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Autore: pilgrim81    12/08/2011    13 recensioni
Una missione sotto copertura che non va come dovrebbe, una chiacchierata a cuore aperto tra "donne" e tante emozioni contrastanti da gestire. Questo riassunto fa schifo ma non son mai stata brava neanche a scuola! Enjoy
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Undercover Feelings

 

Note dell'autrice: La storia di colloca… si capisce da sola dove si colloca ma il tassello fondamentale è che il bacio “sotto copertura” al magazzino non c’è mai stato…!!!! Soliti ringraziamenti alla mia beta e le tartarughine che mi tolgono le insicurezze e a tutto il fandom che mi ha accolto con grande calore!

 

 

Finalmente il caso era chiuso, il rapporto era stato compilato e fino a quel momento  il telefono non aveva squillato per avvertire di altri cadaveri. Chiuse il fascicolo davanti a sé, lo mise di lato e si stiracchiò allungando le braccia e appoggiandosi allo schienale della sua poltroncina girevole. Il suo sguardo si spostò istintivamente verso quella sedia vuota che era accanto alla sua scrivania e che in genere era occupata dall’oggetto dei suoi recenti tormenti.

Ancora non ci credeva che le aveva dato retta: la sera prima gli aveva detto, in tono decisamente poco amichevole, che non voleva vederlo in distretto per un po’, ma non sperava che veramente l’avrebbe ascoltata. Il vero problema è che non riusciva a definire la sensazione che adesso provava: era sollevata dalla sua assenza o dispiaciuta?

Da una parte era sicuramente sollevata: dopo quello che era successo la sera prima, non sarebbe riuscita a gestire una giornata di lavoro con lui costantemente al suo fianco. Finché non avesse fatto luce sul caos che vorticava nella sua testa, ogni contatto con Castle sarebbe stato deleterio.

Dall’altra parte però… avere lui in distretto rendeva il lavoro tanto meno noioso, anche il solo vederlo giocare con le grappette rendeva quel posto di lavoro meno serio. Per non parlare poi di come riusciva a sdrammatizzare ogni momento con il suo sarcasmo.

Ma non ora! Non sapeva ancora che effetto le avrebbe fatto fissarlo nuovamente in quegli occhi azzurri (che adesso sapeva quanto potessero diventare profondamente blu quando preso dalla passione) e non poteva più contare sulla sua leggendaria mania per il controllo perché gli eventi della sera precedente le avevano abilmente e facilmente dimostrato che, quando si trattava di lui, nessuna razionalità poteva funzionare.

Fu risvegliata dai suoi pensieri dal campanello dell’ascensore e dal rumore delle porte che si aprivano.

Dimmi che non ho cantato vittoria troppo presto, pensò tra sé la Detective col terrore di trovarsi davanti Castle.

Inspirò profondamente e alzò la testa… Chi vide era proprio Castle, ma non quello che si aspettava.

“Alexis?”

La figlia di Castle fece un timido gesto di saluto con la mano avvicinandosi lentamente alla scrivania di Kate. Il sollievo di Kate nel non vedere lo scrittore fu presto sostituito da panico. Che ci faceva Alexis al distretto?

“Buongiorno Detective,” disse l’adolescente abbassando gli occhi verso il bicchiere di caffè di Starbucks che stringeva tra le mani.

“Ciao Alexis! Che ci fai qui? Ti è successo qualcosa? Tua nonna sta bene? Tuo padre?”

“No, no, detective, non è successo niente,” sorrise e le porse il bicchiere di caffè. Per un attimo pensò che fosse stato Rick a mandare Alexis al suo posto perché sapeva che non avrebbe scaricato il caricatore della sua pistola su di lei come invece avrebbe fatto su di lui. Ma sarebbe stata una mossa troppo subdola e il Rick Castle che conosceva lei (molto diverso da quello descritto a pagina 6 dei quotidiani) non avrebbe mai usato sua figlia per i suoi scopi.

“E’ una caratteristica di famiglia viziare i detective portando loro caffè?” rispose ringraziando con un cenno della testa Alexis, afferrando il bicchiere e facendola accomodare sulla sedia che a questo punto era da definirsi di proprietà dei Castle!

“No, a dire il vero so che papà te lo porta sempre ma ho visto che oggi è rimasto chiuso nel suo studio a scrivere e ho pensato di portartelo io. E visto che papà parla spesso di te, sapevo anche cosa avresti preferito.”

Kate cercò di non pensare alle possibili implicazioni che potevano scaturire da questa frase e tornò a concentrarsi sul problema principale: la presenza di Alexis in distretto.

“Ma qualcosa mi dice che non sei qui solo per fare le veci di tuo padre o assicurarti che io abbia la mia dose di caffeina giornaliera…”

“In effetti no…”  rispose afferrando istintivamente la lunga serie di grappette unite da Rick e iniziando a giocarci come per evitare il suo sguardo.

Le fermò le mani e la costrinse a guardarla negli occhi: “Alexis, c’è qualche problema? Perché non sei a scuola? Tuo padre sa che sei qui?”

“Rispondendo al contrario… No, non lo sa. La scuola è chiusa per dei lavori di manutenzione. Il problema… sì, no, a dire il vero non è neanche importante. Non sarei dovuta venirla a disturbarla Detective,” disse alzandosi dalla sedia.

“Siediti,” disse Kate con tono molto più autoritario di quanto la situazione richiedesse. La ragazza la guardò e lentamente si rimise a sedere.

“Se non altro tu gli ordini li segui!” disse sorridendole e strappando un sorriso anche ad Alexis, pienamente cosciente che si riferisse a suo padre.

“Se sei venuta fino a qui un motivo ci deve essere e dal momento che non sei come tuo padre, questo motivo non può essere solo quello di infastidirmi o farmi perdere tempo.”

Alexis sorrise di nuovo. Riportò lo sguardo sulle sue mani e dopo un respiro aggiunse: “Ho bisogno di parlare con qualcuno… e questo qualcuno non può essere mio padre… e mia nonna, lo sai, è fuori di testa… e mia madre peggio ancora… e Paige dice cose senza senso…”

“Ashley? Tuo padre mi ha detto che state ancora insieme e che il vostro rapporto va a gonfie vele.”

“Sì… beh… è così. Ma non posso parlare con lui perché è lui il problema. Non nel senso che io abbia problemi con lui, gli voglio bene e lui me ne vuole e non ha fatto niente di sbagliato ma…”

Durante il farfugliamento privo di senso le guance di Alexis iniziarono a diventare rosse e Kate decise di interromperla prima che il suo viso raggiungesse la stessa tonalità dei suoi capelli.

“Sono qui, Alexis, se hai bisogno di parlare sono sempre disposta ad ascoltarti.”

Il volto di Alexis si rilassò e sorrise alla Detective con gratitudine.

“Ma a due condizioni,” aggiunse Kate afferrando il suo giubbotto di pelle e incamminandosi con la mano sulla spalla di Alexis verso l’ascensore, “La prima è che tu chiami tuo padre e gli dica esattamente dove sei.”

“Ma Detective poi inizierebbe a tartassarmi di domande e vorrebbe sapere cose le ho detto, perché sono venuta da lei, perché non sono andata da lui visto che è il perfetto padre moderno e non mi darebbe pace… Oltre al fatto che non darebbe pace neanche a lei Detective,” aggiunse, fiera di aver forse trovato un modo per evitare questa condizione.

Beckett sorrise alla sottile astuzia dell’adolescente, i geni di suo padre erano decisamente presenti nel suo DNA!

“Nice try, Alexis, ma so gestire tuo padre, non transigo su questa cosa!”

Con voce rassegnata Alexis emise un flebile “Va bene,” iniziando a cercare il cellulare nella borsa. “E qual è la seconda?”

“Che tu la smetta di chiamarmi Detective e darmi del lei, mi stai facendo sentire vecchia decrepita,” le disse abbracciandola e facendole tornare il sorriso.

“Chiamo mio padre ma cosa gli dico? Dove stiamo andando?”

“A casa mia… ho come la sensazione che quello di cui mi vuoi parlare non sia adatto alla centrale operativa di un distretto di polizia con troppe persone curiose intorno.”

La faccia di Alexis tornò in un secondo ad essere rossa e Kate ebbe la conferma che non si stava sbagliando.

 

**

 

Salirono sulla Crown Vic e si diressero verso casa di Kate. Alexis aveva già composto il numero di suo padre e stava aspettando che rispondesse mentre la sua gamba aveva preso a muoversi nervosamente.

“Ciao papà… no, non sono da Paige… lo so che ti avevo detto che andavo a casa sua ma… papà, devo ricordarti che non sono te e non faccio cose stupide?”

Kate sorrise alla conversazione a senso unico a cui stava assistendo. Non sentiva le risposte di Castle ma poteva tranquillamente immaginarle ormai.

“Sono col Detective Beckett.”

Kate vide Alexis allontanare il telefono dall’orecchio, Castle era già nel panico più completo.

“No, papà, non sono ferita, non sto per morire, non sono stata rapinata né tantomeno arrestata, ok? Sono andata al distretto perché volevo parlarle e ora stiamo andando a casa sua… Papà, lo so che posso parlare con te di qualsiasi cosa ma… lo so che sei un padre moderno e che qualsiasi cosa sia successo tu hai fatto di peggio, ma puoi accettare una volta, senza farne un dramma, che preferisca parlare con una donna invece che con te? La spiegazione su come usare un assorbente mi ha già assicurato 15 anni di psicoanalisi!”

A questo Beckett non riuscì a trattenere una risata. Sarebbe stata curiosa di chiedere ad Alexis cosa le aveva raccontato,  ma aveva quasi paura a domandarglielo. Il buonumore di Kate sparì quando sentì Alexis dire: “Ok, te la passo”.

MERDA! Questo proprio non l’aveva calcolato! Perché voleva parlare con lei? Gli affidava la sua vita tutti i giorni, non si fidava adesso di cosa potesse dire a sua figlia? E intanto la tachicardia era partita, il respiro si era fatto pesante e i suoi muscoli si rifiutavano di collaborare per afferrare il cellulare che Alexis le stava passando.

Calmati Kate, è solo Castle! Vorrà solo assicurarsi che sua figlia stia bene, che non mi stia disturbando e che la riporti sana e salva a casa per cena. Te lo sei quasi sbranato vivo ieri sera, non avrà il coraggio di tirare nuovamente fuori l’argomento.

Prese il telefono di Alexis e si preparò a sentire la sua voce, “Ehi, Castle.”

“Ehi,” le rispose lui con un tono più profondo del normale.

Non farmi la voce da camera da letto, Castle… per lo meno non quando sto guidando e nel sedile accanto ho tua figlia… Ma cosa dico?? Non farmela mai!

Riprese il controllo di sé stessa e col tono più duro che in quel momento poteva tirar fuori lo esortò a continuare a parlare.

“Dimmi, Castle.”

“Sì, scusa, è che… volevo sapere…”

“Sto guidando, non ho tutto il giorno,” quasi si sentiva in colpa a trattarlo così duramente ma era l’unico modo per gestire la situazione, chiudersi a riccio.

“Alexis ha qualche problema? In genere si confida con me… non che non mi fidi del tuo giudizio ma io sono suo padre, me lo diresti se ci fossero problemi, giusto? Nonostante quello che è successo ieri ser…”

Lo interruppe prima che potesse concludere la frase, “Castle, per chi mi hai preso? Pensi che mi farei influenzare da fatti personali? Anche il solo fatto che tu lo stia mettendo in discussione mostra quanto avessi ragione io,” disse quasi in un soffio.

“Kate, scusa! Hai ragione! Lo sai che se mi succedesse qualcosa vorrei che Alexis vivesse con te…”

Non aggiunse altro, sapeva che Beckett avrebbe assorbito interamente la serietà e l’importanza di quelle parole. E non si sbagliava. Quando Castle era convinto di essere stato colpito dalla maledizione della mummia le aveva chiesto di prendersi cura di sua figlia nel caso gli fosse successo qualcosa di grave e, già allora, quella richiesta l’aveva sconvolta.

“Appena abbiamo finito di parlare la riaccompagno a casa e mi assicuro che entri in ascensore prima di andarmene, ok?”

“Aspetta, perché non rimani a cena con noi? Potremmo parlare.”

“Non mi pare il caso, Castle, devo andare ché siamo arrivate. Ciao.”

Riattaccò prima che lui potesse aggiungere altro e passò il telefono ad Alexis che la guardava perplessa.

“Va tutto bene tra te e mio padre?”

“Sì, perché me lo chiedi?”

“Non è stato il vostro modo solito di conversare quello a cui ho assistito…”

Una volta Castle le aveva detto che nella sua famiglia erano tutti un po’ sensitivi ma sperava che questa dote non si fosse tramandata fino ad Alexis. Per fortuna che aveva assistito solo alla sua parte di conversazione perché non avrebbe saputo risponderle se le avesse chiesto che cosa fosse successo la sera precedente.



To be continued...

  
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