Ricordati di me.

di Luna_R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno qualunque ***
Capitolo 2: *** L'uomo che viene da lontano (parte1) ***
Capitolo 3: *** L'uomo che viene da lontano (parte2) ***
Capitolo 4: *** Colpa, amore e pregiudizio ***
Capitolo 5: *** Ricordi ***
Capitolo 6: *** Nuvole e lenzuola ***
Capitolo 7: *** Quando l'amore ripaga ***
Capitolo 8: *** Rincorrendo un sogno ***
Capitolo 9: *** Wilkommen in Osterrich ***
Capitolo 10: *** Destini che si uniscono ***
Capitolo 11: *** Sortilegio ed oblio ***
Capitolo 12: *** Destinazione futuro ***
Capitolo 13: *** Un angelo nella mia vita ***
Capitolo 14: *** Richting sortilegium ***
Capitolo 15: *** Ricordati di me ***



Capitolo 1
*** Giorno qualunque ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

Sono le sette e trenta di mattina, il suono di una sveglia, irrompe nel silenzio di un appartamento assopito.

Una ragazza si sveglia, poggia rumorosamente la sua mano sulla sveglia, e maledicendo il giorno già alle porte, si dirige in bagno.

E intanto non sa, che non sarà, un giorno come tutti gli altri..

 

*********

-“E tu, chi sei?!”-

-“Nel mio paese, colui che salva una vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la mia vita ti appartiene.”-

Non so chi fosse, non so perché evadeva sempre dalle mie domande, ma provai un tale senso di protezione nei suoi confronti, che non potei far altro che portarlo via con me.

 

“Ricordati di me”, solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della mente invecchiata o distratta.

 Ma pur sempre una storia d’amore.

 

 

aawaa GIORNO QUALUNQUE aawaa

 

Chap n.1

 

 

Eccomi qua questa, sono io!

Capelli biondi inesorabilmente lisci, occhiaie profonde e scure ad incorniciare occhi neri e grandi.

Non sarei poi tanto male, se non fosse per il grigiore che il mio volto emana riflesso nello specchio; ma è ancora troppo presto, ed io come al solito ho dormito troppo poco.

Mi passo lentamente ancora una mano di fluido idratante sul viso, tirando queste piccole, impertinenti rughe a “zampa di gallina”, come le chiamano quei simpaticissimi omini in camice bianco, chiamati chirurghi estetici.

Ok sì, ho trenta anni, ma non sono poi da buttare!

E’ che mi piace lamentarmi, penso sia il passatempo preferito d’ogni essere umano; ma sì, è un po’ il prezzo da pagare per essere stati messi, a gratis aggiungerei, su questa terra senza arte ne parte.

Vi starete domandando chi è colui che ronfa nel mio letto; quel dormiglione è il mio compagno, Simone.

Siamo insieme da un anno, ma conviviamo da tempo immemorabile, in quanto siamo stati amici, molto prima di avventurarci in una storia vera e propria.

Praticamente comprammo questa casa con i nostri risparmi, convinti che avremmo passato, per forza di cose, una vita insieme; io sono sempre stata un disastro con gli uomini, vengo da un passato burrascoso e poco felice, lui invece è sempre stato uno spirito libero, misogino a tratti, un’ anima costantemente in pena.

All’epoca, nessuno dei due aveva la minima intenzione di sposarsi, così ci siamo appoggiati l’uno sulle spalle dell’altra, in nome di una grande amicizia. Ovvio.

Ci siamo sempre capiti, compensati, praticamente perfetti nello stare insieme, in senso lato ovviamente, ma poi l’amore si è messo in mezzo e così, dopo dieci anni di convivenza e due mesi di fidanzamento, ci siamo sposati.

Bello, romantico, penserete voi.

Così è stato, oltre perché ci siamo sposati su una spiaggia caraibica, le cose fra noi andavano a meraviglia.

Andavano, ah già, ho usato il passato.

Beh sì, andavano.

E’ un po’ di tempo che fra noi non va più nulla, ma proprio niente!

Siamo troppo lontani, sembriamo così distanti, ognuno perso fra le sue cose, ognuno preso da qualcosa che non siamo noi.

Io vorrei tanto un figlio, ma il fato proprio non ne vuole sapere!

Ci proviamo da mesi ormai e quando parlo di specialisti con Simone, si arrabbia ed alza la voce; questo, non fa altro che aumentare le tensioni fra di noi.

Che poi, non so nemmeno se ne sono ancora innamorata; siamo stati migliori amici per così tanti anni che forse l’affetto, tramutato in amore un tempo, non era poi così amore come credevo… .

 

Eccolo, si muove, si agita,. Quando fa così, sta per svegliarsi.

Adesso aprirà gli occhi, verdi, profondissimi e tirerà la coperta un po’ più su, per scacciare via la luce; io gli passo accanto, afferro la borsa dell’ufficio, ma mi fermo.

Ciocche di capelli biondi e ribelli, sono sparse sul cuscino. Sembra un angelo.

L’accarezzo.

Forse, ne sono ancora innamorata.

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** L'uomo che viene da lontano (parte1) ***


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«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

 

aawaa L’UOMO CHE VIENE DA LONTANO aawaa

                                            (Parte1)

 

Chap n.2

 

 

-“Buongiorno Sibilla!”-.

 

Sibilla, ho sempre amato il mio nome.

Forse, l’unica cosa buona che i miei genitori hanno fatto per me.

Chissà forse mio padre fra una sbronza e un’altra e mia madre tra un anti- depressivo e l’altro, avevano comunque deciso di lasciarmi qualcosa di bello.

Sì, un nome.

 

-“Buongiorno Lucia!”-.

 

Lucia è la mia collega d’ufficio, condividiamo la stessa stanza, in questo ufficio stampa di un quotidiano minore della mia città.

Abbiamo un buon rapporto, mi piace la sua testa matta, concilia un po’ con la mia, costantemente su di giri.

 

-“Novità?!”-. Le passo accanto, prendendo posto alla scrivania.

-“Ti ha chiamato Bruschi, vuole sapere se accetterai l’offerta per la pubblicazione del libro. Gli ho detto che lo avresti richiamato.”-.

-“Libro?!”-. Accendo il computer distrattamente, riflettendo sulle parole della mia collega “Oh accidenti! Quel libro! Me ne ero proprio dimenticata!”-.

-“Ehi, ma dove hai la testa?! Fossi in te lo annoterei a caratteri cubitali sulla mia agenda!”-.

-“Sì, figurati… dove la trovo io un’idea per un romanzo?! D’amore poi?!”-.

-“Scrivi di te! Ti sei sposata con il tuo migliore amico, dopo anni di convivenza! La gente impazzisce per le storie come la tua!”-.

-“Ah- ah, brillante idea! E ce lo scrivo che sono a un passo per ritrovarmi gli avvocati in casa?!”-.

-“Siete già a questo punto?!”-. Si alza in piedi, porgendomi una tazza di caffè.

-“Non proprio. Diciamo che l’uno aspetta la mossa falsa dell’altro per colpire.”-.

-“Mi dispiace Lila. Ma trovala un’idea per quel libro; nessuno ti paga per un’idea al giorno d’oggi! Ed anche profumatamente!”-.

-“Non so, vedremo…”-.

 

La vedo alzare le spalle, girare la sua poltrona e tornare  china a lavoro sul suo pc.

Io apro la mia posta, do una veloce occhiata alle e-mail, prima d’essere attratta da uno strano brusio; mi volto, c’è della gente riversata in strada, sul marciapiede dell’edificio di fronte al nostro, intenta ad inveire contro al cielo.

Mi basta alzare un po’ più lo sguardo per trovare una spiegazione a quelle urla; c’è un uomo, sospeso nell’aria, in piedi sul cornicione.

Istintivamente mi porto una mano alla bocca, sfilandomi gli occhiali da vista.

 

-“O Dio, ma che fa…”-.

 

Lucia mi guarda, girandosi anch’ella verso la strada alle nostre spalle.

 

-“Sembra voglia buttarsi… buahhh un altro genio che spera d’ottenere qualcosa con queste scenette! Che poi, li stanno licenziando in massa veramente, in quell’ufficio?!”-.

-“Ma che ne so io! So solo che non può buttarsi!”-. D’improvviso mi alzo dalla sedia, facendola scivolare contro la scrivania.

-“Sì che può! Guarda come si sporge!”-.

-“No! No! No! C’è parcheggiata la mia macchina là sotto!”-.

 

Non le do il tempo di controbattere, corro verso l’appendiabiti e vi sfilo la giacca che mi appartiene.

Mi vesto di fretta, saltando qualche bottone, agitatamente e nervosamente con la mano libera apro la porta che da sui corridoi dell’ufficio.

 

-“Lila! Lila dove vai?!”-. La voce di Lucia mi richiama, dal fondo.

-“A salvare la mia auto da quel pazzo e dalle ventiquattro rate che ancora mi mancano per finire di pagarla!”-.

 

Rido, pensando di essere così maledettamente venale anche in un momento critico.

Simone mi rimprovera spesso di essere attaccata ai beni materiali, ma lui proviene da una famiglia benestante, non sa cosa significhi accontentarsi del poco che si ha.

E la mia auto, per me è tutto.

Rido di nuovo, Simone è ancora nei miei pensieri.

 

Le porte automatiche dell’edificio in cui lavoro, si aprono non appena la mia corsa affannosa vi si scontra al limite della soglia; così, finisco direttamente in strada, senza che me ne sia resa conto.

Alzo gli occhi, il pazzo è ancora lì.

Da lontano, infondo alla strada sento delle sirene spiegate avanzare.

Non ho tempo, se la polizia arriva prima di me, potrò dire addio alla mia bella macchina.

Mentre cerco di farmi venire un’idea, scorgo la scala anti- incendio al lato del palazzo; con una corsa forsennata mi ci porto su, salendo gradino per gradino a perdi fiato.

Arrivo in cima alla terrazza che sono stremata.

Annaspo, piegata in due sulle ginocchia.

“Non ho più l’età”, penso mentre mi porto affianco all’uomo del cornicione; mi avvicino cauta, non voglio spaventarlo e tanto meno provocargli una caduta accidentale.

Non voglio andare a fare compagnia a mio padre, in carcere.

E voglio la mia auto ancora intera.

Ma il tipo mi sente, percepisce i miei passi, la mia paura forse, perché ho voluto fare l’eroina ma adesso ho davvero una fottutissima paura.

 

-“Brava Sibilla, sei veramente brava! Adesso cosa gli dirai per farlo scendere?! E’ una macchina è solo una stupida macchina, potevi farti gli affari tuoi!”-.

 

Si è girato, mi sta scrutando, allora mi fermo, non so come possa reagire; è un uomo stravolto, ha il viso pallido e scarno, i capelli arruffati ma le labbra dischiuse in un mezzo sorriso. Sembra mi stia leggendo dentro, sembra possa udire i miei pensieri.

Ho paura. Il cuore mi batte all’impazzata.

Restiamo a guardarci, non posso staccare gli occhi da quella figura così enigmatica; avrà si e no cinquanta anni, ha delle belle spalle larghe e l’aspetto impettito come gli ufficiali di polizia che andavano e venivano da casa mia quando ero piccola.

 

-“Ah… finalmente è arrivato qualcuno!”-.

 

Il suo intervento mi lascia spiazzata. Strabuzzo gli occhi, scuoto un po’ la testa, forse non ho sentito bene.

 

-“Sa, io non ricordo perché sono qui. Sono felice di vederla qua, signorina. Lei sa perché sono qui?!”-.

 

Proprio come temevo, si tratta di uno squilibrato di prima categoria; sorrido, falsa, penso, penso a cosa posso dire ad un uomo appeso su un cornicione che non ricorda come vi è arrivato.

“I pazzi vanno sempre assecondati!”-. Questo, mi ripeteva sempre mia madre.

Per questo quando mio padre la convinse che era pazza davvero, si fece rinchiudere in manicomio.

 

-“Sicuramente ha sbagliato strada, magari voleva scendere e non ha fatto caso alle scale dietro le mie spalle.”-. Non so se regge, ma lui ci pensa, mi sorride.

-“Ci sono delle scale?!”-. Risponde sbalordito.

-“Sì, guardi…”-. Gli indico la rampa –“proprio lì, alle mi spalle! Se vuole, l’aiuto a scendere e ci andiamo insieme.”-.

-“Ah, vecchio rincoglionito! Ha ragione Betty quando dice che ho una pessima concentrazione!”-.

 

Gli sorrido, non so chi sia questa Betty, sinceramente sto entrando così nella parte che Betty potrei essere anche io.

Per un attimo sembra essere tornato serio, si guarda incerto le mani, poi alza il volto e mi sorride.

 

-“Sarebbe così gentile da dirmi che ore sono?!”-. Lo guardo, non posso replicare, devo essere accondiscendente.

-“Sono le dieci e mezza.”-.

-“C’è una chiesa qui vicino?!”-.

-“Più di una.”-.

-“Lei ha tempo per me?!”-.

-“Sono qui apposta. Prego, mi dia la mano, la faccio scendere e andiamo in chiesa insieme.”-.

 

Tentenna un attimo, poi allunga il braccio verso il mio.

Mi avvicino in un baleno, pochi attimi e potrebbe deconcentrarsi; lo aiuto a scavalcare, poi di peso lo tiro verso me.

Mi finisce fra le braccia, si alza immediatamente arrossendo un po’, poi si sistema i vestiti.

Lo tengo per mano, ci voltiamo verso le scale, trovando un mucchio di persone ad aspettarci.

Lui mi stringe la mano, poi si nasconde dietro le mie spalle; anche lui non ama la polizia.

 

-“Piacere signora, sono Luisa Miller, psicologa”-. Una donna mi stringe la mano, venendomi incontro –“complimenti è riuscita a destarlo, io stessa non avrei saputo fare di meglio!”-.Le sorrido falsamente, sorpassandola.

 

-“Signora deve lasciare una deposizione!”-. Un uomo in divisa mi blocca il passaggio. Come vorrei essere pazza anche io in questo momento!

-“Senta non ho nulla da depositare, questo è mio nonno, sa ha qualche problemino mentale, lo avevo affidato alla badante ma lo sa come sono queste straniere, sono delle sfruttatrici e basta! Si è distratta e lo ha lasciato solo. Fortunatamente sono arrivata in tempo.”-.

-“Si ma…”-.

-“Senta stiamo tutte e due bene, nessuno si è fatto male per cui non vorrei farle perdere del tempo prezioso. Questa città è piena di banditi!”-. Gli sorrido, se convinco anche lui, cambio mestiere all’istante!

-“La lascio andare stavolta, ma badi che non succeda più. E la straniera, vuole denunciarla?!”-.

-“Non si preoccupi starò più attenta. E per la denuncia lasciamo perdere. Arrivederci!”-.

 

Lo supero trascinandomi il “nonnetto” con me.

Questo mi sorride, sollevato, più sereno di prima; in un attimo, siamo sul fondo della strada.

La gente ci fissa, qualcuno batte le mani, qualcun altro prega; ma dura poco, dopo un po’ tutto torna alla normalità.

Siamo sotto al mio ufficio, dall’altro lato della strada; lo esorto ad entrare con me, ma lui resiste.

 

-“Eludere la legge è un reato grave. Se io vengo su con lei, quelli mi vengono a cercare.”-.

-“Ah! Ma io l’ho salvata! Dovrebbe essere riconoscente!”-. Adesso sono semplicemente me stessa, Sibilla.

-“Io non sopporto i luoghi chiusi. L’aspetto qua.”-.

-“Allora mi aspetti qui, ci metto pochissimo.”-.

 

Annuisce, solo allora mi decido a lasciarlo per rientrare in ufficio.

Una volta entrata, Lucia mi assale di domande.

 

-“Senti ti spiego tutto domani, adesso devo andare! Me lo firmi tu il permesso?!”-.

-“Lila sicura che è tutto a posto?!”-.

-“Sì, non ti preoccupare.”-.

-“Senti stai attenta, ok?! E va tranquilla, il permesso te lo firmo io.”-.

-“Ok, grazie! A domani Lù.”-.

 

Quando esco, sono stranamente felice, contenta.

Sembra non vedo l’ora di stare con un pazzo; infondo è così, non so cosa mi abbia fatto, ma voglio aiutarlo, capirlo.

E sono curiosa, e per un attimo le mie preoccupazioni non esistono più.

 

Ma giro l’angolo e di quell’ uomo, non c’è più traccia. Svanito.

Mi volto prima a destra, poi a sinistra; lo cerco, fra il vuoto, fra il niente.

Ma lui se n’è andato.

E una folata di vento alza polvere nel cielo e la deposita proprio lì, infondo al mio cuore, lasciandovi una tristezza che non avrei mai saputo spiegare. Mai.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** L'uomo che viene da lontano (parte2) ***


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aawaa L’UOMO CHE VIENE DA LONTANO aawaa

                                             (Parte2)

 

Lo cerco ancora un po’, percorrendo la via per qualche metro, nella speranza di vederlo; è solo, è stravolto, probabilmente non saprà neanche dove andare.

E poi è pazzo. E questo basta.

Però lo sto cercando, e non so nemmeno chi sia.

Perché lo sto cercando?! Perché me ne preoccupo tanto?!

Infondo potrei voltarmi, ritornare al mio lavoro, alla mia vita. Ma non posso.

Ha bisogno di me, lo sento. Forse, sono pazza anche io.

 

-“Signorina, hai idea di quanto mi ha fatto aspettare là fuori?!”-. Mi sbuca davanti, in mano ha un sacchetto; è della pasticceria all’angolo, quella dei bignè favolosi.

Lo guardo, non so che dirgli, mi lascia spiazzata ogni volta!

Però sono felice d’averlo ritrovato, infatti rido e la mano si posa dinnanzi alla bocca, “come fanno le brave signorine” mi diceva sempre la mia allevatrice, all’orfanotrofio.

 

-“Ero sicura d’averci messo giusto un po’!”-.

-“Eh no, non lo sa… ora che finisce di dire po’, sono già passati cinque minuti! Il tempo è tiranno!”-.

-“Però, vedo che lo ha speso molto bene il tempo in attesa!”-. Gli indico il sacchetto che stringe fra le mani, grandi e rovinate, dagli anni o da chissà quale loro compagno.

-“Sono biscotti. Vuole?! Betty dice sempre che finirò per ingrassare come un maiale, prima o poi!”-.

 

Betty, ancora lei. Chissà chi sarà mai questa donna.

Ora che lo guardo bene, ogni volta che nomina il suo nome torna serio; il suo sguardo ridente si spegne e quegli occhi piccoli si abbassano come una saracinesca, alla fine di una lunga giornata.

 

-“Sì grazie, molto volentieri!”-. Infilo la mia mano esile nel pacchetto, un biscotto al cioccolato mi riempie il palmo “questi, sono i miei preferiti!”-. Addento la meraviglia.

-“Vede?! La vita è un po’ come un pacchetto di biscotti, infila la mano, pesca quello giusto e tutto ha un altro gusto. Così, chi demorde nella vita non ha capito che basta sfidare la sorte, per trovare il giusto sapore.”-.

 

Lo guardo, cerco di carpire le sue parole.

Il biscotto si scioglie sulla mia lingua, regalandomi note di cioccolato dolce e denso.

Mi fermo pensando ai tempi in cui la mia vita assomigliava a quel sapore; io, Simone, la nostra vita… era una sfida! Ma eravamo felici, perché essa ci conduceva alla felicità.

E quando ho smesso di sfidare la vita, questa ha perso sapore.

 

-“Ha ragione lo sa! Credo ne comprerò un sacchetto anche io di questi biscotti buonissimi, chissà che non mi aiutino a migliorare le cose!”-.

-“Bene! Prima però vorrei trovare una chiesa, se non le dispiace…”-.

 

Ora cammina più spedito, fatico a stargli dietro, ma quando prendo il suo passo si ferma, all’istante; si guarda intorno, si tocca i capelli, poi mi fissa.

 

-“Forse è meglio che cammina lei davanti, io non conosco la strada.”-.

 

Non riesco a trattenermi! E’ troppo buffo, scoppio a ridere rigogliosamente.

Oh mamma, se me lo avessero detto che mi sarei trovata in mezzo alla strada, con un perfetto sconosciuto a ridere così, non ci avrei creduto!

 

-“Venga con me!”- Lo prendo sotto braccio, tracciando un nuovo cammino –“se passiamo di qui facciamo molto prima!”-.

-“Questa città è molto grande…”-.

-“Come ogni metropoli che si rispetti. Non c’era mai stato prima?!”-.

-“Betty si perderebbe sicuramente…”-.  Sfugge alla mia domanda, perdendosi ancora fra i suoi pensieri.

-“Oh sì, è probabile.”-.

 

Ci fermiamo; dinnanzi a noi, il parco che costeggia la chiesa si apre in tutta la sua meravigliosa bellezza.

 

-“Questa è la chiesa di S.Patrizio, una delle più importanti della città, se non la più grande!”-.

-“E’ molto bella, dice che possiamo stare un po’ nel giardino?!”-.

-“Certo! Anche se credevo volesse seguire una messa…”-.

-“Oh no! A quest’ora la mia Betty era abitudinaria andare in chiesa, così ovunque mi trovo sento il bisogno d’andarci anche io, così che mi possa illudere di vederla arrivare come un tempo.”-.

-“Doveva essere molto speciale questa Betty, se continua a cercarla a distanza di tempo.”-.

-“L’amavo molto.”-. Mi risponde serio, ma mi guarda spiegando un sorriso compiaciuto e sereno, facendomi cenno d’ addentrarci nel parco.

 

Amavo. Era.

Anche lui ha usato il passato. Anche la sua Betty, ERA sua.

Improvvisamente mi sento così vicina a quell’uomo, i dolori del mio cuore sembrano meno pesanti, come se fosse più semplice se a dividerli si è in due.

Camminiamo un po’, fin che non ci accomodiamo ai piedi di una grande fontana.

Il sole è alto, crea giochi di luce e riflessi con l’acqua e le vetrate colorate della chiesa; sembra tutto una festa, anche se c’è quiete intorno.

 

-“E lei, cos’ha nel cuore lei?!”-. Lo fisso serio, sorrido un po’ disabituata a sentirlo fare domande.

-“Io veramente non lo so.”-.

-“Ognuno sa cos’ha nel cuore! Persino lei!”-.

-“Confusione. Credo d’avere questo nel cuore…”-.

-“Ma no signorina, la confusione può stare solo qui…”-. Mi sfiora leggermente le tempie, innegabilmente mi ritrovo a sussultare. –“perché nel cuore non c’è posto per troppe cose!”-. Lo sento ridere, la cosa mi da un piacere estremo.

-“Allora non ho niente nel cuore.”-.

-“Le persone cattive non hanno niente nel cuore! E lei non assomiglia neanche lontanamente a una persona cattiva.”-.

-“Come può dirlo, lei non mi conosce!”-.

-“Non starei qui, se avessi percepito questo stia tranquilla!”-.

-“Ma è lei che mi ha portato qui! E non capisco neanche perché… mi scusi la franchezza.”-.

 

Parlo ridendo, ma in realtà sono seria.

Voglio sapere. Ci sono dentro come non credevo d’essere mai stata dentro, in vita mia.

E’ un enigma che devo sciogliere.

Una spiegazione a lui, che mi fa sentire così stranamente serena e appagata.

 

-“Sì che lo sa, stamattina lei ha sentito che avevo bisogno ed è accorsa in mio aiuto. E la strada per questo posto, scusi la franchezza, me l’ha indicata sempre lei!”-.

-“Lei è molto furbo… questo non glie lo ha mai detto la sua Betty?!”-.

-“Lei nel cuore ha sicuramente qualcosa di speciale, perchè è così forte da mandarle in confusione la mente. Se la liberasse, sicuramente se ne renderebbe conto!”-.

 

Glissa le mie domande, nuovamente.

Le sue parole mi turbano. Sembra mi scavi nella mente, ogni volta che apre bocca.

Adesso ho paura.

Ciò che dice è giusto, ma ciò che dice mi costringe a pensare, riflettere. Ed io non voglio.

Basta farmi del male, io non voglio più chiedermi il perché delle cose.

Mi alzo stizzita, gli urlo contro.

 

-“Ma lei chi è?! Perché è qui?! Cosa vuole da me!”-.

-“Si calmi, non faccia così troverà ogni risposta se libererà la testa dai pensieri…”-.

 

Si è alzato, mi tiene il volto fra le mani, non stringe, è una morsa delicata.

Sta massaggiando le mie tempie, piano, metodicamente.

Sento un fluido scorrermi lungo il corpo, dentro le vene che pulsano forte.

Chiudo gli occhi, mi lascio andare.

Il mio corpo è elettricità, immagini confuse della mia vita si rincorrono fra loro, giocando a una lotta senza armi.

Mi lascia andare.

Riapro gli occhi. Lo guardo intensamente nei suoi.

 

-“E tu chi sei?!”-. Parlo sussurrando, a fil di voce.

-“Nel mio paese, colui che salva la vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la mia vita ti appartiene.”-. Parla piano anche lui, il suo tono non è più informale.

-“Vieni da molto lontano, perché io questa legge non l’ho mai sentita.”-. Sorride.

-“Sono ciò che vuoi farmi essere, non preoccuparti delle forme. Ascolta e fai ciò che senti! Anche se tu hai sentito, che io avevo bisogno di te. Sibilla.”-.

 

Sibilla. Ha pronunciato il mio nome imperiosamente.

Ma lui come conosce il mio nome?!

Tremo. Adesso sì che ho davvero tanta paura.

Ma lui mi accarezza una guancia, amorevolmente; con il meno indica il cartellino identificativo dell’ufficio, appeso al colletto della mia camicia.

Lo guardo sospirando, dandomi della scema.

 

-“Io sono l’uomo che viene da lontano, non un indovino…”-.

 

Lo abbraccio, istintivamente. Mi sento meglio.

Ricambia il mio abbraccio, massaggiandomi dolcemente i capelli.

Odora di buono. Di sapienza. Di mistero.

 

-“Sì è fatta ora di andare a casa. Sono molto stanca. Vieni…”-. 

Gli allungo la mano. Annuisce.

 

Non so chi fosse, non so perché evadeva sempre dalle mie domande, ma provai un tale senso di protezione nei suoi confronti, che non potei far altro che portarlo via con me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Colpa, amore e pregiudizio ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

Prima di cominciare, vorrei ringraziare MALKONTENT per la sua recensione!

Sono molto contenta che la fic ti piaccia, a dispetto di tutto sono molto euforica per questa storia e trovare qualcuno che condiva questa euforia, mi va alla grande ^_-

Continua a seguirmi se vuoi! ^_-

MICHELLE che gioia ritrovarti! Mi fa sempre piacere leggere le tue recensioni!

Ebbene sì, rieccomi qua ^_^

Io proprio non ci riesco a stare lontana da questo sito ! ^-^’

 

 

aawaa COLPA, AMORE E PREGIUDIZIO  aawaa

 

 

Camminiamo di fianco stavolta, lui mi sfiora la spalla con la sua; sembra il mio proseguimento e mi diverte guardare le nostre due ombre mischiate fra loro!

Siamo stranamente silenziosi, non una sua pillola di saggezza, non una mia domanda evasiva. Nulla.

Ma nel silenzio c’è complicità, perché io lo sento, sento il suo respiro incerto e lo sfrigolio del tessuto della giacca contro i suoi fianchi, che scandisce alla perfezione il rumore dei suoi passi.

E quindi non c’è solitudine nel silenzio, perché io sono sintonizzata sulle sue frequenze.

 

-“Abiti molto lontano?!”-.  Mi fa lui, nel pieno del silenzio.

-“Non molto, siamo quasi arrivati.”-. Vorrei domandargli perché, ma tanto so già che non risponderebbe. Sorrido.

-“Quando ridi, il volto si rilassa e ti scopre due fossettine adorabili proprio qui…”-. Si stava toccando le guance, picchiettando leggermente, -“Anche Betty le aveva. Era molto bella sai?!”-.

-“Mi piacerebbe tanto  conoscerla questa Betty!”-.  Gli dico con entusiasmo infantile, poi dinnanzi a una vetrina mi specchio, controllando le mie fossette; anche Simone le adorava.

Adorava, sì.

Ora quando mi passa affianco sembra neanche notarmi; il suo sguardo o mi trapassa o mi schiva.

E non è certo esaltante come cosa, dopo tutti i soldi che spendo in cure di bellezza e cosmetici!

Oh mio Dio, sto ironizzando su me e Simone; devo essere impazzita….

 

-“Dai entra! Non restare lì impalato!”-.

Siamo sul pianerottolo di casa, la porta è spalancata ma lui resta fermo sull’uscio.

Tentenna, sembra impaurito. Allora lo prendo per mano, trascinandolo dentro.

 

-“Questa è casa mia!”-. Faccio una leggera piroetta su me stessa; vado molto fiera del mio piccolo e modesto nido! La verità è che Simone mi ha lasciato arredarla secondo il mio eccentrico e variegato gusto, lasciandomi libera di fare e strafare, perciò ne vado fiera, è il riflesso della mia personalità dalle pareti ai mobili! –“Mettiti pure comodo, vado a preparare un buon caffè.”-.

-“No caffè no, mi rende nervoso.”-.

-“Beh anche a me a dire il vero…”-.

-“Un the però lo gradirei. Grazie.”-.

 

Gli sorrido annuendo e recandomi in cucina; le chiavi di casa e il sacchetto di biscotti che ho comperato, scivolano sul tavolo in legno chiaro.

 

Sulla dispensa c’è un biglietto per me: “Stasera torno tardi, ho la partita di calcetto e sicuramente te n’eri dimenticata! Possibile che in ufficio non ti trovo mai? Un bacio, Simone.”

 

Lo stacco via, con forza e frustrazione; no! Le sue maledette partite di calcetto preferisco rimuoverle dalla testa, soprattutto perché stanno rubando del tempo prezioso da passare insieme, ultimamente. Non fa altro che scappare, neanche avessi la peste.

Il foglietto vola nel cestino, senza neanche troppi preamboli.

Apro il frigo e verso nei bicchieri un po’ di liquido rosastro, vagamente simile a the alla pesca; ritorno in sala e lui è affianco alle mie foto, le guarda teneramente, incuriosito da quei volti, da quelle espressioni.

 

-“Quello è Simone. Non so per quanto tempo ancora, comunque è mio marito!”-.

 

Si gira nella mia direzione, puntandomi i suoi occhi neri addosso; uno sguardo strano, d’ammonimento e duro.

Mi sento imbarazzata, mi siedo cercando di nascondere le mie gote arrossate fra i capelli folti.

 

-“In buona e in cattiva sorte… una formula recita così.”-. Si siede anche lui, ma nel farlo mi rifila una sua, neanche tanto sua, predica.

-“Più che una formula a me servirebbe una ricetta d’amore!”-.

-“E per fare cosa?! L’amore non è un testo scritto su un foglio di carta. E lì servirebbe a poco comunque.”-.

-“La situazione non è così semplice, io non so neanche perché l’ho tirato fuori questo discorso. Scusami ma non voglio annoiarti.”-.

-“La tua testa è così piena di pensieri inutili che hai annebbiato il cuore, gli hai fatto dimenticare come funziona!”-.

 

Ancora con la storia del cuore annebbiato; potessi farmi delle lastre al momento le farei! Sono proprio curiosa di vedere se il mio cuore è così malandato come dice.

E se lo fosse, quale medicina sarebbe meglio prendere; lasciarsi o restare.

 

-“La colpa non è mia, vorrei lo fosse ma non credo lo sia.”-.

-“In amore non ci sono colpe ma solo errori, che si possono evitare se vuoi.”-.

 

Alzo le spalle, scuoto un po’ il capo in cerca di afferrare questa sua ultima saggezza sull’amore; non ci sono colpe, possibile?!

Se scorrono le diapositive della mia storia con Simone, io vedo solo una serie infinita di colpe, errori certo sì, ma che conducono per forza di cose a un colpevole, piuttosto che ad un altro.

Io stessa mi sento la colpevole di questo naufragio e Simone è il mio errante.

Se non mi avesse voltato le spalle, io non lo eviterei.

Allora sarebbe meglio lasciarsi.

E così che inizia la fine. Tremendo gioco di parole, tremenda verità.

 

-“Stai ancora pensando?!”-.

 

Stacco gli occhi dalle foto, lontane, sul mobile in noce.

Annuisco, giocando a far scivolare il dito sul bordo liscio del bicchiere.

-“Perché pensi?! Prenditelo l’amore che vuoi!”-. Comincia a giocare anch’egli col bicchiere, seriamente concentrato –“voi ragazzi di nuova generazione non sapete quanto siete fortunati. Avete tutto a portata di mano, eppure neanche questa fortuna vi fa capire che alle volte anche un piccolo gesto può bastare.”-.

-“Ma chi te lo fa fare di perdere tempo con i miei problemi?! Guarda te l’ho detto, lascia stare.”-.

-“Tu perché hai perso tempo con me?!”-.

-“Non lo so. Ma non credo di aver perso tempo, questo sì.”-.

-“Idem.”-.

-“Ma io sono io, sono Sibilla. Tu invece chi sei?! E perché non rispondi mai a una domanda?!”-.

-“Odio i quiz.”-.

-“O hai paura d’affrontare un discorso?!”-.

-“Non c’è niente di timoroso nelle parole, è scoprirsi che fa paura. Ora ti ho risposto.”-. Ride, beffardo.

-“Se avessi avuto paura di scoprirti, non mi avresti seguito.”-.

 

Mi guarda enigmatico, si sistema i capelli, ricci e nero corvino.

Ha qualcosa di affascinante la sua presenza; mi incute paura e mistero, ma allo stesso tempo gaiezza e sicurezza.

Sibila qualcosa, ma non afferro una sola parola; il rumore metallico delle chiavi che girano nella serratura, ha distorto il silenzio.

Dopo pochi istanti, Simone appare sull’uscio della porta.

 

-“Ciao Lila.”-. Grida credendomi lontano da lì, poggia il suo borsone accanto al divano –“partita rimandata!”-. lasciandosi cadere giù, dando le spalle alla sala, ignaro di tutto.

Allora mi alzo, gli vado vicino.

-“Sono qui, non devi per forza gridare!”-.

Fa leva sulle braccia, con una faccia curiosa si alza.

-“Oh..”-. Si alza in piedi di botto, arrossendo appena accortosi di un’altra presenza in casa –“ oh scusa! E mi scusi anche lei, non l’avevo vista!”-. Si avvicina al mio uomo del mistero, stringendogli la mano.

-“Simone.”-.

-“Piacere.”-.

 

Piacere. Solo quello. Simone lo guarda aspettando un nome, un aggettivo o qualsiasi altra cosa servisse ad appellare quell’uomo, ma non ottenendo risposta sorride falso dirigendosi in cucina.

Ovviamente mi fulmina con lo sguardo.

Se sapesse che è tutta la mattina che cerco di farlo parlare, avrebbe poco da fulminare!

Mi scuso, e lo raggiungo.

 

-“Possibile che delle tue partite non possa fare a meno?!”-. Gli sussurro stando ben attenta a non farmi sentire.

-“Mi sembra d’averti appena detto che è stata rimandata. Chi è quello?!”-.

-“Simone è il principio! Mi avevi promesso di passare un po’ più di tempo insieme!”-.

-“Sibilla mi dispiace, lo sai quanto ci tengono i ragazzi alle partite del lunedì sera! Insomma, chi è quello?!”-.

-“Ah sì?! E a quelle del mercoledì?! A quelle del sabato?! Anche a quelle tengono?! A me invece chi ci tiene?!”-.

-“Non farne una tragedia adesso! E poi anche tu sei occupata, o mi sbaglio?! Ma chi è quel tipo me lo dici sì o no ?!”-.

-“Ma che ne so io!!!”-.

-“Dovevo avvertirti lo so. Ma questo chi è, l’uomo del mistero che non si può sapere come si chiama?!”-.

-“Simone, io non lo so.”-.

-“Ah bene. Abbiamo un uomo in salotto che non solo non si presenta, non sappiamo nemmeno chi sia! Sibilla, sei impazzita?!”-.

-“Non lo so davvero.”-. Adesso mi guarda serio, mi stringe le spalle mettendomi a sedere.

-“Chi lo ha fatto entrare?!”-.

-“Io.”-.

-“Ecco, allora lo sai chi è.”-.

-“Simone non è così semplice la questione.”-.

-“Spiegati allora, però aspetta”- prende una sedia venendomi di fianco –“fammi sedere perché ho come la sensazione che non sia una storia molto felice.”-. Ride, e la sua risata mi da ai nervi.

-“Ma di che ti preoccupi, scusa! Non è mica un mostro!”-.

-“Ma se hai detto che non lo conosci!”-.

-“Non conosco il suo nome, ma non credo sia pericoloso.”-.

 

Lo vedo fissare i suoi occhi verdi nei miei.

Non sta capendo, sbuffa, prendendosi il volto fra le mani.

Odio quando mi guarda così, nei suoi occhi vedo scorrere pensieri innominabili; forse penserà che sono pazza, con tutte le mie incoerenze, le mie follie.

Odio pensare che pensi che io sia pazza.

Allora mi caccio qualcosa di bocca, strozzando qualche parola qua e là, per farle divenire più corpose poi, quando gli racconto tutto dell’uomo del mistero.

 

-“Non sa dove andare, allora l’ho portato qui. Ecco tutto.”-.

 

Scuote la testa, ridendo falsamente, ironico e arcigno.

Si alza in piedi, tirando la sedia via, con un colpo secco.

 

-“Cioè vuoi dirmi che ti sei portata dentro casa un pazzo suicida, che sembra raggirare ogni tua domanda sensata, rifilandoti pillole di saggezza, solo perché non sa dove andare?! Sibilla, tu non stai bene…”-.

-“Ti ho già detto che non è cattivo.”-.

-“Ma tu che ne sai!”-. Alza un po’ la voce, gli intimo di abbassarla, ma prosegue senza darmi ascolto –“ per me può anche essere un maniaco, uno stupratore, uno psicotico! Ma poi ti sei bevuta il cervello?! Eludere la legge, portarlo qui, lo sai che se quello fa una cazzata ci passiamo di mezzo?!”-.

-“Adesso smettila! Mi stai facendo paura!”-. Mi alzo dalla sedia anche io, giocando nervosamente con le mani –“Te l’ho detto, non è cattivo.”-.

-“E vuoi tenerlo qui magari?!”-.

-“Ma sì, per una notte, almeno fino a quando non gli trovo una sistemazione adeguata.”-.

-“Dovevi lasciarlo dov’era! Tu non sei la sua badante!”-.

-“Ma come fai ad essere così egoista?! Come riesci a fregartene sempre e di tutto e di tutti?!”-.

-“Lo fai apposta eh?!”-. Ride, mordendo una mela –“dai, dillo che lo fai apposta. Tu vuoi farmi pagare il fatto che non sto con te, che non ci metto impegno, che non riesco a darti il figlio che vuoi… ammetti che questa è la tua punizione, perché io non posso credere che tu sia arrivata a questi livelli!”- poi la getta via, tornando a urlarmi in viso.

Lo guardo con disprezzo, rabbia, indignazione.

Come può pensare una cosa simile. Come ?!

 

-“La verità è che un vecchio pazzo ha avuto pietà di me, uno sconosciuto! Tu che vivi con me da una vita, che mi conosci meglio di chiunque altro, tu, mi hai abbandonata, lasciata sola.”-.

-“Un vecchio pazzo, sì. Ma la tua vita è così, se uno non è squilibrato non riesce ad arrivare a te.”-.

 

Sento gli occhi inondarsi di lacrime, lo guardo scuotendo un po’ il capo, ferita come solo il marchio a fuoco della brutale verità, può fare.

Lo vedo portarsi una mano alla bocca, allungarmi le braccia, chiedermi scusa; ma il mio corpo si divincola, si dimena da quelle braccia che non sente più familiari e scappa.

Via, lontano. Fuori di là, fuori da quella casa.

 

Passo veloce dinnanzi al mio uomo del mistero, che mi guarda afflitto, dispiaciuto.

So che ha sentito, mi fermo un attimo ricambiando quegli sguardi.

Ma il dolore è troppo, non resisto, non riesco a trattenere quel dolore animale.

Apro di getto la porta e mi butto fra le scale.

Adesso non importa chi è il colpevole o qual è la colpa. Adesso l’importante è fuggire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Ricordi ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

Bene- bene! Una nuova recensitrice nella mia fic!

Fteli, ti ringrazio moltissimo per aver lasciato un segno del tuo passaggio!

Spero di ritrovarti presto!

Michelle come sempre sei troppo carina e gentile, ti ringrazio per aver giudicato le mie storie bellissime!

Malkontent ti dico che tu sei volata fra le mie recensitici preferite Invece ^_^ ; hai colto nel segno lo spirito della storia, ed è sempre un piacere quando accade per chi le scrive!

 

 

aawaa RICORDI aawaa

 

Chap n.5

 

 

La sera è appena calata, mentre corro per le strade vuote della mia città posso sentire l’odore forte dell’umidità, entrarmi nelle narici.

E’ un odore forte, che penetra in fondo, come certi dolori.

Che non vanno via certo con il levar del sole.

Mi perdo di vicolo in vicolo, lasciandomi inghiottire da quell’ assurdo silenzio, rotto solo dal rumore pesante dei  miei passi; tutto ciò che vorrei adesso è farmi inghiottire da un buco nero.

 

Ma cosa succede al mio corpo?!

Sento che è andato avanti nella sua folle corsa disperata, ma la realtà è che è trattenuto da una forza violenta, proprio dietro le mie spalle; mi volto, quell’uomo mi ha seguita.

E mi ha presa, per una manica. Stringe.

Mi tiene ferma, vorrei continuare, ma sono stanca non riesco ad oppormi.

Allora mi lascio andare, e il mio peso gli finisce contro; ma non mi scansa, nemmeno quando gli batto forte i pugni contro il petto, nemmeno quando il pianto si fa isterico e singhiozzante.

Lui mi tiene lì, ferma fra le sue braccia.

 

-“Ogni lacrima è una perla restituita alla terra e tu sei preziosa come quella pietra che porti negli occhi, bimba mia.”-. Mi sussurra dolcemente in un orecchio, carezzandomi i capelli.

-“Oh mio Dio! Sono ridotta proprio male…”-. Ho smesso di piangere, per un momento credo di sentirmi meglio, merito sicuramente delle sue parole e il suo calore –“ se mi hai seguito, singhiozzante, in una strada buia! Devo farti proprio pena…”-.

-“Sai chi mi faceva davvero pena?!”-. Mi guarda, aspettando risposta.

-“No.”-. L’accontento.

-“Chaki, il mio cane! Ma poverino, lui era ceco e zoppo!”.-.

-“Ma tu ne sai una più del diavolo…”-. Scuoto il capo, ridendo.

-“Non ho sessanta anni per niente!”-.

 

Fregato!

Lo guardo negli occhi, bene- bene, sa di aver scucito un pezzo di se, per questo ride anch’egli.

Mi prende per mano, conducendomi nell’antro di un giardino alle nostre spalle; uno degli innumerevoli, della mia città.

Lo seguo, in silenzio, perché ormai lo so che con lui non servono troppe parole.

Entriamo, timorosi e silenziosi. Complici.

C’è un odore buono, d’aranci, velato appena- appena.

Questo odore mi è familiare, riporta indietro la mia mente a una sera lontana- lontana…

Faccio mia questa fragranza così dolce e rasserenante, lasciandomi condurre in una meritata quiete e pace.

Ma dura poco, ci fermiamo dinnanzi ad una terrazza, da dove si scorge un crepuscolo di città non ancora addormentata, piena di luci piccole ma scintillanti; ora ricordo!  E non posso far altro che lasciarmi andare in un sospiro estasiato, accompagnato da qualche lacrima che dispettosa comincia a rigarmi il volto.

 

-“Mi dispiace.”-. Mi fa d’un tratto, appoggiando la sua mano sulla mia, come se avesse capito.

-“Romantico vero?! Diceva che questo era l’unico posto veramente meritevole, dove poteva chiedermi di sposarlo. Non avrei mai pensato di tornarci un anno dopo, sola.”-. E giù ancora lacrime, e giù ancora singhiozzi.

-“Ma tu non sei sola, Sibilla.”-.

 

Tenta di abbracciarmi, ma mi divincolo.

Infondo chi è lui, per dirmi che non sono sola?!

Lui è entrato da poco meno di un giorno nella mia vita, e pretende di sapere come mi sono sentita in questi mesi?!

No, nessuno sa quanto è brutto il declino di una storia d’amore, se non ci si ritrova dentro.

 

-“Tu non sai niente di come mi sento io. Niente!”-. Improvvisamente mi ritrovo ad urlare.

-“Sento la tua disperazione e questa diventa la mia!”-.

-“Ma cosa vuoi da me?! Sai, Simone ha ragione a dire  che sono una pazza! Ha ragione quando dice che mi contorno di pazzi!”-. Mi allontano un po’, da quel posto, da lui.

-“Tu devi dirmi cosa vuoi da me! Sei tu che hai deciso di metterti in contatto con me stamattina! Mi hai portato con te, nella tua casa, nella tua vita! Io lo so perché sono qui ora, adesso tocca a te scoprire perché anche tu ci stai. ”-. Maledico i suoi giochetti verbali, mi adiro, stringo i pugni non volendo ammettere la verità.

-“Sono stufa di parlare per enigmi, sai che ti dico?! Che me ne vado. Addio. Ciao!”-.

 

Sono in preda ad una vera e propria crisi di nervi, credevo che la sua presenza mi aiutasse in qualche modo a non pensare, ma adesso la sento pesante, asfissiante.

Lui dice il vero, dice sempre il vero e la verità adesso è ripugnante, la rifiuto, la rinnego.

 

-“Scappare non ti serve a niente, Sibilla.”-.

-“Non pronunciare più il nome, se non sono degna nemmeno di sapere il tuo!”-.

 

Cammino svelta, cercando di allontanarmi il più possibile dal parco, dal buio per raggiungere finalmente  un’uscita.

 

-“Victor. Mi chiamo Victor.”-.

 

Sento che si ferma, le foglie cadute in terra non sfrigolano più sotto ai suoi passi; allora mi fermo anche io, so che questa è una prova di fiducia.

Lui ne da un po’ a me, ed io non scappando ne do un po’ a lui.

 

-“Bene! Un intero giorno per sapere il tuo nome… non oso immaginare i mesi che ci vorranno prima che tu mi dica qualcosa della tua vita! Comunque non è un male, ho tutto il tempo del mondo, nessuno mi aspetta!”-. Incrocio le braccia, imbronciata.

 

Ride. All’inizio penso mi stia prendendo in giro, poi lo vedo piegarsi su se stesso e trasformare la sua risatina in qualcosa di rigoglioso e spumeggiante.

Mi piace il suo modo di ridere, d’un tratto mi sembra sia ritornata anche la mia attrazione verso la sua figura.

 

-“Scusa, cosa hai da ridere?!”-.

-“Nulla, sei davvero divertente.”-.

-“Fantastico! Accorrete gente, abbiamo la giullare del parco!”-.

 

Questo lo fa ridere ancora di più.

 

-“Ah… va al diavolo!”-. Lo mando a quel paese agitando le bracci al cielo, sconfitta e derisa mi allontano di nuovo.

 

-“E se ti dicessi che ci sono già stato?!”-. Mi rincorre e riafferra da dietro, di nuovo.

-“Ti crederei.”-. Lo guardo nel profondo degli occhi, riesco a leggere anche nella sua anima.

-“Aiutami Sibilla. Io ho bisogno di te.”-.

-“Io non so che fare…”-. Sussurro, lo vedo tremare, socchiudere gli occhi per poi riaprirli e buttarli in un punto lontano, dinnanzi a se.

-“Ecco, credo sia venuto il momento di parlarti di Betty…”-. Allenta la presa, gli sento la mano scivolare piano, lungo il fianco.

Lo fisso, adesso sorrido appagata e felice.

Lo prendo verso me, ci sediamo su di una panchina e occhi negli occhi, comincia a parlare.

Piano, lento, concitato e maledettamente ipnotizzante.

Mi racconta la sua vita, e i brividi saltano sulla mia pelle come biglie impazzite.

 

Dice di venir da lontano, un paese sperduto nella steppa americana , a metà tra far west e villaggio indiano.

La sua era una famiglia numerosa, di povera gente umile e lavoratrice; viveva con la madre e le sorelle, lui era l’ultimo di quattro figli.

La loro situazione non era delle più felici, e quando sua madre morì di tubercolosi lui e le sue sorelle vennero sbattuti in collegio.

Suo padre, vecchio ubriacone molesto, li abbandonò sperdendosi per il vasto continente. Victor dice di essere sicuro che quell’ anima così crudele ancora è in vita, dice di sentire ancora le sue urla la notte, quando è solo e non riesce a dormire.

Aveva sette anni, quando finì in un istituto per ragazzi orfani; mi si stringe il cuore, anche io avevo la sua stessa età quando fui “spedita” in collegio. Coincidenze, terribili.

Lì, conobbe la “sua” Elisabeth. Betty.

Furono da subito, dal primo sguardo, inseparabili.

Betty era la sua migliore amica, compagna d’avventure, di piccole marachelle, complice nell’aspro destino che la vita aveva scelto per loro; soli, piccoli, senza l’affetto dei genitori.

Victor la descrive come una graziosa bimbetta dai lunghi boccoli rossi, carattere vivace, risata gaia.

Una bellissima bambina, trasformatasi poi negli anni, in una bellissima donna; passarono parte dell’adolescenza fianco a fianco, fra libri di scuola, pic-nic sotto alle fresche fronde di salici piangenti condividendo sempre la stessa aria.

Erano legati da qualcosa di magico, il loro rapporto era vivo, scherzoso, fraterno quasi.

Ma più Betty cresceva, più diventava emblema di desiderio; la sua bellezza era acerba, inviolata, condita da una grazia e portamento innato, per non parlare poi della sua intelligenza acuta, vispa.

Il passo verso l’innamoramento, fu quindi breve.

Non mi racconta se fosse mai stato ricambiato o meno, parla di questo amore come qualcosa di platonico, astratto a tratti.

La vedeva come un angelo al quale non avvicinarsi troppo, per non rischiare di sciuparlo o contaminarlo.

Ma come nelle migliori favole d’amore, il destino si mette in mezzo ricamando la sua triste trama; Betty venne adottata da una famiglia d’alta borghesia che la portò via con se, in Europa.

L’ultima volta che Vic la vide, aveva diciotto anni, il sogno di diventare medico e di rincontrarsi prima o poi, da grandi.

Fu distrutto dalla sua partenza, non solo se ne andava via una parte importante della sua vita, ma si ritrovava ancora una volta solo.

L’unico sostegno della sua triste e infelice vita se ne stava andando per sempre

Non aveva più nulla per  cui restare, quindi, fece domanda per l’esercito e si arruolò.

Pilota aeronautico; almeno aveva la possibilità di girare il mondo in lungo e largo e far diventare il sogno che portava nel cuore, di rivederla, una certezza fantastica.

Inutile dire che di lei, non ebbe più alcuna traccia.

Betty venne ingoiata in un futuro che cancellava con un colpo di spugna il passato dell’infanzia, dei pic-nic sotto agli alberi e delle risate adolescenziali.

 

-“Chissà se la rincontrerò mai…”-.

 

Finisce il suo racconto con questa speranza, fra i miei occhi lucidi e il silenzio del parco addormentato.

 

-“Tu devi aiutarmi a ritrovarla.”-. Mi fa, distendendosi piano sulla panchina. E’ tutto rannicchiato, mi fa tenerezza guardarlo afflitto e sconsolato –“sono stanco di girare per il mondo.”-.

-“Farò tutto il possibile, credimi.”-.

-“Sibilla se tu mi aiuterai, io aiuterò te. Ma adesso è meglio se vai… Simone si starà preoccupando.”-.

-“Non lo so.”-.

-“Sarà dispiaciuto per quello che ti ha detto, non farlo preoccupare oltre, va da lui e digli che tutto si risolverà per il meglio.”-.

-“E se così non fosse?!”-.

-“Fa che sia così. Non perdere il tuo amore Sibilla, non farlo anche tu.”-.

 

A questo punto, non so più che dire, mi alzo dalla panchina, sistemandomi alla meglio; lo scruto, rimane fermo immobile a guardare il cielo sopra la sua testa.

E’ un bel vedere, ma non posso immaginare che voglia rimanere qui.

 

-“Ti prego, vieni a casa con me.”-.

-“Avete bisogno di tranquillità e armonia, bambina. Io sto qua, non mi può succedere nulla! Sono già morto da un pezzo…”-.

-“Sì ma…”-.

-“Ci vediamo domani. Buonanotte.”-.

 

Non ho mai capito bene cosa intendesse con l’aiutarmi., io non avevo mai chiesto il suo aiuto, certo  infondo al cuore sapevo di volerne un po’ anche io, ma non avevo mai osato chiedere.

Ma lui sapeva, lui ascoltava le mie frequenze, non aveva bisogno di sentirsi dir nulla, perché dare, poi il tempo me ne dette atto, era il suo bellissimo compito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Nuvole e lenzuola ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

Bene bene!

Un nuovo lettore nella mia fiction!

Che piacere, Lukos averti fra i miei lettori!

Spero di non deludere le tue aspettative, intanto ti ringrazio per aver lasciato un commento.

kiss

 

 

 

aawaa NUVOLE E LENZUOLA aawaa

 

Chap n.6

 

 

Esco dal parco piuttosto preoccupata per Victor; lasciarlo solo, abbandonato a se stesso, mi fa sentire tremendamente in colpa.

Forse c’è riuscito davvero, forse ha avuto ragione anche su questo; sto cominciando a fare mia la sua vita, la sua storia, e questa mia preoccupazione è il chiaro sintomo dell’attaccamento inspiegabile, che continuo ad avere nei suoi confronti.

Ma adesso forse, un motivo c’è.

Lui è così simile a me, il suo passato è corso veloce su una linea molto uguale alla mia.

Ed io lo so cos’è quello sguardo sempre triste e vago che lo caratterizza ed io so perché è così difficile fidarsi del prossimo; sguardo di un bambino che ha visto i suoi genitori strappati dalla sua vita, sguardo speranzoso di rivederli ancora una volta, sguardo di un uomo che ha perso l’amore, diffidenza verso il prossimo per timore di essere abbandonato nuovamente.

Ma lui si è fidato di me, ed io certo non posso abbandonarlo.

 

Fra un pensiero e l’altro, mi ritrovo sotto casa, senza accorgermene.

Esito a salire, provo un innato senso di paura e vergogna; sono scappata, come faccio sempre da una vita, con lui.

Anche stavolta non ho avuto il coraggio di restare, affrontarlo e con Simone anche le mie paure.

Le parole di Victor balenano nella mia mente, quasi d’improvviso; prenditelo l’amore che vuoi, mi ha detto.

E così farò, salirò su, gli dirò di restare con me, e che tutto passerà.

Simone capirà, si infondo lui mi ama e per questo capirà.

 

Salgo le scale del palazzo di fretta, piena di speranza, di fiducia.

E d’amore, sì d’amore. Perché infondo io Simone lo amo ancora tanto.

Apro la porta piano, non voglio svegliarlo qualora dormisse, anche se nel cuore prego sia sveglio.

Voglio toccarlo, parlargli, guardarlo. Io lo voglio.

 

-“Sibilla, sei tu?!”-. E’ steso sul divano, semi appisolato, con una vecchia coperta a coprirgli le gambe e il telecomando abbandonato lungo un fianco –“Oddio mi hai fatto preoccupare!”-. Si alza venendomi incontro. Mi abbraccia. Resto immobile, tesa.

Mi sciolgo solo quando le sue mani contornano il mio viso, e leggo nei suoi occhi la paura per me.

Allora sospiro, buttandogli le braccia al collo, saltandogli addosso con impeto violento; lo bacio sul collo con avidità e passione, fra una lacrima dolce-amara che cola sulla mia guancia e il respiro che si fa sempre più affannoso e desideroso, come il folle pensiero di volerlo dentro me, tutta la notte.

Lui ricambia i baci, posso sentire la stessa passione sbattermi addosso, mi prende il viso fra le mani, cerca di rubare la magia dai miei occhi, ma non riesce a fare altro che farsi trasportare dalla passione.

E mi ama, mi domina, mi prende, per tutta la notte. Come volevo, come ha voluto.

 

-“Sei fantastica…”-. Mi dice, quando stremati e abbattuti dall’amore, ci lasciamo andare.

-“Vedi cosa ti perdi, quando sei lì a dare calci a un pallone?!”-. Rido, tirando le lenzuola fin sopra al naso.

-“Ah, brutta bimba cattiva…”-. Si gira e in mezzo secondo mi è sopra di nuovo –“cosa sono queste sconcerie?!”-. Non mi da il tempo di rispondere, coprendo le mie labbra con le sue. Morbide, sensuali, languide. Poi continua a parlare.

-“Mi dispiace, tanto. Non volevo trattarti male.”-.

-“Non pensarci, quel che è stato è stato..”-.

-“Ma lui, dov’è?!”-.

-“Chi, Victor?!”-. Mi guarda, cela un sorriso malizioso scuotendo un po’ il capo –“diciamo che voleva lasciarci in intimità. Chissà cosa intendeva…”-. Lo guardo maliziosa a mia volta, sorridendo.

-“Già, chissà…”-.

Coglie la provocazione, facendomi sua nuovamente e ripetutamente.

La notte vola così, fra le coperte bianche scomposte e i nostri corpi aggrovigliati in un abbraccio intenso e coinvolgente.

****

 

-“Oh, scusa ti ho svegliato…”-.

Apro gli occhi, fuori è già mattino.

Il sole sbatte contro le tapparelle semi abbassate, la stanza è inondata da una calda luce dorata, nonostante quella palla gigante sia coperta da nuvole e Simone, lui così pigro e dormiglione, già è in piedi.

 

-“Già sveglio?!”-. Mi alzo, afferrando l’orologio sul comodino.

-“C’è del caffè in cucina, pronto e in tazza.”-. Non risponde alla mia domanda, biascica qualcosa di molto vago. Allora mi soffermo ad osservarlo; sembra vada di corsa, la camicia è bianca sbottonata e una cravatta appoggiata al collo resta in attesa d’essere annodata.

Alzo le spalle, dirigendomi verso il mio caffè.

E’ alzandomi che noto quella valigia; ripiegata sul divano, con i vestiti perfettamente piegati, tipico del suo ordine maniacale verso la perfezione.

Non mi rendo subito conto della situazione, passo avanti ma non appena realizzato, mi fermo.

Una valigia, quella valigia. La valigia dei viaggi, delle partenze, delle… delle fughe.

Sì, sì, sì. Come ho fatto a non pensarci, Simone non si fa mai spostare per i viaggi di lavoro, Simone è troppo pigro per partecipare a delle conferenze.

Simone sta scappando.

Il cuore batta all’impazzata, credo d’essere diventata paonazza in volto in un secondo.

 

-“Cos’ è quella?!”-. Corro verso la nostra stanza, lo trovo ancora lì che traffica nel suo comodino; lo tiro per un braccio, attirando la sua attenzione.

-“E’ una valigia.”-. Furbo, maledettamente furbo.

-“Simone per piacere non cominciare! Dove stai andando?!”-.

-“Senti Sibilla, mi dispiace forse dovevo dirtelo prima ma non abbiamo avuto modo di parlare e… e….”-.

-“Cosa stai blaterando?! Dove stai andando Simone?!”-.

-“Allora, non è semplice io… io me ne sto andando. Vado da mia madre sì, starò via per un po’, a casa sua.”-.

-“Perchè?!”-. La voce mi muore in gola. Sto per piangere, lo sento.

-“Per riflettere, per prendermi una pausa da tutto ciò. Ho bisogno d’aria, ho bisogno di stare solo.”-.

 

Le sue parole sono pallottole roventi che bruciano la mia pelle.

E mi trapassano.

Se ne sta andando, se ne sta andando. Il mio cervello non è capace di pulsare altro.

 

-“Ma come, dopo stanotte?! Io credevo…”-.

-“..che si sarebbe sistemato tutto?! Dio Sibilla come puoi essere così… così… ingenua?! Tu credi davvero che basti una notte d’amore per risolvere tutto?! Io sono ancora infuriato con te, ci sono ancora troppe cose che non riesco a capire e che non mi vanno giù!”-.

-“Ed è scappando che le risolverai queste tue cose?!”-. Mando giù il mio boccone di lacrime, non posso piangere, non posso permettere al mio assassino altre lacrime.

La sua calma e razionalità mi fa venire il volta stomaco, giro e rigiro su me stessa, non riuscendo a capire se la mia freddezza sia altrettanto vomitevole.

Come se me lo aspettassi, come se questo momento dovesse essere già scritto nel mio cuore.

-“Vuoi parlare di fughe proprio tu?! Sibilla la verità è che nessuno dei due ha più nulla da dirsi. Scappare è più semplice.”-.

-“Tu hai fatto l’amore con me stanotte. Non ha significato nulla per te?!”-.

-“E’ per questo che me ne vado; voglio risolvere i miei problemi personali per ritornare pulito e nuovo da te, verso questa passione e amore che ancora c’è, e che ho sentito ieri notte.”-.

-“Non mi troverai Simone. Tu non mi troverai.”-.

-“E’ il rischio che devo correre. Adesso scusa, devo andare il taxi mi aspetta.”-.

 

Si allontana da me, come la fine dell’estate per uno studente che deve ritornare a scuola.

Sono vuota, inerme, spenta.

Continuo a fissare il vuoto, e nemmeno il tonfo della porta desta dentro me qualcosa.

Nulla, niente.

Riesco solo ad alzare il telefono, parlare con Lucia prendendomi quelle famose ferie arretrate ed abbandonarmi fra le lenzuola, che profumano ancora della sua pelle.

No, non posso piangere.

 

Riesco a chiudere gli occhi per un po’, sogno forse.

Ho visto l’ombra di un uomo, che mi tocca una guancia sorridendomi.

Vorrei fosse Simone, cerco di trovare in quegli occhi i suoi, ma quest’uomo non si scopre.

Sorride ancora.

E quel sorriso è familiare… .

Mi alzo all’improvviso; ho sentito un fastidio allo stomaco, come un crampo che percorre le viscere, tumultuandoti tutta.

Un fastidio maledetto, poi guardo l’orologio, sono le undici passate.

Mi porto una mano alla bocca… .

 

-“Victor!”-. Esclamo, prima di lanciarmi sull’armadio per vestirmi.

 

 

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Capitolo 7
*** Quando l'amore ripaga ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

Me troppo felice, davvero! ^_^

Sono contenta che mano a mano si aggiungano nuovi lettori a questa mia ficcy.

All’inizio, quando pubblicavo i primi capitoli ero piuttosto perplessa sul risultato della storia in per se; credevo fosse un tema troppo ambiguo, per essere apprezzato nella categoria romantico, e troppo sdolcinato per rappresentare un’altra qualsiasi categoria.

Invece, con mio sommo piacere, riscontro parecchi pareri positivi; grazie, grazie di cuore a tutti!

A te Michelle, che sei da sempre la mia portavoce personale ^_- non posso che dirti che non ti devi preoccupare se non hai tempo da perdere con le recensioni! Sono contenta già  che ti ci dedichi ^_-

E a te Zia Esmy, per le parole usate nel descrivere la storia. Grazie di cuore!

kiss

 

 

 

aawaa QUANDO L’AMORE RIPAGA aawaa

 

Chap n.7

 

 

Sono fuori in strada, cammino a rilento, affaticata e stremata; fuori  c’è un inaspettata calura, nonostante sia ancora troppo presto per parlare di primavera.

E mi lascio portare dalle strade ormai familiari, centimetro per centimetro di una vita passata a percorrerle, con tutti gli stati d’animo addosso.

Oggi sto male, sono triste, delusa.

Eppure il mio cuore è così imbottito da non sentire più alcun dolore.

Sono ancora viva?!

Io, proprio io, che ho fatto di una commedia la mia intera vita?!

Io proprio io, che se sommassi le lacrime che ho versato, potrei contenere l’intero oceano?!

E allora mi do un pizzico; la mia pelle diafana s’arrossa in un secondo, formando delle macchioline rosacee per tutta la superficie.

Sì, sono viva.

Anche perché, prima di morire devo assolutamente consegnare un qualcosa di molto speciale, al mio caro amico speciale.

E ce l’ho qui, proprio fra le mani! Che tengono strette, un pezzo di carta scarabocchiato da alcuni appunti, note, e riferimenti; prima d’uscire di casa, mi sono collegata su internet per delle ricerche importanti.

Ho cercato di trovare Betty.

E’ stato difficile, le indicazioni e i ricordi di Victor sono piuttosto sbiaditi e lontani, ma alla fine ce l’ho fatta.

Questa è la chiave della memoria. E’ la chiave dei ricordi.

Ora sono più felice.

Il pensiero del suo sorriso e della faccia da ebete che metterà in volto quando gli racconterò tutto, mi rende gioiosa.

 

-“Oh, mi scusi!”-. Qualcosa, o meglio dire qualcuno, mi urta mentre cerco d’attraversare un ingombrante marciapiede affollato. Mi giro per guardarlo meglio, sorrido.

-“Victor!”-.

-“Oh, Sibilla!”-. Rallenta la sua corsa, mettendosi al paro con il mio passo.

-“Stavo venendo giusto da te.”-.

-“Ed io stavo giusto tornando al parco per farmi trovare, da te! Scusami, ma non ho saputo resistere a quei fantastici biscotti dell’altro giorno!”-. E’ buffo, è divertente.

Tutto sporco di cacao e il viso contento come quello di un bambino con un lecca-lecca in mano.

-“Figurati, anzi già che ci sei…”-. Allungo invadente una mano nel suo sacchetto –“non ho nemmeno fatto colazione!”-. E addento così una delle meraviglie al cioccolato che Victor stringe fra le mani.

-“Senti, ho preso un po’ di giorni liberi, ho deciso che voglio darti una mano.”-.

-“Dici sul serio?!”-. D’improvviso i biscotti e il sacchetto none esistono più, mi guarda estasiato, felice.

Annuisco porgendogli fra le mani un foglietto ripiegato in quattro, che avevo tanta premura di consegnargli.

 

-“Ci sono un po’ d’informazioni sulla tua Betty.”-. Gli indico d’aprire il foglietto, ma lui rimane impalato a fissarlo. Stenta a credere che finalmente avrebbe saputo qualcosa, qualsiasi cosa sulla sua amata.

-“Ti prego, dimmi tu a voce. Non ho il coraggio d’aprirlo.”-. Me lo riconsegna, sembra teso e nervoso.

-“Va bene, ma troviamo un posto dove sederci.”-.

 

Ci accomodiamo sotto agli alberi, mi sfilo la giacca e l’appoggio sul prato curato di una piazzola a poca distanza da noi.

Fa caldo, immensamente caldo.

Mi guarda impaziente, puntando i suoi piccoli occhi neri incerti.

 

-“Sai, da quello che sono riuscita a scoprire, sembra viva in Austria. E’ lì che è stata adottata dalla famiglia che la vennero a prendere quando era ragazza e sempre lì ha deciso di continuare a vivere poi. La sua famiglia è una famiglia di medici sai?! Probabilmente avrà coronato il suo sogno.”-. Gli sorrido, vedo aprirne uno grande e disteso sulle sue labbra. –“ha una famiglia molto numerosa e influente nel suo paese, della ricca borghesia se non ho capito male.”-.

-“Sicuramente sarà un’elegante donna borghese. Dovevi vederla quanto era fine già da ragazzina.”-.

-“Non vedo l’ora di conoscerla.”-.

-“Co- conoscerla?!”-. Mi fissa serio, incerto se ha capito o meno cosa intendo dire.

-“Sì, conoscerla. Di persona! Ho fatto già i biglietti, sono lì, proprio nelle tue mani.”-.

Apre il foglio, dentro ci sono ripiegati due biglietti andata/ritorno per L’Austria.

Li stringe fra le mani, comincia a fissare il vuoto, mugolando qualcosa di incomprensibile.

Non sembra sia un lamento. Ma forse lo è.

Credo sia maledettamente insopportabile al cuore la sensazione di poter rifar tua una persona che credevi ormai persa. Dolce sensazione ma straziante.

Straziante come il ricordo che ti ha tenuto in vita fino ad allora.

Ed infatti non mi sbagliavo.

Victor si scioglie in un pianto silenzioso, che cresce e irrompe nel pieno canto di una coppia di fringuelli, che dal ramo d’un albero sopra le nostre teste, cantano la loro gioia e attesa per una primavera imminente.

E presto Victor avrà la sua, di primavera.

Sono felice. Ho fatto felice un uomo, che adesso mi abbraccia, si rifugia fra le mie braccia. Braccia che più volte hanno cercato riparo nelle sue, e che beate adesso ricambiano la cortesia.

 

-“Ma io non posso chiederti di fare anche questo per me.”-. Mi dice, alzando il volto dalla mia spalla.

-“E perché mai?! Per me è un piacere, la tua vita mi appartiene, ricordi?!-.”-. Rido, imitando la sua voce.

-“Ma tu hai tuoi problemi, che ti tengono legata qui.”-.

-“Non c’è più alcun problema che mi tiene legata qui. Non ho più niente Victor, solo tu puoi darmi veramente qualcosa.”-.

-“Simone è andato via?!”-.

 

Mi spara a bruciapelo, colpisce là dritto nel cuore.

Non so che rispondere, rimango basita, pietrificata.

Sento il corpo irrigidirsi, le mie labbra contrarsi in un ghigno.

Allora mi allunga una mano, sulla mia, prendendola a sé e stringendola forte.

La bacia e l’accarezza. Asciuga ancora qualche lacrima dalla sua guancia, per poi rompere il silenzio fatto solo di sguardi; il mio incuriosito e intenerito, il suo colpevole e dispiaciuto.

Sento i brividi corrermi lungo la schiena, come quando succede qualcosa di irreale e il solo fermarti a pensare, o riflettere, ti fa venire la pelle d’oca.

Victor è per me qualcosa di inspiegabile.

Come le lacrime che adesso solcano le guance, le mie guance rosa, al naturale.

Odio dover ammettere che ancora una volta sto piangendo per lui, sto piangendo per i guai della mia vita, senza fare nulla per impedire che avvengano.

Mi sento un mostro. O qualcuno forse direbbe, che sono solo umana.

 

-“Tornerà, stai tranquilla lui tornerà.”-.

-“Tu dici?!”-. Non ho molte forze per controbattere, mi dimetto soltanto al volere del cielo e alle sue parole che suonano così perfette e imperiose.

-“Nei suoi occhi ho visto il fuoco, e ardeva per te. Una persona che non ti ama, non brucia così.”-.

-“E tutto questo ardore lo ha fatto scappare via da me?!”-.

-“E’ imperfetto l’amore, quasi quanto colui che lo comanda; lui è scappato solo perché l’amore  che prova adesso non riesce a comandarlo e a farlo riflettere; un po’ come stai facendo tu con lui.”-.

 

Sembra un po’ la favoletta che ci raccontiamo noi donne quando un uomo ci lascia sole; ma sì infondo è innamorato, se ha avuto ancora una reazione nei nostri confronti, è perché ci ama.

L’ho sempre trovata un po’ ridicola. Ma in bocca a lui sta bene.

Andiamo! Un uomo scappa e basta, e reagisce solo quando viene toccato nel profondo;

 OH CIELO!!

Questo vuol dire che ho toccato Simone nel profondo?!

 

-“Sono stanca di farmi comandare dall’amore, Victor. Anche perché, lui non ti ripaga mai!”-.

Lo sento ridere di gusto, una risatina fresca, zampillante. E mette il buonumore.

-“Capirai cara Sibilla, un giorno tu capirai che non è proprio così.”-. Mi tende una mano, per farmi sollevare da terra. –“andiamo?! C’è un viaggio che ci aspetta.”-.

 

E mi sorrise, ed allora io non seppi far altro che seguirlo.

L’amore gli aveva fatto ritrovare Betty ed io allora capii che non era proprio vero, che l’amore non ripagava i suoi torti.

Quella risata, i suoi gesti, le sue parole. Piano- piano cominciai ad avere più chiare le cose dentro me;  la sua venuta, la sua storia, lui non era capitato nella mia vita per caso, lui era finito nella mia vita, nella mia storia, per farmi capire quel qualcosa sepolto nella memoria del cuore, invecchiato oppure distratto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Rincorrendo un sogno ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

A questo punto non vorrei risultare banale o scontata, ma lo ripeto: sono immensamente felice!

Una nuova lettrice!

Sapete ora capisco perché mi piace così tanto svuotare la fantasia e metterle su “carta bianca”; è per vivere momenti come questo!

Grazie Rowina, tr tr tr gentile! Ouch.. non mi dire così che mi fai sentire colpevole... mia madre direbbe lo studio prima di tutto! Ma si sa, i consigli dei genitori restano lì dove sono… ^_^

Zia Esmy : ma quanto mi fanno felice le tue parole?! Un sacco guarda!

Vedi coincidenza vuole che mi bekki sempre nel momento giusto ^_- mitika !

La mia Sibilla l’ho sempre immaginata così, dolce e altruista con una nota di pazzia che la rende unica! Non poteva far altro che aiutare Victor!

E anche tu hai colto nel segno, infondo lo stesso Victor è un po’ la raffigurazione di Sibilla, al maschile, solo con un passato poco chiaro che lo rende più misterioso ed enigmatico!

 

 

 

 

 

 

aawaa RINCORRENDO UN SOGNO  aawaa

 

Chap n.8

 

 

-“No! No! Victor!!”-. Siamo nell’androne del mio palazzo, Vic mi sta trascinando da almeno un chilometro, ed inutili sono i miei lamenti –“oh… Vic non è possibile, non ora! Cioè è un delirio… Vic!!!”-. Praticamente mi obbliga a prender le chiavi dalla mia borsetta, aprire la porta di casa e tuffarci in camera da letto.

 

Ehi ?! Ma cosa state pensando?! Io amo il mio Simone, e con tutto rispetto per la categoria, i sessantenni non rientrano proprio nel mio raggio di gradimento!

 

-“Su forza! Prendi le tue cose e partiamo subito!”-.

-“Vic è da folli! Non ho nemmeno prenotato un albergo, un ostello o che ne so una pensione!”-. Ma a poco importa, il mio corpo, dissociato dalla mente, ha già aperto la valigia riposta sapientemente sotto al letto.

-“Può anche darsi che non ci serva!”-.

-“Ah- ah! E dove dormiremo?! I ponti e parchi sono ancora inesplorati per me!”-.

 

Oh, oh bocca mia taci! Poverino, lui forse un vero posto dove stare, da quando è “in cerca” non lo ha mai avuto; forse avrebbe voluto, anche se espressamente non me lo ha mai detto.

Mi sento una sciocca.

Ma sì, infondo che importanza ha un tetto al paragone di una favola e il suo realizzo?!

 

-“Cioè, io non volevo dire che non ci starei se fosse necessario…”-.

-“Sibilla, probabilmente non ci servirà un posto dove dormire, perché forse questo incontro sarà talmente breve, da non lasciare tempo per consumarlo.”-.

Salvata in corner.

Però, che strane le sue parole, mi hanno messo la tristezza nel cuore.

Non che nella mia vita sia mai stata ottimista, però un po’ c’ho ricamato su tutta questa faccenda, i miei bei sogni me li sono fatti.

Già, ma il sogno è mio, e la realtà è la sua.

Chissà come si sente. Chissà cos avrà pensato, LUI.

Mi sono impossessata del suo sogno, non è giusto.

-“Victor, ti prometto che sarà l’incontro più intenso di tutta la tua vita. Noi la troveremo, tu ci parlerai finalmente! Potrai toccarla, ridere con lei!”-. Gli vado vicino, prendendogli le mani. –“E io ti giuro, che ti sarò vicino in qualsiasi momento tu lo vorrai, non ti lascerò mai solo. Io voglio che questo viaggio sia speciale. Speciale.”-.

Mi stringe forte le mani, posso sentire le sue dita premere forte sulla pelle.

Me le bacia. Ancora e ancora.

Rido e ancora rido, lo abbraccio, lo abbraccio forte.

Poi il distacco; c’è una grande valigia da rimboccare e trascinare via con se, in questo viaggio speciale.

 

-“Ecco, credo d’aver preso tutto!”-. Afferro un golfino blu, un paio d’occhiali da sole, e quando sono veramente pronta, con scatto secco alzo il manico della valigia pronta a scorrere sulla strada dell’evasione.

Adesso sto bene,  che importa dove andrò o cosa farò, adesso c’è solo eccitazione e frenesia, del resto non mi importa.

Di lui, ancora meno.

Non lo avviserò, non gli dirò niente di nulla, questo è il nostro viaggio, mio e di Victor e la sua razionalità, la sua maniacale precisione non mi seguirà. Mai più, credo.

 

-“Vic, puoi andare avanti tu, per piacere?! Faccio una telefonata e ti raggiungo.”-.

-“Faccio caricare la macchina intanto.”-.

-“Perfetto.”-.

Mi allontano un attimo, verso la prima cabina telefonica a vista.

Devo farlo. Devo risolvere in qualche modo questa situazione fra di noi.

Ma solo nelle favole, le principesse vivono per sempre felici e contente con i loro principi azzurri.

-“Pronto?! Avvocato, mi sente?!”-.-“Vorrei trasformare quella richiesta fattale tempo fa, in pratica. Legale.”-.-“Oh no, sono in partenza, se la inoltrasse lei al diretto interessato sarai più felice. Sa, momentaneamente ha cambiato indirizzo.”-.-“Perfetto, allora al mio ritorno la raggiungerò in studio per quella firma. La ringrazio, arrivederci.”-.

 

E metto giù.

Ora so cosa si prova nel fare una telefonata del genere.

Eppure milioni e milioni di persone l’hanno fatta, almeno una volta, quella telefonata nella loro vita; per me è già così gravoso averne fatta una, insomma basta un pronto, si va bene, firmiamo delle carte, e un matrimonio, ma prima ancora una storia d’amore, finisce.

Che sensazione strana prova il mio corpo, non sembro neanche più io, non mi sento neppure in me stessa.

Sembro trasalita dalla mia stessa materia, rimbalzando chissà dove.

Ma adesso è tardi per cercarla.

Adesso un taxi giallo, da lontano suona, invitandomi a seguirlo.

 

*******

 

-“E’ tutto il giorno, che ti vedo scarabocchiare su quel pezzo di carta! Vuoi dirmi che stai facendo?!”-.

Dolce, tenero Vic. Persa nei miei pensieri, non mi sono nemmeno resa conto di essere a picco nell’aria, con lui, che mi stringe la mano “perché ho molta paura di questi congegni dell’aria”. E quando gli ho fatto gentilmente notare che lui questi congegni li ha governati, mi ha risposto con la sua leggiadra semplicità che “i miei erano altri tempi”.

Lo adoro, sono totalmente subdola dalla sua persona.

-“Ma non era una mia prerogativa, quella di far domande?!”-.

-“Devo prendere la tua curiosità e farla mia per sempre, sai solo così ci saremmo davvero scambiati qualcosa l’uno dell’altra!”-.

-“Bello..”-. Riesco a malapena a sibilare.

Non ho mai pensato che lui volesse qualcosa di mio; sono una ficcanaso, logorroica, petulante a tratti eppure lui, lui l’essere così perfetto ai miei occhi, vuole qualcosa di mio.

La mia curiosità.

Ricordo da bambina, la suora che si occupava della mia educazione all’istituto, diceva sempre che la mia intelligenza era frutto di una curiosità vivida e vivace.

Diceva sempre di conservare la mia fantasia viva dentro me; lei mi avrebbe portata lontano, fatto di me una persona diversa dalle altre.

Ero piccola, avevo perso entrambi i genitori, distrutta dal destino eppure quella donna vide in me fantasia e vivacità.

Come in questo momento.

Non so se sono capace io nel sodomizzare il dolore e nascondere le cicatrici, o è soltanto la mia forza di volontà che è davvero più forte di tutto.

 

“Comunque nulla, sto solo scrivendo qualche appunto su di me, su questo viaggio..”-.

-“E posso leggerle?!”-.

-“Ah, no! Mi vergogno troppo, e poi è una cosa top- secret!”-.

 

Rido, mi diverte pensare che in realtà non sono solo pensieri miei; se ammettessi che sto facendo di questa pazza avventura, di questo suggestivo incontro una storia da scrivere su carta bianca, non reggerebbe più di tanto la mia falsa vergogna o pudore.

Chissà, forse per la prima volta nella vita, sto facendo qualcosa di speciale solo ed esclusivamente per me.

Egoista, ma felice d’esserlo. E’ concesso a tutti, no?!

 

-“Ah! Finalmente ti vedo ridere!”-.

-“Sì, sono stranamente ed eccitatamene serena in questo momento! Bah?!”-.

-“Avrai cominciato a seguire i consigli di questo povero vecchio…”-.

-“Tu non sei vecchio!”-.

-“Sibilla, per piacere!”-. Tossisce un po’ prima di continuare –“sono vecchio e tu sei bugiarda! Fortuna che gli specchi non parlano altrimenti…”-.

-“Altrimenti?! Guarda che stai benissimo!”-.”Ma non dirmi che hai paura del giudizio di Betty?!”-.

 

Tossisce ancora una volta, volge lo sguardo verso l’oblò, arrossendo un po’.

Ha paura.

Che dolce, sembra un bambino. Per questo non sembra avere gli anni che ha.

L’accarezzo su una guancia, si gira di scatto sorridendo.

 

-“Il bello è che lei penserà le stesse identiche cose, quando ti avrà di fronte.”-.

-“Oh, dubito che il tempo avrà deturpato la sua bellezza.”-.

-“La bellezza no, ma la sicurezza e la sfrontatezza dei suoi vent’anni, sì.”-.

 

Sorride, accarezzandomi amorevolmente la guancia.

Eh già.

Io non sarò mai più bella come adesso, non sarò mai più sfrontata come ora, non sarò mai più pazza e incosciente come in questo momento, che sto lasciando l’uomo che amo senza curarmi dello spettro della solitudine che all’età di Victor, verrà a bussarmi.

Ma io non aprirò. Piuttosto voglio morir sola.

 

-“Stai pensando a lui?!”-. Ma perché riesce a leggermi dentro in questo modo?!

-“Oh io veramente…”-. Ma perché?! Perché ho appena detto che mi sento serena! –“Sì.”-.

-“Sai cosa ho pensato?!”-.

-“Cosa?!”-.

-“Che se non sarà lui a tornare, lo andremmo a prendere noi!”-.

-“Credo sia un po’ difficile Vic…”-.

-“Difficile?! Perché Sibilla?! Perché se è qualcosa che vuoi davvero, ti arrendi così facilmente?!”-.

-“Arrendermi?!”-. Oh Dio, l’ho già fatto. Quasi. Mi sono arresa!

-“Sì arrenderti! Tu usi troppo la testa! Io non sento il tuo cuore; dimentica il cervello e ascoltalo, non ti tradirà!”-.

-“Già…”-. Peccato che forse non c’è più tempo per le parole, per ascoltare o provare.

Credo che adesso ci sia solo tempo per riorganizzare una vita che riparte da me.

 

Mi sono sempre chiesta perché congenitamente l’uomo e quasi tutti gli esseri simili ad esso, da che mondo è mondo, optino per le soluzioni più semplici, ma dannatamente dolorose.

Che l’uomo goda nel frustrarsi?!

Che scappare allievi soltanto una pena già scontata e nessuno l’ha mai capito?!

Ma infondo perché sarei dovuta restare, perché avrei dovuto guardare il mio  uomo uscire di scena limitandomi  soltanto a perire lentamente?!

Meglio aver messo mari e monti fra di noi. Meglio, molto meglio.

Una carta di separazione, due firme leggibili e di me e Simone non sarebbe restato altro che la parola fine.

Quasi.

 

 

-“Non credevo che l’Austria fosse così lontana!”-.

-“E’ solo una questione di punti di vista! Se giri il mondo  al contrario, forse la strada ti sembrerà più corta!”-.

-“Giusto! Perché non ci ho pensato prima?!”-.

 

Già, perché?!

Forse questa osservazione potrebbe essere adatta per un mucchio di cose nella vita; se avessi girato strada forse non avrei incontrato una cabina telefonica e non avrei fatto quella chiamata.

Se fossi girata probabilmente non avrei nemmeno incontrato Victor, e adesso non sarei con lui, sospesa nel cielo a rincorrere una strada che invece, abbiamo preso nel verso giusto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Wilkommen in Osterrich ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

Un grazie di cuore a tutte le mie recensitici, purtroppo come avete potuto notare, stavolta sono stata un po’ più lenta nel mio aggiornamento.

Ahimè si torna a sgobbare e il lavora mi lascia proprio poco tempo, ma comunque voglio assolutamente finirla questa storia, perché non so spiegarvi come mi è entrata dentro!

Vi giuro che quei due pazzi di Sibilla e Victor mi perseguitano anche nei sogni!!

Sarà normale?

Kiss a todossssss

 

 

aawaa WILLKOMMEN IN OSTERREICH aawaa

Chap n.9

 

 

Sono seduta su una comoda panca in legno, con i bagagli scomposti ai miei piedi, in attesa del nostro taxi.

Victor si è allontanato un attimo, “giusto per dare un occhiata in giro”, queste le sue parole, quando gli ho chiesto il perché.

Ma le sue stranezze appaiono ai miei occhi, come dolci aspetti di un carattere assai particolare. E questo mi piace, mi piace non scandalizzarmi di ciò, perché io lo capisco, sono dentro la sua testa, conosco i suoi movimenti e saperlo mi fa sentire onorata e speciale.

Fra i miei pensieri, quasi dimenticavo di aver messo piede nel paese straniero; siamo approdati in Austria!

Bella, mi piace. Questo paese sembra così caldo, così dolce.

Mi rasserena il pensiero di trascorrere del tempo fra questa gente, così solare e bella in tutti i sensi in cui può essere bella una persona; qui tutti sono cortesi, gioviali, il sorriso poi è la carta d’imbarco di ognuno di loro.

 

-“Signorina, sale?!”-. Un omone rossiccio, dal basso del suo simpatico taxi giallo, mi parla in perfetto tedesco.

Lo guardo un po’ stralunata, indecisa sul da farsi; il mio dizionario pocket , pronto all’uso, comincia a far librare le sue pagine fra le mie mani.

Spilucco qualche parola, imbarazzata e impacciata, quando da dietro le spalle, compare Victor; afferra il mio beauty case, fa aprire il cofano e in perfetto tedesco spiega al tassista dove portarci.

Rimango a fissarlo imbambolate per un po’, poi sorrido; questo uomo è davvero un’ inesauribile fonte di scoperte!

-“Vuoi rimanere lì ferma ancora per molto tempo?!”-.

-“Non ci penso proprio!”-. Rido divertita, per poi tuffarmi in auto insieme a lui.

 

Willkommen in Lienz, recita un cartello all’entrata di un paesino diroccato fra le montagne verdi.

L’aria è fresca, il sole è una magia opaca sopra le nostre teste.

Deve esserci una festa popolare da queste parti, perché il paese è percorso, lungo la sua via principale, da banchi in fiera e le facce della gente, sanno della felicità di persone in festa.

Che bellezza!

La cosa che risalta più agli occhi però, sono le migliaia d fontane zampillanti che adornano ogni piazzetta, e i fiori, grandi bouquet di fiori colorati sui cigli delle strade.

Che ordine, che armonia si respira in questa cittadina. E’ un sogno, un bellissimo sogno.

 

-“Ti piace?!”-. Victor distoglie i pensieri, incanto forse, dal mio sguardo rapito.

-“Molto.”-.

-“Già, è tutto così bello qui…”-. Si rattrista, nei suoi occhi posso leggere note di ricordi infelici, lontani e mai assopiti.

-“Chi lo sa, magari ti chiederà di restare…”-.

-“Oh Sibilla, che vai farneticando!”-.

-“Perché no?!”-.

-“Perché sono vecchio, indesiderabile e chissà cosa altro!”-.

-“Ancora con questa storia! Tu non sei vecchio! E l’unico motivo per il quale potrà respingerti è forse l’essere già sposat…”-.

 

Mi azzittisco, cosa non ho mai osato pronunciare.

Oh Dio si può essere così ingenua?!

Se volevo rassicurarlo un po’, con questa mia linguaccia lunga ho stroncato ogni probabilità di rivederlo sorridere.

 

-“Non dispiacerti Sibilla! Guarda che ci ho pensato su anche io!”-. Ha letto nei miei occhi, nelle mie labbra corrucciate e nelle mie espressioni così dannatamente cristalline.

-“E cosa farai a quel punto?!”-. Gli chiedo, certa ormai che nessun altro colpo sarà mai più mortale.

-“Il destino è ineluttabile, fatale, probabilmente tornerò da dove sono venuto, felice comunque nel cuore, d’averla rivista ancora una volta.”-.

-“Credi ti basterà?! Non avrai comunque cambiato nulla!”-.

-“Sì, ma finalmente questo sortilegio verrà spezzato. Non dovrò mai più vagare per il mondo…”-.

-“Sì ma…”-.

-“Sibilla, a volte l’essenziale è non avere tutto ciò che desideriamo, e questo per non uccidere il desiderio stesso, dentro noi! Il mio per lei, non passerà mai, anche se dovessi ritornare nel mio paese con soltanto uno dei suoi sorrisi.”-.

 

Non riesco a concepire come si possa vivere soltanto del sorriso, della persona amata.

Tornare a mani vuote, dopo questo lungo viaggio della speranza e dei sogni è un suicidio bello e buono!

Sono davvero preoccupata, adesso; leggo l’ansia nei suoi occhi, il timore, e volente o no riesco percepirlo ora anche nei miei.

E se di Simone mi restasse soltanto un sorriso?!

Provo ad immaginare come potrei sentirmi.

Volto pagina, questo pensiero mi uccide.

Ci penso e ci ripenso, rimugino su senza neanche rendermi conto di aver sigillato questo pensiero coi fatti. Spessi e cartacei.

Ma allora, se non posso vivere al pensiero di perderlo, come posso pensare di vivere soltanto con il ricordo di un suo sorriso?!

Comincio a pensare di aver fatto l’errore più madornale di tutta la mia vita.

 

-“Siamo arrivati, il vostro albergo è quello là!”-.

Il tassista arresta la sua corsa, indicandoci una deliziosa villetta verde acqua, al di là della staccionata dinnanzi ai nostri occhi.

Io e Victor emettiamo un gridolino eccitato, quasi all’unisono.

 

-“Che posto magnifico!”-.

Scendo dall’auto apprestandomi a godere di questa meraviglia.

L’aria è fresca, i fiori sono sempre al loro posto, solo stavolta al posto di fontane scintillanti, sorge un piccolo ruscello al fianco del nostro hotel.

Qui sembra il tempo si sia fermato; sembra di trovarsi in un luogo paradisiaco, l’eden biblico ai nostri occhi si prostra.

E vive la quiete, la quiete velata dal cinguettio di passerotti che si raccontano l’amore da un ramo all’atro di un albero, cuore pulsante fra migliaia di alberi nel parco.

 

-“Già, ancora meglio della descrizione sulla guida. Sei stanca, Sibilla?!”-.

-“No, non direi. Ma mi piacerebbe sdraiarmi un po’ sotto quegli alberi.”-.

-“Vai pure, poso i bagagli in stanza e ti raggiungo.”-.

-“Perfetto.”-.

 

Cammino lenta, cercando di capire  cosa sia questa sensazione di benessere che mi attraversa il corpo, liberandomi dalle repressioni terrene, facendomi sentire come un elemento della natura che ho intorno.

Si passa troppo tempo a pensare, ha ragione Victor; ha ragione quando mi dice di staccare la testa dal resto del corpo e falla volare, come ali di gabbiano su mare aperto.

Lo vorrei tanto, vorrei tantissimo sentirmi abbandonata così, ancora per molto tempo,  in questa dolce quiete corporea.

Ma non c’è pace per i miei pensieri, non c’è pace per nessun centimetro del mio corpo.

E il mio cuore, quello l’ho rimasto a casa, attaccato ad una cornetta telefonica penzolante, in strada.

 

-“Stai bene?!”-.

 

Apro gli occhi, per un attimo la sua voce mi è sembrata ultraterrena, piombandomi negli orecchi, facendomi vibrare.

Provvidenziale, come sempre.

 

-“Pensavo…”-.

-“A cosa?!”-. Si sistema al mio fianco, distendendosi sull’erba fresca.

-“Che se potessi, rimarrei così per l’eternità…”-.

-“Eternità?! Hai la fortuna di vivere e morire, nascere per compiere un cammino, portarlo a termine passando per la vita, per cessarlo con la morte, e vai cercando l’eternità?!”-. Ride, accarezzandomi una guancia –“Non sai che fortuna che hai…”-.

-“Parli come se fossi immortale, sai?!”-.

 

Mi giro cercando i suoi occhi ma sfuggono inesorabili, ai miei.

Tremo, penso alla parola sortilegio.

Parlando di Betty, lui ha usato questa parola; parola dispettosa che ha deciso di balenare nella mia mente così, adesso, senza ragione.

E se fosse… ma no, cosa vado a pensare, la magia non centra, non può essere credibile!

Io non c’ho mai creduto!

Sibilla riprenditi, torna in te.

Però il pensiero costante resta…

 

-“A volte si vive così intensamente che sembra non debba finire mai…”-.

-“Victor! Cos’hai?! Non ti ho mai sentito parlare così!”-. Mi alzo per stragli di fronte bene- bene, le sue parole mi hanno toccato nel profondo, immergendomi in un senso di paura.

-“Niente piccola Sibilla, niente.”-.

 

Sorride suo malgrado, sforzandosi di farsi vedere sereno.

Una morsa atroce si impossessa del mio cuore, non so dire cosa sto provando in questo momento.

Per un attimo ho pensato all’ipotesi di non vederlo più, di non averlo più al mio fianco.

Terribile sensazione, timore di aver vissuto così tanto al suo fianco di non poterne più fare a meno.

Non voglio perderlo, non importa cosa succederà, come andrà a finire quaggiù.

Io non voglio perdere Victor per nessun motivo al mondo.

Lui mi ha stregata.

Rido. Ho paura.

Nessuno mi ha mai reso indipendente, nessuna droga, persona o vizio.

Rido, ho paura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Destini che si uniscono ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

Salve ragazze!

Mi dispiace per questa lunga assenza, ma qui fra una cosa e un’altra, tra un mondiale vinto e l’altro..  ^____^

non c’è stato nemmeno il tempo per capire cosa diamine stavo facendo! ^__^’

Come state tutte?!

Spero bene, davvero!

Michelle comunque io lavoro alle poste italiane ^_-

Scusate se vi saluto frettolosamente ma manco a dirlo devo scappare,

kisses

LuNaDrEaMy

 

 

 

aawaa DESTINI CHE SI UNISCONO  aawaa

Chap n.10

 

Ho sempre amato tanto il risveglio di mattina presto, nei luoghi di vacanza; c’è la possibilità di concentrarsi su un nuovo giorno appena nato, godendo della bellezza del mistero del vivere.

Mi piace tuffarmi nel sole che fa capolino da dietro le montagne, perdermi nel silenzio e nella quiete di un paesaggio naturale, incontaminato da qualsiasi fonte barbarica di violenza urbana.

Qui, niente auto che strimpellano i loro clacson già alle sei di mattina, niente urla disumane, e quel rumorino costante in sottofondo chiamato caos.

Se fossi stata nella mia città, adesso starei maledicendo la sveglia sul comò, probabilmente avrei alzato lo stereo ad un livello assordante, per poi farmi risucchiare nel buco nero del delirio cittadino.

Invece sono qui, niente maledizioni, niente musica alta, tanto meno alcun delirio in cui farmi ingorgare.

Sono in pace.

 

Victor dorme ancora, dopo un “accesa” discussione, su chi dovesse dormire o meno sul sofà -mi ha praticamente prima pregato e poi torturato, di lasciarci dormire lui contro la mia volontà- ha chiuso i suoi occhi neri, stremato dal viaggio e da tutta l’ansia che io lo so, alberga nelle sue membra.

Stare con lui, nella stessa stanza e sotto lo stesso tetto è stato così naturale, non so spiegare, c’è qualcosa di lui che sento così familiare.

Forse in un’altra vita ci siamo già conosciuti?!

Sorrido, Sibilla realista e pragmatica, Sibilla concreta e disillusa, adesso crede nella reincarnazione?

-“Oh Cielo, devo essere davvero impazzita!”-.

Ma la sua vicinanza ha reso tutto un po’ magico, e questa magia lo ammetto, mi piace davvero tanto.

 

-“Sì, buongiorno, sono la signora Ballarini. Si ricorda, l’avevo già contattato?! Senta sarebbe così gentile da dispormi degli orari dei vostri uffici?!”-.

-“Siamo aperti tutta la mattinata signora, e nel pomeriggio almeno fino alle quattro.”-.

-“Perfetto! Lei mi assicura che potete ricorrere agli archivi, quindi?!”-.

-“Possiamo darle qualche informazione generale, ma lo sa per diritto alla privacy non possiamo scender in particolari…”-.

-“Oh ma non si preoccupi! Qualsiasi informazione è preziosa!”-.

-“Bene ci fa piacere. A presto, quindi!”-.

-“A presto!”-.

 

Attacco felice, prendo carta e penna e lascio un bigliettino a Victor.

 

Vic, ho chiamato il comune, è aperto tutta la mattinata, se passi possono darti informazioni in più su Betty. Lascio a te questo compito, non credere che voglia abbandonarti ma ritengo giusto lasciarti nella tua intimità, in questa scoperta. Sono in giro per il centro, ci vediamo a pranzo. Bacio, Sibilla.”

 

Lascio scivolare la penna lungo il tavolo, deposito il bigliettino sul cuscino, accanto a quell’uomo che beato continua assopito la sua rincorsa verso il sogno.

Ma non è solo questione onirica.

E lui, ancora non lo sa!

 

Mi piace parecchio questo paese; i negozi sono ordinati, curati e spesso e volentieri i commercianti che vi lavorano, ti lasciano il sorriso stampato sul volto, quando esci con amabili sacchetti adornati di carta velina, nella mano.

La busta che penzola dalla mia, è di un negozio all’angolo che vende dolci tipici.

E’ più forte di me, sono una golosa cronica.

Ma il perché è presto detto; il dolce sapore che ti lascia un pezzetto di cioccolata, quando sei nei momenti giù, sa tirarti su anche meglio di qualsiasi coccola!

Anche meglio, di quanto saprebbe fare qualsiasi uomo!

Che diciamocelo… se noi donne amiamo così tanto i dolci, è anche e soprattutto colpa di alcuni maschietti!

Questi poi, sono particolarmente buoni; miele fuso in cioccolata, il tutto sopra una glassa croccante di biscotto.

L’apoteosi. Davvero!

Do un altro mozzico a questi favolosi biscotti e lascio svolazzare la mia velina color pastello, dal sacchetto ormai semi-vuoto.

 

Il mio giro per Lienz continua, ed io sono stranamente gaia.

Non dovrei esserlo, visto la quantità industriale di biscotti che ho ingurgitato, ma nessun pensiero brutto scalfisce questo stato di serenità.

Il volto è tornato disteso, le rughe d’espressione sono meno marcate, il mio sguardo sembra aver riacquistato quello splendore dei tempi andati.

Dio ho 30 anni e parlo come un’anziana signora;mi serve proprio una bella botta di vita!

 

-“Signora, mi sta ascoltando?!”-.

-“Oh, ero soprapensiero mi scusi, diceva?!”-.

-“Vede?! Il suo volto ora è disteso, liscio e levigato, il tutto grazie a questo concentrato di succo d’arancia e…”-.

-“… olio d’oliva, certo!”-.

Mi diverte fare impazzire le commesse, questa poi mi ha impiastricciato tutto il volto con una crema appiccicosa, promettendomi almeno dieci anni di meno, sul mio viso semplicemente troppo stressato e non ancora così decadente.

Quando glielo faccio notare, mi risponde che in realtà i cosmetici danno l’effetto al nostro viso/corpo o quel che sia, che noi decidiamo di dargli; infondo non sarà una crema a renderci più giovani, ma lo spirito giovane che abbiamo dentro, che ci permette ancora di prenderci cura di noi e di farci invecchiare con serenità.

Mi piace!

Infondo ha ragione, la nostra psiche è così condizionata, che probabilmente il solo il pensiero di impiastricciarci in montagne di fango o cospargerci d’unguenti miracolosi il viso, già convince noi donne che non avremmo più la cellulite e il volto di pesca che avevamo a venti anni!

E potrei farne mille di esempi, ma alla fine sorrido a questa ragazzotta bionda e le sfilo la crema dalle mani; il mio alter ego stasera avrà di che nutrirsi!

All’improvviso mi sento più giovane, sorrido con il miracolo fra le mani e mi dirigo in cassa.

 

-“Lei ha un volto molto bello signora, mi raccomando non lo trascuri! Ora che ci penso, non le ho fatto vedere…”-.

-“Grazie, ma non mi serve altro Odette!”-.

 

Ah, simpatiche commesse, se non ti fanno uscire dai negozi, con almeno la crema, la maschera e il balsamo, non sono contente!

Lei se ne accorge e sorride, arrossendo un po’.

Non lo sa, ma tempo fa per sbarcare il lunario, la commessa l’ho fatta anche io.

Così la saluto affettuosamente, promettendole di venire a fare qualche altro acquisto prima di partire.

-“Sai, ho molte colleghe al quale una ringiovanita servirebbe!”-.

Allora le sue gote tornano sorridenti, mi strizza un occhiolino e finalmente mi decido a pagare il mio acquisto.

Ed in cassa, fra un pensiero e l’altro, vedo l’ombra di Victor passare dinnanzi alla vetrina.

E’ mischiato fra la gente, ma la sua figura la riconoscerei fra mille, perché porta un’aurea con se, che lo distingue fra tutti.

Affretto il mio acquisto, uscendo dal negozio.

Mi riporto in strada, grido il suo nome, correndogli incontro.

Lui non mi sente, continua a camminare dritto e spedito.

Continuo a correre, ma d’improvviso la strada si fa più piccola, come tutte le immagini che scorrono dinnanzi ai miei occhi.

Mi arresto.

Almeno credo, perché tutto scorre come un tapis roulant impazzito; mi sento sballottata da una parte all’altra, come una pallina da flipper.

Che c’è?! Cos’ho?!

Sento delle voci, mani che cercano di toccarmi, ma le immagini restano striminzite e sfocate, poi non lo so, so solo d’aver sentito un qualcosa di freddo e duro sbattermi contro la schiena.

 

 

-“Signora?! Mi sente?!”-.

Sembra proprio che stamattina non riesca a sentire nessuno.

Eppure sono qui, io ci sono, vi ascolto!

C’è un uomo, in piedi, di fronte a me; stropiccio un po’ gli occhi, le immagini non sono ancora chiare, così mi arrendo richiudendoli in un istante.

-“Victor?!”-. Chiedo, sperando che dal suono di quell’ombra, fuoriesca un sì.

-“No signora, lei è in ambulatorio, io sono un medico.”-.

-“Medico?!”-.

Riapro gli occhi, a tempo record. Stavolta riesco a vedere meglio; sì sembra un dottore, ha tutta l’aria d’esserlo, strizzato in un camice bianco e gli occhiali poggiati sul naso.

-“Ha avuto un malore e l’hanno portata qui.”-.

-“Chi mi ha portata qui?!”-.

-“Dei passanti. Era sola?!”-.

-“Stavo inseguendo un amico. Non sono austriaca, sono in vacanza nel vostro paese.”-.

-“Sì, abbiamo già schedato i suoi dati, non si preoccupi stanno già avvisando i suoi parenti.”-.

-“Oh no no no… “-. Mi alzo sui gomiti, poi piano cerco quanto meno di mettermi seduta –“mi faccia la cortesia di non chiamare nessuno!”-.

-“Signora si calmi, le fa male alzarsi di getto.”-.

-“Guardi probabilmente sarà solo stanchezza, sto bene, davvero.”-.

Ma fa spallucce, probabilmente avrà sentito ripetersi questa frase milioni di volte; così, mi stendo nuovamente, cercando di trovare una posizione abbastanza comoda.

-“Le abbiamo fatto le analisi del sangue, per questo si sente un po’ spossata.”-.

-“Già, fortuna che dormivo! Odio il sangue!”-.

Ride, devo sembrarle piuttosto buffa.

-“Che c’è?! Perché ride?! Non ha mai sentito parlare di fifa da sangue?!”-.

-“In realtà, no!”-.

-“Non mi crede?! E’ perché viene sottovalutata questa cosa, e snobbata praticamente da chiunque! Soprattutto da voi camici bianchi!”-.

 -“Ma io le credo, le credo! Solo mi dica, nella sua totale repulsione al sangue, sono compresi anche medici e ospedali forse?!”-.

Sorride ancora. Mi innervosisce.

Mi urta pensare che ha capito che odio qualsiasi cosa, faccia parte del mondo ospedaliero.

-“Penserà che sono una bambina…”-. Metto il broncio, lui smette di ridere.

-“Perché?! Io dormo ancora con la luce accesa.”-.

-“No… non è possibile!”-. Cerco di non ridere, ma trattenere una risata è assai dura.

-“Ogni tanto, mi capita. Ahimè ora penserà che sono un bambino…”-.

-“No, penso che fa bene, di notte si fanno brutti incontri…”-.

 

Il silenzio cala sulle nostre teste.

Deglutisce, abbozzando un sorriso; non posso credere che se la stia facendo sotto!

A questo punto è più forte di me, mi metto a ridere senza più speranza di ritorno.

Lui mi guarda, incuriosito dapprima, poi si lascia andare in una risata anch’egli.

 

-“Il suo hotel è molto lontano?!”-.

-“Non troppo, perché?!”-.

-“Se vuole può dimettersi, ma devo farle firmare un foglio.”-.

-“Preferirei, sa alloggio con una persona anziana. Non vorrei si spaventasse troppo.”-.

-“Come preferisce, solo dovrà ritornare domani per le risposte agli accertamenti.”-.

-“Benissimo, non ho di questi problemi. Sono appena arrivata!”-.

 

Si congeda, sparendo fra un corridoio di legno pavimentato.

Mi alzo con cautela, la testa non gira più e la vista sembra sia tornata a posto, appoggio i piedi in terra restando comunque appoggiata al mio letto.

Affianco a me, c’è una finestra bassa; scosto un po’ la tendina, affacciandomi in fuori.

Non è un ospedale come quelli che ci sono nella mia città; mura e cemento, camere bianche e neon.

No, è una villetta a due piani, in stile inglese, di un delizioso color verde acqua; non c’è fila, non ci sono code, la gente sorride anche qui.

Ed io penso a cosa mi sia successo. Perché vi sono finita dentro.

Sarà davvero solo stanchezza?!

Non lo so, un po’ ho paura.

Distolgo lo sguardo dalla strada, girandolo sulla stanza; è piccola, ma c’è una scrivania d’ebano scuro, vecchio stile, con alcune fotografie e cornici.

Sarà lo studio del dottore.

Leggo le incisioni sulla sua targhetta d’oro, poggiata ordinatamente sul mobile:

Doktor Frank Willhelm.

Willhelm. Willhelm… questo cognome non mi è nuovo.

Rifletto su cosa possa ricordarmi questo cognome, ma il tentativo si fa vano.

Mi sforzo nuovamente, ma il dottore ritorna e distoglie i miei pensieri.

 

-“Oh, riesce ad alzarsi! Allora non sta così male come dice…”-.

-“Glie lo avevo detto, no?!”-.

-“Aveva ragione, ma non si strapazzi, uno svenimento non va mai comunque sottovalutato.”-.

-“Non si preoccupi, ci tengo alla mia pellaccia!”-.

Mi passa il foglio da firmare, mi consegna un pacco di compresse per il mal di testa, stringendomi la mano.

 

-“E’ stato un piacere conoscerla…”-. La sua mano e la mia, penzolano insieme in attesa di appellativi.

-“…Sibilla.”-.

-“Oh bel nome, Sibilla! Io sono Frank.”-. Annuisco indicandogli la targhetta.

-“Oh questa!”-. La prende in mano, carezzandola via dalla polvere accumulatasi su –“Sembra dovrò toglierla di mezzo, presto cambieremo sede d’ambulatorio…”-.

-“E’ un problema?!”-.

-“Oh no, ma sa questo ambulatorio era di proprietà di mia madre.

Ci ha lavorato una vita intera, è medico anche lei.”-.

-“Capisco, è dura staccarsi da qualcosa a cui si tiene molto.”-.

-“Già.”-.

Mi rabbuio un po’, staccarsi dal passato, dalla storia e dai ricordi non è mai cosa semplice.

I ricordi non fanno vivere meglio, i ricordi non aiutano a vivere, i ricordi sono soltanto degli spettri che ribussano ogni tanto alle nostre porte per compatirci e ricordarci cosa eravamo, dissolvendo la speranza buona di ciò che siamo adesso.

 

-“Si faccia forza, non credo che sua madre sia felice nel vederla così.”-.

-“Oh, lei non è mai stata completamente felice.”-. Si asciuga una lacrima, prima che sgorghi.

-“Come tutti, del resto.”-. L’accarezzo su una guancia, sorridendogli.

-“La sto annoiando, mi dispiace.”-.

-“Ma scherza?!  Mi piacciono queste vecchie storie di famiglia.”-.

-“La mia è bizzarra, sa?! Mia madre non è nemmeno austriaca, venne adottata dai miei nonni in uno di quegli orfanotrofi al confine con il mondo.”-.

-“Sono orfana anche io e posso capirl…”-.

 

D’improvviso il cuore comincia a pulsarmi forte nel petto.

Ora capisco tutto.

Ora so che cosa è il vago senso di appartenenza a questo posto che mi bussa dentro, da quando sono entrata.

E quel cognome.

Questa storia. La sua storia.

Un dottoressa. Un ambulatorio.

Una famiglia di medici molto influente in Austria.

Una famiglia bizzarra.

Una donna adottata. Un orfanotrofio.

L’infelicità costante.

 

Elisabeth Joanne Willehlm.

 

L’ho trovata. Io l’ho trovata.

Non dico una parola, comincio a piangere dall’emozione.

Frank mi guarda inconsapevole, colpevole forse d’aver fatto rivivere in me chissà quale triste ricordo del passato.

Ma non sa il dono che mi ha fatto; lo abbraccio forte, senza dire una parola, lui ricambia il mio stringendomi forte a se.

E’ dolce, è rassicurante, è familiare.

Ho provato solo due volte nella vita questo tipo di sensazione; la prima quando ho conosciuto Simone, la seconda quando ho incontrato Victor.

Con questa fanno tre.

E tutto torna, tutto fila, tutto è scritto.

 

-“Io vengo da parte di Victor…”-.

 

Non seppi spiegare mai a me stessa, come riuscii a conciliare una cosa così straordinaria, con una sola frase diretta ma sconclusionata.

Non so, sapevo che avrebbe capito, nel mio cuore sentivo che c’era qualcosa che univa il mio destino al suo.

Lo avevo percepito entrando in quella stanza, aprendo gli occhi e facendomi assorbire da tutta quell’energia che vagava nell’aria.

 

-“Victor?!”-. Ha slegato l’abbraccio, abbandonandosi alla sua poltrona di pelle nera. –“Non sai quanto è che sto aspettando di vedere apparire quell’uomo.”-.

-“E’ qui, con me.”-.

 

Quanto mistero, quanta magia, mi ero fatta inghiottire dall’assurdità delle coincidenze, dall’assurdità del destino, io proprio io, miscredente fino al midollo; ma adesso non importavano  più i perché, adesso c’ero dentro davvero con tutta me stessa e portare a compito questa avventura pazza e straordinaria, era tutto ciò che di meglio potevo  terminare nella mia vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Sortilegio ed oblio ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

Care Rovina e Zia Esmy, non so come ringraziarvi per le belle parole, spese nelle vostre recensioni.

Davvero, sono molto lusingata, d’essere riuscita a trasmettere delle emozioni, attraverso le mie righe e il mio testo; credo sia uno dei complimenti più belli per una persona che si impegna nello scrivere, ed adora quello che fa tra le altre cose pur non avendone fatto mestiere, possa ricevere!

Le soddisfazioni che sto ricevendo con questa storia sono davvero impagabili e impensabili, visto lo scetticismo che comunque l’idea di per se di questo racconto, aveva suscitato all’inizio in me.

Ma ora tutto è cambiato, credo che l’essere riuscita a sentire mio questo testo, mi abbia dato anche quella spinta in più per renderlo così com’è; qualcosa di sovrannaturale, equilibrato, non invadente.

Amo questa storia, ed amo voi recensitici, per il vostro sostegno. Grazie di cuore!

Michelle, ringrazio anche te, sono riuscita a leggere per tempo la tua recensione, prima di postare questo capitolo! Grazie cara, e vai tranquilla, il tempo è tiranno per chiunque!

Vi mando un caro abbraccio.

LuNaDrEaMy

 

 

 

 

 

aawaa SORTILEGIO ED OBLIO.  aawaa

Chap n.11

 

 

-“Victor. E’ tutta la vita che ne sento parlare.”-.

Frank è ancora sulla sua poltrona, gira nervosamente le ruote sotto ai suoi piedi, slittando a destra e sinistra.

-“Come Betty, il tempo passato a sentir parlare di lei, mi ha insegnato ad amarla anche senza averla vista prima.”-.

Frank porta i suoi enormi occhi blu, nei miei.

Non mi ero accorta della loro bellezza imbarazzante; scruta le mie parole, se soltanto le potesse veder scritte, riuscirebbe a sbrogliare i nodi dei suoi perché.

Lo so, capisco le sue domande.

Siamo rimasti qualche minuto a parlare, ma di chi sia io in realtà, non ha capito molto.

Come dargli torto, davanti a se ha una perfetta sconosciuta.

 

-“Se vuoi, ho qualche sua foto.”-.

-“Mi piacerebbe tantissimo vederle.”-.

Mi avvicina alla sua scrivania, mostrandomi alcune cornici; in tutte, padroneggia la figura minuta di una donna, bellissima.

Ha profondi occhi chiari, capelli rossi e ricci, sguardo vivace e temperamento forte, a giudicare dalle pose.

Sì, è proprio lei.

Mi sembra impossibile d’averla dinnanzi agli occhi.

Eppure, è solo un pezzo di carta plastificata.

 

-“Lo diceva Victor, che tua madre era bellissima.”-.

-“Mia madre non faceva altro che parlarmi di lui, del suo carattere pacato, dei suoi modi gentili, della sua intelligenza. A volte dimenticavo persino che stesse parlando di un essere umano, tanto fosse perfetto!”-.

-“Lo è, sai?! E’ davvero un elisir di bellezza e raffinatezza.”-.

-“Lo credo, altrimenti non ne sarebbe stata innamorata tutto questo tempo.”-.

-“Lei, lo ama ancora?!”-.

-“Non ha mai smesso. Sì, i miei nonni l’hanno fatta sposare con mio padre e lei si è presa cura di noi, della casa, del suo lavoro, con amore e dedizione, ma il suo sguardo non era mai felice, come quando raccontava di lui.”-.

Alzo le spalle, guardando un po’ più in là; certamente Victor ne sarà felice.

Sono emozionata al pensiero della faccia che farà, quando ella stessa le dirà le medesime parole.

E le sue paure, le sue paure svaniranno come bolle di sapone nell’aria.

D’altra parte, non so se essere dispiaciuta per questo ragazzone al mio cospetto; come ci si dovrà sentire, sapendo che la propria madre, abbia vissuto una vita intera con il proprio marito, amando però un altro uomo?!

Io mi sentirei strana.

Strana, non so se è il termine più esatto.

Ma quale rapporto straordinario deve avere questa donna, che per anni ed anni non ha avuto pudori, con il sangue del suo sangue, parlandogli di codesto uomo?!

Per un attimo rabbrividisco; io e mia madre non parlavamo quasi mai, o almeno i nostri rari incontri verbali, finivano per essere quasi sempre scontri.

Ma questa, è un’altra storia.

 

-“Ma lei, dov’è adesso?!”-.

 

Frank mi guarda stupito, aggrottando le sopracciglia per la sorpresa.

Chiude gli occhi poi, lasciandosi andare in una risatina sarcastica.

 

-“Ma come, non lo sai?!”-.

-“No, non so.”-.

-“E Victor non sa?!”-.

-“Non sappiamo nulla.”-.

-“O Dio mio, il compito più duro è capitato a me.”-.

-“Lei è in Friedhof, sulla strada che costeggia la pineta all’entrata del paese.-.

 

Sto per domandargli di essere più chiaro, non conosco bene la sua lingua, so che Victor capirebbe, ma non saprei come spiegargli; d’improvviso però, la porta della nostra stanza si apre, scoprendo sull’uscio una vecchina, accompagnata da un’infermiera.

Ho una morsa, alla bocca dello stomaco.

Per un attimo, mi ritrovo a pensare che sia lei. Betty.

 

-“Dottore la disturbo?!”-. L’infermiera, una procace ragazza bionda, si affretta a parlare.

-“Certo che lo disturbiamo, non vede è in dolce compagnia!”-. Gli fa l’anziana, sorridendo ad entrambi.

La bionda arrossisce un po’, lasciandosi andare in una risata un po’ troppo sguaiata.

Sorrido anche io, divertita da questa bizzarra signora.

-“Cosa abbiamo oggi, signora Folk?!”-.

-“Dottore il solito dolore all’anca. Non sono più l’arzilla vecchietta di una volta…”-.

Signora Folk, non credo sia uguale alla parola mamma.

Sospiro, quasi sollevata.

Frank mi stringe le spalle, pregandomi di attendere un attimo.

Decido però di lasciarli soli, accompagnandomi alla porta, portandomi fuori.

Il corridoio che si affaccia ai miei occhi, è deserto; mi siedo su delle panche di legno chiare, fissate alla parete.

Ripenso a tutto quello che è successo in quella stanza, ed un brivido mi attraversa la spina dorsale.

Per un attimo sono così felice, d’aver paura di non saper raccontare a Victor questa scoperta sensazionale. Ho paura, di non avere più parole da impiegare.

Sembra tutto così illogico, eppure è vero, non sono in un sogno.

Domani, non mi sveglierò.

E se lo farò, Victor sarà fra le braccia della sua Betty.

 

Mi do un pizzico.

Giusto per un ulteriore constatazione.

La mia pelle s’arrossa in un secondo.

Questo livido, sarà il sigillo della verità:

Elisabeth e Victor finalmente, si ricongiungeranno.

 

-“Sibilla!”-. Frenk apre la porta, cercandomi con lo sguardo.

-“Dimmi, dimmi tutto.”-. Mi alzo, portandomici di fronte.

-“Ho da fare per un altro bel po’. Tu va a casa, hai bisogno di riposare.”-.

-“Sì credo sia meglio. Non vedo l’ora di dire tutto a Victor.”-.

-“In bocca la lupo, allora.”-.

-“Se mi serve fortuna, quella è per i miei esami!”-.

Mi sorride, carezzandomi la guancia. Sorrido a mia volta, carezzando la sua.

-“Allora ciao, a domani.”-.

-“A domani.”-.

 

Mi giro lentamente, accompagnandomi verso l’uscita.

Sono piena di speranze, invasa e pervasa da sentimenti totalmente lontani da solitudine, frustrazione, depressione.

Se non fosse che lui, LUI, è così lontano dai miei occhi, dal mio cuore.

 

-“Sibilla, aspetta!”-. Mi giro, Frank è alle mie spalle.

-“Oh dottore, ora capisco perché le sue visite durano così tanto; lei i pazienti non li lascia scappare!”-.

-“No, mi sono dimenticato di darti una cosa preziosa e importante.”-.

Si fruga nelle tasche, aprendomi di conseguenza il palmo della mano.

-“Mia madre mi dette questo tempo fa, dicendomi che se alla mia porta fosse mai apparso Victor, avrei dovuto consegnarglielo.”-.

 

Un ciondolo, giace raggomitolato nella mia mano.

Un rubino rosso incastonato in una montatura semplice e delicata, risplende nelle sue sfaccettature donando riflessi stupendi.

Lo stringo forte.

Posso sentire scorrere in quella pietra dura il tempo, l’energia di un’ amore mai assopito, la speranze che con esso non è mai morta.

Poi una chiave, grande e d’ottone, appesa alla stessa catena d’oro giallo; guardo il ragazzo incuriosita.

-“La chiave, apre la porta dell’appartamento posseduto da mia madre in giovinezza.”-.

-“Grazie Frank, grazie di tutto.”-.

Lo abbraccio forte, alzandomi sulle punte per riuscire ad avvolgerlo bene.

-“Grazie a te.”-. Mi cinge la schiena, accucciandosi con il volto nella mia spalla.

Poi lo lascio, salutandolo definitivamente.

Cammino spedita verso il mio albergo, il nostro albergo.

C’è una verità da raccontare, il testimone di una vita passata nel pensiero dell’uomo anziano che ha sconvolto la mia di vita, da consegnare.

 

 

-“Victor?! Victor ci sei?!”-.

Apro la porta della nostra camera, cercandolo con lo sguardo.

Non mi risponde, allora chiudo bene la porta, portandomi nell’appartamento.

Chissà dov’è.

Sono impaziente di vederlo, fremo.

Distrattamente passo accanto al terrazzo che da sul parco, collegato con alcuni scalini di pietra; continuo per la mia strada, poi ci ripenso e torno indietro, notando che la porta-finestra è spalancata.

Mi affaccio, scendo le scale, sono in giardino.

Da lontano, Victor mi chiama a gran voce.

Agito il braccio, incamminandomi verso di lui.

Ma le gambe cedono, mi accascio in terra come un frutto maturo, cadente dagli alberi.

Vedo il suo volto farsi bianco, poi una corsa affannosa verso la sua bimba stesa in terra.

 

-“Sibilla, che cosa hai?!”-. Mi aiuta a rialzarmi.

-“Non lo so Vic, io ti giuro che non lo so.”-. Mi passa una mano sulla fronte, preoccupato.

-“Sei pallida. Vuoi che chiami un dottore?!”-.

-“Oh no, è da lì che sto tornando.”-.

-“E cosa ti hanno detto?! Ma perché non sei rimasta lì?!”-.

-“Victor non preoccuparti, sto bene”-. Lo vedo che mi fissa amorevole –“davvero, e poi non potevo restare, ho delle cose troppo importanti da dirti.”-.

-“Non c’è niente di più importante della tua salute.”-.

-“Come sei caro, ma aiutami a distendermi piuttosto! C’è davvero qualcosa che bolle in pentola.”-.

Ride, cercando di alzarmi da terra; sono appoggiata sulla sua schiena, camminiamo un po’, riuscendo in breve a rientrare nell’appartamento.

Mi porta in stanza, facendo attenzione a non strattonarmi troppo.

 Delicatamente poi, mi fa stendere sul letto; sistema i cuscini, ordina la cena e si accomoda sul bordo del letto, sempre con la mano stretta nella mia.

-“Sei andato al comune?!”-.

-“Sì, sono riuscito a ricavare l’indirizzo di un appartamento appartenuto a Betty, ma nulla più. Ci sono passato, ma sembra fosse disabitata”-.

-“E’ normale, Betty non vive più in quella casa.”-. Lo guardo divertita, lui mi guarda pensieroso –“ma voleva che comunque tu avessi quelle chiavi.”-.

Victor continua a guardarmi, incerto e spaurito; prendo il ciondolo, lo sfilo dalla tasca del mio golf chiaro, porgendolo a lui.

-“E non solo. Betty voleva che tu avessi questo ciondolo, consegnandolo a Frank suo figlio, con la speranza che un giorno tu avresti bussato alla sua porta.”-.

 

Victor fissa intensamente il gioiello; i suoi occhi neri si fanno piccolissimi in un attimo.

Il suo sguardo mi spaventa, innaturalmente teso, mortalmente spento quasi.

Non riesco a capire se sia il ciondolo, o le parole che mi ha sentito pronunziare.

 

-“Ha, ha un figlio?!”-. A quanto pare, sembra essere la seconda opzione.

-“Sì. E’ stata sposata Vic, ma è vedova da qualche anno.”-. Mi schiarisco la voce, stringendogli forte la mano –“credo di sapere cosa stai provando in questo momento, ma voglio che tu sappia, che lei non ha fatto altro che pensarti ed amarti, per tutto il corso della sua vita.”-.

-“Te lo ha detto lei?!”-.

-“Suo figlio. Mi ha detto che il suo volto, si illuminava solo quando parlava di te, Vic.”-.

-“Potrà bastare a cancellare, che lei è stata di un altro uomo?!”-.

 

Non l’ho mai visto così.

Ha urlato, sì credo abbia urlato.

Ma la sua voce è così bassa che un leggero sforzo, storpiato dal dolore, sembra uno straziante urlo.

Non so che dire, avrei voglia di piangere.

 

-“No, non credo basti. Non c’è nulla che basti a sopportare l’idea che l’uomo o la donna che si ami, nel frattempo che tu sei stato via, è stato d’altri. Ora, hai la possibilità di scoprirlo.”-.

-“ Lo sai cos’è questo ciondolo?!”-.

-“No. Vuoi dirmelo?!”-.

-“Glie l’ho donato, prima che partisse.”-.

-“Qualcosa che vi avrebbe legato per tutta la vita. E’ un gesto molto romantico.”-.

-“Quando è partita, lei giurò d’amarmi per tutta la vita.”-. Mi guarda triste, afflitto.

-“Non ti è rimasto solo questa pietra di quell’amore. E’ lei che te le sta dicendo, ridandoti indietro questo gesto d’amore.”-. Gli stringo il palmo, chiudendolo a riccio.

-“Pensi sia così?!”-. Fissa la sua mano chiusa, cercando con lo sguardo momenti ormai andati.

-“Ne sono sicura, non avrebbe aspettato una vita, per vederti bussare alla sua porta. Almeno, io non lo farei.”-.

-“Allora perché hai permesso che Simone andasse via, se lo ami?!”-.

 

Oh, mi ha scalzata.

Ma ha ragione; se non aspetterei per vita un uomo che non amo, perché ho permesso al solo uomo che amo, di scappare via dalla mia vita?

Bella domanda.

E Simone rimbalza nel mio cuore, dopo vani attimi in cui credevo d’averlo assopito.

 

-“Forse, perché ero ferita. Come te, in questo momento.”-. Il mio sguardo scappa lontano, il rimorso invece, si avvicina. –“ma non siamo noi ad aver passato una vita lontani l’uno dall’altra, non sono io che ho sposato un uomo amandone invece un altro, non sono io che ho tenuto quella porta aperta, sapendo che lui sarebbe comunque tornato. Io, io l’ho chiusa per sempre forse… tu, tu che finalmente sei sull’uscio, tu che finalmente hai trovato la strada, non sbattertela in faccia. Non ora, Victor!”-.

 

E’più forte di me, la coscienza, il rimorso di coscienza, spinge con forza per entrare, ed io povera donna illusa e speranzosa di non farci ancora i conti, non posso far altro che sciogliermi al suo volere.

Piangendo.

Lacrime amare, lacrime così troppo presto padrone di me.

Lacrime che non attendevo, come un cattivo ospite, come una brutta sorpresa nel momento più felice della tua vita.

Ahimè: sto perendo.

 

-“Oh cielo! Quale povero vecchio lamentoso sono diventato… ti sto facendo piangere per colpa mia, bambina!”-. Mi stringe forte a se, spostandomi quasi con la sua forza brutale, dalla posizione comoda che occupavo.

Ed io sono inerme, fra le sue braccia, come un relitto alla deriva.

-“Non sei un vecchio lamentoso, sono io la ragazzina stupida che pensava di metter fine al dolore, con quattro fogli e una firma. Stupida.”-.

-“Non è mai troppo tardi per rimediare, ti ho insegnato questo. Ed io ho sbagliato con te Sibilla. Ti insegnato a non arrenderti, eppure sono qui a lamentarmi.”-.

-“Anche i migliori sbagliano. Ma la loro forza è nel rialzarsi.”-.

-“Bene, allora alziamoci, lasciamo le lamentele a chi ne ha fatto una virtù.”-.

-“Ho paura, Vctor.”-.

-“Anche io.”-.

-“Tu mi resterai accanto?!”-.

-“Io ti sarò vicino comunque.”-.

-“Comunque?!”-.

 

Non mi rispose, o almeno  non lo fece mai a parole.

Sapeva di non poter promettere l’eternità, sapeva che non avrebbe resistito a tanto, senza di lei.

Lui che già sapeva, lui che aveva sempre saputo, ma non aveva mai osato credere.

Ed io non potevo certo immaginare, che LEI se lo sarebbe portato via con se, lontano.

Lontano, come l’oblio che li legava, che  lo aveva tenuto in vita, senza cielo e terra.

Cominciai ad aver seriamente paura che non lo avrei mai più rivisto e questo fece di me una vittima; la vittima di un sortilegio e di un oblio, che d’improvviso cambiò destinatario.

Ma questo io, non potevo ancora saperlo.

 

 

Ragazze, come avrete capito, siamo in fase finale!

Conto di concludere la storia fra uno, due capitoli al massimo.

Mi dispiace se vi lascio con questa incognita, quasi a svelare il finale, senza che ve lo sareste aspettato ma per l’idea che ho in mente, credo sia l’ideale!

Vi aspetto al prossimo capitolo,

bacio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Destinazione futuro ***


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«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

Salve a tutti.

Sono tornata!

E’ da parecchio che non aggiorno questa mia ultima “fatica”, giunta quasi al termine.

Ci tengo parecchio a mandare un saluto particolare ai miei recensitori, più le mie scuse ovviamente, ed un saluto speciale a chi si aggiungesse fra essi.

Un caro saluto,

LuNaDrEaMy

 

 

 

 

aawaa DESTINAZIONE FUTURO  aawaa

 

Chap n.12

 

 

-“Sibilla, raggiungimi nel mio studio. Ho i risultati delle tue analisi.”-.

 

E’ da circa dieci minuti, che fisso la parete della mia stanza.

Gli occhi sono fermi, sempre sullo stesso punto.

Il cuore batte all’impazzata, nella probabilità che l’unica risposta alle mie domande, sia positiva.

Sì, sei malata Sibilla.

Sì, stai morendo.

Ghigno un po’, non è possibile che sia in procinto della fine; mio padre da ragazzina inveiva sempre contro di me, con la solita crudeltà:

 

-“L’erba cattiva non muore mai!”-.

 

Ecco, lui sentenziava che il sangue amaro scorrente nelle mie vene, mi avrebbe tenuta in vita fino all’eternità.

Ma quel povero pazzo non sapeva che il mio sangue era il sangue di tutte le ragazzine della mia età; sangue dolce, sangue impaurito, sangue papà-non lasciarmi sola.

Era mio padre. Ma mi odiava.

Lui, è morto prima di me, me l’ha fatta sotto al naso.

 

Mi alzo dal letto, lo sguardo è tornato a muoversi sul mondo.

Mi vesto lentamente,  scandisco i movimenti uno ad uno, come se non dovessi mai più compierli.

 

-“Sibilla non sei ancora morta, Sibilla non sai quale sarà il tuo destino.”-.

 

Una voce pulsa nelle mie membra, è distinta, femminile.

Ho paura.

Non sembra neanche più la mia coscienza parlante.

Il mio cuore è un tamburo, lo ascolto rapita; mai nella vita potrò sentirmi più viva di adesso.

 

 

-“Ho un appuntamento col dottor Willhelm.”-.

-“Prego, si accomodi signora. Il dottore è in visita, ma la raggiungerà presto.”-.

Ringrazio la segretaria con un cenno del capo.

Con i testa ancora tanti dubbi e paure, mi accomodo su una poltroncina dell’atrio.

Un odore di lavanda, si espande dai corridoi; sa di freschezza, di pulito, l’annuso divertita.

E mi lascio cullare da quella fragranza, fin quando Frank, non si materializza dinnanzi ai miei occhi.

 

-“Cara, t’aspettavo.”-.

-“Siamo qui adesso.”-.

-“Sì certo. Vieni, accomodati.”-.

 

Mi fa entrare nel suo studio, sempre in straordinario ordine e perfezione.

Le foto di sua madre padroneggiano la sua scrivania; stamane sembra che quella donna mi sorrida, al di là del vetro.

Frank se ne accorge, restando allibito anch’egli per un secondo.

Poi sorride, e con delicatezza estrema, mi porge la cartella con i risultati degli esami.

 

-“E’ tanto grave?”-. Sussurro a voce roca.

-“No Sibilla. Non è grave.”-. Trattiene una risata, il che fa ben sperare.

 

Mi distendo con un sospiro, lasciando andare via le tensioni.

Apro la cartella incuriosita, sfogliando con lo sguardo tutta quella serie di nomi troppo articolati e difficili da leggere.

 

-“Non riesco a capire cosa c’è scritto. Voi medici parlate una lingua tutta vostra! E per di più sono in un paese straniero!”-.

Mi lascio andare in una risata, lui si accompagna alla mia, avvicinandomi.

-“Guarda,”-. Con il dito scorre su una riga, nella cartella ancora fra le mie mani “qui c’è scritto che diventerai madre, Sibilla.”-.

 

Lo guardo. Poi guardo la cartella.

Poi di nuovo, guardo lui, negli occhi, profondissimi, chiari.

 

-“Non stai scherzando, vero?!”-.

-“No, aspetti un bambino. Vero.”-.

 

Oh misera me!

Ho parlato di morte, mi sono crogiolata in una fine che non esiste, quando io nel grembo, porto la vita?

Sono senza parole, ammutolita ed estasiata nella mia sorpresa.

 

-“Non sai da quanto tempo, aspetto di ricevere una notizia così bella!”-.

-“Per questo, ti ho fatta venire subito qui.”-.

-“Grazie Frank, grazie davvero.”-.

-“Io non ho fatto nulla.”-.

 

Ride, imbarazzato.

Ha un qualcosa di infantile, il rossore dipinto sulle sue guance.

L’accarezzo, sorridendo a mia volta.

 

-“Ora vado, a presto.”-.

-“A presto, cara.”-.

 

Lascio lo studio, con il cuore colmo di felicità, lasciando che ella stessa mi inghiottisca nel suo vortice di incanto  e leggerezza.

E’ ancora presto, le strade sono semi vuote; un leggero vento accarezza le gote, fresco e mai pungente, dolce e mai aggressivo.

Mi piace questa terra.

Mi piace ancor di più sapere che sarò presto mamma.

Quanto ho sognato questo momento.

Quanto ho atteso di lasciarmi cullare dalla certezza e non abbandonarmi all’oblio dell’incertezza.

 

-“Quanto ho voluto, sentirti dentro di me.”-.  Mi sfioro il ventre, delicatamente.

Sono una donna, adesso sì che sono una donna.

 

Passo dinnanzi a una cabina telefonica, per un attimo quel telefono sembra chiamarmi; mi attira a se, è come se fosse messo apposta lì.

Simone.

L’istinto è chiamarlo e dargli la dolce notizia.

Ma non si può, non ora che avrà ricevuto il plico di fogli, in cui è steso per bene la fine del nostro matrimonio.

Sono alle strette, se lo chiamo, questo influenzerà per sempre le nostre vite e le nostre scelte; ma se lo chiamassi, gli darei semplicemente la gioia di sentirsi padre…

 

-“Risponde la segreteria telefonica del numero…”-.

Aggancio in completo mutismo, prendo le prime ecografie di nostro figlio, gli allego un bigliettino e le spedisco; DESTINAZIONE… FUTURO. 

 

“Auf Wiedersehen”-.

-“Auf Wiedersehen”-. Saluto la gentile impiegata delle poste, ed esco in strada.

Ed è mentre sono per la via del ritorno, che mi imbatto in quel cartello, stretto, nero, spento.

Spento come le vita.

Spento come quel luogo, che racchiude la fine di un uomo.

E la fine di tanti uomini. Di chi resta, e di chi ci entra. Per sempre.

 

Friedhof.

Cinquecento metri sulla destra.

Quel cartello campeggia  con la sua scritta e le sue croci nere disegnate.

Friedohf. Cimitero.

Ho tumulto al cuore.

D’improvviso non c’è più gioia, solo paura.

E tremore, ed ansia.

Mi porto una mano alla bocca, cercando di trattenere lo shock; comincio a correre più forte del vento, che forte mi spinge per quei cinquecento metri della fine.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Un angelo nella mia vita ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

Salve a tutti, che piacere ritrovarvi ragazze!

Sempre contenta delle belle parole che avete da spendere per me. Grazie di tutto cuore!

Stavolta ho cercato d’aggiornare un po’ più di fretta, ma nel farlo mi è venuta in mente, ancora una mezza idea per questa storiella!

Credevo di terminarla con questo capitolo, ma pensandoci bene ci sono ancora parecchie cose da poter raccontare!

Sì, sì. ^^

Ok, vi lascio. A presto

LuNaDrEaMy

 

 

 

aawaa UN ANGELO NELLA MIA VITA aawaa

 

Chap n.13

 

Il mio arrivo in friedhof  è piuttosto bizzarro; la mia corsa irrompe nella quieta, facendomi vergognare del tale chiasso.

Non siamo alle giostre.

Me ne rendo conto troppo tardi.

Varco il cancello di ferro nero, pesante come un macigno, lugubre quanto l’atmosfera.

Il vento agita le fronde; degli improbabili uccellacci, si alzano in volo nel cielo.

Non sono per nulla spaventata.

Non che lo dovrei essere, ma non ho mai amato varcare nella solitudine e nel silenzio, senza nessuno al mio fianco.

 Ma questo posto mi piace; dolci essenze arboree di pregio, donano al luogo un carattere particolarmente romantico.

 

 

-“Victor dove sei…”-.

 

Mi accuccio nelle spalle, fa freddo.

Girovago di tomba in tomba, cercando quella sagoma a me tanto familiare.

Non è difficile scorgerlo, nascosto fra i cespugli rigogliosi, retto immobile come la più vigile sentinella; dinnanzi a lui, una piccola e modesta lapide di granito risplende ai raggi del sole.

La semplicità di questa terra e della gente che vi abita, si fa beffa anche dello sfarzo e delle rivalità familiari.

Dove sono nata io, la gente quantifica la potenza in base alla grandezza.

 

Pochi passi, gli sono accanto; accarezzo leggera la sua spalla, prima di chinarmi a porgere un fiore, raccolto da un cespuglio di narciso.

Il granito rosastro sembra illuminarsi ancora di più.

E lei, da quella foto scolorita, fredda ma inesorabilmente etèrea, mi sorride anche stavolta.

 

-“Eccola la mia Betty. L’ho trovata finalmente.”-.

-“Mi dispiace, caro. Non sai quanto mi dispiace.”-.

 

Sono affranta, ho creduto nel sogno della favola d’amore, che la realtà mi sembra così brutta e insopportabile.

Betty era un po’ anche mia, nei miei sogni.

E’ come se l’avessi persa io stessa, con le prime luci del mattino.

Victor mi sorride, si fa forza, ma il suo volto tradisce disperazione.

Muta, interna, devastante.

 

-“La vita di un uomo è fatta anche di dipartite. Noi non abbiamo colpe, dobbiamo solo aspettare.”-.

-“Aspettare cosa?!”-. Ho paura, le sue parole parlano di arrendersi.

-“Di ricongiungerci alle persone care, Sibilla. Come adesso, io l’ho trovata, ed è ora che smetta di girovagare per il mondo.”-. Sorride, nervoso, gli occhi gettati al di là di qualcosa che non esiste.

-“E cosa farai adesso?!”-.

-“Semplice, mi fermerò.”-.

 

Le sue parole suonano così innaturali, per un attimo sembro non percepire più la sua aurea, sembra non riesca più a sintonizzarmi sulle sue frequenze.

E’ come se mi fossi svegliata, dal torpore nel quale mi aveva racchiusa.

 

-“Io non ti lascio solo”-. E’ tutto ciò che riesco a dirgli, balbettando.

-“Tu hai la tua vita.”-. Si gira verso me, mi tende una mano sulla spalla e continua a parlare –“hai Simone, lo scopo del vostro proseguimento insieme. Non puoi lasciarlo solo, ora che il destino ha lasciato nel tuo sacchetto il gusto di una nuova scoperta…”-.

 

Il gusto di una nuova scoperta.

Sorrido.

Ecco perché non voglio lasciarti Victor.

Tu sei per me un mentore, un amico, una di quelle persone speciali che capita una sola volta d’incontrare.

-“Vede?! La vita è un po’ come un pacchetto di biscotti, infila la mano, pesca quello giusto e tutto ha un altro gusto. Così, chi demorde nella vita non ha capito che basta sfidare la sorte, per trovare il giusto sapore.”-.

Le sue parole, battono in testa.

Sembra passata una vita da allora. Da quando decise di trascinarmi nel suo mondo, fantastico.

-“Victor…”-. Non riesco a dire altro, mi ha commossa. Le lacrime scendono e rigano il volto, sono lacrime tristi, che fanno male, bruciano quanto l’addio che sento sto per dargli.

-“Adesso sai cosa fare Sibilla.”-. Mi prende a se, stringendomi forte –“il tuo cuore è pieno d’amore, va e fallo cantare!”-.

-“Come faro senza di te ?”-. Continuo a fissarlo negli occhi, soffocati dalle lacrime.

-“Oh piccola Sibilla, avrai così tante cose da fare da domani, che tu stessa dimenticherai di avermi conosciuto! Ma c’è di più…”-. Prende respiro, mi accarezza una guancia –“Non hai più bisogno di me. E lo sai…”-.

Provo ad oppormi, ma il suo sguardo mi fa capire che è una verità ormai impossibile da tacere.

Lui ha trovato la sua Elisabeth e per quanto mi sembra impossibile da capire, fermerà il suo cammino a questo momento, in questo posto.

Ed io? Ho scoperto di essere in attesa del figlio di Simone.

Non posso fermarmi ancora, devo correre da lui e salvare ciò che resta del nostro matrimonio.

-“Grazie di tutto.”-. Gli sussurro, all’orecchio, prima d’abbracciarlo forte.

-“Grazie a te piccola mia. Tu mi hai dato quanto di più, potessi offrirti io stesso.”-.

Lo guardo, le sue parole spiegano più di quanto io stessa potrei fare, aggiungendone delle altre.

Gli bacio una guancia, e non penso che è l’ultima volta che vedrò quell’uomo. No.

Vivrà sempre in me, nascosto fra i miei pensieri e fra le pieghe del mio cuore.

Mi volto per portarmi via di là, cammino svelta. Non si sente rumore. Né si proferisce parola.

-“Victor…”-.

Non resisto. Mi volto per un ultima volta.

No, non è la stanchezza, e nemmeno le lacrime. Non sono lontana, e lui non si è nascosto.

E’ andato via. Non c’è più. Victor non è.

 

Non me lo disse mai chiaramente, ma io ne fui così sicura, e ancora oggi che parlo di lui, crebbi e credo fermamente, che Victor fosse un angelo.

Per la sua grazia, il suo animo gentile, l’equilibrio e la pace delle sue parole.

Nella vita di chiunque, può capitare un incontro eccezionale, SPECIALE.

Per il momento in cui capita. Per le situazioni così impreviste, che si apprestano ad amalgamarti subito alla compagnia di tale persona.

L’arrivo di Victor nella mia vita fu imprevisto, quanto enigmatico; dapprima non riuscii a capire cosa centrava quell’ uomo totalmente sconclusionato, nella mia grigia e misera esistenza piatta. Io così presa dalla routine dei miei giorni tutti uguali, io così dannatamente sconfitta e arresa al destino avverso         del mio matrimonio, non trovavo il perché a quell’ uomo, alle sue parole che toccavano la mia anima, che riuscivano a spiegare mesi e  mesi di frustrazione interna. Lui ci riusciva. Ci è riuscito. Mi ha liberato dalla cappa dell’apatia. Mi ha ridato speranza e coraggio. Volontà, di riaprire il cuore e farlo cantare!

Questo era il suo compito, questo era il perché. Ecco cosa centrava lui con me.

E lo ha fatto facendomi passare per la sua storia, di un amore diviso, lontano, avverso al destino almeno quanto il mio; mi ha fatto entrare nel suo dolore, nella sua impotenza, per non far sì che un domani, la “pazza” vagabonda diventassi io. Buttati mi diceva, rischia mi diceva. Ma io era arrabbiata, troppo, per dar retta alle parole di uno sconosciuto .Credevo fossero solo sciocche similitudini, la sua storia e la mia! Quanto mi sbagliavo e quanto un sorriso adesso prende il posto di una lacrima, tutte le volte che ci penso.

Non ho più dolore, mi ha guarita. Sono di nuovo viva. Sibilla. Me.

 

Non riesco a staccare i piedi da terra, terribile sensazione immobilità.

Credo si chiami paura. Sì è paura quando le mani si agitano nervosamente, quando strusciano sui fianchi come se dovessero accendere una miccia e scoppiare da un momento all’altro.

Le porto in tasca, magari staranno comode. Ma qualcosa di appuntito mi pizzica un polpastrello; le tiro fuori e con loro, viene fuori anche la minuscola chiave d’ottone che avevo lasciato a Victor…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Richting sortilegium ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

 

aawaa RICHTING SORTILEGIUM aawaa

 

                       (vero e proprio sortilegio)

 

Chap n.14

 

 

Sono sicura, d’aver lasciato il ciondolo con la chiave a Victor; eppure, or ora, non riesco a spiegarmi come sia finito nella mia tasca.

Mah.

Non ho tempo per pensare, devo correre in albergo, fare di corsa le valigie e tornare a dov’ero, prima che il ciclone Victor mi travolgesse.

La chiave magari, la restituirò a Frank.

 

Sono ancora un po’ scossa, gli occhi mi bruciano e dentro ho  come una sensazione di vuoto.

Non riesco a darmi una spiegazione, ma capita spesso, quando si perde una persona cara.

Quando Simone se ne è andato da casa, lo stomaco mi è bruciato per una settimana intera;

se lo perdessi per una vita intera, non oserei immaginare come ne risentirei.

Adesso, ho troppa voglia di vederlo.

 

 

-“Prego, prego signora si sposti da questa parte.”-.

 

Un agente di polizia, mi scorta al di là della strada che stavo percorrendo.

 

-“Cosa è accaduto?!”-.

-“Il ponte che collega le due estremità della città ha ceduto signora. E’ pericoloso rimanere.”-.

-“Senta ma il mio hotel è dall’altra parte, io devo ripartire, come farò?!”-.

-“Penseremo a farle ricapitare i bagagli in un altro alloggio.”-.

-“Io non ho, un altro alloggio.”-.

-“Signora, non ho tempo da perdere, mi scusi.”-.

 

Ecco, in questo preciso momento, vorrei sprofondare in un abisso nero.

Mi guardo intorno, c’è deliro, traffico, confusione; l’amabile tranquillità e i sorrisi di questo paese sembrano stati cancellati d’un sol colpo.

Non so cosa fare, non so dove andare, perché…

Mi volto e cammino svelta.

Cammino, così senza meta, in balia dell’umore, del destino.

E piango, sono fragile, sono scossa.

Io che dovrei essere su un aereo, io che adesso sento l’impellente bisogno di tornare a casa.

Voglio la mia casa, il mio caos cittadino. Il mio Simone.

 

Una cancellata di bronzo, blocca il passo.

Non so dire dove sono, è un posto della città che ancora non ho mai visitato.

Il motivo per cui mi sono fermata qui, proprio non saprei spiegarlo.

C’è un odore di lavanda qui.

Sarà questo il motivo.

Mi ricorda i giorni passati qui.

E piango ancora. Il ricordo di Victor bussa dolcemente nei miei pensieri.

Mi manca tanto. Mi manca già.

Se fosse qui, lui saprebbe cosa fare.

Con la sua ironia, le sue battute fuori dal mondo. Con la sua calma e razionalità, il suo proteggermi e volermi bene, senza condizioni.

Mi sento morire dalla malinconia, ma poi penso che adesso è fra le braccia della sua Betty.

Non sarà mai stato più felice.

Ed allora, sono felice con lui.

 

Come è bella questa villa.

E’ sontuosa, ma di una finezza unica; passo al di sotto di un arcata che annuncia il portone d’entrata, ci sono fiori profumati, e rampicanti che rendono ancor più fascinoso questo luogo.

Mi sembra il giardino dei misteri, che da piccolina sognavo con le mie compagne di colleggio, quando cercavamo di ricreare con la fantasia, quello che non avevamo.

Mi sembra di sognare ad occhi aperti, ancora adesso.

Mi porto avanti, sembra sia disabitata.

Le rampicanti, coprono una targa; la scopro, lasciandomi andare nella mia curiosità bambina.

 

Lavandel hause

 

Casa della lavanda.

Mi piace!

Sorrido, poi ho un flash; questo odore significa di più, molto di più.

Mi infilo le mani in tasca.

La chiave di Victor, mi riempie la mano.

La infilo nella toppa del portone; dapprima tentenno sorridendo un po’ dalla vergogna, poi giro con un gesto secco.

E  la chiave gira. Apre.

Il cancello si sposta dinnanzi ai miei occhi, cigolando; tremo dall’emozione e dalla paura.

Deglutisco, poi incredula, mi porto al di là del giardino; i miei occhi ora sono lì, puntati nel cielo alto e viola di tramonto, che sorridono a lui, al suo giochetto beffardo, ma grati del momento di felicità di cui lui, gli ha fatto dono.

 

-“Grazie Victor…”-.

 

Ed è esattamente come lo immaginavo, questo immenso e composto guardino; lavanda appena sbocciata, violacea e viva, cespugli di gardenie e fronde d’alberi di salici piangenti.

Davvero un sogno.

Sfioro appena quell’erba soffice, incolta ma perfetta nella sua imperfezione; in un baleno, attraverso il giardino e sono dinnanzi alla porta d’entrata.

Il cuore palpita forte, ma non esito, infilo la chiave e magicamente si apre davanti a me, un salone degno delle migliori case regali.

Entro estasiata, non so bene perché sono qui, ma mi godo la meraviglia.

Le pareti sono la prima cosa che risaltano ai miei occhi; una spessa carta color rubino le adorna, è articolata e sontuosa, ma la sua straordinaria bellezza risiede nei dipinti attaccativi su.

Una mano esperta ha calcato i volti di quelle persone, perché altrimenti non si spiega come mai sembrino così vivi e reali.

Riconosco Elisabeth, nella giovane fanciulla riccia.

Una raffigurazione della sua bellezza acerba, di gioventù.

Il salone termina con una grande scala centrale, innalzata centralmente nella casa.

Salgo. Non ho meta.

Si aprono diverse stanze, dove primeggiano altri dipinti, mobili antichi e di fattura pregiata, tende di una stoffa a me sconosciuta.

Per un attimo chiudo gli occhi, e cerco d’immaginare la vita trascorsa in quelle stanze; vedo l’ombra di una donna, che cammina austera in quella casa, mandando avanti i lavori della servitù, inseguendo indisciplinati bambini che giocano a saltare dalle scale.

Questa casa avrebbe molto di cui parlare.

 

Li riapro, entro a caso in una delle ultime stanza sul fondo di un corridoio stretto, fermandomi.

Questa, è l’unica stanza spoglia.

C’è un solo cassettone di legno ed una scrivania con i cassettini.

Quel cassettone mi chiama, ed io non so perché gli ho risposto subito; dentro, riposti ordinatamente, ci sono degli indumenti usurati, di non so dire con esattezza di quale epoca siano, ma certamente antica ed alcune scatole.

Sposto i vestiti ed apro le scatole.

Plichi di lettere, fasciati con dei nastri, si ritrovano nella mia mano.

Mi accomodo in terra, con le lettere poggiate sulle gambe.

Sento il bisogno di leggerle.

Sono poesie, mano scritti e qualcosa di vagamente simile a cantilene.

Mi rialzo, prendo uno dei vestiti, lo accarezzo, sentendolo mio.

Lo indosso senza chiedermi come mai, sento solo che lo voglio addosso.

E’ un abito bianco, semplice, con chiusura a fascia sotto al petto.

Io ed Elisabeth abbiamo la stessa taglia.

Sorrido, poi come una bambina giro su me stessa facendo svolazzare il pizzo della gonna dell’abito.

Mi sento stranamente felice.

 

-“C’e qualcuno?!”-.

 

Una voce irrompe dalla quiete del corridoio.

Per un attimo ho paura e vergogna di me.

Cerco di nascondermi, poi mi porto verso l’uscita, cercando di non fare rumore.

La sagoma di un uomo, si avvicina minacciosamente al corridoio dov’è la mia stanza; ho paura, ma l’istinto di scappare è più forte di tutto.

Schizzo via, trovandomi faccia a faccia con quell’uomo.

 

-“Sibilla, sei tu?!”-.

 

Ho gli occhi un po’ annebbiati, mi sforzo di guardalo bene e finalmente riconosco in lui una faccia amica.

 

-“Oh, Frank!”-.

-“Cara, tutto bene?! Sembri spaventata a morte!”-.

-“Oh sto bene…- Mi guardo per un attimo, avvampo di vergogna-“ perdonami se ho fatto irruzione qui, senza permesso ma… mi è successa una cosa irreale e…”-.

-“Sibilla calmati mio Dio! Ti farai venire un infarto!”-.

-“Frank, ho bisogno di sedermi un attimo.”-.

-“Sì, lo penso anche io.”-.

 

Mi ha presa sotto braccio, portandomi nel soggiorno.

Ha scaldato dell’acqua servendoci del the.

Mi spiega con la sua solita tranquillità, che gli capita spesso di ritornare in questa casa, per tenere curato il giardino.

 

-“E’ una villa molto bella.”-.

-“Era di mio padre. La fece costruire apposta per mia madre. Sai, lei amava la lavanda e mio padre amava lei. Questo era il monumento del suo amore.”-.

-“Doveva amarla davvero tanto allora.”-.

 

Frank non risponde, guarda basso il pavimento.

 

-“Oh cielo! Sono stata indelicata, scusami Frank sono un vero disastro.”-. Mi alzo di scatto, portandomi verso l’uscita. Mi sento un idiota, una vera idiota.

Lui si alza con me, afferrandomi per un braccio.

-“Non devi preoccupartene. So che non l’hai fatto apposta.”-.

 

Mi sorride, è un bell’uomo.

Un bellissimo uomo. E’ attraente, ed il suo sorriso cela un non so cosa di misterioso.

 

-“Dove l’hai trovato questo?!”-. Mi sfiora il colletto dell’abito.

-“In un cassettone, in una delle stanze sul fondo.”-.

-“Mia madre non faceva mai entrare nessuno in quella stanza.”-. Sorride divertito, prendendomi per mano e conducendomi ci nuovamente.

 

-“Se c’è qualcosa che ti piace, puoi prenderlo se vuoi.”-. Mi dice, appena entrati.

-“Oh no, non voglio abusare ancora della tua gentilezza.”-. Mi spoglio di quelle vesta, ripiegando delicatamente quell’abito per non sciuparlo. –“Però c’è ancora qualcosa che puoi fare per me…”-.

-“Cosa?!”-. Mi fissa, con i suoi profondi occhi blu.

-“Dirmi la verità, per esempio.”-.

-“Cosa vuoi sapere. Sii più precisa.”-.

-“Voglio sapere Frank, conoscere. Perché vedi io ho conosciuto un uomo straordinario ed ho compreso i suoi insegnamenti, ma perché quell’uomo ha voluto che io fossi qui oggi, proprio non lo so.”-.

-“Vediamo se posso aiutarti…”-.

 

Mi ha presa nuovamente per mano, facendomi sedere in terra e porgendomi alcuni scritti.

 

-“Vedi questi?! Sono formule, druidi, incantesimi.”-.

-“Adesso sono io, a non capire dove vuoi arrivare.”-.

-“Elisabeth la rossa. Elisabeth dai ribelli capelli rosso tiziano, si diceva fosse figlia di una zingara, allevata nella alcova di maghe e fattucchiere, prima d’essere abbandonata in orfanotrofio. Da bambino non capivo perché la mia mamma perdeva innumerevole tempo a chiudersi in questa stanza, finche un giorno non la spiai; aveva i capelli legati e difronte a lei innumerevoli monili d’oro disposti su di un tavolo. C’erano candele tutto intorno, ed incensi che creavano un fumo denso e scuro. E lei, parlava un lingua a me incompresa.

Quel giorno, capii che i discorsi dei grandi su mia madre, non erano poi così sballati.”-.

-“Il fatto che una donna abbia amato i riti esoterici, non significa che fosse una maga, Frank.”-.

-“E’ quello che ho creduto anche io, finche non siete sopraggiunti tu e Victor.”-.

-“Cioè?!”-.

-“Leggi questo.”-. Mi porge un quaderno, ricamato sul fronte e ingiallito dal tempo.

-“E’ il suo diario… non credo sia giusto.”-. Lo sfoglio distrattamente, per poi riconsegnarglielo.

-“Parla della sua vita, i suoi pensieri più profondi. E c’è Victor. Il loro incantesimo d’amore e il loro rito per non spezzarlo mai.”-.

-“Cosa centra Victor?!”-.

-“Lei lo ha tenuto con sé, per sempre. Un pomeriggio, passato ad annoiarci non sapevamo che fare, così cita lei, gli ho tolto una goccia di sangue in segno del suo amore e ne ho fatto la nostra pozione d’amore. Così, resteremo sempre uniti, ovunque andremmo. Nessuno può dividerci, sebbene il tempo e lo spazio ci sono nemici, ma io sono sua e lui sarà per sempre mio. Il sangue chiama sangue.”-.

 

Rabbrividisco, eppure tutto ciò che ho vissuto fino a qui, non dovrebbe farmi essere scettica.

Conto davvero i brividi, che pervadono la mia pelle.

 

-“E’ assurdo Frank.”-.

-“Non lo è Sibilla, mi sono reso conto che l’ho sempre saputo.”-.

 

Lo guardo enigmatico, cercando di leggere nelle sue parole.

 

-“Pensare che avevo avuto sempre dinnanzi agli occhi, quel ciondolo che portava al collo. Ignoravo che dentro vi fosse l’essenza del loro amore, la chiave di tutto.”-.

 

Il sangue chiama sangue, questa frase ribatte nella mia testa incessantemente.

D’improvviso, tutto mi sembra più chiaro.

Come un raggio di sole, sparato nel cielo tempestoso.

Frank, in tutta la sua vita ha cercato molto più che la sua Elisabeth.

 

-“Frank... non dirmi che tu…”-.

-“Sono figlio suo, Sibilla.”-. Mi stringe le spalle, mi guarda disperato-“ Quando ti ho vista bussare alla mia porta e fare il suo nome, ho temuto di morire in un secondo”-.

-“Tu, sapevi tutto?!”-.

-“Non poteva che essere così, Sibilla.”-.

 

Sono davvero scioccata.

Senza parole.

Ma come potrebbero mai riempire il caos nella mia testa, due sciocche e insulse parole?

Frank è il figlio naturale di Victor, ed Elisabeth quando partì sapeva di essere incinta; sigillare il legame suo con quello di Vic, era l’unico modo per far sì di farlo tornare a se.

Si sarebbe gridato allo scandalo, l’avrebbero messa alla gogna ancor prima che per le sue fattezze così poco convenzionali.

E forse, si sarebbe data colpa proprio a quei suoi ricci, capelli rossi.

 

-“Ero convinto che tu sapessi, ma dovevo capirlo dal nostro primo incontro in ambulatorio, che non era così.”-.

-“Victor mi ha tenuta all’oscuro di tutto.”-.

-“Neanche lui sapeva.”-.

-“Neanche lui?!”-.

-“E’ stato qui tempo fa. Quando mi ha visto, gli è gelato il sangue nelle vene.”-.

 

Povero Victor.

Una vita intera a correre dietro ad un amore, ignaro di dover coglierne poi anche i frutti.

Per un attimo provo tristezza; sarei voluta essergli accanto in quel momento.

Ma forse, non ho nulla da rimproverarmi, mi ha tenuta fuori per proteggermi anche stavolta, il mio povero dolce Vic.

 

-“Questa storia è così assurda, sovrannaturale, io non credo di aver sentito mai tanto in tutta la mia vita!”- Lo guardo un po’ troppo sovreccitata, ma la foga è tanta –“ e credimi, la mia vita è paragonabile ad una telenovela!”-.

Riesco anche a sorridere e sciogliere le tensioni.

Lui si associa alla mia risata, lasciandosi distendere cullato da finta serenità.

 

-“Avanti, chiedimelo pure.”-. Lo sto fissando da un po’, arrossisco al pensiero che mi abbia scoperto, letto dentro.

-“Insomma un uomo come te, figlio di due persone un po’ speciali… mi stavo chiedendo se…”-.

-“Sai Sibilla, chiamarla magia non mi è mai piaciuto troppo. Mi ritengo una persona speciale sì, proprio come hai detto tu.”-.

-“Ed io che pensavo fosse pazza, la gente che andava farneticando certe cose…”-.

-“Io non posso raccontarti che se mi gettassi giù da un palazzo di dieci piani, magicamente mi spunterebbero le ali, ma che riesco a sentire le persone, ciò che hanno dentro nel loro profondo e nella loro intimità, questo sì.”-.

-“Proprio come tuo padre.”-. Sorrido, che “potere” fantastico ha ereditato quest’uomo.

-“Noi potremmo fare molto insieme, cara Sibilla.”-. Mi stringe teneramente la mano nella sua.

-“Noi?!”-. Mi scanso, so che non vuole essere invadente, ma non riesco ad evitarlo.

-“Sì io e te.”-. Sorride, vagamente imbarazzato.

-“No Frank. Questo è il tuo destino, la tua vita. Io non centro nulla con questo mondo, ho la mia vita che mi attende.”-.

-“Quindi, tu te ne andrai?!”-.

-“Sì, devo mettere in pratica gli insegnamenti di tuo padre, ma lontano da qui.”-.

-“Perdonami, sono stato invadente e…”-.

-“Cosa?! Cosa… tu mi hai aiutato tantissimo invece. Tuo padre lo ha fatto, tua madre, io vi sarò grata in eterno per questo. Prima d’arrivare qui ero uno straccio, una persona senza un anima, vuota dentro. Mi avete aiutata a colorare la mia intimità, dare un senso a tutto quello che mi circonda e il coraggio, d’osare.”-.

 

Quelle furono le ultime parole che scambiammo, in quella casa.

Frank mi aiutò a recuperare i miei bagagli e prenotarmi un taxi per tornare finalmente a casa.

 

-“Ah, Frank!”-. Mi sfilo le chiavi di tasca, facendole penzolare alla sua vista.

-“Tienile. Sono anche tue adesso. Nel mio paese, vige il culto dell’ospitalità, così ogni volta che vorrai rifugiarti qui, saprai dove andare.”-.

 

Lo guardo commossa, trattenendo appena le lacrime.

Sono stata bene qui. Davvero bene.

Ma a ogni modo, c’è il futuro che mi chiama, ed io non voglio farlo aspettare.

 

-“Rispondi … rispondi amore mio…”-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Ricordati di me ***


«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

Care ragazze, sono al termine di questa storia.

Mamma come mi dispiace, mo mi metto a piangere!

Allora vorrei ringraziarvi una per una, in special modo RoWina, Zia Esmy e michelle.

Rowina grazie per le belle parole che hai sempre speso per me, per gli accorgimenti e le correzioni. Ho apprezzato davvero tanto la tua lealtà. E la tua curiosità, nel seguirmi comunque. Grazie!

Zia Esmy, quanto sei dolce. Guarda l’altra volta, ti giuro che mi sono emozionata sulla tua recensione; non è un bel periodo nemmeno per la sottoscritta, purtroppo sembra che i mali arrivino tutti insieme. Ovviamente poi l’umore si trasmette facilmente su ciò che scrivo, anzi questo sito mi serve un po’ da cuscinetto.

Ad ogni modo, ti sono vicina, cara. Spero passi tutto presto.

Michelle, tu sei il mio portafortuna lo sai! Imperterrita, mi segui ovunque. Grazie, davvero grazie per la fiducia e la passione con cui mi apprezzi in quello che faccio.

Comunque prima dei saluti finali, volevo avvisarvi che ho aggiornato di un capitolo, precedente a questo, ma forse vi è sfuggito, non so.

Ora vi lascio.

Un bacio dolce

LuNaDrEaMy

 

 

 

aawaa RICORDATI DI ME aawaa

 

Chap n.15

 

 

-“Ma perché non risponde…”- L’utente da lei chiamato, potrebbe essere irraggiungibile –“Oh, rispondi accidenti a te!”-.

Dall’altro capo della città, un ragazzo biondo, cerca-invano- di stabilire una contatto telefonico, con la donna che ama.

La sta cercando da tempo ormai.

Attende di sentire ancora una volta la sua voce, che meravigliosa, può mettere fine all’angoscia che porta dentro, da quando l’ha lasciata sola.

 

-“Sempre occupato!”-. L’utente da lei chiamato risulta essere occupato-“ Fortuna che blaterava di gettare il cellulare nella spazzatura…”-.

E c’è un altro capo della città, che attende una ragazza bionda anch’essa.

Appena scesa da un aereo internazionale.

Appena riposta la sua avventura alle spalle.

Vuole sentire l’uomo che ama, che le manca.

Ma non sa che lui, la sta cercando da tempo immemorabile, non lontano da lì.

 

 

Prendo il mio mazzo di chiavi dalla borsa, le infilo distratta nella serratura; in lontananza sento il taxi fermo sotto casa, mettere in moto e ripartire.

Il palazzo è stranamente silenzioso, come se tutto intorno trattenesse il fiato, per gustare il mio ritorno in patria.

Non è cambiato nulla, da quando sono andata via.

I soliti foglietti appesi in bacheca, delle improbabili riunioni condominiali e un leggero odore di tinteggiatura fresca, che si espande per tutto l’androne.

Odio gli odori acri, ma tutto sommato questo adesso, sembra l’odore più buono che abbia mai annusato.

La porta è ormai aperta, poggio come di consueto le valigie ai miei piedi, prima di girarmi sulla stanza.

Se ci fosse Simone, adesso starebbe a rifilarmi la predica.

 

-“Cosa ti costa, portarle fino in camera?! Se le lasci qui, non concludi nulla!”-.

 

Mi manca da morire. Adesso amerei anche le sue prediche, giuro.

Rido, nulla è perduto.

Mi appoggio alla porta; piano, si richiude alle mie spalle.

Mi volto.

Simone è là.

Non dico mezza parola, impalata come uno stoccafisso, sullo stipite della porta, resto a fissarlo.

Non so se è una visione.

Non so se è il paradiso. Forse adesso mi sveglierò e scoprirò che quell’aereo non è mai arrivato, che si è frantumato contro il cielo, non atterrandomi mai.

Ma lui sorride. Emozionato, insicuro come un bambino, con quegli occhi verdi e immensi.

No, non è un sogno.

Emetto un gridolino eccitato.

Solo allora, Simone si sblocca venendomi incontro.

E mi abbraccia forte.

Mi toglie il respiro, mi soffoca, mi stringe in una morsa così forte che quando mi lascia, annaspo.

Ma mi rifà sua.

Mi bacia le guance, le prende fra le mani, disegnando con i pollici piccole carezze.

Stiamo piangendo insieme.

Le lacrime si mescolano al sapore dolce di un bacio, che non tarda mai ad arrivare, ma che dura un eternità.

Bum, bum, bum. Il cuore è impazzito.

Ed io non ho mai desiderato nessun altro, come lui.

Le sue mani salgono sul mio corpo.

La camicetta di seta color avorio, vola.

La sua maglia si toglie via da sola, così il resto dei nostri indumenti.

Mi prende in braccio, conducendomi in camera.

Delicatamente, mi posa sul letto; in ginocchio sul pavimento, mi bacia dappertutto.

Non c’è mezzo centimetro di pelle, che non è sfiorata da quelle labbra sensuali.

E lo fa, guardandomi dritto negli occhi; ah quegli occhi, mi penetrano l’anima.

E mi uccidono.

Così come quando si ferma sulla mia pancia, la bacia e incrociando il mio sguardo, mi sussurra un ti amo dolcissimo.

C’è nostro figlio lì. Lo sa.

Adesso finalmente lo sa.

L’accarezza come se fosse qui fra noi, gli da un altro bacio, poi scivola piano dentro me.

Fare l’amore.

Dicono sia un bisogno fisico.

Non credo che il desiderio che provano due persone che si amano, sia dettato solamente dal bisogno fisico.

Simone mi porta in alto, là dove nessuno può condurmi.

E potrei stare mesi, anni, senza il suo corpo, ma non potrei fare a meno del suo amore neanche per mezzo secondo nella mia vita.

 

-“Ti ho cercata tantissimo. Dove sei stata tutto questo tempo?!”-.

-“Sono stata via per un po’.”-.

-“Mi hai fatto spaventare. Credevo ti fosse successo qualcosa.”-.

-“Beh, qualcosa è successo.”-.

 

Rido, gli porto la mano sul ventre.

Eh già, quante cose successe da allora.

Il bambino, Victor, Frank, Betty… e l’Austria.

Mi sembra d’aver vissuto cento anni, in poche settimane.

 

-“Sì qualcosa è successo.”-. Si alza dal letto, va in sala, per poi tornare con un plico di fogli in mano. –“sono passato di qua giorni fa. Volevo restituirti questi.”-.

 

Apro il plico. I fogli della separazione, si materializzano davanti ai miei occhi.

 

-“Non ho mai neanche pensato, di poterti perdere. Mi dispiace averlo fatto pensare a te.”-.

-“Ma io sono tornata per te, adesso.”-.

-“Non ti chiederò mai scusa abbastanza, per il male che t’ho fatto.”-. Sembra non ascoltarmi, nei suoi occhi leggo sincero dispiacere.

 

-“Simone?!”-.

-“Sì?!”-.

-“Tu mi ami?!”-.

-“Tanto, Sibilla.”-.

-“Allora non hai nulla da rimproverarti.”- L’accarezzo amorevolmente –“ Sai cosa ho capito stando via?! Che non c’è amore senza spine e sacrificio, ma l’importante è restare uniti, superare, guardare oltre.”-.

-“Io sono tornato per restare, superare, guardare oltre.”-.

-“Ed io per amare. E farmi amare.”-.

-“E questi?!”-.

 

Mi guarda, nella mano sventola i fogli dell’addio.

Glie li tolgo di mano, con gesto secco; uno ad uno, volteggiano nell’aria, sottoforma di minuscoli pezzettini di carta stracciata.

Ci accoccoliamo ancora un po’, prima di lasciarci andare ad una notte insonne, d’amore, racconti e confidenze.

 

-“Caffè?!”-.

La sveglia suona, con gesto secco la spengo, guardando Simone; ha la testa poggiata sul mio avambraccio, gli occhi insonnoliti gettati nei miei.

-“Doppio…”-. Si alza, stampandomi un bacio sulla guancia.

Ci dirigiamo in cucina, per la colazione e le solite quattro chiacchiere prima di scappare al lavoro.

Mi piace questo senso di pace, la nostra tranquillità.

-“Sai, mi stavo domandando dove sia finito quel signore là…come diamine si chiama!”-.

Poggio la tazzina sul tavolo, scoppiando a ridere.

-“Victor. Si chiama Victor.”-.

-“Ah sì, Victor. Dov’è?”-.

-“Quando lo hai conosciuto, non mi sembravi così interessato…”-. Rido, mi piace stuzzicarlo.

-“Ora mi interessa invece!”-. Ride un po’ imbarazzato –“Hai passato più tempo con lui che con me, ultimamente…”-.

Se sapesse che ci ho passato molto più che del tempo insieme, forse non riderebbe.

Se sapesse che sono proprio i suoi insegnamenti, ad avermi ricondotto qui, forse  avrebbe anche il coraggio di volgere un pensiero profondo per quell’uomo straordinario.

Sorrido, guardando lontano.

Questa storia non resterà sepolta nel mio cuore.

Io ci penso notte e giorno a te, caro Victor.

-“Diciamo che…”-. Mi alzo, prendendo la borsa dell’ufficio –“lo saprai molto presto! Ora scappo, ci vediamo più tardi.”-. Lo bacio sulla fronte, prima di scappare.

-“Ho annullato il torneo di calcetto per i prossimi nove mesi!”-.

Sento che mi grida, dalla cucina.

Ma sono già fra scale.

Sono in estasi. Mi pizzicotto il braccio.

No, è tutto vero!

 

 

-“Ricordati di me, solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della mente invecchiata o distratta. Ma pur sempre una storia d’amore. Bella, la trama sembra avvincente!”-.

 

Lucia mi guarda dal basso della sua sedia; mi è molto mancata.

In ufficio si respira la solita aria assopita, ma lei, con il suo carattere e la sua parlantina riesce a rendere l’atmosfera gioviale.

Sono orgogliosa del mio semi-capolavoro, in realtà del mio primo libro in assoluto, ma del suo parere posso fidarmi.

Mi ha sempre perseguitata e motivata sul scriverne uno tutto mio, da quando seppe che amavo scrivere, presentandomi dall’alto delle sue conoscenze, ai migliori editori della città.

Lei è una scrittrice mancata.

Da quanto ho capito, vede in me il suo proseguimento. E questo mi piace, mi rende orgogliosa.

 

-“Ti piace sul serio?!”-.

-“Sì. E’ una bella storia, eterea e così sovrannaturale. Brava!”-.

-“Non l’ho ancora finita a dire il vero. Mi manca un finale.”-.

-“Lo troverai, ne sono certa.”-. –“Questo viaggio ti ha fatto bene, Sibilla. Sono così contenta, nel vederti e sentirti così in forma e felice.”-.

-“Grazie . Ma il mio passaggio qui sarà molto breve…”-.

-“Non dirmi che ripartirai?!”-.

-“Oh no!”-. Mi siedo sulla mia poltrona, accarezzandomi il ventre –“sono incinta, Lucia.”-.

La vedo alzarsi dalla sua postazione, venirmi incontro e regalarmi un abbraccio sincero e aperto.

-“Sono proprio felice!”-. Sono commossa, la mia voce è rotta dal pianto.

-“Oh la mia piccolina! Finalmente mi fai diventare zia!”-.

 

Siamo scoppiate a ridere, fra qualche lacrima e sorriso, prima di rimetterci a lavoro.

 

-“Sei tremenda, mi hai fatto sciogliere tutto il trucco!”-.

-“Ah, sei bella lo stesso, falla finita!”-.

 

Le dita scorrono veloce sulla tastiera, c’è molto arretrato, ma non me ne preoccupo, tornare a lavoro mi stimola mentalmente.

Un collega mi porge una tazza di caffè e nel sorseggiarla, i miei occhi vengono attratti alla finestra.

Quella finestra.

Mi alzo.

Qui è cominciato tutto. Sorrido leggermente, pervasa dai brividi.

Scruto bene l’edificio di fronte. Sorrido; oh santo cielo! Lo sto cercando davvero.

Che mi abbia lanciato la sua maledizione?!

Forse dovrò passarla io la mia vita, ad aspettare di vedermelo sbucare dal nulla.

Vorrei distrarre il pensiero, m agli occhi restano fissi sulla strada, si mescolano fra la gente.

D’improvviso, qualcosa di minuscolo infondo alla strada mi attrae; è un sorriso, quel sorriso, quegli occhi.

Il suo sorriso. I suoi occhi.

E una mano. Mi saluta.

Oh mio Dio. E’ lui.

E’ davvero lui. Victor.

E’ un attimo. Sorride ancora, mi da forza.

Vuole farmi sapere che c’è. Sempre ci sarà.

 Ricordati di me, perché io ricorderò te.

E allora ciao, ciao Victor

Gli sorrido.

Solo allora, si rimette quel buffo berretto sul capo, per mischiarsi fra la folla.

Ora sa, che starò bene.

 

-“Sibilla, che c’è?!”-. Lucia mi guarda perplessa.

-“Nulla, davvero.”-.

 

Mi rimetto a lavoro, voltando le spalle alla finestra.

Ma una volta seduta, il mio sguardo sente il bisogno di rigettarsi in strada, ancora una volta; sta svanendo.

Adesso mi volterò e quando lo farò, lui non ci sarà più, davvero.

Fatto.

 

E il vento si rialza nuovamente; ma stavolta la polvere non si anniderà in nessuno cuore.

Perché ora è pieno.

Vivo.

Può contenere solo una cosa:

L’AMORE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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