Undercover feelings

di pilgrim81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Undercover Feelings

 

Note dell'autrice: La storia di colloca… si capisce da sola dove si colloca ma il tassello fondamentale è che il bacio “sotto copertura” al magazzino non c’è mai stato…!!!! Soliti ringraziamenti alla mia beta e le tartarughine che mi tolgono le insicurezze e a tutto il fandom che mi ha accolto con grande calore!

 

 

Finalmente il caso era chiuso, il rapporto era stato compilato e fino a quel momento  il telefono non aveva squillato per avvertire di altri cadaveri. Chiuse il fascicolo davanti a sé, lo mise di lato e si stiracchiò allungando le braccia e appoggiandosi allo schienale della sua poltroncina girevole. Il suo sguardo si spostò istintivamente verso quella sedia vuota che era accanto alla sua scrivania e che in genere era occupata dall’oggetto dei suoi recenti tormenti.

Ancora non ci credeva che le aveva dato retta: la sera prima gli aveva detto, in tono decisamente poco amichevole, che non voleva vederlo in distretto per un po’, ma non sperava che veramente l’avrebbe ascoltata. Il vero problema è che non riusciva a definire la sensazione che adesso provava: era sollevata dalla sua assenza o dispiaciuta?

Da una parte era sicuramente sollevata: dopo quello che era successo la sera prima, non sarebbe riuscita a gestire una giornata di lavoro con lui costantemente al suo fianco. Finché non avesse fatto luce sul caos che vorticava nella sua testa, ogni contatto con Castle sarebbe stato deleterio.

Dall’altra parte però… avere lui in distretto rendeva il lavoro tanto meno noioso, anche il solo vederlo giocare con le grappette rendeva quel posto di lavoro meno serio. Per non parlare poi di come riusciva a sdrammatizzare ogni momento con il suo sarcasmo.

Ma non ora! Non sapeva ancora che effetto le avrebbe fatto fissarlo nuovamente in quegli occhi azzurri (che adesso sapeva quanto potessero diventare profondamente blu quando preso dalla passione) e non poteva più contare sulla sua leggendaria mania per il controllo perché gli eventi della sera precedente le avevano abilmente e facilmente dimostrato che, quando si trattava di lui, nessuna razionalità poteva funzionare.

Fu risvegliata dai suoi pensieri dal campanello dell’ascensore e dal rumore delle porte che si aprivano.

Dimmi che non ho cantato vittoria troppo presto, pensò tra sé la Detective col terrore di trovarsi davanti Castle.

Inspirò profondamente e alzò la testa… Chi vide era proprio Castle, ma non quello che si aspettava.

“Alexis?”

La figlia di Castle fece un timido gesto di saluto con la mano avvicinandosi lentamente alla scrivania di Kate. Il sollievo di Kate nel non vedere lo scrittore fu presto sostituito da panico. Che ci faceva Alexis al distretto?

“Buongiorno Detective,” disse l’adolescente abbassando gli occhi verso il bicchiere di caffè di Starbucks che stringeva tra le mani.

“Ciao Alexis! Che ci fai qui? Ti è successo qualcosa? Tua nonna sta bene? Tuo padre?”

“No, no, detective, non è successo niente,” sorrise e le porse il bicchiere di caffè. Per un attimo pensò che fosse stato Rick a mandare Alexis al suo posto perché sapeva che non avrebbe scaricato il caricatore della sua pistola su di lei come invece avrebbe fatto su di lui. Ma sarebbe stata una mossa troppo subdola e il Rick Castle che conosceva lei (molto diverso da quello descritto a pagina 6 dei quotidiani) non avrebbe mai usato sua figlia per i suoi scopi.

“E’ una caratteristica di famiglia viziare i detective portando loro caffè?” rispose ringraziando con un cenno della testa Alexis, afferrando il bicchiere e facendola accomodare sulla sedia che a questo punto era da definirsi di proprietà dei Castle!

“No, a dire il vero so che papà te lo porta sempre ma ho visto che oggi è rimasto chiuso nel suo studio a scrivere e ho pensato di portartelo io. E visto che papà parla spesso di te, sapevo anche cosa avresti preferito.”

Kate cercò di non pensare alle possibili implicazioni che potevano scaturire da questa frase e tornò a concentrarsi sul problema principale: la presenza di Alexis in distretto.

“Ma qualcosa mi dice che non sei qui solo per fare le veci di tuo padre o assicurarti che io abbia la mia dose di caffeina giornaliera…”

“In effetti no…”  rispose afferrando istintivamente la lunga serie di grappette unite da Rick e iniziando a giocarci come per evitare il suo sguardo.

Le fermò le mani e la costrinse a guardarla negli occhi: “Alexis, c’è qualche problema? Perché non sei a scuola? Tuo padre sa che sei qui?”

“Rispondendo al contrario… No, non lo sa. La scuola è chiusa per dei lavori di manutenzione. Il problema… sì, no, a dire il vero non è neanche importante. Non sarei dovuta venirla a disturbarla Detective,” disse alzandosi dalla sedia.

“Siediti,” disse Kate con tono molto più autoritario di quanto la situazione richiedesse. La ragazza la guardò e lentamente si rimise a sedere.

“Se non altro tu gli ordini li segui!” disse sorridendole e strappando un sorriso anche ad Alexis, pienamente cosciente che si riferisse a suo padre.

“Se sei venuta fino a qui un motivo ci deve essere e dal momento che non sei come tuo padre, questo motivo non può essere solo quello di infastidirmi o farmi perdere tempo.”

Alexis sorrise di nuovo. Riportò lo sguardo sulle sue mani e dopo un respiro aggiunse: “Ho bisogno di parlare con qualcuno… e questo qualcuno non può essere mio padre… e mia nonna, lo sai, è fuori di testa… e mia madre peggio ancora… e Paige dice cose senza senso…”

“Ashley? Tuo padre mi ha detto che state ancora insieme e che il vostro rapporto va a gonfie vele.”

“Sì… beh… è così. Ma non posso parlare con lui perché è lui il problema. Non nel senso che io abbia problemi con lui, gli voglio bene e lui me ne vuole e non ha fatto niente di sbagliato ma…”

Durante il farfugliamento privo di senso le guance di Alexis iniziarono a diventare rosse e Kate decise di interromperla prima che il suo viso raggiungesse la stessa tonalità dei suoi capelli.

“Sono qui, Alexis, se hai bisogno di parlare sono sempre disposta ad ascoltarti.”

Il volto di Alexis si rilassò e sorrise alla Detective con gratitudine.

“Ma a due condizioni,” aggiunse Kate afferrando il suo giubbotto di pelle e incamminandosi con la mano sulla spalla di Alexis verso l’ascensore, “La prima è che tu chiami tuo padre e gli dica esattamente dove sei.”

“Ma Detective poi inizierebbe a tartassarmi di domande e vorrebbe sapere cose le ho detto, perché sono venuta da lei, perché non sono andata da lui visto che è il perfetto padre moderno e non mi darebbe pace… Oltre al fatto che non darebbe pace neanche a lei Detective,” aggiunse, fiera di aver forse trovato un modo per evitare questa condizione.

Beckett sorrise alla sottile astuzia dell’adolescente, i geni di suo padre erano decisamente presenti nel suo DNA!

“Nice try, Alexis, ma so gestire tuo padre, non transigo su questa cosa!”

Con voce rassegnata Alexis emise un flebile “Va bene,” iniziando a cercare il cellulare nella borsa. “E qual è la seconda?”

“Che tu la smetta di chiamarmi Detective e darmi del lei, mi stai facendo sentire vecchia decrepita,” le disse abbracciandola e facendole tornare il sorriso.

“Chiamo mio padre ma cosa gli dico? Dove stiamo andando?”

“A casa mia… ho come la sensazione che quello di cui mi vuoi parlare non sia adatto alla centrale operativa di un distretto di polizia con troppe persone curiose intorno.”

La faccia di Alexis tornò in un secondo ad essere rossa e Kate ebbe la conferma che non si stava sbagliando.

 

**

 

Salirono sulla Crown Vic e si diressero verso casa di Kate. Alexis aveva già composto il numero di suo padre e stava aspettando che rispondesse mentre la sua gamba aveva preso a muoversi nervosamente.

“Ciao papà… no, non sono da Paige… lo so che ti avevo detto che andavo a casa sua ma… papà, devo ricordarti che non sono te e non faccio cose stupide?”

Kate sorrise alla conversazione a senso unico a cui stava assistendo. Non sentiva le risposte di Castle ma poteva tranquillamente immaginarle ormai.

“Sono col Detective Beckett.”

Kate vide Alexis allontanare il telefono dall’orecchio, Castle era già nel panico più completo.

“No, papà, non sono ferita, non sto per morire, non sono stata rapinata né tantomeno arrestata, ok? Sono andata al distretto perché volevo parlarle e ora stiamo andando a casa sua… Papà, lo so che posso parlare con te di qualsiasi cosa ma… lo so che sei un padre moderno e che qualsiasi cosa sia successo tu hai fatto di peggio, ma puoi accettare una volta, senza farne un dramma, che preferisca parlare con una donna invece che con te? La spiegazione su come usare un assorbente mi ha già assicurato 15 anni di psicoanalisi!”

A questo Beckett non riuscì a trattenere una risata. Sarebbe stata curiosa di chiedere ad Alexis cosa le aveva raccontato,  ma aveva quasi paura a domandarglielo. Il buonumore di Kate sparì quando sentì Alexis dire: “Ok, te la passo”.

MERDA! Questo proprio non l’aveva calcolato! Perché voleva parlare con lei? Gli affidava la sua vita tutti i giorni, non si fidava adesso di cosa potesse dire a sua figlia? E intanto la tachicardia era partita, il respiro si era fatto pesante e i suoi muscoli si rifiutavano di collaborare per afferrare il cellulare che Alexis le stava passando.

Calmati Kate, è solo Castle! Vorrà solo assicurarsi che sua figlia stia bene, che non mi stia disturbando e che la riporti sana e salva a casa per cena. Te lo sei quasi sbranato vivo ieri sera, non avrà il coraggio di tirare nuovamente fuori l’argomento.

Prese il telefono di Alexis e si preparò a sentire la sua voce, “Ehi, Castle.”

“Ehi,” le rispose lui con un tono più profondo del normale.

Non farmi la voce da camera da letto, Castle… per lo meno non quando sto guidando e nel sedile accanto ho tua figlia… Ma cosa dico?? Non farmela mai!

Riprese il controllo di sé stessa e col tono più duro che in quel momento poteva tirar fuori lo esortò a continuare a parlare.

“Dimmi, Castle.”

“Sì, scusa, è che… volevo sapere…”

“Sto guidando, non ho tutto il giorno,” quasi si sentiva in colpa a trattarlo così duramente ma era l’unico modo per gestire la situazione, chiudersi a riccio.

“Alexis ha qualche problema? In genere si confida con me… non che non mi fidi del tuo giudizio ma io sono suo padre, me lo diresti se ci fossero problemi, giusto? Nonostante quello che è successo ieri ser…”

Lo interruppe prima che potesse concludere la frase, “Castle, per chi mi hai preso? Pensi che mi farei influenzare da fatti personali? Anche il solo fatto che tu lo stia mettendo in discussione mostra quanto avessi ragione io,” disse quasi in un soffio.

“Kate, scusa! Hai ragione! Lo sai che se mi succedesse qualcosa vorrei che Alexis vivesse con te…”

Non aggiunse altro, sapeva che Beckett avrebbe assorbito interamente la serietà e l’importanza di quelle parole. E non si sbagliava. Quando Castle era convinto di essere stato colpito dalla maledizione della mummia le aveva chiesto di prendersi cura di sua figlia nel caso gli fosse successo qualcosa di grave e, già allora, quella richiesta l’aveva sconvolta.

“Appena abbiamo finito di parlare la riaccompagno a casa e mi assicuro che entri in ascensore prima di andarmene, ok?”

“Aspetta, perché non rimani a cena con noi? Potremmo parlare.”

“Non mi pare il caso, Castle, devo andare ché siamo arrivate. Ciao.”

Riattaccò prima che lui potesse aggiungere altro e passò il telefono ad Alexis che la guardava perplessa.

“Va tutto bene tra te e mio padre?”

“Sì, perché me lo chiedi?”

“Non è stato il vostro modo solito di conversare quello a cui ho assistito…”

Una volta Castle le aveva detto che nella sua famiglia erano tutti un po’ sensitivi ma sperava che questa dote non si fosse tramandata fino ad Alexis. Per fortuna che aveva assistito solo alla sua parte di conversazione perché non avrebbe saputo risponderle se le avesse chiesto che cosa fosse successo la sera precedente.



To be continued...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


*************************************FLASHBACK*****************************************

L’unico modo per avvicinare il sospettato era farlo sotto copertura e infiltrarsi in un club di lusso con una Ferrari sarebbe stato molto più facile che farlo con la sua macchina che urlava “POLIZIA” in ogni bullone. Beckett era passata da casa a cambiarsi e non poteva negare a sé stessa che la scelta di quel vestito era stata dettata anche dalla voglia di stuzzicare un po’ Castle, sfruttando la comodissima scusa del lavoro sotto copertura. Non avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, che lo aveva scelto per fare un po’ colpo su di lui. Anche perché lei era felicemente impegnata con Josh. Ma provocarlo un po’ che male avrebbe fatto?

Poi aveva accompagnato Rick a casa sua per cambiarsi e per prendere le chiavi della rossa italiana che sarebbe stata la loro carrozza per la serata. Ovviamente Beckett non si fece scappare l’occasione di poterla guidare. Per tutto il viaggio ignorò lo sguardo insistente di Castle che non l’aveva abbandonata neanche un secondo: l’aveva squadrata da capo a piedi prima di soffermarsi col suo sguardo sulle sue gambe, decisamente poco coperte dalla minigonna. Se in altri momenti lo avrebbe redarguito con una battuta piccata, quella sera Beckett decise di lasciarsi andare un po’ e godersi quello sguardo che la faceva sentire donna, viva e desiderata. Ma non poteva rischiare che Castle si accorgesse che queste attenzioni erano ben accette e quindi schiacciò il piede sull’acceleratore facendo tuonare quel motore e schivando le altre macchine come un pilota provetto. Il cambio di velocità bastò a far distogliere lo sguardo allo scrittore e riportarlo sulla strada. Quando inchiodò davanti al  locale non poté reprimere il sorrisetto di vittoria nel vederlo sconvolto e quando gli disse “Bella macchina” sapeva che aveva segnato il suo primo punto della serata.

Prima di entrare controllò che Esposito e Ryan fossero appostati all’uscita sul retro e controllò i microfoni.

“Esposito, Ryan mi sentite?”

“Forte e chiaro Beckett! Ma perché noi abbiamo la tua macchina con le molle dei sedili conficcati nella schiena e tu hai appena guidato una Ferrari?”

“Privilegi di essere il capo, Esposito. Adesso occhi aperti perché non possiamo lasciarcelo scappare. Io e Castle entriamo e cerchiamo di seguirlo, se esce vi avverto e a quel punto dovete entrare in azione voi. Tutto chiaro?”

“Chiaro, Beckett,” risposero in coro l’Ispanico e l’irlandese.

“Andiamo, Castle, la serata ci aspetta.”

***************************************************************************************

“Kate, è verde,” la svegliò dal tuffo nel passato Alexis.

“Sì, scusami,” disse ripartendo con la macchina e parcheggiando pochi isolati dopo davanti casa.

Salirono al suo piano e Beckett fece entrare Alexis nel suo nuovo appartamento. L’adolescente girò un po’ per la casa prima di esclamare un “WOW, ma è fighissimo!”

Beckett sorrise alla faccia entusiasta della piccola Castle. Era soddisfatta anche lei della personalità che era riuscita a infondere al suo appartamento. Mancavano ancora alcune cose, alcuni accorgimenti, ma condivideva il parere di Alexis.

“Accomodati pure. Posso offrirti qualcosa da bere? Non ho molto in frigo ma una coca cola credo di poterla trovare,” le chiese mentre si avviava verso la cucina.

“Mi basta un bicchiere di acqua, grazie, Kate,” disse sedendosi e prendendo in mano il cuscino con la bandiera del Regno Unito che Kate aveva sul divano e giocherellandoci nervosamente.

Kate le posò il bicchiere davanti e si sedette accanto a lei. La osservò per un po’ sorridendo, ricordando con nostalgia quando aveva la sua età e aveva questo tipo di chiacchierate con sua madre. Era sempre stata chiusa e riservata sul suo privato, non lo era diventata dopo la morte di sua madre, come tutti pensavano. La differenza era che Johanna Beckett poteva stare delle ore in silenzio a osservarla e ad aspettare che si sentisse pronta ad aprirsi e a condividere tutti i suoi pensieri, dai più sciocchi ai più profondi, a farsi confortare con parole dolci o con solo un abbraccio o un sorriso. Con la sua pazienza era riuscita a farsi confidare tutto, dalla prima cotta al primo bacio, dal primo innamoramento e alle prime sofferenze d’amore. Le aveva persino confessato che con quel ragazzo che puzzava di flanella e sigarette scadenti c’era stata solo perché stava tanto antipatico a loro. E ora si rendeva conto, guardando quell’adolescente nervosa di fronte a lei, che nonostante le avessero strappato via la madre troppo presto, lei una madre l’aveva avuta ed aveva ricordi teneri ed intimi con lei che Alexis non avrebbe mai avuto nonostante un padre magnifico che, doveva riconoscerlo, aveva fatto con lei un lavoro straordinario, rendendola la quasi donna che era, matura, responsabile e sicura di sé.

“Grazie,” la debole voce Alexis ruppe il silenzio.

“E di cosa? Del bicchiere d’acqua?”

“Di stare aspettando che trovi la forza di iniziare a parlare senza mettermi ansia, di essere qui con me e di essere disposta ad ascoltare i problemi idioti di un’adolescente…”

“Come ti ho già detto Alexis, io ci sono per te. Sempre e comunque. Non farti mai problemi a venire a parlarmi. E sul fatto di lasciarti tempo per prendere coraggio… ho tutto il pomeriggio a disposizione.”

Alexis le sorrise con gratitudine, prese un respiro profondo e portando nuovamente gli occhi sul cuscino trovò il coraggio di aprirsi. “Tra due settimane è San Valentino…”

“Ed è il primo San Valentino per te e Ashley, giusto?” le chiese sorridendo teneramente.

“Sì… e lui… mi avrebbe proposto di… invece di cercare un regalo… insomma… di andare a Boston per tre giorni,” disse abbassando il tono della voce tanto che Beckett riuscì a mala pena a sentire quanto sarebbe durato il loro viaggio. Non aveva ormai troppi dubbi su quale fosse il problema che assillava Alexis ma decise di darle ancora del tempo e farcela arrivare con calma.

“Che pensiero carino! E poi Boston è romantica oltre al fatto che si mangiano aragoste fantastiche, se vuoi ti consiglio qualche posto.”

“Beh, grazie ma… non è esattamente il cibo il problema…” le disse alzando lo sguardo con occhi che la imploravano di trarre le sue conclusioni senza che dovesse esprimerle a parole.

Beckett decise di venirle incontro, “Immagino che Ashley non abbia previsto due camere separate in albergo, giusto?” La Detective disse facendole l’occhiolino e ricevette da Alexis un sorriso di estrema gratitudine per la complicità, oltre a un ennesimo arrossamento delle sue guance.

“Stiamo insieme da 4 mesi… e insomma noi… ecco… non abbiamo ancora…”

“Non avete ancora avuto rapporti sessuali?” terminò la frase Kate venendole nuovamente incontro.

“Già,” disse Alexis buttandosi  contro lo schienale e coprendosi il volto col cuscino essendo diventato l’imbarazzo ancora più intenso. Kate scoppiò a ridere e le strappò il cuscino di mano sbattendoglielo scherzosamente in testa prima di metterlo dietro di sé.

“Non c’è niente di cui essere imbarazzati Alexis, è normale alla tua età non aver ancora fatto certe esperienze, è altrettanto normale aver voglia di farle e lo è ancora di più l’essere nervosi e insicuri a riguardo.”

Alexis voltò la testa e le piantò quegli immensi occhioni azzurri nei suoi, identici a quelli di suo padre.

“Posso chiederti come è stata la tua prima volta?” chiese timidamente.

Kate sorrise malinconica al ricordo, appoggiò la testa allo schienale del divano imitando la posizione che aveva assunto Alexis e guardò il soffitto come se fosse lo schermo di un cinema dove venivano proiettate immagini del suo passato.

“Alexander Reed. Un anno più grande di me, fisico da giocatore di pallacanestro, occhi e capelli nerissimi e un sorriso che mi faceva tremare le gambe ogni volta che lo sfoderava.”

Fece una pausa ricordando la prima volta che le aveva chiesto di uscire, timido e insicuro, caratteristiche così assurde per un ragazzo della sua bellezza e popolarità. Era come se non si rendesse conto dell’effetto che aveva sulle ragazze e che si aspettasse, per qualche inspiegabile motivo, un rifiuto.

“Per mesi sono passata davanti alla palestra durante i suoi allenamenti solo per guardarlo da lontano, per vederlo uscire dagli spogliatoi con i capelli ancora bagnati dalla doccia e ogni volta che mi passava accanto mi rivolgeva un sorriso.”

Si girò verso Alexis che la stava ascoltando attentamente, decisamente più a suo agio ogni minuto che passava.

“Un giorno, mentre ero sulle tribune a fare un noioso esercizio di trigonometria mi si sedette accanto e con la scusa di aiutarmi a risolverlo, dato che per lui era programma dell’anno precedente, abbiamo iniziato a parlare e due sere dopo affrontava l’interrogatorio di Jim Beckett su dove mi avrebbe portata, come, perché… sai, queste cose da padri gelosi.”

“Almeno il tuo non si è presentato a casa con una pistola in mano o gli ha aperto la porta con un camice insanguinato.”

Kate rise. Castle le aveva raccontato dei pessimi primi incontri con i ragazzi di Alexis e poteva solo immaginare quanto avessero imbarazzato la povera ragazza.

“Dopo tre mesi passavamo i pomeriggi a casa sua perché i suoi genitori lavoravano fuori Manhattan e non tornavano a casa fino alla sera. All’inizio i pomeriggi sul divano a guardare la tv erano davvero tali, ma man mano che passava il tempo la tv diventava sempre meno presente nelle nostre attività e sempre più una scusa per ritrovarsi sdraiati insieme su un divano.”

Arrossendo Alexis ammise che conosceva la situazione.

“Posso chiederti fin dove, i vostri pomeriggi di televisione, vi hanno spinto?” le chiese guardandola negli occhi sperando di infonderle il coraggio di aprirsi liberamente senza vergognarsi di farlo.

Il primo istinto di Alexis fu quello di distogliere lo sguardo, non abituata a domande così personali sulla sua vita intima e non essendo abituata a condividerli con nessuno. Poi si rese conto di quanto quella persona che poco conosceva stesse dandole, sia in fatto di tempo che di apertura, e si sentì sciocca nel vergognarsi di fronte a lei. Prese un profondo respiro e si girò completamente verso Kate, pronta ad affrontare questa conversazione senza troppi imbarazzi.

“Diciamo che non siamo mai rimasti senza pantaloni.”

“E?”

“Ed è sempre colpa mia. Lui andrebbe oltre, mi dice che si sente pronto e che non devo preoccuparmi perché anche lui è terrorizzato.”

“Anche per lui sarebbe la prima volta?”

“Sì, ma questo non sembra terrorizzarlo quanto me, continua a ripetermi che il fatto che ci amiamo basterà a sopperire il fatto che siamo entrambi imbranati in materia e che non dovrei preoccuparmi.”

“Capisco,” aggiunse Kate, “Sai cosa non mi convince di questo discorso?” chiese controllando di avere la piena attenzione della ragazza, “Che il fulcro è sempre Ashley. La colpa è tua, lui vuole, lui dice, lui pensa. Sai cosa ti dico? Ashley mi piace da quel che posso aver sentito da tuo padre, ma a me importa solo una cosa: cosa pensa e cosa vuole Alexis Castle e questo dovrebbe essere il tuo unico pensiero. Uomini e donne gestiscono i rapporti in maniera molto diversa e i tempi che servono a noi per vincere certe paure e certe insicurezze, saranno SEMPRE più lenti di quelli che servono a loro. E allora, soprattutto alle prime esperienze, dobbiamo tirare fuori un po’ di sano egoismo e cercare di dimenticare che loro sarebbero già pronti a entrare in azione e ascoltare solo quello che ci dice il nostro corpo, le nostre emozioni, la nostra sensibilità e, per quel poco che funziona in certe circostanze, la nostra testa. Ashley ti sta facendo pressioni?”

“No, a dire il vero quando mi ha proposto di andare a Boston ha subito chiarito che  non si aspetta niente, che il fatto che dormiremo insieme non vuol dire che per forza dovremo farlo e che non succederà niente che io non voglia succeda.”

Kate sorrise. Questo Ashley continuava a guadagnare punti stima ed era felice che Alexis avesse trovato un ragazzo sensibile e che riusciva a ragionare anche con la testa e non solo con gli ormoni.

“Questo vuol dire che Ashley ti rispetta e sono felice di questo.  Quindi devi risponderti solo a una domanda: cosa VUOLE Alexis?”

La ragazza sospirò e fissò lo sguardo sul bicchiere d’acqua di fronte a lei.

“Non lo so. Da una parte vorrei aspettare ancora, dall’altra… E’ che sono terrorizzata da quello che mi provoca, è molto più grande di me e non riesco a gestirlo.”

“Spiegati meglio.”

“La settimana scorsa, quando nonna era in tournèe e papà era con te al distretto, Ashley è passato a trovarmi nonostante gli avessi detto che dovevo studiare per l’esame di letteratura e che non potessi perdere neanche 5 minuti. Alla fine ci siamo ritrovati stesi sul divano come sempre. Inizialmente ero quasi scocciata perché continuavo a pensare alle pagine che dovevo ancora studiare. Poi..”

L’imbarazzo di Alexis era sempre più evidente.

“… Mentre ci stavamo baciando, sì, insomma… una delle sue gambe è finita in mezzo alle mie e… insomma…”

Dire che Alexis era rossa adesso era davvero un eufemismo.

“Alexis, calmati. Fai un bel respiro, bevi e rilassati. Non c’è  niente di cui vergognarsi in quello che mi stai dicendo. Era la prima volta che succedeva?”

“No, sì… diciamo che era la prima volta che provavo… ci eravamo sempre fermati prima che io…”

“Raggiungessi un orgasmo?” era strano anche per Kate parlare così esplicitamente, ma voleva che Alexis capisse che non erano argomenti tabù in modo da riuscire a viversi in modo sereno e sano la sua sessualità.

Alexis annuì solo con la testa, abbassando lo sguardo e facendo scivolare i lunghi capelli davanti quasi a coprirsi.

Con un gesto così materno che stupì anche lei, Kate prese un ciuffo dei rossi capelli e lo riportò dietro l’orecchio.

“E com’è stato?”

Alla domanda, Alexis alzò nuovamente la testa e fissò lo sguardo sulla sorridente Detective. Si lasciò andare e si liberò a un sorriso sincero prima di risponderle.

“E’ stato… potente, inaspettato, bello ma allo stesso tempo mi ha terrorizzato.”

La faccia perplessa di Kate spinse Alexis a continuare, “In quel momento la razionalità era sparita, avevo un dovere da fare quel pomeriggio e non me ne importava niente, quelle emozioni hanno cancellato completamente dalla mia testa ciò che dovevo fare e non mi piace perdere così il controllo. Ti è mai capitato? E’ con tutti così?”

Capiva perfettamente cosa Alexis stava provando. Lei lo aveva vissuto meno di 24 ore prima… E poteva quasi con certezza affermare che con nessun altro aveva provato niente di simile.

Sorrise all’adolescente e aggiunse in un soffio “No, Alexis, non è con tutti così.”


Angolo dell'autrice: per prima cosa grazie della positiva risposta al primo capitolo... spero che vi piaccia anche il secondo anche se ancora non rivela il grande mistero...
Nel primo capitolo mi sono dimenticata un ringraziamento particolare a Mari e Ivo che hanno partorito al posto mio il titolo della storia... thanks!!!!!!
Che altro?? Grazie di aver letto e a presto! Baciiiiiiiiiiii

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


*************************************FLASHBACK*****************************************

Il locale era affollatissimo e questo permetteva a Beckett di ballare più vicina a Castle di quanto un’operazione sotto copertura avrebbe richiesto. Quella sera si stava divertendo a provocarlo e la consapevolezza che ci stava riuscendo era un potente additivo al suo ego. Da quando lui se n’era andato con la sua ex, lasciandola tutta l’estate da sola, doveva ammettere che la sua autostima aveva subito un brutto colpo. Neanche Josh, con tutte le sue attenzioni e premure, era riuscito a ricucire quella ferita procurata dall’essere stata rimpiazzata con tanta facilità.

Iniziò a muovere sinuosamente il suo corpo a ritmo di musica, si passò le mani tra i capelli e si girò improvvisamente verso di lui, con le labbra semi aperte e uno sguardo che non lasciava spazio a fraintendimenti: MANGIAMI! Decisamente c’era in lei più Nikki Heat di quanto Castle potesse effettivamente sospettare. Era consapevole del proprio sex appeal e sapeva come valorizzarlo quando voleva.

“Prendi due drink e tieni gli occhi aperti.”

Aveva notato il pomo d’Adamo dello scrittore avere un sussulto quando si era avvicinata deliberatamente piano verso di lui. Era fin troppo facile prenderlo in giro, pensò. Si era poi allontanata continuando a muoversi, conscia del suo sguardo su di lei, dirigendosi verso il loro obiettivo.

Non resistette alla tentazione di coglierlo in flagranza di reato, così si voltò giusto in tempo per vedere i suoi occhi magneticamente attratti dal suo fondoschiena. Mascherò il sorriso provocato dalla sua aria colpevole e tornò in modalità poliziotto. Era lì per prendere un assassino, non per giocare con gli ormoni di Castle.

Si avvicinò al privè e individuò lo spacciatore circondato da belle ragazze decisamente poco vestite.

“Obiettivo trovato, tento avvicinamento,” comunicò ai colleghi che stavano aspettando al gelo Newyorkese.

Iniziò a ballare in modo provocante cercando di attirare le sua attenzione e incrociare il suo sguardo ma il trafficante sembrava troppo impegnato e ispezionare il corpo della bionda al suo fianco per accorgersi di lei.

“Ehi, ecco il tuo Martini,”disse Castle porgendole il bicchiere.

Lo afferrò e continuò a ballare di fronte a lui fingendo di sorseggiare il drink. Del resto era in servizio.

“Il tizio sulla poltrona, è lui il nostro obiettivo,” gli disse in modo che Castle non lo perdesse d’occhio adesso che lei gli dava le spalle.

“Devo chiedergli come fa a rimorchiare certe ragazze perché la bionda a cui sta analizzando le tonsille non è niente male!”

“Concentrati, Castle!” disse secca, guidata forse più dalla punta di gelosia che dall’interesse per l’operazione.

“Tranquilla, Beckett, non ha neanche la metà della tua bellezza.”

Per fortuna che le luci della discoteca stavano mascherando il suo arrossamento perché questo avrebbe dato a Castle un ulteriore appiglio per una delle sue battute. Stava per rispondergli quando Castle la interruppe nuovamente.

“Si sta muovendo, si dirige verso i bagni.”

“Seguiamolo, non dobbiamo perderlo di vista.”

Lo videro girare l’angolo e Beckett allungò il passo, non voleva rischiare che uscisse dalla porta sul retro senza essere visto. Afferrò Castle per la giacca per trascinarlo con sé e non lasciarlo troppo indietro, in fondo era la sua copertura. Girarono l’angolo anche loro e quasi andarono a scontrarsi col sospettato che si era fermato a intrattenersi nuovamente con la bionda. Il loro arrivo concitato lo aveva allarmato e adesso stava guardando esattamente verso di loro.

Non c’era altro da fare, solo uno poteva essere il motivo per cui una coppia corre verso il bagno di una discoteca.

Lo attirò a sé guidata dall’istinto, memore di tutti gli insegnamento acquisiti all’Accademia. Sentiva ancora la voce del suo istruttore ripeterle: “Fai qualsiasi cosa per non bruciarti la copertura” e così agì nello stesso modo in cui avrebbe agito se si fosse trovata con Esposito. Ma la differenza era notevole: la persona che teneva per il colletto della camicia e che aveva le labbra attaccate alle sue non era Esposito, era Castle.

Sentì distintamente il corpo dello scrittore irrigidirsi per la sorpresa e pochi secondi dopo rilassarsi e appoggiarsi maggiormente al suo, imprigionandola contro il muro. Fu il suo turno, quindi, di irrigidirsi. Aveva dovuto fronteggiare tante emozioni forti nella sua vita, dalla paura per la propria vita all’amore, dal lutto alla rabbia più feroce, ma niente l’aveva preparata al turbine di sensazioni contrastanti che il contatto col corpo di Castle le stava provocando.

Lasciò il colletto della sua camicia e portò le mani sulle sue grandi spalle per allontanarlo da sé quando sentì la lingua di lui percorrerle delicatamente il labbro inferiore. Le mani di Kate, intenzionate fino a quel momento a mettere un po’ di distanza tra i loro corpi, deviarono la loro traiettoria per dirigersi verso il collo, iniziando a sfiorare i corti capelli della nuca dello scrittore. Quando la lingua di Rick le percorse timidamente anche il labbro superiore Kate non resistette alla tentazione di scoprire il suo sapore e schiuse le labbra invitandolo ad approfondire quel contatto che entrambi bramavano di avere. Il primo tocco tra le loro lingue fu una scossa elettrica talmente forte che entrambi si staccarono dalle labbra dell’altro, sconvolti da una tale bufera di emozioni. Kate vide nello sguardo di Rick la stessa confusione che immaginava fosse nel suo e nel momento in cui i suoi occhi si posarono su quelle meravigliose labbra, il suo corpo si trovò nuovamente schiacciato contro quello di Castle.

In altre circostanze si sarebbe sentita minacciata e offesa dal poco controllo che lo scrittore le stava lasciando, ma in quel momento adorava quell’esibizione di maschilismo e leggera prepotenza che stava dimostrando: una mano le afferrava i capelli tenendole la testa inclinata come LUI voleva, l’altra le stringeva un fianco facendola aderire maggiormente al suo corpo e la sua lingua imprimeva un ritmo dettato da sete di comando, da sete di LEI. Kate Beckett non amava perdere il controllo ma quel gemito che non era riuscita a trattenere quando l’erezione di Castle aveva sfiorato la sua femminilità aveva sancito la sua totale resa.

Spinta dal puro istinto e dalla passione, Kate iniziò ad ondeggiare i fianchi assecondando il movimento di Castle che nel frattempo aveva spostato la sua mano più a sud, dove il suo corto vestito lasciava la sua pelle più scoperta e vulnerabile al suo tocco. Le loro labbra si staccarono solo quando il bisogno d’aria divenne più prepotente del bisogno del sapore dell’altro. Ma quando la bocca di Castle sfiorò il suo collo, il nome dello scrittore scivolò fuori dalle sue labbra in un sussurro.

“Rick…”

“BECKETT!” La voce di Esposito le rimbombò nell’auricolare, riattivando in un attimo tutti i suoi istinti.

Spinse Castle lontano da sé e si guardò intorno con aria colpevole, come se fosse stata colta con le mani nella marmellata.

“BECKETT, rispondi. Individuo somigliante al nostro obiettivo ad ore 12 di fronte a noi. Attendiamo conferma prima di entrare in azione.”

Girò velocemente la testa in direzione della porta sul retro: era aperta e del sospettato nessuna traccia.

“Merda,”urlò sbattendo un pugno contro il muro dietro di lei. “Affermativo, è lui, intervenite con la massima urgenza, non lasciatevelo scappare.”

Lasciò cadere tutto il peso del suo corpo sul muro e chiuse gli occhi in attesa di notizie dall’esterno. Solo quando la voce di Esposito l’aveva rassicurata della cattura avvenuta, Kate rilasciò il respiro che stava trattenendo passandosi entrambe le mani tra i capelli.

Era successo. C’erano voluti tre anni ma sapeva che prima o poi quella collaborazione avrebbe finito per danneggiare il suo lavoro. Quello che non s’aspettava era di non poter scaricare interamente la colpa su Castle per questo.

Aprì gli occhi e incrociò lo sguardo di lui: timore, eccitazione, insicurezza e qualcosa a cui non sapeva o non voleva dare un nome. Distolse lo sguardo immediatamente, si sistemò il vestito e si allontanò da lui senza dire una parola.

Prima di uscire dalla porta si voltò, stupita che lui non la stesse seguendo. Lo vide respirare profondamente, con la schiena contro il muro, prima di aggiungere: “Dammi un attimo e ti raggiungo.”

Si voltò e uscì dalla discoteca. L’aria fredda della notte Newyorkese e i sensi di colpa per non aver fatto al massimo il suo dovere, dissiparono in un attimo i residui della passione e del calore provati poco prima.

***************************************************************************************

“Ma quando si capisce che è il momento giusto?”

La dolce voce di Alexis la portò, ancora una volta, alla realtà. Girò la testa verso di lei per concentrarsi sulla domanda che le era stata rivolta ed eliminare il tumulto interiore che i ricordi avevano fatto riaffiorare.

Prese un profondo respiro e sorrise confidente ad Alexis.

“Sai, anche nel mio caso, le attività su quel divano erano interrotte da mie richieste di fermarsi. Per certi versi la mia situazione era anche più difficile dato che per lui non era la prima esperienza e mi sentivo in colpa per obbligarlo a rispettare i miei ritmi causati da paure che lui non aveva più. Ma, come nel caso di Ashley, anche lui era un ragazzo di una sensibilità fuori dal comune e mi rispettava forse molto più di quanto abbiano mai fatto fidanzati successivi.

Dopo mesi di pomeriggi interrotti ogni volta che lui si avvicinava troppo al bottone dei miei jeans, quel giorno, quando la sua mano sfiorò timidamente quel gancio metallico, le parole “Alex fermati” non riuscirono a trovare la via d’uscita. Ricordo ancora la sua espressione quando, dopo qualche minuto, si staccò da me, stupito di non aver ancora ricevuto un segnale di stop. Credo che il mio sguardo trasmettesse tutta l’insicurezza e la paura che potessi provare perché mi sorrise e mi accarezzò delicatamente la guancia, mentre le mie mani gli dettero la risposta che stava cercando. Fui io stessa a sganciare il bottone dei miei jeans e poi dei suoi, con mani tremanti, prima di ricominciare a baciarlo.

Alexis, non so dirti cosa cambiò nella mia testa quel pomeriggio e non so neanche se effettivamente quello fosse il momento giusto. So solo che in quell’istante la voglia di essere con lui e vivere quell’esperienza e quell’amore che provavo era più forte delle mie insicurezze e delle paure che fino al giorno prima mi avevano bloccato.”

Alexis continuava a guardarla con uno sguardo intenso, sembrava ponderare parola per parola tutto quello che le stava dicendo cercando di assorbirne il significato profondo.

“E com’è stato?” chiese infine timidamente.

“Magico, tenero, dolce e allo stesso tempo imbarazzante, terrificante e impacciato,” disse scoppiando a ridere e contagiando nella risata anche Alexis.

“Non posso dirti che è stata la volta più bella della mia vita, ma neanche una che vorrei dimenticare come purtroppo è successo con altre. Il viaggio più bello inizia in quel momento, quando si tratta di imparare a conoscersi  e scoprirsi a vicenda. E imparare a scoprire anche sé stessi più intimamente di quanto si creda possibile.”

Si ritrovò stretta nell’abbraccio di Alexis senza neanche aver tempo di realizzare, “Grazie Kate.”

Portò la sue braccia sulla schiena dell’adolescente e ricambiò l’affettuoso gesto, “Di niente, Alexis. Spero di esserti stata utile e per qualsiasi cosa non dimenticarti che io sono qui.”

 

**

Dopo un’ora si ritrovarono sedute in macchina davanti al palazzo di Castle.

“Sei sicura di non voler salire? Potresti cenare da noi e poi guardiamo un film insieme.”

“Un’altra volta magari, grazie, Alexis.” Per quanto quella vicinanza creata con Alexis rendesse la fine di quel pomeriggio dura, non c’era possibilità che fosse pronta a condividere una serata con Castle. Vide lo sguardo dell’adolescente scrutarla per un po’.

“E continui a sostenere la teoria che va tutto bene tra te e mio padre?”

“Alexis…”

“Lo so… i rapporti tra gli adulti sono complicati e non li posso capire, giusto?”

Kate sorrise, colta sul fatto. Era esattamente quello che stava per dirle.

“Buonanotte, Alexis, sogni d’oro.”

Alexis sbuffò e aprì la portiera della macchina rassegnata, “’Notte, Kate, e grazie ancora.”

Aspettò che il portiere chiudesse la porta dietro  Alexis e che la ragazza fosse salita sul lussuoso ascensore prima di immettersi nuovamente nel traffico, diretta verso casa.

Angolo autrice: date le pessime notizie provenienti da oltre Oceano, consoliamoci con la nostra fantasia!
Il Flash back non è ancora finito... ma vi ho finalmente dato un'idea di quello che è successo!!!!
Grazie a tutti coloro che hanno speso minuti preziosi della loro vita a leggere e ancora più grazie a quelli che hanno recensito... siete troppo buone!!!
Cate

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


*************************************FLASHBACK*****************************************

La prima aria fresca della notte le schiarì i pensieri. Prese un profondo respiro e andò verso i suoi colleghi che stavano ammanettando il sospettato mentre lo trattenevano poco gentilmente contro la macchina.

“Yo, Beckett, guarda chi abbiamo qui?” la raggiunse la voce di Esposito mentre stringeva un altro po’ le manette.

“Portatelo in centrale per interrogarlo,” disse con tono risoluto grazie alla riacquisita lucidità.

Esposito aprì la portiera posteriore della macchina e fece entrare lo spacciatore dentro l’abitacolo. I due detective si batterono un cinque prima di aprire i loro sportelli. Si bloccarono entrambi quando la voce di Beckett interruppe la loro partenza.

“Scusatemi ragazzi,”disse abbassando lo sguardo imbarazzata, “Avrei dovuto avvertirvi che usciva e invece mi sono distratta! Se non fosse stato per voi l’avremmo perso e io non…”

“A cosa servono i partner altrimenti?” le disse Ryan sfoderando il suo sorriso e guardandola con quegli occhi azzurri che ogni volta le suscitavano un istinto di affetto fraterno.

Kate gli sorrise e sussurrò un “grazie”. Era davvero fortunata ad avere loro in squadra.

“A proposito di partner,” aggiunse Esposito, “Dov’è Castle? Ha trovato qualche bionda con cui divertirsi e improvvisamente noi siamo diventati il gioco noioso?”

Kate cercò di mascherare qualsiasi reazione scaturita dal nominare lo scrittore e maledì sé stessa per il fastidio che il solo supporre Castle con un’altra le aveva provocato.

“No,  è andato a prendere i nostri cappotti,” o almeno sperava che, una volta calmato, avesse riacquistato sufficiente lucidità mentale per farlo. “Per il rapporto, scrivete tutto dettagliatamente, mi assumerò le mie responsabilità davanti a Montgomery.”

“Non so te, Ryan,” sorrise l’ispanico, “Ma io ho chiaramente sentito la voce di Beckett dirci che il tizio stava uscendo.”

“Affermativo Bro!” disse l’irlandese salendo in macchina.

Beckett ed Esposito si sorrisero che quest’ultimo mettesse in moto e partisse” alla volta della centrale.

Osservò la vettura fino a quando non svoltò a sinistra e fu fuori dal suo campo visivo. Solo allora si girò per tornare verso il locale e vide Castle che con sguardo intimidito si dirigeva verso di lei con in mano il suo cappotto. Era il momento di affrontare la dura realtà.

Afferrò il cappotto dalle mani di Castle e si coprì, allontanandosi da lui e dirigendosi verso il parcheggio per recuperare la Ferrari. La sua mente stava correndo a duecento chilometri orari e i pensieri più vari le passavano per la testa. Ma per quanto cercasse di intraprendere vie immaginarie di pensieri che la portassero lontana dalla realtà, dopo qualche volo pindarico la sua mente tornava sempre a quel bagno. E questo le ricordava brutalmente che aveva fallito.

Kate Beckett aveva poche certezze nella sua vita, ma una non era mai stata messa in discussione: era un buon Detective. Anzi, era la Detective più fottutamente brava di tutto il dodicesimo. Era professionale, attenta, empatica e determinata. La sua mente non staccava mai finché non aveva la certezza di aver fatto tutto al meglio e non aver tralasciato neanche un minimo particolare. E per colpa di Castle anche questa roccaforte era crollata.

“Kate…” sentì la voce di Castle alle sue spalle mentre allungava il passo per raggiungerla. Non si girò e continuò di passo svelto fino alla macchina. Ma prima di riuscire ad afferrare la maniglia dello sportello sentì la mano di Castle stringerle il braccio e obbligarla a voltarsi verso di lui.

“Kate, fermati,” gli occhi della Detective trasmettevano fuoco. Di questo ne era certa perché le era bastato uno sguardo sulla mano che Rick aveva sul suo braccio, per fargli capire che se ci teneva ad avere le dita integre sarebbe stato meglio toglierla. Non appena si fu liberata della presa gli diede uno spintone per allontanarlo.

“Si può sapere che cavolo ti è saltato in mente Castle? Per poco non mandi a monte l’operazione!” gli urlò.

“Cosa è saltato in mente a me? Guarda che sei tu che mi sei saltata addosso,” rispose lui adeguando il tono di voce a quello assunto da Kate.

“Castle, non hai 15 anni anche se vorresti dimostrare il contrario. Non credo che ci sia necessità di spiegarti che se siamo sotto copertura il sospettato deve vederci in faccia il meno possibile, no?”

“E mi pare che abbia funzionato, non ci ha visti.”

“Ma per poco non ci sfuggiva. Dal momento che non posso sperare che tu cresca da un giorno all’altro, questa collaborazione finisce qui.”

Castle si impietrì. Il respiro affannato per la lite era evidente dalle nuvolette di fumo che uscivano dalla sua bocca, rimasta aperta dopo la minaccia di rompere la loro partnership.

Anche Beckett era rimasta immobile e col respiro affannato. Quelle parole così dure e decise avevano stupito anche lei, se non fosse che era stata proprio lei a dirle. Si passò una mano tra i capelli e indietreggiò fino ad appoggiarsi alla costosa macchina senza staccare gli occhi dal volto dello scrittore. Lo vide alzare gli occhi al cielo e sorridere amaramente prima di cominciare ad avvicinarsi a lei.

“E sarebbe tutta colpa mia? C’eri anche tu lì dentro e non ho iniziato io a muovere il bacino contro il tuo,” disse avvicinandosi di un passo verso di lei.

“Castle non azzaddar…”

“E perché sei così arrabbiata? Non riesci ad ammettere che quel che è successo non ti ha lasciata indifferente,”aggiunse con un ulteriore passo.

“Castle, non ho provato assolut…”

“Oppure ti manda fuori di testa il fatto che in 3 minuti con me hai provato tutto ciò che non riesci neanche ad avvicinare con Josh?” sputò fuori con un sorriso di trionfo sulle labbra imprigionandola nuovamente, tra sé e la macchina.

“Non osare neanche nominar…”

“Oppure,” si chinò a sussurrarle all’orecchio, “Sei così nervosa solo perché non ho portato a termine il mio lavoro? Se tutto quello che vuoi è questo, sarò ben felice di accontentarti,” aggiunse in un sospiro portando la sua mano tra le gambe della Detective.

Senza il minimo uso della razionalità, Kate agì di puro istinto. Con minima fatica sbatté la faccia di Castle sulla sua macchina afferrandogli il braccio e portandoglielo dietro alla schiena con una forza tale che lo scrittore urlò per il dolore. Poggiò tutto il peso del suo corpo su quello di Rick, aumentando la pressione sul braccio imprigionato e arrivando all’altezza del suo viso, contratto in una smorfia di dolore.

“NON AZZARDARTI MAI PIU’ A TOCCARMI SENZA IL MIO CONSENSO,” scandì parola per parola, “SONO STATA CHIARA?”

Aspettò che Castle annuisse prima di lasciarlo.

“E tutto ciò che hai appena detto conferma solo quanto tu sia infantile e non mi conosca affatto come credi,” aggiunse prima di allontanarsi alla ricerca di un taxi. Vide con la coda dell’occhio lo scrittore massaggiarsi il braccio e si arrabbiò con sé stessa per provare quella punta di rimorso nell’avergli procurato dolore.

“Kate, aspetta dove vai? Ti accompagno al distretto.”

Kate si fermò e si girò verso di lui. Aveva la faccia dispiaciuta ed era sicura che le sue scuse sarebbero arrivate di lì a poco ma in quel momento non sapeva che farsene.

“Fammi un favore, Castle, e fallo a te stesso: esci dalla mia vita. Torna alla tua vita da scrittore miliardario, alle tue bionde prive di cervello, alle tue serate da VIP. Uccidi Nikki Heat e dimentica di avermi mai conosciuta,”disse prima di girarsi nuovamente e chiamare con un elegante gesto un taxi.

Kate aprì la portiera per salire quando la voce di Castle la interruppe nuovamente.

“E’ quello che farai? Dimenticare di avermi mai conosciuto?” la voce, quasi rotta dall’emozione, non nascondeva la paura verso la sua risposta.

“Sarebbe bello riuscirci,” aggiunse prima di salire sul taxi, chiudere lo sportello e sparire nel cuore della notte.

***************************************************************************************

 

Da tre giorni, le ipotesi su cosa potesse essere successo quella sera e in quel night club erano le più disparate e ormai giravano tra le pareti del dodicesimo distretto. L’improvvisa e prolungata assenza di Castle unita a una più che mai intrattabile Beckett erano bastate ad aprire immediatamente un giro “clandestino” di scommesse. Il tutto ovviamente alle spalle delle Detective. Alla loro vita ci tenevano.

“Ryan, non ci credo che tu non sappia niente, dammi un indizio e dividiamo la vincita,” sussurrò Karposky mentre fingeva di mostrare al Detective un file, con un occhio sempre attento ai movimenti provenienti dalla scrivania di Beckett, pronta a svignarsela in caso di pericolo.

“Pensi che io ed Esposito avremmo scommesso su cose diverse se avessimo più informazioni di voi? Ti ripeto che…”

“RYAN!” la voce tuonante di Beckett li interruppe.

“Allora ok, Karposky, faccio questo controllo e ti faccio sapere,” disse con tono fermo mentre Kate si avvicinava a lui. La ricciola Detective sparì velocemente, forse Beckett non sapeva niente, ma meglio non rischiare.

“Hai fatto il controllo incrociato sui conti bancari del Dottor Thomas come ti avevo chiesto?”

“Sì, ci stavo lavorando prima con Esposito ma ancora non…”

“Devo mandarvi anche Karposky in aiuto? Dovete essere in 5 per controllare due estratti conti? Scendo in obitorio da Lanie per vedere se ha delle novità, al mio ritorno voglio quel documento sulla mia scrivania.” E se ne andò senza aspettare neanche una replica. Sapeva di essere stata veramente troppo dura con Ryan, ma neanche le 3 ore di lotta e kick boxing della mattina erano riuscite a far sbollire tutte quelle energie represse che covavano dentro di lei. Era un mix letale: rabbia, frustrazione, impotenza erano solo alcune componenti del turbinio di emozioni contrastanti che guidavano da tre giorni il suo umore e le sue azioni.

“Tu su cosa hai scommesso?” disse facendo il suo prepotente  ingresso nella sala autopsie dove la sua amica patologa stava esaminando un corpo.

“Buongiorno anche a te! Allora è vero quello che si dice ai piani alti!”

Beckett aggrottò le sopracciglia.

“Che sei particolarmente irritabile, vedo che hanno ragione” aggiunse Lanie alla faccia interrogativa dell’amica.

“Fossero professionali invece di comportarsi come bambini non lo sarei. E a tal proposito, su cosa hai puntato i tuoi venti dollari?”

“Non so di cosa tu stia parlando, Kate,” disse l’anatomopatologa riportando l’attenzione sul povero cadavere, inconsapevole testimone della loro chiacchierata.

“Andiamo, Lanie, non fare la finta tonta con me, lo so benissimo che c’è una scommessa sulla scomparsa di Castle dal distretto. Il tuo caliente maschio latino è stato tanto discreto con questa cosa tanto quanto lo è stato nel gestire il vostro sordido inizio di relazione!”

“Anche tu hai notato quanto è caliente? Uhhh, ho i brividi al solo pensiero.”

“LANIE!”

“Ok, ok, potrei casualmente aver partecipato alla scommessa anche io…”

Kate alzò le sopracciglia per incitarla a continuare. Lanie la guardò, fece una teatrale pausa ed espirò prima di aggiungere: “Ho scommesso venti dollari che mentre ballavate ti ha palpeggiato il sedere e tu gli hai dislocato una spalla.”

Kate rise di gusto come non faceva ormai da qualche giorno.

“Non voglio sapere quali sono gli altri possibili scenari ma spero che mi vedano tutte protagonista di violenza su Castle.”

“Oh sì, qualcuno pensa che lo scrittore sia ormai morto e tu abbia occultato il cadavere.”

Sorrise amaramente. Era veramente arrabbiata, ma più passava il tempo e più si sentiva in colpa per le parole dette quella sera. Castle aveva le sue colpe ma la rabbia che provava era solo per sé stessa.

“Ti basti sapere,” la stuzzicò la detective, “Che nella tua versione c’è un fondo di verità.”

“Ti ha toccato il sedere?” squillò immediatamente entusiasta Lanie.

“No,” disse voltandosi verso l’uscita, “Gli ho dislocato una spalla,” aggiunse lasciando andare le porte dietro di sé uscendo dalla stanza.

“Cosa? Dove vai? Non puoi lasciarmi così! TORNA IMMEDIATAMENTE QUI!”

Le urla di Lanie accompagnarono il suo passo fiero e sorriso diabolico per tutto il corridoio. Era orgogliosa di quella piccola vendetta sui suoi amici. Chiamò l’ascensore proprio quando il suo cellulare iniziò a suonare e il nome di Ryan apparve sullo schermo.

“Beckett.”

“Sì, capo, so che sei da Lanie e non volevo disturbarti, ma… ecco…”

“Ryan, che c’è?”

“Castle è qui e ha chiesto di te,” sussurrò l’irlandese. Beckett poteva quasi immaginare la sua faccia, i suoi occhi che si stringevano per la paura di un suo urlo o rimprovero.

“Beckett, cosa gli dico?”

Castle era lì. Perché? Tre giorni di latitanza e ricompare in distretto cercandola. E quel mix letale di emozioni aveva ricominciato a muoversi sempre più velocemente, lasciandola con una sensazione di quasi vertigine che non sapeva come calmare.

“Sto salendo, digli di aspettarmi.”

Entrò in ascensore come un automa, si appoggiò alla parete, inspirò profondamente cercando, in quel breve tragitto, di mettere ordine nella sua testa. Doveva aver chiaro cosa voleva e cosa provava prima di ritrovarselo davanti o non sarebbe riuscita a gestire un eventuale scontro.

Angolo dell'autrice: Grazie a tutti per le fantastiche recensioni! Rimango senza parole e non me le merito!! Visto che sono in partenza per la Lituania (Go Italy!!!!!!) vi lascio per una decina di giorni! E al mio ritorno mancheranno solo 10 giorni alla Season 4... non vedo l'ora!!!! Un bacione a tutte

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Il suono del campanello la risvegliò. “Forza Kate, ce la puoi fare,” si sussurrò per incitamento mentre usciva dall’ascensore. Ma ogni, seppur minima, certezza svanì quando il suo sguardo incrociò quegli occhi azzurri che la stavano aspettando nella break room.

Gli occhi di tutto il piano erano voltati su di lei e non si sarebbe stupita se in quell’istante stessero tutti puntando su una nuova scommessa appena creata su come avrebbe reagito. Non sapeva cosa volesse Castle, ma una cosa era certa, non voleva che l’intero distretto si impicciasse ulteriormente della sua vita. Entrò nella stanza e senza neanche salutarlo gli disse: “Credo che dovremmo andare in un posto più privato.”

Vide Castle sul punto di contraddirla. Ma poi i suoi occhi si spostarono sulla piccola calca di spettatori che passeggiava casualmente davanti a loro. “Credo che sia meglio,” aggiunse prima di seguirla fuori dalla stanza, lungo le scale del distretto e uscire per strada.

Beckett continuò nel suo passo spedito fino al bar dietro l’angolo della strada dove si fermò ad un tavolino e attese che Rick facesse altrettanto. Si sedettero e si fissarono per un interminabile minuto senza che nessuno dei due riuscisse ad aprire bocca.

“Ciao,” ruppe timidamente il silenzio lo scrittore. Beckett non rispose. Si limitò a rivolgergli un sorriso di circostanza e un cenno della testa. Non voleva usare la tattica del mutismo con lui, ma non era sicura che quel groppo alla gola che indistintamente sentiva non avrebbe influito sulla sua voce, rompendole la parola a metà e mostrando tutto ciò che non era ancora pronta a mettere in tavola.

Rick non la mollava con lo sguardo un secondo e doveva ammettere che lo scrittore non era solo un gran comunicatore quando usava la sua dialettica. Non decifrava (e non voleva farlo) chiaramente ciò che voleva dirle, ma le occhiaie che aveva sotto ai quei fanali azzurri erano segno che anche lui non aveva dormito particolarmente bene negli ultimi giorni.

Lo vide inspirare profondamente e aprire bocca, ma fu bloccato dal suono del cellulare di Beckett. Lo afferrò e vide che era Alexis. Guardò lo schermo del cellulare e poi Castle per un paio di volte prima di rispondere alla ragazza.

“Beckett.”

“Kate, ciao, scusami se ti disturbo ma… ecco… ho parlato a papà di Boston e non l’ha presa bene… abbiamo discusso e temo che stia venendo da te.”

“Sì, Alexis, tuo padre è qui,” disse guardando Castle e mettendolo così al corrente che stava parlando con sua figlia. Vide Castle sorridere e scuotere la testa prima di incrociare le braccia sul petto in evidente attesa della fine della telefonata.

“Ah… non credevo avrebbe fatto così veloce… puoi parlarci e farlo ragionare? Ti prego! Vengo a ordinare l’archivio del distretto a gratis se ci riesci.”

Con lo sguardo ancora su Castle, attenta a scrutare ogni sua singola reazione, cercò di rassicurare Alexis senza però darle troppe speranze: avrebbe potuto parlare con suo padre ma spettava a lui la decisione.

“Alexis, tu hai veramente troppo fiducia in me.”

“So che è ben riposta. Grazie anche solo per il tentativo, Kate.”

Sorrise e salutò la ragazza. Tolse i suoni al cellulare e tornò a rivolgere la sua attenzione su Castle. Il suo battito rallentò impercettibilmente ora che sapeva che la discussione sarebbe stata su Alexis e non sui recenti avvenimenti tra loro due.

“Quanto è commovente la solidarietà femminile,” ruppe il silenzio sardonicamente Castle.

Anche se il soggetto non sarebbero stati loro, era evidente fin dall’inizio che la conversazione non sarebbe stata comunque delle più tranquille. Kate decise che non valeva la pena seguirlo su questa strada. Se voleva parlare di sua figlia l’avrebbero fatto, ma senza farsi influenzare dal loro attuale e incerto rapporto e senza usare Alexis come scusa per ferirsi a vicenda. Quindi si limitò a fissarlo, intrecciando anche lei le braccia sul petto, attendendo che lasciasse da parte l’orgoglio di maschio ferito e iniziasse a comportarsi da padre maturo.

Vide chiaramente il momento in cui lo scrittore capì che se avesse voluto una risposta da lei avrebbe dovuto abbandonare l’atteggiamento sbruffone con cui aveva iniziato. Aspettò che la cameriera versasse loro il caffè nelle tazze prima di ricominciare a parlare.

“Scusami, sono partito col piede sbagliato.”

“Scusa accettate,” rispose distaccata Beckett sorseggiando il caffè.

“Credo che non ci sia bisogno di dirti che Alexis mi ha chiesto di passare il San Valentino a Boston con Ashley perché credo di essere stato l’ultimo a scoprirlo.”

“Sì, me ne ha parlato. Ed il fatto che tu lo abbia scoperto dopo di me non vuol dire assolutamente niente, se è la perdita di rapporto con Alexis che ti preoccupa.”

“Un tempo non avrebbe avuto bisogno di venire da te o da nessun altro. Sarebbe venuta immediatamente da me.”

“Castle, Alexis sta crescendo se non te ne fossi accorto.”

“Dovrei lasciarla andare a Boston e farla crescere a TAL punto?”

Kate fissò attentamente il volto di Castle: paura. Il volto di Castle era attanagliato dalla paura di perdere definitivamente la sua bambina e dal desiderio di proteggerla e tenerla per sempre sotto la sua ala protettiva. Non sapeva cosa rispondergli, così si limitò ad aspettare che desse ancora sfogo ai suoi pensieri.

“Perché siamo stati teenager entrambi e sappiamo bene cosa vuol dire passare un weekend fuori casa col fidanzato … è di questo che è venuta a parlarti?”

“Castle…” si strofinò la fronte per riordinare i suoi pensieri. “Lo hai chiesto ad Alexis di cosa abbiamo parlato?”

“Mi ha detto che ci teneva a non farmi avere un attacco di cuore e quindi non me lo avrebbe detto.”

Il volto di Kate si aprì in un sorriso, seguito immediatamente da quello di Rick. Fecero insieme una risata che alleggerì l’aria della tensione che non li aveva abbandonati da quando si erano rivisti. Una volta tornati seri Castle si sporse in avanti appoggiando i gomiti sul tavolino. Iniziò a giocare nervosamente con la tazza di caffè prima di alzare nuovamente lo sguardo su Kate.

“Dovrei lasciarla andare?” le chiese.

“Castle… io… io non sono la persona con cui dovresti discutere queste cose, non sono sua madre.”

“Ma io tengo a un tuo parere molto più di quello di Meredith … ed evidentemente vale lo stesso per Alexis dato che ha preferito parlare della sua vita sessuale con te piuttosto che con sua madre,” disse con una buffa smorfia contrita all’allusione di un’ipotetica vita sessuale di sua figlia che fece nuovamente ridere Kate.

“Kate, se Alexis fosse tua figlia che faresti?”

E quel groppo allo stomaco e alla gola che sembrava momentaneamente sparito tornò prepotentemente a farsi sentire in Beckett. Ogni volta che credeva di averlo leggermente allontanato da sé, Castle faceva o diceva qualcosa che la riportava immediatamente a una condizione di intimità con lui talmente profonda da terrorizzarla. Quell’uomo si fidava così tanto di lei da chiederle consigli su sua figlia. E lei adorava così tanto quell’adolescente che non doveva sforzarsi per niente a cercare di dare i consigli più giusti per lei.

“Tu sai meglio di me quanto Alexis sia un ragazza responsabile e con la testa sulle spalle. Non fa neanche colazione senza prendere in considerazione tutte le possibili conseguenze di ciò che mangia.”

“Hai ragione ma… darle il permesso di andare a Boston con Ashley è… non so… come darle la mia benedizione. E per quanto irrazionale e stupido possa sembrare preferirei che pensasse che non sono felice della cosa.”

“E farle vivere la sua vita sessuale con i sensi di colpa? Per quanto sia difficile per te ammetterlo, ti conosco bene e so che non vorresti questo per tua figlia.”

Lo vide arrendersi alla sua logica inattaccabile. Per quanto potesse essere geloso di sua figlia, era molto più attento a proteggere la sua serenità, anche e soprattutto a discapito della propria se era necessario.

“Castle, come hai detto tu, siamo stati entrambi adolescenti e sai bene come me che non sarà il fatto di non andare a Boston che li fermerà se è quello che vogliono.”

“Non li fermerà, ma se non altro li costringerà a ingegnarsi per trovare il modo di restare da soli.”

“Con tua madre in tournèe e tu sempre al distretto, non credo che dovrebbero sforzarsi molto a trovare casa libera,” ribatté immediatamente Beckett.

“Io sempre al distretto?” chiese titubante e con un filo di voce Castle.

E con una frase la tensione tornò altissima. Era stata sciocca a non pensare bene a quello che diceva, ma lui non aveva perso un attimo a cogliere l’occasione per buttarsi immediatamente nel campo minato. L’irrigidimento dei muscoli di Kate erano evidentemente stati un chiaro segnale per Castle di fare marcia indietro.

“Scusa, Kate, non era questo il motivo per cui sono venuto qui.”

Fissò a lungo il caffè nella sua tazza, cercandovi risposte che non aveva. Era consapevole che prima o poi quella conversazione con Castle l’avrebbe dovuta avere ma non era ancora pronta.

“Non adesso, Castle,” gli disse con sguardo quasi implorante.

“Ok, quando vuoi,” le disse sorridendo, “Per adesso, grazie. Grazie di esserci per Alexis e per avermi aiutato a avere un altro punto di vista che non fosse quello di un padre geloso e ottuso.”

“Sei un buon padre, Castle.”

“E tu sei una persona straordinaria. Oltre a essere un perfetto Detective.”

Beckett si sentì scrutare nell’anima con quel suo sguardo penetrante. Stava per distogliere lo sguardo, sconvolta dalla sua potenza, quando fu Castle a interrompere quella forte connessione.

“So che ho appena detto che non ne avrei parlato ma… non posso fare anche in questo caso la figura dell’ottuso. Sono stato un coglione l’altra sera quando ti ho sputato addosso tutta la mia rabbia, aggiungendo la mia alla tua verso te stessa. Sei brava come Detective, Kate, anche se ci fossero mille me a distrarti saresti comunque la più brava Detective che New York abbia mai avuto. Ti chiedo scusa per aver oltrepassato il limite, ma mi è dannatamente difficile ragionare con te affianco, col grande vantaggio che, nel mio caso, la vita di altri non dipende dalla mia concentrazione. Se quello che vuoi è che io sparisca dalla tua vita lo farò ma ti chiedo solo due cose: riflettici e soprattutto non essere così severa con te stessa. Sei la persona migliore che conosca e non devi dimostrare a nessuno quanto sei capace perché chiunque intorno a te non può che rendersene conto.”

“Castle…” la difficoltà a formare un pensiero coerente era evidente. Non sapeva cosa dire, cosa pensare, come agire. Non male per essere il gran Detective che Castle sosteneva.

“Va bene così, Beckett. Non voglio che tu dica niente. Volevo solo farti sapere che quando il mio cervello funziona correttamente, non sono l’uomo di Neanderthal che ho dimostrato di essere fuori dal night club.”

Si alzò buttando 10 dollari sul tavolo.

“Grazie ancora, Beckett. E se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, sai dove trovarmi. Always,” le disse prima di voltarsi e incamminarsi verso casa sua.

 

Rimase seduta a quel caffè per un tempo indefinito. Quell’uomo aveva il potere di provocarle emozioni così prepotentemente contrastanti che né il suo cervello né il suo cuore riuscivano a gestire. Nessun uomo era mai riuscito a portarla a tali livelli di rabbia ed esasperazione e, allo stesso tempo, farle provare emozioni così intense e profonde da farla sentire così… VIVA. Castle era riuscito a risvegliare quella parte di lei che aveva anestetizzato dopo la morte di sua madre e che nessuno era mai riuscito a risvegliare dal coma profondo dove lei, con tanta efficacia, l’aveva riposta. Quella parte che gelosamente custodiva dietro trincee di paure che la preservavano da delusioni e dolore.

Quando aveva conosciuto lo scrittore aveva consciamente alzato maggiormente le barricate, sapendo che il latin lover di New York avrebbe sicuramente provato a trascinarla tra le sue grinfie. Ma nonostante la guardia maggiormente alzata, lui era riuscito a trovare il varco, il sentiero, la strada sconnessa e l’aveva percorsa nonostante gli ostacoli che lei cercava di porgli davanti.

Guardò l’orologio e vide che il tempo era passato senza che se ne accorgesse. Si alzò e si diresse verso Central Park, dove sapeva l’avrebbe trovato. Ormai non poteva rimandare oltre.

Angolo autrice: I'm back! la mia avventura Lituana è finita e nonostante la pessima performance della squadra italiana, mi sono proprio divertita! Un grazie a chi sta leggendo la mia storia e un mega grazie a chi perde anche il tempo per recensirla, siete fantastici! Un bacione a alla prossima!

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Central Park al tramonto era uno spettacolo da mozzare il fiato. Non importava averlo già visto per trent’anni, tutte le volte riusciva a catapultarla in quell’atmosfera magica e surreale che solo quel grande parco era in grado di offrire. Nel mezzo di una grande metropoli e allo stesso tempo immersa nel verde e separata dal cemento e dai grattacieli tipici di Manhattan. Per un istante poteva immaginare di essere altrove, in montagna, lontana dal caos e dalla routine giornaliera.

Si incamminò lentamente verso la statua di Alice nel paese delle Meraviglie, la sua favola preferita. Se avesse mai avuto una figlia, l’avrebbe chiamata così, sperando che quel nome l’aiutasse a vivere la vita da sognatrice spensierata che anche la protagonista del racconto aveva avuto.

Sapeva il giro che, turni permettendo, Josh faceva per mantenersi in forma, lo stesso che avevano fatto insieme per un’estate intera: doppio giro del lago, deviazione verso la statua di Alice e uscita dal parco dal lato della Fifth Avenue (Josh adorava correre sudato in mezzo a tutti i ricconi che facevano shopping sulla Quinta per farli scansare schifati). Poi doccia a casa del chirurgo (spesso insieme) e cena abbracciati sul divano ascoltando musica o guardando un film. Non sarebbe sopravvissuta quell’estate senza di lui.

Lo vide svoltare l’angolo che lo portava alla statua, con la sua tenuta da jogging e le cuffie agli orecchi. Lo vide sorridergli, con un sorriso sincero e felice, quando si accorse di lei. Fece un profondo respiro e affrontò le sue responsabilità.

************************************************

Kate Beckett era sempre stata una persona riflessiva, ma mai come in quella settimana, aveva sfruttato ogni singolo momento libero da impegni per sviscerare, senza paura, le sue profondità.

La rottura con Josh era stata dura: il chirurgo non l’aveva presa benissimo, soprattutto considerato che, nonostante l’argomento non fosse stato esternato chiaramente, era ben conscio che la causa di quella rottura aveva un solo nome: CASTLE.

Era uscita dal suo appartamento in lacrime, con dei sensi di colpa enormi, consapevole di aver ferito un uomo straordinario che le era stato vicino e l’aveva fatta ridere quando nessuno pensava di riuscirci. Non aveva sbagliato niente con lei e in diversi momenti si era sentita pronta a fidarsi di lui e a raccontargli di sua madre. Ma quando arrivava il momento c’era sempre qualcosa che la tratteneva, qualcosa che la frenava dall’aprirsi completamente.  E forse, inconsciamente, quel qualcosa aveva ancora lo stesso nome: CASTLE.

Era passata una settimana da quella chiacchierata al caffè e la rottura con Josh: al distretto non si era fatto vivo e non si erano sentiti neanche per messaggio. Da un paio di sguardi intercettati tra Ryan ed Esposito aveva intuito che era rimasto in contatto con loro in questo periodo, ma nessuno le aveva detto niente.

Non sapeva se fosse pronta a rivederlo, ad affrontarlo. Ma Alexis partiva per Boston quel giorno e voleva esserci. E solo per questo aveva preso coraggio e adesso stava per bussare alla casa dello scrittore.

La faccia di Rick passò dallo stupito al felice in un attimo quando aprì la porta. Evidentemente non si aspettava di vederla. Kate gli sorrise timidamente, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore. Le faceva piacere vedere quel sorriso sul volto dello scrittore: aveva temuto del risentimento per essere sparita per tutto quel tempo.

“Ciao, Castle,” bisbigliò timidamente.

“Kate! Ciao… io… accomodati,” disse facendo spazio alla detective. Chiuse la porta dietro di sé e rimasero a guardarsi in silenzio per un paio di secondi che ad entrambi parvero ore

Era passata solo una settimana ma le sembrava un secolo che non lo vedeva. E forse era solo la sua nuova consapevolezza, ma le sembrava diverso: quello sguardo arrogante e dispettoso che normalmente sfoggiava aveva lasciato spazio alla dolcezza e alla tenerezza. Possibile che non si fosse mai accorta di questa sfaccettatura della sua personalità?

“Sono felice di vederti, Kate,” la voce di Castle la risvegliò dai suoi pensieri.

“Sono passata a salutare Alexis, non sono in ritardo vero?” vide il suo sorriso appannarsi, ancora forse non aveva ben digerito l’imminente partenza della figlia.

“No, è di sopra a fare la valigia. O meglio, la sua quarta valigia. Credo l’abbia fatta e disfatta almeno quattro volte! Forse se vai a darle una mano decide finalmente cosa portare,” le disse con la mano verso le scale che portavano alla camera dell’adolescente.

Kate sorrise a Castle e si incamminò sulle scale. Bussò delicatamente alla porta di Alexis ed entrò alla sua risposta. Non appena la vide scoppiò in una risata: Alexis seduta sul letto con aria insoddisfatta che fissava la sua valigia che le sarebbe stata sufficiente per un anno intero!

“Non c’è niente da ridere, Kate! Ho riempito la valigia di cose orrende e Ashley non vorrà neanche guardarmi.”

“Ti dirò due cose signorina: la prima è che non credo esista vestito sulla terra che possa renderti orrenda. La seconda è che se Ashley è davvero innamorato di te, ti vedrà bella anche con la tuta da ginnastica che usi quando hai la febbre!”

Voleva aggiungere anche il punto tre: gli uomini non si accorgono neanche se hai un completino intimo un po’ più sexy (che magari hai acquistato apposta per loro) piuttosto che i mutandoni della nonna in certi momenti. Ma decise che questo tragico aspetto dell’universo maschile avrebbe dovuto scoprirlo a sue spese, non aveva senso rovinarle l’idillio in questo momento.

“Lo so… e non è vero che non c’è niente di carino… sto solo scaricando le mie paure su quella valigia,” piagnucolò Alexis.

“Direi che la tua analisi è perfetta!” disse Kate sedendosi sul letto accanto a lei. “Ehi, guardami! Eri così felice due settimane fa, che cosa è cambiato adesso?”

“Lo sono ancora Kate ma…”

“Ascoltami: vivi questa vacanza al minuto. Non pensare a cosa farai tra un’ora o domani o tra dieci minuti. Vivila secondo per secondo e fai solo e soltanto ciò che vuoi fare in quel secondo. E vivilo appieno! Qualsiasi cosa farete, ovunque vi condurrà questa vacanza nella vostra relazione, sarà magica e non capiterà così spesso di riprovare quella magia,” le disse accarezzandole gentilmente una guancia.

“Le paure ci saranno sempre nella vita Alexis. Paure e insicurezze ti accompagneranno per sempre. Alcune di esse devono essere superate con coraggio, altre vanno rispettate e va dato loro il tempo di sparire. Sono le paure che ci mantengono in vita e ci proteggono dal male o dal dolore. Almeno fino a quando non decidiamo che la persona che hai di fronte valga il rischio di scoprirsi e vincere le insicurezze. Mica penserai che solo perché sono più vecchia di te io non ne abbia vero?”

“Ne hai?” chiese debolmente Alexis.

“Più di quante immagini! E forse più di te in questo momento! Vai a Boston e divertiti. Fai tutto e solo quello che ti senti di fare e saranno tre giorni splendidi.”

“Grazie, Kate,” le disse buttandosi al collo prima di essere interrotta da un battito alla porta.

Si voltarono entrambe e videro spuntare la testa di Rick.

“Milady, il principe è arrivato.”

Alexis sorrise e scese le scale con la valigia, seguita dal padre e da Beckett.

“Così tu saresti Ashley?!” chiese Kate infilando una mano in tasca in modo che il calcio della sua Sig Sauer casualmente apparisse dalla giacca. Ashley sembrava un ragazzo apposto, ma meglio che capisse immediatamente con chi avrebbe avuto a che fare se avesse ferito Alexis.

“Sì Signora… ehm, Detective… Detective Beckett,” disse farfugliante il ragazzo.

“Kate va benissimo,” disse allungando la mano per salutare il ragazzo già sufficientemente intimidito.

“Forse dovremmo andare se non vogliamo perdere il treno,” disse Alexis per toglierlo dall’imbarazzo.

“Sì, meglio. Buona giornata, Signor Castle, e anche a lei, Detective Kate… Beckett… Signora!”

Beckett riuscì a mala pena a contenere la risata prima di abbracciare forte Alexis per salutarla.

“Buona vacanza Alexis e non dimenticare, VIVI ogni attimo senza pensare a quelli dopo…” le disse all’orecchio stringendola ancora più forte. “No, ecco… magari se poi decidete di fare un certo passo pensateci alle conseguenze… tuo padre non è pronto ad essere chiamato nonno ancora, ok?”

Alexis rise e la strinse ancora più forte per ringraziarla prima di spostarsi e salutare suo padre. Vide i due guardarsi intensamente per qualche secondo prima che Castle cedesse e la stringesse a sé con tutte le sue forze. Se lei era stata attenta a non farsi sentire da Castle (e ci era riuscita evidentemente visto che non era stramazzato al suolo alla parola “nonno”), lei percepì indistintamente il “ti voglio bene” che padre e figlia si scambiarono prima di separarsi.

Alexis salutò nuovamente entrambi con la mano e uscì di casa lasciandoli imbambolati a guardare la porta. Kate cercò di scacciare dalla testa quanto gridasse “famiglia” tutta quella scena e si concentrò su Castle, cercando di decifrare le sue sensazioni.

“Tutto bene?” gli chiese appoggiando la sua mano sull’avambraccio.

“Non posso più chiamarla la mia bambina, vero?” disse con voce tenera.

“Lo sarà sempre, Castle. Mio padre ancora mi chiama così!”

“Grazie” le disse Rick guardandola.

“E di cosa?”

“Di esserci per lei e soprattutto… di quel giochetto che hai fatto con Ashley, con la pistola.”

“Io? Non ho fatto nessun giochetto,” disse mal celando il sorriso.

“Certo, Detective, come no! Se non altro spero che ci pensi una volta in più prima di farla soffrire.”

“E’ la mia speranza Castle, ma sai, è un uomo, non si può sperare in tanta furbizia.”

“Ahhhh, sento una vena polemica nei miei confronti!”

“Solo perché hai la coda di paglia” sorrise. Chiuse gli occhi e ridendo scosse la testa, “Sai Castle, un tempo li trovavo irritanti, ma adesso mi sono mancati questi battibecchi.”

“A me sei mancata tu,” disse guardandola dritto negli occhi.

La sua espressione di panico doveva essere plateale dato che Castle fu prontissimo a deviare abilmente e tornare a toni scherzosi e argomenti neutri.

“Ti va un bicchiere di vino con me? Ho bisogno di compagnia per eliminare dalla mia testa immagini che includono mia figlia, Ashley e un letto,” disse correndo verso la sua riserva di vini e tirando giù due bicchieri dalla credenza.

“Banale Castle, perché mai dovrebbero obbligatoriamente usare un letto?” rispose avvicinandosi al bancone della cucina e afferrando il bicchiere che Rick le aveva già preparato. La faccia di Rick si contorse maggiormente al pensiero.

“Beckett abbi pietà. E’ già abbastanza dura così.”

Beckett sorrise e sorseggiò il vino con aria divertita. Torturarlo rimaneva sempre il suo passatempo preferito.

“Ma questo potrebbe darmi interessanti spunti per il passato di Nikki Heat… Ti spiacerebbe condividere con la classe?” sorrise Rick appoggiando le braccia al bancone e avvicinandosi a lei.

“Sì che mi dispiace. L’ultima cosa che voglio è vedere la mia vita sessuale stampata su carta e a pubblica utilità di tutti. Mio padre ha già letto i primi due libri e ho durato sufficientemente fatica a convincerlo che è solo frutto della tua fantasia e niente è tratto dalla realtà.”

“Non credo che avrò mai il coraggio di incontrare tuo padre. Va beh, Beckett, visto che sei così riservata dovrò limitarmi a inventare le follie della ribelle Nikki e dei suoi incontri hot nei bagni delle discoteche,” sorrise con un po’ di timore.

Kate sorrise abbassando lo sguardo. Doveva ammettere che Castle aveva del fegato a riportare in ballo l’argomento in quel modo. Se non fosse stato per lui, lei lo avrebbe evitato volentieri. Ma adesso era impossibile evitarlo.

“In realtà, la ribelle Kate dell’adolescenza non si faceva abbordare in discoteca così facilmente,” sorrise al ricordo, “E in tutta la vita mi è successo solo due volte di trovarmi nei bagni di una discoteca a intrattenere corporee conversazioni con uomini.”

Rick fece il giro del bancone e si sedette accanto a lei.

“E com’è andata?” disse flebilmente.

“Il primo è andato all’ospedale per un colpo ben assestato in zone poco piacevoli,” disse sorridendo alla smorfia di simpatizzante dolore di Castle. “Al secondo ho quasi slogato una spalla,” aggiunse portando la mano sul braccio di Castle. “Come sta?” chiese con preoccupazione.

“Beh, vista la fine che ha subito il mio predecessore, non mi lamento affatto,” le sorrise coprendo la mano di Kate con la propria. Kate rise ed istintivamente intrecciò le dita con quelle di Castle.

Si guardarono per un lungo istante prima che Kate rompesse il silenzio.

“Anche io ti devo delle scuse Castle. Non ero arrabbiata con te… o almeno, non solo. Come hai ben intuito ero molto più arrabbiata con me stessa che con te. Niente fino ad adesso aveva mai interferito col mio lavoro e rischiare di mandare a monte un’operazione per colpa mia sarebbe stata una cosa che non mi sarei perdonata.”

“Sei troppo dura con te stessa. E io ti devo delle scuse enormi per il mio comportamento da adolescente ferito nell’orgoglio.”

Vide il suo sguardo serio passare in un attimo a quello scherzoso a cui era abituata.

“E rimanendo nel mio atteggiamento adolescente, devo dire non mi spiace l’idea di farti questo effetto, Detective. Ed io che credevo di esserti del tutto indifferente.”

Kate rise e alzò gli occhi al cielo prima di confessare: “Mi sei tutto tranne che indifferente, Castle.”

E lo sguardo di terrore le si dipinse in faccia quando si rese conto di cosa aveva detto. Sperare che lui non lo avesse sentito era inutile. Dal modo in cui la stava guardando era chiaro che aveva sentito tutto.

“Davvero?” chiese lo scrittore con un soffio di voce.

Mentire adesso non aveva più senso. Una settimana di pensieri e riflessioni avevano portato ad un’unica soluzione: era innamorata di Rick Castle.

“Davvero,” confermò guardandolo negli occhi.

La mano di Rick si posò sulla sua guancia e il suo pollice le sfiorò le labbra. Kate chiuse istintivamente gli occhi a quel tocco leggero. Il cuore iniziò a batterle a ritmo forsennato e la sua mania di controllo iniziò a vacillare fino a perdersi completamente quando il dito fu sostituito dalle labbra di Rick.

Le mani di Kate si portarono sulla sua camicia, quasi a cercare il sostegno che quel bacio le stava togliendo. Delicato e allo stesso tempo pregno di sentimento, con quel bacio percepì tutto l’affetto che quell’uomo, lo sbruffone sciupa femmine, provava per lei.

Nessuno dei due sembrava aver fretta di approfondire quel contatto: entrambi sembravano apprezzare appieno quello sfiorarsi, sfuggirsi e morsicchiarsi le labbra che tacitamente avevano accettato.

Quel bacio era totalmente diverso da quello prepotente e passionale che si erano scambiati nel night club. Anche quando le loro bocche si erano schiuse e le loro lingue avevano iniziato a cercarsi e a danzare insieme,  la dolcezza di quel bacio non diminuì. Se il primo bacio era da catalogarsi tra quelli passionali, questo aveva decisamente un’altra definizione: SENSUALE.

Rick con quel bacio languido, dolce e allo stesso tempo carico di erotismo, la stava corteggiando. Ogni volta che usciva con un ragazzo nuovo immaginava il bacio perfetto (rimanendone spesso delusa). Con Rick poteva finalmente ammettere di averlo provato. E questo, come sempre, la terrorizzava.

Le mani, poggiate sui suoi pettorali si strinsero, imprigionando tra le dita la camicia di Castle e improvvisamente Kate si staccò da quel bacio e poggiò, col fiato corto, la testa sulla spalla dello scrittore.

Poteva distintamente sentire sotto la sua mano, il cuore di Rick galoppare a duemila battiti al minuto e il suo respiro altrettanto affannato. Non voleva guardarlo negli occhi per paura di leggervi risentimento per questa brusca e inspiegata interruzione.

“Dimmi quali sono le tue paure, Kate,” sentì la profonda voce di Rick sussurrarle nell’orecchio, mentre con la mano le percorreva la schiena.

Alzò lo sguardo verso di lui, stupita di quanto riuscisse a leggerle dentro.

“Ho sentito quello che hai detto ad Alexis prima… Voglio tutto di te, Kate, la tua testardaggine, la tua dolcezza, la tua malinconia, la tua gioia e anche le tue paure. Sono pronto a rispettarle una per una e a darti il tempo di realizzare che sono l’uomo per cui vale la pena affrontarle. Chiedimi quello che vuoi: tempo, spazio, qualsiasi cosa per fartele superare, ma ti prego, non facciamoci bloccare. E’ Josh a frenarti?”

Riappoggiò la testa sulla sua spalla e strinse a sé lo scrittore.

“Ho lasciato Josh una settimana fa,” disse dando il tempo a Castle di assorbire la novità.

“Rick… la mia paura è una sola… soffrire. Ho una fottuta paura di soffrire. Sono rimasta in piedi dopo l’omicidio di mia madre ma mio padre è quasi sprofondato. E non so se per un’altra grande sofferenza avrei la stessa forza e non voglio toccare il fondo come ho visto fare a lui. Non sono mai arrivata a legarmi veramente a nessuno dei ragazzi che ho frequentato, proprio per evitare di soffrire nel momento in cui se ne fossero andati, ma con te,” disse alzando la testa e guardandolo, “Con te le mie più forti barriere protettive sono crollate. E più lottavo per non legarmi a te e più ti intrufolavi in parti di me sconosciute persino a me stessa. E nonostante sia certa che finirei per farmi molto male con te, non riesco a ignorare ancora quello che provo.”

Il sorriso di Rick si aprì nuovamente e le prese il volto, incorniciandolo nelle sue grandi mani.

“Kate, non posso prometterti che non ti farò mai soffrire, arrabbiare o rimpiangere questa decisione. Sono un istintivo, un passionale, un uomo con una voglia ancora matta di giocare, quindi sì, ci saranno giorni in cui ti esaspererò. Ma posso prometterti una cosa, Kate Beckett, non passerà giorno in cui non ti dimostrerò quanto ti amo e quanto ti sia grato e riconoscente per aver avuto fiducia in me. Questa fiducia da parte tua è il regalo più grande che nella vita potrò mai ricevere e non intendo in nessun modo rovinarlo.”

“Ti chiedo solo una cosa: frena la tua istintività e dammi tempo di abituarmi a noi e a questa nuova cosa. Per un po’ sarò naturalmente tentata di tagliarti fuori, mi conosco. Dammi il tempo di lottare con me stessa prima di grandi dichiarazioni, grandi cambiamenti e grandi proposte, ok?”

“Ehi, come sapevi che ti avrei chiesto di trasferirti qui immediatamente?” disse rompendo la tensione Rick.

Kate sorrise prima di tirare a sé il corpo di Castle e ricominciare a baciarlo. Adesso la dolcezza aveva lasciato posto alla passione e all’ansia di procurare e ricevere quelle sensazioni che solo loro sembravano essere in grado di provocarsi a vicenda.

Le mani di Rick scivolarono sui suoi fianchi e la tirarono maggiormente a contatto col proprio corpo. Quella sensuale danza di bacini interrotta bruscamente due settimane prima prese nuovamente vita e i gemiti di entrambi risuonavano nel loft. Questa volta era Kate a dettare il ritmo e Rick sembrava quasi intimidito da lei. Ma poi sentì le grandi mani dello scrittore intrufolarsi sotto la sua maglia e trovare il primo contatto con la sua morbida pelle. Con una lentezza esasperante le risalirono il torace prima di fermarsi proprio sotto il suo seno.

Kate rilasciò il respiro che non si era accorta di trattenere in attesa di quel contatto che invece Castle le stava negando.

Staccò le labbra dalle sue e le portò sul suo orecchio, alternando sul suo lobo piccoli morsi e percorsi imprecisati con la lingua.

“Kate…” il suo nome uscì strozzato dalla bocca di Rick. Se la loro eccitazione non fosse già chiara dalla mancanza di parole, i loro corpi uniti non lasciavano dubbi.

La mano di Rick si intrufolò sotto il bordo del suo reggiseno ma sembrava frenata nell’andare oltre. Non più capace di resistere all’attesa, Kate afferrò il polso dello scrittore e portò la sua mano a pieno contatto col suo seno. Chiuse gli occhi e lasciò cadere indietro la testa, lasciando sfuggire un pesante sospiro alla sensazione delle sue dita su di lei. Riportò lo sguardo in quello di Castle. I suoi occhi erano diventati blu profondo anche se rimaneva sempre, sul suo volto, un’espressione di timore e incertezza.

Intrecciò le sue dita  alla mano di Castle rimasta sul suo fianco. Sussurrare “permesso accordato” bastò a trasformare il fino ad allora timido Castle, nell’amante focoso che aveva sempre sospettato fosse.

La mano sul suo seno iniziò a torturarle lentamente un capezzolo mentre l’altra era scesa sul fondoschiena ad aumentare l’attrito tra i loro corpi. E nel loro bacio si perdevano i gemiti che ormai nessuno dei due riusciva a contenere.

Interruppero quel contatto per impellente mancanza di ossigeno. I capelli di Rick andavano un po’ in tutte le direzioni e il suo sguardo passionale aveva lasciato spazio anche a quella scintilla di giocosità che lo contraddistingueva. Si guardarono e scoppiarono a ridere insieme.

“E se spostassimo il divertimento sul grande letto che c’è a pochi passi da qui? Troppo banale per l’impavida Kate Beckett?” le sussurrò col sorriso sulle labbra abbracciandola.

“Io ho detto solo che il letto è banale, non che non adori la banalità,” rispose iniziando a slacciare i bottoni della camicia di Rick e baciando languidamente ogni nuovo pezzo di pelle scoperta.

“Ma se continui così non garantisco di arrivarci,” rispose sfilandole la maglia e gettandola dietro di sé. Kate sorrise sul suo petto, felice di avere la conferma del suo potere su di lui.

Il reggiseno di Kate sparì dietro il bancone della cucina un secondo dopo e quel vuoto fu immediatamente colmato dalle mani e dalla bocca dello scrittore.

Camminarono impacciati fino alla camera, nessuno dei due pronto a staccarsi dall’altro. Se il prezzo da pagare era qualche soprammobile rotto da un incauto urto, Rick era assolutamente disposto a pagarlo se la ricompensa era una Kate semi nuda tra le sue mani.

Arrivati al bordo del letto l’atmosfera tornò nuovamente seria, consci che il passo che stavano per compiere avrebbe cambiato per sempre le loro vite.

Le mani di Castle accarezzavano distrattamente i suoi fianchi e le loro fronti poggiate insieme creavano un circolo solo loro, dove il mondo esterno era bandito.

“Sei sicura? Hai detto che vuoi tempo e sono disposto a darti tutto quello che ti serve.”

Sorrise alla premura dello scrittore e come quella prima volta, ma con un altro Alexander, fu lei a prendere le mani di Castle e a portarle sul bottone dei suoi pantaloni prima di slacciare i jeans dello scrittore senza mai staccare lo sguardo dal suo.

Si ritrovarono nudi su quel letto king size tra risa e momenti di cocente passione. Rick faceva l’amore esattamente come viveva ogni singolo giorno: in modo appassionato, dedicato e generoso, pronto a portare risa e scherzi in ogni momento e a diventare dannatamente serio quando si trattava di dimostrare tutto ciò che provava per lei.

E con sua somma gioia, l’ormai non più adolescente Rick Castle, manteneva egregiamente i ritmi di quella giovane età.

“Time out,” disse Kate col fiato corto e accasciandosi sopra di lui dopo la terza volta che le aveva fatto raggiungere vette che pensava esistessero solo nei film e nei romanzi.

“Non dirmi che sono riuscito a distruggere l’instancabile Kate Beckett,” disse posandole un dolce bacio sulla tempia, anche lui in piena fase di recupero fiato.

“Anche se odio alimentare il tuo già sufficientemente sviluppato ego… you got me, writer,” disse girandosi a guardare il sorriso gongolante sulla faccia del suo nuovo amante.

“Yes!” esclamò alzando un pugno al cielo. “Brillante tattica, Castle,” disse a sé stesso camuffando la voce e fingendo di essere un qualche allenatore di chissà quale squadra, “Distruggere l’avversario prima che lui distrugga te.”

Il pugno sulla spalla che ricevette da Kate lo riportò alla vita reale.

“Ouch! Lo sai? Che rimanga tra me e te…” disse Rick avvicinandosi al suo orecchio e sussurrandole dolcemente, “Ero terrorizzato all’idea di non averti definitivamente distrutta… Non ce l’avrei proprio fatta se mi avessi chiesto un’altra replica,” disse con faccia preoccupata. La risata serena di Kate riecheggiò nella stanza e contagiò anche Rick.

****

Quando si risvegliarono, qualche ora dopo, la stanza era immersa nel crepuscolo. La testa di Kate appoggiata sulla sua spalla, la sua mano che disegnava forme prive di senso sul suo petto e le loro gambe intrecciate insieme: se pensava a quante volte lo aveva immaginato quando lui era soltanto il suo scrittore preferito le sembrava quasi irreale adesso viverlo.

“Kate,” sentì il suo nome rimbombare nel suo torace.

“Mmmh,” rispose lei poggiando il mento sul suo petto e perdendosi nei suoi occhi azzurri.

“Io ti…”

“Shhhhhhhhhh,” gli disse portando la mano sulla bocca dello scrittore ad impedirgli di parlare, “Dillo e il record mondiale di velocità sui 100m di Bolt sarà spazzato via in un attimo dalla sottoscritta.”

Il sorriso dello scrittore si allargò sotto la sua mano. Le prese un polso, le baciò il palmo della mano e lo appoggiò sul suo petto.

“Il fatto di non dirtelo non vuol dire che non lo provi comunque, lo sai vero?”

“Sì, e tu sai che per me è lo stesso solo… ho bisogno di tempo, Rick, e quello che ho detto prima vale lo stesso, nonostante lo straordinario sesso appena condiviso,” aggiunse alzandosi sulle braccia e sfiorandogli le labbra con un bacio.

La afferrò per la vita e la trascinò sopra di sé. Kate decise di porre resistenza e quel discorso dannatamente serio si trasformò in una giocosa lotta tra risate e lenzuola.

Rick non solo era un bambino intrappolato in un corpo da adulto, ma riusciva a tirare fuori la bambina Kate che si era addormentata il giorno della morte di sua madre.

Il gioco venne interrotto dal suono di un cellulare.

“Rick, è un messaggio, devo vedere chi è, potrebbe essere la centrale,” disse tra le risa mentre cercava di liberarsi dalla sua presa.

Arrivò al margine del materasso e afferrò i suoi pantaloni rimasti in terra da prima. Prese il cellulare e lesse il messaggio.

Il volto di Rick si affacciò da sopra la sua spalla. Le lasciò un bacio sul braccio e poi vi si appoggiò col mento.

“E’ la centrale?” chiese preoccupato di dover interrompere quel pomeriggio.

“No, è Alexis,” sorrise Kate nascondendo lo schermo agli occhi di Rick.

“Alexis?? Che dice?” disse allungandosi e cercando di afferrare il cellulare dalla mano di Kate.

“Rick, fermo, non vuoi saperlo!” rise lei cercando di tenerlo lontano.

 “Ma se si tratta della mia bambina, voglio sapere tutto,” disse con un ultimo colpo di reni afferrandolo.

Si rigirò sul lato e si appoggiò alla testata del letto con sorriso soddisfatto in volto.

“E’ stato fantastico e dalla seconda volta in poi… WOW! Grazie Kate??? Kate! Dovevi impedirmi di leggere questo messaggio!” disse piagnucolando e buttandosi giù con il cuscino sulla testa.

“Cosa stavo tentando di fare prima?” disse afferrando il cellulare dall’inerme mano di Rick e togliendogli il cuscino dalla testa.

“Adesso la mia fervida immaginazione da scrittore non riesce a fermarsi… lo sapevo…” disse portandosi entrambe le mani sul volto.

Kate sorrise all’immagine del padre sconvolto di fronte a lei: non lo avrebbe mai confessato, ma sperava di rivivere le stesse scene con una piccola Castle che avesse i suoi riccioli ribelli e gli occhioni blu del padre. Decise per adesso di andargli solo in soccorso. Montò sopra di lui, portando una gamba dall’altra parte del suo bacino, gli afferrò le mani che gli coprivano il viso e le poggiò sulle sue gambe.

“E se distraessi la tua brillante mente di scrittore con qualche diversivo?” disse maliziosamente iniziando a muovere sopra di lui il bacino e non lasciando adito ad interrogativi su che tipo di distrazione avesse in mente.

“Davvero?” chiese Castle come un bambino a cui è appena stato concesso di comprare il suo giocattolo preferito.

Kate sorrise  e si abbassò sulle sue labbra.

“Per una volta che ho il piacere di essere io la fonte di distrazione…” sussurrò prima di perdersi nuovamente in Rick Castle.

The End

Angolo autrice: ed eccoci alla fine di questa fatica! Spero vi sia piaciuta almeno la metà di quanto sia piaciuto a me scriverla.
Ho altre ideucce in testa ma adesso devo concentrarmi a scrivere qualcosa di più importante, la mia tesi, e quindi Castle deve aspettare. Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito e, soprattutto, auguro a tutti un grandioso 19 settembre! CI SIAMO!!
Bacio


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