Nessun inverno è uguale

di lar185
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Nessun inverno è uguale

 
Lui mi ha detto che aveva bisogno della sua vita. Poi se n’è andato via. Si è girato ed è andato via, con le lacrime agli occhi e i capelli al vento, se n’è andato forse aspettandosi che io lo seguissi. Ma io non l’ho fatto. Lui andava via e piangeva, io restavo ferma e lo guardavo allontanarsi. Passo dopo passo lo vedevo sempre più distante, passo dopo passo perdevo la certezza che ci fossimo mai avvicinati e acquistavo un passato che non mi apparteneva più. Non piangevo, né dicevo niente: lo sentivo singhiozzare, ma quando fu abbastanza lontano smisi di sentire anche quello. Se n’era andato.
Mi voltai come se la cosa non mi riguardasse e iniziai a percorrere la strada opposta alla sua. Il passato si stava impossessando di me, un passato remoto che mi rendeva sempre più convinta del fatto che nell’atrocità di quel dolore, diventavo libera.
Abbassai lo sguardo e osservai il braccialetto che portavo al braccio destro, un regalo di lui. Lo tolsi senza esitare un attimo e lo gettai nel primo cassonetto, così accadde anche alle altre cose che mi portavo addosso e che appartenevano a lui. Alla fine della strada mi sentivo più leggera e più vuota. Senza alcun dubbio stavo buttando al vento senza speranza di ritorno undici mesi della mia vita, ma contemporaneamente sentivo la mia anima tornare indietro, come se per quei lunghi undici mesi fosse stata lontana. Più si avvicinava, più mi rendevo conto di non riconoscerla. Era come se fosse passato semplicemente troppo tempo dall’ultima volta che ero stata così leggera.
La parte razionale di me si chiedeva perché non fossi scoppiata in lacrime, perché non l’avessi supplicato di restare, perché non avessi reso le cose più difficili, - come accade nei film. Lui se n’era andato per sempre, e, cosa alquanto strana, l’avevo già elaborato. Non ero nel classico stato di stasi che precede la disperazione, io semplicemente non avevo di che disperarmi. Non riuscivo a trovare motivi per piangere, nonostante dicevo a me stessa di amarlo tantissimo. Perché non piangevo? Perché non la smettevo di fare l’indifferente? Forse il cuore era andato in sciopero dei sentimenti. Forse credevo di aver superato tutto in cinque minuti, ma in realtà non mi ero ancora resa conto di niente.
Tornai nella mia vuota casa e raccolsi dal cassetto del comodino tutte le sue lettere e nella completa apatia le stracciai. Ad una ad una assaporavo sadicamente il suono della carta che si stracciava, amavo il solletico che provocavano al mio orecchio quelle parole che andavano in pezzi per sempre. Senza esitare un attimo, raccattai i residui di carta e li gettai via.
Poi passai alle fotografie.
In un batter d’occhio la mia camera era come spoglia.
Quando mia sorella tornò ed entrò nella nostra camera, per poco non svenne, e alla sua domanda:

  • Cosa è successo?-
Io risposi semplicemente:
  • Ci siamo lasciati-
 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


E’ sempre più consueto: coppie che si amano alla follia di tanto in tanto hanno degli alti e bassi, e uno dei due va via piantando l’altro da solo in mezzo alla strada. Solo qualche giorno dopo, però, si fa pace. Il “periodo di pausa” non serve davvero a prendersi una pausa, (da cosa, poi?) ma serve solo a rendersi conto di quanto si sente la mancanza dell’altro, così in un batter d’occhio tutta la pausa finisce e si ritorna l’uno tra le braccia dell’altro.
Tutti erano convinti che tra me e lui sarebbe successa la stessa cosa, ma si sbagliavano. Passò una settimana, ne passarono due, ne passarono tre. Ma lui non si fece più sentire.
Mia sorella passeggiava incredula tutti i giorni nella nostra camera fissando il mio letto una volta colmo di peluche che mi aveva regalato, la parete sgombra dalle foto che ci ritraevano, la mensola sulla quale giaceva il mio cellulare, che adesso non mi serviva quasi più.
A scuola tutti i miei amici mi si affiancarono come se stessi vivendo un incredibile lutto. “Sto bene” ripetevo, ma nessuno ci credeva.
Almeno due notti a settimana restavo sveglia fissando il soffitto, continuando a pensare a quanto era successo. Non riuscivo a capacitarmi del fatto di non star soffrendo neanche un po’. Avevo perso il cuore? Avevo cancellato gli undici mesi passati insieme automaticamente, quando lui era andato via? Eppure, se qualcuno mi chiedeva se ancora lo amassi, io rispondevo di si. Non ero proprio abituata a dire di no.
Una di quelle notti iniziai ad ipotizzare di non averlo mai amato sul serio. Ripercorsi nel mio cervello ogni singolo giorni degli undici mesi precedenti, da quello in cui ci eravamo conosciuti a quello in cui mi aveva piantata in mezzo alla strada.
Io e lui ci eravamo conosciuti come si conoscono molti, tramite amici. Lui era semplice, tranquillo, adatto a me: avevo sin dall’inizio trovato in lui una persona sulla quale sapevo potermi sempre rivolgere, una spalla sulla quale poter piangere, un affetto che non mi sarebbe venuto mai a mancare. Ma se avessi dovuto, quella notte, descrivere il modo in cui mi ero innamorata di lui, non avrei mai potuto: suppongo sia accaduto da un giorno all’altro, non esiste mica un momento preciso in cui ti innamori? Lui di me s’era innamorato subito, me lo aveva ripetuto molte volte in quegli undici mesi. E io gli rispondevo che anche per me era stato lo stesso, e forse ne ero davvero convinta. Ma pensandoci, quella notte, mi resi conto che non mi ero affatto innamorata.
Avevo perso la testa.
Ma non per amore, oh no.
L’avevo persa perché un giorno forse m’era caduta e non me n’ero accorta, e m’ero trasformata in un automa, in una persona che viveva solo ed esclusivamente per lui. Le emozioni che avevo provato durante i nostri lunghi undici mesi erano state frutto del sosia che si era impossessato di me per quei tempi. Ero, come dire, momentaneamente impazzita. Forse lui se n’era accorto, e aveva deciso di chiuderla con questa farsa. Oppure era impazzito anche lui, il che avrebbe reso tutto molto più logico. Avevamo entrambi trovato un posto in cui rintanarci, senza farci troppo male, ma non era niente di più che una temporanea perdita del ben dell’intelletto. E ne sarei stata più sicura circa un anno dopo, quando quello stesso passato che reputavo inutile e sterile, mi avrebbe catapultata in un futuro inaspettato.
 
 
 

 
 
 
Il mio nome è Clarice, e non è mai stato così tanto associato ad un altro nome come lo era quando stavo con lui. In quel periodo chiunque dicesse il mio nome non poteva fare altro che nominare anche il suo, e chiunque anche solo pensasse a me, evocava insieme alla mia immagine anche la sua. Ero diventata una specie di prototipo di ragazza, quella che non si stacca dal suo fidanzato nemmeno se la tiri via con la violenza: in realtà, quella Clarice era una menzogna.
La vera Clarice è una ragazza senza molti sentimenti.
Sono espressamente legata soltanto a poche cose, tutto il resto per me è alquanto superfluo: sono terrorizzata dalla mentalità comune secondo la quale ognuno di noi ha bisogno di almeno tre persone oltre i propri genitori per vivere (il fidanzato, la migliore amica e il migliore amico), e proprio per questo ogni rapporto al di fuori della famiglia veniva circoscritto entro limiti precisi. Chiunque intorno a me si contornava di almeno uno dei tre personaggi fondamentali, ma io ne restavo sempre fuori. Non avevo bisogno di migliori amici a cui confidare i miei segreti: non avevo segreti, ed ero in grado di elaborare benissimo i miei pensieri da sola. Non sono mai stata un’adolescente complessata; non avevo bisogno di restare ore al telefono raccontando la mia vita e non avevo bisogno che gli altri mi dimostrassero il loro amore.
Ma non per questo ero una persona scostante.
Con gli altri ero discreta ma gioviale, riservata ma socievole. Cercavo di donare agli altri la parte migliore di me senza espormi troppo, e per loro credo di essere stata un elemento monocorde: non ero allegra o triste, infuriata o delusa. Ero semplicemente Clarice.
Era per questo mio essere talmente controllata che tutti restarono sorpresi dall’arrivo di lui nella mia vita.
Luinon era uno dei personaggi fondamentali che servono per rendere perfetta la commedia della nostra vita, lui era l’accessorio principale di essa. Con lui ho iniziato a parlare di me come non avevo mai fatto, senza essere coinvolta in nessun sentimento particolare. Più coinvolta di me, sin dall’inizio, è stata mia sorella Giada.
Giada è più giovane di me di qualche anno, ed è così ricca di entusiasmo che a volte dubito della nostra parentela. A differenza della maggior parte delle sorelle, io e Giada andiamo amorevolmente d’accordo, io non ho nessuna pretesa su di lei: non mi infurio se usa il bagno prima di me, se rimane nella mia camera quando sono al telefono o se mangia l’ultimo biscotto. Il nostro rapporto è sempre stato talmente fuori dal comune che l’ho sempre considerata una seconda me stessa: le raccontavo ogni cosa del mio rapporto con lui (forse perché insisteva sempre tanto) e talvolta anche i miei dubbi. Giada mi dava degli ottimi consigli e a quanto pareva, anche a lei faceva piacere avere come alter ego la propria sorella.
È stato per questo che quando io e lui abbia rotto lei era così sconvolta: era certa che fosse successo qualcosa che io non le avessi rivelato e che adesso stavo rovinando la mia vita per una futile sciocchezza. Ma in realtà tra di noi non era successo niente, niente davvero.
Erano passati circa due anni da quando tutto era finito, e più il tempo passava e più io mi rendevo conto di star perdendo i pochi sentimenti che avevo. L’essermi allontanata (sebbene senza volerlo) da lui mi stava facendo rendere di conto di quanto la mia vita fosse troppo leggera.
 
Faceva ancora un po’ freddo per essere arrivato già luglio, ma la mia avversione per il caldo mi faceva amare il vento fresco che mi avvolgeva le spalle mentre camminavo per strada. Ero andata in giro alla ricerca di un regalo per Giada: tra poche settimane sarebbe arrivato il suo compleanno e non avevo idea di che cosa poterle comprare. Se non fossi stata impegnata con l’esame di stato il mese precedente, avrei potuto dedicare molto più tempo a pensarci. Tutto quello che avrei potuto comprarle senza riflettere più di un quarto d’ora l’avevo già comprato per i precedenti compleanni, ma adesso le cose iniziavano a complicarsi e come se non bastasse non c’era neanche lui a consigliarmi qualcosa. Con Giada lui era sempre andato d’accordo: la sua innata gentilezza e amorevolezza nei confronti dei più piccoli aveva conquistato da subito mia sorella, che già di per se adorava il fatto che io mi fossi fidanzata.
Ma adesso dovevo cavarmela da sola.
Tutte le cose che avevo dovuto fare da sola durante quei due anni senza di lui erano niente confrontate a quell’enorme problema. Non c’era niente che odiassi di più di comprare il regalo per Giada fare, senza di lui per giunta.
Sospirai un po’ contrariata e mi portai dietro l’orecchio una ciocca dei miei capelli color miele. Erano circa le sei, tra poco sarei dovuta rientrare e non avevo ancora deciso.
In preda ad un momento di sconforto stavo per imboccare la strada che mi avrebbe riportata a casa, quando sentii una voce che pronunciava il mio nome alle mie spalle.

- Clarice –
Non mi aveva chiamato, no. Aveva semplicemente pronunciato il mio nome, quasi sottovoce, come si pronuncia un “ciao”. Il tono che aveva usato la voce non aveva nemmeno un briciolo di violenza: pacato, gentile, introvabile.
Mi voltai lentamente, assecondata dal modo in cui il mio nome era stato pronunciato.

- Federico –
Pronunciai a mia volta, con un sorrisetto di convenienza.
Federico era il suo migliore amico, quasi come un fratello: passavano insieme moltissimo tempo (il tempo che lui non passava con me), vivevano quasi nella stessa casa e condividevano un sacco di interessi. Federico ci aveva invitato a milioni di feste, ci aveva fatto conoscere moltissime persone e si era reso per noi sempre disponibile. Nonostante tutti lo trovassero davvero adorabile, il mio rapporto con lui era sempre stato un tantino freddo, quasi come se l’unica cosa che ci costringesse a parlarci era lui. Nonostante questo, non potevo dire che  non avesse una personalità interessante. Una delicatezza, quella di Federico, difficile da trovare. Anche in quel momento, nel modo in cui aveva pronunciato il mio nome, si poteva cogliere quel soffio sospeso e quel suo fascino nascosto chissà dove, forse tra i suoi respiri.
Sorrise, gli occhi gli si illuminarono.
Solo in quel momento mi resi conto da quanto tempo non ci vedevamo.
Come è immaginabile, da quando io e lui avevamo rotto io e Federico non avevamo più avuto nessun tipo di rapporto. D’altronde, c’era forse un motivo che ci costringesse a parlarci, adesso? No.

- Ciao Clarice- , mormorò sorridente, - non riesco a crederci!-
“Già”, pensai io, “non riesce a credere che non mi sia ancora suicidata”
Sorrisi di nuovo.

- A cosa non riesci a credere?- chiesi, con una punta di ironia.
Federico alzò le spalle, gli occhi azzurri socchiusi.
- Che sei davvero tu. Non ti vedo da un sacco di tempo-
Zero imbarazzo nelle sue parole, anche in questo Federico era bravissimo: riusciva a farti sentire sempre a tuo agio.
- Beh si, in effetti è passato un bel po’ di tempo. Come stai?-
Subito dopo mi pentii della domanda fatta. Adesso saremmo dovuti restare un po’ lì  a parlare e lui mi avrebbe raccontato di sicuro cose che non mi interessavano neanche un po’.
Federico alzò le spalle, sembrò intuire i miei pensieri.

  • Sto bene, grazie. E tu?-
  • Anche io-
  • Dove te ne vai di bello?-
  • Oh, cercavo un regalo di compleanno per Giada. Ma non ho ispirazione oggi-
  • Ah, capisco-
  • E tu?-
  • Sono andato a fare le prove-
Oh già, le prove.
Federico suonava in una band da circa…ehm, sempre. Suonava la chitarra da quando era bambino e forse faceva anche il cantautore.
Io e lui eravamo andati un sacco di volte alle serate di Federico, che sembrava già una rockstar piena di fan impazzite. Il suo atteggiamento di fronte alla musica era però di massima serietà: venerava la sua chitarra come se fosse un dogma e la amava forse più di qualsiasi altra cosa. Una volta aveva piantato una tipa per il suo atteggiamento superficiale nei confronti della musica. “Una così non starà mai con me” aveva detto.

  • Oh. Suoni ancora?-
Che domanda stupida e assolutamente di convenienza. Se è appena tornato dalle prove vuol dire che suona ancora.
Federico sorrise.

  • Si, certo. E tu, li fai ancora quei…ehm, cos’è che erano?-
  • Statuette di pasta di sale-
  • Oh si, quelle-
  • Qualche volta-
Federico mi aveva guardava con diffidenza la prima volta che mi aveva vista a casa di lui pasticciare con la pasta di sale. Creare oggettini con la pasta di sale era una cosa che mi portavo dietro sin da bambina, una cosa che mi aveva insegnato mia zia. Tutti rimanevano positivamente colpiti dalla mia abilità manuale, tutti tranne Federico. Mi aveva guardata con uno sguardo talmente strano che lui era scoppiato a ridere fissandoci entrambi. Era sempre stato un po’ assolutizzante, Federico: per lui esistevano poche cose, tutto il resto era strano.
Mi rivolse un altro sorriso. Quella conversazione era priva di qualsiasi senso.
Stavo per dirgli che era tardi e dovevo andare a casa (cosa che non era assolutamente vera) quando lui mi prese alla sprovvista dicendo:

  • Ti va un caffè? Se non hai fretta, s’intende-
  • D’accordo- risposi subito io, senza pensarci neanche un attimo.
Qualche minuto dopo eravamo seduti al tavolino di un bar, io lui e la sua chitarra, poggiata delicatamente al nostro tavolo.
Federico era particolarmente a suo agio, io fingevo di esserlo e contemporaneamente mi chiedevo perché mi trovassi al bar con il migliore amico del mio ex.

  • Cosa mi racconti, Ris?-
Ris. Già, era così che mi aveva sempre chiamato. Non gli era mai piaciuto “Clarice”, diceva che era da vecchia ed era soltanto la brutta copia di “Clarissa”. Così aveva iniziato a chiamarmi Ris, una specie di diminutivo che a mio avviso non ha niente a che vedere con “Clarice”.
Anche a lui ogni tanto piaceva chiamarmi Ris. 

  • Oh, niente di che. La scuola mi ha impegnata un sacco ed è stato…beh, un anno molto difficile-
Le parole erano venute fuori da sole, parole che non mi sarei mai sognata di dire. Non era mio solito dedicare neanche un piccolissimo commento personale a qualcosa o qualcuno, mentre adesso, nella più completa spensieratezza, avevo ammesso che era stato un anno difficile. Stava forse pensando che ero stata male a causa di lui? Probabile. Non avrebbe mai capito che era circa un anno che mi interrogavo sul mio inconscio e sulla mia anima tentando di capire cosa fosse successo dentro di me da quando ci eravamo lasciati.
  • Sei al quarto anno, vero?- chiese Federico quasi ignorando la seconda parte della mia frase.
  • No, ho appena terminato l’esame di stato- risposi, abbassando un po’ il tono della voce.
A differenza mia, lui e Federico erano già all’università.
Federico sorrise, stava per dire qualcos’altro, forse voleva scusarsi, ma la cameriera ci interruppe.

  • Vi porto altro?- chiese gentilmente.
  • Vuoi altro?- mi chiese Federico.
  • No, no. Ti ringrazio-
  • Allora il conto per favore-
  • Subito-
La ragazza si allontanò dal nostro tavolo e Federico afferrò il portafogli, io lo imitai.
  • Questo caffè te lo offro io- disse poi, accompagnando le parole con un movimento della mano.
Risi.
  • Sei pazzo? Non ci pensare. È solo un caffè-
  • Appunto-
  • Perché dovrei farmi pagare un caffè da te?-
Mi sorpresi di nuovo.
Non solo avevo detto una frase che normalmente mi sarei risparmiata, ma il tono non era stato del tutto amichevole.
Federico mi fissò sbigottito per un attimo, poi assunse un’espressione divertita.

  • Beh, perché non ci vediamo da tanto tempo-
La risposta era pacata.
  • Non è abbastanza- risposi io, mettendo sul tavolo le mie monetine.
  • Davvero, Ris, non è necessario- lo guardai irremovibile, lui era sempre divertito, - facciamo che la prossima volta offri tu-
  • La prossima volta?-
  • Già. La prossima volta che ci becchiamo-
Già, forse fra un anno o due. E io intanto gli stavo lasciando pagare il mio caffè.
La cameriera tornò al nostro tavolo e Federico le consegnò i soldi.

  • Grazie. Arrivederci!- salutò giovale la cameriera.
  • Arrivederci- salutò a sua volta Federico.
Non so quale sarebbe dovuta essere la mia impressione in quel momento, ma avevo un’incredibile voglia di andarmene.
Appena fuori dal bar, Federico si rimise in spalla la chitarra e io iniziai a parlare freneticamente:

  • E’ stato un piacere incontrarti, Federico, ora devo scappare. Ci becchiamo in giro-
Federico si chinò per baciarmi le guance, lo lasciai fare controvoglia.
  • Anche per me è stato un piacere. Stammi bene Ris!-
  • Ciao Federico -
Federico si avviò verso destra e io verso sinistra.
Solo in quel momento, come un bagliore di luce improvviso, mi resi conto che Federico era inspiegabilmente bellissimo.

 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


 
Il fatto che a diciassette anni le ragazze fingano di non avere ormoni è la cosa più stupida del pianeta. Trattano ogni ragazzo che manifestamente dice belle tutte le fanciulle che passano per strada come un pervertito, senza pensare che all’interno del loro cervello i pensieri sono esattamente gli stessi. La questione, molto più profonda, è da fare sul significato che questa cosa ha: per le ragazze è vergognoso pensare di essere state… ehm, diciamo accecate dal sesso opposto. Loro sono quasi sempre impeccabili, quasi sempre corrette.
Quello che invece pensai io senza farmi troppi scrupoli era che Federico era bello, punto. La cosa che mi preoccupava era che io non mi ero mai seriamente accorta della sua bellezza. Il mio animo da ragazza fidanzata aveva per così tanto tempo abbagliato i miei sensi tanto da non farmi neanche rendere conto della presenza di un ragazzo bello davanti a me? O era stata la freddezza con la quale io e Federico ci eravamo sempre trattati?
Lasciai perdere quel pensiero e ne misi in tavola un altro: che cosa avrebbe detto adesso Federico a lui? Di sicuro la cosa sarebbe saltata fuori e Federico gli avrebbe detto di avermi vista e di aver parlato con me. Cosa gli avrebbe detto?
Mi guardai allo specchio cercando di capire che impressione davo, ma non riuscendoci affatto corsi da Giada.

  • Ehi Giada, guardami un momento- le dissi, irrompendo nella nostra camera dove la mia sorellina era intenta a leggere un libro sdraiata sul suo letto.
Giada mi rivolse un’occhiata distratta.
  • Si?- chiese.
  • Come ti sembro?-
  • Eh?-
  • Cosa diresti di me, se mi incontrassi per la strada?-
Giada arricciò il naso mentre mi lanciava un’occhiata lentamente più attenta.
  • Che sei mia sorella. E che ti sei messa la mia maglia!-
  • Oh, lascia perdere questo! Intendo: se tu non mi vedessi da più di un anno, cosa penseresti di me, vedendomi diciamo, insomma…oggi?-
Giada chiuse il libro e si alzò come invasata. Mi guardò negli occhi.
  • Hai incontrato lui!- buttò fuori.
Risi, accompagnandomi con un movimento del capo.
  • No, cosa dici?-
  • E perché mi fai questa domanda?-
  • Non ho incontrato lui. Ma Federico -
Giada alzò le sopracciglia, parve delusa.
  • Oh. E adesso hai paura di quello che potrà dire a lui-
Era impressionante quanto mia sorella mi conoscesse bene.
  • No, per niente, - negai, - è solo che…-
  • Non perdere tempo ad inventare scuse, Clarice -, Giada si allontanò per sdraiarsi nuovamente sul letto, - con me non attacca-
Sbuffai, poi la raggiunsi sul letto.
  • Okay, c’ho pensato un po’-
  • Ma eravamo d’accordo che a lui non c’avresti più pensato. Tu stessa mi hai riempito la testa di “sto bene” e adesso incontri Federico e vai in tilt?- disse diplomatica, con un tono che ricordava tanto un medico che rimproverava il suo paziente per non aver preso le pillole.
  • Non sono andata in tilt, - mi difesi, alzando il tono della voce, - davvero, Giada, devi credermi. È stato solo un banale pensiero passeggero. E non penso a lui-
Abbassai un po’ la voce sull’ultima frase, Giada mi guardò con la coda dell’occhio.
  • Beh, vuoi sapere come ti vedo?-
  • Si-
  • Sinceramente?-
  • Si-
  • Pallida, dimagrita, con le occhiaie. E non hai più lo smalto sulle unghie, né tutti quegli orecchini che ti piacevano tanto, e indossi le magliette di tua sorella. Credi sia abbastanza?-
Sospirai prima di chiedermi come avessi fatto a non notare tutte quelle cose allo specchio.
  • Questa maglia mi piace, - iniziai, in tono di scuse, - e gli orecchini mi appesantiscono le orecchie, non mi va di portarli. Lo smalto mi rende le unghie fragili e non sono mica pallida…!- mi sporsi verso lo specchio che si trovava sulla scrivania non molto distante, Giada scosse il capo; - e poi sono dimagrita solo di qualche chilo. Ho passato l’inverno sui libri, sono stressata!-
  • Sei stressata nel profondo, Clarice. E lo sappiamo tutte e due che sei caduta in crisi da quando tu e lui avete rotto-
Non potevo darle torto. Tutti i miei problemi erano iniziati quando lui sen’era andato, quel giorno, lasciandomi da sola per strada. Ma come avrei potuto spiegare a Giada che i miei problemi erano diversi da quelli che immaginava lei? Le notti insonni che avevo passato non erano state spese in futili pensieri e canzoni d’amore, ma in ragionamenti filosofici sul comportamento assurdo del mio inconscio! Non m’ero lasciata andare, mi ero solo concentrata sulla scuola e sugli impegni dell’inverno per non pensare a quello che avevo dentro e mi ero dedicata molto al riposo, si, in effetti, ero andata a poche feste, non ero uscita molto spesso con gli amici…
D’improvviso tutto mi fu chiaro.
Era stato per questo che tutti i miei amici e mia sorella si erano così concentrati su di me per i precedenti mesi. Credevano che io stessi male per lui. Oh.
Oh, non avrebbero mai capito qual era il vero problema.

  • Giada, ascolta-, iniziai, - lo so che potrebbe sembrare così, ma non lo è. Io non sento la sua mancanza-
Giada alzò le spalle.
  • Beh se ne sei convinta, va bene-
Stavo per aggiungere qualcosa, ma Giada continuò:
  • Oh dimenticavo, ti ha chiamata Candida. Dovresti chiamarla-
  • D’accordo-
Mi alzai dal letto di Giada sentendomi un po’ in colpa per non averle mai raccontato sul serio cosa stesse succedendo in quel periodo, ma in un secondo quel pensiero passò. No, non avrei potuto mai e poi mai raccontare a qualcuno questi pensieri. Come avrei giustificato la mia mancanza di sentimenti?
Fui pervasa da una stranissima sensazione, ma feci del mio meglio per non badarci.
L’immagine di Federico mi riaffiorò alla mente nel momento in cui presi il telefono in mano per chiamare la mia amica.
Avevo un rapporto per niente confidenziale con le emozioni.
 
 
 

 
 
 
Candida era quello che potrebbe definirsi una migliore amica. In realtà non lo era poiché era Giada la mia migliore amica\sorella, ma in mancanza di lei c’era Candida, che rispetto a Giada aveva il vantaggio di essere più grande, di frequentare la scuola con me e di bazzicare le mie stesse amicizie. Era intraprendente, diplomatica e sicura di se.
In pratica, il mio opposto.
Al telefono le raccontai della mia giornata omettendo il particolare Federico pensando che se ne avessi parlato anche con lei non mi avrebbe detto niente di diverso da quello che mi ero sentita dire da Giada. Le persone alle volte sanno essere davvero ripetitive.

  • Ti aiuto io a comprare il regalo per Giada- si offrì Candida. Riconobbi la dolcezza del suo tono nonostante il telefono rendesse la voce metallica.
  • Se ti va-
  • Certo che mi va. E poi cosa ho da fare in casa? È arrivata l’estate e sai che mi viene la depressione dopo il secondo giorno. Dai, ci vediamo domani? Un giretto in centro e vedrai che troviamo il regalo adatto per Giada-
Sorrisi istintivamente anche se lei non poteva vedermi.
L’atteggiamento di Candida era diventato così mieloso da quando io avevo rotto con lui. Prima riuscivo a vivere una vita tranquilla senza sentirmi sempre gli occhi addosso, mentre adesso tutti mi riservavano attenzioni oserei dire maniacali, quasi fossi una bambina o un cagnolino abbandonato. In mia presenza si facevano solo discorsi allegri e le mie amiche fidanzate evitavano di parlare dei loro partners.
Pensavano davvero che fossi messa male.

  • D’accordo, Candida, ti ringrazio. A domani-
La salutai tentando di sembrare il più allegra possibile, cercando di impegnare i miei pensieri sebbene niente in quel momento sembrava essere più urgente del pensiero di Federico.
La sola sua vista mi aveva provocato una serie di problemi esistenziali che urgevano di soluzione. Il primo era in assoluto quello del mio aspetto (ricordando le parole di Giada “pallida e smagrita”), che spiegava in parte i comportamenti delle persone che mi circondavano; il secondo era cercare di far uscire dalla mia testa lui e tutti i pensieri relativi al passato che stavano affiorando; il terzo era cercare di capire perché Federico fosse bello.
Ci pensai ovviamente quella notte fissando il soffitto, com’era mio solito.
Era passato tanto tempo dall’ultima volta che non passavo una notte insonne, mi venne quasi da ridere.
Beh, il primo problema sembrava il più facile da risolvere. Con i ragionamenti ero una vera bomba, mi ero esercitata moltissimo negli ultimi mesi.
Ad ogni modo, il mio tentativo di capire i miei problemi dell’inconscio si era rivelato evidentemente agli occhi degli altri una depressione lancinante a causa della rottura con lui. Il mio trascurarmi fisicamente era parso ai miei amici una sorta di abbandono, come se mi fossi arresa di fronte alla vita. Il bello era che la deduzione dei miei amici non era del tutto sbagliata, in quanto era vero che tutto era partito da quella rottura, ma era pressoché impossibile che avessero colto quale fosse il vero problema. Si può davvero stare male perché non si sta male? Era un paradosso, un assurdo. Eppure a me era successo proprio quello, roba da non crederci!
Ma ormai era passato molto tempo da quel dannato giorno e non potevo certo prendere da parte tutte le persone che facevano parte della mia vita e renderli partecipi di una straziante verità sull’evanescenza dei miei sentimenti. Mi avrebbero presa per pazza, o peggio ancora, non mi avrebbero presa sul serio. Quindi questo problema dovevo lasciarlo da parte e farlo camminare con le sue gambe come aveva fatto fino a quel momento: far credere a tutti di star male per lui. Dopotutto era una soluzione meno dolorosa per me e anche per gli altri: non mi costringeva a dire la verità e non costringeva gli altri a dover sopportare un fardello inutile.
Okay, secondo problema.
Tutto era derivato ovviamente da Federico. Se dopo tre o quattro mesi dalla nostra rottura avevo ripreso a dormire di notte, adesso mi ritrovavo di nuovo con l’insonnia. Avevo ripreso a pensare a lui in maniera ossessiva e riflessiva insieme. Mi chiedevo della sua importanza per il mio cervello (non per il cuore) e del tempo che era passato. Mi sarebbe piaciuto chiedergli cosa aveva pensato durante quei mesi riguardo a noi, se anche lui aveva capito che vivere senza di me era assolutamente uguale. Se esisteva una sola persona al mondo alla quale avrei raccontato i problemi del mio inconscio quello era lui. Gli avevo sempre detto tutto, lui era sempre stato tutto. Incredibile come qualcuno può esserti indispensabile ed indifferente insieme.
Dunque, visto che non conoscevo altra terapia per quel problema, dovevo far passare del tempo e aspettare che mi rivenisse sonno. Magari con una camomilla.
Il problema numero tre era pericoloso.
Mi sentivo come una bambina che imparava a camminare, a correre, a saltare. O come un cieco che per miracolo riacquista la vista e riprende a vedere i colori. Rivedere Federico era stato come sentire un fuoco all’interno del mio corpo, un fuoco sconosciuto. E pensare che per molto e molto tempo io e lui avevamo condiviso giornate normalissime insieme, ci eravamo comportati come conoscenti-quasi-amici. E d’improvviso lui mi offriva un caffè e io pensavo che fosse bellissimo.
Non avevo mai pensato di qualcuno che fosse bellissimo, e non sapevo riconoscere la differenza tra il pensiero razionale e l’emozione, perché dopo averla elaborata, anche l’emozione si trasforma in pensiero. La mia era stata un’emozione o un pensiero?
Rivedere Federico.
Oh no, io non avevo rivisto Federico.
Io l’avevo visto. Punto.
 
 
 

 
 
 
 
 
La giornata di sole che incombeva sulle nostre vite era meravigliosa e straziante insieme. Io e Candida camminavamo per le strade che avevo percorso da sola cercando nuovamente un regalo per Giada. Faceva più caldo del giorno prima ed io ero assolutamente più presentabile. Mi ero messa gli orecchini e avevo ripescato delle t-shirt che non mettevo da un po’. Prima di uscire di casa Giada mi aveva lanciato un’occhiata obliqua tentando di decifrare i miei pensieri, ma non ci era riuscita. Evidentemente non lo davo a vedere, ma tentavo di recuperarmi. Insomma, nonostante la sera precedente avessi deciso che andava bene che tutti pensassero al mio prossimo suicidio per lui, non bisognava esagerare. E poi gli orecchini mi erano mancati.

  • Cosa piace a tua sorella?- chiese Candida.
  • Boh. Le piace leggere-
  • E?-
  • E adora Snoopy-
  • E?
  • E non lo so. Sono completamente senza fantasia-
Candida sospirò, scosse la testa e avanzò un pochino il passo.
  • Facciamo un giro in qualche libreria. Non sono mai stata d’accordo a regalare libri per i compleanni, ma tua sorella mi sa tanto di intellettualoide. Potrebbe apprezzare!-
In effetti Candida non sbagliava. Giada era una di quelle ragazze che per avere quasi quindici anni era assai matura e forse avrebbe apprezzato molto di più un libro che una banale borsa.
Entrammo nella prima Fnac che ci capitò sotto tiro e respirai a fondo l’aria condizionata che c’era nel locale. Candida si legò i capelli ricci e biondi e con il sorriso stampato sulla faccia mi intimò di seguirla.
Adoravo i libri ed entrare in una libreria era per me come entrare in un tempio. Mi guardavo attorno cercando di cogliere i titoli della narrativa che mi erano ancora ignoti, mentre sussultavo di gioia quando leggevo il titolo di qualcosa che mi era particolarmente piaciuto.
Mi fermai di fronte ai libri di Paulo Coelho per ammirare i titoli dei suoi romanzi, Candida invece fissava un punto indefinito alla sua destra con aria interessata.

  • Che c’è?- le chiesi d’improvviso.
  • Oh, aspetta qui! Quello è Alessandro! Devo andare a salutarlo!-
Per un momento mi chiesi chi era Alessandro, poi ricordai fulmineamente che era l’ultima cotta di Candida.
  • Ma non dovevamo vedere il regalo per…?-
Non mi fece neanche finire le frase che esclamò:
  • Non posso crederci è davvero lui! Come sto? Ho il rossetto sbavato, i capelli sono a posto?-
Arricciai il naso.
  • No, sei perfetta-
  • Sicura? Oh santo cielo me lo ritrovo ovunque…ti dispiace Clarice? Ci metto un attimo!-
Certo, conoscevo gli attimi di Candida. Se non andavo a riprendermela per i capelli era capace di lasciarmi ore in libreria da sola.
  • Si, ma…-
  • Grazie!-
  • Ehi, Candida, aspetta…-
Troppo tardi. Mi aveva lasciata sola con le copertine lisce e quasi luminose dei libri di Coelho.
Sbuffai (o sospirai rumorosamente?); ma fatto stava che ero di nuovo sola come il giorno prima a cercare il regalo per mia sorella.
Calai gli occhi sul libri di Coelho cercando di trovarne qualcuno che potesse interessare a Giada, presi tra le mani la copertina bianca di “Undici Minuti” e lo voltai per leggere quello che c’era scritto dietro.
“Se non penserò all’amore…”

  • Se non penserò all’amore, non sarò niente-
Saltai dalla sorpresa quando qualcuno alle mie spalle lesse la frase che avevo tra le mani (o la conosceva a memoria?).
Mi voltai con il viso in fiamme e gli occhi spalancati, strinsi istintivamente il libro al petto.
Federico mi guardava divertito.

  • Ti ho spaventata, Ris?-
Santo Cielo, si!
  • Oh, no, per niente, in realtà io…-
Federico rise, poi lentamente mi sfilò il libro dalle braccia.
  • Questo è un gran romanzo. Te lo consiglio-
  • Io l’ho già letto, è per Giada- spiegai abbassando la voce.
  • Oh, sei di nuovo in cerca del suo regalo?-
  • Mmh, si-
Sorrisi, ma non era un sorriso spontaneo.
Federico mi guardava con tenerezza, maneggiò ancora per qualche secondo il romanzo con quelle sue mani che adesso mi parevano le cose più belle esistenti al mondo e poi lo ripose lì dove era il suo posto.

  • Tua sorella deve assomigliarti molto, se le piace leggere - commentò ad occhi bassi.
Non era un commento sincero, era una frase che aveva buttato giù lì tanto per continuare la conversazione.
Ma cosa gli importava di continuare la conversazione con me? Tutto quello che avremmo potuto avere da dirci l’avevamo esaurito il giorno precedente, al tavolino di quel bar.
Volevo andare via, stranamente la sua bellezza mi metteva a disagio.

  • Si, abbastanza. Io e lei siamo molto unite, sai com’è, vorrei comprarle qualcosa di significativo, non un libro a caso, così, insomma, mi capisci, non sarebbe reale…-
Parlavo velocemente accompagnandomi con i movimenti delle mani, Federico mi guardava ridendo sotto i baffi.
  • Che strano incontrarti ti nuovo- disse, contro ogni mia aspettativa.
Mi costrinse a guardarlo negli occhi, come se mi avesse incatenato.
Gli occhi erano azzurri, cristallini e limpidi, quasi sembravano sorridere su quel volto roseo e delicato; i capelli erano lunghi sul collo e castani, un castano ramato, quasi nel biondo, e il modo in cui respirava sembrava far muovere ogni singolo muscolo del suo corpo. Era alto e possente, mi sentivo piccola di fronte al suo sguardo e al suo sorrisetto disarmante.
Le sue parole avevano fatto cessare il flusso di sangue nelle mie vene e io non me ne spiegavo il motivo.

  • Già, alquanto strano- precisai.
  • Chissà, tu ci credi nel destino?-
  • No-
  • Neanche io, ma per questa volta farò un’eccezione. E se il destino volesse che oggi sia tu ad offrirmi il caffè?-
  • Scordatelo. Non ti offro nessun caffè -
Federico sostenne il mio sguardo serio per un secondo, poi scoppiò a ridere.
Perché rideva adesso?

  • Che hai da ridere?- sbuffai, senza riuscire a trattenere un sorrisino.
  • Non ti ricordavo così scorbutica-
  • Non sono scorbutica!-
  • Allora offrimi un caffè-
  • No-
  • Comprerò io il libro per Giada se tu mi offri un caffè -
  • Vuoi spendere i soldi per un libro e non per un caffè?-
  • Già-
  • Sei strano-
  • Si, me l’hanno già detto-
D’improvviso fui assalita da un qualcosa chiamato dubbio. In effetti, destino o non destino, ci eravamo incontrati di nuovo, ed era una cosa relativamente fantastica, ma perché insisteva tanto per il caffè?
Stavo ragionando troppo e Federico mi fissava.

  • Allora, me lo offri questo caffè?-
Stavo per rispondergli che gli avrei offerto tutto il bar se la smetteva di fare quella voce da imbecille, ma da lontano intravidi la figura di Candida che stava magicamente tornando.
No, impossibile. Non poteva star già tornando, non erano passati neanche dieci minuti! Non poteva vedere Federico, e non poteva vedere me con Federico. Il cervello tentava di dirmi che non stavamo facendo niente di male, stavamo solo parlando, ma mi sentii ugualmente colpevole. Se Federico nel mio cervello era la fantasia più bella che esistesse, era lì che doveva restare, e non ci sarebbe certo restato se Candida ci avesse visto.
Sbiancai.

  • Certo! Ovvio! Ma sono certa che ora devi andare!-
Lo spinsi via con uno strattone delicato tenendo lo sguardo sempre fisso sul punto dove avevo visto Candida tornare.
  • Ehi ma che succede?- si lamentò lui.
  • Niente! È solo che adesso non si può parlare, ehm, ci vediamo, okay?-
  • No, per niente! Cosa sta succedendo?-
  • Niente! Non hai prove da fare?-
  • No, oggi non ne ho…-
Continuavo a muovermi tra gli scaffali della libreria spingendo via Federico.
  • Beh e invece dovresti. Sai cosa succede se in una delle tue serate sbagli un accordo? Va tutto a monte. E questo perché? Perché sei a perder tempo da Fnac -
  • In realtà vorrei un caffè. E vorrei sapere cosa ti sta succedendo-
  • Ma ti ho detto, niente!-
  • Ris…-
  • Lo vuoi questo caffè oppure no?-
  • Si, ma…-
  • Tra un’ora-
  • Cosa?-
  • Tra un’ora, lì dove ci siamo incontrati ieri. Non un secondo di ritardo, o niente caffè -
Federico smise di opporre resistenza e mi guardò stralunato.
  • Tu sei pazza-
  • Niente affatto. E adesso vai-
  • Ma dopo mi spiegherai cosa…-
  • Ciao Federico -
Federico mi guardò di sbieco, un’occhiata insieme profonda e introspettiva.
Poi d’improvviso sorrise.
Perché sorrideva? Cosa c’entrava quel sorriso, adesso?
Stavo arrossendo.

  • Okay, a dopo Ris -
Senza aggiungere altro si voltò e andò via.
Mi voltai di scatto dall’altra parte per non rimanere imbambolata a fissare il vuoto che qualche secondo prima aveva occupato e auto convincendomi di essermi liberata di lui in maniera magistrale tornai dai libri di Coelho, dove di sicuro mi aspettava Candida.
Poi, ripercorrendo velocemente il nostro dialogo, mi resi conto che non mi ero affatto liberata di lui.
Dannato caffè.
 
 
 
 

 
 
Anche quel giorno finii per non comprare nessun regalo a Giada. Certo, se avessi avuto la testa sul collo forse avrei anche avuto la possibilità di pensarci con calma, ma non era quello il caso. Finsi un mal di testa e dissi a Candida di voler tornare a casa, così ci lasciammo davanti alla fermata dell’autobus esattamente trentadue minuti dopo il mio simpatico teatrino in libreria con Federico.
Mancavano ancora ventotto minuti al mio incontro con Federico e mi sentivo una stupida.
Stavo mentendo alla mia migliore amica, a mia sorella e a me stessa. Quale delle tre cose era più grave?
Camminai per il centro sperando che quei ventotto minuti non passassero mai, mi sudavano le mani e cosa ancora più assurda, non capivo perché mi sentissi così agitata. Che mi importava di lui e del suo stupido caffè?
Purtroppo per me, quei ventotto minuti passarono in fretta.
Mi recai all’angolo di strada dove l’avevo incontrato il giorno prima sperando che non mi avesse presa in parola e che non fosse lì, ma ahimè, era già lì, con la schiena poggiata contro il muro, a fissare i passanti.
Lo raggiunsi lentamente, guardandolo fisso in volto.

  • Ris!- esclamò vedendomi, con una punta di ironia nella voce.
  • Su, andiamo a prendere questo caffè e facciamola finita-
Il mio tono era grave e antipatico ma non riuscivo a spiegarmi perché, Federico non ci fece caso e alzò le spalle sorridendo amabilmente.
  • Allora, mi spieghi cosa è successo prima?- disse, perseverando con la sua aria divertita.
Gli lanciai uno sguardo infiammato e non risposi.
  • Oh avanti, Ris. Non dirmi che era tutto normale!-
  • Certo che lo era-
  • Mi hai buttato fuori dalla libreria- disse con tono gentile, come si fa quando si vuole spiegare ad un bambino piccolo di aver fatto una cattiva azione.
Evitai i suoi occhi sentendomi un tantino colpevole. Non l’avevo buttato fuori dalla libreria, più che altro avevo tentato di buttarlo fuori dalla mia vita.
  • Avevo da fare-
  • C’era qualcuno con te?-
  • No-
  • Davvero?-
  • La smetti con l’interrogatorio?-
Federico scoppiò a ridere. Iniziava a darmi sui nervi. Se solo i miei occhi si fossero stancati della sua bellezza, avrei anche potuto smettere di guardarlo.
Ci fermammo davanti al bar della piazza e con un gesto della mano lo invitai ad entrare. Lui entrò e mi seguì con lo sguardo quasi come se volesse assicurarsi che non fuggissi via.
Ma non avrei mai potuto.
Come il giorno prima ci sedemmo ad un tavolino, stavolta senza la sua chitarra a fare da testimone ai nostri discorsi.
Ci guardammo negli occhi per una frazione di secondo che valse come anni di silenzio, Federico stese le mani sul tavolino e io ritirai le mie istintivamente.
Mi sentivo in imbarazzo.

  • Cosa hai comprato per Giada?- chiese d’improvviso.
  • Niente. Non riesco a trovare in regalo adatto-
  • Forse dovresti chiederglielo-
  • Cosa?-
  • Cosa desidera per il suo compleanno-
  • Non se ne parla neanche. Un regalo deve essere una sorpresa- spiegai risoluta.
Federico piegò la testa da un lato riducendo gli occhi a due fessure.
  • Tra quanto tempo compie gli anni?- domandò cambiando inspiegabilmente tono alla voce.
  • Tra qualche settimana-
  • Santo Cielo Ris, sei in tremendo anticipo-
  • Lo so. Ma non ho fantasia, dunque meglio anticiparsi-
  • Dovresti sorprenderla-
Aveva scandito le parole guardandomi negli occhi intensamente.
Non conoscevo il motivo per il quale stava facendo tutto quello, ma se lo faceva per farmi impazzire ci stava riuscendo perfettamente.

  • Non so come si fa- biascicai, incapace di dare colore alle mie parole.
Federico curvò gli angoli della bocca creando un sorriso obliquo.
  • Ti insegno io- si offrì, abbassando il tono della voce come se non volesse essere ascoltato da nessun altro all’infuori di me.
Lo fissai silenziosa per una manciata di secondi.
  • Come dici?-
Federico si tirò indietro poggiando la schiena allo schienale, i tratti del viso si rilassarono.
  • Ti insegno io, se vuoi- ripeté, stavolta con meno enfasi, - non dovrebbe essere difficile imparare-
  • E come potresti insegnarmi? Esistono delle regole per sorprendere?- chiesi, sicura di aver giocato una buona carta.
Federico rise, abbassò gli occhi per poi rialzarli subito dopo.
  • Oh no, non ci sono regole-
  • E come farai allora?-
  • Sorprendendoti-
Intrecciò le dita delle mani sul grembo, mi guardava tranquillo e sicuro di se.
Lo guardai di sbieco, sentivo di star sbiancando e arrossendo nello stesso momento.
Risi tentando di apparire divertita, ma quello che riuscii ad ottenere fu solo una risata isterica.

  • Non dire sciocchezze- lo ammonii, abbassando gli occhi.
  • Perché dovrei dire sciocchezze? Ecco, prendi oggi ad esempio: ti saresti mai sognata di incontrarmi di nuovo? Suppongo di no. Eppure ero lì, alle tue spalle, completando la frase di Coelho-, si accompagnava con movimenti del capo e delle mani che rendevano credibile ogni sua sillaba, - vedi Ris, anche questa è una forma di sorpresa. La sorpresa è quella che non ci fa essere stanchi delle cose o delle persone. Per quanto mi concerne, aggiungerei anche che la sorpresa rende particolarmente evidente ogni possibile sfaccettatura di persone e cose: si avanza in una continua ricerca, un continuo sentimento, una continua rivelazione. Ed è emozionante. Sul serio-
Non c’era dubbio, era un ottimo oratore.
  • Ti ringrazio della lezioncina, Fede, ma non credo mi serva-
  • Hai detto tu di non essere brava a sorprendere-
  • Già, ma non ho detto di volerlo fare-
  • E non vuoi?-
  • Beh, potrei non volerlo-
  • Questo poco importa. Il limite tra il volere e il non volere è assai labile-
  • Il mio è ben marcato-
  • Lasciami provare, Ris -
  • Questo tuo parlare mi sorprende già alquanto. Bravo, mi hai sorpreso. Ti ringrazio per le lezioni, ora so esattamente cosa fare-  dissi sarcastica, cercando di demolire il suo entusiasmo.
Stava per dire qualcosa, quando il gentiluomo vestito da cameriere arrivò al nostro tavolo portandoci i caffè.
  • Ecco a voi- disse, poggiandoceli davanti.
  • Grazie- rispondemmo in coro io e Federico.
Quando l’omino fu andato via, Federico sorseggiò il caffè lentamente, poi, quando ebbe posato la tazzina sul piatto, sorridendo disse:
  • Ascolta, non devi acconsentire o meno. Tanto ho già deciso-
  • Ma nessuno ti ha chiesto di farlo-
  • Voglio solo aiutarti-
  • Oh, se la metti così, beh… no-
Federico rise, bevve ancora un po’ di caffè.
  • Credevo che noi fossimo amici, Ris-
  • Questo non c’entra-
  • Avevo ragione prima. Sei altamente scorbutica-
  • Chiunque ti dice di no è scorbutico?-
  • Solo tu mi dici no, Ris-
  • Abituatici-
  • Scorbutica e sarcastica, anche-
Mi bruciava il cervello.
  • Fa’ come ti pare, allora-
  • Mi stai dando il permesso?-
  • No, ma a quanto pare farai comunque quello che hai nel cervello, dunque tanto vale auto convincermi di aver acconsentito-
  • Saggia decisione-
Bevvi con decisione il mio caffè tutto d’un sorso, sospirai e poggiai le monetine sul tavolo.
  • Ecco, questo dovrebbe essere il conto- dissi con decisione.
Federico contò le monetine e si alzò con un sorriso.
  • Aspettami fuori, vado a pagare-
Troppo stanca di controbattere, mi alzai e a passi lenti uscii dal bar. Il sole stava calando e l’aria si stava rinfrescando.
Federico uscì qualche momento dopo, mi arrivò accanto e mi poggiò nella mano le mie monetine.

  • Eccoti i soldini- disse, divertito.
Passai lo sguardo dalle monete a Federico per circa una quindicina di secondi senza capire cosa stesse succedendo.
  • Che significa?-
  • Ho pagato io-
  • Ma sei scemo?-
  • No, no-
  • Non capisco, mi hai riempito la testa perché ti pagassi il caffè e adesso…-
  • L’ho fatto per sorprenderti-
Lo guardai negli occhi senza sapere cosa dire.
  • Sei totalmente fuori di testa- commentai, mentre tenevo ancora in mano le monetine.
  • Già, già, pensala come vuoi, ma se vuoi un consiglio dovresti appuntartele queste cose. O non imparerai-
Mi venne da ridere, ma non potevo permettermi un fallo del genere. Ero ancora troppo confusa.
  • Beh, adesso sarà meglio che vada- dissi, riponendo le monete in borsa.
  • Oh, d’accordo. Ci vediamo in questi giorni- disse lui.
  • Si certo, come no-
  • Ti sto proprio antipatico eh?-
Caspita no, è che mi mandi fuori di testa!
  • No, Federico, no. È solo che…-
  • Lascia perdere. Me lo spiegherai la prossima volta-
  • E se non dovessimo incontrarci più per i prossimi dodici mesi?-
  • Tranquilla, non accadrà-
  • Potrebbe accadere-
  • Tu lascia fare a me-
Si chinò per baciarmi le guance e senza aggiungere altro ( e senza lasciarmi il tempo di dire altro) andò via.
Mi sentivo contemporaneamente nervosa, felice, arrabbiata, confusa e sorpresa.
Non sapevo se era più alogico il fatto che Federico mi stesse perseguitando o la mia reazione a questa cosa.
Stordita, trovai la via di casa, convinta a fare di tutto per distrarmi dall’assurdo pomeriggio.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Non avrei mai pensato di farlo, eppure il pomeriggio dopo aprii il mio cassetto e tirai fuori uno scatolone di scarpe, polveroso e vecchio.
Non mi ero certo liberata di tutte le cose che io e lui avevamo condiviso tutte in quel famoso giorno, anche perché mi era stato impossibile. Il giorno dopo la nostra rottura, quando avevo tentato di raccattare tutto quello che non era in bella vista, Giada mi aveva tassativamente vietato di buttare via tutto. Così, visto che ero troppo apatica per poter replicare, avevo lasciato che lei mettesse tutto via come se si fosse trattato di ricordi suoi. Lo so, forse non avrebbe dovuto farlo, avrebbe dovuto lasciarmi buttare via tutto, ma non me la sentivo di farle un torto così grande. Quasi come se il cuore spezzato fosse stato suo.
Ad ogni modo, Giada aveva raccolto altre foto, vecchi diari e qualche lettera che mi era sfuggita all’interno di quella scatola per le scarpe, nascondendola nel secondo cassetto del comodino. A quei tempi lei credeva ancora che per noi due ci fosse ancora una speranza, e come lei lo credevano tutti. Così, mentre quei ricordi restavano seppelliti lì come se potessero essere rivissuti, io conducevo la mia apatica vita senza esser mossa neanche per un secondo dal desiderio di aprire quella scatola. Una normale ragazza avrebbe avuto questo desiderio almeno una volta, in un malinconico momento di nostalgia, ma io mai. Per me era come se quella scatola non fosse semplicemente riposta nel secondo cassetto del comodino, ma era come se fosse seppellita sotto terra, dove nessuno avrebbe potuto mai più prenderla ed aprirla.
Nessuno riusciva a capire che il passato non può più tornare.
Invece quel pomeriggio, appena ventiquattro ore dopo il mio secondo incontro con Federico, mi sedetti sul letto e aprii quella scatola.
Foto, lettere, una maglietta appallottolata in un angolo.
Afferrai la prima foto che mi capitò per mano.
Raffigurava una spiaggia soleggiata, il mare cristallino sul fondo e io e lui, abbracciati su un asciugamano, sorridevamo all’obbiettivo come due bambini. Io avevo i capelli al vento, le guance rosse dal sole e le gambe piegate da un lato. Avevo le braccia intorno al suo busto e il viso poggiato sul suo petto. Lui sorrideva anche più di me, mi cingeva le spalle aveva gli occhi socchiusi a causa del sole. Anche i suoi capelli erano al vento come i miei.
Se per tutti quei mesi i miei pensieri su di lui avevano avuto natura astratta, in quel momento mi sentii come se dei forti spilli mi pungessero la pelle. Stavo ricordando quella giornata estiva. La sentivo sulla pelle, nel cuore, dentro di me. La sentivo riaffiorare, la sentivo rivivere.
Era la giornata che precedeva il mio compleanno, ed eravamo andati al mare. C’era un caldo insopportabile ma per fortuna quel giorno c’era un po’ di vento. Io avrei voluto portare con noi alcuni amici, lui aveva insistito perché fossimo da soli. Avevamo chiesto ad una donna di scattarci quella foto, e poi lui l’aveva ringraziata con un sorriso. “Guarda come sei bella!” mi aveva detto mostrandomi la foto dalla macchina fotografica. Io l’avevo guardata storcendo la bocca, poi avevo detto “Ho le guance rosse, assomiglio ad Heidi!”. Poi eravamo scoppiati a ridere.
Di quella giornata iniziai a ricordare i chilometri che avevamo percorso in macchina per arrivare, il colore azzurro intensissimo dell’acqua del mare, le risa che avevano occupato il nostro tempo e le sue labbra che mi avevano baciata molte volte.
Per la prima volta dopo un anno, provai un sentimento.
Il problema era che non sapevo di quale sentimento si trattasse.
Mi venne voglia di alzarmi, urlare, ridere, esultare. Forse il mio cuore non era completamente da buttare, forse riuscivo ancora a provare dei sentimenti. Le mie speranze erano tornate in vita dopo aver osservato quella foto.
La riposi di nuovo nella scatola e decisi di rovistare ancora un po’, magari avrei risvegliato nuove emozioni. Ora che il cuore si stava rimettendo in moto, non potevo mica fermarmi.
Afferrai un bigliettino stropicciato piegato in quattro e lo aprii. C’era scritto: “Non c’è niente che non farei per poter passare il mio tempo con te. Adesso stai per ridere, lo so, non sembro tipo da biglietti clandestini. Ma è una sorpresa, una sorpresa per te. Passo a prenderti alle quattro. Fidati ti me”.
Mi era venuto da ridere, proprio come lui aveva predetto.
Quel biglietto me lo aveva infilato nella borsa (col rischio che non lo trovassi) qualche mese dopo la nostra conoscenza.
Per sua fortuna io trovai quel biglietto e decisi di fidarmi di lui, giusto per saziare la mia curiosità. Quella pomeriggio, quando mi venne a prendere, non avrei mai immaginato dove stava per portarmi. Ci infilammo in macchina e lui sorrideva felice, come se non avesse mai passato un momento più bello. All’inizio pensai che il nostro viaggio fosse breve, ma quando imboccò l’autostrada sgranai tanto d’occhi. Lui si mise a ridere di fronte alla mia espressione e mi intimò di stare tranquilla, dicendomi che ormai avevo scelto di fidarmi di lui.
Confesso che per qualche momento ho persino dubitato della sua sanità mentale.
Ma dopo aver passato due ore in macchina, mi resi conto che i miei dubbi erano fondati.
Senz’altro non era sano mentale.
Mi aveva portato al concerto di Jovanotti, che si esibiva quel giorno in una cittadina non molto lontana dalla mia.
Lui sapeva quanto mi sarebbe piaciuto partecipare al suo concerto, e sapeva quanto c’ero rimasta male quando non avevo trovato i biglietti.
Quando arrivammo davanti al teatro, iniziai a piangere dalla gioia. Lo abbracciai fino a stritolarlo, mi rovinai tutto il trucco, ma passai una delle serate più belle della mia vita.
Tutt’ora non sapevo dove avesse scovato quei biglietti introvabili.
Un’altra emozione di trapassò il cuore.
Per un secondo misi in dubbio i miei ragionamenti di mesi. Era impossibile che io non l’avessi amato, se adesso  (per ben due volte!) avevo provato delle emozioni. Come mi era venuto in mente, durante tutto quel tempo, di pensare di essere impazzita? Cosa m’era successo?
Sentii dei passi nel corridoio e richiusi la scatola, rimettendola in fretta al suo posto.
Quando Giada entrò in camera, mi trovò seduta sul letto con le braccia incrociate, a fissare il vuoto.
Mi fissò in maniera strana, forse percepiva dal mio sguardo che era successo qualcosa.

  • Che ci fai qui tutta sola?- mi chiese incrociando le braccia al petto.
  • Niente- risposi sorridendo, - sono appena tornata. Mi riposo-
  • Mmh-
Giada tornò ad occuparsi delle sue faccende, io lanciai uno sguardo al cassetto del comodino, stando attenta a non farmi scorgere da lei.
Stava cambiando tutto, di nuovo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un raggio di luce entrava dal balcone della mia camera, ma non ci pensai nemmeno a svegliarmi. Se c’era una cosa positiva nell’arrivo dell’estate, era proprio il fatto che non avevo nessun orario: potevo dimenticare il tempo e lo spazio per dedicarmi a me stessa, alle esigenze più recondite del mio corpo. E poi un innocuo ed inutile raggio di luce non poteva niente contro la potenza delle mie palpebre che erano pronte a riaddormentarsi. Non succede mai come nei film, dove la luce dorata di un fantastico sole entra dalle inferriate a svegliare le belle protagoniste, talmente sensibili da svegliarsi anche con gli ultrasuoni.
Ma non vivevamo in un film. Il sole non è dorato e soprattutto, io non ero una protagonista.
Decisi di riaddormentarmi in una frazione di secondo, quando sentii un rumore fastidioso provenire dalla mensola sopra di me. Per un secondo pensai di star sognando, mi posai il cuscino sulla testa convinta di zittire il mio inconscio, ma con nessun risultato.
Dopo qualche secondo, mi misi seduta sul letto e voltai gli occhi verso il suono fastidioso.
Appena i miei occhi catturarono la visione del mio cellulare che, tutto illuminato, vibrava e canticchiava, mi si aprì un buco nello stomaco. Chi diavolo mi chiamava a quell’ora della mattina?
Avrei avuto tanta voglia di lasciarlo squillare e rimettermi a dormire, ma il fatto che il mio cellulare stesse squillando alle dieci di mattina era una cosa talmente rara che non poteva lasciarmi sfuggire la possibilità di far accadere qualcosa di diverso alla mia vita.
Lo afferrai e senza neanche osservare il numero sul display, risposi.

  • Pronto?-
Mi vergognai della mia voce. Ero peggio di un orso appena uscito dalla sua tana dopo un inverno in letargo.
  • Ris!-
Oh, no. Non era possibile.
Federico.

  • Santo Cielo…-
  • Si, buongiorno anche a te!-
La sua voce era squillante ed allegra, anche se non potevo vederlo ci avrei scommesso che si stava divertendo un mondo.
  • Dove hai preso il mio numero?-
La mia voce iniziava a diventare più ascoltabile, ma ero ancora troppo nervosa per riuscire a darmi un tono.
  • Boh, non ricordo. In una vecchia agenda forse-
  • Tu hai una vecchia agenda?-
  • Potrei-
  • Non ne ho mai sentito parlare-
  • Ce ne sono di cose che non sai, cara la mia Ris-
  • Non chiamarmi cara. E dimmi perché mi hai chiamato alle dieci del mattino!-
Non ero così arrabbiata come la mia voce lasciava intendere, ma non importava. Forse inconsciamente volevo che lui mi credesse arrabbiata.
  • Per dirti che sto passando a prenderti-
  • Cosa? Sei pazzo?-
  • Assolutamente no-
  • Oh si che lo sei. Come ti viene in mente una cosa del genere?-
  • Mi hai dato tu il via libera-
  • Cosa? Ma cosa stai dicendo?-
  • Ehi, ti sei già scordata il “sorprendendoti”?-
Cavolo. Faceva sul serio allora.
  • Non ti ho preso sul serio-
Lo sentii sospirare rumorosamente.
  • Lo sospettavo. Beh, dovrai ricrederti. Su, ora alzati dal letto e preparati. Sarò da te in dieci minuti-
  • Non ci penso neanche! E poi come sai che sono a letto?-
  • Hai la classica voce di chi si è appena svegliato-
  • Non è vero!-
  • Si invece-
  • Okay, non importa -
  • Già, non importa. Riesci ad essere pronta tra dieci minuti?-
  • Non ti è chiaro il concetto forse: non-ci-penso-neanche-
  • Andiamo, Ris. Non imparerai niente così-
Stavolta fui io a sospirare, lasciandomi cadere all’indietro con la testa di nuovo sul cuscino. Chiusi gli occhi per un secondo che parve interminabile.
  • Mi manderai a fuoco il cervello, Federico-
Rise.
  • Lo prendo come un complimento. A tra poco!-
  • Ehi aspetta un attimo…-
Non mi lasciò il tempo di aggiungere altro, attaccò il telefono lasciandomi lì, stesa sul letto con il cellulare in mano. Mi venne da ridere di me stessa, eppure non potevo negare che Federico era l’antidoto a tutti i miei problemi: da quando lo avevo incontrato stavo iniziando di nuovo a provare dei sentimenti, non riuscivo a crederci. Per la prima volta dopo mesi avevo frugato nel cassettone dei ricordi di Giada comportandomi come una qualsiasi ragazza. Il cinismo lentamente mi stava abbandonando, e se c’era una persona che avrei dovuto ringraziare, quella era Federico. Ovvio, non avevo la minima intenzione di parlargli di tutto quello che mi frullava per la mente, ma non potevo frenare la mia irresistibile voglia di vederlo.
Come una medicina, Federico andava preso a piccole dosi per restituire vita all’anima e al cuore.
Mi alzai come una furia dal letto rendendomi conto che se rimanevo lì a pensare perdevo solo tempo utile.
Con la stessa velocità con la quale mi ero alzata mi preparai davanti agli sguardi sconcertati di Giada e di mia madre.

  • Dove te ne vai di bello?- mi chiese quest’ultima mentre rideva sotto i baffi.
Mia madre era tutt’altro che protettiva o rompiscatole: si comportava come se fosse una ragazzina senza perdere l’autorità di genitore. Come ci riuscisse, non ne avevo idea. Eppure io e Giada non eravamo per niente fuori di testa, come ci si potrebbe aspettare essendo venute fuori da una madre del genere.
La guardai cercando di sorridere.

  • Ho completamente dimenticato di avere un appuntamento con Candida-
  • Oh, va bene. Fa’ presto allora-
Raccolsi la mia borsa, Giada mi guardò ridendo.
  • Che c’è, ridi di me?- dissi, mentre correvo da un lato all’altro della stanza afferrando oggetto a caso e infilandoli nella borsa.
  • Già, - rispose lei, parecchio divertita, - è che credo che non averti mai vista in ritardo prima d’ora-
Giada non aveva tutti i torti. Nel mio vocabolario la parola ritardo non era mai esistita.
  • Oh beh, ho scordato di mettere la sveglia, tutto qui-
  • Buona passeggiata-
  • Grazie! E tu cosa fai?-
  • Ascolto i tutorial su Youtube per imparare a suonare la chitarra -
  • Ma tu non hai una chitarra-
  • Lo so. Ma è affascinante, non trovi?-
Scossi la testa, infilai la borsa sotto il braccio e veloce come un fulmine scesi di casa.
Avrei voluto avere il tempo per specchiarmi un’ultima volta nell’androne del palazzo, ma appena scesi l’ultimo gradino vidi Federico fuori dal cancello che fissava il suolo con aria assente.
Bastò il ticchettio dei miei passi che veloci e decisi uscivano dal palazzo per fargli alzare la testa e donargli di nuovo il suo fantastico sorriso.
Se i sorrisi si potessero comprare, io avrei comprato quello di Federico senza alcun dubbio.

  • Buongiorno Ris!- mi salutò allargando le braccia.
Sorrisi debolmente, volevo che credesse che fossi ancora molto arrabbiata con lui.
  • Ciao Federico -
  • Sei veloce a preparati. Ho aspettato soltanto per sei minuti e mezzo qui sotto-
  • Hai cronometrato il tempo?-
  • Una specie-
Scossi la testa, avrei voluto dirgli qualcosa per punzecchiarlo ma lui sorrise di nuovo.
Le parole riscesero lungo la gola impedendomi di dire altro.

  • Ad ogni modo, mi dispiace di averti svegliato. Ma non ti pentirai di avermi ascoltato, piccola-
  • Non chiamarmi piccola. E poi beh no, non sei scusato. Mi hai fatto prendere un colpo-
Federico rise, si incamminò lentamente verso destra, io lo seguii.
  • Ma devi pur ammettere di essere rimasta sorpresa dal mio gesto completamente inatteso-
Avrei voluto dirgli di no, ma avrei mentito. Così evitai di rispondere, voltando gli occhi con fare altezzoso.
Federico continuò a fissarmi in viso fin quando non fui costretta ad incontrare i suoi occhi.

  • Beh, si. Ecco, si. Pensavo di essermi liberata di te- mi decisi a rispondere.
  • Questo è un desiderio irrealizzabile, mi dispiace-
Rise di nuovo sotto i baffi, mi lanciò un’occhiatina obliqua. Solo in quel momento mi accorsi del fatto che non avevo la più pallida idea di dove stessimo andando.
  • Scusami, Federico, scusami una domanda- iniziai, con il tono più dolce che conoscevo.
  • Prego- mi invitò lui, canzonando il mio tono.
  • Ma dove diamine stiamo andando?-
Proprio in quel momento ci fermammo davanti alla sua macchina.
Un flashback mi attanagliò la mente. Tornai indietro alla sera precedente, quando avevo ritrovato nello scatolone dei ricordi di Giada il biglietto scritto da lui il giorno del concerto di Jovanotti.
La mia espressione variò e Federico dovette accorgersi che qualcosa tra i miei pensieri era mutato.
La situazione pareva simile: ero uscita di casa senza sapere dove dovessi andare, mi ritrovavo a salire su una macchina e partire per chissà dove.
L’unica differenza era che alle dieci e mezza del mattino non ci poteva essere nessun concerto di Jovanotti.

  • Avanti, salta su- mi disse, mentre la voce diveniva più seria.
  • Dove andiamo?-
Federico non rispose, mi aprì galantemente la portiera dell’auto.
  • Non salgo se non mi dici dove andiamo-
La mia voce era rotta da una sorta di singhiozzo. Ero sorpresa dal tono che stavo assumendo.
Federico mi guardò dolcemente, socchiuse le labbra come se volesse dire qualcosa, fece scorrere la mano sulla portiera dell’auto avvicinandola furtivamente a me. Incatenò i miei occhi ai suoi e sentii il mio cuore battere pericolosamente.
Mi stava fissando. Già, mi stava fissando. Stava cercando di convincermi col pensiero, di convincermi a fidarmi di lui, a salire su quella dannata macchina. E io, come una stupida, stavo ripercorrendo il passato, incredula e smarrita. Mi sentivo un’idiota.

  • Non ti fidi neanche un po’ di me? Cavolo Ris, ci conosciamo da tanto tempo-
La sua voce era soffusa, continuava a fissarmi con quel suo strano fare.
Sospirai rumorosamente.
Beh, che avevo da perdere? Nonostante stessi nuovamente impazzendo, non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di mettere in moto i miei sentimenti, e solo qualche ora prima avevo convenuto con me stessa che l’unico modo per farlo era passare il mio tempo con Federico.

  • No, non mi fido poi molto. Ma salirò lo stesso. Ormai sono scesa di casa e non ho intenzione di tornarmene indietro-
Entrai con decisione nell’auto, spinsi verso di me la portiera e osservai Federico che con un sorriso obliquo attraversava la macchina per venire ad occupare il posto di guida.
Si sedette accanto a me e mise in moto la macchina. Cadde un silenzio imbarazzante.
Abbassai lo sguardo come una bambina intimidita, Federico alzò le spalle.

  • Non ho intenzione di mentirti, Ris -
  • Meno male-
  • Voglio aiutarti a trovare il regalo adatto per Giada-
  • E perché?-
  • Perché sei un incapace-
  • Ti ringrazio, Federico -
  • Tu non hai sentimento-
  • Si che ce l’ho-
  • No, Ris, no. Tu non volevi che io ti sorprendessi, non lo volevi proprio. Tu dovresti imparare a convivere con qualche emozione violenta-
  • Ma tu cosa ne sai?-
Mi lanciò un’occhiata mentre la macchina acquistava velocità mano a mano che uscivamo dal centro abitato.
  • Sei prevedibile-
  • Insomma, la smetti di insultarmi?-
  • Ecco, guarda: ti sveli da sola. Credi che la prevedibilità sia un errore. Ti senti sbagliata, Ris?-
  • Smettila di confondermi-
Federico mi lanciò uno sguardo obliquo, sorrise, ma non passarono neanche due secondi prima che riprendesse a parlare. Le sue parole ingombranti occupavano il mio cervello, fuoriuscivano quasi dalle orecchie. Non c’era senso in quella situazione, non c’era senso in lui e in quella sua maledettissima bellezza uscita fuori dal nulla.
 
 
 
 
 

 
 
 
Se fossi stata onesta con me stessa avrei avuto la lucidità di dire che quella mattinata con Federico mi servì molto. Innanzitutto, mi resi conto che avevo poca inventiva riguardo al regalo di Giada: non ero riuscita a comprare niente nonostante mi avesse condotto in migliaia di negozi. Lo sguardo di Federico era attento e vivace, si posava su ogni particolare che lo circondava commentandolo con allegria e giudizio, io invece ero la solita taciturna, un po’ cinica e insensibile. Mi stavo rendendo conto di quanto fosse assurdo il mio modo di essere, mi sentivo annullata di fronte ad una personalità come la sua. Avevamo fatto il giro del centro commerciale, poi mi aveva riaccompagnata a qualche metro da casa. Mi aveva sorriso con fare simpatico, ma io non ero stata con lui altrettanto. Il fatto che lo ritenevo bello, e con bello non intendo piacevole, ma oggettivamente bello, mi rendeva nervosa e ancora più antipatica.
Quando rientrai, Giada mi corse incontro.

  • Allora? Com’è andata?-
  • Cosa?-
  • La passeggiata-
Sospirai. Avevo usato con mia sorella il tono sarcastico che avevo usato con Federico, e per un attimo mi sentii in colpa. Dovevo adesso imparare a differenziare la mia attività mentale dallo scorrere reale degli eventi, e ciò vale a dire che non potevo permettermi di farmi cogliere da Giada in un particolare stato d’animo o immersa in qualche particolare pensiero riguardante Federico. Se ne sarebbe accorta subito, anche se ignorava che avevo incontrato Federico.
  • Oh, bene!- sorrisi, le accarezzai i capelli simulando tranquillità, - e tu? Hai imparato a suonare la chitarra?- le chiesi.
Giada alzò le spalle con un sorrisino.
  • Credo di essere portata per la musica-
Sorrisi a Giada e mi avviai verso la mia camera, aprii la porta ed automaticamente feci per poggiare la borsa sul divano alla mia sinistra. Ma bastò un attimo affinché mi accorgessi che non avevo la borsa. I primi minuti furono panico totale: l’avevo perduta, l’avevano rubata? Me l’avevano sfilata da sotto il braccio senza che me ne accorgessi? Era evaporata? Iniziai a guardarmi intorno come se potesse spuntare all’improvviso da dietro la porta o dall’armadio, quando sentii il cellulare squillare. Ecco, almeno quello lo avevo lasciato in tasca.
Afferrai l’apparecchio e lessi il numero di Federico.
Poi tutto mi sovvenne.

  • So cosa vuoi dirmi – esordii non appena mi portai il telefono all’orecchio.
  • Sei perspicace, Ris. Eppure potrei offendermi, sai? Mi stai dando del prevedibile-
  • Non essere stupido. Ho dimenticato la borsa nella tua macchina, non è vero?-
  • Già. Ma non preoccuparti, me ne prenderò cura fino a quando non verrai a riprendertela-
  • Non potremmo incontrarci più tardi dove ci siamo visti stamattina? Mi dai la borsa e vai per la tua strada-
Federico rise.
  • Oh no, Ris, non se ne parla. Se vuoi riavere la tua borsa, vieni a riprendertela a casa mia-
  • Sei pazzo? Non so nemmeno dove abiti-
  • Posso sempre darti l’indirizzo-
  • Ma perché devo venire a casa tua?-
  • Vuoi riavere la borsa?-
  • Cos’è, un ricatto?-
  • Una specie-
  • Sei un’idiota-
  • Così mi offendi-
  • Non la smetti mai di giocare, non è vero?-
  • Okay, Ris, non arrabbiarti. Ti offro una bevanda, ti riprendi la borsa e vai via. Cosa c’è di più semplice?-
Sospirai, mi sentii intrappolata nelle sue parole.
  • Ok, d’accordo-
  • Cosa? Cosa hai detto?-
  • Ho detto che va bene. Verrò a prendere la borsa. Sei fortunato che è la mia borsa preferita e non la lascerei mai nelle tue mani per più di sei ore!-
  • Mica la mangio-
  • Dimmi dove abiti-
Federico mi dettò il suo indirizzo, che segnai confusamente su un volante pezzetto di carta.
  • Allora ti aspetto, Ris -
  • Già, fa’ un po’ quel che ti pare-
  • A dopo-
Riagganciai sentendo il fremito nello stomaco, gli occhi appannati dalla confusione. Non sapevo se sentirmi felice o straziata, se essere arrabbiata per il modo in cui continuava a trattare la vita come se fosse un gioco, continuava a trattare me come se fossi un gioco. Ma non era niente di cui sorprendersi, Federico era sempre stato fatto così, il fatto era che io non mi ci ero mai soffermata. Non mi ero mai chiesta com’era il suo carattere, che modo aveva di comportarsi. Ma dopotutto, perché avrei dovuto chiedermelo? La nostra vita era sempre stata diversa, separata, due rette parallele. Se non mi ero mai accorta della sua bellezza, come avrei mai potuto accorgermi del suo modo di vivere? Adesso, contemporaneamente io stavo scoprendo la sua bellezza ed il suo carattere, che per me era quasi come una calamita. Cercavo di allontanarmi e lui mi attraeva, mi districavo e lui mi legava. Mi legava con lacci invisibili, situazioni impensabili lo stavano rendendo onnipresente nelle mie giornate. Ma la cosa più strana, era che la mia paura più grande, ovvero che vedere Federico facesse riemergere in me i miei ignoti ed anormali sentimenti per lui, si era rivelata infondata e inattuabile. Se c’era una cosa che in quei giorni avevo messo da parte, era il sentimento per lui. Quella sottile linea distesa tra le mie giornate, quel luccichio nei miei pensieri quando mi allontanavo dalla quotidianità, la regolarità e l’orrore della mia indifferenza erano spariti. Con Federico io stavo scoprendo il contrario dell’indifferenza, che forse è l’emozione. Era come un flusso incondizionato di vita, una stella che ruotava su se stessa gettando vita ovunque. La mia maschera stava cadendo, stavano cadendo tutti i miei pensieri. Solo in quel momento, quasi come se si fosse trattato di una sorta di illuminazione divina, mi sovvenne la motivazione delle mie notti insonni, della mia indifferenza nei confronti del passato, la ragione per la quale durante tutto quel tempo io non ero riuscita a sentire davvero la mancanza di lui. Era tutta colpa delle emozioni, di quelle che non avevo mai provato e che adesso mi tormentavano. Era colpa di questo mio assurdo modo di fare, colpa della sua regolarità assordante, del suo romanticismo, della nostra perfezione. La Clarice che io ritenevo di essere, ovvero quella che senza sentimenti conduce una vita semplice e senza aspettative, in realtà era solo il velo che copriva una enorme e luminosa emozione. Scoppiai a ridere, mi gettai sul letto e mi concessi quello che nella mia vita forse non mi ero mai concessa: qualche minuto di sogno ad occhi aperti. Immaginai che quello che potesse essere per me l’inizio di una nuova vita, una vita nella quale sarei diventata una persona diversa, migliore, sensibile. Non avrei sentito più la mancanza di niente in quanto niente mi era realmente appartenuto, avrei vissuto una vita totalmente nuova e tutto questo grazie a Federico.
Il solo pensare il suo nome mi riportò di colpo alla realtà, precipitai come da una grossa rupe in un mare di paura. L’assurdità dei nostri incontri e la sua enigmaticità mi mettevano tremendamente a disagio, considerando anche il fatto che io non sapevo nulla di Federico. Già, non sapevo nulla di lui. Che tipo di vita conduceva, che persone frequentava. E soprattutto, che cosa stesse cercando in me, dai nostri discorsi, dai nostri sguardi. Era solo un semplice passatempo? Non mi pareva vero che mi stessi chiedendo una cosa del genere. Cosa m’importava di Federico? Cos’era lui per me, se non un inutile aggancio al mio passato? Avevo paura di quello che era successo, di quello che sarebbe successo. Mi chiedevo perché si ostinava a volermi vedere, già, perché voleva vedermi? E soprattutto, perché non aveva mai fatto riferimento a lui? Questa era una domanda che fino a quel momento non m’era mai venuto in mente di farmi. In definitiva, io e Federico eravamo stati legati soltanto da lui. Ma adesso lui non c’era, e tutto si ribaltava. Tutto era cambiato.
Mi rialzai meno contenta e più perplessa.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Bussai il campanello fuori dalla porta dell’appartamento di Federico e attesi qualche momento. Osservai la porta in legno, un po’ vecchia, e cercai di tendere l’orecchio per ascoltare quello che accadeva all’interno della casa. Non sentivo niente. Il pianerottolo era modesto, c’erano altre due porte accanto a quella di Federico, e alla mia sinistra c’erano le scale. Avrei dovuto bussare fuori dal palazzo, ma il suo citofono era fuori uso, così la vecchia portiera mi aveva invitato a salire al quarto piano, là dove lui abitava. Ero un po’ imbarazzata davanti allo sguardo della vecchietta che mi scrutava da capo a piedi forse chiedendosi chi fossi. Sembrò quasi sorpresa quando le chiesi di indicarmi l’appartamento di Federico, il suo sorriso sdentato era ironico, ma non avrei saputo dire se fosse stato anche sarcastico. Ero salita velocemente le scale ignorando l’ascensore per sfuggire al più presto da quella vecchietta ambigua, ed ora mi trovavo lì, di fronte a quella porta. Mi passò accanto una ragazza che scendeva dal piano superiore, aveva degli shorts cortissimi e una canotta aderente, lunghi capelli neri sciolti sulle spalle e magnetici occhi azzurri. Mi squadrò anch’ella da capo a piedi, quasi come se volesse fulminarmi, ma non ebbi il tempo di rispondere allo sguardo che Federico aprì la porta. La ragazza lo fissò, lui nemmeno s’accorse che c’era e mi sorrise esclamando:
-          Ris!-
Abbozzai un sorrisetto, poi la ragazza si fece avanti e Federico spostò lo sguardo su do lei.
-          Ciao Irene – disse, con tono completamente diverso.
-          Ciao Federico, scusami!, - la ragazza che lui aveva chiamato Irene spostò lo sguardo su di me, uno sguardo che non mi piacque, - mi chiedevo se avessi da prestarmi una prolunga-
Federico alzò le spalle con fare un po’ annoiato, poi disse rivolto a me:
-          Entra pure in casa, aspettami, arrivo tra un attimo-
Mi spinse letteralmente dentro casa e poi cercò velocemente nello sgabuzzino dietro la porta d’ingresso fino a quando non trovò una vecchia e consumata prolunga, la porse ad Irene e senza darle il tempo di sfoderare di nuovo quel suo sorriso ammaliante, la salutò e chiuse la porta. Io ero ferma in mezzo al corridoio, osservavo il pavimento bianco a chiazze nere, le pareti sulle quali erano appesi strani quadri astratti. Sulla sinistra c’era una bassa libreria con sopra un delizioso vasetto di terracotta, mentre in fondo al corridoio vedevo aprirsi un modesto salotto.
-          Scusami Ris, - disse Federico arrossendo un po’, - ma questa ragazza è incorreggibile. Ogni giorno si presenta con le scuse più assurde, non so come farle capire che non sono interessato a lei!-
-          Non preoccuparti- mormorai io.
D’improvviso, entrata nella sua casa, era stato come se tutta la mia carica negativa fosse scemata, svanita in un secondo. Federico mi condusse nel salotto, uno spazio moderatamente ampio con un divano rosso, altre due librerie, un computer sulla destra e una grande finestra  sulla parete opposta.
-          Accomodati, vuoi qualcosa da bere?-
-          No, grazie-
-          Sicura? Ho tante cose fresche-
-          No, davvero-
Federico alzò di nuovo le spalle, stavolta con fare divertito. Mi fece accomodare sul divano, poi mi accorsi che sul basso tavolino di legno che mi era davanti c’era poggiata la mia borsa. La presi con un gesto deciso, me la rigirai tra le mani.
-          Vedi, non l’ho manomessa!- scherzò lui, prima di sedersi accanto a me.
-          Beh, non si può mai sapere- risposi io.
Per qualche secondo regnò un imbarazzante silenzio, ma la parola evidentemente non rientrava nel vocabolario di Federico in quanto, con fare ironico, si avvicinò a me e sussurrò:
-          Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?-
Arricciai il naso con fare infastidito.
-          Non essere stupido-
-          E perché te ne stai in silenzio?-
-          Non so cosa dire-
-          Sei per caso in imbarazzo?-
-          No, per niente. È che ora dovrei andare. Ho preso la borsa, adesso posso andare via e finalmente sperare di liberarmi di te-
Federico scoppiò a ridere, io lo guardai con la massima serietà che il mio volto riusciva a fingere.
-          Ridi di me, Federico?-
Lui non rispose, continuò a ridere guardandomi fissa, allora mi alzai, pronta a dirigermi verso la porta. Attraversai veloce il corridoio, quasi ero fuori quando lui mi prese per la vita, un tocco leggero e possente insieme.
Mi voltai verso di lui, Federico sorrideva ancora, stavolta parve che i suoi occhi brillassero.
-          Ti prego, Ris, non andartene- disse, o meglio, mormorò, - vieni in cucina. Ti offro  un’aranciata-
Avrei dovuto rispondere, urlare, battere i piedi come sapevo fare bene, e invece mi lasciai trascinare da lui in cucina senza dire nemmeno una sillaba. Mi sedetti, sempre muta, e attesi che mi posasse davanti un bicchiere colmo di aranciata ghiacciata.
-          Grazie- mormorai. Federico si sedette di fronte a me e bevve un sorso.
-          Da quanto tempo vivi qui?- domandai di botto, senza neanche rendermi conto della domanda che stavo facendo.
-          Mmh, circa due anni. E’ un po’ piccola forse, ma per me va bene. Contrariamente a quanto sembri, sono un tipo tranquillo, non faccio molti casini. E poi non sto molto tempo a casa! A parte oggi, s’intende. Di solito vado a casa degli amici, a suonare la chitarra, all’Università. E mi piace studiare in biblioteca-
-          Cosa studi?-
-          Lettere moderne-
Federico aveva perso la sua aria da scialbo latin lover, adesso i suoi occhi s’erano fatti profondi e la sua voce era ben posata. Non gesticolava con quel suo fare davvero irritante.
-          Non ricordavi?- chiese poi lui.
Era la prima volta da quando c’eravamo incontrati che aveva fatto un riferimento al passato. Io scossi impercettibilmente la testa. Non ricordavo a quale facoltà fosse iscritto.
-          Cosa ti è successo in questo tempo, Ris?-
Federico ridusse gli occhi a due fessure, mi squadrò, stese la mano sul tavolo quasi a raggiungere la mia.
-          Niente. Cosa sarebbe dovuto succedermi?- ribattei, tra l’acido e l’infastidito.
Federico continuava a fissarmi curioso.
-          Non saprei dire, guardandoti. Però ho la strana sensazione di non averti mai conosciuta prima. Sei come un’altra persona. Dov’eri, Ris?-
Non smetteva di fissarmi, mi metteva a disagio. Lo guardai per un attimo negli occhi, ma riabbassai subito la vista, imbarazzata e intimorita, con il cuore che mi batteva a mille. Avrei voluto fargli la stessa domanda, chiedergli dov’era stato, perché adesso mi trovavo a casa sua, perché stava succedendo tutto quello. Avrei voluto chiedergli se il passato che ricordavamo entrambi era davvero passato o era un’altra vita.
-          Non m’è successo niente, Federico. Io sono sempre la stessa- sibilai, provando vergogna persino della mia stessa voce. Federico sorrise sotto i baffi, allontanò la sua mano dalla mia, d’improvviso fu come se tutta l’atmosfera fosse svanita, come se ci stessimo riappropriando di tutto il nostro tempo. Sospirai, non so se di sollievo o cos’altro.
-          Vuoi vedere la mia chitarra?- chiese, con la stessa espressione di un bambino che vuole mostrarti i suoi giocattoli nuovi.
-          Si, certo- risposi. La mia voce si era addolcita. Federico lasciò il bicchiere vuoto sul tavolo e si alzò. Io lo imitai, e dopo aver attraversato nuovamente il corridoio svoltammo a destra, là dove c’era un’altra camera, rivestita in rosso e con un tappeto in velluto per terra. C’era un divano sulla parete molto grande di fronte a noi, accanto al balcone sulla sinistra c’era un grande impianto stereo, e poi, accanto a questo, c’era la famosa chitarra. Anzi, ce n’erano due. Una era elettrica e un’altra era classica. Entrambe erano lucide e perfette.
-          La mia preferita è questa, - disse, indicandomi la classica, - è sempre con questa che si comincia. Sai, adesso che non la suono quasi mai mi sembra di aver persino dimenticato come si prende in mano, quali sono le sensazioni che mi trasmetteva-
Le sue parole erano intense, guardava la chitarra estasiato. Notai che c’era un tondo adesivo rosa su di essa.
-          Cos’è quell’adesivo?- chiesi. Federico mi sorrise, afferrò la chitarra e si sedette sul divano dietro di noi.
-          Non ricordo, era uscito forse dalle patatine. Lo attaccai qui sperando potesse essere un segno di riconoscimento. Una sorta di legame tra me e lei!-
Guardò nuovamente la chitarra con occhi quasi lucidi, io mi sedetti accanto a lui.
-          Ti piace molto la musica, non è vero?-
-          Non è solo questo. La musica è una parte essenziale di me che non può essere trascurata. Non posso lasciare che l’università e la vita tutta non mi lascino spazio per suonare. Certo, probabilmente non diventerò mai un cantante famoso acclamato da folle urlanti, ma questo non è molto importante per me. Basta che io abbia del tempo per lei. Sai, la musica va curata come se fosse una bambina. Devi prestarle attenzione, dedicarti a lei. Se si sente trascurata ti volterà le spalle, e ci vorrà molto tempo affinché tu possa riconquistarla-
Rimasi in silenzio a riflettere sulle sue parole, Federico restò come in apnea per qualche momento, poi si ridestò.
-          Che ne dici di venire ad ascoltarmi domani sera? Io e i ragazzi abbiamo una serata-
Mi guardò sorridendo, ma io divenni cupa.
-          Beh, non so, in realtà io…-
-          Hai qualcos’altro da fare?-
-          No, cioè, si, però…-
Ero estremamente confusa. Avrei voluto con tutto il cuore andare a vedere Federico, ma continuavo a dirmi che stavo facendo una cosa sbagliata. Federico apparteneva alla mia vita passata, e dunque io non dovevo lasciarlo entrare con prepotenza nella mia nuova vita. Non so bene cosa intendessi per “nuova vita” dato che non erano intervenuti speciali cambiamenti dalla dipartita di lui, ma sentimentalmente era così, io ero in una nuova vita, una nuova consapevolezza. Tutto era diventato nuovo per me.
Federico si alzò dal divano, posò la chitarra e alzò le spalle.
-          Mi piacerebbe se venissi. Ti divertiresti un sacco! Di’ un po’, quand’è stata l’ultima volta che ti sei sbellicata dal ridere? Che ti sei divertita un mondo? Che hai bevuto un aperitivo in un esotico bar?-
Lo guardai di sbieco.
-          Che razza di domande sono queste?-
-          Lo sapevo. Non sei neanche in grado di divertirti-
-          Come osi dire una cosa del genere? Certo che so divertirmi!-
-          Cosa fai di solito il sabato sera?-
Arricciai il naso con fare altezzoso.
-          Esco con i miei amici-
-          Oh, davvero? E dove andate? Al cinema, a mangiare una pizza? Non andate mai in qualche locale dove fanno musica dal vivo, ad ascoltare l’emozione delle chitarre vere? Scommetto di no-
-          Beh, in realtà noi…-
-          Andate a ballare?-
-          Non mi piacciono le discoteche-
-          Non intendevo quelle. Intendevo qualcosa come la salsa, il tango, non lo so. Balli caraibici?-
-          Cosa? Perché, tu sai ballare?-
-          Non sono un esperto, ma me la cavo-
-          Non ti crederò mai-
-          Perché non mi hai mai visto ballare-
-          E mai ti vedrò-
-          Sfaterò anche questo mito. Ma intanto, domani sera verrai? Passo a prenderti io. Ti presenterò tutta la mia band-
Sorrisi abbassando lo sguardo, quasi come se volessi concedermi un momento di dubbio.
-          Ascolta Federico, io…-
-          Okay, allora siamo d’accordo. Non importa come ti vestirai, nessuno ci bada. È un localino non troppo distante dal mare, non eccessivamente piccolo ma neanche enorme. Ti riserverò un tavolo, farai conoscenza con le mie amiche-
La parola “amiche” mi fece quasi rabbrividire. Oh certo, adesso voleva mettermi a sedere al tavolo delle amiche, come dei trofei che raccattava qua e là e che poi finivano tutte alle stesso tavolo, come se fossero delle fans o che so io.
Storsi il naso.
-          Non conosco le tue amiche- dissi con fare acido.
-          Lo so. Le conoscerai domani-
-          Ma io non voglio conoscerle, cioè, io non verrò ad ascoltarti suonare!-
Federico zittì per un momento.
-          Non ti va neanche un po’?-
Il suo sguardo era diventato quasi malinconico, fece per avvicinarsi a me, io mi alzai dal divano.
Mi sentii tremendamente in colpa.
-          I miei genitori hanno un impegno e devo badare a mia sorella-
-          Questa è una bugia-
-          Come? E che ne sai tu?-
-          Lo si sente nella voce. Vuoi farmi un dispetto?-
-          Non sono la tipa da dispetti-
-          Secondo me si. Avanti Ris, ti prometto che ti divertirai. In caso contrario, prometto di fare qualcosa per farmi perdonare-
-          Oh no ti prego, non inventarti più niente-
Federico sorrise, sapeva che ormai  stavo cedendo.
-          Okay okay, non inventerò niente, te lo prometto, tutto quello che vuoi. Allora? Verrai?-
Sospirai, evitai di guardarlo negli occhi per non assumere un’espressione inebetita.
-          Okay, verrò. Ma se non mi diverto, scendi dal palco e mi riporti a casa, d’accordo?-
-          Va bene Ris, i tuoi desideri saranno ordini per me!-
Federico scoppiò a ridere, stava quasi per abbracciarmi ma qualcosa lo trattenne. Si limitò a sfiorarmi le braccia ed i gomiti mentre si dimenava ridendo a crepapelle.
Il suono della sua risata continuò a ruotare nel mio cervello fino a quando non giunsi a casa e mi chiusi nella mia stanza. Non riuscivo a credere di avergli detto di si. Era riuscito a strapparmi quel si dopo una delle nostre chiacchierate inutili e senza senso, era riuscito di nuovo a sopraffarmi. Lo odiavo, o almeno credevo di odiarlo. Mi era ancora ignoto il motivo per il quale si stava comportando così, mi era ignoto anche il perché io stessi avendo un certo comportamento, perché non risultassi decisa nell’odiarlo, nel ripudiarlo dal mio cervello.
Mi sedetti sul letto e nel momento stesso nel quale lo feci mi assalì un pensiero angosciante e iniziai a sudare freddo.
E se ci fosse stato anche lui?
Come avrei reagito nel rivederlo? Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, mi asciugai il sudore dalla fronte, mi imposi di calmarmi. Come avevo potuto non pensarci prima? Se c’avessi pensato, allora si che sarei stata determinata, nessuno sarebbe stato più determinato di me! Diamine. Dimenticavo proprio ogni cosa quando ero con Federico, anche le più semplici e scontate. Iniziai a calmarmi quando pensai che Federico non aveva potuto essere così stupido. Se lui ci fosse stato, di sicuro non mi avrebbe invitato. Non avrebbe potuto farlo, avrebbe di sicuro capito. Ma adesso, che fare? Come potevo sapere se lui ci sarebbe stato o meno? Era il suo migliore amico o che so io, non sarebbe mai mancato ad una sua serata. Ero spacciata. Non avrei mai potuto chiedere a Federico di lui, era una questione di principio. Il problema era che tipo di principio. Una parte di me si convinceva che non dovevo pronunciare parola su di lui perché neanche Federico l’aveva mai fatto, e quindi la questione era completamente dimenticata da entrambe le parti. Un’altra parte di me sapeva con certezza che mettere sul tavolo questo argomento avrebbe significato mettere un ostacolo tra me e Federico. Ostacolo? Ostacolo a cosa? Beh, ovviamente a quello che stava succedendo tra di noi. Mi sentivo tremendamente stupida a pensare una cosa del genere, dunque smisi di farlo. Il fatto che ci stessimo incontrando non significava niente, non doveva significare niente. Sebbene l’opzione secondo la quale l’incontro con Federico faceva riemergere il mio passato e l’ambiguo rapporto che avessi con esso era stata scalzata dal fatto che dopo il suo invito non avevo minimamente pensato a lui, e che in presenza di Federico ogni pensiero mi era precluso, dovevo auto convincermi che fosse così.
Adesso dovevo trovare un modo per uscire da questo guaio.
 
 
 

 
 
Non trovai un modo per uscire da quel guaio. Quando avevo sentito Federico non avevo avuto ovviamente il coraggio di chiedergli niente, e neanche potevo farlo, così mi ero ripromessa. Dissi a mia madre che andavo alla festa di una compagna di classe e che Candida sarebbe passata a prendermi con la macchina. Io non mentivo mai ai miei genitori, e lei non sospettò che stessi mentendo. Giada invece si.
Mentre ero dinanzi allo specchio a decidere cosa mettere, entrò spedita nella nostra camera e chiuse la porta.
-          Cosa c’è?- le chiesi, osservando i suoi occhi infuocati.
-          Perché non me l’hai detto?- sentenziò, quasi adirata.
-          Dirti cosa?- domandai, prendendo altri vestiti dall’armadio e tentando di darmi un tono.
-          Non fingere con me. Chi è lui?-
Alzai le spalle fingendo indifferenza, guardai i vestiti che poggiavo con delicatezza sulla sedia dinanzi a me.
-          Allora? Vuoi rispondermi?-
-          Non parlarmi con quel tono- dissi infastidita, continuando a non guardarla negli occhi.
-          Credevo che noi fossimo amiche. Tutte le mie compagne di classe sono gelose del nostro rapporto, e tu cosa fai? Lo rovini così!-
Mi girai verso Giada. Aveva le guance rosse e gli occhi quasi lucidi. Mi prese una stretta al cuore a vederla così, e mi dispiacqui sinceramente di non averle detto niente. Il fatto era che io non sapevo davvero cosa dirle.
-          Giada, stai esagerando. Sto soltanto andando ad una festa-
-          Beh, io invece credo ci sia di più. Ho notato che in questi giorni sei diversa, ma ho voluto aspettare che fossi tu a parlarmene. E invece stasera stai uscendo con un nuovo ragazzo e io non ne so niente. O forse è sempre lui… oh santo cielo è lui! È ritornato?-
Giada mi corse accanto, quasi speranzosa. Le rivolsi un’occhiata un po’ divertita.
-          No, non è tornato- dissi, con un tono che non m’apparteneva.
Giada alzò le spalle, si sedette sul divano dietro di me.
-          Allora, chi è? Lo conosco?-
Scoppiai a ridere.
-          Ma perché non mi credi?-
-          Perché ti conosco meglio di chiunque altro. So che sta succedendo qualcosa e che vuoi tenermela nascosta-
Mi voltai verso di lei mostrandole alcuni vestiti.
-          Secondo te quale dovrei indossare?- le domandai.
-          Non cambiare argomento. E comunque quello blu-
Giada indicò un abitino di seta blu, stile impero, lungo fino alle ginocchia. Era elegante ma allo stesso tempo molto semplice. Forse era l’ideale per una serata che non voleva essere impegnativa.
-          Grazie del consiglio- risposi, iniziando a riporre nell’armadio gli altri vestiti.
-          Allora, vuoi dirmi chi è?-
-          Non ci crederesti mai-
Giada sorrise, un sorriso a trentadue denti, si alzò saltellando dal divano e mi venne accanto.
-          Ti ricordi di Federico?- mormorai, tra l’imbarazzato e il misterioso.
Giada aggrottò le sopracciglia, si portò una mano al mento.
-          Federico… mmh… oh mio Dio, non sarà quel Federico?- esclamò lei enfatizzando.
Sospirai.
-          Non gridare, se ti sente la mamma…-
-          Dici sul serio? È Federico, il suo amico? Credevo ci fosse stato solo un salutino per la serie, beh, buongiorno e buonasera! Ma com’è possibile, cioè, dico, uscite insieme?-
-          No-
-          E ti piace?-
-          No-
-          Ti ha baciata?-
-          No!-
Giada sorrise beffarda, io mi sedetti sconsolata sul divano.
-          E cosa sta succedendo allora?- mi stuzzicò, sedendosi accanto a me.
-          Nulla-
-          Non dire bugie. Dove vai stasera?-
-          Ad ascoltarlo suonare con la sua band. Mi ha invitata-
-          Dunque questa storia va avanti da un bel po’ -
-          Giada, mi stai riempiendo di domande e non mi aiuti. Tutto questo è semplicemente un…gioco, si, una cosa del genere. Non sta succedendo niente. Tra di noi non è successo niente-
-          Certo che è strano-
-          Cosa?-
-          Questa situazione, tu, Federico, la band…-
Giada scoppiò a ridere, io la guardai storcendo il naso.
-          Cosa ridi?-
Lei non smetteva, io mi alzai spazientita.
-          Stai uscendo con il migliore amico del tuo ex fidanzato!- disse, continuando a sbellicarsi.
-          Per prima cosa, non mi piace che si faccia continuo riferimento al mio ex fidanzato. Seconda cosa, non stiamo uscendo insieme. Terza cosa, non dirlo a nessuno-
Giada smise di ridere, si alzò dal divano.
-          Mi terrai aggiornata, non è vero?-
-          Non accadrà mai niente tra di noi-
-          Ah, davvero? E perché t’ha invitata stasera?-
-          Ma dai, davvero credi che l’abbia fatto perché ci vuole provare? Ha persino detto che mi farà sedere al tavolo con le sue amiche!-
-          Secondo me ci vuole provare-
-          Stai sbagliando. Quando un gruppo suona in un locale ha l’obbligo di portare quante più persone possibili, e lui sta semplicemente cercando di farlo-
-          Dunque, ti sta usando-
-          Esattamente-
-          E tu perché ci vai?-
-          Perché ha insistito tanto, e non riesco a sopportarlo-
Giada annuì, sembrava stesse analizzando le prove come un detective deciso a risolvere uno scabroso caso.
-          Tutto ciò è divertente e curioso. Mi piace-
Giada alzò le spalle e uscì dalla stanza, ridacchiando tra se e se. Sospirai, chiedendomi se avessi fatto bene a dirle ogni cosa. Beh, prima o poi sarebbe successo, io non nascondevo nulla a Giada. Mi sentii più leggera, come se il fardello che mi portavo dietro adesso non fosse poi così pesante. Cercavo di convincermi di star facendo qualcosa di sbagliato quando in realtà non era così e non riuscivo a capacitarmene. La situazione era delle più innocenti. E se davvero fosse successo qualcosa tra me e Federico, beh, se fosse successo qualcosa, non sarebbe stata più una situazione innocente? Mi sentii scottare il petto. Questo era un pensiero proibito, un tabù. Ero tremendamente contesa tra i pensieri veri, quelli falsi e quelli che avrei voluto fossero falsi.
Mi preparai in fretta, il più in fretta che potevo, e poi aspettai fino a quando non giunse Federico. Stavo per uscire dalla porta quando Giada mi raggiunse correndo, mi fece l’occhiolino e mi sussurrò ad un orecchio:
-          Fai la brava!-
Io le diedi uno schiaffetto sulla nuca ed uscii. In quel momento mi ricordai della probabile presenza di lui, cosa alla quale neanche Giada aveva fatto riferimento, e iniziai ad essere presa dall’ansia. Cosa avrebbe detto? Federico l’aveva avvertito? Mi avrebbe parlato?
Basta con queste sciocchezze. Lui non ci sarebbe stato, o Federico si sarebbe guardato bene dall’invitarmi.
Appena fuori di casa, mi avviai svelta verso la fine del viale, dove Federico mi aspettava. Sentii un trambusto notevole provenire dalla sua auto, notai che i sedili posteriori erano tutti occupati e che invece quello anteriore era libero. L’avevano evidentemente lasciato per me. Più mi avvicinavo e più sentivo la voglia di scappare, tornare indietro. Ero tremendamente imbarazzata, non riuscivo a ragionare, neppure a muovermi, ma per inerzia raggiunsi la macchina. Federico, al volante, mi sorrise col suo solito charme, io feci una smorfia ed aprii la portiera. Salii in macchina, richiusi la porta con un tonfo e dissi:
-          Ciao a tutti-
Il mio saluto era stato orribile. Avevo la voce spezzata, le guance rosse e mi tremavano quasi le gambe.
-          Ehi Ris!- Federico si chinò verso di me per baciarmi le guance,- ti presento gli amici della band! Ragazzi, questa è Ris! Ris, loro sono Stefano, Eddy e Ale, rispettivamente batteria, basso e tastiera!-
Mi voltai indietro, sorridendo timidamente. Il ragazzo alla mia destra, che nell’ordine doveva essere Stefano, aveva i capelli lunghi e castani, tipici del batterista, occhi vispi e scuri. Una barbetta ispida cresceva sul suo mento, e la sua espressione era simpatica.
-          Ehi carina, come butta?-
-          Ste! Non fare il cafone con Ris!- lo ammonì Federico.
-          Che c’è, sono stato educato! Non è vero Ris?-
-          Beh si, suppongo di si. E comunque mi chiamo Clarice. Non Ris -
Lanciai uno sguardo a Federico, lui sorrise innocentemente.
-          A me Ris piace di più!- commentò il ragazzo seduto al centro, che sempre secondo l’ordine doveva essere Eddy. Aveva i capelli nerissimi, corti ma ben acconciati, un viso dolce e morbido, e le orecchie piene di piercing.
-          A me invece Clarice piace. Mi pare aristocratico!-
La terza voce apparteneva ad Ale, il pianista. Aveva capelli ricci e biondi, occhi scuri e la barba biondissima. Non aveva piercing e né era vestito come una rock star, come gli altri due.
-          E perché tu sei un intellettuale, ecco perché- sbottò fuori Stefano, ridendo.
-          Bene, siamo tutti pronti? Andiamo allora!- esclamò Federico, e così mise in marcia.
Per tutto il tragitto che ci portò al locale conversammo amabilmente, e io non riuscivo a non guardare Federico. Sembrava più bello del solito, con la camicia bianca, i jeans strappati, i capelli che brillavano sotto le luci dei lampioni che si riflettevano sul vetro della macchina. Contrariamente a quanto pensavo, non fui eccessivamente timida con i ragazzi della band: erano simpatici e mi mettevano a mio agio. Federico mi lanciava occhiate di sfuggita, o forse ero io che me le immaginavo.
Giungemmo al locale, Federico mi fece scendere dall’auto e mentre i ragazzi si precipitavano dentro, io lo aiutai a prendere la chitarra dal cofano dell’auto.
-          E gli strumenti dei ragazzi?- domandai.
-          Li hanno già portati qui nel pomeriggio- mi spiegò.
La sua voce era ancora una volta diversa. Era connotata da un non so che si professionalità, mi sembrava quasi un uomo in carriera. Lui si accorse del modo in cui lo guardavo e mi sorrise alzando le spalle.
-          Che c’è? Perché mi guardi così?-
-          Niente- risposi.
-          Vieni, andiamo dentro. Ti faccio vedere il tuo tavolo-

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


nessun inverno è uguale cap 6

 

 

 

Federico non aveva scherzato quando aveva parlato di “amiche”. Ed infatti loro erano lì, sedute accanto a me. Una luce gialla illuminava il nostro tavolo, quasi come se fossimo nell’occhio di bue o come diavolo si chiama. Erano quattro ragazze, una delle quali era Irene, la tipa che abitava al piano di sopra e che a quanto avevo capito gli faceva la corte. Credeva che io fossi una sorta di fidanzata, perché mi guardava in cagnesco e faceva di tutto per mettermi in difficoltà. Le altre tre ragazze sembravano essere state fatte con lo stampino. Tutte e tre con abiti molto attillati, capelli castani liscissimi e rossetti a dir poco appariscenti. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ma ero felice di non apparire come loro. Mi chiesi cosa avessero in comune con Federico, perché fossero sue amiche. E perché anche io rientravo tra queste amiche? Iniziai a sentirmi presa in giro. Il tentativo fatto poco prima a casa di convincere Giada del mio non-coinvolgimento nella faccenda non aveva fatto presa nemmeno su me stessa. Mi sentivo declassata al livello di quelle oche. Federico era sul palco, e lo guardavo con un misto di ammirazione di odio. Come avevo potuto lasciarmi convincere ad andare lì, sedere al tavolo delle sue fans? Lui cantava, suonava e tutti lo guardavano a bocca aperta. Non c’era che dire, Federico era un ottimo cantante. Così presa dalla rabbia, mi dimenticai persino di indagare sulla presenza di lui. A dire il vero, appena entrata nel locale mi aveva presa un certa smania di nascondermi, ma appena avevo avuto modo di capire che lui non c’era, mi ero sentita molto meglio. Iniziai a pensare che forse avevano litigato, che non fossero più amici, ma mi sembrava un’ipotesi impossibile. E allora perché non c’era? Forse aveva un altro impegno. Forse aveva un’altra ragazza da conquistare. Beh, quale migliore appuntamento per una nuova ragazza che il concerto di Federico? O aveva paura che la bellezza di Federico gli rubasse la scena? Questi pensieri sarcastici non erano da me, soprattutto riferiti a lui. Ma forse avevo bevuto un bicchiere di troppo, il che non era proprio nel mio stile, e questo dava il via ai miei pensieri, più che alle mie azioni. Non vedevo l’ora di dirgliene quattro a quel Federico!

Quando finì di esibirsi, scese dal palco e raggiunse subito il nostro tavolo.

-          Sei stato bravissimo!-

-          Meraviglioso!-

-          Sapevo che avresti cantato quella canzone!-

Le oche erano all’opera. Io bevvi un altro sorso del mio cocktail il silenzio, mentre con occhi attenti osservavo la scena. Federico sorrideva beffardo, ringraziava e in modo amorevole e assolutamente odioso si pavoneggiava con quelle papere.

-          A te sono piaciuto, Ris?- domandò poi. Io mugugnai qualcosa di incomprensibile con la bocca ancora attaccata al bicchiere, Federico me lo scostò leggermente dalle labbra.

-          Sei bravino- commentai acida. Le oche risero del mio commento, Irene mi diede una leggera pacca sulla spalla.

-          Simpatica che sei!- sbottò fuori, quasi come un ruggito. Io risi a mia volta, Federico mi guardò serio per un attimo.

-          Ma quanto l’avete fatta bere?- chiese poi alle altre ragazze. Irene alzò le spalle.

-          Le abbiamo offerto qualche cocktail, ma niente di più!- sghignazzò.

Avrei voluto darle un pugno in faccia.

Megera.

Strega.

Federico abbozzò un sorrisetto.

-          Beh, allora forse è meglio che io ti porti a casa Ris! Andiamo a prendere un po’ d’aria, ti va? Inizierai a smaltire la sbornia…-

Federico accarezzò il mio braccio, io mi scostai.

-          Non sono ubriaca. E non voglio prendere un po’ d’aria, sto bene qui-

-          Non stai bene qui. Avanti, andiamo. Dall’altra parte del marciapiede c’è il lungomare. Non vuoi fare una passeggiata?-

Le altre ragazze mi guardarono in cagnesco, se avessero potuto, avrebbero iniziato a fingere una sbornia e avrebbero sperato che Federico avesse chiesto a loro di uscire. Sebbene fossi, e non lo nego, alquanto allegra a causa dell’alcool, mi accorsi della loro gelosia ed acconsentii ad uscire.

L’aria era fresca e respirai a pieni polmoni. Attraversammo la strada, Federico mi teneva stretta.

-          Forse sarebbe stato meglio se ti avessi messa ad un altro tavolo…- inziò, mentre il vento gli scompigliava i capelli.

-          E perché? Le tue amiche sono state gentili. Mi hanno offerto da bere-

-          Un po’ troppo, direi-

-          Smettila. Non sono ubriaca, e ad ogni modo reggo benissimo l’alcool-

-          Quand’è l’ultima volta che hai bevuto, Ris?-

-          La smetti con le domande? E comunque non me lo ricordo. Basta, mi sono annoiata. Torniamo dentro-

Tentai di dirigermi verso la strada, ma Federico mi bloccò per le spalle.

-          Che ti prende?- sbottai.

-          Non ti va di passeggiare con me?-

Sospirai stizzita. Se è vero che non ero totalmente ubriaca, l’effetto dell’alcool mi aveva fatto diventare estremamente sincera.

-          Ascolta, Federico, mi hai portata qui e mi hai fatto sedere al tavolo con le tue amichette soltanto per far vedere agli altri che avevi un’oca in più che era caduta ai tuoi piedi! Cosa credi, che io sia stupida? Potevi dirmelo che avevi bisogno di riempire il locale per la tua stupida serata!-

Federico mi guardò sconvolto. Era la prima volta che lo vedevo così.

-          Questo non è vero, io volevo davvero che tu venissi e mi vedessi e…-

-          … e mi sedessi accanto a quelle oche! Sono tutte cotte di te e non vedono l’ora di portarti a letto o che so io! Beh, visto che sei così bravo con le donne perché non vai da loro? Io non ho bisogno di te!-

-          Ris, ascolta, tu non reggi affatto l’alcool. Adesso ti accompagno a casa e tu fili dritta a dormire-

-          Che c’è, mi dai degli ordini?-

Mi divincolai dalle sue mani e mi appoggiai al parapetto che dava sulla spiaggia.

Federico sospirò.

-          Hai ragione, mi dispiace. Non dovevo metterti a sedere con quelle lì. E’ che pensavo sarebbero state carine con te-

Risi sotto i baffi, evitando i suoi occhi.

-          Sai, non so perché ho accettato di venire qui. Forse ho sbagliato- mormorai, perdendo la mia carica negativa.

-          No, invece hai fatto bene. Io volevo che tu venissi-

Federico si avvicinò, io risi.

-          Ma insomma Federico, si può sapere perché?-

-          Perché cosa?-

-          Perché fai tutto questo? Perché da quando ci siamo incontrati è sempre tutto così…strano?-

Federico mi fissò. I suoi occhi erano luminosi, il suo sguardo ancora una volta diverso, coinvolto, stravolto.

-          Non lo so,- mormorò, - io… io non lo so-

Io risi di nuovo.

-          Bene, lasciamo perdere. Comunque prima ho mentito. Non sei stato bravino, sei stato davvero eccezionale-

-          Davvero?-

-          Già. E non ero mai stata a sentire musica dal vivo-

-          Ero molto in ansia sapendo che mi avresti visto-

-          E perché?-

-          Perché sei sempre così implacabile e fredda. Te lo confesso, temevo il tuo giudizio-

Scoppiai a ridere.

-          Sta’ un po’ zitto e portami a casa. Mia madre inizierà a dare i numeri se non mi vede tornare-

Mi scostai dal parapetto e raggiungemmo in silenzio la macchina. Federico mi fece salire e poi mi disse di aspettare, sarebbe andato ad avvisare i ragazzi che si allontanava per accompagnarmi, ma che dopo sarebbe tornato a prenderli. Durante il viaggio di ritorno restai in silenzio, mi abbattei così tanto da rasentare il sonno. Federico aveva messo su un cd di non so quale cantante, ma era molto rilassante. Non mi accorsi  nemmeno che l’auto si era fermata fin sotto casa mia e non appena fuori dal viale, come aveva sempre fatto.

-          Perché ti sei fermato qui?- domandai con un filo di voce.

-          Non mi fido a farti fare nemmeno un metro a piedi. Confessa, Ris, non reggi l’alcool-

Sbuffai.

-          Rasento l’astemia- mormorai, socchiudendo gli occhi. Federico iniziò a ridere, io lo guardai mentre si esibiva in una delle sue eccezionali risate. Lo guardai seria, cercando di interpretare la sua risata, ma non ci riuscii.

-          Perché diamine ridi?- chiesi.

-          Tu… tu sei davvero strana, Ris. Davvero, e mi fai morire dal ridere-

Sospirai alzando lo sguardo.

-          Tu mi farai andare all’inferno, Federico. E io non ci credo nemmeno, all’inferno-

Lo guardai, Federico smise di ridere e per qualche momento ci guardammo il silenzio.

-          Quando scenderai da questa macchina non avrò più scuse per poterti vedere. Non dimenticherai la borsa e non ho altre serate per la prossima settimana. Come potrò rivederti?-

Il suo tono era serio, io ebbi incomprensibilmente paura.

-          Non so. Ma perché vuoi vedermi, Federico?-

-          Tu non vuoi?-

-          No-

-          Okay-

-          Forse-

-          Ascolta Ris, non voglio dover trovare scuse per poterti vedere. Voglio poterti chiamare e chiederti di vederci. Posso farlo?-

-          No-

-          Perché no?-

-          Perché questo è illogico-

Federico si chinò verso di me e mi sfiorò le labbra con le sue, ma senza baciarmi. Lentamente, con delicatezza, lui mi sfiorò le labbra e io non fui capace di oppormi, colpa dell’alcool. O almeno credo.

Si allontanò velocemente come si era avvicinato.

-          Sei impazzito?- domandai.

-          Questa è una scusa per poterti rivedere-

-          Cosa?-

-          Già, già. Adesso ho lasciato qualcosa in sospeso. Dovremmo rivederci-

-          Questo non è vero. Tu non hai fatto niente, dunque tutto è come qualche momento fa-

-          Vuoi che lo faccia?-

-          No-

-          Tu parli di logica, Ris, questo ha molta logica: non sono andato fino in fondo alla mia azione, e…-

-          Ti avrei schiaffeggiato-

-          Sei inspiegabilmente adorabile, Ris. E adesso sei ubriaca per poter ragionare. Domani ti spiegherò la mia logica-

-          Spiegala adesso. Sono in grado di capire-

-          Ecco, vedi, come cercavo di dirti prima, io non ho portato a compimento la mia azione. Tra di noi può essere successo qualcosa, ma può anche darsi di no. Adesso, a meno che tu non sia una di quelle che lasciano le cose in sospeso, dovresti vedermi, chissà, almeno un altro giorno, per concludere la situazione-

-          Non voglio baciarti-

-          Si che vuoi. Hai chiuso gli occhi quando mi sono avvicinato. Infondo, anche tu sei una romantica-

-          Sei un’idiota, Federico. Se avessi voluto baciarti, l’avrei fatto, e molto prima di adesso. Non mi serve essere ubriaca o semplicemente brilla per fare una cosa del genere-

-          Stai cercando di giustificarti?-

-          No, per niente!-

-          Okay. Allora buonanotte. Ci risentiamo-

-          Buonanotte-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Stenditi qui-

Federico mi indicò il grosso telo che aveva appena sistemato per terra, all’ombra di un grosso albero.

-          Non mi stendo- replicai.

-          Okay, allora almeno siediti-

Si accovacciai il silenzio accanto a lui, e dalla collina diedi uno sguardo al resto dell’immenso parco.

-          Perché siamo venuti qui?- gli chiesi, accigliata.

Federico abbassò lo sguardo, alzò le spalle.

-          Non lo so, mi piace. A te no?-

-          Si-

-          Bene-

Restammo il silenzio per qualche momento. Federico mi pareva a tratti impacciato, come se non sapesse cosa dire, come comportarsi. Eppure quella mattina, quando mi aveva telefonato, sembrava sapesse bene cosa dire. Si era scusato con me per il comportamento della sera precedente, aveva fatto un monologo molto toccante sulla sua sfacciataggine e sulla necessità di un nostro incontro. Le mie difese erano quasi del tutto cadute, ma contrariamente a quello che avrei dovuto provare, cioè il panico, mi sentivo freddamente tranquilla. Non avrei rinunciato a vedere Federico perché avevo paura, soprattutto dopo l’ultimo discorso con Giada. Ero stata più sincera con mia sorella, le avevo raccontato più dettagliatamente quanto era accaduto e le avevo detto che non importava se Federico era amico di lui, poteva essere anche amico mio. In definitiva, a parte Giada e Candida non avevo nessun altro con cui parlavo apertamente. Non che avessi di che parlare, s’intende, ma forse una persona in più m’avrebbe fatto comodo. La mia tattica era cambiata. Adesso non ignoravo Federico e nemmeno i miei sentimenti per lui, cercavo di mutarli sul nascere. Una specie di esperimento per una mutazione genetica o che di simile. Non ero mai stata presa dal panico in vita mia, e non sarebbe di certo successo adesso.

-          Ci eri mai venuta quassù?- domandò lui.

-          No-

-          Io ci vengo spesso, ma quasi sempre da solo-

-          Senza amichette?- lo stuzzicai. Federico rise.

-          No, senza amichette, - ripeté, quasi per canzonarmi, - non riesci proprio a non pensarci, vero?-

Scossi la testa.

-          No, Federico. Mi sento offesa. Usata-

-          Eppure sei di nuovo qui-

-          Solo perché hai giurato di farti perdonare-

-          E infatti lo farò. Ricordi la nostra questione in sospeso?-

Lo guardai con la coda dell’occhio. In quel momento non ricordavo nulla, né volevo ricordare.

-          No-

Ricordavo benissimo, se intendeva il nostro quasi-bacio.

-          Mi hai accusato di non saper ballare-

Oh, grazie al Cielo non era il bacio.

-          Non mi ricordo- mentii.

-          Beh, io me ne ricordo. E vorrei invitarti a ballare con me. In un locale serio, s’intende-

-          Non so ballare, Federico -

-          E io che ci sono a fare?-

Federico si alzò, mi porse la mano. Lo guardai con qualche istante con un’aria fredda, poi afferrai la sua mano e mi alzai.

-          Stasera hai da fare?-

-          Si-

-          E cioè?-

-         Continuare a pensare ad un regalo per Giada. Di solito mi riempie di domande sul suo regalo, ma quest’anno pare essersene dimenticata. Passa tutto il tempo davanti ai tutorial per imparare a suonare la chitarra-

-          Ha una chitarra? -

-          No, appunto. Credo che mia sorella stia impazzendo-

-          O sta per diventare una musicista. Un’artista in erba-

-          Se diventa come te, preferisco tenermela com’è-

-          Si sta appassionando, ed è una cosa meravigliosa-

-          Tutto questo non c’entra, la questione è che devo trovarle un dannato regalo-

-          Troveremo anche quello. Chissà che ballando non ti verranno delle nuove idee-

Risi, gli diedi un colpo leggero sul petto.

-          Ballando mi sentirò soltanto ridicola-

Federico mi cinse la schiena con il braccio, prese la mia mano nella sua e mi strinse. Divenni seria, lo guardai negli occhi con aria di sfida.

-          Non provare a convincermi- gli dissi, decisa.

-          Non devo provare a fare proprio niente. Ti ho già convinta-

-          Tu sei sempre così sicuro di te?-

-          Mi capita spesso-

-          E sei anche così insopportabile?-

-          No, non lo sono. O non passeresti tutto questo tempo con me-

-          Sei tu che hai detto che abbiamo delle scuse per incontrarci-

-          Già, ma soltanto perché mi impedisci di chiederti di uscire con me-

Restai in silenzio, dopo un attimo mi staccai da lui e mi risedetti sulla stuoia, cercando di immagazzinare le sue parole.

Federico rimase in piedi, aveva un viso sconsolato e quasi triste. Si risedette dopo qualche istante accanto a me, lo lanciò uno sguardo magnetico.

-          Tu sai cosa sta succedendo?- gli chiesi.

-          No, non lo so. Non mi riconosco-

-          Come, scusa?-

-          Io di solito non faccio così. Io non mi faccio nessun tipo di problema, Ris, invece con te me ne faccio un sacco-

-          Te ne dico una nuova, Federico, tu sei un problema. Un enorme problema-

-          Perché non riesci a non essere fredda?-

-          Sono fatta così-

-          Per questo Lorenzo ti ha lasciata?-

Mi si gelarono le vene. Sentii la testa girarmi, per un momento volli credere che la collina, il cielo, la stuoia e Federico fossero frutto della mia mente, un incubo, un incubo schifoso. Restai immobile, non riuscivo a muovermi. Non sentivo pronunciare il suo nome da così tanto tempo che averlo risentito mi riportò d’un colpo al passato, alla realtà, alla mia realtà. Mi alzai di scatto, quasi non rispondessi delle mie azioni.

-          Ehi, dove vai?-

Federico si alzò, mi prese per un polso, io rimasi ferma.

L’aveva detto, aveva detto Lorenzo.  Dunque era vero che c’eravamo conosciuti prima d’allora, che non me l’ero immaginato io. Adesso stavo collocando di nuovo Federico nel mio passato, stavano riemergendo i miei sentimenti, o meglio, la mia indifferenza, e iniziavo ad avere paura. Una tremenda, incomprensibile paura.

-          Scusami, forse io non…-

-          Lascia stare Federico. Adesso devo andare-

-          Non volevo offenderti-

-          Lo so. Non mi hai offesa. Devo solamente andare a casa, adesso-

Feci per andarmene, ma Federico mi trattenne per la mano.

Mi guardò intensamente, sentii il panico e il dolore scivolare dai suoi occhi giù per le sue guance e riempire il suo viso di qualcosa di simile alla disperazione.

-          Ti prego, non andartene-

-          No, Federico, adesso ti prego io. Lascia che sia così-

Mi allontanai, stavolta Federico non oppose resistenza.

Diamine.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


cap 5 niu

 

Non avevo mangiato quasi nulla, mi ero rinchiusa nella mia camera e mi ero addormentata. Non avevo intenzione di ignorare Federico o che di simile, adesso volevo riappropriarmi di quello che lui mi aveva donato con le parole. Mi sentii improvvisamente stupida. Quando decidiamo di chiudere col passato di solito cerchiamo un modo per andare avanti, io invece, accettando la presenza di Federico, non avevo fatto altro che tornare indietro. Ero tornata indietro alla mia indifferenza, a tutto quello che avevo fatto. Non sapevo più chi ero, non sapevo più cosa provare nei confronti del ricordo di Lorenzo. Non sapevo cosa provare per Federico. Perché mi voleva accanto a se? Che fine aveva fatto Lorenzo, qual’era il suo ruolo nella mia vita e nella sua? Perché aveva pronunciato il suo nome? Io e Federico ci eravamo comportati come estranei, conosciutisi per caso, in un altro mondo, in un’altra vita. Ma non era così, no. Io non avevo conosciuto Federico quel pomeriggio per strada, me lo aveva presentato Lorenzo, una sera che eravamo ad una festa. Federico indossava una camicia azzurra e mi aveva sorriso in modo simpatico, porgendomi la mano. Io non mi ero degnata di dirgli nemmeno una parola in più, neanche una  respiro, un saluto. Durante quel tempo io ero rimasta incastonata nel mio amore per Lorenzo,  o se amore non era, quella specie di ossessione che ci legava, che ci rendeva perfetti. Ma non avevo mai avuto bisogno di lui. Era passato molto tempo da quando ci eravamo lasciati e io non avevo mai sentito la sua mancanza. Cos’era stata la nostra storia? Chi ero io? E perché adesso avevo così tanta paura del passato e del presente?

Quando mi svegliai, trovai il cellulare pieno di chiamate di Federico e di cinque suoi messaggi, che dicevano tutti più o meno la stessa cosa: scusami Ris. Richiamami ti prego.

Sospirai, mi chiesi se davvero pensasse che non volevo più sentirlo. Chissà se avesse mai capito il motivo per cui me n’ero andata via.

Lo richiamai.

-         Ris?- rispose lui, apprensivo.

-         Ciao, Federico -

-         Pensavo non mi richiamassi più-

-         Stavo solo dormendo-

-         Mi dispiace per quello che ho detto-

-         Non fa niente. Non hai detto niente di male-

-         Forse non avrei dovuto nominare Lorenzo –

-         Beh, sarebbe stato meglio-

-         Pensi ancora a lui?-

-         No-

-         E allora perché sei scappata via?-

-         È difficile da spiegare-

-         Sei innamorata di lui?-

-         No-

Mi si bloccò il respiro in gola. Avevo detto di no. Per la prima volta avevo detto che non lo amavo. Sentii lo stomaco in subbuglio, socchiusi gli occhi.

-         E perché allora sei andata via?- continuò Federico.

-         Non era niente-

-         Se pensi ancora a lui non c’è…niente di male. Dovresti dirmelo-

-         No, non dovrei. E ad ogni modo non è così. E’ passato molto tempo ormai-

-         Questo non significa niente. Sei stata innamorata di qualcun altro durante questo tempo?-

-         Perché mi fai sempre l’interrogatorio?-

-         Non è un interrogatorio, è solo che…-

-         Cosa?-

-         Vorrei capire, Ris, vorrei capirti-

-         Dici davvero?-

-         Si-

Ingoiai saliva a vuoto. Cosa gli avrei detto? Come avrei potuto spiegare le mie notti insonni, il tempo passato a fissare il soffitto interrogandomi sui miei sentimenti?-

-         Non puoi capire- conclusi.

-         Certo che posso. Devi solo darmene la possibilità-

-         Credo che sarà difficile-

-         Non importa-

-         Okay, come vuoi tu-

Sentii che Federico sospirava, una specie di sospiro di sollievo o che so io.

-         Vieni a ballare con me questa sera?-

Ci risiamo con la storia della danza. La mia voglia di ballare era inversamente proporzionale alla voglia che avevo di vedere Federico, e anche se la cosa mi inquietava non poco, decisi di accettare. Federico fu contento, la sua voce tornò ad essere allegra.

-         Mi prometti che cercherai di spiegarmi?- azzardò.

-         Non posso prometterti niente. L’unica cosa che posso prometterti, è che non capirai niente-

-         Allora diciamo che questa è la nostra scusa per uscire: le tue spiegazioni-

-         Non hai più bisogno di scuse-

-         Cosa?-

-         Non hai più bisogno di scuse per chiedermi di uscire-

Federico scoppiò a ridere.

-         Dici sul serio? Basta con le follie?-

-         Basta con le follie-

-         Okay, allora tutto questo assume un tono diverso-

Lo sentii schiarirsi la voce, io sorridevo inebetita.

-         Ris, vuoi uscire con me?-

-         D’accordo -

Rise di nuovo, io mi sentii imbarazzata. Era la prima volta dopo Lorenzo che un ragazzo mi chiedeva di uscire.

Ci accordammo per quella sera e agganciai, dopo di che la porta della mia camera si aprì con un grosso tonfo.

-         Lo sapevo! Lo sapevo lo sapevo lo sapevo!- m canzonava Giada.

-         Mi stavi spiando?- blaterai con tanto d’occhi spalancati.

-         Non m’hai dato scelta. Se avessi parlato, tutto questo non sarebbe mai successo!-

In un’altra occasione avrei fatto a Giada un’indimenticabile sfuriata, invece scoppiai a ridere. Giada mi guardò contrariata e un po’ stranita, si avvicinò cautamente al mio letto, dove io ancora sedevo.

-         Perché ridi? Che c’è da ridere?- domandò stizzita.

-         Lascia perdere. E comunque non è come pensi. Io non sto uscendo con Federico -

-         Già, questa balla valla a raccontare a qualcun altro!-

Afferrai mia sorella per le spalle e la abbracciai. Se solo avessi saputo come, avrei spiegato a Giada perfettamente tutto quanto stava succedendo, ma dentro di me cercavo ancora di trovare le parole da dover dire a Federico quella sera.

 

 

 

 

 

Stavolta non m’impegnai tanto a scegliere il vestiario: optai per un paio di jeans, e sebbene fossero decisamente più eleganti rispetto a quanto ero solita indossare, mi sentivo comoda e a mio agio. Se quello con Federico doveva essere un appuntamento, cosa che mi auto convincevo non fosse sebbene il mio permesso, allora avrei dovuto decidere io la direzione che questo avrebbe preso. Quando entrai nella sua macchina non lo salutai nemmeno che iniziai a dire:

-         Bada che questo non sarà un appuntamento in piena regola, t’ho dato l’autorizzazione a chiedermi di uscire ma c’è un abisso tra questo e…-

-         Ciao, Ris -

Federico si voltò verso di me, mi sorrise. Io interruppi la mia filippica prematura, gli sorrisi a mia volta. Anche lui era molto semplice nel vestiario, jeans e camicia lo rendevano al tempo stesso elegante ma non eccessivamente serio, il che non avrebbe coinciso con il carattere di Federico.

Il suo sorriso era diverso da tutti gli altri che aveva abilmente sfoderato da quando c’eravamo incontrati.

-         Ciao Federico, - salutai con tono più pacato, - so perché stai sorridendo. Pregusti le risate che ti farai quando capirai che non so ballare-

-         Mi hai già detto di non saper ballare-

-         Appunto. Eppure m’hai convinta a venire-

-         Non ti ho convita. Ti ho chiesto di uscire-

Il modo solenne con cui l’aveva detto mi spiazzò, era tranquillo eppure emozionato. Non avevo mai visto Federico emozionato.

-         Questo ha diverse sfaccettature- mormorai a mia volta.

Mi sentivo improvvisamente a disagio. Federico mise in moto l’auto, ci allontanammo velocemente.

-         Può darsi- ribatté lui.

-         Perché sei così strano?-

-         Eh?-

-         Sei strano. Non mi hai ancora presa in giro una volta-

Federico scoppiò a ridere, io lo guardai serissima.

-         Che hai da ridere adesso?-

-         Io non… cioè, si, hai ragione tu, scusa. È che effettivamente mi sento un po’ strano-

-         Cosa significa questo?-

-         Non lo so. Ma tu devi per forza dare una spiegazione ad ogni cosa?-

-         Tutto ha una spiegazione-

-         Io penso di no. Esiste anche la sorpresa, alcune volte. Quella che tu non sai cosa voglia dire- iniziò a canzonarmi.

-         Ci risiamo con questa storia della sorpresa. Mi è bastato quanto accaduto fin’ora!-

Federico rise sotto i baffi.

-         Vedremo-

Parcheggiò la macchina accanto da un eccentrico locale non distante dal molo. Si sentiva la musica fino in strada, luci sgargianti arancioni e gialle illuminavano l’insegna che campeggiava fuori dal locale, c’erano moltissime persone.

-         Conoscevi questo posto?- mi chiese Federico aprendomi la portiera dell’auto per farmi scendere.

-         No. Ma a quanto pare tutto il resto della città si- commentai meravigliata.

In effetti io non ero mai andata a ballare in un locale del genere, non avevo idea della sua esistenza e nemmeno del fatto che potesse essere tanto frequentato. Federico mi prese inaspettatamente per mano e mi guidò verso l’entrata. Il ragazzo che era sull’uscio sembrava conoscerlo, lo salutò con un sorriso e una pacca sulla spalla, poi chiamò con un gesto della mano una giovane cameriera e le sussurrò qualcosa ad un orecchio, dopo di che la ragazza ci sorrise e ci condusse all’interno del locale. Iniziai a credere che ci fosse un complotto del quale non ero a conoscenza.

La prima cosa che notai fu un’enorme pista rotonda al centro, illuminata da colori appariscenti, mentre tutt’intorno c’erano tavolini in legno su una pedana rialzata e separata da una ringhiera dorata.

Mi sembrò di essere stata catapultata in un mondo parallelo.

Il tavolo al quale fummo condotti non era molto distante dalla pista da ballo, ma era posizionato proprio sotto un romantico gazebo arancione ornato con decorazioni verdi e gialle. Mi sentii in imbarazzo.

Federico con un gesto della mano mi invitò a sedermi ed io muta obbedii.

-         Avevi prenotato?- domandai, incredula.

-         Ma è ovvio che si- rispose Federico prendendo posto di fronte a me, - non ti piace?-

-         Si, molto. È solo un po’, beh, come dire, esagerato-

Federico rise.

-         Un po’ esagerato? Le cose o sono o non sono esagerate. Non possono esserlo un po’-

-         Tu sei decisamente esagerato, Federico -

-         Anche tu lo sei, Ris, in un modo stranamente compatibile al mio-

-         Sebbene sia del tutto opposto-

La giovane cameriera, che si era allontanata un momento dopo averci mostrato il tavolo, tornò tenendo tra le mani una candela arancione, che accese e posizionò al centro del tavolo. Vidi gli occhi di Federico brillare all’accendersi della fiamma.

La ragazza ci posò davanti dei menù e dopo averci augurato buona serata, si allontanò.

Mi si era chiuso lo stomaco.

-         Mi sento a disagio- confessai.

Federico abbassò lo sguardo con un sorriso.

-         Siamo sempre io e te, Ris. Solo in un’atmosfera diversa-

Era proprio quella che mi spaventava, ma non avevo intenzione di dirlo a Federico.

-         Adesso puoi raccontarmi la verità-

Alzai gli occhi verso Federico, sentendomi come accusata. Senti che stavo arrossendo, aprii distrattamente il menù.

-         Ti ho sempre detto la verità, Federico. Non c’è niente che io ti abbia nascosto-

-         Tranne i tuoi sentimenti-

Non risposi, lasciai che passasse qualche minuto. Avevo incredibilmente paura, sentivo che i veli che avevano avvolto la mia indifferenza stavano per cadere, o meglio, sentivo che Federico li stava mettendo via uno dopo l’altro.

Ordinammo qualcosa da bere, poi Federico sussurrò qualcosa alla giovane cameriera e si alzò, tendendomi la mano. Lo guardai incredula.

-         Non siamo venuti fino a qui senza motivo. Avanti, vieni a ballare-

-         Adesso non mi va-

-         Suvvia, certo che ti va. Smettila di essere timida. Giuro che ci mettiamo in un angolino, così non ci vede nessuno-

Mi alzai abbozzando un sorriso, Federico afferrò la mia mano e mi condusse il pista. Le sue mani mi cinsero i fianchi, poi mi accarezzò il bacino fino a quando non afferrò con la sua destra la mia e mi guardò negli occhi. La sua mano sinistra era dietro la mia schiena, la mia poggiata sulla sua spalla.

Restammo in silenzio a guardarci negli occhi mentre Federico mi insegnava a ballare. Ridevo, ma lui stranamente non mi prendeva in giro e non faceva le sue solite battutine. Adesso cercava solo di guidarmi nella danza, e ci stava riuscendo piuttosto bene.

-         Lorenzo è partito- esordì dopo un quarto d’ora di danza silenziosa.

Alzai gli occhi curiosi verso di lui.

-         Partito?- ripetei, come se non avessi nessun’altra domanda da fargli.

-         Si. Ha finito gli esami in anticipo questo mese e ha deciso di partire, fare un viaggio insieme alle sue sorelle-

Annuii. Ero a corto di parole.

-         Lui si comporta stranamente nell’ultimo periodo, - continuò Federico, - non riesce a dormire e quindi passa tutto il tempo sui libri. Per questo ha finito prima gli esami. Mangia poco, è dimagrito. Aveva una specie di fidanzata, ma l’ha mollata-

Federico parlava sottovoce, come se non volesse nemmeno che lo sentissi. Il suo tono era freddo, mi pareva quasi impaurito. Il particolare “fidanzata” che aveva sottolineato mi provocò un groppo allo stomaco, ma non così forte come avrei pensato.

-         Nessuno di noi riesce a capire cosa gli succede. Se ne sta da solo, senza nessuno, non esce più tanto spesso-

Si sta ammalando di depressione, pensai. Eppure Lorenzo non ne aveva motivo.

-         Domani torna in città, - Federico alzò lo sguardo verso di me, la voce spezzata, - e non sa niente di tutto questo-

Tutto questo?

Federico si riferiva alla storia tra me e lui. Sebbene io cercassi di nasconderlo, indubbiamente c’era qualcosa tra di noi, e adesso Federico ne soffriva. Leggevo nel suo sguardo lucido una amara rassegnazione, una paura inusuale.

-         Non posso dirgli niente di noi, Ris – abbassò lo sguardo quasi ridendo, - non sarei un buon amico- concluse, quasi mordendosi la lingua.

Lo osservai sorpresa per qualche momento, poi decisi di tornare al tavolo. Federico mi seguì, non mi lasciò la mano. Mi sedetti per riprendere fiato, poi lo guardai negli occhi.

-         Non c’è molto da raccontare, su di noi- mormorai.

Quella frase lo ferì.

-         Non so perché ho voluto continuare a vederti dopo quel giorno, - disse lui, spingendo la sua mano verso la mia, - ma non voglio che… adesso…-

Non riusciva a trovare le parole, e io avevo sempre più paura. Il tono con cui mi parlava era serio e addolorato, stava tirando in ballo dei sentimenti, sentimenti veri. Quelli che io non sapevo per nulla gestire.

-         Federico…-

-         Io provo qualcosa per te-

Mi si bloccò il respiro in gola.

Per il resto della serata, non dissi una parola.

 

 

 

-         Il gatto ti ha mangiato la lingua?-

Scherzava, ma io non ero dell’umore giusto. Sentivo l’aria fredda sul collo, chiusi il finestrino dell’auto.

-         Ris?-

-         Cosa c’è?-

-         Perché non parli più?-

Ammutolii di nuovo, guardai fuori.

-         Non vuoi più parlarmi?-

-         Non è questo-

-         E cosa?-

-         Non lo so-

Altro silenzio. Lo sentii sospirare, ticchettare con le mani sul volante.

-         Ti è piaciuto il locale?-

-         Molto-

-         E devo darti ragione-

-         Su cosa?-

-         Non sai ballare-

Cercai di ridacchiare, ma quello che ne uscì fu una smorfia senza senso. Federico mi lanciò un’occhiata.

-         Mi tieni il broncio?-

-         No-

-         Ho detto qualcosa di sbagliato?-

-         No-

-         Se vuoi mandarmi a quel paese, puoi farlo-

-         L’avrei già fatto-

Federico zittì, io mi decisi a guardarlo.

-         Cosa provi per me?-

La domanda spiazzò Federico, ma io avevo il bisogno di farla. Il mio silenzio fino a quel momento era stato funzionale solamente a questa.

Federico arrossì leggermente, alzò le spalle.

-         Io, beh…-

-         Ti attraggo?-

-         Si-

-         Ti piaccio?-

-         Si-

-         Pensi che io sia simpatica?-

-         Molto-

-         E che sia intelligente?-

-         Oltremodo-

-         Svitata?-

-         Qualche rotella fuori posto-

-         E che altro?-

-         Vorrei baciarti-

Il semaforo davanti a noi era rosso, Federico si fermò. Si voltò verso di me, le sue parole le leggevo scritte nei suoi occhi, ne sentivo il sapore sul viso.

-         Vorrei baciarti molte volte, - continuò, - baciarti in continuazione. Questo però non posso farlo-

Il semaforo si fece verde, Federico voltò a destra e si fermò a pochi metri da casa mia.

-         Tu sei ancora innamorata di lui- mormorò.

-         Non è vero-

-         Si invece. Ti emozioni quando ti parlo di lui-

-         Non mi hai mai parlato di lui se non stasera-

-         Ed è stato abbastanza-

-         Perché dici queste cose?-

-         Perché le penso. Lo ami. Lo ami ancora-

Federico lo mormorava come una cantilena. I suoi occhi mi fissavano inespressivi.

-         Non è vero- ribattei, stavolta con più convinzione.

Federico puntò gli occhi nei miei.

-         Non sono innamorata di Lorenzo. Non lo sono mai stata-

Sentii la testa girarmi. Avevo appena ammesso un qualcosa che non ero stata in grado di imporre nemmeno a me stessa. L’aria mi mancava, avevo distolto gli occhi da Federico.

Feci per scendere dalla macchina ma lui mi trattenne per un braccio. Mi voltai verso di lui.

Il suo sguardo era confuso ed interrogativo, eppure sentivo un qualche lampo di gioia nei suoi occhi. Non sostenni il suo sguardo, spinsi con la mano la portiera dell’auto, che si aprì del tutto.

-         Che cosa provi per me?-

La sua domanda mi solleticò nello stomaco. Risi.

Federico mi guardò di sbieco, non se l’aspettava.

-         Non si copiano le domande-

Gli lanciai uno sguardo beffardo, Federico si chinò verso di me e mi accarezzò la guancia.

Rise anche lui, ma di un sentimento diverso dal mio.

-         Allora ti farò un’altra domanda, - iniziò lui, mentre con le dita giocava con i miei capelli, - una domanda alla quale non saprai rispondere-

-         Dubito- ribattei io, non avendo il coraggio di allontanarmi.

-         Se è vero che non ami lui, - iniziò Federico, scandendo le sillabe, - quante possibilità ci sono che tu possa amare me?-

Alzai lo sguardo, gli occhi di Federico erano dritti nei miei. Avrei voluto che la smettesse con qui giri di parole, avrei voluto anche avere meno paura.

Risi di nuovo, ma stavolta il mio riso pareva isterico.

Federico aspettava, io non riuscivo a parlare.

-         Non lo so- risposi.

Federico sorrise, abbassò la testa, poi tornò ad accarezzarmi la guancia.

-         Sei illogico, Federico -

-         Invece a me pare assai logico, Ris –

-         Non sono mai stata così sorpresa in vita mia. Penso tu sia stato un ottimo insegnante per me-

-         Stavolta non è come sembra-

Le sue parole erano cariche di ansia.

Scesi dalla macchina, Federico mi fissò mentre richiudevo la portiera.

-         Sei molto bella. Non te l’ho mai detto-

I suoi occhi erano lucidi, le sue mani poggiate sul volante, come morte.

Sentii un forte bruciore allo stomaco e alla gola, per la prima volta mi resi conto di quanto avevo desiderato quelle parole, quanto io e Federico avessimo condiviso gli stessi sentimenti. Mi sentii come un pezzo di ghiaccio lasciato al sole, mi sentii per la prima volta come liberata. Fu una sensazione di pochi secondi, ma la colsi al volo.

-         Anche tu, Federico. Sei bellissimo. Sin dal primo giorno, in quel bar. Sei bello quando sorridi e ridi, quando mi prendi in giro. Quando parli e filosofeggi, quando suoni e canti. Persino quando guidi. E non te l’ho mai detto-

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


inverno cap 8

Non avevo mai avuto l’abitudine di tenere un diario, scrivere non è il mio forte e sapevo che avrei riempito pagine e pagine di inutili pensieri che non avrei mai più avuto voglia di leggere. A volte pensavo a quante pagine avrei potuto riempire sulle mie angosce notturne e su quanta voglia avessi mai potuto avere di strapparle. Non sarebbero servite a niente, se non per uno sfogo temporaneo. Eppure, quel giorno, a neanche ventiquattro ore dalle parole rivolte a Federico, decisi di scriverle. Le ricordavo tutte, ogni sillaba, ogni aggettivo, non ero per niente confusa. Il fatto che avessi potuto dimenticare una cosa del genere mi mandava in crisi, dunque avevo deciso di recuperare una vecchia agenda vuota e di annotarle. Chissà che un giorno le avessi lette, le avessi ricordate. Mi pizzicavano gli occhi a ripensarle, come se avessi voluto piangere.

Mantenni con Giada la massima riservatezza, le feci soltanto capire, con poche parole, che il mio coinvolgimento nella relazione con Federico aveva raggiunto il punto di non ritorno. Mi sentivo diversa e liberata, come se avessi avuto finalmente il coraggio di dire a me stessa la verità e la vecchia Clarice, quella senza emozioni, fosse stata soppiantata da una ragazza nuova.

Io e Federico non ci eravamo ancora rivisti dopo la serata di danza, e io non sapevo quale atteggiamento avessi dovuto assumere. Per l’intera giornata, Federico non si fece sentire. La cosa mi sorprese in quanto nei giorni precedenti non aveva fatto altro che darmi il tormento, e adesso, improvvisamente era sparito. Provai a chiamarlo, ma non mi rispose. Gli inviai un messaggio, ma niente.

Avevo appena finito di cenare quando, avendo lasciato Giada dinanzi ai tutorial per la chitarra ed essendomi chiusa nella mia camera, sentii il cellulare squillare. Con il cuore in gola, mi avvicinai per afferrarlo, ma il numero che comparve sul display non era il numero di Federico. Esitai per qualche momento, poi pensai che probabilmente Federico mi stava chiamando da un altro numero.

Risposi allegra:

-          Pronto?-

-          Clarice –

Sbiancai.

La voce che mi aveva avvolto le orecchie non era quella di Federico.

Il cuore mi si gelò, sentii l’interno del mio corpo raffreddarsi, un dolore lancinante invadere il mio cervello.

-          Chi parla?- domandai, come se non avessi capito o come, semplicemente, se non volessi riconoscere la realtà.

Avrei riconosciuto la sua voce tra mille.

-          Sono io. Lorenzo –

Ingoiai saliva a vuoto, mi sedetti senza forze sul letto.

-          Ciao-

La mia voce era spezzata. Non credevo alle mie orecchie.

Non credevo al mio cuore, che inaspettatamente, parlava alle mie resuscitate emozioni.

-          Ciao. So che non ti aspettavi di sentirmi…-

-          No, non me l’aspettavo-

-          Posso capirti-

Non era vero, lui non capiva. Sprofondai nel passato, come se mi stessi lasciando cadere tra le sue braccia. Lorenzo era un maestro nel capire, io stessa mi sentivo incredibilmente capita da lui. Ma in quel momento non mi capiva. No, non mi capiva.

Ebbi paura che avesse potuto parlare con Federico, il solo formulare quel pensiero mi fece sobbalzare.

-          Cosa vuoi?- domandai, fredda e distante.

Lo sentii sospirare, come se stesse prendendo coraggio.

-          Io… ho bisogno di vederti-

Le sue parole mi penetrarono dentro, affondarono nella miseria delle mie sensazioni.

-          Come sarebbe a dire?-

-          Ti spiegherò tutto appena ci vedremo-

-          Perché vuoi vedermi?-

-          Non posso spiegartelo per telefono-

-          Credevo non volessi vedermi mai più-

-          Ti prego, Clarice. Non dirmi di no-

Mi stava pregando. Lui mi stava pregando. La meraviglia mista alla confusione mi attanagliavano.

-          Dimmi di cosa si tratta-

-          Io voglio soltanto… parlarti-

-          Di cosa?-

Sospirava, era afflitto.

-          Di noi-

Mi lasciai cadere sul cuscino, chiusi gli occhi.

-          Non abbiamo più niente da dirci-

-          Non è vero. Io ho qualcosa di cui parlarti-

-          È passato del tempo, Lorenzo, e…-

-          Ti prego-

-          Devo pensarci-

-          Richiamami, per favore-

-          Devo riflettere-

-          Ti prego-

-          Ciao, Lorenzo -

-          Clarice…-

-          Si?-

-          Buonanotte-

-          Buonanotte, Lorenzo –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Passarono i giorni e Federico non mi richiamò. Provai a rintracciarlo in tutti i modi, ma capii che aveva deciso di farsi da parte. Lorenzo era tornato in città e lo immaginavo bussare alla porta di Federico e confessargli che aveva intenzione di chiamarmi. Federico, allora, non m’aveva più richiamato. Gli mandai molti messaggi pregandolo di richiamarmi, di rispondermi, di farmi sapere che ormai non voleva più saperne di me. Federico era scomparso.

Non credevo possibile una cosa del genere, ma stavo perdendo la testa e stavolta per davvero. Non si trattava di perdita della ragione, del senno o di qualsiasi altra cosa, era la perdita della facoltà di concepire pensieri sensati. Camminavo irrequieta per la casa, mi chiedevo perché d’un tratto il mondo mi fosse crollato sulle spalle. Lorenzo  mi mandava un messaggio ogni giorno, pregandomi di chiamarlo. Io non rispondevo né mi facevo sentire. Ogni volta che leggevo le sue parole immaginavo che potessero essere di Federico, mi chiudevo in una bolla di sofferenza e combattevo tra il passato ed il presente.

Dire che risentire Lorenzo non m’aveva fatto nessun effetto era una bugia. Una enorme bugia. Eppure, il sentimento di emozionante coinvolgimento che avevo provato con Federico, apparteneva solamente a lui. Per la prima volta compresi che cosa significava essere contesi tra chi siamo e chi il mondo vuole farci essere.

Se avessi deciso di vedere Lorenzo e di ascoltare ciò che aveva da dirmi, il mondo mi sarebbe stato testimone. Sarei uscita dal lutto, la mia vita avrebbe ricominciato ad avere colore, i pezzi del puzzle sarebbero tornati al loro posto, io sarei tornata quella di sempre. Se avessi deciso di non farlo, avrei deciso di dare per la prima volta importanza ai miei sentimenti e abbandonare ciò che sapevo m’avrebbe condotto ad una inguaribile apatia. Ma come negare a me stessa la tentazione di riappropriarmi di una vita che m’aveva dato l’apparenza della felicità? Era proprio questo il problema, l’apparenza. Ero disposta ad abbandonare me stessa per la mia felicità?

 

 

 

 

Era il giorno del compleanno di Giada e io non le avevo comprato nessun regalo. La mattinata passò in allegria, Giada avrebbe aspettato quel pomeriggio per aprire tutti i suoi regali e in teoria avrei avuto il tempo di uscire in tutta velocità e comprarle la prima cosa che trovavo, ma non ne ebbi il coraggio. Mi sentivo uno straccio nei confronti di me stessa e di mia sorella, ma decisi che quando sarebbe giunto quel pomeriggio le avrei confessato schiettamente che non avevo avuto abbastanza fantasia per comprarle qualcosa e che saremmo uscite insieme al più presto e le avrei dato la possibilità di scegliere qualsiasi cosa avesse voluto. Se lo meritava.

Avevo raccontato a Giada della telefonata di Lorenzo e lei insisteva perché lo richiamassi e lo incontrassi, almeno per dirgli che non aveva più nessuna possibilità. Lei aveva ragione, ma io non ne avevo ugualmente il coraggio.

Era quasi ora di pranzo quando bussò il postino dicendo di avere una consegna da fare. Io e Giada ci guardammo confuse e scendemmo velocemente le scale. Il postino aveva tra le braccia un enorme pacco e un mazzo di fiori.

-          Sono per una certa Giada- disse, guardando me.

-          Giada è lei- dissi, indicandola. Il postino spostò lo sguardo su mia sorella, poi sorrise, porgendole l’enorme pacco.

Giada era emozionata e tutta contenta risalì le scale mentre io prendevo i fiori.

Salutai e ringraziai il postino, chiedendomi chi mai avesse potuto mandare un così grande regalo a mia sorella.

Salii le scale in fretta e non feci neanche in tempo a chiudermi la porta alle spalle che mia sorella, rossa in viso e con gli occhi lucidi, mi corse incontro e mi abbracciò.

-          Grazie, sorellina, grazie! È il più bel regalo che io abbia mai ricevuto ed è stata un’enorme sorpresa farmelo spedire per posta! Sei la migliore di tutto il mondo!-

Restai esterrefatta. Giada mi ringraziava? Ma io non le avevo fatto nessun regalo! Nonostante questo, prima di dire qualsiasi cosa corsi confusa nel salotto, dove sul tavolo era poggiata una chitarra, mentre sul divano c’era il pacco, che Giada aveva avidamente scartato. Giada prese i fiori dalle mie mani e corse dalla mamma per mostrarglieli, io mi avvicinai titubante alla chitarra.

Mi bastò un’occhiata per capire.

Quella era la chitarra di Federico.

La afferrai, sfiorai l’adesivo rosa su di essa.

Non riuscivo a crederci.

Federico aveva regalato la sua chitarra a Giada facendole credere che fossi stata io. Notai un bigliettino tra le carte sul divano, posai delicatamente la chitarra sul tavolo e lo presi.

“ Per te. Che da oggi in poi la musica ti sia compagna. Con affetto, Clarice”

Sentii le lacrime calde scorrermi sulle guance, feci per posare un il biglietto e notai un’altra cosa che emergeva da quel disordine.

Mi asciugai gli occhi e la afferrai. Era una chiave. La osservai perplessa, non riuscendo a capire che cosa c’entrasse la chiave con la chitarra, ma non mi venne in mente niente. Perché mai Federico avrebbe dovuto spedire a Giada una chiave?

D’improvviso capii.

La chiave non era per Giada, era per me. Era la sua chiave di casa.

Mi alzai con la chiave tra le mani, corsi nella mia stanza e la conservai nel secondo cassetto del comodino, poi afferrai il telefonino, componendo velocemente un numero.

Una voce calda mi rispose dall’altro lato.

-          Pronto?-

-          Lorenzo, sono io-

-          Clarice! Non ci speravo più-

-          Va bene se c’incontriamo oggi? Per le otto-

-          Va benissimo. Ti aspetto al parco-

-          A stasera-

-          Ciao, Clarice –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


inverno9

Lorenzo mi aspettava, seduto sulla panchina dove di solito ci incontravamo. Non c’era stato bisogno di dire niente, io sapevo che si sarebbe trovato lì, lui sapeva di doversi fermare proprio a quella panchina. I suoi occhi erano pieni di gioia quando mi vide arrivare. Si alzò, mi venne incontro.

-         Ciao, Clarice – mi salutò.

Non gli permisi di avvicinarsi, il mio sguardo era freddo e pungente.

-         Ciao, Lorenzo -

Era più o meno lo stesso, come lo ricordavo. Aveva gli occhi meravigliosi, lo sguardo dolce, penetrante, non invadente. I capelli erano mossi dal leggero vento.

-         Come stai?-

-         Benone- mentii.

-         Credevo non saresti più venuta. O più che altro, ne avevo paura-

La mia freddezza scemava.

-         Non capisco, Lorenzo. Non capisco-

-         Lo so. Ma è tutto diverso adesso, Clarice –

-         Cosa significa?-

-         Io sono diverso. E non ho più voglia di mentire-

-         Cosa stai cercando di dirmi?-

Mi fissò, sentii il cuore cascarmi dal petto, mi lacerava i tessuti.

-         Quello che sto cercando di dirti è che io ti amo ancora-

Il cuore iniziò a battere; non riuscivo a guardarlo negli occhi.

Lorenzo mi sfiorò la guancia con le dita, fece scivolare la sua pelle sulla mia, il suo profumo mi inebriò tutta.

-         Ti amo ancora, ti amo da sempre e ti amerò per sempre-

Le sue parole sussurrate a così poca distanza da me mi facevano ribollire il sangue nelle vene, avevo un’incredibile voglia di muovermi, di alzare le braccia, urlare, fare qualsiasi cosa che rompesse quella stasi, ma non riuscivo neanche a respirare. La voce aveva bloccato tutti i muscoli, la sua mano calda sulla mia guancia mi aveva immobilizzata.

Lo sentii sospirare, adesso stava aspettando che io dicessi qualcosa, o comunque che alzassi lo sguardo verso di lui.

Ma sapevo di essere impotente davanti ai suoi occhi. Sapevo di non avere nessuna speranza.

 

 

 

 

Non aspettai un solo istante. Mentre ancora tutto nella mia testa si muoveva corsi a più non posso e arrivata davanti a casa sua, con le chiavi aprii il portone. La vecchietta mi guardò di sbieco, io le lanciai uno sguardo inespressivo e mi lanciai verso le scale. Salivo velocemente, ad ogni passo il mondo pareva tirarmi indietro. Con un gesto deciso infilai le chiavi nella toppa, non sentivo nessun rumore. Nessuno mi venne incontro alla porta, nessuno parlò, eppure sapevo che era lì. Richiusi la porta alle mia spalle con un tonfo, poi mi diressi verso la sua camera.

Spalancai la porta con un gesto deciso, stringevo ancora nella mano destra le chiavi del suo appartamento.

Federico mi fissò inespressivo.

Sedeva sul letto con le braccia sul grembo, ciondolanti, e gli occhi spenti. La fioca luce del tramonto che entrava dalla finestra alla mia sinistra illuminava i tratti del suo volto, la sua bellezza. Faceva risplendere d’oro i suoi capelli.

Appena i suoi occhi realizzarono la mia figura ferma lì sulla porta, si alzò. Il sole giocava con la seta della sua camicia, con le cuciture dei suoi jeans. Giocava persino con i suoi occhi, facendoli sembrare lucidi.

Ci separavano alcuni metri, ma nel momento stesso in cui feci per avanzare verso di lui, sembrò che non ci fosse neanche un millimetro tra di noi.

Sprofondai tra le sue braccia.

 

 

 

 

Alzai lo sguardo lentamente, sentii le sue dita scivolare sulla mia guancia fino a sfiorare la mia tempia, per poi passare ad accarezzare i capelli, a disporre le ciocche dietro l’orecchio. Deglutii a vuoto mentre sentivo il cuore battere talmente tanto da uscire dal petto, Lorenzo poggiò l’altra mano sulla mia spalla delicatamente.

I miei occhi incontrarono i suoi per un momento che parve astrarci fuori da qualsiasi universo immaginabile. Per un istante fu come se il tempo non fosse mai passato. I suoi occhi erano esattamente come li ricordavo, e sembravano essere stati fatti apposta per incontrare i miei. La perfezione che il nostro sguardo era capace di trasmettermi non fece altro che aumentare ancora i battiti del cuore.

I suoi occhi erano stati creati per i miei, le sue mani erano state create per accarezzarmi, le sue labbra per baciarmi, il suo corpo per avvolgermi. I nostri corpi erano ad incastro, le nostre menti una fusione continua, le nostre anime sovrapponibili.

Lorenzo mi sorrise, io continuavo a fissarlo stranita.

-         Perché non dici niente?- mi chiese, mormorando le parole ad una ad una avvicinandosi sempre di più, - ti prego, di’ qualcosa. Non restare in silenzio-

Avrei voluto esaudire il suo desiderio e parlare. Nella mia mente pensavo alle parole da dire, ma in quel silenzio, in quello sguardo, in quella voce, era tutto talmente perfetto che non necessitava di parole.

-         Di’ che mi ami ancora-

 

 

 

Lo baciai con foga stringendomi a lui ossessivamente, avevo le mani attaccate al suo collo, alle sue spalle, ai suoi capelli; gli baciavo le labbra, gli occhi, le guance e il viso tutto. Il suo respiro era affannoso, le sue mani accarezzavano i miei fianchi, la mia schiena, i miei capelli. Non c’era giustizia in quei gesti, non c’era perfezione, non c’era nulla di armonioso e sincronizzato. Le sue mani strusciavano violente contro la mia pelle, le sue labbra baciavano le mie con fretta.

Sentivo miliardi di emozioni sovrastarmi, le sentivo scorrere nel sangue, nel cervello, nelle ossa. Sentivo il mio corpo desiderare il suo, sentivo la completezza del nostro gesto.

Federico mi scostò i capelli dal volto e mi guardò negli occhi quando mi chinai su di lui.

-         Ti amo – mormorò guardandomi  negli occhi.

Poggiai le mie labbra sulle sue con dolcezza, come se potessi mangiare quelle parole.

Sentivo gli occhi pesanti, le mani tremanti e la voglia di annullare il mondo.

-         Ti amo, ti amo-

Non smetteva di dirlo, non smetteva di stringermi per i capelli, io non la smettevo di baciarlo.

Sentii un fremito di gioia attraversarmi il corpo, posai le mani sulla sua camicia mentre iniziavo a sbottonargliela.

-         Ti amo- dissi a mia volta.

La gioia era morbosa, iniziai a ridere e lui rise con me.

 

 

 

 

Adesso sentivo il mio corpo venire meno, come se fossi stato drogato, morente dopo un’overdose di sonnifero. I sensi mi abbandonava e l’aria si appesantiva; si creava l’atmosfera dei sogni più distanti, si spalancavano nella mia mente desideri di tranquillità che non avevo mai ammesso a me stessa di avere.

Lo guardavo negli occhi inespressiva mentre le sue dita premevano ancora sulla mia pelle, guardavo i suoi occhi imploranti ed emozionati, come se io e lui fossimo sempre stati lì. In quel momento tutto il passato sembrava essere stato soltanto un sogno.

-         Lorenzo, io…-

Non riuscivo a parlare, ma non riuscivo nemmeno a restare zitta mentre i suoi occhi premevano contro il mio viso con tanta insistenza.

-         Possiamo far finta che non sia mai accaduto niente. Possiamo ricominciare da dove abbiamo interrotto, la nostra vita può ricominciare ad essere fantastica... io sono stato un’idiota. Pensavo che la nostra storia potesse essere una parentesi, ma mi sbagliavo di grosso, è tutta la mia vita ad essere una parentesi nei confronti del nostro amore, della nostra vita, di te. Non so cosa mi sia successo, Clarice. Se puoi, ti scongiuro, perdonami. Perdonami per questo tempo che è passato, perdonami per le mie parole, perdonami per la sofferenza. Perdonami perché non ho capito, non ho ascoltato, non ci sono stato. Perdonami perché ho avuto paura dell’amore incondizionato che ho sempre provato verso di te, perdonami perché non gli ho mai reso giustizia. Perdonami per tutto, amore mio, ti prego. Ti prego-

Adesso le sue mani stringevano le mie, il suo viso sembrava aver cambiato colore ma i suoi occhi erano sempre gli stessi.

Lo guardavo cercando di trovare le parole che avrei voluto dire sin dall’inizio. Non ero indecisa, non ero confusa, e non ero tantomeno stranita da tutta quella situazione. Non avevo più sensazioni, sentimenti.

-         Tu non hai bisogno del mio perdono, Lorenzo -

Le mie parole erano soffuse e mormorate.

Lui mi strinse ancora di più le mani.

-         Si, invece si. È stata tutta colpa mia, e adesso non ho il diritto di venire qui da te e chiederti una cosa del genere, lo so, non dovrei. Ma lo faccio perché ti amo, e se esiste anche una remota possibilità che torni da me, devo giocarmela, Clarice, io devo provarci, dovevo parlarti. Ti amo. Devi credere in me, devi credere alle mie parole, devi farlo, ti prego. Non sarei davvero qui se non ti amassi davvero. È passato molto tempo, avrei potuto essere ovunque, con chiunque altro, e invece sono qui, siamo qui, questo non è forse un segno? Non significa niente?-

Sorrisi quasi dolcemente.

Io avevo preso la mia decisione, e le parole di Lorenzo rendevano tutto semplicemente più doloroso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


inverno epilogo

Giada imbracciò la chitarra e suonò qualche accordo, uno dopo l’altro, con leggerezza. La guardavo sorridente, ma stavolta il mio sorriso non era di convenienza. Non erano semplici muscoli che si muovevano, non era un freddo impulso del cervello. Era la mia anima.

Guardavo attenta le mani di Giada sulle corde, i suoi occhi vivaci, la sua gioia. Rividi un pizzico di quella follia che avevo visto in Federico quando, molto tempo prima, aveva imbracciato quella chitarra davanti ai miei occhi. Rividi tutti quei momenti nella mia mente, ricordandoli come un passato lontano, un periodo di transizione, la fine di un’era.

Applaudii contenta, mia sorella con un movimento della testa mi ringraziò.

-         Stai decisamente migliorando- commentai.

Giada si alzò e dopo aver lasciato la chitarra sul divano dove prima era seduta, corse ad abbracciarmi.

In quel momento sentii il campanello suonare, lasciai mia sorella e risposi. Una voce familiare mi inebriò le orecchie, lanciai un’occhiata malinconica a Giada e mi precipitai giù per le scale.

Appena fuori dal portone di casa, Federico mi fissava con uno zaino in spalla.

Sorrisi.

-         Ciao Federico -

-         Ciao Ris –

La sua voce calda mi avvolse, rimasi impalata davanti al portone con la mano ancora attaccata al pomello senza avere il coraggio di correre ad abbracciarlo. Federico mi guardava con tranquillità, pace, una punta di tristezza.

-         T’avevo detto che sarei venuto a salutarti- iniziò, non osando avanzare verso di me.

Lo guardai ammirata, poi abbassai gli occhi con imbarazzo.

-         Non avevo dubbi che l’avresti fatto-

-         Ti fa piacere?-

-         Si, molto-

Federico sorrise, mi guardò come chi sa di star perdendo un mucchio di tempo.

-         Ascolta, Ris…-

-         No, non devi…-

-         Si, devo. Devo chiedertelo per l’ultima volta-

Deglutii a vuoto, lo vidi avvicinarci a me.

-         Vuoi partire con me?-

Mi tese la mano, la guardai esitante. Avrei tanto voluto prenderla e scappare con lui in capo al mondo, lasciarmi alle spalle un’estate ormai all’epilogo e iniziare una nuova vita. I miei sentimenti erano dipinti sul mio volto spento ed attonito, aleggiavano nei miei sospiri, nei miei occhi che passavano da quella mano ai suoi occhi.

-         Lo sai che non posso-

-         Starò via per qualche mese, sai che abbiamo degli impegni con la band. Questa potrebbe essere la nostra occasione… come vorrei che tu ci fossi, Ris…-

-         Hai detto la parola giusta, Federico. Occasione. Non puoi lasciartela sfuggire-

-         Non so quando tornerò-

-         Non importa. Aspetterò. Tra poco arriverà un nuovo inverno, succederanno sempre le solite cose, ma io… io ti aspetterò-

-         Nessun inverno è uguale, Ris -

Silenzio.

Federico afferrò la mia mano, se la portò sul viso e la baciò. Sentii un fremito lungo la schiena, gli occhi che si riempivano di lacrime.

-         Non credere di liberarti di me, Ris-

La sua voce era spezzata, io sorrisi amaramente.

-         Non ci penso neanche-

Federico si chinò verso di me, restò sospeso con le labbra vicine alle mie.

-         Ti aspetterò- sibilai, prima di baciarlo con tenerezza.

Federico mi accarezzò i capelli.

-         Ciao, Ris -

-         Ciao, Federico -

 

 

 

 

 

Spazio autore:

Giunta all'epilogo di questo racconto, colgo l'occasione per rigraziare chi ha recensito, apprezzato, letto questa storia. Ringrazio chi l'ha inserita nelle seguite e nelle preferite, sono onorate della vostra attenzione, e spero di non avervi deluso.

Se vi va, vi invito a seguire i racconti in corso, "Calibri" e "Bosikom Lyubov- Il beneficio del buio"

Grazie ancora e a spero a presto,

 

Lara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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