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E’ il mio primo tentativo con Death Note. Ho scoperto da poco il manga e
l’anime e ora eccomi qui!
Nonostante sia rimasta particolarmente male per la morte di L, mi sono
piaciuti i suoi “eredi”, Mello e Near,
con un una predilezione per il turbolento biondino.
Vi lascio alla fanfiction.
Buona lettura!
Trovare l’erede di L era
diventato il suo obiettivo primario, in particolare da quando il detective
migliore del mondo si era esposto in prima persona. Era pronto a qualunque
cosa, ma tentare di stabilire chi avrebbe potuto prendere il suo posto era
fondamentale. L’unico problema era che l’ultima parola spettava a lui, a L.
Solo il ragazzo poteva confermare il nome di colui che avrebbe dovuto
continuare il suo lavoro.
C’era un altro problema
però e questo era Watari. QuillshWammy si sentiva ormai vecchio, perché stare dietro
alle richieste e ai ragionamenti di un cervello come quello di L era
particolarmente faticoso. A prendere il suo posto, a tempo debito, ci sarebbe
stato di certo Roger Ruvie, l’uomo di cui si fidava
di più e a cui aveva dato la custodia dei possibili eredi di L, ma anche lui
era avanti con l’età e non sarebbe riuscito a seguire il futuro detective a
lungo.
In realtà l’odierno Watari aveva in mente qualcuno che potesse prendere il suo posto,
nonostante L non fosse pienamente d’accodo. Eppure aveva affidato a lei fin da
subito compiti che solo un vero Watari avrebbe potuto
assolvere. Inoltre si fidava del suo giudizio e della sua opinione talmente
tanto che aveva deciso anni addietro di mandarla in avanscoperta dell’erede
ipotetico. Non solo test per i ragazzini della Wammy’s
House, ma anche un confronto diretto con colei che sapeva come avrebbe dovuto
agire un “L”, come avrebbe dovuto pensare per essere un vincente.
Era successo anni addietro,
quando per un caso particolarmente complicato, aveva deciso di mandarla per un
po’ a Winchester, per tenerla al sicuro e per farle dare un occhiata alle
persone con cui in futuro avrebbe lavorato. Anche se L si mostrava restio,
quando Quillsh gli parlava della possibilità per J di
prendere il suo posto, quest’ultimo sapeva che L stesso considerava quella come
la soluzione migliore. Lei sapeva e questo la rendeva la candidata migliore;
inoltre era sempre stata al suo fianco e aveva imparato a comprendere i
ragionamenti di una mente acuta senza intralciarla; per finire non era certo
una stupida e, per quanto non avessero lo stesso mostruoso QI, era intelligente
abbondantemente al di sopra della media.
< Buon sangue non
mente! > aveva detto Watari una sera, mentre
riordinava alcuni dati con il detective, quasi fosse una considerazione sul
tempo lasciata cadere lì per caso, ma un caso non era di certo. A seguito di
quella frase, si era verificato un evento insolito per L: aveva sorriso.
L’arrivo alla Wammy’s House di J era stato accolto molto freddamente.
Nessuno sapeva chi fosse in realtà e questo andava più che bene. Chi conosceva
L non avrebbe mai pensato che quella ragazzina minuta fosse sua sorella. Certo,
si somigliavano un po’, stesso colore di capelli e stessi occhi neri, ma il
loro modo di agire e di parlare era totalmente diverso e, in ogni caso, nessuno
a quell’epoca aveva visto in faccia L.
J era stata capace di
fare amicizia con chiunque gli si fosse parato davanti, chiunque finiva per entrare
in confidenza con lei, ma, nonostante questo, se qualcuno avesse dovuto
descrivere quella ragazza, non avrebbe saputo dire nemmeno quale fosse il suo
cibo preferito, il suo colore preferito o qualunque dato sulla sua esistenza,
mentre lei era capace di tirare fuori delle vere e proprie confessioni da chi
le rivolgeva la parola.
Watari aveva mandato un appunto a Roger:
doveva metterla in contatto con i due candidati migliori, i due ragazzini che
avevano attratto l’attenzione di L. Roger non dovette preoccuparsi di far
accadere qualcosa del genere, perché l’incontro era avvenuto naturalmente. O
meglio, era stato un vero e proprio scontro con Mello.
Mello era l’essere umano più problematico
sulla faccia della terra. Roger era di questo modestissimo parere. Era
irrequieto, come la sua intelligenza, e non gli importava se chi aveva davanti
fosse più grande di lui, un adulto, un’autorità o la regina Elisabetta: se
doveva dirti che eri un cretino lo faceva e basta, se doveva tirarti qualcosa
in testa per una ragione che sapeva solo lui, lo faceva e basta.
Lo scontro con la nuova
arrivata avvenne per una semplice ragione: quella ragazzina era diventata
popolare. Non che a lui interessasse essere sulla bocca di tutti, ma già aveva
assaporato il secondo posto grazie a Near, di
conseguenza non trovava giusto che arrivasse qualcun altro ad oscurare la sua
presenza. Nessuno sapeva ancora che lei era in strettissimo contatto con L,
quindi diventò il bersaglio della lingua biforcuta di Mello,
senza se e senza ma.
A dare il La al
ragazzino, fu un puzzle che J tentava di risolvere con Linda, una degli ospiti
dell’orfanotrofio. Sembrava che entrambe le ragazzine stessero arrancando nella
soluzione del rompicapo. Mello fece finta di essere
impegnato nella lettura di un libro, passando “casualmente” davanti al tavolo
occupato da Linda e J; si fermò un attimo e chiuse di scatto il volume che
aveva tra le mani.
< Sei sicura che
questo sia il tuo posto? > disse con uno sguardo sardonico < Sai, qui
vengono accolti solo orfani con straordinarie capacità intellettive. > e
marcò la parola “straordinarie”, giusto per farle notare che stava facendo la
figura della scema. Prese cinque pezzi del puzzle apparentemente a caso e li
incastrò perfettamente al loro posto. Lo sguardo che venne fuori fu di pura
sfida e un sorrisetto sbilenco gli illuminò il volto ancora candido di bambino.
J era estremamente
tollerante ai comportamenti spesso maleducati, spocchiosi, infantili e strani
della gente come Mello e come suo fratello; ormai ci
aveva fatto il callo e in tutta risposta sorrise. Un sorriso dolce e caldo, un
sorriso che spiazzò Mello e che si incise nel suo
cervello. Scocciato da quella reazione, lasciò la stanza dei giochi e decise
che era meglio torturare qualcun altro, non Near possibilmente,
dato che poteva anche prenderlo letteralmente a calci, ma dalla sua bocca non
usciva alcun suono e poi voleva batterlo accademicamente, non venendo alle
mani, quello sarebbe stato troppo facile.
Near era stato più facile da avvicinare.
Era più facile trovarlo: era sempre all’interno, nella sua stanza, in quella
dei giochi comuni, ma anche nei corridoi, accucciato per terra in compagnia di
qualche gioco, un rompicapo o qualunque altra cosa. Era timido e raramente
rivolgeva la parola a qualcuno, ma questo non pregiudicava i suoi rapporti con
gli altri: se qualcuno si preoccupava per lui, era di estrema gentilezza,
pacato, tranquillo, l’esatto opposto del suo rivale.
Near aveva notato la strana presenza di
quella ragazzina e un po’ le era piaciuta. L’intuito gli diceva che poteva
essere particolarmente rilassato in sua presenza, che non aveva nulla di cui
preoccuparsi. Era come se si sentisse protetto. L’aveva vista “in azione” con Mello e aveva avuto la sensazione che avesse un qualcosa di
materno, anche se lui non sapeva esattamente cosa fosse il calore di una madre.
J aveva passato un po’ di
tempo con lui, avevano chiacchierato un po’ e aveva avuto la possibilità di
capire un po’ di più perché suo fratello fosse eternamente indeciso tra quei
due: erano perfettamente complementari. Le loro diversità prese singolarmente
potevano essere un fastidioso problema, avrebbero certamente rallentato le
operazioni di risoluzione dei casi: non si poteva sempre restare nel proprio
guscio, ogni tanto occorreva rischiare per ottenere degli indizi fondamentali e
Near era incapace a mettere in gioco sé stesso; allo
stesso tempo l’istintività di Mello poteva essere un
grosso problema, perché a giocare col fuoco si rischiava di bruciare; quella
specie di posseduto si scopriva troppo, si metteva troppo in evidenza e un
detective che agiva come L non poteva permetterselo. Insieme, però, quei due
avrebbero potuto essere grandi, ma, J lo sentiva, convincere Mello ad agire in coordinazione con Near
era a dir poco impossibile. Ne ebbe la conferma da Roger, che invano aveva
tentato di farli lavorare insieme.
< Vuoi provare a
fargli fare questo test? > chiese Roger a J.
Erano passati tre anni da quando era
arrivata la prima volta alla Wammy’s House. La
ragazza era stata letteralmente addestrata ad essere il nuovo Watari, L si era lasciato convincere e i suoi contatti con
gli eredi erano diventati abbastanza frequenti.
< Non è una mia idea, ma di L.
L’ha elaborato appositamente. Non c’è una soluzione giusta, ma tutto è lasciato
alla fantasia di chi si cimenterà nel risolvere il problema. > spiegò J.
Sarebbe stato un giorno
particolare, questa volta non era una delle solite prove che venivano assegnate
agli ospiti di quell’orfanotrofio e Mello e Near odorarono questo dettaglio per la presenza della
ragazza. Non c’erano davvero dubbi sulle loro capacità e non c’erano dubbi che
non avevano altri concorrenti là dentro. Ormai ogni test era rivolto unicamente
a loro due, lo sapevano.
Mello si sentì messo pesantemente alla
prova. Fece un respiro profondo per provare a scacciare il nervosismo che lo
stava cogliendo. Solo qualche giorno prima erano stati “testati” da Roger e la
classifica era stata nuovamente impietosa. Si era piazzato ancora una volta
secondo, con suo enorme disappunto. Per la rabbia del momento aveva rotto uno
dei vetri della biblioteca, lanciando contro la finestra uno dei libri che lo
avevano accompagnato nei suoi studi notturni. Ebbene sì, ormai studiava anche
di notte pur di riuscire a battere quell’apatico, asettico Near,
ma non c’era verso di spuntarla. Poteva anche morirci su quei libri, ma niente
sarebbe cambiato. Ora ecco che arrivava quella ragazzina con quegli occhi
penetranti e i suoi modi troppo gentili e accondiscendenti con chiunque a
mettere lui alla prova. La detestava. Odiava quando arrivava a sondarli con il
suo sguardo critico, seppure velato da una disponibilità senza pari. Odiava lo
sguardo di pietà che rivolgeva solo a lui, quando visionava la sua posizione in
classifica. Odiava le sue parole di conforto per lui, solo per lui. Odiava il
suo odore zuccheroso, perché era ormai presagio di sventura.
Stare seduti in quei
banchi così scomodi non piaceva molto a Near, ma
aveva il permesso di sedersi come gli pareva. Dopo i primi dieci minuti
appollaiato sulla sedia di legno, il ragazzino prese foglio e penna e si
accomodò tranquillamente per terra. Ecco, quella era posizione migliore per far
fluire il sangue al cervello. Appoggiò la testa sul ginocchio destro, piegato
verso il suo petto, e la sua penna lasciò scivolare sul foglio una cascata di
parole per la risoluzione del caso proposto. Era decisamente un caso quello che
stava loro proponendo L, forse uno di quelli da lui risolto, forse uno che
doveva ancora risolvere … poteva essere proprio così, dato che in quel momento
il detective migliore del mondo era alle prese con il caso Kira,
il più complesso che avesse mai affrontato, tanto che era uscito allo scoperto,
si era esposto in prima persona e questo Near e Mello lo sapevano.
Dall’altro lato della
stanza Mello stava letteralmente rosicchiando fino
all’osso la sua penna. Lo faceva ogni volta che spostava lo sguardo sulla testa
di Near. La vedeva apparire tra i banchi, dato che,
al solito, quello psicopatico si era spostato sul pavimento. Probabilmente
quello che Mello stava facendo al tappo della penna
voleva farlo al suo rivale: rosicchiargli la testa, spaccargliela per vedere
che cavolo conteneva. Il panico lo colse quando quella specie di fantasma
ambulante, quel lungodegente perennemente in pigiama si alzò e si diresse verso
J, seduta a un tavolo vicino alla finestra, per consegnarle il suo test. Quel
dannato aveva finito e lui si era lasciato prendere talmente tanto dalla sua
rivalità da essere ancora a metà.
Se era guerra quella che Near voleva, beh, lui non si tirava certo indietro. Partì a
razzo, lasciando che la penna percuotesse violentemente il foglio, calcando
talmente tanto la mano, da strapparlo in più punti. Il suo sguardo era
diventato feroce e in meno di cinque minuti risolse tutto quello che c’era da
risolvere e annunciò di aver finito scagliando un pugno sul banco.
Si alzò tanto
violentemente da far cadere la sedia con un tonfo e avrebbe lanciato il foglio
verso J, se non avesse saputo che non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per
rimarcare la sua vittoria contro quel lurido foglio scarabocchiato, lo posò con
malagrazia, lanciando uno sguardo di sfida alla ragazza e, quando si voltò,
anche a tutti gli altri ragazzi che, visto il chiasso che aveva provocato,
avevano tutti le penne a mezz’aria e lo sguardo puntato verso di lui. Li fissò
talmente storto che tutti, nessuno escluso, ripresero a pensare a fatti propri
prima che, e Mello ne era capace, questi si levasse
una scarpa e gliela tirasse in testa. Per concludere la sua sceneggiata, uscì
sbattendo la porta.
Roger stava passando in
rassegna i test che i ragazzini gli avevano consegnato. Spettava a lui
occuparsi della parte bassa della classifica. Non c’era molto di nuovo da
leggere in quelle pagine: bene o male erano tutti stazionari nella Wammy’s House, tranne qualche momento slittamento dovuto
agli eventi che avevano potuto sconvolgere la giornata di qualcuno degli
ospiti.
J era alle prese con i
due test a cui L era interessato. Non c’era molto da dire. Se si mettevano
insieme le varie spiegazioni trovate da Mello e Near, si apriva un ventaglio di soluzioni che varavano ogni
piccola possibilità di ottenere indizi efficaci. Se si provava a giudicare ogni
prova per sé stessa, Mello, come al solito, peccava
eccessivamente in capacità di calcolare i rischi relativi ad ogni azione. J
pensava che se mai avesse avuto tra le mani una pistola, quel ragazzo avrebbe
sparato senza esitazione. Faxò i due fogli a L e si preparò a ricevere il suo
giudizio.
Era appeso. L’elenco, la
classifica generale degli eredi di L era appesa in bacheca. I ragazzini si
accalcavano tutti intorno ad essa per leggere il proprio nome, la propria
posizione e il voto ottenuto. Un giudizio scritto era invece consegnato
personalmente da Roger; erano segnati dei consigli da seguire per migliorare i
propri risultati, quali erano i difetti e quali i pregi di ognuno e ognuno di
loro poteva decidere se renderli pubblici o no.
Near si avvicinò alla bacheca, provando a
mettersi sulle punte dei piedi. Allungò il collo, ma non vedeva ancora nulla. Mello, invece, preferiva restare incollato alla parete
opposta. La sua espressione era quella di uno che non sa se buttarsi dal ponte
oppure no. Temeva di leggere un meccanico “2” accanto al suo nome e di vedere
sopra il suo quello del rivale. Questa volta non era una delle prove sceme di
Roger, era qualcosa che aveva portato con sé la ragazza con i capelli neri,
quella che gli rivolgeva quei sorrisi irritanti.
Un fulmine squarciò il
cielo pomeridiano e illuminò il corridoio di una luce sinistra. Mello fece un respiro profondo: non aveva senso restare
ancora lì a valutare se era il caso o no di leggere il verdetto finale. Meglio
togliersi questo dente malato, piuttosto che cuocere ancora nel brodo
dell’incertezza.
Si avvicinò con fare
deciso e qualche bambino più piccolo si scansò in fretta. Era più alto degli
altri, quindi riusciva benissimo a vedere cosa c’era scritto.
< Mello,
non ci arrivo. Puoi leggere tu, per favore? > era la voce di Near, l’unica ad aver rotto il silenzio. Tutti si erano
zittiti nel momento in cui Mello aveva fatto qualche
passo verso il gruppo sotto la bacheca. Ma Near no,
lui non temeva le reazioni dell’altro.
Mello lanciò uno sguardo omicida verso
quella testa bianca. Non gli avrebbe mai risposto. Riportò lo sguardo verso la
lista e trattenne il fiato. Partì da sotto, scorgendo di sfuggita i nomi degli
altri: Linda, Samuel, Kit, Matt, Gun, Tula, Terence…
“2. Mello”
Strinse i pugni, tanto da ficcarsi le
unghie nei palmi. Lanciò uno sguardo terrificante a Near
e lo odiò ancora di più per l’occhiata consapevole che gli lanciò di rimando.
< Oh … > disse il ragazzino,
intuendo quale potesse essere il risultato del test e che di conseguenza ancora
una volta Mello fosse arrivato secondo. La reazione
di Near sarebbe stata analoga se avessero parlato del
tempo, come se qualcuno gli avesse comunicato che pioveva e che quindi non
potevano uscire per una passeggiata. La storia della rivalità non aveva grande
effetto su di lui.
Mello, invece, sentì l’impulso di
strozzarlo, di fargli male, ma riusciva ancora a pensare, nonostante le
emozioni gli facessero girare la testa. Sentiva di non riuscire a reggere
ancora per molto, voleva urlare la sua frustrazione, voleva prendere a calci
qualcosa o qualcuno e, se solo uno dei presenti avesse fatto o detto qualcosa di
sbagliato, sarebbe diventato il sua capro espiatorio.
Non era il caso di rendersi la vita
difficile nell’istituto per una reazione eccessiva, quindi, con quel po’ di
razionalità che gli era rimasta, si fiondò verso la porta di servizio e finì in
giardino.
Pioveva
a dirotto ormai. I fulmini squarciavano il cielo sopra la sua testa e la sua
rabbia era diventata molesta. Iniziò a correre più veloce che poteva, sforzando
i muscoli, tirandoli, mettendoli in pesante tensione. Superando la cancellata
del giardino, finì nei campi. Era scalzo, ma poco gli importava. Corse, lasciò
che i polmoni bruciassero con l’aria fredda dell’autunno e che la pioggia
torrenziale lo schiaffeggiasse. La sua maglia nera gli si incollò al petto
soffocandolo, ma non era importante. Voleva scappare, voleva smettere di
sentirsi così inferiore a quel ragazzino irritante, voleva essere il migliore,
ma volerlo non bastava.
La rabbia si trasformò in lacrime, ma
era impossibile riconoscerle su quel volto bagnato. Provò a ricacciarle indietro
mordendosi il labbro, ma ricavò solo una ferita che gli inondò la bocca di
sapore ferroso. La corsa sarebbe stata inarrestabile se un ramo spezzato,
nascosto tra l’erba alta, non gli avesse ferito un piede. Cadde rotolando
vicino al bordo dello stagno. Qualche rana saltellò in acqua, spaventata dalla
sua irruzione. Mello urlò il suo dolore, il dolore
dell’anima che si agitava nella frustrazione, sicuro che nessuno lo avrebbe
sentito.
J
lo aveva visto correre via dalla finestra dell’ufficio di Roger. Sapeva che a Mello non sarebbe andato giù quel giudizio, ma non si
poteva fare altrimenti: in ballo c’era molto più di loro, dei loro desideri e
dei loro sentimenti. A decidere era stato L e niente era fatto a caso da lui. Niente
era giusto in quel meccanismo, lo sapeva molto bene. Mello
era uno di quei ragazzi che soffriva troppo per quella pressione e per la
pressione che si infliggeva da solo.
J aveva lasciato cadere i fogli che
aveva in mano e gli era andata dietro. Sapeva che non si sarebbe mai accorto di
lei, per quanto era preso da sé stesso. Purtroppo J non era mai stata molto
veloce nella corsa e ad un certo punto aveva temuto di averlo perso, poi, un
urlo angoscioso le aveva indicato la direzione da prendere.
Lo
vide lì, rannicchiato su sé stesso, perso in un pianto convulso. Stava subendo
le sue emozioni, le stava pagando una ad una con stille di sangue dall’animo. Mello si chiedeva perché non era capace di superare
quell’ostacolo, si chiedeva in cosa era carente. Quel dolore gli stava dando un
indizio, ma non riusciva a coglierlo. Era stanco, spossato, svuotato nella
mente e nell’anima. Non sapeva più cosa fosse giusto o sbagliato. Non aveva
appigli. Stringeva le sue braccia conficcando le unghie in profondità; la testa
era piegata sul terreno e i capelli sparsi sul terreno a raccogliere il fango.
Lei
lo trovò così. Prostrato, abbattuto, tra le lacrime. Si avvicinò con cautela.
Era un animale ferito, naturalmente aggressivo, con un pessimo carattere quando
stava bene, ora, distrutto, era un grumo di carne e nervi troppo tesi.
< LASCIAMI! > l’aveva urlato
forte quando J si era chinata su di lui per provare a tirarlo su. Gli occhi
rabbiosi, le iridi azzurre lampeggianti e il petto percorso da singulti che non
gli permettevano di pronunciare più di una parola per volta.
< Mello,
lascia che … > provò.
< NON … VOGLIO … LA TUA … P-PIETA’!
> era un messaggio chiaro e condivisibile, ma non poteva lasciarlo in quelle
condizioni, era solo un ragazzo, solo e disperato.
Tentò di avvicinarsi ancora e questa
volta Mello reagì fisicamente spingendola via. Il
sangue gli colava dalla bocca sul mento e dava di lui un’immagine ancora più
patetica. J allungò una mano ad asciugargli quel liquido cremisi, rischiando di
essere morsa e, nello stato in cui era Mello, non era
una cosa improbabile. Non staccò gli occhi dai suoi, si lasciò avvolgere
dall’azzurro tagliente del suo sguardo, dalla sua rabbia e dal suo dolore.
Dal canto suo, Mello
avvertì il calore della mano di lei e fu uno strano balsamo per il suo corpo
intirizzito. Calore: era qualcosa che aveva scordato da tempo. Il calore di un
abbraccio, il tepore di una persona vicino a lui. Da quando era iniziata quella
stupida guerra su chi dovesse essere il successore di L, aveva dimenticato
tutto questo. Maledisse nella sua mente quella ragazza che lo guardava
preoccupata, maledisse la sua vicinanza, maledisse l’incavo del suo collo che
accolse il suo volto, maledisse le braccia calde che lo avvolsero, maledisse il
suo profumo dolce e maledisse la sua voce delicata. Eppure si strinse a lei.
< N-non
è giusto … > riuscì a malapena a sussurrare. Non ebbe nessuna risposta, se
non una mano che si posò sulla testa. Lo accarezzava lenta, senza alcuna
fretta. Erano gesti inaspettati e il ragazzo ne fu stupito e allo stesso tempo
grato, abbandonandosi al torpore mentale.
J
lasciò che buttasse fuori quel concentrato di emozioni negative che si portava
dentro da troppo tempo. Lo avevano portato allo stremo ed era solo un ragazzo:
non aveva neanche quindici anni, eppure sembrava che il suo spirito ne avesse
incredibilmente di più. Si caricava di pesi difficili da sostenere per le sue
esili spalle e aveva preso quella strana sfida con Near
nel modo peggiore possibile.
Passarono parecchio tempo
sotto la pioggia scrosciante. Ormai erano immersi nel fango; gli abiti
incollati al loro corpo rendevano difficili i movimenti. Mello
tremava già da un po’, sia per le emozioni che per il freddo, ma J non era
riuscita a convincerlo a tornare dentro. Aveva bisogno ancora di un po’ di
tempo. Poi anche lei iniziò a tremare per il freddo. La pioggia non accennava a
smettere. Bisognava tornare indietro. La ragazza si rese conto che difficilmente
Mello avrebbe potuto rifare quella strada con quel
taglio sotto il piede, così, senza ormai la minima protesta per quanto fosse
spossato, se lo caricò sulle spalle.
Lungo la strada non
parlarono. Mello si era totalmente abbandonato sulla
sua schiena con lo sguardo perso nel vuoto. J non pensava che lo avrebbe mai
visto in quello stato, forse non lo avrebbe voluto mai vedere così: quel
ragazzino le piaceva, aveva uno sguardo magnetico e una parlantina spiazzante,
le piaceva la sua irruenza, solo non aveva mai realmente capito quanto potesse
essere dannosa.
Roger era sulla soglia
dell’orfanotrofio con lo sguardo verso i campi, sperando di veder tornare i due
ragazzi. Quando J era partita di tutta fretta, non aveva immaginato quello che
poteva essere successo. Fu Near a dargli la notizia
della reazione di Mello. Sospirò sollevato quando la
testa mora di J sbucò tra la pioggia e la vegetazione.
<
Roger porta asciugamani e un paio di coperte in infermeria. > J diede queste
indicazioni, appena ebbe varcato il portone dell’orfanotrofio e aveva visto il
direttore con un’espressione sollevata e preoccupata allo stesso tempo. Non
c’era nessun’altro all’ingresso. Meglio così, Mello
non si sarebbe perdonato facilmente un atto di debolezza pubblico. Roger fece
strada, poi sparì alla ricerca degli oggetti richiesti.
L’infermeria
era un posto stranamente colorato. La maggior parte degli ospiti erano solo dei
bambini, di conseguenza era ovvio non spaventarli troppo con un ambiente
immacolato e piastrellato di bianco. Funghi e fiori colorati sporgevano
sorridenti dalle pareti.
J si avvicinò al lettino e posò Mello con delicatezza. Si era totalmente ammutolito, lo sguardo
era basso, la testa china, ormai pareva una bambola senz’anima. Roger tornò.
< Posso fare qualcos’altro? >
chiese, ma J fece cenno di no con la testa e chiuse la porta dietro di lui. Era
meglio se una sola persona si occupasse del ragazzo.
Lei posò un asciugamano sulla
sua testa, strofinando un po’ per togliere l’acqua in eccesso. Non ci furono
proteste, nemmeno quando gli sfilò la maglietta. Lo avvolse in una coperta di
lana e si dedicò al suo labbro. Imbevette un po’ di cotone al disinfettante e
medicò la ferita senza che il ragazzo pronunciasse verbo. Si era morso con
violenza, ma in pochi giorni la ferita si sarebbe rimarginata. Il taglio sotto
il piede era un tantino più grave, tanto che, immaginava, avrebbe dovuto usare
le stampelle per più di una settimana. Era già tanto che non ci fosse bisogno
di punti.
< Dovresti provare a controllarti.
> esordì J, guardandolo di sottecchi < Lo dico solo perché finisci col
farti male. > e non era solo dolore fisico.
Mello sembrava totalmente assente e remissivo.
L’asciugamano era rimasto sulla sua testa e ne copriva in parte il volto. Aveva
perso completamente le lacrime ed era caduto in una sorta di catalessi emotiva:
né dolore né rabbia lo stavano attraversando, ma solo insoddisfazione di sé
stesso. La sua vita gli era indifferente: era vuota ormai, senza significato,
senza obiettivi. Sentiva le mani di J sulla sua pelle. Erano tornate calde,
nonostante il clima di fine ottobre non era dei migliori e avesse preso talmente
tanta acqua per lui … già, per lui. Ancora una volta riceveva questo
trattamento di favore, ma ora non aveva la forza di pensare e tantomeno di
rifiutarlo. La ragazza aveva avvolto una benda bianca intorno alla ferita sul
suo piede e aveva sistemato anche del celophan, per
proteggerla dell’acqua. Da un armadio di metallo in fondo alla stanza J prese
un paio di stampelle.
< E’ meglio se usi queste per un
po’. Non devi sforzare il piede. > le posò accanto a lui < Ce la fai ad
andare da solo a farti una doccia calda? > chiese speranzosa. Se si fosse
riscaldato, si sarebbe sentito meglio.
Per tutta risposta Mello prese le stampelle e si diresse lentamente fuori
dall’infermeria. J lo guardò allontanarsi preoccupata, ma appena lui aprì la
porta, un ragazzino suo coetaneo con i capelli rossi apparve sulla soglia. Era
in buone mani.
Note dell’Autore:
Anche questo capitolo è finito. Il povero Mello
deve fare i conti con le sue debolezze e sappiamo che non ci riuscirà mai,
queste vinceranno sempre.
Ringrazio orihime02 della
recensione: Mello è uno dei miei personaggi preferiti
e, per quanto folle, adoro il suo modo di fare, perché ha messo un po’ di
azione in Death Note, che, senza di lui, sarebbe molto più statica.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Attendo recensioni, vorrei
sapere cosa ne pensate, se c’è qualcosa che cambiereste.
L’autunno
da quelle parti era molto strano. Il giorno prima era stata una pessima
giornata. Dopo il pomeriggio burrascoso in compagnia di Mello,
J affrontò suo fratello per telefono, parlando dannatamente in codice. Era
irritante non poter comunicare come persone normali, ma L in quel momento aveva
parecchio da fare con il caso Kira. J seguiva la
vicenda da lontano, con tutte le precauzioni possibili; non sapeva, però, cosa
accadeva in Giappone, chi stesse lavorando con lui, a parte Watari,
e chi fossero i sospettati. Le notizie che Quillsh le
passava erano davvero risicate e si trattava perlopiù di dati sintetici, giusto
per avere una visione generale di quello che stava accadendo. L’unica cosa che
aveva notato di strano durante la telefonata era uno strano rumore metallico,
quasi una catena che veniva trascinata; suo fratello era il tipo di persona da
fare cose parecchio strane, ma una catena poteva significare che era attaccato
a qualcosa … o a qualcuno.
< Ho allucinazioni auditive o
sento uno strano rumore? > chiese, sapendo che L avrebbe risposto a sua
discrezione. Era estremamente capriccioso, aveva l’indole di un bambino e come
un bambino dovevi adularlo se volevo ottenere qualcosa da lui; in quel momento la
ragazza non aveva voglia di metter su un teatrino di moine per tirargli fuori
la verità.
< Qui c’è gente che lavora, mi
sembra ovvio! > non voleva rispondere dettagliatamente e di certo non poteva,
ma J dedusse che sì, quel rumore non l’aveva immaginato e che era qualcosa
attinente all’indagine.
< Spero per te che, nonostante ti
sia incatenato a qualcosa, riesca farti una doccia ogni tanto. Sei
particolarmente vergognoso in fatto di igiene … e non posso venire certo io a
ficcarti in una vasca a forza! > ecco, l’aveva detto.
L era peggiorato nel tempo
e a niente erano valsi l’appellativo di “Pulcioso” e “Puzzone” l’ultima volta
che si erano visti, risalente ormai a parecchio tempo fa. Allora il caso Kira era già nelle sue mani, ma agiva senza mostrarsi a
nessuno. Poco tempo dopo si era palesato alla Polizia Giapponese ed erano terminati
i loro incontri. Erano abituati a non vedersi per mesi, a farsi giusto qualche
telefonata per la voglia di sentire la voce dell’altro, perché non potevano
parlare liberamente di niente.
Le mancavano quei loro rari momenti
di intimità che appartenevano solo a loro, che rimarcavano il loro legame,
rimasto unico per molto tempo e con il mestiere che L aveva scelto non c’era
speranza di fare amicizia con qualcuno. Quando suo fratello era impegnato con
un caso, non c’era nessuna possibilità di passare un po’ di tempo con lui, come
quello straccio di famiglia che erano.
Da parecchi anni il bagno
era l’unica stanza in cui erano solo fratello e sorella, anche se gli argomenti
delle loro conversazioni erano spesso cruenti: si passava da casi del presente
e del passato, con spargimenti di sangue spesso e volentieri, ai progressi di J
con le pistole e la sua mira o in combattimento, oltre che ai suoi risultati accademici,
che di cruento avevano poco, ma mettevano in agitazione la ragazza, che si
vedeva paragonare a L e ai ragazzi della Wammy’s
House, tutti geni senza precedenti, anche se, effettivamente J non era certo
infondo ad un’ipotetica classifica. “Buon sangue non mente” aveva detto Watari una volta ed L sapeva che era la verità.
J aveva preso come una
missione occuparsi di lui, tanto era inutile sperare che iniziasse a
comportarsi come una persona normale, semplicemente perché non lo era affatto.
Erano anni che non mangiava più come tutti i comuni mortali, ma si ingozzava di
dolci; non c’era speranza di farlo vestire in modo più decente; sull’igiene
però non si poteva appellare a niente e a nessuno, così J aveva preso
l’abitudine di andarlo a trovare con un vassoio carico di qualunque cosa dolce
le venisse in mente, da usare come esca, per avere il permesso di buttarlo
sotto la doccia e occuparsi di lui.
La cosa che entrambi amavano
particolarmente era il momento dello shampoo. Quale fosse la ragione precisa,
non sapevano dirlo, ma L si rilassava sotto il tocco delle mani di sua sorella
e J forse godeva di quel momento così personale, in cui suo fratello diventava
estremamente dolce.
< A volte penso di mollare tutto.
> disse una volta il ragazzo, mente la testa insaponata gli dava un’aria particolarmente
infantile. Giocava con la schiuma e faceva le bolle come un bambino di cinque
anni, quei cinque anni che non aveva mai vissuto < Ce ne andremmo via, io e
te … lontano da tutto il chiasso dei casi e dei malviventi … vivere
normalmente, un lavoro normale, una casa … chissà, potremmo aprire una
pasticceria! >
Ciò che seguì fu un altro pessimo
gioco infantile, che produsse l’allagamento del bagno della camera d’albergo
dove alloggiava L.
Andar
via, vivere normalmente. Non erano cose possibili, nemmeno lontanamente. L
aveva la sua missioni e J era pronta a succedere a Quillsh.
Perché doveva essere lei il nuovo Watari? Era
semplice trovare le ragioni. Era abituata a trattare con persone con una mente
particolare e riusciva a trovare il modo giusto per non indispettirle, dato
che, nella maggior parte dei casi erano estremamente infantili e suscettibili.
Near, ad esempio, era il tipo di persona
che preferiva i silenzi e in quei silenzi comunicava molto di più delle mille
parole complesse che era capace di snocciolare. Quando parlava era freddo, una
macchina in azione, mentre la sua calma proverbiale era estremamente
comunicativa. Bisognava imparare il significato dei suoi gesti, come la sua
abitudine di arrotolarsi una ciocca di capelli su un dito, che non era altro
che un modo come un altro per rassicurarsi da solo. J lo aveva notato e aveva
provato un grande tristezza: non sapeva quale fosse la sua storia, perché fosse
alla Wammy’s House, ma era certa che lo avrebbe
tenuto d’occhio.
Mello era esattamente l’opposto, ma non
era la persona più sicura del mondo. Aveva sviluppato un complesso
d’inferiorità notevole che, mescolato al suo scarso autocontrollo, risultavano
distruttivi.
J
sospirò. Si chiedeva perché tutto dovesse essere così complicato, perché
avessero alimentato quella strana guerra per la successione di L, quando
c’erano altri grossi problemi da risolvere. Era scesa in uno dei salotti che
venivano destinati agli incontri con gente che proveniva da fuori e veniva a
far visita all’istituto per qualche ragione. Il sole era già alto. Era metà
mattina e non pareva per niente che il giorno prima si fosse scatenata una
tempesta nella regione. La ragazza era parecchio stanca; quella notte non aveva
dormito molto. Aveva discusso molto con Roger di Mello
e non erano arrivati a nessuna conclusione, se non a considerare che forse non
sarebbe mai stato lui il successore tanto agognato proprio per le sue pessime
reazioni. Aveva pensato allo sguardo disperato del ragazzo ed aveva convenuto
che non era giusto averlo illuso in quella maniera per tanto tempo. Lei non era
esattamente dello stesso parere del direttore, ma pensava, e suo fratello era
in parte d’accordo con lui, che insieme, Near e Mello, sarebbero stati imbattibili. Si sdraiò sul divano e
prese tra le mani un libro che non riusciva ancora a finire, visti gli impegni
che aveva. Non ci volle molto e le parole lasciarono il posto ai sogni.
Mello era diventato veloce nell’uso delle stampelle. Meno
di mezza giornata era bastata a capire come salire e scendere le scale. L’unico
problema era che risultava abbastanza faticoso. Matt lo aveva aiutato la sera
prima, dato che era mortalmente stanco, quanto meno gli apriva porte,
rubinetti, armadi, pareva un maggiordomo! Averlo sempre intorno non era molto
piacevole: si sentiva osservato, anzi controllato dall’amico. Era arrivato
addirittura a provvedere alla sua colazione portandogli il vassoio della mensa
riempito in maniera inverosimile. Sapeva che lo stava facendo per il suo bene,
ma stava risultando parecchio irritante e non aveva voglia di prendersela con
lui.
Con un po’ di fatica era riuscito a
liberarsene e ora vagava per i corridoi e le stanze della Wammy’s
House alla ricerca di un posto che non fosse frequentato da alcuno. Non voleva
saperne di avere a che fare con nessuno. Al mattino, vedendolo fasciato e
armato di stampelle alcuni bambini avevano fatto domande, ma il suo segretario
Matt aveva risolto per lui quell’impiccio, inventandosi una scusa abbastanza
credibile e scaricando la colpa su Near, responsabile
di aver lasciato nel corridoio qualcuno dei suoi giochi per sabotare il suo
rivale. Beh, non gli era dispiaciuta come scusa. Aveva osservato di sottecchi
il ragazzino accusato, ma questi aveva fatto finta di niente, quasi non fosse
stato messo in mezzo alla faccenda.
Percorse
l’ennesimo corridoio e notò una delle porte socchiuse. Filtrava una luce molto
forte, probabilmente proveniente dalla grande finestra che si intravedeva dallo
spiraglio. Spinse la porta con la stampella e lanciò uno sguardo all’interno.
Pareva tutto in ordine, poi notò un piede nudo e affusolato sbucare dal lato
del divano. Qualcuno era spaparanzato in quella stanza e il fatto che non
avesse notato il suo ingresso significava che stesse dormendo. Lo avrebbe
svegliato in malo modo: aveva bisogno di dare libero sfogo alla sua inattività
momentanea e obbligatoria. Procedette con cautela, per evitare di rovinare
l’effetto sorpresa, ma fu lui ad essere sorpreso.
Era J ad essersi addormentata in
quella stanza. I capelli neri erano sparsi su un cuscino rosso che decorava il
divano. La sua pelle chiara risaltava in modo violento e il suo volto mostrava
una calma assoluta. Le palpebre abbassate e le labbra socchiuse mossero
qualcosa nel petto di Mello. Il suo sguardo scese sul
suo collo bianco circondato da un laccio nero da cui pendeva una piccola croce
dorata. Lo sguardo finì sul suo seno e un po’ il ragazzo si vergognò, ma la
trovava una visione irresistibile; la mano della ragazza reggeva a malapena un
libro, “Brigth star” di John Keats.
Mello posò una delle stampelle e lo sfilò con
leggerezza dalle sue mani. Diede uno sguardo veloce alla poesia e ripose il
libro sul tavolino lì accanto. J si mosse nel sonno e Mello
si bloccò trattenendo il respiro. Era strano come i suoi propositi di
svegliarla in malo modo si fossero completamente raffreddati. Era rimasto
incantato da quella visione, da quel momento così strano vedere quella persona
che gli creava una lunga serie di problemi essere indifesa; non solo, aveva
realizzato di esserle assolutamente grato per quello che aveva fatto per lui il
giorno precedente, solo non sapeva come considerare quello strano moto del
cuore che gli era preso quando l’aveva vista così abbandonata nella quiete del
suo sonno, realizzando che era una donna, percependo il suo profumo in modo diverso,
giocando con lo sguardo sulle sue curve.
Si sedette per terra, voltandosi
verso il suo viso e osservando il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo seno. Si
lasciò cullare dal calore che emanava e sfiorò la sua mano con un dito.
L’avrebbe fatto, era deciso, probabilmente
era stupido, ma voleva … voleva davvero cosa? Ringraziarla? Sì, forse era
questo che voleva, quindi si sollevò un po’, si mise in ginocchio e posò le
labbra su quelle della ragazza. Fu colpito da quella sensazione, dalla
morbidezza, dai respiri e dai profumi che si mescolavano. Premette un po’ di
più e si sentì percorrere da un brivido.
J
sentì che qualcosa la stava toccando in modo non esattamente pudico. Qualcuno
stava baciando le sue labbra e in quel luogo c’erano solo tanti ragazzini,
Roger e le insegnanti. Roger non era di certo, quell’uomo aveva un odore di
tabacco estremamente forte, mentre quello che sentiva era un profumo di pulito.
Poteva essere qualcuno dei ragazzi. Prima di avere una qualche reazione eccessiva
che avrebbe traumatizzato lo strano avventore, socchiuse gli occhi per
sbirciare cosa stava accadendo.
Se qualcuno glielo avesse detto, non
avrebbe mai creduto che fosse lui, non lui, non poteva essere. Mello, con gli occhi chiusi, teneva ferme con una mano alcune
ciocche di capelli biondi che avrebbero solleticato il suo volto. Era molto
preso da tutta quella situazione, tanto che sentì la sua lingua darle un tocco
leggero, come se volesse saggiare il sapore delle sue labbra. Aveva quasi
quindici anni e quello che stava accadendo era quasi prevedibile. Gli ormoni li
avevano anche i geni.
Il ragazzo si sollevò con
delicatezza e solo dopo riaprì i suoi occhi azzurri. Incrociò immediatamente i
pozzi neri di J: non si vergognò di quello che aveva fatto, di essere stato scoperto,
ma la fissò tranquillo come se quella situazione fosse normale, ovvia,
naturale. Solo dopo qualche minuto si voltò e tornò a sedersi per terra.
Abbassò lo sguardo, tentando di mettere in ordine i suoi pensieri e non solo
quelli.
J continuò a guardarlo,
provando a immaginare cosa gli passasse per la mente, poi si sollevò e si
accomodò per terra alla sua sinistra.
< Era la prima volta? > chiese
in un sussurro, avendo intuito che il primo ad essere sorpreso della situazione
era lui.
Mello annuì con la testa. Non aveva mai
pensato a questo genere di cose, ma quella situazione era stata peggio di una
calamita. Forse ora sarebbe arrivata la ramanzina sul fatto che non si
dovrebbero fare queste cose senza il permesso dell’interessato, ma le sorprese
di quel giorno non erano finite. J frugò nella sua borsa sul tavolino e tirò
fuori una tavoletta di cioccolata. La scartò e gliela offrì.
< Questa dovevo farla recapitare
ad L, ma si arrangerà con altro. > e gli sorrise.
Questa volta Mello
non odiò quell’atteggiamento così disponibile nei suoi confronti. Ora capiva
qualcosa in più riguardo i suoi sguardi, capì che lei lo rispettava davvero
come persona, per quanto fosse matto da legare. Prese la stecca di cioccolata e
ne morse un po’. Il sapore era amaro, doveva essere fondente, ma allo stesso
tempo inondò la sua bocca di calore e piacere. Sorrise deliziato, per la prima
volta dopo settimane.
< Ora quando mangerai cioccolata penserai
a quello che è successo qui, in questa stanza. > disse la ragazza,
lanciandogli un piccolo sguardo di sottecchi per saggiarne la reazione.
< Un rinforzo positivo a qualcosa
di positivo? > chiese Mello un po’ scettico.
< Perché no? > fu la risposta
di J.
Restarono in quella stanza mangiando
cioccolata. La ragazza posò la testa sulla spalla di lui e non dissero più
niente.
Era
ora di partire. Erano le quattro di notte. Non era il massimo, ma l’aereo per
il Giappone era ad un’ora improbabile; doveva vedere Watari.
Sistemò le ultime cose nella sua valigia e controllò che il taxi fosse
arrivato. Quando aprì la porta della sua stanza, c’era Mello
ad attenderla in equilibrio sulle sue stampelle. Aveva lo sguardo basso e
un’espressione di pura tristezza.
< Sei venuto a salutarmi? >
chiese la ragazza, dopo che il ragazzo aveva passato parecchi minuti senza dire
niente < Allora spero di vederti presto. Magari mi chiedono di tornare a
breve, magari passo a Natale. > ora sperava di rivederlo quello strano ragazzo,
ma soprattutto non voleva vederlo in quello stato, triste o perennemente arrabbiato
con il mondo.
< Mi aspetteresti? > fu una
strana domanda quella che venne dalle labbra di Mello.
Non l’aveva guardata fino a quel momento, solo allora sollevò lo sguardo.
< Cosa vuoi dirmi? > non
capiva.
< Tra poco compio quindici anni,
ma probabilmente dovrei crescere ancora un po’ prima che tu mi accetti per
davvero. >
Accettarlo? Era un discorso strano
quello di Mello, ma forse, semplicemente, per la
prima volta si era sentito protetto, compreso e … amato. Il primo bacio, il
primo amore … si era messa nei guai con quel biondino irrequieto. Si sarebbero
rivisti, probabilmente avrebbero lavorato insieme, lo avrebbe anche aspettato
come uomo? Forse sì, sentiva una strana predilezione per lui, una strana
attrazione mentale.
< Ti aspetterò. Tu fai presto.
>
Note dell’Autore:
Salve ragazzi! Questo è l’ultimo capitolo di questa piccola storia. Spero
vi sia piaciuta. Probabilmente ci sarà un seguito, ho bisogno di un po’ di
tempo per riuscire a scrivere gli ultimi capitoli. Se tutto va bene, dovrei essere
pronta per la settimana prossima. Incrociamo le dita!
Ora vorrei ringraziare per le recensioni: Cristy_(addirittura
tra le storie da ricordare!), orihime02, Nijinsky. Siete state gentilissime!
Le recensioni aiutano chi scrive a mantenere l’entusiasmo!
Ringrazio anche deathnotelawliet e
MomokoUchihaper aver inserito
questa storia nei preferiti: sono stupita!
Un ultimo ringraziamento a nenezebubba che ha inserito questa storia tra
le seguite, insieme a orihime02 e Nijinsky.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e spero seguirete il
prosieguo della storia. Il raiting sarà un po’ più
alto: un Mello “adulto” è decisamente almeno da raiting arancione!
Vi ringrazio ancora tutti, anche coloro che hanno seguito nell’ombra.