Scommettiamo, Naruto-chan?

di Hikari93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Naruto-chan? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: La partita ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: E del tuo passato che ti piace? ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Il passato di Sasuke ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Cercando un lavoro ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Lavori domestici e litigi sul divano ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Dubbi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Sentimenti ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: La maschera è tolta ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Capirci ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Delusione ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Scoperte ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Un tuffo nel passato… di nuovo! [Prima Parte] ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Un tuffo nel passato… di nuovo! [Seconda Parte] ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Problemi e soluzioni ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Scommettiamo, Naruto-chan?
 

 

     Prologo
      

 

 

Sin da quando ero piccolo, non avevo mai creduto ai fantasmi, né ai mostri o agli zombie. Avevo guardato gli horror senza temere attacchi improvvisi da parte di chissà quali creature sovrannaturali e riso, divertito, dinnanzi a documentari riguardo a eventuali alieni, sparsi chissà dove nell’universo.
Non avevo mai creduto a niente, se non a ciò che potevo vedere e, eventualmente, toccare.
Avevo ascoltato con sufficienza, e con una certa noia, i racconti del “terrore” messi in piedi dai miei amici, quando andavamo in campeggio. Avevo sempre detestato le tanto decantate “serate di puro terrore intorno al falò”, perché le avevo trovate noiose. Mai che qualcuno fosse riuscito a spaventarmi, tant’è che alla fine i componenti della mia combriccola avevano finito per fare a gara a chi riuscisse per primo a farmi tremare come una foglia.
«Non c’è gusto con te, Naruto!» mi disse Kiba una volta. «Non è possibile che non ti vengano i brividi! E dire che di questa ero sicuro!»
E io avevo ribattuto, pazientemente, con una misera alzata di spalle, accompagnata dal movimento deciso di un dito. «Non sono io il problema, siete voi che vi lasciate abbindolare facilmente.»
Perché io ci avevo creduto, ci avevo creduto davvero che, oltre a noi esseri umani, non esistesse alcuna altra forma di vita.
Finché non cominciarono le prime sparizioni in città.
Il chiacchiericcio intimorito dei miei compagni di classe mi faceva irritare, perché qualcosa dentro di me mi stava sussurrando di aver sempre sbagliato, di avere avuto un punto di vista troppo realista e chiuso. Che, oltretutto, era decisamente anticonformista, rispetto al mio modo di comportarmi, da perfetto sognatore, con la testa sempre tra le nuvole.
Sognatore, non visionario.
«Si tratterà di un criminale» concludevo svelto, chiudendomi all’istante, ed ermeticamente, in una dimensione tutta mia, dove non esistevano altro che le mie convinzioni.
Non esistono i fantasmi.
«Ah sì? E allora mi spieghi come mai, genio, non c’è la minima traccia di chi possa essere questo “criminale”, come ti ostini a definirlo?» Kiba gesticolava terribilmente, impaurito, pazzo.
«E tu mi spieghi quali prove avresti per rendere veritiero ciò che dici?» Lo avevo ammutolito.
Ma la quiete non era durata per molto. Le sparizioni, anche se più rare, erano continuate e con loro le nostre liti; sorgevano nei momenti meno opportuni e scatenavano un fracasso assordante. Nessuno dei due cercava di spiegare le proprie motivazioni, ma erano soltanto le urla di due persone che, sebbene si trovassero a meno di un palmo dal naso, non riuscivano a spiegarsi, non si sentivano, perché erano troppo lontane.
Così, inevitabilmente, avevamo litigato.
Alle rumorose frasi e accuse si era sostituito un doloroso silenzio. Inconsciamente io avevo cercato di capire le sue tesi, così come lui aveva fatto con le mie, ma non c’era più stato un punto d’incontro.
E si sa, la situazione resta inalterata se non sopraggiunge un fattore che la muta.
Fino a quando da Konoha non sparirono altre due persone. Era stata l’ultima di una lunga serie, ma senza dubbio si era trattato di quella che mi aveva colpito di più. Perché, quella volta, a volatilizzarsi nel nulla, senza alcunissima traccia della loro sopravvivenza o della loro morte, furono i miei genitori.
Kushina Uzumaki e Minato Namikaze.
Da quel momento, la mia vita cambiò, come era normale che fosse. Smisi di chiudermi ostinatamente nel mio sbagliato – perché ormai l’avevo capito, non poteva essere altrimenti – punto di vista, e andai da Kiba. Non ci fu bisogno di parole, perché la tremenda notizia della sorte della mia famiglia si era già saputa. Come se il vento impetuoso, che comandava ogni cosa, fosse stato più veloce delle mie gambe, e avesse avvertito tutti, li avesse messi in guardia.
Era stato in quei giorni che, dopo aver girato, cercato e urlato in lungo e in largo i miei familiari, avevo preso una decisione importante: avrei fatto di tutto per ritrovarli, e ci sarei riuscito.
Non escludevo più l’esistenza di alcun essere paranormale, anche se il perché non l’avevo rivelato a nessuno.
Del volto pallido che avevo visto quella notte, mentre strisciava silenziosamente accanto alle tende, sicuro di non essere visto; delle macchie di sangue che gli imbrattavano la veste bianca anch’essa, che si confondeva col volto; del frastuono delle catene che aveva ai piedi, e che si trascinava dietro come se pesassero dieci volte di più del loro peso effettivo; ma soprattutto, non dissi, né avrei mai detto, degli occhi neri e perfidi che la strana creatura aveva puntato nei miei azzurri, prima di farmi cadere al suolo, privo di sensi.
Prima di svenire, ebbi solo la consapevolezza di non riuscire a percepire il freddo delle mattonelle. Anzi, rispetto all’aria gelida che si era diffusa in quella stanza, il pavimento equivaleva all’inferno.
 
 
*   *   *
 
 
«Sono distrutto!» sbadigliai, e il suono emesso da quell’atto andò a coprire il fragore del vento e l’imperversare della tempesta. O almeno, alle mie orecchie non arrivò altro che lo sbadiglio. Allungai le braccia in alto e mi spinsi all’indietro, lasciando che la vecchia sedia in legno, scricchiolante, dondolasse sotto il mio peso.
Avevo perso il conto di quanti anni avessi trascorso da solo in quella casa; da quando avevo ricordo dei miei, cinque anni probabilmente.
Già… Minato Namikaze e Kushina Uzumaki erano spariti già da cinque lunghissimi anni e io, che continuavo a mantenere la mia promessa, o almeno a cercare di farlo, restavo un testardo. Non mi sarei arreso davanti all’evidenza dei fatti, ma avrei lottato fino alla morte per recuperare la mia famiglia, dovunque si trovasse.
Perché avevo imparato a non escludere nessuna ipotesi: tutto era possibile, anche ciò che avevo ritenuto impossibile fino ad anni prima.
Osservai degli appunti, illuminati da un soffio di luce prodotto da una candela, che erano quanto più di simile a testimonianze ci potesse essere. In pratica, non erano altro che taccuini, sottospecie di “diari”, narranti degli ultimi minuti di esistenza terrena degli scomparsi.
Avevo chiesto la collaborazione di un po’ tutti gli abitanti di Konoha che avevano avuto la mia stessa sorte.  Qualcuno aveva acconsentito, piuttosto fiducioso, mentre altri mi avevano sbattuto la porta in faccia, con violenza.
Ma sapevo che era il loro dolore a portarli a questa chiusura. Però, io stavo tentando di trasformare il dolore in forza, perché solo così sarei potuto andare avanti e non lasciarmi morire.
Rileggevo velocemente quanto mi era stato consegnato, e non era la prima volta che fissavo nella mia mente quelle parole: all’apparenza sembrava che non ci fosse alcun punto in comune. Ma in quale altro modo avrei potuto tentare, se non in quello?
Mi ero anche documentato, quanto più possibile, riguardo a fantasmi e a spettri, sperando che qualche testo permettesse alla lampadina nella mia zucca di accendersi.
Mi abbandonai a un sospiro: l’indomani avrei dovuto riconsegnare i libri alla biblioteca. Avevo fissato qualche dettaglio più importante – mica tutto, però! Del resto, non mi era mai piaciuto troppo studiare –, ma se il vero indizio, quello che mi avrebbe aiutato, andasse scovato? Individuato tra le righe?
Abbandonai anche solo l’idea di rileggere qualche brano, ritornando a focalizzarmi sui pezzi di carta, che probabilmente erano fonti quantomeno più attendibili di semplici libri di testo.
Sempre meglio la pratica della teoria, no?
Strinsi un foglietto logoro, che più di tutti mi pareva dettagliato. In effetti, non avevo potuto pretendere più di quanto le famiglie colpite dalle sparizioni avevano fatto. In fondo, mi presentavo come una sottospecie di ciarlatano, che non aveva creduto negli spettri, se non dopo che questi gli avevano fatto un torto. Non ero la persona più attendibile del momento.
Sospirai ancora, e contemporaneamente mi passai una mano tra i capelli biondi. Gli occhi mi si chiudevano – era quasi mezzanotte, e nelle ultime settimane mi ero sottoposto a una fase di studio e ricerche no stop – ma quel pezzo di carta che mi rigiravo tra le dita era troppo allettante per essere ignorato.
 
“Mi trovavo in cucina, quando sentii un rumore. Lì per lì non mi preoccupai, pensando che fosse stata mia moglie a produrlo. Quando, però, mi sopraggiunse il suono delle catene, mi precipitai da mia moglie, ma non trovai nulla. Ad accogliermi, solo il rumore di una tempesta che fino a poco prima non c’era e una macchia di sangue sul divano.”
 
Ma come si potevano collegare questi somiglianze con la mia versione – oltre che con quella di qualcun altro – senza avere ulteriori indizi? Era casuale l’arrivo di questo fantasma?
«Non ci capisco niente! Credo proprio di essermi tuffato in un’impresa più grande di me!» Mi allungai sul tavolo e appoggiai la fronte al legno massiccio e lavorato della scrivania. Giorno dopo giorno, cominciavo a perdere le speranze: e se non fossi mai riuscito nel mio compito? Stavo sprecando la mia vita? Avrei fatto meglio a usare i miei, cosiddetti, “anni migliori” per divertirmi e svagarmi? Ma potevo, considerando che molta gente era finita chissà dove? Talvolta, avevo pensato anche di ritornare sui miei passi, rivalutando la mia primissima tesi, ovvero che potesse trattarsi di un criminale molto abile. Ma, non appena la mia bocca formulava questa ipotesi, la mia mente mi riportava agli occhi nerissimi di quell’entità che mi aveva privato di ciò che di più caro avevo al mondo.
«Mamma, papà, cosa devo fare…?»
Ancora una volta non avrei ricevuto alcuna risposta, nessuno mi avrebbe parlato, fatta eccezione per il pianto silenzioso in cui rilasciavo cadere, che era diventato il mio unico compagno fedele.
Singhiozzai sempre più forte, abbandonandomi alla disperazione che mi stava attanagliando le viscere da troppo tempo. Avevo tentato con ogni mio inutile mezzo di reprimerla, di non considerarla, ma alla fine era esplosa, inevitabilmente, facendomi versare più lacrime di quando ero bambino.
D’un tratto un suono, come un tocco di campana.
Mi zittii, alquanto terrorizzato, come se tutta la paura, che non avevo mai provato da piccolo, si fosse scatenata tutta in un momento, ricordandomi solo di quegli occhi.
«Chi c’è?» Mi asciugai gli occhi, strofinandoli, e accesi la pila che tenevo nel cassetto della scrivania stessa. Mi alzai, ordinando alle gambe di non muoversi freneticamente.
Nessuna riposta, come avevo immaginato, solo un altro tocco di campana, più forte.
Cercando di vincere la paura, provai a concentrarmi sui successivi suoni che si facevano spazio in casa mia, fendendo l’aria invernale come spade affilate e bramose di sangue: provenivano dalla stanza.
Mi mossi lentamente verso l’interruttore della luce; lo premetti, ma non accade nulla: il lampadario sopra la mia testa aveva deciso di restare spento.
Perfetto.
«Guarda che non mi fai paura!» urlai, mentendo spudoratamente. Perché non ero più il vecchio Naruto, perché il coraggioso bimbetto, che credeva solo alla realtà effettiva delle cose, era sparito. Era buffa come cosa: invece di smettere di credere alle favole da grande, avevo cominciato a trovarle fondate.
Perfetto, di nuovo.
«Se hai le palle, fatti vedere, tanto lo so che ci sei!» Ero ridicolo, o semplicemente angosciato? Il fatto che parlavo da solo significava che ero diventato pazzo improvvisamente? Più di una volta avevo desiderato che tutto tornasse esattamente come prima e che la mia vita, quello che stavo vivendo, non fosse altro che un sogno.
Sebbene i piedi volessero restare incollati a terra, io non demorsi, ma li sforzai, sfidando quella che mi sembrava una forza di gravità centuplicata. Tremavo, ma avevo atteso quel momento da tanto, no? Non potevo demordere proprio adesso, vero?
Inghiottii il groppo in gola che mi si era formato, e mi asciugai le ultime lacrime. Se proprio dovevo sfidarlo, anche se non sapevo minimamente come fare, lo avrei fatto. Tanto, di scappare non se ne parlava: dove sarei potuto andare?
Una risata disumana mi fermò al posto.
«Mi cercavi? Sono anni che lo fai, non è così?»
Spalancai la bocca e lasciai cadere la torcia a terra, che si spense all’improvviso, seguita all’istante dalla candela. Non c’era un alito di vento, né una fiammella di luce. Ero al buio e in spiacevole compagnia.
Cercai di tranquillizzare il respiro grosso e di calmare i battiti del cuore che andavano a mille. Forse mi sentivo vicino alla morte, o forse ero semplicemente incapace di controllare i ricordi custoditi dalla mia mente, fatto sta che mi ricordai del viso dolce di mia madre, mentre mi diceva che il cuore batte a una velocità supersonica quando si è innamorati.
Non capii cosa effettivamente c’entrasse con quello che mi stava accadendo… a essere sincero, non capivo più nulla. Nessuno aveva mai detto di aver sentito questo fantomatico spettro parlare. Magari… magari se me ne fossi stato zitto, sarei stato salvo.
«No, non lo saresti stato, nessuno lo è.»
«Come ha fatto a leggermi nel pensiero?» parlai, senza nemmeno rendermene conto.
La voce dello spirito mi aveva mandato il cervello al diavolo. Era lenta, troppo lenta come se presagisse la fine, e agghiacciante, crudele e sofferente al tempo stesso. Una specie di melodia fredda che ti trapassava i timpani.
Fatti coraggio, Naruto. Coraggio! Da quanto tempo stai aspettando questo momento? Da quando speri di poter riportare in vita i tuoi genitori o, se non è possibile, di vendicarti contro questo essere? Non aver paura, in ogni caso sarebbe inutile, ora come ora.
«Qualunque cosa tu faccia sarebbe senza senso, capisci? Perché ora sei nel mio mondo, dove tu non esisti, non hai più una tua personalità. Ciò che è tuo, anche il segreto più intimo, è a mia conoscenza.»
«Stà zitto…» mugolai. Non sopportavo la sua voce: era irritante, ma, quel che era peggio, mi spaventava, e io non potevo permetterlo. Nulla doveva essere più importante e nobile del mio obiettivo.
«Naruto Namikaze!»
Udii il rumore delle catene, sempre più veloce, che aumentava mano a mano che il terrore si impossessava di me. Poi, dal buio assoluto si aprì uno squarcio di luce bianca, dalla quale avanzò, sempre più rapido, un alone chiarissimo, che divenne materiale, se così lo si poteva definire, solo quando fu faccia a faccia con me.
Non riuscii a scrutarne troppi particolari, perché caddi all’indietro, seduto a terra, sovrastato dall’immagine terribile dello spettro.
Le mani tremavano, senza controllo, così come le labbra e le gambe. Solo il cervello era rimasto “dalla mia parte” e, come me, voleva rialzarsi e darsi da fare: peccato, però, che la maggior parte del mio corpo non reagisse.
D’istinto mi portai un braccio davanti agli occhi, perché non avevo più voglia, tantomeno coraggio, di guardare la sua figura.
D’un tratto, qualcosa di freddo mi toccò il mento e, contemporaneamente la stanza intorno a me prese colore: non che mi interessasse granché, visto l’avversario che avrei dovuto fronteggiare, ma il luogo dove mi ritrovai non era più la mia camera.
Avvertii le dita dello spettro stringersi sempre di più intorno alla mia pelle, facendomi male. Era di un freddo gelido, pungente, doloroso. Soffocai un gemito quando sentii una sua unghia incidermi la carne, facendomi scendere un rivolo di sangue.
In quel momento, ero a sua più completa disposizione, tanto che, quando si abbassò quel poco che gli era necessario per guardarmi negli occhi e leccarmi via il sangue, non mi mossi, ma rabbrividii soltanto.
Avevo smesso di tremare, ma gli occhi spalancati e la bocca altrettanto aperta dicevano molto. Non mi ero mai visto in queste condizioni.
«Mi ricordi tanto tua madre» disse lui, accarezzandomi il volto.
Tua madre, tua madre…
Quelle parole mi furono di monito e incoraggiamento, come se lei fosse lì, vicino a me. Non dovevo dimenticare il mio obiettivo.
«Che ne hai fatto di lei, di mio padre, degli altri..?» urlai, colpendogli la mano con un colpo folle e preciso.
Sembrò sorpreso da questo mio gesto; magari, nessuno si era mai ribellato alla sua volontà.
Goffamente, mi alzai da terra, e mi concessi pochi secondi per osservarmi intorno. Non si trattava di un vero e proprio luogo, di un vero e proprio ambiente concreto, quanto di un ammasso di tenebra oscura, ma che allo stesso tempo era illuminata. Sì, dalla presenza del fantasma dagli occhi… rossi? Ma… non era lui quello che cercavo?
«Quei miserabili?» si concesse una risata. «Semplicemente non appartengono più al tuo mondo.»
Trattenni le lacrime, ma non potei evitare che i miei occhi divenissero rossi.
«Che fai, piangi?» mi schernì. «Era quello che meritavano» sussurrò «E tu, come loro, farai la stessa fine.»
Ebbi paura di nuovo.
Il fantasma aveva alzato l’ascia, che impugnava nella mano destra, e me l’aveva puntata contro la gola.
Deglutii, ma non mi spostai, anche perché delle mani fluttuanti mi tenevano bloccato. Alcune, dal terreno, mi paralizzavano le gambe ancora più di quanto queste non lo fossero già. Chiusi gli occhi, pronto al peggio, ma non successe nulla. Pensai, scioccamente, che fosse stato tutto un incubo, ma quando aprii gli occhi il viso del fantasma era ancora lì, un’espressione deformata da una ferocia letale. I suoi occhi cercavano vendetta, lo leggevo benissimo. Era ciò che anch’io avevo sempre voluto contro di lui.
«Perché vuoi vendicarti, spiegati» domandai. Tanto, se dovevo morire tanto valeva approfittarsene.
«Non sono affari tuoi, moccioso.» Fu glaciale e potente, come la stretta al cuore che sentii. Mugolai di dolore: sentivo il cuore come se fosse sul punto di scoppiarmi in petto; era lancinante, ma forse l’unica cosa che mi faceva capire di essere ancora vivo.
Chi muore smette di soffrire.
Il mio pensiero, che avevo capito veniva condiviso anche dallo spettro senza che potessi oppormici, lo irritò ancora di più. Il male all’addome si estese dovunque, fino a martellarmi in testa.
Quando divenne troppo forte, quando non percepii altro se non esso, non fui più in grado di sopportarlo, e persi i sensi.
 
Nel momento in cui mi risvegliai, mi ritrovai legato.
La puzza di sangue mi prese subito alla gola, facendomi venire la nausea. Ma dove diavolo ero finito?
«Namikaze, secondo te chi muore smette di soffrire?» Lo spettro.
Cosa dovevo dirgli? Il dolore che mi aveva inferto, solo guardandomi, era ancora vivo in me, come se potessi ancora sentirlo. Non volevo più provarlo, lo temevo.
Stetti in silenzio.
«Rispondi!» tuonò.
D’impulso serrai gli occhi, aspettandomi una fitta alla testa, ma non ci fu nulla. Pian piano, mi decisi a guardarlo in faccia,  e rividi quell’iridi nere. Ma ormai non era più importante: qualunque cosa fosse, chiunque fosse e per qualunque motivo fosse, non mi interessava. Ero sotto il suo controllo, tanto valeva cercare di essere razionale.
«Se muori non provi più alcuna emozione, nemmeno il dolore» risposi.
Lui ghignò. «Allora guardami, ti sembro forse vivo?»
Ancora una volta fui indeciso su cosa rispondere, ma optai per un no; scossi la testa.
«Spiegami, dunque, cos’è questa sensazione che sento. Perché sono vivo pur essendo morto?»
Non sapevo rispondere, non lo sapevo…
Cosa dovevo dirgli, e a che scopo? Mi morsi forte il labbro, sperando che mi sovvenisse l’idea giusta per tirarmi fuori dai guai. Ammesso che fosse possibile.
«Questo non lo so.» Mi feci scuro in volto. «Ma quello che so per certo è che io sto male quando non ho accanto la persona che mi… che mi fa stare bene.»
Temetti che la mia vita potesse finire all’istante ma, ancora una volta, non accadde nulla.
Sentii solo una risatina, che non mi piacque. «Facciamo un patto.»
Alzai il capo, esterrefatto. «Un patto?» ripetei.
«Esattamente: hai sei mesi di tempo. Se riesci a diventare la mia» ironizzò, come se mi stesse prendendo in giro, e non desse peso alle mie parole «”persona che mi fa stare bene”, avrai i tuoi genitori indietro.»
I miei genitori? Allora erano vivi! «Altrimenti?» chiesi.
«Altrimenti sarai mio per l’eternità.»
D’impulso sgranai gli occhi, poi mi rilassai, accennando a un sorrisetto. «Come vuoi, signor…?»
«Sasuke… Uchiha.»
 

 



 
Ammesso che siate arrivati quaggiù…
Vi starete chiedendo che cos’è… beh, me lo domando anche io. Ò-ò
Non si tratta d’altro che di un’idea idiota che mi è venuta mentre giocavo a Project 0 (e dire che sono una fifona -///-).
Dunque, cosa succederà adesso? Diciamo che sarà una “normale AU”, dove Naruto tenterà di “cancellare” il dolore provato da Sasuke.

(per il Sasuke isterico/pazzo, immaginatevi quello degli ultimi avvenimenti Cx).
 
Me lo lasciate un commentino? ç-ç
Grazie! Cx 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Naruto-chan? ***


Capitolo 1: Naruto-chan?
 

 

 

 «Naruto-chan, cos’è quel musino triste?» Mia madre. Sorrideva mentre allungava il braccio verso di me, per toccarmi i capelli. Era di una bellezza indescrivibile, quasi divina, come se non fosse umana.
Abbassai il capo, ma al momento del contatto non sentii nulla, se non l’impressione di un alone irraggiungibile che mi sfiorava. 

 «Mamma.»
Mamma, mamma… la chiamavo, perché la sentivo distante, e una strana sensazione mi suggeriva che lei non mi avesse riconosciuto per davvero, sebbene mi avesse chiamato per nome.
«Naruto-chan, perché non vuoi che mamma ti accarezzi i capelli? Non devi vergognarti: non si è mai troppo grandi per ricevere amore.» Era triste: i suoi occhi avevano smesso di brillare di quel verde sgargiante e gioioso, lasciando il posto a una nube malinconica. Le labbra erano piegate all’ingiù.
«Mamma» richiamai. «Dove ti trovi, mamma?» urlavo, mi agitavo e piangevo. Per quanto allungassi le braccia, per quanto le mie dita arrivassero a toccarla, a sfiorarle il volto, non sentivo né il caldo di una pelle viva, né il freddo di un corpo morto.
Era il nulla che aveva assunto le fattezze della donna più importante della mia misera vita. Lei che mi aveva dato tutto; lei da cui ero nato; lei, lei, solo Lei. Delle lacrime le segnavano il volto, piccole goccioline che non lasciavano traccia della loro presenza, quando venivano trascinate giù dalla forza di gravità.
Del resto era normale: il vuoto totale aleggiava intorno a noi.
«Naruto-chan, perché non vuoi abbracciare la tua mamma?»  Allargò le braccia, invitandomi verso di lei, come faceva quando ero un bambino.
«Ti sbagli!» obiettai. «Sbagli, io vorrei, ma non ci riesco, mamma! Come devo fare, cosa devo fare?» continuavo a urlare, ma cresceva in me la sensazione che lei non mi udisse. Dunque corsi, in preda a un istinto possente che si era impadronito delle mie azioni: le corsi incontro, la travolsi con le mie braccia e il mio petto, ma ottenni un solo risultato: quello di attraversarla, e di ritrovarmi dall’altra parte di quello spirito. Non ebbi il coraggio di voltarmi a guardarla: mi struggeva troppo il poterla vedere senza entrare in contatto e interagire con lei.
«Naruto-chan, perché mi guardi così?» Era spaventata, non era da lei. Mia madre era di un coraggio ineguagliabile, di una forza d’animo che avrei tanto voluto possedere interamente. Cosa… cosa aveva visto per farle assumere quel tono di voce terrorizzato. E cosa c’entravo io, cosa?
Mi voltai di scatto, e lo vidi.
Anzi no, mi vidi.
Avevo degli occhi rossi, spaventosi e non sembravo cosciente. Uno strano alone di colore rosso mi circondava, come se fosse un profumo talmente intenso da diventare visibile. Ero io, ma al tempo stesso non lo ero.
Avvertii una goccia di sudore scendermi lungo la fronte. Deglutii, incapace di muovere uno qualsiasi dei muscoli.
Eppure quel mostro stava attaccando mia madre. A velocità supersonica cacciò fuori gli artigli e spalancò la bocca, emettendo un urlo che mi lacerò i timpani. Non sapevo in quale dimensione, in quale spazio o in quale posto fossi finito, ma se fino a ora non avevo sentito altro che la voce di mia madre, adesso iniziavo ad avvertire altro, come il dolore.
L’altro me stesso non mi stava attaccando, ma quando provocò uno squarcio sul ventre di mia madre, senza che io riuscissi nemmeno a battere ciglio per soccorrerla, mi sentii morire.
 
Sobbalzai: un incubo, era stato tutto uno stupido incubo. Veritiero, e troppo, ma soltanto un sogno senza senso e senza alcuna spiegazione logica.
Aprii e chiusi gli occhi più volte prima di ritornare presente a me stesso. Mi osservai il braccio, constatando che mi tremava visibilmente. Lo afferrai per il polso, aiutandomi con l’altra mano, tentando di tenerlo fermo, ma come risultato ottenni solo che tutto il mio corpo fosse scosso da quel tremolio piuttosto vivace. Persino il labbro prese a muoversi indipendentemente: non ero padrone del mio corpo.
«Non pensavo che una sciocchezza del genere ti scuotesse in tal maniera. Mi sembri piuttosto provato.»
Fu meccanico il mio gesto. Girai il capo con estrema lentezza, non capendo cosa stessi facendo, né perché lo stessi facendo. La fronte era imperlata di sudore freddo e le palpebre spalancate.
Un ragazzo dalla carnagione pallida, in contrasto col buio delle sue iridi e dei suoi capelli, mi fissava. Stampata sul volto c’era un’espressione che già conoscevo, e anche il tono con cui mi aveva rivolto la parola non mi era nuovo. Una mano era poggiata sul fianco, conferendogli un’aria da vincitore.
Ci misi un po’ a riconoscerlo, visto che mi sentivo piuttosto intontito.
«Sasuke… Uchiha» mormorai, quando ritornai parzialmente in possesso del mio essere. Cacciai fuori tutta l’aria che avevo tenuto nei polmoni finchè non aveva cominciato a bruciarmi dentro e mi accarezzai i capelli, ipotizzando stupidamente che fosse mia madre a farlo. Passai e ripassai la mano, scompigliandomi ancora di più la zazzera bionda, perso in un profondo pozzo di malinconia. Mi si inumidirono gli occhi, ma non piansi: non l’avrei fatto davanti a lui.
«Cosa mi hai fatto?» domandai a denti stretti. Lo osservai di sottecchi.
Alzò le spalle, come a volermi far intendere che era estraneo a quella vicenda. «E’ un incubo, non puoi affibbiarmene la colpa.»
«Se tu non l’avessi rapita, non l’avrei sognata!» tuonai, fuori di me. Pensare che avevo il responsabile di tante notti fatte solo di pianti disperati e mai consolati, di giorni e giorni di ricerche sofferte e di sofferenza pura e non potevo fare nulla di immediato e concreto per cancellarlo dalla faccia della Terra mi faceva rabbia.
Strinsi le lenzuola nel pugno e imprigionai la lingua tra le due arcate dentarie.
«Fossi in te non reagirei così.» Cominciò a muoversi per la camera, seguito dal mio sguardo attento. «Ricordati che sono pur sempre l’unico in grado di risolvere questo… chiamiamolo spiacevole inconveniente.»
Il suo volto: la sua espressione era impassibile mentre parlava di morti e sparizioni come di un inconveniente.  Solo a volte, brevi e intensi sorrisi malvagi andavano a distorcergli le labbra, rendendolo più malvagio di quanto potesse sembrare in apparenza. In effetti, se me lo fossi trovato davanti sotto queste spoglie, non avrei nemmeno supposto che poteva trattarsi di colui che cercavo: l’avrei scambiato per un ragazzo normale.
«Mi fai schifo» sussurrai, stringendo più forte i pugni.
Sasuke sorrise alle mie parole, schiaffeggiando l’aria con un gesto di noncuranza. «Sono completamente indifferente al tuo odio. Non ti agevolerebbe nemmeno di tanto così» avvicinò il pollice e l’indice finchè quasi non si toccarono «affermare il contrario.»
«Credimi, non lo farei nemmeno in quel caso!»
Sembrò pensieroso e alquanto scettico. «Ne dubito fortemente, Naruto-chan
 
Ma avevo fatto bene ad accettare? Era vero che si trattava della mia unica possibilità, ma c’era da considerare anche l’altra faccia della medaglia, e cioè che Sasuke mi “avrebbe fatto suo per sempre”. Sarei diventato una sottospecie di schiavo? Mi avrebbe torturato come aveva fatto ieri? La mia testa era strapiena di domande e, mentre mi apprestavo a vestirmi per uscire in città e riportare i libri in biblioteca, sentivo la presenza inquietante di Sasuke dietro la porta.
Tirai fuori la testa bionda dall’apertura superiore della felpa, arancione, larga che stavo indossando e infilai le maniche al posto giusto.
Potevo fidarmi veramente di quel tipo? Del resto cosa l’aveva spinto a venirmi incontro in questo modo? Avevo tanto da guadagnare in caso di vittoria, ma altrettanto da perdere in caso di sconfitta; avrei dovuto tenere gli occhi ben aperti e i sensi vigili così da guadagnarmi anche lo zero virgola uno per cento di possibilità in più di farla franca.
Sorrisi sicuro: ero o non ero il tipo che puntava anche su percentuali bassissime?
Mi sarebbe bastato pensare a tutto ciò che rendeva la vita bella e degna di essere chiamata piacevole. In più, avrei dovuto scoprire cosa frullasse per la mente di Sasuke, e, per quanto mi dolesse ammetterlo, cercare di cambiare atteggiamento, perché anche questo costituiva un problema abbastanza grave: se io ero il primo a detestare Sasuke, come sarei potuto diventare la sua persona importante? Sarebbe dovuta essere una cosa reciproca.
Abbassai la maniglia e mi mostrai a Sasuke: dovevo giocare tutte le mie carte e annullare ogni mio ricordo e sentimento d’odio per spuntarla.
 
 
*   *   *
 
 
«Dove andiamo?» mi chiese.
«In giro.»
Passeggiavamo per le stradine strette di Konoha, dotate di pochissimo marciapiede. Ai lati, talvolta s’intravedeva qualche ciuffo d’erba verde, sopravvissuto, almeno per il momento, all’autunno che imperversava. I viali erano abbastanza silenziosi, soprattutto perché i bambini erano a scuola a quell’ora e i ragazzi più grandi difficilmente erano già in piedi. Solo qualche adulto, taciturno, alcuni con buste della spesa in mano, rincasavano o deviavano verso altri negozi. Beh, Konoha non era immensa, ma aveva quel po’ che bastava per vivere una vita tranquilla.
«Ti piace il posto?» domandai, per cominciare un minimo di conversazione.
«Mh.»
Mi strinsi nelle spalle, sistemandomi meglio il cappotto, così da difendermi dai taglienti spifferi di vento gelido. Poi, diedi un’occhiata a Sasuke: sembrava completamente diverso dal tizio macabro che avevo conosciuto meno di ventiquattro ore prima. «Che significa “mh”?» Non dovevo demordere, ma era indispensabile che ci rapportassimo in qualche maniera. Forse si era fatto più schivo proprio perché voleva evitare che io diventassi importante per lui. Mmm… riflettendoci, questa tesi non reggeva troppo.
«Mi fa schifo» puntualizzò poi «non ha senso che stia ancora in piedi.»
Tenetti a freno la lingua, e qualcosa mi diceva che avrei dovuto farlo spesso, da allora in avanti. Alzai le spalle, lasciando che il discorso andasse a scemare con la sua osservazione.
«Fa freddo, vero?» ripartii. Mi abbracciai e strofinai le mani sulle braccia, per produrmi un po’ di calore. «Eppure è solo fine Settembre!»
«Per me è indifferente: non provo nulla.»
Lo disse con una tale semplicità da farmi rimanere spiazzato, tant’è che bloccai di colpo la mia andatura. Non si trattava di pietà, dispiacere o compassione – come avrei potuto provare qualcosa del genere per colui che mi aveva tolto la famiglia senza un motivo che mi fosse concepibile? –, ma si trattava di essere sbattuto a forza contro la realtà dei fatti.
Eravamo diversi io e Sasuke. E troppo, anche.
Il punto, però, era che non ci contraddistingueva una diversità normale, quanto qualcosa che fosse impossibile da annullare. La differenza stava nel fatto che io ero vivo e provavo, mentre lui era l’ombra di ciò che era stato.
Era stato… lui era stato: un individuo come me, con sentimenti, affetti e obiettivi. Un uomo, un essere vivente. Mi ero lasciato sfuggire tutto ciò, l’avevo dato per scontato. Se era vero che Sasuke era un umano – e lo era stato di certo – allora era più che possibile, era sicuro che avesse in sé anche una parte buona. Oppure il bene che è in noi scompare con la nostra morte, lasciandoci soltanto il marcio? Cosa l’aveva spinto, dunque, ad agire così? Quale torto aveva subito, da portarlo a prendersela con i suoi stessi simili? Ma c’era anche un’altra domanda che mi assillava, che forse era di più facile risposta rispetto alle altre, anche se non sembrava: come aveva fatto Sasuke a procurarsi un corpo, quando in realtà non era altro che uno spirito?
«Usuratonkachi, cos’hai da fissarmi?»
Eppure niente di lui sapeva di terrestre. Non lo era la voce, non lo erano i modi: o probabilmente era tutto un mio modo distorto di vedere le cose.
«Andiamo» scandì e, con la stessa lentezza con cui erano state pronunciate le sillabe, un dolore sempre più forte mi percosse la gamba, distogliendomi dalle mie riflessioni. Forse avevo passato troppo tempo col naso tra i libri, a ipotizzare, quindi non riuscivo più a farne a meno.
«Cosa vuoi farmi?» Alzai il tono di voce, e presi a saltellare ridicolmente su una gamba sola, alternando la destra e la sinistra. Ero memore delle mani fantasma che mi avevano impedito ogni movimento, per cui era meglio prevenire.
«Sei ridicolo, usuratonkachi.» Prese a camminare in avanti.
Usuratonkachi, usuratonkachi, usuratonkachi…
«Usuratonkachi a chi, teme!» sbottai, e il mio urlo riecheggiò nel silenzio surreale che si addiceva tanto al mio strano compagno. Gli corsi dietro, prima che potesse distanziarmi troppo.
 
«Eccoci, questa è la biblioteca!» annunciai come se mi trovassi al centro del mondo, e fu per questo che ricevetti degli “ssssh” di disapprovazione da parte di coloro che si stavano dedicando alla lettura. Incrociai le mani e chiusi un occhio, chiedendo perdono.
«So che questa è una biblioteca» disse sarcastico, lasciandosi passare una mano tra i capelli neri e concedendosi un sospiro. «Ti ricordo che sono nato prima di te» aggiunse poi.
Sembrava strano, dato che pareva avere la mia stessa età.
«Coraggio, andiamo a consegnare questi libri, tanto» mi incupii «non mi servono più.»
Sentii la mano di Sasuke afferrarmi il polso e stringermelo. Era fredda, non era cambiata dall’ultima volta che aveva vagato sulla mia pelle. Con poca forza, dato che opposi poca resistenza, mi attirò in prossimità delle sue labbra, in modo che potessi udire ciò che aveva da sussurrare. Si concesse un risolino, che mi fece dimenticare tutte le buone intenzioni che avevo avuto fino ad allora. «Hai ragione, Naruto-chan, ormai mi hai trovato.»
Naruto-chan.
Ogni volta che lo pronunciava, sentivo una stretta al cuore, perché mi rimandava coi ricordi al sogno di quella mattina stessa. Era passato così poco tempo, ma mi sembrava di essere distante anni luce da quell’immagine e da quella che era stata la vivida percezione della sua voce.
Non fiatai più, ma stetti a ripensare al sangue che usciva, virulento, dal corpo di mia madre, dilaniato. A fiotti, si disperdeva per l’ambiente sconosciuto, mi bagnava le guance e mi macchiava della consapevolezza di non aver fatto nulla, ma di essere stato, anzi, il motivo del suo dolore.
 
«Spettro» lo apostrofai, per chiarire le distanze «non chiamarmi mai più in quel modo!» sbottai, cercando di contenermi, quando tornammo a casa.
La maschera di ragazzo vissuto e sofferente, che Sasuke aveva indossato finchè la porta di casa non si era chiusa alle nostre spalle, era scomparsa del tutto. Al suo posto, era ritornata l’espressione che conoscevo.
«Come? Usuratonkachi?» Mi stava schernendo, lo vedevo dal luccichio divertito delle sue iridi. Era chiaro ed evidente, anche se tentava di nasconderlo. O forse faceva finta, così da farmi innervosire e uscire di senno.
«No, razza di bastardo!» Lo afferrai per il colletto della camicia bianca e strinsi, attirandolo a me. Non percepivo il suo respiro: quello che avevo di fronte era solo un corpo vuoto. Come avrei fatto ad affezionarmi a un guscio vuoto? «Sai cosa intendo» digrignai.
«Vuoi dire, forse, Naruto-chan
Fu un lampo: i suoi occhi si spalancarono e da neri diventarono rossi.
Avvertii che le forze mi stavano abbandonando e che la mente si stava proiettando da qualche altra parte, in un luogo indefinito.
Di nuovo.
«La vedi, Naruto-chan? La vedi?» Lo spettro. Non lo vedevo fisicamente, ma la sua voce era assordante e mi spaccava i timpani. «Voltati!»
E io seguii il suo comando, come ipnotizzato. Gli occhi erano vacui e i miei movimenti meccanici e guidati. Lui aveva detto “voltati”? Così avrei fatto.
Nemmeno quando mi si ripresentò dinnanzi la scena del sogno mi mossi, né reagì. Ero diventato quello che era Sasuke: un corpo vuoto, con uno spirito morto al suo interno.
«La vedi, Naruto-chan? E vedi chi è che sta compiendo un tale massacro? Sei tu: il piccolo e tenero Naruto-chan sta ferendo la mamma?»
Era come se mi osservassi dall’esterno: vedevo il mio corpo, come mantenuto in piedi da un burattinaio, intento a osservare la scena del sogno. Poi c’era un altro me, quel secondo me indemoniato in cui rifiutavo di riconoscermi.
Osservavo e subivo i fatti contemporaneamente.
Sasuke mi aveva preso alle spalle e, dopo aver sollevato la felpa, infilò una mano sotto, così da toccarmi la pancia. Con un certo distacco, avvertii i suoi polpastrelli – gelidi, sempre gelidi – che mi accarezzavano secondo uno strano disegno. E poi qualcosa di viscido, e più caldo delle sue dita, in prossimità del collo. Sasuke aveva cominciato a leccarmi la pelle e dove la sua saliva entrava a contatto con la cute sentivo bruciare.
Ma continuavo a non muovermi.
Finché l’atroce spettacolo di mia madre ridotta a brandelli non culminò in una pozza di sangue. Solo allora, col sapore del liquido rosso su per il naso e la gola e con la sensazione di Sasuke ancora appiccicato a me, ripresi conoscenza.
Fui di nuovo in cucina, dove tutto era cominciato.
La scena iniziale non si era modificata: c’ero io e c’era Sasuke, la mia mano stretta sul colletto della sua camicia. Pian piano la presa andò scemando, fino a quando non si allentò del tutto, facendo sì che la mano ricadesse lungo il fianco, come se attirata verso il pavimento. E il corpo, vittima di quello stesso insulso gioco, cadde in ginocchio. «C-cosa… cosa hai f-fatto?» balbettai.
Stavo facendo uno sforzo enorme per far uscire le parole. Il collo mi faceva male e in gola era forte il sapore del sangue di mia madre. «Cosa hai fatto? Cosa?» Gradualmente alzai il tono di voce e insieme a esso aumentava la mia rabbia. «Non era nei patti, idiota, hai barato!» Battei i pugni a terra, facendomi male ma sopprimendo il dolore.
Mi lamentavo, afflitto, come quando, da piccoli, Kiba escogitava qualche sotterfugio per scamparla. Ma ora era diverso, dannazione! «Come diavolo faccio a combattere contro di te?» Diedi un pugno al muro, arrossandomi tutte le nocche.
«Non c’era alcuna deroga al proposito. Anche tu puoi usare tutti i mezzi che vuoi» sogghignò, beffandosi della mia debolezza. «E poi, è stato solo un test psicologico, nient’altro.»
«Và al diavolo!» urlai.
«Siamo suscettibili, Naruto-chan» sussurrò, ritrovatosi improvvisamente a una distanza quasi nulla dal mio volto.
«Credimi, Sasuke Uchiha, credimi perché te lo giuro sul mio onore e sulla famiglia. Io contro di te non perderò, puoi usare tutti i trucchetti che ti pare.» Facendomi forza sulle gambe, riuscii a mettermi in piedi, sebbene fossi ancora parecchio scosso.
«Non temere, non mi serve la tua autorizzazione per farlo» rise. «Anzi, ti dirò di più: giuro su me stesso che non riuscirai mai a sopraffarmi.»
Ebbi solo il tempo di accennare una breve smorfia di sdegno, poi dovetti strascinarmi e poi appoggiarmi al tavolo, altrimenti sarei potuto svenire.
Era già passato un giorno, e non sarebbe potuta iniziare peggio di così.

 


 

 





 
La verità? Non ho idea di cosa abbia scritto. Ho paura che non si capisca, ma un po’ è vero perché ci sono altre cose di Sasuke che vanno svelate (a tempo debito, ovviamente ù-ù).
Nel frattempo: grazie alle 7 persone che hanno recensito, alle 3 che hanno messo la storia tra le preferite e alle 21 che l’hanno messa tra le seguite.
 
Come sempre, un commento di qualunque tipo è sempre gradito! ^___^
 
P.S. Io non voglio procedere con una narrazione troppo lenta o priva di avvenimenti significativi, però loro sono avversari e non si conoscono se non da poco. Prima che si arrivi a qualcosa di yaoi basato su un vero sentimento bisognerà aspettare! >///>
Spero non vi annoierete! >//<
Oddio, i complessi mentali! §___§


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: La partita ***


Capitolo 2: La partita
 

 
 

Sentii la superficie del tavolo bagnata sotto la guancia appiccicosa. Sbattei più volte le palpebre prima che la realtà tornasse ad apparirmi limpida. Il braccio indolenzito mi pregava di cambiare posizione, di mettermi comodo, ma non obbedivo. L’altro, di braccio, era a penzoloni, e seguiva un movimento di andirivieni tutto suo, che non ero io a impartirgli. La schiena mi doleva: dormire sulla sedia in cucina, assumendo una posizione piuttosto scomoda, non era il massimo per mantenersi in buona salute. Oltretutto, nemmeno il mio umore era dei migliori: avevo pianto, e me ne vergognavo.
Mi vergognavo della mia debolezza, del mio essere umano e non potermi opporre a qualcosa di superiore al conosciuto, a qualcosa di paranormale.
Mi abbandonai a un sospiro, serrando le palpebre, deciso a non aprirle più.
Sapevo che sarebbe stato difficile, lo avevo saputo fin dall’inizio. Ma allo stesso tempo ero arrivato a capire che non avrei potuto rifiutarmi di combattere una battaglia importante come questa. Dovevo reagire, e dovevo farlo per me e per gli altri.
Gettai un’occhiata in tralice alla stanza semibuia, per capire dove si trovasse lo spettro.
«Ben svegliato.»
Strinsi i pugni e mi alzai a sedere, sentendo lo schiocco delle ossa indolenzite. Trattenni un gemito di dolore, perché non era proprio il caso di mostrarsi più debole di quanto già fossi davanti a lui.
Sasuke sedeva sul divanetto nero con le gambe accavallate. Sorseggiava qualcosa da un tazzina piccola e bianca, che riconobbi come mia, e mi fissava divertito. I capelli leggermente scompigliati, come se si fosse appena svegliato, e indosso aveva una camicia blu, sbottonata tanto da far intravedere il petto muscoloso.
Aveva tutte le caratteristiche di una persona.
«Dormito male, eh?» Prese un piccolo sorso dalla tazza, poi scoccò la lingua sotto il palato, per assaporare meglio qualunque cosa stesse bevendo. «Quasi quasi avrei voluto svegliarti, magari ti saresti sentito meglio.»
«Al diavolo i perbenismi, vaf…»
«Eh, eh, eh, Naruto-chan, non si dicono le parolacce» mi interruppe, accompagnato da un’alzata di mano. «Qualcuno nell’aldilà non ne sarebbe felice.»
Dovetti fare appello a tutta la mia calma per non prenderlo a pugni.  Mi limitai a far schioccare le dita e respirare profondamente. Inspirare ed espirare. «Non riuscirai a farmi perdere le staffe, Uchiha.»
Lui alzò le spalle, poi si sistemò meglio sul divano, appoggiandosi a un bracciolo, come se avesse intenzione di stendersi. «Non è ciò che intendo fare» roteò la tazzina, osservandone il movimento «stai facendo tutto tu.»
«Per l’amor del cielo!» borbottai. «Tu non desideri altro che la mia vittoria, ne?» lo schernii, avvicinandomi. Lo feci senza nemmeno preoccuparmi dei suoi probabili imbrogli.
«Se non ti impegni non meriti di vincere.»
Fermai la mia andatura a passo di marcia e rimasi a fissarlo, imbambolato.
«Cos’è quella faccia, usuratonkachi?» Il sopracciglio si alzò, definendo un’espressione indagatoria.
«Mhf, sembrerà strano, ma hai ragione.» Mi grattai la testa e mi appoggiai una mano alla vita. «Ma sappi che quando mi impegno sul serio il mio avversario non ha scampo.»
«Davvero?» Negli occhi di Sasuke intravidi passare un luccichio di interesse. Non aveva smesso né di ghignare, né di sorridere come se fosse il vincitore di quel gioco perverso. «Ma dimmi» si alzò e, procedendo con passi misurati, poggiò dapprima la tazzina sul tavolo, poi si diresse al mio cospetto a pochi centimetri dal mio volto «hai mai avuto a che fare con un fantasma?»
Stavolta fui io a concedermi un’alzata di spalle. «E che vuoi farci! Non si può mai sapere cosa ti riservi la vita. Hai visto? Per sopravvivere, io devo sconfiggere un morto, pensa un po’.»
«Un’ardua impresa.» Toccò la mia fronte con la sua, e il mio cuore perse un battito. Le mani divennero lentamente gelide, di un freddo che fa male e che impedisce i movimenti. Per quanto tentassi di fare lo sfacciato e il coraggioso, non ci voleva molto affinché mi ritornassero in mente i poteri di Sasuke. Mi sottrassi a quel contatto, allontanandomi di alcuni passi, sotto lo sguardo fintamente stupito di Sasuke.
Deglutii, cercando di controllare il tremito delle mani e i battiti accelerati del cuore. Avevo paura che li sentisse.
Il suono del cellulare mi salvò. Benedii il momento in cui avevo deciso di togliere il silenzioso, smettendola di credere che una chiamata potesse disturbarmi nell’attimo di illuminazione delle mie ricerche. «Pronto?» risposi, senza nemmeno leggere sul display chi fosse. Nel frattempo alternavo lo sguardo dal pavimento, che non mi era mai sembrato tanto attraente, a Sasuke col suo ghigno malizioso e da superiore sulla faccia.
Sentire la voce di Kiba mi rincuorò. «Naruto, è un pezzo che non ti fai più sentire!» mi disse, con la solita voce confidenziale e pomposa che aveva sempre posseduto.
Mi pronunciai in un risolino forzato, reso un po’ più veritiero anche dal fatto che i battiti stessero rallentando. «Sai, sono stato impegnato…»
«Le tue ricerche, eh?» Mi sembrò più preoccupato. «Approposito, Naruto, che ne dici di lasciar perdere. Ormai? Sono cinque anni che non ti dai pace e…»
«Sai già come la penso.» Alzai la voce per sovrastare la sua. «Non discutiamone, dai.» La buttai sul ridere. Non mi andava che Sasuke sentisse le mia conversazioni. Si fosse voltato, almeno! Mah, mi infastidiva che continuasse a puntarmi gli occhi addosso come si fa con una ciotola di ramen fumante. «Come mai mi hai chiamato?»
Lo sentii sospirare. «Avevamo organizzato una partita a calcetto, al solito campo. Tanto per svagarsi un po’. Gli altri avevano detto che chiamarti sarebbe stato quasi inutile, ma io… beh, ci ho provato!» rise, e mi accorsi che dietro quella sua risata c’era preoccupazione.
«A che ora?» domandai.
Per un istante fu silenzio totale. «Cosa?» Era sorpreso: in effetti le mie ultime uscite avevano come meta quasi esclusivamente la biblioteca.
«Ti ho chiesto a che ora, zuccone! Mi serve una giornata di svago.» Mi giustificai.
«Alle quattro e mezza. E non tardare, testa vuota.»
«Certo, certo…» minimizzai, sventolando l’aria davanti al mio naso.
Mi salutò e così feci di conseguenza. Dopodichè chiusi il cellulare, tornando a piantare le iridi azzurre su Sasuke.
Si mise una mano sul fianco. «Dunque si esce oggi.»
«Così sembra.»
«Teme non combinare guai» lo avvertii, minaccioso, mentre mi avvicinavo alla credenza per propinarmi qualcosa da mettere sotto ai denti. Afferrai il pomello e aprii lo stipo, osservandone curioso il contenuto.
«Altrimenti?»
Non mi voltai, ma continuai a frugare, in cerca di biscotti che fossero di mio gradimento. «Tu stai buono.» Alla fine optai per dei biscotti completamente al cioccolato.
«Non sei padrone della mia… vita» ghignò divertito.
Mi sedetti a tavola e aprii il pacco. Non avevo voglia di qualche altra cosa per bagnarceli dentro. Li mangiavo meccanicamente, mentre la battuta di Sasuke mi risuonava in testa. «Sei squallido» mi lasciai sfuggire, sogghignando.
«E tu sei strano, Uzumaki.»
Mi fermai col dolcetto in bocca e spalancai gli occhi, mostrando un’espressione ingenua, come se colui che avessi di fronte non fosse mio nemico. Perché dovevo impormi che fosse così. «Fecché?» biascicai, al posto di un normale “perché”.
Sasuke si girò verso la finestra, intento a guardare il panorama piuttosto che me.
Ingurgitai alla svelta la pasta frolla, poco mancò che mi affogassi. «In che senso strano?» ripetei.
«Fingi molto bene di non aver paura, mentre a volte non ne hai davvero» esclamò. Nella sua voce non c’era ammirazione, né scherno: si trattava di una semplice constatazione. «Cambi umore all’improvviso, ed è strano.»
Alzai le spalle. «Sono sempre stato così da che ne ho ricordo.» Mi misi in piedi e alzai le braccia in alto, stiracchiandomi. La schiena mi faceva ancora un po’ male, mentre un certo calore, che non mi insospettì più del dovuto, iniziò a espandersi sul collo. Emisi un lamento che si perse tra le labbra e cominciai a massaggiarlo, immemore che era proprio lì che Sasuke mi aveva toccato. «E comunque» continuai «non posso assolutamente avere paura di te, non devo. Non devo avere paura di morire perché, tanto, se devo vivere con la consapevolezza di non essere riuscito a salvare i miei, tanto vale morire.»
Una risatina di scherno uscì dalle labbra di Sasuke. Ghignò appena. «Belle parole, complimenti.»
 
Erano le quattro in punto. Muovendoci, saremmo potuti arrivare in orario.
«Adoro le felpe larghe!» esclamai, tanto per rompere il silenzio che si era creato non appena eravamo usciti. Non mi spiegavo il perché, ma Sasuke cambiava radicalmente quando uscivamo da casa.
Infilai le mani nelle tasche della maglia e mi misi il cappuccio in testa. Da sotto al stoffa cercavo di vedere il viso di Sasuke e di captarne i cambiamenti, qualora ce ne fossero stati. Stufo, lo affiancai.
«Ora non fai più lo spiritoso?» domandai con una certa dose di ironia. La manifestai con più di una gomitata deboluccia volta a colpire il suo braccio.
Mi ignorò.
«Dovremmo stilare un elenco.»
Stavolta riuscii a catturare la sua attenzione. Non mi sfuggì il moto della sua pupilla, che si mosse nella mia direzione, senza però che la faccia si mostrasse completamente.
«Dunque, stileremo un elenco di cosa ci piace o non ci piace fare» annunciai.
«Dimmi che stai scherzando, perché stai scherzando, vero?»
Mi indicai il viso. «Ti sembro uno che scherzo?»
«Allora ti faccio un’altra domanda: qualche neurone sta scioperando in quel tuo cervellino bacato?»
«Idiota!» lo apostrofai. «E’ solo che non sopporto essere ignorato, e tu lo stavi facendo.» Mi portai le braccia al petto e esposi un broncio. «Perciò, facendo un elenco di cosa ci piace o non ci piace fare, potremo orientarci» borbottai.
Sasuke si fermò di colpo, e io con lui. Mi batté una pacca sulla spalla, mentre io lo guardavo con curiosità e ansia per la sua prossima mossa. «Non voglio orientarti in nessun modo, usuratonkachi. Sarebbe troppo facile.» E si avviò.
«Però non è giusto, teme! Tu hai i tuoi trucchetti e io? Ti starò nelle orecchie finchè non mi parlerai dei tuoi hobbies! Chiaro?» Ma lui non sembrava ascoltarmi: con le mani in tasca si avviava tranquillo verso il campo di calcio.
 
Da lontano scorsi la figura di Kiba, circondato dagli altri del nostro solito gruppetto. Accipicchia, era davvero molto che non li vedevo! In panchina sedevano le ragazze.
«Kiba!» urlai, sventolando la mano come un bambino. Dire che ero felice di rivederli era poco. Mi sembrava di essere al settimo cielo.
Anche lui si illuminò quando mi vide. Il nostro rapporto era migliorato parecchio dopo quel brutto litigio. Non mi corse incontro, ma mi osservava mentre, a passo svelto, mi muovevo verso di loro. Quando vidi che parte del gruppo non aveva più lo sguardo fisso su di me, capii che avevano notato la presenza di Sasuke. Perfetto: avevamo detto tante sciocchezze, ma non avevamo messo in piedi una scusa per spiegare chi fosse. Di certo non potevo dir loro: “Vi presento il mio amico fantasma!”
Anche le ragazze si alzarono, pronte a salutare il nuovo arrivato, oltre che me.
Tra di loro c’era anche Sakura, la prima ragazza di cui mi ero innamorato. Eravamo stati insieme per un periodo, quando eravamo più piccoli, ma poi ci fu la sparizione dei miei: per i primi tempi lei mi fu vicina, mi consolò e mi aiutò in tutti i modi, ma finimmo comunque per allontanarci. Non sapevo se provassi ancora qualcosa per lei, oltre che una forte amicizia, ovviamente.
«Il grande Naruto è finalmente uscito dalla tana» fu il commento ironico di Suigetsu.
Il silenzio che seguì gli fece intendere di doversene stare zitto e di evitare battute idiote. «Avrei fatto meglio a restarmene, a quanto pare» scherzai, fingendomi imbronciato.
Shikamaru mi poggiò una mano sulla spalla. «Scherzi a parte, era da un po’ che non ci vedevamo.»
Ridacchiai e, un tantino nervoso, mi grattai la testa. «Su su, basta con questi discorsi nostalgici!»
«Hai ragione, Naruto-kun, perché non ci presenti il tuo amico?»
Ecco, ora avrei voluto rispondere alla domanda di Sakura dicendo che sarebbe stato meglio ritornare a fare i nostalgici.
«Lui è Sasuke Uchiha» presentai. Mi feci di lato, permettendo al soggetto in questione di essere visto interamente. Non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia: chissà che espressione da saccente e da potente aveva. Che so, uno dei suoi brutti ghigni.
«Ino Yamanaka!» Si strinsero la mano e, mentre accadeva, chiusi gli occhi. Non si poteva mai sapere: e se Sasuke l’avesse… sbranata?
A uno a uno i miei amici si presentarono, e ogni volta il mio cuore perdeva un battito. Ma, come era successo più di una volta, non era accaduto nulla.
«Naruto, che hai?» Kiba mi si avvicinò e inclinò il capo tanto da potermi guardare bene in volto: chissà, forse per la paura ero sbiancato.
«Niente» balbettai, ma non fui troppo convincente.
«Su, cos’è quest’aria da pesce lesso! Ora si gioca» rise Suigetsu.
Annuii.
All’improvviso la testa prese a vorticarmi, come se la terra fosse vittima di una scossa di terremoto. Fendetti l’aria con le dita, cercando invano di acchiapparla. Prima che il mio cervello potesse collegare l’avvenimento alla presenza di Sasuke, ci fu il nulla intorno a me. Il nulla, se escludevo la presenza dell’Uchiha.
«Che hai combinato stavolta?» Mi arrabbiai all’istante.
La sua espressione non lasciava trasparire preoccupazioni. «Facciamo così.» La sua voce era un’eco in quel nulla assoluto. «Se ci tieni a d avere un piccolo aiuto da parte mia, devi battermi in questa partita di calcio.»
Sogghignai. «Così poco? Allora considerati già sconfitto. Ma bada: niente trucchetti!»
Così come era successo tutto, allo stesso modo ogni cosa si stabilizzò. Mi ci vollero alcuni secondi per riprendermi dal giramento di testa, ma poi fui pronto. «Facciamo le squadre» dissi convinto, e mentre parlavo non potei evitare lo sguardo oscuro di Sasuke.
Alla fine, questi erano gli schieramenti: io e Kiba, rispettivi capitani. Dalla mia parte c’erano Suigetsu, Ino e Shino, mentre dall’altra parte avevamo Karin, Sakura e Sasuke. E no, la loro squadra non era più debole perché c’erano due ragazze. Queste, infatti, erano più forzute di quanto l’apparenza potesse mostrare.
Ma tanto il mio avversario numero uno era Sasuke. Dovevo battere Kiba stavolta, perché era necessario: dovevo battere Sasuke a tutti i costi.
La partita procedette in modo equilibrato, finchè a un tratto non mi avvicinai pericolosamente alla porta avversaria, dove Kiba mi attendeva con un ghigno beffardo sul volto. Scartai Sakura e mi trovai davanti al portiere. Caricai il calcio, sicuro di me stesso. Ma un istante prima che mandassi il pallone in porta, Sasuke, arrivato da chissà dove, me lo sfilò e corse all’indietro.
La difesa della mia squadra lo fermò, così potei tirare un sospiro di sollievo.
Alla fine, la cosa si concluse in parità. Non vedevo l’ora di ritornare a casa, e sapere qual era il vero esito. Cosa avrei ottenuto?
«Ti ho visto particolarmente concentrato, Naruto.» Era Shikamaru, che aveva assistito al tutto dalla panchina, insieme a Hinata. Diceva che giocare gli costava troppa fatica.
«L’enfasi del momento. Era da molto che non giocavo!»
«Complimenti Sasuke, sei stato davvero in gamba prima.»
Mi voltai per vedere cosa stesse succedendo, e vidi che Sakura era intenta a porgere un bicchiere d’acqua a Sasuke. Istintivamente mi precipitai da loro, prima che potesse accadere qualcosa. Certo, non avrei mai potuto difenderli da lui, ma almeno provarci…
«Come hai conosciuto Naruto-kun?»
Maledetta la boccaccia di Sakura-chan! Beh, però era normale una domanda di quel tipo.
Prima che Sasuke potesse rispondere, m’intromisi. Mi era venuta un’idea. «In biblioteca. Anche lui, come me, sta svolgendo ricerche su… su quella faccenda.» Mi incupii, e questo non faceva parte della scenetta che avevo messo su per far capire a Sasuke cosa significasse la perdita di una persona cara. Era vero che speravo che, attraverso le facce tristi dei miei amici, potesse capire la crudeltà delle sue azioni, ma mi intristivo ogni volta che pensavo alla mia famiglia: sempre. «Anche lui ha subito perdite da parte di… di questo presunto fantasma» continuai. Non mi piaceva mentire su affari del genere, ma dovevo sfruttare al meglio ogni piccola possibilità.
«Seriamente, non vi siete ancora arresi?» domandò Ino, preoccupata.
Io scossi la testa.
«Ce la faremo, non demorderemo.» Sasuke, stranamente, mi resse il gioco.
Chissà come feci a trattenere un’espressione stupita, ma, soprattutto, come feci a non prenderlo a pugni, dato che sembrava veramente dispiaciuto.
 
«Alla fine anche tu sai fingere bene.»
Si strinse nelle spalle. «Se si tratta di queste sciocchezze non mi ci vuole molto.»
«Smettila di parlare della vita degli altri come se fosse una sciocchezza!»
«Per me lo è. Abbiamo semplicemente due punti di vista diversi, stop.»
Sbuffai, nervoso. Dovetti dare un pugno nel muro, sbucciandomi le nocche, per scaricare tutta la tensione. Per quanto mi sforzassi, restavo sempre allo stesso punto. Quando credevo di essermi avvicinato di un pochino a lui, succedeva sempre qualcosa che mi sbatteva in faccia la verità dei fatti.
«Comunque» sussurrai «abbiamo pareggiato, che si fa?»
«Avevo già pensato a quest’eventualità e, dato che mi sembri particolarmente giù di corda, faremo quello che vuoi tu, ma a modo mio.»
La cosa già mi puzzava di bruciato, ma decisi di stare comunque a sentire. «Cioè?»
«Sarà un elenco parziale: io ti dirò ciò che mi piace e tu mi dirai ciò che non ti piace.» Era scocciato, ma sapevo che nel suo tono indifferente c’era qualcosa che mi stava sfuggendo, qualcosa di importante. Potevo rischiare? No, dovevo rischiare!
«E sia, non ci sono problemi.»
 
«Scusami, dove stai andando?»
Prima di ritornare a casa, avevamo comprato il necessario per prepararci dei panini. Sasuke non aveva avuto niente da obiettare e, dato che ero piuttosto incapace in cucina, e che le schifezze che cucinavo potevano piacere solo a me – come diceva qualcuno del mio gruppetto –, avevo preferito qualcosa di semplice.
Si era fatta sera, e Sasuke si stava dirigendo in camera mia, sul mio letto singolo, indossando, per la cronaca, il mio pigiama.
«Stasera non dormi sulla sedia?» chiese, e sembrava particolarmente sincero.
«Ovviamente no!» sbottai. «Un’altra dormita del genere e possono portarmi al cimiter…» Mi bloccai: non era carino sentirselo dire. Per un istante piccolissimo, mi chiesi se dovessi domandargli scusa, ma capii che non c’era alcun motivo per farlo.
«Puoi sempre metterti sul divano, sarà più comodo» mi disse, lasciandomi basito.
«A casa mia, e sottolineo mia, sono io a dovermi mettere sul divano?»
«Sono pur sempre un ospite.» Fu la sua risposta.
Mi tappai la bocca, altrimenti mi sarei messo a urlare come un ossesso, ma a lui parve non importare la mia sceneggiata, tant’è che si posizionò sul letto, dandomi le spalle.
«Devo andare davvero sul divano?» chiesi esasperato, davanti all’evidenza dei fatti.
Lui non si voltò. «Puoi sempre dormire qui.» Batté la mano sullo spazio vuoto accanto a lui.
Probabilmente divenni paonazzo. «Tsk, vado sul divano!» Stavo prendendo le coperte dall’armadio – sarei stato scomodo, ma almeno al calduccio – quando Sasuke mi afferrò il polso e mi trascinò accanto a sé. Quasi senza essermene accorto, mi ritrovai steso, con Sasuke quasi appiccicato.
«Ho detto che vado sul divano!» insistetti. Feci per alzarmi, ma la pressione che la sua mano esercitò sul mio stomaco mi impedì di mettermi a sedere.
«Invece no, tu dormi qui» sibilò.
Sospirai, sapendo di non potermi opporre.

 
 




Salve! ;)
Non so che dire di questo capitolo, se non spero vi sia piaciuto.
Ringrazio: chi l’ha messa tra le preferite (5), ricordate (1) e seguite (30). 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: E del tuo passato che ti piace? ***


Capitolo 3: E del tuo passato che ti piace?
 

 
 

Ero insonnolito e i sensi erano offuscati tanto quanto bastava da non farmi avere la consapevolezza di dove mi trovassi. Avvertivo un calduccio adorabile per tutto il corpo, che mi impediva di muovere anche un solo muscolo. Se lo avessi fatto, infatti, avrei percepito la freddezza del materasso sotto di me, che non era stato riscaldato dalla mia presenza. Istintivamente mossi le labbra, come se stessi cercando di riassaporare il gusto di una squisitezza già ingurgitata. La lingua scoccò sotto il palato e il suono mi arrivò lentamente, risultando ovattato. Il braccio, su cui era appoggiata la testa, formicolava, indolenzito, ma mi rifiutavo di posizionarmi in modo diverso: mi sembrava di aver raggiunto il Paradiso, e non vi ci avrei rinunciato per nessuna ragione al mondo.
Mugugnai di disappunto quando qualcosa di freddo mi sfiorò la pancia, descrivendo delle forme geometriche immaginarie di forma indefinita. Il mio falso idillio stava per essere interrotto da qualcosa che non riuscii inizialmente a comprendere.
Poi fu un lampo, come uno schiaffo in pieno volto quando meno te lo aspetti.
«Sasuke» biascicai più addormentato che sveglio, e come lo ebbi detto, il gelo, che si era esteso anche allo stomaco, cessò di colpo. Fu come ritrovarsi al buio d’improvviso.
I lineamenti del viso, che si erano tesi, si rilassarono di colpo, rasserenandomi. Mossi impercettibilmente le dita e sfiorai il morbido cuscino. Le labbra mi si incresparono in un leggero sorriso e per un istante infinitesimo pensai che fosse stato tutto un sogno. Che Sasuke non esistesse, che mia madre e mio padre fossero al mio fianco nella loro camera, che gli anni e anni che avevo utilizzato per svolgere ricerche fossero stati solo una mera illusione. Ma in realtà, il fantastico, piacevole ma impossibile sogno in cui mi stavo cullando, quello sì che era un’illusione. Lo realizzai quando sul mio orecchio avvertii il suo respiro, quando il suo braccio mi cinse, stringendomi a lui. Sentii aderire i nostri corpi, e fu allora che compresi che no, Sasuke non era solo una mia fantasia.
Vinto dalla potente e indistruttibile realtà dei fatti, feci leva sul gomito, riuscendo a mettermi seduto. Grazie ai sensi leggermente più svegli, avvertii più chiaramente il mio corpo che si liberava dalla presa dello spettro, sentendone il braccio scivolare e cadere delicatamente sul materasso.
Dapprima mi strofinai gli occhi, finchè i pochi e semplici oggetti non recuperarono la loro forma, poi storsi il collo, così da puntare gli occhi in quelli di Sasuke. Già me lo aspettavo, lo vedevo di già anche senza guardarlo: i suoi occhi perfidi, nascondenti un lampo di malizia e malvagità, il suo ghigno derisorio e i capelli e l’aspetto in perfetto ordine anche se aveva dormito.
«Sasuke, non permetterti di svegl…» Non continuai la frase, perché al mio fianco Sasuke giaceva in una posizione completamente contraria a quella che avevo immaginato. Mi faceva strano: era pur vero che lo avevo incontrato da poco, ma era la prima volta che lo vedevo dormire. Mi venne l’impulso di toccarlo, di sfiorargli una guancia per constatare che non fosse una proiezione, ma fosse davvero il corpo del mio nemico.
Sasuke dormiva come tutti gli esseri viventi.
Venni rapito dal modo in cui si alzava e abbassava il suo petto, ritmicamente e, senza che me ne rendessi quasi conto, anche il mio respiro cominciò a sostenere lo stesso ritmo, coordinandosi al suo.
Il silenzio che ci avvolgeva era snervante. Per quanto fossi stato sempre rumoroso, da quando i miei genitori erano spariti avevo imparato ad applicare la nobile arte del silenzio, ma mi era sorta spontaneamente perché non c’era alcuno con cui poter parlare, tantomeno io ne avevo bisogno. Ora, invece, ficcato in una convivenza forzata, percepivo il silenzio come qualcosa di strano. Vedevo la compagnia, seppur sgradita, come espressione di rumore, di confusione, eppure riuscivo a malapena a respirare.
Il cuore mi batteva nelle orecchie, come se stesse scandendo il tempo che passava inesorabile, ricordandomi che il tempo che stavo perdendo a osservare Sasuke, che dormiva, non l’avrei più recuperato, nemmeno pregando.
Mosso dalla voglia di scuoterlo, perché non sopportavo più di vederlo sereno, normalmente, con un braccio sotto il capo e uno lungo il fianco, con i capelli ribelli di chi ha cambiato più posizioni prima di abbandonarsi al sonno e con quell’aria che esprimeva tranquillità, allungai la mano. Ma, quando stavo per sfiorarlo, mi fermai, incapace anche solo di avvicinarmi al mio pigiama, indossato da lui.
Mi limitai a grattarmi la testa, impacciato, e ad alzarmi senza fare troppo rumore.
Qualcosa dentro di me, però, continuava a ripetere che Sasuke non si meritava tutta questa serenità, mentre dall’altro lato sentivo che erano molte le cose di Sasuke Uchiha che non conoscevano. Sentivo che in qualche modo anche lui era solo una vittima, proprio come me.
 
«Già in piedi, Uzumaki?»
Mi girai di scatto, non l’avevo proprio sentito arrivare. Lo vidi aggiustarsi un ciuffo di capelli fastidioso che gli copriva un occhio e prendere posto senza nemmeno degnarmi di uno sguardo o di altre parole. Poco male.
Mi appoggiai col sedere sulla cucina con tanto di mano al fianco e spatola nell’altra, e, squadrandolo, seguii i suoi movimenti.
Si accomodò sul divano, accavallando le gambe e stendendo le braccia sulla spalliera. «Carino» osservò ironico, riferito al grembiulino che avevo indosso.  
Battei la spatola sul palmo, lentamente. «Grazie» gracchiai scocciato, ritornando all’istante alla mia attività mattutina. Gli diedi le spalle di scatto, lasciandogli intendere che, almeno per me, la discussione poteva finire lì.
Perché ogni volta che mi convincevo che Sasuke stesse soffrendo, mi ritornavano in mente troppe immagini cruente, che non avrebbero mai potuto farmelo piacere. Avrei voluto perdere la memoria, ricominciare un rapporto da zero, senza sapere chi fosse.
«Uova?» Sentii il rumore dei suoi passi che si avvicinava, scandendo un ritmo melodioso e ipnotico.
«Sì, uova» asserii.
«Colazione all’inglese?» continuò, raggiungendomi e ficcando lo sguardo nella padella piena d’olio scoppiettante.
«In parte.»
«O la si fa completa, o non la si fa.» Mi sfiorò la guancia con l’indice, e continuò finchè non lo scacciai con una manata violenta. «Nervosetti?» aggiunse.
«I cazzi tuoi no?»
Per tutta risposta Sasuke annusò l’aria. «Stanno bruciando» espresse con una calma innaturale. «Verranno uno schifo.»
«Fottiti, a me piacciono bruciate!»
Rise di un risolino amaro e malizioso al tempo stesso. Guardandolo di sottecchi, mi accorsi che si stava leccando le labbra mentre mi fissava piuttosto intensamente. Un brivido mi accarezzò la schiena. «Piuttosto» mi afferrò il polso e lo strinse forte, dunque mi attirò a sé, facendo in modo che il mio orecchio si trovasse a pochi centimetri dalle sue labbra «fai attenzione» suonava tanto come una minaccia, ma non smisi di gettare veleno dalle iridi azzurre, frattanto che diventava più serio e, sicuramente, pericoloso «altrimenti sarai tu quello a essere fottuto
Rimasi impassibile, anche se in realtà mi sentivo scombussolato. Più si era avvicinato e più il cuore aveva accelerato: potendo, sarebbe scappato dal petto, abbandonandomi e finendo chissà dove, tant’era la potenza con cui pulsava. Inoltre, le sue parole mi rimbombavano per la testa, facendomi pensare a chissà quale strano senso. Essere stato traviato da Kiba, che, quando eravamo ragazzini, voleva a tutti i costi spiare le ragazze alle terme, mi avrà fatto male. «Tsk, vedremo» sbottai, riprendendo a respirare solo quando si allontanò di alcuni passi. E a quel punto la puzza di bruciato giunse a torturare anche le mie narici. «Accidenti!» Tentai di salvare il salvabile, ma di salvabile, appunto, restava ben poco.
Fui costretto a buttare via tutto, maledicendo Sasuke per i suoi commenti e per le sue cazzate, dette e fatte.
 
Sasuke assaporò una cucchiaiata di cereali al cioccolato. Li assaporò con schifo, difatti distorse le labbra in un’espressione di puro orrore, poi buttò giù con forza, aiutandosi con un lungo sorso di latte. «Sei di umore abbastanza buono per cominciare?» Si asciugò la bocca con la manica della maglia.
Annuii scocciato, ipnotizzato dal movimento del mio cucchiaio, che, sospinto da me stesso, si rituffava e riemergeva continuamente dal latte, preparato da Sasuke, che restava nella tazza.
Sasuke si abbandonò a un sospiro, si poggiò completamente lungo lo schienale della sedia e mi fissò, indifferente. «A te non va bene nulla» osservò.
«E che te lo fa pensare?» chiesi scettico.
«Diciamo solo che potrei» aveva arginato la mia domanda «volendo, anche evitare di rispondere a qualsivoglia tua domanda» concluse, mostrando i denti bianchi e perfetti.
Come voleva, ottenne la mia attenzione. «Diciamo solo che» lo scimmiottai nel modo più offensivo che conoscessi, sebbene sapessi che non avrei sortito alcun effetto «se anche tu volessi, non te lo permetterei mai.» Accompagnai le parole a suoni ritmici del cucchiaio sbattuto sul tavolo. Ogni sillaba un colpo.
«Allora riprendi quel sorrisino del cazzo che ti contraddistingue, e cominciamo senza perdere tempo.» Si alzò e si diresse in camera, elegante come un principe, pericoloso come un demonio. Mi piaceva sempre meno.
«M-ma perché in camera?» obiettai. «Qui va benissimo!»
La figura dello spettro, che era appena scomparsa alla mia vista, riapparve. «O qui o non se ne fa niente.»
Permisi a uno sbuffo di uscirmi dalle labbra socchiuse e di diffondersi per la casa. Non c’era tempo nemmeno per mettere in ordine e lavare le pentole e le cianfrusaglie che avevo sporcato qualche mezz’oretta prima. «Sasuke Uchiha, sappi che tu sarai la prima cosa tra quelle che non mi piacciono!» urlai isterico, gonfiando le guance come un bambino, e stringendo i pugni tanto da far sbiancare le nocche. «E pure lo spettro damerino doveva capitarmi!» sbottai, avviandomi in camera a passo di marcia.
 
«Comincio io?» biascicai, la penna tra le labbra e un quadernino sulle gambe incrociate.
Sasuke parve studiarmi. «No» obiettò. «Sarò io il primo a rispondere.»
Abbozzai a un sorrisetto rilassato: qualunque cosa facessi, non potevo oppormi alle decisioni di Sasuke, e del resto era meglio così. Non perché volessi essere portato al guinzaglio come un cane, ma semplicemente perché non ero, purtroppo, nella posizione di poter dettare legge. Sasuke era più forte di me, e se fosse stato un umano non l’avrei accettato. Possedeva poteri che andavano aldilà di ogni più fervida immaginazione, e avrebbe potuto distruggermi come e quando voleva, invece che graziarmi come aveva fatto finora. Dovevo preoccuparmi di ciò, o esserne sollevato?
«Okay!» Accettai, forzando i muscoli a “riprendere quel sorrisino del cazzo”. Inclinai il capo verso destra, e mi persi a guardare il foglio bianco sotto al mio naso. Volevo chiedere tanto, ma allo stesso tempo non sapevo che dire. «Dunque» cominciai dopo un po’, trascinandomi dietro la “e” «di cibo!» esclamai entusiasta, battendomi le mani davanti alla faccia, e lasciando cadere la penna sul letto morbido. «Cosa preferisci mangiare?»
«Pomodori.»
Appuntai. «C’è altro?»
«No.»
«Sei strano» sbottai all’improvviso.
«Non è una domanda» constatò.
Misi un broncio infantile. «Beh, è vero.» Mi grattai la testa con la penna appena recuperata. «Era solo un’osservazione.»
«Continuiamo allora.»
«No, no aspetta!» Mi sbilanciai in avanti e quasi non gli caddi addosso. Non volevo abbandonare quel discorso: erano troppi i dubbi che avevo, le domande che mi torturavano, che volevano sfondarmi la testa. Erano troppe le cose che non sapevo di Sasuke Uchiha. «Come… come sei morto?» Sebbene lo odiassi, sebbene avesse fatto del male a troppa gente, non riuscivo ad abbandonare l’idea che una parte di lui, seppur piccola, fosse buona.
La sua espressione restò immutata, come se gli avessi chiesto di raccontarmi la sua giornata, oppure il giorno del suo diciottesimo compleanno. «Vuoi sapere troppe cose.»
Alzai le braccia al cielo e chiusi gli occhi. «D’accordo, come vuoi tu!»
E continuammo.
Sasuke riusciva sempre a farla franca: a ogni mia domanda rispondeva con una o, se mi andava bene, due parole, diretto e conciso. Mai che riuscissi a ricavare qualcosa più dello stretto necessario. E come dimenticare quei “non ho preferenze” o “mi è del tutto indifferente”. Quindi, quando sarebbe toccato a me, avrei fatto lo stesso: diretto e conciso, per quanto mi fosse possibile.
A un tratto mi si illuminarono gli occhi.
A Konoha ero “famoso” per la mia testardaggine – avevo continuato a svolgere ricerche per anni, per esempio –, difatti, ero ancora convinto di voler sapere di più sul passato di Sasuke. O meglio, su quello che era stato il suo presente.
«E del tuo passato che ti piace?» chiesi, infine, assottigliando gli occhi, e guardandolo con l’espressione di chi si reputa il vincitore. Sbattei le ciglia più volte, e incrociai trionfante le braccia al petto. «Ne, Sasuke-kun, che mi dici?» Non concepivo l’idea che mi mentisse, anche perché non avrei saputo come soddisfare questo mio desiderio, se l’avesse fatto.
Ghignò di rimando. Il suo volto si trasfigurò gradualmente, finchè, per un solo, infinitesimo istante, non ridivenne quello della prima volta. Poi, così come era diventato davvero spettrale, così era ritornato alla normalità.
Presi un sospiro di sollievo. Memore del dolore già subito, chissà come avevo fatto a non gridare e a scappar via a gambe levate. Forse la paura era stata tanta che mi ero paralizzato.
«Niente» rispose calmo, come se quello scatto d’ira non ci fosse mai stato. Seduto sui talloni, con le braccia forti distese lungo le gambe agili, Sasuke non dava segni di irritazione. Non più.
«Andiamo» incalzai, pronto a rischiare il tutto per tutto «nemmeno un ricordo minimo?» L’indice e il pollice, congiunti, vicinissimi al viso pallido dello spettro.
Osservavo spasmodicamente ogni minimo segno di cambiamento facciale, pronto a defilarmi, sicuro, però, di non potergli sfuggire. Improvvisamente la paura che, qualora fossi riuscito a diventare speciale per lui, mi avrebbe comunque ucciso, si impossessò di me. La gamba fu la prima a essere vista tremare, perché le mani vennero ben nascoste.
«Hai paura di me?»
Sì, avrei voluto rispondere, quando mi parli con quel tono da onnipotente me la fai fare addosso. Ma il mio forte orgoglio mi impedì di farlo, e riuscì a farmi mantenere un portamento consono. Pian piano mi rilassai: respirai profondamente e più volte, finchè il battito non ritornò regolare.
«Io, per esempio» cominciai, fingendo che non fosse successo nulla «ho tanti bei ricordi della mia famiglia, tante belle immagini, tante emozioni.» Dovetti fermarmi un istante, prima che il loro ricordo prendesse possesso di me, annullandomi e portandomi alla più totale disperazione. Era la prima volta da parecchi anni che mi capitava di riparlarne con qualcuno. Ironia della sorte, quel qualcuno, con cui li stavo riportando alla vita, era proprio colui che me li aveva tolti. «Tipo, ricordo che, anche quando ero più grande, all’età di dodici anni circa, non mi facevo scrupoli nell’abbracciare mio padre, non mi importava che qualcuno pensasse che fossi grande per farlo. Capisci, anche un singolo abbraccio, un bacio della buonanotte o una carezza sono bei ricordi in famiglia. Impossibile che tu non ne abbia.» Studiai la sua reazione, ma nessun muscolo facciale gli si mosse, almeno fino a quando non cominciò ad aprire bocca.
«Non ho mai detto di non averne» spiegò indifferente, come se fosse un attore incapace di interpretare il suo ruolo. Era immobile come una statua di sale, e io con lui, che l’ascoltavo rapito. «Piuttosto» riprese «sarebbe più corretto dire che non ne ho di piacevoli.»
«Impossibile» ribadii, spingendo le unghie sul pantalone e avvolgendone la stoffa blu. Gli occhi si mossero, emozionati, come quando si è sul punto di piangere, o semplicemente si è tanto attenti e concentrati da entrare a far parte di un’altra realtà. Io, infatti, volevo divenire parte integrante della vita passata di Sasuke, perché solo conoscendo il passato si può sperare in un futuro. Solo, quindi, sapendo cosa aveva passato Sasuke, avrei potuto capire come meglio comportami per fare breccia nella sua anima chiusa. Presi fiato e mi armai di una dose eccessiva di coraggio. «O i tuoi erano degli sconsiderati, oppure mi stai mentendo. Non posso credere che alla prima opzione, dunque…»
«Parli tanto, e soprattutto bene, solo perché la tua era l’immagine della famiglia felice e gioiosa, Naruto-chan» mi interruppe.
La fitta al cuore, al ricordo vivo di mia madre, partì all’istante, spingendo le lacrime a uscire. Ma se avessi pianto ora, e avessi mollato, chissà se ci sarebbe stata un’altra possibilità. «Già» non potei trattenermi «prima che arrivassi tu» strinsi i denti.
«Esatto» concesse «prima che arrivassi io. Ma che vuoi farci…» ironico, ironico da fare schifo, lui e quella mano sventolata per aria, Mi fissò in volto, dritto negli occhi, con una cattiveria tale che mi faceva male «… odio le famiglie felici.»
Non ebbi la forza di continuare a sostenere il suo sguardo; lo abbassai e mi limitai a guardare le coperte, senza che lo stessi veramente facendo. Sasuke… no, non poteva aver distrutto la vita di altri come me, solo perché non sopportava l’idea di ciò che lui non aveva avuto. Non si può desiderare che il proprio dolore sia affibbiato ad altri.
«Abbiamo finito?» chiese, sebbene mi sembrasse un’altra la sua richiesta. Qualcosa del tipo: “contento di essere stato colpito e affondato?”
Annuii. «Ora tocca a te» dissi, cercando di reprimere la tristezza. Tutto sommato, seppur fosse stato breve, Sasuke era stato onesto, si supponeva, dunque sarei dovuto esserlo anch’io…
«Naruto?»
«Mh?» La testa scattò sull’attenti, rapita dalle sue stesse riflessioni.
«Prima che tu cominci, vorrei dirti che c’è anche qualcos’altro che mi piace.»
Sgranai gli occhi, sorpreso. Me li strofinai più volte, sfregandoli contro le dita, contro la felpa, ma non mi svegliavo: non era un sogno.
«E cioè?» Mi alzai sulle ginocchia, al massimo della felicità.
Ma il sorriso comparso sul mio viso si spense all’istante, contemporaneamente all’accendersi di quello di Sasuke. Poi fu tutto a rallentatore: vidi Sasuke scattare in avanti e spingere il mio corpo all’indietro, sotto il suo; vidi i suoi occhi più neri che mai lanciarsi nei miei, unirsi, mescolarsi, tuffarsi, rendendoli bui e terrorizzati.
Sentivo il suo corpo che faceva pressione sul mio, impedendomi anche il movimento più semplice. Le braccia erano incatenate dalle sue dita lunghe, che fungevano un po’ da manette, impossibili da spezzare.
Sasuke appoggiò la propria fronte sulla mia, il suo respiro regolare contro il mio animato, il suo essere freddo contro il mio caldo.
Aprii la bocca per balbettare qualcosa, una richiesta di aiuto forse, una spiegazione, ma non seppi dire nulla. E dunque chiusi gli occhi, aspettandomi qualunque cosa.
Non seppi se sentirmi gratificato e sollevato nel percepire delle labbra umide, indecise se combaciare o meno con le mie, o se mi sentissi ancora più impaurito.
«No, no è ancora il momento» disse sensuale, toccandomi il labbro con la lingua.
Rabbrividii.
«Dunque» riprese sottovoce e più malizioso di prima, unendo la voce a sospiri sempre più intensi «in campo anatomico, mi piacciono dei muscoli ben delineati» mi accarezzò le spalle, stringendole tra le dita e infilandoci dentro le unghie «adoro il faccino  infantile che ti ritrovi, e il tuo sorrisino del cazzo» passò alle guance, tirandomele come si fa con i bambini piccoli. «Non mi dispiacciono i tuoi occhi azzurri, ridenti, felici» lo diceva con schifo, mentre il polpastrello delineava il contorno del mio bulbo oculare. «E sai…» si fece spazio e fece entrare la mano nei pantaloni; cercai di dimenarmi, ma mi resi conto che non potevo, e non perché fossi immobilizzato dalla paura, ma perché era lui, col suo sguardo diventato rosso, a tenermi immobile. Mi si avvicinò all’orecchio. «Credo che tu abbia il culo più bello che io abbia mai visto» e mi strinse una natica, facendomi arrossire fin sopra la punta dei capelli. Mi morsi le labbra, pur di non farmi scappare nemmeno un misero gemito.
«Smettila coglione!» urlai finalmente, anche se ero a sua più completa disposizione.
Lui rise serafico, poi sospirò. «E va bene» disse. «Proseguiamo.»
Cosa intendesse con quella parola non lo sapevo, ma immaginai che l’avrei scoperto subito. Difatti, senza che potessi evitarlo, mi scoccò un bacio, ma non sulle labbra, sulla fronte.
Sentii il solito freddo che percepivo ogni volta che mi toccava, ma stavolta fu diverso: mi perforò la mente, annullò le mie capacità. Era come se fossi entrato in un buco nero e la mia vita fosse stata annullata. La testa vorticava, non mi apparteneva più. Le membra erano dolenti, bruciavano, come se l’anima stesse subendo un processo di separazione dal corpo. Era un’operazione senza anestesia, una pugnalata al cuore che ti tramortisce ma non ti finisce, un acido che ti consuma ma non del tutto.
Era l’effetto del potere di Sasuke.
 
Quando mi svegliai, chissà dopo quanto tempo, non capivo, non ricordavo, non ero.
Intontito e distrutto, sbattei gli occhi stanchi un paio di volte, non capendo dove mi trovassi. Accanto a me, lo spettro si ergeva in tutta la sua maestosità: in piedi, con le braccia incrociate e la testa alta, guardava ritto davanti a sé. Stanco morto, privo di ogni mia facoltà, seguii il suo sguardo. Fui capace appena appena di sgranare gli occhi, quando mi trovai innanzi un bambino piccolo, identico allo spettro.
«Volevi la mia storia, Namikaze? E allora dovrai soffrirtela tutta.»

 
 

 




 
Che razza di capitolo, oh! *____*
Per me è stata una faticaccia scriverlo, è stata davvero dura – anche perché sto attraversando un periodo di “non so più scrivere” – quindi spero che sia piaciuto, almeno metà di come sia piaciuto a me scriverlo! *^*
(perché ora, aldilà che il risultato mi soddisfi o meno, mi è piaciuto scriverlo).
E allora… che ci fa un mini Sasuke lì? Dove si trova Naruto? Quali altre sorprese avremo? E, soprattutto, cosa intendeva Sasuke con “No, no è ancora il momento” (non è casuale, credetemi ùwù).
Beh, intanto ringrazio:
Le 7 preferite;
L’1 ricordata;
Le 40 seguite;
 
E chi legge&recensisce!
 
Alla prossima! ^____^ 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Il passato di Sasuke ***


Capitolo 4: Il passato di Sasuke
 


 

 

    Il piccolo Sasuke sollevò lo sguardo dalle dita che stava torturando, e lo puntò dritto nei miei occhi. Erano due pozze scure le sue, nere e profonde, nascondenti chissà quali segreti.
«Chi sei tu?» disse, ostentando una sicurezza che non aveva.
Mi guardai le spalle, rendendomi conto di essere l’unico presente in quella stanza dal soffitto alto.
«Io?» Mi puntai l’indice contro, ma mi accorsi che questo penetrava la carne, passando dall’altro lato del corpo. Ero incorporeo.
Il bambino annuì. «Sei come loro, vero?»
«In che senso?»
«Nel senso che sono solo io a vederti.» Il labbro gli tremò. «Sei un fantasma, un morto e vuoi farmi del male» sibilò glaciale. «Come tutti loro.» Approfittò del mio silenzio, della lingua che aveva deciso di restare attorcigliata su se stessa e di non replicare, per continuare, carico dell’assoluta freddezza e disperazione che accompagnano un condannato a morte. «Mi parlerai nella testa tutti i giorni e tutte le notti, chiedendomi il perché della tua morte. Ma io non lo conosco, perché non lo capisci? Perché non lo capite tutti voi?»
Reagisci Naruto, aiutalo!
«Sasuke» cominciai a spiegarmi, avanzando qualche passo insicuro. «Io sono vivo.»
«Bugiardo!» urlò, gonfiando le guance. Strinse gli occhi più volte, per evitare che le lacrime colassero. Tirò su col naso. «Sei come loro.» Indicò, titubante, davanti a sé. «Eccoli.»
Mi voltai, e dovetti aguzzare ben bene la vista, prima che strane creature entrassero a far parte del mio campo visivo, facendomi spalancare le palpebre. «E quelli che vogliono?» chiesi ansioso, indietreggiando, goffamente, rispetto alla loro posizione, e finendo a terra, seduto. Fui lesto ad alzarmi, sebbene le gambe mi tremassero.
Erano essenze lucenti, di un bianco che non era certo quello delle candide e angeliche vesti. Avanzavano lentamente, fluttuando, e alcuni di loro avevano dipinti sul volto espressioni impossibili da descrivere. Puntavano gli occhi, vitrei senza speranza, nei tuoi e non era possibile sfuggire a quel contatto che ti pietrificava. La loro voce risuonava tra le pareti come i tocchi infernali di una campana mortuaria.
Sentii un brivido accarezzarmi la schiena e proseguire fin sulla pelle, ordinandomi di stare immobile. Ma un mio primo contatto con gli spiriti, e con quello che era in loro potere,  lo avevo avuto, e forse fu proprio questo a darmi la forza di ergermi, almeno simbolicamente, come barriera davanti al piccolo Sasuke.
Lo guardai da sopra la spalla, sorridendogli di un sorriso tirato e preoccupato. «Va tutto bene» ripetei più a me stesso che a lui. «Se ne andranno così come sono venuti, ignorali.» Che altro avrei potuto dire per consolarlo? Non avevo alcun potere.
Ma lui fu forte, non era un bambino nella norma. Solo guardandolo leggevo la sua rassegnazione, il suo avvilimento. Non mutò espressione, né si agitò per l’ulteriore avvicinamento degli spiriti. «E’ inutile. Non serve dirmi che “va tutto bene” perché so che non è così. Loro non se ne andranno, almeno non prima di avermi urlato nelle orecchie, fino a sfondarmi i timpani, tutta la loro pena e sofferenza.» Chiuse gli occhi e attese l’inizio di qualcosa che non ci mise molto per arrivare.
In quell’istante non capii nulla.
Un momento prima gli spiriti erano a un palmo dal mio naso, ma era bastato voltarmi verso Sasuke e rigirarmi, e loro già non erano più lì. Mi agitai, il cuore pompava una quantità di sangue pazzesca.
«Dove sono?» urlai, strattonando il piccolo per le spalle. «Sasuke, li vedi? Coraggio scappiamo!» Continuavo a strattonarlo, ma lui non rispondeva. A testa china, scrutava il pavimento, perduto. Sembrava che tra le mani mi trovassi un corpo privo di vita.
Allentai la presa dopo altri svariati tentativi. Lo chiamai ancora e ancora, ma non ebbi risposta. D’un tratto, però, a una velocità troppo elevata per quel clima di calma che si era creato, Sasuke alzò la testa e strinse le dita piccole e gracili intorno alle mie braccia robuste.
Non potei trattenere un grido di fronte a quell’espressione indemoniata. Del sangue viscido colò dai suoi occhi dapprima innocenti e la bocca si distorse in un ghigno famelico, più terribile di quello del Sasuke di mia conoscenza. Inserì le unghie, improvvisamente diventate appuntite, nella mia carne.
«Non ti sei chiesto come tu abbia fatto a toccarmi, dato che eri incorporeo fino a poco tempo fa?» sibilò, però quella voce perfida non aveva niente a che vedere con quella, sì calma ma pur sempre da bambino, di prima. «Ma questo non ha alcuna importanza.»
Concentrandomi, potevo ancora scorgere la presenza di Sasuke all’interno di quel corpicino che gli era stato tolto. Perché avevo inteso che a colloquiare con me non era il bambino.
«Che gli hai fatto verme?» Non mi sarei fatto fermare dal dolore al braccio.
Quello rise, folle, straziante come lo stridio di una lama sul vetro. «Bisogna conoscere la sofferenza per capire i propri errori.»
«Che razza di errore può aver compiuto un bambino così piccolo?»
«Si paga anche, e soprattutto, per gli errori dei propri avi, e gli Uchiha ne hanno fatti e tanti.»
«Ma perché lui?» obiettai furioso, cercando di divincolarmi. Ci riuscii, ma l’azione mi lasciò un rivolo di sangue , simile a un fiumiciattolo, su entrambe le braccia. E dire che la felpa aveva attutito il colpo. «Cazzo, lascialo andare. Immediatamente!» minacciai, ma come il fantasma ghignò, derisorio, scattai.
 
Le parole sono inutili a volte, eppure, papà, non sei stato tu a insegnarmi che discutere è decisamente meglio che passare alle mani? E allora perché mi ritrovo con le mani strette al collo del corpo di Sasuke? Vorrei uccidere quegli spiriti, vorrei farli soccombere tutti, e farlo tante e tante volte ancora fino a farli sparire dalla faccia del pianeta. Definitivamente. Voglio farlo, perché quello che sto rivivendo è l’origine di ciò che sta accadendo nella mia epoca.
Se questo non fosse avvenuto tu e la mamma mi sareste accanto.
 
«Perché mi fai questo?» Sbiancai: la luce negli occhi di Sasuke era cambiata; non vi vedevo più la perfidia e la voglia di uccidere e far soffrire, ma tristezza, innocenza. «Mi vuoi uccidere una seconda volta? Non è bastato morire una volta? Non era sufficiente il colpo del mio stesso padre alla testa?»
Non fui capace di replicare.
«Ho visto il volto di colui che mi ha ucciso. Era affilato il coltello nella sua mano e mi fece male. Strisciava sulla pelle, andava a fondo, bruciava come se fosse fuoco vivo.» La nuova voce – l’ennesima, non finivano mai – ridacchiò amara.
Il corpo di Sasuke, posseduto da un numero indefinibile di presenza spiritiche, si alzò a sedere lentamente, la schiena perfettamente dritta. Mosse la testa a destra, poi a sinistra, infine si soffermò su di me, truce.
Tremai e non trattenni un urlo quando il capo di Sasuke si chinò all’indietro, sparendo dalla mia vista. La nuca aveva toccato completamente la schiena, appiattendosi contro di essa, inclinandosi a centoottanta gradi. Un singulto scosse il bambino, seguito da altri sempre più forti e agghiaccianti: non capivo se fossero singhiozzi amari o risate isteriche e pazze.
«Lascialo» mormorai. «Chiunque voi siate, lasciatelo andare, prendetevela con me!» Ma nulla, non ero ascoltato. «Siate meno vigliacchi e affrontate chi… qualcuno della vostra taglia!» Ma niente, fui costretto a vedere quell’orribile scena di possesso di un corpo innocente, finchè i fantasmi, autonomamente, non lo abbandonarono, lasciando Sasuke steso a terra senza sensi.
Era stato uno spettacolo orribile, come una scatolina riempita da troppe, enormi cianfrusaglie che alla fine esplodeva, lasciando solamente piccoli.
 
Quando cercai di toccarlo, per svegliarlo, lo oltrepassai. Conclusi che ero riuscito a percepirlo, prima, solo perché erano stati gli altri spiriti, dentro di lui, ad avermelo permesso.
«Sasuke, come ti senti? Coraggio, piccolo, svegliati!» Un turbine di emozioni si faceva spazio dentro di me, annullando ogni mia facoltà razionale. Perché accadeva tutto ciò? Solo per una stupida lotta che stava avvenendo, o peggio, era già avvenuta, tra famiglie rivali? Gli Uchiha… che cavolo avevano potuto fare di tanto grave?
«Sasuke, tesoro!» Mi voltai di colpo quando la porta si spalancò. Entrò una donna vestita elegantemente, dall’aria preoccupata. I tratti gentili e ansiosi del suo viso angelico assomigliavano a quelli del piccolo Sasuke e anche gli occhi rilucevano dello stesso colorito scuro. Lo prese tra le braccia, colpendogli la guancia paffuta con degli schiaffetti deboli ma incisivi. Smise soltanto quando le palpebre si aprirono. «Ti sei svegliato per fortuna!» Lo abbracciò forte, singhiozzando. «E’ risuccesso?»
Sasuke annuì. «Ma non preoccuparti mamma, ora sto bene» sorrise tirato. Si vedeva che lo stava facendo soltanto per tranquillizzare sua madre. «Vedrai, non succederà mai più.»
«Lo spero, tesoro mio. Credimi, farei qualsiasi cosa per farli smettere. Prenderei io tutti i tuoi dolori, ascolterei all’infinito quelle urla che mi descrivi se solo sapessi come fare. Vorrei poterti promettere che non accadrà più…» La voce le si spense in un singhiozzo e la sala calò nel silenzio, lasciando permanere soltanto il flebile suono della mano della donna che lisciava amorevolmente e con ostinazione i capelli di suo figlio.
Quella scena mi ricordò molto della mia infanzia. Ne fui coinvolto emotivamente e a stento trattenni le lacrime.
«Ora andiamo, sono sicuro che papà ci aspetta, vero?» controbatté Sasuke, interpretando davvero bene il ruolo di personcina forte. Chissà, però, quanto male sentiva dentro.
 
Fu un’altra la stanza in cui mi ritrovai quando Sasuke, dopo avermi scoccato un’ultima occhiata prima di chiudersi la porta alle spalle, uscì. Il tavolo lungo al centro, le sedie lussuose che lo circondavano e i fasti con cui il tutto era decorato, mi fecero supporre che si trattasse di una sala da pranzo di una ricca famiglia.
Sebbene tutto questo lusso, ben poca gente partecipava a quel modesto banchetto: quattro persone. Riconoscevo Sasuke e la donna che lo aveva svegliato, un ragazzino dall’aspetto molto simile a Sasuke, che ipotizzai essere suo fratello, e un uomo dai tratti nervosi, probabilmente suo padre.
«Come mai ci hai messo tanto?» chiese proprio quest’ultimo.
Sasuke abbassò la testa. «Scusami.»
L’uomo, dopo un’occhiataccia, concluse la questione con un’alzata di spalle, poi cominciò a mangiare.
Osservai costantemente la famiglia: non aveva nulla a che vedere con quella che era stata la mia. Tra loro c’erano poche parole, mi sapevano di legami spezzati e rattoppati continuamente, che non ci avrebbero messo molto a rompersi del tutto. Non vedevo armonia, ma forse era tutto una mia errata impressione.
Una fitta alla testa, improvvisa, come un fulmine a ciel sereno, mi colpì rimbombante, appannandomi la vista finchè tutto mi divenne scuro.
 
Urla, grida e puzza di marcio mi aggredirono, facendomi svegliare. Mi mantenni la testa che pulsava e girava e mi impediva di restare in piedi. Dovetti chiudere gli occhi e respirare profondamente prima di riuscire ad alzarmi e a vedere cosa stesse succedendo.
Sasuke era cresciuto: aveva lo stesso aspetto dello spirito che avevo conosciuto, solo che era meno pallido, era ancora vivo. Interiormente seppi che il momento di sofferenza atroce e di morte si stava avvicinando.
«Sasuke!»
Lui si voltò, mi osservò con un sorriso malefico, poi mi ignorò e proseguì verso una meta a me ignota. Intorno al suo corpo comparirono altre presenze fluttuanti, che gli giravano intorno come mosche intorno a una lampadina. Capii che quello non era Sasuke.
«Fermati!» corsi e mi lanciai al suo cospetto, aprendo le braccia. «Liberati, Sasuke, non farti comandare da altri, coraggio!» Iniziai a sudare freddo ma non mi spostai. «Sii te stesso!»
Sasuke abbassò la testa, poi la risollevò di colpo, cominciando a ridere come un ossesso, a braccia aperte e occhi fissi al cielo. «E’ troppo tardi: non c’è niente che tu possa fare per lui. E’ finita. L’ultimo atto sta per compiersi!» urlò e le sue urla si unirono a quelle agghiaccianti, di donna, che non avevano lasciato la mia mente nemmeno per un istante, da quando mi ero svegliato. «E’ finita» ripeté, sogghignando appena. La sua schiena si alzava a ritmo ogni volta che un nuovo risolino isterico gli usciva dalle labbra.
«C’è sempre qualcosa che si può fare!»
«Magari nella tua testa» bisbigliò serafico «ma non nella realtà, o almeno non in quella decisa da noi.»
Deglutii con paura, ricercando in me stesso il coraggio di fare un’ulteriore domanda: «Voi chi?»
Ma lui mi ignorò.
«Voi chi?» ripetei più forte.
«Brutto insetto fastidioso» sbottò, allungando una mano.
Una forza spiazzante, come una forte corrente d’aria, mi sbatté al muro. Perché ero impotente? Perché non potevo fare nulla per cambiare il futuro, costretto soltanto ad assistere a una tragedia che cominciava a non piacermi più?
Sasuke passò attraverso la  porta davanti a sé, dopo aver percorso il lungo corridoio.
Mi alzai e corsi, incurante del dolore alla gamba e alla schiena. Cadendo, infatti, il mio corpo aveva schiacciato il ginocchio. «Smettila!» Lo seguii nella nuova stanza.
Seduto a uno scrittoio se ne stava un ragazzo dai capelli neri. Prorompente, mi soggiunse l’immagine del ragazzino al tavolo. «Ho fallito su tutta la linea, allora» disse, sistemando gli occhiali sulla scrivania e alzandosi, facendo strusciare rumorosamente la sedia a terra.
Tutto fu silenzio: niente urla, né risa, né parole dei due né mie.
«Ebbene sì, Itachi» scandì infine il corpo di Sasuke.
Memorizzai il nome dell’altro.
Itachi sospirò. «Immagino che dopo nostra madre e nostro padre tu sia venuto da me, alla fine.»
«Esattamente.» Sasuke allungò il braccio e aprì il palmo, facendo comparire una spada. «E sai cosa avrai come premio, dopo.»
«Lo ricordo, ma come posso esserne sicuro?» La calma di Itachi mi spiazzava. Si trovava davanti un essere tale che aveva appena detto di volere la sua testa ed… era così tranquillo?
Lo spettro alzò le spalle. «Hai solo la mia parola. E comunque, qualunque cosa tu faccia, non riuscirai a fermarmi. Anche tuo padre ci ha provato. Con tua madre, invece, è stato molto semplice. E con la tua morte, resterà soltanto un Uchiha disperato!» ridacchiò.
I passi dello spirito scandivano il tempo che restava da vivere a Itachi. Erano suoni lenti e malinconici e a ognuno di essi era associato un’immagine e dei suoni.
 
«Itachi, giochi con me?»
L’interpellato si lasciò scappare un sorriso gioviale. «Dovrei finire di studiare…» Il visino paffuto del piccolo Sasuke si fece triste. «Ma potrei fare un’eccezione.»
 
«Tesoro, cosa stai facendo?»
«Non sono più il tuo bambino, mamma.» Sasuke alzò il braccio e colpì la donna, squarciandola e ridendo alla vista del suo sangue. «Mi spiace» rise «ma non si poteva evitare.»
 
«Cosa diavolo hai in mente di fare?» L’uomo che avevo visto a capotavola sgranò gli occhi e vi lessi puro terrore dentro. Si portò un braccio al volto, per ripararsi, ma la spada fu più veloce. Fu puntata al collo dell’uomo in pochi secondi e lasciò un rivolo di sangue.
«Padre, non te ne sei mai accorto della presenza che albergava dentro di me da quando ero piccolo. Itachi e la mamma sono stati bravi a nasconderti tutto» mostrò i denti.
«Tu non sei mio figlio» constatò l’uomo.
E fu l’ultima cosa che disse, prima che la gola fu trapassata dalla lama.
 
«Cosa è successo?»
Itachi, accanto a un Sasuke sconvolto, fissò prima quello che era stato suo padre e poi sua madre, deposti sul letto e privi di vita.
«Itachi cos’è successo?» richiese Sasuke.
«Mamma e papà sono morti.»
Sasuke abbassò la testa, affranto. Non lo avevo mai visto così. «E’ colpa mia, vero?» Non sapeva di domanda.
«No.»
«Sono stato io, vero?» urlò, stringendo i pugni e mordendosi le labbra. Piangeva, sebbene facesse il possibile per non farlo.
Itachi lo abbracciò di colpo, stringendolo forte come se volesse cancellargli il dolore e i singhiozzi.. «No, non tua.»
 
«Non puoi fare nulla, Itachi, per salvare tuo fratello. Solo quando tutti gli Uchiha saranno morti, allora questo incubo finirà. Ed è inutile che continui a guardarmi così. E’ tutto già scritto.»
 
E ultima la voce di Sasuke nelle orecchie, accompagnata dal buio di una notte senza Luna.
«Itachi, io non voglio farti del male.»
Itachi gli accarezzò i capelli, paterno, ma non parlò.
«Ascoltami fratellino: tu, tu stesso e non chi si impadronisce di te, non potresti mai farmi del male.»
 
Il ritorno al presente fu frastornante, troppo veloce.
Sasuke alzò la spada, modo per annunciare che la morte di chi gli stava di fronte era imminente; Itachi chiuse gli occhi. Io ero paralizzato: volevo intervenire ma non sapevo come fare. Allungai il braccio, slanciato, corsi sopprimendo il dolore alla gamba, ma l’unica cosa che ottenni fu vedere la spada che trapassava il corpo del fratello di Sasuke. Un unico colpo, velocissimo, e la lama spuntò dall’altro lato, impregnata di altro sangue innocente. Il corpo cadde a terra con un tonfo sordo, accompagnato dalle risa di vittoria e giubilo dello spettro. «E la vendetta del mio clan è compiuta!» urlò gioioso.
 
Quanti minuti passarono? Quanto tempo? Furono ore o semplici secondi? Non seppi dirlo.
Impalato, con le mani a terra, guardavo le gocce di sangue di Itachi che cadevano al suolo, mischiandosi alla polvere di un luogo morto e deserto. Sangue fresco che lo spirito non evitò di pestare simbolicamente e deridere, prima di abbandonare il corpo di Sasuke a terra.
 
«Ti voglio bene, Nii-san» Un’ennesima voce.
 
Sasuke aprì gli occhi e si trovò innanzi un simile spettacolo. Sentivo che in cuor suo sapeva di essere stato lui. Si inginocchiò a terra, accanto al fratello, e lì rimase, piangendo lacrime silenziose e piene di dolore non celato. A testa bassa, senza più nessuno su cui far appoggio, senza una famiglia che non fosse solo il ricordo di ciò che era.
«Perché?» sibilai.
E piansi anch’io, cacciando tutto ciò che mi ero tenuto dentro e che, egoisticamente, non avevo voluto realizzare. Sperai che tutto finisse presto.
 
Lo scenario cambiò all’improvviso, dopo chissà quanto tempo di pianti e pugni sbattuti a terra. Mi asciugai le lacrime e tirai su col naso come un bambino.
Davanti a me, Sasuke si martoriava con un coltello. Dimagrito, pallido, lasciava ferite profonde sulla pelle liscia e vane furono le mie urla per intimarlo a smettere.
«Ti voglio bene, nii-san» mormorò come se fosse una cantilena e più lo ripeteva più affondava il coltello nella pelle.
E incise e incise, cambiando destinatario ogni volta.
Una distrazione, fu un colpo volontario forse, ma il coltello andò a toccare il petto e affondò con una spinta veloce, come se gli fosse stato sfilato dalle mani.
Fu un colpo solo, senza un urlo.
Sasuke era solo in quel momento.
 
Rividi quell’immagine e dalla ferita, anziché sangue, sgorgò un lucente fascio di luce bianco.
 
«E allora?»
La mia casa, la mia quotidianità, Sasuke. Quel Sasuke.
Sentii le guance ancora bagnate e la sua voce ovattata. Era appoggiato al muro, a braccia conserte e mi guardava senza espressione.
Non singhiozzai, ma dentro mi sentivo morire. Non condividevo il suo modo di vendicarsi, però…
Mi avvicinai. «Mi dispiace» sussurrai avvilito e, col volto che iniziava a ricoprirsi di calde lacrime inutili lo strinsi a me, come molti avevano già fatto senza risolvere nulla.

 
 

 



 
Salve a tutti!
Inutile dire quanto mi senta avvilita dopo questo capitolo. Mi ha messo una tristezza addosso che non so se è arrivata anche a voi. Dunque, Sasuke l’ha fatta finita da solo, perché il dolore era diventato troppo per sopportarlo. Lui, nel manga, ha una personalità piuttosto forte, però nella mia fic la situazione è un po’ diversa, quindi spero che risulti vagamente IC. In ogni caso, aspetto delle vostre repliche, se così non vi fosse sembrato. ^__^
 
Ringrazio:
le 9 persone che l’hanno messa tra le preferite;
le 3 che l’hanno messa tra le ricordate;
le 47 che l’hanno messa tra le seguite;
e le 6 persone che hanno recensito lo scorso capitolo e coloro che hanno solo letto.
Grazie mille!
Se avete due minuti, sarei felice se potesse scrivermi anche solo due righe, grazie mille! ^///^

 

   

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Cercando un lavoro ***


Capitolo 5: Cercando un lavoro
 

 

 
 

Sbuffai, e stanco di fissare il soffitto mi girai a pancia in giù.
Era già trascorsa una settimana da quando Sasuke mi aveva mostrato la sua infanzia. Per quanto mi sforzassi di pensare ad altro, magari a un modo per vincere la nostra scommessa, la mente mi riportava sempre alla scena della sua morte, come un videoregistratore che lascia scorrere sullo schermo sempre le stesse cruente immagini.
Si era ucciso da solo. Sasuke non aveva sopportato la crudeltà e l’ingiustizia della vita nei suoi confronti, dunque aveva pensato di farla finita con le sue stesse mani. Mi domandai se mai suo fratello non fosse stato ucciso, se sarebbe stato diverso.

Mi misi di fianco, la testa sotto il gomito, e sospirai.
Da quel giorno non avevo visto dei cambiamenti specifici sul volto del mio coinquilino forzato, però avevo cominciato a inquadrarlo in modo diverso. Che si trattasse di pietà o compassione non sapevo dirmelo; l’unica mia certezza era che bisognava sbrigarsi, a prescindere da tutto. C’era la mia famiglia nelle sue grinfie, per cui, buono o cattivo che fosse, Sasuke andava fermato. Magari anche aiutato, ma di certo lui non era la mia priorità, doveva essere così. Sarei riuscito a fargli capire anche che si stava sbagliando, ma non avrei mai dovuto dimenticare il mio obiettivo.
«Credo che non riuscirai ad andare avanti per molto in questo stato.»
Sobbalzai come se mi avessero lanciato una secchiata d’acqua gelida in pieno volto. «Cosa?»
Sasuke apparve alla porta, una felpa blu indosso – troppo larga per lui – e le mani in tasca. «Dicevo» nuvolette bianche gli uscirono dalla bocca quando parlò, condensandosi come banchi di nebbia «che non andrai troppo avanti con quelli.» Con un gesto del capo indicò il primo cassetto del comodino adiacente al mio letto. «Ti stanno finendo i fondi, Naruto-chan» concluse e stranamente mi risparmiò il suo solito ghigno.
Che stia cambiando veramente? O è stata solo una mia stupida impressione? Forse sentiva solo la necessità di aprirsi con qualcuno…
«Diamine» sorrisi nervosetto, grattandomi la testa bionda «è un bel problema in effetti.»
Alzò le spalle, indifferente, e, facendolo, sembrò quasi che la felpa gli stesse ancora più larga. «In effetti lo è. Vivendo anche come corpo, e non più solo come spirito, ho bisogno di nutrirmi.»
Mi mordicchiai l’unghia del pollice come un criceto fa con un seme di girasole. Poi, illuminatomi e distrattomi dal ritmico rumore dei denti a contatto con l’unghia, battei il pugno sull’altro mano. «Ma certo!» esclamai. «Basterà trovarci un lavoro!»
«Non mi dire… te l’hanno mai detto che sei a dir poco geniale?» mi sfotté senza mostrare di provarci gusto.
Risi. «Beh» alzai l’indice e chiusi gli occhi «se è una cosa da poco, come mai non è venuta in mente a te?»
Sasuke si accigliò, scocciato. «Spero che il tuo dire stupidaggini sia casuale e che, sopratutto, non si ripeta troppo spesso. Persino un bambino sarebbe arrivato a questa soluzione, dobe.» Strinse le braccia al petto.
Vederlo tanto “loquace” e “disposto al sano chiacchiericcio” dopo una settimana di mutismo mi fece sorridere. Tuttavia, continuai a fingermi imbronciato. «Come no! Non c…»
«Piuttosto» mi interruppe «sarebbe stato più intelligente, da parte tua, integrare la tua proposta includendo anche quale lavoro tu abbia intenzione di svolgere. Non mi sembri un tipo capace di fare granché, oltre che tenere in disordine la casa» fissò il mucchietto di abiti disposti a casaccio nell’angolo «poltrire e dire stronzate.»
«Siamo di buon’umore oggi pomeriggio, mh?» Abbracciai le ginocchia, cominciando a dondolarmi. Poi, constatando che, se fosse dipeso da Sasuke, avremmo continuato a giocare al gioco del silenzio, ognuno preso dai fatto proprio, continuai: «Da qualcosa dobbiamo iniziare. Tu che proponi?»
Lui ghignò in risposta. Mi preoccupai, perché quando sollevò le labbra, malefico, mi sentii sollevato, come se per tutto quel tempo mi fosse dispiaciuto non vederlo crudele come avevo imparato a conoscerlo. Mi venne il dubbio che dentro di me si celasse un qualche anormale desiderio di masochismo, dato che questo Sasuke significa solo guai. «Non credi» cominciò «che ti aiuterei un po’ troppo dandoti dei consigli?»
Feci scoccare la lingua sotto al palato, simboleggiando il mio scetticismo. «Ovviamente» ribattei. «Sarebbe una catastrofe.»
«Esattamente.»
Feci spallucce, poi, calmo, gattonai sul materasso, verso i piedi del letto, e sporsi il capo per cercare le mie caldissime pantofole sul pavimento. Non trovandole mi misi a testa in giù, così da poter osservare se quelle maledette si fossero insinuate sotto al letto. «A ogni modo» dissi, le iridi che viaggiavano da una parte all’altra, scrutando attraverso la polvere «ora usciamo. Mi sto ammuffendo a furia di stare chiuso qui.» Allungai il braccio per acciuffare una ciabatta. «Giusto il tempo di togliermi il pigiama, poi andremo alla ricerca di un lavoro o, comunque, di qualsiasi lavoretto retribuito che una buon’anima sarà disposta a offrirci.» Sbucai fuori, tossendo per via della… poca pulizia, ecco. Sasuke non si era mosso di un millimetro, statuario e di nuovo impassibile. «Tu lavorerai?»
L’unica risposta che ricevetti fu il rumore dei suoi passi che si allontanavano, accompagnato dal mio sorriso spento.
 
Restava un mistero da quale dei miei due genitori avessi ereditato la capacità di fissarmi su un pensiero a tal punto da farlo diventare parte di me. Probabilmente da mia madre, e lo stesso valeva per la maggior parte del mio carattere testardo.
Era una la domanda che mi frullava in testa: perché mi importava tanto di cosa avesse Sasuke per la testa? Insomma, perché non riuscivo a farmi gli affaracci miei pur sapendo che lui era il nemico, e che andava affrontato e vinto e non capito? Sasuke era senza dubbio la personalità più intricata con cui avessi mai avuto a che fare, e qualcosa mi diceva che non c’entrava che avesse già avuto a che fare con la morte. Cambiava come il variare delle stagioni, seguendo un percorso, a quanto avevo capito, ciclico: prima appariva come un vero fantasma da film horror, poi come un semplice ragazzo che odia tutto e tutti. E infine, quando meno te lo aspettavi, ritornava il Sasuke malizioso, con quel pizzico di cattiveria negli occhi che poteva sfociare da un momento all’altro in qualcosa di terribile e doloroso.
Ma qual era la mia reazione a tutto ciò? Provavo dei sentimenti contrastanti, che fino a un certo momento era volti più verso l’odio e il disprezzo, ma che man mano tendevano alla comprensione e al bene. Non mi spiegavo perché il mio cuore cominciasse a considerare Sasuke come una persona vera, bisognosa degli altri e degna di ricevere la mia amicizia, mentre la mente voleva impormi di persistere, e di disprezzarlo. Riuscivo a conciliare le due sensazioni soltanto dicendomi – e ripetendomi –  che, in ogni caso, per vincere la scommessa, e diventare la persona più importante per Sasuke, avrei dovuto affezionarmi davvero a lui.
Però alcune volte il discorso sembrava non filare tanto liscio come mi sembrava. Sentivo di fare un torto a mia madre e a tutti gli altri abitanti di Konoha volendo bene a Sasuke.
«Uffa!» sbottai, sistemandomi meglio il maglione di lana e strattonandolo per la rabbia. Quando vidi Sasuke che mi fissava, tentai di giustificare quella mia esclamazione. «Fa già così freddo la prima settimana di Ottobre! Meglio mettersi anche il cappotto pesante» annuii alla mia stessa proposta. Ne porsi uno anche a Sasuke, che lo acchiappò senza nemmeno guardarmi in faccia, poi uscii, con la speranza che il freddo congelasse anche le idee  che mi rimbombavano in testa come il rumore di un martello che colpisce un chiodo.
 
«Ti prego fermiamoci qui per sempre!» urlai con gli occhi che mi brillavano e la bava alla bocca. Se anche qualcuno si fosse girato alle mie parole non ci feci caso. «Dopo il ramen, oh benedetto il ramen nei secoli, i marshmallow sono i miei preferiti!» Strusciai il braccio sulle labbra. «Beh, lo zucchero filato non è da meno e nemmeno gli altri dolci…»
Sentii Sasuke sbuffare, ma nemmeno questo riuscii a farmi distogliere lo sguardo da quell’agglomerato di zucchero e morbidezza. «Dobe» mi rimproverò. «Ti avverto: se entro tre secondi non stacchi quel muso dalla vetrina, smettendola di spaventare la vecchia al bancone che ti guarda come se fossi uno yeti, ti lascio qui.»
«Marshmallow» biascicai, schiacciando il naso contro il vetro. Probabilmente, se mi fossi spinto ancora un po’, avrei sfondato tutto.
«Stupido usuratonkachi» borbottò l’altro, poi avvertii i suoi passi che si allontanavano, perciò, molto a malincuore, mi decisi a seguirlo.
«Uffa» piagnucolai. «Potevamo comprarne solo alcuni.»
«Non mi sembra di averti detto che non potessi.»
«Però sei corso in avanti come un ladro in fuga inseguito dalla polizia!» lamentai.
«Ma non ti ho obbligato ad aspettarmi: ti avevo solo detto che me ne sarei andato, tutto qui.»
Borbottai frasi sconnesse tra me e me, infine chiesi: «Si può sapere perché non hai voluto aspettare?»
«Mi fanno schifo i dolci.»
Mi fermai di botto, spalancai la bocca e gli puntai contro un indice giudicatore: «Tu!» gracchiai. «Impossibile!» Incrociai le braccia a formare una croce. «Ma è un sacrilegio! Sa-cri-le-gio!»
Sasuke mi guardò per pochi attimi, dunque riprese a camminare come se nulla fosse. Ebbi la sensazione che fingesse di ignorarmi, di non conoscermi.
Lo raggiunsi, tenendomi comunque a un metro o più di distanza così che la sua malattia non mi contagiasse: per me era impossibile che qualcuno odiasse i dolci. «Tutti i tipi?» chiesi.
«Smettila.»
«Anche la cioccolata a latte?»
Non mi rispose.
«Bah, sei strano!» Incrociai le braccia dietro la testa. «però voglio portarti da Teuchi, all’Ichiraku! Non guardarmi di sottecchi che non si tratta di dolci!» ridacchiai. «E no, ti farò assaggiare il ramen più buono di tutto il paese! Vedrai, una volta che ne avrai soltanto sentito il profumo desidererai non fare altro che mangiare e mangiare finchè lo stomaco non implorerà pietà!» Allargai le braccia, sognante, immaginando più e più ciotole di ramen danzanti intorno a me. Mi sembrava di sentirne persino il profumo nelle narici, e chissà come non addentai l’aria.
«Non vorrei strapparti ai tuoi sogni di gloria, ma siamo usciti, come volevi tu… si può sapere dove hai intenzione di andare, baka?»
D’un tratto tutta la fantastica illusione del mio mondo perfetto scoppiò come un palloncino, ricatapultandomi alla realtà. «Da Kiba, lo ricordi? Magari ha qualche consiglio da darc… darmi.»
Sasuke scrollò le spalle. «E muoviamoci.»
 
Per tutto il resto del tragitto evitai di farmi vincere dalla voglia di azzannare le vetrine ricche di cibarie. Camminammo spediti e piuttosto silenziosi, tranne per qualche mia affermazione riguardante il clima o le felpe. Scoprii – anche se non fu lui a dirmelo chiaramente – che a Sasuke le felpe piacevano molto. Lo scorsi mentre si arrotolava il filo uscente dal cappuccio intorno al dito: sembrava un gesto spontaneo, quasi abituale. «Sei fortunato» gli dissi. «Anche a me piacciono, ne ho una quantità immensa.»
La casa di Kiba era semplice. Un’abitazione comune per gente comune, semplificando. C’ero stato parecchie volte quando i miei genitori  erano ancora al mio fianco. La prima cosa che saltava all’occhio era sicuramente il giardino spontaneo, ricco di erbette di diverse tonalità di verde che spuntavano qua e là, insidiandosi trai fiori. Sulla destra, si ergeva un’enorme cuccia, e sulle prime pensai che fosse un po’ troppo grande per quel piccolo scricciolo di Akamaru, cane di Kiba. Evidentemente, la famiglia Inuzuka aveva fatto acquisti in quegli anni che non c’eravamo visti granché.
Suonai al citofono, annunciandomi.
Subito la porta si aprì, e spuntò il mio amico, che mi salutò allegramente. Scoccò un’occhiata che non seppi decifrare a Sasuke, poi ci invitò a entrare. Per poco non mi venne un infarto quando un cagnolone bianco, che assomigliava tanto a quello che era stato il “piccolo” Akamaru, mi si avvicinò, annusandomi.
Kiba lo accarezzò. «Te lo ricordi, né Akamaru? E’ Naruto!»
«Akamaru?» balbettai, arrampicato sul divano, a momenti seduto in braccio a Sasuke che sedeva al mio fianco.
«Sono passati tanti anni, è ovvio che sia cresciuto, no?» fu la semplice spiegazione di Kiba. «A cosa devo la tua visita? Vi offro qualcosa?»
Scossi la testa. «No, no, grazie. Piuttosto, non è che sapresti…» E gli spiegai che necessitavo urgentemente di un lavoro perché i soldi sul mio conto corrente scarseggiavano.
Ci pensò un po’ su, infine, con mia tristezza, scosse la testa, promettendomi di avvisarmi in caso di qualche informazione. «Perché non provi a passare da Ino?» mi disse poi. «Credimi, se non lo sa lei, allora puoi scordarti di trovare un lavoro nel raggio di dieci chilometri.»
Scoccai le dita. «Ottima idea, grazie!» Mi incamminai, seguendo Sasuke, verso la porta.
«Ah Naruto!» Mi voltai. «Che ne dici di uscire come ai vecchi tempi qualche sera? Non so, magari il giorno del tuo compleanno, tanto è vicino. Così offri qualcosa a tutti per farti perdonare della tua assenza di questi anni.»
Ridacchiai. «Vedremo.»
Lo salutai ancora una volta, poi andammo via.
«Non sapevo che fosse il tuo compleanno a breve.»
Quasi mi stupii di sentire la voce di Sasuke. Per tutto il tempo trascorso a casa di Kiba – ed era stato parecchio, anche se non era sembrato – non aveva spiccicato nemmeno mezza parola, salutandolo a malapena. «Tra una cosa e l’altra l’avevo rimosso io stesso!» risi.
Lui alzò le spalle e proseguì senza aggiungere altro.
Mi sentivo quasi in dovere di parlare, come se fosse necessario che aggiungessi altro, che gli chiedessi se se la fosse presa o meno.
Ma perché avrebbe dovuto prendersela? E perché ci tengo a domandarglielo?
«Te la sei presa?» chiesi infine, imbarazzato.
«Avrei dovuto?»
Alzai le spalle: non lo sapevo nemmeno io.
«E comunque no, non me ne importa nulla di questa faccenda.»
Deglutii, mandando giù il magone. Serrai i pugni nascosti nelle tasche e mi sforzai di sorridere. «Meglio così.»
 
Ad aprirci a casa Yamanaka che era già sera fu proprio Ino. Non mi sfuggirono alcune moine in presenza di Sasuke, come lo sbattere le ciglia in un modo che sarebbe dovuto essere sensuale, però decisi di “non importarmene di quella faccenda”.
«Desiderate?» Sembrava essersi rivolta più a Sasuke che a me, anche se aveva parlato al plurale.
«Innanzitutto scusa per il disturbo» cominciai.
Lei fu indignata. «Disturbo?» Spalancò gli occhi. «Siamo amici, stupido, potreste bussare anche alle tre di notte, sarei sempre disponibile.» Ci pensò su. «Beh, forse solo in caso di urgenza, altrimenti ti pesterei a sangue» sorrise, inclinando la testa come una bambina. Da fare attenzione al fatto che avrebbe picchiato solo me.
Le spiegai la questione come avevo fatto con Kiba.
Ino si morse il labbro e spostò le iridi di lato, pensosa. Dunque si illuminò e scattò in piedi. «Capiti proprio a fagiolo, Naruto! Non è granché ma per ora sarà meglio di niente. Hai detto che sei disposto ad accettare qualsiasi tipo di lavoretto, anche se per una sola serata?» Annuii: in effetti era veramente meglio di niente. «E allora ascolta: una persona che conosco necessiterebbe di una baby-sitter per domenica sera dalle sette alle dieci; da decidere con lei il pagamento.» Si soffermò un istante di troppo su Sasuke, poi riprese: «Se ti va di accettare posso sempre informarti e farti sapere entro domani… che ne dici?»
Non seppi nemmeno io il perché ma guardai l’Uchiha in cerca di un qualunque segno di assenso o dissenso. «Mi servirebbe, ma non so se potrei farcela a badare a dei bambini» ammisi.
Ino mi squadrò. «Penso che saresti perfetto, invece. Insomma, sei così divertente, bambino anche tu! Ti troverai a tuo agio!» esclamò pimpante.
Ridacchia nervoso: non l’avrei ammesso apertamente, ma mi innervosiva e imbarazzava al tempo stesso che quel mio lato di bambino venisse messo a nudo in quel modo. Tuttavia lasciai perdere. «E va bene, mi hai convinto, Ino. Informati su tutto, se puoi, e fammi sapere. Per ora è un sì.»
 
«La Yamanaka non ha tutti i torti: coi bambini ti troverai a tuo agio.»
Mi voltai imbronciato, naso all’insù. «Tu non verrai?» borbottai. In cuor mio speravo che venisse, anche per aiutarmi a tenere a bada i ragazzini, ma sotto sotto sapevo che non sarebbe stato possibile. Invece…
«E perdermi la scena di te che ti fai mettere i piedi in testa da dei marmocchi?»
«Sapevo che non sares… cosa? Allora vieni?» domandai sorpreso.
Mi guardò come si potrebbe guardare un uomo col cappotto pesante ad Agosto. «Ho già risposto.»
Alzai le mani. «Che antipatico! Sarebbe stato meglio che te ne fossi rimasto a casa!» mentii. Ero proprio contento della sua enigmatica presenza, e poi quale punto migliore per cominciare a fargli riscoprire le “meraviglie” della vita se non i bambini? Ottimo punto di partenza; Ino mi aveva aiutato più di quanto potesse pensare.
 
 
*
 
 
Sasuke accarezzò la guancia calda di un Naruto addormentato, nascondendo l’ombra di un sorriso dietro una maschera glaciale. «Sei uno sciocco, Naruto-chan» sibilò a un passo dalle sue labbra.
Intrecciò alcuni suoi capelli biondi intorno al dito cadaverico, senza curarsi di fare attenzione a non farlo svegliare. «So ogni cosa di te, Naruto-chan, per quanto ti sia intima e segreta. Ogni tuo più piccolo pensiero, qualunque preoccupazione. L’ansia, la paura di non farcela e il forte sentimento di amicizia che stai cominciando a provare verso di me, come io voglio.» La voce dello spettro era melodiosa e ingannevole. All’apparenza come una dolce ninna nanna, in realtà il peggiore dei sortilegi. «L’altra volta ho evitato di assaporarti, però stavolta farò un’eccezione» sogghignò. «Ho scoperto» continuò, tanto Naruto non si sarebbe svegliato finché lui avesse voluto «che fortunatamente devi essere ben sveglio, affinché tutto possa procedere nel verso giusto, dunque…» si avvicinò alle labbra di Naruto, a tal punto da sentirne il respiro leggero e caldo, vivo, sul suo volto «non importa se mi concedo un piccolo strappo.»
Perché so che sarai tu stesso a metterti in trappola, e lo farai con le tue stesse mani.
Sasuke sorrise ancora una volta, e col ghigno ancora sulla bocca permise ai loro respiri tanto diversi – lui era morto, Naruto-chan era ancora vivo – di unirsi. Certo, se Naruto fosse stato sveglio sarebbe stato diverso: era stato proprio il sonno a salvarlo da quello che, quando ci sarebbe stato – perché, Sasuke lo sapeva, era solo questione di tempo –, sarebbe stato un bacio di morte.

 
 
 
 
 

 





 
 
Salve a tutti! *.*
Non sapete quanto mi diverta a scrivere questa storia! Credo proprio che sia la mia preferita tra quelle – e sono molte “^^ - che ho scritto fino ad adesso.
Chiarisco subito una cosa: l’ultimo pezzetto è scritto in terza persona volutamente, perché non volevo che trasparissero i sentimenti di Sasuke (dato che, quando narro in prima persona, tendo a comunicare troppo ciò che il personaggio pensa Cx). E poi credo che abbia fatto più effetto.
Non cos’altro dire, se non che mi piacerebbe ricevere un piccolo commento se avete tempo! ^///^
Ringrazio chi legge e recensisce, le 12 preferite, le 4 ricordate e le 50 seguite.
Alla prossima! ;)
 
P.S. Ho cambiato il titolo! <3

 
 
 
 
 
 
  
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Lavori domestici e litigi sul divano ***


Capitolo 6: Lavori domestici e litigi sul divano
 

 




 

«Passare i giorni con te è seccante» mormorò Sasuke.
Sbuffai. «Beh, ogni giorno facciamo qualcosa di diverso almeno.»
«Mi sembra una lotta per la sopravvivenza, lasciatelo dire.» Alzò il lembo della coperta e una miriade di minuscoli e insidiosi granelli di polvere gli occuparono le narici, facendolo starnutire. Per poco non aveva sbattuto la testa contro la spalliera. «Che schifo» brontolò.
«E’ come hai detto tu, teme» spruzzai lo sgrassatore su una pezza bianca che avevo ricavato dall’assassinio di un povero, vecchio lenzuolo senza colpa, e mi accinsi a dare una pulita al comodino «E’ una lotta per la sopravvivenza: o noi o la polvere.»
«Te la sei spassata in tutto questo tempo, non c’è che dire.» Starnutì nuovamente.
Fui punto nel vivo. «Sai com’è, ero impegnato in altre faccende…» Non proseguii sperando che mi attaccasse lui – scioccamente pregai i Kami affinché mi chiedesse scusa o dimostrasse di essersi pentito, ma niente di tutto ciò avvenne, per cui lo incalzai: «… vedi, non è semplice quando si cerca di individuare uno spettro che ha fatto sparire i tuoi genitori nel nulla… fare pulizia è l’ultima cosa di cui ti preoccupi.» Neanche questa mia ulteriore provocazione servì per smuoverlo, quindi ci rinunciai, deciso a occuparmi di una macchia ostinata che non voleva saperne di andare via. Per quanto strofinassi e mi sforzassi, quella restava sempre lì, più chiara ma persistente. Pensai di spruzzare lo sgrassatore anche sulla macchia stessa, però il risultato non cambiò di una virgola. Era una questione di principio: quella cosa lì doveva sparire! Mi voltai verso Sasuke, dimentico del discorso che avevo intavolato solo alcuni minuti prima. «Non conosci un qualche incantesimo capace di mandarla via?» Indicai la macchia sul comodino con l’indice, nascosto dalla pezza bianca.
Impossibile interpretare lo sguardo che mi rivolse; era un misto tra lo scettico e l’incredulo, come se vedesse in me un pazzo. Proprio lui che era un fantasma insano, poi…
«Perché mi guardi così?»
Dandomi le spalle e abbassandosi, infilò la spina dell’aspirapolvere, facendola entrare in funzione. «Credi forse che io sia un mago, dobe?»
«Come definiresti l’andare dietro nel tempo?» domandai curioso della sua risposta, sempre se ci sarebbe stata; quand’era in difficoltà, Sasuke preferiva chiudersi in se stesso. «Oppure» lo precedetti «come spieghi che a volte non riesco a muovermi?»
«Crampi?» Mi dava rabbia perché sembrava aver ragione, dato che era terribilmente serio.
Scossi la testa, avvilito. «Ritenta, sarai più fortunato.» Gettai il pezzo di lenzuolo sul letto incrociai le braccia al petto. «Non è possibile che tu sia capace di fare tanti…» persi tempo a cercare la parola adatta «trucchetti più o meno fighi e non sappia togliere una normale macchia!»
«Non sono un mago, dobe.»
«Eppure scommetto che sai anche, che so, teletrasportarti, ecco!» Lo presi per le spalle e lo girai verso di me. Osservai la bandana fucsia, trovata in casa e che gli avevo fatto indossare tanto per prenderlo un po’ in giro, che gli si stringeva intorno alla testa, facendo sì che alcuni ciuffi di capelli si alzassero verso l’alto. «Sai teletrasportarti, vero?» Mi brillavano gli occhi: più che un’accusa era diventata una viva curiosità, anche se dal mio tono non dovette sembrare così.
«Non mettermi alla prova» mormorò. «Potrei mandarti dall’altro lato del pianeta e lasciarti lì ad ammuffire.»
«E dunque» risi, rilassandomi «sapresti inviarmi al Polo Sud come un pacco regalo ma non sei capace di togliere una macchia, o meglio, di pulire tutto questo casino?»
Con un’alzata di spalle mi scrollò di dosso, e per poco non persi l’equilibrio quando andai a inciampare nelle mie stesse ciabatte. «Lasciala lì. Non ti hai mai infastidito, che problemi potrà darti ora?»
Rivolsi un’ultima occhiataccia alla macchia, prima di riprendere la pezza e dirigermi verso l’armadio. «Non finisce qui, dannatissima…»
 
Non ritenevo possibile che, tra una cosa e l’altra, avessimo finito di pulire la camera. Era decisamente passato troppo tempo dall’ultima volta che mi ero dato all’attività fisica di un qualunque genere: mi sentivo le gambe intorpidite e i muscoli fuori uso, senza contare che avevo voglia di lasciarmi cadere a terra e di strisciare sul pavimento bagnato, lavato da me medesimo perché il Signor Spettro così aveva ritenuto opportuno e necessario, fino ad arrivare al letto. Mi accontentai di conficcare le unghie nello stipite della porta, sperando di reggermi e non cadere a mo di pera cotta.
«Quando sarà asciutto dovremo dare una sistemata ai vestiti.»
Quello per me equivalse a una condanna a morte: era come se Sasuke mi avesse detto di dover fare il giro del mondo a piedi, attraversando le acqua, nuotando, e le sabbie mobili. «Ma come ti è venuto, stamattina, di fare la donna di casa?» lamentai.
«In un modo dovremo pur passare il tempo. Se ci pensi, dovresti addirittura ringraziarmi.»
«E bla bla bla…» mormorai, incapace di formulare un pensiero decente.
Sasuke, a differenza mia, sembrava in perfetta forma, come reduce da una salutare passeggiata pomeridiana. Lo vidi mentre, recatosi in bagno, probabilmente andava a riporre l’aspirapolvere al suo posto – dato che entrò con essa e uscì senza. Con movimenti delicati si tolse la bandana da testa – non mi sfuggì il disprezzo con cui la guardò – e se la fece rigirare tra le dita.
«Saresti stato benissimo se avessi indossato anche quel grembiulino rosa che ti ho mostrato prima…» ridacchiai, seguendolo in cucina, trascinandomi.
Lo trovai accomodato sul divano, poggiato al bracciolo e con la testa leggermente inclinata all’indietro. Cercò a tentoni il telecomando, ma non trovandolo si limitò a fissare la televisione scura e spenta, allo stesso modo cui avrebbe fatto se la stesse guardando con interesse.
«Mi sono distanziato da te di cinque passi e ti trovo già bello e sistemato!» esclamai sbalordito. «Che fulmine!» lo schernii. Nessuna risposta: sembrava vivere in uno stato di trans. Mi avvicinai e gli sventolai la mano davanti agli occhi, però lui non sbatté nemmeno le palpebre. «Ehi, c’è nessuno in quella testolina?» Bussai sulla sua testa, tre colpi precisi. «Ti sei disconnesso di colpo?»
Mi beccai un suo sguardo truce, e seppi che qualcos’altro stava per arrivare. Spalancai gli occhi azzurri, memore di tutte le altre volte che quel terribile qualcosa era successo, ma, contro ogni mia più rosea aspettativa, Sasuke non fece altro che spintonarmi via. Fu un colpo sì forte, ma era nulla in confronto ad attacchi mentali o fisici di altra natura.
Mi massaggiai la testa. «Scusa se ho interrotto la tua contemplazione del nulla assoluto!»
«Tutto ha qualcosa di interessante.» Fu la sua risposta.
«Anche il nulla?» Inarcai un sopracciglio e incrociai le braccia al petto. Lui annuì. «E io, allora?» mi illuminai. «Che cos’ho di interessante?» Stavolta erano state parole sue: gli avrei martellato nelle orecchie, come una batteria in pieno funzionamento, se non mi avesse risposto. Non poteva rinnegare quanto detto, altrimenti sarebbe stato poco credibile e non gli avrei dato tregua. Non sapevo effettivamente perché glielo avessi chiesto: il mio rapporto, quello che provavo verso Sasuke era ancora un mistero, un chiodo fisso cui non potevo oppormi, ma dovevo viverlo passivamente finché non si fosse sviluppato.
Sasuke ghignò. «Dobe, hai mai sentito parlare dell’eccezione che conferma la regola?»
Stranamente da come si sarebbe potuto pensare, non andai in escandescenza, ma riuscii a rimanere calmo e tranquillo. Anzi, risi, mano al fianco e indice dondolante. «Lo sapevo che pur di smentirti senza farlo sembrare ne avresti tirata fuori qualcuna delle tue. Stai diventando prevedibile, Mr Spettro
«Non dovresti essere troppo sicuro di te.»
Feci scoccare la lingua sotto al palato, scettico. «Ma sentitelo!» risi allegro. «E tu, invece, teme? Lo porti scritto in fronte» allargai le braccia sopra la testa, fingendo di mantenere uno striscione «”Sono tuo Signore e padrone: il migliore tra voi dimora sotto ai miei piedi!”»
«Non che sia troppo distante dalla realtà.»
Interruppi di colpo la mia risata fresca, stupito. Tutto sommato non credevo che potesse essere tanto sicuro di sé. «Cosa hai detto?»
«Che non è troppo distante dalla realtà: siamo due entità distinte, l’una l’opposta dell’altra. Per quanto un uomo possa elevarsi, non arriverà al mio livello, perché sono aldilà di tutto.»
Sbattei le palpebre più volte, incredulo. «Considerando ciò che hai detto, sembrerebbe quasi un pesce d’Aprile» ammisi, annuendo io stesso di quanto detto. «Ma la tua faccia è troppo seria per essere uno scherzo. Neanche gli attori arriverebbero al tuo livello.»
Lui alzò le spalle. «Visto? Il discorso è sempre lo stesso» ghignò.
Sempre con la faccia da pesce lesso, avanzai qualche passo lento verso la sua direzione; ogni mio più piccolo movimento era sottoposto al suo sguardo infallibile. Mi inginocchiai in modo da essergli proprio di fronte, così che potessi fissarlo dritto in quegli occhi profondi. Sentivo il suo respiro caldo sul volto.
Allungai un braccio, finendo per toccargli una gamba, trasalendo, frattanto che Sasuke mi guardava interrogativo. Con l’altra mano lo spinsi di più verso l’interno, appiattendolo maggiormente sul divano, e per non farlo muovere mi inclinai anch’io in avanti, sempre più vicino a lui. Stava per parlare, la bocca già semiaperta a mostrare i denti bianchissimi, quando una cuscinata – approfittando di un suo brevissimo momento di distrazione, infatti, avevo sfilato il cuscino da sotto al suo sedere – gli si stampò in pieno volto.
«Un essere superiore come te» iniziai a schernirlo «si fa prendere alla sprovvista da un incapace come il sottoscritto?» E nel frattempo colpivo e colpivo con sempre più forza, schiacciando la stoffa contro il suo naso. Sapevo che, se avesse voluto, l’avrebbe fatta finita subito, magari mandandomi a gambe all’aria e facendomi sbattere con la testa a terra, violentemente. Sentivo che cercava di divincolarsi, ma senza risultati. Magari era lui stesso a non volerci riuscire. «Stupido!» urlai scherzoso, mantenendogli il cuscino sulla bocca. Il tutto mi ricordava i giochi scemi che, da piccoli, facevamo io, Kiba e gli altri. Solo Shikamaru se ne era sempre stato fuori.
Continuai a ridere a crepapelle, sentendomi bene come non ero più stato da troppo tempo, fin quando non mi accorsi di trovarmi in una posizione alquanto, ehm… ambigua. Allentai a poco a poco la presa, quando mi resi conto di stare letteralmente addosso a Sasuke, seduto letteralmente sopra di lui. Ringraziai mentalmente di essere solo a casa.
Divenni di un rosso accesso e scottante che mi bruciava le guance, ciononostante non mi mossi, come pietrificato: il bello era che Sasuke, stavolta, non c’entrava assolutamente nulla.
Ripresomi, feci per alzare il cuscino dalla sua faccia, tanto per far vedere che ci tenessi a sapere che non fosse morto per mancanza d’aria. In effetti, in un modo dovevo pur uscire da quella situazione squallida, e cercavo di farlo facendomi passare sicuro di me, e forse anche un po’ ingenuo. «Stai bene, Sas…»
Non capii niente, il mondo mi vorticò intorno e il soffitto si sostituì al pavimento. Quando riaprii gli occhi, un istante dopo, il viso di Sasuke era vicinissimo al mio, il suo ghigno a un palmo dai miei denti. «E adesso?» sibilò.
Mi teneva fermo per le braccia,  stringendo tra il polso e il palmo della mano, ed era seduto sopra di me, come io lo ero stato con lui, così che non potessi muovere le gambe.
«E ora?» ripetei nervoso. Chissà perché mi ricordai di quando mi aveva baciato in fronte proprio in quel momento. E ancora: chissà perché rimembravo solo in quell’istante di tutto il dolore che la sua vita, o meglio il suo rivederla, mi aveva procurato. Ebbi paura per un breve istante, ma non di Sasuke, quanto di soffrire… d’ora in poi mi sarei prefisso anche di farmi coraggio in qualsiasi situazione. Ma non era il momento.
«Dovrei fartela pagare per avermi… cuscinato…»
«Ehehehe… “cuscinato”! Complimenti, Sasuke, scommetto che i critici prenderanno in considerazione il tuo nuovo termine!» No, forse della scadente ironia non era la cosa giusta da fare. «Potresti… sempre perdonarmi!» proposi, speranzoso.
Alzò lo sguardo al cielo, come se ci stesse pensando. «Non credi anche tu che non sarebbe divertente?» soffiò.
Allarme rosso, allarme rosso!Con i sibili di Sasuke non si scherzava. Saresti potuto finire gambe all’aria senza nemmeno rendertene conto.
«Oh beh, ecco» tergiversai «se proprio ci tieni a sapere la mia, penso proprio che non sarà una vera noia.» Annuii convinto; del resto era l’unica cosa che potevo fare, avendo braccia e gambe bloccate.
«Stupido di usuratonkachi.»
Chiusi gli occhi, reagendo come il cervello mi aveva ordinato.
Fui abbastanza sorpreso nel non percepire più il peso di Sasuke su di me. Schiusi le palpebre pian piano, quasi a temere che una brutta sorpresa mi attendesse, poi le sbattei ripetutamente, rimanendo, intontito, a fissare il soffitto. Mi misi a sedere di scatto. «Mi hai perdonato?» gli chiesi sbalordito, seguendolo con lo sguardo mentre cercava il telecomando della televisione.
Quando lo trovò si sedette al mio fianco, una gamba e un braccio appoggiati al bracciolo.
«Perché non mi rispondi alcune volte?» Evitai di avvicinarmi troppo, al fine di sottrarmi a qualche altra piccola lite – che a dirla tutta non si poteva mai sapere dove sarebbe andata a parere, alla fine.
«Metterai tu in ordine i vestiti» sentenziò come se nulla fosse; un padrone col proprio servo, questo sembrava. I capelli gli scivolarono sulla fronte quando mosse la testa verso la mia direzione.
«E perché cambi argomento, ora? Non hai ancora risposto alla mia domanda!» In realtà stavolta ero io a voler cambiare argomento: non volevo essere soggetto alle “leggi” strambe di Sasuke, ma allo stesso tempo volevo evitare, per quanto potessi, discussioni inutili, che non sarebbero servite né a me e né a lui… o, probabilmente, Sasuke avrebbe trovato un modo per farle fruttare a suo vantaggio, come adesso.
«Ti divertirai, vedrai» disse senza un tocco particolare nella voce.
Sbuffai, naso all’insù. «Puoi scordartelo» mormorai. Acchiappai il cuscino da terra e me lo sistemai sulle gambe incrociate, appoggiandoci il mento sopra. Lo strinsi al petto. «Non sono il servo di nessuno in casa mia, qualunque siano i tuoi poteri» chiarii. «Che poi, voglio ricordarti che non sei capace nemmeno di cancellare una macchia dal comodino.»
«Vorrà dire che sarai in debito con me» mormorò.
Soffiai. «Come no…» Gettai un’occhiata al televisore, osservando come, sistematicamente, immagini sempre diverse si susseguivano in uno zapping senza fine, in seguito al pigiare tasto di Sasuke. Non mi sfuggì che, in uno dei tanti programmi che stavo vedendo di sfuggita, stavano preprarando il ramen. «Riguardo a ciò che ti ho detto l’altro ieri» cambiai discorso, tanto era inutile combattere contro quella coccia dura «ti andrebbe di andare a mangiare il ramen da Teuchi, stasera?»
Non mi rispose.
Di nuovo in trans, mh? Pensai, scocciato.
Alternando indice e medio, stavo per azzeccare la mano al fianco di Sasuke, per fargli il solletico – ebbene, evidentemente quel giorno ero pregno di puro spirito masochista. Invece mi rabbuiai di colpo. Anche Sasuke se ne accorse, perché un’iride scattò di lato. Come faceva a prevedere tutto? Pareva quasi che potesse prevedere ogni mia mossa, anche la più impensabile. Ero certo che non mi stesse guardando in quel momento… come aveva fatto a sapere che le mie intenzioni erano cambiate e che non avevo più voglia di “colpirlo”?
Ma mi sarei risposto un’altra volta.
«Non ridi mai?»
Fu strana la risposta di Sasuke alla mia domanda: fu come se avesse bloccato a metà la sua reazione, cominciando col sussultare leggermente, e terminando con la stessa espressione gelida sul viso.
«Hai avuto la sfortuna di sentirmi, mi pare…»
Sulla prime non capii, poi non so come accadde, magari fu merito dello stesso Sasuke, però mi riaffiorò alla mente uno dei nostri primi incontri; la sua risata glaciale mi risuonava ancora fin dentro le ossa.
Subito scossi il capo. «Non in quel senso! Voglio dire, nemmeno nel tuo passato mi pare di averti visto… felice…»
Sasuke fece spallucce, aprì e chiuse gli occhi nel giro di mezzo secondo: il suo sguardo mi sembrava diverso, quasi collerico, ma magari era solamente una mia impressione sbagliata. «La felicità… non è un lusso che possono permettersi tutti» chiarì, gelandomi. «E non si può ridere senza motivo.»
«Invece…» alzai gli occhi e incontrai i suoi. Aspettavano una giustifica da me, lo sentivo. Ci tenevano a sapere cosa pensassi di quella faccenda. Avevano capito il mio modo di essere, che ero un testone e che cercavo sempre di far valere il mio punto di vista nel rispetto altrui; che non vedevo mai il bicchiere mezzo vuoto ma sempre mezzo pieno, e che non mi arrendevo nemmeno davanti alla più dura e impossibile delle battaglie. Ebbene, non so se vi lessero anche il disagio che provavo, se il mio conflitto interiore fosse evidente o meno.
Invece… la felicità è l’unica cosa che non si può comprare, teme. Basta cercarla bene, e la si trova.
Ma non glielo dissi.
Mi strinsi più forte il cuscino alle braccia e abbracciai le gambe. Incapace di proseguire col mio pensiero, ma dimostrandogli la mia vicinanza, mi lascia cadere con la testa poggiata nell’incavo del suo collo. Conficcai le unghie nella stoffa morbida, come se rompendo un semplice oggetto, dando così sfogo alla mia rabbia, potessero scomparire tutti i miei problemi.
Chiusi gli occhi, perché l’unico rimedio contro le difficoltà della vita era da ricercare nel sogno e nella fantasia. Cose futili e importanti allo stesso tempo, che ti salvano ma che ti piazzano innanzi la realtà effettiva dei fatti, perché ti fanno pesare il contrasto forte che c’è tra di loro, tra realtà e finzione.
Mi sistemai meglio, fino a schiacciare ancora di più la guancia contro il maglione di lana, un po’ pungente, che indossava. «Sai Sasuke» mormorai, metà tra la fantasia e il mio mondo «alla fine riuscirò a farti divertire e ridere di cuore almeno per una volta.»
Mi avvertivo sempre più distante, al limite: avevo sonno.
Giunsero ovattate le parole di Sasuke. Mi pare che dicessero “Andare al ramen stasera? Non…”
«… Non sarebbe un problema. Se proprio ti va, chiama anche quegli strambi dei tuoi amici.»
Gli avrei chiesto, una volta ripresomi, se davvero lo aveva detto o era stato tutto frutto della mia immaginazione. Ero troppo stanco per pensare a qualsiasi cosa, per cui mi addormentai sulla sua spalla, cullato dal lento alzarsi e abbassarsi di essa sotto il respiro vitale e lieve di Sasuke.

 
 

 

 





 
E anche questo è fatto.
Buonasera miei cari lettori! ^____^
Scommetto che la storia vi annoia, eh? ;___;
Sembra che non succeda niente di speciale, ma invece… *cerca delle scuse che siano più o meno calzanti* … in ogni piccolo capitolo Naruto e Sasuke si avvicinano sempre di più.
Scusatemi se le cose avvengono con lentezza, ma non voglio che questa faccia la fine dell’altra mia SasuNaru, dove i due protagonisti si sono innamorati a vista! ;___; (beh, era anche vero che quella era nata come shot, e che quindi l’inizio doveva essere anche la fine U__U). Ma che volete farci, mi piace soffermarmi anche sulle cose futili, perché in fondo loro si conoscono da poco ;__;
Tutte queste mosse per dire che non mi piace più il colpo di fulmine (a parte che lo trovo usato troppo spesso, anche da me stessa Cx), voglio provare a scrivere qualcosa di meno “usato”? Che abbia qualcosina di originale… ma forse mi sto perdendo troppo in dettagli! -.-
Boh, ditemi voi, altrimenti resto qui a scrivere altre 3000 parole solo come dibattito tra me e me.
Intanto ringrazio:
-chi legge e recensisce (vi adoro! <3)
-le 15 preferite
-le 5 ricordate
-le 56 seguite
 
 
Come sempre, se potete, io sono felicissima anche si due righe di recensione.
(anche uno e mezzo xD).
Grazie! <3 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Dubbi ***


 Capitolo 7: Dubbi

 
 

 

Cominciava ad assalirmi un dubbio, anche se era troppo presto per poterlo definire fondato. Gettai un’occhiata in tralice a Sasuke, seduto al mio fianco.
«Ehi, amico, come mai sei così silenzioso?»
Alzai la testa di scatto, deconcentrandomi, e permettendo a due sottilissimi spaghetti di scivolare tra le bacchette, finendo nuovamente nel brodo, guizzando. «Dici a me?»
Kiba annuì. «E a chi, altrimenti? Mi sembri su un altro pianeta questa sera, o sbaglio?»
«No» strascicai. «E’ tutta apparenza.» Stranamente, non riuscivo ad agguantare gli spaghetti come volevo; mi scappavano sempre.
«Secondo me» intervenne Ino, più euforica delle altre volte. «Stai pensando che non riuscirai a cavartela con i bambini, domani sera!» rise, contagiando anche gli altri.
Mi sventolai la mano davanti al naso in un gesto disinvolto. «No, non credo che dovrebbero essere un problema. Basterà non essere troppo duro, né troppo accondiscendente… sarà semplice.» Spero.
«Eppure qualcosa che ti frulla per la testa c’è, vero?» Inutile far finta di nulla con Shikamaru, perché mi conosceva troppo bene. «C’entra lo Spettro, per caso?»
Trasalii a sentir nominare Sasuke dai miei amici. Avevo pensato qualche volta alla possibilità di dir loro della vera natura del mio inquilino forzato, ma ci avevo rinunciato non appena avevo intenso quanto potesse essere pericoloso lui per loro. E di certo, io non volevo che succedesse qualcosa a causa mia. In ogni caso, mi sforzai affinché lo sguardo non mi si posasse su Sasuke, perché l’ingegno dei miei amici non era da sottovalutare.
«Shikamaru!» Kiba scattò in piedi e colpì il tavolo con una forte manata, facendo tremolare qualche bicchiere più vicino. Hinata sobbalzò. «Avevamo deciso che non ne avremmo parlato!»
Shikamaru non rispose, né si preoccupò del tono di Kiba.
«Ragazzi, niente litigi!» proruppe Sakura.
«Sakura-chan ha ragione» dissi. «E poi, come si fa a perdere le staffe davanti a un piatto di ramen del genere?» Per un secondo, fissando il mio adorato e venerato ramen, tutti i miei dubbi e le mie preoccupazioni si frantumarono come un vaso che cade a terra. Il suo profumo mi inebriò le narici e il suo sapore cominciò a diffondersi in bocca ancor prima che lo gustassi – o “riguastassi”, dato che era la seconda porzione.
«Inoltre c’è anche Sasuke! E’ nuovo del nostro gruppo, e non credo che sia corretto da parte nostra litigare in sua presenza.»
Il discorso di Sakura-chan mi aveva lasciato un po’ sbalordito, soprattutto perché aveva considerato Sasuke già come “parte del nostro gruppo”, e ciò andava a nutrire ancora di più i miei sospetti. Tuttavia non dissi nulla, limitandomi a mangiare allegramente il mio ramen, mentre Kiba si risiedeva e Shikamaru fissava le nuvole dalla finestra dietro di me.
 
«Stavolta ognuno paga il suo, ma la prossima volta ti tocca, Naruto!» Ino sogghignava, mani che aderivano perfettamente ai fianchi e occhi di fuoco. «Perché è normale che tu organizzerai qualcosa per il tuo imminente compleanno, giusto?»
Quella ragazza, insieme a Sakura-chan, sapeva mettermi in soggezione certe volte: non sembrava un essere umano, e non solo a causa della sua forza smisurata capace di disintegrare un piatto, per esempio, solo col pensiero, ma anche per la smania di “uccidere” che i suoi occhi comunicavano.
Ridacchiai nervosamente. «Si vedrà, Ino-chan, si vedrà.»
Subito si rilassò: «Benissimo, Naruto-kun! Allora ci vediamo!» E si girò, la chioma di capelli biondi, fluente, che sventolava avanti e indietro, guidata dal movimento dei suoi passi.
«Non te la sarai presa, vero? Sai com’è fatta quella» scherzò Shikamaru, passandomi di fianco. Scossi la testa per rispondere, anche se non ce n’era alcun bisogno.
«In ogni caso» aggiunse Kiba «potremo sempre festeggiare l’anno prossimo, non preoccuparti.»
Annuii nuovamente, infine salutai entrambi.
Quando se ne furono andati, mi accorsi con mio forte stupore che Sasuke e Sakura-chan non c’erano. Mi guardai intorno ma non li vidi: non erano né al nostro tavolo, né alla cassa per pagare, come avevamo fatto già tutti. «Sakura-chan, Sasuke?» li chiamai. Non ottenendo alcuna risposta, domandai a Teuchi se li avesse visti. Glieli descrissi brevemente.
«Sono usciti fuori un po’ di tempo fa, giusto qualche minuto prima che la tua amica bionda uscisse, Naruto.»
Lo ringraziai con un cenno del capo e, dato che avevo già pagato, me ne uscii.
Li vidi in lontananza, accanto a un lampione, e qualcosa nella mia testa mi disse di non muovere nemmeno un altro passo e di aspettare che qualcosa succedesse, dando ragione ai miei turbamenti.
Sakura era appoggiata al palo sottile del lampione, le mani incrociate dietro la schiena a e lo sguardo perduto a fissare Sasuke. Già quando lo aveva visto la prima volta – avevo notato – i suoi occhi verdissimi si erano illuminati di una strana luce, e ciò che mi preoccupava era che conoscevo bene quello scintillio, dato che le mie iridi ne erano state illuminate già, in passato. Tentai di tranquillizzarmi, dicendomi che non stava succedendo quello che pensavo, che lei non si era presa una cotta per lui e che non avrebbe sofferto. Se mai Sakura si fosse innamorata di Sasuke, infatti, ammesso che non lo fosse già, come le avrei spiegato chi lui era in realtà? Non volevo che la mia migliore amica soffrisse.
«Sasuke» sibilò lei, sorridendo «perché non mi parli un po’ di te?» Mosse il braccio in direzione della mano dell’Uchiha, esibendosi in un gesto indeciso, quasi preoccupato. Se la conoscevo almeno un po’, potevo azzardare a dire che voleva afferrargli la mano, ma temeva che si trattasse di un contatto troppo diretto.
Sasuke in risposta alzò le spalle. «La mia vita è alquanto noiosa, non credo ti possa interessare.» Si spostò un ciuffo di capelli più lungo dietro l’orecchio. «Magari, sarebbe più interessante se fossi tu a parlarmi di te.»
Spalancai la bocca: desideravo ardentemente che qualcuno venisse da me in quello stesso momento a dirmi che non avevo sentito quello che avevo sentito! Sasuke che mi aveva sempre snobbato, calpestato moralmente e preso in giro, chiedeva, gentilmente – era questo il punto – a una perfetta sconosciuta, che aveva visto una sola volta, della sua vita?
Se era uno scherzo non mi stava piacendo, anche perché Sasuke non avrebbe fatto nulla, se non per un proprio tornaconto. Leggasi: Sasuke non avrebbe mai chiesto a Sakura delle informazioni su di lei, se non avesse qualche idea in particolare in quella zucca vuota.
«Non c’è niente di particolare da dire su di me» arrossì lei, inanellandosi un ciuffetto rosa intorno al dito. «Ho una vita alquanto tranquilla, nella norma. Mi piace molto leggere, e non mi dispiacerebbe fare la giornalista in futuro. Ho scritto qualche articolo di poco conto per il giornalino scolastico all’epoca, ma capirai che è tutta un’altra questione» rise.
«Si comincia sempre dal basso. Non si nasce essendo già in grado di fare qualunque cosa, ma si procede gradualmente. Non è detto che tu non possa riuscirci.»
Strinsi i pugni, avvicinandomi di qualche passo, lentamente.
Non imbrogliarla, Sasuke. Non. Permetterti.
«Ti ringrazio, sei molto gentile.»
Rimase impassibile, le mani in tasca. «Dico solo quello che penso.»
«E tu, invece? Che cosa vuoi farne della tua vita?» Sakura staccò la schiena dal palo, avanzando qualche passo verso Sasuke, che frattanto le aveva dato la schiena. «Hai già qualche idea?» Gli toccò una spalla, lasciando vagare il pollice su di essa.
Sapevo che non dovevo, però non ero più capace di comandarmi: ogni volta che si parlasse di vita, in presenza di Sasuke, ricordavo di tutto ciò che lui aveva passato, e sentivo di non odiarlo così tanto, di capirlo ma non condividerlo.
«Non lo so, sono ancora indeciso.»
«Ehilà!» m’intromisi allegramente. Dallo sguardo che mi rivolse, Sakura non fu tanto felice della mia presenza. Poco male, Sakura-chan, non sai che ti sto solo  salvando.
«Hai pagato?» mi chiese Sasuke, normalmente, la solita espressione da baccalà.
«Sì, sì, ho appena finito. Andiamo?»
«Vuoi che ti accompagniamo a casa, Sakura?»
Le guance di Sakura divennero rossissime alle parole di Sasuke, mentre il mio cuore prese a battere con insistenza. Era per la paura? «No, no, non ti preoccupare» balbettò lei.
«Suvvia, Sakura-chan, non ci sono problemi per noi!» m’intromisi nuovamente: sembravo essere una sottospecie di terzo incomodo…
«E allora accetto. Grazie Naruto-kun, grazie… Sasuke.»
Mi sforzai di sfoggiare un sorriso alquanto naturale. «Figurati, Sakura-chan!»
 
Non aspettai nemmeno di arrivare a casa, che, non appena la porta di casa di Sakura si chiuse, celandomi la figura sorridente e felice all’ennesima potenza della mia migliore amica, parlai: «Si può sapere che cos’hai per la testa?»
«Non capisco cosa intendi» ghignò, infastidendomi; pareva che si sforzasse per trattenersi dal sogghignare, quando in realtà era tutto voluto, lo faceva apposta, e lo sapevo dannazione! Eppure, mi era ancora difficile mantenere i nervi saldi con lui.
«Non farai del male a Sakura-chan, mettitelo bene in quella testa vuota!» urlai.
«Non farò del male a Sakura-chan?» Le sue spalle vibrarono a causa di un malcelato risolino di gola. Cominciò a camminare. «E sarai tu a impedirmelo nel caso volessi veramente farlo? Inoltre, chi ti dice che io non sia davvero interessato a lei?»
Mi stava provocando maledettamente, a altrettanto maledettamente stavo cadendo nella sua trappola, facendolo divertire parecchio. «Semplice» sbottai, tentando di essere il più naturale possibile. «Non ti interessa la vita di nessuno, non provi sentimenti di alcun tipo e il tuo unico chiodo fisso è la vendetta, sbaglio?»
Pensavo che si sarebbe arrabbiato, che mi avrebbe insultato o chissà che altro, ma Sasuke non la smise di sogghignare. «Mi conosci proprio bene, non c’è che dire.»
«Vuoi smetterla di prendermi in giro?»
«Il primo che dovrebbe smetterla di prenderti in giro sei tu stesso, Naruto-chan.» Rimasi allibito dalla semplicità con cui me lo disse. Boccheggiai un paio di volte, infine non riuscii a dire nulla. «Rispondimi, per quale motivo vuoi che non mi avvicini a Sakura?»
«Perché potresti farle del male» risposi convinto, ed era vero.
«Che altro?» chiese, mostrandomi il palmo della mano affinché gli dessi la chiave per aprire la porta; non mi ero accorto che eravamo già arrivati. Frugai in tasca e gliela porsi quando la trovai. «Che altro dovrebbe esserci, teme?» sbottai.
«Non saprei… proviamo a indovinare, ti va?» La serratura scattò, ed entrato in casa Sasuke non accese la luce, né mi permise di farlo. Spalancò il palmo della mano, facendo apparire una fiammella di un colore blu luminoso e intenso. «Potrebbe essere» e finse di pensare «che tu sia geloso per il fatto che non ti abbia mai trattato con i guanti, a tuo dire almeno…»
«Non ho mai detto questo!» protestai.
«Calmati, non è il caso di arrabbiarsi allora. Del resto, ho solo provato a capire cosa stessi pensando.»
«Allora sappi che hai fatto un buco nell’acqua! E te lo ripeto un’ultima volta: lasciala in pace, non potrebbe aiutarti in alcun modo!»
«Hai tanti amici tu tanti aiutanti, se così vuoi chiamarli… è giusto che anch’io trova i miei. E, credimi, inutile che ti arrabbi, perché se ho deciso così, non riuscirai a farmi fare diversamente.» Si fermò per pochi secondi, il suo ghigno costante illuminato dalla luce azzurrina. «Ti basterà una bella dormita per calmarti, quindi, a nanna, Naruto-chan.»
La luce si spense, ma nuovi dubbi si erano accesi in me.
 
Il giorno seguente fu abbastanza tranquillo, se non riflessivo per me. Il silenzio dell’esterno non era minimamente paragonabile al caos di voci e domande che io stesso mi ponevo. Il problema era un solo: era struggente sapere che, anche se in minima parte, Sasuke aveva ragione. I minuti passavano veloci, e io continuavo a scervellarmi per trovare qualche giustificazione razionale al mio sentimento di gelosia.
Sicuramente, chiarii a me stesso, dipendeva dal fatto che affezionarsi a Sasuke, per Sakura, non era di vitale importanza come per me. Tuttavia, questa conclusione presentava troppe falle per poter essere vera.
Sasuke non mi parlò, né io parlai. Constatare che lo Spettro avesse avuto di nuovo ragione mi mandava in bestia, mi faceva desiderare di cambiare: la rabbia che provavo fino alla sera precedente era scemata quasi del tutto, si era accucciata in un recondito del mio essere, pronta a venir fuori al momento opportuno.
Borbottai solo qualcosa, per informarmi della sua presenza o meno come baby-sitter, quella sera. «Non sono io ad avere problemi con te» disse calmo. «Quindi, perché non dovrei esserci?»
 
La sera arrivò presto, e altrettanto presto mi ritrovai davanti alla porta dei miei “datori di lavoro”. Bussai, e mi venne aperto presto.
«Tu devi essere Naruto, piacere di conoscerti! Ino mi ha parlato molto bene di te!» Una donna piuttosto giovane, probabilmente sulla quarantina, allungò la mano verso di me, per salutarmi. «E lui?»
«E’ un mio amico.»
«Oh sì sì, mi sembra che Ino mi abbia accennato a qualcosa del genere» sorrise. «Coraggio, entrate pure!»
La signora ci presentò alla svelta i tre bambini di cui avremmo dovuto badare; erano un maschio e una femminuccia, e i loro nomi erano Konohamaru, Moegi e Udon, i primi due fratello e sorella, il secondo un cugino. Konohamaru e Udon avevano cinque anni, mentre la bambina tre; non mi sembravano troppo vispi né maleducati, per cui mi dissi che non sarebbe stata troppo dura.
«Allora noi andiamo» annunciò il padre, un uomo robusto e dai capelli castano scuro. «Saremo di ritorno entro le dieci al massimo.»
La madre mi diede le ultime informazioni – come a che ora metterli a letto, per esempio – poi si congedò insieme al marito, non prima, però, di aver salutato i bambini con un sonoro bacio sulla guancia. Mi chiesi – perché stupidamente continuavo a farlo – che effetto potesse fare a Sasuke una scenetta del genere.
Quando la porta si chiuse, sospirai. Si comincia!
Prima di tutto avrei dovuto rompere il silenzio che si era formato, perché di certo non sarebbe stato Sasuke a farlo. «Cominciamo con le presentazioni!» sorrisi, e fui felice che i tre bambini lo fecero di rimando. «Mi chiamo Naruto, e questa sera vedremo di divertirci senza fare troppi guai.» Meglio metterlo in chiaro subito: forse avrei dovuto dirlo in altri termini, ma i giri di parole non erano mai stati il mio forte. «Lui, invece, è Sasuke, ma è un borbottone, dunque non fateci caso per come si comporterà.» Gli scoccai un’occhiata buffa e crudele allo stesso tempo, che fece ridere i ragazzini. «E voi, invece?»
Konohamaru fu il primo a parlare, e mi parve un bambino alquanto vivace, molto simile a me. Udon, invece, era molto più “intellettuale” – anche se per quella età la parola era un po’ esagerata – nel senso che rispetto ai giochi preferiva i libri, anche se illustrati. Moegi abbozzò qualche parolina insicura.
«Che cosa facciamo?» chiesi subito, allegro.
Konohamaru non si fece prendere in contropiede, evidentemente ci aveva già pensato, perché rispose subito: «Il cavalluccio!» Gli altri bambini lo approvarono e, a giudicare dal sorrisetto compiaciuto di Sasuke, anche lui apprezzava.
Non mi feci problemi a mettermi a quattro zampe. «Chi è il primo?» domandai.
Non l’avessi mai chiesto: a quanto pareva la competizione tra quei tre, anche se non sembrava, era piuttosto forte. Il mio primo problema fu decidere a chi dare la precedenza.
«Facciamo così: salite tutti e tre, tanto siete leggeri!» E lo fecero.
Non l’avrei ritenuto possibile, ma mi stavo divertendo parecchio solo a sentirli ridere. Rappresentavano il suono della vita che continuava ad andare avanti nonostante le disgrazie, e sia a me che a Sasuke serviva sentirlo. Fecero sentire bambino anche me, e rafforzarono la determinazione di riuscire ad andare d’accordo con Sasuke, fino a vincere la nostra scommessa.
«E adesso leggiamo qualcosa?» domandò Udon, elettrizzato.
Moegi afferrò la stoffa del pantalone e la strattonò. «Per favoe» mormorò «possiamo ‘eggere una fiaba?»
«Che noia le fiabe, uffa!» brontolò Konohamaru, incrociando le braccia al petto.
«Eh no, Konohamaru-kun!» Presi Moegi in braccio e le accarezzai i capelli arancioni. «Prima abbiamo giocato al cavalluccio come volevi tu, adesso facciamo anche quello che vogliono Udon-kun e Moegi-chan. Una volta per ciascuno» chiarii.
«Va bene, però dobbiamo rendere le cose più interessanti.» Il ragazzino annuì alla sua stessa affermazione. Ebbene sì, mi assomigliava proprio. «Dobbiamo leggere quella della principessa, e tu devi interpretarla!»
L’idea fu accolta con entusiasmo anche da Moegi e Udon… per sfortuna.
«Hai anche i capelli biondi come principessa!» esclamò la bambina in braccio a me, agitandosi tutta. 
«Ma non sono lunghi» puntualizzai, smorzando la felicità dei bambini, tranne che di Konohamaru, che subito si illuminò.
«Possiamo prender quella del vestito di Carnevale di Moegi!»
Accidenti: ma da quando i bambini di quell’età erano così svegli?
«Non so… vostra madre…» Non potei concludere che Konohamaru si mise a correre, per andare a prenderla. «Va bene» concessi alla fine, poco convinto. Poggiai Moegi a terra e mi grattai la testa, imbarazzato.
Sasuke mi si avvicinò all’orecchio. «Ti sei cacciato in un bel guaio, Naruto-chan» sibilò.
«Non preoccuparti» mormorai a denti stretti. «Metterò anche te nella stessa situazione, sta’ a vedere. Konohamaru!» chiamai. «Una principessa non è tale senza il suo nemico giurato, vero? Ebbene, Sasuke farà il nemico della principessa!»
«Ma Naruto nii-chan» rispose Moegi «le pincipesse hanno i pincipi
Accipicchia, accipicchia, accipicchia!!!
«Sarà per la prossima volta Sasuke!» Gli diedi una pacca sulla spalla, come per scusarmi. «Ma se vuoi, puoi fare la principessa.»
«Oppure può fare il pincipe
«No, Sasuke non è adatto per fare il principe!» obiettai. E poi non accetterebbe mai!
«E va bene» disse invece lui, e per poco la mia mascella non raggiunse il pavimento per lo sbalordimento. Non potevo aver sentito bene, era impossibile. I-M-P-O-S-S-I-B-I-L-E. «Ma solo una scena, a vostra scelta, poi basta» chiarì.
Ma che cavolo gli era preso? Mimai un no con la testa e una croce con le braccia, gesti che Sasuke ignorò volutamente.
«Il bacio!» esultò Moegi.
Nel frattempo, Konohamaru ritornò con la parrucca tra le mani. «Tieni, Naruto nii-chan, indossala!» Era raggiante, dannato marmocchietto!
A malincuore, maledicendo Sasuke, Ino che mi aveva offerto il lavoro e me stesso, perché non avevo dato ragione a Konohamaru e avevo permesso che questo scempio succedesse, la indossai. Udon mi passò il libro.
Lessi quello che la principessa doveva dire, inventandomi qualche parte, finché non arrivò la scena finale.
«M-mio pri-principe» blaterai rosso dalla vergogna e sul punto di morire. «Gr-grazie per avermi sal-salvato.»
«Più espressione, Naruto nii-chan, come Sasuke-kun!»
Fui costretto anche a ripetere quella robaccia, a impegnarmi col tono e a sopportare il fatto che i bambini ritenessero Sasuke più capace di me.
«E il bacio?» chiese speranzosa Moegi, le mani incrociate.
«Ma siamo due maschi» obiettai. «E due maschi non si baciano.»
La bambina parve delusa, ma Konohamaru – grande ideatore – subito trovò la soluzione: «Fate finta! La parrucca è lunga, mettila davanti al volto.»
Mi sembrava un’idea buona: avrei solo dovuto sopportare il fiato di Sasuke in faccia, niente di che.
E lo facemmo.
Sasuke appoggiò la mano dietro al mio collo e mi attirò a sé dopo aver fatto scivolare i finti capelli lunghi e biondi davanti al mio viso. Il suo naso sfiorò il mio, il suo respiro fu tutt’uno col mio, ma il cuore batteva autonomamente a una velocità incalcolabile.
Ma qualcosa andò storto, perché sentii le labbra dello Spettro unirsi alle mie. E non era nei piani.

 
 
 
 


 






Salve a tutti! ^___^
Bon, sono due i fulcri principali di questo capitolo: il discorso di Sakura e la missione baby sitter finale! ;)
Credo di essere andata troppo lenta all’inizio e forse troppo veloce alla fine, scusatemi! >.<
Scusatemi, probabilmente i personaggi sono OOC, ma io non volevo! Si capirà più avanti perché Sasuke fa così, quindi, secondo me, l’OOC è giustificato ai fini della trama! Cx
Però, ripeto, se secondo voi devo mettere l’avvertimento ditemelo, che lo metto senza problemi! ^___^
Di solito tendo a evitare l’OOC e a preferire l’IC nelle mie storie, però non ci riesco sempre, scusate! ;_____;
Intanto ringrazio:
-chi legge e recensisce;
-le 19 preferite;
-le 5 ricordate;
-le 62 seguite;

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Sentimenti ***


Capitolo 8: Sentimenti
 






 

Erano giorni che ci pensavo: io, lui, noi.
Sasuke mi aveva baciato, questa era l’unica certezza che avevo. Ero partito che dovevo lavorare, e avevo concluso con un bacio a stampo sulle labbra. Più ci pensavo e più non riuscivo a raccapezzarmi. A che gioco stava giocando Sasuke? Prima mi allontanava, poi, capriccioso, mi attirava a sé come una calamita, impossibile da ignorare.
Mi faceva male lo stomaco; sentivo delle braci ardenti al suo interno, sensazione – ipotizzai stupidamente – dovuta al mio troppo pensare: non ero abituato a farlo più del necessario.
Ero confuso, non sapevo più nulla di certo.
Osservai il piede dondolare quasi autonomamente, e mi feci cullare dalla fresca brezza di quel pomeriggio. Tra le dita, rigiravo lo stelo di un fiorellino con pochi petali bianchi.
Non avevo detto a Sasuke dove sarei andato, era tanto che non gli parlavo più. Non era ripicca, né una muta protesta di un bambino ostinato, ma non sapevo più come comportarmi, come approcciarmici. Era strano il nostro rapporto; tutta la faccenda era già cominciata in modo strano, come avrei potuto pensare che potesse proseguire normalmente?
Mi ero illuso.
Avevo pensato che, magari, potessimo diventare amici, e che alla fine Sasuke stesso avrebbe deciso di riportare indietro i miei genitori e tutti coloro cui aveva fatto del male.
Quanto mi ero sbagliato, quanto stavo continuando a sbagliarmi… avevo pensato di capire Sasuke, di conoscerlo un poco. Ne ero quasi certo, eppure la situazione mi era sfuggita di mano alcuni giorni prima.
Repressi un conato di vomito e chiusi gli occhi, poggiando la schiena contro la panchina.
Diamine, dovevo darmi una mossa, prendere una scelta.
Rimanere a confabulare con me stesso, facendomi diventare il mio unico interlocutore, e arrendermi di conseguenza, o andare avanti. Il che implicava affrontare Sasuke una volta per tutte e fargli sputar fuori tutto quello che volevo sapere.
Mi alzai deciso, di scatto, e barcollai per un attimo, finendo quasi per inciampare nei miei stessi piedi.
Dannata, dannata influenza!
Avrei parlato con lui e, nel frattempo, mi sarei anche fatto aiutare per i preparativi del mio compleanno: avevo meno di ventiquattrore per mettere in piedi una festa degna di essere chiamata tale, e un po’ d’aiuto non mi avrebbe fatto che bene.
Altrimenti i miei amici mi avrebbero ammazzato di sicuro.
 
Aprii la porta con calma, sbirciando da dietro l’anta, muovendomi, circospetto, come un ladro. Le dita mi tremavano, doveva essere il contrasto tra il freddo dell’esterno e il caldo accogliente di casa. In cucina, il focolare scoppiettava allegro, ma di Sasuke nemmeno l’ombra.
«Sasuke?» Mi faceva strano avere il suo nome in bocca, pronunciarlo; sembrava essere trascorso un secolo dall’ultima volta che avevo parlato. Avevo ancora lo stelo verde e stropicciato in mano, mentre il resto del fiore, probabilmente, era stato abbattuto dalla corsa sfrenata che avevo fatto, a causa dell’aria contrastante. «Volevo chiederti» sapevo che era in ascolto, dovunque fosse «se ti andava di venire con me a invitare i miei amici, più tardi.» Sì, molto più tardi, quando avremmo chiarito.
«Un giro di chiamate sarebbe più veloce. E’ così che si usa da voi, no?» Comparve all’improvviso, spiritico, un ciuffo fuori posto e il viso pallido, cadaverico. La voce più fredda del solito.
Lo ignorai. «Dobbiamo parlare.»
«Pensavo non avresti più avuto il coraggio di spiccicare parola, Naruto-chan.»
Sorrisi stanco, tra un colpo di tosse e l’altro. Una fitta allo stomaco mi fece piegare a metà, come un pugno dritto e potente. «Pensavi male per una volta» ghignai. «Guarda un po’, anche il grande Sasuke sbaglia.»
«Vedremo… cosa vuoi?»
«E’ semplice: sapere che cosa ti passa per la mente! Le tue azioni non sono state il massimo della chiarezza, ultimamente!» Lo sbeffeggiai.
Fu lesto a poggiarmi la mano sulla spalla, percorrendomela con l’indice affusolato. «Tu cosa pensi che io stia “architettando”?» Mi baciò il mento, ma fu doloroso, pulsava. Lo allontanai con una spinta e d’istinto vi poggiai la mano sopra.
«Se lo avessi saputo, non te lo avrei chiesto!» Massaggiai energicamente. «Ti consiglio di lasciarmi stare, però, altr…»
«Altrimenti cosa?» Non mi prendeva sul serio, mi scherniva anche solo guardandomi, con quel luccichio maligno dentro. «Cosa potresti fare? Potresti cominciare con l’essere diretto con me, e dirmi che non ti è piaciuto.»
Per un secondo mi mancò l’aria nei polmoni e li sentii bruciare. Non erano i soli, però, perché le orecchie, a momenti, erano illuminate di luce proprio. Non guardai Sasuke negli occhi, quando proseguii: «Cosa avrebbe dovuto piacermi? Ti schifo.» Sebbene avessi cercato di urlare, non fui troppo convincente. Per cui, onde rimediare, aggiunsi: «L’unica cosa che mi lega a te è la speranza di rivedere i miei genitori, tutto il resto non conta.»
Sapevo di falso: mi stavo affezionando a Sasuke…
Si mise le mani in tasca. «Sta’ tranquillo, allora. Li rivedrai.» Stavo per parlare, per chiedergli ulteriori spiegazioni, ma non mi fu possibile. «Non avevi detto che dovevi chiamare i tuoi amici?» E si allontanò veloce verso camera mia.
 
Non era cambiato nulla.
«Questi li sistemo qui, Naruto-chan.»
Nessun mio dubbio era stato risolto, e avevamo parlato poco, e di altro. Niente che mi interessasse veramente.
«Va bene, Sas…» Un ennesimo colpo di tosse mi piegò a metà, lasciandomi cadere di mano i bicchieri che stavo portando di là, in cucina. Vidi il soffitto roteare, i piedi non mi reggevano più. I bicchieri non caddero a terra e io nemmeno.
«Come ti senti?» Sasuke mi aveva acchiappato al volo; ne sentivo la mano dietro la testa, che mi accarezzava i capelli – o così mi sembrava –, le dita fredde sulla guancia arrossata e il respiro innaturalmente caldo sulla bocca.
Avrei dato la colpa alla testa che vorticava o al calore dolente dello stomaco, però avrei volentieri sentito di nuovo il sapore di Sasuke. Col senno di poi, avrei pensato che la mania di “cambiare personalità” di Sasuke mi stesse contagiando.
«Vuoi che continui io?»
La sua voce non aveva nulla di dolce, di caldo, di romantico, eppure mi attirava maledettamente, senza alcuna possibilità di oppormici. Non esisteva un aggettivo talmente contorto per definire l’essere di Sasuke. Era paranormale, e non solo come entità, ma in tutto.
«No, sto bene» farfugliai. Feci perno sul suo braccio e mi rimisi in piedi da solo. I bicchieri, ai miei piedi, sorvolavano di poco il pavimento, circondati da un alone azzurrino che riconobbi come proveniente dallo Spettro.
Quel che mi dava fastidio, pensai mentre mi stendevo sul divano per riposare alcuni minuti, era il mio non essere troppo diverso da Sasuke. Perché, per quanto mi sforzassi e ingegnassi per dire il contrario, non potevo negare la nostra comune testardaggine, voglia di sapere e di non rimanere esclusi dall’altro. Ma, soprattutto, ci accomunava il desiderio di non voler perdere, solo che le nostre motivazioni erano completamente opposte.
Se è vero che gli uguali si respingono, e sono gli opposti ad attrarsi, com’è possibile che mi senta tanto legato a lui da non pensare a come ne farei a meno?
«Hai controllato la temperatura?»
Mugugnai qualcosa di incomprensibile anche a me stesso.
Dalle membra mollicce e deboli e gli occhi appannati, capii di essere stato sul punto di addormentarmi.
Sasuke, un’espressione indecifrabile sul volto, allargò la mano sulla mia fronte. Pungeva il suo contatto, anche il più povero e distaccato, però non avevo la forza di oppormi. «Dovresti rimandare la festa, non credi?»
Scossi il capo. «Non è il caso. Una bella dormita mi rimetterà in sesto.» Presi fiato. «Tu, invece, hai rimandato il momento di farmi gli auguri?» La temperatura doveva essere realmente alta, perché non pensavo a cosa stessi dicendo. Parlavo e basta, come quando ero piccolo. «Sei un maleducato» brontolai. «Ah, e un’altra cosa!» Agitai l’indice. «Voglio anche un regalo.»
Non vedevo Sasuke veramente. Lo intravedevo, era sbiadito e ondeggiava terribilmente, contornato di un bianco lucente. Si fece sempre più vicina la sua figura, e ne fui contento. «Permettimi di dire che ti conosco, mh?» mi accarezzò i capelli, delicato. «So che regalo vorresti…» Si abbassò su di me, fino a quando le sue labbra non incrociarono le mie; non si trattò, però, di un bacio simile al primo, no: quello era stato apparentemente dolce, apparentemente perché la sua bocca era stata rovente e gelida allo stesso tempo, aveva fatto male e bene, aveva trasmesso in me qualcosa di dissimile dal piacere. Non mi aveva spaventato, ma nemmeno sollevato. Non aveva trovato una mia risposta, non volevo, non ne ero sicuro.
Adesso, invece, ero stato io stesso ad attirare Sasuke, io lo volevo, non volevo staccarmene.
Sasuke era uno stronzo di prima categoria, ma era bello, e tremendamente. Mi attirava, mi incuriosiva, desideravo capirlo, sentirlo. Stava diventando lui la mia persona importante? Ridicolo, a pensarci.
Allungai la mano e, con quella poca forza che mi rimaneva, mi aggrappai, come a un’ancora di salvezza, al maglione di Sasuke, tirandolo di più dentro la mia bocca. Era un bacio lento, che però mi sembrava perfetto.
Che fosse stata una forza chiamata amore a spingermi a farlo, o la semplice voglia umana di provarlo di nuovo, ora che i sensi erano acuiti e che la voce non riusciva a mentire bene, non aveva importanza.
Sorridevo ancora quando si staccò da me, e non vedevo che le mie palpebre davanti agli occhi. A metà tra sogno e realtà, lo sentii sussurrare: «Tanti auguri, Naruto-chan.»
 
 
*
 
 
Era giusto che anche gli altri soffrissero.
Era giusto che anche Naruto si sentisse male a causa mia; anche perché… lui era colpevole come tutti gli altri. Si paga anche per gli antenati, mi era stato detto.
Le lancette continuavano a girare velocemente, Naruto dormiva da un po’, e in cucina tutto era pronto per quella sera. Non ci avevo messo molto a preparare tutto, grazie alle mie capacità.
Guardai il petto di Naruto alzarsi e abbassarsi più lentamente, le guance ancora rossissime.
Dovevo ammettere di essere terribilmente sorpreso: non pensavo che Naruto avrebbe reagito in questo modo; effettivamente, non doveva reagire così. Poco male, evidentemente bisognava soltanto aspettare.
«Sei proprio un tipetto particolare, Naruto-chan. Anche perché, a furia di voler aiutare sia me che i tuoi amati genitori, ti stai mettendo nei guai. Quando finirà questo giochetto?» ridacchiai, accarezzandogli la fronte. «Spero presto, perché a quel punto avrò vinto.» Allungai il braccio, e un bicchiere d’acqua, dal tavolo, arrivò nella mia mano. Ne bevvi il contenuto, anche se non avevo la stretta necessità di farlo –  non ero umano, dopotutto- ma mi piaceva sentire qualcosa di fresco, che mi ricordava la vita che non era più mio interesse, scorrermi per la gola. «Mi spiace di averti cancellato dalle mie labbra, Naruto-chan. Scommetto, però, che non mancheranno altre occasioni. Perché è risaputo che le cose che fanno più male e che provocano più dolore sono quelle che più piacciono, a voi umani.»
 
 
*
 
Sbadigliai sonoramente al mio risveglio: non che avessi dormito troppo bene, ma mi sentivo meglio, più riposato. Mentre dormivo, era stato come sentire una nenia continua nelle orecchie, una specie di ronzio che mi teneva costantemente coi piedi per terra, impedendomi di dormire bene.
Cercai subito Sasuke con lo sguardo, e quando lo vidi lì, vicino al tavolo, che preparava le ultime cose, avvertii il cuore fare acrobazie mortali. L’avevo baciato sul serio? Di nuovo? E perché, soprattutto?
Non può piacermi! A me piacciono le donne!
«Ti sei svegliato.»
Bofonchiai un sì poco convinto, ancora imbarazzato.
«Meno male» disse senza apparente interesse. Poi, gettò un’occhiata all’orologio appeso alla parete. «Anche perché a momenti saranno qui.»
«Grazie» mormorai. «Per avermi “accudito”.» Guardando la coperta distesa sulle mie gambe, avevo capito che era stato lui a portarmela.
Non rispose.
«Sembra quasi che tu ci tenga a me.» Mi grattai a lato della fronte, indifferente. «Se continui così vinco io!» risi, rosso in volto. «Ammesso che non l’abbia fatto già!»
«Se tu dovessi fare una brutta fine, il mio giochetto finirebbe.» Il suo tono era piatto, sembrava quasi falso. «Mi avevi detto di doverti restare lontano, o me l’avresti fatta pagare. Che punizione mi aspetta per averti baciato di nuovo?»
Spalancai gli occhi e strinsi i pugni intorno alla coperta, completamente in imbarazzo. «Nessuna presumo.» Che cosa dovevo dirgli ora?
“Sasuke, credo di essermi preso una bella cotta per te dopo un solo bacio? Bacio che, tra l’altro, ho espressamente classificato, almeno mentalmente, come “non desiderato?”
Forse non ne era il caso…
«Nessuna, perché mi è piaciuto.» Lo mormorai piano, e mi sembrò passare un’eternità da quando la mia mente aveva formulato il pensiero a quando l’avevo detto. Per un secondo, avevo anche pensato di dire “nessuna, perché è stato il tuo regalo di compleanno per me”.
Non ebbi il tempo di abbassare e rialzare lo sguardo, che Sasuke era già sparito, teletrasportandosi alle mie spalle. Sobbalzai, non ci avevo ancora fatto l’abitudine.
«Se ti è piaciuto quello» sussurrò, musicale «questo ti farà impazzire, visto che ora sei abbastanza vigile, rispetto a prima.»
Se Sasuke voleva farmi morire il giorno del mio compleanno, ci stava riuscendo alla grande. Mi girò verso di sé e appoggiò la punta del naso alla mia, respirandomi sulle labbra. «Vuoi sentirmi di nuovo, né, Naruto-chan?»
Prima di rispondere alla sua domanda, dovevo chiarirmi con me stesso, o meglio, lasciare che la parte di me restia, razionale, accettasse il fatto che mi ero innamorato di Sasuke.
Ne avevo sentite a bizzeffe, in chissà quali libri letti da Ino e Sakura, di acerrimi nemici che finivano per innamorarsi, ma avevo sempre storto il naso, davanti a questa irrealtà. Mi credevo realista da questo punto di vista, idealista su altro.
Lasciandomi andare al mio sentimento per Sasuke, mi sembrava di tradire quella parte di me che aveva sempre rinnegato questo aspetto improbabile dell’amore.
Di conseguenza, il fatto che volessi Sasuke significava che lui aveva sempre avuto ragione, anche con Sakura: ne ero stato geloso, magari anche involontariamente.
Alla fine, tutto mi fu limpido e cristallino, si mostrarono le nubi che volevano spingermi con violenza contro i miei sentimenti. Erano state potenti, e forse ce l’avevano anche quasi fatta, però alla fine ne ero stato vincitore.
Confessare a Sasuke quello che provavo per lui – e non più “credevo” di provare – mi sembrava presto, mi pareva affrettato dirglielo a parole. Ma a gesti sarebbe stato tutto diverso.
Non parlai, ignorai la sua domanda come lui spesso faceva con le mie, e lo baciai. Mi piacque il contatto, era anestetizzante: partendo dalle labbra, mi addormentava tutto il corpo, e non potevo fare altro che seguire i movimenti precisi di Sasuke.
Chissà quando mi sarei staccato da lui se non avessero bussato alla porta.
Quasi come se mi vergognassi di essere stato visto, mi allontanai velocemente, mi sistemai i capelli e mi pulii simbolicamente le labbra, dopo aver sistemato la camicia sgualcita.
Con la coda dell’occhio, vidi Sasuke posare la coperta.
Aprii la porta, e le prime a entrare furono Sakura-chan, Hinata e Ino, che mi salutarono con un tenero abbraccio e un bacio sulla guancia. Mi fecero gli auguri e mi consegnarono dei pacchettini che avrei aperto dopo. Frattanto ringraziai.
«Naruto-kun, come scotti!» si allarmò Sakura-chan.
Hinata si fece avanti, balbettando. «A-avresti anche potuto rim-rimandare, senza problemi.»
I capelli fluenti di Ino ondeggiarono quando lei scosse il capo. «E’ meglio che ci siamo noi a fargli compagnia, invece, così non avrà tempo di pensare a quanto si sente male!»
Le ragazze risero, e io mi unii a loro.
La serata non poteva cominciare meglio! Senza dubbio, stavo trascorrendo una delle migliori giornate della mia vita. Unica pecca: mia madre e mio padre non c’erano.
Ne avrei parlato con Sasuke, avevo un’altra cosa da proporgli.
 
Ino non aveva tutti i torti: non mi sentivo al meglio di me, ma la loro compagnia mi aiutò a non sentirmi troppo male. Accendemmo la musica, facemmo battute idiote e giochi deficienti, tra cui un disgustoso gioco della bottiglia che, per un pelo, non costrinse Sakura e Sasuke a baciarsi. Qualcosa mi diceva che era stato Sasuke stesso a far spostare la bottiglia verso Kiba, così che a baciarla fosse lui.
Ballai, la musica a palla nelle orecchie, e non potei trattenermi dal guardare Sasuke di tanto in tanto, desiderando ardentemente di allontanare le mie migliori amiche da lui.
Mangiai come se non lo avessi più fatto da secoli, riempiendomi finché non mi sentii scoppiare. Mi giustificai dicendo che, per via dell’influenza che mi aveva colpito, dovevo nutrirmi parecchio per riprendermi prima.
Mi esibii in figuracce epiche, come quella di inciampare e finire quasi con la testa nella torta – che per fortuna era stata salvata da Shikamaru, dato che mi aveva acchiappato per la camicia, in tempo.
Il tutto in un’unica, divertente e indimenticabile serata.
Più ricominciavo a vivere certe emozioni e certi momenti, più mi chiedevo come avessi fatto, in tanti anni, a farne a meno. Mi sentivo solo soltanto al ricordo.
«Mi piacerebbe» disse Kiba, tra un sorso e l’altro «che festeggiassi il tuo compleanno più spesso, baka!»
Quando lo stereo dovette essere spento, la porta aperta e gli amici salutati, sentivo ancora il cuore in gola per l’emozione. Troppe, tutte in una giornata, non potevo resistere.
Salutai anche Neji, che insieme a Ten Ten fu l’ultimo a uscire, e mi guardai intorno: c’era un casino pazzesco: tovaglioli attorcigliati ovunque, bicchieri di plastica a terra, piattini poggiati in ogni dove.
Sasuke non aveva perso tempo, non si era “abbattuto” come me, alla vista di tutto ciò, ma, presa la scopa, aveva cominciato a spazzare il pavimento.
Ma prima della pulizia della casa, c’era un’altra cosa di cui volevo discutere con lui, ed era qualcosa di vitale importanza.
Gli toccai la spalla. «C’è una cosa che devo assolutamente dirti.»
Non alzò le iridi dal pavimento, però sapevo che mi stava ascoltando.
«Voglio annullare tutto» dissi d’un fiato, incurante che probabilmente la mia richiesta fosse troppo impulsiva, che non avevo considerato anche i sentimenti di Sasuke. Lo voltai per una spalla, perché volevo che mi guardasse bene negli occhi. «Sasuke, facciamola finita con la scommessa, abbandoniamo il nostro patto. So… so che ti sei affezionato a me, perché non riporti i miei genitori indietro?»

 
 
 
 



 






 
Salve!!! ;)
Aggiornamento lampo, prima del previsto! Cx
Questo capitolo può (è) sembrare confusionario all’inizio, ma è solo perché nemmeno Naruto è consapevole dei  propri sentimenti.
Sinceramente, quando ho iniziato la storia, non era così che volevo che andasse. Insomma, spero non sia sembrata troppo affrettata la cosa, perché a me non piace. Volevo qualcosa che fosse più graduale, ma non ci sono riuscita, scusatemi! TT-TT
Per il resto *sob* ringrazio:
-chi legge&recensisce;
-le 21 preferite;
-le 5 ricordate;
-le 67 seguite;
 
Dedico, infine, questo capitolo alla mia amata Giù, che oggi compie gli anni! <3
(ti scriverò anche qualcos’altro, questo è una scemenzuola (?))
 
P.S. Vi chiederete perché Naruto non sia morto… tranquilli, non ho rivoluzionato mezza fic! XD Bisogna solo attendere, poi saprete! UwU
 
Grazie! 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: La maschera è tolta ***


Capitolo 9: La maschera è tolta





 

 

Sasuke non parve colpito dalla mia proposta. Semplicemente, si mosse verso il tavolo e cominciò a mettere ordine in cucina. Infilava uno dentro l’altro i bicchieri di plastica; quelli a terra, alle sue spalle, venivano scovati in qualsiasi angolo si trovassero e sollevati grazie alla magia.
«Non sto scherzando» puntualizzai. «Finiamola con questa inutile farsa.»
Lo Spettro continuava a ignorarmi volutamente. La torre di bicchieri che aveva formato scomparve, risucchiata da un vortice nero comparso dal suo palmo. Passò, invece, a sistemare la torta rimanente in un piattino, sul quale ve ne poggiò un altro.
Non sapevo che altro dire. «Perché, Sasuke? Cosa c’è che non va?» Mi avvicinai, gli afferrai il polso con rabbia – era più voglia, se non pretesa, di comprenderlo – e lo feci voltare vero di me. Il pezzo di dolce cadde a terra, e Sasuke, che si fece tirare verso di me – sapevo che non si stava opponendo – per poco non lo calpestò. «Non ha senso continuare, capisci?» spiegai calmo come si fa con un bambino, ma senza dolcezza; non capivo perché un concetto tanto evidente fosse di così difficile comprensione per uno come Sasuke. Non si può avere la stessa visione del mondo, è impossibile, e ne ero consapevole. A parole, almeno. «Ti sei divertito a giocare, ma adesso basta. Il gioco è bello quando dura poco.» L’avevo inchiodato al muro, lo tenevo fermo per le spalle, e il tutto mi sembrava molto strano. Non essere succube mi sembrava strano, mi dava un senso di potenza che non avevo più provato da molto tempo.
Cominciai a stringergli le spalle molto più forte. L’irritazione mi stava consumando, mi stava annebbiando un cervello già offuscato a causa dell’influenza che mi rendeva poco lucido.
«Sasuke, ascoltami, dannazione!» Lo strattonai. Avevo programmato, mentalmente, di discutere con tutta la tranquillità possibile. Mi ero raccomandato di non arrabbiarmi, di non farmi prendere dalla dolce sensazione di avere i miei genitori sempre più vicini. Il loro ritorno mi era sempre sembrato, nonostante mi fossi impegnato costantemente e a fondo, impossibile, e già sapere di aver trovato il loro rapitore – Sasuke – mi aveva eccitato, fatto salire l’adrenalina a mille. Sapere di aver conquistato le sue attenzioni, di essere addirittura amato da lui, aveva alimentato la piccola fiammella di speranza che c’era in me. Cominciavo a pensare che l’essermi affezionato così tanto a Sasuke fosse dipeso anche da questo. Ma non era il momento di scandagliarmi, sondandomi a fondo. «Sasuke» ripresi, mi sembrava un monologo senza fine. «Sarebbe molto più semplice.»
«Per te sarebbe molto più semplice» mormorò divertito, il labbro alzato in un sorriso tutt’altro che innocente. «Ma io non ci guadagnerei nulla, Naruto-chan, assolutamente nulla.»
Aprii la bocca per replicare, ma la chiusi subito dopo, cercando di cambiare frase. Non volevo essere troppo smielato, né risultare senza spina dorsale, però dovevo pur dire qualcosa. «E io?» mi permisi di dire, leggermente in imbarazzo. Mi obbligai a non mollare la presa sulle sue spalle, perché mi sarei dimostrato debole. «Ci sarei sempre io, sempre» specificai. «Avresti dovuto capire che quando mi fisso con qualcosa è difficile distogliermi da essa» sorrisi. Mi sentivo rovente, e non solo per la febbre. Era passato un po’ da quando mi ero aperto così tanto con qualcun altro. Probabilmente, in Sasuke leggevo la mia stessa solitudine.
«Non è questo che intendevo» concluse lapidario rompendo il clima forse troppo mieloso che si era formato. «Ma, a ogni modo, aspetta ancora qualche giorno, poi ne riparleremo.»
Non fece altro che alzare la spalla con un movimento diretto, che fui costretto a scostare velocemente la mano. L’avevo sentita elettrizzata, e mi ero mosso per istinto.
«Intendi dire che non è un no?» domandai speranzoso. Cercai di contenermi, di non mostrarmi agitato, tuttavia tremavo tutto e gli occhi mi brillavano per la gioia.
«Perché rovinarti la sorpresa? Lo scoprirai.»
Prima che potessi chiedere altro, Sasuke sparì dietro la porta del bagno, lasciandomi solo con la mia curiosità e col mio mal di testa. Scrollai le spalle, imponendomi di non porre altre domande, alle quali, poi, lui non avrebbe sicuramente risposto. Quando diceva no, era no, inutile insistere.
Osservai la stanza, pensando che, sebbene Sasuke avesse iniziato l’opera di pulizia, il disordine era ancora molto. Avrei sistemato tutto il giorno seguente, tanto chi altri poteva venire a trovarmi? Al massimo qualche mio amico a cui avrei spiegato la situazione, dicendogli di essere crollato a terra dal sonno. Prima che mi chiudessi la porta alle spalle, e che maledicessi Sasuke per tutto ciò che mi stava facendo provare – amore alternato a odio –, sentii lo scocco di due dita. Improvvisamente, fu tutto pulito. Poco male.
 
Era passato qualche giorno dal fantomatico “lo scoprirai”. Cosa dovevo scoprire, in realtà? Questo mi chiedevo da più di settantadue ore, senza risposta ovviamente. Forse doveva soltanto pensarci su, mi dissi, eppure la cosa non mi convinceva più di tanto. Sasuke mi sembrava un tipo diretto: non aveva certo bisogno di “prepararsi un discorso” per dirmi che era d’accordo o, purtroppo molto più probabilmente, che non lo era. Mi risultava sempre più complicato comprenderlo, e forse non c’ero mai riuscito; non ero stato capace di capirlo nemmeno per mezza volta, di riuscire a conoscere neanche un suo dito.
In tre giorni non avevo fatto niente, oltre che restare a letto, agonizzante. Sasuke si era occupato di me, forse. L’unica cosa che me lo faceva pensare, visto che i miei sensi erano sempre più offuscati, era che, tutto sommato, ero vivo. Sarei morto di fame, altrimenti. Inoltre, certe volte sentivo il suo respiro sulle mie labbra, accompagnato a qualcosa di freddo che mi stringeva la mano.
In alcuni momenti mi sentivo più lucido, e pensavo a quanto sopra detto, mentre per la maggior parte del tempo non riuscivo neanche a tenere le palpebre sollevate. E, stranamente, quando potevo tenere gli occhi aperti, vedevo che intorno a me non c’era nessuno; Sasuke non c’era mai quando ero più in forze.
Presto – o forse troppo tardi? – mi resi conto che era necessario l’intervento di qualcuno che s’intendesse di medicina e malattie, perché mai, da che avevo ricordo, una semplice influenza mi aveva ridotto in quelle condizioni. A stento sentivo le gambe.
Chiesi a Sasuke di farmi il favore di contattare un medico qualsiasi. Esposi la mia richiesta alla stanza, sperando che lui fosse lì, perché non potevo vederlo, impossibilitato ad aprire gli occhi. Non udii risposta, o forse risposi e semplicemente non lo sentii.
Chissà da quanto tempo ero lì, in quel letto, fatto stava che ero stufo di quella situazione inconcepibile. Con quella pochissima razionalità che mi rimase, mi domandai perché i miei amici non mi avessero degnato nemmeno di una chiamata. Ipotizzai lo stesso che avevo pensato per Sasuke: forse il cellulare era suonato, ma non l’avevo sentito. Forse Sasuke l’aveva allontanato da me, in modo che non mi disturbasse.
A poco a poco, l’unica sensazione che riuscivo a percepire più o meno chiaramente era il calore – o il freddo? –  della bocca di Sasuke sulla mia. Ed erano quelli i momenti in cui mi sentivo soffocare, come se la gola si restringesse, si accartocciasse su se stessa, impedendo all’aria di uscire ed entrare fuori dai polmoni, normalmente. Era come se non respirassi ossigeno, ma veleno. Non capivo più niente, non sapevo cosa mi stesse succedendo.
Però… qualcosa mi ribolliva dentro, come se qualcosa di malefico avesse messo radici.
E stava crescendo sempre di più.
 
Cominciavo a capire che cosa intendesse dire Sasuke.
Avevo sperato che non fosse come pensavo, che lui non avesse niente a che fare col mio stato, eppure non trovavo alcuna soluzione. C’era solo lui in casa, nessuno era venuto da me. Ma, ciò che più mi preoccupava, Sasuke era uno Spettro. La paura che non fosse cambiato affatto dal primo giorno in cui l’avevo incontrato, ma che fosse rimasto esattamente lo stesso, si faceva sentire in quei pochi attimi – sempre più rari – in cui ritornavo a essere Naruto Namikaze, e non più un involucro senza ragione e senza capacità. E, quindi, teneva lui il coltello dalla parte del manico, purtroppo: stavo perdendo? Era riuscito a ingannarmi? A farmi diventare la sua persona importante? Era accaduto il contrario, forse? Se fosse stato davvero così, avrei perso due cose: i miei genitori e anche la vicinanza di Sasuke. In ogni caso, avrei risolto i miei dubbi – se amavo veramente Sasuke o se mi ero avvicinato a lui solo per risolvere i miei problemi, finendo per convincermi di esserne innamorato –, perché qualcosa mi diceva che una rottura tra noi si stagliava all’orizzonte. Quando e se l’avessi perso, avrei compreso.
Il peso sullo stomaco divenne schiacciante, al punto che, sfidando la stanchezza, alzai di un poco la schiena e tossii con forza, sputando anche l’anima. Mi faceva sempre più male il petto, ogni secondo era straziante, come se mi stessero strappando la pelle pian piano, facendomi sentire tutto il processo. Infine – e in parte fu un bene – sentii una fitta più acuta delle altre, che mi fece spalancare gli occhi, mostrandomi un Sasuke ghignante ai piedi del letto. Disse qualcosa, ma non me ne preoccupai, non ero in me, semplicemente non capivo nulla. Un rantolo soffocato mi sfuggì dalle labbra, poi fu il buio.
 
Sentii il mio respiro, era calmo e pacato. Lo sentivo, quindi non potevo essere morto. Che il dolore sentito non fosse stato che un brutto ricordo? Un incubo, magari. E anche Sasuke lo era stato, sperai.
Riacquistai la sensibilità alle dita, e le mossi. Picchiettai a terra, piano, similmente al delicato suono di una goccia che cadeva in una pozzanghera, e, ironia della sorte, ciò che vi trovai era liquido. Un liquido strano, però, sembrava leggermente denso, più dell’acqua, di sicuro. Non appena sentii le ginocchia, feci tutto il possibile per rimettermi in piedi alla svelta, soprafatto dalla voglia di scoprirmi ancora vivo, sebbene avessi già appurato che lo fossi. Mi sembrava strano, però: il dolore provato era stato talmente intenso che, avevo pensato, mi avrebbe spedito dritto all’altro mondo.
Aprii gli occhi, piano, e fissai il soffitto. Anzi, definirlo tale era improprio: era morbido, quasi grassoso; aveva tutte le caratteristiche di uno stomaco.
Scattai in piedi come una molla, mettendomi a sedere, come se mi avessero gettato addosso una secchiata di acqua ghiacciata. A proposito di clima… si stava bene lì dentro. L’aria era rarefatta e calda, ma sembrava vi aleggiasse qualcosa di insolito dentro. L’illuminazione era piuttosto scadente.
Mi analizzai la mano, stupito di trovarla al suo posto, come se fosse qualcosa di impossibile. La mossi, chiudendola e aprendola, appurando che mi appartenesse ancora.
Facendo leva su chissà quale forza interiore, mi alzai in piedi e mi strofinai i pantaloni simbolicamente, anche perché questi non erano impolverati. Inoltre, non vi era la minima traccia di bagnato, sebbene fossi stato steso su una superficie liquida dall’inconsueta colorazione rossastra, più chiara del sangue però.  
Mi guardai intorno. Davanti a me c’era qualcosa, ma non sapevo di cosa effettivamente si trattasse. Sembrava un tunnel senza fondo, nel quale non volli nemmeno provare ad avventurarmi. Non che avessi qualcosa da perdere, nel caso lo avessi fatto, visto che ero completamente solo.
Come se qualcuno avesse ascoltato i miei pensieri, due fiaccole dal fuoco color blu chiarissimo si illuminarono alle mie spalle, producendo un suono intenso e permettendomi di abbandonare anche il più piccolo dubbio su quale direzione prendere: dietro non si andava. Pian piano lo spiazzo si illuminò e, quando successe, desiderai che non fosse mai accaduto. Desiderai essere morto, forse sarebbe stato meglio.
Spalancai la bocca e strabuzzai gli occhi, incapace non solo di urlare, ma anche di chiedere aiuto a qualcuno. Non che fosse utile.
Il mostro che mi era stato mostrato era enorme. Assomigliava a una volpe in tutto e per tutto, soltanto che aveva ben nove code. Non che mi facessero troppa paura, loro; non quanta me ne mettevano – di paura – i suoi denti. Erano affilatissimi e, se visti insieme allo sguardo cattivo dell’animale, lo sembravano ancora di più.
Le mani mi tremavano senza ritegno, le gambe pure. Ringraziai tutti i Kami per la gabbia che mi separava dal mostro. Un’altra cosa che attirò la mia attenzione fu uno strano sigillo sulle sbarre, che mi dava tutta l’impressione di essere una sorta di chiave per aprire l’immensa gabbia. Appuntai mentalmente che non dovevo assolutamente avvicinarmi a esso.
Quando la volpe ruggì, spietata, le gambe non mi ressero più, e caddi nuovamente a terra, seduto. Se mai si fosse liberata, dove sarei scappato? Il rumore che sentii alle mie spalle, come di qualcosa – probabilmente un muro – che si materializzava, mi fece intendere che vie di fuga non ce n’erano.
«No ti agitare, Kyubi. Ancora non ti conosce» sibilò una voce di mia conoscenza.
Mi sentii quasi sollevato dalla presenza di Sasuke, e ci mancò poco che mi alzassi e gli andassi incontro. Mi fermò la convinzione che l’artefice di tutto fosse stato lui. Una parte di me, però, sperava ancora che lo Spettro non c’entrasse niente. Non era possibile che, nel momento in cui si materializzava un mio nuovo punto di riferimento, io dovessi perderlo all’improvviso. Non lo sopportavo.
«Ch-che cos’è questa storia?» domandai facendomi coraggio. Per quanto volessi che non lo fosse, Sasuke mi rincuorava.
Lui ignorò la mia domanda, ma me ne pose un’altra: «Sai dove siamo, Naruto-chan?»
«Non ne ho idea» fui sincero e rapido. Sasuke chiuse gli occhi e si concesse un risolino di quelli che non promettevano nulla di buono, quelli che speravo di non rivedere mai più. «So solo che voglio tornare a casa» continuai prima che potesse dire qualcosa.
«Ti stai sbagliando, Naruto-chan» puntualizzò. «Sei più a casa di quanto pensi.»
«Ma che cazzo fai? Mi prendi per il culo?» gridai dopo aver dato un’altra occhiata in giro. «Questo posto è un inferno, cosa diavolo è? E poi…»
«Siamo al tuo interno.» Rimasi in silenzio, incredulo, attendendo altre spiegazioni. «Nel tuo stomaco.»
In un’altra occasione, e in compagnia con altre persone, avrei riso. E di gran lunga, anche. Quello era davvero il mio stomaco? E cosa ci faceva quel demone dentro di me? Lo chiesi a Sasuke.
«Pensaci, dobe, sono sicuro che ti verrà in mente.»
«C’entri tu, questo è certo!» sputai fuori. Non avevo minimamente bisogno di pensarci oltre, di questo ero sicuro. Non sapevo come avesse fatto, ma… ma…
Avevo capito, e Sasuke lo intuì dalla mia espressione sbalordita.
«Esattamente» scandì lui come se mi avesse letto nel pensiero. «Non dirmi che avevi pensato che mi fossi davvero innamorato di te» ridacchiò tetro. «Ridicolo.»
Non mi sarei perso in piagnistei, sebbene il dolore di ciò che stava succedendo si stesse facendo sentire a poco a poco, si stava svelando. Temevo che, nel momento stesso in cui avessi veramente realizzato tutto ciò, quando avessi veramente capito che Sasuke mi stava battendo su tutta la linea e che davvero non avrei più rivisto i miei genitori né ricevuto l’amore – o, perlomeno, le attenzioni – di Sasuke, sarei impazzito. Mi aveva fatto ciò che avrei dovuto fare a lui.
«I miei piani non erano questi, in verità» continuò. «Il demone che sono riuscito a sigillarti dentro sarebbe dovuto venir fuori e attaccarti molto prima di adesso. Sei resistente.»
«Taci» mormorai.
«Che tu ti sia innamorato di me, non fa altro che aggiungere maggior divertimento al nostro giochino, alla nostra scommessa. Perché, ora lo sai, non abbiamo ancora finito, non c’è ancora un vincitore, sebbene io sia in vantaggio.»
Molto in vantaggio, pensai.
«Sciocchezze» mentii. «Non riuscirai a battermi con così poco. Anche tu sei un ingenuo, se pensi di potermi abbattere così, con una semplice “delusione romantica”» mi sforzai di alienare la parte di me che, invece, era convinta di amare Sasuke, lasciando che a parlare fosse la mia razionalità, il Naruto Namikaze che aveva attaccato bottone con lo Spettro solo per accelerare i tempi. «Che poi» aggiunsi, sempre incapace di guardarlo negli occhi «sei tu, Sasuke, a sostenere che fossi innamorato di te.» Ebbi il coraggio di guardare la sua reazione: se non scoppiò a ridermi in faccia, fu solo per un miracolo divino. «Piuttosto» ricominciai desideroso di cambiare argomento. «Spiegami di lui» e indicai la volpe.
«Lui è Kyubi, ed è un demone» rispose Sasuke senza scomporsi. «Da oggi, sarai tutt’uno con lui, contento?» ghignò. «Consideralo pure un regalo di compleanno, Naruto-chan.»  Evidentemente Sasuke fu sorpreso dalla totale indifferenza che riuscivo a mostrare, perché continuò: «Come, non ti preoccupi? Sei un mostro, dobe, sveglia!» urlò, e chissà se la sua espressione simboleggiava divertimento, derisione oppure semplice rabbia perché avevo reagito in modo diverso da come Sasuke si aspettava.
«Non farò mai più schifo di te, quindi…» sussurrai sorridendo.
«Come ti pare» lasciò correre lui, improvvisamente calmo. «Sarà divertente stare a vedere come riuscirai a controllare il suo potere. Sempre se si riuscirai, ovviamente.»
«Ci sono altre cose che non mi hai detto, indovinato?» domandai frattanto che mi alzavo da terra.
«Non sarebbe divertente se ti raccontassi già il finale della storia» rispose. Notai solo in quel momento che i suoi occhi, stavolta rossi, erano puntati in quelli del demone. Forse lo stava tenendo sottocontrollo. Così si spiegava anche perché la volpe avesse smesso, tutto a un tratto, di ringhiare e di far rumore. «Soltanto una cosa, Naruto-chan» riprese, e sobbalzai all’udire la sua voce. «Ti ricordi per caso di un sogno in cui era presente tua madre?»
«Ho sognato tante volte la mia mamma da quanto te la sei portata via» puntualizzai arrabbiato, e non mi importò di poter risultare infantile. “Non si è mai troppo grandi per ricevere amore”, mi aveva detto lei stessa, me lo ricordavo. Ma quando?
«Sì, Naruto-chan, proprio in quel sogno, quando tu, dagli occhi rosso sangue, le straziavi il petto, uccidendola e uccidendola ancora. Ricordi adesso?»
Non risposi, ero troppo stupito per controbattere. Ma avevo inteso, sapevo già cosa avrebbe detto Sasuke dopo. Attesi solo che lo facesse, per averne conferma.
«Ebbene, quel mostro che hai sognato non rappresenta altro che te stesso. Tu, Naruto Namikaze, come sei diventato adesso.» Si fermò un momento, forse per gustarsi la mia espressione impaurita. Ma il terrore che sentivo non era per me. «Dimmi» continuò. «Secondo te quale sarà il primo amico che manderai all’altro mondo?»
Non sarei stato più me stesso.
Avrei perso il controllo.
E, chissà, forse avrei ucciso. Forse.

 
 
 



 





 
 
Salve gente! ^___^
Non mi aspettavo di riuscire a riprenderla in mano, chissà perché! Cx Beh, meno male *arrivano pomodori* che ci sono riuscita.
E ora cosa succederà? è-è
Beh, non vi resta che scoprirlo – se volete <3 -.
Come sempre, ringrazio:
-chi legge e commenta;
-le 22 preferite;
-le 5 ricordate;
-le 73 seguite;
 
Un bacione! <3
 
P.S. Il sogno di cui parla Sasuke, è quello fatto da Naruto nel primo capitolo (non il prologo, eh! Cx). La parte in corsivo, proprio all’inizio, per chi non se lo ricordasse.
P.P.S. Non ricordo se ho aggiunto o meno la nota OOC. Secondo voi devo farlo? Mi ispiro al Sasuke pazzo degli ultimi tempi (xD), ma se ritenete che devo metterla, lo faccio immediatamente! <3 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Capirci ***


Capitolo 10: Capirci
 

 



 

Trascorrevo la maggior parte del tempo a riflettere, a ripetermi che non mi era successo niente e che tutto ciò che pensavo fosse reale era tutto frutto di un assurdo incubo che non ne voleva sapere di finire. Ma, mi ripetevo, per quanto avesse potuto protrarsi a lungo, alla fine mi sarei svegliato. Di soprassalto, con il fiatone, con gli occhi lucidi magari, ma sarei stato di nuovo io. E, rendendomene conto, avrei tirato un lungo sospiro di sollievo e avrei sorriso sollevato, pronto a cominciare una nuova giornata. Ma poi sentivo i passi leggeri di Sasuke dietro di me, la sua mano che veniva a poggiarsi sulla testa per ravvivarmi i capelli, normalmente, come se non mi avesse fatto nulla. E sentivo la rabbia che cominciava a crescere dentro di me, un prurito alle mani che, se non mi fossi ordinato di cercare di mantenere costantemente l’autocontrollo, avrei afferrato Sasuke per la collottola e l’avrei riempito di pugni. Ci pensavo su e stringevo la stoffa dei pantaloni nei pugni, e nel mentre continuavo a raccomandarmi di stare calmo, me lo imponevo. Insieme alla rabbia, di pari passo, avvertivo che il limite della ragione stava per essere superato. Delle vibrazioni strane mi facevano tremare fin dentro le ossa, e le interpretai come un chiaro avvertimento che la volpe, al mio interno, volesse mostrarsi. Non osavo immaginare cosa sarebbe successo se mai fosse riuscita a sconfiggere la mia precaria forza di volontà. Chi sarei diventato? Cosa, soprattutto? Sarei stato capace di infrangere tutti i valori verso cui la mia famiglia mi aveva indirizzato, come il rispetto altrui? Sarei andato contro mia madre e mio padre stessi, se avessi permesso alla volpe di diventare me stesso?
Per quanto cercassi di isolare la questione e di soffermarmi su altro, e per quanto mi convincessi di non dover avere paura, un terrore folle cominciava a crearsi. Si ha sempre paura di ciò che non si conosce, dicono, e io lo posso confermare. Non avevo vergogna di dire che l’idea di perdere me stesso, di non  sentirmi, di vedermi dall’esterno e di non poter fare nulla per controllare un corpo non più sotto la mia volontà, di urlare disperato contro un me stesso che non ero più io, mi spaventava. Non avevo idea di quanto potesse essere doloroso un processo del genere; anzi, a dirla tutta non sapevo nemmeno in che cosa consistesse, se in una sottospecie di distacco della mia anima dal corpo, oppure un semplice annullamento delle mie facoltà fisiche e intellettive. Stupidamente, speravo che tutto ciò fosse soltanto un bluff, uno scherzo messo in atto da Sasuke per conseguire una vittoria immediata. Speravo con tutto il cuore che il demone visto dentro di me, dietro quelle sbarre apparentemente troppo deboli per contenere la furia di un energumeno del genere, fosse stato solo una visione.
Mi accucciai contro le ginocchia e vi poggiai la fronte, stanco mentalmente.
Non avevo capito molto di tutta la faccenda, ma solo due cose mi erano estremamente chiare: primo, non avrei dovuto perdere la pazienza, né lasciarmi sopraffare da qualsiasi altra emozione, e, secondo, le emozioni erano l’unica cosa che sfuggivano dalle mani anche dell’individuo più padrone di sé che ci fosse.
Tra le cose che mi erano poco chiare, invece, avevo l’imbarazzo della scelta: dai miei sentimenti verso Sasuke, dal quale speravo di potermi affettivamente allontanare con la stessa velocità con cui mi ero avvicinato, alla scommessa; non sapevo come procedere, provavo soltanto la sensazione di essere un corpo in caduta libera, che attirato dalla forza di gravità non poteva fare altro che attendere di cadere, aspettando inerme di sfracellarsi al suolo e mettere fine a ogni cosa.
Mi chiedevo quando sarebbe arrivato il suolo, per me.
 
Quando un giorno suonò il campanello quasi mi sorpresi nell’udire un suono tanto dissimile, considerando che gli ultimi che avevo udito, in quei pochi giorni che erano sembrati infiniti, erano appartenuti o a me o a Sasuke, entrambi presenze spiritiche – chi lo era già per vero e chi lo stava diventando.
Mi alzai senza pensarci, la testa scollegata dal resto del corpo, le gambe indolenzite dal poco movimento e lo stomaco nutrito soltanto di quel qualcosa di indispensabile per la sopravvivenza. Pensare che mangiavo a spese – spese magiche, se così potevo definirle – di Sasuke mi faceva venire il nervoso. Mi ero già reso conto che avrei dovuto riprendermi dallo stato di nullafacenza e dipendenza dallo Spettro e trovarmi un impiego valido e duraturo. Ma ci avrei ripensato in un secondo momento: alla porta attendevano già da molto.
Aprii e il sorriso mi sorse spontaneo quando vidi Sakura alla soglia della porta. Una faccia amica non poteva farmi che bene, viste le mie condizioni.
«Che ci fai qui, Sakura-chan?» domandai.
Lei storse il labbro in risposta. «Non ti fa piacere rivedere un’amica, ogni tanto?» chiese scherzosa.
Altrochè, Sakura-chan, ne sono felice eccome.
«Tutt’altro, entra» e mi spostai, lasciando che mettesse piede in quella casa che, più che propriamente tale, cominciava a parermi una prigione. Senza che lo volessi, il mio pensiero volò al demone, di nuovo. Non smetteva mai di abbandonarmi, e quei pochi attimi in cui accadeva che riuscissi a distrarmi erano simili a piccoli respiri: duravano troppo poco e non soddisfacevano il tuo bisogno – d’aria, nel caso del respiro.
«Oh, ciao Sasuke!» continuò la mia amica, raggiante. Provai un senso di rabbia alla bocca dello stomaco, ma non era assolutamente gelosia, piuttosto mi accanivo contro la sfrontatezza, o meglio l’indifferenza, che Sasuke mostrava verso tutti, me per primo.
«Allora ragazzi, come ve la passate?» chiese ancora Sakura, forse l’unica che aveva veramente voglia di parlare. «Dal giorno del tuo compleanno, Naruto, non vi ho più visti, e ho pensato di venirvi a farvi visita.»
«Tra una cosa e l’altra è trascorso il tempo e nemmeno ce ne siamo accorti» dissi, costatando mentalmente che era davvero passato molto, chissà quanto. Cercai di sorridere e ingannare Sakura anche se farlo era molto complicato. Si trattava comunque di una persona che mi conosceva da sempre.
«Ed è per questo che sono venuta a rimediare, baka. Ringrazia che ci siano i tuoi amici, testone!» E sì, non sai quanto dovrei ringraziarvi per alleviarmi dal dolore che sento. «Siete liberi stasera?» chiese dopo qualche istante di silenzio. E guardò sia me che Sasuke che, spinti da chissà quale strana forza, avevamo rispettivamente alzato e abbassato lo sguardo, incontrandoci così nel mezzo. «Allora? Che ne dite di uscire? E poi, stasera si festeggia, a Konoha, te ne sei forse dimenticato?»
«Ah, è vero…» mormorai fingendomi interessato, ma senza riuscirci.
«E quindi, ragazzi? Confermate la vostra presenza?» sogghignò spensierata.
Ma sì, tanto cosa sarebbe potuto accedere in un’allegra uscita tra amici?
«Conferm…» mi bloccai prima di esprimermi in prima persona. Non avrei mai voluto che Sakura-chan si insospettisse, meglio lasciar fuori i miei amici da queste faccende alquanto soprannaturali. «Confermiamo» conclusi.
Sakura si intrattenne ancora in nostra compagnia, e parlammo del più e del meno, passando con estrema facilità da un discorso all’altro. Non ero mai stato un buon ascoltatore, piuttosto preferivo parlare ed essere ascoltato: era un lato del mio carattere che non ero mai riuscito a tenere sottocontrollo, cosa che forse non avevo mai voluto fare sul serio. Tuttavia, in quelle due ore circa, spiccicai pochissime parole, lasciando che fosse Sakura-chan a parlare anche per me. Lei dovette notarlo, ma non ne fece parola.
Alla fine del discorso, ci salutò allegra, me con un bacio sulla guancia e Sasuke, col quale non aveva chissà quanta confidenza, con un’occhiata intimidita e un “a stasera” balbettante.
Dopo che ebbi chiuso la porta, sentii che con Sakura era andata via anche la mia luce. Non era da me abbattermi, ma stavano succedendo troppe cose tutte in una volta, e mai come in quel momento mi sentivo completamente solo e incapace, soprattutto, di oppormi a delle forze molto più gravanti di me.
Mi sentivo schiacciato dalla consapevolezza di essere soltanto un minuscolo granello di polvere immerso in un vastissimo universo. La più piccola parte di un tutto estesissimo.
«Chissà che questa serata non ci rilevi qualche sorpresa» disse a un tratto Sasuke cogliendomi di sorpresa.
«Qualunque cosa tu abbia in mente, è meglio se la tieni per te. Te lo consiglio caldamente.»
Sbuffò divertito, uno sbuffo che sapeva di presa in giro e di presunzione, nonché assoluta fede nelle sue capacità.
«Sai cos’è che mi piace di te, Naruto-chan?» cominciò melodioso, suadente, al punto che il cuore iniziò a battermi all’impazzata contro il mio volere. In un attimo mi fu alle spalle, ma non mi scomposi. Rimasi immobile, incapace persino di chiudere le palpebre. «Anche quando sai di essere caduto in trappola e di non poter scappare non perdi la speranza» concluse. «Azzarderei a domandarti se la tua è pura follia o se credi veramente in quello che dici.»
«Risparmia il fiato» soffiai. «Ne riparleremo alla fine di tutto.»
«Ammesso che ci arriverai alla fine, Naruto-chan.» Mi scoccò un bacio gelido, un bacio che sapeva di morte, sul collo e strusciò la lingua fino a raggiungere il lobo del mio orecchio. Scoprii di non riuscire a muovermi, e di nuovo il senso di impotenza si impadronì di me; ne avevo proprio abbastanza di esseri superiori, ma non superiori come umani, bensì paranormali, sfuggenti al controllo di chiunque, persino dell’uomo che per me non avrebbe mai smesso di essere il migliore, ovvero mio padre. Comunque, ciò che mi faceva provare rabbia verso me stesso era che una minima parte di Naruto Namikaze non disdegnava quelle attenzioni.
Perciò le emozioni erano una brutta bestia incontrollabile: come si fa a desiderare, anche se in minimissima parte, la presenza di una persona che ti rende un mostro?
Mi accorsi con mio sommo disappunto di essere affetto da una malattia decisamente grave e che, se non poteva chiamarsi propriamente amore, era molto simile a esso. Ma era una malattia infettiva, mortale, che pian piano mi stava corrodendo tutto.
Mi resi conto solo in un secondo momento delle labbra di quello stronzo di Sasuke che mi viziavano, mi provocavano e infine mi facevano fremere tutto. Mi avvolse il polso con forza e condusse il braccio dietro la testa, così da tenermi fermo. Non mi ero nemmeno accorto di trovarmi contro il muro freddo e di avere la lingua di Sasuke quasi in gola.
Ma, specialmente, non volevo accorgermi di star ricambiando.
Si staccò piano, e ne fui – mio malgrado – abbastanza dispiaciuto.
«Questo significa che mi hai perdonato, dobe?» chiese contro le mie labbra.
«Non potrei mai, baka.» E guidato dal mio istinto feci la prima mossa, baciando io Sasuke sul collo, per poi risalire con lentezza estenuante alle labbra, non prima di averlo morso sulla pelle lasciva. Avevo premuto a fondo i denti, un po’ come i vampiri forse, ma era un modo come un altro, nonché l’unico che sovvenisse al momento, di fargli comprendere tutta la mia collera verso le sue azioni riprovevoli.
«Mi fai schifo, Sasuke» sussurrai, ed era vero. In parte era davvero vero. In parte l’avevo sempre odiato, anche quando avevo capito di amarlo. Allo stesso modo, però, una parte sempre più piccola provava il forte desiderio di mettere un punto a quell’assurda commedia e trovare il modo di trascorrere l’esistenza insieme a lui, ai miei genitori e ai miei amici. Ero egoista a desiderare tutto, forse, ma sentivo che quel tutto mi apparteneva, che me lo meritavo.
Smisi di pensare a qualsiasi cosa quando il membro pulsante di Sasuke strusciò contro il mio. Facemmo l’amore – o probabilmente sesso, per lui – quel pomeriggio, e quando, dopo essermi addormentato, mi svegliai, più intontito di prima, la coscienza di essere stato ingannato divenne forte, quasi una presenza vera e propria.
Forse mi bastò soltanto guardarlo negli occhi e trovarvi dentro un gelo che non avrei voluto scorgervi; c’era derisione, anche. Avevo commesso di nuovo l’errore di fidarmi di lui, e qualcosa mi diceva che ci sarei ricascato.
«Mi fai schifo, Sasuke» ripetei più cercando di convincere me che per rendergli noto quello che – sempre in parte – provavo nei suoi confronti. «Mi fai veramente schifo.»
 
La chiamavano la festa d’autunno, anche se effettivamente si svolgeva esattamente un mese dopo l’inizio della stagione. Da piccolo non mi era importato del nome in sé, perché preferivo dedicare la mia attenzione a caramelle e dolciumi vari, piuttosto, nonché alle attrazioni che c’erano, come scivoli, altalene, trenini e via discorrendo, che per un bambino vivace qual ero stato erano un divertimento imperdibile. Col tempo mi ero abituato ad andarci, e non avevo avuto la curiosità – sempre distratto dalla quantità di svaghi che la festività offriva – di indagare riguardo al perché del nome.
Non era tradizione indossare vestiti particolari, ed era proprio di questo che Ino stava parlando quando arrivammo io e Sasuke.
«Chi non muore si rivede» esordì Kiba un po’ seccato, e a udire le sue parole fui tentato di guardare Sasuke – che era sì morto, ma si vedeva eccome – ma mi trattenni. «Rispondere al cellulare è troppo?» aggiunse il mio amico.
Il cellulare… non l’avevo proprio più controllato, e nemmeno l’avevo sentito squillare.
«A dire il vero non so nemmeno dov’è» confessai, ed era vero.
Borbottò in risposta, ma infine mi sorrise e capii che, come me, era felice di rivedermi e non era arrabbiato. Meglio così.
Mentre giravamo per le viuzze di Konoha, a contatto con l’allegro vociare della gente, mi sentivo tranquillo, più leggero. Il cuore era sereno e anche i pensieri negativi sembravano essere scomparsi. Il demone dentro di me appariva solo l’ombra di quello che era veramente. Stavo bene.
La mia personalità sepolta da tanti pensieri e dalle preoccupazioni stava ritornando a galla, sorretta da un salvagente fatto di sorrisi e parole amichevoli, scherzi e risate di gruppo. Sasuke, a pochi passi da me, era l’unico estraniato da tutto ciò, anche se Sakura e Ino, in particolare, cercavano di introdurlo nei discorsi, ponendogli domande o facendo osservazioni su particolari anche non troppo importanti. Lo guardai e non mi parve nelle condizioni di poter fare qualcosa per rovinare la serata, sembrava persino non averne voglia. Tuttavia, qualcosa mi diceva di non dovermi rilassare troppo, perché dietro quello che poteva essere definito un “viso d’angelo” si nascondeva un demonio, uno Spettro.
La mia felicità raggiunse il culmine quando zucchero filato e autoscontro entrarono a far parte del mio campo visivo. Mi fermai di colpo, e Ino, dietro di me, mi sbatté addosso. Mi rimproverò con uno stizzito “sta’ attento la prossima volta, baka!”, e mi scusai.
«Facciamo un giro, gente?» proposi e dalla faccia seccata di Shikamaru – lo era perennemente, pensandoci – capii che già si aspettava che l’avrei detto.«E dai!» insistetti visto che alcuni miei amici – o meglio dire “amiche” – non erano della mia stessa idea.
«Magari, noi ci avviamo per di là» Ino indicò davanti a sé «tu e chi è interessato potreste fermarvi qui.»
«Non vi avrebbe fatto male aspettare un po’» borbottai tra me e me, le braccia incrociate dietro la testa.
«Ma no, Naruto, lascia che vadano» s’intromise Kiba. «Altrimenti ci metterebbero solo fretta. Dovremmo sorbircele, capisci?»
Chissà quale Kami salvò il povero Kiba da un pugno in testa ben assestato da parte non solo di Ino, ma di Ino e Sakura, due forze mostruose congiunte. Roba da restarci secchi – a meno che non si è abituati a forze soprannaturali di origine misteriosa che attentano alla tua vita un giorno sì e l’altro pure.
«E andate, andate, allora» concessi. «Io, Kiba e…» vidi Suigetsu ghignare e capii subito «e Suigetsu facciamo un giro. Compriamo lo zucchero filato e torniamo da voi!»
Gli altri si avviarono come d’accordo, mentre noi ci apprestammo a fare come da programma. Ironia della sorte, soltanto quando, dopo aver messo piede nella macchina a me assegnata decorata con un tre sfavillante in bella vista, questa partì mi accorsi che Sasuke era in compagnia delle ragazze e degli altri. Mi deconcentrai all’improvviso, non vidi nemmeno la macchina di Kiba che mi urtava – non che mi interessasse per davvero –, né sentii quello che mi disse, che mi giunse solo come un qualcosa di indefinito.
Sfortunatamente, era impossibile scendere mentre l’attrazione era ancora in funzione, per cui non potei fare altro che pregare affinché il conto alla rovescia che segnava i secondi rimanenti giungesse allo zero.
Avevo stretto spasmodicamente le mani intorno al volante e cercavo di mantenerne il possesso, di controllarle e far sì che non tremassero. Non era solo paura per i miei amici, quanto senso di frustrazione contro me stesso per aver accettato di uscire pur sapendo chi Sasuke fosse in realtà e di cosa era capace di fare, e di averlo fatto egoisticamente, per sentirmi meglio. Li stavo mettendo in pericolo, era chiaro. Inoltre, ce l’avevo anche con me stesso per essere stato tanto distratto da dimenticarmi addirittura della presenza dello Spettro.
Dopo un’ennesima sballottata, quando il conto alla rovescia arrivò finalmente allo zero, saltai giù dalla macchina con velocità e corsi in avanti, senza nemmeno prestare ascolto a Kiba o a un divertito Suigetsu. Mi sarei scusato dopo, magari.
Non appena intravidi la chioma bionda di Ino mi precipitai da lei. Non mi concessi nemmeno il lusso di riprendere fiato. «Gli altri? Sasuke dov’è?» Inutile prenderla per le lunghe, tanto era lui che mi interessava.
«Naruto, che cosa è successo, mi sembri sconvolto» osservò lei. Non pensavo si notasse così tanto.
«N-niente, dov’è Sasuke? Devo dirgli una… una cosa importante» affrettai, la voce che mi tremava. Se mai Sasuke avesse fatto qualcosa a qualcuno di loro non sapevo come avrei reagito. Mi dispiaceva anche mentire a Ino, ma era per il suo bene.
«Sono passati per di là, prima.»
La ringrazia velocemente a con la stessa velocità scattai verso il punto che mi aveva indicato. Mi guardai intorno, ma tra la folla non riuscivo a distinguere nemmeno il colore bizzarro dei capelli di Sakura.
Mi mossi ancora, cercai ancora e quando li vidi non sospirai di sollievo come avevo pensato di poter fare. Sakura stava bene, per fortuna, e Sasuke non era circondato da una pozza di sangue. Niente era immobile, tranne il tempo che per me pareva essersi fermato.
Ci cascherai sempre, Naruto Namikaze.
Ghignò verso di me, ma ebbi la scottante sensazione che solo io lo avessi visto.
Sasuke baciava Sakura, sotto la luce delicata dei raggi lunari.

 
 

 




 
 
Che faticaccia! Cx
Ho sempre l’impressione di soffermarmi troppo su Naruto, su ciò che pensa, ma mi piace farlo! ^////^
(anche per questo è in prima persona: ingarbugliarmi coi pensieri stessi dei personaggi mi piace da morire <3).
Vabbé, e ora che succederà secondo voi?
Non mi ammazzate per questo po’ di SasuSaku (qui tutto ha un senso, tranquilli ù___ù (?)), ricordate che è sempre una SasuNaru! è-è
Ringrazio:
-chi legge&commenta;
-le 22 preferite;
-le 5 ricordate;
-le 76 seguite;

 
Un bacione! 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Delusione ***


Capitolo 11: Delusione

 




 
Cadere in una fossa profonda e spinosa, riuscire a liberarsi per miracolo e inevitabilmente ricaderci.
Mi sembrava un circolo vizioso infinito, una catena con tutti gli anelli al loro posto. E io, per quanti mezzi avessi a disposizione, per quanto mi sforzassi di reagire, di uscire fuori e respirare, non ero capace nemmeno di scalfirli, quegli anelli indistruttibili.
Non piangevo, non lo avrei mai fatto davanti a Sasuke.
Non mi mostravo indifferente, la mia espressione tradiva un certo dolore interiore.
Non mi muovevo, le gambe non rispondevano ai miei comandi.
Il silenzio era quello che mi aleggiava intorno, sebbene i suoni allegri e giocosi della miriade di persone che appena poco più in là si divertiva. Era stato un fremito quello che aveva colpito il mio cuore e mi aveva tramortito.
Era Sasuke quello che avrei volentieri preso a pugni fino a quando le forze – che non sentivo – me l’avessero permesso.
Si staccò da Sakura lentamente e si voltò verso di me. Lei seguì i suoi gesti e i suoi occhi verdi incapparono nei miei. Sperai solo che non vi si leggesse troppo, dentro.
«Na-Naruto» balbettò, le guance tinte di un colorito rosso acceso. «Gli altri… ehm, ci stavate cercando?»
Era tutto semplice quando si trattava di tenersele dentro, le cose, ma parlare era estremamente diverso. Le emozioni, anche e soprattutto quelle più intime, quelle che non si vuole far conoscere ad altri, si mescolano alla voce, mostrandosi, perché orecchio attento e amico le capta fin troppo bene.
«Io» cominciai ma non sapevo esattamente cosa dire. «Pensavo potesse esserti successo qualcosa» sorrisi sforzandomi «ma vedo che sei in buona compagnia, pe- per fortuna.»
«Che scemo che sei, Naruto-kun!» controbatté Sakura tranquilla. Il bacio di Sasuke doveva averla messa di buon’umore, decisamente. «E’ pur sempre Konoha!» rise.
Mi unii alla sua risata cristallina in confronto alla quale la mia – di risata – sembrava una melodia stonata, una nota sbagliata in mezzo a tante giuste. Tuttavia, la nascondevo bene; oppure, Sakura era talmente su di giri da non accorgersene.
Lanciò un’occhiata prima a me, poi a Sasuke e infine di nuovo al sottoscritto. Entrambi eravamo immobili e ci squadravamo. Io non gli domandavo il perché del suo gesto insensato, avevo imparato a non farlo più visto che le risposte che ottenevo era nulle o incomplete. Non sapevo cosa mi avesse spinto a inquadrarlo tanto intensamente da potergli far bruciare gli occhi tant’era la delusione che provavo, ma continuavo a farlo come se quell’azione fosse l’unica cosa che, ormai, potesse ricollegarmi a Sasuke.
Istinto.
«Vogliamo andare ragazzi? Gli altri cominceranno davvero a preoccuparsi!»
Annuii alle parole di Sakura e la stilettata che mi fece vibrare forte il cuore si fece sentire intensamente nel momento in cui lei tornò a guardare Sasuke con un sorriso compiaciuto – o semplicemente felice? –, prima di recarsi dal resto del gruppo con noi che la seguivamo a passo lento.
Sasuke mi passò accanto, e l’aria gelida che portava costantemente con sé mi raggiunse fin sotto la pelle, pizzicandomi i muscoli e facendomi provare dolore.
«Che aspetti?» domandò divertito. «Dimmi che mi odi, coraggio.»
E avrei voluto dirglielo davvero, sputarglielo contro e fargli sentire anche un poco del male che stavo sentendo, ma a cosa sarebbe servito? Mi raccomandai, anche per il futuro, di dover essere più razionale.
Mi concessi un sorriso falsissimo, che doveva essere di scherno. E lo era, se si trattava di schernire me stesso. «Sarei un bugiardo se dicessi di odiarti.»
«E allora cos’è quel sentimento negativo che sento crescere dentro di te mano a mano che trascorrono i secondi?»
«Delusione» risposi. «Non mi aspettavo che tu fossi tanto codardo da aver paura di leggerti dentro e scoprire altro tra quei banchi insidiosi di odio e desiderio di vendetta.»
La prese sul ridere. «Altro? E cos’altro? Illuminami. Amore, forse? Amore per te?» sibilò suadente e derisorio – lo era costantemente – tra le labbra.
Rallentai il passo e guardai in alto, scandagliando il cielo e giovandomi del senso di libertà che esso offriva. Chissà cosa stava donandomi la tranquillità necessaria per avanzare la prossima domanda, una richiesta a mo di sfida. Non sapevo neanche cosa mi desse la sicurezza che Sasuke mi amasse; forse era così nella mia più fervida immaginazione, in quel mondo alternativo dove tutto andava bene, ma non perdevo la speranza che quella realtà parallela che mi vedeva come protagonista assoluto, felice e degno di esserlo, potesse trasferirsi, fondersi col mio mondo. «Saresti in grado di rispondere tu stesso alla tua domanda?» chiesi.
Per la prima volta da quando lo conoscevo, ero stato in grado di azzittirlo.
Forse io ci cascherò sempre, Sasuke, ma tu riuscirai a far chiarezza con te stesso?
 
 
*   *   *
 
 
Illuso. Povero, povero idiota. Mi avrebbe quasi fatto pietà se il mio cuore avesse ricordato ancora come doversi sentire se infestato da quel sentimento. Figurarsi, allora, se la mia essenza ricordasse il significato di amare, una sensazione, oltretutto, che mi era diventata estranea anche in vita, dopo la morte dei miei genitori e di mio fratello.
Era ridicolo anche solo immaginare che Naruto-chan avesse davvero anche solo pensato una cosa del genere. Io avevo piani più alti di semplici innamoramenti o di piaceri carnali; avevo la mia vendetta, e non avrei abbandonato il mio scopo per nessuna ragione al mondo, per nessun essere. Niente a che vedere con scaramucce, gelosie patetiche – perché mi era stato subito chiaro che Naruto-chan fosse stato geloso, checché ne avesse detto – o semplici scommesse.
Ebbene, nemmeno la scommessa fatta con quel babbeo di Naruto contava realmente per me. Si trattava solo di un modo come un altro, solo un po’ più divertente magari, per raggiungere il mio obiettivo finale. Avevo bisogno di lui, quello sì, ma in modo decisamente diverso. Naruto sarebbe diventato, ovviamente senza saperlo, la mia arma personale, il mio schiavetto, colui che, volente o nolente, mi avrebbe condotto al successo.
La nostra, dunque, era una scommessa senza condizioni accettabili, senza possibile vincitore che non fossi io stesso. Era stato tutto deciso dal principio.
C’era un’unica cosa che continuava a sorprendermi e, allo stesso tempo, a farmi pensare che non mi ero sbagliato quando avevo scelto Naruto-chan come mio servitore: aveva ancora una sua volontà, il ragazzino, e il che mi stupiva. Non sarebbe dovuto accadere. Nel giro di qualche settimana avrei dovuto poter comandarlo a bacchetta, come un cane. Visto che la sua volontà, il suo io, il vero Naruto Namikaze, sarebbe dovuto essere cancellato per sempre dal demone al suo interno.
Stai rivelando una personalità veramente interessante, caro mio piccolo Naruto-chan…
Anche quell’altra mocciosa, Sakura, avrebbe dovuto aiutarmi, e invece non era stata utile per niente. Se Naruto avesse perso il controllo di se stesso, beh, sarebbe stato molto più semplice farlo passare dalla parte giusta, dalla mia parte. Oh beh, in quel caso parlare di Naruto sarebbe stato inappropriato: il Kyubi sarebbe stato al mio fianco, intrappolato nel corpo di un povero mortale indifeso. Avevo sentito dire che un demone, se introdotto in una personalità forte, avrebbe aumentato il suo potere a dismisura. Non vedevo l’ora che ciò accadesse…
Che fosse stato il caso, allora, di trascinare l’intera faccenda a un livello superiore? Non mi sarebbe dispiaciuto mietere qualche vittima, dato che era da molto tempo che sentivo il sangue scorrermi tra le dita.
La scelta era ardua, perché da un lato non mi sarebbe dispiaciuto attendere oltre e far sì che gli eventi avessero seguito il loro corso, e quindi aspettare che Naruto-chan si decidesse a farsi comandare dalle sue emozioni, quindi dal Kyubi, ovvero da me, mentre d’altra parte mi mancava sentire il sapore del sangue in bocca.
Avrei dovuto trovare il modo di conciliare le due cose, e forse avevo un’idea che valeva di pena di prendere in considerazione: avrei agito su due fronti; da un lato, avrei stimolato il caro dobe, continuando a irritarlo col mio comportamento pressoché incomprensibile, mentre dall’altro lato avrei agito di persona.
Mi restava soltanto da decidere quale amico di Naruto scegliere quale fosse il momento adatto per entrare in azione. Lasciare che trascorresse qualche giorno era l’ideale: quando la ferita smette di sanguinare si cicatrizza, però se la si stuzzica e si scava a fondo, ne uscirà ancora più sangue di prima.
Avrei permesso a Naruto di guarire, prima di colpirlo a fondo.
 
 
*   *   *
 
 
Avrei voluto bloccare il tempo, poterlo afferrare e stringerlo tra le dita. Le giornate sembravano trascorrere fin troppo presto, un susseguirsi di sorgere e tramontare del Sole.
Eppure, i minuti sembravano eterni, e solo guardandosi alle spalle ci si rendeva conto che l’eternità era, piuttosto, quella che si stava dileguando pian piano.
Cercavo di evitare quanto più possibile di parlare con Sasuke, cosa che, da quando la nostra convivenza forzata era cominciata, era già successa chissà quante volte e, come ogni volta, cercavo di convincermi a muovere il primo passo, perché ero io quello che aveva da guadagnare dalla scommessa, e molto più di quanto ne avesse Sasuke.
Stupidamente, arrivai anche a domandarmi se Sasuke avesse pensato alle mie parole…
Il rumore della porta che si apriva mi fece sobbalzare.
Mi voltai e vidi Sasuke, intento a uscire. Mi aggrappai al divano e mi sollevai sulle ginocchia. «Dove avresti intenzione di andare?» domandai.
«Non devo più domandare il permesso per uscire fuori a fare una passeggiata, Naruto-chan» rispose pacato e ironico insieme.
Risentire la sua voce dopo un po’ di tempo – periodo pieno di assensi, dissensi e frasi mai pronunciate – mi faceva uno strano effetto.
Era sempre come la prima volta che l’avevo sentita dopo essermi accorto di provare qualcosa per lui.
«Ehi, ehi, aspetta!» mi allarmai, e lo raggiunsi velocemente, rischiando anche di inciampare nel tappeto. «Pensi davvero che ti lasci andare da solo? Tu? Chissà cosa potresti combinare.»
«E tu pensi forse di riuscire a fermarmi? Ne avresti la forza, debole umano?»
Mi frapposi tra Sasuke e la porta. «Dai del debole umano a me, ma chi è il più codardo tra i due?» Una goccia di sudore mi scese dalla fronte e me la rigò. Non riflettevo mai prima di parlare, e se lo facevo in presenza di un individuo normale, al massimo sarei potuto sembrare maleducato, però con Sasuke il discorso era molto diverso. Dimenticavo troppo facilmente chi lui fosse in realtà e quali capacità avesse. Se l’avessi provocato troppo, sarebbe stato capace di farmi scoppiare la testa anche con uno schiocco di dita. Dovevo forse ricordarmi che avevo un demone dentro di me a causa sua? Anche perché, per quanto cercassi di non ricordare che c’era un mostro nel mio stomaco che avrebbe potuto sovrastarmi all’istante dopo un solo mio piccolissimo errore, quando la consapevolezza di ciò mi colpiva in pieno, non potevo fare a meno di sentirmi malissimo, in panico addirittura.
«Perché mi dai del codardo?» chiese sottovoce dopo aver notato che esitavo un istante di troppo.
«Che ti passa per la mente? Perché non giochi a carte scoperte? Sei un vigliacco, ecco cosa! Mi chiami debole, mi dai dello stupido, credi di essermi superiore, ma non fai altro che descrivere ciò che tu sei realmente!» stavo urlando, alla fine stavo per perdere il controllo.
Mi sentivo diviso: una parte di me mi implorava di continuare, perché era da troppo che tenevo tutto dentro; un’altra parte della mia coscienza desiderava tacere, perché il rischio era troppo grande, perché Sasuke era capace di farmi perdere la pazienza anche solo guardandomi, e non era il caso, dato che mi era chiaro, ormai, che il demone si mostrava di pari passo al crescere delle mie emozioni; una terza parte ancora, poi, temeva la potenza dello Spettro, e aveva la paura cieca di essersi spinta troppo oltre.
Fui vagamente consapevole del pavimento che si avvicinava velocemente a me e delle ginocchia che cozzavano con le mattonelle. La testa stava per scoppiarmi, come se da ambo le parti, in prossimità delle tempie, me la stessero schiacciando. E più le mie mani pressavano su di essa e più il dolore aumentava.
Urlavo, ma non mi sentivo.
C’era Sasuke davanti a me, lo sapevo, però non lo vedevo. E non lo vidi, non lo distinsi se non quando la morsa alla testa passò e io mi accasciai a terra, tremante ma ancora cosciente. Con enorme sforzo mi sollevai sulle ginocchia.
Sasuke si abbassò fino a me. «Ripetilo» sorrideva. «Hai il coraggio di ripeterlo, Naruto-chan? Oppure hai paura?» Era calmo adesso, ed era proprio la sua calma a spaventarmi.
Mi sollevò per il mento finché il mio viso non fu estremamente vicino al suo. Era in momenti come quelli che mi domandavo per quale motivo il mio cuore non smettesse di battere anche per Sasuke. La domanda risuonava martellante dentro la mia testa, rintoccava: perché non lo odiavo, diamine? Perché quello che continuavo a provare per lui era sempre e solo delusione e non puro odio?
Perché?
Mi strattonò. «Naruto-chan, rispondi! Hai paura?»  
«Forse, ma perlopiù sono deluso. Tuttavia non è mia intenzione arrendermi…» mormorai col fiatone. Le dita mi tremavano, le ginocchia anche; il freddo era ovunque e mi stringeva nella sua morsa. Mi riusciva difficile non lasciarmi cadere giù.
Rise. «Ma allora non capisci che è tutto completamente inutile? Hai già perso!»
«…Riuscirò a salvarti, te lo prometto. Altrimenti sì, avrò perso davvero. Avrò perso tutto.» Mi guardò stupito come non si era mai mostrato. «Capisco… capisco che c’è ancora speranza per te» sorrisi. «No, non guardarmi così, con scherno, non servirà a farmi demordere. Riuscirò a tirarti fuori da questo baratro, Sasuke, anche se i tuoi modi di fare sembrerebbero smentirmi. Non credere che io sia viziato, che voglia tutto. Se ti dico questo è perché sono convinto di esserne in grado.» Mi sforzai di avvicinarmi a lui, o meglio, di tirarlo verso di me, dato che non potevo muovere la testa. Sfiorai le sue labbra solo per un secondo, e sperai bastasse per fargli capire che non lo avrei abbandonato.
Mi lasciò andare e, senza forze, caddi sul pavimento gelido.
Lo vidi uscire. La porta si chiuse alle sue spalle producendo un tonfo sordo.
 
 
*   *   *
 
 
Delusione? Delusione?
Non riuscivo a togliermi dalla mente quella parola, non ne capivo il senso effettivo.
Non capivo più Naruto. Per quanto volessi illudermi di esserne il padrone e di comandarne ogni singola movenza, più trascorreva il tempo e più mi rendevo conto che la situazione mi stava sfuggendo di mano.
Respirai a fondo, gesto che mi sembrava strano, dato che il mio vero respiro era venuto a mancare da moltissimo tempo. Cercai di ragionare, di tranquillizzarmi.
Per cosa e perché dovessi tranquillizzarmi, però, non lo sapevo. Era un insignificante e piccolissimo dettaglio che mi sfuggiva e che, perciò, mi faceva andare in bestia.
Naruto-chan, no, non potrai fare nulla. E salvarmi, poi! Vorresti salvarmi? E da chi? Da me stesso? Io sono questo, sono l’odio, sono io stesso espressione della mia vendetta! Sono io che la voglio, capisci? Mai come in questo momento sono completamente padrone delle mie azioni. Nessuno può dirmi cosa fare, non lo sopporto. Non posso sopportarlo, non quando loromi hanno costretto a uccidere la mia famiglia e a uccidermi. E non osare mai più chiamarmi codardo, mai più!
Non volevo ricordare, non volevo ma non potevo fare altrimenti.
Le ultime voci che mi avevano accompagnate verso l’aldilà… loro avevano detto lo stesso, mi avevano dato del vigliacco.
Mollare è sempre la soluzione più semplice, che viene scelta da colui che è incapace di lottare; che non sa farlo, che non sa difendere ciò che gli appartiene, che non lo merita, mi aveva detto.
Rimbombavano forte, quelle parole, sempre. Rimanevano latenti, e solo quando i ricordi mi assalivano mi ritornavano alla mente. E Naruto aveva fatto l’errore che non avrebbe mai dovuto commettere.
Me l’avrebbe pagata.
Contro di lui non potevo agire, avevo già rischiato molto, prima. Non potevo fargli del male perché, altrimenti, avrei ucciso anche il Kyubi dentro di lui, e allora addio al mio piano.
Tuttavia – ghignai – nessuno mi impediva di prendermela coi suoi amici, con loro che non potevano difendersi.
Sei un vigliacco!
Scossi il capo con violenza, come se così facendo potessi allontanare le urla che Naruto mi aveva rivolto. Non poteva aver smosso qualcosa dentro di me, no! Ero vuoto, ormai, me ne ero fatto una ragione da troppo tempo. Non ero altro che un guscio pieno di cattivi propositi e di sete di sangue.
Era la mia esistenza, quella. La mia falsa esistenza.
Improvvisamente, la stessa sensazione che mi colpiva quando ero in vita mi attanagliò; sentivo il bisogno di sentirmi vivo, una strana sensazione simile al desiderio di sentirsi legato a qualcuno, qualcosa; di appartenere al mondo dei viventi.
D’istinto.
Desideravo ferirmi, e non per punizione per i miei errori – non ne stavo commettendo.
Con mio sommo disappunto, adocchiai la mano destra che tremava. L’afferrai con l’altra, per il polso, così che potessi tranquillizzarla, tranquillizzarmi.
Gliela avrei fatta pagare molto cara, mi dissi, me lo promisi, ma avrei dovuto attendere. Alla fine sarei stato l’unico vincitore di quel gioco assurdo, e se Naruto necessitava di una conferma riguardo la mia reale voglia di vendetta, beh, l’avrebbe avuta.
Non avevo il bisogno di essere salvato da nessuno, io, e lui l’avrebbe capito a caro prezzo.
Sapevo per esperienza che il dolore più intenso si prova quando viene intaccata l’incolumità di chi ci sta a cuore. Ebbene, se prima avevo pensato di procedere meno violentemente, soffermandomi su gelosie e giochetti umani, a quel punto avrei agito diversamente, lasciando che Naruto capisse il vero significato della sofferenza.
L’avrei condotto nella mia realtà, l’avrebbe provata tutta.
Non sarebbe più stato Naruto Namikaze, ma Sasuke Uchiha, quello che ero stato.
E tutti, li avrebbe persi tutti uno a uno, pagando per la sua sfrontatezza nei miei confronti. Ma ucciderli probabilmente non era abbastanza, no. Lui doveva vederli soffrire, com’era giusto che fosse.
Ghignai di nuovo.
Non avrei cominciato quella sera, però.
Desideravo tornarmene a casa, verificare che quell’idiota stesse bene e organizzare al meglio i miei piani. E così mi incamminai, col vento che mi passava per i capelli ma che in realtà non si faceva sentire sulla mia pelle morta.
 
 

 




 
 
Spero si stia capendo di più, adesso! ^///^
Ho messo anche il punto di vista di un Sasuke che, come avete letto, sta un po’ cambiando, Qualcosa in lui si sta muovendo grazie a Naruto! ^___^
Per l’azione vera e propria, vi aspetto al prossimo! ^.-
Ringrazio: chi legge&commenta(10 la scorsa volta, vi adoro *^*), chi preferisce(23), chi ricorda(7) e chi segue (79)

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Scoperte ***


Capitolo 12: Scoperte
 





 

 

      Il silenzio che si era creato tra noi era decisamente snervante, lo odiavo.
Cambiai canale per l’ennesima volta, sperando di trovare una trasmissione, un documentario, un qualsiasi cosa, che riuscisse a distrarmi. La mia ricerca non ebbe esiti accettabili, tant’era che il pollice pigiava ripetutamente sul tasto, così che i diversi programmi scorressero uno dopo l’altro.
Era trascorso esattamente un mese dall’arrivo sconvolgente di Sasuke nella mia vita, e la situazione, se così si poteva dire, era addirittura peggiore di quell’inizio che mi aveva visto incapace anche di parlare, a momenti, con lo Spettro. A non essere mutato era l’odio che provavo per lui; più le lancette dell’orologio si muovevano, inesorabili, e più tentavo di convincermi che quello che gli avevo detto, ovvero che l’avrei salvato da se stesso, fosse stata una stupida bugia. Combattevo contro me medesimo, contro quel chiodo fisso e fastidioso che – ancora, maledetto – mi ricordava della vita passata di Sasuke, dicendomi che, in un modo o nell’altro, avrei potuto salvarlo, fare qualcosa per lui. Ma davanti all’evidenza dei fatti, davanti a un Sasuke che faceva di tutto per essere abbandonato al suo destino, non potevo non chiedermi uno schietto “ma chi me lo fa fare?”.
Se almeno quell’ossessione pulsante avesse potuto dirmi come fare… o che, allora, smettesse di ricordarmi dei miei sentimenti per Sasuke, perché sia amarlo che sopprimere il bisogno di amarlo stava divenendo troppo, per me. Troppo doloroso, e io ero stufo.
Stanco a morte di vivere una vita sofferta.
Accucciai la testa fra le ginocchia e abbassai le palpebre. Mi morsi le labbra con forza, cercando di reprimere, grazie alla sgradevole sensazione del sangue che mi colava in bocca, le lacrime che volevano scendermi dagli occhi.
Dentro di me, Kyuubi si mosse.
E mi spaventava la consapevolezza che no, non era la prima volta che accadeva. Avevo capito – perché avevo imparato a cavarmela da solo, senza l’intervento delle delucidazioni alquanto scarse di Sasuke – che prima o poi il Kyuubi si sarebbe mostrato comunque, a prescindere o meno dalle mie emozioni.
Un mostro terribile, ecco cosa stavo diventando.
 
«Né, Naruto-chan, che succede? Mi sembri… strano!» proruppe Sasuke, derisorio come al suo solito. Dopo qualche pomeriggio di rabbia folle verso i miei confronti, era ritornato più o meno lo stesso di sempre. E forse era anche errato definirlo tale: Sasuke non era mai lo stesso, come se avesse una doppia o tripla personalità. Infiniti volti.
«Non voglio parlarne» risposi semplicemente, intento a risolvere senza reale interesse un sudoku dietro al giornale, gioco che, per la verità, non aveva mai attirato la mia attenzione, in passato. Eppure, mi sentivo come se fossi in fin di vita, avvertivo la linfa vitale scorrermi nelle vene a velocità impressionante, e confluire verso il Kyuubi. Come se si stesse trasferendo. Probabilmente, più che della mia vita, si trattava della mia coscienza, della mia volontà. In un certo senso, vita e volontà non erano troppo diverse tra loro; l’una sopperiva senza l’altra.
«Il secondo livello del nostro gioco non è ancora cominciato, e tu già ti dai per vinto?» Apparve alle mie spalle rapidissimamente e mi afferrò il collo con le sue mani gelide come il ghiaccio, così che potessi guardarlo negli occhi. Che vidi, nei suoi occhi, non lo sapevo nemmeno io. Di certo, ed era in atto una pratica forzata di autoconvinzione, non c’era nulla del sentimento che avrei voluto trovare, anche se in quantità minima, per me. «Non avevi detto di volermi salvare, mh?» continuò.
«A te nemmeno interessa essere aiutato.»
«Complimenti per averlo capito solo adesso, dobe» sussurrò in prossimità delle mie labbra e, per quanta forza avessi impiegato per tirarmi all’indietro, la sensazione della sua bocca sulla mia si fece sentire lo stesso. Non volevo più sentirla, volevo che mi diventasse estranea. Anch’essa, infatti, faceva troppo male.
Fu un lampo. Mi accorsi che qualcosa non andava, in me; del torpore lungo le membra, le palpebre pesanti, come un sonno improvviso.
Non mi ci volle molto a capire che, come per la maggior parte delle cose che mi stavano succedendo, la causa era da ricercare in Sasuke. Inoltre, la sua espressione soddisfatta era una prova più che schiacciante.
Mi aggrappai al divano e strinsi le dita, sperando così di non svenire, di mantenermi sveglio e di impedire a Sasuke di fare qualsiasi cosa avrebbe voluto fare.
Mi fu impossibile anche pronunciare una sola sillaba.
«Scusami, dobe, ma era necessario. Non ti decidevi a perdere i sensi da te.» Alzò le spalle come se niente fosse. «Ti auguro un buon sonnellino ristoratore.»
Furono le ultime frasi che udii, poi caddi giù come il corpo senza volontà che sarei presto diventato.
 
 
*
 
 
Semplicemente, a Naruto stavano sfuggendo le cose di mano, a una a una, già da un po’, senza che nemmeno se ne rendesse conto, quello stupido. Il tutto era cominciato col nostro bacio, il giorno del lavoro coi bambini. La cosa assai curiosa, però, era che mi ero fatto artefice di parecchi avvenimenti che lui aveva ritenuto causali, come il fatto che all’amica di quella ragazza, Ino, fosse servito un babysitter proprio nel momento in cui a Naruto necessitava un impiego. E quella stessa sera anche i bambini avevano avuto bisogno di una spinta morale per permetterci un bacio. Insomma, avrei potuto baciarlo in ogni momento, quello lì, ma avevo fatto in modo che gli avvenimenti sembrassero quanto più casuali possibili. E, modestia a parte, ci ero riuscito perfettamente.
Avevo anche fatto sì, ovviamente, che gli amici di Naruto sparissero dal giorno del suo compleanno fino alla festa di dieci giorni fa.
Il terreno era stato preparato al meglio, ora bisognava soltanto raccoglierne i frutti polposi.
Era il momento di mettere in atto, dunque, un’altra parte del mio piano, quella che prevedeva la grande sofferenza di Naruto e la mia somma gioia. Del resto, lui meritava soltanto dolore.
«Buonasera Sasuke!» mi accolse Sakura quando mi vide arrivare. Anche nei suoi confronti c’era stato il mio intervento. Appena l’avevo vista, la prima volta, avevo colto la sua timidezza e la sua sorpresa nel vedermi, e avevo appuntato che mi sarebbero servite; detto fatto: col bacio dell’altra volta mi ero avvicinato tanto a lei da sottometterla, in parte, alla mia volontà, visto che le avevo, probabilmente, fatto pensare di essere innamorato di lei.
«Ciao Sakura» salutai di rimando. Mi sforzai di sorridere, ma mi riusciva poco. Pazienza.
Lei abbassò subito lo sguardo quando i miei occhi incontrarono i suoi. «Non pensavo che… che avresti accettato di uscire con me.» Arrossì.
Stavolta risi, non potei fare altrimenti. «E perché non avrei dovuto, Sakura?» le sussurrai silenziosamente, alzandole il mento e facendo in modo che mi guardasse.
Che ragazzina sciocca, che era. Era tutto troppo semplice, con lei. Ma sarebbe stato ugualmente divertente, sì, quando le avrei fatto del male.
Sakura non perse tempo e, superando il disagio iniziale, si aggrappò al mio giubbotto e, dopo essersi alzata in punta di piedi, mi baciò. «Ci conosciamo da pochissimo, Sasuke-kun, però… però, io credo di sentire qualcosa di profondo per te» balbettò confusa e, abbassando gli occhi, poggiò la fronte sul mio petto, in prossimità del cuore che non mi apparteneva. «Non vorrei, però, che mi prendessi per una sciocca» continuò.
La costrinsi nuovamente a fissarmi e, dopo averle poggiato l’indice sulle labbra intimandole di smetterla con quelle sue paranoie, la baciai di nuovo.
Fu duro da portare a termine il mio gesto ma, tornato a casa, avrei avuto con che sciacquarmi la bocca. Inoltre, il sangue che sarebbe sgorgato dal corpo di Sakura, sarebbe stato una sensazione ancora più inebriante dello schifo che stavo provando.
 
 
*
 
 
Era successo di nuovo; Sasuke mi aveva addormentato ancora un’altra volta. Ma era impossibile prevedere le sue mosse e annullarle. La prima volta mi aveva preso alle spalle, sì, mentre la seconda, proprio due sere prima, aveva semplicemente approfittato di una fitta che avevo sentito allo stomaco – secondo me, causata dallo stesso Sasuke – e aveva soltanto sfiorato la pancia, sopra alla felpa che indossavo.
E di nuovo “sogni d’oro”.
«Che cosa hai combinato mentre dormivo?» gli chiesi per l’ennesima volta. Quando mi ero svegliato quelle due volte, infatti, non avevo ricordato nemmeno un particolare, né mi era stato detto alcunché.
«Niente di grave, te l’ho già detto, dobe» mi rispose, lisciandosi i capelli spettinati – era mattina, e si era appena svegliato – con la mano. «Anzi, non ho fatto assolutamente nulla.»
«E spiegami perché mi hai addormentato, allora!» urlai, saltando sul letto e avvicinandomi a lui. Il Kyuubi graffiò quando alzai la voce, come muto avvertimento della sua presenza.
«Dovresti ringraziarmi, piuttosto. Dormendo, hai evitato di scervellarti su una causa già persa.»
Non mi arresi alle sue provocazioni. Mi morsi le labbra dal nervosismo e serrai i pugni. «Ho la pessima sensazione che te la stia prendendo coi miei amici» affermai nervoso, e scossi la testa. Mi sentivo impotente.
«E allora, dato che lo sai già, che senso ha domandarmelo?»
«Te l’ho detto mille volte, loro non c’entrano con la nostra scommessa!»
«Potrai dimmelo anche altri milioni, di volte, ma sarò sempre io a dettare le regole di questo gioco, qui» rispose tranquillo. «Hai sbagliato a darmi del codardo, l’altr volta, Naruto-chan» sussurrò a denti stretti. Cercava di nascondere la sua rabbia, di mostrarsi completamente tranquillo, ma non lo era del tutto. «Pagherai per questo.»
Rabbrividii.
«Anzi» riprese quasi urlando, facendomi sobbalzare «ormai è inutile nascondertelo, tanto non potresti ugualmente far nulla per evitarlo» rise di un riso psicotico, pazzo. Uno dei suoi infiniti volti si stava mostrando, ed era quello che mi piaceva di meno. In quel momento, Sasuke avrebbe potuto fare e farmi qualsiasi cosa. «Mi sono stufato di restare a guardare, Naruto-chan, di lasciare che sia solo tu a divertirti» e quando puntò lo sguardo alla pancia, seppi che stava parlando del Kyuubi «per cui ho deciso di passare al secondo atto, di entrare in scena come attore protagonista. E sai cosa vede in programma, questa tragedia, prima dell’atto finale in cui tu sarai completamente mio?»
Si interruppe per alcuni secondi, simbolicamente, e in quelli riflettei sul “completamente mio”, credendo che alludesse alla scommessa, ritenendosene già vincitore. Qualcosa, però, mi suggeriva di non fidarsi della mia prima intuizione e di indagare più a fondo.
«Prevede una vittima, Naruto-chan, e sarà proprio la tua cara Sakura-chan, una delle persone a cui tieni di più.»
Raggelai.
No, non volevo, Sakura-chan no! Nessun mio amico, nessun’altro! Konoha aveva sofferto anche troppo, e io con essa. Non ne potevo più, non ce l’avrei fatta a sopportare un’angoscia simile!
Sasuke alzò la testa in alto e rise forte, come quando, come avevo potuto sfortunatamente vedere, da piccolo era posseduto dagli spiriti. Per un secondo mi chiesi se fosse stato meglio trovarsi di fronte a un Sasuke indemoniato, e quindi a un nuovo nemico che non conoscevo proprio, o a quel Sasuke impazzito del tutto. Nonostante tutto non mi persi d’animo e scossi lo Spettro per le spalle, rendendomi sordo alle sue risa di gioia, nell’immaginare l’omicidio che, se non lo avessi fermato, avrebbe commesso.
«Cerca di ragionare, coraggio!» urlai, provando a sovrastare la sua risata demoniaca. «Non è tutto perduto, non ancora, non lo è! Salvati, Sasuke, non compiere un altro passo verso l’oblio, ma fermati! Ricorda della tua sofferenza: perché infliggerla agli altri? Non ha senso, non risolveresti nulla! La vendetta è inutile, Sasuke!»
Si fermò alle mie ultime parole, ma ebbi la sensazione che, differentemente da quello che aveva voluto far intuire, avesse ascoltato tutto il mio discorso. «Inutile?» mormorò paurosamente ironico e mentalmente instabile. «Non ha senso far patire agli altri il loro stesso dolore? E dimmi, allora, non vorresti farmi provare ciò che il Kyuubi, ultimamente, ti sta facendo sentire?» mi chiese alzando un po’ il tono di voce. «Avendone la possibilità non lo faresti? Sono stato io a sottoporti a questo supplizio, a renderti, presto o tardi, solo il ricordo di ciò che sei ora, a farti soffrire… e tu non vorresti imprimermi la stessa maledizione, se ne fossi capace?»
Ci misi un po’ a rispondere. «Non escludo che ti odio» ammisi a voce bassa, senza guardarlo negli occhi vuoti «ma allo stesso tempo una parte di me ti ama ancora, Sasuke. Quindi non so se…»
«Non tergiversare!» gridò, e la forza delle sue parole mi spinsero dritto contro il muro. Finii a terra, dolorante. «Non mi imbrogli, Naruto-chan, so che lo faresti, così come lo farebbe qualsiasi altro essere vivente. Credi che mi stia consumando? Cosa potrei consumare, visto che la mia vita è stata già vissuta? Questa è solo una seconda occasione, la possibilità che mi è stata data di vendicarmi contro coloro che mi hanno inferto tutto quel male!»
«Sasuke» sibilai, avvicinandomi di nuovo a lui, sul letto. Avevo paura, e una parte di me mi diceva di lasciarlo perdere e non insistere, ma l’altra parte del mio carattere, quello testardo, ereditato da mia madre, mi obbligava a persistere. «Sono sicuro che non mi hai mostrato tutto, del tuo passato.» Allungai una mano tremante e gliela passai sul volto, attendendo di essere scacciato.
I lineamenti del suo viso si ammorbidirono fin quando la sua espressione non mi parve quasi triste. Dopodichè, balzò giù dal letto con l’agilità di un felino e si allontanò da me.
Non avrei mai dimenticato quell’espressione abbattuta sul suo volto, come di chi, stanco, non desiderava altro che tornarsene al riposo eterno.
 
 
*
 
 
Aveva una testa dura, quel Namikaze. Dannato, lui e la sua maledetta famiglia!
Io ero stato designato dal mio clan, loro mi avevano scelto affinché adempissi al mio ruolo e non per essere fermato da colui che, in teoria, avrebbe dovuto aiutarmi nel mio scopo. Perché sì, quale modo migliore per assicurarsi una vittoria schiacciante, se non quello di divenire alleato di chi volevo uccidere? Sarebbe stato unico ammazzarli uno a uno grazie a uno di loro.
 Ghignai al pensiero, e finsi di rincuorarmi, staccando lo sguardo dalla mano, reggente un coltello preso dalla cucina, che tremava maledettamente.
 
 
*
 
 
La vicenda diventava sempre più insidiosa, e la paura – sia quella di morire per mano di un Sasuke sempre più instabile, sia quella di perdere la mia volontà per via del Kyuubi, che, infine, quella che Sakura potesse essere uccisa – cresceva a dismisura, a pari passo con la curiosità di sapere di più su Sasuke.
Erano passati alcuni giorni, durante i quali avevo tenuto d’occhio lo Spettro, osservando, piacevolmente, che sembrava meno interessato a Sakura, visto che non aveva tentato di addormentarmi, né di uscire con lei.
Boh, non lo avrei mai capito del tutto, e forse nemmeno parzialmente.
Mi serviva il momento giusto per andare in biblioteca, anche se, tuttavia, non potevo permettermi di lasciare Sasuke da solo, a casa, o, peggio, in compagnia di qualche mio amico. Avevo riflettuto parecchio, ed ero arrivato alla conclusione che Sasuke non ce l’aveva con Konoha stessa, ma con me. Era stata una sensazione improvvisa, una specie di pulce nell’orecchio messami da chissà quale Kami, che poi, però, era diventata un’ossessione, distraendomi persino dal Kyuubi, a volte.
Però era impossibile uscire tanto quanto lo era ricavare informazioni dallo Spettro stesso. Anche perché necessitavo di nozioni sulla mia famiglia, piuttosto che sulla sua. Sapevo dell’esistenza di alcuni scaffali, in biblioteca appunto, dedicati alle origini di alcune delle più antiche famiglie di Konoha, scaffali che avevo ogni volta evitato accuratamente, dedicandomi per di più all’occulto, visto che avevo a che fare coi fantasmi.
D’un tratto mi venne un’idea. Sì, si sarebbe scocciato a vita e mi avrebbe definito seccatura anche nella tomba, ma mi urgeva il suo aiuto. Era l’unico a cui potevo rivolgermi senza che si rivoltasse mezzo mondo. Se ne avessi parlato con Kiba, infatti, avrei dovuto fornirgli chissà quante e quante spiegazioni.
Approfittai del fatto che Sasuke sembrava distratto – lo era dal giorno della nostra conversazione… sentivo anche che Kyuubi era meno potente, su di me, e la cosa mi rincuorava – e acchiappai il cellulare – che avevo ritrovato in un cassetto, sepolto sotto i vestiti – e scrissi un sms a Shikamaru.
 
Non chiedermi spiegazioni, per favore, un giorno ti dirò tutto. Mi serve un favore: dovresti cercare per me quante più notizie possibili sulla famiglia Namikaze, okay? So che per te sarà una noia, e che ti sono debitore a vita. Scusami, Shika, ma non sapevo proprio a chi rivolgermi! Non rispondermi e non chiamarmi, tranne se scopri qualcosa. Grazie Shika!
 
Rilessi velocemente e inviai senza pensarci due volte.
Mi voltai tremante al pensiero che Sasuke avesse potuto vedermi, ma, per mia fortuna, lo vidi seduto al solito posto, fermo a fissare il vuoto.
Non fui felice del suo dolore.
Chissà che cosa avevo riportato a galla quando avevo citato il suo passato…
Scossi la testa e mi battei le mani fredde in faccia; non dovevo farmi coinvolgere emotivamente, non più di quanto non lo ero già.
Volevo essere qualcosa a parte da Sasuke, eppure… il desiderio di salvarlo era più forte di tutto, anche del Kyuubi stesso. La posta in palio non erano più solo i miei genitori, ma anche la felicità di Sasuke.
Non sapevo come dovermi comportare, cosa dovergli dire, cosa fare, così mi lascia guidare dall’istinto e mi avvicinai a lui.
«Chiamami egoista, Sasuke, o bugiardo, se preferisci» mormorai «ma adesso sono sicuro di sapere rispondere alla tua domanda.»
Lo Spettro mi guardò da sopra la spalla, nei suoi occhi c’era finto gelo, sapevano più di uno straziante dolore che di odio. Non voleva perdere la sua immagine, evidentemente, ma notai lo sforzo che fece per aggrottare le sopracciglia per mettere su quell’espressione che, solo qualche giorno prima, gli era tanto naturale.
Non parlò, ma aspettò che fossi io a continuare.
«Sebbene tu abbia fatto tanto, troppo, contro di me, non vorrei fartene subire nemmeno la centesima parte.» Strinsi denti e pugni. «Ti odio» gli ricordai nuovamente, con asprezza tangibile «ma continuo a non sopportare più di vederti in questo stato. Potrai anche ridere, poi, ma ti giuro fermamente che ti salverò, Sasuke. Ma tu continua pure a disprezzarmi, se vuoi, vedremo quale delle nostre volontà è la più forte. E sappi che già sento» e poggiai la mano sulla pancia «che la tua si sta indebolendo.»
E Sasuke non rise ne si espose.
C’era stasi tra noi, perché ognuno era troppo perso nei propri pensieri.
Avrei dovuto approfittarmene prima che fosse troppo tardi. Dovevo gestire Sasuke finché Shikamaru avesse concluso le ricerche. Poi, sapendo a cosa mi avrebbero portato, mi sarei regolato di conseguenza.

       

 















 
 

Salve! *^*
Sono esattamente le 2:28 e sto scrivendo le note di questo capitolo! Diciamo che, in parte, è un capitolo di sintesi, con quale spero di aver chiarito alcune cose lasciate un po’ in sospeso (anche se so che, magari, ho aperto altri dubbi –w-). Ma è questione di tempo, fidatevi! Ù----ù
Sasuke si riprenderà? Starà fingendo per far abbassare la guardia a Naruto o stavolta è davvero scosso? E da che cosa, se lo è?
Uuuuh, e quante domande ci sarebbero! Cx
Intanto, ringrazio:
-chi legge&commenta;
-chi preferisce(25);
-chi ricorda(7);
-chi segue(86);

 
Un bacione, grazie! ^-----^ 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Un tuffo nel passato… di nuovo! [Prima Parte] ***


Capitolo 13: Un tuffo nel passato… di nuovo! [Prima Parte]
 

 





 

Odiavo alcuni miei atteggiamenti, perché rischiavano di mettermi nei guai, di farmi trovare con le mani nel sacco. Ebbene, uno di quelli era proprio l’ansia crescente, la voglia di fare qualcosa e l’incapacità di starmene calmo.
Tutto mia madre, sicuramente.
Lanciai nuovamente un’occhiata al display del cellulare, notando con disappunto che non si era illuminato nemmeno stavolta.
Ma quanto ci impiegava Shikamaru?
Poi, chissà, in realtà non c’era niente da scoprire ed ero stato solo io a convincermi di qualcosa di sbagliato, di qualcosa che non esisteva, come qualche collegamento tra la famiglia Uchiha e la mia. Non ero stato completamente chiaro con Shikamaru, chiedendogli direttamente di ricercare delle correlazioni con il cognome Uchiha, ma gli avevo lasciato campo libero – ovvero più lavoro da fare – proprio per non insospettirlo. Anche se sicuramente già sospettava qualcosa.
Sospirai, sistemandomi meglio sul divano.
Se era vero che la situazione apparentemente rimaneva stabile da qualche giorno, era altrettanto vero che io non me ne ero stato con le mani in mano – come già detto, non lo sopportavo. Certamente, preferivo l’azione al pensiero, però, in un caso del genere, non avevo potuto muovermi differentemente. Così, ero giunto a due conclusioni magari scontate che riguardavano il Kyuubi: la prima, ovvero che non dipendeva soltanto dalle mie emozioni, ma anche dal potere di Sasuke; e, la seconda, visto che percepivo il calo della potenza del Kyuubi, Sasuke non doveva trovarsi nel suo periodo migliore. Si stava indebolendo, e per me sarebbe stato un vantaggio.
Mmm… considerato, inoltre, come aveva reagito al mio “non mi hai detto tutto del tuo passato”, sicuramente quello che non mi aveva detto doveva essere sconvolgente, molto importante. Ed era qui che entrava in gioco Shikamaru.
Dovevo resistere a quel senso di immobilità che mi stava uccidendo dentro e aspettare. Da più di un mese, cioè da quando avevo incontrato Sasuke, c’erano state soltanto poche manifestazioni di esplosioni, ma la vera bomba stava per scoppiare, non poteva mancare troppo. E chi poteva sapere se ne fossi uscito indenne, martoriato o se non avessi più visto la luce del Sole.
Attendere, attendere e attendere… solo questo.
Ah… e anche sperare che non succedesse nulla, nel frattempo.
 
«Ci ho pensato a lungo.»
E non era affatto una cosa positiva!
«E mi è venuta un’idea che potrebbe essere interessante, per te.»
Ma perché Sasuke doveva per forza pensare quando non agiva? E, soprattutto, perché doveva pensare a qualcosa che, quasi sicuramente, sarebbe stato spiacevole?
«Declino ogni invito, grazie» risposi ridacchiando nervoso. Contrastavo incredibilmente col tono serio e tranquillo di Sasuke, che parlava con me e di me, ma aveva lo sguardo fisso da tutt’altra parte.
«E’ solo per movimentare le cose» si giustificò con una scrollata di spalle. «Ti annoieresti altrimenti. Anzi, non ti stai già annoiando?» Non c’era espressione nella sua voce.
«Se devo essere sincero non sono mai stato meglio!» esclamai con entusiasmo.
«Va bene…»
Scioccamente tirai un sospiro di sollievo.
«…Mi spiace dover interrompere la tua fase di benessere, ma non ci puoi fare nulla. Ormai ho già deciso» riprese. «E la tua opinione non potrebbe cambiare nulla.»
«Perché non rimandiamo di un paio di giorni?» Provai a tirar la corda, sperando che non si spezzasse.
«Affatto.»
E potei vedere il display del cellulare illuminarsi, prima che un’immensa e accecante luce bianca mi colpisse e mi avvolgesse.
Maledizione!
 
Ero finito in un luogo strano. Apparentemente sembrava una normale campagna, uno spazio verde scuro immenso, però nell’aria si sentiva forte il tanfo di un pericolo imminente. Si trattava di un odore che avvelenava dapprima le narici, per poi percorrere le vie respiratorie e infettare man mano ogni organo con cui veniva a contatto.
Sotto la spinta di quel vento maledetto, le chiome spoglie degli alberi si muovevano, smorte. I rami rinsecchiti sembravano sul punto di spezzarsi, le poche foglie ancora attaccate venivano tirate vie con una forza spaventosa. Eppure, il tutto presagiva soltanto guai, anzi, Sasuke stesso presagiva guai e, visto che era stato proprio lo Spettro a condurmi dovunque fossi, il nervosismo che cresceva in me era più che giustificato.
D’un tratto, mentre mi sentivo perduto e spaesato davanti a quello che mi appariva come l’imminente teatro di una tragedia, qualcuno mi toccò la spalla. Sussultai, e veloce mi guardai alle spalle, aspettandomi di trovare Sasuke.
Beh, chissà se fossi stato più felice se davanti a me ci fosse stato Sasuke col suo ghigno feroce o con la sua espressione indifferente, invece che un ragazzino dai folti capelli neri – che di fisionomia, poi, assomigliava alquanto alla fonte di tutti quei miei guai – che mi fissava con un’espressione indecifrabile. Indossava un’armatura di colore scuro, e in prossimità del cuore e degli altri organi maggiormente sottoposti a possibili danni gravi era posto un giustacuore abbastanza ampio. Teneva una lancia in mano, nient’altro. Parve studiarmi, ma pian piano si rilassò, e io con lui.
«Non sei un Uchiha» osservò pacato, lanciando delle occhiate indagatrici ai miei vestiti. Seguii il suo sguardo, e mi accorsi di non avere i miei consueti abiti, ma qualcosa di molto ma molto più all’antica. Stile Medioevo, più o meno, o almeno lo credevo.
«No» risposi, anche se la sua non era stata una domanda. «Scusami amico, posso sapere dove siamo?» domandai impacciato.
Arginò totalmente la mia domanda. «Se non sei con noi sei contro di noi, suppongo.» Fece una breve pausa, e io attesi col cuore in gola che continuasse. Intimorito, cominciai a chiedermi dove fosse finito Sasuke. «Non dovresti essere qui, è pericoloso» aggiunse poi.
La faccenda mi interessava, anche se ne ero spaventato: ponendo le giuste domande e mantenendo il giusto autocontrollo, sarei potuto venire a capo degli altri misteri che circondavano la figura di Sasuke. Era pur sempre parte del suo passato, questo.
«Perché è pericoloso?» domandai con innocenza.
Il mio interlocutore spalancò di un poco gli occhi nerissimi che, evidentemente, visti i miei precedenti approcci con gli Uchiha, dovevano contraddistinguerli.
«Probabilmente sei straniero, altrimenti lo sapresti.» Si guardò alle spalle, quasi a volersi assicurare che nessuno ci stesse spiando.
Mi accorsi solo in quel momento, dunque, che dietro di noi, a poca distanza, c’era un accampamento. Probabilmente una ventina di tende di media grandezza, tutte vicinissime tra di loro. La scia scura fumo mi suggeriva che era stato acceso un fuoco lì in mezzo. Collegai all’istante tutti i pezzi che mi erano stati dati a disposizione: c’era una guerra lì, e quella mi avrebbe spiegato il modo di fare di Sasuke, forse proprio quella parte del suo passato che avevo visto in precedenza. Il ragazzo di fronte a me, invece, doveva appartenere alla fazione degli Uchiha. Il segreto, ora, stava nello scoprire chi fossero gli avversari.
«Quello che stai vedendo è la nostra base» riprese il soldato, accortosi che la mia attenzione non era più rivolta a lui, ma più lontano, verso le tende. «Siamo accampati qui da chissà quanti giorni, ormai. Ogni scontro riduce sia le nostre forze che quelle dell’avv-» Si bloccò di colpo e mi guardò intensamente, stavolta con un’aria minacciosa. «Potresti essere una spia!» mi accusò. «Meglio che non dica altro» borbottò sottovoce.
Accennai a una risata sommessa. Quel ragazzino – non doveva essere nemmeno troppo grande, poco più di un bambino – non doveva aver calcato i campi polverosi della guerra per molto tempo fino a quel momento, difatti era leggermente inesperto. Ma era proprio la sua innocenza a farmi tenerezza: per quante volte mi chiedessi perché degli innocenti e puri come quel ragazzino dovessero essere per forza immischiate in faccende del genere, non riuscivo a trovare una risposta. Era una cosa che succedeva e basta, di quelle contro cui non si poteva fare nulla.
Mi acchiappò per le braccia e, con una forza che non mi sarei mai aspettato da un corpicino esile come quello, mi inchiodò le mani alla schiena, impedendomi di muovermi per un breve lasso di tempo, giusto finché non riuscii a districarmi.
«Non ho prove per dimostrarti che non sono una spia» dissi sincero. «Ma, magari, potresti farti bastare che, se fossi stato un nemico, non ci avrei messo molto a rapirti e a portarti alla mia base, per farmi raccontare tutto dei vostri schieramenti, visto che sei solo un ragazzino.»
«Non sono un ragazzino!» s’imbronciò. «Sono un uomo io, e combatto per difendere il mio Clan e le persone a cui tengo!» Si batté il pugno sul petto. «E’ un onore per me partecipare a questa guerra.»
Preferii non indagare riguardo alla voglia di un ragazzino di andare incontro a morte certa. Di certo, poteva essere un po’ inesperto e imbranato, ma le sue intenzioni erano nobili – per quanto potesse esserci di nobile nell’andare ad ammazzare gente uguale a se stessi – e la convinzione che leggevo nei suoi occhi era tanta.
Mi sentivo già legato a quel ragazzino, anche se non lo conoscevo affatto.
«E va bene, va bene, non sei un ragazzino» mi scusai canzonatorio. Nonostante mi dispiacesse per la situazione terribile in cui aveva spedito Sasuke, il mio obiettivo principale rimaneva il passato di Sasuke, con la speranza che avessi potuto capire, stavolta, cosa lo facesse accanire tanto contro di me. Chissà, forse i suoi avversari erano, che so, i Namikaze!
«Come ti chiami?» domandai allora, frettoloso nel voler accelerare i tempi, così da poter raccogliere quante più informazioni possibili prima che un Sasuke dispettoso mi riportasse indietro nel tempo proprio quando fossi stato vicino a una verità.
«Mi chiamo Izuna Uchiha, e tu?» chiese di rimando, sospettoso.
«Naruto, io sono Naruto.»
«A che Clan appartieni?»
«Ancora? Non sono una spia!» Come potevo spiegargli che provenivo da un’altra epoca? E come avrebbe potuto credermi, poi?
Mi puntò la lancia contro. «Di quale Clan fai parte?» domandò di nuovo, e la punta della lancia sulla mia pancia riuscì a intimorirmi.
Tanto valeva tentare, no? In ogni caso, dicendo il mio cognome, avrei capito chi erano i nemici degli Uchiha senza mostrarmi troppo interesse e suscitando, così, i sospetti di Izuna.
«Namikaze. Naruto Namikaze» mi presentai completamente.
La punta della lancia non si smosse nemmeno di mezzo millimetro, non indietreggiò né mi colpì. Stava lì, da monito, frattanto che Izuna pensava.
«Non conosco nessun clan Namikaze, nemmeno tra gli alleati dei Senju.»
Tombola! Avrei dovuto ricordare quel semplice nome, sperando che fosse la chiave che cercavo.
«I Senju?» chiesi per maggior sicurezza. «E chi sono?»
«Sono i…» Izuna aveva cominciato a parlare più velocemente, mi sembrava nervoso. Più di una volta si era voltato indietro, verso le tende, mentre parlavamo. «Lascia stare Naruto, dobbiamo andare.»
«Andare, e perché?»
Non feci in tempo a domandarlo che Izuna mi aveva già acchiappato per un braccio e portato tra gli alberi della foresta, dove alcuni alberi potevano ancora vantare di avere foglie e dove i cespugli erano abbastanza alti e i tronchi abbastanza spessi per nascondersi.
Mi scaraventò contro la corteccia di un albero e si mise subito un dito sulle labbra. «Sta’ zitto e non muoverti. Io vengo subito» mi rassicurò, poi tornò dove stavamo prima.
Curioso, gettai uno sguardo verso il largo spazio smorto, e vidi un uomo dall’aspetto giovanile, che somigliava parecchio a Izuna – beh, ma si somigliavano tutti quegli Uchiha?
Izuna era sgattaiolato veloce, muovendosi rapido e agile, tanto che in pochi secondi – il tempo che assimilassi il suo ordine di non muovermi e di non fiatare e che mi voltassi verso la sua direzione – era giunto fulmineo davanti all’uomo.
Mi trovavo troppo lontano per capire cosa si stessero dicendo, però dai gesti potei capire che quello doveva essere un suo superiore. Non che ci volesse molto a capirlo: sarebbe stato strano, infatti, conferire cariche importantissime a un ragazzino tanto piccolo. Lo vidi chinare il capo davanti a quella figura e aspettare che quella, appunto, si allontanasse. Izuna non si mosse di un millimetro, stava sull’attenti come un vero soldato. Rimase rigido alla sua posizione per un po’ – mi parve un tempo infinito, avevo smesso persino di respirare, cominciando a temere di poter essere scoperto –, poi, d’un tratto, con mio sommo sollievo, abbassò le spalle, rilassato. Si voltò verso la mia direzione e, tanto veloce come all’andata, ritornò da me.
«Per fortuna» disse, strusciandosi la mano sulla fronte.
«Ma chi era quello?» domandai, finalmente più tranquillo.
«Quello che h-»
«Ho dimenticato di dirti una cosa, fratellino.»
Sussultai, e Izuna con me. Quel tizio di prima era comparso tra di noi con una velocità pazzesca, inumana. Non avevo urlato solo perché mi stavo abituando a quel comportamento spiritico, visto che il mio ospite era proprio uno Spettro.
«Nii-san!»
«Hai portato un amico, a quanto vedo.» Mi fissò, e non mi piacque. Inoltre, per quanto il suo tono potesse apparire ironico o scherzoso, di ironico e scherzoso non aveva proprio niente. In lui rivedevo quel Sasuke che più mi faceva paura. «E scommetto che ha tanta voglia di farsi un giretto al nostro accampamento.»
No, no, scommetti male, caro mio. Preferisco starmene qua!
«No, nii-san, non è come credi…» Izuna era in difficoltà, e la sua ansia contagiava anche me, totalmente impossibilitato alla parola. «Lui non è una spia, è un mio… mio amico!»
Ecco cosa distingueva un bambino da un adulto: per quanto potesse convincersi di star facendo la cosa giusta per la sua famiglia, un bambino non avrebbe mai saputo uccidere un innocente come lo ero io in quel momento, a differenza di un adulto. Quel tizio, infatti, mi avrebbe ucciso anche in quello stesso istante, me lo sentivo.
Una goccia di sudore mi scese giù per la fronte.
Mai che mi trovassi contro una situazione che mi fosse facile da gestire, eh?
«Ma otouto, è lui a dire ciò forse, e non significa che sia vero, capisci?» La sua voce aveva un qualcosa di ingannevole, incantava, persuadeva, ti avrebbe convinto anche se il suo proprietario fosse stato dalla parte del torto.
«Non lo uccidere!» Provò Izuna, posizionandosi davanti a me con le braccia aperte come scudo e chiudendo gli occhi. D’istinto, li chiusi anch’io, pregando che quella situazione finisse bene.
Dopo un po’, arrivato a contare un numero indefinito ma grande di pulsazioni del mio cuore, mi decisi ad aprire gli occhi e ad affrontare qualunque fosse stato il mio destino – si sperava che fosse buono, ovviamente. Il maggiore accarezzava i capelli del più piccolo, e pareva esserci affetto in quel gesto. Tuttavia, la conoscenza che avevo potuto avere degli Uchiha, o meglio di quel lato del carattere degli Uchiha, quello persuasivo, mi diceva che più che vero e proprio sentimento si trattava di inganno. Speravo tanto di sbagliarmi.
«Non lo ucciderò, per ora può ancora servirci.»
Seppi solo che non mi piacquero le sue parole, non fui nemmeno in grado di realizzare cosa mi stesse accadendo. Fu un lampo, qualcosa di improvviso e inaspettato: quel tizio mi puntò gli occhi contro, li fissò nei miei, lì penetrò, mi incantò. C’era uno strano potere in quegli occhi divenuti rossi, che ebbero la facoltà di farmi perdere i sensi in un battito di ciglia.
Non mi sentii nemmeno cadere.
 
Quando mi risvegliai, la prima sensazione che avvertii fu quella del freddo alla schiena e del male ai polsi. Aprii gli occhi. Mi ci volle un po’ affinché quelli si abituassero all’oscurità che governava intorno a me. Sbattei le palpebre più volte, infine, dopo un po’, mi resi conto che era notte. A suggerirmelo, una finestrella in alto, della quale riuscivo a scorgere aldilà soltanto perché, fuori da quella che mi ero accorto essere una cella, c’era una sottospecie di torcia, una grande candela.
Strinsi i denti quando, cercando di muovere i pugni affinché assumessero una posizione più comoda, avvertii un dolore più forte ai polsi. Probabilmente erano legati da delle corde, ed erano legati stretti!
Respirai profondamente: dove diavolo stava Sasuke quando c’era bisogno di lui? Era tutta colpa sua se ero finito in quella situazione! Chissà, poi, cosa stava combinando, dov’era, con chi era… aveva campo completamente libero – non che io avessi mai potuto fare più di tanto contro di lui, ma almeno come presenza… – ora, e poteva prendersela con chi voleva senza che nessuno provasse a fermarlo o lo trattenesse.
Dannazione!
E poi… chissà Shikamaru cosa aveva voluto dirmi! Mi era arrivato un sms nello stesso istante in cui Sasuke aveva dato di matto e aveva deciso, senza che io avessi voce in capitolo, di catapultarmi di chissà quanti anni indietro nella storia, la sua storia.
O diamine!
Sentivo che stavano succedendo alcune cose, nella mia epoca, che non sarebbero dovute succedere. Qualcosa stava per cambiare, ne ero certo. Ma, per il momento, il mio unico obiettivo era uscire di lì, visto che, come fortuna aveva voluto, avevo capito su quale nome indagare.
Chi erano i Senju? E che rapporto avevano con gli Uchiha? E con i Namikaze? E cosa aveva sconvolto completamente la vita di Sasuke?
 
 
*   *   *
 
 
Naruto, ho trovato qualcosa che potrebbe interessarti. Non mi è mai piaciuto quel tipo, quell’Uchiha, perciò mi sono permesso di restringere il capo d’indagine. Ebbene, la famiglia Namikaze discende da una famiglia più antica, i Senju, famiglia in guerra con gli Uchiha. Sta scritto che un Uchiha, impazzito, ha sterminato buona parte della popolazione dei Senju senza motivo, dopo che i due Clan avevano trovato un accordo e siglato la pace. Per altre informazioni, ti aspetto, ho già scritto troppo.
Sta’ attento.
 
«Non ti sono mai piaciuto? E per quale motivo?» Feci spallucce, indifferente. «Finalmente un amico di quel dobe che ha un po’ di sale in zucca.»
«Senti, amico, a me non piace perdere tempo.» Sbadigliò. «Per cui dimmi: dove si trova Naruto? E tu che intenzioni hai? E poi, chi sei in realtà? Comincio quasi a pensare che tu non sia umano.»
Sghignazzai. «Quasi? Allora, in parte lo sarei. Umano, intendo.»
«Naruto dov’è?»
«Sai, a Naruto non piace usare la testa, apprende con difficoltà le cose dai libri, perciò ho deciso di fargli vivere quello che hai scoperto. Capirai che si trova in un luogo che non puoi raggiungere.»
Il mio interlocutore sgranò gli occhi, sorpreso e preoccupato. «Chi diamine sei tu?» mormorò tra i denti.
«Sono Sasuke Uchiha, lo Spettro che Naruto ha cercato a lungo.»
 

 
 
 
 
 




 














 
Alleluia! Ce l’ho fatta ad aggiornare! Ù.ù
Diciamo che questo capitolo è diverso dagli altri di questa storia, anche perché vede l’introduzione di due nuovi personaggi: Izuna e Madara. Sappiamo poco di Izuna, per cui ho preferito mostrarlo e descriverlo così, giustificando anche alcuni suoi atteggiamenti per il fatto che è poco più di un ragazzino.
E tra Shikamaru e Sasuke? Che succederà? UwU
Vi aspetto al prossimo capitolo, se volete! ;)
Intanto, ringrazio:
-chi legge&commenta;
-chi preferisce(28);
-chi ricorda(7);
-chi segue(85); 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Un tuffo nel passato… di nuovo! [Seconda Parte] ***


Capitolo 14: Un tuffo nel passato… di nuovo! [Seconda Parte]
 






 

 

   Almeno mi avevano slegato i polsi.
Sembrava che fossero passati giorni da quando mi aveva rinchiuso in quella galera. Mi chiesi se, in realtà, nella mia epoca il tempo stesse continuando a scorrere allo stesso ritmo o si fosse fermato. Egoisticamente e con fare alquanto sciocco, pensai, ironizzando, che, se così fosse stato, ero stato capace di fermare un mondo, un’era.
Mi bastò respirare l’aria polverosa del posto per farmi tornare coi piedi per terra e consapevole della mia disastrata situazione. Seriamente, cominciavo ad avere paura, a preoccuparmi veramente: chissà, e se mai Sasuke avesse deciso di lasciarmi marcire lì dentro? Certamente, volevo escludere l’ipotesi, ma, ormai lo sapevo, con quello non si sapeva mai. Di certo, però, non avevo mai desiderato di vederlo come in quel momento.
Sospirando, mi accucciai ancor più nell’angolino in cui mi ero sistemato, e mi strinsi le ginocchia al petto: a qualunque gioco Sasuke stesse giocando, io ne ero alta,mente stufo, e volevo che finisse subito. Al momento.
Pensai subito ai miei amici e alla gente del mio paese: Sasuke aveva avuto seri problemi col suo passato, e questi si ripercuotevano giorno per giorno sul suo caratteraccio sempre più instabile e lunatico, per cui non potevo sapere cosa stesse combinando. Era versatile, cambiava a seconda delle situazioni, come se indossasse mille maschere. E forse era per questo che io, quasi attratto a lui da una forza misteriosa, tentavo, combattendo persino contro me stesso, ancor di trovarne quel fantomatico lato migliore che non poteva mancare. Tutti ce l’hanno, mi dicevo. Perché Sasuke avrebbe dovuto fare eccezione?
Appoggiai la testa al muro fretto e imbruttito, in alto, da qualche ragnatela, e chiusi gli occhi, cercando almeno di trovare ristoro nel sonno, l’unica cura contro il non trascorrere del tempo, contro quell’immobilità che sembrava aver congelato tutti i personaggi di questo racconto in cui mi ero trovato.
D’un tratto un rumore, dei passi appena appena marcati ma che, nel buio e nel silenzio della mia prigionia, mi parvero cannonate. Ah… a pensarci nemmeno il silenzio in cui mi ero trovato avvolto era molto rassicurante: probabilmente, dovevano applicare una qualche tortura psicologica, fisica o altro, per mantenere la pace in un postaccio pieno di – presunti e non – malfattori e nemici.
«Naruto, sei qui?»
Riconobbi subito la voce d’Izuna e, come se mi avessero punto con uno spillo, saltai su, riempito di nuove energie. Era confortante, del resto, avvistare uno spiraglio di luce amica in mezzo a tanta oscura ostilità.
Avvinghiai le mani alle sbarre. «Izuna!» esordii sorpreso ed euforico. «Sei venuto a liberarmi, vero? Come si fa nei film?»
Il ragazzino assunse un’espressione sorpresa, parve non aver capito troppo. «Film?» ripeté, non troppo sicuro delle sue stesse parole.
«Ops… no, no, non badarci!» mi scusai, accompagnandomi con un gesto di noncuranza della mano. «Piuttosto, perché mi hanno rinchiuso qui? Che vogliono da me? Avete deciso di liberarmi per mancanze di prove, né? Non può essere diversamente!»
Quante domande che avrei voluto porgli, ma purtroppo, e glielo leggevo in faccia anche se non volevo ammetterlo, il tempo non era dalla nostra parte, e, di sicuro, non potevamo permetterci di sfidare la buona sorte più di quanto avessimo già fatto.
«Che domande!» cominciò lui, dopo aver pensato a quale delle tante richieste rispondere prima. «Mio fratello, capo del nostro Clan, sospetta di te, ti ritiene uno di loro.»
«Che idiozie, io non…»
«E allora chi sei? Non conosciamo nessun Namikaze da queste parti, ho controllato! Come saresti arrivato qui?» mi accusò.
Tanto valeva dirglielo, a quel punto, anche se chissà se mi avrebbe creduto o meno.
«Mi prenderai per pazzo se te lo dico» dissi.
Lui inarcò un sopracciglio. «Perché?»
«Io non vengo da qui.»
«Questo l’avevo capito» ripose a tono.
«Non in quel senso!» urlai, ricevendo uno sssssh di rimprovero. «Vedi, la mia è un’altra epoca! Non so se, come accade nei libri di fantascienza o nei film che tu non conosci, dicendotelo potrei sconvolgere il futuro o qualche cosa simile! Ma tanto, ormai, l’avrei già fatto…»
Nello sguardo di Izuna si accese un lampo di curiosità. «Come sarebbe a dire un altro tempo?»
Sbuffai solo al ricordo di cosa era accaduto. «E’ stato uno di voi, anche se credo che non fosse ancora nato in questo periodo…» Ripensai alle immagini dell’infanzia di Sasuke che avevo visto, e lo scenario mi sembrava parecchio diverso. «Un antico spettro appartenuto al vostro Clan. Lo so, non è semplice da credere.»
«… E’ una storia molto particolare, Naruto… come si chiama il mio discendente?» chiese con viva voglia di sapere.
Sbuffai ancora. «Si chiama Sasuke Uchiha. E’ un antipatico totale, credimi! Fisicamente, invece, da un lato ti assomiglia.» Mi persi per qualche secondo a fissare uno sbalordito e rapito Izuna che mi guardava con gli occhi a dir poco spalancati e, dimentico di trovarmi in una prigione e di essere un prigioniero, sorrisi di cuore.
Durò poco, in un attimo ricordai che il tempo era l’ultima cosa che avevo da perdere.
«Se mai ne avremo l’occasione, Izuna, ne parleremo un’altra volta! Adesso devi assolutamente aiutarmi a scappare! Non so come, ma devo riuscire a ritornare nel mio tempo. Assolutamente!» mi allarmai.
In Izuna lessi la mia stessa preoccupazione. «Dubito che, seppur volendo, possiamo organizzare la tua fuga oggi, visto che ho sentito mio fratello Madara dire di voler venire a farti visita di persona. Credo, e non lo dico per spaventarti, che voglia torturarti, se non ti deciderai a parlare» confessò, col naso arricciato, particolare che, in un altro caso, avrebbe anche potuto farmi una certa tenerezza.
Ecco, in un altro caso, non in quel momento!
Respirai a pieni polmoni per un paio di volte – beccandomi tutta la polvere – prima di rispondere. «E tu mi stai dicendo che verrò torturato da un pazzo psicopatico» assomigliava al Sasuke-Spettro, dunque non poteva stare troppo bene mentalmente «e me lo dici così, come se niente fosse?»
Izuna si tappò simbolicamente le orecchie – frattanto che io continuavo a stupirmi del fatto che, intorno a me, nessuno fiatasse. «Si tratta di mio fratello Madara, e pur volendo c’è ben poco da fare. Hai visto anche tu come ti ha fatto collassare subito. E’ un’arma micidiale, credimi.»
E in effetti non aveva tutti i torti… mi era bastato guardarlo negli occhi per cascare come una pera cotta.
«A proposito di questo… come ha fatto tuo fratello?»
Si guardò le spalle, timoroso, segno che il tempo da trascorrere in mia compagnia era quasi finito.
«Lo Sharingan, un’abilità speciale che sa sfruttare al massimo. E’ una sua caratteristica unica, non so come funzioni, ma so di per certo che non si può fare nulla per opporvisi. Basta che lo si guardi, per cadere vittima di un sortilegio.»
Che fortuna sfacciata, mamma mia!
Sharingan… chissà, non mi era nuovo, forse l’avevo già sentito. O, forse, - erroneamente o giustamente? – l’avevo immediatamente associata a quello strano potere di Sasuke che mi rendeva inerme. Che fosse più o meno lo stesso?
«Naruto» sussurrò Izuna. «Ora io devo andare per forza, o mi scoprirebbero. Interessante la tua storia, chissà che non mi possa raccontare altro. In ogni caso non spiffererò nulla, puoi starne tranquillo. Tu… cerca solo di resistere, poi vedrò di trovare un modo per aiutarti, va bene?» Aveva parlato molto velocemente, in un tono che poteva parere addirittura falso, ma che io interpretai come semplicemente affetto da paura. A ogni parola, man mano che aveva completato il discorso, si era avvicinato alla porta, così che, alla fine, era riuscito, dopo essersi dato una rapida occhiata intorno, a sgattaiolare via alla velocità della luce.
Mi ritrovai nuovamente da solo con me stesso e i miei pensieri ancora più torbidi per via della notizia ricevuta. E, la voglia sempre maggiore di tornare a casa, mi accoccolai di nuovo nel mio angolino, ogni passo un frastuono; avevo capito il perché di quel silenzio: sicuramente o erano tutti morti – ma lo escludevo, anche perché, altrimenti, sarebbe stato impossibile sopravvivere lì dentro – oppure erano stati tutti  incantati da questo Sharingan.
«Sasuke, dove cazzo stai?» mormorai, le labbra compresse sulla stoffa sporca dei pantaloni.
Sorrisi amaro: se anche fossi riuscito a scappare da quella prigione, come avrei fatto a ritornare a casa? Era semplicemente impossibile.
L’ansia sempre maggiore, la rabbia verso un Sasuke che si era volatilizzato – o magari, chi poteva saperlo, era molto più vicino di quanto pensassi e mi stava osservando da dietro l’angolo –, la paura che, volente o meno, cominciava a farsi sentire, aiutarono il Kyuubi a farsi risentire, struggente, graffiante. Me ne spaventai.
Mi portai una mano al petto, e strinsi la stoffa del maglione, quasi a voler soffocare all’interno di me, come a volerlo cacciare, a rimandarlo da dove proveniva, tutto quel miscuglio di emozioni che avrebbero potuto far accadere una vera e propria tragedia.
 
Un clangore, le porte che si aprivano, un mio mezzo mugolio e una voce.
«Suppongo sia ora di svegliarsi, non trovi?»
Una mano fredda, gelida, potente, nemica, soprattutto, sotto il mento, che mi costrinse a guardare in alto.
Aprii di un poco le palpebre, e quando mi trovai di fronte Madara sobbalzai.
«Non aver paura, con un po’ di collaborazione finirà tutto molto presto. Mi scuso anche per il tempo che hai dovuto aspettare per questa mia visita, ma la guerra chiama, ed è impossibile non risponderle.»
A conferma delle sue parole, un graffio di un acceso color rosso vivo, a quanto pareva era recente, gli adornava una guancia. Gettai uno sguardo anche ai suoi occhi: erano rossi, rossi come quelli di Sasuke. E, visto che ogni cosa correlata con Sasuke andava assolutamente ignorata, focalizzai la mia attenzione vero il pavimento, deciso e risoluto a non guardarlo in volto per nessun motivo.
E probabilmente lui si accorse di questa mia intenzione. Tuttavia, mi strinse appena un attimo più forte, fino a sollevarmi di un po’, per poi rilanciarmi a terra con una violenza inaudita.
Nemmeno un gemito da parte mia, giusto un po’ di sorpresa.
«Dunque» mi diede le spalle, indicandomi chiaramente che non mi temeva nemmeno un po’ «mi è stato riferito che ti chiami Naruto Namikaze. Non ho sentito di questo Clan. Come mai?» Si voltò di scatto alle sue ultime parole.
Accomodatomi a terra al meglio, mi strinsi nelle spalle in un gesto naturale e, a sbeffeggiarlo, alzai le mani al cielo. «Mi sono trovato qui per caso, non ne ho la più pallida idea.»
Madara non si lasciò turbare da quello che poteva sembrare un atto di strafottenza – anche perché sotto sotto avevo detto la verità –, e proseguì: «Non ti conviene usare una copertura. Posso farti cantare tutto in mezzo secondo» ghignò sadico.
«Accomodati, allora.»
Il mio interrogatore non perse l’espressione da “Uchiha-faccia-da-schiaffi” che aveva. «Sarebbe più semplice, senza dubbio, ma ammetto che i metodi di tortura tradizionali sono quelli che preferisco, quando ho un po’ di tempo a disposizione.»
E, guarda caso, aveva tempo da perdere col sottoscritto…
«Seconda domanda: che sai dei Senju? Sei un loro alleato, vero?»
Esibii un’espressione a dir poco sorpresa. «Non so neanche chi siano questi Senju! Escludo che possa esserne un alleato. Anzi, se me ne parli tu un po’, forse potresti darmi anche informazioni utili» tentai, già sapendo di fallire.
Tanto, ora come ora, che avevo da perdere? Qualcosa mi diceva che quello, quel Madara, uccideva più per divertimento che per necessità di guerra, per cui che differenza c’era tra il rispondere educatamente, cercando di soddisfare le sue richieste persino mentendo e il rispondere a tono tentando anche di ricavare qualche informazione utile?
Anche se, probabilmente, stavo scambiando troppo Madara per Sasuke. Tutto sommato, anche se ritenevo lo Spettro un essere malvagio all’ennesima potenza, non potevo sapere se Madara fosse meglio o peggio. Con la sfortuna che avevo, magari avevo beccato il più feroce degli Uchiha!
Comunque, in tutta risposta Madara mosse qualche passo verso di me.
«Sai, ragazzino, non sei male, hai un modo di fare che potrebbe anche essermi utile. Tuttavia, l’unico che può permettersi di dettare legge qui sono io.»
Il suo tono era calmo, e, differentemente da quello che le sue parole volevano significare, non sembrava un messaggio malvagio. Difatti, dimenticai subito tutte le precauzioni che avevo preso, non pensai ai pericoli che avrei potuto correre e, dunque, commisi un gravissimo errore. Me ne accorsi troppo tardi, quando qualcosa di indescrivibile mi aveva già colpito alla testa. Non era stato un dolore fisico, quanto qualcosa di martellante che colpiva all’interno e faceva pulsare le tempie. Sicuramente, era un colpo che non poteva durare più di qualche istante, ma a me sembrava che, come un cd, venisse riproposto senza sosta, a ripetizione.
E mi era bastato incrociare il suo Sharingan.
Non capivo più nulla, non sentivo più, non funzionavo più. La lucidità scorreva via dai pori a velocità pazzesca. Era una sensazione diversa da quelle che avevo provato con Sasuke. Talmente dolorosa che non seppi descriverla, perché quei pochi attimi che Madara mi conferì per rendermi conto di cosa stesse accadendo erano troppo pochi.
Non fu la luce, né il buio, perché entrambi erano qualcosa.
Fu il nulla, la scomparsa di me stesso, delle mie emozioni, di quella parte di ragione che poteva tenere e freno Kyuubi.
Lo sentii ruggire con potenza, poi… niente.
    

 
 
*   *   *
 
 
 

Non era stato difficile mettere a tacere quel tipetto rompiscatole.
Beh, in realtà non si trattava di “metterlo a tacere per sempre”, non per il momento. Non mi divertivo se il gioco finiva subito, non aveva senso. Preferivo la tortura, amavo la tortura. Infliggere dolore, vivere di quelle urla a squarciagola che provenivano, spontanee, dai loro corpi martoriati. In fin dei conti, vendetta o non vendetta, non mi importava di chi si trattasse, perché ciò che importava era far soffrire. E quando ci riuscivo mi sentivo purificato, mi sentivo meglio, quasi libero. E, per quanto fosse soddisfacente già il semplice fatto di infliggere dolore, quando si trattava di un essere insulso di Konoha, la situazione diventava diversa. Era qualcosa di maggiormente divertente, perché univa… l’utile al dilettevole? La mia vendetta al mio piacere.
In quel momento non riuscivo a decidermi: c’era quello Shikamaru davanti a me, che apparentemente godeva di ottima salute, mentre in verità l’effetto del mio passaggio era ben visibile. Comunque –  dilemma! – non sapevo se ucciderlo o tenermelo ancora in vita. Magari avrei potuto ammazzarlo più tardi, dopo avergli inferto qualche altra piccola piccola punizione. Non era un’idea malvagia.
Alzai il braccio e lo puntai verso il suo corpo già martoriato e coperto da innumerevoli graffi e lesioni varie, pronto a colpirlo con una lama di fulmine – trucchetto ingegnoso che non implicava il minimo sforzo per essere messo in pratica – alla caviglia, al braccio… mmm… non riuscivo nemmeno a trovare un punto che fosse stuzzicante da colpire o che, semplicemente, non avesse già traccia del mio potere.
«Vorrà dire che la faremo finita» dissi calmo, mandando al diavolo tutto il mio precedente progetto. Chissà se poté udire le parole che avrebbero anticipato la sua fine, ma in fin dei conti poco mi importava.
Stavo per lanciare il colpo, quando mi fermai di scatto.
Stava succedendo qualcosa nel passato, lo sentii chiaramente. Non era una sorta di legame speciale, di quelli che fanno battere il cuore per la preoccupazione dell’uno per l’altro – che grande cazzata, poi… – quanto una semplice precauzione che avevo preso per poter, eventualmente, aiutare Naruto nel caso si fosse trovato in difficoltà. Non avevo intenzione di perdere il mio giochino, mi serviva ancora.
«Potrei finirti subito, ma non mi piace fare le cose in fretta. Ti spiace se rimandiamo?» domandai al vento, poi sparii in un istante, pronto ad andare a visitare quella che sarebbe stata, poi, l’attuale Konoha.
 
Era uno spettacolo mozzafiato.
Da un lato mi dispiaceva di non avere potuto assistere interamente alla vicenda, ma non ci avrei messo molto a carpire tutte le informazioni da Naruto, una volta tornati a casa.
Sempre se Naruto fosse riuscito a ritornarci. Senza dubbio, per prima cosa doveva ritornare se stesso.
Non era più Naruto Namikaze in quel corpo, ma era il Kyuubi, la mia arma, quella che averi utilizzato più avanti per compiere la mia vendetta. Tuttavia, sarebbe stato interessante osservare i poteri di un simile mostro che, tra l’altro, non era nemmeno – per il momento – troppo potente.
Contai il numero delle code spuntate al corpo, divenuto rossastro, di Naruto – vagamente ne distinguevo la conformazione del corpo – e ne trovai ben quattro. Beh, lo avrei interrotto, grazie al mio Sharingan, al momento opportuno. Volendo, avrei potuto anche trasportarlo con me a Konoha e fargli fare razzia di tutto e tutti, però non era ancora il momento: volevo una vittoria schiacciante io, volevo essere al pieno delle forze. E Naruto non lo era ancora… anzi, il Kyuubi non lo era. Inoltre, trattandosi di desiderio di dolore, qualunque fosse l’epoca non importava granché, anche se, mi imposi di ricordare, quella in cui avevo inviato Naruto era una semplice dimensione parallela, e niente di ciò che era stato fatto avrebbe avuto risvolti nella nostra realtà. Una specie di film dal vivo, o di gioco interattivo.
Fu lo stesso entusiasmante, però, sentire le urla dei corpi dilaniati dagli artigli affilati del Kyuubi, vedere con quanta forza e violenza i denti della bestia si insinuavano nella carne, nella testa, strappandola, lacerandola. Uccidendo, annientando.
Me la godetti tutta, quella scena, sentendo un’eccitazione tale pervadermi che, per un attimo, mi parve di sentire di nuovo il battito del cuore.
Desiderai che il massacro durasse all’infinito, tuttavia, quando ci si diverte il tempo passa troppo in fretta, e così fu. Era ora di fermare Naruto, non mi ci sarebbe voluto molto.
Il Kyuubi non mostrò più della quinta coda, ma era stato già un buon passo: voleva dire, infatti, che Naruto era stato scosso a dovere – e avrei saputo come – e che, inoltre, necessitava soltanto di altre piccole spinte per far sì che il demone si liberasse del tutto. A quel punto la mia vittoria sarebbe stata schiacciante, e non solo su Naruto e la nostra insulsa scommessa, ma su tutto.
Avrei vendicato i miei cari, avrei soddisfatto il mio bisogno di sangue altrui e avrei finalmente potuto restarmene in pace.
Puntai lo Sharingan negli occhi – quasi indistinguibili – del demone, che pian piano riacquistò le fattezze di Naruto.
Era ora di tornare a casa.

 
 
 
 




 








 
 
YOH! Quanto tempo, eh? Finalmente ho aggiornato! *^*
Solo una precisazione: il tempo trascorso nella dimensione parallela da Naruto è sembrato tanto – anzi lo è stato – a lui, tuttavia i giorni corrispondevano a minuti nel suo tempo. <3
Ringrazio:
-chi legge&commenta;
-chi preferisce(31);
-chi ricorda(7);
-chi segue(93 <3);
 
Grazie!
 
P.S. Domani prometto che correggo gli eventuali errori, scusate! >////>
 

 
  

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Problemi e soluzioni ***


Capitolo 15: Problemi e soluzioni
 







 

 
 

Basta, quella storia doveva giungere al suo termine. Non ne potevo più, mi stava annientando. Volevo dimenticare tutto, volevo cancellare gli ultimi mesi della mia vita.
Volevo mandare al diavolo Sasuke una volta per tutte.
Volevo trovare il coraggio per farlo, per trasmutare quel mio desiderio in realtà.
Mi odiavo con tutte le mie forze. Non si può continuare ad amare qualcosa che fa male, vero? E’ contro la natura umana, vero? Anzi, no. Nessuno, di qualunque genere, poteva mai rincorrere spasmodicamente ciò che gli procurava immenso dolore.
Tranne me.
Io continuavo a cercare Sasuke, continuavo a cercare un modo per fermarlo. Dentro di me, sentivo che c’era una soluzione a tutti quei problemi. Tuttavia, quella mi sfuggiva dalle dita a una velocità impressionante, nemmeno si posava in mano. E intanto il tempo trascorreva, intanto il ricordo di ciò che ero diventato, il ricordo del Kyuubi che mi annullava era devastante, mi ammazzava con la sua semplice e astratta presenza.
Bisognava muoversi, e io lo sapevo.
Lo sapeva anche Sasuke, la fine era vicina, doveva esserlo. Se mai fosse fuggita da noi, l’avremmo raggiunta, agguantata, portata al nostro fianco. Ma la fine doveva sopraggiungere, e uno di noi due avrebbe fatto presto la mossa decisiva.
Mi raggomitolai su me stesso, tremante ancora al pensiero di un Kyuubi sempre più vivo.
Perché… perché sentivo che Sasuke avrebbe vinto?
Probabilmente perché già più di un passo era stato avanzato: Shikamaru, uno dei miei migliori amici, si trovava in ospedale, incosciente. Avevo sentito Ino al cellulare, mi ero fatto forza per parlarle, e mi aveva raccontato tutto. Non c’era bisogno di tutte quelle fandonie che tutti spacciavano per verità: era stato Sasuke a ridurlo in quello stato. Nessun incidente, nessun agguato, niente di niente. Soltanto Sasuke Uchiha.
E poi c’era il già nominato Kyuubi. Io avevo visto cos’era accaduto, cosa avevo fatto. Per fortuna, cercavo almeno di convincermi, erano persone non reali, quelle che avevo attaccato. Ma… ma se fossero state vere che cosa sarebbe cambiato? Sarebbero potuti essere anche miei amici, ma l’unica e sola cosa che avrei ugualmente potuto fare sarebbe stata di guardare dall’esterno la vita altrui che consumavo.
No, avevo bisogno di mettere un punto a quella storia.
Era decisamente necessario.
Staccarmi da Sasuke, poi, era un ordine, un’imposizione data da me stesso che non potevo ignorare. Per natura, si fugge da ciò che è male.
 
«Senju» dissi soltanto, trovando in me una forza vitale che non sentivo più dentro per parlare. Ma dovevo farmi forza: il pensiero di annullarmi non doveva spaventarmi, checché potessi pensare.
«Ne hai sentito parlare.» E non era una richiesta, Sasuke non aveva bisogno di domandarmi alcunché, perché lo Sharingan – o che cavolo era – aveva fatto il lavoro sporco per lui, facendomi sputar fuori ogni singola parola.
«Non… non so nulla di preciso su di loro. So soltanto che… che erano nemici del tuo clan. Sbaglio?» chiesi.
«Affatto.»
Silenzio.
Ma c’erano veramente troppe questioni che andavano risolte. Basta timori, basta tutto: era ora di giocarsi tutto, di non trattenersi e di non nascondere più niente al proprio interno.
«Che senso ha avuto?» Sasuke si voltò verso di me, lo intravidi. Non capiva. «Perché mi hai mostrato tutte quelle cose? Ormai la resa dei conti è prossima, lo sai anche tu. Quindi, perché? Tanto vale dirmelo, non pensi?»
Lo Spettro scrollò le spalle. «Morirai presto o tardi, quindi tanto vale essere schietti fino in fondo, anche se non c’è un vero e proprio segreto da tener nascosto per quanto riguarda questa faccenda. Diciamo soltanto che ho voluto fornirti un quadro quasi completo della situazione.»
«Non trovi sia ora di completarlo?»
«Di sicuro. Anche se non credo ti piacerà.»
Scossi il capo. «In ogni caso sono problemi miei, sta’ tranquillo.»
Lui rise derisorio, e io mi sentii patetico. Mi vergognavo della sofferenza che provavo nel sapere che la fine di quella temibile avventura stesse arrivando così repentinamente senza che io avessi potuto fare nulla. Inghiottii il boccone amaro.
«Sono stati quelli della tua famiglia a distruggere il mio Clan» confessò a testa bassa, quasi ne soffrisse ancora, quasi fosse ancora umano per soffrirne.
Inutile: potevo e dovevo fare qualcosa per lui.
«Non conoscevano alcun Clan Namikaze a quanto mi hanno detto. Ti stai sbagliando, Sasuke.»
«Sei forse tonto, usuratonkachi? Pensavo non avessi bisogno di ulteriori spiegazioni per capire che la tua famiglia discende da quei bastardi schifosi. E anche per la maggior parte degli abitanti di Konoha vale lo stesso.»
Non era un ragionamento troppo complesso, in realtà, anzi: filava liscissimo, eppure non l’avevo considerato. Da vero idiota.
«Non è colpa mia, io non c’entro. Neanche li conoscevo» mi difesi.
Sasuke mi puntò le iridi dritte negli occhi. «Nemmeno io ero a conoscenza della guerra in atto tra il Clan Uchiha e quello Senju, se è per questo. Nemmeno la mia famiglia ne sapeva qualcosa, e nemmeno io avrei voluto ospitare quegli Spettri dentro di me, quand’ero in vita. Mi hai visto, no?»
E come dimenticarlo… era stato da quel momento che avevo costantemente pensato a un modo per salvare Sasuke.
«Mi spiace, ma io ci sto rimettendo già troppo» constatai.
«Non mi interessa.»
«Sei uno stupido egoista!»
«L’uomo lo è. Lo sono stati con me, io lo sono con gli altri.»
Impassibile, Sasuke era impassibile e sicuro di sé, non c’era modo per sviarlo. Tanto valeva continuare a indagare, facendo stupidamente finta di nulla.
«… E quindi? Che legame c’è tra te e il fatto che io discenda dai Senju? E il Kyuubi? Perché io? Mi è chiaro, ormai, che non è stata una scelta casuale. Troppi elementi che coincidono» affermai.
Sasuke parve rilassarsi. «Credo di avertene già parlato: riguarda la mia vendetta, Naruto-chan. Qualcuno deve pagare per quello che mi è stato fatto, per l’offesa che mi è stata fatta.» Strinse i denti, il suo tono era via via più solenne. «Ma ammazzare tutti normalmente non avrebbe senso. La mia deve essere una grande vittoria, una vittoria senza uguali: deve essere uno di loro a farli fuori, quasi si eliminassero a vicenda. E qui entri in gioco tu. Tra tutti quelli che ho istigato, catturandone i familiari, tu sei stato l’unico ad andare fino in fondo. Complimenti per la costanza, Naruto-chan. Ti ha permesso un bel premio: sarai il mio schiavetto personale per l’eternità.»
Frattanto che l’ascoltavo, mi si era avvicinato e mi aveva toccato il mento con le dita. Me lo stava baciando, leccando.
Sentii un brivido lungo la schiena che mascherò il ribrezzo che mi imponevo di dover provare.
«Sai» continuò Sasuke, «non mi fai nemmeno troppo schifo. Sei, gradevole, per quanto un Senju vomitevole possa esserlo.»
Lo scostai, lo spinsi; le braccia non volevano rispondere. Al corpo quelle attenzioni piacevano ancora.
Idiota.
Mi sentii ancora più ridicolo quando pensai a quello che stavo per dirgli. Per un paio di secondi, ipotizzai persino di starmene in silenzio e tenermi quell’assurda osservazione per me, ma alla fine sapevo che il mio cervello non era fatto per tenersi in mente i pensieri.
«Sasuke» mormorai sulla sua spalla, «perché? Perché non abbandoni tutto? Lascia perdere, non risolverai nulla. Non pensi che… che potresti stare qui con… me? Ti basterebbe ridarmi i miei genitori, ridare alla vita tutte le persone a cui hai fatto del male e, se possibile, rimanere con me, al mio fianco, vivere quella vita che non ti è stata concessa. Pensaci Sasuke, non ti piacerebbe?» Mi sorpresi persino che mi avesse ascoltato.
Lo sentii scuotere la testa. «Non ci siamo, non ci siamo proprio. Sei uno stupido, Naruto-chan, un vero stupido. Non è lo scopo della mia vita, non è quello che voglio. Ma, tranquillo, finché mi servirai potrai stare al mio fianco. Poi si vedrà.»
«Non posso fare nulla per convincerti?»
«Puoi solo smetterla di blaterare.» E mi baciò con forza sulle labbra senza che nemmeno me ne accorgessi. Premeva con forza, c’era disperazione in quel gesto, non era come le altre volte.
Eppure… perché era così cocciuto? Non c’era un compromesso a cui poter scendere?
Gli morsi le labbra, disperato, il pensiero che correva a tutte le vittime di quell’assurda e folle vicenda.
Ripensaci, Sasuke, ripensaci!
 
Lo sapevo, sapevo che sarebbe successo prima o poi, ma la consapevolezza di ritrovarsi proprio in quella che era stata solo un’immaginaria situazione mi atterrava.
I primi sintomi non mi fecero sospettare di nulla: dei semplici giramenti di testa, le vertigini, la vista che pareva oscurarsi a tratti, poi per interi secondi e infine per un periodo ancora più lungo.
Poi avevo capito; da quando, una volta, avevo avvertito dei piccoli vuoti di memoria, come se mi avessero catapultato volontariamente da un tempo all’altro, avevo immediatamente compreso che il Kyuubi voleva uscire. Naruto Namikaze rimaneva nel suo corpo per un periodo sempre più breve, per essere poi sostituito da un gigantesco demone dalle sembianze di una volpe.
Ne avevo paura, sentivo che non sarei riuscito a controllarmi a lungo.
Ne ero sempre più sicuro: bisognava mettere un freno a quella faccenda, ma il problema consisteva nel come: che fare? Come abbattere Sasuke, essere soprannaturale, basandomi su quello che avevo, ovvero poche caratteristiche di un qualunque essere vivente terrestre?
Insomma, l’unica cosa che ero riuscito a scovare, a suo tempo, quando svolgevo le primissime ricerche, era una specie di rituale – non sapevo nemmeno se definirlo tale – che relegava gli spiriti in altre dimensioni o chissà che cosa. Niente di specifico, comunque, e inoltre non ricordavo nemmeno in quale libro lo avessi letto. In ogni caso, probabilmente la biblioteca era il luogo migliore in cui fare indagini. Ma come fare a non farsi beccare da Sasuke? Era la fase finale di tutti i nostri piani, quella conclusiva… non avrebbe abbassato la guardia tanto facilmente, no?
Ma davvero non c’era una via di fuga?
Il conto alla rovescia stava quasi per terminare… avrei perso?
«La sento, percepisco questa tua inquietudine, Naruto-chan» mi sussurrò Sasuke, aumentando ancor di più la mia preoccupazione e il mio disagio, «ti rendi conto che non puoi fare più nulla? Il campo si restringe, dei tuoi amici nemmeno più l’ombra in questi giorni, te ne sei accorto?»
Sapevo che dipendeva da lui, me lo stava facendo intuire.
«Ma non agitarti» continuò, «presto non ti rimarrà neanche il ricordo di quello che è successo, né di ciò che sta accadendo in questo momento, delle mie parole… non esisterà nessuna dimensione temporale, non esisterà nessun Naruto Namikaze. E questo» ghignò, «significherà la distruzione assoluta di Konoha e di tutti coloro che vi abitano, tutti coloro che hanno provocato la mia sofferenza. Finirà tutto per loro, come al tempo finì per me. Non c’è niente che tu possa fare.»
Dannazione… quanto aveva ragione Sasuke.
Era veramente finita, e mentre l’ennesima inconsapevolezza di cosa mi stesse accedendo mi colpiva, intravidi la sagoma dello Spettro, più astiosa che mai, mostrare uno dei suoi ghigni più temibili.
Prometteva solo guai.
 
Andai a letto col terribile e angosciante sospetto che quella, come ogni volta, poteva essere l’ultima notte che trascorrevo da Naruto Namikaze: inutile negarlo, la perdita della mia coscienza mi spaventava troppo, perché era qualcosa di inevitabile.
Mi tuffai sotto le coperte, ficcandomici sotto fino a quasi soffocare all’interno.
Bah, sarebbe stato quasi meglio…!
Come da alcuni giorni a quella parte, non riuscivo a prendere assolutamente sonno: e, mi dicevo, se avessi chiuso i miei occhi da umano e ne avessi aperti degli altri da mostro? Sentivo il Kyuubi che si stringeva intorno a me e mi serrava nella sua morsa dalla quale era impossibile sfuggire.
Ripensavo agli avvenimenti degli ultimi mesi, e mi domandavo come fosse stato possibile arrivare fino a quel punto disperato, alle pendici di quel burrone che ammetteva un’unica soluzione, ovvero il precipizio. Ripensavo a quando non c’erano altro che pianure nella mia vita, quando tutto era in discesa, quando la percorrevo, quella discesa, mano nella mano con mia madre e mio padre. Poi Sasuke li aveva spinti via, facendoli ruzzolare fin giù, facendoli cadere e schiantare. Ero rimasto da solo. E tutto per colpa di antenati che nemmeno sapevo di avere, di gente che, se non fosse stato per Sasuke, avrei avuto il piacere di non conoscere mai.
Avrei continuato la mia vita felice.
Eppure Sasuke, che si era sentito, in vita, solo – e secondo me si sentiva tale pure adesso – avrebbe dovuto capirmi più di tutti, e invece… e invece voleva spingermi nel vuoto nello stesso e identico modo cui aveva fatto coi miei affetti.
E io che, tutto sommato, ancora speravo di poterlo salvare!
Passati, ora, chissà quanti giorni dal nostro incontro, capivo che mi ero soltanto illuso, e che nella speranza di poter fare tutto, nella considerazione errata di essere capace di sostenere una missione di tale livello e importanza, avevo commesso il grave errore di prendere sottogamba Sasuke e, perché no, di innamorarmi anche di lui.
Da vero idiota quale avevo capito di essere.
«Dai, dai, che ce la fai» dissi senza speranza al vuoto intorno a me.
Non c’era nessuno: Sasuke, chissà perché – avevo rinunciato a capirlo, o semplicemente non ci riuscivo per nulla – aveva preferito restarsene altrove.
E con la voce che si perdeva in un sussurro, che continuava instancabile a ripetere quelle parole come un mantra lagnoso e inutile, mi addormentai col cuore gonfio di tensione.
 
Probabilmente stavo sognando.
Però… dovevo ammettere che si trattava di un sogno molto vivo, quasi in realtà non lo fosse. Non sembrava una dimensione a sé stante, anzi, pareva reale.
Tuttavia, non era un vero luogo quello che vedevo, non era formato da qualcosa di materiale. Non c’erano mobili, né posti su cui sedersi, né qualsiasi cosa che potesse definirsi propriamente definibile. Erano delle luci dai mille colori che, quasi fosse un effetto ottico, sembravano attorcigliarsi l’una all’altra a formare dei tifoni colorati trasversali.
Eppure… era veramente tutto reale! Una dimensione senza senso, ma della quale percepivo tutto, persino quel filo d’aria che pareva svolazzare tranquillo per tutto lo spiazzo. Lo sentivo sulle pelle, e mi pareva tutto tranne che una fantasia.
D’un tratto, quasi mi comandassero, mi voltai all’indietro. Avevo sentito qualcuno che mi chiamava, ma non era stato un suono udibile, quanto qualcosa di interiore.
Era difficile spiegare quello che mi stava succedendo, eppure mi appariva tutto così chiaro.
Era… strana quella faccenda…
«Finalmente. E’ un piacere incontrati, Naruto Namikaze.»
Al posto del vuoto che, voltatomi, mi ero incantato a fissare comparve una figura alta e slanciata, dai capelli neri e occhi, se possibile, ancora più scuri. Ma sulle prime, quasi fossi accecato, non lo riconobbi.
«Devi scusarmi» continuò la voce, «non sono riuscito a farmi sentire prima, nonostante gli sforzi fatti. Ti chiedo scusa da parte di Sasuke per tutti i guai che lo stesso sta causando. Credimi, lui non è così, c’è del buono in lui.»
«Io… io ne sono sicuro, lo so che c’è qualcosa di buono in Sasuke!» affermai, le mani strette. Solo dopo un po’, come un lampo, mi sovvenne chi fosse il mio interlocutore, e ripresi: «Tu sei… Itachi Uchiha?» domandai, ma non ce n’era nemmeno bisogno.
Annuì, ma dal suo viso capivo che non voleva perdere tempo. Che non poteva.
«Naruto, mi serve il tuo aiuto. Devi fermare Sasuke. Assolutamente. Dobbiamo.»
Rimasi spiazzato da quella richiesta. «Come se potessi» risposi con malcelata ironia. «E’ impossibile, lui è troppo forte per me, ma… ma forse tu potresti! Perché non gli parli direttamente tu? Scommetto che ti ascolterebbe! Non so molto del passato di Sasuke, né di… né di te, però… però è tuo fratello, sei parte della sua famiglia! Ti darà ascolto, ne sono certo!»
In realtà, la mia era più una richiesta di soccorso immediato dettata dalla paura. Ci avevo ragionato troppo, ed ero giunto a conclusione che le mie possibilità di vittoria erano nulle. Speravo che Itachi potesse liberarmi da quel fardello che lui stesso mi aveva appena consegnato.
«Vorrei parlagli, ma non posso» rispose. «Per un motivo che mi è sconosciuto, non riesco a comunicare direttamente con lui.» Mi sembrava triste.
«E io?» rimbeccai con un certa arroganza che non era mio volere dimostrare, «e io come dovrei fare? Sono… sono un semplice umano! Come posso vincere? Come faccio a fermarlo? Mi ha in pugno, a causa del Kyuubi posso fare ancora meno di quello che avrei potuto fare in un’altra occasione, capisci?»
«So che è chiederti molto, ma sei disposto a fidarti di me?» domandò dopo un po’ di silenzio.
Ci riflettei, tuttavia non trovavo alcun contro che avesse potuto fermarmi dall’accettare quella pseudo alleanza con Itachi, anche se non sapevo ancora in cosa consistesse. Non c’era niente da perdere, almeno avrei lottato fino alla fine.
«Accetto. Mi fido di te» dichiarai.
Itachi cominciò a camminare verso di me e, quando fu sufficientemente vicino, mi mise al collo una specie di collana che aveva come pendaglio il simbolo del Clan di Sasuke – lo stesso ventaglio che, tra una risposta di scherno e l’altra, avevo visto ritratto anche sugli abiti di Madara.
«Non perderla per nessuna ragione. Okay?» mi disse.
Accennai a un col capo. «Ma perché?»
«Non voglio che ti spaventi, ma il Kyuubi è a un passo dalla sua formazione completa, la nona coda non ci impiegherà molto a uscir fuori. La tua giusta inquietudine, poi, non fa altro che accelerare il processo. Non saresti più te stesso, in quel caso, e il mio otouto avrebbe vinto.»
«Confortante» commentai, e Itachi accennò un sorriso mesto.
«Un oggetto a cui sia io che un altro spirito, ovvero Sasuke in questo caso, siamo legati rappresenta l’unico modo per aprirmi un varco nel mondo reale, dei vivi. Come vedi, ho potuto incontrati solo nel sogno, e così sarà la prossima volta che ci vedremo: quando il Kyuubi prenderà il controllo su di te, allora sarà come un sogno terribile dal quale non ne uscirai né sconfitto né dolorante, perché ci sarò io ad aiutarti. E allora parlerò con Sasuke.»
Lo guardai un tantino perplesso, ma Itachi non parve farci troppo caso, né darci troppo peso. Soltanto: «Capirai meglio quando sarà il momento. Per ora… non mi resta che salutarti e dirti addio. Ma ci rivedremo presto, ne sono sicuro.»
Non ebbi nemmeno il tempo di porre altre domande che Itachi sparì dalla mia vista, e al suo posto comparvero le pareti e i mobili della mia stanza. Al petto tintinnava la collana datami da Itachi.
La strinsi forte: era l’unica via d’uscita.

 
 
 
 










 










 
Mmm… oddio non so che dire! X)
Spero solo che l’entrata in scena di Itachi sia apprezzata! Sapete, anche nelle fic io sono fedele all’idea che solo Itachi possa far cambiare nel bene o nel male idea a Sasuke. Il loro legame è qualcosa di… di indicibile, boh! XD
Vabbé.
Ringrazio:
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Grazie! 

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Capitolo 17: Epilogo

 





 


 
 
Non ci si rende mai conto di qualcosa finché questa non avviene. La si vede come un avvenimento lontanissimo, che incombe, ma che alla fine non potrà scalfire se stessi.
Mi successe esattamente lo stesso.
Ricordavo perfettamente il sogno fatto circa una settimana prima. Avevo incontrato Itachi Uchiha, il fratello di Sasuke. Io… francamente non avevo capito come diamine fosse stato possibile vederci, perché stesse lì o altro, ma da quando mi ero immischiato in quella storia, avevo rinunciato a capire. Le cose accadevano e basta, e io ero molto più sfigato di quanto avessi mai pensato.
Sospirai, poi fu il buio. L’ultima cosa che ricordai, prima di allontanarmi dalla mia realtà, fu la sensazione del metallo della collana di Itachi tra le mie dita, la sua freddezza. Sembrava che mi volesse comunicare che il suo proprietario fosse morto. Dopo quel che non seppi se fu molto o pochissimo tempo, la mia camera mi apparve di nuovo uguale. Le stesse sensazioni di prima, niente più oscurità, né morte, né disperazione. La luce, la collana, il mio respiro.
Succedeva sempre così quando il Kyuubi diventava me stesso.
Respirando affannosamente, diressi lo sguardo di nuovo verso quel pendaglio, che ormai costituiva l’unico mio appiglio, la mia sola speranza di salvezza. Sasuke l’aveva adocchiata una volta, aveva domandato quand’è che l’avessi presa e dove; i suoi occhi mi erano sembrati annebbiati, quasi non avesse riconosciuto l’oggetto al mio collo. Davanti a una mia risposta vaga, mi era sembrato ugualmente soddisfatto, tanto che non pose altre domande, ma mi rivolese solamente un ghigno divertito.
Mi lasciai sprofondare nel materasso morbido, chiusi gli occhi, i battiti del cuore a mille.
Avevo paura, perché il momento era arrivato.
Sasuke ghignava molto più spesso da un po’.
 
 
*
 
 
Semplicemente, Naruto non poteva comprendere la grandezza di ciò che gli stava accadendo. In un certo senso avrebbe dovuto ringraziarmi per averlo reso tanto più forte e più imponente di quanto il più portentoso umano sarebbe potuto essere. Naruto, adesso, costituiva un’entità aldilà di tutto, rappresentava un oltre che ero stato in grado di creare e di assoggettare al mio potere.
Lo guardai mentre, senza che nemmeno si accorgesse che lo stessi fissando, chiuse gli occhi, consapevole. Strinse qualcosa tra le dita e sospirò profondamente.
Poi accadde, finalmente. Si realizzò quello per cui avevo lottato senza tregue per tutti quegli anni: il Kyuubi sarebbe apparso a breve, la mia vendetta non sarebbe più stata qualcosa di astratto, ma di tangibile, di veritiero. Sarebbe stato possibile contare tante gocce di sangue quante ne erano state estratte dal mio Clan prima e dalla mia famiglia poi.
Naruto, che fino a qualche istante fa era rimasto steso sul letto normalmente, tranquillo, cominciò a essere percorso da brividi tremendi e da spasmi. Si contorceva e divincolava come se avesse voluto sopprimere il demone che si agitava dentro di lui. Stringeva i pugni, si conficcava – probabilmente in un ultimo gesto cosciente – le unghie nella carne facendo uscire del sangue, si mordeva il labbro.
Era il passaggio dall’umano all’immortale, ed era qualcosa di grandioso, che mi esaltava.
Se era vero che tutto era cominciato nel modo giusto, era altrettanto veritiero che non si concluse come speravo. Naruto non si trasformò nel Kyuubi. Anzi, si illuminò di luce bianca, quasi si stesse sì trasfigurando, ma non in quello che avevo sempre desiderato.
Scettico, rimasi a guardarlo, aspettando che quel bagliore che mi stava ferendo gli occhi scemasse.
Non credetti a quello che vidi; semplicemente, non lo ritenni possibile, non lo era. Spalancai gli occhi dallo stupore e rimasi a bocca aperta. I pugni che avevo chiuso per l’agitazione si aprirono d’un botto, lasciando scivolare via tutte le mie speranze, e le braccia, tenute prima davanti a me, mi ricaddero lungo i fianchi: quello davanti a me non poteva essere lui.
Inizialmente non parlò. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che ci eravamo visti, ma ricordavo tutto di lui, nelle mie memorie c’era sempre stato, costantemente al mio fianco.
Ma…
Scossi la testa, velocemente, ripetendomi che non poteva essere… proprio lui. Mi costringevo a mandare via il suo nome dalla mia mente, a rispedire a quel paese tutti i ricordi di lui che mi assalivano e mi facevano sentire completamente debole e umano. Sentivo che quella umanità che avevo perduto premeva per diffondersi nella mia anima – sarebbe stato ingiusto parlare di mio corpo.
Quello non era… no! Dovevo riuscire a convincermene assolutamente…
«Che c’è, otouto?» mi sorrise. «Non mi riconosci più?»
C’era molta dolcezza nel suo tono di voce, talmente tanta che sentii sciogliere tutto l’odio che avevo provato in quei lunghissimi anni. Era bastata una sua parola a eliminare ogni mio – stupido, perché già avevo saputo la verità da subito – dubbio, ogni mia preoccupazione. Esattamente come quando eravamo bambini.
«Nii-san, ma…» riuscii soltanto a dire, sconvolto, «sei davvero… sei tu?»
Avanzai qualche passo, volevo toccarlo, volevo sentirlo. Volevo riviverlo per un secondo. Mi sarebbe bastato. Solo un po’. Itachi…
Allungai una mano verso la sua guancia all’apparenza irraggiungibile, ma mi bloccai di colpo prima che potessi sfiorarla. Anche il sorriso di Itachi sembrò inclinarsi per la sorpresa.
«Naruto» sussurrai, «come hai fatto? Come… come lo sapevi?» domandai a mio fratello. Non sapevo che pensare. Prima di morire… io avevo allontanato l’idea di poter vedere di nuovo il mio nii-san, per questo quello che stavo vedendo in quel momento non poteva essere altro che il frutto di una stupida illusione. Una sorta di vendetta di Naruto, per forza!
Se fossi stato vagamente consapevole, invece che sconvolto e con una distorta visione della realtà per via di Itachi, avrei capito di star dicendo un mucchio di sciocchezze. Perché Naruto era un umano, Naruto non era capace di fare questo. E, semplicemente, Naruto non l’avrebbe mai fatto.
Stavolta fu Itachi – o chi la mia mente continuava a incolpare di aver dissacrato la sua immagine assumendo le sue fattezze – a muovere qualche passo verso di me, giusto quanto fosse necessario per avvicinarsi e toccarmi il viso.
«Non mi credi, otouto?» sembrava dispiaciuto, sembrava… non lo sapevo, non ne ero convinto. Non ero sicuro di niente, e non era così che sarebbe dovuta andare. Indietreggiai un po’. «Mi spiace, otouto» aggiunse, «mi spiace per quello che hai passato, e mi spiace ancora di più di non averlo potuto evitare in nessun modo, di non essere stato capace di proteggerti come ti avevo sempre promesso.»
Avrei voluto che stesse zitto, avrei voluto urlargli contro, e dirgli che stava dicendo un mucchio di stronzate, che non importava cosa diavolo fosse successo, e nemmeno che lui mi avesse abbandonato morendo prima di me. Non era colpa sua, volevo che capisse semplicemente questo. Eppure erano parole troppo pesanti da far risalire fino alle labbra. L’unica mia risposta fu il silenzio, in attesa che Itachi continuasse. Avrebbe voluto dirmi tante cose, glielo leggevo in faccia. E anch’io lo avrei desiderato.
«Perdonami otouto, non ho tempo nemmeno di rispondere a ciò che ti starai sicuramente chiedendo. Non posso sprecare il poco tempo che ho per spiegarti il motivo della mia presenza.»
Inghiottii il boccone amaro: invece io avrei tanto voluto saperlo.
«C’è altro che devi sapere» concluse, temporeggiando. Attendeva una mia qualsiasi reazione.
«Nii-san, cosa c’è allora?»
«Cosa stai progettando?»
Rimasi colpito dalla sua domanda. Sicuramente, non era quello che mi aspettavo. Avrei immaginato una risposta teorica essenziale, un qualche discorso di non immediata comprensione. Qualcosa alla Itachi, semplicemente.
«Vendetta» chiarii, stringendo nuovamente i pugni e riprendendomi dalla sorpresa iniziale – anche se il desiderio di poterlo almeno sfiorare era ancora forte. «E deve essere una vendetta in grande stile. Devo sterminarli tutti questi bastardi che ci hanno portati alla fine. Devono morire, se lo meritano.»
Itachi non fece una piega, e nel suo sguardo non vidi né rimprovero né accondiscendenza.
«Eri troppo giovane per saperlo» spiegò ancora, sul vago. «Anche se te lo avessi detto, chissà se sarebbe cambiato qualcosa. Sono stato pessimo con te, mi disp-»
«Smettila di scusarti» sbottai senza neanche accorgermene. Sentivo un pugno allo stomaco nel vederlo tanto dispiaciuto. Non era quello che volevo. «Piuttosto, voglio sapere come stanno le cose, visto che… a quanto pare mi è sfuggito qualche piccolo dettaglio.»
Mio fratello annuì. «Otouto, non sono stati i Senju a infliggerti quella punizione.»
Sobbalzai. «Che cosa stai dicendo, nii-san? I Senju sono… sono stati nemici degli Uchiha da tempi immemori! Chi altri ne avrebbe voluto la distruzione? Ciò che mi dici è assurdo» contestai, irritato.
«Può sembrarlo, e tu avresti tutto il diritto di crederlo. Tuttavia è stata un’altra la persona che ha sterminato tutti gli Uchiha, escluso se stesso.»
«Aspetta!» lo interruppi urlando. «Se dici che ha eliminato tutti tranne se stesso, intendi dire che… intendi dire che è stato un Uchiha stesso a voler la fine del suo stesso clan?» Mi ero reso a malapena conto di aver cominciato a urlare, anche se il mio nii-san non muoveva nemmeno un muscolo. «E’ ancora più ridicola questa storia. Nii-san… per me è difficile crederci» confessai.
«Lo so, otouto» mi concesse. «Ma se ripensi a quanto sta scritto nei libri che narrano della storia del nostro Clan, a quei libri da cui tu stesso hai attinto informazioni, sono sicuro che capirai.» Attese qualche secondo, probabilmente per farmi riflettere. Non ce n’era nemmeno bisogno, avevo già capito. «I testi narrano di una tragica ecatombe, di un male che ha afflitto tutto e tutti in una delle grandi e temibili battaglie tra Uchiha e Senju. L’ultima battaglia, per la precisione» continuò. «In quell’occasione, ci fu un guerriero che tra tutti si distinse, e che accumulò un potere tale da abbattere qualunque ostacolo che si frapponesse tra sé e chissà quale suo malato scopo. Sai bene di chi parlo, non è vero?»
Annuii. «Uchiha… Madara?»domandai lentamente, incredulo per via di tutta quella storia. «Ma era uno di noi, perc-»
«Qualunque cosa facesse credere agli altri, Madara desiderava una sola cosa, e la desiderava tutta per sé. Mi riferisco al potere. Tuttavia, inizialmente le intenzioni di Madara erano sì egoistiche, ma non tanto da prevedere nel suo piano di distruzione anche tutto il Clan Uchiha, col quale avrebbe giovato del successo ottenuto. O almeno lo avrebbe fatto tanto per tenerseli buoni e per non attirarsi una possibile minaccia che era preferibile evitare. Ma te l’ho detto: nel corso delle diverse battaglie, Madara aveva accumulato in sé un potere inimmaginabile, del quale nemmeno lui conosceva la forza effettiva.»
«Con quel potere ha sconfitto i Senju? I testi raccontano anche che poi Madara fu sconfitto da Hashirama Senju. Come lo spieghi?» domandai, sempre più confuso. Non volevo non credere alle parole di Itachi – mi era semplicemente impossibile non fidarmi di lui – eppure davanti alle mie certezze che si frantumavano dovevo opporre un minimo di resistenza, perlomeno.
«Madara non riuscì a controllare quella sua nuova forza, e perciò quando la utilizzò in battaglia, sperando di sconfiggere i Senju, successe l’inevitabile: rase al suolo ogni cosa, senza fare distinzione tra amico o nemico. Tutti, che fossero Uchiha o Senju, andarono incontro allo stesso destino. Fu un ecatombe, ripeto. Come starai per domandarmi, Hashirama fu l’unico che sopravvisse, perché dotato di facoltà probabilmente superiori. Nonostante tutto, riportò parecchi danni, tanto che Madara lo ritenne morto. Forse fu per questo motivo che, anni dopo, Hashirama riuscì a cancellare Madara dalla faccia della Terra.»
Avevo capito tutto, eppure continuavo a non esserne convinto. «E noi? Che cosa diamine c’entriamo? Perché…?»
«Essendo Madara l’unico Uchiha sopravvissuto a quella catastrofe, capirai bene che tutti gli Uchiha dopo di lui sono stati suoi diretti discendenti. Noi compresi. Otouto, non so se lo notasti dalle immagini che ci giunsero, ma tu… sei molto simile a Izuna Uchiha, il fratellino minore di Madara.»
«Questo non ha il benché minimo senso!» sbottai, allarmato, sempre più sicuro e convinto dal tono tanto amato di Itachi. «Una somiglianza? E che c’entra?»
Itachi era ancora tranquillo, e probabilmente si era aspettato pure una mia reazione del genere. «Gli Uchiha, o meglio, gli spiriti smaniosi di vendicarsi degli Uchiha, pensarono che potesse esserci un legame tra te e Madara, pensarono che fosse l’occasione giusta per entrare in azione e per vendicarsi. Non so di preciso che cosa dovettero credere, tuttavia suppongo che, secondo loro, da te sarebbe nato una sorta di nuovo Madara. Non furono i Senju a… impossessarti del tuo corpo, come credesti tempo fa, ma gli Uchiha, coloro che volevano vendicarsi di Madara.»
A quella confessione mi sentii più distrutto di quanto non fossi. Avrei voluto poggiarmi a Itachi, magari farmi consolare come quando eravamo piccoli. Volevo… semplicemente… volevo una spiegazione. Perché a noi? E perché per un motivo così stupido?
«Ma allora… se era con me che ce l’avevano, per quale motivo hanno ucciso te, la mamma e il papà?» domandai.
Fu un istante breve, ma Itachi non ebbe la forza per guardarmi dritto negli occhi e distolse lo sguardo. «E’ a causa mia» confessò, lasciandomi con gli occhi sgranati. «Sono stato io a proporre un accordo agli spiriti. Volevo difenderti, ma alla fine, a conti fatti, ho solamente peggiorato ogni cosa.»
«Nii-san, spiegati meglio.» Non era una paternale, quasi una supplica. Ero in ballo, volevo ballare fino alla fine, per quanto disarmante potesse essere.
«Otouto, pregai gli spiriti di risparmiarti la vita e di uccidere me al tuo posto. Spiegai loro che tu non potevi rappresentare Madara, non avresti mai potuto farlo. Concessi loro di scrutarmi dentro, di leggere qualsiasi mio ricordo su di te, mi misi a loro completa disposizione per dissuaderli, per far loro capire che tu non avevi nulla di Madara. Ma non fui convincente, evidentemente, perché loro continuarono, volevano te. O, in cambio, il resto della famiglia.»
Non dissi niente, non feci niente. Ascoltavo rapito, non volevo capire. Era assurdo. Quelle erano le mie certezze…
«Non avrei voluto ergermi a giudice supremo sugli altri, ma la tua salvezza per me era più importante di tutto. Se non avessi preso una decisione, ti avrebbero ucciso di sicuro, e non era questo che volevo. Scelsi così la sofferenza, per te, piuttosto che la morte. Alla fine, però, non cambiò nulla, non fui in grado di proteggerti, sbagliai su tutta la linea.» Si fermò un po’, sembrava cercasse le parole adatte. «Ed è per questo che, anche se adesso sai la verità, non ti fermerò, non cercherò di convincerti che la vendetta non serve a nulla. Mi serviva solamente parlarti, così da poter essere almeno un po’ in più in pace con me stesso. Chissà, è per questo che ci è stato concesso di rivederci?»
Itachi sorrideva di un sorriso triste ma al contempo rassicurante. Era la stessa espressione di quando gli Uchiha in me avevano ucciso i nostri genitori, lo ricordavo benissimo.   
Mi poggiò una mano tra i capelli, accarezzandomeli. La sua sagoma stava diventando sempre più chiara, meno tangibile, più lontana.
Io… non volevo che andasse via.
«Otouto, ricorda una cosa: non importa quello che farai d’ora in poi, io ti amerò per sempre.»
E svanì. Scomparve, fu lontano, e non avevo avuto il tempo nemmeno per… per… per cosa?
Caddi in ginocchio a testa bassa, al posto di Itachi era riversato il corpo di Naruto, che dormiva profondamente.
 
 
*
 
 
«Non fare tardi per pranzo!»
«No mamma, sarò puntuale, te l’ho già detto!» ridacchiai. Poi mi sbattei la porta alle spalle e fui fuori. Feci appena appena in tempo a udire la voce scherzosa e sempre allegra di mio padre che rassicurava la mamma.
L’inverno era arrivato, l’aria era talmente tanto gelida che i denti in bocca ballavano. Stretto nel cappotto, però, ci si difendeva abbastanza bene. Salutai allegramente la vecchietta del negozio di dolciumi e mi costrinsi a proseguire, sorridendo. Konoha era cambiata parecchio da quel giorno. Effettivamente, molte cose erano cambiate, e non solo l’aspetto del mio paese, divenuto di sicuro meno tetro, visto che la storia dello Spettro era stata risolta.
Arrivai in un posto abbastanza isolato. Una specie di viale desolato che, grazie alla ringhiera che lo costeggiava, si affacciava sul fiume. Mi ci poggiai, perdendomi nel movimento agitato delle acque.
Ricordavo ogni cosa di quel giorno, come se fosse stato proprio ieri.
Avevo potuto assistere al discorso tra Itachi e Sasuke, avevo compreso il legame tra i due e anche l’interiorità di Sasuke. Lui… non era cattivo, ma semplicemente… triste, solo, incompreso. Arrabbiato con il mondo perché non riusciva a trovare una spiegazione al suo destino, alla sua vita, a quello che gli era successo. Lo aveva dimostrato quando, distrutto fin dentro, aveva liberato coloro che aveva imprigionato, lasciando che tutti si dimenticassero di quant’era accaduto.
Tranne io.
C’ero entrato del tutto in quella faccenda, ne ero stato ricoperto fino ai capelli.
E lo espressi chiaramente con il mio ultimo desiderio.
Avevo capito che Sasuke se ne sarebbe andato, però non lo accettavo. Da succube e martire, nonostante tutto lo capivo, nonostante tutto lo amavo. Per questo quando lo avevo visto dissolversi sempre più davanti ai miei occhi non avevo resistito e lo avevo stretto a me, lo avevo baciato. Delicatamente, cercando di fargli capire che lo volevo lì, al mio fianco, che lo avevo perdonato se era quello che anche in minima parte voleva, che lo avevo capito, che desideravo aiutarlo.
Desiderai che, anche se avessi dovuto donargli metà della vita che mi rimaneva, Sasuke potesse vivere da vivo. E chissà per quale motivo accadde ciò che successe poi, ma ne fui felice.
«Ciao Naruto-kun.»
Sorrisi d’istinto, riconobbi quella voce.
«Itachi-san» lo salutai, voltandomi verso di lui. Il mio sguardo, però, si soffermò sul più piccolino dei due, che convulsamente stringeva la manina inguantata a quella dell’altro fratello. Le guance rosse lo rendevano adorabile.
«Naruto onii-chan, non hai freddo?» notò proprio lui, riferendosi, probabilmente, all’assenza di un mio set di cappello, guanti e sciarpa che il suo nii-san non gli faceva mai mancare.
Gli tirai una guanciotta. «No, Sasuke-kun, sto bene così!»
Lui rispose con un’espressione stizzita, infastidita, che mi ricordò tanto il mio Sasuke teme, che avrei visto molto presto, probabilmente: Sasuke cresceva a vista d’occhio – e più cresceva più ricordava –, molto più velocemente di un bambino normale, anche se – per chissà quale incantesimo, non mi interessava nemmeno saperlo – nessuno pareva accorgersene. Konoha era coperta da un manto di illusioni in cui solo io ci vedevo chiaro.
«Fa’ ciao, otouto, ora dobbiamo andare a casa» lo esortò Itachi paziente, e Sasuke obbedì.
Si allontanarono sotto il mio sguardo felicissimo.
Del resto, era giusto così, era giusto che quella possibilità di vita che per errore era stata tolta loro, venisse loro restituita. Una seconda opportunità più che meritata, sia per Sasuke che per Itachi.
E poi… chi aveva vinto la nostra scommessa? Io avevo riavuto i miei genitori, però pure Sasuke aveva vinto, anche se il piccolo teme ancora non poteva capirlo. Era finito, coi suoi modi bruschi, di legarmi a se per l’eternità.
Stupido, Sasuke teme… se non vinci non sei tu, eh?
 
 
 










 









 
Ed ecco che anche questa si chiude! <3
Dunque, che dire? Chi mi ha seguita, sa che ritengo questa una delle mie fanfiction preferite, per cui mi dispiace il doppio che sia finita – anche se sono contenta di essermi liberata da una storia! XD
Sicuramente, questo finale deluderà qualcuno, me lo sento, ma io, personalmente, ne sono soddisfatta. Era un altro il finale che avevo in mente, ma era drammatico, non c’era SasuNaru. In pratica, la scena si svolgeva nello stesso luogo, soltanto che Naruto avrebbe sentito Sasuke soltanto nel soffio del vento. O meglio, avrebbe interpretato quel soffio di vento addosso come lo spirito di Sasuke. Poteva essere anche più commovente, ma capite che io amo troppo l’happy ending per mandare tutto al diavolo! ;________;
Se almeno nelle fic è possibile, preferisco far finire bene. <3
Tanto questa è stata una storia ruotata tutta intorno alla fantasia, ai fantasmi, etc, quindi…
Ah, credo avrete notato lo spoilerone in questo capitolo. Ci sta una frase di Itachi… se n’è parlato talmente tanto che credo che tutti lo sappiano, ormai! XD Ma non la dico, non si sa mai… puntualizzo solo che c’è! <3
Passiamo ai ringraziamenti, va! <3
Ringrazio:
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Un salutone generale a tutti, grazie per aver letto, commentato e, in generale, per avermi sostenuta! *^*

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