tutto. -
- No davvero Chase. Non voglio annoiarti con i miei problemi da bambina. –
- Ma io mica mi annoio. Farmi i fatti degli altri è il mio hobby preferito!!! – mi strizzò l’occhio.
Quasi mi venne in automatico rispondere al suo gesto con un sorriso; un sorriso sincero.
- E va bene, ma quello che ti dico non deve fare il viaggio di tutto il vicinato, cumprì? –
- Certo che no Betty. – gli sparai uno sguardo assassino.
- Se osi chiamarmi ancora in quel modo ti faccio dormire fuori insieme a Parmigianino! –
La sua espressione da divertita si fece improvvisamente seria.
- Ok, ok. Adesso raccontami tutto… -
- Prima entriamo dentro. – indicai con l’indice la porta della mia camera.
Lo vidi annuire, poi entrammo nella stanza e ci sedemmo sul letto, dando inizio al momento delle confidenze e alla nostra amicizia.
 
- …e così io ed Ileen ci siamo lasciati. Fosse stato per me sarei rimasto insieme a lei, è una ragazza fantastica, però la mia natura è questa. Sono gay, punto. –
- Non c’è niente di male in questo. –
- Infatti non ho detto che ci sia qualcosa di male. Io sto bene così. Comunque, riguardo a quella storia del tuo ex… non pensarci, davvero; vedrai che prima o poi tornerà. –
- No, ha preso la sua decisione; non tornerà mai. –
- Io non ci metterei la mano sul fuoco. Scommetto che si farà sentire molto presto. –
- Mmm, non penso. –
- Vuoi saperlo più di me che sono un maschio? –
- No vabbè; però… -
- Fidati. Mi hai detto che la sua ragazza è un cesso? Allora sicuramente ci ripenserà. –
- Magari la ama davvero e la preferisce a me. Può essere. –
- Ricordati che è un maschio, non ragiona sempre con il cervello. – mi fece l’occhiolino e io feci un sorrisetto carico di malizia.
- Sei sicuro di essere gay? –
- Sì, perché? Ti dispiace? –
- A dire la verità sì. Uno come te mi avrebbe fatto comodo. –
- Se ti dicessi che invece di essere bravo come credi tu in realtà sono un vero bastardo… che faresti? – Chase uno stronzo? Naa, non poteva essere.
- Non ci crederei. –
- No? Vuoi una dimostrazione? –
- Che cosa…? No! Non quello!!! – ricaddi sul cuscino, contorcendomi come un’indemoniata sotto le sue perfide dita. Tutto, ma non il solletico! Strillavo come una bimbaminchia tredicenne, tuttavia sentivo distintamente la sua risata riempirmi le orecchie.
Era una posizione alquanto equivoca; se solo non fossi stata in compagnia del mio nuovo confidente gay ci avrei anche fatto un pensierino. In fondo il suo fascino non passava inosservato.
Non passava inosservato proprio per niente.
- Bastaaa dai ci credo! Sei un bastardo, contento?! – con un sorrisetto soddisfatto cessò di torturarmi, ma rimase lo stesso su di me.
- Sei molto più bella quando ridi; dovresti abbandonare la tua abituale acidità verso il resto dell’umanità e provare ad addolcirti un po’. Non sai quanti ragazzi ti correrebbero dietro. –
- Non posso cambiare da un giorno all’altro; sono fatta così, prendere o lasciare. E poi non mi interessa avere schiere di ragazzi che mi cadono ai piedi: per il momento ne ho abbastanza del genere maschile. –
- Anche di me quindi. –
- Andiamo Chasy, tu sei un caso a parte. –
M’interruppi all’istante: avevo sentito un rumore, più precisamente lo stesso di una porta che si apriva. Appena spostai lo sguardo verso l’entrata della camera, riconobbi con orrore un ragazzo moro dagli occhi di ghiaccio (e dal culo di marmo, per intenderci).
Ero sconvolta, non per qualche strano motivo senza senso, ma per il fatto che fossi in un atteggiamento leggermente equivoco e che ormai era inevitabile che pensasse male.
- Scusate, non volevo disturbarvi… - lo sentii biascicare, prima che uscisse dalla stanza completamente arrossito. Merda.
- Porca pu… - sussurrai, nascondendomi il viso tra le mani.
Se solo rivedevo l’espressione che gli si era dipinta in viso alla sua entrata mi sentivo bollire. Sicuramente aveva pensato che io e Chase stessimo facendo qualcosa (e credo che sia chiaro capire cos’ha pensato che stessimo facendo); forse avrei dovuto spiegargli la situazione prima che potesse giudicarmi male.
- Credo che qualcuno sia entrato nel momento meno opportuno. – sogghignò Chase, sollevandosi dal materasso e dirigendosi verso l’uscita – andrò a spiegargli che non c’è niente da temere, che tanto non ti tocco… -
- Che cosa vorresti dire?! –
- Niente. Solo che è il caso di rassicurare Matt. –
- Sì, ma non capisco perché dovresti farlo. In teoria se lui mi vedesse fare qualcosa con te sarebbero affari nostri no? –
- In teoria, ma la pratica sfugge ai tuoi occhi. – aggrottai le sopracciglia, tentando invano di cogliere il senso nascosto di quella frase;
- Chase limitati a parlare l’italiano quando ti trovi di fronte persone come me, ok? –
- Io ho parlato in italiano, sta a te capire cosa vogliono dire le mie parole. –
- Dai Chasy!!! Non sono mai stata brava nei rebus. –
- Beh, come ha detto ieri Prue sta tutto in quella parola di sette lettere che inizia per ‘G’ e finisce per ‘A’. Consideralo più come un quiz televisivo. La soluzione a tutto è quella parola; quando risolverai il rebus capirai… si spera. –
- E se non trovassi mai questa parola infame?! – sorrise enigmaticamente, lasciandomi ancora più perplessa e spaesata: ma c’era per forza bisogno di tutto quel mistero?
- Se non la trovassi te la faremo trovare noi. – e così dicendo uscì dalla porta, mantenendo però quello strano sorriso sulle labbra. Rimasi in quella posizione per quindici minuti buoni prima di capire che in quella camera non ci facevo niente, poi mi alzai dal letto e uscii in direzione della cucina. Senza calcolare minimamente i presenti mi diressi come un automa verso il frigo e mi ci immersi dentro, alla ricerca dei miei tramezzini col tonno.
Appurai con orrore che erano svaniti nel nulla… o nello stomaco di qualcun altro.
Riemersi dal mio stato di riflessione e chiusi lo sportello del frigo, scrutando i presenti con sguardo alquanto omicida. Uno di loro si era pappato i miei tramezzini e questo qualcuno l’avrebbe di certo pagata cara. Nessuno di loro mi dava attenzione.
Chase era impegnato a leggere una rivista di gossip, Ileen stava pulendo con uno straccetto umido il bancone, mentre Will ronfava sul divanetto; Matt doveva essersi chiuso in camera a scrivere, come al solito. Rammentai il suo sfortunato ingresso nella mia camera poco prima e mi sentii arrossire: forse era davvero il caso di chiarire.
Un momento… perché avrei dovuto chiarire con lui?
In fondo, qualunque cosa io e Chase stessimo facendo non sarebbero di certo stati affari suoi!
Però sentivo di dovergli dare delle spiegazioni comunque.
Il perché ancora mi sfuggiva.
Rimandai la ricerca del divoratore di tramezzini e mi spostai di fronte alla porta della camera di Matt. Bussai, aspettandomi una risposta, ma non sentii nessuno invitarmi ad entrare.
Bussai nuovamente, ma come prima non mi rispose nessuno.
Forse sapeva che ero io e non voleva aprirmi per chissà quale assurdo motivo. Sospirai.
- Matt è in terrazza a fumare. – mi disse Chase, facendomi sobbalzare.
Era apparso alle mie spalle senza fare rumore, facendomi spaventare.
- Ok, grazie. –
Camminai per tutto il corridoio, poi uscii in balcone.
Era proprio lì, con le braccia poggiate sulla ringhiera ed una sigaretta tra le dita.
- Non sapevo che fumassi. – esordii, giusto per attirare la sua attenzione.
Mi avvicinai a lui e mi sistemai nella sua stessa posizione.
- Infatti io non fumo. – avvicinò la sigaretta alle labbra e fece un tiro, espellendo lentamente il fumo. Calammo in un silenzio imbarazzato, poi lo vidi spegnere la sigaretta ormai finita e gettarla via senza battere ciglio.
- E allora poco fa’ cosa stavi facendo se non stavi fumando? –
- Non ho detto che non stavo fumando, sto solo dicendo che di solito non fumo. –
- Continuo a non capire. Se non fumi perché adesso te ne stai accendendo un’altra? – in effetti si stava accendendo un’altra sigaretta.
- Perché tutte queste domande Stephens? – Stephens?
Da quando mi chiamava per cognome?
Era davvero strano. Da quando ero entrata in balcone non mi aveva degnata di uno sguardo; guardava dritto di fronte a sé, limitandosi a sbattere le palpebre e a fumare.
- Sei arrabbiato con me Matt? –
- No, dovrei? –
- In teoria no. Ma a me sembra così… non mi chiami mai per cognome. -
- Beh, ti sbagli. Non vuoi che ti chiami Beth? Ti chiamo Stephens. –
- Ok, allora chiamami Beth. Contento? –
- Stephens cosa vuoi? – la freddezza delle sue parole mi colpì nel profondo, sconcertandomi.
Non mi aveva mai parlato così, ma quel che era peggio era il fatto che non mi guardasse nemmeno negli occhi. C’era di certo qualcosa che non andava, questo era certo.
- Volevo solo farti sapere che… quello che hai visto poco fa’ non è quello che pensi. Io e Chase non stavamo facendo niente di equivoco, stavamo solo… -
- Parlando? Non farmi ridere. –
- Mi stava soltanto facendo il solletico. Nient’altro. –
- Certo, solo il solletico. – il suo tono scettico mi stava dando sui nervi.
Capisco che doveva essere difficile credere alle mie parole dopo aver visto una scena come quella, ma se solo mi avesse guardata negli occhi, se solo i suoi due cieli si fossero incatenati ai miei anche solo per un istante avrebbe scorto il riflesso della verità brillarvi all’interno.
Ma lui non mi guardava, era impegnato a spegnere la seconda sigaretta e ad accenderne una terza.
Quel gesto mi fece saltare sistematicamente i nervi, guidandomi a portargli via la sigaretta dalle dita e gettargliela via, in modo che non potesse recuperarla.
- Maledizione, mi vuoi guardare mentre ti parlo???!!! – a quelle parole si girò finalmente a guardarmi, prima con un’espressione ostile e infastidita, poi con una quasi divertita.
- Dimmi. – ecco, adesso avrei voluto che volgesse l’attenzione da qualche altra parte; i suoi occhi mi impaurivano: di fronte alla loro purezza, dinanzi alla loro profondità mi sentivo come svuotata.
Come se tutto ciò che mi stava intorno non ci fosse.
Io e lui in un universo parallelo.
- Volevo solo dirti che non devi pensare male per quello che hai visto. Io ti ho detto la verità, Chase mi stava soltanto facendo il solletico. –
- Non capisco che bisogno c’è di giustificarti con me. –
- E-era giusto per chiarire. Nel caso tu l’avessi detto a qualcuno sarebbe successo un casino e… non è il caso, dato che non è successo niente tra me e lui. –
- Comunque non l’ho detto a nessuno. Quello che fate sono affari vostri, non sono il tipo che va a spifferarlo a tutto il mondo. State tranquilli: il vostro segreto è al sicuro. – distolse lo sguardo e tornò dentro casa, lasciandomi lì, sola e arrabbiata.
Possibile che non avesse capito che non gli avevo mentito?
Tornai dentro casa e mi avviai come una furia in cucina, con il preciso scopo di macellare chiunque avesse divorato i MIEI tramezzini; ero talmente inviperita che avrei volentieri distrutto la preziosa batteria di chiappe d’oro Matt giusto per fargli un dispettuccio.
Così l’avrebbe smessa di fare lo stronzo chiamandomi per cognome.
Avrei tanto voluto capire il perché di quel comportamento tanto distaccato: chissà, forse aveva a che fare con quella parola di cui mi parlavano Prue e Chase.
 
Mi trovai davanti ad una situazione assurda, paradossale.
Rimasi a bocca aperta appena vidi che Ileen e Will inseguivano una palla di pelo vagante, che identificai quasi immediatamente come Parmigianino. La bionda teneva stretto tra le dita il manico di una pentola piuttosto spessa e dall’aria massiccia, mentre Will impugnava come arma una ciabatta. Correvano come forsennati per la cucina all’inseguimento del gatto, le espressioni omicide riconoscibili da chilometri.
Intanto Matt e Chase osservavano la scena imperturbabili, come se fosse del tutto normale il comportamento degli altri. Stavano seduti sullo stretto divanetto, con lo sguardo fisso avanti a sé, senza azzardarsi a muovere un muscolo. Mi avvicinai e mi sedetti sul bordo del divano a fianco a Chase, che appena mi vide sorrise in mia direzione; ricambiai il sorriso.
- Ehm, si può sapere che stanno facendo quei due? – chiesi confusa, mentre osservavo Will scivolare e sbattere il sedere sul pavimento, accompagnando il tutto con un’imprecazione piuttosto colorita.
- Inseguono Parmigianino. – rispose tranquillamente Chase.
- Sì questo l’avevo capito, ma perché lo inseguono? –
- Beh Ileen lo segue perché deve dargli da mangiare, mentre Will lo segue con il preciso obiettivo di ucciderlo. –
- Ah. – risposi, senza sapere che altro dire.
Era soltanto il terzo giorno di convivenza e già mi chiedevo a quante altre scene come questa avrei assistito in questa casa. Persa nei miei pensieri non mi accorsi dell’imminente arrivo in picchiata della palla di pelo puzzolente (ergo Parmigianino) che atterrò sulle mie cosce, facendomi strillare dal dolore; inutile dire che le sue unghie avevano lasciato sulla mia pelle un bel ricordino: una serie di graffi che mi facevano un male cane.
- Brutta palla di pelo puzzolente!!! Adesso vedrai! – urlai in preda alla rabbia.
Mi sollevai immediatamente dal divano e presi ad inseguire anche io il gattaccio, causando in tutti gli altri una reazione a catena.
Chase e Matt erano stati, come me, vittime di uno dei ‘dispetti’ di Parmigianino e, desiderosi di vendetta, anche loro come me si erano armati di un oggetto per riuscire a farla pagare a quel maledetto gattaccio.
Chi stringeva tra le mani lo scolapasta, chi la paperella del bagno e chi ancora l’ombrello.
Risultato? Un caos totale.
Senza neanche capire come, tra il casino generale, mi ritrovai intrappolata sotto il corpo di Matt, distesa sul pavimento della cucina; l’unica cosa che ci separava era la stessa paperella di gomma di cui si era munito per l’inseguimento della puzzola, e non era certamente una copertura adeguata. Doveva essere iniziato tutto quando per sbaglio gli avevo schiacciato i piedi. Sì, si era messo ad inseguirmi per tutta la casa, completamente dimentico del fatto che poco prima stesse cercando di acciuffare un gatto, ed io, non essendo un granché veloce, non ero riuscita a scansarmi in tempo.
Mi era andato addosso inconsapevolmente, condizionato dal gran trambusto che ci circondava. Improvvisamente mi sentii come se i vestiti mi scivolassero di dosso, lasciandomi completamente nuda. Mi sentivo spogliare lentamente dai suoi occhi perlustratori e i brividi invadevano traditori il mio corpo, coinvolgendo persino la radice dei capelli.
Come se non bastasse mi sudavano le mani e il cuore batteva talmente veloce che riuscire a distinguere i singoli battiti era praticamente impossibile.
Non era una reazione nella norma, doveva esserci qualcosa che non andava in me. Quando Matt si avvicinava era come se il mio corpo delirasse, era incapace di stabilire le priorità, proprio come in quell’istante. Le parole mi morivano in bocca appena prima che potessi avere il coraggio, e la forza, di pronunciarle ma erano comunque parole vuote, dette giusto per scacciare via il silenzio che quella sfortunata situazione aveva portato con sé.
Dal canto suo, Matt non sembrava intenzionato a spezzarlo.
 
(Pov. Matt)
Una situazione peggiore di quella non mi sarebbe potuta capitare.
Da una parte premeva il desiderio di baciarla e farmela senza troppi convenevoli, dall’altro non volevo che lei pensasse che io fossi un pervertito.
Non lo ero mai stato, ma da quando avevo conosciuto Bethany mi comportavo in modo strano, così strano da chiedermi se davvero non stessi diventando un maniaco.
Quando era abbastanza vicina da poterle contare ogni foruncolo ed ogni imperfezione del viso non riuscivo a rispondere delle mie azioni. Quando mi accarezzava, anche solo per sbaglio, era come se dentro di me suonasse l’allarme. In quegli istanti sentivo solo confusione.
Bethany mi osservava turbata, come se non comprendesse neanche lei che cosa stesse capitando. Reazione naturale, nemmeno io capivo che stesse accadendo, figuriamoci lei.
Era tutta colpa sua! La sua sensualità era di certo l’unica responsabile di tutto questo.
D’altronde cosa potevo farci io se lei era così… così dannatamente bella?
Potevo solo rimanere per ore ad osservarla e lottare contro i miei istinti non troppo puri.
Intorno a noi ormai si era scatenato il putiferio e nessuno sembrava essersi accorto di nulla.
Tanto meglio, avevo più tempo per specchiarmi dentro i suoi occhi e tentare di leggere ogni mutamento del suo sguardo. Eppure era così bella… non sarebbe successo nulla per un bacio innocente no?
Provai a dare pace al mio animo trovando una via di mezzo.
Un bacetto e mi sarei allontanato, punto, nient’altro.
Non sarebbe stato problematico poi allontanarsi.
Senza pensarci oltre ravvicinai il viso alle sue labbra e le assaggiai, chiudendo gli occhi per permettere al suo sapore di invadere liberamente i miei sensi.
Dapprima il bacio fu lento, ma più avanti cominciai a sentire il desiderio di guidare le mie mani lungo i suoi fianchi e di stringerla a me, consentendo di far aderire perfettamente i nostri corpi.
Quello che in principio doveva essere una bacio casto era diventato un amoreggiare frenetico e passionale che non concedeva spazio al respiro.
Non riuscivo a darmi un minimo di contegno e baciarla, toccarla, farla mia era l’unico mio pensiero.
Più mi dicevo che dovevo finirla lì, più sentivo la voglia di lei scorrere nelle vene.
Mandai all’aria ogni buon proposito che mi ero imposto di rispettare.
Dischiuse le labbra, invitandomi a cercare la sua lingua all’interno della sua bocca ed io accettai la sua richiesta di buon grado, approfondendo il nostro bacio.
La situazione si aggravava con il passare degli attimi: più il tempo andava avanti più il desiderio di lei cresceva. Ma quello che davvero rendeva impossibile rimediare a tutto ciò era il fatto che lei non facesse nulla per spingermi via.
Ancora una volta era colpa sua.
 
(Pov. Bethany)
Paralizzata. Era l’unica parola che poteva definire in pieno il mio stato.
Il mio corpo era paralizzato, il mio cervello era paralizzato, tutto il resto del mondo si era bloccato.
Non si poteva di certo dire che il mio cuore si fosse fermato, anzi, era forse l’unico organo vitale scampato alla forza devastatrice di quel bacio sconvolgente.
Tutt’attorno vi era il silenzio, le voci si erano allontanate, segno che nella cucina non c’era più nessuno a parte me e Matt; fu lì che trovai la forza di allontanarlo.
Non fu una mia scelta, solo una costrizione: se gli altri fossero tornati in quel momento probabilmente si sarebbero accorti di tutto.
Riaprii gli occhi e mi ritrovai a specchiarmi nelle pozze cristalline dei suoi occhi.
- Scusa… - mormorò Matt, senza però sollevarsi da me.
Si limitava a fissarmi, ma non pareva affatto intenzionato a spostarsi.
Brutta situazione, molto brutta: ero preda diretta del suo sguardo d’acqua, vittima della trasparenza delle emozioni che non volevo leggere nei suoi occhi.
- Non scusarti. – sussurrai, distogliendo automaticamente lo sguardo.
Al solo pensiero del bacio che ci eravamo appena scambiati sentivo il mio cuore fare le capriole e il resto del corpo andarmi in fiamme.
- Sei arrabbiata? –
- Dovrei esserlo? –
- Beh… sì. – scossi il capo, continuando a tenere gli occhi rivolti verso la paperella di gomma a fianco a me. Sembrava fossero passati secoli da quando avevo visto Matt impugnarla per andare a caccia di Parmigianino, ma in realtà erano passati solo alcuni istanti.
- Non sono arrabbiata. Sono solo… – mi interruppi.
In realtà non avevo idea nemmeno io di cosa fossi in quel momento; confusa? Triste?
Oppure semplicemente pensierosa?
Forse un misto di tutto questo, comunque era come se sentissi che quello che c’era appena stato tra di noi era più di un semplice bacio, qualcosa che ad ogni modo aveva un valore maggiore.
Ma queste erano solo le mie sensazioni.
- Sei solo…? –
- Sono tornataaaa! – istantaneamente spinsi via Matt da me, prendendolo alla sprovvista.
Mi sollevai da terra e mi diedi una sistemata veloce, conscia di avere i capelli messi peggio di una balla di fieno e le labbra ancora arrossate per la forza con la quale Matt le aveva baciate.
Prue fece il suo ingresso nella cucina, strabuzzando gli occhi alla vista dello stato caotico in cui si trovava la stanza. Sembrava non essersi accorta di noi, a giudicare dal modo in cui superò la stanza a lunghe falcate senza neanche guardarsi attorno.
Matt si alzò dal pavimento, ancora scosso dal brusco spintone che gli avevo dato, e si avvicinò.
- Credi che tua cugina sospetti qualcosa? –
- E come potrebbe? Nemmeno ci ha visti. –
- Beh allora diamole una ragione per sospettare, no? –
- Cioè? Che ragione le dovremmo… –
- Ti faccio un esempio pratico. – mi prese il viso tra le mani e mi stampò un bacio sulle labbra, molto simile al precedente, ma con molta meno passione.
Prima che l’istinto prevalesse sulla ragione e mi vietasse di allontanarmi, gli diedi uno schiaffo.
Uno schiaffo bello forte, dato più per svegliare me che per distanziare lui.
- Ma si può sapere che diavolo hai oggi?!!! Prima mi salti addosso, poi mi baci… in quel modo e ci riprovi ancora?! Ma che cosa ti passa per la testa??? –
- Ti ho baciata male per caso? – sconcertata dalla sua serietà spalancai le palpebre.
Non aveva capito l’antifona o faceva finta di non averla capita?
- Ci senti? Non ti ho mica detto che baci male, ti ho solo detto di NON AZZARDARTI mai più a baciarmi! Adesso hai capito o hai bisogno del disegnino??? –
- Beth sei davvero esagerata. Addirittura non dovrei baciarti mai più? Che crudele… - il mio cuore perse un paio di battiti, tutta colpa del sorriso splendente che gli si era appena aperto in viso!
Non dovrebbe sorridere così all’improvviso, potrebbe provocare qualche infarto a gran parte delle componenti del genere femminile! pensai, recuperando a stento il mio normale colorito al posto di quel noiosissimo rosso fuoco.
- Questa è la seconda volta che mi baci in tre giorni che ci conosciamo! Dammi almeno il tempo di capire dov’è il bagno e… -
- Il bagno è l’ultima porta in fondo al corridoio. Adesso sei a posto, no? –
- NOO!!! – strillai, indignata. Constatai che molto probabilmente era il caso di prendere carta e penna e fargli un disegnino con tanto di schema, almeno l’avrebbe capito una volta per tutte.
- Mmm, è forse il caso che vada a comprare lo zucchero? Mi sa che oggi l’abbiamo finito, vero Beth? – battuta fredda Matt, non fa ridere neanche a Parmigianino!
- Ti ho detto di NON CHIAMARMI BETH. –
- Ok… Beth. – abbozzò un sorriso maligno e partii in quarta.
Feci per dargli un altro schiaffo, ma prontamente alzò la mano, bloccandomi il polso e stringendolo con forza. Il suo sorriso svanì.
- I tuoi schiaffi sono come la varicella: mi colpiscono una volta sola. – commentò, serio.
- Non esserne tanto certo, potrebbero arrivare quando meno te lo aspetti, come l’influenza. – strattonai la mano e mi lasciò libera, riacquistando il tanto detestato sorrisetto tipico dei gradassi (come lui).
- L’influenza non mi colpisce se prendo tutte le precauzioni… –
- Ecco, dovresti tenerti a debita distanza da… -
- … però è anche vero che può essere curata con delle medicine. –
- In questo caso non c’è nessuna medicina a questo tipo di influenza. –
- Invece sì. –
- No invece! –
- Sì. L’unica medicina sei tu. –
- In tal caso ti terrai l’influenza. –
Alzò teatralmente gli occhi al cielo, per poi avvicinarsi pericolosamente e prendermi nuovamente la mano, stringendola poi con più forza di prima. Strinsi i denti, non avrei mai dovuto fargli capire che mi faceva male, ma era quasi impossibile resistere al dolore che mi provocava la sua stretta ferrea.
Mi morsi il labbro, intimando a me stessa di resistere.
Lui sembrava non essersi accorto di niente.
- Sei proprio di ghiaccio Beth, non ti scomponi mai. – tutt’a d’un tratto mi fu impossibile resistere e riuscii a liberare la mano, che poi presi a massaggiare con l’altra.
Avevo le lacrime agli occhi. Molto probabilmente più tardi avrei dovuto metterci del ghiaccio, perché il polso mi faceva davvero male.
- Beth… che cosa…? – anche se il mio sguardo era ben piantato sulla mano dolorante sapevo che se avessi sollevato lo sguardo e avessi incontrato i suoi occhi vi avrei letto la preoccupazione.
Tuttavia continuai a sfuggire all’azzurro letale del suo sguardo.
- Sei proprio uno stupido. –
- Ti… ti ho fatto male? –
- Non ti preoccupare. Un po’ di ghiaccio e passa tutto. –
- Non mi hai risposto: ti ho fatto male? –
- Tu che dici? Non mi pare che stia esultando. –
- Scusa, non volevo. Posso fare qualcosa per farti star meglio? –
- Potresti cominciare sbattendoti la testa al muro o meglio ancora lanciandoti dal tetto di questo palazzone, per esempio. –
- Scema… intendevo dire se potevo fare qualcosa per la tua mano. – Finalmente mi degnai di restituirgli lo sguardo, ma solamente per fargli capire che per un bel po’ di tempo gli sarebbe convenuto non rivolgermi la parola.
- Non ho bisogno del tuo aiuto. –
- Davvero io non volevo farti male. –
- Me ne frego di quello che volevi o non volevi, l’hai fatto, punto e basta. –
- Ti sto chiedendo scusa infatti! –
- Forse non hai capito che non me ne faccio niente delle tue scuse! –
- Che cosa dovrei fare allora? Inginocchiarmi e invocare il tuo perdono? –
- Te l’ho detto, se ti buttassi dal tetto mi faresti stare meglio. –
- Dico sul serio Beth… -
- Anche io dico sul serio e piantala di chiamarmi Beth! –
Ad un certo punto sentii dei passi venire verso di noi dal corridoio e capii che molto probabilmente stavano tornando gli inseguitori di Parmigianino, accompagnati da mia cugina.
Essendosene accorto anche Matt aveva evitato di replicare per evitare di insospettire gli altri.
A giudicare dal gran vociare che lentamente si affacciava alla cucina c’era un litigio in corso e avevo già capito chi erano i due litiganti anche prima di riconoscere le loro voci. Ovviamente erano Will e Prue che, stanchi di sopportarsi, avevano deciso di dichiararsi nuovamente guerra;
- Com’è possibile che tu non sia riuscito a dare da mangiare ad un gatto?! –
- Io ed Ileen l’abbiamo seguito per tutta la casa e non siamo riusciti ad acchiapparlo…! –
- Non ci vuole la laurea per attirare un gatto e farlo mangiare! – fecero il loro ingresso trionfale, senza neanche rivolgerci il minimo sguardo, così concentrati a litigare che probabilmente non si erano nemmeno accorti della nostra presenza.
Dietro di loro Chase ed Ileen si guardavano allibiti.
- Dagli da mangiare tu dato che ti vanti di saper fare tutto! –
- Io non mi sono vantata proprio di niente, ma se ci tieni ti dimostro come si fa a dar da mangiare ad un animale, così almeno la prossima volta eviterai di chiedere il mio aiuto. –
Così dicendo prese una scatoletta di cibo per gatti dalla dispensa e la versò su un piattino di plastica, che poi poggiò sul pavimento.
- PARMIGIANINOOOO, vieni qui bel micetto! – non credevo ai miei occhi, e Matt neppure.
Puntuale, il gatto attraversò la stanza con il suo passo felpato e si apprestò a consumare lentamente il pasto che Prue gli aveva appena messo nel piattino.
Will guardava la scena esterrefatto.
- Quel coso prima non si è mosso di un millimetro quando l’ho chiamato! Brutto gattaccio… -
- Non è un gattaccio! La colpa è la tua perché sei un incapace! –
- Eh tu sì che sei l’unica in grado di dar da mangiare un gatto… - il sarcasmo nel tono di voce di Will era evidente e non piacque affatto a Prue, che intanto cominciava ad arrabbiarsi sul serio.
Si preannunciava, come al solito, una litigata furibonda alla quale nessuno sarebbe riuscito a mettere un freno; incredibile come quei due non riuscissero a comunicare senza dare inizio ad un litigio.
Chase sbuffò, conscio come me di dover sopportare le urla dei due ragazzi.
- Prima che voi cominciate con il vostro solito teatrino e ognuno dica la propria sull’altro, in modo poco carino, io proporrei di lasciar stare questo sfortunato episodio. – Prue si voltò verso Chase, studiandolo con le sopracciglia così innalzate che quasi si confondevano con la frangetta.
La sua espressione era alquanto scettica.
- E perché dovremmo? –
- Beh prima di tutto perché non ha senso litigare per un gatto che non appartiene a nessuno di noi, secondo perché mi scoppia la testa, terzo perché tutti quanti ci siamo rotti delle vostre frequenti e stressanti discussioni, quarto… a tutti in questa stanza sta per scoppiare la testa a causa delle urla che da adesso potrebbero sentirsi. Devo continuare? –
Effettivamente iniziava a girarmi pericolosamente la testa e l’ultima cosa di cui avevo voglia era sentire gli strilli di mia cugina che insultava Will e tantomeno mi andava di ascoltare le risposte colorite del ragazzo. Matt era dello stesso avviso: non sopportava che la tranquillità della casa venisse turbata da sciocche liti senza una ragione valida, e sicuramente il battibecco al quale mi stavo preparando psicologicamente non ce l’aveva. Pensai che probabilmente la convivenza sarebbe stata una noia…
- Chase ha ragione. – aggiunsi in sostegno al discorso del biondo, massaggiandomi le tempie – riuscite a far venire il mal di testa a chiunque, persino a me. –
- Sì, Beth ha ragione, dovreste smetterla di comportarvi come bambini. – repressi l’istinto di strangolarlo per avermi chiamato per l’ennesima volta con quello stupidissimo soprannome; sapevo che lo faceva apposta per urtarmi il sistema nervoso e purtroppo ci riusciva alla perfezione.
- Non sono affari vostri! Se non volete ascoltare ve ne andate da qualche altra parte! – esclamò Prue, attirandosi gli sguardi omicidi di tutti. Fosse facile… se avessero cominciato a litigare sul serio le loro grida si sarebbero sentite in qualunque stanza della casa, indipendentemente dalla distanza.
- Se fosse possibile, molto probabilmente lo faremmo, ma dato che urlando vi sentite fino alla strada è lampante l’impossibilità di quello che ci chiedi. Sarebbe ora che la smettiate di distruggere i timpani dei vostri coinquilini. – s’intromise Ileen, sul piede di guerra. Non sopportava il disordine né tantomeno il baccano al quale ogni giorno si stava abituando e non era di certo amante della confusione, anzi… tutto ciò che non era ordine e calma per lei era assurdamente spiacevole.
- Esatto. Le vostre voci si sentono in ogni angolo della casa! – forse non sembrava, ma io avevo capito che dietro quell’espressione seria Chase se la stava spassando, anche se non capivo per quale ragione.
D’altronde non stavamo affrontando un discorso molto divertente.
- Prue credo sia il caso di dare ragione agli altri. -
- Scusa?! Io e te dobbiamo ancora… -
- Non abbiamo niente da dirci Prudence, basta così. – mi sorpresi della fermezza con la quale Will aveva chiuso il discorso: nessuno era mai stato in grado di cogliere Prudence impreparata.
Ma ciò che mi lasciò davvero senza parole fu la reazione del ragazzo; in quei tre giorni di convivenza ero riuscita a farmi un’idea ben precisa di lui, non avrei mai confidato nel fatto che fosse capace di tanta decisione. L’avevo inquadrato come un adulatorio, affascinante ed estroverso ragazzo (il solito belloccio senza palle in poche parole), ma fui piacevolmente sorpresa da questo nuovo aspetto del suo carattere.
Ripensandoci, si preannunciava una convivenza interessante… molto interessante.
- Ve-veramente abbiamo ancora molto da dirci. – come me, Prue era stupefatta.
- No invece. E adesso me ne vado in camera se non vi dispiace. – tra gli sguardi meravigliati di tutti, tranne Matt, uscì dalla cucina, lasciando dietro di sé il silenzio più totale.
- Adesso che mi sono ricordata… chi si è pappato i miei tramezzini al tonno? – domandai, appena sentii il mio stomaco fare i capricci. Prue sembrò come ridestarsi dal sonno in cui sembrava essere precipitata pochi secondi prima.
- Parli di quei tramezzini che stamattina ho dato a Parmigianino? –
- Hai dato i miei tramezzini a Parmigianino?!!! – esclamai furibonda, preparandomi alla battaglia.
Non avrebbe mai dovuto farlo! Tutti osservavano la scena senza battere ciglio.
Tutti tranne un ragazzo dagli occhi di ghiaccio, che ridacchiava appoggiato al muro in fondo alla stanza.
Più tardi avrebbe fatto i conti: nessuno ride di Bethany Stephens. 








Nda: Lo so, ho pubblicato prestissimo. Neanche tre giorni u.u ma ho una spiegazione gente, eheh.
C'è chi mi stressa per pubblicare - e quando leggerà questo capitolo capirà a chi mi riferisco <3 - e alla fine ho deciso di aggiornare prima per semplice sua curiosità.
Intanto vedo che non state recensendo ç_ç
Se qualcuno di voi legge, che me lo faccia sapere, altrimenti non pubblico più e basta.
Comunque, spero vi sia piaciuto anche questo. Lo so che è lungo, ma non potevo alleggerire ^_^
Kiss kiss

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Capitolo 6
*** Una 'tranquilla' serata al bar. ***



Una 'tranquilla' serata al bar.
Capitolo 6






Era ormai arrivato il 4 settembre.
Non era passato tanto tempo da quando mi ero trasferita a Roma, in quella bizzarra palazzina, ma era come se fossero passati mesi, se non anni.
Non mi sentivo più me stessa. Era come se la mia vivacità si fosse spenta il medesimo giorno della partenza, strozzata dai troppi cambiamenti che aveva portato con sé.
Mi chiudevo spesso in camera mia, ascoltavo musica deprimente, chiamavo mio padre quasi a ogni ora del giorno (e della notte) e soffrivo, soffrivo tanto.
Spesso senza un motivo, così, dal nulla. Non era normale, non lo era per niente.
Anche se non ne avevo parlato con nessuno sapevo perfettamente che Prudence e Chase erano a conoscenza di tutto, ogni tanto li sentivo parlottare sul divanetto della cucina e, appena mi vedevano entrare, troncavano immediatamente il discorso.
Non mi piaceva il modo in cui mi guardavano: era come se fossi una malata terminale e loro fossero i miei medici curanti, ed io non amavo essere trattata come una moribonda; anche se il mio aspetto in quei giorni dava l’impressione che lo fossi.
Forse l’unica persona in quella casa a considerarmi come un essere umano era Will.
A volte riusciva anche a farmi ridere, più per le sue gaffe che per le sue battute; era un ragazzo buffo ed in un certo senso divertente, ma sapeva anche quando era il caso di tacere.
Pur essendo passata poco meno di una settimana dal nostro primo incontro, con lui mi sentivo a mio agio, quasi come se lo conoscessi da una vita.
Era l’unico con cui avevo il coraggio di scherzare; non era mio amico, più che altro era il mio compagno di cazzate.
Mi piaceva pensarla in questo modo, mi faceva sorridere. 

- Ehi ragazzi, che ne dite stasera di andare a mangiare fuori? – mi voltai lentamente verso Will. Uscire?
- Ottima idea! – esclamarono in coro Chase e Prue, lanciandomi uno sguardo di sottecchi.
Come se non avessi capito che volevano uscire solo per tentare di tirarmi su il morale.
Come se non sapessi che non sarebbe servito a nulla…
- Io rimango a casa. – annunciai, giusto per fargli capire che il loro ‘piano’ non avrebbe funzionato.
- No, tu esci. Sono gli ultimi giorni di libertà prima di iniziare a lavorare, dobbiamo goderceli fino in fondo! – Will… non ho nessuna voglia di prenderti a schiaffi!
- Perché? Se non ne ho voglia non esco. –
- Ne hai bisogno Bethany. Credo che tutti si siano accorti che stai diventando uno zombie. – deglutii.
Non avevo intenzione essere processata unicamente per la mia tristezza. Erano affari miei dopotutto… o no?
- Non so di cosa tu stia parlando. –
- Perché non la lasciate in pace? – mi voltai in direzione della porta dalla quale era appena comparso Matt e lo vidi con la coda dell’occhio guardare Will in tralice.
Per una volta pensai che forse Matt non era così stupido come sembrava e che avesse capito la mia necessità di stare sola.
- Fatti gli affari tuoi Matt. Guarda che se non vuoi venire tu non è detto che lei debba rimanere per forza a deprimersi con un asociale come te. – no, c’era qualcosa che non andava.
Non avevo mai sentito Will e Matt parlarsi in quel modo; di solito si scambiavano battute scherzosamente, ma questa volta erano seri (anzi serissimi) e, lo leggevo dai loro occhi, piuttosto arrabbiati. Chase era dubbioso quasi quanto me.
- Finiscila di chiamarmi asociale, Will. –
- Io ti chiamo come voglio. –
- Chiamami così un’altra volta e rimpiangerai di averlo detto. –
- Asoc… - decisi che era il caso di troncare dall’inizio quella discussione, per evitare che quei due facessero (o dicessero) qualcosa di stupido.
- Ok, esco, basta che la smettete di litigare! –
- Beth non sei obbligata. – mormorò Matt, facendomi rabbrividire.
Quello sguardo… era bellissimo e non potevo fare a meno di pensarlo.
- Lo so, ma non voglio vedervi litigare e poi uscire mi farà bene. – lo dissi nel modo più convincente possibile, anche se francamente ne dubitavo.
- Visto che Bethany e gli altri hanno deciso di uscire mi sa che per forza di cose devi venire anche tu Matt. – annunciò Will, sorridendo soddisfatto.
- Non ne ho voglia. Divertitevi. – prima che uscisse dalla stanza, dalle mie labbra uscirono delle parole che non avrei mai detto se solo non avessi desiderato la sua presenza quella sera.
- Dai Matt, vieni anche tu… – si voltò verso di me, dapprima imperturbabile, poi la sua espressione si addolcì in vista del sorriso speranzoso che si era aperto sul mio viso.
Il secondo sorriso in tre giorni. Stavo decisamente migliorando.
Avrei tanto voluto che Matt ci fosse quella sera, anche se non capivo perché.
In fondo cos’era lui per me? Un perfetto estraneo, eppure la sua presenza era importante.
- Andiamo… fallo per Bethany. – Chase, se ti prendo sei morto.
Prue e Will sogghignarono, ma dopo essersi conto che stavano ridendo insieme si guardarono truci e smisero di ridere.
Alzai gli occhi al cielo, come a dire ‘che idioti!’ e aspettai la risposta di quel fantastico pezzo di bono di Matt.
Anche lui come me aveva preferito liquidare con un’occhiataccia la battuta (oltretutto fuori luogo) di Chase e aveva fatto finta di niente.
- Non so… - il suo tono era certamente di indecisione; forse non era così irremovibile sulla scelta di non uscire.
Forse sarei riuscita a convincerlo grazie a qualche occhiata supplichevole, oppure facendo ricorso alla mia innata capacità di persuasione.
- Neanche io ho molta voglia di uscire, ma non vorrai lasciarmi sola in balìa di questo gruppetto di mentecatti? – abbozzò un sorrisetto, ma prima che potesse darmi una risposta mia cugina replicò:
- A chi dai dei mentecatti??? –
- Mi sembra logico che si sia riferita a voi e sono decisamente d’accordo con lei. Mi hai convinto Beth, non vorrei che stando sola con loro il virus della demenza contagi anche te. Sarebbe un vero peccato. – mi fece l’occhiolino ed io mi sentii evaporare. Consapevole di essere diventata di uno sgradevole rosso-camionetta dei pompieri, ricambiai con un sorriso ammaliato.
Quando sorrideva i suoi occhi assumevano un nonsochè di seducente, che contribuiva a far salire alle stelle il suo già piuttosto elevato sex appeal.
L’attrazione che i suoi occhi esercitavano su di me era pericolosa, e cominciavo a sorridere un po’ troppo.
- Beh allora siamo a posto! Usciamo tutti! Dai su che aspettate? Andate a prepararvi che è già tardi! – strillò Ileen, battendo le mani entusiasta.
Chissà se quella sera mi sarei divertita…
 
Mi chiusi la porta alle spalle, indecisa se andare a cambiarmi o uscire così.
Non ero particolarmente elegante ed il reale motivo della mia incertezza era la scollatura piuttosto profonda che si apriva sul mio petto, scoprendo più di ciò che sarebbe dovuto essere lecito scoprire.
Ma, d’altronde, quasi tutte le mie magliette erano scollate.
Alla fine optai per la seconda scelta, cioè decisi di uscire così; era comunque troppo tardi per cambiarsi e sapevo già che se avessi deciso di mettermi qualcos’altro ci avrei messo troppo tempo a scegliere gli abbinamenti e a cambiare trucco.
Ero fatta così: senza prima essermi assicurata di essere perfetta non mettevo piede fuori di casa.
Avevo piastrato accuratamente i capelli, ciuffo per ciuffo, mi ero truccata e profumata, e avevo messo i vestiti nuovi che avevo comprato l’altro ieri, comprese le decolleté rosse tacco 12.
Ripensandoci, mi sembrava di essermi vestita piuttosto semplice: pantaloni stretti neri, cintura rossa, maglietta superscollata rossa (abbinata alla cintura) e, come ho detto prima, le decolleté rosse.
In aggiunta avevo abbinato ai pantaloni gli orecchini a cerchio grandi e alla maglietta la coroncina, oltre al rossetto rosso.
Mi guardai allo specchio del corridoio per un’ultima revisione del mio trucco.
Bene, la matita e il mascara valorizzavano i miei occhi alla perfezione, e le sopracciglia erano decisamente a posto; ero soddisfatta del lavoro che avevo fatto, e ci avevo messo soltanto tre ore.
Certo che quel reggiseno push-up faceva proprio un bell’effetto; chissà: magari avrei fatto conquiste quella sera!
Non che me ne importasse tanto, ma magari dei pretendenti mi avrebbero distratta dai miei pensieri.
Cominciavo a sentirmi meglio, forse era la voglia di uscire da quella prigione, o forse avevo davvero voglia di divertirmi e di stare bene in compagnia dei miei nuovi ‘amici’.
Tra virgolette… li conoscevo da meno di una settimana, a parte Prue ovviamente.
Mi diedi una veloce sistemata ai capelli e mi diressi in cucina, dove probabilmente erano tutti pronti. Infatti, appena entrai li ritrovai tutti lì.
Chase ed Ileen stavano seduti sul divano, mentre Prue, Will e Matt stavano seduti sulle sedie; inizialmente nessuno dei presenti si accorse di me, ma quando mi schiarii la voce attirai la loro attenzione. Nessuno di loro era elegante quanto me, avevano tutti i jeans, anche mia cugina e la piattola Ileen.
- Direi che si può andare. – annunciai, prendendo la borsetta dall’appendiabiti.
- Cugi… stai benissimo! – esclamò Prue, sorridendo elettrizzata.
Era chiaramente contenta del mio cambio d’umore e vedendomi così accuratamente acconciata non poteva che pensare che forse quella di Will era stata una buona idea.
Sapevo benissimo che ammetterlo, con lui presente, le sarebbe costato.
- Oh, grazie. Ho tentato di rendermi guardabile. Chissà… magari faccio colpo su qualche bel ragazzo. –
- Guardabile? Tesoro sei bellissima! Farai colpo su tanti ragazzi oggi, stanne certa. – strepitò Chase, guadagnandosi un’occhiata omicida di Matt, che come al solito si limitava a guardare la scena senza aprire bocca. Lo fulminai con lo sguardo e, presa da un attacco piuttosto forte di velenosa ironia, sbottai:
- Hai qualcosa da ridire su come sono vestita o possiamo andare? –
- Veramente qualcosa da dire ce l’avrei. –
- Sentiamo. – dissi, sollevando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
- Secondo me quella maglietta è troppo scollata. –
- Hai solo questo da dire? Mi deludi, pensavo che avessi da ridire anche sui pantaloni. – sentii Prue ridacchiare da dietro la mano con la quale si era coperta la bocca.
- Ora che mi ci fai pensare a me sembrano un po’ troppo stretti e… -
- E piantala Matt! Bethany, la prossima volta metti il burqa, così è contento. – sogghignò Will, osservando l’amico con aria di sfida.
Evidentemente, punzecchiarlo era il suo hobby preferito.
- Sicuramente sì, Will. – replicai, continuando ad osservare Matt.
Quella sera era davvero bellissimo, e con i pantaloni bianchi che valorizzavano le sue forme divine lo era ancora di più.
Mi chiesi come poteva un umano essere tanto bello.
- Ragazzi mi sa che è proprio ora di andare, altrimenti qui si va per le lunghe. – disse Ileen, lanciando un’occhiata eloquente a Will e Matt.
- Hai ragione Illy. – Chase si sollevò dal divano e tutti lo seguirono.
Iniziava una serata in cui l’unico scopo era quello di divertirsi.
E di dimenticare…
 
Il locale era affollato, e si faceva fatica a respirare dal troppo caldo.
Quella sera ci sarebbe dovuta essere l’esibizione di una cabarettista che, secondo i commenti che ogni tanto sentivo dal nostro tavolino, sarebbe riuscita ad ammaliare con la sua voce e la sua bellezza qualsiasi uomo presente quella sera.
L’unica cosa che si sapeva di lei era che frequentava l’Università e che quest’anno avrebbe seguito il secondo anno, tutto il resto era sconosciuto a tutti.
Per questo era famosa, per il mistero che aleggiava attorno alla sua identità.
- Buonasera incantevoli signorine, qualcosa da bere? – un ragazzo biondo e smilzo si era presentato al nostro tavolo con un blocchetto ed una penna tra le dita, pronto a prendere le ordinazioni armato di uno smagliante sorriso. Era molto carino, e il ciuffo che gli ricadeva davanti agli occhi grigi gli dava un’aria molto affascinante.
Di questo c’eravamo accorte tutte, e tutte in quel momento lo guardavamo come in stato di trance.
Lui d’altro canto faceva gli occhi dolci a tutte noi, perciò la nostra reazione era più che giustificata.
Anche Chase rivolgeva sguardi da pesce lesso al bel cameriere, segno che lui, come noi, gradiva senza dubbio la sua presenza.
- Noi vorr… - incominciammo, prima di essere interrotte da un Matt piuttosto irritato.
- Non vogliono niente, ma grazie lo stesso. –
- E se io invece volessi qualcosa? – replicai, allontanando lo sguardo dal moro e sorridendo all’avvenente biondo davanti ai miei occhi – io un the freddo alla pesca, grazie. –
- Certo signorina. Per gli altri? –
- Io un the al limone. – esclamò Prue, sbattendo le ciglia.
- Certo. Qualcos’altro? –
- No, nient’altro. – Will era innervosito quasi quanto Matt ed osservava quel bell’imbusto con astio.
- Bene. A breve vi porterò ciò che avete ordinato, signorine. –
- Molte grazie. – ringraziai con un sorriso. Lui fece per andarsene, poi mi venne in mente che volevo una cannuccia e lo fermai per metterla in conto – ehm, scusi sign… -
- Mi chiami Nick. Le serve qualcos’altro? –
- Oh, sì una cannuccia grazie. –
- Sarà fatto. – con un sorriso cortese, ed un occhiolino sfuggente, si allontanò lasciandomi in preda alle vampate di calore che sentivo all’altezza delle guance.
Prue ed Ileen, appena mi colsero nell’imbarazzo più totale, scoppiarono a ridere, e io con loro.
- Mi chiami Nick… uuuh cugi, mi sa che abbiamo fatto colpo. – rise di gusto Prue.
- Ahahah, Bethany quel tipo ci stava assolutamente provando! – mormorò la bionda, con sguardo malizioso – e non mi pare che ti dispiacesse tanto. –
- Infatti non mi è dispiaciuto per niente, tutt’altro. –
- Mmm, ma ce l’avrà un gemello?! – chiese Prue, sognante.
- Oddio, piantatela! Non sarà di certo la prima volta che uno ci prova. – sbuffò Will, sentendoci conversare come delle adolescenti in calore.
Io lo ignorai, come tutte le altre.
Continuavamo a parlare di quel bel biondino dal fisico asciutto senza nemmeno preoccuparci che Will e Matt ci sentissero.
Chase, contrariamente a quei due, partecipava attivamente al discorso.
Ma, quando lo vidi tornare con le nostre bibite zittii le altre, rivolgendogli la mia completa attenzione.
- Ecco a voi le vostre bibite, signorine. –
- Grazie tante, arrivederci. – mormorò Matt, gelido come l’espressione di una statua di marmo.
- Calma ragazzi, non voglio di certo infastidire le vostre deliziose fidanzatine. –
- Non ci sta infastidendo e poi questi qua non sono i nostri fidanzati. Sono solo degli amici. – puntualizzai, pestando silenziosamente il piede di Matt da sotto il tavolo, prima che potesse rispondermi a tono.
Per tutta risposta mi rivolse uno sguardo d’odio che interpretai come un ‘facciamo i conti dopo…’
Sì, non me l’avrebbe fatta passare liscia. Il suo sguardo lasciava intendere chiaramente le sue intenzioni.
- Ah, tanto meglio per me allora! – s’intromise Nick, ignorando intenzionalmente gli sguardi assassini di Matt.
Intanto dal tavolo a fianco delle ragazzine lo chiamarono ammiccanti.
- Perdonatemi ragazze, il dovere mi chiama. Vi aspetto per il conto… – si congedò, ma prima di raggiungere il tavolo dal quale era stato chiamato si chinò su di me, sussurrandomi all’orecchio - …e anche per il tuo numero. – arrossii, mentre lui si allontanava.
- Aaaaaah cosa ti ha detto?! Cosa ti ha detto?! Eh? Eh?! Eeeh?!!! – strepitò come al solito quell’impicciona di mia cugina. La sua curiosità era davvero senza limiti.
- Non sono affari tuoi Prudence! – strillai indignata, cercando di riacquistare le mie facoltà mentali e il mio colorito abituale.
Scorsi Matt alzare gli occhi al cielo.
- Se proprio lo vuoi sapere, quel… biondino da strapazzo… - cominciò Matt.
- Hai qualcosa contro i biondi? – interruppe Chase, inalberandosi.
- No Chase, è solo che questo qua non mi convince. Mi sa di… stronzo. –
- Eeeh, io lo so il perché. – sospirò teatralmente Prue.
- E sarebbe? –
- Sicuro che vuoi che lo dica? –
- Tanto saranno solo cazzate, se escono dalla tua bocca. – s’intromise Will, al solo scopo di far incazzare mia cugina.
Mi chiesi se la guerra tra di loro si sarebbe mai conclusa, ma la risposta era evidentemente “NO” vista l’occhiata inteneritrice che Prue gli stava lanciando in quel preciso istante.
Scorsi un sorrisetto sulle labbra della mia perfida cugina, ma non ne capii il motivo, fin quando lei non rispose a tono alla provocazione del lecchino.
- Will è un idiota. Come vedi non dico solo cazzate. – il diretto interessato alla frecciatina assunse un’espressione alquanto corrucciata.
- Hai la stessa spiritosaggine della dissenteria. – rispose gelido, provocando le risatine di Ileen e facendomi sputacchiare in faccia a Chase il mio the alla pesca.
- Tu hai molte più caratteristiche in comune con essa, a differenza mia. –
- Lo sai che sei insopportabile?!! –
- Il sentimento è reciproco! –
- Ehi basta! Io sono curioso di sapere cos’ha detto quel figo a Bethany! – esclamò Chase, interrompendo la lite e frapponendosi fra i due simbolicamente.
- Niente di interessante. Le ha soltanto chiesto il numero! Cosa vuoi che sia?! – sbottò Matt, con un'acidità degna di una confezione di yogurt scaduto.
Anche Will e Prue si zittirono e tutti mi fissarono ad occhi spalancati.
- Ok, ok, è vero, mi ha chiesto il numero! Siete contenti, brutti idioti pettegoli?! – esclamai.
- Ooooh, dimmi che glielo darai! Dimmi che glielo darai!!! – starnazzò Prue, con gli occhi a stelline.
- CHE COSA?!!! – quasi urlò Matt, alzandosi in piedi. Lo osservai sbalordita, mentre tutti gli altri mostravano espressioni sconvolte in direzione di mia cugina.
Lei si guardò intorno, cercando di capire il motivo per il quale tutti quanti la osservavano come se fosse un’aliena.
Ho detto qualcosa di strano? pensava, confusa. Poi capì…
- MA COS’AVETE CAPITO!? IL NUMEROOOOO! – Matt si risedette, leggermente imbarazzato, ma evidentemente più rilassato.
- Cosa urli?! È al tavolo a fianco porco Parmigianino!!! – sibilai, voltandomi per vedere se il cameriere biondo aveva sentito qualcosa.
Per fortuna sembrava che lo strillo di mia cugina non avesse raggiunto le sue orecchie dalla forma delicata.
- Non nominare il nome di Parmigianino invano! – Prue mi puntò un dito davanti al naso con fare minaccioso, ma non mi spaventai più di tanto.
Gli scleri erano frequenti.
- Scherzi a parte, che culo che hai avuto! –
- Sì certo… direi che rimorchiare un biondino pelle e ossa senza neanche un po’ di muscoli può definirsi culo! – borbottò Matt, la voce carica di ironia.
Gli rivolsi la mia migliore espressione disinteressata e lo ignorai, girando la faccia dall’altra parte.
Strinsi il pugno sul tavolo e feci uno sforzo immane per non spedirglielo nell’occhio: ma perché diavolo doveva intromettersi in questioni che non lo riguardavano?
Per di più con quel tono infastidito mi faceva innervosire ancora più di quanto già non lo fossi.
Mannaggia a me e alla mia ‘brillante’ idea di convincerlo a venire!
Se fosse rimasto a casa probabilmente in questo momento non avrei voluto fare a pezzi il bicchiere di vetro, ormai vuoto, che stringevo nella mano.
- Mmm, per caso non ti sta simpatico Nick? – gli chiese Ileen, incuriosita dall’evidente avversione che il moro provava nei confronti del fascinoso cameriere.
- Ha… la faccia da idiota. – si limitò a spiegare.
- Wow Matt, che spiegazione degna di un diciannovenne che si appresta ad entrare all’Università! Ha la faccia da idiota! - imitai la sua voce – anche tu hai la faccia da idiota, eppure non è certo questo il motivo per cui mi stai antipatico. Non credo che ti stia sulle palle perché ha la faccia da idiota. – soffiai, fortemente sarcastica, senza guardarlo. Continuavo ad osservare il vetro trasparente, tentando di far scomparire la collera che le sue frasi senza senso né fondamento avevano acceso in me.
- Infatti non ci credo. – disse Prue, terminando in un sorso il suo the.
- Ahh neanche io. – si aggregò Chase, sorridendo bonario.
Contrariamente agli altri, Will non prendeva posizione.
Si limitava ad osservare l’amico, senza sorridere, lo studiava incuriosito.
Mi chiedevo cosa ci fosse di così interessante nell’espressione torva del ragazzo dagli occhi di ghiaccio che mi fissava dall’altra parte del tavolino.
Non capivo nemmeno perché esitasse tanto a rispondere.
- Quindi anche io avrei la faccia da idiota, secondo te. – sintetico come al solito Matt!
- Esatto! Wow hai capito bene, dieci punti! –
- Però intanto dal ragazzo con la faccia da idiota ti sei fatta baciare senza troppi problemi. – rimasi a bocca aperta: non mi aspettavo che avrebbe detto una cosa del genere.
Alla faccia del ragazzo calmo e sereno! Quel tipo era una vera serpe, altroché!
Essendomi accorta che si erano tutti fermati al solo suono della parola ‘baciare’ e che aspettavano una mia risposta o, più probabilmente, una confessione pensai che era il caso di parlare con la serpe in privato.
Mi sollevai dalla sedia e, come una furia, afferrai il braccio del moro e dissi:
- Vieni con me!!! – la mia ira era lampante, perciò non rispose, si limitò a sollevarsi dalla sedia e a seguirmi per tutta la sala.
In quel momento non mi importava nemmeno che le scarpe mi stessero letteralmente distruggendo i piedi, camminavo velocemente ed in silenzio, in direzione del terrazzo.
Appena ci arrivammo lasciai andare il suo braccio e lo pugnalai con lo sguardo.
- Adesso. Spiegami che cosa CAVOLO ti è saltato in mente! –
- Guarda che non ho detto niente di male. Ho solo… accennato al fatto che ci siamo dati un bacetto. –
- Appunto! Dovevi tappare quella boccaccia! –
- Ricorda che sei stata tu a provocarmi, io mi sono solo difeso. –
- Ti sei difeso??? Hai messo in merda tutti e due! –
- Dio, quante storie per un misero bacetto… -
- Misero bacetto?! Forse non ricordi bene tutti i particolari! –
- Aiutami a ricordarli allora. – sorrise maliziosamente, riuscendo a farmi imbestialire ancora di più… e a imbambolarmi in maniera indecente.
Decisi di scuotermi da quello strano torpore, prima che i suoi occhi avessero modo di intrappolarmi nella meraviglia di quel celeste ghiacciato.
- Ah! Sei… sei un deficiente! Un cretino! Ecco cosa sei! – sbraitai, gesticolando furiosamente con le braccia.
Lui d’altro canto mi osservava divertito, senza battere ciglio.
- Sinceramente non capisco il perché di tutto questo casino. In fondo era soltanto una frecciatina; mi pare che tu me ne lanci in continuazione, o sbaglio? –
- Non è questo il punto Matt! Adesso gli altri penseranno che tra noi ci sia chissà cosa, mentre non c’è proprio niente! Dimmi a cosa serve fargli sapere del nostro ‘bacio’ se non è stato altro che un errore! Non ha nessun significato, perciò non capisco a quale scopo tu abbia detto questo, a parte quello di umiliarmi davanti a tutti gli altri! –
- Chi l’ha detto che il nostro bacio non ha nessun significato? –
- Lo dico io. –
- Ah sì? Perché io la penso diversamente. –
- Dato che la pensi in modo differente, allora dimmi: che cos’è stato quel bacio per te? Un gioco per caso? Una scommessa? Non lo so, non riesco a capire, io lo vedo solo come un errore. – non riuscivo a tenere dentro quella strana rabbia e minacciava di scoppiare da un momento all’altro.
Senza sapere quale fosse l’origine di tutta quella collera, cercai di darmi una calmata prima di cominciare ad urlargli contro.
- Non è stato niente di tutto questo. –
- E cos’è stato allora?! Non so Matt, dimmelo tu!!! –
- Ma che ne so! Io, in quel momento… non lo so… è complicato da spiegare. –
- Bene, quando riuscirai a trovare una spiegazione logica allora me la illustrerai. Adesso torno dagli altri, potrebbero cominciare a pensare male. – troncai, più acida del normale.
- Ok. Io ti raggiungo più tardi. –
- Non rientri? –
- Sì, cinque minuti e arrivo. Tu intanto vai. –
- Va bene. Evita di fare altre battutacce di questo genere quando ritorni dentro, chiaro?! –
- Se la smetti di provocarmi faccio il bravo. –
- E va bene, basta che non ne parli più davanti agli altri. –
- Non capisco cosa c’è di male se gli altri lo sanno, ma farò come vuoi tu. Sempre se non mi fai arrabbiare, è chiaro. –
- Lo sai che sei una serpe vero? –
- Sì, e tu lo sai che oggi sei molto carina? – alzai gli occhi al cielo.
- Io torno dentro. –

(Pov. Matt)
Rimasi immobile mentre la osservavo tornare da tutti gli altri.
Dovevo smetterla di fare lo stupido, con lei.
Non capivo nemmeno per quale strana ragione mi stessi comportando così, sapevo soltanto che non riuscivo a trattenermi dal punzecchiarla, e, in un certo senso, dal manifestare il mio disappunto quando un qualsiasi ragazzo le si avvicinava.
E poi era tremendamente divertente sentire le sue rispostacce acide, ed osservare i suoi comportamenti era il mio passatempo preferito.
Non riuscivo a capirla, un giorno stava bene e l’altro stava male.
Io d’altronde non sapevo mai come fare per avvicinarmi a lei.
Era talmente difficile vederla sorridere in quei giorni che scambiare qualche parola con lei mi sembrava impossibile.
Avrei voluto tirarla su di morale, farle capire che doveva sorridere… invece l’unico giorno che sembrava avesse un po’ di voglia di vivere ero riuscito soltanto a litigarci e, forse, a peggiorare il suo stato d’animo.
Può darsi che avesse ragione Will: io non ero adatto a lei e non sarei mai riuscito a conquistarla.
Sicuramente lui sarebbe stato il ragazzo ideale per Bethany.
Gentile, dolce, bello, ma anche paziente e divertente, insomma, capace di far ritornare il sorriso a chiunque, mentre io sarei riuscito soltanto a peggiorare il suo umore già pessimo.
Ma il problema è che non sarei mai riuscito a starle lontano. Era più forte di me.
Dovevo vincere.
Presi il pacchetto di sigarette che tenevo nella tasca dei jeans e ne presi una.
Non era mia abitudine fumare, né tantomeno ne ero dipendente, ma quando ero nervoso (e nell’ultimo periodo capitava spesso che lo fossi) mi aiutava a calmarmi.
Può darsi che stessi prendendo il vizio, ed era tutta colpa di Bethany.
Con ogni probabilità quella notte avrei continuato a scrivere la canzone che da quasi tre giorni non ero riuscito a finire, e questo, lo dovevo ammettere, era merito suo.
Feci un tiro e buttai fuori il fumo, studiando le luci della città che le davano l’aspetto di un cielo stellato.
 
(Pov. Bethany)
- Tutto a posto Bethany? – mi chiese Ileen, essendosi accorta della mia espressione imbarazzata.
- Sisi… tutto bene. – risposi, accomodandomi al mio posto ed accavallando le gambe.
- Vuoi dirci cos’è successo tra te e Matt? – domandò Will, cupo.
- Niente, siamo usciti in balcone per farci una chiacchierata. –
- Sai benissimo che non è questo che voglio, anzi vogliamo, sapere. –
- Ah. Non è successo niente comunque. – arrossii e distolsi lo sguardo dai suoi occhi castani.
Non ero un asso nel dire menzogne, neppure provandoci sarei apparsa convincente.
- Certo, dicono tutti così. A me è parso di sentire parlare di un bacio, o sbaglio? –
- Lo sai com’è il tuo amichetto! Gli piace inventarsi le cose e… -
- E quando vuole smontare qualcuno accenna a qualcosa che potrebbe zittirlo. Come poco prima. –
- No invece. E anche se fosse non vedo perché ti dovrebbe interessare! –
- Perché non ti stai zitto Will?! Se non ne vuole parlare con noi non è il caso di costringerla. – ovviamente Prue s’intromise nel discorso, salvandomi da quel discorso pericoloso.
Certo che dette da lei quelle parole suonavano strane; lei che amava farsi i fatti miei, lei che avrebbe pagato oro per scoprire qualcosa in più sul fantomatico bacio che chiappe d’oro aveva accennato qualche minuto prima.
E fu allora che la litigata tra Will e Prue mi salvò dall’onere delle spiegazioni.
Erano tutti talmente concentrati ad ascoltare il botta e risposta tra di loro che nessuno, a parte me ovviamente, si era accorto che Matt era rientrato dentro il locale e si era seduto al suo posto, accoltellando i miei occhi con le sue pozze di ghiaccio.
 
Era almeno il quinto che scaricavo con la solita noncuranza.
Non ero mai stata ricercata dai ragazzi, ma pareva che quella sera ci fosse stata ‘l’invasione’ dei corteggiatori e non sembrava che a Will e Matt tutto questo avesse fatto piacere.
Appena questi si avvicinavano a me o a Prue, certi anche molto carini, quei due li guardavano in cagnesco, tanto che molti nemmeno si avvicinavano per paura di scatenare la loro ira.
Tuttavia neanche il mio modo di fare incoraggiava l’avvicinamento dei pretendenti.
Al contrario di mia cugina, che declinava gli inviti con molta gentilezza, preferivo far capire da subito (senza cioè ricorrere a noiosi e inutili giri di parole) il mio disinteresse nei loro confronti, talvolta manifestando il mio lato acido e intollerante.
- Tesoro mio, dovresti avere un po’ più… delicatezza con i ragazzi. Non sei stata molto gentile con l’ultimo. – mi rimproverò Chase mentre, dopo aver fatto scappare a gambe levate il quinto pretendente, sorseggiavo la mia Caipiroska.
- Senti Chasy, non sopporto i bellocci convinti come quello lì. Credo che un colpo deciso alla sua smisurata sicurezza gli farà bene. –
- Sì, ma un conto è fare così solo con questo, un conto è comportarsi allo stesso modo con tutti. –
- Che vuoi che ti dica? Che mi dispiace? Perché a me non dispiace affatto. –
- Hai fatto bene! – sbottò Matt, infastidito da tutta la folla di gente che si era presentata al nostro tavolo per provarci con me e le altre.
- Nessuno ha chiesto il tuo parere. – risposi con la solita dolcezza (si fa per dire).
- Che si deve fare per ottenere una risposta cortese da te? –
- Stare zitti, per esempio. Oppure evitare di parlare senza essere interpellati, che in pratica coincide con il suggerimento numero uno. –
- Buonasera ragazzi… e ragazze. – sollevai lo sguardo verso un ragazzo alto e snello, biondo e dagli occhi cinerei.
Appena mi accorsi che era Nick mi sentii cuocere all’altezza delle guance.
Strano però, non era più in uniforme da cameriere, doveva essersi cambiato, perché indossava pantaloni e giacca neri. – Tra qualche minuto ci sarà il karaoke per i clienti del locale. Se volete partecipare all’esibizione scriverò i vostri nomi. Successivamente ci sarà lo spettacolo della misteriosa cantantene. Allora… chi devo mettere in lista? – Prue mi lanciò un’occhiata significativa.
Sapevo cosa si aspettava, ma io non avevo nessuna intenzione di farlo!
Ero consapevole che appena prima di mettere piede su quel palco mi sarei tirata indietro per la vergogna.
- Dai Bethany! Vai! – m’incitò, ma scossi immediatamente la testa, con gli occhi sbarrati.
- Figuriamoci se va, paurosa com’è. – Paurosa?! A me???!!! Eh, no… paurosa a me non lo dici bello!
- Anzi, ora che ci ripenso... mi metteresti in lista Nick? – dissi, squadrando Matt con aria di sfida.
- Certo signorina, ma io non sono Nick. – mi sorrise – Nick è mio fratello gemello, io sono Brian. –
- Oh, mi scusi. Non lo sapevo. – balbettai, abbozzando a mia volta un sorrisetto imbarazzato.
- Non si preoccupi. Il suo nome? –
- Ehm, Bethany Stephens. – annuì e scrisse rapidamente sul foglietto il mio nome.
- Cosa canti dolcezza? – mi domandò ammicando. Sentii Matt tossicchiare di disapprovazione, ma come di consueto, lo ignorai.
- Someone like you. Di Adele -
- Va bene. Sei la seconda nella lista. Appena finisce di cantare il primo sali sul palco ok? –
- Si, certo. – tutti i presenti mi guardavano straniti. Forse non si aspettavano nemmeno che fossi in grado di cantare in modo decente.
Soltanto Prue sapeva che il canto era la mia più grande passione.
- Allora a dopo e… buona fortuna. – con un ultimo sorriso si allontanò verso il palco, sicuramente per mettere le canzoni in una playlist.
Appena se ne fu andato mi voltai verso Matt e sollevai un sopracciglio:
- Chi è la paurosa? –
- Devo ammetterlo, ce ne vuole di coraggio per cantare una canzone del genere. Specie per le dilettanti come te. – sei proprio un metro e novanta di arroganza Matt, ma vedrai che riuscirò a farti scendere da quel piedistallo che oltretutto ti sei creato da solo.
- Non mi pare di aver detto che sono una dilettante. –
- Ma dai, ti si legge in faccia. –
- Sei un pessimo lettore allora. –
- Vedremo. Io sono sicuro di avere ragione. –
- Tanto meglio. Mi sentirò molto più soddisfatta quando ti avrò fatto sparire dalla faccia quell’espressione da presuntuoso che hai adesso. O più precisamente, quella che hai tutti i giorni. –
Ridacchiò ma non rispose. Come suo solito continuò a guardarmi negli occhi, ma questa volta non allontanai lo sguardo.
Rimasi ad osservarlo torva fino al momento in cui la voce amplificata di Brian mi obbligò a mollare la presa, e a prepararmi per l’umiliazione di Matt.
- Grazie a Justin per la sua… ehm… esibizione canora e chiamiamo sul palco la splendida Bethany, che ci canterà ‘Someone like you’! Fatti avanti Bethany! – sapendo che di lì a poco almeno il 99,9% dei presenti in sala mi avrebbe riservato la propria attenzione mi sollevai dalla sedia e mi diressi spedita verso il palcoscenico.
Salii le scalette e presi il microfono che il presentatore biondo mi porgeva.
Gli rivolsi uno sguardo disperato e, inaspettatamente, mi sussurrò all’orecchio:
- Dai non puoi essere peggio di quello di prima. Ricorda che non stai andando al patibolo, devi solo farci sentire la tua bellissima voce. E poi non ci credo che tu sia stonata… anche se con tutta questa perfezione un piccolo difetto può anche starci. – Ma bene, sembra che oggi attiro le coppie di gemelli!
- Ok, cercherò di fare del mio meglio. – risposi, poi mi schiarii la voce.
Accesi il microfono e Brian fece partire la base della canzone.
Dovevo soltanto lasciarmi andare alla melodia e metterci tutto ciò che potevo, puntando sulle mie capacità vocali.
Avevo imparato che il modo migliore per interpretare una canzone era immedesimarsi all’interno di essa e fare come se quelle stesse parole raccontassero di noi.
E fu così che feci, prima che le luci si spegnessero, permettendo al buio di avvolgere il locale.
 
Aprii gli occhi e pian piano riacquistai la percezione del tempo, dello spazio e, ahimè, recuperai l’udito.
Mentre ritornavo al mio tavolo (come in uno stato di trance) sentivo una marea di applausi e gli occhi di tutto il locale che seguivano ogni mio movimento.
Mi sedetti e tirai un sospiro di sollievo.
Prue applaudiva come una disperata, e così tutti gli altri, Matt compreso.
il cuore batteva così velocemente che era come se fosse pronto a prendere il volo e uscirmi dal petto, come se avesse un paio d’ali.
Tutti finirono di battere le mani quando Brian giudicò la mia performance.
- Credo che questa esibizione si commenti da sé. Siamo tutti d’accordo sul fatto che oltre ad essere bella come poche è anche bravissima? – ero indecisa: meglio una pala formato famiglia o una maxi per farmi una fossa abbastanza profonda da nascondermi e non riemergere più?
Un coro di ‘Sì’ si levò in tutto il locale; non ero sicura del mio colorito: ero rossa, bordeaux, o fuxia?
Mi morsi il labbro inferiore e sollevai lo sguardo dal legno liscio del tavolino agli occhi azzurro cielo di Matt.
Ero quasi del tutto certa che si sarebbe messo a ridere per il mio imbarazzo, invece mi incantai ad ammirare un sorriso privo di malizia, manchevole della solita presunzione.
- Bene! E dopo aver cominciato in bellezza con questa canzone stupenda vi presento la nostra incantevole cantante-ballerina! – continuò Brian, indicando con il braccio un punto imprecisato alle sue spalle. Le luci si spensero e la musica si espanse in tutta la sala, così come la voce della cantante, che venne illuminata da una luce rossa del soffitto. Venne diffusa la melodia di una canzone che non conoscevo, ma che sembrava piuttosto gradevole.
 
Quando la voce della cantante terminò di rimbombare tra le pareti del locale, un applauso generale si levò da tutto il pubblico.
Applaudii a mia volta, esprimendo sincera meraviglia per la bravura di quella ragazza tanto misteriosa e piena di talento.
Brian salì sul palco e la ragazza gli porse il microfono che ancora teneva tra le mani.
- Bene ragazzi, come al solito la nostra ragazza è stata fantastica, e come al solito è bellissima. – le lanciò uno sguardo d’adorazione, ma lei non battè ciglio.
Scosse i lunghi boccoli e dopo essere stata nuovamente premiata con un applauso uscì di scena dalla porta sul retro del palco, ma non prima di essersi soffermata ad osservare il biondo presentatore.
Molto probabilmente nessun altro si era accorto della breve esitazione della cantante, perché tutti avevano distolto lo sguardo appena lo spettacolo era terminato.
Ma come avrebbero potuto accorgersene? In meno di due secondi era già svanita dietro le quinte.
- Spettacolare no? – commentò Chase, con uno dei suoi soliti sorrisi smaglianti.
- Avrei fatto più bella figura se non mi fossi arrischiata a fare il karaoke prima che cantasse lei. - mormorai, osservando distrattamente Nick parlare con il suo gemello.
- Perché dici così? A me sei piaciuta più tu di quella là. – commentò Will, seguendo il mio sguardo.
La sua espressione si irrigidì, così come quella di Matt.
Chase invece sorrideva alla reazione dei due amici.
- Mah, comunque mi piacerebbe cantare come lei. Ha cantato con uno stile tutto suo e il risultato è stato comunque strabiliante. – l’ammirazione trasudava dal mio tono di voce. Ero rimasta affascinata dalla sua interpretazione e dal modo in cui accompagnava la musica con i suoi movimenti.
- Bethany? Posso parlarti in privato? – sollevai lo sguardo, allontanata dai miei pensieri, e riconobbi la figura longilinea di Nick… o di Brian?
Ci misi due secondi a capire che era il presentatore, a giudicare dal suo abbigliamento elegante.
- Ehm… certo. Di cosa si tratta? –
- Una proposta. Vi dispiace se la prendo da parte per un paio di minuti? –
- Sì, a me dispiace. – alzai gli occhi al cielo e mi voltai per osservare un Matt piuttosto corrucciato.
- E io me ne sbatto altamente se a te dispiace. – risposi con la solita punta di acidità nella voce.
Senza neanche aspettare la sua risposta mi alzai e seguii Brian nel privè che doveva essere riservato a lui e a suo fratello (e ai loro amici chiaramente).
Mi fece segno di sedermi sul divano di pelle e io lo feci.
- Bethany volevo farti una proposta. –
- Dimmi. –
- Ti andrebbe di cantare per il locale? –
- Cosa?! Io? –
- Sì. Tu e la nostra cantante sareste proprio un bel duo. –
- Ma lei è molto più brava di me. –
- Ascoltami bene Bethany: siete allo stesso livello e non ha niente più di te, anche se è da due anni che lavora qui, ma questo non la rende affatto più capace di te. E poi una cantante in più porterà di certo più clienti, più guadagno e più stipendio per voi ragazze. Pensaci bene, è una buona opportunità. –
- Ah beh mi piacerebbe tanto dare una mano, davvero, ma ho già trovato un buon lavoro. –
- Vabbè, non importa, non voglio forzarti, ma se cambiassi idea o volessi aiutarci ecco il mio numero – le porse un foglietto di carta – beh ovviamente puoi cercarmi anche se vuoi fare una chiacchierata con qualcuno che non sia quel simpaticone del tuo ragazzo. – sorrise imbarazzato.
Ci stava chiaramente provando con me, ma non ci feci caso: stavo pensando alle ultime cinque parole della sua frase.
- Aspetta un attimo. Di quale ragazzo stai parlando? –
- Il tipo dai capelli neri del vostro tavolo. – sul serio credeva che lui fosse il mio ragazzo?
Certo che questo biondino non è molto acuto!
Si vede da chilometri di distanza che io e Matt non ci sopportiamo.
- Ah, ho capito a chi ti riferisci. Matt non è il mio ragazzo, e di certo non lo sarà mai. –
- Strano. A me sembrava… geloso, perciò ho dato per scontato che lo fosse essendo il tuo ragazzo. –
- Geloso? No, no, niente di tutto questo, gli piace soltanto farmi saltare i nervi. Anzi penso proprio che per lui sia un vero e proprio svago rendermi irritabile e acida. –
- Beh sai, qualche volta un ragazzo punzecchia una ragazza perché gli interessa. –
- Punzecchiare? È così che definisci la completa distruzione del mio autocontrollo? E poi figuriamoci se gli interesso! Mi ha fatto una scenata per una scollatura neanche troppo scandalosa e pensi che sia interessato a me? Ammettiamo per un secondo di piacergli: se così fosse non credo che mi abbottonerebbe la camicetta fino al collo, o no? –
- Prevedibile. Il solito geloso possessivo. Non lo fa perché non gli piaci, ma perché odia il fatto che altri ragazzi possano vederti un po’ scoperta. Se è così non vuole dividerti con nessun altro e sinceramente non biasimo il suo comportamento. Conoscendomi avrei fatto lo stesso. –
- Ma no dai, è umanamente impossibile che Matt mi voglia! Lui mi detesta! –
- Può anche essere che, sì, ti detesta, ma al contempo gli piaci. –
- Adesso spiegami un’altra cosa… come siamo passati dalla tua offerta di lavoro a quel cretino di Matt? –
- Non ne ho idea. Sarà il caso di smettere di parlarne? –
- Sì, è meglio. –
- Comunque, ora ti lascio tornare al tuo tavolo. Mi ha fatto piacere chiacchierare con te. –
- Sì anche a me. Ci sentiamo Brian! –
- Ci sentiamo Bethany. –
 
- Sei sempre la solita ragazzina idiota che parla parla e non fa mai niente! –
- E tu sei sempre il solito coglioncello lecchino e senza palle! –
- Ah! Io sarei quello senza palle! –
Dai Bethany, stai calma in fondo li dovrai sopportare solo per… cinque anni! Cosa vuoi che sia?
Pensavo sconsolata mentre assistevo all’abituale battibecco tra mia cugina e Will.
Lo scopo di quell’uscita in gruppo in principio era sicuramente quello di tirarmi su di morale, ormai l’avevo capito, ma continuando ad insultarsi così non mi aiutavano a stare meglio.
Reggevo la testa con una mano ed osservavo la scena annoiata.
Will e Prue non si davano tregua e poco gliene importava di tutti gli altri che tentavano disperatamente di fargli abbassare i toni per evitare di essere buttati fuori dal locale.
Sbuffai, sperando che qualcuno si accorgesse della mia noia, ma l’unica risposta che ricevetti fu un’occhiata divertita di Matt che prima giocherellava con l’ombrellino del cocktail che aveva bevuto in precedenza.
Gli feci la linguaccia e lui rispose con un occhiolino.
Il mio cuore accelerò i battiti, ma alzai comunque gli occhi al cielo.
Sempre il solito stupido!
Mi guardai attorno. La musica era lenta e tutti danzavano abbracciati alle loro compagne e ai loro compagni, confinati in chissà quale universo parallelo.
Chi teneva gli occhi chiusi, lasciandosi andare alle note della canzone, chi si guardava negli occhi e chi invece rimaneva seduto al tavolo a scrutare sognante le emozioni di chi stava insieme alla persona che amava, proprio come stavo facendo io.
Quella scena mi ricordava tanto la festa di compleanno del mio ormai ex ragazzo.
Noi due, soli in quella stanzetta fatta apposta per noi, la musica rilassante e delicata che guidava i nostri corpi in quel ballo sensuale e dolce allo stesso tempo che aveva fatto da sfondo a ciò che io credevo ‘il nostro amore’.
Ecco, stavo precipitando di nuovo nella paranoia e nel tormento dei ricordi.
- Beth? – rimasi senza fiato quando incontrai i suoi occhi d’acqua. Era in piedi di fronte alla mia sedia e mi porgeva una mano, ma ciò che mi lasciò veramente perplessa era la sua espressione seria.
Per quanto tempo ero rimasta a guardare gli altri ballare?
Per quanto tempo ero rimasta immobile a pensare a quanto mi mancasse Manuel?
- Matt… cosa…? – in balìa delle immense profondità dei suoi occhi mi veniva difficile pure parlare.
- Ti vedo strana. Ti va di andare a ballare un po’? –
- Ballare? Non ne ho molta voglia. – mentii di getto.
- Non vorrai rimanere qui seduta a farti venire il mal di testa con tutto il casino che stanno facendo quei due? Perché non so tu, ma io comincio a stancarmi di sentire le loro battutacce infantili. –
- Anche io, però… -
- Niente però. Su vieni con me. – sorrise, distruggendo completamente la mia volontà, che inizialmente era proprio quella di rifiutare.
Invece mi alzai, dirigendomi con lui nel bel mezzo della sala.
Il calore della sua mano era veramente troppo per i miei sensi: se inizialmente sentivo un po’ di freddo appena le sue dita si erano chiuse intorno alle mie era completamente svanito.
Se solo avessi avuto un po’ di sale in zucca non gli avrei neanche permesso di sfiorarle, e invece…
Mi ero lasciata controllare dalla forza del suo sguardo.
Sono una stupida.pensavo, mentre le braccia di Matt avvolgevano i miei fianchi.
Guidata da un riflesso involontario mi strinsi a lui, tenendo le mani salde sulla sua schiena.
- Pensavi a lui prima? – mi chiese dopo qualche minuto.
Il suo tono era indecifrabile, la sua espressione pure, ma sapevo che era curioso.
Non ero certamente obbligata a rispondergli, non erano affari suoi, tuttavia lo feci.
- Sì. –
- Non devi. –
- Lo so. –
- Soffrirai e basta se continui così. –
- So anche questo. –
- Diventerà come una spina nel cuore se non fai qualcosa. –
- Lo è già. –
- Adesso basta rispondermi a monosillabi! Devi pensare a qualcos’altro, basta che non sia lui. Credi che non mi sia accorto che a malapena muovi i muscoli della faccia per mangiare? Da quant’è che non sorridevi eh? Una settimana? O forse di più?! –
- Non vedo che cosa possa importare a te. La vita è la mia e ne faccio quello che mi pare! –
- Non quando rischi di far stare male anche le persone che ti vogliono bene! Tua cugina sta diventando scema cercando di farti stare meglio, e tu che fai? Non dimostri la minima traccia di voglia di vivere. –
- Credi che sia colpa mia se sto male per colpa del mio ex?! –
- Beth certo che no! È solo che io… io non lo sopporto! –
- Tu non lo sopporti?! Perché dovresti? Che ti ha fatto di male?! –
- Ti ha tolto il sorriso dalle labbra! Non ti sembra una ragione sufficiente? – rimasi spiazzata dal suo rancore nei confronti del mio ex. Per quale motivo poi?
Lui non sapeva niente di me, ci conoscevamo da neanche una settimana e affermava di odiare Manuel.
Era insensato.
- Ma se nemmeno mi conosci! Come fai a dire che… -
- Bethany… - pronunciò il mio nome quasi come fosse una carezza – presta attenzione a ciò che ti dirò adesso. Già dal primo giorno che ho parlato con te ho capito che non eri felice. Io so che forse ti sembrerà ridicolo, ma è molto facile che io mi prenda a cuore una persona pur non conoscendola profondamente. È impossibile non provare rabbia per un ragazzo che fa soffrire una come te; all’apparenza acida, forte e decisa. In realtà sensibile, romantica, dolce, ma anche molto fragile. Non sai quanto vorrei spaccare la faccia a quel bastardo! –
- Mi sembra assurdo. No, anzi, è veramente assurdo!!! –
- Lo so, ma questo è il mio carattere. –
- Mi dispiace se ti fa star male vedermi in questo stato, ma non posso fare diversamente. Tutto mi ricorda lui, tutto. Penso a lui da quando mi sveglio a quando mi addormento, lo sogno, ho tutte le nostre foto in valigia. Come faccio a dimenticare?! Se riesco a non pensarci per un secondo è un traguardo! –
- Forse è meglio che lasciamo perdere questo discorso. Continuiamo a ballare? –
- Sì… - La musica cambiò da lenta a veloce e me ne accorsi soltanto quando Matt mi strinse i fianchi cambiando ritmo e modo di ballare.
Sorrisi istintivamente e questo non sfuggì ai suoi occhi attenti, così mi guardò interrogativo.
- Perché ridi? – mi chiese, abbozzando un sorriso anche lui.
- Così… - abbassai lo sguardo e non riuscii a trattenerne un secondo.
- Dai dimmelo. –
- Non è nulla di importante. –
- Appunto, se non è niente di importante me lo puoi dire. –
- Niente di nuovo, davvero… -
- Per favore, lo sai che sono curioso. – alla sua espressione interessata sospirai, poi abbozzai un terzo sorrisetto.
- Stavo pensando che ci conosciamo da poco più di una settimana e sembra che siano trascorsi anni da quando sei arrivato a casa. –
- Ti riferisci anche al fatto che ci siamo già baciati due volte? –
- Mi riferisco soprattutto a quei baci. –
- Per questo sorridevi? –
- Sì. Più ci penso e più mi sembra assurdo. –
- Perché assurdo? –
- Beh perché è stupido baciare qualcuno senza nemmeno conoscerlo. –
- Io non lo trovo stupido. –
- Però c’è una cosa che non capisco… -
- Dimmi. –
- Non capisco per quale motivo mi sono lasciata baciare da te. –
- Perché sei pazza di me. –
- Ti piacerebbe. –
- Senza dubbio sì. –
- Lo sai che sei sempre il solito? –
- Beth per essere definito ‘il solito’ dovresti conoscermi bene, ma in fondo mi sembra assurdo dato che ci conosciamo soltanto da una settimana. – boccheggiai, zittita dalla sua frecciatina.
Come si permetteva di usare le mie stesse parole contro di me?!
Era ingiusto da parte sua, ma d’altronde non aveva tutti i torti.
- Come rigiri la frittata tu non la rigira nessun altro! –
- Attenzione Beth, prima di dire una cosa simile dovresti conoscermi meglio! –
- Vuoi finirla di fare il cretino??? – esclamai indignata, sentendomi presa in giro.
- E tutta questa confidenza? Ci conosc… -
Basta! Non lo sopporto veramente più!
- Ok va bene, ho capito che non è aria! Mi vado a sedere! Divertiti a ballare da solo. – mi distaccai da lui, ma in meno di cinque secondi si era rimpossessato della mia mano e aveva riportato la sua sulla mia vita, stringendomi nuovamente in una bollente gabbia di ferro.
In completa dipendenza dai suoi occhi mi cibavo della bellezza del suo viso, senza avere niente da dire se non pensare a quanta perfezione concentrata in quei lineamenti.
- Beth io scherzavo. – sussurrò, contribuendo al mio imminente ictus.
- Lo so che scherzavi, ed è proprio questo che mi fa arrabbiare. Ti diverti a prenderti gioco di me. – mormorai mio malgrado, riuscendo miracolosamente a cacciar fuori le parole dalla mia gola.
- Ti confesso che è il mio divertimento preferito. –
- Me ne sono accorta! – scoppiò in una fragorosa risata e io gli diedi un pugno sul braccio.
- Smettila, non è divertente! – si fece semi-serio e si mise a guardare un punto imprecisato alle mie spalle.
Mi voltai, convinta che stesse fissando qualche bella ragazza, invece lo ritrovai ad osservare il nostro tavolo.
- Tua cugina si è appena alzata. - disse Matt, come se mi avesse letto nel pensiero.
- Vado a vedere che cosa… -
- Lasciala stare. Sicuramente dovrà sbollire la rabbia e non serve il tuo aiuto. Credo che abbia soltanto bisogno di essere lasciata in pace. Non lo dico per male, ma potrebbe staccarti un braccio a morsi se le chiedessi che cosa è successo. –
- Conoscendola è probabile. – non staccai lo sguardo da Prue che si allontanava rapidamente dalla mia visuale; continuai a seguirla con gli occhi, preoccupata che potesse fare qualche scemenza, ma la mia indagine venne interrotta bruscamente: Matt mi aveva preso il mento tra le dita, obbligandomi a rivolgergli lo sguardo, e si avvicinava cauto alle mie labbra, indubbiamente intenzionato a baciarle.
Sarebbe stato così bello che il calore delle sue avesse riscaldato le mie.
Era così facile, mi sarebbe bastato soltanto chiudere gli occhi e lasciarmi andare: era solo un bacio.
Chiusi gli occhi e la sua mano s’intrufolò tra i miei capelli, facendomi provare un brivido.
Immaginai quanto eravamo vicini a sfiorarci e il mio cuore accelerò i battiti.
Che effetto strano mi faceva il calore del suo respiro sul viso…
Le nostre labbra si sfiorarono appena, ma fu come sentirle premere con forza.
- Non farlo. – esclamai all’improvviso, posando una mano sul suo petto e spingendolo via.
Mi allontanai di fretta, prima che potessi essere fermata da lui.
Lui. Che diavolo di incantesimo mi aveva lanciato??!
Mentre tornavo al tavolo, in stato di shock, ritrovai mia cugina e la raggiunsi.

Era al bancone e parlava allegramente con un tizio che non avevo mai visto in vita mia.
- Ehm, cugi… - la chiamai e lei si voltò verso di me con un sorriso. Guardai prima lei poi il tizio che le stava davanti e le mormorai infuriata – Ma che fai? Perché non sei con tutti gli altri?! –
- Puoi scusarci un attimo? – disse Prue, sorridendo allo sconosciuto e allontanandosi per non permettergli di origliare – Vuoi sapere che faccio? Vinco la scommessa! –
Aggrottai le sopracciglia. Ma di cosa stava parlando?
- Quale scommessa scusa? –
- La scommessa che ho fatto con Will! –
- Vorrei ricordarti che mentre voi vi scannavate a vicenda e facevate questa ‘scommessa’ non ero al tavolo, ma voi eravate troppo occupati a spaccare i timpani agli altri per accorgervene! E poi in che cosa consisterebbe questa scommessa? –
- Scusa se tu e Matt siete spariti all’improvviso per fare chissà cosa chissà dove! Comunque devo riuscire a rimediare un appuntamento con quel ragazzo. –
- Ehi non vorrei che avessi capito male! Io e Matt non stavamo facendo niente, stavamo soltanto ballando. E comunque non mi sembra una buona idea questa scommessa. –
- Bethany non ci crede nemmeno Parmigianino che tu e Matt vi siete allontanati solo per ballare! Come non ti sembra una buona idea?! Immagina la faccia di Will quando vincerò la scommessa! – alzai gli occhi al cielo. Ne faceva veramente una questione di stato.
- E va bene, ma fai attenzione. Quel tipo non mi convince. –
- Certo, lo sai che sono sempre prudente. Adesso scusa, ma devo vincere questa scommessa! – mi fece l’occhiolino e tornò dal biondo con cui stava parlando prima che arrivassi io.
Ritornai al tavolo e, purtroppo, Matt si era già seduto al suo posto.
Dico purtroppo perché ancora non avevo superato lo shock di quel distacco così immediato.
Tentando di non rivolgergli la benché minima attenzione mi sedetti sulla sedia, tra gli sguardi curiosi degli altri tre.
- Dove sei stata tesoro? – mi chiese Chase, con uno strano sorrisetto sulle labbra.
- A prendere da bere. – mentii, evitando con cura di destare sospetti.
- E come mai non hai niente in mano? – s’intromise Ileen, mostrando il suo lato estremamente irritante.
Perché, ne ha altri? mi ritrovai a pensare, sorridendo all’istante.
- Beh… mi sono fermata a chiacchierare con Prue e il ragazzo con il quale sta disperatamente flirtando per vincere la scommessa e mi sono dimenticata. Buffo no? – ridacchiai nervosamente, sperando che Matt tappasse quella boccaccia.
- Non ci credo! È davvero riuscita ad abbordare quello lì?! –
- Sembrava a buon punto, ma… - Will mi interruppe, probabilmente per dire qualcosa di velenoso.
- Sicuro è un deficiente che non ci vede bene! – mormorò difatti, suscitando le risatine affettate di Chase.
Will lo guardò sorpreso, in quanto lui stesso non trovasse nulla di divertente nelle parole che aveva appena detto.
- Perché ridi? –
- Siamo in un paese libero bello! –
Osservai la scena, o meglio, osservai l’espressione confusa di Will che a sua volta mi guardò.
Dato che non avevo la minima intenzione di guardare altrove, rimasi a pensare a quanto si somigliassero lui e mia cugina. Non mi ero mai data la pena di osservarli litigare, più che altro mi allontanavo per evitare di essere coinvolta nei loro battibecchi, ma ora cominciavo a vederci più chiaro.
Ciò che non riuscivo a spiegarmi era la strana, e immotivata, avversione che Prue manifestava nei confronti del ragazzo. Il suo comportamento era estraneo anche a me, ed era questo che più del resto mi lasciava perplessa: solitamente per me era un libro aperto, invece negli ultimi sette giorni era come se mi fossi ritrovata a fronteggiare un’altra persona.
- Che c’è? – mi chiese Will, riportandomi alla realtà.
Gli sguardi straniti di tutta la tavolata mi diedero da pensare: che fossi rimasta a fissarlo per tutta la durata delle mie riflessioni?
- Niente, pensavo. -
- A cosa? – Matt come al solito non sapeva farsi i cavoli suoi!
Aveva una strana espressione in volto, sembrava arrabbiato.
Gli lanciai uno sguardo di sfuggita ma non gli risposi.
Mi rivolsi a Will, che proprio in quel momento stava trangugiando tranquillamente il suo cocktail.
- Pensavo che tu e Prue sareste proprio una bella coppia! – esordii all’improvviso, lasciando tutti quanti a bocca aperta. Com’era prevedibile che accadesse, a Will andò di traverso la bevanda, che sputacchiò senza troppi complimenti addosso a Matt.
- Grazie tante Will. – borbottò sarcasticamente quest’ultimo, ripulendosi il viso con il fazzoletto.
- Bethany stai scherzando vero? Perché se è uno scherzo è mio dovere dirti che non è per niente divertente. – esclamò serio, ignorando completamente il commento di Matt.
- Mai stata più seria di così. –
- Sono d’accordo con Betty. – osservò Chase, con il solito sorriso.
- Com’è che lui ti può chiamare Betty e io no? – s’intromise Matt, osservandomi con la stessa espressione arrabbiata di poco prima.
- Beh, perché tu sei uno stronzo! – esclamai, dimenticando che non stavo parlando da sola con lui, bensì c’erano altre tre paia di orecchie ad ascoltare l’ormai imminente battibecco.
- Ah io sarei uno stronzo?! E perché mai? –
- Perché è la tua natura!!! –
- Eh certo, detto da una bimbetta acida e musona come te mi fa molto effetto!!! –
- A chi dai della musona???! –
 
(Pov. Will)
Osservai Matt e Bethany uscire dal locale mentre bisticciavano furiosamente.
Proprio loro a cui davano tanto fastidio le continue discussioni tra me e Prudence alla fine si erano comportati allo stesso modo, se non peggio.
A proposito… ma Prudence dov’è finita?pensai, cercandola con lo sguardo.
Niente, non la vedevo da nessuna parte.
- Ragazzi, avete visto Prudence? – domandai agli unici rimasti al tavolo, Chase ed Ileen che, come me, erano sconcertati dello strano atteggiamento di Bethany e stavano facendo delle supposizioni tra loro.
- Sì, è uscita qualche minuto fa’. – rispose Ileen, guardandosi intorno.
- Era con quel bel biondino. Sai Will, credo che dovrai subire l’umiliazione della sconfitta. – aggiunse Chase, ghignando.
Come se fossi seduto sulle spine, scattai in piedi e cercai ancora quella scema di Prudence. Niente, nella sala non c’era.
- Io vado a cercarla. Pagate voi il conto? –
- Sì Will, stai tranquillo. – mi rassicurò Ileen con un sorrisetto.
Uscii da tutto quel casino alla ricerca di quella strega.
Ma chi me l’aveva fatto fare a proporle quella stupidissima scommessa?!
E la cosa peggiore era che lei l’aveva presa anche piuttosto seriamente, e tutto per farmela pagare.
- Lasciami!!! – mi voltai di scatto, appena riconobbi la sua voce.
Cosa diavolo succede?!  Pensai, avvicinandomi frettolosamente al punto da cui proveniva.
La scena che mi si presentò davanti mi fece tremare di rabbia.
Prudence, con le spalle contro il muro cercava di respingere le ‘avance’ del tipo con cui sarebbe dovuta uscire per vincere la scommessa.
- Non fare la preziosa! - esclamò quello, mentre le nocche delle mie mani sbiancavano alla stretta del mio pugno.
Non riuscivo a controllare il mio corpo, che manifestava soltanto un’immensa rabbia.
Contrassi la mascella, avvicinandomi lentamente con passo fermo e deciso.
- Mollami o giuro che… -
- Smettila di agitarti, ci divertiremo. – Era veramente troppo.
Lo colpii sulla mascella talmente forte da farlo finire a terra.
Non sentivo dolore alla mano, anche se sapevo che sanguinava, pensavo soltanto a quanto avrei voluto vedere quel verme morire sotto i miei colpi.
Come si era permesso di… di…
Sapevo che Prudence mi chiamava, ma era come se non la sentissi; mi limitai a prenderla per il braccio e trascinarla via da lì, il più lontano possibile da ciò che le sarebbe potuto accadere.
Che idea stupida quella scommessa! Era tutta colpa mia!
Anzi era tutta colpa di quel gattaccio puzzolente!
D’ora in poi non mi sarei più lamentato di lui, almeno avrei evitato i guai.
- Will, fermati! – solo allora la sentii, forte e chiaro.
Mi bloccai e voltandomi verso di lei mi accorsi che il suo sguardo era rivolto alla mia mano.
- Ti sei fatto male. – non era una domanda, perciò non le risposi; mi limitai soltanto ad osservare la sua espressione mutare da confusa a furiosa.
- Che avevi in mente di fare eh??! – mi urlò contro, apparentemente senza nessun motivo – potevo cavarmela benissimo da sola, anche senza che venissi a fare il supereroe! –
- Io ti vengo a salvare e questo è il tuo ringraziamento??!!! – domandai furioso, non accorgendomi di essere spiato da Chase ed Ileen che assistevano divertiti e allibiti allo stesso tempo alla scena.
- Nessuno ti ha chiesto di farlo, brutto rincoglionito che non sei altro!!! – con stizza si liberò dalla stretta della mia mano sul suo braccio, avviandosi verso casa e io le urlai dietro:
- Non sei affatto carina! Te l’ha mai detto nessuno??!!! Uno ti viene a salvare e tu gli dai del rincoglionito?! Se questo è il tuo ringraziamento sei proprio una stupida! Hai sentito? STUPIDAAA!!! –
Ero soddisfatto di me stesso e pareva che la strana rabbia cieca che avevo provato in precedenza stesse svanendo nel nulla.
Forse però il mio atteggiamento isterico aveva colpito nel segno, perché Prudence stava tornando indietro. La sua espressione non mi rassicurò affatto.
Per la prima volta ebbi paura: era incredibilmente disumana.
Non mi sarei stupito affatto se attorno a lei ci fosse stata un’aura maligna.
Inconsciamente indietreggiai, ma ormai era troppo vicina per poter scappare via dalla sua furia, così mi limitai a chiudere gli occhi, sperando che non colpisse troppo forte.
Forse ero già morto e mi trovavo in Paradiso?
Non avevo sentito nessun dolore, né la sua mano colpirmi la guancia, soltanto le sue labbra premere contro le mie. Ero paralizzato, e a quanto pare non ero l’unico ad esserlo.
Se fossi riuscito a ragionare forse sarei riuscito a dare una spiegazione logica a ciò che stava accadendo.
Ma in quell’istante l’unica cosa di cui ero certo era che Prudence mi stava baciando.
Aprii gli occhi, ma non feci a tempo a realizzare che era tutto vero poiché mi aveva già spinto via.
- Ti va bene come ringraziamento?! – sbottò, guardandomi storto.
- Io… Tu… - balbettai, sotto shock.
- Se non ti va bene è lo stesso! Io me ne torno a casa! – esclamò, allontanandosi.
La osservai scomparire dietro l’angolo, incredulo. Non riuscivo a credere che fosse davvero accaduto.
Davvero le sue labbra avevano toccato le mie?
Ripensai al calore del suo respiro e a quanto mi avesse dato alla testa, a come quel profumo delizioso era riuscito a cancellare ogni pensiero in così pochi istanti.
Boccheggiai a lungo, senza riuscire ad azionare il cervello, almeno finché non sentii qualcuno mettermi una mano sulla spalla.
- Non prendertela amico, si sa che le donne sono strane. – mi voltai di scatto ad osservare un Chase piuttosto sorridente. Aggrottai le sopracciglia: aveva visto qualcosa?
- Tu hai…? –
- Ovvio! Credevi per caso che mi sarei perso una scena del genere???! –
- Ci hai pedinati! – lo accusai, arrossendo.
- Non vi stavamo seguendo, ci assicuravamo che avessi trovato Prue. Beh, direi che l’hai trovata. – mi fece l’occhiolino maliziosamente, ma non ci feci caso.
- Un momento… stava spiando anche Ileen?! –
- Certo che stavo guardando anche io. È stato divertente e anche piuttosto romantico! Come siete cariniiii insieme!!! Ha proprio ragione Bethany! – sospirò quella con aria sognante.
- Ma cosa stai dicendo??? Non siamo per niente carini, e… -
- Will è ora di tornare a casa. Non dirmi che hai lasciato Prue da sola?! – strillò Chase.
- Veramente… -
- Aaaah cosa devo fare con te?!!! Raggiungiamola! –
Prima mi pedina e poi mi fa la paternale perché lascio quella strega da sola!!! Non è giusto!  pensai, infuriato. La raggiungemmo in fretta, dirigendoci verso casa.
Quando si accorse che eravamo arrivati anche noi si voltò ed io incontrai il suo sguardo.
Mi aveva guardato come se non fosse successo niente, gelida come al solito.
Possibile che fosse accaduto?
A proposito: dove sono finiti Matt e Bethany?! 





Nda: Eccomi qui, per una volta puntuale, con il sesto capitolo di 'Tutta colpa di Parmigianino'.
Purtroppo sto mollando definitivamente l'altra storia, non per mancanza di tempo, ma d'ispirazione, perciò non so quando aggiornerò.
Vorrei mettere l'accento su questo capitolo, che è decisamente importante, specialmente per i personaggi introdotti, che molto probabilmente ritroveremo più avanti.
Chissà che non si formi una specie di... storia nella storia :P
Ne vedremo delle belle, sisi.
Intanto spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ho dovuto tagliare una miriade di pezzi in più, per evitare un capitolo troppo lungo e noioso, e il risultato è abbastanza soddisfacente.
Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite e chi, con le recensioni e con le critiche, mi sprona a scrivere ancora e migliorarmi :)
Un bacio, spero mi facciate sapere il vostro parere con una recensione.
Kiss kiss.

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Capitolo 7
*** Flusso di coscienza. ***


Flusso di coscienza.
Capitolo 7





Non avrei mai immaginato che mi avrebbe sconvolta così.
Era stato solo un bacio in fondo, ma solo il ricordo mi dava i brividi.
Mi guardai attorno: Chase e Ileen erano andati a dormire da un pezzo ed io stavo seduta sul divano a fianco a Will, in religioso silenzio.
Era immobile, come una statua di ghiaccio.
Nessuno di noi due era minimamente interessato al programma che la TV stava trasmettendo, perciò con un sospiro presi il telecomando e premetti il pulsante di spegnimento.
Mi morsi il labbro (l’unica azione che il mio cervello in quel momento mi concedeva di fare) evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
- La mano ti sanguina ancora. – dissi, aggrottando le sopracciglia.
Mi ero soffermata ‘casualmente’ sulla sua mano, che tamburellava nervosamente sulla coscia.
Ma perché diavolo si era fatto male?!
Nessuno gli aveva chiesto di prendere a pugni quello là, me la sarei cavata benissimo da sola.
Invece quel cretino doveva per forza fare l’eroe, e si era pure ferito. Idiota.
- Ah. – fu l’unica risposta che mi diede, prima di tornare a fissare la sua mano, pensieroso.
Sbuffai e lo costrinsi a sollevarsi dal divano.
- Andiamo a medicarti questa mano, poltrone che non sei altro! – sbottai.
- Ehi! Non sono un poltrone! – protestò debolmente, lasciandosi prendere per il braccio come un bimbo.
- Invece sì, altrimenti ti saresti già medicato questa ferita. Ma siccome sei uno sfaticato e non hai voglia neanche di respirare aspetti che ti goccioli il sangue sui jeans prima di disinfettarti la mano! –
Aprii l’armadietto dei medicinali e mi armai di cotone e disinfettante.
Intanto lui mi guardava frastornato, come se non avesse capito per quale motivo lo stessi facendo.
Beh, come dargli torto! Nemmeno io lo capivo.
L’unica cosa di cui ero certa era che, pur detestandolo, vedere la sua mano in quelle condizioni mi faceva sentire tremendamente in colpa: dopotutto si era fatto male a causa mia, anche se nessuno l’aveva costretto a difendermi.
- Brucia? – gli chiesi brusca, osservando le sue sopracciglia aggrottarsi lievemente.
Con un tuffo al cuore pensai a quanto si somigliassero.
Già. Era veramente assurdo.
La sua espressione era praticamente identica.
No, devo smetterla. Lui non è Luca.  pensai, cercando con tutte le mie forze di convincermi che il ragazzo che mi trovavo davanti si chiamava Will, e che Luca ormai era partito.
Tuttavia quella somiglianza era talmente evidente che facevo fatica a comportarmi educatamente con lui, ma non riuscivo a non essergli ostile.
Era colpa sua se era praticamente il sosia del mio ex ragazzo!
- No. – rispose, lo sguardo che vagava dalla sua mano al cotone che sfregavo delicatamente sulla ferita.
Anche se mi aveva detto di non fargli male c’era qualcosa di strano.
Lui era strano e c’era troppo silenzio.
- Parmigianino ti ha mangiato la lingua? – domandai acida, ma lui non cambiò espressione.
Finii di medicarlo e in conclusione gli bendai la ferita.
Mormorò un flebile ‘grazie’ e fu lì che decisi di obbligarlo a dirmi che caspita aveva.
Recuperai la sedia più vicina che c’era e mi sedetti di fronte a quella dove si era appena seduto lui.
Cominciai a fissarlo e lui mi restituì lo sguardo, sconcertato.
- Mi vuoi spiegare perché mi rispondi a monosillabi? Solitamente devo ricorrere alle maniere forti per tapparti quella boccaccia e adesso a malapena muovi i muscoli della faccia. –
- Sono stanco. –
- Impossibile, tu non puoi essere stanco. Avanti, parla. –
- Te l’ho detto: sono stanco. E anche se avessi qualcosa non sei certo la persona con cui ne parlerei. –
- Da quando ci siamo scambiati i ruoli Will? Di solito sono IO quella riservata e acida, non tu. –
- Da quando mi stai chiedendo di parlarti della mia vita. –
- E va bene. Per una volta che volevo essere gentile con te per avermi difesa… - scrollai le spalle e distolsi lo sguardo, prima di alzarmi dalla sedia.
Mossi qualche passo verso la mia camera da letto, intenzionata ad addormentarmi, ma Will mi chiamò.
- Se mi prometti che non ne parli con nessuno magari potrei anche parlartene. –
Mi voltai verso di lui ed annuii, sedendomi nuovamente sulla mia sedia.
Il suo cambiamento di tono mi aveva convinta a non ribattere come mio solito: era passato da freddo a malinconico, quasi supplichevole.
- Ok, ti prometto che non dico niente a nessuno, anche perché non saprei proprio a chi raccontare i fatti tuoi. Ma se mi capitasse, posso parlarne con Parmigianino? – scherzai.
- Parmigianino mi sta antipatico. – borbottò, guardandomi in cagnesco.
Tentai un sorrisetto, ma la sua espressione rimase fredda come il marmo.
Probabilmente aprirsi con me gli costava, e tanto.
- Quella che ti sto per raccontare non è una storia felice, non ha lieto fine, perciò ascoltami senza interrompermi. – cominciò, senza guardarmi.
Continuava ad osservare la sua mano, come se non l’avesse mai vista prima.
- Quando ero bambino abitavo in una grande villa nei pressi di Torino, a qualche chilometro dal bosco. Mia madre era una modella ricchissima, e mio padre un famoso musicista. Si innamorarono e un anno dopo si sposarono. Mia madre era incinta di me da due mesi all’epoca e tutto sembrava andare per il verso giusto, almeno finché non nacqui io. Più crescevo, meno loro andavano d’accordo e meno gliene importava di me. Mi svegliavo con le loro urla, con i loro litigi e, pensando che il tutto fosse normale, la mia vita andava avanti. Ma loro non si accorgevano di niente. Quando avevo bisogno di loro erano troppo impegnati a rinfacciarsi errori passati e ad urlarsi contro, per sentirmi gridare aiuto. Non mi facevano mancare i giocattoli, le figurine, oppure i libri di scuola, ma da parte loro non sentivo la minima traccia di affetto che i genitori dei miei amici provavano per i loro figli. Anzi, le poche volte che parlavo con loro erano talmente distanti che temevo che ce l’avessero con me per qualcosa. Con il passare degli anni la situazione non faceva che peggiorare. L’unica persona che mi faceva sentire veramente amato era mia nonna materna. Le volevo tanto bene, era così dolce… ma un giorno morì; avevo solamente dieci anni.
Ricordo quel giorno come se fosse ieri, anche se sono passati tanti anni.
Sai, l’ultima volta che qualcuno mi ha disinfettato una ferita è stato proprio il giorno prima che morisse. Ero caduto dallo skateboard e mi ero sbucciato tutte e due le ginocchia. Da allora nessuno mi ha più curato le ferite, ho sempre fatto tutto da solo. Ai miei genitori non gliene fregava niente se tornavo a casa con un occhio nero, o con il labbro sanguinante, gl’importava solo dei loro stupidi litigi e del loro lavoro maledetto. Sai, me la sono dovuta cavare da solo dopo la morte di mia nonna, e non è stato per niente facile; sei la prima persona che mi medica dopo tutto questo tempo. – sorrise e mi chiesi come ci riusciva.
Come faceva a sorridere dopo aver raccontato una storia simile?
Aveva raccontato la sua infanzia a me, una perfetta estranea.
Ero certa di avere gli occhi lucidi, e sentivo i sensi di colpa tormentarmi: se solo avessi saputo tutto questo avrei evitato di trattarlo come un idiota, o se non altro avrei tentato di provocarlo il meno possibile.
- Scusa. - mormorai, abbassando lo sguardo.
- Perché mi chiedi scusa? – domandò, aggrottando le sopracciglia.
Possibile che non capisse?
- Mi dispiace per come ti ho trattato da quando ci siamo conosciuti. Se avessi saputo tutto questo… -
- Prudence non mi devi chiedere scusa, non potevi saperlo. E poi litigare con te mi diverte, mi aiuta a non pensare, pur sapendo che non sopporti che ti rompa le scatole. –
- Però avrei potuto… -
- Non voglio essere trattato diversamente. Da nessuno, meno che mai da te. – ed ecco che usava quel tono deciso, capace di annientare ogni mia parola prima ancora di essere pronunciata.
- Per favore, non cambiare perché ti faccio pena. – aggiunse, distogliendo lo sguardo da me.
- Non mi fai pena. – non so per quale ragione lo feci, ma strinsi forte la mano ferita tra le mie, cercando di non fargli male.
Non mi chiese il perché né mi guardò, ma aumentò la stretta.
Sentivo il suo bisogno di me attraverso quel contatto e leggevo nei suoi occhi la necessità di affetto che provava in quel momento.
Mi chiesi da quanto tempo non si confidava con qualcuno.
- Will ti va di vedere un film? – dissi all’improvviso, cogliendolo di sorpresa.
- Uhm… va bene. – rispose, sbigottito.
Mi alzai dalla sedia, lasciando (a malincuore, lo ammetto) la sua mano, e cercando la bustina di film che avevo noleggiato il giorno prima.
Per la maggior parte erano film romantici, ma optai per un horror.
Così almeno avrebbe pensato a qualcos’altro e si sarebbe distratto.
Un’ora fa avrei fatto di tutto per prenderlo a calci e ora invece vorrei soltanto tirargli su il morale.
Quando si dice che una persona è lunatica…
pensai con un sorriso fugace.
Alla fine, dopo aver letto una per una le trame dei film, scelsi ‘Paranormal Activity’.
Era da mesi che lo cercavo in Sardegna e finalmente qui a Roma lo avevo trovato!
Il vantaggio di vivere in una grande città è proprio quello di trovare tutto ciò che si desidera.
Non ero un’amante degli horror, ma durante i pigiama party con Bethany erano gli unici film che avevamo.
Tornai da Will con il DVD tra le mani e glielo sventolai davanti agli occhi, facendolo trasalire.
- Un horror? – mi chiese dubbioso, osservando la copertina.
- Sì. Non ti piacciono? –
- A me sì… ma, a te? –
- Oh io adoro gli horror! – mentii, con troppo entusiasmo.
Sapevo perfettamente che non avrei convinto neanche Parmigianino, ma non insistette, così accesi il lettore DVD e inserii il dischetto.
 
(Pov. Will)
Avevo capito già dall’inizio del film che Prudence non fosse per niente coraggiosa quando si trattava di horror, ma non immaginavo che fosse capace di mettere paura anche a chi le stava intorno.
Ogni dieci secondi si copriva gli occhi con le mani e borbottava fra sé frasi sconnesse del tipo ‘Brutta idea, brutta idea!’ e ‘Perché non scappa??? Idiota!’.
Non potevo fare a meno di ridere del suo comportamento e ogni volta che lei mi beccava mentre sghignazzavo ricevevo come castigo una gomitata al braccio o un ‘amabile’ schiaffetto sulla nuca. Adoravo prendermi gioco di lei.
La paragonai ad una bimba con la paura del buio.
Malgrado ciò quel bacio era stato così perfetto, così intenso: non si poteva certo definire il bacio di una bambina paurosa.
Era durato poco meno di qualche secondo, tuttavia era come se fosse durato un’eternità.
E quelle labbra così tenere… il sapore che avevano lasciato sulle mie era indescrivibile.
Avrei dato qualunque cosa per riassaggiarle.
Presi il telecomando e spensi tutto.
Prima che potessi leggere nella sua espressione uno sguardo inquisitorio, misi una mano tra i suoi capelli e, sporgendomi verso di lei, la baciai lentamente.
Sentii il corpo andarmi in fiamme quando le sue mani mi presero il viso.
Avevo timore che mi allontanasse, com’ero certo che avrebbe fatto, invece mi baciò a sua volta.
Le nostre lingue si accarezzarono appena, dando inizio ad una danza lenta e sensuale che lentamente uccideva ogni pensiero.
Qualsiasi tentativo di mettere fine a quel bacio falliva miseramente tutte le volte che il suo profumo occupava i miei sensi: allora tornavo punto e a capo.
Ma poi… perché mai avrei dovuto mettergli fine?
Ci sarebbe stata tutta la notte per rifletterci in fondo.
E ad ogni modo, l’unica cosa a cui riuscii (e sarei riuscito) a pensare era che in tutta la mia vita non avevo mai assaporato delle labbra così invitanti come le sue…
La perfezione di quell’attimo fu spezzata da un chiasso impressionante.
Merda.
- Ops! Abbiamo interrotto qualcosa? – domandò Bethany imbarazzata, appena ci vide in quella posizione alquanto compromettente.
Prudence si allontanò bruscamente da me, dato che io non avevo nessuna intenzione di muovermi, e rispose:
- No!!! No, non hai interrotto niente! Figurati! Cos’avresti dovuto interrompere??? – esclamò nervosamente.
Mi imposi di non ridere: era veramente una pessima attrice.
Sembrava di essere i protagonisti di una commedia, anche se da ridere ci sarebbe stato davvero poco in seguito, dato che Matt si stava trattenendo dal rotolarsi dalle risate.
Avremmo fatto i conti più tardi.
- Ahm… noi vi stavamo aspettando e intanto ci stavamo guardando un film. – tentai di giustificarmi, ma sapevo che Matt avrebbe smascherato il mio imbarazzo in non meno di due secondi.
Infatti quest’ultimo scoppiò a ridere.
- A televisione spenta? – osservò infine, inarcando un sopracciglio e mettendosi in posizione ‘preparati che dopo ti faccio l’interrogatorio’ (braccia incrociate ed espressione incredula alla Matt Green).
- Beh, ehm, mancava in continuazione la corrente e così… -
- E così mentre aspettavate che tornasse avete deciso di impiegare il tempo in maniera alternativa. –
Matt quando vuole sa essere veramente bastardo!  pensai, meditando vendetta.
Decisi di passare dalla difesa all’attacco.
- Esattamente. Non mi pare che voi abbiate fatto diversamente. –
- Ehi, io con quell’idiota non ci ho fatto proprio niente! – protestò Bethany, punta sul vivo.
Da qualche giorno nutrivo il sospetto che tra lei e Matt fosse successo qualcosa e ne avevo avuto conferma poco meno di un’ora prima, quando si erano dileguati litigando come due pazzi; tra le urla sconnesse di Bethany mi era sembrato di aver sentito la parola ‘bacio’ e ‘stronzo’, perciò la natura del problema mi era sembrata piuttosto chiara.
Matt+ bacio + stronzo = Matt ha fatto lo stronzo e mi ha baciata oppure Matt, baciandomi, ha fatto lo stronzo.
Comunque, la sostanza non cambia granché, pensai.
Beh, conoscendolo d’altronde non poteva essere andata diversamente.
Il mio migliore amico era un finto timido e questo l’aveva sicuramente capito anche lei.
- Io non mi chiamo quell’idiota… ho un nome sai! –
- Lo so benissimo razza di scorfano che non sei altro, era per mettere in risalto quanto tu sia deficiente! –
- Ha parlato lei! Se dovessi darti un nome non ti chiamerei di certo Miss Dolcezza sai! –
- Perché non dovrei essere acida in presenza di uno così STRONZO?!!! –
Ecco. Ci risiamo.
- PORCO PARMIGIANINO VOLETE STARVI ZITTI?!!! QUI C’è GENTE CHE DORME!!! SE AVETE COSì TANTA VOGLIA DI SCOPARE DA NON RIUSCIRE A STARVI ALLA LARGA CHIUDETEVI NELLE VOSTRE STANZE, BASTA CHE CI LASCIATE DORMIRE!!! – strillò un Chase assonnato quanto arrabbiato dalla sua camera.
Tutti si zittirono all’istante. Chase aveva ragione: stavano facendo un po’ troppo casino.
- Beh Beth perché non seguiamo il consiglio di Chase? – domandò Matt, strafottente come al solito, ad una Bethany rossa come le sue scarpe.
Questa alzò gli occhi al cielo e gli rispose colorita.
- Ma vaffanculo stronzo! – scaraventò la borsetta sulla sedia più vicina e attraversò la stanza come una furia, seguita da un Matt alquanto divertito.
Era lampante che considerava la ragazza come una sfida con se stesso, ed era assolutamente inutile dire che lui adorava le sfide.
Mi domandai in quanto tempo Bethany l’avrebbe catturato definitivamente nella sua rete.
Ipotizzai qualche settimana: anche se forse lui ancora non se n’era accorto, era già pazzo di lei.
Lo conoscevo troppo bene per non accorgermi dello sguardo da pesce lesso che aveva ogni volta che il suo sguardo si posava su di lei o le parlava.
Non avevo nessuna intenzione di farglielo notare: dopotutto i fatti avrebbero parlato da sé più avanti, e non mi sarei mai voluto rovinare il divertimento di vedere Matt cuocersi a puntino.
- Will perché mi hai baciata? –
 
- Beth… dai, in fondo non è un’idea così brutta. –
- Matt! Piantala di chiamarmi Beth, e di dire cazzate… ed esci dalla mia stanza!!! – sbraitai, furibonda.
- Perché ti arrabbi così tanto? – mi sussurrò all’orecchio, mettendo le mani sulle mie spalle e coccolandole con lievi carezze.
Non ero capace di ignorare il suo respiro leggero sul collo: mandava in blocco ogni volontà di distanziarmi dalla pericolosità del suo profumo.
- Perché sei un coglione, e mi fai incazzare! – anche lui sapeva che stavo cedendo.
Sembrava incredibile, ma più passavano i giorni, meno riuscivo a resistere ai suoi baci, specialmente quando ignorando le mie flebili proteste mordicchiava il lobo del mio orecchio.
Proprio come stava facendo in quel momento.
Per tutta la settimana non aveva fatto altro che provocarmi in quella maniera indecente.
E menomale che l’avevo reputato un ragazzo timido.
Col cazzo! L’apparenza inganna, e lui l’aveva dimostrato in poco tempo.
- Devi ribellarti ancora o posso continuare senza avere l’obbligo di rispondere ai tuoi insulti, che oltretutto ti rendono più desiderabile di quanto tu già non sia? –
Fanculo a me! Era così fragile la mia determinazione?
Quando le sue labbra furono a un centimetro dalle mie cessai anche di ragionare, e lì fu la fine.
Sentii il muro della camera sbattere con violenza contro la mia schiena e, poco conscia di ciò che stavo permettendo che accadesse, lasciai che le mie gambe si avvolgessero attorno alla sua vita e che le sue mani mi tenessero ben ferma da sotto. Lo strinsi a me, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo con passione crescente.
Emozioni contraddittorie si manifestarono nella mia testa: da una parte la voglia di proseguire quel gioco pericoloso, dall’altra il bisogno di sentirmi ancora padrona di me stessa e di conseguenza di allontanarmi da lui.
Ma com’era possibile, ora che la distanza si era completamente esaurita e la rovente scia delle sue carezze rendevano sensibile la pelle sotto la maglia?
Era impossibile, le sue labbra stregate mi avevano rapita.
L’insistenza delle sue mani non faceva che peggiorare le cose: in quel momento avrebbe potuto farmi di tutto e non mi sarei ribellata.
- Matt, mi vuoi morta? – gemetti piano, tirando indietro la testa in modo che potesse lambire liberamente il mio collo.
Lo voglio. pensai, affondando una mano sotto la maglia che indossava per sentire il contatto con i suoi pettorali perfettamente scolpiti.
Una scarica di lussuria mi travolse, lasciandomi senza fiato.
Era come se tutt’a d’un tratto tutte le mie convinzioni si fossero dissolte nel nulla.
Che importava in fondo se mi facevo il mio coinquilino altamente scopabile, conosciuto poco più di una settimana prima? Una botta e via…
- No, ti voglio su quel letto. Possibilmente viva. –
Ma sarebbe stata veramente ‘una’ botta e via?
 
Intanto…
- Perché non mi sei antipatica. – risposi, evasivo.
Già. Perché l’avevo baciata? Non ero in grado di dare una risposta nemmeno a me stesso, figuriamoci se lo ero di darla a lei.
Probabilmente (circa il 99,9% delle possibilità) questa risposta così ridicola l’avrebbe fatta incazzare; invece lei si limitò ad osservarmi impassibile, lasciandomi di sasso.
Qualche secondo più tardi prese in braccio quel gattaccio dalla faccia antipatica (pardon: Parmigianino) e me lo sventolò a mo’ di lenzuolo davanti alla faccia.
- Lui ti è antipatico? – chiese lei, con espressione seria.
- N-no. – risposi, confuso dallo strano comportamento di Prudence.
Che diavolo c’entrava Parmigianino in tutta questa storia?
- Bene, allora bacialo dato che non ti sta antipatico! – sbottò, lanciandomelo addosso.
Lo presi al volo per evitare che i suoi artigli mi infilzassero e lei me lo spinse verso la faccia ridendo come una scema.
Morale della favola?
Beh, non c’è una morale, ma Parmigianino si era dileguato, lasciando me e Prudence in una posizione piuttosto compromettente, l’uno a pochi centimetri dalle labbra dell’altro.
Feci per avvicinarmi, ma lei si ritrasse di scatto e arrossì impercettibilmente.
- Io me ne vado a letto, è tardi. – mormorò senza incrociare il mio sguardo, sollevandosi frettolosamente da me e dirigendosi in camera sua.
- Buonanotte. – dissi, ancora sconcertato dal brusco distacco.
Mi rivolse un ultimo sguardo e poi venne inghiottita dal buio del corridoio.
Non ebbi neanche il tempo materiale per riflettere su quanto accaduto, che era già tornata indietro, tenendo gli occhi ben puntati sul pavimento.
La guardai interrogativo e lei mi raggiunse nuovamente sul divano.
- Come mai sei tornata? Non dovevi andare a dormire? – le chiesi confuso.
- Sì, ma la mia camera è occupata! – mormorò imbarazzata.
Qualcosa mi dice che Bethany e Matt stiano seguendo il consiglio di Chase.
- Ah… credo di aver capito. –
Silenzio.
- Se vuoi puoi dormire con me stanotte. – proposi, pentendomene quasi all’istante.
Infatti quella diventò scarlatta e rispose, stizzita:
- Cosa?! -
- Dato che Matt e Bethany sono ancora… ehm… impegnati  potresti dormire nel letto di Matt. – la rassicurai, prima che potesse aggredirmi come suo solito.
– Non ti salto addosso, puoi stare tranquilla! – aggiunsi scherzoso, abbozzando un mezzo sorriso.
- Ma io non… -
- Andiamo, quei due ne avranno per un bel po’, non vorrai dormire sul divano? –
- E va bene! Ma stammi alla larga. –
- Ai suoi ordini! – enfatizzai, con un occhiolino.
Alzò gli occhi al cielo come suo solito, ma era palese che la sua espressione non era ostile.
Sentii una porta aprirsi e due voci avvicinarsi alla cucina: a quanto pare quei due avevano già finito.
- E' esattamente come sembra. – disse Matt senza scomporsi, rivolto a Prudence.
- NON è esattamente come sembra, brutto idiota! – sbottò Bethany, intenta a lanciargli un cuscino che, se non mi fossi spostato in fretta, avrebbe colpito me, invece del mio migliore amico.
- Bethany, Matt è dall’altra parte. – le strizzai l’occhio e, come al solito, mi ignorò, raccogliendo il cuscino con l’intento di lanciarlo di nuovo.
- Ehi fermi un attimo. La prossima volta che vi serve una camera per fare… sì insomma se proprio dovete occupare la stanza avvertiteci o chiudete a chiave per favore! – disse Prudence, chiaramente in imbarazzo.
- Va bene Prue, la prossima volta cercheremo di avvisarti per tempo. – rispose Matt, prendendo al volo il cuscino che Bethany aveva appena cercato di spedirgli in faccia.
- Non ci sarà una prossima volta! – contestò lei, esasperata.
- Quindi qualcosa c’è stato. – m’intromisi.
- No, non c’è stato un bel niente! – sbottò la ragazza, nervosamente.
- Beh tecnicamente non c’è stato quello che doveva esserci, ma quello che stava per succedere prima che tua cugina ci interrompesse è proprio quello che avevamo intenzione di fare. –
- Avevamo?! Io non avevo intenzione di fare proprio un bell’accidenti, tu… –
- Ah no? E come mai mi stavi levando la maglietta poco fa’? –
- Sei uno stronzo! Sei tu che… -
- Vorrei ricordarti che queste cose si fanno in due e tu non eri proprio quel che si dice passiva. –
- Ma avete o non avete…? – iniziai curioso, prima di essere fermato da tutti e due.
- Sì. – affermò Matt.
- NO! – strillò Bethany.
- Ah, ora sì che mi è tutto chiaro. – dissi sarcastico.
Nonostante le affermazioni contraddittorie dei due ricostruii la situazione.
Conoscendo Matt potevo affermare che tendeva ad ingigantire le cose e, dal poco che sapevo di Bethany, tendeva a nascondere i fatti imbarazzanti per sé.
Perciò qualcosa era successo.
- Beh ragazzi io me ne vado a dormire, sono stanca morta. – disse Prudence, dopo un sonoro sbadiglio.
- Anche io. – dissi, sapendo che i due litiganti non mi avrebbero affatto calcolato.
Mi sollevai dal divano e seguii Prudence per il corridoio.
Prima che potesse entrare nella sua stanza le posai una mano sulla spalla per far sì che si girasse verso di me.
- Buonanotte. – le dissi piano quando si voltò a guardarmi.
- Buonanotte anche a te… - rispose, quasi sussurrando.
Le feci un sorriso ma, prima che potessi andarmene, la sentii richiamarmi.
- Will? –
- Sì? –
- Se vuoi parlare con qualcuno di… ciò che mi hai raccontato prima io sono qui. Ok? –
Era la mia immaginazione o Prudence si stava rivolgendo a me con… dolcezza? Ero del tutto certo che fosse lei?
Oppure gli alieni l’avevano rapita e quella che mi trovavo davanti non era lei?
No, era Prudence. Diversa dalla solita intrattabile e acida, ma era lei.
Annuii e questa volta fu lei a farmi un sorriso; poi si avvicinò e, con mio grande stupore, mi stampò un delicato bacio sulla guancia.
- Buonanotte Will. – disse poi, chiudendosi nella sua stanza.
Rimasi per qualche secondo senza fiato, immobile davanti a quella porta, fin quando non venni quasi travolto da una Bethany infuriata che entrava nella sua stanza.
- Will che ci fai qui? Non dovevi andare a letto? – mi chiese Matt, sospettoso.
- Oh sì, stavo andando… -
- Riposati bene perché domani avrai tanto da raccontarmi. –
- Non c’è così tanto da dire. –
- No? Beh considerando che mi devi fare un resoconto quanto più dettagliato possibile di quello che tu e Prudence avete fatto, prima che io e Bethany arrivassimo, direi che già qui c’è un bel po’ da raccontare… o sbaglio? –
- Ehm, non quanto credi Matt. Sicuramente è meno di ciò che tu dovrai raccontarmi di quanto accaduto con Bethany. –
- Buonanotte Will. – disse l’altro con la solita espressione da finto tonto.
Matt era fatto così: preferiva tenere per sé tutto ciò che gli capitava, infatti non avevo mai insistito per cavagli di bocca qualche informazione, ma questa volta avrebbe dovuto parlare.
Avevo il diritto di sapere quello che succedeva tra lui e la ragazza che ci stavamo contendendo o no?










Nda: avete il diritto di odiarmi. Avrei dovuto aggiornare qualche giornno fa, ne sono consapevole, ma non avevo molta voglia di entrare su EFP :P
Ora, avrete notato la brevità del capitolo, ma non potevo postare altro, visto che ho quasi finito la parte già scritta e, se non si muovono a comprarmi il caricabatterie del pc, probabilmente dovrò aspettare molto prima di riprendere il possesso del documento di Word dove c'è il resto della storia.
In ogni caso spero vi sia piaciuto, e vi ringrazio di cuore per le recensioni *_* vi adoro! Senza di voi non avrebbe senso postare questa storia u.u
So che mi odiate per l'ultima frase, e spero che vi stiate facendo un'idea della situazione.
Nulla è come sembra, dico solo questo.
E... recensite ancora, fatemi sapere qualcosa, fatevi sentire insomma u.u
Kiss kiss, a presto :3

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Capitolo 8
*** E' ora del bowling! -part. 1 ***


E' ora del bowling!
-parte 1, Capitolo 8





- Prudence? – domandai sorpreso, vedendola immobile sulla soglia.
Non capivo il perché di quella sua strana visita notturna, perciò mi sollevai dal letto per accertarmi che fosse davvero lei e non il frutto della mia immaginazione.
Eppure era lì, e su questo non c’erano dubbi.
Guardai verso il letto di Matt: non c’era. Ma dove diavolo era andato a quest’ora della notte?
Che fosse da Bethany? Sì, probabilmente era anche il motivo per il quale Prudence ora si avvicinava a me, per chiedermi se poteva dormire nel letto di Matt.
Ma c’era una cosa che non riuscivo a spiegarmi.
Era veramente strano che i suoi capelli ondeggiassero pur non essendoci neanche un filo di vento e che la sua figura emanasse qualcosa di simile a un bagliore argenteo.
- Will… - la sua voce inondò la stanza, calda e sensuale, lasciandomi di stucco.
- C-che c’è? – era vicina, troppo vicina. E poi perché diavolo aveva preso a sbottonarsi la camicetta da notte a così poca distanza da me?!
La vidi sfilarsi una bretellina e farla scivolare lentamente sulla spalla, mentre la sua voce, di nuovo carica di quell’onda sensuale, sussurrava suadente:
- Vuoi… - la frase restò in sospeso: Prudence era chiaramente intenzionata a salire sul letto.
Mi spostai contro il muro, sconcertato dalla piega che la situazione pian piano aveva preso.
- …SVEGLIARTIII?! – quasi caddi dal letto per lo spavento. Aprii gli occhi, ma prima di dare un senso a tutto ciò che mi stava intorno mi presi uno schiaffo bello forte dal mio compagno di stanza, che non era di certo Prudence.
Porco Parmigianino era solo un sogno… pensai afflitto, prima di mostrare il mio disappunto per il colpo non tanto delicato appena ricevuto da quell’idiota di Matt.
- MA SEI UN IDIOTA! – ululai, massaggiandomi la guancia.
- Questa frase l’ho già sentita. E poi senti chi parla! Quello che si stava facendo leccare la faccia da Parmigianino! E sembravi pure contento, dovevi vedere che faccia avevi! Cosa stavi sognando eh? –
- Prudence… - mi sfuggì senza pensarci. Essendo sordo solo per le cose che voleva lui, Matt aveva sentito benissimo e la sua espressione si era fatta maliziosa.
Sì, sono un idiota. Mi sono scavato la fossa da solo.
- Aaaah, ora capisco. Era un sogno a sfondo erotico quello che stavi facendo vero? – in quell’istante mi sarei voluto prendere a schiaffi da solo.
Ma perché non mi sono stato zitto?!
- Non proprio. – confessai con un sospiro.
Sperai che quella mattina non fosse in vena di scherzi idioti, ma per mia grande fortuna (si fa per dire…) sembrava piuttosto in forma secondo questo fattore.
- Come non proprio?! O è sì o è no! –
- Mmm, sì lo era. –
- Ah-ah!!! Molto interessante… a qualcuno piace qualcuno! –
- Matt è solo uno stupido sogno. Non significa niente. –
- Sì invece. Significa che ho vinto la scommessa. –
- Non credo proprio, è ancora tutto da vedere e non ho nessuna intenzione di perdere. –
- Tanto sai che vinco io. È già pazza di me! –
E, anche se non l’hai ancora capito, tu pendi dalle sue labbra come un deficiente. pensai, gongolando.
- Se lo dici tu. – mi limitai a dire, prima di alzarmi dal letto. C’era un caldo infernale, così mi tolsi la canottiera.
Sbadigliai rumorosamente e uscii dalla stanza.
- Vai a trovare qualcuno nella sua stanza Will? –
- Fottiti. – gli risposi, chiudendomi la porta alle spalle.
 
(Pov. Bethany)
Un cappuccino. Ecco cosa mi serviva.
Quella notte era stato faticoso addormentarmi, dato che i pensieri non mi avevano dato tregua per un bel po’.
Era stato un andare e venire di ricordi che avevano preso il sopravvento sul mio bisogno di abbandonare tutto nelle memorie della mia vita precedente (ossia quella che vivevo prima del trasferimento).
Non ce l’avevo fatta.
Avevo pensato ripetutamente a Manuel, a come se ne fosse andato troppo in fretta.
Per quasi tutta la notte.
Mi aveva lasciata sola, ed io non ero ancora preparata a quel distacco.
Non ero ancora pronta a pensare che quell’ultimo bacio che ci eravamo dati sarebbe stato proprio l’ultimo.
In fondo non avevo mai avuto alcun motivo per pensare una cosa del genere.
Ma non era tutto.
Avevo pensato ripetutamente alla sera prima, a Matt, a quella passione incontrollata che toccare il suo corpo aveva risvegliato in me.
Mi veniva impossibile credere di aver desiderato così tanto di farci sesso; di farlo con uno sconosciuto di cui conoscevo solo nome, cognome e i perfetti da sbavarci dietro connotati fisici.
Mi pareva così irrazionale. Eppure quando avevo sentito il suo sapore sulle labbra non mi era sembrato così sbagliato quello che stavamo per fare (considerando che l’unico suggerimento che era riuscito a produrre il mio cervello bacato era ‘Scopatelo, scopatelo!’).
Sì, certo… come se non lo pensassi ogni volta che passeggia con il suo culo d’oro per la casa!
Sospirai, ritirando la tazza fumante dal bancone e depositandola sul tavolo, insieme allo zucchero.
Mi voltai e presi il cacao e la panna in spray dalla dispensa, canticchiando un motivetto allegro che mi era rimasto in testa dalla sera prima.
Stupida pubblicità!
- Oh Gesù! – esclamai, ritrovandomi davanti (rigorosamente mezzo nudo) quell’odioso rompipalle dalle chiappe d’oro di Matt.
- So che sono la creatura più simile ad un dio che tu abbia mai visto, ma se fai così ogni volta che mi vedi potrei cominciare a stancarmi. – La creatura più simile ad un Dio che io abbia mai visto?! Beh effettivamente… Aaaaah ma chi si crede di essere?!!! Adesso mi sente!
- Veramente sei la creatura più simile ad un idiota che abbia mai conosciuto. Ma ora che mi ci hai fatto pensare bene… TU SEI un idiota. – dissi per tutta risposta.
- Un idiota di cui sei pazza. –
- Se pensi che io sia pazza di te dimostri di essere ancora più idiota di quanto già sei. –
- è così stupido considerare l’idea che tra noi due ci sia qualcosa? –
- Sì certo, tra di noi qualcosa c’è di sicuro: un rapporto di ‘non sopportazione’ reciproca. –
- Ti svelo un segreto… quando fai la gattina sei più sopportabile del solito. –
- Io non faccio la gattina. –
- Oh sì invece. E sei anche molto convincente. –
- Finiscila con le cazzate. – mi ignorò.
Talmente ero concentrata a rispondere alle sue provocazioni, non mi ero resa conto che si era avvicinato e che ero vicina al punto di non ritorno, ossia a un passo dalle sue labbra.
Inconsciamente indietreggiai e lui sorrise ironicamente:
- Volevo soltanto darti una dimostrazione pratica del tuo atteggiamento da gattina, non ti volevo mica saltare addosso. –
- Non ci credo neanche un po’. Ora scusami, ma la colazione mi aspetta. – posai sul tavolo il cacao e la panna e mi sedetti sulla sedia.
- Peccato. Avrei voluto un altro bacino. Sei proprio cattiva però. – quel bellimbusto di Matt si sedette a fianco a me, osservandomi zuccherare il mio cappuccino.
Mi chiesi cosa ci fosse di tanto interessante in quello che stavo facendo.
- Ne hai avuti già abbastanza di ‘bacini’. – mimai con le dita le virgolette e intanto spolverai sulla bevanda un po’ di polverina al cioccolato come tocco finale.
Mi portai la tazza alle labbra e bevvi un sorso.
- Mmm, quel cappuccino sembra buono. –
- Lo è infatti. –
- Posso assaggiarlo? –
- Eh va bene. Basta che non me lo fini… -
Ma che diavolo…???  pensai confusa, quando le sue labbra furono sulle mie.
Dopo infiniti attimi di smarrimento ringraziai (pardon: maledissi) mentalmente le mie labbra che, senza l’autorizzazione del mio cervello, stavano rispondendo al bacio.
Lentamente chiusi gli occhi e mi lasciai andare ai movimenti morbidi e seducenti della sua lingua. Otteneva sempre ciò che voleva da me, e questo lui lo sapeva benissimo.
Dio quanto batte il cuore…
Dopo avermi lasciato un ultima carezza sul viso si allontanò da me.
Sorrise dolcemente, lasciandomi senza fiato. Quel sorriso…
- Buono… -
- Ti è piaciuto? – gli domandai io, senza trovare niente di meglio da dire.
Pianeta Terra chiama Bethany! Certo che gli è piaciuto cretina!!!
- Sì ma… con un po’ di panna come contorno potrebbe essere perfetto. –
- Potrebbe? –
- Dovrei provarlo per esserne del tutto certo. –
- Provalo allora. –
Ma che cazzo dico?! Sono completamente idiota! E menomale che lo dico a lui…
Presi il cucchiaino e lo riempii di cappuccino e panna.
- Mmm, adesso è ancora meglio. – dissi dopo aver trangugiato il tutto e aver lanciato un’occhiata significativa al figo di ghiaccio.
Un mio sorriso lo incitò ad avvicinarsi e a baciarmi con più sicurezza.
Era così strano… poco prima gli avrei staccato la testa a morsi e ora invece stavo tranquillamente giocherellando con la sua lingua come se niente fosse.
Direi che gli piace. A giudicare dai suoi ‘mmm…’ sommessi era di suo gradimento.
- Stai facendo la gattina… - sussurrò prima di riprendere a morsicare con delicatezza il mio labbro.
- Non so di cosa tu stia parlando. –
- Sei furba tu. –
- Forse un po’… -
- Che palle che siete! Ora che la camera è libera vi mettete a tubare in cucina? – mi separai bruscamente da Matt e vidi mia cugina immobile sulla porta, con lo spazzolino ancora in bocca, guardarci accigliata.
- Sembra che lo faccia apposta a interromperci. – bisbigliò lui, sorridendo appena.
Fosse per me avrei negato fino alla morte l’evidenza, ma quasi certamente Prue aveva visto troppo per credermi, anche perché non mi avrebbe dato retta comunque.
- Ti ho sentito Matt. Non sono io a farlo apposta, siete voi che in qualunque angolo di questa casa vi mettete ad amoreggiare. Ci sono anche altre persone che abitano qui, sapete. –
- Io non mi sono messa ad amoreggiare con Matt! –
- No infatti. Era un semplice scambio di opinioni. – confermò beffardo il ragazzo.
Uno scambio decisamente non verbale. pensai, voltandomi nuovamente verso di lui.
Quando incontrai casualmente i suoi occhi, sentii il desiderio di baciarlo ancora.
E quegli occhi… cavolo che occhi. Di così belli non ne avevo mai visti altrove.
Per non parlare delle sue labbra. Non avevo aggettivi adeguati per descrivere quanto mi tentassero.
- Oh vi prego! C’è la camera libera se proprio vi serve! – sbottò Prue, riemergendo dal bagno. Non mi ero nemmeno accorta che era uscita dalla cucina in quei momenti in cui l’unica cosa di cui ero sicura era il colore degli occhi di Matt. I suoi occhi fantastici.
- Non ci serve una camera. – ribattei categorica, guardando in tralice mia cugina, che si stava preparando un caffè. A giudicare dalla sua espressione non aveva dormito tanto bene.
Sai che novità! Era dal giorno del nostro arrivo che non riposava regolarmente.
Mi sembrava di fronteggiare una nuova Prudence da quando abbiamo detto ‘Arrivederci’ alla Sardegna.
La sentivo strana, totalmente cambiata, e quel mutamento improvviso non presagiva nulla di buono.
- Forse non ora, ma più tardi magari se ci lasciassi la camera libera… - cominciò Matt, ma venne interrotto da un mio schiaffetto sulla nuca.
- Ehi! Che ho detto? – protestò apparentemente irritato, ma un sorrisetto fuggiasco lo tradì.
- Quello che dici sempre, cazzate! –
- Andando di questo passo, quella che ora ti sembra una cazzata potrebbe accadere di qui a qualche giorno, o meglio, di qui a qualche ora. – disse Prue, con il suo solito tono da sapientona che non le si addiceva affatto.
- Io non ho nessuna intenzione di scopare con questo qui! – puntai il dito contro il complemento oggetto della mia frase, che sollevò elegantemente un sopracciglio.
- è in disuso chiamare le persone con il proprio nome? –
- Finché continui a chiamarmi con quei nomignoli da film horror, ti chiamo come mi pare ok? –
- Ecco qua: è tornata Miss Acidità. Pensavo che la panna avesse sortito qualche effetto benefico su di te, che ne so, magari calmandoti un po’… invece è durata poco più di qualche secondo la tua dolcezza. Che sfiga, e io che pensavo di averti ammorbidita. Vorrà dire che la prossima volta ci metterò un po’ più di impegno. –
- Matt ti sto avvisando: sto per metterti le mani addosso! –
- Proposta interessante, ma sai tua cugina ha deciso di fare colazione, non va bene fare certe cose davanti a lei. Però stasera puoi mettermi le mani addosso quanto ti pare. –
- Non intendevo in quel senso e lo sai bene! –
- In qualunque senso tu intendessi a me va benissimo. Se mai ti verrà voglia di mettermi le mani addosso, specie come penso io, sono disponibile. –
- Dio vi fulmini quando litigate!!! – sbottò Prue esasperata, giungendo teatralmente le mani in segno di preghiera.
- Che pensiero gentile. – risposi gelida.
- ‘Giorno… - mugugnò qualcuno dal corridoio.
Will si sedette al tavolo, con un’espressione talmente disperata che faceva invidia a quella di un naufrago sperduto su un’isola senza nessuna possibilità di fuga.
- Che faccia Will! – esclamai incredula.
Solitamente era il tipo che la mattina si svegliava per primo, puntuale come un orologio svizzero, e rompeva le palle a tutti gli altri con il suo buonumore, ma quella mattina non sembrava esattamente ciò che si definisce allegro.
- Grazie tante. Se tu avessi passato una notte come la mia capiresti. – lanciò un’occhiataccia a Prue, che gliela restituì all’istante.
- Neanche io ho dormito se è per questo! – sbraitò quella, squadrandolo tre volte più inviperita di lui.
- Mmm, per caso hai sognato qualcosa di particolarmente strano Will? – gli domandò Matt con malizia.
- Fottiti. – sbadigliò sonoramente, reggendosi la testa con entrambe le mani e fissando un punto incerto tra me e quello strafigone di Matt.
- Non sei l’unico ad aver fatto un sogno strano. – borbottò Prue, continuando a trafiggerlo con gli occhi.
- Ah e che sogno hai fatto? –
- Ho sognato te stupido cretino! –
- Ah, e perché quella faccia schifata? –
- Che faccia credi che debba avere avendoti sognato?! –
- Ma cosa ne so! Una faccia un po’ più contenta magari… -
- Mi viene spontaneo avere un’espressione disgustata al ricordo. –
- Quanto sei simpatica. Per caso i tuoi genitori ti hanno trovata nel pacco dello zucchero? –
- Stasera andiamo al Bowling??? – intervenni, prima che i toni potessero farsi troppo alti.
- Sììììììììììì, andiamoooooo! – strillò Chase, comparso come un fantasma dal corridoio buio.
- Io non so se vengo, la casa ha bisogno di una bella passata di aspirapolvere!!! – disse Ileen, lanciando occhiate attente alla cucina. Quei due sono sempre insieme, è veramente incredibile. Non c’è Chase senza Ileen, non c’è Ileen senza Chase. Se non sapessi che lui è gay penserei che stanno insieme.
- Ma se l’hai passata ieri mattina! – dissi con enfasi.
- Appunto! Hai idea di quanta polvere si possa formare in 24 ore?! – esclamò lei, irritata.
- Dai tesorino, puoi farlo domani… - Chase come al solito era l’unico in grado di calmare quella piattola di Ileen, difatti quella sospirò e mi chiese, riluttante:
- A che ora si va? –
- Io direi di andare verso le 22, così verso mezzanotte andiamo a ballare in discoteca. Fa parte dello stesso locale penso. Che ne dite? –
- Io ci sono. – disse Matt.
- Io pure. – confermò Will.
- Abbiamo bisogno di vestiti nuovi allora! – esclamò Prue, dopo che tutti diedero il loro consenso.
- Che bello! SHOPPIIIIIING! – Chase come al solito si mise a strillare entusiasta.
- Beh allora cominciate a prepararvi che tra un po’ si va! Sono solo le 9 e mezzo, abbiamo tantissimo tempo per dare un’occhiata ai negozi! – Quando si parlava di spese, specie di vestiti, Prue era sempre la più contenta. Io non ero da meno. Un abitino in più non faceva mai male, no?
- Fate colazione e vestitevi in fretta allora! Lo shopping ci aspettaaaaaaa! – così dicendo, Chase si mise a preparare il suo caffè, seguito da una Ileen un po’ contrariata.
 
- Non mi va Will! –
- Perché?! Dai, dai! Una sbirciatina e basta! –
- Lo sai che se ci scoprono ci prendono a calci vero? –
- Tanto non ci scoprono! –
- Lo dici tu! Quell’acida di Bethany mi taglia il pisello se le guardo un’altra volta le tette. –
- Aaaah quindi è vero che gliele hai viste! –
- In parte… -
- Lo sapevo! –
- Sì, ma parla a bassa voce! –
- Giusto. –
Si avvicinarono furtivi al camerino dove si erano infilate Bethany e Prudence, e si appostarono dietro la tenda, scostandola un poco per poter vedere meglio lo ‘spettacolo’.
- Ehm mi dispiace disturbare quella che senz’altro si può definire una visione celestiale, ma devo portare questi alle fanciulle e se vi vedono qui… potrebbero arrabbiarsi parecchio. – li interruppi, ridacchiando fra me e me. Loro sussultarono e da dentro il camerino si sentì la voce di Prue.
- C’è qualcuno?! –
- No! Non c’è nessuno! – rispose Will, sciocco come al solito. Matt alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, poi congiunse le mani in segno di preghiera: faceva bene, se voleva uscire vivo da quella situazione doveva pregare tanto, magari Bethany gli avrebbe risparmiato la vita (cosa molto improbabile).
- SPARITEEEEE! – strillò quest’ultima, furiosa.
- Aaaah, non siete capaci neanche a nascondervi voi due! – sospirai.
- Sei un idiota. Lo sapevo che ci avrebbero scoperti! – sbottò Matt, lanciando un’occhiata atterrita alla tenda che si spostava. Schivai miracolosamente la borsetta di Bethany, che poco prima era in volo in mia direzione. Doveva averla tirata Prudence, perché l’altra aveva esclamato indignata:
- Non con la mia borsa!!! –
- Cos’è tutto questo casino? – una voce dietro di me mi costrinse a voltarmi e a spalancare la bocca in una perfetta espressione stupita. Il tizio doveva essere il proprietario del negozio e ci fissava contrariato mentre dal camerino volavano mille e più oggetti, non necessariamente identificabili.
Era proprio un bel tipo… ci avrei fatto un pensierino, se non fosse stata evidente la sua eterosessualità.
- Niente, niente! – esclamò Will, scansando un lucidalabbra che stava per andargli dritto nell’occhio.
- Non direi, dato che vi sentite in tutto il negozio. –
Prue uscì dal camerino, coperta soltanto dal vestito che le avevo portato poco prima e assunse un’espressione sbalordita quanto la mia, che trasformò in meno di mezzo secondo in un ammaliante sorriso da predatrice.
- Oh ci scusi per il caos, i nostri amici sono un po’ troppo curiosi. Non è vero Bethany? –
- Sì, un po’ troppo. – confermò quella, lanciando un’occhiata imbestialita al presente Matt.
Il proprietario del negoziò si addolcì visibilmente di fronte agli sguardi languidi di Prudence, e guardando in cagnesco me e gli altri due ragazzi ci disse:
- Sarà meglio che voi tre usciate dal negozio. Le ragazze avranno bisogno di un po’ di tranquillità per provare i loro vestiti. –
- Sissignore. – fu la mia risposta e con un’alzata di spalle uscii dal negozio, ridacchiando per l’espressione da perfetto idiota di Will. Tra lui e Matt non sapevo ancora chi dei due fosse il più incasinato.
Una cosa era certa: tutti e due erano vagamente attratti dalle due ragazze, e ciò era palese… anche se nessuno di loro ancora ne era consapevole.
 
- Ragazze scusate se vi ho disturbato mentre provavate i vostri vestiti, ma c’era un chiasso assurdo. –
- Stia pure tranquillo, è nei suoi diritti mantenere l’ordine nel suo negozio. – gli dissi, facendogli gli occhi dolci. Non potevo fare a meno di provarci spudoratamente con lui, era così sexy…
Capelli neri e occhi castani chiarissimi, alto e palestrato, dal taglio di labbra piuttosto provocante.
Ma sì dai Prudence, provare non costa niente e poi dal modo in cui ti osserva non sembra neanche così irraggiungibile.
- Non c’è bisogno di usare questo tono formale signorina. Io sono Robert. –
- Molto piacere. Io sono Prudence, ma mi chiami Prue. –
Robert fece un sorrisetto e mi guardò più attentamente.
- Quel vestitino ti sta d’incanto Prue. Se hai bisogno di un parere chiamami pure, sono nella stanza a fianco. –
- Ti ringrazio. – dopo un ultimo sguardo licenzioso al mio corpo coperto a malapena da quel vestitino semitrasparente, uscì dalla stanza dei camerini ed io mi lasciai andare ad una risatina.
Bethany mi guardò e ci capimmo all’istante, poi scoppiò a ridere anche lei.
- Eh dai! Provaci! Non sembrava tanto disturbato dal fatto che fossi seminuda. – esclamò entusiasta, levandosi il vestitino che aveva deciso di comprare per l’imminente serata in discoteca.
- Ci puoi contare che ci provo! E dove lo trovo un tipo così sexy?!!! –
- Non certo tra quei pervertiti che abitano con noi! A proposito… quando pago questo ed esco dal negozio mi sentono tutti quanti! – sbottò Bethany, rivestendosi frettolosamente.
- Vorrai dire che Matt ti sentirà! Di Will mi occupo io, stai sicura. Questa non la passerà liscia! –
- Come vuoi! So soltanto che stasera Matt me la paga. –
- Brava cugi! Fatti valere!!! –
 
- Prueee! Ti ha lasciato il suo numero scritto sullo scontrino! – strillai, mentre cercavo il vestitino nero nel bustone dei vestiti comprati quel pomeriggio.
Lo poggiai sul letto e tolsi l’etichetta dal mio nuovo acquisto.
Come previsto, Prue si precipitò a prendere il pezzetto di carta per salvare il numero nella rubrica.
- Fantastico, ho il numero di quello strafigo!!! –
- Ed io ho un vestito che a malapena mi copre il culo e un paio di decolleté che faranno girare la testa al primo ragazzo che mi passerà a fianco! Stasera serata di conquiste cuginetta! Domani avremo l’imbarazzo della scelta tra tutti i numeri che avremo. –
- Ci puoi contare. Penso che sarà impossibile ricordarsi chi sia uno e chi l’altro. –
- Porco Parmigianino sono già le sette! Ma non dovevi farti la doccia??? –
- Oh merda. Sì ora vado! –
- Muoviti. – le dissi. Io con la doccia ero a posto, l’avevo già fatta di mattina, non restava che vestirmi e acconciarmi i capelli in modo da trasformarmi in una bomba sexy.
Sì, certo, come se fosse possibile trasformarsi da ragazza anonima a modella in tre ore!
Mia cugina si rinchiuse in bagno, lasciandomi alle prese con l’arriccia capelli.
Sperai di riuscire a farmi dei boccoli decenti in meno di un’ora: avrei voluto dedicare più tempo al trucco.
Dovevo assolutamente essere irresistibile quella sera, e avevo decisamente bisogno di divertirmi e lasciare alle spalle i dolorosi ricordi del passato.
E in un certo senso vendicarmi di Matt.
Non gli avevo detto una sola parola a proposito del fatto che quella sera si fosse appostato con Will dietro la tenda del camerino per guardare le tette a me e Prue.
Come se le mie non le avesse già abbondantemente osservate!
Gliel’avrei fatta pagare dato che prenderlo a parolacce, invece di farlo smettere, accresceva la sua voglia di rendermi l’esistenza un inferno.
Fortunatamente riuscii a rendere i miei capelli perfetti in una mezz’ora, specialmente per merito delle mie imprecazioni, che mi avevano resa più agitata e di conseguenza più determinata nel portare a termine il lavoro alla perfezione.
Data un’ultima aggiustata all’acconciatura, mi levai i jeans, la maglia ed il reggiseno e mi infilai il vestito.
Dio… non me lo ricordavo così stretto.
Fortuna che non avevo acquistato un reggiseno da abbinare al vestito! Era talmente stretto che non ce ne sarebbe stato bisogno di indossarne uno.
Portai le mani dietro la schiena con l’intenzione di chiudere la cerniera, ma i miei sforzi furono totalmente inutili: non ce la facevo proprio.
Aprii la porta della cameretta in cerca dell’aiuto di Chase o Ileen, ma l’unica persona che non era indaffarata nei preparativi per la serata era Matt, tranquillamente sdraiato sul divano della cucina, mezzo nudo come suo solito. Doveva aver tentato di mettersi la camicia bianca che aveva acquistato quella sera, che però aveva lasciato aperta sul torace.
Provai nuovamente a chiudere la lampo da sola. Niente.
Non appena mi resi conto che neanche con l’aiuto di tutti i santi del Paradiso sarei riuscita a metterla da sola, decisi che l’unico sistema possibile era chiederlo al figo di ghiaccio.
- Matt! – lo chiamai disperatamente.
- Uhm? Bethany? – mugugnò, cercandomi con lo sguardo per poi indugiare e fissarmi interrogativo dal divanetto.
- Puoi venire a darmi una mano per favore? – sempre con la stessa espressione inquisitoria, si alzò ed entrò nella mia camera. Forse era stato il mio ‘per favore’ a sorprenderlo (era raro che fossi un poco cortese nei suoi confronti), oppure il fatto che lo avessi chiamato nella mia camera con la schiena completamente nuda e il corpo ben poco coperto.
Chissà quanti film e di che genere si stava facendo in quel preciso istante nella sua testa vuota!
- Non è che mi aiuteresti ad allacciarlo da dietro? Io non ci arrivo… -
- Come mai lo chiedi proprio a me? –
- C’è qualcun altro che non sia impegnato a prepararsi per stasera a parte te?! –
- Direi di no. –
- Ecco, allora non fare domande stupide. –
- Non era una domanda stupida. Sai, essere chiamato da una ragazza mezza nuda nella propria camera può suscitare dei sospetti. Che ne so, magari mi avresti potuto chiedere di toglierti del tutto il vestito di dosso invece di chiuderlo come mi stai chiedendo. A proposito… non dirmi che non porti il reggiseno. –
- Non farti illusioni, non ho nessuna intenzione di farmi spogliare da te. E comunque sì, ho deciso di non metterlo. Tanto stanotte non mi serve. –
- Ah non ti serve?! E come mai? Programmi per la serata? –
- Sì, voglio scopare con te tutta la notte! Ora ti dispiacerebbe chiudere la cerniera di questo benedetto vestito?! Il tempo scorre e mi devo ancora truccare! –
- Come vuoi. Girati. –
Mi voltai per lasciare che chiudesse finalmente quella maledetta zip, ma il tocco delle sue dita sulla pelle della schiena non lo sentii. Accadde tutto troppo in fretta.
Il suo braccio mi avvolse da dietro e la sua mano prese ad accarezzarmi audace la coscia scoperta, facendomi avanzare inconsapevolmente verso il letto. Non era difficile palpare ogni parte di me che riusciva a toccare: il vestito era talmente succinto che non era certo un problema.
I suoi baci mi lasciavano una scia umida sul collo che annebbiava ogni pensiero lucido, che a poco a poco si riduceva a un misero eco in un lontano angolo del mio cervello.
Caddi sul letto e lui sulla mia schiena.
Dare un senso a tutto ciò era praticamente impossibile. Ero certa solo di una cosa, che non mi rassicurava affatto: Matt stava cercando di sfilarmi qualunque capo di abbigliamento avessi addosso.
Cristo stavo per scoppiare! La situazione si stava facendo da ‘Disperata’ a ‘Insostenibile’ e me ne accorsi quando le sue mani si introdussero sotto il vestito fino ad arrivare a toccarmi la zona del seno.
Se non mi fossi ricordata della presenza di mia cugina nella stanza limitrofa, intenta a farsi un rilassante bagno di un’ora e mezzo, avrei voluto che continuasse.
- Voglio toglierti tutto ciò che hai addosso. – sussurrò al mio orecchio. Mi morsi un labbro e chiusi gli occhi, lasciandomi andare alle sue mani sempre meno discrete sotto il vestito.
- No… Matt, ti prego lasciami. – sbottai, riuscendo a salire su di lui e prendere un po’ di fiato. Mi prese per la cosce e, sollevando il busto per riuscire ad avvicinarsi alle mie labbra, mi baciò come mai aveva fatto prima, riuscendo finalmente a strapparmi di dosso quello stupidissimo vestito.
Coperta soltanto dalle mutandine di pizzo nero, sudata e desiderosa come non mai di scoprire ogni sua parte a me sconosciuta, avevo sentito qualcuno bussare alla porta.
- Posso entrare? – mia cugina fortunatamente aveva avuto il buonsenso di bussare invece di piombare in camera senza preavviso. Fu Matt a risponderle, così da darmi il tempo necessario per rivestirmi e darmi una sistemata.
- Ehm, aspetta solo un attimo. -
- Matt aiutami con la cerniera! – gli mormorai, sistemando il vestito per coprire il seno.
Prontamente si avvicinò e chiuse con uno scatto la cerniera.
- A dopo. – mi sussurrò all’orecchio e dopo avermi dato una pacca sul sedere uscì dalla stanza.
Mi precipitai davanti allo specchio per dare una sistemata veloce ai capelli. Per fortuna non si erano spettinati più di tanto, ma non erano perfetti come prima che Matt mi saltasse addosso.
Quando Prue entrò nella stanza feci finta di niente, pur essendo fortemente consapevole che di lì a pochi secondi sarebbe volata qualche frecciatina in mia direzione, così presi a truccarmi.
Rossetto rosso, matita nera e un po’ di fondotinta.
Sperai che Matt riuscisse a non fare parola con nessuno di quanto accaduto prima.
In fondo non era successo nulla… o quasi nulla.
- Cugi, fino a quando hai intenzione di tacere sul fatto che tu e Matt siete passati al livello successivo? –
- Scusa, che cosa stai dicendo? Io non sono arrivata al livello successivo. Beh, non del tutto… -
- Aaaah lo immaginavo!!! – esclamò quella, drizzando la schiena in posizione ‘Ah-ah! Lo sapevo!’.
- Che cosa pensavi? Guarda che tra me e Matt non c’è stato niente di ciò che ti stai immaginando ora! –
- Allora illuminami: cosa c’è stato? Qualcosa sarà successo sicuramente dato che ci ha messo un sacco di tempo prima di aprire la porta. –
- Ecco… ora non pensare male ma… io mi dovevo rivestire. Per questo ci ha messo un po’ ad aprirti. –
- Ops, vi ho interrotti per caso? –
- Meglio che tu l’abbia fatto, perché se avessimo continuato non so fin dove ci saremmo spinti. –
- Quindi avevo ragione. –
- Ragione su cosa? –
- Tra te e Matt è scattata la scintilla! –
- Ma quale scintilla! Evita di dire assurdità per favore. –
- Non sono assurdità. Come me lo spieghi che quando entro in una stanza qualunque della casa ci siete sempre voi che pomiciate?! –
- è successo soltanto tre volte. –
- Sì certo, come no… solo tre! Come se non sapessi che è da quando è arrivato in questo appartamento che ti sbava dietro! –
- Non dire cazzate. Non mi sbava dietro. –
- Ahahah, no? Cugi pensavo che tra noi due quella sveglia fossi tu. Di solito intuisci sempre quando un ragazzo ti vuole, invece questa volta, per quanto sia evidente, non ti sei accorta di nulla! –
- Beh forse mi vuole, ma non mi sbava dietro come dici tu! –
Prue inarcò un elegante sopracciglio.
- Ok, forse un po’… - mi corressi, perplessa.
La sua espressione mutò da ‘scettica’ a ‘se gli sguardi potessero uccidere…’.
- Va bene, mi sbava dietro. –
- Cugi è così palese! –
- Anche se lo fosse non vedo come la situazione mi possa interessare. –
- Cioè? –
- Hai capito bene. Anche se fosse come dici tu, non cambia nulla. –
- Invece sì che cambia! Tutto cambia! –
- No, perché a me non interessa che lui mi voglia. –
- Porco Parmigianino Bethany!!! Perché continui a negare che sei attratta da lui?! E ammettilo che lo vuoi! Ti attira come un fiore attira un’ape. –
- Non è vero. –
- Oh beh, tu pomici con chi non ti piace allora! –
- La colpa è sempre stata sua. È lui che non fa altro che baciarmi! –
- E il bello è che tu ci stai. O vuoi negare anche questo??? –
- Certo che ci sto! Mi tortura ogni santo giorno!!! –
- A quanto mi risulta non ti lasci spogliare da chi ti tortura. –
- Dettagli. – tagliai corto, indossando le decolleté e camminandoci un po’ davanti allo specchio.
- Che ne dici? – domandai a Prue.
- A proposito di cosa? –
- Del mio abbigliamento. Come sto? –
- Un incanto direi. Matt rimarrà a bocca aperta. –
- Non voglio che rimanga a bocca aperta. Non è per lui che mi sono vestita in questo modo. –
- Infatti nessuno ha detto che l’hai fatto per lui. Hai fatto tutto da sola. – disse Prudence, sfoggiando il suo migliore sorrisetto bastardo.
- Sei veramente una stronza! Te l’hanno mai detto??? –
- Sì, me lo dicono in continuazione. Adoro sentirmelo dire. –
- Allora invece di stronza d’ora in poi ti chiamerò GRANDE STRONZA. Sei più contenta adesso?! –
- Ovvio. La mia autostima, a differenza della tua, non si scalfisce minimamente! –
- Nemmeno la mia si scalfisce, dato che ne sono sprovvista. –
Quella alzò gli occhi al cielo e con una scrollata di spalle cominciò a vestirsi.
 
10 minuti dopo…
- Ok Bethany, ora farai finta che non sia successo nulla. Sfoggerai un perfetto sorriso da ‘non è successo niente’ e piomberai in salotto come se non fosse successo niente. – mi dissi, provando un sorriso da ‘non è successo niente’ di fronte allo specchio della mia camera da letto.
Dopo vari ripensamenti sul trucco, decisi di levarmi il rossetto rosso e di spalmare sulle labbra il mio lucidalabbra viola, quello che non mettevo mai. Vi chiederete per quale motivo questo cambiamento così repentino. Bene, dovete sapere che il lucidalabbra in questione pizzica.
Piccola misura di sicurezza a prova di bacio.
Sì, avete capito bene, a prova di Matt.
In quei dieci minuti avevo architettato un perfetto piano anti-Matt per tenerlo alla larga.
Il piano in questione era diviso in dieci regole fondamentali:
 
1– MAI, per nessuna ragione al mondo, trovarmi DA SOLA con lui.
2 – MAI, dargli corda quando fa il farfallone.
3– SEMPRE evitarlo.
4– Chiudermi in camera A CHIAVE più apparecchio anti-furto a prova di Lupin quando gli altri sono a fare le commissioni ed io e lui siamo soli in casa.
5– Evitare cioccolate e cappuccino più panna (e qualunque altra bevanda potenzialmente piacevole) quando siamo soli in casa.
6– Niente più vagabondaggi la notte: il soggetto in questione potrebbe aggirarsi per i corridoi in attesa di un mio improvviso attacco di insonnia.
7– MAI fissarlo.
8– MAI PIù chiedergli di aiutarmi nella chiusura di qualche vestito.
9– MAI interpellarlo per chiedergli un parere!
10– SEMPRE seguire queste regole!
 
Dopo essermi fissata in testa questi 10 fondamentali precetti, uscii dalla camera, sfoggiando il famoso sorriso da ‘non è successo niente’.
Fortunatamente in cucina c’erano tutti quanti, Matt compreso, vestito di tutto punto.
Non lo guardai, anche se lui non si faceva problemi a guardare me.
Dovevo seguire la regola numero 7!
- Wow Bethany! Serata di conquiste? – esclamò Chase, facendomi un occhiolino.
- Avevi dubbi? – gli risposi, accomodandomi a fianco a lui sul divano e accavallando le gambe.
Ovviamente era una posizione strategica: Matt era esattamente di fronte alla mia visuale, perciò era facile accorgersi se mi guardava o meno.
- Sinceramente no. Secondo me domani avrai l’imbarazzo della scelta. Tu e Prue domani avrete un bel daffare a ricordarvi chi è l’uno e chi è l’altro. –
- Da quanto è acida sarà molto difficile che riesca a trovarsene uno. Figuriamoci se riuscirà a trovarne altri! – s’intromise Matt.
Raccolsi dal mio corpo tutta la pazienza che avevo e riuscii a ignorarlo.
- Sì, penso che domani dedicherò l’intera giornata a cercare di associare i numeri alle persone. –
Capii che Matt era rimasto decisamente di sasso soltanto quando gli lanciai un’occhiata di sfuggita.
Essere ignorato non doveva piacergli granché.
- Quel vestito è un richiamo per l’occhio maschile Bethany, poi non ti lamentare se ti stanno tutti addosso!!! – continuò Chase, fingendo serietà.
- Un richiamo per l’occhio maschile?! Non farmi ridere… - brontolò Matt.
- No infatti. Più che altro è un richiamo per le mani maschili, vero Matt? – non riuscii a frenare le parole, che pronunciai senza nemmeno provare a frenarle.
Chase e Prue scoppiarono in una risata sguaiata, mentre tutti gli altri sfoggiarono un’espressione perfettamente confusa. Will si limitò a mostrare un sorrisetto bastardo.
Mi rivolsi nuovamente a Chase, che intanto lacrimava per il troppo ridere.
- Dicevamo? –
- Ah ecco… dicevo che sei uno splendore. –
- Oh, grazie. –
- Attenta a chi ti mette le mani addosso. –
- Stai pure tranquillo Chase, nessuno mi toccherà stasera. – sottolineai con enfasi la parola ‘nessuno’ senza lanciare occhiate allusive al qui presente Matt, che, ne ero ben consapevole, non mi toglieva gli occhi di dosso.
- Se nessun altro deve finire di prepararsi io direi di andare! – intervenne Will, che aveva le idee ben chiare sulla situazione, ora che Matt era lì per ribattere.
- Sì, muoviamoci. – concluse Prue, sollevandosi dalla sedia e indossando la giacca leggera.
Senza spostare lo sguardo dal pavimento mi alzai a mia volta e presi il telefono, mettendolo dentro la borsetta nera, e il giubbotto. Mi affrettai ad uscire dalla porta per prima, in modo da non poter essere in nessun modo a portata di Matt, neanche per un millesimo di secondo.
Forse tutto questo non aveva molto senso, ma, confusa com’ero, mi sembrava la cosa più giusta da fare.
 
Le luci iridescenti della sala mi confusero per un istante quando feci ingresso nell’ampia sala del bowling. Indiscutibilmente non aveva niente a che vedere con quella che frequentavo io quando ancora abitavo in Sardegna. Questa era decisamente più spaziosa, più bella e gremita di gente.
Tanto per cambiare, lungo tutto il tragitto, Will e Prue avevano dato spettacolo con una delle loro frequenti litigate. Il motivo? Una delle loro solite fisse: l’ego.
Avendo dato dell’incapace a Will, Prue si era ritrovata davanti all’ennesima sfida: una gara di bowling. Ovviamente il vincitore avrebbe avuto la ragione.
Una cosa alquanto stupida, penserete. E magari penserete anche che l’esito della sfida sia praticamente scontato. Beh vi sbagliate.
Forse pensate che Will essendo più atletico sia più capace di Prudence. Niente di più errato.
Se c’era qualcosa in cui Prue eccelleva, era proprio il bowling.
Nessuno ne era al corrente, ed io non avevo alcuna voglia di informare gli altri dell’abilità di mia cugina: avevo altri pensieri per la testa.
Matt era stato silenzioso per tutto il viaggio e non mi aveva rivolto il minimo sguardo, pur avendocelo a fianco fino al nostro arrivo. Da una parte lo ritenevo un buon segno (il piano forse stava funzionando) e dall’altra un po’ mi scocciava. In fondo non era il tipo che se la prendeva per certe cazzate, ma sembrava nervoso e anche un po’ offeso.
Era seduto a fianco a me sul divanetto mentre gli altri giocavano a bowling, e anche lui sembrava perso nei propri pensieri. Sospirai e decisi di continuare con il piano, così presi il cellulare e feci finta di niente.
Tutt’ad un tratto sbiancai.
“Parti per Roma e nemmeno mi saluti? Credevo che volessi essere mia amica, ma evidentemente mi sbagliavo.”
Boom.
Amici… una parola a cui non avrei mai attribuito i nomi Manuel e Bethany.
Talmente assurdo da lasciarmi senza fiato, lì, con gli occhi spalancati per la sorpresa e lo sgomento insieme, stringendo il cellulare che di lì a poco mi sarebbe caduto dalle mani da quanto mi tremavano.
Pensavo fosse finita lì, credevo che l’amicizia fosse stata una scusa per porre fine alla nostra storia.
Ma forse mi sbagliavo.
Forse mi voleva davvero essere amico, ed era proprio questa eventualità a darmi sui nervi.
Mi morsi un labbro e, in cerca dell’autocontrollo perduto, feci per rispondere al messaggio.
- Beth… ma stai bene? – mi chiese Matt, interrompendo le mie riflessioni.
Risposi senza essere minimamente convincente.
- Sì, più o meno. –
- è successo qualcosa vero? – la sua più che una domanda era una affermazione.
Era lampante che fosse accaduto qualcosa, dato che avevo gli occhi pieni di lacrime.
Abbassai lo sguardo e mi cadde il cellulare dalle mani.
- Ops. – sussurrai e mi abbassai a raccoglierlo, trovando la giustificazione per asciugarmi il viso prima che Matt si accorgesse che stavo piangendo.
Credevo che volessi essere mia amica… quelle parole mi colpirono dritto al cuore come un’arma a doppio taglio, spazzando via il coraggio di continuare a trattenere la rabbia.
Appena poggiai il cellulare sul tavolino di vetro uscii dalla stanza e dal locale.
Non volevo che Matt mi vedesse così e non avevo nessuna voglia di dare spiegazioni.
Ma appena misi piede fuori da lì, lo sentii alle mie spalle.
Scappare non era certo nelle mie intenzioni: tutto ciò che desideravo era respirare un po’ d’aria fresca per stare meglio. Mi sedetti sulle scalette del locale e, dopo aver chiuso gli occhi, presi a tormentare la collana a forma di chiave che proprio lui, l’origine della mia rabbia, mi aveva regalato.
Mi faceva male pensare che era lui ad avere la chiave più importante… quella del mio cuore.
Senza voltarmi, riconobbi le mani che in quel momento mi accarezzavano i capelli.
Respirai profondamente e lasciai scorrere le lacrime sul viso, maledicendomi per non essere riuscita a trattenere il nervosismo e la rabbia che bruciavano dentro il mio petto.
Le lasciai scorrere per alcuni minuti, finché Matt, seduto alla mia sinistra, non intervenne, parlandomi dolcemente.
- Mi spieghi che cos’è successo ora? –
I suoi movimenti mi avevano tranquillizzata e allo stesso tempo mi avevano fatto piangere, forse perchè l’unico modo per calmarmi era sfogarmi attraverso le lacrime.
- Non credevo che dicesse sul serio quando mi ha detto che voleva rimanermi amico. Pensavo fosse soltanto un modo per troncarla lì. – mi limitai a dire.
Sapevo che avrebbe capito a chi e a cosa mi riferivo.
Forse quello fu il momento in cui lo odiai per davvero.
Riusciva a farmi piangere anche solo un suo messaggio, anche se quelle non erano lacrime di tristezza: erano lacrime di rabbia!
- Sinceramente non ho idea di cosa dire per farti sentire meglio, ma se tornassimo dentro potremmo parlarne. –
- Prima voglio prendere un po’ di aria fresca. Per favore torna dentro. –
- Non voglio rientrare per sopportare da solo le battutacce di quei due, e voglio parlare con te. –
- Di cosa vuoi parlare? –
- Lo sai benissimo. –
- Se te lo chiedo vuol dire che non lo so! –
- E va bene… allora ti faccio direttamente la domanda: perché mi stai evitando? –
Non lo guardai, ma gli risposi ugualmente.
- Se proprio vuoi saperlo non lo so nemmeno io. –
Avrei voluto negare di averlo ignorato ma, incapace com’ero di mentire, mi avrebbe continuato a riempire di domande e non mi avrebbe dato la possibilità di riflettere da sola.
Avevo organizzato il piano anti-Matt, ma in realtà non sapevo nemmeno per quale motivo l’avevo fatto.
Perché mi ero messa in testa di stargli alla larga, quando il semplice essere baciata e toccata da lui mi faceva stare bene? Avevo paura di infrangere le mie stesse regole?
Ancora non riuscivo a capire se Matt mi piacesse o fosse solo il suo aspetto fisico ad attrarmi, tuttavia ero convinta che lui mi volesse e forse era questo il motivo per cui mi dicevo di tenerlo lontano.
Volevo rimanere a debita distanza dalle persone potenzialmente dannose.
Soffrire ancora mi faceva paura.
- Ma è colpa di quello che è successo in camera tua? –
- Sì, anche. Ora puoi lasciarmi da sola? –
Come suo solito ignorò la mia richiesta.
- Se mi vuoi perché mi eviti? –
- Per lo stesso motivo per cui in questo momento non fai quello che ti chiedo. – risposi ironicamente, sperando che capisse che la discussione, per quanto mi riguardava, finiva lì.
- Vorrei solo capire! Sei talmente strana che non so mai cosa pensare di te. –
- Io non sono strana… io penso con la mia testa. –
- Appunto, per questo mi piacerebbe sapere perché ti comporti in questo modo con me. –
-  Molto probabilmente se te lo spiegassi non la smetteresti più di parlare, e siccome voglio che tu te ne vada preferisco tenermi tutto per me. Ora puoi anche tornare dentro. –
Se gli avessi parlato della mia costante paura di soffrire nuovamente non mi avrebbe dato nemmeno un attimo di pace e avrebbe iniziato un discorso che sarebbe terminato con una promessa.
Una promessa che il mio ultimo ragazzo non ha mantenuto.
Sono fatti così: prima ti riempiono di belle parole, poi ti lasciano sola.
Tra di noi calò il silenzio, segno che Matt aveva capito che non era il momento adatto per parlarne.
Non se ne andò, rimase seduto accanto a me, in silenzio.
Un brivido di freddo mi scosse improvvisamente e lui mi cinse le spalle con il braccio, trascinandomi a sé. Il calore era piacevole, perciò non mi ritrassi.
Pur essendo in piena estate c’era molto umido e mi ero scordata la giacca dentro.
Non ho idea del perché lo dissi.
Sarà che quando i miei occhi avevano incontrato i suoi, quel sorriso che era comparso sul suo viso mi aveva ricordato tanto i momenti passati fra le braccia di Manuel, a guardarci e sorriderci in silenzio. Erano gli attimi che preferivo, dove in un solo sguardo potevi leggerci un mare di cose.
Cominciai a pensare di aver letto in modo sbagliato ciò che ci avevo visto in passato.
- Anche lui lo faceva. – gli avevo detto a bassa voce.
Non smise di sorridermi a quell’affermazione, eppure ero convinta che non gli piacesse essere messo a paragone con il mio ex.
- Faceva questo anche lui? – spostò una ciocca di capelli dal mio viso e mi baciò.
Sentire le sue mani accarezzarmi le guance mi faceva stare bene.
Mi accorsi di quanto morbide fossero le sue labbra solo quando si posarono delicatamente sulle mie e a poco a poco le sfioravano, accrescendo in me il desiderio di non allontanarle mai.
Non ricordo di essere mai stata baciata in quel modo: era lento e delicato, ma sentivo la passione ardere.
Quando si allontanò tenevo ancora gli occhi chiusi.
Il silenzio calò su di noi.
 
Manuel continuava a tempestarmi di messaggi, che passarono dall’essere ‘gentili’ ad essere ‘incazzati’, e più li leggevo più mi capacitavo del fatto che ero stata una stupida a piangere per il suo primo sms.
Per un bradipo simile era forse il caso di versare preziose lacrime?!
La risposta era decisamente chiara. No.
E poi come si permetteva di parlarmi in quel modo? Dopotutto gli avevo chiaramente fatto capire che della sua amicizia non me ne facevo un beneamato cazzo (parentesi: bon jour finesse!).
Sospirai e decisi che più tardi, in discoteca, avrei stretto una salda amicizia con il tavolo degli alcolici.
- Ahahah, guarda qui brutto rincoglionito!!! S-T-R-I-K-E! Striiiike!!! – strillò Prue con accento feroce, dopo aver buttato giù l’ennesima serie di birilli. Will era sempre più sbigottito e allo stesso tempo avvilito per essere stato ripetutamente battuto.
- Tu sei… tu sei… - balbettò quello, con espressione disgustata.
- Bellissima e bravissima! Sì lo sapevo di già! –
- No, sei un… un mostro!!! –
- Pfff, tutta invidia! Solo perché non sei riuscito a colpire un solo birillo hai il coraggio di definirmi mostro?! Sarebbe ora di ammettere che sei un incapace Will. – rispose Prue, atteggiandosi.
Chase e Ileen ridacchiarono appena videro l’espressione del ragazzo farsi da incredula a stizzita e il suo viso colorarsi di rosso. Decisamente le parole di mia cugina avevano colpito nel segno.
- Senti chi parla! La fifona che ha paura dei film horror!!! –
Prue rimase a bocca aperta per l’affronto che Will le aveva appena fatto chiamandola ‘fifona’ e la richiuse, dando inizio ad una ‘sfida nella sfida’.
Prima o poi si menano. pensai, scuotendo il capo.
Quel prima o poi arrivò più prima che poi, perché Prue si era munita di un’arma (più precisamente, di un birillo) proprio con l’intenzione di spedirla sulla testa del suo adorato Will.
Incuranti del fatto che tutti li stessero osservando scioccati, avevano dato inizio alla lotta che, ne ero più che sicura, avrebbe visto Prue come vincitrice e Will (poveraccio) come sconfitto.
- VIENI QUIIII!!! – la sentii urlare. Vedere il povero Will correre per la sala rincorso da una Prue piuttosto arrabbiata, per non dire furibonda, non aveva prezzo. Quella scenetta divertente quanto patetica era riuscita a strapparmi un sorriso. Un sorriso vero, e questo non sfuggì agli occhi attenti di Chase.
- Bethany ha sorriso! Evvivaa! – esclamò contento e Matt mi guardò con un mezzo sorriso.
- Credo di aver pianto anche troppo Chase. Ora basta. – annunciai e, dopo aver osservato attentamente il cellulare, lo spensi.
- Voglio ballare. – aggiunsi – perché non li lasciamo correre un po’ e ce ne andiamo in pista? –
- Saggia ragazza. Andiamo a scatenarciii! – esclamò Chase e tutti insieme attraversammo il corridoio che portava alla discoteca, lasciandoci alle spalle una Prudence assetata di vendetta ed il povero Will che correva disperatamente per sfuggire alla furia assassina della ragazza.










NdA: Eccomi, come promesso con un nuovo capitolo di 'Tutta colpa di Parmigianino' u__u l'ho diviso in due parti per mia comodità, non linciatemi, ma posso assicurarvi che, se questo capitolo era esilarante, il prossimo sarà anche meglio!
E' un invito a leggere, seh.
E... indovinate? Il caricabatterie è arrivato, e con lui il resto della storia già scritta.
Ora potrò scrivere altri capitoli e cercare di essere sempre puntuale nel postare.
Intanto ringrazio chi ha recensito e messo tra geguite/preferite/ricordate e via dicendo.
Vi amo tutti, e spero che i 'fan' di questa storia si moltiplichino come funghi.
Mi raccomando, come sempre, RECENSITE, fatemi sapere cosa vi piace e non vi piace, qualunque cacchiata vi passi per la scatola cranica.
Detto questo vi saluto, pace e amore.
Alla prossimaaa u.u kiss kiss <3

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Capitolo 9
*** E' l'ora del Bowling! -part 2 ***


E' ora del bowling!
-parte 2, Capitolo 9





- Un altro bicchiere grazie. – ero ormai al quarto cocktail e sapevo di aver perso la lucidità necessaria per smettere di bere. Tutti gli altri erano in pista a ballare, ed io ero riuscita a sparire senza dare nell’occhio. Così pensavo. Il cellulare continuava a vibrare nella borsetta, ma lo ignorai.
Sì, non avevo resistito e l’avevo riacceso.
5 messaggi e 17 chiamate perse.
Manuel.
Si fotta. pensai, alterata dall’alcool che avevo in corpo.
Buttai giù l’ennesimo sorso di Mojito e sentii qualcuno sedersi al mio fianco.
- Ora basta Bethany. Hai bevuto anche troppo. –
- Chase non mi rompere le palle. –
- Dai vieni a ballare, così ti diverti un po’ invece di stare qui a bere schifezze. –
- Questo non è una schifezza… assaggiane un po’ dai! Prendo un cocktail anche per te… -
- No grazie, preferisco farne a meno. Su andiamo a ballare un po’. –
- Ho detto di no Chase! –
- Se non lo fai di tua spontanea volontà lo faccio io. Ti ci porto di peso se non ti muovi! –
- Chase un altro bicchiere e sto arrivando ok? –
- No. Vieni adesso. Hai bevuto abbastanza. –
- Non ho bevuto abbastanza. Ne voglio ancora… - piagnucolai.
- Quanto viene il tutto? – Lo sentii chiedere al barista.
- 24 euro. –
- Pago io! – protestai flebilmente, ma Chase non mi diede ascolto e pagò il tutto.
Poi allacciò il braccio intorno alla mia vita e si diresse verso l’uscita.
- L’accompagno a casa. – mormorò a qualcuno che non riconobbi.
- No Chase, la porto io. Avevo comunque intenzione di andarmene da qui. – non mi preoccupai di sollevare lo sguardo per capire chi si era offerto di portarmi, mi limitai a chiudere gli occhi e cercare di camminare in linea eretta.
- Spiegami che ti è saltato in mente! – sbraitò lui. Dal tono di voce sembrava piuttosto arrabbiato.
- Mi volevo divertire un po’. –
- E c’era bisogno di bere così tanto per divertirti?! Potevi ballare con me se proprio volevi pensare ad altro! –
- Senti ne avevo bisogno. Mi sono rotta le palle di Manuel e delle sue cazzo di telefonate e volevo lasciarmi tutto alle spalle almeno per una sera! Posso? Oppure  devo chiederti un fottuto permesso, chiunque tu sia?! –
- Non ho detto che devi chiedermi il permesso, ma bere non ti servirà a dimenticare. E comunque sono Matt, nel caso non l’avessi ancora capito. –
- Va bene, pensala come vuoi. Se hai intenzione di farmi la paternale tornatene a ballare, io me ne vado a casa da sola! Non ho nessuna voglia di sentirti blaterare. –
- Non dire cazzate; di certo non ti lascio andare da sola fino all’appartamento. Non sei nemmeno in grado di camminare, figuriamoci di farti tutta quella strada senza qualcuno a cui appoggiarti. Tu sei fuori di testa. –
- Forse non sono nelle mie piene facoltà mentali, ma sono perfettamente in grado di camminare da sola! Non ho bisogno del tuo fottutissimo aiuto. – sbraitai, liberandomi del suo braccio e appoggiandomi al muro di un palazzone per camminare.
Lo sentii sbuffare e probabilmente alzò gli occhi al cielo, ma mi lasciò camminare da sola, finché non mi fermai, colta da un improvviso giramento di testa.
- Ora ti aiuto io. – disse e mi prese per la vita, aiutandomi a camminare senza incespicare.
 
(Pov. Matt)
- Mi chiedo per quale motivo non vi siete rifatte i letti, tu e tua cugina. – dissi, aiutandola ad entrare nella mia camera. Cercando di non farla cadere sulla batteria, la feci accomodare sul letto.
Mi sedetti accanto a lei e le lanciai uno sguardo di rimprovero.
- Tu mi credi una stupida… – sussurrò, tenendo lo sguardo ben piantato sulla parete opposta al materasso – …e hai perfettamente ragione. –
- Io non credo che tu sia stupida. Capita a tutti di avere voglia di ubriacarsi e capisco che quello che ti sta accadendo ora non è facile, ma… -
- Non sto parlando di questo! – mi interruppe infastidita, scuotendo il capo. Si voltò a guardarmi. Il tempo di rivolgerle uno sguardo spaesato e disorientato ed era già a cavalcioni su di me – Io intendevo questo. –
Prese le mie labbra tra le sue e questo non fu un buon modo per aiutarmi a riflettere su cosa intendesse dirmi. Era il discorso di un’ubriaca, in fondo non avrei dovuto dargli tutta questa importanza (avrei nettamente preferito continuare ciò che lei stessa aveva iniziato), ma sentivo di doverla ascoltare.
- Fe-ferma un attimo Beth. Io non credo che tu sia stupida. I-Insomma, perché dovresti e-esserlo? – lei non mi dava retta. Mi aveva spinto contro il muro e si era avvicinata talmente tanto che il mio corpo era praticamente incollato al suo.
Era provocante, terribilmente provocante, con quel vestitino nero che metteva in netto risalto le sue forme da bambolina.
E il fatto di essere ubriaca incrementava le mie fantasie sessuali.
Come se non le provocasse ugualmente anche da sobria…
- Sono una stupida perché ti voglio, più di quanto non dimostri, e continuo ugualmente ad allontanarti. Ma ora non ne posso più. Ti desidero, adesso, stanotte. – le sue mani mi afferrarono il viso, le sue labbra mi baciarono con furia, la sua lingua mi cercò.
Mi stavo eccitando, e non sapevo come fermarmi.
La volevo. Volevo andarle sopra, baciarla, toccarla, farla ansimare su quel maledetto letto, farla godere e urlare di piacere e farle dimenticare una volta per tutte quel bastardo che l’aveva fatta soffrire.
Ma era ubriaca, e non ero sicura che fosse nel pieno della sua lucidità.
Non volevo che se la prendesse con me, o peggio che mi accusasse di aver approfittato di lei mentre non era in grado di intendere e di volere.
Tuttavia non riuscii a resistere alla tentazione di mettere le mani sotto il vestito.
Era impossibile resistere al suo fondoschiena perfetto e alle sue cosce.
Con la lingua accarezzava il mio collo, facendomi perdere la lucidità e la forza necessarie per allontanarla, e scoprire quella pelle divina, fino a quel giorno ben nascosta, mi portava a volere di più da lei.
Di più di quanto mi fossi imposto di prendere… per quella notte.
Tutto di lei mi eccitava, come le sue mani che rapidamente mi sbottonavano la camicia.
Questa volta fui io ad andarle sopra, e mi insinuai tra le sue gambe.
Volevo assaggiarla per avvertire la delicatezza della sua pelle, e lo feci.
Le lasciai una lunga scia di baci umidi sulla gola, e dalle sue labbra uscì un gemito sommesso quando presi a succhiarle il collo. Volevo che avesse un segno che le ricordasse questi momenti, un segno del fatto che era stata di mia proprietà… anche se non pienamente. Non ancora.
- Ora è meglio che tu vada a letto. – le dissi, raccogliendo tutto il mio autocontrollo (messo a dura prova da una Bethany maliziosa e sorridente).
- Adesso? Io volevo giocare ancora un po’ con te… -
- B-Beth è tardi. Vai nel letto di Will. Domani continuiamo ok? –
- Mmm… dai Matt… – si sollevò dal letto e mi diede un bacio, al quale risposi con passione.
- Buonanotte. – le dissi, costretto ad abbandonare quella bocca celestiale.
 
Di Matt e Bethany non c’è nessuna traccia, constatai, dopo aver fatto, per l’ennesima volta, il giro della discoteca, dentro e fuori. Ma dove si erano cacciati?!
Cercai Ileen e Chase per chiedere loro se sapevano dove fossero andati e li trovai seduti su un divano a bere qualcosa.
Mi avvicinai a loro e mi sedetti a mia volta.
- Ehi Prue! Mi chiedevo per quanto tempo ancora volessi umiliare Will al bowling. – esclamò con un sorriso. A quelle parole mi sentii soddisfatta di me stessa, e sul mio viso si dipinse un’espressione compiaciuta.
- Effettivamente avrei potuto lasciarlo vincere almeno una volta, ma non sarebbe stato altrettanto divertente quanto vederlo perdere. – Ileen scoppiò in una risatina e Chase finì con un sorso il suo cocktail – A proposito… avete visto Bethany e Matt? Li stavo cercando. – continuai, sperando che potessero darmi una risposta.
- Sono tornati a casa. Mentre tu umiliavi Will la povera Bethany si è scolata un po’ di alcool e Matt si è offerto di accompagnarla a casa. Poveraccia, aveva bisogno di sfogarsi un po’. – spiegò Chase, con un tono di voce dispiaciuto. Bethany non era la classica tipa che in discoteca beveva, solitamente preferiva ballare per tutta la notte. Doveva essere successo qualcosa, e dal modo in cui Chase mi aveva risposto pareva che lui ne sapesse qualcosa.
Ma non era questo che mi preoccupava. Le passerà, come sempre.
C’era una cosa che doveva sapere a proposito di Bethany.
- COOOOSA???!!! Li hai lasciati da soli??? – esclamai, sgranando gli occhi.
- Ehm… sì, perché? Non dovevo? – domandò Chase, confuso.
- Beh, sarebbe stato preferibile che non lo facessi. Mia cugina quando si ubriaca è un po’… come dire… vivace. – cercai di non usare la parola ‘ninfomane’.
- Tutti lo siamo. –
- No Chase, lei è… vedi lasciandola sola con Matt lei potrebbe… fare qualcosa che da sobria non farebbe. -
- Prue, non ti seguo. –
- Potrebbe saltargli addosso! – sbottai.
- Non vedo quale sia il problema. Tanto, giorno in più, giorno in meno… quei due scopano ugualmente. E credo che lo farebbe pure da sobria. –
- Su questo non c’è nessun dubbio, ma mia cugina si incazzerebbe tantissimo con te e con me. Credo che anche tu abbia capito come è fatta ormai. –
- Perché dovrebbe incazzarsi con noi? –
- Penserebbe che l’abbiamo lasciata da sola con Matt apposta. –
- Matt non se la scoperebbe mai da ubriaca. –
- Io non ci metterei la mano sul fuoco sai… -
- Oh io sì. Hai mai sentito parlare di orgoglio maschile? –
- Può darsi, ma non capisco cosa c’entra. –
- Non è difficile da capire. Scoparsi una ragazza da ubriaca non ci soddisfa abbastanza. La maggior parte dei maschi preferisce conquistarsi qualcosa, e lo stesso discorso vale nei confronti di voi ragazze. Matt non è un idiota, ma è molto orgoglioso. –
- Mi stai facendo capire che Matt non se la farebbe da ubriaca perché non lo soddisferebbe del tutto? –
Chase annuì e io ribattei, inalberandomi:
- Ma… ma… è un discorso maschilista e stupido! –
- Ed è anche la realtà dei fatti tesoro bello. –
Sbuffai, e per niente convinta, percorsi la sala con lo sguardo, alla ricerca di quel bradipo di Will.
- E Will? – gli chiesi spazientita.
Quello per tutta risposta scrollò le spalle in una tipica espressione da ‘Ehi! Io non l’ho visto!’.
- Okay, va bene, lo vado a cercare! – sospirai, sollevandomi dal divano. Le luci confondevano la vista già scarsa di per sé, e trovare quello scemo di Will mi sembrava un’impresa irraggiungibile.
Fortunatamente lo incontrai quasi subito, mentre chiacchierava animatamente con una ragazza dai capelli rossi. Sbuffai e mi avvicinai a lui, intenta a troncare sul nascere ogni possibilità che aveva di procurarsi un appuntamento con lei. C’erano cose più importanti a cui dare attenzione!
Mia cugina era ubriaca e, come se non bastasse, sola in compagnia di un ragazzo che se avesse voluto se la sarebbe tranquillamente scopata.
Non che non fosse una cosa tanto grave, ma se proprio dovevano fare porcate, era meglio che le facessero da sobri; almeno mia cugina non mi avrebbe potuto dare nessuna colpa!
Perché prima o poi sarebbe comunque accaduto.
- Will, non per essere scortese, ma devo chiederti urgentemente un favore! – gli dissi perentoria, osservando la tizia che aveva davanti con sguardo glaciale.
Era una ragazza carina, ma troppo spenta, a differenza di tutte le ragazze che avevo visto quella sera. Aveva un’aria depressa e questo dava ai suoi occhi azzurri una sfumatura di tristezza che non passava inosservata.
- Prue, non vedi che sono impegnato in una conversazione? – sbottò quello, guardandomi storto.
- Ne sono pienamente consapevole, ma te lo ripeto: è urgente. –
- Ho capito, è il caso che me ne vada. Comunque io sono Martha. – si presentò la rossa con un sorriso acceso quasi quanto i suoi occhi.
- Piacere, Prudence. Scusa se interrompo la vostra conversazione, ma Will ora deve proprio venire con me. – le spiegai, brevemente. Mi sentii in colpa per il mio tono duro e il mio sguardo imperturbabile, dopotutto quella ragazza sembrava così fragile.
Avevo paura di ferirla con quelle parole.
- Capisco. Vabbè Will caro, ci si sente per telefono. – salutò Martha e, dopo aver lasciato un bacio sulla guancia del ragazzo e un mezzo sorriso come saluto, si allontanò.
Prima che lui potesse chiedermi spiegazioni, gli chiarii il motivo per cui mi serviva la sua presenza.
- Dobbiamo tornare a casa immediatamente. –
- Ah e per quale ragione?! – esclamò quello, indispettito.
- Ok, lo so che mi sono comportata da maleducata con quella ragazza, ma non l’avrei mai fatto se non fosse per un motivo valido. –
- E sarebbe??? –
- Mia cugina si è ubriacata e Matt l’ha accompagnata a casa… - cominciai, ma venni interrotta.
- Io cosa c’entro in tutto questo? –
- Fammi finire di parlare! Dicevo che dobbiamo tornare a casa per controllare la situazione. – ad ogni parola, appariva sempre più confuso.
- Controllare la situazione? C’è già Matt a controllarla, o no? –
- Non è questo il punto. Bethany quand’è ubriaca fatica a trattenersi. –
- In che senso? –
- Se continuo così andrà per le lunghe, perciò arrivo al sodo. Mia cugina ubriaca potrebbe diventare peggio di una ninfomane. Sono più che certa che sia già saltata addosso a Matt! Non vorrei che in questo momento stia facendo qualcosa di cui si potrebbe pentire al suo risveglio. O peggio ancora, che possa incolpare me! Capisci? –
- Tu mi stai dicendo che in questo momento quei due stanno facendo…? – mi limitai ad annuire.
 
- Spero solo che il tuo amico sia un minimo intelligente! – esclamai, sperando con tutto il cuore che stessero solamente dormendo.
- Matt non è uno scemo, anche se a volte i suoi modi di fare fanno sorgere qualche dubbio in proposito. – sussurrò Will, varcando la soglia di casa in punta di piedi.
Gettai la borsetta sul divano e mi tolsi le scarpe per non fare rumore.
Giunti davanti alla porta della mia camera, constatai che era vuota e che Bethany non stava nel suo letto. Merda, merda, merda.
- Credi che…? – sussurrò lo smielato. Lo interruppi scuotendo bruscamente il capo, più per scacciare quel pensiero dalla mente che per dargli una risposta.
- Non ci voglio nemmeno pensare! –
Infine mi piantai di fronte alla porta della camera a fianco e, preso un bel respiro profondo, aprii la porta.
Dormivano entrambi, in letti separati, ma quando vidi il vestito nero di Bethany sul pavimento venni assalita dai dubbi. Era mezza nuda, coperta soltanto dal lenzuolo bianco del letto di Will.
- Spero solo che non sia stato Matt a spogliarla. – sussurrai, osservando la camicia di Matt vicina al vestitino nero.
- Vabbè, lo scopriremo soltanto al loro risveglio. – borbottò Will, con la mia stessa espressione dubbiosa.
- Già… beh, dato che dormono e che fino a domani non saprò come sono andate le cose me ne vado a letto pure io! Buonanotte. – chiusi la porta della camera e con uno sbadiglio feci qualche passo assonnato verso la mia stanza.
- Ehi! E io??? – protestò Will, indignato.
- Tu cosa? – sollevai un sopracciglio.
- Tua cugina è beatamente addormentata sul mio letto, mi vuoi spiegare dove dormo io?! –
- Oh beh, non è affar mio sinceramente. Prova il divano. –
- Eh no bella! Non rinuncerò ad un letto morbido per le cazzate di tua cugina! –
- Se pensi che ti farò dormire in camera mia ti sbagli di grosso. –
- Dai… che cosa ti costa in fondo? Tua cugina dorme nel mio letto e io dormo nel suo. Che problema c’è? È uno scambio equo. –
- Secondo te ho intenzione di condividere la mia stanza con un esemplare di scimmia come te?! –
- Se proprio vuoi saperlo, la prospettiva di dormire nella stessa stanza dove ci sei tu non entusiasma nemmeno me, ma sono stanco e voglio dormire su un letto! –
Sospirai, poi gli puntai un dito contro.
- Se russi… ti soffoco nel sonno! – puntualizzai, lanciandogli uno sguardo degno di un serial killer – avvicinati al mio letto e dirai addio per sempre ai tuoi gioielli di famiglia! –
Will sgranò gli occhi, ma io non gli badai.
- Il resto si vedrà. – gli voltai le spalle ed entrai nella mia stanza.
- Alt! – esclamai, prima che Will facesse ingresso nella camera da letto – Mi devo cambiare! – e, dopo aver pronunciato queste ultime parole, gli chiusi elegantemente la porta in faccia.
 
Parlottai infastidito, mentre mi dirigevo verso il bagno.
Quella strega ancora una volta aveva dato prova della sua acidità.
Come mi sarebbe piaciuto poterla zittire almeno per un attimo!
Prima manda a monte un mio possibile appuntamento con una ragazza, poi minaccia di decapitarmi le palle! Roba da matti!
Donne, pensai mentre mi sfilavo la maglietta, chi le capisce è bravo!
La lanciai nel cesto dei panni sporchi insieme ai jeans.
Mi sciacquai la faccia e sbuffai.
Ma dimmi tu se devo condividere la stanza con quella! pensai, dirigendomi lentamente verso la stanza della mia aguzzina. Sì, esatto, aguzzina.
Quella ragazza era decisamente inquietante, e quando la intravidi infilarsi una maglia della Juve ne ebbi la conferma. Oltre ad essere acida, rompipalle e aggressiva era pure Juventina!
L’ennesima disgrazia!
Entrai accigliato nella stanza e la vidi guardarmi male.
- Aspetta un attimo! Non penserai di dormire nella MIA stanza mezzo nudo spero! –
Sollevai un sopracciglio, osservando il suo pigiama.
Maglia della Juve e boxer.
Lei si accorse del mio sguardo e arrossì di botto.
Senza degnarla di una minima risposta, mi accomodai sul letto vuoto.
- Tzè, Juventina! – borbottai, abbastanza forte da farmi sentire.
- Cos’hai contro le juventine?! –
- Sono solo dei ladri! –
- Ah e sentiamo! Che squadra tifi tu allora?! –
- Roma tutta la vita. Altro che Juve e Juve! – le risposi, divertito.
Il suo sguardo, però, mi confuse.
Era divenuto improvvisamente assente, quasi malinconico.
Mi ricordò tanto l’infelice ragazza dai capelli rossicci conosciuta quella sera, Martha.
La vidi mordersi un labbro e distendersi sul letto con aria afflitta, per poi coprirsi con il lenzuolo azzurro.
Era girata di spalle e, se non fosse stato per quel suo cambiamento di umore così repentino, l’avrei lasciata riposare in santa pace.
Ma volevo capire…
- Prudence? – la chiamai, sconcertato.
- Buonanotte Will. – il suo era il tono di chi non aveva nessuna intenzione di parlare.
- Ho detto qualcosa di sbagliato? –
- Buonanotte. –
- Porco Parmigianino rispondimi! – cominciavo a seccarmi.
- Se sei venuto qui per farmi incazzare, è il caso che te ne vada. – rispose, rigida come marmo.
- Non ti sopporto quando fai così! – esplosi, stringendo il pugno sul guanciale.
- Buonanotte Will. –
D’istinto le tirai in testa il cuscino, che le arrivò proprio sulla nuca.
Per un attimo rimase immobile, ma sapevo bene che l’esplosione era vicina.
Difatti, tempo due secondi e me l’aveva già scaraventato contro.
- Vedi di smetterla! – sbottò, categorica.
Per tutta risposta la ignorai e le buttai nuovamente addosso il cuscino.
- Adesso basta!!! – finalmente si voltò a guardarmi e, mettendosi in ginocchio sul materasso, me lo rispedì in piena faccia.
Scoppiai a ridere e diedi inizio all’ormai inevitabile battaglia di cuscini.
Sembrava che la tristezza di Prudence, di qualunque natura fosse, avesse lasciato il posto ad una momentanea tranquillità. Ora era sicuramente troppo impegnata a spedirmi il suo cuscino sul naso, per pensare a ciò che poco prima le aveva cancellato il sorriso.
Dopo avermelo lanciato per l’ennesima volta, mi accorsi che si avvicinava furtivamente con un altro cuscino (probabilmente tirato fuori dall’armadio di nascosto), così mi sollevai di scatto e la presi per i polsi, spingendola dalla parte opposta del letto.
- No, no, no, no, no…! - protestò ridendo e la feci cadere sul suo letto, ormai completamente disfatto.
- Sì, sì, sì, sì! – la canzonai, strappandole il cuscino dalle mani e gettandomelo alle spalle.
Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente, e il suo respiro echeggiava nel silenzio della stanzetta. Lentamente vedevo il suo sorriso svanire mentre i nostri sguardi si incontravano e bruciavano nel buio, mentre senza accorgermene i nostri visi si ravvicinavano.
E ritornava quel suo sguardo lontano, stranito.
- Forse è il caso che tu vada a dormire Will. – sospirò, quando fui talmente vicino da sfiorare il suo naso con il mio.
- Forse è il caso che tu ti stia zitta. – baciai le sue labbra, illuminate dal bagliore della Luna, e le spostai i capelli che, nel tentativo di vincere la battaglia, le erano scivolati sul viso.
*
Mi sciacquai il viso con acqua ghiacciata, nel tentativo di lavare via il sonno accumulato quella notte.
Sì, esatto. Non avevo chiuso occhio, tutta colpa di quell’idiota di Will e del suo stupido ed insensato bacio!
Chissà che gli è preso… pensai, osservando il mio riflesso insonnolito allo specchio.
Probabilmente, guardandomi in faccia, chiunque avrebbe capito che avevo passato una notte d’inferno.
Sbuffai e mi appoggiai al lavandino.
Qui ci vuole un bel po’ di fondotinta, pensai, prendendo il beauty-case dallo sportello del bagno e spalmando sulle occhiaie una bella quantità di correttore.
Bene, ora andava decisamente meglio. Per modo di dire.
Mi frullavano tante cose in testa: erano troppe le domande che mi assillavano.
Come mi sarei comportata con Will al suo risveglio? Ci avevo riflettuto tutta la notte, ma non ero riuscita a trovare una soluzione. Era il caso di fare finta che nulla fosse accaduto, oppure chiedergli ulteriori spiegazioni al riguardo?
Toc. Toc.
- Sto uscendo… - esclamai e, riposto il correttore nel beauty, uscii dal bagno, lasciando passare un assonnato quanto spettinato Will. Ci guardammo, ma non ebbi il coraggio di dire nulla, così abbassai lo sguardo e mi trascinai in cucina.
Avevo fame, perciò mi preparai una colazione sostanziosa, assorta da mille pensieri.
Mille pensieri che riguardavano tutti quanti lo stesso individuo.
Idiota, pensai, addentando il mio toast.
Ero talmente nervosa che a malapena mi resi conto di Matt che, insonnolito e mezzo nudo come al solito, canticchiava alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Questo buonumore improvviso è sospetto!
Lo osservai torva finché non si sedette a tavola, poi abbassai lo sguardo sul mio caffèlatte e ne bevvi un sorso. Non sapevo come tirare fuori l’argomento ‘Ti sei scopato Bethany???’, così decisi di fare finta di interessarmi ai suoi presunti incontri della sera prima.
Se l’avessi preso alla sprovvista avrebbe risposto con sincerità alla domanda ‘Ti sei scopato Bethany???’
Era sempre stato un metodo infallibile.
- Buongiornooo Matt! Ti vedo di buonumore! Ieri è stata una serata interessante? – esordii, fingendo reale interessamento.
Quello mi rispose, allegramente:
- Oh altroché! Molto interessante… - Sfido, se ti sei scopato mia cugina!
- Conosciuto qualcuno di nuovo? –
- Un paio di ragazze francesi che non capivano un accidente della mia lingua. –
- Ah e… ehm… com’erano? –
- Carine, ma pur sempre francesi. –
- Eh già eh! Che sfortuna. – Se la sarà scopata???
Vidi con la coda dell’occhio lo smielato sedersi sulla sedia di fianco a Matt.
Dovevo proseguire l’interrogatorio e non potevo assolutamente permettere al suo sguardo di distrarmi.
C’era in gioco la mia vita, dannazione!
- Non mi è andata poi così male però… - Oddio, potrebbe essersela scopata.
- Davvero??? – esclamai, con un po’ troppa enfasi.
- Sì, verso la fine della serata… ci sono stati dei risvolti piuttosto interessanti. –
- Ah ecco… - Silenzio. Risvolti interessanti eh?! Che cavolo di risvolti???
Mangiucchiavo nervosamente il toast, mentre mi chiedevo in che modo sarebbe stato meglio porgli la fatidica domanda. Ovviamente, da brava pasticciona quale ero, scelsi il momento e il modo meno adatto.
- INSOMMA! TE LA SEI SCOPATA??! – mi sfuggì.
A Matt, preso impreparato, andò di traverso il succo d’arancia.
Will si limitò a dargli qualche pacca sulla schiena per aiutarlo a non soffocare.
- Ma che diavolo…??? - farfugliò, esterrefatto.
- Andiamo, rispondimi! Te la sei scopata sì o no Bethany? –
Gli ci volle qualche attimo per riprendersi del tutto, poi rispose:
- Me la sarei fatta molto volentieri, ma ho preferito rimandare a quando sarà lei a volerlo… da sobria. –
Tirai un sospiro di sollievo e mi abbandonai allo schienale della sedia, decisamente meno tesa.
- Come mai tutta questa felicità all’idea che io e tua cugina non abbiamo fatto sesso? Non rispecchio il tipo di ragazzo che vorresti stia con lei? – domandò quello, impassibile.
- Non dire assurdità. Anche se non sei certamente un ragazzo esemplare per delicatezza e intelligenza, questi non sono affari miei. –
- E allora qual è il problema? –
- Sai com’è fatta Bethany. Mi darebbe la colpa di averla lasciata da sola con te apposta se succedesse qualcosa mentre è ubriaca. Avrai notato come si comporta quando beve troppo. –
- Secondo me è stato il mio fascino ad averle fatto venire tanta voglia di venire a letto con me. –
- Il tuo fascino un corno! Puoi anche scordarti che vengo a letto con te, brutto idiota. – sbottò Bethany, apparendo come un fantasma sulla soglia della cucina. Si massaggiava le tempie e pareva di pessimo umore. Come darle torto! Con tutti i cocktail che si era scolata la notte prima…
- Sono lo stesso idiota che ieri hai cercato di spogliare, ricordi? O vuoi che ti rinfreschi la memoria? – Matt se la stava decisamente cercando. Mai (e dico MAI) farla incazzare quando si alzava con il piede sbagliato. In pratica… MAI FARLA INCAZZARE.
- Sei spiritoso come un gallo con le emorroidi! – replicò quella, gettandosi a capofitto sul divano.
- Buongiorno bella addormentata. Ti conviene fare una colazione con i fiocchi, perché tra un po’ dovrai darmi qualche spiegazione! – le dissi, attenta a non farmi sentire dagli altri.
- Accidenti Prudence, non è successo niente con quel… coso! – sbraitò, riferita a Matt.
- Il coso ha un nome. – le rispose il diretto interessato.
- Non mi riferivo a Matt, in fondo quello che fate sono soltanto affari vostri; io parlo di ieri notte. È successo qualcosa? – era incerta su cosa rispondere, ed il suo sguardo ne era la conferma.
La situazione mi preoccupava da morire: qualcosa era accaduto (era scontato) ma dovevo scoprire cosa.
- Manuel. – rispose in un sussurro, distogliendo lo sguardo.
Appena udii quel nome, non ci vidi più dalla rabbia.
- Che cosa vuole ancora quel sottaceto?! Non gli basta quello che ti ha fatto??? – avevo parlato ad alta voce e tutta l’attenzione era concentrata su di noi.
- Perché cavolo urli? Mi scoppia la testa! –
- Non me ne importa un accidente! Cosa voleva?!!! –
- Possiamo sapere anche noi che cosa sta succedendo? – s’intromise Will, guardandomi sorpreso.
- Assolutamente no! – esclamai, irata. Quel tizio non si sarebbe mai dovuto permettere di intromettersi ancora nella vita di mia cugina, gliel’aveva già rovinata a sufficienza.
- Prue, per favore… datti una calmata, non è successo niente di che. – continuò Bethany, mordendosi il labbro inferiore, in una classica espressione da ‘forse era meglio tacere’.
- No che non mi calmo! Quello stronzo mi ha rotto le scatole. Ora lo chiamo e gli dico di andarsene dritto dritto a fare in… - feci per prendere il telefonino dal tavolo, ma Bethany fu più veloce e lo prese per un soffio, nascondendoselo sotto il sedere.
- Vedi. Di. Stare. Tranquilla. – scandì, con un sospiro.
- Possiamo sapere di cosa state parlando oppure dobbiamo uscire dalla stanza? – si intromise Will, alzando la mano come un perfetto scolaretto.
- Non sono affari… - iniziai, alterandomi.
- Eh, Will non è niente di importante. È semplicemente una scocciatura che non merita tanta attenzione, tutto qui. – mi interruppe Bethany, lanciandomi uno sguardo che mi intimava di tacere.
Gli avvenimenti della notte scorsa mi avevano resa ancora meno tollerante nei confronti di Will e, se prima non sapevo come comportarmi nei suoi confronti, ora ero decisa a trattarlo come al solito, se non peggio. Ora che avevo saputo che Manuel era riapparso nella vita di mia cugina, ovviamente pronto a romperle le palle, ero ancora meno incline alla gentilezza.
- Forse è meglio che ne parliamo in camera Bethany! – le dissi, lanciando sguardi omicidi allo smielato e alzandomi il più in fretta possibile.
- sì, hai perfettamente ragione. Non è il caso di parlarne qui. – sospirò rassegnata, seguendomi per il corridoio. Chiusi la porta a chiave e mi preparai al mio interrogatorio.
- Adesso: dimmi che diavolo è successo ieri sera! Ci dev’essere un buon motivo sotto per esserti scolata tutti quei cocktail, lo sai vero??? –
- Manuel mi ha tempestata di messaggi e chiamate. –
- E perché? –
- Perché non gli ho parlato della mia partenza. –
- Ah, e si aspettava anche che tu glielo dicessi?! Dopo tutto il male che ti ha fatto? Che gran faccia di… -
- Ehi, vacci piano. Non gli ho risposto, e non credo che lo farò nemmeno ad un suo futuro messaggio. –
- Beh, me lo auguro! – esclamai. Ero decisamente incazzata, e la mia espressione non lo nascondeva di certo.
- Scusami Prue, ma ero disperata. Avevo bisogno di bere un po’. – si scusò, con un’espressione colpevole in viso.
- Già. La prossima volta che succede qualcosa, prima di scolarti tutta la vodka della discoteca, avvisami. Per un attimo ho creduto che avessi scopato con Matt! –
- Credo di averci provato, in ogni caso. – ammise, apparentemente schifata.
- è inutile che fai quella faccia cuginetta, sappiamo entrambe che ti sarebbe piaciuto. –
Il suo viso di colorò di rosso: la mia affermazione l’aveva imbarazzata, e non poco. Non poteva negare che Matt le piacesse; era palese.
- Ma che stai dicendo?! È solo un idiota! –
- Un idiota con un fisico da modello e alquanto interessato a portarti a letto. –
- Va bene, se hai finito con le domande io torno in cucina: ti ricordo che mi fa male la testa. –
- Sì, certo. Quando si parla di argomenti scomodi scappi eh? – le dissi scherzosa, prima che chiudesse la porta della camera. Matt le piaceva da morire, non poteva negarlo, ma forse non era ancora pronta ad ammetterlo neppure a se stessa.








NdA: Sì lo so che mi volete uccidere ç_ç o che vi piacerebbe rincorrermi con una mazza chiodata tra le mani.
Ma non avevo voglia di aggiornare l'altro giorno XD
Beh, non ho ritardato di molto, ma questo capitolo è cortino per i miei standard.
Solo che non potevo aggiungere altro.
Qui viene introdotto un personaggio importante: indovinate chi è?
Non lo indovinerete mai XD ma non importa, la sorpresa sarà maggiore in seguito.
Ora, ringrazio sempre quelle anime pie tanto dolci che mi seguono e che si sbattono per recensirmi: vedo con tanto piacere che chi la aggiunge alle seguite è in netto aumento *-*
Questo mi fa capire che mi volete bene (???).
Comunque, basta cazzate, spero che recensiate anche questa seconda parte, e che aspetterete al prossimo capitolo ;D
Grazie ancora, io amo voi (L)
Kiss kiss, Frens

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Capitolo 10
*** 10. Persecuzione o perfezione? ***


Persecuzione o perfez...
NO, persecuzione!
capitolo 10




I giorni passavano e, più cercavo di stare alla larga da Matt, più me lo ritrovavo in mezzo ai piedi. 
Abitare nello stesso appartamento non era facile, specie quando il ricordo di quella famosa notte faceva capolino tra i miei pensieri.
E questo, ahimè, capitava ogni volta che lo vedevo. 
Sì, ricordavo ogni particolare di quella sera.
Ogni minimo istante mi passava davanti come un film. Tutti i giorni.
Mi ero ripromessa che l’avrei ignorato almeno fino a quando non sarebbero iniziate le lezioni all’Università, che mi avrebbero preso il tempo necessario per dimenticare quello sfortunato ‘incidente’.
Il pensiero di entrare a far parte di quel nuovo mondo mi affascinava e allo stesso tempo mi spaventava.
Ogni tanto ne parlavo con mia cugina, prima di addormentarmi, e la sua positività mi tranquillizzava e mi inondava di una forza che solo lei sapeva darmi.
Cavolo, come avrei fatto senza di lei!
Rendeva meno pesante anche il dover convivere ogni giorno con la furia di Manuel, che continuava a inviarmi messaggi, che ormai nemmeno leggevo più.
Un giorno, forse, avrebbe capito che stava solo sprecando tempo.
Sì, anche per questo motivo non vedevo l’ora che tutto cominciasse, che l’università mi risucchiasse nel suo frenetico vortice: per riuscire a lasciarmi tutto alle spalle.
Detto così tutto sembra facile. Sì, certo… magari!
Sapete qual è il dramma?
Matt è iscritto alla mia stessa facoltà.
 
- Prudence: è una sfiga!!! Lo capisci vero? – esclamai, nervosa.
- Dai, suvvia, non è poi così grave. – tentò Prue, ma era palese che anche lei la pensasse al mio stesso modo. No forse aveva ragione: non era sfiga… era una TRAGEDIA!
- No infatti! Devo soltanto seguire i suoi stessi identici corsi e trovarmelo tra i piedi ogni santo giorno, pure all’università! – strillai, scettica.
Non era nemmeno una tragedia: era di gran lunga peggio.
- Dai calmati. Sono sicura che riuscirai ad affrontare la situazione nel migliore dei modi: devi solo stare cal… - lo vedevo dal suo sguardo: nemmeno lei era convinta di quello che stava dicendo.
- Dirmi di stare calma è completamente inutile! Non ce la faccio. È umanamente impossibile. –
- Magari Matt potrebbe decidere di starti alla larga, o meglio ancora potrebbe mettere da parte le sue… ehm… distrazioni per dedicarsi totalmente allo studio. – alle sue parole, dalle labbra mi uscì una risata che poco sapeva di allegria.
- Secondo te Matt metterebbe da parte le sue distrazioni per studiare? –
- No, ma era solo un’ipotesi per evitarti una crisi nervosa. –
- Sai, non credo che riuscirai ad evitarmi una ormai imminente crisi. –
- Vabbè, cerca di pensare posit… - una mia occhiata omicida la zittì.
Pensare positivo non era possibile.
La mia pazienza e la mia esigua positività erano andate a farsi fottere con la speranza di poter ignorare quel gorilla di Matt.
Qualcuno bussò alla porta. Nulla di strano: eravamo chiuse in bagno da almeno mezz’ora.
- Stiamo uscendo. – sbottai, e dopo aver recuperato il mio pigiama (e mia cugina) aprii la porta.
Cazzo. Rieccolo.
Persecuzione o forse perfezione… NO, persecuzione.
- Buongiorno Matt. – lo liquidai, prima che potesse fare qualche battutaccia.
- Buongiorno anche a te, dolcezza. Siamo allo stesso corso, ho saputo. – se la mia faccia alla sola idea era terrorizzata, la sua era decisamente soddisfatta.
Persecuzione.
Tuttavia sorrisi.
- Già. Credo di essere abbastanza schifata alla sola idea di andare alle tue stesse lezioni senza che tu me lo ricordi. –
- Addirittura schifata? I tuoi sentimenti nei miei confronti sono mutati così tanto? – nonostante il chiaro riferimento a quella famosa notte, riuscii a mantenere un contegno che rasentava l’indifferenza più totale, anche se dentro mi sentivo bruciare.
Il rossore non divampava sulle guance, ma mi sudavano le mani.
La visione del suo magnifico corpo non faceva altro che ricordarmi che lo volevo, ma anche che dovevo stargli lontana.
- Ora che il bagno è libero dovresti entrarci, non credi? – mi voltai e mi diressi a passo veloce in camera, dove già si stava vestendo Prudence.
Mi chiusi la porta dietro le spalle e sospirai, sgranando gli occhi.
- Non ce la farò mai. – piagnucolai, guardando mia cugina confrontare due camicette.
- Mh, quella blu o quella rossa? – mi chiese, ignorandomi prontamente.
- Grazie di avermi ascoltata. Comunque quella rossa. –
- Scusa, ero troppo impegnata nella contemplazione di queste due camice per darti ascolto. Comunque mi devo ricredere: non ci vedo niente di positivo nel condividere le lezioni con Matt. Sai com’è… si comincia condividendo le lezioni e si finisce per condividere il letto. –
- PRUE!!! – strillai, questa volta arrossendo. Le tirai un cuscino, che lei bloccò.
- Perché ti incazzi? In fondo, visti i precedenti non mi meraviglierei più di tanto. –
- Io non condividerò mai, e dico MAI, il letto con quella scimmia. –
- Cugi, dicono tutti così! Dai, non prendiamoci in giro… ho visto come vi guardate. È solo questione di tempo. – ripiegò le camicette in completa tranquillità e le ripose nel cassetto – Però prima di occupare la stanza avvisami per tempo, così mi trovo una sistemazione. –
- Scusa, in che modo ci guardiamo? –
- Tu lo violenti con lo sguardo, lui idem. Dai, siete così belli insieme… -
Alzai lo sguardo al cielo e aprii l’armadio per cercare qualcosa di carino da mettermi.
Di pomeriggio sarei andata a farmi un giro: non potevo stare in casa con Matt a piede libero.
Trovai una minigonna in jeans ed un top arancio e le gettai sul letto senza farmi troppi complessi come Prudence, che ancora confrontava due paia di pantaloni, senza sapere quale indossare dei due.
Staccai il telefono dalla carica e, uscita dalla camera da letto e approdata in cucina, lessi gli ultimi due messaggi di Manuel: uno era di due ore prima, l’altro di appena 6 minuti prima.
“So che non ho il diritto di mandarti tutti questi messaggi, ma non so davvero che mi prende. Forse mi manchi, ma non lo so nemmeno io. Sono confuso.” Avresti dovuto pensarci prima.
“L’ho lasciata. Ti prego, rispondi almeno a questo. Non può lasciarti indifferente! So che sei innamorata di me e che ti ho ferita, ma ti prego… fatti sentire. Mi manchi.”
Sentii la terra mancarmi da sotto i piedi. Non ero per niente contenta di quello che avevo appena letto: ero furiosa.
Le mie dita composero il suo numero e in un attimo stavo chiamando. 
Mi appoggiai al bancone della cucina.
Non tardò a rispondere, ed io non tardai ad attaccare il mio discorso.
- SEI UN COGLIONE, e ci tenevo a fartelo sapere. Si può sapere che ti passa per la testa?! Credi davvero che tempestandomi di messaggi e chiamate (la maggior parte nel cuore della notte) tutto si possa aggiustare come se nulla fosse? Sono partita Manuel, PARTITA. Hai presente? Mi sto rifacendo una vita, e non ho nessuna intenzione di averti ancora in mezzo ai piedi! Hai mollato la tua ragazza? Bene, cazzi tuoi. Cosa credi di dimostrare? Sei voluto tornare con la tua ex, mi hai lasciata, sempre cazzi tuoi. Io ho pianto per te. – esclamai tutto d’un fiato, interrompendo ogni suo tentativo di parlare.
La voce mi si spezzò sull’ultima frase, e con essa il mio cuore già sufficientemente mutilato.
stavo crollando, e sentivo i cocci cadere precipitosamente sul fondo del mio animo.
Lacrime di frustrazione e amarezza mi pungevano gli occhi.
Possibile che le mie parole non fossero sufficienti a fargli capire il dolore che aveva provocato dentro di me?
Mi asciugai velocemente gli occhi con il dorso della mano sinistra, maledicendomi per la mia debolezza.
Fortunatamente lui non poteva accorgersi che dall’altra parte del telefono stessi versando delle lacrime.
Se avesse potuto rendersene conto, sarebbe stato un vero disastro.
“So di averti fatto male, e ti sto chiedendo scusa. Ho commesso un errore madornale lasciandoti, non mi sono reso conto di aver fatto una grande cazzata…” non fece a tempo a finire la frase, che la mia rabbia stava già dettando nuove parole d’odio.
- CAZZATA?! Tu hai fatto una cazzata??? Forse non hai capito: io ho pianto per te. Ti sembra una cazzata? Un casino! Ecco che cos’hai fatto! Un fottuto casino, ed ora devi pagare. Non credere che io ti abbia chiamato perché mi fai pena: l’ho fatto solo per farti sapere quanto tu mi faccia schifo, e… –
Qualcuno mi strappò il telefono dalle mani e chiuse la chiamata.
Rimasi in silenzio per qualche secondo.
- Prue ma che ca..?! –
- Non sono Prudence. – sollevai lo sguardo e mi ritrovai Matt davanti.
Ero un disastro: avevo il volto cosparso di lacrime, e lui era l’ultima persona che mi sarei aspettata di trovarmi davanti.
Per di più, non avrei mai immaginato che avrebbe fatto una cosa simile.
Fossi stata nelle mie piene facoltà mentali gli avrei dato uno schiaffo: si era intromesso nella mia vita, e non avrebbe dovuto farlo.
- Ridammi il telefono. – gli imposi, con la poca calma che mi rimaneva in corpo.
- Non sei in condizioni di parlare al telefono. –
- Hai ragione, ma sono capace di darti un calcio nelle palle se non mi dai il telefono. – mi tremava la voce e intanto le lacrime continuavano a rigarmi il viso. 
La crisi era vicina a scoppiare per davvero.
- Lo so, ma non mi interessa. Lo sapevo che avresti ceduto: non fai che pensare a lui! Ignoralo, cambia numero se puoi, ma non cercarlo più se non vuoi che ti faccia ancora del male. A meno che tu non voglia stare di nuovo male come l’altra notte! Beh, se è questo che vuoi, riprenditi il telefono e fai quella fottuta chiamata. Ma poi non venire a piangere da me! –
- Perché dovrei venire a piangere da te? In fondo tu non mi rappresenti proprio niente. Anzi, se mi stai alla larga è anche meglio. – risposi pungente, prendendogli il telefono dalle mani.
- Non credevo che sapessi essere così acida. Ora capisco perché ti ha mollata. – rimasi sconcertata da quell’affermazione, pronunciata con così tanta leggerezza. 
Mi aveva ferita.
Il silenzio che seguì quella frase fu ricolmo di dolore. 
Avrei voluto dargli uno schiaffo, fargli male, ferirlo come le sue parole avevano fatto con me, ma la mano destra rimase lungo il fianco, continuando a stringere il telefono.
- Allora vattene. Dato che sono così acida non dovresti stare qui a parlare con me. –
- Hai proprio ragione. Divertiti con il tuo ex. – si allontanò, lasciandomi in compagnia dell’eco delle sue fredde parole: così brutali, e in fondo… così veritiere.
Chi mai avrebbe desiderato una ragazza come me al proprio fianco?
Fingevo che mi importasse più di questo che del modo in cui Matt mi aveva parlato, più delle sue parole che dei suoi occhi, che in così poco tempo mi avevano fatto mancare la terra sotto i piedi.
Il suo sguardo mi aveva congelato il cuore.
E quegli occhi, di solito accesi di un azzurro cielo paradisiaco, avevano scavato nelle mie iridi castane con una freddezza che mi aveva lasciata senza fiato.
Portai una mano all’altezza dello stomaco e quasi mi sentii male al ricordo.
Il nodo che avevo all’altezza della gola non era affatto svanito: lo sentivo ancora di più.
Venni scossa dai singhiozzi, e dopo aver fatto violenza su me stessa per frenarle, le lacrime scivolarono copiose sulle gote.
Se prima era stato il nervosismo a spingerle fuori dagli occhi, ora le mie erano vere e proprie lacrime d’amarezza.
Mi accasciai sul pavimento e mi misi le mani fra i capelli per evitare di urlare.
La crisi era arrivata, ed io ero seduta per terra, ancora in pigiama e con i capelli incollati al viso.
Non seppi per quanto tempo rimasi in quella posizione, ma qualcuno, dopo quella che parve un’eternità si chinò  su di me e mi baciò in fronte.
Sentii un sospiro.
- Giuro che come torno in Sardegna gli stacco il pisello. GIURO. – era la voce di mia cugina quella che stava imprecando – Non ha nessun diritto di farti stare così. – ero certa che se avessi sollevato lo sguardo per osservare la sua espressione l’avrei trovata preoccupata, perciò preferii tenere gli occhi ben chiusi.
La lasciai inveire contro Manuel senza avere nessuna voglia di spiegarle il vero motivo per cui ero in quello stato. Mi limitai ad annuire e ad ascoltarla, immobile e con il viso umido.
- Stasera andiamo a farci un giro al centro commerciale! E non voglio facce depresse come risposta. – dichiarò con enfasi, trascinandomi in piedi.
Mi alzai di malavoglia e le risposi con un mugugno.
- Bene, allora sarà meglio che mi riposi prima di andare. – biascicai, camminando in direzione della mia camera con un’andatura degna di uno zombie.
- Non pranzi? –
- No, non ho fame. – chiusi la porta e mi gettai a capofitto tra le lenzuola, abbandonandomi ad un lungo sospiro. Poi mi addormentai, sprofondando in un sonno sereno e senza sogni.
 
Indossai i vestiti scelti quella mattina e, dopo essermi accuratamente truccata, uscii dalla camera senza fare alcun riferimento all’accaduto con mia cugina.
Evitai lo sguardo di Matt per tutto il viaggio in autobus, che, neanche a farlo apposta, si era seduto sul sedile a fianco al mio.
Sapevo che mi stava volutamente ignorando, ed era decisamente meglio così.
Se avesse aperto bocca (una sola parola) probabilmente sarei scattata come una vipera.
Appena fummo arrivati alla fermata del centro commerciale balzai in piedi e mi allontanai da lui con espressione indecifrabile.
Che mi stesse guardando o meno, poco me ne importava.
Non avevo dimenticato ciò che aveva detto, e con quale tono l’aveva fatto: mi aveva inferto una pugnalata mortale dritta nell’orgoglio.
- Cugi, aspettami. – sentii Prudence chiamarmi da dietro; mi voltai e la vidi a qualche metro da me, seguita da tutta la comitiva.
Mi bloccai e quando mi raggiunse ripresi a camminare più lentamente, senza però dire una parola.
Chase si era accorto della mia strana apatia e alla prima occasione non si fece scrupoli a chiedermi che accidenti avessi per essere così silenziosa.
- Beth, per caso hai preso il posto di Matt come musona? – strinsi i denti per mantenere un comportamento distaccato, nonostante il biondino avesse appena nominato ‘il nemico’.
- Non credo che sarebbe possibile essere più asociali di lui… semplicemente sono ancora stanca da prima. Mi sono svegliata poco fa’, sai com’è. – la frecciatina nei confronti del moro non sfuggì al diretto interessato, ma invece di replicare come suo solito, mi lanciò una semplice occhiata indolente, riprendendo poco dopo a confabulare con Will.
- Sarà. Io ti vedo abbastanza pensierosa. – ribatté Chase lanciando un’occhiata fugace a Matt, ma vedendosi rispondere con una disinteressata alzata di spalle dalla sottoscritta, decise di lasciar cadere la discussione, nonostante si fosse già fatto un’idea ben precisa della situazione.
Eppure doveva aver capito che era meglio tacere.
- Bethany dai! Un po’ di vita! – esclamò lo smielato Will, passandomi un braccio intorno alle spalle.
Sospirai infastidita, ma non mi scostai dal suo abbraccio.
- Will, l’ho appena detto a Chase: sono ancora in stato di trance. –
- Nonononono signorina! Io non ci credo. Qua c’è lo zampino di un ragazzo. Chi ti ha trattata male dolcezza? Matt per caso?! – la sua doveva essere una battuta, ma in realtà scherzando aveva proprio colto nel segno.
Risi sprezzante e abbandonai i buoni propositi di allontanare una lite.
Le parole mi vennero fuori a fiotti dalle labbra, prima ancora che il cervello m’impedisse di lasciarle libere di uscire.
Come un fiume in piena, quelle parole abbatterono le mura imposte.
- Perché... Matt è capace di trattare bene qualcuno? – domandai sarcasticamente – Questa mi è davvero nuova. – l’attenzione di tutta la cricca era concentrata su di noi e la curiosità ormai era evidente sui volti di tutti.
- Sarò anche irrimediabilmente stronzo, come non manchi mai di ricordarmi, ma almeno io sono abbastanza intelligente da capire quando vale la pena di umiliarmi e quando no. –
- Io non mi intrometto nella vita degli altri, peccato che non possa dire lo stesso di te. –
- Possiamo sapere di cosa state parlando? – domandò Chase facendosi piccolo piccolo e alzando timidamente un dito in segno di appello, per paura di essere macellato seduta stante a causa della sua intromissione.
- Fattelo spiegare da quello là. – sbottai, rivolgendomi con toni poco carini verso l’idiota con cui, di lì a poco, avrei avuto un’accesa discussione.
- ‘Quello là’ ha un nome. – intervenne, gelido come il marmo, il ragazzo dagli occhi glaciali.
- Beh, a me poco me ne frega del nome di ‘quello là’. –
Lo sentii sbuffare da dietro le spalle, e pensai che la discussione si chiudesse lì.
Invece, senza preavviso mi caricò sulle spalle, incurante della mia minigonna (che metteva in serio pericolo la salvaguardia del mio corpo da occhi indiscreti).
- Ma che stai facendo, brutto stupido! Mettimi giù! – cominciai a prenderlo a colpi sulla schiena, ma il suo profumo a diretto contatto con la mia pelle stava mandando in tilt il mio già altalenante sistema nervoso.
Quella posizione era decisamente umiliante, ma allo stesso tempo interessante: potevo vantarmi di avere una visione diretta (e dall’alto) della magnificenza del suo culo.
Avrei lasciato le mie tracce, in caso di omicidio della sottoscritta: la saliva provocata dalla visione paradisiaca del suo deretano avrebbe contrassegnato la strada per un bel po’.
- Vado a fare una chiacchierata con la signorina. – il suo tono era glaciale come la sua espressione mentre lo annunciava solennemente al resto della compagnia.
Sperai perlomeno che qualcuno mi volesse aiutare, ma tutti risposero un tranquillissimo ‘Ok, ci vediamo al centro commerciale.’ come se il fatto che io fossi a testa in giù, probabilmente con le cosce all’aria, non gli interessasse minimamente.
Questa me la pagano… pensai sconsolata, meditando vendetta, mentre Matt mi trasportava chissà dove.
Non camminò molto, infatti due o tre minuti più tardi mi scaricò di malagrazia, parandosi subito innanzi a me.
- Wow, che bello! Ti ringrazio per il giro turistico, ma non era assolutamente necessario… SPIEGAMI PERCHÉ MI HAI PRESA IN QUEL MODO DA CAVERNICOLO! –
- Risolviamo la situazione. – rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Non c’è nulla da risolvere! –
- Io credo di sì. Se speravi che io tollerassi le tue battutacce per tutta la sera ti sbagli. –
- A dire il vero mi auguravo di riuscire ad ignorarti, ma sei talmente antipatico che mi riesce impossibile anche tacere. –
- Allora credo che sia meglio chiarire subito. Non che tu mi sia molto più simpatica di quanto io lo sia a te, ma per una convivenza civile forse è il caso di parlarne. –
- Va bene! –
- Incomincio con il dire che sei una stupida, una sciocca e un’arrogante… - lo interruppi, sollevando un sopracciglio, e dissi – Evvai! Mi fa piacere che hai quest’alta considerazione di me… -
- …ma soprattutto sei testarda, e masochista! E se non ti avessi strappato il telefono dalle mani ti saresti sicuramente umiliata, quindi in teoria dovresti anche ringraziarmi. –
- Ringraziarti? Ti sei intromesso nella mia vita. –
- Ho detto ‘in teoria’ dato che non hai nessuna intenzione di dirmi grazie. –
- Wow, vedo che capisci al volo! Questo sì che è un evento da festeggiare. – dissi, sarcastica.
- Piantala di fare la stupida. –
- Si chiama ironia. –
- Smettila ugualmente. – soffiò boriosamente, ed io sbuffai, lanciandogli uno sguardo di fuoco.
Cominciavo veramente ad irritarmi bloccata lì, con lui di fronte (che mi esaminava con i suoi meravigliosi quanto arroganti occhi gelidi) ed un muro di pietra premuto sulla schiena.
- Perché, sennò? Me lo impedisci te? – gli domandai con un’aria pericolosa e dieci volte più altera della sua, avvicinandomi al suo viso.
- Credi che non ne sarei capace? – deglutì e vidi il suo sguardo d’acqua spostarsi sulle mie labbra per un nanosecondo.
Era davvero complicato per me non fare altrettanto, con le sue a pochi centimetri, ma mi imposi di tenere duro.
- Non è che credo, ne sono proprio sicura. – sapevo bene che sfidarlo non era la cosa più furba da fare, tuttavia la mia presunzione mi impediva di pensare in modo abbastanza razionale da evitare di provocarlo.
La mia espressione spavalda lo divertiva parecchio ed era per lui una tentazione incredibilmente seducente.
Ok, basta. mi dissi, come ipnotizzata dal suo lento avvicinarsi.
Sentivo il petto alzarsi e riabbassarsi al ritmo dei miei respiri, che si facevano sempre più rapidi e affannosi man mano che la distanza tra i nostri corpi si affievoliva.
Bethany basta. quell’imposizione così chiara e concisa non ebbe nessun effetto all’interno della sua testa, che non faceva altro che pendere dalle labbra dall’aspetto morbido del moro di fronte a lei.
- Vedo che ti mancano le parole. Che è successo? – contai mentalmente i centimetri che ci separavano l’una dall’altro, e con un brivido notai che un solo passo e quella distanza si sarebbe totalmente annullata.
- Ci… ci vuole ben altro per farmi mancare le parole! – esclamai, veramente poco convinta. 
Nonostante tutto la mia espressione parve più sfrontata di quanto realmente fosse: anche se i miei occhi lampeggiavano di boria, le mie labbra tremavano per il desiderio di coprirle con quelle di lui.
Cervello chiama Bethany! Si è intromesso nella mia vita, accidenti! Non può passarla liscia.
Inutile tentativo di riacquistare la poca ragione che possedevo: ero annegata nei suoi occhi d’acqua.
Se solo le mie labbra fossero state in grado di muoversi e di permettere alle parole di uscire, sarei riuscita a sbloccare quella situazione così intricata. 
Semplicemente le mie mani tremavano, nonostante la temperatura estiva, ed ogni parte del mio corpo si era totalmente distaccata dal cervello.
I miei pensieri giacevano vuoti sul fondale dei suoi oceani, incapaci di risalire in superficie.
- Scusa. – mormorò, lasciando scivolare il dorso della mano sulla mia guancia. 
La sua carezza scivolò morbida sulla mia pelle diafana, una scia infuocata sul mio cuore raggelato.
Sapevo bene che si riferiva a quanto accaduto quella mattina, ma non riuscii a proferire parola.
Mi limitai a tenere neutra la mia espressione e liberarmi di quella vicinanza imprudente, avviandomi con passo deciso verso il centro commerciale.
Deglutii, con lo stomaco che a poco a poco riprendeva a funzionare.
Abbassai lo sguardo di scatto con le gote che assumevano un intenso color porpora, al sentire il tocco delle sue dita sfiorare la mia mano tremante, abbandonata lungo il fianco, come per tenere compagnia alla mia volontà ormai decaduta.
- E così fai lingue anche tu. – dissi con il preciso intento di infrangere quell’atmosfera così carica di significati, allontanando la mano per riportare un ciuffetto di capelli castani dietro l’orecchio.
Ero riuscita a fuggire da quella prigione che era il suo sguardo, ed ora mi distanziavo con sollievo dalle sbarre di ferro in cui ero rimasta imprigionata.
Il brusco cambiamento di discorso lasciò Matt piuttosto confuso, ma scorgendomi ancora emotivamente scossa, lasciò cadere l’argomento.
- Sì. – rispose, nonostante la mia non fosse una domanda.
- Bene, allora andremo praticamente alle stesse lezioni. – 
Annuì in risposta, lo sguardo ancora colmo di desiderio, che lentamente andava a sostituirsi all’indifferenza.
Raggiungemmo il gruppetto, che stranamente pareva non essersi allontanato granché dal punto in cui i due si erano rintanati.
Notai una certa freddezza mentre ci avvicinavamo all’enorme centro commerciale, che era appunto la nostra meta, ma in quel momento non ne feci apertamente parola con nessuno di loro: attesi che tutti fossimo entrati nell’enorme stabile per affrontare l’argomento.
Prudence in particolare non sembrava mostrare una grande felicità.
- E’ successo qualcosa Prue? – domandai senza troppi preamboli, aggirandomi nel reparto d’abbigliamento donna, quando fui totalmente sicura che non ci fosse nessun altro a portata d’orecchio – Come mai non sfoggi il tuo solito sorrisetto da fottuta ottimista? – un sorriso accompagnò quelle parole, che non suscitarono la minima reazione nell’altra.
Al contrario, quella parve immusonirsi ulteriormente, dopo averle ascoltate.
- Chiedilo a quell’idiota di Will. – furono le sue uniche, rattrappite, parole.
Io d’altro canto rimasi immobile, mantenendo lo stesso sorrisetto irritante che sapevo mostrare per nascondere il mio stato d’animo, ancora lievemente alterato dalla ‘distanza ravvicinata’ con l’essere dal culo di marmo.
Prudence non si accorse nemmeno della mia espressione, troppo occupata a passare in rassegna un paio di vestiti, a mio parere inguardabili. 
- Quelli non mi piacciono. – le feci sapere con espressione disgustata, indicandogliene uno più carino – questo invece ti starebbe bene. Perché non lo provi? –
La mora per tutta risposta annuì, convinta dell’abitino ma poco propensa a chiacchierare, portandosi il vestito fin dentro un camerino dall’aria mesta, quasi quanto il suo sguardo.
Dopo essermi assicurata che mia cugina fosse entrata e avesse chiuso per bene la tendina, mi avvicinai furtiva allo smielato, con il quale sicuramente Prudence aveva avuto un altro battibecco, o qualcosa di simile. Un sospiro precedette il mio discorso.
- Prudence mi ha detto di chiedere a te – esordii, consapevole che apparire come un fantasma da un momento all’altro non fosse proprio la cosa più furba da fare – mi spieghi almeno tu perché avete quel muso? Sembra che vi siate scannati mentre io e Matt… eravamo via. – continuai, squadrando l’espressione insofferente del ragazzo, intento ad esaminare alcuni jeans dall’aspetto elegante.
Fu minima l’attenzione che mi rivolse, ma le sue parole furono sufficienti a spiegare quanto accaduto in mia assenza – E’ sempre colpa di quel gatto orrendo. – quasi digrignò i denti mentre pronunciava quella frase, senza staccare lo sguardo dai pantaloni.
La sua espressione non poteva essere più distante di così.
- Ho capito. Vi lascio in pace. – dissi alzando le mani in segno di resa e dando una lieve pacca sulla spalla del ragazzo.
Mi allontanai per conto mio, augurandomi con tutto il cuore che quello stupidissimo gatto morisse da un momento all’altro.
Rimasi per qualche istante da sola con i miei pensieri, che guarda caso riguardavano tutti quanti lo stesso soggetto, prima di essere raggiunta da una Prudence dallo sguardo feroce e maligno, che poteva significare soltanto una cosa: aveva indubbiamente un piano malefico per farla pagare a Will, qualunque cosa avesse detto o fatto contro la sua mascotte preferita.
- Stasera andiamo in giro per festeggiare gli ultimi giorni di libertà! – fu la frase che disse prima di schiaffarmi davanti agli occhi la montagnetta di acquisti che aveva intenzione di fare, o che aveva già fatto. Strabuzzai gli occhi di fronte a certi vestitini, alcuni più grandi di altri.
- Cugi, ma questo – cominciai, afferrando un vestito verde smeraldo – te lo sei provato? A me sembra troppo grande per te. – e in effetti lo era.
- Infatti quello non è per me, ma per te. – rispose quella con un gran sorriso, che non prometteva niente di buono.
Individuai qualche altro abitino dall’aria poco innocente che doveva essere indirizzato a me.
La maggior parte di essi, scoprii con sollievo, mi piacevano, nonostante non fossero propriamente ‘casti’.
Uno in particolare, che fortunatamente era troppo stretto per potermi stare, assomigliava ad un completo di intimo, e mi feci pochi problemi a farlo notare a Prue.
- Ehm, cuginetta, a meno che tu non voglia usare questo come camicia da notte, non ti consiglierei di metterlo. Non per uscire. –
- Perché no? È brutto? – Mi morsi un labbro per evitare di dirle che chiamarlo ‘vestito’ era un atto di coraggio bello e buono.
- Con una cravatta se ne possono fare due! Saresti praticamente nuda con questo coso addosso. –
A quelle parole, mia cugina sorrise maliziosamente, confermandomi che qualunque cosa le stesse passando per la testa, non era proprio nulla di buono.
- Oh andiamo, non fare la santarellina. Anche se i tuoi vestitini non sono succinti come questo, vedo che non ti sei fatta troppi problemi a farteli levare. Perciò… -
In questo modo riuscì a zittirmi, facendomi diventare di un rosso piuttosto acceso.
Appurando che aveva già pagato il tutto alla cassa, ebbi il pretesto per allontanarmi da lei quando sentii Chase chiamarmi poco distante.
Nonostante la folla e il gran casino, trovava sempre il modo di farsi notare.
Trottai da lui ancora scarlatta in volto e abbassai lo sguardo sui due perizomi femminili che il ragazzo reggeva tra le mani, evidentemente indeciso su quale dei due acquistare.
Io li trovavo piuttosto ridicoli entrambi, ma tenni per me il mio pensiero, cercando di rispettare i ‘gusti’ stravaganti del biondo.
- Quale dei due tesoro? – cinguettò, sbandierandomeli davanti agli occhi come se intorno a noi non ci fosse nessun altro.
Io li osservai, cercando di decidere quale dei due fosse il meno terrificante, ma erano certamente a pari merito.
Con un sospiro ne indicai uno a caso, viola con i pois neri.
- Oh grazie mille dolcezza! – detto ciò si allontanò per riportare il perizoma scartato al suo posto.
Il fatto che io me ne stessi a girovagare per il negozio senza darmi la pena di cercare qualcosa di carino da acquistare era una dimostrazione del mio scarso interesse per qualunque cosa non portasse un culo di bronzo e non si chiamasse Matt. Non ci stavo proprio con la testa.
Sembrava proprio che quel giorno il destino ce l’avesse con me, più del solito, e questo fu il mio primo pensiero quando il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, vedendomi annoiata e assente, mi distrasse dai miei momentanei vaneggiamenti per dargli un parere su una camicia che si era appena provato.
Imprecai fra me e me, consapevole di non essere in grado di guardarlo e di non soffocarmi con la mia stessa saliva nello stesso tempo, prima di avvicinarmi a passo strascicato.
- Beh, come mi sta? – domandò con un mezzo sorriso, mostrandosi con una camicia blu notte che, se avessi potuto, gli avrei strappato di dosso seduta stante, solo per il fatto che non era abbottonata e che al di sotto di essa i suoi pettorali ballavano la conga.
Mi ci volle tutta la buona volontà di questo mondo per staccare gli occhi dal suo fisico d’atleta, ma parlare era ancora difficile dopo aver assistito ad uno spettacolo di simile bellezza.
- Molto… molto bene. Sì. – annuii fra me e me, consapevole che Matt trovava divertente il mio patetico balbettio.
Feci per andarmene, e l’avrei fatto se solo quel dio greco non mi avesse richiamata al suo cospetto poco prima che i miei piedi capissero che avrebbero dovuto riprendere la loro abituale funzione.
- Vieni un attimo Beth. – sorvolai sul nomignolo, troppo sospettosa per protestare, avvicinandomi incerta al camerino nel quale si era nuovamente rifugiato.
Non entrai, rimanendo a distanza di sicurezza.
- Cosa ti serve? – domandai, augurandomi che quel momento passasse in fretta.
- Mi devi dare una mano. Entra. – mi chiamò, concentrato su qualcosa che non riuscivo a vedere dalla mia posizione.
Avrei desiderato far finta di non aver compreso il suo ultimo invito, ma non volevo risultare nuovamente tonta.
Così entrai, il cuore che mi martellava nel petto talmente velocemente che minacciava di uscirmi fuori dalla gola da un momento all’altro.
Appuntai a mente il mio epitaffio, conscia che mi sarebbe servito a breve.
- Puoi chiudere la tendina? – fu la sua seconda, perfida, richiesta. Qui esitai, ancora incapace di spiccicar verbo eccetto qualche borbottio random, ma infine lo feci con un mezzo sospiro, sperando con tutta me stessa di poter rivedere mio padre almeno un’ultima volta prima di esalare l’ultimo respiro.
Poi improvvisamente lui si voltò verso di me, impegnato con la chiusura lampo di un paio di jeans strappati al ginocchio.
Inutile dire che nemmeno li guardai quei jeans, tanto avevo gli occhi fuori dalle orbite per quello che mi stava chiedendo di fare.
- Non riesco a liberare il gancetto della cerniera, credo che si sia bloccato. Ce la fai a chiuderla tu? – scorgere la malizia nelle parole del moro non era poi così complicato, visto che non faceva proprio tanto per mascherare le sue perverse fantasie.
- Sei sicuro di non riuscire a chiuderla tu? – domandai stupidamente, e dalle labbra quelle parole uscirono quasi come un gemito.
Beh, non si poteva dire che non avessi fatto almeno un tentativo.
Purtroppo districarsi da quella situazione non era possibile, e Matt di questo ne era pienamente consapevole.
- No, altrimenti non avrei chiesto il tuo prezioso aiuto. – Sfotti quanto vuoi stronzo, questa me la paghi.
pensai, prendendo un bel respiro e avvicinando la mano alla zona incriminata.
Effettivamente il destino volle che il gancio fosse proprio incastrato nel tessuto.
Destino avverso, sarai il primo a subire la mia ira. fu il mio secondo, delirante, pensiero, mentre pregavo in ogni lingua esistente di riuscire in fretta nel mio intento.
Deglutii e continuai a cercare di sistemare i jeans, carezzandolo involontariamente. 
Di certo lui si godeva la scena: doveva divertirlo parecchio per farlo stare zitto così a lungo. 
- Magari se ti inginocchi riesci a vedere meglio. – furono queste maliziose parole a sbloccare le mie, nascoste in chissà quale angolo della mia gola, e ora libere di fuoriuscire e di colpire malignamente.
- Non ti preoccupare, ci vedo ugualmente. –
- Ma se ti abbassassi vedresti anche meglio. –
- Matt stai giocando col fuoco! –
- E tu stai giocando con qualcos’altro, ma io mica mi lamento. – le mie labbra si spalancarono per lo stupore, e le guance si imporporarono, fino a farmi assumere un colorito quasi violaceo.
- Tu… tu lo fai apposta! – lo accusai, sapendo benissimo che ammetterlo non gli avrebbe creato nessun problema.
Né tantomeno accusarlo l’avrebbe fatto sentire in colpa.
- Niente affatto. – si limitò a dire, scrutandomi con un’espressione innocente che avrebbe ingannato chiunque. Tranne me.
- Sì invece. Mi hai chiamata qui apposta per torturarmi! Ti diverte prendermi per il culo. – sai che novità.
- Quante storie per qualche carezza! Addirittura stare qui con me è una tortura. Scusami se ti ho costretta a sopportare questo strazio! – ora il suo tono era tra il divertito e il melodrammatico, ma nei suoi occhi c’era sempre il solito bagliore che assumevano le sue iridi azzurre quando la prendeva in giro.
E questo lo rendeva irresistibile. Senza nemmeno attendere che la ragazza reagisse, liberò in men che non si dica il gancetto dal tessuto in cui era rimasto impigliato e chiuse la lampo, osservando il proprio riflesso allo specchio, come se niente fosse.
- Vedi… non ci voleva tanto. – borbottò, lanciandomi uno sguardo eloquente dallo specchio.
- Fottiti. – dissi, e il mio aguzzino si sfilò i jeans come se niente fosse.
Quella fu l’ultima parola che pronunciai prima di rischiare un duplice infarto con tanto di arresto cardiaco in omaggio.





NdA: Mi odiate, lo so che mi odiate, ma spero che con questo capitolo - a mio parere decisamente divertente - sia riuscita a farmi perdonare per tuuutto il tempo che vi ho lasciato senza un aggiornamento. Ora, non assicuro che riuscirò ad aggiornare tanto presto, visto che la parte di storia già scritta sta terminando, perciò vi chiedo pazienza e solidarietà per me, povera ragazza, alle prese con montagne di compiti e studio da portare a termine ç_ç
Io ce la metto tutta, ma a volte mi manca proprio il tempo. In ogni caso devo ringraziare, come è mia abitudine fare, tutti coloro che leggono e recensiscono questa storia, e un abbraccio particolare a chi continua a seguirmi e che mi fa sentire apprezzata, nonostante le scemenze che scrivo XD
Spero di avervi fatto sorridere con questo capitolo, e che non vi dispiaccia che sia tanto corto.
Grazie mille, un bacio grande grande! Recensite, mi raccomando!
A presto <3

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Capitolo 11
*** Tra vendetta e incomprensione. ***


Tra vendetta e incomprensione.
 
capitolo 11



Il viaggio di ritorno verso casa fu lo scenario di un’accesa lite – strano no? – tra Prudence e Will, che non davano segno di volersi zittire neanche per un solo istante.
Il motivo? Sempre quello stupido gattaccio antipatico. Questa volta diedi mentalmente ragione allo smielato, nonostante non avessi intenzione di farlo sapere a mia cugina.
Anche perché non mi avrebbe dato ascolto in ogni caso.
Era troppo impegnata a tenere le mani strette a pugno e a brandirle in direzione del ragazzo, che intanto sembrava essere vicino a perdere la pazienza.
Per quale motivo Prue si battesse così tanto per difendere una massa di peli puzzolente e rompipalle era un mistero, tanto che spesso facevo la stessa domanda anche a Chase ed Ileen, che si limitavano a rispondermi con un’alzata di spalle, sinceramente disinteressati. 
- Ha fatto la cacca sul mio letto! – esclamò Will, attirando l’attenzione di qualche passante mentre rinfacciava la cosa alla ragazza.
- Quasi mi dispiace che non te l’abbia fatta in testa. – fu la risposta sprezzante di Prudence, la cui andatura aveva preso tutte le caratteristiche di una marcia rabbiosa.
Il ragazzo le lanciò un’occhiataccia con i suoi occhioni castani, ma distolse lo sguardo quasi subito, consapevole che dare spettacolo in mezzo alla strada non fosse propriamente la cosa migliore da fare: ne avrebbero riparlato a casa con più calma, forse…
- Ne riparliamo dopo. – si limitò a rispondere, cupo. Prudence invece pareva di tutt’altro avviso.
Per lei la discussione o si continuava o finiva lì.
- No, adesso… - neanche il tempo di finire la propria frase che Will, stanco di controbattere, la afferrò per il braccio, talmente forte e repentinamente che la ragazza ammutolì, sgranando le palpebre.
- Dopo! – sbottò, lanciandola andare come se avesse qualche strana malattia. 
Così dicendo si voltò e fece per allungare il passo, in modo da raggiungere Matt che, come suo solito, se ne stava qualche passo davanti a tutto il gruppo.
Prudence stette zitta per tutto il viaggio di ritorno, lo sguardo perso nel vuoto sia per strada che in autobus.
Lì mi sedetti accanto a lei, tenendo d’occhio i due amici, seduti a qualche sedile di distanza da loro. Non parlavano.
Matt aveva le cuffie nelle orecchie, e Will aveva la stessa espressione rabbuiata di poco prima.
Certo era che quando lo smielato si innervosiva faceva paura.
 
- Io metto questo – annunciai, dopo aver passato in rassegna la montagnetta di abitini acquistati qualche ora prima da Prudence, che intanto sembrava aver deciso anche per sé.
Infatti, mentre infilavo un vestito nero, il più innocente fra tutti quanti, lei osservava il suo riflesso allo specchio.
Anche lei ne aveva scelto uno nero, ma di casto aveva davvero poco.
- Io questo – rispose quella, avviandosi in direzione dell’armadio alla ricerca di un paio di scarpe che si addicessero ad esso.
Ebbi la decenza di stare zitta anche quando provò le mie tacco 12 nere, che l’avrebbero fatta assomigliare alla Torre Eiffel più che a una ragazza.
Intanto individuai qualche parola random nel suo discorso sconnesso, corrispondente a ‘Will’, ‘idiota’ e ‘vendetta’. 
Parole che mi davano un’idea chiara e cristallina della situazione in cui ero andata a cacciarmi. 
Senza accorgermene ero rimasta immobile davanti al letto con i tacchi, decisamente meno alti, tra le mani mentre osservavo con sospetto la mora.
Era impossibile non dubitare della sua sanità mentale quando, con una risatina innaturale, la vidi truccarsi gli occhi.
Tossicchiai, attirando momentaneamente la sua attenzione, che le diede modo di notare la mia espressione, a metà fra l’essere preoccupata e sospettosa.
- Beh… non ti prepari? – domandò quella, continuando a spalmarsi l’ombretto sulle palpebre.
- Io sono pronta. – risposi con un sopracciglio mezzo aggrottato, mentre infilavo l’ultima scarpa.
- E non ti trucchi? – domandò quella, che intanto sembrava volesse mettersi ombretto anche sulle sopracciglia e sui denti.
- Beh, sono già truccata. E non devo fare il pagliaccio da nessuna parte. E nemmeno tu sai! – esclamai, in riferimento al suo trucco, a mio parere, disarmonico – Sempre che tu non abbia deciso di lavorare al circo. – continuai, ripassando soltanto un po’ di lucidalabbra color ciliegia sulle labbra.
- Non sono poi così tanto truccata! – protestò, nonostante fossi convinta che tutto questo era fatto apposta. Chissà cos’aveva in mente…
- Se lo dici tu. Io vado a vedere a che punto è Ileen. – mormorai, uscendo dalla stanzetta con fare apatico.
Mi affacciai sulla soglia della stanza di Chase ed Ileen, bussando piano per annunciare la mia presenza – Toc toc – dissi, senza un motivo ben preciso, attendendo che la bionda si mostrasse.
Lei si stava ancora truccando e, notai con sollievo, il suo abbigliamento non era scandaloso come mi sarei aspettata da una come lei;
semplicemente indossava una camicetta rosa e una gonnellina bianca, e ai piedi due ballerine dello stesso colore della gonna.
I capelli erano elegantemente acconciati in boccoli, e sul visetto candido era stato applicato solo un lieve strato di fard. 
- Ho finitoo! – esclamò quella, con la sua solita vocina squillante.
- Stai bene, complimenti. – mi congratulai, nonostante la bionda non mi stesse completamente simpatica: solitamente evitavo di fare complimenti a chi non mi ispirava fiducia, ma volevo mostrarmi almeno un po’ più gentile del solito. In fondo avremmo condiviso cinque anni insieme! 
Almeno con lei la convivenza sarebbe dovuta risultare quantomeno tranquilla.
- Grazie – rispose quella, osservando il proprio riflesso allo specchio per qualche istante, prima di uscire fuori dalla stanza.
Nella sua espressione c’era qualcosa di strano, qualcosa che non avevo mai scorto sul suo visetto, di solito sorridente o totalmente assente.
Poteva essere tristezza quella sorta di ombra scura sul suo volto, o semplicemente mi stavo sbagliando.
Ma sentivo che non era tutto come al solito.
- Stai bene? – le domandai bruscamente, incapace di mostrare gentilezza con la maggior parte del genere umano.
Ileen mutò la propria espressione in meno di qualche istante.
- Certo. Dove andiamo oggi? – cinguettò, come se non le avessi mai fatto quella domanda.
Non nascosi la mia sorpresa, ma lei parve non notarla, o semplicemente fingere di non essersene accorta.
- Non ne ho idea. Ha organizzato tutto Prudence, e la cosa un po’ mi preoccupa. – confessai con un mezzo sorriso, continuando a squadrare con interesse la bionda.
Lei non sorrise, non sembrava esserne in grado, si limitò a indirizzarmi un cenno del capo e ad uscire dalla propria stanza da letto.
Era chiaro che qualcosa non andava per il verso giusto, tanto quanto era chiaro che non aveva alcuna voglia di parlarne.
Sapendo che quella stanza non era mia, mi diedi una mossa e ritornai in cucina, dove trovai un silenzio piuttosto strano.
Chase guardava da un’altra parte, sdraiato sul divano come se in casa non ci fosse nessun altro oltre lui, bellamente stravaccato. 
L’aria da gay era stata sostituita da una serietà che non gli avevo mai visto indossare.
Non mi accorsi dello sguardo di Matt: ero troppo occupata a domandarmi che cosa fosse successo.
Will sembrava non essersi reso conto di nulla, si limitava a camminare avanti e indietro senza un motivo ben preciso.
Solo quando si avvicinò all’amico per sussurrargli qualcosa all’orecchio mi accorsi dell’attenzione che Matt riversava su di me.
Gli restituii uno sguardo interrogativo, al quale rispose con un’occhiata neutra.
Cercare di immaginare cosa stava pensando ma era, e sarebbe sempre stato, umanamente impossibile.
Prudence ancora era alle prese con il trucco evidentemente, visto che ancora non aveva messo piede fuori dalla stanza, ma di Ileen in cucina non c’era nessuna traccia.
Eppure era sparita solo due secondi dalla sua vista…
- Dov’è Ileen? – domandai con nonchalance, sperando di non creare uno sgradevole effetto domino che avrebbe suscitato il classico malumore da litigio.
Chase sembrò indurire la propria espressione, ma nessuno osò rispondere.
Will si limitò ad un’alzata di spalle – Credo di averla vista sfrecciare in bagno. – risponde semplicemente, senza esserne troppo convinto.
Come ho fatto a non vederla?
- Vabbè – scrollai anch’io le spalle e, intanto che aspettavo che Prudence uscisse dalla camera, mi diressi verso il bancone della cucina e mi ci poggiai con le braccia conserte, lo sguardo puntato contro Chase.
Volevo sapere cos’era successo, la curiosità mi stava uccidendo.
Lui stranamente non si accorse di nulla: il suo sguardo era altrove, ma proprio lontano. 
Così non fu per Matt che, compreso che stavo squadrando con aria corrucciata il biondo, mise il broncio senza un motivo ben preciso.
Chase non si accorse neanche di questo.
 
Il mio tentativo di rendere la serata meno noiosa fallì miseramente.
Prudence sembrava non vedere l’ora di trovarsi qualcuno per ‘fare un dispetto a Will’, e Chase taceva ostinatamente.
Ileen intanto rigirava con aria indifferente il proprio cocktail.
L’unico che sembrava essere tranquillo, circa, era Will che come me non faceva altro che lanciare sporadiche frasi ad effetto per cercare di avviare una conversazione.
Tuttavia anche lui riscuoteva poco successo, e poco effetto.
Matt, manco a farlo apposta, stava zitto. 
E mi guardava. E guardava Chase. E vedeva che io guardavo il biondo. E si rabbuiava.
Questo nell’arco di un solo minuto.
Mi morsi il labbro inferiore e mi inventai qualcosa per trascinare via Chase dal tavolo per qualche minuto.
Volevo parlargli, anche perché con Ileen non avrei ottenuto ciò che volevo sapere.
- Chase… mi accompagni un attimo al bancone? Ho un po’ di sete e mi scoccia andarci da sola. – in realtà sarei potuta andare benissimo con le mie gambe senza portarmi il cagnolino appresso, ma Chase era talmente fuori che non battè ciglio: si limitò ad annuire e ad alzarsi in contemporanea con me.
Sapevo che Matt stava ribollendo, anche se non capivo per quale motivo.
Mi bastò guardarlo per capire che avrebbe voluto volentieri essere lui ad accompagnarmi al posto dell’altro, ma non avevo tempo per domandarmi per quale motivo fosse tanto arcigno: dovevo occuparmi della questione Chase-Ileen, altrimenti non mi avrebbe dato pace.
Non parlai subito, prima comprai davvero una bottiglietta d’acqua naturale, per fare in modo che non scappasse via.
Stappai la bottiglia e bevvi un lungo sorso.
- Ahh, mi ci voleva proprio un po’ d’acqua! –
- Perfetto. – disse, e fece per tornarsene a sedere. L’unica alternativa era affrontare subito il discorso, senza temporeggiare ulteriormente.
Gli afferrai il polso, prima che potesse sfuggire alla mia presa ferrea.
- Aspetta Chase! – non l’avrei lasciato, prima doveva almeno prestarmi un po’ di attenzione.
- Hai dimenticato qualcosa? – domandò con tono freddo e confuso. La mia espressione chiariva le mie stesse intenzioni, e quando si riavvicinò anche lui aveva uno sguardo strano.
- No… cioè, in realtà non avevo molta sete. Andiamo un attimo fuori? –
Il biondo sbatté le ciglia senza capire, ma senza ribattere mi seguì fuori.
Era talmente preso dai suoi pensieri che non aveva neanche avuto la forza di domandarsi di cosa mai volessi parlargli.
Era logico che avessi qualcosa da dirgli, infatti non parlò.
Appena messo piede fuori dal locale, fui io a prendere la parola, ma non gli lasciai il polso.
Avevo la netta impressione che avrebbe cercato di rifuggire le mie domande.
- Io non voglio impicciarmi, ma… oggi tu e Ileen siete strani. Non parlate, non ridete, non… non fate nulla. Siete distanti e depressi. – non abbassai lo sguardo. 
Affrontai i suoi occhi chiari senza averne paura, anche se l’espressione non chiariva nulla di buono.
E poi lui guardava altrove, e non era da lui.
- Non si può sempre essere sorridenti Bethany. – il suo tono suonò talmente duro da spaventarmi.
Dov’era finito il Chase biondissimo e sempre sorridente, pronto a sfoggiare la sua aria da gay ovunque andasse?
Doveva essere successo qualcosa di grave se mi aveva chiamata Bethany senza usare stupidi nomignoli improponibili.
- Tu sei sempre sorridente, ma soprattutto sei rompipalle e stronzo. Oggi sei solo stronzo e incazzoso. E ricorda che incazzarsi fa invecchiare la pelle. – mimai un sorriso, credendo che le mie parole avrebbero sortito qualche effetto miracoloso, ma così non fu.
La sua maschera di indifferenza rimase tale. 
Anzi, se possibile, si indurì ulteriormente.
- Ne riparliamo quando mi passa okay? – fece per andarsene, ma ancora lo tenevo stretto.
- Chase, davvero… - non finii la frase. Ed inizialmente non capii cosa non andava nelle mie labbra.
Ciò che non andava era sulle mie labbra. Stentavo a crederci.
Non poteva essere, non stava succedendo davvero.
Mani mi strinsero, mi toccarono, si infilarono tra i miei capelli, senza chiedere alcun permesso.
Eppure mi stava baciando. Chase, il biondo gay mi stava baciando. Chase il biondo gay.
Cercava la mia lingua, io cercavo il mio cervello.
Non collegavo bene i fatti. Sapevo che era lui, sapevo cosa stava succedendo. 
Ma mi sfuggiva il perché. In realtà mi sfuggivano tante cose in quel momento.
Mi sfuggiva il fatto che lui mi stesse baciando, e mi sfuggiva anche un’altra cosa: ma come potevo accorgermi che Matt stava osservando la scena, se non ero in grado neanche di spingere via Chase dalle mie labbra?
 
(Pov. Matt)
Ero disgustato. Quel verme stava fingendo di essere gay o era solo maledettamente stronzo?
Come si permetteva di toccare Bethany con le sue labbra e con le sue mani?
E perché lei glielo lasciava fare senza opporre troppa resistenza?
Tornai dentro con la rabbia che mi montava dentro, le mani strette a pugno, la gola secca. 
Non mi diressi al tavolino dove se ne stavano Prudence, Will ed Ileen. Mi diressi al bancone.
Nemmeno io sapevo cosa mi stava prendendo. 
Sapevo solo di provare del risentimento, e qualcosa che dapprima non riuscii ad identificare.
- Un mojito. – mormorai brusco alla ragazza del bancone, senza guardarla davvero.
Gli occhi azzurri erano fissi sul mobile da bar, ma ciò che vedevo era un bacio a cui non avrei mai dovuto pensare.
Vedevo solo le labbra di un bastardo su quelle di Bethany, le mani di quel biondo che scorrevano senza freni sul suo corpo, sulla sua schiena, sul suo culo, su tutto ciò che lei non gli impediva di toccare.
Su tutto ciò che non gli apparteneva.
- Ecco a lei. – annuii assente, portando verso di me il bicchiere colmo. 
Osservai quella stupidissima foglia di menta ancorata al fondo e ne esaminai le caratteristiche.
Mi resi conto di quanto io e quella foglia ci somigliassimo: era verde, come l’invidia che provavo, ma soprattutto, era calpestata dal peso del rum e del ghiaccio. 
In questo caso, era il mio cuore ad essere appena stato schiacciato al fondo dell’anima.
Ma io sentivo solo un’immensa rabbia.
 
(Pov. Will)
Matt non tornava. Chase e Bethany nemmeno. 
Ma dove sono andati tutti?  pensai, guardandomi intorno imbronciato, alla ricerca dei tre coinquilini.
Niente, di loro nessuna traccia. O forse di uno di loro sì.
Al bancone vidi una testa nera familiare, così, dopo aver mormorato un – Torno subito! – alle due ragazze rimaste al tavolino, mi incamminai in sua direzione, senza sospettare minimamente dello stato d’animo instabile del ragazzo in questione.
Fu quando vidi la sua faccia che capii che qualcosa non andava.
L’espressione si indurì in meno di mezzo secondo, fino a spegnersi totalmente.
- Ehi amico! Che faccia… -
- Will, lasciami in pace. –
- Perché te ne stai qui da solo? E dov’è Bethany? –
- Chiedilo a Chase. – sbatté il bicchiere vuoto sul tavolino, e la barista lo raccolse, ma prima che si allontanasse per lavarlo, Matt aggiunse, con aria amareggiata – Un altro grazie. –
Quelle parole non mi chiarirono granché le idee, ma capii che per qualche strana ragione Matt ce l’aveva con entrambi.
Avevo la sensazione che fosse davvero incazzato.
- Dov’è Chase? –
- Non lo so, e non mi interessa. Spero per lui che sia molto, molto, molto lontano… -
La mascella del moro si contrasse, tanto da indurmi a pensare che se in quello stesso momento si fosse ritrovato il biondo davanti sicuramente l’avrebbe pestato.
Ma il punto era: perché?
- Non è che Chase ci ha provato con te? – la mia domanda era seria, ma evidentemente non era quello il problema.
Anche se c’ero andato molto vicino…
- No, non con me. – sottolineò l’ultima parte della frase con un’enfasi che mi fece comprendere qualcosa. 
Ma quel qualcosa mi sembrava troppo strano per essere vero.
Tuttavia avrebbe spiegato molte cose… compreso il fatto che Matt fosse tanto incazzato.
No, non può essere! Chase è gay.
- Comunque non puoi pretendere di avere il diritto di alcolizzarti solo per… quello che è successo. Qualunque cosa sia successa. – cominciai, osservando Matt afferrare il cocktail e riprendere a bere.
- Sì che posso, e lo farò. –
- Ehi Matt, ma si può sapere che cazzo ti prende?! -
Sapevo che qualunque cosa avrei detto non sarebbe servita a nulla, ma dovevo tentare.
- Tu non capisci! – ringhiò quello, stringendo il pugno libero sul tavolo. 
La mascella si contrasse ancora. Gli occhi mandavano dardi – Tu non l’hai visto… se fosse successo a te con… beh, lasciamo perdere! -
- Visto cosa? – tentai nuovamente, ma quello si rituffò a pesce sul cocktail. 
Nulla da fare, Matt non voleva parlare. Si perse nel vuoto, lui e il suo sguardo.
Se avessi voluto capirci qualcosa avrei dovuto chiedere a Bethany.
- Non esagerare. – gli raccomandai. Sapevo che non mi avrebbe dato ascolto.
Feci per uscire dal locale, alla ricerca di Chase e Bethany: fortunatamente non dovetti neanche mettere piede fuori dalla porta che la ragazza mi venne quasi a sbattere contro.
Dall’espressione capii che c’era qualcosa che non andava, ma non disse nulla quando si rese conto di essere venuta addosso a me. 
Si limitò a distogliere lo sguardo e riprendere a camminare verso il tavolo.
Chase non era con lei.
Uscii dal locale e vidi il ragazzo immobile, la mano sulla bocca e la schiena contro il muro.
Anche lui sembrava non essere del tutto in sé.
- Chase, che ci fai qua? – per tutta risposta, mi ignorò. 
Ma che diavolo sta succedendo?!
 
Le uniche a non essersi accorte di niente sembravano Prudence ed Ileen che, brille e spensierate come non mai, ridevano come se si fossero appena fatte una canna.
Bethany si guardava le unghie, senza fiatare, ed io continuavo a domandarmi cosa cazzo fosse successo!
Matt ancora non era ritornato al tavolino, e già stavo pensando a come portarlo a casa senza che mi vomitasse addosso.
- Ehi Bethanyyyy, perché non vieni al bancone a prendere ancora qualcosa da bere! Sei così spentaaa! – la voce di Prudence mi risvegliò dalla trance in cui ero sprofondato. 
La parola ‘bancone’ mi ricordò di Matt, solo al tavolo degli alcolici, in chissà quale stato, così decisi di salvare Bethany dall’onere di portarci la cugina offrendomi di farlo io.
- La porto io… - sussurrai alla mora, alzandomi dalla sedia e aspettando che quella mi raggiungesse.
Prudence si alzò a sua volta e, dopo aver sbadigliato sonoramente, mi seguì per il breve tragitto che ci separava da quella che ormai era diventata la postazione del moro.
Chase era ancora fuori, ma questa volta notai che se ne stava seduto sul marciapiede.
- Ehiii Matt! – squittì la ragazza, andando a posizionarsi accanto al ragazzo dagli occhi celesti.
Un solo sguardo mi fece comprendere che aveva esagerato. 
E che avrei dovuto portarlo fino a casa cercando di non farmi vomitare sui vestiti – Perché quel muso tanto luuungo? – fu la domanda di Prudence, troppo brilla per trarre le proprie conclusioni da sé.
Matt giocherellava con la cannuccia dell’ultimo cocktail bevuto.
- Mi sento uno schifo, che faccia dovrei avere? Non tutti possono avere quel sorriso da cretino che ha Chase. – eccolo, eccolo che ritorna sull’argomento Chase.
- Ohh, ho capito! Perché non vai da Bethany, così ti tiri su di moraleee?! – scossi la testa impercettibilmente in direzione della ragazza, ma non potevo aspettarmi che capisse il mio messaggio non verbale: non mi stava guardando.
Così dicendo avrebbe peggiorato la situazione.
Le intimai di tacere premendomi il dito sulle labbra quando Matt non stava guardando, ma lei non capì.
- Dobbiamo andare a casa. – dissi categorico, dando una pacca sulla spalla all’ubriaco per farlo alzare. Niente, lui non si mosse.
- Di giàà? – fu la risposta di Prudence, che manteneva un sorrisetto ebete sulle labbra.
- Sì Prudence, è tardi. –
- Non chiamarmi Prud… -
- Non voglio rivedere quei due… - cominciavo a impazzire, perciò mi voltai in direzione del tavolo dove Ileen cercava di coinvolgere Bethany in una sottospecie di balletto da seduta.
La mora guardava con un misto di esasperazione e pietà la figura snella di Ileen.
Sicuramente era successo qualcosa che l’aveva sconvolta: più tardi gliene avrei parlato, ora dovevamo assolutamente tornarcene a casa.
- Matt, sei completamente ubriaco. – affermai categorico, lo sguardo severo e palesemente incazzato riconoscibile da chilometri.
- Beh, grazie tante. –
- Grazie?! Leva il culo da quella sedia e andiamo a casa: non ne posso più delle vostre cazzate. – e così dicendo mi riferivo anche alla sbronza di Bethany di qualche giorno prima.
- Eddaaaai Will, come sei rompicoglioni! – fu la risposta di una sorridente, troppo sorridente, Prudence.
Alzai gli occhi al cielo.
- Matt, se non ti muovi ti prendiamo di peso io e Chase. – quelle parole furono come una fucilata per lui.
In men che non si dica si sollevò dalla sedia come se sotto il culo avesse delle spine e mi guardò con aria incazzosa.
Ma il suo sguardo non era nervoso quanto il mio.
- Okay, andiamocene, ma quel finto frocetto non mi tocca. – annuii, tanto per farlo contento, e lo afferrai senza troppi complimenti per il braccio.
- Ehi, ce la faccio ancora a camminare! –
- Di questo non ne sarei tanto sicuro. Quanto cazzo hai bevuto eh? –
- Un po’… - sbuffai, dirigendomi in direzione del tavolo. Bethany osservava Matt rabbuiata.
Io le restituii uno sguardo esasperato.
- Andiamo a casa. – disse la ragazza con un sospiro, raccattando le sue cose con rapidità sorprendente e facendo cenno alla bionda di fare lo stesso con le sue.
- Ma… ma io mi stavo divertendo. – protestò debolmente quella, prima di obbedire all’occhiataccia lanciatale da Bethany.
Ci dirigemmo verso l’uscita del locale, chi con un sorriso ebete stampato in volto, chi con aria incazzosa, e chi ancora con un’aria da funerale che sarebbe bastata a deprimere chiunque. 
Appena uscimmo, vidi Chase che osservava Bethany con la stessa aria rabbuiata con la quale lei osservava Matt, e capii che doveva essere accaduto qualcosa di strano.
Feci un cenno anche al biondo e quello ci raggiunse, tenendosi a distanza di sicurezza.
Matt intanto imprecava in sua direzione.









NdA: Perdonate il solito ritardo, è che ultimamente non sto scrivendo granché e mi tocca allungare i tempi. Ci avviciniamo alla fine dei capitoli che ho già scritto, perciò in futuro potrei postare sempre più in ritardo, e mi dispiace per questo. In ogni caso la storia andrà avanti, non vi preoccupate ^_^
Ringrazio tutti i lettori, in particolar modo coloro che recensiscono abitualmente e che hanno aggiunto la storia tra preferite, seguite ecc...
Mi farebbe piacere sentire la vostra voce in proposito, anche se ultimamente ho notato che ci sono sempre meno recensioni e questo mi dispiace molto ç_ç
Per questo motivo spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che magari mi lasciate qualche recensione, giusto per farmi sapere che siete vivi e che non siete solo lettori immaginari XD grazie a voi, ancora una volta, e alla prossima!
Frens (L)

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Capitolo 12
*** Segreti inconfessabili. ***


Segreti inconfessabili.
 
capitolo 12



Me ne stavo raggomitolata sul divanetto della cucina, le gambe strette al petto nella morsa delle braccia, la maglietta che a malapena mi copriva il sedere, le lacrime che colavano lentamente sul viso.
Ero forse diventata più fragile?
Matt si era ubriacato, Chase mi aveva baciata, e mia cugina aveva tentato di baciare – evidentemente brilla anche lei – Will sulle labbra. Ed io continuavo a sentirmi una merda.
Non tanto per il fatto che non sia riuscita ad allontanare le labbra del biondo dalle mie, quanto per il fatto che avevo la netta sensazione che la sbronza di Matt avesse a che fare con ciò che era accaduto fuori dal locale. Insomma, non era normale che imprecasse contro Chase e mi guardasse con aria incazzata.
E se avesse visto qualcosa?
Will era ancora sveglio, lo sentivo trafficare in bagno con chissà cosa, e Matt si era sicuramente addormentato, dopo aver rovesciato il portaombrelli e tutto ciò che poteva provocare casino nell’ingresso.
Chase ed Ileen erano entrati nella loro stanza in religioso silenzio, e Prudence si era accasciata sul proprio letto, addormentandosi quasi all’istante.
Mi asciugai quelle poche lacrime con il dorso della mano, ma quel gesto non fu sufficiente ad arrestare la sensazione di aver fatto qualcosa di imperdonabile. Quel bacio non avrebbe mai dovuto esserci.
Eppure era accaduto. Cosa peggiore di tutto: io c’ero stata alla grande.
Decisi di parlare con Matt quanto prima.
Magari in quel momento stesso, anche se sicuramente non sarei riuscita a svegliarlo.
Il rumore di una porta che si apre e Will piombò in cucina con un tempismo che odiai.
Vide il mio viso arrossato e gli occhi lucidi e venne a sedersi accanto a me con aria scocciata.
- Non mi piace girarci intorno: cos’è successo fra te e Chase? Matt sta uno schifo. – questa frase non contribuì a farmi stare meglio, anzi, peggiorò di gran lunga la situazione.
- Voglio parlare con lui. –
- Ma lui è ubriaco e sta dormendo. Lascialo in pace, è meglio. –
- Credi che io mi senta meglio?! –
- Ah, io non so come ti senti. Piuttosto mi piacerebbe sapere cosa è successo. –
Eh, proprio una bella domanda!Avrei voluto saperlo anch’io.
- Ti direi di chiedere direttamente a Chase. Fatto sta che mi ha baciata. –
Silenzio. Sospirai e una nuova lacrima cadde sulla guancia.
Un singhiozzo, e le mani coprirono quello sfogo.
- Io credevo fosse gay. –
- Non sei l’unico… ma dev’essere successo qualcosa con Ileen. Io volevo solo capire cosa, e lui… mi ha baciata. – non c’era modo di capire cosa avesse spinto il biondo a baciarmi.
- E’ per questo che piangi? Perché ti ha baciata un gay? – spostai le mani dal viso e gli lanciai un’occhiata incendiaria, per poi rispondere con la mia linguaccia al vetriolo.
- Molto spiritoso. Mi sento in colpa, ecco perché piango. –
- Allora vai a parlare con Matt. Insomma, tu non volevi baciare Chase no? –
- Certo che no! Ma… hai appena detto che sta dormendo. Io… -
- E chissenefrega. Tanto avrà tutto il tempo per riprendersi domani mattina. –
- E se mi mandasse a cagare? –
- Beh, io lo farei onestamente. –
- Ma io e lui non stiamo insieme! –
- Non ancora Bethany… - mi strizzò l’occhio con fare equivoco, prima di sollevarsi dal divanetto con aria insopportabilmente misteriosa.
- Dove vai? – domandai sospettosa, stringendo le palpebre.
- Nel tuo letto dolcezza. Tu dormirai in quello di Matt tanto. E poi Prudence sta già dormendo, quindi non c’è alcun pericolo di morte per me. – arrossii come una camionetta dei pompieri, e la mia reazione fu talmente ridicola da provocare una risatina allo smielato.
- M-ma, ehi! – ma quello si era già chiuso la porta della camera – della mia camera! – alle spalle.
Compresi che per forza di cose mi sarei dovuta infilare in camera di chiappedoro. Non c’era via d’uscita.
Mi avviai così in direzione della sua stanza da letto e aprii, senza preoccuparmi di fare silenzio: tanto, di lì a poco, il ragazzo si sarebbe svegliato ugualmente.
Ciò che feci non fu una delle cose più furbe che avrei potuto fare, ma era una delle più efficaci per svegliarlo: mi infilai direttamente dentro le coperte in disordine e aspettai che si accorgesse di me.
Attesi, ma non per molto. Quello si voltò qualche secondo più tardi, prima di rendersi conto che colei che si era appena accostata accanto a lui ero io.
- Beh, che ci fai nella mia stanza? –
- Non cominciare, voglio parlarti. –
- Stevens, sono fuori… voglio solo dormire. –
- Ti verrà piuttosto difficile: Will si è appropriato del mio letto, mi ha praticamente sfrattata! –
Gli occhi azzurri erano semichiusi. Le labbra piene alla luce della luna sembravano ancora più belle.
- Hai visto tutto vero? – domandai seria, trattenendomi dal sfiorarlo con le dita.
- Se per tutto intendi il fatto che Chase ti abbia ficcato la lingua in bocca, abbia messo le mani sul tuo culo e che tu gliel’abbia lasciato fare… sì, ho visto tutto, e ho visto anche troppo. –
Lo guardai negli occhi, impassibile.
Da ubriaco era più semplice analizzare i suoi pensieri.
Rabbia, tristezza, e in un certo senso anche un briciolo – forse anche più di uno - di gelosia troneggiavano all’interno delle sue iridi azzurre.
- Se la cosa ti può consolare io non volevo baciarlo. –
- Ma l’hai fatto. –
- Non sapevo come comportarmi, io… non sapevo che cosa stava succedendo. Insomma… Chase è gay. – non risultava molto chiara come spiegazione, ma sembrava che avesse capito ciò che intendevo dirgli.
- Ho la netta impressione che tu mi stia chiedendo scusa. E sono pure ubriaco… la cosa è evidente. – mugugna, chiudendo le palpebre.
- Lo ammetto. Cioè, in realtà non dovrei farlo, visto che io e te non stiamo insieme. Però ti sei ubriacato, e pensare che sia stata colpa mia mi fa sentire in dovere di chiederti scusa. –
- E se io me ne fregassi delle tue scuse e ti mandassi a cagare? –
- Non lo faresti mai. –
- Ah no? –
- No… -
- E cosa te lo fa pensare? –
- Il fatto che io sia sul tuo letto, mezza nuda sotto le coperte. –
- Anche se non ci crederai mai, sono ancora capace di controllarmi. –
- Io non credo. –
La mia mano si mosse sotto le coperte, centimetro dopo centimetro, fino a sfiorargli la pelle, le anche, il petto. Le dita si muovevano da sole, e tutto ciò che potevo impedirmi di fare era guardarlo negli occhi.
Ma non significava che io volessi trattenermi dal farlo.
In quei brevi istanti in cui mi perdevo nei suoi occhi dimenticavo tutta la fatica fatta per tenerlo lontano, forse per non soffrire più, forse per non ammettere che in fondo il suo sguardo non avrei mai potuto ignorarlo. Forse anche lui sentiva che qualcosa nel mio modo di toccarlo era cambiato, perché, sebbene ubriaco, si avvicinò e si rannicchiò sospirando sul mio petto.
Fu allora che si addormentò, senza dire più nulla.
Fu allora che mi addormentai, con il profumo del suo dopobarba che mi avvolgeva come una calda coperta di lana nel bel mezzo dell’inverno.
 
(Pov. Will)
Avevo la netta impressione che Prudence fosse ancora sveglia, e questo sospetto si tradusse in realtà quando la sentii piangere. Pure lei. E che cavolo!
- Ma che avete tutti quanti? Hanno tagliato una cipolla supergigante oppure è morto Parmigianino? – nonostante fossi dubbioso sul fatto che qualcuno avrebbe pianto la dipartita di quell’orrendo gattaccio, questa sarebbe dovuta essere una battuta, ma sortì l’unico effetto di far tacere del tutto la ragazza.
Will alzò gli occhi al cielo: l’unico di buonumore era lui?
L’unico cretino a non essere in stato depressivo o isterico sembro essere io. Bah.
Si avvicinò senza troppe remore al letto della ragazza e si sedette al bordo, neanche troppo lontano dal corpo esile della stessa Prudence.
- Che hai, anche tu? –
- Non sono affari tuoi. – si aspettava una risposta del genere, perciò non battè ciglio. Con un’alzata di spalle, levò le lenzuola alla ragazza, lasciandola totalmente scoperta… e mezza nuda.
Quella si voltò, il viso arrossato e umidiccio, e mi lanciò una delle sue migliori occhiate omicide.
Mi sentii affettato da quei coltelli che aveva al posto degli occhi, ma sostenni quello sguardo con orgoglio.
- O mi dici perché stai piangendo e me ne vado a dormire nel letto di Bethany o rimango qua tutta la notte finché non mi dici tutto. Con queste in mano. – ero serio, serissimo, e tenevo ancora le lenzuola a distanza di sicurezza dal braccio della mora.
- Dai, ridammi le lenzuola. – schioccai la lingua in segno di diniego a quelle parole incazzose, l’espressione tronfia e guastafeste di uno a cui non piacciono i musi troppo lunghi.
Avere un migliore amico come Matt sembrava quasi un controsenso.
- Sei insopportabile! Dammi quelle lenzuola, ho freddo! –
- Sfido, sei praticamente nuda. –
- Ahh ti odio quando fai così, siete proprio uguali voi due! – si interruppe, e l’espressione si fece nuovamente triste, poi colpevole. Ormai non poteva ritirare ciò che avevo sentito uscire dalle sue labbra.
- Io e chi? – sollevai un elegante sopracciglio e lanciai le lenzuola sul letto di Bethany con un tiro da maestro. Per tutta risposta, una lacrima scivolò rapida e dolorosa sul viso della ragazza.
- Ti prego, vai a dormire. Non mi importa se dormi nel letto di Bethany, ma lasciami in pace. – la mia espressione si addolcì visibilmente. Mi sdraiai accanto a lei e rimasi a guardarla senza dire nulla per qualche istante. Poi il mio tono divenne dolce, quasi vellutato. Avevo paura di farle del male.
- Perché hai tanta paura di sfogarti con qualcuno? Mi hai detto che non mi disprezzi, ma mi allontani continuamente. Quello che non capisco è perché fai lo stesso anche con Bethany, e non se lo merita un comportamento tanto distaccato da parte tua. – si sa che con le buone maniere si ottiene molto più di quanto sembri.
E con Prudence sembrarono funzionare.
- Mi dispiace, ma non riesco a dimenticare quello che è successo. –
- Ma puoi parlarmene. O non ti fidi di me? –
- Il punto è che… è una cosa stupida… -
- Beh mica tanto se ti fa piangere. –
- A te potrà sembrare davvero idiota. –
- Se non me lo dici non lo potrai mai sapere. –
La ragazza sospirò e si asciugò il viso col dorso della mano. Si schiarì la voce e cominciò il suo discorso.
- E’ che tu e lui… il mio ex… siete troppo simili. Anche fisicamente. Cioè… in realtà siete diversi, ma in certe cose siete troppo… insomma… vi comportate allo stesso modo. Avete gli stessi atteggiamenti. –
- E’ per questo che mi odi? –
- No… è per questo che mi piaci. E mi odio per questo. –
Il mio cuore fece un balzo. Ora tutto aveva senso, e allo stesso tempo ne perdeva.
Quindi lei mi voleva solo perché le ricordavo il suo ex. Mi sentivo rabbioso nei suoi confronti, volevo dimostrarle che io e il suo ex non ci somigliavamo neanche un po’. Che ero tutta un’altra storia.
- Beh, io non sono il tuo ex, perciò smettila di frignare e guardami. Ti sembro il tuo ex? –
Lei mi guardò a lungo, con l’aria di una che vorrebbe essere ovunque, ma non qui.
- No... –
- Mi odi? –
- No. –
- Ti piaccio? –
- Io… –
- Ti piaccio? – ripetei con decisione.
Esitò, ma alla fine una flebile risposta uscì dalle sue labbra.
- Sì. –
- Allora cerca di metterti in testa che non sono il tuo ex. E nemmeno tanto stupido da lasciare una come te. – quelle parole mi uscirono dalle labbra come se non fossi stato io a pronunciarle, eppure sapevo di pensare esattamente ciò che avevo appena mormorato. Solo guardandola capivo che avrei voluto che quell’attimo non svanisse, che rimanesse intatto ancora per un po’.
- Questo vuol dire che io ti piaccio? – era sconcertata.
I suoi occhi erano colmi di dubbi anziché di lacrime, e poi… sembrava sempre più vicina.
Sarà che la mia mano stava avvicinando il suo collo, sarà che le sue labbra ormai erano a un soffio dalle mie. I nostri corpi cominciarono a provare l’uno il calore dell’altro, e il suo dolore si fuse con la mia voglia, e la sua voglia col mio rancore. Ci baciavamo, ma non erano abbastanza lingua e carezze.
Nulla di ciò che stava accadendo era sufficiente.
Bramavamo qualcosa che nessuno poteva negarci, che le barriere che ci eravamo autoimposti non potevano più arginare. Esse si frantumarono come le nostre esitazioni.
Il profumo del suo shampoo abbatté le distanze, le domande, abbatté tutto ciò che era d’ostacolo ai nostri desideri. Le mie mani correvano sul suo corpo senza tuttavia avere fretta, senza saziarsene, ma al contrario, accrescendone la fame. Sapevamo entrambi che sarebbe arrivato il momento in cui avremmo dovuto riempirci di ciò che ci mancava, e quell’istante arrivò.
La spogliai dei vestiti e delle paure, e lei fece lo stesso con i miei indumenti e la mia rabbia.
Non ci curammo del fatto che le lenzuola giacessero sgualcite e distanti sull’altro letto: tutto ciò che non eravamo io e lei ci era estraneo. Finché le nostre mani si toccavano e i nostri corpi rabbrividivano al contatto, finché facevamo del nostro respiro il respiro dell’altro, potevamo anche ignorare il fatto che i nostri sentimenti apparissero più chiari della realtà.
- Decisamente sì. -
Potevamo ignorare il giorno che stava arrivando e le conseguenze che avrebbe portato con sé.
 
(Pov. Prue)
Non ci credevo. Più ci pensavo e meno aveva senso.
Era successo, ed io non potevo che contemplare questa eventualità con un misto di incredulità e consapevolezza. Sentivo il suo calore tra le lenzuola e il suo respiro mi pungeva la pelle, e sapevo che non era un sogno ciò che era accaduto quella notte. Eppure mi era tutto sembrato così irreale, così maledettamente bello, che metterlo in dubbio non sembrava poi tanto impossibile.
Will cingeva con un braccio il mio corpo nudo, il torace muscoloso contro le mie spalle esili.
Ancora dormiva, ma io pensavo, pensavo, pensavo…
Pensavo a quanto fosse assurdo che Will mi piacesse così tanto, nonostante tutto.
Pensavo alle sue mani su di me e già volevo che tutto ricominciasse.
Ma soprattutto… pensavo a come l’avrei detto a Bethany.
- Buongiorno.. – fu il sussurro di un assonnato ma sorridente Will. Quando mi voltai con lo stesso sorriso rilassato verso di lui, nuovamente la distanza tra di noi scomparve.
- Che ore sono? – domandai dopo che ebbe baciato le mie labbra, in un sussurro assonnato.
- Ora di alzarsi direi. –
Sbadigliai rumorosamente, stiracchiandomi con naturalezza sul materasso.
- Allora sarà meglio andare a fare colazione. – asserii con un sospiro, puntellando i gomiti contro il cuscino per tentare di alzarmi, e di vincere così la forza di gravità che mi ancorava al letto, e in un certo senso a Will. Soprattutto a lui.
- Dove stai andando? – domandò il moro, cingendomi rapidamente i fianchi e impedendomi di conseguenza di sollevarmi dal letto.
- A mangiare no? Non so te, ho un po’ di fame… -
- Mh, di già? – fu il suo sussurro, prima di aggredire le mie labbra e farmi ricadere sui cuscini e sul letto sfatto.
- Sì, di già. – risposi sorridendo. Successivamente mi slegai dal suo abbraccio e mi misi a sedere, tastando il letto alla ricerca della biancheria.
- Quindi dovrei alzarmi pure io? –
- Nessuno ti obbliga. – infilai rapidamente reggiseno e mutande e andai alla ricerca di una maglietta e di un paio di pantaloncini da indossare per non passeggiare mezza nuda per casa.
Ancora una volta il mio pensiero andò a Bethany, a come avesse passato lei la notte.
Quasi speravo che pure lei avesse qualcosa da raccontarmi.
- Ritorniamo acidelle? – domandò scherzoso Will che, senza preoccuparsi di rivestirsi – o perlomeno di coprirsi con qualcosa – si alzò dal letto e si avvicinò alla ragazza, cingendole i fianchi con le sue braccia muscolose.
- Credi che Bethany sospetti qualcosa? – si limitò a rispondere Prudence, infilando rapidamente una maglietta con la faccia di Spongebob stampata sul davanti. Will si limitò a sbattere le ciglia incredulo per quella maglietta tanto ridicola, ma non riuscì ad astenersi dal commentare.
- Quella maglietta sarebbe capace di uccidere le fantasie sessuali di Chase di fronte a Brad Pitt nudo e sudato. -
- Questa maglietta la indosserò comunque. E in ogni caso non parlavamo della mia maglietta. –
- Bethany probabilmente ha avuto altro a cui pensare stanotte, e quella maglietta è orrida. –
- Basta! Non sviare. – si scostò dal ragazzo e infilò un paio di shorts di jeans.
- Non sto sviando… ma quella maglia è oscena. – Prudence si voltò di scatto e gli lanciò un’occhiataccia decisamente poco amorevole, per poi puntargli un dito contro il petto nudo con fare intimidatorio.
Fece uno sforzo immane per non sbavare sopra la magnificenza del suo torace, ma non riuscì esattamente a risultare minacciosa come avrebbe voluto. Maledetti ormoni!
- Se non la smetti di offendere la mia maglietta giuro che stanotte dormi con Parmigianino! –
- Okay, la smetto. – alzò le mani in segno di resa, ma era evidente il suo tono scherzoso.
La stava allegramente prendendo in giro, senza alcun dubbio.
- Vestiti e vieni a fare colazione. – gli dissi con un mezzo sorriso.
Era il segno che qualcosa stava cambiando: in una normale situazione gli avrei rifilato un pugno o qualcosa di poco amichevole. Ora invece mi limitavo a sorridergli come una stupida: decisamente, dovevo parlarne con Bethany.
 
*
 
Mi svegliai per colpa del letto, più precisamente per colpa di chi lo stava facendo muovere.
Sentii anche un fruscio provenire dai dintorni, come se qualcuno si stesse rivestendo.
Aprii lentamente gli occhi e, ancora intontita dal sonno, riuscii a scorgere i pettorali del figo di ghiaccio che venivano rapidamente coperti da una canottiera bianca.
In un attimo i ricordi della notte precedente riemersero, ed io mi sentii in dovere di parlare con lui.
- Matt…? - 
- Mh? – mugugnò, mentre si infilava rapidamente i jeans.
- Dobbiamo parlare. – mi misi a sedere, la voce impastata dal sonno, i capelli scompigliati e la maglietta che a malapena mi copriva le anche. In quel momento non mi importava di nulla, dovevo assolutamente chiarire la questione del bacio. Volevo chiarirla sul serio, parlarne da sobri.
- E cosa dovresti dirmi? – la sua indifferenza mi preoccupò: non avevo mai sentito quel tono tanto gelido da parte sua. Rimasi in silenzio per qualche istante, prima di sollevarmi dal materasso e di avvicinarmi a lui con cautela. Avevo la netta impressione che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto.
Più precisamente, avevo la sensazione che nulla sarebbe andato come speravo.
Tesi una mano verso il suo braccio, ma bastò un tocco a farlo allontanare da me il tanto giusto, in modo che non potessi farlo di nuovo. Allora abbassai la mano, e lasciai ricadere il braccio sul fianco.
Mi bruciavano gli occhi, e non era colpa del suo sguardo, che solo ora mi squadrava con ostentata freddezza. E ostilità, tanta ostilità.
- Scusa per ieri. Io… non volevo che tu bevessi tanto. – non che ne avessi esattamente colpa.
La sua reazione era stata decisamente esagerata, a parer mio. Eppure dovevo – volevo – spiegarmi.
- Tranquilla, tanto non ricordo nulla. – disse, con un tono che non mi convinceva proprio per niente.
Già il fatto che mi avesse appena dato le spalle per evitare di guardarmi mi lasciava spiacevolmente stranita. E d’improvviso capii che quel suo comportamento non era dettato dalla stanchezza, né dai postumi della sbronza del giorno prima.
- Non è vero, tu mi stai evitando. – improvvisamente il sonno provocato dal recente risveglio svanì totalmente, e una strana sensazione di vuoto si insinuò fastidiosamente all’altezza dello stomaco.
Sapevo che qualcosa stava cambiando, e non in meglio.
- Era ciò che volevi no? Ora ti starò lontano quanto vuoi. –
- Ti sto chiedendo scusa per qualcosa di cui non dovrei neanche preoccuparmi e tu ti comporti in questo modo?! Sai che ti dico? Continua ad ignorarmi, io farò lo stesso. – detto questo uscii dalla stanza, sbattendomi la porta alle spalle. Lui non mi fermò. Non fece nulla.
Mi ritrovai in men che non si dica ad entrare come una furia in cucina, conscia del fatto che il mio abbigliamento comprendesse la bellezza di un paio di boxer e di una maglietta neanche tanto lunga. Insomma, un disastro completo.
Il bello è che non mi importava della presenza di Chase e Prue, che sembrava essere appena uscita da una lobotomia per la sua espressione da Parmigianino lesso.
Espressione che non notai affatto.
- Buongioooorno tesoro! – fu il saluto del biondo, che intanto sorrideva bonariamente come se nulla fosse accaduto e sfoggiava il suo culetto tentatore con aria piuttosto innocente.
Non notai nemmeno quello. Pensavo a tutt’altro, pensavo a come avrei potuto sopportare una simile situazione. La mia risposta fu unicamente quella di aprire lo sportello e di estrarre il barattolo del caffè.
- Cugi! Buongiorno! – un altro saluto entusiasta, troppo gioioso per non destare qualche sospetto.
La Prudence di sempre non si sarebbe mai svegliata tanto di buonumore, sapendo di aver dormito nella stessa stanza di Will. Ma non mi accorsi nemmeno di questo.
La risposta che ricevette fu un vago tintinnare di cucchiaini e di tazzine.
Cominciai a prepararmi un caffè, il sedere in bella vista, i capelli arruffati e l’aria funerea di una che sta andando incontro ad una brutta morte.
- Betty? Sicura di star beneeee? – fu la domanda di Chase, pronunciata con palese accento da frocio, che evidentemente non aveva ben chiaro il fatto che il mio silenzio fosse un eloquente vaffanculo.
Strinsi i denti. Volevo evitare di far scoppiare un putiferio in cucina. Avrei potuto far credere a Matt che non me la fossi presa sul serio, ma non potevo mentire a mia cugina: Prudence aveva compreso che qualcosa non fosse andato esattamente per il verso giusto. Si avvicinò a me con disinvoltura e mi formulò una semplice domanda, che tuttavia rischiò di farmi mandare all’aria tutti i buoni propositi.
- Stai bene cugi? –
- Benissimo, ho… solo bisogno di un po’ d’aria. Vado a farmi un giro. – senza dare ulteriori spiegazioni mi diressi in camera, lasciando il caffè incompiuto.
Inutile dire che Prudence mi lasciò fare, per ora, ma sapevo che al ritorno dalla passeggiata mi avrebbe domandato che diavolo mi fosse preso.
E non mi avrebbe lasciata stare tanto facilmente. Per mia immensa sfortuna.
Mi preparai piuttosto rapidamente e, dopo aver raccattato un paio di jeans scoloriti e una maglietta nera piuttosto stretta, afferrai la giacca e di conseguenza chiavi e portafoglio e mi addentrai per il pianerottolo, senza accennare neanche un saluto in direzione di Chase che, come se nulla fosse, si stava preparando un toast. Non mi accorsi del suo sguardo indagatore mentre mi chiudevo la porta alle spalle, né del fatto che fino a pochi secondi prima mi stava impertinentemente guardando il culo.
 
Le gambe mi portavano lontano, e la strada che seguivano non mi era del tutto sconosciuta, anche se ancora non ci ero particolarmente abituata. Con le mani nelle tasche e i capelli non propriamente perfetti, camminavo a passo rapido e con il capo lievemente chino, senza ben aver chiaro dove mi stessi dirigendo, almeno fino a quando non ci arrivai direttamente.
Sapevo solo che nelle vicinanze avrei trovato il bar dove avevo ‘conosciuto’ Brian e Nick.
Onestamente non mi aspettavo che si ricordassero di me, né desideravo che lo facessero.
Quando presi posto ad un tavolino, totalmente sola e con la testa fra le nuvole, non attesi molto tempo, poiché un ragazzetto alto e aggraziato arrivò a prendere le ordinazioni.
- Un cappuccino e una pasta alla marmellata – fu ciò che dissi, con lo sguardo ancora saldato alla superficie del tavolo di legno.
- Come mai sola soletta? – rispose il ragazzo, sorridente e biondo come non mai. Brian. O forse Nick?
Riconoscerli era piuttosto difficile, ed io ero troppo fuori di me per comprendere alcunché.
- Oh, ciao. – dissi, quando sollevai gli occhi in sua direzione.
Non sorrisi, mi limitai ad un cortese quanto glaciale saluto.
- Ricordo vagamente un muso lungo, ma non era il tuo. Mattinata cominciata male? –
- Spero che il muso lungo a cui ti riferisci si getti dal balcone del palazzone dove abita insieme a Parmigianino. Ma sto bene, sul serio. –
- Parmigianino? – sapevo che era confuso tanto quanto chiunque altro lo sarebbe stato se avessi nominato tale esemplare felino.
- Lunga storia, lascia stare. – scossi il capo stancamente e riabbassai lo sguardo su un graffio piuttosto interessante del tavolino. Mh, forse non proprio interessante.
- Okay, cappuccino, pasta alla marmellata e una lunga serie di domande fastidiose. Arrivo subito. – allegò un occhiolino alle sue parole e sparì dietro il bancone, a un tiro di schioppo dalla postazione nella quale avevo scelto di piazzarmi. Sospirai rassegnata e, senza capire per quale motivo il biondo se la prendesse tanto a cuore, attesi che arrivasse a servirmi.
Quasi speravo che non tornasse: cercavo solitudine, non un consulente sentimentale!
E invece quello parve metterci meno del previsto, o per lo meno, meno di quanto sperassi.
In uno sbatter di ciglia si era già accomodato davanti a me.
Alzai un elegante sopracciglio, senza preoccuparmi di celare il mio disappunto.
- Ma tu non dovresti lavorare? – domandai perplessa, osservando alle sue spalle una ragazzetta dai capelli rossicci e gli occhiali indossare un grembiule con aria scontrosa.
- Mi sostituisce Martha, molto gentilmente. – rispose, accennando con il capo alla ragazza sulla quale avevo appena messo lo sguardo. Tutto mi sembrava, meno che gentile.
- Mh, ho l’impressione di averla già vista. – aggrottai le sopracciglia, nel tentativo di comprendere dove questo fosse accaduto, ma niente.
Non mi veniva in mente proprio nulla.
- Magari, quando sei venuta qualche giorno fa, l’hai intravista. Ma… ti dispiace se mi siedo con te? –
- Sei già seduto. – scrollai le spalle, allungando una mano verso il cappuccino fumante.
- Ti ricordavo più amichevole. Il che porta a farmi gli affari tuoi. –
- Gli affari miei non sono poi tanto interessanti. – portai la tazza candida alle labbra e bevvi un lungo sorso di cappuccino, per poi abbassarla nuovamente e passare alla pasta.
Avevo fame, anche se sentivo una strana pesantezza allo stomaco.
- Mettiamo che lo siano. –
- Ma non lo sono. –
- Sono un tipo ficcanaso, e mi pare che tu sia piuttosto incazzata con un certo muso lungo. –
- Non sono io ad essere incazzata con lui. E sì, sei molto ficcanaso. –
- E tu non sei una che racconta i propri cazzi in giro, giusto? –
- Esattamente. –
- Facciamo così: pago io. –
- Il bar è tuo no? –
- Beh, fai finta che stia pagando io. Saresti un po’ più gentile con me? –
- Probabilmente farei un sorrisetto e continuerei a fare finta che parlare dei cazzi miei con uno sconosciuto sia perfettamente normale. –
- Beh, anche i migliori amici un tempo sono stati sconosciuti. Fai finta che io diventerò un buon amico e raccontami dei tuoi problemi. Che ti frega? –
- Mi frega che non ne ho nessuna voglia. Insomma, possibile che tu faccia così con tutti quelli che incontri per strada? –
- No, solo con le ragazze particolarmente carine. –
- Allora perché parli con me? –
- Spiritosa! Tu sei molto più che carina… - sollevai lo sguardo: volevo accertarmi che non mi stesse prendendo per il culo, e, nonostante di lui conoscessi solo il nome e le caratteristiche fisiche, mi resi conto che non mi stava prendendo per il culo.
- Mi fa piacere che almeno qualcuno mi apprezzi, ma davvero, non ho nulla di interessante da raccontare. Ti annoierei e basta. – il mio tono si era stranamente ammorbidito, forse perché quel ragazzo mi stava fin troppo simpatico.
Di certo non era un tipo musone come quello da cui stavo fuggendo.
- Dove hai lasciato la cricca? – domandò improvvisamente, cominciando a sorseggiare il caffè che, me ne accorsi solo quando lo vidi con la tazzina in mano, si era portato dietro insieme alla mia ordinazione.
- A casa, sai… siamo tutti coinquilini. –
- Uh, bel casino. Ora capisco perché quell’espressione da martire. –
- Cosa vorresti dire? – addentai la mia pasta con fremente curiosità, senza staccare lo sguardo dal biondo in questione. Mi accorsi che i suoi occhi erano di una bella sfumatura di grigio, ma non mi ci persi come avrei fatto se mi fossi ritrovata davanti quelli azzurri di Matt. Già, Matt.
- So bene cosa stai passando. Cioè, i coinquilini sono delle rotture di palle. Figurati che io divido il mio appartamento con Nick e Martha… - dopo aver nominato quest’ultima, indicò la ragazzetta dai capelli rossastri, quella che un istante prima aveva accettato di sostituire il ragazzo, e abbassò il tono della voce, inclinandosi lievemente in mia direzione, in modo che potessi sentire ciò che stava per dire - …lei è davvero insopportabile, eppure mio fratello è da qualche tempo che se la porta a letto. Cosa ci trovi di bello in lei non credo di averlo ancora capito: è sempre così antipatica e irascibile con tutti! – alzò gli occhi al cielo, prima di ritornare ad assumere un tono di voce più alto.
- Mi chiedo come sarà quando avrò dato tutti gli esami allora! Un macello, di sicuro. –
- Primo anno di università? –
- Già, per di più alla stessa facoltà dello stronzo! –
- Lo stronzo immagino sia il musone. –
- Non so come, ma stai riuscendo a farti gli affari miei. –
- Sono un asso in questo. –
- Sei sicuro di voler sapere cos’è successo? –
- Io ti ascolto. Quando mi vedrai collassare sul tavolo significa che non ho più voglia di sentirti. Ma non succederà, perciò… - sorrise, e improvvisamente sentii gli angoli della bocca incurvarsi in un sorriso amichevole.
Decisamente, quel ragazzo mi stava maledettamente simpatico.
Bevvi un lungo sorso del cappuccino e cominciai a raccontare, anche se esattamente non sapevo cosa avrei potuto dirgli.
Sapevo solo che continuavo a pensare a quando le mie dita avevano sfiorato il braccio di Matt, al calore che avevo sentito, alla sensazione di vuoto provata quando si era allontanato con tanta urgenza dal mio tocco.
Cominciai a sentire le lacrime bruciare all’interno delle palpebre, ma trattenni, anche se la voce tradiva in parte il mio stato d’animo.
- Vedi, io e Matt non stiamo insieme, eppure lui… si comporta come se io sia sua o debba per forza dargli ascolto. Il fatto è che ieri notte è successo qualcosa di strano. – mi ero spiegata da cani, ma non sapevo come esporre qualcosa di tanto contorto e complicato – che oltretutto non capivo nemmeno io – a qualcuno che non conosceva pressoché nulla di lei, né tantomeno degli altri.
Intanto lui terminò il suo caffè il un sorso, per poi riprendere la parola.
- Quanto strano? – incalzò curioso, con quegli strani occhi grigi fissi su di me.
Pareva gustarsi ogni parola come se fosse una succosa macedonia. Io d’altro canto non comprendevo il perché di tanto entusiasmo, ma non mi tirai indietro, anzi, continuai il mio discorso senza interruzioni.
- Molto. Insomma, Chase – quello biondo – è gay, eppure… ieri si stava comportando in modo strano, e quando sono uscita fuori dal locale nel quale siamo andati, per parlargli e chiedergli cosa gli fosse successo, lui… beh, mi ha baciata! E di certo non mi ha baciata come farebbe un gay!
È solo che io ero talmente sorpresa che non sono riuscita ad allontanarlo. Sospetto che Matt abbia visto la scena perché ha cominciato a bere, bere, bere… finché non si è ubriacato del tutto. E quando stavamo tornando a casa non faceva che lanciare frecciatine piuttosto evidenti a Chase. Stamattina avevo intenzione di chiarire con lui, ma mi ha liquidata con poche parole. Davvero, io sono talmente incazzata – con entrambi – che non so come comportarmi. –
- E così hai voluto fare un giro per evitare di prendere a padellate entrambi. – annuii afflitta, rigirando il cappuccino con il cucchiaino.
- Matt pensa che io mi sia lasciata baciare perché mi interessa Chase. Ma… Chase è gay! –
- Io non ci giurerei, anche se non mi viene in mente nessun motivo per cui dovrebbe fingere di esserlo… in ogni caso non capisco che vuole questo idiota: tu mica stai con lui! Anche se ti interessasse questo Chase lui non dovrebbe avere nulla da ridire in proposito. –
- Evidentemente non è così. –
- Evidentemente gli piaci. –
Scossi il capo violentemente, come se il mio cervello si rifiutasse categoricamente di considerare quest’eventualità, neanche tanto remota.
Intanto all’interno del mio stomaco parevano essersi formate diverse famiglie di fastidiosi insetti sgambettanti.
Qualcuno le chiamerebbe farfalle.
- Ma neanche mi conosce! Insomma… -
- E a te piace lui. –
- Assolutamente no! Provo solo repulsione per lui. – Sì certo, come no: per un esemplare altamente scopabile come Matt è possibilissimo provare repulsione! COME NO!
- Allora spiegami il perché di tanto incazzo. Ti stai letteralmente mangiando il fegato! Io non sarò un tipo particolarmente empatico ed attento, ma è chiaro che lui non ti è del tutto indifferente. –
- Perché è un idiota e non deve intromettersi in cose che non lo riguardano minimamente! –
- Nonono, non me la bevo! Tu e Matt avete scopato? –
- Perché fate tutti le stesse domande? – sviai rapidamente, sentendo le guance imporporarsi altrettanto velocemente.
- Scommetto che dai a tutti la stessa risposta. – mi resi conto che Brian trovava sin troppo divertente mettermi in difficoltà, ed avrei tranquillamente evitato di dare una risposta se solo non avessi appena compreso che, sì, forse sia lui che gli altri non avessero poi tutti i torti.
- No, non abbiamo scopato. Però… -
- Ci siete andati vicini? –
- Vicinissimi. Fin troppo. –
- Ora capisco un bel po’ di cose. Questo cambia tutto. –
- No invece, non cambia proprio un accidenti: solo perché ci siamo scambiati qualche bacetto… magari un po’ spinto, ma pur sempre bacetto… quello stronzo non ha il diritto di farmi sentire come un Parmigianino lesso! –
- Okay, ora spiegami chi è questo Parmigianino! –
- Meglio che tu non lo sappia… - liquidai l’argomento con fare enigmatico, ricordandomi che dovevo ancora terminare la pasta alla marmellata, ora un po’ fredda, ma pur sempre ottima. Portai il dolce alle labbra e lo finii di mangiare in due bocconi piuttosto grandi, per poi finir di bere anche il cappuccino.
- In ogni caso so che può sembrarti strano che un tipo come lui possa piacerti. -
- Penso che sia assurdo. Ora che cazzo faccio? –
- Non è una tragedia: lascialo cuocere nel suo brodo e aspetta che faccia un passo falso. Così avrai le idee più chiare. –
- E poi? –
- Poi dammi il tuo numero. Non spererai di cavartela così a buon mercato?! –
Sorrisi così, spontaneamente, senza che mi sentissi obbligata a farlo. Avevo la netta impressione che io e Brian saremmo potuti essere buoni amici, se solo io mi fossi comportata meno da asociale.
Per questo motivo decisi di dargli il mio numero: sentivo che di lui avrei potuto fidarmi.
 
- Sono tornaaaata! – se quando avevo messo piede fuori dall’appartamento avevo un’aria funerea non indifferente, in questo momento – mentre rientravo con un sorriso piuttosto ampio all’interno di quella che ormai era diventata la mia nuova dimora – pareva che fossi appena uscita da una lobotomia.
Mentre appendevo la giacca canticchiando (sì, canticchiando) sentivo gli sguardi di almeno metà dei coinquilini puntati contro.
Senza degnare di un solo sguardo nessuno dei presenti, Matt compreso, mi diressi verso la mia cameretta con l’aria di chi ha appena trovato Parmigianino morto schiacciato sul bordo del marciapiede.
Insomma, piuttosto serena e compiaciuta. Per cosa?
Beh, avevo un piano, sapevo come agire: dovevo solo sperare che funzionasse.
Mi chiusi la porta alle spalle, dirigendomi rapidamente verso l’armadio e cercando alla cieca un paio di pantaloncini che avrei potuto indossare per starmene comodamente stravaccata sul divanetto della cucina a leggiucchiare qualche rivista a caso. Allo stesso modo, cercai una canottiera leggera che mi avrebbe permesso di non sudare per il troppo caldo.
Raccolsi i capelli in una coda fatta alla meglio, senza preoccuparmi dell’aspetto casalingo che avrebbe potuto darmi.
- Bethany? – una vocina alle mie spalle mi fece voltare e, dopo aver scorto mia cugina, sorrisi inevitabilmente, certamente sconcertata per quello strano cambiamento di umore avvenuto in poco più di sessanta minuti d’orologio.
- Cugi! Dormito bene? – domandai allegramente, ripiegando l’abbigliamento utilizzato la mattina stessa e riponendolo con cura negli appositi cassetti.
- Direi di si. Credo che tu mi debba spiegare un po’ di cose. – sapevo che aveva incrociato le braccia al petto ancora prima di voltarmi ad osservarla, infatti quando lo feci la trovai con l’aria curiosa e minacciosa che chiunque avrebbe identificato come indagatrice e le sopracciglia lievemente inarcate.
- Ho fatto un incontro interessante oggi. – spiegai piuttosto rudemente, accomodandomi con un balzello sul materasso del mio letto. Sospirai, conscia che di lì a poco mia cugina avrebbe cominciato a tormentarmi con un interrogatorio in piena regola.
- E che cosa aspetti a raccontarmelo?! –
- Sisi aspetta. Ti ricordi quel tipo biondo del primo bar dove siamo andate dopo essere arrivate? –
- Uhm, vagamente… mi pareva si chiamasse Nick. –
- Sì, ma non lui, il fratello, quello che mi ha chiamata a cantare. –
- Ora ricordoo! Lui? –
- Esatto, pensa che mi ha offerto la colazione! –
- Che gentile eh? Stava solo reclamando la tua… -
- Probabile. Ma sai cos’è strano? Mentre chiacchieravamo mi ha detto che secondo lui io piaccio a Matt! – scoppiai a ridere, sebbene davanti ai miei occhi trovassi una Prudence piuttosto seria.
- Cugi, è quello che sto cercando di dirti da quando ha posato gli occhi su di te. –
- Ma è totalmente folle! Insomma, dire che io e Matt ci piacciamo sarebbe come dire che tu e Will possiate smettere di litigare o fare sesso senza tentare di uccidervi! Assurdo no? – non mi interrogai sul perché Prudence aprì e richiuse la bocca tanto rapidamente in una sola manciata di istanti, tanto ero impegnata a ridacchiare per l’assurdità – quella che io consideravo tale – che Brian credeva tanto fermamente fosse reale.
Quando mi accorsi dell’aria stralunata e alluvionata di mia cugina, la mia espressione ritornò seria, e, convinta com’ero che Prudence fosse preda di qualche visione mariana, le misi una mano sulla spalla per accertarmi che fosse ancora viva.
Quando gli occhi castani ritornarono alla terra, più precisamente ritornarono ad osservarmi, ripresi la parola:
- Parmigianino ti ha mangiato la lingua o hai appena visto un cacatua ballare la conga sull’armadio? –
- N-no, niente. Pensavo che… ehm… hai ragione. Sarebbe assurdo se io e… sì, mi hai capita. –
- Sicura di non aver bisogno di un esorcista? –
- Sì sicura. Ora è meglio che vada a farmi una doccia, prima che entri qualcun altro. – prima che quest’ultima potesse mettere mano alla maniglia, qualcuno bussò alla porta della camera, ed io, aggrottando le sopracciglia, mi domandai chi fosse.
Ci misi molto poco a scoprirlo, poiché Prudence, senza domandare chi fosse, aveva già aperto la porta al primo tocco.
Sulla soglia comparve un Will sorridente e con un’aria indiscutibilmente sospetta.
Mi domandai che cosa potesse volere da noi, così salutai con allegria e una punta di curiosità.
- Will! Ti serve qualcosa? – indagai, notando una punta di nervosismo da parte di mia cugina.
Non mi interrogai a lungo, anche perché non mi diedero modo di farlo, visto e considerato che Prudence non ci mise molto ad afferrare per un braccio lo smielato e a trascinarlo in malo modo per il corridoio.
- Giusto in tempo! Io e te dobbiamo parlare! – fu l’esclamazione sbrigativa della ragazza, che si richiuse piuttosto frettolosamente la porta alle spalle.
Convinta com’ero che Will ne avesse combinata un’altra delle sue, scrollai le spalle e cercai a tentoni il cellulare, abbandonato chissà dove nei dintorni del letto, per poi comporre il numero di mio padre e tentare di chiamarlo come mio solito.
 
(Pov. Prue)
Folle. Ecco un aggettivo per descrivere ciò che avevo intenzione di fare in questo preciso istante.
Le parole di Bethany mi avevano scavato dentro come una trivella, e mi avevano resa insicura e labile.
Non riuscivo nemmeno io a comprendere per quale motivo temessi tanto il suo giudizio, ma quella risata e quella frase avevano distrutto in me ogni spensieratezza, ogni intento di illustrarle quanto accaduto quella stessa notte.
Se prima avevo l’intenzione di confessarle che io e Will avevamo fatto sesso, ora quell’intenzione era svanita in una nuvoletta di fumo.
Desideravo sparire, ma prima dovevo assolutamente parlarne con Will, e sapevo che ciò che stavo per dirgli non gli avrebbe fatto affatto piacere.
Ma come potevo spiegargli cosa mi bloccava senza che mi prendesse per pazza?
Potevo solo sperare che non mi urlasse contro.
- Io e te dobbiamo assolutamente parlare! – esclamai, richiudendomi la porta del bagno alle spalle, dopo essermi accertata che nessuno avesse visto nulla.
- Sono tutto orecchi! Le hai parlato per caso? –
- No, non le ho detto nulla. E non deve sapere niente. Né lei né nessun altro. –
- Ah e per quale – assurdo – motivo? – la sua espressione mutò da interessata a incazzosa in meno di qualche istante, ed io mi feci piccola piccola di fronte al suo sguardo, sebbene cercassi in tutti i modi di mostrarmi il più categorica possibile.
- Perché… beh… è assurdo! È stato un errore, e deve rimanere tale. Insomma, non parliamone più! –
- Mi stai dicendo che dovrei fare finta di non aver fatto sesso con te?! –
- N-non urlare ok? –
- Invece urlo, perché sei davvero incredibile! Spiegami per quale cazzo di ragione ora dovremo far finta di nulla! Io non voglio fingere. –
- Senti io… ieri ero ubriaca, non ero perfettamente in me e ho sbagliato. Mi dispiace ma… è così. – non ero mai stata in grado di mentire senza abbassare lo sguardo o senza renderlo palese, ma Will era talmente arrabbiato e deluso che non parve accorgersi del fatto che le mie ultime parole fossero del tutto false e dettate dalla paura che qualcuno potesse venire a conoscenza dei fatti recenti.
- Smettila di dire cazzate! Stamattina non mi sembravi affatto disgustata! O te lo sei dimenticato? –
- Non me ne importa un accidente! Nessuno dovrà mai sapere nulla di questo. E non dovrà mai più accadere, chiaro? – cercai di mostrarmi decisa, e a quanto pare ci riuscii alla perfezione, poiché l’espressione di Will esprimeva più di quanto lui stesso immaginasse di mostrare.
Di certo la delusione non riuscì a mascherarla, neanche in minima parte.
- Se è questo che vuoi… - non terminò la frase: si limitò a lanciarmi un’ultima occhiata inceneritrice e uscì dal bagno così come c’era entrato, lasciando dietro di sé una scia di malinconia che non mi lasciò affatto indifferente. La mano andò a coprire la bocca e, con la morte nel cuore e un’ultima occhiata allo specchio, mi resi conto di aver appena fatto una cazzata… una grossa cazzata.
Avrei voluto sbattermi ripetutamente la testa contro il lavandino, ma alla fine decisi semplicemente di isolarmi per buona parte della giornata e infliggermi qualche sadica punizione, come ad esempio ascoltare l’mp3 di mia cugina. Come avrei smesso di pensare alla notte appena trascorsa ancora non lo sapevo, ma speravo che sarebbe bastato dormirci un po’ su: come al solito, mi sbagliavo.




Nda: Sappiate che volevo aggiornare prima, ma mi sono resa conto di essere sommersa di studio, compiti, amiche, ragazzo e quant'altro e non sono riuscita a scrivere più di tanto, tantomeno ad aggiornare. Vabbè, pazienza, spero che non siate tutti fuggiti per la mia lentezza nell'aggiornare ç_ç io vi amo comunque!
Come vedete questo capitolo è un po' un capitolo di ribaltamenti u_u se prima erano Bethany e Matt quelli che sembravano essere sulla giusta via per condividere il letto ora avrete notato che Will e Prue si sono portati più avanti di loro XDDD e non è finita qua! Ho graaandi progetti per voi e.e (?)
Non immaginate neanche cosa la mia mente malata abbia in serbo per voi, e spero che voi lettori aumentiate sempre di più per avere un parere su questa storia.
Ho notato più recensioni nell'ultimo capitolo, e questo mi rende davvero FELICE, e spero che tutti voi continuiate a seguirmi, perché tengo particolarmente a quella Originale, per vari motivi ;) ora vi mollo, sperando di riuscire ad aggiornare prima della prossima era glaciale.
Ringrazio come al solito chiunque perda tempo nel leggere e commentare questa storia, augurandomi che non diminuiscano per colpa della mia incostanza.
A presto, spero (L) Frens

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Capitolo 13
*** Le bugie hanno le gambe corte. ***


Le bugie hanno le gambe corte.
 
capitolo 13

 


- E’ PROOOONTO! – una gallina con le emorroidi avrebbe tirato fuori un gridolino meno agghiacciante di quello appena uscito dalla labbra della piattola che, con la maestria di un prestigiatore, fece atterrare due grosse pentole fumanti di qualcosa che dal profumo pareva essere veramente buona.
- Opporcoparmigianino! Ha proprio un buon profumo! – esclamai sinceramente, sorpresa dal fatto che quella biondina sapesse fare qualcosa che non fosse mettersi a pulire e rassettare la casa alle 5 del mattino in piena estate. E ripeto, in piena estate.
- Grazie Bethany caraa! Ho imparato a cucinare qualche… tempo fa. – mi rispose con un sorrisone sbrilluccicoso, prendendo a sua volta posto in tavola.
Mi versai allegramente un paio di cucchiaiate di quello che pareva un passato di verdure con i fiocchi e, alla ricerca del pane, mi ritrovai a sfiorare involontariamente la mano di Matt. La ritirai come se avessi appena preso la scossa, ma non mi azzardai a scoccargli neanche mezza occhiata.
Semplicemente ignorai quel piccolo contatto, e con esso anche lo sguardo che lui mi lanciò.
Avevo deciso di fare come voleva lui: stargli lontano e lasciarlo perdere. Come avrei dovuto fare già dall’inizio.
- Chase mi passi il pane per favore? – domandai distrattamente al biondo, che deteneva parte delle vivande dalla sua parte.
Quello per tutta risposta mi scoccò uno dei suoi sorrisoni da gay e me lo porse con gentilezza.
- Ecco a te dolcezza! – fu la sua allegra risposta. Gli sorrisi ed afferrai il pane che mi porgeva.
Sentii tossicchiare, in modo peraltro piuttosto equivoco, e non potei che voltarmi ad osservare con aria di sufficienza Matt Culodoro intento a soffocarsi – magari – con una cucchiaiata di zuppa.
- Pff… finta checca… - le sue parole furono un semplice sussurro, ma il silenzio religioso a tavola rese possibile che il diretto interessato le sentisse forte e chiaro.
- Mh? Dici a me? – chiese Chase, fingendo piuttosto chiaramente di non aver compreso che, , l’insulto era proprio rivolto a lui.
- No, parlavo col finocchio della minestra. – disse il musone, armato di sarcasmo e di sguardo tagliente.
- Buona la minestra Illy! – esclamai a voce innaturalmente elevata, nel disperato tentativo di spezzare la tensione che lentamente si stava creando fra Matt e Chase.
Tentativo che andò a finire nel cesso.
- Non ti piacciono i finocchi? – domandò il biondo, che aveva evidentemente capito il tentativo di attaccare briga del moro, e che non faceva più finta di niente.
- Mi stanno sullo stomaco. –
- A me invece piacciono, sono davvero buoni! – cercai di riportare bruscamente la conversazione su un piano puramente vegetale, ma riuscii soltanto a peggiorare ulteriormente le cose.
- Non avevo dubbi, Beth. – il tono di Culodoro risuonò decisamente beffardo, e mi dovetti trattenere con tutte le mie forze per evitare di ficcargli la forchetta in un occhio.
In uno dei suoi bellissimi occhi celesti.
Strinsi la presa sulla posata e gli rivolsi un sorrisetto altrettanto ironico.
Tentai di concentrarmi nuovamente sul cibo, ma una voce mi costrinse a sollevare nuovamente lo sguardo. E a prepararmi alla battaglia.
- Sai Betty tesoro, ieri sera mi sono proprio divertito! Dovremmo farlo più spesso… andare in giro per locali. A proposito, ho visto un completino di intimo che ti starebbe proprio beeene. Magari stasera possiamo andare a provarlo, ti va? – le sue parole teoricamente erano rivolte alla sottoscritta, ma sapevo che in realtà ciò che aveva appena pronunciato era una diretta coltellata all’orgoglio ferito del moro.
Io per tutta risposta tentai un sorriso, che pareva più una smorfia sofferente, e abbassai nuovamente lo sguardo sul piatto, augurandomi che il mio silenzio avrebbe posto fine alle frecciatine stile bazooka.
Ancora una volta, le mie speranze fecero un tuffo a pesce nel cesso.
- E’ una buona idea Beth, perché non vai? Così magari ti rifarai… un nuovo guardaroba. –
- Smettila di chiamarmi Beth. Smettetela tutti e due di chiamarmi in quel modo improponibile! – sbottai, cercando di rimanere il più calma possibile. Schiumavo di rabbia, e la mia espressione gelida lo dimostrava ampiamente.
- Scusami tanto dolcezzaaa! Non pensavo che ti desse tanto fastidio! – si scusò immediatamente Chase, ammiccando in mia direzione.
Matt, neanche a dirlo, lo osservava con astio. Intanto dall’altra parte della tavolata la situazione non sembrava essere migliore.
 
(Pov. Prue)
- Dov’è il sale? – domandò un Will dall’aria funerea.
- Qui. – fu la mia risposta frettolosa. Spostai il sale in direzione di Will con un gesto fulmineo e indolore, come se temessi che qualche attimo di esitazione mi avrebbe uccisa.
Non osai staccare lo sguardo dal mio piatto, che rimaneva quasi del tutto pieno.
- La prossima volta è meglio se metti le cose dove tutti le possano vedere. Anche se effettivamente ti piace nascondere le cose… -
Arrossii di botto e, cosa molto strana per le mie abitudini, tacqui ostentatamente.
- Beh, io credo di poter anche tornare in camera mia. Grazie Ileen, era… buonissimo. – detto questo cercai di alzarmi da tavola e sgusciare via il più rapidamente possibile, ma una sorridente ochetta bionda distrusse i miei buoni propositi con una sola, zuccherosa, frase.
- Ma Prue caraaa, tra poco porto il dolce! Rimani ancora, su! –
- Sì Prudence, un po’ di zucchero non ti farà male. – commentò Will che, senza smettere di osservarmi neanche per un secondo, finì in una cucchiaiata il suo passato.
Un’occhiata incendiaria venne indirizzata allo smielato: se gli sguardi avessero potuto uccidere, certamente Will sarebbe già morto e sepolto.
Nonostante tutto ripresi posto di fronte al mio incubo peggiore e incrociai le braccia al petto, augurandomi candidamente che quel pranzo finisse presto.
- Che c’è tesoro, non hai fame? – domandò mordacemente lo stesso moro, indicando il mio piatto mezzo pieno. Io intanto fissavo il vuoto con aria assassina.
- Mi è passata. –
- Ah sì? E come mai tesoruccio? –
- Will, lasciami in pace. – quello si sporse verso di me con aria impertinente, per poi incurvare le labbra in un mezzo sorrisetto altrettanto arrogante.
- Mh, non dicevi esattamente la stessa cosa stanotte… - mormorò, in modo che solo e soltanto io potessi sentirlo.
Le mie gambe si mossero da sole in un riflesso involontario, e un ululato di dolore mi trapanò le orecchie, decisamente troppo acuto per essere quello di Will.
- Scusami Ileen! – mi scusai mortificata, osservando astiosa lo smielato, che intanto se la rideva senza farsi troppi scrupoli.
Raggelata dal suo comportante fortemente infantile caricai il calcio e ritentai, avendo questa volta fortuna: l’ululato che sentii non era certamente quello della bionda che, dopo aver ricevuto il mio calcio destro, si era frettolosamente allontanata verso il frigo per estrarre il dolce che, ipotizzai, poteva essere qualcosa di simile ad un tiramisù.
Ma sembrava essere anche più buono.
In ogni caso, quello a lamentarsi per la pedata ricevuta fu Will, che tuttavia parve non perdere l’intenzione di rompere le palle fino alla morte.
- Che c’è stellina bella? Ho detto qualcosa di sbagliato? –
- La prossima volta che provi a parlare di… quello giuro che farai i conti con me… - sussurrai biecamente, guardandomi nervosamente intorno per accertarmi che nessuno osservasse la scena.
Fortunatamente nessuno osò spostare lo sguardo verso di noi: parevano tutti presi a lanciarsi occhiate omicide a vicenda, ma io non me ne accorsi proprio.
- Mhh, mi sembra una proposta interessante. –
- Ho detto mai più! –
- Lo so che cos’hai detto, e sappi che non smetterò di torturarti fino a quando non mi dirai perché diavolo non dovrebbero sapere… -
- TIRAMISUUUUU’! –
Mi stampai in faccia uno dei miei migliori sorrisi da ‘io non ho fatto niente’ e feci finta di non aver mai sentito le ultime parole pronunciate dallo smielato.
Sapevo che non mentiva, che ce l’avrebbe messa tutta per fare in modo che io impazzissi, ma dovevo resistere.
Il pensiero che Bethany potesse scoprire tutto mi riempiva di paura, anche se non avrebbe dovuto: in fondo cosa potrebbe mai importarle?
Non riuscivo a spiegarmi il perché di tanto timore, anche se forse non era esattamente il giudizio di mia cugina a farmi indugiare.
Erano state le sue parole, quella battuta, che nonostante fosse scherzosa aveva spezzato qualcosa nel mio animo, prima sereno, ora frastagliato e indeciso.
Un sospiro e mi costrinsi ad osservare la fetta di dolce che Ileen aveva lasciato scivolare sotto il mio naso con la maestria di un giocoliere.
Afferrai la forchetta e cominciai a sfogare i miei dubbi e la mia rabbia su quella povera porzione di dolce che non aveva alcuna colpa se non quella di essermi capitata davanti.
Non alzai più lo sguardo da esso, nonostante sentissi chiaramente di essere osservata e sapessi altrettanto palesemente da chi.
Cercai di concentrarmi sulle discussioni altrui, e appurai con orrore che Bethany, Matt e Chase sembravano impegnati in una silenziosa battaglia di frecciatine, nella quale non osai immischiarmi.
L’unica ignara della situazione che sembrava essersi creata fra tutti quanti rimaneva Ileen, che tuttavia, dopo aver sollevato lo sguardo dalla sua porzione di dolce, ormai volta al termine, si rese conto che qualcosa non andava esattamente per il verso giusto e rivolse un’occhiata disincantata a tutti quanti, prima di domandare, incerta:
- Ma è successo qualcosa per caso? –
Per tutta risposta tirai su col naso e terminai di divorare con poca fame il mio tiramisù.

*

 
Le lezioni cominciarono, e con esse cominciò allo stesso modo un periodo di tregua che l’appartamento dove oramai vivevo non aveva mai conosciuto da quando era stato popolato.
Regnava un silenzio talmente innaturale che Ileen sembrava sempre più felice e… rosa, e tutti gli altri sembravano essere piacevolmente neutri, come se la situazione fosse normale, anche se in realtà normale non lo era affatto.
Io al contrario notavo eccome la differenza, ma al momento non mi interessava: avevo sviluppato quasi degli anticorpi a Matt e a Chase, che sembravano farsi una silenziosa quanto irritante guerra, specie quando ci ritrovavamo tutti e tre allo stesso tavolo, tipo tutti i giorni.
Insomma, spesso e volentieri mandavano a fanculo quella sorta di armistizio che avevano silenziosamente firmato prima dell’inizio delle lezioni universitarie.
Ma, ripeto, tutti quanti facevamo finta di niente, anche se ogni tanto Parmigianino approdava nel nostro appartamento a mettere zizzania fra tutti quanti.
Come facesse? Rimane ancora un mistero, fatto sta che continuavo a mal sopportare quell’orrendo gattaccio, quasi più di quanto mal sopportassi un certo biondo e un certo moro di mia conoscenza. Prue ovviamente continuava a difendere strenuamente quell’orrenda creatura, manco fosse figlio suo.
Io avevo smesso anche di parlare con lei: me ne stavo ore ed ore in camera al telefono, a chiacchierare con Kimberly o con chiunque appartenesse al mio ormai passato.
Lei mi parlava dei suoi problemi ed io li ascoltavo silenziosamente, senza tuttavia farle sapere dei miei.
Volevo provare a far finta di non averne, volevo convincermi del fatto che l’indifferenza di Matt non mi importasse.
Ancora una volta, tentavo di non vedere ciò che era evidente, e cioè che di quell’angelo dai capelli neri e gli occhi di ghiaccio mi interessava fin troppo.
 
(Pov. Prue)
Sbuffai pesantemente, conscia di essermi offerta io stessa di pulire le stanze nei giovedì, giorno libero dal lavoro part-time che avevo trovato quasi miracolosamente e per puro caso. Fortunatamente le lezioni mattutine erano terminate piuttosto presto e il pomeriggio non avevo alcuna lezione in programma, così come Bethany e Matt, e probabilmente anche Will. Chase era uscito un’ora prima a fare la spesa, ed Ileen l’aveva accompagnato per andare alla ricerca di qualche nuovo detersivo miracoloso oppure semplicemente per scovare qualche offerta speciale e aiutare il biondo nel suo intento.
Non mi sentivo particolarmente tranquilla mentre, guardandomi intorno con l’aria circospetta di una che ha il timore che un certo smielato possa comparire nella stanza come un fantasma e ricominciare a torturarmi. Certo, mezz’ora prima, quando Will aveva annunciato ad alta voce che avrebbe occupato il bagno per circa mezz’ora, mi ero ripromessa che mi sarei introdotta furtivamente in camera sua e che avrei fatto le pulizie mentre lui non avrebbe potuto vedermi, e di conseguenza avere una scusa per fare di tutto per innervosirmi, ma la paura che comparisse improvvisamente alle mie spalle con quel sorriso da idiota continuava a seguirmi in ogni gesto, reso goffo dalla presenza dell’imponente aspirapolvere.
I letti erano stranamente già fatti, ma il pavimento doveva assolutamente essere pulito!
Tirai su col naso e riaccesi l’elettrodomestico, cominciando a canticchiare nella speranza che la tensione si allontanasse.
Avevo raccolto i capelli in una crocchia decisamente antiestetica e frettolosa, dalla qualche ciuffo disordinato sfuggiva prepotentemente, costringendomi a riavviare spesso i capelli dietro le orecchie.
Mi riuscì complicato pulire con la batteria di Matt in mezzo alle palle, ma alla fine riuscii a dare un aspetto umano alla stanzetta con facilità, mettendoci anche meno tempo del previsto.
Mentre mi voltavo per uscire dalla camera, ormai convinta che sarei riuscita a sfuggire al mio crudele destino, quasi andai contro uno smielato sorridente e… mezzo nudo.
Fu quasi doloroso spostare lo sguardo dal candido asciugamano che fasciava i suoi fianchi tentatore. Deglutii a secco, cercando di arginare i rivoli di bava che rischiavano di trasbordare dagli angoli della bocca.
- C-che ci fai qui d-davanti, m-mezzo nudo? – domandai stupidamente, indietreggiando di mezzo passo, nella speranza che Will non notasse il suo nervosismo/annichilimento mentale.
- Semmai… tu che ci fai nella mia stanza con un aspirapolvere in mano? –
- Stavo pulendo la stanza. Oggi mi tocca il turno di pulizie. –
- Ah sì, hai ragione. Beh, visto che ci sei.. puoi portare questo – si tolse l’asciugamano di dosso con una naturalezza disarmante e, ritrovandosi completamente nudo, me lo porse con l’aria più innocente che potesse esistere, rischiando di uccidere me e gli unici neuroni sopravvissuti al precedente massacro – a tua cugina. Tocca a lei fare il bucato, no? –
La mia risposta (non verbale), a parte boccheggiare, fu quella di afferrare l’asciugamano e posizionarglielo davanti alla zona X con l’aria di una fresca fresca di lobotomia.
- Il fatto che tu stia nella tua camera non significa che puoi fare mostra del tuo pisello mentre ci sono io! A meno che tu non lo usi come un attaccapanni non penso che ci sia un motivo valido per lasciarlo in libertà! – commentai acida, ricercando all’interno della mia cassa toracica i polmoni: avevo bisogno di respirare, se non volevo che mi ritrovassero agonizzante sulle mattonelle.
- Eddai, non fare la puritana! So che non lo sei. – un occhiolino rapido e il ragazzo strappò dalle mie mani l’asciugamano, lanciandolo successivamente sul letto fatto e avvicinandosi pericolosamente a me.
Come una stupida, quale peraltro ero, indietreggiai, ma Will mi sorpassò rapidamente, arrestandosi in prossimità dell’armadio. Non potei che voltarmi ad osservarlo, cercando (e non riuscendoci) di non guardare proprio nella zona X, lasciata in bella mostra dal suo proprietario.
La mia espressione da Parmigianino lesso divertì particolarmente quel demonio -  travestito da comune mortale – che, dopo aver infilato con nonchalance un paio di boxer dal colore grigio, parve intenzionato a ritornare a me (MERDA!)  mentre mi trovavo ancora in una fase di stasi mentale, destinata peraltro a rimanere tale.
- Beh? Non rispondi? – in questo momento la lingua sembrava non volerne sapere di riprendere la propria funzione, e l’unica cosa che potei fare fu scuotere il capo, nella speranza che fosse sufficiente a liberarmi da quella situazione tanto rovente. Anche se non aveva più il suo amichetto di fuori, sentivo comunque che il mio istinto di sopravvivenza mi suggeriva implorante di fuggire via (come una scolaretta delle elementari), ma costrinsi i miei piedi a rimanere trapiantati al suolo e a non spostarsi neanche di mezzo millimetro.
Se fossi scappata avrei fatto la figura della verginella timida.
Inutile dire che non ero né verginella né tantomeno timida.
- Parmigianino ti ha mangiato la lingua? – insistette, sfiorandomi il collo con le dita della mano.
Non mi sottrassi al contatto e, come riscossa da quell’azione, la mia lingua si ridestò e le parole uscirono meravigliosamente neutre, gelide al punto giusto.
- Forse è meglio che tu ti vesta, Will. –
- E perché? Fa un caldo bestia qui dentro. Lo pensi anche tu? – il suo tono provocatorio non mi convinse parecchio, e il sorrisetto che continuava a mostrare con spontaneità mi metteva un tantino su di giri.
E,, in quella stanzetta faceva decisamente troppo caldo.
- Normale. –
- Seriamente Prudence, forse dovresti levarti quei vestiti. –
- Cosa?! Senti, io ti ho già detto come stanno le cose, o te lo sei dimenticato? –
- E’ che non ti credo. Se è assurdo stare insieme perché allora sei venuta a letto con me? –
- Perché… ero mezzo ubriaca e tu… mi sentivo di farlo in quel momento. –
- Continuo a non crederti. Cos’è successo che ti ha fatto cambiare idea tanto facilmente? –
- Andiamo Will. Io e te non potremmo essere più diversi! –
- Se non fosse così non sarebbe divertente. –
- E poi non sono l’unica a pensarla così! – mi lasciai sfuggire, conscia che queste parole avrebbero lasciato intendere molto più di quanto desiderassi fargli sapere.
- Ah no? Chi altro? – la sua espressione si indurì notevolmente, la mia allo stesso tempo si addolcì, facendosi quasi insicura.
- Non cambia le cose. –
- Invece le cambia eccome. – fece un passo avanti, verso la porta, e di conseguenza ne feci uno indietro, e così un altro, e un altro ancora. Mi trovai presto in prossimità del muro, accanto all’uscio, e da lì sapevo che non potevo più scappare. Mi aveva messa alle strette, e probabilmente avrei dovuto confessargli tutto, volente o nolente.
- Sono proprio curioso di sapere chi ti ha detto che io e te siamo incompatibili. –
- Will! –
- Voglio sentirtelo dire, anche se credo di sapere già chi ti abbia detto qualcosa del genere. –
- Non ho detto nulla a Bethany. –
- E allora con chi hai parlato? –
- Ecco, vedi… -
- Parla. –
- Dovrei andare a pulire le altre camere. – fu un tentativo fin troppo magro di fuggire, considerando che una sola occhiata mi immobilizzò a ridosso della parete. Sostenere il suo sguardo nocciola, fin troppo nocciola, sembrava annullare ogni altra forza in me. La sua volontà sembrava essere stata appena macellata.
- Prima parla. –
- Sto parlando. –
- Prudence! –
- Non chiamarmi Prudence! –
- E’ inutile che cerchi di sviare dolcezza. Io non ti mollo. –
- E va bene… Bethany. –
- Se la uccidessi sarebbe un problema? – si accigliò, assumendo un’aria terribilmente seria.
- No, ha perfettamente ragione. –
- Ragione? Ma di cosa parli? Credi che il suo parere sia onnipotente per caso?! –
- Lei ha sempre ragione. – non mi passò neanche minimamente per la testa che quella di Bethany fosse semplicemente una battuta. Io, da cretina, credevo davvero che la pensasse così.
- Beh, della sua ragione non te ne fai nulla, e nemmeno io. –
- Non puoi decidere per me. –
- Nemmeno lei può decidere per te! –
- Lei non sa nemmeno che noi due… -
- E allora perché hai paura di lei? –
- Non ho paura di lei. –
- A me non sembra proprio. -
- Ah beh, avresti dovuto sentirla cazzo! ‘Ma è totalmente folle! Insomma, dire che io e Matt ci piacciamo sarebbe come dire che tu e Will possiate smettere di litigare o fare sesso senza tentare di uccidervi! Assurdo no?’ – imitai con disperazione la voce ed il tono utilizzato da Bethany, e infine sospirai, sentendomi sempre più stupida ogni secondo che passava. Will alzò gli occhi al cielo e lanciò un’occhiata omicida alla porta, lontana solo pochi centimetri dal mio corpo appoggiato al muro.
- Io ti voglio Prudence, fanculo a tua cugina, fanculo al suo giudizio! Tu sei mia, e non mi interessa se ti mancano le palle per pensare con la tua testa! –
- Non ho paura del suo giudizio… io… -
- Tu cosa? –
- Io devo andare a… - feci per andarmene, ma il corpo di Will si addossò al mio, impedendomi categoricamente non solo di scappare, ma anche di muovermi. La sua fronte sulla mia, le labbra a pochi centimetri, il calore del suo petto che si incontrava con le onde dei miei battiti. Avrei voluto parlare, dirgli che mi mancava l’ossigeno, ma allo stesso tempo ero certa di quanto fossero superflue e stupide le parole che avrei pronunciato.
- Te l’avevo già detto no? Dovresti parlare di meno. – mormorò, per poi premere finalmente le sue labbra sulle mie e cancellare dalla mente di entrambi una conversazione confusa e altrettanto stupida ed inconcludente.
Le mie mani si aggrapparono bisognose alla sua schiena, e le sue si insinuarono sotto la canottiera bianca, sotto il reggiseno, sotto la pelle. Lui era ovunque. Ed io combattevo una battaglia persa in partenza.
Lasciai che mi sfilasse di dosso quella stupida canotta, mentre le nostre labbra continuavano a cercare qualcosa che non potevano trovare e i pensieri si affollavano stupidamente in quell’angolo del cervello che ormai sembrava non avere più nulla a che fare con il corpo e con le azioni. Questa era l’unica battaglia che non avrei mai vinto, l’unico gioco in cui Will mi avrebbe sempre superata. Era fra i miei capelli, nelle mie mani, sul mio collo.
E mentre le mani correvano sulla mia schiena non sentivo freddo, non sentivo risentimento, non sentivo nulla.
Strinsi le gambe intorno alla sua vita, sapendo che presto ci saremo ritrovati nudi, sudati e uno sull’altro sul letto, letto che presto si sarebbe disfatto sotto i loro movimenti.
 
 
( Pov. Bethany )
- No Kimb… non ho incontrato nessuno di interessante ultimamente. – giovedì pomeriggio, niente lezioni all’università, niente impegni, niente in programma. Semplicemente una giornata ed una serata di puro svago e cazzeggio. Mi ero fatta carico del bucato quella mattina stessa, assicurando agli altri che avrei caricato io la lavatrice e che avrei dato una sistemata alla cucina prima di cena.
Ed era proprio quello che stavo facendo, col cellulare incastrato fra la spalla e l’orecchio, in bilico, considerando che le mani erano impegnate a raccogliere la roba che avrei dovuto ficcare in lavatrice e poi stendere in seguito.
Parlavo al telefono, anche se più che parlare ascoltavo le novità che mi venivano raccontate, e allo stesso tempo più sentivo le parole di Kimberly più la voglia di tornare in Sardegna e abbandonare Roma si faceva grande e dolorosa. Sentivo il peso della solitudine gravare sul mio animo, e i ricordi dei momenti felici ormai passati non facevano che attraversarmi la mente in fulminei quanto dolenti flashback.
- Come tu e Logan vi siete lasciati?! – esclamai, spalancando le palpebre e rischiando di lanciare il mucchio di roba che stavo cercando di mettere nella bacinella azzurra.
Mi chinai su di essa e la afferrai alle maniglie, per poi cercare di conciliare i movimenti con le parole, riuscendoci per il primo tratto di strada in direzione della cucina, fino a quando la figura di un certo Matt non mi tagliò la strada, sbattendomi contro e facendo in modo che il cellulare scivolasse dritto dritto sul pavimento, spegnendosi per il colpo.
- Merda! – esclamai, facendo forza su me stessa per ignorare il fatto che il moro potesse averlo fatto apposta.
Cosa che aveva fatto senza ombra di dubbio.
Mi abbassai ad acciuffare il telefono, e lui fece lo stesso, ma per afferrare qualcos’altro.
- Oh… ma guarda un po’ che carino! – quel tono non mi convinse particolarmente, e quando sollevai lo sguardo mi accorsi che le sue manacce avevano afferrato uno dei miei perizomi e che lo sventolavano a mo’ di banderuola, manco fosse uno striscione di ultras allo stadio durante il derby.
- Sì, carinissimo. Ora potesti gentilmente rimetterlo dove l’hai preso, oltretutto senza il permesso della proprietaria? – domandai gelida, dipingendomi un sorrisetto falso sulle labbra arrossate.
- Hai intenzione di usarlo con il tuo finocchietto? – domandò, alzandosi da terra e rivolgendomi uno sguardo sarcastico che mi fece venire voglia di stampargli un calcio ben assestato in mezzo alle gambe.
- Hai intenzione di rimettere quel perizoma nella bacinella? – lo imitai, inarcando un elegante sopracciglia con aria inequivocabilmente ostile. Lasciai la bacinella piena sul pavimento, in attesa che mi venissero restituite le mutandine.
- No, credo che lo appenderò in camera mia come souvenir. –
- Oh beh, capisco, in fondo sarà l’unico paio di mutandine mie che toccherai, perciò potrei quasi capirti… ma ora ridammele, grazie. –
- Quasi dimenticavo che ora hai qualcun altro che ti toglie le mutandine –
- Esatto, ora levati, e ridammi quelle fottutissime… -
- Meeeeow! – un miagolio agghiacciante infranse l’atmosfera tesa fra i due coinquilini e, con una facilità quasi imbarazzante, il micio si appropriò del perizoma con un abile balzo, dileguandosi con molta nonchalance per il corridoio deserto, sfoggiando con altezzosità la sua coda vaporosa.
- Perfetto. Micetto micettino! Vieni qui, su… - chiamai il gatto con un tono tanto dolce quanto schifato, cercando di attirare l’attenzione della pala di pelo puzzolente che se ne stava sgusciando molto tranquillamente in camera di Matt e Will.
- Stupido gatto! – sbottai, lanciando un’occhiataccia al moro, come se in un certo senso fosse colpa sua se il gatto si fosse appropriato del suo perizoma.
- Scusami tesoro. – scimmiottò Matt, in una evidente imitazione di un certo gay.
- Adesso vado a recuperare le mie mutande, nella speranza che tu evapori prima che io possa aver acciuffato quel coso! – esclamai acida, alzando gli occhi al cielo e avviandomi a passo spedito in direzione della camera dei due ragazzi, dove meno di qualche istante prima il suddetto Parmigianino si era infilato silenziosamente.
- E speri che io mi perda il divertimento di vederti inseguire un gatto con le tue mutande in bocca? – immancabilmente mi seguì, confermandomi il suo desiderio di rendermi la vita impossibile.
- Senti – mi bloccai a metà corridoio e mi voltai in sua direzione, accennando qualche passo fin troppo audace in direzione del suo corpo muscoloso, sempre troppo poco coperto e sempre altrettanto maledettamente bello – Ho intenzione di ignorarti fino a quando potrò farlo, perciò vedi di collaborare! E’ ciò che volevi, perciò sparisci –
- Perché sei sempre così cattiva? –
- Perché tu non fai nulla per farmi essere più dolce. –
- No, sei tu che sei sempre così… -
- Così come? Acida? Stronza? O semplicemente preferisco tenermi alla larga da te. In questo caso l’aggettivo più azzeccato sarebbe intelligente. –
- Ti faccio tanto schifo? – ci pensai un attimo, lo guardai attentamente, poi ridacchiai, lanciando uno sguardo fugace al suo corpo perfetto.
- No, decisamente no. – mi voltai, presa da un attimo di strana allegria.
Cristo, fossi stata meno orgogliosa gli sarei saltata addosso e tante grazie, addio prudenza!
Evidentemente Matt rimase sorpreso da questa risposta tanto strana, strana per i miei standard, e quando mi accostai alla porta della sua camera da letto mi afferrò il polso. Per tutta risposta mi voltai nuovamente verso di lui con aria interrogativa, le sopracciglia corrugate e lo sguardo sospettoso.
- Se non ti faccio schifo allora perché ti allontani di continuo? Dio, Bethany, io non ci capisco niente… -
- Non avevo dubbi che non capissi. – non mi lasciai sfuggire l’occasione di fare del sarcasmo, ma nell’osservarlo alzare gli occhi al cielo, continuai il mio discorso - Ti dicono niente queste parole? “Era ciò che volevi no? Ora ti starò lontano quanto vuoi.” – mi bloccai un attimo, un mezzo sorrisetto che increspava le labbra arrossate.
- Sì, me lo ricordo. –
- E allora? L’hai detto tu stesso. Ti sto solo facilitando le cose. –
- Ero incazzato mentre lo dicevo, mi sembra più che normale. –
- Normale per chi? Per te, forse. Incazzato perché un ragazzo biondo mi ha baciata? O forse incazzato perché quel biondo non eri tu? – non sembravo nemmeno io, talmente spavalda da osare sporgermi in sua direzione.
- Credi che mi abbia fatto piacere vederti insieme a lui? –
- Non lo so, Matt. Io non sono nella tua testa, e poi non hai nessun motivo per incazzarti: mica sei il mio ragazzo! – ribadii il concetto con veemenza, incrociando le braccia sul seno.
- Questo non significa nulla. –
- Sì invece. Tra di noi non c’è stato nulla, se non qualche bacio un po’ spinto. –
- Non mi sembra esattamente nulla, considerando che eri mezza nuda sul mio letto! –
- Ero ubriaca, ricordi o no? –
- Sì, ricordo fin troppo bene. –
- Bene, mi fa piacere. Ora devo assolutamente fare il bucato, perciò vado alla ricerca di quel gattaccio! – mi dileguai il più rapidamente possibile, spingendo la porta socchiusa senza domandarmi se ci fosse qualcuno dentro, senza nemmeno pensare alle conseguenze che questo gesto tanto avventato avrebbe portato con sé. Fatto sta che mi ritrovai davanti agli occhi una scena che, se non fossi stata estremamente certa che si trattasse della realtà, avrei creduto fosse semplicemente un’allucinazione: Will e Prue addossati alla parete della camera, mezzi nudi e intenti a baciarsi con una furia che addosso a loro non avrei mai creduto possibile vedere.
Non esternata in questo modo. Rimasi immobile, irrigidita, incredula, la bocca aperta e l’espressione da Parmigianino lesso dipinta sul volto mezzo sudato e palliduccio.
- E bravo Will! Vedo che ti stai dando da fare. – avevo il sospetto che Matt mi avrebbe seguita comunque all’interno della stanzetta, ma miracolosamente mi sentii sollevata dalla sua presenza.
La voce di Matt fece voltare di scatto i due piccioncini in nostra direzione, e l’aria atterrita di Prudence mi fece tossicchiare. Ero incapace di dire e fare qualunque cosa, troppo sorpresa per riuscire a pronunciare alcunché.
- Matt! Non si bussa prima di entrare? – domandò Will, piuttosto contrariato per l’incursione, lanciando un’occhiata infuocata al proprio compagno di stanza. Quello per tutta risposta inarcò un sopracciglio.
- E’ anche la mia stanza, e se proprio desideravi averla libera bastava chiedere, o perlomeno chiudere la porta a chiave. – mi sentii improvvisamente in accordo col moro alle mie spalle che, con una disinvoltura che mi imbarazzò, aveva lasciato aderire il suo petto alla mia schiena e con la mano sfiorava la mia, forse senza volerlo, forse facendolo irresistibilmente apposta. Fatto sta che arrossii come una camionetta dei pompieri e scostai la mano, fin troppo bruscamente.
- Beh, allora: che ci fate qui? – domandò Will, lanciandomi un’occhiata inceneritrice che mi lasciò stupefatta: non mi aveva mai riservato uno sguardo tanto rabbioso. In più non sembrava vedere l’ora che uscissimo dalla stanza, e come dargli torto! Dovevano essergli costati fatica quei momenti in compagnia di Prudence.
- NON E’ COME SEMBRA! – sbraitò quest’ultima, che era rapidamente sgusciata via dalle braccia dello smielato e si era infilata la maglietta con una celerità sorprendente. Con le guance in fiamme e i capelli sconvolti appariva davvero disperata: lo sguardo che mi rivolgeva era sgomento.
A quelle parole – e alla sua espressione - scoppiai inevitabilmente a ridere, forse mancando di tatto.
- Cristo, questa scena sarebbe da fotografare e stampare! – enfatizzai, ridendo in maniera angosciante.
Matt mi scrutava con uno strano sorrisetto sulle labbra perfette, mentre gli altri due sembravano essere sinceramente confusi dalla mia bizzarra reazione.
- Certo che no! Insomma: siete mezzi nudi, vi stavate strusciando e baciando, sembravate quasi in vena di scopare ma… no, certo che non è come sembra. Quando mai! – adorai l’ironia del modello di marmo alle mie spalle, ma questa ammirazione durò ben poco, circa due secondi.
- Non mi sarei mai aspettata che voi due… beh, mi avete capito no? – ero momentaneamente scioccata, e continuavo a ridacchiare senza sosta, mentre l’immagine di Will e Prue e del loro bacio continuava a rimanere stampata nella mia mente come un enorme poster.
- Che c’è di tanto divertente Bethany? – domandò lo smielato con aria ostile. Immediatamente cessai di ridere, comprendendo all’istante che c’era qualcosa che decisamente non andava per il verso giusto.
- Niente… è che mi sembra strano trovare strano che tu e Prue… beh, ci siamo capiti. –
- Anche io trovo strano che tu ti sia lasciata baciare da un gay, eppure non mi pare di aver fatto commenti quando me l’hai detto. –
- Ti sei lasciata baciare da chi?! – domandò Prudence, spalancando le palpebre con aria incredula.
Arrossii fino alle punte dei capelli, ma non spostai lo sguardo dalla figura astiosa di Will, sul piede di guerra per chissà quale assurdo motivo: a disturbarli non era stata solo lei, no?
- Quanti gay conosci in questa casa? – fu la risposta del ragazzo, impegnato a lanciarmi sguardi di fuoco.
Scossi il capo e feci per andarmene, prima che la figura di una bionda dall’aria atterrita mi bloccasse sulla soglia col suo sguardo spiritato.
- Chase ti ha… baciata? – con un filo di voce, la piattola formulò questa domanda, immobile davanti alla porta della camera, le borse della spesa ancora strette fra le dita esili e pallide, facendomi ripiombare a piè pari nello sconforto. Quello sguardo fu troppo per i miei nervi tesi e, senza dare alcuna risposta, uscii dalla stanza totalmente dimentica di Parmigianino e del perizoma, ormai caduto nelle sue grinfie: ne avevo già abbastanza di tutto, di Ileen, di Chase, di Matt, di Will e anche di Prudence. Non ne potevo più nemmeno di me stessa.
Mi fiondai all’interno della mia camera e mi chiusi la porta alle spalle, a chiave, nel tentativo di chiudere fuori il mondo. Tentativo destinato a fallire miseramente.
 
Toc toc.
Erano passate ore ormai da quando ero fuggita dalla camera di Will e Matt e mi ero chiusa a chiave nella mia. Nonostante avessi fame e mi sentissi decisamente male non mi passò neanche per la mente di uscire, neanche per andare a cenare. Dormii per tutto il tempo senza alcuna interruzione, e per i restanti minuti in cui rimasi in compagnia di me stessa e della penombra pensai, pensai a quanto accaduto solo poche ore prima e a quanto sarebbe accaduto in seguito. Nessuno era venuto a disturbarmi, fino a questo momento, e, convinta che fosse mia cugina, andai ad aprire alla porta con gli occhi ancora gonfi di sonno e i capelli un tantino scompigliati.
Indossavo la canottiera gialla ed i pantaloncini azzurri del pomeriggio.
Con uno sbadiglio girai la chiave nella toppa e aprii lentamente l’uscio, ritrovandomi davanti nientemeno che un ragazzo dagli occhi azzurri e dai capelli neri, con in mano un piatto colmo di quella che sembrava essere un’ottima fetta di torta. Opera di Ileen, di sicuro.
- Hai fame? – mi chiese gentilmente Matt, osservandomi con aria attenta.
Passai una mano nella lunga chioma castana e gli sorrisi, ancora assonnata ma decisamente affamata.
- Un po’… - feci un passo indietro, scostandomi dalla porta in modo da lasciar passare il moro.
Non sapevo esattamente per quale motivo, ma non volevo che se ne tornasse in cucina o in camera sua.
Inspiegabilmente mi ritrovai a desiderare la sua presenza.
- Vuoi che entri? – fu la domanda sorpresa del ragazzo, al quale risposi annuendo. Attesi che facesse ingresso nella cameretta, poi chiusi nuovamente la porta e girai la chiave nella toppa, serrandola nuovamente a chiave.
- Grazie per la torta. – mormorai, andandomi a sedere a gambe incrociate sul letto sfatto, nella speranza che anche lui facesse lo stesso. Qualche istante più tardi infatti eccolo accomodarsi, con il piatto ancora in mano e l’espressione ancora indagatrice.
- Figurati… non ti ho vista intenzionata a venire a cena, perciò ho pensato che potessi avere fame. – asserì con un’alzata di spalle, porgendomi il cibo e una forchettina da dolce.
Afferrai il piatto e la posata, osservando la porzione con aria assente.
- Non è che Ileen mi vuole avvelenare? – domandai seria, come se ritenessi possibile la piattola di un’azione tanto crudele. In realtà, considerando che il suo ex ragazzo mi aveva baciata, e avendo visto la sua espressione alla scoperta, non lo reputavo tanto impossibile.
Matt per tutta risposta sorrise, ma rimase stranamente neutro.
In una normale situazione sarebbe scoppiato direttamente a ridere. Che era tutta quella timidezza ora?
- Puoi stare tranquilla: la torta è deliziosa e ancora non è morto nessuno, anche se a tavola c’era una bella atmosfera degna di un funerale. –
- Ah beh, allora credo che mangiando ti esporrò le mie ultime volontà. In caso io non sopravviva. –
- Se ci tieni ti aiuterò a fare testamento. –
- Ecco: è proprio ciò di cui ho bisogno! – con la forchetta tagliai un pezzo di dolce e lo infilzai, per poi portarlo alle labbra e assaporare il gusto della torta, che, manco a dirlo, era esageratamente buona.
- Prima che mi dimentichi… ho recuperato il tuo perizoma e l’ho messo in lavatrice con il resto della roba. –
- Tu hai fatto il bucato? – domandai, sentendomi improvvisamente in colpa per non aver compiuto ciò che era il mio dovere pomeridiano.
- Sì. Non avevo nulla da fare. –
- Ancora grazie allora! – esclamai con un sorrisetto, rituffandomi a pesce sulla torta e trovando la scusa per nascondere un certo rossore sulle guance, rossore che la penombra già rendeva difficile scorgere.
- Piuttosto… credo che Will ce l’abbia con te. – asserì, osservandomi imperturbabile. Mugugnai, non potendo far altro con la bocca piena, e quando mandai giù il boccone sollevai nuovamente gli occhi in sua direzione, restituendogli un’occhiata altrettanto impassibile.
- Credo di essermene accorta. Non capisco perché però. Mica sono entrata solo io nella vostra stanza oggi! –
- In effetti un po’ strano lo è. Di solito non si comporta così. –
- Potresti parlargli magari. – suggerii, portando un altro boccone alle labbra, senza tuttavia spostare lo sguardo dalla figura pensierosa dello smielato, perplesso tanto quanto lei.
- O potresti parlargli tu. In fondo è con te che ce l’ha. –
- Ma voi due siete migliori amici! –
- Mh… e tu cosa mi dai in cambio? – gli lanciai un’occhiataccia e tacqui, terminando in silenzio la mia fetta di torta. Dopo aver fatto ciò, posai il piatto sporco e la forchetta sul comodino, meditando di pulirli la mattina dopo.
- Ho capito. Gli parlerò io, forse. Altrimenti affari suoi. – risposi decisa, incrociando le braccia sul petto e fissando un punto imprecisato del muro dietro le spalle di Matt, fattosi improvvisamente interessante.
- Magari potresti parlare con Prudence. –
- Quella è più criptica di un codice a barre, figurati! Ci posso provare, in ogni caso, anche perché io e lei dobbiamo fare una luuunga chiacchierata. – sbuffai con enfasi, passandomi una mano sulla chioma in disordine.
- Prima però è il caso che parliamo anche noi due. – asserì calmo, sporgendosi in mia direzione e portando una mano a sfiorarmi i capelli, trasportando, con una lentezza che definii logorante, un ciuffetto ribelle dietro l’orecchio. Deglutii a vuoto, cercando di non arrossire nuovamente.
Se volevo evitare figuracce avrei dovuto contenere le mie reazioni il più possibile.
- Di cosa? – domandai, nonostante avessi la netta impressione di conoscere già la risposta.
- Di qualunque cosa. –
- E da cosa vorresti cominciare? –
- Potrei cominciare da quella torta. Ti è piaciuta? – sorrise, e non potei che sorridergli anche io, imprigionata da chissà quale incanto.
- Sì, e sono ancora viva, perciò immagino che non fosse avvelenata. –
- Quindi niente testamento? –
- No, mi dispiace. Per il momento credo non ce ne sia bisogno. –
- E io che credevo che mi avresti lasciato in eredità qualche perizoma. –
- Al massimo avrei potuto lasciarti Parmigianino… -
- Meeeeeeeeow! – ed eccolo lì, appollaiato su un angolino remoto del letto di Prudence, una massa di pelo informe e puzzolente miagolante, in attesa di chissà che.
Gli lanciai un’occhiataccia, domandandomi da dove sia sbucato il micio.
- Tu sai da dove spunta quel coso? – domandai sconcertata, osservando con orrore il gatto farsi le unghie sul copriletto del letto di Prudence. Come sempre, lei non ne avrebbe fatto una tragedia e avrebbe continuato a considerare quella creatura spregevole un gattino amorevole.
- Non ne ho idea. Magari è entrato quando mi hai aperto la porta. –
- Beh, non ce lo voglio in camera mia. Non si sa mai che mi salti addosso mentre dormo! – feci per alzarmi dal letto, in modo da afferrare il gatto e lanciarlo fuori dalla camera senza troppi complimenti, ma Matt bloccò questo mio tentativo sul nascere. Si avvicinò a me, facendosi spazio sul lettino e portando una mano ai miei capelli con un’impulsività che uccise ogni mia temporanea volontà.
- A Parmigianino penserai dopo… - ravvicinò il suo viso al mio, ed io ricaddi fra i cuscini nel tentativo di allontanarmi, nonostante lui fosse troppo vicino per riuscire a sottrarmi completamente al suo contatto.
- Credi che sia il caso d-di… pensarci d-dopo? – farfugliai, appena mi resi conto di trovarmi sotto il corpo muscoloso del moro. Si insinuò fra le mie gambe, piantando i palmi delle mani ai lati del cuscino e lasciando che il suo sguardo di ghiaccio percorresse il mio corpo, le mie gambe, il mio petto, per arrestarsi infine alle iridi castane.
- Dovevamo parlare no? –
- Pa-parli in questa posizione con tutte o posso ritenermi l’unica… fortunata? – domandai sconcertata, cercando in tutti i modi di sdrammatizzare in qualche modo, giusto per evitare di pensare al fatto che mi sentivo prossima ad andare in iperventilazione.
- Dipende dal genere di discorso che ho intenzione di fare. –
- E tu che… che genere di discorso v-vuoi fare? –
- Credo che qualunque tipo di conversazione possa andare bene. –
- B-bene, allora, puoi anche cominciare a… pa-parlare. –
Non sapevo bene che cosa aspettarmi, dal momento che sapevo che la sua bocca avrebbe baciato la mia già un momento prima di pronunciare quella frase, ma l’attimo prima che questo accadesse i nostri occhi si incontrarono, prima di chiudersi entrambi all’accarezzarsi delle nostre labbra.
Non sapevo che aspettarmi da me stessa, dalle mie reazioni, ma le mie mani si mossero alla ricerca del suo viso, e quando lo trovarono mi resi conto che lo stavo avvicinando al mio corpo.
Cosa fosse accaduto quella sera non era chiaro nemmeno a me, eppure le mie gambe si avvolsero intorno alla vita di Matt, e le sue mani si infilarono fra i miei capelli, e la sua lingua nella mia bocca. I nostri corpi si sfiorarono più volte, con un’intensità maggiore ad ogni battito. Ma il contatto si fermò allo sfiorarsi, al toccarsi, al baciarsi.
- Questo discorso è molto lungo… ma mi piace. – soffiai ad un centimetro dalle sue labbra, per poi aggredirle nuovamente, con una fame anche maggiore.
- Per una volta sono d’accordo con te. –
- Parlerei per ore. –
- Dormi con me stanotte? – bisbigliò al mio orecchio, andando a lambire con una delicatezza disarmante la pelle delle spalle e del collo.
- Considerando che domani abbiamo lezione all’università non credi che sarebbe meglio risparmiare qualche parola? –
- Potrei parlare fino a domani mattina… fanculo alla lezione! –
- Matt… -
- Sì? –
- Dico sul serio. –
- Anche io. – sorrise impunemente, anche se comprese anche lui che sarebbe stato meglio interrompere.
- Grazie per la torta. E le belle parole. – le nostre labbra si incontrarono un’ultima volta, prima che Matt si alzasse con fatica dal letto e afferrasse il piatto e la forchetta. Dopo aver fatto ciò si diresse in direzione della porta, per poi voltarsi in mia direzione.
- Non pensare che sia finito… ho ancora tante cose da dirti. – alzai gli occhi al cielo, per poi osservarlo chiudersi la porta alle spalle. L’indice della mano andò a posarsi sulle labbra arrossate, come a constatare se effettivamente quel bacio ci fosse davvero stato. Sorrisi lievemente, al pensiero che sì, quel bacio c’era stato eccome, e mi aveva fatto comprendere una cosa che prima aveva considerato quasi impossibile, assurda: ogni giorno che passava, Matt diventava sempre un pensiero sempre meno opprimente, sempre più dolce.
Sono nella merda, pensai, e la leggerezza con cui appresi ciò mi spaventò ancora di più della consapevolezza di essere effettivamente nella merda più totale.

 



Nda: Ecco a voi! Ho aggiornato piuttosto in fretta per i miei standard, no? Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.
Credete che tutto questo durerà a lungo? Beh, ve lo lascio credere, ma sappiate che non sarà così semplice come sembra u_u
Spero di poter aggiornare al più presto, ma spero soprattutto di ricevere taaante recensioni, e magari di avere qualche nuovo lettore *-*
Vedo che aumentate, e questo mi fa davvero piacere, considerando che la storia comincerà a complicarsi dal prossimo capitolo in poi.
Il perché lo vedrete ben presto, questo ve lo garantisco! Intanto ringrazio chi ha letto, recensito, aggiunto a preferiti, seguite e quant'altro!
Sono contentissima che la storia sia seguita e magari anche amata, mi fa sentire davvero bene.
Per qualunque dubbio mandate pure qualche messaggio, oppure semplicemente scrivetelo in una recensione, se recensite :D
Ora vi lascio... grazie ancora e, a presto, prestissimo <3

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Capitolo 14
*** Giù la maschera! ***


Giù la maschera!

capitolo 14



(Pov. Martha)
Spiavo all’interno della stanza da più di un quarto d’ora.
Non riuscivo a spostare lo sguardo dal suo corpo e non provavo il minimo accenno di vergogna per quello che stavo facendo, neanche un poco. Sembrava essere tutto così naturale, nonostante fosse una cosa scorretta e che non avrei dovuto fare mai più, teoricamente. Eppure i rivoli d’acqua che scivolavano sulla sua pelle non mi permettevano di abbassare lo sguardo e tornare alle mie occupazioni.
Guardarlo di nascosto non sembrava poi così sbagliato se non lasciavo che il cervello prendesse il sopravvento sulle emozioni, le stesse che mi avevano portata a compiere un mastodontico errore.
Nick non era Brian, e quello che stavo osservando con tanta attenzione non era certamente il gemello con il quale mi stavo vedendo.
- Merda! – sbottai sottovoce, cercando di nascondermi il più possibile dallo sguardo seccato del suddetto biondo, che dopo essersi avvolto l’asciugamano intorno alla vita si accostò a me con la solita aria incazzosa che amava rivolgermi ogni giorno, qualunque cosa facessi o dicessi.
- Non mi stavi spiando, vero? –
- Non ho bisogno di farlo. Tu e tuo fratello siete identici. – mentii spudoratamente, mantenendo lo sguardo rigorosamente basso, mascherato dagli occhiali da vista dalla sottile montatura nera.
- E allora cosa ci fai qui davanti? Non dovresti essere già al bar? – sapevo che mi stava mandando via senza troppi complimenti, e questo suo atteggiamento non faceva altro che inasprire il mio stato d’animo.
- Oggi è il mio giorno libero, stronzo. –
- Ah, dimenticavo. Beh, visto che non devi lavorare, che ne dici di levarti dalle palle? Sai, dovrei andare a vestirmi. – inghiottii mille insulti, prima di spostarmi di lato e lasciare che se ne tornasse in camera sua.
Assumere un carattere remissivo e insulso non era nei miei piani.
Odiavo la maschera che mi ero costruita. Odiavo fingere e odiavo che lui mi trattasse così.
Ma in primis, odiavo il fatto che lui non sapesse di essere innamorato di quella parte di me che non sapeva neanche fossi io. Inoltre, non sapevo quanto sarebbe durata ancora questa farsa: non ero nemmeno del tutto certa che avrebbe mai avuto una fine.
 
- Cambiati veloce, Brian arriverà fra poco. – la voce di Nick fu chiara e concisa, mentre le sue mani afferravano il mio vestito e me lo lanciavano senza attendere che io fossi pronta ad acchiapparlo.
- Lo so, lo so… - sbuffai tesa, infilando rapidamente il tubino nero e sistemando successivamente la massa di lunghi boccoli rossi. Solito trucco pesante, solita maschera adagiata sul lavandino del bagno, soliti trampoli ai piedi. E solita commedia.
- Ancora non capisco per quale motivo tu non voglia dire a Brian che sei tu a farci guadagnare così tanto. –
- Farebbe differenza? Mi odia, è meglio che non sappia nulla per ora. Dimentichi che potrebbe anche licenziarmi, solo per colpa del suo fottuto orgoglio. – mormorai sbrigativa, sistemando con un tocco leggero del polpastrello il rossetto rosso e osservando per l’ultima volta il mio aspetto allo specchio appannato.
- Io credo che invece ti vedrebbe con occhi diversi. Insomma, pensa che tu sia una sfigata brutta e asociale! Se gli dicessi… -
- Non gli dirò niente Nick. Caso chiuso. – tagliai corto, indossando la maschera nera e voltandomi in direzione del gemello, che pareva piuttosto contrariato. Sospirai, posando una mano sulla sua guancia e mimando un sorriso incoraggiante – Fidati, è molto meglio che lui non sappia nulla. –
- Forse hai ragione. – alzò gli occhi al cielo e sorrise di rimando, prima di chinarsi sulle mie labbra e baciarle con foga. Una brava attrice, anche in questo, ecco ciò che ero, ecco come mi comportavo.
Avevo il cuore di entrambi nelle mani, e mi ostinavo a trattenerli sospesi, in attesa di decidere quale spezzare per primo. Il punto è che io amavo solo uno di loro, ma inevitabilmente avrei fatto del male a tutti e due. Mi allontanai dalle labbra del biondo, cominciando a sentire i sensi di colpa invadere maligni la mia mente, e gli sorrisi stancamente, cercando di apparire il più naturale possibile, sebbene non mi riuscisse affatto semplice. Ero pronta ad affrontare una nuova serata, una nuova tortura psicologica.
Nonostante mi calassi bene in una vita che non mi apparteneva, non riuscivo a liberarmi della consapevolezza che le bugie prima o poi si sarebbero tramutate in una pungente verità.
Avevo fatto sesso con Brian senza che lui sapesse che fossi io, e continuavo a fingere di amare Nick come copertura. Brava Martha, mi ripetevo ogni giorno ad ogni ora, prima o poi ti odieranno tutti.
Deglutii, per poi mormorare distrattamente, sentendo dei passi avvicinarsi:
- Ora devo andare. Brian sta arrivando. – senza arrischiarmi a baciarlo nuovamente, sgattaiolai dietro le quinte del palco, intenta a sbirciare il locale alla ricerca di visi noti fra i clienti.
E, con grande amarezza, mi accorsi di una mora per la quale non provavo affatto simpatia.
Al contrario, provavo un’avversione che poteva spiegarsi soltanto con la parola ‘gelosia’.
- Stronza. – mormorai, assumendo un’espressione vagamente disgustata.
Mi voltai per rifugiarmi in bagno, intenzionata a rimanerci fino al momento in cui avrei dovuto esibirmi, ma una figura dolorosamente familiare si frappose fra me e il corridoio.
Fu triste notare che nella sua espressione non era più presente la rabbia ostile che mi riservava quando ero solo Martha, e non la bellissima cantante dai capelli rossi.
- Ciao… - sorrise, ed io rimasi pietrificata come sempre, incerta sul da farsi.
Tacqui, sicura che non si sarebbe arreso ad un silenzio spietato.
- Tutto a posto? – domandò, stranamente timido e premuroso. Annuii brusca, senza azzardarmi a sorridere, mantenendo il carattere misterioso che avevo costruito intorno a quella maledetta maschera.
- Vado a prepararmi. – sbottai, cercando di farmi spazio e sorpassarlo, nonostante la presenza robusta del gemello me lo impedisse.
- No, aspetta un attimo… - si affrettò a afferrarmi una spalla e immobilizzarmi a pochi centimetri dal suo corpo, e in quella frazione di secondo in cui le sue dita si posarono sulla mia pelle, i ricordi della sua pugnalarono con furia la mia testa, provocandomi brividi che avrei volentieri soppresso per sempre.
Mi costrinsi a mantenere un comportamento glaciale e distaccato, ma mi fu quasi impossibile.
 Infatti trasalii, scostandomi ruvidamente da quel contatto poco appropriato.
- Scusa, devo proprio andare. – tentai disperatamente di trovare un modo per sottrarmi ai suoi occhi, ma quelli mi esaminavano attenti con la stessa vivacità che lo differenziava dal gemello, così gelido anche negli sguardi. Sarebbe stato un reato concedersi di guardarli, anche solo per qualche istante?
- Prima ascoltami, voglio solo dirti una cosa. –
- So già cosa vuoi dirmi. – asserii, nonostante non avessi la minima idea di cosa stesse per pronunciare.
- Io… mi sono innamorato di te. – lo sapevo già, in parte: avevo già compreso quali fossero i suoi sentimenti, ma non riuscii a sopprimere un sospiro esasperato. Lui non amava me, ma quella copia che mi ero creata per stargli vicino. Se avesse avuto solo il minimo sospetto di quale fosse realmente la mia identità non sarebbe accaduto nulla di ciò che avevo scioccamente permesso che avvenisse.
- Non sai neanche chi sono e dici di esserti innamorato. – risposi, combattendo con me stessa per non lasciar intendere che le sue parole mi avessero in qualche modo trafitta. Dovevo sopportare ancora un po’, dovevo essere quell’altra ragazza, dovevo spezzargli il cuore per l’ennesima volta.
- Dimmi chi sei allora… perché ti nascondi? –
- Non mi sto nascondendo. Semplicemente non mi importa che tu sappia il mio nome. Né mi interessa che tu ti sia innamorato di me. Affari tuoi. –
- Quindi per te quello che è successo non ha significato niente? –
- Non sempre fare sesso ha un senso, no? – deglutii, sentendo improvvisamente il bisogno di andarmene. Vedere l’espressione delusa di Brian e non poter fare nulla per cambiare la situazione mi faceva sentire male, malissimo. Ma sapevo quanto fosse necessario fare ciò che stavo facendo: avevo intenzione di prepararlo alla verità, anche se non sapevo esattamente come gliel’avrei detta senza che mi prendesse per maniaca, o senza che mi assalisse.
- Beh per me invece ce l’ha avuto. –
- Non è un problema mio. Fattela passare. – non mi avrebbe seguita, non avrebbe insistito.
Si sarebbe limitato a rimanersene in solitudine un altro po’, prima di indossare anche lui una maschera allegra e adempiere ai propri doveri, cercando di scordarsi di un rifiuto fin troppo amaro.
 
(Pov. Bethany)
Mi guardai intorno, fingendo di essere calma, mentre tutti quanti prendevano posto al tavolino che avevano scelto dopo aver discusso per qualche minuto sull’argomento.
 L’atmosfera era a dir poco polare, e di certo non per la temperatura autunnale, ma per l’insolito silenzio che si era creato nel gruppo di coinquilini, dovuto al caos che si era generato solo qualche sera prima.
Non avevo trovato il coraggio di avvicinarmi a Matt, e nemmeno lui sembrava averne avuto, ma sentivo distintamente il suo sguardo addosso e, un po’ per vigliaccheria, un po’ per evitare le occhiatacce di Will, mi costrinsi a fingere di non essermene resa conto, limitandomi ad attendere il cameriere per le ordinazioni.
Will continuava ad osservarmi con aria corrucciata, come se tutti i problemi del mondo fossero colpa mia, e Prudence non smetteva di guardarsi le mani, incapace di fare o dire alcunché. Sospirai, constatando che la situazione fra Ileen e Chase non era affatto migliore. La sera prima li avevo sentiti litigare furiosamente all’interno della loro camera, per la prima volta in tutta la mia permanenza all’interno dell’appartamento.
Ancora una volta, mi decisi a farmi gli affari miei e non osare introdurre l’argomento.
L’unica cosa che mi premeva fare era parlare con mia cugina al più presto possibile.
Così, presa da un’improvvisa ispirazione, scattai in piedi e le sorrisi, guadagnandomi più di un’occhiata curiosa ed una astiosa da parte dello smielato.
- Cugi, accompagnami un attimo da quella parte, mi sembra di aver visto il cameriere… -
- Non possiamo aspettarlo qui? – domandò lei, sconcertata, certamente ignara delle mie intenzioni.
- Ci metterà un secolo ad accorgersi di noi con tutta la gente che c’è. Su, andiamo. – seppur sbuffando, Prudence riuscì ad alzarsi dalla sedia, per poi seguirmi attraverso la sala rumorosa, in una direzione totalmente opposta a quella che le avevo indicato circa cinque secondi prima.
Appena fummo abbastanza distanti da non essere visibili dagli altri, le indicai l’uscita con il capo, in modo da lasciarle intendere che il nostro giro non aveva niente a che vedere con il cameriere.
Non mi parve affatto sorpresa, e mi seguì senza fiatare, fino a quando non ci trovammo fuori dal locale.
Mi appoggiai alla parete, prima di cominciare un discorso.
- Perché non mi hai detto di te e Will? – le domandai, diretta e concisa, spostando lo sguardo su di lei.
- Beh, cosa c’è da dire? È stato solo un errore. –
- Ah sì? E quante volte hai fatto questo “errore”? – incalzai, elevando un sopracciglio ed assumendo un’aria pressoché dubbiosa. Non me la bevevo, conoscevo troppo bene quell’aria pensosa.
- Una volta. Solo che l’altro ieri… - un’alzata di spalle concluse quella frase, ed io, senza lasciarmi impietosire minimamente dalla sua espressione tormentata, insistetti pesantemente, servendomi di un pizzico di sana ironia.
- …solo che l’altro ieri sarebbe stata la seconda? Cugi, mi spieghi che cazzo succede? – non avevo mai avuto molta pazienza, e l’atteggiamento schivo di Prudence non faceva altro che farmela perdere.
- Come dici tu è assurdo che io e Will… beh, hai capito. –
- Se devo essere sincera invece non ci ho capito una mazza. Tu hai scopato con una persona che dicevi di non sopportare, e stavi per farlo di nuovo. Perché non me l’hai detto, accidenti?! Sono tua cugina! –
- Perché ho paura, va bene?! Tu parli come se fosse impossibile, e invece sta succedendo. Lui mi piace! E io non l’ho mai odiato. Non è colpa sua se somiglia così tanto a Luca! – le sue parole non avevano molto senso, constatai, dopo aver ascoltato attentamente il suo sfogo. E non riuscivo a capire cosa c’entrasse Luca in un discorso che aveva come unico scopo comprendere la situazione tra lei e Will.
- Luca? – sfarfallai le ciglia, senza comprendere, mentre lei trafficava con la tasca della giacca, dalla quale estrasse con mani tremolanti un pacchetto di sigarette che non sapevo neanche possedesse.
- Lascia stare. – mormorò poi, estraendo anche un piccolo accendino rosso ed operandosi per accendersene una. Tacqui per qualche istante, prima di sfilarle il pacchetto dalle mani e prenderne una anche io.
Glielo restituii e mi sporsi in modo che la accendesse anche a me.
Senza fiatare lo fece, per poi riporre tutto nel taschino.
- No, ora parli. Poi mi spiegherai quando ti sei comprata quelle sigarette. Ma ora non mi interessa… -
- E va bene! La verità è che Will mi piace, ed io piaccio a lui. – aspirò il fumo lentamente, prendendosi una pausa dalla sua spiegazione. Io feci altrettanto, curiosa e allo stesso tempo incredula per la confessione fin troppo diretta di mia cugina – Ma tu mi hai detto quelle parole e io ho cominciato a convincermi che tu avessi ragione, che in fondo io e lui insieme saremmo stati… assurdi. Insomma, ho cominciato ad aver paura che fosse tutto sbagliato, che stessi facendo un errore. –
- Ferma. Tu te la sei presa per quella battuta stupida che ho fatto? –
- Sai che quando ti ci metti sai azzerare i buoni propositi di chiunque in due secondi netti. –
- Una persona che non sei tu, magari. Cazzo, sai che mi piace scherzare. Anche se effettivamente lo trovavo strano davvero… ma questo non ti da il diritto di prendermi sempre sul serio! – mi infervorai, per poi respirare un’altra boccata di fumo e buttarlo fuori subito dopo.
- Credo che Will ce l’abbia con te, a proposito. Gli ho detto cosa mi hai detto tu e si è incazzato parecchio. –
- Oh, ora capisco molte cose! – enfatizzai, comprendendo all'istante cosa aveva spinto il ragazzo a fissarmi con tanto rancore e rivolgersi a me in quel modo poco amichevole.
- Vabbè. Ora finisco di parlare. Io non odiavo Will, è solo che i suoi modi di fare, e un po’ anche lui in generale, mi rammentavano Luca; te lo ricordi no? – annuii, non riuscendo a sopprimere una smorfia di disgusto al pensiero dell’ex ragazzo di mia cugina, stronzo quanto bello – E io odio quell’idiota. Meriterebbe di essere preso a calci in culo dalla mattina alla sera. –
- Concordo. – annuii aspirando il fumo, immersa nei pensieri.
- Quindi, beh, non volevo che questa storia continuasse, anche se lui la pensava diversamente. Abbiamo litigato. Poi mi ha messa con le spalle al muro… -
- Non è una metafora vero? – domandai maliziosa, ricordando alla perfezione la scena di fronte alla quale mi ero ritrovata due sere prima. Lei arrossì, dedicandosi alla sua sigaretta per qualche attimo di troppo, prima di ribattere.
- Piantala. Piuttosto… cos’è questa storia di te e Chase? –
- Niente di cui valga la pena parlare. – divagai, cercando di eludere l’argomento, che ahimè continuava a perseguitarmi giorno e notte. Per quanto lui cercasse di fingere che nulla fosse accaduto, la situazione continuava a pesare sulle spalle di entrambi come un grosso macigno.
- Invece credo proprio di sì. La povera Ileen era a dir poco sconvolta. –
- Da quando è diventata la ‘povera Ileen’? – ridacchiai, gettando la cicca sull’asfalto e osservandola spegnersi così come s’era accesa.
- Da quando il ragazzo di cui è innamorata, presunto gay, bacia le altre. In questo caso, te. –
- Non è esattamente colpa mia sai. È che lui mi ha baciata all’improvviso… ed io non sapevo che fare. Ciò che mi lascia perplessa è che quel bacio non sembrava affatto da gay. Non so più che pensare! –
- Qualcosa mi dice che qualcuno si sia cucito una bella maschera addosso. –
- Credi che stia mentendo? Ma perché dovrebbe farlo? –
- Ah non chiederlo a me! – un’alzata di spalle, ed ecco che la sua cicca raggiunse la mia sull’asfalto.
- Giuro che se non vai subito a dire a Will quello che hai detto a me ti diseredo. – esclamai dal nulla, lanciando un’occhiata eloquente a Prudence.
- E tu parla con Chase e cerca di capirci qualcosa, altrimenti dormi con Parmigianino. –
- Affare fatto! – mormorai, prima di sorriderle complice.
- Bene, ora torniamo dentro, e cerchiamo di mettere fine al casino che abbiamo fatto. – fu la risposta arrendevole di mia cugina, accompagnata da un sospiro altrettanto rassegnato.
- Ah… dimenticavo. – tossicchiai, assumendo una tonalità rosso peperone – Ieri Matt mi ha, ehm, baciata. –
- Ohohoh. E tu cos’hai intenzione di fare? –
- Ehm, se ti dicessi che non ne ho la minima idea? –
- Ti direi di muovere il culo e saltargli addosso! Cristo, sei peggio di me. Andiamo va. –
- Uhm, se lo dici tu. – senza obiettare la seguii dentro il locale, e con un sospiro di sollievo mi resi conto che il cameriere era appena arrivato, e che gli altri non avevano ancora preso le ordinazioni.
Ci accomodammo serenamente al nostro posto, e intanto pensai a cosa farmi portare da bere.
Matt mi rivolse uno sguardo indiscreto, tenace, ed io glielo restituii, simulando una specie di mezzo sorrisetto che esprimeva molto più di quanto lui potesse immaginare.
- Ditemi, ragazzi. – il cameriere biondo (che, ricordai, si chiamava Nick) ci guardò tutti quanti con fare impaziente, pronto a scrivere sul foglietto le ordinazioni. Ognuno parlò per sé, e quando il ragazzo se ne fu andato, mi abbandonai allo schienale della sedia, non più timorosa di guardare il moro negli occhi.
Passai una mano fra i capelli, senza accorgermi che Chase mi stava scrutando.
 
(Pov. Brian)
Sarebbe stato semplice chiudere gli occhi e fingere che nulla fosse accaduto. Ma non potevo. Dovevo affrontare la realtà, e limitarmi ad osservarla da lontano come un semplice spettatore. Non sapevo esattamente cosa mi avesse conquistato di lei, oltre i suoi capelli rossi ed il suo corpo eccezionale.
Mi era sconosciuta la sua identità, ma allo stesso tempo era come se la conoscessi già da tempo, e non riuscivo a levarmi dalla testa la sensazione che fosse così.
Preparai un Long Island con un’espressione vagamente indifferente, quasi funerea, tendendolo a mio fratello con fare deconcentrato, in modo che lo traghettasse al tavolo giusto.
- Al ventuno. – asserii, apparentemente assorto dal mio lavoro.
- Tutto ok? – un paio di occhi grigi identici ai miei mi scrutarono preoccupati, mentre io mi adoperavo per completare la successiva ordinazione.
- Certo, certo. Ricordati di andare a chiedere al tavolo dodici… -
- Sì, Brian, lo so. E comunque… se vuoi parlare più tardi sai dove trovarmi. – non sorrise.
Le sue iridi rimasero fredde, e in un attimo riprese la sua attività, lasciandomi solo con le mie tribolazioni.
Cercai di non dare peso al fatto che lei stesse cantando, ma appena sollevai lo sguardo in direzione del palco la vidi, e non potei impedirmi di guardarla a lungo, tanto a lungo da farmi del male, tanto a lungo da desiderare di uscire a prendermi una boccata d’aria fresca. Ma non potevo abbandonare il posto.
Se ci fosse stata Martha probabilmente avrei delegato a lei il lavoro senza pensarci troppo.
Quella quando serve non c’è mai, meditai, senza trattenermi dal sospirare.
Preparai l’ennesimo cocktail, e una voce femminile mi indusse a girarmi: individuai una mora dall’aspetto vagamente familiare, una ragazza incontrata per caso fra i clienti, con la quale avevo ‘chiacchierato’ qualche tempo prima.
- Ciao… Brittany? – domandai titubante, conscio di aver indubbiamente sbagliato nome.
- Bethany. Ehm, potresti darmi una bottiglietta d’acqua naturale, grazie? – sembrava essere piuttosto di fretta, e le occhiate ansiose che si lanciava alle spalle chiarivano una certa inquietudine.
- Problemi al tavolo? – indagai, cercando di seguire il suo sguardo e individuare il suo gruppo.
- Oh no, solo una mia amica che, beh, ha bevuto un po’ troppo. – arrossì visibilmente, e questo fatto mi incuriosì parecchio. Aprii il frigo delle bevande analcoliche e afferrai ciò che mi era stato chiesto, porgendole successivamente la bottiglietta di plastica.
- Ecco a te. – risposi sorridente, e lei mi porse qualche moneta per pagare, che mi affrettai ad incassare.
- Grazie… - sorrise di rimando, umettandosi le labbra con aria nervosa.
- Sembri preoccupata. – dissi, forse mancando di professionalità. Solitamente non osavo intrattenermi con sconosciuti, ma qualcosa nell’espressione afflitta della mora mi spinse a parlarle in termini amichevoli.
Le mie parole la sorpresero, ma non sembrò che le dessero fastidio.
Prese un bel respiro e scosse il capo, passandosi una mano fra i capelli castani.
- Beh, è colpa mia se sta così. –
- Tua? L’hai costretta a bere per caso? –
- N-no, è che… - si guardò alle spalle, prima di continuare - …il suo ex mi ha baciata, e da quando l’ha scoperto non è più la stessa. Credo che abbia cercato di ‘bere per dimenticare’. –
- Mi sfugge il perché dovrebbe essere colpa tua. –
- Io non l’ho fermato. E lui dice tanto di essere gay, ma a questo punto non so manco io cosa pensare. –
- La colpa è sua. È lui che ti ha baciata. Non mi sembra tanto difficile da capire. –
- Non è sempre tutto semplice. Lui non vuole me, e ora lei sicuramente pensa che invece sia così. – si voltò nuovamente, e fu allora che vidi un ragazzo biondo accostarsi a lei. Non ci misi molto a comprendere la situazione, così troncai la conversazione fingendo che non avesse mai avuto luogo.
- Buona serata, signorina! – esclamai, mimando un occhiolino fugace.
- Grazie! – rispose lei, agguantando la bottiglietta e distanziandosi dal bancone di scatto, come se fosse incandescente. La seguii con lo sguardo per un bel pezzo, ma prima che potessi vederla tornare al proprio tavolo cambiò direzione, trascinata dallo stesso ragazzo che poco prima l’aveva raggiunta.
Non mi feci troppi problemi: lanciai uno sguardo schivo al palco e ripresi a fare ciò che stavo facendo, nella speranza che non guardandola il cuore mi facesse meno male.
 
(Pov. Bethany)
- Chase, che fai? Devo portare questa bottiglietta a… -
- Devo parlarti, ora. – arrancai, non riuscendo a mantenere il suo passo, fino a quando non arrivammo in un angolino buio del locale, che presentava un corridoio stretto e silenzioso, abbastanza lontano dalla sala principale da non sentire altro che un confuso vociare. Non capivo esattamente per quale motivo mi avesse portata qui, ma mi divincolai dalla sua stretta appena si arrestò.
- Parla. Ti ascolto. – incrociai le braccia al petto, assumendo una posizione severa che tradiva il desiderio di fuggire via e tornare nella sala principale al più presto possibile.
- Perché hai detto ad Ileen di quel bacio? –
- Non sono stata io a dirglielo. –
- Ah no? E chi allora? –
- Senti… ora non prendertela, ma quand’è successo non sono riuscita a non parlarne. Non capivo perché fosse accaduto tutto questo, così l’ho detto a Will, e l’altro giorno era arrabbiato con me e gli è sfuggito, ma non pensavo ci fosse Ileen nelle vicinanze. – ammisi timorosamente, analizzando il muro alle spalle di Chase, divenuto improvvisamente interessante. Avevo paura di imbattermi nel suo sguardo: mi pareva quasi di trovarmi davanti un altro ragazzo, un Chase totalmente differente da quello che avevo imparato a conoscere e di cui ero diventata amica.
- Beh, ora è tutto un casino. –
- Di certo non per colpa mia! Se tu non mi avessi baciata non saremmo mai arrivati a questo punto. –
- Lo so, cazzo! È che ho combinato un casino e ora non so come lo sistemerò. –
- Potresti cominciare spiegandomi se sei davvero gay o se ci stai prendendo tutti per il culo, per esempio. –
- Non è così facile Beth… -
- Sì che lo è. Mi sai dare una risposta secca? Sì o no? –
- Senti, qualunque cosa io ti dica adesso non devi riferirla a nessuno, okay? –
- Per quale motivo? –
- Ti ho già detto che è complicato. –
- Spigami il perché allora… avanti! –
- E va bene. – sospirò, poggiando la schiena contro la parete fredda – Il punto è che la mia famiglia è un po’ vecchio stampo, e quando ho portato a casa Ileen hanno cominciato subito a fare strane ipotesi sul nostro futuro insieme. Lei era contenta, euforica quasi, ma io ero terrorizzato. Lo sono ancora. Così, prima di iscrivermi all’università ho trovato un modo per evitare il matrimonio combinato che stavano cercando di organizzare i miei. Così ho detto loro di essere gay, e per salvare le apparenze ho dovuto dire la stessa cosa anche a lei. Ho dovuto lasciarla per non sposarmi così presto. Ma, vedi, quando siamo arrivati qui, lontani dalla mia famiglia (che è ancora in fase di shock per quello che ho detto loro), avevo intenzione di dire a lei la verità e riprendere da dove avevamo interrotto, ma lei non mi lascia parlare, lo sai com’è fatta! Ogni volta che cerco di stare solo con lei o litighiamo o trova qualcosa da fare per starmi lontana. Io la amo, e so che lei mi ama ancora, basta vedere come si è ridotta oggi per, beh… - si fermò, scuotendo lentamente il capo, per poi posare le iridi azzurrine su di me – Ma non è tutto... –
Attesi qualche istante in più, prima di prendere la parola: in tutta onestà avevo sperato fino all’ultimo che Chase fosse gay, e non per dispetto alla piattola, ma perché avrei ancora potuto giustificare quel bacio inopportuno, se così fosse stato. Ma ora come avrei potuto scusarlo? E lui cos’avrebbe detto in sua difesa?
- Lasciatelo dire… il tuo ‘piano’ è proprio stupido. In più sei un egoista del cazzo: hai fatto soffrire Ileen per non parlare con i tuoi genitori e poi hai baciato me convinto che lei non lo venisse a sapere. –
- Proprio tu dovresti evitare di farmi la paternale. Non mi pare che tu ti sia comportata in modo molto più corretto con Matt, o sbaglio? –
- Con l’unica differenza che Matt non mi ama e non siamo fidanzati. –
- Cos’altro potevo fare? Tu non conosci i miei… -
- Problemi tuoi. Ma sappi che se non dici tutto questo ad Ileen lo farò io. – senza attendere una risposta feci dietrofront, intenzionata a ritornare in sala, non prima di aver udito il tentativo di Chase di fermarmi.
- Beth, io non ho ancora finito di… - non sentii ciò che disse in seguito.
Accelerai il passo, fino a quando non mi ritrovai abbastanza vicina al tavolo da accorgermi che Prudence e Will non c’erano, e che gli unici rimasti erano Matt e Ileen, che intanto piangeva come una fontana e singhiozzava sulla spalla del moro.
Qualcosa di sgradito si agitò nel mio stomaco, facendomi ingoiare migliaia di insulti, prima di prendere posto più rumorosamente di quanto avrei fatto normalmente.
Matt mi lanciò un’occhiata divertita, ed io gliene restituii una decisamente malevola.
Depositai la bottiglietta d’acqua sul tavolo con fare rabbioso, posando in seguito le iridi castane sulla chioma bionda della piattola, che strusciava il viso umido sulla spalla del moro.
Speravo che il mio sguardo aggressivo le suggerisse di spostarsi istantaneamente da quella posizione, ma qualcosa mi disse che non si era nemmeno accorta che fossi tornata.
- Leen. La tua acqua fresca. – mi annunciai, con un tono artico che avrebbe surgelato chiunque, serrando le labbra in un’espressione tagliente.
- Non ho voglia di bere… - si lamentò lei, ancorandosi ancora di più al ragazzo, che sembrava godersi la scena come si potrebbe godere una finale di Champions.
- Forse non hai capito. Ti serve un po’ d’acqua fresca per riprenderti. – perseverai innervosita, cercando aiuto da parte di Matt per farla ragionare. E levarsela di dosso, possibilmente.
Non ricevetti aiuto da parte sua, e questa fu una delle ragioni per cui mi inasprii ulteriormente.
- Bevitela tu. – si lagnò ancora, e la mia già labile pazienza si dissolse del tutto.
Mi alzai in piedi, afferrai la mia borsa e decisi di tornarmene a casa, possibilmente da sola.
- Arrangiati. Io me ne vado, avvisa tu gli altri. – mi rivolsi con freddezza a Matt, che non sembrava essere più così divertito come lo era prima. Puntò i suoi occhi di ghiaccio su di me, senza comprendere per quale motivo mi stessi comportando in questo modo, e questa volta parlò, senza nascondere la propria perplessità.
- Ma non puoi tornare da sola, è tardi! –
- Visto che tu sei occupato a fare da balia direi che posso invece, e lo farò. – scagliai la freccia con la maestria di un arciere e, senza attendere una sua eventuale reazione, indossai la giacca e mi diressi verso l’uscita del locale, intenzionata ad andarmene sul serio.
 
(Pov. Chase)
Mi aveva lasciato solo a lottare con mille e più riflessioni. Non mi aveva permesso di concludere il mio discorso, ed io avevo bisogno che lei venisse a conoscenza di tutto. Rimasi qualche minuto con le spalle contro il muro: pensavo a come le avrei detto quello che da qualche giorno mi vorticava per la testa, ma più ragionavo, meno riuscivo a trovare un modo adatto per spiegarle ciò che sentivo.
Amavo Ileen, certo. Come potevo non amarla? Ma c’era qualcosa che ostacolava tutto questo, e stava germogliando come una pianta di rose dentro il mio petto. Spine comprese.
Era tutto così confuso che avevo la necessità di metterlo a fuoco, ma non avevo idea di come avrei fatto, se non puntare i miei occhi su di lei e attendere che quel qualcosa si ridestasse e mi desse delle risposte.
Dovevo cercarla, parlarle, tentare di comprendere quel ‘ma’ che mi rendeva difficile anche respirare quando me la trovavo vicina. Dovevo provare, e dovevo farlo subito.
Così ritornai in sala, deciso a fare in modo che mi ascoltasse e che non fuggisse ancora una volta.
Ma quando arrivai in prossimità del nostro tavolo, mi sorpresi a trovarlo quasi del tutto vuoto.
Di certo Bethany non era là, e quando vidi Ileen riversa sulla spalla di Matt, gemente, mi sentii una merda. Ma cos’avrei potuto fare?
Deglutii, disprezzandomi per ciò che stavo per infliggere a lei, e anche a me.
E per ciò che già l’avevo già costretta a subire.
Mi sforzai di apparire naturale come al solito, ma qualcosa nella piega che le mie labbra assunsero suggeriva che non fossi esattamente sereno come cercavo miseramente di dare a vedere.
- Dov’è Beth? – domandai, obbligandomi a risultare effeminato almeno un minimo.
Salva le apparenze, continuavo a ripetermi, sebbene lo trovassi sempre più ridicolo.
- Se n’è andata via. Che le hai detto? – mi aggredì prontamente il moro, squadrandomi con un astio che identificai come gelosia allo stato puro. Aveva tutte le ragioni per esserlo, ma io finsi di non comprendere, come al solito. Assunsi un’aria meravigliata.
- Io? Mi sono solo dimenticato di dirle che… - se Ileen non si fosse assopita sulla sua spalla probabilmente si sarebbe alzato in piedi e mi avrebbe preso a cazzotti. Lo vedevo dalla sua faccia e dalle sue mani, strette a pugno sul tavolino. Era livido, e questo mi fece intendere che alla maschera del bravo ragazzo omosessuale lui non credeva neanche un po’.
- Non mi interessa. Stalle alla larga, sei solo un approfittatore! –
- Forse hai ragione. L’unica differenza fra me e te è che io andrò a cercarla e la accompagnerò a casa come un perfetto bravo ragazzo. E tu invece ti roderai il fegato come un idiota. Proprio come lei ti considera. – sorrisi brutale, per poi voltarmi e uscire dal locale, alla ricerca della ragazza.
Sicuramente, se Ileen non glielo avesse impedito, sarebbe stato ben contento di prendere il mio posto (non prima di avermi pestato per bene), ma fortunatamente mi trovai davanti l’opportunità di discutere con Bethany senza fastidi di alcun genere.
Sapevo quale strada avrebbe preso, perciò affrettai il passo, cercandola senza sosta, fino a quando una lunga chioma castana non illuminò la via. Era lei, l’avrei riconosciuta tra mille altre.
Corsi per qualche secondo, finché non mi ritrovai al suo fianco. Era assorta in chissà quale mondo, e solo quando si accorse di me sostituì a quello sguardo spento un’espressione interrogativa.
- Non mi hai fatto finire prima. E poi mi spieghi che ci fai tutta sola? Matt è proprio un idiota… -
- Già, non posso darti torto. Che vada a fare in culo, sono stanca di lui! –
- Davvero? – corrugai la fronte, stupito. Pareva quasi che ce l’avesse a morte con lui, nonostante il ragazzo sembrasse convinto del contrario, e cioè che io le avessi fatto qualcosa di male.
- Prima mi salta addosso e mi bacia, poi fa le fusa come un disgustoso gatto quando quella gli si struscia addosso. Basta, io mi rifiuto di tentarci ancora! – era totalmente fuori di sé dalla rabbia, e in questo istante trovai l’occasione di dirle tutto ciò che prima non ero riuscito a confessarle, un po’ per colpa sua, un po’ per paura della sua reazione.
- Credo di provare qualcosa per te, Bethany. – pronunciai tutto d’un fiato, interrompendo il passo.
Si arrestò anche lei, e parve passare un’eternità, quando lei finalmente reagì. Mi guardò con aria impassibile, senza chinare il capo, troppo sgomenta per fare alcunché, ed io continuai, incoraggiato ma allo stesso tempo intimorito da quello sguardo impossibile da interpretare.
- Lo so che prima ti ho detto di amare Ileen, ma tu non mi hai fatto finire. Ma ora mi devi ascoltare. Non so cosa mi succede… quando ti ho baciata non l’ho fatto di proposito. È stato quasi automatico. Ero incazzato, confuso, e sei arrivata tu a cercare di capire che cos’avessi. Solo che da quel bacio starti vicino è stato strano. E mi sento in competizione con Matt ogni santo giorno, perché so che tu vuoi lui. – non si mosse.
Non disse nulla, così parlai ancora, nella speranza che reagisse in qualche modo.
- Provo qualcosa per te Bethany. Cazzo, di’ qualcosa! –
- Tu mi hai visto le tette. E anche il culo. Sai che ti dico? Vattene a fanculo pure tu, insieme a Matt! – non era certo la risposta che mi aspettavo, e sentirla pronunciare con tanta ira mi fece del male, ma capivo la sua frustrazione, capivo il fatto che mi detestasse e che biasimasse anche lui.
Tuttavia non ero intenzionato a lasciarla andare così, non senza giocarmi l’ultima carta che mi restava.
Prima che riprendesse a camminare, lasciandomi solo come un cretino, mi bloccai dinanzi a lei, afferrai il suo viso con entrambe le mani e la baciai. Un’altra volta.
Fu decisamente troppo per i suoi nervi ridotti a brandelli: si dibatté coraggiosamente fino a quando non riuscì a spingermi via dal suo corpo e, senza pensarci due volte, colpì con forza il mio viso.
Mi lanciò uno sguardo nauseato, tanto intenso da tapparmi la bocca. Non osai guardarla e, non appena sentii le sue parole schiaffeggiarmi al posto delle sue mani, mi decisi a lasciarla in pace.
- Pensavo fossi mio amico, e invece sei soltanto uno stronzo. Tu e Matt fareste proprio una bella coppia, già… peccato che tu non sia gay. – non aggiunse altro, ed io non mi azzardai a ribattere.
L’unica cosa che feci fu guardarla andarsene e riflettere su quanto avessi perso in così poche ore.
 
(Pov. Prudence)
- Will, non pensi che dovremmo andare a controllare come sta Ileen? –
- Macché. Gli altri se la caveranno con lei. – eravamo lontani dal locale, confinati sulla panchina di una piazzetta sperduta nei dintorni, che si affacciava su una lunga fila di case popolari dall’aspetto anonimo.
Ero seduta ad una certa distanza dal suo corpo, ma ne sentivo ugualmente il calore, o forse era solo la consapevolezza di stargli accanto a darmi questa sensazione alienante.
Deglutii, conscia che la sua mano fosse a circa cinque centimetri e mezzo dalla mia.
- Credi che Matt e Bethany risolveranno qualcosa? – domandai apatica, intenzionata ad allontanare il momento del confronto, momento che era oltretutto la ragione per cui ci trovavamo entrambi lì.
- Adesso non è che mi interessi molto. Finiscila di sviare, ti conosco ormai. – constatai che stava proprio là il problema. Mi conosceva abbastanza da capire che ero tutto fuorché serena.
- E va bene… - tirai su col naso, lasciando dondolare lentamente le gambe coperte dai jeans.
- Quindi adesso mi spieghi perché ti vuoi tanto male. –
- Ho parlato con Bethany prima, e ho capito di essermi comportata da idiota. –
- Mh, continua. –
- Il punto è che quando si tratta di persone di cui non mi importa niente non ho problemi di alcun genere. Sono capace di manipolare chiunque e di conquistare la stima e la simpatia degli altri, ma quando si tratta di te mi rendo conto di non sapere più nulla. Tu mi azzeri totalmente. – scossi il capo, sentendo un’improvvisa voglia di tornare indietro nel tempo e di non intraprendere mai quella conversazione.
- La cosa peggiore è che ti permetto di cambiare il mio umore come se niente fosse. Ed è pericoloso. Io non voglio dipendere da nessuno, meno che mai da te. – continuai, assumendo un tono risoluto. Desideravo levarmi dalla testa tutto quel casino, sbrogliare i fili ingarbugliati e riuscire a pensare ancora lucidamente.
Il problema era sempre il solito: con lui nei dintorni, dimenticavo come si faceva.
- Basta un tuo bacio e ritorno punto e a capo: tutti i buoni propositi, tutte le promesse che faccio a me stessa finiscono nel cesso in un nanosecondo. Hai idea di quanto possa essere umiliante? – lui continuava a non proferir verbo, ed io mi ostinavo a tenere a bada l’impellente voglia di sfiorargli la mano.
- Poi arriva Bethany, e mi dice che è assurdo, che io e te non abbiamo senso, e allora penso che mi farebbe comodo se lei avesse ragione. Poi mi sveglio il giorno dopo e indovina? L’unico modo per sfuggire a questa maledizione è continuare a ingannarmi. Io che faccio sempre tutto col cuore, che me ne frego del parere altrui, che sono sempre sincera e non ho paura di esserlo… mento a me stessa per tenerti lontano dalla mia testa. Non è ridicolo? – tacqui, sentendomi meglio e peggio allo stesso tempo.
- Sono un’ipocrita come tutti gli altri. – aggiunsi a mezza voce, mordendomi il labbro inferiore. Sentivo la mano sinistra a malapena, come se fosse cementata. Desiderai che la sua bruciasse quei cinque centimetri e mezzo e la riscaldasse, nonostante non avessi freddo.
- Non sei un’ipocrita. Hai solo paura. Tutti ce l’hanno. – arrivò il momento che avevo temuto, e cioè quello in cui lui avrebbe preso la parola, il momento in cui sarei stata costretta a sollevare lo sguardo.
Lo feci con timore, ma le sue iridi erano puntate sulla mia mano, come se la sua provasse lo stesso intimo desiderio di raggiungerla. Ma ancora non lo faceva, trattenuta da chissà quali catene mentali.
- Tu non ce l’hai. Come fai a non averne? –
- Hai ragione, io non ne ho. Ho realizzato che qualunque divieto non avrebbe arginato proprio un bel niente. Riconosco una causa persa quando la vedo. E tu non sei mai stata così decisa da lasciarmi credere che lo fossi. –
- Non sono padrona neanche del mio corpo quando ti sono vicina. – ammisi a malincuore, combattendo arduamente contro montagne d’orgoglio represso.
- Lo sei abbastanza da non volermi prendere la mano. Beh, io non sono così forte. – e, senza attendere neanche un lieve accenno di risposta, fece ciò che avrei voluto fare da quando avevo posato il culo su quella panchina gelida. Coprì la mia mano con la sua, e scordai nuovamente come si pensava.
Accennai un sorriso, ma lui non lo vide: coprì le mie labbra con le sue e ancora una volta dimenticai come si sorrideva.
- Non costringermi a ragionare ancora. – sibilai sulla sua bocca, lasciando che le dita si intrufolassero fra i suoi folti capelli castani.
- Non ho nessuna intenzione di farlo. – furono le ultime parole che emise quella sera, e se ne disse altre, rimasero abilmente nascoste fra i baci.



nda: so che mi odiate a morte, e avete tutti i diritti di questo mondo. Ma ho avuto problemi di varia natura:
1- computer morto (pace all'anima sua (L))
2- poco tempo (scuola, mare, impegni vari)
3- cervello poco produttivo ç_ç
Ma ora sono qui, e probabilmente starete pensando: ma quant'è idiota Chase? Credetemi, me lo chiedo anche io.
Ho poco tempo (qui rompono per usare il pc) perciò spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e spero di poter scrivere il prossimo a breve.
Alla prossima, kissoni. Frens.

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Capitolo 15
*** Il quaderno. ***


Il quaderno.

capitolo 15

 



Non diedi né a Chase né a Matt occasione di parlarmi, nella settimana successiva.
Rimasi appartata in camera a leggere, limitandomi a mettere piede fuori da essa esclusivamente per i pasti, per lavarmi e per andare a lezione all’università. Avevo deciso di starmene per i fatti miei per un po’, concedendo unicamente a Prudence di starmi accanto.
Non volevo vedere altre facce, neanche quella di Will, nonostante mi fossi decisa a scusarmi con lui per tutto il pastrocchio che avevo – inconsapevolmente – creato.
Il quando era ancora un mistero, ma mi ero decisa a farlo appena avessi trovato le parole più adatte.
- Heathcliff è uno stronzo. Anche se ha avuto un’esistenza infelice non significa che debba rompere le scatole agli altri! – esordii storcendo il naso, mentre leggevo per la settima volta Cime Tempestose.
- Non so di cosa tu stia parlando. – rispose Prudence, totalmente disinteressata, mentre sfogliava con fare tediato un catalogo di cosmetici.
- Mai sentito parlare di Cime Tempestose? –
- Sì ma non ho mai avuto il coraggio di leggerlo. Mi sono fermata alle prime pagine, sai che noia! –
Eravamo entrambe distese comodamente sui nostri lettini, annoiate e sonnolente.
Purtroppo (e in un certo senso per fortuna) l’estate cominciava a lasciare il posto alla fresca brezza autunnale, e alle prime pioggerelle. Infatti, al di là del vetro della finestra, si cominciavano a scorgere dei nuvoloni tutt’altro che confortanti.
- Fra poco pioverà. – sospirai, distogliendo lo sguardo dal cielo grigiastro per posarlo nuovamente sulla pagina stampata.
- Sì, è probabile. – confermò la ragazza, concedendosi qualche istante di silenzio nell’osservare con fare pensoso le nuvole cariche di pioggia. Non parlammo per un pezzo, entrambe assorte nelle nostre faccende, fino a quando Prudence non si mise a sedere, cominciando a fissarmi con aria ostinata.
Dapprima non ci feci affatto caso ma, quando mi resi conto che non sembrava essere intenzionata ad abbassare lo sguardo, sollevai un sopracciglio, interrogativa.
- Che c’è? –
- Hai intenzione di uscire da questa camera e affrontare i tuoi problemi o rimarrai a fare la muffa per qualche altro decennio? –
- La seconda, credo. –
- Perché? Non ho ancora capito cos’è successo di tanto… -
- Chase non è gay, primo. In compenso è un idiota. E Matt è uno stronzo, secondo, ma questa non è una grande novità. –
- Che ne dici di spiegarmi tutto dal principio? È una settimana che quei due si guardano in cagnesco, ma tu sei troppo impegnata a ignorarli per rendertene conto. –
- Ma non mi interessa se si odiano. Spero che si prendano a botte, se lo meriterebbero entrambi. –
- Uhm, potrei sapere cosa ti hanno fatto? Sembrava che tu e Matt… -
- Beh, Chase mi ha detto che ama Ileen, ma che vuole anche me. E mi ha baciata, per la seconda volta. In più quell’idiota di Matt se ne stava tranquillo a fare da baby-sitter alla piattola, lasciando che si strofinasse addosso a lui, con tanto di sorrisetto da Parmigianino bollito sulla faccia. Non voglio vederli neanche in cartolina, mi fanno venire la nausea! –
- Non posso darti torto su Chase. Mi sembra un tantino indeciso, non credi? Ma Matt… credo che tu ti sia lasciata un tantino trasportare dalla gelosia… sbaglio? – le lanciai un’occhiata tutt’altro che benevola appena la sentii pronunciare quella parola.
Io, Bethany Stevens, non avrei mai e poi mai ammesso di essere gelosa, meno che mai di lui.
- Per mille Parmigianini, non dire che sono gelosa! –
- Ileen era ubriaca, cos’altro poteva fare se gli è saltata addosso? –
- Lui non mi sembrava poi così seccato di avercela sopra. –
- Cristo Bethany, vai a parlarci! Non dico che devi affrontare anche Chase (una disgrazia alla volta) ma almeno potresti provare a non mandare a puttane tutto prima che tu abbia un valido motivo per farlo! – sbuffai, non avendo alcuna voglia di discutere sull’argomento proprio quando sembrava che avessi raggiunto il Nirvana, ma dovetti ammettere che in un certo senso il discorso di Prudence non era poi così sconclusionato. E se avessi soltanto esagerato, come al solito?
- Solo perché tra te e Will sta andando tutto a gonfie vele non significa che anche a me debba andare bene con Matt. Sei sempre la solita fottuta ottimista! –
- Come fai ad essere così cieca? Lui è pazzo di te, e anche se Will si rifiuta di parlarne (sì, è ancora incazzato) io so che anche lui la pensa come me. –
- Questa è la millesima volta che ti dico che non m’importa? –
- Dai, non fare la bambina. Certo che t’importa! Vai in camera sua, tanto Will è andato a fare la spesa dieci minuti fa. E se proprio la cosa va per le lunghe lo trattengo io… -
Le lanciai un’occhiataccia, per poi enfatizzare, stizzita:
- Non sul mio letto, se proprio lo devi trattenere in quel modo! –
- Tu non ti preoccupare. Preoccupati invece di fare quello che ti ho detto. –
- Se lo faccio giura che non mi romperai più i coglioni per le prossime quarantottore. Giuralo! –
- Giuro su Parmigianino e sulle sue graziose orecchiette pelose che tapperò la bocca, anche se forse dovresti… -
- Shh! Basta, ora vado, così almeno smetterai di torturarmi. –
- Non ho bisogno di farlo, ci pensi già tu a farti del male da sola. – alzai gli occhi al cielo e introdussi il segnalibro tra le pagine, per poi abbandonare il volume in un angolino del letto e alzarmi.
- Bene, anche se non so che cazzo dirgli proverò a improvvisare. –
- Se ti presenti così davanti al suo letto ho paura che non baderà molto alle tue parole. – sogghignò, ed io mi esaminai prontamente, constatando che irrompere in camera sua con una canottiera semitrasparente ed un paio di shorts molto shorts sarebbe stato un attentato ai suoi neuroni.
- Oh, fanculo! – imprecai e, senza pensare neanche per un solo istante di cambiarmi, uscii dalla stanza, chiudendola silenziosamente alle mie spalle.
L’appartamento era stranamente quieto e in corridoio non c’era anima viva, così non fu difficile sgusciare di fronte alla stanza accanto senza essere vista da testimoni scomodi.
Esitai qualche istante di troppo, ma alla fine posai la mano sulla maniglia e aprii la porta, col cuore che inevitabilmente velocizzava i suoi battiti, raggiungendo in breve tempo una rapidità logorante.
Nonostante fossi già al corrente della presenza di Matt non riuscii a non sentirmi stranamente scossa, quasi incapace di dire alcunché, alla sua vista. I suoi occhi di ghiaccio mi studiarono attenti, e il modo in cui si immobilizzò appena mi vide mi suggerì che non si aspettava affatto una mia visita.
Forse si era già rassegnato al mio silenzio.
- Disturbo? – trasportai un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, non essendo in grado di restare immobile in una posizione tanto imbarazzante: mi trovavo dinanzi alla sua imponente batteria, in piedi, mentre lui se ne stava adagiato sul letto, concentrato a scribacchiare chissà che su un banale quaderno nero.
- No, vieni. – rispose, stupito dalla mia improvvisa gentilezza.
Scattò a sedere, nascondendo il taccuino sotto il cuscino, e mi indicò di sedermi accanto a lui.
Mi avvicinai, insicura e visibilmente imbarazzata dalla situazione in generale, nel tentativo di non inciampare su tutto il ciarpame che stava nei pressi dello strumento, e miracolosamente ci riuscii senza combinare disastri di alcun genere. Affondai nel materasso con un sospiro, per poi piombare nel silenzio più assoluto, senza sapere neanche io da dove cominciare.
- Ero un po’ arrabbiata con te. – deglutii, sentendo il coraggio concentrarsi su ogni parola – Me ne sono andata per questo. Ce l’avevo con te perché invece di fermarmi sei rimasto dov’eri, con quella addosso poi… – apparivo sempre più come una fidanzatina gelosa, e più andavo avanti col discorso più davo mentalmente ragione a mia cugina. Ero gelosa, non avevo scusanti, né sapevo come avrei ancora potuto negarlo senza ridicolizzarmi.
- Cos’altro potevo fare: lasciarla da sola? A differenza di te era sbronza, tu te la sai cavare. Lei, beh… -
- Lo so. Ma cazzo, se io avessi fatto lo stesso con Chase per te sarebbe stato indifferente? – tacque, zittito dal mio paragone. Sapevo che avrebbe reagito come me, o quasi. Forse con meno diplomazia.
- E comunque so che questo è ridicolo. Io e te non stiamo insieme, non siamo nulla. – continuai, cocciutamente decisa a non sollevare lo sguardo. Incontrare quegli occhi sarebbe stato poco meno di un suicidio, ed io desideravo sentire la risposta di Matt prima che le sue iridi celesti mi uccidessero.
- Sei venuta qui solo per questo? –
- B-beh, sì. –
- Visto che sei sparita per più di una settimana ero convinto che avessi qualcosa di più da dire. –
- A questo punto credo che sia tu quello ad avere qualcosa da dirmi. – affermai, rendendomi conto di quanto le sue ultime parole suonassero pungenti.
- Può darsi, ma non ha importanza. Per te non ne ha mai. – strabuzzai gli occhi, senza riuscire a trattenermi dal lanciargli uno sguardo a dir poco malevolo. Di cosa esattamente non mi importava?
- Cosa ti costa parlare? Io sono venuta qua per te, se ancora non l’hai capito! – cominciavo a spazientirmi, ed il cuore sembrava desiderare ardentemente di uscirmi dal petto.
Le mani non facevano che ancorarsi al lenzuolo immacolato, come se quella stretta potesse rendere maggiormente sopportabile la situazione, che lentamente si surriscaldava sempre più.
- Dopo esserti chiusa in camera tua per una settimana. Grazie tante. –
- Cosa ti aspettavi? –
- Ho imparato a non aspettarmi niente da te. Perciò nulla. –
- E allora spiegami perché ce l’hai tanto con me. –
- Bene. – si alzò in piedi, distanziandosi dolorosamente dal suo stesso letto, e si avvicinò alla finestra con aria tutt’altro che serena, forse incapace di respirare ancora la mia stessa aria.
Quella separazione imprevista servì a riscuotermi dall’intontimento che il profumo del suo dopobarba causava in me, e fu per questo motivo che mi armai di una forza nuova.
Forza che mi spinse ad alzarmi circa dieci secondi dopo che lo ebbe fatto lui.
- Avanti, sono proprio curiosa. – soffiai coraggiosamente, e intanto scorsi qualche goccia rigare il vetro della finestra, segnando finalmente la prima pioggerella dell’autunno.
Il rumore della pioggia impregnò la mia mente per qualche beato istante, e mi parve quasi di sentirla precipitarmi addosso, fredda e pungente.
L’attesa delle sue parole mi faceva sentire come nel bel mezzo di un feroce temporale, zuppa e intirizzita: avevo paura di ciò che avrei sentito, di come avrebbe potuto ferirmi.
Del fragore di un tuono e delle sue conseguenze.
Si voltò, ed io non fui in grado di dare un nome a ciò che vidi.
Forse era stanchezza, quella che albergava sul suo bel viso da modello di Abercrombie?
- Non lo accetto. Più ti conosco e meno ti capisco. Prima mi fai entrare in camera tua, fai la carina e la simpatica, poi ti lasci baciare… e il giorno dopo è tutto come prima. Tutto daccapo. Ogni cazzo di volta. È questo il problema: mi prendi per il culo ogni giorno, perché ti lasci baciare anche da Chase e poi svanisci nel nulla. Ma ciò che mi fa incazzare davvero è che è da qui che non te ne vai. – si indicò la fronte, rimanendo a distanza di sicurezza da me, come per paura che mi avvicinassi e marcassi con forza la mia presenza. Come se facendo questo potessi fargli del male in qualche modo.
- Vorrei soltanto che tu mi lasciassi in pace se non sai cosa vuoi. Ma non lo fai, neppure se non ci sei. –
- Ma io lo so cosa voglio. È proprio questo il problema. – replicai, terminando il poco fiato che mi era rimasto nei polmoni.
- E allora cosa vuoi da me? –
- Non voglio niente da te. Io voglio te. Credi di poterlo accettare? – non compresi esattamente come riuscii a dirglielo, né dove trovai il coraggio per farlo, ma pronunciai quelle parole. E l’attimo dopo che lo feci avrei tanto desiderato scappare, tornare in quell’angolino sicuro che il mio letto rappresentava.
Eppure non lo feci: rimasi con i piedi piantati sul pavimento, in silenzio, perché volevo conoscere unicamente la sua risposta. In realtà volevo anche sentire la sua voce, come sempre, e volevo pure che mi guardasse negli occhi, nonostante non fossero belli come i suoi. Mi sarebbe piaciuto che ci leggesse dentro la sincerità delle mie parole e non cercasse di confonderla con una menzogna.
E avrei voluto che si avvicinasse, perché tutta quella lontananza mi faceva mancare l’ossigeno.
Attesi qualche secondo, ma niente. Lui non rispose, non fece nulla.
Ed io mi spegnevo ogni istante che passava. Ero la pioggia che si frantumava sull’asfalto.
Rispondi… rispondi… rispondi…, pensai, sedendomi sullo sgabello della batteria, ormai rassegnata a non ottenere alcuna risposta. Matt riprese ad analizzare il cielo al di là della finestra, e probabilmente non avrebbe fatto diversamente per un po’.
Sembrava non volersi voltare a guardarmi, ma mi avrebbe prestato attenzione.
Ora come ora, non desideravo altro che farmi ascoltare.
Agguantai le bacchette di legno e cominciai a percuotere i tamburi a caso per spezzare quel fastidioso silenzio che mi stava schiacciando a poco a poco. Non produssi un suono particolarmente piacevole, ma qualunque schiamazzo sarebbe stato meglio di non sentire nulla.
Andai avanti così per qualche minuto, finché una voce alle mie spalle non mi fece capire che Matt si era avvicinato, e non aveva alcuna intenzione di allontanarsi presto.
- Sbagli nell’impugnarle. – sussurrò, prendendo le mie mani e guidandomi con le sue, in modo da farmi comprendere meglio come utilizzarle. Mi fece alzare dallo sgabello, conducendomi sulle sue cosce, ma adagiarmi su di lui fu eccessivo per i miei nervi.
Cominciai a sentire una gran voglia di piangere, e nel tentativo di non lasciarmi andare di fronte a lui rischiai di ruzzolare giù, sul pavimento: Parmigianino, quell’orrenda massa di peli fetente, si era infiltrato fra le mie gambe, e non avendolo né visto né sentito avevo provato ad allontanarmi in fretta da Matt per non ostentare la mia debolezza, incespicando su di lui.
- Vattene, gattaccio puzzolente! – esclamai con le ultime forze che mi rimanevano, la voce ridotta dal nodo che pian piano andava ingrandendosi all’interno della gola.
- Beth, che… stai calma… - mi resi conto che le mani del moro mi stavano stringendo soltanto quando cercai di liberarmene, e allora mi arrestai, rassegnata dal fatto che non avrei potuto dileguarmi in nessun caso.
Asciugai con irritazione una lacrima fuggitiva e tentai di non cadere rovinosamente sulle mattonelle o fare qualsiasi genere di figuraccia, ma già il fatto che lui avesse compreso che stavo piangendo era un punto a mio sfavore.
- Che ti prende adesso? – insistette, stringendomi in un abbraccio che mi rasserenò e mi sconvolse allo stesso tempo.
- E me lo chiedi anche?! Prima litighiamo come dannati, poi te ne stai zitto a guardare chissà che e dopo ti avvicini come se nulla fosse! Hai idea di quanto possa essere snervante??? –
- Beh, è quello che fai tu ogni volta, o sbaglio? –
- V-veramente… - mi interruppi, incapace di trovare qualcosa di abbastanza intelligente da dire: non perché mi mancasse la capacità di trovare prontamente una risposta, ma perché quella facoltà mentale era stata brutalmente soppressa appena le sue mani mi avevano toccata. Mi accarezzò i capelli, sfiorandomi accidentalmente la spalla, e questo fu sufficiente a farmi venire la pelle d’oca.
Brutta situazione Bethany, datti una svegliata! pensai, e quasi in risposta a questa riflessione lo spinsi via, allontanandomi di almeno mezzo metro.
- Ti comporti in modo davvero strano, mi stai preoccupando. – furono le sue parole meravigliate, appena lo feci. Spalancò le palpebre e mi squadrò con quelle iridi che sapevano levarmi con tanta facilità le parole di bocca e la volontà dal cervello. Deglutii, ma non seppi rispondere, per l’ennesima volta.
- Forse è meglio che vada a… passare l’aspirapolvere. Sì. – mi voltai per andarmene (ed esaudire finalmente il mio profondo desiderio di darmela a gambe), ma non fu sufficiente oltrepassare la batteria e accostarmi alla porta. Mi prese per i fianchi e mi riportò indietro, sul suo letto… sul suo letto.
Ossantissimoparmigianinochecavolostafacendo?!, mi domandai atterrita, senza trovare il coraggio di muovermi o fiatare.
- Prima che tu ti metta ad urlare come una psicopatica e a dimenarti come un’anguilla vorrei tanto sapere che cosa cazzo ti prende, perché giuro che non lo capisco proprio. –
Mi aggrappai agli unici due neuroni superstiti, nel tentativo di articolare una frase di senso compiuto, con soggetto, verbo e (possibilmente) complemento.
- Tu. Mi stai sopra. –
- Eh, e allora? –
- E allora togliti, no? –
- No! Dimmi che hai. –
- Sei un fottuto bastardo, ecco cos’ho. –
- E tu sei dolce come un barile di acido muriatico. Avanti, parla! –
- Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. –
- Sul serio. Di che hai paura? –
- Non ho paura. –
- Giusto… sei terrorizzata. –
- Ti odio! Levati. –
- L’odio è un sentimento forte. Wow. Provi un sentimento forte per me… Betty? –
- Pensi di starmi sopra ancora per molto… Matthew? –
- Uhm, sì, l’idea era quella. A meno che non ci voglia stare tu, sopra di me. – tacqui, assumendo un’intensa tonalità tra il rosso e il violaceo: ero certa che le sue intenzioni fossero tutt’altro che innocenti.
Forse per colpa delle sue labbra, che presero a lambire avidamente la mia gola. Forse per le sue mani, che davano prova di essere tutto fuorché discrete. O forse era a causa del suo profumo, che confondeva i miei sensi senza il mio consenso.
Addio neuroni. Addio volontà. Addio buone intenzioni.
Per me era finita. Mi avrebbe annullata totalmente nel giro di qualche secondo.
Lo sentii trafficare con la cerniera degli shorts, e in seguito con la canottiera: entrambi raggiunsero in breve tempo il pavimento, e lo stesso fecero i suoi indumenti.
Lasciai che le mani percorressero la sua schiena nuda, senza freni né restrizioni, e finalmente mi impossessai delle sue labbra, mentre lo spogliavo degli ultimi vestiti che gli erano rimasti addosso.
I respiri si fecero affannosi e i corpi più vicini, e le sue frasi, i contrasti, le azioni, divennero nient’altro che un indistinto e lontano ricordo.
- Giurami che smetterai di farmi del male. – sibilai, trafiggendo le sue iridi con le mie.
- Non ho mai voluto farlo… - sospirò, e tutto il resto perse inaspettatamente valore.
 
(Pov. Nick)
- Cazzo! I panni saranno tutti umidi adesso! – strepitai, lanciando un’occhiataccia al mio gemello, prima di dirigermi di tutta fretta verso il balcone. Se Brian se ne stava stravaccato sul divano senza fare niente, io tentavo in tutti i modi di non rendere vano il mio lavoro. A Martha toccava la spesa, perciò il resto delle faccende era compito nostro. Mio, in questo caso.
- Certo, sta piovendo. – rispose quello, sbadigliando sonoramente e affondando ulteriormente nei cuscini.
- E tu ovviamente non fai nulla per darmi una mano. – il fastidio nella mia voce era palese, per questo lui si voltò a guardarmi, con quegli occhi grigi (così simili ai miei) che rispecchiavano una certa indolenza.
- Scusa Nick, non ne ho proprio voglia oggi. –
- Nemmeno io se è per questo. Ma lo faccio lo stesso. –
Brian sospirò, distogliendo lo sguardo malinconico dalla montagna di panni bagnati che tentavo di reggere fra le braccia. Qualcosa non andava, e non ci misi molto a posare i vestiti sul tavolo e accomodarmi accanto a mio fratello, pronto a porgli una serie di fastidiose domande inquisitorie.
- Beh, perché quella faccia da culo? – sollevai un sopracciglio.
- Non ho voglia di parlartene. È una cosa stupida. –
- Appunto che è stupida. –
- Dai, lasciami stare. – si lamentò con fare lagnoso, spostando repentinamente lo sguardo altrove.
- Mi dici sempre tutto, cosa c’è che non va ora? –
- Come ho già detto è una cosa stupida, non vale neanche la pena che io sprechi del tempo a parlartene. –
- Allora, se è tutto così stupido come dici te, aiutami a stendere i panni al coperto, prima che te li lanci addosso! – sorrisi, nel vano tentativo di strappare un accenno di risata anche a lui.
Fu totalmente inutile. Non voleva espormi i suoi problemi, ma, da gemello testardo qual’ero, non me la sentii di abbandonarlo così, non quando ero a conoscenza di quanto la sua malinconia potesse essere snervante.
- Problemi di cuore? – domandai indiscreto, convinto che una donna non potesse essere la causa dei suoi mali. Brian non era mai stato un tipo particolarmente impegnato sentimentalmente (le sue ultime relazioni risalivano alle superiori, circa) e di certo non mi aspettavo che penasse per questo.
- Non dire assurdità! – replicò, con un’enfasi tale da lasciarmi perplesso. Mi sistemai meglio sul divano, pronto ad insistere fino a fargli vuotare completamente il sacco.
- Ti sei infognato con qualcuna eh? – assunsi un’aria divertita e maliziosa, determinato a punzecchiarlo e prenderlo in giro, nonostante non avessi idea di cosa avesse potuto generare la sua apatia.
- Preoccupati della tua acidella… -
- Me ne preoccupo già abbastanza, senza che tu me lo dica. –
- Allora perché non vai a scopartela e mi lasci in pace? –
- Perché sta facendo la spesa e tu hai una fastidiosa faccia da depresso. E ti ostini a non volermi dire il motivo. –
- Come ti ho già detto poco fa è una cosa stupida. Tanto stupida da non avere nessuna rilevanza. – detto questo, lo vidi alzarsi infuriato e spostarsi in camera sua, serrando la porta a chiave.
Sospirai e scossi il capo, ritornando alle mie faccende e cercando di non dare peso alla situazione che giorno dopo giorno si faceva più pesante.
 
(Pov. Chase)
Sistemai la roba asciutta nell’armadio, dividendola per colore e per genere, e ficcando i panni sporchi nella bacinella azzurra. Mi soffermai ad osservare una camicia verdolina semitrasparente e repressi un brivido d’orrore: fingevo che fosse la mia preferita soltanto perché era talmente atroce da poter piacere solo ad Ileen e a qualche individuo appassionato di moda, generalmente gay.
Mi sarebbe piaciuto ritornare al classico abbigliamento eterosessuale, ma le circostanze richiedevano ancora un po’ di tempo. Sospettavo che Ileen mi odiasse, mentre ero del tutto certo che Bethany desiderasse il mio scalpo, e di conseguenza una mia rapida – e dolorosa assai – dipartita.
Matt, manco a dirlo, avrebbe esaudito molto volentieri il desiderio della sua presunta dolce metà, ed il resto dei coinquilini sembrava essersi dimenticato totalmente della mia presenza.
Chiusi le ante dell’armadio, concedendomi una rapida occhiata allo specchio, ed un paio di grandi iridi indaco mi restituì lo sguardo, impassibile e distante. Potevo permettermi di essere me stesso poche volte al giorno e qualche ora durante la notte, se l’insonnia prendeva il sopravvento sulla stanchezza: inutile dire che ogni volta mi ripetevo quanto fossi stato idiota, ad allestire quell’altrettanto stupido teatrino.
Sapevo che non mi avrebbe portato da nessuna parte, che mi avrebbe creato solo guai. Ero consapevole di quanto irragionevoli fossero le mie azioni, ma, per un motivo o per un altro, non riuscivo a ripudiarle.
E, come se non bastasse, dovevo ancora fare luce su alcune questioni oscure che mi levavano il sonno:
1) Bethany, e il punto di domanda che rappresentava.
2) Che ruolo avesse avuto Parmigianino in tutta questa storia.
3) L’esito della segreta, sporca, scommessa tra Matt e Will, che, ne ero fermamente convinto, non erano a conoscenza del fatto che io sapessi tutto né che a breve li avrei messi entrambi con le spalle al muro.
 
(Pov. Bethany)
Aprii gli occhi di scatto, svegliata da un improvviso e molesto rumore. Con una smorfia notai quell’arcigno e orrendo felino di nome Parmigianino squadrarmi malignamente, adagiato in tutta tranquillità sul mio stomaco. Coperta unicamente dal lenzuolo spiegazzato, tentai di mandarlo via sventolandogli pigramente una mano davanti al muso. Niente. Rimase piantato dov’era.
- Sciò? – un magro e fallimentare tentativo di fare in modo che il gatto se ne andasse.
Mi guardai intorno, e mi resi istantaneamente conto di essere sola, nella stanza di Matt.
Sfarfallai le ciglia, reprimendo un lungo sbadiglio.
La pioggia continuava a cadere, e pareva che aumentasse ogni minuto.
Meeeow! Il gatto prese a farsi le unghie sulla mia pancia, trapassando il lenzuolo con i suoi artigli felini e graffiandomi inevitabilmente.
- Ahio! – mi lamentai e, pur di non toccare quella palla di pelo puzzolente, afferrai il cuscino e glielo scagliai contro, in modo da costringerlo a spostarsi. Finalmente, con un elegante balzo, Parmigianino si levò dalle scatole, sgusciando chissà dove a rompere le palle a chissà chi, ma io non mi preoccupai di lui: un quaderno nero dall’aria vissuta fece la sua comparsa da sotto il cuscino, lo stesso che Matt aveva accantonato di tutta fretta appena avevo messo il piede in stanza. Lo presi fra le mani e, senza preoccuparmi che il moro tornasse improvvisamente, lo aprii, leggendo le prime parole della prima pagina. La scrittura era alquanto puerile, e ciò che stava scritto al di sotto chiariva che quel quaderno fosse sufficientemente vecchio da potersi definire un reperto archeologico. O quasi.
Una lunga serie di testi di canzoni abbozzati mi saltò all’occhio, ma sorpassai un bel po’ di pagine prima di trovare qualcosa che mi incuriosì davvero. Aggrottai le sopracciglia, cercando di comprendere cosa significasse quanto scritto. La data era piuttosto recente, ma risaliva a circa qualche giorno prima che mettesse piene nell’appartamento insieme a Will.
Scommessa n°1: vinta. Non avevo la minima idea di cosa si trattasse, infatti – non sapendo come interpretare la cosa – voltai pagina in breve tempo, ritrovandomi davanti altri testi, la maggior parte dei quali lasciati a metà o totalmente cancellati. Ma, a distanza di una decina di fogli, ecco che una seconda frase enigmatica mi catturò nella sua tela. Scommessa n°2: loading.
La data era proprio quella del loro arrivo in appartamento.
Sotto, una lunga serie di strani simboli incomprensibili copriva il resto della pagina, e quelle dopo, e quelle dopo ancora. Appunti, forse. Annotazioni scritte con uno strano alfabeto, sicuramente di sua invenzione.
- Ma che cazzo…? – sbottai, constatando che il resto del quadernino era interamente ricoperto da quello stranissimo linguaggio. Udii un rumore dietro la porta, e questo mi costrinse (a malincuore) a chiuderlo immediatamente e rinfilarlo sotto il cuscino, esattamente dove sarebbe dovuto rimanere.
Appena in tempo: Matt comparve sulla soglia, mezzo nudo e fresco di doccia, con un sorriso appagato sul bel viso e tutta l’aria di voler ritornare sotto le lenzuola nel più breve tempo possibile.
- Ehi. – mi sorrise, ed io sentii il mio cervello morire schiacciato sotto il peso del suo sguardo. I miei poveri neuroni giacevano inermi da qualche parte della mia scatola cranica, ma nell’osservare i suoi occhi azzurri mi mancava tutta la voglia di andare a cercarli.
- Mi sono svegliata poco fa. – umettai le labbra, lasciando che si infilasse nuovamente accanto a me. La sua vicinanza cancellò rapidamente ogni traccia di dubbio ed ogni domanda riguardante il quadernino, ma qualcosa mi disse che ben presto ci avrei riavuto a che fare.
 
(Pov. Will)
Mi affettai a spostarmi di reparto in reparto, facendo mente locale su ciò che mi ero appuntato di comprare. Farina, latte e pacchi di pasta erano le cose che Ileen mi aveva istericamente ricordato di acquistare in dosi massicce, e già a metà del mio percorso all’interno del supermercato il carrello era pieno per tre quarti. Come avrei fatto a trasportare tutto da solo rimaneva un mistero, ed improvvisamente mi pentii di aver rifiutato l’offerta d’aiuto di Chase, che, seppur generosa, mi lasciava abbastanza perplesso.
Inoltre, più passava il tempo, meno il biondo mi stava simpatico, e non soltanto per ciò che aveva combinato con Bethany, ma anche per il modo in cui aveva cominciato a squadrarmi, come se fosse in attesa di qualcosa. Mi innervosiva, e se avesse continuato così probabilmente gli avrei domandato se ci fosse qualche problema. E in tal caso, quale fosse.
- Posso, ehm, passare? – una vocina timida e vagamente ironica mi distrasse dalle mie riflessioni, e quando mi voltai riconobbi un viso familiare.
- Ah, giusto. – risposi intanto, senza distogliere lo sguardo dal bel volto della ragazza – Ci conosciamo? – continuai, certo di averla già vista da qualche parte.
Lei mi osservò inespressiva, prima di replicare:
- Può darsi. – non pareva molto loquace, ma io (da bravo rompiscatole qual’ero) insistetti ugualmente.
- Ti chiami Martha, giusto? – ricordai improvvisamente, analizzando la chioma rossa, mascherata abilmente da un berretto di lana grigio.
- Sì… scusa, non mi ricordo come ti chiami. –
- Will. Ci siamo conosciuti al locale che c’è qua vicino, ricordi? – la rossa sembrava avere tutta l’aria di non esserci particolarmente con la testa. Mi rivolse uno sguardo alluvionato, afferrando con aria assente un pacco di spaghetti.
- Probabile, visto che lavoro lì. –
- Bene, la mia memoria allora non mi inganna. – sorrisi amichevole, spostando il carrello in modo che la ragazza potesse passare senza fare acrobazie inutili.
- Evidentemente no. Ora, scusa, mi piacerebbe tanto chiacchierare, ma devo andare. Sono un po’ di fretta. Ci vediamo… Will. – mi liquidò in quattro e quattr’otto, dileguandosi il più rapidamente possibile con la sua spesa, ed io, sconcertato dalla sua fuga, mi costrinsi a continuare ciò che stavo facendo, ossia svaligiare il negozio per conto di Ileen.
 
(Pov. Martha)
Girai la chiave nella toppa a fatica, armeggiando con due bustoni colmi e pesanti, e con la testa altrove. Era dalla settimana prima che riflettevo senza sosta, ed ora anche l’incontro con quel ragazzo al supermercato era diventato oggetto di riflessione.
- Sono tornata! – annunciai, spingendomi all’interno dell’appartamento. Posai le buste sul bancone e mi guardai intorno, alla ricerca dei due gemelli. Non vidi nessuno dei due.
Con un’alzata di spalle chiusi la porta d’ingresso e mi levai il berretto, e in seguito la giacca.
Avevo fame, così decisi di sistemare la spesa e di divorare un tramezzino subito dopo, in modo da placare quella fastidiosa sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco.
Mi adoperai per smistare il cibo il più celermente possibile, canticchiando nel mentre una delle canzoni che avevo ascoltato con l’i-Pod nel tragitto di ritorno a casa e, appena terminai, aprii le ante del frigo, alla disperata ricerca dei miei adorati tramezzini.
La mia ricerca attenta fu però interrotta bruscamente da una voce dolorosamente familiare.
- Martha, devo chiederti un favore. – il tono freddo con cui pronunciò quella frase confermò che colui che mi aveva parlato era Brian. Deglutii, e quando i miei occhi si puntarono su di lui smisi momentaneamente di respirare, come se farlo potesse contaminare quell’attimo di beatitudine rubata.
- Un altro? Mi pare che la spesa toccasse a te oggi, no? – lui si avvicinò, palesemente contrariato, fino a quando non me lo ritrovai a poco più di quaranta centimetri di distanza.
- Ho bisogno che tu porti questo al locale e lo metta sul mobile del camerino. Ti pago lo straordinario se lo fai. – abbassai lo sguardo e vidi che nella mano destra il biondo stringeva una lettera imbustata.
La sua aria disperata fu una spiegazione sufficiente. E terribilmente dolorosa.
- Hai detto che mi paghi lo straordinario… dov’è la fregatura? – domandai, mostrandomi apparentemente sospettosa.
- Non voglio che mio fratello si intrometta. Perciò se vai non devi assolutamente dirgli nulla di questo. Intesi? – lo guardai con le labbra serrate, a lungo, poi gli strappai la missiva dalle mani.
- E va bene. Farò come dici tu, ma sappi che se non mantieni la parola tuo fratello verrà a conoscenza di tutto. – ovviamente mentivo, ma Brian non poteva certo saperlo.
Mi allontanai, indossando la giacca e il berretto, e mi avventurai fuori dall’appartamento senza neanche salutare. Appena arrivai al pianerottolo e fui certa che Brian fosse rimasto dentro, aprii la lettera e la lessi, aspettandomi già di conoscere il contenuto:
Ti prego, non puoi respingermi così ogni volta. Quello che c’è stato tra di noi non è stato solo sesso, lo so, e lo sai anche tu. Mi sto umiliando per te, come fai a non capire?! Lascia almeno che ti parli, non chiedo altro, se non vuoi dirmi chi sei. Brian.
Mi morsi un labbro, rattristata ed innervosita da quelle parole.
Lui amava l’altra, non me, non Martha, lei. E continuavo a non volerlo accettare.
Appallottolai la lettera con forza e uscii fuori dalla palazzina. Non mi importava della pioggia, tantomeno del fatto che fossi sprovvista di ombrello: arrivata in prossimità di un cestino gettai la pallina di carta, con furia, immergendomi nelle strade ormai oscurate dal calare della notte.



NdA: Beh, sono stata più puntuale questa volta, no? Sì, so che prima aggiornavo mooolto più rapidamente, ma ora che la storia volge quasi al termine è più difficile seguire il filo, anche perché ogni volta aggiungo particolari che inizialmente non avevo ideato. Ce l'abbiamo fatta, io, Matt e Bethany XD 
Ma... non è tutto rose e fiori, e presto ve ne accorgerete!
Chase trama qualcosa, e il quaderno che è appena spuntato sarà importantissimo nei capitoli a venire.
Ah, ovviamente ringrazio chiunque sia arrivato fin qui a leggere e recensire, ma soprattutto ringrazio chi mi ha copiato la storia per avermi fatto sentire importante, anche se avrei preferito evitare di vedere la copia sputata di questa ff, copiata peraltro in modo abbastanza pessimo ;) spero che questa persona legga e capisca che non ricava niente dalla sua poca originalità, se non un sentimento di pena da parte mia.
Okay, dopo aver lanciato questa frecciata stile bazooka... spero che il capitolo vi sia piaciuto e che lo recensirete.
Spero di aggiornare presto e di poter terminare questa storia u.u visto che a breve ne comincerò un'altra.
Bene, a presto lettori, taanti bacetti (L)

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Capitolo 16
*** La dura verità. ***


La dura verità.
capitolo 16

(Pov. Ileen)
 
Mescolai meticolosamente il contenuto all’interno della terrina, ma non prima di aver immerso le fruste al suo interno ed essermi circondata di tutti gli ingredienti necessari per la preparazione del dolce. Uova, mascarpone e savoiardi, e allo stesso tempo paure, preoccupazioni e tanta malinconia, in un unico metro quadrato. Fintantoché respiravo e mantenevo la mia attenzione sul tiramisù in preparazione riuscivo a non pensare, e di conseguenza tenevo la mente lontana da Chase e da tutti i casini che stava combinando. Ero stanca di combattere contro le sue stranezze, e non avrei mai e poi mai ammesso quanto mi mancasse il suo sorriso etero, le sue mani etero, il suo sguardo innamorato etero. Il nuovo Chase mi stava stretto, e avevo la netta impressione che stesse stretto pure a sé stesso, nonostante avesse quasi fatto venire un embolo ai suoi genitori annunciando loro di essere omosessuale.
Strinsi la presa intorno al manico delle fruste, come autodifesa dai ricordi, ancora troppo vicini e dolorosi.
Tirai su col naso, percuotendo il contenuto della terrina con furia, come se al posto della crema ci fosse la faccia del biondo. Avrei voluto avere la forza di prenderlo a sberle, fargli del male fisico così come lui ne aveva fatto a me moralmente. Ma dovevo resistere.
Volevo dimostrargli che ero più forte, e lo ero davvero, nonostante avessi deciso di mostrare al mondo una parte di me che non esisteva. Come d’altronde stava facendo lui. Non riuscivo a togliermi dalla testa l’opprimente sensazione che ci stesse prendendo tutti quanti (nessuno escluso) per il culo.
Fingevo giorno dopo giorno di essere una stupida ochetta bionda senza cervello, e il fatto che tutti ci fossero cascati era un chiaro segnale che nessuno mi prestasse la minima attenzione, come d’altronde avevo sperato che accadesse.
Erano tutti talmente presi dalle loro vicende sentimentali da non accorgersi che ogni giorno che passava io stavo peggio di quello precedente. Ma c’ero abituata.
Dalla morte dei miei genitori ero stata costretta a cavarmela, a combattere per mantenere intatto il mio sorriso, nonostante i problemi. Malgrado lui.
Lui che sapeva cos’avevo passato e mi aveva lasciata ugualmente nella merda.
Lui che mi aveva risollevata dal pantano in cui ero sprofondata e mi aveva spinta nuovamente nelle sabbie mobili. E mi stavo inabissando, ancora una volta.
- Leen. – trattenni il fiato, e quando riconobbi quella voce (e appurai di non averla sognata) asciugai una lacrima fuggitiva e voltai il capo verso Chase, appena comparso sulla soglia della cucina come un fantasma.
Un meraviglioso fantasma.
Assunsi un’espressione altera e gelida, come se la luce della luna non illuminasse i miei occhi lucidi.
- Chase. – risposi, decisa a non destare in lui sospetti di alcun genere. Non mi avrebbe più vista piangere.
Mi ero ripromessa di non mostrargli più i miei sentimenti.
Dovevo essere forte, ancora una volta.
Così ripresi a fare ciò che stavo facendo, augurandomi che la sua fosse soltanto un’apparizione transitoria e che se ne tornasse in camera a ronfare.
- Quando sei nervosa cucini. Ti conosco ormai. – mi morsi il labbro inferiore, contenendomi categoricamente dall’agire d’impulso.
Strinsi la presa sulle fruste e continuai a lavorare la crema, aggiungendo gradualmente il mascarpone.
- Allora saprai anche che non ho nessuna voglia di parlare con te, dato che… mi conosci. – aggiunsi un tocco di ironia alla frase, cercando di non tirare fuori il lato bellicoso che avevo avvedutamente nascosto dietro un sorriso dolce. Non mi girai quando dissi queste parole, ma sentii distintamente dei passi farsi sempre più vicini. Dovevo reggere. Lo dovevo a me stessa.
- Devo dirti una cosa, Leen. –
- Non mi interessa. –
- Invece ti interessa, lo so. –
- Tu non sai proprio niente. Altrimenti capiresti che non voglio più avere a che fare con te. –
- Invece so che non è così. Ti fingi forte solo perché ti vergogni ad ammettere che ti manco. – la sua voce era sempre più vicina, ma avevo paura che volgendomi in sua direzione me lo sarei trovato a due centimetri dalla faccia. Per l’ennesima volta, strinsi i denti e cercai di non pensare a quanta distanza fisica potesse esserci fra di noi.
- Anche se fosse così non te ne importerebbe niente. Ricordi? Sei gay. – cercai di non pensare al fatto che più di una settimana prima aveva baciato Bethany: ogni volta che mi tornava in mente mi veniva una gran voglia di piangere. E di prenderlo a calci in culo.
- Leen… - rabbrividii appena sentii il tocco della sue mani sui fianchi. Mi morsi il labbro inferiore e feci uno scatto nervoso, nella speranza che quel gesto aspro lo esortasse ad allontanarsi in fretta, ma ciò contribuì soltanto ad aumentare la sua stretta.
Fanculo, fanculo, fanculo.
- Leen ascoltami. –
- NO! – sbottai, allontanandolo di qualche centimetro e puntandogli contro le fruste sporche di crema, dopo essermi girata. Feci un errore gravissimo a incrociare quegli occhi.
Erano parte di ciò che avevo imparato ad amare più di qualsiasi altra cosa al mondo: come potevo essere indifferente a tale bellezza?
- Non sono gay. Non lo sono mai stato… e penso proprio che non lo sarò mai. – sorrise ampiamente, ed io sentii soltanto il tocco leggero della sua mano che accarezzava con delicatezza la mia guancia.
Mi guardava come il Chase etero di cui ero innamorata.
- Ma che scemenze stai dicendo? – mi alterai immediatamente, considerando la sua rivelazione una mera presa per il culo.
- Sono etero, amore mio. Ho fatto una cazzata a mentirti così. Io… -
- Fermo. – posai le fruste sul bancone e mi divincolai dalla sua stretta, questa volta in modo assai più deciso, piantando nei suoi occhi uno sguardo severo e affatto benevolo – Amore mio? – lo imitai, senza comprendere quale fosse lo scopo della sua visita notturna. Se voleva soltanto infrangere la mia maschera di tranquillità ci stava riuscendo alla perfezione.
- Lasciami spiegare… -
- Sta zitto, per favore. Anzi, niente per favore, stai zitto e basta! – lo interruppi per la seconda volta, radunando tutte le idee e tentando di dar loro un ordine logico.
Chase mi aveva appena chiamata amore mio (merdaccia!), e si stava comportando come se nell’ultimo periodo non avesse recitato la parte dell’omosessuale mestruato. C’era qualcosa che non andava.
- Tu dici di non essere gay – ripresi, fissando un punto imprecisato del pavimento, a circa dieci centimetri dai miei piedi… e dalla coda di Parmigianino, che si aggirava da quelle parti come un’anima in pena, desideroso di causare ulteriori catastrofi, maybe – ma hai detto a tutta la tua famiglia che ti piacevano i maschi, rischiando di provocare un infarto precoce a entrambi, e hai passato mesi a comprarti completi improponibili e perizomi pelosi… PELOSI! - rabbrividii, al ricordo di quello che era sbucato come un fungo a ombrello dal suo cassetto della biancheria – E adesso, improvvisamente, mi dici che non sei gay e non lo sei mai stato. Ora, vorresti gentilmente spiegarmi che problemi hai? –
- Vedi… avevo paura. I miei genitori sai come sono. Sono dei tipi vecchio stampo, e quando ti ho presentata a loro stavano già progettando il nostro matrimonio e la nostra vita futura. Parlavano di nipotini, a diciassette anni! Nipotini, Leen! –
Sfarfallai le ciglia al suo dire, le braccia conserte al petto e le unghie nella carne.
- E allora? –
- Ho dovuto mentire a loro, e a te, perché stavo impazzendo. Mi stressavano, e lo facevano anche con te. Erano dei rompicoglioni allucinanti e allora ho pensato che… -
- …che sarebbe stato meglio spezzarmi il cuore invece di muovere il culo e mettere le cose in chiaro con i tuoi. Ti cagavi sotto, ho capito. – abbandonai la mia aria da cupcake per assumere un cipiglio poco indulgente, duro come il marmo. Non l’avrebbe avuta vinta, non ora che avevo la mia occasione di fargliela pagare una volta per tutte.
- Perché sei sempre così diretta? –
- A che serve girarci intorno? Te la sei fatta sotto appena hai sentito parlare di matrimonio. Codardo! –
- Ah beh, è normale sentir parlare di matrimonio e mocciosi a diciassette anni! –
- E fingersi gay per mesi invece lo sarebbe?! Porcoparmigianino, hai una strana concezione di normalità! –
- Ti sto chiedendo scusa, va bene? –
- Non l’avevo capito. E comunque credi che delle scuse bastino? Che mi dici di Bethany? –
- Che cosa vuoi sapere? – sembrava confuso dalla mia domanda, ma forse stava solo prendendo tempo per inventarsi una scusa plausibile per ciò che aveva combinato.
- L’hai baciata. Perché, voglio un perché. –
- Io… ecco… - scosse il capo, aggrottando le sopracciglia e distogliendo lo sguardo di tutta fretta – Io voglio proteggerla da quell’idiota di Matt. Lui non è stato del tutto sincero con lei. –
- Sì, ho capito a cosa ti riferisci. Ma ho paura che non ci sia più bisogno del tuo aiuto. –
- Tu sai della scommessa? –
- Certo che so della scommessa! Andiamo, chi è che non conosce la stupidità di quei due? –
- Beh, credo che Bethany non lo sappia. E nemmeno Prudence. Se lo sapesse ce l’avrebbe a morte con Will. E con Matt, anche. –
- Se devo essere sincera non mi interessano i loro casini. –
- Posso chiederti come l’hai scoperto? –
Alzai gli occhi al cielo e mi scostai dal bancone, muovendo qualche passo in direzione del tavolo da pranzo, al centro esatto della cucina. Non respiravo bene, quando gli stavo troppo vicina.
- Ho trovato il quadernino mentre facevo le pulizie, sotto il letto di Matt. Rischiavo di distruggerlo con l’aspirapolvere. L’ho aperto per accertarmi che non fosse spazzatura e alla fine ho letto cosa c’era scritto. Ho trovato il codice per decifrare quella specie di strano alfabeto e ho curiosato un po’, anche se per un pelo non mi scoprivano! Mi sono dovuta muovere a chiuderlo e nasconderlo dov’era. –
- Mi chiedo come si possa essere così bambini. – si stava avvicinando: era deciso a non lasciarmi un attimo di tregua. Ormai ne ero più che consapevole.
- Già. Dovresti saperlo, visti i casini che hai fatto. –
- Potrai mai perdonarmi? – il tono della sua voce era dolce come un barattolo di marmellata di albicocche, ma lasciai scivolare addosso quelle parole, quelle note. Non potevo permettergli di abbattere le mie difese e giocare spudoratamente con le mie debolezze.
Mi ero lasciata andare una volta, e mi era bastato per farmi un male cane.
Deglutii e, nella speranza di non crollare banalmente sotto il suo sguardo, mi voltai a fronteggiare il suo viso, il suo corpo, e lui. Lui che amavo e odiavo allo stesso tempo.
- Non lo so. Non voglio farlo, perché so che mi ferirai di nuovo, ma… - tacqui, bloccata da un paio di labbra che conoscevo a menadito e che non mi sarei mai stancata di sentire sulle mie.
Le sue mani mi stringevano il viso, si infilavano tra i capelli, ed eccolo addosso a me un’altra volta.
Mi domandai com’ero riuscita a sopportare la sua mancanza.
Forse ce l’avevo fatta perché credevo di non avere scelta. Ed ora che sapevo di averne una?
Dovevo permettergli di giocare con me come gli girava?
La mia mano si fiondò sulla sua faccia, centrandolo con forza non eccessiva, ma sufficiente a farlo allontanare di botto da me. Mantenni un’espressione ruvida, come se fosse abbastanza per tenere a bada le sue iridi magnifiche.
- Smettila di giocare con i miei sentimenti. Non sono ancora pronta a perdonarti. Ora vattene in camera: ho un tiramisù da finire. – dissi ciò tutto d’un fiato, e con gambe malferme tornai alla mia postazione da lavoro, riprendendo in mano le fruste sporche di crema. Prima ancora che potessi avere cognizione delle mie azioni sentii il rumore di una porta sbattere furiosamente, segno che Chase era tornato a dormire.
Riempii d’aria i miei polmoni, col cuore più pesante e la testa più incasinata che mai.
 
(Pov. Chase)
 
Ero disposto a tutto per raggiungere il mio obiettivo. Anche ad infilarmi in bagno mentre Will faceva la doccia e aspettarlo pazientemente di fronte al lavandino, con le braccia muscolose conserte sul petto.
Attesi molto poco, considerando che lo smielato si era già buttato sotto il getto d’acqua bollente da una mezz’oretta prima del mio arrivo, e quando uscì dalla doccia, rilassato e riposato, sorrisi beffardo.
- Dobbiamo parlare. – esordii, senza neanche lasciargli il tempo materiale per avvolgersi un asciugamano intorno ai fianchi e realizzare che Chase il gay (ossia io) era sgattaiolato in bagno mentre lui faceva la doccia, probabilmente con il preciso intento di tendergli un agguato.
- Mapporcoparmigianino CHASE! – esclamò tutto d’un fiato, infiammandosi all’altezza del viso e cercando a tentoni qualcosa con cui coprirsi in fretta. Si accontentò di una paperella di gomma, collocata strategicamente dinanzi alla zona X. – Qualunque cosa tu abbia intenzione di fare sappi che non sono né gay né bisessuale. Mi piacciono le donne e non cambierò idea! – aggiunse, interpretando la mia incursione come un’aggressione sessuale bella e buona.
- L’idea di toccarti in quel modo mi ripugna a sufficienza, non ti preoccupare. Non sono qui per questo. –
- E allora perché? –
- Devo farti una proposta. Anzi, ho paura che tu non abbia molta scelta. – lo vidi aggrottare le sopracciglia, e questo non fece che rendere maggiormente ampio il mio sorriso ironico.
- Che genere di proposta? – era sospettoso, specialmente per colpa della mia espressione rilassata, tipica di chi sa già che otterrà ciò che desidera senza troppi sforzi.
- So di una certa scommessa fra te e Matt. – cominciai, appoggiando la schiena al bancone candido – Ogni dettaglio. – aggiunsi, grattandomi il mento con fare annoiato – E ho constatato che a Bethany e Prudence non farebbe affatto piacere conoscere certe cose. Tu che ne pensi? – lo vidi distintamente impallidire, immobile, con le mani sulla paperella di gomma e il corpo ancora grondante.
- Prudence non c’entra niente in questa storia. Lasciala fuo… -
- Non c’entra? Tu e il tuo amichetto avete scommesso come due imbecilli che vi sareste scopati sua cugina. Anzi, avete scommesso su chi se la sarebbe fatta prima. Certo, tu ci hai rinunciato quasi subito, ma pensi davvero che Prue rimarrebbe indifferente se lo venisse a sapere? –
- Come l’hai scoperto? –
- Vi ho sentiti parlare. Credevate di essere soli in casa, ma io sono tacitamente tornato dall’università senza che voi non ve ne accorgeste e… ho sentito di una certa scommessa. –
- Ah, allora stavi origliando! –
- Non ha nessuna importanza ora, non credi? Ho il coltello dalla parte del manico, e farai bene ad avvertire il tuo amico di questo. –
- Ti consiglio di non giocare con Matt. Non è un tipo particolarmente pacifico. –
- Non ho paura di lui, Will. Piuttosto… lui dovrebbe averne di me. –
- Comunque non mi hai ancora detto qual è la proposta che volevi farmi. –
- Ho bisogno di una mano da voi. Metaforica ovviamente. – ci risi su, sapendo di essere nella posizione di poterlo fare benissimo.
- Cosa ti serve? –
- Ileen. Voglio lei. Dovete convincerla a perdonarmi e tornare insieme a me. –
- Un momento… ma tu non eri gay? –
- Storia lunga. No, non lo sono. –
- Dirlo prima no eh? Vabbè. In ogni caso: come pensi che io e Matt riusciremo a farti perdonare se non ce l’hai fatta tu da solo? –
- Non è affar mio. Se non volete che le fanciulle lo sappiano vi consiglio di fare in modo che accada. – e, dopo aver detto ciò, mossi qualche passo in direzione della porta, pronto a lasciare il ragazzo con i suoi pensieri, a riflettere sulla situazione – Ah, quella paperella non copre un granché. La prossima volta tieniti qualcosa di più grande a portata di mano, se dovessi farti visita ancora. –
- Non ci sarà una prossima volta: piuttosto cemento la porta! –
- Comunque non ho ancora avuto una risposta. Ma tranquillo, hai ancora un giorno per rifletterci. –
- Io accetto. Matt, beh, non lo so. – era visibilmente infastidito dalla situazione, e potevo vederlo nei suoi occhi scuri e nelle labbra serrate. Avrebbe preferito che gli passasse sopra un carro armato, piuttosto che lasciarsi ricattare da me senza fiatare.
- Bene. Ci vediamo a cena, Will. – uscii dal bagno, chiudendomi silenziosamente la porta alle spalle e sgusciando come un anguilla in direzione della mia camera, augurandomi che come piano potesse portare a qualcosa di concreto, nonostante i mezzi per giungere al risultato sperato non fossero del tutto lindi e pinti. Speravo soltanto di non dover fare ciò che avevo appena minacciato di fare.
 
(Pov. Martha)
 
Dovevo lasciar stare Brian, ma vederlo girare come un’anima in pena per il locale, probabilmente attendendo una risposta che non sarebbe mai arrivata, non era per niente divertente. Anzi, era piuttosto penoso. Lasciai momentaneamente stare il panno con cui stavo pulendo il bancone e mi avvicinai cauta a lui, piantato nei pressi dei camerini, come nella speranza di veder uscire da un momento all’altro la sua musa. Non sapevo con quale scusa rivolgergli la parola, considerando che lui mi odiava e avrebbe trovato strano anche solo il fatto che io mi avvicinassi a lui.
- Stasera chi c’è di turno, oltre me? – domandai, sapendo benissimo che ci fosse lui e non Nick.
- Io. – si limitò a replicare, lanciandomi un’occhiata che interpretai come un congedo.
- Capisco. Questo significa che dovrai pattugliare tutto il locale, no? -
- Sì. -
- Quindi non solo la porta dei camerini. - misi le mani sui fianchi e lo osservai con attenzione. Sapevo che quella frase avrebbe risvegliato il suo disprezzo nei miei confronti, perciò non mi stupii di vederlo aggrottare le sopracciglia e assumere un'aria tutt'altro che amichevole.
- Il locale è mio, sono affari miei. -
- Sì, vero, ma se speri che io faccia il lavoro che dovresti fare tu ti sbagli di grosso. -
- Se sei venuta qui per provocarmi puoi anche tornare a divertirti a casa con Nick. Basta che mi stai alla larga. -
- Veramente sono qui per dirti che se non fai quello che devi fare chiederò lo straordinario. -
- Se è quello che vuoi prenditelo pure, ma lasciami in pace! - distolse lo sguardo, nella speranza che mi allontanassi di mia spontanea volontà, ma io non avevo nessuna intenzione di farlo. Tutt'altro: desideravo più che mai accertarmi che recepisse il mio (in realtà dell'altra) messaggio.
- Lei non ti vuole, come fai a non capire? Usa il tuo pisello e punto. -
- Credo che tu non sia la persona più adatta a darmi questi consigli. Non so se ricordi... l'ultima volta che mi hai detto una cosa simile mi hai rovinato la vita. - raggelai nel sentire quelle parole. Abbassai lo sguardo, consapevole della gravità di ciò che avevo combinato, seppur in buona fede.
- Eravamo amici. Sai che l'ho fatto solo per prote... - non riuscii a terminare la frase, poiché Brian si era avvicinato a me con la solita aria minacciosa che mi impauriva e che allo stesso tempo mi armava di una nuova forza.
- Proteggermi? Hai distrutto l'unica relazione che mi importava mantenere. E solo perché credevi che lei non mi meritasse. Che razza di amica è una che fa una cosa simile? - taqui, mantenendo lo sguardo basso. Non riuscii a continuare il mio discorso. Presi un bel respiro e tornai in dietro, afferrai il panno e ripresi a pulire il bancone con furia, sfogando tutta la mia frustrazione sulla superficie di marmo del locale.
 
(Pov. Matt)
 
Non immaginavo che l'arrivo dell'autunno avrebbe portato con sé una bufera come quella che si stava cominciando a scorgere all'orizzonte.
Ero convinto che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Meditavo di gettare tra le fiamme il quadernino che nascondevo sotto il letto, perché ormai mi ripugnava.
Mi vergognavo di me stesso, per ciò che avevo pensato di fare. Ora partivo con la consapevolezza che Bethany non era più solo una stupida scommessa.
Era più di una vittoria, anche se non sapevo ancora esattamente come definirla. Forse era Bethany e basta.
Sentii la porta della camera aprirsi, e questo mi fece fare un rapido scatto per nascondere il famoso quadernino, ma nel veder comparire Will mi rasserenai visibilmente.
- Bussare è passato di moda? - domandai ironicamente, aggrottando le sopracciglia dinanzi all'espressione turbata dell'altro.
- Siamo nella merda. La buona notizia è che quello a prendere più botte sarai tu. - si lanciò a capofitto sul suo letto, atterrando di schiena e spalancando le braccia con aria stanca.
- Che dici? - una strana sensazione mi attanagliò lo stomaco. Rimase in silenzio per quelli che mi parvero secoli, poi, continuando a fissare il soffitto, disse:
- Chase sa della scommessa. E, sorpresa!, vuole che noi facciamo qualcosa per lui in cambio del suo silenzio. - replicò atono, senza distogliere l'attenzione da un minuscolo ragnetto penzolante.
- Spero niente sesso orale! - esclamai, fingendomi poco toccato dalla rivelazione. In realtà ribollivo di rabbia. Sentivo le mani formicolare per la voglia di dare una lezione a quella mezza-checca.
- Lo dirà a Bethany se non facciamo ciò che dice. E quando Bethany lo dirà a Prudence per me sarà la fine. -
- Chase non lo dirà a Bethany. - asserii convinto. No, non lo avrebbe fatto: l'avrei gonfiato di botte molto prima che potesse anche solo pensarci.
- Ah no? Mi stupirei se non l'avesse già fatto. -
- No, non lo farà. - mi alzai dal letto con calma e mi infilai una maglia. Will comprese le mie intenzioni, mi lanciò uno sguardo ammonitore e si mise a sedere, pronto a fermarmi.
- Se tu lo gonfi, lui gonfierà noi... senza neanche toccarci! E' questo che vuoi?! -
- Non mi interessa. Si è intromesso fin troppo fra me e Bethany! - rabbia e rancore si impossessarono in un baleno del mio corpo, e immediatamente la prima cosa che feci fu quella di ignorare le raccomandazioni di Will e di uscire dalla camera, pronto a scatenare un putiferio, appena trovato Chase.
Non ci misi molto: era appena tornato dal supermercato e aveva un'aria fin troppo rilassata, come se fosse sicuro di aver fatto la mossa giusta.
Nonostante la presenza di Ileen in cucina, mi diressi spedito verso il biondo, lo afferrai per le spalle e lo costrinsi ad indietreggiare.
Osservai un'espressione sorpresa, appena realizzò che l'avevo appena messo con le spalle al muro.
- Adesso basta. - asserii, fingendo calma - Prova ancora una volta ad intrometterti nel mio rapporto con Bethany e giuro che rimpiangerai il giorno che sei arrivato in questa casa. - la risposta di Chase fu un sorrisetto vittorioso. Mi spinse lontano da lui e avanzò minacciosamente in mia direzione, forse per ribadire il fatto che era lui a dettare le condizioni, e che io non potevo che subirle.
- Ho già avvertito Will e non ho voglia di ripeterlo anche a te, ma te lo dico un'altra volta perché forse non hai capito bene. So della vostra scommessa, e non ho certo paura di dirlo a Bethany. Quindi hai una possibilità: o stai alle mie regole o perdi. - Ileen guardava la scena impotente, consapevole di quanto l'aria fosse irrespirabile. Eppure non intervenne, anzi, quando sferrai il pugno sulla faccia di Chase mi sembrò di sentirla sospirare. Non cercò di dividerci: era come se se lo aspettasse.
Ricevetti un bel paio di pugni da Chase, ma gliene restituii altrettanti, pensando soltanto a metterci più forza. Non seppi per quanto tempo durò la nostra lotta: solo una voce mi riportò alla realtà, e anche un miagolio indistinto, ma forse quello lo immaginai.
- Che cazzo state facendo?! - Miss Diplomazia è stata eletta! Era Bethany: tentava di separare me e Chase con l'aiuto di Will. La guardai e la vidi pallida, preoccupata. Non sospettava minimamente il perché di quella lite.
- Ora basta Matt! - Will mi allontanò bruscamente. Mi sentivo la faccia gonfia e in alcuni punti dolorante, ma vedendo quella dell'altro capii che forse non ero quello messo peggio. Ma non mi consolava affatto: sapevo che la vittoria l'avrebbe comunque avuta lui.
- Credo che la tua sia una risposta chiara: vuoi che Bethany sappia. E allora saprà, verrai accontentato. -
- Sapere cosa? - domandò lei, sospettosa. Lasciò andare Chase, forse per avvicinarsi a me, ma prima che potesse farlo mi divincolai dalla stretta di Will e me ne andai in camera, chiudendomi dietro la porta. Solo in quell'istante compresi che mi ero rovinato con le mie stesse mani.
 
(Pov. Ileen)
 
Non mi avvicinai a Chase. Incrociai soltanto il suo sguardo e scossi il capo. Ero disgustata dal suo comportamento e dai suoi ricatti, e di certo non lo nascosi. Lasciai che Bethany gli portasse del ghiaccio, probabilmente intenzionata a venire a conoscenza del motivo della lite fra i due coinquilini, mentre io mi armai di disinfettante e cotone e mi avviai silenziosamente in camera di Matt. Non avevo alcun secondo fine, se non quello di marcare il fatto che volessi tenermi a debita distanza da Chase.
Bussai, e, non ricevendo alcun invito, asserii con voce squillante:
- Sono Ileen, aprimi. - rimasi in attesa qualche istante, ma, forse per la sorpresa di trovarmi lì davanti, mi aprì restituendomi uno sguardo indagatore.
- Beh, non vai a curare il tuo amichetto? - domandò sprezzante, appoggiandosi allo stipite della porta con fare altezzoso.
- No. Se l'è meritato, qualunque cosa abbia fatto. - la mia risposta lo sorprese. Forse fu il mio tono fermo ad impressionarlo, così diverso da quello che era solito sentir uscire dalle mie corde vocali.
- Cosa vuoi? -
- Hai un taglio nel sopracciglio e il labbro mezzo spaccato. Mica vorrai rimanere in questo stato? Che direbbe Bethany se rimanessi così? -
- Tanto ormai non vorrà nemmeno più guardarmi in faccia. Che differenza fa? - nonostante queste parole amare mi lasciò entrare. Si accomodò sul letto ed io, dopo essermi chiusa la porta alle spalle, gli sedetti accanto, posando momentaneamente il disinfettante sul comodino.
- Perché dovrebbe? - non ci volle molto a comprenderlo, ma preferii non fargli intendere che sapevo più del dovuto.
- Perché l'unica cazzata che ho fatto è ormai di dominio pubblico! - 
Sospirai, bagnai il cotone col disinfettante e lo avvicinai ai suoi graffi.
- Mi fate ridere voi maschi: prima fate le stronzate, poi piagnucolate quando avete quel che meritate, e poi noi passiamo per le troie che non vogliono perdonarvi. - non ero affatto dispiaciuta per Matt. Non quanto lo ero per Bethany. Chi meglio di me sapeva cosa significava essere presa per il culo dal ragazzo amato? - Nascondi meglio i tuoi quaderni la prossima volta... devi saper proteggere i tuoi segreti, se non vuoi che comincino ad essere un problema. -
- Mi stai dicendo che anche tu sai della scommessa? -
- Se ti dicessi di no sarei una bugiarda. - tamponai la ferita rapidamente, desiderosa di tornare alle mie faccende.
- Perfetto. Allora se non glielo dirà Chase lo farai tu al posto suo, non è così? -
- No, ti sbagli. Io non ho nessuna intenzione di mettermi in mezzo a questa storia. Come ho già detto, sono affari vostri. E sinceramente non capisco che interesse abbia Chase a fare lo stronzo. - diedi un'ultima, rapida, occhiata ai graffi e mi alzai dal letto. Afferrai cotone e medicinale e mi avviai in direzione della porta - Ah. - mi voltai nuovamente, a pochi passi dall'uscita - A questo punto mentirle non ha più senso. - non attesi una risposta: uscii dalla stanza e tornai in cucina. Non mi stupii di trovarla nuovamente vuota.
 
(Pov. Bethany)
 
- Bene! Ora mi piacerebbe sapere di cosa stavi parlando poco fa. - incrociai le braccia al petto, assumendo un'espressione decisa. Avevo praticamente costretto Chase a seguirmi in camera sua, e non avevo intenzione di uscirne finché non fossi venuta a conoscenza del motivo a causa del quale i due si stavano scannando, solo pochi minuti prima. Lui per tutta risposta si sdraiò sul suo letto con un sospiro rilassato, come se non fosse appena stato pestato. Rimasi in attesa di una risposta, ma non ricevetti nulla, se non un invito:
- Vieni, siediti qui sul letto, così ne parliamo con calma. - poteva chiedermi tutto, meno che essere calma.
La situazione non prevedeva che io stessi tranquilla, era impensabile.
- Come faccio a stare calma? Tu e Matt vi siete appena pestati. - rimasi ostinatamente in piedi e con le braccia conserte, ma mi avvicinai al suo letto con qualche passo indeciso.
- Capita, quando c'è un conflitto d'interessi. -
- Parla chiaro, o giuro che ti rinchiudo nello sgabuzzino insieme a Parmigianino per una notte intera. -
- Non mi spaventa poi tanto quest'eventualità. In ogni caso l'argomento può essere riassunto in poche parole. -
- Ah sì? E quali? -
- Siediti e lo saprai. - alzai gli occhi al cielo, ma, dopo avergli lanciato un'occhiataccia, obbedii alla sua richiesta, tenendomi tuttavia a debita distanza da lui.
- Beh, allora parla. Sono seduta. O hai qualcos'altro da chiedermi? - misi un tocco di ironia nell'ultima domanda, e l'allegria con cui Chase rispose mi fece intendere che ciò che stava per dirmi non mi sarebbe piaciuto affatto.
- No no, ora devi solo ascoltarmi. Credo che questo che ti sto per dire ti farà capire molte cose. -
- Parla. - tagliai corto, osservandolo rimettersi a sedere e avvicinarsi a me. Repressi l'istinto di allontanarmi nuovamente.
- Come sei fredda tesoro. Ti sto solo facendo un favore a dirti questo, credimi. - mi sorrise, ma io distolsi lo sguardo. 
- Vai dritto al punto. -
- Okay, va bene. La smetto di sviare. Il problema è che, io non vorrei dirtelo, ma ho saputo una cosa che mi sembra giusto che tu sappia. Vedi... è anche per questo che ti ho baciata, quella sera. Inconsciamente volevo allontanarti da Matt. Lui non ti merita, insomma... il vero motivo per cui sta con te è per scommessa. - non mostrai alcuna emozione. Troppe cose non tornavano, e desideravo soltanto saperne di più.
- Vai avanti. -
- Qualche tempo fa sono tornato prima dalla facoltà. Mancava il professore, e passando di fronte alla camera di Matt e Will li ho sentiti parlare di una scommessa. Così sono rimasto ad ascoltare e ho sentito chiaramente quello che stavano dicendo. A quanto pare Will si è tirato indietro, Matt invece voleva continuare per vincere. E indovina qual'era la scommessa? - fece una pausa. Sollevò la mano e la portò in alto, sfiorandomi il viso. Deglutii. - Avrebbe vinto chi per primo ti avesse portata a letto. Trovata ingegnosa per rendere le cose più interessanti, non credi? Peccato che la vittima non la pensi allo stesso modo. Vero Betty? - tenevo lo sguardo basso. Non ci potevo credere, o forse sarebbe più corretto dire che non ci volevo credere.
Sembrava tutto così assurdo... ma allo stesso tempo spiegava perfettamente il perché dello strano comportamento di Matt e Will i giorni dopo il loro arrivo nell'appartamento e il perché della rabbia di Matt mentre pestava Chase. Ma, se ormai la scommessa era vinta, perché inferire?
- E' per questo che vi stavate pestando? Matt non voleva che tu me lo dicessi? -
- Certo che non voleva! Chi è l'idiota che lo direbbe? - il ragionamento non faceva una piega. Filava tutto perfettamente liscio.
- Bene, grazie di avermelo detto. Ora devo... vado a mettere a posto la camera. - mi alzai di scatto e uscii dalla camera in fretta, nauseata al massimo dalla scoperta. Improvvisamente, tutto quanto cominciò ad avere un senso. Il quadernino, tutte le scommesse vinte, perse, e quella, quell'unica scommessa che era ancora in atto... ero io. E lui ovviamente l'aveva vinta. Mi aveva ottenuta. 
Non ce l'avevo con Will. Lui amava Prudence (si vedeva lontano un miglio), ma Matt? Matt avrebbe pagato il suo errore, e l'avrebbe pagato caro.
Mi infilai nella mia camera e, con rammarico, mi accorsi che mia cugina era appena tornata dalla facoltà. 
- Ehi cugi! Indovina? Ho comprato quel vestitino a fiori che tanto mi piaceva! - esclamò con un gran sorriso, mostrandomi fieramente il suo nuovo acquisto. Era felice, e beatamente ignara del casino combinato da Chase e Matt circa mezz'ora prima. Le sorrisi con un grandissimo sforzo, ma non le risposi. Mi gettai sul letto sfatto e mi misi a leggere, semplicemente. Decisi sul momento che non le avrei detto nulla della scommessa.
Meritava di essere felice con Will. Meritava di essere amata, almeno lei.

 
NdA: Chi non muore si rivede eh? Ormai avete sviluppato una quantità abnorme di odio nei miei confronti, me lo sento XD
Ma, ehm, posso dire a mia discolpa che non ho avuto affatto tempo. Quest'anno devo studiare il triplo degli altri anni, perciò cercate di essere comprensivi *-*
Comunque... questo è uno degli ultimissimi capitoli di TCP e, sì, se avete notato sto incasinando molto le cose. Ma questo è niente ancora. Potete soltanto immaginare come sarà la fine. Un macello, ma ovviamente non anticipo nulla.
Posso solo dire che:
1- Ho mostrato la vera Ileen e il vero Chase.
2- Ho finalmente fatto esplodere la bomba tra Matt e Chase.
3- Prudence e Will sono in una situazione di stallo MOMENTANEA.
4- Martha è una pazza psicopatica.
5 - Nick è il classico cornuto e contento.
6- Quel quadernino farà una brutta fine.
7- Parmigianino sembra momentaneamente scomparso, ma tornerà, in un modo o nell'altro.
Ora vi lascio, nella speranza di postare presto il prossimo capitolo e finire in breve questa ff. Per commenti, delucidazioni e suggerimenti potete lasciare tranquillamente una recensione. Non mi offendo eh :P
Mi raccomando, vi voglio in tanti (L)
Kisses, Frens.

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Capitolo 17
*** La ragazza di ghiaccio. ***


La ragazza di ghiaccio.
capitolo 17


Fissavo un punto imprecisato del freddo muro accanto al mio letto con insistenza, da almeno due ore. Non avevo il coraggio di guardare in faccia la realtà, così preferivo voltarle le spalle con ostinazione. Sentivo, da qualche parte nel mio cuore, che Chase non mi aveva raccontato balle, ma allo stesso tempo avevo la sensazione che ciò che c'era stato tra me e Matt non si potesse arrestare alla parola 'scommessa'. Eppure... faceva male. Tutto questo doleva, come una piaga purulenta. Doleva e non mi lasciava dormire. 
Mi rigirai, per quella che probabilmente fu la millesima volta, tra le lenzuola. 
Mi umettai le labbra e, provando a non fare troppo rumore, mi misi a sedere, con il preciso intento di alzarmi. 
Sapevo che non avrei dormito, perciò decisi di andare in cucina per prepararmi un caffè. Possibilmente forte.
Non sapevo che ore fossero, e non mi interessava nemmeno. Non faceva alcuna differenza: la notte sarebbe stata comunque lunghissima.
Arrivai in cucina e cominciai a fare il caffé, nella speranza che la caffettiera non facesse troppo caos sui fornelli. L'ultima cosa che desideravo era svegliare gli altri.
Volevo stare sola e illudermi di non sentirmi ferita. Avevo deciso di tenere la bocca chiusa con Prudence, ma non potevo nascondere la mia tristezza neanche a me stessa, figuriamoci a lei.
A differenza di Matt io ero sempre stata come un libro aperto. E lo sarei sempre stata, nel bene e nel male.
- Ho sentito dei passi fuori dalla porta. Speravo fossi tu. - misi la caffettiera sul fuoco e presi una boccata d'aria. Non immaginavo di doverlo affrontare tanto presto.
- Chi altro potrebbe essere a quest'ora? - domandai sarcastica, voltandomi verso di lui. 
Tentai di ignorare i miei pensieri inopportuni, appena vidi i suoi occhi illuminati dalla luna. Lui ed il suo corpo erano sempre splendidi, e questo non mi rallegrava affatto. 
Era sempre Matt insieme alla sua bellezza, ed io ero sempre Bethany ed i suoi mille incubi. Compreso lui.
- So che cosa ti ha detto Chase. - si fermò, ed io aspettai, in attesa che continuasse il discorso. Ma sembrava titubante, come se non fosse sicuro di ciò che doveva dirmi. O di come dirmelo.
Di certo io non ero d'aiuto, non lo ero affatto, con la mia espressione imperscrutabile che esprimeva più di quanto desiderassi. 
Il mio silenzio si prolungò per quelli che mi parvero millenni, ma in realtà erano solo pochi, interminabili, secondi.
Visto che non si decideva a continuare, gli posi una domanda di cui già conoscevo la risposta.
- Neghi? - non mi scomposi. Il mio orgoglio era ancora integro, anche se presto quella a cadere in frantumi sarei stata io.
- No... - abbassò lo sguardo, ma non osò muoversi di un solo millimetro. Lo feci io, al posto suo. Fu stranamente semplice avvicinarmi a lui.
Sapevo di doverlo fare, così come sapevo di non poter sopportare l'idea di non essere altro che una stupida scommessa fra idioti. E di non poter essere nient'altro.
- Mi dispiace Matt. - cominciai, arrestandomi a poco più di venti centimetri da lui. Contrariamente a quanto chiunque si sarebbe aspettato, fui io quella a tenere lo sguardo alto - Credevo che noi due saremmo potuti essere qualcosa di più. Mi ricordo che un po' di tempo fa' eravamo soli in questa stessa cucina. Mi ricordo che mi sembravi quasi timido, come se avessi paura di qualcosa. Ma ora capisco molte cose che prima non afferravo. Capisco quanto il tuo interesse per me fosse fasullo, già dal principio. E, devo ammetterlo, sei proprio un bravo attore. Sei decisamente sprecato come musicista. -
- Io non sto fingendo, ora. - finalmente incontrai i suoi occhi, e fu disarmante. Mi sentivo nuovamente nuda sotto quello sguardo. Avevo i brividi, e non avevo certo freddo - E non fingevo neanche prima. -
- Sei veramente bravo a mentire. Ma i quaderni parlano chiaro Matt. Forse non quanto Chase, ma ho fatto due più due, e il risultato non mi è piaciuto. La soluzione al problema è una. - queste parole scatenarono una reazione in lui, dopo secoli di calma apparente. Mi guardò con un'espressione prossima al tormento, o così parve, e tese il braccio verso il mio. 
Lo ritrassi immediatamente, come se mi fossi appena scottata.
- Non. Toccarmi. - il contatto mi avrebbe uccisa, ed io non potevo permettergli di strapparmi anche la vita, oltre al sorriso. 
- Bethany... non voglio che tu mi lasci. -
- Non vuoi che io ti lasci? Non siamo mai stati insieme, Matthew. Non siamo mai stati nulla: è questa la verità. - scossi il capo, mostrando un sorriso amaro come il caffé che stava ribollendo pigramente nella caffettiera - E poi è un po' tardi per rimediare, non pensi? Hai vinto la scommessa. Dovresti essere contento. Ti sei portato a letto la ragazza e l'hai fatta innamorare. Hai finito, hai vinto, hai la gloria. - terminai il mio discorso e, sentendo il caffé gorgogliare, mi avvicinai ai fornelli... tentai, più che altro. 
Le sue mani mi riportarono indietro, con dolcezza, ma allo stesso tempo con decisione. 
La mia schiena contro i suoi pettorali, il suo respiro sui miei capelli. Io, addosso a lui, ancora una volta.
- Tu non sei una scommessa. Io ti amo. Ti amo, te lo devo dire ancora? Ti amo, e non accetto che l'unico errore che io abbia mai fatto ti allontani da me. - strinsi i denti, ma mi mantenni fredda.
Quelle parole non fecero che peggiorare il mio stato d'animo, ma dal mio viso non traspariva alcuna emozione. Apparivo di ghiaccio. E magari lo stavo diventando davvero.
- Cazzate. Basta, vattene. - mi divincolai dalla sua stretta, debole sui miei fianchi, ma ferrea sul mio cuore sanguinante. Dovevo spegnere il caffè, e fu quello che feci, nella speranza che questa piccola azione allontanasse momentaneamente il bruciore provocato dal semplice tocco delle sue mani.
- Bethany... -
- VATTENE. - sbottai, senza voltarmi.
- Perdonami, per favore. -
- Vattene, e non te lo sto chiedendo per favore. -
Avevo bisogno di stare lontana da lui, perché la sua presenza mi stava levando l'ossigeno. Non mi preoccupai del tono insofferente e gelido con cui lo allontanai: servì a rispedire Matt nella sua camera, e a riportare un po' di silenzio in cucina. Ma non nella mia testa, purtroppo.
Ero ferita, sola e non sapevo con chi sfogarmi. Prudence doveva restare all'oscuro di tutto, non poteva essere altrimenti: se c'era una cosa che non avrei sopportato mai e poi mai sarebbe stata la sofferenza sul suo viso. La mia dovevo patirla e sopprimerla in silenzio, e sapevo di potercela fare. Dovevo farcela. 
Bevvi il caffè in silenzio e, nell'osservare la tazzina sporca (ormai vuota), rammentai con un colpo al cuore quanto in comune avevo pensato di avere con quella miniatura di porcellana.
Un po' come in quell'istante: costantemente svuotata, sporcata dai ricordi.
 
Il "risveglio" non fu diverso dal solito. Mi alzai dal letto come ogni mattina, lanciai un'occhiata pensierosa alla mia cuginetta ronfante e mi avviai in cucina per prepararmi una colazione dignitosa, come di consueto. Erano le 5:30, e alle 7 e 10 sarei dovuta essere già in facoltà per le lezioni mattutine. Inutile dire che quelle occhiaie violacee la dicevano lunga, ma non feci nulla per nasconderle. 
Il mio umore sarebbe stato comunque cristallino, anche con due etti di correttore sotto gli occhi. 
Mi armai di tazza e bollitore e mi adoperai per prepararmi un cappuccino come Dio comanda, ancora tramortita dalla notte insonne appena conclusasi.
- Buongiorno Bethany! - non distolsi l'attenzione dalle mie attività. Ileen non mi avrebbe arrecato alcun fastidio: erano gli altri a preoccuparmi.
- Buongiorno anche a te! - risposi allegra, ascoltando le gambe della sedia grattare sulle mattonelle. La bionda si era appena accomodata al tavolo, forse alla ricerca delle proprie, ancora assopite, facoltà mentali. Mi voltai un istante, e ciò che vidi mi sorprese. Ileen, solitamente pimpante e mattiniera, possedeva (anche lei) un bel paio di occhi rossi, tipici di chi ha passato la notte sveglia. 
Non commentai, per il momento, ma mi dissi che sarebbe stato meglio preparare un cappuccino anche per la sventurata. La sua espressione era una chiara richiesta di aiuto.
- Ecco a te. - mormorai, posando sotto il suo naso una fumante tazza di caffelatte, con tanto di schiuma biancastra.
- Ma... - mi guardò come a dire 'sì, ma nessuno te l'ha chiesto', ma la zittii con un'alzata di spalle ed un mezzo sorriso gentile. Inutile dire che la situazione pareva essersi ribaltata totalmente.
- Il caffè aiuta sempre la mattina, specialmente dopo una lunga nottata. Non vorrai andare in facoltà con quell'aria addormentata, spero? - mi accomodai sulla sedia accanto alla sua, con la tazza bollente fra le mani. Soffiai per qualche istante la bevanda per raffreddarla un po', prima di berne un lungo sorso. Il suo calore mi diede un blando conforto, come se fosse sufficiente un cappuccino a placare tutto ciò che infuriava dentro di me. Magari fosse vero, meditai con un sospiro. 
Lo sguardo di Ileen mi bruciava la pelle, ma non immaginavo il perché mi osservasse con tanta insistenza, almeno finché non prese parola.
- Mi dispiace, per questa storia di Matt. Onestamente non capisco per quale motivo Chase si sia comportato tanto da stronzo. - finsi di non essere sorpresa da quella frase, nonostante mi domandassi come fosse possibile che tutti in quell'appartamento sapessero della scommessa, diversamente da me e Prudence. Mantenni lo sguardo incollato alla porcellana della tazza, incapace di affrontare l'indagine della bionda. Non eravamo mai state grandi amiche, e parlare con lei di un argomento così delicato mi faceva sentire particolarmente in imbarazzo, ma non per questo mi tirai indietro. Volevo sapere fino a che punto lei si sarebbe esposta in questa faccenda, e per quale motivo.
- Quindi in questa casa sapevano tutti di questa storia. A parte me e Prudence, ovviamente. - affermai con una certa ironia, scuotendo impercettibilmente il capo. 
- Sì, diciamo che prima o poi sarebbe comunque saltata fuori, in un modo o nell'altro. - 
- Purtroppo non mi consola. - replicai freddamente, non avendo alcuna intenzione di continuare per quella strada. Pensare a Matt mi avrebbe resa indubbiamente triste e rabbiosa, ed io desideravo mostrare al ragazzo tutta l'indifferenza che ero capace di ostentare, nella speranza che quest'atteggiamento non mi nuocesse il doppio, a lungo andare.
Ma cos'altro potevo inventarmi per nascondere la mia infelicità? Fingere sembrava l'unica alternativa.
- Lo so, ma... - niente, Ileen sembrava non voler lasciar cadere il discorso - Io credo che Matt meriti una possibilità. In fondo comincio a credere che lui non ti reputi più solo una scommessa. -
- E cosa te lo fa credere? - domandai scettica, rigirando i rimasugli della bevanda con il cucchiaino. Possedevo un'opinione ben diversa, al riguardo.
- Ha preso a pugni Chase. Per te. - marcò l'ultima parte della frase con decisione, come se quelle due parole in sé potessero essere sufficienti a farmi cambiare idea. 
- Solo perché voleva nascondere i suoi sporchi segreti e aveva paura di essere smascherato. - sbottai, sputando quelle parole come avrei fatto con una medicina amara.
- Buongiorno... - una voce assonnata interruppe la conversazione, e Will fece il suo ingresso trionfale nella cucina, ormai troppo affollata per i miei gusti. Assottigliai lo sguardo appena lo vidi entrare: ero piuttosto risentita nei suoi confronti, così come in quelli di Matt, e certamente non mancai di farglielo sapere.
- Toh, abbiamo il perdente! Qualche nuova scommessa all'orizzonte, Willino? - assunsi un tono più sprezzante che mai: il fatto che lo smielato stesse con mia cugina non implicava un'esenzione da battutine e frecciatine stile bazooka.  Sottolineai l'orrendo nomignolo con un mezzo sorrisetto denigratorio. 
Lui mi lanciò una lunga occhiata e non mancò di notare la presenza di Ileen. Forse fu per questo che non si azzardò a rispondere, ma questo (a suo discapito) non mi impedì di continuare.
- Non dirò niente a Prudence, a meno che non lo faccia qualcun altro al posto mio. Ma ad essere sinceri spero che almeno tu proverai a dirle come stanno le cose, per correttezza, prima che lo venga a sapere da altri, o (peggio ancora) che lo scopra da sola. - precisai, seguendo il profilo del ragazzo con lo sguardo. 
Lui sembrava assorto nei propri pensieri, ma, dopo qualche interminabile istante, anche lui fece sentire la sua voce in proposito.
- Senti, so che credi che io e Matt ci siamo comportati da stronzi. Beh, lo siamo, e non ne andiamo poi tanto fieri eh! -
- Parla al singolare. Sto parlando di te, non me ne importa un Parmigianino lesso di Matt! - mentii, a denti stretti. 
Sentir pronunciare quel nome con tanta leggerezza era per me un doloroso colpo al cuore.
- Non voglio sentire la predica anche da te. Sono stanco di sentir parlare di questa storia, okay? Tanto Chase ti avrà già detto che io mi sono tirato indietro subito da quella cosa, no? -
- No Will, e non mi interessa. Se Prudence scoprisse tutto questo sai quanto ne soffrirebbe? Non credi che anche lei  sia stanca di essere trattata come un oggetto da persone idiote come voi? -
Ileen osservava la scena impassibile, silenziosa e calma, come se non la riguardasse, come se stesse guardando un noioso film alla TV e non un'accesa discussione tra coinquilini. 
- Lei per me non è un oggetto. - replicò lo smielato, stringendo i pugni. Si stava innervosendo per le mie insinuazioni, ma non mi dispiacque provocarlo. Non meritava un atteggiamento benevolo.
- E allora farai bene a dimostrarglielo, se non vuoi perderla. E faresti bene a farlo subito. - stanca della discussione mi alzai dalla sedia e, osservando l'orario dal display del cellulare, mi dissi di affrettarmi nel lavarmi e nel vestirmi. Erano già le 6 e 10: avevo poco meno di mezz'ora per prepararmi e trovarmi davanti alla fermata degli autobus.
Sfortunatamente, durante il tragitto rischiai quasi di scontrarmi con Matt che, dopo avermi riconosciuta, parve voler dire qualcosa, ma la freddezza del mio sguardo lo convinse a non proferir parola, limitandosi ad un frettoloso - Buongiorno Bethany. - 
Lo oltrepassai con eleganza senza rivolgergli la minima attenzione, neanche mentre, con tutta la forza che possedevo, rispondevo al saluto.
- Buongiorno, Matthew. - biascicai, prima di scivolare come un'anguilla nella mia stanza. Prudence ancora sonnecchiava beata: le sue lezioni sarebbero cominciate dopo pranzo.
Raccolsi di tutta fretta la biancheria e la roba pulita da indossare, poi mi diressi in bagno per prepararmi. Mi infilai in doccia il più rapidamente possibile, conscia del poco tempo che possedevo.
Lì, protetta dal calore del getto d'acqua, piansi, non essendo in grado di soffocare i singhiozzi e placare ogni sentimento represso che quel contatto mancato aveva risvegliato in me.
Cosa non avrei dato per toccare di nuovo quelle labbra, poter guardare con meraviglia quegli occhi azzurri, potermi sentire sua ancora una volta!
Piansi con la consapevolezza che mai e poi mai avrei potuto farlo ancora. Piansi lacrime bollenti, corrosive, amarognole, e giurai a me stessa che avrei cercato di non amarlo più, dimenticando quanto fosse assurdo questo pensiero. Lo devo a me stessa, pensai e ripensai, dirigendomi verso la fermata.
Non guarderò più quegli occhi. mi feci questa promessa più volte, nonostante sapessi già che non sarei riuscita a mantenerla, neanche con tutta la forza di volontà che possedevo.
 
(Pov. Matt)
Le lezioni passarono lente e noiose, ma della spiegazione del professore non riuscii a seguire neanche una sola, sparuta, frase. 
Il centro delle mie attenzioni era esattamente dalla parte opposta dell'aula in cui mi trovavo, e aveva una fluente chioma castana ed un cipiglio piuttosto incollerito. 
Prendeva appunti furiosamente, ed io invece seguivo diligentemente le onde dei suoi capelli, cercando di non pensare a com'era stato bello annusarli intensamente. Lei non si era voltata neanche una volta durante la mattinata, non aveva cercato il mio sguardo fra quelli degli altri studenti: si era accomodata in tutta tranquillità ed aveva cominciato a scrivere senza darsi neanche il tempo di respirare. 
Come darle torto! Conoscendola avrebbe preferito distruggersi la mano scrivendo ore su ore piuttosto che mostrarsi interessata a me anche solo per un istante. Ed effettivamente era proprio quello che stava accadendo. Avrebbe mai avuto la forza di perdonare le mie stupidaggini? O mi avrebbe detestato a vita per aver fatto di lei oggetto di scommessa? La seconda era la più plausibile, e allo stesso tempo la più deprimente. Non volevo credere che sarebbe andata davvero così. Eppure ogni singola parola da lei pronunciata quella notte aveva murato vive le mie speranze più intime, così come il suo comportamento gelido quella mattina stessa, al mio risveglio. Avrei voluto stringerla tra le braccia con forza, cibarmi del suo calore, ma sapevo di non averne il diritto. 
Non ce l'avevo più, quella possibilità. E tutto per colpa mia.
Mia e di quella stupidissima scommessa.
Avrei pagato cara questa mia debolezza: ironia della sorte, la vittoria si era repentinamente trasformata in una delle peggiori sconfitte.
Distolsi dolorosamente lo sguardo da Bethany, riportandolo sulle poche righe di appunti presi circa mezz'ora prima.
Li rilessi ed appurai che non avevano alcun senso. Nulla avrebbe avuto più senso, senza di lei.
Sempre il solito coglione.
 
(Pov. Prue)
Cominciavo a pensare che qualcosa stesse andando storto in quel fottuto appartamento, ma non avrei saputo spiegare cosa esattamente. Certo, tutti parevano essere i soliti di sempre, ma era piuttosto bizzarro (oserei dire quasi innaturale!) che non volassero battutine al vetriolo e che nessuno si lanciasse sguardi kamikaze. Ed Ileen sembrava avere una faccia sveglia. 
Per non parlare del silenzio tombale e dei lividi violacei presenti sulle belle facce di Matt e Chase, probabilmente freschi freschi di scazzottata. 
Qualcuno si sarebbe mai preso la briga di spiegarmi che cazzo stava accadendo?
Mi schiarii la voce con fare teatrale, reclamando l'attenzione dei presenti, ma nessuno si preoccupò di calcolarmi. Tutti quanti parevano essere alle prese con i propri cazzi. 
Così, neanche lontanamente scoraggiata dalla loro indifferenza, tossicchiai una seconda volta e mi preparai a sganciare la bomba, bomba che avrebbe innescato un serio allarme, almeno nel cervellino di Bethany. Così speravo.
- Ho deciso: domani cucinerò una torta! - esclamai con un gran sorriso, lasciando scorrere lo sguardo su tutti, nessuno escluso. 
Ed ecco il capo di Bethany rizzarsi all'istante, come se una scarica elettrica l'avesse appena trapassata, e le sue palpebre spalancarsi, colme di terrore.
- Cu-cugi, non c'è bisogno che ti... ehm... disturbi. - vidi il suo viso farsi cereo piuttosto rapidamente, come se un fantasma mi fosse appena comparso alle spalle ballando la macarena.
- Nessun disturbo! Voglio cucinare un dolce, magari con un chilo di nutella e di zucchero a velo: sarebbe utile ad addolcire un po' l'atmosfera, non credi? Devo assolutamente provare quella nuova ricetta! - sfarfallai le ciglia con fare innocente, analizzando le reazioni dei presenti attorno a me.
Nessuno, tranne mia cugina, sembrava essere consapevole della catastrofe a cui sarebbero andati incontro mettendomi ai fornelli.
- Prue, credo che non sia necessario: l'atmosfera è già abbastanza zuccherata con te e Will a piede libero per casa. - alzò gli occhi al cielo e, finalmente qualcosa di interessante, lanciò uno sguardo inceneritore allo smielato che, probabilmente recependo un possibile messaggio minatorio da parte sua, gliene restituì uno altrettanto significativo.
- Ha parlato! Che mi dici di te e Matt allora, che avete limonato in ogni centimetro quadrato di questo appartamento? - ciò che seguì mi fece comprendere chiaramente di essermi persa mooolti avvenimenti importanti e possibilmente esplosivi nelle ultimissime ventiquattro ore: si innescò una sorta di reazione a catena. Matt sprofondò ancora di più nel piatto di spaghetti con polpette, Bethany mi fulminò, Chase smise di respirare, Will pure, ed Ileen si grattò il naso.
- Beh, evidentemente abbiamo esaurito lo spazio. - sbottò sbrigativamente, criptica come un codice a barre. - Tornando al discorso di prima, forse è il caso che lasci ancora qualche speranza di sopravvivenza a quel forno... e a noi. - ritornò alle sue polpette, trafiggendone una con una forza tale che mi aspettai di sentirla strillare di dolore, ma ovviamente questo non accadde. Deglutii, sconcertata dalla risolutezza di mia cugina, sicuramente incazzata per il mio intervento inopportuno. Ma come potevo sapere cosa dire e cosa non dire se nessuno mi informava sulle ultime news?
Si era inacidita per colpa della mia ultima frase, e questo mi portò a pensare che lei e Matt avessero litigato. Ora volevo conoscerne il motivo.
- Ci sono tanti altri posti in questa città dove, ehm, spargere il vostro amore. Di spazio ce n'è a sufficienza, grazie a Dio. - ero consapevole del fatto che stessi rigirando il dito nella piaga, perché era ciò che volevo fare, in modo che qualcuno si prendesse il disturbo di farmi tacere, magari spiegandomi la situazione. Ma ottenni solo un imbarazzante silenzio ed un'occhiata ammonitrice da Bethany.
- Spazio o no, dubito che ti disturberemo ancora "spargendo il nostro amore", come dici tu. - continuò Bethany, categorica. Matt alzò lo sguardo verso di me, implorante, come se mi stesse pregando di non continuare. Allora tacqui, forse per pietà nei confronti del ragazzo.
- Va bene, niente dolce. - conclusi con tono rassegnato il discorso, momentaneamente quieta ma ancora in fase di preparazione per la vera battaglia. 
Non avevo alcuna intenzione di demordere, non era nella mia indole. Perciò continuai a mangiare, senza scordarmi - ovviamente - di tenere d'occhio tutti i presenti.
Inutile dire che il silenzio fra di loro, e fra di noi, si fece decisamente più denso.
 
Rischiai di rompere un piatto, tanto ero distratta. China sul lavabo, cercavo di frenare l'impetuoso flusso di domande che continuavano ad aumentare col passare dei minuti. Bethany mi aveva chiaramente intimato di lasciarla in pace, Will era andato a comprare i suoi biscotti al burro preferiti ed Ileen stava passando l'aspirapolvere in corridoio.
Matt invece se ne stava stravaccato sul divano a guardare la TV, palesemente annoiato. Gli lanciai un'occhiata di sfuggita e, nel disperato tentativo di dare un senso alla situazione, decisi di tentare un approccio col ragazzo, nonostante avessi l'impressione che non sarebbe stato tanto semplice strappargli qualche parola di bocca.
- Non dovresti fare la lavatrice? - buttai lì, tanto per attaccar bottone.
- No. - biascicò, cambiando canale per la ventesima volta in due minuti.
- Allora renditi utile: potresti aiutarmi con i piatti? - era una richiesta, sulla carta, ma in effetti era poco meno di un ordine. 
Il fatto che (dopo aver sbuffato, imprecato sottovoce ed aver grugnito in stile uomo di Neanderthal) si alzò dal divano e mi si affiancò mi fece pensare che non aveva capito i miei secondi fini.
- Tu devi solo asciugare le stoviglie e metterle a posto. - continuai, porgendogli il panno. 
Lo afferrò, ma non proferì parola, come se in un certo senso lui non fosse lì. Non sentivo la sua voce dal giorno prima.
Attesi un segno di vita da parte sua ma, quando mi rassegnai al fatto che non ne avrei ricevuti, ripresi a parlare.
- E' frustrante sentire aria di guerra ed essere l'unica a non sapere a cosa sia dovuta. - sospirai, passando un piatto gocciolante al ragazzo. 
Mantenni un tono freddo, disinteressato, anche se la mia curiosità scoppiettava.
- E' peggio sapere e non poter fare nulla. - replicò caustico, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
- Perché ti sei picchiato con Chase, Matt? - 
- E' meglio non complicare le cose. Questa storia deve finire nel dimenticatoio. -
- Cosa vuol dire? Perché nessuno vuole dirmi cosa succede?! - cominciavo ad inalberarmi: tutto quel mistero cominciava a darmi sui nervi, e ad insospettirmi.
- Perché è meglio così. -
- Ah davvero? E cosa cambia?! - sbottai con aria di sfida. Lui si umettò le labbra e finalmente cominciai a notare in lui una blanda parvenza di reazione. Lo vidi costringersi a mantenere il controllo, stringere la stretta sul panno umido e respirare profondamente, prima di darmi una risposta.
- Tutto, è cambiato tutto, e di certo non in meglio. Se proprio ti interessa, Bethany ha rotto con me. - riprese ad asciugare i piatti che gli porgevo, visibilmente arrabbiato. Continuai a domandarmi cosa fosse accaduto di tanto grave da portare Bethany a mollarlo, ma non sapevo proprio cosa pensare, ed il fatto che tutti tacessero in mia presenza non mi rassicurava affatto.
- Riguarda anche me, vero? E' per questo che nessuno dice nulla in mia presenza. -
- Mi stupirei se ci fosse qualcuno che non abbia a che fare con questa storia... -
- Però tutti lo sanno, ed io invece no. - constatai con amarezza, sentendomi pesantemente esclusa dalla vicenda.
- Se Chase si fosse fatto gli affari suoi non sarebbe successo nulla. - quindi era stato Chase a scatenare il conflitto, appurai, ma ancora non capivo di cosa esattamente fosse responsabile.
- E tu giustamente l'hai preso a pugni. -
- Non mi piacciono i ricatti, e non mi piacciono quelli come lui. - tagliò corto, riponendo al suo posto le forchette appena asciugate. Era palese che aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma, per qualche ragione a me sconosciuta, non voleva farlo. O non poteva, ma io questo non potevo immaginarlo.
- E' per questo che Bethany ti ha mollato? Perché le hai date a Chase? - incalzai, avida d'informazioni.
- No. La verità è che mi merito tutto questo. Sono un coglione, è tutta colpa mia. -
- Tua? - ci capivo sempre meno. Mi domandai com'era stato possibile che tutti quegli avvenimenti si fossero sviluppati in sole due ore, durante le quali io ovviamente non ero presente.
- Sì, mia. Dovevo aspettarmi che prima o poi Chase se la sarebbe rigirata a suo favore. Sarà contento adesso, di averla tutta per sé! - ringhiò, lasciando svanire per pochi attimi la sua maschera di insofferenza.
- Sarò tarda ma... cosa ti fa credere che Chase voglia Bethany? -
- Lo so e basta okay?! Ho visto come la guarda, come la cerca... -
- Sei semplicemente accecato dalla gelosia. E' questa la realtà. -
- No, sono solo realista. E vedrai che ho ragione! Con tutto quello che è successo ne ho avuto la conferma. -
- Matt... se non mi dici cosa cazzo sta succedendo non posso aiutarti: lo capisci vero? - vidi la sua mascella contrarsi, probabilmente domandandosi se fosse una buona idea rivelarmi il segreto oppure tenerlo per sé ed implodere, come sarebbe ben presto capitato. Ma, proprio in quell'istante, sentii la porta aprirsi e chiudersi nell'arco di pochi secondi, e la figura di Will, con in mano una busta strabordante di dolciumi e biscotti, ci apparì davanti come un fantasma. Evitai di proferir verbo: avevo la netta impressione che Will fosse uno di quelli che mai e poi mai mi avrebbero informata sulle ultime news. Ci guardò con sospetto, ma feci finta di non essere turbata dal suo arrivo improvviso, riprendendo a lavare i piatti in silenzio.
Matt fece lo stesso, ricreando quel fastidioso silenzio che avevo rotto solo pochi minuti prima.
- Beh, di che parlavate di bello? - trascinò la "spesa" sul bancone, prodigandosi per sistemare il tutto nel più breve tempo possibile, come se in un certo senso nemmeno lui volesse essere lì.
- Ehm. - esordì Matt, ma non aggiunse niente di sensato. Passò a me lo scettro, l'onere di inventare qualcosa di dignitosamente plausibile, ed io lo feci. Ero costretta.
- Ci chiedevamo proprio quando saresti tornato. Avevo proprio voglia di un po' di latte con i biscotti! - ignorai il fatto che sporcare bollitore e tazza per semplice copertura sarebbe stato stupido, ma Will non se ne preoccupò: era troppo preso nell'intento di fulminare Matt con lo sguardo, per riflettere davvero su quanto gli avevo appena detto.
Desiderai ardentemente di spaccare un piatto sulla testa di entrambi e macchiarmi di duplice omicidio, ma mi obbligai a reprimere questi istinti, limitandomi a sfogare i miei impulsi su un povero cucchiaino che, per sua sfortuna, passava da quelle parti.
Ero stata così vicina alla verità, tanto vicina da poterne quasi sentire il glorioso profumo, e Will aveva rovinato tutto irrompendo senza preavviso all'interno dell'appartamento.
- Fanculo. - biascicai nervosamente, osservando i due amici sgusciare via con fare circospetto. 
Cominciai a pensare che avessero tutti deciso di cospirare, a mie spese.
 
(Pov. Brian)
Osservai la carta incenerirsi in poco più di qualche attimo. Avevo deciso di distruggere tutto ciò che era appartenuto a lei, compresi i suoi bigliettini, ora così privi di senso, prima così importanti per acquistare un sorriso sincero, ogni sera, ogni notte. Era stata una cura, per un po', poi si era trasformata in un'altra malattia, ancor più terribile della precedente.
Le parole di Martha mi avevano scosso, ma per una volta non avevo potuto che darle ragione. Mi costava ammetterlo, eppure questa volta la colpa era stata mia. 
Illudendomi di essere amato, mi ero solo scavato una fossa più profonda di quella che mi spettava.
Tuttavia non mi sentivo affatto meglio: ero prossimo ad una crisi di nervi. Pensavo unicamente a lei, lei che con una sola lettera, lasciata come un comune fazzoletto sporco sul bancone del camerino, aveva smontato tutti i miei buoni propositi di farle capire cosa provassi davvero per lei. Anche se ero convinto che lo sapesse già.
Avevo intenzione di bere fino a ubriacarmi, e l'avrei fatto per bene, se solo Nick non fosse entrato in camera proprio mentre stavo per versarmi l'ennesimo bicchiere di vodka e menta.
Mi guardò come se non mi avesse mai visto prima, sconcertato dal fatto che Brian, il gemello responsabile, si stesse distruggendo il fegato senza un motivo apparente.
- Non avrai intenzione di continuare, spero! - 
- Uhm... non ci crederai, ma è proprio così. Voglio ubriacarmi fino a vomitare, addormentarmi e non risvegliarmi, magari. - osservai l'ultima lettera divenire, come tutte le altre prima di lei, un banale mucchietto di cenere. Posai la bottiglia di vodka sul comodino e mi sdraiai sul letto, cominciando a sentire la testa pesare sulle spalle muscolose. Avrei mai avuto un po' di pace in questa vita, o avrei continuato a sentirmi uno schifoso ammasso di sbagli e fallimenti?
- Beh, mi dispiace ignorare le tue volontà, ma abbiamo una serata da portare avanti, e di certo io e Martha da soli non ce la facciamo. Che intendi fare, eh? -
- Lasciatemi in pace, tu e quella là. - biascicai, socchiudendo le palpebre sulle iridi grige.
- Adesso basta. E' ora di chiarire questa storia. - il gemello si chiuse la porta alle spalle e girò la chiave nella toppa con un gesto nervoso - Non so perché Martha ancora non ti abbia detto nulla, ma è ora che lo faccia io. - era furioso, e lo notai dal fatto che mi osservava con tutta la freddezza di cui era capace. Ed era tanta, molta più di quanto riuscissi ad esprimerne io con mille sguardi.
- Che cosa dovrei sapere? - sbottai lamentoso: era così difficile da capire che desideravo un po' di solitudine?
- Devi smetterla di fare lo stronzo con Martha! Mi hai davvero stancato! -
- E perché dovrei farlo? E' l'unica cosa che mi rimane. -
- Stronzate. Se non la pianti di fare il bambino non ci rimarrà più neanche il locale. E ora ti spiego pure i motivi per cui non dovresti fare lo stronzo ogni volta che lei ti passa davanti. Primo: è la mia ragazza, e già questo dovrebbe bastare. Secondo: non merita di essere trattata come la merda che si appiccica alle tue scarpe quando cammini per strada, qualunque cosa ti abbia fatto. Terzo: se non fosse per lei e le sue esibizioni extra, a quest'ora non riusciremmo neanche a pagarci l'affitto! - era cristallino che Nick si stava liberando di un enorme macigno, un peso che probabilmente portava con sé da una quantità di tempo abnorme. Me ne accorsi perché, nel sentire quelle ultime parole, sentii qualcosa di pesante piombarmi sullo stomaco, forse lo stesso masso che lui aveva neutralizzato con quell'ultima confessione.
- Esibizioni extra? Ma di che cazzo parli? - quello alzò gli occhi al cielo e strinse visibilmente i denti. Conoscendolo, stava semplicemente ingoiando un fiume in piena di parole.
- Come hai fatto a non accorgertene? Cristo, non ci posso credere! Non lo sai che per fare in modo che guadagnassimo il doppio si è messa in abiti succinti, sacrificando l'unico giorno libero che possedeva, salendo su quel cazzo di palco e recitando la parte della gatta morta che non è?! -
- C-cosa? - scattai in piedi. Divenni cereo, sentii il cuore accelerare i battiti e spalancai le palpebre in direzione di Nick, sorpreso dalla mia reazione eccessivamente energica.
- Sei talmente ubriaco da non capire ciò che dico? - domandò sarcastico, puntando quegli occhi freddi contro di me, accusatori.
- Mi stai dicendo che Martha è... - ero sconvolto. Nonostante avessi bevuto una quantità estremamente ridotta di alcool, cominciavo a sentirmi male. 
Mi ero davvero scopato la ragazza di mio fratello? Ma soprattutto: mi ero davvero innamorato di colei che mi aveva rovinato la vita con tanta leggerezza? Rimasi in silenzio per un tempo indefinito. 
Non volevo pensare: era tutto così assurdo... non potevo crederci... non volevo crederci.
Nick interpretò quella quiete sospetta come un segnale che avevo bevuto troppo e che stavo per sentirmi male, così si avvicinò a me e mi posò una mano sulla spalla.
Con un riflesso nervoso mi scansai, confutando le sue teorie sul mio stato di salute. Era la mia testa a dolere, non lo stomaco.
- Da quanto sai di questa storia? - gli domandai, dopo svariati minuti di silenzio totale. 
- Da quand'è cominciata. - fu la sua risposta criptica. Era ancora furioso per il modo in cui avevo parlato di Martha, ma preferivo pensare che lo fosse per ciò che avevo detto che per ciò che avevo fatto.
Lui non poteva sapere. Eppure doveva, anche se io non ero nelle condizioni ideali per parlarne, non nello stato in cui mi ritrovavo.
- Vattene. Oggi non apro il locale. E penso proprio che non lo farò neanche domani. - asserii deciso, riprendendo in mano il bicchiere di vetro. Afferrai la vodka e me ne versai ancora, con una motivazione in più per ridurmi uno schifo. Non avrei risolto nulla, questo lo sapevo, ma contavo sul fatto che l'indomani avrei avuto troppo mal di testa per pensare. 
Onestamente mi auguravo di non ricordare nulla, nonostante sapessi di non aver bevuto abbastanza per nutrire ancora questa speranza.
- Ah no? E con cosa vorresti pagare l'affitto questo mese?! -
- Nick, sparisci, o ti metto le mani addosso. -
- Con quello che ti sei bevuto di certo non rappresenti una minaccia. - mi guardò nuovamente con freddezza, per poi dirigersi verso la porta - Per oggi passa. Ma domani apro il locale, e se non ci sei mi prendo la tua parte di stipendio. Non mi interessa che cazzo hai per la testa: non deve intralciare il nostro lavoro. Te l'avevo già detto. - finalmente mi lasciò solo e, appena si sbatté la porta alle spalle, ripresi la bottiglia in mano. Decisi di ricominciare da dove ero stato interrotto, senza preoccuparmi di niente e di nessuno. 
Bevevo non più per aver perso la donna che amavo, ma per aver scoperto che quella stessa non esisteva. Era soltanto il solito incubo, quello ricorrente, sotto mentite spoglie.
Martha, sempre lei. Mi addormentai poco dopo, con la bottiglia ancora in mano ed una manciata di ricordi che rapidamente si susseguivano nella mia testa, come disordinati fotogrammi di un film che avrei preferito non rivedere mai più. Facevano parte di una vita che aveva cessato di appartenermi da tempo.
 
- Caffé? - mi sorrise, mostrando quella schiera perfetta di denti bianchi che rendevano le sue risate le più gioiose, e le mie giornate meno pesanti. 
Si accomodò al mio fianco in tutta la sua bellezza, porgendomi un termos pieno di un liquido scuro che, dall'odore, riconobbi come il nettare supremo degli studenti. Caffè, appunto.
- Grazie bella. - risposi, facendole posto sulla panca di ferro su cui mi ero accomodato. Afferrai il termos e bevvi da esso, senza preoccuparmi di prendere uno dei bicchieri di plastica che la ragazza teneva nella borsa. Avevamo sempre condiviso tutto, anche il caffé.
- Dormito poco eh? - passò una mano fra i lunghi capelli rossi, osservandomi attentamente fissare il foglio stampato che avevo stretto in mano.
Avrei preferito posare lo sguardo su di lei, ma l'orale mi attendeva impaziente, e con esso le lunghe pagine di tesina che dovevo presentare alla commissione. 
L'esame di stato mi aveva assorbito nella sua rete, proprio come lei.
- Non sai quanto ti invidio! Tu hai finito da un pezzo. - scrollò le spalle, sempre sorridente, e, nel vedermi nervoso, posò la mano pallida sulla mia, timidamente.
Aveva un nonsoché di rassicurante quel gesto. 
Mancava poco alla prova, infatti sentivo già la tensione salire, ed il suo tocco mi aiutava ad alleviarla. Spostai lo sguardo su di lei e trovai il conforto di cui necessitavo nei suoi tratti regolari, familiari, angelici. Occhi verdi, chioma rosso fuoco e pelle candida, liscia, perfetta. Ed il profumo di more dei suoi capelli.
La bellezza, racchiusa in un volto.
- Andrai alla grande, vedrai! - mi incoraggiò sicura, come se fosse convinta che non potesse che andare così.
- Vieni anche tu, con me, dentro. - affermai, posando il termos sulla panchina e stringendo la sua mano, a mia volta.
- Credi che mi facciano entrare? -
- Ovviamente. Tutti possono assistere, ricordi? -
- Davvero mi vuoi lì? -
- Che domande! Sei la mia migliore amica... - a queste parole abbassò lo sguardo. Sospettai che qualcosa di quanto detto l'avesse intristita o infastidita, perché non mi guardò per un pezzo, almeno finché non ripresi la parola - Allora? Dai, ho bisogno di te. -
- Dov'è Erika? - insistette lei, riprendendosi il termos. 
Il suo tono denotava una certa insofferenza alle mie parole, come se una spessa lastra di ghiaccio si fosse frapposta fra di noi nell'arco di due battiti.
- Penso sia a casa sua, ma lei cosa c'entra? - non capivo: il comportamento di Martha era veramente troppo strano per essere comprensibile alla mia schematica mente maschile.
- Niente, pensavo sarebbe venuta lei a vedere il tuo esame. -
- A dire il vero non gliel'ho chiesto. -
- Ah. - levò la mano dalla mia, e quel contatto improvvisamente negato mi lasciò perplesso, quasi senza fiato. 
La vidi accendersi una sigaretta con mani tremanti e tacere ostinatamente.
Ripresi a studiare malinconico. Non era certo la prima volta che si perdeva nel mondo attorno a sé, come se la sua anima fosse lontana anni luce dal corpo. E da me, soprattutto da me.
Rispettavo quegli attimi, ma più avanti cominciai a pensare che lei si aspettasse qualcosa di più. Il mio silenzio le pesava, più delle mie parole inopportune.
- Ecco qua il maturando! - una figura identica alla mia mi si parò davanti con un sorriso spavaldo degno del cento e lode con cui si era diplomato. Era appena uscito dall'aula delle torture e sembrava non essere mai stato più felice e arrogante di così. Si accomodò accanto a Martha, com'era prevedibile che facesse, e cominciò a pavoneggiarsi per l'interrogazione appena conclusasi.
Fu allora che compresi di dovermi dare una mossa: io ero il prossimo.
- Tocca a te. - mi informò Nick, intenzionato a mandarmi via il prima possibile per poter stare un po' da solo con la rossa.
Sospettavo che volesse provarci (ne ero praticamente certo) ed avevo la netta impressione che a lei non dispiacesse affatto. Gli sorrideva un po' troppo spesso, quando le parlava.
Ma lei mostrava quel meraviglioso sorriso a tutti, e questo il più delle volte mi infastidiva parecchio.
Lanciai un'occhiataccia alla mia copia e mi alzai dalla panca. Posai tristemente lo sguardo sulla ragazza, che ormai aveva finito la sua sigaretta, in attesa che mi seguisse. 
Lei non si mosse. Mi guardò e piegò le labbra in un sorrisetto.
- Buona fortuna Brian. - era un modo carino per dirmi che non sarebbe venuta con me. E che, in compenso, sarebbe rimasta ad ascoltare il racconto di Nick sul suo esame.
Perché? Mi domandai affranto, mentre rispondevo all'augurio e mi dirigevo verso l'aula dove avrei sostenuto l'orale, con aria abbattuta.
Era chiaro che preferiva lui a me, nonostante fossi il suo migliore amico. L'altro gemello era sempre stato il più affascinante fra i due, il più desiderato, il più disinvolto. Colui dietro il quale tutte le studentesse sospiravano e sbavavano. In più era sempre stato un ottimo studente.
Non la biasimavo, ma quando feci ingresso all'interno dell'aula e salutai la commissione, mi sentii meno sicuro. Il mio pilastro non c'era, ma questo non mi impedì di uscire dignitosamente dall'aula. Certo, un 90 era meno di un 100 e lode, ma era pur sempre una buonissima valutazione.
Uscii in cortile, ritornando alla panca: mi aspettavo di scorgere Martha e Nick seduti ad aspettarmi, invece non ci trovai nessuno.
Se n'erano andati insieme, magari da soli, dimenticandosi di me e dell'esame appena sostenuto.
Il sorriso che mi si era dipinto in volto appena uscito da quello stanzone gremito di insegnanti si spense come la labile fiammella di una candela.
Ancora una volta, mio fratello mi aveva sottratto quel minimo di gloria che credevo mi spettasse. Ancora una volta mi trovavo solo.
 
Mi svegliai la mattina dopo, intontito e frastornato per colpa dell'abuso di alcool, col sole che colpiva come un pugno i miei occhi.
Misi a fuoco la stanza piuttosto lentamente, portando una mano alla testa dolorante. Non ero solo, ebbi modo di constatare, individuando una figura esile e familiare portare via la bottiglia ed il bicchiere di vetro. Le mie facoltà mentali e fisiche non mi permettevano di scattare a sedere ed alzarmi immediatamente, ma attesi che il mio cervello e i miei arti riprendessero a funzionare correttamente prima di farlo. Lei d'altro canto non se ne andò subito. Si mise a riordinare ciò che avevo spostato o che avevo rotto, e a spazzare via la cenere delle sue lettere pazientemente.
Credeva fossi ancora addormentato evidentemente, perché si fermò a guardare una delle foto incorniciate che avevo posizionato sulla scrivania di legno. La vidi tirare su col naso e passare oltre, continuando la sua attività. Mi presi del tempo per osservare i tratti del suo viso, cercando di non farle capire che fossi già sveglio: come avevo fatto ad essere così cieco, tanto a lungo? 
Forse gli occhiali che aveva cominciato ad indossare mi avevano impedito di notare le somiglianze del suo volto e di quello della mia musa?
O magari avevo solo fatto finta di non notarlo?
- Ti odio... - fu il mio buongiorno alla ragazza, che sussultò di botto e si voltò verso di me, rivolgendomi uno sguardo spaventato.
-  Buongiorno anche a te, Brian. - rispose sarcastica, appena si riprese dalla sorpresa di avermi trovato sveglio, afferrando bottiglia e bicchiere per uscire dalla stanza.
- Dove stai andando? Io e te dobbiamo chiarire alcune cosette. - sbottai brusco, alzandomi dal letto e chiudendo violentemente la porta prima che Martha potesse uscirne. Questo scatto mi provocò una fitta alla testa, ma la domai: avevo questioni importanti da risolvere, mal di testa o meno.
- Ah sì? E quali sarebbero? - il suo tono era spavaldo, eppure io sapevo bene quanto fosse falso. Conoscevo quella ragazza come le mie tasche, più di quanto lei stessa si conoscesse.
E, se c'era una cosa di cui ero certo, era che davanti al mio sguardo non sapeva mentire.
- Lo sai benissimo di cosa parlo. Nick mi ha detto tutto. Ora voglio sentir parlare te. - impallidì visibilmente, ma rimase impalata dov'era, come se non credesse alle proprie orecchie. 
Non si aspettava una rivelazione così immediata, così indolore.
- Cosa vuoi sapere? - mantenne lo sguardo basso, come aveva imparato a fare abitualmente, da quando avevamo litigato. Era sempre stata una sua caratteristica, quella di non saper affrontare i miei occhi, e il fatto che non mi guardasse mi aveva sempre mandato in bestia. Non fu diverso neanche questa volta.
- E me lo chiedi anche? Dopo tutto quello che mi hai fatto merito una spiegazione, non credi?! - avrebbe voluto fuggire via, ma non poteva. 
Io bloccavo la porta, e non l'avrei aperta fin quando non mi avesse dato le risposte che cercavo. Le volevo subito: volevo sapere perché le piaceva tanto torturarmi.
- Io non ho fatto niente. Volevo darvi una mano col locale e ho fatto quel che ho potuto. Ma non pensavo che tu... credevo si capisse che fossi io. -
- Smettila di sviare: non è questo che voglio sapere. -
- Okay, va bene. Non preoccuparti, arrivo subito al dunque, così ti privo subito della mia fastidiosa presenza. - si avvicinò a me con aria battagliera, trafiggendo per la prima volta, i miei occhi con i suoi: non li ricordavo così verdi, non li guardavo da secoli. 
Quel suo cambio di atteggiamento mi lasciò senza fiato, e allo stesso tempo mi innervosì.
- Ah, adesso credi di essere tu quella ad avere il diritto di essere incazzata?! -
- Io mi incazzo quando mi pare, e ora non interrompermi. - si inalberò, alzando il viso pallido verso il mio. Aveva le labbra serrate, come per paura che le parole fuoriuscissero da sole dalla bocca - Sì, è vero, abbiamo scopato. E più di una volta. Ma per una volta mi sembravi davvero felice, dopo tanto tempo che non lo eri più, ed io non sono riuscita a... smettere. -
- Cazzate! Dimentichi che è stata colpa tua anche quella?! Sei stata tu a sottrarmi la felicità! -
- No, non lo dimentico. Ma qualunque cosa sia accaduta, qualunque cosa io abbia fatto, l'ho fatta solo perché volevo vederti sorridere. Come fai a non capire? -
- E infatti ora non vedi come sorrido?! Sto ancora scontando per la sbornia di ieri. E indovina perché mi sono scolato quasi mezza bottiglia di vodka?! Perché tu, o quella sottospecie di ragazza che hai finto di essere, hai fatto in modo che mi innamorassi e che ci rimanessi di nuovo di merda. Brava. Davvero brava. Mi hai rovinato la vita una terza volta. -
- Terza? Ora stai inventando?! -
- Ti sei forse dimenticata di quel bel giorno in cui mi hai lasciato da solo durante e dopo l'orale, all'esame di Stato?! Avevo bisogno di te, e tu dov'eri? A spassartela con Nick in qualche angolo buio di questa cazzo di città! Ed io sono rimasto solo come un cretino. Hai idea di come io mi sia sentito in quel momento?! - non potei continuare a lasciar fluire il fiume di parole che reprimevo da tempo, perché il dolore provocato dal contatto violento della sua mano contro la mia guancia mi zittì. Mi diede uno schiaffo, così forte che magicamente mi risvegliò dal torpore post-sbornia, come una secchia d'acqua ghiacciata. Non l'aveva mai fatto, mai. Era sempre stata una ragazza educata e amante del dialogo, eppure mi aveva colpito con rabbia, manifestando quei sentimenti a lungo mascherati dietro una fitta coltre di freddezza. Mi portai la mano alla faccia, incredulo, mentre osservavo il suo viso cambiare espressione.
- Basta. Sei proprio un egoista del cazzo. Credevo di essere io il problema quando non ti sei più fatto sentire, ma ora ho capito che sei tu, e sei sempre stato tu. Ed ecco qui la stupida che si è fottuta con le sue stesse mani perché ti voleva troppo bene. Ti fa comodo pensare che me la stessi spassando con Nick quando in realtà ero all'ospedale ad assistere mia madre, eh? Hai dimenticato, vero? Troppo facile, Brian. Mia madre è quasi morta quella mattina, e tu non mi sei venuto a trovare. Neanche un cazzo di messaggio sul telefono, nulla! Ed ora ti rivolgo la stessa domanda che mi hai fatto tu ieri sera: che cazzo di amico è uno che se ne sbatte quando la sua migliore amica comincia a tagliarsi le vene? Mia madre era in coma. Lo sapevi benissimo. Ma te ne sei rimasto in camera tua a scopare con quella là, perché non te n'è mai fregato niente di me. E mi hai affibbiato le colpe, quando Erika ti ha mollato, solo perché ho preferito Nick a te ed eri troppo megalomane per accettarlo. Volevi sfogarti con qualcuno, e hai scelto di farlo con me perché ero l'unica che ancora voleva starti vicina! - si fermò, ed in quei pochi istanti in cui tacque capii che frenava quelle parole, quella rabbia, quei pensieri, da troppo tempo. Aveva gli occhi colmi di lacrime, lacrime che tentava ostinatamente di trattenere.
Improvvisamente mi sentii un autentico verme. Come avevo fatto a non notare le cicatrici sui suoi polsi? 
Aveva ragione Nick, un'altra volta: ero stato cieco troppo a lungo, ed ora la luce mi stava uccidendo.
- Ora che dovresti dire qualcosa non parli. Ma bravo, davvero. Ti faccio i miei complimenti! In questi due anni hai continuato a torturarmi, nella speranza che ti chiedessi scusa per qualcosa che non ti ho assolutamente fatto, ed ora stai zitto perché sai di aver torto. Pensavo che avresti trovato un'ennesima scusa al tuo sconfinato egoismo, ma mi sbagliavo un'altra volta su di te: sei molto peggio di quanto mi aspettassi, e sai cosa c'è che mi disgusta più di tutto questo? - si arrestò, con il viso bagnato dalle prime lacrime, che sgorgavano copiose dagli angoli dei suoi bellissimi occhi verdi.
Sì, erano ancora i bellissimi occhi di Martha. Rividi la mia migliore amica in quelle iridi sofferenti, rividi la sua fragilità, e vederla piangere fu un tremendo colpo al cuore.
Poi lei riprese a parlare, con una forza che non avrei mai creduto di poter scorgere in lei.
- Il peggio del peggio è che per tutti questi anni ho amato te, e non Nick, che vale cento volte di p-... - non le lasciai terminare quella frase. Qualcosa di più forte della mia volontà mi aveva avvicinato a lei, al suo corpo. La strinsi più forte che potevo, la abbracciai, nascondendola fra le mie braccia, come per paura che qualcuno potesse ferirla. Ma quel qualcuno potevo essere solo io.
Posai le labbra sulle sue con delicatezza: stavo tenendo fra le braccia una creatura fragile, mutilata e rancorosa, e per questo avevo il timore di lacerare la sua anima, con un bacio meno cauto.
Le avevo davvero fatto tutto questo? Ero davvero stato così stupido e così cieco da non accorgermi del suo amore? Perché l'avevo respinta? 
Per quale assurdo motivo l'avevo incolpata della mia infelicità, quando l'unica causa della mia tristezza era stata la sua assenza?
Mi ero imposto di odiarla semplicemente perché sapevo di non poterla avere, o così credevo, e solo quando la baciai quel fiume in piena di sentimenti assunse un significato.
Ancora confuso e distorto, ma finalmente portato alla luce.
- E questo cosa vorrebbe dire?! - esclamò lei, spingendomi via. Era scossa, tanto che la vidi tremare. Non avevo idea di cosa risponderle: io stesso mi sentivo esattamente come lei.
Realizzai di aver baciato la ragazza di mio fratello di proposito, senza aver più la scusante di non sapere che fosse lei. Ma in quei brevi istanti di oblio avevo baciato Martha, non la cantante, non la ragazza di Nick, ma la Martha che alle superiori era la mia migliore amica. La Martha di cui ero sempre stato segretamente innamorato, senza esserne cosciente. 
Quella che avevo seppellito sotto una montagna di odio e bugie. Lei che, nel bene e nel male, aveva sempre cercato di vedermi sorridere.
- Non lo so... ma... -
- Ma? Non sono la cantante di cui ti sei innamorato Brian: lei non esiste, non è mai esistita. Perciò se è lei che hai voluto baciare, e non me, è il caso che tu me lo dica. Sono stanca di essere il tuo giocattolino. - aggrottai le sopracciglia, senza capire. Martha aveva ripreso a guardare altrove, come se non potesse sopportare di vedermi così da vicino.
- Che dici? - scossi il capo. Cominciava a divincolarsi dalla stretta delle mie mani, ed io continuavo ad osservarla stralunato. Lasciarla andare mi sembrava un'idea impossibile da accettare, perché sapevo che se l'avessi fatto lei sarebbe tornata da Nick ed io sarei tornato punto e a capo. Sarei ritornato quel ragazzino che, dopo aver sostenuto l'esame di stato, si era ritrovato solo come un idiota.
- Dico che non voglio che improvvisamente, dopo aver capito che io non sono lei, tu mi ignori di nuovo e ricominci a trattarmi come merda. -
- Perché dovrei farlo? - strinsi la presa sulla sua vita sottile: doveva ascoltarmi. Bisognava chiarire tutto ciò che rimaneva ancora taciuto.
- Perché l'hai fatto per tutto questo tempo, senza ricordarti che anche io ho dei sentimenti! -
- Ed ora ti chiedo scusa. Nick ha ragione: sono stato cieco e stupido, e mi sono comportato come un verme con te. Non avrei dovuto. -
- No, non avresti dovuto. Eppure l'hai fatto. -
- Ti sto chiedendo scusa, okay? Come devo fare per fartelo capire? -
- Se le tue scuse non portano ad una decisione non me ne faccio nulla. -
- Non voglio che torni da Nick: voglio che tu stia con me. -
- Cinque minuti fa mi odiavi. -
- Anche tu, se è per questo. - ribattei, accalorato. Non capivo cos'altro voleva che le dicessi per farle comprendere che finalmente avevo ricominciato a ragionare.
- Questo è quello che vedevi tu. Io ti ho sempre amato, anche quando tu mi vedevi solo come un'amica. - le costava ammettere tutto questo senza ricevere nulla in cambio, ma era palese che non riusciva più a tenere nulla sotto silenzio. Si stava sfogando, ed io non sapevo come farle capire che non volevo lasciarla andare via.
- Allora non tornare da Nick. Stai qui con me. -
- Non è così semplice. Non pensi a come la prenderebbe se lo mollassi di punto in bianco per stare con te? Ferire l'unica persona che mi è stata accanto quando ne avevo bisogno sarebbe la cosa più meschina che possa fare. Comportarmi come hai fatto tu con me non fa parte del mio carattere. -
- Ma tu mi ami. Vuoi rimanere insieme a lui solo per farlo contento?! - il suo discorso faceva acqua da tutte le parti. Dopo tutto quello che c'era stato fra di noi... lei si tirava indietro?
- Già, io ti amo, e te lo ripeterò all'infinito perché è vero. Ma ho bisogno di tempo per spiegargli la situazione, e per capire se ne vale la pena. - si divincolò, e questa volta la lasciai stare. 
Contrassi la mascella, nervoso come non mai.
- Capire se ne vale la pena. - ripetei, assumendo un'espressione severa. Ora capivo qual'era il reale problema - Non ti fidi. Pensi che non sarò mai all'altezza di Nick come ragazzo. E' questo che pensi? -
- No, non mi fido. Ma non puoi biasimarmi per questo: sei sempre stato indeciso e mi hai ferita molte volte per questo. Tuttavia ti amo. Che sia un bene o meno ancora non lo so, ma è un dato di fatto e non posso ignorarlo. Non sono mai riuscita ad ignorarlo. Perciò mi serve tempo, e se quello che dici è vero allora mi aspetterai. Anche questo mi aiuterà a scegliere: voglio vedere se ne vali la pena. -
- Sono stato il tuo migliore amico! Lo sono da sempre... a cosa serve aspettare? -
- Anch'io sono sempre stata la tua migliore amica, eppure negli ultimi due anni ti sei comportato come se non lo fossi mai stata. E' a questo che serve aspettare, a fidarmi di nuovo. - detto questo, mi fece cenno di spostarmi dall'ingresso. Lo feci a malincuore, osservandola portar via la bottiglia di vodka ed il bicchiere sporco. 
Mi lasciò solo, solo con il mio mal di testa e con una nuova paura: quella di perderla, questa volta definitivamente.
 
(Pov. Will)
- Dai, fammi entrare Bethany! - bussai per l'ennesima volta alla porta della sua camera, ma non ci fu alcuna risposta. Dovevo parlare con Prudence, ma per qualche strana ragione che io non conoscevo lei non voleva vedere nessuno, nemmeno me. Speravo di far leva almeno sulla bontà di sua cugina, anche se lo ritenevo poco probabile dopo quello che Chase le aveva detto.
Bussai per secoli e secoli e, finalmente, sentii qualcuno sbuffare da dietro la porta. Questo qualcuno mi aprì e, nel vedere Bethany, sorrisi ampiamente.
- Finalmente mi hai aperto! Pensavo di dover rimanere qui ad aspettare fino a domani mattina! -
- Non lo faccio per te. Prue è addormentata, perciò ti consiglio di smetterla, se non vuoi che cominci a pensare di soffocarti con il cuscino. -
- Le hai detto qualcosa per caso? Perché non ha cenato, e non esce da quella cazzo di camera da questo pomeriggio. -
- Ah, io non le ho detto proprio un bel niente! E per la cena non dovresti preoccuparti: le ho portato qualcosa poco fa, in caso abbia fame. -
- Mi fai entrare? - domandai spazientito, cercando di guardare oltre la sua testa. La vidi innalzare un sopracciglio ed assumere un'espressione scettica.
- Ho per caso parlato in aramaico senza accorgermene? STA DORMENDO. -
- Voglio dormire con lei. E' un mio diritto, no? -
- No invece. Se si è chiusa in camera senza voler vedere nessuno c'è un motivo. Evidentemente è lei a non voler dormire con te. -
- Lasciami parlare con lei... -
- Come devo dirti che sta dormendo?! - sbottò infastidita, incrociando le braccia al petto.
- Beh allora la sveglierò, ma tu fammi entrare! -
- Ed io dove dovrei dormire? -
- In camera mia, no? -
- Simpatico! Io non ci sto nella stessa camera di quell'essere. -
- Chase ti ha fatto il lavaggio del cervello, eh? -
- C'è poco da fare: i fatti parlano da sé Will. Mi dispiace solo che Prudence non saprà mai la verità. -
- E questo chi l'ha detto?! -
- Se lo sapesse ti lascerebbe. Poco ma sicuro. -
- Vedremo... intanto fammi entrare. Devo parlare con la mia ragazza. -
- Buona fortuna allora. Per questa volta passi, ma se Matt mi infastidisce sappi che non entrerai mai più in quella camera. - mi sorpassò, furiosa e assonnata, lasciandomi lì davanti come un idiota.
Per lei lo ero di sicuro, e sapevo di esserlo io stesso. Ma ero un idiota che amava sua cugina, e che non avrebbe mai permesso ad una stupida scommessa di distruggere tutto quanto.
Così entrai nella stanza buia, chiudendomi la porta alle spalle.
Bethany non aveva mentito dicendomi che dormiva, ma questo non mi impedì di infilarmi sotto le coperte del suo letto, creandomi un piccolo spazietto accanto a lei.
La sentii grugnire e sorrisi istintivamente, accarezzandole i capelli con le dita. Ne inspirai il profumo a lungo, finché, dopo aver esalato un lungo respiro, non socchiuse le palpebre.
Ci mise un po' a comprendere se io fossi davvero lì dietro di lei o se fossi solo un sogno, ma quando lo capì si voltò in mia direzione, in modo da potermi guardare dritto negli occhi.
- Dov'è Bethany? - domandò fredda, con la voce ancora impastata dal sonno.
- L'ho mandata in camera di Matt, così magari riescono a chiarire. -
- Ne dubito. Conosco mia cugina... anche se mi piacerebbe sapere cosa le ha fatto Matt. -
- Sono affari loro, presumo. - fare il finto tonto non era da me, ma mentire era la soluzione più opportuna e, soprattutto, la più semplice.
- Odio non sapere cosa sta succedendo Will. Tu lo sai e non vuoi dirmelo, altrimenti l'avresti già fatto. - tesi una mano verso i suoi capelli, ma lei non mi permise di toccarli. Sospirai.
- Lo farò, te lo prometto. Ma non oggi: ora voglio abbracciarti, voglio fare l'amore con te e dormirti accanto. Posso? - la sua espressione si ammorbidì in breve tempo. Pensare che un giorno quel bel viso non mi avrebbe più sorriso benevolmente era opprimente, eppure ero consapevole che poteva accadere. 
- E Bethany? -
- Si arrangerà. Chissà che non facciano pace quei due... - Prudence alzò gli occhi al cielo e si avvicinò a me, sfiorandomi la guancia con le dita sottili.
Coprii la sua mano con la mia e mi avvicinai per baciarla, dopo averle sorriso dolcemente. Quella notte la passammo insieme: respirai il profumo di cioccolato dei suoi capelli ed inalai quello della sua pelle morbida, nella speranza di poter passare altre nottate come quella, accanto a lei, senza sentirmi uno stronzo patentato.


NdA: Ho aggiornato in un tempo dignitoso, vero? Sì? 
Beh, la verità è che l'ho fatto perché voglio liberarmi in fretta di questa storia, perché davvero mi ha rubato tempo ed energie e sento che è ora di chiuderla.
Questo era il PENULTIMO capitolo, perciò il prossimo che verrà pubblicato sarà appunto l'epilogo. Conto di postarlo nel più breve tempo possibile, per poi dedicarmi ad una prossima originale che sto programmando e strutturando in quest'ultimo periodo.

Comunque, passiamo ai fatti appena presi in esame (note semiserie):
- Mi preme sottolineare quanto Brian sia idiota e invidioso del suo gemello, e di quanto quel povero Cristo di Nick sia cornuto.
- Chase sembra esser latitante, ma è vivo e vegeto (purtroppo) anche se sta progettando di fuggire in Congo per scappare all'ira funesta di Matt.
- Prudence ha preso il posto di Ileen come personaggio 'carta da parati'.
- Will e Matt fanno orecchie da mercante alle preghiere cantilenanti della povera ed ignara Prudence.
- Ileen continua a farsi gli affari suoi, nella speranza che Parmigianino si rifaccia vivo in modo che uccida Chase con la sua puzza letale.
- Parmigianino? Dov'è? Lo vedremo u_u

Spero che il capitolo non vi abbia deluso, e che reggerete ancora un po' per leggere l'epilogo.
PS: potrebbero esserci brutte sorprese in quest'ultimo, ma sta a voi giudicare, appena lo leggerete.
Grazie per le recensioni, le letture ecc ecc... spero che lascerete un commento anche in questo penultimo capitolo, e spero davvero che mi facciate sapere se la storia vi piace o trovate qualcosa di poco chiaro.
Kiss kiss,
Frens!

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Capitolo 18
*** Buon compleanno Prue! ***


Buon compleanno Prue!
epilogo


 (Pov Will)

Non andò affatto come avevo sperato: Bethany non fece pace con Matt quella notte, anche perché leggenda narra che lui avesse semplicemente sventolato bandiera bianca al primo, magro, tentativo di riconciliazione. Prudence, dopo aver tentato (in tutti i modi possibili ed immaginabili) di estorcermi informazioni con l'inganno, alla fine si era rassegnata al mio silenzio, e talvolta alle mie pseudo-risposte, troppo vaghe per costituire un problema. Ancora, a distanza di quasi due mesi, non ero riuscito a spiegarle com'erano davvero andate le cose. Bethany aspettava che le dicessi tutta la verità, per questo non mancava di lanciarmi sguardi assassini e di osservarmi con fare accusatorio, ogni giorno ad ogni ora, in ogni circostanza. Mi considerava un codardo ed uno stronzo, ed io paradossalmente concordavo con lei su entrambi i punti. Matt, per quanto provasse a nasconderlo, era sempre più depresso e asociale: passava le sue giornate chino su un quaderno (l'altro l'aveva allegramente dato alle fiamme) a scrivere chissà che o a "suonare" ossessivamente con la batteria finché non gli facevo notare che aveva palesemente rotto i coglioni.
Ultimamente malsopportavo anche Ileen che, sebbene si facesse bonariamente gli affari propri, riusciva ad annientare il mio fragile sistema nervoso solamente passando l'aspirapolvere per la casa.
In più avevo sempre la netta impressione che lei, come Bethany, mi controllasse a vista: in sua presenza mi sentivo costantemente sotto osservazione, e questo mi metteva particolarmente a disagio. Chase invece era uccel di bosco: fra studio e pre-esami vari ed eventuali, spesso si dimenticava di onorarci della sua odiosa presenza durante i pasti.
L'unica a preoccuparsi del suo sostentamento era Bethany, che trasportava abitualmente consistenti scorte di viveri nella sua stanza e spesso ci rimaneva, provocando un leggero mutamento nell'espressione da gorilla che Matt aveva assunto col passare del tempo. Cominciavo a provare pena per il mio migliore amico, e l'eventualità che a breve sarei potuto diventare come lui era uno dei motivi principali per cui facevo orecchie da mercante alle domande insidiose di Prudence. Avevo fatto della scommessa un argomento tabù con Matt (non che io e lui parlassimo granché nell'ultimo periodo) perciò si era creato una sorta di limbo nebuloso fra di noi. Lo stesso Parmigianino si era dato alla latitanza: non lo vedevamo da qualche giorno, e questo era piuttosto sospetto.
- Pancakes? - la vocina trillante di Ileen fu un risveglio dolce come una martellata sui denti. Sollevai lo sguardo verso di lei ed annuii, facendomi piccolo piccolo di fronte a quello sguardo inquietante che ormai era diventato uno dei miei incubi peggiori, preceduto solo dal pensiero di dover confessare a Prudence della scommessa.
Rabbrividii impercettibilmente, osservando il dolce scivolare sul candido piattino di porcellana.
Non capivo dove la bionda trovasse tutta quella voglia di cucinare, specialmente alle sei del mattino, con la pioggia che ticchettava incantatrice fuori dalle finestre come una sorta di enorme orologio grigiastro. Sbadigliai sonoramente, portando la manona alla bocca ed infilando il coltello all'interno del barattolo di Nutella per 'condire' il dolce e divorarlo voracemente.
- Buo-buongiorno... - una voce tristemente assonnata distrusse l'armonioso silenzio che si era nuovamente creato nella piccola e asfissiante cucina.
Ciò che accadde dopo mi fece congelare il sangue nelle vene. Letteralmente.
- AUGUUUUUURI TESOOOOOORO! - spalancai le palpebre e, nel voltarmi, vidi Ileen avvolgere con un abbraccio spezza-ossa la povera Prudence, ancora tramortita dal sonno, ed ora dalle urla stridenti della bionda. Auguri? Prudence?Oh, cazzo. Rimasi a bocca aperta per dieci secondi buoni e, quando finalmente la ragazza si riprese dall'assalto della piattola, mi rivolse un gran sorriso.
- Oh, ehm, sì, già... - mi alzai goffamente dalla sedia, rischiando di incespicare nella gamba legnosa del tavolo e di ruzzolare per terra, facendo una ancor più magra figura - A-auguri tesoro mio! - come si poteva ben capire, mi ero completamente dimenticato del suo compleanno. E di conseguenza del regalo che mi ero tanto caldamente raccomandato di acquistare.
Ero nella merda (anche questo non era difficile da intuire) e se non mi fossi inventato qualcosa ci sarei sprofondato ancora di più.
La baciai sconsolato, figurandomi già l'imbarazzante momento in cui avrebbe realizzato che non le avevo comprato niente. L'ipotesi della latitanza insieme a Parmigianino era più appetibile dell'affrontare lo sguardo deluso di Prudence, appena saputo che avevo scordato il giorno del suo compleanno.
18 fottuto Dicembre, mi appuntai mentalmente, stringendo la ragazza in un abbraccio delicato.
- Grazie Will! Come s- OH MA QUELLI SONO PANCAAAAKES! - mi sorpassò senza terminare la frase, gettandosi a capofitto sulla torretta più alta, sormontata da una candelina rosa, certamente acquistata apposta per la ragazza. Mi sentii ancor più idiota nel constatare che Ileen aveva ricordato l'evento ed io (che ero il suo ragazzo) no.
Questo peggiorava di gran lunga la mia posizione, già critica.
- Auguri... - bofonchiò Matt, rivolgendole un mezzo sorrisetto. Bene, perfetto: chi altri?
- CUUUUGIIII, vieni qui brutta Parmigianina rinsecchita! BUON COMPLEANNOOO! - e così via.
Lanciai uno sguardo implorante a Matt che, non comprendendo quell'espressione disperata, mi si avvicinò con circospezione.
- Me ne sono completamente dimenticato. - biascicai, assumendo un'espressione terrorizzata. Quello sospirò, non particolarmente sorpreso dalla mia rivelazione.
- Mai dimenticarsi il compleanno della propria ragazza! - mi ammonì semiserio, scuotendo lentamente il capo in segno di disapprovazione.
- Non sei la persona più adatta a dispensare consigli. Lo sai, vero? -
- Fanculo. - lanciò un'occhiata fugace a Bethany, che intanto stava decimando ogni strato commestibile della sua torretta di pancakes, spalmando su ognuno di essi un consistente strato di Nutella.
- Vuoi deciderti a darle quella cazzo di lettera o gliela devo infilare io sotto la porta della camera? - il fatto che Matt non si fosse ancora dato una mossa mi faceva decisamente saltare i nervi: non avevo mai visto il mio migliore amico tanto titubante ed incerto. E dire che era sempre stato fin troppo sicuro di sé!
- Senti... non è questione di coraggio. E' che comincio a credere che non servirà a molto. - distolse lo sguardo dalla mora con riluttanza, prima che lei potesse accorgersi che la stava guardando.
- No, il problema è che non hai le palle. Se ce le avessi ci tenteresti, punto. -
- E allora perché non dici a Prudence la verità? C'è qualche volontà divina che te lo impedisce? - bang! Colpito e affondato.
- E' il suo compleanno. - replicai, rigido come uno stoccafisso. Odiavo pensare che prima o poi avrei dovuto intraprendere quell'argomento: avevo paura che sarebbe stato un colpo piuttosto duro per lei. Non volevo che si facesse un'idea sbagliata di me, ma non volevo nemmeno che se ne facesse una peggiore venendo a conoscenza di tutta la faccenda da qualcun altro.
- Ora ti fa comodo ricordartene? - rimasi interdetto, una seconda volta. Sapevo che aveva perfettamente ragione, ma non potevo sopportare che fosse lui a farmi la predica.
Non era certo meglio di me: in quella storia eravamo invischiati entrambi allo stesso modo!
- Da quando Bethany ti ha mollato sei diventato ancora più stronzo e insopportabile. - queste parole non scalfirono minimamente la maschera indifferente dell'altro, ma furono sufficienti ad allontanarlo. Mi lasciò in piedi come un idiota, mentre lui si accomodava tranquillamente accanto alla ragazza per ingozzarsi con i dolciumi preparati da Ileen. Con imbarazzo notai di essere l'unico che ancora non si era seduto a mangiare. Pure Chase si era unito all'allegra combriccola, dopo aver (manco a dirlo) fatto i suoi più sentiti auguri a Prudence.
Mossi qualche passo verso l'unica sedia libera, quella accanto a Prudence ovviamente, e cominciai a sfamarmi in religioso silenzio.
I pancakes erano ottimi, ma per me era impossibile gustarli appieno: sentivo il sapore della vergogna appannare fastidiosamente i miei sensi.
 
Rivolgermi a Bethany sembrava l'unica – odiosa - soluzione al mio problema, così attirai la sua attenzione con un cenno disperato, nella speranza che non facesse troppe storie. Scivolai via dal gruppetto festante e le intimai di avvicinarsi velocemente, sperando che comprendesse il mio labiale. Non afferrai il significato del suo ghigno perfido, almeno fin quando non aprì bocca, dopo essersi accostata a me.
- Hai scordato il suo compleanno, non è così? - cominciavo a pensare che questa fosse la punizione divina per il mio eterno temporeggiare. Chiedere aiuto a Bethany era l'ultima cosa che avrei voluto fare, ma era chiaro che non avevo altra scelta: dovevo trovare un regalo adatto, e subito!
- Non è affatto divertente! Che cavolo faccio ora? - mi lamentai, nel panico. Dovevo andare a lezione, e più tardi sarebbe statotroppo tardi per acquistare qualcosa di carino.
In più, non avevo idea di cosa cercare.
- Te lo dico io cosa fai adesso: salti la lezione e vai subito in centro a comprarle un regalo decente. E vai anche a ritirare la torta in pasticceria, dato che ci sei! Io intanto tenterò di salvarti il culo in qualche modo... -
- Ah sì? Come mai vuoi tirarmi fuori dalla merda? - sollevai un sopracciglio, osservando divertito l'espressione di Bethany mutare: assunse un cipiglio infastidito, come se la mia domanda fosse troppo ovvia per meritare una risposta.
- Non lo faccio per te, mi sembra chiaro, ma è il compleanno di Prue e non permetterò che tu glielo rovini: capisci? -
- Ti prometto che non lo farò, ma ho bisogno del tuo aiuto. -
- E se io non volessi aiutarti? -
- Lo farai, perché vuoi che il suo compleanno sia tranquillo. -
- Forse, ma questo non significa che ti dirò cosa comprarle. -
- Stai dicendo che pensi che non sappia cosa comprarle?! - soffiai sdegnato, lanciandomi intorno sguardi imbarazzati: in realtà non ne avevo la più pallida idea.
Ero totalmente impreparato sull'argomento, e non ci voleva un genio ad intuirlo.
- Esattamente. - incrociò le braccia al petto, assumendo un'espressione fastidiosamente scettica.
Non resistetti a lungo sotto quello sguardo, infatti non passarono che pochi secondi. Sospirai.
- Okay, hai ragione: non ho la benché minima idea di cosa cercare. - non fui affatto contento dell'espressione trionfante che scorsi sul volto della ragazza: tramava qualcosa, e avrei giurato che non fosse nulla di buono, non per me.
- Facciamo un patto. - asserì, mantenendo quel fastidioso ghigno.
Sbiancai: avevo paura delle sue idee, perchè solitamente non andavano a mio vantaggio.
- Che genere di patto? -
- Io vengo con te e ti dico cosa comprarle, ma tu devi dirle la verità. E se non lo fai subito lo farò io. - mi sorrise malevola, sfarfallando le ciglia con fare innocente - Che te ne pare? -
- Non oggi. E' il suo compleanno. - era la seconda volta che lo dicevo, a due persone differenti, ed ogni volta non potevo che ripetermi che, intanto, io l'avevo dimenticato.
- Ah, ma guarda! Solo quando ti fa comodo te ne ricordi... - mi pare di aver già sentito questa frase, pensai, e non riuscii a non sorridere nel pensarlo.
A lei non sfuggì, per questo la vidi guardarmi storto.
- Cos'hai da ridere? -
- Matt mi ha detto la stessa cosa mezz'ora fa. - ridacchiai, ma la mia risata si spense presto, non appena incrociai lo sguardo feroce di Bethany. Sembrava pronta a sbranarmi per aver pronunciato quel nome e, nel tentativo di salvarmi dalle sue fauci, ripresi un cipiglio il più possibile serio, sebbene mi venisse ugualmente voglia di ridere.
- Chiariamo una cosa: io ti aiuto e tu non lo nomini, okay? -
- Quando smetterete di far finta di odiarvi, voi due? -
- Io non odio nessuno, tanto meno fingo di farlo. Semplicemente lo ignoro! -
- Cazzate! -
- E' tardi! Non abbiamo tutta la mattinata per trovare qualcosa di dignitoso. Muoviamoci! - tagliò corto, lasciandomi di stucco. Mi grattai il mento, riflettendo sulla sorprendente rapidità con cui Bethany cambiava argomento quando si parlava di Matt e della loro presunta 'love story', o quello che era. Chiaramente lei non ignorava il ragazzo: al contrario, lo considerava talmente tanto che ogni volta che veniva nominato sobbalzava, quasi impercettibilmente; poi grugniva e borbottava qualcosa di incomprensibile.
E Matt era uno stupido se credeva davvero di non aver più speranze.
Sarebbe bastata una lettera, quella lettera.
Poche righe e tutto si sarebbe aggiustato.
 
- Non sei seria! - esaminai inorridito la collana, accessoriata di un agghiacciante ciondolo d’acciaio dalla forma felina, con la coda snodata. Con disgusto constatai che quella cosa si muoveva.
- Sì invece, e conoscendo i gusti strambi di mia cugina sono sicura che le piacerà! Non assomiglia a Parmigianino? -
- Appunto, è per questo che è orrenda. - riposi quello schifo  al proprio posto, allontanandomi da esso come per paura che mi potesse contagiare qualche brutta malattia, per poi volgermi sconsolato in direzione di Bethany. Lei sembrava tranquilla, quasi rilassata, come se la questione non la riguardasse.
Ed effettivamente, se non avessi trovato un regalo decente, il problema sarebbe stato unicamente mio.
- Mi vuoi dare una mano, sì o no? - domandai esasperato, vedendola cazzeggiare allegramente per il negozio. Lei, nel sentire il quesito, si voltò in mia direzione, assumendo un'aria insofferente.
Era chiaro che non gliene fregava niente della mia disperazione. Anzi, pareva quasi soddisfatta.
- E' divertente vederti sclerare, ma mi rendo conto che si sta facendo tardi e  che se continuiamo così rimarremo a mani vuote. Perciò... - si diresse dalla parte opposta del negozietto e, con una rapidità che definii inquietante, estrasse da una lunga fila di ciondoli qualcosa di dorato.
Mi avvicinai curioso, dedicando la mia attenzione al piccolo aggeggino dalla forma ovale.
- Guarda, si apre. - mi fece notare, cliccando una specie di mini pulsantino sul fianco ed aprendolo a metà: dentro non c'era nulla.
- Ma è vuoto! -
- Certo che lo è, zuccone! Devi metterci una foto dentro. Vedi questa fessura qui? -
- Oh, ingegnoso! E... ehm, che foto dovrei metterci? -
- Sei davvero così stupido o ci arrivi da solo? -
- Una… ehm… nostra foto? - azzardai, non particolarmente convinto.
- Bene, vedo che facciamo progressi. - non mi piaceva il suo tono saccente, ma era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, ed io avevo la lama puntata alla gola.
- Ma quand'è che l'hai visto? - la velocità con cui aveva individuato il ciondolo mi aveva fatto pensare che ci fosse già passata prima, e che magari l'avesse già scelta, in un certo senso.
- Uhm, più o meno appena siamo arrivati, ma volevo vedere fino a quanto avresti resistito. Devo dire che te la sei cavata a buon mercato! -
- Tu mi stai dicendo che abbiamo sprecato un'ora per... niente? -
- Naaa, non direi: ho trovato un bel paio di orecchini ed un fermacapelli che potrei mettere stasera! E poi ora sai cosa non devi assolutamente pensare di comprare a Prue. -
- Andiamo va! Devo pure metterci una cavolo di foto nostra, che non so nemmeno se ho. -
- Beh, ma io sì. -
- E quando l'avresti scattata? -
- Segreto! Siete tanto carini in quella foto! -
- Bene... almeno l'hai sviluppata? -
- No. Ma ho la macchina fotografica in borsa: ho messo in conto la possibilità che non avremmo trovato nulla e che avrebbe potuto servirci. -
- Sei previdente... -
- Conosco i miei polli. -
- Cioè me? -
- Esatto. Ora andiamo! Hai idea di dove possiamo stamparla? -
- Sì, ne ho una vaga idea, ma dobbiamo camminare un po' per arrivarci. - e dire che avrei potuto sistemare il problema molto prima, se solo me ne fossi ricordato in tempo!
- Bene allora! Andiamo. - pagai e ce ne andammo dal negozio di fretta, insieme al nostro (che doveva essere solo mio, in teoria) acquisto, nella speranza che Prudence lo apprezzasse, e che non comprendesse che mi ero scordato del suo compleanno. Intanto pregavo Parmigianino e tutti i santi che tutto andasse come speravo.
 

(Pov. Nick)

Martha era strana, più del solito. La osservai torcersi nervosamente le mani, prima di afferrare la tazza di caffè e portarla alle labbra esangui. Sembrava preoccupata per qualcosa, ed ogni volta che sollevavo lo sguardo verso di lei la vedevo distogliere il suo. Avevo paura, perché non conoscevo quell'atteggiamento. Da quasi due mesi si comportava come se la mia esistenza le fosse sconosciuta, come se non fossi il suo fidanzato, e gradualmente avevo cominciato ad insospettirmi. A volte quella ragazza sapeva essere più enigmatica di una sfinge, eppure ero certo che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che riguardava lei... o noi, in generale. Avevo ipotizzato che avesse qualcosa da dirmi, e che questo qualcosa non mi sarebbe piaciuto.
- C'è qualcosa che non va? - le domandai chiaramente, dopo svariati minuti di silenzio. Lei non si azzardò a guardarmi, ma vidi uno strano bagliore risplendere nelle sue iridi.
- Sì. - drizzò la schiena, avvicinando titubante la sedia al tavolino. La vidi deglutire. Continuava a tormentarsi le mani, come se stesse cercando in tutti i modi di non pensare a ciò che stava per fare - Ci sono delle cose che non sai e che è il caso che tu sappia, prima che io... - le costava molto affrontare questo discorso, ed io cominciai a pensare al peggio senza concedermi l’egoistico privilegio del dubbio.
- Vuoi rompere con me? - il mio tono rimase distaccato per mantenere quel minimo di orgoglio che mi rimaneva ancora in corpo.
Non volevo pensare che fosse davvero così, e per quei pochi istanti in cui lei tacque sperai, davvero ardentemente, che mi stessi sbagliando.
Ma la sua espressione, le sue parole, il modo in cui le pronunciò e quell'aria fredda che ci separava come una fitta nebbia confermava soltanto ciò che avevo temuto fosse vero.
- Ci ho pensato per tanto tempo Nick. Mi dispiace che ti possa sembrare tutto così assurdo, ma adesso lasciami spiegare le mie ragioni. E' meglio che lo faccia io, prima che tu lo scopra da solo. -
- Va bene. - ero lucido, estremamente lucido, ma accettare di ascoltare ancora la sua voce,  sapendo che non sarebbe stata più quella della mia Martha, era una decisione logorante. Mi chiesi come avrei fatto a rimanere lì seduto come un cretino senza dare di matto per più di tre secondi, cosciente del fatto che in ogni caso dopo quella conversazione sarei rimasto solo.
Avrei potuto alzarmi, allontanarmi e prendere a calci il primo oggetto presente sul mio cammino, ma la mia indole andava contro tutto questo. Razionale, sempre e comunque, qualunque cosa accada, anche a costo di passare per l'insensibile di turno. Sì, come no: avrei voluto esserlo davvero, senza sentimenti.
Ma non lo ero, e tutto questo mi stava distruggendo inevitabilmente.
- C'è un motivo per cui io non ho voluto dire niente a Brian per così tanto tempo. - allontanò lentamente la tazzina di caffè vuota, prima di continuare - Il problema è che non sono stata affatto sincera con te. Sono una stronza doppiogiochista, e mi dispiace che tu sia quello che ne paga le conseguenze. - cercava di guadagnare tempo, ma il mio sguardo (fisso su di lei) le metteva fretta, perché volevo sapere e lei lo percepiva chiaramente.
- E' per lui che mi stai lasciando, vero? - prima che potesse riprendere a parlare la interruppi, colpito istantaneamente da un forte sospetto - Lo ami ancora. - strinsi le mani a pugno sul tavolino, senza preoccuparmi di nascondere la mia ira. Ero frustrato, più che arrabbiato, perché neanche dopo tutto quel tempo ero riuscito a farmi apprezzare più di lui.
L'eterna competizione vedeva ancora una volta lui come vincitore, e me come vinto.
- Non ti sto lasciando per lui. -
- Non c'è bisogno che tu mi dica altre cazzate. Mi hai mentito abbastanza per tutto questo tempo. -
- Appunto, ti sto dicendo la verità Nick. Non nego che Brian mi stia ancora a cuore, ma... - la vidi esitare, come se lei stessa non sapesse cosa dire.
- Ma lo ami. -
- Questo non risolve il problema! Non ha mai risolto granché l’amore, lo sai meglio di me. -
- Io invece credo di sì: adesso stai mollando me per stare con lui. E' chiaro. Prima un fratello poi l'altro. -
- Nick, piantala. Ascolta quello che... -
- Cosa devo sapere ancora? Più tardi sarai finalmente con lui. Non aspettavi altro, e nel mentre ti sei accontentata di me. Fine. -
- Ecco, è qui che ti sbagli. Mi sono presa del tempo per pensare, e ho capito che voglio ancora rifletterci su, prima di decidere davvero cosa fare. -
- Balle. - non capivo perché si ostinasse a mentire. Continuava a non parlare chiaro, ed io a non voler credere a ciò che sentivo uscire dalle sue labbra.
- Hai intenzione di farmi finire oppure continuerai ad interrompermi? - tacqui, in modo che ottenesse l'agognato silenzio e parlasse, nonostante non avessi più voglia di sentire la sua voce. - Ho fatto le valigie. Me ne vado. -
La osservai stralunato, domandandomi cosa avesse in mente di fare. Voleva fuggire, okay, questo era evidente. E la notizia avrebbe dovuto lasciarmi del tutto indifferente.
Invece quella sensazione di malessere diffuso che provavo cominciò ad appesantirsi gradualmente, divenendo rapidamente insostenibile.
Se ne andava. Dove? Perché? Con chi? Perché non con me?
- Molli l'università?! E che fai dopo? Rimani lì? -
- Continuerò a Milano. Mio padre ha molte conoscenze là, il rettore è un suo vecchio collega. Potrò continuare senza problemi. -
- E Brian? -
- Brian... credo che se ne farà una ragione. Ce la faremo tutti. -
- Che vuoi dire? - nonostante digrignassi i denti al solo pensiero che lei avesse scelto senza indugio mio fratello, ribollendo di rabbia e gelosia, avevo bisogno di capire che ne sarebbe stato di me quando quei due avrebbero sfilato davanti ai miei occhi mano nella mano. Perché era chiaro che sarebbe andata così. Brian non aveva mai avuto occhi che per lei, checchè ne dicesse lui.
- Partite entrambi dal presupposto che sia lui a dover perdonare me, ma la realtà è che sono io a dover perdonare lui. E ho bisogno di pensare se sia giusto farlo o meno. Non m'importa per quanto tempo starò dai miei, ma non posso riflettere qui. -
- Sei sempre stata una tipa strana Martha, per questo sono sempre stato attratto da te. Ma ora capisco che sei come tutte le altre donne: la tua stranezza consiste soltanto nel piacere che provi nel complicarti la vita. -
Il suo silenzio non fu che una conferma delle mie parole. Non indugiò oltre su quella scomoda sedia di legno: lasciò cadere i due euro del caffè sul tavolino e afferrò sbrigativa borsa e sciarpa, avvolgendosela al collo con un'espressività pari ad una zuccheriera.
- Vai a dare la lieta notizia al tuo amore? - l'ironia pungente era solo una delle poche difese di cui disponevo: l'alternativa era la pazzia, o il disprezzo, o la disperazione. O tutte e tre insieme.
- In ogni caso non è più affar tuo. Mi dispiace Nick, ci rivedremo presto, forse. -
- Non credevo che la tua partenza fosse così immediata. -
- Infatti non lo è. Prendo l'ultimo treno del pomeriggio. Credo di non dovere delle spiegazioni solo a te. -
- Beh, buona fortuna allora. Spero che la tua fuga serva a qualcosa. - ignorò anche quest'ultimo, disperato, soffio di veleno. S'infilò il cappotto e mi guardò un'ultima volta, grigia e malinconica come il cielo fuori da quel bar, che lentamente sfumava in un accenno di temporale.
- A presto Nick. Stammi bene. - se ne andò come un breve ma raggelante alito di vento, portando con sé quella goccia di felicità che col tempo avevo conservato dentro e che speravo crescesse a dismisura, fino a inondarmi il petto. La speranza... quella era marcita istantaneamente, lei e quel sentimento d'affetto e d'ammirazione che provavo per quella ragazza dai capelli rossi che Brian aveva rifiutato come un regalo sgradito. E dire che io quel pacchettino mutilato e grossolano l'avrei accettato volentieri. Magari l'avrei scartato e tenuto al petto per tutta la vita, cullandolo fra le braccia e proteggendolo da qualsiasi male. Ma ora di quel dono mi rimanevano esclusivamente dei frammenti macilenti, irreali, ologrammi sfocati.
Credevo di averla persa per sempre, ma ancora non avevo realizzato che in un certo senso non era mai stata mia.
 

(Pov. Chase)

Il cielo rispecchiava esattamente il mio attuale stato d'animo. Era in arrivo un temporale coi fiocchi e ormai il mio compito giornaliero alla facoltà si era concluso con dolore.
Stremato dal pre-esame al quale ero appena sfuggito, non mi aspettavo un ennesimo colpo basso come quello che subii appena uscito dall'aula.
Mille sanguisughe cominciarono a succhiarmi qualsiasi forma di energia che mi era avanzata, compresa quella che avrei dovuto consumare per allontanarmi da quel luogo nefasto.
Avrei almeno potuto distogliere lo sguardo da quella lugubre scena, ma qualcosa aveva smesso di funzionare all'interno del mio patetico cervellino.
Risate e sorrisini giunsero ai miei organi di senso. Pugnalate e proiettili dritti al cuore, eterno bersaglio. Sangue sgorgante da ferite parzialmente rimarginate dal tempo, e tanta, tanta pena. Per me, incapace di riprendermi ciò che sentivo mi appartenesse ancora; per lei, bugiarda e bastarda come non era mai stata prima d'allora.
Respirai profondamente e voltai le spalle a quella visione (e al mio cuore dissanguato), ma feci solo pochi passi tremolanti.
- Che dici... ti va' di prenderci un caffè domani mattina, magari prima di venire in facoltà? -
- Uhm, non saprei. - la voce candida e serafica di Ileen non appariva un diniego sufficientemente chiaro all'invito di un ragazzo troppo insistente. Era troppo sottile ed angelica per potersi davvero abbassare ad un 'no' deciso, ma io sapevo che dietro quel travestimento da bella addormentata si nascondeva l'anima di un'amazzone. Tuttavia quel tipo non poteva capire con chi stava interagendo.
E di certo non era minimamente all'altezza di farlo, o di tentarci tanto spudoratamente.
Andarmene era fuori discussione, ma anche stare lì impalato come uno stupido pilastro di cemento non era il massimo. Ed il sorrisetto di Ileen era una chiara richiesta di aiuto.
Richiesta che io accolsi con rabbiosa fermezza. Chi si credeva di essere quel tipo per poter anche solo pensare di soffiarmi la ragazza?
Mi vergognai per quei pochi attimi di smarrimento che mi avevano portato a chinare il capo con rassegnazione e muovere quei pochi passi in direzione dell'ingresso, e per espiare le mie colpe feci dietro front con la tracolla issata sulla spalla, più deciso e incazzato che mai.
- Mi sembrava di essere stato chiaro. - interruppi il tono insistente del ragazzo dai capelli scuri, spingendolo via dalla mia dama - Sparisci, prima che le suoni anche a te! -
- Che? - quel tipaccio assunse un'espressione tipicamente sorpresa, di chi non capisce bene che diavolo stia succedendo - Io stavo solo... -
- Adescando la mia ragazza, lo so. Ora, così come sei arrivato, vattene. - non se lo fece ripetere due volte. Mi stupii che non mi avesse anche chiesto scusa per evitare di assaggiare le mie botte: come un coniglio impaurito scomparve dietro l'angolo; mi parve di scorgere anche un accenno di coda sparire fra le sue gambe mentre fuggiva, ma non me ne curai affatto.
- Non mi stava violentando. Mi ha semplicemente chiesto di uscire. - obiettò la ragazza, guardandomi in tralice.
- Appunto. Nessuno chiede di uscire alla mia ragazza. -
- Si da’ il caso che io non lo sia più da tempo. -
- Sì che lo sei. Non hai mai smesso di esserlo, ma sei troppo stupida per ammetterlo. -
- Ah,  io sarei quella stupida? Devo ricordarti che ti sei finto gay per mesi indossando degli stupidi... perizomi pelosi?! Cristo, non dimenticherò mai quell’orrore! -
- Ripetilo. -
- Eh? -
- Ripeti 'perizomi pelosi'. - mi guardò come se mi fossi improvvisamente rincitrullito. Magari non aveva tutti i torti, ma se il mio cervello era andato in trip era accaduto molto tempo prima.
- Tu non stai bene. -
- Dai, dillo! -
- Ma perché dovrei… – alzò gli occhi al cielo con fare imperioso, soffiando boriosa per la mia insolita richiesta – E va bene! Perizomi pelosi! Conten... - magari non era il posto più adatto per mettersi a pomiciare, ma (come già precisato in precedenza) morivo da secoli dalla voglia di baciarla, e quel desiderio represso non aveva fatto altro che ingrossarsi come un palloncino, per poi scoppiare nel momento meno opportuno e nel modo più fragoroso.  In tal caso, questo.
Inglobai il calore delle sue labbra nelle mie, con il preciso intento di non lasciarlo più andar via. Il soffio caldo del suo respiro manteneva accesa la fiamma della speranza, e fintantoché mi accarezzava il viso nemmeno il freddo pungente poteva toccarmi. Ero immune da qualsiasi cosa quand'era fra le mie mani.
Immune da tutto ciò che non fosse lei e solo lei.
Ma sapevo che non sarebbe bastato a cancellare mesi interi di pianti soffocati fra cuscini candidi e urla represse. Non sarebbe bastato ma sarebbe potuto essere un nuovo inizio, se solo Ileen avesse compreso almeno un minimo della pena che provavo per me stesso e per il mio stupido comportamento.
- Scusa, scusa, scusa… - sussurrai sulle sue labbra, nella speranza che quei soffi bollenti la allontanassero dalle sue decisioni drastiche – Sai di non poter smettere di amarmi da un giorno all’altro. Un’altra possibilità, che ti costa? – continuavo a lamentarmi, senza riuscire a staccarmi da lei, senza darle il tempo di rispondere o respirare o semplicemente senza darle motivo di allontanarmi. Cominciavo a percepire qualche crepa farsi strada in quella maschera imperturbabile di orgoglio e virtù, in quel viso di porcellana che a causa mia troppo spesso si era macchiato di lacrime amare e logoranti. Avevo deturpato quella bellezza con i miei capricci, ed ora dovevo rimediare, mostrarle che potevo ancora valerne la pena.
- Dirò ai miei la verità, gli spiegherò che sono una testa di cazzo e che non merito neanche un tuo capello. Ma tu perdonami, perché anche se ho fatto il coglione io ti amo, capito? –
- Sì Chase, ho capito, ma non respiro! – biascicò e si allontanò per riprendere a immettere aria nei polmoni come Dio comanda – Ora parliamo da persone civili da qualche altra parte, possibilmente dove nessuno si metta ad osservarci, okay? – la sua irritazione era decisamente poco credibile, e non potei che notarlo da quel mezzo sorrisetto fugace che scorsi sulle sue labbra una frazione di secondo prima che si voltasse e che si dirigesse fuori dalla facoltà. La seguii, assicurandomi di non allontanarmi troppo dal suo fianco magro, consapevole di aver superato un ostacolo ingombrante e di essermi aperto per la seconda volta un varco nel suo cuore puro.
 

(Pov. Matt)

- Che cazzo significa? – la porta cigolò in maniera inquietante alle spalle della ragazza, piombata come una furia nella stanza caotica. Brandiva come un’arma un foglio candido che riconobbi essere la mia ‘lettera’, o meglio, il mio ultimo (disperato) tentativo di riconciliazione. Nelle sue mani sembrava soltanto uno stupido pezzo di carta, e invece era la rappresentazione materiale della mia speranza. Restai zitto e immobile, seduto sullo sgabello traballante, con le mani ancora impegnate a stringere le bacchette di legno della batteria.
- Ti ho chiesto… -
- Sì, ho sentito, grazie. Hai qualcosa da dire? Mi pare che il significato sia già abbastanza chiaro. – ero stanco di litigare, di sbattermi per cercare le parole giuste e sentirmi comunque rispondere con odio. Mi sentivo colpevole di aver calpestato la dolcezza dei suoi occhi marroni con le mie stronzate. Sapevo di non avere il diritto di essere felice, dopo aver distrutto la sua allegria. Sapevo che non era il momento più adatto, che avrei dovuto attendere, che mi sarei soltanto comportato da egoista. Ma ora eccola qua, con la lettera stretta fra le dita, davanti a me, davanti alle mie parole scarabocchiate, davanti alle frequenti cancellature, davanti al mio cuore. Aperto, dinanzi ai suoi occhi.
- Mi piacerebbe che tu la smettessi di provare a salvare un rapporto che non può essere aggiustato! –
- Non ho fatto niente. Ti ho solo ricordato quello che già sapevi. – non mi diedi neanche la pena di alzarmi. Ero rassegnato, stupidamente stabile su un piedistallo di bugie. Davo l’impressione errata, come sempre.
Forse ero semplicemente io ad esserlo, sbagliato.
Lo sguardo rimase vacuo, insensibile, senza colore. Non mi attendevo altro che urla e cattiveria dalle sue labbra. Non più baci e sorrisi. Solo indifferenza, gelide manifestazioni di delusione.
Avrei amato anche il suo veleno, perché sarebbe stato comunque suo.
- Certo, come no! Non ce la fai proprio a lasciarmi stare? Ti ho forse fatto del male per meritarmi tutto questo?! Dimmelo, perché credo di non aver ancora capito cosa vuoi da me. -
- Mi pare di aver già scritto tutto su quel foglio. Ho detto tutto ciò che c’era da dire. Ora sei tu a dovermi dare una risposta, ma visto che so già quale sarà puoi anche fare a pezzi quella stupida lettera. –
- Se sapevi già come avrei reagito perché l’hai scritta allora? –
- Se credi che il nostro rapporto non possa tornare come prima allora perché te la prendi tanto? –
- Adesso rispondi con altre domande? Beh, allora sappi che sono stufa di tutta questa pagliacciata Matt, ecco perché me la prendo. Voglio dimenticare il disgusto che provo per te e per il tuo amichetto e provare a ricordare invece il motivo per cui sono qui, e cioè studiare ed ottenere una laurea, costruirmi un futuro… ma sai anche tu quanto sia difficile, perché purtroppo continuo a pensare che vorrei avere un motivo valido per perdonarti, anche se sarebbe controproducente e non avrebbe senso, visto che il nostro rapporto si basa su una bugia. Credi che le tue parole mi lascino indifferente? Bene, non lo fanno! E vorrei davvero che la smettessi di logorare il mio sistema nervoso. – accartocciò la lettera con fare nervoso, scagliandola dalla parte opposta della camera. Era collerica, e gli occhi si posavano febbrili su tutto ciò che non ero io. Finalmente mi decisi a fare qualcosa, anche se continuavo a nutrire ben poche speranze di riuscita. Mi alzai dallo sgabello ed avanzai verso di lei con decisione.
- Ho detto tutto quello che dovevo… - disse, approssimandosi alla porta. Bethany aveva compreso le mie intenzioni, prima che io stesso le capissi. Aveva deciso di scansarsi senza mettere in conto la mia forza fisica in rapporto alla sua.
- Beth, per favore. – l’afferrai per le spalle e la scrutai, la guardai negli occhi con un’insistenza sofferente, per la prima volta dopo tutto quel tempo. Volevo vedere se ancora vacillava di fronte all’azzurro delle mie iridi.
E lo fece. Tremò, ed io mi sentii nuovamente pieno di fiducia, forse troppo ottimisticamente.
- Quante volte ti avrò detto di non chiamarmi con quello stupido nomignolo… - gridò, ed io la vidi provare vergogna per sé stessa, per quella forza insita in lei a cui ormai non poteva più fare affidamento.
Non se si trattava di me.
- E non sono mai servite. –
- Perciò a cosa credi che servirà rimettere tutto a posto? – combatteva aspramente contro un demone che le ripeteva quanto fosse sbagliato lasciarsi accarezzare la schiena, momentaneamente innocua e delicata come un soffio di vento primaverile. Fragile e mia com’ero convinto che non l’avrei più vista.
- A cosa serve non farlo allora? –
- E’ una questione di principio, Matt. Certo, per te è facile. In fondo non sono stata io a fare una scommessa tanto stupida con Prudence! Sono stata la vostra merce, la vostra vincita! Manco fossi un oggetto, un giocattolo! Mi avete umiliata, e indirettamente avete fatto lo stesso con mia cugina… spiegami cosa mi dovrebbe spingere a perdonarti! Dio, se solo penso che lei ancora non sa un cazzo di tutta questa storia! – continuò a vociare, cercando nuovamente di respingermi. Ora che avevo visto lo stesso bagliore ardente splendere nel suo sguardo nulla più mi avrebbe fermato.
Avrei lottato. Avevo riconquistato lo stesso vigore con cui l’avevo condotta ad amarmi.
Percepii un lieve movimento dietro la porta socchiusa, ma ero troppo occupato a tenere stretta la ragazza per farci caso. E Bethany urlava troppo forte per avvedersene.
Non avrei mai immaginato che quella distrazione avrebbe potuto costare tanto caro.
- Sì, sono stato uno stronzo, e anche Will lo è stato (anche più di quanto lo sia stato io), ma credo che ci sia una differenza di fondo che tu non hai colto tra essere un idiota qualsiasi ed essere un idiota che ti ama alla follia. Il problema è proprio il fatto che non sono un coglione qualunque. Sono la specie più patetica che possa esistere a questo mondo. E ti amo, ti amo da morire. Perciò non ti chiedo di scusare un essere insulso ed imbecille, ma di perdonarlo, perché non è un idiota qualunque. Perdonami non perché sono uno stronzo che si è ravveduto… fallo perché sono quello stronzo, quello che farebbe (e ha fatto) di tutto per te, indipendentemente dal risultato. Beth, so che ami quel coglione, anche se preferiresti tagliarti una gamba piuttosto che ammetterlo, dopo quello che ti ha fatto… perciò dagli una seconda possibilità. Glielo devi. Me lo devi. – un lampo illuminò la stanza semibuia, ed il temporale al di là del vetro appannato della finestra cominciò a peggiorare progressivamente. La pioggia faceva da sottofondo al silenzio di Bethany, che intanto cercava di non lasciar trasparire dal viso, distorto dal risentimento, la propria confusione, il proprio spavento di fronte alle parole accorate di Matt, la consapevolezza che lo amava eccome e che moriva dalla voglia di confermarglielo, a discapito di quanto credesse lui.
- Ti ricordi la prima volta che ci siamo parlati? Parlati davvero? – insistetti, ricordando improvvisamente le preoccupazioni e l’insonnia di quella notte. Nulla avrebbe lasciato presagire un simile epilogo. Nulla, tranne la vaga sensazione che mi sarei portato sotto le lenzuola lo sguardo vacuo di Bethany. Sotto le lenzuola, per molte notti, senza tregua – Volevi sapere per quale motivo non ero stato in grado di scrivere, quella notte in particolare. Beh, il fatto è che non è importante il perché non l’ho fatto. Non lo è mai stato. È ciò che è accaduto dopo, tutte le parole che ho scritto subito dopo averti guardata, dopo averti parlato, dopo averti vista morire dentro. È questo il punto Bethany, il fulcro di tutto: se quella sera non ho potuto completare la canzone perché non riuscivo a concentrarmi sul senso di ciò che stavo scrivendo, è bastato conoscerti per risvegliare tutte le risposte, ritrovare ciò che avevo smarrito. Magari non ho mantenuto la promessa che ti avevo fatto, ma ne ho mantenuta un’altra, quella che non mi hai chiesto di farti. La più importante. – la pioggia colpiva insistentemente il vetro gelido della finestra, eppure non sentivo altro che il suono delle parole e ancor più quello dei silenzi. Le urla si erano trasformate in riflessioni mute, gli sguardi in pensieri senza voce, le mani in ancore, ormeggi delle insicurezze.
- Non sono così orgogliosa come mi vuoi far sembrare tu. Non mi taglierei mai una gamba piuttosto di ammettere di amarti. Al massimo un dito. - sorrise, e fu il momento migliore della giornata e dell’intera settimana. Avrei voluto che lo fosse stato anche per tutti gli altri.
- Quindi perdoni quello stronzo che ti ama? – il suo sorriso s’incrinò, ed io avrei davvero voluto raddrizzarlo se solo me l’avesse permesso. Vidi troppo orgoglio e troppa indecisione, eppure non mi sarei arreso, non ora che la fiamma della speranza ardeva alta, consumando tutte le mie energie, senza sosta.
- E’ complicato, Matt. –
- Possiamo rendere tutto molto più semplice. – deglutii, nervoso. Respiravo a fatica, tanto pulsava rapidamente il sangue nelle vene. Mi sentivo a malapena su questa terra. Teso, una corda di violino che strideva dolcemente. Vibravo, in silenzio. Lei mi suonava con le parole che ancora non aveva pronunciato.
- Se ti perdonassi, adesso, tradirei me stessa. Sarei la più grande stupida del mondo. –
- Saremo stupidi allora. Possiamo esserlo insieme. Possiamo essere tutto quello che vuoi, ma… ti prego… – davo cenni di cedimento. Muri che crollano. Difese che si disintegrano. Ero a pezzi, e non vedevo l’ora che lei mi riassemblasse, o che mi distruggesse definitivamente – Siamo stati lontani troppo a lungo. Non credo di poterlo sopportare ancora. – Bethany chiuse gli occhi, li strinse forte, frenando quello che assomigliava ad un pianto. Avevo paura del significato di quelle lacrime, perciò tentai di estinguerle, baciandole gli occhi con quelle labbra che avrebbero tanto voluto esplorare ogni centimetro di lei per saperla a memoria, per trovare la direzione della felicità attraverso i suoi nei. Non oppose resistenza, ma percepivo che non si trattava di debolezza: era la forza con cui respingeva ogni dubbio, ogni traccia di risentimento, per lasciare spazio all’affetto e ad una forma imperfetta di perdono. Una seconda possibilità, nascosta dietro un silenzio umido.
Dopo quella che fu un’eternità, composta da qualche battito accelerato, la sua voce segnò il verdetto.
- Dovrai dimostrarmelo. – sussurrò, senza osare guardarmi. Disegnò un bacio sulle mie labbra, poi si allontanò con gli occhi pieni di lacrime e di un qualcosa che somigliava all’allegria che non voleva mostrare.
Non ebbi tempo di rispondere che era già piombata fuori dalla stanza, probabilmente per finire di preparare la cena di compleanno di Prudence. Io mi buttai sul letto, ancora tremante e incredulo, cominciando a interrogarmi su quale Santo dovessi ringraziare per questo miracolo.
 

(Pov. Martha)

- Me ne vado. – finii di sistemare un paio di jeans ed una felpa in valigia, prima di chiuderla con un gesto secco e metterla in piedi sul pavimento. Apparivo risoluta e convinta della mia decisione, ma mi tremavano le mani come mai prima d’allora. Brian credeva fosse tutto uno scherzo: la mia freddezza, la violenza delle mie parole, il distacco che m’imponevo di mantenere, i miei occhi lucidi ma rigorosamente asciutti di fronte a quello che si preannunciava essere un addio. Stava immobile davanti alla finestra aperta, dalla quale entrava un gelo che rendeva il tutto ancor più penoso.
- Credevo che le cose fra di noi si fossero sistemate. – manteneva le braccia incrociate al petto, ed il viso mostrava un’incredulità che difficilmente il mio viso sarebbe riuscito ad esprimere. Sembrava convinto che il mio desiderio di andarmene fosse solo un capriccio passeggero, che sarei tornata il giorno dopo e che ci saremo rivisti tra meno di ventiquattro ore al bar. Credeva che avrei sopportato ancora di vedere i suoi occhi grigi fare da sfondo alla mia confusione, ingigantendola ulteriormente. Sembrava non capire che ogni respiro in quell’abitazione mi avrebbe fatto male, finché il senso di colpa ed il dubbio non si fossero attenuati.
- Era quello che credevo anche io. Ma ho bisogno di riflettere, e non posso farlo qui. –
- E per farlo hai bisogno di stare via per non sai nemmeno te quanto tempo? –
- Starò a Milano, dai miei. E ci starò quanto basta per convincermi di aver fatto la scelta giusta. – come al solito, mi rifiutai di guardarlo in faccia. Sapevo già cos’avrei trovato sul suo viso.
- Cosa vuol dire? – esclamò, avvicinandosi a me con aria minacciosa – Credevo di essere io la tua scelta. –
Non potei che sorridere sprezzante, a quelle parole.
- Lo sei, sei sempre stato tu. Ma mi domando se tu mi consideri come tale. – era evidente che Brian non comprendeva affatto il senso delle mie parole. Forse credeva fosse solo il frutto delle mie paranoie, e non di mesi interi di riflessione.
- Spiegati meglio. – vedevo la sua sicurezza scemare ad ogni sillaba pronunciata, le sue paure farsi sempre più evidenti, fino ad oscurare il sarcasmo con cui aveva reagito alla notizia che me ne sarei andata.
- Mi domando se tu ami me o quella ragazza che ti scopavi ogni tanto nei camerini del locale. Credo che tu ancora non abbia chiara la differenza. Me ne vado per darti il tempo necessario per rifletterci su. – afferrai la valigia e la tirai su con un gesto brusco, intenzionata ad evitare lo sguardo di Brian il più a lungo possibile. Ero sicura che a quelle parole avrebbe reagito male. Lo conoscevo tanto bene da sapere che non gli sarebbero bastati tre mesi per capire che non lo stavo lasciando, ma che gli stavo semplicemente dando la possibilità di evitare di ferirmi ancora, e quindi perdermi per sempre. Sapevo che mentre gli dicevo queste parole in lui montava una collera che sarebbe passata difficilmente, e che non capiva il succo del mio discorso – Mi dispiace. – mormorai, del tutto convinta che fosse ora di andare, nonostante il treno fosse fra più di tre quarti d’ora. Mossi qualche passo in avanti, diretta verso il corridoio, ma qualcosa mi costrinse ad arrestare il passo. Nick, immobile davanti alla porta, fissava Brian con uno sguardo che rasentava l’odio. Il silenzio che seguì la sua comparsa fu ancor più triste del nostro precedente incontro, e quello fu il momento che più di tutti confermò la saggezza della mia decisione.
- Io devo andare… - non sapevo cosa dire perciò, dopo aver aggirato l’ostacolo, me ne andai.
Anzi, la mia fu una fuga vera e propria. Una delle tante.
Li guardai entrambi un’ultima volta, cercando di non pensare a come sarebbe finita fra di loro, poi mi trascinai la valigia dietro, scivolando via insieme ad una valanga di lacrime e rimpianti.
 

(Pov. Prudence)

Dicevo che Luca e Will si somigliavano, qualche secolo fa. Affermavo anche che Will non m’interessava affatto come ragazzo. Volevo convincermi che ciò che sentivo nei suoi confronti fosse solo antipatia e non qualcosa di più complesso come l’attrazione. Negavo fino alla morte, fin quando le sue braccia non mi strappavano via la verità come pinze roventi, fin quando le mie risposte acide non si trasformavano in baci, e poi in sesso, e poi in amore. Ora mi rendevo conto che mi ero innamorata di un altro idiota, esattamente come Luca. Tutto si fondava su una bugia, su una stupidissima scommessa. E Bethany sapeva, sapeva tutto. Ora tutto era più chiaro: il brusco distacco fra Matt e Beth, il disprezzo comune per Chase, l’indifferenza zuccherosa di Ileen e le occhiatacce ammonitrici di Will. Era forse questo il mio regalo di compleanno?
Qualcuno bussò alla porta e provò ad abbassare la maniglia, ma era chiusa a chiave: volevo evitare che mi vedessero piangere. E inoltre non volevo vedere nessuno di loro. La verità era stata una pallottola che avevano scagliato insieme contro il mio petto, ed io avrei fatto di tutto per nascondere le ferite che mi avevano inferto. Sentire quelle parole dalla camera di Matt e non dalla bocca dell’uomo che amavo era stato più di quanto potessi sopportare. Come un fantasma, nessuno si era accorto di me, della mia presenza là dietro, di quanto la loro voce fosse forte.
Capivo Bethany, ma non la giustificavo: anche se sapevo che aveva taciuto per proteggermi, non riuscivo a non vedere la faccenda come un tradimento da parte sua.
- Prue, aprimi! – esclamò Will, immobile dietro la porta chiusa, evidentemente incurante del mio stato d’animo. Non fiatai, con le lacrime che ancora volavano lungo il viso. Mi nascosi il viso tra le mani, mentre il mio corpo veniva scosso da singhiozzi incontrollati, segno di cedimento immediato.
- Vattene! – fu la mia risposta accorata, in seguito a quella richiesta. Dietro la porta Will sospirò. Bussò nuovamente, questa volta più forte nella speranza di essere più convincente.
- Non ti voglio vedere… vattene! – insistetti, alzando di proposito il tono di voce.
Volevo ucciderlo, afferrare il cuscino e soffocarlo, così da non sentire più quella sua fastidiosa voce invocare il mio nome, invocare un perdono che non volevo concedergli. Tacque per un po’, forse il tanto giusto per comprendere che ero a conoscenza di tutto quanto e che no, non l’avevo affatto presa bene.
- Non credi che sia il caso di aprirmi per parlarne? – immaginai la sua espressione stanca, dietro il pannello di legno che ci separava e mi sentii, se possibile, ancora peggio. Era come se avessi una grossa pallina da tennis incastrata in gola.
- Ti odio e non voglio parlarti mai più! Ma non preoccuparti, odio anche il tuo stupido amico depresso e quella sottospecie di checca bionda. – soffiai, piagnucolando. Avrei voluto aprire la porta solo per mollargli un destro in pieno viso: riempirmi le mani del suo sangue sarebbe stata una vendetta soddisfacente.
Ma sapevo che poi mi sarei sentita ugualmente in colpa.
- Dai… aprimi… -
- Vat-te-ne! –
- Giuro che se non apri sfondo la porta! –
- Fai quel che ti pare, non ho nessuna intenzione di aprirti. – strinsi il cuscino fra le braccia, decisa a non cedere alle sue provocazioni. In fondo era un mio sacrosanto diritto quello di starmene per gli affari miei, specialmente dopo aver saputo della scommessa.
- Ok, sfondo. -  e cercò di sfondarla davvero quella fottuta porta. Rimase più di un quarto d’ora armeggiando con la serratura, fin quando non persi totalmente la pazienza. Con uno scatto lanciai il cuscino sul letto di Bethany e aprii finalmente, ritrovandomi davanti un Will paonazzo e decisamente infuriato.
- Ci voleva tanto ad aprire quella cazzo di porta?! – per tutta risposta lo spintonai, stringendo le labbra in un’espressione omicida.
- Ci voleva tanto a parlarmi di quella cazzo di scommessa?! Parmigianino ti ha per caso mangiato la lingua durante questi mesi? – ero uno spettacolo orribile: occhi arrossati e guance umidicce facevano a pugni con un cipiglio assolutamente incazzoso. Will sembrava furioso quanto me, anche se mi domandavo che diritto avesse lui di esserlo.
- Non ha nessuna importanza, e mi domando per quale motivo tu e Bethany gliene stiate dando così tanta! E’ stata una cosa stupida, non ha niente a che vedere con ciò che provo adesso! –
- Dev’essere una caratteristica tutta maschile, quella di non capire. – non avevo le forze per affrontarlo a viso aperto: mi sentivo ferita, usata, nuovamente in balia della stupidità di un uomo che consideravo diverso. Ancora una volta mi diedi della stupida per aver creduto alle sue parole, tanto belle quanto irreali – Ma in questo caso sono io la stupida. L’unica a non aver capito che tutto era fondato su una scommessa fra imbecilli! – avrei dovuto dare ascolto alla Bethany cazzuta che era in me e punire Will con la mia indifferenza. Il problema stava nel fatto che quella parte di me si era auto distrutta circa mezzo secondo dopo essersi manifestata, col risultato che non avevo la forza di comportarmi così. Né in qualsiasi altro modo.
Mi trovavo totalmente indifesa nei miei jeans scuri e nel mio maglione con le renne. Dovevo andarmene. Dovevo recuperare il mio orgoglio, la mia dignità. E avrei potuto farlo, ma senza i suoi occhi a guardarmi.
- I sentimenti che provo per te non si fondano su nessuna scommessa! – protestò animatamente Will, spaventato dalle mie lacrime. Avrebbe dovuto capire che quelle parole non sarebbero bastate.
- I fatti dicono che tu mi hai usata per arrivare a Bethany. –
- I fatti! Quali fatti? Niente lascia intendere che io… -
- Abbi almeno il coraggio di ammetterlo. – lo vidi esitare, deglutire, ingoiare fiumi di parole che avrebbero soltanto distrutto la mia maschera di apparente risolutezza. Alla fine, scelse di essere sincero. Troppo tardi.
- Va bene allora. E’ vero, per un po’ è stato così, ma questo non cambia niente. All’inizio volevo vincere quella scommessa e ho cercato di avvicinarmi a te per farlo… poi ho capito che non m’interessava più nulla. Tutto ciò che c’è stato fra di noi è sempre stato vero. Non ho mai finto con te. –
- Dammi un buon motivo per cui dovrei crederti. – volevo crederci, volevo farlo davvero, lo desideravo con tutte le mie forze, ma qualcosa dentro di me si era spezzato. La fiducia era andata a puttane.
- Perché ti amo! E perché mi ami anche tu, e lo sai bene. – mi guardava speranzoso. Attendeva il mio perdono, l’istante in cui avrei teso le braccia verso di lui e l’avrei abbracciato, l’istante in cui avrei smesso di piangere, il momento in cui tutto sarebbe stato sepolto sotto una pesante pietra. Ma quell’istante non arrivava, e avevo come l’impressione che non sarebbe arrivato. I cocci si muovevano dentro di me, laceravano tutto ciò che stava dentro il mio petto, ed io non sapevo come impedirglielo.
Ancora una volta mi dissi che l’amore non sarebbe bastato.
- Forse non mi sbagliavo poi tanto quando dicevo che somigliavi a Luca. – le parole mi uscirono dalle labbra senza averlo premeditato. Il filtro fra cervello e bocca si era disintegrato, ed io non potevo sopportare di vedere l’eco di quelle sillabe sul viso di Will. Scappai, feci ciò che mi riusciva meglio.
 
Dimenticai l’ombrello. Dimenticai il cappotto. Dimenticai lo sguardo allarmato di Bethany, al mio passaggio. Dimenticai il tono con cui Will mi pregò di tornare indietro. Dimenticai il mio compleanno e le preoccupazioni di una ormai diciannovenne. Camminavo sotto un temporale che mi avrebbe fatta ammalare. Faceva freddo, e sembrava quasi che non m’importasse. Anzi, non m’interessava affatto. Piangevo, e le lacrime si mischiavano con la pioggia. Quel contrasto caldo-freddo era un altro dei motivi che mi spingeva a camminare ancora. Cercavo di spegnere un incendio che si sarebbe protratto a lungo. Combattevo una battaglia persa in partenza. Sapevo che l’amore per Will non avrebbe potuto cancellare la sensazione di essere stata tradita, la sensazione di non potermi più fidare di nessuno. La sensazione che quell’amore non aveva più alcuna base su cui poggiarsi. Camminavo e ancora non sapevo cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Lo scoprii qualche metro più avanti, lungo disteso sul ciglio della strada, immobile e bagnato. Fu un colpo tremendo, l’ennesimo: Parmigianino era morto. Fradicio e sporco. Mi avvicinai con gambe tremanti al cadavere del micio, chinandomi su di lui con aria afflitta. Lo riconobbi e piansi più forte. Mi sentivo bagnata e sola come lui, inerme di fronte alla vita frenetica di Roma. Ora comprendevo il perché della sua assenza prolungata: qualcuno l’aveva investito e l’aveva lasciato lì. “E’ solo un gatto!” avrà detto, ripartendo con la sua macchina. “Sono solo i suoi sentimenti!” avrà pensato Will, mentre mi avvicinava con l’inganno. Chiunque avrebbe pensato a me come ad una stupida qualunque, china sul corpo esanime di un gatto brutto e puzzolente, senza riparo sotto il temporale. Eppure qualcuno mi venne incontro, forse riconoscendo una compagna di sventure. Rimase in piedi accanto a me per qualche istante, offrendomi un silenzioso riparo sotto il suo ombrello.
- Era il tuo gatto? – era il mio cuore, pensai, mentre sollevavo lo sguardo in direzione di quella voce maschile.
- Sì. Si chiamava Parmigianino. – mormorai, cercando di pulire il viso dalla lacrime col dorso della mano. Inutile dire che non asciugai un bel niente: avevo le mani bagnate dalla pioggia.
- Immagino che tu voglia seppellirlo. – non rise quando gli dissi il suo nome. Mi sollevai con evidente sforzo, perché le gambe sembravano non volermi reggere, poi guardai per la prima volta il volto del mio interlocutore. Aveva un’aria familiare.
- Non saprei dove. Vivo in affitto in un condominio… - mi sentii in colpa: non potevo dare una sepoltura degna al mio gatto e non sapevo come riassemblare i cocci del mio cuore.
Ero un disastro, e quel maglione con le renne era davvero ridicolo.
- Conosco un posto. – mi sorrise, ed io vidi la gentilezza dietro quegli occhi grigi. L’avevo già visto da qualche parte, ma al momento non avrei saputo dire esattamente dove. Cercai di non fare caso a quell'alone violaceo che circondava la palpebra destra: non volevo sapere come si fosse procurato quell'occhio nero, e al momento non lo trovavo importante.
- E’ molto lontano? – domandai, nonostante non m’importasse affatto. Ci sarei andata comunque.
- Non molto. La mia macchina è parcheggiata da queste parti. Possiamo andarci con quella. –
- Non è necessario che… -
- Oh, davvero, non preoccuparti. – m’interruppe, scuotendo il capo – Voglio aiutarti. – la sincerità di quell’offerta mi spiazzò. Non ero sospettosa, non avevo paura che potesse farmi del male. Sentivo che la sua era una bontà che non aveva secondi fini. Mi strappò un sorriso, per quanto a brandelli fosse il mio cuore.
- Grazie. – dopo aver tirato su col naso m’inchinai nuovamente verso Parmigianino per portarlo altrove, in un luogo in cui avrebbe potuto riposare in pace. Il mio pensiero, mentre mi dirigevo con quel ragazzo biondo verso la sua macchina, era che non assomigliava a nessuno, né a Luca né a Will.
 

the end.


NdA: Sono emotivamente instabile. Ho aggiornato dopo secoli, e so che mi odiate (sia per la fine della storia che per il tempo che ci ho impiegato a scriverla). Dovete sapere che sono stata impegnata con gli esami e ho avuto problemi di varia natura, per non parlare dell'assenza totale di ispirazione!
Allora, credo che tutti abbiate capito che quello che 'soccorre' Prudence sia proprio Nick, il bel gemello sfigato della vicenda.
Ho lasciato parecchie cose in sospeso, come avrete notato, ma era mia intenzione, perché i finali lieti non mi piacciono.
Anzi, potrei dire che mi fanno venire l'orticaria. Se il capitolo fa pena ditemelo pure, perché mi son resa conto di essere fuori allenamento e di aver perso molta della mia fantasia. Che ne pensate del finale e, tirando le somme, dei personaggi?
Sono troppo stanca e provata per tirarla per le lunghe, anche se vorrei scrivere tanto in queste note.
Mi rendo conto che dovrei ringraziarvi tutti per aver letto, recensito e amato (?) questa storia. E lo faccio adesso con un enorme GRAZIE.
Non so voi, ma io ho amato questi personaggi alla follia (specialmente Matt Culodoro), anche se con certi ho giocato poco e niente (vedi i due gemelli fighi e Miss Bellicapelli Martha). Le coppie, beh... si sono un po' scoppiate, altre si sono riattaccate. 
Ho intenzione di scrivere una raccolta di drabble sulle questioni lasciate in sospeso durante l'intera storia (la scommessa, ecc...) ma è ancora tutto in forse.
Anyway, ora vi lascio.
Vi ho amato tanto, Frens.

 

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