Obesity

di Robiz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1- Buio ***
Capitolo 2: *** Cap. 2- Speranza ***
Capitolo 3: *** Cap. 3-Decisione. MODIFICATO! ***
Capitolo 4: *** Cap. 4-Incontro:Ami ***
Capitolo 5: *** Cap. 5- Incontro:Rei ***
Capitolo 6: *** Cap. 6-Incontro: Makoto ***
Capitolo 7: *** Cap. 7- Incontro: Minako ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - Usagi ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - Mamoru ***



Capitolo 1
*** Cap. 1- Buio ***


Sono Usagi Tsukino, ho 19 anni, frequento la 5a liceo quindi tra poco avrò gli esami di maturità e

Cap. 1- Buio

 

“Sono Usagi Tsukino e sono una ragazza obesa. Tutti i dottori mi prospettano le migliori e più rosee previsioni tra ictus, infarti e chi più ne ha, più ne metta, ma di tutto questo non mi interessa. Al momento la mia vera e unica malattia è la solitudine. Nessuno si è mai chiesto che cosa provi una persona con tale problema, è molto più facile deriderla, prenderla in giro. Eppure il grasso che da anni mi avvolge è una barriera che allontana tutti, per non parlare degli uomini. Un po' li odio...in fondo la maggior parte delle persone che mi prendono in giro sono di genere maschile. E poi chi vuole un galleggiante affianco a sé? Dicono che l'aspetto non conti, che vale ciò che si ha dentro... io ho un carattere mite e accondiscendente eppure sono amica di tutti e di nessuno. Tutti mi vogliono bene, ma non ho l'”Amica”. Inoltre questo carattere mi ha solo reso una più facile preda dei “brutta cicciona, povera tua madre”.

Invece io vorrei qualcuno che fosse al mio fianco, che mi amasse per quello che sono, che mi facesse capire qual è il mio scopo nella vita, perchè ancora io non l'ho capito. Esisto ma non vivo. Nelle mie decisioni scelgo sempre la via più facile che poi si rivela un a scelta presa a caso che rafforza il mio “non essere”.

Dicono che sono carina, che ho dei bei lineamenti e un bel volto, che dovrei valorizzarmi. Potrei truccarmi? A cosa serve mascherare un volto quando il corpo rimane lo stesso! Potrei vestirmi bene? Andate in un negozio di taglie forti e ditemi cosa trovate e quanto spendete; la maggior parte dei capi sono da signora e costano una fortuna...70-80€ al capo, se va bene...per non parlare dell'intimo: classiche mutandone della nonna e  un paracadute bianco a posto del reggiseno. Morale della favola: anche la società relega gli obesi ad un angolo, punendoli per il loro esistere, non permettendo anche a chi è giovane come me di poter esprimere la sua femminilità. Inoltre, vista la mia mole, anche il mio piedino misura ben 44/45, di conseguenza se voglio un paio di scarpe da donna, devo andare in negozi specializzati che si trovano a qualche ora di treno. A tutto questo qualcuno ci aveva mai pensato? Molti obietteranno: “mettiti a dieta”. Purtroppo non mi voglio sufficientemente bene per riuscire a controllare la mia fame nervosa.

 

Erano questi i pensieri che affollavano la mia mente, mentre, piangendo per l'ennesima presa in giro, correvo verso il parco. E' l'ora del tramonto, a quest'ora non c'è nessuno. Finalmente giungo a destinazione. Ho il fiatone e le lacrime continuano a solcare il mio viso. Per fortuna c'è sempre lei, l'altalena, che mi accoglie nei miei momenti di sconforto, anche se le sue catene mi stringono un po' i fianchi. Inizio a dondolarmi leggermente, quando avvisto una chioschetto di onigiri. Ne prendo 5 e torno al dolce movimento oscillante dell'altalena. Con una mano mi tengo e con l'altra ingurgito il mangiare senza neanche masticarlo. Lui, il cibo, non mi tradisce mai e mi consola sempre. Continuo a piangere, osservando il cielo sempre più rosso-violaceo.

 

-Tieni, asciugati le lacrime-

 

Accanto a me si era seduto un ragazzo sull'altalena affianco alla mia e mi porgeva il suo fazzoletto...

 

 

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Capitolo 2
*** Cap. 2- Speranza ***


Cap. 2-Speranza


-Grazie- risposi con voce tremolante, ancora sbigottita dall'atteggiamento del ragazzo.


-Ti ho visto piangere da lontano e mi chiedevo se avessi bisogno di aiuto.-


Non sapevo come comportarmi, provavo imbarazzo all'idea che un estraneo e per di più di sesso maschile avesse visto una mia parte così intima e fragile! Da un lato il mio desiderio era solo quello di essere lasciata sola, poi sarei tornata a casa e avrei fatto finta di niente, come sempre d'altronde. Dall'altro, qualcosa mi diceva che di lui potevo fidarmi, che lui mi avrebbe capito e così decisi di rispondergli sinceramente.


-Ehm...io...veramente...stavo solo piangendo...perchè mi hanno presa in giro, per il mio peso. Ma ormai ci sono abituata.-


-Se ci fossi davvero abituata non ci soffriresti così tanto.-


A tali parole le lacrime tornarono a sgorgare prepotenti e impetuose sul mio viso. Era la prima volta che qualcuno si interessava a me, al mio star male. Era il primo uomo che si rivolgeva a me con tono dolce e sincero.


-Non piangere. Ogni essere umano ha un valore inestimabile. Può non essere compreso dagli altri, ma sei tu la prima a doverlo comprendere, a non doverne dubitare. E devi essere tu per prima ad accettare te stessa e il tuo corpo; se non lo fai tu, come puoi aspettarti che lo facciano gli altri? Nel momento in cui ti sarai accettata, potranno dirti qualsiasi cosa, ma questa non ti scalfirà perché sarai consapevole che tu sei più forte di chi ti aggredisce verbalmente. Inoltre potrebbe anche succedere che perderai peso spontaneamente, perchè proprio in seguito a questo tuo cambio di prospettiva, cambierà anche il tuo modo di reagire alle cose, non sfogandoti sul cibo-


-Mi hai visto mentre mangiavo gli onigiri...-


-Sì, ma non devi vergognarti per questo. Non pensare di essere l'unica a farlo. Ci sono tantissime persone che hanno il tuo stesso problema o anche il problema opposto. Lo so per esperienza purtroppo.-


-Per esperienza? Ma tu chi sei?-


-Sono Mamoru Chiba, psicologo del centro disturbi alimentari di Tokyo. Da piccolo per anni ho sofferto anch'io di questo tipo di disturbi, ma per fortuna un amico dei miei genitori mi ha aiutato a uscire da questo tunnel, portandomi in un centro assistenza e da uno psicologo. In seguito a questa esperienza ho deciso di laurearmi in psicologia alimentare. Voglio aiutare gli altri. Voglio aiutare chi sta male come te. Tieni questo è il mio biglietto da visita. Se vuoi intraprendere questo percorso di guarigione non esitare a chiamarmi. Ora tocca a te decidere cosa fare della tua vita e credimi, non sei destinata a soffrire. Ti attende un destino più grande e brillante. Ricorda che ogni fanciulla ha dentro di sé una principessa-


Ebbi un sussulto. Le sue parole mi avevano aperto un mondo, mi avevano dato una speranza. Il suo sorriso angelico aveva toccato le porte, da troppo tempo chiuse, del mio cuore. E chissà, forse era davvero un angelo? Sentivo che era giusto seguirlo …sentivo che qualcosa si era mosso dentro di me...

Ecco svelato chi era il misterioso ragazzo...come hai fatto a indovinare Cri Cri??XD Intanto grazie davvero di cuore a chi ha letto e/o commentato.


@Bene91: come vedi ho esaudito il tuo desiderio. Spero che il capitolo ti sia piaciuto:)

@Federika21:intanto grazie della recensione:) Preciso che in generale i miei capitoli avranno la lunghezza del primo. Preferisco centrarmi su un unico evento per capitolo e dividere di più la storia;) Intanto spero che il seguito non ti abbia deluso:)

@Cri Cri: non sono nuova, ma decisamente leggo più di quel che scrivo...insomma sono comunque una novellinaXD Sono contenta che l'argomento ti sia piaciuto; era proprio questo il mio scopo, far riflettere e far vedere le cose da una prospettiva diversa. Spero di esserci riuscita:)

@luciadom: visto? I'm backXD Grazie davvero della tua accoglienza calorosa:) Per gli errori spero di non averne fatti stavoltaXD Fammi sapere che pensi del capitolo:)

@Miss Demy: grazie davvero, i tuoi complimenti mi lusingano e dal tuo commento posso dire già di aver raggiunto il mio obiettivo di far riflettere su questo tema. Il che mi dà davvero enorme soddisfazione! Spero che il seguito ti piaccia:)

@Yammi: eh hai ragione, me lo sono chiesta anch'io. A parte il fatto che al mondo di Sailor Moon sono affezionata sin da piccola, credo che come me ci siano migliaia di fan e ho pensato che magari coloro che soffrono di problemi alimentari possano accettare di più uno spunto di riflessione da una storia con personaggi di fantasia a cui sono affezionati piuttosto che a personaggi nuovi in cui l'eccessiva identificazione porterebbe a un rifiuto immediato dell'argomento. Non so se mi sono spiegata beneXD


Un abbraccio a tutte e al prossimo capitolo:)

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Capitolo 3
*** Cap. 3-Decisione. MODIFICATO! ***


Ok lo so, non è un capitolo nuovo, ma ho apportato delle modifiche nella parte centrale. Il succo non cambia ma la forma sì. Spero che questo aggiornamento sia comunque gradito. Buona lettura:)



Cap. 3- Decisione


Rientrai a casa con la testa tra le nuvole. Quasi non mi accorsi di salire le scale che conducono in camera mia, almeno fino a quando l'ultimo gradino traditore non mi fece inciampare riportandomi alla realtà.

Chiusi la porta alle mie spalle e mi sedetti per terra, con la testa appoggiata al letto. Frugai tra le mie tasche ed eccolo lì, il biglietto da visita di Mamoru. Iniziai a fissarlo.


Non so, l'idea di andare dallo psicologo mi rende riluttante, mi fa sentire malata, mentre io sono solo obesa, non ho mica problemi di personalità! E poi chi si crede di essere quello lì?? Crede che parlando possa capire tutto di me e della mia vita solo perché ha studiato Freud e compagnia? Crede che con un paio di paroline magiche la mia vita possa cambiare?


Senza rendermi conto mi sono messa a dire i miei pensieri a voce alta. Un magone mi annoda la gola. So che per l'ennesima volta mi sto ingannando; so che per l'ennesima volta sto prendendo in giro me stessa nell'inutile ed errata illusione che tutto vada bene e che io sia forte.


Non ammetterò mai di aver bisogno d'aiuto anche se ne sono perfettamente consapevole. Esattamente come sono consapevole del fatto che così non posso andare avanti, che sarebbe solo il perpetuarsi infinito della mia sofferenza. Non chiamare ora significa solo rimandare il problema, ignorare un segno del destino che mi aveva fatto incontrare proprio uno psicologo del centro disturbi alimentari. Parlare di argomenti così delicati per me, trovarmi da sola con lui...


Arrossisco.


Ma dai Usagi che cosa ci sarà mai da vergognarsi!! Lui è uno psicologo! Certo è carino...è bello...insomma ha il suo perchè... Uffa cosa vai a pensare! Ok, è il primo uomo gentile con te ed è pure carino, ma torna coi piedi per terra e affronta la realtà! Sei obesa e il suo solo interesse è nei confronti del tuo essere flaccido. Quindi ora prendi una decisione: affronta il tuo problema o rimani nel tuo brodo, ma non lamentarti!


All'improvviso mi ricordai di una frase che il mio defunto nonno mi aveva detto attorno ai miei undici anni, in occasione di una confidenza in cui gli dicevo che - non avrei fatto nulla per cambiare le mie forme,- già piuttosto morbide, -perchè c'erano troppe incognite, come per esempio il famoso effetto yo-yo. -

Lui mi rispose: “Anche non prendere una decisione è una decisione!”

Rimasi colpita da quel che mi aveva detto ma non cambiai la mia posizione.


Tutti questi pensieri mi fecero venire mal di testa. Scesi in cucina a prendere del ghiaccio, tornai in camera e mi stesi. Posai il ghiaccio sulla fronte e chiusi gli occhi.


-Che giornata pesante! Mi sento esausta, come se riflettere così tanto mi avesse privato di ogni briciolo di energia. Possibile? Eppure non è la prima volta che mi trovo davanti a un bivio, a dover prendere una decisione importante, ma questa volta sono davvero in difficoltà. Anche se la prendendo la scelta più ovvia, mi sembra quasi di farmi del male.-


Mi addormentai e iniziai a sognare.


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Sono circondata dalla nebbia. Sento piangere una bambina. Corro in direzione di quel suono ma sembro non raggiungere mai il punto di provenienza. Faccio fatica, ho il fiatone e sento il cuore pompare a mille. Non ce la farò mai a raggiungerlo! In quell'istante il pianto scompare e una luce mi abbaglia, accecandomi per qualche secondo. Da una parte ora c'é Mamoru con in braccio la bambina e dall'altra uno specchio. La bambina sono io! Ma anche lo specchio rappresenta me stessa.

-Per vivere bene il tuo presente devi fare prima pace con il tuo passato. Solo allora potrai costruire serena il tuo futuro- mi disse Mamoru, per le cui parole mi scese una lacrima.

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Mi svegliai. Una lacrima solcava il mio viso e ogni dettaglio di quel sogno era ancora vivido nella mia mente. Guardai l'ora. Erano le 2 del mattino. Mi misi il pigiama e tornai a letto, ma adesso sapevo cosa fare. Avevo preso la mia decisione.


- Mamoru Chiba, ti sfido!!- pensai, prima di riaddormentarmi in attesa che la luce del giorno mi svegliasse per condurmi a scuola.


Mi alzai combattiva e piena di vigore. Oggi era il grande giorno. Il giorno in cui dovevo dimostrare a me stessa che ero in grado di prendermi cura di me. Durante la pausa, lo avrei chiamato.

Le ore di lezione passarono lentamente e le parole dell'insegnante mi sembravano un'unica nuvoletta piena di bla bla bla. Finchè finalmente suonò la fatidica campanella. Composi il numero e lui mi rispose dall'altra parte del telefono. Al suono della sua voce angelica, la mia competitività si sciolse come un cubetto di ghiaccio al sole...


- Ciao Mamoru, sono la ragazza del parco. Ieri sono stata proprio maleducata, non mi sono neanche presentata, presa com'ero a piangere! Mi chiamo Usagi Tsukino. Comunque ti ho telefonato perchè...ecco...è vero, ho bisogno d'aiuto e vorrei che fossi tu ad aiutarmi-


-Ottimo Usagi! Non sai come mi hai reso felice! Ti aspetto venerdì alle 16. L'indirizzo è indicato sul biglietto da visita. Vedrai che non ti pentirai della tua scelta! E ti attende anche una sorpresa...-


-Una sorpresa? Va bene, sono proprio curiosa. A venerdì. Ciao Mamoru!-

-A presto Usagi!-


Chiudo il telefono con il cuore che batte a mille. Una piccola sorpresa, chissà cosa sarà! So solo che non sono mai stata così entusiasta. Vorrei che venerdì fosse domani, invece devo aspettare ancora 4 giorni. Ma non importa, ho fatto un passo e anche se non so quanto durerà, in questo momento mi sento felice.




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Capitolo 4
*** Cap. 4-Incontro:Ami ***


Cap. 4- Incontro: Ami


Uno spiraglio di luce filtrava attraverso le scuri e colpiva la mia fronte, ma esso non mi svegliò affatto. Avevo passato una notte insonne e agitata e nemmeno i fiori di Bach, che di solito utilizzo per calmarmi, funzionarono. I miei occhi erano spalancati già da qualche ora e la mia mente aveva un solo pensiero: era venerdì.


Mi alzai e mi feci una doccia gelida nella speranza vana di svegliarmi e di cancellare qualche segno sul mio viso. Mi vestii e andai a fare colazione. Latte e pancakes. Entrai in una sorta di trance. Stranamente mangiavo tutto con calma. Sicuramente chi mi avesse visto in questo momento mi avrebbe scambiata per uno zombie; per fortuna sia i miei genitori che Shingo erano già usciti. Presi la cartella e andai a scuola.

Lo stato di trance durò per tutta la mattinata, tanto che venni rimproverata più volte dall'insegnante, ma era più forte di me. Continuavo a guardare fuori dalla finestra e a immaginare l'incontro di oggi pomeriggio. Che cosa mi avrebbe chiesto Mamoru? Quale sorpresa mi attendeva?


Tornai a casa; era sempre vuota. Mi buttai sul divano...

Tic toc tic toc. Il tempo passava lento ma inesorabile.

Tic toc tic toc... 14.30 ...tic toc tic toc... 15.00...tic toc tic toc 15.30.

Dovevo prepararmi e andare.


Presi la metro e in un batter d'occhio eccomi davanti al centro disturbi alimentari. Le porte automatiche si spalancarono davanti a me mentre un brivido mi percorse la schiena. Mi sembrava di essere in quei film dove il criminale veniva condotto al patibolo, quella scena con l'inquadratura di spalle e davanti a te gli scalini per salire verso il cappio. Basta Usagi,non agitarti per niente! Espirai profondamente.


-Brava, espirare è un modo per buttar fuori la tensione!-


Mamoru comparve alle mie spalle.


-Ti stavo aspettando. Visto che mi sono dimenticato di dirti in che stanza è il mio ambulatorio, ho pensato di venire ad accoglierti. Prego, per di qua.-


Mi condusse lungo un corridoio alla sinistra della reception e ci fermammo davanti alla terza porta. Sul muro un cartellino indicava *Chiba Mamoru, Psicologo alimentare*.


- Siamo arrivati. E' giunta l'ora di scoprire la tua sorpresa...o meglio, di conoscerla!-


Aprì la porta e con mio stupore dentro lo studio c'erano altre quattro ragazze. Quando si accorsero di me mi sorrisero radiose. Perché delle sconosciute si comportavano in maniera così solare con un'estranea? Io non volevo parlare davanti a tutte queste persone, pensavo fosse un tête à tête, un botta e risposta tra me e Mamoru. Che centrano queste ragazze?


-Lo so che ti aspettavi che l'incontro fosse più riservato, ma ho pensato che la prima cosa che dovessi capire era che non sei la sola ad avere problemi e soprattutto che non sei la sola ad averli con il cibo. Molte persone ne soffrono, tra cui anche tue coetanee come vedi. Magari si nascondono dietro a una maschera oppure tagliano qualsiasi rapporto con chi le circonda e rifiutano qualsiasi tipo di aiuto. Tu, Usagi, hai saputo reagire prima di altre persone, hai saputo ammettere che hai bisogno d'aiuto e questo è già un grande passo. Adesso però non devi mollare. Bene, accomodati pure su quella poltrona e mettiti a tuo agio. Poi direi di far parlare prima loro, che dici Usagi?-


-Sì, va bene- dissi, un po' imbarazzata e un po' delusa. Mi aspettavo qualcosa di più concreto e utile a me stessa. Mentalmente contai fino a dieci, chiusi per un attimo gli occhi e con fatica accettai questo imprevisto. Riguardai negli occhi Mamoru e lui scambiò uno sguardo d'intesa con la prima ragazza. Era pronta per parlare.


-Ciao, mi chiamo Ami e ho 19 anni. Io, come le altre ragazze, siamo state in cura presso questo centro di disturbi alimentari. Noi abbiamo accettato volentieri l'invito di Mamoru, innanzitutto perché gli siamo debitrici; lui ci ha ridato la vita. E poi volevamo farti un dono. Volevamo regalarti le nostre storie, affinchè tu potessi trarne incoraggiamento e un motivo di speranza.

Per quanto mi riguarda, ho sofferto per dieci anni di anoressia. Tutto è iniziato perché non accettavo la separazione dei miei genitori. Era il mio modo di ribellarmi e di dire no a una situazione che non volevo e che non sapevo come affrontare. Senza rendermene conto iniziai a non mangiare. Ero triste, depressa probabilmente. Non avevo stimoli per andare avanti. Durante la giornata facevo solo ciò che mi riusciva bene, ciò che non mi faceva pensare al presente: studiare. I miei voti erano altissimi, ma passavo tutti i pomeriggi sui libri, quindi non avevo vita sociale, né amiche. I miei compagni di classe mi prendevano in giro per i miei voti, mentre a casa i miei si aspettavano grandi cose da me, ma nessuno in realtà si preoccupava di me, presi com'erano dal loro lavoro. La loro separazione fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi sentivo imprigionata in una realtà che non mi apparteneva. Volevo annullarmi, passare inosservata, sparire...o forse volevo solo attirare l'attenzione su di me. Avevo letto dei libri sui disturbi alimentari, ma non avrei mai pensato che sarebbe successo a me e capii la gravità della situazione solo quando mia madre, entrando in camera mia, mi guardò e scoppiò in lacrime. Forse mi guardò per la prima volta. Si rese conto che stavo male. Si sentiva in colpa per non essersene accorta prima. Fu lei che si interessò a trovare un aiuto psicologico e si rivolse a questo centro. Alla mia prima seduta mi ci portò con l'inganno, con la scusa che aveva bisogno di me per delle carte in banca. Davanti al centro l'istinto era quello di fuggire, ma dentro di me una vocina ancora voleva la mia salvezza e così entrai. Con fare arrogante buttai fuori tutta la rabbia che avevo dentro e urlai contro lo psicologo, contro Mamoru, che non avevo bisogno dello strizzacervelli, di andare a rompere a qualcun'altra, che me la sarei cavata da sola come sempre. Ero un fiume in piena. Urlai e bestemmiai per quasi un'ora e lui non disse una parola, mi lasciò parlare per tutto il tempo. Io pensavo di averlo sopraffatto, che avessi sconfitto ogni suo tentativo di controbattere. Invece quando ebbi finito mi disse con un sorriso infinito: “Io ti perdono. Ti perdono per ogni parola che hai detto in questo momento, perché in realtà ciò che mi vorresti dire è solo che stai soffrendo. Troppe persone non ti hanno ascoltata e non hanno accolto il tuo punto di vista. Io sono qui per ascoltarti. Io sono qui per accoglierti e per aiutarti nel tuo percorso di rinascita. Per ritornare a parlare e a fidarti degli altri, ma soprattutto per tornare in contatto con la tua anima. E se sei qui vuol dire che già un po' la stai ascoltando”. La sua risposta mi spiazzò. Sarebbe stato naturale inveirmi contro e cacciarmi fuori, ma lui era riuscito a vedere le tenebre che mi attanagliavano il cuore e a far risplendere la piccola luce che era rimasta dentro di me. La terapia è durata tre anni e mezzo. E' stato un percorso lungo e faticoso, un'enorme riflessione su di me, sul mio modo di reagire ai problemi e di interagire con gli altri. Spesso avrei voluto mollare, ma sapevo che l'obiettivo era il mio stare bene e avevo notato già dei segni di miglioramento che mi spinsero a continuare. Avevo capito che se gli altri non mi davano l'attenzione che cercavo, dovevo farglielo capire parlando con loro. E se loro non fossero stati pronti ad ascoltarmi allora avrei guardato avanti comunque e con le mie forze avrei fatto di tutto per creare la mia felicità. Una felicità tanto più bella e piena di soddisfazione, quanto costruita con le proprie energie. Alla fine i miei genitori si sono separati, ma ho parlato con loro e gli ho raccontato della mia sofferenza a cuore aperto, anche se non è stato facile né per me che rivivevo tutto il dolore, né per loro che si sentivano dire parole tanto amare. Alla fine accettarono il mio punto di vista e mi abbracciarono. Io continuai a studiare ma solo per un paio di ore al giorno, il tempo necessario a imparare ciò che era utile a guadagnare un 8 e decisi di creare il mio cerchio di amicizie. Proprio qui, all'entrata e all'uscita da ogni seduta avevo notato delle ragazze, anch'esse in terapia. Decisi di provare con loro. Una alla volta, man mano che le incrociavo, le invitavo a un caffé tanto per conoscerci e così ho trovato le mie migliori amiche. Ed eccole qui affianco a me.-


Ami si voltò verso le altre ragazze che sorrisero. Io, invece, vedevo negli occhi di ciascuna un piccolo turbamento, oltre a una grande forza ed energia positiva. Il passato che Ami aveva descritto in qualche modo apparteneva anche a loro, ma quell'esperienza così negativa e traumatica aveva dato loro anche la possibilità di rinascere... Chissà se sarebbe capitato anche a me?


Intervenne Mamoru.


-Grazie Ami per aver condiviso con noi una parte così privata del tuo passato. Grazie del dono che hai fatto ad Usagi. Ora Rei, a te la parola-


Scommetto che ora penserete..che miracolo è mai questo? Davvero ha scritto più di una paginetta??? hahahahahaha! Scherzi a parte,sono contenta che la rivisitazione del terzo capitolo sia piaciuta.

Ringrazio ancora tutti coloro che leggono e/o commentano! Grazie grazie grazie! E un grande in bocca al lupo se tra di voi c'é qualcuno che ha iniziato la scuola! :)

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Capitolo 5
*** Cap. 5- Incontro:Rei ***


Cap. 5- Incontro: Rei


-Grazie Ami per aver condiviso con noi una parte così privata del tuo passato. Grazie del dono che hai fatto ad Usagi. Ora Rei, a te la parola-


Per un attimo il mio cervello si spense. Avevo bisogno di un attimo di respiro. Mi passavano troppi pensieri per la mente. Che centrava tutto questo con me? Io non ero mica messa così male, non avevo mica problemi così seri! Cioè sì, ho i miei problemi, ma in fin dei conti sono in grado di gestirli. Le mie abbuffate sono solo frutto della mia ingordigia. Devo solo imparare a controllarmi di più. Sì sono malata, nel senso che dipendo dal cibo. Devo disintossicarmi in questo senso, mica ho ragioni nascoste per il mio malessere. Mangio tanto, non riesco a controllarmi e di conseguenza ingrasso e non mi accetto. E' un circolo vizioso, ma non c'é niente di freudiano in tutto ciò.

Però...durante il racconto di Ami mi si era stretto un nodo alla gola. Mi era venuto anche mal di testa per via delle lacrime che volevano uscire, ma che con uno sforzo sovraumano ero riuscita a trattenere. Mi sentivo mancare l'aria. Calma Usagi, calma! Non puoi mostrarti così davanti agli altri!


-Ehm...scusate, devo andare un attimo al bagno-

-ok, ti aspettiamo- rispose Mamoru, con uno sguardo che indicava chiaramente che lo avevo preso contropiede, che non se lo aspettava, ma che tradiva anche un certo senso di soddisfazione. Chissà cosa stava pensando di me in questo momento.


Mi alzai e mi diressi verso la toilette che fortunatamente era alla porta accanto. Entrai. Varcata la soglia c'era una nicchia di medie dimensioni dedicata ai rubinetti per lavarsi le mani e un grande specchio ad altezza viso che era lungo quanto la parete della stessa. Mi avvicinai e aprii il rubinetto per far scorrere un po' l'acqua e renderla fresca. Mi sciacquai il volto più e più volte. Bevvi anche un po'. Adesso mi sentivo meglio. Ora dovevo tornare in ambulatorio...che vergogna! Rientrare voleva dire avere tutti i loro occhi addosso. Ma mi toccava farlo. Uffa! Era come ricominciare la seduta una seconda volta...


Rientrai tenendo lo sguardo basso, mi sedetti e infine espirai, mentre la ragazza dai lunghi capelli corvini si voltò verso di me. Sembrava volesse attraversarmi con i suoi occhi. Era davvero bella! Gambe slanciate, punto vita perfetto, lineamenti del viso dolci ma che le conferivano un'aria di autorevolezza e determinazione particolare. Come poteva una ragazza del genere aver avuto dei problemi alimentari? Poteva fare tranquillamente la modella!


Rei si schiarì la voce...dovevo averla fissata un po' troppo!


-Ciao Usagi, sono Rei e ho appena compiuto vent'anni. Abito con mio nonno nel tempio Hikawa. Mia madre è morta quando io ero ancora molto piccola e mio padre è un importante politico, quindi è sempre in giro per lavoro. Non lo vedo e non lo sento mai, ma di questa cosa non ho mai sofferto particolarmente: mio nonno mi è sempre stato accanto e ha ricoperto quel ruolo paterno che mio padre non ha mai saputo assumere. Sin dall'infanzia ho mostrato una particolare sensibilità nel percepire le auree delle persone. Non so se hai presente quando una persona ti sta simpatica o antipatica a pelle; quello dipende dall'aurea e quindi dall'energia che noi stessi emaniamo e che allo stesso tempo riceviamo dall'esterno. Io sono in grado di percepire questa energia e di capirne la natura, se benigna o maligna. Probabilmente è una capacità che mi ha trasmesso mia madre che in vita era una sacerdotessa. Comunque tutto ciò non era un problema, almeno fino a quando, all'età di sei anni, iniziai le scuole elementari ed accusai un mio compagno di essere un criminale, perchè io lo sapevo, lo sentivo e vedevo attorno a lui un alone nero, perché lui era un essere maligno. Queste mie esternazioni fecero allontanare i miei amici e i miei compagni di classe, nonostante poi, a distanza di un paio di settimane, questo bambino sia stato accusato effettivamente di atti di bullismo. Ormai tutti i miei coetanei mi chiamavano strega, alcuni addirittura mi accusavano di aver trasformato io quel bambino in un criminale e piano piano mi isolarono. La voce si diffuse anche tra i genitori che ben presto richiesero il mio allontanamento dalla scuola. Mio nonno decise così di farmi studiare a casa; si occupò lui personalmente della mia istruzione. Per mesi egli cercò di farmi riallacciare i rapporti con i miei compagni o di farmi coltivare delle nuove amicizie, ma fu tutto inutile. Ormai ero segnata. Ogni volta che uscivo o andavo al parco mi sentivo osservata, venivo additata, la gente bisbigliava alle mie spalle. Non ne potevo più. Mi rintanai in casa, l'unico posto dove potevo stare in pace, ma così ebbe inizio anche il mio calvario. Durante il giorno, mentre mio nonno era alle prese con il lavoro nel tempio, studiavo, giocavo con le bambole e con i videogames e guardavo per ore la tv. Ma pian piano anche questo mondo iniziò a diventare soffocante; neanche giocare non mi dava più gioia. Tutto mi annoiava ormai. Era come un film visto e rivisto un centinaio di volte. Iniziai a passare intere giornate sdraiata a letto a guardare il soffitto o a dormire. Noia, noia, noia. La noia mi paralizzava. Non avevo più stimoli e letteralmente non avevo idee di cosa fare. Mi sentivo così inutile. Mi sentivo come un neonato che mangia, beve e dorme, mangia, beve e dorme. E così la sedentarietà iniziò a farmi lievitare. Avvilita dalla situazione e dalla mia nuova rotondità, cominciai paradossalmente a sfogarmi sul cibo. Ogni tanto, solo per passare il tempo e fare qualcosa di diverso, ma in preda a una sorta di istinto primordiale di autodistruzione, aprivo la credenza e iniziavo a divorare ciò che mi capitava a tiro. Mi riempivo fino allo sfinimento, fino ad avere sforzi di vomito, fino a quando lo stomaco mi chiedeva pietà. Buttavo giù il cibo senza neanche assaporarlo. Non vomitavo, né rifiutavo il cibo o avevo una percezione distorta di me stessa; semplicemente avevo un desiderio spasmodico di riempire il vuoto che avevo dentro e che mi circondava. Quando poi mio nonno mi chiedeva come mai ci fosse il frigo vuoto rispondevo che avevo consumato qualcosa, ma che molte cose le avevo buttate via perché erano scadute. Oppure semplicemente gli dicevo che si ricordava male, che il frigo era già vuoto da un pezzo. Usagi, anche questo è un disturbo alimentare e si chiama Binge Eating Disorder. E' un disturbo poco conosciuto rispetto all'anoressia e alla bulimia ed è tradotto in maniera un po' blanda come “Disturbo o sindrome da alimentazione incontrollata”. Chi ne soffre mangia in maniera esagerata in un brevissimo lasso di tempo e contemporaneamente prova una sensazione di totale perdita di autocontrollo e di terrore di essere scoperto. Sono le cosiddette abbuffate, spesso consumate quando si è da soli e quasi in segreto, perchè alla fine quello che si prova verso se stessi è solo squallore per essersi ridotti così e per non riuscire ad uscirne. Io pian piano passai dal sovrappeso all'obesità leggera e infine all'obesità grave. Mio nonno ovviamente si era reso conto della mia infelicità. Per caso un giorno lesse una pubblicità su un giornale che parlava di questa struttura, quindi prese il telefono e parlò con lo psicologo di turno, ossia Mamoru. Con lui fissò un appuntamento. Sì, all'inizio fu proprio mio nonno ad andare in psicoterapia. Voleva capire come comportarsi con me, come aiutarmi in prima persona dall'esterno e allo stesso tempo anche lui aveva bisogno di sfogarsi un po' e di parlare di quella nipote a cui tanto voleva bene ma che tanto lo faceva preoccupare. Finché non giunse il momento in cui dovevo mettermi io in gioco. Durante un pomeriggio di sole, il nonno mi invitò all'ombra dei ciliegi in fiore. Io, anche se un po' restia, accettai. Lui mi parlò col cuore in mano. Mi disse che aveva capito che avevo un problema serio, che aveva iniziato da qualche tempo a frequentare uno psicologo per cercare di capire come farmi reagire rispetto a questa situazione. “Rei, io ti voglio un bene immenso e te ne vorrò sempre, qualunque aspetto tu abbia. Ma tu Rei, tu te ne vuoi? Sei contenta di come sei?”. Ovviamente risposi di no e solo allora mi resi conto di quanto lo avessi fatto soffrire. Non mi ero accorta del suo stato d'animo, dei suoi sguardi...o forse non li volevo vedere. Preferivo piangere di me stessa e stagnare nel mio malessere. Cambiare costava troppo. Voleva dire uscire di nuovo, affrontare di nuovo le occhiate e il giudizio degli altri. Come si suol dire, si sa sempre cosa si lascia, ma mai quel che si trova. Eppure la sofferenza che vidi quel giorno negli occhi di mio nonno mi convinsero a provare. Iniziai la psicoterapia con Mamoru, nonché una lunga rieducazione alimentare. Ripresi a fare un po' di attività fisica e pian piano mi sentii meglio. Col migliorare del mio aspetto fisico, aumentò anche la mia autostima. Ora so che quello che ho è un dono ed è una parte di me. Solo chi lo accetterà, merita il mio bene e la mia considerazione. E le cose arrivarono poi da sé, a partire dalle amiche. Conobbi Ami e le parlai della mia capacità, ma lei non si spaventò affatto, anzi ne era affascinata e scherzando mi ha nominata la sua guardia del corpo e il suo spirito protettore! Poi feci conoscenza anche con loro-


disse, voltando lo sguardo verso le due ragazze che ancora non avevano parlato. Sembravano tutte davvero affiatate.


-Ma prima di parlare della nostra amicizia, forse é meglio farle raccontare la loro storia. Solo così capirai come essere davvero se stesse e accettarsi è l'unico modo per trovare delle vere amiche-


Che dolce Rei! La sua sincerità, il suo modo di parlare, la sua gestualità mi avevano conquistata. E la sua storia...beh la sua storia mi aveva molto colpito. Prima con Ami non ero sapevo cosa aspettarmi e non ero pronta a una risposta emotiva così forte, ma adesso con Rei mi sembrava tutto diverso. Ero riuscita ad accogliere la sua storia e forse a prendere un piccolo insegnamento di come la vita sia dura per tutti, ma anche di come sia la nostra reazione a determinare la realtà che ci circonda. Inoltre credo di aver trovato il mio disturbo, anche se non credevo avesse un nome.

Binge Eating Disorder. Sei tu il mio nemico.


Eccomi qui col nuovo capitolo! Sempre un grazie di cuore a chi legge e/o commenta e in particolare a coloro che mi seguono fedelmente:) Un abbraccio

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Capitolo 6
*** Cap. 6-Incontro: Makoto ***


Cap. 6 -Incontro: Makoto


Binge Eating disorder: sei tu il mio nemico.


-Usagi, come ti senti? Se non ce la fai possiamo interrompere qui, non c'è alcun problema. Se invece te la senti, possiamo andare avanti e concludere con le storie di Makoto e Minako. Io ci terrei a finire il racconto di tutte, ma devi dirmelo tu. Cerca di capire il tuo stato d'animo e non farti problemi a dare qualsiasi risposta. Nessuno è qui per giudicarti.-


L'intervento di Mamoru interruppe i miei pensieri e avviò una nuova riflessione interiore. Come stavo? Beh, certamente erano storie molto toccanti e sicuramente per alcuni aspetti erano anche simili al mio vissuto. Considerate le mie reazioni così diverse alle storie di Ami e di Rei, non sapevo neanch'io cosa aspettarmi da me stessa ascoltando i prossimi due racconti, però sentivo che se non avessi superato questa sorta di rito di iniziazione, tutto sarebbe stato inutile. Sì, dovevo avere ancora un pizzico di coraggio e ascoltare. Solo dopo i loro racconti avrei avuto elementi sufficienti per capire se quella che stavo intraprendendo era davvero la strada giusta per me. Solo con i loro racconti potevo considerare la mia prima seduta completa. Ne ero perfettamente consapevole quindi non feci attendere oltre la mia risposta.


-Sì Mamoru, voglio ascoltarle. Al momento sento che posso farcela- dissi con un tono di voce deciso e sincero.


-Bene, allora Minako, Makoto, chi vuole parlare per prima?-


-Inizio io- rispose la ragazza dagli occhi verde acceso.


Era davvero carina anche lei, ma la sua era una bellezza inusuale. Aveva la grazia e l'armonia del corpo femminile, ma la massiccità del corpo e la definizione dei muscoli tipicamente maschile. Il tutto fuso in maniera assolutamente deliziosa. I capelli castani e mossi erano raccolti in una coda alta in modo tale da mettere in mostra degli splendidi orecchini a forma di rosa, segno inequivocabile di un animo sensibile e delicato. Il suo sguardo, allegro e vivace, si era offuscato non appena aveva annunciato il suo desiderio di parlare. Probabilmente, anzi sicuramente, tutto ciò le costava moltissimo. Ma se davvero la faceva soffrire così tanto, perchè farlo? Perchè farlo per una estranea? Perchè farlo per me? Non avevo ancora trovato le risposte alle mie domande, quando lei iniziò a parlare.


- Ciao, mi chiamo Makoto. Devo ammettere che per me è dura essere qui in questo momento a parlarti in maniera così franca, anche perchè ciò che ti sto per raccontare fa parte di me ed è una parte che nonostante tutto fatico ancora ad accettare completamente. Però so che anche se ciò mi fa male, voglio affrontarlo. Forse egoisticamente, è il mio modo per dimostrare a me stessa che sono forte per quanto il dolore sia ancora così vivo dentro me.

La mia storia è un po' più complessa delle altre ragazze. Tutto iniziò una notte di tanto tempo fa, quando avevo sei anni. Me lo ricordo come se fosse ieri. I servizi sociali irruppero all'improvviso in casa mia e mi portarono in un orfanotrofio. Quella notte i miei genitori erano morti in un incidente aereo e io ero rimasta sola. La mia prima reazione fu quella di chiudermi in me stessa. Non mi interessava socializzare con gli altri bambini, io volevo una famiglia, la mia famiglia. Ogni sabato chi voleva adottare un orfanello veniva all'istituto e sceglieva chi più gli stava a genio. Dopo aver giocato un po' con il prescelto se lo portava via. Io, un po' per il mio modo di fare, un po' per il mio essere mascolino, non venivo mai scelta. Passarono giorni, mesi, anni e io ero sempre lì. In quell'orfanotrofio divenni una adolescente, una adolescente ribelle. Passai da un comportamento mansueto, freddo e pacato a uno violento e aggressivo. Iniziai a picchiare i nuovi arrivati più deboli, mentre con quelli più forti formai una banda con l'unico scopo di creare più problemi possibili. Mi dedicai agli atti di bullismo e quel senso di onnipotenza che pervase il mio corpo fu la prima sensazione che provai dopo anni di apatia.

Apatia...no, non era apatia. Era il dolore del lutto, una sofferenza del tutto inattesa in una mente che sognava ancora la spensieratezza. Non sapevo come affrontarlo. Quel dolore mi lacerava l'anima e lasciava dietro di sé un tormento che avvelenava ogni mia cellula; prima fonte di vita, ora puro deserto. Quel dolore aveva raso al suolo il mio raziocinio, la mia forza di volontà e lo stesso desiderio di esistere; aveva portato all'estremo quella rabbia latente e fatto urlare quel silenzio roboante del mio cuore. Ero furiosa con il destino che mi aveva privato delle persone a me più care e allo stesso tempo ce l'avevo con loro come se fossero state colpevoli della loro e della mia sorte. Non ero pronta ad accogliere questa nuova realtà e mi chiusi in questa finta apatia, lasciando decidere della mia vita degli sconosciuti. Poi, dopo l'ennesimo sabato passato a vedere gli altri andarsene, delusa ancora una volta dal mondo degli adulti, decisi di sfogare la mia rabbia all'esterno, con degli atti di bullismo appunto. Per le responsabili dell'istituto fu un sollievo quando all'età di sedici anni decisi di andarmene, anzi gli feci pure un favore visto che comunque avevano intenzione di allontanarmi dall'istituto. Ma dove potevo andare?

Non avevo soldi con me e quindi per alcune settimane vissi in una capanna di cartone che mi ero costruita e mi lavavo nei bagni pubblici di un parco. Durante il giorno passavo di negozio in negozio a chiedere se avessero bisogno di un aiuto, ma la risposta era ovviamente sempre no. Mi sembrò di trovare il paradiso quando un signore mi propose di lavorare per lui offrendomi persino l'alloggio. Senza saperlo ero finita dritta dritta nelle mani di un “padroncino”. Voleva che mi prostituissi. Appena capii le sue intenzioni, tentai di ribellarmi ma lui mi violentò e mi picchiò selvaggiamente...-


Sul volto di Makoto iniziarono a sgorgare lacrime amare. Singhiozzava. Era un pianto impetuoso, desideroso di esprimersi, ma lei si coprì il volto quasi a vergognarsi di quella sua reazione. Rei si alzò e la andò ad abbracciare, quindi le diede un fazzoletto, che la mano di Makoto accettò rapida, anche qui quasi a voler far finta che non fosse accaduto nulla, che il ricordo narrato non la turbasse. Mamoru le si avvicinò e chinò davanti a lei.


-Basta così, Makoto. Fa lo stesso. Ti ringrazio per aver accettato l'invito, hai dimostrato grande coraggio, ma adesso basta così.-


-No, Mamoru voglio finire. Devo finire. E' una sfida con me stessa e devo vincerla, costi quel che costi. Dovessi consumare fino all'ultima lacrima che ho in corpo. Ricordare è doloroso, ma ho imparato che il silenzio è una sofferenza ancora maggiore. Più ne parlo e più il peso che ho nel cuore si alleggerisce pian piano. E inoltre, Usagi non capirebbe perchè sono finita qui, al centro disturbi alimentari.-


-Credo che questo non sia un problema, giusto Usagi?-


Mamoru si rivolse a me. Io ero rimasta pietrificata dal racconto di Makoto. Possibile che la vita e il destino debbano accanirsi in tal modo contro una persona? Non era giusto, nessuno se lo merita. Eppure accade...perchè? Qualcuno ha mai trovato la risposta? Quanto avrei voluto saperlo.

Con un dito scacciai via la lacrima che disobbediente era riuscita a far capolino sul mio volto e risposi a Mamoru che ovviamente Makoto poteva fermarsi e prendersi il suo tempo per calmarsi un po', ma lei insistette e riprese a parlare dopo pochi minuti.


-Dopo quell'episodio, mi facevo schifo, mi sentivo sporca. Odiavo il mio corpo, odiavo per l'ennesima volta la mia esistenza e vivevo nel terrore che fossi rimasta incinta di quel porco. Contavo ossessionatamente i giorni che mancavano al ciclo; furono un vero inferno. Volevo farla finita, annullarmi, sparire definitivamente, ma non avevo il coraggio di suicidarmi. Smisi si mangiare, di bere e allo stesso tempo iniziai a provocarmi il vomito, volevo buttare letteralmente tutto fuori, volevo espellere qualsiasi cellula che fosse stata contaminata da quel verme viscido. Persi rapidamente una trentina di chili. Ero ridotta davvero pelle e ossa, me ne rendevo conto, ma ero contenta perché ciò significava che la mia ora era sempre più vicina e che quindi il momento della mia liberazione era prossimo. Un giorno Mamoru mi trovò svenuta all'angolo di una strada. Notò subito il mio stato di denutrizione e disidratazione e capì subito che il mio era un caso decisamente grave. Mi portò all'ospedale. Innanzitutto era necessario ristabilire il fisico e raggiungere dei livelli ematici accettabili per dichiararmi fuori pericolo. Poi ci si sarebbe occupati del resto. Quando mi svegliai in quel letto di ospedale, tutto intorno a me era bianco e io pensavo sul serio di essere in un'altra dimensione, di essere al “banco accoglienza” dell'aldilà. Quando poi misi a fuoco il sacchetto della flebo che pendeva sopra la mia testa, capii tutto e iniziai a piangere. Non c'ero riuscita. Ero ancora viva. Qualcuno mi aveva soccorso...e io lo odiavo.

I mesi successivi furono durissimi. Fui trasferita in una clinica riabilitativa specializzata, ma, nonostante i diversi tentativi, io continuavo a non voler collaborare. Rimanevo nel mio silenzio. Se mi avessero fatto un elettroencefalogramma, sarebbe stato piatto. Nella mia mente non c'era più nulla, non c'era più spazio. Volevo essere solo lasciata in pace. Poi un giorno Mamoru mi venne a trovare. Solo in quel momento seppi che era lui che mi aveva salvato e portato all'ospedale. Tra le lacrime lo aggredii verbalmente mentre con dei deboli ma decisi pugni colpivo ripetutamente il suo petto. Con che diritto aveva deciso della mia vita? Per la prima volta nella mia vita urlai ed espressi tutta la rabbia che avevo dentro. Urlai al punto da sentire la vibrazione della mie corde rimbombare nel cervello. Urlai fino al punto di sentirmi esplodere la testa. Lui mi lasciò sfogare e infine mi abbracciò. Io mi abbandonai a quel gesto, il mio primo abbraccio, e piansi per ore tra le sue braccia, fino a quando mi addormentai. Mamoru rimase con me per ben 7 ore consecutive e si ripresentò il giorno dopo per parlarmi con calma. Mi disse di essere uno psicologo alimentare e che aveva il forte desiderio di aiutarmi a rinascere. Perchè nessuno è nato per soffrire e lui voleva dimostrarmelo. Perchè anche il suo passato era stato travagliato, ma era riuscito a trovare un equilibrio e a trovare un senso alla propria vita. E lui voleva aiutarmi a capire il mio, il senso della mia esistenza, perchè sicuramente c'era. Prima però dovevo completare la terapia nella struttura. Solo dopo lui sarebbe potuto subentrare nella mia riabilitazione. Io accettai. All'inizio mi sembrò quasi di farmi violenza da sola, raccontando la mia storia, di cui tra l'altro mi vergognavo tantissimo, ma con lo psicologo dell'istituto pian piano imparai a “metabolizzare” le mie emozioni e sensazioni a riguardo. Anche se tuttora mi fa male, anche se tuttora piango al ricordo di quel tragico giorno, ora riesco ad esserne mentalmente distaccata, a mantenere integro il mio io e a rispettarlo. Ora sono consapevole dei miei limiti, ma anche delle mie capacità e so fino a dove posso spingermi. Ora so che il senso della mia esistenza consiste nell'aiutare gli altri. Mi dedico al volontariato e assisto gli anziani della casa di riposo “Sakura”. Li porto a fare una passeggiata, racconto loro una storia, gioco con loro a tombola. Vedere i loro sorrisi, mi dà una gioia immensa e fa star bene anche me. Mi sento utile, mi sento viva... capite? finalmente mi sento! Io sono, esisto, ho uno scopo e questo mi basta. Voglio mettere un punto e voltare pagina. Faccio ancora fatica ad avvicinarmi al sesso maschile inteso come compagno di vita, ma ci sto lavorando con Mamoru, con cui da un paio di mesi ho iniziato un nuovo percorso.

Usagi ti prego, prendi in mano la tua vita e affronta ciò che ti fa star male! Non hai idea di come ciò cambi poi la prospettiva e il modo di vedere ogni cosa che ti circonda!-


Inaspettatamente si era rivolta a me e mi aveva detto quella frase tutta d'un fiato. Aveva ragione. In cuor mio sapevo che non potevo andare avanti così, eppure perchè facevo così fatica a vedere un futuro diverso da quello triste che mi ero immaginata finora? Pensare a qualcosa di diverso era irreale. Forse era proprio su questo che Mamoru doveva iniziare a lavorare con me. Sulla mia motivazione, ma prima dovevo decidere se intraprendere questo percorso o meno.

E dai racconti che stavo ascoltando, mi ero convinta.


-Makoto ha ragione- intervenne Mamoru - Usagi finora avevi ascoltato storie di disturbi alimentari nati da problemi familiari o personali, quindi da un preciso motivo scatenante. Dal racconto di Makoto puoi dedurre come invece questi possano nascere anche da una complessità di situazioni, ma soprattutto hai potuto comprendere che è possibile risollevarsi anche in seguito a eventi piuttosto gravi. Prendi questo insegnamento.-


Mi sentivo un po' stupida. In confronto i miei problemi non erano così seri, eppure eccomi qui davanti a uno psicologo. Risposi convinta.


-Sì, Mamoru, lo farò.-


Ciao a tutti! Scusate l'attesa ma è decisamente un periodo no e ho avuto una sorta di blocco d'ispirazione. Scrivere questo capitolo è stato decisamente un parto, spero che ciò non traspaia troppo. Spero anche che questo capitolo rimanga realistico nella sua tragicità, ma soprattutto di non avervi deluso. Abbiate un po' di pazienza per via degli aggiornamenti, perchè non so se e quando la mia ispirazione continuerà a collaborare. Intanto ancora grazie a tutti coloro che leggono e/o recensiscono! Grazieeeee



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Capitolo 7
*** Cap. 7- Incontro: Minako ***


Cap. 7: Incontro- Minako


Avevo ascoltato tre racconti, tre storie di persone apparentemente normali ma che nascondevano dentro di sé una sofferenza enorme. Storie di maschere cadute, di lotte e di rinascite. Quante persone incrociamo ogni giorno e valutiamo superficialmente basandoci solo sul loro aspetto? In realtà ogni volta che ci troviamo davanti a qualcuno, siamo di fronte a una fitta trama di fili sottili che si intrecciano andando a formare la psiche e, assieme ad essa, l' apparenza. Ognuno di noi sostanzialmente è un inganno, l'inganno che ci siamo costruiti per sopravvivere in questa realtà fatta di giudizio e superficialità. Ogni istante è una perenne battaglia per l'affermazione di sé, per urlare al resto dell'oceano, l'esistenza di una goccia preziosissima e identica solo a se stessa, seppur apparentemente uguale alle altre.


Mancava soltanto un racconto, quello della ragazza che sin da subito aveva attirato la mia curiosità per la sua somiglianza con i miei tratti principali. Lunghi capelli biondi, nel suo caso raccolti in parte con un delizioso fiocco rosso. Grandi e profondi occhi azzurri. Indossava un vestitino di seta rosa che scivolava dolcemente mettendo in risalto la sua linea perfetta e le decorazioni glitterate dello stesso le donavano una luce particolare che sottolineava la delicatezza del suo viso. Si poteva tranquillamente definire una venere. A parte l'abissale differenza di chili, quella ragazza rifletteva la potenziale me stessa. Sul serio potevo diventare come lei? Eppure se si trovava proprio qui di fronte a me, voleva dire che anche la sua vita non era stata facile.

Quando mi vide pronta, iniziò a parlare.


- Ciao Usagi, sono Minako, sono figlia unica e abito qui a Tokyo con i miei genitori. Quando ho iniziato a stare male, abitavamo in una casa decisamente piccola e con muri sottili, il che significava, nella vita quotidiana, la totale mancanza di privacy e di libertà. Unisci questa condizione al fatto che il rapporto tra i miei era una continua lite e che il rapporto tra me e loro non fosse mai stato idilliaco ed ecco la bomba pronta ad esplodere. I miei genitori si volevano bene, ma nel corso degli anni il carattere di mio padre era decisamente peggiorato, diventando di un pignolo maniacale, parlandoti sempre con un tono perennemente giudicante, rendendo un problema qualsiasi cosa che evadesse dalla routine quotidiana. Lui, avendo cominciato presto a lavorare, era andato in pensione altrettanto presto quindi si era assunto la responsabilità della casa. Era un perfetto casalingo, si occupava di tutto a 360°gradi, faceva le lavatrici, stendeva, cucinava, ma lo faceva solo per dovere verso la famiglia. Il problema era che se tentavi di fare qualcosa ti criticava perchè non la facevi come lui oppure, se non la facevi, ti criticava lo stesso perchè “nessuno muoveva il culo”. Decideva lui cosa mangiare e bisognava essere tutti assieme, per cui alle 18.30 tutti a casa, guai a tardare, pena urla e critiche per mezzora. Pessimista di natura, ti caricava dei suoi pensieri nefasti.

Mia madre lavorava e lavora tuttora tutto il giorno. La vedevo di sera e con lei mi sfogavo, in parte trovando comprensione, in parte scontrandomi anche con lei che non capiva il mio punto di vista. Io sono cresciuta in questa atmosfera. Insicura, immotivata, depressa, non in grado di prendere una decisione che fosse mia al 100% e di spezzare questa dipendenza, soprattutto psicologica che avevo nei loro confronti. Il fatto poi che la casa fosse piccola e “aperta” complicava ulteriormente le cose, impedendomi anche di fare cose semplicissime, come invitare un'amica per qualche sana risata, chiacchierata o confidenza, ascoltare musica dallo stereo o ascoltare la tv normalmente, attività che dovevo svolgere sempre con le cuffie. Inoltre ero perennemente sotto la vista dei miei. Non potevo esprimermi né verbalmente, poiché avrei rischiato il finimondo, né materialmente, poiché non potevo per esempio personalizzare la stanza o uscire la sera senza essere rimproverata pesantemente, come se avessi chiesto la luna. La mia personalità era completamente soppressa. Esasperata da questa situazione decisi di realizzare il mio sogno: diventare un idol.

Volevo guadagnare soldi sufficienti a comprare una casa con spazi adeguati per tutti, volevo diventare indipendente economicamente, volevo dimostrare ai miei genitori quanto valessi e avere su di loro una sorta di vendetta, quindi mi presentai ad un casting di una famosissima agenzia di Tokyo. La concorrenza non mi intimoriva, ero pronta a rischiare il tutto per tutto. Inoltre sin da piccola avevo una innata predisposizione al canto e quindi puntavo su quello. Quando fu il mio turno, tutto andò per il meglio, almeno per me. Cantai divinamente e ricevetti molti applausi dai presenti, ma la giuria non fu dello stesso parere: ero troppo grassa. La mia taglia 44 non andava bene; per loro requisito essenziale era la taglia 40 o al massimo la 42; della 44 non se ne parlava proprio. Mi dissero quasi con disgusto che la pancetta avrebbe rovinato la piega perfetta dei vestiti di scena, che quei fianchi erano troppo tondi per indossare un abito d'alta moda, che non dovevo più presentarmi ai casting se non fossi prima dimagrita in maniera considerevole. Non mi ero mai posta alcun problema per il mio fisico, mi consideravo una ragazza normale, ma carina. Tuttavia da allora l'aspetto, ma soprattutto il peso divennero la mia ossessione. Decisi di mettermi a dieta.

Litigai con mio padre per avere la libertà di scegliere cosa mangiare. In realtà i miei genitori non videro più cibarmi e nemmeno io vidi più l'ombra di un alimento. Ero rimasta talmente scioccata dai quei commenti così acidi da voler dimagrire a tutti i costi e il più in fretta possibile per ripresentarmi da loro e, detto ironicamente, “fargli rimangiare tutto”. All'inizio fu durissima ignorare i morsi della fame, piangevo per ore per i crampi che avevo, ma pian piano questi divennero i miei compagni di vita. Mi abituai, perchè la ricompensa emotiva era fortissima: i compagni di classe iniziavano a vedermi finalmente come una donna, per strada mi fischiavano dietro e i conoscenti mi facevano i complimenti per la nuova forma acquisita. I loro elogi divennero una vera e propria droga, una roba da sballo. Finalmente ero la protagonista della mia vita, finalmente godevo di un'attenzione mai ricevuta e venivo ammirata dagli altri.

Però ogni droga ha il suo prezzo, crea dipendenza e assuefazione.

E così non mi fermai e continuai a dimagrire. Sulle mie guance iniziarono a formarsi dei solchi profondi, guardandomi era possibile contare il numero delle costole e delle vertebre. Ma per me ero semplicemente bellissima e questo mi bastava a far tacere il dolore che provavo nello stomaco da ormai un paio di mesi. I miei ovviamente si erano accorti che qualcosa non andava e cercarono invano di parlarmi e convincermi a riprendere a mangiare. Per la prima volta dopo anni i miei genitori erano concordi, erano tornati una coppia unita di fronte al dramma della loro figlia; tutto ciò non fece altro che rafforzare il mio desiderio di andare avanti nel rifiutare il cibo, perchè se ero riuscita a compiere questo miracolo allora non mangiare faceva davvero bene e non solo a me.

Non sentivo mia madre che piangeva la notte, non sentivo mio padre che la consolava.

Andai avanti così per mesi, finché il corpo stremato si ribellò alla mia volontà e svenni in bagno. Fui portata all'ospedale, il che fu decisamente una fortuna. I medici innanzitutto iniziarono a reidratare il mio corpo, mi fecero numerose flebo e mi alimentarono in endovena al fine di stabilizzare i miei livelli ematici. Per una settimana non vidi altro che flebo 24 ore su 24, tanto ero devastata fisicamente. Il difficile arrivò dopo, quando dovetti affrontare per la prima volta dopo tanto tempo il confronto col cibo. Mi presentarono una porzione di verdure bollite e un po' di pasta in bianco; qualcosa di leggero che permettermi di riabituarmi pian piano al sapore, alla masticazione e alla digestione. Nonostante la quantità del cibo portatomi fosse decisamente esigua, feci fatica a ingerire anche quella, anzi ne lasciai persino un po'. Mangiavo lentissimamente, quasi stessi imparando per la prima volta a farlo. Però volevo mangiare! Mi ero resa conto che avevo toccato il fondo e dopo il fondo c'era soltanto un'altra cosa: la morte...e io invece avevo ancora il mio sogno da realizzare. I medici erano contenti di questa reazione, ma sapevano che era solo l'inizio e che la strada per la guarigione sarebbe stata lunga.

Un giorno chiesi a mia madre di portarmi uno specchio. Lei rimase interdetta, vidi nei suoi occhi il terrore. La rassicurai: ero pronta per affrontare questo passo anche se, ne ero sicura, sarebbe stato un pugno nello stomaco... e così fu. Appena vidi la mia immagine riflessa scoppiai a piangere. Mia madre mi abbracciò, iniziò a piangere anche lei e rimanemmo strette l'una con l'altra per minuti infiniti, in un pianto liberatorio per entrambe. Da troppo tempo non sentivo...o non volevo sentire la vicinanza di mia madre e fu bello ritrovarla e percepire di nuovo il calore umano.

Rimasi in ospedale per due mesi e lì piano piano imparai a rialimentarmi quasi normalmente. Fu allora che i medici mi prescrissero un vero e proprio piano psicoterapeutico presso questo centro di disturbi alimentari. Come potrai immaginare lo psicologo da cui entrai in cura fu Mamoru. Qui dovetti affrontare alcuni fantasmi del mio passato, alcuni scherzi del mio inconscio e dei dolori mai superati. Oggi posso affermare di essere guarita, il che mi permette di essere serena nel parlare della mia malattia che come avrai capito, anche nel mio caso, era l'anoressia. Tuttavia continuo a venire qui una volta al mese. Non sai quanto faccia bene sfogarsi! E per questo, Usagi, io ti prego dal profondo del cuore; se ti vuoi un minimo di bene, intraprendi questo percorso e scoprirai dentro di te delle risorse e delle energie inimmaginabili che ti permetteranno di cambiare radicalmente la tua vita! Ti prego Usagi, fidati di noi! Lo so che quello che stai provando in questo momento è la sensazione di non essere compresa e di essere sola, ma sappi che non c'è nulla di più sbagliato. Innanzitutto se vuoi avere delle nuove amiche, noi siamo qui a tua disposizione. Ovviamente non ti diciamo che saremo amiche per la pelle da un giorno all'altro, ma perché non provarci e negarti questa possibilità? Quando ti sentirai pronta, potrai chiedere i nostri contatti a Mamoru e noi saremo ben felici di rivederti e passare un pomeriggio assieme, in sala giochi, a fare shopping, a bere un caffé o a fare una chiacchierata. Senza impegno, ma se te la senti ne saremmo davvero onorate, giusto ragazze?-


Si voltò verso le altre ragazze che prontamente annuirono.

Non sapevo se accettare la loro offerta, ma alla fine che cosa avevo da perdere? Nel caso non mi fossero piaciute, avrei sempre potuto dirglielo. Che dire dopo tutto ciò che avevo ascoltato? Sicuramente era stata una giornata pesante e avevo molto su cui riflettere. Mi sentivo stanca, quasi le loro storie mi si fossero caricate sulle spalle e mi era venuto anche mal di testa. Tuttavia quel peso paradossalmente aveva allentato quel groppo alla gola che mi attanagliava da tanto tempo.


-Ragazze, io vi ringrazio per tutto, per la sincerità con cui mi avete confidato dei vostri momenti così difficili e per la disponibilità che avete dimostrato pur non conoscendomi. Ora tocca a me, ma ho bisogno prima di smaltire un po' di emozioni. Vi chiedo scusa, ma vorrei andare a casa. Mamoru...direi che mi hai portato delle buone motivazioni per continuare!-


Sorrisi.


-Prima di andarmene...posso abbracciarvi?-

-Ma certo!- risposero in coro.


E così le abbracciai. Le abbracciai una a una. Avevo bisogno anch'io di contatto fisico, di sentirmi voluta bene. Volevo sentire accolto questo mio grande corpo. Vissi degli istanti di strane sensazioni. Percepivo chiaramente che i loro abbracci erano sinceri e speravo che anche loro provassero lo stesso, perchè era così.

Uscii dall'ambulatorio stanca, confusa, ma felice e ottimista.

Cosa che non mi capitava da decisamente tanto tempo.


Scusate l'attesa, ma come detto nel capitolo precedente l'ispirazione é a tratti alterni...E con questo capitolo ho finito i racconti delle inner. Spero di non avervi deluso. Ringrazio sempre chi legge e commenta! Arigato !^^

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Capitolo 8
*** Cap. 8 - Usagi ***


Cap

Cap.8 - Usagi

 

In breve tempo tornai a casa. Ero davvero esausta. Troppe cose erano successe in un solo pomeriggio, troppe emozioni avevano sussultato dentro di me. Mi buttai sul letto con l’intento di riposare un pochino prima di cenare, ma con la coda dell’occhio scorsi un vecchio album di foto posto tra una pila di libri altrettanto vecchi. Attratta in maniera inconsueta da quell’album, mi alzai, lo presi e iniziai a sfogliarlo. Dalla nuvoletta di polvere che si sollevava a ogni cambio di pagina, dedussi che era da molto tempo che restava chiuso. Ed eccomi lì, ripresa nelle mie varie pose, nelle mie varie espressioni, nelle mie diverse età.

Sin da piccola mostravo un certa tendenza alla rotondità, ma mia madre, sotto pressione dei medici, mi portò subito da alcuni esperti di dietologia pediatrica con lo scopo di correggermi e permettermi una crescita sana. Considerando la situazione presente decisamente non ebbe successo. Sfogliando quelle pagine ebbi alcuni flash: bambini che all’asilo mi prendevano in giro, bambini che all’elementari mi prendevano in giro, adolescenti che alle medie mi prendevano in giro. Non ho mai avuto pace. In particolare alle medie incontravo sul bus un ragazzino che mi rivolgeva delle frasi crudeli a dir poco e il solo ripensarci mi faceva star male.

Mi sviluppai presto, quindi mi sentii subito diversa dalle altre bambine: ero sempre la più grande di tutte, la più alta, la più matura, ma per questo ero anche la meno compresa e nessuno si era accorto che ero anche la più bisognosa d’affetto.

Da più parti l’unico pensiero che mi veniva trasmesso era quello che dovevo dimagrire al più presto, perché prima è meglio è, perché i bambini fanno meno fatica, perché più tempo passa e più alto sarà il tasso di rischio di patologie legate al peso. Così, all’età di dieci anni, intrapresi per la prima e ultima volta una dieta seria. All’inizio la soddisfazione era tanta e il mio aspetto era decisamente migliorato: gambe un po’ a x, ma lunghe e snelle, viso definito e privo di doppio mento e sensazione di essere davvero carina! Dopo tanto tempo potevo finalmente vestirmi come una bambina della mia età! Gioii all’inverosimile quando riuscii trovare un abito di jeans che mi calzava alla perfezione. In un anno avevo perso dieci chili. Mi sembrava di sognare! Purtroppo quello stato di beatitudine durò ben poco. Con l’arrivo dell’estate, delle vacanze e dei gelati gli sgarri si fecero sempre più frequenti e i chili tornarono inesorabilmente a salire.

Dopo aver sofferto così tanto per dimagrire, bastava così poco per recuperare peso? Purtroppo sì e così recuperai i chili persi con gli interessi, decisamente alti. Lo sconforto prese possesso di me e divenni una ragazza triste e a disagio col suo essere.

Sin da piccola, inoltre, a scuola ero piuttosto brava. All’elementari e alle medie un ottimo dopo l’altro, alle superiori un dieci dopo l’altro. Era l’unica cosa che sentivo rendesse orgogliosi i miei genitori e la mia famiglia. Mio nonno esponeva in casa la mia pagella come un trofeo e la mostrava a chiunque varcasse la porta. Ogni tanto arrivava qualche mancia e qualche regalo. L’azienda di mia madre mi aveva premiato più volte con borse di studio per merito e quindi anche lì ero piuttosto famosa. Eppure tutta questa “notorietà” mi dava fastidio, mi soffocava, creava attorno a me delle aspettative enormi che io non sapevo se volevo e potevo soddisfare. Mi dicevano diventerai una donna manager…chissà se lo diventerò, chissà se lo vorrò diventare. Presto avrò l’esame di maturità e prenderò l’ennesimo cento della mia vita; per l’ennesima volta mi diranno brava e sbandiereranno il mio diploma ai quattro venti. E poi dovrò fare l’università, quale non si sa, ma tanto ho ancora qualche mese per pensarci.

La cosa non mi rendeva entusiasta perché io sono sempre stata un’eterna indecisa…
le decisioni le avevano prese sempre gli altri per me e quindi fare delle scelte che fossero mie al 100% mi era del tutto impossibile e mi faceva entrare completamente in crisi. Giornate passate a piangere perché non mi sentivo autonoma, non mi sentivo grande, non mi sentivo pronta.

E mio padre era esattamente come quello di Minako, irascibile, routinario, pignolo all’estremo; anche per lui qualsiasi cosa io facessi al di fuori del suo ciclo giornaliero costituiva un problema. Alla visione di quelle crisi esistenziali mi criticava pesantemente perché non capiva e non voleva una figlia piagnucolona. Spesso provo il desiderio di scappare di casa, di scappare da tutto e da tutti. Purtroppo, però, dal mio desiderio di evasione ho ottenuto finora solo un rapporto distorto con il cibo. Il mio unico amico, l’unico sempre disposto ad ascoltarmi e a consolarmi.

Tutte queste cose messe assieme mi rendono la persona infelice che sono adesso. Mi sento triste, come se fossi stata privata di qualsiasi forza per ribellarmi al mio destino, privata di qualsiasi energia positiva che mi permetta di reagire e creare un futuro diverso. Il MIO futuro. Vorrei essere accettata per quello che sono: una sognatrice a cui piace un mondo rosa, fatto di coccole, tenerezza, dolcezza e di gente gentile, dove io mi senta felice per ciò che faccio e ciò che sono. Sono consapevole che tutto ciò nella realtà non esiste in senso così puro, certo sono idealista ma anche desiderosa di provare a crearlo, il MIO mondo, o per lo meno di creare il mio angolino rosa, dove poter star bene.

Ora dovevo solo dirlo a Mamoru, speravo solo di trovarne il coraggio e di non mettermi a piangere come una bambina, odio piangere davanti agli altri, odio mostrare le mie debolezze. Magari si metterà a ridere e io come un’idiota ci rimarrò male, però devo provarci, ho fatto una promessa a me stessa.

Devo provare a volermi più bene.

 

Scusate l’attesa. Spero mi perdoniate e che il capitolo vi piaccia anche se più corto dei precedenti. Vista la mancanza di ispirazione ho deciso di far finire la storia entro uno-due capitoli. Lo devo a voi che mi seguite e a me che non piace lasciare qualcosa in sospeso. So che rimarrete delusi e che probabilmente mi verrà detto che ho concluso il tutto in maniera frettolosa e che la trama poteva essere sviluppata in maniera migliore. Io spero comunque di poter degna fine alla storia, per quando essa sia anticipata rispetto al previsto.

Forse aveva ragione chi mi criticava nei primi capitoli…

 

Alla prossima

 

Robiz

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Capitolo 9
*** Cap. 9 - Mamoru ***


mamoru

CAP. 9 - MAMORU

 

Avevo pensato di accoglierla direttamente all’entrata con la scusa che non le avevo detto dov’era il mio studio. In realtà, dalla piantina della struttura posta all’entrata, lo avrebbe tranquillamente trovato da sola. Sin dal primo incontro al parco avevo provato verso di lei un forte istinto di protezione. Era una sensazione nuova anche per me e difficile da descrivere e da accettare. Non era di certo la prima ragazza obesa che avevo in cura, ma vederla sola sull’altalena a mangiare gli onigiri, mi aveva spezzato il cuore. Effettivamente, forse, era la prima paziente che vedevo soffrire al di fuori del contesto ambulatoriale. Ormai era diventata un’abitudine separare la vita lavorativa da quella privata e comunque, abitando nella periferia di Tokyo, non avevo mai incrociato, né tanto meno incontrato le pazienti per strada. Quel giorno poi passavo per il parco per puro caso, spinto dal desiderio di fare una passeggiata e di guardare il tramonto gustandomi un gelato, prima di tornare a casa. Si direbbe un incontro voluto dal destino.  Comunque questa particolare attenzione che nutrivo spontaneamente nei suoi confronti, era un atteggiamento che dovevo troncare sul nascere. In primis era deleterio per lei, perché la mia non obiettività potrebbe influire negativamente sul mio modo di agire durante la terapia, rallentandone i risultati. E poi era contro l’etica professionale affezionarsi in tal modo a una paziente.

 

«Articolo 26 del codice deontologico degli psicologi

Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. »

 

Così mi ero ripromesso di controllarmi, di mostrarmi amichevole ma distaccato, ma dentro di me, mi ripetevo che alla fine non c’era nulla di male nell’accoglierla all’ingresso e così feci. Nonostante ciò, quella fu una delle sedute più difficili della mia vita.

 

Fare lo psicologo mi veniva piuttosto naturale, mi era sempre piaciuto aiutare gli altri a capire se stessi e avevo intrapreso questa professione proprio per questo e in seguito alla mia esperienza personale. Il difficile era stato cercare di restare calmo, vedendo quella ragazza tentare di essere forte davanti agli altri e guardandola sopportare da sola quel peso che le stavo volontariamente buttando addosso. L’esperienza e anche la teoria erano a favore di questo tipo di approccio per molti versi violento, ma quell’essere, così robusto nell’apparenza ma così fragile nella sua essenza, lo stava facendo pentire di non aver iniziato in un altro modo. Ormai comunque era troppo tardi, la strada era stata intrapresa e non aveva senso cambiare in quel momento. A ogni parola di Ami vedevo il suo sguardo spegnersi; o si riconosceva nel racconto oppure stava lottando con tutte le sue forze per  negare la sua somiglianza della sua storia con quella di Ami. Quando poi aveva chiesto di andare alla toilette, istintivamente le sorrisi per rassicurarla e mostrarle comprensione. In realtà la preoccupazione attanagliava il mio cuore. Stavo sbagliando tutto con lei? Mi influenzava già a tal punto? No, non poteva essere e così tornai serio e nell’attesa chiusi gli occhi e mi focalizzai mentalmente verso il vertice superiore del triangolo che avevo formato davanti a me con le mani, poggiando gli indici sulla fronte. Mi concentrai sul mio respiro, sentii l’aria entrare dalle narici e scivolare attraverso la trachea sino a raggiungere i polmoni, percepii la vibrazione di questi ultimi che pian piano si dilatavano sino a raggiungere la loro massima estensione e quindi tornavano a contrarsi e ascoltai il rumore dell’aria che riacquistava la sua libertà. Ora ero di nuovo concentrato sul mio obiettivo. Ora potevo proseguire senza intoppi…però quando la vidi rientrare e fissare così intensamente Rei, le stavo scoppiando a ridere in faccia!! Aveva un’espressione buffissima e contemporaneamente molto tenera.

Durante il racconto di Rei, sembrava più rilassata, probabilmente stava iniziando ad accettare l’esistenza di questo tipo di situazioni e di problematiche; fu un primo, ottimo segnale! Inoltre Rei stava parlando proprio del Binge Eating, quindi sicuramente era riuscita a catturare l’attenzione di Usagi. Vedevo Usa sempre più determinata, ma per delicatezza nei suoi confronti le chiesi come si sentiva. Fortunatamente la risposta fu positiva, il che mi rese molto felice ed orgoglioso di lei. Stava già compiendo dei passi importanti. La consapevolezza era il primo passo verso la guarigione e lei stava accettando di buon grado gli input che gli stavo mandando. Con il racconto di Makoto la sua reazione fu molto differente. Sicuramente l’esperienza di Mako era stata tremenda ed in fondo era inevitabile che turbasse Usagi. Infatti la vidi asciugarsi una lacrima, ma feci finta di nulla per non imbarazzarla e d’altronde come poterla biasimare? Quando Makoto si rivolse a lei direttamente, lo spavento e lo stupore le si dipinsero in volto. Questo improvviso ruolo attivo l’aveva colta alla sprovvista e forse era anche un po’ precoce, ma l’accorato appello di Mako, e quindi una bella scrollata, poteva farle solo bene.

Dopo all’incirca due ore dall’inizio della seduta, si cominciavano a vedere i primi segni di cedimento alla stanchezza sul volto di Usagi. Era stata una giornata intensa per lei e mancava ancora il racconto di Minako. Ero proprio curioso di vedere la reazione di Usa davanti a una ragazza che le somigliava tanto e speravo sinceramente che diventassero amiche. Sicuramente tutte assieme sarebbero state un bel gruppo, nonché un ottimo esempio per Usagi e allo stesso tempo Usa sarebbe uscita dal guscio che si era inconsapevolmente creata. Non volevo forzare le cose, ma fortunatamente fu la stessa Minako a togliermi le parole di bocca e a proporre di approfondire la conoscenza. Ero molto orgoglioso delle ragazze!

Avevo delle sensazioni positive e  immensa fiducia nelle capacità di Usa, nonostante il percorso lungo e irto di insidie che l’attendeva.

Guardai l’orologio, erano già le 23 passate. Avevo pensato un po’ troppo! Presi un nuovo quaderno dalla dispensa. Aveva un bellissimo coniglietto disegnato sulla copertina; sì, era proprio per lei. Sul primo foglio scrissi in caratteri maiuscoli: “ Usagi Tsukino, anni 19, Binge Eating Disorder”.

Voltai ancora pagina ed iniziai a scrivere qualche appunto di quella prima giornata:

 

·       Ascolto dei racconti di Ami, Rei, Makoto e Minako

·       Reazioni diverse della paziente. Momento di panico, ma ripresa rapida e determinazione crescente

·       Desiderio di proseguire

·       Prima presa di consapevolezza

·       Accettazione delle nuove realtà, no ribellione -> ottimo segno

·       CE LA FARA’ !

 

 

Salve a tutti, so che è un’eternità che non aggiorno, ma spero che con questo capitolo mi faccia perdonare. Ho pensato di vedere la seduta da un altro punto di vista…che ne dite? Un abbraccio

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