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Autore: lar185    20/07/2011    4 recensioni
L’assurdità dei nostri incontri e la sua enigmaticità mi mettevano tremendamente a disagio, considerando anche il fatto che io non sapevo nulla di Federico. Già, non sapevo nulla di lui. Che tipo di vita conduceva, che persone frequentava. E soprattutto, che cosa stesse cercando in me, dai nostri discorsi, dai nostri sguardi. Era solo un semplice passatempo? Non mi pareva vero che mi stessi chiedendo una cosa del genere. Cosa m’importava di Federico? Cos’era lui per me, se non un inutile aggancio al mio passato? Avevo paura di quello che era successo, di quello che sarebbe successo. Mi chiedevo perché si ostinava a volermi vedere, già, perché voleva vedermi? E soprattutto, perché non aveva mai fatto riferimento a lui? Questa era una domanda che fino a quel momento non m’era mai venuto in mente di farmi. In definitiva, io e Federico eravamo stati legati soltanto da lui. Ma adesso lui non c’era, e tutto si ribaltava. Tutto era cambiato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessun inverno è uguale

 
Lui mi ha detto che aveva bisogno della sua vita. Poi se n’è andato via. Si è girato ed è andato via, con le lacrime agli occhi e i capelli al vento, se n’è andato forse aspettandosi che io lo seguissi. Ma io non l’ho fatto. Lui andava via e piangeva, io restavo ferma e lo guardavo allontanarsi. Passo dopo passo lo vedevo sempre più distante, passo dopo passo perdevo la certezza che ci fossimo mai avvicinati e acquistavo un passato che non mi apparteneva più. Non piangevo, né dicevo niente: lo sentivo singhiozzare, ma quando fu abbastanza lontano smisi di sentire anche quello. Se n’era andato.
Mi voltai come se la cosa non mi riguardasse e iniziai a percorrere la strada opposta alla sua. Il passato si stava impossessando di me, un passato remoto che mi rendeva sempre più convinta del fatto che nell’atrocità di quel dolore, diventavo libera.
Abbassai lo sguardo e osservai il braccialetto che portavo al braccio destro, un regalo di lui. Lo tolsi senza esitare un attimo e lo gettai nel primo cassonetto, così accadde anche alle altre cose che mi portavo addosso e che appartenevano a lui. Alla fine della strada mi sentivo più leggera e più vuota. Senza alcun dubbio stavo buttando al vento senza speranza di ritorno undici mesi della mia vita, ma contemporaneamente sentivo la mia anima tornare indietro, come se per quei lunghi undici mesi fosse stata lontana. Più si avvicinava, più mi rendevo conto di non riconoscerla. Era come se fosse passato semplicemente troppo tempo dall’ultima volta che ero stata così leggera.
La parte razionale di me si chiedeva perché non fossi scoppiata in lacrime, perché non l’avessi supplicato di restare, perché non avessi reso le cose più difficili, - come accade nei film. Lui se n’era andato per sempre, e, cosa alquanto strana, l’avevo già elaborato. Non ero nel classico stato di stasi che precede la disperazione, io semplicemente non avevo di che disperarmi. Non riuscivo a trovare motivi per piangere, nonostante dicevo a me stessa di amarlo tantissimo. Perché non piangevo? Perché non la smettevo di fare l’indifferente? Forse il cuore era andato in sciopero dei sentimenti. Forse credevo di aver superato tutto in cinque minuti, ma in realtà non mi ero ancora resa conto di niente.
Tornai nella mia vuota casa e raccolsi dal cassetto del comodino tutte le sue lettere e nella completa apatia le stracciai. Ad una ad una assaporavo sadicamente il suono della carta che si stracciava, amavo il solletico che provocavano al mio orecchio quelle parole che andavano in pezzi per sempre. Senza esitare un attimo, raccattai i residui di carta e li gettai via.
Poi passai alle fotografie.
In un batter d’occhio la mia camera era come spoglia.
Quando mia sorella tornò ed entrò nella nostra camera, per poco non svenne, e alla sua domanda:

  • Cosa è successo?-
Io risposi semplicemente:
  • Ci siamo lasciati-
 
  
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