Sapore di cioccolato

di Lady Snape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 ***
Capitolo 2: *** 02 ***
Capitolo 3: *** 03 ***



Capitolo 1
*** 01 ***


E’ il mio primo tentativo con Death Note. Ho scoperto da poco il manga e l’anime e ora eccomi qui!

Nonostante sia rimasta particolarmente male per la morte di L, mi sono piaciuti i suoi “eredi”, Mello e Near, con un una predilezione per il turbolento biondino.

Vi lascio alla fanfiction.

 

Buona lettura!

 

 

Trovare l’erede di L era diventato il suo obiettivo primario, in particolare da quando il detective migliore del mondo si era esposto in prima persona. Era pronto a qualunque cosa, ma tentare di stabilire chi avrebbe potuto prendere il suo posto era fondamentale. L’unico problema era che l’ultima parola spettava a lui, a L. Solo il ragazzo poteva confermare il nome di colui che avrebbe dovuto continuare il suo lavoro.

C’era un altro problema però e questo era Watari. Quillsh Wammy si sentiva ormai vecchio, perché stare dietro alle richieste e ai ragionamenti di un cervello come quello di L era particolarmente faticoso. A prendere il suo posto, a tempo debito, ci sarebbe stato di certo Roger Ruvie, l’uomo di cui si fidava di più e a cui aveva dato la custodia dei possibili eredi di L, ma anche lui era avanti con l’età e non sarebbe riuscito a seguire il futuro detective a lungo.

In realtà l’odierno Watari aveva in mente qualcuno che potesse prendere il suo posto, nonostante L non fosse pienamente d’accodo. Eppure aveva affidato a lei fin da subito compiti che solo un vero Watari avrebbe potuto assolvere. Inoltre si fidava del suo giudizio e della sua opinione talmente tanto che aveva deciso anni addietro di mandarla in avanscoperta dell’erede ipotetico. Non solo test per i ragazzini della Wammy’s House, ma anche un confronto diretto con colei che sapeva come avrebbe dovuto agire un “L”, come avrebbe dovuto pensare per essere un vincente.

 

Era successo anni addietro, quando per un caso particolarmente complicato, aveva deciso di mandarla per un po’ a Winchester, per tenerla al sicuro e per farle dare un occhiata alle persone con cui in futuro avrebbe lavorato. Anche se L si mostrava restio, quando Quillsh gli parlava della possibilità per J di prendere il suo posto, quest’ultimo sapeva che L stesso considerava quella come la soluzione migliore. Lei sapeva e questo la rendeva la candidata migliore; inoltre era sempre stata al suo fianco e aveva imparato a comprendere i ragionamenti di una mente acuta senza intralciarla; per finire non era certo una stupida e, per quanto non avessero lo stesso mostruoso QI, era intelligente abbondantemente al di sopra della media.

< Buon sangue non mente! > aveva detto Watari una sera, mentre riordinava alcuni dati con il detective, quasi fosse una considerazione sul tempo lasciata cadere lì per caso, ma un caso non era di certo. A seguito di quella frase, si era verificato un evento insolito per L: aveva sorriso.

 

L’arrivo alla Wammy’s House di J era stato accolto molto freddamente. Nessuno sapeva chi fosse in realtà e questo andava più che bene. Chi conosceva L non avrebbe mai pensato che quella ragazzina minuta fosse sua sorella. Certo, si somigliavano un po’, stesso colore di capelli e stessi occhi neri, ma il loro modo di agire e di parlare era totalmente diverso e, in ogni caso, nessuno a quell’epoca aveva visto in faccia L.

J era stata capace di fare amicizia con chiunque gli si fosse parato davanti, chiunque finiva per entrare in confidenza con lei, ma, nonostante questo, se qualcuno avesse dovuto descrivere quella ragazza, non avrebbe saputo dire nemmeno quale fosse il suo cibo preferito, il suo colore preferito o qualunque dato sulla sua esistenza, mentre lei era capace di tirare fuori delle vere e proprie confessioni da chi le rivolgeva la parola.  

Watari aveva mandato un appunto a Roger: doveva metterla in contatto con i due candidati migliori, i due ragazzini che avevano attratto l’attenzione di L. Roger non dovette preoccuparsi di far accadere qualcosa del genere, perché l’incontro era avvenuto naturalmente. O meglio, era stato un vero e proprio scontro con Mello.

Mello era l’essere umano più problematico sulla faccia della terra. Roger era di questo modestissimo parere. Era irrequieto, come la sua intelligenza, e non gli importava se chi aveva davanti fosse più grande di lui, un adulto, un’autorità o la regina Elisabetta: se doveva dirti che eri un cretino lo faceva e basta, se doveva tirarti qualcosa in testa per una ragione che sapeva solo lui, lo faceva e basta.

Lo scontro con la nuova arrivata avvenne per una semplice ragione: quella ragazzina era diventata popolare. Non che a lui interessasse essere sulla bocca di tutti, ma già aveva assaporato il secondo posto grazie a Near, di conseguenza non trovava giusto che arrivasse qualcun altro ad oscurare la sua presenza. Nessuno sapeva ancora che lei era in strettissimo contatto con L, quindi diventò il bersaglio della lingua biforcuta di Mello, senza se e senza ma.

A dare il La al ragazzino, fu un puzzle che J tentava di risolvere con Linda, una degli ospiti dell’orfanotrofio. Sembrava che entrambe le ragazzine stessero arrancando nella soluzione del rompicapo. Mello fece finta di essere impegnato nella lettura di un libro, passando “casualmente” davanti al tavolo occupato da Linda e J; si fermò un attimo e chiuse di scatto il volume che aveva tra le mani.

< Sei sicura che questo sia il tuo posto? > disse con uno sguardo sardonico < Sai, qui vengono accolti solo orfani con straordinarie capacità intellettive. > e marcò la parola “straordinarie”, giusto per farle notare che stava facendo la figura della scema. Prese cinque pezzi del puzzle apparentemente a caso e li incastrò perfettamente al loro posto. Lo sguardo che venne fuori fu di pura sfida e un sorrisetto sbilenco gli illuminò il volto ancora candido di bambino.

J era estremamente tollerante ai comportamenti spesso maleducati, spocchiosi, infantili e strani della gente come Mello e come suo fratello; ormai ci aveva fatto il callo e in tutta risposta sorrise. Un sorriso dolce e caldo, un sorriso che spiazzò Mello e che si incise nel suo cervello. Scocciato da quella reazione, lasciò la stanza dei giochi e decise che era meglio torturare qualcun altro, non Near possibilmente, dato che poteva anche prenderlo letteralmente a calci, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono e poi voleva batterlo accademicamente, non venendo alle mani, quello sarebbe stato troppo facile.

Near era stato più facile da avvicinare. Era più facile trovarlo: era sempre all’interno, nella sua stanza, in quella dei giochi comuni, ma anche nei corridoi, accucciato per terra in compagnia di qualche gioco, un rompicapo o qualunque altra cosa. Era timido e raramente rivolgeva la parola a qualcuno, ma questo non pregiudicava i suoi rapporti con gli altri: se qualcuno si preoccupava per lui, era di estrema gentilezza, pacato, tranquillo, l’esatto opposto del suo rivale.

Near aveva notato la strana presenza di quella ragazzina e un po’ le era piaciuta. L’intuito gli diceva che poteva essere particolarmente rilassato in sua presenza, che non aveva nulla di cui preoccuparsi. Era come se si sentisse protetto. L’aveva vista “in azione” con Mello e aveva avuto la sensazione che avesse un qualcosa di materno, anche se lui non sapeva esattamente cosa fosse il calore di una madre.

J aveva passato un po’ di tempo con lui, avevano chiacchierato un po’ e aveva avuto la possibilità di capire un po’ di più perché suo fratello fosse eternamente indeciso tra quei due: erano perfettamente complementari. Le loro diversità prese singolarmente potevano essere un fastidioso problema, avrebbero certamente rallentato le operazioni di risoluzione dei casi: non si poteva sempre restare nel proprio guscio, ogni tanto occorreva rischiare per ottenere degli indizi fondamentali e Near era incapace a mettere in gioco sé stesso; allo stesso tempo l’istintività di Mello poteva essere un grosso problema, perché a giocare col fuoco si rischiava di bruciare; quella specie di posseduto si scopriva troppo, si metteva troppo in evidenza e un detective che agiva come L non poteva permetterselo. Insieme, però, quei due avrebbero potuto essere grandi, ma, J lo sentiva, convincere Mello ad agire in coordinazione con Near era a dir poco impossibile. Ne ebbe la conferma da Roger, che invano aveva tentato di farli lavorare insieme.

 

< Vuoi provare a fargli fare questo test? > chiese Roger a J.

Erano passati tre anni da quando era arrivata la prima volta alla Wammy’s House. La ragazza era stata letteralmente addestrata ad essere il nuovo Watari, L si era lasciato convincere e i suoi contatti con gli eredi erano diventati abbastanza frequenti.

< Non è una mia idea, ma di L. L’ha elaborato appositamente. Non c’è una soluzione giusta, ma tutto è lasciato alla fantasia di chi si cimenterà nel risolvere il problema. > spiegò J.

Sarebbe stato un giorno particolare, questa volta non era una delle solite prove che venivano assegnate agli ospiti di quell’orfanotrofio e Mello e Near odorarono questo dettaglio per la presenza della ragazza. Non c’erano davvero dubbi sulle loro capacità e non c’erano dubbi che non avevano altri concorrenti là dentro. Ormai ogni test era rivolto unicamente a loro due, lo sapevano.

Mello si sentì messo pesantemente alla prova. Fece un respiro profondo per provare a scacciare il nervosismo che lo stava cogliendo. Solo qualche giorno prima erano stati “testati” da Roger e la classifica era stata nuovamente impietosa. Si era piazzato ancora una volta secondo, con suo enorme disappunto. Per la rabbia del momento aveva rotto uno dei vetri della biblioteca, lanciando contro la finestra uno dei libri che lo avevano accompagnato nei suoi studi notturni. Ebbene sì, ormai studiava anche di notte pur di riuscire a battere quell’apatico, asettico Near, ma non c’era verso di spuntarla. Poteva anche morirci su quei libri, ma niente sarebbe cambiato. Ora ecco che arrivava quella ragazzina con quegli occhi penetranti e i suoi modi troppo gentili e accondiscendenti con chiunque a mettere lui alla prova. La detestava. Odiava quando arrivava a sondarli con il suo sguardo critico, seppure velato da una disponibilità senza pari. Odiava lo sguardo di pietà che rivolgeva solo a lui, quando visionava la sua posizione in classifica. Odiava le sue parole di conforto per lui, solo per lui. Odiava il suo odore zuccheroso, perché era ormai presagio di sventura.

Stare seduti in quei banchi così scomodi non piaceva molto a Near, ma aveva il permesso di sedersi come gli pareva. Dopo i primi dieci minuti appollaiato sulla sedia di legno, il ragazzino prese foglio e penna e si accomodò tranquillamente per terra. Ecco, quella era posizione migliore per far fluire il sangue al cervello. Appoggiò la testa sul ginocchio destro, piegato verso il suo petto, e la sua penna lasciò scivolare sul foglio una cascata di parole per la risoluzione del caso proposto. Era decisamente un caso quello che stava loro proponendo L, forse uno di quelli da lui risolto, forse uno che doveva ancora risolvere … poteva essere proprio così, dato che in quel momento il detective migliore del mondo era alle prese con il caso Kira, il più complesso che avesse mai affrontato, tanto che era uscito allo scoperto, si era esposto in prima persona e questo Near e Mello lo sapevano.

Dall’altro lato della stanza Mello stava letteralmente rosicchiando fino all’osso la sua penna. Lo faceva ogni volta che spostava lo sguardo sulla testa di Near. La vedeva apparire tra i banchi, dato che, al solito, quello psicopatico si era spostato sul pavimento. Probabilmente quello che Mello stava facendo al tappo della penna voleva farlo al suo rivale: rosicchiargli la testa, spaccargliela per vedere che cavolo conteneva. Il panico lo colse quando quella specie di fantasma ambulante, quel lungodegente perennemente in pigiama si alzò e si diresse verso J, seduta a un tavolo vicino alla finestra, per consegnarle il suo test. Quel dannato aveva finito e lui si era lasciato prendere talmente tanto dalla sua rivalità da essere ancora a metà.

Se era guerra quella che Near voleva, beh, lui non si tirava certo indietro. Partì a razzo, lasciando che la penna percuotesse violentemente il foglio, calcando talmente tanto la mano, da strapparlo in più punti. Il suo sguardo era diventato feroce e in meno di cinque minuti risolse tutto quello che c’era da risolvere e annunciò di aver finito scagliando un pugno sul banco.

Si alzò tanto violentemente da far cadere la sedia con un tonfo e avrebbe lanciato il foglio verso J, se non avesse saputo che non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per rimarcare la sua vittoria contro quel lurido foglio scarabocchiato, lo posò con malagrazia, lanciando uno sguardo di sfida alla ragazza e, quando si voltò, anche a tutti gli altri ragazzi che, visto il chiasso che aveva provocato, avevano tutti le penne a mezz’aria e lo sguardo puntato verso di lui. Li fissò talmente storto che tutti, nessuno escluso, ripresero a pensare a fatti propri prima che, e Mello ne era capace, questi si levasse una scarpa e gliela tirasse in testa. Per concludere la sua sceneggiata, uscì sbattendo la porta.

 

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Capitolo 2
*** 02 ***


Roger stava passando in rassegna i test che i ragazzini gli avevano consegnato. Spettava a lui occuparsi della parte bassa della classifica. Non c’era molto di nuovo da leggere in quelle pagine: bene o male erano tutti stazionari nella Wammy’s House, tranne qualche momento slittamento dovuto agli eventi che avevano potuto sconvolgere la giornata di qualcuno degli ospiti.

J era alle prese con i due test a cui L era interessato. Non c’era molto da dire. Se si mettevano insieme le varie spiegazioni trovate da Mello e Near, si apriva un ventaglio di soluzioni che varavano ogni piccola possibilità di ottenere indizi efficaci. Se si provava a giudicare ogni prova per sé stessa, Mello, come al solito, peccava eccessivamente in capacità di calcolare i rischi relativi ad ogni azione. J pensava che se mai avesse avuto tra le mani una pistola, quel ragazzo avrebbe sparato senza esitazione. Faxò i due fogli a L e si preparò a ricevere il suo giudizio.

 

Era appeso. L’elenco, la classifica generale degli eredi di L era appesa in bacheca. I ragazzini si accalcavano tutti intorno ad essa per leggere il proprio nome, la propria posizione e il voto ottenuto. Un giudizio scritto era invece consegnato personalmente da Roger; erano segnati dei consigli da seguire per migliorare i propri risultati, quali erano i difetti e quali i pregi di ognuno e ognuno di loro poteva decidere se renderli pubblici o no.

Near si avvicinò alla bacheca, provando a mettersi sulle punte dei piedi. Allungò il collo, ma non vedeva ancora nulla. Mello, invece, preferiva restare incollato alla parete opposta. La sua espressione era quella di uno che non sa se buttarsi dal ponte oppure no. Temeva di leggere un meccanico “2” accanto al suo nome e di vedere sopra il suo quello del rivale. Questa volta non era una delle prove sceme di Roger, era qualcosa che aveva portato con sé la ragazza con i capelli neri, quella che gli rivolgeva quei sorrisi irritanti.

Un fulmine squarciò il cielo pomeridiano e illuminò il corridoio di una luce sinistra. Mello fece un respiro profondo: non aveva senso restare ancora lì a valutare se era il caso o no di leggere il verdetto finale. Meglio togliersi questo dente malato, piuttosto che cuocere ancora nel brodo dell’incertezza.

Si avvicinò con fare deciso e qualche bambino più piccolo si scansò in fretta. Era più alto degli altri, quindi riusciva benissimo a vedere cosa c’era scritto.

< Mello, non ci arrivo. Puoi leggere tu, per favore? > era la voce di Near, l’unica ad aver rotto il silenzio. Tutti si erano zittiti nel momento in cui Mello aveva fatto qualche passo verso il gruppo sotto la bacheca. Ma Near no, lui non temeva le reazioni dell’altro.

Mello lanciò uno sguardo omicida verso quella testa bianca. Non gli avrebbe mai risposto. Riportò lo sguardo verso la lista e trattenne il fiato. Partì da sotto, scorgendo di sfuggita i nomi degli altri: Linda, Samuel, Kit, Matt, Gun, Tula, Terence…

“2. Mello

Strinse i pugni, tanto da ficcarsi le unghie nei palmi. Lanciò uno sguardo terrificante a Near e lo odiò ancora di più per l’occhiata consapevole che gli lanciò di rimando.

< Oh … > disse il ragazzino, intuendo quale potesse essere il risultato del test e che di conseguenza ancora una volta Mello fosse arrivato secondo. La reazione di Near sarebbe stata analoga se avessero parlato del tempo, come se qualcuno gli avesse comunicato che pioveva e che quindi non potevano uscire per una passeggiata. La storia della rivalità non aveva grande effetto su di lui.

Mello, invece, sentì l’impulso di strozzarlo, di fargli male, ma riusciva ancora a pensare, nonostante le emozioni gli facessero girare la testa. Sentiva di non riuscire a reggere ancora per molto, voleva urlare la sua frustrazione, voleva prendere a calci qualcosa o qualcuno e, se solo uno dei presenti avesse fatto o detto qualcosa di sbagliato, sarebbe diventato il sua capro espiatorio.

Non era il caso di rendersi la vita difficile nell’istituto per una reazione eccessiva, quindi, con quel po’ di razionalità che gli era rimasta, si fiondò verso la porta di servizio e finì in giardino.

            Pioveva a dirotto ormai. I fulmini squarciavano il cielo sopra la sua testa e la sua rabbia era diventata molesta. Iniziò a correre più veloce che poteva, sforzando i muscoli, tirandoli, mettendoli in pesante tensione. Superando la cancellata del giardino, finì nei campi. Era scalzo, ma poco gli importava. Corse, lasciò che i polmoni bruciassero con l’aria fredda dell’autunno e che la pioggia torrenziale lo schiaffeggiasse. La sua maglia nera gli si incollò al petto soffocandolo, ma non era importante. Voleva scappare, voleva smettere di sentirsi così inferiore a quel ragazzino irritante, voleva essere il migliore, ma volerlo non bastava.

La rabbia si trasformò in lacrime, ma era impossibile riconoscerle su quel volto bagnato. Provò a ricacciarle indietro mordendosi il labbro, ma ricavò solo una ferita che gli inondò la bocca di sapore ferroso. La corsa sarebbe stata inarrestabile se un ramo spezzato, nascosto tra l’erba alta, non gli avesse ferito un piede. Cadde rotolando vicino al bordo dello stagno. Qualche rana saltellò in acqua, spaventata dalla sua irruzione. Mello urlò il suo dolore, il dolore dell’anima che si agitava nella frustrazione, sicuro che nessuno lo avrebbe sentito.

            J lo aveva visto correre via dalla finestra dell’ufficio di Roger. Sapeva che a Mello non sarebbe andato giù quel giudizio, ma non si poteva fare altrimenti: in ballo c’era molto più di loro, dei loro desideri e dei loro sentimenti. A decidere era stato L e niente era fatto a caso da lui. Niente era giusto in quel meccanismo, lo sapeva molto bene. Mello era uno di quei ragazzi che soffriva troppo per quella pressione e per la pressione che si infliggeva da solo.

J aveva lasciato cadere i fogli che aveva in mano e gli era andata dietro. Sapeva che non si sarebbe mai accorto di lei, per quanto era preso da sé stesso. Purtroppo J non era mai stata molto veloce nella corsa e ad un certo punto aveva temuto di averlo perso, poi, un urlo angoscioso le aveva indicato la direzione da prendere.

            Lo vide lì, rannicchiato su sé stesso, perso in un pianto convulso. Stava subendo le sue emozioni, le stava pagando una ad una con stille di sangue dall’animo. Mello si chiedeva perché non era capace di superare quell’ostacolo, si chiedeva in cosa era carente. Quel dolore gli stava dando un indizio, ma non riusciva a coglierlo. Era stanco, spossato, svuotato nella mente e nell’anima. Non sapeva più cosa fosse giusto o sbagliato. Non aveva appigli. Stringeva le sue braccia conficcando le unghie in profondità; la testa era piegata sul terreno e i capelli sparsi sul terreno a raccogliere il fango.

            Lei lo trovò così. Prostrato, abbattuto, tra le lacrime. Si avvicinò con cautela. Era un animale ferito, naturalmente aggressivo, con un pessimo carattere quando stava bene, ora, distrutto, era un grumo di carne e nervi troppo tesi.

< LASCIAMI! > l’aveva urlato forte quando J si era chinata su di lui per provare a tirarlo su. Gli occhi rabbiosi, le iridi azzurre lampeggianti e il petto percorso da singulti che non gli permettevano di pronunciare più di una parola per volta.

< Mello, lascia che … > provò.

< NON … VOGLIO … LA TUA … P-PIETA’! > era un messaggio chiaro e condivisibile, ma non poteva lasciarlo in quelle condizioni, era solo un ragazzo, solo e disperato.

Tentò di avvicinarsi ancora e questa volta Mello reagì fisicamente spingendola via. Il sangue gli colava dalla bocca sul mento e dava di lui un’immagine ancora più patetica. J allungò una mano ad asciugargli quel liquido cremisi, rischiando di essere morsa e, nello stato in cui era Mello, non era una cosa improbabile. Non staccò gli occhi dai suoi, si lasciò avvolgere dall’azzurro tagliente del suo sguardo, dalla sua rabbia e dal suo dolore.

Dal canto suo, Mello avvertì il calore della mano di lei e fu uno strano balsamo per il suo corpo intirizzito. Calore: era qualcosa che aveva scordato da tempo. Il calore di un abbraccio, il tepore di una persona vicino a lui. Da quando era iniziata quella stupida guerra su chi dovesse essere il successore di L, aveva dimenticato tutto questo. Maledisse nella sua mente quella ragazza che lo guardava preoccupata, maledisse la sua vicinanza, maledisse l’incavo del suo collo che accolse il suo volto, maledisse le braccia calde che lo avvolsero, maledisse il suo profumo dolce e maledisse la sua voce delicata. Eppure si strinse a lei.

< N-non è giusto … > riuscì a malapena a sussurrare. Non ebbe nessuna risposta, se non una mano che si posò sulla testa. Lo accarezzava lenta, senza alcuna fretta. Erano gesti inaspettati e il ragazzo ne fu stupito e allo stesso tempo grato, abbandonandosi al torpore mentale.

            J lasciò che buttasse fuori quel concentrato di emozioni negative che si portava dentro da troppo tempo. Lo avevano portato allo stremo ed era solo un ragazzo: non aveva neanche quindici anni, eppure sembrava che il suo spirito ne avesse incredibilmente di più. Si caricava di pesi difficili da sostenere per le sue esili spalle e aveva preso quella strana sfida con Near nel modo peggiore possibile.

Passarono parecchio tempo sotto la pioggia scrosciante. Ormai erano immersi nel fango; gli abiti incollati al loro corpo rendevano difficili i movimenti. Mello tremava già da un po’, sia per le emozioni che per il freddo, ma J non era riuscita a convincerlo a tornare dentro. Aveva bisogno ancora di un po’ di tempo. Poi anche lei iniziò a tremare per il freddo. La pioggia non accennava a smettere. Bisognava tornare indietro. La ragazza si rese conto che difficilmente Mello avrebbe potuto rifare quella strada con quel taglio sotto il piede, così, senza ormai la minima protesta per quanto fosse spossato, se lo caricò sulle spalle.

Lungo la strada non parlarono. Mello si era totalmente abbandonato sulla sua schiena con lo sguardo perso nel vuoto. J non pensava che lo avrebbe mai visto in quello stato, forse non lo avrebbe voluto mai vedere così: quel ragazzino le piaceva, aveva uno sguardo magnetico e una parlantina spiazzante, le piaceva la sua irruenza, solo non aveva mai realmente capito quanto potesse essere dannosa.

Roger era sulla soglia dell’orfanotrofio con lo sguardo verso i campi, sperando di veder tornare i due ragazzi. Quando J era partita di tutta fretta, non aveva immaginato quello che poteva essere successo. Fu Near a dargli la notizia della reazione di Mello. Sospirò sollevato quando la testa mora di J sbucò tra la pioggia e la vegetazione.

            < Roger porta asciugamani e un paio di coperte in infermeria. > J diede queste indicazioni, appena ebbe varcato il portone dell’orfanotrofio e aveva visto il direttore con un’espressione sollevata e preoccupata allo stesso tempo. Non c’era nessun’altro all’ingresso. Meglio così, Mello non si sarebbe perdonato facilmente un atto di debolezza pubblico. Roger fece strada, poi sparì alla ricerca degli oggetti richiesti.

            L’infermeria era un posto stranamente colorato. La maggior parte degli ospiti erano solo dei bambini, di conseguenza era ovvio non spaventarli troppo con un ambiente immacolato e piastrellato di bianco. Funghi e fiori colorati sporgevano sorridenti dalle pareti.

J si avvicinò al lettino e posò Mello con delicatezza. Si era totalmente ammutolito, lo sguardo era basso, la testa china, ormai pareva una bambola senz’anima. Roger tornò.

< Posso fare qualcos’altro? > chiese, ma J fece cenno di no con la testa e chiuse la porta dietro di lui. Era meglio se una sola persona si occupasse del ragazzo.

Lei posò un asciugamano sulla sua testa, strofinando un po’ per togliere l’acqua in eccesso. Non ci furono proteste, nemmeno quando gli sfilò la maglietta. Lo avvolse in una coperta di lana e si dedicò al suo labbro. Imbevette un po’ di cotone al disinfettante e medicò la ferita senza che il ragazzo pronunciasse verbo. Si era morso con violenza, ma in pochi giorni la ferita si sarebbe rimarginata. Il taglio sotto il piede era un tantino più grave, tanto che, immaginava, avrebbe dovuto usare le stampelle per più di una settimana. Era già tanto che non ci fosse bisogno di punti.

< Dovresti provare a controllarti. > esordì J, guardandolo di sottecchi < Lo dico solo perché finisci col farti male. > e non era solo dolore fisico.

Mello sembrava totalmente assente e remissivo. L’asciugamano era rimasto sulla sua testa e ne copriva in parte il volto. Aveva perso completamente le lacrime ed era caduto in una sorta di catalessi emotiva: né dolore né rabbia lo stavano attraversando, ma solo insoddisfazione di sé stesso. La sua vita gli era indifferente: era vuota ormai, senza significato, senza obiettivi. Sentiva le mani di J sulla sua pelle. Erano tornate calde, nonostante il clima di fine ottobre non era dei migliori e avesse preso talmente tanta acqua per lui … già, per lui. Ancora una volta riceveva questo trattamento di favore, ma ora non aveva la forza di pensare e tantomeno di rifiutarlo. La ragazza aveva avvolto una benda bianca intorno alla ferita sul suo piede e aveva sistemato anche del celophan, per proteggerla dell’acqua. Da un armadio di metallo in fondo alla stanza J prese un paio di stampelle.

< E’ meglio se usi queste per un po’. Non devi sforzare il piede. > le posò accanto a lui < Ce la fai ad andare da solo a farti una doccia calda? > chiese speranzosa. Se si fosse riscaldato, si sarebbe sentito meglio.

Per tutta risposta Mello prese le stampelle e si diresse lentamente fuori dall’infermeria. J lo guardò allontanarsi preoccupata, ma appena lui aprì la porta, un ragazzino suo coetaneo con i capelli rossi apparve sulla soglia. Era in buone mani.

 

 

Note dell’Autore:

Anche questo capitolo è finito. Il povero Mello deve fare i conti con le sue debolezze e sappiamo che non ci riuscirà mai, queste vinceranno sempre.

Ringrazio  orihime02 della recensione: Mello è uno dei miei personaggi preferiti e, per quanto folle, adoro il suo modo di fare, perché ha messo un po’ di azione in Death Note, che, senza di lui, sarebbe molto più statica.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Attendo recensioni, vorrei sapere cosa ne pensate, se c’è qualcosa che cambiereste.

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Capitolo 3
*** 03 ***


            L’autunno da quelle parti era molto strano. Il giorno prima era stata una pessima giornata. Dopo il pomeriggio burrascoso in compagnia di Mello, J affrontò suo fratello per telefono, parlando dannatamente in codice. Era irritante non poter comunicare come persone normali, ma L in quel momento aveva parecchio da fare con il caso Kira. J seguiva la vicenda da lontano, con tutte le precauzioni possibili; non sapeva, però, cosa accadeva in Giappone, chi stesse lavorando con lui, a parte Watari, e chi fossero i sospettati. Le notizie che Quillsh le passava erano davvero risicate e si trattava perlopiù di dati sintetici, giusto per avere una visione generale di quello che stava accadendo. L’unica cosa che aveva notato di strano durante la telefonata era uno strano rumore metallico, quasi una catena che veniva trascinata; suo fratello era il tipo di persona da fare cose parecchio strane, ma una catena poteva significare che era attaccato a qualcosa … o a qualcuno.

< Ho allucinazioni auditive o sento uno strano rumore? > chiese, sapendo che L avrebbe risposto a sua discrezione. Era estremamente capriccioso, aveva l’indole di un bambino e come un bambino dovevi adularlo se volevo ottenere qualcosa da lui; in quel momento la ragazza non aveva voglia di metter su un teatrino di moine per tirargli fuori la verità.

< Qui c’è gente che lavora, mi sembra ovvio! > non voleva rispondere dettagliatamente e di certo non poteva, ma J dedusse che sì, quel rumore non l’aveva immaginato e che era qualcosa attinente all’indagine.

< Spero per te che, nonostante ti sia incatenato a qualcosa, riesca farti una doccia ogni tanto. Sei particolarmente vergognoso in fatto di igiene … e non posso venire certo io a ficcarti in una vasca a forza! > ecco, l’aveva detto.

L era peggiorato nel tempo e a niente erano valsi l’appellativo di “Pulcioso” e “Puzzone” l’ultima volta che si erano visti, risalente ormai a parecchio tempo fa. Allora il caso Kira era già nelle sue mani, ma agiva senza mostrarsi a nessuno. Poco tempo dopo si era palesato alla Polizia Giapponese ed erano terminati i loro incontri. Erano abituati a non vedersi per mesi, a farsi giusto qualche telefonata per la voglia di sentire la voce dell’altro, perché non potevano parlare liberamente di niente.

Le mancavano quei loro rari momenti di intimità che appartenevano solo a loro, che rimarcavano il loro legame, rimasto unico per molto tempo e con il mestiere che L aveva scelto non c’era speranza di fare amicizia con qualcuno. Quando suo fratello era impegnato con un caso, non c’era nessuna possibilità di passare un po’ di tempo con lui, come quello straccio di famiglia che erano.

Da parecchi anni il bagno era l’unica stanza in cui erano solo fratello e sorella, anche se gli argomenti delle loro conversazioni erano spesso cruenti: si passava da casi del presente e del passato, con spargimenti di sangue spesso e volentieri, ai progressi di J con le pistole e la sua mira o in combattimento, oltre che ai suoi risultati accademici, che di cruento avevano poco, ma mettevano in agitazione la ragazza, che si vedeva paragonare a L e ai ragazzi della Wammy’s House, tutti geni senza precedenti, anche se, effettivamente J non era certo infondo ad un’ipotetica classifica. “Buon sangue non mente” aveva detto Watari una volta ed L sapeva che era la verità.

J aveva preso come una missione occuparsi di lui, tanto era inutile sperare che iniziasse a comportarsi come una persona normale, semplicemente perché non lo era affatto. Erano anni che non mangiava più come tutti i comuni mortali, ma si ingozzava di dolci; non c’era speranza di farlo vestire in modo più decente; sull’igiene però non si poteva appellare a niente e a nessuno, così J aveva preso l’abitudine di andarlo a trovare con un vassoio carico di qualunque cosa dolce le venisse in mente, da usare come esca, per avere il permesso di buttarlo sotto la doccia e occuparsi di lui.

La cosa che entrambi amavano particolarmente era il momento dello shampoo. Quale fosse la ragione precisa, non sapevano dirlo, ma L si rilassava sotto il tocco delle mani di sua sorella e J forse godeva di quel momento così personale, in cui suo fratello diventava estremamente dolce.

< A volte penso di mollare tutto. > disse una volta il ragazzo, mente la testa insaponata gli dava un’aria particolarmente infantile. Giocava con la schiuma e faceva le bolle come un bambino di cinque anni, quei cinque anni che non aveva mai vissuto < Ce ne andremmo via, io e te … lontano da tutto il chiasso dei casi e dei malviventi … vivere normalmente, un lavoro normale, una casa … chissà, potremmo aprire una pasticceria! >

Ciò che seguì fu un altro pessimo gioco infantile, che produsse l’allagamento del bagno della camera d’albergo dove alloggiava L.

            Andar via, vivere normalmente. Non erano cose possibili, nemmeno lontanamente. L aveva la sua missioni e J era pronta a succedere a Quillsh. Perché doveva essere lei il nuovo Watari? Era semplice trovare le ragioni. Era abituata a trattare con persone con una mente particolare e riusciva a trovare il modo giusto per non indispettirle, dato che, nella maggior parte dei casi erano estremamente infantili e suscettibili.

Near, ad esempio, era il tipo di persona che preferiva i silenzi e in quei silenzi comunicava molto di più delle mille parole complesse che era capace di snocciolare. Quando parlava era freddo, una macchina in azione, mentre la sua calma proverbiale era estremamente comunicativa. Bisognava imparare il significato dei suoi gesti, come la sua abitudine di arrotolarsi una ciocca di capelli su un dito, che non era altro che un modo come un altro per rassicurarsi da solo. J lo aveva notato e aveva provato un grande tristezza: non sapeva quale fosse la sua storia, perché fosse alla Wammy’s House, ma era certa che lo avrebbe tenuto d’occhio.

Mello era esattamente l’opposto, ma non era la persona più sicura del mondo. Aveva sviluppato un complesso d’inferiorità notevole che, mescolato al suo scarso autocontrollo, risultavano distruttivi.

            J sospirò. Si chiedeva perché tutto dovesse essere così complicato, perché avessero alimentato quella strana guerra per la successione di L, quando c’erano altri grossi problemi da risolvere. Era scesa in uno dei salotti che venivano destinati agli incontri con gente che proveniva da fuori e veniva a far visita all’istituto per qualche ragione. Il sole era già alto. Era metà mattina e non pareva per niente che il giorno prima si fosse scatenata una tempesta nella regione. La ragazza era parecchio stanca; quella notte non aveva dormito molto. Aveva discusso molto con Roger di Mello e non erano arrivati a nessuna conclusione, se non a considerare che forse non sarebbe mai stato lui il successore tanto agognato proprio per le sue pessime reazioni. Aveva pensato allo sguardo disperato del ragazzo ed aveva convenuto che non era giusto averlo illuso in quella maniera per tanto tempo. Lei non era esattamente dello stesso parere del direttore, ma pensava, e suo fratello era in parte d’accordo con lui, che insieme, Near e Mello, sarebbero stati imbattibili. Si sdraiò sul divano e prese tra le mani un libro che non riusciva ancora a finire, visti gli impegni che aveva. Non ci volle molto e le parole lasciarono il posto ai sogni.

 

            Mello era diventato veloce nell’uso delle stampelle. Meno di mezza giornata era bastata a capire come salire e scendere le scale. L’unico problema era che risultava abbastanza faticoso. Matt lo aveva aiutato la sera prima, dato che era mortalmente stanco, quanto meno gli apriva porte, rubinetti, armadi, pareva un maggiordomo! Averlo sempre intorno non era molto piacevole: si sentiva osservato, anzi controllato dall’amico. Era arrivato addirittura a provvedere alla sua colazione portandogli il vassoio della mensa riempito in maniera inverosimile. Sapeva che lo stava facendo per il suo bene, ma stava risultando parecchio irritante e non aveva voglia di prendersela con lui.

Con un po’ di fatica era riuscito a liberarsene e ora vagava per i corridoi e le stanze della Wammy’s House alla ricerca di un posto che non fosse frequentato da alcuno. Non voleva saperne di avere a che fare con nessuno. Al mattino, vedendolo fasciato e armato di stampelle alcuni bambini avevano fatto domande, ma il suo segretario Matt aveva risolto per lui quell’impiccio, inventandosi una scusa abbastanza credibile e scaricando la colpa su Near, responsabile di aver lasciato nel corridoio qualcuno dei suoi giochi per sabotare il suo rivale. Beh, non gli era dispiaciuta come scusa. Aveva osservato di sottecchi il ragazzino accusato, ma questi aveva fatto finta di niente, quasi non fosse stato messo in mezzo alla faccenda.

            Percorse l’ennesimo corridoio e notò una delle porte socchiuse. Filtrava una luce molto forte, probabilmente proveniente dalla grande finestra che si intravedeva dallo spiraglio. Spinse la porta con la stampella e lanciò uno sguardo all’interno. Pareva tutto in ordine, poi notò un piede nudo e affusolato sbucare dal lato del divano. Qualcuno era spaparanzato in quella stanza e il fatto che non avesse notato il suo ingresso significava che stesse dormendo. Lo avrebbe svegliato in malo modo: aveva bisogno di dare libero sfogo alla sua inattività momentanea e obbligatoria. Procedette con cautela, per evitare di rovinare l’effetto sorpresa, ma fu lui ad essere sorpreso.

Era J ad essersi addormentata in quella stanza. I capelli neri erano sparsi su un cuscino rosso che decorava il divano. La sua pelle chiara risaltava in modo violento e il suo volto mostrava una calma assoluta. Le palpebre abbassate e le labbra socchiuse mossero qualcosa nel petto di Mello. Il suo sguardo scese sul suo collo bianco circondato da un laccio nero da cui pendeva una piccola croce dorata. Lo sguardo finì sul suo seno e un po’ il ragazzo si vergognò, ma la trovava una visione irresistibile; la mano della ragazza reggeva a malapena un libro, “Brigth star” di John Keats. Mello posò una delle stampelle e lo sfilò con leggerezza dalle sue mani. Diede uno sguardo veloce alla poesia e ripose il libro sul tavolino lì accanto. J si mosse nel sonno e Mello si bloccò trattenendo il respiro. Era strano come i suoi propositi di svegliarla in malo modo si fossero completamente raffreddati. Era rimasto incantato da quella visione, da quel momento così strano vedere quella persona che gli creava una lunga serie di problemi essere indifesa; non solo, aveva realizzato di esserle assolutamente grato per quello che aveva fatto per lui il giorno precedente, solo non sapeva come considerare quello strano moto del cuore che gli era preso quando l’aveva vista così abbandonata nella quiete del suo sonno, realizzando che era una donna, percependo il suo profumo in modo diverso, giocando con lo sguardo sulle sue curve.

Si sedette per terra, voltandosi verso il suo viso e osservando il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo seno. Si lasciò cullare dal calore che emanava e sfiorò la sua mano con un dito.

L’avrebbe fatto, era deciso, probabilmente era stupido, ma voleva … voleva davvero cosa? Ringraziarla? Sì, forse era questo che voleva, quindi si sollevò un po’, si mise in ginocchio e posò le labbra su quelle della ragazza. Fu colpito da quella sensazione, dalla morbidezza, dai respiri e dai profumi che si mescolavano. Premette un po’ di più e si sentì percorrere da un brivido.

            J sentì che qualcosa la stava toccando in modo non esattamente pudico. Qualcuno stava baciando le sue labbra e in quel luogo c’erano solo tanti ragazzini, Roger e le insegnanti. Roger non era di certo, quell’uomo aveva un odore di tabacco estremamente forte, mentre quello che sentiva era un profumo di pulito. Poteva essere qualcuno dei ragazzi. Prima di avere una qualche reazione eccessiva che avrebbe traumatizzato lo strano avventore, socchiuse gli occhi per sbirciare cosa stava accadendo.

Se qualcuno glielo avesse detto, non avrebbe mai creduto che fosse lui, non lui, non poteva essere. Mello, con gli occhi chiusi, teneva ferme con una mano alcune ciocche di capelli biondi che avrebbero solleticato il suo volto. Era molto preso da tutta quella situazione, tanto che sentì la sua lingua darle un tocco leggero, come se volesse saggiare il sapore delle sue labbra. Aveva quasi quindici anni e quello che stava accadendo era quasi prevedibile. Gli ormoni li avevano anche i geni.

Il ragazzo si sollevò con delicatezza e solo dopo riaprì i suoi occhi azzurri. Incrociò immediatamente i pozzi neri di J: non si vergognò di quello che aveva fatto, di essere stato scoperto, ma la fissò tranquillo come se quella situazione fosse normale, ovvia, naturale. Solo dopo qualche minuto si voltò e tornò a sedersi per terra. Abbassò lo sguardo, tentando di mettere in ordine i suoi pensieri e non solo quelli.

J continuò a guardarlo, provando a immaginare cosa gli passasse per la mente, poi si sollevò e si accomodò per terra alla sua sinistra.

< Era la prima volta? > chiese in un sussurro, avendo intuito che il primo ad essere sorpreso della situazione era lui.

Mello annuì con la testa. Non aveva mai pensato a questo genere di cose, ma quella situazione era stata peggio di una calamita. Forse ora sarebbe arrivata la ramanzina sul fatto che non si dovrebbero fare queste cose senza il permesso dell’interessato, ma le sorprese di quel giorno non erano finite. J frugò nella sua borsa sul tavolino e tirò fuori una tavoletta di cioccolata. La scartò e gliela offrì.

< Questa dovevo farla recapitare ad L, ma si arrangerà con altro. > e gli sorrise.

Questa volta Mello non odiò quell’atteggiamento così disponibile nei suoi confronti. Ora capiva qualcosa in più riguardo i suoi sguardi, capì che lei lo rispettava davvero come persona, per quanto fosse matto da legare. Prese la stecca di cioccolata e ne morse un po’. Il sapore era amaro, doveva essere fondente, ma allo stesso tempo inondò la sua bocca di calore e piacere. Sorrise deliziato, per la prima volta dopo settimane.

< Ora quando mangerai cioccolata penserai a quello che è successo qui, in questa stanza. > disse la ragazza, lanciandogli un piccolo sguardo di sottecchi per saggiarne la reazione.

< Un rinforzo positivo a qualcosa di positivo? > chiese Mello un po’ scettico.

< Perché no? > fu la risposta di J.

Restarono in quella stanza mangiando cioccolata. La ragazza posò la testa sulla spalla di lui e non dissero più niente.

 

            Era ora di partire. Erano le quattro di notte. Non era il massimo, ma l’aereo per il Giappone era ad un’ora improbabile; doveva vedere Watari. Sistemò le ultime cose nella sua valigia e controllò che il taxi fosse arrivato. Quando aprì la porta della sua stanza, c’era Mello ad attenderla in equilibrio sulle sue stampelle. Aveva lo sguardo basso e un’espressione di pura tristezza.

< Sei venuto a salutarmi? > chiese la ragazza, dopo che il ragazzo aveva passato parecchi minuti senza dire niente < Allora spero di vederti presto. Magari mi chiedono di tornare a breve, magari passo a Natale. > ora sperava di rivederlo quello strano ragazzo, ma soprattutto non voleva vederlo in quello stato, triste o perennemente arrabbiato con il mondo.

< Mi aspetteresti? > fu una strana domanda quella che venne dalle labbra di Mello. Non l’aveva guardata fino a quel momento, solo allora sollevò lo sguardo.

< Cosa vuoi dirmi? > non capiva.

< Tra poco compio quindici anni, ma probabilmente dovrei crescere ancora un po’ prima che tu mi accetti per davvero. >

Accettarlo? Era un discorso strano quello di Mello, ma forse, semplicemente, per la prima volta si era sentito protetto, compreso e … amato. Il primo bacio, il primo amore … si era messa nei guai con quel biondino irrequieto. Si sarebbero rivisti, probabilmente avrebbero lavorato insieme, lo avrebbe anche aspettato come uomo? Forse sì, sentiva una strana predilezione per lui, una strana attrazione mentale.

< Ti aspetterò. Tu fai presto. >

 

 

Note dell’Autore:

Salve ragazzi! Questo è l’ultimo capitolo di questa piccola storia. Spero vi sia piaciuta. Probabilmente ci sarà un seguito, ho bisogno di un po’ di tempo per riuscire a scrivere gli ultimi capitoli. Se tutto va bene, dovrei essere pronta per la settimana prossima. Incrociamo le dita!

Ora vorrei ringraziare per le recensioni: Cristy_ (addirittura tra le storie da ricordare!), orihime02,  Nijinsky. Siete state gentilissime! Le recensioni aiutano chi scrive a mantenere l’entusiasmo!

Ringrazio anche  deathnotelawliet e Momoko Uchiha per aver inserito questa storia nei preferiti: sono stupita!

Un ultimo ringraziamento a nenezebubba che ha inserito questa storia tra le seguite, insieme a orihime02Nijinsky.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e spero seguirete il prosieguo della storia. Il raiting sarà un po’ più alto: un Mello “adulto” è decisamente almeno da raiting arancione!

 

Vi ringrazio ancora tutti, anche coloro che hanno seguito nell’ombra.

 

 

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