Disenchanted

di UkyTwitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wouldn't it be great if we were dead? ***
Capitolo 2: *** Welcome To The Black Parade ***
Capitolo 3: *** You're never gonna fit in much, kid. ***
Capitolo 4: *** The Sharpest Lives Are The Deadliest To Live. ***



Capitolo 1
*** Wouldn't it be great if we were dead? ***


Iniziò tutto quella notte.

O forse è meglio dire che finì tutto quella notte. Per Clarissa, almeno, fu così.

Era da ore che correva. Aveva ormai attraversato l’intera città, superato la nauseabonda periferia e aveva barcollato fuori dalla strada per poi inginocchiarsi sull’erba pungente, lo sguardo perso nel vuoto del cielo.

 

“Durante l’operazione c’è stata una complicazione.

Abbiamo dovuto amputare entrambe le gambe.

Rimarrà da noi ancora qualche mese, poi vi segneremo tutte le medicine che dovrete somministrargli durante il… breve… periodo in cui potrà stare con voi.”

 

Non era vita. Non poteva essere vita.

Le parole del dottore rimbombavano nella sua testa con un’insistenza che la stava facendo impazzire. Una dolce e leggera pioggerellina iniziò a scendere sul suo viso, come se il cielo cercasse di consolarla.

Le sue lacrime si confusero con le gocce di pioggia, il suo grido venne accolto e assorbito dalle nuvole.

Proprio dopo che la sua voce disperata ebbe perforato il silenzio di quella notte, i suoi occhi scorsero qualcosa nell’oscurità. Qualcuno.

Nonostante il buio, la sua figura era ben delineata e Clarissa poteva esaminarne ogni singolo particolare, come se la sua pelle emanasse un’evanescente luce pallida, proprio come quella della luna. Il suo viso, bianco come il latte, era rivolto verso il cielo; Clarissa non poteva vedere di che colore fossero i suoi occhi, ma era ben visibile tutto il nero che li contornava, lo stesso nero dei suoi capelli; anche il suo abbigliamento era piuttosto singolare: portava una giacca nera e bianca che ricordava un po’ quelle dei presentatori del circo che si vedevano nei cartoni, dei pantaloni neri con dei bottoni bianchi che, da poco prima della caviglia, scendevano fino agli orli e degli stivali neri.

Mentre Clarissa era intenta nella sua osservazione, il ragazzo volse la testa verso di lei, che notò i suoi tratti incredibilmente fanciulleschi. Non appena i loro sguardi si incrociarono, lui sorrise candidamente, ma il suo era un sorriso triste, bellissimo, ma incredibilmente triste.

 

« Sarebbe stato fantastico se fossimo morti tutti stanotte, vero?»

 

Mentre il ragazzo pronunciava queste parole, a Clarissa parve che per un attimo la pioggia si fosse trasformata in neve, e che il bianco dei fiocchi si fosse confuso con quello della sua pelle.

Guardò ad occhi sbarrati il ragazzo svanire, portato via dalla pioggia e dal buio. Che fosse stato un sogno? Un’allucinazione dovuta allo shock e alla stanchezza? Era più che plausibile, poiché lui aveva pronunciato le stesse parole che lei si era ripetuta nella mente innumerevoli volte quella notte.

Si alzò, le gambe tremanti. Più volte pensò di accasciarsi lì e addormentarsi nel fango, ma alla fine riuscì ad arrivare in periferia e da lì a prendere l’autobus che l’avrebbe portata a due passi da casa.

Trovò sua madre che dormiva sul divano. Il mascara e l’ombretto erano colati sulle sue guance seguendo la strada delle sue lacrime. Clarissa le mise delicatamente un plaid addosso, badando bene a non svegliarla, poi andò a farsi una doccia calda, l’ideale in quella notte d’autunno. Mentre il getto d’acqua la inondava e la isolava dal resto del mondo, non poté fare a meno di pensare al ragazzo dalla pelle bianca. Più visualizzava l’immagine nella sua mente, più si convinceva che non era stata un’allucinazione. Più ripensava al suo sorriso triste, più sentiva la voglia di incontrarlo di nuovo crescere in lei. Andò a letto priva di sonno. Chi era quel ragazzo? Come aveva fatto a sapere cosa stava pensando? Perché si trovava lì? Come aveva fatto a sparire? Continuava a porsi tutte queste domande senza riuscire a darsi una risposta plausibile. Poi, all’improvviso, la frase che le aveva detto, con l’esatto timbro di voce e l’identica e inquietante musicalità con cui era uscita dalle sue labbra, le si stampò in testa. Aprì gli occhi, fissò il soffitto. Li richiuse. Nonostante il macabro contenuto di quel che le diceva, il ricordo della sua voce la cullava e rilassava. C’era però un’ombra di inquietudine in quel rilassamento, ma anche quell’altra faccia della medaglia aiutava a rendere il ricordo del ragazzo dalla pelle bianca un ricordo piacevole, dolce, spaventoso, interessante.

Voleva a tutti i costi incontrarlo di nuovo.

Non sapeva che il suo desiderio si sarebbe avverato prima di quanto potesse immaginare.

***

Uuh... Il primo capitolo di una storiella ispirata dall'album The Black Parade. Un capitolo molto corto,sì,ma su Word sembrava più lungo. Perdono ;-; Ehm... Che dire? È la prima storia che posto qua su EFP... C'ho un'ansia addosso che non v'immaginate u.u'' Beh,ditemi che ne pensate *incrocia le dita*

Enjoy. ♥

Uky

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Capitolo 2
*** Welcome To The Black Parade ***


Marrone scuro.

Come i suoi capelli lisci.

Clarissa faceva roteare con movimenti lenti e ripetitivi la stanghetta di plastica nella sua tazza di caffè appena presa allo Starbucks vicino scuola.

La notte aveva portato via ogni traccia del ragazzo cereo dalla sua mente.

Sarà stato un sogno. Continuava a ripetersi ogniqualvolta quel sorriso amaro le si ripresentasse davanti.

- Eccola là-

-Hai sentito del padre?-

Odiava vivere in una cittadina così piccola. Tutti sapevano i cazzi di tutti gli altri, ed era inevitabile che fosse così.

- Sì,poveretto.-

- … Probabilmente se non avesse avuto una figlia che fa patti col Diavolo non gli sarebbe successo tutto questo.-

Ecco un’altra cosa che odiava. La sua scuola. I suoi compagni. Tutte le chiacchiere che facevano su di lei. A causa del suo abbigliamento un po’ diverso e della sua riservatezza, Clarissa era stata scambiata per una poco di buono, una con la testa non tanto a posto. E questo portava a insulti e discriminazione. Ma, in fondo, era meglio così. Preferiva stare da sola piuttosto che circondarsi di persone con una mentalità così chiusa.

-Ah, eccoti qui, finalmente!-

Venne svegliata dall’ipnosi che il cucchiaino di plastica aveva sortito su di lei da una ragazza alta, sorridente, i capelli lunghi agitati dal leggero vento autunnale che si era appena alzato: Martha. L’unica che era riuscita ad avvicinarsi davvero a Clarissa, l’unica che era riuscita a vedere oltre quel muro fatto di borchie e dipinto di eyeliner.

- Attenta! Potrei iniziare a sparare serpenti dagli occhi. Potrei prenderti l’anima…!- Clarissa sorrise amaramente guardando l’amica che si sedeva davanti a lei ridendo sommessamente.

- Non ascoltarli, sono un branco di idioti.-

- Non c’è bisogno che tu me lo dica.- Sorseggiò il suo caffè chiudendo gli occhi e assaporando quel momento in cui la bevanda amara scivolava fin nel suo stomaco, diffondendo calore in tutto il suo corpo. Martha roteò gli occhi: la sua amica era così, non accettava consigli da nessuno, pretendeva di poter fare tutto da sola. Quando Clarissa finì di bere, poggiò il bicchiere sul tavolo del cortile della scuola e fissò lo sguardo sull’amica.

- Immagino che le voci siano arrivate anche a te, comunque.-

- Aspettavo di incontrarti per accertarmi di persona che fossero vere. –

La ragazza sospirò. Magari fossero false… Pensò tristemente. Si guardò intorno, per essere certa che nessuno li ascoltasse, poi si sporse verso Martha, mettendosi in ginocchio sulla panchina. Prese un respiro profondo e iniziò a parlare.

- Mio padre è stato operato l’altra notte, come ti avevo detto. –

Martha annuì, posando la sua mano su quella di Clarissa, per incoraggiarla ad andare avanti. La ragazza continuò tremante.

- Beh… L’infezione si è espansa fino a diventare pericolosa per il resto del corpo. Gli hanno… Amputato… Tutt’e due… Le gambe…-

Iniziò a singhiozzare. L’amica si alzò e andò da lei, per stringerla in un abbraccio consolatorio. – E non so per quale dannatissimo malfunzionamento, ci hanno in poche parole detto che ha vita breve…- Con quest’ultimo sussurro nascose la testa nel petto di Martha, facendosi cullare per cinque minuti buoni. Dove sarebbe finita senza di lei? Senza i suoi abbracci, i suoi silenzi comprensivi? In quel momento Clarissa si sentiva così fragile che sapeva che avrebbe potuto autodistruggersi da un momento all’altro. –Dai, bella, combatti. – Martha le prese il viso fra le mani e sorrise. Ricambiò con un sorriso tirato, poi entrambe si alzarono e si diressero all’interno delle mura scolastiche, richiamate dalla campanella. Clarissa non le aveva raccontato né della sua fuga fuori città, né del ragazzo cereo, quasi come se volesse convincere anche se stessa che non fosse mai successo niente, nonostante le fosse impossibile evitare il ricordo di quella perfetta pelle bianca almeno un paio di volte a lezione.

 

- Ehi, ti va di andare a mangiare qualcosa insieme ora?- Finalmente era finita. Martha aveva preso Clarissa per mano per evitare di perderla nella folla all’uscita e la stava invitando fuori a pranzo. Domanda ormai retorica, dato che pranzavano ogni santo giorno insieme… La ragazza sorrise e annuì, poi alzò gli occhi al cielo. Aveva sentito qualcosa posarsi dolcemente sulla sua faccia.

Nevicava.

Di già? È solo Novembre dopo tutto… Pensò perplessa. – Ti muovi Clarissa? È solo neve! Non ti ucciderà!- Martha la tirò fuori dai cancelli della scuola, solo per ritrovarsi immersa in una folla ancora più grande e agitata. – Ma si può sapere che succede oggi?! C’era uno sciopero e noi non lo sapevamo?!- Mentre l’amica continuava a blaterare lamentele senza senso dovute alla fame, Clarissa si guardava intorno, cercando di capire qualcosa; bloccò un ragazzo che era sicura fosse nel suo corso di Biologia. Questi la guardò dapprima stupito, poi evidentemente la riconobbe anche lui e si calmò. – Ehi, sai per caso a cosa è dovuto tutto ‘sto casino?- Il ragazzo si strinse nelle spalle. – Dicono che ci sia una parata che sta attraversando tutta la città.- Martha si intromise nel discorso. – Una parata?! Cazzo, ma allora c’era davvero uno sciopero e noi non lo sapevamo! Clarissa! Mi deludi!- La ragazza roteò gli occhi e guardò il ragazzo come a scusarsi per la sua amica, poi la tirò via, facendosi spazio fra la folla. Più andava avanti, più sentiva della musica provenire da una delle strade. Si diresse senza esitazione verso di essa, trascinandosi dietro una Martha alquanto perplessa. Svoltò di qua, girò di là, andò dritto… Si fermò. L’amica le sbatté contro.

- Clarissa si può sapere dove co… Oh. –

Erano sbucate nella via principale della cittadina, e quello che si trovarono davanti fu qualcosa di strabiliante.

Un enorme carro, la cui base era ricoperta da drappeggianti stoffe rosse e festoni bianchi, portava sopra cinque ragazzi, cinque musicisti, per l’esattezza: un cantante, due chitarristi, un bassista e un batterista. Dietro di loro, un enorme corteo formato da uomini e donne pallidissimi, ma che a Clarissa parvero più vivi che mai; i vestiti che portavano, inoltre, le ricordavano molto quelli del ragazzo cereo. La musica non era per niente quella che ti aspetteresti da una banda da parata: andava più sul rock, inoltre la voce del cantante risuonava per tutta la strada. Il tutto, contornato da un cielo grigiastro e da piccoli fiocchi di neve. Clarissa camminò lentamente in direzione del carro, affascinata come non lo era mai stata in vita sua, seguita da Martha. Fece in modo di trovarsi a lato della banda, per poter osservare coloro che stavano dando vita a quello spettacolo. Il suo sguardo passò dal batterista, al bassista, ai due chitarristi, per poi posarsi sul cantante. Quando lo riconobbe ebbe un tuffo al cuore.

Era lui. Il ragazzo dalla pelle bianca.

- Ah ah, guarda come si agita quello più bassino… Ehi, Clarissa? Dove vai?!- Martha non fece in tempo a fermare l’amica che questa si era già messa a correre dietro al carro, per poi posizionarsi ordinatamente dietro di esso e seguirlo. Chi sei? Questa domanda la torturava. Doveva scoprilo. Li avrebbe seguiti fino alla fine, si sarebbero dovuti fermare prima o poi. Guardò dietro di sé: l’amica non c’era più, l’aveva persa fra la folla. Non si preoccupò più di tanto, la conosceva bene: era già stata anche troppo senza mangiare, se ne sarebbe andata a pranzare e poi si sarebbe fatta sentire il più presto possibile sul cellulare, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi. Tornò a guardare davanti a sé dopo aver ammirato i costumi del corteo dietro al carro,e si concentrò sulla neve fredda che le si poggiava in viso e sulla musica che proveniva dalla banda. In particolare, una frase la catturò subito:

 

And even if you’re dead and gone believe me, your memory will carry on, we’ll carry on.

 

Il suo pensiero andò subito a suo padre. Si portò una mano al petto, chiuse gli occhi, si fece cullare da quella voce. Per un attimo sentì una forza nuova scorrerle dentro, una forza che la convinceva che sì, era possibile andare avanti, e che sì, poteva, anzi, doveva combattere. Riaprì gli occhi, e si accorse che il carro si era ormai spinto fuori dalla città, e che la desolazione della periferia iniziava pian piano a prendere possesso del paesaggio circostante. Circa cinque minuti dopo, Clarissa si trovò davanti a quello che sembrava essere un accampamento, simile a quelli che si scorgono ogni tanto dietro ai circhi: un po’ ovunque erano sparse roulette e piccoli tendoni. In poco tempo il corteo si sciolse, e tutti si diressero in varie direzioni, a gruppi di due, in tre, da soli. La ragazza si guardò intorno, ma aveva ormai perso di vista i cinque musicisti; decise perciò di cercarli. Si muoveva confusa e confusamente, come una farfalla contro una finestra, e infatti non si stupì molto quando, guardando dietro di sé mentre ancora andava avanti, sbatté contro qualcuno. Si girò velocemente mormorando un flebile – Scusa…-, poi si bloccò ad osservare, un po’ spaventata e un po’ ammaliata, la donna che si trovò davanti: il suo volto era coperto da quella che le sembrò essere una specie di maschera a gas, e da essa fuoriusciva una cascata di dorati capelli ricci; portava un vestito gotico, la cui gonna era ricoperta da una rete metallica. Fissava Clarissa, la testa leggermente inclinata, con aria interrogativa; nonostante il suo aspetto poco incoraggiante, la ragazza sentiva che non le avrebbe fatto nulla di male. Quanto può essere diversa da me, in fondo? Pensato ciò, prese coraggio e riuscì a formulare una frase di senso compiuto. – Ehm, senti… Tu fai parte della banda, no? Quindi… Mi chiedevo se… Sapessi dove fosse il cantante che stava sul carro…- La donna rimase immobile per qualche attimo, poi girò la testa verso destra e alzò lentamente il braccio candido in quella direzione; seguendo il suo indice, Clarissa notò due roulette decisamente più grandi delle altre, dipinte di nero. – Ehi, wow, grazie mille!- Guardò la gotica con un sorriso pieno di gratitudine; questa fece un inchino degno di una dama dell’Ottocento, poi osservò la ragazza mentre correva verso la sua mèta.

Eccoci. Ci sei. Ce l’hai fatta.

Ora bussa.

Clarissa si ripeteva queste frasi da ormai una decina di minuti, senza però trovare la forza per eseguire l’ordine che si stava dando; deglutì, ripensò per l’ennesima volta al sorriso triste che l’aveva incantata la notte prima, e si decise a colpire la porta della roulette con il pugno, ma il suo momento di gloria dovuto al coraggio ritrovato venne brutalmente distrutto, perché questa si aprì senza che lei dovesse fare niente. Indietreggiò, il cuore che le batteva a mille, il respiro smorzato dall’ansia di scoprire chi si celava dietro quel rettangolo nero. Quando lo vide, poi, l’aria le mancò completamente.

Era lui, non era stato un sogno, un’allucinazione! Stessi capelli neri, stessa divisa, stessa pelle bianca come il latte. Stavolta riuscì anche a vedere il colore dei suoi occhi: un verde chiaro che pareva brillare di luce propria. Clarissa si portò una mano al petto con la paura che il cuore le scoppiasse, mentre il ragazzo si guardava intorno uscendo completamente dalla roulette. Non appena i loro sguardi si incrociarono, lui le donò un altro di quei preziosi e struggenti sorrisi, che sottolineavano ancor di più il viso infantile del ragazzo. – Sono così contento di vedere che sei ancora viva.- Ecco che pronunciava un’altra di quelle frasi che sarebbero rimaste impresse nella mente di Clarissa per sempre. – Ma… Ieri notte… - Balbettò, confusa. -Era quello che tu volevi sentirti dire. – Il sorriso amaro sul volto del ragazzo non accennava ad andarsene. – Chi sei tu…?- Le porse la mano, coperta da guanti neri privi di dita, guardandola con i suoi occhi chiari. – Io mi chiamo Gerard.- La ragazza la strinse e rimase sconvolta nel sentire i suoi polpastrelli incredibilmente freddi. – Io… Io sono Clarissa. – Il ragazzo sorrise di nuovo, non più tristemente. – Clarissa. Mi piace... Piacere. Cosa ci fai qui? – Si portò una mano fra i capelli bagnati dalla neve, formulando una risposta. – Volevo conoscerti. Volevo capire chi fossi… Ieri sera mi hai sconvolto non poco.- Gerard rise lievemente. – Ti ho spaventato?- Clarissa scosse la testa. – No,no. Sconvolgere è molto diverso da spaventare.- E non sapeva ancora, quanto quel ragazzo l’avrebbe sconvolta. Quest’ultimo sorrise felice, un sorriso che la fece ritrovare a guardarlo con un’espressione beota in volto. Ma che… Clarissa riprenditi! Pensando ciò si massaggiò la fronte con l’indice e il pollice, poi tirò fuori il cellulare dalla tasca, perché aveva vibrato. Martha le aveva appena mandato un sms (più somigliante a una lettera, a dire il vero) in cui raccontava della sua epopea per cercare un bar aperto che avesse camerieri che non si fossero fatti distrarre dalla parata. Inoltre, la sgridava per essere “scappata all’improvviso”. – Devi tornare a casa?- Gerard la richiamò alla realtà. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. – Beh… Sì, credo proprio di sì. – Annuì per rafforzare il concetto. – E… Ci sai tornare da sola?- Clarissa si guardò intorno, cercando di riconoscere il posto in cui si trovavano, ma dovette rigirarsi verso di lui, le guance lievemente rosse. – Ehm… No. – Gerard rise dolcemente. – Beh, allora se vuoi posso accompagnarti io, tanto per oggi ho finito. – Alla ragazza si illuminarono gli occhi, e fece di sì con la testa più volte prima di calmarsi.

Mentre abbandonavano l’accampamento, Clarissa notò che tutte le persone che incrociavano lanciavano un’occhiata scioccata, a volte severa, al ragazzo, e questo la metteva a disagio. Per fortuna non impiegarono troppo tempo per lasciarsi roulette e tendoni alle spalle.

 

- E quindi… Come mai siete qui? Chi siete? – Camminavano da ormai un quarto d’ora, e Clarissa era finalmente riuscita a rompere il ghiaccio, la testa china a osservare la neve che si era ammucchiata ai lati della strada. – Beh, noi siamo la Black Parade. Siamo i soliti ragazzi che vogliono cambiare il mondo con la musica, tutto qui… - La ragazza alzò un sopracciglio. L’aveva presa per stupida? – Sì, raccontala a qualcun altro. Quelli che ho visto in questa stessa strada qualche ora fa non erano i “soliti ragazzi”. – Clarissa sapeva che c’era qualcosa di diverso in loro. Gerard ridacchiò. – Beh, diciamo che allora siamo degli insoliti ragazzi con una missione.

- E quale sarebbe questa “missione”?-

Il ragazzo si fermò, guardando il cielo. A Clarissa venne subito in mente la sera prima, la neve che spariva nel pallore della sua pelle. – Noi… Vogliamo solo far capire a chi ci ascolterà che bisogna andare avanti. – Riprese a camminare. – Più di così non posso dirti, scusa.-  Lei alzò un sopracciglio, ma non osò chiedere altro: i suoi occhi verdi si erano rabbuiati all’improvviso, e la metteva a disagio pensare di essere stata la causa di quel mutamento così repentino. Passò il resto della passeggiata a osservarlo, e più lo guardava, più quel suo aspetto “insolito”, come lo aveva definito lui, la incuriosiva, più sentiva il bisogno di conoscerlo meglio. Tutto di lui la attirava e la spaventava allo stesso tempo: quella pelle così bianca, che ricordava quella di un fantasma, ma che le sembrava tanto liscia e candida; quegli occhi contornati di un nero pesante, tetro, ma che faceva risaltare ancora di più il verde delle sue iridi; il viso fanciullesco e quasi femmineo, l’espressione perennemente assorta.

Voglio sapere tutto di te.

Arrivarono davanti alla casa di Clarissa che già si stava facendo buio; prima di congedarsi, la ragazza bloccò Gerard per un polso. – Senti, ti prego – iniziò, uno sguardo supplichevole – Non è che domani hai voglia di fare una passeggiata? Se non vuoi non c’è problema…- Sentiva di aver fatto una cazzata. Aveva chiesto a un ragazzo conosciuto la notte prima se voleva uscire con lei? L’aveva fatto davvero? Sarebbe stato normalissimo se avesse declinato gentilmente, magari in imbarazzo. Ma Gerard non era un ragazzo normale, mi sembra che l’abbiate capito anche voi. – Mi piacerebbe un sacco, ma di mattina abbiamo una parata in un paese qui vicino, quindi dovremo fare di pomeriggio.- Clarissa rimase un attimo sconvolta, poi si riprese e rispose. – Ah, perfetto, io tanto ho scuola.- Arrivò alla porta di casa. - Allora… A domani!- Agitò la mano, mentre il ragazzo si congedava con un semplice cenno del capo per poi dileguarsi nel nero di quella serata d’autunno.

Clarissa corse in camera sua, dopo aver salutato frettolosamente la madre, e si gettò sul letto; ripensò alla giornata appena trascorsa, poi il pensiero corse a suo padre, e si rese conto che Gerard era riuscito a non farle pensare ai suoi problemi per un pomeriggio intero. Sorrise, prese il cellulare e scrisse un messaggio a Martha:

 

“Hey, scusa se ti ho fatta preoccupare. Comunque sto meglio di stamattina, non ho avuto il tempo di ringraziarti per il tuo appoggio.

Ah, e domani ti devo raccontare una cosa.

Ho conosciuto un insolito ragazzo con una missione.”

 

***

Eccomi qua col secondo capitolo! Ce l'ho fatta, yuu-huu! Era da giorni che mi dicevo che l'avrei finito e poi per un motivo o per un altro non ci riuscivo D: Ma ora sono qui. u.u9 Uhuh, il Gerard di questa storia è parecchio enigmatico...

By the way, vorrei ringraziare chi ha recensito il primo capitolo, e spero che vi sia piaciuto anche questo; grazie per aver letto :3

Uky ♥

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Capitolo 3
*** You're never gonna fit in much, kid. ***


- Ma com’è da vicino, carino? –

- Uhm… Sì, credo di sì. –

- Come “credi” ?! O è carino o è brutto. -

- Martha, basta! –

Era da ore che la sua amica non la smetteva di tempestarla di domande.

Era sempre così, ogni volta che Clarissa conosceva qualcuno o faceva qualcosa: fosse per la gelosia verso la sua migliore amica, fosse per il fastidio di non essere stata lì di persona, fosse per semplice curiosità, la ragazza non sapeva dirlo.

Sapeva solamente che a un certo punto diventava un’enorme rottura di balle. Martha sbuffò, rassegnata. – Va bene, va bene… La smetto. - Clarissa sorrise soddisfatta, poi prese il suo zaino da terra e si avviò fuori dalle mura scolastiche. Andò a mangiare con l’amica solo per modo di dire, perché non prese niente: da quando si era svegliata non riusciva a toccare cibo. L’idea di rincontrare Gerard le provocava delle violente farfalle nello stomaco che le impedivano di pensare ad altro.

Arrivò a casa che era giunta al limite della sopportazione; camminava avanti e indietro, andava in cucina, apriva il frigo senza prendere niente, lo chiudeva, tornava in camera, si sedeva sul letto, iniziava daccapo. Ad un certo punto, autoconvincendosi che probabilmente il ragazzo non poteva ricordarsi dove abitasse, pensò che sarebbe stato meglio se fosse andata lei all’accampamento e lo avesse aspettato lì. Orgogliosa di questo suo ragionamento, preparò la borsa e si mise in viaggio.

 

Che idea stupida.

Decisamente stupida, Clarissa.

All’accampamento fu accolta da sguardi sospettosi e inquisitori, che davano a intendere ciò che i membri del corteo pensavano: “Non dovresti essere qui”. Come le era venuto in mente di tornare là? Si era scordata delle occhiatacce del giorno prima? Era andata lì con l’intenzione di diminuire la sua ansia e invece aveva ottenuto l’effetto contrario. Con passi insicuri iniziò a muoversi fra le tende, cercando le due roulotte nere; quando le adocchiò le si tolse un peso dallo stomaco, e prese a camminare verso di esse.

- Tu sei l’intrusa di ieri!-

Due vocine squillanti bloccarono la sua marcia, obbligandola a girarsi. Davanti a sé trovò due ragazze, in un abito da parata smanicato, una gonna nera e dei lunghi guanti senza dita. Entrambe portavano i capelli corti ed erano pressoché uguali una all’altra. Clarissa le aveva già viste il giorno prima nel corteo, se le ricordava perché erano le uniche due senza maschera. – Come…?- Chiese, confusa. – Chi siete voi?-

- Io sono Fear!- Esclamò una delle due.

- Io invece sono Regret!- Seguì l’altra con perfetto tempismo. – Tu chi sei?-

- Io… Io mi chiamo Clarissa.- La ragazza volse un attimo lo sguardo dietro di sé, alle roulotte. In quel momento si sarebbe volentieri messa a correre come una pazza verso di esse. Non fare cazzate. Pensando ciò, tornò a guardare le due gemelle. – Perché mi avete chiamato “intrusa”?-

- Semplice, sei qui e non dovresti!- Rispose Fear con un sorriso inquietante.

- E in più ieri te ne sei andata con Gerard! Lui non potrebbe!- Aggiunse Regret. In quel momento a Clarissa venne una voglia matta di andarsene da lì il più veloce possibile. Si sentiva dannatamente in colpa. Che avesse rischiato di essere punito a causa sua? Che non volesse più vederla? E se…

- … Però boh, hai fatto bene, è tanto carino. - … Eh? La ragazza rimase sconvolta da quello che aveva appena detto Fear.

- Ma che cosa dici? È risaputo che è Frank quello più carino!- La ammonì la gemella. Clarissa ci capiva sempre meno. Non la stavano sgridando, un attimo prima? E chi era Frank? Uno dei musicisti?

- Ma anche Mikey è tanto tenero…- L’altra arrossì, guardandosi i piedi.

- C’è da dire però che è Ray quello più buono!- Regret guardò Clarissa, come se cercasse approvazione. La ragazza si strinse nelle spalle, sempre più confusa. – Mi dispiace, ma non capisco di che state parlando. Non eravate arrabbiate con me?- Le due gemelle sorrisero. – Figurati! Sei tu che ci hai chiesto perché ti abbiamo chiamato intrusa…- Spiegò Fear. – E poi non ti avremmo chiamato così se avessimo saputo il tuo nome!- Aggiunse Regret. La ragazza sorrise, decisamente più rilassata, e forse anche più contenta di prima. – Beh, adesso lo sapete- si sedette su una cassa di legno lì vicino - Ma ora parlatemi un po’ di Frank, Mikey e Ray. –

 

- Cosa state dicendo a questa povera ragazza?-

Una voce conosciuta da poco, ma già così familiare, tolse il respiro a Clarissa. Era rimasta a parlare con Fear e Regret, per quasi mezz’ora, sul fulcro della Black Parade, ovvero i cinque musicisti che si esibivano sul carro trasportato durante la parata. Aveva scoperto tante cose sul loro conto, più cose buffe che altro, come se le due ragazzine si rifiutassero inconsciamente di parlare di fatti personali riguardanti i ragazzi. Mentre le gemelle le raccontavano degli scherzi che Frank, il chitarrista, faceva agli altri, Gerard aveva raggiunto le tre e le aveva interrotte. Non appena Clarissa aveva sentito la sua voce aveva avuto un sussulto e si era girata verso di lui, mentre Regret gli rispondeva: - Ci ha chiesto di parlarle un po’ di voi!- Il ragazzo sorrise. – Davvero? Beh, ora ve la devo rubare, mi dispiace.- Le gemelle ridacchiarono, correndo via dopo aver agitato la mano in segno di congedo. Le guance di Clarissa si infuocarono in un attimo, ma la ragazza cercò di controllarsi il più possibile, e si girò verso Gerard. – Bene, andiamo?-

- Sì, ma non sono mai stato in città, dovrai farmi da guida.-

- Con molto piacere.-

 

 

- Ecco qua il tuo cappuccino e il caffè!-

- Grazie mille…-

Clarissa non usciva spesso, se non con Martha, e la cittadina era piccola, con un unico Starbucks, dove aveva portato Gerard. Non aveva idea di dove potessero andare dopo, ma sentiva che entrambi non desideravano altro che uscire da lì. Chiunque entrasse li fissava, fra lo sconvolto e l’impaurito, a causa del modo di vestire della ragazza e dell’aspetto del ragazzo. Nessuno riusciva a vedere oltre. Era come se, per loro, esistesse solo il collare borchiato, o l’innaturale pallore della pelle. Per loro, non c’era niente oltre quello.

Gli porse la tazza di caffè e iniziò a sorseggiare il suo cappuccino mentre si sedeva a fianco a lui. – Non potevi metterti una maglietta?-

- Ho solo la divisa.-

- Davvero?-

- Davvero davvero.- Gerard bevve lentamente il suo caffè mentre Clarissa lo guardava sempre più sconvolta. Nello stesso momento entrò nel bar un gruppo di ragazzini che andavano a scuola con lei. – Oh, cazzo, no. – Istintivamente si strinse al suo vicino, come per nascondersi, ma fu inutile.

- Guarda chi c’è, la figlia del Diavolo!-

- Ne hai trovato un altro come te?-

- Sembra un cadavere! L’hai fatto resuscitare tu?!-

La ragazza non rispondeva. Era inutile. Aspettò quietamente che la finissero e se ne andassero. Quando finalmente si sedettero, molto più in là, volse lo sguardo verso Gerard, vergognandosi per quello a cui aveva dovuto assistere e partecipare. – Scusali, sai com’è, sono adolescenti… Molto stupidi.- Il ragazzo continuava a fissarli quando le rispose. – Fanno sempre così?- Clarissa abbassò la testa. – Sì, praticamente ogni giorno. Ma non ci faccio molto caso. – Gerard la guardò. – E fai bene. Ma sai – finì il suo caffè – faresti ancora meglio ad alzare il dito medio e mandarli a fanculo, la prossima volta.- La ragazza rise. – Lo terrò a mente. – Lui riprese a fissare i ragazzini, che adesso si gridavano insulti a manetta disturbando il resto dei clienti. – Quel tipo di adolescenti mi terrorizza.-

- Ti terrorizza?-

- Sì. Sono inquietanti. Finché qualcuno si fa male, tutto è divertente. Finché ci sarà qualcuno da prendere in giro, o da picchiare, andrà tutto bene. Non lo trovi inumano? Non si accorgono di quello che fanno. Finché possono divertirsi non cercheranno mai di capire. Per allontanarli non puoi fare altro che dimostrargli che non c’è niente di cui ridere. Per questo è meglio se li mandi a fanculo. Hai presente il detto “Se non puoi annientarli, fa’ come loro”? Tutte cazzate. Non devi farti prendere viva. Non riuscirai mai ad adeguarti, è inutile che provi. Non puoi fare altro che liberarti di loro facendogli capire quanto siano insensati gli insulti che ti sputano addosso. –

Clarissa fissava Gerard con uno sguardo carico di ammirazione, spaesamento e incredulità, dovuto a quanto aveva appena detto. Wow. Non riusciva a pensare ad altro. Mentre parlava, aveva sentito come un peso togliersi dal suo petto. Inoltre, si sentiva un passo più vicina al ragazzo. Era la prima volta che la rendeva partecipe dei suoi pensieri. – Quello che hai detto… è molto bello. -  Bello?! È tutto quello che riesco a dire?! Si morse il labbro, ma lo lasciò non appena Gerard le sorrise. – Grazie. Che dici, ce ne andiamo di qua?- Si alzò, guardandola. Clarissa annuì e lo seguì fuori dallo Starbucks, le sue parole che ancora le rigiravano in testa. Usciti dal bar, li accolsero migliaia di fiocchi di neve che si posarono delicatamente sulle loro teste. – Oh cazzo, ci bagneremo tutti!- La ragazza si coprì i capelli con un braccio, mentre tirava Gerard sotto una tettoia. – L’accampamento è troppo lontano… - Mormorò il ragazzo. – Ma casa mia no…- Aggiunse Clarissa. Che cosa sto facendo. Le paranoie tipiche di una ragazza non le davano pace, ma neanche il freddo inaspettato. – Potremmo stare da me, almeno finché non migliora. – Gerard annuì sorridendo, e la ragazza lo guidò fino a casa sua.

Non appena entrarono sentirono subito una voce femminile che parlava, probabilmente al telefono. – Sarà mia madre, aspetta qui.- Sussurrò Clarissa al ragazzo; Gerard annuì e la vide sparire in un’altra sala. La ragazza entrò in cucina, trovandosi davanti sua madre che finiva la chiamata con un sospiro.

–Mamma.-

-Oh, Clarissa,sei a casa. – Un sorriso stanco si fece spazio sul suo volto. – Com’è andata a scuola?- È così turbata che non mi chiede neanche dove sono stata fino ad’ora. Pensò tristemente la ragazza. – Tutto bene, tutto bene. – Lanciò un’occhiata al telefono, poi posò di nuovo lo sguardo sulla madre. – Era l’ospedale?- Sul suo voltò passò un’ombra, che però sparì subito dopo, mentre quel sorriso forzato cercava di sostituirla. – Sì. Papà ora riposa. È molto stanco, dicono che sia l’effetto dei farmaci- la guardò, il sorriso tirato e gli occhi tristi – Gli manchi tanto.- Clarissa dovette ricacciare più volte indietro le lacrime per non scoppiare a piangere lì davanti, cosa che avrebbe solo turbato di più la mamma. – Lo andrò a trovare al più presto. Cercherò subito un giorno libero e controllerò l’orario di visita…- Venne interrotta dall’abbraccio della madre. Ricambiò, mentre questa sussurrava. – Sei una ragazza forte, Clarissa.-

No,non lo sono.

Tornò all’ingresso, guardò Gerard negli occhi e poi si diresse verso le scale. – Vieni, andiamo in camera mia.- Non aveva voglia di presentarlo a sua madre, sarebbe stato solo un problema in più. Riusciva a essere peggio di Martha quando si parlava di ragazzi. Mentre salivano le scale, il ragazzo mormorò. – Avevi gli occhi lucidi.- Clarissa si morse il labbro, raggiungendo la porta di camera sua. – È una lunga storia.- Riuscì solo a commentare, mentre la apriva ed entrava.  Gettò la borsa in un angolo, poi andò a sedersi a gambe incrociate sul suo letto, dando un’occhiata fuori dalla finestra: la neve non accennava a diminuire. Gerard si sedette a fianco a lei, e prese a fissarla. Dapprima Clarissa non ci fece caso, poi quegli occhi verdi divennero sempre più insistenti, come se il ragazzo aspettasse qualcosa. Nonostante cercasse di evitare il suo sguardo, quel colore così affascinante la obbligava a incrociarlo sempre di più, fino a ché non fu costretta a guardarlo fisso negli occhi, non senza la paura che quelle iridi potessero risucchiarla e farla sparire.

- Non sparirai, non lo permetterei mai.-

Ecco che l’aveva fatto di nuovo. Le aveva letto ancora nel pensiero. Clarissa ridacchiò, nascondendo il sorriso dietro le sue dita smaltate di nero.

- Come fai a sapere cosa sto pensando? E cosa intendi con “non lo permetterei mai”? Mi sembra un po’ esagerato…-

- Significa che non lascerei mai che tu scompaia, nessuno merita di scomparire. E poi, probabilmente, sarei io a sparire, senza te, senza tutti quelli che come te hanno ascoltato la nostra musica, e credono in essa.-

Di nuovo, Gerard si era aperto con lei, le aveva rivelato un altro piccolo particolare di sé. E dopo averlo fatto aveva sorriso. Clarissa si era innamorata di quel sorriso, così pacato, gentile, timido, ma che chiaramente nascondeva un carattere forte, sicuro dei suoi ideali. Sentiva di potersi fidare di quel sorriso, di quegli occhi verdi, di quella pelle bianca.

- Mio padre ha poco da vivere, ormai.-

Le era uscito di getto, non ci aveva pensato, era come se le sue labbra si fossero mosse da sole. Guardò il ragazzo di sottecchi, mentre si copriva la bocca con una mano: il suo sguardo si era fatto improvvisamente concentrato, come se si fosse preparato per quel momento.

- A causa di un’operazione andata male.- Spiegò, un po’ titubante. Gerard rimaneva in silenzio, guardandola, senza permettersi di fermarla. – Mia madre non è più la stessa, io non sono più la stessa… Ho paura, tanta…- Non riuscì più a trattenere i singhiozzi, e lasciò che uscissero e che la scuotessero.

Non passò molto che si ritrovò stretta fra le braccia del ragazzo.

Riconquistato un minimo di lucidità, sentì che mentre la cullava intonava una melodia, la stessa che aveva sentito il giorno prima alla parata.

- When I was a young boy my father took me into the city, to see a marching band…-

I suoi occhi verdi ne incrociarono un paio color nocciola.

- He said “Son, when you grow up, would you be the saviour of the broken, the beaten and the damned?” He said “Will you defeat them, your demons, and all the non-believers, the plans that they have made? Because one day, I’ll leave you, a phantom, to lead you in the summer, to join the Black Parade…”-

Una mano, fredda e bianca come la neve che in quel momento bagnava la finestra, si posò sulla guancia di una persona troppo ammaliata da quella voce per accorgersene.

- So che sembra difficile. Capisco come ti senti. Ti sembra di essere un’equilibrista su un filo troppo sottile anche per te. Senti che potresti cadere da un momento all’altro. Beh, sappi che riuscirai a non cadere. Devi combattere. Devi rimanere in piedi. Devi rimanere in piedi per lui…-

Anche l’altra mano andò a posarsi sul volto della ragazza.

- And even if you’re dead and gone believe me, your memory will carry on.-

La guardò nuovamente negli occhi.

- We’ll carry on .-

Fu questione di pochi attimi, i loro visi erano già così vicini da sfiorarsi, e in quel nevoso pomeriggio di Novembre, si consumò il loro primo bacio. Clarissa rivide Gerard in quel gesto: provava gli stessi sentimenti contraddittori che sperimentava ogniqualvolta pensasse al ragazzo. Le sue labbra erano fredde, così come le sue mani, eppure avvertiva un fortissimo calore sulle guance. Quando sentiva che era il momento di separarsi, all’improvviso si accorgeva che non era ancora abbastanza. E poi c’era quell’ombra, che da quando lo aveva conosciuto perseguitava ogni ricordo che lo riguardasse, quell’ombra di inquietudine che, silenziosa, si appostava dietro ogni gesto, ogni parola e ogni movimento del ragazzo. Quando si lasciarono, entrambi avevano un sorriso ebete in volto, ma Gerard sembrava confuso, se non addirittura turbato. Guardò fuori dalla finestra, poi poggiò l’indice sul vetro.

- Sta smettendo di nevicare… È… È meglio se parto ora da qua.-

La ragazza si riprese forzatamente e annuì con foga, alzandosi dal letto e dirigendosi di sotto, seguita a ruota dal ragazzo.

- Allora… Ehm… Ci… Ci sentiamo anche domani?-

Tutto questo imbarazzo non è normale.

Ma aspetta… Noi non siamo normali.

- Sì, contaci, però mi faccio sentire io stavolta.-

Agitò la mano, poi sparì dietro l’angolo, accompagnato dallo sguardo color nocciola di Clarissa.

 

 

 

Sei un idiota.

Gerard era appena tornato all’accampamento, e si era rifugiato nella sua roulotte, le mani che stringevano con forza il bordo del tavolino, dove una matita rotolava pericolosamente sul disegno di un vampiro. Cosa stava facendo? Non lo sapeva neanche lui. Era ancora in grado di provare certi sentimenti? Era sicuro di aver perso quel dono tempo addietro. E avrebbe tanto voluto che fosse vero. Perché l’aveva baciata? Cosa gli era saltato in mente? L’aveva fatto solo per consolarla, certo. Sicuro.

Sei così bravo a darla a bere a te stesso, Gerard.

Sogghignò amaramente. Poco meno di due settimane e sarebbe tutto finito. A pensarlo, in quel momento, si faceva schifo da solo.

- Cosa ti passa per la testa?-

Sobbalzò, udendo una voce estremamente familiare. Si girò.

- Frank.-

- Non fare cazzate, Gerard. Lo dico per il tuo bene.- Nella penombra, oltre al ragazzo moro, ne intravide anche altri tre, uno biondo, uno riccio e quello che riconobbe come suo fratello.

- Bob. Ray. Mikey.- Li salutò con un cenno del capo.

- Non puoi frequentarla, la faresti solo soffrire, ne sei conscio?- Continuò Mikey, senza badare al saluto del fratello.

- Chi vi dice che la sto frequentando? Lasciatemi in pace. –

- Gerard, non vogliamo litigare, vogliamo solo ricordarti che non ci è permesso avere relazioni. Non meritiamo una simile fortuna.- Soggiunse Ray, serio.

- Lo so, lo so, ho capito.- Gerard alzò le mani in segno di resa. –Ora volete lasciarmi in pace? Vorrei finire di dare le ombre al mio disegno.-

Pian piano se ne andarono tutti, ma Frank rimase indietro, titubante.

- Gerard.-

- Credo che metterò l’ombra a sinistra…-

- Gerard, te lo ripeto un’ultima volta. Non fare cazzate.- Sparì anche lui, lasciando l’amico solo con i suoi dubbi e con un ricordo colorato di nocciola.

 

***

E dopo settimane di fermo causa vacanze, sono tornata con un nuovo capitolo! Che fatica! =O= È stato impegnativo ma divertente come sempre :3 Che dire? Le cose iniziano a muoversi... Finale malamente criptico per farvi malamente rimanere sulle spine! XD Qual è il segreto di Gerard & co.? Chissà... Lo scoprirete pian piano suppongo... Nel prossimo capitolo si vedranno un po' di più anche gli altri membri della band, uhuh *^* Beh ragazzi, è tutto, grazie a chi ha recensito, a chi recensirà e a chi ha letto anche questo capitolo :3 

Love ya,

Uky ♥

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Capitolo 4
*** The Sharpest Lives Are The Deadliest To Live. ***


Erano passati un paio di giorni da quando Gerard e gli altri avevano avuto quella discussione, e il ragazzo dagli occhi verdi aveva continuato a incontrare Clarissa quotidianamente, subito dopo la parata. Arrivava all’accampamento, scendeva dal carro e spariva alla vista di tutti, senza salutare né dire dove andasse. Il comportamento del fratello metteva incredibilmente a disagio Mikey, abituato a confidarsi con lui per ogni genere di cose e ritrovatosi di punto in bianco all’oscuro di tutto. Ma non era solo il modo di fare di Gerard che dava fastidio al ragazzo: dall’ultima volta che avevano parlato, Frank era costantemente nervoso, rispondeva male a tutti, diceva più parolacce del solito, si chiudeva nella roulotte a fumare, rendendo l’aria irrespirabile. Proprio per questa serie di motivi, tre giorni dopo il rimprovero fatto a Gerard, Mikey decise di chiedere consiglio a Ray e Bob e convenne con loro che qualsiasi cosa il fratello stesse facendo con quella ragazza, andava fermato. I due avevano poi condiviso col ragazzo il “piano d’azione” che avevano già preparato durante quei due giorni di silenzio.

- A meno che non le spieghi tutto, e dubito che lo farà, non c’è niente che possa fare per rendere questa relazione innocua.- Aveva commentato infine il riccio per dare coraggio a Mikey, non molto convinto dell’idea che lui e il biondo avevano avuto. – Su, ora va’ da Frank e spiegagli cosa deve fare, senza di lui non funzionerà.- Lo aveva poi spinto verso la roulotte dove il chitarrista era chiuso da almeno un’ora. Il ragazzo deglutì, poi entrò dentro.

L’aria, come previsto, era pervasa dall’odore del fumo, che rendeva l’ambiente claustrofobico e toglieva quel poco di luce che entrava dalle finestrelle. Mikey avanzò pian piano, le mani davanti a sé, col suo solito modo di fare goffo, attendendo che Frank si accorgesse di lui.

- Chi cazzo è?- Ecco. Ora non poteva più tornare indietro. Anche perché se fosse tornato indietro a mani vuote, Ray e Bob – anzi no, solo Bob – lo avrebbe picchiato.

- Sono… Sono io, Mikey…- Mormorò poco convinto il ragazzo, avvicinandosi a Frank, dopo essere riuscito a vederlo, nascosto nella penombra.

- Gerard è tornato?- Nonostante fosse arrabbiato come mai lo era stato prima, chiedeva ancora informazioni sull’amico. Mikey sorrise, rassicurato dal fatto che il chitarrista che conosceva non se ne fosse ancora andato del tutto. – No, non ancora… È per questo che sono venuto a parlarti… Io, Ray e Bob pensiamo che bisogni fare qualcosa, Frank. E ci serve il tuo aiuto. Solo tu puoi convincere Gerard a fare… A, ecco… A ubriacarsi.-

- Ubriacarsi? E perché dovrei fare una cosa tanto idiota? Non mi pare il momento per darsi ai fumi dell’alcool. – Il ragazzo aveva alzato un sopracciglio, dopo aver schiacciato col piede la cicca dell’ennesima sigaretta. Mikey sospirò, maledicendo Ray e Bob per averlo mandato là dentro: non era mai stato bravo coi discorsi, perché proprio lui? Riordinò le idee e parlò di nuovo.

- E invece è proprio il momento! Ascolta. Se noi stasera portiamo Gerard a bere… E facciamo un po’ di casino… Domani sarà troppo stanco per andare a trovare quella ragazza! Di conseguenza non si vedranno, lei si arrabbierà, si sentirà ferita, quello che vuoi… Sai come sono fatte le ragazze… E non se ne parla più!- Batté le mani fra di loro per rafforzare il concetto, poi guardò Frank in attesa della sua opinione. Il ragazzo fece un lungo sospiro, alzandosi dalla sedia dove era stato fino a quel momento. – Mikey, non lo so. Non ti sembra una cosa un po’… drastica?- Nonostante fosse arrabbiato con Gerard, rimaneva il suo migliore amico.

– Abbiamo già provato a parlarne con lui, Frank. Non ha funzionato, come hai potuto vedere. E se non capisce con le buone…- Durante la conversazione, Ray si era avvicinato all’entrata della roulotte e ora si trovava dentro di essa. Il ragazzo sospirò. – Non sono molto sicuro di questa vostra idea, ragazzi. Non lo so, ci devo pensare.- Mentre pronunciava queste parole, Bob li aveva raggiunti per avvisarli che Gerard era tornato. Mikey e Ray guardarono Frank un’ultima volta, poi si allontanarono insieme. Il chitarrista uscì per ultimo e incrociò il cantante che invece stava proprio per entrare nella roulotte; lo guardò di sottecchi, e fu sorpreso quando si fermò di fianco a lui.

- Domani mattina siamo liberi, lavoreremo nel pomeriggio.- Disse Gerard, senza rivolgergli lo sguardo, fissando dritto davanti a sé.

- E come mai questo cambio di programmi?- Anche Frank guardava fisso di fronte a sé; non voleva davvero sapere la risposta, lo aveva chiesto senza pensarci.

- Devo fare una cosa. – Il ragazzo dagli occhi verdi si mordicchiò il labbro un paio di volte, ma la sua espressione rimase neutra.

- E quale sarebbe questa cosa?- Il chitarrista, immaginando già la risposta, poteva avvertire chiaramente la rabbia crescere dentro di sé, partendo dallo stomaco per arrivare fino al petto.

- … Non sono affari che ti riguardano.- Eccola. La goccia che fece traboccare il vaso. A Frank quasi parve di sentire il rumore di un filo che si spezza, come aveva appena fatto il loro legame. Cosa stava succedendo al loro amico? Aveva dato di matto? Perché non si confidava più con loro? Era terrorizzato dall’idea che potesse abbandonarli da un momento all’altro. Nonostante si ripetesse che non era colpa sua, non poteva fare a meno di pensare alla ragazza che stava cambiando Gerard in quel modo. Subito dopo, il pensiero volò all’idea di Mikey, Bob e Ray. In quel momento provava un tale fastidio nei confronti dell’amico che non pensò due volte sul da farsi. Fece un respiro profondo, alzò le mani in segno di resa e tornò a parlare.

- Va bene, va bene… Allora immagino di non doverti dire dove vogliamo andare io e gli altri stasera…- Per la prima volta da quando avevano iniziato a conversare, Gerard volse lo sguardo verso il chitarrista. – E dove dovreste andare?-

- Oh… Non lo so… In giro magari… A divertirci un po’… Ma immagino che non ti interessi, ormai. Ora c’è quella ragazza, no?- Fece per andarsene, ma venne bloccato per un braccio, due occhi verdi puntati su di lui. – Frank, non fare l’idiota.-

- Non sono io l’idiota, qui.-

- Senti, se non vi dico dove vado vi faccio solo un favore, vista l’accoglienza che ho avuto l’altro giorno.- Gerard si stava scaldando, e Frank sapeva bene che questo lo avrebbe portato a un comportamento più impulsivo che sarebbe riuscito a manipolare molto facilmente.

- Continuo a non capire perché tu puoi tenerci segreti e noi no. – Incrociò le braccia, pronto a scagliare l’attacco decisivo.

- Cazzo, va bene! Se non me lo vuoi dire non me lo dire, sai che cazzo me ne frega!- Gerard alzò le mani al cielo, stufatosi di discutere.  

- Ehi, ehi, calmati. Se proprio lo vuoi sapere così tanto, pensavamo di andare in un pub qua vicino. Sai, le solite cose… Un bicchiere, quattro risate… Roba da amici, insomma.- Frank stava cercando di apparire il più odioso possibile, così da obbligare l’amico a contrattaccare.

- Cosa vorresti insinuare? Che io non sono vostro amico?-

- Forse lo sei più di quella ragazza.-

- Frank, questa fottuta conversazione è sull’orlo del ridicolo. Vengo anch’io stasera, ovviamente. E non voglio più sentirti parlare di “quella ragazza”.- C’era riuscito. Adesso Gerard avrebbe fatto tutto, almeno per una sera, per dimostrare a Frank che era totalmente indipendente da lei. – Vado a riposarmi un po’.- Così si congedò dal chitarrista, che andò a “fare rapporto” agli altri tre membri della band.

 

 

- Questo posto non mi piace.- Gerard si guardava intorno nervosamente, mentre raggiungevano il bancone del pub scelto dai suoi compagni. Ovunque sguardi sospettosi o disgustati erano puntati su di loro, e il ragazzo non poteva fare a meno di notarli. – Facciamo in fretta.- Non si era ancora seduto sullo sgabello che già non vedeva l’ora di andarsene.

- Amico, rilassati, l’importante è stare insieme, no? Vedrai che non darai più peso a dove siamo fra qualche bicchiere…- Frank diede una pacca sulla schiena a Gerard, richiamando l’attenzione del barman con l’altra mano.

- C-come? Non avrai mica intenzione di ubriacarti, Frank?!-

- Certo, sennò cosa ci siamo venuti a fare qua?- Ridacchiò, per poi pronunciare, rivolto all’uomo che si era avvicinato, il nome di un cocktail sconosciuto all’amico. – Lo stesso per lui.-

- Ehi, ehi, un attimo… Io non voglio bere, Frank!-

- Certo che vuoi bere! Oppure alla tua ragazza piacciono i tipi perbene?- Eccolo di nuovo all’attacco, di nuovo a fare pressione su Gerard. Il ragazzo rimase qualche attimo in silenzio, poi diede un leggero pugno al bancone. – Al diavolo, Frank. Cosa c’è nel cocktail che hai ordinato?- Chiese, mentre il barman portava ai cinque musicisti le loro ordinazioni. Il chitarrista ghignò, sospingendo il bicchiere verso l’amico. – Non è importante, tu bevi.- Detto questo, mandò giù il suo drink, incitando Gerard con lo sguardo a fare lo stesso. Il cantante, un po’ titubante, prese il bicchiere con una mano, osservando la sostanza rosastra che vi ondeggiava dentro. – Avanti Gee, sembra che tu non abbia mai bevuto un alcolico!- Commentò Ray, guardando l’amico sorridendo. Gerard ridacchiò. – Hai ragione…- Finalmente si decise a mandare giù il cocktail. Immediatamente sentì il bruciore dell’alcool passare attraverso la gola, svanendo man mano che andava verso lo stomaco. Poggiò il bicchiere sul bancone, sospirando. - … Non sono più abituato.- Frank sorrise, schioccando le dita verso il barman. – Non ti preoccupare, stanotte rimediamo.-

 

 

Vodka. Whisky. Cocktail.

Frank. Mikey schifosamente ubriaco. Ray. Bob.

… Clarissa.

Gerard spalancò gli occhi di scatto. Un fortissimo mal di testa si impossessò delle sue tempie, convincendolo che il cervello sarebbe schizzato fuori da un momento all’altro. Si guardò intorno cercando di fare meno movimenti possibili. Constatò che si trovava sul divano malmesso di una delle due roulotte all’accampamento. Dalla poca luce che filtrava attraverso le finestrelle immaginò che fossero almeno le undici passate. Si alzò molto lentamente, e fu subito preso da una forte nausea, ma si sforzò di raggiungere il piccolo spazio che era dedicato al bagno. Si sciacquò la faccia e non appena passò le dita sugli occhi avvertì un forte dolore a quello destro. Guardò davanti a sé, nel piccolo specchio appeso al muro, e nonostante la scarsa illuminazione riuscì a distinguere un leggero alone viola intorno alle palpebre. Pian piano qualche ricordo della sera prima iniziò a riaffiorare, gli tornò alla mente il pub e i suoi frequentatori, e non si sarebbe stupito più di tanto se avesse scoperto di aver fatto a pugni con qualcuno. Fece un respiro profondo, camminò verso il divano e quando vi fu abbastanza vicino cadde a peso morto su di esso. Si sentiva malissimo, sia fisicamente che psicologicamente. Aveva male alle gambe, le tempie premevano insistentemente contro la scatola cranica, la nausea rendeva l’inspirazione col naso impossibile e aspirando l’aria dalla bocca avvertiva ancora più chiaramente quanto la sua gola fosse secca. Un solo pensiero gli frullava in testa, una sola persona occupava la sua mente perché tutte le altre non facevano che aumentare il suo malessere. Quella mattina sarebbe dovuto andare a prendere Clarissa a scuola. La consapevolezza di non poter mantenere la parola data lo faceva sentire uno schifo, più ci pensava più si malediceva per aver dato ascolto a Frank la sera prima.

Sono una persona orribile.

Continuava a ripetersi questa frase. Non aveva il coraggio di presentarsi in quello stato a Clarissa e anche volendo il corpo glielo avrebbe impedito.

Aveva preferito un cocktail in più a quegli occhi color nocciola, e questo dimostrava quanto non li meritasse.

Mi ero davvero illuso di poter stare con lei?

Sorrise amaramente. I suoi amici lo avevano avvertito, e lui si era auto convinto di poter provare ancora sentimenti puri come l’amore. Lui era un essere impuro. Lo provava il fatto che, nonostante tutto, quella confusione, il calore dell’alcool che scende giù per la gola, le risse scoppiate all’improvviso… In qualche modo gli piacevano.

- … ‘Cause I love all the poison away with the boys in the band.- Mormorò le poche parole che in quel momento lo rispecchiavano così tanto. Ebbe giusto il tempo di finire la frase prima che la porta della roulotte fosse leggermente aperta da qualcuno. Non provò neanche ad alzare la testa, tanto la sentiva pesante, e aspettò che la persona appena entrata si facesse riconoscere da sola.

- Ehi, Gee...- Era Frank, ma a giudicare dal rumore dei passi non era entrato solo lui. – Siamo noi…- Oh, bene, tutti insieme. Cosa volevano ancora? – Come stai?-

- Come vuoi che stia?- Il ragazzo fissava il vuoto, davanti a sé, anche quando i suoi amici si erano posti di fronte al divano. Il chitarrista si inginocchiò per poterlo guardare in faccia. – È normale, sai, il dopo-sbronza… Ahi, ti fa male quell’occhio?-

- La vuoi smettere di fare il gentile? Lo so che non ti interessa. L’importante è che non veda Clarissa, no? Bene. Non la vedrò. Sarete contenti.-

- Ah, così si chiama Clarissa… Dovevi incontrarla oggi?-

- Sì, ma non succederà. Ora lasciatemi in pace. -

- Gerard, lo facciamo per il tuo bene, ok? Non ci hai ascoltato, e abbiamo dovuto ricorrere a questi mezzi.- Stavolta era stato Ray a parlare, spostando di lato Frank e abbassandosi per guardare il cantante negli occhi. – Lo capisci, vero? Perché lo abbiamo fatto.- Gerard annuì debolmente - come un bambino che aveva subìto non solo la sgridata, ma anche le botte - mentre stringeva la stoffa rovinata del copri divano. Non poteva negare di comprendere la preoccupazione del ragazzo riccio, e non dargli ragione lo avrebbe fatto apparire ancora più infantile di quanto non fosse già. – Ho capito. Scusatemi.- Commentò, la voce flebile e priva di alcuna emozione. Ray sorrise, poi gli scompigliò i capelli. – Riprenditi in fretta, Gee. Se sei troppo stanco possiamo annullare l’esibizione di oggi, ok?- Annuì di nuovo. Ormai non aveva più senso controbattere. Avevano vinto. O almeno, pensavano di aver vinto.

 

 

Quella mattina Clarissa si era svegliata con un brutto presentimento. Non sapeva come mai, ma sentiva che qualcosa non andava, e quando vide che invece di nevicare come ormai faceva da giorni stava piovendo se ne convinse ancora di più. Andò a scuola controvoglia, mossa solo dal pensiero che Gerard sarebbe venuta a prenderla. Ogni volta che ci pensava sorrideva come un’idiota, beccandosi più di uno sguardo sospettoso della professoressa. – Ehi, ti vedo allegra oggi. Devo ringraziare quel ragazzo di cui mi hai parlato?- Sussurrò Martha all’amica, un’espressione maliziosa in volto. – Ecco… Beh… Sì. Oggi viene fuori scuola…- Rispose Clarissa timidamente, le guance leggermente rosse. – Oh, wow, così finalmente lo vedrò da vicino! Ma allora, si sa qualcosa di più di lui o si ostina a fare il misterioso?- A questa domanda, la ragazza si rabbuiò all’improvviso. Nonostante stessero insieme, nonostante lei gli avesse parlato delle sue paure, dei suoi problemi, Gerard sembrava non volerne sapere di raccontarle qualcosa su di lui, sul suo passato. Ogni volta che si avvicinavano all’argomento, il ragazzo cereo iniziava a comportarsi in modo strano, rispondeva a monosillabi, dirottava abilmente il discorso su qualcos’altro, e Clarissa non aveva il coraggio di approfondire. – Diciamo che è un po’… Riservato?- Martha roteò gli occhi per poi posarli nuovamente sull’amica. – Bella, questo tipo non me la racconta giusta. Posso stare tranquilla?- Clarissa le lanciò uno sguardo scocciato. – Certo.- Rispose, prendendo a giocherellare nervosamente con la matita. – Gerard è dieci volte meglio di qualsiasi ragazzo possa trovare in questa città.- Martha si strinse nelle spalle. – Se lo dici tu…-

Non appena l’ultima campanella suonò, Clarissa si alzò di scatto, preparò in fretta lo zaino e corse fuori dalla classe, inseguita da una ormai rassegnata Martha. A ogni scalino che scendeva sentiva il cuore battere più forte e le farfalle nel suo stomaco agitarsi più velocemente. Una volta varcati i cancelli della scuola i suoi occhi iniziarono ad ispezionare tutta l’area circostante, ma non trovando ciò che cercavano tornarono a posarsi su Martha, che comprese subito cosa stava succedendo. Le lanciò uno sguardo alla “te l’avevo detto”, commentando: – Vedi? Non me la raccontava giusta… Non c’è niente da fare, ho un sesto senso incredibilmente sviluppato…- Mise un braccio attorno alle spalle di Clarissa, che continuava a rimanere in silenzio. – No, no… Ti sbagli, deve essere successo qualcosa!- Detto questo, si mise a correre verso la via che l’avrebbe portata fuori città, all’accampamento. Improvvisamente aveva capito che il brutto presentimento di quella mattina era legato a ciò che era appena successo, e sentiva di dover subito raggiungere Gerard. – Clarissa, che fai?! Aspettami, stavolta non ti lascio andare da sola!- Martha la seguiva a ruota, decisa a capire una volta per tutte chi fosse questo ragazzo che in così poco tempo era diventato tanto importante per la sua amica.

Arrivate all’accampamento, Clarissa non faceva neanche più caso alle occhiatacce che riceveva da ogni dove, amplificate dal fatto che era arrivata di corsa e si era fermata per riprendere fiato. Martha invece continuava a guardarsi intorno, stranita da tutte quelle facce sospettose e diffidenti. Non appena la ragazza si fu ripresa, continuò a camminare, stavolta non più di corsa ma sempre con passo veloce, verso le roulotte nere. La sua marcia fu bloccata bruscamente da qualcuno, contro cui era appena sbattuta. Quando aprì gli occhi dopo l’impatto si trovò davanti un ragazzo non molto alto, con una divisa da parata sbottonata e una sigaretta in mano. Quello che però colpì di più Clarissa erano i suoi occhi, dal colore indefinito, che la fissavano con severità, la squadravano da capo a piedi quasi con… odio. – Tu… Sei Clarissa?- Annuì, i pugni stretti per darsi la forza di sostenere quello sguardo. - … Gerard è nella roulotte a destra.- Il ragazzo indicò dietro di sé, facendosi un tiro di sigaretta. Clarissa lo guardò confusa, poi ringraziò sommessamente e si allontanò, seguita da Martha, che per un attimo incrociò lo sguardo del ragazzo e abbassò subito gli occhi, quasi terrorizzata dall’intensità di esso. Davanti alla roulotte, le due incrociarono un altro membro della band, biondo scuro, magrolino, che aveva appena aperto la porta; guardò Clarissa con sguardo preoccupato, poi commentò: - Non fa che parlare di te… Sembra non sentire quello che gli diciamo. Non ci ascolta… Fa’ qualcosa…- Detto questo, si allontanò. Martha avvertì la ragazza che sarebbe rimasta fuori ad aspettarla, poi lasciò che entrasse da sola nella roulotte.

La poca luce che filtrava dalle finestrelle illuminava leggermente il divano su cui Gerard era rimasto per tutto il giorno. Clarissa vi si avvicinò e si inginocchiò davanti ad esso, osservando quel viso pallido, quei capelli neri come la pece, quegli occhi chiusi. – Gerard… Ehi…- Il ragazzo li aprì lentamente, e non appena la riconobbe un debole sorriso venne a formarsi sulle sue labbra. – Clarissa… Sei venuta fin qui… Non dovevi…- La ragazza alzò un sopracciglio. – Ma che dici? Perché non avrei dovuto?-

- Perché… io non ti merito… Sono una brutta persona.-

- Solo perché non sei venuto a prendermi? Guarda che lo vedo che non stai bene, non è colpa tua.-

- Clarissa… È il dopo sbronza. Stanotte ero ubriaco fradicio. Non è perché sto male o niente, semplicemente stanotte ho bevuto.- Sorrise amaramente. – Riesci ancora a giustificarmi?- La ragazza rimase a fissarlo per qualche secondo, prima di sospirare e riprendere a parlare.

- Può capitare a tutti di ubriacarsi, è normale. Non farne un dramma.- Sorrise debolmente ma sinceramente. Gerard si passò una mano sul viso, facendo un respiro profondo.

- No, tu… Non… Non capisci. Non puoi capire.- Clarissa si rabbuiò all’improvviso. Ecco che faceva di nuovo il misterioso, pretendeva di poterla lasciare all’oscuro di tutto ancora una volta. Posò una mano sulla sua testa, accarezzandogli lentamente i capelli neri.

- Ma io voglio capire, Gerard.- I suoi occhi color nocciola incrociarono quelli verdi del ragazzo. Avevano un ché di sofferente, come se la supplicassero in silenzio. Capì che, per qualche motivo a lei sconosciuto, tutto questo lo metteva a disagio. Si sporse verso di lui e lo baciò dolcemente. Come sempre, attraverso il bacio poteva avvertire tutto quello che Gerard provava in quel momento: ansia, paura, ma anche una forte voglia di combattere, di resistere fino alla fine. – Non mi importa cosa mi dirai, io sono pronta ad ascoltarti. Proprio come tu hai fatto con me. – Sorrise. Il ragazzo rimase in silenzio, guardandola, poi iniziò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli, come se stesse ancora cercando qualche modo per evitare l’argomento.

– Gerard…?- Clarissa lo guardò con aria interrogativa.

- … Domani. Domani vengo da te, e parliamo.- La baciò. – Te lo prometto.. Ora sono molto stanco..- Sorrise debolmente. La ragazza annuì. – Me l’hai promesso. Io mi fido di te, Gerard. Non farmene pentire.- Si alzò e lo guardò un’ultima volta prima di avvicinarsi alla porta. – Ti lascio riorganizzare le idee per domani… Riguardati.-

Uscì e raggiunse Martha, che era seduta là vicino su una cassa di legno. – Com’è andata?- Chiese subito, mettendosi in piedi. – Bene… Domani, Martha. Domani mi spiegherà tutto…- L’amica poggiò le mani sui fianchi. – Così dice lui. Se la sua spiegazione non ti soddisfa, vieni a dirmelo che gliene dico quattro!- Scoppiarono a ridere insieme, andandosene sotto gli sguardi severi dei membri del corteo. Clarissa tornò a casa e non riuscì a fare niente che non fosse pensare a Gerard, alle condizioni in cui lo aveva trovato, alla pioggia che da quella mattina non accennava a diminuire. Questi pensieri non la abbandonarono neanche al momento di addormentarsi, ed erano riassunti dalla sua mente in una sola parola.

Domani.

 

***

WAAAH, ho finalmente aggiornato! *pant pant* Chiedo perdono. Invoco perdono! T^T Qua fra scuola, malattie, stanchezza, l'ispirazione ha deciso che era meglio rimanersene un altro mesetto in vacanza... Ma finalmente sono qua, con un nuovo capitolo! In cui ho tirato fuori il peggio da ogni membro della band, a quanto pare... Siete contenti? Nel prossimo capitolo finalmente verranno districati i nodi che vi tengono sulle spine praticamente dall'inizio! XD Infatti non so quanto ci metterò per scriverlo, uhm uhm. *coff* BEEENE, spero vi sia piaciuto anche questo, lo spero davvero perché è stato un parto >__< *picchia l'ispirazione* Grazie a tutti quelli che recensiscono, recensiranno o che semplicemente leggono :'3 Alla prossima!

Uky ♥

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