Il camino e il bicchiere

di Gersemi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il camino e il bicchiere ***
Capitolo 2: *** -Polvere e cenere ***
Capitolo 3: *** -Pagine di diario ***



Capitolo 1
*** Il camino e il bicchiere ***


- Il camino e il bicchiere. -


Erano le cinque del mattino, un orario insolito per svegliarsi e lasciare i propri sogni intrappolati tra coperte e cuscini.
Tuttavia per Claudia, era l’orario adatto per scendere dal soffice materasso, infilare ai piedi un paio di soffici pantofole e scendere nel suo studio posto al piano terra, con indosso ancora il pigiama e a coprirlo solo una vestaglia in seta turchese, leggera e fine.
Scese le scale, ancora leggermente assonnata, facendo scricchiolare i vecchi scalini in legno e scorrendo sul corrimano il palmo della mano, per dirigersi in cucina dove si versò in una tazza il caffè già pronto e ancora fumante; una volta terminato il caffè, uscì dalla stanza per dirigersi nel suo studio, posto a qualche metro di distanza dal salotto, che superò senza nemmeno rendersene conto.
Aprì la porta e venne investita da una corrente d’aria gelida, che portò disordine ai fogli ordinati sulla scrivania in legno massiccio, antico e lavorato, da sempre appartenuto alla famiglia e alla casa della giovane donna, la quale per lavoro era solita utilizzarlo.
Scosse la testa, trovandosi così il viso coperto dai soffici ricci color miele, che si scostò con un gesto automatico della mano, prima di superare la porta e dirigersi verso il caminetto, dove già stavano sistemati dei ceppi pronti per essere accesi all’occorrenza; prese fra le bianche dita l’accendino, facendolo scattare e da esso fuoriuscì una fiammella arancione, che si posò sulla legna secca, che prese a scoppiettare allegramente all’interno del caminetto e a scaldare la stanza, immergendola in una luce quasi d’orata e piacevole.
Una volta acceso il camino, la donna si allontanò da esso, dirigendosi verso la finestra coperta da lunghi tendaggi cremisi, che gettavano una luce scura, sulla stanza già buia di suo; allungò una mano e scostò con un gesto secco il tendaggio, osservando poi fuori dal grande finestrone, dal quale si poteva ammirare un giardino interno alla casa, che si poteva osservare in tutta la sua bellezza solo all’interno di quella stanza, oltre che ovviamente dall’interno del giardino stesso.
Claudia incrociò le braccia al petto e sospirò, osservando i grossi goccioloni che cadevano all’esterno e che rigavano il vetro appannato dell’enorme finestrone, ostruendo la visione del paesaggio.
«Che tempo! Non trovi anche tu Rufus?»
Disse rivolgendosi al gatto soriano, che si stiracchiava sulla scrivania, facendo fusa piuttosto rumorose e scompigliando maggiormente le carte già disordinate di loro; lui si limitò a rispondere con un brontolio alla padrona, che si limitò a sorridere all’animale, tornando poi ad osservare il tempaccio all’esterno; una luce illuminò la stanza, avvisando i presenti che si trattava di un bel temporale e non semplicemente di un’ innocua pioggerella
«Sarà una lunga mattinata Rufus. Forza, si lavora.»
Camminò decisa verso la scrivania e si sedette sulla sedia anch’essa in legno massiccio, coperta da velluto rosso, sotto al quale si trovavano dei morbidi cuscini.
Prese in mano i fogli, sistemandoli, per poi iniziare a tracciare linee scure su di un foglio giallastro con una penna d’oca, della quale aveva imbevuto la punta con dell’inchiostro, contenuto in un calamaio.
Quel giorno avrebbe catalogato la pietra di un antico e prezioso medaglione, consegnatogli dalle mani del proprietario del museo cittadino; lei avrebbe dovuto semplicemente ritrarre il medaglione ed elencare poi tutte le proprietà del minerale incastonato all’interno della struttura in argento puro, nulla di nuovo per lei, tutto assolutamente regolare.
Una volta terminato il lavoro, portato a termine molto più velocemente di quello che aveva immaginato, si sgranchì mani e gambe, stiracchiandosi sulla sedia, per poi picchiettare i fogli sulla superfice lineare della scrivania e riporli in un cassetto, chiudendolo poi con una chiave che posò accanto al gatto che prese a giocherellare annoiato con essa
«Meno uno Rufus»
Disse sorridendo e grattando la testolina del gatto, osservandolo amorevolmente, prima di alzarsi ed andare a prendere un bicchiere di vino, posto su di un tavolino per liquori che distanziava di poco dalla scrivania.
Sollevò il bicchiere in cristallo, portandoselo alle labbra e sorseggiò il liquido scarlatto al suo interno, osservando un punto in lontananza, all’interno del giardino dove le era parso di veder muoversi qualcosa, probabilmente un passero che cercava riparo dalla pioggia.
Un fulmine cadde davanti al grande finestrone, illuminando nuovamente la stanza e facendo cadere il silenzio più assoluto all’interno di essa, silenzio che fu interrotto dal gatto; l’animale stava ora in piedi sulle quattro zampe, col pelo gonfio e soffiando cattivo contro qualcosa di indefinito
«Dai Rufus, era solo un lampo!»
Disse divertita, pochi secondi prima che scoppiasse un forte rumore, come una bomba appena scoppiata.
Il camino si spense e un rumore di vetri infranti accompagnò lo scoppio; dalle scale si sentì giungere un  rumore di passi, che svelti e veloci si dirigevano verso la porta dello studio, la quale si aprì pochi secondi dopo scricchiolando e facendo entrare nella stanza un uomo sulla sessantina
«Che succede qua?»
Chiese con voce esitante ma in contempo minacciosa, ma non ottenne ovviamente risposta, a stanza era completamente vuota.
La donna non si trovava più all’interno della stanza, così come il gatto e l’enorme finestrone stava aperto, facendo entrare goccioloni di pioggia che bagnavano la moquette grigiastra, dandogli un colorito più scuro; niente donna, niente gatto, soltanto un bicchiere rotto per terra e una grossa macchia di vino, anche se era troppo scura per dover essere soltanto vino, ma l’uomo non vi badò poi molto; chiuse la stanza e si allontanò da li, imprecando fra se e se.
«Maledetti fantasmi.»
Borbottò risalendo le scale con passo zoppicante
«Non mi lasciano nemmeno dormire! Chiamerò un caccia spettri domattina!»
E detto ciò si richiuse nella sua stanza, chiudendola a chiave e tornando al sicuro fra i suoi due soffici guanciali, coperto da morbide e calde coperte, al fianco della moglie che dormiva beatamente, con il viso coperto da morbidi capelli ricci colore del miele.

E' la prima storia che pubblico su EFP....è la prima storia che pubblico in generale!
Grazie per aver letto fino a qui.

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Capitolo 2
*** -Polvere e cenere ***


-polvere e cenere

Sara Middelton, una ragazza dall’aspetto assolutamente normale, per essere una di 29 anni; capelli lunghi e rossi, fisico asciutto, occhi azzurri e splendenti, pelle chiara….insomma una comune ragazza, una di quelle che incroci per strada andando alla stazione centrale, di quelle con in mano sempre un caffè, agitata e forse a volte un po’ scorbutica.
Alle 6 e 30 del mattino, Sara fu buttata giù dal letto dal telefono, che squillava insistentemente da circa venti minuti; scese dal letto, con gli occhi ancora appannati e con passo incerto si avvicinò al mobiletto del telefono, alzando la cornetta
«Chi è? »
Chiese con voce dura, come se fosse stata disturbata nel momento più bello del film; stette ad ascoltare l’interlocutore dalla voce femminile, che si lamentava del fatto di aver già chiamato tre o più volte e di quanto inefficiente fosse quel servizio, oltre al fatto che era prettamente inutile visto che nessuno credeva ai fantasmi.
Una persona normale avrebbe riattaccato, mandando a quel paese il disturbatore mattutino, ma Sara non era una persona normale; in pochi credevano ai fantasmi e un numero ancor più ristretto sapeva come liberarsene, questo perché quasi nessuno riusciva a mettersi in contatto con loro, ma la ragazza sapeva esattamente cosa fare.
Riagganciò la cornetta e aprì l’anta dell’armadio, dal quale estrasse un paio di jeans neri e una maglia a manica corta bianca , che indossò velocemente sotto a una giacca in pelle nera, prima di prendere con se la sua borsa, con dentro di tutto e di più ed uscire dall’appartamento, chiudendo la porta a chiave.
Uscì dal portone del palazzo, immergendosi fra la folla che camminava svelta per evitare di bagnarsi sotto l’improvviso acquazzone, che tanto improvviso non era, visto i nuvoloni grigi che coprivano la città più o meno dal giorno precedente; evitò uomini ubriachi e donne che, in cerca di piacere, andavano a tradire il marito tornando a casa prima dell’alba; prese quindi il primo taxi che si fermò al suo segno, salendovi e dando al conducente un foglio sul quale in precedenza aveva riportato l’indirizzo della casa infestata; non disse una parola, rimase li seduta sul sedile posteriore, muta, per tutta la durata del viaggio, ignorando persino le domande postegli dal conducente ficcanaso.
Una volta arrivata a destinazione, lasciò al taxista il suo pagamento e rimase ad osservare la facciata della casa; a prima vista sembrava abbandonata da anni; pareva che stesse praticamente cadendo a pezzi, alcune finestre erano aperte, altre rotte, le canali invece penzolavano dal tetto, dondolando minacciosamente, mosse dal vento e il portone in legno era spalancato, così come il cancello in ferro battuto
“in che diamine di posto sono finita? Vogliono farmi disinfestare una casa in scatafascio?”
Sospirò e varcò la soglia del cancello, pensando che poteva benissimo essere che i padroni della casa volessero ristrutturarla e che le cosa fosse resa impossibile dalla presenza di fantasmi; si fermò sulla soglia della porta, il legno non era rovinato, forse solo un po’ vecchio, ma ancora in buone condizioni
« C’è nessuno? »
Era ridicolo chiederlo, ma almeno se ci fosse stato dentro qualcuno avrebbe evitato di fare figuracce; non ottenne nessuna risposta ,ovviamente, e poco dopo sentì un gran dolore alla nuca, prima di cadere a terra, perdendo i sensi.
Quando si risvegliò, si ritrovò all’interno della casa; era un posto ben illuminato, caldo e accogliente, a differenza dell’esterno che le ricordava molto un film horror degli anni 80; la ragazza strabuzzò gli occhi, leggermente confusa, mettendoci qualche secondo per rendersi conto di dove fosse, una volta capito di trovarsi all’interno della casa, sospirò e si massaggiò la testa con una smorfia
«Ah ti sei svegliata! Menomale »
La ragazza si girò verso la porta della stanza rettangolare, completamente spoglia a parte per il fatto che vi era un enorme lampadario, un divanetto sul quale era seduta e due o tre quadri; sulla porta sostava una donna, che avrà avuto all’incirca sessant’anni, ma che portava estremamente bene: aveva corti capelli color miele, forse un poco sbiaditi per via dell’età, ma ancora splendenti, che le ricadevano sulle spalle in morbidi ricci; gli occhi avevano un taglio all’orientale ed erano scuri, le labbra sottili mettevano in evidenza la serietà della donna.
« Forza alzati, devi disinfestarmi la casa! »
Disse con tono brusco, freddo e distaccato, come se la cosa le fosse dovuta; la ragazza si alzò dal divano, sbuffando, nemmeno per i feriti c’era più rispetto di quei tempi, cose da matti!
Si guardò attorno, avvicinandosi alla donna e porgendole la mano, per stringere la sua e presentarsi
«il mio nome è Sara Middelton, cacciatrice di fantasmi »
La donna strinse la sua mano, in una presa secca e decisa, lasciandola subito andare e facendole segno di procedere nell’altra stanza
«l’altra notte, il sonno di mio marito è stato interrotto da dei rumori, provenienti dalla stanza accanto, allestita come studio, rumori che si sono riproposti pure questa mattina »
Con un gesto secco della mano, indicò la porta in legno dello studio, che era chiusa, come se lo fosse da anni a dire il vero, era quella l’impressione che dava
«veda di liberarsi del fantasma e alla svelta anche, non ho intenzione di tollerare ancora per molto la presenza di corpi estranei alla casa. »
La fulminò con lo sguardo, facendole chiaramente capire che non era una presenza gradita, poi se ne andò nella stanza attigua e risalì le scale lentamente, facendo risuonare i suoi passi sugli scalini in legno; ah donne benestanti, non sapevano proprio trattare con gentilezza le persone che avevano meno ricchezze di loro….
Sara si avvicinò alla porta dello studio, aprendola ed infilandovi dentro la testa, per dare un’occhiata generale, sperando che nessuno avesse toccato nulla all’interno e che fosse rimasto tutto esattamente come la notte precedente, anche se lei, ovviamente, non avrebbe mai potuto saperlo con certezza;
entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e scavalcando un pugno di schegge di cristallo, li probabilmente doveva essere caduto un bicchiere, contenente del vino a giudicare dalla macchia rossa lasciata sulla moquette, si avvicinò alla scrivania e passò una mano sui fogli, sparpagliandoli involontariamente, prima di avvicinarsi alla finestra chiusa che aprì, venendo poi investita da una fredda aria mattutina, resa ancora più fredda per via della pioggia.
Si allontanò dalla finestra, lasciandola aperta, in quella stanza c’era odore di chiuso e non si respirava per nulla;
d’improvviso i fogli sulla scrivania si scompigliarono ancora di più, prima che la sedia si allontanasse dalla scrivania e di tornare assolutamente nello stesso posto in cui li aveva visti prima di entrare dalla porta; i fogli tornarono al loro posto così come il camino si accese, ecco, a quanto pareva il fantasma si stava manifestando nuovamente e per fortuna, Sara era presente, così avrebbe potuto vederlo, sempre che questo avesse voluto mostrarsi a lei
«forza fatti vedere»
Disse sottovoce, spostandosi dalla finestra, che ora era chiusa come se lei poco prima non l’avesse neppure sfiorata, le tende invece si erano scostate dal loro precedente posto facendo entrare giusto uno spiraglio di luce, ma nulla di che, in fondo era ancora mattina presto, la luce non era poi così forte e fuori il cielo era coperto da pesanti nuvoloni neri.
Un fulmine cadde in lontananza abbagliando il cielo e illuminando la stanza e Sara sentì una flebile risata provenire da qualche metro di distanza da lei
“so che sei qui, forza mostrati”
Estrasse dalla borsa una macchina fotografica, spesso i fantasmi si mostravano davanti all’obbiettivo e Sara avrebbe ricorso ad ogni modo per far si che il fantasma si mostrasse a lei, doveva mostrarsi a lei, così avrebbe potuto farlo passare all’altro mondo…
Nulla da fare, non si vide nulla nemmeno con l’ausilio dell’obbiettivo, non le restava altro da fare che attendere e vedere come si sarebbero messe le cose in quei pochi secondi.
I minuti trascorsero ad una velocità impensabile…un secondo non passava mai e un minuto sembrava un’ eternità, la ragazza decise quindi di andarsene dalla stanza; girò i tacchi e si avviò verso la porta, quando un lampo cadde nuovamente, questa volta nel giardino, seguito da un grande tonfo, più simile allo scoppio di una bomba che ad un tuono; si spensero tutte le luci, così Sara estrasse una pila a batterie e l’accese, puntandola prima all’interno della stanza, dove tutto era regolare, poi verso la porta….nulla era cambiato, tranne per il fatto che la macchia di vino per terra era magicamente diventata fresca, lei si abbassò e toccò la macchia rossa, portando il dito al naso…no, non era vino, aveva un odore metallico e la consistenza era troppo densa, quello era chiaramente sangue; una folata di vento fece aprire la finestra e mosse tutti i fogli bianchi ancora presenti sulla scrivania, alzando anche una pesante nuvola di cenere, probabilmente quella presente nel camino.
Uscì alla svelta dalla stanza, richiudendo la porta dietro le sue spalle; nel corridoio tutte le luci erano spente, come all’interno dello studio e faceva freddo, molto freddo; si appoggiò ad un mobiletto, sempre in legno…in quella casa tutto era fatto in legno!
«Signora…c’è nessuno? »
Ma non ottenne nessuna risposta, non c’era assolutamente nessuno li dentro, nessuno escluso un gatto soriano, piuttosto ben messo, che passeggiava indisturbato nel corridoio degnando la ragazza solo di uno sguardo obliquo
«Oh grandioso! »
Detto questo tolse la mano dal mobiletto, osservando per pochi secondi l’impronta della sua mano, che aveva spostato la polvere, si avviò quindi verso l’uscita; il portone era ancora aperto, così come il cancello, ma le finestre della casa ora erano tutte chiuse e riparate e le canali erano nuove e bel salde al loro posto; Sara scosse la testa, confusa, portandosi una mano alla fronte bagnata e…incrostata di sangue! Probabilmente la botta di prima l’aveva ferita e non si era ripulita dal sangue prima che le si seccasse in fronte.
Si girò ancora una volta verso la casa e poi nuovamente verso il cancello, che era scomparso, avvolto da una fitta nebbia; eppure non c’era mai la nebbia quando pioveva, poteva esserci solo una spiegazione, d’ora in avanti lei sarebbe stata prigioniera della casa, sino a quando non l’avrebbe disinfestata dai fantasmi, o ci avrebbe rimesso le penne pure lei.

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Capitolo 3
*** -Pagine di diario ***


-Pagine di diario


Sara non aveva avuto altra scelta, era dovuta rientrare in casa, quella casa che prima le era sembrata calda e accogliente, ma che ora dell’accogliente non aveva nulla, persino il gatto le faceva venire i brividi.
Tentò di aprire svariate porte, ma queste le parevano chiuse a chiave, o in qualsiasi altro modo, ma pur sempre chiuse; l’ultima porta da provare, era quella dello studio e quella sicuramente era aperta, visto che poco prima era uscita da li.
Si avvicinò con riluttanza allo studio, spingendo la porta ovviamente aperta, entrando una seconda volta nella stanza, che per fortuna era esattamente come pochi attimi prima, fredda e spenta; l’unica luce proveniva da una candela alla scrivania, segno chiaro che qualcuno voleva che Sara si sedesse esattamente li, cosa che la ragazza fece; si sedette alla scrivania, passando una mano sulla superfice lignea del tavolo, il legno iniziava a darle un po’ sui nervi ora, tutta la casa era fatta in legno, persino le scale per salire al piano superiore!
I fogli sulla scrivania, erano bianchi, quindi la ragazza non riusciva a capire a cosa gli sarebbero potuti servire; verso l’angolo sinistro del tavolone rettangolare, vi era però una piccola chiave in ottone che poco prima non aveva visto, la prese e la sollevò, facendola dondolare dalla catenina alla quale era fissata, come se qualcuno fosse stato abituato a portarsela al collo
«e per cosa dovrebbe essermi utile questa? »
Chiese seccata, alzando gli occhi al cielo, come se stesse parlando direttamente con il fantasma, che ovviamente non le rispose.
Fu invece una folata di vento a farla alzare dalla sedia e uscire dallo studio, come se le presenze estranee alla casa non la volessero più all’interno di esso, come se li, in quel momento, non fosse permessa la presenza di persone vive; la ragazza uscì velocemente dalla stanza, chiudendo la porta che sbatté contro lo stipite, provocando un forte rumore, che fece sobbalzare il gatto, ancora intento a lanciare occhiate sinistre a Sara, che lo ignorò, cercando di capire cosa dovesse fare.
Questo si mise a brontolare, come per attirare la sua attenzione, cosa che riuscì a fare e una volta ottenuta, si mise a camminare in direzione delle scale, salendo i gradini lentamente
«Ora vuoi anche che io ti segua?! Siamo messi bene, sto parlando con un gatto! »
Scosse la testa e seguì l’animale su per le scale, infastidita dal rumore del legno scricchiolante, perché il legno doveva scricchiolare diamine!
Una volta raggiunto il primo piano, il gatto scomparve dentro all’unica stanza con la porta aperta
“ Santo cielo, è una caccia al tesoro guidata questa!”
Anche lei seguì il gatto e una volta varcata la soglia, la porta si chiuse sbattendo dietro le sue spalle, come se a chiuderla fosse stato qualcuno dall’esterno, qualcuno di molto infastidito e arrabbiato.
La stanza era una camera da letto; i mobili erano antichi, tutti ovviamente fatti in legno, che però aveva un colore azzurro marino, così come le pareti scrostate, che ora tendevano più al grigiastro, per via degli anni trascorsi; nessuna scrivania era presente, nemmeno un tavolo sul quale riporre un bicchiere d’acqua, solo un grande davanzale davanti alla finestra, alla quale si avvicinò la ragazza, superando il letto a baldacchino coperto da tende in raso verde.
Una volta arrivata alla finestra, Sara passò una mano sul davanzale, riconoscendolo invece come una cassapanca, che sollevò lentamente, aspettando che ne fuoriuscisse qualcosa, cosa che non accadde, perché all’interno di esso vi erano solo alcuni vestiti molto vecchi e un libro, chiuso a chiave, probabilmente un diario
«e questo? »
Sara estrasse il diario dalla cassapanca e la richiuse, per sedervisi sopra e osservare il diario alla luce, visto che l’unica luce proveniva appunto dalla finestra; la serratura del diario, era fatta in ottone, quasi del tutto arrugginito, inoltre era chiusa, quindi se avesse voluto leggere il diario, avrebbe dovuto prima scovarne la chiave….cosa che aveva fatto in precedenza! Era quindi quello il motivo per cui era dovuta rientrare nello studio, perché così si sarebbe potuta impossessare della chiave e aprire così il diario.
Inserì nella serratura la piccola chiave in ottone e la fece scattare, aprendo così le pagine, ingiallite per via del tempo; a occhio e croce, sembrava un diario vecchio almeno di 50 anni, se non di più, ma non si poteva stimare la sua “età” semplicemente osservando le pagine ingiallite, magari al suo interno avrebbe avuto riportato una data.
La copertina si aprì scricchiolando e Sara si mise a leggere la prima pagina, utilizzata solo per una breve presentazione, nella quale veniva riportato il nome della proprietaria, una certa Claudia Berard ; nelle altre pagine, raccontava essenzialmente cavolate, come per esempio l’incontro di un uomo dal bell’aspetto, oppure di una ragazza dai modi rozzi e poco fini
“oddio non aveva nulla da fare questa?!”
Continuò a sfogliare le pagine, sperando di trovare qualcosa di interessante; alla decima pagina del diario, si fermò e con sguardo attento lesse tutto ciò che vi era contenuto

Villa Roseto, 15 Aprile 1927

Ho deciso di tenere questo diario, in passato, esclusivamente per poter riportare i miei dubbi e dilemmi a qualcuno di fidato, qualcuno che mai avrebbe detto ciò che penso veramente, tradendo così la mia fiducia; fino ad oggi, tuttavia, ho scritto solo di affari amorosi, o comunque di amicizie nuove, o vecchia amicizie ritrovate.
Oggi tuttavia scrivo le mie perplessità….Da giorni un uomo mi segue, ne sono sicura! Eppure la polizia non vuol far nulla, nulla di nulla, questo perché afferma che io non abbia prove sufficienti per incriminare l’uomo, a partire dal nome di questo; esatto, non so il nome e nemmeno l’aspetto, non so chi sia, ma so che mi segue e non so il perché, forse per soldi, o magari chissà, per altro.
So soltanto che ha dei folti capelli castani, tendenti al nero e che mi osserva quando esco con le amiche, o quando vado a fare la spesa, oppure quando gioco con il gatto nel giardino, quello che da sulla strada; per questo motivo farò costruire un giardino interno, in modo che nessuno possa più spiarmi da fuori, così mi sentirò più sicura, in un certo senso.
Sara girò pagina, cercando di capire a cosa si riferisse la giovane donna e per vedere poi come si erano messe le cose, leggermente curiosa

Villa Roseto, 20 Aprile 1927

L’uomo si ostina a seguirmi, nonostante ora la polizia si sia decisa a darmi una scorta, sotto minaccia di mio padre ovviamente, un uomo molto rispettato e che mette in soggezione molti.
Eppure eccolo ancora, ora posso vedere la sagoma di quel perseguitore dalla finestra di camera mia, ho un’ottima visuale da quassù e lui non può vedere me, grazie a Dio! Per esempio, posso ora vedere che sta leggendo la mia posta, cercando fra quella di mio padre e mia madre….da giorni non ricevo più posta, questo perché è lui a prenderla per me e non ci pensa nemmeno a ridarmela, no, se la tiene li chissà per farne che poi!
Ok forse sto diventando io paranoica, perché papà è appena uscito dalla mia stanza, affermando che fuori non c’è nessuno e che nessuno sta sbirciando nella nostra posta…eppure io vedo chiaramente l’uomo, lo vedo e vedo che ora lui sta guardando verso di me, agitando una rosa presa da uno dei tanti cespugli sparsi per la villa; quindi ora chiudo le tende e mi allontano da qua, per andare a letto. Magari una bella dormita mi metterà a posto la mente.

La ragazza sospirò e sfogliò pagine su pagine, non trovano più nulla di attiguo a quella storia dell’uomo che la perseguitava, nemmeno un piccolo accenno! Si parlava della madre ammalata, del secondo matrimonio del padre, del fatto che alla ragazza fosse stata fatta proposta di matrimonio e del suo nuovo lavoro: impiegata al museo, negli archivi.
«Beh, veramente utile devo dire… »
Sospirando decise comunque di proseguire nella lettura, chissà magari avrebbe trovato qualche cosa di interessante, o magari sarebbe stata la solita pizza!
Qualche anno più avanti, all’incirca una ventina, la donna scrisse sul diario della lieta nascita di una figlia, che aveva chiamato Cecilia, che però le fu sottratta dal marito, in quanto, considerata adultera, Claudia venne mollata in tronco da esso, che si prese tutto, rispedendola nella casa del padre; per parecchie pagine non si sentì parlare di altro, se non del fatto che la figlia le mancasse terribilmente e che non aveva ceduto alle lusinghe di alcun uomo, a parte quelle del marito, ma che nessuno le credeva, ovviamente!
Si passò quindi alla data del 26 Marzo del 49, dove venivano raccontati fatti curiosi

Villa Roseto, 26 Marzo 1949

E’ tornato, dopo tanti anni, l’uomo è tornato a tormentare le mie notti! Per questo ora lavoro di notte, solo nello studio, che ho fatto allestire da mio padre. I mobili sono solo in legno, mi rilassa e mi permette di lavorare meglio, inoltre tutte quelle cose da catalogare per il museo, stonerebbero all’interno di una sala con mobili troppo moderni!
Ora dovrei catalogare un medaglione, è bello ed ha una pietra piuttosto pesante incastonata al suo interno, una pietra blu, che dopo osserverò con attenzione per catalogare; la sua forma è a goccia e ad occhio e croce è di circa 30 carati, ma non ne sono così sicura, li riconterò non appena avrò finito di scrivere sulle tue pagine!
Rufus, il gatto, ultimamente è piuttosto agitato ed è comprensibile… ci sono temporali da urlo, proprio ora è caduto un fulmine in giardino….vedo qualcosa muoversi, ora vado a controllare!
O mio Dio…è l’uomo, è riuscito ad entrare, devo avere le allucinazioni, vado a pere un bicchiere di vino, fra poco ci sarà un bel tuono, è appena caduto un fulmine giusto giusto nel centro del giardino, si, sono solo allucinazioni, nulla di più….

Il racconto della giornata terminava così, quindi tutto lasciava a pensare che fosse successo qualcosa, anche perché dopo non si aveva più come autore Claudia, ma Cecilia, che prendeva a narrare esattamente come la madre all’inizio del diario, parlando solamente di stupidi incontri amorosi o cose simili, fino alla fine delle pagine di quel diario, dove c’era una grossa macchia d’inchiostro; probabilmente la ragazza aveva versato il calamaio pieno sul foglio, rovinando così le ultime tre pagine.
Sara si alzò dalla cassapanca, rimettendo il diario chiuso al suo posto, poi guardò il gatto che attendeva ai suoi piedi e ce miagolò teneramente, prima si uscire dalla stanza e scendere nuovamente le scale; la ragazza lo seguì, stavolta più decisa, ma questo la accompagnò all’uscita…a quanto pareva ora se ne poteva andare; Sara non perse nemmeno un secondo, con ancora la chiave in mano uscì dalla casa, raggiungendo con passo veloce il cancello, stavolta aperto e ben visibile
«non è lavoro per me questo, io caccio fantasmi, non cerco assassini….»
Scosse la testa e, con un’ ultima occhiata alla casa, si allontanò da essa, decisa a non tornarvi.

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