OniceSmeraldi

di Ksanral
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Incanti & Pozioni ***
Capitolo 4: *** Finalmente Sabato ***
Capitolo 5: *** La Lumafesta ***
Capitolo 6: *** Operazione Maledizione ***
Capitolo 7: *** Candido ***
Capitolo 8: *** Il Fantasma della Stamberga ***
Capitolo 9: *** Regali, Rivelazioni, Leoni ***
Capitolo 10: *** Il Passaggio della Strega Gobba ***
Capitolo 11: *** Oltre la Porta ***
Capitolo 12: *** Enorme Mare Bianco ***
Capitolo 13: *** Perle di Neve ***
Capitolo 14: *** Stress da G.U.F.O. ***
Capitolo 15: *** Il Peggior Ricordo di Lily ***
Capitolo 16: *** Un Pacco di Gufi ***
Capitolo 17: *** L'Era del Terrore - Pt. 1 ***
Capitolo 18: *** L'Era del Terrore - Pt. 2 ***
Capitolo 19: *** Smascherati ***
Capitolo 20: *** Aghi! ***
Capitolo 21: *** Gita... ***
Capitolo 22: *** ...Sfortunata ***
Capitolo 23: *** Il Segreto ***
Capitolo 24: *** Il Bagno dei Prefetti ***
Capitolo 25: *** Tensione ***
Capitolo 26: *** Compleanno ***
Capitolo 27: *** Pasqua Smaterializzata ***
Capitolo 28: *** La Soluzione ***
Capitolo 29: *** Come Una Fenice ***
Capitolo 30: *** Odio ***
Capitolo 31: *** Estate ***
Capitolo 32: *** Naufragio ***
Capitolo 33: *** Transizione ***
Capitolo 34: *** A Casa? ***
Capitolo 35: *** Le Funzioni ***
Capitolo 36: *** Ancora di Salvezza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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= Prologo =

L’odore di fumo e il chiasso regnavano sul binario nove e tre quarti. Appena attraversata la barriera, tra i binari nove e dieci, a King’s Cross, le orecchie fischiavano. Ma quella era la mia casa. E Quel rumore e quell’odore erano il mio personale, intimo benvenuto che ogni primo settembre mi accoglieva.
Mio padre arrivò subito dopo di me. Mi aveva accompagnato soltanto lui, quest’anno, perché Petunia si era testardamente rifiutata e la mamma, sentendosi in colpa, aveva deciso di rimanere con lei.
«Forza Lily, sali che se no non trovi posto!» esclamò mio padre, euforico. Queste cose gli davano alla testa, sprizzava gioia da tutti i pori quando mi accompagnava al binario. Troppo preso dall’emozione, non ricordò che quest’anno avevo il posto riservato.
L’espresso per Hogwarts era lì, torreggiante, rassicurante. Sorrisi e mi avviai verso la porta più vicina. Papà mi diede un bacio sulla fronte come saluto e mi passò il baule.
«Buon anno scolastico, piccola mia!» aveva detto, spostandosi per far passare gli altri studenti.
«Grazie, papà, scrivo appena arrivo!» gli sorrisi e mi spostai anche io.
Sì, sarebbe stato un buon anno scolastico, anche se col peso dei G.U.F.O. e le responsabilità di Prefetto.



Note: Spero di avervi incuriosito ocn questo prologo! presto il primo capitolo :P
Nota sulle note (XD): What If...? perché da quel che ho potuto leggere Lily non è mai stata Prefetto, o meglio non è esattamente specificato... perciò ho aggiunto questo dettaglio per movimentare un po' la trama. Enjoy it!

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Capitolo 2
*** Hogwarts ***


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= Hogwarts =

Il corridoio dell’Espresso era ancora più caotico del binario, o forse era solo l’impressione che dava visto lo spazio angusto. Gli studenti si fermavano lì in mezzo, ingombrando con i loro bauli, a salutare gli amici, che durante l’estate non avevano visto. C’era un sacco di confusione e per un momento fui tentata di utilizzare il nuovo potere acquisito, mettendo in bella mostra la spilla appuntata alla maglietta, per passare e raggiungere la carrozza privata dei prefetti. Ma mi ero ripromessa di non montarmi la testa… Ogni volta che ci pensavo, mi veniva in mente il modo tronfio e pieno di sé di Potter, quando camminava per i corridoi. Quanto avevo sperato che non fosse lui l’altro Prefetto!
Paziente, ascoltai le chiacchiere sulle vacanze passate, sulle partite di Quidditch giocate rischiando di infrangere il Decreto di Segretezza e avanzavo pian piano verso la mia meta, trascinandomi il baule.
«Evans, ehi Evans!», nel momento in cui sentii pronunciare la prima E del mio cognome, un brivido mi percorse la schiena, facendomi capire chi aveva aperto bocca chiamandomi. Potter, ovvio. Chissà quale scusa avrebbe inventato per chiedermi ancora di uscire questa volta?! Decisi, che per il mio benessere, sarebbe stato meglio ignorarlo, in fondo, con tutta quella confusione non era una scusa così scadente…
Evidentemente ci rimase male, perché non mi chiamò più. Sospirai di sollievo e subito dopo intuii: se era lì, affacciato da uno scompartimento, significava che non era Prefetto! Fortunatamente Silente non aveva dato di matto, mettendo a Prefetto un inetto e indisciplinato come lui! Sospirai di nuovo.
Ci misi circa una ventina di minuti a raggiungere la carrozza, perché oltre ad attraversare l’affollato corridoio, fui fermata (e mi fermai) a salutare gli amici e i conoscenti che non vedevo da giugno. Vidi anche un numero spropositato di piccoli, indifesi e impauriti bambini che dovevano essere i nuovi arrivati, quelli di cui di lì a poco avrei dovuto farmi carico. Meglio non pensarci…
Non appena entrai nella carrozza riservata, fui sorpresa dal silenzio e dal vuoto. Tutti evidentemente avevano già trovato posto e lì in fondo c’erano soltanto poche persone, Prefetti e Caposcuola ed ovviamente il Lumaclub.
Badai bene a tenermi lontana da quella zona, che fortunatamente era dall’altra parte della carrozza e mi prodigai per trovare posto. Buttai l’occhio nel primo scompartimento e vidi soltanto due colori, il verde e l’argento, che mi fecero decidere di proseguire. Tentai con il secondo e, di primo acchito, mi sembrò vuoto. Perciò feci scorrere la porta ed entrai buttandomi sul primo sedile che trovai. Quando mi rialzai per mettere il baule sulla rete mi accorsi che in realtà non ero sola. Lanciai un gridolino, prima ancora di mettere a fuoco la figura.
«Ciao Lily!» esclamò con un sorriso timido nient’altri che Remus Lupin.
Chiusi gli occhi e scossi il capo come chi vuole scacciare un brutto sogno, ma quando li riaprii, lui era ancora lì. Come avevo fatto a non pensarci!
«Ciao Remus, anche tu qui eh?!». Sentii io stessa il mio tono falso e vidi riflesso nello specchio il mio sorriso tirato.
Lupin si alzò e prese il mio baule, per metterlo nel portabagagli al posto mio.
«Già… Sapevo che eri tu l’altro Prefetto.» disse lui, con un sorriso molto più vero del mio.
«Davvero? Ti hanno inviato un gufo per informarti?» gli dissi, probabilmente troppo sarcastica. «Scusa…» aggiunsi poi, ma non suonavano vere nemmeno quelle. Mi sedetti e mi disperai in silenzio.
«Tranquilla, non verranno qui. Dopo che ci avranno dato istruzioni, andrò io da loro.» disse, come se le avesse letto nel pensiero. Mi sentii più rilassata, in fondo Remus Lupin, preso lontano dai suoi stupidi compari, non era male.
«Grazie, Remus.» dissi e questa volta fui sincera.
«Passato bene le vacanze?» domandai dopo qualche minuto di silenzio.
«Sì, anche se non ho fatto nulla di speciale…»
«Sei stato con gli altri?». Non seppi nemmeno io perché gli feci quella domanda.
«La maggior parte del tempo.» ammise lui con un sorriso. «Tu, invece?»
«Io ho fatto un viaggio in Francia, con i miei. Hanno deciso che ci voleva una vacanza, lontano dalla routine e, purtroppo, dalla magia. Mia sorella sta impazzendo, probabilmente. Non ho neanche potuto esercitarmi in Incantesimi!» esclamai indignata e lui… scoppiò a ridere. «Cosa ci sarebbe da ridere?» gli domandai imbronciata.
«Niente, scusa…» rispose col fiato corto. «Era solo il tuo tono… Era buffo… Scusami, non volevo ridere.». E nonostante fosse il miglior amico di quell’idiota che non sopportavo, nonostante mi avesse appena presa in giro, riuscì a strapparmi un sorriso.
Pochi istanti dopo la porta dello scompartimento si aprì e fece capolino la figura di Chris Lewis, lo splendido, biondo, muscoloso, cacciatore della squadra di Grifondoro, che portava appuntata al petto la spilla da Caposcuola. «Ok, sì, siete voi i nuovi Prefetti di Grifondoro!» disse riconoscendomi e facendomi l’occhiolino. Io sorrisi. «Allora, le cose stanno così… La farò breve così potrete andare dove vi pare…». Stavo immaginando o mi lanciò un’occhiata che intendeva “il dove ti pare, sarei io”? Scossi impercettibilmente il capo.
«Ora potete andare dai vostri amici, basta che ogni tanto controlliate che sia tutto a posto in corridoio. Poi, appena stiamo per scendere, dovete controllare che anche lì vada tutto come deve andare, poi prendete la carrozza e andate a cena. Dopo cena radunate quelli del primo anno e… delicatamente, se riuscite… Gli fate vedere la strada per il dormitorio e gli insegnate la parola d’ordine che è “Gelsomino”… Non fate domande, l’ha imposta la Signora Grassa…» disse tutto d’un fiato, con un che di rassegnato nell’ultima frase. «Se vi dimenticare la parola d’ordine o avete domande, cercatemi…». No decisamente non era una mia impressione, quell’occhiata voleva chiaramente dire “cercami, ti prego”. «E per finire: buon viaggio Prefetti!». Scomparve chiudendo la porta alle sue spalle. Sospirai, ripetendomi mentalmente la parola “Gelsomino”.
Lupin si alzò, ma prima di muoversi mi domandò: «Tu resti qui Lily?»
«No, non credo, andrò a cercare qualche amico…» risposi.
«D’accordo!» sorrise lui e uscì.
Poco dopo mi decisi ad alzarmi, rimanere lì mi metteva facilmente tra le grinfie di Lumacorno e in quel momento non ne avevo assolutamente voglia. Cercai distrattamente qualche volto conosciuto tra i tanti studenti, ne salutai molti ma non mi fermai a parlare con loro. Solo quando vidi un ragazzo, seduto nell’angolo più lontano di uno scompartimento, come se volesse occupare meno spazio, mi fermai. Aprii la porta e gli sorrisi. Di fronte a lui c’era un posto libero.
«Sev… Ce ne ho messo di tempo a trovarti…» dissi sedendomi. I ragazzini, del primo anno, seduti lì mi guardarono intimoriti.
«Com’è andata nella cabina dei Prefetti?» mi domandò, guardando fuori dal finestrino. Lui era stato il primo a sapere che ero diventata Prefetto. Aprivamo sempre insieme le lettere da Hogwarts, nel bosco vicino a casa. Ed era stato felice per me, nonostante lui non avesse ottenuto lo stesso ricnoscimento.
«Tutto bene, ci sono rimasta poco…» gli risposi scrollando le spalle «Mi hanno solo detto che devo controllare, controllare e controllare…» sbuffai. Lui sorrise. Credo di esser sempre stata l’unica persona che riusciva a farlo sorridere o ridere, raramente.
Passammo tutto il viaggio a parlare del più e del meno, tra le occhiate atterrite dei piccoli maghi che vedevano un Serpeverde (Severus aveva già indossato la sua divisa) e un Grifondoro andare d’amore e d’accordo.
Quando la luce calò, lasciando posto al buio della sera, puntai lo sguardo fuori dal finestrino. Non passò molto prima che, in una curva, riuscissi a vedere il castello. Sorrisi. Quella era casa.
Mi alzai e salutai Severus. Dopo di che, iniziai a pattugliare i corridoi e sfortunatamente m’imbattei nello scompartimento di quei quattro… beh dai, tre… Ma no forse solo due… no decisamente non due, un solo idiota: Potter. «Ehi Evans!» esclamò quest’ultimo, la voce pateticamente tenuta più bassa di un’ottava per sembrare più “uomo”. Sbuffai. «No, Potter. Neanche da morta…» lo anticipai e volsi lo sguardo al resto dello scompartimento. Peter Minus, il loro piccolo seguace, era seduto, le gambe penzoloni, a ridere sommessamente per il rifiuto che avevo appena dato a Potter. Sirius Black, invece, mi guardava con un sorriso divertito sulle labbra. Cercai Remus, che avrebbe dovuto aiutarmi a controllare, ma evidentemente aveva già iniziato senza di me, perché lì non c’era. Ripresi a camminare per il corridoio, senza salutarli e, non appena fui fuori dal loro campo visivo, sogghignai. Andai nella carrozza dei Prefetti ed indossai la divisa, poi cercai il mio collega.
Ritrovai Remus accanto a una delle porte d’uscita. Era lì, pronto ad aiutare a scaricare bauli e a coordinare la discesa. Lo affiancai, in silenzio. Il treno pian piano rallentò e lo spazio davanti alla porta si riempì di studenti degli anni successivi che volevano essere tra i primi a scendere. Appena si fermò, la confusione esplose. Tutti erano felici di essere tornati a Hogwarts, di trovare gli amici, di andare all’abbondante delizioso banchetto, che io avrei dovuto sognare ancora per un po’.
«Primo anno da questa parte!» tuonò, sopra tutto il chiasso, il vocione di Hagrid. Mi si strinse il cuore dall’emozione a sentirlo. Ero davvero tornata a casa. I piccoli bambini spaventati (io non ero così piccola al mio primo anno) lo seguirono verso il Lago Nero.
«Evans, ti tengo il posto in una carrozza!». Ma perché mai Potter riusciva sempre a trovarmi?! Aveva per caso un radar magico? Sbuffai di nuovo.
«Piuttosto me la faccio a piedi, Potter.» lo rimbeccai. «James, noi dobbiamo rimanere qui… Andate voi…» s’intromise Remus, la cui pazienza evidentemente era al limite quanto la mia.
Quando finalmente raggiungemmo la Sala Grande, la Cerimonia non era ancora cominciata. Presi posto accanto a Chris, il Caposcuola, e lontano da quel bamboccio. Salutai Severus con un cenno e iniziai a sperare che lo Smistamento finisse presto così che potessi rifocillarmi.
Quando finalmente finì, avevamo un buon numero di nuovi studenti che erano seduti tremanti affianco a noi. Finita anche la cena, li accompagnammo al Dormitorio. Davanti al ritratto della Signora Grassa c’erano Potter, Black e Minus. I primi due probabilmente non avevano ascoltato quando Remus gli aveva detto la parola d’ordine, mentre l’ultimo l’aveva sicuramente dimenticata. Per un infinito attimo fui tentata di lasciarli lì fuori, ma l’altro Prefetto era il loro migliore amico e mi rovinò tutto dicendo loro la parola.
«Ecco, vedete cosa succede a essere distratti?» mi limitai a dire a quelli del primo anno «Si passa la notte fuori. Ed ovviamente è vietato perciò fareste perdere punti alla vostra Casa.»
«Allora dovresti togliergli i punti adesso!» mi disse un piccolo bimbo, ma proprio piccolo, affianco a me.
«Beh, ma oggi è il primo giorno. Alcuni non la sanno la parola d’ordine, perciò per questa volta li facciamo entrare…». Lanciai un’occhiataccia a Potter e poi entrai nella Sala Comune.
«Le ragazze mi seguano prego…» dissi cercando di radunare le studentesse, con l’aiuto di Remus che invece radunava gli studenti maschi.
«Ecco quella è la vostra stanza. Troverete i vostri bauli già lì. Buonanotte!» spiegai, indicando la porta del dormitorio del primo anno e poi mi allontanai verso la mia stanza.
Quanto mi mancavano quelle tende rosse! E l’odore di lavanda che c’era sempre! Appena entrai, sorrisi, dirigendomi verso il mio letto. Aprii il baule e sistemai i vestiti babbani che avevo buttato disordinatamente, quand’ero sul treno. Poi sfilai la bacchetta dalla cintura e la agitai in aria, producendo soltanto qualche scintilla. Seguendone una, mi voltai verso il letto e vidi un pezzo di pergamena appoggiato al candido cuscino.
“Ottimo lavoro, oggi. La spilla ti dona, sai? Eri splendida.
Mi sei mancata. Molto.
Tuo …”

Non riportava firma, se non quei tre puntini, ma io sapevo esattamente di chi era quel biglietto. Ne riconobbi la scrittura, ma anche se fosse stato stampato, avrei comunque saputo. E poi c’erano i tre puntini, il nostro “codice di firma”, come ci piaceva chiamarlo. Mi era mancato anche lui, era stata una lunga, lunghissima estate.
Con un sorriso ebete sul viso, uscii dal dormitorio e andai in Sala Comune, raggiungendo le mie compagne per spettegolare delle loro vacanze, anche se io avrei seguito poco, persa com’ero a ricordare quelle parole.



Note:Eccovelo, il primo capitolo! Aggiornamento lampo eh?! Contenti?! XD

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Capitolo 3
*** Incanti & Pozioni ***


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= Incanti e Pozioni =

Il primo giorno fu… terrificante! Quando la McGranitt ci diede l’orario, mi chiesi se ci fosse stato un errore. Praticamente non avevo un momento libero in tutte le giornate! Mi rassegnai e iniziai ad esercitarmi in Incantesimi. Fui costretta a chiedere aiuto a Remus per farmi spiegare un Incantesimo particolarmente complesso nel movimento della bacchetta.
Testa alta, sguardo orgoglioso, un sospiro profondo prima di compiere gli ultimi metri e mi avvicinai al gruppetto, fermo in corridoio a chiacchierare.
«Oh! Guarda chi ci viene a trovare!» esclamò Potter, felice come una Pasqua. Io sbuffai. «Vuoi chiedermi di uscire, Evans?» mi domandò, e nonostante l’ironia marcata si sentiva la speranza in un “sì”.
Sospirai prima di rispondergli. «Veramente no, James…» dissi con falso tono dispiaciuto, ma fu troppo sorpreso dal sentirsi chiamare per nome da capire che mentivo. «Mi dispiace…» aggiunsi melodrammatica. Con la coda dell’occhio vidi i suoi amici trattenere le risate e mi feci scappare un sorriso.
«Remus, ricordi che dovevamo fare un lavoro?» domandai con nonchalance, sorridendogli. Ebbene sì, non avrei mai ammesso davanti a Potter che avevo bisogno di un aiuto, perché sicuramente si sarebbe offerto volontario… L’espressione di Remus si fece perplessa.
«Ehi, Lunastorta, avevate un appuntamento? Hai fatto colpo eh…» disse Black, ammiccando. Io alzai gli occhi al cielo. «Siamo Prefetti, Black, e come tali abbiamo dei compiti da svolgere.» sottolineai la parola “compiti”, sperando che Remus capisse, in fondo gli avevo accennato, no, che non mi ero esercitata in Incantesimi?!
«Non abbiamo nessun appuntamento.» disse lui sospirando. Potter l’aveva già guardato malissimo.
«Puoi venire o ti disturbo?» continuai, tranquilla.
«A dopo!» disse Remus, salutando gli amici e allontanandosi con me.
«Cerchiamo un’aula vuota, abbiamo solo mezz’ora…» gli dissi, una volta fuori portata degli altri.
«Mezz’ora per cosa, Lily?» domandò lui con un sorriso divertito sulle labbra. Effettivamente la mia frase poteva suonare molto equivoca, ma Remus si era limitato a cogliere il doppio senso, senza pensare male.
«Mi serve una mano con un Incantesimo. Sto cercando di recuperare il tempo perso quest’estate prima della lezione, che è tra mezz’ora.»
«Ok, dai…al secondo piano dovrebbe esserci un’aula vuota.» rispose lui, accelerando il passo per non sprecare altro tempo. Come aveva previsto, al secondo piano trovammo una stanza vuota e ci mettemmo subito all’opera.
«Ahhh!» quasi urlai, esasperata. «Non ci riesco!» dissi dopo l’ennesimo tentativo fallito.
«Aspetta…» disse lui con un sospiro e ancora quel sorriso divertito sul volto.
Si spostò dietro di me e prese la mia mano nella sua. Poi mi accompagnò nel complicato movimento della bacchetta. «Ecco, così…» disse dolcemente. E l’Incantesimo riuscì. Lo facemmo altre tre volte, poi mi lascio provare da sola. Riuscii anche se non perfettamente. Sorrisi raggiante.
«Hai un futuro come insegnante, sai?» esclamai, mentre la campana suonava annunciandoci che eravamo in ritardo.
Corremmo fuori, ridendo come due scemi per non esserci accorti del tempo che passava e, dopo aver inciampato in alcuni minuscoli studenti del primo anno, arrivammo al terzo piano, nell’Aula di Incantesimi. Sfortunatamente per noi, che ancora ridevamo, tutti erano già al loro posto e Vitious stava già salutando e iniziando la lezione.
«Lily, Remus… Accomodatevi prego!» ci disse allegro e per nulla arrabbiato. Sia benedetto Vitious!
«Ci scusi, professore, avevamo un compito da svolgere che ci ha richiesto un po’ di tempo…» dissi io, che intanto mi ero ricomposta. Certo, nessuno si bevve quella scusa, dato che eravamo entrati troppo allegri per aver assolto a un compito da Prefetti, ma Vitious quel giorno era di buon umore.
«Eh lo so, lo so. Voi Prefetti avete sempre un sacco di lavoro da sbrigare. Accomodatevi, avanti! Così iniziamo!» Noi sorridemmo e ci avviamo ai nostri posti; le mie amiche erano tutto un risolino, i suoi anche, tranne Potter che ci guardava malissimo.
«Non dire niente, per piacere…» lo pregai, prima di prendere posto. Lui annuì. «Grazie…» aggiunsi e mi apprestai a seguire la lezione.
Quando Vitious ci chiese di eseguire quell’incantesimo per cui mi ero esercitata poco prima, ringraziai ancora una volta Remus, mentalmente. Soprattutto quando Vitious passando tra i banchi si fermò a vedere come stavamo lavorando Mary ed io e mi fece i complimenti per l’ottimo movimento della bacchetta. Io a stento trattenni una risata, ma lanciai uno sguardo ai banchi dov’erano seduti Remus e gli amici. Lui mi sorrise e io feci lo stesso.

Passai tutta la pausa pranzo a parlare con le mie amiche, studiare Storia della Magia e cercare lui con lo sguardo. Avrei dovuto aspettare fino a sabato per passare un po’ di tempo soli? Probabilmente sì, con tutto quello che avevamo da fare… Sospirai.
«Allora, Lily, te lo sei trovato un ragazzo? Magari un bel parigino?» mi chiese Mary, riportandomi alla realtà.
«Ma che bel parigino… Lei ha puntato Lupin!» ribatté ridacchiando Sarah.
«Non esco con Remus, siamo solo Prefetti. Tutto qui.» mi giustificai.
«Si certo… E due Prefetti che “prefettano”, entrano in classe in ritardo ridendo talmente forte che si sentiva dall’inizio del corridoio?!» mi stuzzicò Elinor.
«Non stavamo “prefettando”» ammisi io, con un sorriso sulle labbra per quella parola appena coniata. «Mi stava aiutando in Incantesimi…»
«Si, ora si dice così…» disse Mary alle altre e tutte e tre scoppiarono a ridere.
«Ma poi, voi non avete un ragazzo di cui occuparvi così lasciate in pace me?!» domandai, ma non ero veramente seccata.
«Magari…» risposero tutte e tre all’unisono. E nello stesso momento passò davanti a noi il gruppetto di Potter. Quest’ultimo si passò una mano nei capelli arruffandoli ancora di più e mi lanciò un’occhiata allusiva. Io per contro, non lo degnai di uno sguardo e salutai con un cenno i suoi amici. Sia sulle labbra di Remus, che su quelle di Black, che sulle mie spuntò un sorriso. Evidentemente anche a loro piaceva il modo in cui trattavo il compagno, chissà quanti discorsi senza senso su di me avevano dovuto sopportare!
«Ecco… Io vorrei tanto che lui fosse il mio ragazzo…» si lasciò sfuggire Sarah.
«Lui chi? Bamboccio-Potter?» domandai incredula. Come poteva piacergli quel ragazzo così pieno di sé che a stento la Sala Grande riusciva a contenerlo?
La sua risposta fu un sospiro, che interpretai come un sì. «Allora, l’hai trovato un bel parigino?» domandò Elinor per cambiare discorso, o meglio per riportarlo all’origine.
«Ne ho visti tanti. Ho anche incontrato uno studente di Beauxbatons, ma non era molto interessante dopotutto…» sospirai. «In compenso, nella carrozza dei Prefetti, Chris mi lanciava occhiate da cerbiatto ferito e voleva a tutti i costi che lo seguissi…» raccontai, l’attenzione delle altre si accese subito.
«I dettagli!» pretese Mary. Così chiusi il libro e mi lanciai nel resoconto parola per parola del viaggio nella carrozza dei Prefetti.
La conversazione durò anche per tutta la lezione di Storia della Magia, dovetti ripetere almeno quindici volte le esatte parole di Chris perché quelle tre ci ricamassero sopra un forte desiderio e un amore spassionato. Mentre andavamo a pozioni, loro stavano ancora inventando teorie sul povero malcapitato. Io avevo smesso di ascoltarle, annuivo ogni tanto, ridevo quando ridevano, ma cercavo con gli occhi un’altra persona, l’autore del biglietto. Quando lo individuai il mio cuore prese a battere forte. Era sempre stato così bello?
Lui si voltò e mi vide. Sorrise dolcemente, accarezzandomi con lo sguardo, un po’ malinconico. Io risposi allo stesso modo.
Entrai, spinta dalla massa di studenti, nel seminterrato e presi posto. Ringraziai il cielo che fossi un’abile pozionista, perché passai tutta la lezione in un continuo, furtivo scambio di sguardi.
Alla fine della lezione risultai comunque la migliore, seguita da Severus. Lumacorno si prodigò in complimenti, di cui colsi soltanto la metà e mi invitò alla prima delle feste del Lumaclub.
«Cercherò di esserci, professore, ma non le assicuro nulla. Sa, questo è un anno duro sin dal primo giorno, poi con i nuovi obblighi da Prefetto, non so se riuscirò a liberarmi.» «Provaci, Lily, provaci.» pregò lui.
«Glielo prometto.» dissi, incrociando le dita dietro la schiena. E poi uscii di corsa per andare in Sala Comune. Finalmente la giornata era finita e potevo riposarmi, prima del turno di pattuglia dei corridoi.

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Capitolo 4
*** Finalmente Sabato ***


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= Finalmente Sabato =

La prima settimana sembrò durare anni interi. Avevamo già molti compiti dopo il primo giorno e dal secondo in poi, la mole non fece che aumentare. Occupai tutto il tempo libero per svolgerli e me ne rimase ben poco per me, considerati anche gli obblighi dei Prefetti.
Quando finalmente arrivò venerdì sera ero fin troppo esuberante. Rimasi in piedi più di tutti ed anche quando Mary, Elinor e Sarah andarono a letto, io rimasi lì, usando la scusa del non aver sonno e volermi portare avanti coi compiti per il lunedì.
Quando, finalmente, anche tutti gli altri andarono via, mi alzai e, all’erta, uscii dalla Sala Comune, non senza aver fatto brontolare la Signora Grassa.
Ignorai quei lamenti, certa che mi avrebbe fatto rientrare comunque e mi diressi, con nonchalance verso la Guferia. In fondo il coprifuoco non valeva per i Prefetti che erano incaricati di controllare i corridoi.
Faceva freddo e, nonostante fosse ancora settembre, tremavo, mentre allungavo il passo per tornare prima al caldo del mio lettuccio. Non incontrai nessuno lungo i corridoi, per fortuna e raggiunsi senza problemi la mia meta. Cercai uno dei gufi in dotazione della scuola ed estrassi dalla tasca il biglietto che avevo scritto nell’attesa che i miei compagni andassero a dormire, poi lo legai alla zampa che l’animale mi stava porgendo con altezzosa superiorità e gli raccomandai di recapitare il messaggio solo se non c’era nessun altro insieme al destinatario. Il gufo spiccò il volo e sparì, nero, tra il nero del cielo. Tornai allora indietro, stringendomi le braccia al petto per trattenere il calore, quasi correndo per i corridoi.
Fui sorpresa di sentire delle voci, poco più che dei bisbigli, ma con quel vuoto amplificate fino a giungere a me, come lo scrosciare dell’acqua di un ruscello. Rallentai e presi la bacchetta. Non l’accesi però, se avessero visto la luce, sarebbero scappati. Mi avvicinai con un ghigno sul volto, pregustando il momento in cui avrei beccato dei Serpeverde fuori dai dormitori, oltre l’orario consentito. Quando voltai l’angolo, però, dovetti ricredermi. Riconobbi quelle figure anche se l’unica luce veniva dalla luna, nascosta tra le nubi.
«Lumos!» mormorai, quando ero troppo vicina perché potessero fuggire. Gli ero alle spalle, perciò non mi videro finché non sentirono la mia voce. La punta della bacchetta s’illuminò. I ragazzi si voltarono, guardandomi inorriditi.
«Bene, bene, bene… Guarda un po’ chi si vede.» dissi, divertita.
«Evans… Cos’hai intenzione di fare?» chiese, con voce tremante, Potter.
«Dieci punti in meno a Grifondoro a te, a te, e a te.» indicai Potter, Black e Minus con la bacchetta illuminata. «Eddai, Evans no! Insomma Grifondoro è anche la tua Casa! Non puoi fare così!» si lamentò Potter.
«Prometto… Anzi no, giuro… Che non ti chiederò di uscire per due settimane e che non gireremo più per i corridoi di notte, se rimetti quei punti a Grifondoro! Ti prego, Evans!» pregò Potter.
«Sei patetico quando preghi, Potter. Soprattutto quando cerchi di fregarmi. Come se non lo sapessi che domani sarete di nuovo qui a ridere e scherzare come se le regole fossero una cosa troppo misera per voi…» dissi, quasi disgustata. «L’unica cosa di cui posso essere contenta è che con voi non ci sia Remus, sarebbe davvero brutto se anche lui infrangesse così le regole…»
«Ti prego, Lily…» a parlare questa volta non era Potter ma Black, che in quanto a tono supplichevole, almeno ci sapeva fare.
«Mi dispiace, Sirius» in fondo lui mi aveva chiamato per nome, perché non avrei dovuto farlo anch’io?! «Mi dispiace molto. In una cosa il tuo amico ha ragione, Grifondoro è anche la mia casa. Ma almeno, forse, imparate a seguire le regole o perlomeno a non farvi beccare così stupidamente…»
Mi sorrise per l’ultima parte di discorso ed io feci lo stesso. Stavo diventando scema? Gli avevo appena dato il permesso per uscire di notte?! No, decisamente no… Dovevo averlo fatto solo perché a supplicarmi era stato quell’altro poco di buono, un po’ meno tronfio di Potter. Sì, sicuramente lui il tono sapeva usarlo…
«Forza seguitemi adesso.» mormorai poi, superandoli ma aspettando che obbedissero. Li vidi, con la coda dell’occhio attardarsi incerti, ma poi avviarsi a passo lento dietro di me, che facevo strada con la bacchetta accesa. A raggiungere il Dormitorio, impiegammo il doppio del tempo che all’andata, perché loro sembravano cercare una scappatoia che evidentemente non c’era. Quando dissi la parola d’ordine alla Signora Grassa, questa brontolò ancora, ma poi si spostò per lasciarci passare.
«Ora andate dritti a dormire e non azzardatevi ad uscire di nuovo. Non voglio esser costretta a passare le notti dormendo davanti al ritratto.». Li guardai torva mentre annuivano in silenzio e si avviavano verso i dormitori. A metà scala c’era Remus, in pigiama, che li guardava con un ghigno sulle labbra. «Io vi avevo detto di non uscire…» disse, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di tutti e tre.
Quando fui certa che se n’erano andati, salii anche verso la mia camera e finalmente mi buttai sotto le coperte. Quando mi svegliai, il mattino dopo, provavo una strana agitazione. Era sabato, finalmente. Sabato, significava incontrarlo, dopo un’intera estate di separazione. Maledetto viaggio in Francia!
Dopo esserci cambiate, le mie amiche ed io andammo a colazione. Scendendo la scalinata che portava alla Sala Grande, l’odore delle brioche e del caffè impregnava l’aria e mi fece brontolare lo stomaco. Ci affrettammo a raggiungere il tavolo di Grifondoro, ma feci a tempo a vedere un gruppo di ragazzini, del secondo anno credo, che notavano il numero di rubini calato nelle Clessidre che contavano i punti. Anche Sarah li notò.
«Ci terrei davvero a sapere chi è chi ci ha tolto dei punti!» esclamò, rabbiosa.
Io risi e mi guadagnai delle occhiate perplesse. «Sono stata io. Ieri notte ho tolto trenta punti a Grifondoro.»
Sarah mi guardò malissimo. «E perché mai?»
«Non avevo sonno e sono uscita a pattugliare.» mentii «Ho beccato Potter e i suoi amici che sghignazzavano in corridoio. Dovevate vedere come mi ha pregato di non farlo…» risi di nuovo, questa volta più sarcasticamente.
«Ma, Lil, è Grifondoro…» disse Sarah dispiaciuta.
«Lo so, Sarah, ma non posso essere così parziale…»
«Ma era notte e non c’era nessuno!» mi rimproverò.
Io la ignorai e proseguii lungo la Sala Grande, fino al nostro tavolo. Presi posto e quando anche le ragazze si sedettero, l’argomento ormai era chiuso.
«Oggi pomeriggio pensavamo di fare un pic-nic nel prato, che ne dici?» mi chiese Elinor.
«Ho delle cose da sbrigare, prima. Se riesco poi vi raggiungo…» dissi ed in parte era vero.
Lei alzò gli occhi al cielo. «Non è che hai un appuntamento galante con qualcuno?!» mi chiese, trattenendo una risata.
«No, assolutamente!».

Passai il resto della mattinata a fantasticare sul pomeriggio incombente. Mi trascinai a pranzo svogliatamente e mi feci prendere dall’ansia, quando tornai furtivamente alla Torre di Grifondoro per cambiarmi. Poi, con stentata tranquillità, uscii e mi diressi al luogo del nostro appuntamento.
Percorsi i corridoi fino ad arrivare a quello giusto, col cuore in gola. Mi guardavo costantemente intorno, sia per individuare lui, sia perché volevo accertarmi non ci fosse qualche spione. Il corridoio era vuoto, fortunatamente ed io presi a fare avanti e indietro, davanti al punto in cui ci saremmo dovuti incontrare. A un certo punto, purtroppo non me ne resi conto, qualcuno mi raggiunse e mi chiamò.
«Lily che fai?» mi domandò Severus, sospettoso.
«Nulla!» dissi io, cercando di essere naturale. Ma lui mi conosceva troppo bene.
«Andiamo… Mi stai nascondendo qualcosa?»
«No, Sev, tranquillo!» mi ripresi e fui piuttosto convincente. «Sto solo controllando i corridoio, sai, devo…» dissi abbassando lo sguardo. Probabilmente avrebbe letto la bugia nei miei occhi, se l’avessi guardato.
«Ok…» scrollò le spalle «Andiamo in cortile?» mi chiese poi. Io gli sorrisi e accettai, lanciando un’ultima malinconica occhiata al corridoio del quarto piano.
“Non disperare, stasera lo vedrai comunque…” pensai, per consolarmi.
Avevo pensato a un possibile imprevisto, perciò nel messaggio gli avevo scritto che se non ci fossimo incontrati nel pomeriggio, ci saremmo sicuramente visti la sera, all’ora di cena quando tutti erano in Sala Grande.





Quando riuscii a liberarmi, era ormai l’ora dell’appuntamento, dissi alle mie amiche – e a Severus prima di loro – che non mi sentivo molto bene e preferivo passare in Infermeria o direttamente a letto e, dopo averle fatto desistere dall’accompagnarmi, mi avviai.
Le torce illuminavano i corridoi con le loro luci mobili, perciò non avevo bisogno della bacchetta. Percorsi il corridoio del secondo piano, guardandomi intorno per evitare ficcanaso. Mi fermai, quando sentii un rumore e, nel momento stesso in cui vidi Rüf fluttuare verso il suo ufficio, una mano premette sulle mie labbra ed un’altra mi cinse la vita e mi spinse dentro un’aula.
«Shhh, sono io…» mormorò, ma lo sapevo dallo stesso istante in cui mi aveva sfiorato. Annuii, facendogli capire che non ero spaventata e lui mi liberò la bocca, ma mi strinse a sé in un abbraccio.
Stavo sorridendo come una scema, da quando mi aveva trascinato in quell’aula. E ora, stretta contro il suo petto, mi sentivo in estasi. Non ricordavo quant’era dolce il suo profumo.
Quando – troppo presto – mi allontanò da sé, mi persi nei suoi occhi. Succedeva sempre, mi perdevo in quel mare profondo e sicuro, così come lui faceva nei miei.
«Scusa per oggi, non ce l’ho fatta a liberarmi!» esclamammo contemporaneamente e subito dopo scoppiammo a ridere, avendo sentito la frase dell’altro. Quindi ci eravamo dati buca a vicenda… Mi sentivo un po’ meno in colpa.
Si separò definitivamente da me, con un sorriso sulle labbra che esprimeva tutta la gioia che provava, esattamente come la provavo io, e mi condusse per mano al centro dell’aula. C’erano dei cuscini, messi ordinatamente uno affianco all’altro, creando un morbido angolo dove sedersi. C’erano sempre dei cuscini nell’Aula di Difesa Contro le Arti Oscure, l’avevo scelta apposta come luogo d’incontro. Però li aveva sistemati lui in quel modo e aveva anche preso del cibo, perché lì a terra, sui piatti da portata della Sala Grande, c’era un piccolo ben di Dio di pietanze.
Mi fece accomodare e poi si sedette di fronte a me.
«Allora signorina, questa sera la casa offre…» fece con voce formale, trattenendo a stento le risate che io invece liberai. «Lasagne, alette di pollo fritte e… Non mi ci sta più niente in mano!» esclamò perché aveva preso con una mano il vassoio delle lasagne e con l’altra quello del pollo. Risi di nuovo, stavolta con lui che cercava di tenere in equilibrio le portate e poi con un gesto teatrale le mise tra di noi.
«Ok, il dessert glielo mostro dopo.» disse, iniziando a servirsi. Mangiammo in fretta e praticamente in silenzio, avevamo troppe cose da dire per riuscire a farlo mangiando. Il dolce era un budino al crème caramel cui, prima di servirlo, fece ballare una samba… a sua detta.
«Mi sei mancata molto quest’estate…» disse mentre con un magico schiocco i piatti vuoti sparirono. Alzò una mano e mi accarezzò la guancia.
«Anche tu, non sai quanto…» ammisi, distogliendo lo sguardo. Avevamo discusso abbastanza animatamente sul mio viaggio in Francia e il ricordo non era certo piacevole.
«Com’è stato il viaggio? Mi hai scritto una volta sola…» c’era forse del risentimento in quel tono dispiaciuto? «Gira voce che tu abbia incontrato un parigino molto attraente…» e ora era gelosia, non è vero?
Sorrisi a quell’ultima affermazione; era proprio vero che tra le mura di Hogwarts non esisteva privacy. «Scusa, ma non potevo usare i gufi… Ti ho scritto più di una volta, solo che le altre lettere sono tornate al mittente per irreperibilità del destinatario. Non è colpa mia se la posta Babbana fa schifo…» gli risposi, sia per giustificarmi che per spiegare com’erano andate veramente le cose. «E non ho trovato nessun parigino attraente…» aggiunsi con un ghigno «Non più di te almeno…».
«Mhm… Ovvio più di me non ce n’è!» esclamò con aria di superiorità. Alzai gli occhi al cielo, ma mi tranquillizzai, non aveva fatto commenti sul resto, significava che voleva fare pace.
«Sembri Potter se parli così, sai?!» gli feci notare con una smorfia disgustata.
«No, no… Potter non ha la mia classe.» rise.
«Ci sono rimasto male quando hai detto che saresti partita… E’ stata la prima estate che abbiamo passato separati da quando stiamo assieme…» mi disse, dopo qualche minuto di silenzio.
«Lo so, ma non avevo altra scelta… Avrei preferito passarla con te, invece che con quell’arpia di mia sorella che non perdeva minuto senza ricordarmi che non potevo usare la magia.» lo guardai e lui sorrideva, immaginandosi la scena. «Ci sono rimasta male quando abbiamo discusso…» aggiunsi poi, dato che era il momento del “mi dispiace per”.
«Dispiace anche a me. Non avrei mai dovuto lasciarti partire senza fare pace.» ammise.
«Non importa, mi hai scritto subito dopo!» sorrisi, avevo scommesso tutto sull’arrivo di un gufo e quello era arrivato. «Tu come le hai passate le vacanze?» domandai, in fretta, per cambiare discorso.
«A pensarti…» disse con un sorriso e avvicinandosi a me. Dire che in quel momento il mio cuore battesse all’impazzata era un eufemismo bello e buono. Si avvicinò sempre di più e sempre più il mio cuore batteva… E dire che non era certo la prima volta che mi baciava in quasi tre anni…
Si fermò quando le punte dei nostri nasi si sfioravano. Chiuse gli occhi, ma non gli diedi il tempo di annullare la distanza, mi avvicinai io a lui e dapprima sfiorai le sue labbra, poi fui sopraffatta da lui e quel bacio casto si trasformò in un fiume di passione.
Non so come, il mattino dopo all’alba, ci ritrovammo sdraiati sui cuscini, abbracciati così stretti che stentavamo a respirare. Ricordo soltanto che ad un certo punto, avevo interrotto quel bacio e avevo sigillato magicamente la porta.
«Buongiorno…» mormorò, lui accarezzandomi i capelli non appena capì che ero sveglia.
«Buongiorno…» dissi io, sorridendo.
«Passato una bella nottata?» chiese, ironico, con quel ghigno sulle labbra che m’invitavano a baciarlo. E lo feci, come risposta alla sua domanda.
«Direi che è un si…» sussurrò lui «Sei pronta a tornare alla realtà?» aggiunse, con un po’ di malinconia.
«Dobbiamo proprio? E’ domenica…» brontolai.
«Ci daranno per dispersi se non torniamo. E pensa quando capiranno che siamo assieme…»
Sapevo perché nessuno doveva capire che stavamo assieme, ne avevamo discusso e ridiscusso e ridiscusso ancora, dal primo appuntamento fino all’ultimo. Ed eravamo giunti alla conclusione che era meglio rimanere nell’ombra… E dovevo ammettere che era anche più eccitante.
Mi alzai, rassettandomi i vestiti della divisa con cui avevo anche dormito. Anche lui fece lo stesso, sorridendomi e lentamente ci incamminammo verso la porta. Gli strinsi forte la mano.
«Domani sera…» mi sussurrò suadente all’orecchio.
Io annuii estrassi la bacchetta e la puntai verso la serratura. «Alohomora!» mormorai. E poi, furtivamente, prima io e poi lui, uscimmo dall’Aula di Difesa Contro le Arti Oscure e prendemmo le due direzioni opposte del corridoio.

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Capitolo 5
*** La Lumafesta ***


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= La Lumafesta =

Il lunedì a colazione, fui invasa dalla posta. Mi arrivarono tre lettere e la Gazzetta del Profeta, alla quale ero abbonata. Fortunatamente nessun gufo lasciò cadere la posta nei piatti, ma tutt’intorno. Io mi stupii di vedere così tante cose. Raccolsi la Gazzetta e la misi da parte, l’avrei letta dopo le lettere. Presi la prima, riconobbi la calligrafia sulla busta, quella di mia madre. La aprii e lessi la lettera, ricordandomi che avevo promesso di scrivere appena arrivata a Hogwarts.

“Lily, immagino che ti sia dimenticata di scriverci.
Com’è andato il viaggio? E i nuovi studenti? E la tua carica da
Perfetto?
Come stanno le tue amiche?
Scrivici presto e raccontaci la prima settimana!
Con amore,
mamma, papà e Petunia.”


Risi, mentalmente sull’ultima parola, certa che mia sorella non voleva assolutamente saperne della mia prima settimana in questa “gabbia di mostri”, come la chiamava gentilmente lei. E mi appuntai di rispondere nella pausa pranzo.
Poi presi la seconda busta, che non aveva intestazione, ma era di pergamena di pregiata fattura. Aprii anche quella e ne tirai fuori un biglietto. Alzai gli occhi al cielo quando capii di cosa si trattava, prima ancora di leggerlo. Era l’invito alla prima festa del Lumaclub ed era stata organizzata per il sabato successivo, così che tutti gli studenti potessero partecipare senza problemi. Mannaggia a me e alla mia linguaccia! Ma non potevo stare zitta? Così non avrebbe messo la festa sabato, in modo da farmi partecipare obbligatoriamente…
La terza, nonché ultima, lettera recava sulla busta soltanto tre simboli… Tre puntini. Sorrisi e la misi in tasca, l’avrei aperta senza l’occhio indiscreto delle ragazze. Presi il Profeta, mentre con l’altra mano affondavo il cucchiaio nei cereali.
Inorridii vedendo la prima pagina.

Cinque le vittime, uno il carnefice. Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato semina il terrore nel Mondo Magico.
«Nessuno si aspettava una cosa del genere. Ci stiamo impegnando per alzare il livello di sicurezza, tutti gli Auror disponibili sono sulle tracce di questo Mago». Queste le parole di un frettoloso Ministro della Magia, impegnato in riunioni straordinarie con tutti i dipendenti del Ministero. E intanto sale a cinque il numero dei maghi e delle streghe caduti vittima di questo Mago Oscuro che semina il panico per il nostro Mondo. Gli uomini e le donne uccisi non avevano un legame tra loro, se non che erano tutti Nati Babbani. Due di loro erano dipendenti del Ministero, Lucy Roberts e William Taylor, entrambi impiegati del Comitato Scuse ai Babbani; un’altra vittima era una Guaritrice del San Mungo, Matildha Harvey e infine Sean Dunn, proprietario di un negozio in Diagon Alley. Il Mondo Magico è minato dall’interno e sembra non esistere posto sicuro. Alcuni genitori hanno ritenuto opportuno non mandare i loro figli ad Hogwarts per evitare separazioni familiari, ma il Preside della Scuola, Albus Silente, assicura la piena sicurezza della struttura ed invita i genitori a mandare i propri figli: «Per la loro stessa sicurezza.»…”


L’articolo proseguiva, ma mi era già passata la voglia di leggere oltre. I Figli di Babbani e i Mezzosangue erano in pericolo e probabilmente non solo loro… Non mi preoccupavo per la mia famiglia, avevo tenuto loro all’oscuro del terrore che si diffondeva nel Mondo Magico e ero convinta che nessun Mago sarebbe andato a cercarli. Piuttosto erano a rischio i Mezzosangue. Mi voltai istintivamente verso Severus a quel pensiero. Suo padre era un Babbano e speravo con tutta me stessa che non facessero del male né a lui né alla sua famiglia, nonostante tutto.
«Lil, tutto ok?» mi domandò Sarah e solo allora mi ricordai che il cucchiaio, grondante latte era a mezz’aria aspettando che ne mangiassi il contenuto.
«Sì, sì… Stavo solo leggendo la Gazzetta…» dissi buttando la stessa nella tracolla e mettendomi finalmente a mangiare la colazione, cercando di non pensare all’articolo.
«Hai paura per la tua famiglia?» le domandò, sottovoce, Elinor.
«No, i miei sono Babbani... Tu hai paura?» chiesi, anche i suoi genitori erano un Mago e una Babbana.
«Un po’…» ammise e mi venne istintivo abbracciarla.
«Andrà tutto bene, ora non pensarci… Abbiamo già tanto da fare coi G.U.F.O. senza doverci mettere in testa altre cose!» esclamai, cercando di rassicurarla e lei sorrise. Finimmo la colazione in silenzio e poi ci alzammo per andare a lezione. Feci apposta a dimenticare la borsa al tavolo, così, una volta fuori dalla Sala Grande finsi di ricordarmene e tornai dentro. Presi la borsa e la misi a tracolla, poi estrassi dalla tasca la lettera che non avevo aperto. Il mio cuore accelerò il battito e un sorriso si formò sulle mie labbra senza che me ne accorgessi.

“Una delle notti migliori della mia vita.
Sabato? Stesso posto, dopo la festa?
Un bacio.
Tuo …”


Annuii alla domanda scritta come se lui potesse vederlo e mi fermai a rimirare il foglio per qualche istante. Gli avrei risposto quando avrei risposto ai miei, a pranzo.
Di corsa raggiunsi le ragazze e andammo a lezione. Era stata una fortuna leggere quel biglietto dopo aver letto l’articolo, mi aveva tirato su di morale.
La giornata proseguì bene, ci avevano dato fin troppi compiti e non avevamo modo di pensare ad altro. In pausa pranzo risposi alle due lettere e nel pomeriggio feci sapere a Lumacorno che sarei andata alla sua maledettissima festa.



Durante la settimana non riuscimmo a vederci se non incrociarci in corridoio, scambiarci qualche sguardo e alle volte un sorriso, ma niente di più. Era frustrante non poter fare altro, non poter perdermi nei suoi occhi o sfiorare la sua pelle, ma era anche eccitante sapere che noi condividevamo un segreto, fatto di amore e passione, che nessuno sospettava, avevamo un nostro rifugio felice, isolato e il mondo doveva starne fuori.
Quando arrivò sabato, cercai di trovare una scusa per evitare il Lumaclub, ma ogni volta Sarah, Elinor e Mary mi smontavano il tentativo. La festa si sarebbe svolta dal tardo pomeriggio fino, probabilmente, a tarda notte.
Il vestito per l’occorrenza era un fastidiosissimo abito da cerimonia, evidentemente quello strampalato professore voleva fare le cose in grande. Con un sospiro tirai fuori il mio dal fondo del baule. Era un po’ stropicciato, perciò agitai per un attimo la bacchetta e lanciai l’Incantesimo di Stiratura Rapida così l’abito apparve come appena stirato. Lo guardai, come se lo pregassi di sparire e impedirmi di andare alla festa, ma lui rimase lì, ordinatamente steso sul mio letto. Così mi spogliai e lo indossai. Mi sentivo stupida in quella seta verde, che faceva molto medioevo e soprattutto mi sentivo stupida a farmi vedere per i corridoi conciata così: un conto era se tutti indossavano l’abito da cerimonia, un conto era indossarlo soltanto io. Sospirai e uscii dalla stanza. La Sala Comune era colma di gente, feci finta di niente e mi diressi il più velocemente possibile al buco del ritratto. Purtroppo per me, non molto distante c’era Potter ed ovviamente con il suo radar-cerca-Lily non poté dare a meno di notarmi. La cosa buona fu che rimase a bocca aperta e riuscì ad articolare soltanto qualche suono sconnesso. Scoppiai a ridere vedendolo così e non riuscii a non prenderlo in giro.
«Ehi Potter, ti hanno mangiato la lingua forse?!» domandai. Lui farfugliò qualcosa, squadrandomi da testa a piedi.
«Credo voglia dire: Sei uno schianto.» tradusse Black, con un sorrisetto sulle labbra. E anche lui mi squadrò. «E credo interpreti alla perfezione il pensiero di tutti i maschi di questa stanza…» poi rise, con la sua risata simile a un latrato.
«Beh, se l’effetto è quello di non esser più tormentata da lui…» indicai il suo amico ancora a bocca aperta, «mi vestirò così più spesso…» scrollai le spalle.
«Credo gli, anzi ci, faresti solo un favore…» rispose di nuovo Black.
«Valuterò la cosa…» dissi ridendo e poi mi allontanai, uscendo dalla Sala.
Fortunatamente in corridoio c’erano pochi studenti, qualcuno vestito come me che andava nella mia stessa direzione: l’Inferno.
La stanza di Lumacorno era sicuramente sotto Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, ospitava un numero troppo alto di studenti per poterli contenere tutti normalmente. Era già piena, quando arrivai ed altrettanto piena di fumo, di natura non identificata. Andai verso il tavolo degli “aperitivi” per servirmi del porridge e intanto mi guardai intorno cercando di riconoscere qualcuno. La maggior parte erano studenti del settimo anno, molti anche del sesto, del quinto invece eravamo in pochi. Vidi Severus, attorniato dai suoi amici Serpeverde. Lo salutai con un cenno, ma non mi avvicinai. I suoi compari mi guardarono male – che si credevano già nei ranghi di Tu-Sai-Chi – perché per loro, io ero una misera, inferiore Figlia di Babbani. Li detestavo. Bevvi tutto d’un sorso il mio bicchiere, per scacciare il pensiero di quegli stupidi e ne riempii un altro.
«Ehi Lily! Che piacere sapere che sei anche tu qui!» una voce alle mie spalle, mi chiamò. Mi voltai e mi ritrovai davanti Chris.
«Chris! Finalmente qualche faccia amica!» esclamai, sorridendogli. E che faccia amica… Il più bello della scuola… più o meno.
Pian piano trovai altri compagni con cui avevo scambiato qualche chiacchiera a lezione e la serata migliorò un po’. Lumacorno ci presentò il suo ospite, un ennesimo campione di Quidditch del Puddlemere United, che sì era la mia squadra preferita, ma non ero una così grande tifosa da voler conoscere ogni campione. Poi si fermò a discutere con me di una complicata pozione che avrebbe voluto presentare alla lezione del terzo anno, chiedendomi se secondo me era troppo per dei tredicenni.
«Serviti ancora un po’ da bere, cara…» mi disse come ringraziamento ai consigli e mi mise in mano una bottiglia di qualcosa, credo fosse idromele. Era già il terzo.
A un certo punto partì la musica e Chris m’invitò a ballare. Mi girava la testa dopo tutte quelle giravolte, o forse era per tutto quello che avevo bevuto?
«Ehi Lily, te lo fai un Whisky Incendiario?» mi domandò Lorean, il Prefetto di Corvonero.
«E perché no?» dissi sorridendo. Le feste di Lumacorno erano l’unico momento in cui gli studenti potevano bere qualcosa di altrimenti vietato. Presi il Whisky e lo bevvi, allo stesso tempo di Lorean.
«Perché non fate una gara?!» esclamò qualcuno. Noi ovviamente accettammo. E così i Whisky divennero tre, quattro, cinque; uniti a idromele, burrobirra e quel porridge che non finiva mai.
Quando mi fermai, mi girava la testa talmente tanto che pensavo fosse la stanza a girare.
«Ancora uno!» disse Lorean, strascicando le parole. «Così ti batto!»
Io ovviamente, inebriata dall’alcool, accettai. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Iniziai a non capirci più niente e in un ultimo istante di lucidità, decisi che era meglio andarmene.
Non so come trovai l’uscita. Sapevo di barcollare perché vedevo le pareti avvicinarsi e allontanarsi a seconda del lato in cui mi dirigevo. Sperai di non incontrare nessuno, perché vedermi in quello stato, non sarebbe stato bello. Non mi accorsi di aver sbagliato strada, non mi accorsi di nulla se non che mi mancavano le forze. Non ricordo la caduta, ma mi ritrovai a terra, sdraiata sul pavimento a bearmi – parlando ad alta voce – del freddo che trasmetteva.
Vedevo le stelle, nonostante sopra di me ci fosse il soffitto e credo di essermi messa a pancia in su a contarle e riconoscere costellazioni inesistenti. Per quanto tempo rimasi lì, incapace di addormentarmi e di riprendermi non lo seppi mai, ma ad un certo punto sentii dei passi – tra i tanti che immaginavo – che corsero verso di me chiamando il mio nome.
«Oh… Le scarpe mi chiamano…» ricordo questa frase, detta a un paio di mocassini neri, che cercai di accarezzare.
Qualcuno poi – il padrone dei mocassini – mi sollevò, prendendomi in braccio.
«Amore…! Sei tu!» esclamai.
«Si, si sono io.» mi disse, ma non feci caso al suo tono accondiscendente «Adesso andiamo a riposare.»
«Mi sei mancato tanto! Scusa se non sono riuscita a venire stasera…» ormai farneticavo.
«Non importa, non preoccuparti…» mi disse lui, mentre mi portava da qualche parte.
Vidi il luogo dove mi condusse, soltanto la mattina dopo; lì per lì pensai all’Infermeria, ma dovetti ricredermi.
Mi diede qualcos’altro da bere, qualcosa di molto amaro e molto schifoso, ricordo vagamente qualche mio lamento disarticolato. Poi mi addormentai. Dormii male per tutta la notte, feci sogni strani, pieni di fumo e facce allungate e mi agitai parecchio.
Quando mi svegliai, era già mattino. Ero sdraiata a terra, in un’aula dismessa, su un materassino, senza ricordare nulla della sera prima. Mi voltai e sussultai. Seduto affianco a me, le gambe incrociate, i gomiti sulle ginocchia e le mani sotto al mento, c’era Remus Lupin che mi osservava.
«Ben svegliata. Stai meglio?» mi domandò dolcemente.
«Sì credo di sì…» dissi, ancora intontita dal sonno. Mi faceva male la testa.
«Ti sei agitata parecchio stanotte.» disse lui.
«Cosa mi hai dato ieri?» domandai, ignorando la sua osservazione.
«Una pozione… Era amara lo so.»
«Temo di non aver fatto una bella figura…» dissi, distogliendo lo sguardo e in quel momento mi ricordai di alcune frasi che dissi a proposito del “mio amore”.
«Beh, hai parlato con le mie scarpe. E’ stato abbastanza divertente, perché quando ti ho presa in braccio ti dimenavi perché volevi stare con loro.» tratteneva una risata.
«Oddio, scusa!» dissi, rossa di vergogna.
«Non è finita…» disse lui.
«Avanti, torturami…cos’altro ho detto?» dissi, ma sapevo dove sarebbe andato a parare.
«Mi hai chiamato amore, ma solo un paio di volte…» stavolta non riuscì a trattenersi e rise.
«Uhm…» non sapevo che dire.
«Non preoccuparti, nessuno saprà nulla…» mi assicurò, dolcemente.
«Perché non mi hai portato in infermeria?» domandai incuriosita, mettendomi a sedere.
«Perché un Prefetto ubriaco dopo una festa di un professore avrebbe creato guai sia a te che a Lumacorno.»
«Ti sono debitrice, Remus.» dissi io.
«Non preoccuparti, se avrò bisogno di un favore, saprò a chi chiedere.» sorrise.
«Grazie…» gli dissi sincera.
Lui si alzò e mi tese la mano. «Ti accompagno in infermeria, così ti fai dare qualcosa per quel mal di testa…»
«Come fai a saperlo?» domandai io stupita, mentre mi facevo aiutare ad alzarmi.
«E’ l’effetto collaterale della pozione…» sorrise.
«E come conosci quel rimedio?» il mio stupore crebbe.
«Se sei il migliore amico di James e Sirius, queste cose devi conoscerle…» rise, mentre ci incamminavamo verso l’Infermeria.
«D’accordo…» dissi sorridendo. Solo allora notai che indossavo, ovviamente, il vestito da cerimonia, ormai sgualcito. «Sono vestita come ieri!» esclamai.
«Puoi sempre dire che ti sei addormentata così, il che è vero…» rise e io lo imitai.
Per tutto il tragitto mi tenni salda alla sua mano, per paura di cadere, dato che il mio equilibrio non era ancora del tutto ristabilito.



Note: Un paio di note XD allora, nell'articolo del Profeta ho messo volontariamente la parola Nati Babbani, per contraddistinguerli dai mezzosangue. Lo stesso ho fatto dopo, definendo Lily Figlia di Babbani. Se ho usato la parola "mezzosangue", non dovete prenderla come dispregiativa, ma semplicemente non sapevo come altro definirli XD
Poi, l'Incantesimo di Stiratura Rapida non credo esista... l'ho inventato perchè il Gratta e Netta non era al caso mio.
Ringraziamenti: Ringrazio tutti quelli che hanno letto e messo tra i preferiti/seguite questa mia fanfiction.
In particolare vorrei ringraziare, che hanno recensito:
dirkfelpy89;
Pervinca Potter 97;
chiaramalfoypotter;
alida;
Robert90.

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Capitolo 6
*** Operazione Maledizione ***


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= Operazione Maledizione =

Il giorno dopo, lunedì, mi aspettavo che la mia piccola disavventura alla festa di Lumacorno fosse sulla bocca di tutti. Non tanto perché non mi fidassi di Remus, quanto perché gli altri studenti invitati erano al corrente della mia ubriacatura. Ma evidentemente ciò che succede alle Lumafeste, rimane alle Lumafeste. Non mi ero mai ubriacata così pesantemente. Sì, a volte era successo che tornassi nel dormitorio con giramenti di testa, vuoti di memoria e forti nausee che si trasformavano, la maggior parte delle volte, in realtà. Ma mai così tanto come la sera prima. Quando scesi a colazione, la mattina di lunedì, mi guardai intorno nervosa. Chris mi venne incontro non appena varcai la soglia.
«Come stai Lily?» mi domandò, in apprensione, cingendomi la vita, fingendo di abbracciarmi…o almeno credevo fingesse.
«Tutto bene, mi sono ripresa perché?» domandai, stando al gioco e portando le mani a congiungersi dietro il suo collo.
«Per fortuna! Quando sei andata via mi sono preoccupato… Cioè no… Ero troppo ubriaco, ma dopo mi sono reso conto di esser preoccupato… E poi non ti ho vista finora…» disse e si vedeva che era sollevato.
«Ho dormito molto… Avevo un mal di testa orribile. E ora ho fame, non mangio da due giorni…» risi sciogliendomi da quell’abbraccio. Sentivo, anche se da lì non potevo vederli, i suoi occhi addosso. Salutai Chris con un cenno e mi diressi al tavolo dei Grifondoro. Era vero che non avevo mangiato e infatti morivo di fame.
«Lil! E’ successo qualcosa tra voi due alla Lumafesta?» mi domandò Mary, con un sorriso vittorioso sulle labbra.
«E chi se lo ricorda? Ero ubriaca!» sussurrai. Loro ovviamente sapevano che tornavo dalle feste di Lumacorno a dir poco brilla, mi avevano visto tante volte tornare barcollante e mi avevano accompagnata in bagno quando la nausea si trasformava inesorabilmente in realtà. D’altronde erano le mie migliori amiche.
Risero a quella mia battuta. Non mi avevano fatto una sola domanda su dove avevo passato la notte tra sabato e domenica e quando mi avevano visto tornare in Dormitorio e buttarmi a letto, domenica pomeriggio, avevano avuto il tatto di non svegliarmi per cena.


Fu in una mattinata simile, postuma a un’ennesima festa di Lumacorno – dalla quale per fortuna ero uscita molto meno ubriaca – di qualche settimana dopo che una ragazza si avvicinò a noi, la riconobbi: era Alice, Grifondoro del nostro anno con la quale avevo parlato qualche volta a lezione. Era una ragazza graziosa, il viso tondo sempre sorridente, solare. Si sedette affianco a me e si servì la colazione. Fece un paio di respiri profondi, poi alzò il capo, mi guardò, lo scosse e lo abbassò sulla tazza. Così per tre volte.
«Volevi chiedermi qualcosa, Alice?» le domandai per aiutarla.
Lei sorrise. «Effettivamente si…» ma impiegò qualche istante per riprendere «Tu sei la ragazza più bella della scuola…» Io risi. «Ma va’…»
Non mi diede ascolto e continuò «Mi devi aiutare, Lily!» il suo viso era rosso come un peperone «Aiutami, ti prego!»
«In cosa?» domandai perplessa.
«Mi piace un ragazzo, ma non so come dirglielo.» abbassando lo sguardo e distraendosi mangiando la colazione. «Tu sei la migliore, in tutto, quindi puoi aiutarmi.» sembrava cercasse di convincere se stessa più che me. Mi venne spontaneo sorridere.
«Chi?» domandai e lei s’illuminò «Ehi, calma! Non ti assicuro niente!» mi affrettai ad aggiungere.
«Frank Paciock» ammise, arrossendo ancora di più.
«Ragazze, avete sentito?» mi voltai verso le altre «Dobbiamo ideare un’operazione!». Loro risero.
«Mi aiuterete?» domandò Alice, incredula.
«Ma certo!» dicemmo in coro.
Finita la colazione, ci alzammo per andare alla noiosissima lezione di Storia della Magia, fortunatamente sapevamo come ingannare il tempo!
«Ci serve un pretesto!» dissi prendendo posto affianco ad Alice, le altre si disposero lì intorno a portata di sussurro.
«La settimana prossima c’è l’uscita a Hogsmeade oppure la festa di Halloween.» osservò Sarah.
«Si hai ragione! Sono entrambe buonissime occasioni!» assentì Elinor. Io ero ormai pensierosa.
«Intanto dovremmo scoprire cosa pensa di me…» disse Alice, giù di morale, torturandosi una ciocca di capelli.
«Giusto, a quello ci penso io!» dissi, maledicendomi per l’idea geniale che mi era venuta e che sicuramente mi si sarebbe ritorta contro facendomela pagare cara. «State a vedere!» esclamai sospirando.
Presi un foglio bianco e scrissi: “Puoi aiutarmi a scoprire cosa Frank Paciock pensa della mia amica Alice? Magari le tue “doti” di casanova potranno servire a qualcosa…”. Lo piegai accuratamente e, con un semplice Incantesimo di Levitazione, lo feci librare a mezz’aria e atterrare, con un leggero fruscio, sul banco di Potter.
Questi si destò dal sonno-torpore che Rüf “iniettava” nelle sue lezioni e mi guardò trionfante, mentre io mi maledicevo ancora di più ed ero quasi tentata di usare su me stessa un qualche incantesimo per la stupida idea.
Aprì il foglio, lo lesse con cura – o almeno lo fece credere – scrisse qualcosa e me lo rimandò.
“Se vuoi posso dirti cosa ne penso io…”. Mi guardò, sorridendo strafottente. Scossi il capo e gli risposi.
“Non fare l’idiota, Potter. Non ti ho chiesto un favore, posso pagare…”. Il suo sorriso, quando lesse, divenne ancora più sfacciato e trionfante. Ovviamente, ma questo lo sapevo sin da quando mi era venuta l’idea, non avrei pagato in Galeoni.
“Vieni ad Hogsmeade con me e ti aiuterò.”. Fu la sua risposta.
Beh non mi era andata tanto male, Potter aveva poca fantasia e molta voglia di farsi vedere, ma Hogsmeade sarebbe stata piena di studenti con i quali fermarmi a fare quattro chiacchiere e lamentarmi dello “sporco ricatto” che Potter mi aveva fatto.
“Vengo solo se mi dai le informazioni prima. Ci servono per l’uscita a Hogs… E, Potter, non è un appuntamento, ma uno scambio.”. Precisai, non gli avrei dato la soddisfazione di uscire con lui, in un vero e proprio appuntamento.
“Va bene. Ti aspetto in Sala Comune alle nove di quel giorno. Appena ho le info, te le darò. Non provare a fregarmi però, Evans.”. Annuii e con un tocco di bacchetta, cancellai la pergamena.
“Speriamo solo che non se ne vanti troppo” pensai rassegnata. Poi mi voltai verso le mie amiche che mi guardavano allibite, senza capire.
«Avremo le informazioni quanto prima, o almeno spero…» dissi loro, sospirando. Mary fu la prima a capire qualcosa.
«Potter?! Hai chiesto a Potter le informazioni?» domandò con un filo di voce, io annuii solennemente.
«Cosa vuole in cambio?!» chiese esterrefatta immaginando la risposta.
«Andrò a Hogsmeade con lui…» dissi e le altre si portarono le mani alla bocca, stupite. «Ma ho fatto in modo che non sia un appuntamento.»
«Si… Certo… Dillo a lui…» disse Elinor alzando gli occhi al cielo.
«L’ho fatto, ha detto che va bene…» risposi, convinta. Anche se in realtà non lo ero.
Alice mi guardava, senza sapere cosa dire. Cercava di balbettare un grazie, ma evidentemente era troppo stupita. Anche lei conosceva, come tutta la scuola, le mie disavventure con Potter.
«Non preoccuparti, Alice, l’ho fatto volentieri…» dissi, sorridendo.
Da quel momento Alice si unì al nostro gruppo, prima in trepidante attesa per le informazioni e per l’operazione, poi perché trovammo in lei una buona amica e lei in noi lo stesso.
L’Operazione Fralice – un nome che nessuno mai avrebbe capito, ovviamente… - cominciò da quella lezione di Storia della Magia. Per me, però, era l’Operazione Maledizione, per quello che avrei dovuto fare per portarla a termine. Cominciai a evitare Potter, sapendo che non avrebbe perso occasione per ricordarmi che ci saremmo incontrati e saremmo andati insieme ad Hogsmeade. Tornavo tardi dalle lezioni, da cena, dal pattugliamento dei corridoi per non incontrarlo. Mi rifugiavo nelle classi vuote e puntualmente venivo raggiunta da una compagnia ben più gradita di quel Bamboccio. Fu la cosa positiva dell’Operazione, passavo del tempo con lui, quando invece normalmente non lo avremmo fatto.
«Ti dispiace se vado a Hogsmeade con quello scemo?» gli domandai un giorno nell’Aula di Incantesimi.
«No. Cioè sì, perché non stai con me, ma no perché so per cosa lo fai e so che non succederà nulla tra te e lui.» rispose giocando con i miei capelli.
«Che non succederà niente è ancora da vedere! Potrei mandarlo in Infermeria, oppure lasciarlo agognante in un vicolo…!» esclamai mentre mi montava la rabbia. Lui mi abbracciò.
«Ricorda che lo fai per un’amica…» mi disse, per calmarmi, ma sentivo che sorrideva.
«E’ l’unica cosa che mi trattiene dal lanciargli una qualche buona fattura delle mie…» risposi, lamentandomi. La rabbia stava scemando, ma rimasi stretta a lui.
«Ho paura anch’io delle tue fatture, Lil…» rise, baciandomi la fronte.


Quando ormai mancavano pochi giorni all’uscita a Hogsmeade, evitare Potter divenne una cosa impossibile. In qualche modo doveva pur darmele quelle informazioni…
Mi stava aspettando nella Sala Comune deserta, perché nonostante tutto tentati di ritardare quell’incontro.
Quando passai attraverso il buco del ritratto, lui stava camminando avanti e indietro spazientito.
«Oh, Evans, finalmente!» disse quando mi vide.
«Avevo da fare…» mi scusai io, anche se il tono non era decisamente di scuse.
«Ho fatto l’idiota per un po’…» iniziò.
«Perché di solito non lo fai?!» lo interruppi io, con falsa perplessità. «Comunque l’ho notato… I tuoi commenti sulla bellezza di Alice li hanno sentiti tutti, soprattutto noi…» sospirai.
«Non essere gelosa, Evans, me l’hai chiesto tu…» disse lui, in tono consolatorio.
«Vai avanti Potter, cos’hai scoperto?» gli chiesi, tagliando corto. Mi prudevano le mani, avrei tanto voluto tirargli un bel pugno su quel volto strafottente.
«Ho quasi fatto a botte con Paciock perché non gli piaceva, parole sue, la volgarità con cui mi riferivo ad Alice…» disse, poi assunse un’aria solenne che fece aumentare la mia voglia di picchiarlo. «Secondo il mio modesto parere… E sottolineo modesto… E’ cotto di lei.»
«Ottimo, mi hai dato tutte le informazioni che volevo, ora puoi toglierti dalla mia vista…» mormorai, chiudendo gli occhi.
«Non così in fretta, Evans… A cosa ti servono le informazioni? Non puoi farmi fare il lavoro sporco e non dirmi lo scopo.» mi domandò, serio.
«Frank piace ad Alice. Vogliamo farli uscire assieme, se son rose, fioriranno…» dissi la verità perché era l’unica cosa che l’avrebbe fatto stare zitto e poi, se l’avesse detto in giro, non sarei andata ad Hogsmeade con lui.
«Voglio partecipare. Noi siamo esperti in queste cose…» mi rispose, sorridendo.
«Tu e i tuoi amici? Io pensavo che foste esperti soltanto in cose da una botta e via, Potter. Oppure a ubriacarvi di Burrobirra, cosa che è praticamente impossibile per i comuni mortali…» non riuscii a trattenermi, la sua sola presenza mi dava sui nervi.
«Beh… La prima è vera... La seconda no, non ci ubriachiamo di Burrobirra, anzi non beviamo Burrobirra, non siamo pivelli.» si difese. Io scoppiai a ridere in una risata priva di allegria.
«E’ vero, Evans… Forse sei tu quella che beve Burrobirra!» «Si, a volte capita. Perché no? E’ buona…» dissi scrollando le spalle. «Ma tornando a noi, com’è che partecipereste voi?» domandai più per voglia di schernirlo che per curiosità.
«Faremo in modo che gli chieda di uscire. Fidati di noi.» rispose risoluto.
«Dov’è la trappola?» domandai, capendo il tranello.
«C’è solo una richiesta, non un obbligo, né un pagamento, né uno scambio, né qualsiasi altra cosa il tuo intelligente cervello possa pensare. Solo una semplice richiesta.»
«Spara…» dissi, maledicendomi di nuovo mentalmente.
«Se a Hogsmeade ti divertirai, mi concederai una seconda possibilità.» disse, serio, guardandomi negli occhi. Mi colpì tutta quella tenacia, per la prima volta capii che gli piacevo davvero e non che faceva l’idiota solo perché era Potter e doveva provarci con tutte. Fu quello che mi fece acconsentire.
«Va bene. Nel caso remoto in cui sabato io mi diverta come non mi sono mai divertita in vita mia, ti concederò una seconda opportunità.» risposi, mantenendo il sarcasmo, nonostante le mie mute osservazioni sulla sua tenacia. Per una volta il sorriso, che sfoderò alle mie parole, non era tronfio. «Ma devo divertirmi come mai prima d’ora, Potter e ti assicuro che non è semplice.» ci tenni a precisare.
«Ci proverò. Non te ne pentirai…» mi rispose e poi si voltò e si diresse al suo dormitorio.




Ringraziamenti: Questa volta vorrei ringraziare:
denisaasined
erigre
jillien
senna710
trustsnape
Che hanno messo questa fiction tra i preferiti.

Poi:
Alexandraleon
alida
Anthymea
chiaramalfoypotter
denisaasined
MEISSA_S
Nihil The Siren
Pervinca Potter 97
trustsnape
Che invece l'hanno inserita tra le seguite.

Infine:
dirkfelpy89;
Pervinca Potter 97;
chiaramalfoypotter;
alida;
Robert90;
erigre;
Aloysia Piton.
Che hanno recensito.

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Capitolo 7
*** Candido ***


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= Candido =

Dall’altro della Torre di Astronomia,
la guardavo allontanarsi al fianco di James Potter.
La gelosia mi sbranava da dentro
E il giorno in cui tutto era cominciato, mi tornò in mente…



Era un Natale bianco, proprio come nelle canzoni. La neve scendeva a grandi fiocchi, riempiendo i davanzali e il parco di Hogwarts. Sembrava un mare, un mare dai colori sbagliati e troppo calmo per essere vero. Rimasi ore a guardare alla finestra, senza preoccuparmi di aprire i regali, non mi interessavano granché. Quand’era ora di pranzo allora, scesi nella Sala Grande, l’odore del succulento tacchino, mi faceva brontolare lo stomaco e mi dipinse sul volto un sorriso involontario. Mi sentivo a casa, nonostante il castello fosse praticamente deserto. Infatti, entrato nella Sala, erano pochi gli studenti già seduti, in attesa degli ultimi ritardatari – come me – che dovevano ancora arrivare. Ed essendo pochi, Silente ci ordinò di sedere tutti a un solo tavolo, quello centrale, per festeggiare “come una grande famiglia allargata, senza distinzione di Casa”, parole sue. Io mi guardai un po’ intorno, per cercare qualche volto familiare, con cui sentirmi più a mio agio. C’era solo una manciata di studenti, quell’anno, che passava le vacanze ad Hogwarts, perlopiù erano secchioni del quinto e del settimo che non volevano perdere tempo in inutili festività e utilizzarlo più proficuamente studiando. Bah. Valli a capire…
L’unica persona del terzo anno, come me, era una ragazza. Una Grifondoro dagli splendidi capelli rossi e indescrivibili occhi smeraldo. La conoscevo – e come non conoscerla? – perciò mi sedetti al suo fianco, ma mantenni la mia buona educazione – che usciva soltanto quando mi faceva comodo – e le domandai: «E’ libero? Posso?»
Lei alzò lo sguardo, sorrise e mi aveva in pugno. Anche se ero uno stupido ragazzino di tredici anni, il mio cuore smise per qualche istante di battere, mi mancò il respiro e se fossi stato meno estroverso sarei arrossito solo per quella sua espressione.
«Certo, siediti.» Com’era soave la sua voce, non me ne ero mai reso conto prima. «E’ bello trovare qualche volto familiare…» aveva aggiunto, lanciando un’occhiataccia tutt’intorno. Mi aveva definito “familiare” era, forse, il più bel complimento che qualcuno mi avesse mai fatto.
«Sì, molto.» le risposi, sorridendo e sedendomi al suo fianco.
Il tintinnare del calice di Silente, mi diede qualche istante per pensare qualcosa di intelligente da dire.
«Grazie per l’attenzione!» esclamò gioviale il Preside. «Non vi ruberò più di qualche secondo, anche perché il mio stomaco mi sta dicendo che vuole assaggiare lo splendido tacchino che c’è in tavola!» risi a quella battuta, ma fui uno dei pochi. Lily rise con me, ma la maggior parte degli altri studenti si scambiarono solo un’occhiata perplessa. Quindi oltre che secchioni erano anche senza senso dell’umorismo… Che bel Natale! «Vorrei augurarvi soltanto un buon Natale, sperando che i doni che avete ricevuto, o che riceverete…» mi sembrò che mi lanciasse un’occhiata a quella frase, ma subito pensai di sbagliarmi, dopo mi ricredetti. «siano stati o saranno, di vostro gradimento. Buon Natale e buon appetito!» fece per sedersi, ma poi si rialzò in piedi con un agile scatto «Ah, dimenticavo: pigna, pizzicotto, manicotto, tigre!». Risi di nuovo, mentre il preside si sedeva e tutti iniziavano a riempire i piatti di cibo.
«Allora, Lily, cos’hai ricevuto per Natale?» le domandai, mentre mettevo il tacchino nel mio piatto.
«Non lo so…» rispose lei, dura. Mi voltai a guardarla, la sua espressione non era felice, l’avrebbe capito anche un cieco.
«Come mai?» domandai, tornando al mio piatto: non potevo sopportare quello sguardo. Sentii una fitta allo stomaco, come una puntura fredda.
«Non li ho aperti. Non m’interessano i manuali di Quidditch che mi avrà sicuramente mandato Potter, né i regali dei miei genitori…» sussurrò, quasi con rabbia.
«Neanche io li ho aperti…» le dissi istintivamente. «Neanche a me interessa cosa mi hanno regalato… E poi non c’era nessuno in dormitorio con cui aprirli…» scrollai le spalle e lei annuì.
«Come mai sei rimasta qui?» le chiesi, dopo un po’. Mi sentivo in dovere di parlarle, non riuscivo ad ignorarla. «Non avevo voglia di sorbirmi mia sorella…» disse.
«E’ piccola?!» domandai incuriosito da quella risposta.
«No.» rispose con rabbia «E’ mia sorella maggiore…» sospirò e mi lanciò un’occhiata, io la guardai di rimando, ma non insistetti, anche se volevo saperne di più. «Io sono nata Babbana, lo sai no?» mi chiese e mi spiazzò, certo che lo sapevo, anche se vedendo la sua dimestichezza con la Magia (dimestichezza che la maggior parte dei Purosangue stentavano ad avere) non me ne ricordavo. Annuii comunque, in risposta. «Mia sorella non è una Strega e quando ha saputo che lo ero, se l’è presa con me. Dice che sono un mostro e non perde occasione per ricordare la nostra diversità, ovviamente considerandosi superiore.»
«Mi dispiace…» fu l’unica cosa che riuscii a dirle. Che idiota!
«Anche a me…» rispose lei, mogia.
«Ma ora non pensarci!» esclamai, sentivo il bisogno di fare qualcosa per lei e l’unico modo che conoscevo, a tredici anni, era l’ironia. «Guardati intorno! Sei a Hogwarts, e questo è già una gran cosa, circondata da gente divertentissima e bellissima, che ti farà passare un Natale indimenticabile!». Riuscii a farla ridere e mi sentii leggero. Molti studenti intorno a noi ci guardarono male, come se avessimo interrotto un sacro silenzio o come se ridere fosse un crimine che ti condanna all’ergastolo ad Azkaban. Io li ignorai e Lily fece lo stesso.
«Tu perché sei rimasto?» mi domandò al dolce.
«Per studiare ovviamente…» ironico, di nuovo. Lei sorrise – Dio, quant’era bello quel sorriso. Scossi il capo e risposi seriamente. «Non avevo voglia di tornare a casa, volevo stare qui.»
«Non potevi andare da qualche tuo amico?» domandò con quella che sembrava curiosità.
«E tu, non potevi andare da qualche tua amica?» la scimmiottai, alzando il tono per imitare, malamente, il suo. Rise di nuovo.
«Allora che farai oggi?» le chiesi, mentre nella mente mi turbinavano almeno un migliaio di idee di cose da poter fare con lei.
«Avevo pensato di rintanarmi in Sala Comune e leggere affianco al camino.» rispose, sorridendo imbarazzata e mangiando l’ultimo boccone di torta.
«Tu ti diverti mai Lily?» le domandai, trattenendo a malapena una risata quando si voltò verso di me con le guance gonfie per il cibo e lo sguardo pronto a fulminarmi. Era buffa, ma comunque bella.
«Ovvio che mi diverto. Era quello il programma per la giornata!» esclamò, il suo tono rasentava quello che usava sempre per Potter.
«Ok, ok, se lo dici tu ti credo.» scrollai le spalle e poi, più seguendo l’istinto che la ragione, le chiesi «E se facessimo qualcosa insieme oggi?». Forse, ma solo forse, un lieve rossore imporporò le mie guance, ma Lily ebbe il buon cuore di non farci caso.
«Che genere di cose?» mi domandò, scettica.
«Non lo so, una battaglia a palle di neve… Un duello di magia, se proprio vuoi… Una partita a Quidditch, ma non credo ti interessi… Oppure» abbassai il tono «un giro a Hogsmeade.»
Lei mi guardò male e mi rispose sussurrando: «Non possiamo andare a Hogsmeade, non abbiamo il permesso.»
«Ok, allora facciamo qualcos’altro. Magari un giro nella Foresta Proibita, se vuoi…» risi, ovviamente non avevo intenzione di andare nella Foresta.
«Credi che abbia paura?» disse lei, fiera, interpretando male la mia risata.
«No no, non mi permetterei mai…» risposi, ancora col sorriso.
«Bene, allora andiamo nella Foresta. Ammesso che sia tu a non aver paura.». Che fosse orgogliosa lo sapevo, ma che arrivasse ad accettare qualsiasi sfida, implicita o esplicita che fosse, non me lo sarei mai aspettato.
«Certo che non ho paura…» le risposi e mi alzai, aspettando che mi seguisse.
Andammo a prendere cappotto, sciarpa e guanti e poi uscimmo nella bufera di neve che imbiancava Hogwarts e che quasi m’impediva di vederla a pochi centimetri da me. Ringraziai, mentalmente con un sorriso, i suoi capelli rossi. Procedemmo in silenzio, verso la macchia scusa di alberi che si vedeva appena.
A circa metà strada, però, estrassi di nascosto la bacchetta e sussurrando a bassa voce l’incantesimo, feci sollevare da terra una palla di neve e la scagliai contro di lei, ma poi mi smascherai, perché scoppiai a ridere. Lei si voltò e mi spinse. Poi si accucciò a terra e fece una palla di neve da lanciarmi, ma la evitai.
Continuammo così, tra le risate e la neve che finiva in bocca, fino alla Foresta Proibita – evitando accuratamente casa di Hagrid – e ci fermammo davanti alla fila di alberi.
«Se non vuoi, possiamo tornare indietro…» le dissi, dolcemente.
«Se hai paura, puoi tornartene dentro…» mi rispose lei ironica con una scrollata di spalle.
Io scossi il capo e feci il passo che mi fece entrare nella foresta. Mi voltai e aspettai lei, che intanto aveva fatto illuminare la bacchetta.

«Cosa stiamo cercando di preciso?» mi chiese dopo un po’ di cammino. Se la cavava piuttosto bene in mezzo a rovi, rami e tronchi caduti. Non dovetti aiutarla neanche una volta.
«Qualche pericolosissima creatura magica che si aggira qui dentro, ovviamente.» le dissi sorridendo, anche se lei non poteva vederlo.
«Gli Asticelli fanno parte di queste?» domandò lei e mi sembrò che stesse per ridere.
«No perché?» le feci perplesso.
«Perché ne hai uno sulla spalla da circa mezz’ora.»
«Cosa?!» dissi, guardandomi freneticamente le spalle, ma non c’era niente. Mi aveva preso in giro. «Quanto sei spiritosa, Lily…» replicai, sarcastico.
«Beh, sei tu che dicevi che non sapevo divertirmi… Questo è divertente…» replicò e finalmente rise.
«Se hai finito di attirare i Centauri, possiamo continuare il nostro giro…» dissi, falsamente seccato, mentre invece già adoravo sentirla ridere.
«Che cosa vuoi cercare?» domandò di nuovo, questa volta seria.
«Qualche creatura, te l’ho detto. Tu vuoi cercare qualcosa?» le domandai, forse capendo che voleva qualcosa, ma non voleva ammetterlo.
«Non ho mai visto un unicorno…» sussurrò talmente a bassa voce che faticai a sentirla. Mi voltai a guardarla. Lì la neve non scendeva fitta come nel parco, eravamo protetti dagli alberi, quindi riuscivo a vederla bene. Vidi che teneva il capo chino, e che quel poco di guance lasciate libere dalla sciarpa era rosso. Mi chiesi se fosse per il freddo, ma probabilmente era imbarazzata.
«Andiamo a cercarlo, allora.» le dissi, con un sorriso, tendendole la mano. Lei timidamente alzò il capo e la afferrò.
Raggiungemmo il folto del bosco, una mezz’ora abbondante dopo. Lì non c’era parvenza di sentiero e i rami e i rovi erano ancora più selvaggi ed era proprio lì che gli unicorni si sentivano più al sicuro, lontano dalla presenza umana. Nemmeno i Centauri si avventuravano così all’interno, nonostante quella fosse la “loro foresta”.
Ci fermammo al limitare di una piccolissima radura.
«Spegni la bacchetta e accucciati qui.» le sussurrai, facendo lo stesso.
«Come fai a sapere che troveremo l’unicorno?» mi chiese, anche lei sussurrando.
«Ho studiato.» dissi, scrollando le spalle. Anche se non potevo vedere le sue labbra, capii che sorrideva.
Eravamo immobili da un tempo indecifrabile, io mi ero perso a guardarla di nascosto, studiando ogni minimo dettaglio che potevo vedere, quando uno scalpiccio ci fece sussultare. Mi sollevai appena, in modo che riuscissi a vedere oltre il cespuglio dove eravamo nascosti e vidi uno splendido esemplare di unicorno, candido nella neve candida, fermarsi nella radura. Mi abbassai di nuovo e mi avvicinai a Lily.
«Alzati piano, senza fare troppo rumore e guarda. Se vuoi, puoi provare anche ad avvicinarti…» le dissi all’orecchio. E, quando si voltò a guardarmi, i suoi occhi brillavano di una gioia tanto immensa, che mi chiesi come facevano a contenerla.
La guardai alzarsi, esitante e osservare la creatura a pochi metri di distanza. Prese un respiro profondo e superò, cauta, il cespuglio. Io mi sollevai per osservare. L’unicorno alzò il muso e la guardò, per un attimo credetti che se ne sarebbe andato, invece rimase lì, calmo. Lei si avvicinò un po’ di più, ma rimase a distanza. Si fermò a contemplarlo da vicino e non si accorse che l’animale si avvicinò a lei. Sussultò e si voltò preoccupata verso di me, ma io le feci cenno col capo di non agitarsi. Si voltò di nuovo verso l’animale che, intanto le aveva appoggiato il muso in grembo e allungò una mano per accarezzarlo. Vidi la tensione del suo corpo sciogliersi e sorrisi, come uno scemo. Rimase lì per un po’, accarezzando l’animale, finché non si udì un verso soave e l’unicorno, lentamente, quasi come se non volesse, si allontanò e sparì nel bosco. Mi alzai completamente e la raggiunsi. Lei era rimasta con lo sguardo fisso su dove l’animale stava poco prima. Quando si voltò, era la ragazza più felice di tutto il pianeta. Con un piccolo balzo coprì la distanza tra noi e mi abbracciò forte. Io, un po’ in imbarazzo, ricambiai.
Tornammo indietro in silenzio, mano nella mano. Fortunatamente la sciarpa copriva il mio sorriso ebete, altrimenti non avrei fatto proprio una bella figura.
Usciti dalla Foresta, ci accorgemmo che aveva smesso di nevicare forte, i fiocchi scendevano ancora, ma non come quand’eravamo usciti.
«Vuoi tornare dentro?» le chiesi rompendo il lungo silenzio.
«Tu cosa vorresti fare?» mi rispose.
«Non lo so… Magari è meglio se rientriamo, inizia a fare freddo.»
«Oh… Hai paura di un po’ di freddo?» disse, ironica.
«Sì, non voglio che tu ti ammali.» le risposi, evitando di guardarla per l’imbarazzo.
«Ah…» disse, spiazzata.
Intanto avevamo raggiungo le scale dell’Ingresso ed io aprii il pesante portone quel tanto che bastava per farci passare e, una volta dentro, lo richiusi.
Era quasi ora di cena e i primi studenti si stavano già avviando in Sala Grande, guardandoci male. Decidemmo tacitamente di seguirli e riprendemmo posto, dove eravamo seduti a pranzo. Ci abbuffammo di tutto quello che c’era, rubandoci a vicenda qualcosa dai piatti e ridendo a crepapelle, scatenando per altro la reazione negativa di quelli seduti intorno a noi, ma non di Silente che sembrava divertito.
Dopo cena girammo per tutta Hogwarts, senza una meta precisa, parlando di Incantesimi, pozioni, scuola e progetti per il futuro, ancora molto lontano. Era tardi quando ci salutammo, ma io sarei rimasto tutta la notte sveglio, se lei fosse stata con me.
Ero assorto nei miei pensieri, guardando fuori da una finestra, quando lei lasciò la mia mano – che aveva tenuto per tutto il tempo – e mi si avvicinò.
«Grazie…» mormorò al mio orecchio, facendomi venire un brivido.
Quando mi voltai per replicare, le sue labbra sfiorarono le mie. Fui preso alla sprovvista, sentendo quel tocco morbido e inaspettato. Mi immobilizzai, sgranando gli occhi, il cuore che batteva fortissimo. Lei si ritrasse, con la stessa espressione sul viso e qualcosa mi si strinse dolorosamente nello stomaco. Voleva solo darmi un bacio sulla guancia, come ringraziamento, ma io mi ero girato e… ed era stato il momento più bello della mia vita.
«Scusa…» mormorai senza fiato per la sorpresa, mentre capivo che quella stretta allo stomaco desiderava ancora il suo tocco.
Lei non rispose, troppo stupita. Chissà se provava le stesse sensazioni… mi ritrovai a sperarlo.
«Vuoi essere la mia fidanzata?» le domandai sussurrando, senza rendermene conto e senza che potessi fermarmi prima. Arrossii violentemente, ma mi costrinsi a non distogliere lo sguardo da lei.
«Io…» anche lei arrossì e mi fece tenerezza. «Sì.» mormorò così basso che credetti di averlo sognato. La abbracciai, felice quando lei ricambiò. Mi allontanai di poco e, perdendomi nei suoi occhi, avvicinai il volto al suo e sfiorai di nuovo le sue labbra, in innocente bacio a stampo…



Dopo tutto quel tempo e tutte le cose vissute insieme,
quello era ancora il ricordo più bello e felice della mia intera esistenza…




Note: Come avrete capito questo è un capitolo un po' speciale, narrato dal punto di vista del lui misterioso... Spero vi sia piaciuto. ^^
Scusate l'attesa, ma con gli esami incombenti ho molto da fare...
Ringraziamenti: Questa volta ringrazio tutti, ma in particolare i sei che hanno recensito, cioè:
Roby28;
Yellowrose;
Aloysia Piton;
erigre;
dirkfelpy89;
vacanziera.

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Capitolo 8
*** Il Fantasma della Stamberga ***


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= Il Fantasma della Stamberga =

Alle sette della mattina di sabato, qualcuno mi scrollò dal mio quieto sognare. Mi rigirai nel letto e dissi qualcosa che somigliava a “no Potter, non esco con te…” ma poiché dormivo, non mi resi bene conto di quello che stavo dicendo.
«Lily, Lily svegliati!» una voce disperata, troppo acuta per essere quella del mio “carissimo amico”, mi fece sospirare e aprire gli occhi. Quando misi a fuoco la figura, notai che Alice stava piangendo. Mi sedetti di scatto e la guardai preoccupata.
«Alice, che c’è?» le domandai, la voce ancora nel mondo dei sogni.
«Non so cosa mettere, Lily!» singhiozzò lei. “Non sai cosa mettere e devi svegliare me alle sette di mattina?” si domandò, mentalmente, la parte acida di me. La parte buona, invece si alzò – non senza difficoltà – e, andata al baule della ragazza, cercò qualcosa per aiutarla.
«Dove sono i tuoi vestiti?» le domandai quando vidi il baule vuoto. Lei singhiozzò e indicò il letto, mi chiesi come mai le altre non si svegliavano… Sulla trapunta rosso-oro c’erano tutti i vestiti di Alice, appallottolati, come lanciati in preda alla rabbia. Ne districai qualcuno, stirandolo con le mani e glieli feci vedere. «Uno di questi potrebbe andare bene…» le dissi.
Lei scosse il capo e pianse più forte.
«Avanti, Alice, ti vede tutti i giorni con la divisa scolastica, secondo te gli importa tanto di come sei vestita?» le domandai ironicamente. Sembrò calmarsi un po’. «Alice, cerca di calmarti, ti ha chiesto di uscire no? Significa che gli interessi!» “O almeno spero, dipende cosa Potter gli ha detto…” la frase si sarebbe conclusa così, ma ovviamente non lo dissi.
Il giorno prima, Alice era rimasta nell’Aula di Pozioni per chiedere un’informazione al professore; noi ci eravamo allontanate, sapendo cosa sarebbe successo di lì a poco. Incrociai Potter in corridoio e gli feci il segnale convenuto. Lui spinse Frank Paciock dentro l’aula, dopo avergli detto le parole esatte che avrebbe dovuto ripetere. Certo, aveva fatto davvero un buon lavoro, quel buffone.
Quando Alice ci raggiunse, una ventina di minuti dopo – e tutte ci chiedemmo cos’aveva fatto per venti minuti – era raggiante come una bambina il giorno di Natale.
«Sabato vado a Hogsmeade con lui!» aveva esclamato, urlando e facendo sussultare tutti gli studenti in Sala Comune. Noi d’altro canto, scoppiammo a ridere, sia per il modo in cui l’aveva detto, sia perché lo sapevamo già. Il giovedì precedente, parlando con Potter del piano che avremmo messo in pratica, lui aveva fatto notare che sarebbe stato meglio non avvisare Alice del momento in cui Frank le avrebbe chiesto di uscire, così sarebbe stata più sorpresa. Sicura che dietro a quell’idea ci fosse Remus, accettai e lo dissi alle altre.
Ora però, lei era lì, mi aveva buttato giù dal letto un’ora prima di quello che avrei desiderato, perché tre ore dopo sarebbe uscita con Frank e non sapeva come vestirsi… e frignava.
«Alice, ora basta, per piacere vestiti con questi e non piangere più!» sbottai mettendole in mano un paio di vestiti ben abbinati. Odiavo essere svegliata prima di quel che avevo progettato e, se succedeva, diventavo nervosa e scontrosa. Soprattutto se di lì a due ore fossi dovuta uscire con Potter…
Mi ributtai sul letto, cercando di riaddormentarmi, ma evidentemente Alice si era prefissata di essere la mia tortura in una giornata già particolarmente cruciale.
«Lil, non ho trucchi da abbinare a questi vestiti!» piagnucolò sedendosi sul mio letto. Io sospirai, poi contai fino a dieci, poi lo feci un’altra volta e infine mi misi a sedere anch’io.
«Guarda cosa trovi nella mia trousse…» le dissi, cercando di essere paziente. Mormorò un “sì” e si dileguò in bagno.
Io mi addormentai subito, ma dopo un po’ venni svegliata di nuovo. Imprecai e quasi presi la bacchetta per Tacitare Alice. «Che c’è?» le chiesi secca.
«Guardami, Lily, sono ridicola!» si lamentò. Io alzai lo sguardo e la osservai, indossava gli abiti che le avevo dato ed era riuscita a truccarsi decentemente.
«Sei perfetta!» le dissi, forse un po’ forzatamente. «Ora posso dormire per i prossimi…» non riuscii a terminare la frase che la sveglia suonò e prontamente la spensi con violenza. «Ok, niente… vai a far colazione Alice e rilassati.» le dissi.
Era meglio che non avessi nessuno intorno, ero già troppo nervosa. Lei annuì e uscì con un sorriso di scuse. Lentamente, molto lentamente, mi alzai dal letto. Con un sospiro aprii il baule e cercai qualcosa da indossare. Non ci misi molto a scegliere, non ero Alice che andava nel panico e non uscivo nemmeno col ragazzo che mi piaceva.
Trovai un maglioncino viola, semplice ma carino – in realtà era uno dei miei maglioni preferiti e infatti mi rodeva abbastanza metterlo per uscire con Potter – e un paio di jeans, la gonna era esclusa perché iniziava a fare troppo freddo e poi dopo settimane di divisa, era bello avere di nuovo dei pantaloni. Decisi di usare il bagno dei Prefetti, mi sarei rilassata un po’ dentro quella vasca di acqua colorata e profumata. Uscii di corsa, con i vestiti in mano, evitando di guardarmi intorno in Sala Comune per non scoprire se Potter fosse già lì. Andai al quinto pianto, dissi la parola d’ordine e, velocemente, aprii quanti più rubinetti possibile. Quando la vasca si riempì di schiuma e l’aria era impregnata da profumi diversi, ma non fastidiosi, li chiusi e mi misi a bagno. Dopo un buon quarto d’ora ricordai che avevo dimenticato il mantello in Dormitorio e che con tutta probabilità avrei dovuto incontrare quel buffone prima del previsto. Decisi di non pensarci ancora per un paio di minuti e godermi il bagno. Dopo un tempo ragionevole, uscii dall’acqua e mi avvolsi in uno dei candidi e morbidi asciugamani impilati affianco alla vasca. Mi asciugai per bene il corpo e poi rivolgendo la bacchetta contro me stessa mi asciugai i capelli con un getto di aria calda – tra l’altro era molto più efficace di un fon anche per la messa in piega – e poi mi vestii.
Decisi di rimandare il fatidico incontro andando prima a colazione, perciò scesi fino alla Sala Grande e andai al tavolo di Grifondoro. Per un attimo mi prese un colpo, quando vidi Black, Remus e Minus seduti lì a far colazione e a schiamazzare come sempre, o meglio un po’ meno di sempre perché mi accorsi che mancava l’ultimo dei quattro. Sospirai di sollievo, immaginandolo trepidante in Sala Comune e andai a sedermi. Non feci colazione in fretta, provavo uno strano piacere nel fare aspettare Potter. Quando però ero ormai sazia e non riuscivo a trovare una scusa migliore per rimandare, mi alzai sospirando e tornai lentamente in Sala Comune.
Varcai il buco del ritratto e vidi Potter fare avanti e indietro per la Sala Comune, ma quando si voltò e vide che ero entrata si buttò sulla prima poltrona e finse un’aria tranquilla, quasi annoiata. Sorrisi ed entrai definitivamente.
«Evans, era ora!» esclamò lui.
«Potter, sono le nove meno tre minuti, non sono in ritardo.» lo rimbeccai, superandolo per salire in dormitorio.
«Dove vai?» mi chiese, quasi preoccupato.
«A prendere il mantello, preferirei non beccarmi un accidente, la giornata non è già delle migliori…» gli risposi, affrettandomi per andare in camera.
Quando tornai lui era lì, ovviamente, con il suo mantello in mano, pronto per torturarmi per tutta la giornata.
«Stai bene vestita così…» mi disse, quando lo raggiunsi.
Alzai gli occhi al cielo. Doveva proprio iniziare anche con i complimenti?
«Andiamo Potter…» dissi, avviandomi verso l’uscita.
Percorremmo in silenzio tutti i corridoi, passammo davanti a un Gazza accigliato – chissà se era perché ci vedeva uscire insieme? – e proseguimmo verso il cancello. Cercavo di mantenere più distanza possibile, senza dare troppo nell’occhio. Non so bene perché, ma avevo la sensazione di essere osservata, però non mi girai a controllare. Ero a disagio, desideravo essere da tutt’altra parte che lì, affianco a Potter. Tra l’altro stranamente non aveva ancora detto nulla… meglio non cantare vittoria troppo presto… Infatti appena superato il cancello, afferrò il mio polso e mi trascinò di lato.
«Potter cosa vuoi fare?» gli domandai, minacciosa, mentre l’altra mano stava già per scendere sulla bacchetta. Ma Potter mi bloccò anche quella.
«Puoi cortesemente lasciarmi parlare prima di lanciarmi qualche fattura?» mi domandò spazientito. Poi tenne entrambi i miei polsi con una mano e con l’altra estrasse qualcosa da sotto il mantello.
Era un fagotto di pieghe lucenti grigio argento, che non faticai a riconoscere come un Mantello dell’Invisibilità. «Inizi a vantarti Potter? Bravo hai un Mantello dell’Invisibilità, complimenti, ora sì che hai fatto colpo…» gli dissi seccata, cercando di liberarmi i polsi, ma evidentemente l’andare dietro a un Boccino e afferrarlo, rendeva la presa piuttosto forte.
«Puoi tacere Evans? Voglio farti un favore, figurati se ti rivelo che ho un Mantello dell’Invisibilità solo per far colpo, credi che sia così tocco da farmelo ritirare da un Prefetto?!» mi disse, anche lui scocciato.
«Effettivamente hai ragione, dovrei ritirartelo…»
«Ora non sei un Prefetto, Evans…» sospirò lui, con quel ghigno strafottente che aveva sempre dipinto in volto.
«Sono sempre un Prefetto, Potter, quindi dammelo…»
«Sì, sei sempre un Prefetto dentro le mura di Hogwarts e adesso, mia cara, siamo fuori.» disse lui e il trionfo gli si dipinse in volto. Certo che era furbo…
«E va bene, appena rientreremo, me lo darai…» tagliai corto, scrollando le spalle. «Ora spiegami perché l’hai portato se non per vantarti…»
«Come sostenevo prima, non sono stupido, anzi per dirla tutta sono più intelligente della media…» eccolo che iniziava con le sue eccezionali qualità… «E in quanto essere di intelligenza superiore, so benissimo che tu non vuoi farti vedere in giro con me, che hai una tua reputazione da mantenere e che io sono uno sbruffone e quanti altri epiteti mi appioppi di solito.» fece una pausa per creare suspense, ma io mi stavo spazientendo. Se avessi avuto le braccia libere, sarebbero state incrociate al petto, accompagnate dallo sguardo perplesso e seccato che riservavo sempre a James Potter. «Perciò ho portato questo ed escogitato un sistema che accontenterà entrambi. Allora, se tu ti mettessi il mantello, non sarebbe credibile vedere James Potter in giro da solo, senza i suoi amici. Ma se fossi io a mettere il mantello, qualcuno ti avvicinerebbe senza sapere che sei con me e ti distrarrebbe. Senza contare il fatto che sembreremmo cretini che parlano da soli. Perciò… Ci mettiamo entrambi sotto il mantello così tu sarai contenta che non ti vedranno con me e io sarò contento perché dovrai starmi vicino e non distante miglia come hai fatto ora… Ma tranquilla c’è abbastanza spazio per non dovermi toccare e nemmeno sfiorare… Di solito ci stiamo tutti e quattro qui sotto…» concluse, con un altro sorriso trionfante. Le aveva escogitate proprio tutte! Certo però aveva anche capito che non volevo essere lì.
«Va bene, facciamo come vuoi tu…» gli dissi poi, fingendomi spazientita, ma in realtà non avrei saputo come ribattere, il suo ragionamento non faceva una piega. «Ma lasciami i polsi.» gli intimai.
Lui prima di lasciarmi mi avvicinò a sé e poi ghignando ci coprì entrambi col Mantello. Effettivamente non era poi così male come idea, almeno non avrei dovuto passare tutta la giornata a lamentarmi con chiunque incontrassi e nessuno mi avrebbe vista con Potter. Si stava anche abbastanza comodi, nonostante il mio corpo tentasse in tutti i modi di prendere le distanze da lui.
«Dove vuoi andare?» mi domandò spensierato.
«Tu dove pensavi di andare?» gli chiesi di rimando, non riuscendo a pensare ad altro se non che non volevo essere lì.
«Da Mielandia, ti va?» propose mentre iniziammo a incamminarci verso il villaggio.
«Sì… Ma come facciamo col Mantello?» gli chiesi. Mielandia sarebbe stato pieno di studenti e noi col Mantello dell’Invisibilità avremmo sicuramente urtato qualcuno.
«Oh, Evans, dovresti preoccuparti di meno e divertirti di più sai?» fece lui, scoppiando a ridere senza preoccuparsi di abbassare il tono di voce.
«Ok ok, facciamo che non dico più niente, eh Potter?» sbottai e lui rise ancora.
«Facciamo così, Evans… Lascia fare a me, senza commentare né giudicare. Credi di riuscirci, tesoro?».
Quasi mi morsi il labbro fino a sanguinare per non commentare quel “tesoro” e impedii alla mia mano di andare a prendere la bacchetta e lanciargli qualche Incantesimo. Come risposta, annuii soltanto, conscia che la mia voce avrebbe iniziato a insultarlo se gliel’avessi permesso.
Come previsto, nonostante l’ora, le vie di Hogsmeade erano colme di studenti urlanti, soprattutto quelli del terzo anno per i quali il villaggio era una novità. Riuscire a farsi spazio senza dare nell’occhio fu un’impresa che inizialmente reputai impossibile. Appena arrivati all’inizio del viale principale, mi bloccai.
«No, Potter, non passeremo mai…» dissi, convinta.
«Evans, piantala di rompere, come faccio a farti divertire come mai prima se non me ne dai la possibilità?!» ribatté Potter con un ghigno, estraendo la bacchetta.
«C-Cos’hai intenzione di fare?!» gli domandai, sgranando gli occhi.
«Senza commentare né giudicare…» ribadì lui. Possibile che con Potter bisognasse sempre scendere ad accordi?!
«Ok, va bene, ma non voglio far del male a nessuno!» esclamai.
«Non gli faremo niente, tranquilla…» sbuffò spazientito, prendendomi per un polso – di nuovo – e ricominciando a camminare. Presto fummo circondati e la mia credenza che non saremmo mai riusciti a passare inosservati si rafforzò. Già m’immaginavo lo sguardo severo della McGranitt mentre ritirava il Mantello a Potter: “Da lei non me lo sarei mai immaginato, Signorina Evans, mi chiedo se il Preside abbia scelto bene i suoi Prefetti.” Scossi il capo, cercando di togliermi quell’immagine dalla mente e vidi che procedevamo abbastanza spediti verso Mielandia e stranamente non toccavamo nessuno.
«Potter, cosa stai facendo?» gli domandai, era troppo surreale che in mezzo a quella marmaglia noi, invisibili, non urtassimo almeno uno studente.
«Evans, smettila se no ti riporto subito in Dormitorio! Non gli sto facendo niente! Non a loro perlomeno!» esclamò, tra lo spazientito e l’ironico, mi trascinava ancora per il polso.
«Wow, potrei liberarmi di te con così poco?! Sarebbe eccezionale!» esclamai riferendomi alla sua “minaccia”. «Cosa significa “non a loro”?» continuai.
«Significa che non li sto colpendo con niente…»
«Puoi spiegarmi? Sennò come faccio a divertirmi?!» chiesi, ironica.
«E’ più o meno un Sortilegio Scudo. Ma loro non lo sentono neanche, vengono solo leggermente spostati… E’ carino…» ghignò con il suo solito sorriso. Io alzai gli occhi al cielo. Certo, se non ci fossi stata io, probabilmente la metà sarebbe stata Schiantata o qualsiasi altra cosa abbastanza dolorosa, per far passare il Magnifico Perfettissimo Bellissimo James Potter…
Intanto eravamo arrivati finalmente davanti a Mielandia. Sospirai e mi liberai il polso, Potter non oppose resistenza, anzi mi lanciò un’occhiata di scuse, probabilmente se n’era dimenticato. Entrammo, stringendoci un po’ di più, cosa che il mio corpo rifiutava di fare, tanto che il mio cervello ne aveva quasi perso il controllo. Non so spiegare perché provassi così tanta repulsione, so solo che quella vicinanza era sbagliata.
Dentro faceva caldo, troppo per due persone appiccicate, con i mantelli sulle spalle e uno a renderle invisibili. I dolci, come sempre erano impilati in file ordinate, il barile di Gelatine Tutti i Gusti+1 era ancora quasi pieno, ma si sarebbe svuotato in fretta.
«Da dove vuoi iniziare?» sussurrò Potter, che con un po’ di buon senso aveva abbassato il tono.
«Iniziare?!» gli domandai perplessa, sussurrando anch’io.
«Certo, Evans, oggi ti abbufferai di dolci senza fare storie… Vieni su! Un paio di Api Frizzole sono quel che ci vuole!» mormorò, ghignando e si avviò verso uno degli scaffali.
«Api Frizzole? Ma ci vedranno i piedi!» ridacchiai.
«Sì, vero… Allora prima prendiamo delle Piperille, poi delle Api Frizzole, così creiamo un po’ di atmosfera con il fumo e poi levitiamo… Magari possiamo anche farle fluttuare in aria, così la gente crederà che i fantasmi della Stamberga siano venuti qui! Che ne pensi?! Eh? Eh? Eh?» disse tutto d’un fiato, talmente entusiasta che mi fece venir da ridere. Mi morsi il labbro per non farlo e lui si voltò a guardarmi perché non gli rispondevo. Allora annuii e lui sorrise, riprendendo a camminare tra la folla. Giusto per aumentare un po’ l’atmosfera spintonai qualche studente e Potter mi guardò ammirato.
«Ascolta… E se ci Disilludessimo?» gli domandai, fermando la sua mano che si stava allungando per prendere le Piperille. Mi rivolse un’altra occhiata ammirata, come se non credesse che l’idea fosse venuta a me e annuì. Così estrassi la bacchetta e picchiettai, con un sorriso, la fronte di James. Fu un effetto stranissimo, la vista di un Disilluso sotto il Mantello del’Invisibilità. Aveva assunto la consistenza del mantello, ma i colori di Mielandia. Risi, cercando di non alzare troppo il volume e lui si guardò e sghignazzò. Feci per Disilludermi anch’io, ma mi fermò. Lo guardai perplessa, ma lui prese la sua bacchetta. Piano, forse anche più di quanto avessi fatto io, mi diede un colpetto sulla testa.
«Ripicca…» ghignò lui, mentre io mi abituavo alla strana sensazione che dava la Disillusione, come un rivolo fresco si diramasse per tutto il corpo.
«Pronti? Via!» sussurrai io, mentre un’allegria m’invadeva, insieme all’effetto dell’Incantesimo.
James allungò un braccio, che si scoprì dal mantello, ma rimase pressoché invisibile, prese una sola caramella, tenendola ben in vista e portandola lentamente verso di noi. Nessuno ci fece caso, allora anch’io ne presi una, imitando i suoi gesti. Entrambi ci trattenevamo dalle risate, mentre accumulavamo le Piperille e ne facevamo fluttuare altre a mezz’aria. Iniziarono a notarci e allora dovemmo fare uno sforzo per non ridere, o almeno io, Potter evidentemente era abituato a questo genere di cose, ma anche lui sorrideva. Gli studenti iniziarono a darsi gomitate tra loro e additare il punto in cui le caramelle fluttuavano da sole. Mentre Potter prendeva altre Piperille, io puntai la bacchetta dall’altro lato della stanza, dove c’era il barile di Api Frizzole, lanciai un Incantesimo d’Appello e qualche manciata di caramelle ci raggiunse e sparì alla vista degli altri, sotto il Mantello.
Ci scambiammo un’occhiata non appena avemmo tutte le caramelle necessarie e con un cenno silenzioso del capo per darci sincronia, iniziammo a ingurgitare Piperille. Già dopo la prima caramella, il fumo iniziò a uscirci dalla bocca e trovammo piuttosto complicato continuare a mangiarne. Ma con uno sforzo sovraumano, tra le nostre risate – che inquietavano parecchio, rese più cupe dal fumo – e gli studenti terrorizzati, riuscimmo a continuare e a passare alle Api Frizzole. In pochissimi istanti, Mielandia fu riempito da fumo e urla degli studenti e risa, provenienti dall’alto. Fortunatamente l’idea della Disillusione era stata efficacissima, altrimenti gran parte dello scherzo non sarebbe riuscita. Qualche scettico pensava fosse una trovata pubblicitaria, lo sentimmo dirlo ai vicini, ma forse aveva soltanto troppa paura…
L’effetto delle caramelle finì più o meno una decina di minuti dopo e se alcuni di quelli che erano dentro il negozio erano scappati via, molti altri – forse il doppio – venne a vedere cosa stava succedendo. Uscire fu quasi impossibile, ma ci preoccupammo di spingere più studenti possibili… Ci trattenemmo dal ridere fino a che non raggiungemmo un vicolo isolato, vicino a Mondomago. Lì ci fu impossibile non scoppiare a ridere, ad alta voce. Ci piegammo addirittura in due e nel farlo sbattemmo la testa l’uno contro l’altra causandoci – oltre a un bernoccolo – anche ulteriori grasse risate.
Non riuscivo quasi a respirare, con una mano sullo stomaco e l’altra sulla fronte dove avevo battuto contro Potter. A un certo punto, lo vidi scuotersi ancora di più, non so esattamente per cosa, forse solo perché io stavo ridendo e a lui venne ancora più da ridere e finì a terra. Il Mantello scivolò insieme a lui e in un qualche modo maledetto dal destino, avvinghiò me e mi trascinò a terra… beh non proprio a terra, bensì sopra Potter… Lo scatto che feci dopo per rialzarmi fu il più repentino della mia vita, ma mi causò un capogiro e finii di nuovo su di lui – con mia grande repulsione.
Alla prima caduta, Potter per un attimo trattenne il fiato e interruppe le risate, sbalordito da tanta vicinanza. Alla seconda, rise di nuovo, ma potrei giurare sulla testa di Nick-Quasi-Senza-Testa che le sue guance assunsero un colorito leggermente – ma proprio leggermente – più roseo. Quando feci per alzarmi, mi trattenne.
«Evans, se hai tutta questa voglia di starmi sopra, basta dirlo… Non c’è bisogno che fingi di cadere…» ghignò, con quel suo sorrisetto sornione e l’espressione tornata quella classica di Sono-Il-Miglior-Cercatore-Del-Mondo-Potter.
La mia repulsione – non è che lo facessi apposta, il mio corpo voleva allontanarsi da lui, anche senza che mi mettessi a pensarci – aumentò quando mi trattenne e si trasformò in disgusto alla sua frase. Si guadagnò un bel pugno, con quanta più forza avessi, allo stomaco ed essendo inaspettato, gli feci abbastanza male. «Sei un pervertito, Potter.» sibilai, ritirando il pugno e liberando il braccio dalla sua presa.
Mi rialzai, a fatica, con il male alla pancia dalle risate e gli tesi una mano per aiutarlo ad alzarsi, senza sapere esattamente perché lo feci. Lui la afferrò con un sorriso e si mise di nuovo in piedi. Non commentò il mio pugno, magari aveva capito che se l’era meritato. I nostri sguardi s’incrociarono e… scoppiammo di nuovo a ridere, rievocando le immagini dello scherzo da Mielandia. Quando ripresi un po’ di fiato, di nuovo piegata in due, riuscii a parlargli.
«Immagina quando torneremo a Hogwarts che tutti diranno di aver visto un fantasma della Stamberga e parleranno della sua terrificante apparizione da Mielandia…» risi di nuovo, immaginando la scena e lui fece lo stesso.
«E noi ci guarderemo e scoppieremo a ridere, proprio come ora…» disse poi.
Io non riuscii a fare altro che annuire.



Note: Ho avuto da fare con gli esami, quindi non avevo un attimo libero per scrivere. Così come non l'ho ora, perciò non riesco a ringraziare tutti uno per uno, ma dirò un grazie generale. Spero di riuscire ad aggiornare presto!

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Capitolo 9
*** Regali, Rivelazioni, Leoni ***


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© Elyxyz




!!!!!Piccola sorpresa, l'appuntamento tra James e Lily non è ancora finito! Durerà ancora per questo e il prossimo capitolo!!!!!



= Regali, Rivelazioni, Leoni =

Pochi minuti dopo avevamo ripreso fiato sufficiente per tornare in posizione eretta e ridare alle nostre menti – o almeno io alla mia – nuova lucidità. Sistemammo il Mantello che per le varie cadute non era più esattamente al suo posto e ci assicurammo di essere ancora invisibili. Poi ci guardammo intorno cercando di capire dove fossimo.
Stavo ancora cercando di orientarmi quando Potter parlò.
«Ti spiace aspettarmi un attimo qui? Ti lascio il Mantello, torno subito, ok?» mi chiese, tutto d’un fiato e senza aspettare risposta si sfilò il Mantello e corse via girando l’angolo. Io mi appoggiai alla parete e scrollai le spalle.
«Sì, fai pure, Potter…» borbottai. Intanto ebbi un attimo di tregua da quella sensazione che, quando eravamo vicini, mi attanagliava lo stomaco e m’induceva ad allontanarmi da lui.
Attesi circa una ventina di minti e quando stavo per spazientirmi e decidere di andarmene – ovviamente portando con me il suo Mantello – lo vidi riapparire da dietro l’angolo.
«Evans?!» mormorò cercandomi con lo sguardo. Io scostai il Mantello quel tanto che bastava per farmi vedere e lui mi raggiunse infilandosi sotto.
«Dove vuoi andare?» mi domandò, con uno strano sorrisetto divertito, diverso dal solito ghigno.
«Cos’hai in mente Potter?» replicai, invece che rispondere alla sua domanda.
«Stavo pensando a un posto abbastanza isolato dove parlare senza il Mantello, così potrai anche scappare…» disse, il tono era quello di una provocazione, ormai lo conoscevo bene.
«Ok, Potter, dove esattamente?» gli chiesi, sbuffando.
«Stamberga Strillante.» disse e quel suo sorriso si aprì ancora di più, forse convinto che non avrei mai accettato. Ma il mio orgoglio era troppo grande per farmi dire di no.
«D’accordo, ma prima passiamo dai Tre Manici che ho sete.» decretai, altera. Lui rise.
«Che c’è da ridere?» gli domandai, spazientita.
«Niente, sembra che tu abbia paura, Evans.» sbaglio o mi stava prendendo in giro?!
«Non ho paura Potter, siamo noi i fantasmi della Stamberga no? Ho solo la gola secca per tutto quel ridere, oppure ti sei già dimenticato di poco fa? La tua fronte dice il contrario…» e indicai il segno ancora rosso del bernoccolo causato dallo scontro delle nostre teste, con un sorriso sulle labbra.
«Ok, andiamo… Passiamo dal retro così non avremo scocciature, ok?» mi domandò, con quella che sembrava fretta. Mi chiesi perché, ma poi, dato che il pensiero era riferito a Potter, lo dimenticai quasi subito. Ci avviammo percorrendo i vicoli meno frequentati e ci fermammo vicino a un bidone della spazzatura, che stava di fronte a una porta.
«Vieni anche tu?» mi domandò, uscendo dal Mantello.
«Devo proprio?» replicai, ancora invisibile. Lui sorrise.
«Sarebbe brutto lasciare il tuo cavaliere da solo no?»
«D’accordo…» sbuffai e mi tolsi il Mantello, non prima di essermi guardata intorno ed essermi assicurata che non ci fosse nessuno e glielo porsi. Lui scosse il capo e lo lascio a me, poi si avvicinò alla porta e girò la maniglia in modo da aprirla.
Una volta entrati, ci ritrovammo nel retro dei Tre Manici di Scopa. Era un locale piccolo, formato da una cucina da un lato e la dispensa dall’altro, che probabilmente conduceva a una cantina. Sui fornelli c’erano pentole che si mescolavano da sole. Non feci in tempo a vedere altro che la porta che dava accesso alla locanda, si aprì lasciando passare Madama Rosmerta.
Non si stupì troppo di trovarci lì, sorrise e saluto James amichevolmente, mentre metteva dei piatti a lavarsi.
«Jamie, è un piacere rivederti… Effettivamente mi chiedevo quando saresti arrivato, ma ora capisco benissimo perché…» mi sorrise ed io ricambiai, leggermente imbarazzata, ma anche scocciata per quello che la donna aveva pensato che fossimo. «Volevate qualcosa? Immagino che nessuno sappia di questa vostra capatina, sennò sareste entrati dall’ingresso vero?!» la domanda era ovviamente retorica, evidentemente non era la prima volta che Potter entrava dal retro con una ragazza…
«Sì, due burrobirre, se a Evans va bene…» disse, per poi girarsi verso di me con sguardo interrogativo.
«E tu non eri quello che non beveva burrobirra?!» ghignai, divertita.
«C’è sempre una prima volta, no? E questa mi sembra un’occasione abbastanza importante, non credi?» al sentire la sua provocazione, afferrai ed estrassi velocemente la bacchetta e gliela puntai al petto.
«Questo non è un appuntamento, Potter.» sibilai, furente. Lui alzò le mani in segno di resa, lo sguardo puntato sulla mia bacchetta.
«Lo so, lo so… Stavo solo scherzando… Mettila via, per piacere…»
Soddisfatta da quella sua ansia, misi la bacchetta al suo posto, in fondo avevo promesso che non sarebbe successo niente no?!
Madama Rosmerta, intanto, aveva preso due bottiglie e si era goduta la scena trattenendo le risate. Potter, lanciandomi occhiate preoccupate, quando mi passò davanti, le prese, le pagò e m’invitò gentilmente ad uscire.
Di nuovo sotto il Mantello, mi porse una delle due bottiglie fumanti, appena stappata. «Stavo scherzando prima, Evans. Lo so che non è un appuntamento e so che mi sono appena giocato la seconda possibilità.» disse e il suo tono sembrava quello di scuse.
«James Potter si sta forse scusando?!» non resistetti a provocarlo, fu più forte di me.
«No, ti sto solo spiegando che scherzavo e facevo un’osservazione sul nostro patto, tutto qui.» rispose lui secco. Io scoppiai a ridere, lui mi guardò storto ma non replicò.
Intanto stavamo percorrendo la strada che portava alla Stamberga Strillante. Era quasi del tutto deserta e mi chiesi se la causa fosse il nostro scherzo a Mielandia. Scoppiai di nuovo a ridere al pensiero.
«Evans sei già ubriaca?!» mi chiese Potter vedendomi ridere.
Io scossi il capo. «No… No… Stavo solo pensando che la strada è deserta a causa nostra…» Anche lui rise.
Ci fermammo davanti alla staccionata che delimitava l’accesso alla Stamberga. Io mi guardai intorno per cercare un posto dove sedermi, dopo la salita per arrivare lì, ma Potter rise.
«Potter sei già ubriaco?» gli dissi, imitando il tono che aveva usato poco prima con me.
«No Evans è che prima io intendevo entrare nella Stamberga, non stare vicino.»
Rimasi allibita. Entrare nella Stamberga? Ma era impossibile con tutti i sigilli… Forse Potter era davvero tocco.
«Paura Evans?» ripeté con un ghigno.
«No, Potter. Ma non credo sia così facile entrare.» dissi ancora una volta preda del mio orgoglio. La Stamberga Strillante era il posto più infestato di tutta l’Inghilterra, anche se da poco tempo… Avevo letto molto su Hogsmeade al terzo anno, prima di andare in visita lì e avevo scoperto che la Stamberga era una costruzione recente, molto recente. Non avevo mai sentito le urla degli spiriti che la infestavano, ma avevo chiesto in giro e tutti gli abitanti mi avevano risposto con la stessa espressione terrorizzata…
«Allora andiamo!» Potter interruppe i miei pensieri, io scossi il capo e poi annuii.
«Se sei capace di togliere i sigilli, sì, andiamo.» risposi scrollando le spalle.
Potter tolse il Mantello a entrambi e si avvicinò ad un punto ben preciso della staccionata. Mi dava le spalle, perciò non vidi cosa stava facendo esattamente con la bacchetta, né sentii il sussurro che formulava, fatto sta che pochi istanti dopo, un varco – largo abbastanza da far passare una persona magra di profilo – si era aperto, spostando un asse di legno. Lui scrollò le spalle con un ghigno e mi fece segno di precederlo. Molto coraggioso da parte sua!
Io mi avvicinai, forse un po’ riluttante, ma con uno sforzo passai al di là della recinzione. Il giardino inselvatichito era un groviglio di erba alta e rovi secchi e la casa sembrava inquietante molto più che vista da fuori. Potter mi seguì pochi istanti dopo, sempre con quel sorrisetto sulle labbra che m’invogliava a prenderlo a pugni.
«Allora che te ne pare?! Impaurita?» mi sussurrò all’orecchio.
«Ancora?! Non ho paura Potter, piantala di chiederlo!» esclamai, stizzita. Lui rise e mi fece strada verso la casa. Aveva davvero intenzione si entrarci?!
Lo seguii, ringraziando il cielo di aver messo dei jeans resistenti invece che una gonna o un qualsiasi altro paio di pantaloni. Certo, Potter schiacciava, con il suo passo poco felpato, la maggior parte dei rovi, ma quelli sembravano voler proteggere la casa dagli intrusi e si riprendevano quasi subito, lasciandomi poco tempo per attraversarli indenne.
«Potter, come credi di aprirla quella porta?» gli dissi, una volta di fronte al legno marcio che faceva da porta. Per essere una costruzione recente era piuttosto fatiscente, a dire la verità.
«Nel più semplice dei modi, Evans, nel più semplice…» disse, in una brutta imitazione di Remus, che però mi fece sorridere. «Alohomora!» esclamò, puntando la bacchetta sulla serratura. Quella scattò e la porta si aprì con un tetro cigolio. Lui entrò per primo, spalancandola del tutto e mettendosi di lato con un inchino teatrale, invitò me a entrare a mia volta. L’interno della casa era più fatiscente dell’esterno. L’arredamento era quasi del tutto distrutto, i mobili perdevano le ante, che penzolavano muovendosi per un’aria inesistente. Quelli che erano ancora in piedi avevano profonde scorticature, così come i divani che perdevano quel che restava dell’imbottitura e le sedie che avevano sedile e schienale squarciati. Ma gli spiriti potevano agire sul piano fisico?! Mi domandai vedendo quello scempio. Comunque non vi era alcun rumore, né movimento, tranne quello attutito dai vari centimetri di polvere, provocato dai nostri piedi. Potter chiuse la porta alle sue spalle, con un altro cigolio e poi mi superò facendo strada, verso quello che sembrava un salotto. Sembrava stranamente a suo agio lì dentro, come fosse casa sua.
Si sedette sul divano e mi fece segno di affiancarlo. «Questo è quello meno devastato…» disse con un sorriso. Lo guardai sospettosa, c’era qualcosa che mi stava nascondendo forse? Non che fossero affari miei, ma quel suo sentirsi a casa mi dava da pensare… Notai che c’erano diverse impronte nella polvere, ma nessuna era umana. Mi sedetti, il più lontano possibile da lui e mi fissai a guardarlo con un cipiglio che avrebbe fatto invidia alla McGranitt.
«Che c’è Evans?!» mi domandò sulla difensiva.
«Come facevi a sapere come rompere i sigilli e perché conosci questa casa come fosse la tua?» gli domandai, seria.
«Non è la prima volta che vengo qui… Ma non pensare a quello che stai pensando!» disse, aggiungendo in fretta l’ultima frase.
«E cos’avrai pensato, sentiamo…?» dissi, con un sorrisetto. «Stavi per accusarmi di essere un porco pervertito, non so se sarebbero state queste le esatte parole, ma il senso c’è… E che porto qui tutte le ragazze…» disse con aria di superiorità, come uno che la sa lunga.
«Perché non è vero?!» gli domandai ironica.
«No! Sono venuto qui con Sirius, Remus e Peter! Tu sei la prima ragazza che ci viene… E poi lo dici tu che mi piace mettermi in mostra no? Perché dovrei portare una ragazza in un posto isolato, invece che farmi vedere in giro?!» rispose. Io scossi il capo, non sapendo che altro aggiungere.
Per qualche istante calò il silenzio e ne approfittai per finire la mia burrobirra, di cui avevo risparmiato un paio di sorsi per la sete dopo la salita e mi persi a osservare la stanza in cui ci trovavamo.
Quando, con la coda dell’occhio vidi un movimento, mi voltai di scatto, ma era solo Potter che aveva tirato fuori una scatolina e ci giocherellava lanciandola in aria. Sbuffai, per un attimo avevo creduto ci fosse uno degli spiriti “devastatori” e poi tornai a guardarmi intorno.
Sentii la risata sommessa di Potter e mi voltai di nuovo, guardandolo perplessa. «Non vuoi sapere cos’è?» mi chiese, smettendo di lanciare in aria la povera scatoletta… chissà forse aveva sviluppato una forte dipendenza da Boccino d’Oro.
«Ti dico di sì, così sei contento ok?» gli dissi, con un falso sorriso.
«Ti ringrazio per la gentile concessione… Comunque tieni…» disse, porgendomi la scatoletta in questione. Io la guardai e la rigirai nelle mani, non sapendo esattamente se volessi aprirla oppure no. «Scopri cosa c’è dentro…» aggiunse, con un sorrisetto, lo stesso che aveva appena tornato dopo che si era allontanato quella ventina di minuti.
Sospirai, forse più intimorita dalla scatola – credendo che ci fosse un brutto scherzo dei suoi – che dalla casa più infestata d’Inghilterra. Lentamente, stando pronta a lanciarla via nel caso di necessità, sciolsi il fiocchetto rosso e la aprii. Quel che ne tirai fuori, mi stupì. Non era uno scherzo, perciò mi rilassai. Per le dimensioni, sembrava un incrocio tra un piccolo orologio da taschino e un medaglione, infatti aveva anche una catenella, fatta per essere legata al collo. Ma l’oggetto in questione non era né l’una né l’altra cosa. Era un piccolo specchio, incorniciato d’oro. Lo guardai perplessa e la mia immagine si rifletté lì dentro. Poi alzai lo sguardo su Potter, i cui occhi luccicavano come un bambino a Natale e, pieno di aspettativa, incrociò il mio sguardo.
«Cos’è?» domandai, sussurrando appena. Lui in risposta tirò fuori un altro specchietto, grosso quanto il mio ma meno lavorato.
«Si chiamano Specchi Gemelli.» mi rispose, distogliendo lo sguardo. Potei di nuovo giurare di aver visto le sue guance arrossire, leggermente. «Servono per mettere in comunicazione due persone, basta dire il nome. Chi ha l’altro specchio vedrà l’immagine dell’amico riflessa. E’ un regalo per te…» disse, come se non l’avessi capito. Non riuscii a rispondergli. Insomma, quello non era un appuntamento e tanto meno mi sarei aspettata un regalo da Potter. Soprattutto non una cosa che ci potesse mettere in comunicazione. Io evitavo di comunicare con lui ogni qual volta potevo…
«Così ho un nuovo modo per chiederti di uscire…» aggiunse ghignando, ripresosi dall’imbarazzo. Ti pareva che non c’entrasse l’uscire con me?! «Oppure tu potrai chiedermi dove sono e andare dalla parte opposta…» Ecco, questa prospettiva era già più allettante, sorrisi.
«Avremo un modo per insultarci anche a distanza!» dissi, fingendomi entusiasta. Poi scoppiai a ridere e lui anche.
«Non sei costretta ad usarlo…» mi disse, una volta ripreso fiato. «Mi ha fatto già piacere che tu non me l’abbia lanciato contro…» sorrise.
«Non ti assicuro che lo userò, ma potrebbe sempre tornarmi utile… E’ stato un bel gesto, da parte tua… Lo accetto volentieri!» dissi, sorridendo anch’io e non appena pronunciai quelle parole, mi accorsi della loro veridicità. La sua idea di sapere come rintracciarlo ed evitarlo era buona, dopotutto. Lui sorrise, ma stavolta senza l’ombra della solita arroganza. “Ha un bel sorriso però…” mi ritrovai a pensare e poi a scacciare disgustata quel pensiero.
Calò di nuovo il silenzio ma questa volta fui io a romperlo dopo poco.
«Posso chiederti una cosa seria, Potter?» gli domandai. Avevo una questione che mi frullava in testa da un po’ di tempo e forse quello era il momento migliore per scoprirne di più.
«Una cosa seria? Eh, non so, Evans, io e le cose serie non andiamo molto d’accordo…» disse con un sorrisetto.
«Non riguarda te in particolar modo, a dire il vero.» dissi e se possibile mi feci ancora più seria.
Lui sembrò capire e annuì. «Dimmi, se posso aiutarti, volentieri.»
«Ok… Dove va Remus una volta al mese?» gli domandai, senza guardarlo e anzi alzando gli occhi sul lampadario pericolante.
«Uhm… Sua mamma sta male e lui va a trovarla più o meno una volta al mese…» disse, vago.
«Una volta ogni ventotto giorni esatti?!» domandai io con un filo di ironia.
«Beh si, perché…» esitò «perché… La terapia che fa sua madre non gli consente di essere lucida negli altri giorni…» disse, traendo un profondo respiro.
«E guarda caso quando c’è la luna piena?» continuai io, cercando di capire se credere alle sue parole o no.
«E’ solo una coincidenza…» si affrettò a dire lui. Eppure, come bugiardo doveva pur valere qualcosa no, se no come si tirava sempre fuori dai guai? Perché ora era palese che mentisse?
«Ed è anche una coincidenza che sia piuttosto pallido e malaticcio in quei giorni e che esca da Hogwarts appena prima del tramonto?» non riuscii a trattenere un sorriso. Lo sguardo ancora fisso sul soffitto, senza vederlo realmente.
«Beh, sai com’è… E’ preoccupato per sua mamma…» disse lui.
«Non raccontarmi balle Potter…» dissi con un sorriso.
Lui sospirò. «Quando l’hai scoperto?» mi domandò, sussurrando come se Remus potesse sentirci.
«Non molto tempo fa. Negli anni passati non ci avevo fatto così caso. Ogni tanto lo vedevo uscire furtivamente dalla Sala Comune, ma non avevo mai collegato. Pensavo andasse in Infermeria, sembrava proprio malato. Non avevo mai visto che succedeva con la luna piena. Solo l’anno scorso, mi capitò per caso di rendermene conto… E poi quest’anno è già successo due volte. L’ho visto scortato fuori da Madama Chips e Silente dopo che mi aveva chiesto se potevo sostituirlo di pattuglia e mi sono ricordata quando abbiamo studiato i mannari, al terzo. Ho fatto un paio di collegamenti con la sua sparizione, il suo aspetto e il fatto che sembra sempre in colpa per qualcosa. Cioè questo c’entra poco, ma finalmente dopo tutto questo tempo ho dato una spiegazione anche a quello.» sospirai, con un sorriso mentre rivedevo nella mente il dolce volto di Remus. «Ci ho azzeccato Potter? Remus è un licantropo?»
Potter ci mise un po’ a rispondere, tanto che dovetti abbassare lo sguardo su di lui e accertarmi che fosse ancora lì. C‘era, in effetti e sorrideva tra sé scuotendo il capo.
«C’era da immaginarselo che prima o poi Lily Evans scoprisse la verità…» alzò lo sguardo e incrociò il mio. «Sin dal primo anno vedevamo Remus sparire ogni tanto, ci diceva che la madre era malata e che doveva andarla a trovare.» ora mi spiegai quella scusa. «Ma poi, al terzo anno abbiamo capito tutto. Lui aveva paura che dicendocelo, noi l’avremmo abbandonato. Ma ovviamente non sarà una cosa del genere a farci allontanare, no?» io annuii, anche se la domanda era retorica. «E’ stato morso da piccolo. Pensava di non poter frequentare Hogwarts, ma Silente ha una soluzione per tutto… Però non ha ancora accettato del tutto la sua natura. Effettivamente hai ragione, quell’aria da colpevole ce l’ha proprio per questo…» sorrise anche lui, forse pensando all’amico. «Mi hai chiesto dove va quando c’è la luna piena, ma dovresti averlo già capito…»
Io lo guardai, perplessa. Purtroppo no, non l’avevo ancora capito. «No, a dire il vero non lo so…» dissi, in imbarazzo.
Potter rise, ma non per prendermi in giro. «Andiamo Evans, non hai letto niente su Hogsmeade?»
Mi chiesi cosa c’entrasse Hogsmeade con tutta quella storia. «Potter, taglia i giri di parole…» sbuffai.
«Ok… Quando è stata costruita la Stamberga Strillante?» chiese, come un professore all’interrogazione dell’alunna. E allora collegai tutto. La Stamberga Strillante era stata edificata pochi mesi prima del nostro primo anno ad Hogwarts. E non avevo io stessa pensato che i danni all’interno della casa erano inverosimili per esser causati da spiriti?
«Viene qui, quindi!» esclamai, guardandomi intorno con una nuova prospettiva. «Ma nessuno l’ha mai visto uscire da Hogwarts… Usa il tuo Mantello?» domandai, riportando lo sguardo su Potter.
Lui rise di nuovo. «No, non usa il Mantello. Usa un passaggio segreto…»
«Ah ecco, ora si spiegano tante cose…» sorrisi, avevo un peso in meno e una certezza in più.
«Ovviamente non si può far sapere in giro, pensa a come la prenderebbero certi studenti e certi genitori…» disse, dopo un paio d’istanti. Sembrava volesse accertarsi che non andassi a sbandierarlo ai quattro venti. E anche se m’irritai a quell’avviso velato, lo capii benissimo: voleva solo proteggere il suo migliore amico.
«Tranquillo, Potter, non lo saprà nessuno, nemmeno Remus stesso. Se vorrà dirmelo lo farà lui un giorno o l’altro…» dissi e riuscii a contenere l’irritazione, giocherellando con il suo regalo. A un certo punto, mi fermai e lo osservai, poi mi voltai verso Potter con un sorriso.
«Me lo allacci?» dissi porgendogli l’oggettino ed alzando i capelli perché potesse allacciare il medaglione al collo. Rimase interdetto per qualche istante, con la collana in mano e lo sguardo stupito su di me.
«Se non vuoi, cerco di fare da sola…» dissi, trattenendo una risata. Lui si destò e me lo allacciò in silenzio.
«Fatto… Non pensavo lo volessi mettere…» disse, sbalordito.
Io abbassai i capelli, che tornarono a ricadere sciolti sulle spalle, che scrollai. «Per oggi si…».
«Sono in vena di scherzi…» annunciai, dopo qualche minuto, balzando in piedi e voltandomi verso Potter con un sorriso sornione.
«Per. Godric. E. Tutti. I. Fondatori! Lily Evans che ha voglia di scherzi. Non ci credo!» disse sgranando gli occhi e guardandomi come se venissi da un altro pianeta. La sua espressione era piuttosto buffa e mi fece ridere.
«So divertirmi anch’io Potter, sai? Solo che di solito lo faccio in modo meno appariscente di te e i tuoi amici…» gli dissi poi. Anche lui saltò in piedi.
«Ma fare scherzi è un nostro modo di divertirci, da te non me lo sarei mai aspettato Perfetto-Prefetto!» rise.
«Oh andiamo, Potter, se non te la senti, possiamo sempre cercare qualcos’altro da fere, tipo una partita a scacchi…»
«Tsé… Guardala, ha appena iniziato e già si crede la Regina degli Scherzi…» sbuffò, avviandosi verso la porta.
«Che c’è… Ti rode, Potter?» lo provocai, in quell’attimo di follia. Magari aveva messo qualcosa nella mia burrobirra per cui ora mi era venuta la “potterite”…
«No, tesoro, assolutamente. In fondo io non ci tengo a essere Regina, sai com’è mi vanto di essere un uomo…» disse per tutta risposta. Aprì la porta ed uscì, poi fece uscire me e la chiuse magicamente. «Sai com’è, di solito i padroni di casa chiudono quando escono…» mormorò scrollando le spalle per poi iniziare a calpestare con forza i rovi per impedire che fossero loro a calpestare noi.
Raggiunta la staccionata ci assicurammo che non ci fossero visitatori indesiderati e uscimmo. Fu un sollievo, a dire il vero, poter camminare di nuovo senza preoccuparsi di rovi assassini. Potter tirò fuori il Mantello e si avvicinò e ci coprì di nuovo entrambi. Era bello poter essere invisibili, dava uno strano senso di superiorità e potere. La mia voglia di fare scherzi aumentò ancora di più. Iniziammo a scendere la discesa che riportava al villaggio, quando a un certo punto mi bloccai in mezzo alla strada e strattonai Potter perché si fermasse a sua volta.
«Abbiamo lasciato là le bottiglie di burrobirra e la scatolina del tuo regalo…» dissi, ma non so perché me ne preoccupai, forse la parte razionale-Prefetto di me era tornata per un attimo a galla e non voleva farsi scoprire.
Potter rise, magari aveva avuto lo stesso mio pensiero. «Per le burrobirre, non preoccuparti… A Remus non darà fastidio… Per la scatolina invece eccola qui…» disse, con una lieve risata, tirandola fuori da sotto il mantello.
«Ah… Oh… Non ti ho visto raccoglierla…» osservai, mentre la prendevo e la mettevo nella tasca del mio.
«Stavamo parlando di Remus e tu guardavi il soffitto…» mi spiegò. Allora sorrisi e riprendemmo a camminare.
«Che genere di scherzo volevi fare, Evans? Vediamo se è all’altezza dei Re…» si apostrofò, gonfiando il petto. Se avesse avuto anche una coda, sarebbe stato un perfetto pavone…
«Stavo pensando di andare per le vie di Hogsmeade e Trasfigurare i capelli di tutti i Serpeverde in una criniera leonina e fargli emettere anche il verso…» dissi, l’idea mi era frullata in testa mentre cercavo di vincere i rovi della Stamberga Strillante.
Stavolta fu il turno di Potter bloccarsi in mezzo alla strada e trattenermi. Guardai la sua espressione esterrefatta e scoppiai a ridere di nuovo, piegandomi in due.
«Chi sei Lily Evans?» mi domandò, articolando alla bene e meglio le parole. Io risi ancora di più, mentre lui continuava a guardarmi.
«Che c’è Potter, non è all’altezza del Re?» gli domandai ironicamente, quando ripresi fiato.
«Per la barba di Merlino, sì! Ti proclamo ufficialmente Regina Indiscussa!» era ancora allibito. «Abbiamo fatto cose del genere, ma quest’idea non ci era mai venuta! Trasfigurare… Wow… Evans che ne hai fatto di Evans?»
Io risi ancora. Ma riuscii a mantenermi abbastanza in equilibrio da poter anche camminare. Ci fermammo all’inizio del viale. Ormai l’ora di pranzo era passata da un pezzo e gli studenti che avevano aspettato il pomeriggio per andare al villaggio, ormai si erano riversati sulla strada.
«Hai idea di come riconoscerli, Regina?» mi sussurro Potter con un ghigno.
«Sì, basta guardarli in faccia no? Se hanno scritto “Io sono un Purosangue e tu una nullità”, allora sono Serpreverde!» esclamai, con lo stesso suo ghigno dipinto in volto. Rise, anche se la mia era una battuta solo in parte.
«Ottimo! Sei pronta?» mi domandò avanzando di un passo.
«Prontissima!» esclamai, raggiungendolo.
Andammo verso il centro da dove avevamo un maggiore raggio d’azione, badando a non urtare nessuno per non far crollare la nostra copertura. Individuammo i diversi gruppi di Serpeverde – non fu difficile, stavano per conto loro e guardavano gli altri con superiorità – e agitando le bacchette sotto il mantello, con le debite formule sussurrate, Trasfigurammo i loro capelli in criniere, chi più ampie – gli studenti più grandi – chi appena accennate – quelli più piccoli. Ci trattenemmo dal ridere, ovviamente mentre i Serpeverde si guardavano intorno ma non trovavano nessuno con la bacchetta sfoderata, solo tanti studenti delle altre Case che li additavano e deridevano, mentre loro emettevano veri e propri ruggiti di rabbia.
Ci spostammo verso le altre vie, per cercare i superstiti e per sfogare almeno in parte le risate.
Fu in un vicolo, vicino a Madama Piediburro, che incontrammo Severus. Per la prima volta nella sua vita, Potter non agì ma mi guardò con aria interrogativa. Io non sapevo che fare. In fondo anche lui era un Serpeverde però era anche uno dei miei migliori amici, forse il mio migliore amico. Era anche vero però che se lo avessimo Incantato, avrebbe incolpato a Potter e io ogni qual volta l’avessi visto a scuola mi sarei sentita colpevole per lo scherzo. Ma era anche vero che Potter moriva dalla voglia di farlo. Mi avvicinai al suo orecchio, per bisbigliare in modo che Severus non sentisse neanche il minimo rumore.
«Ti darà la colpa, anche se non ti vede…»
«Non mi importa… Sarà un bellissimo spettacolo comunque… Ma tu?» disse lui in un soffio.
«In fondo è solo uno scherzo no?» cercai appoggio, forse nella persona sbagliata, perché Potter, ovviamente, sorrise a trentadue denti e annuì col capo. Alzai gli occhi al cielo, poi mi avvicinai di nuovo.
«Tu occupati della criniera, io del ruggito…» mormorai, puntando poi la bacchetta su Severus, che era intento a leggere un libro dalla copertina nera, di cui riuscii a leggere soltanto “Arti Oscure”. Fu quello che mi fece decidere ad agire. Così, contemporaneamente, agitammo le bacchette, mormorando le formule a fior di labbra e la magia si compì anche su Severus che ci mise qualche istante ad accorgersene. Quando sentimmo il ruggito, eravamo già fuggiti via in preda alle risate. Aveva ragione Potter: era stato un bellissimo spettacolo. Riuscimmo per miracolo, credo, a non crollare a terra e ad andare ad appostarci all’uscita dei locali per Trasfigurare i Serpreverde rimasti. Finita la nostra opera, Hogsmeade era invasa da ragazzi ruggenti e criniere lucenti. Noi invece ci eravamo bellamente ritirati a ridere in un ennesimo vicolo deserto. Eravamo letteralmente piegati in due e ad ogni ruggito che sentivamo in lontananza, il nostro equilibrio minacciava di abbandonarci. Infatti non ci volle molto perché ci ritrovassimo a terra, a battere pugni sull’asfalto e rotolarci per le troppe risate.
Non riuscivo quasi più a respirare, non avevo un momento di sosta, e avevo le lacrime agli occhi tanto che se li avessi aperti, non avrei visto niente. Presi almeno una quindicina di testate contro Potter, mentre ci rigiravamo in preda alle risate e agli spasmi per la mancata ossigenazione, ma non riuscii nemmeno a lamentarmi del dolore, così come lui. Quando riuscimmo a riprendere fiato, ci accorgemmo che il Mantello era scivolato via, scoprendoci e si era avvinghiato attorno a noi costringendoci a stare vicini – troppo per i miei gusti. Forse era per quello che non avevamo fatto altro che tirarci testate…
Dopo esser riusciti, finalmente, a districarci dal Mantello ci rialzammo e decidemmo di avviarci verso il castello, per precauzione indossandolo di nuovo… Almeno avremmo evitato strani Serpeverde Trasfigurati.
Iniziammo a camminare in silenzio verso Hogwarts, avevamo ancora il fiato corto per le risate, ma a un certo punto dovetti interromperlo, perché mi accorsi che era ormai buio, il sole era già dietro le montagne e sul villaggio aleggiava l’oscurità.
«Potter che ore sono?!» c’era un che di isterico nella mia voce, lo sentii persino io. Mi voltai a guardarlo e lo vidi sbiancare.
«Merlino!» esclamò quando ritrovò la parola e controllò l’orologio da taschino. Sbirciai e notai che era quasi ora di cena. «Dovevamo rientrare mezz’ora fa…» continuò, guardando l’orologio come se potesse mandare indietro il tempo.



Note: Nota sulla Stamberga Strillante - Allora, nel PdA la stamberga viene descritta come chiusa da sigilli. Io ho fatto in modo che James sapesse come romperli perché mi sembrava logico che almeno una volta, da umani e non da Animagus, i Malandrini fossero entrati nella Stamberga. Infatti quando dice che ci sono già stati, è inteso in forma umana, anche perché diventano Animagi solo al quinto anno, quindi nel corso di qeusta storia.
Nota sugli Specchi Gemelli - So che sono rari, probabilmente, ma mi sembrava il regalo più adatto che James potesse fare a Lily. Non ce lo vedo a farle un regalo in cui lui non c'entri nulla, ricordiamo che è abbastanza egocentrico, quindi mi sono permessa di inventarne un altro paio... XD
Ringraziamenti: Ringrazio i quattro che per ora hanno recensito il capitolo precedente:
Rosalie Hale e Bella Swan;
Roby28;
dirkfelpy89;
hermy101.

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Capitolo 10
*** Il Passaggio della Strega Gobba ***


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© Elyxyz




!!!!!Eccolo qui, l'ultimo capitolo dell'appuntamento tra Lily e James. Cosa succederà? Di certo non vi anticipo nulla :P Spero che non mi vogliate male per l'assenza del misterioso principe azzurro, ma vi ho lasciato tanti indizi sparsi qua e là :P!!!!!



= Il Passaggio della Strega Gobba =

«Diamine Potter, sono un Prefetto! Devo rispettarli, gli orari!» dissi, arrabbiata e frustrata.
«Stavolta non c’entro! Non te la puoi prendere con me!» disse sulla difensiva. Effettivamente aveva quasi ragione, ma prendermela con Potter era pur sempre uno dei miei passatempi preferiti…
«E adesso, come facciamo?» gli domandai, come se potesse avere una risposta. Ma poi, prima ancora di dargli il tempo di rispondere, mi venne l’illuminazione. «Possiamo usare il passaggio segreto che usa Remus!»
Lui scosse il capo. «No… E’ fatto in modo che non si possa usare per rientrare a meno che non ci sia qualcuno dall’altra parte… Sai per la sicurezza degli studenti…»
Sospirai, rassegnata e lo vidi sorridere. «Sputa il rospo, Potter.» lo aggredii.
«Corri…» fu la sua unica risposta. Mi prese per mano, mentre con l’altra teneva il Mantello in modo che non ci intralciasse e iniziò a correre verso il centro del villaggio. Ci ritrovammo di fronte a Mielandia, le luci del negozio che inondavano la strada, in netto contrasto con il buio che ci circondava. La porta era ancora aperta, ma non c’era più nessuno tranne i proprietari che stavano pulendo e chiacchierando. Potter m’intimò di fare meno rumore possibile e si avviò, sempre trascinandomi, verso lo scantinato. La porta che vi conduceva era anch’essa aperta, così ci fu più semplice scendere le scale senza destare sospetti.
Arrivati giù, si fermò a sentire gli spostamenti dei padroni, poi si tolse il Mantello e spostò uno scatolone che stava più o meno nel mezzo della stanza. Subito lo guardai perplessa, mentre arrotolavo il Mantello, ma quando lo vidi sollevare un quadrato di pavimento divenni stupita. C’era una botola lì sotto! E per tutto questo tempo ne avevo ignorata l’esistenza… Chissà, magari anche gli stessi padroni non ne sapevano nulla…
Mi fece cenno di scendere, c’erano dei gradini ripidi e usciva aria fredda e stantia, come in una grotta, ma ciò nonostante scesi, accendendo la bacchetta per non ruzzolare giù. Potter mi seguì poco dopo chiudendo sopra di sé la botola.
Iniziai a scendere i gradini cautamente con Potter che mi seguiva, nonostante fosse lui a conoscere meglio la strada. Beh, se ci fosse stato un bivio, gli avrei chiesto dove andare…
La fine delle scale non si vedeva, avvolta nelle tenebre di quello strano cunicolo. Il silenzio era opprimente, ma non riuscivo a trovare nulla di cui parlare. Sbuffai e il suono fu talmente amplificato da farmi quasi sussultare.
«Che c’è?» mi domandò incuriosito.
«Nulla…» risposi io evasiva… Come avrei fatto altrimenti a prolungare la conversazione?!
«Dai, dimmi…» fece lui.
«Nulla, davvero… E’ solo che c’è un silenzio quasi inquietante qui dentro…» sbuffai di nuovo.
«Sì, vero… Figurati quando lo percorri da solo…» disse, con una risata trattenuta per non creare eco.
«Quanti passaggi segreti conosci, Potter?» gli domandai, così tanto per…
«Un mago non rivela mai tutti i suoi trucchi. Ti ho già detto troppo per oggi!» ghignò e anche se non potevo vederlo, avrei giurato che sul suo volto ci fosse quel sorriso strafottente che lo caratterizzava.
«Non che m’interessi veramente… Era solo per fare conversazione…» dissi scrollando le spalle e stando attenta a un gradino un po’ danneggiato.
«Certo, ne sono convinto…» disse lui ironicamente «Tanto lo so che vuoi sapere dei passaggi per beccarmi entrare e uscire da scuola e togliermi punti. Sei perfida! Grifondoro è anche la tua Casa! Non dovresti essere così cattiva!» esclamò ridendo.
«Cavoli, mi hai scoperta!» stetti al gioco e risi anche io, non avevo voglia di iniziare a litigare.
Cadde di nuovo il silenzio, ma poco dopo iniziai a vedere la fine delle scale.
«Evviva!» mormorai scendendo l’ultimo scalino.
«Non è finita, abbiamo ancora un bel po’ di cammino.» mi rispose. Sbuffai, iniziavo ad avere fame, in fondo avevamo “pranzato” soltanto con una marea di caramelle.
Feci per riprendere a camminare, ma Potter allungò la mano e mi afferrò il polso. Mi voltai perplessa per vedere cosa l’aveva spinto a quell’azione, lo vidi sorridere, forse per la mia espressione. Poi mise la bacchetta alla cintura, senza preoccuparsi di spegnerla e mi prese anche l’altro polso. Mi spinse contro il muro e allora mi venne una mezza idea di cosa avesse in mente.
«Potter non osare…» lo minacciai, ma lui sorrise ancora di più.
«Tranquilla, Evans, non voglio fare nulla…» disse serio, ma non riuscii a credergli. Il cuore iniziò a battermi forte, preda dell’ansia. Avevo ancora la bacchetta in mano, ma con i polsi bloccati dalla presa ferrea di Potter, non avrei potuto fare nulla, non riuscivo neanche a puntargliela contro.
«Ancora qualche passo e saremo entro le mura della scuola, è per questo che ti ho fermata…» disse, a bassa voce. Non capii cosa intendeva dire, troppo occupata a cercare una scappatoia inesistente. Era troppo vicino, il suo corpo sfiorava il mio, che tentava di allontanarsi spingendosi contro il muro, ma senza alcun risultato. Non so se lo faceva apposta o se il cunicolo non permetteva altro – molto più probabile la seconda, diceva la mia parte razionale – fatto sta che non mi sentivo per niente a mio agio. «Potter, lasciami. Per fermarmi non c’è bisogno che mi tieni così…» gli dissi rabbiosa.
«Invece era necessario!» esclamò lui con il solito ghigno.
«Perché, per Godric?» gli chiesi spazientita, mentre cercavo di divincolarmi, inutilmente.
«Perché ora devi stare ferma. Non costringermi a immobilizzarti, che se no rovini l’atmosfera!»
«Ma che atmosfera e atmosfera, Potter! Se avessi l’uso delle mani a quest’ora saresti in Infermeria e non ricorderesti nemmeno come ti chiami! L’atmosfera, caro il mio saputello, si crea quando due persone vogliono la stessa cosa, ma evidentemente qui c’è un enorme divergenza di opinioni, Potter!» ero infuriata, sapevo dove sarebbe andato a parare e non avevo possibilità di scampo.
«Ti prego, Evans…» disse, spazientito anche lui. Bene, almeno in una cosa eravamo d’accordo. Sbuffai.
Quando vide che non avrei ribattuto, avvicinò inesorabilmente il viso al mio. Strinsi i pugni, tanto che quasi spezzai la bacchetta e chiusi gli occhi. Lui sbuffò e allora li riaprii. Sussultai vedendo il suo viso a così poco dal mio.
«Evans, davvero non voglio fare nulla…» disse. Era talmente vicino che quando parlò, le nostre labbra si sfiorarono appena. Fui percorsa da un brivido, ma non ne capii la natura, se quel leggero sfiorarci mi aveva semplicemente solleticato, oppure se era un brivido di paura per quello che sarebbe successo di lì a pochi istanti o se per la repulsione che provavo…
«Certo…» mormorai ironica e fu di nuovo la stessa cosa… Me le andavo proprio a cercare.
Lui si allontanò appena e scosse il capo con un sorriso, poi si riavvicinò.
«Torna a chiudere gli occhi, Evans…» mi sussurrò prendendomi in giro e per la terza volta ci sfiorammo. Nonostante mi stesse canzonando, chiusi comunque gli occhi come suggerito. Lo sentii ridere, sentii il suo respiro sulle labbra. L’istante successivo mi sembrò eterno, un’attesa snervante e straziante, ma non osai aprire gli occhi. Alla fine successe… le sue labbra toccarono le mie, ma non fu un bacio preso con la forza, come mi ero immaginata. Fu qualcosa di estremamente dolce, lo avrei definito fraterno se il termine fosse stato appropriato. Mi stupì, non avrei mai pensato una cosa del genere e nel breve attimo in cui riflettei e trassi queste conclusioni, mi ritrovai a ricambiare quel bacio con la stessa dolcezza. Sì, ero fidanzata, felicemente e non avevo intenzione di rovinare tutto, ma non mi sembrava un peccato o un tradimento. Potter fu stupito quanto me, a sentirmi reagire e per un istante si fermò, le labbra ancora sulle mie. Poi, per un altro brevissimo istante mi baciò di nuovo e si allontanò lentamente. Mi vennero in mente quelle immagini Babbane di bimbi innocenti che si scambiano un bacio a stampo, incredibilmente teneri. Ecco era il nostro ritratto perfetto.
Si allontanò quel tanto che bastava per guardarmi, che era poi quel tanto che permetteva il cunicolo, la sua espressione era un misto tra felicità e stupore. Sorrideva, senza sfacciataggine e mi guardava come se gli avessi appena fatto il regalo più bello al mondo. Ero imbarazzata, non sapevo cosa dire e avrei voluto giustificare quel gesto prima che credesse chissà che cosa.
«Mi aspettavo un calcio e una testata… Ti ho bloccato le mani è vero, ma non avrei potuto fermare le gambe…» sussurrò, dopo una decina di minuti di silenzio assoluto.
Sorrisi, forse era la sua espressione ad essere contagiosa, ma sorrisi. «Ho pensato a tutte le soluzioni possibili, ma non a quella…»
«Menomale…» allargò il sorriso. «Hai ricambiato…» azzardò, lo vidi contrarsi, come se si aspettasse il calcio mancato prima.
«Po…» no, per quello che stavo per dire, non era giusto chiamarlo per cognome «James io…» ma m’interruppe scuotendo il capo.
«Fammi spiegare, prima, poi dirai tutto quello che vuoi…» disse, ma scossi il capo a mia volta.
«Non me l’aspettavo…» mormorai, distogliendo per un attimo lo sguardo e facendolo ridere.
«Cosa ti aspettavi? Che ti obbligassi a baciarmi?» domandò, ancora ridendo.
«Sì.» ammisi, ritornando a guardarlo. «Mi aspettavo che lo facessi con la forza, tutto lo faceva pensare…» mossi i polsi per fargli capire e lui rise di nuovo.
«Sì, si concilierebbe con l’idea che hai di me, effettivamente…» sospirò. «Mi hai stupito…»
«Anche tu… E anch’io mi sono stupita… Ma…» e ancora una volta mentre cercavo di spiegargli, m’interruppe.
«Fammi spiegare…» ripeté e stavolta lo lasciai parlare. «Tra pochi passi saremo di nuovo entro le mura della scuola. Tu tornerai Evans, Prefetto di Grifondoro ed io tornerò Potter, il solito combina guai. Ma ora siamo ancora i due complici degli scherzi di oggi. I due che si sono sbellicati dalle risate fino a non respirare e rimanere chiusi fuori da Scuola perché avevamo perso la cognizione del tempo. Volevo ringraziarti Evans. Per la giornata più bella e spassosa della mia vita, per aver accettato il regalo e per non avermi massacrato di botte e Incantesimi per tutto il giorno.» sorrise «E per aver ricambiato quel bacio.» aggiunse, abbassando maggiormente il tono, forse per paura che dirlo ad alta voce avrebbe causato una reazione violenta in me… Si sarebbe conciliato con l’idea che aveva di me, effettivamente. «Quel bacio non implicava niente di niente. Non era per andarmi a vantare in giro… Non lo saprà nessuno, neanche i miei amici. Non era per rubarti qualcosa. Né per farti arrabbiare e farmi detestare ancora di più. Non era un “mettiamoci insieme Evans”… Cioè se vuoi ben venga, ma non era per quello, per una volta. Era una forma di ringraziamento. La forma migliore che conosco.» disse, sorridendo con un lieve imbarazzo sull’ultima frase. Anch’io sorrisi, sollevata del peso della spiegazione che avrei voluto dargli. Ma evidentemente anche lui l’aveva inteso come qualcosa di intimo, sì, complice, anche, ma non malizioso. Come due fratelli… esattamente come l’avevo inteso io.
«E’ per questo che ho ricambiato.» dissi, sorridendo. «Perché era qualcosa di giusto in quel momento. Perché anch’io volevo ringraziarti e concludere in un modo indimenticabile questa giornata indimenticabile…»
«Indimenticabile?!» domandò stupito e divertito. «Hai definito il mio bacio indimenticabile! E anche questa giornata!»
«Calma, Potter!» mi affrettai ad aggiungere «Non tirare troppo la corda. Indimenticabile perché è stata un’esperienza nuova, il bacio intendo. Non c’era malizia ma innocenza. O almeno è quel che ho provato.» scrollai le spalle, quel tanto che mi permetteva la sua presa sui polsi. «E’ vero, non l’ho fatto con malizia, ma tenerti ferma era necessario, non me l’avresti mai permesso altrimenti.» spiegò e nonostante ciò non mi lasciò ancora.
«Questo è vero…» risi piano. «La giornata è stata indimenticabile, mi sono divertita molto, più del normale e non scorderò mai Severus che ruggisce con la criniera al posto dei capelli, né tutti gli altri Serpeverde… Né tantomeno il fantasma di Mielandia…» risi ancora al pensiero.
«C’è un “ma”, vero?» disse e d’un tratto il suo sorriso si fece amaro.
«Sì, c’è un “ma”…» annuii, con un sorriso. «Ma per avere la tua seconda possibilità questa doveva essere la giornata più divertente della mia vita…»
«Come hai fatto a divertirti più di oggi?!» mi interruppe stupito.
«Fammi finire, Potter…» lo ammonii scherzosamente. «Questa è stata la giornata più divertente è vero, ma c’è un pari merito, per così dire…»
«Lo sapevi già non è vero? Non avresti mai accettato altrimenti…» disse, rassegnato.
«Questa giornata è a pari merito con il primo settembre di cinque anni fa… E sì, lo sapevo già prima. Nulla mai, credo, potrà superare la gioia di quel giorno.» sorrisi, lui sembrò capire e annuì tornando a sorridere a sua volta.
«Quindi niente seconda possibilità…» disse scrollando le spalle.
«Magari un giorno… Forse…» dissi, provocandolo un pochino. «In fondo ti ho ingannato, quindi forse potrei anche fare uno strappo all’accordo e concederti un appuntamento. Magari un giorno… forse…» ripetei. In quel momento decisamente non avevo bisogno di altri appuntamenti e tantomeno Potter mi piaceva.
«In fondo competere con Hogwarts è impossibile. Questo è vero… perciò accetto di buon grado la sconfitta e spero in quel giorno…» disse sorridendo di nuovo e vidi, nei suoi occhi, che era sincero.
«Ho anche il modo per contattarti adesso.» dissi, per sdrammatizzare. Indicando con un cenno del capo il suo regalo che portavo al collo.
«Vero, vero! E io ho il modo per tormentarti maggiormente!» rise, vittorioso.
«Davvero non dirai niente di quel che è successo poco fa?» gli domandai, stranamente non avevo così tanta voglia di tornare a scuola. Era stata davvero una delle giornate più divertenti della mia vita, dove per una volta, che non era una Lumafesta, mi ero lasciata un po’ andare, ma su una cosa avevo mentito: la giornata migliore della mia vita non era il primo settembre di cinque anni fa, ma il 25 dicembre del terzo anno…
«Sì, rimarrà un nostro segreto. E quando incroceremo lo sguardo, ci ricorderemo di questo momento e saremo complici anche per qualcos’altro oltre gli scherzi…» Capivo benissimo la sensazione di scambiarsi sguardi e sentirsi complici, parte di un gioco cui gli altri non erano stati ammessi a partecipare… Era una bella sensazione…
«Ti piace l’idea di avere un qualche segreto da condividere con me eh, Potter?» lo stuzzicai. Anche prima aveva detto la stessa frase.
«Sì, anche se si tratta solo di uno scherzo… E di un bacio…» aggiunse con un sorrisetto divertito.
«E va bene… Saremo compici!» esclamai, in fondo non mi dispiaceva quella sensazione, anche se era un concetto strano condividere qualcosa con una delle persone che meno sopportavo. Sorrise e mi liberò i polsi. Non mi facevano male e mi ero persino dimenticata di averli bloccati.
«Conviene andare, abbiamo ancora un bel po’ di strada e una salita prima di arrivare al Castello e sarà meglio muoverci se no ci danno davvero per dispersi.» disse, riprendendo in mano la bacchetta e facendo cenno di andare per prima. Mi incamminai tra le curve e gli zigzag di quel passaggio segreto, sbuffando ogni tanto perché mi sembrava di girare in tondo. Potter canticchiava o fischiettava.
«Ma non poteva essere lineare questo passaggio segreto?» mi lamentai dopo una mezz’ora buona. «Sembra che di qui siamo già passati… Giuro che se vedo la scalinata rimango a dormire qui!» sbuffai.
«Evans Evans… C’è la scalinata!» esclamò, ridendo. Io mi voltai e lo fulminai con lo sguardo. «Beh, dovevo pur provarci… La prospettiva di una notte intera passata con te era troppo allettante…» si giustificò lui, scrollando le spalle.
«Sogna, sogna, Potter.» dissi tornando a guardare davanti. «Piuttosto non è che mi stai tendendo una trappola e in realtà questo cunicolo non porta da nessuna parte?» gli domandai, inquisitoria.
«No, Evans, porta al terzo piano, è la statua della Strega Gobba.» disse con una risata divertita.
«La Strega Gobba?!» domandai, incredula. Ero passata davanti a quella statua innumerevoli volte e non avevo mai pensato che potesse essere un passaggio segreto, ovviamente. Potter in risposta rise, poi dopo un attimo di silenzio riprese a fischiettare.
Continuammo a camminare, per un’altra mezz’ora, credo, la mia cognizione del tempo non era così ben definita là sotto, fino a che non raggiungemmo l’inizio di una ripida salita. Mi fermai e alzai la bacchetta per illuminarne la cima che si vedeva a stento.
Mi voltai verso Potter e gli lanciai uno sguardo eloquente. «Siamo arrivati…» disse, con ovvietà. «Ah… Ti stai chiedendo come facciamo a salire?!» disse poi, facendo il finto tonto. «Esattamente… Dobbiamo arrampicarci?!» la mia domanda era retorica, non ci si poteva arrampicare su uno scivolo lisco qual era quella salita.
«Sai che fondamentalmente credo di si?!» disse con un ghigno.
«Dormo qui Potter, tu sali pure…» dissi spostandomi di lato per farlo passare.
«Non fare la scema, Evans…» sorrise. «Possiamo usare un Incantesimo… Possiamo Trasfigurare la salita in scale e uscire…»
Soppesai la sua idea e ne dedussi che era l’unica soluzione. «Decisamente, ma non è un Incantesimo facile.» feci osservare, un po’ perplessa.
«Proviamo insieme, dovrebbe funzionare, che ne dici?» mi chiese, senza alcuna preoccupazione. Annuii, poi entrambi puntammo la bacchetta verso i piedi della salita e pronunciammo la formula che la trasformò in scale. Iniziammo a salirle, io davanti e lui subito dietro di me. Mi fermai in cima ma non feci in tempo a chiedergli come fare che lui passò la bacchetta sotto il mio braccio e disse: «Dissendium!». Qualcosa si aprì, accecandomi con le luci dei corridoi di Hogwarts. Uscii e poi mi voltai per aiutare anche lui ad uscire dalla Gobba della strega che era un po’ troppo stretta.
Quando anche lui fu nel Castello, ci sporgemmo di nuovo all’interno del passaggio e con un tocco della bacchetta spezzammo l’Incantesimo e le scale tornarono scivolo.
Mi voltai e sobbalzai quando scorsi tre figure. Vidi anche lui fare lo stesso, che ancora accecato per il cambio di luci non aveva messo a fuoco le figure, cosa che anch’io stavo facendo proprio in quel momento.
Remus Lupin, Sirius Black e Peter Minus ci aspettavano, tutti e tre nella stessa posizione: le braccia incrociate al petto, il piede destro che batteva impaziente e minaccioso a terra, ma il sorriso sulle labbra per averci visto spaventati.
«C-Come avete fatto a sapere che saremmo arrivati qui?!» domandai incredula e Potter dietro di me si avvicinò al mio orecchio e disse «Un Mago non rivela mai tutti i suoi trucchi…» io annuii, capendo che anche quella sarebbe stata una domanda senza risposta.
«Complimenti Prefetto Evans! Non mi sarei mai aspettato che lei fosse fuori da Hogwarts oltre l’orario consentito!» esclamò Black. Stavo per ribattere, ma Potter mi precedette.
«Ma lei non è più il Prefetto Evans!» esclamò e anch’io, come gli altri, lo guardai stupita. «Lei è la Regina dei Malandrini!» disse solennemente e allora risi. Avevo quasi dimenticato che mi aveva apostrofato in quel modo.
«Quindi siete stati voi!» esclamò Remus e fui costretta a distogliere gli occhi dal suo sguardo di rimprovero.
«Già e l’idea è stata sua!» esclamò Potter, di nuovo esterrefatto.
«Raccontateci, mentre andiamo in Sala Comune, abbiamo preso qualcosa da mangiare per voi…» disse Remus guardandomi con un sorriso e allora capii che l’espressione di poco prima era soltanto scherzosa. Così ci incamminammo verso la Sala Comune, facendo un resoconto molto dettagliato agli altri tre, che però capirono molto poco, perché prima ancora di parlare ci scambiavamo uno sguardo e scoppiavamo a ridere.



Ringraziamenti: I recensori del precedente capitolo:
dirkfelpy89;
hermy101; Beh Lily deve essere diffidente, ricordiamo che per ora sono al quinto anno e lei detesta James. ^^
Roby28; Cavoli! Alla coda non ci ho davvero pensato! Sarebbe stata una bella trovata!
karmenpotter;
chiaramalfoypotter;
A voi due rispondo in una volta, che avete fatto la stessa osservazione. :P E' vero qui il ragazzo misterioso non ha una parte di rilievo, ma come dicevo all'inizio ci sono tanti indizi e poi volevo focalizzare l'attenzione sull'appuntamento :P

Note: Piccola nota sul "passaggio segreto che usa Remus"; noi sappiamo che il platano picchiatore è un passaggio a doppio senso, al contrario di quel che dice James. Ma non è un errore, semplicemente lui non vuole rivelarle né quale sia né come fare a sbloccarlo. Diciamo che lo fa anche per proteggerla. (Ricordate cos'è successo quando Severus ha cercato di scoprire cos'aveva Remus e si è trovato davanti un lupo mannaro?!)

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Capitolo 11
*** Oltre la Porta ***


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!!!!!A grande richiesta il nuovo capitolo!!!!!



= Oltre la Porta =

Il lunedì mattina, tutti i Serpeverde stregati erano ancora in infermeria. Quando scesi a colazione, sentii Potter lamentarsi con i suoi amici perché quel giorno non avrebbero avuto i loro bersagli preferiti, ma dopo un paio di minuti già rideva raccontando di nuovo come avevamo Trasfigurato Severus, stando però ben attento a non farsi sentire. Gliene fui grata.
Intanto tra le mie amiche c’era una certa agitazione; ovviamente sapevano che i Serpeverde erano stati stregati, ma non avevano ancora intuito che dietro tutto quello c’ero io. D’altronde gran parte della conversazione era incentrata su Alice, che finalmente era uscita con Frank e che non si tratteneva dal descrivere minuziosamente ogni passo che avevano fatto per Hogsmeade. E’ anche vero che ogni volta che l’attenzione delle altre si focalizzava su di me, per estorcermi i dettagli della mia giornata, io tornavo a fare qualche domanda ad Alice che entusiasta rispondeva e non perdeva occasione per mostrare la sua voglia di uscire ancora con il suo nuovo amore.
Nella pausa pranzo, dopo un’estenuante mattinata passata a evitare le trappole delle mie amiche, seguire le lezioni e prendere appunti a Storia della Magia, saltai il pasto e andai in infermeria a trovare Severus.
Appena entrai, mi ritrovai davanti un’infuriata Madama Chips, che con le braccia ai fianchi, mi osservava torva. «Posso salutare un amico?» domandai, con quanto più timore riuscissi a tirar fuori, per addolcirla.
«Uno solo e solo cinque minuti.» acconsentì spostandosi. “Credi che abbia più di un amico Serpeverde?!” le chiesi mentalmente. Scossi il capo e la superai.
Solo allora vidi che la stanza era stata ingrandita con un Incantesimo per far spazio a quella folla Trasfigurata di Serpeverde. Potevano trasformarla direttamente nella loro Sala Comune, già che c’erano…
Mi avviai tra le corsie, lo sguardo fiero, mentre la maggior parte di loro mi guardava male. Trovai Severus poco dopo, sdraiato in un letto con le tendine laterali tirate forse per non far passare la luce o forse per evitare i vicini. Aveva ancora la criniera che si muoveva per una brezza inesistente.
Ruggiti si levavano da ogni parte della sala e mi chiesi se lui fosse in grado di parlare.
Gli sorrisi mentre mi avvicinavo e mi appoggiavo al metallo ai piedi del suo letto.
«Ciao!» dissi, scoprendo di non provare nessun senso di colpa per quello che avevo fatto, in fondo era solo uno scherzo… «Riesci a parlare? Come stai?»
«Ciao, Lily…» rispose lui con voce talmente flebile che a stento lo sentii in tutto il trambusto. «Sì, parlo…» rispose, ma subito dopo tossì con un ruggito. Mi fece cenno di sedermi al suo fianco e così mi spostai e mi accomodai in un angolino del letto. «Sto bene…» aggiunse poi, rispondendo alla mia domanda.
«Quanto dovrai stare qui?» domandai, cercando di fargli capire che ero interessata alla sua guarigione.
«Madama Chips è riuscita a farmi smettere di ruggire…» c’era una certa rabbia nelle sue parole. Mi chiesi quando saremmo arrivati alle accuse, conoscendolo non ci avrebbe messo molto a inveire contro Potter. «Mentre non è ancora riuscita a trovare la pozione o il controincantesimo per la criniera…» digrignò i denti. “Però… Potter se la cava in Trasfigurazione”. «Ma sono uno di quelli messi meglio. Gli altri, puoi sentirlo…» si interruppe per “tossi-ruggire” di nuovo «…Sono ancora completamente Trasfigurati…» “Però… Anche io me la cavo in Trasfigurazione” pensai compiaciuta, senza far trasparire l’emozione. «E’ stato quel maledetto Potter. Appena lo becco gliela faccio pagare…» sputò le parole come veleno tra i denti. Eravamo arrivati al punto quindi… Aveva addirittura battuto le mie aspettative…
«Davvero?! L’hai visto?» gli chiesi, fingendomi sorpresa. Lui mi conosceva troppo bene, perciò non lo guardai negli occhi, ma mi voltai, con la scusa di vedere chi aveva ruggito forte dietro di noi. «No, non l’ho visto, ma so che è stato lui… Chi altri può incantare solo i Serpeverde?» domandò retoricamente. “Io ad esempio…” pensai.
«Tu non ragioni con distacco, Sev…» gli dissi con dolcezza, riportando lo sguardo su di lui. «Io non ho visto Potter a Hogsmeade… Potrebbe esser stato qualcun altro, per una volta…» scrollai le spalle.
«E io non ho visto te, a Hogsmeade…» disse, cambiando argomento. Evidentemente non aveva voglia di parlare di Potter, sapendo che se gli avesse fatto qualcosa mi sarei arrabbiata (non tanto perché avrebbe incantato Potter, ma perché sarebbe finito nei guai…).
«Perché come tuo solito, te ne sarai stato in qualche vicolo sperduto lontano da tutti…» dissi, ironicamente. Era la verità, Severus passava spesso il suo tempo a Hogsmeade nei vicoli laterali, dove anche quel giorno l’avevamo trovato.
«Tzè… Guarda che ogni tanto attraverso anche High Street eh…» disse, con un sorriso che faceva uno strano effetto con la sua criniera marroncina. «E poi ho incontrato le tue amiche e tu non c’eri…» disse, indagatore.
«Ovvio che non c’ero! Dovevo cercare un regalo a Mary e spiegami tu come posso con lei affianco…» risposi prontamente, me l’ero studiata prima di andare in infermeria.
«E’ il suo compleanno?» chiese scettico.
«Tra tre settimane… Non so se ci sarà un’altra uscita utile…» spiegai con una scrollata di spalle.
«E cosa hai detto a loro?»
«Severus, devi farmi il terzo grado?!» gli domandai di rimando spazientita.
«No scusa… Pensavo gli avessi detto che eri con me…» disse scrollando le spalle e distogliendo lo sguardo. Certo che faceva davvero impressione quella criniera…
«No, ho detto che sarei rimasta al castello… Sapevo che potevano incontrarti…» risposi, quasi con tono di scusa.
«Giusto… Beh…» non finì la frase perché Madama Chips piombò su di noi come un avvoltoio e mi intimò minacciosamente di uscire. Così salutai Sev, gli promisi che sarei tornata a trovarlo e uscii per tornare alle lezioni.
Ero nel corridoio di Storia della Magia, quando una voce alle mie spalle mi fece letteralmente gelare il sangue nelle vene, anche se il mio cuore prese a battere talmente forte che pensai volesse uscirmi dal petto.
«Dove stai andando, Lily Evans?» mi domandò in falso tono accusatorio, che celava a stento un sorriso – conoscevo ogni sfumatura di quel tono che potevo capire anche le espressioni del viso senza guardarlo.
Deglutii e rallentai il passo. «A Storia della Magia…» risposi, trattenendomi dal girarmi e abbracciarlo. Il corridoio, fortunatamente era vuoto.
«Sì, certo. Non le credo Prefetto!» mi prese in giro, affiancandomi.
«Cosa ci fai così vicino a me? E se arriva qualcuno?» domandai, abbassando il tono.
«Se arriva qualcuno, crederà che siamo due ritardatari che se la prendono molto comoda per andare in aula.» disse scrollando le spalle e sorridendomi. Mi persi, in quel sorriso. «Comunque non hai risposto alla mia domanda… Dove stai andando?»
«Credo che tu abbia qualche problema d’udito… Sto andando a Storia della Magia, te l’ho detto…» «E io ti ho detto che non ti credo, quindi dimmi veramente dove stai andando!» esclamò in falso tono minaccioso.
«Dimmelo tu, dato che non vuoi credermi! Dove credi che stia andando?» sbottai, falsamente spazientita.
«Stai imboccando il sentiero della perdizione, mia cara principessa, che ci conduce esattamente…» esitò lanciando un’occhiata al mio fianco «…in quest’aula!» e sulle ultime parole mi spinse di lato facendomi entrare in un’aula vuota e chiudendo la porta a chiave.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. «Devo andare a lezione… E anche tu dovresti…» brontolai, ma sapendo benissimo che non mi sarei allontanata da lì, soprattutto non per Storia della Magia.
«Chiederò ripetizioni a qualche bella ragazza…» rispose semplicemente scrollando le spalle e appoggiandosi alla porta.
«Ah sì? A chi?» domandai, con falso fare sospettoso. Mi avvicinai di un passo a lui.
«Non lo so, magari a una rossa che conosco… Che poi, beh, non è che sia così bella…» fece una pausa per creare suspense «…però è molto intelligente!»
Lo guardai torva. «Non è poi così bella eh…?» replicai, incrociando le braccia al petto.
«No. Non è bella.» ripeté serio.
«Capito…» fu il mio turno di scrollare le spalle. «Beh meglio per me…»
«E’ splendida, non bella.» spiegò poi, aprendosi in un sorriso che mi contagiò, ma giusto per non dargliela vinta, sbuffai. «Scema, vieni qui…» aggiunse dolcemente.
Non avanzai, ma lo guardai fingendomi arrabbiata. «Non vengo lì solo perché me l’hai chiesto tu!» dissi, sembrando quasi una bambina cocciuta.
«Ok…» rispose, guardando poi il soffitto con fare troppo interessato per essere vero. Scossi appena il capo e mi avvicinai di un altro passo. Lui non sembrò notarlo, continuando a concentrarsi su chissà quale crepa del muro.
Feci tanti passi quanti ne bastarono perché ci sfiorassimo e alzandomi in punta di piedi lo guardai a pari altezza negli occhi. Finalmente abbassò lo sguardo su di me e si finse sorpreso di vedermi così vicina.
«Se ora ti baciassi, cosa succederebbe?» domandai, con un sorrisetto divertito.
«Non lo so, prova…» disse lui, come se la cosa non gli interessasse quanto il soffitto, che tornò immediatamente a guardare.
Tornai con i piedi a terra, allontanandomi da lui di mezzo passo e fingendomi offesa. «Mi fai passare la voglia…» mormorai, distogliendo lo sguardo da lui e sottolineando l’ultima parola.
«Voglia? Hai una voglia?! Dove?!» disse lui, fingendosi ancora indifferente. Sospirai.
«Sei un idiota… Lasciami andare a Storia della Magia…» sbottai, questa volta davvero seccata e poi cercai invano di spingerlo da parte, per aprire la porta.
«Non se ne parla nemmeno, tu ora starai qui con me per tutto il resto della lezione!» protestò, senza spostarsi.
«E perché dovrei?» domandai, incrociando le braccia al petto, di nuovo.
«Perché vuoi baciarmi.» disse con semplicità.
«Posso resistere…».
«Ne sei certa?» mi domandò in tono provocatorio.
«Al cento per cento…» risposi con aria di superiorità. Forse avevo intuito dove ci avrebbe condotto quello scambio di battute.
«E se ti provocassi, sapresti resistermi?»
«Sì, direi proprio di sì… Non sei poi così speciale…» risposi trattenendo a stento un sorriso.
«Vediamo…» e così dicendo mi si avvicinò, mi afferrò per le braccia ancora incrociate e con uno scatto repentino invertì le posizioni, bloccandomi contro la porta con un tonfo che non mi provocò alcun male. Certo, ora avevo la via libera se avessi sciolto la sua presa, ma ormai la già minima voglia di andare a Storia della Magia era completamente svanita.
«Oh. Che. Paura.» scandii sarcastica, senza preoccuparmi di fingere un tono terrorizzato. «Ora sì che non posso più resistere e devo baciarti…» continuai, alzando gli occhi al cielo e lasciandoli vagare, con fare indifferente sul soffitto, come lui aveva fatto poco prima.
«Vedremo se tra poco continuerai a fingere…» rispose lui. Dopo di che annullò completamente la distanza tra noi. Un brivido mi percorse da capo a piedi, ma cercai di non darlo a vedere, presa da quel gioco di provocazioni che avevamo intrapreso. Con la coda dell’occhio vidi il suo capo avvicinarsi al mio, fino a che le sue labbra non sfiorarono appena – scatenandomi una serie di altri brividi – la guancia all’angolo della bocca. Quello che fece dopo, mise in serio pericolo il mio autocontrollo: scese, con una lentezza estenuante lungo il collo, costringendomi con le labbra a sollevare il mento e dandomi baci sembra più fugaci, fino a che non giunse il colletto della divisa, mentre io avevo la pelle d’oca. Mi accorsi di aver chiuso gli occhi soltanto quando lui si fermò e si spostò per osservare la mia reazione. Quando li riaprii, infatti, mi ritrovai davanti il suo sorrisetto trionfante, ma non aveva ancora vinto…
«Tutto qui?» domandai dopo qualche istante in cui ritrovai il sarcasmo, sepolto dalle sensazione causate dai suoi baci.
«No, certo che no…» sussurrò provocatorio «Ma pensavo che magari preferiresti arrenderti… Volevo darti questa possibilità…»
Io scossi il capo, non ero certa di padroneggiare al meglio la mia voce… Lui scrollò le spalle e riprese da dove aveva lasciato, facendo questa volta il percorso inverso, dalla spalla al viso. Però non si fermò lì, infilò le mani sotto la mia camicia e lentamente, sfiorando appena la pelle mi accarezzò la schiena, fermandosi appena sotto al gancetto del reggiseno. Non riuscii a trattenere un sospiro e sentii le sue labbra tendersi in un sorriso contro il mio collo, che mi spinse a sciogliere le braccia dal loro incrocio e infilare le dita tra i suoi capelli. Però, fu quando iniziò a sbottonare i bottoni della mia camicia, facendomi agognare i baci che aveva smesso di darmi, che cedetti ancora di più. Feci scendere le braccia fino alla sua vita e, con gesti volutamente misurati e un ghigno sulle labbra, sfilai la sua camicia dai pantaloni e la sbottonai allo stesso ritmo con cui lo faceva lui. Sul suo volto passò prima la sorpresa, poi il trionfo per aver vinto la nostra piccola sfida, ma ovviamente non si fermò. All’unisono facemmo cadere le rispettive camicie ai nostri piedi e allora mi permisi di esplorare con le mani il suo petto nudo, mentre lui faceva altrettanto accarezzandomi la schiena, nel frattempo baciandoci con foga, liberando l’istinto represso poco prima. Sentire il sapore dei suoi baci mi faceva impazzire ogni volta come fosse la prima. E quando si soffermava a passare la lingua sulle mie labbra, credevo di esplodere. Ero pervasa dall’eccitazione e ormai seguivo soltanto l’istinto. Fu proprio quest’ultimo a indurmi a far scorrere le mani fino alla sua vita e passarle, lentamente tra i suoi fianchi e i pantaloni. Lo sentii rabbrividire e sorrisi, ma un istante dopo si vendicò facendo lui lo stesso col mio reggiseno. Il gioco non era ancora finito, ognuno di noi cercava invano di dominare l’altro. Proprio seguendo questo scopo, con una foga che raramente mi possedeva, sbottonai i suoi pantaloni e lui di rimando fece lo stesso, così che qualche istante dopo rimanemmo entrambi in intimo. Subito le sue mani corsero ad accarezzare le mie gambe, mentre con maggior passione si riappropriò delle mie labbra, premendo il suo corpo contro il mio e me ancora più contro la porta. Sollevai una gamba, avvinghiandola a quelle di lui, che capì all’istante e mi sollevò stringendomi per i fianchi… Il mio bacino contro il suo, l’eccitazione che salì al suo culmine e uno soltanto diventò il nostro fine…
Era sul punto di liberarmi dal reggiseno, dopo avermi illuso per diverse volte abbassandone le spalline e giocando con la chiusura, quando entrambi nello stesso momento ci accorgemmo che qualcosa era cambiato: c’era silenzio. Al di là dei nostri respiri affannati e dello sfioramento dei nostri corpi nei movimenti, era calato il silenzio. Non ci eravamo accorti che negli ultimi dieci minuti gli studenti oltre la porta erano usciti dall’aula di Storia della Magia, chiacchierando tra loro, né che quelli della lezione successiva avevano raggiunto la classe, ma in quel momento ci rendemmo conto che era successo, senza riuscire a quantificare il tempo passato dal cambio d’ora a quando ci interrompemmo. Ci scambiammo uno sguardo, nel quale passarono le stesse identiche emozioni: eccitazione, adrenalina, timore. Intravidi anche la scelta che aveva fatto, ma lo sentii allentare la presa sui miei fianchi, senza farmi scendere ma senza trattenermi, lasciando così a me l’ultima parola. Gli sorrisi con un velo di tristezza, annuii e lui, lentamente, mollò la presa, facendomi tornare con i piedi per terra.
«E’ meglio così…» sussurrò, baciandomi la fronte. Capii che nonostante il suo tono fosse un poco dispiaciuto, era sincero.
«Certo, così mi torturerai di più la prossima volta…» la misi sull’ironico per non fargli capire quanto mi dispiacesse. Alle volte odiavo le regole della scuola, che ci vietavano incontri di quel genere e ci costringevano a smettere sul più bello…
«Ovvio…» rispose lui con falsa aria di superiorità che subito si dissolse quando mi baciò, dolcemente, le labbra. Poi si chinò a rialzare i pantaloni e raccogliere le camicie. Mentre ci rivestivamo, ci scambiammo qualche altro tenero e innocente bacio, la foga e la passione di poco prima erano svanite con la decisione di non proseguire in quello che stavamo facendo.
«Esci prima tu… E corri a Pozioni.» disse sorridendomi.
«Ok… Tu verrai?» erano le domande di rito, per costruire la migliore delle scuse, ostentando la più sincera delle espressioni.
«No, non verrò…»
«A presto…» dissi, alzandomi in punta di piedi per dargli un ultimo bacio prima di aprire con cautela la porta e uscendo, non prima di aver controllato che ci fosse via libera.
Percorrendo il corridoio, mi resi conto che non avevo provato il senso di colpa, che in fondo al cuore mi aspettavo, per aver baciato Potter. Capii che, seppure avevo passato una giornata fantastica, contro tutte le mie previsioni, quel bacio era stato solo il coronamento della gita ad Hogsmeade e che il mio amore totale e incondizionato era rivolto ad un’altra persona, quella che avevo appena lasciato in quell’aula vuota. Sospirai e sorrisi, per quella prova appena evidenziata. Ero orgogliosa di me.



Ringraziamenti: Non ho molto tempo per ringraziare tutti uno per uno. Ringrazio intanto i sette recensori dell'ultimo capitolo, ho letto tutti i vostri complimenti e le vostre domande. Vorrei rispondere solo a karmenpotter perché la sua domanda potrebbe interessare a tutti: sì, la mia idea prevede di narrare anche il sesto e il settimo e gli anni successivi, concludendosi con la triste fine che voi tutti conoscete.
Magari nel prossimo capitolo, se avrò un po' di tempo riprenderò i ringraziamenti per questo.
Note: Questa volta le note non riguardano il capitolo, che mi pare abbastanza chiaro (altrimenti fate pure domande e sarò lieta di rispondere), ma piuttosto la mia lunga assenza. Ho avuto gli esami e fino a metà luglio ero impegnatissima nello studio. Ora sono a casa e mi ritrovo ancora più impegnata, in una cosa o in un'altra XD e poi la mia ispirazione, nell'ultimo periodo è un po' scomparsa, perciò preferisco aspettare e scrivere qualcosa di decente, piuttosto che pubblicare un capitolo soltanto per incrementarne il numero. Spero possiate capire e spero che quest'ultima creazione non vi abbia fatto proprio schifo XD
A presto!
P.S.- Se sarò assente per un altro lungo periodo, non vi spaventate, ho intenzione di portare a termine questa storia, non di sospenderla o cancellarla, ma con i miei tempi ^^

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Capitolo 12
*** Enorme Mare Bianco ***


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!!!!!Capitolo Seciale! Leggete e scoprite perché!!!!!




= Enorme Mare Bianco =

Halloween fu portato via dalla prima nevicata e alla seconda già si pensava a Natale. Certo sarebbero iniziate le vacanze, ma per quelli del quinto e del settimo, l’unica cosa positiva era l’interruzione delle lezioni, perché il carico di compiti che si era accumulato dall’inizio dell’anno era ormai immane, anche per quelli di noi che si erano impegnati. Perciò le vacanze di Natale per noi erano il momento per recuperare… certo, lasciando anche molto – ma molto – spazio al divertimento!
Quando qualche giorno prima delle vacanze, la McGranitt passò a chiedere a tutti gli studenti chi si sarebbe fermato a scuola, scoprii con mia grande indignazione – e disperazione – che Potter e la sua patetica combriccola sarebbero rimasti a Hogwarts. Addio miei sogni di pace e tranquillità! Provai a chiedere a Remus per quale strano e incomprensibile motivo avevano deciso di rovinarmi le vacanze con la loro presenza – ovviamente Rem era escluso. Ma tutto ciò che ottenni furono una scrollata di spalle e un «Quest’anno abbiamo deciso così…» ed io fui costretta a mettermi il cuore in pace e rassegnarmi a vedermeli ronzare intorno. Sempre meglio che tornare a casa, sempre meglio che a ronzarmi intorno fosse Potter che Petunia. Nell’ultimo anno e mezzo, poi, era diventata ancora più insopportabile, con quella sua aria di superiorità, lo sguardo ostile e l’impossibilità di rivolgerle parola.
Così arrivarono le fatidiche vacanze, la scuola era addobbata a festa già da giorni, ghirlande lungo i corridoi, vischio sopra ogni porta, i consueti dodici alberi di Natale nella Sala Grande e tutti gli studenti erano in trepidante attesa. Anch’io mi godevo l’atmosfera natalizia, anche se guastata da quei quattro e dall’assenza di Severus. Seppure col carico ingente di compiti sulle spalle, furono pochi gli studenti che rimasero a scuola, soltanto cinque erano gli studenti di Grifondoro del quinto e altrettanti quelli del settimo. Avevo già subito un agguato da quei due sciagurati di Potter e Black, l’ultimo giorno di lezione. All’uscita dall’aula di Difesa Contro le Arti oscure, mi affiancarono uno a destra e l’altro a sinistra e mi bloccarono l’uscita. Poi fecero l’inaspettato. Entrambi, sincronizzati come un orologio svizzero, si avvicinarono a me e mi baciarono le guance augurandomi, tra le risate generali, un Buon Natale. Capii solo dopo che c’era del vischio appeso a quella porta e che loro ne avevano approfittato per farmi un dispetto. La reazione istintiva e prevedibile fu la mia ira. Mi voltai menando le mani, mentre i due se la svignavano ridendo a crepapelle.

«Ehi Evans, giochiamo a scacchi.». Non era una domanda, sembrava piuttosto un ordine, quello che mi colse nel momento stesso in cui entrai nella Sala Comune dopo esser passata in Biblioteca per finire un compito. Non ci fu bisogno di guardare verso il tavolo vicino al camino per capire chi aveva parlato, riconobbi il tono arrogante. E la rabbia dello scherzo m’invase di nuovo.
«Non darmi ordini, Black.» ribattei dura.
«Non è un ordine, voglio solo fare una partita a scacchi e qui non c’è nessuno oltre te.» rispose scrollando le spalle e dondolandosi sulla sedia.
«Sai Black, quando uno fa una richiesta, l’intonazione della voce nell’ultima parte della frase sale, così da far capire che si tratta di una domanda. La tua era un’affermazione e, oserei dire, piuttosto perentoria. Perciò no, non voglio giocare a scacchi con te per due motivi. Uno, non mi faccio dare ordini da te; due, non voglio ferire il tuo immenso ego battendoti.» risposi, seriamente, reggendo il suo sguardo, ma accompagnai le ultime parole con un ghigno provocatorio.
«Ohohoh… Questa sì che è bella, Evans. Credi di essere così brava? Vediamo, allora.»
Stronzo. Mi ha incastrato facendo leva sul mio orgoglio.
«Perché non giochi con Remus?» gli domandai, mentre mio malgrado feci un passo verso di lui.
«Remus mi batte sempre…» spiegò semplicemente.
«E Potter? Potresti giocare con lui… Lo batteresti di sicuro…» feci sarcastica, facendo un altro passo.
«Sì, questo è vero… Ma al momento non ho idea di dove si trovi e poi non c’è gusto a giocare con lui.» spiegò, poi aggiunse «Giochi o no, Evans?»
«Gioco.» risposi sedendomi di fronte a lui dalla parte dei pezzi neri «Poi però non prendertela se vinco. E spero per te che tu non abbia truccato i pezzi, Black.»
«I pezzi sono di Remus, quindi giochiamo ad armi pari… E giuro di non prendermela se perdo, cosa peraltro impossibile...»
«Ok, io comunque ti ho avvisato. Comincia dai…» dissi tagliando ogni altra discussione completamente inutile e lasciando, come di regola, a lui la prima mossa.
Black era un ottimo giocatore, faceva muovere i pezzi con maestria e una particolare strategia che costringeva l’avversario in mosse da lui pianificate. Nonostante ciò riuscii a tenergli testa, giocare a scacchi a me piaceva, sin dalla prima volta che vidi i pezzi muoversi magicamente e da allora giocavo ogni volta che ne avevo la possibilità. Ero talmente concentrata che non sentii neanche l’ingresso di Potter, Minus e Remus e a giudicare dall’assenza di reazioni nemmeno Black se ne accorse, vidi soltanto l’ombra di Remus accomodarsi silenziosamente su una sedia a osservarci. Non so quanto durò quella partita, ricordo che a un certo punto fummo ad un punto morto. Entrambi, ormai avevamo soltanto una manciata di pedoni e qualche pezzo più importante. Io ero riuscita a salvare la regina, una torre e un alfiere, oltre al re ovviamente. Black mosse un pedone in avanti bloccandone uno mio ed io spostai la regina mangiando il cavallo rimastogli. Ma così facendo, nessuno dei due poté più fare mosse utili per dare scacco matto all’altro. Alzai gli occhi nello stesso istante di Black, incontrando il suo sguardo.
«Patta?!» ci domandammo all’unisono e con un sorriso annuimmo.
«Visto? Non sei riuscita a battermi, Evans…» mi prese in giro rilassandosi e tornando a dondolarsi sulla sedia.
Io alzai gli occhi al cielo e feci per rispondere, ma Remus mi precedette. «Un’ottima partita, direi. Può esser considerata una vittoria per entrambi.»
«Alla prossima vincerò, ho tutte le vacanze per riuscirci, Black.» risposi, finalmente, ignorando Remus.
«Certo Evans, anche subito.» disse con un ghigno e una scrollata di spalle.
«No, subito no. Io ho fame e aspettavo te per andare a mangiare.» disse bruscamente Potter, che in mancanza dell’amico si era annoiato ed era di cattivo umore, tanto da dimenticarsi di me.
«E va bene, andiamo a cena.» rispose alzando gli occhi al cielo e alzandosi dalla sedia.
«Scendi con noi Lily?» mi domandò Remus con un sorriso.
«Scendo con te, Remus…» risposi con un sorrisetto beffardo.
«Solo perché ti ho battuto, non vuoi venire a cena con noi Evans?» chiese Black, precedendoci affianco a Potter verso il ritratto.
«Cosa c’è nella parola “Patta” che non ti è chiaro? E cosa, sempre nella suddetta parola “Patta” ti fa pensare che tu mi abbia battuto?» ribattei acida.
«Ciò non toglie che tu non voglia venire con noi…Perché?»
«Beh, vedi… Credo che sia perché non vi sopporto, sai com’è…»
La risata di Potter e Black risuonò nel corridoio deserto, io alzai gli occhi al cielo. Proseguimmo per la Sala Grande in silenzio, o meglio, io Remus e Minus eravamo in silenzio, mentre Potter e Black bisbigliavano e ogni tanto si giravano a lanciarmi occhiate che non riuscii a decifrare.
La cena passò, mi abbuffai tanto da avere sonno subito dopo, quindi tornai per conto mio verso il dormitorio, pensando di andare subito a dormire.
Mi risvegliai nel cuore della notte per il freddo e mi accorsi di essermi addormentata ancora vestita e senza mettermi sotto le coperte. Raccogliendo le forze che riuscii a rubare al sonno mi alzai e mi svestii, mettendomi poi il pigiama. Stavo per mettermi di nuovo nel letto, quando guardai fuori dalla finestra e notai che nevicava. Sorrisi tra me e me; mi piaceva la neve, soprattutto di notte, perché scintillava come di luce propria nel buio. Così decisi di rivestirmi, prendere il mantello e tentare di uscire all’aperto. Feci il più piano possibile, anche se tutti i Grifondoro erano nelle loro stanze e la Sala Comune era deserta e buia, dato che il camino si era già spento.
La Signora Grassa si lamentò a gran voce e mi fece temere che qualcuno potesse svegliarsi o uno dei professori di ronda sentire i suoi rimproveri. Fortunatamente non successe nulla, probabilmente a quell’ora anche gli insegnanti erano nei loro letti.
Percorsi il corridoio il più veloce possibile, senza fare rumore e completamente al buio. Stetti attenta a ogni rumore, ma nessuno risultò sospetto: Hogwarts era deserta.
Riuscii per giunta ad aprire il portone dell’Ingresso, che sfortunatamente cigolò rimbombando tra le pareti, uscii e trattenni il fiato, aspettandomi da un momento all’altro un professore, che però non venne. Era filato tutto liscio, ero fuori. Sorrisi di nuovo.
Mi avviai verso il lago, mentre i piccoli fiocchi mi sfioravano il viso e i vestiti e la neve a terra creava un lieve riverbero che mi permetteva di trovare la direzione anche senza accendere la bacchetta. Mi chiesi come dovevo sembrare a un ipotetico osservatore da una delle finestre del castello; probabilmente un puntino nero nel mare bianco della neve. Tremavo lievemente per il freddo, nonostante i vestiti pesanti e il mantello, ma lo spettacolo era splendido, mi affascinava.
Raggiunsi il Lago Nero con tutta calma, la tensione dell’esser scoperta aveva ceduto il posto alla tranquillità che quel paesaggio sapeva infondermi. Arrivai alla riva e mi sedetti su una pietra rialzata, che pulii dalla neve. Rimasi a guardare la patina di ghiaccio sottile che si era formata sullo specchio d’acqua e mi persi a seguire i giochi di luce che vi si riflettevano. Non seppi quanto tempo era passato, se solo minuti o lunghe ore, persi completamente la cognizione. Perciò quando sentii qualcosa sfiorarmi le spalle, sussultai e mi spaventai, tanto che sentii il cuore battermi talmente forte da assordarmi. Deglutii a vuoto, avendo la gola secca. “Ecco mi hanno beccata…” pensai, mentre mi voltavo lentamente per scoprire chi avevo alle spalle. Ebbi un tuffo al cuore nel vedere la figura di Potter, illuminato dalla punta della sua bacchetta con un sorriso sulle labbra, che nulla aveva del suo solito ghigno. Senza aspettare invito, si sedette affianco a me e si sistemò l’altro capo della coperta che mi aveva appoggiato sulle spalle. Io non dissi parola, aspettando che il battito cardiaco tornasse alla normalità e spostai lo sguardo di nuovo sull’acqua.
«Sei passata sulla cattiva strada, Evans? In giro di notte, dopo il coprifuoco… Non è da te.» sussurrò Potter dopo un infinito silenzio, di nuovo il suo ghigno sulle labbra.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai «Potter, il fatto che io non abbia mai avuto una punizione, non significa che non abbia mai infranto le regole. La differenza tra me e te è che tu sei un tronfio egocentrico che vuole sempre e solo mettersi in mostra, perciò agisce senza preoccuparsi dell’essere scoperto, perché ciò significa solo avere ancora più attenzioni; io invece sono più accorta. A me non frega nulla di far vedere che so uscire dalla scuola senza farmi beccare, che so lanciare incantesimi e tutta quella roba che tu e i tuoi fate…» non so perché gli risposi così bruscamente, forse per lo spavento che mi aveva fatto prendere o forse per il suo sarcasmo del tutto fuori luogo o forse perché aveva, col suo ghigno, rovinato l’atmosfera del cortine innevato.
Rimase un po’ scioccato da quel mio sfogo, tanto che la sua espressione si attenuò e spostò lo sguardo sul lago.
«Scusa…» mormorò con un sussurro, come se volesse ritirare la parola nello stesso momento in cui la pronunciò.
Scossi il capo senza rispondere ulteriormente, anch’io pentita di quel veleno gratuito che gli avevo appena tirato addosso.
«Cosa ci fai qui, comunque?» mi domandò, senza ironia, ma mantenendo lo sguardo sullo specchio d’acqua.
«Potrei fare la stessa domanda a te…» scherzai, voltandomi a guardarlo. Incrociò il mio sguardo e sorrise, dandomi così ragione. «Mi piace quando nevica… Qui al castello almeno. Stavo andando a dormire, ma ho visto che iniziava a nevicare e così sono uscita. E’ bello…» spiegai, con una scrollata di spalle.
«Non sapevo che ti piacesse la neve…» commentò.
«Ci sono tante cose che James Potter non sa di me…» lo provocai, ma senza cattiveria. «Mi piace quando sono sola… Questo enorme mare bianco infonde pace e tranquillità… Forse anche un po’ di timore, mi fa sentire piccola, ma al tempo stesso protetta…»
«Ci sono davvero tante cose che non so di te, Lily Evans…» sussurrò, probabilmente tra sé e sé perché a stento lo sentii. «Io sono qui perché…» esitò, distogliendo lo sguardo «perché ti ho seguita… Ti ho vista uscire dal Dormitorio – stavo per uscire anche io – e mi ha incuriosito vedere te infrangere qualche regole… Così ho visto che venivi fin qui, di soppiatto, senza bacchetta accesa… Ti ho visto da lontano mentre osservavi il Lago, credo sia passata più o meno un’ora e mezza prima che mi decidessi ad avvicinarmi. Ti ho visto tremare…» si giustificò, mentre mi spiegavo il perché della coperta: persa nella mia contemplazione non mi ero neanche accorta di tremare….
«Grazie…» mormorai, accennando appunto alla coperta. Lui scrollò le spalle in risposta.
Restammo così, nel completo silenzio, uno affianco all’altra, coperti dalla stessa coperta, per altro tempo non quantificabile, fino a che il cielo non iniziò a schiarirsi pian piano.

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Stavo scendendo le scale quando vidi quella figura inconfondibile uscire dal buco del ritratto. Riconobbi la sua chioma rossa anche se al buio e sorrisi sentendo la Signora Grassa lamentarsi.
Quant’era bella…
La seguii, non potei farne a meno. Quella ragazza esercitava su di me un’attrazione fatale. Non potevo starle lontano. Soprattutto non dopo esser riuscito ad
assaporare le sue labbra. Era un pensiero fisso che mi tormentava da quel sabato a Hogsmeade e anche se erano ormai passati mesi, non riuscivo a dimenticarlo. Non l’avevo comunque detto a nessuno. Non solo perché l’avevo promesso a lei, ma anche perché lo sentivo come una cosa privata, una gioia e un tormento personale che dovevo condividere solo con me stesso. La gioia più grande della mia vita.
La vidi fermarsi, sedersi e perdersi in pensieri che nemmeno con la Legilimanzia avrei potuto scoprire. Mi persi anch’io a contemplare tanta bellezza. Così, illuminata solo dal lieve riverbero della neve, sembrava ancora più bella. In quel momento capii che avrei potuto continuare a guardarla per un tempo infinito.
Ero beato.
Poi però vidi qualcosa, un leggero movimento delle sue spalle, che mi distrasse da ogni pensiero. Si ripeté quasi ritmicamente e allora capii che tremava. Non se n’era neanche accorta, ma non volevo che prendesse freddo. Sembrava così indifesa. Mi avvicinai, feci apparire una coperta e gliela poggiai sulle spalle. Si spaventò a morte, la vidi sbiancare, ma mi venne da sorridere.
Mi sedetti accanto a lei e attesi. Il cuore straziato da quella vicinanza invalicabile. Il mio braccio sfiorava il suo, ustionava la mia pelle, ma non potevo fare nulla per impedirlo. Un nodo allo stomaco m’impediva di reagire in alcun modo. Alla fine parlai, ma feci un errore provocando una reazione quasi violenta. Mi fece male quello sfogo, ancor più della sua vicinanza. Fui sopraffatto dall’istinto di scusarmi. Fu allora che lasciai perdere l’ironia, trattenendomi dallo scappare da quella tortura, e intavolai un discorso serio.
Ne uscii sconvolto. C’era davvero tanto che non conoscevo di Lily Evans, al contrario di ciò che immaginassi. Non sapevo che le piaceva la neve, non sapevo come la faceva sentire, non sapevo che infrangeva le regole. Non sapevo nulla, nulla…
In quel momento mi sentii infinitamente piccolo, solo e disperato, come mai era successo prima in tutta la mia vita.
Avevo paura.
E mi sentivo lontanissimo da lei, sebbene il suo braccio continuasse a sfiorare il mio.
Nonostante ciò, non potevo allontanarmi, nonostante stessi così male, non potevo sprecare l’occasione di starle così vicino. Così rimanemmo affiancati, persi nei pensieri, fino all’alba.



Note: eccovi qui un nuovo capitolo! lo so che ci ho messo di nuovo tanto, ma ahimé le vacanze sono vacanze :P
Qualche spiegazione la volete? A dire il vero ce ne sono poche da dare XD Come detto all'inizio è un capitolo speciale, avrete credo capito perché... Per la parte narrata dal punto di vista di James. Vi chiederete come mai, ma la spiegazione è semplice. Mentre scrivevo la parte di lily mi chiedevo cosa provava in quel momento James, perciò ho deciso di aggiungere una parte riguardante le sue emozioni. Non so se capiterà di nuovo, non fa parte del mio progetto, perciò non credo dovreste sperarci troppo...
Ditemi cosa ne pensate, mi raccomando!
Ringrazio, come sempre, tutti i lettori, i recensori, chi preferisce questa storia, chi la segue assiduamente.

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Capitolo 13
*** Perle di Neve ***


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= Perle di Neve =

Fortunatamente a Natale la scuola era pressoché vuota, perciò potei pentirmi di aver passato un’intera nottata insieme a Potter – per giunta senza insultarlo – ma potei anche sentirmi sollevata dal fatto che nessuno ci vide, né poté dirlo in giro e anche se l’avesse fatto, da quel giorno alla fine delle vacanze la notizia sarebbe stata dimenticata e non raccontata alla stragrande maggioranza di studenti.
Il giorno dopo, lo passai quasi interamente a dormire. Mi svegliai a metà pomeriggio con la voglia di girarmi dall’altra parte e tornare nel mondo dei sogni e stavo per farlo se un rumore ritmico non mi avesse completamente svegliato. Veniva dalla finestra e subito pensai fosse un gufo, ma voltandomi vidi che in realtà era qualcosa di bianco e grande come una pallina da tennis che batteva in continuazione sul vetro. Ci misi un po’ a capire la situazione, ma quando ci riuscii, non mi fu difficile scoprire chi stava molestando il mio sonno. Andai risoluta alla finestra, imprimendo al mio viso addormentato un’espressione abbastanza minacciosa. Aspettai l’ennesima palla di neve e poi aprii, evitando così di beccarmene una in faccia. Nel cortile c’erano le quattro figure imbacuccate di Potter, Black, Minus e Remus che nell’istante in cui mi videro, misero le braccia dietro la schiena e assunsero – per quel che si poteva vedere attraverso cappucci e sciarpe – l’espressione d’innocenza di un bambino colto con le mani nel vasetto di marmellata.
«Potter! Maledetto te! Domattina mi sveglio all’alba e vengo a spararti cannonate alla finestra vediamo poi se ne sei felice!» urlai.
«Sei sveglia finalmente, Bella Addormentata?» mi chiese, con il classico ghigno.
«Non lanciarmi mai più una palla di neve, Potter o il più brutto dei rospi in confronto a te sarà magnifico!» lo minacciai, ignorando la sua domanda.
«Andiamo, Bella Addormenta, sono le tre del pomeriggio! Cos’hai fatto stanotte per essere così stanca, eh birbantella?!»
«Niente che ti riguardi!» ribattei, infuriandomi. Sapeva benissimo cos’avevo fatto la notte e me lo stava anche rinfacciando…
«Dai vieni giù con noi, c’è da divertirsi!»
Chiusi la finestra senza nemmeno rispondergli e tornai verso il letto per cambiarmi. Non avevo intenzione di passare un minuto di più di quelle vacanze insieme a Potter e la sua banda, perciò ignorai le palle di neve che tornarono a battere sulla finestra, cercai nel baule e nel comodino del cibo – trovando solo gelatine Tutti i Gusti +1 – poi mi vestii e andai in biblioteca per fare la relazione di Pozioni. Mi sedetti al mio solito tavolo, non molto distate dal camino, sparpagliai i vari tomi sul piano interamente a mia disposizione e iniziai a scrivere.
«Ciao Lily!»
L’esclamazione mi colse talmente di sorpresa che sussultai. «Ciao…» risposi senza però staccare gli occhi dalla pergamena.
«Sapevo di trovarti qui… Posso sedermi?»
Annuii con un grugnito di assenso.
«Che hai?»
«Nulla nulla!» mi affrettai a dire, con un sorriso sulle labbra «Sono solo concentrata.»
«Lo vedo, non hai ancora alzato lo sguardo dalla pergamena…»
«E’ che… Pozioni, sai… Mi sta prendendo l’argomento, tutto qui…»
«Immaginavo… E’ per questo che sono qui…»
A quella frase non potei non alzare lo sguardo perché rimasi perplessa. «Non ho capito…» ammisi.
«Volevo chiederti se puoi darmi una mano a studiare Pozioni, in vista dei G.U.F.O. Mi sto rendendo conto che faccio fatica a seguire le lezioni e le istruzioni del libro… E anche se le mie relazioni sono sempre ottime, capisco davvero poco di quello che scrivo…»
«Mi stai chiedendo di studiare insieme?» dissi, con un sorrisetto.
«So che di solito studi da sola… Ma tu sei la migliore pozionista che conosco! E poi se ricordi, io ti ho aiutato in Incantesimi all’inizio dell’anno!»
«Non c’è bisogno di ricattarmi, Rem… Avrei detto di sì, anche senza che mi ricordassi di Incantesimi!» gli risposi, fingendomi offesa.
«Scusa…» rispose lui abbassando il capo, ma sorridendo. «Grazie…»
«Bando alle ciance! Comincia a scrivere la relazione! E dimmi cosa non ti è chiaro!» lo bacchettai bonariamente ed entrambi scoppiammo a ridere, guadagnandoci un’occhiataccia di Madama Pince.

Un paio di giorni dopo Natale arrivò, portato da una bufera di neve che impedì a chiunque di uscire. Fu un po’ triste svegliarmi la mattina e trovarmi completamente sola in camera, sapendo tra l’altro che non c’era uno solo dei miei amici in tutta la scuola… Mi consolai però con l’immensa torre di regali che si mostrò ai miei piedi non appena misi a fuoco la stanza.
Li guardai stupita, gli altri anni non avevo ricevuto così tanto e mi chiesi chi mi aveva mandato tutti quei pacchi e se veramente contenessero regali oppure erano solo scenici…
Come una bambina eccitata, iniziai a scartarli dalla cima della pila.
Il primo era di Mary, una bella confezione di pergamene profumate, che mi fece immaginare il regalo successivo di Elinor: un set di piume nuove. Sarah mi regalò un libro sui filtri d’amore, augurandomi, nel bigliettino, di poterli usare su qualche bel fusto. Alice invece, un fermacapelli intarsiato di pietre, a forma di farfalla. Quando presi il quinto regalo, scoprii che era di nuovo di Mary; il bigliettino recitava:
Lily,
oltre a farti di nuovo gli auguri,
che ti ho già fatto nell’altro biglietto, se non l’hai notato…
Volevo spiegarti il perché di altri quattro regali da parte nostra…
Quest’anno, purtroppo ti abbiamo lasciato da sola e quando siamo partite ci dispiaceva un sacco, così abbiamo pensato ti compensare la nostra assenza con dei regali extra!
Spero ti piacciano!
Ti vogliamo bene!
Baci e auguri!
M. S. E. A.

Riportava la firma di tutte. Sorrisi e scossi il capo, lusingata da tanta premura… Mi conoscevano davvero bene le mie amiche…
Il regalo, comunque, era un portagioie splendidamente lavorato e aveva anche un carillon che all’apertura suonava una dolce melodia.
I restanti tre regali delle ragazze erano il rifornimento di caramelle e cioccolatini di tutti i tipi, che sarebbero bastati per una vita intera!
Rimanevano altri cinque regali. Presi quello più grosso, un pacco morbido e scoprii che era dei miei genitori. Un pullover blu scuro, che sicuramente aveva scelto mamma e che indossai subito dato che iniziavo a sentire il freddo della bufera.
Il seguente fu quello che mi stupì più di tutti. Era accompagnato da un semplice e formale biglietto prestampato, di quelli che si comprano in tabaccheria e portava la firma di mia sorella. Non mi aspettavo un regalo da lei, pensavo che fosse compresa in quello dei miei. Così, ancora stupita, scartai il piccolo pacchettino. Piegata il più possibile, ma senza esagerare così da far sembrare il pacchetto più grande c’era una banconota da dieci sterline. Sorrisi amaramente a quel regalo, cercando di capire cosa avesse pensato Petunia nel farmelo, ma poi decisi di non rovinarmi il Natale e afferrai l’altro pacchetto. Era di Potter e conteneva l’ultimo aggiornamento sulle Squadre, Coppe e Tornei del Quidditch. Scossi il capo e sospirai… Non avrebbe mai capito che finché c’era lui in squadra, il Quidditch non mi sarebbe mai interessato, anzi mi avrebbe dato sui nervi…
Mi rimanevano altri due pacchetti. Uno conteneva nuove provette e ingredienti per le Pozioni.
La pergamena-bigllietto che campeggiava sotto al fiocco dell’ultimo, riportava una chiara scritta: “Leggi dopo”.
Con un sorriso sulle labbra riconoscendo la calligrafia, tolsi il fiocchetto rosso e scartai delicatamente la scatolina di velluto che mi si presentò in mano. Era lunga e affusolata. Con mano tremante la aprii, scoprendone il contenuto: un braccialetto sottile di zaffiri di un blu profondo che immediatamente mi ricordò il mare. Rimasi a osservarlo incantata per diversi minuti, poi mi ricordai del biglietto. Distrattamente lo cercai con la mano, senza staccare gli occhi dal bracciale e poi mi costrinsi a leggerlo.

Buon Natale!
Se chiudi un momento gli occhi, puoi trovarmi seduto affianco a te, se lo vuoi.


Chiusi gli occhi e lo immaginai al mio fianco, mentre sussurravo “certo che lo voglio”.

Un bracciale di zaffiri ti piace?
Ho pensato anche al caso in cui non ti piacesse…
Basta un tocco di bacchetta e potrà assumere qualsiasi colore tu voglia.
Un bracciale perché una collana l’hai già, anche se non te l’ho regalata io…
Non volevo che fossi costretta a decidere cosa indossare e non volevo che il prossimo nostro incontro iniziasse con una discussione.
E poi un bracciale è molto più elegante… Non credi?
Ricordi quel Natale di qualche anno fa? Io l’ho impresso nella mente come fosse ieri…
E come ieri vorrei augurarti di passare una bella giornata di festa e ricordarti che da quel giorno non ho smesso di amarti un solo istante.


Rimasi ad altalenare lo sguardo dal bracciale al biglietto per un tempo interminabile, con un sorriso ebete, ma felice sul volto e con un solo pensiero in testa.
Anche senza esserci, era riuscito a farmi passare un bellissimo Natale.



Note: Ecco il nuovo capitolo! Non temete, il nostro bel misterioso apparirà di nuovo, anche fisicamente! Intanto una nota su questo capitolo e sul regalo di Petunia. C'è un richiamo tra le righe a Harry Potter e la Pietra Filosofale, quando i Dursley regalano a Harry una moneta da mezza sterlina.
Ringraziamenti: Vorrei ringraziare, come al solito tutti quanti ma in particolare Penny Black e Dark Lord, che è la prima volta che recensiscono!

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Capitolo 14
*** Stress da G.U.F.O. ***


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= Stress da G.U.F.O. =

Quando le vacanze di Natale finirono, gli studenti del quinto e del settimo anno furono investiti dalla nuova e più ingente ondata di compiti che avessero mai conosciuto.
Il tempo sembrava correre più veloce e avvicinarsi sempre di più ai G.U.F.O. Ci impediva di avere un solo momento libero. Eravamo costretti a studiare fino a notte fonda, senza la minima pausa. In breve iniziarono le crisi isteriche da parte di molti studenti. Alice, ad esempio, diventò estremamente suscettibile. Non si riusciva più a fare un discorso senza che lei si arrabbiasse per qualcosa. Non riusciva più ad avere un momento libero da passare con Frank, non riusciva a stare al passo con le lezioni e iniziava a insinuarsi in lei la paura di esser bocciata – cosa che ci ripeteva almeno cinque volte l’ora. Eravamo tutti sotto stress. Anche io non avevo un attimo libero e praticamente non dormivo, perché con gli obblighi da prefetto avevo ancora meno tempo per studiare, cosa che facevo di notte fino all’alba, spesso in compagnia di Remus e Chris, il Caposcuola.
A febbraio ci fu una Lumafesta, ma riscosse ben poco successo. In pochi si presentarono – io ero tra quelli – e la festa finì prima ancora dello scattare del coprifuoco, perché eravamo tutti troppo stanchi.
Quando una mattina di marzo, vedemmo sulla bacheca in Sala Comune, che il sabato successivo sarebbe stata organizzata un’uscita a Hogsmeade, alcuni cedettero di vedere un miraggio. Sembrava la liberazione dopo una lunga prigionia. Il morale salì esponenzialmente, in ogni angolo della scuola non si parlava che di quella giornata. Così quel sabato mattina, ci alzammo presto e uscimmo nel freddo di marzo, senza che questo ci disturbasse minimamente. Alice fu la prima a sparire, con Frank – da Madama Peidiburro, scoprimmo poi. Mary, Elinor, Sarah ed io invece girammo ogni negozio come se fosse la prima volta e poi, quando il freddo batté la nostra euforia, ci ritrovammo sedute ad un tavolo dei Tre Manici di Scopa davanti a una calda bottiglia di burrobirra.

Ma io avevo anche qualcos’altro da fare…
Circa all’ora di pranzo mi alzai e mi rivolsi alle ragazze con un sorriso malizioso. «Mi spiace andarmene così, ragazze, ma… ho un appuntamento!» dissi come se nulla fosse e, come previsto, attirandomi i “COSA?!” urlati talmente forte da far girare l’intero locale.
«Non urlate!» le ripresi divertita. «Non è mica la prima volta che esco con qualcuno!»
«Ma è la prima volta che ce lo dici all’ultimo momento!» esclamò scandalizzata Mary.
«Era solo per farvi uno scherzetto!» ribattei facendole un’amichevole linguaccia.
«Non hai ancora detto con chi esci…» osservò Elinor – certo che era brava a notare le cose…
«Perché non ho intenzione di dirvelo… Fate le vostre supposizioni! A stasera!»
E detto ciò, lasciandole a bocca aperta, mi voltai e uscii dal pub.
Mi strinsi nel mantello e tirai su il cappuccio, l’aria fuori era fredda e non volevo che mi vedessero, e mi diressi verso la Testa di Porco. Quando entrai nessuno si voltò a guardarmi, i pochi clienti erano occupati a bere i loro whisky incendiari in bicchieri sporchi, su tavoli impolverati, perciò mi diressi verso la scala che portava al piano superiore, dove si trovavano le squallide stanze per i pochi coraggiosi che volevano pernottare lì o che, come me, avevano bisogno di un posto fuori mano per i propri incontri. Feci un cenno al proprietario, facendomi riconoscere – non era la prima volta che ci incontravamo lì – e poi salii.
La stanza era sempre la stessa, la terza sul lato sinistro del corridoio – la numero 6. La porta era, ovviamente chiusa. Sospirai e un sorriso involontario mi si dipinse sul volto mentre sollevavo la mano per bussare. Tre colpi netti e brevi, come i tre punti con cui lui firmava i nostri biglietti. Un rumore secco della chiave che ruota nella serratura, il chiavistello metallico che si sposta e lo spiraglio di stanza che si inizia a intravedere. «Sei tu?» un sussurro che a stento sentii, ma che bastò a far sussultare il mio cuore dopo tanto che non sentivo quella voce.
«Certo che sono io! Chi credi che sia?» risposi, sarcasticamente alzando gli occhi al cielo. La porta si aprì di più, in modo da farmi passare.
Era una fortuna avere un ragazzo bravo in Trasfigurazione, la stanza squallida del Testa di Porco non esisteva più. Al suo posto c’era una magnifica camera da letto, con uno sfarzosissimo letto a baldacchino, un regale camino acceso nella parete opposta e un mobile di legno massiccio intarsiato, decisamente imponente.
Una volta entrata, lui chiuse la porta con due giri di chiave e tirò il chiavistello. Sospirai di sollievo. Era così bello rivederlo, cioè averlo vicino senza la moltitudine di studenti di Hogwarts, poterlo abbracciare, baciare…
Probabilmente lui ebbe lo stesso pensiero perché si avvicinò e mi strinse a sé di getto, baciandomi i capelli. Ricambiai quell’abbraccio e mi beai di quel contatto, chiudendo gli occhi.
«Mi sei mancata terribilmente…» ammise scostandosi un poco per guardarmi negli occhi.
«Anche tu… Non voglio mai più avere degli esami!» brontolai, scherzosamente.
«Cosa sentono le mie orecchie! Lily Evans, la più dotata studentessa di Hogwarts non vuole avere esami?!»
«Per “dotata” intendi “secchiona”, giusto?» dissi, fingendomi offesa e allontanandomi di un passo da lui, che in risposta mi guardò con falsa espressione innocente. Scossi il capo e alzai gli occhi al cielo. «Ti sembro davvero così?» gli domandai, incrociando le braccia.
«Stavo solo scherzando!» si difese «So benissimo che sai anche divertiti! Non saresti qui altrimenti no?!» mi provocò.
«A dire il vero sono qui per mangiare… Sto morendo di fame…» lo rimbeccai, andandomi a sedere sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera. «Dov’è il pranzo?»
Lui rise, con quella sua risata che mi riempiva il cuore d’allegria e si sedette di fronte a me. Agitò la bacchetta e in mezzo a noi apparvero due vassoi con quello che era un pranzo tutt’altro che sfarzoso… In fondo eravamo pur sempre alla Testa di Porco.
«Allora, raccontami qualcosa… E’ tanto che non chiacchieriamo… E non posso seguirti ovunque…» mi disse con la bocca piena di arrosto di tacchino bruciato.
«Cosa vuoi che ti racconti… Non ho fatto nient’altro che studiare tutto il tempo…» risposi mentre anche io mi servivo dello stesso arrosto.
«Giusto…» disse con fare troppo evasivo.
«C’è qualcosa che tu, invece, vorresti raccontarmi?!» chiesi, intuendo i suoi pensieri.
«Beh… No, cioè… Non proprio…»
«Avanti, sputa il rospo!» insistetti, ormai curiosa. Era riuscito nel suo intento.
«Beh, io non do nulla per nulla…» fece con sguardo malizioso.
«Cosa vuoi?» chiesi, sapendo dove sarebbe andato a parare.
«Un bacio.» fu la schietta risposta. Così, stando attenta a non rovesciare tutti i piatti, mi sporsi verso di lui e sfiorai appena le sue labbra con le mie.
«E questo tu lo chiami bacio?» mi domandò indignato, quando tornai al mio posto.
«Io non do nulla per nulla… Prima dimmi cosa vuoi dirmi, poi forse… Ma solo forse… Ti bacerò decentemente…» fu il mio turno di provocare.
«E va bene, va bene!» sbottò «Maledetta te il fatto che ti amo!» esclamò scherzosamente, certo non la presi come una vera maledizione. Risi.
«Smetti di ridere o non ti dico nulla!»
«Sembri un’oca pettegola, lo sai? Una di quelle stupide di Hogwarts che vivono il riflesso della vita degli altri, perché senza ficcare il naso negli affari altrui e non sapere sempre tutto di tutti non saprebbero cosa fare…»
«Ma non sanno di noi…» mi fece notare con un sorriso complice. «Comunque… Ho trovato un posto.»
«Un posto? Che posto?» domandai, curiosa e perplessa allo stesso tempo.
«Prima baciami.»
Alzando gli occhi al cielo, mi avvicinai di nuovo a lui e provai a baciarlo a stampo. Ma lui fu più furbo e spostò la mano dietro la mia nuca, così da trattenermi dolcemente e baciarmi a lungo.
«Ehi non te ne approfittare!» esclamai, quando riuscii ad allontanarmi quel tanto che bastava. «Che posto hai trovato?»
Lui sbuffò. «Non stiamo soli da settimane e non mi permetti neanche di baciarti! Sei crudele, Lily Evans!» io alzai gli occhi al cielo ma non dissi niente, aspettando che continuasse. «Comunque, è un’ala abbandonata del castello, giusto un corridoio e un paio di stanze.»
«Un’ala abbandonata? E dove?» domandai perplessa. Non mi risultava ci fossero ali dismesse a Hogwarts.
«Sì sì, un’ala abbandonata. Solo che non l’abbiamo mai vista perché non si raggiunge attraverso una scala, ma varcando una porta!» esclamò entusiasta della scoperta.
«Cioè mi vuoi dire che c’è una porta che fa accedere a un corridoio?» chiesi e lui annuì. «Dove?»
«Quarto piano. Ce l’abbiamo sempre avuta sotto al naso! E’ la porta all’inizio del corridoio. E’ del tutto uguale alle altre, ma nessuno ci è mai entrato, neanche per sbaglio… beh almeno fino a ieri sera…» aggiunse con un sorrisetto.
«Cosa ci facevi al quarto piano?» domandai, con un falso tono sospettoso.
«Nulla… Pensavo di essere al quinto e sai che all’inizio del corridoio del quinto ci sono i bagni… Però ero al quarto piano… Immaginati la mia sorpresa quando ho visto un corridoio invece che quello che cercavo!»
Risi, perché me lo immaginai saltellante, per la sopportazione ormai al limite che finalmente pensava di aver trovato il bagno, pronto a tirare un sospiro di sollievo e invece si ritrovava davanti ad un corridoio polveroso…
«Dovresti vederlo… Se riusciamo, la prossima settimana o quando abbiamo tempo, possiamo vederci lì, che ne dici? E’ molto grande e isolato… Ma non ti dico nient’altro, così poi lo vedi con i tuoi occhi!»
«Appena abbiamo un attimo di libertà ci andiamo, adesso sono curiosa!» esclamai con un sorriso.
«Ora paga…» fece lui, tornando serio – per un attimo ci credetti, alla sua serietà.
«Pagare?!»
«Ti ho dato tante informazioni senza chiederti nulla… E’ arrivato il momento di saldare il tuo conto…» disse, con un sorrisetto malizioso e agitando la bacchetta, per far sparire i piatti, ormai vuoti.
«E va bene, farò questo sacrificio!» dissi io, fingendomi esasperata e avvicinandomi a lui, che però sentendo le mie parole mi fermò.
«Ah… E così sarebbe un sacrifico eh… In tal caso puoi anche andartene…» si offese, fingendo, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo.
«Stavo scherzando scemo…» sussurrai io, cercando di avvicinarmi a lui.
«Ora mi dai anche dello scemo!»
«Sembri proprio una zitella…»
«Tzé… Fino a prova contraria ho la ragazza più ambita di tutta Hogwarts…»
Io non risposi, ma mi avvicinai ancora di più fino a raggiungere le sue labbra e riuscire a baciarle prima che potesse ritrarsi. In principio, rimase fermo immobile, protraendo ancora quel gioco e quella falsa offesa, ma poi dopo un po’ non riuscì più a resistere e mise fine alla mia tortura rispondendo con passione. Subito le sue braccia mi avvolsero, stringendomi a sé, ma poi con quello che fu uno scatto repentino, mi ritrovai piacevolmente imprigionata tra le morbide lenzuola e il suo corpo, presa in una spirale di baci. Fu con foga, che infilai le mani sotto al suo maglione e lo sfilai, così come lui fece lo stesso con il mio. Stava per slacciare la zip della gonna, quando si fermò a metà gesto. «Che c’è?» domandai perplessa.
«L’hai messo…» la sua espressione era piacevolmente sorpresa e sul volto si dipinse un sorriso sincero che lo fece assomigliare per un attimo a un bambino, mentre indicava il mio polso sinistro, dove campeggiava il braccialetto che mi aveva regalato per Natale.
«Certo che l’ho messo, mi piace… Ora baciami!» dissi, impaziente e scatenai la sua risata. Ma non si fece attendere, riprese a baciarmi e a spogliarci.

Fu quando spostò le labbra, andando a mordicchiare il mio orecchio che fummo interrotti.
«Lily! Lily lo so che sei lì dentro!!» la voce di Mary risuonò nella stanza e fece scendere il gelo. Ci bloccammo esattamente come eravamo, spalancando gli occhi per la sorpresa e poi, lentamente entrambi spostammo lo sguardo sulla porta che risuonava delle bussate della mia amica.
«Non rispondere.» mi sussurrò lui, senza emettere alcun suono.
La porta però continuava a bussare.
«Avanti Lil, ti abbiamo seguita!» esclamò Elinor. Chiusi gli occhi e scossi lentamente il capo.
«Già… Ti hanno seguita…» disse una cupa voce maschile, che faceva intendere che voleva trovarsi tutt’altro che lì.
«Chi è?» fu la tacita domanda che lui mi fece con aria perplessa.
«Frank… Paciock.» risposi io. Avevano addirittura scomodato Alice da chissà quale passatempo – probabilmente non diverso dal mio – e l’avevano trascinata insieme a Frank da me.
«Non rispondere.» ripeté.
«Lily! Lily! Vogliamo sapere chi è il tuo misterioso appuntamento. Buttiamo giù la porta se non rispondi. E non ce ne frega niente se vi troviamo nudi!»
I colpi si fecero più intensi, come se stessero prendendo a spallate la porta.
«Sto per estrarre la bacchetta, Lil!» disse la voce di Elinor. «Se entro il “tre” non rispondi, faccio esplodere la porta.»
Non sapevo cosa fare, ero seriamente convinta che le ragazze sarebbero state davvero capaci di entrare anche con la forza. Volevo alzarmi, fare qualcosa per evitare che entrassero e ci trovassero, non solo per l’imbarazzo, ma anche per il nostro segreto. Lui però faceva cenno di diniego. Provai in silenzio ad insistere, ma invano.
«Uno…» sentii la minaccia sempre più vicina.
«Devo andare…» sillabai, ma lui negò di nuovo col capo.
«Lily… Avanti, non farci fare le cattive…!» provò Mary, ma io non potevo muovermi.
«Due!» disse Elinor, sentii dal suo tono che si stava spazientendo.
Cercai di muovermi, ma ero imprigionata – non che mi dispiacesse. Feci per parlare, ma lui con un sorrisetto, mi baciò.
«Ok… Vabbè… Tr…»
Ma il “tre” non arrivò mai. Un’altra voce si presentò sul pianerottolo.
«Cosa state facendo qui? L’accesso non è consentito.»
La risposta fu una serie di brontolii per noi incomprensibili.
«Per quale motivo disturbate i miei ospiti?»
«Ehm… No… Cioè… E’ una nostra amica…» Sarah cercò di spiegarsi, balbettando un po’.
«Vi posso assicurare che qui non c’è nessuna vostra amica… A meno che i settantenni signori Tacker che alloggiano in questa stanza non siano vostri conoscenti.»
Entrambi, da dentro la stanza, trattenemmo una risata al sentire quelle parole. Avevamo scelto la Testa di Porco proprio perché sapevamo di poter contare su Aberforth, che ci eravamo ormai fatti amico.
«Ma io sono sicura che qui dentro ci sia Lily Evans! L’ho seguita fin qui!» protestò Mary.
«Mi dispiace, io credo che abbiate preso un abbaglio. Qui non c’è nessuna Lily Evans. Non affitto camere ai minorenni.»
«Ma…»
«Niente ma, signorina. Adesso andate prima che chiami uno dei vostri professori. Non voglio più vedervi nella zona riservata fino a quando non avrete compiuto almeno diciassette anni.»
Dopo ciò, sentimmo soltanto i passi strascicati dei ragazzi che si allontanavano, probabilmente sotto lo sguardo di rimprovero del barista. Passato qualche istante sentimmo due colpi alla porta. Era il segnale convenuto di “via libera”.
Fu allora che scoppiammo a ridere, per lo scampato pericolo e per scaricare l’adrenalina. Anche se subito dopo ci venne in mente un modo decisamente migliore per farlo…



Note: Vorrei specificare soltanto una cosa. Ad un certo punto viene citato Aberforth per nome. Magari qualcuno storcerà il naso, ma io trovo che non è obbligatorio che se Harry non ne conosce l'identità, anche tutti gli altri non ne siano a conoscenza. Non dico che abbia tutta la notorietà del fratello, però è improbabile che nessuno lo conosca... Tutto qui ^^
Ringraziamenti: Ringrazio sempre tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente, quello che lo faranno con questo, i molti preferiti e seguiti e tutti coloro che leggeranno!

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Capitolo 15
*** Il Peggior Ricordo di Lily ***


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= Il Peggior Ricordo di Lily =

Quella era una mattina particolare. L’ansia era palpabile in ogni angolo della scuola, compresi quelli abbandonati e dismessi.
Mi svegliai all’alba, sdraiata su un materassino sottile, il capo appoggiato al suo petto nudo, con il suo braccio che mi avvolgeva, tenendomi a sé, come se anche in sogno volesse avermi vicino.
Sollevai un poco la testa, senza muovermi troppo e lo osservai. Mi piaceva guardarlo dormire.
Dopo quella che poteva essere un’ora, un raggio di sole penetrò dalla finestra chiusa illuminando il nostro rifugio; fu allora che lo scossi delicatamente, era ora di svegliarsi.
«Pigrone, sveglia…» mormorai dolcemente.
Un grugnito fu la risposta, seguito poi da uno stiracchiamento, che mi fece capitolare sul resto del materasso. Finalmente i suoi occhi si aprirono e si voltò a guardarmi, facendomi cenno di tornare tra le sue braccia.
«Buongiorno amore…» disse, con la voce impastata dal sonno.
«Buongiorno…» risposi io con un sorriso.
«E’ lunedì mattina, vero?» fece lui, sperando in una risposta negativa, ma ben conoscendone la vera.
«Già…» risposi secca.
«Sei in ansia?» chiese baciandomi dolcemente su una guancia.
«Un po’…» ammisi.
«Andrà tutto bene… Non devi preoccuparti… Sei la migliore!» cerco di tranquillizzarmi.
«Lo so… Ma se per caso capitasse qualcosa?»
«E che cosa deve capitare, Lil?!»
«Non lo so! Sono terrorizzata!»
«Rilassati…» mormorò accarezzandomi piano la schiena.
«Non ci riesco…» ammisi di nuovo.
«Baciami… Vediamo se funziona…» sentii dal suo tono che stava sorridendo.
«Scemo!» risposi, però mi sollevai e lo baciai fugacemente.
«Va meglio?»
Lo baciai di nuovo, più a lungo. «Ora sì…»
«Perfetto! E’ così che ti voglio! Facciamo colazione?»
«Certo! Assolutamente!» dissi, mettendomi a sedere per permettere a lui di fare lo stesso.
«Andiamo in Sala Grande o stiamo qui?» mi domandò.
«Stiamo qui… La Sala Grande la vedremo già abbastanza nelle prossime due settimane!» risposi, poi agitai la bacchetta e feci apparire brioche, caffè latte, bacon, marmellata e pane tostato.
Iniziammo a mangiare in silenzio, ancora troppo assonnati per sostenere una conversazione decente.
«Qual è la formula dell’Incantesimo d’Appello?» mi chiese a bruciapelo, mentre addentavo una fetta di pane tostato.
«Accio!» esclamai, dopo aver deglutito. «Non puoi prendermi così alla sprovvista però!»
«Beh, volevo vedere se eri preparata! E poi era una domanda semplice!»
«Sì, ma non voglio sentir parlare di Incantesimi se non tra due ore!» in risposta ricevetti una risata spassionata che mi fece alzare gli occhi al cielo.
Finita la colazione, uscimmo di soppiatto dall’ala abbandonata del quarto piano. Non c’era ancora nessuno in quel corridoio, ma per precauzione ci dividemmo in modo da arrivare in Sala Grande in due momenti separati.
La Sala d’Ingresso era già sovraffollata di gruppetti di studenti che chiacchieravano fitto fitto tra loro, scambiandosi fogli o evidenziando passi del libro di Incantesimi. Qualcuno agitava addirittura la bacchetta, ma senza lanciare alcun incantesimo.
Cercai e raggiunsi Mary e Elinor; di Sarah e Alice non c’era traccia.
«Dove sei stata Lil? Stamattina non c’eri a letto…» commentò sospettosa Mary.
«Sembri Alice! Non ci sei mai!» sbuffò Elinor.
«Ma che Alice e Alice! Sono single, io!» e nello stesso istante in cui lo dissi lui mi passò affianco. Cercai, riuscendoci, a mantenere la stessa espressione di poco prima e di non scoppiare a ridere. «Ero in biblioteca a ripassare…» giustificai poi la mia assenza.
«E come hai fatto a entrare?! Era chiusa!» insistette Mary.
Io alzai gli occhi al cielo. «Ho chiesto gentilmente a Madama Pince se mi faceva entrare… Tutto qui!»
Le ragazze stavano per ribattere, ma furono precedute dalla porta della Sala Grande che si aprì lasciando passare la professoressa McGranitt che si schiarì la voce. Immediatamente calò un silenzio carico di tensione e tutti gli occhi furono puntati sulla donna.
«E’ il turno del quinto anno. Per piacere disponetevi in fila, divisi per Casa.»
Nella confusione più totale, ci disponemmo come richiesto.
«Bene. Tassorosso, avanti.» e una delle file si mosse per entrare, sembravano condannati a morte scortati al patibolo. «Serpeverde.» anche una seconda colonna si avvicinò all’entrata.
«Mettiamoci vicine…» ci sussurrò Elinor.
«Corvonero.» continuò la McGranitt e i Corvonero si avviarono. «Grifondoro, dentro.» fu l’ultimo secco ordine e poi anche noi fummo inghiottiti dalla Sala Grande, ri-arredata per l’occasione con tanti singoli banchi. Elinor, Mary ed io ci fiondammo verso tre banchi vicini, mentre tutti gli altri facevano pressoché la stessa cosa.
La professoressa McGranitt aveva ripreso il suo posto sulla pedana che solitamente ospitava il tavolo degli insegnanti e attese che tutti occupassero i posti.
«Fate silenzio.» ordinò calma e di nuovo istantaneamente tutti eseguirono. «Non voltate i fogli finché non vi sarà detto di farlo.» e mentre qualcuno si chiedeva “quali fogli”, la prof agitò la bacchetta e i testi dell’esame comparvero, coperti, su ogni banco, insieme con una penna. «Non è permesso copiare, le pergamene sono incantate per rivelare eventuali imbrogli, così come le penne ne impediscono ogni tentativo. Qualora riusciste a trovare il modo di manomettere i vostri compiti – e state certi che ce ne accorgeremo –, sappiate che sarete bocciati seduta stante, non solo al G.U.F.O. in cui avete copiato ma anche in tutti gli altri che sosterrete.»
In molti rabbrividirono. Com’è ovvio, molti avevano cercato il modo per passare gli esami facilmente, ma quell’affermazione gelida della McGranitt – unita all’azione di noi prefetti, che durante l’ultimo mese avevamo sequestrato più di una pozione o sostanza “miracolosa” – fece passare loro la voglia di tentare qualunque cosa illecita. Un piccolo sorrisetto, quasi impercettibile, si delineò sulle labbra della prof: era soddisfatta del terrore dipinto sul volto di molti.
«Bene, potete cominciare!»
Il fruscio dei fogli fu per un attimo assordante, ma io quasi non lo sentii, mi ero subito estraniata dal resto dell’aula e mi ero concentrata sul mio compito.
Ovviamente riuscii a scrivere il mio nome e cognome e poi presi a leggere le domande.
Descrivere il movimento della bacchetta e gli effetti dei più comuni Incantesimi Rallegranti. Presi a scrivere la risposta con un sorriso sulle labbra, ripensando a quando, a lezione, “per sbaglio” colpii “qualcuno” con uno di quegli Incantesimi e a come me la fece pagare quando ci incontrammo da soli.
Le domande successive furono di pari facilità. Man mano che rispondevo, sentivo l’euforia salire: quell’esame era davvero facile!
«Il tempo è scaduto! Per piacere alzate le penne e non muovetevi.»
Quando la voce della McGranitt mi raggiunse sussultai. Non l’avevo sentita avvisarci dello scadere del tempo, troppo concentrata. Finii di scrivere la frase e sollevai la penna, era l’ultima domanda che mi mancava. La professoressa agitò la bacchetta e tutte le pergamene si arrotolarono e volarono sulla cattedra.
«Bene, potete andare.» disse, facendoci cenno di uscire. Feci appena in tempo ad alzarmi che Mary mi era già addosso.
«Allora? Come l’hai trovato?»
«Fin troppo facile…» ammisi.
«Sapevo che avresti detto così… Hai risposto a tutto?»
«Sì…»
Entrambe le ragazze alzarono gli occhi al cielo.
«Voi?»
«Io non mi ricordavo la formula dell’Incanto Quattro Punti… Mi è venuta in mente nel momento in cui la McGranitt ha ritirato i fogli!»
«Ma dai!» esclamammo sia io che Elinor.
«Eh va be’! Sono cose che capitano! E poi mi è venuto in mente! Non è che non lo so!» si finse offesa, ma subito dopo sorrise, non appena vide che noi scoppiammo a ridere.
Tornammo nella Sala Comune, perché fuori pioveva e nel frattempo ci chiedemmo cosa avremmo dovuto fare nella prova pratica di quel pomeriggio. Attorno a noi, ogni studente discuteva con gli amici delle “ingiustizie” del compito. Ogni tanto, istintivamente, scuotevo il capo… Quell’esame era stato davvero facile!

Passato il pranzo, dopo una ripassata veloce e frenetica gli studenti del quinto anno vennero accolti nella stanza accanto alla Sala Grande, in attesa di essere chiamati – rigorosamente in ordine alfabetico – per la prova pratica di Incantesimi. Quando sentii il mio nome sussultai, persa nei miei pensieri, non mi ero resa conto che era già arrivato il mio turno. Varcai la soglia della Sala Grande e mi accorsi che era nuovamente cambiata. Non c’erano più i banchi per gli scritti, ma solo dei tavoli, ai quali gli esaminatori sedevano e prendevano appunti. Il mago che sarebbe stato il mio, era un uomo ormai avanti con l’età, molto ma molto calvo, che rispondeva al nome di Professor Tofty. Mi avvicinai al suo tavolo e mi sedetti.
«Professor Tofty…»
«Oh, signorina Evans! Si sieda, si sieda!» mi salutò con un sorriso raggiante. Sbirciando mentre mi sedevo, notai che aveva un foglio con i miei dati e i miei voti, mi spiegai così quel sorriso. «Signorina Evans, che ne dice di far crescere questo orrido scarafaggio? Spero che non le faccia troppo schifo.»
Risi, scaricando la tensione. L’Incantesimo di Crescita, niente di più facile!
«No, certo che no, professore!» esclamai per poi agitare la bacchetta e mormorare la formula. Lo scarafaggio, tenuto fermo da un altro incantesimo, immaginai, iniziò a gonfiarsi raggiungendo le dimensioni di un topo.
«Ottimo! Bene, ora può fare levitare la teiera?» disse indicando appunto una teiera appoggiata sul tavolo. Sicuri che questo fosse un esame da G.U.F.O.? Avrei potuto farlo al primo anno ad occhi chiusi e avrei preso sicuramente Eccezionale.
«Wingardium Leviosa!» dissi, comunque, agitando la bacchetta e colpendo appena l’oggetto.
La teiera cominciò a levitare senza rovesciare nemmeno una goccia, anche se un paio di volte ci andò molto vicino.
Quando la teiera atterrò di nuovo sul tavolo, Tofty era estasiata. Ero quasi sicura di essermi appena guadagnata un Eccezionale e ad essere sincera non mi soddisfaceva così tanto, era stato troppo semplice.
«Signorina Evans è inutile che la trattenga ancora, vada pure!»
«Grazie, professor Tofty!» dissi alzandomi e avviandomi verso la porta, con un sorriso contento sulle labbra.
«Com’è andata Lil?» mi domandò Mary, non appena fui fuori. Lei era passata un quarto d’ora prima di me.
«E’ stata una noia mortale…» mi lamentai.
«Una noia mortale?» mi domandò una voce che non era quella di Mary, era più profonda, più maschile.
«Sì, una noia mortale…» ribadii, scatenando la sua risata. «Avrei potuto farlo ad occhi chiusi, ancor prima di mettere piede a Hogwarts…»
«Davvero è stato così facile Lil?» chiese Mary.
«Sì, noiosissimo…»
«Se lo dici tu, Evans…» aggiunse il terzo “incomodo”, sorridendo e poi voltandosi per riprendere la sua strada.
«Ma cosa vuole quello?» disse Mary, innervosita dall’intrusione.
«Che vuoi che ti dica…» dissi io scrollando le spalle e non riuscendo a trattenere un sorriso, che potevo ben giustificare per l’espressione della mia amica.

Il giorno successivo fu dedicato a Erbologia. Ero molto meno tesa rispetto al primo giorno, quando mi svegliai di nuovo tra le sue braccia, nella stessa stanza dell’ala abbandonata del quarto piano.
«Buongiorno…» mi disse, porgendomi una tazza di caffè. Notai che era già vestito, ma ancora seduto affianco a me.
«Te ne stavi andando?» domandai mettendomi seduta e prendendo la tazza.
«No, mi piace troppo vederti dormire…»
«Pervertito!» feci io, fingendomi indignata e offesa.
«Scema… Hai capito cosa volevo dire…»
«Sì certo che ho capito! Volevi dire che ti piace vedermi dormire perché puoi lasciare a briglia sciolta la tua fervida e malsana fantasia!»
Lui scosse il capo «La prossima volta me ne vado e ti faccio arrivare tardi agli esami…»
Non seppi cosa rispondere perciò portai la tazza alle labbra e sorseggiai il caffè. «E’ buono…»
«Sei brava a cambiare discorsi… Comunque è italiano…»
«Buono a sapersi, d’ora in poi berrò solo caffè italiano!» esclamai, bevendo ancora «Ma se non te ne stavi andando, perché sei vestito?»
«Eh… Lo so che preferiresti vedermi sempre nudo…» alzai gli occhi al cielo «E’ più tardi di ieri, perciò ho pensato di vestirmi e fare colazione per farti dormire un po’ di più visto che la notte appena passata sei stata mooolto sveglia…» mi rispose con un sorriso malizioso. Ed era vero, la notte appena trascorsa non era stata esattamente tranquilla…
«Sei stato gentile…» ammisi lasciando perdere l’ironia di poco prima.
«Ripagherai in qualche modo… Adesso muoviti se no ti bocciano in Erbologia…»
Finii la tazza, mi alzai e mi cambiai togliendo la camicia da notte – che mi ero appositamente portata – e indossando la divisa. «La tua scusa della biblioteca regge ancora?» mi domandò, mentre mi osservava.
«Sì, direi di sì… Però evita di presentarti affianco a me in mezzo a tutti per piacere… Mary era già abbastanza sospettosa ieri…»
«Che palle! Un tuo compagno non può fermarsi a scambiare qualche parola se c’è anche una tua amica?!»
«Uhm… Fammici pensare… No, se si tratta di te…» lo presi in giro, sorridendo però.
«Ok, eviterò allora…» disse seriamente.
«Grazie…» dissi baciandolo.
«Oh beh… Se questo è il ringraziamento, lo faccio ogni volta che vuoi…» disse, maliziosamente non appena ci fummo separati.
«Potrebbe non dispiacermi…» dissi io, prendendo una brioche e avviandomi verso l’uscita. «Ma ora ci conviene andare… E’ tardi.»
Lui annuì, alzandosi per raggiungermi e uscimmo nel corridoio.
«Credi che potrò mai dire a qualcuno che stiamo assieme?» buttai lì, pur sapendo bene la risposta.
«Mmm… Direi mai…» disse, sorridendo, ma io sapevo che era serio. «Anzi forse un giorno potremo…»
«E quando?»
«Il giorno in cui tu indosserai un bel vestito bianco…» disse allusivo.
«Ok, allora domani mi vestirò di bianco…» ribattei io, sarcastica per mascherare l’imbarazzo che quell’affermazione aveva suscitato in me, tradito però dal rossore delle gote.
«Hai capito benissimo cosa intendo dire…»
«E se invece volessi indossarne uno… che so… blu?» domandai.
«Certo che quando ti ci metti, sei insopportabile!» esclamò, scherzando.
«Scusa…»
«Stavo scherzando, Lily.» disse, afferrando delicatamente il mio braccio per fermarmi e farmi voltare verso di lui. «Non piace neanche a me… Ma ne abbiamo già parlato…» disse serio. Negli occhi aveva un velo di tristezza.
«Lo so e sono d’accordo, ma a volte vorrei poterlo dire in libertà…» spiegai. «Scusami… E’ lo stress da esami!»
Lui non rispose, ma si avvicinò e mi baciò dolcemente, forse come mai aveva fatto prima. Sentii la sua tristezza e mi ripromisi di non tirare fuori di nuovo l’argomento finché non sarebbe arrivato il momento giusto.
«Andiamo ora, signorina Evans…» sussurrò. «Abbiamo un altro Eccezionale da prendere!»
Ridendo raggiungemmo la porta e come il giorno prima ci separammo in due direzioni diverse. Trovai le ragazze in corridoio e proseguimmo insieme verso la Sala Grande, dove prendemmo posto e aspettammo la consegna del compito.
Anche lo scritto di Erbologia si rivelò piuttosto facile, anche se fortunatamente le domande erano un po’ più complesse di quelle di Incantesimi.
Solo in una domanda ebbi una piccola difficoltà, non ricordavo esattamente le proprietà richieste del Geranio Zannuto ma poi, come in un colpo di genio, mi tornarono tutte in mente.
Finito il compito, ero decisamente più soddisfatta del giorno prima, almeno avevo dovuto ragionare e mettervi veramente alla prova.
Quando fummo nella Sala d’Ingresso, le ragazze iniziarono a lamentarsi della difficoltà dell’esame e a inneggiare scherzosamente alle magnifiche doti intellettuali che avevano permesso loro di superarlo quasi del tutto indenni.
Non pranzammo fuori, perché nonostante la giornata fosse calda e soleggiata, il cortile era ancora completamente bagnato per la pioggia dei giorni precedenti, così tornammo in Sala Comune, perché la Sala Grande ci stava fin troppo stretta.
Una volta saziateci, tornammo in coda per l’esame pratico. Non fu nulla d’impossibile, anche se vidi svenire qualcuno per aver estratto una Mandragola senza aver messo bene i paraorecchie… Io ci andai molto vicina… Con il pus di Bubotubero, invece, me la cavai davvero alla grande.

Il mattino dopo per me ci fu l’esame di Antiche Rune e a parte una parola di cui non ero sicura – anzi ero quasi certa di averla sbagliata, ma non andai a controllare per scaramanzia – non era andato affatto male. Aritmanzia nel pomeriggio fu tutta un’altra storia, invece. Quando mi trovai davanti il foglio, fui presa da un vuoto di memoria che per la prima mezzora mi impedì di scrivere una sola parola. Poi pian piano – se la presero comodo… – le idee tornarono, ma lasciai più o meno un sesto del compito in bianco.
Ero esausta, perciò mangiai un toast velocemente e andai al corridoio del quarto piano, ormai diventato il mio personale dormitorio.
«Com’è andata oggi?» la sua voce mi raggiunse dall’ombra, ma pochi istanti dopo una candela si accese e illuminò il suo profilo.
«Non benissimo… Antiche Rune ancora ancora, ma Aritmanzia, non ne parliamo… A te?» dissi, buttandomi sul letto.
«Idem, al contrario… Non credo che avrò il mio G.U.F.O. in Antiche Rune…»
Mio malgrado sorrisi. «Vorrà dire che ci compenseremo a vicenda…»
Rise ed io chiusi gli occhi lasciandomi cullare da quel suono. Soltanto quando finì, li riaprii e lo vidi affianco a me che mi osservava.
«Sei stanca?» domandò prendendo a giocherellare con una ciocca di miei capelli.
«Esausta è la parola giusta…» risposi.
«Domani abbiamo anche Astronomia…»
«Non mi ci far pensare…»
«Vediamo se questo ti fa star meglio?!» disse, puntellandosi sul gomito per guardarmi dall’alto. Poi si avvicinò delicatamente a baciarmi.
«E’ piacevole…»
«Se vuoi continuo…»
«Sai benissimo che mi piacerebbe…»
«Ma…?»
«Ma credo che potrei crollare da un momento all’altro…»
«Ok…» disse, tornando a sdraiarsi e a giocare con i miei capelli.

Non seppi dopo quanto mi addormentai, quando riaprii gli occhi, era ormai mattino e lui mi stava dolcemente scuotendo per svegliarmi.
«Mi sa che salterai colazione oggi…» disse quando vide che aveva raggiunto il suo obiettivo.
«E’ così tardi?»
«Sì, è davvero tardi… Non ti svegliavi più…»
«Ora ci sono, dai corriamo a Cura delle Creature Magiche!» dissi alzandomi troppo in fretta e barcollai. Lui mi afferrò e mi tenne in piedi.
«Se vuoi correre, non devi cadere…» disse sorridendo e poi di corsa – questa volta senza inciampare – raggiungemmo la Sala Grande.
Arrivammo separatamente, ma appena in tempo per sentire Lumacorno far entrare gli studenti. Mi precipitai al primo banco libero che trovai e ripresi fiato. Vidi, poco distante, Mary alzare gli occhi al cielo; probabilmente era stata tutto il tempo a guardare la porta d’entrata per vedere quando sarei arrivata.
Il professore chiese di far silenzio nello stesso momento in cui il mio respiro affannato era tornato regolare. Diede il via quando lo ottenne e si sentì il consueto girarsi dei fogli. Le domande furono semplici quanto quelle dell’esame di Incantesimi, perciò potei trarre un sospiro di sollievo e allontanare lo spettro dell’esame di Aritmanzia. Finii addirittura prima dello scadere del tempo e impiegai il restante a scarabocchiare ghirigori senza senso sul foglio di brutta.
Quando Lumacorno avvisò che avrebbe ritirato i compiti, sollevai la piuma e guardai quello che avevo fatto. Fu quasi con orrore che vidi che gli scarabocchi senza senso in realtà un senso l’avevano: formavano due parole, un nome e un cognome che mai nessuno avrebbe dovuto leggere da un mio foglio. Mi affrettai a cancellarlo con un tocco di bacchetta, guardandomi intorno per scoprire eventuali ficcanaso, ma con mio gran sollievo notai che erano tutti intenti a ricontrollare l’esame.

Diversamente dalle volte precedenti, nel pomeriggio non tornammo in Sala Grande, perché la parte pratica di Cura delle Creature Magiche si tenne in cortile. Fu anche l’unico esame presieduto dal professore della materia stessa, Kettleburn, che ci stava aspettando con un gran sorriso sulle labbra. Ci divise a gruppi di tre e ci assegnò una creatura magica, diversa per ogni gruppo. I commissari si aggiravano intorno a noi per controllare che nessuno suggerisse agli altri, nemmeno tra i membri del gruppo.
Mary, Alice ed io fummo assegnate agli Asticelli. Avremmo dovuto nutrirli e disegnarli, indicandone le parti vitali. Fu esattamente come quando a lezione li avevamo studiati. Ovviamente, anche se non potevamo parlare, non fu difficile far vedere alle altre i propri disegni, in modo da correggerli tra noi là dove una si ricordava quello che le altre avevano dimenticato. Quando l’esame finì e fummo abbastanza lontane dalle orecchie indiscrete dei professori, scoppiammo in una risata liberatoria.
Fu la prima sera, degli esami, che mangiai in Sala Grande. Era tornata normale, con i lunghi tavoli delle quattro Case, le candele galleggianti a mezz’aria e i tavoli imbanditi di prelibatezze. Non avendo cenato decentemente per tutte le sere precedenti, quasi mi commossi nel vedere tutto quel ben di Merlino. Dovetti farmi violenza per non correre, ma raggiungere il tavolo con tutta calma – apparente.
Fu ancora più difficile quando mi sedetti, resistere a prendere tutto quello che avevo davanti, ma mi contenni e riempii il piatto con una porzione normale. Pochi minuti dopo lo riempii di nuovo e poi una terza volta. Quando tutte fummo sazie, tornammo in Sala Comune e prendemmo in mano il libro di astronomia per una ripassata dell’ultimo minuto.
La sera era calata e il coprifuoco, per gli altri s’intende, era già scattato da un bel po’, quando i Grifondoro del quinto anno uscirono dalla sala comune per dirigersi verso la Torre di Astronomia, dove incontrarono i Tassorosso e i Corvonero e dove poco dopo furono raggiunti dai Serpeverde.
Il professor Tofty, l’omino della commissione, ci attendeva tutti ai piedi della scala che portava all’aperto. Quando vide che eravamo riuniti, ci fece salire. Sulla Torre erano stati predisposti i vari telescopi e ognuno prese possesso di uno. Fu solo il destino che volle far sì che, nella confusione, affianco a me si mettesse un certo ragazzo. Sorridemmo entrambi, quando ci accorgemmo di quella fortuna e intanto facevamo apposta a metterci schiena contro schiena, ognuno dei due voltando il visore del cannocchiale nel senso opposto all’altro.
L’esame iniziò di lì a pochi istanti e fummo tutti presi dall’osservare gli anelli di saturno e disegnare l’esatta posizione dei pianeti visibili su una cartina.
Era rilassante però saperlo a pochi centimetri da me e sfiorarlo a ogni movimento. Fu senza pensare che allungai una mano a cercare la sua e la trovai protesa verso di me, nello stesso gesto. Un tocco fugace, breve, ma bastò a colmare il mio cuore di gioia. Ripresi a scrivere, con un sorriso ebete sulle labbra.
«Come va?» mi sussurrò più o meno a metà tempo, senza staccare lo sguardo dal suo foglio. «Non potrebbe andare meglio, a te?» risposi, con lo stesso sussurro inudibile ad altri fuorché noi. «Idem.»
Poi dovemmo interrompere la conversazione perché Tofty passò di lì – senza alcun sospetto – a controllare che nessuno commettesse infrazioni.
Alla fine dell’esame ero molto soddisfatta del mio disegno di Saturno, mi era venuto davvero bene… magari merito dell’influsso benefico della sua vicinanza.

Mancavano solo tre giorni d’esame e avevamo un intero week end per ripassare senza frenesia e rilassarci un po’. Però voleva anche dire che l’attenzione delle ragazze sarebbe ricaduta sulla mia assenza dal dormitorio per tutta la settimana precedente… Come volevasi dimostrare, il sabato pomeriggio, sedute in riva al lago, scattò l’interrogatorio.
«Allora… Tu ci devi qualche spiegazione… E a meno che non sei diventata un’abilissima scassinatrice, non è possibile che tu abbia passato tutte le notti in Biblioteca…» cominciò Elinor, mentre le altre annuivano energicamente.
«Ma infatti, io non ho passato tutte le nottate in Biblioteca! Ho passato tutte le notti in Sala Comune a studiare, dopo essere stata in Biblioteca! Poi al mattino presto pregavo Madama Pince di farmi entrare…» mentii con nonchalance.
«Io una volta sono scesa in Sala Comune per farti venire a letto, ma tu non c’eri!» protestò Alice.
«Perché ogni tanto uscivo a fare un giro… Quando iniziavo a confondere gli Incantesimi con gli ingredienti di Pozioni, uscivo un po’… Infatti, se ricordi bene, ci saranno sicuramente stati i miei libri al nostro solito tavolo…» quest’ultima parte era vera, lo facevo apposta.
«Oh… sì, hai ragione… C’erano…» disse Alice e tutte si arresero.
«Ora possiamo ripassare Difesa?» dissi porgendo a Mary il mio libro.
Così sventai il pericolo… Però quella notte dormii in camera mia, con loro e così quella successiva.
Il giorno dopo scendemmo a colazione, tutte insieme, sbadigliando e ripassando mentalmente tutte le nozioni utili. Avevo una strana sensazione quel giorno, come un peso sullo stomaco, la consapevolezza che sarebbe successo qualcosa di spiacevole. Mi augurai con tutte le mie forze che non si trattasse dell’esame di Difesa Contro le Arti Oscure.
Quando tornammo in Sala Grande, c’era Vitious ad aspettarci. Ci fece entrare gioviale nell’aula e ognuno si sedette, notai solo allora che ci eravamo sempre messi negli stessi posti del primo giorno. E solo allora notai anche che mi tremavano le mani. Cercai di respirare profondamente e di calmarmi, ma il risultato non fu proprio eccellente.
Vitious intanto aveva raggiunto la cattedra e stava dando le solite indicazioni di inizio esame. Poi agitò la bacchetta e fece comparire i fogli sui nostri banchi.
«Potete cominciare!»
Girai il compito con il cuore che mi batteva fortissimo.
DIFESA CONTRO LE ARTI OSCURE – GIUDIZIO UNICO PER I FATTUCCHIERI ORDINARI
Bel almeno all’intestazione ci ero arrivata. Intinsi la piuma e trattenni il respiro per evitare che la mano tremasse troppo mentre sotto scrivevo il mio nome.
Iniziai a leggere le domande e notai che non erano così difficili come mi aspettavo. Magari il peso che avevo sullo stomaco era dovuto solo allo stress da esami. In fondo non ne potevo più di tutta quella tensione. Presi a scrivere, con ritrovato entusiasmo, rispondendo alle diverse domande su ogni tecnica di Difesa che fosse venuta in mente a chi aveva progettato quell’esame.
Alla domanda numero dieci mi fermai un attimo e sorrisi, ripensando a una vecchia conversazione, avuta con un interlocutore improbabile in un luogo ancor più inimmaginabile.
Indicate i cinque segni che identificano un lupo mannaro.
Rievocai quel ricordo solo per qualche istante, poi ripresi a scrivere, chiedendomi però, se Remus Lupin sarebbe mai riuscito ad indicarli tutti quanti…
Alla fine dell’esame, ancora una volta ero soddisfatta. Mi riunii alle ragazze e uscimmo nel sole di giugno. Era una giornata splendida, ottima per festeggiare la fine degli esami, se solo fossero finiti…
Andammo in riva al lago, ci togliemmo le scarpe e ci rinfrescammo con i piedi a bagno. Ridevamo così forte degli aneddoti raccontati da Alice – o meglio dei pettegolezzi su lei e Frank – che avrei creduto che da un momento all’altro la McGranitt potesse spuntare dal nulla a rimproverarci.
«Oh! Oh!» esclamò Sarah con quella sua espressione sarcastica, tipica di quando stava per fare una battuta «Guardate! C’è Potter con un Boccino…» ma lo disse con un tono falsamente sorpreso che se qualcuno oltre noi l’avesse sentita, l’avrebbe creduta davvero stupita.
Però fu inevitabile per noi voltarci, nello stesso momento in cui lui – ovviamente – si arruffava i capelli. Scoppiammo a ridere…
«Ehi! Ehi!» continuò Mary, tra una risata e l’altra «Si arruffa anche i capelli!». E le risate furono più forti.
Quando ci calmammo potemmo riprendere respiro… Ma qualcosa attirò la mia attenzione.
Un gruppo di studenti si era radunato in cerchio intorno a qualcuno. Osservai per qualche istante per capire cosa stesse succedendo. Mi bastò un’occhiata all’albero dove poco prima c’era Potter e la sua gang per capire. Potter e Black non c’erano più. Avrei scommesso tutti i miei G.U.F.O. che erano in mezzo al cerchio di studenti. Tutti scoppiarono a ridere e allora mi fu chiaro: Severus era lì tra loro. Mi alzai, bollendo di rabbia, la mano già serrata alla bacchetta, la razionalità che lottava per non farmela estrarre, ricordandomi che io ero Prefetto e che per nessuna ragione al mondo mi era permesso fare Incantesimi su altri studenti. Mi avvicinai nello stesso momento in cui Sev iniziò a imprecare. La reazione di Potter fu immediata e veloce – c’era da ammetterlo, aveva buoni riflessi – e una schiuma rosea eruttò dalla bocca di Severus, facendolo soffocare.
«Lascialo STARE!» urlai, col tono più severo che riuscii a trovare.
Potter e Black si voltarono allo stesso tempo. La mano libera di Potter andò ad arruffargli di nuovo i capelli e dovetti fare uno sforzo enorme per non Schiantarlo seduta stante.
«Tutto bene, Evans?» mi chiese, tenendo il tono più basso per sembrare più “maschio”… come se non sapessi qual era il suo tono di voce…
«Lascialo stare.» ripetei guardandolo con disgusto. Era davvero un idiota… «Che cosa ti ha fatto?»
«Beh…» cominciò, fingendo di non conoscere la risposta «è più il fatto che esiste, non so se mi spiego…» rispose infine scatenando l’ilarità generale e facendomi venire ancora più voglia di fargli qualcosa di molto brutto.
«Ti credi divertente, Potter» risposi, scaricando la rabbia nelle parole «Ma sei solo un bullo arrogante e prepotente. Lascialo stare»
«Solo se esci con me, Evans» replicò rapido Potter, sembrava che non aspettasse altro che dire quella frase. «Esci con me, e non alzerò mai più la bacchetta su Mocciosus»
«Non accetterei nemmeno se dovessi scegliere fra te e una piovra gigante…»
«Ti è andata male, Ramoso» disse Black prendendolo in giro bonariamente e poi si voltò verso Severus. «EHI!». L’Incantesimo era svanito e Severus riuscì a recuperare la sua bacchetta. Quando Black si voltò verso di lui era ormai troppo tardi, Sev aveva già puntato la bacchetta contro Potter e scagliato un incantesimo. Un taglio comparve sulla guancia del Grifondoro, macchiandone la veste di sangue. Fu immediata la sua reazione, partì un altro getto di luce dalla bacchetta e Severus si ritrovò sollevato a mezz’aria per una caviglia, la veste che gli ricadeva sopra la testa mostrando le pallide gambe ossute e un paio di mutande grigiastre. Qualcuno applaudì, Potter, Black e Minus faticavano a stare in piedi per le risate.
«Mettilo giù!» urlai, ma la rabbia era intaccata da un lieve sorriso che velocemente tentai di nascondere.
«Ai tuoi ordini!» esclamò e Severus si ritrovò a terra cercando di districarsi dalla veste e attaccare ancora, ma questa volta fu Black ad essere più veloce. «Petrificus Totalus!» e lo fece cadere a terra, rigido come un palo.
«LASCIATELO STARE!» esclamai, senza controllare la rabbia estrassi la bacchetta, puntandola contro i due. Sembrarono preoccupati.
«Dai, Evans, non costringermi a farti un incantesimo» disse Potter ansioso. Forse ricordava ancora quando trasformammo i Serpeverde…
«Allora liberalo!» sibilai.
«Ecco fatto» disse formulando un contro incantesimo, poi si rivolse a Severus «Ti è andata bene che ci fosse Evans, Mocciosus...»
«Non mi serve l'aiuto di una piccola schifosa Mezzosangue!»
Trasalii. Ecco la pessima sensazione che avo sin dal mattino.
«Molto bene» iniziai, ringraziando mentalmente la rabbia e l’adrenalina per non far tremare la mia voce e dare quella parvenza di freddezza che era nelle mie intenzioni. «Vuol dire che in futuro non mi prenderò la briga di aiutarti. E se fossi in te, mi laverei le mutande, Mocciosus». Il mio cuore batteva come se volesse scoppiare – o uscire e picchiare Severus. Mi avevano già chiamata in quel modo e non mi avevano mai scalfito. Ma Severus era il mio migliore amico. Lui era quello che appena avevo scoperto di essere una strega, mi aveva detto che non c’era nessun problema nell’essere Nata Babbana. Avevo scoperto già da un po’ che non era così per tutti, ma finché ai miei amici – al mio migliore amico – non fosse importato, allora non avrei dovuto preoccuparmene. Ma ora… Ora, evidentemente, qualcosa era cambiato. Lo sapevo, ma avevo voluto ignorarlo. Avevo visto Severus prendere una strada diversa, sbagliata, ma credevo che tutto si sarebbe potuto aggiustare, ma in quel momento, invece capii che ero in erroe. Forse avrei dovuto stargli più vicino…
«Chiedi scusa a Evans!» la voce di Potter mi giunse da una distanza enorme.
«Non voglio che mi chieda scusa perché l'hai costretto tu!» urlai. «Siete uguali, voi due!» «Che cosa?» protestò Potter. «Io non ti avrei MAI chiamato una... tu-sai-come!» sembrava indignato.
«Sempre a spettinarti i capelli perché ti sembra affascinante avere l'aria di uno che è appena sceso dalla scopa, sempre a esibirti con quello stupido Boccino e a camminare tronfio nei corridoi e lanciare incantesimi su chiunque ti infastidisca solo perché sei capace... sei così pieno di te che non so come fa la tua scopa a staccarsi da terra! Mi dai la NAUSEA». Dopo quello sfogo, la mia riserva di adrenalina era esaurita e non sarei riuscita a mantenere un contegno lì davanti a tutti. Mi voltai e corsi via, senza sentire la replica di Potter.
Corsi per tutto il cortile, fino a trovare un unico angolo d’ombra dove poter stare in pace, senza nessuno che mi girasse attorno. Non mi ero neanche accorta che le lacrime avevano preso a scendermi e rigarmi le guance se non quando poggiai la testa tra le mani. Piansi tutta la rabbia che avevo in corpo, felice che nessuno fosse lì a vedere quel pessimo spettacolo.
Quando qualcuno mi sfiorò una spalla, sussultai. Avevo gli occhi gonfi e rossi, un aspetto a dir poco orribile e non riconobbi subito chi avevo di fronte.
«E’ un po’ che sono qui, ma non volevo disturbarti…» riconobbi subito quel tono dolce, ma non ero certa di poter usare appieno la mia voce, perciò annuii soltanto.
«Non volevo neanche interromperti ora, ma credo che tu voglia essere presentabile per l’esame pratico di Difesa…»
«Ti ringrazio…» ragliai, ma non mi mossi da lì.
«Credo che fosse inevitabile. Prima o poi sarebbe successo…» mormorò sedendosi affianco a me.
«Lo so… Ma non ho voluto guardare. Avrei potuto evitarlo, ma non ho fatto nulla di concreto.»
«Io non credo che sia colpa tua. Tu gli sei sempre rimasta accanto. Ti sei schierata dalla sua parte anche quando aveva torto. L’hai sempre difeso, quando ce n’era bisogno. Ma l’hai lasciato libero di scegliere, com’è giusto che sia, la sua strada. E lui ha scelto quella che, suo malgrado, porta lontano da te. Ed è la strada che l’ha portato oggi a insultarti, Lily.»
«Non è per l’insulto… Non è la prima volta che me lo sento rivolgere. Ma mai, dico mai, Severus si è permesso di farlo. Mai mi ha trattato come feccia, come spazzatura. Non gliene fregava niente di tutta questa robaccia, di un pazzo che va in giro a uccidere Nati Babbani e Mezzosangue!» il mio tono iniziava ad alzarsi, sembravo isterica. Un braccio mi cinse le spalle, senza che me ne accorgessi; evidentemente anche lui aveva capito il mio stato d’animo.
«Le persone cambiano, Lily.»
«Già… Lui è cambiato…» dissi con una sorta di rassegnazione nella voce.
«Dovrai andare avanti. Magari quando avrà capito qual è la vera vita che lo aspetta là fuori, insieme a quei fanatici, allora tornerà e starà a te decidere se accettarlo ancora nella tua vita oppure se credi di poter stare meglio senza uno che al quinto anno di scuola ha usato a sproposito un termine che tutti i suoi “amici” usano come il pane.»
«Tu cosa faresti?»
Fece un sorriso triste. «Non lo so, ma credo che a tutti sia giusto concedere una seconda possibilità.»
Tutt’a un tratto capii l’allusione non voluta di quella frase e sorrisi. «Credo che tu abbia ragione, ma per ora non voglio più saperne di Severus Piton. Un migliore amico non dovrebbe comportarsi così, nemmeno se il suo piccolo patetico gruppo va in giro a insultare e far male alle persone.»
«Saggia decisione.» sorrise «Ora che ne pensi di rinfrescarti un po’ il viso e andare a finire gli esami? Non vorrai mica farti bocciare al G.U.F.O. di Difesa e soprattutto a quello di Pozioni, tu Regina delle Pozioni?»
«Hai ragione, non posso permettergli di rovinare la mia fila di Eccezionale!» mi sciolsi dal suo abbraccio e mi alzai in piedi. Puntai la bacchetta contro il mio viso e feci uscire un debole getto d’acqua per rinfrescarmi, poi uno d’aria per asciugarmi il volto e la veste.
«Come sto?» domandai.
«Oh, benissimo…» esclamò ironicamente, alzandosi in piedi «Meglio di poco fa, comunque… Andiamo?»
«Sì, andiamo…» replicai e lui mosse qualche passo verso l’Ingresso.
Poi qualcosa mi disse di fermarlo, perciò afferrai il suo polso e lo costrinsi a voltarsi.
«Grazie Remus…» dissi sinceramente, alzandomi sulle punte per baciarlo su una guancia.
Arrossi appena, ma evitai di farglielo notare. «A questo servono gli amici…»
E questa sua ultima frase mi fece riflettere che sì, avevo perso un amico fidato, ma ne avevo altri, uno tra tutti quel ragazzo che mi aveva seguito, si era avvicinato a me, ma aveva saputo stare in silenzio fino al momento opportuno.

Sostenere l’esame dopo la lite con Severus, nonostante le parole di Remus non fu semplice. Rimanere concentrata fu la difficoltà più grande. Appena terminato, avevo già dimenticato le domande, probabilmente avevo risposto automaticamente. Tornai in Sala Comune e andai dritta in dormitorio, dove fui raggiunta pochi istanti dopo dalle ragazze.
«Ne vuoi parlare?» chiese Alice, sedendosi sul mio letto.
«Non c’è nulla da dire, Alice. Mi ha insultato davanti a mezza scuola, come insulta tutti quelli come me.»
«Mi sembra già qualcosa di cui parlare… Non credi?» disse sarcasticamente Elinor.
«No, non credo. Me ne farò una ragione. Lui ha scelto ed io anche.»
«Ok, allora che ne dici di andare a mangiare?»
«Non ho fame… Vorrei rimanere qui, se non vi dispiace.»
«Certo che ci dispiace! Ma non importa, ti porteremo qualcosa da mangiare quando torniamo.»
«Grazie!»
Quando tornarono dalla cena, si fermarono a chiacchierare e ripassare in Sala Comune, lasciandomi tempo per tranquillizzarmi. Il fatto era che più ci pensavo, più la rabbia tornava, più avevo voglia di prendere a pugni quel volto che fino ad allora era amico. Fui interrotta da questi pensieri, da un lieve bussare. «Avanti…»
Era Mary. «Lily, ascolta… Non volevo disturbarti, ma Piton è qui fuori già da prima che andassimo a cena ed è rimasto tutto il tempo. Sta minacciando di dormire fuori se non vai a parlargli…»
«Può fare quello che vuole, per me può anche morire congelato per aver dormito sul pavimento del corridoio… Non è più affar mio.»
«Ma Lily… Sta spaventando tutti… Forse se vai a parlargli capisce che è meglio se va via… C’è già abbastanza tensione per gli esami…» lo disse con un tono di supplica che non riuscii ad ignorare. Così mi alzai dal letto, lanciai il cuscino contro la testata, ancora più arrabbiata di prima e scesi fino al Buco del Ritratto.
Non feci quasi tempo a uscire che parlò.
«Mi dispiace».
«Non mi interessa».
«Mi dispiace!»
«Risparmia il fiato».
Avevo freddo con la vestaglia, incrociai le braccia al petto anche per quello, oltre che per far capire che non avevo voglia di sentirlo.
«Sono uscita solo perché Mary mi ha detto che minacciavi di dormire qui».
«L'avrei fatto. Non volevo chiamarti schifosa Mezzosangue, mi è...»
«... scappato?» dissi gelida «Troppo tardi. Ti ho giustificato per anni. Nessuno dei miei amici riesce a capire come mai ti ri-volgo la parola. Tu e i tuoi cari Mangiamorte... vedi, non lo neghi nemme-no! Non neghi nemmeno quello che volete diventare! Non vedi l'ora di u-nirti a Tu-Sai-Chi, vero?»
Lui aprì la bocca, ma la richiuse senza aver parlato.
«Non posso più fingere. Tu hai scelto la tua strada, io la mia».
«No... senti, io non volevo...»
«... chiamarmi schifosa Mezzosangue? Ma chiami così tutti quelli come me, Severus. Perché io dovrei essere diversa?»
Non attesi la sua risposta, consapevole che se fossi rimasta lì ancora un secondo, sarei diventata violenta. Rientrai nella Sala Comune e filai a letto, sperando di addormentarmi il prima possibile, senza dover pensare e ribollire di rabbia per tutto il resto della notte.
Mi svegliò Sarah, la mattina dopo con un tono molto preoccupato.
«Che c’è?» gracchiai, infastidita dal dovermi svegliare, ma consapevole che gli esami non si sarebbero fermati.
«Scusa…» era sempre stata sensibile «Singhiozzavi, Lil…»
Mi toccai la guancia, stupita di trovarla umida, non ricordavo di aver sognato nulla di sconvolgente, anzi non credevo di aver sognato proprio nulla, ma evidentemente non era così.
«Scusami…» risposi con un sorriso che ricambiò.
«E’ tardi, vero?» chiesi.
«Sì, abbastanza, ma il bagno è libero ed io devo solo finire di vestirmi…»
Mi alzai, controvoglia e andai in fretta in bagno a lavarmi, poi tornai a mettere la divisa e trovai Sarah ancora lì ad aspettarmi.
Scendemmo in Sala Grande insieme, affrettando il passo per non arrivare troppo tardi, saltammo la colazione. L’esame di Trasfigurazione fu il più difficile in assoluto, anche se avevo recuperato la concentrazione necessaria. Le domande erano complesse, tanto che pensai addirittura che avessero confuso la nostra prova con quella dei M.A.G.O., ma purtroppo per noi non era così. Cercai di rispondere a tutte le domande, anche se mi trovai in difficoltà con diverse. Quando Kettleburn, che presiedeva l’esame, ritirò i fogli, tirai un sospiro di sollievo. Non avevo intenzione di stare ancora lì dentro. Mi fiondai fuori senza guardarmi intorno, ma così facendo andai a sbattere contro qualcuno, finendo a terra. Quando alzai lo sguardo sulla persona che mi tendeva la mano, scoprii che era Remus.
«Scusa!» esclamai alzandomi con il suo aiuto.
«Nessun problema, ti stavo cercando… Come stai?»
«Non esattamente bene, tra quello che è successo ieri e la sensazione di aver appena preso un Troll al G.U.F.O., non sto proprio bene…»
«Era difficile…» commentò sinceramente.
«Oh, non sono l’unica che la pensa così! Fortunatamente!»
«Già! Che fai ora?»
«Mi ritiro a ripassare in dormitorio!»
«Non pranzi?»
«Non ho fame…»
«Ok, allora ci vediamo dopo alla pratica…»
«Certo! E, Remus, grazie per l’interessamento…»
«Di nulla…» detto ciò, si voltò e si allontanò, raggiungendo i suoi amici che lo aspettavano impazienti.
Io invece risalii in Sala Comune.
La pratica andò meglio della teoria, per fortuna... Forse il mio voto sarebbe salito a Desolante…
Ma il giorno dopo fu il mio giorno. Pozioni. Un Eccezionale già preso ancor prima di sostenere l’esame. Ed infatti quando voltai il foglio della teoria ero euforica. Iniziai a scrivere di getto, come se quelle nozioni le sapessi da tutta la vita e potessi richiamarle alla memoria senza sforzarmi. Fu semplicemente magnifico.
A metà del tempo avevo già finito, ricontrollato, aggiunto informazioni superflue e ricontrollato ancora. Quando la professoressa McGranitt si avvicinò la fermai.
«Professoressa, crede sia possibile consegnare prima dello scadere del tempo?» mormorai senza disturbare gli altri.
«Mi dispiace, ma no, signorina Evans.»
«Ok, non importa…» dissi scrollando le spalle e lasciando che la professoressa riprendesse il suo giro. Mi guardai intorno e… sentii di nuovo la rabbia invadermi. Solo un’altra testa non era china sul compito, quella di Severus. Cercai di non pensarci e tornai, inutilmente a controllare il foglio.
Quando finalmente il tempo finì, attesi le ragazze e decidemmo di pranzare all’aperto. Era di nuovo una giornata soleggiata e il pomeriggio dopo avremmo finito gli esami.
Ci godemmo la pausa e poi tornammo in Sala Grande, dove erano stati allestiti i tavoli con i calderoni. Quando fu il mio turno, raggiunsi quello libero e alzai lo sguardo sul professore – di nuovo Tofty – che mi avrebbe esaminato.
«Signorina Evans, tra questi…» indicò una serie di ingredienti «…ci sono gli ingredienti per il Distillato della Morte Vivente. Lei crede di riuscire a individuarli e a preparare questa superba Pozione?»
Quasi gli scoppiai a ridere in faccia… Sapevo preparare quella Pozione dal terzo anno, quando per curiosità avevo studiato alcuni testi e chiesto a Lumacorno se avessi potuto, con la sua assistenza, preparare qualche composto.
Presi gli ingredienti quasi senza guardare e iniziai a mescolarli secondo le istruzioni, che ovviamente conoscevo a memoria. Quando i tempi necessari furono passati Tofty guardò dentro il calderone e sgranò gli occhi per la sorpresa. Era venuta davvero bene, se faceva quell’effetto.
«P-può a-andare, signorina… E-Evans.» tartagliò senza staccare lo sguardo dal calderone.
«Grazie, professor Tofty.» dissi contenta, andando verso la porta.
Mancava soltanto un esame, la mattina successiva: Storia della Magia.
Bastava ripassare qualche rivolta di Folletti, guerre di Goblin, accordi con i Giganti e il gioco era fatto.
E fu effettivamente così. Il giorno dopo, tutto quello che dovetti scrivere erano una serie di date di accordi, battaglie, trattati di pace tra le varie popolazioni magiche. Non fu poi così difficile e anche se non l’avessi passato col massimo dei voti non sarebbe successo nulla, potevo anche abbandonarlo quel corso.
Quella sera ci fu una grande festa per il Lumaclub, anche se alla fine furono invitati anche molti esterni. Tutti erano euforici, contenti per la fine degli esami, sia del quinto che del settimo anno. Ci furono gare di bevute, di Sparaschiocco, di scacchi Magici ingigantiti e tutti fummo piuttosto ubriachi ancora prima della mezzanotte.
«Evans! Ehi, Evans! Me lo concedi un ba…un bacio?» singhiozzò Potter.
«Oh, Potter… Sono troppo poco ubriaca per farmela con te… E non credo lo sarò mai abbastanza…» era la prima volta che gli parlavo dalla lite con Severus. Le mie amiche, intorno a me scoppiarono a ridere.
«Mi dispiace amico, ma la ragazza ragiona anche da ubriaca!» gli disse Black.
«Ben detto Black!» risposi ridendo.
«E a me lo concedi un bacio, Evans?» domandò, con il tipico tono di chi è troppo ubriaco per ragionare. Ma anche Potter lo era, perché scoppiò a ridere e disse «Vediamo se lo fa dai! Io non credo!»
Io avrei accettato una sfida anche da sobria, ma da ubriaca avrei accettato anche la più improponibile, come baciare Black. Solo che c’era qualcosa più forte del mio orgoglio, per una volta. «Sono troppo fidanzata per farmela con te!» dissi strascicando un po’ le parole.
Non ricordo come finì la festa, però il mattino dopo ricordavo perfettamente la faccia di Potter che, con un po’ di ritardo dato il cervello offuscato dall’alcool, riusciva a comprendere il senso della mia frase. Divenne più bianco di uno dei fantasmi di Hogwarts.
Gli ultimi giorni di scuola passarono nella spensieratezza generale, tranne il giorno in cui partimmo, che nell’aria aleggiava un po’ di tristezza per la separazione dagli amici.
Le ragazze ed io avevamo ormai da anni adottato la tecnica di preoccuparci solo alla fine del viaggio, così da poter passare ancora quel tempo in serenità. Nei pressi di King’s Cross iniziarono le raccomandazioni “Scrivi presto”, “Raccontatemi tutto”, “Cerchiamo di incontrarci”. E poi gli abbracci sul binario 9 e ¾ e le lacrime che contro ogni sforzo scendevano lungo le nostre guance.
Abbracciai i miei, salutai Petunia e salii con loro in macchina per tornare a casa. Anche loro erano emozionati di vedermi – i primi due – e mia madre era addirittura commossa, ma durante il tragitto non potei non pensare che un altro anno era finito, portando con sé un’amicizia importante e che ne rimanevano soltanto due, prima che quel grande sogno chiamato Hogwarts terminasse.



Note: L'allusione del titolo mi sembra chiara, è ovviamente un riferimento al capitolo di OdF intitolato "Il peggior ricordo di Piton" ^_^
Ringraziamenti: di nuovo di fretta - sono le 3 di notte, voglio andare a dormire, ma altrimenti non avrei tempo di postare - non posso ringraziare tutti uno ad uno, ma vi regalo un mio grazie generale!
Non temete, la storia non è finita così... Prima o poi lo scoprirete chi è questo fidanzato misterioso!
So che è un po' lungo ma non potevo dividerlo in più capitoli, mi spiace...spero non vi siate annoiati! :P
Credits: Il dialogo e parte delle descrizioni della lite con Piton sono tratti direttamente da Harry Potter e l'Ordine della Fenice, quindi non mi appartengono. Per sapere esattamente i punti, basta chiedere.

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Capitolo 16
*** Un Pacco di Gufi ***


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= Un Pacco di Gufi =

1 luglio.
“1 luglio”, la prima cosa che pensai nel momento stesso in cui mi svegliai. Era il primo giorno di vacanza. Ma, contro tutte le aspettative, non mi riempiva di gioia. Se da un lato non vedevo l’ora di avere tempo libero, dormire fino a tardi e non dover frequentare alcuna lezione, dall’altro quel tempo libero non sapevo proprio con chi spenderlo… Soprattutto da quando non avevo più un migliore amico-vicino di casa. Sospirai alzandomi dal letto e andai alla finestra, aperta per il caldo. In teoria avrei dovuto respirare un’arietta fresca, rigenerante… Invece ciò che m’invase fu l’afa…
Alzai gli occhi al cielo e feci per allontanarmi dalle imposte, quando notai una busta, sul davanzale, che ero certa che prima non ci fosse stata. Guardai l’intestazione e riconobbi la scrittura di Mary.
La aprii con un sorriso sulle labbra e lessi:

Lily,
lo so che non è passato neanche un giorno, ma mi mancavi! Insomma, qui non c’è nessuno con cui chiacchierare in piena notte, o da svegliare in piena notte…!
Ora dirai: ogni estate la stessa cosa, ogni primo giorno di vacanza questa qui deve rovinarmi la quiete con le sue paranoie e i suoi discorsi senza senso…
Poi mi scriverai che non è vero che l’hai pensato, ma io so che è vero…
Sto impazzendo, Lil… Non è che mi spieghi di nuovo come si usa quell’aggeggio che usano i Babbani per sentirsi a distanza? Vedi non mi ricordo neanche come si chiama, anche se sono cinque anni che me lo ripeti…
Posso venire a trovarti il prossimo fine settimana o anche prima? Ti prego dimmi di sì… Se no non so cosa fare, Alice credo che non sia neanche tornata a casa ma abbia fatto sosta da Frank, Elinor dovrebbe partire dopodomani e Sarah è andata in Irlanda, con il treno che partiva subito dopo che il nostro è arrivato…
Va beh, ora la smetto… E’ meglio se rispondi in fretta perché se no mi ritrovi a casa tua senza preavviso…
A presto,
baci Mary

P.S.- dimenticavo…che bella amica che sono… Stai un po’ meglio? Ti voglio bene!!


Quasi scoppiai a ridere come una scema. Mary era sempre stata così, al primo giorno di vacanza inviava una lettera in cui sproloquiava e spesso dimenticava anche di salutare, però ricordava sempre di chiedere come si usa il telefono… Non ci incontravamo mai, comunque, perché alla fine della stessa giornata, di solito arrivava una lettera che ritrattava tutto e augurava buone vacanze, ma questa volta pensai davvero di invitarla a stare un po’ da me, in fondo neanche io quest’anno avrei avuto molto da fare. Mi sedetti alla scrivania, presi carta e penna e iniziai a scriverle – evitando accuratamente di rispondere all’ultima domanda – dicendo che avrebbe potuto certamente passare il fine settimana da me. Aprii la gabbia del gufo, legai la lettera alla zampa e la inviai, poi scesi a colazione.
«Lily, ti ho fatto le ciambelle!» esclamò la mamma quando mi sentì arrivare in cucina.
«Grazie mamy…» risposi con un sorriso sincero, andando a sedermi a tavola a prendere qualche ciambella calda.
«Allora spiegami un po’ bene… Adesso dovrebbero arrivarti i risultati degli esami e poi saresti praticamente diplomata?» domandò sedendosi al mio fianco. La sua voce trasudava entusiasmo e i suoi occhi erano lucidi, evidentemente era emozionata per i risultati dei G.U.F.O. – ai quali io non pensavo minimamente. Sarebbe stato un perfetto quadretto familiare, se non fosse stato per una presenza sbuffante all’altro capo del tavolo. Petunia mangiava per conto suo la colazione, lanciandomi occhiate assassine e aveva sbuffato quando la mamma mi aveva chiesto degli esami. Cercai di non farci troppo caso, in fondo avevo fatto l’abitudine a ignorare mia sorella… per poi scherzarci su una volta fuori con Severus… Ma quello non sarebbe più accaduto… Sospirai.
«Beh non proprio… I risultati dovrebbero arrivare entro la fine del mese, insieme con il materiale per l’anno prossimo. Però ho ancora due anni davanti, diciamo che ho una qualifica basilare per poter concludere qualcosa…»
«Qualcosa nel tuo mondo di strampalati e mostri e… e anormali!» esclamò infuriata Petunia.
«Petunia!» esclamò indignata la mamma.
«Però intendo continuare fino al M.A.G.O. che dà una preparazione più approfondita e una qualifica avanzata… Quello è il vero diploma! Sono davvero pochi gli studenti che si fermano al G.U.F.O.» continuai io, ignorando mia sorella. Quando mamma vide che non me l’ero presa, mi rivolse un sorriso e annuì appena.
«Però è un traguardo importante! Dovremmo festeggiare!»
«Certo… Perché non la portiamo in un manicomio? Lì sì che festeggerebbe…» borbottò tra i denti Petunia, ma questa volta neanche mamma le diede corda.
«Aspettiamo di vedere i risultati per festeggiare! Però, mamma…» mi fermai, titubante. Dovevo chiederle se Mary poteva venire a casa nostra, ma avevo paura della reazione di Petunia.
«Dimmi, tesoro…» mi incoraggiò.
«Mary… la mia amica… è sola a casa e mi ha chiesto se poteva venire qui il prossimo week end… Potrebbe?»
«Certo…un’altra pazza in casa, cosa vuoi che sia!» dovetti trattenermi per non rispondere male a mia sorella, non avevo proprio voglia di altri litigi.
«Sì, perché no? Così finalmente conoscerò qualche tua amica! Metteremo una brandina in camera tua, ma prima dovrai mettere a posto!»
Come se la mia camera fosse in disordine… Era dall’estate scorsa che non ci vivevo e mamma aveva provveduto a mettere tutto a posto… Soltanto il letto era disfatto.
«Certo mamma, dopo svuoto il baule e tengo un po’ di posto nell’armadio per lei!»
«Se gli amici di questa pazza vengono in casa nostra, io me ne vado.» annunciò Petunia.
«Peccato che tu non sia ancora maggiorenne, Petunia, perciò devi fare quello che io e tuo padre ti diciamo di fare. L’amica di Lily, si chiama Lily non Pazza ed è tua sorella, verrà qui e tu la tratterai con cortesia e gentilezza. Altrimenti potrai dire addio alle libertà personale che io e tuo padre ti abbiamo concesso.»
«Io non ho intenzione di rimanere sotto lo stesso tetto di questi svitati!» urlò, isterica. Mamma invece si stava arrabbiando.
«Allora vattene Petunia, vai da qualche tuo amico per il fine settimana o per tutta l’estate così non dovrai rimanere con me, né io dovrò sopportare i tuoi sguardi, i tuoi sbuffi e le tue battute acide che non fanno ridere altri che te.» risposi, con quell’espressione severa sul volto, che tanto avevo imparato ad indossare nella mia veste di Prefetto. Ed in effetti non c’era così tanta differenza da trattare con mia sorella o con un Serpeverde convinto che i Mezzosangue e i Nati Babbani siano feccia… uno come Severus insomma.
«Tu non sei nessuno per mandarmi fuori da casa mia!»
«Hai passato il segno Petunia, vai in camera tua e restaci finché non avrò cambiato idea!» disse mia madre, con fredda calma che annunciava una tempesta. «E per tua informazione, questa casa non è tua. E’ mia e di tuo padre. Non parlare mai più in questo modo a tua sorella. Va’ ora.»
Petunia sbuffò di nuovo, si alzò e andò in camera sua – sbattendo la porta – senza commentare ulteriormente. Appena fu uscita, mamma mi abbracciò di slancio, aveva le lacrime agli occhi. «Mi dispiace tesoro...» sussurrò mentre ricambiavo il suo abbraccio.
«Non preoccuparti, mamma.»
«Più proviamo a parlarle, a farle accettare la situazione, più lei si comporta in questo modo… Non so più cosa fare.»
«Mamma, non è un problema, davvero. Ci ho fatto l’abitudine ormai.»
«Ma non è giusto, Lily. Non hai niente di sbagliato e non avresti dovuto farci l’abitudine!»
«Mi spiace solo che voi ci stiate così male.» mormorai stringendola un po’ più forte.
«Che tesoro…» disse sciogliendo l’abbraccio «Perché non vai a fare un giro con Severus? E’ passato stamattina presto, mi ha chiesto se c’eri, ma gli ho detto che dormivi ancora e non volevo svegliarti… Gli ho detto che saresti andata da lui…»
Al sentire quelle parole m’irrigidii. Dovetti attendere qualche istante prima di poter rispondere senza lasciar trapelare la rabbia. Avevo cercato di dimenticare quella vicenda, ma a casa, con i comportamenti di mia sorella che mi ricordavano così tanto quelli dei Serpeverde, era impossibile non pensare.
«Mamma, io e Severus abbiamo litigato. Probabilmente è venuto per cercare di riappacificarsi, ma non ne ho l’intenzione.» dissi, fingendomi calma.
«Ma tesoro! E’ tuo amico da tanto tempo, potete aggiustare tutto!»
«No, mamma. Non questa volta. Lui ha scelto una strada che io non condivido e non posso accettare… e ormai non posso più fingere che non sia così.»
«Cos’ha fatto di così grave, Lily?» mia madre era sbigottita. Ero sempre stata la sua bambina dolce e gentile. Non mi aveva mai visto così gelida nel parlare di un “amico”, né arrabbiata tanto da non volere neanche pensare al perdono. Era giunto il momento di spiegare a mia madre le vicende che il mondo magico stava vivendo, le teorie di certi maghi su quelli come me, che le avevo sempre nascosto per evitarle dolore.
«Il Mondo Magico è in guerra…» iniziai, lentamente, scegliendo le parole con accuratezza «…questo lo sai… Ma non ti ho mai spiegato il perché.» la mamma annuì, incoraggiandomi a proseguire. «Ci sono maghi, che sono fermamente convinti di essere superiori ad altri…» era difficile spiegare la “questione della purezza del sangue” a una persona che non aveva alcun contatto col Mondo Magico; esitai, lasciandole il tempo di interrompermi.
«Perché pensano questo?» mi domandò perplessa.
«Per una questione di sangue. Esistono diverse tipologie di maghi, ma che per una mente sana hanno tutte lo stesso potenziale. Ci sono i maghi Purosangue, cioè quelli nati da generazioni di maghi che hanno sposato altri maghi, che discendevano soltanto da maghi. Poi ci sono i Mezzosangue, cioè i figli di un’unione mista tra mago e Babbano. Infine ci sono i Nati Babbani, che sono quei maghi, come me, che sono nati da genitori Non Magici. Ecco, il genere di maghi che sta portando avanti questa guerra, crede che i maghi Purosangue siano i veri maghi, gli unici in diritto di avere una bacchetta. In fondo alla scala di “purezza” ci sono i Nati Babbani, che sono accusati di aver estorto e rubato la magia ai Purosangue.»
«Ma è assurdo! Non è possibile che esistano persone così malate!» esclamò la mamma, talmente indignata che mi strappò un sorriso. Anch’io ero così quando per la prima volta capii come andavano le cose.
«Lo so… Infatti la maggior parte non la pensa così. E’ solo una minoranza quella che perpetua questa guerra. Sono guidati da un mago potente, il più potente dei maghi Oscuri della storia. E’ per questo che la guerra dura ormai da alcuni anni… Lui è troppo forte e molti dei maghi Purosangue si stanno unendo alla sua causa.»
«E tutto questo cosa c’entra con il tuo amico Severus? Lui non è un Purosangue…mi sembra di parlare di cavalli…Hai detto che suo padre non è un mago…»
«No è vero, lui non è un Purosangue, ma non è neanche un Nato Babbano… i Mezzosangue hanno pochi problemi con questa cosa, spesso fingono di non conoscere il genitore Babbano, o comunque sono tenuti in buona considerazione per via del genitore magico… E posso scegliere di unirsi alla causa, se credono in quelle idee, sperando che quando sarà instaurato il nuovo regime, avranno un posto di rilievo. Severus ha molti amici Purosangue, si è fatto contagiare da quelle idee e non vede l’ora di unirsi a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, cioè quel pazzo malato che ha iniziato questa campagna. Verso la fine della scuola mi ha insultata, chiamandomi Mudblood, l’insulto più grave che i Nati Babbani possano ricevere. Non è tanto per l’insulto, non è la prima volta che mi viene rivolto, ma è il gesto. Lui chiama così tutti quelli come me, al di fuori di me. L’ho giustificato per anni, ma alla fine, con quell’episodio si è rivelato come realmente è. Io non voglio avere niente a che fare con quelli che si comportano in quel modo, che hanno quelle idee e che trattano i propri amici come feccia. Non perdonerò Severus Piton per quello che ha fatto né per quello che sono certa farà in futuro.» quando terminai mi accorsi di tremare, trassi qualche profondo respiro per calmarmi e tornare a osservare la mamma. Fu quasi con orrore che vidi lacrime silenziose segnarle le guance. Scossi il capo e le feci una carezza.
«Non piangere, mamma…» mormorai, abbracciandola.
«E’ così crudele, io non immaginavo che tu vivessi tutto questo… Pensavo che fossi felice, che non ci fossero problemi nel mondo magico… E invece vieni disprezzata anche “Di Là”… Già a casa c’è Petunia… Oh Lily, perdonami per non aver capito!»
«Non preoccuparti, mamma! Io sono felice, ho delle amiche favolose, dei compagni ideali e… un ragazzo perfetto…» aggiunsi l’ultima voce dell’elenco per tranquillizzarla, ma al tempo stesso avevo il terrore della sua reazione.
«Ma Severus e tutti quelli come lui?»
«Mamma, mi sono abituata a sentire i loro epiteti e passo oltre senza tenerne conto. Non mi scalfiscono, io so la verità.»
«Ok, se dici che sei felice, ti credo.» disse sciogliendo l’abbraccio e sorridendomi. «Hai detto.. “un ragazzo”?» mi chiese dopo un istante di pausa, ma sorrideva ancora… buon segno!
«Sì, ma non posso divulgare informazioni!» le risposi trattenendo una risata.
«E perché mai? Lui non lo sa?!»
«Ma certo che lo sa mamma, stiamo insieme dal terzo anno!»
«E quindi perché non puoi dirmi come si chiama?»
«E’ complicato…» cercai di giustificare…
«Ha un nome difficile?» finse di stare al gioco.
«No, ma…» In quel momento fummo interrotte. Petunia era tornata in cucina.
«Ho sete.» spiegò in tono acido. Non avrei mai ringraziato Petunia se non in quell’occasione.
«Vado a mettere a posto l’armadio per quando arriverà Mary!» dissi io alzandomi e correndo via.

Il week end si fece attendere a lungo. I giorni trascorsero con una lentezza indicibile. Passavo le giornate ad annoiarmi, senza nient’altro da fare che fare zapping senza seguire nessun programma oppure a leggere un libro in giardino. Avevo come l’impressione che il tempo stesse giocando a un brutto gioco con me, senza darmi distrazioni e senza voler far in modo che arrivasse venerdì. Quando finalmente giovedì sera andai a dormire, sentii un peso sollevarsi dal mio petto.
Il mattino dopo, mi svegliai impaziente. Misi a posto la camera anche se non ce n’era alcun bisogno, sistemai il letto per Mary, rifacendolo tre volte e poi scesi in salotto ad aspettare, ticchettando le dita sul bracciolo del divano. Mary sarebbe arrivata con la Metropolvere, aveva detto che avrebbe chiesto il permesso al Ministero per allacciare il mio camino, assicurando che in casa non ci sarebbe stato nessuno che non fosse a conoscenza dell’esistenza dei Maghi. Fu anche per questo che mamma chiese a Petunia di andare a casa di Vernon Dursley, il suo fidanzato. Guardavo fisso il camino, staccando lo sguardo soltanto per osservare l’orologio proprio sopra. Mary era in ritardo, come sempre.
Stavo per spazientirmi quando il camino si accese di fiamme verdi. Tirai un sospiro di sollievo e scattai in piedi, come se avessi ricevuto un segnale segreto. Qualche istante dopo, Mary rotolò sul pavimento – il tappeto era stato tolto per non sporcarlo – poi si rialzò e si scrollò la fuliggine dai vestiti. Ero così felice di vederla che le saltai al collo abbracciandola talmente stretto che quasi la soffocai.
«Sei arrivata! Sei in ritardo!» le urlai all’orecchio.
«Sì sono arrivata! Sono in ritardo!» urlò lei di rimando, mentre iniziammo a saltellare sul posto. Fummo interrotte da mamma che, sentendo l’arrivo di Mary, era venuta in salotto per accoglierla.
«Così tu sei Mary?» disse mia mamma gentilmente.
«Sì, signora Evans! E’ un piacere conoscerla finalmente!» rispose la mia amica tendendole la mano.
«Piacere mio, cara!» mamma gliela strinse. «Lily, che ne dici di portare le sue cose in camera, farla rinfrescare un po’ e poi scendere a pranzo? Tuo padre sarà di ritorno tra poco.»
«Vieni dai, ti faccio vedere la casa…» dissi io a Mary.
«Vi chiamo quando è pronto!» disse mamma.
«Allora, come puoi vedere questo è il salotto!» iniziai io, indicando con un teatrale gesto della mano la stanza in cui ci trovavamo. Ero allegra, finalmente. «Di solito, la gente entra dalla porta, perciò vede per primo l’ingresso.» indicai il corridoio che portava alla porta d’entrata e alla scala per il piano di sopra e mi ci avvicinai. Mary si godeva lo spettacolino con risate sommesse che la scuotevano da testa a piedi.
«Queste sono le scale…» dissi quando raggiungemmo la rampa «Anche le scale Babbane si salgono e si scendono. Ci sono i gradini apposta.» e stavolta Mary non poté che scoppiare a ridere sonoramente, seguita da me ovviamente.
«Ma dai? Queste diavolerie babbane!» esclamò, riprendendo fiato. “Divavoleria Babbana” era il termine che lei e le altre usavano per definire le tecnologie dei Non Magici, di cui ovviamente io mi intendevo. A differenza degli altri, loro usavano quel termine per divertimento.
«Oh in questi giorni ne imparerai davvero tante di diavolerie Babbane!» le risposi ridendo.
«Oh Merlino, come farò? Non ho imparato il nome del tefoleno in cinque anni, non ho speranza di sopravvivere qui!»
«Infatti si chiama telefono!»
«Ecco vedi? Cosa mi è venuto in mente di autoinvitarmi qui!»
Io scossi il capo, senza rispondere e proseguii. «Quella è la Stanza-Che-Non-Dovrai-Neanche-Guardare…» dissi amaramente, indicando la stanza di Petunia.
Mary capì a cosa mi riferivo e annuì. «Credi che mi sia permesso di guardare il muro intorno alla porta?» domandò per sdrammatizzare.
«Non ti conviene, sai…» dissi io, con un sorriso. «Andiamo avanti… Quella è la stanza dei miei!» indicai la porta di fronte a quella di Petunia. «Questa puoi guardarla senza problemi…»
«Perfetto… E’ davvero una bella porta!» esclamò ironica.
«E quella è la mia stanza!» indicando quella affianco a quella dei miei genitori e avvicinandomi.
«Oh, sì, bella porta anche questa…» mormorò lei, con finto entusiasmo. «Ma quelle?»
«Quello è il bagno…» dissi facendo cenno alla porta in fondo al corridoio. «Ma si può accedere anche dalla mia stanza… Mentre l’altra è la camera degli ospiti… Se preferisci stare lì, non c’è nessun problema, ma mamma ha pensato che magari ci avrebbe fatto piacere stare insieme… “Così potete parlare fino a notte fonda, ma distese su un bel letto a rilassarvi”» mimai le virgolette per far capire che mia madre aveva detto quelle esatte parole.
«Va benissimo! Sarà come stare ancora a Hogwarts!»
Annuii e aprii la porta e feci entrare Mary. La osservai per capirne la reazione, si guardava intorno e sembrava un po’ perplessa.
«Che c’è?» domandai. Mary non si era mossa dalla soglia.
«E’…è bella non fraintendere… ma è così… così…»
«Così come?»
«Un aggettivo tra il “vuoto e l’”asettico”…» spiegò.
«Ah… Beh…» tutt’a un tratto mi sentii in imbarazzo «Non ci vivo dall’estate scorsa…»
«Sì… Ma sa poco di te! Non è come la tua zona in camera a scuola! Quella la vedi e dici “E’ di Lily”… Qui no…»
«Puoi sempre stare nella camera degli ospiti…» borbottai a metà tra l’offeso e il mortificato.
«Scusa…» mormorò infine abbassando lo sguardo. «Mi sembra solo strano… Tutto qui… Ma non ci metteremo molto a trasformarla. Allora qual è il mio letto?» domandò con un sorriso incoraggiante.
«Quello…» le dissi indicandoglielo.
Dopo quel piccolo diverbio, iniziammo a ridere come al solito.
«Allora… Aiutami a capire come devo comportarmi… Non voglio farmi odiare dai tuoi genitori già dal primo giorno!» esclamò Mary a un certo punto, mentre frizionava i capelli bagnati con l’asciugamano.
«Oh beh… Finché non c’è Petunia non c’è nessun problema…»
«E quando ci sarà?»
«Limita il più possibile le parole “magia”, “bacchetta”, “mago”, “Hogwarts”, “Babbano” eccetera… E ignorala… Ti guarderà male, molto male… Sbufferà… Farà battute cattive… Ti darà del mostro o della pazza. Tu cerca di ignorarla finché puoi, quando la tua pazienza è arrivata al limite Affatturala se vuoi…»
Scoppiò a ridere per la serietà con cui glielo dissi e mi contagiò. Proprio in quell’istante la mamma ci chiamò dal piano di sotto per il pranzo.
Mary non incontrò Petunia fino al giorno dopo, a colazione. Eravamo in cucina, sedute al tavolo a chiacchierare allegramente mentre lottavamo per i cereali, quando lei entrò, con quella sua aria di ostentata superiorità che era in grado di farmi saltare i nervi. Forse fu soltanto una mia impressione ma il gelo calò nella stanza. Anche mamma sembrò notarlo perché quando presentò Petunia a Mary la sua voce era incerta.
«Mary, lei è Petunia, la nostra primogenita. Petunia, questa è Mary, l’amica di Lily.» Mary sorrise e tese la mano a mia sorella accompagnandosi con la formula di rito «Piacere di Conoscerti», ma lei la guardò disgustata, emise un grugnito e andò verso il frigo per servirsi di succo d’arancia.
«Petunia, dovresti almeno salutare.» sbottò mia madre. Ma prima che Petunia potesse rispondere, Mary era già intervenuta.
«Non si preoccupi, signora Evans, non c’è nessun problema…»
«Sei così cara…» commentò mia madre, strappando un altro grugnito a Petunia, che comunque non salutò. Mary non sembrava averla presa male, probabilmente aveva seguito il mio consiglio.
«Credi che potrò scrivere a Elinor, Sarah e Alice, dopo?» mi disse con un sussurro talmente basso che quasi non lo sentii. Tratteneva un sorriso e capii cosa volesse scrivere alle altre; annuii e mi trattenni dal ridere.

Invece che solo un week end, Mary si fermò per due settimane, con “immensa gioia” di Petunia. Io invece ero al settimo cielo. Finalmente non mi annoiavo, non pensavo a Severus o a Petunia e non m’innervosivo più di tanto. Nei giorni in cui rimase a casa mia, andammo in giro quasi tutti i giorni, o al fiume, o al centro commerciale della cittadina vicina.
Quando andò via, fu traumatico. Per la prima volta, da cinque anni, desiderai tornare a Hogwarts con tutta me stessa. Vidi, nello sguardo di Mary, quando mi salutò, che aveva ben capito il mio stato d’animo. «Magari puoi venire da me…» mormorò, quasi come fosse una promessa, annuii e sorrisi tra le lacrime. «Fammi sapere i tuoi G.U.F.O.» mi minacciò prima di entrare nelle fiamme del camino e pronunciare il suo indirizzo.
Passò un’altra settimana prima che potessi scriverle quello che mi aveva chiesto. Quando mi svegliai, trovai un gufo ad aspettarmi. Riconobbi subito la spessa pergamena della busta e la tonalità verde con cui era scritto l’indirizzo. La presi con mani tremanti e lasciai andare il gufo. Poi scesi, come un automa, in cucina, dove sapevo c’era la mamma. Lo sguardo era fisso sulla busta.
«Lily che succede?» mi chiese, dovevo avere un aspetto preoccupante.
«S-sono…i r-risultati…» balbettai, voltando la busta per “ammirare” il sigillo in cera lacca. Lo stemma della scuola m’incuteva abbastanza timore…
«I risultati dei tuoi esami? Cosa aspetti ad aprirli!» esclamò la mamma, la voce acuta per l’emozione.
«Tremo…» mormorai come giustificazione.
«Vuoi che l’apra io?» domandò ironicamente facendomi scuotere il capo.
Trassi un profondo respiro e ruppi il sigillo. La mano tremò ancora di più quando tolsi il foglio dalla busta e lo aprii. Per un attimo mi si offuscò la vista e non riuscii a decifrare le lettere. Poi dopo un istante, l’inchiostro nero prese forma a recitare:

GIUDIZIO UNICO PER I FATTUCCHIERI ORDINARI
Voti di promozione:
Eccezionale (E)
Oltre Ogni Previsione (O)
Accettabile (A)

Voti di bocciatura:
Scadente (S)
Desolante (D)
Troll (T)

LILY EVANS HA CONSEGUITO:

Incantesimi E
Trasfigurazione O
Erbologia E
Difesa Contro le Arti Oscure E
Antiche Rune A
Pozioni E
Cura delle Creature Magiche E
Astronomia E
Aritmanzia A
Storia della magia O


Ero stupita… Anzi no, stupita era troppo poco. Avevo preso addirittura Oltre Ogni Previsione in Trasfigurazione! Come avevo fatto?! E Aritmanzia l’avevo comunque passato! Sei Eccezionale erano più di quanto mi aspettassi, soprattutto quello in Erbologia! E Oltre Ogni Previsione anche in Storia della Magia! Avevo pensato a un Accettabile!
«Com’è andata, tesoro?» mi chiese la mamma in ansia. Probabilmente avevo gli occhi spalancati e la bocca aperta dallo stupore. Non riuscii a risponderle perciò le passai il foglio, senza pensare che forse non avrebbe capito i voti. Ma non fu così.
«Oh Lily!» esclamò eccitata. «Tesoro, sono così fiera di te!» aggiunse strillando e mi abbracciò, stringendomi tanto da non farmi respirare.
Quando mi lasciò andare, si precipitò sul cortile sul retro per dare la notizia a papà, che stava prendendo il sole su una sdraio. Io tornai in camera, per scrivere a Mary prima di ricevere una sua Strillettera per non averlo fatto. Mi ero appena seduta alla scrivania quando un rumoroso CRAC mi fece sobbalzare. Mi voltai, riconoscendo il suono della Materializzazione, e sussultai di nuovo vedendo chi mi trovavo davanti. Mi alzai in piedi e gli andai incontro, mentre con quei pochi passi, mi capacitavo di quello che era appena successo.
«Ma sei pazzo?» strillai, il cuore martellante per lo spavento, ma anche per la vista «Sei minorenne! Non ha ancora superato l’esame di materializzazione e soprattutto…Incolperanno. Me.» sulle ultime due parole battei l’indice sul suo petto.
«Ma va! Non se ne sono neanche accorti! Non preoccuparti!» disse lui con un sorriso divertito.
«Quando hai imparato comunque?» domandai, ancora troppo preoccupata per essere cordiale.
«In queste settimane! Fa sempre comodo di questi tempi sapersi Smaterializzare… Non credi?» disse avvicinandosi a me e accarezzandomi una guancia.
Stava per baciarmi quando dal giardino giunse la voce di mio padre.
«Lily… Tesoro…» era incerto, come spaventato, la sua voce era più acuta del solito «Un gufo è atterrato sulla mia sdraio… Mi guarda male, Lily, potresti venire? Ha un aspetto così… nobile…»
«Non muoverti dal punto i cui sei. Non uscire, non sporgerti dalla finestra, non fare nessun rumore!» lo minacciai prima di precipitarmi giù dalle scale e raggiungere papà.
Un bel gufo reale, con il piumaggio lucente era appollaiato sulla sdraio di papà ed effettivamente lo guardava quasi minacciosamente. Non ci misi molto ad abbassare lo sguardo sulla busta legata alla sua zampa né a sbiancare nel vedere il sigillo del Ministero. Ri-iniziai a tremare, come poco prima per i G.U.F.O., ma questa volta il terrore era ben diverso. Mi avrebbero espulso? Mandato ad Azkaban? Severus, molti anni prima, aveva detto di no… Ma aveva anche detto che non era diverso se si era Figli di Babbani… Sentii un nodo alla gola, come se mi venisse da piangere. Avanzai verso il gufo e staccai la lettera. Riuscii ad aprirla, sentendo lo sguardo curioso di papà addosso.

Cara signorina Evans,
Abbiamo avuto notizia che nel luogo dove lei risiede, questa mattina, alle undici e trentadue minuti, è stato praticato un Incantesimo di Materializzazione.
Come lei sa, i maghi minorenni non sono autorizzati a compiere incantesimi fuori della scuola e un altro episodio di questo genera potrà portare alla sua espulsione da detta scuola (Decreto per la Ragionevole Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, 1875, Comma C).
La preghiamo inoltre di ricordare che qualsiasi attività magica che rischi di essere notata dalla comunità dei non-maghi (Babbani) è un reato grave ai sensi dell’articolo 13 dello Statuto di Segretezza della Confederazione Internazionale dei Maghi.
Buone vacanze!
Cordialmente,

Mafalda Hopkirk
Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche
Ministero della Magia


«Maledizione!» sibilai tra i denti.
«Che succede piccola?» domandò papà, ora preoccupato.
«Niente di importante, papi… Non preoccuparti!» ma io stessa sentii il tono falso della mia voce.
«Non vuoi dirmelo?»
«E’ una lettera di ammonizione del Ministero per aver praticato un Incantesimo fuori dalla scuola.»
«Ed è vero?»
«In un certo senso…»
Papà stava per fare un’altra domanda, quando “qualcuno” si affacciò alla finestra.
«Lil è tutto ok?» la sua espressione era uno spettacolo, se non fossi stata arrabbiata con lui avrei riso. Perché doveva farsi vedere?
L’espressione di papà invece era ancora più divertente e inspiegabile.
«Sei un idiota!» gli urlai. «Eh no, non va bene. Per colpa tua il Ministero mi ha mandato una lettera di ammonizione!»
«Lily, amore, chi è quel ragazzo? E perché è in camera tua?» mi domandò papà con il tono di chi è convinto di vedere un miraggio.
«Se ne stava andando papà…»
«Sì, ma chi è?»
«Il mio ragazzo…» ammisi, trattenendo la rabbia.
Quel che successe dopo non mi fu molto chiaro. Papà urlò il nome di mamma, cadde dalla sdraio, si rotolò per terra e si rialzò. In tutto questo una risata si levò dal primo piano ed io lanciai un’occhiata degna del detto “se gli sguardi potessero uccidere”.
La mamma corse fuori a vedere cosa stesse succedendo, spaventata.
«Amore, c’è un ragazzo in camera di Lily… Dice che è il suo ragazzo…» era quasi isterico.
«Sì, lo so che ha un ragazzo… Ma non sapevo che l’avesse invitato in camera sua senza dire nulla…»
«Ma non l’ho invitato in camera! E’ lui che si è Materializzato, senza che ne sapessi nulla, facendomi guadagnare anche la ramanzina del Ministero!» sbottai «Potrebbero espellermi per causa tua!» urlai a lui.
«Possiamo conoscerlo?» chiese mia madre, trattenendo un sorriso.
«Scendi, mentecatto!» dissi e lo aspettammo in cortile.
Ero imbarazzatissima quando lo presentai ai miei, ma loro la presero relativamente bene. Mamma era contenta, lo notavo dal suo sguardo mentre papà era un po’ sconcertato ma non arrabbiato. Mamma lo invitò addirittura a pranzo.
«E Petunia?» domandai. Mia sorella in quel momento era a fare compere con una sua compagna di scuola.
«Tua sorella sopporterà. E’ ora che si abitui.» sentenziò papà «E poi dobbiamo festeggiare no? La mamma mi ha dato la bella notizia!»
Sorrisi, ancora imbarazzata.
«Che bella notizia?» si azzardò a domandare, sperando di non farmi arrabbiare ancora di più.
«Che non mi espelleranno!» esclamai io.
«Ma è ovvio che non ti espelleranno…»
«Certo! A meno che tu non ti metta ad agitare per sbaglio la tua stupida bacchetta!» ribattei fingendomi più arrabbiata di quello che ero. In realtà ero felice di vederlo, nonostante la lettera dal Ministero.
«Che bella notizia comunque?» chiese di nuovo, ma non fui io a rispondere, bensì papà.
«Sono arrivati i risultati degli esami e Lily è stata strepitosa!»
«Non ne avevo dubbi, signor Evans!» rispose, ma notai sollievo nel suo sguardo.
«Sei “E”, due “O” e due “A”…» precisai infine.
«Meraviglioso!» e mi abbracciò di slancio, senza pensare alla presenza dei miei. «Le hai passate tutte! Anche Aritmanzia che ti preoccupava e Trasfigurazione e le materie dopo “il Giorno”». Avevamo preso ad indicare il giorno della lite con Severus con “il Giorno”. Mi strinse un po’ più forte – era tutto quello che si concesse davanti ai miei – all’ultima parola. Fui rapita dal suo stesso entusiasmo e dal fatto che qualcuno capiva davvero quei risultati e quanto ci avevo sudato.
«Sì e ho preso Eccezionale in Erbologia, ma te lo saresti immaginato? E “O” In Trasfigurazione e Storia! Mi è venuto un mezzo infarto quando li ho letti!»
Papà si schiarì la voce, c’eravamo fermati in mezzo al giardino. Sciogliemmo l’abbraccio e proseguimmo, però mi tenne per mano. Finsi di non esserne imbarazza, quando invece le mie gote erano rosse come un peperone.
«A te com’è andata?» domandai poi, mentre varcavamo la soglia della porta sul retro.
«Come te…Solo che invece che in Aritmanzia ho “A” in Antiche Rune… E ho preso “E” anche in Trasfigurazione…» disse trattenendo a stento la contentezza.
«Sono orgogliosa di te…» dissi davvero entusiasta.
«Avete voglia di apparecchiare?» ci domandò la mamma interrompendo il discorso. Come dirle di no?!
Stavo mettendo le posate, quando la porta si aprì e Petunia annunciò il suo ritorno.
«Mamma! Papà! Sono tornata… C’è anche Caroline, può fermarsi a pranzo?» domandò, sapendo che la risposta sarebbe stata un sì. Come potevano i miei educati genitori chiudere la porta in faccia a un’amica della loro figlia?
«Oh… Ci sarà da divertirsi…» mormorai tra i denti. Una sola persona mi sentì e si trattenne dallo scoppiare a ridere, così come me.
«Sì Petunia, certo che può fermarsi, anche se ci sono già ospiti…» disse mamma un pochino esasperata.
«C’è un collega di papà?» chiese e non riuscii a capire se fingeva palesemente di non capire oppure si era dimenticata di me: papà non invitava mai colleghi a casa.
«No tesoro, non è un mio collega…» intervenne papà «E’ un amico di Lily.» c’era qualcosa di duro nella sua voce, come un invito a fare qualche commento sarcastico e la promessa di una punizione. Capii che disse “amico” e non “ragazzo” per evitare che Petunia rincarasse la dose.
«Scusa, papi, non ho capito! Noi andiamo in salotto…ci chiamate quand’è pronto?» ignorò palesemente la frase riferita a me e sentii la sua amica sghignazzare come un’oca.
«Ti prego porta pazienza e non lanciarle Incantesimi… Non posso farmi espellere…» mormorai.
«Non preoccuparti, non farò nulla. Starò buono buono e riempirò i tuoi genitori di lusinghe così mi vorranno bene…»
«Quanto sei scemo…» dissi ridendo.
Ci sedemmo a tavola mezzora dopo, con Petunia e Caroline che palesemente ci ignoravano e noi che altrettanto palesemente ignorammo loro. I miei genitori furono davvero riempiti di complimenti, ma sembrava più una gara tra lui e Caroline, che sincerità.
Ad un certo punto però ignorarci fu impossibile. Un gufo planò sul tavolo, dalla finestra aperta e atterrò vicino al mio piatto. Una lettera scarlatta era legata alla sua zampa.
«Aprila, aprila, aprila!» mormorò non appena vide che ero paralizzata.
Non feci in tempo ad aprirla che la Strillettera cominciò a urlare il suo contenuto.

LILY EVANS!
Come hai osato non scrivermi subito!
Io DEVO sapere i tuoi voti entro oggi, capito? Se no puoi dimenticarti le Cioccorane!
RISPONDI!


La lettera smise di urlare minacciosamente e assunse un tono cordiale.

Buona giornata signori Evans, scusate l’interruzione di qualsiasi cosa stavate facendo!
Mary


La busta si afflosciò e prese fuoco. Caroline urlò.
«Cos’era quella?» gridò stridula, il suo sguardo terrorizzato altalenava su tutti i presenti. Petunia mi lanciava sguardi infuocati, se avesse avuto una bacchetta, mi avrebbe lanciato un’Avada Kedavra.
«Oh merda…» commentai quando realizzai il casino.
«Sta tranquilla…» mormorò qualcuno, ma non capii esattamente chi finché non mi sentii stringere la mano.
«Ma che tranquilla! Non voglio essere espulsa…» la mia voce era talmente acuta che quasi non si capivano le parole.
Nessuno riuscì a ribattere perché un ennesimo gufo entrò in casa e di nuovo si fermò di fronte a me. Era un gufo reale e portava di nuovo una lettera dal Ministero. Non avevo la forza di prenderla.
«Aprila tu…» dissi ignorando le urla persistenti di Caroline.
Fu il minuto più lungo della mia vita, ma poi venni stretta da un abbraccio e mi preoccupai ancora di più.
«Dice che sta arrivando una squadra di Obliviatori… Niente di più… Sta tranquilla.» solo a quelle parole iniziai a rassicurarmi.
Qualche minuto dopo – Caroline non aveva ancora smesso di urlare – una squadra di quattro persone si Materializzo in casa con un CRAC che fece sobbalzare tutti e far piangere di terrore Caroline. Scattai subito in piedi, seguita da tutti tranne Petunia che cercava di calmare l’amica e mi lanciava ancora sguardi accusatori.
«Lei è la signorina Evans?» mi domandò uno dei maghi. Avevano tutti l’aria dei poliziotti Babbani.
«Sì, sono io.» dissi con voce tremante e non era la sola cosa a tremarmi, anche tutto il mio corpo lo faceva, le gambe quasi non mi reggevano in piedi, per questo accolsi con gioia il braccio che mi cinse la vita.
«Lei ha ricevuto oggi stesso un avviso del Ministero per aver praticato un Incantesimo nonostante la Ragionevole Restrizione…»
«Sono stato io, non lei.»
«Non è ciò che ci hanno detto.» ribatté duro, ma educato l’Obliviatore.
«Ovviamente, perché la Traccia ha indicato la magia qui, ma sono stato io.»
«Può sporgere un reclamo all’Ufficio per l’Uso Improprio della Magia.» liquidò la questione e continuò «Ora… Ci è stato detto che un gufo ha portato una lettera davanti a un Babbano.»
«Sono due i gufi, se contiamo quello del ministero.» di nuovo non fui io a parlare.
«Chi è il Babbano?» mi domandò, ignorando l’altra frase.
«E’ lei…» indicai Caroline, anche se non era difficile capire da come urlava. L’uomo fece un cenno ai suoi colleghi che si avvicinarono alla ragazza. Uno la tranquillizzò con parole che non sentii e poi la allontanarono dal resto di noi per praticare l’Incantesimo.
«Vi consiglio di riaccompagnarla a casa. Per un paio d’ore sarà piuttosto confusa, ma poi tornerà tutto come prima. Non ricorderà nulla.»
«Ci saranno provvedimento verso di me?» trovai il coraggio di domandare, ma tremai prima di sentire la risposta.
«No. Lei di certo non poteva prevedere che un gufo arrivasse proprio in quel momento. Ci saranno provvedimenti solo se praticherà ancora la magia. A meno che non sporgiate reclamo al Ministero e vedrete annullato l’avviso di questa mattina.»
«Grazie.»
«E’ il nostro lavoro.» disse con un accenno di sorriso, poi si voltò verso i colleghi e vide che avevano finito «Arrivederci, signorina Evans.» e tutti insieme si Smaterializzarono.
Caroline era seduta su una poltrona della Sala da Pranzo e sbatteva le palpebre, confusa.
«La accompagniamo noi a casa.» disse la mamma, alzandosi e abbracciandomi brevemente.
«Vengo con voi… Io non ci sto in casa da sola con due mostri!» esclamò Petunia indignata, ma la ignorai.
Andarono via dopo dieci minuti, così rimanemmo soli in casa.
«Non volevo crearti tutti questi problemi. Scusami.» mi disse, sincero, quando salimmo in camera mia e ci sedemmo sul letto.
«Non è colpa tua. Se avessi scritto a Mary non sarebbe successo nulla. A proposito, devo risponderle…»
«Lo farai dopo. Ora, rilassati.» mi disse, trattenendomi al suo fianco sul letto.
«Non te ne andare…» dissi dopo una pausa, abbracciandolo stretto, quando sentii lo sconforto assalirmi di nuovo.
«Non me ne andrò, se vuoi che rimanga… Tranquilla…» mormorò.
Rimase con me per tre settimane. Fu la migliore estate della mia vita.



Note: So che un sedicenne che conosce la Smaterializzazione è una scelta un po' azzardata, ma è gisutificata dal fatto che in guerra tutto è lecito ed è bene proteggersi con ogni mezzo.
Nota sul titolo del capitolo, come avrete notato si rifà al titolo del secondo capitolo di OdF, è un omaggio ^^
Ringraziamenti: Di nuovo vorrei ringraziare tutti quanti quelli che hanno letto, recensito e aggiunto!
In particolare volevo spendeere due parole per Ella_Sella_Lella, Sakura03, frutti_di_bosco e hyde che hanno recensito in questo capitolo.
Non risponderò alle vostre domande, perché gli indizi che voi mi chiedete sono contenuti nel testo...disseminati di capitolo in capitolo e ben nascosti, ma presenti ^^ Tolgo subito un'opzione sbalgiata: Lucius Malfoy non può essere, sto rispettando i tempi della storia e Lucius ha terminato Hogwarts quando Lily&Co erano al secondo/terzo anno (si scopre nell'ultimo libro, quando allo Smistamento di Lily, Lucius è al tavolo di Serpeverde con la spilla da Prefetto ^^). Il resto rimane in gioco, ma non avrete da me altre risposte che quelle contenute nel testo :P
Spero che questo capitolo sia piaciuto come gli altri ^^

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Capitolo 17
*** L'Era del Terrore - Pt. 1 ***


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= L'Era del Terrore - Pt. 1 =

Il primo settembre arrivò fin troppo in fretta. Ma non ero certo dispiaciuta. Arrivammo al binario 9 e ¾ con largo anticipo. Quest’anno c’erano entrambi i miei genitori, che si godevano allegri il caos del magico binario. Petunia, invece, era rimasta a casa di Caroline. Io cercavo con lo sguardo le mie migliori amiche mentre mi perdevo a salutare i conoscenti.
«Gazzetta del Profeta, signorina?!» domandò un ragazzo che aveva forse un paio d’anni più di me, porgendomi il quotidiano.
«Sì, grazie!» risposi, cercando cinque Zellini nella pochette «Ecco a lei…» dissi porgendoglieli, mi ringraziò con un inchino e si allontanò urlando ai quattro venti.
Abbassai lo sguardo sulla prima pagina e rimasi impietrita.

L’Era del Terrore
Nuove vittime cadute in questo campo di battaglia che ormai è diventato il mondo magico. E’ aumentato il numero di maghi che si ritirano dal lavoro e non mandano a Hogwarts i figli, per tenere unita la famiglia in quest’era di terrore che attanaglia tutti noi.
Le due nuove vittime sono nomi illustri, Purosangue che non hanno ceduto alle lusinghe di Voi-Sapete-Chi. Violet e Peter Yaxley sono stati attaccati da un gruppo di fanatici, noti col nome di Mangiamorte e dopo una lunga battaglia sono riusciti a mettere in salvo la figlia sedicenne Sarah, ma non la loro stessa vita. Ammiriamo tutti il coraggio con cui hanno lottato e rendiamo omaggio al loro sacrificio, con la speranza che questa straziante guerra finisca il più presto possibile.”


Riuscii a stento a leggere le ultime righe perché i miei occhi si riempirono di lacrime. Possibile che nessuno mi avesse avvisato? Possibile che non mi fosse arrivato alcun gufo per darmi la triste notizia? Oppure era colpa mia, che avevo passato le ultime settimane a divertirmi, quasi dimenticando le mie amiche? Com’era possibile che i genitori di Sarah fossero morti ed io non ne sapessi nulla? Non c’era la data, quand’era successo?
Piansi, bagnando la pagina di giornale. Nessuno sembrava essersi accorto di me, i miei erano troppo occupati a divertirsi.
«Lily cosa succede?» mi chiese una voce familiare.
«Oh Remus!» esclama, alzando lo sguardo su di lui. Mi guardava un po’ perplesso e un po’ preoccupato. Spostò lo sguardo sul giornale e sembrò capire che c’entrasse qualcosa.
«Oh Merlino! Sarah Yaxley è la tua amica!» collegò, probabilmente anche lui aveva letto il giornale, ma non aveva ricollegato il nome con una sua compagna di Casa. Annuii a confermare la sua esclamazione, anche se non ce ne fosse stato bisogno.
Senza dire nient’altro, Remus mi abbracciò. Qualche istante dopo ruppe il silenzio. «Andiamo nella carrozza dei Prefetti, così ci togliamo dal caos e se vuoi parlarne, non ci sono orecchie indiscrete?»
«Sì, ti ringrazio…» mormorai. «Ti ho bagnato la maglia!» notai sciogliendo l’abbraccio.
«Non farci caso, tanto devo metter la divisa.» disse sorridendo, ma non riuscii a ricambiare.
«Mamma, Papà… Io salgo sul treno… Così trovo i posti!» esclamai, cercando di sembrare tranquilla.
«Sì cara, buon viaggio!» disse papà distogliendo a fatica lo sguardo da un rospo che non la smetteva di saltare di qua e di là. Mi abbracciò velocemente e tornò a seguire l’animale.
«Buon viaggio, Lily tesoro, scrivi appena arrivi!» anche la mamma mi abbracciò distogliendo a stento lo sguardo dal rospo. Cos’aveva di così divertente poi?!
Presi il baule e lo trascinai sulla carrozza di testa, quella dei Prefetti. Entrammo in uno scompartimento vuoto e ci sedemmo uno di fronte all’altro dal finestrino.
«Non so perché non mi abbiano detto nulla… Quand’è successo? Come sta Sarah? Quando ci saranno i... i funerali? Perché non ho ricevuto un gufo?» sbottai, sfogandomi. Quasi urlai, ma Remus non sembrò infastidito. Scoppiai anche a piangere, ma anche quello non lo preoccupò.
«E’ successo mercoledì scorso. La notizia è stata resa nota solo oggi per non mettere in pericolo Sarah. Pensavano che i Mangiamorte volessero u-uccidere anche lei, così l’hanno protetta e insabbiato la notizia fino ad oggi, che parte l’Espresso e Sarah è al sicuro sotto la protezione di Silente. Il funerale è stato celebrato venerdì, ma non c’era nessuno presente se non lei, i genitori del signor Yaxley e la sorella della signora.»
Rimasi senza fiato. Mi voltai a guardare Remus, ma lui teneva lo sguardo basso, le guance imporporate dall’imbarazzo e il tono della voce era colpevole.
«C-Come…?» non riuscii a finire, tanto ero indignata.
Remus deglutì prima di rispondermi, la voce ridotta a un sussurro, ancora più imbarazzato e colpevole. «Io… Le… Insomma… Tra…»
«Remus, per Godric! Di’ qualcosa di sensato!» lo aggredii e me ne pentii immediatamente. «Scusa…»
«Non scusarti…» disse, senza però alzare lo sguardo «Se avessi pensato… Se avessi ricollegato che Sarah è quella Sarah, la tua amica… Ti avrei avvisato io… Ma non ci ho pensato… Sai, tra famiglie Purosangue…» la voce si abbassò di più su quella parola, capii che non voleva farmi arrabbiare «Si vengono a sapere queste notizie. Siamo tutti parenti… La signora Yaxley e-era una cugina, mi pare, del papà di James… E credo anche di mia madre…» mormorò.
Io non sapevo cosa rispondere, certo non era colpa di Remus e capivo anche l’idea di ritardare la notizia per proteggere Sarah… Ma potevano avvisarmi no? La verità era che mi sentivo in colpa. Il mercoledì citato da Remus, io me la stavo spassando a casa, senza preoccuparmi di nulla, né della guerra né delle amiche. Mi sentivo un verme in quel momento. Piansi, ancora, lacrime sempre più amare.
«Scusa, Lily… Se ci avessi pensato, ti avrei informata… Scusa…» disse Remus, affranto. Forse pensava che stessi piangendo per le sue parole.
«Io mi stavo divertendo!» esclamai, con un singhiozzo. Remus mi guardò perplesso. Il treno intanto fischiò e un istante dopo partì, ma neanche me ne accorsi.
«Tutti ci stavamo divertendo, Lily…» rispose.
«Io non mi sono mai divertita così tanto in vita mia!» esclamai, poco conscia delle parole che stavo pronunciando «Non le ho neanche scritto nell’ultima settimana! Non mi sono fatta viva per chiedere come stava! Io mi divertivo e me ne fregavo della mia migliore amica! Sono un mostro! Ha ragione Petunia!»
«Non straparlare, Lily. Non sei un mostro. E’ normale divertirsi, come potevi saperlo? Non puoi smettere di vivere perché là fuori c’è una guerra. Faresti solo il suo gioco…» disse, c’era qualcosa di duro nella sua voce.
«Certo che sono un mostro! E lo sono anche loro! Nessuno mi ha avvertito! Nessuno!» urlai, ancora in preda alla disperazione, senza dare conto alle sue parole.
«Ora calmati, Lily…» disse in tono dolce e non aggiunse altro, capendo, forse, che lo stavo ascoltando.
Trassi qualche profondo respiro, rotto però dai singhiozzi. Continuai a piangere finché non ebbi più lacrime. Non mi accorsi di essere appoggiata al petto di Remus, né che lui mi stesse accarezzando dolcemente la schiena, finché non smisi di piangere. Senza pensarci lo abbracciai, in un muto ringraziamento.
«Stai meglio?» mi domandò sussurrando.
«S-sì.» balbettai, ma non era vero. Non stavo meglio. Dopo lo sfogo di lacrime, ora rimaneva solo la consapevolezza – irrazionale – di quale fosse la mia colpa. «Non doveva venire qualcuno a darci direttive?» domandai, con la poca voce che mi era rimasta dopo aver urlato e pianto per tutto il tempo, cercando di cambiare discorso. Ben sapevo che Remus non si era bevuto quel mio “sì” balbettato, ma non avevo voglia di parlarne ancora.
«Infatti, il nuovo Caposcuola, John Lewis, è venuto, ma gli ho detto che non c’era bisogno di spiegare nulla e se poteva passare più tardi.»
«Spiegare nulla? Ah è John?» domandai, sciogliendo l’abbraccio e guardandolo.
«Sì è John, sono felice per lui… Non ce n’è bisogno, sono sempre gli stessi compiti dell’anno scorso.»
«Giusto…» mormorai, annuendo. «Quanto tempo è passato?»
«Un po’… Non lo so di preciso…» rispose con un sorriso.
«Oh Godric, tu volevi andare dai tuoi amici!» esclamai rendendomi conto ora di quella verità.
«Non preoccuparti, non è vitale. Preferisco rimanere con te, se hai bisogno…» rispose, bonario come sempre.
«No, va beh, non voglio trattenerti!» insistetti. Probabilmente sembravo isterica, forse perché in fondo lo ero.
«Ok…» disse sorridendo, si alzò e mi tese una mano «Andiamo…»
Lo guardai perplessa «Dove?»
«Se io vado dai miei amici, tu vai dai tuoi.» disse serio.
Accettai, ma solo per non costringerlo ancora alla mia presenza. Uscimmo dallo scompartimento dei Prefetti e il caos ci assorbì. C’erano studenti dappertutto, alcuni talmente piccoli che difficilmente li si vedeva. Qualcuno correva per il corridoio senza preoccuparsi di andare contro gli altri né di chiedere scusa. La mia indole di Prefetto per un attimo ebbe il sopravvento.
«E’ vietato correre per i corridoi!» esclamai, la voce più fredda del solito, senza essermene accorta avevo riversato la rabbia nella mia solita maschera di severità. I bambini si spaventarono e smisero di correre. Remus mi strinse un po’ più forte la mano, che ancora teneva tra la sua, e mi guardò con un’occhiata divertita e di falso rimprovero. Io scrollai le spalle con un sorriso e proseguimmo. Impiegammo un paio di minuti a trovare la sua combriccola e ci fermammo sulla porta, sicuramente stava per chiedermi se volevo che mi accompagnasse, ero già pronta a dirgli di no. Non avevo intenzione di raggiungere le ragazze, qualcosa era cambiato in quei minuti da quando avevo smesso di piangere, irrazionalmente avevo iniziato a essere arrabbiata e delusa non più da me stessa, ma dalle ragazze. Loro non mi avevano detto nulla!
Stavo per dire a Remus che non c’era bisogno di accompagnarmi quando sentii la discussione all’interno dello scompartimento.
«Ma non capisci, Sirius!» disse Potter, sembrava disperato «Ha detto che è fidanzata! Merlino! Non ero abbastanza ubriaco per non capire! Fidanzata, Felpato, fidanzata! Dobbiamo scoprire chi è! E poi farli lasciare. Lily Evans è mia! Mia e di nessun altro!»
Sospirai… Certo che era malato quel Potter…
«Vuoi che ti accompagni?» chiese Remus con un sorrisetto, probabilmente anche lui aveva sentito.
«Io non voglio andare da loro, Rem, non voglio andare da loro. Non credo di volerle vedere… Tu va pure dai tuoi amici, io torno nello scompartimento dei Prefetti.» dissi seriamente, con un tono che non ammetteva repliche.
Remus scosse il capo, senza commentare oltre, aprì lo scompartimento ed entrò, trascinandomi con lui grazie alla mano che ancora non mi aveva lasciato. O forse ero io a non aver lasciato la sua? Avevo sentito una morsa allo stomaco, quando gli avevo detto di andare, in realtà non volevo rimanere sola e Remus era confortante.
«Lunastorta ce ne hai messo di tempo!» esclamò Black, salutando l’amico.
Potter invece si era bloccato, sembrava Pietrificato. Non pensavo di fargli questa reazione, insomma… poi notai il suo sguardo. Era fisso sulle nostre mani intrecciate. Scossi appena il capo con un leggero sorriso e guardai Rem poi le mani, poi Potter. Lui trattenne una risata e mi lascò delicatamente andare.
«Vi spiace se Li…» iniziò Rem, ma venne interrotto da Minus.
«Evans hai pianto?» domandò perplesso. Non avevo pensato al mio aspetto, probabilmente avevo gli occhi gonfi e arrossati. Maledizione!
Potter sembrò riprendersi in quel momento «Che è successo? Giuro che la farò pagare a chiunque ti abbia fatto del male!» esclamò, con la sua solita spavalderia. Si era ripreso in fretta eh…
«Voldemort…» rabbrividii a quel nome, era la prima volta che lo nominavo e sputai quella parola come fosse veleno «…mi ha fatto male.»
Nessuno di loro era trasalito, tranne Minus che aveva emesso uno strano verso molto simile a uno squittio. «Scusate…» mormorai talmente a bassa voce che non mi sentii io stessa.
«Non preoccuparti…» sussurrò Remus con un sorriso incoraggiante. Menomale che c’era, cos’avrei fatto senza di lui?
«E’ per la dipartita dei signori Yaxley… Sarah è una cara amica di Lily, ma lei l’ha saputo solo oggi dai giornali.» chiarì e lo vidi lanciare un’occhiata eloquente agli amici: “Non fate altre domande. Discorso chiuso.”
«Ci dispiace.» disse Black per tutti.
«Dicevo, vi dispiace se resta con noi? Ha voglia di divertirsi a rimproverarti James…» aggiunse Remus stuzzicando Potter.
«Non mi dispiace per niente! Anche se preferirei non ricevere rimproveri prima di iniziare l’anno scolastico, se non le dispiace signorina Evans.» mi disse, con finta aria da gentiluomo d’altri tempi.
«Forse farò questo sacrificio, signor Potter… Dipende tutto da lei…» dissi, stando al gioco.
Scoppiammo tutti a ridere, ma la mia risata fu forzata, non volevo sentire le loro domande…
«Allora, Evans… Possiamo chiedere il tuo aiuto per una questione?» mi domandò Black dopo che le risa cessarono, tutti gli altri lo guardarono perplesso, io compresa.
«Ehm… Sì…» dissi incerta «Da quando voi quattro avete bisogno del mio aiuto?!» cercai di riprendermi con un po’ di sarcasmo.
«Da ora… Mi sembra, ovvio…»
«Ok, spara… Cosa vi serve?» chiesi con una scrollata di spalle.
«Come faresti a scoprire chi è il fidanzato di una ragazza? O la fidanzata di un ragazzo?» buttò lì. «Felpato… Ma…!» esclamò Potter allibito. Che strano soprannome, come Lunastorta… Anche se di quello forse avevo capito l’origine… Black gli diede una gomitata e gli lanciò un’occhiata. Ovviamente avevo capito a cosa si riferivano… Volevano sapere come scoprire chi era il mio ragazzo per poi escogitare un piano e per farci lasciare, avevo sentito la loro discussione. Furba però l’idea di chiedere direttamente a me…
«Perché non glielo chiedete?» buttai lì, sapendo che non l’avrebbero mai fatto.
«Perché vogliamo farle una sorpresa…» giustificò Potter, il tono ancora troppo colpevole.
«Ah… Capito… Beh, Veritaserum?» ok, iniziavo a divertirmi… Non avrebbero fatto neanche questo. Remus tratteneva una risata e Potter non sembrava considerare che la possibile risposta gli era capitata davanti agli occhi…
«E’ illegale!» sbottò Black.
«Ah… Oh… Voi perseguite la legalità?!» mi finsi stupefatta.
«Buona questa…» concesse Minus e io feci un inchino col capo.
«Oltre questo? Quali metodi consigli?» insistette Potter.
«Beh, immaginando che stiate parlando di uno studente, o meglio di una studentessa, di Hogwarts, intanto dovreste capire se il misterioso fidanzato è anch’egli uno studente della scuola…»
«Deve esserlo!» esclamò Potter disperato «Se no come capiamo chi è?!»
«Ok, avete già ristretto il campo alla popolazione maschile di Hogwarts… E’ un passo avanti…» quasi non ce la facevo più a fare la finta tonta.
«Beh sì, hai ragione… Ma come andiamo avanti?»
«Hogwarts è divisa in Case e in anni di frequenza.»
«La conosciamo la storia della scuola, Evans…» brontolò Black. Vidi Remus mordersi il labbro inferiore per non ridere.
«Non è la storia di Hogwarts, Black. Vi sto dicendo di scoprire a quale Casa appartiene e a quale anno. Gli stessi della ragazza?»
«Non credo…» disse Potter pensieroso.
«Beh, allora potete fare una lista di nomi, insomma questa ragazza conosce tutta Hogwarts?»
«SI’» mi risposero tutti e quattro all’unisono, tanto che riuscii a ridere senza sembrare sospetta.
«Andate per probabilità! Che so… l’avete mai vista per mano con qualcuno?» domandai, cercando di rievocare in loro il ricordo di prima. Funzionò, Potter sembrò di nuovo paralizzarsi, Black era congelato, Remus aveva chiuso gli occhi e gettato il capo all’indietro, mentre Minus era un po’ perplesso, ma non fiatava.
«A-avevamo la risposta sotto al naso…» mormorò Potter dopo dieci minuti buoni di stasi, trattenendo rabbia forse?
«Visto? Non era poi così difficile!» esclamai «Organizzazione, ragazzi, è questo che vi manca!»
«No… è che quando il sistema è minato dall’interno…» Potter lanciò un’occhiataccia a Remus «…E’ difficile vedere le cose come stanno…»
«Dai dai ora non ti scaldare, Potter. Avete fatto un grande passo avanti no?»
Grugnì qualcosa in risposta e poi aggiunse di cambiare argomento. Iniziammo a parlare di Quidditch… Fortunatamente però non della Coppa della scuola, ma della Lega Britannico-Irlandese. Mi piaceva il Quidditch se a praticarlo non era Potter, perciò fu piacevole parlarne, a parte quando scoprii che la mia squadra preferita era anche quella di Potter. Pensai seriamente di cambiare squadra del cuore… ma in fondo fu divertente – per quanto potessi divertirmi nel mio stato d’animo – spalleggiarci mentre gli altri cercavano di infangare il buon nome della squadra.
Quando iniziò a far buio e in lontananza intravidi il castello, capii che era ora di andare a cambiarmi e prepararmi per tenere a bada quel branco inferocito e affamato di studenti che presto sarebbe sceso dal treno senza alcun ordine.
«Io devo andare a cambiarmi, anche voi dovreste… Remus, tu hai le tue cose nella nostra carrozza?» domandai, pur sapendo la risposta.
«Sì… Vengo anche io…» disse alzandosi e andando ad aprire la porta dello scompartimento. Anche io mi alzai e feci per uscire, ma prima mi voltai verso i ragazzi rimasti.
«Grazie per la compagnia…» dissi sincera, mi avevano fatto quasi dimenticare lo sconforto e la rabbia.
«Prego, Evans… Quando vuoi…» mi rispose Potter con un sorriso e spettinandosi i capelli, gesto che mi fece alzare gli occhi al cielo.
«Ah… dimenticavo…» dissi fingendo di fare un passo avanti e mi voltai di nuovo. «Magari quella ragazza, o meglio… magari io non esco con Remus… Sapete… Magari ero solo troppo ubriaca per dire cose sensate… E soprattutto volevo togliermi dai piedi due ragazzi molesti, ancora più ubriachi di me… Che ne pensate?» chiesi, con un’innocenza tale da sembrare vera pure a me.
Le loro espressioni furono identiche, tutti sgranarono gli occhi e spalancarono la bocca, tanto che se avesse potuto, avrebbe toccato terra. E finalmente potei ridere di gusto…



Note: ho dimenticato una nota del capitolo scorso, la agigungo qui. Mi è dispiaciuto, a un certo punto del capitolo usare il termine inglese "mudblood" ma ho preferito non utilizzare traduzioni non ufficiali e la traduzione italiana "mezzosangue" sinceramente non ci stava per niente (senza contare che non sopporto la mancanza di un termine appropriato...)
Per questo capitolo ho solo due note. Io non so esattamente se Remus è Mezzosangue o Purosangue, mi piace pensarlo Purosangue con un piccolo problema peloso che lo rende diverso...
L'altra è sul titolo, non mi piace generalmente chiamare il capitolo "parte 1" o "parte 2" ma questa volta, concedetemelo, non è mancanza di fantasia, ma è il filone conduttore di questo e del prossimo capitolo... Ringraziamenti: ringrazio le tre persone che hanno recensito il capitolo scorso fino ad ora, cioè Ella_Sella_Lella, Sakura03 e hyde. So che vi aspettavate il nome, quando Lily l'ha presentato ai genitori, ma sono stata cattiva e ho fatto apposta a non metterlo XD

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Capitolo 18
*** L'Era del Terrore - Pt. 2 ***


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= L'Era del Terrore - Pt. 2 =

Trassi un profondo respiro davanti alla porta della Sala Grande. Avevo fatto il mio dovere, come sempre, anche se ero stata un po’ più severa del solito – in effetti, avevo scoperto che era molto più efficace essere freddi e duri piuttosto che urlare a destra e a manca – e ora gli studenti erano nella sala, ad attendere lo Smistamento. Io e Remus avevamo preso l’ultima carrozza insieme ai due nuovi prefetti di Grifondoro e avevamo appena raggiunto la scuola. Mi ero fermata fuori per potermi chiarire le idee e affrontare le ragazze, perché sicuramente c’era qualcosa da chiarire. Remus stava aspettando con me, che mi decidessi a entrare.
«Se vuoi puoi venirti a sedere con noi e rimandare la discussione a dopo…» mi propose.
Passare la cena con Potter? Ok che in viaggio mi ero anche divertita, ma non ero ancora masochista…
«No, Remus, non posso rimandare… Tanto è inutile, prima o poi dovrò parlare con loro. Meglio togliersi subito il fastidio.» dissi con un sospiro. Lui annuì e ci avventurammo nella Sala. Trovai con lo sguardo le ragazze, sospirai di nuovo e mi avvicinai al posto vuoto affianco a Mary. L’avevano tenuto per me? Non mi scrivevano che i genitori della nostra migliore amica erano morti, ma mi tenevano il posto a tavola? Remus mi guardò come se volesse vedere se avevo cambiato idea e cenare con lui, ma io scossi il capo e lo salutai con un sorriso un po’ tirato.
Percorsi l’ultimo metro e scavalcai la panca per sedermi nel posto libero. Le ragazze si voltarono e mi rivolsero un sorriso, che a differenza del mio, sembrava sincero. Solo Sarah teneva gli occhi bassi sul piatto vuoto. Elinor le cingeva le spalle con un braccio, mentre Mary e Alice lanciavano sguardi preoccupati.
«Lily non ti abbiamo vista in treno, hai fatto pace con Piton?» domandò Alice, cercando di distrarre Sarah. Quella domanda m’irritò, non avevo forse detto loro, a giugno, e poi scritto nelle lettere d’estate, che non avevo intenzione di perdonare Severus? Che ero ancora arrabbiata con lui e che avrei preferito non vederlo mai più, piuttosto che incrociarlo per altri due anni nei corridoi?
«No, no. Ho avuto da fare con i Prefetti.» dissi, cercando di sembrare tranquilla.
Nessuna poté aggiungere altro, perché il Preside si alzò e diede il via allo Smistamento. La McGranitt fece entrare gli studenti del primo anno – ogni volta erano sempre più piccoli – e sistemò il Cappello Parlante sul solito sbilenco sgabello. La canzone fu breve, intrisa di consigli sul vivere uniti, nonostante le Case. Ormai si ripeteva così da anni, perciò per noi non era sconvolgente, ormai vivevamo in guerra da anni. Ma per quei bambini, così piccoli e così intimoriti dalla cerimonia, le parole suonavano quasi minacciose.
Seguii la chiamata dei nomi a metà, non era così interessante, non conoscevo nessuno così piccolo e avevo altri pensieri per la testa. Stavo cercando di organizzare il discorso che avrei fatto alle ragazze. Sentivo ancora la stessa rabbia che mi aveva assalito in treno, ma cercavo di ragionare con razionalità per trovare poi le parole giuste.
Quando i piatti si riempirono, tornai alla realtà e cominciai a mangiare tutte quelle leccornie. Le ragazze cominciarono ad abbuffarsi, come me e ogni tanto dicevano qualche parola o facevano qualche domanda. Tutto sembrava normalissimo, come se nulla fosse successo, come se la notizia sul giornale non fosse mai apparsa. Io mi sentivo strana, non riuscivo a rapportarmi con quella normalità, sentivo che stavo per esplodere. Come facevano a ridere e scherzare, con Sarah lì di fronte che teneva gli occhi bassi e si sforzava di non piangere?
Cercai di pensare ad altro, di dimenticare le mie “amiche” affianco a me e di concentrarmi sul cibo. Feci un rapido giro della Sala e incrociai lo sguardo di Severus. A lui regalai un’occhiataccia, molto simile a quelle che Petunia riservava a me. Incrociai anche lo sguardo di Potter, che rideva beato con i suoi amici. Ma quello che più m’importava di incrociare non riuscii a trovarlo. Ero sconfortata. Lui l’aveva letto il giornale? Aveva saputo dei signori Yaxley? Era pronto a consolarmi per la colpa che provavo? Era inutile chiederselo, lui non era lì. Avevo lo stomaco chiuso e non avevo più fame. Lasciai cadere la forchetta e persi lo sguardo nella fiamma di una candela che fluttuava nella sala.
«Signorina Evans…» qualcuno mi chiamò, c’era reverenza in quella voce che non conoscevo. Mi riscossi e alzai lo sguardo sulla figura che mi aveva parlato. Era un ragazzo mingherlino con i capelli biondi a caschetto e occhi ambra.
«Sì?» chiesi perplessa.
«Dovrebbe aiutarci… I ragazzini…» disse sconnesso. Però lo riconobbi come il nuovo Prefetto di Grifondoro, l’avevo visto in carrozza, ma non avevo memorizzato i suoi tratti. Mi voltai e vidi che i bambini del primo anno si agitavano intorno alla ragazzina, poco più alta di loro, che era l’altro Prefetto. Di Remus neanche l’ombra. Dov’era andato? Si era dimenticato di essere un Prefetto o l’aveva fatta apposta per distrarmi?
Sospirai e mi alzai. Sovrastavo i bambini in maniera impressionante.
«Cosa sta succedendo qui?» dissi severa, tanto da somigliare alla McGranitt.
I ragazzini non smisero di fare chiasso. «Intanto inizia a non darmi del lei, non sono un professore. Sono una studentessa e un Prefetto, proprio come te.» con la differenza che io non ricordavo neanche il suo nome.
«D’accordo.» disse timidamente. Sospirai e lanciai uno sguardo alla Sala, ormai deserta. C’era solo un gruppetto di Serpeverde che si stava allontanando e fu allora che lo vidi. Mi fece un cenno di saluto con il capo, che sembrava anche un incoraggiamento. Era ora di prendere in mano la situazione. Perché questi due non ci erano riusciti? Io l’anno prima non avevo avuto alcun problema!
Feci un altro passo e raggiunsi i bambini che accerchiavano la ragazza.
«Ehi, voi!» tuonai gelida. I bambini si voltarono, sbiancando. «Cosa state facendo?»
«Nulla!» disse un irritante bambino, che immediatamente mi ricordò Potter. Avrei dovuto tenerlo d’occhio. Ancora per un po’ non volevo altri ragazzini dispettosi per la scuola, quei quattro bastavano per anni a venire.
«A me non pare “nulla”, ragazzino. Sbaglio o questi due Prefetti» marcai fortemente la parola «vi hanno detto di seguirli, perché non l’avete fatto?»
«Noi volevamo ancora dolci!» esclamò una timida ragazzina.
«Non avete mangiato abbastanza?» chiesi retoricamente e loro annuirono.
«Bene. Allora lasciate che vi spieghi come ruotano le cose a Hogwarts. Se un Prefetto vi dice di seguirlo, perché deve farvi vedere la via per il Dormitorio, voi dovete seguirlo, in fila ordinata e ascoltare quello che vi dice, perché altrimenti domani, quando ci saranno le prime lezioni, voi non saprete neanche scendere dal letto. Mi sono spiegata?» i ragazzini annuirono di nuovo.
«Altra cosa. Se i piatti sono vuoti, quindi la cena è finita, non potete avere altri dolci. Chiaro?» ancora una volta fecero cenno di sì.
«Adesso seguitemi.» sospirai e li feci disporre in fila. «In quanto a voi due, potete andare. Ne parleremo domani.» i due timidi Prefetti si allontanarono a capo chino. Perché li avevano nominati se erano così inetti?
«Prefetto?» mi domandò il bambino che mi aveva ricordato Potter, quando ci fummo incamminati verso la Sala Comune.
«Dimmi.» risposi, cercando di sembrare un po’ più dolce.
«E’ vero che prima della prima lezione dovremo affrontare un drago?» chiese con timore nella voce.
«E chi ti avrebbe detto questo?» chiesi sorridendo.
«Uno studente più grande!» quasi tremava al pensiero del drago. Un sospetto mi balenò per la mente.
«Sai come si chiama questo studente più grande?»
«Sì! James Potter!» alzai gli occhi al cielo e risi. Gliel’avrei fatta pagare.
«No. Non c’è nessuna lotta contro nessun drago, domani!» dissi, rassicurante, con tono abbastanza alto da farmi sentire da tutti. Sentii più d’un sospiro di sollievo.
Voltai il capo verso la fila che conducevo. «Vi ricordate che aspetto aveva questo studente?» chiesi.
Tutti annuirono. «Bene, allora domani cercatelo, nella ricreazione e ditemi cosa ne pensate ok?»
«Cosa significa, signorina?» mi domandò un altro ragazzino.
«Lo capirete domani… E non chiamatemi signorina o Prefetto. Io sono Lily Evans.»
«Lily Evans, il Dormitorio si trova al settimo piano, vero?» chiese un ennesimo bimbo.
«Sì, memorizzate la strada perché non ci sarò sempre io a scortarvi. E ricordatevi di non uscire oltre il coprifuoco…» li ammonii.
Ancora una rampa e ci trovammo davanti al ritratto della Signora Grassa.
«Questa è l’entrata del nostro Dormitorio. La parola d’ordine per ora è “Forza Grifondoro”» che originalità…
Il ritratto si spostò e lasciò aperto il suo passaggio. Entrai e aspettai che tutti i bambini fossero nella Sala Comune.
«Benvenuti nella Sala Comune di Grifondoro!» esclamai, con un gran sorriso. Gli studenti più grandi rimasti applaudirono e fischiarono il loro benvenuto. I ragazzini del primo anno arrossirono. «Immagino che siate stanchi, perciò vi indico subito i vostri dormitori. Quella» e indicai una delle due scale gemelle «E’ la scala che porta ai dormitori femminili. Mentre quella, ovviamente,» indicai l’altra «è quella dei dormitori maschili. Troverete i vostri effetti personali già in camera. Potete andare. Buonanotte!» i ragazzini salutarono e andarono nelle rispettive camere.
Era quasi giunta l’ora di affrontare le ragazze, ma prima avevo un’altra cosa da fare. Vagai con lo sguardo e trovai chi stavo cercando. Mi avvicinai a passo spedito.
«Remus, ti posso parlare?» domandai, una volta raggiunti i Quattro. Il tono della mia voce era volutamente arrabbiato, ma l’idea non era quella di rimproverare Remus per avermi lasciato con due Prefetti e un branco di bambini.
«S-sì, certo…» mi disse titubante, mentre si alzava, lanciava uno sguardo agli amici e mi seguiva lontano da orecchie indiscrete. «Lo so che non avrei dovuto lasciarti lì, mi dispiace.» esordì, prima ancora che potessi dire qualcosa.
«Non è per questo che ti ho chiesto di parlare…» risposi io con un ghigno «Cioè i due nuovi sono degli incapaci, ma non importa…»
«Allora di cosa? Hai parlato con le ragazze?» chiese sollevato, evidentemente un po’ si sentiva in colpa.
«No, ma ho parlato con i ragazzini. E stanotte ho bisogno di entrare nel vostro dormitorio.»
Remus sgranò gli occhi sorpreso. «E-entrare nel nostro dormitorio?»
Io annuii con fare solenne. «Voglio farla pagare a Potter per aver intimorito i bambini.» spiegai.
«E perché me lo stai dicendo?» domandò con un sorrisetto divertito.
«Perché voglio sapere quante probabilità ho di entrare senza svegliare gli altri tre, ammesso che tu voglia permettermi di farlo…»
Rise apertamente e di gusto. «Voglio proprio vederla questa…» commentò «Ne hai molte, di probabilità… Quei tre dormono come ghiri, non li svegliano neanche le cannonate…»
«Arriverò quando sono certa che tutti dormano.» lo informai.
«No, aspetta… Noi andiamo a dormire tardi… Aspettami in Sala Comune, verso le due e mezza, ti vengo a avvisare quando dormono profondamente.»
«Ok, grazie…» dissi io raggiante.
«Cosa farai?» mi domandò curioso.
«Oh, lo vedrai, Remus… Lo vedrai…» dissi e con il pensiero della mia piccola vendetta, mi allontanai da lui e salii verso il mio dormitorio.
Le ragazze si stavano cambiando e mi salutarono allegre quando entrai. Decisi di prendere ancora un po’ di tempo, così andai in bagno a prepararmi per la notte. Quando tornai, in pigiama, mi sedetti sul letto e le osservai. Stavano finendo di preparare i vestiti per il giorno dopo e ancora non capivo come potessero essere così tranquille.
«Come fate?!» domandai alla fine, non potendomi più trattenere. Si bloccarono e si voltarono perplesse verso di me.
«Come facciamo cosa, Lil?» chiese Elinor perplessa. Sembrava sincera.
«Giusto…» dissi, sentendo la rabbia tornare «Voi magari avete avuto tempo di smaltire la notizia… In fondo è passata già una settimana…»
«Cosa stai dicendo, Lily? Smaltire cosa?» chiese Mary.
No, era troppo. «Posso capire che non mi abbiate detto nulla, anche se mi fa arrabbiare, ma non posso accettare che mi prendiate così in giro! Che facciate finta di nulla!» urlai.
«Lily…»
«Cosa c’è? Credete che sia pazza, ora?»
«No, Lil… Ma non capiamo cosa stai dicendo…» disse Alice. Ma avevano fatto il lavaggio del cervello a tutte? Intanto sentii le lacrime, amare e tristi, scendere silenziose sulle mie guance.
«Avete per caso letto la Gazzetta di oggi? Oppure il fatto che voi lo sapevate già vi esulava dal leggerla e magari dall’avvertirmi un po’ prima, invece che farmelo sapere dai giornali? Non credete che avrei voluto esserci? Aiutarla? Che c’è, non ho il sangue abbastanza pulito per partecipare al dolore della mia migliore amica?»
Elinor sembrò capire e sbiancò. Guardò colpevole le altre, che pian piano si accorsero di quello che avevo detto.
«Sarah…» mormorò Alice, abbassando lo sguardo. Vidi scintillare una lacrima sul suo viso. Non aveva chiamato la ragazza, ma capito a cosa mi riferivo.
«Già…» dissi, sempre più arrabbiata. Volevo spiegazioni!
«Scusami…» disse una voce, spezzata dalle lacrime. Era la sincerità fatta persona, ma era anche l’unica persona con cui non ce l’avevo: Sarah. La mia reazione fu istintiva e immediata. Corsi al suo letto e la abbracciai.
«Non sono arrabbiata con te…» sussurrai, mentre entrambe piangevamo. «Ti capisco… Solo che mi sento in colpa. Io non ti ho scritto negli ultimi giorni, non ti ho chiesto nulla… Mi divertivo…» dissi l’ultima parola come fosse il peccato più grande e per me lo era. Sarah scosse il capo nel tentativo di consolarmi. Lei che consolava me? C’era qualcosa di sbagliato.
«Mi dispiace, Sarah, mi dispiace così tanto! Deve essere terribile per te! Oh Sarah!»
Sarah annuì appoggiata alla mia spalla ed io la strinsi un po’ di più: era tutto quello che potevo fare.
«Lily ci dispiace… Noi… Ci siamo dimenticate…» disse Alice. Ah beh, belle amiche… Ma cos’altro potevo aspettarmi? Fino a pochi mesi prima non ero forse convinta di avere ottimo amico, migliore del quale non se ne potessero trovare? Perché, in fondo, doveva essere diverso con le altre?
«Non importa…» dissi, chiudendo l’argomento. Mi ero appena resa conto che la ferita provocata da Severus non solo era ancora aperta, ma sanguinava copiosamente. Mi aveva fatto perdere la fiducia negli altri.
Abbracciai Sarah ancora per qualche istante, poi mi allontanai.
«E’ meglio se ora ci riposiamo tutte… Sono state giornate dure.» sospirai. «Sarah, vuoi che ti prepari una pozione per dormire?»
«Me l’ha già data Madama Chips, ma magari domani, non mi va di andare sempre da lei…»
Annuii e mi coricai. In pochi minuti, anche loro lo fecero e dopo un po’ capii che si erano addormentate. Io riflettevo invece su quanto cinica fossi diventata, senza rendermene conto, per colpa di Severus. Magari le ragazze erano troppo prese dalle loro vite per ricordarsi di me, non dovevo pensare che non mi avevano avvisato perché ero diversa da loro…perché ero Nata Babbana. Non mi accorsi del tempo che passava, persa in quei miei pensieri lugubri. Quando iniziai a volermi scrollare dalla mente tutta quella tensione, mi alzai silenziosamente e uscii. Solo in quel momento ricordai dello scherzo che stavo progettando e mi rincuorai di avere altro cui pensare. Raggiunsi una delle poltrone vicino al fuoco e con un gesto della bacchetta lo riaccesi, così da scaldarmi.
Remus arrivò esattamente un’ora dopo. Non ero spazientita, anzi quel tempo mi era servito per pianificare meglio la mia piccola vendetta. Lo guardai scendere le scale del suo dormitorio, con un sorriso dipinto sulle labbra, pronta a mettere in pratica il mio piano.
«Più addormentati di così, non possono essere… Se vuoi seguirmi…» disse Remus con un ghigno identico al mio.
«Non è che mi tendete una trappola?» domandai, dopo tutti quei pensieri sul fidarmi o meno delle persone, beh non avevo intenzione di mettere in pratica le mie teorie con James Potter.
«No, tranquilla! Questa volta non sarò suo complice ma tuo… Voglio davvero vedere cosa combinerai… E dopo lo scherzo ai Serpeverde dell’anno scorso, ho anche un po’ paura…» risse sommessamente, per non far rumore. Stavamo salendo le scale del loro dormitorio.
«Fai bene… E presto ne avrà anche lui, fidati di me.»
«Non fargli troppo male, ok?! E’ pur sempre il mio migliore amico…ma lo odio quando si lamenta!»
Fu il mio turno di ridere. Eravamo davanti alla porta del loro dormitorio. Quando tornai seria, feci cenno a Remus che la aprì delicatamente, quel tanto che bastava per far passare le nostre due figure. Mi guardai intorno, ma con il buio non vedevo quasi nulla, solo quello che la luna mi permetteva. Distinsi il profilo di Remus che indicava il letto sulla destra. Lo ringraziai con un cenno del capo e mi ci avvicinai. L’adrenalina e il divertimento erano al loro massimo. Puntai la bacchetta contro Potter, che stravaccato nel letto, le braccia e le gambe aperte, senza coperta e mormorai l’Incantesimo talmente piano che nessuno poté udirmi, neanche Remus. Ebbi per un momento paura che la luce sprigionata dalla bacchetta potesse svegliare gli altri, ma non ne sembrarono minimamente infastiditi, meglio per me…
Ammirai il risultato – per quanto me lo permetteva la luce – e con un sorriso che probabilmente mi andava da orecchio a orecchio, posai sul comodino, sotto gli occhiali di Potter, un piccolo pezzo di pergamena su cui erano scritte soltanto due lettere: L.E. L’avrebbe capito che ero stata io?! Chissà…
Salutai Remus, che intanto si era rimesso a letto, con la mano e il più silenziosamente possibile uscii dalla loro stanza per fare ritorno nella mia. Soffocai le risate con cuscino, dovetti cacciarmi quasi tutta la mano in bocca per non emettere un suono. Mentre mi rigiravo nel letto, sbattei con la fronte contro il comodino e cercai di non gemere di dolore. Qualcosa però mi era caduto sul viso e, quando lo toccai, mi resi conto che era un foglietto. Cercai a tentoni la bacchetta, tirai le coperte fin sopra la testa e la accesi. Sbattei le palpebre più volte, mentre il cuore galoppava e avevo fretta che gli occhi si abituassero alla luce. Quando mi fu possibile lessi le poche parole vergate con inchiostro nero.

Andrà tutto bene.
Io ti amo.


Quelle due frasi, tre parole ciascuna, basto a rincuorarmi. Strinsi il foglietto a me, come se potessi stringere la persona che l’aveva scritto e decisi che era ora di dormire… In fondo, domani sarebbe stato un giorno memorabile…



Note: piccola nota sul foglietto che Lily lascia a James, ho giocato un pochino sulle iniziali della ragazza, facendole chiedere se James avrebbe mai capito... Ma noi sappiamo che James era talmente fissato con quelle lettere che ai G.U.F.O. aveva tappezzato un'intera pergamena no?! XD
Spiegazione del titolo, "parte 2" perché c'è la spiegazione della mancanza di informazioni da parte delle ragazze, ma anche per lo stato d'animo di Lily. In questo momento lei si sente praticamente sola, senza sapere se può fidarsi ancora di quelli che chiama amici. Ha paura, almeno fin quando non legge il bigliettino del misterioso fidanzato ^^
Se ci sono errori di battitura passatemeli, è tardi e non sono del tutto lucida XD
Ringraziamenti: di nuovo i miei ringraziamenti a tutti quelli che hanno letto, messo tra preferiti e seguite e soprattutto a Ella_Sella_Lella, Sakura03, hermy101 e hyde. A Sakura, non posso rispondere sulla domanda se Remus ama Lily per ovvie ragioni XD Per il resto ti ringrazio per le tue note, avevo immaginato che Remus fosse Mezzosangue (anche se mi piace pensare di no XD), per questo nella storia non c'è un vero cenno a entrambi i genitori, ma viene nominata solo la madre, nel rapporto di parentela con i genitori di Sarah. Perciò decreto che in questa storia, la mamma di Remus è una strega XD
Nel prossimo capitolo scoprirete qual è lo scherzo di Lily... :P

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Capitolo 19
*** Smascherati ***


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= Smascherati =

Il giorno dopo, mi svegliai con il sorriso sulle labbra e quel pezzetto di carta ancora stretto al petto. Avevo la sensazione che quello sarebbe stato il più bel primo giorno di scuola di tutti e sei gli anni. Era come se avessi bevuto un calderone intero di Felix Felicis. Mi alzai dal letto e mi vestii pregustandomi il divertimento della giornata. Avevo anche deciso di accantonare la questione “Scusaci Lily ci siamo dimenticate di te” perché in fondo ce l’avevo con me stessa, non con loro, o meglio ce l’avevo anche con loro, ma molto più con me stessa perciò le cose si equilibravano da sole, senza dover tenere musi inutili. Ero sicura che prima o poi tutto si sarebbe risolto. L’aveva detto anche lui, no? E io gli credevo.
Perciò scesi a colazione con le altre, la Sala Comune era straordinariamente già vuota, indice, secondo me, che la voce si era già diffusa. E, infatti, una volta giunti in Sala Grande, vedemmo le prime avvisaglie di qualcosa di strano – non per me, io sapevo esattamente cosa fosse successo. Tutti confabulavano con tutti, c’erano ragazzini che correvano da un gruppetto all’altro o addirittura da un tavolo all’altro per raccogliere più informazioni possibili.
«Ma cosa sta succedendo?» domandò Alice, mano nella mano con Frank, anche lui perplesso.
«Vedete cosa significa alzarci sempre tardi?!» esclamò Mary in risposta «Siamo sempre le ultime a scoprire le notizie…»
«Se stiamo qui impalate, non sapremo un accidenti di niente, ragazze…» disse Elinor con una risatina. Aveva ragione però, perciò andammo verso il tavolo, ai soliti posti che da sei anni a colazione erano nostri. Io tesi le orecchie per cercare di capire se le voci di corridoio avevano già scoperto il mio nome, ma non sentii nessun “Lily Evans” pronunciato da nessuna bocca.
Percorrendo il tavolo notai che una persona mancava. James Potter non era a colazione, ma c’erano solo i tre amici che ridevano tra loro o rispondevano alle domande dei molti preoccupati per il loro beniamino. «Lo vedrete a lezione, dopo…» disse in quel momento Black, in risposta a una bimba del secondo con gli occhi sognanti. Un ghigno soddisfatto mi spuntò sulle labbra, prima che potessi impedirmelo. Remus mi vide e fece una finta espressione terrorizzata, poi mi salutò con un sorriso complice. Ero al sesto cielo, il settimo l’avrei raggiunto quando avrei visto Potter.
«Lily, sembri contenta…» disse Elinor con un sorrisetto, mentre prendevamo posto.
«Oh… Lo sono, lo sono!» esclamai io, quando tutti fummo seduti.
«E perché mai?» chiese Mary tra lo sconcertato e il divertito.
«Perché per la prima volta in sei anni, a colazione, James Potter non mi chiederà di uscire…!» dissi con allegria, indicando con un cenno del capo il posto vuoto lasciato dal Grifondoro.
Le ragazze scoppiarono a ridere, compresa Sarah, anche se la sua risata non accese gli occhi.
«Credete che sia per la sua assenza tutta questa agitazione?» domandò Alice, guardandosi intorno, ancora gli studenti continuavano a scambiarsi sussurri e bisbigli.
«Oh per piacere!» feci io, falsamente esasperata «Neanche Sono-Il-Magnifico-Potter può smuovere così la scuola intera!» “però uno scherzo ai suoi danni, forse sì…” aggiunsi mentalmente.
«Allora per che cos’è?» insistette Mary.
«Perché è il primo giorno di scuola e in molti non si vedono da tutta l’estate… Come noi, d’altronde…» disse Elinor scrollando le spalle. La benedissi mentalmente, aveva deviato l’argomento così non avrei più dovuto fingere di non sapere nulla e trattenermi dallo scoppiare a ridere in faccia alle ragazze.
«Sì, può essere…» rispose Mary, ancora poco convinta.
«Beh, cos’avete fatto quest’estate?» chiese Elinor e così fummo catapultati nel racconto dettagliato delle nostre vacanze, cercando però di non toccare il tasto “genitori di Sarah”. Persino lei raccontò delle sue vacanze in Irlanda, con un sorriso sulle labbra, ma con gli occhi pieni di lacrime. Noi la lasciammo parlare, capendo che ne aveva bisogno, ma pronte a interrompere se avessimo visto che non avrebbe potuto continuare. Alice ci “riassunse” nel dettaglio ogni singolo giorno trascorso con Frank, ogni cosa che avevano fatto e quelle che si erano ripromessi di fare l’anno dopo. Mary invece, decise di tirare su il morale raccontando di mia sorella. Ed in effetti più di una volta scoppiai a ridere anche io.
«La mamma di Lily è una cuoca eccezionale…» disse a un certo punto «Un giorno dovresti invitarci tutti da te, Lil…»
«Sì, certo… Sarebbe la volta buona per far impazzire Petunia!» esclamai io, facendole ridere.
I piatti si svuotarono poco dopo e la McGranitt, con il suo passo svelto, iniziò a distribuire gli orari ai ragazzi degli altri anni. Lasciò quelli del sesto per ultimi, perché ogni studente doveva avere un orario personalizzato, dicendo alla prof quali materie avrebbe voluto continuare a seguire, compatibilmente con i requisiti dei professori e i propri voti ai G.U.F.O.
Quando si fermò davanti a me, aveva assunto la sua classica espressione severa, che a dirla tutta un po’ mi spaventò. Era delusa del mio voto in Trasfigurazione? Non mi avrebbe permesso di continuare? Eppure ero quasi sicura che Oltre Ogni Previsione andasse bene per lei…
«Signorina Evans, sperò che lei voglia tenere alto il buon nome di Grifondoro e continuare in tutte le materie. I suoi G.U.F.O. glielo permettono.»
«Anche in Trasfigurazione?» domandai, distogliendo lo sguardo.
«Soprattutto in trasfigurazione! Non so cosa le sia preso all’esame, ma conosco le sue potenzialità e voglio che lei continui e dia il massimo.»
«Certo…» dissi io, deglutendo a fatica «Grazie, professoressa.» borbottai.
«Ecco l’orario…» disse porgendomi il foglio. Le ragazze trattenevano una risata e quando le guardai male scoppiarono a ridere. Ma in quel momento la professoressa aveva raggiunto i Quattro-Meno-Uno e cercai di sentire quello che diceva.
«Signor Lupin, dov’è Potter?» domandò. Remus sfuggì al suo sguardo e per una frazione di secondo incontrò il mio, poi tornò a rispondere alla professoressa.
«Non si sentiva molto bene, perciò è andato in Infermeria, ma ha detto di dirle che vuole continuare con tutti i corsi.»
«Bene. Ecco i vostri orari allora. Voglio vederlo a lezione, oggi, se no può dire addio al suo M.A.G.O. in Trasfigurazione.» disse severa e Remus annuì. Era perfetto. Potter non avrebbe potuto sottrarsi a un ordine così diretto della McGranitt.
«Un’ora buca! Fantastico!» esclamò Frank. Io guardai il mio orario e con orrore scoprii di essere in ritardo per la lezione di Aritmanzia. Mi alzai di scatto e biascicai un “io non ce l’ho” mentre stavo già correndo verso l’uscita e verso l’aula.
Per mia fortuna, i corridoi erano già quasi deserti, tutti gli altri studenti erano già entrati nelle aule o stavano per farlo. Arrivai in classe giusto in tempo. Un secondo dopo che mi fui seduta, il professore iniziò la lezione.
Per vedere Potter la scuola dovette aspettare fino al tardo pomeriggio, all’ultima lezione del sesto anno: Trasfigurazione.
Arrivò in ritardo, ma per una volta lo fece apposta, per evitare il via vai dei ragazzini nei corridoi. Arrivò alla porta, bussò, aprì uno spiraglio quando la professoressa gli diede “l’avanti”, ma non entrò. Chiese alla McGranitt di avvicinarsi e si scambiarono qualche parola sussurrata che nessuno di noi riuscì a capire. Mi voltai infuriata verso Remus e vidi che scrollava le spalle in un gesto sincero. Cosa stava architettando quel Potter?!
La McGranitt annuì a qualcosa che gli era stato detto e tornò verso la cattedra, poi fece un cenno a Potter di entrare. Dovemmo attendere qualche altro interminabile secondo prima che facesse il suo ingresso. Non lo riconobbi neanche, aveva il volto completamente coperto, la sciarpa era tirata fin sotto gli occhi, coperti da un paio di enormi occhiali da sole e il cappuccio del mantello calato sulla fronte. Fui talmente arrabbiata che battei il pugno sul banco, in segno di resa, ma il mio cervello già lavorava per smascherarlo, letteralmente.
In fondo non ci voleva molto, un Incantesimo ben piazzato e l’avrei lasciato persino in mutande…
«Avanti siediti, Potter. Siamo già in ritardo…» disse la McGranitt e lui sfilò fino al primo banco. Sentii il suo sguardo addosso, anche se non potevo vedere se era realmente così. Probabilmente aveva capito che ero stata io… Ma ancora non sapeva cosa lo aspettava. Mai mettersi contro Lily Evans, mai!
Feci fatica a seguire la lezione, ma tanto la metà del tempo la McGranitt tentò di impaurirci – e in alcuni casi ci riuscì – con la minaccia dei M.A.G.O. a suo avviso incombenti, a mio un po’ meno… Risultai comunque la migliore della classe, anche se la trasfigurazione del mio topo non fu eccezionale, anzi tutto il contrario…in condizioni normali avrei fatto sicuramente meglio, ma avevo troppi pensieri per la testa.
Il trillo della campanella mi fece sussultare. Era il momento!
La classe iniziò ad alzarsi, uscendo ordinatamente e in silenzio, era sempre così finché ad imperare c’era la McGranitt. Parte prima, in azione.
«James!» esclamai, ad alta voce. Tutti si voltarono, lui compreso. Contavo sul fatto che nonostante, probabilmente, fosse arrabbiato con me, sentirsi chiamare per nome l’avrebbe fatto voltare, perché io non lo chiamavo mai per nome. Funzionò. Parte seconda, quindi.
«Va tutto bene?» domandai, mentre lui si guardava in giro per capire chi l’avesse chiamato. Nella confusione, agitai la bacchetta sotto il banco in modo da fargli cadere tutte le cose che gli coprivano il volto. Non rimasi a guardare però, mi alzai e uscii di fretta, sentendo soltanto una poderosa risata alle mie spalle. Aveva funzionato anche quella parte. Ero soddisfatta di me stessa, ero riuscita anche nelle difficoltà e attraverso gli ostacoli a perpetrare la mia vendetta e tra l’altro non avevo fatto nulla che infrangesse le regole…più o meno…
Stavo salendo alla Torre di Grifondoro, quando sentii una voce alle spalle, che mi spaventò tanto era arrabbiata. «Evans!» mi chiamò.
Mi voltai e lo ritrovai più vicino di quanto mi aspettassi. Non aveva più sciarpa, occhiali e cappuccio a coprirgli il viso, perciò la mia opera era lì in bella vista e non potei fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia. Era tutto il giorno, anzi dalla sera prima che trattenevo quella risata e, nonostante fosse arrabbiato, non potei farne a meno. Più lo guardavo e più era divertente. La sua faccia era a strisce verdi e argento e una scritta magica, brillava a intermittenza, come luci di Natale, sulla fronte e sulle guance a formare le parole “Io amo Serpeverde”. Era uno spettacolo unico e sapere che ero stata io, mi faceva ancor più morire dal ridere.
«Oh no, Potter… Non esco con te…» dissi, senza fiato, mentre mi abbracciavo la pancia ed ero piegata in due. «Non esco con quelli fidanzati… E tu… Beh… Sei impegnato con una Casa intera!» e risi ancora, ma al tempo stesso cercai di voltarmi e di allontanarmi. Pochi passi e riuscii a riprendere fiato e raddrizzarmi. Avevo il respiro affannato e cercavo di non pensare alla faccia di Potter per non scoppiare di nuovo a ridere.
Sentii un movimento alle spalle e con la coda dell’occhio vidi qualcosa teso verso di me e allo stesso tempo Potter mi chiamava con rabbia a stento trattenuta.
«Evans…»
Mi voltai, anche se non ne avevo intenzione e vidi che la cosa tesa era il braccio tremante di Potter che reggeva, puntata verso di me, la bacchetta altrettanto tremante. Inorridii.
«Vigliacco. Dovevano scriverti “vigliacco” non “Io amo Serpeverde”. Solo un vigliacco punta la bacchetta alle spalle di un mago.» sibilai, disgustata.
«Sei stata tu…» disse ignorando le mie parole.
«Ah sì? E come lo sai?» domandai di rimando, anch’io arrabbiata: non si punta la bacchetta alle spalle di una persona, solo i codardi e i malvagi lo fanno… Gente come Severus…
«Grazie a questo…» sventolò in aria il bigliettino di pergamena, poi lo fermò e me lo fece vedere chiaramente «“L.E.” c’è scritto…»
«E quindi la tua testa bacata ha pensato che sono stata io, solo perché le iniziali coincidono?! Sai quanti L.E. ci sono in tutta Hogwarts?»
«E’ successo di notte. Sei stata tu.»
«Di notte?» chiesi, fingendo di non sapere nulla e grazie alla rabbia riuscii a farlo «Bene, allora sai quanti Grifondoro ci sono, le cui iniziali sono L.E.? Ammesso e non concesso che sia stato un Grifondoro e non uno studente di un’altra Casa che conosce la parola d’ordine.»
«No, non lo so. Ma so che sei stata tu…» rispose, senza abbassare la bacchetta.
«Non hai alcuna prova che sia stata io, Potter. E adesso abbassa la bacchetta prima che mi ricordi di essere un Prefetto e decida di punirti…»
«Solo se sciogli quest’Incantesimo, Evans. Tu l’hai fatto, tu lo sciogli.» tremò di più, nel tentativo evidente di trattenersi.
«Potter. Abbassa. La. Bacchetta.» sillabai, ma ancora una volta non ottenni nulla.
«Ti ho detto di sciogliere quest’incantesimo.»
«Altrimenti?»
«Non scherzare con me, Evans. Toglimi dalla faccia questa roba, subito.»
«Non sono un’Infermiera, Potter, vai da Madama Chips!» forse dissi la cosa sbagliata, vidi un lampo di rabbia passare nei suoi occhi e poi esplose.
«Credi che non l’abbia fatto? Sono stato tutta la mattina da lei. Ma non è riuscita a trovare un solo rimedio. Ha detto che solo un eccezionale mago o strega avrebbe potuto fare un lavoro del genere. Sta cercando una pozione nel Reparto Proibito e ha contattato anche il San Mungo. Ha detto che ci vorranno giorni. Perciò, Evans, tu ora mi farai il favore di cancellare subito quest’Incantesimo.»
«Non sono in grado Potter. Non sono stata io.» dissi scrollando le spalle. Non avevo intenzione di cedere così facilmente. Era una vendetta per tutti gli anni in cui aveva tormentato ogni studente gli capitasse a tiro, per aver spaventato i primini nel giorno che sarebbe dovuto essere una splendida festa e per avermi tormentata per tutto il tempo, negli ultimi cinque anni.
«Sto perdendo la pazienza, Evans.»
«Oh, benvenuto nel club. Io l’ho persa da anni, ormai.» risi amaramente e mi distrassi un attimo perciò non notai che Potter stava per agitare la bacchetta e non feci in tempo a evitare il getto di luce che mi colpì in pieno petto e mi fece indietreggiare senza fiato. Sgranai gli occhi e lo guardai, stupita e amareggiata. Non pensavo l’avrebbe mai fatto. Un flash mi passò nella mente, rapido e agghiacciante. Un pomeriggio di giugno, nel pieno degli esami del G.U.F.O., un paio di parole, urlate al mondo. “Piccola schifosa Mezzosangue”, aveva detto. Non mi sarei mai aspettata che lo dicesse, proprio come in quel momento mai avrei pensato che Potter potesse lanciarmi contro un Incantesimo. Sentii gli occhi bruciare, per lacrime di rabbia e tristezza. Sentivo la ferita lasciata da Severus più aperta che mai, ora che si aggiungeva quest’altra certezza crollata.
Estrassi lentamente la bacchetta dalla veste e l’agitai puntandola in faccia a Potter e rompendo l’Incantesimo e ridandogli l’aspetto normale.
«Ora sarai contento…» dissi senza nemmeno più l’ombra di un’emozione nella voce, mi sentivo svuotata e trattenevo il pianto. «Ho sciolto quello stupido Incantesimo, così puoi tornare a essere il Magnifico Potter, ma almeno sai cos’hanno provato tutti quelli che hai umiliato in tutti questi anni…»
Rimasi in silenzio ad attendere la sua risposta, una mano premeva sulla gabbia toracica, ancora dolorante. Mi aveva rotto una costola?! La sua bacchetta tremolò e si abbassò lungo il fianco. Così come si abbassò il suo sguardo, quasi avesse capito cos’aveva fatto.
«Prova ancora a minacciarmi con una bacchetta, Potter, e giuro su quanto mi è più caro che ti affatturerò in modo tale che neanche Silente riuscirà ad aiutarti.»
Mi voltai e mi allontanai zoppicando per il dolore che muovere i passi mi procurava. Ma non avevo intenzione di andare da Madama Chips, avevo bisogno di stare da sola, dove nessuno poteva trovarmi.
«Avevo ragione io, comunque…» dissi, il mio tono non era alto, ma il silenzio fece risuonare la mia voce come se stessi parlando al microfono «Sei uguale a loro.»
Andai via, senza curarmi di Potter, che non provò neanche a seguirmi. Andavo dove i piedi mi conducevano e non feci caso ai corridoi che prendevo. Fu così che mi ritrovai nell’ala abbandonata del quarto piano, forse perché era stata anche il mio dormitorio negli ultimi tempi dell’anno appena trascorso. Andai nella solita vecchia aula e mi sedetti nell’angolo più lontano dalla porta, senza preoccuparmi di accendere la bacchetta per farmi luce. Mi rannicchiai, occupando meno spazio possibile, tenendo strette le ginocchia al petto e appoggiandovi la fronte per nascondere alla mia vista il resto del mondo, ignorando il dolore allo stomaco. Fu allora che mi concessi di piangere. Che cosa stava succedendo? Tutto il mondo stava cadendo a pezzi, ogni certezza si stava disintegrando. Quale sarebbe stata la prossima? Mi avrebbero detto che ero stata adottata ancora in fasce? Oppure l’unica persona per cui sarei disposta a morire mi avrebbe miserabilmente lasciato? A quel pensiero piansi più forte, stringendo i pugni tanto da farmi male. Che pensieri andavo facendo? Quello non sarebbe mai successo. Ma anche le altre cose non le credevo possibili, eppure erano accadute…
Ero disperata. Non avrei potuto iniziare l’anno in modo peggiore… E pensare che doveva essere un giorno memorabile…
Non so per quanto rimasi a fare pensieri assurdi e deprimenti, ma a un certo punto i miei occhi si chiusero, forse per la stanchezza, forse per la voglia di smettere di pensare, forse per quella di non vedere più nulla, ma caddi in un sonno senza sogni.
«Lily… Lily!» sentii una voce apprensiva chiamarmi, ma non volevo svegliarmi e tornare alla realtà…
«Lily, apri gli occhi per piacere…» il suo tono fu talmente implorante che non potei non ubbidire. Sbattei le palpebre accecata dalla foca luce di una bacchetta. Sentii il sospiro di sollievo al mio fianco, quando aveva visto che aprivo gli occhi e quando la mia vista si fu abituata, mi voltai verso di lui.
«Non sapevo più dove cercarti… Ho girato tutta la scuola e per un attimo ho creduto che fossi scappata via. Ma poi mi è venuto in mente questo posto… Per fortuna stai bene…»
«Sì, tutto a posto…» dissi con un filo di voce.
«Perché sei venuta qui?»
«Avevo bisogno di stare da sola…» dissi e mi sciolsi da quella posizione che avevo tenuto anche nel sonno. Mi sfuggì un gemito di dolore e la mia mano premette sul punto dolente.
«Ti sei fatta male?» mi domandò, di nuovo preoccupato.
«No tutto ok…» ma di nuovo m prese una fitta e non riuscii a dissimularla.
«Fa vedere…» e senza aspettare, alzò la tunica per scoprire un grosso livido violaceo.
«Questa è magia!» esclamò, riconoscendo il segno «Chi è stato?»
«Non importa, domani passerà…» dissi. Perché mai coprivo Potter?
«Dimmi chi è stato, Lily…»
«Potter, ma non voglio che tu faccia niente… Ho già aggiustato le cose…» dissi con tono che non ammetteva repliche.
Sospirò. «Va bene, ma ti porto da Madama Chips…» sussurrò e si allontanò un pochino da me per alzarsi.
«No!» esclamai trattenendolo. «Stiamo qui… Io e te, soli…» quasi lo supplicai e lui acconsentì.
Mi accoccolai sul suo petto e lui mi strinse dolcemente a sé.
«Raccontami…» domandò, ma senza pretese. Però lo feci, gli raccontai dello scherzo – e rise perché si era aspettato che fossi stata io –, di quando avevo fatto crollare la “maschera” a Potter ed esposto a tutta la classe la mia opera – non che la maggior parte non l’avesse già vista, mi disse che tutta la scuola sapeva – poi della lite nel corridoio e di come mi ero ritrovata lì a fare pensieri pessimisti e poi mi ero finalmente addormentata. Fu una liberazione e mi diedi della scema da sola, più volte, per quello che avevo pensato. Con lui accanto, riuscivo a rimettere nella giusta prospettiva ogni cosa e il mondo tornava a essere normale, non quel posto infernale che avevo immaginato. Dopo il racconto, sfinita, mi addormentai di nuovo e lui rimase lì insieme a me. Era il segno che ancora una certezza nella mia vita c’era.



Note: Note sul capitolo, ora non ne ho... XD Devo solo precisare una cosa... Non sono sadica e non mi piace far succedere cose brutte XD Però sono necessarie per il seguito della storia... Perdonatemi se vi sembro crudele XD
Ringraziamenti: Allora ringrazio in particolar modo Ella_Sella_Lella, Sakura03, hermy101, hyde e Dark Lord per le loro recensioni e ancora una volta non posso rispondere alle vostre domande, mi dispiace XD Ovviamente ringrazio anche tutti gli altri!

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Capitolo 20
*** Aghi! ***


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= Aghi! =

Un dolore acuto, da farmi quasi urlare, mi svegliò al posto della solita sveglia. Mi ero rigirata nel sonno probabilmente e così facendo mi procurai dolore al fianco. Eravamo ancora abbracciati e il mio movimento l’aveva svegliato. Purtroppo per me si era anche accorto del mio dolore, perciò sciolse dolcemente l’abbraccio e si alzò in piedi.
«Ora ti porto in Infermeria!» esclamò e prima che riuscissi a fare qualsiasi cosa mi aveva preso in braccio e mi trasportava fuori. Eravamo quasi sul corridoio del quarto piano quando riuscii a farlo ragionare.
«Fermati! Fermati!» gli ripetei per l’ennesima volta «E se ci vedessero? Come la mettiamo?»
«Credi davvero che in questo momento possa interessarmi?» mi domandò, senza cadere nella mia “trappola”.
«Tre anni mandati a rotoli, quindi… C’è tutta la scuola per i corridoi adesso, sarà impossibile che non ci vedano… Ti prego, mettimi giù…»
«Lily, non tirare troppo la corda… Ti ho promesso che non farò nulla a Potter… Ora non chiedermi di non farti neanche curare… Per piacere…»
«Andrò da sola da Madama Chips.» dissi io fermamente.
«Come se non ti conoscessi… Tu hai più paura dei Guaritori che di Tu-Sai-Chi!»
«Beh è ovvio! I Guaritori hanno gli aghi!»
«No che non ce li hanno! Ora ti porto da Madama Chips…» ripeté e quando allungò una mano per far ruotare la maniglia, colsi l’attimo per scendere dalle sue braccia e scappare, oltre la porta. Avevo avuto ragione, gli studenti erano nei corridoi, chi andava a colazione, chi aveva finito in anticipo e andava verso le aule. Riuscii a mescolarmi tra la folla, ma ad ogni passo sentivo il dolore crescere. Zoppicavo, persino, ma non cambiava nulla. Non ero arrabbiata con Potter per quello che aveva fatto, il vuoto emotivo che avevo provato di fronte a lui, al crollo dell’ennesima certezza era tornato dopo lo sfogo in lacrime che avevo avuto nell’ala abbandonata. Adesso ero pronta ad andare avanti, facendomene una ragione e in fondo non potevo dargli torto, probabilmente avrei reagito anch’io come lui, se fosse capitata a me una cosa del genere. Questo non significava che sarei andata da lui a scusarmi per lo scherzo, né che non avrei gradito le sue scuse, ma se la situazione rimaneva statica, non sarebbe cambiato nulla.
Era tardi perciò decisi di saltare colazione e andare direttamente in aula, anche perché c’erano più possibilità di seminarlo. Sapevo che mi avrebbe seguita, se mi avesse ritrovata in mezzo alla folla e sarebbe stato capace di prendermi di peso in mezzo a tutti, pur di portarmi da Madama Chips e io non avevo nessuna intenzione di andarci per poi mentire dicendo che ero caduta dalle scale, come una stupida… Di certo non le avrei mai detto la verità. Potter sarebbe finito in guai seri e sinceramente quella era una cosa tra noi due, senza bisogno d’interventi esterni, soprattutto di professori… Anche se c’era da ammetterlo, mi faceva un male cane…! E per giunta non avevo imparato ancora l’orario, con tutte le cose successe il giorno prima, quindi non sapevo dove andare.
Mi guardai intorno per cercare qualche compagno del sesto anno, ma non ne vidi uno… Ero così in ritardo?! E… dov’era la mia tracolla?! Non l’avevo mica… Non era possibile… L’avevo lasciata nell’aula abbandonata… Non sarei tornata indietro per nessuna ragione al mondo. Sicuramente se ne era accorto e mi stava aspettando…
Dato che non avevo idea di dove andare, decisi di utilizzare il tempo della prima lezione, per fare i compiti che la McGranitt ci aveva assegnato, perciò m’incamminai verso la Biblioteca.
«Lily!» urlò una voce femminile preoccupata alle mie spalle. Mi fermai e fu un sollievo per il mio dolore. Mi voltai verso Mary, che mi veniva incontro e doveva avermi riconosciuta, cercando di stamparmi in faccia un’espressione serena.
«Ciao!» esclamai.
«Dove sei stata? Eravamo preoccupatissime! Sei sparita così…»
«Scusami…» dissi, ma non mi giustificai oltre, non avevo intenzione di raccontare nulla sul giorno precedente.
«Dai, va beh, non importa… Piuttosto, non vuoi andare a lezione?» mi rispose e forse cambiò discorso proprio perché aveva capito che non avevo voglia di parlare.
«Sì, ma ho dimenticato la cartella in qualche corridoio e non ricordo ancora l’orario a memoria… Cos’abbiamo ora?» domandai, ben lieta di non dovere altre spiegazioni.
«Incantesimi…poi Pozioni…» disse l’ultima parola con cautela, ma io sbiancai lo stesso. Pozioni? La lezione a stretto contatto con i Serpeverde? La prima volta che avrei passato del tempo con Severus dopo la lite. Non ero pronta.
«Concentriamoci su una cosa alla volta… Adesso andiamo a Incantesimi, che dici?» domandò Mary, che di nuovo aveva intuito cosa mi passava per la testa, non per altro era la mia migliore amica…
«Sì… D’accordo…» dissi, poco convinta. Ci incamminammo verso l’aula, ma praticamente subito, Mary si rese conto che c’era qualcosa che non andava.
«Hai male a una gamba?» mi domandò, vedendomi zoppicare.
Io feci un sorriso colpevole e mentii «Già… Ho preso una storta ieri…»
«Sei andata in Infermeria?» mi chiese con un sorrisetto, conoscendo la mia irrazionale paura per i Guaritori.
«Il mio problema principale era trovare la lezione giusta… Poi penserò anche a curarmi… Magari dopo Pozioni, chiedo a Lumacorno se posso rimanere e prepararmi un rimedio…»
La discussione si chiuse con la risata di Mary, dato che eravamo ormai davanti all’aula di Incantesimi.
La prima cosa che vidi, mentre gli ultimi ritardatari – noi – facevano il loro ingresso, fu Potter. Mi si gelò il sangue nelle vene, senza sapere esattamente perché. Gli avvenimenti del giorno prima mi avevano toccata, certo, anche ferita – nel vero senso della parola – ma non pensavo che rivederlo avrebbe rievocato le immagini dello scontro e me le avrebbe sbattute davanti come una fredda frustrata. Lui mi guardò con un’espressione che non riuscii a decifrare. Per tutta risposta, gli riservai una delle mie solite occhiate, giusto per far intendere che nulla era cambiato e poi andai a prendere posto affianco a Mary. Certo l’effetto si superiorità che volevo dare alla mia camminata fu a dir poco guastato dal mio zoppicare, ma cercai di illudermi di aver fatto comunque quella figura.
Per il resto del tempo mi concentrai sulla lezione, per evitare di tornare in quell’abisso di pensieri che mi aveva rapita la sera prima. Straordinariamente ci riuscii, la mia mente era sgombra quando la campanella suonò, ma subito tutto mi piombò nuovamente addosso quando mi alzai in piedi e sentii l’ormai consueta fitta di dolore. Trassi un profondo respiro per calmarmi. Dovevo concentrarmi su una cosa alla volta, e quella di ora era affrontare Severus. Strinsi i denti, per impedire loro di battere, improvvisamente sentivo freddo e non era solo per la temperatura che a mano a mano che scendevamo verso i sotterranei si abbassava, era un freddo interiore. Quando raggiungemmo l’aula, mi sentivo come se non ci fosse nulla intorno a me, solo il vuoto. Nessuno studente, nessun rumore, nessun banco né calderone. Mi ritrovai seduta con Mary e Elinor, senza sapere esattamente come ci ero arrivata, solo che Mary mi teneva per mano. Era quella fonte di calore inaspettata che mi aveva fatto tornare alla realtà. Sorrisi alla mia amica che mi guardava preoccupata e feci un rapido cenno del capo per farle capire che andava tutto bene.
Lumacorno entrò subito dopo e non avemmo più la possibilità di parlare.
«Amortentia!» pronunciò quell’unica parola – che fece rabbrividire alcuni – come se fosse la più preziosa del mondo. Qualcuno lo guardò perplesso, io invece avevo un sorrisetto sulle labbra. Avevo quasi dimenticato tutto il resto, come se l’Amortentia appena nominata avesse già fatto il suo effetto.
«L’Amortentia è, come ben sapete, il più potente tra i filtri d’amore.» rise, solo lui sapeva per quale motivo probabilmente. «Immagino che sappiate che si tratta di una Pozione piuttosto pericolosa. Ma oggi non credo correrete molti rischi, dovete soltanto prepararla, non berla!» disse ridendo ancora.
E così ci immergemmo della preparazione della Pozione. Mary gentilmente mise il suo libro in mezzo, dato che il mio era ancora perso nei meandri abbandonati di Hogwarts, ma io conoscevo piuttosto bene gli ingredienti, perciò non era necessario che seguissi riga per riga le istruzioni. Fu un sollievo, era quello che ci voleva, concentrarmi su qualcosa di piacevole. E poi l’odore che assumeva per me l’Amortentia aveva il potere di tranquillizzarmi. Era anche uno dei motivi per cui quella era una delle mie Pozioni preferite. Adorovavo l’odore di cioccolato fuso, pane appena sfornato e l’odore della sua pelle, non del suo profumo, ma della sua pelle… L’avevo sentito sin dalla prima volta che avevo avuto a che fare con quella Pozione e, non essendo ancora successo nulla tra noi, non l’avevo riconosciuto. Quando poi me ne resi conto, lo considerai un segno del destino…
Stavo osservando il caratteristico fumo a spirale salire dal calderone, mentre mi beavo di quell’odore, quando un fruscio mi distrasse e mi fece distogliere lo sguardo. Un foglietto di pergamena era atterrato sul mio banco, impossibile da vedere se non da me. Mi abbassai a raccoglierlo e a leggerlo.

Vai da Madama Chips o non vedrai più la tua tracolla, né i tuoi libri!

Recitava in un ironico tentativo di ricatto. Poi proseguiva:

Non stavo scherzando… Sono preoccupato. Non ho avuto modo di controllare, ma sono certo che quel tuo livido sia peggiorato e si vede che non riesci neanche a stare in piedi.
Ti prego, vai in Infermeria… Ti giuro sul mio amore – cioè tu – che non ci sarà alcun ago…
Fallo per me…


Sembrava davvero preoccupato e doveva avermi osservato davvero bene, per notare che faticavo a stare perfettamente dritta. Non ci avevo fatto molto caso, ero troppo intenta a preparare la pozione, mi ero quasi dimenticata del dolore e non avevo neanche alzato una volta lo sguardo su di lui, sicura di aver trovato rimprovero nella sua espressione. Chissà di cosa sapeva la sua pozione… Da quel momento la lezione passò fin troppo in fretta e Lumacorno si sciolse nei soliti complimenti, dato che la mia pozione risultò la migliore. Dissi alle amiche di andare pure, che sarei rimasta un po’ lì e in attesa che la classe si svuotasse e potessi chiedere il permesso al professore, rimisi in ordine gli ingredienti avanzati. Non avevo il mio libro a portata di mano, perciò avrei chiesto anche cos’avrei potuto preparare. Neanche mi accorsi che Lumacorno fu il primo a lasciare l’aula e fu con enorme stupore e disgusto che quando alzai lo sguardo mi accorsi che Severus si era avvicinato e che eravamo soli. Chiusi gli occhi e trassi un profondo respiro, per imbrigliare quel poco di calma che sentivo essermi rimasta.
«Cosa vuoi?» dissi gelida.
«Parlarti…» sussurrò abbassando lo sguardo.
«Beh, io no. Non ho tempo da perdere.»
«Per piacere, Lily… Ti prego… Io…»
«Tu, cosa?» sibilai «Conosco già questa storia. Non volevi chiamarmi in quel modo… Ti è scappato… Sei inciampato sulle parole…» cantilenai con tono annoiato. «Non attacca. Se uno non vuole dire una cosa, semplicemente non la dice.»
«Mi stavano umiliando… Ero furioso! Non ero padrone di me!» provò a giustificarsi ancora, alzando lo sguardo.
«E quindi? Cosa c’è di tanto sbagliato in un’amica che aiuta un amico in difficoltà?!» chiesi retoricamente «Ah, ma aspetta… Tu hai un ideale diverso di amicizia. Per te, un amico è un Purosangue che odia tutti gli altri e li tratta come esseri inferiori. Per te, un amico è uno che serve il tuo stesso Signore, uno schiavo come te.» dissi con sarcasmo, che lasciava trapelare la rabbia. «Sai cosa ti dico? Che te la meritavi quell’umiliazione. Ora sparisci dalla mia vista e non provare mai più a rivolgermi una sola parola. Vattene, prima che perda la pazienza.» sputai quelle parole, come se davanti a me ci fosse il più miserabile dei mostri, e in effetti, non era tanto diverso dalla realtà. Avevo troppa tensione accumulata, se fosse rimasto lì davanti a me, sarei esplosa.
«Ti prego, Lily… Dammi un’altra poss---» ma venne interrotto prima che riuscisse a terminare la frase. La cosa curiosa fu che non fui io a interromperlo.
«Non hai sentito, Mocciosus? Non vuole vederti. Va’ via.» disse la voce dura e arrabbiata di Potter. Severus non se lo fece ripetere, forse notando che non ero molto propensa a parlargli e che Potter sembrava più minaccioso del solito. Si allontanò strascicando i piedi e, prima di varcare la soglia, si voltò, con una strana luce negli occhi.
«Non aspettarti che ti ringrazi.» dissi, seppur con un tono un po’ meno gelido di quanto avessi usato con Piton. Ero arrabbiata anche con Potter, ma non come col mio ex migliore amico.
«Non sono qui per questo.» fu la sua risposta. Alzai lo sguardo su di lui nel momento in cui scosse le spalle. Aveva un’espressione seria, negli occhi un’ombra di rabbia. Chissà se nei miei confronti – probabile – o in quelli di Piton – altrettanto probabile…
«E allora perché sei qui, Potter?» domandai, con tono annoiato.
«Non avevo altro da fare.» fu la risposta secca. Sì, la rabbia era nei miei confronti, ma ciò non mi feriva. Come prima, mi sentivo svuotata di ogni emozione.
«Allora puoi anche girare i tacchi e smettere di infastidirmi con la tua presenza.»
«Evans…» sussurrò, con un tono diverso, quasi supplichevole. Ne fui talmente sorpresa che alzai gli occhi, perplessa, su di lui.
«Perché sei qui, Potter?» domandai, un po’ più gentile, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quella sua espressione, che sembrava arrabbiata, colpevole e triste.
«Come stai?» mi chiese in risposta. Io scrollai le spalle. «So di averti fatto del male.»
E questo, cosa voleva dimostrare? Sapeva di avermi fatto male – neanche immaginava quanto – e ora era lì, davanti a me a fare cosa? Chiedermi come stavo? Non riuscivo a giustificarlo…
«Mi scagliato contro un Incantesimo, Merlino solo sa quale!» esplosi, con una rabbia che non sapevo di avere. Le mie emozioni, in quei giorni facevano brutti scherzi. Sentii gli occhi pungermi, per lacrime trattenute. «Ero disarmata! La mia bacchetta era sotto il mantello! E tu mi hai attaccato lo stesso!»
Abbassò lo sguardo e mi fece infuriare ancora di più. «Non riesci neanche a chiedere scusa… Non sei neanche minimamente pentito…» sussurrai, senza controllare il fremito nella mia voce. Sapevo di avere torto, ma non potevo vederlo con quello sguardo colpevole. Volevo avercela con lui. Essere arrabbiata e urlargli contro parole crudeli. Non potevo farlo, se teneva lo sguardo basso.
«Questo non è vero!» esclamò, ferito, tornando a fissarmi. «Non è vero che non sono dispiaciuto! Ieri sera, quando non ti ho visto a cena, né in Sala Comune… Quando ho sentito le tue amiche preoccupate cercarti… Ho pensato al peggio. Hogwarts è grande, potevi essere ovunque, sola… Ferita… Ed era colpa mia. Non mi sono mai sentito peggio, in tutta la mia vita. Perciò non osare neanche dire che non sono pentito.»
Per quanto le sue parole mi colpirono, per la sincerità con cui le pronunciò, non potei togliermi di dosso quella rabbia. Purtroppo lui era stato la goccia che fa traboccare il vaso, la sua colpa era solo quella di aver aggiunto una certezza infranta alla mia mente già affollata di preoccupazioni. «Beh ora sono qui… Come vedi, non sono dispersa per Hogwarts. Puoi tornare ad avere la coscienza pulita…» dissi, sprezzante.
«Credi davvero che basti? Avanti, Evans… Non puoi pensare che sia così meschino.»
«Ah no?!» schioccai la lingua, in un gesto secco e sarcastico.
«Ti ho vista! A stento stai in piedi!»
«E quindi?! Ha smesso di essere un problema tuo nel momento stesso in cui mi hai puntato una bacchetta alle spalle!»
«Voglio riparare… Sistemare le cose…»
«Così puoi tornare allegro e spensierato a fare scherzi e lanciare fatture a destra e a manca?! Vai, fallo! Non hai bisogno della mia benedizione. Sono viva, sono in piedi. Hai la tua consolazione, le cose sono a posto.»
«Non è così e lo sai bene. Il fatto stesso che continui a urlarmi contro, significa che le cose non sono a posto.» disse, senza rassegnarsi. Mi lasciai cadere sulla sedia, sospirai, causandomi dolore, ma non dissi nulla. Che cosa potevo dire? Aveva ragione…
«Non piangere…» sussurrò, dopo una pausa di silenzio.
«Non sto piangendo…»
Lo vidi sorridere tristemente, mentre con un gesto misurato allungava la mano e mi sfiorava una guancia. «Guarda tu stessa…» mormorò, con il tono di un padre che parla alla figlia testarda. Mi mostrò la mano e notai che era bagnata. Così, come ultima prova, mi tastai la guancia… Era umida. Aveva ragione di nuovo, stavo piangendo senza accorgermene.
«E’ rabbia…» dissi per giustificarmi, il mio orgoglio aveva appena subito l’ennesima ferita.
«Lo so.» fortunatamente non aveva intenzione di prendermi in giro, me lo sarei aspettata a dire il vero. «Ed è colpa mia.» non era una domanda, ma annuii.
«Mi dispiace… Perdonami.» furono le tre parole che mi fecero sgranare gli occhi. O forse fu il suo tono. Era sincero, ma trapelava anche tutto lo sforzo che aveva fatto per pronunciarle. Capii che anche il suo orgoglio aveva appena subito un duro colpo. Il Grande James Potter che si scusava per aver lanciato un Incantesimo… Non doveva esser stato facile per lui. Neanche andare in giro con quella maschera che gli avevo cucito addosso, doveva esserlo stato…
«Non so cosa mi sia preso…» continuò, vedendo che non rispondevo «Oh meglio, lo so. Ero arrabbiato, mi hai umiliato davanti a tutti. Tu. Fosse stato un altro non avrei reagito in quel modo, probabilmente avrei architettato una vendetta e ci avrei riso su. Ma tu…» interruppe la frase, scuotendo il capo «Ho agito d’impulso… Non ho riflettuto.» ammise, capii quanto gli costava dirmi quelle parole e continuare a guardarmi negli occhi. Trasse un profondo respiro, prima di continuare. «Avevi ragione, non sono molto diverso da loro. Ho agito esattamente come ha fatto Mocc…Piton, a giugno. Né più né meno di come avrebbe fatto uno qualsiasi di quella feccia… Non ti dirò che non volevo, né che mi è scappato… Non ho scuse…» deglutì vistosamente e, notai, che dovette costringersi a non distogliere lo sguardo «Ma ti chiedo di perdonarmi.»
Non risposi subito. Sostenni il suo sguardo, senza lasciare trapelare i pensieri che mi passarono per la mente. Non era come loro… Anche se adoravo ripeterlo, per non dargliela vinta, sapevo che non era affatto come loro. Se lo fosse stato, non mi sarei stupita così tanto, quando mi aveva lanciato quell’Incantesimo. Non sarebbe crollata una certezza. Mi aveva fatto male… Ma aveva anche avuto il coraggio di chiedere scusa, senza cercare di giustificarsi, senza accampare scuse per aria. Al contrario di Severus, lui aveva agito con l’intenzione di farlo e poi aveva ammesso le sue colpe. Aveva addirittura messo a tacere il suo orgoglio – e chi meglio di me poteva capirne lo sforzo? – per chiedermi scusa, pur sapendo di non avere diritto di essere perdonato. Fu questo che mi fece decidere.
«Non ho perdonato il mio migliore amico. Perché dovrei farlo con te?» chiesi e per la prima volta dall’inizio della discussione ero calma.
«Perché tu non sei come me, né come lui.» fu la lapidaria risposta. «Sei migliore.»
«Non è bello quello che hai fatto…»
«Lo so.»
«Ma non è neanche bello quello che ho fatto a te.»
«E’ vero anche questo.» non c’era accusa o rimprovero nella sua voce. «Ma non avrei dovuto permettermi di farti del male.»
«Già.»
«Hai il diritto di esser---» iniziò, ma lo interruppi con un gesto della mano.
«Ti perdonerò» dissi con un sorriso sincero «Perché non sei venuto a strisciare, implorando perdono, dicendoti disposto a ogni cosa pur di ottenerlo. Ti perdonerò perché hai avuto il coraggio di ammettere i tuoi errori e di chiedere scusa, pur sapendo che avrei tutte le ragioni per odiarti e per essere arrabbiata con te.»
«Sono un Grifondoro…» commentò, senza però la solita spavalderia irritante. Era più che altro un’affermazione rassegnata, quasi triste.
«Esatto…»
«Grazie…» riuscì a mormorare, prima che la barriera del suo ego potesse fermarlo. Riuscì a strapparmi un sorriso. «Posso chiederti una cosa?» domandò pochi istanti dopo.
«Sì…»
«Posso accompagnarti in Infermeria?» chiese, quasi timidamente.
«Non voglio andarci!» esclamai, mentre l’immagine di un dottore con una grossa siringa e un enorme ago mi balenava in mente.
«Ne hai bisogno…» fu il suo commento ignaro della mia paura.
«Lo so…» ammisi.
«Andiamo, allora.»
Scossi il capo violentemente.
«Hai paura…» disse sorpreso. Questa volta annuii, abbassando lo sguardo. D’un tratto le mie scarpe diventarono davvero interessanti.
«E di cosa? Pensavo ti piacessero le pozioni…» disse, perplesso, alludendo al fatto che Madama Chips, probabilmente, mi avrebbe dato semplicemente un rimedio da bere.
«Aghi…» dissi, talmente a bassa voce che neanche mi sentì.
«Cosa?»
«Ho paura degli aghi! Guai se ti azzardi a ridere!» sbottai.
«Cosa… sono gli aghi?» chiese, titubante.
«Si usano per fare delle punture… I dottori… Per curare…» dissi in modo disconnesso.
«Ah…» finse di capire.
«I Babbani li usano. Da piccola mi fecero delle analisi del sangue… L’ago sembrava enorme… E mi rimase il livido per giorni…» spiegai.
«Ora ho capito… Ma madama Chips non ha aghi. Lei usa pozioni e unguenti… Te lo assicuro, io ci vado spesso… Sai essere il migliore giocatore di Quidditch attira molti Bolidi…» scherzò, ridendo.
«Sei incorreggibile!» esclamai, con un po’ più di buon umore.
«Vieni, dai…» disse tenendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi. Lo guardai per un secondo, poi la afferrai e, con una smorfia tornai in piedi. Ci incamminammo fianco a fianco verso l’Infermeria. I corridoi erano deserti. Vedevo che mi osservava, sembrava pronto a sorreggermi se avessi sentito troppo male. Ci fermammo davanti alla porta, lui con la mano sulla maniglia.
«Ti tengo la mano, se vuoi…» disse dolcemente.
«Non ti allargare troppo, Potter!» ribattei scherzando. «Non dire che è sei stato tu.» mormorai, mentre stava aprendo la porta. Si bloccò e mi guardò stupito. Probabilmente si era aspettato che andando in Infermeria con lui, l’avrei costretto a dire la verità. L’aveva messo in conto e accettato. Ma non avevo intenzione di farlo, non l’avevo avuto nemmeno il giorno prima.
Annuì col capo, il suo sguardo esprimeva gratitudine, ma non disse nulla, aprì del tutto la porta e mi fece entrare.




Note: Allora... Questo capitolo era fondamentale. So che la presenza di "Voi-Sapete-Chi" (no, non Voldemort...il fidanzato...) è praticamente nulla, ma era necessario focalizzare sulle liti Lily/James e Lily/Sev. Nei prossimi capitoli ci sarà molto di più, ve lo assicuro :D
Vi chiedo di scusarmi per il tempo impiegato per aggiornare ma non sono stata bene e non avevo la forza di alzarmi dal letto, perciò neanche quella di scrivere... E chiedo scusa anche per eventuali errori di battitura, ma non sto ancora bene ed è tardi XD
Ringraziamenti: come potrei non ringraziare Ella_Sella_Lella, Sakura03 (per tutto ^_^), Dark Lord e hyde. Concordo sul fatto che Severus si sia fatto perdonare, ma potete ben capire che ci è riuscito quasi vent'anni dopo e Lily (quella di questa mia fiction) non lo può sapere (a dire il vero, non lo ha mai saputo neanche la Lily originale... Che peccato :( )
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!! A presto!

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Capitolo 21
*** Gita... ***





A voi, che dall'inizio o da un certo periodo, avete seguito attivamente questa mia storia, recensendola capitolo dopo capitolo.
A voi, dedico questo nuovo aggiornamento, sperando che vi strappi almeno un sorriso, segno della mia gratitudine.











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= Gita... =

Uscii dall’Infermeria la sera stessa, dopo ore passate ad annoiarmi, ma costretta a letto da un’apprensiva Madama Chips. Liberarmi di Potter fu un’impresa, anche se cercai di fargli capire che non mi sarei mai spogliata davanti a lui, non riuscii a togliermelo di torno… Si girò semplicemente dall’altro lato e lasciò lavorare la nostra Infermiera, poi rimase accanto a me per ore, che mi sembrarono eterne. Fortunatamente era arrivata l’ora di cena e, avendo saltato il pranzo, riuscii a convincerlo ad andarsene, con mio sommo piacere.
Quando finalmente Madama Chips mi permise di uscire, anche se era ancora restia, il coprifuoco era ormai scattato da un pezzo. Con ritrovato entusiasmo – e salute – andai alla porta, ignara del destino che mi aspettava appena fuori.
Come un’ombra, o come una statua, appoggiato al muro davanti all’Infermeria, stava immobile nel buio. Subito mi spaventò, prima che riuscissi a cogliere il profilo, ma poi mi tranquillizzai.
«Perché James Potter può portarti in Infermeria ed io no?» la sua voce risuonò nel corridoio vuoto, fredda e dura. Era arrabbiato.
Sospirai. Dovevo immaginare che la notizia sarebbe giunta anche alle sue orecchie. «Tu mi hai chiesto di andarci ed io ci sono andata. E’ stato un caso che Potter mi abbia accompagnato.»
«Oh Lily, per favore, almeno non mentire. Non ci saresti andata se non ti ci avesse portato lui… Ti conosco troppo bene e dovresti sapere che ‘sti giochetti con me non funzionano. Perché ci sei andata con lui?» domandò di nuovo, un po’ esasperato.
«Dobbiamo proprio discuterne qui?»
«No, hai ragione.» acconsentì e s’incamminò verso il nostro posto di ritrovo, in silenzio. Lo seguii, poi lo affiancai e con un gesto incerto cercai la sua mano. Quando la strinsi nella mia, timorosa che fosse troppo arrabbiato anche solo per quel gesto, si contrasse leggermente. Alzai lo sguardo su di lui per vedere che si era voltato sorpreso verso di me, ma annuì contraccambiando la stretta. Tirai un sospiro di sollievo.
Non parlammo per tutto il tragitto, fin quando non ci chiudemmo la porta della “nostra” stanza alle spalle.
«Allora?» domandò impaziente, mentre io evocavo il materasso.
«Severus mi ha aspettato dopo la lezione. Voleva che lo perdonassi.» iniziai, raccontando tutto ciò che era successo dopo la lezione di Pozioni. Mi sedetti sul materasso e gli feci cenno di fare lo stesso.
«Ancora?» domandò, tralasciando per un attimo la questione Potter, capendo che poi avrei risposto anche a quella domanda.
«Sì, ancora. E con tutto quel che è successo in questi giorni, stavo per perdere il controllo. Stavo per estrarre la bacchetta, sentivo le mani prudermi dalla voglia di fargli qualcosa. Ha detto le solite cose, che non voleva, che gli è scappato, eccetera… Stavo per perdere la pazienza, gli ho chiesto di andarsene.»
«E lui?»
«Non lo so se sarebbe andato via, oppure se sarebbe stato necessario lanciargli qualche Incantesimo… Prima che potesse ribattere, è arrivato Potter. Era arrabbiato come non l’ho mai visto… Non che ci faccia caso, ma di solito è sbruffone, non arrabbiato…»
«E Piton è andato via?»
«Beh, credo abbia capito che era la cosa migliore. Eravamo due infuriati contro uno.»
«E cos’ha fatto Potter, quando l’altro è andato via?»
«All’inizio abbiamo litigato... O meglio, io gli ho urlato contro. Ero nervosa da tutto il giorno, avevo male allo stomaco, per l’incantesimo e la tensione dell’incontro con Sev. E poi vederlo lì davanti, mi faceva tornare in mente il “duello” del giorno prima.»
«E’ più che giusto…»
«Poi però ho toccato un nervo scoperto e abbiamo iniziato a litigare. Ma alla fine…» m’interruppi, ricordando lo sforzo che aveva fatto Potter per chiedermi scusa e chiedendomi se era giusto rivelarlo a qualcuno.
«Alla fine, cosa?» domandò, vedendo la mia incertezza.
«Prometti di non dirlo a nessuno.»
«Tranquilla, promesso… Ora dimmi…»
«Alla fine si è scusato.» rimase sorpreso quasi quanto me, sentendo quelle parole.
«Si è scusato?» chiese, perplesso.
«Sì. Ma non come Severus che ha cercato di far passare quello che ha fatto come un incidente. Lui ha ammesso le sue colpe e ha chiesto scusa, sperando nel mio perdono.»
«E tu l’hai perdonato.» non era una domanda, la risposta era ovvia, sapendo che mi aveva accompagnato Potter in Infermeria.
«Sì, l’ho fatto. Perché in fondo anch’io avrei reagito così, se fosse stato il contrario. E poi perché le sue parole mi hanno colpito.»
«Ti sei presa una cotta?!» domandò, mal nascondendo il timore con il sarcasmo.
«Ma che stai dicendo! Certo che no! Lo considero ancora un moccioso senza cervello, che va in giro a mostrare a tutti le sue immense capacità…» marcai con ironia le ultime parole.
«Ma…?»
«Ma le sue parole erano sincere e il gesto che ha fatto meritava il mio perdono. Puoi accettarlo?»
«Solo se mi dici che mi ami…» disse lui con un sorriso.
«Ma certo che ti amo! E non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di sostituirti con Potter! Amo te e basta…» replicai, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
«Ok… Ma rimane ancora un fatto…»
«Gli ho detto della mia paura degli aghi…» spigai, capendo a cosa si riferiva «Probabilmente ora lo saprà tutta la scuola…»
«No, non lo sa nessuno. Non ha detto niente di questo…»
«E cos’ha detto?»
«Solo che ti ha accompagnata in Infermeria.»
«Davvero?» chiesi stupita.
«Già…»
«Sicuro?»
«Al cento per cento! Io sento e vedo tutto, ricordatelo!» disse scherzando.
«Menomale… Comunque, scoperta la mia fobia, mi ha detto che Madama Chips non usa aghi… A dire il vero ho dovuto spiegargli cosa sono… Ha detto che lui ci è andato spesso e che quindi sa cosa usa…»
«Io ti avevo giurato che non c’erano…» disse, con un certo risentimento.
«E infatti è per questo che mi sono lasciata convincere… Il tuo giuramento e la sua testimonianza mi hanno dato il coraggio di andarci…»
«Bastava il mio giuramento…»
«Ora lo so…» risposi, facendogli una carezza «Ma sai come sono fatta…»
Lui annuì, sorridendo «La prossima volta ti trascino di peso…»
«Spero che non ci sarà una prossima volta!» entrambi scoppiammo a ridere a quella mia frase.

Tutto tornò quasi alla normalità nei giorni e nelle settimane seguenti. Il rapporto tra me e Potter tornò quello di sempre, con lui che combinava guai ed io che lo rimproveravo. Sarah iniziava a reagire alla scomparsa dei suoi, anche se notai che si contrava molto di più sullo studio, cercando di lasciare al minimo i tempi morti. Era difficile dimenticare quello che era successo ai signori Yaxley, perché giustamente le mancavano, ma anche perché le morti e le sparizioni continuavano sempre più frequenti. Severus non si avvicinò più a me, forse l’avevamo convinto a desistere quel giorno nell’aula di Pozioni. Per questo, in effetti ero un po’ grata a Potter, era sì un buono a nulla, ma almeno in quell’occasione era servito. La mia storia d’amore proseguiva, più splendida che mai. Quest’anno non c’erano esami importanti in vista, nonostante il carico di compiti lo facesse sospettare, perciò potemmo vederci molto più spesso, quasi sempre nel corridoio abbandonato del quarto piano o in posti simili. Fu così che arrivò il primo fine settimana a Hogsmeade, in corrispondenza di Halloween.
«E se passassimo il fine settimana da qualche altra parte?» mi domandò il giovedì precedente all’uscita.
«E dove, a scuola? No dai usciamo un po’…» dissi io, non capendo cosa intendeva realmente.
«Non intendevo a scuola… Intendevo non a Hogsmeade.»
«E dove potremmo andare? Il villaggio più vicino è a chilometri e chilometri da qui… E poi non ci è permesso.»
«Non mi era permesso neanche Materializzarmi a casa tua quest’estate eppure l’ho fatto…»
«Già... Facendo arrivare a me un avviso dal Ministero. Se dovessero beccarci anche questa volta, io verrei espulsa. E sinceramente, ci tengo a diplomarmi.»
«Quante storie… Perché dovrebbero beccarci?»
«Uhm… Vediamo, perché ammesso che riuscissimo ad andarcene da Hogsmeade senza lasciare traccia, cosa direbbe la gente vedendo in giro due maghi minorenni?! Non credi che avviserebbero il Ministero o comunque s’insospettirebbero?»
«Guarda che ci sono maghi che non studiano a scuola… E poi ormai non sembriamo più bambini… potremmo facilmente passare per diciassettenni che hanno appena preso il diploma… E poi io non ho mai detto che saremmo andati in mezzo alla gente.»
«E dove? A casa tua forse?!» dissi io ironicamente, sapendo che casa sua sarebbe sempre stata inarrivabile per me.
«No, certo che no. E non per i motivi che stai pensando… Non c’entra niente il fatto che tu sia Nata Babbana. Voglio stare con te in libertà, senza dovermi preoccupare di chi potrebbe vederci o trattenermi per la presenza di genitori.»
«E quindi dove vorresti andare? Credo che gli unici posti in cui potremmo stare liberi siano il deserto e un’isola inesplorata.»
«Beh, anche un albergo Babbano…»
«Non è possibile e lo sai bene. Potrebbe comunque esserci un Mago… Potrebbero vederci comunque.»
«Ok, allora vada per l’isola inesplorata.» disse scrollando le spalle.
«E come la troviamo un’isola inesplorata, se è inesplorata…?» domandai ironicamente.
«Stai dicendo che dovremmo accontentarci della Testa di porco, entrando di soppiatto con i cappucci alzati?!» chiese in una domanda retorica, rassegnato, abbassando lo sguardo.
«Che cosa potrebbero farci, se ci vedessero in un albergo Babbano?» domandai, senza rispondere alla sua domanda.
«Perché vuoi tornare sempre sugli stessi argomenti?!» mi domandò, ora esasperato.
«Perché voglio capire se vale la pena rischiare l’espulsione…» risposi con un sorrisetto.
«No, in effetti non ne vale la pena…» sospirò, c’era tristezza nella sua voce «Potrebbero anche servirci su un piatto d’argento ai “Purificatori della Razza”…» pronunciò quel titolo con falso timore reverenziale, che mi strappò un sorriso. Ovviamente era ironico, o almeno lo speravo.
«Potremmo combatterli, almeno…» ribattei.
«Non dire fesserie! Non avremmo neanche una possibilità, noi due soli contro tutta la cerchia di Tu-Sai-Chi!»
«E quindi siamo costretti a rimanere nell’ombra…» fu il mio turno di sospirare tristemente. Mi si avvicinò e mi strinse dolcemente a sé.
«Ti stai stufando?» sussurrò al mio orecchio.
«No… Certo che no, ma ogni tanto mi piacerebbe poterti anche solo guardare senza preoccuparmi di quello che pensano gli altri. Senza dover trovare scuse per vederti… Senza mentire alle mie amiche.»
«Credi che per me sia facile? E’ colpa mia questa situazione e non c’è giorno che non ci penso. Anch’io devo mentire ai miei amici…»
«Lo so…» acconsentii, baciandolo fugacemente. «Non parliamone più… Piuttosto cerchiamo di capire cosa fare sabato.»
«Certo, se potessimo dormire fuori…» buttò lì, stuzzicandomi.
«Tanto dobbiamo infrangere qualche regola, una più una meno…» dissi io ironica.
«Se potessimo stare fuori anche la domenica, potremmo allontanarci un po’ di più, magari andare dove anche se ci vedessero non succederebbe nulla.»
«Tipo dove?»
«In Francia ad esempio…»
«E come potremmo arrivarci in Francia?!» domandai stando al gioco, non credevo fosse serio.
«Passaporta.»
«Illegale…» aggiunsi.
«Quindi non controllata, quindi non ci scoprirebbero.» il ragionamento filava, in effetti.
«Certo… E se ci scoprissero, dici che ce la daranno una cella matrimoniale ad Azkaban?!»
«Ok… Se non vuoi rischiare… Mezzi Babbani.»
«Certo, così faremmo in tempo ad arrivare che dovremmo già tornare indietro.»
«E va bene! Va bene! Testa di Porco!» esclamò esasperato dall’evidenza dei fatti.
«Oppure…» mi dispiaceva vederlo così.
«Oppure?»
«Oppure rischiamo e andiamo a Londra.»
«A Londra?!»
«Sì, evitando i luoghi prettamente magici, come il Paiolo e Diagon Alley, certo… Ma le cose nascoste meglio sono quelle ben in vista, perciò… Magari siamo fortunati e nessun mago si accorge di noi. E poi se qualcuno si accorge di noi, facciamo sempre in tempo a tornare di corsa indietro, tra le protettive mura di Hogwarts…» proposi, scrollando le spalle.
«E va bene… Ma possiamo usare una Passaporta? Se no non arriveremo mai.» mi pregò con occhi dolci.
Scossi il capo sorridendo e poi acconsentii. «Se ci espellono, darò la colpa a te…» precisai.
«Correrò questo rischio…» ribatté stringendosi nelle spalle.

Così, il sabato mattina, ci alzammo presto e uscimmo tra i primi, ognuno per conto proprio. L’unica differenza era che noi non eravamo diretti a Hogsmeade. Lasciata alle spalle Hogwarts, ci incontrammo in mezzo al bosco che affiancava il sentiero, stando bene attenti che nessuno ci vedesse.
«Ecco qui…» disse porgendomi una piuma malconcia. L’ideale per una Passaporta. Avevo passato tutta la giornata di venerdì – saltando addirittura le lezioni – in Biblioteca, per studiare come creare una Passaporta. L’incantesimo non era poi così tanto complesso come pensavo, anche se era necessaria una straordinaria quantità di concentrazione per essere sicuri di imprimere la giusta destinazione nell’oggetto scelto. Questo in teoria… In pratica ero piuttosto agitata, cosa sarebbe successo, se invece che a Londra ci avessi fatto arrivare in un covo di Mangiamorte?
«Cosa devo fare?» mi chiese, distogliendomi dai miei pensieri.
«Conviene che la lasci a terra, se no, potrebbe attivarsi e trasportare solo te.» dissi assente, mentre cercavo di concentrarmi.
Avevo piuttosto chiara la nostra destinazione, il punto esatto in cui sarei voluta arrivare e al tempo stesso riuscivo a concentrarmi anche sul tempo di attivazione della Passaporta, dieci secondi sarebbero bastati no?! Trassi un profondo respiro e poi mormorai «Portus!» agitando la bacchetta e colpendo la piuma a terra.
«Toccala!» esclamai, chinandomi per posarvi l’indice, lui fece lo stesso. Iniziai un sussurrato conto alla rovescia, sperando di aver fatto tutto correttamente. Quando arrivai a zero, la Passaporta si attivò – per fortuna – e sentii la tradizionale sensazione, come se venissi strattonata in avanti da una potente forza. Ancor prima di riaprire gli occhi – perché, sì, li avevo chiusi – sentii che non eravamo più a Hogwarts, l’aria era cambiata. Mi feci coraggio, improvvisamente tesa, e provai a guardarmi intorno, terrorizzata dal potenziale errore, e mi guardai intorno. C’erano ombra e alberi, come avevo previsto, ora bisognava vedere se era il posto giusto e soprattutto se entrambi ci eravamo arrivati. Spostai lo sguardo e con sollievo trovai la sua figura al mio fianco, un sorriso gioioso sulle labbra.
«Ce l’hai fatta! Sei fantastica!» esclamò abbracciandomi.
«Aspetta a dirlo… Vediamo se siamo nel posto giusto…» dissi io, sciogliendo delicatamente l’abbraccio e prendendolo per mano, per poi muovere qualche passo per capire dove eravamo finiti. Appena riuscimmo a vedere qualcos’altro oltre la macchia d’alberi, capimmo di essere in un parco, proprio dove avevo cercato di mandarci. Era un bel sabato mattina, perciò era piuttosto affollato – ecco il motivo per cui avevo tentato di farci apparire in mezzo agli alberi – di coppie, famiglie, bambini urlanti.
«Ora posso dirti che sei stata magnifica?!» sussurrò ironicamente al mio orecchio, prima di baciarmi i capelli.
«Sì, ora puoi dirlo…» feci io con un largo sorriso «Benvenuto al St. James Park!»
«Allora cosa vuoi fare in questa giornata fuori dall’ordinario?» mi domandò, nella sua voce c’era felicità.
«Una cosa che non abbiamo mai fatto prima…» dissi io con fare solenne «Camminare insieme in mezzo alla gente…» risi «E tu?»
«Io voglio baciarti in mezzo alla gente…» rispose e prima che potessi controbattere, mi attirò a sé e mi baciò tanto da togliermi il fiato.
«Ehi… Non facciamoci arrestare per atti osceni in luogo pubblico!» mormorai poco convinta, quando tornai a respirare, ma immediatamente dopo fui io a baciarlo.
«Ok, non facciamoci arrestare, che poi come ci rimarrebbero i Babbani se lasciassimo le celle vuote ma chiuse?!» esclamò. Era felice, lo potevo sentire nel suo tono e anche nei suoi occhi, forse non l’avevo mai visto così sereno… Beh tranne che in occasione della nostra prima volta…
Prendemmo a camminare, mano nella mano per il parco, perdendo la cognizione del tempo. Ci accorgemmo che era arrivata l’ora di pranzo perché i nostri stomaci cominciarono a brontolare, perciò uscimmo dal parco e andammo alla ricerca di un posto dove pranzare.
«Ehm.. Lily…» disse, stranamente imbarazzato, davanti alla porta di un ristorantino promettente.
«Che c’è, non ti piace?» domandai io, voltandomi a guardarlo.
«No… No… Questo posto sembra magnifico, ma… Ehm… Come paghiamo? Io non ho soldi Tu-Sai-Quali.» disse per evitare di pronunciare la parola “Babbani” in pubblico. Avevamo deciso così, per precauzione.
«Non preoccuparti, li ho io… Mamma e papà me ne danno sempre un tot prima di partire, tre quarti li cambio, gli altri li tengo per ogni evenienza…» dissi con un ampio sorriso, ringraziando me stessa per la brillante idea. Sapevo che prima o poi sarebbe tornata utile…!
«Io ti amo!» esclamò, tornando a sorridere gioioso.
«Lo so… Andiamo, dai…» risposi, entrando finalmente nel locale.
Dopo pranzo girammo senza meta per le vie di Londra, evitando accuratamente di avvicinarci al Paiolo Magico, ci fermammo a guardare qualche vetrina – fu divertente spiegargli il funzionamento delle moto mostrandogliene una – e ci abbuffammo di dolci Babbani, comprati in ogni negozio possibile.
«Siamo ancora in tempo a tornare, se vuoi…» sussurrò, dopo una pausa di silenzio, quando ormai il sole stava tramontando.
«Shh… Non dire queste cose… Non voglio pensarci…» risposi io, causando la sua risata.
«Continuiamo con il nostro piano allora?» mi domandò sorridendo.
«Assolutamente sì!» esclamai.
Continuammo a vagare fino all’ora di cena, quando decidemmo di fermarci a mangiare qualcosa – non che i dolci non ci avessero saziato... Ci fermammo in un fast food, giusto per fargli assaggiare qualcosa di tipicamente Babbano.
Era ormai buio da tempo, quando imboccammo il vicolo più deserto e squallido del quartiere. Badammo che nessuno potesse anche solo vederci o sentirci, poi estrassi la bacchetta e un vecchio fermaglio per capelli. Lo appoggiai a terra e mi concentrai sul villaggio di Hogsmeade. Quando fui certa di aver ben chiara la nostra destinazione, agitai la bacchetta e creai un’altra Passaporta.
«Dieci… Nove…» iniziai a contare, abbassandomi a toccare il fermaglio, sfiorando la sua mano che faceva lo stesso. Come quella mattina, fummo risucchiati dalla magia che avevo creato e trasportati altrove. Riaperti gli occhi, ancora una volta, scoprii di aver fatto tutto giusto, ci trovavamo di fronte all’ingresso sul retro della Testa di Porco.
«E’ sbalorditiva la tua padronanza di questo Incantesimo.» sussurrò, per poi prendere il mio viso tra le mani e baciarmi con passione, dopo non avremmo più avuto modo di farlo, in pubblico almeno…
«Ti ringrazio…» risposi io, ironicamente.
«Metti il mantello, cappuccio alzato…» disse tornando serio. Così feci, prendendo il mantello dalla borsa e avvolgendomelo addosso. Alzai il cappuccio per coprire quasi totalmente il viso, lui fece la stessa cosa, con il mantello che gli avevo passato. Entrammo nel locale, dal retro e ci avvicinammo subito ad Aberforth, che non impiegò molto a riconoscerci.
«Dovreste essere a scuola…» sibilò, mentre strofinava un bicchiere sporco, con un canovaccio ancora più sporco.
«Abbiamo perso la cognizione del tempo… Siamo rimasti chiusi fuori… Puoi ospitarci?» mormorò lui in risposta.
«Dovrei dirvi che sono al completo… E rispedirvi a Hogwarts in questo esatto momento.»
«Per piacere…» m’intromisi io, cercando di convincerlo. «Non sappiamo dove altro andare… Non possiamo di certo scrivere a Silente e dirgli “scusi professore, stavamo pomiciando e non ci siamo accorti dell’ora, potrebbe gentilmente aprirci il cancello?”…»
«E va bene… Prendete la solita stanza… Nessuno vi disturberà…» si arrese, indicandoci le scale. Con un sorriso trionfante sulle labbra, mi voltai e avanzai verso la “nostra” stanza…
«“Stavamo pomiciando”?!» mi citò, quando eravamo lontano da orecchie indiscrete.
«Era la scusa migliore…» risposi con una scrollata di spalle. Entrai in camera e mi buttai sul letto bitorzoluto.
«Probabilmente hai ragione…» disse, poi il suo tono cambiò… si fece malizioso «Ma era anche una bugia…»
«E quindi?» chiesi, stando al gioco.
«E quindi è sbagliato mentire agli amici… Soprattutto a quelli che ti coprono…» rispose, avvicinandosi a me, tanto che le sue labbra già sfioravano le mie, dandomi i brividi.
«Ma ormai è troppo tardi… No?» chiesi, senza spostarmi.
«Beh… Magari non troppo…» la sua mano s’infilo nei miei capelli «Magari potremmo rimediare… In fondo… Non hai proprio specificato “quando” stavamo pomiciando…» mentre l’altra slacciò il mantello e lo gettò a terra.
«Il tuo ragionamento è buono… Non voglio sentirmi in colpa per questa bugia…» sussurrai, togliendo a mia volta il suo mantello.
«Allora è deciso…» sentenziò, poi mi baciò di nuovo, facendomi sdraiare e spostandosi sopra di me. In pochi istanti, il resto dei nostri vestiti raggiunse i mantelli ed io dimenticai cosa stavamo dicendo, presa a terminare splendidamente una splendida giornata.

Quando ci svegliammo la mattina dopo, eravamo ancora abbracciati e nudi come ci eravamo addormentati. L’alba era già sorta da diverse ore, ma ero quasi certa che mancasse ancora un po’ a pranzo. Ci rivestimmo con calma, non avevamo così tanta fretta di tornare al castello.
«Sei sicura di ricordare il passaggio segreto?» mi domandò, di punto in bianco. Sembrava in ansia.
«Da quando ti preoccupi di infrangere le regole?!» chiesi io con un sorriso.
«Mi preoccupo dei guai che potresti passare tu…»
«Ormai è fatta… Comunque sì, lo ricordo bene… Si prende nello scantinato di Mielandia!»
Finito di vestirci scendemmo di sotto, facemmo una veloce colazione, ringraziammo di cuore Aberforth per non aver detto nulla e ci incamminammo verso il negozio di dolci, di nuovo con i cappucci dei mantelli alzai a coprire il volto.
«Dobbiamo Disilluderci…» mi ricordò, a pochi passi dall’entrata. Ma la mia attenzione era stata catturata da qualcos’altro. Nessuna luce proveniva dalle vetrine, certo potevo sbagliarmi, non notandole per via della luce del sole, ma la serranda abbassata era un chiaro presagio di sventura.
«Non credo sarà necessario…» sussurrai, avvicinandomi ancor più all’entrata. Sì, le serrande erano proprio abbassate, il negozio completamente chiuso. Andai nel panico, mentre il mio sguardo cadde su un cartello che recitava “chiuso per lutto”.
«C-Come facciamo ora?» la mia voce tremava, il terrore mi aveva assalita.



Note: so di aver fatto un po' un volo di fnatasia, forse esagerando nel farli andare fino a Londra, ma volevo concedere a questi due amanti una giornata "da coppia normale", cosa che non si sono mai potuti permettere. Volevo vederli felici fino in fondo, almeno per una volta, perciò vi chiedo perdono se vi sembra troppo surreale ^^
Allora, altre note non mi vengono in mente... Se per caso avete domande o dubbi, ponetele e vi risponderò nel prossimo capitolo ^^
Dimenticavo... Ci ho messo un po' ad aggiornare perché ho internet solo a casa e non dove studio. Poi, mi avete fatto notare che non ho specificato una cosa, Hogsmeade non è stato attaccato durante l'assenza dei due, ma in un attacco di Mangiamorte, altrove, è caduto vittima un parente dei proprietari di Mielandia.
Ringraziamenti: Forse l'avrete capito, quello di questa volta è un ringraziamento speciale. Al 20esimo capitolo ho raggiunto le 100 recensioni, un traguardo che speravo vivamente di tagliare. E tutto questo grazie a voi, voi che dall'inizio o da una certa parte di questa storia, avete deciso di lasciare il vostro contributo, i vostri consigli e suggerimenti. Perciò, per questa volta mi soffermo un momento di più (strappo qualche minuto in più al sonno e allo studio) per nominarvi, uno per uno. A voi dedico questo 21esimo capitolo ed è anche per questo che è così particolare e allegro.
Grazie a:
Alida, Dirkfelpy89, robert90, chiaramalfoypotter, Pervinca Potter 97, erigre, Aloysia Piton, vacanziera, yellowrose, Roby28, karmenpotter, denisaasined, hermy101, Rosalie Hale e Bella Swan, lewis_alice, Penny Black, Dark Lord (di cui è la 100esima recensione), anna_dreamwalker, jeginnybells, Ella_Sella_Lella, Sakura03, frutti_di_bosco, hyde e dublino.
In particolare un ringraziamento va a Denisa, Alessandro e Sara, che mi hanno regalato preziose opinioni e consigli anche al di fuori di questo sito (alle volte anche risate...XD).
Sono davvero, davvero commossa. ^_^ Vi ringrazio tutti ancora una volta!

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Capitolo 22
*** ...Sfortunata ***


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= ...Sfortunata =

«C-Come facciamo ora?»
«Manteniamo la calma e spostiamoci da qui…» disse, ma nonostante le parole, trapelava agitazione dal suo tono.
«Ok…» dissi, iniziando a camminare senza meta, mentre mi arrovellavo per trovare una soluzione. Ci ritrovammo in un vicoletto, vicino all’ufficio postale. Io mi appoggiai al muro di un’abitazione, cercando di non farmi prendere dal pessimismo, non più del necessario, almeno…
«Potrei scrivere ad Alice, ma poi lei come farebbe ad aprirci il cancello? Quelle sono magie che solo un professore può sciogliere…» dissi, disperata.
Ma lui s’illuminò, tanto che di slancio si avvicinò e mi baciò la fronte. Fortunatamente non passava nessuno di lì… «…o il Custode delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts!» esclamò completando la mia frase.
«Cosa?» chiesi, non ero riuscita a seguire il suo ragionamento. Chi è che voleva chiamare?
«Hagrid, Lily, possiamo scrivere a Hagrid. Lui può aprirci…»
«Hagrid? Non ha il permesso di fare magie…»
«Lo so… Ma se è il custode, può far qualcosa no?! Tanto vale tentare…»
«Ok…» dissi rassegnata… Una stramba idea era pur sempre meglio che nessuna idea, no…?
Ci incamminammo, a qualche passo l’uno dall’altra, verso l’ufficio postale, subito dietro l’angolo. Entrammo entrambi, ma ci mantenemmo a distanza comunicando con qualche rapido gesto o cenno del capo. Fu lui a inviare il messaggio, pagò e poi uscimmo.
«Andiamo verso il cancello, gli ho scritto di venire direttamente, senza rispondere.»
Annuii, presa dallo sconforto e lo seguii verso la scuola.
Quando fummo lontano da occhi indiscreti, ci affiancammo e lui passò un braccio attorno alle mie spalle. «Rilassati dai… Hagrid verrà…» sussurrò.
«E se non potesse?»
«Calmati… Prima o poi potrà…»
«Non prendermi per scema… Si accorgeranno della nostra assenza, più il tempo passa e più lo noteranno. E saranno guai seri…»
«Non preoccuparti di questo, sistemeremo tutto.» cercò di tranquillizzarmi. Intanto, nel nostro campo visivo apparve il cancello d’entrata della scuola. Aspettammo nascosti da un alto cespuglio, ma che ci permetteva di vedere sia la strada per Hogsmeade sia il giardino del castello.
Il tempo sembrò dilatarsi e non passare mai, quelle che mi sembravano ore, in realtà erano solo minuti. Ero tesa, preoccupata di quello che sarebbe potuto succedere se qualcuno avesse capito che non eravamo a scuola e se la voce fosse giunta a qualche professore. A cosa stavamo andando incontro? All’espulsione forse?!
A un certo punto, mentre ero persa nelle mie riflessioni, sentii che una manica mi veniva strattonata. Tornai alla realtà, sbattendo più volte le palpebre e concentrandomi su quel gesto. «Cosa?» sussurrai.
«Sta arrivando, usciamo?» domandò, incerto. Perché tra noi non c’era neanche uno dei due che riusciva a mantenere la calma, in quel momento?!
«No… Aspettiamo che si sia fermato e ci chiami.» dissi, senza sapere esattamente il perché di tanta cautela.
Non avevo il coraggio di guardare oltre il cancello, perciò tenni gli occhi bassi sul cespuglio che ci copriva, però sentii lui irrigidirsi, dopo un paio di minuti. Stava per sbucare fuori?
«Uscite fuori di lì, per cortesia…» disse la voce rompendo il silenzio. Capii perché si era teso: non era la voce di Hagrid, ma l’ultima che avremmo mai voluto sentire… Quella di Silente. Il terrore m’immobilizzò. Perché? Perché con tutte le possibilità, proprio Silente doveva scoprirci? Che cosa sarebbe successo ora? Ci avrebbe espulso? Mandato ad Azakaban? Non potevo sopportare quelle idee…
«Avanti…Fuori!» disse di nuovo Silente, questa volta il tono, pur sempre cordiale, era quello di un ordine.
Qualcosa si mosse affianco a me e mi sentii tirare verso l’esterno, uscendo dal mio rifugio sicuro. Ci misi un po’ a capire che mi aveva preso per mano, in uno slancio di coraggio, ed eravamo usciti allo scoperto. Eravamo davanti a Silente, divisi dalle sbarre regolari del cancello, in una straordinaria premonizione di quello che avrebbe potuto essere il nostro futuro: una prigione.
«E’ curioso…» cominciò il mago, l’espressione sul suo volto bonaria come sempre mi terrorizzava ancor più di quanto sarebbe successo se avesse mostrato rabbia. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso eppure provavo una vergogna tale da farmi abbassare lo sguardo e sotterrare la testa sotto metri e metri di terra. «E’ curioso, oggi ero a prendere un the dal nostro custode, Hagrid. E nel bel mezzo di una divertente barzelletta sui Goblin che gli stavo raccontando, un gufo è arrivato a portare una lettera. Ora, voi sapete che Hagrid non è certo eccezionale nel nascondere le faccende, perciò quando ha cercato di buttarmi, prendendomi quasi di peso, fuori da casa sua, non ho potuto fare a meno di insospettirmi. Cosa mai c’era scritto in quel messaggio, da renderlo così nervoso?» fece una pausa e il suo sguardo passò lentamente tra noi due, inermi, a sentirci raccontare che il peggio era avvenuto. «Io sono curioso per natura, perciò non ho potuto fare a meno di chiedergli di mostrarmi la lettera e cosa scopro? Che due dei miei studenti non sono tornati dopo la gita a Hogsmeade e che hanno addirittura passato la notte fuori. Perciò, potete capire, non potevo lasciare che fosse lui a risolvere questa questione.»
Fu dopo quelle parole che mi accorsi dell’unica, minima speranza che avevamo: Silente non sapeva che non eravamo affatto andati a Hogsmeade. Speravo che anche lui se ne fosse reso conto, perché avevo capito che da quel momento in poi comunicare era impossibile. Di una cosa ero certa, dovevamo mentire e anche in modo convincente.
«Ditemi voi, dovrei farvi entrare ora? O mandarvi direttamente in stazione a prendere l’Espresso?»
Sapevo che era una domanda retorica ma non riuscii a fermarmi «Ci faccia entrare, per piacere…» pigolai, abbassando finalmente lo sguardo. Patetica. Ero davvero patetica.
«Sì, credo proprio che accetterò la sua richiesta, signorina Evans. Sono curioso di sentire il vostro racconto. Ma non è escluso che dopo non usciate di nuovo…» estrasse la bacchetta e mormorò qualcosa di incomprensibile. I cancelli si aprirono lentamente, cigolando, quel tanto che bastava per farci entrare. Quando fummo all’interno, cominciarono a chiudersi.
«Seguitemi. In silenzio.» ci intimò il preside e s’incammino col suo passo svelto verso il castello. Tutto ciò che riuscimmo a fare fu scambiarci un’occhiata disperata.
Guardai intorno a me, come se fosse l’ultima volta… in effetti avrebbe potuto esserlo. Cercai di fissare ogni minimo dettaglio, collegarlo ai ricordi degli ultimi cinque anni e a quei primi mesi del sesto…
Quando entrammo nel castello, sentii riaffiorare il panico: era domenica, perciò gli studenti erano in giro per i corridoi, ci avrebbero visto! E perché non c’era nessuno fuori, in cortile nonostante la giornata fosse bella?! Perché nella disgrazia eravamo fortunati?! Attraversai la Sala d’Ingresso guardandomi ansiosamente attorno, ma non c’era traccia di un solo studente. La cosa mi terrorizzò ancora di più.
Anche proseguendo lungo i corridoi, non potei non notare che erano deserti. Non ero mai stata nell’ufficio di Silente, ma conoscevo la strada per arrivarvi e quando ci ritrovammo davanti al Gargoyle non potei fare a meno di tremare. Silente mormorò la parola d’ordine e ci fece cenno di seguirlo. A passo incerto salii sul primo scalino della scala… Arrivammo davanti alla porta d’entrata e lì, allora, toccai il fondo: il mio pessimismo non poteva essere maggiore.
«Credo sia il caso che lei aspetti qui, signorina Evans, farò due chiacchiere con il suo amico in privato.» mi disse Silente, mentre stavo per varcare la soglia, poggiando una mano sulla mia spalla per fermarmi. Non riuscii a fare altro che annuire.
Dovetti aspettare un bel po’, ora la cognizione del tempo era tornata, dato che facevo il conto alla rovescia per la mia rovina. Iniziai a impensierirmi, quando dopo mezz’ora non erano ancora usciti. Avevo quasi intenzione di bussare, entrare e urlare che era tutta colpa mia, ma prima che potessi fare anche un solo passo, la porta si spalancò.
«Prego, signorina Evans.» mi disse Silente spingendo fuori lui e tirando dentro me. «Lei può andare, non ci sarà bisogno di aspettare qui.»
Ci scambiammo uno sguardo, cercai di capire com’era andata, ma non riuscii a estorcergli nulla. Silente mi spinse dentro ed io lo vidi sparire dietro la porta che si chiuse inesorabilmente.
Non avendo mai visto l’ufficio, persi qualche secondo per guardarmi attorno, incuriosendomi, nonostante tutto, per i vari “aggeggi” che erano presenti sui tavolini. Alle pareti poi, i Presidi di Hogwarts occhieggiavano verso di me, incutendomi ancor più timore. Mi avvicinai a una sedia, Silente mi fece cenno di sedermi e andò dall’altro lato della scrivania.
«Se devo essere sincero, sono molto deluso.» esordì il Preside, quando mi fui sistemata. Abbassai immediatamente lo sguardo.
«Mi dispiace…» riuscii a farfugliare.
«Credo sia il minimo… Vorresti raccontarmi cos’è successo?» mi domandò, sempre con quel suo tono cordiale, che faceva però ben intendere la delusione nominata prima.
Cos’avrei dovuto dire? E se le nostre versioni non fossero combaciate? «Noi… abbiamo perso la cognizione del tempo, Preside.»
«Dov’eravate?»
«Chiusi in una stanza della Testa di Porco.» risposi dopo una rapida riflessione che mi fece escludere la risposta “a Hogsmeade”, sarebbe stata troppo ovvia, quindi sospettabile.
«Non si affittano stanze ai minorenni.» obbiettò.
«Non si servono neanche alcolici ai Tre Manici o da Madama Piediburro eppure…» lasciai la frase in sospeso, forse mi ero spinta un po’ troppo oltre… Silente però rise, strappandomi un’espressione sorpresa.
«Perché ride, professore?» domandai.
«Oh, lui ha detto esattamente la stessa frase con la stessa intonazione…» allora sorrisi anche io, non riuscii a farne a meno, non ci aveva traditi…
«Quindi eravate chiusi là dentro e non vi siete accorti del tempo che passava…E’ questa la tua versione?» mi chiese.
«Sì… A un certo punto ci siamo addormentati e non ci siamo svegliati fino a stamattina… Non sapevamo come fare a tornare… Cioè, senza farci scoprire… Così ci è venuto in mente Hagrid, gli abbiamo scritto… E, beh, il resto lo sa…» dissi, cercando di usare il tono più colpevole possibile.
«E secondo te, cosa dovrei fare con te?» mi domandò, con un sorriso che non riuscii a decifrare.
«Espellermi?!»
«Sì, forse dovrei…» annuì, poi continuò «Ma sei una tra gli studenti più brillanti della scuola. Non hai mai infranto nessuna regola e per giunta sei un Prefetto irreprensibile, un esempio per i tuoi “colleghi” e per gli studenti tutti.»
«Perciò?» domandai, impaziente di sentire la mia condanna.
«Perciò… Non parteciperai alla prossima uscita a Hogsmeade.»
Solo?! Dovevo rinunciare soltanto a un’uscita a Hogsmeade?! Mi sembrava impossibile, forse perché mi sentivo molto più colpevole di quanto avessi fatto capire a Silente.
«Il tuo comportamento sarà tenuto d’occhio. Se dovessi violare anche solo un coprifuoco o saltare una sola lezione, come hai fatto venerdì, senza un grave motivo, deciderò come inasprire la tua punizione. La tua condotta di questi cinque anni ha giocato a tuo favore, Lily. Non mandare all’aria tutto quello che hai costruito. Cerca di trovare un equilibrio tra dovere e piacere…»
«E’ stato un errore, professor Silente, lo riconosco. Il mio equilibrio non ha mai avuto problemi, prima…» dissi con un timido sorriso, non ero a mio agio a scherzare con Silente, ma al tempo stesso ero troppo sollevata per evitarlo.
«Immaginavo che fosse così… Vi guardavate troppo intensamente perché fosse una novità…» mi disse criptico. Non sapevo cosa rispondere, perciò mi limitai a sorridere. «Vorrei che ti fosse chiaro, però…» riprese il Preside «che avete corso un grosso rischio, rimanendo là fuori. Sono tempi bui e ormai i posti sicuri si contano sulle dita di una mano. Voi siete minorenni, con poca esperienza e sotto la mia responsabilità.»
«Eravamo attenti…» cercai di giustificarmi, mi aveva fatto sentire terribilmente in colpa. Che cosa sarebbe successo se ci fossimo imbattuti in Mangiamorte o roba simile? Se fossimo stati vittime, nel mezzo di Londra di un attacco a Babbani? Come avrebbero preso la notizia, i miei genitori?! Non volevo pensarci…
«Sì, questo lo so… Ma non siete ancora pronti per affrontare quello che c’è là fuori.»
«Ha ragione…» acconsentii per poi aggiungere «Ma se non iniziamo a provare, non lo saremo mai.»
Silente sorrise, con quella che mi sembrò tristezza, poi si alzò e andò verso la porta. Capii che mi stava congedando.
«Professore…?» sussurrai alzandomi.
«Sì?»
«Che ne sarà di…lui?» osai domandare.
«Questo lo scoprirai da sola…» mi disse indicando la porta «Ma ricordati che sei sotto controllo…»
Annuii e uscii. Non potevo raggiungerlo subito, era meglio far calmare un po’ le acque, ma gli avrei mandato un messaggio, così da tranquillizzarlo e farmi tranquillizzare sulle nostre sorti.
Andai di corsa in Sala Comune, riflettendo su che scusa inventare con le ragazze.
Non mi accorsi nemmeno di aver varcato il ritratto della Signora Grassa, sfrecciai in camera mia e mi buttai sul letto senza guardare se ci fosse qualcuno.
«Ehm… Ciao Lily…» a raggiungermi fu la voce perplessa di Alice.
«Ciao…» biascicai, la testa sprofondata nel cuscino.
«Dove sei stata? Non ti trovavamo…»
«Mi sono persa il rientro da Hogsmeade, ho passato la notte fuori.»
«Pa-Passato la notte fuori?!» chiese incredula, ridacchiando.
«Oh, non c’è nulla da ridere… Silente mi ha scoperta…»
«Oh-Oh… Racconta, dai…» disse sedendosi affianco a me, sul mio letto.
Passai tutto il pomeriggio a raccontarle cos’era successo – censurando gran parte degli avvenimenti, dei luoghi e delle persone – , poi dovetti ripeterlo per ognuna delle mie compagne, entrate in momenti diversi. All’ora di cena ero sfinita. Non volevo neanche scendere in Sala Grande, non avevo così tanta fame, ero ancora troppo preoccupata. Ma d’altra parte, pensai che mancare alla cena potesse mettere Silente all’erta e sospettare che fossi di nuovo con lui. Perciò mi feci coraggio e scesi a mangiare.
Incrociai il suo sguardo, una volta entrata in Sala Grande e vidi l’apprensione nei suoi occhi. Non potei comunicare però, perché era tornato tutto come prima, la nostra storia era un segreto.
Cenai in fretta e mi alzai prima delle altre, dicendo che volevo andare a dormire presto, perché tutta la tensione della giornata mi aveva distrutto. In realtà andai alla Guferia.
Scrissi velocemente il mio messaggio su un piccolo pezzo di pergamena e la affidai a un gufo della scuola, dicendogli, come sempre, di lasciarlo in camera sua quando non ci sarebbe stato nessuno.
Tornai indietro, di corsa per essere in dormitorio prima delle ragazze e una volta entrata fui sorpresa dal trovare un biglietto sul mio cuscino.

Tutto ok,
niente espulsione, solo niente gita a Hogsmeade la prossima volta e punizione per un mese.
Non ce l’hai con me per quello che è successo, vero?
Mi dispiace davvero, davvero tanto.
Fammi sapere presto cosa ti ha detto Silente…
Sogni d’oro!





Note: Allora, non potevo far andare tutto liscio, insomma! Devo dire che gli è andata anche piuttosto bene, sono stata ancora brava (la verità è che ci tengo troppo per farli stare troppo male...). Cosa devo aggiungere? Ah sì, a un certo punto, Silente sorride tristemente. vorrei spiegare questa reazione, non è un mio errore, non mi sono dimenticata che siamo al tempo di Lily e James e non a quello di Harry. Silente ovviamente non sa nulla di ciò che succederà, nessuna profezia è stata ancora pronunciata, eccetera eccetera. Allora perché la tristezza, vi chiedete? Semplice, io credo che Silente non abbia mai voluto questa guerra, né che anche uno solo dei suoi studenti sia obbligato a combatterla. Ma purtroppo la guerrà c'è e Lily dimostra di non voler chinar il capo e arrendersi, perciò ecco la tristezza di Silente. Spero di essermi spiegata XD
nota sul titolo... Sarebbe il completamento del titolo del capitolo precedente, così che venga fuori "Gita Sfortunata" :P
Ringraziamenti: torniamo alla normalità e ai consueti ringraziamenti XD Un grazie a tutti quelli che hanno letto, aggiunto tra preferiti e seguite e soprattutto recensito, in particolare ringrazio: dublino, kokylinda2, Ella_Sella_Lella (anche a me è piaciuta la parte di lui geloso xD E grazie per i complimenti all'altra ff, spero di aggiornarla presto...) e hyde. Ovviamente non posso rivelarvi chi è Mister-Fidanzato-Segreto, ma non disperate, prima o poi ve lo farò scoprire ;)

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Capitolo 23
*** Il Segreto ***


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= Il Segreto =

I giorni passarono ed io ero costantemente all’erta, cercando di capire quale professore mi stesse osservando e catalogasse il mio comportamento. Stavo diventando paranoica, lui me lo ripeteva costantemente; al contrario di me, l’aveva presa molto meglio. Anche la sua prossima uscita a Hogsmeade era stata vietata, ma in più era stato messo in punizione a tempo indeterminato. Sospettavo che quando fosse finito il mio controllo, sarebbe finita anche la sua punizione. Ero diventata ancor più attenta – maniacale – quando uscivo di nascosto e mi incontravo con lui, sia perché se un professore mi avesse visto, sarebbe stata la fine di entrambi, sia perché le mie amiche erano diventate sospettose, nonostante avessi raccontato loro la versione censurata, ma credibile, di quello che era successo.
Lo stato d’animo in cui ero, comunque non mi giovava per nulla, e nonostante mi rendessi conto che sussultavo ogni volta che qualcuno mi chiamava e controllavo ogni persona che mi guardava, non riuscivo a impedirmelo.
«Lily…» a sentirmi chiamare sussultai ovviamente, nonostante fosse una cosa del tutto normale, data la situazione.
«Sì?» risposi, cercando di tranquillizzare il battito cardiaco che aveva preso ad accelerare.
«Secondo me dovresti rilassarti…»
«Cosa?!»
«Dico che dovresti rilassarti… Sei tesa, sussulti, scatti, ti spaventi per qualsiasi cosa. Perché sei così preoccupata?»
«Io non sono preoccupata, Remus…» cercai di tirarmi fuori da quella situazione con una patetica scusa.
«E io sono Silente…» disse lui, troppo intelligente per credermi.
«E va bene… Sono in ansia…» ammisi, facevo male a parlarne con quello che era diventato il mio migliore amico? No, probabilmente no, se avessi censurato, come sempre…
«Non ci sono esami in vista, perciò perché sei in ansia?» mi chiese dolcemente. Adoravo Remus proprio per quello, era sempre pronto a offrire una spalla su cui piangere o sfogarsi e poi era così dolce. Se non fossi stata innamorata, forse avrei pensato a lui come qualcosa in più…
«Il mio comportamento è tenuto sotto controllo. Sembrerà strano, ma ho rischiato l’espulsione qualche settimana fa… Alla fine me la sono cavata con poco, si può dire. Se faccio anche un solo piccolo errore, potrei passare dei guai seri…»
«Stai dicendo sul serio?» mi chiese perplesso e stupito.
«Sembra strano eh…?» dissi con un sorriso forzato. Nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa del genere da me, nemmeno le mie migliori amiche.
«Quindi dici sul serio… Ora capisco perché sei così tesa. Ma non credi che tutta questa preoccupazione ti possa portare intanto all’esasperazione e poi a commettere quel passo falso che tanto temi?!» domandò, tornando serio.
«Sì, lo credo. Ma non riesco a fare altrimenti, ci ho provato, ma non riesco a rilassarmi.» ammisi, abbassando lo sguardo.
«Forse dovresti staccare un po’… Tra due settimane c’è una gita a Hogsmeade, se vuoi possiamo andarci assieme…» propose e non c’era nulla di malizioso in quella richiesta…
«Non posso…» iniziai, senza rialzare lo sguardo.
«Non fraintendere, non ti sto chiedendo di uscire… Cioè, tecnicamente sì, ma non voglio un appuntamento!» si precipitò a spiegare.
«Tranquillo, Remus, l’avevo capito e anche se fosse stato, magari ti avrei detto di sì…» dissi con un sorrisetto. «Non posso andare a Hogsmeade la prossima volta, fa parte della mia punizione…»
«Ah… Tanto meglio! Il castello si svuoterà e potrai stare in tranquillità per tutta la giornata. Se vuoi, posso farti compagnia… e neanche questo sarebbe un appuntamento!» esclamò divertito.
«D’accordo… Ci sto!» dissi, ritrovando il sorriso.
Dopo una pausa, fu lui a interrompere il silenzio. «Ehm…Lily…?»
«Dimmi…»
«Cosa intendevi prima, quando hai detto che se anche lo fosse stato, avresti detto di sì?» si capiva dal suo tono che era in imbarazzo, perciò per evitargli ulteriori disagi non mi voltai a guardarlo.
«Quello che ho detto…Che se mi avessi chiesto di uscire, forse ti avrei detto di sì…» dissi con semplicità.
«Io ti piaccio?» mi chiese con sincera incredulità. Il tono con cui la espresse, mi lasciò intendere che forse era più stupito di piacere a qualcuno, piuttosto che scoprire che mi piaceva.
Risi, non riuscii a trattenermi. «Io credo che tu sia il ragazzo perfetto. Sei intelligente, simpatico, dolce, sempre pronto ad ascoltare e ascolti veramente, non è che ti limiti ad annuire ogni tanto… E poi sei anche un bel ragazzo.»
«I-io non sono… come mi dipingi…» disse, sempre più imbarazzato. Forse non avrei dovuto dire niente. In fondo, erano vere quelle parole, ma era anche vero che ero comunque già fidanzata.
«E come saresti?» chiesi, ironica.
«Non così… Io non sono bello! James è bello, Sirius è bello… Io sono… solo Remus.»
«Ok, Solo Remus. Ma secondo me, sei anche bello.» dissi con una scrollata di spalle.
«Non sai quello che dici!» sbottò irritato e mi spiazzò. Mi voltai a guardarlo e non seppi cosa dire. Non pensavo che qualcuno potesse offendersi perché gli viene detto che è bello.
«Scusa…» mormorò, distogliendo lo sguardo.
«Non c’è bisogno di scusarsi…» dissi io, poggiandogli una mano sul braccio, per tranquillizzarlo «Non volevo offenderti.»
«Non mi hai offeso… E’ che…» si interruppe e scosse il capo.
«E’ che…? Puoi dirmi tutto, Remus lo sai?» dissi, forse capendo quel era il problema «Non preoccuparti di ferirmi, non ci sto provando con te, tengo troppo alla nostra amicizia per farlo.» aggiunsi poi per raddrizzare il tiro e non farmi scoprire.
Lui sorrise dolcemente. «Ci sono cose di me che non conosci, Lily.» mi disse.
«Davvero?!» domandai, fingendomi scettica «Mettimi alla prova…» aggiunsi poi, con ironico tono di sfida.
«Non credo sia il caso…»
«Andiamo! Ti conosco da sei anni! Siamo amici da sei anni! Credi davvero che ci sia qualcosa che non so di te?!»
«Sì, c’è.» rispose secco.
«E non vuoi dirmelo?» domandai, tornando seria.
«Non credo sia il caso…» ripeté.
«E’ così grave?»
«Sì, abbastanza.»
«Credi che non possa sopportare la realtà?»
«Credo di non poterla sopportare io.» ammise spostando lo sguardo sul corridoio che stavamo percorrendo.
«Sei davvero convito che qualsiasi cosa tu mi stia nascondendo possa cambiare questi sei anni di amicizia? Mi credi così superficiale da cambiare idea per questa cosa?» domandai, fingendo risentimento, ma cercando di essere convincente. Avevo decisamente capito di cosa stava parlando.
«Sì, Lily. Potresti farlo e ti darei ragione.»
«Allora sei tu a non conoscere me.» sentenziai.
«Lo dici sono perché non sai di cosa sto parlando, Lily.»
«Da quanto tempo mi nascondi questa cosa, Rem?» domandai allora.
«Da sempre.» ammise, con un sussurro flebile.
«Allora non potrò cambiare idea sulla nostra amicizia. Perché nei momenti che ho passato con te, quelli che ci hanno unito, questa cosa era già presente. Tu sei sempre stato così.»
«Se siamo amici, è perché te l’ho sempre nascosto…» cercò di apparire convincente ma non lo fu molto.
«Io non voglio obbligarti a dirmelo. Ma vorrei solo che riflettessi su una cosa. Io sono una Nata Babbana, vengo derisa e insultata da molti, sin dal primo giorno di scuola. Perciò, se c’è una persona che può capire la diversità e accettarla, quella sono io.»
Eravamo intanto arrivati al Ritratto, la nostra ronda notturna era terminata. «Tranello del Diavolo.» dissi alla Signora Grassa, che sorrise e ci lasciò passare.
«Buonanotte Remus.» dissi, sorridendogli e avviandomi verso il mio dormitorio.
«Aspetta…» sentii appena il suo richiamo, tanto era basso il tono di voce. Mi voltai e vidi che teneva lo sguardo basso, ma una mano era tesa, quasi volesse fermarmi con quella nonostante la distanza che già ci separava.
«Sono piuttosto stanca…» dissi, ma non era vero.
«Aspetta solo un momento… C’è un discorso che dobbiamo finire…» disse e capii lo sforzo di quelle parole.
«Ok…» disse, tornando indietro e andando a sedermi vicino al camino. La Sala Comune era vuota, avevamo fatto più tardi del solito. Mi seguì e si sedette anche lui, affianco a me.
«Avevi ragione. Tu forse puoi capirlo. Ma non penso che potrai mai accettarlo, o guardarmi con gli stessi occhi, se te lo dicessi.»
«E con che occhi dovrei guardarti? Ho solo questo paio… Solo i miei occhi verdi…» dissi, con un filo d’ironia.
«Bellissimi…» mormorò con un sorriso imbarazzato. Anche io sorrisi, colta alla sprovvista dal complimento.
«Hai mai letto “Storia di Hogwarts”?» mi domandò dopo la pausa.
«Sì, certamente…»
«Sai quando è stato piantato il Platano Picchiatore?» mi chiese e la voce tremò, forse timorosa di conoscere la risposta.
«Sì, l’estate prima del nostro primo anno.»
«Ma non sai per quale motivo.»
«Quale?» domandai, fingendomi incuriosita. Sussultò, come se non volesse rispondere a quella domanda, nemmeno sotto tortura. «Non sei obbligato Remus…» aggiunsi, colta da un istinto che voleva proteggerlo.
«Lo so, ma voglio farlo. Non voglio avere più pesi sulla coscienza.» decretò duro. Io annuii soltanto, per farlo proseguire. «E’ stato piantato a causa mia.»
Non sapevo che reazione dovessi avere, perciò mi finsi perplessa e chiesi «Cioè?»
«Il Platano è l’ingresso per un passaggio segreto che porta a un luogo sicuro. Un luogo in cui sono costretto a rifugiarmi…» si interruppe.
«Rifugiarti? Remus cosa stai dicendo?» cercai di sembrare preoccupata, ma tanto lui era troppo preso a pensare per valutare con accuratezza la mia reazione.
«Rifugiarmi, una volta al mese… durante la luna piena…» disse. Poi alzò gli occhi su di me e con qualche istante di ritardo – che forse lui pensò mi servisse per capire, ma che in realtà mi servì per decidere che espressione adottare – sgranai gli occhi “sorpresa”.
«Rifugiarti con la luna piena?!» domandai, col fiato corto. Neanche io sapevo di essere una così brava attrice. Non mi aveva scosso in alcun modo ascoltare la verità direttamente da lui, mi dava solo gioia, che finalmente riuscisse a condividere questa cosa anche con me.
«Sì, Lily…» disse rassegnato, come si aspettasse che scappassi da un momento all’altro.
«Quindi tu sei…?» interruppi apposta la frase «Da quanto?»
«Da prima di arrivare a Hogwarts. Pensavo che non avrei mai potuto frequentare, ma Silente trovò questa soluzione… In quattro e quattr’otto, piantò il Platano, costruì…» si bloccò, stava per dire il posto.
«La Stamberga Strillante…» completai io e la sorpresa sul suo volto fu vera, al contrario della mia.
«Lo sapevi?» mi chiese incredulo.
«Siamo amici Remus… L’avevo capito…»
«Perché non hai detto nulla?»
«Perché quando sarebbe giunto il momento, me l’avresti detto tu.» dissi con un sorriso dolce.
«Come sai della Stamberga…? Capisco tutto il resto, ma questo…»
«Per quello ho avuto un piccolo aiutino…»
«James…» capì, annuendo. Gli avevamo raccontato della nostra uscita, anche che eravamo andati alla Stamberga Strillante.
«Gli ho detto che sapevo, ma che mi rimaneva un unico dubbio…Cioè dove andavi durante la luna piena. Mi ha fatto capire che era la Stamberga… Ma non essere arrabbiato con lui. Avevo già capito tutto il resto, altrimenti non me l’avrebbe detto…»
«Lo so. In realtà temevo che lo scoprissi…» ammise. «Speravo che non ci arrivassi, ma sei troppo intelligente…»
«Remus… Non parlare come se dovessi scappare via in questo istante… Lo so da quasi due anni… Avrei avuto tutto il tempo di scappare prima…»
«Hai ragione…» ammise con un sorriso tirato.
«Credo di poterlo accettare…» dissi con un sorriso «In fondo sono la ex migliore amica di Mocciosus, no?!» sortì l’effetto desiderato, Remus scoppiò a ridere.
«A volte tendo a dimenticarlo…» rispose riprendendo fiato.
«Ora è meglio se andiamo a letto, però… Se no domattina non ci alziamo…» dissi, alzandomi dalla poltroncina.
Anche lui si alzò, ma al contrario di quanto mi aspettassi, non andò verso il suo dormitorio, bensì mi abbracciò. «Grazie…» mormorò.
«Prego…» dissi, mentre scioglievo l’abbraccio.
E io avrei mai potuto rivelare a Remus il mio segreto? La riflessione mi accompagnò fino in dormitorio e rimase finché non mi addormentai, mentre una vocina nella mia mente mi disse che la risposta era “no”.



Note: dal titolo vi aspettavate qualcos'altro eh?! E invece no, non vi ho svelato chi è il misterioso ragazzo. xD
Non credo di avere note da fare, se non dirvi che questo capitolo era nato con un altro scopo e che poi l'ispirazione ha preso la sua strada e mi ha portato a questo. Avrei potuto continuarlo, riprendendo l'idea originale, ma ho preferito lasciarlo così e rimandare il resto al prossimo.
Mi scuso se ci ho messo un po' a aggiornare, ma questo capitolo non voleva uscire XD
Ringraziamenti: come sempre un grazie a: dublino, kokylinda2, Ella_Sella_Lella poi a dorota, bianchimarsi, Little Nanny (e così i capitoli salgono a 23 :P) e Lisbeth S, nuove lettrici e recensitrici(?)(se non esiste la conio ora... xD).
Non date nulla di scontato, certe cose che vi sembrano indizi non lo sono, mentre altri dettagli potrebbero esserlo. Con questa frase rispondo un po' a tutti!
Un grazie particolare va a Sà, ma non c'è bisogno che dica per cosa.
Al prossimo capitolo! Vi prometto che arriverà presto stavolta ^^

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Capitolo 24
*** Il Bagno dei Prefetti ***


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~ Regalo questo capitolo a Sara.
Con tanto affetto ti auguro
un buon Natale ~




= Il Bagno dei Prefetti =

Le due settimane prima della gita a Hogsmeade passarono tra alti e bassi, le ore sembravano semplici minuti o a volte giorni interi. Erano tutti euforici per quell’uscita – tranne due persone – perché era l’occasione per comprare i regali di Natale. Io avrei ordinato i miei via gufo, non potendo uscire. Era chiaro che tutti quelli con permesso sarebbero andati, il castello si sarebbe svuotato quasi completamente.
Il mattino dell’uscita, le ragazze si svegliarono prestissimo, prima ancora del solito orario per le lezioni e cominciarono a saltare sul mio letto finché non mi svegliai irritata.
«Che c’è!» brontolai, gli occhi ancora chiusi, mentre cercavo di aggrapparmi al bellissimo sogno che stavo facendo, in cui uno splendido ragazzo di mia conoscenza stava tentando di sedurmi, diciamo…
«Dobbiamo andare a Hogsmeade!» gridò Alice a un centimetro dal mio orecchio.
«Voi… Io no…» brontolai, ora ero decisamente di malumore.
«E’ vero! Ce ne siamo dimenticate!» dissero «Buon riposo, Lily… Ci dispiace che tu non ci possa essere, ma almeno possiamo comprarti il regalo tranquillamente…!» continuò Mary e poi si allontanarono, ma continuarono a far baccano e fui costretta a nascondere la testa sotto il cuscino e premerlo sulle orecchie.
Fortunatamente, tutto durò relativamente poco, giusto il tempo di cambiarsi – tutte quante – lavarsi – tutte quante – urlare – tutte quante – e uscire. Così, potei rilassarmi e addormentarmi di nuovo per un altro paio di ore.
Quando scesi a colazione, la scuola si era già svuotata e la Sala Grande con essa. Mi avvicinai, ancora assonnata, al tavolo di Grifondoro. Con una sola fugace occhiata, incrociai il suo sguardo, in quel nostro, privato saluto mattutino e poi mi sedetti accanto a Remus.
Stavo per salutare anche il mio amico, quando uno stormo di gufi si precipitò nella Sala. Iniziarono a ruotare in cerchio sopra le tavolate, alcuni poi scendevano in picchiata, una volta trovati i loro padroni. Molti dovettero tornare indietro, perché la maggior parte degli studenti era a Hogsmeade. Uno però, scese dritto verso di me, atterrando tra il piatto e il bicchiere, tutto arruffato.
Presi la busta e il gufo volò via. La aprii: conteneva soltanto un biglietto.
«Buongiorno Lily…» mi salutò Remus in quel momento.
«Ciao Rem…» risposi, mentre estraevo e leggevo il messaggio.

Oggi abbiamo la scuola tutta per noi, non vuoi sprecare l'occasione, vero?
Ci vediamo al solito posto, quando vuoi...


«Allora che vuoi fare oggi?» mi domandò Remus da quella che mi sembrava un’altra dimensione.
«Uhm…?» grugnii.
«Ricordi, avevi detto che ti andava di passare la giornata assieme! Perciò ti chiedo cosa vuoi fare…»
«Ah sì, ricordo…» dissi, ancora distratta.
«Lily, tutto ok? Brutte notizie?» chiese, allarmato.
«No, no! Tranquillo!» risposi, sentendo la sua preoccupazione.
«Quindi…?»
«Sei capace a pattinare?!»
«Sì, certo…» mi rispose perplesso.
«Potremmo pattinare sul lago ghiacciato!»
«Sicura che sia una buona idea?!»
«Che c’è? Paura della piovra gigante?!» lo provocai.
«No, certo che no!» accompagno la risposta con un gesto della mano.
«Allora è deciso!» sentenziai prima di cominciare a fare colazione.
Quando fummo sazi, ci alzammo e andammo a prendere i mantelli, poi uscimmo e andammo verso il lago.
«Sembri distratta cos’hai?» mi domandò a un certo punto del tragitto.
«Nulla… Stavo pensando a delle cose che devo fare…» risposi vaga. In realtà stavo pensando che, nonostante mi piacesse trascorrere del tempo con Remus, avrei voluto essere in tutt’altro posto. Avevo scelto di passare la mattinata con lui, per evitare sospetti, mi bastavano già le ragazze…
«Preferisci tornare indietro?»
«No, tranquillo… Magari dopo pranzo…» dissi sorridendo.
«D’accordo! Allora eccoci qui…» disse, fermandosi in riva al lago.
«Pronto?» chiesi ironicamente, estraendo la bacchetta per incantare le scarpe in modo che scivolassero sul ghiaccio, come fossero pattini.
«Certo!» esclamò con un largo sorriso, prima di fare lo stesso e buttarsi sulla superficie del lago.
Lo seguii con una risata cristallina. Mi ci voleva proprio un po’ di svago del genere, senza preoccuparmi di professori, sospetti e segreti.
Passammo tutta la mattina a rincorrerci per il lago, le cadute furono inevitabili e divertentissime, anche se le mie facevano piuttosto male, probabilmente anche quelle di Remus, ma non sentivo io il suo dolore…
Ballammo una musica inesistente, sbagliando passi e pestandoci i piedi a vicenda.
Fu romantico
Risi tantissimo, tanto che le guance mi facevano male.
Quando ci fermammo, sfiniti e affamati, mi sentivo leggera, come non lo ero ormai da diverso tempo.
Ci lasciammo cadere seduti sulla neve fresca, in riva al lago, per riprendere fiato e decidere cosa fare. Iniziai a sentire freddo, dopo essermi calmata. Remus parve accorgersene perché si alzò e mi tese la mano.
«Andiamo a pranzo, prima di diventare parte integrante del lago?» domandò con un sorriso.
Io afferrai la sua mano e mi alzai. «E’ decisamente conveniente…» dissi in risposta.
Così ci incamminammo piuttosto velocemente verso il castello, sognando una Sala calda e un pranzo abbondante. E le aspettative non furono deluse, la Sala Grande, seppur semi-vuota, era accogliente e calda e qualche istante dopo che ci fummo seduti, i piatti si riempirono di leccornie e pietanze da far invidia a qualsiasi altro banchetto.
Certo, notai anche lo sguardo carico di gelosia e rabbia, forse, che incrociai una volta seduta a tavola. Sospirai e cercai di sorridere, per fargli capire che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ma gli avrei spiegato tutto comunque.
«Quindi oggi pomeriggio hai cose da fare?» domandò Remus, mentre si serviva – e mi serviva – del vitello tonnato.
«Grazie… Sì, ho delle faccende da sistemare…» e in quel momento mi venne l’idea che avrebbe cambiato il mio pomeriggio.
«Studierai?»
«No, no, oggi niente studio! Seguirò il tuo consiglio e mi distrarrò!»
«Da sola?»
«Eh sì…»
«D’accordo, ma se hai bisogno, sai dove trovarmi…»
«Grazie Remus! Lo terrò a mente.» ma ero piuttosto sicura che non avrei avuto bisogno di lui.
Finito con calma il pranzo, per non insospettire Remus, mi alzai e lo salutai per poi dirigermi al “solito posto”, cioè il nostro ritrovo al quarto piano.
Lo trovai ad aspettarmi appoggiato alla porta dell’aula vuota, che ormai sembrava più un dormitorio. La sua posizione non prometteva nulla di buono e quando parlò, il mio sospetto fu confermato.
«Non pensavo che venissi. Credevo fossi impegnata con il tuo caro amico Remus.» disse con rabbia, senza alzare lo sguardo da terra.
«Potrei avere la possibilità di spiegarti?» domandai, mantenendo la calma. Mi ero aspettata un’accoglienza del genere, perciò mi ero preparata a non ribattere, ma soltanto a spiegare.
«Fai…» disse scrollando le spalle. Ancora non mi guardava.
Sospirai. «Quando ho letto il tuo messaggio, stamattina, non vedevo l’ora di vederti. Però, Remus mi ha chiesto se volevo passare del tempo con lui… Me l’ha chiesto già due settimane fa…»
«E con ciò? Non mi pare che io abbia bisogno di chiederti se ci vediamo, nell’unico giorno libero in cui possiamo stare tranquilli!» mi interruppe, la rabbia era aumentata.
«Già… Ma le ragazze sono sospettose. Non si sono bevute la storia che ho raccontato loro, sulla nostra piccola fuga. A Remus ho detto la stessa cosa, ma è troppo intelligente per berla così facilmente. Perciò ho dovuto passare del tempo con lui. Per evitare di attirare l’attenzione su di noi e per avere qualcosa di vero da raccontare alle ragazze, quando torneranno.»
Finalmente alzò lo sguardo su di me e incrociò il mio. Restammo a fissarci per qualche attimo, prima che lui riprendesse a parlare, ma non commentò la mia spiegazione. «Ti ho vista al lago… Eri felice…» la cosa che mi fece più male, di quella frase, fu la tristezza con cui l’aveva pronunciata. Colta da un improvviso istinto, dimenticai che forse era ancora arrabbiato, e mi avvicinai, abbracciandolo e stringendolo più forte possibile, senza fargli del male ovviamente.
«Io ora sono felice… Al lago ero solo spensierata. Ma la mia felicità dipende da te. Ti appartiene, come me.» dissi istintivamente. Lo sentii sospirare e ricambiare finalmente l’abbraccio.
«Andiamo dentro?» mi domandò, dopo un paio d’istanti di silenzio, in cui il tempo per me si era fermato. Allungò una mano, per aprire la porta, ma lo fermai.
«Ehm… No…»
«No? Che c’è, sei venuta a dirmi che passerai il pomeriggio con Lupin?!» disse, di nuovo sul chi va là.
«No. Passerò il pomeriggio e la notte con te, ma non qui… O almeno non il pomeriggio qui.»
«E dove?»
«Lo vedrai…» dissi, con un sorriso malizioso, mentre tenendolo per mano, facevo la strada a ritroso verso il quarto piano. Purtroppo, una volta dall’altra parte fui costretta a lasciarlo andare e farmi seguire da qualche passo di distanza. Ci fermammo davanti alla quarta porta a sinistra della statua di Boris il Basito, al quinto piano.
«Pino Silvestre!» esclamai, dopo essermi accertata che non ci fosse nessuno. La porta si aprì docilmente ed io feci cenno a lui di andare «Vai, presto!» e poi entrai anch’io chiudendomi la porta alle spalle.
«Cosa ci facciamo qui, Lily?» mi domandò perplesso, nel vedere il luogo dove l’avevo portato.
«Ci divertiamo!» risposi io, sorridendo.
«Nel bagno dei prefetti?!»
«Proprio così…» dissi maliziosa, per poi superarlo e andare verso la grande vasca al centro e aprire i rubinetti. La schiuma multicolore iniziò a scendere, liberando il suo profumo dolce e confortevole.
«Continuo a non capire…»
«Ora capirai…» usai lo stesso tono di poco prima. Poi, contro ogni sua previsione, iniziai a spogliarmi. Fu estremamente esilarante vederlo sgranare gli occhi, quando iniziai a togliere il maglioncino.
«Lil…» apriva e chiudeva la bocca, senza riuscire ad articolare un suono e io scoppiai genuinamente a ridere. Tolsi, con un gesto volutamente lento, anche i pantaloni e il suo stupore aumentò. Forse era troppo scioccato per notare che le uniche cose che indossavo erano i pezzi del costume da bagno.
Mi avvicinai a lui, che mi seguì con uno sguardo contemplativo che lasciava trapelare i suoi pensieri e gli alzai la felpa, per invitarlo a spogliarsi. Lui meccanicamente, senza spostare lo sguardo da me, lo fece, per poi slacciarsi i pantaloni.
«Non hai il costume!» esclamai io, allontanandomi per tornare ai miei vestiti e raccogliere la bacchetta.
«E’ un problema?» domandò lui malizioso.
«Sì lo è…» dissi, puntandogli la bacchetta alla vita…o meglio un po’ più sotto.
«Ehi ferma! Che vuoi fare! Io ti amo!» esclamò, sentendosi minacciato.
«Rilassati, scemo… Non voglio farti del male…» dissi, agitai la bacchetta e al posto dei suoi boxer apparve un costume in piena regola.
«Potevi farmi male!»
«Non sono così stupida… Ci rimetterei anch’io…» risposi alzando gli occhi al cielo.
«Quindi mi stai dicendo che mi hai portato qui per…» disse maliziosamente.
«Può darsi…» feci io vaga, indietreggiando verso la vasca.
«Può darsi?!» mi fece l’eco, avvicinandosi con due grandi falcate e abbracciandomi. «Io dico di sì.» e non mi diede il tempo di rispondere perché mi baciò con foga. Dopo pochi istanti, mi prese in braccio ed entrò in acqua, sedendosi sul bordo immerso.
«Perciò, dimmi… Cosa volevi fare?» mi chiese sussurrando all’orecchio.
Io mi sistemai, sempre in braccio a lui, ma in modo da essergli di fronte e invece che rispondergli ripresi a baciarlo.
«Uhm… E’ interessante…» mormorò sulle mie labbra «Ma il costume… Lo toglieremo, prima o poi?»
«Lo vedrai…» risposi, col tono apposta per provocarlo.
«Secondo me sì… Scommettiamo?» ma ancora una volta non ebbi la possibilità di rispondere, perché mi baciò il collo, togliendomi il respiro per l’improvvisa sensazione.
«Sarebbe una scommessa persa…» dissi, quando riuscii a parlare di nuovo.
«Proprio così… Hai fatto male a provocarmi…»
«…O bene.» ribattei baciandolo prima che potesse dire qualsiasi altra cosa.
Ero troppo presa dal bacio, dal mio respiro che si stava affannando e dal cuore che batteva fortissimo, pregustando quello che sarebbe successo, per sentire il leggero cigolio che riempì il bagno. Fu solo per puro caso che il bacio terminò e lui spostò le mani verso il laccetto del reggiseno del costume e le labbra, lentamente a baciarmi le guance, liberandomi il campo visivo e permettendomi di vedere una figura impietrita che guardava proprio verso di noi. Un istinto irrazionale mi prese e feci la prima cosa che mi venne in mente. Avendo una mano nei suoi capelli e una sulla sua schiena, feci una leggera pressione in modo da spingerlo verso l’acqua e nasconderlo. Così mi spostai velocemente da sopra di lui e cercai di tenerlo sott’acqua, mentre rivolsi un sorriso colpevole a quella persona che ci stava osservando. In realtà ero terrorizzata. Per fortuna il mio costume era ancora a posto…
«Lily, ma che fai?!» forse il terrore mi aveva bloccato e avevo dimenticato di tenerlo ben nascosto, perché la sua figura riapparve al mio fianco, guardandomi stralunato.
«Dovevi stare giù…» gli dissi con un’espressione che ricordava il pianto. Il mio sguardo era puntato davanti a noi e quando se ne accorse, vide anche lui cosa mi aveva terrorizzato.
«Oh Merlino!» mormorò, rendendosi conto del pasticcio in cui eravamo.
«Remus, non è come sembra…» cercai di giustificarmi con una scusa patetica. Remus era ancora immobile, quasi fosse preda di un incantesimo.
«No…?» disse con poca enfasi.
«No, assolutamente!»
«Quindi tu non stavi amoreggiando…» mi disse, riprendendosi un pochino e accennando un sorriso divertito per le mie scuse campate in aria.
«No! Non stavo amoreggiando!» dissi convinta, anche se era palese il contrario.
«Lily…» intervenne la terza voce, a indicarmi che probabilmente mi stavo arrampicando un po’ troppo sugli specchi.
«Remus noi possiamo spiegarti tutto…» ci provai ancora…
«Non lo metto in dubbio…» era davvero divertito «Sono pronto ad ascoltare…»


***

Lily si era volatilizzata come suo solito, perciò avrei avuto tutto il pomeriggio libero. Decisi che per prima cosa mi sarei concesso un bel bagno caldo, per rilassarmi. Così salii velocemente alla torre di Grifondoro per prendere un cambio e poi tornai al quinto piano, verso il bagno dei prefetti. La porta si aprì, indice che non c’era nessuno, perciò entrai. Ma ciò che vidi andò oltre ogni previsione. Avrei riconosciuto quella chioma rossa ovunque. Era quella della mia migliore amica, ma nonostante questo, con tutte le volte che James ce l’aveva fatta notare, non potevo non riconoscerla. Capii immediatamente cosa stessero facendo – o stavano per fare – però, anche se il mio istinto mi dicesse di uscire velocemente, i miei piedi non ne volevano sapere. Ero impietrito, non tanto dallo spettacolino che avevo davanti, quanto dal fatto che conoscevo anche l’altra nuca. E l’ultima cosa che avrei voluto, era vederli in quelle circostanze. Vidi Lily notarmi, impallidire e cercare di nasconderlo facendolo quasi affogare, poi rivolgermi quel sorriso, che se non fossi stato paralizzato, mi avrebbe fatto ridere. Vidi come a rallentatore lui riemergere, cercare di capire perché la ragazza era impazzita e poi vedermi, finalmente e sbiancare, più di lei.
«Oh Merlino!» mormorò.
«Remus, non è come sembra…» Lily cercò di prendere le redini di una situazione senza speranza.
«No…?» dissi cercando di riprendermi.
«No, assolutamente!»
«Quindi tu non stavi amoreggiando…» chiesi, sorridendo per le scuse che cercava di propinarmi.
«No! Non stavo amoreggiando!» disse convinta, anche se era palese il contrario.
«Lily…» intervenne la terza voce.
«Remus noi possiamo spiegarti tutto…» ci provò di nuovo, ma cosa c’era da spiegare?
«Non lo metto in dubbio…» ero davvero divertito ora «Sono pronto ad ascoltare…»

***


Trassi un respiro profondo, cercando di riordinare le idee. Negare l’evidenza non era certo la scelta migliore, ma cosa potevo fare? Guardai verso di lui, disperata, ma il suo sguardo era su Remus e non riuscii a decifrarlo.
Per racimolare un po’ di tempo, uscii dalla vasca e presi un accappatoio, nel quale mi avvolsi, poi ne passai uno anche a lui che fece lo stesso.
«Allora cosa volete spiegare?» esordì Remus, per rompere il silenzio, sul volto ancora il sorriso divertito. «Era la prima volta che vi vedevate e siete per caso capitati l’uno sulle labbra dell’altro?!» ovviamente era ironico.
«Può darsi…» feci io, stando al gioco.
«Oh andiamo, Lil, non puoi dargliela a bere… Sbaglio o sei sempre tu quella che dice in giro che Remus Lupin è una delle persone più intelligenti che conosci?!»
«Grazie…» disse Remus.
«Prego…» non seppi aggiungere altro, abbassai lo sguardo, chiedendomi cosa sarebbe successo.
Ci fu una pausa, che mi sembrò durare in eterno, ma alla fine venne spezzata, con le ultime parole che avrei mai creduto di sentire. «Stiamo assieme Remus, dal terzo anno… E la amo.» il suo tono era la sincerità fatta persona e il suo sguardo perforava quello di Remus, come se volesse sfidarlo a dire il contrario.
Avrei immaginato che trovasse una buona scusa, invece gli aveva detto soltanto la verità.
Remus sorrise, questa volta sembrava intenerito. «Lo so, Sirius…»



Essendo un regalo, le note sono rimandate al prossimo capitolo.
Spero ti sia piaciuto, Sà. <3

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Capitolo 25
*** Tensione ***


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= Tensione =

«Lo so, Sirius…»
«Che cosa?» esplosi «Cosa significa “lo so, Sirius”? Gliel’hai detto, dopo tutte le volte che ti ho chiesto di poterlo raccontare a Mary o Sarah o una delle altre… Sei un ipocrita!» esclamai, voltandomi verso Sirius, in preda a una rabbia nata forse dallo spavento.
«Non gliel’ho detto!» esclamò lui in sua difesa.
«Non me l’ha detto…» disse Remus con un sorrisetto. «L’avevo capito… Sono amico di entrambi, ricordi?»
«Ah… Sì…» sbuffai «Scusa…» dissi poi rivolgendomi a Sirius, che annuì comprensivo.
«Volete che vi lasci soli?» domandò Remus, ma dal tono non sembrava volerci concedere privacy.
«Immagino che tu invece voglia parlare…» commentò sarcastico Sirius.
«Non mi dispiacerebbe…»
«E va bene… Ci concedi un momento per vestirci?»
Remus scrollò le spalle e poi si voltò incamminandosi verso la porta «Fate in fretta…» mormorò e poi uscì.
«Non ci voleva…» borbottai, cercando i miei vestiti.
«Ehi, vieni qui…» disse invece lui, afferrando delicatamente il mio polso e alzandomi per abbracciarmi. «Sistemeremo tutto… Non devi preoccuparti di Remus, me la vedrò io con lui…» mi sussurrò accarezzandomi i capelli.
«Credi che…?» ma non finii la frase. Ero sconfortata, per tre anni avevamo fatto attenzione a non far capire a nessuno che stavamo assieme, e ora per colpa mia – ero stata io a non controllare che la porta fosse ben chiusa – tutto rischiava di essere rovinato.
«Non lo so… Remus a volte è imprevedibile.» rispose, capendo la mia domanda nonostante non fosse completa.
«Andiamo allora, prima ci togliamo il fastidio, meglio è…» dissi, ritrovando il coraggio e – a malincuore – liberandomi dall’abbraccio per tornare a vestirmi. Lui, con un sorriso incoraggiante sulle labbra, fece lo stesso.
Qualche minuto dopo, uscimmo dal bagno come due che s’incamminano al patibolo.
Remus ci aspettava fuori, appoggiato al muro, l’espressione illeggibile. Quando ci vide, iniziò a camminare aprendo la strada in silenzio. Tornammo alla Sala Comune, ma non ci fermammo, proseguimmo invece per il loro dormitorio.
«Qui potremo parlare senza esser disturbati.» disse, senza voltarsi e aprendoci la porta.
Entrai, senza aspettarmi qualcosa di buono. Sirius andò verso un letto, che probabilmente era il suo, Remus fece lo stesso, sul letto di fianco. Io rimasi in piedi, indecisa sul da farsi. Quel dormitorio mi metteva a disagio, ci ero entrata solo per lo scherzo a Potter, di notte, perciò non l’avevo mai visto. Era strano. I poster tutti diversi appesi alle pareti davano l’idea di caos. C’era di tutto, da calendari di ragazze Babbane in bikini – intorno al letto di Sirius, cosa che m’irritò un po’ – a illustrazioni di creature magiche, squadre di Quidditch e foto di loro quattro. Le pareti erano talmente tappezzate che sembravano più piccole. Per fortuna gli elfi domestici si occupavano della pulizia della stanza, altrimenti non avrei potuto immaginare il disordine in cui sicuramente l’avrebbero lasciata.
«Vieni a sederti, Lil» mi disse Sirius dolcemente, la sua voce aveva lo strano potere di tranquillizzarmi. Era sempre così sicuro di tutto… A volte lo invidiavo – e quando glielo dicevo, mi prendeva in giro.
Mi avvicinai al suo letto e mi sedetti accanto a lui, sfiorandolo appena. Sospirai e poi alzai lo sguardo su Remus.
Il silenzio rimase, carico di tensione, per qualche minuto. Tutti aspettavamo che fossero gli altri a parlare, io per la precisione aspettavo che fosse proprio Remus.
«Da quanto tempo lo sai?» chiese Sirius e sentii chiaramente una nota di arroganza nel suo tono, come a sfidarlo a dire qualcosa contro di noi.
«Dall’anno scorso. Cioè lo sospettavo già da un po’. Poi l’anno scorso dopo Natale, eravate tutti e due molto nervosi, per l’avvicinarsi degli esami. Poi quel giorno sei andato al Testa di Porco» indicò Sirius, con un cenno del capo «dicendo che saresti andato in bagno e mentre aspettavamo fuori, sei passata tu,» indicò me «sei entrata e nessuno dei due è più uscito…»
«Ma avevo il cappuccio!» esclamai io, ricordandomi l’episodio.
«Sì sì, ma ho visto un ciuffo inconfondibile dei tuoi capelli…» disse con un sorriso, che trovai irritante. «Comunque sia, poi avete cominciato a sparire, di notte. Tu» si riferì di nuovo a me «non rientravi in dormitorio dopo le ronde e tu, invece,» indicò lui «uscivi dopo il coprifuoco e non tornavi per tutta la nottata. A colazione arrivavate tardi, seppur in tempi separati e quando ho chiesto alle tue amiche, mi hanno detto che quando si svegliavano non ti vedevano a letto e tu dicevi di essere in biblioteca, ma era impossibile! Io passavo la mattina, prima e dopo colazione, lì e tu non c’eri mai. A volte vi vedevo incrociare lo sguardo, ma non riuscivo a leggere quello che volevate trasmettere, perché non sapevo… Ora ho capito molte cose.» concluse.
«E ora che hai capito molte cose, cosa intendi fare?» domandò Sirius, con amarezza.
«Rimproverarti?»
«Sapevo che l’avresti detto. Non ho bisogno e non voglio sentire la tua ramanzina.» si stava arrabbiando, sentivo la sfumatura nel suo tono. Così gli accarezzai il braccio per cercare di calmarlo. «Tranquillo dai…»
«Non sto tranquillo se quello che vuole dirmi è che non dovrei fare una cosa del genere a James…»
«Non era quello che volevo dirti, ma se la metti in questo modo, sì, non dovresti fare una cosa del genere a James.»
«Vedi?!» esclamò esasperato lanciandomi un’occhiataccia.
«Che cosa volevi dirgli, Remus?» domandai, ignorando tutto il resto. Era un tasto dolente, Potter.
«Volevo rimproverarlo, anzi rimproverarvi, per non aver avuto fiducia negli amici. Potevate dirmelo.»
«Certo che potevano… Poi tu avresti messo su questo bel faccino e avresti detto, con il tuo tono da papà spazientito, che non avrei dovuto tenerlo nascosto a James, perché non se lo merita, perché è un grande amico, perché è mio fratello…» deglutì sonoramente e sbuffò. Tremava leggermente, forse per la rabbia.
«Probabilmente è quello che ti avrei detto, ma ora è inutile che te lo ripeta, hai espresso perfettamente tu il concetto.»
Mi sentivo a disagio e in colpa. Quello era un discorso tra loro, mi sentivo di troppo, però era a causa mia se entrambi erano arrabbiati e stavano per litigare. Non sapevo cosa fare, né cosa dire: persino respirare mi sembrava la cosa sbagliata.
«Invece io ho pensato che sarebbe stato peggio se ve l’avessi detto, se l’avessi detto a lui.» lo aggredì e se non avessi avuto mano sul suo braccio, probabilmente si sarebbe alzato in piedi di scatto.
«Hai pensato male!»
«No, tu hai pensato male! James non l’avrebbe accettato come ha fatto con il tuo segreto. Sarebbe morto, giorno per giorno, pezzo dopo pezzo, lentamente, senza darlo a vedere. E così che reagirebbe, anche se glielo dicessi ora!»
«Non puoi saperlo! Tu non puoi saperlo!»
Mi faceva male sentirli urlare l’uno contro l’altro. Mi morsi il labbro a sangue, pur di non reagire, sapevo che era necessario che si chiarissero così.
«Certo che lo so! Le va dietro da sempre! La chiama “la mia ragazza” o “il mio amore” ogni volta che parla di lei in sua assenza! Ma io la amo, Remus e lei ama me, non James, me. E’ stata la scelta migliore. James sta bene, noi stiamo bene.»
«Ah state bene a tenere nascosta una cosa del genere da tre anni?» chiese sarcastico, alzandosi in piedi. Stavolta era riferito anche a me, come se io potessi dire il contrario…
«Certo che stiamo bene, sappiamo tutti e due che è la soluzione migliore. Che sarebbe stato peggio, che ci saremmo lasciati, se James l’avesse presa male. Perché lo sai, che io non avrei accettato tutto il suo dolore, essendone la causa. Ma poi chi sarebbe stato male? Chi non avrebbe avuto altra ragione per vivere? Io, Remus. Questa soluzione rende felici tutti.» non riuscii più a trattenerlo e anche lui ora era in piedi.
«Anche Lily?» domandò con cattiveria. Si fronteggiavano con la stessa espressione arrabbiata e ferita sul volto, e anche se Sirius sovrastava Remus in altezza, quest’ultimo non ne era intimidito.
«Chiediglielo direttamente…» lo sfidò indicandomi.
«Tu sei felice, Lily?» cantilenò, volgendo a me lo sguardo, che incrociai con sfida.
«Come non mai.» fu la mia risposta tranquilla.
«Sinceramente, accetti questa situazione?»
«Sì, ora più che prima. Ora che ho visto la tua reazione, sono sempre più convinta che sia stata la scelta migliore. Quella che ci ha permesso, fino ad ora, di vivere i momenti più belli delle nostre vite.»
«Ma mentire è sbagliato. Vi sentite a posto con voi stessi, sapendo che ogni giorno nascondete ai vostri migliori amici la verità?»
«A volte mi pesa, certi bei momenti vorrei urlarli al vento, ma mi sento a posto con me stessa. Non sto mentendo, sto nascondendo qualcosa per il bene mio e di qualcun altro.» risposi, parlando volutamente solo per me.
«Ecco, ha risposto alle tue domande, hai ancora intenzione di accusarmi di non farla felice?!» lo stuzzicò Sirius, senza rispondere alla domanda.
«No. Ma non approvo che tu non lo voglia dire a James. Glielo devi.»
«Perché glielo devo? Solo perché lui mette in mostra le sue fissazioni ed io tengo per me i miei sentimenti? Non l’ha vista lui per primo, non può accampare diritti. E poi è lei che ha scelto. Se volesse lui, potrebbe stare con lui. Non sarei certo io a impedirglielo!»
«Sai benissimo che James non è fissato…» commentò, ma il suo tono era più basso e aveva distolto lo sguardo, come se non sapesse bene cosa ribattere ma volesse avere l’ultima parola.
«Non me ne frega proprio niente di quello che è o non è lui, Remus. Il punto qui è che io non posso smettere di amarla.»
«Credo che questa discussione sia inutile Sirius, sei troppo testardo.» disse acidamente Remus, tornando a sedersi.
«Cosa dovrei fare, Remus, lasciarla solo perché a te non sta bene?!» ribatté Sirius con sarcasmo.
«Fai quello che vuoi…» rispose scuotendo il capo, poi si alzò e s’incamminò verso la porta. «Io non approvo e non condivido questa vostra decisione. Non ho intenzione di coprirvi, nel caso.»
«Glielo dirai?» dissi io in un sussurro tremolante.
«No, ma non vi nasconderò. Sarà quel sarà… Vi consiglierei di fare più attenzione. Ora potete rimanere qui, se volete, non ci ha visto nessuno salire tutti insieme…» fu l’ultima cosa che disse, perché poi uscì, chiudendo con forza la porta.
«Stupido Remus!» ringhiò Sirius, tirando un calcio alla struttura del letto dell’amico. «Ahia!» piagnucolò subito dopo, saltellando su un piede solo. La tensione mi fece scoppiare a ridere, riempiendo la stanza di quel suono che, in quella situazione, sembrava fuori luogo. Lui mi lanciò un’occhiataccia, ma poi iniziò a ridere.
Qualche istante dopo si sedette stancamente affianco a me, appoggiando i gomiti alle ginocchia e affondando la testa nelle mani. Fu istintivo avvicinarmi e cingergli le spalle.
«Scusa. Non avresti dovuto assistere a una scena del genere…» commentò amaramente senza cambiare posizione.
«E perché no? E’ colpa mia se si è creata tutta questa situazione…»
«Non dire una cosa del genere!» ribatté voltandosi di scatto.
«Ma lo è, Sirius… Intanto sono io che non ho chiuso bene la porta del bagno. Se avessi fatto attenzione a quest’ora, saremmo spensierati a divertirci…»
«Poteva capitare a chiunque…» cercò di controbattere.
«Sì, ma è capitato a me. Ed è a causa mia, tutta questa tensione.»
«No. Non lo è.» disse fermamente. «Il fatto è che spesso i miei amici tendono a tenere più in considerazione James che gli altri. Remus te ne ha appena dato dimostrazione. Sembra che non gliene importi nulla di ciò che provo per te, ma piuttosto sia interessato al bene di James.»
«Anche tu sei interessato al suo bene. E’ per questo che da tre anni manteniamo il segreto.» risposi dolcemente.
«Sai benissimo che non è solo per questo, Lily.»
«Certamente…» dissi, ma non potei aggiungere altro perché m’interruppe.
«E vero che l’ho fatto anche per lui, ma innanzitutto l’ho fatto per me. Per la mia felicità. Chiamami egoista se vuoi, ma sapevo che se gliel’avessi detto, così come se glielo dicessimo ora, noi non staremmo più assieme. Credo di averlo spiegato piuttosto chiaramente a Remus.»
«Sì, sei stato chiarissimo. E ad essere sincera, mi piace molto questo tuo egoismo…» dissi con un sorriso malizioso, per sdrammatizzare.
«Ah sì?» domandò, stando al gioco.
«Sì, decisamente sì…»
«Ah… E cosa dicevi prima del divertirci? Credi che sia possibile farlo qui? Divertirci, intendo…»
«E se arriva qualcuno?»
«Abbiamo ancora buona parte del pomeriggio… La porta stavolta la chiudiamo…» disse tentando di convincermi.
«D’accordo, chiudila tu però… Non voglio essere io la causa di altri danni…» risi.
«Detto fatto, amore mio…» scherzò estraendo la bacchetta e agitandola teatralmente in direzione della porta, che si chiuse con un sonoro “clac”. Poi buttò la bacchetta sul suo comodino e si sdraiò sul letto, tirandomi sopra di lui.
«Dov’è che eravamo rimasti?» mi domandò avvicinando il mio viso al suo per baciarmi.
«Uhm… Ricordo che c’entrava qualcosa il mio costume… Ma dovresti rinfrescarmi la memoria…» risposi, baciandolo e infilando le dita nei suoi capelli.
«Hai ragione…» sussurrò sulle mie labbra «Ma prima del costume, ci sono un paio di indumenti sopra…» finse di lamentarsi, per poi far scivolare lentamente le mani sulla mia schiena, provocandomi migliaia di brividi. Si fermò al bordo del maglioncino, ci giocherellò un po’, facendo aumentare la mia impazienza e poi lo sfilò con estrema, torturante lentezza.
«Si possono sempre togliere…» mormorai, mentre facevo lo stesso con il suo maglione, ma con molta meno pazienza.
«Sì, hai decisamente ragione…» rispose, sollevandosi per baciarmi. A quel punto le parole diventarono superflue, sentivo soltanto le sue mani accarezzare la mia schiena, muoversi attorno al laccetto del costume, facendomi rabbrividire sempre di più, ma non slacciandolo mai.
Prima sfilò i pantaloni, sia i miei che i suoi, forse agognando il contatto con il mio corpo quasi completamente nudo e io con il suo, d’altronde.
Lì allora, riprendemmo da dove avevamo lasciato nel bagno dei Prefetti, senza interruzioni, né brutte sorprese…



Note: Del capitolo precedente a dire il vero non ho note xD Credo abbia fatto abbastanza scalpore così, da solo ù.ù
Avrei da chiedervi un piccolo aiuto. Vi andrebbe di commentare questo topic, basta che solo un "concordo, mi piace"... Sarebbe importante per far conoscere la ff e farla finire tra le "Storie Scelte". Ve ne sarei veramente grata.
Perciò posso passare alle vostre recensioni.
Vorrei fare prima due precisazioni:
Il capitolo precedente, nonostante fosse pubblicato a Natale, non era un regalo per tutti, ma soltanto per Sara, come espressamente scritto nella dedica.
Seconda cosa, vorrei ricordarvi che il regolamento vieta recensioni come "nooooo non ci credoooooo" o "bellissimooooo", ne ho notata qualcuna nei capitoli precedenti, ma ho preferito, per questa volta evitare di segnalarle, per ricordarvelo qui. Tra l'altro sono "recensioni" (sarebbe meglio chiamarli commenti) che fanno venire il latte alle ginocchia e fanno passare la voglia di scrivere, e se anche voi come me scrivete, potete ben capire.
Ma veniamo alle vostre recensioni...
Mi dispiace se la piega della storia non vi piace, ma ahimè è così che l'ho pensata ed è così che la continuerò xD
Sono davvero contenta però, di avervi stupito rivelandovi l'identità del famoso fidanzato segreto u.u Speravo di sortire proprio quest'effetto.
Cito parte di una recensione: le espressioni "il tuo amico Remus", "Quindi TU (Lily) non stavi amoreggiando?"... Insomma, ero più propensa a pensare fosse qualcun altro.... Anche perché, a inizio fic, avevi detto una cosa del tipo "non sopporto il gruppo di Potter".... Qui ci va una spiegazione... bisogna collocare le frasi nel loro contesto. Allora, riguardo alla prima, ad esempio. Sirius in quel momento era arrabbiato (geloso per l'esattezza) e accusava irrazionalmente Lily di avere una qualche storia con Remus (infatti "amico" è in corsivo"). Perciò l'ha "rinnegato" come amico, in quel frangente, un po' come un genitore che dice all'altro genitore "guarda cos'ha fatto tuo figlio", quando il figlio in questione ha fatto qualcosa di sbagliato. Nella seconda frase, Remus sta parlando solo a Lily, perciò si riferisce a lei (anche perché, sia che fosse Sirius, sia che non lo fosse stato...per amoreggiare ci vogliono comunque due persone). Per l'ultima, mi pare ovvio che Lily dica una cosa del genere, altrimenti tanto valeva che dicessi subito chi era il fidanzato segreto. Che poi è anche vero che lei non sopporta molto certi comportamenti dei Malandrini, di tutti, Sirius compreso. spero di essere stata chiara. Era ovvio che dovessi sviarvi
Credo di aver concluso, se qualcosa non vi è ancora chiaro, chiedete pure ^^
Ringraziamenti: Ho ben undici persone da ringraziare per le recensioni dello scorso capitolo, cioè, kokylinda2, clairefraser, ele_lele, dublino, Sakura03, Little Nanny, bianchimarsi, frutti_di_bosco, dorota, hyde, FloorJansen (benvenuta tra noi xD).
Ringrazio in particolare Sà, perché mi tormenta per aggiornare, mi fa giocare ai giochetti di meebo e mi dedica ff e mi fa commuovere spesso u.u
Al prossimo capitolo! E mi raccomando recensite e commentate il topic :P

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Capitolo 26
*** Compleanno ***


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= Compleanno =

Il giorno successivo appena scesi a colazione con le ragazze, cercai con lo sguardo Sirius e Remus. Ero preoccupata che la scena del giorno prima avesse creato tensione tra loro, forse perché in realtà ero io stessa a essere tesa e a sentirmi in colpa. Quello che vidi però non era frutto della mia immaginazione: i due ragazzi si lanciavano occhiate incandescenti, mentre un ignaro Potter faceva da pacere.
«Vi siete alzati col piede sbagliato stamattina, voi due!» lo sentii esclamare.
«No, è stato ieri che non sono riuscito a fare quello che volevo per colpa di un certo ficcanaso…» rispose Sirius, lanciando un'occhiata allusiva all'altro.
Sospirai sentendo quella frase, in fondo, l'aveva fatto quello che voleva alla fine.
Stavo per passare oltre, per andare al mio posto, quando Potter mi chiamò.
«Evans, fai colazione con me? Ti ho tenuto il posto!» disse battendo il palmo sulla panca accanto a lui. Stavo per ribattere ma mi precedette. «Per piacere. Stamattina non li sopporto questi due… Ho bisogno di compagnia e come vedi Peter è ancora addormentato…» disse e in effetti Minus dormiva col cucchiaio in mano.
Sorrisi «Solo per questa volta e solo perché almeno il povero Minus può continuare la sua dormita senza che tu gli rompa i sogni… e non solo quello.» risposi lasciandolo stupito, poi mi voltai verso le ragazze con un sorriso complice, come a dire che ne stavo architettando una delle mie, ma in realtà volevo cercare di sistemare le cose tra i due amici. Perciò presi posto il più lontano possibile da Potter e iniziai con nonchalance a servirmi, fingendo di ignorare cosa agitasse il gruppo.
«Quindi fai colazione con pane tostato e succo di frutta?» mi domandò senza reale interesse, ma solo per fare conversazione.
«No, di solito fa colazione con i cereali. Al cioccolato.» intervenne Remus senza staccare gli occhi da Sirius. Io alzai gli occhi al cielo, avevano intenzione di gareggiare per vedere chi ne sapeva di più su di me?!
«Ignorali…» sussurrò Potter avvicinandosi perché solo io sentissi.
«Ma cos'hanno?» domandai facendo finta di nulla. Mi guadagnai un'occhiata assassina da parte di entrambi, tanto minacciosa che mi spaventai. Cos'avevo combinato perché si riducessero così?
«Non lo so… Sirius mi ha detto che ieri non potendo andare a Hogsmeade si è divertito – se capisci cosa intendo – con Kimberly Joice, la conosci?» mi spiegò con un sospiro rassegnato.
«Sì, di vista… E quindi? Per voi non è normale ingannare il tempo in quel modo?!» dissi con la giusta dose di sarcasmo e disgusto che riservavo loro di solito, soprattutto quando parlavano di certi argomenti.
«E' quello che ho cercato di spiegare a Remus dopo che mi ha beccato in dormitorio…» intervenne un brontolante Sirius.
Remus sbuffò in risposta, nonostante fosse furente di rabbia non si lasciò sfuggire nulla. Gliene fui grata.
«Ma allora perché vi guardate ancora in cagnesco?» chiesi con tanta innocenza che stupii persino me stessa, ma mi guadagnai un'altra occhiataccia.
«Chiedilo a lui… Che poi fosse chissà che cosa… Era solo una scopata!» rispose con tanta superficialità che nonostante sapessi che stesse fingendo, m’irritai.
«Ti ho già spiegato che non mi va che lo fai nel nostro dormitorio.» che ironia, lui stesso il giorno prima ci aveva permesso di rimanere lì. Stavamo tutti recitando in maniera impareggiabile! «E poi l'immagine mi ha perseguitato per tutta la notte… Non è il massimo…» continuò e potei giurare che mi lanciò un'occhiata allusiva sull'ultima frase, come a dire che era vera.
«Oh Merlino!» sbottò Sirius «Non l'abbiamo certo fatto sul tuo letto!» esclamò esasperato. Ed io scoppiai, inopportunamente, a ridere per il tono con cui lo disse. Tutti, tranne Peter mi guardarono perplessi.
«Sul mio no, ma su quello di James, sì…» riprese Remus e marcò il nome di Potter in maniera inequivocabile, ovviamente alludendo al segreto che non avevamo intenzione di rivelargli.
Sirius scoppiò a ridere; non aspettava altro che quella frase. «Allora, caro il mio Lunastorta, al massimo è James che dovrebbe essere tanto indignato.»
«Hai detto bene, dovrebbe. Ma come poteva se nemmeno lo sapeva? Avresti dovuto dirglielo.» questa volta l'allusione non era poi tanto velata…
«Aspettate un attimo…» intervenni, un po' irritata per il comportamento di Remus, ma mantenendo la maschera divertito-perplessa che avevo assunto per seguire la vicenda. «Voi state dicendo che siete così acidi l'uno con l'altro solo perché Sirius ha avuto un rapporto sul letto di James?!»
«Beh… Sì.» risposero all'unisono, un po' incerti, forse rendendosi conto di quanto fosse ridicolo tutto quel discorso.
Io sospirai teatralmente, poi mi voltai verso Potter e gli domandai «A te da fastidio che Black abbia fatto qualcosa nel tuo letto e che essendo, parole sue, solo una scopata, non ti abbia informato, ritenendola una sciocchezza?»
Potter ghignò «No, certo che no… Non sa quante volte l'ho fatto io nel suo…» disse con una scrollata di spalle.
«Ma che schifo!» esclamai indignata, non di certo per la cosa in sé, tanto perché c'ero stata anch’io in quel letto…
Sirius rise di nuovo. «Visto, tutto a posto!» disse lanciando un sorriso falsissimo a Remus, che accusò il colpo ma non demorse.
«Beh, rimane il fatto che i miei sogni sono stati disturbati da te…» sbottò.
«Secondo me è geloso…» dissi, avvicinandomi a Potter come per sussurrarlo solo a lui, ma poi lo resi udibile a tutti.
«Geloso? Sai, forse hai ragione, Evans…» rispose stando al gioco.
«E di che?» domandò Remus perplesso «Che lui si è fatto Kimberly?»
«No… Che Kimberly si è fatta lui…» esclamammo all'unisono io e Potter e poi tutti e quattro scoppiammo a ridere. Mi parve che la Sala Grande si bloccasse e quando ripesi fiato, costatai che era vero, o almeno tutti quelli che avevano visto Lily Evans ridere a crepapelle con James Potter senza insulti e minacce in mezzo erano come sotto l'effetto di un Incantesimo della Pastoia. Le mie amiche mi guardavano con compassione, credendo che avessi contratto una brutta malattia. Io sorrisi loro e si tranquillizzarono, o almeno lo sperai…
Fortunatamente la campanella suonò chiamandoci inesorabilmente alle lezioni e per una volta fui davvero lieta di sentirla, così potei andare via in fretta. Non sopportavo tutta quella tensione né esserne la causa.
La tensione durò anche nei giorni successivi, divenne per me quasi insopportabile. Non riuscivo a trovare una soluzione né a calmare almeno uno dei due. Ogni volta, però, che vedevo lo sguardo di rimprovero che Remus lanciava a Sirius le mattine che andavamo a colazione – rigorosamente separati – dopo aver trascorso la notte insieme, mi convincevo sempre più che era stato un bene tenere la nostra storia nascosta. Con questo clima arrivò l'ultima settimana prima delle vacanze di Natale. E con quella tensione, il martedì mattina aprii la lettera che mi avrebbe portato nel baratro.

Buongiorno tesoro – recitava la calligrafia di mamma –
Come va a scuola?
Tra poco sarà Natale e tuo padre ed io ci chiedevamo se ti andrebbe di passarlo a casa con noi, è tanto che non succede!
Ci mancano le cene della vigilia, i tuoi regali sotto l'albero e poter vedere la tua espressione quando li scarti… E poi puoi fermati a scuola anche l'anno prossimo…
Che ne pensi Lily? Faresti questo piacere ai tuoi malinconici genitori?
Non ti mentirò dicendo che Petunia ne è entusiasta, ma abbiamo fatto fin troppi sacrifici per assecondarla.
Pensaci e facci sapere, d'accordo?
Ti vogliamo bene,
Mamma e papà
P.S. – Puoi invitare anche Sirius se vuoi, Petunia quasi certamente porterà Vernon, anche se le abbiamo chiesto di rimanere in famiglia…
Un bacione.


Tremavo, quello era sicuramente un incubo e presto mi sarei svegliata nel mio bel letto vicino alle mie amiche…
Non potevano chiedermi davvero una cosa del genere… Non potevano farlo.
«Lily, tutto ok?» mi domandò la voce lontana di Elinor. «Sei bianca come un fantasma…»
«I miei mi hanno chiesto di tornare a casa per Natale…» spiegai.
«Ah. Oh…» era rimasta senza parole. Sapeva che per me sarebbe stata una tortura passare le feste con Petunia, senza contare che avevamo deciso di passare le vacanze tutte insieme a Hogwarts perché Silente aveva detto a Sarah che era meglio rimanere nella scuola onde evitare pericoli.
«Non puoi dire che sei in punizione? In parte è vero!» esclamò e nel frattempo ci alzammo per seguire le altre che erano già andate a lezione.
«Non credo che regga come scusa…» risposi, ma sorrisi.
«Quindi tornerai a casa?» mi chiese tristemente.
«Credo di sì… Non mi va di mentire loro… E non mi va neanche dovergli dare dispiaceri, ne hanno già molti. Perciò credo che andrò, purtroppo.»
Raggiungemmo in silenzio l’aula, mentre io cercavo da una parte di rassegnarmi all’inevitabile e dall’altra di cercare una scappatoia.
Ciò che sentii, appena fuori dalla stanza, mi gelò.
«Smettila Remus! Non ne posso più di sentirti blaterare!» sentii dire a Sirius e, conoscendo fin troppo bene il suo tono, capii che non stava scherzando.
Mi rattristai. Pensavo che con i giorni passati avessero se non dimenticato, almeno accantonato la tensione, ma d’altronde avevo notato che ogni volta che cercavo di parlare con Remus lui era evasivo e scontroso e ogni volta che passavo del tempo con Sirius, cercava sempre di nascondere al meglio il nervosismo, ma spesso trapelava comunque. Avevo rovinato un’amicizia?
Rimasi distratta per tutte le lezioni. Tra il pensiero delle vacanze da incubo che mi aspettavano e l’idea di essere la causa della fine di una splendida amicizia non riuscivo a concentrarmi su altro.
Alla fine della giornata ero decisamente nervosa. Andai al nostro ritrovo segreto per la prima volta senza averne veramente voglia. Non che non mi facesse piacere vederlo, ma non potevo sopportare ulteriormente nervosismo e tensione.
«Ciao…» mormorai svogliata buttandomi stancamente sul letto.
«Ciao…» mi rispose con lo stesso tono. «Com’è andata oggi?»
«Da incubo.» risposi.
«Come mai? Stai ancora pensando alla nostra situazione?!» domandò cautamente.
«Come potrei non pensarci se vi vedo ogni volta lanciarvi sguardi di fuoco e litigare per i corridoi?» sospirai «Comunque no, non è per quello… Ma per questa…» e così dicendo gli porsi la lettera dei miei.
Lo osservai mentre sgranava gli occhi alla richiesta dei miei, ben capendo cosa significasse per me. «Ti prego dimmi che ci sarai…» lo implorai, prima che potesse parlare.
Lui distolse lo sguardo: brutto segno. «Non lo so, Lily…» mormorò.
«In che senso non lo sai?» domandai perplessa.
«E’ che…» iniziò, rialzando lo sguardo serio su di me. Tremai – interiormente è ovvio –, per un attimo ebbi davvero paura e tutto ciò che era successo dall’inizio dell’anno, o anzi dalla fine del precedente, si riversò di nuovo su di me. Il litigio con Severus, la morte dei genitori di Sarah, lo scherzo a Potter e la successiva certezza crollata e infine il nostro segreto svelato e la tensione tra me, Sirius e Remus. Per un attimo pensai che volesse chiudere con me ed evidentemente sbiancai perché lui si stupì e poi ridendo scosse il capo.
«Ehi, tranquilla…» mi disse, accarezzandomi dolcemente la guancia. «Non è una cosa brutta!»
Quando vide che non stavo più rischiando il collasso, riprese. «E’ da settembre che i ragazzi organizzano le vacanze di Natale…» iniziò «Remus è già piuttosto nervoso e James si è insospettito per la tensione che c’è tra noi… Perciò avevo pensato di passare con loro le vacanze per limitare i danni… E poi James ha già annunciato che vuole pianificare – ancora – un nuovo tentativo per provarci con te e non vorrei che Remus gli desse consigli troppo azzeccati…»
Risi e per un attimo fui di nuovo spensierata. «Quindi, sostanzialmente, non passi il Natale con me perché hai paura che in tua assenza Potter idei il piano perfetto per farmi cadere ai suoi piedi?!»
«Se vuoi metterla in questi termini, sì.» rispose divertito.
«E va bene…» mi rassegnai.
«Ti verrò a trovare, però. Promesso!»

Con quella piccola consolazione, mi accinsi a passare il peggior Natale di sempre. E, infatti, le mie aspettative non furono per niente deluse. Petunia non passò giorno senza ricordarmi quanto fossi anormale e mostruosa. Almeno tre volte l’ora mi rinfacciava che Vernon era accanto a lei, mentre il mio mostruoso fidanzato era da tutt’altra parte e cercava, invano, di instaurare in me il dubbio del tradimento.
I miei genitori cercavano di mantenere far cambiare atteggiamento a Petunia e Vernon, mentre io – per far loro un piacere – mi obbligavo a non risponderle e soprattutto a non affatturarla.
La cena della Vigilia fu piuttosto tragica perché papà, un uomo calmo e pacifico, perse la pazienza e iniziò a sbraitare contro Vernon, ricordandogli tra l’altro che era ospite e in quanto tale non avrebbe dovuto comportarsi così maleducatamente; contro Petunia che, ovviamente, si schierò insieme al suo Vernon e contro la mamma, che poverina cercava di calmarlo.
Finì che tutti mangiammo il dolce in silenzio, col broncio e andammo a letto subito dopo averlo finito. Dormivo già da un po’, quando il richiamo di un gufo mi fece svegliare di soprassalto.
Mi alzai, traballando sulle gambe e andai ad aprire la finestra per far entrare l’animale. Dopo aver slegato la busta, il gufo volò via senza aspettare oltre.
Ancora addormentata andai ad accendere la luce sul comodino e mi sedetti di nuovo sul letto. Aprii la busta e ne estrassi una pergamena strappata e macchiata d’inchiostro.

Non riesco a passare stanotte, Remus mi controlla.
Mi dispiace. Mi manchi.
Buon Natale.


Era il telegrafico messaggio che ebbe il potere di farmi cadere nello sconforto.
Così anche il giorno di Natale lo passai molto male e così tutto il resto delle vacanze. Sirius non riuscì a venire, ma mi scrisse ogni giorno, anche due o tre volte: la mia unica consolazione e valvola di sfogo.
Il ritorno a Hogwarts fu una liberazione. Sentii letteralmente un peso che si toglieva dalle mie spalle e potei finalmente rilassarmi.

La fine di gennaio arrivò prima di quanto potessi immaginare, forse perché ogni minuto era impegnato in compiti, ronde e incontri segreti. Certo non avevo dimenticato che i professori ancora mi controllavano, ma iniziai a farci l’abitudine e ad accantonare la preoccupazione. In fondo non facevo nulla di male, a parte uscire dopo il coprifuoco…
Aspettavo con ansia quel giorno e quando mi svegliai, la mattina del 30 gennaio ero decisamente elettrizzata. Per giunta era domenica quindi niente lezioni! Ma a farmi da doccia fredda ci fu lo scarso entusiasmo delle ragazze che dissero di dover passare la giornata a studiare perché erano troppo indietro con i compiti.
Così mi trascinai a pranzo con l’entusiasmo sotto i piedi e quando puntai lo sguardo su Sirius, lui si voltò dall’altro lato. Non mi ero certo immaginata così il mio diciassettesimo compleanno!
«Lily, mi accompagni in biblioteca?» mi chiese a un certo punto Elinor.
«Sì…» le risposi svogliata, alzandomi per seguirla.
Non guardai dove stavamo andando, ma dopo un tempo che mi sembrava infinito capii che dovevamo essere già arrivate da un pezzo.
«Elinor, la biblioteca non è di qua…» le feci notare, parlando per la prima volta.
«Lo so, ma devo passare in aula di Difesa, ho dimenticato lì il mio libro venerdì, me ne sono accorta solo ora…» spiegò con un sorriso colpevole. Sbuffai, falsamente scocciata e continuai a seguirla.
«Eccoci…» annunciò, senza che ce ne fosse realmente bisogno, una volta giunte davanti alla porta.
«Era ora…» mormorai e attesi che la aprisse ed entrasse, così poi avrei potuto continuare a crogiolarmi nella carenza d’affetto.
Elinor però mi tirò dentro con lei e ciò che successe dopo fu molto molto confuso. La mia vista fu oscurata, ma non riuscii a capire da cosa per i primi istanti, poi mi sentii afferrare da tutte le parti e al tempo stesso delle urla, che riuscii a decifrare a stento, mi spaccarono i timpani. In particolare la cosa che mi aveva accecato urlò qualcosa che somigliava a “credevi davvero che ce ne saremmo dimenticati?!” e poi tutti gli altri forse urlavano “Tanti auguri” e “Buon compleanno”. Solo allora capì che Mary mi era saltata addosso e che tutti quelli che mi tiravano erano i miei amici.
Il cuore si colmò di gioia. Non l’avevano dimenticato allora! Avevano organizzato una festa a sorpresa!
Quando Mary decise che potevo tornare a vedere, riuscii a scorgere tutti i miei più cari amici. C’erano le ragazze, Frank Paciock, Remus che mi sorrideva radioso, qualche ragazzo del settimo anno e molti compagni del sesto anche di altre Case. Mancavano solo tre persone, ed ero felice dell’assenza soltanto di due. Severus, Potter e Sirius non erano presenti, ma l’entusiasmo per quella festa era troppo grande per essere intaccato così. Avevano organizzato tutto per bene. C’erano dolci e bevande di ogni tipo, probabilmente fatte entrare di soppiatto, e su un tavolo a parte una piramide gigantesca di regali. C’era anche tanta musica e una pista da ballo. Sembrava di essere a una festa di Lumacorno, poi mi accorsi che c’era anche il professore stesso e capii che aveva dato una mano con i soliti incantesimi che usava per le sue feste.
Venne il momento della torta – un’enorme torta di panna e cioccolato, divisa su tre grossi piani – su cui tutti si avventarono, ma fortunatamente qualcuno aveva provveduto a fare un incantesimo in modo che non finisse mai.
Poi l’atteso momento dei regali. Tutti facevano pressione perché aprissi prima il loro, così finì che li aprii senza neanche controllare di chi fossero e arrivata all’ultimo avevo già scordato qual era il primo, dato l’ingente numero. Ricevetti le cose più disparate, dalla più inutile come un caleidoscopio che proiettava immagini indecifrabili, ai più utili, come vestiti vari e libri nuovi. Ma l’importante fu che mi divertii come non mai, ballai fino allo sfinimento e risi tanto che mi facevano male i muscoli.
A un certo punto, verso l’ora di cena, Remus mi si avvicinò. «Non hai notato che mancava il mio regalo, vero?» mi domandò con un sorrisetto.
«In effetti no…»
«Che ne dici di seguirmi, allora?»
«D’accordo…» feci io, curiosa di scoprire cosa aveva scelto per me. Uscimmo dall’aula senza che nessuno se ne accorgesse, ma appena fuori Rem mi fermò.
«Devo bendarti…» disse solennemente «Non devi vedere, fa parte del regalo…»
«Ok!» risi, sempre più curiosa, mentre lui estraeva un pezzo di stoffa nera e me la avvolgeva attorno al capo, sugli occhi. Mi prese per mano e si avviò lentamente verso qualche luogo che non potevo vedere e a dirla tutta, persi l’orientamento alla prima svolta.
Camminammo per lungo tempo, ma forse era solo una mia impressione. Salimmo e scendemmo diversi scalini e Remus mi aiutò a non cadere, ma non mi permise mai di spostare la benda. Ogni tanto gli chiedevo quando saremmo arrivati, ma la risposta era sempre “tra poco” seguita da una risata. Alla fine smisi di chiederglielo, conscia che prima o poi ci saremmo fermati, anche solo per la stanchezza.
«Siamo quasi arrivati…» mi disse a un certo punto, mentre mi aiutava a salire l’ennesimo scalino.
«Lo dici da quando siamo partiti…» gli feci notare scettica e lui rise.
«Stavolta è vero… Eccoci qua…» aggiunge, facendo ancora qualche passo e poi fermandosi e facendomi, quindi, fermare.
«Siediti un momento ok?!» mi chiese e senza darmi il tempo di rispondere mi fece sedere su una sedia di legno. «Torno subito. Non togliere la benda e non toccare in giro. Non devi ancora capire nulla.»
«D’accordo, tranquillo.» dissi e pochi istanti dopo sentii la porta chiudersi.
Attesi qualche innumerevole minuto prima che la porta si riaprisse. «Finalmente, Remus!» brontolai a bassa voce.
Remus rimase in silenzio, sentii soltanto i suoi passi spostarsi alle mie spalle e il nodo della benda ch veniva slacciato.
Quando riaprii gli occhi, mi trovai in una stanza illuminata da infinite candele. Ce n’erano ovunque: su tutte le mensole, su ogni candeliere, fluttuanti per aria. Ero seduta a un tavolo ornato con una tovaglia di lino candido, apparecchiato con ceramiche preziose e bicchieri di quello che sembrava cristallo. Era l’unico posto dove non c’erano tante candele, soltanto una solitaria, rossa, faceva guizzare la sua fiammella. Rimasi a bocca aperta per lo stupore. Era tutto così splendido!
«Buon compleanno…» mi sussurrò una voce all’orecchio, e di certo non era quella di Remus. Il mio cuore perse un battito e poi iniziò a tamburellare forte.
Mi voltai lentamente e trovai a pochi centimetri dal mio volto, quello sorridente e colmo di gioia di Sirius.
«Pensavo che te lo fossi dimenticato! Non mi hai guardata nemmeno una volta oggi!» sbottai, per nulla arrabbiata.
Lui rise e mi riempì il cuore con quella sua risata. «Fosse così semplice…» replicò ed io divenni perplessa.
«Che significa?!» domandai.
«Te lo saresti mai aspettata?»
«No in effetti…»
«E sai perché?» m’incalzò con un sorriso divertito sulle labbra.
«No, perché?»
«Questo è il regalo di Remus, Lily…»
«Non capisco…»
«Abbiamo architettato questa cosa da prima di Natale. Due settimane prima di Natale…» disse e qualche pezzo di puzzle andò al suo posto.
«Che cosa vorresti dire?» chiesi per avere più conferme.
«Che in realtà io e Remus andiamo d’amore e d’accordo com’è sempre stato. Ogni discussione che hai sentito, è avvenuta perché tu eri presente.»
«Cioè, stavate recitando?» domandai, sempre più perplessa.
«Esatto… Vedi, il giorno stesso della scoperta, io e Remus abbiamo parlato a lungo e lui ha capito quello che provo per te e le motivazioni per cui vogliamo tenerlo nascosto.»
«Fin qui ci sono…»
«Beh, poi è uscito il discorso del tuo compleanno e pensando a come rendere speciale questo giorno, abbiamo ideato questo piano. Avremmo finto di non sopportarci, così che tu non potessi immaginarti una festa, anzi due feste a sorpresa.»
«Entrambe le feste sono opera vostra?»
Lui sorrise e annuì compiaciuto. «Volevamo che tutto fosse perfetto, o di più. Che ti sentissi davvero felice. E così ci è venuto in mente che la felicità è maggiore subito dopo una delusione. Perciò abbiamo detto a tutti di non farti gli auguri, né di darti regali fino alla festa. Abbiamo chiamato Lumacorno e ci siamo fatti aiutare da lui e abbiamo ottenuto anche permessi extra, tipo cibo e bevande e nessun professore a rompere…»
Ero esterrefatta. Non riuscivo a dire una sola parola. Erano riusciti in tutto quello che avevano pensato. «L’unico inconveniente era che io non potessi partecipare alla festa. Così Remus ha deciso di farti questo regalo: una seconda festa a sorpresa dove l’unico invitato sarei stato io. E’ il suo modo per dire che accetta la nostra relazione, anche se non la condivide al cento per cento. L’arredamento della stanza l’ho scelto io però…»
«E’ fantastico…» riuscii a borbottare. In effetti avevano ragione, la festa era stata magnifica soprattutto perché tutti si erano “dimenticati” che era il mio compleanno fino a quel momento. E la seconda festa lo fu altrettanto perché con tutta la tensione delle settimane precedenti, non mi sarei mai aspettata un “regalo” del genere da Remus.
«Spero che tu abbia posto nello stomaco ancora per qualcosa…» mi disse ridendo.
«Certo! Dopo tutta quella camminata con Remus ho bruciato parecchie calorie!» esclamai io.
«Bene…» replicò soltanto e poi si andò a sedere di fronte a me e subito dopo un dolce – o almeno così mi sembrò – apparve sul tavolo. Aveva una forma davvero strana, che non saprei definire ed era ricoperto di glassa o forse di gelatina di un colore cangiante. Sembrava magia.
«Si chiama “Dolce dell’Amore” e non c’entra molto con il tuo compleanno, ma mi sembrava una cosa carina. Viene preparato da uno degli innamorati per l’amante e assaggiato insieme in un’occasione speciale. E’ tradizione egizia sin dai tempi dei faraoni, anche se gli ingredienti, col tempo, si sono un po’ modificati. Dicono che sancisca il legame tra i due e che sia altamente afrodisiaco e porti all’estasi. Spero tu abbia voglia di assaggiarlo…»
«Afrodisiaco, hai detto?»
«Proprio così!» rispose solennemente.
«E va bene!» esclamai gioiosa.
Sirius tagliò il dolce e ne servì una fetta cambia-colore a me e poi a se stesso. Fu la cosa più squisita che avessi mai mangiato. Aveva un sapore eccezionale e indescrivibile e in pochi minuti lo mangiammo tutto quanto.
La nostra festa privata continuò poi, lontano dal tavolo e, se per merito del dolce o di altro, raggiunsi davvero l’estasi.
Fu il compleanno più bello della mia vita…


Sono lieta di informarvi che OniceSmeraldi è finita tra le storie scelte!
Note: lo so, lo so, ci ho messo tantissimo. Ma come forse avete notato, in questo periodo sono davvero indaffarata e a corto di ispirazione. Però l'altro giorno sentivo qualcosa di strano, non mi spiegai cosa inizialmente. Poi per uno strano impulso mi sono messa a rileggere questa ff e ho scoperto che la sensazione che provavo era malinconia: mi mancava OniceSmeraldi! E dopo essermela letta tutta e volermi catapultare ancora nelle avventure di Lily&Co ho deciso di aggiornarla.
Non so di preciso quando avverrà il prossimo aggiornamento, considerando che da ora fino a fine maggio avrò decisamente meno tempo del solito... Ma vi assicurò che la storia non rimarrà incompleta!
Una nota che mi avete fatto notare nelle recensioni:
Nel capitolo in cui Sirius e Lily rimangono a Hogsmeade perché Mielandia è chiuso, mi avete chiesto perché Sirius non indica ne indica un altro, beh è seplice: i segreti dei Malandrini non vanno rivelati ad altri e Sirius, in questo, è molto fedele. Perciò ha fatto finta di non conoscerne altri e diciamolo, voleva anche approfittarne per passare una nottata con Lily senza troppe preoccupazioni xD
Poi, Lily non ha chiesto di Remus a Sirius perché lo stesso motivo di sopra, sa benissimo che lui sa mantenere i segreti (ne è la prova vivente, la loro storia dura da tre anni e nessuno l'ha ancora saputo), perciò ha pensato che non gli avrebbe mai dato risposta, quindi ha chiesto a James, consapevole che sarebbe stato meno restio - forse proprio perché lui ne è innamorato - a rivelargli quello che in realtà già sapeva.
Riguardo alla "cattiveria" si Sirius, non sono per niente d'accordo. Trovo molto più cattivo, infantile e stupido James che crede di essere l'unico ad avere il diritto di stare con Lily. Penso che, come dice Sirius nell'ultimo capitolo, tutti si preoccupino molto di più del bene di James che del suo. L'amore è amore e non si può comandare.
Non fraintendete però, amo anche James, tranquilli!
Ringraziamenti: allora, per prima cosa ringrazio coloro che leggeranno questo capitolo, nonostante ci abbia messo un'infinità a postarlo. Poi passo a ringraziare Sara perché senza di lei questa storia non sarebbe finita tra le preferite, ma questo è anche merito di floorjansen e Marty___91; e infine, ma non meno importanti, quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, cioè: Roxar, dorota, Lisbeth S, FloorJansen, bianchimarsi, kokylinda2, Ella_Sella_Lella, Lizzy095, marty_odg, La Nika. Grazie davvero!
A presto!

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Capitolo 27
*** Pasqua Smaterializzata ***


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= Pasqua Smaterializzata =

Dopo il mio compleanno, le cose andarono decisamente meglio. Un giorno, intorno alle metà di febbraio apparve in Sala Comune un avviso che invitava gli studenti diciassettenni o quasi tali a partecipare alle lezioni di Smaterializzazione. L’eccitazione generale salì alle stelle e se anch’io ne fui contagiata non potei far a meno di chiedermi se Sirius, già in grado di Smaterializzarsi avrebbe partecipato. Probabilmente, conoscendo lui e quel buffone del suo migliore amico, l’avrebbero fatto per mettersi in mostra. Per una volta sperai che fosse così.
Perciò quando il sabato dedicato alla lezione mi avviai verso il cortile insieme alle ragazze oltre alla felicità del momento sentivo anche un’allegra speranza.
In cortile la professoressa McGranitt e un uomo che doveva essere il nostro istruttore ci stavano aspettando. Intorno a loro si era già radunata una piccola folla, studenti di tutte le Case, del sesto e settimo anno. Quando li raggiungemmo, mi guardai intorno alla ricerca – quasi disperata – del mio “principe azzurro” – definizione che mi fece davvero ridere mentalmente. Non lo trovai, ma l’entusiasmo era troppo per essere taciuto in quel modo.
Dovemmo aspettare ancora un quarto d’ora prima che ci fossero tutti gli iscritti e quando anche gli ultimi – Potter e compagnia, con mia somma gioia – ci degnarono della loro presenza potemmo cominciare.
«Bene. Se siete qui, è perché avete compiuto diciassette anni o siete in procinto di compierli e la scuola ha deciso di organizzare per voi un corso di preparazione all’esame di Smaterializzazione.» cominciò la McGranitt, con la sua solita parlantina veloce e severa.
«Lui è il professor Tanger e sarà il vostro insegnante in questi incontri. Vi lascio a lui, ma sappiate che qualsiasi infrazione alle regole mi sarà riferita, in un modo o nell’altro.» ci minacciò, lanciando una particolare occhiata ai quattro poco distanti da me e poi se ne andò in fratta e furia.
«Buon pomeriggio a tutti. Come ha detto la vostra professoressa, io sono il professor Tanger e sono qui per insegnarvi l’arte della Smaterializzazione.» delle risate, fin troppo forti e sguaiate perché non le riconoscessi, si levarono a quelle parole. In effetti io stessa faticavo a credere che la Smaterializzazione fosse un’arte…
Il professor Tanger li ignorò e proseguì. «Il professor Silente ha messo a disposizione una zona piuttosto limitata del vostro splendido cortile per poterci esercitare. V’informo sin da subito che non è possibile Smaterializzarsi o Materializzarsi fuori dai confini, né in altro luogo di Hogwarts che non sia nel raggio di venti metri da qui… E come potete vedere, qui c’è solo erba corta e nient’altro di così accattivante. Perciò vi chiedo di prestarmi la massima attenzione.»
Il professor Tanger era un uomo alto, magro, piuttosto atletico e decisamente pratico. Dopo quel preambolo, ci fece distanziare tra noi e face apparire davanti a ognuno un cerchio, simile a quelli che i Babbani usano per l’hula hoop.
«La Smaterializzazione non è impresa ardua, ma tantomeno semplice. Ci sono tre fondamentali cose su cui focalizzare per Smaterializzarsi, esse sono dette “le tre D”: Destinazione, Determinazione, Decisione!»
Tutti ci guardammo un po’ perplessi, ma il professore non sembrò accorgersene. «Ora, se non vi dispiace… Concentratevi sulla vostra Destinazione, cioè l’interno del cerchio. Immaginate di esserci dentro… Forza concentratevi!»
Mi guardai intorno, prima di iniziare e vidi i miei compagni impegnarsi nelle maniere più disparate. Chi canticchiava la destinazione per imprimerla bene in mente, chi spremeva gli occhi tanto da farsi male… Chi invece sembrava fregarsene e continuava a ridere con gli amici. Scossi il capo, a metà tra divertita e scocciata, poi feci un profondo respiro e chiusi gli occhi. Ero piuttosto abituata a concentrarmi perciò non ci misi molto a vedere davanti a me soltanto il cerchio ed io che ci entravo.
«Bene, ora, rimanendo concentrati sulla destinazione, incanalate la vostra Determinazione, fate scorrere la brama di entrare nel cerchio in tutto il vostro corpo…»
La voce del professore mi giungeva da lontano, sia perché ero tra le ultime file sia perché ero concentrata ed estraniata dal mondo esterno, però feci come detto: io volevo spostarmi nel cerchio!
«Quando vi sentite pronti, lasciatevi trasportare dalla vostra Decisione, girate su voi stessi e cercate di entrare nel nulla e poi finire nel cerchio. Muovetevi con decisione, ora!»
Cercai di fare come detto, anche se il concetto di entrare nel nulla mi era ancora un po’ estraneo. Girai su me stessa e… Caddi a terra battendo dolorosamente il fondoschiena. Quando aprii gli occhi notai che – per fortuna – non ero l’unica e nello stesso tempo la voce falsamente preoccupata di Potter mi raggiunse, seguita purtroppo dal suo proprietario. «Stai bene Evans?»
«Oh Merlino, Potter per piacere!» sbottai io scocciata: possibile che dovesse richiamare l’attenzione su di sé nei momenti meno opportuni? Non c’era bisogno che tutta la classe si voltasse per vedere se Evans si fosse fatta male, non ero stata l’unica a cadere no?!
«Su su tornate ai vostri posti! Non è successo nulla… E’ normale perdere l’equilibrio alle prime volte! Riprovate!»
Tutti riprovarono, ma nessuno, ancona una volta riuscì a Smaterializzarsi, neanche chi era già capace. Capii che cercavano di mantenere un basso profilo, probabilmente se si fossero Smaterializzati al primo tentativo e poi al secondo, il professore li avrebbe esclusi dal gruppo, cosa ovviamente dannosa per la loro dipendenza da attenzioni.
«Ancora una volta! Uno, due… Tre!» urlò il professor Tanger.
Mi concentrai di nuovo sulle tre D, cercando di capire la mancanza nella mia concentrazione che m’impediva di Smaterializzarmi correttamente… E mentre giravo su me stessa cercando di entrare nel nulla sentii qualcosa di diverso dalle volte precedenti: entravo davvero nel nulla! Mi sentii risucchiare da una qualche strana forza e sentivo come se mi stessi spostando.
Nel momento stesso in cui me ne accorsi, l’euforia m’invase, stavo per scoppiare a ridere, riaprendo gli occhi nel cerchio, quando un dolore atroce, tanto forte da far svenire, mi trafisse come una spada alla spalla destra. Urlai con quanto più fiato avevo in gola. Quando aprii gli occhi, non più tanto euforica, vidi con orrore e terrore che tutto il mio braccio era rimasto al suo posto, mentre io ero all’interno del cerchio. Inorridii e non riuscii più a muovermi.
La paura si estese in pochi istanti, sentii il mio nome chiamato dalle mie amiche, da Potter, Remus e persino da Sirius stesso, ma io non riuscivo far altro che tenere lo sguardo sul mio braccio e trattenere le urla di dolore. Pochi istanti dopo il professor Tanger fu di fronte a me, oscurando la visione del mio arto.
«Non si preoccupi signorina, è tutto a posto…» disse per tranquillizzarmi, anche se non riuscì per nulla. Come poteva essere tutto a posto se io ero qui e il mio braccio là?!
Lo vidi estrarre la bacchetta e puntarla contro di me. Ci fu un’esplosione e poi del fumo denso e viola e il dolore svanì all’istante. Sentivo di nuovo il mio braccio al suo posto. Tirai un sospiro di sollievo. «Grazie…» mormorai al professore che si allontanava per tornare davanti a tutti.
«La Spaccatura, il fenomeno che avete appena potuto osservare, capita quando la concentrazione non è completamente focalizzata sulle tre D. Ma non si preoccupi, signorina… Se si è Spaccata significa anche che si è Smaterializzata, seppur male, e questo è un deciso passo avanti.» aggiunse, forse vedendomi ancora scossa.
Riprovammo altre tre volte, ma io non mi concentravo veramente: avevo paura di sentire di nuovo quel dolore e Spaccarmi nuovamente. Non successe nulla di eclatante sino all’ultimo tentativo quando Sirius e Potter misero finalmente in mostra le loro capacità per Smaterializzarsi non nel proprio cerchio, ma di fronte a Severus per poi lanciargli una qualche fattura che gli fece allungare a dismisura le unghie dei piedi.
La lezione finì perché il professor Tanger accompagnò Severus in Infermeria in fretta, lasciando tutti gli altri nelle risate generali. Le ragazze mi si avvicinarono subito.
«Stai bene?» mi chiesero all’unisono, ma talmente sincronizzate che scoppiai a ridere e probabilmente pensarono che fossi impazzita.
«Sì sì, sto bene…» risposi dopo essermi ripresa.
«Ma come hai fatto?» mi domandarono preoccupate.
«Ho capito che ci stavo riuscendo e ho perso la concentrazione… E’ stato atroce.»
Mary, a quelle parole, mi si gettò addosso e mi abbracciò forte. «Oh Lily…»
«Ehi tranquilla… Il mio braccio è tornato a posto, vedi? Altrimenti come farei ad abbracciarti?!» le chiesi ironicamente, per sdrammatizzare e infatti scoppiammo tutte a ridere e tornammo insieme in Sala Comune.
Le lezioni proseguirono e i progressi, per ognuno, non tardarono ad arrivare. Qualcun altro si Spaccò, ma non fu terrorizzato quanto me, già sapendo cosa significasse e che tutto si sarebbe sistemato in pochi istanti. Certo il dolore non si poteva controllare.
Alla fine di Marzo, un avviso in bacheca annunciò che i partecipanti al corso di Smaterializzazione già diciassettenni avrebbero potuto sostenere l’esame, a Hogsmeade. Con mio sommo piacere l’ultimo sabato di Marzo cadde il 26, il giorno precedente al diciassettesimo compleanno di Potter, quindi lui venne escluso – come continuava a ripetere a chiunque, che l’ascoltasse o meno.
Eravamo decisamente in pochi, quel pomeriggio quando ci incamminammo verso il villaggio. Delle ragazze c’era soltanto Elinor, che aveva compiuto gli anni a ottobre e poi Remus che invece li aveva appena fatti. Fui lieta che almeno qualcuno dei miei amici fosse con me, perché tra le altre poche persone c’era anche Severus e quando si è in pochi, è difficile ignorarsi.
Il professor Tanger ci aspettava nella piazza principale, quando lo raggiungemmo ci salutò cordialmente poi prese a spiegare le modalità dell’esame.
«Vi sarà chiesto di Materializzarvi in un luogo poco distante da qui, una delle vie del villaggio dove un mio collega attende per osservarvi. Dopo di che dovrete tornare qui Smaterializzandovi di nuovo. Se riuscirete entrambe le volte, avrete superato l’esame e otterrete l’autorizzazione del Ministero. Se non riuscirete, potrete riprovare la prossima volta. Non corrucciatevi troppo, in questo caso, non è nulla d’irreparabile. Sappiate che il permesso che otterrete potrà esservi revocato se userete la Smaterializzazione contro le leggi della Comunità Magica, ad esempio farlo in presenza di Babbani.» ci guardò uno per uno per cogliere eventuale disattenzione o forse per rafforzare la minaccia che, secondo lui, ci aveva appena rivolto. «Bene. Ora chiamerò i candidati uno a uno. La persona nominata si farà avanti ed entrerà in questo cerchio.» agitò la bacchetta e fece apparire davanti a sé un cerchio come quelli con cui ci eravamo allenati. «Le verrà dichiarata la destinazione e dovrà quindi procedere a Smaterializzarsi. Una volta arrivata, il mio collega le darà l’ordine di tornare qui e l’esame sarà concluso. Iniziamo.» spiegò e poi iniziò a chiamarci in ordine alfabetico, il che fece di Elinor la prima. Le augurai un in bocca al lupo e lei si avviò, un po’ ansiosa verso il professore. Qualche istante dopo era scomparsa, riuscendo a Smaterializzarsi. E dopo forse un minuto era di nuovo nel cerchio, sorridente. Ce l’aveva fatta. Il professor Tanger si complimentò con lei e le disse di tornare a scuola.
«Ci vediamo tra poco… Vedi di farcela!» m’intimò scherzosamente e troppo sorridente perché potessi credere davvero alla serietà delle parole e poi andò verso la scuola.
Il secondo candidato era un ragazzo del settimo anno di Corvonero che ci fece inorridire tutti perché nel tentativo si Smaterializzarsi si Spaccò e il suo intero corpo, ad esclusione della testa rimase nel cerchio. Dopo la solita esplosione e il fumo viola, gli fu chiesto di tornare a scuola e di provare la volta successiva.
La terza candidata fui io… Ero leggermente agitata, e forse il povero Corvonero Spaccato aveva aumentato la mia agitazione, però cercai comunque di concentrarmi e di fare del mio meglio.
«Signorina Evans, lei dovrebbe Smaterializzarsi davanti alla porta sul retro del pub Testa di Porco, conosce la destinazione?» mi domandò formalmente il professore.
Io stavo per scoppiargli a ridere in faccia. Però mi trattenni lasciando soltanto trapelare un largo sorriso. «Sì, la conosco…» risposi e forse Tanger prese il mio risolino per ansia, ma lasciò correre e mi fece cenno di procedere. Concentrarmi su quella porta non fu così complicato, dato che l’avevo varcata talmente tante volte che conoscevo ogni venatura del legno e anche lo spazio antecedente la porta, ovviamente, mica volevo rischiare di sbattere conto l’entrata no?! Presi un profondo respiro, togliendomi dalla mente l’ultima volta che ci ero andata, con chi e a fare cosa e procedetti con le due restanti D. Girai su me stessa e sentii chiaramente la Materializzazione avvenire, solo che non mi lasciai prendere dall’entusiasmo come la prima volta, per evitare di Spaccarmi. Arrivai esattamente al centro del cerchio, con mia grande soddisfazione. La collega del professor Tanger era una donna bassa e paffuta che sgranò gli occhi vedendo la precisione con cui ero arrivata. Mi girò intorno, forse per vedere se avevo lasciato qualche pezzo dall’altra parte e poi tornò di fronte a me.
«Signorina Evans questa non è la prima volta che fa l’esame, vero?»
«A dire il vero sì, professoressa.» dissi io perplessa.
A donna sorrise gioiosa «Beh, allora i miei complimenti! Può tornare indietro! Tenga questo e lo dia al professor Tanger.»
«Grazie, arrivederci!» risposi prendendo il foglio che mi porgeva, prima di concentrarmi e tornare alla partenza. Anche questa volta riuscii senza intoppi e restituii il foglio come chiesto.
«Perfetto, signorina Evans.» disse prendendolo e leggendolo. «Può tornare a scuola, lei ha passato l’esame.»
«Grazie! Salve!» risposi euforica allontanandomi, ma prima mi fermai a salutare Remus.
«Ti aspetto sul sentiero… Tanto sei il prossimo.» gli dissi e lui annuì nello stesso momento in cui veniva chiamato.
Mi avviai verso la scuola, ma appena fuori dal villaggio, mi fermai per aspettare Remus. Impiegò un paio di minuti ad arrivare sorridente anche lui e capii già da lontano che aveva superato l’esame.
«Complimenti!» dicemmo all’unisono e poi scoppiammo a ridere.
«Dove ti ha fatto andare?» gli domandai, mentre ci incamminavamo.
Lui scoppiò a ridere. «Non ci crederesti mai! Davanti alla Stamberga! Non c’era posto più semplice!» esclamò e anche io risi. Eravamo stati tutti e due fortunati. «E a te?» mi chiese poi.
«Entrata sul retro del Testa di Porco… Niente di più facile!» replicai, imitandolo sull’ultima frase. Capì subito perché fosse una destinazione facile per me e scoppiò a ridere.
Raggiunta la scuola ci dividemmo, ognuno per raggiungere i propri amici.
«Remus, aspetta! Non dirgli niente del mio esame ok?» lo pregai. Lui annuì, capendo che stavo organizzando qualcosa e raggiunse i ragazzi. Io invece raggiunsi Elinor che stava già festeggiando e mi unii a lei.
La sera stessa, raggiunsi l’ala abbandonata che era diventata il nostro rifugio con la chiara intenzione di fare uno scherzo a Sirius. Quindi preparai l’espressione afflitta e triste e varcai la soglia.
Lui era già lì, ad aspettarmi, e agitava la bacchetta facendo qualche incantesimo, per ingannare il tempo. Quando mi vide, però si aprì in un sorriso gioioso, che subito si smorzò quando notò la mia espressione.
«E’ successo qualcosa?» mi chiese, preoccupato, ma io non risposi. Prima mi andai a sedere vicino a lui e poi mi feci abbracciare, appoggiandomi al suo petto, in modo che non mi vedesse in viso.
«Non l’ho passato… Mi sono Spaccata…» mormorai, sussurrando per mantenere il controllo della voce.
«Ah ok…» disse stupito, ma poi si riprese. «Beh meglio così…» aggiunse con una scrollata di spalle. «Vorrà dire che faremo l’esame assieme…»
«Uhm… Ok…» feci finta di farmi convincere e mi separai da lui con un sorriso timido – che tra l’altro mi riuscì benissimo.
«Non pensiamoci ora! Abbiamo cose di cui parlare!»
«Tipo?» gli domandai perplessa.
«Tieni, mangia un dolcino…» replicò mettendomi in mano un pasticcino al cioccolato.
«Ok…» scrollai le spalle, però mangiandolo lo stesso.
«Tra poco è Pasqua…» se ne uscì dopo qualche istante di silenzio.
«Già…» risposi sorridendo e prendendo un altro pasticcino.
«Tornerai a casa?» domandò, con una nota di tristezza.
«Di solito torno a casa?» dissi ironicamente.
«No, ma pensavo che ti avessero incastrato come a Natale.»
«No, ho messo in chiaro che non sarei tornata…» risposi.
«Bene!» disse sorridendo «Cioè, mi dispiace per la situazione coi tuoi è ovvio…»
Sospirai e poi capii. «Sirius, dove vuoi arrivare?»
«Mi è venuta un’idea…»
«Quale?» chiesi divertita.
«Tu puoi dire alle ragazze che devi tornare a casa?»
«Non mi piace mentire lo sai…»
«Rispondi senza fare altre osservazioni…» sbottò.
«Ok, ok… Sì, potrei.» alzai gli occhi al cielo.
«Bene… Se io dicessi che passo le vacanze con una ragazza a te darebbe fastidio?» domandò, ed era la prima volta che mi chiedeva una cosa del genere. Di solito lo diceva senza chiedere nulla.
«Se è la verità, sì…» scherzai.
«Certo che è la verità! Voglio passare le vacanze con una ragazza!» esclamò, baciandomi il collo scoperto.
«Allora mi da fastidio…»
«Fermami…» mormorò, facendomi venire i brividi.
«Non è questo che mi da fastidio…» sussurrai.
«Ah giusto… Le vacanze…» disse, completamente distratto.
Chiusi gli occhi, mi maledissi mentalmente e lo allontanai dolcemente. «Possiamo concludere il discorso?» gli chiesi.
Sospirò. «Ok… Allora, che ne diresti se tu ed io andassimo in un bel posticino che conosco e passassimo Pasqua insieme?»
«In che posto?» chiesi, curiosa e allettata dall’idea.
«Una baita in montagna…»
«Di chi?»
«Di Ted Tonks…»
«Aspetta, ho già sentito questo nome…»
«E’ il marito di Andromeda, mia cugina…»
«Giusto!» esclamai, ricollegando i pezzi. «E quando gliel’hai chiesto?!»
«A Natale sono andato a trovarli. Lo sai che sono gli unici parenti che sopporto…»
«Come sta la bimba, Ninfadora? Quanti anni ha ora, tre quattro?»
Sirius sorrise. «O è sempre molto allegra… Deve fare quattro anni quest’anno.»
«Ma aspetta, quindi gli hai detto di noi!» esclamai rendendomene conto solo in quel momento.
«Beh… I tuoi lo sanno, non vedo perché non lo debbano sapere anche loro. Tanto, se c’è una persona che capisce la mia situazione, quella è Andromeda…»
«Ok… Perciò gli hai chiesto se possiamo usare la loro baita?» domandai perplessa.
«No, in effetti è stato Ted a offrirmela… Ha detto: “Se le cose sono minimamente simili alla situazione che ho vissuto io, vorreste di sicuro un posto dove stare un po’ soli”. E così mi ha detto che se volevamo, potevo inviargli un gufo per dargli la conferma…»
«Perché non gliel’abbiamo mai chiesto prima?!» domandai, trattenendomi dal ridere.
«A dire il vero non lo so…» rispose sorridendo divertito. «Ti va allora?»
«Sì, direi proprio di sì!»
«Benissimo!» esclamò e per la gioia, mi baciò. «C’è solo un piccolo problema… Ci vorrà un po’ per raggiungerla con i mezzi Babbani…»
«Io non credo che questo sia un problema…»
«Perché?» chiese perplesso.
«Perché io ho passato l’esame di Materializzazione proprio oggi… Quindi possiamo spostarci magicamente.»
«Cioè mi hai preso in giro?!»
Io annuii solennemente e allora partì la “punizione”; iniziò a farmi il solletico fino a implorare pietà.

Pasqua arrivò pochi giorni dopo, portando con sé la primavera. Quando uscimmo da Hogwarts per raggiungere l’Espresso, il sole ci scaldava con i suoi tiepidi raggi e si prospettava essere una bellissima giornata.
«Lily, dove sono i tuoi?» domandò Mary, una volta arrivate a King’s Cross.
«Non ci sono… Torno a casa in treno. C’era una gara, credo, di Petunia perciò sono andati alla sua scuola.» sciorinai la scusa che mi ero inventata, con una scrollata di spalle e poi salutai le ragazze.
«Se hai bisogno di qualcosa, chiamaci ok? O Materializzati a casa nostra, ora puoi…» mi disse Alice con un sorrisetto.
«Forse è meglio se non ti Materializzi in camera di Alice… Potresti trovare uno spiacevole spettacolo…» la prese in giro Sarah, alludendo a Frank e lei insieme.
Ridemmo tutte quante, poi ognuna prese la propria strada. Io mi avvicinai ai cartelloni dei treni, nel caso in cui le ragazze stessero guardando, poi quando fui sicura che si fossero allontanate definitivamente, andai verso l’uscita della stazione e poi nel primo vicolo sulla sinistra, vuoto e nascosto alla vista.
Dovetti attendere qualche minuto prima che Sirius si facesse vivo.
«Scusa!» esclamò, prima ancora di salutarmi. «I Potter non mi lasciavano più venir via… Mi hanno fatto tutte le raccomandazioni possibili…» sbottò, abbracciandomi.
«Non importa…» dissi, ricambiando.
«Ora capisco cosa significa avere dei genitori, però devo dire che è stressante a volte!» rise, quasi urlandomi nell’orecchio.
«A volte lo è…» risposi, con un sorriso sulle labbra.
«Ora possiamo andare e dare inizio alle nostre prime vacanze completamente soli. E’ la prima volta, sai?»
«Certo che lo so! Potremo fare tutto ciò che vorremo!» esclamai entusiasta.
«Allora a te l’onore di portarci nel nostro nido d’amore!» rise prendendomi per mano per la Materializzazione Congiunta.
Mi aveva spiegato l’esatta posizione della baita, ma aveva anche detto che sarebbe stata protetta da incantesimi Anti-Smaterializzazione, perciò saremmo dovuti arrivare fuori dal loro raggio d’azione. Avevamo studiato la cartina, così che potessi farmi un’idea di dove farci arrivare.
Era la prima volta che provavo la Materializzazione Congiunta, a dire il vero la Materializzazione in generale, escluse le poche volte a lezione…
«Ehi, rilassati… Io so Smaterializzarmi, ti darò una mano… Non preoccuparti, ok?» mi disse, sentendo la tensione dei miei muscoli.
Annuii e cercai di calmarmi, anche perché sapevo che altrimenti avrei rischiato di Spaccarci… E non sarebbe stato molto bello…
Sirius attese pazientemente in silenzio finché non fui pronta, poi lo avvisai che stavo per Smaterializzarci e strinsi di più la sua mano. Qualche istante dopo sentii la “sensazione da Materializzazione” e capii che ce la stavo facendo, la mano di Sirius ancora nella mia.
Quando riaprii gli occhi – era più forte di me chiuderli – eravamo in una radura e poco distante si ergeva una bella e accogliente baita di legno.
«Bravissima…» mi sussurrò baciandomi sulla guancia. Io sorrisi e m’incamminai con lui, che ancora mi teneva la mano, verso la casetta.
«Dromeda ha detto che potrebbero esserci delle foto… Preferirebbe che le lasciassimo dove sono, ma ha detto che possiamo anche spostarle se ci intimoriscono…»
«Intimorirci?!» chiesi divertita e perplessa.
«Ha detto così…» scrollò le spalle «E ti posso assicurare che lei potrebbe fare davvero paura se volesse!» esclamò poi ridendo.
«La conoscerò mai…?» domandai, ben sapendo che quello era comunque un tasto dolente.
«Boh…» si limitò a rispondermi, ma lo sentii irrigidirsi, come a chi viene posta una domanda scomoda. Lasciai perdere ogni commento, anche perché eravamo arrivati alla porta.
«Alohomora!» esclamò Sirius puntando la bacchetta sulla serratura che si aprì docilmente. «Dopo di te…» disse, senza riuscire a contenere la felicità. Era bello vederlo così spensierato, lui stesso diventava molto più attraente.
«Grazie…» replicai con la stessa contentezza. Avevamo aspettato tanto, ma alla fine un po’ di tempo insieme, da soli, avremmo potuto passarlo.
Il salotto che ci accolse era caldo e nobile al tempo stesso. Gli arredi erano in legno, più chiaro delle pareti e il grosso sofà al centro della stanza era coperto da tessuto rosa salmone. Estrassi la bacchetta e accesi il fuoco nel camino, che iniziò a scoppiettare placidamente.
Ancora non ci credevo… Guardavo le stanze di quella casetta e ancora non credevo che avremmo passato giorni interi lì da soli, senza preoccuparci di essere scoperti, senza mentire, senza sotterfugi e fughe improvvisate…
Per un attimo mi chiesi se tutta quella vicinanza, quella libertà, quel tempo libero speso solo tra noi non diventasse imbarazzante. Di solito, quando ci incontravamo di nascosto a Hogwarts avevamo molte cose da raccontarci, giornate intere passate distanti. Invece in quelle vacanze avremmo avuto del tempo solo per noi. E se non avessimo saputo di cosa parlare? Se ci fossero stati soltanto silenzi imbarazzanti? Per un momento ebbi paura.
«Ehi, prepariamo qualcosa da mangiare?» mi chiese la voce distante di Sirius, ancora gioioso e ignaro dei miei pensieri cupi.
«Sì certo!» risposi, cercando di scacciarli e ritrovare la felicità.
«Sai fare una torta?» domandò, quando lo raggiunsi in cucina.
«Sì, qualcosa so fare…» risposi.
«Allora cerca gli ingredienti!» esclamò illuminandosi.
Così ci mettemmo al lavoro e finì nel caos. Ci riempimmo di farina e zucchero a vicenda, i suoi capelli diventarono quasi bianchi da quanta ne aveva addosso ed io non fui da meno.
La mia paura irrazionale sparì, a mano a mano che la serata procedeva. Dopo cena sedemmo vicino al fuoco, abbracciati, mentre io leggevo un libro per entrambi.
Il giorno successivo passeggiammo nei dintorni della baita e poi, nel pomeriggio ci Materializzammo nella città più vicina e lo portai al cinema, cosa che lo fece impazzire.
«Ma dai! E come faceva quello a sapere che l’assassino era l’altro?» ovviamente non avevamo visto una commedia romantica, ma un poliziesco. Avevo scelto apposta un film del genere, per “sconvolgerlo” maggiormente. Ed infatti era scioccato. Io, per contro, ridevo a crepapelle per ognuna delle cose che lo avevano “spaventato”.
La domenica di Pasqua mi svegliò con la colazione a letto, poi mi disse di vestirmi elegantemente con abiti magici ed aspettarlo in salotto. Lo feci, non senza che la curiosità salisse alle stelle, ovviamente.
Quando mi raggiunse, mi prese per mano e senza dire una parola mi portò fuori e ci Smaterializzammo. Stavolta fu lui a farlo, anche perché si rifiutò categoricamente di dirmi la destinazione.
Ci ritrovammo davanti a una villa di campagna, su due piani, circondata da un ampio giardino che si fondeva con la collina. Uno stagno rifletteva il cielo limpido e la facciata bianca della casa.
«Dove siamo?» mi azzardai a chiedere, ma Sirius m’ignorava. Con un ampio sorriso mi trascinava verso la casa senza volermi dare spiegazioni.
Raggiungemmo la porta e bussò. Sentimmo del tramestio e una voce, ma non riuscii a capire cosa dicesse, poi la porta si aprì.
«Oh Sirius, mi hai fatto prendere un colpo… Siete in anticipo!» esclamò una voce maschile, tutta trafelata. La porta si aprì di più e l’uomo si fece da parte per lasciarci passare. Uno sguardo all’interno mi basto per capire dov’eravamo: l’arredamento dell’ingresso era dello stesso stile di quello della baita.
«Tu devi essere la famosa Lily. Io sono Ted, lieto di conoscerti…» mi disse l’uomo nello stesso istante in cui capii.
«Piacere mio, signor Tonks.» dissi sorridendo e stringendo la mano che mi porgeva. Alla fine Sirius mi aveva accontentato…
«Chiamami Ted, per cortesia… Non sono poi così vecchio!» esclamò gioviale. E in effetti era ancora giovane, biondo e panciuto, con un’espressione solare sempre dipinta sul viso.
«Ted chi era alla porta?» domandò una voce di donna, da qualche stanza della casa.
«Sirius e Lily…» urlò lui in risposta.
«Dovevano arrivare a pranzo, non a metà mattinata!» esclamò la donna avvicinandosi.
Quando entrò nel mio campo visivo, ne rimasi colpita. Aveva la stessa eleganza di Sirius nel portamento, solo che si notava di più per via della sua femminilità. Era di una bellezza nobile, al pari del cugino. I suoi capelli castani cadevano dolci e ordinati sulle spalle e anche con quel vestito da casa, sembrava una regina. Era una Black e seppur avesse rinnegato la famiglia, ne conservava l’alterigia. Solo allora capii che anche Sirius l’aveva fatto. Prima, anche avendo sotto al naso ogni giorno suo fratello, non avevo notato quanto si somigliassero, nonostante fossero completamente differenti. Ma ora, davanti a un altro “diseredato”, mi parve chiaro che appartenevano a un altro livello, più alto.
Andromeda si avvicinò ad abbracciare Sirius poi rivolse a me un sorriso sincero e si presentò. Stavo per dirle quanto fossi felice di conoscerla, quando una voce acuta di bambina chiamò la mamma e scoppiò in lacrime dopo un forte rumore.
«Ninfadora!» urlò severa la madre «Quante volte devo dirti che non devi toccare le pentole?!» continuò raggiungendo la figlia, presumibilmente in cucina.
«Nostra figlia è un po’ vivace…» si scusò un imbarazzato Ted.
«Dov’è quel mostriciattolo?» chiese retoricamente Sirius prima di allontanarsi da me per cercare la piccola. Io caddi nell’imbarazzo più totale. Mi guardavo intorno, ancora all’ingresso, senza sapere né cosa dire né cosa fare.
«Sirius ci ha detto che anche tu sei Nata Babbana…» disse dolcemente l’uomo, facendomi cenno di seguirlo in salotto.
«Già! E’ stata una piacevole sorpresa…» commentai, evitando di pensare a quanto “piacevole” lo fosse stata per Tunia.
Ci sedemmo su un divano di pelle bianca e Ted mi offrì degli ottimi biscotti.
«Immagino! Mia madre svenne quando le feci leggere la lettera!» esclamò ridendo. Mi sentii subito più a mio agio. «Anche mio padre svenne, ma quando si riprese era tutt’altro che euforico…» aggiunse con una nota di amarezza.
«Non capiva?» domandai, conoscendo bene la sensazione.
«Oh no, capiva benissimo… Solo che non accettava. Non ha mai accettato che fossi diverso.» spiegò. «Persino ora fatica a rivolgermi la parola come a una persona normale.»
«Capisco…» dissi sinceramente. «Mia sorella mi considera un mostro. Quando sono costretta a tornare a casa, d’estate, non passa giorno che lei non mi rinfacci la mia natura.» spiegai.
«Mi piacerebbe poterti dire che un giorno capirà, ma non voglio mentirti…» disse Ted sospirando.
«Ma lei ha capito sin dal primo istante. E’ solo molto gelosa.» affermai convinta, in effetti sapevo che era così. Dopo aver mandato infinite lettere a Silente, senza ottenere risposta, Petunia aveva iniziato a disprezzarmi, come la volpe e l’uva.
Sirius evitò a Ted di dover rispondere, perché era evidente che non sapeva cosa dire. Tornò con una bambina dai capelli colorati d’arcobaleno sulle spalle, mentre correva e fingeva di disarcionarla. La bimba rideva e i suoi capelli cambiavano colore, così come gli occhi, il naso e la maggior parte dei suoi tratti.
La guardai stupita, non avevo mai visto nulla del genere e lì per lì non ricordai di aver letto qualcosa. «Dora è una Metamorfomagus…» mi spiegò Ted inorgoglito. Io annuii, richiamando alla mente quello che sapevo. Era impressionante però vederlo davanti agli occhi, piuttosto che leggerlo sui libri.
«Chi è?» chiese la bambina, quando mi vide.
«Lei si chiama Lily…» spiegò Sirius sorridendomi e mettendo giù la bimba. «E’ la mia fidanzata…» chiarì.
«Come mamma e papà?» chiese lei perplessa, guardandomi con diffidenza.
«Più o meno…» risposi io, trattenendo una risata all’idea del matrimonio.
«Io sono Atty…» mi disse tenendomi la manina.
«Piacere di conoscerti… Atty…» dissi perplessa, chinandomi per arrivare alla sua altezza.
«A nostra figlia non piace il nome che le abbiamo dato, perciò ogni giorno dice di chiamarsi in un modo diverso…» sospirò Andromeda, appena apparsa in salotto.
«Ah ecco…» commentai con un sorriso divertito. Certo che era strana quella bambina…
Mentre i signori Tonks preparavano il pranzo, io e Sirius facemmo giocare la piccola Ninfadora. Quando fu ora di andare a tavola – una tavola imbandita a banchetto – ero affamatissima.
Ci abbuffammo fino a scoppiare. Non seppi se a cucinare fosse stata Andromeda o gli Elfi Domestici – non volli indagare per non metterla in imbarazzo – però, mangiammo benissimo.
Arrivati al dolce, ero decisamente sazia, ma la gola è molto più forte, perciò quando vidi le splendide uova di cioccolato decorate, mi venne l’acquolina in bocca.
Ovviamente la maggior parte le aprì Ninfadora, trovandoci dentro tantissimi regali magici che non avevo mai visto e qualcuno Babbano, che in confronto, impallidiva. Però due uova furono riservate a me e a Sirius. Scoprii che aveva detto i miei gusti ai coniugi, infatti il cioccolato era al latte e le decorazioni sul guscio erano di ogni tipo di glassa che preferivo. All’interno però non trovai niente di ciò che mi aspettavo: c’era un gioco, simile a quelli che aveva trovato Ninfadora e capii che quella fu la prima Pasqua magica della mia vita.

«Alla fine l’hai conosciuta…» mormorò Sirius, una volta tornati alla baita, che era ormai sera.
«Grazie…» mormorai sinceramente.
«Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere passare Pasqua in famiglia, diciamo. So che non è la tua famiglia, né voglio sostituirla, ma per una volta, almeno, sei stata contenta di festeggiare.» spiegò e ancora una volta dimostrò di conoscermi a fondo.
Sorrisi, raggiante e lo baciai, come personale ringraziamento.
Il giorno successivo, lo passammo nel più tradizionale dei modi: facendo un pic-nic. Solo che non andammo in uno di quei prati affollati di famigliole, con i bambini che corrono a destra e a manca rovesciando tutti i piatti e i bicchieri degli altri, bensì in mezzo al bosco che circondava la baita.
Distendemmo il lenzuolo e poi ci sedemmo a mangiare i tramezzini che avevamo preparato. Giocammo anche, a Quidditch… Non riuscii a capire come fece Sirius a far apparire due scope, ma lo fece davanti ai miei strabiliati occhi. Volammo basso, tra gli alberi, cercando si superare l’avversario e segnare del cerchio alle nostre spalle. Fu persino divertente, anche se vinse con tantissimo vantaggio…
La sera, decidemmo di dormire all’aperto, per guardare le stelle. Perciò cercammo poco distante uno spazio abbastanza ampio per accendere un fuoco e stendere due sacchi a pelo e poi passammo la serata a raccontarci storie “horror”, io quelle Babbane e Sirius quelle magiche, scoprendo così che erano l’esatto opposto!
«Vedi quella stella?» mi chiese puntando un dito al cielo. Eravamo sdraiati, io appoggiata a lui, che mi cingeva le spalle con il braccio.
«Ce ne sono troppe… Quale dici?» sussurrai per non rompere l’atmosfera.
«La stella più brillante di tutte… Non hai mai notato che c’è una stella che è sempre la più brillante?» domandò, sussurrando a sua volta.
«Certo che l’ho notato! E’ Sirio!» esclamai e poi, come una scema, collegai. Sirius scoppiò a ridere. «Non l’avevi mai notato?» domandò, con la risata ancora sulle labbra.
«No…» brontolai, vergognandomi.
«Beh, ora lo sai… Sirius è la stella più luminosa del firmamento, nonché la principale della costellazione del Cane Maggiore. Guarda…» spiegò, indicandomi poi la forma della costellazione, mentre io ancora mi davo della stupida.
«Come mai hanno scelto questo nome?» domandai poi.
«La maggior parte dei Black, per tradizione, ha nomi di costellazioni. Pensa ad Andromeda… Non dirmi che non ne conosci la storia!» esclamò.
«Sì sì, la conosco!»
«Mio fratello…» cominciò, impregnando di disprezzo quel termine «Prende il nome dalla stella principale del Leone, ad esempio… E mio padre dal gigante Orione…» spiegò per illustrarmi quanto i Black conoscessero l’astronomia.
«Io ho il nome di un fiore invece…» dissi con finto orgoglio, apposta per sembrare buffa e deviare i suoi pensieri dalla sua famiglia. L’effetto riuscì, perché scoppiò a ridere.
«Il mio fiore preferito…» mi sussurrò all’orecchio.
In quel momento mi fu chiaro che se quello significava convivere con Sirius, come in quei giorni di festa, allora avevo capito cosa volevo dalla mia vita.



Note: Ho solo una nota sulla stella Sirio. Come avete potuto notare, Lily è vittima di un qui pro quo e non collega che la stella porta lo stesso nome del suo ragazzo. La cosa è possibile solo in italiano. Mi spiego, è vero che io sto scrivendo in italiano, ma loro tecnicamenteparlano inglese. In inglese la stella viene chiamata col nome originale latino, ossia Sirius, perciò in quel caso Lily sarebbe stata proprio tonna se non l'avesse capito XD In italiano, invece, il nome viene italianizzato in Sirio. E qui appunto nasce il mancato collegamento. Mi sono presa la libertà di farlo, così da rendere la scena un po' più divertente. Non ho nessun'altra nota, per ora XD
Ringraziamenti: allora, questo mio "grande" ritorno è passato un po' in sordina, ma non me ne preoccupo più di tanto. Ringrazio calorosamente Sara, ma come al solito non è necessario che dica perché. Poi i quattro che hanno recensito il capitolo scorso, cioè: Lizzy095, marty_odg, Little Nanny e Roxar. Sono contenta che siate contente (passatemi il gioco di parole) che OniceSmeraldi sia tornata! E anche che vi abbia stupito! :P
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 28
*** La Soluzione ***


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= La Soluzione =

Il ritorno a Hogwarts dopo le vacanze di Pasqua fu traumatico. Tornare alla solita routine di segreti e frustrazione, dopo quei giorni di pace e serenità assoluta, fu davvero difficile. Ero talmente di malumore che mi chiusi nella cabina dei prefetti sull’Espresso del ritorno, senza cercare le ragazze. Ma fortunatamente avrei potuto spiegare loro che non le avevo raggiunte perché… Ero di pessimo umore. Per una volta non sarebbe stata una bugia, tralasciando il motivo del mio nervosismo, ovviamente.
Perciò quando la porta dello scompartimento si aprì ero già pronta a maledire chiunque si affacciasse. Possibile che non si potesse avere un momento di privacy?!
«Ho pensato che ti andasse una Cioccorana…» sorrise la testa di Remus, mentre faceva capolino, pronta però a ritirarsi in caso di reazione negativa. «A dire la verità ho pensato che volessi stare sola, ma poi ho visto Sirius nervoso e, lo sai, è insopportabile quand’è così. Perciò ho pensato: facciamo i masochisti, andiamo da una Lily altrettanto nervosa, non sia mai che ne voglia parlare con l’unica persona con cui può farlo…» spiegò, il tono di voce tenuto appositamente basso per evitare che qualche ficcanaso di passaggio potesse sentire.
Mi venne da sorridere. Remus era sempre molto dolce, forse più di quanto mi meritassi.
«Posso entrare?» domandò, quando vide che non avrei morso.
«Sì, vieni…» gli risposi. Lui entrò, accomodandosi accanto a me e porgendomi non una ma un’intera confezione di Cioccorane.
«Il cioccolato aiuta…» disse scrollando le spalle.
«Eccome se aiuta!» esclamai io, scartando la prima e invitandolo a fare lo stesso.
«Immagino che le vacanze di Pasqua siano andate bene, se entrambi siete così di pessimo umore.»
«Dire “pessimo” è un eufemismo, Rem.»
«Se vuoi parlarne sono qui…»
«Sono stati giorni davvero indimenticabili. Cioè più ci penso e più vorrei che il tempo si fosse fermato a ieri, quand’eravamo soli e tranquilli.»
«Ma dove siete stati?» domandò incuriosito. «Sirius non ce l’ha detto, perché James ha la brutta abitudine di intromettersi nei suoi affari, senza imbarazzarsi se lo trova, che so, in atteggiamenti intimi. Però questa volta non sarebbe stato carino…» scherzò sull’ultima frase, anche se sapevo quanto non approvasse il segreto.
«Siamo stati in Galles, in una baita della cugina buona…» dissi sorridendo per l’appellativo trovato per la signora Tonks.
«Di Andromeda? Quindi sa di voi?!»
«Veramente è del marito… Comunque sì. Sirius l’ha detto loro a Natale.»
«Quindi è un po’ come se avessi conosciuto i suoi…» scherzò. «Chissà come reagirà lui, quando conoscerà i signori Evans…» rise immaginando probabilmente la scena, ignaro – ancora per poco – che fosse già avvenuta.
«A dire la verità ha conosciuto prima lui i miei, poi il giorno di Pasqua mi ha portata dai Tonks.» dissi, trattenendomi dal ridere dopo averlo visto strabuzzare gli occhi.
«E quando è successo?» chiese, incredulo.
«Quest’estate… Si è Materializzato in camera mia e mi ha fatto rimproverare dal Ministero…» spiegai.
«Quindi la cosa si fa seria…» sentenziò, ancora col sorriso sulle labbra.
«Stavo riflettendo proprio su questo…»
«Cioè?» domandò, tornando serio.
«Ho avuto paura, sai, quando abbiamo iniziato le vacanze.»
«Di cosa?»
«Che non riuscissimo a stare insieme per giorni interi, completamente soli.»
«Non era mai successo?»
«No… Quest’estate è stato per un po’ a casa mia, ma c’erano sempre i miei genitori e Petunia… E a Hogwarts… Beh, è chiaro.» spiegai con una scrollata di spalle.
«E invece siete stati bene?»
«Più che bene! Non ci siamo annoiati un momento!»
«Oh, che schifo! Lily, ti prego! Sarò anche tuo amico ma non voglio immaginarmi certe scene…!» esclamò, fingendosi schifato – o almeno sperai che fingesse, perché di certo non intendevo in quel senso.
«Ma va! Mica intendo quello!» esclamai scoppiando a ridere e lui m’imitò.
«E quindi, qual è la conclusione?» domandò, dopo aver ripreso fiato.
«Che lo amo.» ammisi con semplicità.
«Pensavo che questo fosse chiaro già prima…» disse perplesso.
«E lo era. Ma dopo aver passato quei giorni così, boh… E’ come se avessi realizzato quanto tenga a lui davvero. Un po’ come se avessi visto le cose da un’altra prospettiva e avessi scoperto che in fondo, prima, le sminuivo.»
«Lily, stai pensando a…» deglutì vistosamente «S-sposarlo?» balbettò.
«Merlino, Remus, non lo dire come se fosse un funerale! Comunque, il fatto che ora sia maggiorenne non implica che debba sposarmi subito…» brontolai. Quell’idea non mi aveva nemmeno sfiorato, non nel senso in che intendeva Remus.
«Non intendevo questo…» si scusò.
«Mettiamola così… Se un giorno dovesse capitare, so che sarebbe la scelta giusta, cioè che vorrei.»

Il viaggio fu lungo e noioso. Ogni minuto trascorso verso Hogwarts era un minuto che mi allontanava da quello splendido sogno che erano state le vacanze di Pasqua. Nonostante mi fossi aperta con Remus, il mio umore non era migliorato. E quando lo cacciai via per andare a dare manforte a Sirius, dato che io non potevo farlo, rimasi sola, senza la minima voglia di cercare le ragazze. Quando finalmente scendemmo dal treno e raggiungemmo la Sala Grande per la cena, mi sentivo un po’ meglio. Probabilmente l’aria di “casa” aveva alleviato il mio nervosismo. Mi persi ad ascoltare i riassunti delle vacanze delle ragazze, contenta che Sarah ridesse e scherzasse e avesse passato un po’ di tempo divertendosi con Elinor. Io mi inventai un paio di noiose storie sulle mie vacanze, tanto che dopo un po’ mi interruppero per rallegrarmi con i loro aneddoti.
«Evans! Ehi, Evans!» sentii urlare, nel trambusto delle panche smosse da tutti gli studenti per tornare alle proprie Sale Comuni.
«Neanche morta, Potter! Neanche morta!» esclamai, con un certo – strano – divertimento.
«Ma non sai neanche cosa stavo per chiederti!» esclamò con quel suo tipico ghigno dipinto in faccia.
«E da quanto aspetto di ascoltarti prima di dirti di no? Tanto, Potter, sia che tu mi stia per chiedere di uscire, sia che tu mi stia per chiedere qualsiasi altra cosa, la risposta sarà comunque “no”.» feci, voltandomi in sua direzione e potendo così ammirare un certo “qualcuno” al suo fianco.
«Vieni a Hogsmeade con me, la prossima volta?» mi domandò ignorando tutta la mia spiegazione. «Aspetta, fammici pensare…» dissi, poi fingendo di pensarci davvero, come fosse un problema difficile da risolvere. «Direi… di no.» dissi poi con semplicità e tutti quelli che ci stavano intorno scoppiarono a ridere, me compresa.
Non fui tanto stupita quando, tornata in Sala Comune, potei vedere affisso alla bacheca l’annuncio della prossima uscita a Hogsmeade, alla fine di aprile.

Quel sabato di fine aprile si apprestava a essere una bellissima giornata.
«Lily, vieni con noi?» mi domandò Mary implorante.
«No ragazze, ve l’ho detto ho un appuntamento!» dissi, solare.
«Sì, ma non vieni mai a Hogsmeade con noi!» sbuffò, come una bambina viziata.
«Oh, Mary… Se la tua vita privata fa schifo, non è certo colpa di Lily…» la prese in giro Elinor.
«Sì vabbè, ma noi andiamo tutte assieme a Hogsmeade e lei non c’è mai!»
«Neanche Alice c’è mai, eppure con lei non fai tutte queste storie…» le feci notare, divertita.
«Ok, ma Alice è un caso perso… Cioè quella è ormai andata… Si vede già con tanti piccoli Frank che la circondano e le tirano i capelli e le impiastrano i vestiti e tutte quelle cose che i piccoli Frank faranno!»
«Ehi, guarda che sono qui e ti sento…» la rimbeccò Alice.
«Lo so, ma ho detto solo la pura verità!» disse con falsa aria di superiorità. «Mentre Lily è un’uomaiola…»
«Una che?» domandammo in coro tutte quante.
«La versione femminile di un donnaiolo…» spiegò come fosse la cosa più ovvia del mondo. «E’ sempre con un ragazzo diverso… E con noi non esce mai!» s’imbronciò.
«Mary, io ti voglio bene però, sai, non sei il mio tipo…» scherzai, facendole ridere, Mary compresa. «E poi, con voi passo ventiquattro ore su ventiquattro ogni giorno…»
«Sì, ma non a Hogsmeade…»
«E piantala!» esclamò ridendo Elinor, poi si voltò verso di me. «E’ meglio se tu inizi ad andare, se no questa non la smette più…» mi suggerì.
Così le salutai e uscii.
«Evans, dato che sono magnanimo, ti do la possibilità di dirmi di sì questa volta… Vieni a Hogsmeade con me?» mi domandò Potter, vedendomi uscire dalla Sala Comune.
«Neanche morta…» risposi automaticamente e poi mi allontanai il più in fretta possibile, per evitare che mi pedinasse.
Raggiunsi il nostro luogo d’incontro qualche minuto dopo, guardandomi costantemente alle spalle per evitare spiacevoli inconvenienti. Quando finalmente raggiunsi la radura – sì, ci saremmo incontrati nella macchia prima del villaggio per ricordarci delle vacanze pasquali – tirai un sospiro di sollievo. Sirius non c’era ancora, perciò distesi una coperta che avevo Materializzato e mi ci sdraiai sopra, prendendo a guardare il cielo e cercare le forme nelle nuvole, come facevo da piccola. Quando fui quasi certa di aver visto un bel drago paffuto, un fruscio alle mie spalle mi fece sussultare, quasi pensassi che ci fosse davvero il drago dietro di me. Senza dire una parola, si avvicinò ulteriormente e si distese accanto a me.
«Ciao…» sussurrò poco dopo.
«Ciao…» risposi io, con un sorriso involontario sulle labbra. Rotolai di lato, puntandomi col gomito a terra per sollevarmi a guardarlo. «Come stai?»
«Mai stato meglio…» rispose facendo la stessa cosa. «E tu?»
«Idem…»
«E’ stata una settimana terribile!» esclamò dopo qualche istante, sbuffando e voltandosi a pancia in su e allargando le braccia.
«A chi lo dici!» replicai io, con un sorrisetto.
«No, dai, davvero! Ho preso cinque punizioni, frequentato tutte le lezioni e soprattutto non sono riuscito a vederti neanche una volta!»
«Le cinque punizioni avresti potuto risparmiartele, se facessi un po’ meno l’idiota…» commentai, provocandolo.
«Stavolta non ho fatto l’idiota!» replicò mettendosi sulla difensiva. «Avevo la testa altrove! Non riuscivo a smettere di pensare alle vacanze di Pasqua, alla libertà che avevamo e ci soffrivo, sai?! Altro che idiozia! E’ stata colpa tua!» continuò, facendomi poi la linguaccia.
«Colpa mia?! Certo, come no…»
«Sì, se non avessi passato le vacanze con te, non sarebbe successo nulla!»
«Le prossime vacanze passale da solo allora!» esclamai io, mantenendo la calma. Sapevo che cercava di farmi reagire, ma non volevo dargliela vinta.
«E perdermi tutti i magnifici momenti che abbiamo passato assieme? No, mai.» disse, infilando la mano nei miei capelli e attirandomi a sé per baciarmi.
Il tempo si perse, o forse fui io a perdermi in quell’atmosfera di pace. Fu facile immergermi nei ricordi di Pasqua e dimenticarmi di Hogwarts e di tutto ciò che comportava.
«Sono in Paradiso!» sussurrai a un certo punto del pomeriggio.
«In Paradiso è consentito baciarsi?» mi domandò fintamente perplesso.
«Non lo so, ma di certo non mi sento all’Inferno!»
«Ottime argomentazioni, signorina Evans…»
«Grazie, signor Black.»
Quasi non ci accorgemmo che la luce stava rapidamente calando e l’ora di tornare indietro si avvicinava inesorabile.
«Torniamo?» sussurrò incerto.
«Dobbiamo proprio?» chiesi io.
«Stai tremando… Preferirei che non ti ammalassi.» spiegò, mentre mi abbracciava un po’ più stretta e non dava segno di volersi alzare.
«Posso Materializzare un bel maglione…» azzardai.
«E' tardi, Lil… E' quasi ora di cena…»
Era inutile continuare, avrei potuto trovare qualsiasi scusa al mondo, ma sapevo che dovevamo tornare. Eravamo ancora sotto sorveglianza, era meglio evitare altri rimproveri. Sospirai e sciolsi l'abbraccio.
«Andiamo…» borbottai alzandomi.
Sirius si alzò e fece sparire tutto quello che avevamo lasciato con un rapido gesto della bacchetta.
«Inizia ad andare Lily, io ti seguirò dopo poco…»
«Ok…» commentai soltanto. Gli diedi un rapido bacio e poi m’incamminai verso il castello.
Nei giorni successivi ci incontrammo segretamente nei luoghi più disparati di Hogwarts. Remus, nonostante fosse contrario al nostro silenzio, mi fu comunque vicino e più di una volta mi coprì con le ragazze.
«Non capisco perché non puoi dirlo almeno a loro…» mi disse, un giorno che era venuto a chiamarmi per “l'importante compito” che dovevamo svolgere.
«Perché se glielo dicessi, in mezzo minuto lo saprebbe tutta l'Inghilterra…»
«No, dai, non sono così pettegole…» cercò di sdrammatizzare.
«Non dico che lo siano, ma l'euforia le farebbe urlare e l'intera Hogwarts sentirebbe qualsiasi cosa… E, nel fortuito caso in cui riuscissi a farle stare zitte, gli lancerebbero tali e tante occhiate che persino un cieco lo capirebbe…»
«Forse hai ragione…» commentò, sconfitto dalla mia logica.
Dopo quell'episodio, anche Remus aveva imparato a non nominare più l'argomento.
I giorni passarono e con loro momenti sempre più splendidi, nonostante tutto. A maggio già stavamo pensando alle vacanze estive, cercando di programmare un incontro che durasse più di qualche ora. I miei non sarebbero riusciti a trascinarmi in una vacanza lontano dalla magia, come l'anno precedente e sospettavo che nemmeno lo volessero. Il problema rimaneva, come sempre, Potter che esigeva la presenza del suo migliore amico ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, perciò stavamo cercando una soluzione… Che si presentò un giorno verso la fine di maggio.
Era un bel venerdì di tarda primavera e già respiravamo tutti l’aria d’estate, ma più che altro l’imminente week end che ci liberava dalle lezioni. Lungo il corridoio del quarto piano, le ragazze e io stavamo ascoltando Alice nel suo resoconto dell’appuntamento con Frank avvenuto la sera prima, di come fossero riusciti a convincere Lumacorno che avevano fatto tardi – alle 2 di notte – in biblioteca. Fu allora che la soluzione mi si presentò davanti agli occhi, nel senso letterale del termine.
Proprio lì davanti a me, in attesa di entrare in aula, stava Sirius. Sorrisi, non appena lo vidi. Ma poi il sorriso mi morì sulle labbra. Lui mi guardò, con un’intensità che avevo visto solo poche volte, ma diversamente dal solito non c’erano tutte quelle emozioni che mi facevano battere d’amore il cuore. C’era scherno, c’era superiorità, c’era sarcasmo. E con il solito ghigno sbruffone che lo rendeva parte di quel loro piccolo gruppo, strinse più forte la ragazza che stava abbracciando – che nemmeno riconobbi – in modo da far aderire i loro corpi e poi, continuando a fissarmi – ero sicura di non immaginarmelo, mi fissava con sfida – la baciò con trasporto. M’immobilizzai, quasi fossi preda di un Petrificus Totalus, per un infinito istante tutto in me si bloccò, il respiro, il cuore, l’anima. Per quel secondo non provai assolutamente nulla. Il secondo dopo, invece, inorridii e il successivo tutto riprese a funzionare, solo molto più accelerato. Il respiro divenne affannoso, il cuore batteva all’impazzata, quasi volesse uscire dal petto e fare a pugni con Sirius e l’anima, quella non provava dolore o delusione, soltanto rabbia. Una rabbia incontrollata che non sapevo nemmeno di poter sentire. Superiore addirittura a quella del giorno della lite con Potter, in seguito il mio scherzo. Una rabbia tale che mi offuscò la vista e mi fece tremare come una foglia. Intorno a me i suoni si fecero ovattati, non riuscivo a distinguere le voci delle mie amiche che sicuramente mi chiamavano, le figure sfumavano, togliendomi dalla vista la coppietta che amoreggiava e iniziavo a non sentire più le gambe. Mi sentii cadere in un baratro senza fine e poi, in un attimo, così come era iniziato, tutto cessò e intorno a me non c’era altro che nero.



Note: beh, innanzitutto, chiedo scusa. Il lavoro purtroppo mi tiene lontana dal pc e quindi dall’aggiornare. Sappiate solo che ho intenzione di completare OniceSmeraldi, perciò anche se a rilento, ogni tanto vedrete degli aggiornamenti.
Poi, ho iniziato questo capitolo a marzo e l’ho finito soltanto ora. Ho cercato di mantenere lo stesso stile, le stesse caratteristiche presenti in ogni altro capitolo, ma essendo passato del tempo, forse, involontariamente ho apportato delle modifiche. Spero appreziate comunque la narrazione.
Note sul testo non dovrebbero essercene, ma se avete dubbi o simili, non esitate a esprimerli nelle recensioni!
Ringraziamenti: vorrei ringraziare in primis chi - se c’è - ha aspettato l’aggiornamento tutto questo tempo e chi si ritrova a leggere con piacere il nuovo capitolo.
Subito dopo invece, vanno ringraziati tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente, ossia: Ella_Sella_Lella, Dust_and_Diesel, Lizzy095, Roxar, RainbowFairy, kiriri93, FloorJansen, purepura, Patasfrollina e prongs2992.

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Capitolo 29
*** Come Una Fenice ***


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= Come Una Fenice =

Quando riaprii gli occhi, ci misi un po’ a ricordarmi chi fossi, dove fossi e per quale motivo stessi tremando violentemente.
Trassi un profondo respiro e mi concentrai per ricordare. Ecco sì, Lily Evans, prefetto di Grifondoro, sesto anno. Ottimo! Mi guardai intorno, allora, notando una serie tutta uguale di letti disposti in fila, lenzuola bianche, tende bianche alle finestre, divisori bianchi tra un letto e l’altro, pareti bianche. Io stessa indossavo una camicia da notte bianca. Capii che dovevo trovarmi in Infermeria, ma perché? E perché tremavo? Non faceva freddo! Provai a toccarmi la fronte, per controllare la temperatura e la scoprii umida di sudore, allora tastai le guance, ma esse erano proprio bagnate. Mi stropicciai gli occhi, per scacciare il sonno e pensare più lucidamente e con macabra sorpresa, scoprii che stavo piangendo. Mi sfuggiva il motivo, però.
«Lily…? Ti sei svegliata?»
All’udire quel sussurro, delle immagini mi capitolarono addosso. Le vedevo però come un osservatore esterno, come se stessi guardando un film che non appassiona. Vidi tutto quello che era accaduto in quel dannato corridoio, poi il buio che mi aveva avvolto e così capii perché fossi in Infermeria. Avevo perso i sensi… Che vergogna!
Non appena collegai, però, che la voce che mi era giunta era reale e non frutto della mia malsana fantasia, le emozioni represse esplosero, prendendo il sopravvento sulla parte razionale di me.
La rabbia mi avvolse nelle sue perfide ma calde spirali. Con un gesto veloce e automatico la mia mano volò al comodino, afferrò la bacchetta e la puntò contro l’ombra al mio fianco.
«Vattene subito da qui, Sirius. Vattene. Subito.» sibilai e la voce che risuonò minacciosa nella stanza non mi parve la mia. Sirius si alzò, ma non si allontanò.
«Volevo solo vedere come stavi, mi sono preoccupato.» mormorò, con quel tono dolce che aveva sempre usato nei miei confronti e che ora, oltre alla rabbia scatenò una fitta di dolore insopportabile, proprio al centro del petto.
Deglutii a fatica. «Vattene.» ripetei, ancora una volta la mia voce era deformata e suonava decisamente intimidatoria, ma lui non si faceva certo spaventare da così poco.
«Lily… Io…» ma non gli diedi il tempo di concludere le sue patetiche scuse. Non avevo intenzione di sorbirmi un’altra delle sue bugie. Ormai ero disillusa.
«Stupeficium!» urlai e dalla bacchetta partì un forte raggio rosso che per un momento mi accecò. Non riuscii a colpirlo, forse se lo aspettava o probabilmente aveva degli ottimi riflessi e riuscì a schivarlo all’ultimo secondo. Ma bastò a metterlo in fuga.
Solo allora potei tranquillizzarmi. Purtroppo, la rabbia si attenuò quel tanto che bastava per farmi provare altri sentimenti. Mi sentii mozzare il fiato e subito dopo un dolore lancinante mi colpì al cuore. Sapevo che in realtà il mio cuore non aveva nulla, ma sentivo quel dolore come se davvero cadesse a pezzi. Riuscii a riprendere a respirare, ma erano singhiozzi quelli che uscivano dalle mie labbra, lacrime quelle che mi offuscavano la vista.
Il mondo mi era crollato addosso, alla fine. Quello che avevo presagito, era avvenuto. Ero sola, ora. L’ultimo pilastro era caduto. Ma nonostante tutto, non riuscivo a capire perché. Cosa c’era che non andava in noi, in me da spingerlo a farmi così male? Non lo sapevo e, in quel momento, non avevo voglia di saperlo. Piansi ancora, come una bambina che smarrisce la strada di casa. Piansi tutte le mie lacrime, per tutta la notte, guardando – ma non vedendo – il soffitto bianco dell’Infermeria.
Quando, all’alba, il sole cominciò a colorare quel pallido mondo, io rinacqui. Come una fenice dalle sue ceneri, plasmata non più dal dolore e dalla morte, ma dalla rabbia e, avvolta nella rabbia, tornai a nuova vita. Non avrei più pianto, lo promisi a me stessa. Sarei stata forte e sarei andata avanti.
Madama Chips fece il suo ingresso proprio quando avevo preso tutte quelle decisioni. Mi sorrise dolcemente quando notò che ero sveglia e poi valutò la mia situazione.
«Hai riposato questa notte?»
«Sì, molto!» mentii.
«Ricordi cos’è successo?»
«Ho perso i sensi, in corridoio. Non so perché, in effetti. Carenza di zuccheri?» azzardai a chiederle, sul viso una perfetta espressione innocente.
«Direi più una forte emozione… C’è stato qualcosa che ti ha sconvolta?» chiese professionalmente.
«No, nulla… Però ieri non ho mangiato a pranzo, lì per lì non avevo fame. Perciò credo che il mio corpo ne abbia risentito.» cercai di convincerla.
«Forse è meglio se rimani qui ancora oggi, allora. Ti darò una Pozione ricostituente, così recupererai le energie perdute. Poi in serata, se vuoi potrai tornare nella tua Casa, non credo ci sia bisogno di passare un’altra notte qui. Sei d’accordo?»
«Sì, ma potrebbe dire a qualcuno di portarmi i compiti, non voglio rimanere troppo indietro e almeno posso impiegare il tempo.» la supplicai.
«Certo, certo!» disse e si affrettò a esaudire la mia richiesta.
Chiusi gli occhi, accorgendomi che riuscivo a rilassarmi senza cadere in pensieri tristi e auto commiseranti. Stavo quasi per addormentarmi quando la mia prima visita mi ridestò.
«Lily…?» la voce bassa e incerta di Remus mi fece contrarre lo stomaco. Per un attimo fui tentata di fingere di dormire e non rispondere. Poi sospirai e aprii gli occhi. Non gli sorrisi, sarebbe stato falso e lui l’avrebbe notato.
«Ciao… Ti ho portato i compiti.» disse, sorridendomi al contrario di me e porgendomi un plico di fogli.
«Ti ringrazio…» risposi prendendolo. «Cosa mi sono persa a lezione?» chiesi, fingendo di non sentire la tensione che impregnava l’atmosfera.
«Nulla di che… Abbiamo iniziato il riepilogo. Solo a Pozioni, oggi, ne abbiamo studiata una nuova. Ti ho scritto tutto, cioè ho preso appunti e poi ho fatto delle note sui miei appunti, per chiarire meglio.» spiegò un po’ contortamente. «Se hai bisogno di spiegazioni basta che le chiedi.»
«Grazie…» gli risposi, sinceramente. Poi, però, cadde un silenzio teso all’inverosimile. Io facevo finta di controllare i fogli e Remus dondolava imbarazzato sui talloni.
«Non posso capire come ti senti, ma io sono qui, ok?» mi disse, sussurrando appena, come se avesse paura delle sue stesse parole.
Lo stomaco mi si strinse dolorosamente, di nuovo. «Sì…» risposi soltanto, non volevo essere sgarbata.
«Non so che cosa dire, Lily… Perdonami…» sospirò, abbassando lo sguardo.
«Non devi scusarti. Cosa dovresti dire? Non c’è nulla. Come al solito, la gente prende decisioni che la porta su strade diverse dalla mia, come Severus.»
«Non so cosa sia preso a Sirius, vorrei solo che sapessi che non ero al corrente di nulla. Tengo molto alla tua amicizia, Lily, e vorrei che quello che è successo non la cancellasse. Se non ti fa troppo male, vorrei rimanere tuo amico.» disse, tutto d’un fiato, forse per non farmi replicare o forse perché altrimenti non sarebbe riuscito a dirlo. In realtà disse l’unica cosa che poteva farmi uscire dal baratro: sapere che avevo ancora qualcuno su cui contare. Non che non fossi affezionata alle ragazze, ma loro non conoscevano il mio segreto e nonostante i nuovi sviluppi, non potevo metterle al corrente. Sarei rimasta fedele alla parola data, la mia storia con Sirius sarebbe rimasta nell’ombra. «Mi farebbe molto piacere rimanere tua amica, Remus.» risposi, con semplicità e un primo, timido sorriso.
«Lo sarei anche io…» disse, con la stessa espressione sul volto.

Dopo che Remus tornò a lezione, rimasi sola nell’Infermeria. Solo Madama Chips apparve due volte per farmi bere disgustose pozioni. Nel primo pomeriggio però, la porta si aprì cigolando e i passi di corsa delle mie amiche mi raggiunsero, prima che loro mi saltassero addosso e mi tempestassero di domande.
«Come stai?»
«Ci hai fatte preoccupare!»
«Stavi cadendo, ti abbiamo presa al volo!»
«Cos’è successo?»
Mi dissero tutte insieme, con l’unico risultato che non capii nulla, ma provai a indovinare.
«Ho avuto un calo di zuccheri…» spiegai. «Grazie per esservi preoccupate…» dissi, abbracciandole una alla volta.
«Ma quando ti dimettono?» domandò Sarah.
«Stasera… Quindi liberate il mio letto da ogni cosa ci abbiate messo sopra in mia assenza!» le minacciai scherzosamente.
«Non c’è nulla sul tuo letto, Lil!» esclamarono in coro, troppo innocentemente.
«No? E allora la tua spazzola dov’è, Mary?» iniziai, guardandola e lei abbassò lo sguardo colpevole. «E i tuoi trucchi, Elinor?» anche lei ebbe la stessa giocosa reazione «Per non parlare dei tuoi vestiti Alice, sicuramente ieri li hai buttati tutti sul mio letto, appallottolati, per trovare quello giusto da mettere con Frank, vero?» non provò neanche a ribattere.
«E io…?» chiese Sarah, divertita.
«Tu hai lasciato la cartella…» dissi, come se fosse ovvio.
«Ok, sei stata in camera mentre non ti vedevamo, vero? Ci hai spiate, eh?!» esclamò Mary, scherzando.
«Ebbene sì, oggi non avevo niente da fare e ho girato per la nostra stanza a cercare tutto quello che avete lasciato fuori posto…» dissi solennemente, poi scoppiammo tutte quante a ridere.
Le ragazze rimasero con me fino a che Madama Chips non le cacciò con la forza, minacciandomi di farmi rimanere lì anche durante la notte se non avessi riposato un po’. Perciò, a malincuore, se ne andarono e lei poté rifilarmi una pozione sonnifera che ebbe subito effetto.
Quando mi svegliai era ormai sera inoltrata e l’Infermiera accorse subito accanto al mio letto, quasi avesse saputo che mi sarei svegliata proprio in quel momento.
«Come ti senti?»
«Molto bene, grazie.»
«Vuoi tornare al tuo Dormitorio?»
«Se posso, sì.» le risposi educatamente.
«Va bene, ma se senti ancora qualche sintomo, torna subito qui per piacere.» disse spostandosi di lato, come a invitarmi a scendere dal letto e uscire.
«Certamente! Grazie, Madama Chips!» esclamai io, iniziando ad avviarmi verso la porta.
«Signorina Evans, un momento!» mi richiamò la donna.
«Mi dica…» risposi, voltandomi.
«I suoi vestiti!» disse con un largo sorriso, agitando la bacchetta e togliendomi di dosso la camicia da notte, sostituita dalla mia divisa.
«Grazie!» replicai e poi uscii.

I giorni che seguirono furono strani. Non mi accorsi subito di quanto lo fossero però… La mia vita procedeva normalmente, con le lezioni, le chiacchierate con le amiche, i compiti svolti con Remus. Solo qualche giorno dopo esser stata dimessa, mi resi conto di non ricordare quello che avevo fatto il giorno prima e quello prima ancora, come se avessi vissuto quei giorni senza averli vissuti veramente. Ci misi un po’ a capire che volevo che gli altri pensassero che fosse tutto a posto, che fossi allegra, spensierata. Lo volevo al punto da non accorgermi che avevo smesso di pensare e avevo agito automaticamente. Quando lo scoprii, scoprii anche un senso di vuoto che mi attanagliava. Lo notai mentre ridevo di una battuta di Mary, ridevo certo, ma non provavo gioia. Era un gesto automatico per evitare che mi facessero domande alle quali non potevo rispondere. E nonostante tutto era così anche con Remus. Nonostante lui sapesse, avevamo stipulato un tacito accordo a non parlarne, perciò, per non farlo preoccupare, avevo messo in scena la stessa tecnica. Ero rinata, era vero, ma qualcosa era morto quel giorno. E questo mi fece ancora più arrabbiare. Io, Lily Evans, che si lasciava distruggere da un ragazzo qualsiasi?No, proprio non era da me. Allora dispiegai tutte le mie forze per riuscire a combattere quel vuoto che sentivo, o attenuarlo almeno. Quando ridevo di una battuta, cercavo di sentire veramente quella risata, quando sorridevo, cercavo di tendere davvero le mie labbra. Non fu facile, nemmeno veloce, però pian piano ci riuscii. Scoprii di nuovo cosa voleva dire ridere davvero, sorridere davvero e provare profondo e vero affetto. Remus, in tutto questo, fu una pedina importantissima. Probabilmente aveva intuito tutto, ma non ne aveva fatto parola. Aveva agito dietro le quinte, tendendomi la sua mano, che afferrai senza rendermene conto. In pochi giorni divenne più importante di quanto avessi immaginato. Fu quando me ne resi conto, che capii che potevo essere di nuovo felice, che qualunque cosa fosse successe, in un modo o nell’altro me la sarei cavata.


Note: sinceramente non ho note XD So che è breve, ma era necessario!
Ringraziamenti: ringrazio tutti, come al solito, quelli che hanno letto e seguito questa storia e anche chi l’ha appena scoperta. In particolare i recensori del precedente capitolo: Miss_Rose, Ella_Sella_Lella, Roxar, Lizzy095, FloorJansen, Corvetta. Sappiate che una spiegazione c’è e che forse, un giorno, la scoprirete XD
Un piccolo avviso: sono certa che riuscirò a pubblicare almeno un altro capitolo, prima di riprendere il lavoro, ma dopo non ne ho la più pallida idea. Spero, davvero vivamente, di poter continuare a scrivere, di trovare il tempo e la voglia, perché sono davvero affezionata a questa ff e a voi che a ogni capitolo mi fate compagnia.
A presto,
Ksanral

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Capitolo 30
*** Odio ***


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= Odio =

Quando rientrai in Sala Comune, era ormai tardi. Il fuoco aveva smesso di scoppiettare allegro e ciò che ne rimaneva era soltanto un debole bagliore, abbastanza forte, però, da illuminare sinistramente il volto di James. Lo raggiunsi, dipingendomi in volto il ghigno malandrino per eccellenza e mi misi a sedere su una poltrona accanto alla sua.
«Ramoso, non sai cosa mi è successo…!» iniziai, cercando di improvvisare una buona scusa per il mio rientro.
«Sinceramente, Sirius, non me ne frega niente.» mi rispose, secco, alzando lo sguardo verso di me. Quando vidi i suoi occhi, quasi mi spaventai. C’erano talmente tante emozioni, diverse dall’allegria e dall’ironia che aveva di solito, che per un momento pensai ci avesse scoperto. Sembrava arrabbiato, ma anche ferito e deluso. Dentro di me – sperai che al di fuori non si vedesse nulla – sbiancai, tremando per la paura.
«Che è successo?» domandai, facendomi serio e cercando di non avere un’aria colpevole.
«Niente…» ma aveva tutta l’aria di esserci un “tutto” in quella risposta.
«Dai, dimmi Ramoso! Non ti ho mai visto così!»
«Remus è fuori e Peter dorme.» mi disse, ma non ne capii il senso.
«Quindi?»
«Tu non c’eri e sono rimasto qui tutta la sera.»
«Potevi chiamarmi, non dirmi che hai perso di nuovo lo Specchio!» esclamai, cercando di fare un po’ d’ironia, che non funzionò.
«No, non l’ho perso e non ci ho pensato, a chiamarti…»
«Quindi, che è successo mentre eri qui?» domandai, chiedendomi quando saremmo arrivati al punto in cui avrei dovuto confessare la mia storia con Lily.
«La Evans non si è vista, per tutta la sera.»
«Credo che sia fuori con Remus, non avevano quella super-riunione di super-secchion… Ehm, Prefetti?» dissi, fingendomi annoiato.
«Sì, credo di sì.»
«Allora qual è il punto?» lo incitai «Sputa il rospo o ti faccio ingoiare un calderone di Veritaserum!»
«Mi sono perso a riflettere. Ma non sul prossimo schema da usare nella finale. Ho pensato a Lily.»
«Continua…» dissi, quando vidi che si era fermato.
«Io credo seriamente di essermi innamorato di lei, Sirius. Ma non innamorato come al solito, come con Nadine o Kristine o non-mi-ricorso-come-si-chiama-ma-finisce-per-“ine”… Innamorato seriamente. Insomma ormai ci provo con lei da… Da sempre!» esclamò esasperato.
«Hai iniziato a provarci con lei perché è l’unica a non esser caduta ai tuoi piedi…» gli feci notare.
«Già, ma poi le cose sono cambiate. E’ un po’ che provo delle emozioni diverse… Da un bel po’ a dire il vero…» sospirò «Non ci provo più con lei perché mi dice sempre di no, ci provo con lei perché mi piace. Mi piace qualsiasi cosa di lei! Merlino, quanto mi sento scemo a dirlo!» esclamò, scuotendo il capo.
«Non sei scemo, amico… Cioè non più del solito…» dissi, capendo fin troppo bene tutto il suo discorso.
«Hai mai visto quant’è bella, quando si perde nel suo mondo e fantastica su non so cosa e non so chi? Sicuramente è innamorata di qualcuno, anche lei…» continuò, l’ultima frase, pur semplice, la disse con tanto dolore nella voce, che mi fu quasi insopportabile sentirlo. Stava parlando della mia ragazza! Lo sapevo quant’era bella quando si perdeva nelle sue fantasie e pensava al nostro ultimo incontro o a quello successivo! Io facevo lo stesso, per tutto il tempo! E lui, lui stava male per questo…
«Il punto è, Felpato, che non è innamorata di me! Questo mi distrugge! Ogni secondo che passa, ogni volta che la vedo, ogni volta che mi rifiuta. E’ come se una raffica di Avada Kedavra mi colpisse dritto al cuore e ogni volta, per una qualche strana magia io torno in vita per poi esser colpito di nuovo.»
Era il discorso più profondo che avevo mai sentito fare a James Potter e mi colpì, esattamente come il dolore colpiva lui. Mi sentii in colpa: ero io che impedivo a Lily di potersi innamorare del mio migliore amico; ero io che ero felice, come nessun altro sulla terra, perché amavo una ragazza fantastica che ricambiava i miei sentimenti, mentre lui soffriva come un cane abbandonato dal padrone.
«Che cosa intendi fare?» domandai con un peso enorme sul cuore.
«Non ce la faccio più, Sirius… Non ce la faccio più.» mormorò, nascondendo il viso tra le mani, senza però riuscire a nascondermi gli occhi lucidi.
«Hai intenzione di rinunciare?» gli chiesi e, per la prima volta, non desiderai che mi dicesse di sì, ma che continuasse a lottare, perché se davvero amava Lily, non poteva rinunciare a lei così facilmente, anche se era un ragionamento controproducente per me.
«Non lo so. Spesso mi avete consigliato di lasciar perdere e io non vi ho mai ascoltato, ho sempre ascoltato il mio istinto. Ora non mi fido più molto del mio istinto, mi ha portato solo dolore. Forse è ora che segua i vostri consigli.»
«Non credo che i nostri consigli fossero molto azzeccati…» ammisi.
«Perché?»
«Noi non pensavamo che fossi davvero innamorato di lei.»
«Mi stai dicendo di continuare?»
«Sì.» risposi, facendomi del male da solo.
«Non sono masochista, Sirius.»
«Lo sei abbastanza, Ramoso…» scherzai.
«Forse hai ragione!» esclamò lui, sorridendo per la prima volta dall’inizio del discorso.
«Io ho sempre ragione!»
«Sì sì, certo, come no…» replicò alzando gli occhi al cielo e alzandosi dalla sedia. «Andiamo a dormire? Tutto questo discorso mi ha distrutto…»
«Va bene…» risposi, alzandomi a mia volta e incamminandomi verso il dormitorio.
Ero già sul primo scalino, quando James mi chiamò. «Dimmi…» gli risposi.
«Grazie.»

Da quella sera avevo riflettuto a lungo su tutta la mia situazione. Provavo un enorme senso di colpa per il dolore di James, ma al tempo stesso – da essere egoista quale ero – sentivo accentuata la mia felicità. Mi reputavo fortunato per avere al mio fianco una persona come Lily. James però stava male, e ora che lo sapevo glielo leggevo negli occhi, ogni volta che la guardava o che ne parlava. Sapevo di dover far qualcosa, altrimenti sarei impazzito.
Dopo riflessioni che durarono per un mese, senza che nessuno – né James, né Remus o Peter, né Lily – se ne accorgesse, presi la decisione che mi avrebbe fatto odiare per sempre la mia vita.
Era un bellissimo venerdì di fine maggio. Una giornata calda, che in un altro momento avrei passato sicuramente con Lily. Le avrei fatto saltare le lezioni e l’avrei trascinata in un qualche posto per starcene tranquilli in solitudine. Magari avremmo anche fatto il bagno nel lago, il tempo lo permetteva. Invece andai a cercare Kimberly Joice, una ragazza che desiderava da millenni di avere un’occasione con me. Non ci volle nulla per convincerla a seguirmi.
Quando Remus mi vide abbracciato a lei, mi lanciò un’occhiata che prometteva molto dolore, ma finsi di ignorarlo. Eravamo davanti all’aula, in attesa della lezione successiva e quindi c’era una folla sufficiente per il piccolo spettacolino che avevo in mente.
Lily arrivò poco dopo, ridendo con le sue amiche e per un momento, solo uno, dubitai della mia scelta e quasi cacciai via Kimberly. Fu allora che mi sorrise. Poi vidi quel suo magnifico sorriso morire sulle sue labbra e capii che non potevo più tornare indietro.
Nonostante mi odiassi con tutto me stesso, mi stampai in volto un’espressione da tipico Malandrino, che mai, mai avevo riservato a lei. Stavo morendo dentro, mentre avvicinavo sempre più Kimberly a me. Non staccai mai lo sguardo da quello di Lily, torturando me stesso per non cambiare espressione, ma insomma Sirius Black è un ottimo attore no?!
Baciai Kimberly, fingendo che fosse Lily per essere convincente. Vidi il suo respiro fermarsi e mi passò davanti agli occhi ogni attimo passato con lei, da come l’avevo conosciuta, sull’Espresso al primo anno, a come ci eravamo fidanzati per gioco, come i bambini – eravamo bambini – al terzo anno e come era nato pian piano l’amore, mentre arrivavamo a capire cosa esso fosse. Vidi passare ogni attimo con lei, ogni sua rissata, ogni suo bacio, il primo “ti amo” sussurrato con timore al suo orecchio e ogni successivo che non aveva perso sentimento. Mi vidi apparire in camera sua, durante l’ultima estate, sentii la nostalgia provata quand’era in Francia, l’estate prima. Mi vidi al suo fianco quando aveva perso Mocciosus, ad asciugare ogni sua lacrima. Vidi le vacanze di Pasqua passate da poco. Sentii la gioia che provai quando dissi ad Andromeda che ero innamorato e quando gliela presentai. Ricordai ogni singolo momento, un po’ come se stessi morendo davvero e tutta la mia vita – la parte importante della mia vita – mi scorresse tra le dita senza poterla fermare. Il secondo dopo, però, vidi tutto questo bruciare nella fiamma dell’ira che riempì i suoi occhi. La vidi respirare di nuovo, cominciare a tremare violentemente e poi, lentamente la vidi cadere svenuta. Fu allora che morii davvero. Quando vidi cosa le avevo fatto.

Dopo quel teatrino, non solo avevo perso Lily ma Remus per giorni non mi rivolse la parola. Io ero di pessimo umore e il suo comportamento mi dava ancora più fastidio, nonostante sapessi che fosse del tutto legittimo. Tre giorni dopo, non so se per caso o se l’avesse progettato, rimanemmo da soli nella nostra stanza.
«Devo parlarti.» iniziò.
«Io no.» sbottai.
«Infatti, tu non devi parlare. Devi soltanto ascoltare.»
«No, non hai capito Remus. Non voglio né parlarti, né ascoltarti. Perciò se mi lasciassi in pace, mi faresti davvero un grande favore.»
«Non credo che ti farò mai più un favore, Sirius. Perciò, tanto vale cominciare da ora. Io ti parlerò e tu mi ascolterai.»
I toni non erano decisamente dei migliori, dall’inizio della conversazione presagivo già che sarebbe finita male.
«Io non so cosa ti sia saltato in mente.» continuò «Se sei ammattito tutto d’un tratto o se sei semplicemente un coglione.»
«Non essere scurrile, Remus…» lo schernii.
«Spiegami perché.» disse, ignorando il mio commento.
«Non avevi detto che dovevo soltanto ascoltare?!» gli domandai, sempre con lo stesso tono canzonatorio.
«Già, ma non riesco a capire cosa ti sia preso. Perché hai dovuto fare questo a Lily? Lily, per Godric! Non una qualsiasi!»
«Credi che non lo sappia?!» esplosi. Non potevo sopportare di sentirlo parlare così. Di farmi prediche su quanto avevo fatto del male a Lily, come se non lo sapessi.
«Spiegati, allora. Perché davvero, credevo che fossi diverso. Che l’amassi.»
«E l’amo, infatti! E’ la mia vita!»
«Perché, allora?» mi chiese, quasi fosse più disperato di me.
Trassi un profondo respiro, cercando di calmarmi, intenzionato a spiegargli le mie ragioni, ma anche a sfogarmi. «Un po’ di tempo fa, ho trovato James distrutto. Mi ha spiegato che la ama. Mi sembrava di sentire le mie stesse parole, pronunciate però da un’altra persona. Mi ha detto che avrebbe rinunciato a lei, perché gli faceva troppo male saperla innamorata di un altro. Non chiedermi come abbia fatto a capirlo, ma sapeva che nella sua vita c’era qualcuno. Mi ha trasmesso un dolore immenso e un senso di colpa enorme.»
«Ma non è colpa tua…» cercò di ribattere.
«Ma io ero felice e lui stava malissimo. Non potevo non sentirmi in colpa. E’ il mio migliore amico e io stavo con la ragazza di cui è innamorato.» spiegai, con una certa difficoltà.
«Non è mai stato un problema per te…»
«Lo è stato da quando ho iniziato a vedere il suo dolore. Così ho deciso che dovevo trovare una soluzione.» sospirai, ma anche quello mi faceva male. «Ci ho pensato per un intero mese e l’unica soluzione che ho trovato, l’unica che mi liberava dal senso di colpa e permetteva a Lily di tornare libera, era lasciarla.»
«A Lily non dispiaceva essere impegnata, questo lo sai vero?» mi domandò, cercando di seguire il ragionamento ed evidenziare la grandissima stupidaggine che avevo fatto… Come se ce ne fosse il bisogno.
«Già… Lo so.» sbottai.
«Ok… Ma non potevi prenderla da parte e inventarti un’altra scusa? Un po’ meno massacrante, magari…»
«Se conoscessi Lily tanto bene come dici, ti renderesti conto che l’unico modo che avevo era quello che ho messo in pratica. Se l’avessi presa da parte, sarei crollato o comunque avrebbe notato la falsità nel mio tono e nei miei occhi. Se l’avessi presa da parte, non sarei riuscito a lasciarla. E se anche fossi riuscito a dirle che non volevo più stare con lei, mi avrebbe convinto a ritrattare. L’unico modo era farla arrabbiare, spingerla a detestarmi, a farmi lasciare. Dovevo far sì che la rabbia nei miei confronti superasse gli altri sentimenti. L’unico modo che avevo era tradirla davanti ai suoi occhi e agli occhi di mezza scuola… E’ talmente orgogliosa…» spiegai atono.
«Hai ragione.» sentenziò, sconsolato, Remus. «Ma potrebbe essere stato tutto inutile, non credi? Il fatto che non stia più con te, non significa che starà mai con James… Sai bene che lo detesta.»
«Io non l’ho fatto per farli stare assieme. L’ho fatto per non essere più la causa del dolore di James. Non sarei più riuscito a guardarlo in faccia…»
«Non potevi dirgli che stavate assieme? Se avessi provato a spiegarglielo, magari lui avrebbe capito, così come tu hai compreso i suoi sentimenti.»
«Sarebbe morto. Io sarei morto se fossi stato al posto suo.»
«Come farai ad andare avanti, Sirius?» mi domandò con tanta preoccupazione e dolcezza da farmi sentire un bambino indifeso. Per un attimo tutto mi crollò di nuovo addosso, nonostante per quei tre giorni non avevo fatto altro che arginare il dolore.
«Mi odierò. Mi odio.» risposi. Poi mi alzai e uscii. Non avrei sopportato un’altra parola sull’argomento. Non avrei mai più sopportato una parola sull’argomento.


Note: come avrete notato, questo capitolo è un po’ speciale. E’ narrato – per la seconda volta nella ff – dal punto di vista di Sirius. Vi ho dato così la spiegazione di quello che è successo. Ho saltato volontariamente l’episodio in cui Sirius fa visita a Lily, perché nel capitolo precedente credo che fosse già abbastanza chiaro. Spero che vi sia piaciuto!
Ringraziamenti: ringrazio tutti quanti, come al solito ^^ In particolare: La Nika, Miss_Rose, Ella_Sella_Lella, Corvetta, Lizzy095 che hanno recensito il capitolo precedente.
Sono certa di non riuscire a scrivere il prossimo capitolo entro lunedì (cioè prima di tornare al lavoro), ma spero di riuscire a ritagliare un po’ di tempo e a trovare ispirazione dopo. Non ve lo assicuro, perché ho già visto che non ho mai né tempo né voglia (o meglio, voglia sì, ma ispirazione no) di scrivere. Perciò mi auguro di poter aggiornare il prima possibile. In caso contrario, ringrazio anticipatamente chi mi seguirà comunque, ci volesse anche un po’ più di tempo per vedere pubblicato il prossimo capitolo. Per ora vi saluto e vi auguro un buon proseguimento!
Ksanral

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Capitolo 31
*** Estate ***


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= Estate =

Le ultime settimane di scuola per me furono piuttosto strane. L’aria dell’estate aveva distratto tutti quanti dai propri doveri scolastici e, anche con gli esami imminenti, a studiare erano davvero in pochi. Io stessa avevo rinunciato a ripassare e passavo molto più tempo all’aria aperta con le ragazze. Ma vivevo come in un’altra dimensione, come in un sogno. Tutto mi sembrava surreale, come se non potessi vederlo, toccarlo, sentirlo veramente, ma soltanto attraverso un vetro piuttosto spesso. E’ vero, avevo fatti giganti passi avanti nel tornare a provare qualcosa, cercavo di partecipare attivamente allo sfoggio di emozioni che ci si aspetta da una persona viva, ma alcune volte mi sentivo aliena in un mondo che era sempre stato mio. Persino le ragazze si erano rese conto che qualcosa non andava, ma ero stanca di inventarmi scuse, perciò alla domanda “Lily che ti succede?” rispondevo con un “davvero, non lo so…”. Il problema era che la domanda mi veniva posta sempre più spesso. Mi sentivo male a continuare a mentire loro. Prima non era mai stato un peso, a parte quando ero troppo felice e non potevo raccontarlo loro, ma capivo benissimo perché la cosa era cambiata. Con la fine della mia storia con lui – avevo ancora qualche problema a nominare il suo nome – le bugie non avevano più senso, non dovevo più tenere segreta la mia relazione perché non ne esisteva più una, ma al tempo stesso non riuscivo a non tenere fede alla parola data e a rivelare tutto. Ancora ora, sapevo di dover mantenere il segreto. E forse era proprio per quello che mi sentivo così. In realtà c’era qualcuno con cui poterne parlare, ma comunque non riuscivo a farlo. Remus mi era rimasto davvero vicino, aveva impedito che uscissi di senno – e un paio di volte c’ero andata molto vicino, all’inizio – e aveva fatto di tutto per farmi stare meglio. Le ragazze per scherzare dicevano che eravamo davvero una bella coppia e che avremmo dovuto metterci assieme. Secondo loro, piacevo a Remus da anni, solo che era troppo timido per provarci con me… Quando esponevano queste loro teorie, era una delle poche volte che riuscivo a ridere di gusto. Allora, nei momenti di sconforto mi attaccavo al ricordo di quelle risate, cercando di farmi forza e andare avanti, sperando di riuscire a migliorare il più presto possibile.
Una sera a inizio settimana, Lumacorno organizzò la consueta festa di fine anno e mi obbligò a parteciparvi. Io avevo fatto di tutto per evitarlo, ma alla fine era riuscito a incastrarmi. Il realtà divertirmi era il primo dei miei pensieri in quel periodo, ma non ero così sciocca da non sapere chi sarebbe stato presente alla festa e fino ad allora ero riuscita a evitare qualsiasi contatto. Persino alle ultime lezioni e poi ai primi esami avevo fatto in modo di non incontrarlo mai. Mi rendevo conto che fosse un comportamento paranoico, ma sentivo di non avere la forza necessaria per affrontarlo senza crollare. Perciò non fu con entusiasmo che quella sera mi preparai per la festa. Mi stampai in viso un bel sorriso, che speravo essere il più gioioso possibile, e mi diressi verso la sala.
Non appena varcai la soglia il sorriso svanì dalle mie labbra, sostituito da una genuina espressione di stupore. Sembrava di aver abbandonato la scuola ed essere magicamente apparsi su un’isola caraibica. Tutto urlava a squarciagola “estate”, dall’enorme e sottile palma che si innalzava n un angolo, alla sabbia che copriva interamente il pavimento, ai cocktail dai colori vivaci ognuno con il suo bell’ombrellino, alle sdraio al posto delle poltroncine, alle noci di cocco usate come recipienti. Quando Lumacorno aveva detto “abbagliamento estivo” non avevo capito che intendesse “abbigliamento da spiaggia”. Mi guardai un momento intorno e notai che nessuno se ne andava in giro in costume da bagno. Sospirai, sorrisi involontariamente, dimentica delle mie preoccupazioni e mi infilai nella festa. C’era anche un palco di legno rialzato di una decina di centimetri dalla sabbia per permettere agli studenti di ballare al ritmo della musica che sovrastava qualsiasi altro rumore e che si diffondeva per magia in ogni angolo della sala.
La festa fu più piacevole di quello che mi ero aspettata. Riuscii a dimenticare la scuola e tutto quello a cui era legata – forse era proprio questo l’intento di Lumacorno quando aveva trasformato quella sala – e l’unico momento di panico capitò quando purtroppo ero ancora troppo lucida per non curarmene.
Avevo lasciato per un momento le ragazze per andare a prendere qualcos’altro da bere; oltre alle decorazioni, anche il clima era estivo e avevo caldo e sete.
Per poco non annegai nel punch, quando una voce mi colse alle spalle.
«Vuoi ballare con me?» mi chiese.
Io in risposta iniziai a tossire cercando di respirare. Una mano prese a battermi forte sulla schiena aiutandomi.
«Lily scusa non avevo intenzione di spaventarti!» disse.
Avevo frainteso tutto e mi ero quasi strozzata per niente. La nota allarmata nella sua voce mi permise di riconoscerlo, cosa che prima per via della musica non ero riuscita a fare. Non era chi temevo che fosse, ma semplicemente Remus.
Lo guardai riprendendo fiato.
«Oh Merlino, hai pensato che fossi…» concluse abbassando lo sguardo e così non potei capire cosa fosse quel lampo che vidi nei suoi occhi.
«Scusa Rem… Sono un po’ tesa…» farfugliai. «Comunque sì, ballerei volentieri con te.» sorrisi.
Lui rialzò lo sguardo e ricambiò, poi mi porse la mano, che afferrai, e mi portò sulla pista.
Nell’esatto momento in cui vi mettemmo piede, la canzone finì per lasciare il posto alla successiva, un lento. Remus esitò un momento, poi si voltò a guardarmi. «Facciamo alla prossima?» mi domandò.
«No…» dissi con una sicurezza che non sapevo di provare. Come potevo ballare una canzone del genere con lui senza provare imbarazzo? Ma poi mi tornò in mente il ricordo di noi due, qualche mese prima, che ballavamo senza musica sul ghiaccio del lago.
«Ok…» rispose lui, avvicinandosi e, un po’ imbarazzato, sfiorandomi i fianchi con le mani. «Comunque Sirius non c’è…» sussurrò dopo qualche istante.
Io lo guardai inorridita quando sentii il suo nome, ma poi capii cosa aveva detto e mi rilassai, appoggiando il mento alla sua spalla. «Grazie…» mormorai.
Ballai con Remus per altre dieci canzoni prima che ci fermassimo senza fiato e andassimo a prenderci qualcosa da bere che non ci andasse per traverso, questa volta.
Poi fui rapita dalle ragazze che ci avevano visti ballare e cercarono di estorcermi verità inesistenti, troppo prese dall’alcool per aspettare l’indomani. E infine fu la volta dei soliti ragazzi con cui passavo le Lumafeste e le loro sfide a chi beveva o mangiava di più.
Quando ci ritirammo, all’alba, ero piuttosto stanca, sudata, confusa e… Contenta. Ero riuscita a divertirmi, a non pensare, a non vederlo e a non preoccuparmi.
Quando mi buttai sul letto, ancora completamente vestita, ma senza la minima voglia di cambiarmi, pensai di essere persino felice. Un enorme sorriso si delineò sulle mie labbra e un raggio di sole riuscì a passare attraverso le nubi del mio animo.

Il mattino dopo, il mondo crollò.
Mi svegliai perché un vero raggio di sole mi colpì gli occhi, indice che era già piuttosto tardi e quando mi alzai avevo ancora quel sorriso stampato.
La stanza era completamente vuota e la cosa mi stupì, le ragazze erano esauste tanto quanto me dopo la festa, pensavo di trovarle addormentate ancora alle quattro del pomeriggio e invece nulla…
Mi stirai per scacciare il sonno che ancora sentivo addosso e andai alla finestra. Il sole era alto, e la giornata sembrava splendida, non c’era una sola nuvola in cielo e molti studenti erano fuori, macchiando di scuro il verde brillante dell’erba. Così spalancai i vetri, respirai una boccata di aria estiva e andai a cambiarmi.
Fu proprio in quel momento che tre gufi oscurarono per un attimo il sole e planarono in camera mia. Non me ne accorsi subito, davo le spalle alla finestra e non sentii il loro leggero fruscio.
Quando uno dei tre emise un tenue verso per richiamare la mia attenzione, sussultai sorpresa. Voltandomi mi trovai davanti a un barbagianni dall’aria regale tutto arruffato, a un piccolo gufo impaziente e un altro che sembrava confuso, che mi fissavano dal letto di Alice.
«Sono per me?» domandai, ancora intontita dal sonno. Il barbagianni schioccò il becco, sdegnato, quasi volesse dirmi “vedi qualcun altro?!”.
«Scusa, sai…» gli risposi avvicinandomi per slegare le lettere che mi portavano. Sulla prima vidi il grosso sigillo del Ministero che campeggiava minaccioso e mi chiesi per quale motivo dovessero scrivere a me, ma il nome sulla busta era decisamente il mio. Sospirai e i tre gufi volarono via senza ulteriore indugio.
Aprii la prima busta con una certa curiosità. L’unica volta che il Ministero si era messo in contatto con me era stata per errore, non ero stata io a Materializzarmi in casa mia senza permesso, ma era passato tempo da quel giorno e non avevo infranto la Ragionevole Restrizione dopo quell’evento. Poi ormai ero maggiorenne, perciò non avevo più la Traccia.
Estrassi un foglio di pergamena pesante, raffinata, vergata con lettere nere in corsivo svolazzante.
Quando ne lessi il contenuto, mi sentii mancare. Le frivolezze del pregio della pergamena, dell’ordinata scrittura mi scivolarono via dalla mente come l’equilibrio dalle gambe che iniziarono a tremare, come l’aria che mancava ai miei polmoni.
Seppi che dovevo uscire al più presto da quella stanza, era un’esigenza sia fisica che mentale. Sentii le mie gambe muovere passi senza che ne dessi l’ordine, mi vidi spalancare la porta e cominciare a correre giù per le scale, fuori dalla Sala Comune verso il portone d’ingresso. Mi sentii urtare diverse persone, ma non chiesi scusa a nessuno, respiravo a fatica, un’angoscia immane mi premeva sul petto.
Corsi fuori, all’aria aperta sperando che mi desse sollievo, ma non fu così. Sentivo freddo, ma correndo non avevo il tempo di tremare. Istintivamente cercai di evitare la moltitudine e finii per vagare in zone di Hogwarts che non riconoscevo. Mi tenni anche lontana dalla Foresta Proibita, non avevo bisogno di alberi che oscuravano il cielo e rumori inquietanti.
La mia vista si era offuscata già a metà strada, lungo le scale del castello, perciò tutto ciò che vedevo erano ombre.
Dopo un tempo interminabile mi ritrovai completamente sola, con le spalle che scivolavano lentamente contro un muro, facendomi poi sedere a terra. Ora potevo anche tremare, sia per lo sforzo nella corsa che per tutte le sensazioni che la lettera mi aveva suscitato. I miei occhi ancora non vedevano nulla e la gola era talmente chiusa che non emettevo neanche un suono.
Solo allora mi vennero in mente le altre due lettere. Non le avevo aperte, ma a dire il vero non avevo finito di leggere nemmeno la prima. Mi ero fermata a poche righe dall’inizio. Cercai di ritrovare un minimo di lucidità, qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo finire di leggere la prima e aprire la seconda e la terza, anche se non avrei mai voluto sapere cosa ci fosse scritto.
Quando finalmente tornai a vedere in maniera accettabile, riuscii a posare lo sguardo sulla lettera.
Iniziai dall’inizio, quasi a voler ritardare il seguito. Mi soffermai sul simbolo del Ministero in alto a destra per diversi secondi e poi, deglutendo forzatamente proseguii alla riga successiva.

“Signorina Evans,
è con immenso dispiacere che sono costretto ad informarLa di un terribile incidente avvenuto oggi in River Street nella periferia di Londra. Un attacco da parte dei maghi oscuri che si fanno chiamare Mangiamorte ha distrutto la succitata strada, investendo diversi presenti. Sono stati colpiti duramente quattro Maghi e undici Non-Maghi. Ciò che mi duole dirLe è che nell’attacco sono stati coinvolti anche il signore e la signora Evans, che da accurati controlli risultano essere i suoi genitori. Il signor Evans è stato trasportato urgentemente all’Ospedale San Mungo ed ora versa in gravi condizioni. E’ con costernato dolore che devo però riferirLe che la signora Evans è deceduta durante l’attacco.
Le porgo le mie più sincere condoglianze.

Hector Jumble,
Ministro della Magia.”


Un post scriptum recitava, con inchiostro differente:

“P.S. – (riga automatica in caso di ritardo di consegna). Il Ministero si dispiace per gli inconvenienti tecnici occorsi nel recapitarle la missiva.”

Non capii cosa significasse, troppo scossa dalla tremenda notizia. A stento riuscii a raggiungere la fine della lettera. Nella prima lettura avevo soltanto scoperto che i miei genitori erano rimasti coinvolti, ma leggere che mia madre era addirittura deceduta – non riuscii a pensare altro termine se non quello asettico del Ministero – riuscì a sconvolgermi ulteriormente.
Di nuovo la vista mi si offuscò, ancora una volta versai lacrime amare, ma questa volta in qualche modo una parte della mia mente – quella che ripeteva “Non è vero!” – riuscì a mantenersi lucida.
Piansi per diverso tempo, cercando di calmarmi il più in fretta possibile conscia di dover leggere le altre due lettere perché potevano contenere notizie più fresche, più vere.
Guardai la seconda, anche questa portava un sigillo sul retro che prima non avevo notato, quello del San Mungo. Strappai con forza la busta e quasi non ne distrussi il contenuto. Tirai fuori il foglio e lessi, cercando di farmi forza e di non interrompermi per nessuna ragione.

“Bollettino medico – Ospedale San Mungo.
Signorina Evans,
ieri nel tardo pomeriggio è stato ricoverato presso i nostri reparti il Suo genitore.
All’arrivo versava in gravi condizioni ed è stata premura dei nostri Guaritori portargli le immediate e più efficaci cure. Tuttavia durante la notte, le sue condizioni sono peggiorate fino a diventare critiche. Lo staff dell’Ospedale ha fatto tutto il possibile per guarirlo, ma purtroppo non ce l’ha fatta, Suo padre è deceduto.
In quanto unico parente in vita appartenente al Mondo Magico, siamo costretti a chiederLe di sbrigare alcune pratiche e la preghiamo di recarsi al più presto qui al San Mungo.
Le nostre più sentite condoglianze.
Ospedale San Mungo.”


Ieri pomeriggio? Cosa significava “ieri pomeriggio”? Afferrai con violenza la lettera del Ministero e trovai immediatamente la citazione “oggi in River Street”, non “ieri pomeriggio”. E poi di nuovo quella parola “deceduto”, iniziavo a non capire più cosa significasse. Come potevano recapitarmi una lettera così importante con un giorno di ritardo? Capii allora cosa significasse il post scriptum. Quindi liquidavano così la faccenda… Mi davano la notizia della morte di mia madre, ma il gufo si perdeva chissà dove e allora appariva una riga automatica per scusarsi degli inconvenienti tecnici… Comodo! Senza contare che se avessi avuto in tempo la notizia, avrei potuto raggiungere il San Mungo e stare accanto a mio padre e invece no! L’ospedale mi mandava a dire che anche lui era “deceduto”…
Mi rimaneva una sola lettera da leggere, e la certezza che niente potesse andare peggio di così mi diede la forza per aprirla.
Già afferrando la busta mi resi conto che era differente. Non era di pergamena, ma di carta e un enorme francobollo internazionale campeggiava sul fronte lasciando ben poco spazio al mio nome, solo il mio nome, scritto in un angolo. La certezza allora svanì, poteva andare peggio: la lettera era di Petunia.

“Ti odio. Con. Tutta. Me. Stessa.
Volevo fartelo sapere. E’ colpa tua e tua soltanto se loro sono morti.
Colpa tua se non mi hanno nemmeno detto dove fosse papà, né mi hanno permesso di raggiungerlo.
E’ colpa tua se è morto da solo come un cane, circondato da mostri.
E’ colpa tua se hanno dovuto subire diciassette anni di follia, ridendo e scherzando e fingendo di volerti bene.
E’ colpa tua se io ho dovuto sopportarti per tutto questo tempo.
Vado a vivere con Vernon, oggi stesso. Tieniti la casa, là dentro non voglio più metterci piede.
Non osare presentarti al funerale. Ti uccido con le mie stesse mani se ti vedo. Lo giuro.
Con odio profondo,
Petunia.
P.S. – E anche colpa tua se ho dovuto usare un gufo, un gufo per Dio, per scriverti in quel posto felice in cui sei. Addio.”



Note: Ecco qui il nuovo capitolo, ci ho messo molto lo so, ma purtroppo molte cose sono cambiate da quando potevo scrivere e aggiornare ogni pochi giorni =(
Riguardo al capitolo, ho poco da dire... E' un po' forte lo so, però è un punto cruciale della storia. Ho dovuto farlo e non sapete quanto mi dispiaccia, così come mi è dispiaciuto far lasciare Lily e Sirius - io amo quella coppia - ma ahimè non posso farci niente... Se avete domande ponetele pure. Aggiornerò il prima possibile, questa volta, almeno per il prossimo capitolo non vi farò aspettare mesi (spero...).
Ringraziamenti: vorrei ringraziare chiunque continui a seguire questa storia, nonostante tutto. Un ringraziamento particolare, come sempre, va a chi ha recensito: Miss_Rose, LalaK, _blackapple, RainbowFairy, La Nika, Roxar (tvb), Lizzy095, Ella_Sella_Lella, FloorJansen, kiriri93, AcidBee.
A presto!
Ksanral

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Capitolo 32
*** Naufragio ***


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= Naufragio =

La lettera di Petunia, se possibile, fu quella che più mi sconvolse. Sentivo di stare cadendo a pezzi, era come se potessi davvero udire il rumore di me rompermi e ciò mi faceva impazzire. Sapevo di stare piangendo, singhiozzando forte, ma non potevo curarmene, c’era qualcosa che continuava a ripetersi nella mia mente. Una parola dell’ultima lettera: morti. Era come un urlo incessante, come un tuono fragoroso che non riuscivo ad ignorare. Finché si trattava di “deceduti” potevo ancora gestire la situazione, fingere di non capire, di non sapere cosa significasse… Ma “morti” era molto – troppo – definitivo e mi faceva uscire di senno. Come potevano essere morti? Come poteva la mia dolce, bella e solare mamma, quella che si era commossa quando avevo ricevuto la mia lettera da Hogwarts, quella che aveva sorriso complice quando le avevo raccontato di essere innamorata, quella che aveva pianto e si era sentita in colpa quando le avevo spiegato della guerra in corso, come poteva quella bellissima persona che era, essere morta? E come poteva il mio buon papà, che era sempre così orgoglioso di me, che aveva sempre cercato di placare i conflitti tra me e Petunia perché ci voleva troppo bene per vederci separate, come poteva essersene andato via per sempre? Com’era possibile che non avrei più sentito le loro voci, visto i loro sorrisi sulle labbra, o potuto dire quanto volevo bene loro? Com’era possibile che non mi avrebbero mai più abbracciato? Non riuscivo a capacitarmene, a farmene una ragione. Non avevo mai pensato che fosse possibile. Avevo sempre creduto, ingenuamente, che loro ci sarebbero stati, sarebbero stati per sempre al mio fianco. Che mi avrebbero visto crescere, che mi avrebbero visto diplomarmi, trovare un buon lavoro, formare una famiglia. Quell’ultimo pensiero mi lacerò ulteriormente alla consapevolezza che mio padre non avrebbe potuto accompagnarmi all’altare con un sorriso commosso ma orgoglioso sulle labbra, che mia madre non avrebbe potuto prendere in braccio i miei figli, coccolarli e viziarli come ogni buona nonna. Com’era possibile tutto quello? Quant’era ingiusto? Ma non avevo perso soltanto loro, anche Petunia. Sentii un altro enorme pezzo di me staccarsi dolorosamente e andare alla deriva. Mi accorsi soltanto allora che, nonostante tutto, avevo sempre contato anche su di lei. Per me era ancorala sorellina maggiore con cui giocavo ogni giorno, quella che, a volte, si prendeva le colpe delle mie malefatte, ma che altrettante scaricava su di me le sue. E nonostante negli ultimi sei anni aveva dimostrato soltanto disprezzo nei miei confronti, sapevo – speravo – che mi voleva ancora bene, speravo che in un momento come quello avesse potuto mettere da parte l’invidia e starmi vicina, così come io lo sarei stata a lei. Invece mi aveva sbattuta in faccia quelle sue velenose parole, mi aveva bandita dalla mia stessa famiglia e esigeva che non dessi l’ultimo saluto ai miei stessi genitori. Ero sola, completamente sola.
Scoppiai a ridere. Durante tutto quell’anno avevo pensato quella frase diverse volte, avevo pensato di essere sola, che nulla potesse andare peggio, ma era sempre andata peggio. Però questa volta avevo quasi la certezza che non potesse succedere nient’altro. Come poteva qualsiasi altra cosa sconvolgere più di così? Questa volta ero davvero sola. Certo avevo amici che si sarebbero affannati a starmi intorno a cercare di rallegrarmi, ma nessuno, nessuno avrebbe capito. Come potevano capire il dolore, lo sconforto, la paura che provavo? Non potevano…
Mi sentivo alla deriva, come se mi fossi ritrovata in un fiume in piena, aggrappata a un minuscolo pezzetto di legno.
Non sapevo più dov’ero. Non vedevo più nulla intorno a me. Non sapevo più chi ero.
L’unica cosa che continuava a rimanere viva – ironia della sorte – nella mia mente erano parole che si rincorrevano.
Deceduti.
Ieri pomeriggio.
Gravi condizioni.
Inconvenienti tecnici.
E’ colpa tua.
Ti odio.

Ed era vero, mi odiavo. Nonostante Petunia fosse animata dal dolore, aveva ragione. Era colpa mia. Soltanto colpa mia. Se io non fossi stata una strega, una “sporca mezzosangue”, loro non sarebbero mai stati coinvolti nel mondo magico. Se avessi dato retta a Petunia e avessi lasciato perdere la magia, loro sarebbero ancora vivi e felici perché non ci sarebbero state liti tra me e mia sorella. Non avrei mai conosciuto Severus, né l’avrei perso. Non avrei mai conosciuto Sirius, né l’avrei perso. Avrei evitato molto dolore inutile. A cosa mi aveva portato? A nulla. Non mi aveva portato a niente. Soltanto a essere completamente sola, a naufragare in quest’oceano sconosciuto, freddo e nemico.

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Mi svegliai col soave, classico trambusto della stanza dei Malandrini. Sirius lanciava in aria oggetti perché non riusciva a trovare qualcosa e urlava alla volta di Peter. Remus, nonostante la sera prima fosse tornato all’alba dalla festa, si era già svegliato ad un orario che per me era ancora nel cuore della notte.
«Ramoso alzati! Devi trovare la mia bacchetta!» urlò Sirius da un luogo imprecisato troppo vicino al mio orecchio.
Io mi voltai dall’altro lato, sbuffando. «Lasciami dormire Sirius… E’ presto…» biascicai mettendomi il cuscino sulla testa.
«Presto? Sono le tre del pomeriggio!»
Sbuffai un’altra volta e mi misi a sedere. Quasi non riuscii ad aprire gli occhi che Sirius mi ficcò gli occhiali sul naso.
«Dove l’ho messa ieri?» mi domandò subito dopo.
Mi guardai intorno, riluttante. La stanza era nel caos, cioè molto più del solito. Sospirai.
«Non lo so dove l’hai messa ieri sera… Ma ora la troviamo, così io posso tornare a dormire…» replicai, afferrando la mia bacchetta dal comodino.
«Accio bacchetta di Sirius!» mormorai, agitandola appena. E non appena l’ebbi chiamata la bacchetta si lanciò verso di me e mi avrebbe colpito in volto se non fosse stato per i miei eccellenti riflessi da Cercatore. La passai al mio amico, poi mi rimisi sdraiato, tirai il lenzuolo fin sopra la testa e cercai di riaddormentarmi. Ma evidentemente quello non era il mio giorno.
«Ehi James, c’è Artù…» squittì Peter. Sbuffai di nuovo e mi alzai per vedere cosa voleva quello stupido gufo di famiglia. Raccolsi la lettera dalla sua zampa, gli diedi una pacca affettuosa sul capo e poi aprii la busta. Per poco non caddi a terra, scioccato da quello che lessi.
«Cosa dice?» mi domandò Sirius, voltandosi verso di me. Riuscii a ricompormi, prima che vedesse la mia espressione. Per qualche motivo, non volevo condividere con loro, nemmeno con quello che consideravo un fratello, ciò che avevo letto.
«Oh nulla… Le solite raccomandazioni di fine anno…» replicai, senza incrociare il suo sguardo e scrollando le spalle.
D’un tratto mi sembrò che le pareti della stanza iniziassero a stringersi intorno a me. Mi sentivo soffocato da quei muri, dal rassicurante caos che vi regnava e dai due ragazzi ignari di tutto. Cercando ancora di controllare la mia espressione e i miei movimenti, andai al bagno, per la prima volta in sei anni chiusi a chiave la porta e buttai la testa sotto il rubinetto del lavandino. Quando iniziai a non sentire più il freddo dell’acqua, lo chiusi e mi asciugai. Poi tornai in camera, mi vestii senza dire una parola e mi avviai alla porta.
«Ragazzi, vado a fare due passi… Non sia mai che riesca a incontrare la Evans da qualche parte…» dissi, cercando di sembrare convincente. Poi senza aspettare una risposta, uscii e quasi correndo cercai di raggiungere il portone d’ingresso.
Sembrava che tutto il mondo ce l’avesse con me dal momento in cui avevo aperto quella lettera. Diversi studenti mi fermarono in corridoio, alcuni soltanto per salutarmi, altri per complimentarsi per la Coppa del Quidditch, altri per commentare alcune delle mie mosse migliori. Ero abituato a tutto, ma quel giorno non ero dell’umore adatto per star lì e far finta di essere entusiasta. Alla fine riuscii a liberarmi e, in cortile, lontano dagli occhi indiscreti potei sfogarmi.
Quando decisi di andare nel mio solito posto, quello dove andavo per stare solo, per crogiolarmi nelle mie preoccupazioni e deprimermi, prima di indossare di nuovo la maschera del Magnifico Potter, avevo già la vista completamente oscurata, ma conoscevo quella strada a memoria e avrei potuto percorrerla anche ad occhi chiusi… Cosa che in un certo senso stavo facendo.
Quando lo raggiunsi, mi fermai, prendendo fiato, nemmeno mi ero accorto di essermi messo a correre. Alzai lo sguardo e gelai: il mio posto era occupato. Fui preso da un moto di rabbia, come poteva essere occupato? Proprio ora che mi serviva? Stavo quasi per mettermi ad urlare o a correre via, ma poi mi venne in mente una cosa. Per tutti io ero il Magnifico Potter, perciò, anche se non riuscivo a vederla, sapevo che non appena sentita la mia voce quella persona se ne sarebbe andata.
«Quello è il mio posto.» dissi con il tono più autoritario e Malandrino che riuscii a trovare.


~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Dopo un tempo interminabile in cui avevo perso la nozione di ogni cosa – non riuscivo nemmeno più a trovare i miei stessi muscoli – qualcosa oscurò il sole. Non vedevo cosa fosse e per un attimo temetti che fosse un altro gufo pronto a darmi altre pessime notizie, anche se ero convinta che non ce ne potessero essere. Ma l’ombra, che non vedevo per via delle lacrime, non si muoveva perciò quel terrore si spense. Stavo quasi per dire qualcosa, se avessi ritrovato la bocca, ma una voce mi precedette.
«Quello è il mio posto.» dissi e impiegai diverso tempo prima di capire a chi la voce appartenesse e reagire. Conoscevo piuttosto bene quel tono e di certo non avevo intenzione di andarmene da lì. Qualcosa di nuovo mi invase. Rabbia. Era come un vortice, no… Come una coperta calda che avvolge e rianima.
«Non mi pare di aver letto “posto riservato a Sua Altezza Reale Potter” su questo muro! E da quel che mi risulta Hogwarts non è una tua proprietà!» sbraitai, alzandomi di scatto. La rabbia che mi guidava mi imponeva di non affrontarlo dal basso, seduta in quella posizione.
«Forse non hai guardato bene!» esclamò lui con lo stesso tono che avevo usato io.
«O forse tu sei così tanto egocentrico che credi che persino i muri della scuola ti venerino!»
«O forse sei tu che non sei in grado di notare l’ovvio!» replicò.
Fu allora che la rabbia sfumò, così com’era venuta. Di nuovo mi sentii svuotata, completamente a pezzi. Forse fu proprio per questo che in un attimo in cui ero riuscita a mettere a fuoco la figura davanti a me, ebbi l’illusione di vedere Potter con gli occhi rossi e gonfi e la stessa espressione di dolore e sconforto che sicuramente io avevo.
«Senti… E’ abbastanza spazioso per entrambi questo muro…» dissi esausta.
«Senti… E’ abbastanza spazioso per entrambi questo muro…» disse lui nello stesso identico istante in cui lo feci io. Ma la contrario di una normale situazione, nessuno dei due si mise a ridere. Ci limitammo ad annuire e io mi abbandonai di nuovo per terra. Qualche istante dopo anche lui si mosse, ma invece di andare dal lato opposto del muro si sedette affianco a me, abbastanza distante da non sfiorarmi.
Il silenzio che scese divenne per me imbarazzante. Con qualcuno affianco non potevo più sfogarmi come volevo, ma non potevo impedirmi di pensare, perciò ero tesa. Guardai Potter di sottecchi, cercando di capire quanto si sarebbe fermato lì. Anche lui sembrava nervoso, cambiava posizione ogni secondo e picchiettava con le dita sul ginocchio. Era girato dall’altro lato, come se volesse dimenticarsi della mia presenza, ma io non riuscivo a fare altrettanto.
«Allora… Che ci fai qui? E’ un posto così isolato, nessuno può vederti… Come fai a metterti in mostra?» domandai schernendolo, senza nemmeno rendermene conto. Ma non appena finii la frase, capii che avevo detto la cosa più sbagliata.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Mi sedetti affianco a lei, ma non era la stessa cosa che rimanere da solo e in quel momento ne avevo davvero bisogno. Il silenzio era pesante e un po’ gliene fui grato perché lo interruppe. Ma non appena mi fece quella domanda, così sprezzante, mi voltai di scatto a guardarla, irato. La vidi sussultare e ne gioii. Come poteva parlarmi in quel modo? Non vedeva, forse? Non vedeva il mio dolore? No, per lei ero soltanto Sua altezza Reale Potter…
«E’ tranquillo…» le risposi, cercando di mantenere la calma. Non avevo alcuna intenzione di mettermi a litigare, urlare, come facevamo di solito. Ero privo di qualsiasi forza.
Lei annuì e fu allora che vidi i suoi occhi. I suoi splendidi occhi verdi ora erano arrossati, gonfi e colmi di lacrime, mentre le guance portavano i chiari segni di quelle già versate.
«Perché piangevi?» le domandai in un sussurro.
«Ho ricevuto tre lettere…» mi disse con un leggero tremito. «Una dal Ministero, una dal San Mungo e una da mia sorella.»
Non dissi nulla, se quelle tre lettere l’avevano fatta piangere così tanto erano personali e nessuno più di me sapeva cosa significasse desiderare di tenere il personale per sé. Perciò attesi, se avesse voluto continuare, l’avrebbe fatto.
«Quella del Ministero è arrivata in ritardo…» continuò, a voce così bassa che stentai a sentirla. «Se non fosse arrivata tardi… E’ tutta colpa mia…» disse e la voce le si spezzò in singhiozzi. La guardai allarmato e vidi che aveva iniziato a piangere.
«Mi dispiace, non capisco…» le dissi incerto, temendo di peggiorare la situazione.
Cercò di dire qualcosa, ma il pianto glielo impedì. Dopo qualche istante, allora, mi porse le lettere. «Io… Non… Riesco….» cominciò, ma avevo capito cosa intendesse. Le presi, appoggiando la mia in grembo, e le lessi.
Rimasi inorridito. Per un istante il mio dolore si attenuò, mi sembrò pallido in confronto al suo. Non erano tanto le asettiche lettere del Ministero e dell’Ospedale, ma le crudeli, cattive parole di sua sorella. Non sapevo cosa dire… Farle le mie condoglianze? Sembrava troppo formale. Dirle che non era colpa sua? Era vero, certo, ma non era ciò che voleva sentire. Dirle che mi dispiaceva? Banale e inutile. Tutto era banale e inutile, perciò decisi di tacere. Sembrò apprezzarlo e quando le restituii le lettere, la mia mano tremava.
Dopo qualche minuto aveva smesso di piangere e si stava ricomponendo. Glielo lasciai fare, senza parlare e senza guardarla. Aveva tutto il diritto di essere in quello stato e non volevo che si sentisse imbarazzata.
«Ecco perché sono qui…» disse con voce arrochita dal pianto «E tu?»
Il suo tono era così dolce che non riuscii a non rispondere. «Anche io ho ricevuto una lettera. Di mio padre.» stavolta fu il suo turno di tacere e aspettare che fossi io a continuare. Mi persi in quelle poche righe vergate in fretta dalla mano di mio padre. Strinsi la pergamena fino a stropicciarla e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Tremavo, non più per le lettere di Lily, ma per la tremenda verità contenuta in quel foglio «Mia madre ha avuto un malore, questa notte…» nonostante gli sforzi la voce mi tremò e non riuscii più a continuare. Non volevo dirlo ad alta voce, l’avrebbe reso concreto, reale. Ma sapevo anche di doverlo fare. Il dolore che poco prima si era nascosto, mi precipitò di nuovo addosso, togliendomi il respiro. Era come se una grossa onda si fosse nascosta dietro la precedente e mi avesse colto di sorpresa, scaraventandomi violentemente contro gli scogli più e più volte. «La mia mamma è morta…» la voce spezzata dal pianto era solo un sussurro, una via di mezzo tra il dirlo e il non dirlo, un compromesso tra ciò che volevo e ciò che dovevo. E subito dopo, senza provare alcuna vergogna, le lacrime iniziarono a rigarmi il volto in silenzio.
Passò appena un istante prima che capitasse una cosa incredibile.
Lily mi abbracciò. Io passai un braccio intorno alle sue spalle e la strinsi a me, traendo conforto dal suo stesso dolore. L’incredibile fu che, per la prima volta in sei anni, eravamo abbracciati ma non me ne fregava assolutamente niente.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

La sua voce era più controllata della mia, il suo dolore si propagava meno del mio, ma mi sembrò ancora più intenso. Il tono di bambino disperso con cui disse quell’ultima frase lacerò l’ultimo brandello del mio cuore. Fu l’istinto che mi guidò a cingergli i fianchi, stringere appena e appoggiare il capo sulla sua spalla. Lo feci sia per confortarlo, ma anche perché lui poteva capire cosa provavo, era la mia unica ancora di salvezza. Quando mi strinse a lui con la mia stessa forza e la mia stessa dolcezza, mi sentii come se avessi un salvagente in mezzo a un mare in tempesta. Un misero salvagente che però mi teneva a galla e seppi che per lui era lo stesso.


Note: probabilmente mi odierete, ma era necessario anche questo. Qualcuno mi ha chiesto se è stata la Rowling a dire che i genitori di Lily morirono coinvolti in un attacca. No, l’ho inventato io. Dalle mie ricerche non risulta nulla sui nonni materni di Harry, mentre risulta che nel 1977 è morta per cause naturali la mamma di James. Farlo accadere nello stesso momento è stata una triste scelta, che però era necessaria.
Un’altra cosa… Lily si è dimenticata di Sarah e della tragedia che ha scosso la sua famiglia, ma io no. =)
Ah giusto, questo è un capitolo un po’ speciale, l’avrete notato XD Forse vi sembrerò che James sia superficiale, ma vi prego di non dare giudizi affrettati, ci sono molte cose che verranno alla luce nei prossimi capitoli. Ringraziamenti: ringrazio tutti i lettori, nuovi vecchi e futuri. In particolare: Ella_Sella_Lella, bianchimarsi, jaybree88, FloorJansen, Herys, Miss_Rose e mattamaty.
Un’ultima nota, per farmi detestare un po’ meno… Quando ho scritto questo capitolo, ho pianto io stessa. Lo so che sembra stupido, piangere per una cosa che io stessa ho deciso e scritto, però mi sono molto affezionata a questi personaggi e farli stare male, fa star male anche me in qualche modo… ^_^

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Capitolo 33
*** Transizione ***


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= Transizione =

La luce, pian piano, scese lasciando il posto al buio. Rimanemmo per lo più in silenzio. Piansi ancora, perché non parlando, avevo modo di pensare molto ed ovviamente i pensieri si attorcigliavano intorno a quelle tre lettere. Inzuppai la maglia che James indossava e mi venne ancor più da piangere perché in quel momento mi sembrava fosse un’azione davvero brutale, un peccato imperdonabile. Colpa del dolore e dell’emotività.
D’altra parte però, James bagnò i miei capelli con le sue lacrime e allora il mio immenso peccato mi sembrò lievemente meno grave.
Quando scese la sera iniziai a tremare, o forse fu lui a farlo o in fondo, fummo entrambi. Sentivo i brividi, di freddo, di stanchezza, di tristezza, percorrermi tutto il corpo. Ma ancora non mi mossi. Non volevo farlo, non avevo motivo per farlo, anche se la sera era ancora gelida, non potevo che augurarmi di poter restare lì per sempre. Nessuno era accidentalmente passato per quella zona, nessuno ci aveva visti e probabilmente nessuno era preoccupato per la nostra assenza, le mie amiche erano abituate alle mie sparizioni e i suoi amici altrettanto. Il mio unico desiderio sembrava esaudirsi. Almeno finché lui non si sciolse dall’abbraccio e si alzò in piedi. Se avessi avuto altre lacrime, avrei pianto di nuovo. Non poteva starsene dov’era? Lasciarmi cadere in quell’oblio che volevo?
«Dovremmo rientrare…» il suo sussurro a malapena udibile, quasi che anche lui non volesse sentirlo. «Voglio tornare a casa Lily…» aggiunse, la voce rotta nuovamente dal pianto, in una supplica che non potei non ascoltare. «Dovremmo andare da Silente, chiedergli cosa dobbiamo fare, chiedergli di lasciarci andare via prima della fine della scuola…»
Stavo per ribattere che non volevo andare da nessuna parta, che volevo rimanere abbandonata lì, ma lui mi precedette. «Devi andare al San Mungo…» lo disse come a dire “glielo devi” e mi si strinse ulteriormente lo stomaco, perché sapevo che aveva ragione.
Alla fine, mio malgrado, annuii, incapace di parlare. Lui mi porse la mano e senza un’altra parola, mi aiutò ad alzarmi e poi, fianco a fianco, mano nella mano, ci incamminammo verso l’ufficio di Silente.
Doveva essere già tardi, perché una volta varcato il portone d’ingresso, non incontrammo nessuno studente, doveva essere già scattato il coprifuoco, anche se non seppi dire se da tanto o poco. Non incontrammo neanche un professore di ronda, e forse fu un bene, perché né io né lui avremmo avuto la forza di ripetere tutto ciò che era successo.
Eravamo più o meno a metà strada, quando un pensiero mi balenò in mente. «Forse Silente dorme…» dissi, talmente piano che forse l’avevo soltanto pensato.
«Cosa?» mi chiese James, cadendo dalle nuvole. Capii di averlo distratto da qualche ricordo.
«Forse Silente dorme…» ripetei.
«Noi proviamo…» mi rispose con un’alzata di spalle e io annuii.
Quando raggiungemmo il gargoyle, mi resi conto di un altro ostacolo. «Io non conosco la parola d’ordine…»
«Forse dimentichi che io passo molto tempo in quest’ufficio… Tra l’altro, il più delle volte per colpa tua…»
Non so come facesse a scherzare in quel momento, né perché un sorriso mi spuntò sulle labbra. Era una sensazione strana, sbagliata. Non potevo mettermi a ridere in un frangente come quello!
Mi scossi dalla mente quel pensiero, mentre James diceva la parola d’ordine e poi raggiungemmo la porta e ci scambiammo uno sguardo. Trassi un profondo respiro e bussai.
Ero davvero convinta che Silente dormisse, ma pochi istanti dopo aveva già aperto. Non ci chiese nulla e se fossi stata più in me avrei visto il barlume di consapevolezza nei suoi occhi. Si spostò dall’uscio e ci fece cenno di entrare.
Solo quando fummo tutti e tre seduti alla scrivania – noi due da un lato e lui dall’altro – ci pose la prima domanda.
«Volete qualche cosa da mangiare? O un po’ di the?» il suo tono era delicato, ma serio.
Io scossi il capo come risposta, James declinò con un semplice “no, grazie”.
«Professor Silente, io devo tornare a casa. Non alla fine dell’anno scolastico, ora, oggi, domani al massimo.» esplose James, il suo tono era già arrabbiato, come se sapesse che Silente non gliel’avrebbe permesso. Parlò anche tutto d’un fiato, forse per paura di essere interrotto o forse per paura di non riuscirci altrimenti.
«E lei, signorina Evans, cos’ha da dirmi?» mi chiese, sostanzialmente ignorandolo.
«A-Anche io d-devo andare…» sussurrai.
«Capisco… Ora però è tardi e voi sembrate davvero esausti. Che ne dite se tornaste al vostro dormitorio, cercaste di riposare un paio d’ore e partiste domattina?» domandò, sempre gentilmente, ma capii che non avrebbe ammesso repliche.
«Non penso che riuscirò ad addormentarmi, professore, ma per me va bene partire domani…» dissi, poi mi voltai a incontrare lo sguardo di James, che ricambiò e annuì.
«Va bene.» rispose soltanto.
«Se volete una pozione per dormire, posso chiedere a Madama Chips di prepararla.» aggiunse Silente.
«No, grazie…» stavolta fu James a rispondere per primo.
«Neanche per me, grazie.» sapevo che non sarei riuscita a dormire, ma al tempo stesso non volevo qualcosa di artificiale per farlo.
«Vi prego di passare nel mio ufficio domattina, non appena lo vorrete. Non ci sarà bisogno di preparare i bagagli, vi verranno spediti.» disse alzandosi e avviandosi alla porta per congedarci. Noi facemmo lo stesso e lo ringraziammo ancora una volta.
Di nuovo in silenzio, ci avviammo verso la Sala Comune di Grifondoro. Sapevo che avrei trovato le ragazze sveglie, non era ancora abbastanza tardi perché si fossero addormentate e perciò sapevo che avrei dovuto spiegare gli occhi rossi e gonfi, le spalle cadenti e la poca voglia di parlare. Sapevo anche che avrei dovuto dir loro cos’era successo e che avrei lasciato la scuola il giorno successivo e perciò mi stavo preparando psicologicamente. Proprio per questo non mi accorsi che James mi aveva di nuovo presa per mano, almeno finché non sentii una lieve fitta di dolore. Guardai le nostre mani, le sue nocche bianche, poi alzai lo sguardo su di lui. La linea della sua mascella era tesa, i muscoli contratti e capii che stava stringendo i denti per trattenere le lacrime.
Posai la mano libera sul braccio che teneva l’altra «Ti accompagno a casa, prima di andare al San Mungo…» dissi, non so perché ma mi sembrava di potergli dare conforto con quella frase.
Lui fece uno strano sbuffo, a metà tra il noncurante e una risata. «Andremo insieme al San Mungo. Non posso lasciarti andare là da sola.» mi rispose, ma la sua espressione si rilassò un pochino.
Non commentai oltre, anche perché ormai avevamo raggiunto il ritratto della Signora Grassa.
Stava per dire la parola d’ordine, ma lo bloccai. «Aspetta…» lui mi guardò, invitandomi a spiegare. «Potresti…» la voce mi si ruppe. «Potresti entrare prima tu? Io ti aspetto qui e se non c’è nessuno allora entro… Non mi va di avere i loro occhi puntati addosso.»
Lui sorrise, anche se non accese il suo volto «Non credo che ci sia qualcuno, ma va bene.»
Disse la Parola, lasciò la mia mano e attraversò il buco del ritratto. Passarono solo pochi istanti prima di vederlo sbucare e offrirmi ancora una volta la mano. Stavo per afferrarla quando parlò. «Via libera, ci sono solo i Malandrini.»
Ritirai immediatamente la mano. I suoi amici – uno in particolare – erano le ultime persone che avrei voluto vedere. «Non importa, aspetterò che andiate a dormire…» dissi, cercando di sembrare il più tranquilla possibile, anche se in realtà l’ansia per l’idea di incontrarli mi stava mettendo tutto sottosopra. Dovevo affrontare già le ragazze, non sarei riuscita a farlo anche con Remus e Sirius, soprattutto non avrei potuto affrontare la pietà e la compassione che sicuramente avrei visto nello sguardo di quest’ultimo.
«Ok, aspetta un momento… Li mando in camera e ti vengo a prendere.» mi disse James, ignorando i pensieri nella mia mente.
Non sentii quello che disse, perché il ritratto si chiuse, però dopo un paio di minuti il passaggio si riaprì e lo vidi arrivare di nuovo. «Questa volta non c’è più nessuno, vieni…» mi disse e lo seguii dentro la Sala Comune. Ci fermammo al bivio tra i due dormitori.
«Ci vediamo qui domattina, quando vuoi tu.» mi disse James con dolcezza «Se non mi vedi, vieni di sopra in camera o manda qualcuno se preferisci, va bene?»
«D’accordo, ma non riesci più ad aspettarmi, fammi chiamare, ok?»
«Cerca di riposare, Lily.» rispose invece e fece per voltarsi, ma all’ultimo secondo afferrai il suo polso e lo tirai a me. Lo strinsi forte in un abbraccio, per dar conforto a lui, ma anche a me stessa. Dopo un attimo di sorpresa, lui ricambiò con altrettanta energia.
«Grazie…» sussurrai, prima di lasciarlo andare e salire le scale per la mia stanza.
Potevo sentire il chiacchiericcio delle ragazze da oltre la porta, indice che le mie paure erano fondate. Non so quanto aspettai lì fuori, forse attendevo che si addormentassero, forse aspettavo una qualche forma esterna di coraggio mi aiutasse, ma non successe niente di tutto questo. C’era solo quella porta, che mi sembrava invalicabile e la consapevolezza di doverla oltrepassare.
Trassi un ultimo profondo respiro, afferrai il pomello e rimasi così per un paio di minuti, mentre le due forze opposte dentro di me si combattevano. Alla fine lo girai e aprii piano la porta.
Come nel mio incubo peggiore, il silenzio calò immediatamente nella stanza e lo sguardo delle ragazze si fece da curioso, a stranito a scioccato. Dovevo avere un aspetto terribile.
Chiusi gli occhi, combattendo l’impulso di voltarmi e scappare via, poi chiusi la porta e mi preparai ad affrontare le loro domande.
Mary fu la prima. «Lily…?» chiese con voce tremante per l’incertezza «Che cos’è successo?»
Mi appoggiai alla porta, incapace di fare un altro passo avanti e lentamente alzai lo sguardo su di lei. «E’ s-successa una c-cosa.» risposi, anche la mia voce tremava ma per tutt’altri motivi. «Domani vado via.» riuscii ad aggiungere, come se quella frase spiegasse tutto.
«Che cosa vuol dire?» mi domandò perplessa e preoccupata Alice.
Solo allora mi ricordai delle lettere che in un qualche momento della delirante giornata avevo messo in tasca. Le tirai fuori, lieta che potessero spiegare tutto al posto mio, che potessi evitare di parlarne ancora ad alta voce, ricordando ogni dettaglio. Preferivo il terribile miscuglio che mi si era creato dentro. Tesi le lettere a Sarah, la più vicina, ricordando soltanto ora che lei poteva sapere cosa stavo provando, forse poteva capirlo. Quella consapevolezza mi colpì come una lama, scoppiai a piangere, vergognandomi di non averci pensato prima. Mi misi a correre verso il letto e mi ci lanciai sopra, seppellendo il volto nel cuscino.
Sentivo le reazioni delle ragazze, respiri trattenuti di colpo, singhiozzi, movimenti tesi. Non dissero una parola però, vennero soltanto sul mio letto, tutte quante trovando un po’ di spazio, e mi abbracciarono.
«Se vuoi che veniamo con te, o se ti serve qualcosa, basta che lo dici, senza vergogna.» mi disse Elinor, dopo che tutte quante ci fummo calmate.
«Non c’è bisogno che veniate… Se avrò bisogno, ve lo dirò.» qualcosa mi disse di non dire loro che sarei andata via con James Potter, che sarebbe stato lui ad accompagnarmi al San Mungo, che era stato con me tutto il giorno. Forse pensavo che avrebbero iniziato a spettegolare, o forse non ero pronta ad ammettere che le sue braccia strette intorno a me, mi erano state di conforto. Non dissero più niente, ma rimasero lì tutta la notte, finché esausta non mi addormentai.



Note: Ecco qui, mi scuso ancora una volta per l'attesa. Purtroppo non riesco più a scrivere come una volta, non so esattamente il perché e me ne dispiace davvero molto. Comunque, non voglio certo interrompere questa storia! Perciò, con molta fatica, ecco un nuovo capitolo!
Ringraziamenti: Per questa volta, vorrei ringraziare tutti quelli che ancora aspettano i miei capitoli e che gioiscono quando ne vedono uno nuovo! XD Grazie!

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Capitolo 34
*** A Casa? ***


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= A Casa? =

Il mattino dopo, mi svegliai poco dopo l’alba. Per un solo, magnifico istante, non ricordai assolutamente nulla, mi sembrava l’alba di una nuova splendida giornata a Hogwarts. Le ragazze erano addormentate nei loro letti, pronte a brontolare al primo, minimo rumore. Il sorriso spontaneo a quel pensiero mi si gelò sulle labbra, quando la realtà mi schiaffeggiò svegliandomi da quel sogno ad occhi aperti. Mi tremavano le gambe, mentre mi spogliavo. Silente aveva detto che non serviva che preparassi i bagagli, ma per evitare di pensare mi misi a cercare tutte le mie cose sparse per la stanza. Per un po’ funzionò, ma quando le ragazze iniziarono a sentire i miei movimenti e si svegliarono, vidi i loro sguardi puntati su di me, poi a una a una le vidi alzarsi e venire ad aiutarmi, districando i miei averi dai loro. Fu un bel gesto, normale, una tradizione che si ripeteva tutti gli anni, ma questa volta la tensione – o mia o esterna – rovinava l’intento. Per fortuna non dissero una parola, non sarei riuscita a sopportarlo. Quando tutte le mie cose furono a posto, stipate e chiuse nel mio baule, mi sedetti sul letto, la testa tra le mani; quella piccola distrazione non era servita a molto.
«Quando parti, di preciso?» mi chiese Elinor, mentre si cambiava, cercando di sembrare indifferente.
«Appena sono pronta…» risposi in un sussurro.
«Sicura che non vuoi che veniamo con te?»
«No, tranquille, non ce n’è bisogno…» mi alzai, e finii di vestirmi, sperando di porre fine al discorso.
«D’accordo… Quando torniamo a casa, ci organizzeremo per farti venire da noi, se ne hai voglia.»
«Sì, sì, grazie…» dissi, senza neanche ascoltarla. «Ora vado… A presto, ragazze…» dissi andando verso la porta e voltandomi soltanto un momento, con occhi lucidi, prima di uscire e scendere nella Sala Comune.
James era già lì, faceva avanti e indietro in un angolo, torcendosi le mani nell’attesa. Per il resto, l’intera sala era deserta, per fortuna non c’era traccia nemmeno dei suoi amici forse, come le ragazze, l’avevano salutato in camera e non l’avevano seguito.
Se fossi stata più serena, l’avrei preso in giro con una delle solite battute, invece mi avvicinai cautamente e sussurrai, per non spaventarlo. «E’ tanto che aspetti?»
Si voltò sussultando, rendendo vano il mio tentativo. «No, no… Non preoccuparti. Andiamo?» mi rispose, indicando il buco del ritratto. Annuii e m’incamminai davanti a lui verso l’ufficio di Silente.
«Tu per caso hai fame?» gli domandai, prima che potessi fermare le parole.
«No, tu?»
«No, non so perché l’ho detto…» risposi con una scrollata di spalle. Lui annuì in risposta e poi continuammo a camminare in silenzio.
Anche questa volta fu lui a dire la parola d’ordine ed io a bussare alla porta del Preside.
«Entrate un momento, per cortesia…» Ci disse il Preside invitandoci per la seconda volta in meno di ventiquattro ore a sederci alla sua scrivania. Anche lui si sedette, appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le dite delle mani, in una posizione a dir poco riflessiva.
«Ho riflettuto, signorina Evans.» mi disse fissando il suo sguardo azzurro su di me. Tremai dentro, ebbi, per un folle attimo, paura che m’impedisse di andare via, nonostante fino a un attimo prima non sarebbe cambiato nulla – non volevo essere da nessuna parte, né a Hogwarts, né al San Mungo – mi tornò in mente lo sguardo di James, quando mi disse che dovevo andare. «Lei, nel mondo Babbano, è ancora minorenne, dico bene?»
Quella constatazione mi fulminò. Ovviamente non ci avevo pensato, presa com’ero dallo sfacelo della mia vita. Deglutii forzatamente. «Sì, professore, è esatto.»
«Questo potrebbe comportare qualche problema per le autorità Babbane, qualora venissero a conoscenza della sua…ehm…situazione.» riprese con calma, la sua espressione non faceva trasparire nulla, ancora temevo che mi impedisse di andare via. «Tuttavia, se si presentasse qualche inconveniente, la prego di mettersi in contatto con me e provvederò a risolverlo come meglio posso.»
Rimasi interdetta. Il mio rapporto con Silente non era certo diverso da quello di un qualsiasi altro studente con il proprio preside. Certo lui mi aveva nominato Prefetto, ma avevo sempre dato per scontato che si fosse avvalso del giudizio degli insegnanti. Non l’avevo “frequentato” poi molto, tranne in quell’unica punizione che presi a Pasqua. Ora però si offriva di aiutarmi nel caso ci fossero stati dei problemi. Non seppi cosa dire.
«Ovviamente, preferirei che mi chiamasse per qualsiasi problema, anche quello che sembra un’inezia, piuttosto che utilizzasse la magia. Questo vale anche per lei, signor Potter. So bene che per aiutare la sua compagna potrebbe essere tentato di fare qualcosa di, come dire, impulsivo, ma spero che, con un po’ di buon senso, lei possa evitarlo.»
«Sì, certo.» commentò apatico James.
«Grazie, professor Silente.» dissi io, sinceramente.
«Fatte queste premesse, credo di potervi lasciare andare. I vostri effetti personali sono, proprio in questo momento, in viaggio verso le vostre abitazioni.»
«Io, però, non devo andare a casa. Per prima cosa devo andare al San Mungo…» dissi.
«E io la accompagno.» confermò James.
«Certo, certo. Ho predisposto una Passaporta, autorizzata dal Ministero ovviamente, che vi porterà in un vicolo laterale dell’Ospedale. Da lì in poi, potrete Smaterializzarvi. Prego, avvicinatevi.» disse indicandoci uno strano oggetto presente sulle sua scrivania, che non riuscii a identificare. Lo toccammo entrambi ed io trattenni il respiro, per sentire un po’ meno quella fastidiosissima sensazione di risucchio. Toccai terra troppo velocemente, perciò non riuscii a stare in equilibrio e mi ritrovai a battere il sedere in una pozzanghera. James scoppiò a ridere. Non riuscii a guardarlo male, mi sembrava una situazione aliena, lui che rideva. Era strano, come se la Passaporta ci avesse catapultato in una dimensione parallela, dove tutto ciò che era successo soltanto il giorno prima, non esisteva. Mi godetti quel momento, ascoltando la sua risata, avida di quella spontaneità che l’aveva causata.
Qualche secondo dopo era tutto finito. Afferrai la mano che James mi offriva e mi alzai, poi estrassi la bacchetta e mi asciugai. «Andiamo…» sbottai, subito dopo, scocciata dalla pessima figura.
«Sei incredibile, Evans…» mi disse, mentre mi affiancava verso l’Ospedale. Non risposi.
Quando voltammo l’angolo, ci trovammo davanti alla vetrina trasandata che fungeva da copertura per l’entrata principale del San Mungo. Era la prima volta che ci andavo, per fortuna, ma avevo letto della vetrina sul libro di Storia Contemporanea della Magia. C’erano soltanto un paio di manichini, con i vestiti impolverati e cadenti e le parrucche di traverso. Nel complesso tutto l’edificio sembrava abbandonato da molto, molto tempo.
«Come facciamo ad entrare?» domandai, cercando di capire come si aprisse la porta.
«Semplice, basta parlare…» rispose James, invitandomi ad avvicinarmi ai vetri. La strada per fortuna era vuota in quel momento, altrimenti cos’avrebbero pensato i Babbani, vedendoci ammirare una vetrina abbandonata?!
«Ok… Ehm… Sono Lily Evans, devo sbrigare delle pratiche… Credo.»
Il manichino annuì e ci fece cenno di entrare, con il suo dito scheletrico. Perplessa feci un passo verso il vetro, cercando di tastarne la solidità, ma il mio piede venne investito da quello che sembrava un velo di acqua fredda, senza riportare alcun danno, perciò continuai a camminare attraverso la barriera e mi ritrovai all’accettazione. La sala non era molto affollata, c’era un mago seduto su una delle sedie in attesa, la cui testa era stata trasfigurata in un bollitore e ogni tanto emetteva un acuto fischio. C’era anche un’altra strega, poche sedie più indietro, che all’apparenza sembrava sana, anche se la sua espressione era disperata, mi chiesi se non stesse aspettando notizie di qualche caro malato.
In coda allo sportello della Stragaccoglienza, c’erano solo due persone, una uomo e una donna, che parlavano fitto fitto a bassa voce. Ci mettemmo in coda e attesi leggendo il cartellone indicante i reparti, ma quelli non potevano essermi utili, mio padre non era ricoverato lì, non più.
Dopo qualche minuto, che sembrò protrarsi per l’eternità, la coppia si diresse velocemente verso un reparto e io mi feci avanti.
La strega mi guardò con un’espressione a metà tra il cordiale e l’annoiato e m’invitò con un gesto a parlare. Trassi un profondo respiro, cercando di placare il cuore che aveva cominciato a battere forsennatamente.
«Signorina, se si sente male, le consiglio di sedersi.» disse la donna, senza riuscire a nascondere una nota d’impazienza.
«Non sta male, la lasci respirare!» sbottò James al mio fianco, facendomi poi un cenno incoraggiante. La strega ci guardò scocciata, ma aspettò.
Deglutii forzatamente e alzai lo sguardo sulla donna. «Mi chiamo Lily Evans… Mio padre è stato ricoverato qui…» mi fermai, non riuscivo a dire le ultime parole.
«Che cosa gli è successo?» mi chiese, il tono più addolcito, forse vedendo le difficoltà che avevo a rapportarmi con quel fatto.
«Lui è…è…»
«Lui è stato attaccato…» s’intromise James, ma lo fermai con un cenno.
«Lui è m-morto, qui, ieri…» feci fatica a trattenere le lacrime «Mi è s-stato d-detto che dovevo s-sbrigare delle pratiche.»
La donna rimase silenziosa per qualche istante, prima di riprendersi. «Ho capito di chi sta parlando, signorina, le porgo le mie condoglianze. Si rechi al quarto piano, nell’ufficio del caporeparto Gyllys, in fondo al corridoio a sinistra.»
«Grazie…» risposi meccanicamente, prima di voltarmi per raggiungere le scale. Salii in silenzio, quasi dimenticandomi della presenza di Potter dietro di me. Superai le porte a vetri del piano e mi diressi in fondo al corridoio a sinistra, senza guardarmi intorno. Trovai subito la porta giusta, una grossa targa d’ottone campeggiava al centro, indicando il nome del Guaritore. Bussai, senza indugiare oltre, presa dalla fretta di andarmene da lì il prima possibile.
Se mi ero aspettata un vecchio Guaritore sdentato, rimasi delusa perché quello che mi aprì la porta era tutto fuorché vecchio e sdentato. Era giovane, capelli castani lunghi, legati in una coda e profondi occhi nocciola che mi guardarono con cordialità e disponibilità. Era persino bello, mi scoprii a fantasticare per un unico attimo su di lui colpito dal fulmine dell’amore che mi chiedeva di uscire ed io che cadevo ai suoi piedi, dimenticando tutto.
«Buongiorno…» disse il Guaritore.
«E’ lei il caporeparto Gyllys?»
«Sì, sono io.» mi rispose con un sorrisetto, forse il mio tono era ancora incredulo nel vederlo così giovane. Avremmo avuto meno di dieci anni di differenza! «Desidera, signorina…?»
«Evans, Lily Evans…» risposi meccanicamente e la sua espressione si congelò. Lo vidi deglutire, prima di rispondermi.
«Prego, accomodatevi.» disse serio, spostandosi per lasciarci passare. Entrammo nell’accogliente ufficio e ci sedemmo su poltrone imbottite, ma quasi non colsi quei dettagli, riportata alla realtà dall’espressione triste del Guaritore.
«Lei è un parente?» domandò l’uomo a James.
«No, non lo sono.» rispose lui.
«Non importa, può ascoltare anche lui. Sa perché siamo qui.» replicai io, prevedendo quello che avrebbe detto il Medimago.
«Come volete…» commentò soltanto, per poi prendere delle carte che teneva ordinate sulla scrivania.
Mi spiegò nel dettaglio – acconsentii affinché lo facesse – cosa successe il giorno dell’incidente, sia a mio padre che a mia madre. Fece il resoconto delle cure che il San Mungo aveva prestato a mio padre e la motivazione per cui non avevano funzionato. Mi spiegò che la squadra magica intervenuta sul posto aveva impedito a Petunia di seguirli all’Ospedale, era la procedura in caso di attacchi da parte di Maghi Oscuri. Mi disse anche che mia sorella era stata tenuta in costante aggiornamento. C’erano alcuni documenti, però, che avevano bisogno di essere firmati. Mi disse che se fossi stata Babbana, allora avrebbe potuto sbrigare la faccenda mia sorella, essendo la maggiore, ma non essendo una Strega, la priorità andava a me in quanto appartenente al Mondo Magico. Perciò mi pose davanti la scheda clinica di mio padre, il suo certificato di decesso e quello di mia madre. In ultimo, scusandosi, mi disse che avrei dovuto firmare un documento che attestava l’assenza di responsabilità da parte dell’Ospedale per quanto era successo. Quella parte burocratica fu una tortura. Non ne vedevo l’utilità, i miei genitori erano morti ed io dovevo firmare delle carte? Divenni inquieta a stare lì, non vedevo l’ora di uscire per andare… Andare dove? A casa, forse, anche se non ne ero sicura. Volevo andare lontano da lì e non metterci più piede.
Il Guaritore stava quasi per congedarci quando gli venne in mente un’ulteriore informazione che doveva darmi. «Sua sorella ha chiesto e ottenuto di avere indietro i corpi per poterne celebrare il funerale.»
Così mi spiegai la frase “non osare presentarti al funerale”, che Petunia mi aveva scritto nella sua lettera. Mandai giù il groppo che avevo in gola e annuii. Poi finalmente fummo liberi di uscire.
«Ti accompagno a casa, James?» gli domandai, una volta in strada.
«Ti accompagno a casa?» chiese lui nello stesso istante. Sorridemmo. Desiderai non dover allontanarmi da lui. Andava contro tutto ciò che avevo sempre provato nei suoi confronti – con l’unica eccezione di quell’uscita a Hogsmeade che ci aveva visto protagonisti del miglior scherzo mai esistito – ma in quegli ultimi due giorni mi sentivo più vicina a lui che a chiunque altro. Ma la vera motivazione era che avevo paura a rimanere sola.
«Hai già fatto molto, credo che tu voglia tornare a casa… E anche tuo padre vorrebbe vederti, immagino.» mi trovai a dire, contro ciò che provavo.
«Ho gli scritto stamattina, gli ho spiegato la situazione e che sarei tornato a casa dopo averti aiutata.» mi rispose lui.
«Devo solo tornare a casa…» risposi, scrollando le spalle.
«Andiamo allora.» mi disse, prendendomi per mano e trascinandomi nel vicolo dov’eravamo arrivati, per Smaterializzarci a casa mia. Ovviamente fui io a guidarci con la Smaterializzazione Congiunta, dato che lui non ne conosceva l’ubicazione.
Arrivammo nel cortile sul retro, dove sapevo saremmo stati al sicuro da occhi indiscreti. Le sdraio era già nella posizione strategica dei miei genitori, indice che avevano iniziato a prendere il sole in cortile. Gli attrezzi da giardinaggio erano sparsi, come al solito, attorno all’aiuola che mia madre aveva creato con i suoi fiori preferiti. Il loro tripudio di colori voleva infondere allegria, ma in quel momento lo detestai, contrastava così tanto col mio umore da farmi male. Distolsi lo sguardo, sentendo le lacrime salirmi agli occhi. Girammo, allora, intorno alla casa per raggiungere la porta principale.
Una volta lì, mi bloccai. Volevo salire gli scalini e raggiungere la porta, volevo farlo, davvero, ma i miei piedi – e il mio cuore – non ne volevano sapere. Razionalmente sapevo che non poteva succedere, ma mi aspettavo che mia madre aprisse la porta da un momento all’altro, mi salutasse e sorridesse al vedermi in compagnia di un ragazzo. Oppure che papà uscisse per prendere il giornale e fosse piacevolmente sorpreso di trovarmi a casa così presto. Più ci provavo, meno riuscivo a muovermi e più sprofondavo in quelle malsane fantasie. Bloccai James, che mi aveva superato per raggiungere la porta, e lui si voltò verso di me perplesso.
«Non ci riesco…» gli dissi, con voce tremante.
«Non riesci a fare cosa?»
«Ad entrare… Li vedo aprire la porta e salutarmi. Li vedo abbracciarmi, ma loro non lo faranno più. Non lo faranno più!» gridai le ultime parole, come se fosse colpa sua, anche se la rabbia era tutta per me.
«Non entrare allora. Materializzati in camera tua, prendi quello che ti serve e torna qui.» rispose con calma.
«Che cosa?» gli chiesi, senza capire cosa intendesse dire. «Se non vuoi entrare, non sei obbligata a farlo.»
«Certo che lo sono!» esclamai, perdendo la pazienza. Perché non capiva? Come facevo a non entrare in casa? Dove sarei andata altrimenti?
«Ascoltami…» disse, appoggiando le mani sulle mie spalle «Non riesci a entrare? Bene, non farlo. La casa rimane qui, non scappa. Puoi entrare quando sarai pronta.»
«Non posso lasciare tutto lì, dovrò sistemare le cose. Petunia se n’è andata, questa casa è mia adesso. Ma io non posso entrarci. Non posso viverci. Non senza di loro.»
«Non viverci, allora! Chiama un’impresa di Imballaggio Magico, togli tutto e vendi la casa!» mi rispose e sembrava convinto. Mi tentò. Sembrava la soluzione migliore in quel momento. Ma passato quel momento, cosa ne sarebbe stato? Me ne sarei pentita o rallegrata?
«Non posso fare nessuna delle due cose. Non posso viverci, ma non posso prendere decisioni affrettate. E’ tutto ciò che mi rimane di loro.»
«Rilassati ora. Fai come ti ho detto, vai in camera tua, prendi quello che ti serve. Ti aspetto qui fuori.»
«E poi dove vado, James?» chiesi, sull’orlo delle lacrime.
«Vieni a stare da me per l’estate…» rispose, senza traccia di malizia o presa in giro, che il Potter di due giorni fa avrebbe usato.


Note: ecco qui, vi avevo detto che non ci avrei messo troppo a pubblicare il nuovo capitolo!
Ho una piccola nota, forse vi sembrerà che James non soffra più, ma vi posso assicurare che non è così, semplicemente non traspare dal suo comportamento.
Passiamo invece a cose frivole: ho creato una pagina Facebook per darvi la possibilità di rompermi le scatole con domande su aggiornamenti e quant'altro e per tenervi informati sull'andamento dei capitoli che scrivo. La pagina è questa: Ksanral, cliccate su "mi piace", se ne avete voglia, e il gioco è fatto! ^^
Ringraziamenti: vorrei ringraziare i recensori dello scorso capitolo, più qualcuno che ha recensito soltanto ora i capitolo precedenti, cioè: PrincessMononoke97, Isilya, Lines, _Calypso_, nenezebubba, in particolare però vorrei ringraziare: Ella_Sella_Lella e FloorJansen, che hanno avuto la pazienza di recensire praticamente tutti i capitoli e seguono la ff da molto molto tempo, e sono anche quelle su cui conto non appena pubblico un capitolo. ^^
A presto!

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Capitolo 35
*** Le Funzioni ***


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= Le Funzioni =

«Viene a stare da me per l’estate.»
La mia reazione a quella sua proposta fu bizzarra. Se una parte di me rifiutò senza neanche ascoltare la fine della frase, un’altra parte la accettò con la stessa velocità. Fu per questa lotta interiore che non riuscii a rispondere subito. Guardai James con un’espressione perplessa o forse un po’ ebete, mentre cercavo di capire quale monosillabo dire. Poi mi sovvenne che non sarei riuscita anche solo a entrare in quella casa senza crollare emotivamente e la risposta fu una soltanto.
Mi Smaterializzai in camera mia e, cercando di guardarmi intorno il meno possibile, raccolsi lo stretto necessario da portare con me: pochi vestiti, gli album di fotografie, qualche libro e gli oggetti più cari, come il mio peluche preferito o la spilla della nonna. Il resto poteva aspettare.
Tornai da James con i bagagli e solo allora gli risposi, anche se sul suo viso si era già delineato un piccolo sorriso.
«Sei sicuro?» gli domandai incerta. Lui annuì, agitò la bacchetta e i miei bagagli svanirono.
«Sei pronta?» mi chiese poi di rimando, tendendomi la mano per la Smaterializzazione congiunta.
«Vedi di non farmi Spaccare, eh Potter!» gli disse quella parte di me che riusciva ancora a scherzare.
«Sapevo Smaterializzarmi molto prima dell’esame, eh Evans!» mi scimmiottò.
Afferrai la sua mano e feci a tempo a stringerla che ci Smaterializzò.
Quando ripresi fiato e aprii gli occhi ci trovavamo in una zona di campagna. Davanti a noi, però, si ergeva un cancello sottile ma alto e una recinzione che ne seguiva lo stile. Non molto lontano, in mezzo a un giardino molto ben curato, una villa ci attendeva. Non servì che James agitasse la bacchetta alla volta del cancello, perché io capissi che si trattava di casa sua. Percorremmo il vialetto di ingresso, stando attenti a non calpestare l’erba appena tagliata. Una volta raggiunta la porta non ci fu bisogno di aprirla, evidentemente il nostro arrivo non era passato inosservato. L’interno della casa era arredato in modo lussuoso ma essenziale ed elegante.
James si stava togliendo le scarpe quando un uomo ci raggiunse. Non impiegai molto a capire di chi si trattasse, seppur con qualche differenza era decisamente simile a James. Finsi di non notare gli occhi arrossati e gonfi, ma comunque non appena James lo vide, lascio cadere le scarpe senza riguardo e si gettò tra le sue braccia in un modo talmente disarmante, intimo e disperato che fui costretta a voltarmi e cercai di farmi il più piccolo e insignificante possibile perché mi sentivo un’intrusa in quel dolore, mi sembrava di invadere il loro spazio personale, ma anche, lo ammetto, perché guardare quella scena sapendo che a me non sarebbe più capitato di essere abbracciata così, mi provocava dolore e riaccendeva quelle sensazioni che ero riuscita a rinchiudere in un cantuccio della mia mente, almeno per il momento.

Il momento però non durò a lungo, giusto il tempo di sistemare alcune foto sul comodino accanto a un letto a baldacchino che mi strinse il cuore per la somiglianza con quello di Hogwarts, mettere il peluche su lenzuola immacolate con tanto di copriletto ricamato, appendere i pochi abiti in una cabina armadio – una cabina armadio, per Godric! – talmente grande che sembrò ancora più vuota con solo quei quattro vestiti appesi e evitare accuratamente di incrociare lo sguardo con l’arzigogolata specchiera, onde evitare di vedere la mia figura riflessa nel timore di scorgere una Lily distrutta, o peggio ancora, la stessa Lily di qualche giorno prima. Poi giunse l’imbarazzante momento della cena, dalla quale mi congedai non appena ebbi la certezza di non offendere nessuno. E infine mi ritirai in camera a riflettere su come fosse possibile che in così poco tempo – soltanto un giorno – la mia vita si fosse completamente capovolta: ero sola, non avrei mai più rivisto i miei genitori, probabilmente neanche Petunia e avevo trovato rifugio, non a casa di una delle mie amiche, né di Remus, ma bensì di James Potter. Se me l’avessero detto soltanto un mese prima, avrei riso fino allo sfinimento!
Quando bussarono alla porta sussultai sorpresa e guardai perplessa il volto del signor Potter fare capolino dall’uscio. «Posso?»
«Sì, certo…» gli risposi incerta. Allora lui entrò, si avvicinò al letto e vi si sedette.
«James mi ha raccontato una cosa…» disse, lisciandosi le pieghe inesistenti della veste. Volevo chiedergli riguardo a cosa, ma avevo un brutto presentimento, perciò non dissi nulla e lasciai che prendesse tempo. «Non prendertela con lui… So che mio figlio può essere un po’ troppo esuberante a volte, ma lo fa solo quando ci tiene…» sospirò, e la sua frase mi fece arrossire, anche se non sapevo spiegarmi il perché. «Come in questo caso: lui è preoccupato per te.» sospirò di nuovo e solo allora alzò lo sguardo su di me. «Mi ha raccontato della lettera di tua sorella.»
Sapevo che sarebbe arrivato a quel punto e feci del mio meglio per non invitarlo poco gentilmente ad uscire dalla stanza. «Mi sembra sempre strano quando una persona ragiona in certi termini, è come se ancora non fossi abituato alla crudeltà…» disse sospirando e distogliendo lo sguardo da me. «Credo, però, che tu non debba rimanere ferma qui… James ti accompagnerà al funerale, è il minimo che tu possa fare, presenziare… Ma aspetta!» disse, quando vide che stavo per protestare. «Una persona accecata dal dolore e dall’invidia, se non dall’odio, può essere molto pericolosa, me ne rendo conto. Perciò, credo che voi possiate utilizzare il Mantello dell’Invisibilità di James o se pensi che ti faccia sentire più al sicuro, posso accompagnarti anch’io. Però, Lily, riflettici un momento… Non sarebbe pessimo sprecare l’occasione per un ultimo saluto?» poi mi accarezzò una caviglia – il punto più vicino a lui – si alzò e con un ultimo gentile sorriso uscì dalla stanza, che da quel momento iniziò a sembrarmi più stretta.

Il giorno dopo mi alzai all’alba, non essendo riuscita a dormire per quasi tutta la notte e non riuscendo più a restare a letto. Mi aspettavo di trovare la casa vuota, ma in sala da pranzo, Charlus Potter era intento a prendere un caffè fumante e a leggere l’edizione mattutina della Gazzetta del Profeta. Sentendomi arrivare, alzò gli occhi e mi sorrise stancamente; anche lui, evidentemente, non era riuscito a dormire molto.
«Se vuole torno dopo…» sussurrai, ferma sulla soglia.
«“Se vuoi”…» mi corresse, ma poi scosse il capo e mi fece cenno di avvicinarmi. Mi sedetti al suo fianco e, immediatamente, il piatto davanti a me si riempì di bacon e uova strapazzate e un altro piattino con fette di pane tostato e marmellata, mentre dalla tazza fumava del the. Fu impossibile non sorridere, ricordando Hogwarts.
«C’è qualche notizia interessante?» domandai incerta, dopo qualche boccone. Mio padre poteva essere interrotto mentre leggeva il giornale, ma sapevo che c’erano persone che lo odiavano.
Il signor Potter sospirò, poi abbasso la pagina e sollevò lo sguardo su di me. «No, ormai i giornali danno sempre le stesse notizie… Sempre e solo morti e feriti e attacchi di Mangiamorte…» disse sospirando «E poi, c’è un altro trafiletto su Dorea…» aggiunse in un borbottio.
Capii a chi si stava riferendo e immediatamente risposi, prima di potermi fermare. «L’hanno scritto sul giornale?»
«Sì, la dipartita di un mago Purosangue è quasi sempre menzionata sul Profeta…» disse, con un tono che era tutt’altro che contento «Ma non c’è nulla sui tuoi genitori… L’altro ieri c’era un resoconto frettoloso di quanto è successo, ma niente di più… Mi dispiace, bambina…» mi disse veramente addolorato. Io annuii appena e tornai a mangiare, nonostante non avessi mai avuto molta fame. Quando ormai avevo finito, James ci raggiunse. Alzai lo sguardo per salutarlo, ma invece scoppiai a ridere. I suoi capelli erano ancora più arruffati del solito, ma era l’espressione sul viso che faceva morire dal ridere: gli occhi semichiusi ancora nel mondo dei sogni, accompagnati dagli occhiali messi al contrario e il segno del cuscino su un lato del viso. Non potei trattenermi!

Finita la colazione – e James impiegò un tempo inestimabile a terminarla – tornai in camera riluttante per prepararmi. Ero appena uscita dalla doccia e stavo cercando qualcosa da indossare, quando dalla finestra aperta, entrò un gufo che lanciò un plico di lettere sul letto e se ne andò impettito, prima che potessi ringraziarlo. Con una scrollata di spalle, presi il plico in mano: erano lettere delle mie amiche. Sorrisi istintivamente e iniziai a leggerle velocemente. Tutte dicevano più o meno la stessa cosa… Mi chiedevano come stavo e dov’ero – non sapevano che avevo lasciato la scuola con James per stare da lui – e che, appena finita la scuola, potevo andare da loro, anzi dovevo. Sorridendo poggiai le lettere sul comodino e finii di vestirmi.
Una volta pronti, ci Materializzammo nei presi del cimitero della mia città. Sapevo che si sarebbe tenuta lì la funzione, perché era un desiderio dei miei e Petunia l’avrebbe esaudito.
«Vuoi usare il mantello? L’ho portato…» mi disse James, con una certa incertezza.
«Mi sentirei una vigliacca a farlo…» ammisi «Anche se, ho già causato abbastanza dolore a mia sorella…»
«Dovresti iniziare a pensare un po’ di più a te stessa, non credi? Con tutto quello che ti ha scritto tua sorella in quella lettera avete pareggiato i conti per i prossimi cinque secoli…» disse con rabbia.
«Non mi piace nascondermi come se fossi una ladra, sono anche i miei genitori!» risposi io, contagiata dallo stesso sentimenti.
«Brava Grifondoro! Ora andiamo…»
Mi pentii immediatamente di non aver usato il suo Mantello. La cerimonia era appena cominciata e nel momento stesso in cui ci fermammo, in un angolo remoto, gli occhi di Petunia mi furono addosso. E fu come se fossero gli occhi di Voldemort, come se il più potente Mago Oscuro, la più grande minaccia del Mondo Magico, avesse appena lanciato il suo Anatema che Uccide contro di me. Rabbrividii nonostante la giornata calda e distolsi lo sguardo da quello infuocato di mia sorella. James mi mise una mano sulla spalla e strinse leggermente, a farmi sapere che era lì e che non dovevo preoccuparmi di lei. O forse fui io che pensai tutte quelle cose, fatto sta che mi concentrai sulla cerimonia, ma fu peggio… Il prete e gli amici stessi dei miei dissero soltanto parole vuote. Raccontarono cose che non li descrivevano per nulla, cose superficiali, inutili che non dicevano assolutamente niente di loro… Scoppiai in lacrime di rabbia e dolore prima che me ne rendessi conto. James, vedendolo, mi abbracciò, dandomi forza.
Quando la funzione finì, iniziai ad avere paura di affrontare Petunia. Riuscii a ricompormi in tempo, che la vidi puntare a passo di carica verso di me, seguita da quel suo fidanzato panciuto che si era scelta, che, in sua difesa va detto, aveva tutta l’aria di voler evitar quel confronto. James aveva ancora le mani poggiate sulle mie spalle, perciò potei sentire la sua stessa tensione.
«Come osi? Come osi presentarti qui?» urlò a cinque passi di distanza, facendo voltare i perplessi invitati che si affrettarono ad andarsene.
«Erano anche i miei genitori…» dissi sorprendendo me stessa con il mio tono calmo.
«Hai perso il diritto di stare qui quando li hai uccisi!» urlò ancora, ora si era avvicinata ed era a pochi centimetri da me. Pur vedendola sconvolta e distrutta, non capii quello che stava per fare se non quando era ormai troppo tardi, perciò non potei evitare il suo schiaffo, che mi colpì talmente forte da farmi voltare il capo. James s’irrigidì maggiormente.
«Ti avevo detto che ti avrei ucciso con le mie stesse mani, se fossi venuta!» disse e mi schiaffeggiò di nuovo. E di nuovo fui così sorpresa da non poterlo evitare. James staccò una mano dalla mia spalla e capii che stava per estrarre la bacchetta, perciò spostai il braccio all’indietro e lo afferrai per il polso, bloccandolo.
«Vattene subito! Io non ti voglio più vedere! Ti odio! Ti odio!» urlò, cedendo alle lacrime e stringendo i pugni talmente tanto che le sue nocche sbiancarono. Questa volta capii che stava per sferrare un pugno, perciò riuscii a bloccarla prima che mi colpisse.
«Lasciami, mostro! Non mi toccare!» urlò, con espressione schifata, cercando di liberarsi dalla mia presa. Fui talmente shoccata che la lasciai andare, spalancando gli occhi. Non era mai stata così cattiva e intollerante, nemmeno nei momenti peggiori.
Vernon, il suo ragazzo, le si affiancò e cercò di calmarla. «Lascia perdere Tunia, non ne vale la pena… Lo dici sempre anche tu…»
«Non me ne frega niente, Vernon! Lei non deve essere qui! Lei non deve mai più presentarsi davanti a me! Io la uccido!» urlò e alzo di nuovo la mano per colpirmi, ma stavolta fu James a essere più veloce. Mi voltai e la sua espressione mi spaventò da quanto era arrabbiata.
«Erano anche i suoi genitori…» mormorò a denti stretti, come se stesse pronunciando la più letale delle maledizioni.
«E questo chi è, il tuo nuovo ragazzo?! Che fine ha fatto il mostro di prima? Ti ha lasciata, vero?» e se fino ad allora c’era stata solo rabbia, ora divenne cattiva, mentre un sorriso di spietato trionfo le arcuò le labbra «Si è finalmente reso conto di quanto tu sia insulsa e inutile e ti ha scaricata! Oppure ha aperto gli occhi e visto che sei soltanto feccia?! Tanto lo so che anche quelli della tua razza ti giudicano indegna di stare al mondo… Almeno su una cosa hanno ragione!»
Fu la cosa peggiore che chiunque mi avesse mai detto, peggio ancora di Severus che mi dà della sporca Nata Babbana, peggio di qualsiasi altro insulto di Petunia stessa o di qualunque altra persona, perché immediatamente pensai che fosse andata davvero così. Che Sirius si fosse fatto scoprire con quella, perché si era finalmente reso conto che non ero nient’altro che feccia, che non meritavo di stargli affianco. Rimasi immobilizzata, colta da quella folle verità e non potei evitare che James alzasse il pugno e tentasse di colpire mia sorella, solo per trovarsi a fare un occhio nero a Vernon che si era messo in mezzo. Vidi, come se osservassi la scena dall’esterno, un’immagine piuttosto buffa: Veron metteva le mani sulle spalle di Petunia e le sussurrava «Vieni, andiamo…» per poi girarla e accompagnarla quasi spingendola, mentre nello stesso identico modo e con le stesse esatte parole, James faceva lo stesso con me. Non mi resi neanche conto che, a un certo punto, mi strinse forte la mano e ci Smaterializzò, tornando a casa sua. Me ne accorsi quando ormai era sera inoltrata e io ero sdraiata nel letto della mia nuova camera, rimuginando sulle sconvolgenti parole di Petunia.
Non so come feci a superare la notte, ma il giorno dopo ebbi la certezza di non aver chiuso occhio. Non avrei voluto alzarmi, avrei preferito rimanere lì sdraiata e lasciare che il mondo intero mi scivolasse addosso, ma dovevo farlo, dovevo restituire il favore a James.
Proprio quando mi sedetti, qualcuno bussò alla porta e io mormorai un flebile invito a entrare, per poi seguire con lo sguardo James che entrava. «Pensavo avessi bisogno di un consiglio su cosa mettere…» disse, fermandosi in mezzo alla stanza e senza guardarmi.
«In effetti, non ne ho idea…» ammisi, capendo in quel momento che era la verità, non che me ne fossi preoccupata prima…
«Hai qualche veste oltre la divisa?» mi domandò. Sembrava imbarazzato, ma non saprei dire se dalla sua stessa domanda o da me in pigiama.
«Sì, qualcosa ho… È appeso nella cabina armadio…» e non riuscii a trattenermi dal ridere quando pronunciai quelle parole, anche se risultai piuttosto isterica. James mi guardò perplesso, poi scosse il capo e andò ad aprire le ante dell’armadio. Guardò con meticolosità tutti i miei abiti, poi scelse uno dei pochi abiti da cerimonia neri che possedevo. Era semplice, rispetto a tutti gli altri, non aveva particolari ricami o disegni, solo un bordino, altrettanto nero, intorno ai polsi e al collo. L’avevo usato solo una volta, in una particolare Lumafesta quando il professore aveva invitato un esponente del Ministero. James mi disse che sarebbe stato perfetto, lo adagiò sulla sedia e uscì con un’espressione triste, senza mai guardarmi una volta. Sospirai e iniziai a prepararmi. Quando scesi per colazione, trovai sia James che suo padre già pronti, vestiti con delle vesti belle, ma tristi che mi strinsero il cuore. O forse erano i loro volti a essere tristi…

Ci Smaterializzammo con la Materializzazione Congiunta e ci ritrovammo all’ingresso di una cappella in stile gotico che mi tolse il fiato dalla bellezza. Ci fermammo all’entrata, anche se inizialmente non capii perché, ma pian piano mi fu chiaro, con l’arrivo dei primi invitati. Charlus e James stringevano le mani e accoglievano gli altri maghi e li invitavano ad entrare, ringraziandoli per la loro presenza. Io rimasi leggermente in disparte, sentendomi di troppo. Vidi, però, i genitori di Alice, che mi abbracciarono senza dire una parola; dei maghi e delle streghe che sembravano considerarsi dei re e delle regine – e scoprii soltanto dopo essere i genitori di Sirius. E infine ci raggiunsero anche loro: Sirius, Remus e Peter, che si fermarono fuori con noi finché non arrivò più nessuno e fu ora di entrare. Fui ancora più stupita dall’interno della cappella, che forse era più sorprendente dell’esterno. Le panche erano imbottite di velluto rosso e le vetrate raffiguravano storie di maghi e streghe che non conoscevo. La prima fila era stata lasciata libera per noi, e quando ci sedemmo, un uomo magro con una lunga capigliatura, raggiunse il pulpito e diede inizio al funerale. Non era presente alcuna bara, ma un ritratto sorridente della mamma di James, salutava tutti gli invitati con un cenno del capo o della mano. Non avevo mai assistito ad alcuna funzione magica, di alcun tipo, perciò fui mio malgrado affascinata da tutto quanto e mi accorsi troppo tardi che James era in lacrime e che suo padre – anche lui piangente – lo stringeva forte a sé, cercando di calmarne i singhiozzi, mentre Sirius, Remus e Peter si guardavano impotenti. Allungai la mano e presi quella di James, cercando di dargli lo stesso conforto che lui aveva dato a me il giorno prima.
Quando la cerimonia finì, i presenti si alzarono in silenzio e fecero apparire, con la magia, una corona di fiori a circondare la foto. Fu una cosa spiazzante vedere tutti quei maghi muoversi con una sincronia perfetta e poi vederli uscire in silenzio e Smaterializzarsi poco appena fuori, per lasciar spazio ai due Potter. Solo i Malandrini rimasero, attendendo che James si ricomponesse, prima di chiedergli se voleva che venissero con noi. Ma lui scosse il capo – senza abbandonare mai la mia mano, anzi stringendola tanto da farmi male – e disse loro che voleva rimanere solo.
Quando rientrammo in casa, si chiuse in camera sua e non si fece vedere neanche per cena.
Era notte fonda ormai, e io non riuscivo a chiudere occhio, tornata di nuovo a quei pensieri che mi attanagliavano la mente dal giorno precedente, quando un urlò straziante ruppe la quiete della casa. Saltai in piedi talmente veloce da farmi girare la testa, la bacchetta stretta in mano senza che mi fossi resa conto di averla presa dal comodino e mi precipitai fuori, verso la fonte di quell’orribile suono: veniva dalla stanza di James. Anche suo padre si era precipitato lì, la bacchetta puntata e accesa dal Lumos. Mi lanciò uno sguardo e mi fece cenno di entrare dopo di lui, poi aprì la porta di scatto e si guardò intorno, pronto ad attaccare chiunque avesse tentato di far del male a suo figlio. Ma nessuno, tranne James, era in quella stanza. Era seduto sul letto, mordendo le lenzuola, il volto sconvolto rigato dalle lacrime. Abbassai la bacchetta e per la prima volta, mi sentii fortunata e non riuscire a dormire, almeno non avevo gli stessi incubi che assalivano lui. Charlus gettò la bacchetta a terra e si precipitò a stringere il figlio, piangendo dal sollievo. Anche io mi avvicinai, sedendomi ai piedi del letto e rimanendo in disparte, impotente.
Fu così per tutte le notti seguenti, finché dopo la terza, divenni l’unica ad alzarmi, entrare nella stanza di James e trovarlo sempre nelle medesime condizioni. Così mi avvicinavo, gli dicevo frasi senza senso, mentre cercavo di allargargli le dita per districarlo dalla presa sulle lenzuola, per poi far sì che smettesse anche di morderle. Poi lo stringevo a me, finché non si calmava e infine ci sdraiavamo, insonni, ad aspettare l’alba.


Note: questo capitolo mi ha impegnata precchio, penso che lo abbiate notato, ma alla fine mi ha soddisfatto particolarmente. Ci sono da notare un paio di cose... La prima, voglio che sappiate che non c'è nulla di romantico nel rapporto che si instaura tra Lily e James, che il legame che li unisce è di tutt'altra natura. La seconda è che ho dato fondo a quella teoria che vede Charlus Potter e Dorea Black essere i genitori di James, con tutte le congruenze e incongruenze del caso, perciò prendetelo come un dato di fatto, in questa ff è così! La terza è che non sono scema XD So che ho scritto nei capitoli precedenti che mancava ancora una settimana alla fine di Hogwarts, perciò in teoria gli studenti dovrebbero essere a scuola, ma secondo voi i Malandrini avrebbero lasciato James solo? No, perciò ecco perché sono presenti. Se avete altri dubbi o domande, sono qui per rispondere :P
Ringraziamenti: purtroppo vado un po' di fretta, perciò non posso ringraziare uno per uno tutti i 12 recensori del capitolo precedente, nè tutti quelli che in questo periodo hanno aspettato questo capitolo, sappiate solo che ve ne sono grata. Rimedierò nel prossimo capitolo ^^
Un grazie particolare, però va a Sara ♥

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Capitolo 36
*** Ancora di Salvezza ***


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= Ancora di Salvezza =

Nei giorni che seguirono, sviluppai una sorta di paranoia. I miei pensieri si aggiravano sempre intorno alle parole di Petunia, che avevano fatto più breccia nel mio cuore che nella mente, fino a farle espandere e lambire altre realtà della mia vita al di fuori di Sirius. Iniziai a dubitare dell’amicizia delle ragazze, della gentilezza di Remus e infine anche dei Potter. Erano Purosangue, pensai, perciò mi avevano accettato in casa loro per pena o pietà, come si fa con un animale ferito che si trova per caso: lo si accoglie finché non muore. Quindi, per evitare loro il disagio creato dalla mia presenza, mi chiusi in camera, uscendo solo per i pasti e ritirandomi il prima possibile e se James o il signor Potter provavano a venire in camera, fingevo di dormire o chiudevo la serratura con la magia. Una parte di me era consapevole di quanto insano e sbagliato fosse il mio ragionamento, la stessa che ogni notte si alzava per aiutare James e farsi confortare da lui – per quanto un ragazzo in lacrime preda di feroci incubi poteva arrecare conforto –, ma non riuscivo a evitare di pensarla a quel modo.
Cercavano di coinvolgermi, alle volte James entrava in camera mia, forzando anche la serratura, e si sedeva sul letto, anche se fingevo di dormire. Iniziava a parlare, cercando, credo, di stimolare la mia curiosità, ma io non volevo. Come potevo infliggergli il peso della mia presenza, per di più se avessi iniziato a conversare amabilmente?! Non potevo… Perciò continuavo a fingere di dormire, finché lui, sospirando, non si alzava e usciva. Allora scoppiavo a piangere, bagnando tutta la federa e le lenzuola, finché una piccola elfa domestica non appariva timidamente in camera per cambiarle. Scoprii che si chiamava Tinker e a volte, quando volevo distrarmi un po’, chiacchieravo con lei. Era piccola e buffa – per essere un elfo domestico, s’intende – e aveva uno strano accento, che non riuscii mai a definire. Però mi stava simpatica, la vedevo come mia pari e riusciva a strapparmi qualche sorriso, quando cercava di sfilarmi il cuscino da sotto la testa, senza disturbarmi.
Persi la cognizione del tempo, non sapevo più quanto tempo era passato, riuscivo a malapena a capire quand’era giorno e quando notte, per via delle urla di James nei suoi incubi. Io non dormivo, mi appisolavo, per poi svegliarmi prima di iniziare a sognare. Avevo pensato a una Pozione Soporifera, quelle che impediscono a ogni manifestazione inconscia di manifestarsi, appunto, ma avrei dovuto chiedere gli ingredienti e non me la sentivo.
Perciò quando un giorno dopo tanti, ma non diverso dai precedenti, James irruppe nella stanza cogliendomi di sorpresa e quindi sveglia e senza alcuna scusa per non ascoltarlo o non rispondergli, rimasi stupita di sapere che Hogwarts aveva chiuso per l’estate e che gli studenti erano in vacanza. Mi sembrò un mondo totalmente distante dal mio, parallelo, e sembravano passati secoli, se non millenni, da quando anch’io ne facevo parte.
«E quindi?» gli domandai, in tono piatto, privo di qualsiasi emozione.
«Quindi Sirius, Remus e Peter finalmente possono venire qui.»
«Bene.» non diedi a vedere quanto mi scioccò l’idea di avere altri maghi intorno, non si capì per nulla che già dopo quella frase stavo cercando una soluzione per sottrarmi a quell’incontro.
«Remus è anche tuo amico… Mi ha scritto che è molto preoccupato per te, dato che non hai risposto nemmeno a una delle sue lettere…» non ricordavo neanche di aver ricevuto lettere, tantomeno di averle lette.
«Mi dispiace…» risposi, mantenendo lo stesso tono.
«Penso che sarebbe carino da parte tua se…ehm…venissi a salutarlo. Solo a salutarlo, nulla di più. O se vuoi, può venire lui.» disse e sembrava davvero imbarazzato, ma dubitai di quella reazione. Dubitai delle sue parole, del dispiacere di Remus – che nonostante avesse un suo problema, era comunque un mago a tutti gli effetti – e dubitai di qualsiasi cosa esistente al mondo, tranne il dato di fatto che avevo perso la mia famiglia e ora stavo in piedi in una camera da letto.
«Ci penserò…» risposi, cercando una scusa per congedarlo «Ora devo andare a farmi la doccia. Tinker mi ha preparato il bagno.» il che non era del tutto una bugia. Mi voltai e mi diressi verso il bagno, lasciando a lui la scelta di uscire o aspettare in eterno il mio ritorno.


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Non sapevo più cosa pensare. Non sapevo più cosa fare per lei. Più provavo ad avvicinarmi, più la sentivo scivolare via in un luogo che, temevo, non avrei mai potuto raggiungere. Non volevo lasciar perdere, ma non sapevo cos’altro fare senza causare altri danni. Il fatto era che cercare di salvarla, salvava anche me. Mi evitava di pensare al dolore che provavo, mi evitava di rivivere gli incubi che mi assalivano la notte, prima che lei arrivasse. La verità era che mi ero reso conto di dipendere da lei per superare la notte e l’idea che lei si chiudesse in quella maledetta stanza, che rimanesse lì da sola a rimuginare mi stringeva il cuore ancor peggio che tutto il resto, perché – egoistico, lo so – non avrei più avuto il suo conforto se si fosse persa in quel mondo che la sua mente aveva creato. Ma non sapevo cosa avesse scatenato tutto, non sapevo nulla a dire il vero. Quando riuscii finalmente a parlarle, mi sembrò già troppo tardi. Il suo tono e la sua espressione erano vuoti, piatti, privi di qualsiasi inflessione, persino dell’irritazione che io avrei provato se qualcuno mi avesse detto cosa dovevo fare e che in situazioni normali avrebbe provato anche lei. Decisi che ne avrei parlato ai Malandrini, magari tutti insieme saremmo riusciti a organizzare qualcosa.

Quando i ragazzi arrivarono, per un istante, dimenticai ogni cosa. Vederli lì, accanto a me come lo erano da quasi sette anni ormai, mi dava un senso di sicurezza e tranquillità. Mi sembrava che potesse crollare il mondo, ma che noi saremmo rimasti, perché loro erano al mio fianco. Sedendoci in salotto e iniziando a chiacchierare del più e del meno, di stupidaggini che avevamo fatto o che volevamo fare, mi sentii per la prima volta da giorni sollevato. Seppi in quel momento che tutto si sarebbe sistemato, che sarei stato bene, che, anche se non sarei mai più tornato quello che ero prima, avevo davanti un futuro che avrebbe potuto riservarmi serenità o addirittura felicità. E se c’era speranza per me, forse ci sarebbe stata anche per Lily.
«Sono preoccupato per Lily…» disse Remus, come se si fosse trattenuto fin troppo e volesse affrontare l’argomento, interrompendo le pianificazioni per la successiva luna piena.
«Anche io… È sempre chiusa in camera, persa in un qualche mondo che si è creata…» risposi facendo un cenno al piano superiore. «Esce a malapena per pranzo e cena… Non so più cosa fare…» mi accorsi che il mio tono aveva un che di disperato.
«Cioè mi stai dicendo che Evans è in casa tua?» domandò Sirius.
«Sì… Pensavo di avertelo detto…»
«Ormai non do più credito alle tue fantasie su di lei…» commentò con una scrollata di spalle e al contrario di tutte le altre volte, mi fece ridere.
«Comunque sia, io vado a vedere se riesco a farla uscire… Tu cerca di spiegargli la situazione e tu invece cerca di ascoltare stavolta…» ci ordinò Remus, alzandosi e avviando al piano superiore. Dubitavo che ottenesse qualcosa.


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Sapere che Lily era sola, persa nel dolore, senza che io potessi fare qualcosa per aiutarla mi stava torturando. Vedere Remus alzarsi e tentare al posto mio fu un’ennesima pugnalata e ascoltare James raccontarmi tutto quello che era successo, sapere che lui sapeva molto più di me sulla sua situazione, mi uccise definitivamente.
«…E così, poi, il giorno del funerale, ho quasi preso a pugni sua sorella, solo che quel grassone del suo fidanzato si è messo in mezzo e gli ho fatto un occhio nero, tutto perché lei mi ha impedito di prendere la bacchetta. Ti rendi conto? Non ha voluto farle del male!» esclamò James, piuttosto arrabbiato.
«Hai fatto benissimo, Ramoso… Anche se non hai colpito quella Babbana.»
«Io credo che Lily sia dispiaciuta per la sorella e che si incolpi per quello che è successo…» aggiunse, apprensivo.
«Cosa te lo fa credere?» sapevo che aveva ragione, conoscevo abbastanza bene Lily per esserne quasi certo, ma avevo avuto un’idea e mi servivano più informazioni.
«Beh, che non abbia fatto nulla per zittirla, intanto. E poi, non ha risposto a nessuno dei suoi insulti ed è da quel giorno che si è chiusa in camera.»
«Magari è proprio per quello che le ha detto…» dissi, scrollando le spalle e cercando di essere il più indifferente possibile. «Ti ricordi il loro litigio?»
«Vagamente… Ero troppo impegnato a controllarmi…» sospirò e scrollò il capo. «L’ha chiamata mostro… Le ha detto qualcosa tipo che non è degna di stare al mondo… Ah, Sirius, non lo so!» esclamò frustrato.
«Dai non preoccuparti…»
«Sono preoccupato…» anch’io lo ero, ma non potevo dirglielo.
Stavo cercando qualcosa da dire, ma Remus mi precedette tornando con aria sconsolata.
«Non ha neanche aperto la porta…» disse sospirando «Non mi ha neanche risposto, a dire il vero…» James scrollò solamente le spalle, se lo aspettava.
«Provo io…» dissi, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo con Remus. «Me ne intendo abbastanza di famiglie che ti rinnegano…» dissi, come giustificazione. Senza attendere oltre, anche perché non sarei riuscito, mi alzai e salii al piano di sopra. Sospirai, lanciai un Muffliato su tutto il resto della casa e mi preparai a respingere qualsiasi incantesimo mi avrebbe lanciato contro non appena varcata la soglia.


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Avevo sperato che Remus non si facesse più vivo, ma poi sentii la serratura aprirsi: l’aveva forzata! Alzai lo sguardo indignata, per rivolgergli tutta la mia rabbia, ma non fu Remus quello che mi trovai davanti, bensì Sirius. Mi ritrovai in piedi, e senza rendermene conto avevo afferrato la bacchetta e cercato di Schiantarlo, ma lui era preparato e si protesse. Riprovai, ancora ed ancora, non sopportavo che fosse nella stessa stanza dov’ero io, magari per rinfacciarmi le cose che ormai avevo capito, troppo tardi, certo, ma ormai le avevo capite. Più provavo e più lui riusciva a difendersi, fino a che non decise di reagire e mentre stavo per lanciargli un ennesimo incantesimo, lui riuscì a Disarmarmi. La mia bacchetta cadde direttamente nelle sue mani ed io, per un attimo, mi ritrovai impotente. Lui mi si avvicinò con l’aria di uno che si avvicina a una belva feroce cercando di non farsi mangiare e così capii che ero davvero una belva feroce e potevo attaccarlo anche senza bacchetta. Non mi soffermai a pensare che era più grosso e più allenato di me, ma volevo soltanto che se ne andasse, che la smettesse di torturarmi. In meno che non si dica, però, mi aveva bloccata, tenendomi i polsi nella sua morsa.
«Vattene, ti prego…» mormorai, con le lacrime agli occhi.
«Non se ne parla proprio…»
«Ma perché? Perché non mi puoi lasciare in pace? Perché non puoi smetterla di farmi del male? Non me ne hai già fatto abbastanza?»
«Non voglio lasciarti in questo stato…» disse, come se io non avessi minimamente parlato.
«Ma perché! Ti faccio schifo! Tu mi odi!» urlai, era tutto quello che potevo fare.
«Io ti amo!» ruggì lui, indignato.
Mi pietrificai a quelle parole. Spalancai gli occhi e lo fissai dritto in volto. Ansimava per lo sforzo di trattenermi, avevo cercato di divincolarmi per tutto il tempo, ma nei suoi occhi vidi la verità. Quello che aveva detto, inspiegabilmente, era la verità.
«C-Come?» balbettai.
«Io ti amo…» ripeté, lasciandomi andare.
«Non può essere…» replicai «Petunia… Petunia ha detto che finalmente ti eri accorto che non ero degna di stare tra la tua gente, tra i maghi…» ero confusa.

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Ascoltai inorridito quelle parole e capii perché era caduta in quello stato.
«Oh cielo, Lily, ti sei lasciata influenzare dalle parole di quella bisbetica gelosa?!»
«Io no… cioè… Sì… Forse… Non lo so, Sirius!» mi disse angosciata e poi scoppiò in lacrime. Non sapevo se potevo abbracciarla o meno, non sapevo come avrebbe reagito, ma prima che potessi fare qualsiasi cosa tornò a parlare. «E allora perché, Sirius, perché?» mi chiese e non c’era bisogno di spiegazioni, sapevo a cosa si riferiva e temevo le parole che avrei detto.
«Perché sono stupido! Perché sono un idiota di prima categoria! Perché mi sono lasciato trascinare…» dissi, non sapevo cosa dirle. Non potevo certo dirle che l’avevo lasciata per non ferire James, non potevo dirle la verità, dovevo farle ancora del male. Optai per una mezza verità. «Ho commesso un errore. L’errore più grave di tutta la mia vita e me ne pentirò per sempre. So che dovrò convivere con il senso di colpa e di vuoto che io stesso ho creato con la mia stupidità. Ma ti amavo allora e ti amo adesso. Tu non sei un mostro, sei una ragazza fantastica, la migliore che io abbia mai conosciuto. E non è vero che non sei degna di stare al mondo. E’ il mondo che non è degno di stare al tuo cospetto. Soprattutto, non lo sono io e non lo è lei.»
Vidi le lacrime scorrerle lungo le guance e riempirle gli occhi.
«Io non volevo crederle, non l’ho mai fatto…» disse, cercando di schiarirsi la voce. «Ma poi ha detto quelle cose su di te e io sono così… Così.. Distrutta, che non ho potuto fare a meno di rifletterci…»
«Lo capisco, ma le tue erano riflessioni errate…»
«No, Sirius… Sono morti per colpa mia!» esclamò convinta.
«Perché, sei tu che hai agitato la bacchetta per colpirli?» domandai, cercando di farle capire il concetto.
«No, ma…»
«Sei tu che hai dato ordine di farlo?» dissi, senza darle tempo di finire la frase.
«Ma se io non ci fossi stata…»
«Sei tu che hai messo al mondo Voldemort?»
«No, cosa vai dicendo?!»
«E allora perché dovrebbe essere colpa tua? Se non avessero avuto una figlia Strega, sarebbero stati comunque in quell’esatto punto, quell’esatto maledetto giorno, no?»
«Sì…» ammise, abbassando lo sguardo.
«E allora non è in alcun modo colpa tua.» sentenziai. «Sai cosa penso?» dissi, capendo che dovevo darle il colpo finale, per permetterle di uscire da quella situazione
«Cosa?»
«Io penso che tu abbia paura di affrontare la realtà. Penso che tu abbia paura di ammettere che non è colpa tua se sono morti. Ammettere che tu sei una Strega magnifica, che però non ha potuto fare nulla per salvarli. Penso che tu abbia paura di affrontare la loro morte, di affrontare il dolore che ti causa. Il vuoto che ti hanno lasciato.»
«Cosa?!» disse, a metà tra l’indignato e l’infuriato. «Tu credi?! Tu sbagli! Non è vero! Non è assolutamente… Tu non sai! Non mi conosci!»
«Io ti amo, Lily e ti conosco piuttosto bene…»
«Taci!» disse e riuscì, sorprendendomi, a schiaffeggiarmi. «Non dire più una…»
Ma non la feci finire, spinto da un impulso, o forse da un desiderio sopito da troppo, la strinsi tra le braccia e la baciai. Volevo che capisse che quello che le avevo detto era vero, che tutto ciò che le avevo detto era vero, dalla prima all’ultima parola. Sentii la sua resistenza opporsi, ma poi, in pochi istanti la sentii sciogliersi, abbracciarmi e ricambiare. Nonostante la situazione fosse delle peggiori, quello fu uno dei momenti migliori, perché non avevo più sperato di poterla stringere così, di poter sentire di nuovo le sue labbra sulle mie, anche se sapevo che sarebbe stata l’ultima volta.

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Con tutte quelle parole mi aveva confuso. C’era una parte di me, quella più razionale, che mi diceva di dargli ascolto, che aveva ragione, ma c’era un’altra parte che rifiutava qualsiasi altro punto di vista tranne il mio. Dalla rabbia che provai, però, capii che diceva il vero, ma che io non volevo ascoltare le sue parole. Quando ripeté di amarmi, non resistetti più, lo schiaffeggiai per farlo tacere, ma ottenni, se possibile, l’effetto inverso. Rimasi un attimo interdetta quando mi baciò, non mi sembrava vero, poi cercai di opporre resistenza, ma non mi sembrava giusto. L’unica cosa che mi sembrava giusta era ricambiare quel bacio disperato.
«S-Sirius… Non…» cercai di dire qualcosa, ma non sapevo esattamente cosa.
«Non preoccuparti, andrà tutto bene…» disse, stringendomi a sé e dal tono triste delle sue parole, capii che non si aspettava altro.
«Io ti amo ancora, Sirius, ma come… Come posso fidarmi di te? Mi hai tradita…»
«Lo so…» mi rispose, senza sciogliere l’abbraccio.
«Non credo di poter sopportare altro dolore… Non so come potrei continuare ad andare avanti se…»
«Non te lo sto chiedendo Lily… Non puoi fidarti di me, non posso permettermi di farti ancora del male, lo so…» ripeté.
«Quindi, cosa mi stai chiedendo, Sirius?» gli domandai ancora leggermente confusa.
«Voglio solo che tu sappia che non sei sola come pensavi.» disse, allontanandomi appena per guardarmi negli occhi. «Io non ti lascerei mai sola in una situazione del genere, nonostante quello che è successo tra noi. Ma anche James è preoccupato per te, per non parlare di Remus. E immagino che le tue amiche abbiano cercato di contattarti, vero?»
«Sì, credo di sì…» ammisi, sussurrando.
«Ma tu sei una testona e quanto ti metti in testa qualcosa è difficile farti cambiare idea…» rispose con una certa accondiscendenza che mi fece scoppiare a ridere.
«Adesso ridi anche!» commentò e prese a farmi il solletico, facendomi finire sul letto, ma senza smettere. Quando si fermò, eravamo sdraiati uno affianco all’altra, sembrava che il tempo non fosse mai passato.
«Cosa vuoi che faccia?» gli chiesi, come avrei fatto prima che tutto accadesse.
«Credi di potermi permettere di esserti amico? Credi di poterti fidare di me come tale?» capii lo sforzo che gli costò quella domanda, vidi nei suoi occhi la paura della risposta.
«Sì, lo posso fare.» risposi con un sorriso e lui mi abbracciò. Solo in quel momento capii quanto avevo avuto bisogno di un abbraccio del genere, di una persona forte che voleva starmi vicino. Avevo abbracciato James e lui aveva abbracciato me, ma era come se ognuno di noi due si aggrappasse all’altro per non affogare. Capii che la presenza di Sirius avrebbe sicuramente giovato a lui e probabilmente anche a me. Trascorremmo qualche altro attimo così, poi lui si alzò e mi tese la mano. «Come prima richiesta da amico, ti chiedo di alzarti e seguirmi.»
«Seguirti dove?»
«Ovunque io voglia guidarti…» rispose e per un istante vidi quello sguardo complice e malizioso che mi riservava sempre. «Di sotto, ecco dove…» aggiunse poi.
«Non posso presentarmi così!»
«Sei tra amici… Non ci importa l’apparenza e poi hai solo gli occhi un po’ rossi…» disse scrollando le spalle.
«E va bene…» risposi alzando gli occhi al cielo e afferrando la sua mano.
Scendemmo al piano inferiore, lui davanti che apriva la strada. Fu per quello che vidi l’espressione prima delusa sul volto degli altri, poi però la vidi accendersi nel momento in cui mi videro. Sul volto di Sirius un sorriso raggiante. E io capii che quel bacio, più di ogni altra parola, mi aveva salvata.


Note: sì, ci ho messo secoli, ma ormai lo sapete, non ho ispirazione e ho lavorato molto perciò avevo anche carenza di tempo. Note sul capitolo ne ho un paio soltanto. Avrete notato che c’è un continuo cambio di PoV, cosa che non c’era mai stata prima. E’ un’esclusiva di questo capitolo, non succederà più, o almeno non sarà la regola. Solo che mi sembrava opportuno coinvolgere la sfera emotiva di tutti. ^^ La seconda nota riguarda l’esclusivo punto di vista di Lily. La narrazione stessa, cioè sia le parti di dialogo sia le altre, è molto confusa, ma nè voluto. Lily stessa è molto confusa, perciò anche i suoi pensieri e le sue convinzioni lo sono. Credo di aver concluso!
Ringraziamenti: ringrazio tutti quelli che continuano a seguire questa ff, quelli che l’hanno appena scoperta e apprezzata e quelli che hanno recensito i capitolo precedenti, cioe: Roxar, Ella_Sella_Lella, Hadley92, EleisFearless, alemika, LadyNick, Valerie, May_Z, FloorJensen, BlackMoonRising.
Un ringraziamento particolare va a Sara, perché se non fosse stato per lei, non avrei finito questo capitolo ancora per molto tempo...

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