Diario Di Campo Di Sam Worthington

di Scaramouche
(/viewuser.php?uid=101917)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1 ***
Capitolo 2: *** Giorno 2 ***
Capitolo 3: *** Giorno 3 ***



Capitolo 1
*** Giorno 1 ***


Diario di campo di Sam Worthington

Giorno 1

Il rumore dei clacson mi rimbombò nelle orecchie in modo incredibilmente fastidioso. Il mal di testa cominciò a farsi insopportabile, sembrava che dentro il mio cervello marciassero schiere e schiere di soldati disciplinati che battevano sempre lo stesso ossessivo ritmo.

Mi presi la testa tra le mani. Maledetta Los Angeles, maledetto traffico e maledetto taxi che non voleva decidersi ad arrivare in fretta all’aeroporto. Sarei finalmente salito su un aereo e avrei lasciato queste caotiche città, per atterrare a Kathmandu, in Nepal.

Salii con un salto sulla metro un momento prima che le porte si richiudessero e mi lasciassero a terra. Mi feci largo tra i passeggeri sgomitando per cercare di afferrare un palo di metallo, come appiglio per non finire a terra alla prima frenata.

Poggiai la valigia a terra e mi persi nel guardare i volti annoiati, tristi, gioiosi, delle persone intorno a me. Mi soffermai su un uomo che guardava insistentemente l’orologio e che, a giudicare anche dal tremolio del ginocchio, era parecchio nervoso. Spostai lo sguardo oltre di lui e il nocciola chiaro dei miei occhi incontrò l’azzurro di quelli di un ragazzo –non tanto più giovane di me- che mi fissavano dall’altra parte del vagone. Restai a guardarlo e lui restò a guardare me. Era come se una forza sconosciuta ci impedisse di abbassare lo sguardo in preda all’imbarazzo. Ma mentre io ero ancora con gli occhi rivolti verso di lui, le porte della metropolitana si aprirono e alcuni uscirono fuori correndo, invece altri entrarono, facendomelo perdere di vista.

Ripresi la mia valigetta, pronto per scendere alla prossima fermata, che non tardò ad arrivare. Come prima per salire, mi dovetti fare largo con la forza per non essere sballottato dalla folla di gente che c’era all’ora di punta del mattino. Insieme a me un fiume di gente si riversò fuori, per poi spostarsi come un branco di sardine verso le scale. Nella confusione io mi muovevo con calma, ero in orario, non avevo bisogno di correre, al contrario di qualcuno davvero maleducato che mi urtò la spalla, superandomi, mentre cercava di svincolarsi tra le persone.

-Ehi!- gridai nella sua direzione, ovviamente senza aspettarmi una risposta. C’è qualcosa alle fermate dei treni che induce irritabilità e nervosismo –cosa che avevo notato dopo anni da pendolare-, e sinceramente non seppi nemmeno perché gli gridai qualcosa dato che nella migliore delle ipotesi non mi avrebbe nemmeno ascoltato. Ma mi stupì .

-Scusi…- rispose, e quando si girò per vedermi in volto sembrò riconoscermi, come io riconobbi lui. L’avevo visto meno di quindici minuti prima sul treno che entrambi avevamo appena lasciato.

Non indugiò oltre e riprese la sua corsa veloce verso l’uscita.

Non era una cosa che provavo spesso, il desiderio di seguire una persona intendevo, ma non seppi spiegare nemmeno io a me stesso perché quella mattina di un martedì di febbraio un uomo qualsiasi, incontrato sulla metro, avesse potuto scatenare il mio interesse. Era affascinante, certo, ma quel suo modo di scrutarmi mi aveva svuotato, come se fosse riuscito a leggermi fino in fondo all’anima, aprendomi come un libro, e piegando la pagina per tenere il segno quando l’afflusso di gente ci aveva fatto sciogliere il contatto visivo. Sentivo che doveva finire di leggermi.

Presi le valige del portabagagli del taxi, pagai la mia corsa e mi diressi all’entrata dell’aeroporto. Il mal di testa per fortuna era scomparso e mi rimaneva solo la voglia di partire. Controllai i voli sul grande tabellone che torreggiava su di un grande salone circolare, mentre qualche bambino mi sfrecciò accanto, per poi essere subito richiamato dalla mamma.

Tirai fuori il cellulare e composi un messaggio "parto tra poco, ci sentiamo quando atterro. Ti amo." Lo inviai al primo destinatario della lista, praticamente la persona con cui scambiavo messaggi quasi a tutte le ore del giorno. La mia fidanzata Natalie.

 

Lo seguii su per le scale, aumentando il passo per stargli dietro. Arrivato in cima vidi l’angolo del suo impermeabile beige scomparire tra la folla. Gettai una rapida occhiata all’orologio che mi confermò che avevo ancora mezz’ora di tempo prima di dover recarmi al solito lavoro.

Riuscivo a vedere le ciocche bionde dei suoi capelli muoversi tra la gente, finchè non arrivò ad un semaforo ed attraversò la strada.

Mi lanciai tra le macchine inseguito da qualche clacson, e mi infilai nello stesso bar affollato in cui era entrato anche lui.

Arrivai al bancone e mi misi in fila, notando che mi era proprio davanti . Era di qualche centimetro più alto di me, i suoi capelli erano di una tonalità di marrone molto chiara, tendente al giallo paglia verso la nuca, su cui feci vagare lo sguardo. Aveva la pelle bianca, e sotto all’impermeabile beige potevo vedere che indossava la camicia e una giacca blu scuro.

Finì di parlare con la commessa e si spostò per prendere la sua ordinazione.

Io ordinai in fretta un cappuccino e quindi mi misi accanto al biondo, che giocherellava con degli stuzzicadenti.

I nostri bicchieri arrivarono insieme e per finto errore presi il suo, leggendo il nome che c’era segnato con il pennarello nero: Jude. All’inizio pensai che non si chiamasse davvero così, da quanto ne sapevo quello era un nome da donna, e, a meno che i suoi genitori non fossero stati ubriachi mentre dettavano il nome all’anagrafe, il bicchiere che avevo in mano era di qualcun altro. Ma mi sbagliavo. Il biondo si accorse immediatamente dell’errore e mi strappò il contenitore dalle mani, per poi lanciarmi uno sguardo truce.

Mi passò il mio, e sparì di nuovo tra la folla. Io rimasi lì immobile mentre dentro di me sentivo crescere un sentimento di disgusto.

Mi presi un momento per guardare lo sfondo del mio cellulare. Era una foto mia e di Natalie durante una gita in montagna qualche mese prima. Aveva un sorriso stupendo, il più bello che avessi mai visto, mi ero innamorato di quel sorriso, e forse era anche per quello che le avevo chiesto di sposarmi così presto, solo dopo quattro mesi che ci conoscevamo e tre e mezzo che stavamo insieme. Ma l’amavo, e non potevo partire senza sapere che lei non mi avrebbe aspettato.

Riposi il telefonino in tasca e mi avviai al check-in, dove lasciai le mie valige. Mi fecero passare poi sotto un metal detector e trattenni il respiro, nonostante fosse tutta la vita che prendevo un aereo, la paura che il campanello suonasse e richiamasse l’attenzione di tutti mi sembrava una cosa altamente sgradevole.

Dovevo attraversare la frontiera, così un omone mi controllò i documenti e il passaporto. Gettai l’occhio alla foto incollata sulla mia carta d’identità, ero venuto proprio male, feci scorrere lo sguardo anche ai miei dati, solo così, per passare il tempo mentre l’armadio finiva di spulciare i libretti.

Nome: Sam

Cognome: Worthington

Occhi: Blu

E così via. La guardia mi ridiede indietro tutto con un cenno del capo che stava a significare "Puoi andare, sembri pulito, magari non ti sguinzagliamo dietro i cani antidroga". Mi facevano venire i brividi.

Recuperai anche il mio bagaglio a mano e mi affrettai per il corridoio che portava all’imbarco. Incrociai un paio di persone, e mentre correvo vidi un uomo ricurvo su una panchina, con il viso affondato nei palmi, che probabilmente piangeva. Rallentai, intenzionato ad aiutarlo, ma la voce all’autoparlante richiamò il mio volo, e lasciai perdere.

Una volta sull’aereo misi a posto il mio borsone nelle cappelliere e mi sistemai nel sedile vicino al finestrino, puntando lo sguardo sulla pista d’atterraggio. Ero eccitato, non riuscivo a stare fermo, e la prospettiva di un volo di quasi nove ore non era per niente buona.

Accano a me si sedette una signora di mezza età insieme a suo marito, probabilmente turisti. Li guardai con curiosità, provando una forte tenerezza vedendo che si tenevano la mano per la paura. Dovevano essere davvero molto innamorati, pensai, ma la malinconia mi assalì, facendomi distogliere lo sguardo e riportarlo al cemento fuori dall’abitacolo.

"Chissà come sta Natalie, chissà se mi pensa" conficcai le unghie nei braccioli al ricordo del nostro litigio alla mia partenza.

Io l’amavo troppo, ecco tutto. Non c’erano stati pianti, ne vetri rotti, solo grida e sbattimenti di porte, dopo nemmeno cinque minuti di discussione. Ero andato completamente fuori di testa, saperla con un altro mi aveva mandato in bestia più di quando mio padre mi negò la macchina per la prima volta. Ero geloso, possessivo e molto irascibile quando si trattava della mia donna.-Stupido, stupido, stupido! Cosa ti ha fatto pensare che quell’uomo fosse interessato a te?!- mi ripetevo a denti stretti per la strada verso il lavoro.

Camminavo a testa bassa e mi capitò più di una volta di essere sballottato dalla folla, come un cadavere inerme tra le onde dell’oceano. Mi sentivo esattamente così, un cadavere, un corpo senz’anima, un involucro senza sostanza.

La depressione aveva preso il posto della mia voglia di vivere trascinandomi in uno stato di passività totale. Semplicemente mi lasciavo trasportare.

Quando entrai nell’ascensore del palazzo dove mi recavo ogni giorno e mi guardai nelle pareti a specchio, quasi non mi riconobbi. Avevo i capelli spettinati, anche se era una cosa normale, le occhiaie profonde e una faccia da fare invidia ad una vedova.

Mi feci coraggio ed entrai nell’ufficio gremito di gente, cercando di nascondere a tutti la mia penosa condizione comprendoni con l’angolo del cappotto. Raggiunsi la mia scrivania in fretta e non appena poggiai la valigetta a terra Ioan mi arrivò alle spalle facendomi prendere un colpo.

-Ciao!- mi salutò, subito dopo, sorridendo raggiante.

-Ciao Ioan…-

-Ehi, hai un aspetto orribile…-

-Lo so, e se magari non lo fai notare sto meglio, grazie- non era giornata, ero nervoso e deluso, non volevo persone attorno, e risposi male a Ioan solo perché se ne andasse e mi lasciasse in pace, ma di solito ero gentile con lui.

Mi sistemai alla scrivania e mettendo a posto alcuni fogli poggiai lo sguardo su una vecchia fotografia, in piedi vicino allo schermo del computer.

Sentii subito una morsa allo stomaco mentre fissavo quel bel faccino, gli occhi marroni e i capelli scuri. Nella foto sorrideva, abbracciato a me, in una giornata di sole qualsiasi di, forse, un paio di mesi fa.

Strinsi i pugni quando sentii la rabbia montare, aveva davvero un bel sorriso, il bastardo figlio di puttana. Afferrai la cornice con dentro la foto e la scaraventai nel cestino,portandomi le mani al volto, deciso a lasciarmi tutto alle spalle e dimenticarmi di Todd.

Sapevo che non sarebbe stato facile, che avrei dovuto impiegare tutto me stesso per riuscire a non pensare più a lui, per abituarmi a tornare a casa e non trovare nessuno, se non ancora la sua posta.

Di sicuro non lo avrei mai perdonato, e se mai avessi avuto di nuovo occasione di vederlo credevo che gli sarei saltato addosso e l’avrei steso a cazzotti. Non mi sarei limitato a piangere sulla porta di casa, come il giorno in cui rompemmo, lo avrei fatto penare per bene. Doveva provare lo stesso dolore che avevo provato io quando ho saputo che si vedeva con un altro, con la scusa che non ero mai a casa –con il mio lavoro è normale- e che non lo soddisfacevo più tra le lenzuola. Si fosse mai lamentato una volta!

Comunque mi ero messo in pace la coscienza e mi ero detto "il mare è pieno di pesci" proiettandomi già verso una nuova storia con qualcuno. Ma non avevo calcolato quanto amore ancora provavo per quel lurido bastradello. Gli avevo dato tutto, il mio cuore, il mio corpo, la mia casa, e lui mi aveva ripagato scappando con Bradley il principe azzurro Cooper.

Lo odiavo, eppure non riuscivo a staccarmi da tutte le cose che me lo ricordavano, provando sempre un vuoto quando le guadavo.

Dovevo prendere la mia vita a due mani e cambiare strada, oppure mi sarei fatto trascinare via con lui, o meglio, con la sua mancanza.

Avrei dovuto buttare tutte le foto.

 

A/N Buonasera!!! :DDD Sono incredibilmente felice di aver postato questo capitolo perchè scriverlo è stato un parto .____. per un paio di motivi i quali: 1.Questa storia è mia figlia, e non volevo che mia figlia fosse concepita troppo in fretta (*W*) 2.Lo spazio tempo è complicato, e cioè, come avrete notato (spero!) le due storie (corsivo e non corsivo) non sono la stessa, ma sono due che si svolgono su piani diversi, anche temporalmente...ma capirete più avanti :) (spero!) Anche riguardo a questo, aspetto di sapere se capite lo svolgersi delle azioni e se c'è continuità, e se mi dite di sì continuerò allegramente ad alternare i due filoni, altrimenti ridurrò i cambiamenti, che però è d'obbligo che ci siano...
Mi auguro con tutto il cuore che vi piaccia perchè ho speso molto sudore, e so che ne spenderò molto su questa pazzia...
Ultime due cose...Come avrete notato Sam è Sam Worthington di Avatar (tra i tanti), vi dico solo, non andate in panico, e fidatevi di me (Se, come no!) :) Todd è Todd Philipps, regista di Due Date eThe Hangover 1/2...mentre Bradley Cooper ha recitato nei film di Todd...(è un figo *Q*)
Okay, ho finito...adesso smetto di rompervi le scatole :DD
Vi amo per aver letto questo capitolo <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Giorno 2 ***


Giorno 2

Scappai letteralmente da quell’ufficio, riversando la mia frustrazione sui tasti dell’ascensore. Quando fui in strada, mi calmai, all’aria aperta ed in mezzo a tante persone. Odiavo la solitudine, tanto quanto dover restare rinchiuso in una stanza per svolgere il mio lavoro, quando dovevo aspettare settimane prima di potermene andare in spedizione di nuovo.

Mi avviai verso casa con lo stesso entusiasmo che mi aveva trascinato lì quella stessa mattina, e mentre cercavo di non venire sballottato dalla folla delle sei del pomeriggio, passai accanto alle sedie di un bar e distrattamente notai un ciuffo biondo di una testa familiare. Il tizio abbassò il bicchiere di caffè che stava sorseggiando e alzò la testa nella mia direzione, incrociando gli occhi con i miei e facendomi sussultare. Appena mi vide lasciò velocemente la mancia sul tavolo e letteralmente fuggì via facendo sventolare il cappotto beige.

-Che diavolo...?!- rimasi imbambolato a fissare la sedia per qualche secondo e non appena mi riscossi mi gettai all’inseguimento dell’uomo misterioso.

Lo seguii con la convinzione che non credevo nel destino e nelle coincidenze, e che c’era un motivo ben preciso per cui questo Jude era ovunque mi girassi e per cui, appena mi vide, si affrettò tra la folla per non essere visto.

Gli afferrai la spalla con tutta la convinzione di cui ero capace. Quello si girò fulminandomi e io mi resi conto di aver sbagliato persona, perché mi ritrovai davanti un completo sconosciuto.

-Cosa fa?!- gridò, scrollandosi la mia mano di dosso.

-Mi scusi, devo aver sbagliato…mi perdoni- abbassai gli occhi pieno d’imbarazzo e lo lasciai andare.

Persi di vista Jude e mi diedi mentalmente dell’idiota. “Devo ricordarmi di fustigarmi appena arrivo a casa” le budella mi si contorsero di nuovo nello stomaco in un senso di nausea disgustosa.

Ero disperato, ecco tutto, a tal punto da interessarmi ad un probabile maniaco serial killer che voleva uccidermi, e da crearmi visioni di lui e dei suoi occhi.

Mi mancava Todd.

Mi mancava qualcuno con cui stare.

 

L’aereo atterrò anche prima del previsto e quando scesi non c’era nessuno ad aspettarmi a causa del mio anticipo. Mi sdraiai su di una panchina per cercare di recuperare qualche ora di sonno che non ero riuscito a fare durante il volo, troppo perso nei miei pensieri. Chiusi gli occhi ma non mi addormentai totalmente, restando in uno stato di dormi-veglia.

Sentii dei passi avvicinarsi, ma continuai a tenere gli occhi chiusi, almeno fino a che qualcuno non mi scrollò la spalla, facendomi ridestare.

Guardai l’uomo che sorrideva sopra di me.

-Ciao Sam- disse, ridacchiando appena.

-Cos’hai da ridere?- mi rimisi seduto con un lamento, e lui scosse la testa.

-Non hai dormito, Sam?-

-Per niente, avevo troppi pensieri per la testa- mi grattai la nuca cercando di recuperare lucidità.

-Peccato, io sono andato in letargo il momento esatto in cui l’aereo ha decollato- rise di nuovo, spostando lo sguardo da me alla piccola folla riunitasi a poca distanza da noi.

-Andiamo? Penso che quelli  siano i nostri compagni- si alzò tendendo una mano verso di me, che afferrai volentieri per aiutarmi ad issarmi. Raccolsi le poche cose che mi ero portato e lo seguii.

Si fermò a pochi passi dal gruppo.

-Ho bisogno del bagno, tu presentati, torno subito- e mi mollò lì, correndo in cerca della toilette.

Alcuni dei miei “dipendenti” –se così si potevano chiamare- non li avevo assunti di persona, causa della loro residenza in un altro paese che non fosse l’America, e mi erano solo stati presentati in fotografia, quindi mi venne parecchio difficile riconoscerli.

-Scusate, state cercando…- cominciai, ma venni subito interrotto da un ragazzo che corse a stringermi la mano. 

-Signor Worthington! È un immenso piacere lavorare con lei. È grazie a lei se possiamo avere l’onore di solcare le vette più alte del mondo- gli sorrisi cortesemente, non sapendo minimamente chi fosse.

-Sì, salve, piacere mio- dedussi facilmente che quelle erano le persone che stavo cercando -Vogliamo avviarci all’uscita e posticipare le presentazioni? Scommetto che tutti voi sarete stanchi- la mia proposta fu accolta con molto entusiasmo, e mentre tutti si incamminavano, mi ricordai del mio amico.

Lo vidi uscire da un corridoio laterale e guardarsi attorno spaventato.

-Robert, di qua!- lo chiamai alzando il braccio per farmi vedere meglio. E non appena si accorse di non essere stato lasciato da solo, mi corse incontro per poi superarmi senza nemmeno fermarsi.

-Sbrigati che perdiamo gli altri!- urlò già lontano. Lo guardai e sorrisi. Ero contento che lui, a dispetto del nostro primo incontro, fosse così felice.

 

Infilai la chiave nella toppa, perso nei miei pensieri, tanto che quando aprii la porta salutai ad alta voce, ricevendo in cambio il silenzio totale e immutato di casa. Posai la valigetta a terra sospirando tristemente, dirigendomi per prima cosa alla mia scrivania dove tenevo la maggior quantità di foto di Todd e me. Mi immobilizzai davanti agli sguardi felici e gioiosi immortalati nelle fotografie costrette in cornici di legno bruno. Presi in mano la prima, riconoscendo dove era stata fatta: era una delle poche gite in spiaggia che io avessi mai accettato di fare, Todd mi ci aveva trascinato perché era stufo di cupi sentieri di montagna. Lo guardai un’ultima volta, immergendomi nelle sensazioni più belle che quell’immagine mi trasmetteva, poi, fatto un respiro profondo, la gettai nel cestino sottostante la scrivania. Improvvisamente fui invaso da uno strano senso di sollievo. E sull’onda di quella sensazione presi altre due foto, senza disturbarmi di toglierle dalla cornice, e le buttai nella spazzatura. Lo feci con tutte quelle che avevo in casa che ritraevano il volto di Todd, e mi sentii libero di un peso, finalmente illuminato solo dalla luce del mio immediato futuro, non più oscurato dalle ombre cupe del passato.

Accesi il computer, e, in preda alla gioia più profonda, cancellai tutti i file contenti immagini di qualsiasi tipo, non mi interessava, dovevo togliere ogni cosa mi potesse ricordare che ero legato a quell’uomo. Non gli davo nemmeno più un nome, stavo facendo progressi.

A lavoro ultimato mi buttai sul letto completamente soddisfatto. Restai a guardare il soffitto senza una precisa motivazione, pensando a cosa avrei potuto fare nelle prossime ore, oltre a mangiare, e la prima cosa che mi venne in mente fu di guardare un bel film per liberarmi la testa dai pensieri pesanti. Scattai in piedi e corsi allo scaffale dove tenevo i DVD preferiti. Scorsi il dito lungo i dorsi delle confezioni di plastica fermandomi con un sorriso su di uno particolarmente familiare.

Con cura maniacale estrassi “Ritorno Al Futuro: parte I” dalla mensola, e aprii la scatola da dove scivolò fuori un foglietto di carta. Mi chinai a raccoglierlo e non appena lo potei guardare meglio notai che c’era qualcosa di scritto su di un lato. Una data e una faccina felice. Lo girai e rimasi sorpreso nel vedere che era uno scatto, probabilmente fatto da Todd una mattina, in cui c’ero io comodamente appoggiato al suo petto che dormivo profondamente e con lui che mi dava un bacio tra i capelli.

Feci un passo verso il cestino per buttarla come tutte le altre, ma mi fermai subito. Quella fotografia racchiudeva tutto l’amore che mi era stato donato da Todd, là, tutto immortalato nei suoi occhi e nei suoi gesti.

Me la rigirai tra le mani e poi la infilai nella tasca interna della valigetta guardandomi attorno furtivamente, come se stessi infrangendo una qualche strana legge della casa, legge che avevo stabilito io stesso, per giunta.

Ritornai alla televisione e feci partire il DVD, per poi sprofondare nel divano.

 

Una volta fuori dal grande edificio chiamammo un taxi per ogni tre persone, con l’accordo di trovarci tutti insieme all’hotel che avevamo prenotato per la prima notte lì a Kathmandu.

Con me venne Robert, che si accomodò nel sedile anteriore vicino al tassista, e il ragazzo che prima mi aveva assalito di complimenti con aria adorante.

-Joseph non vuoi venire con me?- chiese un uomo dietro di lui non appena salì in macchina.

-Vado con il professore, ci vediamo all’hotel Tom- lo salutò e chiuse la portiera.

Tom rimase impalato a fissare la nostra auto per qualche secondo, fino a che Robert diede le indicazioni e finalmente partimmo.

Vi risparmio l’interrogatorio che quel giovane mi fece, mentre io di lui scoprii solo che si chiamava Joseph Gordon-Levitt, ed era nella nostra missione grazie a sue potenti conoscenze che lo avevano inserito in un programma intensivo all’università di Parigi.

Quando si zittì, sazio di parole, potei riflettere sui giorni che sarebbero venuti dopo.

 

NdA

Buonasera a tutti ^^ Non ho molto da dire, solo che prometto che questo sarà l'ultimo capitolo (probabilmente) con tutto questo intreccio di font xD ma, come invece mi aveva suggerito qualcuno, non posso confinarli ad un capitolo singolo per motivi a voi ancora ignoti xD nel prossimo almeno li dividerò...(cioè ho fatto più casino qua .__.) 

Vi presento i, per adesso, nuovi arrivati, allora avete conosciuto Joseph Gordon-Levitt, alias Arthur di Inception (ne consiglio la visione per chi non avesse ancora avuto il piacere di guardare il film) e Tom, è Tom Hardy, alias Eames, sempre di Inception :D

Bene, spero che il prossimo capitolo arrivi presto, adios gente (grazie a voi che recensite, leggete, preferite, seguite, love you all <3)

Baci, Scaramouche... 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Giorno 3 ***


Sbadigliai cercando di portarmi una mano alla bocca il più velocemente possibile. Guardai l’orologio e sbuffai, rialzai lo sguardo sull’orologio ma la lancetta aveva camminato solo per due, al massimo tre, secondi, sbuffai ancora.

Incrociai le braccia sulla scrivania e ci poggiai sopra la testa ciondolante.

La più totale noia mai esistita sulla terra. Assenza completa di cose da fare o di idee che mi portassero a tenere la mente occupata quel poco per non pensare a…Mi ero imposto di non nominarlo nemmeno nei pensieri, ma avevo pulito casa, avevo finito il lavoro per l’intera settimana e avevo guardato tutti i DVD dello scaffale. Alla fine mi venne difficile non fermarmi ad analizzare la mia vita, come se fosse cambiata dopo un colpo di straccio al pavimento o una battuta brillante di una commedia.

Era come se fossi rimbalzato in un limbo di non emozioni, non ero neanche più arrabbiato o triste, avevo solo voglia che finisse. Cosa non lo sapevo, ma percepivo che c’era qualcosa che doveva concludersi, qualcosa che doveva ancora succedere per permettermi di andare avanti.

Ricordai che dei miei colleghi spesso passavano la serata in una discoteca non tanto distante da casa e che mi dicevano di uscire a farmi una bevuta per conoscere altre persone così decisi che un’innocua discoteca non poteva certo che tenermi la mente occupata.

Mi vestii discretamente bene e guidai fino al locale gremito di gente. Mi feci largo a fatica tra i presenti e arrivai al bancone per ordinare da bere.

In quel momento mi si affiancò l’uomo che proprio non potevo sopportare nemmeno di immaginare.

-Ciao Robert- mi salutò, con un finto tono cordiale.

-Vattene Bradley-

-Cosa c’è? Adesso uno non può più salutare un vecchio amico?-

-Fottiti, io non sono tuo amico- cercavo di mantenere un tono calmo e freddo, ma lui sapeva fare incazzare anche un santo.

-Non parlarmi così, Bambi- feci finta di non aver sentito quella pessima allusione alle corna –Sei patetico se ce l’hai ancora con me e Todd-

-Senti, non ce l’ho con Todd, ce l’ho con te-

-Perché con me scusa? Non sono io quello che ti ha abbandonato- ridacchiò portandosi alle labbra il suo bicchiere e giurai che se fosse andato avanti avrei perso tutta la mia scarsa pazienza.

Spostai lo sguardo da lui alla folla e mi allarmai non appena vidi quel  Jude che si aggirava tra le persone con aria truce.

-Parli del diavolo…- esordì Bradley accogliendo tra le braccia Todd, che gli si fiondò addosso.

-Ehi- salutò quello sorridendo, ma quando posò lo sguardo su di me il sorriso gli morì sulle labbra.

-Robert, strano vederti qui- disse, evidentemente in imbarazzo.

-Vero? Speravi che non me ne uscissi più di casa dopo che te ne saresti andato via-

-Non intendevo questo, anzi, mi fa piacere che tu esca qualche volta-

Bradley sussurrò qualcosa all’orecchio di Todd e poi se ne andò disinvolto come sempre.

Appena Cooper si fu allontanato abbastanza Todd mi venne più vicino.

- Non era destinata a durare, Robert, e lo sai- cominciò, usando un tono carico di pena nei miei confronti che francamente odiai con tutto me stesso.

- Sei tu che l’hai fatta finire, per me saremmo potuti andare avanti tutta la vita-

-Non con il tuo comportamento. E smettila ti prego con la favola dell’amore che può durare in eterno, non esiste, fattene una ragione, va avanti-

- Per tua informazioni io sto andando avanti, ho buttato tutte le nostre foto-

-E perché l’avresti fatto scusa?- sembrò accigliarsi.

-Io e te abbiamo chiuso ricordi? Parole tue…-

-Sì d’accordo ma non capisco perché tu abbia voluto buttare tutte le belle fot-…-

-Perché devo dimenticarti! Non posso dimenticarti se ti vedo ogni volta che mi siedo alla scrivania!- quasi urlai, interrompendolo.

Rimase un attimo zitto, forse spiazzato dalla mia reazione, ma poi riprese, avvicinandosi ancora.

-Mi dispiace averti ferito, lo sai, ti voglio molto bene-

-Non è questo che dicevi- sussurrai acido scostandomi dal bancone e dirigendomi fuori per prendere un po’ d’aria.

Non mi accorsi che Todd mi seguiva fino a che non mi afferrò un polso costringendomi a fermarmi.

-Mi stai dando del bugiardo?- alzò la voce una volta fuori sulla strada.

-Mi sembra il minimo- risposi, dandogli le spalle.

-Non hai il diritto di parlarmi così, ci siamo lasciati!- urlò.

-Ci siamo lasciati perché mi tradivi!-

-Non è vero, sai benissimo perché io ti ho lasciato- calcò quel “ti” con odio.

-Sei uno stronzo Todd- abbassai lo sguardo stringendo i pugni con al rabbia che mi ribolliva nelle vene.

-Mi dispiace- cercò di circondarmi con un abbraccio ma lo spinsi via bruscamente in preda alla collera.

-Non sfiorarmi-

-Ti prego, chiudiamo la questione, perdonami- Non ci vidi più. Gli saltai addosso con l’intento di picchiarlo fino a farlo svenire ma non feci in tempo a sferrare il secondo pugno che qualcuno mi afferrò per le spalle e mi circondò con le braccia per impedirmi di muovermi.

In principio credevo fosse Bradley, così iniziai a dibattermi ma lui era forte e riusciva a dominarmi.

-Lasciami cazzo! Lasciami!- gridavo.

-Calmati e ti mollo- invece rimasi sorpreso dal non riconoscere quella voce. Smisi di muovermi e lui sciolse la stretta, mi liberai dalle sue braccia e mi voltai verso di lui, confuso e spaventato, decifrandolo con una nota di stupore: era il ragazzo della metro, e del bar, e della strada e…Era Jude.

-Ti offro da bere?- mi chiese, ma ero troppo scombussolato per rispondere.

In quell’istante arrivò anche Bradley che si precipitò a soccorrere Todd, ancora a terra.

-Che cazzo gli hai fatto?!- strillò preoccupato.

-Vieni, andiamo via- Jude mi prese un polso e mi trascinò lontano, di nuovo dentro al locale.   

Lo riconobbi solo dagli occhi perché sul viso gli era cresciuto un sottile strato di barba che lo rendeva, almeno per me, poco riconoscibile.

-Hai un destro micidiale- constatò appena si sedette al bancone invitandomi ad accomodarmi vicino a lui.

-Grazie, seguivo un corso di arti marziali ma ho dovuto lasciarlo per il lavoro- deglutii.

-Mai farti arrabbiare quindi, devo ricordarmelo- sorrise, un po’ impacciato.

Rimasi in silenzio, serio, a guardarlo, cercando di prepararmi a qualsiasi eventualità. Ed ero troppo arrabbiato, agitato, confuso per rendermi conto di chi avevo davanti, o meglio, di chi non sapevo avere davanti.

 

 

Le camere dell’albergo erano spaziose e ben illuminate e quasi mi rattristai vedendole, e sapendo che nei giorni successivi avrei dormito in una tenda gelida.

La camera doveva essere divisa con qualcuno perché sarebbe stato appunto uno spreco prenotare tante camere per così pochi giorni, e io ovviamente alloggiai con Robert. Non potevo dire di essere veramente un suo amico, ci conoscevamo relativamente da poco, ma dopo quello che era successo non mi andava di lasciarlo da solo, soprattutto perché sapevo che odiava la solitudine.

-Domani, nel primo pomeriggio, partiamo per il campo base, dovremmo arrivare e riuscire a sistemarci entro sera- dissi, trafficando con la cerniera della valigia.

-Meraviglioso- rispose Robert sorridendo.

Lo vidi stendersi sul letto e mettersi a guardare una fotografia che aveva preso dalla tasca dei pantaloni.

-Chissà come sta- disse.

-Chi?- chiesi, non vedendo il volto nella foto, ma immaginandolo fin troppo bene.

-Jude-  continuò con lo stesso tono tranquillo.

-Avevi detto che non ci avresti pensato, almeno per la prima settimana- lo rimproverai, sedendomi accanto a lui. Si girò a guardarmi riponendo la foto.

-E Natalie?-

-Lei sta sicuramente bene, soprattutto quando è con il suo caro amico-risposi acido e Robert mi posò una mano sul ginocchio.

-Smettila, lei non ti tradisce- disse convinto.

-Scusa ma tu non sei proprio nella posizione di dirmi se la mia ragazza mi tradisce oppure no- lui mi guardò con tutto l’odio che un uomo potesse trasmettere con lo sguardo e io mi maledissi per aver parlato.

-Quando sono venuto a casa tua lei aveva solo te negli occhi. E poi ti ama, non ti tradirebbe, sei troppo geloso- concluse, alzandosi e chiudendosi nel bagno, probabilmente facendo un grandissimo sforzo  per non farmi vedere che aveva gli occhi lucidi.

Stava male per Todd anche dopo tutto quel tempo, non riuscii mai a capacitarmi di quanto fosse grande il cuore di Robert.

 

NdA

Come promesso ho sbrogliato i filoni temporali xD
In questo capitolo Robert forse può sembrare un po' OOC, però adesso vi do le motivazioni per cui io lo faccio vivere con le stelline davanti agli occhi, nella speranza di trovare il principe azzurro che lo amerà di amore eterno per sempre nella terra degli arcobaleni xD Perchè innanzitutto guardando lui e Susan si capisce che si amano alla follia più incondizionata (a parte quella storia dei tradimenti poi smentita .__.) e forse è naturale pensare che Robert, nei suoi momenti bui (come dichiara lui nelle millemila interviste in cui gli chiedono della drgoa -.-), abbia cercato quell'amore incondizionato che ora gli dona la moglie, quindi Susan è il suo principe azzurro e Robert è la principessa xD 
Okay, basta, io dovrei preparare le valigie e invece sono qui a parlare di principesse e castelli xD...Me ne vado...
Al prossimo capitolo,

Scaramouche 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=721740