La Muse du Demon di Fuuma (/viewuser.php?uid=1725)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .01. ***
Capitolo 2: *** .02. ***
Capitolo 3: *** .03. ***
Capitolo 4: *** .04. ***
Capitolo 5: *** .05. ***
Capitolo 6: *** .06. ***
Capitolo 7: *** .07. ***
Capitolo 1 *** .01. ***
Autore: Toy &
Jemei
Titolo: La Muse
du Demon
Capitolo: -1 di
9-
Rating: Nc-14
Pairing:Principalmente
SatoshixDaisuke, in minor parte KradxSatoshi e DaisukexRisa
Note di Toy: Non
solo questa è la prima fic di D.N.Angel che scrivo, ma è anche la fic più lunga
e quella in cui mi sono divertita di più a scrivere XD! Merito della mia socia
Jey*_*… ho detto socia ò.o? Scusate volevo dire schiava mwahahah >XD! Scherzi a
parte è il nostro primo esperimento di fic a quattro mani e, devo dire, è
riuscito piuttosto bene èOé! Purtroppo siamo riuscite a ficcare la coppia yaoi,
in modo considerevole, soltanto verso la fine… ma speriamo che la storia piaccia
a chi la leggerà v_v… Altrimenti.. bè, pazienza, per me è stata comunque
un’esperienza divertente^O^!
La fic
nasce soprattutto perché IO desideravo essere la prima fanwritter italiana a
scrivere su questa serie*___*v
Note di Jey: ... v_v... (Toy: Bè, nessuna nota da parte tua>_>?)
naaaaah°____° solo che mi sono divertita un botto e
non vedo l'ora di rifarlo*_____*v (Toy: Dannata, la verità è che sei pigra e non
hai voglia di pensarci >XD!)
Disclaimers: I
personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki. Il personaggio di Eve è © Jemey
& Toy.
§°°Capitolo 1°°§
Il
puzzo nauseante della carne avariata infestava la stanza rendendo l’aria
irrespirabile.
Nessuno sarebbe riuscito ad entrarvi senza risentirne, nessun essere umano
sarebbe stato in grado di rimanervi anche solo per qualche sparuto secondo.
Nessuno.
A parte...
Un uomo.
Quell'uomo.
Seduto all'unica sedia presente nella stanza sorrideva stancamente, il viso
pallido segnato dalla vecchiaia, le rughe profonde che scavavano nella pelle e
lo sguardo spento. Uno sguardo di Vetro Opaco.
Era vivo ma non sarebbe mancato molto alla sua morte.
Occhi vacui fissavano verso il vuoto ed il suo corpo raggrinzito non si era mai
mosso da quella postura. Erano passati giorni, forse addirittura anni,
dall'ultima volta che si era alzato. Inconcepibile.
Lunghi capelli grigi e sottili, più radi sulla nuca e più bianchi verso la
fronte, cadevano fino al pavimento marcito sporcandosi di polvere e terra,
avevano continuato a crescere fino a ricoprire in un tappeto bigio quello che un
tempo era il pavimento di uno dei migliori tra gli artisti.
Eppure lo era ancora: un artista. Ora era divenuto il Migliore.
Vecchio. Stanco. Il respiro tanto sottile da sembrare assente. Le mani ruvide e
bitorzolute che impugnavano lo stesso pennello da anni, imbrattato dello stesso
colore di sempre e, su quel volto più bianco della neve, un sorriso.
A fatica il suo sguardo vitreo si mosse, quasi impercettibilmente, ed il sorriso
si ampliò.
"Perfetto... semplicemente perfetto..."
Qualcosa cadde a terra scivolando verso la porta d'entrata divorata dai tarli.
Chiuse gli occhi.
Non li riaprì più.
Una mano guantata si abbassò a raccogliere il pennello rotolato fino alla soglia
ed evanescenti sbuffi biancastri spirarono dalla bocca schiusa dell'uomo fino a
giungere tra dita giovani e ben curate.
"Il tuo tempo è scaduto ed ora mi riprendo ciò che mi appartiene."
Seta nera avvolta a dita di porcellana bianca.
Strinse con forza quei rivoli di fumo trasparente e tutto svanì dietro la sua
risata cristallina. Innocente come quella di un bambino ed allo stesso tempo
suadente come quello di una prostituta.
Rimase soltanto il cadavere di un uomo che fino all'ultimo sospiro si proclamò
come Il Pittore tra i pittori.
"Fermatiiii!!!"
Urla femminili si udivano per tutto il corridoio seguite da furiosi passi e da
respiri affannosi mentre gli schiamazzi divenivano sempre più forti.
"Ti abbiamo detto di fermarti maledetto sfaticato!!!"
Scope e palette erano tenute alzate sulle teste di tre ragazzine scatenate, le
loro espressioni traboccavano d'ira ed ogni imprecazione era rivolta ad un solo
ragazzo.
"Saehara, fermati immediatamente!!!"
Takeshi Saehara, per l'appunto.
Con un largo sorriso stampato in faccia Takeshi scappava a gambe levate per i
corridoi della scuola, aggirando i poveri compagni che si trovavano sulla sua
strada –e che puntualmente venivano travolti dalle compagne subito dietro di
lui- e blaterando frasi insulse sul suo dovere di giornalista.
"Non sta bene che delle ragazze urlino a quel modo contro un povero giornalista
che sta solo cercando di fare il suo lavoro." Affermò, saltando agilmente un
secchio pieno d'acqua che qualcuno aveva dimenticato in mezzo al corridoio.
"Invece di dire idiozie vieni a darci una mano! E' il tuo turno di fare le
pulizie e questa volta non ti lasceremo scappare!"
"Ma io non sto scappando, sono solo a caccia di uno scoop!"
"Te lo diamo noi lo scoop!"
E probabilmente glielo avrebbero dato in testa, provocandogli una serie di
traumi poco piacevoli e molto dolorosi per cui tanto valeva che corresse più
veloce e sperasse di trovare un nascondiglio momentaneo in cui rifugiarsi.
Riuscì a portarsi alle scale, le saltò a due a due finché non sbucò sul
pianerottolo, nello stesso istante in cui una folta chioma rossa faceva capolino
dal basso.
“Uhm? Saehara-Kun, che fai qui? “
La voce squillante ed innocente di Daisuke Niwa arrivò alle sue orecchie, mentre
il rossino puntava gli occhi color rubino verso il compagno di classe.
Takeshi rivolse un sorriso smagliante a Daisuke.
“Non vedi? Scappo dalle racchie!” rispose, passandosi la mano tra i capelli.
“SAEHARA!!!!”
“Brr…! Arrivano!” disse semplicemente ridendo il ragazzino. Si guardò
rapidamente intorno, come per cercare una via d’uscita.
Alla fine, con un sorriso soddisfatto sul volto giovane, afferrò Daisuke –che
non c’entrava niente- per un polso, trascinandolo su per le scale.
“Ehi! Io non c’entro niente, Sahe-!” provò a ribellarsi il ragazzino dai capelli
rossi, senza successo.
Infatti, Takeshi lo portò, ridendo come un idiota, su per le scale, fino ad
arrivare sul tetto della scuola. Completamente vuoto.
“Aaah, che pace!” sospirò, lasciando andare Daisuke, che nel frattempo si
passava distrattamente la mancina tra i folti capelli rossi.
“Ehm…Saheara-kun… ora che siamo qui… che facciamo?” si azzardò a chiedere
timidamente.
Piccolo, innocente Daisuke Niwa.
Daisuke Niwa che in realtà nascondeva ben di più.
“Come che facciamo? Non facciamo niente, no? Ci riposiamo!” rispose Takeshi,
come se la risposta fosse ovvia.
Sospirando felice, si lasciò cadere sul pavimento del tetto, guardando il cielo.
Daisuke sospirò, scuotendo il capo, e sedendosi a fianco dell’amico.
Rimasero in silenzio per lungo tempo, fermi così, a guardare la tela azzurra del
cielo.
“Non trovi che qui si stia benissimo, Daisuke?” mormorò ad un certo punto
Takeshi, riaprendo gli occhi che prima aveva chiuso.
Il rossino si voltò verso di lui. Ci pensò un attimo.
E, alla fine, sorrise.
“Già, hai ragione…” concordò, con un sorriso beato sulle labbra sottili e rosee.
“Vorrei rimanere qui, così. Per sempre.” sussurrò Saheara, in uno dei suoi rari
momenti di serietà.
“Sarebbe bello…” aggiunse Daisuke, guardandolo.
Strano che Saheara Takeshi fosse serio. Molto, molto strano.
“Ah ah! Ma non avrai mica creduto che stessi parlando sul serio, vero Niwa-kun?”
esclamò ad un tratto il ragazzo moro, tornando seduto e battendogli la mano
sulla schiena.
Daisuke sbattè le palpebre.
Appunto. Era troppo strano.
Sospirò, scuotendo il capo. Che cosa si aspettava, in fondo, da lui?
“Parlando seriamente, Daisuke…”
Ecco. Ora doveva iniziare a preoccuparsi. MOLTO.
“Sì, certo, Saheara-kun... come no...” ironizzò, sorridendogli divertito.
Povero Takeshi. Sempre privo di preoccupazioni…
“No no, sul serio! Dicevo...” tossicchiò appena, come per darsi un tono serio.
“Domenica c’è una mostra di quadri. Quadri famosi e non. Ne parlano molto bene.
Che dici, ci vieni?” propose, incrociando le gambe e sorridendogli.
Sicuro che avrebbe accettato la proposta.
Sicuro, perché ci sarebbe stata anche Risa.
“Mmmh.. non so… sai, con i compiti…” ribatté Daisuke, prima di venire
interrotto.
“C’è Risa Harada”
“Ci sono!” Confermò semplicemente Daisuke, prima di arrossire di colpo.
Ma in fondo, la sua cotta per la ragazza non era segreta ormai a nessuno.
“Perfect! E sono sicuro che succederà qualcosa d’interessante!” ghignò Takeshi,
alzandosi in piedi.
“C’mon, baby!”
Daisuke sospirò.
Povero Takeshi… se avesse saputo che aveva perfettamente ragione…
Ma il
momento delle chiacchiere era finito.
Il moretto scattò in piedi con i sensi all'erta. Fece un balzo indietro e, con i
riflessi di una volpe, scattò velocemente verso la porta antincendio alzando la
mano verso Daisuke per agitarla in un ampio saluto.
"Allora ci vediamo domenica amico, bye-bye!!!"
Scappò via così, lasciando il ragazzo a bocca aperta mentre, dalla porta da cui
erano arrivati loro, sbucarono con prepotenza le tre ragazze di prima. Non
avevano smesso di cercare il fuggitivo e ancora speravano di acciuffarlo.
Speranze vane.
"Maledetto Saehara, ce la pagherai un giorno!!!" promisero all'unisono urlandolo
al vento, puntando lo sguardo furioso al cielo e alzando gli scopettoni in segno
di protesta.
C'era solo da sperare che quel giorno non arrivasse mai per il poveretto.
Lo
sguardo vigile vagava lentamente per tutta la struttura controllando e
ricontrollando ogni minimo dettaglio.
Non c'era nulla che gli sfuggisse ed ogni particolare era perfetto.
Le dita affusolate si spostarono agli occhiali da vista, sistemandoli meglio sul
viso e lenti non graduate rifletterono la luce del sole brillando accecanti per
un paio di secondi.
Con calma si volse alla sua sinistra, monitorando celermente quello che stava
accadendo nell'altra stanza.
Poteva
perfettamente vedere all'interno grazie ai vetri trasparenti che ricoprivano
quasi interamente la struttura, ma udire parole provenienti da dentro era
pressoché impossibile.
La stanza era insonorizzata, persino le telecamere a circuito chiuso nascoste
negli impianti di ventilazione non registravano il sonoro. Era l'unico locale in
cui non funzionava, decisione presa dal direttore di quella particolare
struttura in ferro, vetro e... tele di cotone.
Pazientemente attese che i due uomini presenti al di là della porta a vetro
uscissero per parlare finalmente con lui.
"Capitano Hiwatari, è tutto pronto?" domandò il direttore sbattendo in
continuazione l'occhio sinistro, in un fastidioso tic nervoso.
Satoshi Hiwatari annuì appena mentre abbassava lo sguardo zaffirino sulle
notazioni prese nel proprio taccuino.
"Sì. Ogni
telecamera è stata modificata come da richiesta. Nelle sezioni A, B e G la
sorveglianza ha avuto un massiccio aumento mentre nella sezione C-2 del primo
piano i sistemi d'allarme sono stati migliorati del settantatre per cento."
affermò laconico riportando all'uomo quello che aveva minuziosamente scritto.
L'altro sorrise soddisfatto poggiando una mano all'altezza della pancia,
sfregandosela come se avesse appena ingerito un dolce dalla bontà sopraffina. Un
altro tic. Ne aveva parecchi, constatò Satoshi, e tutti particolarmente
irritanti.
Quando il direttore lo lasciò, dopo aver ricevuto una chiamata improvvisa,
l'altro uomo che era con loro si avvicinò al ragazzo, parlandogli per la prima
volta da che erano arrivati.
Il tono affabile e falso.
Il
sorriso affilato e gli occhi sfuggenti, dal taglio lungo e sottile.
Sistemandosi distrattamente la cravatta al collo abbassò le labbra all'orecchio
di Satoshi sussurrandovi piano, in modo che lui solo potesse sentire.
"Mi raccomando Satoshi, conto su di te, non deludermi."
Il ragazzo registrò mentalmente la frase facendo un cenno d'assenso con il capo.
"Sì otou-sama." disse anche. Meccanicamente. In realtà il suo cervello era
occupato ad analizzare parola per parola quello che il padre gli aveva detto e
il motivo per cui il direttore di un museo tanto famoso come lo Yurin li avesse
convocati in fretta e furia chiedendo loro di fare il possibile per rendere il
suo museo un edificio inespugnabile. Come se già non lo fosse.
Era un uomo paranoico che aveva paura persino della propria ombra e aveva smesso
da tempo di farsi vedere in giro. Non usciva mai dal suo ufficio al primo piano
del museo: la sezione C-2 per la precisione.
Molti dei
dipendenti che lavoravano su quel piano dicevano di non averlo mai visto andare
a casa, nemmeno una volta, lo vedevano a volte vagare con sguardo assente per i
corridoi e allora rabbrividivano come se si fossero trovati davanti un fantasma.
Come se non bastasse anche il sovrintendente capo Hiwatari, suo padre, aveva
insistito perché lui acconsentisse alle folli richieste di quell'uomo.
Aveva in mente qualcosa, ne era certo e, come al solito, glielo avrebbe tenuto
nascosto fino al momento meno propizio.
Opportunista.
Borioso ed egoista.
A volte malediva il giorno in cui era stato adottato.
C'era un motivo se suo padre lo aveva scelto, se aveva voluto averlo come figlio
ad ogni costo, nonostante avesse soltanto ventisei anni.
Mentiva davanti agli altri, sorridendogli e vezzeggiandolo come se davvero lo
considerasse il migliore tra i figli, blaterando su quanto lo amasse e quanto
fosse orgoglioso di lui.
Bugiardo.
Non gliene fregava niente di lui.
Anzi. Di lui gli importava... ma non della metà che Satoshi Hiwatari
rappresentava.
Senza più
aggiungere altro si allontanò a sua volta dal padre giungendo nell'atrio
principale della struttura, premendosi il petto con una mano.
Faceva male.
Il cuore.
Batteva troppo forte.
Strinse i denti respirando grandi boccate d'aria, il capo tenuto basso e i
ciuffi azzurrini che scivolavano morbidamente sulla fronte coprendo lo sguardo
zaffirino.
"Non è ancora il momento." bisbigliò per poi tornare a dedicarsi alla sicurezza.
Era domenica mattina e, tra meno di un'ora, le porte del museo Yurin sarebbero
state aperte al pubblico.
†1° CAPITOLO FINE†
|
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Capitolo 2 *** .02. ***
Autore:
Toy & Jemei
Titolo:
La Muse du Demon
Capitolo:
-2 di 9-
Rating:
Nc-14
Pairing:Principalmente
SatoshixDaisuke, in minor parte KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I
personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki. Il personaggio di Eve è © Jemey
& Toy.
§°°Capitolo 2°°§
Daisuke
Niwa si passò per un’ultima volta la mano tra i capelli cremisi, cercando di
sistemarli almeno un po’.
Inutile.
Sospirò, scuotendo il capo. Niente da fare. I suoi capelli erano scompigliati
per natura, non sarebbe mai riuscito a domarli veramente.
“Amen..” si rassegnò, guardandosi un’ultima volta.
Jeans scuri e maglietta rossa, come il colore del suoi capelli.
Daisuke Niwa era carino. Solo che non lo sapeva.
Lanciò un’occhiata all’orologio. Le quindici meno dieci. Doveva sbrigarsi. Per
fortuna il museo non era troppo lontano da casa sua.
“Mamma, io esco!” esclamò, passando dalla cucina per rivolgere un semplice
saluto alla madre, che si voltò con un ampio sorriso, guardandolo.
“Oh, ma sei proprio un amore, Dai-chan!” commentò, congiungendo le mani e
guardandolo con gli occhi a cuoricino.
Il rossino sospirò, scuotendo la testolina di folti capelli vermigli.
“See, va bene mamma… ciao…” mormorò, prima di uscire, e iniziare a correre verso
il museo.
Le tre meno cinque. Doveva muoversi.
Corse per la strada, veloce, fino a raggiungere il museo, con fiatone.
Si piegò, posando le mani sulle ginocchia, per riprendere fiato.
“Ehilà, Niwa-kun! Finalmente sei arrivato!” la voce di Saehara raggiunse le sue
orecchie, facendogli alzare gli occhi color rubino verso di lui.
“Scusa... per… il ritardo...” ansimò, ritornando eretto e passandosi una mano
tra i capelli. E quelli rimanevano arruffati.
“Niwa-kun! Finalmente sei arrivato!” si bloccò, a quelle parole. A quella voce
dolce e allegra.
Lentamente, si voltò, il battito cardiaco più forte delle altre volte.
“Ah… Harada-san… “ mormorò, in saluto, prima di distogliere lo sguardo dinnanzi
al sorriso della ragazza dai capelli castani.
No no, non doveva guardarla! Altrimenti…
“Bene, ora che ci siamo tutti.. entriamo?”
Ecco. L’altra faccia della medaglia. Riku Harada stava davanti a lui, in
pantaloncini corti e maglietta nera, le braccia incrociate sotto al seno.
“Andiamo, guys!” esclamò Saehara, con un sorriso a trentasei denti,
incamminandosi a grandi falcate verso l’entrata del museo.
Gli altri sospirarono, seguendolo. Daisuke si azzardò a lanciare un’occhiata a
Risa, che indossava una gonna bianca a pieghe, ed una maglietta dello stesso
colore, con la scritta “Angel” in rosa.
Mostrarono i biglietti per l’ingresso, che Takeshi aveva dato loro, gratis, dato
che, per un qualche motivo, anche suo padre era lì quel giorno.
Una folla di persone di tutti i generi li avvolse, confondendoli con profumi
costosi e di marche pregiate, vestiti eleganti dai colori sgargianti, risate di
ragazzini della loro stessa età e bambini schiamazzanti.
Daisuke odiava la folla. Finiva sempre per sentirsi a disagio.
“Daisuke! Muoviti!”
Rialzando in fretta lo sguardo, vide che Saehara, Riku e Risa erano già andati
avanti.
“Ah… ah, sì!” disse, correndo verso di loro.
Risa gli sorrise dolcemente, facendolo arrossire, mentre Riku lo guardò con un
sopracciglio inarcato.
Il rossino rise imbarazzato, grattandosi una guancia liscia con l’indice.
Iniziarono a guardare i quadri. Alcuni erano interessanti, altri tremendamente
noiosi e banali.
“Niwa-kun, guarda che bello questo!” esclamò Risa, puntando il dito contro un
quadro di Monet, che raffigurava il sole al tramonto.
Daisuke sorrise, prima di guardarsi intorno, curioso.
“Mh..?”
Gli era parso di vedere qualcuno di sua conoscenza. Ma forse si sbagliava.
Impegnato a dare le ultime direttive alla squadra di polizia a lui assegnata,
Satoshi notò con la coda dell'occhio l'entrata di Niwa.
Vide anche Saehara e le gemelle Harada, ma la sua attenzione tornò
nell'immediato a Daisuke facendo mente locale. Non ricordava che Dark avesse
mandato un biglietto di sfida alla polizia, questo significava che la presenza
del rossino lì era un fatto puramente casuale.
Eppure lui non credeva nelle casualità.
"Comandante Hiwatari, abbiamo finito." affermò uno dei poliziotti.
Annuì dandogli una veloce occhiata.
I preparativi erano stati completati per cui la sua presenza non sembrava più
necessaria, o almeno non più del solito.
Quel posto era abbastanza protetto già di suo, sarebbe stato impossibile che
qualcuno fosse riuscito a rubare uno dei quadri esposti.
Un sorriso increspò le labbra sottili del ragazzo.
A meno che non si fosse trattato di Dark Mousy.
Guardò proprio nella sua direzione, puntando gli occhiali, nascosti dalle lenti
di occhiali da vista piuttosto inutili nel suo caso, alla schiena del rossino
che stava avanzando nella galleria.
Non era proprio Dark, ma poco importava.
E poi quasi lo preferiva.
Lui esisteva soltanto per dare la caccia a quel ladro e per catturarlo una volta
per tutte ma, verso Daisuke, non provava alcun astio. Erano semplicemente
compagni di scuola.
Tutto qui.
Già.
Tutto qui... vero?
La schiena del rossino fu attraversata dai brividi ma, se lui era impegnato ad
ammirare la mostra, il suo alter-ego aveva ben altri pensieri.
Da che aveva messo piede nel museo aveva avuto la spiacevolissima sensazione di
essere osservato.
"Mhm..." sospirò pensieroso ed invisibile. Era pur sempre nel corpo di Daisuke,
e per di più il rossino se ne stava beato insieme alla sua Riku!
Perché non aveva voluto che lui prendesse il suo corpo?
Era sicuramente più adatto. Assolutamente!
Nascosto nel corpo del quattordicenne continuava a sperare che da un momento
all'altro il loro D.N.A. si sarebbe invertito.
E allora au-revoir tontolone d'un Daisuke.
Ci avrebbe pensato lui a far girare la testa alla piccola Riku e magari, perché
no, si sarebbe preso anche una piccola vendetta sul "coinquilino del suo corpo"
giocando un po’ con la bella Risa.
Tanto a lui era concesso, no?
Perchè Kaito Dark Mousy era carino, anzi, era proprio un bel ragazzo, e ne era
pienamente consapevole!
Subito
accanto a Risa, Riku non smetteva un attimo di fissare la sorella e Daisuke
rimuginando sui due.
A guardare come il ragazzino pendeva dalle labbra di Risa e accorreva ad ogni
suo richiamo non si aveva il minimo dubbio che quello stupidotto di Niwa si
fosse preso una cotta per lei.
Sbuffò ancora, più forte.
"Harada, ti stai forse annoiando?" domandò Saehara con sguardo indagatore
spostandosi intorno a lei come fosse un avvoltoio, continuando a fissarla
muovendosi in circolo.
Quando ci si metteva Takeshi sapeva mettere i nervi.
"No Saehara, ora però spostati." disse Riku cercando di sembrare gentile, mentre
invece il suo pugno era già stretto e pronto a colpirlo.
"Sarà, ma sappi che sei fortunata ad essere entrata in un museo famoso come lo
Yurin e per di più gratuitamente. Oggi verrà esposto per la prima volta un
quadro dal valore incomparabile! Ahahahah, ricordatemi con amore quando
rimarrete a bocca aperta davanti alla sua bellezza!!!"
Come al solito al giovane giornalista piaceva parlare a vanvera.
"Certo Saehara, ma non dovremmo seguire Daisuke? Se ne sta andando."
"Che cosa?"
"Guarda, sta andando di là."
Riku indicò uno dei corridoi della galleria ed entrambi notarono la chioma
rossiccia del ragazzino che spariva dietro l'angolo.
Con lui c'era anche Risa e la gemella corse subito dietro di loro, imbronciata
perché non l'avevano aspettata.
"Risa, Niwa, aspettatemi!" li chiamò, senza ottenere molti risultati.
I due sembravano diretti alla sala principale.
"Ohoo, è proprio lì che è stato esposto il quadro di cui ti parlavo!!!" spiegò
Takeshi che l'aveva subito raggiunta, facendole venire un mezzo infarto.
La sala era gremita di gente e il silenzio circondava chiunque come a
imprigionarlo in un mondo differente.
Peccato solo che Daisuke e Risa non puntassero a quella sala, anzi, la
superarono senza nemmeno darle bado, portandosi invece alle scale del primo
piano.
"Ma dove vanno? Il quadro è qui! Ehy voi due!" li richiamò il giornalista
facendo poi spallucce e realizzando che era fiato sprecato.
"Peggio per loro!"
Decise di fermarsi, in barba ai due compagni di classe, mentre Riku continuò a
seguirli.
Iniziava a preoccuparsi davvero.
D'accordo che Niwa non aveva occhi che per la sorella, ma dimenticarsi della
presenza degli altri non era da lui.
Infatti non l'aveva affatto dimenticata.
Soltanto si era ritrovato occupato a fare altro.
A discutere con Dark.
"Te lo chiedo un'ultima volta, dopo di che giuro che mi trasformo senza il tuo
permesso! Prestami il tuo corpo!" esclamò per l'ennesima volta la voce di Dark,
direttamente nella testa del rossino.
“Ti ho detto di no!” ribadì Daisuke, ormai esasperato.
Lasciare che Dark prendesse il suo corpo? Al museo? Con Riku e Risa?
Assolutamente no!
Avrebbe combinato solo casini!
“E non osare prendere il mio corpo, Dark! Non ora!” sibilò, corrucciato.
Non.Doveva.Assolutamente.Lasciare.Che.Dark.Mousy.Prendesse.Il.Suo.Corpo.
“..Niwa-Kun? Tutto bene?”
Daisuke si voltò di scatto, trovandosi davanti il volto preoccupato di Risa
Harada.
“A-ah s-sì! Scusa, solo un mal di testa passeggero…” ridacchiò, passandosi la
mano tra i capelli rossi e folti, arrossendo.
Accidenti a Dark! Doveva sempre fargli fare figure simili!
Maledicendo il suo alter ego tra sé, a denti stretti, sorrise a Risa, che
ricambiò il sorriso.
Povero Daisuke… era anche carino, ma era così... insulso e banale! Così
infantile!
Non era certo adatto a lei!
“Ehi, voi due! Venite o no?” esclamò Takeshi, cadenzando un piede a terra e
inarcando un sopracciglio, come a fingersi spazientito.
“Arriviamo, Saehara-kun!” sospirò Risa, voltandosi e raggiungendolo rapidamente.
Anche Daisuke fece lo stesso, accorgendosi solo ora che stava salendo al piano
superiore, senza motivo. Scosse il capo e sbuffò, dirigendosi verso gli altri
tre, che erano fermi davanti ad una folla di persone.
Un “ooooh” ammirato li raggiunse, quando un gruppo di persone si posizionò
dinnanzi ad un quadro, illuminato da luci soffuse.
“Eccolo, è quello!” esclamò Takeshi, facendosi largo a spallate tra le signore
raffinate e gli uomini d’affari.
“Permesso… scusate… sono un giornalista. Permesso..”
Daisuke, Riku e Risa sospirano, prima di fare come il compagno, e attraversare
la folla di persone.
Rimanendo fermi, poi, dinnanzi al quadro.
Era bello. Molto. Raffigurava due ragazze, probabilmente sorelle, entrambe molto
belle, abbracciate in mezzo ad un lago color zaffiro. Di notte. Con la luna alta
nel cielo. Le due avevano gli occhi chiusi, e i capelli biondi di una si
mischiavano con quelli corvini dell’altra.
Commovente, quasi.
Daisuke si grattò il capo. Era bello, sì… ma c’era qualcosa che non lo
convinceva, qualcosa che mancava su quella tela diponta... qualcosa che lo
rendeva un quadro e basta, senza alcuna vita, senza alcuna vera emozione.
“Mmmh…” mormorò, guardandosi intorno.
Gli occhi scivolarono alle scale del piano superiore. A quello che stava
raggiungendo prima...
In silenzio, lanciando un’occhiata agli altri, si diresse verso le scale.
“..mh?” Risa inarcò un sopracciglio, mentre vedeva Daisuke salire le scale,
diretto al piano superiore.
Rapidamente, silenziosa come il ragazzo, lo seguì.
“Ehi, Niwa-kun! Aspettami!” esclamò, sorridendo e afferrandolo per mano.
Inutile dirlo, Daisuke arrossì di colpo.
“Ah… Harada-san…” mormorò, districando la mano da quella di lei, e fingendo di
essere interessato più ai quadri.
Finzione che non durò per molto.
“Oh… Niwa-kun! Guarda!”
Il rossino si voltò verso Risa. Rimanendo bloccato dinnanzi a quello che lei
fissava.
Un quadro. Circondato da una teca di vetro piuttosto spessa, illuminato da luci
particolari.
Dalla tela, una ragazza li fissava.
I capelli, di un bel castano/ramato, erano acconciati in splendidi boccoli,
lunghi fino a metà schiena, ed incorniciavano un volto dai tratti fini e
delicati, ancora simili a quelli di una bambina. La pelle era candida, a parte
le gote rosate. Gli occhi, notò Daisuke, parevano due zaffiri, tanto erano blu,
pregni di sfumature apparentemente impossibili da riprodurre, ornate da lunghe
ciglia scure, simili a pizzo nero.
Le labbra non erano troppo carnose, appena imbronciate, come due morbidi
boccioli di rosa.
Indossava un vestito bianco, semi-trasparente, che lasciava intravedere le
forme, di quella che pareva una Dea.
Sulla sua schiena, poi… c’erano due ali. Grandi. Immense. Bianche. Anzi, no...
Sembravano trasparenti, come appena visibili all’occhio umano.
Era…
“…bellissima…”
La voce di Risa raggiunse il rossino. Si voltò appena verso di lei, che stava
guardando la ragazza del quadro. Sembrava incantata.
E, impegnato com’era a fissare lei, Daisuke non notò quello che sembrava un
movimento appena visibile –ma solo per occhi molto, molto attenti- nel quadro.
Le palpebre della fanciulla si erano mosse.
… O era solo un’illusione?
Tornò a voltarsi verso il quadro.
E proprio mentre lui volgeva lo sguardo, Risa sentì qualcosa di improvvisamente
strano dentro di lei.
Una sensazione di benessere e tranquillità, di pace e armonia.. e subito dopo la
forza, l’energia, la passione…
Si sentiva bella. Bella come non mai. Capace di fare ogni cosa. Potente.
…Doveva smettere di prendere quei cibi strani per modelle. Le facevano male,
sicuramente.
Qualcuno, vicino a lei, mosse le labbra in un sorriso divertito e malizioso.
Mentre ancora il quadro, con la sua grazia e particolarità, li affascinava.
"Non dovreste essere qui."
Era stato il quadro a parlare?
Per un attimo era parso che le labbra di rosa della giovane ritratta si
muovessero rivolte a loro.
"Niwa. Harada."
Ma era impossibile che un quadro conoscesse i loro nomi.
Dietro di loro Satoshi Hiwatari li scrutava con aria attenta.
Quando
era arrivato? Difficile dirsi.
"Questa sezione è riservata e, a meno che non abbiate un permesso speciale, non
potete rimanere qui." assunse il ragazzo con voce atona e sguardo fermo.
I due zaffiri dietro gli occhiali erano fissi negli occhi rubinescenti di
Daisuke e soprattutto con lui parlava.
La presenza di Risa Harada era quasi un dettaglio irrilevante. Fastidioso per
altro.
Daisuke sobbalzò, sentendo la voce fredda e pacata di Satoshi Hiwatari.
E quando si voltò verso di lui, rimase fermo, immobile, con gli occhi color
rubino puntanti in quelli zaffirini dell'altro ragazzo.
"Ah... ci dispiace, Hiwatari-kun.. non.. non sapevamo che fosse zona riservata."
mormorò a bassa voce, arrossendo per l'imbarazzo, tipicamente innocente, e
grattandosi il capo.
"Oh, Hiwatari-kun! Che ci fai qui?"
Risa sorrise invece al ragazzo con gli occhiali, le morbide labbra inclinate
dolcemente all'insù.
Daisuke lanciò un'occhiata al quadro, troppo intimidito dalla presenza di
Satoshi.
Satoshi, che conosceva il suo alter ego.
"E' una mostra aperta a tutti." spiegò sintetico il comandante della polizia
facendo scattare la molla della penna che reggeva tra le dita.
Era naturale perciò la sua presenza lì, esattamente come quella di Harada e
Niwa.
"Ora però sarebbe meglio che torniate al piano terra."
Si spostò sulla sinistra, per lasciar passare i due e permettere loro di andar
via. A sua volta iniziò a camminare dalla parte opposta e, una volta incrociato
con Daisuke, si sporse quel poco che bastava per poter bisbigliare al suo
orecchio.
"Spero tu abbia trovato qualcosa di tuo interesse... Dark."
Il suo respiro caldo e regolare giunse al collo sottile del rossino e il D.N.A
di Dark ebbe un guizzo anomalo, come un impulso elettrico che attraversava il
corpo e si diramava lungo i nervi fino a giungere nel luogo in cui il ladro
vigilava all'erta.
"Ok, Daisuke, questo è il momento buono per darmi il tuo corpo!"
Vigilava all'erta e ancora provava a convincere Daisuke a piegarsi alle sue
volontà...
Fissato!
“Ti ho detto di no!” esclamò di nuovo Daisuke, tremando leggermente alle parole
di Hiwatari.
Se qualcun altro lo avesse scoperto..
Ma no, Hiwatari non aveva ancora detto niente… perciò poteva stare sicuro.
“Ci… ci vediamo, Hiwatari-kun…” riuscì soltanto a ribattere, afferrando Risa,
quasi con noncuranza, per la mano, e portandola al piano inferiore.
Accidenti a Satoshi Hiwatari.
Aveva lo strano potere di metterlo in soggezione e, diciamolo, fargli anche un
po’ paura.
“Ma…” provò a protestare Risa, ancora sotto l’effetto di quel magnifico quadro.
Niente da fare. Daisuke la trascinò giù, dove gli altri li aspettavano.
“Era ora! Dov’eravate finiti?” domandò Riku, arrabbiata, e anche un po’ gelosa.
In fondo, a lei piaceva Daisuke. E non le andava che stesse sempre con la
gemella.
"Daisuke! Dannato! Questa me la paghi!" ringhiò invece un Dark più offeso che
mai, offesa che aumentò alle parole di Riku rivolte a Daisuke e non a lui.
Porca miseria!
Ma la prossima volta che riusciva a ritrasformarsi col cavolo che gli avrebbe
restituito il corpo tanto facilmente!
Eh, no, si sarebbe divertito, ohoooo se lo avrebbe fatto!
Intanto al primo piano Satoshi aveva percorso tutto il corridoio in un controllo
di routine e, a parte Daisuke e la più giovane delle gemelle Harada, non aveva
più travato nessuno.
Anche la sorveglianza era scarsa e la sicurezza era tutta basata sui sofisticati
sistemi elettronici.
Fece spallucce.
La cosa che lo interessava maggiormente era altro, per cui tornò sui propri
passi portandosi nella stanza in cui prima i suoi compagni si erano soffermati.
Il quadro ad olio ivi conservato era molto bello, raffigurava una dama di fine
ottocento dal sorriso malizioso e dagli occhi del color del fuoco. Rossi ed
intensi. I corvini capelli erano colpiti dai riflessi dei colori dell'arcobaleno
e sciolti cadevano lisci sulle spalle nude e bianche della donna dipinta.
Corrucciò la fronte avanzando di un passo.
Era la prima volta in realtà che si permetteva di guardare i quadri, soprattutto
quello, il preferito del direttore del museo... ma qualcosa lo aveva incuriosito
e lo incuriosiva tutt'ora.
Quel quadro...
Era cambiato...
Possibile?
"No..." mormorò a sè stesso "Devo essermi sbagliato."
In fondo lo aveva soltanto intravisto alle spalle di Niwa, troppo concentrato
nel guardare il ragazzo per dedicare attenzione anche alla tela.
Sicuramente si sbagliava.
Fece dietro front sparendo nel corridoio e, insieme a lui... sparì anche il
disegno.
Di esso non rimase nulla.
Soltanto una tela dall'insulso colore bianco, appesa alla parete di uno dei più
famosi musei del Giappone.
Una Tela
Vuota.
†2° CAPITOLO FINE†
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Capitolo 3 *** .03. ***
Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -3 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 3°°§
“Sono a casa!”
Daisuke salutò con un cenno del capo il nonno e la madre, correndo subito dopo
in camera sua per cambiarsi.
Indossò un semplice paio di pantaloni scuri, ed una maglietta a maniche corte
dello stesso colore.
“Mhm, davvero bella come mostra.. anche se non mi aspettavo di trovarci
Hiwatari-kun…” mormorò tra sé, subito prima di rispondere alla madre, che gli
aveva detto che la cena sarebbe stata pronta a breve.
Effettivamente, trovare lì Satoshi Hiwatari era stata una sorpresa.
Anche se sapeva che il ragazzo con gli occhiali era migliore di molti dei
poliziotti adulti.
Sospirò, lasciandosi cadere sul letto.
"Che hai tanto da sospirare tu? Almeno l'hai vista con il tuo corpo!"
La voce di Dark risuonò imbronciata nella mente del ragazzino.
Era ancora arrabbiato per aver perso l'occasione di poter passare una giornata
con Riku e sarebbe stato così per molto tempo ancora.
"Sei un insensibile Daisuke, ecco cosa sei."
Bravo, bella mossa far leva sul senso di colpa! Si complimentò con sè stesso
ghignando volpescamente. Ghignando sì, ma tanto nessuno lo avrebbe potuto
vedere.
"E pensare che Risa non ha fatto altro che guardarti oggi."
Tasto dolente, ma sicuramente piacevole.
Infatti l’altro arrossì di
botto.
“Ma cosa... cosa stai
dicendo?!”
"Non smetteva di fissarti."
“Eh?!?” blaterò Daisuke ancor
più rosso dei suoi capelli.
Dark sorrise, la malizia sulle sue labbra.
Non restava che insistere
ancora un po’.
"Eh già, la piccola Risa." sussurrò appena il suo nome che, tra le sue labbra in
cui il miele si mischiava con il fiele, risuonò ancor più seducente.
E boom!
In men che non si dica le molecole di Daisuke andarono in sovraccarico,
l'adrenalina rifluì al contrario insieme al sangue che gli andava alla testa e
tutto mutava.
Daisuke Niwa in Dark.
Dark Mousy in Daisuke.
“Lo hai fatto apposta Dark!!!”
urlò la vocetta di Daisuke prigioniera nella mente di un ladro che sorrideva
compiaciuto.
“Lo puoi dire forte, bello.”
In ogni caso, missione
compiuta.
”Interessante la mostra.”
La voce pacata e appena maliziosa risuonò nella mente di Satoshi.
“Già. Davvero interessante.” continuò, con un tono apparentemente innocente.
Falso. Bugiardo.
Perché lui era tutto fuorché innocente.
Nella mente di Satoshi comparve un ragazzo.
Un ragazzo con lunghi capelli color dell’oro e iridi simili al sole. Vestito con
un abito bianco che risaltava la sua figura, già splendida.
Sarebbe potuto apparire come un angelo. E lo era.
Solo che aveva quel sorriso deliziosamente sadico perennemente sulle labbra.
“Ti è piaciuta, Satoshi-sama?” sussurrò, socchiudendo appena gli occhi e
rivolgendosi direttamente al suo ospite.
Lui c’era sempre. Nella sua mente.
Quella voce dannata era sempre lì.
Le labbra di Satoshi si schiusero in un movimento del tutto meccanico.
Avrebbe voluto urlare.
Chissà perché, ormai era abituato alla sua presenza, a quell'angelo maledetto
che distruggeva tutto ciò che toccava. Eppure avrebbe voluto urlare.
Stava distruggendo anche lui.
Piano. Lentamente. Inesorabilmente.
Avrebbe rotto anche Satoshi, lo stesso Satoshi che il biondo amava chiamare
Satoshi-sama oppure "my everything". Era tutto per lui.
Ma cosa sarebbe stato quando quel delicato e fragile corpo si sarebbe spezzato
per sempre?
Era pur sempre un essere umano, aveva pur sempre soltanto quattordici anni.
"Sì..." rispose il ragazzo seduto in terra con la schiena poggiata al letto.
"Mi è piaciuta."
Mentiva.
Anche lui sapeva mentire e, comunque, non aveva avuto tempo di rimirare la
bellezza di quei quadri.
Lo sapeva anche l'altro.
"E' stata interessante." insistette con aria assorta ai file che stava leggendo,
appena arrivati via fax.
Krad, nella sua mente, nella sua immaginazione quasi, si sedette sul letto, la
gamba destra che sfiorava la spalla di Satoshi.
“ Interessante... per i quadri... o per altro?” domandò, ancora, con quel
sorriso malizioso sulle labbra.
Dannato angelo.
Sia tu maledetto.
Continuava a fissare Satoshi.
Sì, perché anche se il ragazzo aveva solo quattordici anni, Krad provava una
passione morbosa per lui.
Perché lui era solo suo.
Non apparteneva a nessun altro.
E prima o poi, anche Satoshi lo avrebbe capito.
Lui era il suo “everything”. Il suo tutto. Senza di lui, non poteva esistere.
Ma Satoshi non era ancora abbastanza forte per sconfiggerlo.
E così, lo avrebbe dovuto sopportare per molto, molto tempo ancora.
Finché Satoshi Hiwatari non si sarebbe spezzato dinnanzi a lui.
"Per i quadri naturalmente."
Piccolo bugiardo, che senso aveva mentire al maestro dell'inganno?
Scostò lo sguardo dai plichi osservando distrattamente gli occhiali che aveva
abbandonato sul pavimento.
Non gli servivano, lui ci vedeva benissimo anche senza.
Eppure li portava sempre.
A scuola.
Nelle gallerie d'arte o musei, quando dava la caccia a Dark.
Per strada.
Ovunque.
A parte in quel momento, forse soltanto perché sapeva già che l'angelo avrebbe
fatto la sua apparizione, disturbandolo.
"Eppure c'era qualcosa di strano." asserì vago cercando di proseguire sul
discorso del museo, probabilmente invano.
"E' la prima volta che mio padre mi obbliga a controllare la galleria d'arte di
un museo tanto ben protetto senza che ci sia di mezzo..."
Si bloccò di colpo, incerto se fare quel nome o no.
Dark.
Che, a differenza di quell'angelo biondo dal candido piumaggio, aveva corvini
capelli e ali nere come la notte...
L'esatto opposto.
Per l’appunto, Krad era la nemesi di Dark.
Completamente diversi.
Avevano solo due cose in comune:
Entrambi possedevano il corpo di un ragazzino quattordicenne.
Entrambi erano belli come angeli.
E questo, lo sapevano bene sia lui che Dark.
Fingendo di interessarsi ai documenti di Satoshi, Krad si sporse appena,
lasciando che alcune ciocche bionde solleticassero la guancia del
quattordicenne.
“Cosa leggi?” domandò, apparentemente interessato, mentre le labbra di seta
parevano sfiorare la pelle di Satoshi.
Oh, adorava quel ragazzino, che cercava in tutti i modi di ribellarsi a lui…
..e che non ci sarebbe mai riuscito.
Era così…divertente, vederlo imporsi ogni volta, provando ad ignorarlo,
combatterlo per non farlo uscire.
Ma non ci riusciva mai.
Era questa la differenza fondamentale tra lui e Dark.
Dark Mousy e Daisuke Niwa vivevano, si poteva dire, pacificamente. Avevano un
bel rapporto d’amicizia, alla fin fine.
Mentre tra lui e Satoshi Hiwatari c’era indifferenza apparente, c’erano lotte
continue per il predominio.
Perché il ragazzo dagli occhi di zaffiro non si sarebbe mai arreso a lui.
Krad lo sapeva bene.
E, proprio per questo, lo adorava.
"Un rapporto di mio padre." Rispose il ragazzo, laconico. Sapeva che in realtà a
Krad non importava nulla.
Quando i capelli del biondo iniziarono a diventare un fastidio sulla sua
guancia, decise di spostarli con un movimento della mano, scostandoli lontani da
sè.
Ricominciava.
La lotta per il predominio.
Si alzò portando con sè i fogli stampati per lasciarli sulla piccola scrivania
di legno di faggio spostata sotto la finestra, in modo che ci fosse soltanto il
chiarore della luna ad illuminarla.
La luce era spenta infatti e la penombra vigeva nella stanza.
Preferiva così Satoshi, preferiva stare al buio, in quel modo Krad appariva meno
candido e bianco di quanto non sembrasse... e di quanto in realtà non fosse
affatto.
Si volse verso di lui.
Lapislazzuli di un intenso blu che si scontravano con oro colato in occhi ferini
fatti per ammaliare.
"Domani dovrò svegliarmi presto." disse come se solo con quella frase avrebbe
mutato qualcosa "Perciò ho bisogno di dormire."
Forse sperava che a quel modo Krad si togliesse dal suo letto.
Illuso.
Povero piccolo illuso.
“Dormi” Replicò semplicemente l’angelo, senza spostarsi.
Tsk…davvero credeva che lui l’avrebbe lasciato dormire in pace?
Assolutamente no.
Altrimenti, dove andava a finire il divertimento?
Continuava a fissarlo, con quel sorriso malizioso e dolcemente sadico sulle
labbra sottili.
“Non vedo quale sia il problema, Satoshi-sama” sussurrò, donando una cadenza
particolarmente enfatica sul nome del ragazzo.
Lo prendeva in giro.
Come sempre.
Solo così si divertiva.
Prendendo in giro il SUO Satoshi-sama.
Gli sorrise. Un sorriso innocente, all’apparenza. Tutto il contrario in realtà.
Aveva posseduto altre persone, appartenenti a quella famiglia.
E tutte si erano spezzate.
Satoshi era il migliore.
Satoshi era l’Unico.
"Krad, non so cos'hai in mente..."
Davvero non lo sapeva?
"Ma ti ordino di spostarti." lo disse con tutta la tranquillità di cui disponeva
-e che in realtà iniziava a scarseggiare-.
"Non ho voglia di giocare con te."
Il suo tono era distaccato.
A differenza dell'altro lui non provava nulla per Krad, solo disprezzo.
Disprezzo?
Davvero?
Davvero.
Assolutamente.
Soltanto disprezzo.
Avanzò giungendo innanzi al letto.
Le braccia incrociate al petto e, sul viso, la solita espressione i sempre:
seria, matura, fredda. Un'espressione che molto difficilmente poteva appartenere
ad un ragazzino della sua età.
“Oh…” sussurrò solamente Krad, alzandosi in piedi, con un movimento felino del
corpo. Un movimento estremamente sensuale, a dirla tutta.
E lui lo sapeva benissimo.
“E chi ha detto che io voglio giocare?” continuò, chinando appena il busto, per
scontrarsi con le iridi zaffirine di Satoshi.
Il fiato caldo che sfiorava il volto del ragazzino.
“Io non voglio giocare, my everything…” mormorò, dolce. Apparentemente.
Dolce come un serpente velenoso che sta per colpirti.
Satoshi smise di parlare, smise anche di guardarlo... smise di considerarlo.
Si spogliò della divisa scolastica che ancora indossava, piegandola e
poggiandola sull'unica sedia alla scrivania.
Con passi misurati si portò al letto, aggirandolo per stendersi dalla parte in
cui Krad non lo occupava.
In fondo quell'angelo non era altro che una materializzazione della sua
immaginazione. In realtà non era lì con lui. In realtà era dentro di lui.
Perché Krad non esisteva senza Satoshi... Ma Satoshi?
Gli occhi di zaffiro del ragazzo posarono alla finestra, cercando di scorgere il
panorama attraverso le tende.
Lui sarebbe potuto esistere senza Krad...?
Avrebbe voluto saperlo...
Krad sorrise tra sè,
osservando Satoshi.
Si chinò appena su di lui, schiudendo le labbra vicino al suo orecchio:
"Buonanotte, Satoshi-sama... Dormi bene..." sussurrò, sfiorandogli volutamente
il lobo dell'orecchio e augurandogli la buona notte con una voce che era tutto
tranne che innocente.
L'Angelo biondo si rialzò, sorridendo maliziosamente al suo alter ego, prima di
scomparire.
Lasciando Satoshi solo. Per il momento.
Perché Satoshi non sarebbe stato mai solo.
"Rikuuuuuuuuu!! Hai di nuovo preso la mia maglia, per caso?!" urlò Risa,
sbattendo la porta della camera della sorella, rossa in viso.
L'altra ragazza alzò un sopracciglio, fissando la gemella.
"Dovresti saperlo che i tuoi vestiti non mi piacciono." replicò,
tranquillamente, tornando a leggere il suo libro.
Risa socchiuse gli occhi, guardando l'altra.
Non la sopportava. Per niente.
Solo perché era nata prima, pensava di essere la migliore.
Era LEI la migliore! Lei era più bella, più simpatica, più intelligente!
Pestò il piede a terra con il visino imbronciato e soltanto dopo molto si decise
a richiudere la porta della sua stanza, sbattendola con violenza.
"Risa!" esclamò la sorella disturbata dal rumore.
Sbuffò pesantemente lanciando il libro sul letto e scendendo dal materasso.
Quella Risa, le dava sempre troppo da fare!
Con calma uscì dalla camera all'inseguimento della sorella.
"Allora che maglia stai cercando?" domandò, in realtà poco gentilmente, a dirla
tutta le seccava aiutarla nella ricerca dopo come era entrata e uscita dalla sua
camera.
Che razza di sorella viziata!
"L'ho lasciata qui, ne sono sicura!" ribatté l'altra. Tutto l'opposto di lei.
Perché Riku era bella, ma Risa.. bè lei lo era molto di più, o forse era solo
che valutava maggiormente il suo aspetto esteriore, abbellendolo con vestiti che
risaltavano la sua femminilità, colori brillanti che mettevano in mostra i suoi
occhi nocciola, grandi e dolci, e i suoi morbidi capelli profumati sempre di
lavanda.
"Qui dove?" insistette Riku, la più grande, ma soltanto di una manciata di
minuti.
Lei tra le due era quella più matura. Teneva i capelli corti per differenziarsi
da Risa, ma anche perchè li trovava più pratici. Molto più agile della sorella
era sicuramente portata per gli sport.
In definitiva però erano pur sempre gemelle e questo non sarebbe cambiato mai.
“Qui!” ribatté
semplicemente l’altra, guardandosi intorno, continuando a sibilare qualcosa
sottovoce.
Riku sospirò.
“Risa… QUI dove?” domandò, per l’ennesima volta, mentre osservava la gonna
bianca della gemella svolazzare un po’ ovunque.
“Uff.. ma dove accidenti è?!”
Risa si sedette sul proprio letto, le braccia bianche incrociate sotto al seno,
le morbide labbra di bocciolo ferme in un broncio.
“L’avrai messa nell’armadio...” sospirò laconica l’altra, scuotendo il capo e
dirigendosi verso l’armadio di Risa.
Lo aprì, guardando rapidamente dentro.
Tutti abiti completamente differenti dai suoi.
“E’ questa, per caso?” domandò, voltandosi, con in mano una maglia azzurra dalle
scritte blu.
“Esattamente!” esclamò l’altra, saltando in piedi e afferrando la maglia,
stringendosela al petto, senza neanche ringraziare Riku.
“Aaaah! Con questa sicuramente Dark mi noterà, no?” continuò, con le stelline
negli occhi nocciola, sognando tra sé.
“Sì, certo... come no...” sospirò l’altra, ormai esasperata.
Dark, Dark, Dark… ma che aveva di speciale, quello?
E pensare che Niwa non faceva altro che sbavarle dietro.
Poveraccio...
Sentì una fitta al cuore al pensiero. Scosse il capo mentre i corti capelli
castani si muovevano a seguirlo lasciando una scia marroncina.
"A questo punto me ne torno in camera mia." annunciò, tanto non c'era più
bisogno di lei.
"Buona notte."
Risa non si accorse nemmeno che Riku se ne era andata.
Continuava a guardarsi allo specchio, ruotando il busto da una parte e
dall'altra mentre, tra le braccia, la maglia azzurra ondeggiava morbidamente.
Sorrise contenta, cantilenando il nome di Dark in continuazione, fantasticando
su lei e il bel ladro e ridendo imbarazzata.
Sedendosi davanti alla specchiera iniziò a pettinarsi i capelli, lo sguardo
sempre fisso allo specchio e gli occhi nocciola intenti a guardare quelli del
proprio riflesso.
Occhi altrettanto nocciola.
Erano belli i suoi occhi, vero?
Grandi, dolci, gentili. Proprio dei begli occhi.
E anche la sua bocca, i lineamenti delicati del suo viso, e il suo corpo in
generale.
Era bella.
Vero?
Oh, sì.
Era proprio bella.
"Ah, Risa, senti domani..." Riku era rientrata nella stanza della sorella
all'improvviso e, fermandosi con la testolina che sbucava dalla soglia guardò il
suo riflesso allo specchio lasciando la frase a mezz'aria.
Stropicciò gli occhi.
"Ah..."
Che sciocca per un momento aveva visto qualcun altro riflettersi al posto della
sorella. Si vede che aveva proprio bisogno di dormire.
"No niente." concluse allora "Buona notte."
Fece per richiudere la porta ma Risa la fermò, soltanto con il suono della
propria voce.
"Riku..."
Suadente, una carezza di petali di rose rosse. Passionali e peccatrici.
Era la prima volta che lo notava.
"Sì?"
"Tu credi che io..." Risa fece una pausa ravviando delicatamente la chioma con
la mancina "...sia bella?"
Ma che razza di domanda?!?
Riku sospirò.
Aveva capito.
Quel Dark le aveva dato proprio alla testa.
Evitò di rispondere e richiuse cautamente la porta sparendo in camera sua mentre
Risa sorrideva. Un sorriso dolce.
Un sorriso anche fin troppo dolce.
†3° CAPITOLO FINE†
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Capitolo 4 *** .04. ***
Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -4 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 4°°§
“Aaaah, finalmente!
Ricreazione!” esclamò Saehara, lasciandosi cadere sulla sedia del proprio banco,
un sorriso sornione sulle labbra.
“Come se fossi stato attento alla lezione.” lo rimproverò sorridendo Daisuke,
mentre si sistemava la maglietta bianca.
“Ti è piaciuta la mostra di ieri, Niwa-kun?”
Il rossino si voltò, riconoscendo la voce di Riku .
Annuì, cercando di evitare il suo sguardo. A lui piaceva Risa.
Solo che a Dark piaceva Riku.
E non voleva che al signorino passasse per la mente di trasformarsi in quel
momento!
Non davanti a tutti!
“Sì... molto… è stata molto interessante” ridacchiò, grattandosi il capo e
cercando di sistemare i folti capelli cremisi.
Riku sbuffò, scuotendo il capo. Niente da fare.
Daisuke era troppo... idiota.
“E dai Daisuke, non ti sei accorto che la bella Riku è cotta di te?” mormorò
malizioso Takeshi al suo orecchio, passandogli un braccio dietro al collo.
Il rosso avvampò all’istante.
Ma… ma a lui piaceva Risa!
Alzando le iridi di rubino, s’accorse che metà classe lo fissava.
E tra quella metà c’erano, ahimè, sia Riku Harada sia Satoshi Hiwatari.
“Sc-scusate!” esclamò, fuggendo dalla classe, correndo come un razzo su per le
scale, per rifugiarsi sul tetto della scuola.
Ansimando, spalancò la porta, per poi appoggiarsi alla rete che recintava il
terrazzo/tetto.
“Uff.. ma perché devo essere sempre così.. così…” mugugnò, nascondendo per un
attimo il volto tra le braccia.
Perché doveva essere sempre così imbranato?
Perché doveva sempre arrossire?
Perché doveva sempre essere…così.. dannatamente... Daisuke Niwa?!
“Niwa-kun?”
E ora chi cazzo era che rompeva le pal...le...
Risa.
Risa Harada davanti a lui, che lo fissava con quei grandi occhi castani e dolci.
“Ah... Harada-san...” mormorò, voltandosi verso di lei, abbassando i grandi
occhi vermigli.
“Stai bene?” domandò la ragazza, avvicinandosi a lui.
Oh, com’era dolce…
“Sì, grazie, Harada-san” rispose Daisuke, cercando di sorridere.
Si voltò, poi, quando anche lei gli sorrise.
Un sorriso colmo di dolcezza e affetto.
Anche se l’aveva rifiutata, rimanevano sempre amici... no?
Rimasero in silenzio per un po’.
Fermi. Daisuke girato dalla parte opposta, e Risa dinnanzi a lui.
“Daisuke…” sussurrò poi improvvisamente l’altra.
Con una voce estremamente sensuale, passionale, dolce.
Ma forse era solo una sua impressione.
E non l’aveva mai chiamato per nome.
Si voltò verso di lei, perplesso.
“Dimmi, Hara... Harada-san?”
Risa aveva appoggiato le mani bianche e candide sulle sue spalle.
E aveva gli occhi socchiusi.
“Daisuke…” mormorò ancora la ragazza, socchiudendo le palpebre, e avvicinando il
volto al suo. Aveva un profumo di lavanda, dolce e buono… proprio come lei…
Le labbra di rose appena socchiuse si stavano avvicinando alle sue.
Ancora un po’…
Aveva le gote appena arrossate, il seno ancora non del tutto sviluppato premuto
contro il suo petto.
“Dai-chan…”
Ancora qualche millimetro e…
“SCUSA HARADA-SAN!!!”
Esclamò Daisuke, spingendola via e correndo giù per le scale.
Risa sbattè le palpebre, guardandolo mentre s’allontanava.
Aveva… rifiutato… lei?
Lei, Risa Harada?!
Eppure… c’era mancato così poco…
Sbuffando, cadenzò un piede da bambolina a terra, infuriata.
Strinse le dita sottili attorno alla rete, fino a farle sanguinare.
“Me la pagherai…” sibilò, la voce fredda, bassa. Adulta, quasi.
E, per un attimo, gli occhi color nocciola sembrarono riflettere un colore
simile allo zaffiro.
Daisuke corse per le scale,
fino a fermarsi al piano di mezzo.
Deserto, dato che le lezioni erano già ricominciate, e lui non se n’era accorto.
Era ancora rosso in viso. Tanto, che il volto si confondeva con gli occhi di
rubino e i capelli di sangue.
Ancora pochi millimetri… e si sarebbe trasformato in Dark.
Sospirò mentre qualcosa incurvava le sue labbra e la mano passò tra i capelli
arruffati, cercando di calmarsi.
Si fermò.
La mano ancora tra i filami cremisi... ma non più arruffati.
Oh-oh...
Continuava a sorridere. Sornione. Divertito.
Quello non era il suo sorriso, lui non aveva alcun motivo di sorridere!
"Mi spiace piccolo ma ho GIA' preso il tuo posto." e la voce di Dark,
pronunciata per davvero, da labbra che parlavano non più nella sua testa ma
nella realtà comune, fugò ogni sospetto.
Noooo!!!
Tragedia!!!
"Eddai Daisuke non essere così drammatico, vedrai che farò il bravo."
Soltanto per l'espressione furbetta che fece non c'era affatto da fidarsi e, per
di più, se qualcuno lo avesse visto girovagare con quell'aspetto a scuola che
avrebbero pensato? E se quel qualcuno fosse stato Satoshi Hiwatari?!?
"E tu che ci fai qui?"
Ma che razza di tempismo...
Alle spalle di Daisuke, pardon, di Dark era arrivata una voce che, stranamente,
aveva assunto un tono perplesso.
Non si voltò per controllare che fosse davvero Satoshi.
Se la diede a gambe invece.
E anche velocemente, correndo verso una delle finestre aperte sul corridoio per
gettarvici e afferrare al volo il robusto ramo di un albero che si protendeva
verso il sole.
Con un agile salto atterrò ovviamente illeso e, finalmente al sicuro -o così
pensava- alzò lo sguardo alla finestra da cui era saltato schermandosi gli occhi
d'ametista con una mano.
Dal davanzale il volto di Saehara sbucava corrucciato e pensieroso mentre si
chiedeva di che classe fosse quel tipo.
Dunque non si trattava di Satoshi Hiwatari. Che fortuna.
A questo punto poteva dare inizio al proprio divertimento!
L'indice affusolato posò sulle labbra accarezzandole. Allora, che cosa poteva
fare di bello?
"Cercare Riku e tornare me!"
Roteò gli occhi quando la voce di Daisuke rimbombò fastidiosa nella propria
mente.
Fece finta di non averlo sentito, anche se l'idea di rivedere Riku non era
malvagia.
Peccato che poi sarebbe sorto il problema della sua ritrasformazione, e lui non
voleva tornare a fare l'ombra del rossino.
"Accidenti... questo sì che è un bel dilemma!" bofonchiò iniziando a camminare
per una meta ignota lungo il cortile della scuola.
Dall'alto qualcuno si accorse della sua presenza.
La rete metallica era macchiata di sangue ma i suoi occhi nocciola non lo videro
nemmeno, guardavano attraverso, più in basso.
"C'è qualcuno con quel ragazzo..."
Guardava Dark e, insieme a lui, alle sue spalle precisamente, intravedeva anche
la figura imbronciata di Daisuke Niwa.
"Lui mi ha rifiutata."
Se solo avesse saputo la verità non avrebbe mai detto parole come quelle.
Continuava a guardare i due, fissamente, quasi con odio ed i suoi occhi
parvero ardere attraversati dalle mille sfumature dello zaffiro che si mescolava
con la nocciola.
Nel cortile intanto rumoreggiava l'immenso albero di sakura alle spalle del
ladro.
Lo aveva sentito già da un po’ ma non ci aveva dato peso. Era solo un albero,
non poteva certamente fargli del male o cadergli addosso da un momento
all'altro.
Già...
Le ultime parole famose, perchè le radici del Sakura sembravano animate di vita
propria e si estrassero dal terreno rumoreggiando legnose, borbottando e quasi
ringhiando e, una volta completamente dissotterrate, l'albero cadde abbattendosi
sulla figura del ladro dalle ali d'angelo.
"Kyaaa!!! Il solito maniaco!!!"
Soltanto grazie all'urlo di Riku -e a quella sua solita accusa infamante...-
Dark si accorse in tempo del pericolo balzando di lato, vedendo sfilare il
pesante tronco davanti ai suoi occhi pieni di stupore e sentendolo cadere sul
terreno con un boato che fece tremare la terra.
"Ma che diavolo...?"
"Presto, accorrete, c'è un maniaco nel cortile!!!"
Un maniaco, ma dove? Nel cortile c'era soltanto lui... Ah, già, era lui il
maniaco!
"Porca miseria!"
Perchè tutte le volte che aveva la possibilità di vedere la sua Riku o
setirne l'angelica voce, lei doveva chiamarlo a quel modo.
Accidenti!
Almeno, però, gli aveva salvato la vita.
La sua Riku.
"Mh? Oh cazzo..."
Poteva dirlo forte.
Il suo cuore aveva iniziato a battere accelerato e significava una cosa
soltanto: si sarebbe ritrasformato in Daisuke.
No, no, no, non era ancora il momento. Aveva altre cose da fare lui, una
giornata intera per divertirsi alla faccia del rossino!
E invece no.
Accidenti ai suoi sentimenti.
“Finalmente!” esclamò Daisuke, tornato nuovamente al suo aspetto.
Fortuna che erano tutti scesi per vedere il famoso maniaco. Così nessuno l’aveva
notato.
…Vero?
Aggirando i propri compagni, fece il giro della scuola, entrando dall’entrata
secondaria.
“Accidenti a te! La prossima volta te ne stai fermo e buono!” sibilò, rivolto a
Dark, che sbuffava dentro di lui.
“Certo, come no, la
prossima volta col cavolo che ti faccio tornare nel tuo corpo tanto presto!”
Mai che potesse rimanere con la sua Riku da solo!
Solo mentre saliva le scale, Daisuke si ricordò di Risa.
Che le era preso? Eppure, lo aveva chiaramente rifiutato.
Forse non stava bene.
Possibile che si stesse innamorando di lui..?
Naaaah, impossibile!
Lei era innamorata di Dark, lo aveva detto un sacco di volte!
Sospirando, aprì la porta dell’aula.
Che doveva essere vuota, dato che erano tutti scesi per lui. Cioè, per Dark.
Eppure la figura slanciata di uno dei suoi compagni si stagliò innanzi alla
finestra.
Con una mano davanti al viso tentò di mettere a fuoco l'immagine.
Il sole di mezzogiorno batteva caldo all'interno dell'aula. scontrandosi proprio
con il ragazzo innanzi ai vetri, calando con i suoi raggi sul suo corpo e
accarezzandolo possessivo.
"Non è normale che quell'albero sia caduto a quel modo."
Era stata la voce di Satoshi Hiwatari a parlare, lui infatti era l'unico
occupante dell'aula.
Allora lo aveva visto, trasformato in Dark!
"Dovresti stare più attento, Niwa. Soprattutto ora."
Satoshi si era staccato dalla finestra per avvicinarsi al rossino.
I capelli del particolare colore dell'acqua marina o del cielo di primavera
scivolavano sulla fronte, spostandosi ad ogni suo passo. Gli occhi, lapislazzuli
incastonati nel viso latteo, non mollavano un attimo lo sguardo di Daisuke.
Si avvicinò ancora.
Vicino, tanto, quanto Risa lo era stata pochi minuti prima, soltanto che lui
ancora non lo stava toccando.
Lo sfiorava soltanto. Con il suo respiro, con il suo sguardo.. con il suo
pensiero.
"E soprattutto..." la sua voce era diventata appena un sussurro. Bassissimo,
quasi inudibile. Forse in realtà non parlava nemmeno e Daisuke stava udendo
invece il suo pensiero.
"Dovresti stare attento a..."
Mosse le labbra sottili mormorando l'ultima parola e poi se ne andò lasciandolo
da solo.
Aveva davvero sentito bene quello che Satoshi gli aveva detto?
Aveva davvero pronunciato quel nome?
"...Dark..."
†4° CAPITOLO FINE†
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Capitolo 5 *** .05. ***
Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -4 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 5°°§
La porta della sua stanza
si aprì.
Lentamente. Cigolando. Come se stesse per entrare un mostro.
E, più o meno, era così.
Quell’uomo poteva definirsi solo in quel modo.
“Satoshi..” mormorò, con quella voce melliflua e dolce.
Fottuto Bastardo.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lui.
“Hanno rubato il quadro. O meglio, l’hanno sostituito.”
Disse, ancora, suo padre. Se così poteva chiamarlo.
Non sembrava arrabbiato. Sembrava quasi se lo aspettasse.
“E il direttore è morto.” Aggiunse, tranquillo.
Tanto, a lui, cosa importava delle vite umane?
Gli importava della SUA vita. E forse, anche di quella di Satoshi.
Ma per altri motivi.
“Il quadro non c’è più. Al suo posto, c’è una tela bianca…” mormorò,
sorseggiando distrattamente la tazzina di caffè che aveva in mano.
“Cosa pensi di fare, comandante?” domandò, con un sorriso divertito e dolce sul
volto.
Dolce come il veleno.
"Non è possibile che lo abbiano rubato."
Non si accorse nemmeno di aver parlato.
Scattato in piedi all'ingresso del padre aveva preso in mano il proprio taccuino
sfogliandolo alla ricerca di chissà cosa.
Riflesso condizionato.
"Invece è così."
Si sbagliava.
Doveva per forza sbagliarsi!
Lui aveva visto con i suoi occhi quel quadro, anche dopo che Niwa gli si era
avvicinato, nessuno lo aveva toccato.
Soltanto Kaitou Dark avrebbe potuto rubare un quadro tanto protetto e lui non
l'aveva fatto.
Ne era sicuro. Non sapeva come. Ma era così. Lo sentiva.
"Com'è morto il direttore?"
Il padre fece spallucce continuando a sorseggiare il caffè amaro. Non gli
piaceva lo zucchero, non gli piacevano le cose dolci in particolare, le trovava
disgustose.
"I dottori non se lo sanno spiegare. Dicono solo che l'hanno trovato delirante
nel suo studio, parlava del quadro, diceva che non poteva vivere senza... che
era la sua vita."
Alzò gli occhi sul figlio.
"E poi è morto."
Sorrise.
Sorrideva parlando di morte.
Metteva i brividi.
"Mhm." commentò Satoshi, continuando a chiedersi perché suo padre aveva voluto
che aiutasse quell'uomo con la sua mostra per poi non sbattere ciglio alla
notizia della sua morte.
Che senso aveva?
Cosa gli nascondeva?
"Devi ritrovarlo. Sono stato chiaro?" la domanda dell'uomo somigliava più ad un
ordine e gentilmente mosse una carezza alla guancia liscia del figlio,
reclinando il capo di lato e guardandolo come se uno come lui potesse provare
affetto.
In realtà non vedeva altro che un oggetto.
Un mezzo per ottenere quello che voleva.
Lo sapeva lui e lo sapeva anche Satoshi.
"Sì otou-sama." rispose il ragazzo e il discorso si concluse lì.
Camminava per il parco, la
gonna bianca, corta e a pieghe, che sfiorava le lunghe gambe bianche ad ogni
passo.
Maglietta dello stesso colore con una scritta, “Angel”, in blu, e due ali
tatuate dietro.
Ballerine ai piedi sottili da bambolina.
Capelli castani, lunghi fino alle spalle, accuratamente spazzolati e profumati
di lavanda.
Occhi grandi, color nocciola, dall’espressione dolce ed innocente, appena
sottolineati da una linea di matita nera.
Carnagione candida di porcellana, movimenti innocenti eppure sensuali, vago
ondeggiare di fianchi.
Risa Harada attirava verso di sé gli sguardi di bambini, adolescenti e adulti.
Senza atteggiarsi. Senza parlare. Solo con un sorriso dolce sulle labbra rosate.
Ma lei sapeva di essere bella.
Sì, perché lei era la PIU’ bella. Nessuno poteva rifiutarla.
Solo quel moccioso… aveva osato farlo.
E se ne sarebbe pentito.
Una lieve smorfia rovinò per un istante il bel visetto della ragazza.
Nessuno poteva rifiutarla.
Lei era la migliore. La più bella.
“Ehi, bellezza… “
Si voltò, un sopracciglio appena inarcato, verso il ragazzo che aveva parlato.
Doveva avere diciotto anni, forse qualcuno di più.
Capelli rossi tenuti su con un sacco di gel, occhi neri, un piercing al labbro,
uno al sopracciglio ed uno al naso.
Sorrise appena tra sé.
Il tipo s’avvicinò, prendendola per un braccio.
“Che ne dici di venire a fare un giretto con me?” chiese, con un ghigno sulle
labbra.
Evidentemente, non s’aspettava molto da una ragazzina così carina ed innocente.
Sbagliato.
Perché Risa Harada sorrise, d’un sorriso malizioso.
“Va bene.” asserì, socchiudendo appena le nivee palpebre.
Il ragazzo sorrise, portandola tranquillamente in un vicolo.
Deserto. Perfetto.
Risa sorrise tra sé.
La cara, dolce, piccola ed innocente Risa...
Il ragazzo aveva i capelli rossi. Tinti, evidentemente.
Rossi come quelli di Daisuke.
Sorrise. Di nuovo.
Mentre quello la spingeva contro il muretto del vicolo.
“Sono stato fortunato… a trovare una bella bambina come te…” sussurrò il
ragazzo, sorridendo maliziosamente.
Si chinò su di lei, per baciarla su quelle labbra che sembravano fatte di
fragole e sangue.
Fragole e sangue intrisi di veleno.
Risa Harada sorrise, sussurrando tra sé una sola parola:
”Perfetto…”
E, proprio mentre il punk le sfiorava le labbra di sangue, lei le unì
possessivamente alle sue, senza perdere tempo, passandogli la mano dietro alla
nuca per tenerlo fermo.
Una ragazza così carina ed innocente che in realtà era una furia?
Fantastico!
Ma quanto si sbagliava, il rosso…
Il respiro iniziò a mancargli, e fece per scostarsi da Risa.
Niente da fare. La mano candida e sottile dell’altra lo teneva stretto a sé, gli
occhi chiusi.
E poi, pian piano, le forse iniziarono a mancargli. Dapprima solo un leggero
capogiro.
Poi, dovette accasciarsi sulle ginocchia, perché sentiva la propria forza vitale
scomparire.
Lentamente. Inesorabilmente.
Un processo impossibile da fermare.
Come quando un bel fiore inizia ad appassire.
Quel ragazzo dagli occhi neri e i capelli rossi, con tre piercing sul volto,
appassì lentamente, in un vicolo abbandonato e sporco, tra le braccia di una
creatura candida e per le labbra velenose di Risa Harada.
Le televisioni della città sembravano impazzite.
Notizie tutte uguali, lette da giornalisti con espressioni indifferenti e voci
apatiche.
Sguardi preoccupati lungo le strade, borbottii che si levavano come accuse
contro pericoli invisibili.
Quato parlava la gente quando era spaventata.
Perfino fin troppo.
I suoi passi scivolavano silenziosi sull'asfalto bigio. Come un'ombra camminava
per le strade, in silenzio, monitorando con lo sguardo sempre vigile ciò che vi
accadeva.
Al suo passaggio ragazzine ed adolescenti si voltavano per indicarlo, ma troppo
tardi. Non lo sentivano passare, era così silenzioso e veloce che avevano il
dubbio si trattasse soltanto di una loro visione. Splendida, tra le altre cose.
Sospiri persi nel vuoto uscivano dalle labbra quando gli occhi si incrociavano
con i suoi: blu. Di un blu perfetto, intenso e penetrante. Ed il suo sguardo
sembrava ghiaccio ardente, gemme di lapislazzuli ritagliati in un viso troppo
bello per appartenere ad un essere umano.
I capelli erano corti e lisci, avevano un particolare colore azzurrino ma
nessuno mai si soffermava troppo a riflettere sulla loro stranezza. Troppo
affascinati dal viso di un ragazzino che sta diventando adolescente, rimanevano
semplicemente a bocca aperta.
Tutti rimanevano incantati al passaggio di Satoshi Hiwatari. Rimanevano di
ghiaccio. Letteralmente.
"Nella giornata di oggi si sono registrate numerosi morti. La modalità non è
ancora chiara e la polizia non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione, quello
che sappiamo è che le vittime sono morte in circostanze misteriose e..."
Satoshi si era fermato per qualche istante davanti la vetrina dell'ennesimo
Euronics in cui televisori accesi riportavano la stessa notizia da ormai quattro
ore.
Sempre le stesse cose.
Notizie che parlavano di strani omicidi.
Era stufo delle stranezze, eppure quelle non facevano che inseguirlo.
Ricapitolò mentalmente il poco che avevano scoperto: ragazzi morti, privati
completamente di ogni energia e marciti come cadaveri sottoterra, uomini dagli
occhi sbarrati per il terrore e i corpi schelettrici, deperiti.
Certo, Saehara il capo della polizia, non gli aveva fornito moltro altro
materiale su cui lavorare, ma era sempre meglio che niente.
E poi... perchè mai doveva essere di sua competenza?
Il suo compito era catturare Dark, maledizione, nient'altro!
"Non ha importanza quale credi che sia il tuo compito Satoshi. Fa quello che ti
dico, discuterne è inutile." gli aveva detto suo padre poco prima di informarlo
che quelle morti erano in stretto collegamento con la scomparsa del quadro nel
museo Yurin.
Svoltò ritrovandosi in un vicolo.
Per terra la sagoma bianca ridipingeva ancora l'asfalto, ricalcando la postura
del primo cadavere che avevano trovato.
Un ragazzo dai capelli rossi e qualche piercing sulla faccia.
Non era più lì ora.
Forse era un bene, la vista dei cadaveri non era cosa per ragazzini della sua
età.
Sorrise. Cinico.
Una vita come la sua, in generale, non era adatta a ragazzini della sua età.
Scosse il capo voltandosi per passare oltre e andare nel parco lì vicino.
Un altro morto.
E un altro ancora nelle vicinanze di un centro commerciale.
Con movimenti meccanici la mano ricercò il taccuino nella tasca dei jeans. Lo
aprì sulle ultime pagine leggendone gli appunti che aveva scritto al volo.
Qualcosa non quadrava.
Qualcosa era sfuggito a tutti quanti.
Prese il cellulare componendo un numero della rubrica.
"Sono Hiwatari." la sua voce atona giunse all'orecchio del capo della polizia
come una nota stonata sul piano del povero Saehara.
"Ho bisogno che mi controlli una cosa, il colore dei capelli delle vittime."
Dall'altro lato della linea l'uomo fece una smorfia dando qualche ordine ad uno
dei suoi suborninati.
Dopo qualche secondo la risposta giunse e Satoshi riagganciò.
Era come pensava.
Ma perchè qualcuno avrebbe dovuto uccidere ragazzi dai capelli color cremisi...?
Aveva ripreso a camminare quando lo sguardo zaffirino incrociò una chioma
rossiccia proprio a pochi centimetri da sè.
Un'altra possibile vittima, si disse cinicamente.
Capelli rossi, impossibili da domare, pelle di pesca e grandi occhi rubino.
"Ma quello è Niwa..." mormorò Satoshi, aumentando il passo. Per raggiungerlo.
Senza nemmeno un motivo valido.
Ed infatti, quello che camminava in uno dei qualsiasi parchi del Giappone, era
Daisuke Niwa.
Jeans chiari, maglietta nera, e i capelli più scompigliati che mai.
E perché Daisuke era uscito da solo, senza motivo?
Per fare un giro. Per smettere per un po’ di pensare a Risa.
Anche se sembrava inutile.
Sospirando, si voltò verso il negozio pieno di televisioni che trasmettevano il
tg.
Vide qualcuno riflesso nella vetrina. Dietro di lui.
Quello era…
“Hiwatari-kun?”
Si voltò verso di lui, puntando i grandi occhi vermigli su quelli color zaffiro
del compagno di classe.
Ma tu guarda la sfiga.
Che aveva fatto di male per incontrare il suo compagno di classe più strano,
nonché suo cacciatore?!
“Che... che ci fai qui?” domandò, cercando di sorridere.
Di certo non avrebbe cercato di catturarlo... no?
Nonostante le proteste di Dark di uscire…
Col cavolo!
"Nulla di particolare." rispose Satoshi con aria vaga.
"Avevo voglia di fare una passeggiata."
Dunque anche Hiwatari nonostante tutto aveva desideri umani... bè, nnostante le
apparenze lui era umano...
"Tu invece, Niwa?" domandò di rimando il ragazzo, facendosi più vicino per
iniziare a camminare al suo fianco.
Nonostante tutto la presenza di Niwa lo calmava.
Pareva quasi dimenticare la rabbia che provava per suo padre o per la sua
condizione in generale.
Dimenticava persino Krad...
Difficile pensarlo, vero?
Già, perché dimenticarsi di Krad era molto, molto difficile.
Quella voce dannata e suadente era sempre nella sua mente.
Anche quando rideva, maliziosa, sensuale..
“Uguale. Volevo solo… fare un giro.” Rispose, infilando le mani nelle tasche e
distogliendo lo sguardo.
Non riusciva a sostenere mai per molto lo sguardo –gelido e schivo- di Satoshi
Hiwatari.
Quei due zaffiri lo mettevano a disagio.
L’altro annuì alle sue parole.
Non ci voleva un genio per capire che gli avrebbe risposto a quel modo.
"Allora ti spiace se..."
Se?
Che cosa stava per chiedergli?
La sua bocca si era mossa da sola a pronunciare quelle parole e soltanto
l'immagine del suo alter-ego lo aveva fermato.
Zittito.
Krad.
Gli sorrideva ora.
Gli sorrideva sempre.
Bello e maledetto.
Perchè continuava a sorridergli, dannazione?!
E poi al volto dell'angelo biondo si sovrappose quello ancora infantile del
compagno di classe.
Daisuke.
Anche lui sorrideva.
Ma il suo sorriso era diverso da quello di Krad.
Gentile. Dolce. Unico...
"Ti spiace se facciamo la strada insieme?" domandò infine Satoshi. La voce
distaccata e gli occhi che non lo guardavano nemmeno. Forse per imbarazzo.
Forse invece no.
“N-no! Va benissimo!” sorrise Daisuke, voltandosi per la prima volta verso di
lui.
Satoshi Hiwatari che chiedeva di passeggiare con lui?
Era un miracolo. E non aveva ancora parlato di Krad.
Gli sorrise, tranquillamente.
“Sei felice, Satoshi-sama?”
E la voce di Krad che rimbombava nella sua mente.
Dolce. Vellutata. Sensuale.
E quei due occhi ferini che parevano oro colato lo fissavano, perennemente.
Le labbra rosate ferme in quel sorriso, tanto bello quanto maledetto.
Se solo Daisuke avesse potuto sapere cosa tormentava Satoshi…
Non rispose Satoshi, si limitò a camminare al fianco di Daisuke.
Però sì, forse si poteva considerare felice o, perlomeno, soddisfatto.
Le braccia lasciate lungo i fianchi frusciavano contro la stoffa dei jeans e, di
volta in volta, sfioravano quelle di Daisuke.
Casualmente.
Si avvicinava a lui e, quando era troppo vicino, tanto vicino da toccarlo, si
allontanava.
Sempre casualmente.
E Daisuke, ad ogni sfioramento, tremava appena.
Timore, forse?
Imbarazzo?
O altro?
Non lo sapeva neanche lui.
"Ultimamente stanno accadendo fatti strani." disse, con un tono con cui avrebbe
potuto parlare di qualunque cosa, da quanto il cielo fosse azzurro a che
progetti aveva per il futuro.
“Ti riferisci a questi… omicidi?” domandò il rossino, verso di lui.
Omicidi... se si poteva dire così.
Non c’erano tracce di sangue o altro nei cadaveri. Mai.
Erano solamente… svuotati. Decrepiti.
Satoshi si voltò di scatto verso il compagno.
Improvvisamente.
Senza alcun preavviso.
E per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Zaffiro che affogava nel rubino
e rosso mesciato nel blu.
"Tu ne sai qualcosa?" domandò in una frase che non era nemmeno sicuro di aver
pronunciato.
Non l'aveva fatto.
Anche se le parole avevano preso forma nella mente.
Non erano mai giunte alle labbra rosa che invece pronunciarono tutt'altro.
"Sei in pericolo."
Lo aveva detto lui.
Lo aveva detto davvero.
E nemmeno ne conosceva il motivo.
Soltanto congetture -o timori, come avrebbe preferito definirli- ma non c'era
nient'altro che avesse potuto spingerlo a mettere in ansia Daisuke Niwa a quel
modo.
Il compagno infatti sbarrò gli occhi, arrestandosi, all’improvviso.
Gli occhi ancora più grandi del solito, spalancati, in un’espressione di timore.
Paura? Ancora no.
Ma sarebbe arrivata presto, lo sapeva.
“C-come fai a dirlo, Hiwatari-kun?” domandò, guardandolo.
Anche lui aveva notato che tutte le vittime avevano i capelli rossi.
Ma poteva essere solo una coincidenza, no? Sicuramente.
Ridacchiò nervosamente.
“Andiamo, chi ce la potrebbe avere con me...?” chiese, ancora, forse più a sé
stesso che al compagno di scuola.
Lui non aveva mai fatto niente di male a nessuno. Mai.
Non potevano capitare tutte a lui, no?
Sentì improvvisamente le lacrime pungergli gli occhi, mentre l’”avvertimento” di
Satoshi si infiltrava nella sua mente.
Non era mai stato coraggioso, Daisuke Niwa. E piangeva spesso.
Ma... non era in pericolo, no?
"Io." mormorò Satoshi.
Una sola parola.
Un solo tono.
Fermo e freddo.
"Io potrei avercela con te." ripetè per non lasciare nessun dubbio nella testa
dell’altro e fargli capire che aveva sentito bene. Benissimo.
"Ma questo è un altro discorso."
Perchè ora Dark non centrava nulla, perchè Krad non sarebbe uscito per
ricominciare con i suoi giochi di morte e perchè lui non poteva permettersi di
pensare ad altro per quel momento.
Doveva pensare al quadro e a quegli omicidi. Anche per quello non notò che il
rossino stava quasi per mettersi a piangere.
Per lui erano cose che rasentavano la normalità, era difficile credere che
esistessero persone come Niwa.
Così sensibili.
Tutto l'opposto della gente che circondava Satoshi.
"Credo che questi omicidi siano collegati direttamente con quello che è successo
a scuola. L'indicente dell'albero." continuò nelle sue fredde analisi.
Anche lui era diverso da Daisuke.
Lui non piangeva mai, o almeno non ricordava l'ultima volta che l'aveva fatto...
se mai l'aveva fatto.
Manteneva sempre il sangue freddo e la mente lucida.
Non si fidava di nessuno.
Nemmeno di sè stesso.
E viveva amato e corteggiato dalla solitudine.
"Io credo che dovremmo..."
Quando alzò gli occhi sul volto di Daisuke la sua frase morì in gola e lo
sguardo zaffirino si spalancò.
Stupore.
Lo fissò in silenzio guardando le grosse lacrime che scendevano copiose dal
visino del compagno.
Stava piangendo?
Ma... perchè...?
La mano candida strinse il fazzoletto che teneva nella tasca dei jeans,
porgendolo a Daisuke.
Il solito fazzoletto.
Ormai ci aveva quasi preso l'abitudine a vederlo piangere.
Quasi...
Daisuke abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore per evitare di
singhiozzare.
Basta.
Basta con tutte queste cose strane.
Perché non poteva vivere la sua vita normalmente?!
Prima Dark il ladro, poi Satoshi Hiwatari che gli dava la caccia, assieme a
quell’angelo biondo, poi Risa Harada che cercava di baciarlo, ed ora pure
questo!
Basta, basta, basta!
E poi… Satoshi che gli diceva che poteva avercela con lui. Tutto per colpa di
Dark.
Non vide nemmeno il fazzoletto del compagno, perché aveva chinato lo sguardo,
per la vergogna.
Perché doveva sempre piangere? Perché?
Perché non poteva essere più forte?
Serrò con forza le palpebre, cercando di fermare le lacrime.
Inutile.
Singhiozzò. Non riuscì a trattenersi, e singhiozzò forte.
Perché sempre a lui..?
Che aveva fatto di male, accidenti?!
"Mi spiace. Non volevo farti piangere."
La voce di Satoshi sembrò soffiare direttamente sulla sua pelle di pesco.
Quand'è che si era avvicinato così tanto?
La sua mano si era posata tra i morbidi capelli ribelli e lenta li carezzava.
Gentilmente. Come non avrebbe mai immaginto sapesse fare.
La voce era divenuta un sussurro, ma il tono era mutato.
Dolce.
Forse semplicemente umana.
No.
Proprio dolce.
"Vedrai che non ti accadrà nulla."
Avrebbe anche voluto abbracciarlo ma non sapeva da dove cominciare.
Non era persona da abbracci Satoshi Hiwatari e, consolare qualcuno, era già cosa
straordinaria per lui.
Ma quel qualcuno era Daisuke Niwa e allora poteva fare un'eccezione.
Lo guardò mentre cercava di asciugarsi gli occhi lucidi, divenuti ancor più
rossi del solito.
Voleva abbracciarlo.
"Andrà tutto bene." non ci credeva molto nemmeno lui, ma che cosa volete gli
importasse! Lui voleva abbracciare Daisuke, fine della storia!
Il rosso singhiozzò, ancora.
Non riusciva a fermarsi.
Si asciugava le lacrime, ma quelle continuavano a scendere.
Ma, per un attimo, parvero fermarsi.
Quando Satoshi gli posò la mano tra i capelli di sangue.
Satoshi Hiwatari... che cercava di consolarlo?
E allora pianse più forte.
Aveva bisogno di sfogarsi. Per tutto.
E… sì, andava bene anche lui.
O forse, era proprio perché c’era lì il suo compagno di classe, che si stava
sfogando.
Aveva bisogno di piangere.
Aveva bisogno di essere consolato.
Aveva bisogno di qualcuno che fosse davvero suo amico.
Aveva bisogno di qualcuno che lo abbracciasse.
Voleva smettere di piangere, e invece il tono stranamente dolce di Satoshi lo
faceva solo singhiozzare più forte.
Voleva ringraziarlo.
Ma non riusciva ad aprire bocca, se non per quei singhiozzi che si facevano
sempre più forti.
Qualcuno, per strada, si era fermato ad osservarli.
Forse pensavano fossero fratelli.
Ma no, era impossibile… erano troppo diversi.
L’uno dai capelli di sangue e gli occhi di rubino.
L’altro con fili di acquamarina per capelli e iridi di zaffiro
Forse la strada non era un buon posto per piangere.
Daisuke vide, con la coda dell’occhio, qualche signora che commentava a bassa
voce.
Un ragazzo che piangeva?
E Daisuke pianse ancora più forte.
Anche Satoshi notò le stesse signore che con aria afflitta li stavano fissando.
Curiose come oche, battibeccavano sottovoce ma riuscivano ad udirle ugualmente.
C'era qualcosa di male se Daisuke piangeva?
Non era affar loro.
Sciocche, non gli pareva ci fosse tutto questo gran interesse nel fissarli.
Si tirò indietrò togliendo la mano dai capelli sanguigni del compagno per
afferrargli un polso, più o meno gentilmente.
Lo trascinò con sè, iniziando a camminare tra la piccola folla che si era
formata intorno a loro, fino a giungere in un luogo più appartato.
Un posto tutto per loro.
Dove poter rimanere soli.
In pace.
Dove lui poteva rimanere con Niwa e basta.
Tornò voltato verso il rossino spiando la sua aria afflitta.
"Va meglio ora, Niwa?" gli domandò tentando un tono gentile. Doveva ammetterlo,
era alquanto difficile per lui. Non che non fosse un ragazzo gentile, ma
esprimerlo anche con la voce era tutt'altra cosa.
La sua mano posava ora sulla spalla del ragazzo e quella sinistra scivolò
silenziosa al suo mento.
Sollevandolo.
Ammirando il suo faccino arrossato.
Perdendosi nel suo sguardo di cristallo insanguinato.
Daisuke, che si era lasciato trascinare tranquillamente, simile ad un burattino
rotto, sollevò gli occhi color rubino verso Satoshi.
Incontrando gli zaffiri del compagno di classe.
“S-sì… “ sussurrò, socchiudendo appena, le labbra rosee bagnate dalle lacrime
che ancora scendevano dai suoi occhi.
Rimase in silenzio per un attimo, prima di parlare ancora.
“A…arigatou, Hiwatari.” Mormorò, il volto arrossato per le lacrime.
Non singhiozzava più. Ma le lacrime continuavano a scendere, rendendo, se
possibile, ancora più innocente quel volto da ragazzino.
Incredibile. Satoshi Hiwatari l’aveva consolato.
E lo stava ancora consolando.
Alzò la mano chiusa a pugno, sfregandosela sugli occhi, cercando di cacciare via
le lacrime.
Riuscendo solo a farli arrossare di più.
Chissà com’era ridotto.
E chissà cosa pensava, ora, di lui Satoshi!
Doveva considerarlo un moccioso. Un bambino stupido senza coraggio.
Ma poi, gli importava davvero?
…Sì, gli importava.
Non sapeva neanche perché.
Ma non voleva che Satoshi Hiwatari lo considerasse un bambino.
L'altro ragazzo fermò le sue mani allontanandole dal suo visino in lacrime.
La verità è che lo trovava adorabile anche quando piangeva. Ancora di più quando
piangeva.
Spostò le braccia del compagno, stendendole lungo i suoi fianchi e lentamente si
chinò verso di lui.
Sporgendosi in avanti.
Sentendo i ciuffi rossastri di Daisuke solleticargli il naso.
Gli occhi resi appena una fessura.
Sentendosi per un attimo circondato dal profumo della sua pelle. Profumava di
latte, come i bambini. E quasi sorrise a tale pensiero.
Poi le labbra si posarono sulla pelle di velluto del rossino e la lingua
raccolse una per una le piccole gocce di rugiada salata.
Leccò via le sue lacrime.
In un gesto innocente.
In un gesto malizioso.
Non sarebbe stato in grado di dirlo nemmeno lui.
Daisuke spalancò gli occhi, sbattendo le palpebre. Lasciando così che le ultime
gocce cristalline scivolassero, raccolte dalla lingua del compagno.
Che stava facendo?
Che... che gesto era, quello?!
Eppure si sorprese a pensare che non gli importava, e che nemmeno lo disgustava.
“Hi…hiwatari…”
Lo imbarazzava. Questo sì.
Ma non perché l’altro fosse sempre un ragazzo. Solo perché… be’, perché mai
nessuno lo aveva “consolato” così!
Ma non disse più niente.
Rimase fermo, i grandi rubini, i suoi occhi, fermi su di lui.
Non cercò nemmeno di scostarlo.
Mentre dentro di lui, lo sentiva, Dark cacciava un urlo, dicendo che non poteva
tradire Riku così.
Era uno strano modo di consolare, ma… lo stava consolando comunque.
Quando Satoshi si scostò da Daisuke i suoi occhi non lo abbandonarono.
Sguardo ipnotico.
Continuò a fissarlo.
La lingua che ora passava sulle labbra, umettandole.
"Niwa..."
Un altro sussurro.
Attese un po’ prima di continuare.
Avrebbe preferito rimanere così a lungo.
Ma Dark non lo avrebbe mai permesso.
"Daisuke, ma che diavolo stai combinando, eh?!?" sbraitava il ladro dalle ali
d'angelo tentando di far rinsavire il ragazzino.
Ma Daisuke era impazzito! Sì, sì, non c'era altra soluzione! Oppure quel Satoshi
Hiwatari gli aveva fatto qualcosa!
Dannato!
Non lo avrebbe perdonato!
"Daisuke, lascia che prenda il tuo posto, ci penso io a sistemare quel tipo!"
ringhiò Dark mentre Satoshi ancora temporeggiava.
Dannato ragazzino, gli stava troppo vicino!
"Daisuke! Ma si può sapere che ti piglia?!? Ti sei forse rimbambito?!?"
"Dobbiamo andare."
Era stato Satoshi a parlare.
"Eh?" fece il ladro, nella mente del suo alter-ego.
Ovviamente la frase di Satoshi era rivolta a Daisuke e lo sguardo si era fatto
nuovamente serio.
“…eh?” domandò, anche Daisuke.
Sbattendo le palpebre.
Quando s’era allontanato tanto?
E perché ora sentiva improvvisamente freddo?
Ignorando la voce di Dark dentro di sé, si pulì definitivamente il volto dalle
lacrime.
“Dove... dove dobbiamo andare? Ehi, Hiwatari, aspettami!” esclamò, dato che
l’altro lo aveva già sorpassato, e stava camminando in direzione… della scuola?
Lo raggiunse rapidamente, correndogli letteralmente dietro.
Per il resto, camminarono in silenzio, senza dire nulla.
Con Daisuke ancora rosso per prima.
Scosse il capo, evitando di pensarci.
Però… però Satoshi lo aveva... lo aveva..
Aaaah, basta!
Sospirò, sollevando poi lo sguardo sulla scuola. Inarcò un sopracciglio.
C’era un qualcosa di chiaro, sul tetto. Una... luce, quasi.
“Che cosa…?”
Che Hiwatari avesse avuto un presentimento? Era per quello che era corso verso
la scuola?
Lo vide sibilare qualcosa, e correre verso le scale, per raggiungere il tetto.
Lui fece lo stesso.
Corsero a perdifiato, spalancando poi la porta che lasciava accedere al tetto.
E Daisuke si bloccò.
Rimase fermo. Come congelato.
Come se qualcuno fatto di ghiaccio lo avesse abbracciato da dietro, impedendogli
ogni movimento.
Una ragazza.
C’era una ragazza sul tetto, e stava abbracciando un ragazzo.
Una ragazza con lunghi capelli castani che abbracciava un ragazzo dai capelli
rossi.
Castani come quelli di Risa Harada.
Rossi come quelli di Daisuke Niwa.
Spalancò gli occhi rubini.
Quella… era... Risa?
No, non era possibile, aveva gli occhi color zaffiro.
Ma l’aspetto era quello.
I capelli castani, i vestiti bianchi, la pelle candida, la figura slanciata e
sottile...
E lo sguardo. Lo sguardo nei suoi occhi.
Identico a quando aveva cercato di baciarlo.
Malizioso, sensuale, divertito…
Uno sguardo che incantava.
Occhi che non lasciavano scampo.
Occhi come quelli del Demonio.
E l’altro ragazzo sembrava in sua completa balia.
Risa lo stava baciando.
Eppure... perché lui si dimenava? Perché sembrava invecchiare sempre di più?
Perché…
… perché sembrava che la vita lo stesse lasciando?
Secondi che parvero secoli.
E Risa, la sua dolce Risa, si scostò dal ragazzino, lasciandolo cadere a terra.
Un cadavere. Un cadavere con i capelli rossi come il sangue.
Risa si voltò verso di loro, accorgendosi solo in quel momento della loro
presenza.
Sorrise.
Un sorriso dolce come il veleno stesso.
Soprattutto verso Daisuke.
“Oh, mi avete scoperto… che peccato…” sussurrò, portando un dito alle labbra
rosse come sangue.
“Era un vostro amico? Spero di no... sapete, era così carino...” aggiunse,
ridendo.
Musica. Ecco cos’era quella risata.
La Musica del Demonio.
Risa socchiuse ancora le labbra per ridere. E la sua voce incantò entrambi.
E tutto divenne nero.
†5° CAPITOLO FINE† |
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Capitolo 6 *** .06. ***
Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -6 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 6°°§
Le persiane erano sbarrate e
la luce filtrava appena tra le fessure.
Socchiuse la porta spiando con circospezione verso la strada.
Non c'era nessuno e il buio circondava la via permettendogli di nascondersi
nell'oscurità sebbene la temesse più di ogni altra cosa.
Deglutì.
Non era quello il momento di farsi prendere dal timore. Era tardi per tornare
indietro.
Fece un passo fuori dalla propria abitazione. Piccola. Bastava appena per una
persona sola e per i suoi dipinti che iniziavano ad esser troppi.
Eppure nessuno di essi valeva qualcosa.
Erano inutili quadri uguali a tanti altri. Erano spazzatura!
Corse veloce sulla strada, premendosi quanto più poteva contro i muri delle
abitazioni che la costeggiavano.
Sarebbe cambiato tutto quella notte.
Avrebbe finalmente ottenuto i riconoscimenti che meritava.
Sarebbe divenuto il migliore!
Un sorriso incurvò le sue labbra, respirò a pieni polmoni fermandosi un attimo a
riprender fiato.
Finalmente l'avrebbe fatta pagare a quei maledetti Hikari!
E riprese la sua folle corsa nella notte.
Corpi scivolati
nei secoli.
Accarezzati dal tempo che sfuggiva correndo all'impazzata e sottosopra.
Lancette di orologi portate indietro velocemente.
Date alla rinfusa e anni che si sgretolavano come se non fossero mai passati.
Quando Satoshi riaprì gli occhi quello che vide non fu più il tetto della
scuola.
Ma il grigiore era lo stesso.
Pietra bigia tutto intorno, eppure nessuna scuola.
Nessun edificio, cortile, o strade che lui avesse potuto riconoscere.
Scosse la testa premendola con la mano, gli doleva e forse il colpo era stato
troppo forte quando era caduto.
Ma cos'era successo?
Chiuse gli occhi.
Soltanto per un momento.
Silenzio intorno a sè.
Silenzio anche dentro di sè.
Com'era possibile?!
Non sentiva più la voce di Krad!
Quella voce che non lo abbandonava mai, che era come un'ossessione dolce e amara
allo stesso tempo.
Invece nulla.
Silenzio.
Riaprì immediatamente gli occhi voltando il capo in ogni lato alla ricerca di
qualcosa di famigliare.
Le vie erano deserte e la notte era calata su una città che, a dirla tutta, non
sembrava nemmeno Tokyo.
A fatica si rimise in piedi, stranito.
Sotto ai piedi non vi era più l'asfalto delle strade, ma pietre accostate tra
loro in modo quasi casuale e i segni dei carri le tracciavano in tutte le
direzioni.
Dov’era finito?
Ricordava di essere sul tetto
della scuola. Aveva visto Risa Harada, o quella che un momento prima aveva
creduto tale, abbracciata ad un ragazzo dai capelli rossi e, per un solo
colpevole istante, aveva avuto il timore che potesse trattarsi di Niwa. Ma Niwa
era con lui...
Niwa era salvo.
Balle.
Harada, o chiunque fosse stata in quel momento, aveva fatto loro qualcosa!
"Niwa!" come un fulmine a ciel sereno la sua mente fu attraversata da un flash.
"Niwa!" urlò ancora cercandolo, per poi trovarlo sdraiato a poca distanza da sè.
Sospirò sollevato, premendo due dita alla base del collo del rossino.
Respirava ancora.
Stava bene.
"Niwa." lo chiamò ancora scuotendogli una spalla.
"Niwa svegliati!"
Daisuke mugugnò qualcosa, volgendo il volto dalla parte opposta.
Era nero. Era tutto nero, lì.
E di chi erano quegli occhi blu?
Erano quelli di Risa? Quelli che aveva visto, mentre lei uccideva quel ragazzo?
Erano suoi?
Socchiuse appena le palpebre.
Chi è che lo chiamava?
Di chi erano quegli occhi di zaffiro?
“Hi…Hiwatari?” sussurrò, rinvenendo, trovandosi a fissare gli occhi preoccupati
del compagno di classe.
Era sveglio. E stava bene.
Scuotendo il capo, si mise a sedere, appoggiando poi una mano al pavimento per
evitare di cadere di nuovo.
Si guardò intorno.
Dove diavolo erano?
“Hiwatari… dove siamo?” mormorò, rivolto al ragazzo, tornando a fissarlo con i
grandi occhi color sangue.
"Non ne ho idea." commento l'altro scuotendo il capo.
Ma ad occhio e croce non erano più a scuole, su questo non c'era dubbio.
"Alzati, non possiamo rimanere qui." continuò alzandosi a sua volta, muovendo
qualche passo in una direzione a caso per poi ascoltare i rumori che vi
provenivano.
Silenzio.
La notte ingoiava ogni minimo rumore.
"Come ci siamo finiti qui...?" domandò a sè stesso poco prima di intravvedere
una figura umana attraversare la via di corsa.
Correva -o fuggiva- verso un edificio dismesso dall'altra parte della strada. Il
corpo coperto in gran parte da un mantello scuro che ne celava la forma e il
sesso.
Satoshi la vide guardarsi intorno, per controllare che nessuno la seguisse,
dopodichè spinse con forza la porta cigolante dell'edificio e vi entrò.
Non c'era nessun altro a parte quella figura e, uomo o donna che fosse stata,
tanto valeva chiedere a lei spiegazioni.
"Niwa!" lo chiamò per attirare la sua attenzione.
Non aggiunse altro, si limitò a correre dietro la sagoma sparita al di là della
porta.
“Eh?”
Daisuke si alzò di scatto in piedi, mettendoci qualche secondo per capire cosa
avesse detto Satoshi.
Be’, lo aveva solo chiamato.
… e ora dove diavolo stava andando?!
Accidenti!
“Ehi, Hiwatari! Aspettami!” esclamò, iniziando a seguirlo, correndo.
Ma tu guarda…
Corsero, seguendo quell’uomo col mantello che si era fermato, davanti ad una
casa vecchia e abbandonata, quasi.
“Finalmente…”
Lo sentirono sussurrare, nella voce una vena di follia.
Si fermarono dietro ad un muretto, per non farsi vedere.
L’uomo entrò dentro la casa, e subito loro s’affacciarono alla porta lasciata
aperta.
Non doveva vederli.
E invece l’altro si voltò verso di loro.
Ecco. Finito. Finish.
“…eh?” domandò Daisuke, per l’ennesima volta. Stupito.
Non aveva detto loro
niente.
Anzi, non li aveva neanche guardati.
Come se…
…come se non li vedesse.
Satoshi tirò per un braccio Daisuke, trascinandolo a forza dietro ad un muro
quasi completamente sbriciolato.
Anche lui si era accorto che l'uomo non li aveva visti, ma un'altra cosa ancora
lo aveva colpito.
Non erano soli.
Non più.
Gocce d'acqua cadevano dal soffitto mangiato dai tarli infrangendosi in una
piccola pozza sul pavimento sporco.
Gocce che cadevano con un ritmo monotono.
Lentamente.
Una dopo l'altra.
Non si udiva nient'altro.
Soltanto le gocce e il respiro affannato dell'uomo -ora potevano vederlo bene-
entrato prima di loro che si volgeva a destra e sinistra come un topolino alla
ricerca di una via d'uscita.
"Che diavolo sta aspettando...?" sussurrò il ragazzo, le dita strette in quelle
di Daisuke con cui lo aveva obbligato contro di sè. L'altro braccio gli
circondava le spalle e la mano era premuta contro la sua bocca per farlo tacere.
Il rossino poteva perfino sentire il battito leggermente accelerato del cuore di
Satoshi, ma non era quello il momento di pensare a certe cose.
Con la schiena completamente premuta contro la fredda parete, il ragazzo dagli
occhi di zaffiro si sporse appena per scoprire cosa stava accadendo.
E lo vide.
Li vide.
Occhi scuri creati nell'oscurità e apparsi dal nulla: blu era il loro colore,
intenso e scurissimo, ma troppe erano le loro sfumature perchè li si potesse
riassumere con un colore soltanto, ed il rosso alle volte si accendeva in quelle
iridi, ardendo come lava in un vulcano.
Un brivido passò per le spalle del ragazzo.
Un vecchio ricordo gli era tornato alla memoria guardando quegli occhi, parole
che un giorno qualcuno gli disse. Sua madre... anche se non la ricordava.
Il blu è il colore che il Dio Creatore proibì per la sua bellezza malefica.
Il blu è il colore degli occhi del Diavolo.
Trattenne il respiro quando, dopo i suoi occhi, vide le labbra muoversi per
formulare una frase rivolta all’uomo fin lì giunto.
“Sapevo saresti arrivato.”
Voce d’oltretomba.
Quella era LA Voce.
La voce del Demonio.
Fredda e affilata come pugnali di ghiaccio.
Delicata ed ipnotica come cristalli insanguinati.
Fredda, bassa, eppure estremamente sensuale, languida. Ti trascinava fino al
Paradiso, facendoti vedere gli Angeli.. e poi ti buttava tra le fiamme
dell’Inferno.
Autoritaria. Suadente. Perfetta.
Era la stessa voce che Eva aveva sentito nell’Eden. La stessa voce dalle mille
sfumature d’inganno.
E di quella figura vedevano solo gli occhi. Almeno per il momento.
Si voltarono ad osservare l’uomo.
Quello stava guardando quella figura –o quell’illusione?-. Il respiro affannato,
gli occhi spalancati, lucidi di follia.
“Sì.. ti… ti stavo aspettando…” mormorò, avvicinandosi all’altro.
“Dimmi cosa vuoi”
Quella voce.
La sua voce.
“Voglio sconfiggere loro… voglio sconfiggere gli Hikari. Voglio essere il
pittore migliore.” rispose, con un sorriso di pura pazzia sulle labbra.
Tutto per sconfiggere una famiglia.
Tutto per diventare un bravo pittore.
Tutto per diventare Il Migliore.
Il giovane che lo guardava sembrò come riflettere.
Si chinò a raccogliere un pennello malandato, che però non sembrò neppure
sfiorare quelle dita affusolate ricoperte da pizzo nero.
Un’espressione annoiata negli occhi proibiti.
“E sia.” Mormorò, infine.
Mosse qualche passo verso il pittore, porgendogli il pennello quasi rotto.
“Dipingi, ora. E diverrai il migliore.” sussurrò, lasciando scivolare la voce
nella stanza, impregnandola di lussuria soffocata e di promesse che sarebbero
state infrante.
Perché il Diavolo non regala mai qualcosa senza ottenere niente in cambio.
Povero, povero stolto quell’uomo, ad essersi fidato di Lucifero, che una volta
era l’Angelo più splendente e potente del Paradiso, e che ora non era altro che
il Re degli Inferi.
L’uomo fece per prendere il pennello ma quello gli cadde per l’ansia che lo
aveva invaso.
Stupido e patetico.
Si chinò immediatamente per raccoglierlo tremando di fronte a chi gli aveva
promesso fama e gloria.
Stupido ed ingenuo.
Era solo un uomo in fondo.
“Ti... ti ringrazio.” Blaterò prodigandosi in un goffo inchino per poi fare un
passo indietro.
“Ora va.”
Sia l’uomo che Satoshi videro quella mano avvolta nel pizzo muoversi con
un’eleganza quasi femminea, incitando l’altro ad andarsene prima che gli fosse
venuto a noia.
“S-sì... grazie, grazie ancora!”
Ma i suoi ringraziamenti giunsero ad una stanza vuota perchè colui con cui aveva
parlato, il Diavolo, o chiunque egli fosse stato, non c’era più ed il silenzio
era tornato a circondarlo con prepotenza.
Si voltò correndo velocemente verso la direzione dalla quale era arrivato,
impaziente di provare ciò che gli era stato donato.
Desideroso di mettersi all’opera.
“Dannazione!” imprecò Satoshi a bassa voce, schiacciandosi completamente contro
la parete quando quello gli passò a pochissima distanza.
Aveva dimenticato che tanto non avrebbe potuto vederlo.
Aveva dienticato che, per lui –e forse non solo- non era altro che vento tra i
capelli.
Sospirò sollevato, ricordandosi finalmente di avere ancora Daisuke abbracciato a
sè.
Abbassò lo sguardo a lui, rossi capelli si mischiavano con la propria maglia di
un azzurro forse più simile al grigio, e la guancia del ragazzino premeva a
forza contro il proprio petto. Lo riscaldava.
“Sarà meglio seguire quell’uomo.” Affermò senza alcuna intenzione di liberarlo
dall’abbraccio. Si era limitato a parlare guardandolo, in attesa che il compagno
di scuola alzasse gli occhi.
Daisuke alzò lo sguardo, annuendo placidamente.
Sentiva il cuore di Satoshi. Batteva forte. Tanto forte.
Ed era caldo. Stava così bene, lì...
Si riscosse solo quando anche l’altro si decise a seguire l’uomo.
Sentiva freddo, ora. Molto freddo.
Tremò quasi. Dov’era finito il calore di prima?
Insieme, seguirono quell’uomo, che aveva appena fatto letteralmente un Patto col
Demonio.
Quello era finito in un’altra casa. Appena migliore della prima.
“Finalmente… potrò.. battere quel dannato… Hikari..” ansimò, ridendo tra sé.
Folle. Ecco cos’era. Folle.
C’era già un cavalletto con una tela perfettamente bianca sopra.
Una sedia che non sembrava per nulla solida. Eppure il Pittore Maledetto si
sedette e, intingendo il pennello nei primi colori, iniziò a dare vita alla sua
opera.
All’Opera della sua Vita.
All’Opera del Diavolo.
Daisuke e Satoshi si affacciarono alla porta.
“Entriamo, Hiwatari..? Tanto non ci può vedere..” mormorò Daisuke, rivolto al
compagno di classe.
Chissà se lo avrebbe abbracciato ancora.
Chissà…
Satoshi annuì.
Soltanto.
Entrando.
Entrambe le mani libere, non lo stringeva più, non lo toccava più in nessun
modo.
Lo sguardo di zaffiro puntato avanti a sè e la mente subissata dai pensieri.
Aveva sentito perfettamente la frase che il pittore aveva pronunciato, parlava
degli Hikari... parlava della SUA famiglia!
Adesso sapeva dove erano finito, o meglio, a che periodo.
Perchè in realtà erano tornati indietro nel tempo, nei giorni in cui la sua
famiglia lavorava al dipinto per cui divennero i più famosi in tutto il mondo.
Per raggiungere il pittore dovettero fare le scale che non cigolarono nemmeno
sotto i loro passi, probabilmente perchè non le stavano mai salendo ma era
soltanto la loro immaginazione. Esattamente come quel luogo. Illusione.
Ma a quale scopo?
"Finalmente tutti riconosceranno la mia bravura."
Tendendo bene le orecchie Satoshi riuscì a percepire la voce incrinata dalla
follia del pittore.
Rideva anche, con un suono gutturale che metteva i brividi, e la sua mano
stringeva convulsamente il pennello con cui dipingeva.
Lo intinse nella tavolozza dei colori alla ricerca di un castano ramato che
riportò fedelmente sulla tela non più bianca.
Ed il dipinto prese vita.
Letteralmente.
Scie d'argento, oro e porpora si abbatterono sul quadro, soffocandolo con i loro
colori e brillando intensamente di una luce sinistra ed inquietante.
Satoshi non staccò mai gli occhi dal dipinto. La prima cosa che vide fu una
mano.
La pelle candida come neve e dita lunghe e affusolate che si spingevano ad
uscire dal ritratto.
I capelli erano raccolti in una cascata di boccoli castani dai riflessi del
rosso rame e la bocca incurvata in un sorriso.
Dolcissimo.
Troppo dolce per poterlo essere davvero.
"E' bellissima. Bellissima. E' assolutamente perfetta!" borbottò il pittore che
continuava imperterrito a dipingere.
Per lui quella bellissima ragazza non era mai uscita dal dipinto, così
continuava nel suo lavoro arricchendola di particolari.
Il colore delle labbra. Mele rosse del giardino dell'Eden.
La perfetta rotondità del seno e le sue forme, splendide in ogni dettaglio.
Gli zaffiri incastonati in un volto delicato ed ammaliatore.
Ed infine...
Parve dipingerle persino la voce.
Dolce, maliziosa, suadente, innocente, peccatrice, ingenua.
Una voce di sirena in bocca ad un angelo crudele.
Spalancò gli occhi di stupore Satoshi Hiwatari nel riconoscerla.
Era lei.
Era la ragazza che aveva visto sul tetto insieme a Daisuke e proprio il rossino
avrebbe dovuto riconosere in lei lo stesso viso del quadro che al museo aveva
incantato lui e Risa Harada.
Ed infatti, Daisuke aveva la bocca aperta dallo stupore.
Non solo per la bellezza del quadro, così delicata, così eterna, così…surreale.
Ma perché era lo stesso quadro che avevano visto.
E soprattutto, perché l’espressione negli occhi color cielo della ragazza, era
la stessa –anche come colore- di quella che aveva avuto Risa prima di cercare di
baciarlo. E prima di uccidere quel ragazzo.
“Ma.. ma quella..” mormorò, di fianco a Satoshi.
Non l’aveva abbracciato.
Anzi, l’aveva decisamente ignorato.
E per un attimo, Daisuke ci rimase male.
“Hiwatari… quel quadro.. è lo stesso che c’era alla mostra…” sussurrò, sebbene
il pittore non li potesse né vedere né sentire.
Non li avrebbe notati comunque, perché era troppo concentrato nel suo quadro
che, lentamente, sembrava come prendere vita.
“E’ perfetto.. assolutamente perfetto…” continuava a dire, tra sé, come in
trance, gli occhi uguali a quelli di un innamorato.
E lui era innamorato, di quel quadro, di quella ragazza raffigurata che tendeva
una mano verso di loro, come ad invitarli nel suo Eden, nel suo Paradiso, fatto
di sensi carnali, mani bianche e occhi blu.
“Sì… tu sei la Perfezione, mia cara… tu sei.. sei…”
Continuava a ripeterlo, idolatrandolo.
“…Tu sei Eve…”
Eve. Eva.
Lo stesso nome della Prima Donna.
Lo stesso nome della Prima Peccatrice.
Lo stesso nome di colei che aveva compiuto il Peccato Originale.
“…Sei la Musa del Diavolo…”
Il nome che l'uomo scelse per il quadro non poteva essere più giusto.
Satoshi trattenne il fiato mentre Eve concesse un sorriso al pittore.
Il suo creatore.
Pazzo.
Davvero si credeva in grado di compiere tali meraviglie?
Illuso! Il desiderio di vendetta gli aveva dato alla testa!
La mano diafana di Eve si mosse posandosi sul capo dell'uomo. Una carezza fredda
come il vento.
Si abbassò sfiorandogli l'orecchio con le morbide labbra.
"Fanne un altro." sussurrò. Suadente. Incantatrice.
"Sì. Un altro. Devo.. devo farne un altro! Ne farò a decine... a centinaia!!!"
esclamò l'uomo.
Malato.
Perso in larbirinti di pensieri che lo avrebbero inesorabilmente condotto
all'autoannientamento.
Subito scostò il quadro prendendo una nuova tela ed iniziando a dipingere anche
quella. Ne avrebbe fatti tanti altri, e poi li avrebbe sbattuti davanti alla
faccia stupita ed umiliata di quel maledetto Hikari, suo rivale da sempre.
Sempre un passo davanti a lui. Primo in tutto.
Maledetto!
Ma ora non era più come prima!
Era tutto cambiato. Tutto. Tutto quanto!!!
"Ahahahah!!! Adesso sono io il migliore!!!" gracchiò con voce roca, raschiando
la gola con la sua insana risata.
E ancora dipinse.
Per tutta la notte mentre, accanto a sè, Eve sorrideva.
Spaventosa nella sua innaturale bellezza.
"Dobbiamo..."
Era stato Satoshi a parlare, a fatica persino.
"Dobbiamo andarcene da qui..." mormorò ancora rabbrividendo.
Non gli piaceva quella donna.
Non gli piaceva affatto.
Si volse verso Daisuke con aria seria.
"Dobbiamo allontanarci. Subito!"
“Ma… Ma Hiwatari…” balbettò Daisuke, venendo però subito trascinato via dal
compagno, per un polso.
Corsero giù per le scale, senza un motivo –almeno secondo Daisuke- , mentre
ancora la risata folle del pittore li tormentava.
“Hiwatari! Perché stiamo scappand…”
Ma la loro “fuga” fu interrotta.
Entrambi si fermarono.
Dinnanzi a loro, stava lo stesso uomo che avevano visto prima.
Le stesse iridi blu, pregne di mille e mille sfumature.
La stessa espressione annoiata, maliziosa.
Gli stessi occhi di chi è destinato all’Eternità.
La stessa carnagione diafana.
Le stesse morbide labbra inclinate in un sorriso appena accennato, che regalava
sogni di vetro infranti.
La stessa bellezza immortale ed unica.
La stessa potenza irreale.
Lo stesso Diavolo.
“Voi non dovreste essere qui” sussurrò, con tono morbido, che li accarezzò come
un velo di seta.
Eppure Daisuke tremò.
Non gli piaceva quel tono. Era troppo dolce, troppo suadente…
“Forse, dovreste tornare da dove siete venuti.. mh?”
Sorrise, quell’eterno ragazzo dagli occhi di zaffiro.
Sorrise, e l’Eden immaginario scese su di loro.
Sorrise, e si ritrovarono circondati dalle fiamme dell’Inferno.
“Che diavolo…” sibilò Daisuke, guardando attraverso quelle fiamme che, invero,
li stavano circondando.
“Fai bene a parlare del Diavolo, Daisuke Niwa…” sussurrò ancora quello,
socchiudendo appena le palpebre di neve, e stringendo il cerchio di fiamme.
Iniziarono a sentire il calore degli Inferi.
Daisuke chiuse gli occhi.
Appena in tempo per vedere Lucifero sorridere, come un bambino che strappa le
ali ad una graziosa farfalla.
Ma le farfalle erano loro, adesso.
Le fiamme si avvicinarono.
E fu solo buio e tenebra.
E in tutto quel nero, continuò a vedere solo due occhi simili allo zaffiro più
puro.
†6° CAPITOLO FINE† |
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Capitolo 7 *** .07. ***
Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -7 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 7°°§
"Niwa!!!"
Da giorni tra le labbra di Satoshi Hiwatari non v'era altro nome.
Probabilmente era perchè il rossino ancora una volta si trovava in pericolo e,
nel suo sguardo zaffirino, l'immagine di Lucifero era ancora marchiata a fuoco.
Quando riaprì gli occhi, però, il Re degli Inferi non c'era più e loro erano
tornati all'epoca che gli apparteneva.
Ma quegli occhi erano rimasti.
Indosso a lei.
Indosso alla Musa del Diavolo che come un burattino muoveva a suo piacimento il
corpo di Risa Harada.
Lei, in piedi alle spalle di Daisuke, lo abbracciava posando il mento alla sua
spalla.
Sorridendo con
infantile tenerezza.
"Che cosa gli stai
facendo?!" domandò Satoshi, scattando in piedi.
Lui si era
risvegliato da quel mondo passato in cui erano stati imprigionati senza motivo.
Aveva riaperto gli occhi al cielo del presente.
Perchè invece Niwa...
...sembrava ancora perso in un limbo di ricordi e avvenimenti che non gli
appartenevano...?
"Lascialo stare." sibilò freddamente.
Iracondo.
Geloso.
Era come se, tutto a un tratto, nelle sue vene scorresse il sangue di Krad e non
il proprio.
Persino il suo sguardo zaffirino riluccicò ferino avvolto dall'abbraccio
dell'oro degli occhi di un angelo corrotto.
Ma il corpo era il suo.
La coscienza.
La voce.
L'aspetto.
La volontà.
Era Lui. Satoshi Hiwatari. Nessun altro.
Che sentiva il
potere di Krad invadere il corpo, scottando nelle vene, lacerandolo.
Di Krad, ora, vi era solo il potere, e quegli occhi del colore dell’oro
incandescente.
L’angelo dormiva.
O forse, si poteva dire che avesse permesso al suo Satoshi-sama di usare il
proprio potere.
Per quanto sarebbe durato?
“Perché dovrei lasciarlo stare? Lui mi ha rifiutata…” mormorò Risa, o meglio,
Eve, sfiorando il mento di Daisuke con le labbra di seta.
La Musa del Diavolo.
La passione, i desideri degli uomini, il sogno di menti deboli ed inutili.
Ecco cos’era Lei.
“Vai, Daisuke… uccidilo… per me…” sussurrò, ancora.
Satoshi la guardò stupito.
Niwa? Uccidere?
Impossibile.
Eppure il ragazzino si avvicinò, con lo sguardo perso nel vuoto e le movenze di
un burattino.
Una bambola nelle mani di Eve.
Si gettò contro di lui. E Satoshi poté sentire il potere che irradiava.
Lo stesso potere di Dark e Krad.
Eve rise. Una risata dolce e melodiosa.
Di certo, non avrebbe liberato Daisuke dal suo influsso.
Quello cercò di colpirlo, con un coltello che la stessa Risa/Eve gli aveva
donato.
Un pugnale destinato a ricoprirsi del suo sangue.
E sangue cremisi sgorgò da una ferita, sul braccio di Satoshi.
Ma Daisuke non diede segno di sorpresa, o altro.
Rimase fermo, esattamente come un bambolotto.
E fu lì, che la furia di Krad si scatenò.
Verso colui che aveva osato ferire il SUO Satoshi-sama.
Verso colui che voleva rubare il cuore del suo everything.
Verso colui che aveva allontanato il suo Satoshi-sama da lui.
Verso colei che ora lo stava manovrando, cercando di uccidere ciò che era di SUA
proprietà.
Mai provocare un Angelo.
Soprattutto se questi porta il nome di Krad.
Ci fu una luce. Bianca. Accecante.
Tanto che Daisuke fu costretto a ripararsi gli occhi.
E quando tutto ciò finì, al posto di Satoshi vi era un corpo slanciato dalle
lunghe gambe e dalle efebiche forme di un angelo.
I capelli ricadevano lisci e sottili, legati in una coda, lunghi fin quasi alla
vita, talmente biondi che pareva che il sole li avessi baciati. Occhi dal taglio
ferino, fatti d’oro puro, ora pregni di furia e rabbia. Pelle candida.
E due grandi, immense ali bianche sulla schiena.
Krad.
L’Angelo.
L’alter ego di Satoshi Hikari Hiwatari.
Non c’era alcun sorriso su quel volto, talmente bello da apparire irreale.
Vi era solo l’ira, rivolta a chi aveva compiuto l’atto blasfemo di ferire il suo
Satoshi.
“Direi che è ora di smetterla, con questi giochetti… non credi?” sussurrò,
schiudendo appena quelle labbra di rosa, rivolto ad Eve.
Era l'avvento dell'Apoclisse?
L'Angelo contro il demonio, o meglio, la sua Musa.
Dotati entrambi di una bellezza al di fuori della mera comprensione umana.
Risplendenti di una luce ancor più vivida e accecante di quella del sole.
Ed entrambi capaci di uccidere con un solo bacio.
Fu la prima volta che Satoshi non fece nulla per impedire a Krad di prendere il
suo posto.
Fu la prima volta che i pensieri dei due si trovarono a concidere perfettamente.
Pensieri di morte.
Rivolti alla Musa del Diavolo.
Lei aveva ripreso il suo posto alle spalle di Daisuke e con sapienza ne muoveva
i fili.
Burattinaio suadente.
E, nella mente di Krad, le parole di Satoshi continuarono a pronunciare una cosa
soltanto.
Non sapeva sarebbe mai stato in grado di dire una cosa del genere.
"Uccidila."
Non sapeva sarebbe mai stato in grado di volere la morte di qualcuno soltanto
per vendetta.
Alla fine suo padre aveva ragione.
Lui e Krad erano la stessa persona.
Alla fine l'animo oscuro di Krad aveva marcito anche il suo...
"Uccidila."
E Krad non disse nulla, non protestò, né fece altro.
Rimase fermo per un attimo.
Prima di gettarsi contro Eve.
In un lampo di luce dorata e di piume bianche.
L’avrebbe uccisa.
L’avrebbe uccisa perché Satoshi lo voleva.
La ragazza sembrò sorridere e ripararsi con Daisuke.
Povera illusa..
Krad non se ne curò neppure. Che morisse anche quel moccioso!
La aggirò semplicemente, comparendo alle sue spalle.
Lei sembrò stupita, mentre si voltava a guardarlo con i grandi occhi azzurri.
“Non crederai di potermi uccidere, vero?” domandò Krad, con un sorriso dolce e
falso sulle labbra.
Una sfera d’energia si palesò nella sua mano. Subito prima che lui la lanciasse
contro Risa Harada.
“Uccidila.”
La mente riempita da quell’ordine.
Eve urlò appena, ma riuscì a scansarsi. Peccato non fosse così facile sfuggire a
Krad.
L’Angelo non le lasciò neppure il tempo di respirare.
Volando –letteralmente- verso di lei, le strappò dalle mani Daisuke, gettandolo
lontano, senza alcuna grazia.
A lui non importava di Daisuke.
Lui doveva solo ucciderla.
Per Satoshi-sama.
Solo per lui.
Eve sembrò stupita.
E Krad approfittò di quel momento.
Si gettò contro di lei, scagliandole addosso uno dei suoi fasci di luce.
La ragazza sorrise.
Pensava forse che il suo Signore l’avesse lasciata priva di difese?
Una sfera d’energia nera si materializzò in entrambre le mani. Le lanciò contro
l’angelo.
L’oscurità si specchiò negli occhi dorati di Krad che ebbe appena il tempo di
scansarsi prima di venire investito da un’ondata di quelle sfere.
Uno squarciò lacerò
la spalla, vomitando sangue sul terreno dalla ferita profonda.
E poi, sentì la voce di Eve nella sua mente.
Dolce, capace di catturare chiunque.
Ma non lui.
“Perché lo difendi? Perché combatti per lui? “
“Perché lui è mio”
“Ma non ti ama. “
“E’ ciò che crede.”
“Lui non ti vuole. “
“Mai!”
“Perché lo fai?”
Un attimo di attesa.
Silenzio.
E poi, una risposta.
”… perché lui è il mio tutto.”
Un sussurro, e Krad le lanciò contro un raggio dorato, al massimo della sua
potenza.
Perché mai avrebbe permesso a qualcuno di uccidere Satoshi.
Mai.
Povera stolta, Eve, che pensava di essere amata dal suo Signore…
… che pensava di essere salvata da Lui…
…Povera Musa…
…Abbandonata dal tuo Lucifero…
Finì tutto avvolto da una luce dorata, come lo sguardo ferino di Krad posato nel
punto in cui Eve scomparve. Per sempre.
Aveva vinto, ma non vi era mai stato alcun dubbio e Satoshi si rilassò nella
mente dell'Angelo.
Il cuore tornato a battere col giusto ritmo.
La calma nuovamente ritrovata.
"Krad..."
Si era avvicinato al biondino, soltanto nella sua immaginazione certo, ma lo
aveva fatto.
E la sua mano posò alla spalla di lui, bagnandosi del sangue che colava dalla
ferita.
Si chinò sulla sua spalla. Sfiorandola con un bacio.
Sangue tra le labbra.
"Arigato."
Ed un sorriso ad incurvarle.
Il primo rivolto al suo alter-ego...
Forse l’unico che avrebbe mai concesso.
Con quel sorriso Satoshi tornò padrone del proprio corpo, riprendendolo a Krad e
accasciandosi affaticato mentre si premeva la spalla dolorante.
Liquido purpureo scivolava lungo le dita affusolate contrastando con la pelle
diafana.
Respirò a pieni polmoni più volte riuscendo a rialzarsi per raggiungere il corpo
di Daisuke ancora in terra.
Era svenuto ma non sembrava risentire più dell'influenza di Eve.
Era morta.
Non avevano più nulla di cui preoccuparsi.
Satoshi osservò a lungo il viso assopito di Daisuke.
Così tranquillo che gli dispiacue doverlo svegliare.
Attese prima di farlo, preferiva seguitare ad ammirare quel viso dai tratti
ancora infantili: le labbra morbide appena socchiuse, la pelle rosea liscia e
vellutata, gli occhi nascosti dalle palpebre.
Con due dita ne carezzò la bocca, scivolando su quella pelle invitante.
"Daisuke..." lo chiamò. Per nome. Il suono simile ad un sospiro.
Ed infine si chinò ad incontrare le labbra del rossino con le proprie,
assaggiandone il sapore di ciliegia e leccandole curioso.
Daisuke socchiuse appena le labbra, in un gesto del tutto istintivo, come un
bambino che succhia il latte dal seno della madre.
Un lieve mormorio, come soddisfatto, quando Satoshi gli accarezzò le labbra.
“Mmmh…”
Solo quello.
E poi, socchiuse appena gli occhi, la vista ancora offuscata.
Troppo addormentato, ancora, per accorgersi di quello che il compagno stava
facendo.
Sentiva solo un piacevole calore sulle labbra.
Satoshi non si staccò dal rossino nemmeno quando questi riaprì gli occhi.
Anzi.
Continuò a baciarlo approfittando del fatto che aveva schiuso maggiormente le
labbra per insinuare la lingua nel sua antro, mischiando la saliva con quella di
lui. Mescolando il sapore della propria bocca con quello dolce di Daisuke.
Era la prima volta
che baciava qualcuno ma, doveva ammetterlo, non era nulla di spiacevole.
Tutt'altro!
Le mani poggiate sulla pavimentazione del tetto.
Gli occhi socchiusi.
Il respiro trattenuto.
E poi quel dolce sapore di ciliegia...
Daisuke sbattè di nuovo le palpebre, divenendo, man mano, sempre più cosciente
di quanto stava accandendo.
Spalancò gli occhi.
Hiwatari…
Satoshi Hiwatari… lo stava baciando.
E con la lingua, per di più!
Si sentì avvampare, il volto rosso come i capelli.
Si scostò appena, quasi di scatto, le labbra ancor più rosse per i baci
dell’altro.
“Hi… Hiwatari…” sussurrò, timido, guardandolo con il volto cremisi.
Era disgustato?
No.
Era arrabbiato?
No.
Gli era piaciuto?
Forse.
Era imbarazzato?
Molto.
"Sì?" domandò il compagno.
Semplicemente.
Prima lo baciava e poi non diceva altro?! Soltanto un "Sì" come se si aspettasse
chissà quale frase dal rossino?
Poveri noi...
“Ehm…”
Daisuke si mise a sedere, umettandosi le labbra con la lingua.
Gesto sbagliato, perché risultò insieme sensuale ed innocente. Irresistibile.
“Che… che stavi facendo?” domandò, osando alzare lo sguardo di rubino su di lui,
timidamente.
"Nulla." affermò Satoshi con voce leggermente arrochita.
Vicino.
Troppo vicino.
"A parte..." ogni distanza venne nuovamente cancellata quando il ragazzo rubò
con un altro bacio l'espressione adorabilmente timida -e dannatamente sensuale!-
del rossino "..questo."
La voce, bassa, soffiata direttamente sulle labbra di Daisuke.
E se lui lo avesse rifiutato?
Nemmeno per un attimo gli passò per la mente che sarebbe potutto accadere.
Nemmeno per un istante.
E il ragazzino spalancò per la seconda volta gli occhi.
Oh cazzo.
Oh cazzo.
Oh cazzo, cazzo, cazzo.
Era la prima volta che Daisuke Niwa lo ripeteva tante volte nella sua mente di
bambino.
Ma i fatti non
cambiavano.
Lo stava baciando.
Di nuovo.
E lo aveva fatto con.. con un’assurda semplicità! Così, come se lo avessero
sempre fatto!
O forse era perché gli stava piacendo, che era così… sconvolto?
Quasi senza accorgersene, socchiuse timidamente le labbra, senza ritrarsi,
spingendosi appena di più contro Satoshi.
"Daisuke..."
Ancora il suo nome tra le labbra.
Aveva un bel suono. Gli piaceva. Forse avrebbe continuato a chiamarlo a quel
modo, usando il nome proprio al posto del cognome, non sarebbe stata una cattiva
idea.
Le mani viaggiarono alla vita del rossino, stringendogli i fianchi e affondando
le dita nella stoffa della sua maglia per tirarlo magiormente a sè.
Il buon profumo della pelle di Daisuke lo stordì, assuefacendolo, fino a non
poter desiderare altro.
Fino a non desiderare altro che stare in quella posizione per tutta la vita.
Con Daisuke Niwa per tutta la vita.
Ossessione.
Gelosia.
Desiderio.
Soltanto ora capiva un pò quello che -pensava- erano stati i sentimenti di Krad.
Ora che non erano più soltanto di Krad.
Chiuse gli occhi lasciandosi avvolgere dalle nuove sensazioni che gli scorrevano
intorno.
E Krad, per una volta, non intervenì. Non disse niente.
Forse stanco per il combattimento, forse perché davvero amava Satoshi.
O forse, perché sapeva che in fondo Satoshi sarebbe stato sempre, in un certo
senso, suo.
Sorrise appena tra sé, un sorriso enigmatico che significava troppe cose per
poterle descrivere, prima di addormentarsi. Rimanendo, per un po’, sopito nella
mente di Satoshi.
Daisuke socchiuse appena gli occhi, appoggiando le mani sulle spalle del ragazzo
quando questi lo trasse a sé.
Possessivamente.
Gelosamente.
Lo avrebbe tenuto stretto a sé fino all’eternità.
“Satoshi…”
sussurrò, chiamandolo anche lui per nome.
Satoshi. Aveva un bel suono. Lo aveva sempre pensato.
E, lentamente, anche lui ricambiò quel bacio, dapprima innocente,
un’illusione,quasi per prova, e poi sempre più reale.
“Satoshi…”
Ancora quel nome.
Ancora quel sussurro.
Mormorato in modo dolce ed innocente, portatore di promesse e fiducia.
Terminare quel bacio fu come essere strappati alla vita e gettati nell'Averno.
Il respiro affannato, la fronte poggiata su quella del rossino e gli occhi
immersi nei suoi due rubini.
"Stai bene vero?" domandò infine Satoshi staccandosi completamente. Controllando
che l'altro non avesse riportato ferite.
Il rosso sbattè le palpebre.
Eh?
Era.. era già finito?
E lui gli chiedeva se stava bene?! Dopo averlo baciato?! Ma era scemo!
“S-sì… sto bene… cos’è..successo?” domandò, scostandosi anch’egli da Satoshi.
Daisuke non aveva ferite, a parte un piccolo graffio sulla guancia sinistra,
lievemente rosso.
Ma niente di grave, per fortuna.
Il compagno scrollò le spalle con un’espressione che Daisuke nono riuscì a
decifrare. Più o meno la solita maschera sciolta sul volto.
"Sei stato preso di mira dalla Musa del Diavolo, la ragazza che hai visto nel
quadro insieme ad Harada durante la mostra al musero Yurin." spiegò pacatamente
storcendo il naso quando si ritrovò a pronunciare il nome della ragazza di cui
l'altro era innamorato da sempre.
Da sempre...
Chissà se ancora adesso lo era...
Scosse la testa, in un movimento impercettibile tornando a parlare con voce
incolore.
Non aveva avuto nemmeno bisogno di rileggere i proprio appunti per elencare gli
ultimi fatti, infondo era successo nemmeno qualche secondo prima e, comunque,
lui aveva sempre avuto un'ottima memoria.
"Ora lei è morta, è probabile che non ti dia più alcun fastidio." detto questo
si alzò dandosi una pacca ai pantaloni per togliersi la polvere di dosso.
Era finito, giusto? Per cui inutile rimanere lì a perder tempo...
Che sciocco.
Stupido Satoshi. Nonostante tutto pur sempre un ragazzino. Poco più di un
bambino.
Così inesperto.
"Niwa..." era tornato a chiamarlo per cognome. Mantenendo le distanze.
"Tu sei..."
Ed ora? Che dire?
I denti perlati morsero nervosamente il labbro.
Non poteva certo chiedergli se fosse ancora stato innamorato di Harada. Non
erano fatti suoi e poi, se così fosse stato… avrebbe preferito non saperlo.
Eppure in quel bacio lo aveva ricambiato.
Povero Satoshi, ancora così infantile nonostante tutto...
Anche Daisuke si
alzò, spolverandosi la maglietta.
Perché adesso si era allontanato così?
Eppure… eppure lo aveva baciato! Perché lo aveva fatto?
E soprattutto, perché lui non si era tirato indietro?
A lui piaceva Risa, no?
Era convinto.
Certo che gli piaceva Risa!
E allora perché…
“Mh? Dimmi, Hiwatari…”
Sorrise, Daisuke. Sorrise come se non fosse successo niente.
Forse, se fossero stati appena un po’ più grandi non si sarebbero comportati
così.
Forse, se solo…
…Se solo…
Peccato.
A quanto pare anche lui aveva smesso di chiamarlo per nome.
Tempo passò prima che riuscisse a proferire una qualsiasi frase.
Ne aveva così tante nella testa che frullavano indisponenti le loro ali,
rumorose e fastidiose, impazienti di divenir suono.
Invece...
"No. Nulla."
Invece non disse nulla.
Gli diede le spalle incamminandosi verso la porta che conduceva alle scale.
Paura?
Serrò i denti
stringendo i pugni fino ad autodolersi.
Era davvero così difficile scoprire di...
…di...
Oh, all'inferno!
Con la medesima espressione con cui si era allontanato si voltò nuovamente verso
Daisuke.
Serio.
Lo era sempre stato, no?
Un ragazzino dannatamente serio. Alcuni sostenevano che facesse persino paura.
"Posso chiamarti Daisuke?" gli domandò a bruciapelo, senza più pensarci troppo o
avrebbe rischiato nuovamente di tirarsi indietro.
Daisuke rimase quasi sorpreso.
Si aspettava un’altra domanda, qualcosa forse di più… imbarazzante, o serio, o..
o… o qualsiasi altra cosa!
Ci rimase quasi male.
Anzi.
Ci rimase male.
Per un attimo, abbassò lo sguardo, sul volto un’espressione delusa.
Ma chissà poi cosa si aspettava.
Alla fine, sorrise, dopo un attimo.
“Certo, Hiwatari! E.. io posso chiamarti Satoshi?”
Rieccolo, Daisuke Niwa.
Sorridente e allegro.
Ed al contempo deluso e amareggiato dentro.
Satoshi tornò sui suoi passi.
Veloce.
Correndo?
Sì. Corse persino.
Poce falcate in realtà, ma bastarono per tornare vicino a Niwa.
No.
Vicino a Daisuke.
Daisuke. Daisuke. Daisuke!
Senza pensarci due volte strinse il polso del rossino tirandolo leggermente
verso di sè.
Pensare troppo non serviva a nulla. Specialmente in una situazione come quella!
"E posso anche..." Si sporse verso l'altro, avvicinando il viso fino a
confondere il respiro con quello di Daisuke. "...baciarti?"
Il rossino trattenne il fiato quando Satoshi gli si avvicinò.
Così tanto che il loro respiro si unì.
Posso baciarti?
Alzò gli occhi color sangue verso quelli di mare dell’altro, intrecciandoli
in un insieme di rubino e zaffiro.
Si era già accorto di quanto fossero belli gli occhi di Satoshi. Erano
bellissimi.
E chi era, lui, per dire di no ad un ragazzo simile?
Senza dire una parola, annuì.
Semplicemente.
Ma a lui piaceva Risa Harada.
…Vero?
Al suo annuire Satoshi si avvicinò ancora.
Pochissima la distanza tra i due.
Quasi nulla.
Le labbra del ragazzo si schiusero ancora, ma non lo baciarono, invece ne
approfittarono per parlare ancora, prima che il profumo della pelle di Daisuke
gli offuscasse completamente la mente. Facendolo impazzire.
Perchè è questo che gli stava accadendo.
Fare richieste del genere ad un suo compagno, per di più un maschio.
Baciarlo e chiedergli il permesso addirittura di rifarlo.
E mai che si fosse scusato con lui nemmeno una volta!
Non c'erano dubbi: Satoshi Hiwatari era impazzito.
E poi a Daisuke piaceva la più giovane tra le gemelle Harada. Lo sapeva, lo
sapeva anche lui!
Per la miseria Satoshi tu non sei masochista, e allora perchè?!?
Follia. Irragionevole, crudele follia.
Non c'era altra risposta.
E per follia il ragazzo dai capelli del color della placida corrente marina,
smise di porsi futili domande su se stesso, su quello che provava per Daisuke e
su quello che lo stesso Daisuke provava.
"Sei sicuro?" domandò invece, concedendogli un ultima occasione per tirarsi
indietro.
E, se sicuro non lo fosse stato, Satoshi pregò –implorò!- che lo fermasse
all'istante…
†7° CAPITOLO FINE† |
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