Sai tenere un segreto?

di Flaqui
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - La prima volte che vidi Harry Potter... ***
Capitolo 3: *** Tenersi Pronti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sai tenere un segreto?



Prologo


Chiusi gli occhi, camminando velocemente. Quella sera era molto tardi, anzi troppo, e già mi immaginavo le proteste e le urla che mia madre mi avrebbe riversato contro nel vedermi arrivare fuori orario per cena e anche completamente bagnata.
Rimpiansi di non essermi portata una giacchetta, per proteggermi da quella pioggia assurda che sembrava voler annunciare un secondo diluvio universale.
Comunque conoscendo la mia fortuna sapevo benissimo che se mai mi fossi portata la giacca, allora non si sarebbe messo a piovere.
E dire che sembrava una così bella giornata. Con tanto di sole brillante e uccellini che cantavano spensierati.
Dove siete ora, dannatissimi pennuti?
Mentre correvo mi parve di intravedere un gruppo di persone ferme sul quello che era in origine il campo da calcetto del quartiere ma che, in mancanza di cure, era diventato uno spiazzo di terra e erbacce.
Con una smorfia di disprezzo mi accorsi che si trattava di Dursley e la sua banda di sfigati. Erano in cinque, tutti sedicenni, con brufoli, cappellini indossati al contrario e pantaloni da hip-hop. Avrebbero persino potuto spaventare qualcuno se a comandarli non fosse stato “Diddino piccino”.
Dudley Dursley era il ragazzo più irritante e fastidioso del pianeta, nonché mio vicino di casa e aveva il bruttissimo vizio di urlare all’alba (le dieci della mattina era una delle ore più vicine all’alba che riuscissi a raggiungere durante le vacanze) e andava sempre in giro con quel ghigno soddisfatto che sembrava dire “prendimi a cazzotti”.
Mi alzai sulle punte per vedere chi fosse la vittima del giorno e tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che si trattava di Harry Potter.
A Privet Drive giravano voci strane su Harry Potter. Alcuni dicevano fosse un povero pazzo squilibrato che passava le sue giornate rinchiuso in camera sua. Altri dicevano che aveva subito un forte shock da piccolo e che da quel momento non si era più ripreso. C’era perfino chi sosteneva di averlo visto puntare un arma contro i suoi zii.
Gli stessi Dursley non amavano parlare di quel nipote maledetto che, rispettavano, più per paura, credevo io, che per vero sentimento.
Io l’avevo visto solo un paio di volte.
Era più grande di me di un anno, era molto più alto (non che fosse molto difficile visto che raggiungevo a malapena il metro e sessanta) e aveva degli occhi di un bellissimo verde smeraldo.
Non era affatto male, a dir la verità.
Mi avvicinai con cautela, cercando di passare inosservata, non volevo che quegli idioti iniziassero con i loro solito atteggiamento da “io sono fico e tu devi essere mia”; ma sempre abbastanza per potermi godere la scena.
In un certo senso avevo paura di Harry. Badate bene, non credevo a tutti quei pregiudizi e a quelle stupidaggini che giravano sul suo conto, solo, che in quel momento, mentre l’osservavo afferrare Dudley per la camicia e puntargli qualcosa contro il petto, non potei non spaventarmi della luce furiosa che intravedevo fra i suoi occhi.
Il resto della banda ritenne saggio, giustamente secondo il mio modesto parere, darsela a gambe e lasciare il loro capo alle sue schermaglie famigliari con il cuginetto psicopatico.
Non riuscii a distinguere che cosa si dissero in seguito, non ero abbastanza vicina per sentire, ma capii subito che se ne stavano andando quando li vidi correre verso il cunicolo buio che portava a casa.
Per un brevissimo istante, fui tentata di proseguire lungo il viale alberato che mi avrebbe portato a casa, anche se in maggior tempo. Poi, spinta dalla paura del rimprovero di mia madre e dalla curiosità di studiare ancora l’atteggiamento dei due, mi infilai nel cunicolo buio dietro di loro.
Non avevo la minima idea che, se avessi davvero preso il viale alberato sarei riuscita a liberarmi di ogni mio problema, che se non li avessi seguiti non mi sarei incasinata fino al collo.
Ma in quel momento un'unica cosa mi era chiara e tenendola bene a mente giunsi ad una conclusione.
A Privet Drive giravano strane voci su Harry Potter. Si diceva che fosse un pazzo, un genio, un mentecatto, un idiota, un assassino. Ma sola una cosa era certa. Harry Potter nascondeva un segreto. E io avrei scoperto di cosa si trattava.




Angolo Dell'autrice

Ciao a tutti!
Allora questa storia nasce in modo molto starno..
Stavo lavorando al nuovo capitolo di un'altra mia ff, sempre su Harry Potter, e alla fine mi è uscito questo sgorbietto qui...
Spero che possiate comunque apprezzarlo, davvero so che vi aspettavate che aggiornassi con il nuovo capitolo di "Quel Maledette lunedì" ma per il momento sono priva di ispirazione... Un ringraziamento e una dedica speciale a chi è riuscito ad arrivare fino a qui..
So già che non è una delle storie migliori che si possano leggere in questa sezione, ma una piccola recensione non fa mai male...
Un enorme bacione...
Fra

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Capitolo 2
*** 1 - La prima volte che vidi Harry Potter... ***


A Damien Dixon  che è stata la prima ad avere il coraggio di recensire questa storia, a TittiGranger che è di sicuro una delle scrittrici più brave di questa sezione e che ha speso il suo tempo prezioso per commentare, a  _Valerie_96  che continua a ripetermi dopo tutto questo tempo la stessa cosa (TI ADORO!), a Alexiel94 la mia musa ispiratrice, a bess_Black  che riesce sempre a strapparmi un sorriso, a _Haru_chan_ cercherò di non far morire nessuno(!!!), a L a i l a  che è riusicta a comprendermi meglio di quanto abbia fatto io e mi ha lasciato la recensione più bella che io abbia mai ricevuto, a My Heart Haunted con cui ormai ho fatto comunella (dicesi fare amicizia e dire str******e a tutto spiano),  fede15498che mi ha ridato la voglia di scrivere e alla fine ma non per ultima Miriam G F J Potter  che ringrazio infinitamente per il sostegno...
E alle meravigliose 9 ragazze che l'hanno inserita fre le seguite e alla ragazza che l'ha messa fra le ricordate...
GRAZIE!!!



1 – La prima volta che vidi Harry Potter

 


La prima volta che vidi Harry Potter stavo per compiere tredici anni e, soprattutto, stava per piovere. Enormi nuvoloni neri, potevano essere le sette del mattino così come le sette di sera per quanto era scuro il cielo, si andavano ad addensare proprio sopra il tettuccio della vecchia Buik di famiglia. Probabilmente avrei dovuto interpretarlo come un segno del destino.
-Che tempo di merda- esclamò mia sorella, la fronte schiacciata sul finestrino dell’auto, le mani strette in due pugni.
Nathalie aveva tre anni, quindici centimetri e due taglie di reggiseno più di me. Non avevamo mai avuto un rapporto tanto stretto dallo scambiarci qualche parola in più rispetto ai soliti “Mi passi il sale?”, “Dove hai nascosto il mio mascara?”, “Quando è che te ne vai di casa?”, eppure, quando doveva dire qualcosa, per quanto stupida potesse essere, pretendeva che l’intera famiglia l’ascoltasse. Anche se doveva criticare la temperatura.
-Nathalie quante volte ti ho detto di non dire queste parole?- chiese mia madre, con il tono piatto di chi ha passato l’intera giornata a guidare un vecchio catorcio sulle strade sferrate della periferia di Londra.
Mia sorella grugnì qualcosa che con molta fantasia poteva essere considerato un “scusa” ma che conoscendola era molto probabile fosse un “vaffanculo”. Mia madre scrollò il capo, ma non disse nulla. Non poteva dire nulla, d’altra parte. Benché lei non dicesse parolacce a tutto spiano come Lie (“Smettila di chiamarmi con quel soprannome da rincitrulliti!”) era comunque colpa sua se ora ci trovavamo lì.
Dopo ben diciassette anni di litigi, urla, imprecazioni e soprammobili lanciati da una parte all’altra della casa, mia madre e mio padre avevano divorziato. I miei si erano incontrati da giovani, al college, si erano messi insieme ad una festa ed erano andati insieme al ballo di fine anno. Poi, dopo appena tre mesi dalla fine della scuola, avevano deciso di convolare a nozze.
“Non avremmo dovuto correre così tanto”, aveva detto mia madre dopo aver firmato le carte della separazione. A questo punto mi sarebbe venuta voglia di dirle che questi discorsi avrebbero dovuto farli un po’ prima di mettere al mondo tre figli. Ovviamente però, benché loro dicessero il contrario, giurando e spergiurando con le loro lacrimucce finte, le conseguenze ci sarebbero state.
Tanto per cominciare io e Nathalie eravamo state affidate a mamma e il mio adorato fratellino Jamie era con papà. Avrei tanto voluto il contrario. Non che non volessi bene a mamma, ma la prospettiva di passare ancora cinque anni prima della maturità con le altre due donne di casa mi faceva preoccupare.
Comunque, evitiamo di divagare e ritorniamo al mio problema con Harry Potter. Bhe, insomma non è che io abbia un problema con lui, solo che mi incuriosisce il suo modo di fare. E ogni volta che c’è lui nei paraggi succedono delle cose strane.
Quando la vecchia auto si fermò scricchiolando davanti a quella che sarebbe stata la nostra nuova casa, soppesai dentro di me la possibilità di tornarmene nel nostro vecchio appartamento a Dover a piedi. Privet Drive era una strada abbastanza elegante, per essere in periferia e circondata dal nulla, le case erano tutte intonacate alla perfezione, con un bianco brillante e acceso che se fissato troppo intensamente dava fastidio agli occhi. Le persiane delle finestre erano tutte rigorosamente blu cobalto e tutte serrate in vista dell’imminente temporale. I giardinetti, di cui ogni casa era prevista, erano curati e rigogliosi e nell’abitazione accanto alla mia potei osservare anche un piccolo viottolo in ghiaietta che partiva dalla strada vera e propria e conduceva fino all’ingresso dell’abitazione.
In effetti, nell’insieme, era abbastanza piacevole, e avrebbe anche potuto attrarre se non fosse che tutto era drammaticamente uguale, noioso e ripetitivo. Ero già venuta una volta a Privet Drive, a sette anni per l’esattezza, a visitare la mia vecchia e decrepita nonna, morta appena una settimana dopo. Ma il ricordo era sbiadito e assolutamente irrilevante. Mai avrei pensato di dover ritornare in quella casa, per viverci poi.
Mio padre aveva offerto a mia madre di lasciarci la casa a Dover, ma lei, nonostante le suppliche mie e di mia sorella, aveva deciso che voleva lasciarsi il passato alle spalle e di voler tornare a casa sua, Privet Drive, appunto.
Mi trascinai fuori dalla macchina, lasciando con disappunto i vecchi sedili in pelle e il cofano che emanava calore. Il vento freddo e l’aria umida mi travolsero appena mossi un passo fuori. Mi strinsi forte nel mio pullover, stringendo più forte la sciarpa sul petto.
Non poteva fare così freddo ad Agosto, maledizione! La cosa strana era che il vento, i nuvoloni e il cielo scuro, erano apparsi così, di colpo. Un minuto prima non c’erano e il secondo dopo, bum! eccoteli davanti, peggio di una tormenta. Evidentemente qualcuno lassù si stava arrabbiando sul serio.
Nathalie che mi aveva preceduta sul sentierino in ghiaia, si fermò davanti alla porta e fissò la casa con aria scettica. Odiavo quando faceva quell’espressione. Alzava il sopracciglio inarcandolo così tanto da farlo quasi scomparire dietro l’attaccatura dei capelli.
Anche mia madre si accorse del gesto e cercò di assumere una smorfia rilassata, non riuscendoci fra l’altro. Aggirò la figura della sua primogenita e si avvicinò alla porta in legno color mogano. Poi, dopo un altro sorriso che sapeva molto di spavento, si infilò la mano in tasca e estrasse una vecchia chiave arrugginita. Tutte e tre la fissammo per un secondo, lei con speranza e gioia, io e Nath con disprezzo e odio. Poi la infilò nella serratura.
-Bene, bene!- esclamò con aria soddisfatta, poi, con un gesto elegante che doveva in teoria farci ridere ma che in realtà, complice il vento tagliente, mi fece lacrimare gli occhi, aprì la porta dell’abitazione –Benvenute a casa, ragazze mie!-
Fu in quel momento che realizzai. Quella era casa mia ora. Quella villetta bianca e azzurra, con il giardino incolto e il nanetto da giardino senza un occhio sul davanti, quella sottospecie di abitazione, ora, era casa mia. Casa mia.
-Se non c’è il cavo satellitare e la presa per Internet giuro che ti denuncio- esclamò Nathalie, squadrando mia madre, poi, con passo risoluto, entrò dentro.
La mia camera era al secondo piano. Era piccola, troppo per i miei gusti, ma almeno non avrei dovuto condividerla come a Dover. In effetti, pensai mentre mi gettavo sul letto, meglio avere qualche centimetro in meno di spazio, piuttosto che inciampare nel balsamo di mia sorella che amava lasciare oggetti sparsi per terra (soprattutto i suoi reggiseni, per ricordarmi il fatto che ero piatta come una tavola e lei no).
Fu in quel momento che lo sentii. Un urlo prolungato e disperato, proveniva dalla casa adiacente. Sembrava un voce maschile. Mi avvicinai alla finestra e dopo avere alitato sulla superficie, per riuscire a distinguere qualcosa, sbirciai. La finestra dava sul davanti della casa, e da lì riuscivo a intravedere chiaramente il giardino dei vicini.
Chiamatemi pure guardona e pettegola, ma io sono curiosa, è un mio difetto, lo so. Eppure se non avessi sbirciato, quella sera, probabilmente nulla di quello che è successo sarebbe avvenuto e Harry Potter sarebbe rimasto per me un semplice vicino, magari un po’ più strambo, ma pur sempre irrilevante.
Spalancai le vetrate e mi sporsi. Mi aspettavo di vedere un assassino armato di coltello a serramanico, o, in alternativa, un orso grizzly con posate a bavaglino pronto a sbranare poveri passanti innocenti, ma l’unica cosa che mi trovai davanti era un ragazzo.
Doveva avere all’incirca la mia età, capelli neri corti, occhiali poggiati con malagrazia sul naso adunco, vestiti logori e un po’ troppo lunghi e larghi per lui, camminava velocemente lungo il vialetto trasportando con sé una enorme valigia. In mano teneva qualcosa, sottile e lungo, che però, data la grande distanza, non riuscivo a distinguere.
Non era un mistero però che fosse molto arrabbiato. Scomparve velocemente dietro la curva in fondo alla strada. Evidentemente non si era nemmeno accorto della mia presenza, e se se ne fosse accorto evidentemente non gli ero risultata abbastanza importante da venire considerata.
Rimasi a fissare il punto in cui era scomparso per un po’, troppo assorta per capirci qualcosa. Benché sapessi che non c’era nulla di strano in un ragazzino un po’ incazzato che sbatteva la porta di casa, sentivo dentro di me un brutto presentimento.
Cosa erano quelle urla? Chi era la famosa “Marge” che la voce maschile implorava di tornare indietro? Chi era quel ragazzo? Non lo sapevo, ma ero troppo stanca per pensarci, o anche solo per darmi della pazza, perciò mi limitai a sbattere più volte gli occhi.
Il cielo era tornato sereno. Le nuvole erano spazzate via da un vento invisibile, e ormai si stagliava in controluce la figura argentata della luna, ancora illuminata dai raggi del sole. (Avete mai visto la luna quando c’è ancora il sole? Bhe, è uno spettacolo fantastico…) Più i secondi passavano più l’idea che fino a qualche minuto prima ci fosse stato il rischio che venisse a piovere mi sembrava assurdo. Era come se quello strano ragazzo uscendo di casa avesse portato via con sé anche il cattivo tempo.
Solo in quel momento mi resi conto che un enorme cosa rotonda, che sembrava quasi di dimensioni umane, galleggiava allegramente nel cielo scuro confondendosi con le ombre della sera.
Per un breve attimo, probabilmente per la stanchezza del viaggio,  pensai che sembrava tanto un persona molto, molto grassa che volava, anzi avrei persino giurato di sentirla urlare, poi, dopo essermi data della stupida ed aver realizzato che era solo uno palloncino, chiusi di scatto la finestra.
Ficcai la valigia sotto il letto, con l’intenzione di sistemare l’indomani i vestiti nel vecchio armadio in frassino, e, senza neanche salutare mia madre, ero ancora arrabbiata con lei, mi gettai sul letto, addormentandomi.
 
A quella prima sera ne successero altre. Ogni estate, da quando mi trasferii al numero 3 di Privet Drive, erano ricche di avvenimenti, irrilevanti per chi non sapeva vederli, che assumevano per me significati sempre più inaspettati. Era un caso che enormi uccelli tropicali volassero ogni notte fino alla finestra più a sinistra della casa affianco alla mia? E cosa era stata quell’enorme esplosione che avevo sentito l’anno scorso? Perché i Dursley avevano sempre quell’aria vagamente spaventata dipinta sul viso? Perché Harry scompariva ogni singolo anno per poi riapparire magicamente con un grosso baule ogni primo di Giugno sulla porta di casa? E ancora più importante, che cosa faceva in quei mesi in cui scompariva?






Piccolo Angoletto Buio dell'Autrice

Ma vi rendete conto di cosa avete fatto?
Dieci recensioni! Dieci! Per un prologo!
Quando ho visto il numeretto accanto al nome della storia stavo per svenire!
In compenso ho lanciato un urlo così forte che mio fratello è entrato in camera armato di una mazza da baseball, credendo che ci fosse un ladro/assassino/marmotta/ragno/qualsiasi altro tipo di insetto....
Allora, come avete potuto notare se siete arrivati fino a qui, il capitolo è molto breve e non è stata ancora svelata l'identità della protagonista, ma spero vi piaccia lo stesso...
Piccola nota, ovviamente la scena di Harry che va via di casa e il "palloncino" che la nostra protagonista scambia per un essere umano, sono tratti dal terzo libro (non si era capito sai!) mentre l'espolosione a cui si riferisce nel pezzo finale è dovuta al signor Weasley che fa scoppiare il camino nel quarto libro...
Prima di concludere con queste mie note chilometriche volevo avvisarvi che farò di tutto per essere fedele alla storia reale.
E con questo intendo che la nostra ragazza misteriosa non avrà mai un vero rapporto con Harry, insomma al massimo si scambieranno un ciao...
La verità è che mi è sempre piaciuta l'idea che magari questa storia che sto cercando di raccontare ora è vera, magari è davvero esistita questa fantomatica vicina di casa che vuole scoprire il segreto di Harry, solo che, non avendo ella avuto rapporti con il nostro maghetto, la Row non l'ha raccontata...
Si, è un pò complicato come concetto...
Va bhe, ora vi lascio, prima che qualcuna/o di voi mi fucili...
Un bacio enorme, al prossimo capitolo!
Fra


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Capitolo 3
*** Tenersi Pronti ***


DEDICATO A  _Valerie_96 bess_Black Puffolapigmea90   Marciu96 _Haru_chan_ Alexiel94 TittiGranger  fede15498  Miriam G F J Potter  E  dierrevi
NOTE ALLA FINE DEL CAPITOLO!




2 – Tenersi pronti

 
I rami spogli degli alberi che costeggiavano il vialetto dove si stavano dirigendo i due erano soltanto dei graffi un po’ più scuri contro il cielo nero. Mi fermai, rimanendo indietro, in modo che non si accorgessero di me, lasciando qualche metro di distanza fra di noi.
Poi un tuono più forte ruppe il silenzio carico di tensione e loro iniziarono a correre, infilandosi in un cunicolo, buio e stretto. Nonostante la luce fioca dei lampioni, che illuminava a malapena le figure dei cespugli e del muretto e, in lontananza, del parco giochi, riuscii a distinguerlo come il vecchio passaggio che dava su Privet Drive e, dopo poche centinaia di metri, su casa mia.
Lì dentro era buio. Come se non bastasse il pavimento bagnato e scivoloso e la mia inesauribile leggerezza da elefante a farmi inciampare. Proseguii a tentoni, strofinandomi con forza le mani e cercando di non pensare alla faccia con cui mi avrebbero accolta a casa.
Mia madre avrebbe iniziato ad urlare come una pazza, gridando che se mi fossi presa una polmonite me lo sarei meritato. Poi avrebbe realizzato che, se mi fossi ammalata sul serio, non sarebbe potuta uscire con il suo fidanzato e mi avrebbe spedita in bagno a fare una doccia calda.
Quanto a mia sorella, bhe, lei si sarebbe limitata a osservarmi con fare sprezzante, sollevando il capo con fare superiore e cercando di farmi sentire più bassa di quanto già non fossi. Fortuna che nel giro di poche settimane, almeno lei, si sarebbe levata dai piedi.
Avendo terminato la scuola superiore quell’inverno, Nathalie, aveva deciso di prendersi un anno sabbatico prima di decidere a quale facoltà universitaria iscriversi. Sarebbe andata a New York, a casa dei nonni di Piper, la sua migliore amica, una ragazza dai lunghi capelli rossi e il viso completamente ricoperto di lentiggini.
Ovviamente quella era la versione ufficiale che aveva presentato a mia madre. In realtà, il vero progetto di quelle due svitate era di occupare il monolocale dei poveri signori Stone, che ignari di quello a cui andavano incontro avevano offerto loro l’appartamentino adiacente al proprio e, dopo aver tranquillizzato le famiglie su quanto fosse stimolante ed altamente educativa l’atmosfera lì, se la sarebbero spassata.
-Basta che non rimani incinta- le avevo detto –Non voglio diventare zia a quindici anni-
Nathalie mi aveva fissato con quello sguardo vagamente inquietante e aveva alzato il sopracciglio, in una chiara espressione di rimprovero. Poi mi aveva gentilmente risposto con epiteti che non intendo riportare.
Persa in questi pensieri non mi ricordai della presenza dei due cugini di fronte a me fino a quando non sentii un urlo agghiacciante perforarmi i timpani. Dudley singhiozzava, ansimava, si contorceva, agitava le braccia come se stesse combattendo contro un qualcosa di invisibile.
E poi eccola. Come una folata di vento gelido, una delle tante in quella terribile notte, una sensazione orribile mi percorse, facendomi tremare convulsamente.
Il sapore amaro e salato delle lacrime. L’odore fastidiosamente acuto di spirito. Il freddo che mi gelava le ossa come quando, durante la notte, ti scivola la coperta dalle spalle, lasciandoti scoperta. La sensazione di vuoto che mi si propagava nel petto.
Come se mi stessero strappando via il cuore e l’anima. Come se qualcosa di invisibile mi stesse stringendo in un abbraccio fatale e velenoso, trascinandomi in un vortice di dolore e disperazione, nell’occhio del ciclone di terrore, desolazione, vuoto e solitudine.
E in quel momento faceva così freddo che mi dimenticai di tutto. Mi dimenticai di Dudley, riverso sull’asfalto bagnato, mi dimenticai di Harry che aveva estratto qualcosa dalla tasca e stava urlando delle parole che non riuscivo a comprendere, mi dimenticai di mia madre e mia sorella che mi aspettavano a casa, mi dimenticai persino di vivere.
E mentre il mio respiro diventava sempre più affannoso sentii l’orribile presentimento che, dopo quell’esperienza, non sarei mai, mai più, riuscita ad essere felice. Era un sentimento assurdo, in quel momento, la felicità.
Il freddo, la desolazione, la solitudine, l’odio, il rancore, il silenzio. Quelli erano reali, erano con me, ci sarebbero sempre stati. Quel vento gelido che mi si abbatteva contro, quasi mi stesse stringendo in un abbraccio letale, sembrava ricordarmelo.
Una luce bianca.
E poi il buio.
 

***

 
Deve essere il freddo, ad avermi svegliato. Un freddo lancinante, di quelli che ti bucano la pelle e ti entrano nelle ossa ghiacciandoti il cuore. O forse è il pulsante dolore al petto, che mi blocca il respiro appena mi rendo conto di essere ancora viva.
Sono quasi tentata di girarmi verso Nathalie e urlarle di chiudere quella dannata finestra, non mi importa se vuole farsi vedere dai passanti in mutande e reggiseno, io sto morendo di freddo qui!
Spalanco gli occhi, di botto. Ma non c’è nessuna Nathalie che gironzola per la stanza, nessuna finestra aperta e nessun passante per strada. Cerco di alzarmi, velocemente, ma qualcosa me lo impedisce: una sorta di peso sul petto, un macigno che mi rende difficile persino respirare.
Riesco a girare la testa da una parte e ricominciare a respirare, anche se mi sembra che l’aria che inalo non vada proprio giù dove deve. Ho la strana sensazione di non sapere come siano girate le mie gambe. La stranissima sensazione di non avercele più le gambe.
Provo a sollevarmi, ma non ci riesco, ricado per terra con poca grazia. Sono troppo pesante. Credo che dovrei davvero dare ascolto a Spencer quando mi dice che dovrei mettermi a dieta. Ma, dopotutto Spencer è una schizzofrenica con le sembianze di una top model e lo stomaco di un camionista. E io, a quanto pare, sono riversa sull’asfalto bagnato di un cavolo di cunicolo, al freddo e sotto una pioggia torrenziale, senza nemmeno la forza di gridare e chiamare aiuto.
Assolutamente fantastico.
 

***

 
Se la vita ti da dei limoni, dice un vecchio proverbio, tu fatti una limonata. Ora ditemi, se la vita ti fa seguire due cugini psicopatici (andiamo, non era mica solo Potter quello svitato!), facendovi perdere in un vicolo buio, scivoloso, e, probabilmente facendovi scivolare e sbattere con forza la testa, questa parte era tutta una supposizione visto che, senza alcun dubbio a causa di un trauma cranico, non ricordavo il motivo per il quale mi trovavo riversa per terra, cosa dovresti farti?
Di certo non una limonata.
No, devi semplicemente rimanere lì, a chiederti cosa hai fatto di male per meritarti un simile trattamento. E magari crogiolarti nell’immaginare una possibile reazione di tua madre in un tuo eventuale ritorno a casa, e dico eventuale perché, nella situazione in cui mi trovavo, avrei potuto ritenermi fortunata se non mi fossi rotta entrambe le gambe.
Perché me lo sentivo che si erano rotte. Altrimenti sarei riuscita a muovermi, giusto? O magari avevo preso una storta. Una storta di quelle che ti fa un male cane. E per poi cosa? Per seguire quei due?
Assolutamente fantastico.
 

***

 
Io non credo nel destino.
Non leggo gli oroscopi e non scruto ogni sera il cielo per interpretare il volere delle stelle. Non sono superstiziosa, non credo nella sfortuna o nella fortuna. Ho una mente aperta e razionale.
Credo semplicemente che esista sempre un momento giusto e uno sbagliato. Poi tocca a noi utilizzarli.
Quando avevo undici anni mio padre mi obbligò a iscrivermi agli scout. Ero un completo disastro con i nodi ma credo di aver afferrato il concetto di base. La signora Grass dice sempre che non importa quanto tu possa essere seriamente interessato ad una cosa o quanto tu possa essere bravo a farla, se non comprendi il concetto base, l’idea di fondo, allora non concluderai mai niente.
Ed essendo la signora Grass una donna che, secondo il mio modesto parere, ha capito tutto della vita, non mi resta altro da fare che darle ragione.
E il concetto base di tutti quei campeggi, ore passate intorno al fuoco a cantare allegre canzoni, magari gettando nel lago i tuoi compagni è solo uno.
Tenersi pronti.
Perché la vita non aspetta altro che un tuo piccolo segno di cedimento, un tuo piccolo tentennamento per ficcartela in… Ok, sto diventando volgare e sopratutto sto divagando. Ricominciamo.
Mi chiamo Elisabeth Carren, ho quindici anni, sto per cominciare il terzo anno alla Jefferson High School, mia sorella è una sgualdrina esaltata, la mia migliore amica pure, sono perdutamente innamorata di Liam Cole e, soprattutto, non credo nel destino.
Infondo penso che credere nel destino sia inutile. Cioè se le cose succedono, succedono. Non c’è mica bisogno del destino per complicare tutto.
D’altra parte, però, se le cose vanno proprio male, con chi te la puoi prendere, se non con il destino?



 
 

Piccolo Angolo Buio e Tempestoso Dell’Autrice

Volete uccidermi?
Lo so che volete uccidermi! E avete ragione, davvero!
Saranno più di due mesi che non aggiorno!
Sono imperdonabile davvero, ma posso spiegare!
Davvero!
Allora, innanzitutto bisogna dire che scrivere questo capitolo è stato un parto. All’inizio volevo che la nostra bella ragazza non ricordasse nulla, poi però, ho cambiato idea e poi mi è venuto un altro colpo di genio, e dopo ancora ho rinunciato eccetera, eccetera…
Ero nel bel mezzo di sentimenti contrastanti, e alla fine è uscita questa schifezza qui!
Poi è giunto il problema del nome. Per un pezzo della storia che arriverà in seguito, avevo bisogno che la mia ragazza avesse un nome particolare, poi, però, non volendo segnarla a vita con nomi ottocenteschi ho deciso di chiamarla così… Che ne dite, va bene?
Spero davvero che possiate accettarla, nonostante la dubbia bellezza e il ritardo abnorme!
Mi dispiace davvero moltissimo ma questo è un periodo caotico per me e non riesco proprio ad avere un andamento regolare… ma, se questo può far contenti voi lettori, sempre che, dopo questo enorme ritardo, io ne abbia ancora, il prossimo capitolo è già in fase di lavorazione e dovrei postarlo a breve…
Detto questo vi rinnovo le mie più sentite scuse (mi sento Percy a parlare così! XD) e vi prego in ginocchio, con umili e dolci parole, di manifestare il vostro parere (anche lamentele, idiozie e cruciatus se vi fa sentire meglio) sul suddetto capitolo e sulla mia umile persona…
Un bacio abnorme
Fra

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