Il musicante di Brema e l'incantevole strega

di Soe Mame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parodo ***
Capitolo 3: *** Próto Epeisódio ***
Capitolo 4: *** Agone ***
Capitolo 5: *** Parabasi ***
Capitolo 6: *** Deútero Epeisódio - próto méros ***
Capitolo 7: *** Deútero Epeisódio - deútero méros ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

.

Da quando il sole era svanito oltre l'orizzonte, poche ore prima, l'oscurità aveva avvolto il bosco, portando con sé il silenzio della notte.
Sciocco illudersi che la quiete durasse: la maggior parte delle creature del bosco faceva della notte il suo regno, della confusione il suo vivere.
Eppure, nonostante questo, c'erano delle zone, tra quei fitti alberi, in cui i caotici rumori non arrivavano, zone in cui nessuno vedeva il motivo di avventurarsi.
Ma, quella notte, qualcuno camminò tra quei tronchi.
Una figura ammantata, protetta dalle tenebre, vagava in mezzo agli alberi, il cappuccio che le celava la parte superiore del volto lasciava sfuggire dei ciuffi dei suoi lunghi capelli castani; tra le braccia, stretto a sé come il più importante dei tesori, la creatura portava un cesto.
Data la grandezza della cesta, la figura cercava goffamente di sorreggerla, sperando, nel mentre, di non inciampare nel suo mantello blu scuro.
Finalmente lo vide: il fiume, la sua meta.
La creatura si avvicinò alla riva, inginocchiandosi e posando il cesto a terra, per poi controllare che il contenuto fosse salvo.
Nel vederlo, la figura, una giovane ragazza, sorrise; delicatamente, con le sue dita di bronzo, sfiorò ciò che si trovava nel cestello, come una dolce carezza.
- Non devi piangere, mio dolce amor... Il fiume ti cullerà... - mormorò, intonando un canto: - Fa' che il mio canto ti resti nel cuor, così insieme a te crescerà... -.
Riprese il cesto tra le braccia, avanzando fino a sentire l'acqua del fiume lambirle le ginocchia; facendo attenzione, la ragazza si chinò, portando la cesta sulla superficie del piccolo canale: solo allora la lasciò.
- Fiume che scorri gentile per me... - cantò, mentre sentiva i vimini intrecciati scivolarle lungo le dita, trasportati dalla corrente del fiume: - ... e grazie a te lui vivrà... -.
Si rialzò, osservando il cesto farsi via via più lontano: - Conosci un uomo che libero è... - la sua voce divenne un sussurro: - ... fiume, conducilo là... -.
Un soffio di vento la fece trasalire, facendola stringere nelle spalle. Ma la ragazza sorrise: - Ora dormi, piccolino. - mormorò, guardando la cesta già a diversi metri da lei.
- Manerella! -.
A quel nome, la fanciulla si voltò verso la riva, notando altre due figure ammantante come lei, un mantello rosso e un mantello verde celavano i volti delle due ragazze appena arrivate.
La creatura in blu, Manerella, fece loro segno di fare silenzio: - Si sta addormentando! - bisbigliò, indicando loro il cesto sempre più distante.
Gli sguardi delle due giovani donne andarono al cestello nel fiume.
Lontano.
Sempre più lontano.
- Almeno qui non c'è tutta quella confusione! - sospirò Manerella, esasperata: - Per carità, far casino è divertente, ma per far addormentare un bambino... -
- Manerella ma... poi come fai a recuperarlo? - domandò timidamente la ragazza in verde, Shizulora.
La ragazza in blu sobbalzò: - Ehm... - fece, improvvisamente allarmata: - ... ecco... -.
- Tra l'altro... - si ricordò la giovane in rosso, Anzauna: - ... questo fiume non finisce con una cascata? -.
Silenzio.
Uno sguardo di nocciola, uno sguardo di mirtillo e uno sguardo di zucchina si fissarono sulla cesta di vimini, ormai grande quanto mezzo pollice, portata via dalla corrente del fiume.
Improvvisamente, le tre pucciose ex-fatine d'Egitto si resero conto del fatto di starsi perdendo il loro adorato figlioletto adottivo, in viaggio verso una cascata dell'altezza di svariati metri.
Tre urla di terrore riempirono l'aria fino a quel momento silenziosa del luogo: - ROSYAMI! -.

PROLOGO



"Comincio a pensare che non ci siano zone silenziose, in questo bosco." pensò esasperata la Strega, osservando il fiume e le tre pucciose ex-fatine d'Egitto, sulla riva opposta, intente a rincorrere una cesta che stava prendendo il largo.
Con la schiena, si appoggiò ad un tronco, godendosi l'assurda scena in tutta tranquillità, nascosta dalle tenebre della notte; già che quelle tre l'avevano disturbata durante il suo raccolto di Girasoli Trasgressivi - che seguivano il percorso della luna anziché del sole -, tanto valeva vedere cosa avrebbero combinato.
"Che disastri." commentò tra sé e sé, incapace di trattenere un sorriso malizioso: "E' impensabile che delle creature magiche vivano senza usare la magia. Loro, poi, sono talmente imbranate di natura...".
Alzò le sopracciglia bionde, perplessa, nel notare i goffi tentativi di recupero delle tre ragazze - consistenti nel lanciarsi a caso sopra la cesta o fare un lazo con i mantelli.
"Comprendo che la situazione sia disperata..." pensò: "... ma, secondo me, il principe Aurathem non arriverà ai suoi sedici anni.".
Era presente quel giorno, poche settimane prima, al castello del regno d'Egitto.
Uno stregone, non invitato alla festa in onore del neonato principe Aurathem d'Egitto, per vendetta aveva scagliato su di lui una maledizione mortale che si sarebbe avverata dopo sedici anni.
Per salvare il bambino, le tre pucciose ex-fatine d'Egitto avevano rinunciato ai loro poteri, decise a vivere come umane e a crescere il bambino come fosse il loro, per nascondere la sua identità regale.
La Strega era a conoscenza di ogni dettaglio di questa vicenda perché le tre farfalline distruttive si erano trasferite vicino la sua casa, la splendente Casetta di Gioielli.
"Quel bimbo mi fa un po' pena..." ammise, passandosi le dita affusolate tra i lunghi capelli biondi: "Già essere maledetti a morte da uno stregone è un po' fastidioso, poi finire in pasto a tre fatine pucciformi che non sanno neppure riempire un bicchiere d'acqua senza magia...".
Scosse la testa: "Povero bimbo." lo compatì, dando le spalle alla scena che aveva osservato fino a quel momento, ora venutale a noia: "Per me non passa il primo anno." scommetté con se stessa, mentre tornava a casa.
La Strega camminò con lo sguardo rivolto verso il cielo, senza neppure badare a dove mettesse i piedi: conosceva alla perfezione quel bosco, non c'era nulla che potesse sorprenderla.
Ma il cielo... il cielo notturno era una distesa di diamanti.
Piccoli ma sfolgoranti diamanti lontani chissà quanto, intoccabili, fatti solo per essere ammirati e invidiati.
E anche lei, la Strega della Casetta di Gioielli, era tanto splendida quanto lontana, intoccabile, fatta solo per essere ammirata e invidiata.
Lei lo sapeva benissimo.
Era una strega, soltanto gli umani più avventati o disperati si avvicinavano a lei, chiedendole filtri d'amore - "Ma perché sempre filtri d'amore? Nessuno mi ha mai chiesto una lozione per capelli!" - o intrugli per mantenere intatta la propria giovinezza. Ed era proprio per l'ennesimo filtro d'amore che la Strega era andata a raccogliere i Girasoli Trasgressivi, uno degli ingredienti necessari per prepararlo; il suo raccolto, però, era stato più fiorente del previsto: era riuscita a trovare un piccolo lapislazzulo, perso da chissà chi e chissà come.
La Strega della Casetta di Gioielli era celebre per le sue pietre preziose: ogni cosa le appartenesse era stato interamente ricavato da una grande gemma o da tante piccole gemme fuse insieme.
All'interno della sua lucente casa dalle mura di platino, erano raccolte tutte le pietre preziose esistenti: chi aveva osato rubarle aveva scoperto che anche la Strega era capace di scagliare maledizioni.
Magari non mortali, ma decisamente più fulminee e durature.
Probabilmente, era per questo che la gente la temeva: per qualche strano motivo, gli umani non sapevano mai come rapportarsi alle streghe, quasi che qualsiasi loro gesto potesse essere una fonte di fastidio e dunque motivo di una maledizione.
"Beh, in fondo è così." realizzò la Strega, finalmente giunta alla sua casa.
Riluceva persino di notte: il bianco platino delle mura, lo scintillante argento delle finestre, lo sbrilluccicante oro del tetto, il rosso rubino della porta, le mille sfaccettature dei tanti opali che vi erano incastonati.
E lei, la sua proprietaria.
Una donna di grande bellezza, dagli affilati occhi di sugilite, con una cascata di onde di eliodoro che le sfioravano i fianchi prosperosi, ricadendole sul seno abbondante; una strega ammaliatrice, dicevano alcuni uomini.
Ma lei non aveva mai ammaliato nessuno - tranne uno o due centinaia di uomini che potevano tornarle utili: lei non aveva bisogno di nessuno.
Un uomo poteva starle al fianco solo per una manciata di ore e soltanto se le avesse portato qualche vantaggio.
Una donna poteva essere vicino a lei solo perché abbastanza bella da poter essere ammirata come una pietra preziosa.
Ma lei, la Strega, non aveva bisogno di nessuno.
Era bella, viveva da sola, in una casa meravigliosa tutta per lei, guadagnava molto creando minestre lovvifere che sarebbe stata capace di fare persino ad occhi chiusi.
Perché rovinarsi la vita con qualcun altro?

Dieci anni dopo...

Johnoh si lasciò cadere all'ombra di un alto e stretto edificio rettangolare, tipico di quel bizzarro regno in cui era appena giunto: la luce del sole appena sorto, per quanto creasse un'atmosfera di assoluta pace, era piuttosto fastidiosa se dritta negli occhi.
Aveva camminato per tutta la notte, attraversando valli, montagne, pianure, paludi e un campo da calcio di Holly e Benji, ed era semplicemente esausto.
- Fame! - esclamò in tono lamentoso, con la colonna sonora della sua pancia brontolante.
La schiena contro il muro, Johnoh lasciò andare indietro la testa e chiuse gli occhi, quasi a volersi riposare dopo il lungo tragitto - il campo da calcio, soprattutto, lo aveva privato di ogni energia.
- ... fame... - ripeté, a voce più bassa, spostando la mano alla cieca, tastando il terreno finché non riuscì a trovare la sua sacca da viaggio.
Vuota.
Beh, non proprio: c'era il suo tamburello.
"Ma cosa mi è saltato in mente...?" si chiese il giovane, ancora accasciato contro la parete, ripensando alla sua tanto brillantemente stupida decisione di un paio di mesi prima: abbandonare tutto ciò che aveva per andare alla scoperta dell'ignoto.
Aveva un lavoro.
Faceva parte dell'orchestra di Brema, insieme al gallo Asterix, al gatto Garfield e all'asino Ciuchino; lui, Johnoh, era specializzato nel suonare il tamburello.
Era molto apprezzato, il suo stipendio era relativamente alto.
Aveva una casa.
Una casa che divideva con i suoi compagni d'orchestra, una casa che loro stessi si erano guadagnati onestamente.
Certo, per averla avevano dovuto buttare fuori i precedenti proprietari e terrorizzarli a morte perché non tornassero mai più, ma sono semplici e futili dettagli insignificanti.
Probabilmente, aveva tutto ciò che potesse desiderare.
Eppure, Johnoh sentiva che c'era qualcosa che gli mancava. Cosa fosse, non lo sapeva neppure lui.
Era per questo motivo, forse, che si era messo in viaggio verso l'ignoto, lasciando l'orchestra, lasciando la sua casa, lasciando i suoi amici, portando con sé solo il suo tamburello.
E il suo ultimo stipendio, e abbastanza cibo da riempire la sacca.
Salutati i suoi amici, quindi, Johnoh era partito dalla lontana Brema, pieno di sogni e aspettative, lo sguardo fiero verso il futuro, alla ricerca di quella cosa che gli mancava.
- Mi manca il cervello! - imprecò, spalancando gli occhi e aprendo la sacca di scatto, quasi sperando di trovarci del cibo.
Niente.
Erano ormai due mesi che viaggiava, e il suo stipendio era sparito nel giro di una settimana.
Un po' per del cibo extra, un po' per scommesse finite male, un po' per un paio di furti.
Il cibo, invece, era svanito nel giro di due giorni.
Da due mesi, Johnoh aveva imparato a cacciare: i suoi sensi di cane - per quanto lui affermasse di non esserlo, era probabile che i suoi geni avessero affinità con quelli canini - lo aiutavano, ma c'erano sempre temibili bande di teppisti pronti a strappargli la cena.
La vita di strada era difficile ma Johnoh non si sarebbe tirato indietro.
L'unica cosa negativa di tutto ciò era il fatto che non si fosse portato neppure un cambio.
Erano due mesi che indossava sempre gli stessi vestiti, lavandoli occasionalmente ai fiumi, nelle paludi e con la pioggia; non tanto per cura personale, quanto per il fatto che una puzza micidiale avrebbe fatto fuggire tutte le sue prede.
Che, per la cronaca, erano frutta, verdura e funghi.
Un crescente vociare attirò l'attenzione del ragazzo: il regno si era popolato. La gente si era risvegliata dal proprio sonno, riversandosi nelle strade, andando al lavoro.
Johnoh si guardò intorno: per strada, tra quei grandi edifici rettangolari monocolori bianco-o-nero ricoperti di puntini di colore opposto, si potevano vedere quelli che sembravano residui di festoni colorati, stelle filanti, schiuma, ghirlande di fiori, trapunte blu a stelle argentate in vera piuma di leopardo, bandierine bordeaux con sopra disegnati dei lama bordeaux, grimaldelli d'ottone, occhiali di perline a forma di goccia, righelli e squadre; doveva esserci stata una qualche festa, poco tempo prima.
"Mmm..." cercò di ricordare il giovane, alzandosi a fatica: "... è successo qualcosa di interessante qui a Domino, nelle ultime settimane?" si chiese.
La fame, però, gli annebbiava la mente, rendendo vano ogni suo sforzo di pensare.
E di far caso agli svariati palloncini ancora attaccati ai lampioni, palloncini variopinti sui quali erano stati disegnati con pennarelli colorati tanti "10".
"Mmm... ci penserò dopo..." si disse, camminando curvo con una spalla contro il muro, gli occhi castani resi spiritati dalle palpebre calanti e dalle scure occhiaie che li incorniciavano; avanzò lentamente, una mano abbandonata su un fianco, che a stento teneva la sacca, l'altra allo stomaco brontolante.
"Non mi sembra ci siano boschi, qui intorno..." notò con un certo sconforto, cercando debolmente con lo sguardo una qualsiasi forma di vita vegetale/fruttale/fungale.
Quand'ecco che, improvvisamente, qualcosa apparve d'innanzi ai suoi occhi: il mercato.
Bancherelle di ogni genere - soprattutto alimentare - erano disseminate lungo la via principale del regno di Domino, merce di ogni provenienza - soprattutto alimentare - faceva bella mostra di sé sopra le tavole di legno, i venditori urlavano le qualità della loro mercanzia - soprattutto alimentare -, l'aria si era ben presto impregnata degli odori e dei profumi più vari - soprattutto alimentari.
Ad illuminare il volto di Johnoh, però, fu il suo notare la massica presenza di prodotti alimentari.
Senza neppure pensarci, seguendo un istinto superiore, il ragazzo si raddrizzò e, pancia in dentro e petto in fuori, camminò deciso fino a raggiungere le bancarelle, passeggiando con noncuranza tra le massaie pettegole e i bambini che sembravano non avere altro scopo nella vita che infilarsi tra i piedi degli adulti.
"Qui c'è davvero di tutto!" si disse, lanciando occhiate avide ad ogni prodotto commestibile che gli capitasse sotto gli occhi: "Domino è un regno strano, ma è decisamente ricco!".
Quella semplice considerazione bloccò il suo avanzare quasi saltellante: "Un momento..." si fermò, gli occhi completamente sgranati: "... se Domino è un paese ricco, significa che lo è anche la gente. E se la gente è ricca, significa che ha molti soldi. E se la gente ha molti soldi, significa che è abituata a spendere molto denaro. E se la gente è abituata a spendere molto denaro, significa che qui i prezzi sono mostruosamente alti!".
Fu in quel momento che il baratro della disperazione si aprì sotto i piedi di Johnoh.
- AAAAAAAAARGH! AIUTO! - urlò il ragazzo, aggrappandosi con forza al bordo della buca apertasi di colpo sotto di lui, per poi riuscire a issarsi fino ad uscire completamente.
- Sto bene! - annunciò, una volta sul terreno, scattando in piedi e aprendo le braccia: - Sto bene! -.
Un sospiro di sollievo si levò da alcune signore, mentre la maggior parte della popolazione se ne strafregò elegantemente.
"Devo stare attento..." si disse il giovane, allontanandosi dal foro nella strada: "Non si sa mai quando possono aprirsi buche nel pavimento...".
Questo, tuttavia, non gli fece dimenticare la tragica scoperta che aveva fatto: a Domino, i prezzi erano alti. Molto alti.
E lui non aveva un soldo.
"... a pensarci bene..." si rese conto Johnoh, sbattendo più volte le palpebre: "... se già sono completamente senza soldi, che mi importa di quanto costa una cosa? Tanto la devo rubare comunque!".
Beh, sì, per certe cose, Johnoh aveva scarso scrupolo morale.
Johnoh: Si chiama "istinto di sopravvivenza", autrice.
Lo stomaco del ragazzo protestò sonoramente, ricordandogli della scarsa cura che stava mostrando nei suoi confronti.
- Sì, ecco! - sbuffò il giovane, avvicinandosi ad una bancarella di cocomeri.
Il suo stomaco non emise alcun suono.
- Non ti vanno, eh? - capì, scuotendo la testa e passando alla bancarella successiva, interamente ricoperta di cavolfiori.
Lo stomaco fece un grugnito appena percettibile.
- Possibile, ma solo come ultima possibilità. - comprese Johnoh, alzando le spalle e fermandosi alla bancarella seguente.
Sopra quella tavola vi era una vasta distesa di funghi di ogni genere, marroncini, il loro odore caratteristico che riempì velocemente i polmoni del ragazzo.
Un ringhio deciso proveniente dalla sua pancia fece intuire al ragazzo che il suo stomaco era d'accordo: i funghi erano perfetti.
Aveva già aperto la sacca, la mano si era appena allungata verso una manciata di funghi, quand'ecco che il suo sguardo fu calamitato da una bancarella poco distante, sul lato opposto della strada.
Carne.
Bistecche.
Un boato gastrico e l'improvviso aumento della salivazione gli fecero totalmente cambiare idea: altro che funghi, altro che cavolfiori, altro che cocomeri!
"Carne... sento odore di carne..." si disse, avanzando verso la sua preda con uno sguardo indemoniato come neanche il più becero dei mostri degli horror di serie B.
A dimostrazione del fatto che la fame rende cattivi.
- Prova questa carne, è deliziosa! - stava dicendo una massaia ad un'altra donna, mostrandole un pezzo di manzo di forma trapezoidale: - Certe cose si trovano solo a Domino! Ah, non sanno che si perdono quelli d'Egitto, a rinunciare alla carne! -.
C'era parecchia gente intorno alla bancarella.
"Perfetto." si disse Johnoh, puntando gli occhi famelici su una corposa bistecca: "Più c'è folla, più ci sono possibilità che io riesca a passare inosservato.".
Era a meno di due metri.
A meno di un metro.
Con un fianco toccava la tavola di legno.
La mano di Johnoh scattò verso la bistecca, afferrandola e infilandola velocemente nella sacca aperta, pronto a richiuderla altrettanto rapidamente e andarsene con noncuranza.
Un improvviso rumore di una cascata di vetro in frantumi lo fece trasalire, facendolo voltare in direzione di quel suono inquietante, assieme al resto dei presenti: un bambino aveva fatto cadere non si sa come una piramide di barattoli di ghiande sott'aceto alta tre metri, distruggendo praticamente tutti i contenitori di vetro.
Sguardi irati si concentrarono sul bimbo, mentre l'aceto e le ghiande si spandeva o rotolavano verso la gente e le bancarelle vicine.
Silenzio.
- E' stato lui! - gridò il ragazzino, indicando la prima persona che gli era capitata sotto gli occhi.
Sfortunatamente, si trattava di Johnoh.
Gli sguardi colmi d'odio si spostarono sul giovane, notandolo bloccato nell'atto di infilare la bistecca nella sacca.
"... ca**o.".
- Sta rubando una bistecca! - urlò un uomo, additandolo, come se nessuno se ne fosse accorto.
- Mi spiace, signori! - esclamò Johnoh, indietreggiando con un certo timore: - Ma si è fatto veramente tardi e ho un appuntamento urgente con il mio stomaco! - disse a caso, per poi estrarre dalla sacca il suo strumento e fuggire facendosi largo tra la folla a suon di tamburellate, la bistecca al sicuro nella borsa.
Con tutta la velocità di cui era capace, il musicante di Brema scappò dal mercato, correndo tra le vie del regno senza un piano preciso, inseguito non tanto dalle guardie quanto dal proprietario della bancarella e da gente random.
- Via da qui! Scappa! Un pezzo di carne! Già che sono già qua rubo solo quel che servirà... cioè tutto! - canticchiò, continuando a correre tra quelle strade apparentemente tutte uguali, in quel regno in bianco e nero.
Forse gli conveniva provare a fuggire direttamente da Domino.
- LADRO! - gridò una voce alle sue spalle.
- CANE! - gli fece eco un'altra persona.
- E basta! - protestò Johnoh, fermandosi e voltandosi con sguardo truce verso i suoi inseguitori: - Non sono un- -
- MOLLA- -
- -LA CARNE! -
La carica di gente imbufalita che gli si stava avvicinando a gran velocità lo convinse a riprendere la fuga, e anche piuttosto rapidamente.
- Solo uno spuntino! - pigolò il ragazzo, perdendo tutta la sua stizza.
- Ti sbattiamo giù il bottino! - replicarono i suoi inseguitori.
- Che malvagità, non c'è carità! - sbuffò Johnoh, continuando a correre senza meta: - Fuggo, ma senza paura! Scappo per non litigar! Certo, non voglio farmi catturar! - tornò a canticchiare, riuscendo velocemente a mettere una consistente distanza tra sé e coloro che lo stavano inseguendo.
Dopo un tempo imprecisato, il ragazzo giunse ad un fiume, lasciandosi cadere sulla riva, ormai senza fiato.
- Ah, quante storie per un pezzo di carne! - esclamò, contrariato, con l'assenso del suo stomaco.
Aspettò qualche secondo, il tempo di riprendersi, e si mise seduto, posando il tamburello a terra ed estraendo la bistecca dalla sacca: - Ora siamo solo noi due! - trillò, gli occhi che si illuminavano.
- Qui non mi troveranno mai! - ridacchiò, guardandosi intorno e notando cartelli che indicavano luoghi quali "Collina dei Passerotti Turbolenti" o "Pianura delle Catapulte Nascoste": - Chi mai si avventurerebbe qui? -.
Il suo sguardo bramoso tornò alla bistecca: - Ed ora, si mangia! -.
Fece per azzannare il pezzo di carne che teneva tra le mani, ma i suoi occhi caddero sulla superficie del fiume, proprio ad un passo da lui.
E fu proprio sulla superficie d'acqua che Johnoh vide una cosa che lo sconcertò.
- Ehi! - fece, spalancando gli occhi per lo shock: - Ma lì c'è un pezzo di carne grosso almeno il doppio di questo! - quasi urlò, lasciando cadere la bistecca per l'incredulità.
La carne cadde in acqua, rivelando che ciò che Johnoh aveva visto non era altro che il suo stesso riflesso, ingrandito per un'illusione ottica.
- Oh... - sussurrò il ragazzo, imbarazzato: - ... mi sono fatto fregare dall'acqua. -.
Alzò le spalle e si avvicinò al punto in cui era caduta la carne: - Adesso non sarà saporita come prima, ma ho talmente fame che me la mangio lo stess- MA CHE...? -.
Indietreggiò con un salto, terrorizzato dall'improvvisa apparizione di miriadi di piccoli pesci scuri, gettatisi sulla bistecca caduta in acqua ad una velocità inumana.
In pochi secondi, della carne non era rimasto niente.
- Ma che ca**o...? -
Si trattava dei piranha del canale d'acqua del vicino regno d'Egitto che avevano risalito la corrente del fiume...
Johnoh: Ma quelli non sono i salmoni?
Anche i piranha del regno d'Egitto hanno l'abitudine di risalire la corrente del fiume per venire a rompere le balle pure ai regni vicini. Soprattutto da quando gli egittesi si sono votati al vegetarianesimo.
- Non è possibile... - gemette Johnoh, in ginocchio, guardando disperato i malefici pesci allontanarsi con nello stomaco il suo pasto, che lui aveva rubato con tanta onestà e buone intenzioni.
- Odio i pesci. - decretò con rabbia, stringendo i pugni: - Vi si potesse seccare tutto il fiume, dalla sorgente alla foce! Anzi, che possiate inghiottire roba avvelenata! - li maledì, ringhiando.
Il suo stomaco quotò, se possibile ancora più alterato di lui.
Johnoh trasse un profondo respiro: e così, si era giocato il pranzo e, probabilmente, anche la cena.
Guardò il suo riflesso sul fiume, sulla superficie tornata piatta, quieta: quello che vide fu...
"... il volto di un idiota che si è fatto fregare il cibo da un rigolo d'acqua e da dei pesci".
Scosse la testa, sconfortato: "... forse è davvero il caso che torni a Brema...".
Una goccia cadde sulla sua mano.
E poi un'altra, un'altra, e un'altra ancora.
Soltanto in quel momento il musicante di Brema si accorse, dal riflesso sull'acqua, del cielo annuvolatosi, della pioggia che cominciava a scendere.
- Perfetto. - sbuffò, alzando lo sguardo: - C'è altro? - chiese, a nessuno in particolare.
- ECCOLO! E' IL CANE LADRO! -.
- Eh, no, eh! -.
Erano di nuovo loro, i suoi inseguitori.
- Ma sono veramente tenaci! - notò con disappunto, recuperando la sacca di nuovo vuota, il tamburello e rialzandosi, per poi riprendere la sua fuga: - Uh! Uh! Son proprio seccanti! Che stress campare così! -.
Tuttavia, Johnoh, nella sua corsa, non aveva affatto prestato attenzione a dove si stesse recando.
Così, del tutto ignaro, finì nella Pianura delle Catapulte Nascoste, curandosi solo di non inciampare sulla terra ormai diventata fanghiglia, la vista ridotta a causa della pioggia fattasi rapidamente fitta.
Successe tutto troppo in fretta perché il giovane musicante di Brema potesse capire.
In un istante, un suo piede aveva toccato l'estremità di una Catapulta Nascosta, attivandola all'istante, con la conseguenza che Johnoh si ritrovò sparato nella stratosfera.
- AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH! MA SIAMO IMPAZZITI? AAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH! -
Attraversò le nuvole, evitò una trentina di fulmini, sorvolò monti, colline e pianure, per poi precipitare in picchiata in un bosco.
- SONO TROPPO GIOVANE PER MORIRE! - gridò, mentre un'indefinita macchia scintillante davanti ai suoi occhi si faceva sempre più grande ogni secondo che passava.
SPLASH!
Johnoh si ritrovò immerso nell'acqua, quasi abbagliato da una miriade di luci puntate negli occhi; in preda al panico, ma conscio di essere ancora vivo, mosse le braccia e le gambe, riuscendo a risalire in superficie, solo per essere colpito in viso dalla pioggia battente.
- Che succede? - sentì urlare una voce femminile, a metà tra l'irritato e il sorpreso, con una netta prevalenza di quest'ultimo: - Stanno piovendo uomini? -.
Alzando lo sguardo, con il vento che soffiava violento e la pioggia talmente fitta da sembrare quasi nebbia, Johnoh vide una donna dai lunghi capelli biondi affacciata ad una finestra d'argento.

- Confido nel fatto che la mia dissertazione vi sia stata intellegibile. - disse l'uomo, serio, osservando le tre persone in ginocchio d'innanzi a lui.
I tre ragazzi si scambiarono sguardi perplessi.
Solo uno, un ragazzo con un indefinito cespuglio castano al posto dei capelli, osò dire, a bassa voce: - ... eh? -.
- Diamogli ragione, come sempre. - propose un altro, dai corti capelli ramati, in un sussurro esasperato.
- I vostri vocaboli sono sempre palesi. - rispose il terzo, biondo e massiccio, dopo essersi limitato ad ascoltare lo scambio di frasi tra i suoi due compagni.
- Ne sono pago. - fu la risposta dell'uomo, mentre un fulmine alle sue spalle illuminava la stanza dai toni verdi.
Non si accorse degli sguardi disperati e rassegnati dei suoi tre interlocutori.
- Siate dunque lesti nel procedere, qualora codesta cosa della quale abbiamo appena discorso dovesse manifestarsi. - ordinò, imperioso.
- Sì, nostro signore. - risposero i tre, in un coro di totale resa.
"Qualunque cosa voi abbiate detto." aggiunsero tra loro.
- E rimembrate! - esclamò l'uomo, alzando la voce: - Rimembrate la ragguardevolezza del parlare correttamente! -.
I tre poveretti in ginocchio non poterono far altro che annuire: - Sì, nostro signore Dahrtz. -.



Note:
* Il titolo si rifà a quello del film "I fratelli Grimm e l'incantevole strega"
* "Prologo": E' la prima parte della struttura della commedia greca, in cui viene introdotto l'argomento della vicenda
* "Non devi piangere, mio dolce amor...": Ninna nanna del fiume - Il principe d'Egitto (Dreamworks)
* "Via da qui! Scappa! ... " (e alcune frasi seguenti): Al mercato (con modifica) - Aladdin (Disney)
* La parte di Johnoh e il riflesso sull'acqua è tratto dalla favola di Esopo "Il cane e la carne"
* "Stanno piovendo uomini": It's raining men - Geri Halliwell

Salve! ^^
Ehm, sì, mi rifaccio viva dopo secoli... °^°
Era dai tempi di "Notre Dame de Domino" che volevo fare un piccolo (?) spinoff a base polarshipper avevo anche pensato ad un'ipotetica one-shot sul matrimonio di Febouchi e Fiordamai, salvo poi rendermi conto che non c'era assolutamente nulla da dire; inoltre, mi hanno sempre incuriosita "spinoff" e "prequel". ^^
*quindi ha messo tutto insieme*

Spero che questo capitolo vi sia stato gradito. ^^ Al contrario de "Il bronzeo addormentato del bosco", questa non è già pronta dal primo all'ultimo capitolo, quindi se ci sono critiche o consigli dite pure! ^^

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Capitolo 2
*** Parodo ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

PARODO



Johnoh alzò lo sguardo dalla tazza fumante che gli scaldava le mani, respirando il leggero profumo dolciastro che si levava da quella strana bevanda dorata.
Quasi rannicchiato su una sedia di corallo, avvolto da una pesante coperta dai colori accesi, Johnoh lanciava fugaci occhiate alla splendida donna seduta dall'altra parte del tavolo di corallo, che ricambiava il suo sguardo incuriosito e un po' timoroso con un paio di occhi truci.
Johnoh, si era reso conto, era precipitato nella piscina ricoperta di minuscoli diamanti della donna, nel retro della sua scintillante casa: la proprietaria lo aveva fatto entrare dalla finestra, dato che, a detta sua, gli avrebbe sporcato lo zerbino di seta, e gli aveva dato la coperta e la bevanda.
Tuttavia, per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che scrutarlo come se fosse il suo più acerrimo nemico.
Il musicante non aveva potuto far altro che distogliere lo sguardo, non trovando altro modo di impegnare i propri occhi se non guardandosi intorno: la casa della donna era interamente composta di pietre preziose.
Lui non conosceva i nomi delle pietre, si limitava a rimanere meravigliato dalle pareti bianche, dai mobili rossi, azzurri o verdi, dagli argentei vetri delle finestre, dal rosso acceso delle porte.
Quello in cui si trovavano doveva essere una specie di soggiorno; in realtà, neppure Johnoh aveva capito dove si trovasse esattamente.
"Forse è il caso che dica qualcosa..." pensò, faticando a sopportare oltre gli occhi di sugilite della donna puntati contro: "Magari potrei ringraziarla...".
- Ehm... - fece, indeciso sul come rivolgersi alla padrona di casa: - Vi... vi ringrazio molto per avermi ospitato... E mi dispiace di essere precipitato nella vostra piscina... -
"Ma che sto dicendo?" si rimproverò Johnoh, imprecando contro se stesso.
Al disagio della situazione si aggiungeva anche la bellezza non indifferente della donna: in quegli anni, durante i suoi concerti, Johnoh aveva visto molte donne, con alcune si era anche intrattenuto a parlare; per questo poteva asserire con assoluta certezza che la padrona di quella casa scintillante fosse tra le più belle che esistessero.
"Però..." rimuginò, un po' intimorito: "... ha qualcosa di strano. Non so esattamente cosa, ma... ".
- Volevi essere lasciato a mollo? - rispose la donna, con uno strano sorriso.
Johnoh trasalì, scuotendo la testa.
- Comunque, non avrei potuto fare altrimenti. - continuò lei, lanciando una rapida occhiata alla sacca bagnata del ragazzo: - Non potevo certo permettere che qualcuno affogasse nella mia piscina. -
- Beh, magari n- -
- I cadaveri puzzano. -
Il giovane musicante sentì il sangue gelarglisi nelle vene: "... c-cosa ha detto?"
- Quelli in acqua, poi... Sarebbe stato decisamente irritante avere l'acqua della piscina infetta e tutta quella puzza intorno! - esclamò la donna, serissima, mettendo le braccia conserte.
Per poco la tazza non cadde dalle mani di Johnoh: quella donna non stava scherzando.
- Mi... mi avete salvato solo perché eravate preoccupata per la vostra piscina? - chiese, incredulo, quasi balbettando per lo shock.
La proprietaria della casa alzò un sopracciglio: - E per cos'altro, sennò? -.
Di fronte allo sguardo sconvolto del giovane, la donna parve rimanere per un attimo pensierosa.
Poi scoppiò a ridere, una risata stridula che perforò i timpani del ragazzo: - Non penserai mica che l'abbia fatto per salvare te? - rise, quasi a lacrime.
Johnoh era rimasto semplicemente senza parole.
Istintivamente, posò la tazza sul tavolo, cominciando a temere che si trattasse di veleno.
La donna si asciugò una lacrima, riuscendo a placare le risate: - Oh, voi umani siete così stupidi che quasi mi fate tenerezza... -
Il ragazzo si tirò indietro quanto più gli era possibile, la schiena ormai completamente premuta contro lo schienale di corallo: - ... "umani"? - ripeté, boccheggiando.
"Questa donna..." capì, sgranando gli occhi in un'espressione di puro terrore: "... questa donna... questa donna non è umana!".
Lei mise i gomiti sul tavolo, posando il viso sulle mani, mentre un sorriso sinistro appariva sulle sue labbra ben disegnate: - Una rana o un rospetto, un topino o un corvetto, un gattino o una civetta, un gufo o una creatura maledetta! - canticchiò, la voce improvvisamente infantile.
Johnoh deglutì a fatica, un groppo alla gola che quasi lo stava soffocando: "... cosa... cosa sta...?".
- Sotto il cielo stellato me ne vado per il mondo, con la mia veloce scopa giro tutto in tondo, con un cappello a punta sui miei capelli, vado di casa in casa a portar via i bimbi belli! -
Il musicante rabbrividì, una goccia di sudore freddo gli accarezzò una tempia, fino alla guancia.
- Sono bella e attraente, ma con me non comportarti da fetente... - continuò, la voce da bambina, sedendosi sul tavolo con un movimento elegante: - Sarebbe un atteggiamento da punire e quindi io potrei anche farti... -
Improvvisamente, la manica di Johnoh prese fuoco.
Il ragazzo si alzò di scatto, urlando terrorizzato, la sedia si rovesciò, la coperta gli cadde dalle spalle.
In preda al panico, il musicante cercò di spegnere la fiamma dandosi degli schiaffi sul braccio, imprecando ad ogni colpo, quando, in un istante, le fiamme scomparvero così come erano apparse.
- ... morire. - concluse la donna, con un sorriso soddisfatto, la voce tornata normale, da adulta.
Ancora scosso dai brividi, Johnoh si lasciò cadere sul pavimento, le gambe che non riuscivano più a sorreggerlo.
- S-siete... - farfugliò, sbiancato in volto: - ... u-una... una... una strega? -.
- Esatto, mio caro! - trillò l'altra, facendogli segno di vittoria con due dita: - Eppure pensavo fosse piuttosto ovvio... sono bella, vivo in una casa fatta di pietra preziosa... non conosci la celebre "Strega della Casetta di Gioielli"? - chiese, ravviandosi i lunghi capelli biondi con fare vanitoso.
La mente di Johnoh era completamente vuota.
Non riusciva a muoversi, non riusciva a ragionare.
Sentiva tutto il suo corpo tremare, forse vigliaccamente, forse a ragione; sentiva delle gocce sul viso, sul collo e lungo la schiena, sentiva quasi dolore agli occhi per quanto li stava tenendo spalancati.
Soltanto quando si sentì quasi mancare si rese conto di aver smesso di respirare ed espirò con un ansimo, faticando poi ad inspirare.
- Che brutta cera... - ridacchiò la Strega: - Qualcosa non va? -.
"E ora cosa faccio?" fu l'unico pensiero che riuscì a formularsi nella mente del ragazzo.
- ... no. - rispose, la voce improvvisamente roca.
La donna sorrise, soddisfatta, ma Johnoh riprese: - ... no, non conosco la Strega della Casetta di Gioielli. - specificò.
Per poco, la Strega non cadde dal tavolo: - P-prego? - balbettò, colta di sorpresa.
- Non vi conosco affatto. - ripeté Johnoh, recuperando le forze: - Non ho mai sentito il vostro nom- -
- Com'è possibile? - protestò la donna, saltando con i pesanti stivali neri sul pavimento: - Io sono la celebre, famosa e ricercata Strega della Casetta di Gioielli, sono conosciuta nel bizzarro ducato di Toon, mi conoscono nel ricco regno di Domino, sanno chi sono nel vegetariano regno d'Egitto... Si può sapere da dove vieni? - quasi ringhiò, lo sguardo improvvisamente irato.
Quell'improvviso cambiamento di carattere lasciò Johnoh piuttosto perplesso, ma non si fece scoraggiare: - Vengo da Brema. - rispose, deciso: - Sono un musicante e non mi sono mai interessato di streghe, fate o roba del genere! -.
- Oh, non mi parlare di quelle farfalline tutto puccio e zucchero! - rabbrividì la Strega, quasi disgustata.
Lentamente, il ragazzo si rialzò, cercando di reggersi in piedi: "Una strega..." disse fra sé e sé: "Sapevo della loro esistenza, ma non avrei mai immaginato che ne avrei incontrata una...".
La guardò attentamente, la donna ricambiava il suo sguardo con uno altrettanto indagatore.
"Seppur di grande bellezza, sembra una semplice donna... ma la sensazione che dà è diversa..."
- Allora, musicante... - esordì la Strega, tornando seduta sulla sua sedia di corallo, accavallando le gambe e incrociando le braccia: - ... io ti ho ospitato in casa mia, ti ho offerto una coperta e del succo di Ranuncolo Vitreo della Valle Della Raccolta Differenziata, quindi esigerei di essere adeguatamente ricompensata. -.
- Eh? - fece Johnoh, mettendo bene in funzione le orecchie.
- Scusate, eh... - disse, una mano attorno ad un orecchio come per sentire bene: - Voi mi avete salvato solo per preservare la vostra piscina, mi avete quasi dato fuoco e pretendete pure una ricompensa? - chiese, esterrefatto.
- Sì. - fu la risposta lapidaria della donna.
- ... e cosa vorreste? - si arrese Johnoh: normalmente, non l'avrebbe mai dato vinta a qualcun altro, ma se questo qualcun altro poteva letteralmente incenerirlo con un'occhiata...
- Hai detto di essere un musicante, no? - gli ricordò la Strega, come se fosse ovvio: - Allora musica! -.
Il ragazzo sbatté più volte le palpebre, ma poi si chinò a raccogliere la sua sacca bagnata: "Se si tratta solo di questo, in fondo..." si disse, estraendo il suo tamburello.
Lasciò cadere la sacca a terra, alzò il tamburello e cominciò a battere quattro dita sulla membrana tesa, cambiando via via ritmo, accelerando o rallentando; a volte lasciava che fossero solo uno, due o tre dita a colpire lo strumento, a volte lo agitava per far risuonare i sonagli sul contorno.
Il rumore della percussione e il tintinnare dei cimbalini riempì l'aria, la donna aveva chiuso gli occhi per ascoltare meglio.
Dopo qualche istante, la voce della Strega si aggiunse alla musica: - Mediocre. -.
Johnoh si bloccò.
- ... eh? -
- Questa musica è veramente mediocre, non hai un briciolo di capacità! - esclamò la donna, aprendo gli occhi: - Ma ti pagavano pure per sentire questa roba? O eri tu che pagavi il tuo pubblico per starti a sentire? -.
Il musicante sentì come un fuoco divampargli all'altezza dello stomaco, infiammandogli il cuore, i polmoni, la testa: - Signora- -
- Signorina, prego. -
- Signorina Strega. - disse, digrignando i denti: - Se voi siete un'ignorante in materia musicale, non è certo colpa mia! -
- Non c'è bisogno di essere dei luminari della musica per capire che quest'accozzaglia di suoni altro non può essere definita se non "mediocre". - ribatté la Strega, alzandosi dalla sedia.
- Se voi siete- -
- Sta di fatto che questo non può certo ricompensarmi per il mio buon cuore. - disse la donna, interrompendolo, portando una mano al fianco con fare seccato: - Avrei dovuto tirarti fuori dalla piscina e buttarti nel bosco. -.
- Potevate anche farlo. - la provocò Johnoh, rimettendo il tamburello nella sacca con un gesto rabbioso: "Questa donna è una completa ignorante!" si disse, mantenendo a fatica il controllo: "Ignorante, altezzosa e arrogante!".
- Fuori c'è una tempesta! - gli fece notare l'altra, indicando una delle finestre d'argento: - Se fossi uscita, mi sarei ridotta come te! -.
Johnoh abbassò lo sguardo e strinse i pugni, quasi conficcando le unghie nella carne; le nocche sbiancarono, mentre stringeva i denti per evitare di riversare su quell'insopportabile creatura tutto il turpiloquio che gli venisse in mente.
Sentì la Strega sospirare, poi la sua voce, più controllata: - Temo tu ti debba sdebitare in un altro modo. -.
- E come? - ringhiò, incapace di mantenere calmo il tono, alzando gli occhi per guardarla in viso.
Lei aveva le sopracciglia alzate, le palpebre a mezz'asta e lo guardava come se fosse un esserino inferiore o come se stesse valutando una posizione più artistica per i suoi mobili: - Tu... - disse, piano: - ... sai cucinare? -.
Quella domanda spiazzò Johnoh, facendogli dimenticare per un attimo la sua rabbia.
- C-cosa? - balbettò.
- Ti ho chiesto se sai cucinare. - ripeté l'altra, cominciando già a perdere la pazienza.
- S-sì... - rispose il giovane, titubante.
- Allora cucinerai per me. - decretò la Strega della Casetta di Gioielli: - E pulirai la casa. Ti prenderai cura del mio giardino e provvederai a recuperarmi gli ingredienti che mi servono per le pozioni. - stabilì, con un tono che non ammetteva repliche.
Per un lungo istante, Johnoh rimase senza parole, lo sguardo come perso nel vuoto.
Poi si riscosse e fece un passo avanti, deciso: - Che cosa? Dovrei farti da schiavo? -.
- Detto in termini più pratici, sì. - rispose tranquillamente la Strega.
- Sentite, vi sono grato per avermi salvato dalla tempesta, qualunque fosse il vostro obiettivo... - parlò il musicante, cercando di calmarsi: - ... e vi ho già ringraziato, mi sembra troppo chiedermi di farvi da servo dopo che avete pure cercato di bruciarmi vivo! Guardate, ho ancora- -
La voce di Johnoh gli morì in gola quando notò la manica della sua maglietta perfettamente integra, nonostante prima fosse quasi completamente bruciata.
La osservò, allibito, incapace di credere ai propri occhi.
- Ma... come... -
- Due mesi. - aggiunse la Strega, con un sorriso di trionfo: - Terrai a lucido la casa e il giardino, cucinerai per me ed eseguirai ogni mio ordine. In cambio, tu avrai un tetto e del cibo. -.
A quelle parole, il ragazzo sgranò gli occhi: - E voi come... come sapete che io... -
- Te ne vai in giro con quella orrenda sacca rovinata... - notò la Strega, indicando con fare schifato ciò che Johnoh teneva per i lacci: - Vuota. Dentro c'è solo quell'inutile strumento. Hai la faccia di uno che non mangia da mesi, a stento ti reggi in piedi e il tuo stomaco sta emettendo boati di dolore da quando sei entrato. -.
Soltanto in quel momento Johnoh si accorse dei violenti rumori che provenivano dal suo stomaco.
Rosso in viso, si portò una mano alla zona incriminata e la donna sorrise, trionfante: - Immagino tu non abbia altra scelta. - disse.
Il musicante di Brema strinse i denti: non aveva nessuna voglia di rimanere un solo minuto di più insieme a quella donna, ma l'idea di poter avere pasti sicuri era improvvisamente allettante...
- ... e va bene. - si arrese definitivamente: "Del resto, fuori dovrei rubare, qui dovrò soltanto pulire... e cucinare qualcosa... In fondo, non mi sembra una cosa così svantaggiosa...".
- Ti farò vedere la casa... - riprese la Strega, facendo per uscire dalla stanza, salvo poi fermarsi e muovere le dita come se le stesse sfuggendo qualcosa.
Di fronte allo sguardo perplesso di Johnoh, lei gli chiese, brusca: - Ce l'hai un nome o devo chiamarti "Servo"? -.
- Mi chiamo Johnoh! - esclamò subito, irritato all'idea di essere chiamato in quel modo: - Voi, piuttosto, ce l'avete un nom- ehm, non penso vi chiamiate "Strega della Casa" - si corresse all'ultimo momento. Per quanto la sua manica si fosse risanata magicamente, non era detto che quella donna non lo polverizzasse.
Se poteva evitare di scoprirlo di persona, meglio.
- Strega della Casetta di Gioielli. - precisò lei, contrariata dal fatto che il suo nome non fosse stato pronunciato correttamente: - Comunque, sì, Johnoh, ce l'ho un nome. - aggiunse, liquidandolo.
- ... -
- Dato che sono la proprietaria di questa casa nonché tua padrona per i prossimi due mesi... -
- ... dovrei forse chiamarvi "mia signora"? -
La Strega sorrise, maliziosa: - Esattamente. Mi stupisci, Johnoh, vedendoti non ti facevo così perspicace. -.
- Ve lo potete scord- - Johnoh si fermò prima di parlare troppo, memore del fatto che quella malefica donna era dotata di poteri.
A giudicare dall'occhiata vittoriosa che la Strega gli rivolse, probabilmente anche lei doveva essersi resa conto dello sforzo che il ragazzo stava facendo per non contraddirla.
- Seguimi. - gli disse, sventolando una mano: - Ti mostrerò la casa. Memorizzala per bene, perché non voglio vederti. -.
- ... eh? -
Nell'udire l'ultima affermazione, Johnoh non riuscì a trattenersi: "Ma che sta dicendo?".
- Odio pulire, mi secca dover cucinare e tenere a posto il giardino. - spiegò la donna, brusca: - Tu mi servi solo per questo. Ma non ti voglio intorno, devi essere soltanto una presenza silenziosa e invisibile che sistema ciò che io uso. Sarò io a rivolgerti la parola, se avrò bisogno di te. -.
Gli occhi castani di Johnoh furono completamente spalancati.
Dopo un attimo di totale smarrimento, il ragazzo rifletté meglio: "... se non ne vuole sapere di me, allora io non sarò costretto a lavorare come uno schiavo, prendendomi tutto il tempo di cui ho bisogno senza sentire lamentele..." rimuginò, mentre seguiva la donna nel corridoio di platino.

- ... secondo me, abbiamo fatto l'ennesimo buco nell'acqua. -.
Il gigante biondo e il ragazzo dal cespuglio castano si fermarono, guardando il ragazzo dai capelli ramati.
Istintivamente, il secondo portò lo sguardo chiaro verso la bacinella che il primo portava tra le mani: una piccola bacinella piena d'acqua, con un coperchio trasparente, al cui interno era stato messo un tappo di sughero tagliato a metà con sopra fissato un ago.
Al centro della bacinella si era formato un piccolo vortice che tratteneva l'acqua ai lati, lasciando asciutto il centro.
- Ma no, dai... - disse il ragazzo con i capelli castani, sfilando la bacinella dalle mani del gigante e scuotendola: - ... è soltanto un momento, lo sai che ogni tanto fa così! -.
- Vahlon, no! - quasi urlarono gli altri due, mentre il più grande si riprendeva il contenitore.
- Razza di idiota! - lo sgridò il ragazzo dai capelli ramati, quasi terrorizzato: - L'ultima volta, il coperchio è andato via e ti sei versato addosso tutto lo ieratico liquido cristallino! -
- ... che sarebbe semplice acqua, Alystehr. - gli ricordò Vahlon, minimamente preoccupato.
Alystehr si battè una mano sulla fronte, esasperato: - Sì, Vahlon, è acqua. Quel che ti stavo dicendo è che poi Lord Dahrtz se l'è presa con tutti e tre! -.
- Tanto... - fece l'altro, alzando le spalle: - Tu hai mai capito quello che dice? Io, ogni tanto, riesco ad intuire qualche parola... -.
- Rahphael riesce a capirlo. - gli fece notare Alystehr, indicando il gigante biondo, rimasto a guardare.
- E comunque... - riprese il ragazzo dai capelli ramati: - ... io continuo a dire che questo sistema non è affatto efficace! -.
- E perché? - domandò Vahlon, sgranando i grandi occhi azzurri.
- ... perché sono anni che lo usiamo e non ha portato ad alcunché. - disse Alystehr, lapidario.
Silenzio.
- Ma non possiamo separarci dall'acqua ierica, dal sacro sugo e dallo sbrillioso ago! - esclamò Vahlon, confuso dalle parole dell'altro.
- Ieratica. - lo corresse Rahphael, tranquillamente: - Sughero e brillante. -.
- E vabbè, dai! - sbuffò il ragazzo dal cespuglio castano, alzando gli occhi al cielo: - Non sono colto come Lord Dahrtz, sarà per questo che non lo capisco... -
- Vahlon, tu non capisci Lord Dahrtz perché sei analfabeta. - disse Alystehr, come se nulla fosse.
- Tu cosa proporresti, al posto di questa? - chiese Rahphael, per evitare che i due ragazzi continuassero.
- Non ne ho idea. - sbuffò il ragazzo dai capelli ramati: - Penso che persino seguire una nuvola sarebbe più utile di quella cosa. -.
Il volto di Vahlon si illuminò.
Il ragazzo alzò lo sguardo, verso il cielo ancora nero per la tempesta appena finita; gocce di pioggia erano rimaste ad imperlare le foglie degli alberi, ad impregnare il sottobosco, mentre il forte vento della bufera calava la propria intensità con lentezza: protetti dai tronchi degli alberi, i tre ragazzi non ne risentivano ma, nel cielo, le nuvole nere venivano rapidamente trascinate via.
- Una nuvola! - gridò Vahlon, indicando una piccola nuvoletta color carbone: - E' un segno! -.
- No, Vah- -
- Sì, vabbè, una mistica manifestazione divina sottoforma di cotton fioc al catrame! - disse il ragazzo, sbrigativo, per poi lanciarsi all'inseguimento della nuvola.
- Ha cambiato idea velocemente circa l'uso della bussola ad acqua... - notò Rahphael, sorpreso.
- Sì... - sospirò Alystehr, salvo rimanere perplesso quando si vide consegnare la bacinella.
- Seguiremo il tuo consiglio. - gli disse il gigante biondo, serio: - Forse questa sarà veramente la volta buona. -.
Detto questo, sparì tra gli alti tronchi scuri e il fogliame, seguendo il ragazzo, lo sguardo verso il cielo, verso la nuvola.
Rimasto solo come un idiota, con la bussola ad acqua tra le mani, Alystehr disse, in un sussurro sconvolto: - ... ma io stavo scherzando... -
- E' LAGGIU'! STA SCAPPANDO! STA SCAPPANDO! RAHPHAEL, INSEGUILA! NON PERDERLA DI VISTA! -
Seguirono strani botti, rumori di qualcosa che s'infrangeva, qualcosa che veniva lanciato, scoppi di pacchetti di patatine, samba remixata, petardi, lancio di pomodori, un frana, il suono delle onde del mare e un bollire di pentola.
- Basta, rinnego ogni parentela con loro. - disse Alystehr, tagliente: - Non abbiamo lo stesso sangue. Probabilmente, da piccolo mi hanno messo nella culla sbagliata. - sibilò, estraendo un rasoio da una tasca della sua lunga giacca scura, per poi avviarsi al seguito degli altri due ragazzi.

Per quanto la proprietaria lo irritasse, la Casetta dei Gioielli riuscì ad assorbire completamente l'attenzione di Johnoh.
C'erano diverse stanze, tutte dalle pareti, dal soffitto e dal pavimento di platino, ognuna stracolma di oggetti forgiati in una qualche pietra preziosa; ogni cosa brillava come di luce propria, era un luogo irreale nella sua assurda preziosità.
"Chissà quanto vale l'intera casa..." pensò Johnoh, salvo poi decidere di non cercare di calcolarne un possibile valore per evitarsi un colpo.
C'erano almeno quattro soggiorni e una stanza simile ad una dispensa, piena di strani oggetti e ingredienti che Johnoh non aveva mai visto; c'era la cucina, enorme, con un frigorifero e un lavandino d'oro; c'era il bagno, i pezzi completamente d'argento; c'era la stanza d'ingresso, la più grande di tutti, con un forno di ossidiana in bella vista.
- Scusate... - aveva detto il musicante, alzando un sopracciglio con fare perplesso: - ... perché avete il forno nell'ingresso? -.
- Perché non posso tenerlo nell'ingresso? - aveva chiesto di rimando la donna, quasi seccata.
- Perché... avete ragione. - era infine stata la risposta arrendevole del ragazzo.
C'erano altre due stanze.
Una era la camera da letto della Strega; contrariamente a quanto Johnoh aveva immaginato, la donna lo fece entrare, mostrandogli lo sfarzo assoluto che regnava anche lì: baldacchino d'oro a nonsisaquante piazze, coperto da delicati tessuti dorati, le lenzuola e le federe di pura seta, degli scendiletto argentati, mobilia di smeraldo e zaffiro, tre armadi di corallo...
Il giovane musicante di Brema si sentiva disorientato in tutto quel lusso, quasi gli toglieva il fiato: era tutto troppo, troppo...
- Dovrai rifare il letto e pulire la camera. - aveva detto la Strega, così come aveva spiegato ogni suo compito per ogni stanza vista.
Nell'ultima stanza, Johnoh dovette entrare cautamente: era la stanza del tesoro della Strega.
Lo aveva acutamente sospettato ma quella camera fu ciò che gli confermò la sua idea: a quella donna piacevano molto le pietre preziose.
Completamente buia, non vi erano lampadari come nelle altre stanze, non c'era nulla che potesse dare luce, se non ciò che conteneva: le milioni di pietre lì presenti, sistemate su piccolissimi cuscinetti sopra delle mensole di platino che ricoprivano l'intero perimetro del luogo, riflettevano la luce che entrava dalla porta aperta, proiettando sulle pareti opposte miriadi di luci di tutti i colori esistenti.
Entrando, Johnoh era rimasto a bocca aperta, incantato.
Quella casa cominciava a piacergli.
- Questa è la mia collezione. - disse la Strega, rimanendo sulla soglia, appoggiata allo stipite della porta: - Se proverai a rubarmi qualcosa, se scoprirò che ne manca anche uno soltanto, ti scaglierò contro una maledizione peggiore della morte. -.
- Tranquilla... - sussurrò Johnoh, troppo preso dai giochi di luce di quel posto incantato per far caso alle minacce della donna.
- Sono pietre che io stessa trovo. - spiegò lei, tranquilla: - C'è ogni pietra esistente a questo mondo. -.
Cautamente, quasi temesse di far crollare l'atmosfera magica di quel luogo, Johnoh si avvicinò ad una delle tantissime mensole, osservando una pietra rosata: - Che cos'è? - domandò, con il tono curioso di un bambino.
- Thulite. - rispose la Strega, senza distogliere lo sguardo da quello che, per due mesi, sarebbe stato il suo servo.
- E questa? - chiese nuovamente Johnoh, indicando una pietra verde poco distante dalla thulite.
- Orichalcos. - disse la donna.
Il musicante sbatté le palpebre, perplesso: - Io avevo sentito che l'orichalcos era rosso... -
- Platone era daltonico. - fu la risposta secca della Strega.
- D'accordo... - fece Johnoh, alzando le spalle e tornando a curiosare tra tutte quelle pietre.
Quando ne individuò una in cui si mescolavano l'azzurro e e il verde, gli fu spontaneo domandare: - Questa qui? -
- Indicolite. - rispose la proprietaria della casa.
- ... colite? - ripeté il ragazzo, incredulo: - Ma chi è quell'ubriaco che le ha dato un nome simile? -.
- Indicolite. - ribadì la donna, gli occhi ridotti a fessure.
- ... mh. - si limitò a dire Johnoh, minimamente convinto.
Alzò gli occhi, abbracciando con lo sguardo tutta la stanza; non era attratto dalla preziosità delle pietre, quanto più dall'atmosfera che esse creavano.
- Wow... - sussurrò, affascinato: - Ve le ricordate tutte... - mormorò con ammirazione, metà della sua mente ancora persa tra tutte quelle luci.
- Ricordo ciascuna di loro, ogni singola disposizione. - precisò la donna, dura: - Per questo saprò all'istante se ne manca qualcuna e di quale si tratta. Te l'ho mostrata perché non voglio proibirtela, facendoti così venire voglia di entrarci di nascosto. -.
Bastò un'occhiata della Strega a far capire a Johnoh che era il momento di uscire dalla stanza del tesoro.
Una volta richiusa la porta alle sue spalle, la donna parlò di nuovo: - Bene, Johnoh. Ora conosci tutta la casa e sai i tuoi compiti. Mettiti al lavoro, c'è tutta la cucina da pulire. Per quando ci torno, la voglio vedere tirata a lucido. - ordinò, imperiosa.
Johnoh trasalì: - E quando ci tornerete? - chiese, cercando di pensare a quanto tempo avesse.
La risposta della strega lo colpì come una freccia: - Non lo so. -.

La tempesta era finita.
Il vento si era acquietato, la calma era tornata in quel bosco, ora intriso del profumo della terra bagnata dalla pioggia.
Gli abitanti di quel luogo iniziavano ad uscire dalle proprie case, le case in cui si erano riparati durante la bufera.
Ed era in una umile seppur grande casa di legno e paglia che...
- Bambiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiii! - trillò una voce femminile, risuonando per tutte le stanze.
La giovane donna quasi saltellò per la stanza principale, i lunghi capelli neri legati in due code che le ricadevano sul petto, giungendo davanti ad una stanza; aprì la porta di legno con uno scricchiolio, sbirciando all'interno della camera.
Vuota.
- ... bambini? - chiamò, esitante.
La stanza era completamente avvolta nel buio, i due sacchi di paglia su cui dormivano i due bambini erano a terra, come loro solito, ma senza i loro occupanti.
Lo sguardo scuro della donna percorse tutta la stanza, confusa: "Ma dove sono andati quei due mocciosi?" si chiese, sospettosa.
Ferma sulla soglia, scrutò ogni angolo buio, ogni centimetro del soffitto, fissò ogni punto del pavimento, fino a che, giunta a pochi centimetri da lei, incontrò un paio di occhi scuri che la fissavano.
- AAARGH! - urlò, facendo un salto indietro per lo spavento.
La donna si portò una mano al cuore, dal battito fin troppo accelerato, calmandosi nel vedere che si trattava solo dei due marmocchi.
- ... eccovi. - sibilò, a denti stretti.
Il bambino sorrise, serafico, mentre la bambina alzò le sopracciglia albine, non capendo il motivo della sua reazione spaventata.
- Potreste evitare di comparirmi davanti all'improvviso, soprattutto in stanze buie? - sospirò la donna, irritata: - Sembrate due fantasmi! -.
Due piccoli fantasmi bianchi.
Era questo che pensava chiunque incontrasse i due bambini, bianchi come nuvole, dalla pelle diafana e dai morbidi capelli lunghi.
E i loro occhi, del colore della terra, assumevano quasi una sfumatura rossastra, innaturali su quegli spettrali batuffoli di cotone.
- Ci avevi chiamati, Vyvyhan. - le fece notare il bambino, con un sorriso dolce: - Quindi ti abbiamo aspettata davanti alla porta. -.
La donna, Vyvyhan, gli lanciò un'occhiata di disappunto: - Vi ho già detto di chiamarmi "mamma". - gli ricordò, in tono seccato: - O, al massimo, "matrigna". -.
- Che c'è, Vyvyahan? - domandò la bambina, ignorandola.
Vyvyhan dovette fare un enorme sforzo per non uccidere quella mocciosa prima del tempo: aveva sposato quel ricchissimo uomo con la passione della vita contadina, ma non aveva calcolato i suoi due irritanti figli alla panna; suo marito era partito per non si sa dove da circa sei mesi e lei, in tutto quel tempo, non era ancora riuscita a sbarazzarsi dei due amorevoli pargoli.
- La tempesta è finita! - esclamò, tornando al suo tono trillante, giungendo le mani: - Adesso andremo tutti e tre insieme a raccogliere taaaaanti lamponi! -.
- Non mi piacciono i lamponi... - affermò il bambino, pensieroso.
- A me fanno schifo. - gli fece eco la bambina.
"Non vi ammazzo qui soltanto perché dopo dovrei pulire e mi accuserebbero pure di omicidio..." ringhiò Vyvyhan, tra sé e sé, cercando di mantenere inalterato il suo gran sorriso allegro.
- Andremo a raccogliere i lamponi, bambini! - trillò, mettendo in mano ad entrambi dei cestini tirati fuori dal nulla: - E riempiremo questi bei cestini con taaaaaaanti lamponi! -.
I due bambini si scambiarono un'occhiata.
- Ryansel... - disse la bambina, a bassa voce: - ... perché ci parla come se fossimo due imbecilli? -.
- Sospetto lei pensi che lo siamo, Amanetel. - sorrise il fratello, innocentemente.
Ryansel si rivolse alla matrigna, con un aspetto e un tono così tranquillo da poter fungere da calmante: - Però farai attenzione questa volta, Vyvyhan? - chiese.
- ... eh? - fece la donna, non capendo.
- Sì, sei sempre così distratta! - sorrise il bambino: - E' da circa sei mesi che andiamo sempre a raccogliere qualcosa e tu, ogni volta, torni a casa dimenticandoti di noi nel bosco, lasciandoci in luoghi sempre più lontani o nascosti! - le fece notare, senza mutare la sua espressione serafica.
- Vyvyhan è sbadata! - esclamò Amanetel, come a voler ribadire il concetto.
A quelle parole, la donna rimase pietrificata.
Ci vollero due interi minuti perché si riprendesse, limitandosi a dire, con un sorriso falsissimo: - Sì, bambini, farò attenzione! Ora andiamo a prendere tutti quei beeeeeei lamponi! -.
Ryansel e Amanetel si guardarono, per poi annuire, il sorriso sereno del fratello passato anche sul volto della sorella: - Beeeeei lamponi, Vyvyhan. -.



Note:
* "Parodo": Il primo canto del coro nella commedia greca, che apre la rappresentazione.
* Platone fu il primo a parlare dell'Orichalcos, nei dialoghi "Timeo" e "Crizia" - si presume fosse nominato anche nell'ipotetico dialogo "Ermocrate", mai trovato o, forse, mai scritto - descrivendolo come una pietra rossa; lo stesso nome "oreikalkos" significa "rame della montagna, bronzo della montagna".

Rieccomi! ^^
Ebbene sì, sono ancora viva *e mi aggiro per la sezione...*. ù.ù
Sono riuscita a decidermi circa la struttura di questa storia: sarà come quella de "Il bronzeo addormentato nel bosco", ossia sette capitoli. ^^
Credo.
Uhm... questo secondo capitolo è venuto fuori piuttosto "serio" e pacato. °^°

Spero possiate apprezzarlo lo stesso. ^^ Come sempre, se notate errori o avete consigli o critiche, dite pure! ^^

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Capitolo 3
*** Próto Epeisódio ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

— Nota: Questo capitolo è stato scritto nel 2019.

PRÓTO EPEISÓDIO



Era da qualche giorno che il suo stomaco non gli diceva niente.
Non appena lo sentiva brontolare qualcosa, gli bastava aprire un'anta dorata della cucina e portare alla bocca pezzi di pane, pezzi di marzapane, pezzi di pane degli angeli, biscotti, triscotti e unicotti e quello taceva, appagato. In generale, Johnoh riusciva persino a fare i suoi buoni sei pasti al giorno - colazione, merenda delle undici, pranzo, merenda, cena, spuntino di mezzanotte - e ogni notte dormiva su un comodo divano di seta, sotto una calda coperta di cashmere e sotto un riparante tetto in puro oro. Poteva andare dove voleva quando voleva e come voleva, poteva aspirare l'interno del frigo a suo piacimento e non doveva più andare a caccia - per quanto, ogni tanto, non riuscisse a frenare il suo istinto di tendere un agguato ad un fungo particolarmente grassoccio.
Comprendeva perfettamente che quanto avesse fosse fantastico, ma il prezzo da pagare gli sembrava abbastanza poco equo.
- Johnoh! È rimasta una goccia d'acqua sul pavimento del bagno, lì nell'angolo nascosto dietro il water! -
- Johnoh! La parte superiore delle finestre è solo pulita, non la vedo brillare! -
- Johnoh! Perché non hai passato l'acido muriatico dietro il frigorifero? Non la vedi la colonia di trenta tipi diversi di Muffe Istantanee? -
- Johnoh! Perché non hai messo il profumatore agli arachidi nella mia camera? -
- Johnoh! Non si suppone tu faccia il tè all'ortica lasciandoci le ortiche dentro! -
- Johnoh! Perché i tappeti non sono a stendere sotto la pioggia? Lo sai che è perfetta per sciogliere qualsiasi materiale organico! -
"Johnoh! Johnoh! Johnoh!" Quasi cominciava ad odiare il suo nome. La Strega lo riempiva di compiti assurdi e orari vaghi, tornando a volte tre minuti dopo a volte tre giorni dopo - ed era certo che lo facesse apposta.
- Johnoh! Risolvimi questa equazione! -
- Mia signora... - Ormai lo diceva con calcata ironia: - Non ho mai studiato matematica. -
- Perché, pensi che qualcuno l'abbia mai fatto? Non farmi ripetere, che mi serve quel risultato per i miei affari, e lo voglio per quando torno! -
E andava a farsi la doccia, o a dormire, o a prendere il sole, o a fare una nuotata in piscina. Alle volte, andava persino a parlare di "affari" con dei fantomatici "clienti".
Non che dubitasse della loro esistenza, in quei cinque giorni li aveva pure visti: damigelle lacrimevoli, cavalieri erranti, monaci eremitici, venditori di aspirapolveri magiche, testimoni di Genova e astronauti giungevano alla porta della Casetta di Gioielli per chiederle un filtro, una pozione, dello zucchero o una fattura mortale. Queste ultime non erano molto richieste, però, perché la Strega pretendeva un pagamento altissimo, quindi tutti preferivano ripiegare su un palloncino che fa le pernacchie.
Tuttavia, erano loro ad andare da lei: quando era lei ad uscire, era molto probabile stesse semplicemente andando a divertirsi - Johnoh l'aveva dedotto dai bustoni pieni di abiti e gioielli con cui la Strega soleva tornare ad orari improbabili.
Un povero illuso avrebbe potuto pensare che la Strega uscisse per prendere gli ingredienti per le sue pozioni ma, come da contratto invisibile, quello era diventato uno dei tanti compiti di Johnoh: la Strega gli lasciava la lista degli ingredienti con il luogo in cui trovarli e una sorta di descrizione - dato che, a suo dire, lui era troppo stupido per capire da solo cosa fosse un Papavero Raffazzonato o una Rafflesia Scardinata. Quando poi lo zaino di Johnoh era pieno di roba improbabile...
- Se ti avanzano cinque minuti, cerca qualche pietra. - gli aveva detto, mettendogli in mano martello e scalpello. Johnoh aveva imparato a sue spese che avrebbe sempre dovuto far sì che gli avanzassero cinque minuti.
Certo, aveva finalmente cibo illimitato e un luogo dove dormire. Ma se la tua schiavista, di fronte ad un tuo errore, disattiva le tue papille gustative alle ore dei pasti e, la notte, ti tiene sveglio con un prurito implacabile, il cibo illimitato e il luogo dove dormire diventano un premio di consolazione.
Con un sospiro, Johnoh mise nella tasca della giacca una pietra brillante azzurra. Non aveva idea di cosa fosse, ma l'aveva trovata in un sasso e brillava, quindi era tenuto a portarlo all'Arpia.
- Dall’alba sino a sera sono intento a lavorar! - canticchiò, dando un'ultima occhiata a tutti i sassi che aveva aperto: - Scavo e spiccono tutto quello che mi par. Trovo diamanti in quantità e altre gemme d’ogni qualità... - Battè una mano sulle tasche. Aveva trovato una quindicina di brillocchi, i suoi "cinque minuti" se li era presi anche fin troppo abbondantemente, per i suoi gusti: - Anche se ne ha da buttar, io devo seguitare a scavar! -
La Strega soffriva senz'altro di un disturbo cumulativo ossessivo-compulsivo. Non si spiegava, altrimenti, perché continuasse a bramare pietre preziose pur avendone fino a scoppiare. Le alternative erano che volesse entrare nel Guinness dei Primati - a cui però, per quanto ne sapeva lui, potevano partecipare solo le scimmie - o che avesse fatto un qualche voto di Grande Importanza Sentimentale. Per qualche oscuro motivo, però, era piuttosto certo del disturbo cumulativo ossessivo-compulsivo. Lui c'era tragicamente finito in mezzo.
"Direi che è ora di tornare." Sperò che la Strega fosse in qualche regno vicino a fare affari con una vasca idromassaggio in una costosa spa, ma qualcosa gli diceva che era già a casa e stava controllando con la lente d'ingrandimento i fornelli per vedere se brillassero di almeno tre colori diversi.
- Sì, ho capito, ho capito! - Con un gesto brusco, Johnoh scacciò l'iguana che gli aveva fatto quella soffiata: - Torno a casa! -
- Almeno sembra di buon umore. - lo rassicurò l'iguana, per poi zampettare via. Johnoh annuì e si mise in marcia.
Quel giorno non era dovuto andare troppo lontano, dato che doveva solo grattuggiare un po' di Parmigiano Semovente - il problema stava tutto nel fatto che fosse fin troppo Semovente e che, una volta grattato, tendesse a scappare anche per via aerea - e, si rese conto, era sempre stato così occupato a cercare le cose più assurde da non essersi guardato intorno: attorno a lui, la Natura fioriva nella più piena potenza.
Distese infinite di tronchi marroni, foglie verdi ed erba verde, la luce che filtrava dalle fronde verdi sembrava tingersi di verde, dando all'atmosfera un qualcosa di verde.
Era uno spettacolo bellissimo, però Johnoh l'avrebbe fatto un po' più giallo e meno ripetitivo. Diede un otto abbondante, ma nulla era ancora deciso, perché un altro voto avrebbe potuto confermare o ribaltare la situazione.
Una strana musica riempì l'aria verde.
Johnoh si voltò alla sua sinistra: una graziosa casetta bucolica spiccava in mezzo al verde, piccola e umile. In quel momento, dalla porticina di legno uscì una ragazza dall'aspetto incredibilmente puccio, con lunghi capelli castani e occhi color nocciola, piccina e sprofondante in un abito da massaia verde - ed era verde sul serio.
- Stanno arrivando! - urlò, gli occhi che le brillavano, lo sguardo in un punto preciso del cielo: - Stanno arrivando! -
Johnoh guardò a sua volta: un disco volante si stava avvicinando alla casetta. Due ragazzi piuttosto giovani stavano a cavallo della testina fonografica - Johnoh ringraziò i suoi dieci minuti di studio della storia della musica per questo fondamentale termine - che incideva sul disco nero rotante.
- Eccoli! - Un'altra voce, stavolta commossa, si era aggiunta alle grida di giubilo della ragazza puccia. Il musicante tornò a guardare la casetta, trovando altre due fanciulle davanti alla porta: una donzella castana dalle belle curve, in abito da massaia rosso, e una bella donzella dalla pelle di caffè, in abito da massaia azzurro. Tutte e tre quasi si gettarono ai piedi dei due ragazzi, non facendolo solo per permettere loro di atterrare.
Johnoh deglutì. La Strega era un'Arpia, ma era oggettivamente bellissima; a pochi metri da loro, vivevano due gnocche e una fanciulla puccia. Che quel bosco fosse popolato da splendide - per quanto potenzialmente terribili - ninfe? E chi erano quei due misteriosi cavalieri, così bramati da quel trio di donzelle?
- Buongiorno, meravigliosa Shizulora! - Uno dei due ragazzi, dai capelli neri e dai grandi occhi verdi - ed erano verdi sul serio - saltò giù dal disco volante, per poi fare un elegante baciamano alla ragazza verde - che era verde sul serio.
- Hotogih! - tuonò l'altro, dalla ridicola capigliatura castana appuntita con un temperino: - Siamo in servizio, un po' di contegno! -
- Buongiorno, Hotogih. - La ragazza, Shizulora, sorrise con infinita pucciosità. Poi guardò l'altro: - Buongiorno, Hondah. - e gli rivolse un altro sorriso luminoso. I due ragazzi s'imbambolarono, rapiti dalla puccissima, seppur ammaliante, voce della tenera fanciulla in verde - che era verde sul serio. L'aria era permeata della calda voce che usciva dal disco volante, cullando quella visione non tanto celestiale quanto verdiale.
Una macchia rossa e una macchia azzurra presero qualcosa dalle braccia del ragazzo di nome Hondah e Johnoh le seguì: le altre due ragazze si erano caricate decine e decine di grossi quadrati bianchi, con sopra disegnati dei cerchi rossi.
- E con queste stiamo a posto per le prossime due settimane! - trillò la ragazza in blu.
- È proprio una fortuna che questi due vogliano come pagamento un sorriso di Shizulora! - La ragazza rossa sospirò: - Non è una cosa romantica? -
- Tutto questo romanticismo ha fatto venire al mio stomaco voglia di fare un incontro romantico con questa Boscaiola. -
Johnoh si ritrovò a concordare con lo stomaco della ragazza blu. Nel farlo, le sue orecchie realizzarono cosa stesse dicendo quella voce tanto affascinante che risuonava di albero in albero.
- Ma tu vulive 'a pizza, 'a pizza, 'a pizza... Cu 'a pummarola 'ncoppa, cu 'a pummarola 'ncoppa... -
... Adesso, però, aveva voglia di pizza anche lui. Chissà se la Strega ne aveva un po'...
Proprio mentre stava seguendo con lo sguardo le due ragazze con le braccia cariche di pizza - meditando se mangiare a ufo un pezzetto anche piccolo -, un ragazzino uscì dalla casetta. Doveva aver subìto qualche trauma terribile e psichedelico, dati i capelli dritti e multicolore, e doveva stare affontando un confuso periodo di ribellione adolescenziale a neanche dieci anni, dato che indossava una maglia di pelle nera sotto una tranquilla giacchetta celeste e degli stivaloni in pelle nera sotto dei tranquilli pantaloni celesti. Forse era imparentato con la ragazza blu, data la pelle color cappuccino con prevalenza di caffè.
- Io vado a cogliere lamponi. - annunciò, a voce neanche troppo alta. In effetti, notò Johnoh, aveva un cestino di vimini con una tovaglietta a stelle.
- Vai pure, Rosyami! - La ragazza in blu riemerse dalla casetta, le mani libere e pronte a prendere altri cartoni della pizza: - Torna pure sul tardi, noi riempiamo il freezer, va bene? -
- Certo. - Da come lo aveva detto, il bambino di nome Rosyami bramava di scappare da quella casetta. Era davvero un bimbo bizzarro: perché mai qualcuno sarebbe dovuto scappare all'arrivo di almeno trentacinque chili di pizza praticamente gratis?
Johnoh ci mise un istante nel rendersi conto che Rosyami stava venendo nella sua direzione. Evidentemente, anche lui se ne accorse solo quando quasi si scontrarono, perché alzò di colpo la testa - aveva gli occhi di un viola intenso e Johnoh era certo che, da grande, avrebbe fatto strage di cuori - e disse, lapidario: - Meglio se ti allontani. -
- Eh? -
Un ruggito disumano.
Hondah e Hotogih parvero risvegliarsi di colpo, la ragazza in rosso battè i cento metri piani uscendo dalla casetta.
- IL FREEZER VUOLE MANGIARSI LE NOSTRE PIZZE! - strillò, a metà tra l'indignato e l'orrore.
- Eh no, eh! - La ragazza in blu si tirò su le maniche: - È ora di far capire a quel freezer chi comanda! Al contrattacco! -
La ragazza in verde aveva già preso un ceppo da non si sa dove, così come da non si sa dove la ragazza in blu aveva preso un grosso sasso e la ragazza in rosso un'ascia. La terra iniziò a tremare, le foglie iniziarono a piovere dagli alberi.
In quel momento, Johnoh realizzò che non sarebbe stato saggio mandare da solo nel bosco un tenero bambino, quindi fece dietrofront e scappò più veloce che potè. Dato che incontrò Rosyami solo dopo un paio di minuti, anche lui doveva essersi dato alla fuga.
Johnoh si schiarì la voce, ben deciso a portare a termine il suo compito di adulto responsabile. Neppure l'Arpia avrebbe potuto dirgli nulla, se si era trattenuto per aiutare un povero bimbo in difficoltà!
Rosyami lo guardò, senza nessuna espressione in particolare. Al suo fianco, un uomo trasparente vestito di viola.
"... Da quanto tempo è lì?" Rabbrividì: "Sarà mica un fantasma?" Una consapevolezza: "Ah, ma che figura ci faccio, se non mi mostro educato?"
- Piccolo, Uomo trasparente. - fece un leggero inchino ad entrambi. Quando suonava a Brema, il pubblico amava questo tipo di presentazioni: - Io sono Johnoh, sono un musicante in trasferta e- -
- Non abbiamo niente. - L'uomo trasparente lo interruppe, portandosi davanti a Rosyami come una gallina che si gonfia davanti ai suoi pulcini. Era un peccato fosse trasparente e probabilmente impalpabile, sciupava abbastanza l'effetto.
- ... Sono qui per assicurarmi che il piccolo non corra pericoli. - Johnoh decise di ignorare l'insinuazione dell'uomo trasparente. "Come hanno potuto prendermi per un mendicante?" Si guardò i vestiti ormai logori e tacque.
- Non abbiamo niente. - ripetè l'uomo trasparente: - E basto già io. -
"Cosa?" Johnoh sbattè le palpebre: - Uhm, signore, ecco... - lo indicò, con cautela: - Sa di essere trasparente? -
- Il fatto che io sia trasparente non fa di me una creatura impalpabile. - La voce dell'uomo trasparente si fece più bassa: - Quindi, signor musicante, è pregato di andarsene se non vuole che io- -
- Aspetta, Mhahadh. - Rosyami lo aggirò, e per Johnoh fu una prova abbastanza concreta del suo essere concreto: - Questo signore vuole fare una buona azione. Non privarlo dell'occasione di fare una buona azione, per quanto possa essere un inutile spreco di tempo. -
"Oh, ma che bambino dolce!" Johnoh quasi si commosse: "Diventerà proprio un bravissimo ragazzo!".
Incontrò lo sguardo viola del bimbo, interrogativo: - Io rimarrò qui a cogliere lamponi. Tu cosa farai? -
Un po' poco educato nel dare del "tu" a degli estranei, ma era davvero puccio!
- Credo raccoglierò lamponi anch'io. - Annuì a se stesso: "Sarebbe ridicolo se in una casetta nel bosco mancassero i frutti di bosco, no?".
Rosyami doveva conoscere davvero bene quel bosco, dato che si trovavano in una radura stracolma di lamponi, puntellata di alberi di vario tipo - come l'Albero della Cuccagna, dai frutti a forma di prodotti alimentari, o l'Albero degli Alcolici, dai frutti a forma di bottiglie piene di alcool. La musica della pizza era ormai lontana e l'aria profumava di terra bagnata, lamponi schiacciati, prodotti alimentari e vodka. Per Johnoh, ovviamente, il profumo più inebriante era quello della terra bagnata.
"Uhm..." Gettò una rapida occhiata a Rosyami: stava mostrando a quel tipo trasparente, Mhahadh, un lampone arcobaleno. "Forse si sente un po' a disagio nello stare in presenza di qualcuno e stare in silenzio?" Prese un lampone rosso e lo guardò intensamente, come se potesse dargli una risposta: "Ma di cosa parlano i bambini? Come posso trovare un argomento adatto alla giovane e innocente mente di un tenero bambino indifeso?". Guardò di nuovo Rosyami e si accorse che anche lui lo stava guardando - e se ne accorse per la velocità con cui distolse lo sguardo. "Allora vuole davvero parlare...?"
Il lampone non rispondeva. Non sapeva come intavolare una conversazione con quel piccolino.
- Ehm... -
Fu Rosyami a parlare per primo. Johnoh si preparò: i bambini non erano stupidi, erano anzi molto diretti e sinceri, parlavano delle piccole cose quotidiane con un linguaggio semplice e candido.
- Cosa ne pensi della sopravvivenza dell'anima dopo la morte? -
"Ma che ca**o-" - ... Sì? -
"Cos'altro vuoi rispondere ad una cosa del genere?" L'alternativa era "banana", ma era piuttosto certo non fosse la risposta corretta.
Rosyami non parve offeso a morte, quindi doveva trattarsi di una risposta accettabile. Rimase a guardarlo fisso negli occhi. Il musicante comprese che era il suo turno. Ma il lampone non gli suggerì niente neanche stavolta e decise di punirlo mangiandoselo. Stava diventando un musicante davvero spietato, e tutto per colpa della Strega!
Una lampadina si accese nella sua testa e Johnoh si affrettò a spegnerla perché consumava corrente.
- Credo sia giusto spiegare perché io sia qui. -
- Se vuoi. - commentò Rosyami. Il musicante non capì se fosse ironico, se non fosse interessato o se la domanda di prima avesse prosciugato tutte le sue capacità di formulare una frase troppo lunga.
- Io sono al servizio della Strega della Casetta di Gioielli! -
Nessuna reazione da Rosyami. Mhahadh, invece, mise le braccia conserte e disse, piatto: - Le Streghe non sono creature con cui è piacevole stare. -
- No, infatti! - Johnoh gonfiò il petto, una cascata di parole gli riempì la bocca: - Io ho conosciuto solo lei, di Strega, ed è davvero una Strega! È antipatica e prepotente, ogni scusa è buona per punirmi, spaccia i premi di consolazione per grandi concessioni e ogni contratto va a suo vantaggio! -
- Sì, è quello che fa la stragrande maggioranza delle Streghe. - annuì Mhahadh, impassibile: - Pensavo fosse risaputo. -
- Sì, ma- - "Non è colpa mia se sono atterrato nella piscina di una Strega, invece che in quella di una Fata Buona!" - -non ho avuto scelta! Sono costretto a farle da schiavo in cambio di vitto e alloggio! -
Rosyami e Mhahadh si scambiarono uno sguardo strano. Dato che anche un esserino adorabile come Rosyami stava mangiando i lamponi appena colti, Johnoh si sentì un po' meno malvagio.
"... Ho detto qualcosa di strano? Perché si sono guardati così?"
- La Strega della Casetta di Gioielli è un biscotto ripieno. - disse Rosyami.
Forse era un raffinato aforisma o un'alta citazione, ma Johnoh non comprese e azzardò: - Nel senso che va cotta in forno? -
- Nel senso che è tsundere. - intervenne Mhahadh.
- Tsundere...? - Comprese: - È dura e bruciacchiata fuori e morbida e dolce dentro? - Scosse la testa: - Perché mai una Strega malvagia con una reputazione da Strega malvagia da difendere che offre cibo infinito e riparo caldo ad un morto di fame con i vestiti logori dovrebbe chiedergli in cambio di diventare il suo schiavo personale per appena due settimane e passare solo per una tsundere piuttosto che per una schiavista malefica? -
Aggrottò la fronte. Ripensò ad ogni singola parola che aveva pronunciato. Guardò Rosyami e Mhahadh. Lo fissavano con occhi a mezz'asta.
- ... Nonononono, assolutamente no! - Portò le mani ai fianchi, indignato: - Nessuna tsundericità può giustificare la sua tirannia! - Assottigliò la voce: - "Su in soffitta, giù in cantina, disfa i letti, vai in cucina, lava i piatti, il fuoco accendi, poi lava, stira e stendi!" -
- La Casetta di Gioielli ha una soffitta e una cantina? -
Johnoh scosse la testa di fronte allo stupore di Mhahadh: - Sarebbe capace di farle apparire pur di darmi altro lavoro da fare! -
Un fruscio fra gli alberi.
"Non sarà mica lei?" Il musicante sgranò gli occhi, il cuore fece una capriola: voleva godersi il pranzo e la merenda e la cena e lo spuntino di mezzanotte! Se quella Strega lo avesse sentito lamentarsi con così tanta passione, gli avrebbe di nuovo disattivato le papille gustative!
Dagli alberi emerse un uomo, piuttosto cesso, con dei sopracciglioni neri sotto dei capelli rossi. Era un uomo ed era brutto: l'esatto opposto della Strega della Casetta di Gioielli. Johnoh tirò un sospiro di sollievo.
- Tiri un sospiro di sollievo, cane? - fece l'uomo, con un ghigno malefico. Quel ghigno malefico ricordò a Johnoh che, frutti di bosco o meno, la Strega era a casa e che lui era già abbastanza in ritardo.
- Perdonami, Rosyami, ma devo tornare dall'Arpia. - Fece un sorriso incoraggiante al bambino: - Mi raccomando, fai il bravo e non accettare caramelle dagli sconosciuti! -
Rosyami si limitò ad annuire. "È proprio un bambino adorabile!"
- Rosyami? -
Johnoh si stava già allontanando quando sentì di nuovo la voce dell'uomo: - Che razza di nome da donna è? Rooosyyyy! Rooosyyy! Ehi, rispondimi, Rosy! -
Il musicante sospirò: se già quelli che se la prendevano con i più deboli erano il peggio, un uomo che se la prendeva con un bambino era il peggio del peggio. Ma era certo che Mhahadh, protettivo come si era mostrato, gli avrebbe dato una bella lezione.
- Ehi. - La voce di Rosyami, pacata, ormai lontana: - Vuoi fare un gioco con me? -
Johnoh trattenne le lacrime: "Che bambino puro! Non ha raccolto simili parole e ha anzi risposto con la gentilezza! È davvero puccio!". Sbattè gli occhi lucidi: "Su, Johnoh, andiamo, o la Strega ti farà piangere sul serio!".

- Mia sublime visione- -
- Ah, sei tu. Cosa vuoi? -
Johnoh si affrettò a nascondersi dietro un albero. Alla porta di rubino della Casetta di Gioielli c'era un distinto signore con un abito elegante di un bianco immacolato, una rosa rossa all'occhiello come unica macchia di colore. Sulla soglia, la Strega guardava male il distinto signore. Quell'uomo doveva essere appena arrivato e Johnoh non aveva la minima intenzione di interferire con la stizza della Strega.
- Sono venuto qui per riportarvi un grave effetto collaterale della pozione che ho acquistato un mese fa. - Il distinto signore si portò una mano al petto. La Strega non parve colpita da quella teatralità, dunque l'uomo continuò: - Forse non ricorderete- -
- Io ricordo ogni singola vendita. - lo bloccò la Strega, l'espressione immutata.
Il distinto signore fece un gran sorriso, di quelli che i gran fighi che sanno di essere gran fighi fanno per far colpo su qualcuno: - Allora vi ricorderete anche di me, mia diletta? -
"Oh, San Bernardo, che melensaggine!" Johnoh si portò una mano allo stomaco, iniziando a sentire una certa nausea.
- Tu sei GyanKlawdyo Grossoh e ventisette giorni fa hai acquistato un Filtro d'Amore Livello Limone di Sorrento. Ti è costato un diamante da cinque carati e sette zaffiri da due carati. Li hai spesi senza fare una piega. -
Non era affatto losco il sottinteso "e ho quindi capito che sei schifosamente ricco e che saresti stato un ottimo pollo da spennare", ma il signor GyanKlawdyo Grossoh non sembrava averlo colto. Così come non aveva colto l'altro losco sottinteso nel tono della voce, che suonava all'incirca "mi stai irritando con la tua sola presenza, sei pregato di andartene entro due minuti o ti darò fuoco".
- Sono onorato vi ricordiate di me con così tanta precisione. - Un altro sorriso da divo, forse secondo lui stavano avendo effetto: - E mi rincresce, davvero, dovervi informare di questo effetto collaterale. -
- I miei filtri non hanno mai avuto effetti collaterali di cui non sono a conoscenza. - La voce della Strega era una lama affilata: - Se il filtro l'hai bevuto tu, io non ne sono responsabile. Non si effettuano rimborsi o sostituzioni dopo dieci giorni. È ridicolo tu te ne sia accorto ventisette giorni dopo. -
- Ho atteso nella speranza che questo immane dolore cessasse! - GyanKlawdyo Grossoh fece un sospiro melodrammatico: - Ma non riesco a cancellare la vostra fulgida figura dalla mia mente! -
La Strega alzò gli occhi al cielo, poi incenerì l'uomo con un'occhiataccia - figurativamente, per quanto ne sarebbe stata concretamente capace.
- Sparisci. -
- Mia divina diletta! - GyanKlawdyo Grossoh fece un passo avanti, quasi finendo sulla soglia della porta. La Strega sgranò gli occhi, visibilmente offesa da quel gesto. L'uomo continuava a non comprendere - o a far finta di: - Non chiudetemi la porta in faccia! Io sono GyanKlawdyo Grossoh, potrei offrirvi tutto ciò che volete! -
- Davvero? - La Strega sbattè le palpebre. Johnoh alzò un sopracciglio: "Non ci starà credendo sul serio?".
- Ma certo, mio splendore! - L'uomo sembrava emanare luce propria: - Mettetemi alla prova! -
- Oh... - Con un movimento leggero, la Strega gli si avvicinò, seno contro petto, labbra a sfiorare le sue: - GyanKlawdyo Grossoh... -
- Sì, mia meraviglia? -
"Ma che cosa...!?" Johnoh artigliò la corteccia, incredulo.
La Strega sorrise: - Sparisci dalla mia vista. -
"... Ah."
GyanKlawdyo Grossoh saltò all'indietro: - M-Ma, mia diletta- -
- E non farti mai più vedere, se non vuoi finire a fare da pranzo agli avvoltoi. -
"Ci sono avvoltoi, qui?" Johnoh si guardò intorno e si spalmò contro il tronco. Gli avvoltoi non erano uccelli particolarmente socievoli. E, se lo erano, lo erano solo per darti un assaggio.
- Perché tutto questo astio, mia divina Strega? - GyanKlawdyo Grossoh non voleva proprio darsi per vinto: - Cosa vi ho fatto per farvi infuriare così tanto? -
Lo sguardo della Strega tornò iroso, le mani andarono ai fianchi: - Punto primo. Sei venuto qui affermando falsità sulla mia merce. Hai offeso il mio lavoro. Non posso essere bendisposta nei tuoi confronti. - Assottigliò lo sguardo: - Punto secondo. Sei venuto qui palesemente credendo di avercela già fatta. Sei ridicolo, melenso e patetico. -
"Ben detto!" Johnoh annuì.
- Punto terzo, mi sembra abbastanza evidente cosa io desideri. - Con un gesto della mano, mostrò la sua Casetta di Gioielli: - Nonostante i miei gusti siano palesi, sei venuto qui con frasi generiche, senza neppure un dono, e hai persino affermato di potermi dare qualsiasi cosa io voglia senza neppure vedere quanto io già abbia qualsiasi cosa io voglia. - La mano tornò al fianco: - Sei il peggior corteggiatore che si possa immaginare. E se il tuo intento era solo una notte con me, la mia risposta è no, perché mi irriti e sei patetico. Sono stata abbastanza chiara? -
A quanto sembrava, la Strega era in grado di incenerire qualcuno anche solo a parole. GyanKlawdyo Grossoh era rimasto immobile, lo sguardo sconvolto, i modi di fare da figo ormai un ricordo lontano.
Ma la sua espressione si ricompose. Voleva provare un'ultima volta.
- Avete ragione- -
- Certo che ho ragione. -
E già partiva male. Johnoh trattenne una risata. Aveva un di che di divertente guardare la Strega insultare qualcun altro.
- Sono stato davvero scortese. - C'era un qualcosa di lontanamente ammirevole nell'ostentata fighezza di quell'uomo: - E mi rendo tristemente conto di non aver pensato alla cosa più importante: il vostro futuro. -
- Il mio cosa? - La Strega spalancò gli occhi.
- Sì, mia ninfa dei boschi. -
- Sono una Strega. -
- Qualora accettaste di unirvi a me- -
- Non succederà. -
- -sarete costretta ad abbandonare la vostra casa e iniziare una nuova vita. -
"..." Il musicante si staccò dal tronco.
La Strega aprì la bocca, disgustata: - Per quale oscuro motivo qualcuno dovrebbe abbandonare la propria vita per- -
- Ma non dovete temere, mia brillante Strega. Nonostante l'idea possa sembrare spaventosa, io vi guiderei ne- -
- Ehi. -
Johnoh si era avvicinato a GyanKlawdyo Grossoh con poche falcate. Lo zaino cadde a terra con un tonfo sordo.
- E voi chi siete, giovanotto? - L'uomo lo guardò dall'alto in basso: - Se volete parlare con la splendida Strega, mettetevi in fila. Ci sono già io. -
- Ma tu hai anche solo una vaga idea di cosa significhi lasciare la propria casa? - Johnoh lo guardò dritto negli occhi e vide GyanKlawdyo Grossoh rabbrividire. Non aveva idea di come suonasse la propria voce, ma forse non risultava troppo pacifica: - Hai una vaga idea di cosa significhi scegliere di abbandonare tutto per andare verso l'ignoto? - Fece scroccare i pugni: - Dal modo ridicolo in cui ne parli, mi sembra che tu non ti sia mai allontanato troppo da casa tua. -
L'uomo non disse nulla. Johnoh lo prese per un sì.
- E tu non solo vorresti porti a fantomatica "guida", ma staresti pure dando per scontato che qualcun altro lascerebbe tutta la propria vita per venire con te? - Digrignò i denti: - Ognuno sceglie da solo dove andare e quando andare. E nessuno può imporre una cosa del genere a qualcun altro. - Un pugno cozzò contro il bel viso di GyanKlawdyo Grossoh.
I suoi amici gli avevano sconsigliato di andarsene da Brema. Lì c'erano i suoi amici, la sua casa, il suo lavoro! Perché avrebbe dovuto andarsene a spasso per il mondo?
- Mi manca qualcosa. -
Non sapeva cosa. Non sapeva se l'avrebbe mai trovata. Non sapeva se, girato tutto il mondo, sarebbe tornato a Brema e sarebbe tornato alla vita di sempre. Ma, in quel caso, avrebbe potuto dire di averci provato. Forse, qualche tempo dopo, sarebbe partito di nuovo. C'era qualcosa che Brema, nonostante tutto, non era stata in grado di dargli e lui voleva trovarla.
Garfield, Ciuchino e Asterix avevano capito. Gli avevano fatto trovare una sacca nuova, delle scarpe nuove e dei prodotti alimentari comprati il giorno stesso. Non sarebbero andati con lui, ma l'avevano sostenuto nella sua scelta.
L'idea di un individuo che si presenta alla porta, certo di averti già in pugno e pronto a farti fare qualsiasi cosa, anche abbandonare la tua vita...
GyanKlawdyo Grossoh cadde a terra. Nel giro di qualche ora, i lividi l'avrebbero fatto sembrare un dalmata. Si mise seduto con un gemito dolorante, si portò una mano al volto e, più veloce che potè, scappò nel bosco senza proferire altra parola.
Johnoh trasse un profondo respiro. Le mani prudevano un po'. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva gonfiato qualcuno come una mongolfiera. Chiuse gli occhi. Aveva un po' di mal di testa. Forse aveva bisogno di qualche minuto di riposo.
- Johnoh... -
Sobbalzò. Si era quasi dimenticato della Strega. Riaprì gli occhi e si voltò, incontrando il suo sguardo violetto. Sembrava... stupita? Un istante dopo, la vide riassumere il suo solito cipiglio stizzito: - Sono felice tu sia stato un buon cane da guardia, ma sappi che sarei stata perfettamente in grado di liberarmene da sola! -
Johnoh neanche fece caso alla definizione, troppo disorientato: - ... Certo che ne sareste stata in grado. - disse, piano. Doveva stargli sfuggendo qualcosa.
Forse anche alla Strega stava sfuggendo qualcosa, perché la sua espressione divenne uno specchio della propria: - E allora perché...? -
Perché? Johnoh sbattè le palpebre e spiegò: - Mi stava irritando. Parlava di cose delicate con una superficialità ridicola. - Si accorse che la sua voce era più bassa del solito: - A Brema avevo tutto. Partire è stata una mia scelta. Avevo i miei motivi e non lo rimpiango. Pensare che qualcuno possa mettere bocca in una cosa così personale... -
La Strega inarcò le sopracciglia, ma rimase in silenzio per qualche istante. Poi, domandò: - Per curiosità... Se io fossi in pericolo, tu cosa faresti? -
- Eh? - "Ma che razza di domanda...?" Ci pensò. Mise le braccia conserte. Continuava a pensarci: - Questo implica che sia un pericolo particolarmente grande, se voi non siete in grado di salvarvi da sola. -
La Strega non disse nulla. Sembrava che volesse soltanto conoscere la sua risposta. Johnoh decise di non farla attendere oltre: - Beh, suppongo farei ciò che è in mio potere per aiutarvi, anche se siete una Strega antipatica. - Si morse la lingua, ma ormai l'aveva detto. Preparò le gambe, pronto a correre.
Lei, tuttavia, non sembrava pronta a dar fuoco ai suoi vestiti con la sola forza del pensiero. Sembrava anzi... pensierosa?
Una strana luce alle sue spalle. Un crepitio sinistro.
Johnoh si voltò.
In mezzo agli alberi, a qualche decina di metri di distanza, era scoppiato un incendio.
- Ma avete dato fuoco agli alberi, piuttosto che a me? - quasi gridò, incredulo.
La Strega parve tornare alla realtà: - Cosa? - Sbuffò: - Ma ti pare che sbaglierei mira in modo così plateale? -
Johnoh non potè far altro che deglutire. Un pensiero improvviso. Il cuore sussultò.
- Un attimo! Ma laggiù non c'era... - Le sue gambe furono più veloci dei suoi pensieri. Prima che potesse anche solo pensare quel nome, stava già correndo in mezzo agli alberi. Gli parve di sentire il suo nome urlato dalla Strega.
"Laggiù c'era Rosyami!" Nonostante l'incendio, sentì freddo: "Possibile che Mhahadh non l'abbia protetto?". Era quasi arrivato. Iniziò a cercarlo con lo sguardo, senza smettere di correre: "Forse sarei dovuto rimanere di più e fregarmene della Strega! Avevo detto che mi sarei accertato che non gli succedesse niente, e invece...!"
Sì, in effetti era stato abbastanza incoerente. Si rincuorò un pochino pensando al fatto che la sua frase fosse stata dettata principalmente dal desiderio di allontanarsi dal malvagio Lord Freezer e rinviare il momento in cui sarebbe tornato dalla sua schiavista, obiettivi raggiunti con successo.
- Rosyami! - lo chiamò: - Rosyami! Rispondimi! - Avrebbe voluto dire "Se stai bene, rispondimi!", ma sarebbe stato un problema se fosse stato ferito; di contro, se avesse urlato "Se stai male, rispondimi!", sarebbe stato un problema se fosse stato sano - o se fosse stato così ferito da non poter parlare. Quindi, aveva optato per un semplice "rispondimi", ma Rosyami non rispondeva.
Un suono intenso e prolungato.
Ormai Johnoh era arrivato alla radura di lamponi.
Rosyami era tra le fiamme. Le braccia erano aperte, i suoi occhi scintillavano di un rosso vivo, le labbra erano curvate in un ampio sorriso, nell'aria risuonava la sua risata colma di soddisfazione.
Johnoh sbattè le palpebre.
Rosyami era davanti a lui, l'espressione neutra. Non c'era traccia di fuoco. L'unico suono era il frusciare delle fronde.
- Sì, signor musicante? - fece Rosyami, pacato.
Johnoh si grattò la testa, confuso: - Mi era sembrato... Ecco, mi era sembrato ci fosse un incendio, qui. -
- Un incendio? - Quel bambino era il ritratto dell'innocenza: - Non so di cosa tu stia parlando. -
- Mmmh... - "Forse ero così spaventato all'idea che la Strega mi desse fuoco, che ho immaginato un incendio. E l'ho immaginato qui per il mio senso di colpa dell'aver lasciato Rosyami con-" - A proposito! - si ricordò: - Ma dov'è quell'uomo brutto? -
Rosyami gli indicò qualcosa ad un paio di metri di distanza: l'uomo era appallottolato e dondolava, gli occhi del tutto sferici, e farfugliava qualcosa. Non appena guardò Johnoh - o meglio, qualcosa al fianco di Johnoh -, emise un grido soffocato, sbiancò e cadde a terra svenuto.
- Cos'ha? - Johnoh lo indicò, perplesso. Rosyami alzò le spalle. In quel momento, il musicante si accorse che il piccolo aveva in mano un accendino. - Stai attento, con quello! - lo avvisò: - Siamo in mezzo al bosco, se non fai attenzione rischi di far scoppiare un incendio! -
Rosyami annuì: - Lo terrò a mente. -
Lento e leggero, Mhahadh atterrò al loro fianco. Aveva in mano un lungo bastone verde, che tuttavia scomparve nel giro di pochi secondi.
- Beh... - Johnoh tirò un sospiro di sollievo, la pelle che riprendeva a sentire la normale temperatura dell'ambiente: - Non ho ben capito cos'è successo, ma sono felice che il piccolo Rosyami stia bene. -
- Johnoh! - Il musicante quasi saltò sul posto. La Strega era accanto a lui.
- S-sì, mia signora? -
Un orecchio finì dolorosamente tirato: - Quando ti chiamo, tu scatti sull'attenti e stai pronto ad eseguire ogni mio ordine! - La Strega lo lasciò, Johnoh si massaggiò la parte lesa. Oltre che aggressiva, era pure forzuta.
- Giovane Rosyami, signor Mhahadh. - La donna fece un cenno ad entrambi: - Mi porto via il mio servo. Buona raccolta. - Per qualche strano motivo, guardò il corpo esanime dell'uomo con i sopracciglioni e ridacchiò. Poi si voltò e s'incamminò verso casa.
Dato che, quel giorno, aveva scampato almeno due arrabbiature, era meglio non provocarla oltre. Johnoh salutò i due - Rosyami sventolò debolmente la mano, con fare adorabile - e seguì la Strega.
Dopo pochi secondi, si rese conto di una mancanza: - Ah, lo zaino- -
- L'ho messo in casa. - La Strega si stiracchiò. La sua voce non sembrava irritata. Anzi, era quasi... possibile... qualcosa di simile... al buonumore?
Meglio mantenere quell'apparente positività: - Oggi ho trovato un po' di pietre. Vedete se vi possono interessare. -
- Ottimo, ottimo! - Una risata leggera: - Delle belle pietre preziose sono l'ideale per riprendersi da un incontro fastidioso~ - Le mani ai fianchi: - Anche se vedere un idiota pestato con tanto ardore è stato comunque divertente! -
Johnoh non vedeva la faccia della Strega, che camminava davanti a lui, ma poteva osare pensare che fosse davvero di buonumore.
- Comunque, siamo in ritardo per il pranzo. -
Johnoh rabbrividì.
- Spero tu abbia un menù pronto, perché ho fame. -
- S-sì, certo! - "Cucinerò qualsiasi cosa mi capiterà sotto mano."
- E dopo pranzo suonerai. -
- Cosa? - Non era riuscito a non dirlo. Dato che la Strega non si era voltata a minacciarlo, diede voce al suo dubbio: - Non avevate detto che- -
- Ho voglia di musica e la tua era sì mediocre ma non così tanto da non volerla più sentire. -
"È fisicamente possibile una cosa del genere?" Non sembrava volesse farlo suonare solo per insultarlo di nuovo. E poi perché sentire una cosa che non piace se si è di buonumore?
- Come volete, mia signora... -
La Strega quasi saltellava. Johnoh non era mai stato così confuso come in quell'ultima ora.
Ma c'era qualcosa, in tutto quello, che non gli dispiaceva affatto. Anche se non era ben sicuro di cosa fosse.

- Tu sei sicuro che funzioni. - Quella di Alystehr non voleva davvero essere una domanda, quindi l'intonazione piatta fu quanto di meglio potesse desiderare per manifestare il suo essersi arreso ancor prima di iniziare.
- Certo che sì! - Vahlon teneva il bastone, serissimo: - Capitolo Uno punto Due di Scherma per Principianti: "Il Bastone e i suoi utilizzi alternativi". Paragrafo Quindici: "Rattomanzia". -
- Rabdomanzia. - lo corresse Rahphael.
- L'hai letto anche tu? - Il ragazzo dal cespuglio castano in testa lo guardò, ammirato: - E perché non me l'hai mai detto? -
- In che modo un bastone a forma di Y dovrebbe trovare oggetti nascosti? - Alystehr riportò l'attenzione su di lui, giusto in tempo per permettere a Rahphael di alzare gli occhi al cielo, l'espressione quasi di supplica.
- Ma che ne so, ti pare che mi ricordo tutto quel paragrafo? - Vahlon sbuffò: - Mi ricordo solo che i bastoni a forma di Y, con le stanghette superiori della stessa lunghezza, hanno il potere di trovare le cose nascoste! -
- E cosa dovrebbero fare, se trovano qualcosa? S'illuminano? -
- Dovrebbero vibrare, tipo? -
- Tipo? Non sai neppure cosa dovrebbero fare? -
- Te l'ho detto che non mi ricordo! -
- Alystehr. - La voce bassa di Rahphael li interruppe: - Non distrarre Vahlon. La rabdomanzia richiede molta concentrazione. -
- Ben detto! - Vahlon gonfiò il petto, fiero. Alystehr si spalmò una mano sulla faccia.
Trascorse qualche minuto in pieno silenzio. Il più giovane avanzava davanti agli altri due, concentrato sulla bacchetta biforcuta.
Dopo un quarto d'ora di nulla, Alystehr si avvicinò a Rahphael: - Perché lo sostieni in una cosa così stupida? - gli sussurrò.
- Non possiamo escludere nessun possibile metodo di ricerca. - spiegò l'altro, grave: - È stato uno shock scoprire che la bussola ad acqua non è infallibile e, purtroppo, la nuvola non ci ha portato dove avrebbe dovuto. -
Alystehr non ebbe cuore di commentare.
- È stata davvero una fortuna che Vahlon si sia ricordato di questo metodo. -
- Se questa è stata una fortuna, prego non ci capiti nessuna sfiga. - borbottò il ragazzo dai capelli rossi.
Vahlon iniziò a brillare ad intermittenza.
Era uno spettacolo talmente ridicolo che Alystehr e Rahphael lo avvisarono dopo solo una manciata di secondi, troppo presi a contemplarlo.
- Ma allora... - Vahlon s'illuminò di blu: - Questo significa che il bastone ha trovato qualcosa! -
- O che una Strega ti ha trasformato in un semaforo daltonico. -
- Cosa dobbiamo fare? - Rahphael era molto più determinato di Alystehr.
- Scava qui sotto! - Il più giovane indicò un punto del terreno. Il massiccio uomo biondo estrasse dal nulla una pinza gigante e un martello colossale e iniziò a scavare con una rapidità inumana. Dopo un paio di minuti, riemerse con un oggetto sferico verde. Gli altri due ragazzi trasalirono, increduli.
- Ha davvero funzionato? - Alystehr afferrò l'oggetto dalle mani del più grande e lo mise controluce.
Era uno yoyo.
- Ma vaffan... - Il ragazzo dai capelli rossi lo gettò alle spalle, ma Vahlon lo prese al volo: - Perché lo butti? - protestò, brillando di rosso: - È carino! -
- È inutile. -
- È carino! -
- Vahlon. -
- Alystehr! -
- Continua a cercare, Vahlon. - Ancora una volta, Rahphael li interruppe: - Stai andando bene. La bacchetta funziona. -
Con un sorriso di trionfo verso il ragazzo dai capelli rossi, Vahlon rimise le bacchette in posizione e si allontanò un po', smettendo di brillare. La ricerca era ripresa.
- Chissà perché qualcuno avrebbe dovuto sotterrare uno yoyo... - L'unica cosa che Alystehr riuscì a dire invece di: - Non riesco a credere che una cosa così stupida possa davvero funzionare! -
- Forse è solo stato lasciato lì tempo addietro e la Natura l'ha fagocitato. - ipotizzò Rahphael, saggio.
Passò qualche altro minuto prima che Vahlon riprendesse a brillare ad intermittenza.
- Presto, Rahphael, scava qui! -
Pinza gigante in una mano, martello colossale nell'altra, il più grande scavò, scavò e scavò, fino a riemergere con un piccolo cilindro bianco.
- È bianco, non è quello giusto. - notò Alystehr.
- Ma potrebbe essere dentro. - osservò Rahphael.
I tre si accorsero che il cilindro aveva una pellicola sulla parte superiore. Quando lo aprirono, rivelò il suo contenuto.
- ... Yogurth. -
- Ottimo, avevo giusto un po' fame! -
- Vahlon, no! - Ma Vahlon si era già mangiato lo yogurth. Alystehr e Rahphael si scambiarono un'occhiata esasperata - almeno, quella del ragazzo dai capelli rossi lo era, quella del biondo era impassibile con una nota di disperazione.
- Stiamo andando bene! - Vahlon saltò su in una grande luce gialla, in qualche modo rinvigorito.
- No, non è neanche del colore giusto! - Ma le parole di Alystehr furono ignorate e il ragazzo dai capelli castani si era rimesso in marcia, smettendo di brillare.
I tre ripresero dunque la loro ricerca.
- Chissà perché qualcuno avrebbe dovuto sotterrare uno yogurth... - L'unica cosa che Alystehr riuscì a dire invece di: - Nonostante tutto, spero non ci siamo appena giocati Vahlon. Sarebbe davvero impietoso finire avvelenati da uno yogurth trovato sottoterra. -
- Forse è solo stato lasciato lì tempo addietro e la Natura l'ha fagocitato. - ipotizzò nuovamente Rahphael, saggio.
Ci volle almeno mezz'ora prima che Vahlon ricominciasse a brillare ad intermittenza.
- Lo sento! Lo sento! - quasi urlò: - È qui sotto! -
- Perché ho come l'impressione che neanche stavolta sarà quella giusta? -
Rahphael ignorò le parole disfattiste di Alystehr e si mise a scavare con i suoi attrezzi fuori misura.
Scavò, scavò, scavò, scavò, scavò per almeno cinque ore, prima di portare alla luce trenta metri di yatch.
- E c'era bisogno di tirarlo fuori tutto? - Alystehr quasi esplose: - Si vedeva benissimo che non era quel che stavamo cercando! -
- Pareva brutto lasciarlo là sotto... - si giustificò Rahphael, iniziando a pensare solo in quel momento che avrebbero potuto impiegare quelle cinque ore in modo un pelino più costruttivo.
- Forse è dentro? - C'era una remota possibilità che l'ipotesi di Vahlon potesse essere corretta. I tre, dunque, si divisero e cercarono per tutto lo yatch, in ogni singolo centimetro. Quando ormai il sole era tramontato, si ritrovarono sul ponte.
- Niente. - sospirò il più giovane, affranto.
- Niente. - ripeté il biondo massiccio, scuotendo la testa.
- Davvero niente? Strano... - Alystehr giocherellò con i suoi rasoi: - Forse dovremmo rinunciare a questo fantastico metodo di ricerca. -
- Ma abbiamo provato solo tre volte! - protestò Vahlon.
- Se ha sbagliato tre su tre, dubito ci azzeccherà la quarta volta. E comunque, non ti sei accorto? -
- Di cosa? -
- Ecco, appunto. - Il ragazzo dai capelli rossi era talmente irritato da avere in qualche modo raggiunto la calma assoluta: - Yoyo. Yogurth. Yatch. Cos'hanno in comune? -
Vahlon rispose dopo un secondo, i lati della bocca all'ingiù: - Nessuna di queste è la cosa che cerchiamo? -
- Qual è l'altra cosa che hanno in comune? -
Rahphael sgranò gli occhi chiari, una realizzazione improvvisa: - Iniziano tutte per Y! -
Il trio guardò il bastone a forma di Y tra le mani di Vahlon. Il gigante biondo diede una pacca sulle spalle del più giovane: - La tua idea era ottima, Vahlon. -
- Ma anche no- -
- Purtroppo, nessuno di noi aveva calcolato che un bastone a forma di Y ci avrebbe fatto trovare solo cose che iniziano per Y. -
- Quindi ci basterà trovare un bastone a forma di O! - Vahlon risplendette di luce verde.
- Buona fortuna nel trovare un bastone a forma di O. - Alystehr indicò le cabine: - Che ne dite se usiamo questo coso per dormire e ci pensiamo domani mattina? -
Per fortuna della sua già provatissima pazienza, entrambi i ragazzi annuirono.
Vahlon scese dallo yatch per andare a posare a terra il bastone a forma di Y e Alystehr e Rahphael rimasero soli sul ponte. Non era educato andare nelle proprie cabine separatamente.
- Chissà perché qualcuno avrebbe dovuto sotterrare uno yatch... - L'unica cosa che Alystehr riuscì a dire invece di: - E anche oggi non ho scorticato Vahlon. -
- Forse è solo stato lasciato qui tempo addietro e la Natura l'ha fagocitato. - ipotizzò ancora una volta Rahphael, saggio.
- Trenta metri di yatch? -
- Deve essere stato molto tempo fa. -
- In mezzo ad un bosco? -
- Deve essere stato moltissimo tempo fa. -
- Ma gli yatch non erano ancora stati inventati! -
- Alystehr. -
- Sì? -
Rahphael lo guardò dritto negli occhi: - Ma è possibile che a te non vada mai bene niente? -.

.

Note:
* "Próto Epeisódio" (Πρώτο Επεισόδιο): "Primo Episodio" in greco.
* "Dall’alba sino a sera sono intento a lavorar!": «Scava, scava», Biancaneve (1937) (Con modifiche.)
* "Ma tu vulive 'a pizza": «'A pizza», Aurelio Fierro
* La definizione di "biscotto ripieno" per riferirsi ad una tsundere mi è venuta in mente dalla fanfiction Scrivere una Fan Fiction su Dolce Flirt? Puoi farlo anche TU!, in cui le tsundere vengono definite "tronky" (dure fuori e morbide dentro).
* "Su in soffitta, giù in cantina...": «Lavorare, che fatica!», Cenerentola (1950)
* GyanKlawdyo Grossoh sarebbe Jean-Claude Magnum, l'imbecille che voleva sposare Mai nell'episodio 80.
* "Lord Freezer" è ovviamente un riferimento a Dragon Ball.
* Quel che ha combinato Rosyami è quel che ha combinato nel capitolo 4 del manga / episodio 2 della Serie 0.


Sì. Non è uno scherzo. Io sono Soe Mame e questo è un aggiornamento de Il musicante di Brema e l'incantevole strega, una delle mie long interrotte dall'alba dei tempi.
Nel capitolo precedente (pubblicato solo DODICI ANNI FA, cosa volete che siaPSDOKWEèPLFWSEDèKWEFPEWFJIO-) dissi che avrebbe avuto sette capitoli. Se non altro, aggiunsi un "credo", e feci bene: ne avrà otto. (So che pensavate diciassette. Ebbene no, sono riuscita a contenermi!)

Ora vi racconto una storia molto divertente, ma anche no. Nel 2019 si era reinfiammata la mia passione per Yu-Gi-Oh! (Infatti avevo anche pubblicato qualcosa di nuovo dopo anni!) e mi era tornata l'ispirazione per questa storia. Così, a Dicembre 2019 mi sono messa a scrivere i capitoli mancanti, ho scritto spedita, l'ultimo capitolo l'ho iniziato a... Marzo 2020.
Per ovvi motivi, l'ispirazione è andata a farsi un giro e non ho più toccato la storia. Siamo nel 2023, l'ultimo capitolo non è ancora finito, ma ho deciso di pubblicare lo stesso, piuttosto che far marcire ancora i capitoli dal 3 al 7.
Sono passati anni, ovviamente da quando questa storia è iniziata, ma anche da questi capitoli "nuovi", e adesso scrivo in modo un po' diverso - Tipo, per i dialoghi uso le virgolette basse invece dei trattini, metto le maiuscole negli incisi indipendenti, eccetera -, ma ho deciso di lasciare tutto come l'ho scritto a Dicembre/Gennaio/Febbraio. Così, anche per vedere l'evoluzione. (!) Suppongo che a leggerla tutta di fila sia emozionante, a metà tra lo studio scientifico e la serata alcolica.

Chi per caso è capitato sul mio account e ha notato il link sulle prosecuzioni/conclusioni delle mie storie interrotte - E magari ci ha persino cliccato e ha letto il post! -, forse saprà che questo terzo capitolo era quello che aveva portato al blocco totale della storia: non avevo idea di cosa metterci, non sapevo come far evolvere il rapporto tra Johnoh e la Strega. A distanza di anni, pensandoci con calma, la soluzione è arrivata, semplice semplice, e il capitolo è venuto fuori con tranquillità. Non credo sia OMG!11 È LA KS + BLL K HO MAI LTT!!!11UNOUNO, ma sono soddisfatta. Sia del risultato che del fatto di averlo finalmente scritto!
A proposito del post con la prosecuzione/finale de Il musicante di Brema e l'incantevole strega: ovviamente la storia rimarrà la stessa, ma ho modificato un po' di cose - più a livello di dettaglio. Spero sia uscito bene ╭( ・ㅂ・)و

Parlando dei coprotagonisti di questo capitolo. Partiamo da... no, non da GyanKlawdyo Grossoh - Chissene frega di GyanKlawdyo Grossoh! -, ma da Rosyami. Sorvolando sul fatto che trovo Atem uno dei personaggi più difficili da muovere, ha un che di divertente scrivere di "Atem Serie 0", con tanto di Gioco delle Ombre. Più "Atem Serie 0" per tutti! (?)
C'è poi il (disastrato) trio dell'Orichalcos. Come detto in precedenza, è la prima volta che li muovo sul serio e farlo dopo settordici lustri che non vedo la loro serie mi aveva un po' messa in soggezione; con mia somma sorpresa, la loro scena è invece quella che ho scritto con più facilità. L'idiozia può tutto. (!)
C'è poi Dahrtz, che in questo capitolo non è apparso ma su cui vorrei fare un appunto: c'è un motivo per cui parla in modo così "bizzarro", ma mi sono accorta che potrebbe ricordare il Dartz dell'Abridged. Non mi sono ispirata (In caso contrario, non avrei problemi a dirlo, anzi! - Vedasi Notre Dame de Domino, dove specificai come mi fosse stata ispirata dalla parodia di Out there), ma non nego che potrebbe essere stata una cosa inconscia - Quando iniziai Il musicante di Brema e l'incantevole strega non era ancora uscita la quarta serie abridged, ma Dartz era già apparso negli Evil Council of Doom, quindi potrebbe essermi rimasto impresso da lì-

Un'ultima cosa. Dato che, in questi anni, si è iniziato a fare più attenzione alla sensibilità dei singoli, mi sembra doveroso fare un avviso: dato che alcune parti di questa storia si rifanno ad Hansel e Gretel, nei prossimi capitoli sarà nominato più di una volta il cannibalismo, ma sempre a fini parodici (e nessuno sarà mangiato). Se vi causa problemi anche solo leggerne il nome, non è il caso proseguiate nella lettura.

Detto ciò, benvenut@ a chi legge per la prima volta, e bentornat@ a chi è già passato di qui. Spero che questa prosecuzione de Il musicante di Brema e l'incantevole strega possa piacervi!

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Capitolo 4
*** Agone ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

— Nota: Questo capitolo è stato scritto nel 2019.

AGONE



Erano ormai nove giorni che Johnoh alloggiava nella Casetta di Gioielli.
A ben vedere, la sua situazione già buona era in qualche modo e per qualche motivo migliorata: la Strega si limitava a punire le sue dimenticanze semplicemente disattivandogli le papille gustative durante i pasti e non gli aveva più provocato del prurito notturno. In realtà, con il passare dei giorni, le dimenticanze di Johnoh si erano ridotte fino a quasi svanire - tanto che, se ne avveniva una, la Strega pareva dimenticarsi di punirlo.
Essere al servizio di una Strega era un po' faticoso, ma il divano andava benissimo, la casa era un ottimo riparo e il cibo era fantastico. Quasi gli dispiaceva che il contratto sarebbe terminato di lì a cinque giorni.
- Johnoh! -
Quasi, aveva precisato.
- La zuppa di pan bagnato sarà pronta tra dieci minuti. - annunciò Johnoh, lasciandosi cadere su una delle sedie di corallo. Dall'altro lato del tavolo di corallo, la Strega gli lanciò un'occhiata di sufficienza, per poi tornare a concentrarsi sui vasetti d'oro allineati davanti a lei. Era da prima che ci stava trafficando e il musicante era curioso di sapere cosa contenessero.
- Cosa sono? - chiese, dunque.
- Ho smistato le spezie. - spiegò la Strega, con un sorriso soddisfatto: - Era da un po' che dovevo farlo ed eccole qua! - Aprì le braccia, a mostrare i vasetti: - Ora non ci sarà più il rischio di avere cannella al retrogusto di paprica! -
- Fantastico! - Quello delle spezie mischiate era effettivamente un problema che aveva riscontrato in quella cucina ma, di solito, rimediava cucinando qualcosa che non necessitasse di spezie. "Ora che sono in ordine, c'è la possibilità di cucinare più cose!".
C'era, tuttavia, qualcosa che non tornava: - Ma... - Johnoh guardò bene i vasetti: - Non ci sono le etichette. Come fate a sapere cosa c'è dentro? - I contenitori erano pure d'oro, quindi lontani dall'essere trasparenti. E prendere un vasetto per volta e guardare cosa ci fosse dentro era un notevole spreco di tempo.
- Come faccio? - Il sorriso della Strega si fece più ampio, ma anche più sinistro: - Ma con i miei poteri, ovvio! -
- Oh... - "Dovevo sospettarlo." Era un po' deluso, in verità. Sperava che il nuovo ordinamento delle spezie potesse giovare, tipo, anche a lui.
- Stai a guardare. -
La Strega chiuse appena le dita, come se stesse cercando di afferrare qualcosa. Chiuse gli occhi, piano, e iniziò a sussurrare: - Aaaaabraaaaacaaaadaaaabraaaa... - Le mani disegnarono cerchi nell'aria: - Aaaaaaabraaaacaaaadaaaabraaaa... -
"Dunque è così che una Strega usa i suoi poteri?" Johnoh si fece attento. Era una cosa del tutto nuova - anche perché, di solito, la Strega si limitava a guardare male o a puntare il dito, senza dire neppure una sillaba.
- Aaaaaabraaaa... - Gli occhi della Strega si riaprirono di scatto: - Cadabra! - La donna indicò un vasetto: - Lì c'è della noce moscata! -
Johnoh guardò il vasetto, non sapendo cosa fare.
- Controlla, controlla! - fece la Strega, la voce infantile.
Il musicante obbedì e, dato che non riusciva a riconoscere il contenuto dal colore, ne assaggiò un po'. Annuì: - Sì, è noce moscata! -
- Visto? Ora riprovo! -
Johnoh era certissimo della grandezza dei poteri della Strega - li aveva sperimentati in prima persona, poteva garantire come nessuno! - ma, dato che sembrava che lei si stesse divertendo, la lasciò fare.
- Lì c'è del cardamomo! -
Johnoh controllò. Era effettivamente cardamomo, ma non ne aveva avuto il dubbio.
- E lì c'è dello zafferano! -
Anche nel terzo vasetto indicato c'era la spezia pronunciata dalla Strega. Quest'ultima, però, dovette notare poco entusiasmo da parte sua, perché chiese: - Beh? Non sei colpito? -
Il musicante evitò di sospirare: - È che sono perfettamente a conoscenza dei vostri poteri. - spiegò: - Mi state solo dando l'ennesima prova delle vostre capacità. È interessante all'inizio, poi diventa ovvio. - Alzò le spalle: - E poi, sono io a cucinare, questi giorni. Questi vasetti possono aiutare voi, non me. -.
La Strega mise il volto tra le mani, i gomiti puntati contro il tavolo. Johnoh si stupì dello sguardo divertito che gli rivolse. Pensava si sarebbe irritata o che l'avrebbe guardato con aria di sufficienza.
- Johnoh. -
- Sì? -
- Vuoi sapere cos'ho usato? -
- ... I vostri poteri? -
Una mano della Strega andò al suo viso, le dita schioccarono sul suo naso.
- Ehi! -
- Non ho usato i miei poteri. - ridacchiò la Strega: - Ho seguito gli odori. -
- ... Eh? - Johnoh sbattè le palpebre, confuso: - N-non avete usato i vostri poteri? -
- Prova anche tu. - Unì pollice e indice: - Chiudi gli occhi e concentrati sugli odori. -
Il musicante fece quanto gli era stato detto. Trasse un profondo respiro. Una miscela di odori delicati e odori pungenti gli colpì le narici.
- Sento tutti gli odori insieme. - disse Johnoh, piano: - È impossibile distinguerli! -
- Isola un unico odore. - La voce della Strega era stranamente bassa: - Concentrati su di quello. Seguilo. Seguilo fino alla sua fonte. -
C'erano davvero troppi odori, troppo diversi. Erano tantissimi.
No, annusando bene, non erano poi così tanti. Certo, c'era l'odore della zuppa al pan bagnato, e quello dell'aria fresca che entrava dalla finestra. C'erano gli odori delle spezie. Ne contò dieci. Gli sfuggì un sorriso nel ricordare come i vasetti fossero effettivamente dieci. C'era anche un altro odore, simile a quello dei fiori - quelli che avevano un profumo intenso, ma Johnoh non capiva nulla di fiori, quindi non sapeva a cosa paragonarlo. Era quasi fuori luogo in mezzo a zuppe e spezie. Non era neppure troppo lontano. Come aveva fatto a non notarlo, fino a quel momento?
Puntò un dito davanti a sé: - Qui c'è un fiore di cui non so il nome! - Aprì gli occhi. La Strega era ancora davanti a lui - davanti al suo dito.
Johnoh sentì la zuppa di pan bagnato andare a fuoco e si affrettò a salvarla dal fornello - poco importava che la zuppa non stesse andando a fuoco, che l'incendio fosse molto più vicino del fornello e che la Strega fosse scoppiata a ridere.

- Lo sapevi che l'avrebbe fatto! È un appuntamento fisso: ogni volta che andiamo nel bosco, lei si scorda di noi. Era ovvio che sarebbe successo anche stavolta! -
- Su, siediti, che il muschio grigliato si fredda. -
- Non lo voglio il muschio grigliato! - Amanetel battè un piede a terra: - E non dovresti volerlo neanche tu! Siamo persi! Nel bosco! - Rabbrividì: - In balìa di fiere feroci e mostri mostruosi! -
- La cosa più feroce che ho visto è stata una lumaca che si è spaventata appena ci ha visti... -
- E siamo in questa situazione per colpa tua! - Amanetel puntò l'indice contro Ryansel, accusatoria: - Come puoi startene lì a grigliare muschio mentre la nostra fine si avvicina? -
- Almeno la affronteremo a stomaco pieno. -
La luna era ormai alta e illuminava il cielo notturno privo di nubi, tingendo qualsiasi cosa con una delicata patina bianca. Quel pomeriggio, la signora Vyvyhan era riuscita a scordarsi nel bosco i due lattescenti pargoli; abbandonati a loro stessi, Amanetel aveva iniziato a urlare - facendo scappare qualsiasi forma di vita nel raggio di sette chilometri, nessuno intenzionato ad avvicinarsi a quel mostriciattolo furioso - e Ryansel aveva messo su un barbecue.
Di fronte all'imperturbabilità di suo fratello, con lo stomaco che iniziava a gridare come lei, Amanetel afferrò una porzione di muschio grigliato e la mangiò a grandi morsi. Non era così male. Doveva essere una nuova ricetta importata dal Regno d'Egitto.
- Comunque... - Ryansel prese la parola, approfittando della bocca (finalmente) piena della sorella: - Avevo finito gli spilloni. -
- Potevi usare- -
- Manda giù prima di parlare. -
Amanetel obbedì: - Potevi usare qualcos'altro! -
- Ero nel panico! - si giustificò Ryansel: - Ero sicuro che fossero rimasti degli spilloni, ho controllato tutte le bamboline voodoo, ma niente, non ce n'erano più, li avevo usati tutti le volte precedenti! Quindi, ho preso la prima cosa che ho trovato. -
- Il secchiello per il ghiaccio. -
- Esattamente. -
- E lo champagne che c'era dentro? -
- L'ho tolto, siamo minorenni. -
- Almeno adesso avremmo qualcosa da usare per dimenticare questa situazione. - Amanetel sfogò la sua ira sul muschio grigliato.
- Ad ogni modo... - riprese Ryansel: - È indubbiamente stata colpa mia. Ma ammetti che non potevo immaginare che la situazione si sarebbe evoluta in questo modo. -
La bambina aveva fatto per prendere dell'altro muschio, ma si era bloccata. Spostò lentamente lo sguardo sul fratello. Dato che lui continuava a guardarla con candore, lei sibilò: - Non potevi immaginare che i cubetti di ghiaccio si sarebbero sciolti? -
- Il punto di fusione dell'acqua è zero gradi Celsius, non ho controllo sulla temperatura ambientale. -
Amanetel tornò composta, più per impedirsi di saltare addosso al fratello che per volontà di apparire tranquilla: - Ryansel. Siamo in estate. È notte e ci sono almeno venti gradi. Pensa di giorno. -
Ryansel rispose con altrettanta pacatezza: - Sei veramente insopportabile quando ti atteggi a saputella. -
- Dimmi cosa mi impedisce di mettermi a cercare gli spilloni che hai lasciato in giro questi mesi per ficcarteli negli occhi. -
- Il fatto che poi me li leverei e li ficcherei nei tuoi. -
Amanetel annuì, piano. Ryansel parlò di nuovo: - Ora che ci siamo nutriti, possiamo fare il punto della situazione. -
- Siamo persi nel bosco perché i nostri punti di riferimento si sono sciolti. -
- E abbiamo un secchiello. -
- Con cosa hai fatto quel barbecue? -
- Rami trovati per terra e l'ultimo fiammifero che avevo. -
Amanetel sbattè le palpebre: - Perché avevi un fiammifero? -
- Può sempre tornare utile. Difatti, è tornato utile! - sorrise Ryansel.
Tra i due bambini calò il silenzio, le menti al lavoro nel pensare a cosa fare. Dopo qualche minuto, la bambina parlò: - Camminiamo a caso. Prima o poi, troveremo qualcosa. -
Il bambino concordò: - Va bene. Ma le fiere feroci e i mostri mostruosi? -
Amanetel lanciò uno sguardo al secchiello nelle mani del fratello: - Li prenderemo a secchiellate. -
- Sì, ma... - Ryansel le diede il secchiello: - Lo portiamo a turno. Non voglio averlo in mano io, quando appariranno le fiere feroci e i mostri mostruosi. -
- Ma non puoi sapere quando- Ryansel? Ryansel! - Il fratello era già andato avanti: - Aspettami! -.

I bambini avevano camminato per un tempo indefinito e il turno di Ryansel di portare il secchiello non era mai giunto; per questo, Amanetel aveva deciso che il secchiello era ormai solo suo.
Cammina cammina, tra tronchi, cespugli e radure di lamponi (- Che odio, i lamponi. - aveva sbuffato Amanetel. - Perché non vandalizziamo questa radura? - aveva proposto Ryansel. I successivi dieci minuti erano stati dedicati al mettere sottosopra la radura di lamponi, ribaltando i cespugli e lanciando i frutti rossi.), i due bambini notarono uno strano scintillio in lontananza. Dopo essersi scambiati un'occhiata decisa, Ryansel e Amanetel corsero in quella direzione, fino ad emergere dal bosco e ritrovarsi d'innanzi ad un maestosa, seppur piccola, casetta brillante.
Il tetto era giallo, le mura erano bianche, le finestre erano grigie e la porta era rossa. A giudicare da come la luce della luna s'infrangeva su quelle superfici, facendole brillare in quel modo, doveva trattarsi di tutta una serie di materiali preziosissimi.
- Ma no! - Amanetel sbattè un piede a terra: - Io volevo una casetta di marzapane! -
- Con il tetto di cioccolato e le finestre di zucchero... - concordò Ryansel dispiaciuto.
La bambina sbuffò: - Se avessimo delle bombolette spray, potremmo scrivere sui muri il nostro disappunto. -
- Potremmo usare il succo dei lamponi che abbiamo spiaccicato prima. - disse Ryansel: - Così sembrerà sangue! -
Gli occhi scuri di Amanetel brillarono, ma una consapevolezza spense il suo entusiasmo: - Sì, però... dopo sapremmo di lamponi. -
- Caspiterina, è vero... - dovette riconoscere il fratello.
I due poveri, delusi bambini tornarono a guardare la Casetta, tristi.
In quel momento, a Ryansel venne un'idea: - Aspetta! -
- Cosa? - Amanetel si voltò verso di lui.
- Se questa casa è fatta di pietre preziose, forse dentro è piena di effettive pietre preziose! -
- Forse... E quindi? -
- Abbiamo un secchiello. - Ryansel lo indicò. Amanetel lo nascose dietro la schiena: - Io ho un secchiello. - precisò. Il fratello proseguì come se nulla fosse: - Entriamo in questa casetta, vediamo se ci sono pietre, le prendiamo, le mettiamo nel secchiello e scappiamo! -
La bambina giunse le mani, gli occhioni castani pieni di stelle e buoni sentimenti: - E, una volta lontani, rivenderemo tutte le pietre, diventeremo ricchi e ci faremo una nuova vita lontani da quell'imbecille di Vyvyhan! -
Si presero per mano e fecero una danza della vittoria, ma in silenzio, perché c'era il rischio di svegliare i padroni di casa. Una volta finito di festeggiare in anticipo, si avvicinarono alla porta rossa. Provarono a spingerla e persino a tirarla ma, purtroppo, i proprietari non se l'erano dimenticata aperta.
- Proviamo a spaccare un vetro? - propose Amanetel.
- Aspetta, voglio provare prima ad aprire la porta. - detto ciò, Ryansel si chinò sulla serratura. Raccolse da terra un filo d'erba e un sassolino. La bambina distolse lo sguardo: sapeva quanto suo fratello odiasse essere guardato mentre eseguiva operazioni delicate. Certo, era ancora un po' arrabbiata con lui e si sarebbe meritato di essere fissato a due centimetri di distanza, ma quella era una situazione che avrebbe portato vantaggi anche a lei, quindi guardò la luna alta nel cielo.
Tlac!
Amanetel tornò a guardare Ryansel: la porta era aperta.
- Prima o poi dovrai spiegarmi come fai. -
Il fratello fece un gran sorriso: - Non si svelano i trucchi! -
Piano piano, i due bambini entrarono nella Casetta: bianco accecante anche all'interno. Ai due piaceva molto il bianco, ma quella Casetta sembrava del tutto irreale. Si guardarono bene intorno nella sala d'ingresso, notando solo una porta bianca e un enorme forno nero.
- Perché hanno il forno all'ingresso? - chiese Amanetel.
- Perché non dovrebbero avere il forno all'ingresso? - ribattè Ryansel.
Superarono la porta bianca - era solo la cucina, era difficile ci fossero pietre preziose, lì - e la sala d'ingresso e si ritrovarono in una stanza su cui si affacciavano ben otto porte bianche.
I due bambini si guardarono, un po' timorosi.
- Dietro almeno una di queste porte ci sono i proprietari che dormono. - sussurrò Ryansel.
- Come facciamo a non aprire proprio la loro porta? - domandò Amanetel, a bassa voce.
- Potremmo spiare dai buchi delle serrature. -
La proposta del bambino fu accettata e i due si misero a spiare nei buchi delle serrature.
- Ma quanti soggiorni ci sono, qua dentro? - borbottò Amanetel.
- Ehi! - Ryansel la chiamò, la voce quasi impercettibile. Indicò la porta parallela all'entrata: - Questa sembra una camera da letto. I proprietari devono essere qui! -
La bambina annuì: - Bene. Evitiamo le stanze vicine. -
Ignorando la porta subito a destra e quella subito a sinistra della riscoperta camera da letto, i due si avvicinarono ad una porta nell'angolo nord-ovest.
- Vediamo cosa c'è qui dentro. - Quasi lo dissero in coro, per poi farsi segno di tacere.
Incredibilmente, non dovettero scassinare la serratura: la porta era aperta.
Con un'ultima occhiata, i bambini entrarono.
Dentro, il buio totale. Non perché fosse notte e le luci erano spente ma perché non doveva esserci nessuna effettiva fonte di luce.
- ... Non credo sia una stanza vuota. - sussurrò Ryansel.
- ... E se ora il proprietario accende la luce e si scopre che questa stanza è piena di cadaveri appesi come prosciutti? - Amanetel si voltò verso la porta alle loro spalle, con un tremito.
- Non essere sciocca. - la riprese il fratello: - Staremmo già soffocando dalla puzza. Hai idea di che odoraccio emettano i cadaveri? -
Lei tornò a guardarlo: - Ma che- -
- Cerca, rubacchia, tieni la refurtiva stretta! Chi si è introdotto nella mia Casetta? -
I bambini guardarono la porta.
Sulla soglia, una donna dai lunghi capelli biondi li osservava con uno strano sorriso.
- Due cari bambini. - La sua figura occupava qualsiasi via di fuga visibile: - Chi vi ha condotti qui? E cosa vi fa pensare che ora potrete lasciare casa mia? -
- Una fiera feroce! - esclamò Ryansel: - Amanetel, attacca! -
Ma, velocissima, una mano della donna andò a chiudersi sul polso di Amanetel, bloccandole qualsiasi possibilità di fuga. Dato che aveva preso quello della mano che teneva il secchiello, anche l'arma fu resa inefficace.
- Scappa, Ryansel! -
Ma la donna aveva ben due mani e anche la seconda andò a chiudersi su un polso - stavolta, uno di quelli di Ryansel. Con ben poca grazia, la fiera feroce li sollevò, lasciandoli scalciare a qualche centimetro da terra.
- Johnoh! - la sentirono chiamare: - Abbiamo degli ospiti indesiderati che desiderano rimanere qui! -
Nell'udire quelle parole, bloccati e sollevati da terra, con il loro innocente candore di bambini, Ryansel e Amanetel ebbero paura.

Johnoh non sapeva come sentirsi.
I due legati alle sedie erano indubbiamente dei ladri - avevano forzato la porta d'ingresso, si erano introdotti in casa non invitati e la Strega li aveva trovati nella stanza del tesoro armati di secchiello - ma erano anche due bambini forse decenni. Certo, dall'aspetto sembravano inquietanti creature ultraterrene - pallidissimi, con lunghi capelli color latte e grandi occhi color cioccolato -, ma era sicuro che le apparenze ingannassero e che quei due fossero soltanto due bimbi spaventati in cerca di qualcosa per sopravvivere.
- Ci accusate di essere dei ladri- - ringhiò la bambina: - -ma tu mi hai rubato il secchiello! -
La Strega fece oscillare il secchiello d'argento tra le sue mani: - Si tratta di uno scambio. È il risarcimento per essere entrati non invitati. -
- Aspetta che mi liberi e verrò a soffocarti nel sonno. -
- Amanetel. - sussurrò il bambino, ma era perfettamente udibile: - Non si svelano i propri piani! Ora prenderà delle contromisure! -
Johnoh ritirò tutto ciò che aveva pensato: "Quei due non sono bambini, sono bestie infernali!".
Quella notte era stato svegliato di malo modo, ma aveva dovuto far presto mente locale: la Strega aveva catturato dei ladri. Vista la Casetta, era ovvio che, prima o poi, si sarebbero presentati, ma Johnoh pensava che quel luogo avesse qualcosa tipo un antifurto magico che sparava lontano gli intrusi, li intrappolava in una bara di cristallo o li trasformasse in zucchine che ballavano quando sentivano battere le mani.
Invece, a quanto sembrava, l'unico antifurto erano i sensi della Strega, particolarmente affinati quando si trattava del suo tesoro. Quanto ad immobilizzare gli intrusi, ci aveva dovuto pensare lui.
Tuttavia, in quel momento, nel sentire i due bambini parlare, Johnoh quasi si pentì di non aver stretto troppo le corde dorate.
- Allora. - fece la Strega, autoritaria: - Cosa volevate fare, esattamente? -
- Vedere se ci sono pietre preziose trasportabili, eventualmente prenderle e rivenderle. - Il bambino confessò con un candore quasi ammirevole.
- Ryansel! - lo riprese la bambina: - Non si svelano i propri piani! Ora ci punirà! -
- Vi avrei puniti a prescindere. - fece notare la Strega.
Amanetel le fece una linguaccia, Ryansel scosse la testa: - Non si puniscono i bambini a prescindere! -
- Vi avrei puniti a prescindere perché siete dei ladri e dei violatori di proprietà private. - ci tenne a specificare la donna.
Ma i due bambini non sembravano colpiti dal suo tono sempre più irritato. Johnoh rimase immobile, in piedi accanto alla Strega, ben poco incline ad intromettersi in quel discorso. Era solo questione di secondi prima che lei perdesse la pazienza e facesse un falò di marshmellows.
- Pensavate davvero di potervi introdurre nella Casetta di Gioielli e di farla franca? - La Strega si ravviò i capelli, con fare teatrale. Doveva star dando fondo anche al più minuscolo granello di pazienza di cui disponeva: - Pensavate davvero di poter rubare a me, la potente Strega della Casetta di Gioielli? -
Ryansel e Amanetel la guardarono. I volti erano del tutto neutri.
- Mai sentita. - disse Amanetel.
- No, non l'abbiamo mai sentita. - confermò Ryansel.
Lentamente, le mani della donna si strinsero a pugno. Johnoh fece un passo indietro.
- Per quanto ne sappiamo, nei dintorni c'è solo Malikura. - aggiunse Ryansel.
- Sì, nessun'altra Strega degna di nota. - annuì Amanetel.
La Strega fece un respiro incredibilmente profondo. Nonostante suonasse ovvio e domandarlo avrebbe potuto scatenare uno scoppio di lava e lapilli, Johnoh aveva tutto il diritto di sapere se ci fossero altre schiaviste piromani nelle vicinanze: - Malikura? È un'altra strega? -
- Uno Stregone. - sibilò la donna, senza distogliere lo sguardo dai due confetti bianchi: - Piuttosto attaccabrighe. -
"La socievolezza è una qualità che si applica a tante Streghe." Johnoh ebbe appena il tempo di pensarlo, perché una domanda ben più pressante era uscita dalla sua bocca: - Esistono Streghe maschio? -
Stavolta, la Strega distolse lo sguardo e lo portò su di lui, un sopracciglio inarcato: - ... Sì? -
Johnoh era senza parole: "Anche in un uomo può nascondersi una Strega!".
- Lasciarvi ignoranti sarebbe davvero un peccato. - La Strega era tornata a parlare con i bambini, con una calma quasi inquietante: - Quindi, vi mostrerò quanto anche la Strega della Casetta di Gioielli sia temibile. -
Johnoh fece un altro passo indietro. Ryansel e Amanetel non fecero una piega.
- Rimarrete qui, a servirmi, fino a data da destinarsi. -
La voce della donna era potente, solenne. Era un ordine impartito con forza e decisione, capace di colpire nelle profondità dell'animo.
- Sì, ma il secchiello me lo ridai? -
- No. -
Le successive parole della bimba avrebbero scandalizzato un raduno di scaricatori di porto.
- Io non ho abbastanza forza e resistenza per fare lavori pesanti. - disse Ryansel, la voce quasi un sussurro: - Fateli fare ad Amanetel. -
- Io sono troppo tenera e carina per fare lavori pesanti! - urlò Amanetel, scalciando con foga: - Fate fare qualcosa a quello scansafatiche di Ryansel! -
- Mia signora. - Johnoh dovette intromettersi. La situazione si stava facendo sempre più disastrosa: - Se permettete, non credo che questi due possano essere dei buoni servitori. -
Dei fili di fumo iniziarono ad uscire dalle orecchie della Strega. Pessimo segno.
- Voi due... - Puntò un dito contro di loro: - Mi farete da servitori. Doveste anche solo venire appesi e fare da pignatta! -
- Ecco, te l'avevo detto. - Amanetel si voltò verso Ryansel: - Ora ci metteranno a fare i prosciutti. -.

Johnoh dovette riconoscere che la Strega si era comportata benissimo: i bambini non erano diventati combustibile ed erano (purtroppo) ancora capaci di intendere e volere. Aveva provato a farli tacere provocando loro del prurito, ma avevano iniziato a lamentarsi con grida disumane e, per salvaguardare la propria sanità mentale, aveva tolto l'incantesimo. Aveva tuttavia avuto l'idea di dare una prova dei suoi poteri dando fuoco ad una manica del musicante, cosa che, al contrario, aveva scatenato le loro risate e successive imitazioni di lui intento a cercare di spegnere il fuoco.
Quella mattina, il fumo dalle orecchie della Strega si era fatto più denso e aveva iniziato a rimanerle intorno come una nuvola minacciosa. Johnoh era certo di avervi visto qualche fulmine. La donna era poi uscita di casa prima dell'alba, in tutta fretta. Forse doveva andare a fare affari o, più probabile, voleva evitare di avere intorno i due aspiranti ladruncoli.
Una volta sorto il sole, in teoria, i due mostruosi pargoletti avrebbero dovuto mettersi al lavoro - consistente nel pulire e riordinare. Ma rifiutarono di alzarsi dal divano - ne occupavano uno in due - prima di mezzogiorno - Amanetel arrivò a manifestargli il suo disappunto azzannandogli un braccio - e, una volta in piedi, pretesero da lui una colazione abbondante.
- Come pretendi che lavoriamo se siamo a stomaco vuoto? - aveva detto Amanetel.
- Uova, pancetta, piselli e fagioli. - aveva specificato Ryansel: - Come minimo. -
- E il succo di frutta! -
- E la cioccolata calda e il cappuccino e il caffè! -
- Con la panna! -
Dato che gli stavano provocando un violento mal di testa, Johnoh decise di accontentarli. Forse una minuscola parte di lui pensava ancora che fossero due bimbi soli e spaventati, ma una grandissima parte di lui era tentata dal versare nella colazione una piccola dose di Melanzana Stordita.
"La Strega si fa meno Arpia e subito arrivano due emissari del demonio." Johnoh sospirò: "Perché non possono essere dolci come Rosyami?".
Quando era infine giunto il momento di mettersi al lavoro, Johnoh aveva spiegato ai due cosa avrebbero teoricamente dovuto fare. Fece partire lui dalla dispensa e lei dal bagno, che erano le stanze più difficili da sistemare e pulire, perché quei due bambini lo stavano irritando.
Per mezz'ora, nella Casetta regnò qualcosa di vagamente simile al silenzio - Amanetel continuava a borbottare, Ryansel pigolava qualcosa.
Poi Amanetel iniziò ad urlare e Ryansel scoppiò a piangere.
- Le mie mani! Sono tutte rovinate! E mi si è scheggiata un'unghia! -
- Non ce la faccio, è troppo! Non ce la farò mai! C'è troppa roba! -
Johnoh intervenne. Quasi gli dispiaceva vedere Ryansel piangere, quindi gli disse di sistemare un soggiorno a scelta.
- Questa casa è troppo grande! - piagnucolò lui: - Non potremo mai sistemarla! -
- Veramente non è così grande e io l'ho sempre sistemata in poco più di un'ora, da solo- -
- Ma tu sei grande! - Ryansel era il ritratto dello sconforto: - Come puoi pretendere che due bambini piccoli possano fare il lavoro di una persona grande? -
Pur conscio del fatto che quel malefico bambino stesse dicendo stupidaggini, Johnoh si sentì un po' in colpa. Nelle orecchie continuava a risuonare la soave voce dell'altro demone, quindi andò da lei.
- Dammi una limetta per unghie! -
- Ma- -
- Voglio una limetta per unghie! Dammela! Dammela! Dammeladammeladammeladammela! -
- Eccola! - Johnoh si era lanciato su un'anta argentata, dove la Strega teneva la maggior parte delle proprie cose, e ne era riemerso con una limetta per unghie. Amanetel l'aveva presa, si era seduta sul bordo della vasca e aveva iniziato a limarsi le unghie.
"Spero non pensi di usarla come arma."
Ryansel non piangeva più. Quando il musicante fece per andare da lui, lo notò davanti alla stanza del tesoro.
- ... State davvero cercando di distrarmi per rubare là dentro? -
Il bambino ricambiò il suo sguardo con uno carico di dolcezza e innocenza: - Ti offenderesti se ti dicessi di sì? -
Quando la Strega tornò a casa, trovò Ryansel legato ad una sedia di corallo, Amanetel chiusa in bagno a farsi una cura di bellezza e Johnoh prossimo all'esaurimento nervoso.
- Mia signora, vi prego... - Il musicante giunse le mani: - Mandateli via! -
- Devono pagare per quel che hanno cercato di fare. - La Strega non voleva sentire ragioni.
- A tal proposito... - Le rivelò quanto successo qualche ora prima. La donna annuì: - Sì, mi pare sia effettivamente stato il ragazzino a scassinare la porta. Hai detto che è inutile come servitore, giusto? -
- In realtà, sono entrambi inutili come servitori- -
- Aspettami qui, Johnoh, vado a prendere qualcosa che potrebbe tornarci utile. - E l'aveva di nuovo lasciato solo con i due mostri.
"... Perché ha usato il plurale?" Non sapeva perché, ma non gli era dispiaciuto. Faceva uno strano effetto condividere simili sventure con qualcun altro. Avrebbe persino detto piacevole.
Quando la Strega ritornò, Ryansel era ancora legato, mentre Johnoh aveva dovuto appendere Amanetel ad un lampadario usando una tenda, dopo averla scoperta nell'atto di riprendersi il secchiello nella camera della padrona di casa.
- Johnoh! - ordinò la Strega: - Porta questa in cucina e mettici il ragazzino! -
Questa era un'enorme gabbia cilindrica nera che avrebbe potuto contenere almeno due persone adulte. Ovviamente pesava e ovviamente la Strega ritenne più opportuno farla trascinare dal musicante che portarla in cucina con la magia - o in qualsiasi modo con cui l'aveva portata lì in primo luogo.
Portata la gabbia dove di dovere, Johnoh ci aveva messo dentro Ryansel, ancora legato, per poi far scendere Amanetel.
- Tu pulirai, signorina! - aveva esclamato la Strega: - Altrimenti, vedrai che fine farà il tuo adorato fratellino! -
- Se avessi voluto farci del male, l'avresti già fatto! - Amanetel le aveva fatto una boccaccia: - Sfigata! -
Johnoh aveva dunque eroicamente evitato un infanticidio avvolgendo la bambina nella tenda, per poi lanciarla nel primo soggiorno disponibile e chiudere la porta a chiave.
- Perché mi hai impedito di incenerirla, Johnoh? - Ormai dalla nube di fumo attorno alla testa della Strega stava grandinando.
- È un demonio uscito dalle più oscure viscere dell'Inferno e se inizia a schiumare abbiamo la prova che abbia la rabbia, ma è pur sempre un essere vivente! -
La Strega si era poi chiusa nella sua camera e Johnoh aveva dovuto spazzare la grandine per terra. Una volta tornato in cucina, aveva trovato Ryansel a spasso. L'aveva ricondotto alla gabbia e il bambino si era lasciato portare senza opporre resistenza.
Ormai il sole era tramontato e al musicante parve che quella giornata fosse durata settantadue ore.
- Johnoh! -
Quella notte, la Strega lo chiamò di nuovo, Ryansel appeso ad una sua mano, davanti alla stanza del tesoro. Era stata quasi una fortuna che Amanetel avesse continuato ad urlare e a battere i pugni contro la porta, impedendogli di addormentarsi.

La mattina successiva, Johnoh decise di prevenire le fughe di Ryansel: ruotò la gabbia di modo che la porta fosse contro il muro. Andava contro tutte le norme di sicurezza, ma Johnoh non era sicuro che rinchiudere qualcuno in una gabbia fosse sicuro di per sé.
Andò poi a liberare Amanetel, trovando il soggiorno distrutto.
- Ora sistemerai quello che hai rotto. - Il musicante non voleva essere volgare, quindi evitò di dire cos'altro la bambina avesse rotto oltre al soggiorno.
- Sennò cosa mi fai? -
- Vado a dire in giro che puzzi. -
Gli occhi di Amanetel si spalancarono: - Non oseresti! -
- Oh, sì, invece. - Johnoh mise le braccia conserte: - Se non sistemerai questo disastro, farò sì che tutti gli abitanti del bosco sappiano che Amanetel la Bianca puzza perché si fa il bagno nel gorgonzola! -
- È una bugia! -
- E quindi? -
I denti digrignati, i pugni stretti fino a tremare, Amanetel sibilò: - E va bene. Per stavolta hai vinto tu. -
La soddisfazione nel sentirselo dire da una così odiosa ragazzina era qualcosa di paradisiaco.
- Spero scivoli sulla grandine sciolta e ti rompa almeno quindici ossa. -
- Se dovesse succedermi qualcosa del genere, dirò che sono scivolato sulla melma che ti lasci dietro. -
Amanetel sobbalzò: - Io non mi lascio dietro la melma! -
- E quindi? -
Johnoh si rendeva conto di starsela prendendo con una bambina. Sapeva quanto questo fosse cattivo, da parte sua, uomo adulto. Ma o quel batuffolo di ovatta veniva zittita con la melma e il gorgonzola, o quel batuffolo di ovatta finiva per fare la sagoma per il tiro al bersaglio per una partita a freccette imbevute di odio.
Si lasciò il chiwawa albino rabbioso alle spalle, per tornare in cucina. La tecnica della porta contro il muro aveva funzionato, perché Ryansel era ancora nella gabbia.
- Mi annoio. -
- Problemi tuoi. Potevi pensarci prima di evadere. - Il musicante alzò le spalle e si mise al lavoro: aveva tutta la cucina da pulire - il giorno prima non l'aveva fatto perché era stato impegnato con altro.
Il silenzio.
Gli sembravano secoli che non lo sentiva. L'unico rumore era quello della spugna brillantinata sui mobili d'oro. Johnoh inspirò a fondo, l'odore di limone e caldarroste del detersivo impregnava l'aria. "Finalmente... la pace.". La Strega era di nuovo scappata prima dell'alba e non poteva biasimarla. Un po' gli dispiaceva.
- Tu la conosci la storia della Dark Necrofear? -
Johnoh guardò Ryansel: stava seduto composto sul pavimento della gabbia, con una calma totale.
- No, non l'ho mai sentita. - "In effetti, deve starsi annoiando molto. Lui è molto più tranquillo della psicopatica, non credo sarà un problema ascoltarlo."
- La Dark Necrofear è una donna antica e misteriosa. - Ryansel iniziò a narrare, la voce soffice e ovattata: - Coloro che hanno avuto la sventura di incontrarla la descrivono come una donna dalla pelle blu, con le orecchie a punta, calva. -
- La sventura...? - "Va bene, posso supporre che qualcosa chiamato Dark Necrofear non sia un morbido peluche colorato, ma-"
- Ovunque vada, culla tra le sue braccia il suo bambino. -
"Vabbè, dai, almeno una cosa carina-"
- Chiunque l'abbia visto, lo descrive simile ad una bambola con la testa spaccata, gli occhi che ruotano impazziti, e una risata sepolcrale. -
La spugna brillantinata rallentò la sua pulitura.
- Si dice che Dark Necrofear sia la Regina del Mondo dei Morti. -
Il respiro si fece più lento, l'inspirare più profondo.
- E, come tale, appaia nei cimiteri, tra il suo popolo di defunti. Chiunque incroci il suo sguardo mentre vaga in un cimitero, di notte, da quel momento in poi obbedirà ad ogni suo ordine. -
Il respiro quasi si fermò.
- Dark Necrofear, signora dei morti, prende possesso della mente dei vivi che vagano nel regno dei defunti. -
- D'accordo, d'accordo! - Johnoh saltò su, parlando a gran voce per spezzare quell'atmosfera sinistra: - È proprio una storia interessante! - Forzò una risata, che più falsa di così non si poteva. Ryansel sorrideva, ma lui sorrideva sul serio.
- Sei proprio bravissimo ad inventare storie, eh! -
- Non era una storia inventata. -
- Perché non ne racconti un'altra? - Il musicante finse di non aver sentito: - Qualcosa di un po' più, uhm... - Si guardò intorno. Notò i vasetti d'oro: - Speziato! -
- Speziato? -
- Speziato! -
- Oh... - Ryansel ci pensò qualche istante. Poi tornò a sorridere e Johnoh non era sicuro fosse un buon segno.
- Conosci la Tavola Ouija? -
- L'ho sentita nominare, ma non mi ci sono mai interessato. - Una vocina nella sua testa gli diceva che fosse una pessima idea continuare a parlare di quell'argomento, ma Johnoh non aveva idea di come parlare d'altro senza sembrare un fifone: "Sono un uomo adulto, grande e possente, non posso farmi spaventare dai raccontini di un bambinetto!".
- È uno strumento che serve per comunicare con i defunti. -
- Ancora con questi defunti? -
- È una tavola con sopra lettere e numeri. Lo spirito interrogato fa muovere un piccolo oggetto chiamato planchette e compone un messaggio. -
- "Lasciatemi in pace"? - Johnoh la buttò lì, nella speranza di chiudere quel discorso. Ryansel non colse la sua inquietudine - o forse la colse benissimo e la cosa lo spinse a continuare: - Qualsiasi messaggio. Ma... - Il suo tono si fece più basso: - C'è un Messaggio che, qualora venisse interamente composto, porterebbe alla morte di tutti i partecipanti alla seduta. -
- Ma che- -
- Il messaggio in questione è- -
Quando la Strega rientrò, Johnoh quasi si lanciò su di lei: - Mia signora! - La suddetta signora sgranò gli occhi, doveva avere un aspetto sconvolto: - Non lasciatemi più da solo con questi due, ve ne prego! -
Aveva dovuto legare una caviglia di Amanetel alla sua, per sapere sempre dove fosse - e la bambina non si risparmiava dolorosi strattoni, né corse sotto e sopra i mobili con tanto di scivolate. E, finché aveva dovuto pulire la cucina, si era trovato come disturbante sottofondo le storie inquietanti di Ryansel. In soli venti minuti gli aveva narrato la storia del Fantasma dei Sogni Scomparsi, un fantasma che si nutre dei sogni di chi si addormenta in un determinato letto, per poi trascinarlo in un sonno eterno; la storia dello Spirito Terralegato, un'entità formata dagli spiriti di guerrieri morti in battaglia ben decisa a trascinare sotto terra chiunque le si avvicini; la storia del Ritratto Segreto, di stampo più classico, che vedeva protagonista un quadro maledetto iettatore.
- Sai cosa fa Anfora dell'Avidità? - gli aveva chiesto Ryansel, mentre lui stava per scappare dalla cucina ormai pulita.
- No, cosa fa? - aveva osato chiedere Johnoh, i brividi a fior di pelle.
- Mi permette di pescare due carte e di aggiungerle alla mia mano! -
Il musicante era dovuto fuggire, terrorizzato.
- Tranquillo, Johnoh. - Lo sguardo della Strega era deciso: - Quei due mocciosi hanno bisogno di una lezione. -
- Sì- -
- E poi, a causa loro, tu non sei più uscito a prendermi ingredienti e pietre. Quindi, fila a recuperare quel che dovevi raccogliere ieri e stamattina e vedi di tornare prima che faccia buio. -
Per la prima volta in assoluto, Johnoh fu felicissimo di obbedire ad un ordine della Strega.

La situazione era a dir poco fastidiosa.
La sua amata Casetta non brillava ad almeno novantanove gloss units, le sue pregiate tende erano ormai diventate tappeti da riciclare nell'umido e il demone femmina aveva svuotato tutte le bottiglie dei suoi prodotti di bellezza per poi riempirle di aceto, aranciata e olio di fegato di merluzzo del Cashmere - tutto insieme, in una poltiglia letale che aveva corroso le bottiglie e aveva tappezzato il bagno di blob informi all'odore di banana rancida. Non sapeva perché aceto, aranciata e olio di fegato di merluzzo del Cashmere dovessero sapere di banana rancida, ma quello era il dilemma minore. Mentre la Strega faceva il conto dei danni, l'entità maligna aveva trovato una sega e aveva cercato di tagliarle tutte le gambe di tutte le sedie, mentre l'altro batuffolo di atrocità aveva allungato la mano, raggiunto del burro che per qualche ignoto motivo era su un ripiano lì vicino, lo aveva spalmato sulle sbarre della gabbia e stava cercando di mangiarsele.
Quei due erano le creature più spietate, insopportabili e probabilmente disturbate che avesse mai incrociato. Non si sarebbe stupita di scoprire che nelle loro vene scorresse sangue di Strega.
Qualunque fosse la loro natura - creature magiche o semplici cuccioli di umano dalla natura diabolica -, però, necessitavano di una lezione. Era inconcepibile che qualcuno - due microbi! - non si piegassero agli ordini della Strega della Casetta di Gioielli, che qualcuno non pagasse per aver attentato alle sue preziose gemme! Dovevano essere puniti, sia per il loro gesto che per la loro insolenza.
E poi erano odiosi.
- Bene, Amanetel. - La Strega entrò in cucina e sfilò la sega alla bambina, che replicò con un verso infastidito. La donna non se ne curò: - Vai a preparare il forno. -
- No. -
Era ovvio che avrebbe risposto così, con tanto di sguardo di sfida e lingua a fare una pernacchia. Con tanto di: - Brutta vecchiaccia siliconata! - e: - Tanto lo so che sei tinta! - e: - Tu non puoi costringermi a obbedirti perché non puoi farmi niente perché sennò l'avresti già fatto quindi in realtà non sei malvagia pappappero! -. La Strega fece un respiro profondo - molto profondo -, e sussurrò: - Vai a preparare il forno, o ti faccio cadere tutti i capelli. -
Gli occhi scuri di Amanetel si spalancarono. La mostriciattola si portò una mano alla testa, si guardò le dita: un paio di lunghi, sottilissimi capelli erano venuti via. Senza emettere fiato, la bambina scattò nell'altra stanza, a preparare il forno.
"Perché non li ho semplicemente inceneriti?" La Strega scosse la testa. No, non era nel suo stile fare del male al prossimo. Lei era una Strega potente e malvagia, non aveva bisogno di mostrare il suo immenso potere uccidendo, torturando o maledendo - lei era superiore a tutto quello! Era quello il motivo per cui non faceva niente di tutto ciò! E poi, stressare a piacimento la propria vittima era molto più divertente. Non c'era alcun gusto in uno zot! e via.
Un rumore bizzarro la distolse dai propri pensieri: Ryansel aveva trovato anche della marmellata di cetrioli e l'aveva cosparsa sopra il burro. E stava di nuovo cercando di sgranocchiare le sbarre. "... Oh, mia Arpia, che schifo.".
Ryansel era oggettivamente più innocuo di Amanetel, ma era anche quello capace di scassinare la sua porta d'ingresso. Erano entrambi pericolosi. L'unica differenza stava nel fatto che lui riusciva a stare fermo e zitto e non sentiva il bisogno di mettere in dubbio i suoi principi morali ogni volta che apriva bocca. Si rilassò al pensiero che la punizione che aveva preparato - anzi, che stava facendo preparare - se la sarebbero ricordata per sempre. Li avrebbe senz'altro ammorbiditi - no, era più probabile li avrebbe resi più croccanti.
- Cosa c'è, signora Strega? - Ryansel la guardò, perplesso. Solo in quel momento la Strega si rese conto di averlo fissato tutto il tempo.
- Signorina. -
- Cosa c'è? -
"No, d'accordo, anche lui riesce ad essere irritante." Non sentì il bisogno di dare spiegazioni. Era lei a fare domande, là dentro.
- Signora Strega! - L'altro goblin apparve sulla soglia.
- Signorina. -
- Non so come si usa il forno. -
La donna fece uno sforzo enorme per non spalmarsi una mano sulla faccia. Ovvio che non sapesse usare il forno. Si supponeva cucinassero, ma l'unica cosa che avevano cucinato, in quelle ore, era stata la pazienza sua e di Johnoh.
Per questo ora lei avrebbe cucinato loro.
Non li avrebbe mica uccisi! Due minuti un lato, due minuti l'altro, appena appena a sfrigolare e poi li avrebbe tirati fuori, dorati e croccanti.
Le tornò in mente che alcuni umani pensavano che le Streghe si mangiassero i bambini. Le si rivoltò lo stomaco. Tutti sapevano quanto i bambini fossero disgustosi! Neppure gli orchi osavano assaggiarli! Però era divertente spaventare gli umani con quelle storielle. Era un peccato non poter spaventare allo stesso modo i due pargoli infernali, altrimenti la demonessa avrebbe rischiato di avere ragione nel non voler obbedire ai suoi ordini.
- Ti faccio vedere. - Con un sospiro, la Strega andò al forno, la creatura di barite, bronzite e rancore che trotterellava al suo fianco, del tutto ignara del destino arrosto che l'attendeva. Quando arrivarono a destinazione, la donna girò le dovute manopole e aprì il forno: - Ecco, visto? Non era così difficile. - Indicò l'interno: - Ora sistema bene la legna, quella laggiù, in fondo. -
"E, una volta dentro, ti ci chiuderò! Due minuti da un lato, due minuti dall'altro, e poi il fratello!" Serrò le labbra per impedirsi un ghigno di trionfo. Era ancora troppo presto.
- Che c'è da sistemare? - A quanto pareva, il ghoul albino le avrebbe impedito di cantare vittoria a breve: - È già lì. -
- Sì, ma la devi sistemare meglio. - specificò la Strega.
- Ma meglio come? - Amanetel mise le braccia conserte: - Ci butti un fiammero e prende fuoco, non è che se ci fai il tetris viene un fuoco più carino. -
La Strega trattenne - con invidiabile forza d'animo - l'impulso di afferrare la mocciosa e lanciarla dentro, e proseguì invece a parlare: - Sì, invece! Non lo sai che la posizione della legna è fondamentale per una buona cottura? -
- E perché allora quella legna è palesemente lanciata a caso in fondo al forno e non è stata messa nel modo più carino possibile per fare una cottura migliore possibile? - disse, in un fiato, senza punteggiatura.
La donna quasi dovette afferrarsi un polso, pronto a calare sul morbido demonio: - Deve essere stato Johnoh. -
- Johnoh è un imbecille. -
Un'ondata di caldo rabbioso le offuscò la vista, ma la Strega si calmò con un altro respiro profondo. Non aveva idea del perché quell'affermazione le avesse provocato una sensazione del genere, ma quella piccola oni innevata era entrata a pieno diritto al primo posto della sua Lista di Persone da Maledire (Se Un Giorno Vorrò Farlo).
- Quindi ora andrai tu a sistemare tutto. Ricordati dei tuoi bei capelli! -
Amanetel serrò i pugni, probabilmente uno sforzo enorme nel non risponderle, un moto di soddisfazione quasi fece ridacchiare la Strega. Ma la bimba bianca non si mosse.
- Allora? -
- Non ho capito cosa fare. -
- Devi mettere bene la legna. -
- Sì, ma "bene" come? -
- Mettila a forma di granciporro. -
- Cosa- - parole inadatte ad una bambina - -è un granciporro? -
Era ad un passo dal traguardo. Non poteva esplodere in quel momento: - È un granchio. -
Amanetel tacque. Niente: - E di' "granchio", allora! - o: - Come acciderbolina si mette della legna a forma di granchio? -. Invece, la guardò dritta negli occhi, con le sue grandi iridi che in quel momento sembravano quasi di corniola, e disse, piano: - Mi può mostrare come si fa, signorina Strega? -
"Oh? Possibile...?" Quasi stentava a crederci. La minaccia dei capelli era davvero stata tanto efficace? Tanto da ammansirla fino a quel punto? Tanto da - incredibile! - insegnarle l'educazione?
Ma non si sarebbe scampata una breve cottura a fuoco vivo. Non si era certo prostrata ai suoi piedi implorando il suo perdono per tutto ciò che aveva fatto in quelle circa quarantotto ore.
Con un sospiro, la donna mise un ginocchio dentro il forno e ci entrò con il busto: - Ecco, la devi mettere così. - In realtà, neppure lei aveva idea di come si mettesse della legna per ricreare un granciporro ma, visto che la mocciosa non sapeva come fosse fatto, non era importante che ci somigliasse.
- Oh. - commentò la suddetta mocciosa: - E poi si butta un fiammifero? -
- Ma che fiammiferi e fiammiferi! - Come se lei ne avesse bisogno: - La legna prende fuoco non appena si chiude il forno! -
- Oooh. - Amanetel annuì, piano: - È davvero un forno magicissimo! -
- Ovvio. -
Delle piccole mani sul sedere. La Strega sbattè la faccia sulla legna. Un gemito. Le gambe finirono in alto. Un rumore sordo alle sue spalle.
La temperatura si alzò.

Amanetel si precipitò in cucina. Ryansel era comodamente seduto sul tavolo, due sbarre della gabbia tra le mani, rosicchiate e ricoperte di burro e marmellata di cetrioli.
- Come fai a mangiarti quello schifo? - La bambina arricciò il naso, disgustata.
- Il ferro fa bene. - fu la pacata risposta dell'altro: - E hai idea di quanti minerali e vitamine contenga il cetriolo? È pure senza colesterolo! -
- Temo che il burro distrugga gran parte di questa meravigliosa ricetta salutare. - Amanetel afferrò Ryansel per un braccio e lo fece scendere dal tavolo: - Ora sbrighiamoci! Non sono sicura che la Strega non sopravviva e, se ci trova, sarà la volta buona che ci trasforma in rospi! -
Ryansel fece caso alla musica ambientale del momento: soffocate, non troppo lontane, si udivano le grida della Strega.
- Ma che le hai fatto? -
- L'ho chiusa nel forno. Acceso. -
Il bambino finì di mangiare la seconda sbarra: - Più che rospi, credo ci trasformerà in carbonelle. -
- Su, muoviti! - Amanetel scattò verso la porta: - Io prendo il secchiello, tu apri la porta di quella stanza in cui non ci hanno mai fatto entrare! Dobbiamo sbrigarci, potrebbe tornare quella testa piena di maionese scaduta di Johnoh! -
- Veramente quella porta la tengono sempre aperta... -
Nel giro di trentacinque secondi, Ryansel e Amanetel furono nella stanza del tesoro e riempirono il secchiello argentato di tutte le pietruzze che capitarono sotto le loro manine diafane. Alcune erano davvero piccole, e il secchiello era davvero grande, quindi ci misero un po' a riempirlo. Purtroppo le loro tasche erano già piene di cibo depredato dalla cucina in un momento non ben precisato e, nella foga, avevano fatto cadere svariate pietre - impossibili da vedere bene a causa del buio di quella stanza e dell'assenza di fonti di luce diretta.
- È abbastanza, possiamo andare! - disse Ryansel, ad un certo punto.
Amanetel annuì: - Possiamo distruggere questo posto, prima di andarcene? -
Il fratello ci pensò un attimo e decise, serio: - Andiamo troppo di fretta. Abbiamo tempo solo per spiumare i cuscini e rovesciare le sedie. -
Così fecero, in ogni stanza, e poi scapparono - non prima di aver usato un paio di sedie per sfondare due finestre.
Mano nella mano, secchiello al braccio della bambina, le urla della Strega in sottofondo, il cielo illuminato dalla luce rossa del tramonto, i due piccoli, teneri e innocenti bambini scapparono da quella orribile Casetta e dai loro crudeli proprietari, verso un futuro migliore dove poter fare tutto ciò che desideravano, senza spietati ordini o efferate costrizioni.

Nonostante il notevole peso dello zaino, Johnoh quasi saltellava. Stava provando a camminare come i giovincelli spensierati di quegli anime degli anni Settanta, Ottanta o Sessanta se non Cinquanta, con le gambe spalancate e le braccia lontane dal busto, le ginocchia in perfetti angoli di novanta gradi, che in quella posizione riuscivano a camminare in avanti e non di lato. Gli ci era voluta qualche prova e, una volta riuscitoci, aveva sentito le giunture indolensirsi nel giro di dieci minuti. Aveva anche cercato di darsi un'aria più da figo provando a masticare una spiga o un filo d'erba, ma facevano abbastanza schifo, quindi ci aveva rinunciato. Quindi aveva optato per una serie di saltelli con annesso tentativo di unire i palmi dei piedi mentre era in aria, ottenendo una decina di capitomboli.
Dopo almeno un quarto d'ora di dolore, aveva intuito che manifestare la propria gioia come i giovincelli spensierati degli anime degli anni Settanta, Ottanta o Sessanta se non Cinquanta non era proprio cosa per lui. Quindi aveva ripreso a camminare normalmente, con un enorme sorriso stampato in faccia.
Lo zaino era pieno di cose dai nomi assurdi, dalle forme assurde e dai colori assurdi - tipo una Mela, rossa e rotondeggiante, così strana dalle rosate Mele Morbidose che era solito azzannare, salvo scoprirle troppo morbide e poco piacevoli da masticare. - e di pietre di cui non conosceva il nome, ma a lui non importava. Mancava poco alla Casetta di Gioielli ed era certo che le due bestie fossero state domate - più Amanetel, in realtà, a Ryansel bastava del semplice nastro adesivo da pacchi sulla bocca.
"Chissà come li ha puniti la Strega." Un po' gli dispiaceva non aver assistito alla scena, ma era certo che, una volta giunto alla Casetta, le conseguenze di quel pomeriggio le si sarebbero parate davanti agli occhi e, perché no, anche alle orecchie! Quasi gli sembrava di sentirlo, prolungato e soffocato, un urlo femminile.
"Uhm, spero solo che la conseguenza non siano le urla continue di quella marmocchia!" Svoltò l'ultimo albero e si trovò davanti alla Casetta di Gioielli.
La porta di rubino era spalancata. Una sedia di corallo giaceva nel giardino, al contrario. Davanti a lei, i vetri della finestra d'argento erano in frantumi.
Il comignolo sbuffava fumo nero.
Dalla porta e dalla finestra rotta - e da un'altra finestra rotta, supponeva - uscivano volute di fumo color carbone.
Lo zaino cadde a terra.
La voce non era di Amanetel.
Johnoh si precipitò dentro la Casetta, lo scatto gli schiantò il cuore nella gola, soffocandolo con il suo battito impazzito. Il fumo nero sembrava risucchiare ogni briciola di calore, congelandolo ogni secondo di più.
- Mia signora! -
Il forno era acceso. Qualcosa picchiava con forza dall'altra parte dello sportello.
Johnoh afferrò il manico - qualcosa sibilò, la mano tremò, ma lui aveva troppo freddo per farvi caso - e lo aprì.
Una vampata di calore.
Fuoco.
Grande quanto l'intero forno, alto quanto lui.
Qualcosa rovinò sul pavimento, in una massa di biondo.
Johnoh fece un salto indietro, prima che il qualcosa potesse colpirlo o le fiamme raggiungerlo.
Il qualcosa si alzò e, prima che lui potesse capire cosa fosse, scappò oltre la porta interna.
Aveva mal di testa.
Il cuore parve scendere dalla gola, fino a tornare al suo posto, nel petto. Ma rimaneva impazzito, fuori di sé.
Con un gesto secco, Johnoh chiuse il forno e lo spense.
Inspirò con forza, ma nei polmoni finì anche un'abbondante dose di fumo che lo fece tossire. Ora oltre alla tachicardia aveva anche un principio di soffocamento.
Con un ultimo colpo di tosse, raggiunse il qualcosa fuggito.
La Strega era in mezzo alla sala d'ingresso.
In piedi, avvolta a caso in una tenda dorata e sporca, i capelli biondi scarmigliati, lo sguardo irritato. La sua pelle era pallidissima.
"Pensavo di ritrovarvi di tutt'altro colore, mia signora!" Johnoh avrebbe voluto dirlo per smorzare la tensione. Davvero. Ma quel pallore non poteva che essere la prova di un terrore altrimenti nascosto piuttosto bene sotto un'espressione seccata.
- Quei due mostri sono scappati. - disse la Strega, lo sguardo andò alla sala del tesoro: - Fai il conto dei danni. Io devo vedere cosa mi hanno rubato. - Serrò un pugno: - E li ritroverò. Oh, sì, che li ritrov- -
Johnoh non riusciva a parlare. Quindi aveva lasciato fare al suo corpo.
Le sue braccia si erano avvolte attorno al corpo della Strega. Stava tremando. Se lei o lui, non riusciva a capirlo.
- Siete viva. - disse, soltanto.
Qualcuno stava respirando pianissimo. Se lei o lui, non riusciva capirlo.
- Ovvio che sono viva. - Un verso strano, forse voleva essere una risata: - Pensi che basti un po' di fuoco ad uccidere una Strega? Una potente come me? -
Qualcuno stava piangendo. Succedeva, dopo aver vissuto un momento di paura.
- Non conosco bene le Streghe. - confessò Johnoh.
Uno dei due strinse la presa. Il musicante non sapeva quando la Strega avesse ricambiato l'abbraccio.
- Sei un servitore pessimo. Dovresti sapere tutto della tua datrice di lavoro. -
Di certo non si sarebbe scusato. Era lei l'Arpia irascibile.
- Posso fare il conto dei danni tra qualche minuto? -
- Perché? -
- Prima mi sono fatto un po' male. Vorrei riposarmi un po'. -
- Va bene. Te lo concedo. -
Non si mossero.
Il cuore ci mise un po' a tornare a battere normalmente.
Il fumo aveva irritato gli occhi, ecco perché li sentiva lacrimare.
Johnoh diede uno sguardo alla mano con cui aveva aperto il forno: si era ustionato. Dopo avrebbe dovuto farlo notare alla Strega.
Non le voleva certo così male da volerla vedere bruciata.
In realtà, non le voleva male.
Piano, le accarezzò la testa, i capelli ormai una zazzera informe.
Non aveva idea di quanto fosse "qualche minuto" ma, finché fosse durato, sarebbe rimasto così.

.

Note:
* "Agone" (ἀγών, agon / "gara", "disputa"): Parte della commedia greca in cui viene introdotto il tema principale della narrazione, ossia la denuncia dei vizi; questo avviene attraverso un confronto diretto (disputa) tra i personaggi.
* Le parole della Strega quando scopre Ryansel e Amanetel nella stanza del tesoro si rifanno a quelle che pronuncia la Strega della Casetta di Marzapane nella fiaba originale quando scopre Hansel e Gretel intenti a mangiarle la casa.
* Dark Necrofear è l'unica con il suo nome originale perché trovo che "Paura Oscura" non renda quanto il suo nome effettivo.
* Torno dopo anni in YGO e scopro che esiste un meme su Anfora dell'Avidità. Non ho potuto non citarlo.
* Il gloss unit (GU), o solo gloss, è l'unità di misura della brillantezza, che va da 0 (opaco) a 100 (lucido).
* L'olio di fegato di merluzzo del Cashmere me lo autocito da Notre Dame de Domino. Perché sì.


... Io non ho francamente idea di che impressione dovrebbero dare Ryansel e Amanetel. Dovrebbero stare sulle balle al pubblico tutto? Dovrebbero stare simpaticissimi? Dovrebbero risultare graziosi siparietti comici? Dovrebbero essere dei demoni sanguinari vomitati dall'Inferno inorridito dalla loro malvagità? Non lo so, ma scrivere di loro è una delle cose che più mi è piaciuto fare di questa storia.
(A proposito, io non ho nulla contro Vivian. Sono Ryansel e Amanetel che si esprimono in modo brutale.)
Le amene storielle raccontate da Ryansel sono le lore più o meno romanzate delle carte che Bakura usa nel suo duello contro Yugi/Atem sulla Nave - Tuttavia, il deck è anche di Ryou, quindi... In realtà Ryansel è molto più cattivo di Amanetel. (!) E poi c'è Anfora dell'Avidità. Non lo so, quel meme mi ha fatto ridere e dovevo metterlo da qualche parte.
Ah, non so perché Ryansel e Amanetel odino così tanto i lamponi. Era nata come una battuta a caso, ma si è trasformata in un odio imperituro. (???)

Per il resto, Polar is in the air! (Insieme a leggiadri profumi fioriti, variegati aromi di spezie e vagonate di fumo da roba bruciata.) Ci tengo a precisare, però, che nessuno dei due è stato rapito da passione travolgente e amore a prima seconda vista. Al momento, poi, hanno decisamente altro a cui pensare- *Diciamo che la Polar è nell'aria stasera, ma loro non se ne sono accorti.* E, tra questo capitolo e il precedente, entrambi continuano ad avere problemi con il fuoco.
A proposito di fuoco: in realtà, in quanto "Arpia", a Mai assocerei di più l'elemento dell'aria (difatti la Lady Arpia ha attributo Vento) ma, quando scrissi i primi due capitoli, le feci appiccare fuoco alle cose, quindi si prosegue con il fuoco - Anche se con l'aggiunta di altri poteri, non legati a nessun elemento in particolare. Forse potreste chiedervi perché non ha spento il fuoco del forno: da una parte, non era un fuoco generato da lei, quindi non avrebbe potuto spegnerlo come fa di solito, dall'altra, era effettivamente bloccata dalla paura.
Riguardo Johnoh, avrete notato che continua a definirsi un uomo adulto. Ebbene sì, qui è un adulto - E sì, c'è una contraddizione con Il bronzeo addormentato nel bosco, ma sarà spiegato! -, ma rimane molto giovanile. (!) Questo è dovuto al semplice fatto che la vedo difficile che a DIECI anni sia reduce da anni di lavoro ben pagato e possa permettersi di andarsene in giro per il mondo, oltre a fare tutti quei lavori di fatica senza problemi.

Spero che questo capitolo Hansel&Gretelcentrico vi sia piaciuto!

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Capitolo 5
*** Parabasi ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

— Nota: Questo capitolo è stato scritto nel 2020.

PARABASI



- 1 sedia dalle gambe scheggiate (causa: sega)
- 2 sedie scagliate fuori di casa
- 2 finestre dai vetri rotti (causa: punto sopra)
- 1 forno surriscaldato
- sala d'ingresso macchiata dal fumo (causa: punto sopra)
- 8 tende staccate e ridotte in condizioni pietose
- 16 confezioni di prodotti di bellezza sciolte
- pavimento del bagno macchiato (causa: punto sopra)
- 35 cuscini svuotati e relativo contenuto sparso in ogni soggiorno
- 2 sbarre mancanti alla gabbia
- sala del tesoro razziata, danni al momento non calcolabili


Johnoh perlustrò la Casetta per la terza volta, stilografica d'oro in una mano e taccuino d'argento nell'altra. Straordinariamente, la piscina era rimasta intatta e le due bufere di panna non avevano decorato le pareti con liquami difficili da smacchiare. Persino la dispensa era stata risparmiata - Johnoh era stato sicuro di trovare una riproduzione delle sette terre colorate di Chamarel, ma aveva trovato una stanza in condizioni meno scenografiche e più accettabili per la sua natura di dispensa. Alzò lo sguardo: non c'erano segni di danni sul soffitto.
"Di certo avrebbero potuto fare di peggio." Picchiettò la penna contro la guancia, ovviamente dalla parte del tappo - aveva imparato a sue spese cosa significasse il contrario: "Suppongo fossero di fretta.". Se per l'idea che la Strega potesse liberarsi o se fossero stati in qualche modo lontanamente preoccupati del fatto che lui tornasse e li sbranasse sul posto, non poteva saperlo - non che lui avrebbe mai sbranato due bambini. Non letteralmente, almeno.
Riguardo la stanza del tesoro, la Strega gli aveva detto di riferirle solo quanto gli sembrava mancasse. Davanti alla suddetta stanza, Johnoh sbattè le palpebre: avrebbe fatto prima a dirle che vedeva soltanto un pugno - molto piccolo - di pietruzze. Sicuramente i due demoni si erano reimpossessati del secchiello ma, finché la Strega non fosse uscita dalla propria camera, non avrebbe potuto accertarsene.
Quasi avesse percepito i suoi pensieri, la porta della camera da letto della Strega si aprì e la proprietaria ne uscì, visibilmente contrariata. Il fumo dalle orecchie con randomici piccoli fulmini era senz'altro un indizio. Quel fumo risultava al tempo stesso perfetto e fuori luogo - Johnoh si ripromise di non farglielo sapere -, dato che la donna aveva un bizzarro, seppur leggero, odore di bruciato. Il musicante l'avrebbe trovata una cosa comica, se non fosse rimasto abbracciato alla Strega per qualcosa come quaranta minuti.
- Allora? - chiese lei, raggiungendolo davanti alla stanza del tesoro.
- Questa è la lista dei danni. - Johnoh gliela porse: - Non ho potuto verificare le condizioni della vostra camera per ovvi motivi. -
- Che parlata più raffinata. - buttò lì la Strega, scorrendo la lista con lo sguardo: - La mia presenza ti ha fatto così bene? -
- Eh? -
- Comunque, aggiungi il furto del secchiello. - Gli restituì la lista e Johnoh obbedì.
- riappropriazione furto di 1 secchiello
Quando rialzò lo sguardo, il musicante realizzò quanto il nero donasse alla sua datrice di lavoro. I vestiti che aveva indossato quel giorno erano bruciati nel forno (- Me la pagheranno anche per quelli. Mi piacevano! -), ma c'era da dire che il cromatismo della Strega rimaneva sempre sul viola e stranamente sul bianco quindi, a meno che non avessero qualche misterioso dettaglio rarissimo o particolarissimo, non erano stati questa terribile perdita. I pantaloncini e la giacca corta con cui si era cambiata erano sì viola, ma di un viola molto più scuro del solito, e gli stivali alti, i guanti lunghi e il corsetto erano neri. Come tocco finale, un collare nero e dei grandi orecchini a cerchio. Era un incrocio tra una motociclista sexy e una fase goth-punk tardiva, ma ci stava incredibilmente bene.
- ... La spessartina, il crisoberillo, l'apofillite, la tanzanite, la purpurite, l'orichalcos, la biotite, la diopside e il giaietto. - La Strega sospirò: - Praticamente il 97% del contenuto di questa stanza è riuscito ad entrare in un secchiello dello champagne? -
"Ah! Giusto! Il furto!" Johnoh si costrinse a distogliere lo sguardo dalla Strega e a (provare a) guardare nella stanza buia: - Erano i cuscini ad occupare un sacco di spazio. - osservò.
La donna tacque per qualche istante, persa nei suoi pensieri. Poi, dopo un altro sospiro, esclamò: - Quei marmocchi non andranno troppo lontano! Mettiamoci alla loro ricerca! -
- Sì, mia signora! - Aveva una gran voglia di trovare quei due concentrati di malvagità. Cosa sarebbe successo dopo non lo sapeva, ma era sicuro avrebbe assaporato quel momento.
- Ma prima... - La Strega agitò un dito: - Basta un poco di zucchero e la pillola va giù! - Le sedie tornarono al loro posto, intatte: - La pillola va giù! - I vetri delle finestre si ricomposero come un puzzle da mille pezzi risolto in un secondo: - La pillola va giù! - Le tende tornarono alla loro naturale consistenza e lucentezza, per poi riappendersi da sole davanti alle finestre: - Basta un poco di zucchero e la pillola va giù! - Un rumore testimoniò che le confezioni di prodotti di bellezza erano tornate alla loro originale forma e contenuto. Sotto gli occhi di Johnoh, le piume in giro per i soggiorni vennero fagocitate dai cuscini che, finito il pasto, si ricucirono e si spaparanzarono sui legittimi divani: - Tutto brillerà di più! - Le macchie di fumo parvero assorbite dalle mura e la Casetta di Gioielli tornò a risplendere.
- Wow... - Il musicante si guardò intorno, quasi abbagliato dalle stelline da pubblicità dei saponi per i piatti: - Fantastico... - "E poi..." Trattenne a fatica un sorriso.
- Non ti illudere, non ti risparmierò altre pulizie. È il tuo metodo di pagamento! - disse subito la Strega.
Johnoh scosse la testa, ma il sorriso era sfuggito.
- Cosa c'è? - Una punta di stizza, o forse qualcos'altro.
Era inutile far finta di nulla: - Sembrava la canzone di una fatina pucciosa! -
La sua manica prese fuoco ma, c'era da dire, l'aveva ampiamente previsto.
- Ma, se avete risistemato tutto... - disse, soffocando il fuoco con la maglietta - o meglio, agitando la maglietta e aspettando che fosse la Strega a spegnere le fiamme: - ... Perché mi avete fatto fare la lista? -
- Per sapere cosa riparare, no? - La donna mise le braccia conserte: - Non è che la magia è automatica. La devi indirizzare! -
- Oh... - "Giusto. Anche la magia avrà le sue regole."
- E poi... - La mano della Strega si strinse in un pugno minaccioso: - ... Perché voglio far scontare a quei due goblin ogni più minuscolo danno che mi hanno causato. -
- Ben detto, mia signora! - Johnoh era conscio del fatto che, se fosse stato all'interno di una storia, loro due sarebbero senz'altro stati gli antagonisti, i cattivi. Ma a lui quei due cosini stavano davvero antipatici - e poi, certe volte, il ruolo del cattivo sembrava molto più interessante di quello del buono.
Recuperò la sua sacca - il tamburello era ancora lì - e vi mise dentro un po' di cibo. Rimise le sue scarpe da viaggio e si buttò la sacca sulla schiena. La Strega si era messa un cinturone scuro da cui pendevano svariate fiale dai colori troppo accesi per essere rassicuranti.
Così armati, i due uscirono dalla Casetta di Gioielli, alla ricerca dei due piccoli ladruncoli.

- Addio, Vahlon. Insegna ai Roc a tirare di scherma. -
- Ehi, no, aspetta! - Il diretto interessato mise le mani avanti, gli occhi azzurri spalancati come finestre in piena estate: - Chi ha detto che dovrò dirglielo io? -
Alystehr e Rahphael si scambiarono uno sguardo - quello del gigante biondo era colmo di pietà, quello del ragazzo dai capelli rossi no.
- Io ho detto "Io non glielo dico!" e tu no. - gli ricordò Alystehr.
- Neppure Rahphael l'ha detto! - Vahlon lo indicò.
Il più grande alzò le spalle: - Io non glielo dico. -
- RAHPHAEL! - Il ragazzo dal cespuglio castano si spalmò le mani sulla faccia: - Stare troppo vicino ad Alystehr ti fa male! Stai diventando crudele come lui! -
- Cos'è la crudeltà? - domandò Rahphael, il volto serio: - Cos'è la giustizia? Cos'è che- -
- È molto bello che tu faccia questi pensieri profondi. - lo bloccò subito Alystehr: - Ma abbiamo un funerale da organizzare. -
- Sei cattivo. - Vahlon mise le mani ai fianchi: - Io non glielo dico. -
- Sei stato l'ultimo a dirlo, quindi non vale! -
- Qualcuno qui ha detto che non valeva? Qualcuno qui ha detto che si sarebbe andato per esclusione? No! Quindi non puoi costringermi! -
Il ragazzo dai capelli rossi rimase interdetto. Ma non poteva permettere che Vahlon avesse ragione!
- Era ovvio che- -
- No, non era ovvio! -
- Non mi interrompere! -
- Tu non interrompere me! -
- Glielo diremo tutti e tre. - La voce di Rahphael, calma e profonda, in qualche modo riuscì a coprire quelle dei due ragazzi più giovani. Uno sguardo di cielo e uno sguardo di piombo si posarono su di lui.
- In coro? - azzardò Vahlon.
- No, ovviamente. - Il più grande non faceva una piega: - Sappiamo benissimo che, al momento di dirlo, taceremmo per sacrificare uno di noi. -
Gli altri due annuirono. Era già successo svariate volte - e la vittima era sempre stata Rahphael, perché ogni volta si illudeva che i suoi fratelli non sarebbero stati così... così. Di solito si arrabbiava con loro ma, dopo uno "Scusa" molto (poco) sentito, li perdonava. Tuttavia, persino gli altri due sapevano che, prima o poi, anche l'apparentemente infinita pazienza del maggiore sarebbe finita.
- Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. - proseguì Rahphael, solenne: - Non siamo stati in grado di portare a termine il nostro compito, per il momento. Eppure, dobbiamo affrontare Lord Dahrtz a testa alta. -
Alystehr e Vahlon abbassarono le teste.
- ... Sì, però è dura da mandare giù. - protestò il più giovane: - La serenissima Regina Hyonah, insieme alla dolce principessa Khrys e al venerabile precedente sovrano Hayronarth, sono riusciti a portare a termine il loro compito in cinque giorni! -
- E i nobili ser Tymayus, ser Kryzyas e ser Hermhoss, con grande forza e coraggio, ci sono riusciti in appena tre giorni! - aggiunse il mezzano, la voce di solito stizzita in quel momento sempre più tendente allo sconforto.
- E coloro che hanno ricevuto la Sacra Missione prima di noi sono stati i nostri amati cugini Sohnyah, Jwlyan e Myrkoh. - ricordò Rahphael: - Nonostante la loro giovanissima età, sono stati in grado di portare a termine il loro compito in una settimana esatta. -
- Io non so neanche da quanto tempo stiamo cercando! - gemette Vahlon, appallottolandosi a terra.
- Neanch'io. - ammise Rahphael.
- Neppure io... - Alystehr rialzò la testa, un sopracciglio inarcato: - Scusate, perché ci stiamo disperando così? Potremmo star cercando da appena due giorni. Ciò significherebbe che siamo perfettamente in tempo! -
- Non è importante quanto tempo effettivo sia trascorso. - spiegò il più grande: - La verità è che i nostri mezzi non sono adeguati alla ricerca e che non abbiamo la minima idea di dove andare, né cosa fare. È inutile e improduttivo continuare a vagare senza meta. L'unica cosa che possiamo fare è tornare al castello e riferire tutto questo a Lord Dahrtz. -
- Nessuno è mai dovuto tornare indietro a mani vuote perché non è riuscito a trovare niente! - Vahlon si rotolò a terra, disperato: - Come potrò guardare in faccia un qualsiasi mio connazionale? -
- Scusa, Rahphael... - Alystehr ignorò del tutto il più giovane - anzi, gli diede un calcio leggero per farlo rotolare dall'altra parte: - Ma perché Lord Dahrtz non usa la sua magia per trovarlo al posto nostro? -
Il massiccio ragazzo biondo fece un respiro molto profondo. Chiuse gli occhi, piano.
- Lord Dahrtz è uno Stregone dai poteri immensi. -
- Sì, Rahphael, lo so- -
- Come ben sai, è grazie a lui che la nostra amata terra è ricca e florida, e i suoi abitanti felici e sani. -
- Appunto perché lo so non c'è bisogno che- -
- Tuttavia, sai anche che Lord Dahrtz è- - Si bloccò. Riaprì gli occhi. Sembrava stesse scegliendo le parole con estrema cura. Dopo qualche secondo, sussurrò: - ... A, Enne, Zeta, I, A, Enne, O. -
- Ooooh. - Alystehr, e Vahlon a terra, compresero.
- Non possiamo porre sulle sue a enne zeta i a enne e spalle un peso tanto gravoso. - Serrò un pugno, grande come una noce di cocco: - È nostro compito, in qualità di suoi fedeli sudditi, sostenerlo e aiutarlo nella Sacra Missione! -
- Giusto! - Gli altri due scattarono sull'attenti - Vahlon era ricoperto di terriccio all'incirca ovunque.
- Ed è per questo che dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Per il nostro signore, il potente Lord Dahrtz! -
- Sì! -
- Per questo andremo da lui, a testa alta, e gli spiegheremo perché non abbiamo portato a termine la nostra missione! -
- Sì! -
- Per Lord Dahrtz e per Hatlantyde! -
- Per Lord Dahrtz e per Hatlantyde! -
- Scusate, gentili signori. -
Una voce dolce e candida bloccò il loro infervoramento. Come una sola persona, abbassarono lo sguardo: un sorriso innocente sul pallido volto di una bambina dai lunghi capelli bianchi. Al suo fianco, un sorriso pacato sul bianco volto di un bambino dai lunghi capelli di neve. Quando incontrarono i loro grandi occhi scuri, trasalirono. Si diedero subito degli stupidi. "Sono solo dei piccoli bambini, chissà cosa penseranno ora!".
- Sì, piccolina? - fece Rahphael, la voce serena e rassicurante.
- Sapete dov'è il mercato nero? -
I tre si scambiarono occhiate spaesate.
- Non ho mai sentito parlare di mercato nero, da queste parti... - confessò Vahlon.
- Io conosco solo il mercato verde. - disse Alystehr.
- Ci dispiace, piccolini. - si scusò Rahphael: - Ma non abbiamo idea di dove si trovi questo "mercato nero". -
Il bambino sospirò, la bambina fece una smorfia. Al più grande si spezzò il cuore nel vedere quei due piccini così delusi, così chiese: - Potremmo sapere perché dovete andare lì? Magari possiamo aiutarvi in qualche modo! -
- Rahphael, no... - Per una volta, Alystehr e Vahlon sussurrarono la stessa cosa con lo stesso tono con lo stesso pensiero: "Non metterti ad aiutare tutti i bambini che vedi! Abbiamo altro a cui pensare!".
- Dobbiamo rivendere queste. - La bambina alzò un secchiello da champagne pieno di quelle che sembravano pietre preziose.
- Oh, ma è solo questo... - fece Rahphael, con un sorriso d'incoraggiamento: - Potete andare nella città più vicina e andare da un qualsiasi gioielliere. Vi sarà grato per tutte queste belle pietre! -
- Sono pietre rubate. - intervenne il bambino, il sorriso immutato: - Non vogliamo essere rintracciati in nessun modo. -
Alystehr e Vahlon si fecero più attenti: quei bambini erano molto meno candidi del previsto e la cosa poteva rivelarsi interessante. Rahphael, invece, sembrava non aver ben capito: - Ma non dovete avere nulla da temere. Anche se siete entrati in possesso di materiale rubato, sarà il ladro a- -
- Le abbiamo rubate noi. - La bambina gonfiò il petto, fiera.
- Dalla prima all'ultima! - sorrise il bambino.
- Ad una Strega vecchia, brutta e rifatta! - ridacchiò quella che non poteva che essere la sorella.
Alystehr, Vahlon e Rahphael si avvicinarono, le orecchie ben tese. Lo sguardo cadde sulle pietre nel secchiello.
- Una Strega? - chiese Vahlon: - Ci sono Streghe, da queste parti? -
- Una che si fa chiamare tipo Strega della Crocchetta dei Granelli. - spiegò la bambina: - È una cretina che fa tanto la figa e poi è una sfigata. E il suo cane è più scemo di lei. -
- Ha pure evidenti problemi sociali, perché pensa di essere famosa. - aggiunse il bambino.
- Una Strega potrebbe mettere i bastoni tra le ruote della moto di Lord Dahrtz. - osservò Vahlon.
- Nessuno è più potente di Lord Dahrtz. - gli ricordò Alystehr: - Se poi questa sgallettata è così cretina come dicono... -
- Malikura è molto più potente di quella là. - disse il bambino.
- Chiunque sarebbe più potente di quella là. - precisò la bambina.
- Quante Streghe ci sono, da queste parti? - Con calma, Rahphael spronò i due bambini non poi così candidi a continuare a parlare. Più loro parlavano, più informazioni ottenevano - più loro parlavano, più avevano modo di sbirciare nel secchiello appeso al braccio della bimba. Lo stesso sospetto li aveva colpiti nel medesimo istante.
- Solo 'sta scema e Malikura. O almeno... - La bambina alzò le mani: - Così sembrerebbe. Per quanto ne sappia tipo chiunque, l'unico Stregone del circondario è Malikura. Se non ci fossimo imbattute in quella là, non avremmo mai saputo dell'esistenza della Strega della Crocchetta dei Granelli. -
- Dunque, a prescindere, le Streghe e gli Stregoni di questo luogo non sono granché temibili. - concluse Alystehr: - A parte questo Malikura. -
- Esatto! - trillarono i due bambini, in un coro dal retrogusto inquietante.
I tre ricapitolarono: l'avversario possibile era solo uno. Se, tuttavia, non si era già presentato al castello di Lord Dahrtz, era ovvio che non fosse al suo livello. Non c'era dunque nulla di cui preoccuparsi.
E, soprattutto, la pietra verde che luccicava in quel secchiello l'avrebbero riconosciuta tra milioni di pietre verdi.
- Perdonateci, piccoli... - La voce di Rahphael rimaneva calma e rassicurante: - Ci siamo appena accorti che quella pietra verde- - la indicò: - -è una pietra che ci è stata sottratta molto tempo addietro. È una gioia, per noi, ritrovarla, soprattutto perché non abbiamo mai scoperto l'identità del ladro. -
- Se si trattava di questa sconosciuta Strega, era ovvio non l'avremmo mai scoperto. - gli diede ragione Alystehr. Vahlon tacque. Si erano sempre raccomandati di non parlare, quando imbastivano una sceneggiata atta ad ingannare il prossimo.
- Potremmo dunque chiedervi di restituircela? - La grande mano del gigante biondo si aprì davanti ai due bambini.
I piccoli la guardarono - probabilmente la stavano misurando ad occhio.
Poi sorrisero, in perfetto sincrono.
- Ceeeeeeeerto. - fece il bambino.
- Mica siamo nati ieri! - ridacchiò la bambina.
- È proprio vero, gli adulti sono tutti scemi! - sorrise il bambino.
- Solo un idiota sarebbe così idiota da chiedere la refurtiva a due ladri! - rise la bambina.
Non erano due bambini. Erano due demoni.
Rahphael estrasse un martello e una pinza; Alystehr tirò fuori i suoi rasoi; Vahlon sguainò la sua spada.
I due esserini impallidirono più di quanto già lo fossero. E, nel loro perfetto sincrono, fuggirono nel fitto del bosco.

Il bosco, di notte, faceva paura. A volte, gli alberi sembravano avere grandi occhi e grandi bocche, e i loro rami diventavano mani scheletriche dalle dita artigliate pronte a recidere la carne.
Ryansel e Amanetel avevano letto di alberi semoventi assassini e avevano sempre sperato di incontrarne uno. Sfortuna voleva che quel bosco ne fosse sprovvisto e che quindi ciò che si parava sulla loro strada, nella loro fuga forsennata, fossero solo comunissimi alberi.
- Non mi piacciono questi alberi innocenti. Dovrebbero animarsi e mangiarsi i nostri inseguitori. - disse Ryansel, l'espressione colma di disappunto.
- Io odio gli adulti che agiscono invece di parlare! - protestò Amanetel.
I loro tre inseguitori, nonostante la stazza di uno di loro in particolare, non sembravano in alcun modo rallentati da tronchi e radici sporgenti - neanche un tonfo, neanche uno scontro, nessun gemito e nessun lamento, proprio niente! Anzi, sembrava quasi che il Gorilla Biondo, la Rossina Edgy e il Cactus Marrone fossero molto più vicini!
Le gambe dei due bambini avevano un certo numero di centimetri e i due piccoli non avevano mezzi per andare più veloci o per ostacolare i loro inseguitori. Niente motosega per far cadere gli alberi, niente carriole, niente sparafiocine, niente! Come se non fosse bastato, iniziavano a sentire un dolore acuto al fianco, la gola andava seccandosi e il respiro si faceva troppo veloce.
- È il momento! - urlò qualcuno alle loro spalle.
Un'ombra li attraversò, qualcosa saltò sopra di loro.
La Rossina Edgy apparve davanti a loro, in uno svolazzare della sua giacca scura, la luna che brillava sulle lame dei rasoi. Ryansel e Amanetel si accorsero che uno dei due rasoi era un paio di forbici dalle lame particolarmente lunghe e affilate.
Ma se si fossero fermati sarebbe stata la fine. Gli altri due li avrebbero raggiunti e li avrebbero catturati. Non c'era via d'uscita né a destra né a sinistra.
L'unica cosa da fare era caricare il loro nemico.
Abbassarono le teste, pronti all'impatto.
La Rossina Edgy scattò verso di loro.
Zac! Zac! Zac! Zac! Zac! Zac! Zac!
Il vento continuava a muovere quella lunga giacca scura, portò via ciocche di capelli bianchi.
Senza fermarsi, Ryansel e Amanetel si guardarono.
Alzarono un sopracciglio, speculari.
Poi alzarono un pollice.
In pochi secondi, la Rossina Edgy aveva falciato tutte le loro doppie punte e sistemato le frange fin nel più preciso millimetro. Un lavoro incredibile, che mai avrebbero pensato possibile.
- Cosa? - La voce sconvolta della Rossina Edgy, alle loro spalle: - Perché non si sono fermati ad ammirare il loro nuovo taglio? Ha sempre funzionato! -
- Stavolta no! - Un'altra voce, quella del Cactus Marrone: - Stanno ancora scappando! -
- Ma quant'è grosso questo bosco? - chiese Amanetel.
- Avremmo dovuto rubare una mappa. - disse Ryansel.
- Eh, magari... - La bambina avrebbe sospirato, se non fosse stata impegnata ad ansimare per evitare un soffocamento: - Così avremmo saputo se ci sono laghi di lava o mostri spaventosi per fermare quei tre imbecilli! -
- E se... - ipotizzò il fratello, il respiro corto quanto il suo: - Invocassimo quella Strega o lo Stregone Malikura? Magari appaiono, si menano con quei tre e noi scappiamo. -
- Sarebbe un'ottima idea, se una non volesse probabilmente spellarci e l'altro non fosse conosciuto per reagire in modo eccessivo. - Amanetel scosse la testa: - Ci direbbe che l'abbiamo disturbato e ci maledirebbe a morte. Non ho voglia di essere maledetta a morte. -
Ryansel dovette concordare: - Se solo ci fossero gli alberi assassini... -
- Eh, piacerebbero un sacco anche a me, ma non si può avere tutto... -
Un'altra ombra, molto più grande, passò sopra di loro. La terra tremò quando il Gigante Biondo atterrò d'innanzi a loro.
Per un istante, Ryansel e Amanetel tremarono a loro volta e furono tentati dal fermarsi, ma non lo fecero: il loro nemico era grande e grosso e loro erano piccoli e fragili, però non dovevano esitare. Stavolta non sarebbero potuti andare di sfondamento, quindi si prepararono alla più grande scivolata della loro vita.
Ryansel serrò i pugni. Amanetel coprì il secchiello per evitare che le pietre volassero via. Senza bisogno di darsi un segnale, i due bambini si lanciarono in scivolata.
Il Gigante Biondo non si mosse.
Se fosse caduto, avrebbe fatto un gran botto e i due dovevano premurarsi di essere lontani - magari, sarebbe caduto addosso ai suoi due compari.
Il Gigante Biondo era sempre più vicino, ma era anche sempre immobile.
Mancavano pochissimi centimetri all'impatto.
Fu solo allora che il Gigante Biondo si mosse.
Tac! Tac! Tac! Tac! Tac! Tac! Tac!
Il Gigante Biondo si rialzò, un colosso statuario illuminato dalla luce della luna.
Ryansel e Amanetel si fermarono per una frazione di secondo, il tempo di rimettersi in piedi e riprendere la corsa.
Le loro scarpe erano in qualche modo più resistenti.
Senza smettere di correre, si guardarono alle spalle per gettare un'occhiata alle scarpe dell'altro.
In pochi secondi, il Gigante Biondo aveva tolto le vecchie suole delle loro scarpe e le aveva sostituite con suole nuove e più resistenti. Un lavoro di inaudita precisione e velocità.
- Possibile? - La voce incredula del Gigante Biondo, alle loro spalle: - Non si sono fermati ad ammirare le loro scarpe nuove! È la prima volta che qualcuno non sente il bisogno di farlo! -
- Non ti imbambolare, stanno ancora scappando! - Fu interrotto dalla voce seccata della Rossina Edgy.
- Ma si stancheranno, prima o poi. - sbuffò Ryansel. Era stata una pessima idea, perché le sue riserve d'aria stavano venendo meno.
- Ho paura che ci stancheremo prima noi. - Le labbra di Amanetel si curvarono all'ingiù: - Noi siamo piccoli e indifesi, loro sono grossi e cattivi! -
- Non vi lasceremo scappare! - La voce a indefiniti decibel del Cactus Marrone. Per la terza volta, un'ombra li coprì per pochi attimi e, per la terza volta, qualcuno si parò d'innanzi a loro. Come previsto, era il Cactus Marrone.
Aveva infiniti meno muscoli del Gigante Biondo ed era più basso della Rossina Edgy, quindi potevano andare di sfondamento.
Ma, stavolta, il loro avversario non rimase a guardarli. Iniziò a roteare la sua spada, la lama fendeva l'aria in maniera minacciosa.
Swish! Swish! Swish! Swish! Swish! Swish! Swish! Swish!
Ryansel e Amanetel si guardarono.
Non era successo assolutamente nulla.
Tornarono a guardare il Cactus Marrone.
Il Cactus Marrone guardò loro.
Il Cactus Marrone rinfoderò la spada.
"Si è arreso?" Il pensiero che attraversò la mente dei bambini. Dovevano andare più veloci, così da poterlo buttare a terra e proseguire indisturbati. Con un po' di fortuna, se quei tre andavano a turni, avrebbero potuto pensare di aver perso e non si sarebbero curati di fare un altro giro.
Ryansel e Amanetel corsero contro il Cactus Marrone.
Il Cactus Marrone aprì le braccia.
E, quando gli furono addosso, li afferrò al volo.
Grida disumane si levarono tra gli alberi e spaccarono la già provata tranquillità del luogo. Tutte le forme di vita nel raggio di dieci metri scapparono, chi spaventato, chi gridando vendetta per la confusione fatta dopo il calare del sole.
La Rossina Edgy e il Gigante Biondo li raggiunsero, Ryansel e Amanetel continuarono a dimenarsi come anguille insaponate.
- E bravo Vahlon! - esclamò la Rossina Edgy, mentre il Gigante Biondo prendeva i due bambini sotto braccio - incastrava sotto le braccia, del tutto immobilizzati: - Finalmente ti sei reso utile! -
- Sì, Vahlon. - concordò il Gigante Biondo: - Hai avuto un'ottima idea. -
- Eh... Proprio... - Il Cactus Marrone non sembrava troppo convinto.
Tra le possenti braccia del Gigante Biondo, Ryansel e Amanetel non riuscivano più ad urlare. Eppure, nonostante fossero costretti a rimanere zitti e fermi, non stavano poi così male. Potevano riposare gambe e voce e la temperatura era piacevolmente tiepida, a schermo del freddo notturno. L'unico difetto era il non potersi sdraiare - per questo, avrebbero messo solo quattro stelle su ViaggiAvviso, ovviamente con due recensioni separate per aumentare il numero di recensioni non a cinque stelle del resort Possenti Braccia del Gigante Biondo.
In quel momento, con orrore, Amanetel si vide sottrarre il secchiello dalla Rossina Edgy. Questo faceva istantaneamente precipitare la recensione ad una sola stella!
- Non riesco a crederci... - la vide mormorare: - Stavamo andando ad umiliarci di fronte a Lord Dahrtz, ma il Potente Lhevyathan continua a vegliare sui suoi seguaci! -
- Sì. - concordò il Gigante Biondo: - Incontrare questi due fanciulli è stato un dono del Grande Lhevyathan. -
Ryansel e Amanetel non avevano idea di chi o cosa fosse questo Lhevyathan, ma già lo odiavano.

Non si udiva un solo rumore nell'ampia sala verde. La luce della luna filtrava dai finestroni ad arco, unica a permettere di vedere in quel buio ormai verde pallido, disegnando i contorni delle finestre sullo spesso tappeto verde che ricopriva l'intero ambiente.
Lord Dahrtz si alzò dal suo trono verde. I suoi valorosi sottoposti erano tornati. Li aveva percepiti non appena avevano superato la barriera protettiva.
Dlin Dlon!
Il campanello aveva spezzato il silenzio etereo della sala. Era il segnale che qualcuno fosse alla porta e altro non potevano essere se non i suoi valorosi sottoposti che chiedevano di entrare. Dahrtz, dunque, con un leggero movimento della mano, spalancò loro il massiccio portone verde, settantadue piani più in basso. Il silenzio tornò a regnare nella sala e Lord Dahrtz, conscio del fatto di non aver ancora installato un ascensore, tornò seduto sul suo trono. Quando, un quarto d'ora dopo, il silenzio fu nuovamente spezzato da un potente bussare alla porta della stanza, si rialzò, solenne.
- Pervenite. - acconsentì.
La porta si aprì e Vahlon, Alystehr e Rahphael fecero il loro ingresso. Vahlon boccheggiava e si massaggiava le gambe; Alystehr cercava disperatamente di non far notare il respiro corto, con ammirevole stoicità; Rahphael non sembrava aver salito settantadue piani di scale, né di averlo fatto portando sotto braccio due bambini completamente bianchi.
- Salute a voi, Lord Dahrtz. - I tre si inchinarono al suo cospetto, chi in maniera più composta chi lasciandosi cadere a terra.
- Salute a voi, impavidi cavalieri di Hatlantyde. - Li salutò il loro re. Si avvicinò loro, la lunga veste verde frusciò ad ogni passo: - Mi auspico siate qui per recapitarmi un fausto annunzio. -
I tre si scambiarono uno sguardo indecifrabile. I due ospiti bianchi avevano spalancato gli occhi.
Come sempre, fu Rahphael a rispondergli: - Certamente, sommo Dahrtz. Siamo qui per consegnarvi il Sacro Orichalcos. -
Con un gesto solenne, Vahlon alzò la mano libera - l'altra era premuta contro un fianco - e gli porse una meravigliosa gemma dai riflessi verdi.
Non c'erano dubbi.
Quello era un esemplare di purissimo orichalcos, tra i più puri che avessero mai visto. Dahrtz lo prese e lo mise controluce. Era grande quanto l'unghia di un pollice, il colore intenso, quasi capace di emettere luce propria. Riabbassò la mano, tornò a guardare il trio. Scegliere proprio loro era stata un'ottima idea: si erano rivelati servitori fedeli e capaci. I loro nomi sarebbero stati incisi nel palazzo della nuova Hatlantyde.
- Cernere individui ragguardevoli da coloro che mai potrebbero essere insigniti di tal privilegio è un ufficio malagevole. La mia selezione si è infine propalata come appropriata. - disse, infatti. Aprì le braccia, le grandi maniche oscurarono la luce della luna per i tre inginocchiati: - Magni ossequi vi saranno addotti, i vostri appellativi saranno bulinati sui tramezzi del palagio della rediviva Hatlantyde! -
I tre alzarono gli sguardi, gli occhi lucidi di commozione. Gli occhi scuri dei due bambini erano ormai sferici.
- Siamo onorati, Lord Darhtz. - disse Rahphael, visibilmente toccato. Vahlon e Alystehr annuirono, le labbra serrate e gli occhi quasi in lacrime.
Nel vedere i loro cuori così mossi dalle sue parole, Dahrtz quasi cedette a sua volta, ma non potè permetterselo: aveva una solida autorità da mantenere.
- Slega i tuoi arti da questi due eburnei infanti. - ordinò, dunque, riabbassando le braccia e permettendo di nuovo alla luce di illuminare il trio: - Qual è la loro identità? -
- Si tratta di due bambini che recavano seco l'orichalcos. - spiegò Rahphael, lasciandoli andare. I due bambini ricaddero in ginocchio sul tappeto, lo sguardo che continuava a fissarsi sul re.
- Intendo. - Si avvicinò ai due. Non avevano emesso una sola parola, da quando erano arrivati. Dato il modo in cui erano stati condotti lì, dovevano essere in quel luogo contro la loro volontà.
- Siete voi i possidenti della venerata gemma dalla cromia delle chiome arboree? -
I due bambini si guardarono. Poi tornarono a guardare lui. Sembravano incapaci di parlare.
- Son forse privi del dono della parola? - chiese Dahrtz.
Vahlon, Alystehr e Rahphael scossero la testa in perfetto sincrono.
- Assolutamente no! - esclamò Vahlon: - Prima non facevano altro che urlare! -
- Di certo sono rimasti impressionati da voi, Lord Dahrtz. - aggiunse Alystehr.
- Oserei dire dalla vostra fulgida parlata. - precisò il più giovane.
- Intendo il conturbamento nell'udire una corretta parlata. Ma richiederei loro delle repliche. - Dahrtz continuava a guardare i due bambini, i due bambini continuavano a non rispondergli.
Rahphael, allora, venne loro in soccorso: - Rispondete. - sussurrò.
I due si fecero più vicini tra loro. Finalmente, la bambina aprì bocca: - Industrie siderurgiche e metallurgiche. -
Dahrtz trasalì: non si era aspettato una simile risposta tanto articolata e misteriosa. Quei bambini erano molto meno ingenui di quanto potesse sembrare. Di certo, la bambina gli aveva volutamente risposto in modo tanto oscuro, forse per metterlo alla prova.
- Una replica a dir poco inusitata! - commentò, ammirato: - Nondimeno, la venerata gemma dalla cromia delle chiome arboree vi non ravvisa come suoi possidenti. Ordunque vi postulo: chi fu il suo effettivo possidente? -
L'orichalcos non riluceva fiero come avrebbe dovuto. Era ovvio che i proprietari non fossero loro, ma voleva udire cosa avrebbero risposto. Quella tra lui e loro era una durissima lotta mentale a colpi di astuzia e vocaboli.
Stavolta, fu il bambino a rispondere, in un filo di voce: - Coltivazioni di barbabietola da zucchero. -
- Ah! Qual replica ineffabile! - Dahrtz si voltò, la tunica creò un cerchio sul tappeto, il mantello quasi catturò i due bambini: - Il vostro eloquio è indicibile, così come la vostra pervicacia nel seguitare a bravarmi. - Gettò un'occhiata oltre la spalla, verso i bambini immobili dai grandi occhi castani: - Una conclusiva interpellanza. -
I bambini deglutirono.
- Come si appella la capitale di Hatlantyde? -
I bambini si guardarono. Tornarono a guardare lui.
- Il cane ci ha mangiato i compiti! - esclamarono in coro.
Dahrtz chiuse gli occhi, piano: - Si adocchia il vostro vago apprendimento, ma è insufficiente. Quattro. Alla contigua circostanza, recate anche la Pangea. - Lentamente, tornò a sedersi sul trono, ad occhi chiusi, a dimostrazione delle sue grandi capacità di orientamento. Una volta seduto, li riaprì e guardò i suoi sudditi: - Rahphael, conduci i due pargoli nei reclusori. -.
Rahphael annuì e riprese sotto braccio i due silenziosi bambini, per poi portarli via. Nella sala rimasero solo Vahlon e Alystehr.
- Enunciatemi, dunque... - parlò Dahrtz: - Cosa vi è manifesto? -.

Fare rapporto a Lord Dahrtz senza Rahphael era una delle cose più orribili che potessero capitare. Vahlon e Alystehr erano persino giunti a provare pietà per i due infernali bambini, visibilmente confusi dalla parlata inintellegibile del loro sovrano; Rahphael, allo stesso modo, era addolorato nel non poterli aiutare, incapace di tradurre più della metà di ciò che Lord Dahrtz diceva.
Ed erano rimasti solo loro due, alla disperata ricerca di comunicare con il loro re. Avevano imparato che il modo migliore per farlo era andare subito al punto e usare meno parole possibili.
- "Apotropaico" non indica "valente". - Dahrtz zittì Vahlon con un'occhiata cupa: - Qual è la cagione della tua parlata errata, buon Vahlon? -
- La stanchezza. - si affrettò a rispondere il ragazzo dal cespuglio castano.
- La lassezza, vorrai pronunciare. -
- Sì, la lassezza, Lord Dahrtz. -
Ci vollero circa dieci minuti a riferire al loro signore che l'orichalcos - e l'intero contenuto del secchiello da champagne - erano il frutto di un furto dei due bambini ai danni di una fantomatica Strega della Crocchetta dei Granelli.
- Non mi concernono le altre gemme. - fece Dahrtz: - Recatele insieme ai pargoli. -
Alystehr, che aveva il secchiello, annuì e si affrettò a lasciare la sala. Vahlon era rimasto solo e sudava freddo. Non è che odiasse o temesse il suo buon signore, era solo estremamente difficile comunicare con lui. L'unica via di fuga, a quel punto, era la più umiliante: ammettere la propria ignoranza di quella lingua tanto elevata quanto oscura.
- Vogliate perdonare la mia parlata errata, sommo Dahrtz. - Vahlon fece un profondo inchino.
- Posso intendere la tua lassezza, Vahlon. Ma soltanto per codesta occorrenza. -
- Siete sempre splendente, Lord Dahrtz. - Sollevò la testa, un po' meno inquieto: - Osavo domandarmi, Lord Dahrtz... qual è la cagione che vi sprona a trattenere i due marmocchi? -
Dahrtz giunse la mano all'altra, intenta a giocherellare con l'orichalcos: - È una questione contemporaneamente pretta e artificiosa. - Sollevò la pietra: - Per poter usufruire di esso, è indispensabile la sua acquiescenza. Per poter conseguire la sua acquiescenza, è necessario essere suoi possidenti. -
Vahlon annuì, piano. Si annotò mentalmente qualche parola, perché dopo si sarebbe dovuto far tradurre tre quarti del discorso da Rahphael - il quarto restante sarebbe rimasto ignoto.
- Dama Strega della Crocchetta dei Granelli starà braccheggiando tali giovani lestofanti. Ingiungerà in codesto loco. Acquisterò regolarmente la sacra gemma e ne diverrò il riconosciuto possidente. -
- E se non volesse vendervelo? - osò chiede Vahlon, che da quell'"acquistare" aveva intuito si stesse parlando di una qualche compravendita.
Dahrtz rispose con assoluta tranquillità: - Le profferrò i due pargoli. Nell'animo di una Strega, la rappresaglia è ben al di sopra della pecunia. -
- Oh... - "Poveri bambini. Un po' mi dispiace per loro.". C'era un altro dettaglio che non gli tornava, però: - Tuttavia, Lord Dahrtz... -
- Sì, giovane Vahlon? -
- Da quanto ho inteso, la Strega della Crocchetta dei Granelli vi è... naturalmente, s'intende... inferiore in quanto a poteri. Come potrà trovare codesto loco? -
- Andrete in sua ricerca, che questioni bizzarre che sollevi! -
"Ah." - Certo, Lord Dahrtz. - "Altro lavoro. Proprio ora che avevamo portato a termine la nostra missione..." - E, per curiosità, quando dovremmo...? -
- Subitaneamente, giovane Vahlon. - Dahrtz scosse piano la testa: - Sollevi proprio questioni bizzarre. -.

Le ricerche di Johnoh e della Strega si erano rivelate infruttuose.
Avevano trovato animali, verdure e minerali, ma nessun frutto e nessun ladro lattescente. Dato che le loro ricerche non avevano portato a nulla e a nessuno interesserebbe sapere quali luoghi avessero setacciato a vuoto e come, si può passare al momento in cui, iniziando ad avvertire un po' di stanchezza, si erano fermati in un punto a caso del bosco.
- Inizio ad avvertire un po' di stanchezza, quindi ci fermeremo in questo punto a caso del bosco. - annunciò la Strega, per poi lasciarsi cadere con grazia su un masso perfetto per sedersi. Purtroppo c'era posto per una persona sola, quindi Johnoh dovette sedersi per terra.
- Avete sonno, mia signora? - "Forse è il caso si riposi, in generale. È pur sempre andata a fuoco, oggi..." Johnoh non aveva osato chiedere quanto fosse rimasta nel forno, ma sospettava non si trattasse di pochi minuti.
- No. Le Streghe sono molto più attive di notte. - La donna si fermò a riflettere su una cosa. Poi chiese, piano: - E tu? -
"Eh?" Lo sguardo che rivolse alla Strega doveva rendere piuttosto evidente il suo stupore, perché lei sbuffò subito: - Ti sto chiedendo se hai sonno. Non me ne faccio niente di un servitore stanco! Metti che troviamo quei due mostri e tu sei troppo debole per catturarli! -
"È proprio il fatto che mi chiediate se ho sonno che mi stupisce." avrebbe voluto rispondere Johnoh, ma invece dalla sua bocca uscì: - Ah, non volete catturarli voi in prima persona? -
- Perché pensi che ti abbia portato con me? - La Strega si mise a guardare la luna, di colpo interessatissima all'astro notturno: - Sono sempre stata io a fermare quei due quando si avvicinavano troppo alle mie gemme, ora è il momento che tu faccia il bravo cane da guardia! -
- Non sono un cane. -
- Se hai tutta questa voglia di rispondermi così, allora suppongo tu non sia stanco. - Mise le braccia conserte: - E, se lo sei, peggio per te! Potevi rispondermi bene prima. -
- Non sono stanco. - "Stranamente". Era sveglio dall'alba, eppure si sentiva come pervaso da capo a piedi di adrenalina e l'idea di dormire era semplicemente impensabile. Voleva mettere le mani su quei due bambini, metterli in condizione di non recare più danno, recuperare il maltolto della Strega e tornare a casa. Solo allora, forse, si sarebbe-
Johnoh trasalì. "Casa...?" Non Casetta (di Gioielli). Casa. Da quando aveva iniziato a chiamarla in quel modo? E perché era così deciso a catturare due cosini che avevano derubato un'altra persona - seppur l'altra persona in questione fosse la sua datrice di lavoro? Cosa gli importava di recuperare il maltolto, di far sì che, in sostanza, la Strega avesse giustizia? Scosse la testa. La spiegazione non poteva che essere una: "Deve essere perché odio le ingiustizie palesi.".
- Senti. -
La voce della Strega lo riportò alla realtà. Lei aveva smesso di analizzare scientificamente ogni cratere lunare ed era tornata a dedicarsi a lui: - Hai dietro il tamburello, vero? -
La risposta era affermativa, ma Johnoh portò avanti la sacca e la tastò per esserne sicuro. Annuì.
- Allora suona qualcosa. -
Negli ultimi tempi, aveva sentito spesso quell'ordine. La Strega non gli aveva mai fatto mezzo complimento, non era mai parsa soddisfatta, non gli era mai neppure sembrato apprezzasse - eppure continuava a chiedergli di suonare. "Finché non mi offende, affari suoi. Se lei non capisce l'arte, non è colpa mia." Estrasse il tamburello dalla sacca: "O chissà, magari ha capito di essere nel torto e sta cercando di imparare ad apprezzare la musica di qualità!". Fortuna voleva che non servisse stare in piedi per suonare il tamburello, quindi Johnoh procedette rimanendo seduto. Picchiettò la membrana prima con due dita, poi con tre, poi con quattro, scendendo di nuovo a tre, a due, e di nuovo in crescendo; colpiva con più forza, il contraccolpo faceva vibrare i cimbalini. Trattenne un sorriso quando notò che, quasi impercettibile, un piede della Strega batteva il tempo. Evitò di guardare in quella direzione se non ogni tanto, giusto per evitare che l'altra si immobilizzasse solo per non dare il minimo segno di interesse. Come se i suoi occhi chiusi non fossero la cornice del suo palese starlo ascoltando. Dato che ormai non lo stava guardando, Johnoh lasciò andare il sorriso che stava trattenendo. Nonostante fosse un pessimo pubblico, era piacevole suonare per una persona sola, senza alcun riflettore, senza alcun accompagnamento. Fu dopo un po' che la Strega riaprì gli occhi: - Ehi. -
- Sì? -
- Ma quanto dura questa musica? -
- È in loop. È fatta per poter durare potenzialmente all'infinito. -
- Ah. - La Strega si raddrizzò - si era appena appena curvata verso di lui - e disse: - Va bene, basta così. -
Johnoh diede un paio di colpi al tamburello, lo mosse per far tintinnare i sonagli e colpì la membrana un'ultima volta, con tutte e cinque le dita.
- Grazie, grazie! - esclamò il musicante, rimettendo a posto lo strumento: - Troppa bontà! -
- Non ho detto niente. - La pelle del viso della Strega sembrava in qualche modo più colorata.
- È giusto ringraziare il pubblico. - precisò Johnoh: - Di certo qualcuno ha apprezzato! - Un gran sorriso e una frecciata.
- Chi ti dice che io abbia apprezzato? - borbottò la Strega, l'espressione più colpevole dell'universo, neanche fosse stata beccata a rubare Biscotti Magici.
- Nessuno, nessuno, certo. - Il musicante non si diede pena di dire oltre. Il linguaggio del corpo della Strega era molto più esplicito di lei.
- Era davvero una bella musica, sì. -
Una voce spezzò quel momento. Johnoh e la Strega si guardarono intorno, orecchie tese e occhi aperti.
La voce era molto giovane - impossibile capire se fosse maschile o femminile - e proveniva da... uno spazio tra due alberi. Il musicante e la Strega scattarono in piedi, mentre la creatura appena arrivata si faceva avanti.
Il cielo iniziava a sfumare in colori più chiari, l'orizzonte divenne una linea dorata. La temperatura nel bosco era precipitata. L'ombra della notte iniziava a sbiadire. Con la ritrovata quasi visibilità, la creatura apparve in tutta la sua morbida presenza: un metro scarso considerato metro solo con tanta bontà, una massa informe di lunghissimi capelli verde scuro, un'altrettanto informe giacca di pelo fucsia con informe colletto peloso bianco, in sostanza un blob di pelo fucsia e capelli verdi che, per le proporzioni che pareva possedere, doveva essere sprovvisto di metà busto e avere quantomeno le ginocchia ad una spanna di distanza dalle spalle. Il viso era rotondo, gli occhi erano allungati e di un verde acceso. Quando incrociò quello sguardo, Johnoh sentì un brivido lungo la schiena: era a dir poco inquietante.
- Un... folletto? - osò chiedere, la voce uscì più bassa del previsto.
Quando udì la Strega trattenere il respiro, iniziò ad avere paura: - Ma tu... - la sentì boccheggiare. Il musicante sgranò gli occhi, incapace di guardare la donna: "Possibile... possibile che abbia paura di questo folletto?" Un tremito: "Ma chi è?".
- Sì. - Il folletto ghignò: - Sono proprio io. - Aprì le piccole braccia, trionfante: - Il terribile Mohkwbah Kayibah! - Scoppiò in una risata acuta e sinistra che fece serrare i pugni a Johnoh.
- Mohkwbah Kayibah... - La Strega sembrava aver perso la voce: - Se c'è lui... Possibile ci sia anche...? - La voce era strozzata. Johnoh non riuscì a voltarsi verso di lei, pietrificato.
"Chi è questo folletto?" Non riusciva a distogliere lo sguardo: "Come può essere in grado di ridurre la Strega in questo stato?" Un altro tremore: "E di chi altro sta parlando? Possibile debba mostrarsi qualcun altro, qualcun altro capace di sconvolgere la Strega a tal punto?".
La sua mente non riusciva a pensare a niente capace di risultare tanto spaventoso. E questo lo terrorizzò.

- Oh. -
Lo yatch faceva bella mostra di sé in mezzo al bosco, all'interno di una buca tanto grande da contenerlo. O, meglio, doveva essere appena stato tirato fuori da sotto terra e quella buca doveva esserne il risultato.
- Sì, è proprio lui! - Il corvo era entusiasta: - Sei stato bravissimo, Malishid. Eccoti il tuo premio. - Porse una mano al gigante ammantato al suo fianco. Sulla mano, uno zuccherino. Il gigante lo prese e lo portò davanti agli occhi verde oro, quasi fosse indeciso sul da farsi.
- Erano anni che non lo trovavo! - sospirò il corvo, avvicinandosi alla barca: - Mi chiedo come sia finito qui. -
- È stato lasciato qui tempo addietro e la Natura l'ha fagocitato. - fu la saggia risposta di Malishid. Dopo aver pronunciato tali profonde parole, decise di assaporare lo zuccherino in un sol boccone.
- Sì, la Natura da queste parti è piuttosto affamata. - concordò il corvo: - Lasci una cosa in giro e tempo due giorni se la mangia. Ma non risponde alla mia domanda. - Battè su una mano l'estremità sferica del suo scettro d'oro, dalla parte della palla e non delle ali à la ascia bipenne, che l'ultima volta era finita male: - Perché il mio yatch è in mezzo al bosco? -
Malishid era troppo impegnato a degustare lo zuccherino per rispondere. E poi lui aveva già dato: andando in giro, aveva notato uno yatch in mezzo agli alberi e, ritenendo la cosa interessante, era andato a chiamare un altro elefante e Malic. L'elefante appena arrivato e l'elefante che c'era prima ma non era stato nominato se n'erano presto andati e il corvo aveva potuto rimirare lo spettacolo innaturale.
Insieme a loro era presente anche una decina di Ghouls, così chiamati non perché fossero effettivamente ghouls ma perché Malic l'aveva trovato un nome carino. Ed erano costoro che avrebbero dovuto rispondere alla domanda del capo del loro capo, pena lo scettro d'oro in testa - dalla parte affilata.
- Deve essere stato quella volta... - esordì un Ghoul: - Che vi siete molto arrabbiato e avete fatto precipitare svariata roba da Kul Elna. -
Dato che i Ghouls erano tutti abbigliati allo stesso modo - un tunicone nero con un grosso occhio viola sul cappuccio - ed erano bene o male tutti della stessa corporatura, era difficile capire chi avesse parlato, quindi Malic non si diede pena di girarsi a guardarli: - Ah. - si limitò a dire: - È atterrato in piedi e sembra in ottime condizioni. - osservò, facendosi più vicino: - Allora il suo costruttore non mentiva quando diceva che era indistruttibile! - Annuì alle sue stesse parole: - Dovremmo trovarlo e dargli qualche soldo in più! -
- Non gli avete mai dato soldi, maestro Malic. - gli ricordò Malishid, finito lo zuccherino: - Il costruttore ha voluto in cambio una fattura a morte da scagliare contro il suo peggior nemico. -
- Ah, suppongo sia morto, allora. - Il corvo lo guardò, un sopracciglio inarcato: - Nessuno si cura mai di quella controindicazione per cui le fatture a morte tendono a tornare indietro triplicate di violenza. -
- In realtà no. - proseguì Malishid: - La usò male e la fattura non andò mai a buon fine. Il costruttore si è trasformato in un gigantesco riccio di mare blu con i tentacoli lunghi sei metri e al momento è disperso nell'oceano. -
- ... Non sapevo che le fatture mortali usate male trasformassero in ricci di mare blu e giganti con tentacoli lunghi sei metri. -
- È stata una sorpresa per tutti. - concluse Malishid, chinando appena il capo.
- Perfetto, allora! - Malic tornò allo yatch: - Ho ritrovato il mio yatch e non devo darne conto a nessuno! -
Malishid, pur sapendo di essere l'autore del ritrovamento, si accontentò dello zuccherino.
- E, insieme allo yatch, c'è anche altro... -
Malishid e i Ghouls si misero all'ascolto: davanti ai loro occhi c'era solo e soltanto uno yatch di trenta metri nel mezzo del bosco. Cos'altro aveva visto il loro piumoso vice-datore-di-lavoro? Tra l'altro, aveva abbassato la voce quando aveva detto quell'ultima frase e di solito non era mai un buon segno - di solito, significava lavoro.
Malic alzò lo scettro d'oro in modo da averlo parallelo al fianco della nave. Lo fece ruotare sul suo baricentro con entrambe le mani - una mano sola avrebbe implicato il ritrovare lo scettro a terra e almeno undici testimoni da sopprimere. In pochi istanti, attorno allo scettro si materializzò qualcosa: dapprima impercettibile, poi trasparente, poi visibile. Ad ogni giro, qualcosa di verde e filiforme si avvolgeva attorno allo scettro, divenendo sempre più concreto. Dopo qualche minuto, Malic allontanò lo scettro, ormai un morbido bozzolo verde. Per un istante, la mente dei presenti fu attraversata dall'idea che la crisalide si aprisse per rivelare una farfalla gigante dalle ali taglienti, pronta a calare su di loro e prenderli a scudisciate ad ogni battito, ovviamente senza risparmiarsi di creare il famoso ciclone dall'altro lato del mondo - che sarebbe ovviamente risultato di vento tagliente. Invece, con totale semplicità, Malic ne prese un batuffolo e se lo mangiò. Solo allora i presenti realizzarono la sua natura di zucchero filato. Malishid si fece attento. Il corvo lo notò. Con un sospiro, gli porse lo scettro: - Va bene, puoi prenderne un po'. -.
Quando Malishid lo assaporò, disse, stupito: - Ma è...! -
- Sì. È magia. - confermò Malic: - Una magia mai sentita da queste parti. -
In verità, Malishid voleva dire che quello zucchero filato era troppo salato, ma non ebbe cuore di rovinare la frase del corvo.
- Viene da parecchio lontano. - Il corvo ne mangiò un altro pezzo: - Da un posto in mezzo all'oceano, visto quant'è salata. Spero che il costruttore dello yatch non si sia stabilito da quelle parti, o rischiamo di avvelenarci con rimasugli di fattura. -
Malishid aveva la pelle color cappuccino quindi il suo pallore improvviso risaltò all'istante. I Ghouls fecero un passo indietro.
- È una magia potente e antica. Spero che il verde non sia dovuto alla muffa. -
Il volto di solito inespressivo di Malishid si animò con due occhi perfettamente rotondi.
- Chiunque abbia tirato fuori lo yatch deve essere sotto la protezione di una Strega. - Malic continuava a mangiare lo zucchero filato magico, incurante delle reazioni sconvolte del gigante: - I rimasugli di magia sono troppo deboli perché sia passata lei. Devono essere stati i suoi servitori. Credo fossero in tre. -
- Maestro Malic... - osò intervenire Malishid, alla fine: - Forse non dovreste continuare a mangiare quella- -
- Ho mangiato magie ben più disgustose. - commentò l'altro, lapidario: - Questa non è malaccio. Troppo salata, forse. -
Malishid non disse altro.
I Ghouls tacquero. Se mai il corvo si fosse sentito male, non avrebbe potuto accusarli e di certo il capo del capo del loro capo sarebbe stato troppo divertito per punirli - più probabile, anzi, si sarebbe schierato dalla loro parte.
- Su, mettetevi al lavoro! -
- Cosa? - I Ghouls sobbalzarono, sconvolti: venivano pagati essenzialmente per non fare niente tutto il giorno e tutta la notte ed era rarissimo che una qualsiasi delle persone in comando desse loro delle cose da fare! E ora ricevevano un ordine così, all'improvviso, nonostante fosse ovvio avrebbero dovuto lavorare? Malic era davvero malvagio, il corvo più crudele che quelle terre avessero mai conosciuto.
- Qualcuno si metta alla guida e riporti lo yatch a Kul Elna. -
- Ehm, maestro Malic... - Uno dei Ghouls si fece avanti.
- Sì? -
- Nessuno di noi ha la patente nautica. -
- E con ciò? -
Tutti riconobbero la stupidità di quell'obiezione. Il Ghoul tornò nel gruppo. Un altro prese il suo posto: - Maestro Malic. -
- Sì? -
- Nessuno dei presenti è in grado di utilizzare una magia tanto potente da smuovere un mezzo di tali dimensioni. Come possiamo trasportare uno yatch di trenta metri addirittura fino a Kul Elna? -
Malic non rispose subito. Senza staccare gli occhi dal Ghoul, azzannò un altro pezzo di zucchero filato. La sua espressione era abbastanza contrariata. Stava iniziando a perdere la pazienza e nessuno aveva intenzione di vederlo arrabbiato.
- Quelli della Q8 riescono a far andare le barche anche nel deserto e sull'asfalto, voi potete benissimo farle risalire una montagna! -
- Agli ordini, maestro Malic! - Come una sola persona, i Ghouls si affrettarono a salire sullo yatch, decidendo di fare cose a caso nella speranza che almeno una funzionasse.
Solo Malishid era rimasto accanto a Malic. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, il corvo ridacchiò: - Proprio come ha detto Malikura. Una Strega antica proveniente da lontano, forse dall'oceano. - Un sorriso fin troppo tranquillo: - Saremmo proprio dei pessimi vicini se non andassimo a trovarla. -.

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Note:
* "Parabasi" (παράβασις, parábasis / "andare verso (il pubblico)"): Parte della commedia greca in cui l'autore, attraverso un personaggio che si avvicina o scende tra il pubblico, espone le proprie idee circa la politica o eventi contemporanei. L'attore si toglieva la maschera, creando un senso simile alla rottura della quarta parete.
* Le sette terre colorate di Chamarel sono delle vaste aree sabbiose di circa sette diverse tonalità di colore. Sono situate vicino al villaggio di Chamarel, nell'isola di Mauritius. [ Wikipedia ]
* "Basta un poco di zucchero e la pillola va giù!": «Un poco di zucchero», da Mary Poppins.
* Il Roc (o Rok) è un uccello mitologico bianco tanto grande e forte da poter afferrare un elefante. Appare in diverse storie, tra cui quella di Sindbad, il marinario ne Le mille e una notte. [ Wikipedia ]
Esiste anche una carta basata sul Roc, Roc dalla Valle della Nebbia.
* Probabilmente qualcuno lo saprà, ma "edgy" (letteralmente, "tagliente") indica una persona alquanto irritabile e/o irritata col mondo - di solito si accompagna a vestiti punk.
Poi, se non fosse chiaro, sì, Ryansel e Amanetel hanno scambiato Alystehr per una donna.
* Vahlon, Alystehr e Rahphael provengono da una misconosciuta fiaba dei fratelli Grimm, I tre fratelli, da cui anche i loro bizzarri metodi di cattura.
* Il riferimento alla Q8 e alle navi che arrivano ovunque è dovuto a questa pubblicità e altre simili.


Ebbene sì, in questa storia i tre di Orichalcos sono fratelli: Vahlon è il minore, Alystehr il mezzano e Rahphael il maggiore. Myrkoh, Sohnyah e Jwlyan sono fratelli tra di loro, ma sono cugini del trio sopracitato. La famiglia reale rimane come nel canon - Hyonah e Khrys come moglie e figlia di Dahrtz, Hayronarth come suo padre.
Non so se tutta la compagine della Doma sia uscita IC o quantomeno plausibile, però mi è piaciuto scrivere di loro. Soprattutto i dialoghi di Dahrtz. *Dizionario dei sinonimi a me!*
Ricordo che la stramisconosciuta fiaba da cui proverrebbero i tre fratelli la trovai per puro caso, mentre cercavo qualche fiaba dei Grimm da cui trarre ispirazione per i personaggi della Doma. Non ricordo perché, ma la trovai perfetta. (!) Decisi quindi fin da subito di farli imparentati, mettendo da parte qualsivoglia ipotetico rapporto romantico. Sì, ho anche vagamentissimamente pensato di farli figli di Dahrtz, ma poi ho cambiato idea. (!)

Oltre alle fantasmagoriche avventure della Doma, fanno la loro apparizione da una parte un corvo, un poveretto e un gruppo di fannulloni e dall'altro un simil folletto dal bizzarro aspetto.
Riguardo la definizione "corvo": in questa storia, alcuni personaggi sono definiti con un animale - Johnoh come cane, Malic come corvo, nei prossimi capitoli ci sarà qualcun altro. Ecco, loro sono cani (per quanto Johnoh lo neghi), corvi e altro, sono unanimamente riconosciuti come tali, ma hanno un aspetto del tutto umano. Sì, è nonsense come sembra.
Non so se la gerarchia dei Ghouls possa risultare confusionaria ma, anche se fosse cristallina, la spiego lo stesso: qui sono agli ordini di Malishid, che è agli ordini di Malic, che è agli ordini di Indovinachi.
Infine, Mohkwbah Kayibah, pelosissimo e dalle proporzioni misteriose causa il suo design da Serie 0 che porta con sé la palese chiamata in scena di Ello. So che ci tenete a saperlo: sì, lo confesso, copio-incollo il suo nome ogni volta.

Detto tutto ciò, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!

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Capitolo 6
*** Deútero Epeisódio - próto méros ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

— Nota: Questo capitolo è stato scritto nel 2020.

DEÚTERO EPEISÓDIO
[próto méros]



Johnoh non era mai stato il primo della classe, ma era sicuro che un uomo allenato e una donna forzuta potessero liberarsi facilmente di un marmocchio alto neppure un metro e dalle proporzioni discutibili.
Eppure, la Strega non gli aveva dato alcun ordine - lei stessa non faceva che trarre respiri profondi, quasi stesse cercando di calmarsi. Ed era questa la cosa che bloccava il musicante: "Questo bambino è dotato di qualche potere terrificante?" Non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi: "Tanto da sconvolgere la Strega della Casetta di Gioielli?".
- Sì, bravi! - Il bambino, o folletto, Mohkwbah, puntò un dito contro di loro: - Tremate di paura d'innanzi alla mia magnifica persona! -
"Ma chi accidenti sei?" Johnoh s'impedì di aprire bocca. C'era tensione, nell'aria, e una minuscola variante avrebbe potuto spezzare un tacito equilibrio. O qualcosa del genere.
Sentì la Strega fare un respiro più profondo degli altri, per poi dire, a voce più bassa del previsto: - Mohkwbah. -
- Vuoi implorare pietà? - Un ghigno enorme deformò la faccia rotonda del bimbetto. Era grottesco.
La donna esitò un istante, un minuscolo istante, prima di chiedere: - Tuo fratello è nei paraggi? -
"Suo fratello?" Johnoh si rivolse alla Strega solo con lo sguardo: "È questo ciò che la spaventa tanto?"
- Ah, non ne ho idea. - Il marmocchio alzò le spalle: - Ma non pensate a lui. Pensate a me! Me! Il vostro peggiore incubo! -
La Strega espirò come se avesse trattenuto il respiro per quarantacinque minuti. Quando parlò, la sua voce era ferma: - Abbiamo da fare, Mohkwbah. Non possiamo star dietro ai tuoi allenamenti da bullo. -
Johnoh riuscì finalmente a voltarsi in direzione della Strega: "Il suo atteggiamento è completamente cambiato.". Un groppo alla gola, improvviso. Deglutì, ma quello era ancora lì: "Ciò di cui la Strega aveva paura non era questo folletto... ma il suo fantomatico fratello!". Come poteva essere, questo fratello? Era forse un troll violento e sanguinario, o un golem possente e deciso, o un lombrico viscido e oblungo? Oppure era una Strega? - Anzi, Stregone, perché le Streghe maschio si chiamavano Stregoni. Sia la Strega che i due goblin avevano parlato di uno Stregone in zona, possibile si trattasse di lui? Scosse la testa. Quel marmocchio sembrava un folletto, suo fratello doveva essere una sorta di folletto a sua volta, no? Forse un brownie, un leprecauno, un lutin o un coboldo?
- Ehi! - Mohkwbah saltò sul posto, il ghigno si era trasformato in un'espressione stizzita: - Smettetela di non prendermi sul serio! Sono qui per farvi passare le pene dell'Inferno più oscuro! -
- Con tutto il fuoco che si dice esserci all'Inferno, non direi sia poi così oscuro. - La Strega ridacchiò. Qualsiasi tensione era del tutto svanita.
- Mia signora... - Johnoh si sentì in diritto di essere confuso: - Chi è questo giovane? -
- Sono Mohkwbah Kayibah! - Il diretto interessato rispose all'istante, la voce più alta di un'ottava: - E sono una delle creature più temute del bosco! -
- Un aspirante bullo di quartiere. - completò la Strega, il tono piatto: - È molto giovane e riconosco che ha del talento. La roulette russa con il cibo avvelenato era un'idea magnifica. - "La che cosa?" - Il problema è che... - Un sospiro esasperato: - Vuole sperimentare le sue torture su tutti quelli che incontra. È un po' scocciante doverlo mandare via ogni volta... -
- Scocciante? Scocciante? - Le piccole mani di Mohkwbah si serrarono. Gli occhi si ridussero a fessure. Poi, di colpo, l'espressione si fece rilassata: - Capisco. Non avete ben chiaro il pericolo in cui state incorrendo. -
- L'unico pericolo che io percepisco è- - La Strega si premette una mano sulla bocca e abbassò lo sguardo. Johnoh non sapeva come reagire: era palese che non prendesse minimamente sul serio il folletto informe davanti a loro, ma qualcosa, nel di lui fratello, la sconvolgeva. Era difficile sentirsi tesi per una persona non presente in presenza di una persona per cui non sentirsi tesi affatto. Ad ogni modo, era ora di agire.
Johnoh fece due passi avanti: - Io non ti conosco, ragazzino. - disse, ostentando una calma che aveva solo per metà: - Quindi dimmi... Cosa vuoi, da noi? -
Mohkwbah si sfregò le mani, negli occhi verdi una luce sinistra - una punta di sadismo. Non prometteva bene.
- Voglio che imploriate pietà! -
- Uhm... - Johnoh mise le braccia conserte: - E come pensi di far sì che ciò avvenga? -
- Vi sfiderò ad un gioco mortale! - Il ragazzino era di nuovo gasato: - Un gioco da cui dipendono le vostre vite, un gioco in cui ciò che perderete sarà ben più della reputazione o del denaro, un gioco in cui- -
- Sì, lo so cos'è un gioco mortale. - lo interruppe il musicante: - È implicito nella parola "mortale". -
Un soffio accanto a sé. La Strega aveva cercato di trattenere una risata leggera, con scarso successo. Per qualche motivo, Johnoh ne fu soddisfatto.
- Guarda, noi resteremmo pure a fare un gioco mortale con te... - proseguì Johnoh: - Però abbiamo due ladri da catturare, quindi andiamo un po' di fretta. -
Ogni singolo muscolo sulla faccia di Mohkwbah era tornato a irrigidirsi. Ormai il suo volto era una maschera, tanto era irreale. Con un movimento secco, il folletto estrasse qualcosa dal suo cappottone fucsia: una stilografica che gridava costosità da ogni millimetro e un blocchetto degli assegni.
- Quanto volete per fare un gioco mortale con me? -
- Eh? - Johnoh si fece attentissimo.
- Oh, Mohkwbah... - La Strega si battè una mano sulla fronte, un sorriso a metà sulle labbra: - Non puoi pagare la gente per farti da vittima nei tuoi giochi mortali. -
Johnoh era interessatissimo.
- Il mio nobile fratello dice che il denaro è la soluzione ad ogni problema. -
La donna tacque un attimo. Anche solo nominare questo fantomatico fratello la raggelava: - E ha ragione. - disse, quasi con cautela.
- Allora- -
- Ma io ho già tutto il denaro che possa volere. - spiegò la Strega, di colpo trionfante: - Puoi mettere via la tua arma più temibile, giovane Kayibah. I vostri soldi infiniti non hanno potere su di me! -
Con un verso di disappunto, Mohkwbah mise via stilografica e blocchetto degli assegni. Con un verso di disappunto, Johnoh seguì con lo sguardo ogni singolo movimento, senza neppure sbattere le palpebre. Era tentato dall'allungare le mani e gettarsi in ginocchio ai minuscoli piedi del ragazzino, ma sapeva che, nel caso, la Strega gli avrebbe minimo appiccato fuoco ai capelli.
- Continui a non prendermi dovutamente sul serio, Strega! - sibilò Mohkwbah: - Non sono più il marmocchio che hai incontrato anni fa! -
- Ah, no? - La Strega sbattè le palpebre, perplessa: - Mi sembri piccino piccino morbido morbido informe informe come ti ricordavo. -
Johnoh iniziò a riconnettersi alla realtà. Un assegno in bianco era stata una botta emotiva non indifferente.
- Non sono piccino piccino! - I piccoli pugni di Mohkwbah tornarono a serrarsi: - Per diventare grande, mangiavo ogni dì anche quattro dozzine di uova! - Gonfiò il petto: - E ora ne mangio anche cinque dozzine! -
"Eh?" Johnoh si mise a contare sulle dita.
- Non mi sembra abbiano avuto molto effetto. - commentò la Strega. Era il ritratto del relax: - Anzi, pensandoci bene, forse un effetto lo stanno avendo. Stai diventando ovale! - Una risatina.
Il folletto saltò sul posto: - Non sono ovale! -
- Poi ti verranno i capelli bianchi come l'albume e la tua pelle sarà arancione chiaro come il tuorlo... - Una mano al fianco, un dito puntato contro, una risata accennata giusto per non scoppiargli a ridere in faccia.
- Taci, Strega! -
- E quando ti arrabbierai, come in questo caso, diverrai un uovo sodo! E se ti mettessi il gel nei capelli saresti un uovo alla coque! -
- Brutta- -
- Scusa, Mohkwbah. - La voce di Johnoh portò l'attenzione su di lui.
- Che vuoi? - Gli occhi del folletto erano iniettati di sangue. Era più grave del previsto. Doveva sbrigarsi ad informarlo.
- Hai detto di mangiare quattro dozzine di uova. - riepilogò.
- Ora cinque! -
- Quattro dozzine di uova sono quarantotto uova. - contò Johnoh: - E cinque dozzine sono sessanta. Sessanta uova ogni giorno, per sette giorni, fanno quattrocentoventi uova a settimana. - Mostrò le mani: le dita di una mostravano un quattro, quelle dell'altra un due. Guardò il ragazzino, esitante: - Non è per dirti niente, eh, ma forse dovresti darti un'occhiata al colesterolo. -
- ... Eh? - Gli occhi verdi di Mohkwbah si sgranarono completamente.
- Già è poco consigliato mangiare tre uova a settimana... - spiegò il musicante: - Quattrocentoventi uova in una settimana avrebbero già stroncato mezzo regno di esseri umani. Fatti controllare! -
Mohkwbah pareva diventato una statua. Era immobile, forse neanche stava respirando. Gli occhi spalancati, la bocca semiaperta, i pugni stretti, un pallore quasi mortale sul viso.
In un battito di palpebre, il folletto si riprese e scattò come se avesse udito lo sparo dei duecento metri piani.
In un battito di palpebre, del folletto non c'era più traccia.
- Credo sia davvero andato all'ospedale per fare dei controlli. - La Strega battè una mano sulla schiena di Johnoh, riuscendo a non fargli male: - Hai tolto di torno quel marmocchio e hai persino fatto una buona azionAHaHahAhAHAh! - Cadde seduta a terra, le mani sullo stomaco, le lacrime agli occhi: - Oh, mia Arpia, che scena bellissima! - Si passò una mano sulla guancia: - Quel mostriciattolo messo in fuga così! AhaHahHAHAHahah! -
- Ve ne sareste potuta liberare facilmente. - Johnoh portò le mani ai fianchi: - Perché non l'avete fatto? -
- E sprecare così la mia magia? - Le risate della Strega iniziavano a placarsi: - Mohkwbah è innocuo. È solo difficile da mandare via. -
"Non so quanto sia innocuo uno che fa giochi mortali..." Ormai il musicante aveva imparato che, in quel bosco, tutte le cose a forma di bambino erano spietate. Tranne Rosyami. Lui sì che era un bravo bambino a forma di bambino!
- Ti confesso di essere molto colpita, Johnoh. - La Strega si rialzò, le risate ormai quasi finite: - Non ti credevo così astuto. -
- Astuto? - Questa gli suonava nuova.
- E sadico. -
- Sadico? - Questa era più giustificata. Stava pur sempre seguendo una Strega a caccia di due bambini e aveva appena lasciato che un piccolo folletto venisse impunemente bullato dalla suddetta Strega. Che poi i due bambini fossero un'Idra a due teste e il folletto un bullo sanguinario erano dettagli insignificanti.
- Un po' mi dispiace che il nostro accordo scada tra due giorni. -
"Ah." Vero. Era da poco sorto il sole del dodicesimo giorno.
- Non è che sia vincolantissimo. - buttò lì: - Voglio dire, c'è sempre il rinnovo del contratto. -
Quando la Strega non guardava male il prossimo, riusciva a fare una serie di espressioni persino graziose. Tipo quella con gli occhi sgranati seguita, con un lento battito di ciglia, da quella con un sorriso che si sarebbe potuto lontanamente definire qualcosa di vicino all'idea che si sarebbe potuta per sbaglio avere di "gentile": - Brami così tanto farti comandare a bacchetta? -
- Certo che no. Quel che faccio lo faccio per pagare vitto e alloggio. Se rinnovassi il contratto, esigerei l'eliminazione della parte in cui mi date fuoco. -
C'erano troppe cose che non avevano senso. Lui se n'era andato da Brema per viaggiare, non per stabilirsi in un bosco bizzarro a casa di una Strega dispotica. Perché non sentiva ancora il bisogno di rimettersi in marcia? Non lo sapeva, ma forse, rimanendo lì, avrebbe potuto avere più tempo per scoprirlo. E poi, insomma, non è che il resto del mondo scappava, mentre lui si prendeva una pausa più lunga del dovuto.
- Toglimi una curiosità, Johnoh... - Non si era accorto di quanto la Strega si fosse avvicinata: - Ma tu quanti anni hai? -
- Uh? - Giusto. Non gliel'aveva detto. - Sedici. -
Occhi viola a mezz'asta.
Johnoh ricambiò con un sorriso tiratissimo. "Mi sa che non ci ha creduto..."
- Sedici... - ripeté la Strega, piano: - Fammi indovinare. E sono sicura che indovinerò senza usare i miei mirabolanti poteri magici. - Inarcò le sopracciglia: - Hai sedici anni come Hondah e Hotogih, i nostri affascinanti- - calcò sulla parola: - -fattorini della pizza, che hanno sedici anni da dieci anni. -
- Eeeeeeeeehm... - Johnoh distolse lo sguardo. Era ormai giorno, ma la luna si intravedeva ancora. In effetti, era davvero interessantissima! Come aveva potuto non notare il suo bucherellato fascino?
Continuava a sentire lo sguardo della Strega su di sé. E anche le sue dita curatissime e artigliatissime, ancorate alle sue spalle, e la sua morbida cascata di capelli, e il suo seno che occupava abbastanza spazio e l'odore fin troppo pungente di bruciato.
Niente di sensuale o romantico, la Strega gli stava quasi letteralmente salendo addosso per piantargli gli occhi nei suoi.
- E va bene, va bene, ho... - Deglutì: - Anagraficamente dieci anni in più di sedici anni. -
La Strega lo lasciò e Johnoh quasi cadde per il contraccolpo: - Sei giovane ma non troppissimo, eh? - Una risata leggera: - Già inizi ad abbassarti l'età! -
- Lo fanno tutte le star! - Voleva essere una protesta, ma suonò più come una giustificazione.
L'altra continuava a ridacchiare, una mano davanti alle labbra. Era finalmente rilassata. Niente folletto inquietante nei dintorni, niente forno, niente bambini demoniaci.
Un giorno Johnoh si sarebbe rimesso in viaggio, ma non sapeva quando. Al momento, non gli importava neppure pensarci, anche se non ne capiva il motivo. Lo accettò e basta.
- Capisco, capisco... - La Strega gli tese una mano: - Dato che mi hai rivelato questa preziosa informazione, te ne fornirò un'altra di valore anche maggiore. -
Il musicante guardò la mano tesa. Non sapendo cos'altro fare, la strinse. Era calda e piacevole e, in qualche modo, gli sembrò che qualsiasi barlume di stanchezza svanisse, che la mente fosse più riposata, che tutto il suo corpo fosse di colpo più forte e resistente. Si rese conto di quanto fosse stupido pensare una cosa simile e sentì le guance più calde del dovuto. Se non altro, lo aiutavano a non congelare nel freddo dell'alba.
Quando udì le successive parole dell'altra, qualcosa, nel suo petto, sobbalzò.
- Mi chiamo Mahi. -.

La luce dorata dell'alba si tinse di verde chiaro non appena attraversò le vetrate delle grandi finestre del castello. I contorni degli oggetti divennero più definiti, i colori virarono su diverse sfumature di verde e non fu più necessaria alcuna luce per vedere dove si stesse andando. Non che il castello fosse provvisto di luci artificiali, naturalmente.
Lord Dahrtz stava in piedi davanti ad una delle enormi finestre ad arco, in attesa del ritorno dei suoi tanto fidati cavalieri. Mancava poco, ormai: sarebbe bastato soltanto che la Strega dal nome alimentare gli vendesse il nobile e mistico orichalcos perché, finalmente, la Sacra Missione giungesse al suo giusto termine. E, soprattutto, in quel modo il grande re Dahrtz avrebbe nuovamente potuto incontrare il più magnifico e maestoso drago-serpente-pesce che il mondo avesse mai visto.
- Lhevyathan... - Aprì le braccia, lo sguardo al sole verde pallido: - Sei già desto o sei assopito? Soggioghiamo insieme, dai... -
Ricordava la primissima volta che lo aveva evocato, ormai un paio di millenni prima. Chilometri di scaglie violacee, scure punte aguzze sul muso affusolato, occhi gialli e due file di migliaia di denti affilati, un'immensa creatura che ricopriva il cielo con la sua solenne presenza. Non era potuto rimanere indifferente di fronte a qualcosa di tanto sublime.
- Giacché non ti miro più scorato son... La tua lontananza sento, sai? -
Insieme avevano conquistato tutte quelle terre che si erano rifiutate di sottomettersi con le buone. Lord Dahrtz portò una mano al petto, chiusa a pugno: era un dolore enorme sapere che Lhevyathan non fosse sempre lì, al suo fianco, come lo spettrale mastino Skyeh faceva con sua figlia Khrys, ma che potesse apparire solo se richiamato attraverso l'orichalcos e per la durata di sole cinquantasei ore precise al secondo.
- Noi siam sì vicini, o forse no... Quando invocarti potrò mai? -
Un sospiro. Ma, in fondo, la missione stava tutto sommato proseguendo bene.
- Allorché ti manifesterai... -
Secondo i suoi calcoli, nel giro di massimo due giorni avrebbe avuto l'orichalcos, Lhevyathan...
- Adergeremo una nuova Hatlantyde insieme! -
... e una nuova terra ricca di schiavi e risorse, i suoi abitanti sottomessi pronti a venerarlo come il più grande dei re e a giurargli eterna fedeltà grazie al potere del Grande Lhevyathan.
E qui, si rese conto Lord Dahrtz, ci sarebbe stata bene una risata. Dunque la fece, spezzando il silenzio del castello. Era proprio vero: una risata al momento giusto era incredibilmente rilassante e contribuiva a creare la giusta atmosfera - soprattutto nella tana di uno Stregone.
- E così... -
Una voce mai udita. Dahrtz sgranò gli occhi, colto di sorpresa.
- Tu vuoi evocare questo Leviacoso per detergere una nuova Tlantide? -
- Adergere. - Un'altra voce sconosciuta: - Vuol dire "erigere". -
"Chi mai è pervenuto in codesto maniero privo di mio assenso?" Con movimenti lenti e di ostentata calma, Dahrtz si voltò a guardare i suoi due ospiti inattesi.
Erano due creature del medesimo cromatismo: pelle scura, abiti neri in misura ridicolmente ridotta e capelli chiari. Una delle due creature era un corvo. Quando il sovrano comprese cosa fosse l'altra, assottigliò gli occhi eterocromi: si trattava di uno Stregone.
- Qual è la cagione per cui vi trovate in codesto loco? - domandò, fermo: - Come vi appellate? -
Lo Stregone e il corvo lo guardarono per qualche secondo, le espressioni del tutto neutre. Poi il primo si rivolse al secondo: - Ma che cazzo ha detto? -
Dahrtz trasalì: - Qual vile volgarità! -
- Non ha apprezzato il tuo linguaggio. - fu la risposta del corvo.
- Grazie, a quello ci arrivavo anche da solo. Dico prima. -
- Ci ha chiesto perché siamo qui e chi siamo. - Il corvo inarcò un sopracciglio: - In questo ordine. -
In un primo momento, Dahrtz si era preoccupato: non si era neppure accorto della presenza di quello Stregone e ciò poteva significare che la situazione si sarebbe potuta evolvere in modo per lui negativo; tuttavia, quello non sembrava particolarmente intelligente, anzi, era persino sboccato e maleducato e non poteva che essergli dunque inferiore.
Nondimeno, si stava facendo tradurre la sua meravigliosa parlata da un corvo. Un pennuto. Fosse stato un drago-serpente-pesce avrebbe compreso, sarebbe andato bene anche un canide o un felino o un anfibio, ma... un pennuto no, suvvia.
- Allora rispondiamo in ordine. - Un sorriso sinistro sul volto dello Stregone: - Siamo qui perché ci sembrava brutto non far visita ai nostri nuovi vicini. -
- Vicini...? - ripeté Dahrtz, piano.
- Vicini. - ribadì lo Stregone.
- Vicini. - annuì Dahrtz.
- Può bastare. - s'intromise il corvo.
Una veloce occhiata indecifrabile dello Stregone, che poi tornò al sovrano: - Quanto alla nostra identità, io sono lo Stregone Malikura. -
- Mai udito. -
- Naturale, se siete appena giunto in queste terre. -
Con non indifferente grazia, il corvo si mise tra lui e l'altro Stregone. Per essere un pennuto, era ben più acculturato ed educato di quello che doveva essere il suo padrone.
- Il mio signore è lo Stregone più potente che queste terre abbiano mai ravvisato. - spiegò il corvo. La sua voce aveva un qualcosa di rilassante, quasi ipnotico. La cosa era piuttosto bizzarra dato che, per quanto ne sapeva Dahrtz, erano i serpenti ad avere il dono dell'ipnosi. - Dimoriamo in questo loco da ormai miriadi di stagioni. - proseguì la creatura: - Abbiamo osservato l'intercorrere di viaggiatori di ogni risma e abbiamo influito a nostro aggradamento nelle loro venture. - Aveva fatto due passi avanti, le piume sui suoi pochi vestiti ondeggiavano in modo quasi magnetico: - La replica vi soddisfa, Stregone di Tlantide? -
Dahrtz annuì, nonostante avesse sbagliato il nome della sua gloriosa terra natìa. Quelle parole, però, gli avevano riportato alla mente un'altra coppia di domande: - Come vi è stato fattibile insinuarvi in codesto loco? Come avete eluso la nobile Guardiana Gibigiana? -
Lo Stregone Malikura si era portato accanto al suo corvo. I due si scambiarono una lunga occhiata. Alla fine, a parlare fu purtroppo lo Stregone: - Abbiamo trovato aperto. -
- Aperto?! - Non fosse stato per la sua naturale compostezza, Dahrtz sarebbe sobbalzato.
- Sì, tutto aperto. - Di nuovo quel sorriso sinistro: - Non ci ha fermato proprio nessuno! Dovresti riguardare un attimo le tue misure di sicurezza! -
- Le misure di sicurezza...? - ripeté Dahrtz, piano. Che modo bizzarro di chiamare gli antifurti.
- Le misure di sicurezza. - disse di nuovo lo Stregone.
- Le misure di sicurezza. - mormorò Dahrtz.
- Ce la facciamo a proseguire la discussione senza incartarci ad ogni vocabolo a fine frase? - Il corvo si schiaffò una mano in faccia.
Il re giunse le dita, il tono e lo sguardo erano seri e fermi: - Dovreste prestar vigilanza all'eloquio del vostro corvus. -
- Malic. - disse il corvo, secco. Doveva trattarsi del suo nome.
- Tuttavia, messer Malik, nessuno di voi due- -
- Malic. - ripeté il corvo, secco.
Dahrtz lo guardò nei grandi occhi viola: - Enunciavo, messer Malik- -
- Malic. - ripeté il corvo, secco.
- Con la C. - suggerì Malikura. Aveva un'espressione strana, quasi stesse cercando disperatamente di rimanere serio.
- Abbiate cortesia, messere! - esclamò Lord Dahrtz, con una punta di fastidio: - Quandunque si è udita cotal nomea, la corretta grafia reca la lettera cappa! -
- Sta per Malicorvo. - sibilò il corvo, nonostante non fosse un serpente.
- Qual bagattella! - Dahrtz lasciò andare un sospiro paziente: - Ora udite quel che ho da enunciarvi, messer Malikura e messer Malik. Io non- -
- Malic. - Gli occhi del corvo erano ridotti a fessure.
- Cessate queste risibili corbellerie. - Di certo, la loro tecnica era far perdere la pazienza. Come si poteva comunicare con creature così capricciose, testarde e pronte ad interrompere il proprio interlocutore per la minima sciocchezza? - Enunciavo. Voi- -
- D'accordo. - L'espressione del corvo era mutata. Sembrava divertita, ma di quel divertimento che si potrebbe provare prima di dare un doloroso colpo di grazia ad un nemico molto odiato che si era torturato fino a quel momento: - Darhx. -
Le mani di Dahrtz si separarono, quasi non avessero più forza. Il re non se ne portò una al cuore solo perché aveva un'immagine pubblica da difendere. Serrò le labbra. Non avrebbe ceduto alle sue parole spietate: - Dahrtz. Con il Ti Zeta. -
- Non mi apparite come qualcuno che intende le lettere corrette. - ridacchiò il corvo: - Messer Dahrx. -
- Desistete dal seguitare, messer Malik! -
- Giammai in codesta condizione, messer Dahrx! -
- Proferite quel Ti Zeta! -
- Enunciate quella dannata C! -
- Non avverrà se non sarete voi a desistere per primo! -
- E va bene. - Il corvo serrò i pugni e alzò lo sguardo fiero: - Questa è una dichiarazione di guerra, Stregone Dahrx di Tlantide! -
Questo era troppo! - Re Dahrtz di Hatlantyde! -
- Non mi importa cosa voi siate. - Gli occhi si sgranarono, quasi folli: - So solo che siete appena diventato un mio nemico e come tale la pagherete per questo affronto! - Si voltò e, a grandi passi pesanti, uscì dal portone aperto della sala.
Una risata esplose poco distante.
Solo in quel momento Dahrtz si ricordò della presenza dello Stregone Malikura. Era in tutt'altro luogo rispetto a dove l'aveva individuato poco prima: per la precisione, era in piedi sopra i bauli di oricalchini in monete. Il ritratto della maleducazione.
- Benarrivato in queste terre, sovrano di Hatlantyde! - Lo Stregone Malikura saltò giù dai bauli. Quell'espressione divertita doveva esserglisi tatuata in viso: - Ci impegneremo tutti per rendervi questo soggiorno indimenticabile! - Detto ciò, come il suo corvo prima di lui, si voltò con un frusciare della sua lunga giacca nera ed uscì dal portone aperto della sala.
Rimasto solo, Dahrtz serrò i pugni e tornò a guardare fuori dalla finestra, per placare l'ira dell'offesa: "... Quanta villania nelle Fattucchiere locali.".

Malikura non aveva capito una mazza di quello che si erano detti Malic e lo Stregone Dahrtz.
Sapeva solo che, ad un certo punto, lo Stregone Dahrtz si era impuntato nel non usare quella famigerata C e da lì in poi tutto era diventato bellissimo. Certo, erano secoli che si chiedeva come facesse Malic ad accorgersi quando gli altri pronunciassero la K piuttosto che la C, ma era più divertente vederlo stizzirsi a sorpresa. L'unico punto negativo di quella visita era che aveva rischiato di non avere l'ultima parola e - anzi! - di finire per passare del tutto inosservato. Per fortuna aveva rimediato - e aveva rimediato anche qualcosa di concreto e tintinnante.
- Si sbaglia se pensa di farla franca... - Malic continuava a borbottare, o meglio, a cercare di formulare frasi di senso compiuto invece che maledizioni istantanee: - Crede di aver avuto la meglio, ma non sa cosa lo aspetta... Lui crede che io sia un dolce e gentile corvo, ma non capirà mai che io sono Malicorvo, una delle creature più crudeli e rancorose che queste terre abbiano mai conosciuto... - Nonostante lo sguardo poco sano e i palesi deliri, non aveva ancora vene in vista e i suoi capelli non erano stati attaccati dall'elettricità statica, quindi era ancora relativamente innocuo. Anche se a Malikura non sarebbe dispiaciuto vedergli incenerire tutto nel raggio di sei chilometri, castello compreso. Era divertente, se si era a distanza di più di sei chilometri.
- È stato un incontro deludente. - sbuffò Malikura, distogliendo il corvo dai suoi pensieri poco sensati.
- Irritante, vorrai dire. - sibilò Malic. Avesse avuto il suo scettro d'oro, probabilmente l'avrebbe stritolato.
- No, deludente. - Lo Stregone scosse la testa: - Ha davvero pensato avessimo trovato aperto? -
- Suppongo che i suoi sottoposti siano soliti essere molto distratti. - Dato che aveva usato una parola così gentile e non qualcosa come "babbei" o "pezzi di krill spiaggiato e rinsecchito", doveva starsi vagamente calmando.
- So già come rifarmi di questa delusione. -
Prima che Malikura potesse rivelare il suo piano malvagio, Malic parlò: - Le monete nelle tue tasche non rientrano nel "rifarsi della delusione"? -
- Ovviamente no. Le avrei prese a prescindere. -
- Mi stupisce tu non abbia preso anche l'argenteria. Era proprio lì dietro. -
- Era brutta. -
Era un'argomentazione inattaccabile, quindi Malic tacque.
- Al momento, oltre a noi in questo castello ci sono solo quello là, la famigerata Guardiana e due prigionieri. - Malikura si fermò. Erano indefiniti minuti che stavano scendendo le scale, indisturbati, ed erano giunti ad un qualche piano. Dato che nessuno dei due si era premurato di contarli, non avevano idea di che piano fosse. C'era soltanto una certezza.
- E i due prigionieri sono su questo piano. -
Malic non si sarebbe chiesto come facesse Malikura a sapere una cosa del genere, sia perché l'altro era uno Stregone sia perché su una porta svettava un enorme cartello verde con su scritto "PRIGIONI".
- ... Perché le prigioni non sono nei sotterranei? - riuscì a chiedere, soltanto.
- Perché ad Hatlantyde non hanno un briciolo di gusto. -
Subito dietro la porta, una rampa di scale che andava verso il basso, i gradini alti e stretti, la fine nascosta nell'oscurità. Senza attendere oltre, lo Stregone e il corvo si avviarono nella zona Prigioni, minimamente sorvegliata e priva di qualsivoglia impedimento.
- Guarda che pareti lisce e verdi. - Il disappunto dello Stregone aumentava: - Non una ragnatela, non un teschio, neppure qualche candela mezza sciolta! Non c'è neppure un fantasma, uno scorpione gigante, un kraken che esce dal muro... - Le mani andarono ai fianchi: - Niente! Solo piatto e monotono lisciume verde. Neanche nero. Verde! -
Malic picchiettò un dito contro la parete. Quasi sicuramente non era marmo, ma ne aveva la levigatezza: - Quello Stregone ha una dipendenza dal verde. - Gettò un'occhiata intorno: - Se non altro, è buio. -
- Infatti non si vede un cazzo. Come minchia fanno a muoversi qua dentro? - Un fuoco fatuo si accese nell'aria, di un azzurro cupo. Malic aveva il fondato sospetto che Malikura vedesse al buio senza problemi ma, dato che stavano manifestando tutto il loro disappunto, non lo fece notare.
- Allora. - disse, invece: - Qual è il piano? -
Quando vide quell'ormai conosciuto sorriso psycho, ebbe la certezza che il fuoco fatuo fosse solo per scenografia.
- Rovinare il suo piano. -
Forse Malic era stato troppo vicino allo Stregone, perché l'espressione che assunse somigliava fin troppo a quella dell'altro: - E come faremo? -
- Libereremo i prigionieri. -
L'espressione del corvo s'incrinò appena. Era sicurissimo che quell'affermazione avesse un senso, ma non riusciva a trovarlo: - E i prigionieri sono...? -
- Non so tutto nel dettaglio. - confessò Malikura, appena più tranquillo: - Secondo gli spiriti di Kul Elna, però, si tratta di due bambini crudeli. -
- Ovvio siano crudeli. Sono bambini. -
- Questi sembra siano particolarmente spietati. Sono stati in grado di quasi uccidere la Strega della Casetta di Gioielli. -
Malic fischiò, ammirato: - Uccidere una Strega. Che capacità affascinante! -. Il corvo era solito studiare al millimetro le sue frasi, quindi quell'affermazione doveva essere stata volontarissima. Malikura gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe polverizzato chiunque.
- Per portare a termine il suo piano... - Un sussurro omicida, che andò presto smorzandosi in un tono che si sarebbe potuto definire neutro: - ... Dahrtz deve parlare con la Strega della Casetta di Gioielli e vuole usare quei due mocciosi come materiale di scambio. -
- E si tiene dei futuri cacciatori di Streghe in casa? - Malic ridacchiò, affatto toccato dal tono dell'altro: - Una decisione a favore della sua sagacia. -
- Non è un'idea poi così idiota. - commentò Malikura: - Basta non farli diventare cacciatori di Streghe. - In quale modo, poi, era un'altra storia.
Erano finalmente arrivati in una stanza circolare, la parete costellata di celle che avevano in comune quasi tutte le mura. Nonostante ci fossero almeno una cinquantina di celle, una risaltava su tutte le altre: era chiusa. Ed era anche quella immediatamente davanti all'ultimo gradino, quindi la prima a vedersi. Al suo interno, adagiati su degli altari che forse sarebbero dovuti essere letti, stavano due bambini bianchi.
- Oh, ecco i nostri strumenti di vendetta. - Come se nulla fosse, Malic trotterellò fino alla porta di sbarre verdi. Nessuna trappola, nessun custode, niente. Soltanto un grosso lucchetto. Prima che il corvo potesse dire qualsiasi cosa, il lucchetto scattò e cadde a terra con un tonfo che rimbombò per tutta la stanza. Quando l'eco si fu attenuata, Malic si voltò verso Malikura, avvicinatosi: - Niente evasione teatrale? -
- Non se lo merita. - Lo Stregone aprì la porta con un calcio, anche se sarebbe bastata una semplice spinta leggera. Malic entrò per primo e osservò i due pargoli malvagi: erano un maschio e una femmina e, a giudicare dalla somiglianza, dovevano essere gemelli, o almeno fratelli.
- E così, voi sareste la chiave per portare a termine la nostra vendetta... - Con un ondeggiare di piume, si sedette sull'altare-letto più vicino, quello della bambina: - Gioite, piccoli umani, la vostra stessa esistenza è al centro di una disputa di ben tre Streghe, in un vortice di vendetta e ricatti che avete forse inavvertitamente creato con le vostre mani. - Abbassò la voce: - Forse non ne saprete mai nulla ma, così come la vostra incarcerazione è stata fonte di vittoria per una delle parti in gioco, la vostra liberazione sarà una bramata doppia vendetta da parte di- Che diamine stai facendo? - La voce del corvo tornò del suo volume normale, lo sguardo andò allo Stregone rimasto imbambolato davanti a qualcosa a terra. Guardò meglio.
"... Oh, no."
- Quindi è questo il bottino... - Malikura stava sussurrando qualcosa, rapito: - Il tesoro della Casetta di Gioielli. Gli spiriti di Kul Elna mi hanno detto che quei due l'avevano anche... -
Lo Stregone alzò lo sguardo dal secchiello colmo di gemme luccicanti. Alla luce del fuoco fatuo, anche i suoi occhi brillavano come sinistre gemme luccicanti: - Se ora io rubassi queste pietre rubate, sarebbe un furto al quadrato! - Afferrò il secchiello e si rialzò, trionfante, l'eco della voce troppo alta era quasi insopportabile: - E se la Strega le avesse rubate a sua volta, sarebbe un furto al cubo! -
Malic si premette le mani sulle orecchie in tempo per evitare lo sfondamento dei timpani a causa di una risata fin troppo sentita. Già quella sera aveva perso a briscola contro di lui e aveva dovuto farsi mangiare il cervello dagli Scarafaggi Cerebrofagi, voleva evitare ulteriori danni semipermanenti, soprattutto se a causa sua - certo, poi si provvedeva ad una cura magica totale, ma il dolore lancinante rimaneva per un po'. Abbassando lo sguardo, notò che i due fratelli non avevano fatto una piega. Quasi provò ammirazione per il loro sonno pesante.
- Dobbiamo andare. - sospirò il corvo, una volta finite risata ed eco. Tolse le mani dalle orecchie: - Potrebbero averti sentito. -
- Capirai il problema. - Lo Stregone si sedette a terra a gambe incrociate, il secchiello in bilico su un ginocchio e tutto l'interesse focalizzato nell'esaminazione quasi chirurgica di ogni singola gemma tirata fuori.
- Potresti controllarle a casa? -
- No. -
Malic serrò i pugni. Poteva aver perso a briscola perché aveva giocato la MastroCarta invece dell'Asso, ma rimaneva il campione imbattuto di capricci: - Andiamocene. -
- Cos'è, hai fretta? -
- Sì! -
- E perché mai? - Finalmente, Malikura si degnò di dargli attenzione: - Dubito che lo Stregone Dahrtz o i suoi sottoposti possano darci problemi. -
- Chissene sbatte di Dahrx e dei suoi pezzi di krill spiaggiati e rinsecchiti! - Scese di botto dall'altare-letto, il boato risuonò per le pareti: - Voglio la mia vendetta! -
Lo sguardo stupito dell'altro era palese: - Ah. -
- Portiamo via questi mocciosi e roviniamo il piano di Dahrx! - La sola idea era terribilmente affascinante: - Così quel babbeo imparerà a non provocare la mia ira! - La risata uscì spontanea e risuonò per ogni dove, ampliata dall'eco.
I bambini continuavano a dormire. Malikura si era tappato solo un orecchio, l'altra mano impegnata con una gemma. Quando la risata e l'eco si attenuarono, parlò: - Dopo che ho visto tutte le pietre. -
Malic sgranò gli occhi, indignato: "Avrebbe dovuto dirmi di sì per sfinimento! Avevo praticamente vinto! Mi ha rovinato la scena!" Anche Malikura meritava una giusta vendetta. Così, con due larghi passi, gli andò vicino e buttò a terra il secchiello. Le gemme rotolarono e scivolarono per la stanza - specchiando la luce del fuoco fatuo, sembrava quasi che il pavimento fosse un cielo stellato verde. Le pareti alte catturarono ogni vibrazione sonora, restituendo il rumore di una tempesta di pentole.
Lo Stregone fece un respiro molto lento e molto profondo. Poi sibilò, quasi impercettibile: - Dimmi perché non devo accendere un falò e farmi un pollo arrosto. -
Dato che i fatti dicevano più delle parole, Malic s'inginocchiò, gli afferrò la giacca e gli morse le labbra con forza. Così, per manifestare la sua stizza. Quando si scostò, gli sussurrò: - Portiamo a termine la nostra vendetta e avrai il resto. Fammi arrosto e non avrai mai il resto. Nel primo caso, vinciamo entrambi, nel secondo ci perdiamo entrambi. -
La seconda prospettiva era molto triste, in più di un senso, quindi Malikura dovette cedere di fronte ad un'offerta tanto logica. Tuttavia, Malic aveva commesso un errore.
- D'accordo, andiamo. -
- Ottimo- -
- Dato che sarò impegnato ad aprire un varco e tu hai tutta questa fretta, sarai tu a raccogliere le gemme. -
Il corvo impallidì: - Prego? -
- Non me ne vado da qui senza le gemme e tu non puoi andartene senza di me. - Un sorriso troppo soddisfatto: - A meno che tu non voglia affrontare Dahrtz, i suoi sottoposti presto di ritorno e quella Guardiana tutto da solo. -
Malic si rialzò, piano, e fece un passo indietro. Sentì qualcosa scricchiolare sotto lo stivale e pregò che le gemme fossero infrangibili.
- Mi raccomando, raccoglile tutte! - Malikura indicò la cappa di buio d'innanzi a loro: - Sono centotrentotto, alcune sono minuscole, chissà dove si sono infilate! -
- No, aspetta- -
- Se la situazione dovesse farsi troppo urgente... - Lo Stregone si alzò, come se nulla fosse: - Dovremmo andarcene di corsa, a prescindere da quante gemme hai ritrovato. Però, a quel punto, sarei un po' irritato e potrei inavvertitamente scagliarti un incantesimo che ti impedisce di toccare il ghiaccio, soprattutto se in cubetti. -
- Cosa? -
- Buona ricerca, Malicorvo! -
- Non oseresti! -
Forse, in quel momento, anche Malic realizzò l'errore che aveva commesso: non era lui la creatura più rancorosa di quelle terre.

Mahi.
Dunque era quello il nome della temuta, tremenda e tirannica Strega della Casetta di GioiellI? "... Ha un suono più carino di quanto ci si potrebbe aspettare da una così.".
- Tu però continua a chiamarmi "mia signora". - La Strega ritirò la mano di scatto e mise le braccia conserte. Le guance erano sfumate di un rosa più acceso.
- Come desiderate, mia signora. - Johnoh non aveva idea del perché la Strega - Mahi - celasse il suo nome ma, se era la sua volontà, l'avrebbe rispettata. E poi, l'idea che solo pochi Grandi Eletti fossero a conoscenza di una simile informazione lo faceva giustamente sentire un Grande Eletto ed era una bella sensazione.
- Bene, finite le formalità... - La Strega si ravviò i capelli, con noncuranza: - Direi di rimetterci in marcia. Chissà dove saranno arrivati quei due mostriciattoli... -
- Non potete usare la vostra magia? -
- Secondo te che cosa ho fatto finora? - Uno sbuffo seccato: - Ho seguito la traccia lasciata dalle mie gemme. Però quei due ghouls devono aver fatto un giro ridicolmente lungo e senza senso, quindi gli odori si sono mescolati a quelli del bosco e si sono affievoliti. -
"Ha seguito l'odore delle gemme...?" Johnoh era stupito: "O l'odore della magia delle gemme...?" L'arte della Strega era strana, e sembrava anche piuttosto complessa. Probabilmente non sarebbe mai riuscito a capirla. Gli tornò in mente un particolare: - Una volta ho sentito qualcosa riguardo dei pendolini per ritrovare le cose... -
- Lascia stare. - La Strega scosse la testa: - Nessuna Strega può ritrovare le proprie cose perdute. Né farsele cercare da altre Streghe. L'unico modo per trovare le cose perdute è cercarle. -
No, il musicante non sarebbe mai davvero riuscito a capire la magia: - Mi state dicendo che voi potreste trasformare i metalli in oro, far innamorare le persone- -
- Far provare attrazione fisica. -
- -maledire, cambiare il colore dei capelli e far cadere il naso ma non potete ritrovare un calzino perduto dentro una lavatrice? -
- Sì. -
La magia era proprio un gran mistero.
- Su, andiamo, andiamo! - Mahi gli afferrò un polso e lo trascinò. La presa era salda, ma le ossa del polso erano ancora integre. Chissà quanto sarebbe durata quella ricerca...
- È davvero una fortuna non vi siate spostati dal luogo in cui vi ha lasciato Mohkwbah. -
Quella era senz'altro la mattina delle voci che risuonavano da Qualche Parte Intorno A Loro. Johnoh guardò subito dov'era apparso Mohkwbah, ma non vide nessuno. La Strega si era irrigidita. Quando riportò lo sguardo su di lei, si accorse che si era premuta la mano libera sulla bocca, gli occhi completamente sgranati.
Un tuffo al cuore.
"Possibile sia...?"
- Oh, no... - La voce della donna era un sussurro strozzato, gli occhi lucidi: - ... È Sehtoh Kayibah. Ci ha trovati! -
Kayibah. Lo stesso nome di Mohkwbah.
Lo spaventoso fratello di Mohkwbah era lì e, da qualche parte, li stava fissando.
Le spalle della Strega furono scosse da un tremore violento.
Gelo.
Johnoh non sapeva cosa fare, non sapeva che tipo di nemico si sarebbe parato d'innanzi a loro. Strinse i denti e i pugni: erano le sue armi e, se fosse stato necessario, le avrebbe usate. Pregò che Mahi fosse abbastanza in sé da usare la sua potente magia.
- Siete in trappola. -
Johnoh tremò. Quella voce bassa e stridula al tempo stesso era raggelante.
Infine, egli apparve.
Una macchia di bianco, rosso e soprattutto verde.
Sehtoh Kayibah era un arcigno folletto alto un metro e mezzo e una carta da briscola messa in verticale, con indosso una pregiata gakuran bianchissima dalle rifiniture in oro, e un lungo e pesante mantello rosso ornato di pelo bianchissimo. La sua carnagione pallidissima, unita al completo bianchissimo, contribuiva ad affossare due piccoli occhi di un inquietante giallo-arancio. Ma la cosa che più risaltava erano i capelli: taglio alla Beatles, di un verde evidenziatore al tempo stesso doloroso per gli occhi e impossibile da non continuare a fissare.
Qualcosa, dal petto di Johnoh, risalì fino alle labbra. I muscoli della stomaco e della faccia si tesero fino a far male. Non riuscì a trattenersi.
- AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHHAHAH! - Cadde in ginocchio, facendosi pure male, una mano premuta sullo stomaco: - Oh, San Bernardo, ma cosa- -
Qualcosa esplose al suo fianco: la Strega era precipitata vicino a lui, la sua risata acuta riecheggiava di albero in albero.
E Johnoh realizzò: Mahi non stava continuando a mettersi la mano davanti alla bocca per lo shock, ma per trattenere le risate.
- No... - La donna boccheggiava: - Tutto ma non Sehtoh Kayibah! - Annaspò: - Non ce la posso fare! NON CE LA POSSO FARE! -
- Ma che- - Una risata bloccò le parole di Johnoh, costringendolo a dar voce a quell'emozione indefinita che stava provando.
- È TROPPO! È TROPPO! - Ormai la Strega era a terra e stava rotolando.
La mente del musicante andava annebbiandosi: quel folletto dall'espressione tanto arcigna, con persino il naso arricciato come se avesse davvero una gran puzza sotto al naso, era quanto di più assurdo e ridicolo avesse mai visto.
- Luridi esseri inferiori. - Per qualche indefinita legge acustica, la voce di Sehtoh Kayibah giunse alle orecchie di Johnoh come il verso di una papera. Scoppiò a ridere in una risata già in corso e un fianco iniziò a mandargli delle fitte.
- Continuate a prendervi gioco di me, se vi aggrada tanto. -
Il musicante non riusciva più a vedere l'arcigno folletto dei boschi, gli occhi coperti da uno spesso strato di lacrime.
- Un giorno la pagherete! -
- Sì, certo! - Johnoh si accasciò a terra: - Ritorna tra sei anni! -
Una pausa. L'essere parlò di nuovo: - Mi stai sfidando, cane? -
Il musicante neanche sentì la necessità di dirgli di non essere un cane: - Sì! - boccheggiò: - Facciamo che torni tra sei anni e- - Cercò aria: - -se sei meno- - Un'altra risata. Riuscì a parlare dopo qualche minuto, dopo aver aspirato ossigeno come se fosse appena scampato da un annegamento: - Torni tra sei anni e se sei- -
- Taglia questa parte. - La voce di Sehtoh Kayibah era diventata una lama affilata - o meglio, era diventata un frinire incazzoso.
- Faccio quello che vuoi tu. - Glielo poteva pure concedere. Ci sarebbe voluto un miracolo per rendere presentabile quell'esserino grottesco. Un ultimo barlume di ragione balenò nella mente di Johnoh: - Senza usare la magia! - specificò: - Migliorare senza usare la- AHAHAHAHAHAHAH! - Stava soffocando, lo stomaco e le guance gli dolevano. La Strega stava sbattendo su tutti i sassi come la pallina di un flipper, facendo anche i relativi suoni direttamente dal Pinball.
- Questo è un accordo, cane. - Uno svolazzare di mantello rosso: - Me ne ricorderò. -.

Sehtoh Kayibah si era allontanato da quel posto, accompagnato dalle risate isteriche della Strega e dall'ululare del suo cane.
Quella giornata non era iniziata poi così male: ad un certo punto della notte, aveva alzato lo sguardo e aveva notato uno yatch risalire il fianco di una montagna. Dato che la sua mente razionale non falliva mai, aveva dato per scontato di star vedendo una cosa reale e la conclusione più logica a cui era giunto era che quella montagna fosse il nascondiglio di una Strega - e aveva anche dei fondatissimi sospetti circa la sua identità.
L'idea di essere in possesso di un'informazione tanto preziosa lo aveva gasato neanche fosse stato una bevanda, ma il sorgere del sole era stato accompagnato dall'ormai fin troppo conosciuta colonna sonora che lo accoglieva per ogni dove: nonostante fosse perfettamente conscio della sua grandezza, del suo potere finanziario, della sua intelligenza, della sua bravura e, soprattutto, della sua inesistente modestia, non riusciva mai a dar sfoggio di tutte le sue malvagie qualità a causa del suo aspetto. Persino in quel momento, mentre si limitava a camminare per il bosco, gli scoiattoli cadevano dagli alberi in preda alle convulsioni da risa, le foglie si schiantavano al suolo vibrando, e i sassi tremavano quasi stessero sogghignando.
Una qualsiasi altra persona si sarebbe depressa di fronte a tutte quelle prese in giro, di fronte a quel comportamento che i Buoni deploravano tanto; Sehtoh Kayibah no. Sehtoh Kayibah osservava tutti con i suoi occhietti giallo-arancio e covava il suo odio come una gallina demoniaca, in attesa del momento propizio.
Il problema era che il momento propizio sembrava non arrivare mai.
Cammina cammina, tra animali in preda a dolori lancinanti per le risate, sassi in preda a dolori lancinanti per le risate e piante in preda a dolori lancinanti per le risate, Sehtoh Kayibah giunse ad un laghetto di un metro per un metro - ossia una grossa pozzanghera limpida. Decise di specchiarvisi, giusto per accertarsi che il suo sguardo arcigno fosse abbastanza arcigno. Quando si sporse, l'acqua ebbe un tumulto e una serie di cerchi concentrici gli impedirono di vedere bene. Sehtoh Kayibah dovette aspettare con pazienza che l'acqua si calmasse, prima di potersi effettivamente specchiare. Quando lo fece, trasalì: "Oh, mio Drago Bianco, che cesso!" Ma no! Non l'avrebbe data vinta a tutti quelli che lo circondavano! Sapeva benissimo quanto tutti aspettassero il momento in cui si sarebbe inginocchiato, avrebbe guardato il cielo e avrebbe pregato la Stella della Sera di dargli l'unica cosa che gli mancava: la bellezza.
No! Non l'avrebbe fatto! Non si sarebbe abbassato a pregare le stelle come un tenero ragazzino puro di cuore!
Strinse un pugno e sfidò il cielo: "Mi hanno detto che posso essere tutto ciò che voglio. E un giorno, presto, il mio aspetto rispecchierà la mia personalità!".
Chissene importava della bellezza! Finché era Sehtoh Kayibah, avrebbe potuto fare tutto ciò che avrebbe voluto!
Il suo sguardo tornò alla pozzanghera.
C'era qualcosa di strano.
Guardò meglio.
Il grottesco folletto nell'acqua ricambiava il suo sguardo con occhi giallo-arancio dalla leggera sfumatura azzurra. I suoi capelli verdissimi avevano, quasi impercettibile, una ricrescita castana. Ora che guardava meglio, gli pareva persino di essere poco più alto.
"... Ma che ca-?".

{ Omake in una parentesi graffa }
Uno spoiler di sei anni dopo...



- Dunque tu sei Sehtoh Kayibah. -
- Sì. -
- Quello che ho preso per i fondelli sei anni fa. -
- Sì. -
- Quello che sembrava un ridicolo folletto dei boschi. -
- Sì. -
- Quello a cui ho detto di rivederci tra sei anni, che se fosse stato meno, ehm, cioé, più, ecco- -
- Quello che hai sfidato ad avere un aspetto migliore senza l'utilizzo della magia nel giro di sei anni. In caso di tua sconfitta, avresti fatto tutto ciò che egli avesse voluto. -
- Ah, sì? Guarda, mi era proprio sfuggito questo dettaglio, se me lo fossi ricordato meglio avrei senz'altro- -
- Allora, cane perdente. - Un ghigno: - Sei pronto? -
- A fare cosa? -
- So che non ti è sfuggito il fatto di aver perso, e anche in modo alquanto inglorioso. -
- Cosa te lo fa pensare? -
- Il tuo linguaggio corporeo. Aria di traverso non appena mi hai visto. Colorito venuto meno. Copiosa, nonché disgustosa, salivazione. -
- COSA? -
- Ripulisci dove hai sporcato, essere mediocre. - Qualcosa apparve nella sua mano: - Poi pensiamo a questo. -

- Johnoh? Cos'è quel collare...? -
- Lode al Margraviato di Kayibah! Sia grande e prospero il Margraviato di Kayibah! Margraviato di Kayibah! La nazione più potente che questo continente abbia mai conosciuto! -
- ... Johnoh? -
- AH! FINALMENTE! - Si mise le mani nei capelli: - Quel dannato riccastro mi ha fatto mettere questo odioso collare che mi costringe a pubblicizzare il suo dannatissimo Margraviato ad ogni persona che mi chiede informazioni su questo odiosissimo collare! -
- ... Ah. -
- Ma insomma, quando gli ho detto quella cosa, sei anni fa, non pensavo la prendesse sul serio, né che sarebbe effettivamente diventato un gran pezzo di figo! -
- Non hai provato a contrattare? -
- Certo che sì! Gli ho detto che la vendetta è un sentimento negativo, che avrebbe dovuto perdonare tutti coloro che l'hanno perculato! -
- E lui cosa ha risposto? -
- Che, per lui, la vendetta è uno dei sentimenti più positivi e soddisfacenti che abbia mai provato, quindi non vede il senso delle mie parole. -
- Povero Johnoh. -
- E sai cos'altro ha, questo dannatissimo collare? -
- N-No, cosa? -
- Ha su tutto un pacchetto di sortilegi assurdi che mi impediscono di levarmelo! Se provo a togliermelo, dovrò tenerlo un altro mese. Se mi presento al Margraviato di Kayibah senza invito, dovrò tenerlo un altro mese. In sostanza, devo starmene buono buono a farmi schiavizzare e a pubblicizzare il suo dannatissimo Margraviato, il tutto mentre esibisco questo umiliante collare con le sue iniziali come se fossi una sua proprietà! -
- Una sua proprietà? -
- Almeno questo non era voluto, mi ha detto. Pagherebbe pur di non avermi intorno. Però tutto il fattore umiliazione lo diverte molto, quindi ha detto che sopporterà stoicamente l'idea che io possa sembrare... - L'espressione si fece disgustata: - Una proprietà di Sehtoh Kayibah. -
- Oh. -
- Voi non potete fare niente per togliermi questo collare? -
- Eh? -
- Qualche magia per togliere qualche altra magia...? -
La Strega mise una mano tra loro: - No, Johnoh. Hai perso una sfida e questa è la penitenza. Non mi immischerò nelle tue faccende private con Sehtoh Kayibah. -
- Come suona male... -
La Strega lo ricordava benissimo.
Un mese prima, le era arrivata una misteriosa lettera bianca, scritta in inchiostro blu e calligrafia elegante, che le richiedeva un determinato Pacchetto Sortilegi. Non era strano che le arrivassero commissioni per posta - raro ma non strano -, quindi la Strega non ci aveva fatto troppo caso. L'unica firma era "S.K.": non era strano che i suoi clienti non rivelassero i loro veri nomi - anzi, farlo era anche un po' da stupidi - e di certo lei non sarebbe mai andata a pensare che un arcigno ed orgoglioso folletto dei boschi le stesse richiedendo qualcosa. Come se non fosse bastato, le era stato promesso un compenso extra in cambio del suo silenzio con Chiunque. Aveva dovuto consegnare il Pacchetto Sortilegi in una certa zona del bosco ad un adorabile bambino dai lunghi capelli neri che gli sembrava un po' familiare; in cambio, aveva ricevuto non solo il pagamento base, non solo l'extra, ma anche una sostanziosa mancia.
Solo dopo aver visto Johnoh in quelle condizioni aveva realizzato chi fosse il suo misterioso e ricchissimo cliente. Tuttavia, se avesse dovuto scegliere tra il suo fidato servitore e un misterioso e ricchissimo cliente, se il suo fidato servitore non fosse stato in pericolo di vita, la Strega sarebbe per sempre rimasta fedele alla sua professionalità.



.

Note:
* "Deútero Epeisódio" (Δεύτερο Επεισόδιο): "Secondo Episodio" in greco.
"próto méros" (πρώτο μέρος): "prima parte" in greco.
* "Per diventare grande, mangiavo ogni dì anche quattro dozzine di uova!" / "E ora ne mangio anche cinque dozzine!": Parafrasi di «Gaston», da La bella e la bestia (1991).
* "Sei già desto o sei assopito?": Liberissimissima reinterpretazione di «Facciamo un pupazzo insieme?», da Frozen.
* La gibigiana è la luce rimandata da una superficie riflettente. [ Wikipedia ]
* La gakuran è l'uniforme scolastica maschile giapponese.
* Voglio rassicurare chi mi conosce: Sehtoh Kayibah è definito "gran pezzo di figo" solo per fini comici. *evapora*


SCREW THE GENTE, I AM SETOVERDE!
Comprendo siate tutti presissimi dall'insalatesca apparizione di Sua Verdità SetoVerde, quindi vi lascio qualche minuto di contemplazione.
Questo è il capitolo che ho dovuto dividere a metà, in quanto troppo lungo. L'omake sarebbe dovuto andare alla fine di quello che è diventato il settimo capitolo, rendendo tutto meno Setocentrico - Quest'ultimo invece, da Kaiba che è, ha praticamente monopolizzato l'attenzione, con tanto di paragrafo dal suo POV. Non so se l'ho mai detto, ma adoro il punto di vista di Seto, perché posso scrivere un sacco di cattiverie con totale logica e lucidità, il tutto tirandosela tantissimo. Forse in passato dissi di detestare le sue parti. Continuo ad avere sentimenti molto contrastanti per il signor Cavalluccio Marino, ma adoro il suo POV. Quel che non comprendo, invece, è per quale arcano motivo i paragrafi che comprendono lui e Jonouchi si trasformino in cripto-Puppy.
Durante il flusso di coscienza (?) di SetoVerde non sono riuscita ad inserire un pezzo in cui si riferiva ad "un bambino" che aveva incontrato una volta, l'unico a non essere scoppiato a ridere alla sua vista - "Un bambino" che, invece, l'aveva guardato con occhi sgranati e, lentissimamente, era indietreggiato, senza fare movimenti bruschi, per poi scappare a tutta velocità una volta fuori dalla sua visuale. (SetoVerde l'avrebbe capito dal suono affrettato dei passi.) Il bambino era ovviamente Rosyami.

Tralasciando quella prima donna di Seto Kaiba.
La fondamentalissima questione dell'età di Johnoh è stata infine chiarita, ovviamente non si tratta di una scena inserita per dare una continuità sensata alle affermazioni sue e dei fattorini della pizza ne Il bronzeo addormentato nel bosco. No, certo che no.
Non ricordo se avessi deciso fin dall'inizio di NON far dire il nome della Strega fino a questo punto ma, a prescindere, sarebbe stato di una qualche importanza solo all'interno della storia, perché chi legge si sarebbe stupito solo se la Strega si fosse presentata come Clodosvinta o Gundeperga.
E a proposito della Polar, ormai sono caduti in un baratro di fluff tsundere da cui temo non usciranno più. Anche se forse Johnoh è più dere di quanto non sarebbe Jonouchi in una situazione del genere-

I dialoghi di Malikura e Malic suonano tipo "Che orrore, caro!", "Davvero deplorevole, caro!" e "Caro, per l'amor degli Inferi!", ma suppongo sia normale dopo secoli di convivenza. *Soe, no.*
Per Bak'ra varrebbe lo stesso discorso di Seto, ma al contrario: nel suo POV posso scrivere cattiverie più cruente e illogiche, ma Bak'ra è anche, a mio parere, il personaggio più difficile da muovere di tutto YGO, quindi mi trovo spesso in difficoltà quando c'è lui in giro. Un po' mi dispiace. *Sarà per questo che la Thief/Citron non è mai stata l'accoppiata principale di nessuna delle sue storie?*
Il battibecco sensatissimo tra MaliK e DahrX è una delle primissime cose che ho pensato di questa storia. Parto sempre dalle cose importanti.
Ultimo, ma non meno importante, forse qualcuno si è potuto chiedere perché diamine gli spiriti di Kul Elna non siano riusciti a trovare Rosyami, dato che spiano tutto il circondario. In questo caso, vale la spiegazione di Mahi: gli spiriti di Kul Elna sono legati a Malikura, Malikura si è perso il principe maledetto, quindi non c'è modo che entità magiche a lui legate possano trovarlo. L'unico modo sarebbe che lo trovi qualcuno di concreto, tipo i Ghouls - O certi corvi.

Questo sarebbe dovuto essere il penultimo capitolo, ma si è trasformato nel terzultimo. Spero che questa prima metà di penultimo capitolo (?) vi sia piaciuta!

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Capitolo 7
*** Deútero Epeisódio - deútero méros ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

— Nota: Questo capitolo è stato scritto nel 2020.

DEÚTERO EPEISÓDIO
[deútero méros]



- Il sangue sulle nostre mani è il vino che offriamo come sacrificio~ -
Malic sapeva benissimo che aprire un varco richiedeva qualcosa come due secondi. Aveva visto Malikura farlo svariate volte - di cui una circa un'ora prima. Era quindi stato costretto a raccogliere tutte le gemme sotto lo sguardo divertito e implacabile dello Stregone, che per nessuno motivo sapeva sempre quante pietre ci fossero esattamente nel secchiello e per un chiaro motivo ci teneva sempre a renderlo partecipe. Alla fine di quella giornata, il corvo aveva scoperto cosa fosse l'antimonite e le aveva dichiarato guerra: ci aveva messo quaranta minuti per ritrovarla, per poi individuarla per pura fortuna in un'altra cella. Essendo nera, era invisibile al buio - perché il fuoco fatuo, ovviamente, seguiva Malikura e Malikura non si era sentito in dovere di seguire Malic, lasciando che vagasse nel buio totale di quel luogo.
I due bambini erano rimasti addormentati, nonostante un'ora di colorite imprecazioni da parte del corvo. Per un attimo, c'era stato il dubbio che fossero sotto un incantesimo, ma poi lo Stregone aveva garantito fossero solo pigri. Una volta sul punto di mettere in atto la loro crudele vendetta, Malic si era visto tradito un'altra volta: aveva pensato che Malikura si sarebbe caricato i pargoli in spalla - avendone due, il numero esatto dei bambini -, ma l'altro gli aveva detto che ne avrebbero portato uno ciascuno. Così, ferito, il corvo aveva preso la bambina, nella speranza che fosse più leggera; vedendo le dita sottili del bambino, però, non riusciva a non chiedersi se avesse fatto la scelta sbagliata.
L'uscita dal castello con i prigionieri, il momento stesso della vendetta, era stato il più noioso: un passo e furono fuori. Fine.
Ma l'ebbrezza della vendetta, tanto meravigliosa, aveva mitigato quell'assenza di scenografia e solennità.
- Cosa ne facciamo? -
Erano svariati quarti d'ora che camminavano nel bosco, il castello di Dahrtz ormai un ricordo lontano. Malikura si dilettava in un allegro canto che scatenava allucinazioni orrorifiche in tutti gli animali del circondario, faceva mettere fuori le radici ai fiori e li faceva scappare e portava nubi grigio scuro nel cielo; Malic cercava metodi di trasporto alternativi, tra cui trascinare la bambina per un piede o per il naso - alla fine, la cosa migliore era stata buttarsela su una spalla come un sacco di monete d'oro rubate.
- Strappa le ali di una farfalla per la tua anima~ -
- Cosa. Ne. Facciamo? -
Malic non capì davvero se Malikura non l'avesse sentito. Conoscendolo, però, doveva averlo sentito benissimo e gli stava solo dando fastidio. Finalmente, lo Stregone si fermò, smise di cantare e mostrò di averlo sentito. Tutte e tre cose bellissime.
- Li abbandoniamo nel bosco, no? - Gli lanciò un'occhiata poco convinta: - Spero tu non voglia mangiarteli. Hai idea di quanto facciano schifo i bambini umani? -
- Ugh! - Malic scosse la testa, l'espressione disgustata: - Chi mai potrebbe volere una cosa del genere? -
- Ecco, appunto. Qui andrà bene. - Con delicatezza non pervenuta, Malikura posò il bambino contro il tronco di un albero. Non era chiaro se l'avesse fatto apposta o meno, ma la schiena era a terra e le gambe dritte contro il tronco. Non la più comoda delle posizioni.
- Oh, finalmente! - Con uno sbuffo, Malic afferrò la bambina per la vita e la lanciò nel primo cespuglio disponibile. Si sistemò i due stracci piumati che aveva per vestito e annunciò: - La nostra vendetta è compiuta. Possa Dahrx soffrire per il suo affronto! -
Malikura, tuttavia, non sembrava preso dalla sua appassionata declamazione: stava armeggiando con una mano del bambino. Malic si sporse a guardare: gli aveva messo due pietre nel palmo e gli stava richiudendo le dita.
- ... Perché? - riuscì solo a chiedere.
- Se li lasciassimo nel bosco senza niente, morirebbero e sarebbero divorati dagli avvoltoi e dagli esattori delle tasse mannari. - spiegò lo Stregone, quasi avesse previsto la sua domanda: - Queste due basteranno a farli sopravvivere per un po'. -
- È una cosa molto bella. - annuì Malic, con un sorriso. Senza cambiare espressione, domandò: - E perché mai hai fatto una cosa così buon- -
- Prova a dirlo e ti trasformo le ossa in crème caramel. -
Bene, quello era il Malikura che conosceva. Ma la domanda rimaneva.
- Te l'ho detto, Malicorvo. - Lo Stregone spalancò le braccia, il tono e l'espressione un po' troppo entusiasti: - Sembra siano in possesso di una spiccata malvagità e che siano persino stati in grado di quasi uccidere una Strega, che hanno poi derubato con successo. Se arrivassero ad un'età accettabile, potrebbero diventare Ghouls molto più competenti di quelli attuali! -
- Persino le tre pucciose fatine d'Egitto sarebbero Ghouls molto più competenti di quelli attuali. -
Si scambiarono un'occhiata concorde, per quanto Malikura avesse fatto un verso di disappunto al nominare le tre fate. Aveva ancora un conto in sospeso con loro, nonché un principe maledetto da ritrovare - dubitava che i Ghouls sarebbero mai stati in grado di individuarlo.
- Dunque vuoi vedere se sopravvivono per portarli dalla tua parte. - riepilogò Malic.
- Precisamente. -
- Interessante. - Il corvo mise le braccia conserte e si avvicinò all'altro. Passò lo sguardo sul bambino al contrario e la bambina quasi del tutto sprofondata nel cespuglio: - Sono curioso di vedere cosa diventeranno. - Lo sguardo andò allo Stregone: - E se accetteranno di unirsi a te. -
- Chi rifiuterebbe l'invito a sfogare tutta la propria malvagità? -
- I buoni. -
Si guardarono. E, nello stesso momento, scoppiarono a ridere, gettando nel terrore qualsiasi forma di vita potesse sentirli. A qualche ettometro di distanza, nel Ducato di Toon, il duca Pehgahsus e la duchessa Cyndyah rabbrividirono, senza capirne il motivo. I due candidi bambini continuarono a dormire, i volti sereni.

Il sole affondò nell'orizzonte, trascinando con sé i colori chiari del giorno. Il velo della sera ricoprì il mondo, le luci delle prime stelle iniziarono ad accendersi nella volta celeste.
In mezzo agli alberi, una Strega e un musicante giacevano nell'erba, esausti.
Era difficile dire se il dolore maggiore venisse dallo stomaco, dai fianchi o dalle guance; un mal di testa pulsante impediva loro di alzarsi in piedi e tutte le lacrime versate li avevano disidratati. Avevano riso per tutto il giorno, fino a quasi perdere i sensi. Anzi, forse, ad un certo punto, i sensi li avevano persi sul serio.
La prima ad alzarsi sulle braccia e a mettersi seduta fu la Strega della Casetta di Gioielli. Si passò una mano tra i lunghi capelli biondi e, con un mugolio, fece ricorso alla sua magia per curarsi. Il mal di testa scomparve, i dolori assortiti scomparvero. Per la disidratazione, doveva rimediare manualmente. Così, raggiunse la sacca di Johnoh, ne estrasse la borraccia e bevve ettolitri su ettrolitri di acqua. Ah, la Borraccia Infondata - ossia Senza Fondo -, che grande invenzione!
Ripresasi del tutto, la Strega si occupò del suo servitore: lo curò e gli mise accanto la borraccia. Come lei, anche lui si attaccò alla Borraccia Infondata e bevve per minuti interi.
- È stata un'esperienza mistica. - confessò Johnoh, sconvolto.
La Strega annuì: - Sì, è sempre così. Per questo bisogna stare attenti, in questo bosco. -
- A proposito! - Il musicante si ricordò di una cosa completamente a caso, ma sentì l'irrefrenabile bisogno di chiederla proprio in quel momento: - Ma questo bosco non ha un nome? -
- Sì. -
- E qual è? No, perché chiamarlo sempre- -
- Bosco. -
Johnoh comprese. A volte, le domande più profonde hanno risposte molto semplici.
Con un sospiro, la Strega si mise in piedi: - Ormai quei due mocciosi saranno arrivati lontanissimo. Non mi stupirebbe saperli nel regno di Stromberg. -
Il musicante non aveva la minima idea di dove fosse il regno di Stromberg ma, da come parlava l'altra, poteva ragionevolmente supporre fosse lontanissimo. Una mano davanti ai suoi occhi. Alzò lo sguardo: Mahi lo stava aiutando a rialzarsi. Afferrò la mano e si rialzò. Non si chiese perché la Strega avesse iniziato a comportarsi da persona normale, perché avrebbe rischiato di innescare qualche altro incontro micidiale o un attacco tsundere.
"Oh, no, l'ho pensato!"
- Però voi potete seguire la traccia delle vostre gemme. - le ricordò. La Strega annuì: - È quel che farò, infatti. In marcia, Johnoh! -
- Sì! -
I due si rimisero in cammino, lungo una strada conosciuta solo da Mahi. Johnoh non poteva che limitarsi a seguirla.
Cammina cammina, la sera si fece più scura, le stelle più splendenti e la luna più alta.
Di colpo, Mahi si bloccò. A giudicare da come si era irrigidita, non era un buon segno.
"VI PREGO NIENTE SEHTOH-"
La Strega si voltò verso di lui, gli occhi spalancati. Johnoh trasalì: - M-mia signora...? - "Oh, San Bernardo, che è successo? Non è che ho roba inquietante alle spalle, vero...?" Rabbrividì da capo a piedi. Ma lei guardò da un'altra parte, l'espressione sempre più sconvolta. La vide fare un passo avanti - la gamba quasi tremava.
- Non è possibile... - Un sussurro che Johnoh avrebbe potuto fingere di non aver sentito. Invece, le si avvicinò: - Mia signora, cosa...? -
- No... - Mahi continuava a guardarsi intorno, sempre più veloce, prendendo a correre da punto all'altro, a caso. Un brutto presentimento.
- Mia signora...? - Il musicante la raggiunse, per quanto lei continuasse a muoversi senza senso.
Alla fine, la Strega si bloccò. Serrò i pugni, digrignò i denti. Poi, come una bomba, esplose: - DOVE SONO LE MIE GEMME? - La sua voce era un tuono, più bassa, cupa e rauca di come fosse di solito. Le fronde degli alberi tremarono, i sassi sobbalzarono. Johnoh si trattenne dall'indietreggiare: non stava emettendo fumo dalle orecchie e, nel sentire tutta quella rabbia, non poteva essere un buon segno.
- Mia signora, cos'è successo? - osò chiedere. Si preparò alla fuga. Così, giusto nel caso.
Mahi si voltò a guardarlo. L'iride viola si era quasi mangiata le pupille: - La traccia di magia è scomparsa. Svanita. Evaporata. Prima c'è e poi non c'è. -
- Com'è possibile? - Se la magia aveva un qualche riscontro nella fisica, una cosa non poteva sparire a caso, all'improvviso. Un'idea inquietante: "A meno che...".
La Strega ringhiò, frustrata. Si appallottolò a terra, le unghie si conficcarono nel terreno: - Non è possibile... non è possibile... -
Johnoh rimase a guardarla, indeciso se avvicinarsi o meno. Nulla gli garantiva non gli avrebbe dato fuoco o, peggio, preso a unghiate in faccia: "... A meno che non ci sia di mezzo un'altra magia.". Però non ce la faceva a continuare a vedere la Strega in quello stato, senza poter fare niente. Quindi, inspirò a fondo e si accucciò accanto a lei.
- Qual è il piano, mia signora? - chiese, soltanto.
Mahi parve ricordarsi solo in quel momento della sua presenza. L'ombra delle pupille tornò nei suoi occhi viola: - Il... piano? -
- Il piano. - ripetè Johnoh. Abbozzò un sorriso e sperò che la Strega non lo prendesse come ironico: - Non vi lascerete abbattere da una traccia sparita, no? -
Mahi rimase a guardarlo per quelli che parvero minuti interi - e, forse, lo erano davvero. Quando le pupille tornarono nei suoi occhi, abbassò le palpebre e sospirò. Riaprì gli occhi e il suo sguardo era deciso: - So che questa idea può suonare strana o controproducente. -
Johnoh rimase in silenzio. Per qualche motivo, quello sguardo deciso gli aveva scaldato il petto e ringraziò di avere già il sorriso da prima - sarebbe stato difficile spiegare un sorriso a parole del genere.
- Dobbiamo separarci. -
"Eh?" Questo non se lo aspettava: - Mia signora, ma come- -
- Non possiamo fare affidamento sulla magia, quindi dovremo cercare a caso. - spiegò la Strega: - Se ci dividiamo, abbiamo il doppio delle possibilità di ritrovarli. -
- Sì... - Il musicante non era troppo convinto.
- Non temere. - lo rassicurò Mahi: - Riuscirò sempre a trovarti, ovunque tu sia. -
- ... Eh? - Uno strano calore sulle guance: - È perché avete usato tutte quelle magie per tormentarmi? Mi è rimasta una traccia magica addosso? -
Il volto di Mahi si fece bordeaux: - Sì. Sì, è esattamente per quello. - Si rialzò di scatto, come il clown di un jack in the box, e portò le mani ai fianchi: - Ora vai, Johnoh. Io andrò a sinistra, tu vai a destra. -
Senza aggiungere altro, la Strega andò a destra. Johnoh alzò un dito e disse, la donna ormai lontana: - ... La sinistra è di là. -.

Mahi avanzò conficcando i tacchi nel terreno, più per scaricare la tensione che per altro. Non è che si scivolasse, sul terreno asciutto.
"Sono stata un'imbecille!" Si scompigliò i capelli: "Una cretina! Una stupida!" Spalancò gli occhi: "No, aspetta! Che ne potevo sapere? Pensavo stessi solo inseguendo due marmocchi!". Lasciò andare le braccia lungo i fianchi e un lamento uscì insieme ad un sospiro: "Che tempismo schifoso! Me misera! Me tapina!". Alzò gli occhi al cielo. La distesa stellata era un ritaglio tra le fronde degli alberi. "Ormai quel che è fatto è fatto. Non me ne pento." Trasse un profondo respiro. Il cuore batteva troppo forte.
Certo, la situazione era degenerata in un secondo.
No, anzi, non era solo "degenerata": era come aver fatto cadere una penna e scoprire di aver risvegliato un colossale sciame di vespe giganti arrabbiate col mondo che aveva fatto il nido proprio lì a due passi e aveva giurato una morte lenta e dolorosa per chiunque avesse fatto cadere una penna nelle vicinanze della loro dimora.
Ovunque fossero, Ryansel e Amanetel erano senza dubbio finiti in compagnia di una Strega o di un suo servitore. Se la traccia magica delle sue pietre era scomparsa di colpo, non poteva che significare che la Strega in questione era al di fuori della sua portata - se di poco o di tanto, non poteva saperlo.
Si morse un'unghia, nervosa: "Se non altro, non può essere Malikura. Lui ci tiene sempre a far sapere di essere l'autore di qualcosa, non avrebbe mai fatto qualcosa per poi dimenticarsi di lasciare una traccia del suo passaggio!" Era una magra consolazione, ma che portava ad una domanda più preoccupante: "Ma allora... di chi si tratta? Ci sono altre Streghe, nei paraggi?". Le ritornarono in mente le parole dei due odiosi bimbetti: "No. Loro conoscevano solo Malikura. Deve essere..." Espirò di colpo, la mano tornò lungo il fianco: "Una Strega appena arrivata. Non posso conoscerla.".
Da un lato, aveva la certezza non fosse uno Stregone fin troppo potente. Dall'altra, era sicura si trattasse di una Strega sconosciuta, dalla forza magica altrettanto sconosciuta. Una minuscola parte di lei quasi sperò se ne occupasse Malikura in un moto di territorialità, ma nulla le garantiva non si sarebbero alleati.
C'era un unico modo per fugare ogni dubbio: incontrare di persona quella Strega.
E Johnoh doveva restarne fuori.
Chiuse gli occhi: "Spero non sia lui ad imbattersi nella Strega.". Doveva agire per prima. Si piantò lì dov'era e urlò: - Mostrati, Strega sconosciuta! - Infuse il suo potere nella voce, per renderla più forte, per farla risuonare di più, udita solo da coloro che avessero avuto abbastanza magia: - Sono la Strega della Casetta di Gioielli e questo bosco è il mio territorio! - Che non fosse del tutto vero era relativo: - Se sei qui, sei nel mio territorio. Se sei stata tu a prendere quei bambini, hai qualcosa che mi appartiene. - Alzò la testa, sicura e maestosa: - Mostrati, Strega sconosciuta! -.
Sperò che la sua voce fosse giunta a qualcuno. Rimase impassibile, non mostrò la minima emozione o la minima stanchezza. Dentro di sé, era agitata: persino lanciare un appello del genere l'aveva stancata. Forse aveva esagerato con quella stupida magia. Avrebbe voluto lamentarsi, o anche solo strizzare gli occhi o serrare i pugni, ma rimase immobile. Qualcosa le diceva che il messaggio fosse arrivato. Non doveva tentennare di fronte alla Strega sconosciuta.
Un fruscio.
Non si mosse.
Tra gli alberi, davanti ai suoi occhi, apparvero tre figure.
Il primo era un massiccio colosso dai capelli biondi e dalle basette appuntite come chele, abbigliato con abiti scuri e una lunga giacca scura e svolazzante; la seconda era una donna dai cortissimi capelli ramati, scarsamente abbigliata di vestiti scuri e borchiati e un lungo giaccone pieno di cinghie, soprattutto dove non servivano; il terzo era un giovane dai grandi occhi azzurri e un cespuglio castano in testa, occhialoni da aviatore sopra la frangia ribelle e un abbigliamento che si sarebbe potuto definire normale, se non fosse stato per gli spallacci di metallo.
Mahi poté dire con sicurezza che nessuno dei tre fosse la Strega; tuttavia, poté dire con altrettanta sicurezza che fossero i suoi servitori. Non li aveva sentiti arrivare e percepiva, seppur leggera, la traccia di quella stupida magia. Dovevano essere al servizio della Strega sconosciuta da molto tempo.
Fu il colosso a farsi avanti. Quando parlò, la sua voce era bassa e profonda: - Siete voi la Strega della Crocchetta dei Granelli? -
"..." Non avesse dovuto mantenere una facciata gelida, gli avrebbe sputato in un occhio.
- No. - disse, invece, lapidaria.
Il ragazzo castano prese la parola: - Ah, okay. Scusateci per il disturbo. -
La donna gli diede uno schiaffo sulla nuca, talmente forte che avrebbe probabilmente spaccato la testa a qualcuno più delicato: - Imbecille. - sibilò: - Non vedi che è una Strega? -
- Ma ha detto di non essere la Strega che cerchiamo! - si difese l'altro.
Mahi dovette trattenersi dal facepalmare. Decise di porre fine a quella situazione ridicola. Si erse in tutta la sua statura e, con voce carica di magia, pronunciò: - Io sono Pavomahine, Strega della Casetta di Gioielli, Colei che è scolpita nell'eliodoro e nella sugilite, Signora delle gemme, Bellezza dai cento occhi, Allegra Arpia, Amabile Amazzone, Principessa dei Filtri Magici, Damigella del Fuoco e dei Fulmini! -
Calò il silenzio.
Per qualche secondo, nessuno parlò. Poi, la voce del ragazzo castano: - Ma è imparentata con Daenerys o REBBECCA-men? -
- Vogliate perdonare la nostra scortesia, nobile Strega. - Il colosso biondo era ben più educato e ragionevole. Mahi lo apprezzò di più. - Le nostre fonti devono aver confuso il Vostro illustre nome. -
- Non mi ero accorto che fosse una pavonessa! - esclamò sempre il ragazzo castano, distruggendo quel momento di profonda formalità: - Ma non fa la ruota! -
La Strega era ad un passo dal lanciarglisi addosso e dargli una testata in piena fronte: - Sono i maschi a fare la ruota, idiota. -
- Fa anche rima! - Il ragazzo castano fu quasi soppresso dalla compare. Il colosso biondo, paziente, tornò a parlare: - Come già sapete, il nostro signore ha in custodia i bambini e le pietre che state cercando. -
Mahi annuì. E aveva appena ricevuto un'informazione importante: "Uno Stregone.".
- È interessato ad incontrarvi e avviare con voi una trattativa. -
- Che tipo di trattativa? -
- Un acquisto. - spiegò il colosso: - In cambio dei bambini e delle vostre pietre. E di qualsiasi cosa desideriate come pagamento, naturalmente. -
Messa in quel modo, sembrava quasi una cosa tranquilla, una piega degli eventi molto più rosea del previsto, un banalissimo acquisto come tutti gli altri - più mocciosi malefici e refurtiva.
Ma il suo istinto le diceva che la situazione stava peggiorando ad ogni sillaba di quell'uomo. Doveva scoprire cosa stesse davvero succedendo.
- Portatemi dal vostro signore. - disse la Strega.
"Johnoh... Vedi di rimanere lontano da tutto questo!".

- Dunque la nostra semplice ricerca di due bambini si è trasformata in una probabile faida tra Streghe. - riepilogò Johnoh.
La donna annuì: - La situazione è sfuggita di mano alla Strega sua signora e le conseguenze potrebbero essere- -
- Orribili, davvero orribili! - si affrettò a dire il musicante, la schiena attraversata da un brivido gelido: - E sarebbero orribili per chiunque! Chiunque! -
- Mi rasserena vedere quanto lei abbia compreso in fretta. -
- E siccome queste conseguenze colpirebbero tutti, ma proprio tutti, lei è qui per aiutarmi. - ricapitolò il ragazzo. La donna annuì una seconda volta, la mano andò alla collana dorata che portava al collo: - Ho tre Informazioni Fondamentali di Trama da rivelarle. Ascolti con attenzione. -
Johnoh era in un fosso, intento ad applicare un unguento balsamico sulle escoriazioni che gli ricoprivano le braccia e le guance; accanto a lui, seduta nella posizione del diamante, una bellissima donna era prossima allo svelargli incredibili retroscena di trama.
Ma come ha fatto il musicante a finire in questa bizzarra situazione?
Poco dopo la partenza di Mahi, Johnoh si era messo alla ricerca dei bambini nella direzione opposta a quella presa dalla Strega. Cerca cerca, il povero musicante non era riuscito a trovare neppure una minima traccia del passaggio dei due funesti marmocchi. Alla fine, aveva deciso di arrampicarsi su un albero, conscio del fatto che dall'alto avrebbe potuto vedere meglio.
Arrivato dove doveva, una voce femminile gli aveva detto: - Stia attento, signore! Quel ramo potrebbe spezzarsi! - e il ramo si era spezzato, facendolo precipitare in un fosso di cui il musicante non aveva registrato la presenza, procurandogli lividi ed escoriazioni.
La proprietaria della voce lo aveva raggiunto e Johnoh era rimasto incantato. La sua teoria sul fatto che il bosco fosse popolato di sublimi ninfe sembrava sempre più concreta: si trattava di una donna dalla pelle scura, con lunghi capelli corvini e grandi e intensi occhi azzurri, le forme sinuose avvolte in una tunica ocra; parte dei capelli era intrecciata ad anelli d'oro e al collo portava una collana d'oro con un occhio. Sarebbe rimasto a guardarla, rapito dalla sua bellezza notturna, ma poi la donna aveva parlato di nuovo: - Questo punto è particolarmente franoso, rischia che le cada qualche sasso in testa! - e il sasso in testa era arrivato. Non enorme, ma abbastanza da fargli un bernoccolo.
Una volta ripresosi, Johnoh non aveva potuto non chiedere, con una punta di timore: - Lei chi è? -
- Il mio nome è Ysys. - si era presentata la donna: - Non sono una Strega, ma sono in grado di usare un po' di magia. -
Il musicante non aveva commentato. Si era semplicemente gelato sul posto: "Ysys. L'Uccello del Malaugurio." Chiunque, in qualsiasi regno, era a conoscenza di quel nome. Magari non conoscevano le fattezze di quella leggendaria donna, ma tutti sapevano della sua straordinaria capacità di portare sfiga.
Johnoh era stato molto tentato dall'alzarsi e scappare più veloce che poteva, ma la donna gli si era seduta a fianco, lo sguardo e la voce carichi d'urgenza: - La stavo cercando, giovane musicante. Queste terre sono in pericolo. -
- Come... - Aveva avuto paura a chiederlo, ma non aveva potuto non farlo: - Come sa che sono un musicante? -
- Me l'ha detto la mia collana. -
- Ah. - Forse c'era un significato nascosto in quella frase, ma Johnoh non si era dato pena per scoprirlo. Fece un'altra domanda, invece: - È una cosa molto triste che queste terre siano in pericolo, ma io cosa posso farci? -
Ysys gli aveva dunque confermato quello che già sospettava: Ryansel e Amanetel erano stati rapiti dai servitori di uno Stregone, uno Stregone appena giunto dall'oceano e mosso da intenti diversamente pacifici. La Strega della Casetta di Gioielli, suo malgrado, era rimasta coinvolta nei piani dello Stregone ma, per qualche motivo, in quel momento era molto indebolita e avrebbe probabilmente avuto bisogno di aiuto. Ed era a questo punto che entrava in scena Johnoh - in qualche modo.
- La prima IFT- -
- IFT? -
- Informazione Fondamentale di Trama. -
- Oh, giusto. Prego, mi dica. -
- È il motivo per cui la Strega della Casetta di Gioielli si è indebolita. -
- Mi lasci indovinare. - la interruppe Johnoh: - È per la cottura a fuoco vivo, vero? -
- No. - La risposta secca della donna non gli piacque: significava che fosse successo qualcos'altro di grosso. - È perché le ha allungato la vita. -
Silenzio.
Il musicante abbassò la mano con cui si stava medicando, piano, lo sguardo inchiodato agli occhi di Ysys. "... Devo aver sentito male."
- Allungare la vita ad un mortale è il più grande marchio che una Strega possa porre. - Ysys parlava con voce ferma e sguardo impassibile, ma forse aveva notato l'espressione dell'altro: - Le Streghe vivono a lungo. Molto a lungo. Quando allungano la vita ad un mortale, lo fanno per tenerlo accanto a sé nella loro lunghissima vita. Sono questi gli unici mortali a potersi definire "servitori di una Strega". -
Forse Johnoh sarebbe dovuto arrossire, o impallidire, o dipingersi un arcobaleno sulla faccia. Invece rimase immobile, l'informazione che martellava in testa, troppo grande, troppo assurda per poterla davvero assorbire. Distolse lo sguardo da Ysys e lo portò sulla bottiglietta di unguento. "... Ecco perché mi ha chiesto quanti anni avessi.". Era assurdo. Era troppo assurdo.
- Scoprire di aver avuto in dono altri anni è qualcosa di indescrivibile. - La voce di Ysys si era fatta più bassa, come se non stesse parlando con lui. Johnoh rialzò lo sguardo. - È qualcosa che molti umani desiderano, ma è impossibile spiegare la sensazione che si prova nell'ottenerlo davvero. -
Stranamente, Johnoh sentì i muscoli meno rigidi - non si era neppure accorto di essere così teso. Le parole di Ysys sottintendevano una cosa ovvia: anche lei doveva aver visto la sua vita allungarsi.
La donna parve riscuotersi e riprese la sua spiegazione: - Tuttavia, fare una cosa del genere richiede un'enorme quantità di magia. Si tratta pur sempre di un'interferenza nel corso vitale di un essere vivente. - Incontrò di nuovo lo sguardo di Johnoh: - Dubito le interessi una spiegazione teorica. Lasci che usi lei come esempio. La Strega le ha donato dieci anni. -
Il musicante trasalì. "Quella discussione sulle età... Da quanto ci stava pensando...?"
- Lei manterrà quest'età per i prossimi dieci anni. -
Johnoh non riuscì a trattenere un sorriso. Quando le labbra s'incurvarono, sentì una punta di calore all'altezza del petto. Tutto quello era semplicemente assurdo.
- Come detto, però, fare una cosa simile consuma la propria magia. Provi a pensare alla magia come al sangue. In un corpo umano adulto, possono esserci circa cinque litri di sangue. Immagini che donare dieci anni ad un mortale sia come una donazione di sangue di almeno tre litri. -
- Ma...! - Stavolta impallidì sul serio: - Dopo non ci si potrebbe reggere in piedi! -
- Esattamente. - Ysys sospirò. Forse la sua calma era solo apparenza: - Tuttavia, come il sangue, la magia si rigenera. Ma ha bisogno di tempo. Il sangue si rigenera del tutto in meno di quarantotto ore. Per il livello di magia della Strega della Casetta di Gioielli, rinnovarle l'incantesimo dell'età dopo dieci anni sarebbe come fare un'altra donazione di sangue dopo appena dieci ore. -
- E perché cazzo non ha fatto una donazione da un litro? - Stritolò la bottiglietta. "Cosa vi è saltato in mente, Mahi...?!"
- Credo che il motivo sia molto semplice. - Una piccola pausa, quasi fosse indecisa se rivelarlo: - Non ha mai usato questo incantesimo e non è stata in grado di fare i giusti calcoli. -
"Non ha mai...?" No. Sì, ma no. No. Andava benissimo, ma no. Era felice, sì, ma no. "Stupida."
Johnoh rimise la bottiglietta nella sacca e la richiuse. Si sedette rivolto verso Ysys, deciso: - Continui. Queste informazioni sono preziose. - "Vi ritroverò. E dovremo fare un bel discorso."
- Ovviamente, in questo caso, il potere magico è tutto. - proseguì Ysys: - Provi a pensare che dieci anni corrispondono a tre litri. Una Strega con solo un litro di sangue nel corpo arriverebbe persino a morire per fare una cosa del genere, peraltro fallendo. - Johnoh rabbrividì. - Ma una Strega con quindici litri di sangue non ne risentirebbe. Per una con cento litri, sarebbe un incantesimo insignificante. Più una Strega è potente, più ha la possibilità non solo di allungare maggiormente la vita dei suoi servitori, ma anche di farlo per più servitori. -
Il musicante annuì. Aveva capito. E una spiegazione del genere non poteva che portare ad un'affermazione inquietante.
- Questo ci porta alla seconda IFT. L'identità dello Stregone da poco giunto dall'oceano. -
Johnoh non riuscì a trattenersi: - Che ha cento litri di sangue. -
Ysys tacque per un istante, lo sguardo nel suo. Al musicante non piacque, ma tanto valeva dirlo subito. - Non so quanti litri di sangue abbia. - confessò la donna: - Ma ha ben tre servitori e le loro vite sono allungate di cinquant'anni ciascuna. -
Johnoh incassò l'informazione. Si era preparato, lo sospettava, ma sentirlo era stato comunque brutto. "Mahi..."
- Lo Stregone si chiama Dahrtz, Illustre Indovinellaio e Pregevole Paroliere, ed è il sovrano di un regno chiamato Hatlantyde. -
"Illustre Indovinellaio e Pregevole Paroliere...?" - Un regno che vuole espandersi? -
- No. Trasferirsi. -
Johnoh sbattè le palpebre una, due volte. Quello non se l'era aspettato. - ... Eh? -
- Hatlantyde è un regno molto sfortunato. - Ysys sospirò: - Ha la brutta abitudine di inabissarsi. -
- ... Ah. -
- Ed è esattamente questo il problema. - Il suo sguardo tornò a colmarsi di urgenza: - Dahrtz e i suoi accoliti vanno in giro ad insidiarsi in altri regni per farne una nuova Hatlantyde... portando tali regni all'inabissamento. -
- Ma sempre sempre? -
- Sempre sempre. -
- E non hanno mai pensato di, boh... - Alzò le spalle: - Cambiare nome, fare un esorcismo, qualcosa? -
- Gli hatlantydey sanno essere molto cocciuti. -
Il musicante si passò una mano tra i capelli, salvo ricordarsi di avere ancora le dita piene di unguento. Vabbè, gli sarebbero diventati i capelli più resistenti - bastava non diventassero come quelli di Rosyami. - Cosa c'entra la Strega della Casetta di Gioielli, esattamente? - domandò.
- Dahrtz ha bisogno di lei per portare a termine il suo piano. - Ysys accarezzò la collana, con delicatezza: - Purtroppo, la mia collana non mi ha rivelato tale piano nel dettaglio. So solo che ha bisogno della Strega della Casetta di Gioielli e lei, per opporsi, ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di lei, giovane musicante. - Il suo sguardo azzurro era incredibilmente intenso: - Se il piano di Dahrtz avrà successo, queste terre diverranno- -
- Un regno prossimo all'inabissamento. - Nonostante tutta la drammaticità del momento, Johnoh non poteva permettere che quella donna pronunciasse certe frasi. - Dunque cosa posso fare, in concreto? Dov'è la Strega della Casetta di Gioielli? -
La situazione era degenerata in fretta. Era il momento di agire.
- La terza e ultima IFT. La tana di una Strega. - Ysys giunse le mani in grembo: - La tana di una Strega è semplicemente la sua dimora. C'è chi la chiama tana, chi palazzo, chi casa, chi le dà un nome proprio. -
"Casa." Johnoh scosse la testa. Non era il momento.
- Di solito, le Streghe tendono a celare la propria tana. -
- Per protezione? -
- Asocialità. -
- Mi sembra giusto. -
- La Strega della Casetta di Gioielli, vuoi perché ha comunque un giro d'affari con i mortali, vuoi perché vuole esibire la sua Casetta, non è tra queste. La sua tana è sempre ben visibile. -
Il musicante non potè che darle ragione.
- La tana di Dahrtz, invece, è celata alla vista. Soltanto i suoi servitori sono in grado di individuarla, in teoria. -
- In teoria? - Johnoh si fece ancora più attento. Doveva essere il momento più importante di quella spiegazione.
- Esistono quattro modi per scovare la tana celata di una Strega. -
"Ben quattro?" Il musicante era un po' confuso: "Credevo fosse solo uno e complicatissimo..."
- Il primo è, ovviamente, essere più potenti della Strega in questione. -
"Ah. Okay. Fuori un metodo."
- Il secondo è trovare aperto. -
- Trovare aperto? Cioè, proprio...? -
- Una porta aperta è un invito. - spiegò Ysys: - Anche la Strega più potente del creato, qualora lasciasse la porta aperta, renderebbe la propria tana visibile a chiunque. -
- Quindi si tratterebbe un errore della Strega o dei suoi servitori. -
- Precisamente. -
"Fuori un altro metodo." Dubitava di essere così fortunato da imbattersi nella tana di Dahrtz in un momento in cui qualcuno aveva lasciato aperto.
- Il terzo è conoscerne l'ubicazione. -
- Eh? -
Dato che Ysys non disse altro, Johnoh cercò di spiegarsi: - Cioè, è ovvio che se conosci... Cioè, in che senso? -
- Si può seguire un servitore. - chiarì la donna: - Prima o poi, lo si vedrebbe entrare nella tana. Allora si scoprirebbe l'ubicazione della suddetta tana. Se poi qualcuno in possesso di una simile informazione andasse in giro ad urlarla ai quattro venti, tutti coloro che sentono diverrebbero in grado di trovare la tana. -
- Ooooh... - Questo era un metodo più interessante. Ma anche quello necessitava di una gran dose di fortuna.
- Inutile dire che una qualsiasi Strega potrebbe cancellare questa informazione dalla mente di chi non dovrebbe conoscerla e punire il colpevole dalla bocca larga. - La frase fu pronunciata con troppa decisione. Con un brivido, Johnoh si chiese se non fosse già successo qualcosa del genere.
- L'ultimo metodo... -
Johnoh si sporse verso di lei, attento.
- ... Si rifà al fatto che, per quanto siano magiche, le tane delle Streghe devono sottostare alle leggi della fisica. -
Il musicante sbattè le palpebre. Poi chiese, piano: - ... Cioè? -
- Sono solide. -
Fu allora che Johnoh realizzò: - Ho capito! Sono invisibili, ma non impalpabili! -
Ysys annuì e qualcosa di simile ad un sorriso le incurvò appena le labbra: - È per questo che le Streghe sono solite erigere le proprie tane in un luogo isolato. Nulla vieta che, in caso contrario, qualcuno vada semplicemente a sbatterci contro. -
Come pervaso da un'energia potente e sconosciuta, Johnoh scattò in piedi, le gambe pronte a correre verso la sua meta: - Quindi devo camminare finché non mi schianto su qualche muro invisibile? -
Il sorriso di Ysys s'incrinò: - Non è consigliabile. - Tornò a sfiorare la collana: - A riguardo, posso dirle solo un'ultima cosa. La mia collana mi ha detto che lei già conosce un modo per individuare la tana di quello Stregone. -
Johnoh inarcò le sopracciglia: - Ah, sì? - "E come? Io neanche l'avevo mai sentito nominare, questo tizio!"
- Molto probabilmente, la Strega della Casetta di Gioielli sarà condotta nella tana di Dahrtz. - gli ricordò Ysys: - Non so cos'altro dirle per aiutarla. -
Il musicante scosse la testa e alzò un pugno, deciso: - Non c'è problema, signorina Ysys. La ringrazio per queste preziose IFT. Senza di lei, non avrei mai saputo nulla della trama e sarei rimasto a correre in giro alla ricerca di quei due marmocchi mentre un re perfido conquistava il nostro mondo. - Marmocchi che sarebbero stati nella tana del re perfido di cui fino a poco prima non sapeva nulla, se era vero che erano stati rapiti dai suoi servitori.
"Qual è il modo?" riflettè Johnoh: "Come posso trovare...?"
Riuscirò sempre a trovarti, ovunque tu sia.
Era stata lei stessa a dirglielo. Sicuramente, gli aveva ordinato di dividersi non per ritrovare i marmocchietti, ma per allontanarlo. Di certo, allora, doveva andare nella stessa direzione in cui era andata la Strega. Lei sapeva dove andare. Lei sarebbe stata condotta...
Molto probabilmente, la Strega della Casetta di Gioielli sarà condotta nella tana di Dahrtz.
La Strega sarebbe stata condotta nella tana di Dahrtz. Se fosse stato in grado di ritrovare Mahi, avrebbe trovato la tana di Dahrtz.
Chiuse gli occhi. Lui non aveva poteri magici. Doveva cercare a mano, proprio come stavano facendo poco prima.
"Non ho poteri magici..." Un pensiero, un ricordo nell'angolo della mente: "Ritrovare qualcosa senza usare poteri magici..." Ritrovare la Strega, ovunque lei fosse. Ritrovare Mahi.
Qui c'è un fiore di cui non so il nome!
Spalancò gli occhi. Il ricordo aveva invaso la sua mente, vivido. Si sfiorò il naso: "Mahi... Quell'odore di fiori e quella puzza di fumo..." Molto poco soave, ma era abbastanza. Richiuse gli occhi. Concentrandosi, riusciva a sentire deboli tracce di quell'odore di bruciato sui suoi vestiti. Inspirò fino a quasi sentire dolore ai polmoni: tantissimi odori diversi, mescolati, più forti o più deboli. E quel pungente odore di fumo intrecciato ad un più flebile profumo di fiori. Riaprì gli occhi.
Sapeva dove andare.
- Vada, giovane musicante. - Con un unico movimento elegante, Ysys si rialzò. Doveva aver taciuto per non disturbarlo: - Di certo lei- -
- Ora vado, signorina Ysys! - Prima che potesse finire di parlare, Johnoh scattò più veloce che potè: - Mi stia bene! Alla prossima! -
- Stia attento alle Erbacce Esplosive, potrebbero- -
Booom.

Il letto su cui giaceva Ryansel era molto comodo e, al tempo stesso, molto scomodo. Il bambino aprì gli occhi e capì cos'era a dargli fastidio: l'erba, su cui posavano la sua schiena e la sua testa, era molto morbida e confortevole, ma il tronco, su cui posavano le sue gambe, era troppo duro e la sua superficie non era neppure liscia. Lasciò cadere le gambe di lato, facendole atterrare nella ben più piacevole erba.
"Uh?" Qualcosa gli pungeva il palmo della mano. Si accorse di averla stretta a pugno. Quando la aprì, vide due piccole gemme. I fatti di... non sapeva quanto tempo fosse passato, forse poche ore? Forse più di ventiquattr'ore? Era pur sempre notte! Quei fatti, insomma, gli tornarono alla mente: erano scappati dalla Casetta di Gioielli e dalla sua spietata Strega, ma erano stati catturati da tre Tizi Loschi e portati da uno sconosciuto che parlava una lingua vagamente simile alla loro. Poi erano stati portati in forse-prigione e lì i suoi ricordi si interrompevano.
Ryansel si mise seduto e si guardò intorno. Era in un punto a caso del bosco e Amanetel era per metà dentro un cespuglio poco distante. Non ebbe bisogno di chiamarla perché, con un mugolio, la bambina diede cenno di essersi appena svegliata.
- Dove...? -
- Siamo da qualche parte nel bosco. - disse subito il fratello.
Amanetel battè braccia e gambe a caso, per poi sbuffare: - Ma uffa! Perché tu sei a terra e io sono in un dannatissimo cespuglio di dannatissimi lamponi!? Lamponi! Che problemi ha questo fottuto bosco con i fottutissimi lamponi? -
- Amanetel. - fece Ryansel, pacato: - Quello non è un cespuglio di lamponi. -
La bambina inarcò un sopracciglio, in una muta domanda.
- È un cespuglio di lampurli. -
- Eh? -
- AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! -
Le bacche rosse del cespuglio iniziarono a vibrare, delle urla ultraterrene invasero l'aria e, come tentacoli di un kraken affamato di galeoni, i rami e del cespuglio afferrarono Amanetel e presero a trascinarla all'interno del fogliame. Alle grida dei lampurli si unirono quelle alterate della bambina che, con strattoni e morsi, riuscì ad opporsi e a finire non seppe come a terra, faccia nell'erba. Con tutta la calma del mondo, Ryansel gattonò da lei e le si sedette accanto.
- Wow. - sussurrò, ammirato: - Ti ha sputato. -
- Taci. -
Amanetel alzò la testa, la faccia sporca di terra ed erba. Gettò un'occhiata al circondario. Poi sibilò: - Dov'è il secchiello? -
- Questo è tutto ciò che ne è rimasto. - Ryansel le mostrò le due pietre: - Temo siamo stati derubati. -
La bambina si sollevò sui gomiti: - Ci hanno rubato quel che abbiamo rubato! -
- Un furto al quadrato. - annuì il fratello: - E, se quella Strega avesse rubato quelle pietre, sarebbe un furto al cubo. -
Amanetel serrò i pugni e digrignò i denti. Ovviamente, ne seguì una pioggia di insulti di varia gradazione di fantasia. Alla fine, anche la bambina si decise a mettersi seduta - Ryansel, per tutto quel tempo, era rimasto ad ascoltarla con un'espressione serafica.
- Quindi cosa facciamo? - domandò Amanetel: - Cerchiamo torce e forconi e andiamo a recuperare il nostro bottino o cerchiamo un posto dove vivere serenamente? -
- La prima idea è la più affascinante. - ammise Ryansel: - Tuttavia, sprecheremmo un sacco di energie e non avremmo modo di attuare la seconda. Direi di andare per la seconda e, in futuro, prepararci per la prima. -
La bambina annuì: - Sì. Sì, mi sembra un buon pian- STATE ZITTI! - Si voltò verso i lampurli ancora intenti a sgolarsi e assestò un calcio al cespuglio. Con un ultimo strillo, i lampurli si zittirono.
Ryansel e Amanetel si alzarono, pronti ad affrontare tutti gli orrori che il bosco notturno avrebbe riservato loro. Mano nella mano, si avviarono verso un punto qualsiasi, perché non sapevano leggere le stelle e non era in vista nessun muschio che potesse indicare il nord. Non che per loro facesse alcuna differenza prendere una direzione piuttosto che un'altra.
Dopo svariati minuti di scalpiccio nell'erba, i due bambini giunsero ad un piccolo fiume. Ad occhio, le rive distavano sedici metri.
- Come facciamo a traversarlo? - chiese Ryansel: - Non vedo un ponte né un ponticello. -
- E neppure una barchetta. - aggiunse Amanetel: - Però c'è una coppia di bimbe bianche. Io dico che a pregarle ci aiuteranno. - Si gonfiò come un palloncino, per poi gridare: - Bambine bianche sull'onda, Ryansel e Amanetel son sulla sponda, non c'è ponte o ponticello, non volete farci da vascello? -
In mezzo al fiume, le scarpette scure che sfioravano l'acqua, stavano due bambine identiche: capelli biondi in un taglio anni '30 - forse, nessuno dei due bambini era un parrucchiere esperto -, fiocco dietro la testa, vestitini pieni di pizzi, occhi vuoti, giunture delle articolazioni a vista e pelle grigia. Dove Amanetel avesse visto il bianco, se non nelle orbite, rimaneva un mistero. Con uno scricchiolio, le due bambine ruotarono la testa verso di loro, a scatti. Poi ridacchiarono, la voce così acuta da poter tagliare l'aria.
- Secondo me non ci aiutano. - sussurrò Ryansel.
Quasi a volerlo contraddire, le due bimbe fluttuarono fino a loro, un movimento fluido del tutto in contrasto con quegli scatti scricchiolanti. Solo quando le ebbero vicine i due bambini notarono che, tra le mani, portavano due pacchi: una aveva un pacco nero con fiocco rosso, l'altra un pacco rosso con fiocco nero. Con uno scricchiolante gesto secco, le piccole li porsero loro.
- sCEgLi. -
Una delle bambine parlò e la sua voce sembrava uscita da un grammofono rotto - anzi, distrutto, tenuto insieme con uno scotch talmente vecchio che la colla si era fatta liquida, si era sparsa un po' ovunque e si era risolidificata in cristalli appiccicosi.
- Oh, possiamo prenderne solo uno? - chiese Ryansel, dispiaciuto.
- Siamo in due, non possiamo prenderli tutti e due? - protestò Amanetel.
- uNo. -
- UnO sOLo. -
- uNo è UNa mALedIZionE. -
- uNO è uNA beNedIZIOne. -
Ryansel e Amanetel si scambiarono un'occhiata. Poi esclamarono, decisi:
- Quello rosso! - - Quello nero! -
Tornarono a guardarsi. Annuirono. Ed esclamarono, con forza:
- Quello nero! - - Quello rosso! -
I loro occhi si incontrarono di nuovo.
- Dillo che lo stai facendo apposta! - ringhiò Amanetel.
- Tu lo stai facendo apposta! - ribattè Ryansel.
- Sei un idiota, oppure sei cattivo! -
- Sei tu quella stupida e cattiva! -
- Chi lo dice lo è, quindi sei stupido e cattivo! -
- Specchio riflesso! -
- Sai quando la planchette formava la parola V-A-F-F-A-N-C-U-L-O? Non era uno spirito maleducato, ero io! -
- Sai quando ti dicevo di aver usato fili da cucito al posto di capelli veri per le bambole voodoo? Non era vero, perché avevo usato i tuoi capelli! -
Con uno scricchiolio, le bambine indietreggiarono. Ryansel e Amanetel si ricordarono della loro presenza e tornarono a guardarle. Le giunture delle bimbe tremarono in un coro di nacchere.
- aBBIaTe PiETà. -
- RisPARmiATeci. -
- Vi pORTereMO doVE volETe. -
- AGGrappaTeVi a NOi. -
I due bambini non capirono il perché di quell'improvviso cambio di tono ma, visto che andava a loro vantaggio, non si lamentarono. Quindi, si aggrapparono alle vite sottili delle bambine e, fluttuando velocemente, furono portati sull'altra riva. Non appena Ryansel e Amanetel misero piede a terra, le due bimbe volarono via, senza neppure il tempo di essere ringraziate.
- Che strane. - commentò Amanetel, un sopracciglio inarcato.
- Sono state davvero molto gentili. - disse Ryansel, con un gran sorriso: - Non solo non hanno avuto bisogno di un ringraziamento, ma non hanno neppure voluto niente in cambio! -
- Che bambine buone... - sospirò la sorella.
- Proprio come noi! -
Come se le parole di prima non ci fossero mai state, i due bambini si presero per mano e si rimisero in cammino.
Ci vollero settantacinque minuti, secondo più secondo meno, per arrivare in un posto sconosciuto, bucolico: il bosco lasciava spazio ad un'immensa prateria costellata di edifici dalle forme più curiose - grattacieli, casine dai tetti spioventi, casupole in stile nord europeo, castelli dalle torri puntute, edifici con torri a matrioska, porte al posto delle finestre e finestre al posto delle porte. Per poter accedere alla prateria, si doveva salire un gradino dall'aspetto di pagine, qualcosa di simile alla copertina di un libro divideva le pagine dal terreno. Non riuscivano a vedere il perimetro della gigantesca copertina, ma avevano il legittimo sospetto che fungesse da fondamenta per l'intero regno - non ci voleva un genio a capire che fossero arrivati in un qualche regno.
I due bambini si diedero all'esplorazione di quel luogo sconosciuto. C'erano dei sentieri ben curati, qualche sasso ad indicare il chilometraggio, graziose aiuole variopinte e bizzarre creature che scorrazzavano felici. C'era, ad esempio, una grossa conchiglia bivalve dalla bocca ondulata, con due grandi occhi a scodella rovesciata sulla cima; di tanto in tanto si apriva, rivelando una bella sirena dai capelli verdi e la pelle scura, ma sembrava come se fosse stata rimpicciolita, quasi in deformed. Oppure c'era un demonietto alto due metri, il corpo malleabile come uno slime, di un verde cupo, i cornini ritorti e le ali da pipistrello, un sorriso troppo grande e spiritati occhi rossi dalla sclera gialla. Ancora, un enorme drago rosso rotondo indossava il gigantesco uovo da cui era presumibilmente uscito, la parte inferiore a pannolone e la parte superiore come cappello, viola a pois azzurri. Sull'orizzonte, un gruppetto di piccoli draghetti bianchi dagli occhioni blu svolazzava allegro, le minuscole ali da pipistrello piene di punte si agitavano con forza, le iridi azzurre erano spirali e le bocche non avrebbero fisicamente potuto contenere tutte quelle zanne.
Ryansel e Amanetel si scambiarono un'occhiata perplessa: - ... Dove siamo finiti? -
- Oh, poveri piccini! -
Una voce femminile alle loro spalle li fece trasalire. Si voltarono nello stesso momento.
Una donna dai lunghissimi capelli biondi, con un bel viso dolce e materno, li guardava con sguardo preoccupato. Indossava una vestaglia azzurra dai merletti rosa e delle pantofole gialle: doveva essere uscita di casa di corsa, forse non appena li aveva visti.
- I vostri vestiti sono rovinati e siete pieni di terra e foglie! - Si avvicinò e li scrutò con attenzione. Amanetel era senz'altro quella messa peggio. - Dove sono i vostri genitori? - chiese, apprensiva.
- Boh. - Ryansel alzò le spalle.
- Ci garantiscono che nostro padre esista, nostra madre non è pervenuta e la nostra matrigna è una cretina che ci ha abbandonato nel bosco. - rispose Amanetel, sincera.
La donna si coprì la bocca con una mano, gli occhi sgranati: - Oh... Poveri, poveri piccoli. Non oso immaginare cosa avete dovuto sopportare, in quel bosco pieno di pericoli... -
I due bambini annuirono, le espressioni gravi.
- Sì, delle cose orribili! - esclamò Ryansel.
- Delle persone terribili! - gli fece eco Amanetel.
In quel momento, furono raggiunti da un uomo: lunghi capelli argentati, vestaglia e pantofole rosse, anche lui doveva essere uscito di corsa - anche se meno di corsa della donna, forse il tempo di fare la piastra ai capelli.
- Dunque chi sono questi due piccoli, Cyndyah cara? - domandò all'altra, dopo aver gettato un'occhiata ai due bambini.
- Sono due poveri piccini che non hanno un posto in cui andare. - La mano di Cyndyah andò alla guancia, lo sguardo si fece triste: - Hanno dovuto sopportare così tanto, in quel bosco crudele! Non potremmo...? - Gli occhi andarono all'uomo, quasi speranzosi.
Ryansel e Amanetel rimasero a guardare il nuovo arrivato, in attesa. Magari la donna gli aveva chiesto di aiutarli - in caso, una risposta positiva sarebbe stata più che gradita -, ma poteva anche avergli chiesto di trasformarli in statue ornamentali per porre fine alle loro sofferenze - in caso, una risposta negativa sarebbe stata più che gradita.
Alla fine, l'uomo sospirò: - Certo, Cyndyah cara. Non sia mai che il Ducato di Toon non aiuti coloro che sono in difficoltà. -
Il volto di Cyndyah s'illuminò di un sorriso dolcissimo: - Naturalmente, Pehgahsus caro. -
Pehgahsus battè le mani e si rivolse ai due bambini. Anche lui sorrideva, ma di un sorriso più leggero e giocoso. Ora che guardavano meglio, una tenda di capelli gli copriva del tutto metà del viso.
- Benvenuti nel Ducato di Toon, giovani viaggiatori! - esclamò: - Io sono il Duca Pehgahsus e questa meravigliosa signora è la Duchessa Cyndyah. - La donna fece una piccola riverenza sollevando appena la vestaglia. - Voi chi siete? -
- Io sono Ryansel. -
- Io sono Amanetel. -
- Siamo due dolci bambini sfortunati. -
- Veniamo da un punto non precisato nelle vicinanze del bosco. Forse tra il Regno d'Egitto e il Regno di Domino. -
- È davvero molto lontano da qui. - disse Pehgahsus, una veloce occhiata alla compagna. Cyndyah annuì. - Non temete! - Il Duca si portò le mani ai fianchi: - Vi forniremo un alloggio confortevole per due bambini così giovani! E potrete guadagnarvi da mangiare! -
I due bambini si scambiarono un'occhiata seccata, un pensiero comune: "A quanto pare non ci daranno cibo gratis..." Tuttavia, il Duca e la Duchessa si stavano mostrando molto gentili e bendisposti, quindi avrebbero potuto provare a guadagnare onestamente.
- Abbiamo giusto bisogno di pastorelli per le Bestiole Toon! - Pehgahsus indicò i draghetti bianchi che volteggiavano nel cielo notturno.
- Sono buonissime, non temete! - li rassicurò Cyndyah. Quasi l'avesse sentita, uno dei draghetti sputò una fiammata da puro lanciafiamme, prendendo in pieno il drago-uovo. Quello fece un salto di svariati metri e, con un ruggito, iniziò un goffo inseguimento del draghetto colpevole. La conchiglia scattava, la sirena al suo interno ridacchiava con versi tanto acuti da rasentare gli ultrasuoni. Il demone slime si avvolse attorno ad un lampione e si lasciò ricadere all'indietro, in una serie di suoni gutturali che dovevano essere una risata.
- Quanta violenza che c'è, qui. - notò Ryansel. Guardò Amanetel.
Sui volti dei due bambini apparve un sorriso.
- Questo posto è magnifico! -.

.

Note:
* "Deútero Epeisódio" (Δεύτερο Επεισόδιο): "Secondo Episodio" in greco.
"deútero méros" (δεύτερο μέρος): "seconda parte" in greco.
* "Il sangue sulle nostre mani è il vino che offriamo come sacrificio~" / "Strappa le ali di una farfalla per la tua anima~": «Wings of a butterfly», H.I.M.
* "Me misera! Me tapina!": Da Topolino. È l'esclamazione di sconforto che è solito usare Paperone.
* Sì, anche la Strega ha scambiato Alystehr per una donna.
* Daenerys è ovviamente Daenerys Targaryen de Le cronache del ghiaccio e del fuoco / Game of Thrones.
REBBECCA-men, invece, è la perfidissima (?) regina de Lo Scooby-doo del Millennio! di Nadeshiko.
* La similitudine tra la magia e il sangue si rifà ad una spiegazione simile data in Card Captor Sakura.
* I lampurli sono opera di Tayr Seirei.
E Amanetel la ringrazi, perché le alternative erano un cespuglio di ramponi o un cespuglio di arpioni.
* Le prime battute di Ryansel e Amanetel davanti al fiume sono tratte dalla fiaba originale di Hansel e Gretel, ovviamente con modifiche. (Edizione BUR Rizzoli, 2018)
* Le due bimbe creepy sono le Cursed Necro Twins ("Stregoneria delle Necrotwins" secondo la mirabile traduzione italiana del manga, "Gemelle della Maledizione" nel doppiaggio italiano), mentre le bestiole del Ducato di Toon sono la Sirena Toon, il Teschio Evocato Toon, Manga Ryu-Ran e i Draghi Bianchi Occhi Blu Toon.


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(Attenzione: Rottura della Quarta Parete potrebbe provocare effetti collaterali in Storie Serie, quali ammuffimento della trama, distruzione della credibilità e rivolta popolare.)

Non avessi usato Rottura della Quarta Parete, sarebbe stata la volta buona che i capitoli si scindessero in diciassette. È proprio una fortuna che questa non sia una Storia Seria! (?)
Grazie quindi alla buona Ysys, la cui deus ex machinesca apparizione ha recato seco la Rottura della Quarta Parete. Era destino. *Inciampa e cade in un fosso*

Mahi è una pavonessa (La sua identità di Strega è molto più evidente della sua natura di pavo cristatus, ecco perché non è stata sgamata all'istante.) perché Kujaku, il suo cognome, significa "pavone". L'avevo detto che Johnoh e Malic non sarebbero stati le uniche bestiole - Lo sarebbe anche Ysys, in verità: come intuibile dal suo soprannome e come detto esplicitamente ne Il bronzeo addormentato nel bosco, è un gufo. Quanto all'identità della "Strega" che le ha allungato la vita... In verità, ho in mente diverse risposte. Dubito ne scriverò mai, ma mai dire mai (?). Intanto la risposta rimarrà misteriosa come lei.
Si dovrebbe poi essere intuito perché Dahrtz parli in quel modo assurdo: lui è l'Indovinellaio. Non si tratta di nessuna figura in particolare, quanto più l'incarnazione delle filastrocche e degli indovinelli delle fiabe.
Gli apporti fondamentali di Malikura, Malic, Ryansel e Amanetel, invece, si concludono qui, con i due candidi pargoli che giungono persino ad un lieto fine. Se diventeranno mai sottoposti dello Stregone di Kul Elna? Chissà. Sarebbe una cosa orribile.

Spero che questo penultimo - Stavolta effettivamente penultimo! - capitolo vi piaciuto. E spero potrà esserlo anche il Gran Finale (Ma de che?): il musicante di Brema e l'incantevole Strega vs eloquenti atlantidei portatori di inabissamenti!
(*Soe, smettila di parlare come le anticipazioni di una seguitissima serie tv.* No! Lasciatemi parlare con la mia platea invisibile!)
Beh, certo, il Gran Finale non è ancora stato scritto e quel capitolo è in hiatus da ormai tre anni, ma chissà, magari un giorno potrebbe fare la sua apparizione~!

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