Spremuta d'arancia di Lexi Niger (/viewuser.php?uid=56058)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
A Francesca
che condivide
il
mio debole per i professori affascinanti.
A tutte le
ragazze che non ne sono immuni.
Ringrazio infinitamente ThePoisonPrimula e Drama_Queen per il banner che hanno realizzato per la storia.
Capitolo 1 Era
ancora profondamente addormentata quando il cellulare aveva iniziato a
squillare, provocandole un mezzo infarto per lo spavento.
Stropicciandosi gli
occhi con le mani, si prese qualche secondo per riaversi dallo sgradito
risveglio prima di prestare attenzione al suo telefono che continuava
imperterrito
a proporle quell’orribile suoneria che lei non si era mai
decisa a modificare.
«Pronto?»
esordì poco convinta, soffocando a fatica uno sbadiglio.
«Tesoro?»
indagò
sua madre, preoccupata. «Stai bene?».
«Certo».
«Immagino
tu stia per uscire» continuò, «quindi
ti auguro buona fortuna per il tuo esame».
Quante volte
avrebbe dovuto
ripeterle che non si augura buona fortuna?
In più di dieci
anni sembrava non aver afferrato il concetto, eppure lei si era
sforzata di
trasmetterglielo..
Un
momento, aveva davvero detto “immagino tu stia per
uscire”?
Clara
si voltò di scatto verso la radiosveglia sul comodino,
pregando silenziosamente
che il suo presentimento fosse sbagliato.
7.55.
L’orologio
digitale aggiornò proprio in quell’istante
l’ora, mentre la ragazza districava
ansiosamente le gambe dal lenzuolo che, dispettoso, sembrava voler
peggiorare
la situazione.
«Mamma
devo scappare».
Chiuse
la conversazione senza aggiungere altro, consapevole che ogni minuto
trascorso
a spiegare cosa stava succedendo era estremamente prezioso per potersi
vestire
e sistemare prima di uscire.
Era
in ritardo. No, era in uno spaventoso ritardo.
Marta
le aveva dato appuntamento alle 8.20 per una colazione veloce prima
dell’esame,
come loro abitudine da ormai tre anni. Clara sapeva, anzi ne era certa,
che
violare quel rito avrebbe provocato conseguenze inimmaginabili. Non era
superstiziosa, quello no, però perché cambiare le
tradizioni quando queste sembravano
produrre effetti positivi?
Si
avviò a passo di marcia verso il bagno, sciacquandosi il
viso che portava
ancora i segni del cuscino, mentre le occhiaie della sera prima erano,
se
possibile, più evidenti.
Con
qualche imprecazione poco fine mandò al diavolo la mancata
sveglia e si fece
una coda alta, raccogliendo i capelli che quella mattina sembravano
proprio
incapaci di assumere una forma accettabile.
Tornò
in camera sbuffando, le premesse per una giornata disastrosa sembravano
esserci
tutte.
Ringraziò
la sua diligenza che l’aveva spinta a preparare la borsa la
sera prima, così da
evitare di dimenticare a casa qualcosa di fondamentale. Aprì
l’armadio,
rapidamente estrasse un abito fiorato e un cardigan da abbinarci e se
li
infilò: non aveva il tempo di meditare sulla mise
più adatta per l’occasione. Avvicinandosi
al comodino recuperò la sua tracolla e, per vendetta,
lanciò il cuscino contro
l’orologio prima di uscire velocemente dalla stanza.
Sciocca, si
rimproverò da sola, ma scoppiò a ridere rovinando
la sua ramanzina.
Si
precipitò letteralmente giù dalle scale, sperando
di non incrociare nessun
condomino che le rallentasse il passo. Arrivò in strada e si
mise a correre
verso la fermata del tram distante un centinaio di metri, mentre lo
sferragliare del mezzo iniziava a essere udibile alle sue spalle.
Non posso
perderlo.
Se
lo ripeté come un mantra una dozzina di volte, mentre
aumentava il ritmo delle
falcate.
Si
fermò solo davanti alle porte aperte, piegandosi in due
sulle ginocchia con il
fiato corto e i polmoni in fiamme.
«Serve
aiuto?»
le chiese cortesemente un signore anziano lì accanto.
Gli
fece cenno di no con la testa, troppo in debito di ossigeno per
articolare una
frase intera di senso compiuto. Dopo
un’ultima occhiata scettica l’altro si
allontanò, occupando l’unico posto a
sedere rimasto libero.
Era
una giornata no, avrebbe dovuto prenderne atto, scendere da quel
dannato tram e
tornare sotto le coperte dove nulla di spiacevole sarebbe potuto
accadere.
Il
cellulare prese a squillare di nuovo, richiamando
l’attenzione di un paio di ragazzini
di fronte a lei che ridacchiarono. Era così oscena la sua
suoneria?
Per
un lunghissimo istante pensò di ignorarlo, convinta che
fosse sua madre.
«Marta?»
domandò incerta, dopo essersi decisa a rispondere.
«Dove
sei finita?».
«Sto
arrivando»
tagliò corto.
Non
era il caso di spiattellare il suo devastante inizio di giornata a
tutti i
presenti che sapientemente fingevano di interessarsi al panorama quando
invece
ascoltavano attentamente ogni sua parola.
«Sei
già al bar?».
«Affermativo».
Affermativo? Sul
serio? La
sua amica guardava troppe serie tv poliziesche, era un dato di fatto.
«Prendimi
una brioche alla marmellata e una spremuta di arancia, per favore».
Odiava
sfruttare le altre persone ma, in quella situazione, o Marta le
ordinava la
colazione o l’avrebbe sicuramente saltata, conoscendo i tempi
medi con cui i
tavoli venivano serviti.
«Già
fatto».
Ecco
perché adorava Marta: sapeva raddrizzare il suo umore con un
gesto gentile e
completamente inatteso.
«Grazie.
Sarò lì a minuti».
Quando
finalmente scese dal tram ebbe l’istinto di mettersi a
saltare per la gioia e
la soddisfazione di essere arrivata in tempo per trangugiare il
cornetto e non
presentarsi all’esame a digiuno, rischiando di collassare sul
foglio delle
domande.
«Eccomi,
eccomi, eccomi»
cantilenò sbracciandosi mentre raggiungeva Marta al tavolo.
Un
paio di uomini si voltarono nella sua direzione, probabilmente
perplessi da
quella manifestazione di gioia, ma Clara li ignorò
lasciandosi cadere sulla
sedia.
«Hai
una faccia»
commentò la sua amica, osservandola attenta.
«Non
c’è bisogno che tu me lo dica, lo so benissimo»
ammise
sconsolata, addentando la brioche.
Era
deliziosa, tiepida, come piaceva a lei.
«Cos’è
successo?»
indagò Marta, la cui curiosità era proverbiale.
«Non
mi è suonata la sveglia».
«E’
un miracolo che tu ce l’abbia fatta allora» si
complimentò l’altra.
«Davvero»
ammise Clara. «Sarebbe
stata una tragedia saltare questo esame».
Spazzolandosi
le briciole dalle gambe recuperò la sua spremuta,
portandosela velocemente alle
labbra per dissetarsi dopo la colazione e la corsa di poco prima.
«Che
schifo».
Per
fortuna riuscì a trattenersi dallo sputare il sorso che
aveva appena bevuto, altrimenti
il vestito di Marta sarebbe stato irrimediabilmente rovinato.
«Che
succede?»
domandò l’amica, vedendo la sua faccia disgustata.
«E’
dolcissima. Imbevibile».
«Chiedi
di portartene un’altra» le propose, cercando di
calmarla.
Clara
lanciò un’occhiata veloce all’orologio
accorgendosi che erano già in ritardo,
figurarsi se poteva concedersi il lusso di attendere un’altra
spremuta, una
decente.
«Lascia
perdere»
la rassicurò. «Porto
il bicchiere al bancone e andiamo, ok?» propose, recuperando
la sua borsa. E magari faccio il culo al
barista tanto che ci sono.
Mentre
passava cautamente tra due tavoli un ragazzo si alzò e le
diede una spallata,
involontariamente. La ragazza recuperò fortunatamente
l’equilibrio, ma non
riuscì ad evitare che la spremuta si rovesciasse al suo
fianco, per terra.
«Scusami»
si affrettò a dire l’altro. «Non mi ero
accorto che ci fosse qualcuno».
Era
carino, ancora di più per l’espressione
supplichevole che gli si leggeva in
viso.
«Sono
Claudio»
aggiunse spudoratamente, tendendole la mano e approfittando del momento.
Clara
non fece in tempo a replicare perché fu interrotta da una
voce proveniente da
dietro le sue spalle.
«E
io sono quello che gradirebbe la sua attenzione, se non è
chiedere troppo».
Ma senti questo!
Come si permette?
Si voltò infuriata, trovandosi di fronte gli occhi più azzurri
che avesse mai
visto.
Dopotutto
le cameriere non avrebbero dovuto pulire
il pavimento, dato che la spremuta si era versata copiosamente
sulla camicia e i pantaloni dello
sconosciuto.
Considerazioni
Spero
che abbiate gradito questo primo capitolo. Non è nulla di
trascendentale, solo
una storia che vuole lasciarsi leggere, senza troppe cerimonie. Si
svilupperà
in cinque capitoli, almeno se non cambio i miei progetti. Fatemi sapere
se ne
vale la pena.
A
presto!
Lexi
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Si
prese qualche istante per valutare la situazione, lasciando che il suo
sguardo
si muovesse lentamente dalla camicia azzurra incollata a un ventre
piatto per
poi scendere verso un paio di pantaloni beige dal taglio classico,
irrimediabilmente rovinati da due macchie informi che si estendevano
sulle
cosce. Le scarpe erano immacolate, per fortuna. Clara si concesse un
mezzo
sospiro di sollievo.
«Si
rende conto del disastro che ha combinato?» le chiese lo
sconosciuto bruscamente.La
ragazza indietreggio impercettibilmente, a disagio, e lui
sembrò notarlo perché
sul suo viso si dipinse un ghigno soddisfatto.
«Sì,
ma è.. »
iniziò, insicura su come impostare la propria difesa, ma fu
di nuovo
interrotta.
Perché nessuno la lasciava parlare?
«Colpa
mia»
terminò al suo posto Claudio.
Due
paia di occhi si fissarono su di lui, sebbene animati da sentimenti
contrastanti.
«Non
si immischi»
suggerì lo sconosciuto. «Questa discussione non la
riguarda».
Usò
un tono duro, definitivo. Ma l’altro non sembrò
accorgersene, rimanendo
immobile accanto a Clara che non sapeva se intervenire o approfittare
dell’aiuto fornitole.
«Le
ripeto che è colpa mia, la ragazza non c’entra
nulla».
«Si
risparmi l’interpretazione del cavalier servente per una
diversa occasione»
ribadì l’altro, con una forte dose di sarcasmo.
«Sono certo che
avrà altri impegni, quindi se ci vuole scusare.. ».
Claudio
cedette, arretrando di qualche passo, ma si voltò di nuovo
prima di imboccare
definitivamente l’uscita.
«Vada,
vada!»
lo incitò lo sconosciuto, ormai esasperato. «Non
vale la pena
dannarsi per questa ragazzina, ne può trovare di meglio».
Clara
gli lanciò un’occhiata di fuoco e il suo
avversario rispose con un sorriso
compiaciuto.
Ma chi si crede di essere?
«Allora,
ragazzina, come.. ».
Non
riuscì a proseguire perché fu distratto da
un’altra persona che entrò nel
locale, facendosi largo tra i tavoli con foga. Era Marta.
«Si
può sapere che fine hai fatto?» esordì
frustrata quando giunse a
portata di orecchio. «Dobbiamo muoverci, altrimenti non ci
lasceranno più sostenere quello schifoso esame».
Dannazione, l’esame!
Nella
confusione di quegli ultimi minuti Clara si era persino scordata del
ritardo
stratosferico in cui si trovava, decisamente aumentato dopo aver perso
tempo
con l’imbecille che aveva di fronte.
«Devo
andare»
chiarì, recuperando la sua abituale fermezza di spirito.
«Non
ci pensi nemmeno, non abbiamo finito».
Le
agguantò un braccio mentre già si allontanava e
la ragazza faticò non poco per
scrollarsi di dosso quella presa salda.
«Ho
un esame»
ripeté scocciata.
«La
scusa più vecchia del mondo» la canzonò
lo sconosciuto, per nulla
convinto e disposto a crederle.
«Vada
a quel paese»
concluse Clara, prima di scattare verso l’esterno, cogliendo
sia Marta che il
suo tormentatore di sorpresa. La sua amica la seguì subito,
consapevole che
avrebbero dovuto correre per arrivare puntuali all’appello.
«Non
finisce qui».
Sentì
la sua minaccia quando ormai era in strada e la ignorò
totalmente, concentrata
sul percorso più breve da seguire per arrivare davanti
all’aula Bonanni.
«Giriamo
di qui»
suggerì l’amica alle sue spalle. «Dovremo
salire meno
rampe di scale».
Clara
accettò volentieri il consiglio, dato che le forze potevano
venirle meno da un
momento all’altro. Giunsero a destinazione con il fiatone,
trovando una folla corposa
davanti alle porte d’ingresso.
«Non
hanno ancora chiamato?» chiese Marta ad una ragazza al suo
fianco, non appena
si fu ripresa da quella maratona imprevista.
Non
ci fu bisogno di risposta, poiché il vociare fastidioso
degli altri studenti si
spense improvvisamente, chiaro segnale che un professore fosse uscito
dall’aula
con la lista degli iscritti.
«Abate»
chiamò una voce roca pochi secondi dopo, confermando la
supposizione di Clara.
«Antonelli».
Un
ragazzo dietro di lei la spintonò per passare, facendola
finire addosso a
Marta.
Allora era un’abitudine!
«Astori».
«Cos’è
successo al bar?» le chiese sottovoce l’amica,
distraendola.
«Ho
rovesciato la spremuta sull’idiota che hai visto»
le spiegò concisamente.
«Oggi
non te ne va bene una» commentò l’altra,
battendole una pacca sulla spalla in
un gesto solidale.
«Così
sembra».
Rimasero
in silenzio ancora qualche minuto, attendendo che fosse il proprio
turno.
«Montesi».
Clara
si riscosse dai suoi pensieri e, dopo aver salutato Marta con un in
bocca al
lupo di buon auspicio, si diresse verso la porta con il tesserino
identificativo in mano.
Il
professore controllò che nome e cognome fossero corretti,
lanciò un’occhiata
rapida al suo viso per accertarsi che non vi fosse nessuno scambio di
persona,
poi si scostò lasciandola entrare.
La
ragazza si lasciò cadere esausta in seconda fila, dal
momento che quelle più
lontane erano quasi totalmente occupate. Forse lì sarebbe
riuscita a conservare
un posto per l’amica, che avrebbe potuto rivelarsi molto
più preziosa di qualche
sconosciuto.
Purtroppo
il suo piano fu mandato a monte da un tipo piuttosto sfigato che si
diresse
convinto verso la panca al suo fianco. Non era giornata, ogni
più piccolo
dettaglio sembrava sbatterglielo in faccia a gran voce. Poteva ancora
alzarsi e
ritirarsi, ma decise che avrebbe sfidato la sorte, con la
caparbietà che era
solita mostrare nelle situazioni più complicate.
Finalmente
il professore rientrò alle spalle dell’ultimo
studente, chiudendo la porta e
invitandoli al silenzio. Facendosi aiutare da un paio di persone in
prima fila
distribuì il foglio con le domande, chiedendo di tenerlo
voltato fino a quando
non avesse dato inizio all’esame.
Erano
ormai le nove e mezza quando Clara iniziò a leggere i
quesiti, concentrandosi
sui tranelli sicuramente nascosti nella loro formulazione. Il primo le
sembrò
eccessivamente semplice e tracciò un segno sulla risposta
corretta con un po’
di diffidenza. Stava per passare al secondo quando un rumore la
distrasse,
calamitando la sua attenzione sulla porta aperta.
Non è possibile.
Lo
sconosciuto era appena entrato, respirando faticosamente come se avesse
fatto
una corsa. Clara notò subito che si era cambiato,
poiché ora indossava un paio
di normalissimi jeans e una polo blu, parzialmente nascosta sotto una
giacca di
pelle marrone scuro.
Sembrava
più giovane e, le costava ammetterlo, era dannatamente
affascinante mentre si
sistemava gli occhiali sul naso in imbarazzo.
«E’
in ritardo» lo rimproverò l’anziano
professore seduto alla cattedra, mentre
recuperava il foglio degli iscritti. «Lei
è?».
«Giulio
Visconti, professore di diritto costituzionale» si
presentò, attirando gli
sguardi sorpresi e adoranti di metà delle persone presenti,
ovviamente di sesso
femminile.
«Perdoni
il mio errore» si affrettò a scusarsi
l’altro.
Complimenti Clara, hai mandato a
quel paese un professore!
Si
batté una mano sulla fronte, dandosi della sciocca e
protestando contro il
destino che le riservava solo beffe, ma in questo modo
attirò l’attenzione di
Visconti che si era distratto ad osservare gli studenti.
La
riconobbe subito, il suo viso mostrò incredulità
per una frazione di secondo,
prima di ricomporsi in un’espressione di studiata
indifferenza.
«Questa
non è l’aula Ponzi?» chiese tranquillo,
mascherando perfettamente qualsiasi
emozione stesse provando
in quel
momento.
«No.
E’ quella di fronte» spiegò Clara, senza
riuscire a trattenersi.
Forse
le sarebbe stato riconoscente e avrebbe dimenticato
l’increscioso incidente del
bar.
«Grazie,
signorina» disse, rivolgendosi verso di lei solo per un
attimo. «Mi
scuso per l’interruzione, professore».
Si
avviò spedito verso le porte da cui era entrato un paio di
minuti prima e,
senza che altri se ne accorgessero, le lanciò una penetrante
occhiata.
Si
era sbagliata: la minaccia era ancora lì, limpida nella
furia che animava i
suoi occhi azzurri.
Considerazioni
Rieccomi
qui! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia divertite.
Finalmente
scopriamo chi è la vittima del disastro di Clara,
nonché il suo persecutore.
Che ne pensate di Giulio? E Clara?
Sono
davvero al settimo cielo per i commenti che mi avete lasciato sullo
scorso
capitolo, spero di avere delle recensioni anche su questo
perché mi aiutano
molto a capire cosa vedete nella storia.
Ho
aggiornato in fretta, non vi prometto che ci riuscirò
sempre. BTW, ci proverò!
A
presto!
Un
bacio, Lexi
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Le
occorsero svariati minuti per riprendersi e smettere di provare quella
fastidiosa sensazione che la sua occhiata gelida e astiosa le aveva
lasciato. A
fatica provò a concentrarsi sulle domande del compito
escludendo, per quanto le
era possibile, il flusso di pensieri e riflessioni indesiderate che gli
avvenimenti di quella mattina avevano provocato.
Maledetto
Visconti, proprio oggi
dovevo incontrarti!
Provò
a respirare profondamente, ripetendosi che inveire contro di lui non
avrebbe
risolto la situazione né le avrebbe fatto ottenere un buon
risultato all’esame.
Sforzati!
Sollevò
lo sguardo, disperata, incontrando per caso quello dell’amica
che le sorrise
solidale. Ovviamente non poteva prevedere il caos che regnava nella sua
mente,
ma il suo supporto rese Clara più decisa a dimenticarsi
delle sue disavventure
e tornare ad affrontare i quesiti.
Purtroppo
la commissione aveva previsto che gli studenti avessero solo
quarantacinque
minuti per rispondere a trenta domande, quindi si ritrovò a
dover liquidare in fretta
argomenti a cui normalmente avrebbe dedicato più attenzione.
Quando l’anziano
professore annunciò che il tempo era scaduto e li
invitò a posare le penne,
Clara sbuffò insoddisfatta, consapevole che il suo voto non
sarebbe stato
affatto soddisfacente. La confortò un poco il fatto che
quell’esame servisse
solo per fornire un’indicazione di massima per
l’orale invece che essere un
verdetto definitivo. Accontentandosi di tale magra consolazione, si
avviò
triste verso Marta che invece sembrava abbastanza contenta della sua
prova.
«Com’è
andata?» indagò subito l’amica,
ritirando l’astuccio nella borsa.
«Poteva
andare meglio».
«Allora
è un 30» sospirò Marta sollevata,
accennando un sorriso.
Clara
sapeva che quella era la sua affermazione abituale dopo un compito, ma
in
quell’occasione non si trattava di una frase scaramantica
buttata lì per non
vantarsi.
«No,
davvero» replicò affranta.
Marta
sembrò valutare se crederle o meno, per poi decidere di
tirarle su il morale
comunque.
«Vedrai
che ti sbagli».
Clara
annuì per accontentarla, in fin dei conti non era colpa
dell’amica se la sua
testa aveva iniziato a perdersi in divagazioni impedendole di
concentrarsi come
avrebbe dovuto.
Insieme
uscirono dall’aula, unendosi alla folla nel corridoio che
defluiva verso le scale.
«Si
fermi».
Udì
a malapena quell’ordine poco velato nel frastuono che la
circondava. Si girò
verso Marta per valutare la sua reazione ma l’altra sembrava
completamente assente, persa in chissà quale riflessione.
Probabilmente
si era solo immaginata la sua voce.
Perfetto, sto
impazzendo!
«Si
fermi, dannazione».
No,
non stava impazzendo. Lui era lì, dietro di lei, pronto a
darle di nuovo il
tormento. La prima ipotesi non sembrava poi così male alla
luce della piega
presa dagli eventi.
«Finalmente!
Ha già attirato abbastanza l’attenzione dei suoi
colleghi» sottolineò severo,
appena lei si voltò.
Clara
sbirciò intorno a sé, notando che in effetti
qualche suo compagno guardava
stupito quella scena insolita. Arrossì prima di riuscire a
impedirselo.
«Che
succede?» le chiese Marta, tornando sui suoi passi appena si
accorse di aver
lasciata indietro.
«Ho
bisogno di parlare con la sua amica» chiarì il
professore, anticipandola. «La
prego di lasciarci».
La
ragazza rimase impietrita, del tutto ignara del motivo per cui Visconti
volesse
avere un colloquio privato con Clara.
«Ti
spiego più tardi» la rassicurò
quest’ultima, invitandola ad accontentarlo. Dopo
una leggera esitazione, l’altra lo fece, abbandonandola ad
affrontarlo.
«Cosa
vuole da me?» chiese scocciata non appena rimasero soli.
Lui
le lanciò uno sguardo di odio cocente tanto che per un
attimo lei pensò che l’avrebbe
aggredita.
«Cosa
voglio?» replicò incredulo. «Lei mi ha fatto
fare la figura
dell’idiota».
Forse
perché lo sei.
«Guardi
come sono vestito» continuò, afferrando i bordi
della giacca di pelle con
enfasi. «Qual
è il primo aggettivo che le viene in mente
vedendomi?».
Sexy.
No, non va bene. Non devi nemmeno
azzardarti a pensarlo.
«Giovane»
sparò incerta.
«Perfetto»
batté le mani, per nulla felice. «Scommetto che
invece
professionale e preparato non le hanno nemmeno sfiorato il
cervello».
«In
effetti, no» confessò Clara.
«Lei
sa cosa vuol dire insegnare a trent’anni?».
«Avere
uno stuolo di ragazze che sbavano al suo passaggio?!»
replicò lei senza
riflettere.
Lui
la fissò incredulo, per poi abbandonarsi ad una risata amara.
«Faticare
per ottenere il rispetto degli studenti e la loro attenzione»
chiarì serio.
Clara
si sentì in colpa per qualche istante, accorgendosi di
quanto lui sembrasse
abbattuto. Ma si riscosse in fretta, riflettendo sulle sue effettive
responsabilità in quella vicenda.
«Non
dovrebbe guadagnarseli per la sua bravura?».
Si
accorse di aver oltrepassato il limite quando i suoi occhi si ridussero
a due
fessure.
«Sta
insinuando che non sappia svolgere il mio lavoro?» chiese
furioso.
«Sto
solo dicendo che ciò che indossa non dovrebbe importare se
è un professore
stimato» spiegò, assolutamente convinta della sua
posizione.
«Ma
cosa ne vuole sapere lei?» sbottò esasperato.
«Niente»
ammise. «Quindi
non c’è ragione che io rimanga».
Si
voltò, sollevata, ma non riuscì a compiere
più di un paio di passi prima di
essere bloccata da lui, che le sbarrò la strada e la via di
fuga rappresentata
dalle scale. Erano soli nel corridoio, poteva permettersi di
trattenerla anche
contro la sua volontà senza che nessuno si meravigliasse di
un simile
comportamento da parte di un docente.
«Non
può andarsene. Sto aspettando le sue scuse».
Usò
un tono definitivo, facendole capire che non si sarebbe spostato da
lì fino a
quando non avesse ottenuto ciò che voleva.
«Mi
scusi».
Lo
disse in fretta, sottovoce, tanto che lui si piegò in avanti
per riuscire a
cogliere le sue parole.
«Con
un po’ più di convinzione»
intimò, per nulla soddisfatto. «E
che sia udibile».
Clara
prese un respiro profondo e lo fissò dritto nei suoi
splendidi occhi azzurri.
«Mi
scusi».
«Ora
ci siamo» disse lui, accennando un sorriso tiepido. «Rimane
il fatto che ha combinato un disastro: ha rovinato anche il libro che
stavo
leggendo oltre ai vestiti».
In
quel momento estrasse dalla ventiquattrore un romanzo, le cui pagine
erano
state completamente inzuppate dalla spremuta, incollandosi le une alle
altre.
Aguzzando la vista Clara riuscì a leggere il titolo, mezzo
sbiadito
dall’incidente.
«Le
ho fatto un favore» replicò sincera.
«Come?».
«Non
ne valeva la pena» spiegò, indicando
ciò che lui teneva tra le mani.
Lui
la guardò allibito, incapace di credere che una studentessa
potesse prendersi
tali libertà.
«Quindi
sarebbe un’esperta di letteratura?» la
canzonò sarcastico.
«No»
disse lei scrollando le spalle, indifferente alla sua sprezzante
ironia. «Ma
se ci tiene glielo ricompro, così almeno evita di sprecare i
suoi soldi due
volte».
Visconti
scoppiò a ridere, inaspettatamente, anche se la ragazza non
riuscì a capire se
fosse divertito e sconcertato. Probabilmente una buona dose di entrambi.
«Sa
una cosa?» disse lui quando riacquistò il dovuto
controllo. «Avrei
voluto essere un suo professore».
Clara
rimase spiazzata da quella rivelazione, incapace di articolare una
risposta
decente. Aprì un paio di volte la bocca ma non
riuscì a elaborare nulla di
sensato per controbattere.
«Perché?»
chiese infine, sentendo le guance in fiamme.
Non hai
quattordici anni, non ha
una cotta per te. Finiscila!
«Per
potermi prendere qualche soddisfazione nei suoi confronti».
Lapidario.
Freddo come una doccia ghiacciata.
Se
ne andò prima che lei riuscisse a replicare
alcunché. Clara rimase immobile in
mezzo al corridoio, come una sciocca ragazzina, pregando il destino di
non
incrociare di nuovo la strada di Giulio Visconti.
Era
sopravvissuta una volta, forse la seconda non sarebbe stata altrettanto
fortunata.
Considerazioni
Ciao!
Questo è un capitolo importante e purtroppo ho la sensazione
di non averlo reso
al meglio, non sapete quanto mi irriti questo fatto. Ma
tant’è, non riuscivo a
cambiarlo, quindi ve l’ho lasciato così. Fa
schifo? Fatemelo sapere, in questo
caso è davvero importante.
Mi
auguro che abbiate ora un’immagine più chiara dei
personaggi e dei loro
caratteri.
Da
domani torno a seguire le lezioni dopo la pausa esami e avrò
meno tempo per
scrivere, quindi probabilmente gli aggiornamenti saranno settimanali.
Vi
ringrazio tantissimo per l’affetto che dimostrate verso la
storia, ogni volta
che trovo una recensione sorrido come una scema.
A
presto!
Lexi
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Erano
già le undici quando riuscì a lasciare
l’università per dirigersi alla fermata
del tram che l’avrebbe riportata a casa. Per colpa di
quell’esame aveva
completamente sprecato una mattinata di studio e, come se non bastasse,
ora era
di pessimo umore e sufficientemente stanca per sapere con certezza che
avrebbe
combinato poco o nulla anche durante il pomeriggio. All’orale
mancavano solo un
paio di giorni e Clara sentiva di non essere pronta, o almeno non
abbastanza
per ottenere un voto alto che la soddisfacesse e le permettesse di
chiudere in
bellezza il suo percorso accademico.
Si
fermò sulla banchina, sbuffando risentita mentre infilava
nelle orecchie gli
auricolari e accendeva l’mp3 così da isolarsi dal
resto del mondo. Forse non
era un’idea brillante ascoltare musica ad alto volume quando
avvertiva già un
leggero mal di testa, ma nemmeno le chiacchiere inutili delle persone
che la
circondavano sarebbero state un toccasana. Scelse il male minore.
Proprio
quando stava perdendo completamente la pazienza, per colpa del ritardo
e di un
bambino molesto che continuava a piangere nel passeggino, il mezzo
pubblico
arrivò e lei si affrettò a salire per cercare un
posto libero. Si accasciò
sgraziatamente sul primo che trovò, sentendo le sue energie
venir meno.
Riprenditi, la
giornata è ancora
lunga!
Il
traffico del centro decise ovviamente di dare il suo contributo,
bloccando il
tram ad ogni incrocio e costringendolo a procedere a passo
d’uomo. Ad un certo
punto l’avanzare si arrestò completamente senza
che vi fosse alcun semaforo
rosso a giustificare il fatto.
Clara
si guardò intorno furiosa, cercando nelle espressioni dei
presenti la stessa
esasperazione che sicuramente caratterizzava il suo viso. Nessuno
sembrava
innervosito, nessuno scalpitava come lei per poter scendere, era
assurdo!
«Mamma,
guarda!» gridò un ragazzino, attirando
l’attenzione verso un corteo che si
scorgeva in lontananza. «Chi sono?».
La
ragazza scattò in piedi e si spostò per vedere
meglio, cercando di capire cosa
stava succedendo.
Non è
possibile.
Una
manifestazione sindacale stava attraversando il viale che il tram
percorreva
per portarla a casa, impedendo totalmente la circolazione.
Sentì distintamente
il rumore del clacson suonato da automobilisti spazientiti almeno
quanto lei,
avendo la conferma che la strada era impraticabile per qualsiasi mezzo
di
locomozione.
Guardò
l’orologio e si accorse che era già passata
mezz’ora e che non poteva
assolutamente permettersi di perdere altro tempo prezioso. Con un
diavolo per
capello marciò verso la testa e bussò
insistentemente alla cabina del
guidatore, che le aprì visibilmente sorpreso.
«Posso
scendere, per favore?» chiese Clara.
«Non
ci troviamo ad alcuna fermata» specificò
l’anziano tramviere. «Non
posso aprire le porte».
Stava
scherzando?!
«Senta»
ci riprovò la ragazza, con il tono più persuasivo
del suo repertorio. «Sono
di fretta. Non posso aspettare che il corteo finisca».
L’altro
sembrò non cogliere l’urgenza della sua richiesta,
o forse preferì ignorarla.
«E’
così giovane» sottolineò. «Si
goda la vita invece di essere sempre
di corsa».
Si goda la vita?
«Va
bene, ascolterò il suo consiglio» disse
accondiscendente. «Ora
però mi lasci scendere».
«Mi
piacerebbe accontentarla» ribadì
l’anziano. «Ma è contro il
regolamento».
Clara
mandò a quel paese gli ideatori di quelle stupidissime norme
che le vietavano
di lasciare il tram e tornò a sedersi, non senza aver
lanciato un’ultima
occhiata astiosa al guidatore che aveva scrollato le spalle
indifferente prima
di rintanarsi di nuovo nella sua cabina.
Passarono
una decina di minuti prima che gli slogan si attenuassero di
intensità, segnalando
che la manifestazione era passata. Il tram fortunatamente riprese la
sua marcia
e la ragazza dovette attendere solo un paio di fermate prima di poter
rimettere
piede a terra.
Grazie tante! Borbottò
acida al mezzo che le sfilava davanti proseguendo il suo percorso.
Ormai
esausta, si costrinse a salire le scale fino al quarto piano dal
momento che la
spia dell’ascensore segnalava che questo era occupato,
probabilmente da un
condomino scansafatiche che lo utilizzava anche abitando al primo
piano. Le sembrò
incredibile varcare la soglia del suo appartamento e potersi finalmente
rilassare, certa che lì non sarebbe stata vittima di nuovi
spiacevoli
imprevisti.
Lanciò
malamente borsa e cardigan sul divano all’ingresso,
dirigendosi spedita in
cucina alla ricerca di qualcosa che potesse mangiare velocemente per
colmare la
fame che iniziava a farsi sentire sotto forma di rumorosi gorgoglii del
suo
stomaco. Dopo una breve riflessione optò per una focaccia
surgelata alla
crescenza con pomodorini, che infilò nel microonde per fare
prima.
Proprio
mentre si apprestava a preparare spartanamente la tavola con una
tovaglietta e
le posate sentì il cellulare squillare.
«Marta?»
domandò perplessa non appena riuscì a recuperarlo.
«Finalmente!»
esclamò l’altra. «Temevo che non lo
sentissi come al
solito».
Sembrava
sua madre quando la rimproverava per non aver risposto alle chiamate,
anzi forse
era persino più petulante, il che era tutto dire.
«Che
c’è?» chiese per cercare di farla breve.
Se le si dava corda la sua amica
poteva anche tenerla incollata al telefono per un’ora,
trovando sempre
argomenti di cui discutere.
«Ti
sei già dimenticata?».
Ok,
era stata una mattinata snervante ed era a pezzi, ma non si poteva
accusarla
anche di essere rimbambita. Non ancora almeno.
«Ma
di cosa stai parlando?».
«Delle
spiegazioni che mi hai promesso un paio di ore fa»
spiegò Marta, sbuffando
sonoramente.
Le spiegazioni..
Clara
chiuse gli occhi, passandosi una mano nei capelli nel tentativo di
calmarsi ed
evitare di inveire contro la sua amica, la cui curiosità si
manifestava proprio
nel momento meno opportuno.
«Cosa
vuoi sapere?» si informò, mantenendo un tono
neutro.
«Tutto!»
affermò l’altra, scoppiando a ridere divertita.
Cosa ci fosse di
divertente poi lo
sapeva solo lei.
«Ci
ha provato?».
Clara,
che intanto aveva recuperato un bicchiere d’acqua per
dissetarsi, rischiò di
strozzarsi per quell’uscita inaspettata e dovette tossire
ripetutamente per
poter riacquistare
la voce.
«Sei
impazzita?» disse incredula.
«Non
vedo altri motivi per cui avrebbe voluto rimanere da solo con
te» precisò l’altra,
seguendo il filo del suo ragionamento.
«Voleva
delle scuse per l’incidente di questa mattina»
spiegò Clara, sperando di
spegnere le fantasie dell’amica.
«E
c’era bisogno di mandarmi via?» domandò
stupefatta e un po’ indispettita.
«Probabilmente
pensava di rendermi le cose più facili».
No,
probabilmente lo aveva fatto
per intimidirmi, approfittando della situazione favorevole.
«Che
gentile!» esclamò Marta, sospirando con aria
sognante.
«Non
lo è affatto!» replicò Clara,
difendendo il suo punto di vista. «Mi
ha trattata come una ragazzina sciocca e pasticciona».
«Tu
gli hai rovesciato la spremuta sui pantaloni» le
ricordò giustamente l’amica.
E
sulla camicia, se voleva essere precisa.
«Lo
stai difendendo?» chiese incredula e arrabbiata.
Dov’era finita la solidarietà
femminile?
«Assolutamente
no» si affrettò a chiarire l’altra.
«Però è comprensibile
che fosse arrabbiato con te».
«Non
è stata colpa mia» ripeté la ragazza,
esasperata.
Un
cretino le era finito addosso e lei continuava a subire i rimproveri al
suo
posto, che ingiustizia.
«Ad
ogni modo» proseguì Marta, tornando allegra.
«Vedi il lato
positivo!».
«Quale
sarebbe?».
«Hai
abbordato un figo da paura!» trillò, spaccandole i
timpani.
«E’
un professore» sottolineò Clara.
«Non
per te!» precisò l’altra, su di giri.
«Stai per laurearti e
lui insegna alla triennale».
“Per
potermi prendere qualche
soddisfazione nei suoi confronti”.
Rabbrividì
impercettibilmente ricordandosi la frase con cui lui si era congedato.
Effettivamente
Marta aveva ragione, fortunatamente non sarebbe mai stato un suo
professore.
«Non
stai morendo dalla voglia di scoprire qualcosa su di lui?»
continuò l’amica
imperterrita.
«No,
sto morendo di fame» replicò acidamente.
«Ci sentiamo stasera».
Non
le diede il tempo di replicare, chiudendo la conversazione.
Tornò
in cucina per sfornare la sua focaccia, ubbidendo al segnale acustico
del
microonde che la avvisava che il piatto era pronto.
Starà
pranzando anche lui?
«Marta,
ti uccido!» giurò, sedendosi a tavola.
Ci
mancavano giusto quei pensieri inopportuni a rovinarle il resto della
giornata.
Considerazioni
Eccomi!
Sono un po’ in ritardo e mi scuso con voi, ma non sono
riuscita a scrivere il
capitolo prima di stasera. L’ho riletto velocemente per
pubblicarvelo in
fretta, perché altrimenti avreste dovuto aspettare
giovedì e mi dispiaceva.
Quindi ditemi se ci sono strafalcioni e se vi piace, pur essendo un
capitolo di passaggio.
Io
vi ringrazio immensamente per l’affetto che dimostrate verso
la storia, proprio
non me l’aspettavo! Quindi grazie per le recensioni e grazie
anche per chi ha
inserito la storia nelle seguite.
Se
qualcun altro volesse regalarmi il suo parere mi farebbe solo felice.
Detto
questo vi lascio, spero di postare presto, ma
l’università rende il tutto più
complicato.
Un
bacio!
Lexi
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Non
ci mise molto a capitolare. Tagliò giusto una fetta,
ingoiò frettolosamente un
paio di bocconi scottandosi il palato, poi si alzò per
recuperare il portatile
che aveva lasciato sulla scrivania in camera la sera prima.
Ufficialmente lo
aveva fatto per avere un po’ di compagnia mentre pranzava,
girovagando su
internet per tenersi aggiornata su cosa accadeva nel mondo e tra i suoi
amici.
Non
ufficialmente invece..
No! Non esisteva
un’altra versione.
Sbocconcellò
ancora qualche pezzo di focaccia, mentre con le dita tamburellava
impaziente
sulla tastiera in attesa che il sistema operativo si avviasse. Non
appena le
applicazioni d’apertura si caricarono lanciò
internet e si collegò a Facebook,
scorrendo distrattamente la bacheca per
vedere se qualcuno aveva lasciato messaggi interessanti. Non
trovò nulla, così
decise di dare un’occhiata al sito del Corriere della Sera
per leggere articoli
di cronaca e politica: non che la entusiasmassero i dibattiti attuali
tra
partiti contrapposti anche se ugualmente inconcludenti, ma era sempre
meglio
avere un quadro della situazione del paese piuttosto che essere
totalmente
disinformati.
Tuttavia,
nonostante le buone intenzioni, si stufò velocemente, troppo
stanca per
prestare sufficiente attenzione a simili tematiche. Si
allungò per spegnere il
computer quando le tornarono in mente le parole di Marta.
Non stai morendo
dalla voglia di
scoprire qualcosa su di lui?
Si
bloccò, indecisa se darle ascolto e lasciarsi trascinare
dalla curiosità che
caratterizzava l’amica e che lei aveva sempre criticato,
oppure rimanere fedele
a se stessa e alla propria indifferenza.
Oh, al diavolo!
Non sto facendo
nulla di male.
Si
risedette, trascinando il portatile più vicino. Con
un’inspiegabile frenesia
digitò il suo nome nel motore di ricerca che le
fornì in risposta numerose
pagine che lo riguardavano o in cui veniva citato.
Aprì
il suo profilo sul Linkedin, al cui vertice faceva bella mostra di
sé una foto
in bianco e nero che lo ritraeva serio, donandogli qualche anno in
più di
quelli che dimostrava.
Ma quanti anni
ha?
Avidamente
cercò la data di nascita, inserita tra i dati più
strettamente anagrafici: 18
novembre 1981. Non aveva ancora trent’anni e già
gli era stata affidata una
cattedra, un caso più unico che raro in una
realtà accademica dove la
maggioranza dei professori aveva un’età avanzata.
Favoritismi?
Clara
sperò intensamente per qualche istante che lui fosse un
raccomandato, uno dei
numerosi esempi della pratica di nepotismo che vigeva in numerose
università.
Ma dovette ricredersi in fretta, bastò infatti una lettura
del suo curriculum
per capire cosa avesse spinto il rettore ad accordagli fiducia: laurea
conseguita a pieni voti con una tesi che aveva ottenuto infiniti elogi,
un
dottorato in diritto costituzionale italiano e uno a Oxford per
approfondire la
conoscenza in ambito internazionale. Non vi erano dubbi che fosse stato
accolto
a braccia aperte quando aveva deciso di stabilirsi nel suo paese
piuttosto che
all’estero, come invece avevano preferito molte persone di
talento: i suoi
studenti erano fortunati ad avere un insegnante così
preparato.
Chissà
se è davvero bravo a
spiegare?
Incapace
di fermarsi, lo cercò nell’elenco docenti
dell’università, dove ancora una
volta si imbambolò di fronte alla foto che lo mostrava quasi
sorridente,
con un’espressione
più rilassata
rispetto a quella dell’altro profilo.
Ma i cervelloni
non dovrebbero
essere brutti?
Non
riusciva a credere che Giulio Visconti fosse stato così
spudoratamente baciato
dalla dea bendata che gli aveva conferito insieme bellezza e
intelligenza:
doveva avere qualche difetto, qualcosa a cui lei potesse aggrapparsi
per non
cadere vittima del suo fascino.
Mentre
combatteva la sua battaglia personale per convincersi di detestarlo, le
cadde
l’occhio sul’orario delle lezioni, accessibile
dalla sua pagina.
Fermati, Clara!
Senza
prestare ascolto ai moniti del proprio cervello lo aprì e
rimase pietrificata quando
si rese conto che la sua ultima lezione si sarebbe tenuta proprio quel
pomeriggio. O meglio, da lì a un’ora.
“Approfondimento
sui diritti legati al sistema previdenziale e assistenziale”
recitava il
programma allegato, dandole il colpo di grazia.
Possibile
che dovesse affrontare un argomento che le suscitava ancora non pochi
dubbi e
sul quale le avrebbe fatto comodo un ripasso, tanto più se
questo le offriva
l’occasione di assistere a una sua spiegazione?
E’
destino,
avrebbe cantilenato Marta se fosse stata a conoscenza della
novità.
Se
esisteva il destino, le era sicuramente avverso dal momento che
l’aveva messa
in una situazione spinosa, lasciandola ad arrovellarsi su quale fosse
la scelta
più sensata.
Devi studiare,
hai solo due giorni!
Eppure
la tentazione di vederlo nel suo ambiente era troppo forte per essere
messa a
tacere dalla sua coscienza di studentessa modello, sempre pronta a fare
la cosa
giusta.
Come
in preda a un attacco isterico iniziò a percorrere lo
stretto spazio della
cucina avanti e indietro, sbuffando e scombinandosi i capelli che aveva
liberato dalla coda. Per un attimo pensò di rivolgersi a
Marta, ma si rese
subito conto che la sua amica non sarebbe stata obiettiva nel suo
parere:
doveva decidere da sola.
E
così fece, mettendosi a correre tra il bagno e la camera da
letto nel tentativo
di risultare presentabile e, se possibile, anche attraente.
Attraente? Non
volevi passare
inosservata?
Ma
la vanità femminile prese il sopravvento, facendole sprecare
minuti preziosi
davanti allo specchio per trovare l’abbinamento giusto e
applicare una leggera
dose di trucco sulle guance.
Alla
fine era soddisfatta ma tremendamente in ritardo, tanto che
pensò di rinunciare
all’ultimo, salvo poi ricredersi un istante dopo: era la sua
unica occasione,
non poteva gettarla via!
Fortunatamente
il tram non si bloccò nel traffico e Clara arrivò
in aula con qualche minuto di
anticipo, prendendo posto nelle ultime file accanto a un gruppo nutrito
di
ragazze che chiacchieravano tra loro, preoccupate per gli imminenti
esami.
Visconti
entrò quando l’orologio segnava esattamente le
tredici e trenta, sorridendo
alla classe mentre posava la valigetta sulla cattedra.
E’
persino puntuale!
«Bentrovati»
esordì appena si fu seduto. «Oggi cercheremo di
essere concisi ma
essenziali, non voglio trattenervi qui più del dovuto».
Un
mormorio di assenso si diffuse tra i presenti e Clara dovette ammettere
che
quel discorso gli era sembrato dannatamente ragionevole.
«Sbaglio
o qui dentro si muore di caldo?» continuò il
professore, alzandosi per sfilarsi
la giacca dello splendido completo grigio perla che indossava. Dozzine
di occhi
seguirono attentamente i suoi movimenti, non perdendosi nemmeno un
dettaglio
del suo corpo e così fece anche Clara, rimproverandosi al
contempo di essere
una sciocca ragazzina infatuata di un uomo più grande.
Dandosi
un contegno estrasse dalla borsa un quaderno e una penna,
concentrandosi sulla
spiegazione e prendendo appunti qualora un concetto le risultasse nuovo
o fosse
espresso da un punto di vista diverso da quello a cui era abituata.
Visconti
spiegava con la Costituzione aperta in una mano, pronta per essere
sfogliata e
consultata, e uno schema appoggiato davanti a lui per non divagare come
invece
accadeva a molti docenti. La sua lezione risultò
immediatamente molto lineare
ma al contempo coinvolgente per il suo modo di arricchire i concetti
esposti
con esempi concreti che, secondo lui, aiutavano gli studenti a fissare
meglio i
punti chiavi per non scordarli.
Trascorse
un’ora senza che Clara quasi se ne accorgesse, quando invece
era solita
controllare ogni due minuti l’orologio durante le sue
ordinarie lezioni di
diritto. Si riscosse dai suoi scarabocchi solo quando sentì
che il tono della
sua voce era cambiato, divenendo meno accademico.
«Ci
prendiamo una pausa di cinque minuti?» chiese, ottenendo
ovviamente un assenso
unanime.
Uscì
velocemente dall’aula e Clara si guardò intorno
per vedere se altri studenti
seguivano il suo esempio. In effetti qualcuno si era alzato per andare
a
prendere una boccata d’aria o una bibita rinfrescante, ma lei
rimase inchiodata
alla panca, indecisa se approfittare dell’occasione per
andarsene o rimanere
fino alla fine dell’ora successiva.
Hai
già perso troppo tempo!
L’amara
verità era che quel pomeriggio di follia l’avrebbe
pagato quella stessa sera,
quando sarebbe stata costretta a rimanere alzata fino a tardi per
recuperare le
pagine che avrebbe dovuto studiare in quelle due ore.
Attanagliata
dai rimorsi, ritirò le sue cose in borsa e si
alzò per allontanarsi
approfittando del caos generale che l’avrebbe resa invisibile.
Purtroppo
il suo piano si infranse quando sulla porta si scontrò con
una persona che
stava a sua volta entrando, tenendo tra le mani una lattina di
Coca-Cola aperta
che si rovesciò in parte sul pavimento per la prontezza di
riflessi che l’altro
dimostrò nell’indietreggiare.
Questa volta mi
uccide, pensò
disperata mentre fissava un Giulio Visconti incredulo ed esasperato.
Considerazioni
Ecco
un altro capitolo per voi. Clara alla fine ha ceduto, incapace di
resistere
alla possibilità di vedere Giulio nel suo ruolo di
professore. Ma la buona
sorte non è dalla sua parte, visto che il suo tentativo di
svignarsela fallisce
miseramente. Cosa penserà Giulio?
Nello
scorso capitolo ho notato una flessione nelle recensioni, spero che sia
perché non
avete avuto il tempo di lasciarle e non perché vi siete
accorte che la storia
non le merita. Ovviamente non sto a ripetervi quanto i vostri pareri
siano
preziosi, anche se negativi, quindi se avete qualche critica fatemela
pervenire
senza problemi.
Cerco
di aggiornare settimanalmente, come avrete notato, ma non posso darvi
la
certezza che sarà sempre così. Anyway, mi
impegnerò al massimo per rimanere
costante.
A
presto!
Lexi
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Si
erano guardati negli occhi per un tempo che le era sembrato eterno,
rimanendo
in assoluto silenzio, incapaci di credere alla sfortuna che li aveva
fatti
incrociare, o meglio scontrare, di nuovo.
Poi
Giulio aveva distolto lo sguardo per analizzare la macchia bruna che si
era
sparsa sul pavimento, arrivando a lambire le sue lucide scarpe nere.
Almeno non
l’ho sporcato.
«Promettete
di non dire a nessuno che sono stato io a portare una lattina in
classe» disse
divertito rivolgendosi alla classe, che lo assecondò
scoppiando in una risata
solidale.
Clara
lo osservò mentre si godeva il momento di ilarità
dopo aver appoggiato la
Coca-Cola al sicuro sulla cattedra, non sapendo se uscire o restare ad
aspettare una sua reazione.
Ci
pensò il professore a porre fine ai suoi dubbi, tornando a
prestarle attenzione
dopo averla deliberatamente ignorata per un minuto buono.
«Per
favore vada a chiamare il responsabile di piano e gli dica di mandare
qualcuno
a ripulire il disastro che ha combinato» suggerì,
lanciandole un’occhiata che
la sfidava a disobbedirgli.
Clara
si sentì avvampare e dovette fare un enorme sforzo per non
balbettare la sua
timida protesta.
«Veramente
io.. » iniziò, ma non riuscì a
proseguire perché Giulio non le fornì il tempo
sufficiente per difendersi.
«Non
stava comunque uscendo?» sottolineò infatti, con
un sorriso compiaciuto.
“Per
potermi prendere qualche
soddisfazione nei suoi confronti”, le sue parole
riecheggiarono limpide nella sua mente.
Quale migliore
occasione di questa?
La
ragazza si trovò suo malgrado a dovergli dare ragione e ad
annuire.
«Allora
si muova così non perderà la
spiegazione» la incitò, sembrando persino
preoccupato per lei. Era un ottimo attore, senza dubbio abbastanza
abile da
strappare qualche espressione sognante alle ragazze sedute in prima
fila.
Clara
indietreggiò imbarazzata, sgattaiolando il più in
fretta possibile fuori
dall’aula e dirigendosi verso il bancone dove sperava di
trovare l’uomo che le
era stato detto di cercare. Ovviamente la cattiva sorte che la
perseguitava dal
mattino non dava segni di volerla abbandonare per dedicarsi ad altri,
così si
ritrovò appoggiata al muro in attesa che il responsabile
tornasse da chissà
quale commissione che lo aveva fatto assentare.
Trascorsero
una decina di minuti in cui la ragazza soppesò
l’idea sempre più allettante di mandare
a quel paese Giulio e la sua richiesta per recarsi a casa dove
l’attendeva il
manuale di diritto, rimasto a prendere polvere sulla sua scrivania. Ma
il
desiderio di non dargliela vinta, permettendogli di farsi beffe di lei
alle sue
spalle di fronte ai suoi studenti, fu più forte di qualsiasi
altro pensiero,
così Clara si mise a vagare per i corridoi coltivando la
speranza di incontrare
fuori da qualche aula il responsabile del piano.
«Scusi»
lo chiamò a gran voce, scorgendolo voltare
l’angolo diretto verso un’altra ala
dell’edificio.
Fortunatamente
l’altro la sentì e arrestò la sua
camminata, permettendole di accostarsi.
«In
aula Maggiore è stata rovesciata una bibita sul pavimento,
il professore mi ha
chiesto di avvisarla» spiegò cercando di arrivare
subito al punto.
«Chi
è stato?» domandò l’uomo,
come se fosse un aspetto rilevante della faccenda.
A
quanto pareva prendeva davvero sul serio il divieto di portare lattine
all’interno delle aule.
Per
un attimo Clara fu tentata di incolpare Visconti e provocargli un
richiamo, ma
decise che era meglio evitare di fornirgli un ulteriore motivo per
odiarla.
«Uno
studente» confessò, rimanendo volutamente sul vago.
L’altro
sembrò rassegnarsi al fatto che non avrebbe ottenuto il nome
di un colpevole,
poiché si congedò sbrigativamente.
«Manderò
qualcuno a pulire».
La
ragazza aspettò di rimanere sola per fargli il verso e
ripercorrere rapidamente
la strada fino all’aula. Arrivata sulla porta
esitò qualche secondo prima di
farsi
coraggio ed entrare.
«La
davamo per dispersa» proruppe subito lui, sorridendo ironico,
scatenando una
nuova ondata di risate.
Clara
non lo degnò di uno sguardo e forse fu quel suo moto di
orgoglio a irritarlo,
spingendolo a tormentarla ancora.
«Non
si sieda nelle ultime file, potrebbe distrarsi e chissà
quale guaio
combinerebbe stavolta».
Stronzo.
Si
divertiva un mondo a umiliarla davanti a tutti, facendola sentire una
completa
idiota quando invece lei era abituata a essere trattata con rispetto
proprio
perché ritenuta una persona saggia e affidabile. Imponendosi
di non arrossire,
estrasse i suoi appunti e si mise in ascolto, sperando che almeno
quella
lezione si rivelasse utile ai fini del suo esame.
Quando
le due ore furono strascorse Visconti annunciò soddisfatto
la fine del corso,
invitando chi nutrisse dubbi a contattarlo per ricevere ulteriori
chiarimenti e
augurando a tutti un sincero “in bocca al lupo” per
la prova orale che si
sarebbe tenuta a distanza di qualche giorno.
Clara
recuperò la sua roba e si diresse verso l’uscita
posteriore che dava sulla
scala antincendio, nel tentativo di defilarsi prima di subire altre
ritorsioni.
Quando la porta non si aprì pensò di aver
sbagliato tirando, così provò a
spingere ma il risultato fu lo stesso: era chiusa.
Maledizione!
Inferocita
si voltò per tornare sui suoi passi, mentre Visconti la
seguiva divertito,
scoppiando in una risata a stento trattenuta quando lei
arrivò a portata
d’orecchio.
«Teme
che la voglia uccidere?» la canzonò.
«Non
saprei» ammise Clara, incerta.
«Per
questa volta la risparmio» continuò lui,
inaspettatamente di buon umore.
E certo, mi hai
già reso lo
zimbello della situazione!
«Dopotutto
mi ero sbagliato».
«Su
cosa?» domandò lei, spaesata dal cambio repentino
di argomento.
«Sulla
questione del rispetto» chiarì lui. «Oggi la classe
era al completo
nonostante la pessima figura che lei mi ha costretto a fare
stamattina».
Te lo aveva
detto.
Si
trattenne dal ribattere acidamente, onde evitare che il suo slancio di
bontà
svanisse velocemente, come neve al sole.
«Meglio
così» confermò lei, avviandosi verso
l’ingresso. «Arrivederci».
«Aspetti»
ordinò lui, sorprendendola. Si affrettò a
raccogliere le sue cose e la
raggiunse con un paio di ampie falcate. «Mi tolga una
curiosità».
Clara
lo fissò spaesata, mentre lui la precedeva aprendole la
porta e lasciandola
passare prima di richiuderla alle sue spalle.
E questa
galanteria?
«Sarebbe?»
chiese, leggermente agitata. Non si poteva mai sapere cosa passasse per
la
testa di quell’uomo.
«Perché
si è presentata alla mia lezione oggi?».
Merda.
Aveva
sperato con tutta se stessa di passare inosservata proprio per potersi
sottrarre a domande spinose da parte sua e invece ora si trovava
lì, senza
possibilità di fuga.
«Avevo
dei dubbi sull’argomento» spiegò,
cercando di apparire convincente.
Giulio
fece per replicare quando il suo cellulare si mise a squillare,
costringendolo
ad allontanarsi di qualche passo per rispondere in privato.
Grazie al cielo!
pensò
Clara, a cui la chiamata sembrava l’opportunità
perfetta per darsela a gambe e
fuggire dall’interrogatorio alla quale la stava sottoponendo.
Lui dovette
intuire tali pensieri dalla sua espressione perché le
intimò con la mano di non
muoversi.
Non lo sa che il
mondo non gira
intorno a lui?
La
ragazza sbuffò scocciata, arrendendosi alla sua
volontà. Per ingannare il tempo
nell’attesa si guardò intorno in cerca di qualcosa
di interessante, ma il
corridoio era quasi completamente deserto così ben presto la
sua attenzione fu
calamitata dalla sua figura alta e slanciata e dalle sue invitanti
labbra che
si dischiudevano ritmicamente per sostenere la conversazione.
Sei patetica,
sappilo.
Quando
Giulio finì la telefonata tornò subito da lei,
riprendendo a camminare in
direzione dell’uscita, ignaro dell’esame
dettagliato a cui era stato
sottoposto.
«Allora
le è servita?» riprese da dove si erano interrotti.
Clara
lo guardò spaesata, non capendo a cosa si riferisse.
«La
mia spiegazione» le ricordò lui, lanciandole
un’occhiata indagatrice.
«Oh,
sì» affermò la ragazza dopo qualche
secondo di esitazione. Secondi che le
costarono cari.
Lui
sorrise furbescamente, fermandosi all’improvviso e fissandola
intensamente.
Perché
non prevedo nulla di buono?!
«Ora
mi dice il vero motivo?» domandò lui serafico,
come se non avesse creduto a una
sola delle sue parole.
Considerazioni
Eccovi
il nuovo capitolo. Vi aspettavate un
Giulio arrabbiatissimo, ditemi la verità!
Invece questa volta ha agito
in maniera più sottile, umiliando quanto bastava la nostra
Clara ed evitando
scenate assurde e poco consone a un professore. Giulio si era
essenzialmente
irritato con lei la prima volta per il timore di aver perso la stima
dei suoi
studenti, ora invece, rassicurato dalla partecipazione alla sua ultima
lezione,
sembra lasciar correre questo secondo incidente, per di più
perché non gli ha
procurato altri danni. Ma il bel professore non rinuncia a togliersi
qualche
curiosità, mettendo Clara in una situazione spinosa. Come ne
uscirà? Gli dirà
la verità?
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e di avere come sempre un vostro
parere. Colgo
l’occasione di ringraziare chi mi lascia una recensione
dall’inizio e chi si è
aggiunto solo recentemente, grazie infinite! Nel frattempo provvedo a
rispondere alle vostre splendide recensioni sullo scorso capitolo.
Se
questa storia procede è anche merito vostro :)
A
presto!
Lexi
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
Nel
corridoio ormai deserto regnava un silenzio surreale, Clara avrebbe
giurato che
i battiti accelerati del suo cuore si sentissero anche a distanza di
qualche
metro, quindi cercò di rilassarsi per evitare che Visconti
si rendesse conto di
averla mandata nel panico.
Che mi invento?
Ovviamente
non aveva speso un solo istante a meditare su un piano di emergenza
qualora lui
l’avesse scoperta e ora era lì, immobile, senza
un’idea per tirarsi fuori da
quella situazione imbarazzante in cui lui l’aveva messa.
Giulio intanto se ne
stava in piedi di fronte a lei, tranquillo, come se avesse tutto il
tempo del
mondo a disposizione e non scorgesse modo migliore per impiegarlo.
Disperata,
provò a valutare un paio di ipotesi, ma dovette scartarle
subito perché poco
plausibili: non poteva rifilargli la prima cosa che le passava per la
testa
sperando che abboccasse, era troppo sveglio. Alla fine decise di
mantenere la
sua versione iniziale, sperando di riuscire a convincerlo.
«È la verità» disse seria. «Avevo dei
dubbi».
Giulio
sembrò soppesare attentamente le sue parole, continuando a
studiarla con i suoi
occhi azzurri che la mettevano in difficoltà.
«Come
sapeva che avrei trattato quegli argomenti?» chiese,
rimanendo diffidente.
E ora?
Clara
si sentì come un topolino indifeso, stanato da un gatto che
non le lasciava vie
di fuga e la incalzava, spingendola con le spalle al muro fino a quando
non
sarebbe capitolata, sconfitta. Non poteva ritrattare quanto aveva
sostenuto
fino a quel momento, né poteva avvalorare quella tesi senza
ammettere di aver
consultato con attenzione il programma del suo corso.
«Ho
letto il sillabus» ammise, cercando di rimanere impassibile.
Sono pur libera di farlo, no?!
«Bene»
continuò lui, annotandosi mentalmente
l’informazione ed elaborandola per continuare
quella sottospecie di tribunale dell’inquisizione. «Lo
sa che si trova solo sulla mia pagina personale?».
Lo
sapeva. Come ogni singolo studente di
quell’università anche lei conosceva
l’organizzazione del sito web e il posizionamento dei
contenuti all’interno
delle numerose sezioni.
Si
limitò ad annuire, sperando che lui si accontentasse e
smettesse di trattenerla
lì, per tormentarla.
Fu
un’illusione di breve durata.
«Perché
ha visitato la mia pagina?» indagò sospettoso.
Sono spacciata.
Non
c’era una singola giustificazione che le venisse in mente che
non la rendesse
ridicola o assolutamente folle. Lui non era un suo professore, lei non
seguiva
un suo corso, perché diavolo sarebbe dovuta finire
lì?
«Allora?»
la incalzò lui, non lasciandole il tempo di macchinare una
scusa credibile.
«Ero
curiosa» confessò, arrossendo per
l’imbarazzo.
Avrebbe
pagato qualsiasi somma di denaro per evaporare e dissolversi
nell’aria,
sottraendosi a quello sguardo al contempo lusingato e incerto che lui
le
rivolse e che peggiorò il rossore che già le
infiammava le guance.
«Di
me?» domandò, giusto per avere una conferma delle
sue deduzioni.
«Del
suo curriculum» precisò Clara. Dopotutto non si
trattava di un profilo
personale, non c’erano indizi sui suoi gusti musicali o foto
della sua vita
privata, per quanto le sarebbe piaciuto scoprire qualcosa in
più su di lui.
Idiota!
«Perché?».
Visconti
non si arrendeva, non mollava la presa, come un cane che ha agguantato
un osso
e non ha intenzione di rinunciarvi fino a quando non lo ha
sgranocchiato a
dovere. Lei era quell’osso.
«Speravo
fosse un raccomandato».
Glielo
disse senza mezzi termini e mezze misure, tanto ormai non aveva
più senso
cercare di nascondersi dietro una facciata che non la rappresentava e a
cui, in
ogni caso, lui non sembrava dare credito.
«Sarebbe
stato più facile giustificare la sua presenza qui, come
docente, in mezzo a
centinaia di colleghi più anziani».
Giulio
rimase senza parole di fronte a quella dichiarazione, il viso pacato
stravolto
dall’espressione incredula di chi non si aspetta una
rivelazione di tale
portata.
«Così
si è convinta che sono preparato?» chiese,
leggermente piccato.
Sei stata
delicata come un
elefante, complimenti!
Clara
avrebbe dovuto scusarsi per essere stata così schietta e
probabilmente
inopportuna, ma lui non si era di certo comportato in modo
irreprensibile nei
suoi confronti, quindi non lo fece. Se quella era una sorta di sfida,
erano pari.
«Il
suo percorso accademico è eccellente, per questo ho deciso
di approfittarne e
seguire la sua lezione» spiegò, cercando con
quell’apprezzamento velato di
rimediare alla sua uscita precedente.
Lui
la fissò a lungo, costringendola a distogliere lo sguardo
per evitare di
sentirsi troppo esposta.
«Forse»
esordì lui alla fine.
«Forse?».
Perché
non le dava fiducia nemmeno quando era stata completamente sincera con
lui?
«Sì,
esatto» replicò lui, sorridendo inaspettatamente.
«La
vera ragione è un’altra».
«Quale?»
indagò allora Clara, esasperata dal suo atteggiamento
diffidente.
«Lei
voleva accertarsi di persona che fossi un professore degno della
propria
cattedra».
Touchè.
Quell’insinuazione
la colse completamente alla sprovvista, togliendole la
lucidità per protestare
veementemente contro quella che aveva tutte le caratteristiche di
un’accusa. In
fondo, senza rendersene conto, ciò che l’aveva
convinta a recarsi in università
quel pomeriggio era proprio la volontà di scoprire se lui
fosse bravo quanto
sulla carta sembrava essere.
«No».
Cercò
di difendersi, afferrando saldamente quell’ultimo lembo di
dignità che le era
rimasto e che lui non sarebbe riuscito a strapparle.
«Sì
invece» ribadì lui. «Non provi a
mentirmi, me ne accorgo».
Bugiardo.
Lui
sembrò captare il suo scetticismo perché sorrise
soddisfatto, prima di darle la
dimostrazione concreta che era lei in errore e non viceversa.
«Quando
sta dicendo una bugia i suoi occhi si velano»
affermò sicuro.
«Si
velano?» domandò lei, colta di sorpresa.
«Esatto»
chiarì lui. «Perdono
la luminosità che li contraddistingue e quel piglio
battagliero che hanno
quando invece si infervora su questioni in cui crede
fermamente».
Amen.
Clara
rimase a bocca aperta, fissandolo stupefatta mentre la sua mente
ripercorreva
il suo discorso che non faceva una piega e che la descriveva meglio di
quanto
le sue amiche avrebbero mai potuto fare. Forse nemmeno sua madre
sarebbe
riuscita a eguagliarlo.
«Sono
un buon osservatore» si giustificò lui, scrollando
le spalle come a sminuire l’importanza
dell’affermazione appena fatta.
«Probabilmente
ha ragione» ammise lei, cercando di riacquistare la
lucidità che aveva perso
dopo che lui aveva definito i suoi occhi luminosi.
«Vede,
non ci voleva poi molto» concluse orgoglioso, senza tracce
dell’amarezza che
lei aveva intravisto poco prima quando aveva messo in discussione il
suo
operato.
Clara
non rispose, si limitò ad affiancarlo e a percorrere il
corridoio insieme a lui,
sperando che le loro strade si separassero prima che succedesse
qualcos’altro
di spiacevole. Si fermarono entrambi quando giunsero alle scale che
avrebbero
condotto lei all’uscita e lui verso un’altra ala
dell’edificio dove era
diretto. Era pronta per salutarlo e darsela a gambe quando lui la
stupì di
nuovo, con una delle sue uscite imprevedibili.
«Ha
risolto i suoi dubbi?».
Usò
un tono premuroso che la confuse più di quanto
già non fosse.
«In
parte». Non provò nemmeno a mentirgli,
l’avrebbe scoperta immediatamente. «Vedrò
di rimediare al resto stasera e domani».
«La
posso aiutare, se vuole» propose, senza alcuna sfumatura che
indicasse se l’idea
gli andasse a genio o meno. «Domani ricevo nel mio
ufficio».
Perché
mi fai questo?
Non
poteva rifiutarsi, non dopo il modo in cui si era comportata nei suoi
confronti. Si offenderebbe, si
ripeté
mentalmente un milione di volte per convincersi che quella scelta non
era dettata
da motivazioni personali ma da un’improvvisa cura nei suoi
confronti.
«Ci
sarò» affermò, nascondendo
l’euforia che provava e che l’avrebbe spinta a
saltellare se si fosse trovata nell’intimità di
casa sua.
Cominciò
a indietreggiare pur senza voltarsi, mormorando un saluto e un
ulteriore
ringraziamento, così non si accorse dei gradini alle sue
spalle fino a quando
il pavimento non le mancò sotto i piedi, letteralmente.
No, ti prego,
una caduta no.
Si
stava già immaginando la scena imbarazzante che sarebbe
seguita quando Giulio
le afferrò un braccio, tirandola tempestivamente verso di
sé e salvandola dalla
figuraccia che sicuramente avrebbe fatto.
Si
scostò a fatica dal suo petto solido, con il fiato corto e
il cervello in
panne. Lui non le fu certo di aiuto, perché si
piegò preoccupato verso di lei,
posandole una mano sulla spalla per evitare che lo spavento la
destabilizzasse.
«Sta
bene?» indagò, scrutandola con i suoi occhi
attenti alla ricerca di qualche
segno di malessere.
No, sei troppo
vicino.
Annuì,
stampandosi un sorriso falso sul viso che lo rassicurasse quanto
bastava per
farlo allontanare. Ci riuscì, infatti Giulio si
congedò velocemente per recarsi
a un appuntamento di lavoro, o così le sembrava di aver
colto dalla sua ultima
frase.
Se non ci riesco
ora, come farò a
concentrarmi domani?
Considerazioni
Ecco
un nuovo capitolo, che avevo ben sviluppato nella mia testolina ma che
non sono
per nulla convinta di aver reso bene sulla carta. E’ un
passaggio importante
nell’economia della storia, quindi vi prego di farmi sapere
cosa ne pensate perché
questa volta ne ho davvero bisogno. Faccio appello anche a quei lettori
silenziosi di cui non conosco l’opinione pregandoli di darmi
un parere.
Per
il resto, mi auguro di essere riuscita a trasmettervi
l’agonia di Clara e anche
l’incertezza di Giulio, che colpisce, indietreggia, si
rifà avanti e così via. Perché?
E
adesso ci aspetta il fatidico appuntamento nell’ufficio. Come
premesso, non
manca tanto alla conclusione, quindi le vostre curiosità
saranno presto
soddisfatte.
Grazie
mille per esserci e per l’affetto che mi dimostrate, mi
scalda il cuore (il che
in questo periodo non guasta^^).
Vi
abbraccio virtualmente!
Lexi
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Buon Natale!
Una dedica speciale alle ragazze che con le loro parole mi fanno
sentire in famiglia.
Capitolo
8
Se
sua madre fosse entrata nella sua camera quella mattina, approfittando
della
sua assenza per ispezionare casa, probabilmente avrebbe pensato che lei
fosse
stata vittima di un furto. Il contenuto del suo capiente armadio, o
perlomeno
buona parte di esso, si trovava sparso per la stanza: c’erano
vestiti
abbandonati sopra le lenzuola, camicette dimenticate sulla scrivania
insieme a
numerose gonne dalle più svariate fantasie, scarpe
distrattamente lasciate sul
pavimento pronte a provocare imbarazzanti e dolorose cadute.
Eppure
Clara, che normalmente si riteneva una persona ordinata, non era
riuscita a
impedirsi di provocare quel casino, che sarebbe stata costretta a
riordinare
una volta rientrata dall’università.
Se sopravvivo.
Prevedendo
quanto sarebbe successo, aveva cercato il piano e il numero
dell’ufficio di
Visconti la sera prima, annotandoseli sull’agenda per evitare
di dimenticarseli
all’ultimo, preda di un’ingiustificata agitazione.
Quindi non impiegò molto a
raggiungere il corridoio esatto, pur essendo uscita più
tardi per evitare di
arrivare eccessivamente in anticipo e dargli l’impressione di
essere in
trepidante attesa di quell’incontro. Come si era aspettata,
altre due ragazze sostavano
lì davanti, scambiandosi battute che lei non riusciva a
cogliere e ridacchiando
sommessamente.
Oche.
Visconti
sembrava attirare la rappresentanza peggiore del genere femminile,
quelle
studentesse che erano totalmente disinteressate alla sua materia come
alle
altre, con l’unica differenza che a insegnarla non era un
vecchio rugoso con
voce cantilenante ma un giovane e brillante professore di neanche
trent’anni.
Si sentì a disagio nel dover condividere quei minuti con
loro, come se la sua
sola presenza lì fosse un segnale che anche lei, in fondo,
era una ragazzina
infatuata e non la donna responsabile che voleva credere di essere.
Rassegnata,
prese posto su una panca a pochi metri di distanza, estraendo il
quaderno degli
appunti e cercando la concentrazione necessaria per isolarsi e
sfruttare quel
momento di inattività per ripassare. Erano le dieci e,
nonostante avesse due
persone a precederla, era fiduciosa che Visconti l’avrebbe
ricevuta prima dello
scadere del suo orario alle undici. Certo, lei non era una
frequentatrice
assidua di quegli incontri, ma le poche volte che le era capitato di
recarsi da
un docente se l’era sempre sbrigata in una quindicina di
minuti o poco più.
Come
previsto una delle due ragazze entrò e uscì in un
quarto d’ora, scambiando uno
sguardo entusiasta e sognante con l’altra prima che
quest’ultima bussasse e
scivolasse oltre la porta.
Finalmente sola.
Clara
esultò silenziosamente, riprendendo a sfogliare le pagine e
annotandosi a
margine eventuali dubbi dell’ultimo secondo. Proprio mentre
scriveva una
possibile domanda, fu distratta da un rumore cadenzato di tacchi sul
pavimento
di marmo dell’edificio. Sollevando gli occhi si
ritrovò a fissare una ragazza
altissima, le cui gambe slanciate venivano esaltate da un paio di
vertiginosi
sandali e da una gonna stretta e decisamente troppo corta.
«Stai
aspettando Giulio?» le chiese, mentre prendeva posto accanto
a lei.
«Sì»
rispose secca, indispettita. Non sapeva se a provocarle quella
sensazione di
fastidio fosse la bellezza appariscente dell’altra o il fatto
che lei lo avesse
chiamato per nome, come se godessero di un grado di intimità
superiore, persino
esclusivo. Le sembrava sbagliato.
«Comunque
io sono Alice» disse, tendendole la mano.
Cos’era,
una maniaca dei nomi?
«Clara»
replicò, senza alcun entusiasmo. Non c’era nemmeno
un singolo ragionevole
motivo per cui avrebbero dovuto presentarsi, visto che il loro rapporto
non
avrebbe avuto seguito in futuro.
Ma
approfittò dell’occasione per ispezionare ogni
dettaglio dell’altra, notando lo
smalto rosso sulle unghie e gli occhiali da sole griffati elegantemente
sollevati tra i capelli. La borsa che teneva tra le mani era talmente
minuscola
da poter contenere a malapena un cellulare e un portafoglio, se li si
premeva
con forza all’interno.
Non è
qui per questioni
scolastiche.
Quel
pensiero le diede noia, così cercò di scacciarlo
tornando ai suoi appunti e
immergendovisi così teatralmente da scoraggiare la dea al
suo fianco dal
disturbarla di nuovo. Funzionò, almeno fino a quando non si
sentì scuotere da
una mano esile che la invitava a prestare attenzione.
«È
il tuo turno» sottolineò Alice, indicandole una
persona che si allontanava di
spalle.
Alla
buon’ora.
La
ringraziò in modo sbrigativo, recuperò la borsa e il
quaderno e si diresse
speditamente verso l’ufficio, dove entrò dopo aver
educatamente bussato.
Visconti era seduto dietro alla sua scrivania, con le braccia
mollemente
abbandonate lungo i braccioli e lo sguardo annoiato di chi ha ascoltato
conservazioni vuote per oltre un’ora.
«Buongiorno»
la salutò cordialmente. «Lei è
l’ultima?».
A
Clara sembrò di scorgere una nota di speranza in quella
domanda e si sentì
colpevole, come se fosse stata lei stessa a renderlo così
insofferente.
«No»
chiarì subito. «C’è
un’altra ragazza».
«Allora
la faccia entrare» la invitò lui, con un gesto
rapido della mano.
«Ma
sono arrivata prima io!» protestò veementemente.
Era rimasta seduta lì fuori
per un tempo che le era sembrato interminabile e ora lui la costringeva
ad
attendere ancora, come se lei non contasse nulla.
«Le
mie studentesse hanno la precedenza» precisò lui.
Sembrava persino protettivo,
come se quelle oche meritassero una simile considerazione da parte sua.
«Come
vuole».
Gli
lanciò un’occhiata furiosa che diceva
l’esatto contrario, prima di voltarsi e
uscire da quella dannatissima stanza dove non avrebbe rimesso piede se
non per
ottenere i chiarimenti promessi.
«Ti
sta aspettando» disse ad Alice, che la fissò
perplessa per poi sorridere
compiaciuta e sorpassarla.
Andate al
diavolo, entrambi.
L’orgoglio
che la contraddistingueva fin da bambina iniziò a
pungolarla, esortandola ad
andarsene dopo quello smacco: se lui la relegava all’ultimo
posto nella sua
agenda, lei non avrebbe nemmeno dovuto inserirlo nella sua. E
nonostante quella
fosse un’ipotesi allettante, si rese immediatamente conto che
le si sarebbe
rivoltata contro, portandola a rinunciare alle spiegazioni di cui aveva
realmente
bisogno.
Ho bisogno di
lui.
Era
una confessione insopportabile, specialmente ora che si sentiva
umiliata dal
suo comportamento. Cercò di scacciare ogni coinvolgimento a
livello personale
in quella faccenda, ripetendosi di restare calma e di sfruttarlo per
poi
escluderlo totalmente dalla sua esistenza. Non sarebbe stato difficile,
dal
momento che vi era entrato da un solo giorno.
Ma a chi vuoi
darla a bere?
Lui
esercitava una strana influenza su di lei, era capace di condizionare
la sua
giornata con un gesto che sarebbe parso insignificante ad altri,
compresa lei
fino a ventiquattrore prima. Quando finalmente era riuscita a
riacquistare la
tranquillità che lui le aveva sottratto, Alice
uscì dall’ufficio, sorridente
come una marmocchia che al lunapark ha avuto in dono un lecca-lecca
gigante.
«Ti
sta aspettando» le comunicò gentile, ma a Clara
sembrò che stesse scimmiottando
la sua uscita precedente, rendendola ridicola.
Imponendosi
un certo controllo, la salutò e si diresse da lui, volendo
evitare ulteriori perdite
di tempo. Ma le sue nobili intenzioni svanirono velocemente quando lo
trovò di
buon umore, con un sorriso scanzonato a illuminargli il viso.
«Mi
dica che non è come sembra» sentenziò
senza riuscire a trattenersi.
Visconti
era comodamente seduto ma, a differenza di prima, si era sfilato la
giacca del
completo e le maniche della sua camicia erano state arrotolate fino ai
gomiti,
lasciando in mostra gli avambracci coperti da una leggera peluria
scura. In più
la cravatta scura era allentata, come se fosse diventato un fastidio
tenerla
stretta intorno al collo.
«Come
scusi?»
Lui
la guardò spaesato, non capendo a cosa lei si riferisse.
«Che
fa il cascamorto con le sue studentesse» continuò
lei, inviperita.
Avrebbe
dovuto tacere, ne era pienamente consapevole, ma la sua indignazione
aveva
preso il sopravvento riversandosi su di lui. Inaspettatamente Giulio
scoppiò a
ridere, lasciandola esterrefatta e peggiorando il suo nervosismo. Non
la
prendeva sul serio?
«Questa
sì che è divertente»
esclamò, non appena riacquistò un po’
della sua abituale
compostezza. «Ma si ricorda con chi sta parlando?».
Con uno
squallido donnaiolo.
«Con
lei» sottolineò Clara, come se fosse ovvio.
«Con
un professore» la corresse lui. «Quindi cerchi di
comportarsi come richiesto».
Non
ebbe nemmeno il tempo di elaborare una giustificazione per le sue
parole perché
rimase stordita dalla frase successiva, pronunciata a voce bassa, quasi
stesse
parlando da solo e non con lei. «Altrimenti non lo
farò neppure io».
Per
quanto si sforzasse di interpretarla, quell’ammissione non
aveva alcun senso.
Fu lui a richiamarla alla realtà, strappandola dalle
supposizioni che stava
architettando e invitandola a sedersi per iniziare a chiarire le sue
perplessità.
«Abbiamo
i minuti contati» annunciò, dopo aver guardato
l’orologio che portava al polso.
Potevi evitare
di spassartela
pensò Clara, ma evitò di esternare quella sua
battuta acida per non provocare
un ulteriore diverbio.
Sistemò
i suoi appunti sulla scrivania e iniziò a porre le domande
che si era annotata,
ascoltando con attenzione le risposte che lui le forniva e prendendo
nota dei concetti
più rilevanti e poco chiari. Visconti si rivelò
un docente straordinariamente
preparato, ma allo stesso tempo fu paziente e le permise di
interromperlo
quando non riusciva a seguire un suo ragionamento o quando le sorgevano
nuovi
dubbi. Ad un certo punto le allungò la Costituzione,
esortandola a leggere lei
stessa l’articolo che le aveva indicato mentre lui si chinava
verso di lei per
scorgere il testo a sua volta. Clara trattenne il respiro, avvertendo
il calore
della sua mano accanto alla propria e il suo viso così
vicino che avrebbe
potuto sfiorarlo con la punta del naso. Ma anche quel momento
passò e la
spiegazione proseguì come se nulla fosse successo,
nonostante il suo cuore
avesse accelerato i battiti e la sua concentrazione fosse venuta meno.
«Direi
che abbiamo concluso» esordì soddisfatto,
accorgendosi che i quesiti che la
ragazza si era segnata erano stati affrontati per intero.
«Sì»
confermò lei. Se solo il suo manuale avesse spiegato quegli
argomenti con
altrettanta chiarezza lei avrebbe potuto rileggerli, confrontandoli con
l’approfondimento appena svolto.
Lui
sembrò cogliere l’impercettibile esitazione nel
suo assenso e comprenderne la
causa.
«Le
serve altro materiale?»
«Può
prestarmelo?» chiese lei, sorpresa dalla sua perspicacia.
«In
teoria no» affermò lui. «Ma
può essere un nostro segreto» disse, regalandole
un
sorriso complice che la stordì.
Nostro.
Come suonava bene quella parola pronunciata da lui.
«Prenda
il libro con la copertina verde, sul quinto scaffale» le
spiegò lui, accennando
alla libreria che riempiva l’intera parete di sinistra.
Clara
si avvicinò grata, ma si accorse in fretta che lui doveva
aver sopravvalutato
la sua altezza se riteneva che lei potesse arrivarci. Provò
ad alzarsi sulle
punte, ma anche così riusciva a malapena a raggiungere la
mensola.
«Lasci
fare a me» sussurrò lui alle sue spalle,
allungandosi fino ad afferrare il
volume e porgendoglielo non appena lei si voltò, trovandosi
praticamente contro
il suo petto. La ragazza non si era aspettata di averlo così
vicino, perciò
sussultò, perdendo la presa sul manuale che cadde a terra.
Costernata per la
sua stupidità, si affrettò a chinarsi per
raccoglierlo, ma Giulio fu
altrettanto rapido e finirono per scontrarsi, sbattendo violentemente
la testa
uno contro l’altro.
«Che
dolore!» esclamò lui, sollevandosi mentre si
teneva una mano sul sopracciglio
destro.
«Oddio,
mi dispiace! Io non so proprio… ».
«Lei
è una fonte infinita di guai» la interruppe lui
con un tono scherzoso,
sdrammatizzando la situazione per toglierla dall’imbarazzo.
Ma Clara divenne
ancora più rossa in viso, incapace di articolare delle scuse
decenti e di porre
rimedio al disastro che aveva combinato.
«Mi
faccia controllare» propose infine, cercando di rendersi
utile.
Gli
scostò delicatamente la mano e tastò la zona
colpita, che ora risultava gonfia
e presto avrebbe assunto un colorito violaceo.
Per fortuna non
indossava gli
occhiali.
Si
ritrovò a fissarlo intensamente, perdendosi nei suoi limpidi
occhi azzurri che
per la prima volta non era nascosti dietro un paio di lenti. Il tempo
sembrò
fermarsi mentre nessuno dei due osava scostarsi e le dita di Clara
continuavano
a percorrere il suo viso, fino a posarsi nell’incavo tra
collo e spalle.
«Non
ci riesco» ammise Giulio con voce roca, prima di annullare la
distanza che li
divideva e stringerla a sé, mentre le sue labbra catturavano
quelle della
ragazza in un bacio che entrambi avevano desiderato troppo intensamente
per
potervi rinunciare.
Nemmeno io.
Considerazioni
Eccomi
qui, con il capitolo natalizio che è venuto più
lungo del solito ma che non mi
sono sentita di tagliare, perché volevo che la scena
risultasse completa. Che
dite, vi ho fatto un regalo decente?
Adesso
inizia un periodo un po’ incasinato, perché la
sessione invernale di esami
inizia subito dopo le vacanze e quindi lo studio diventa la mia
priorità.
Quindi non consideratemi dispersa se non aggiorno con la solita
frequenza,
cercherò di fare il possibile per non farvi attendere troppo.
Approfitto
dell’occasione per augurarvi sinceramente un Buon Natale e un
Felice Anno Nuovo
(nel caso non aggiornassi prima del 31). Se le ragazze che hanno
aggiunto la
storia tra le seguite senza mai lasciare una recensione volessero in
questa
occasione approfittarne mi farebbero un regalo di inestimabile valore :)
A
presto!
Un
bacio
Lexi
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Alla vostra
pazienza.
Capitolo
9
Fu
lui a prendere l’iniziativa, annullando le distanze tra loro
per strapparle un
bacio cauto, colmo di insicurezza e desiderio a lungo represso. Clara
non se lo
aspettava, fu perciò colta di sorpresa tanto da rimanere
completamente passiva.
Proprio nell’attimo in cui realizzò appieno la
situazione, Giulio si staccò,
come se temesse una reazione negativa. Rimanendo in silenzio le
offrì uno
sguardo dispiaciuto.
«Scusami,
io non avrei... » snocciolò confusamente.
Clara
avrebbe dovuto lasciarlo terminare e capire se nutriva dei ripensamenti
su
quanto appena accaduto, ma la voglia di stringerlo nuovamente tra le
proprie
braccia era troppo pressante per lasciare spazio a qualsiasi
considerazione
razionale. Lo strattonò per la camicia, tirandoselo
letteralmente addosso e
facendo finire entrambi contro la libreria alle sue spalle.
Sentì un acuto dolore
alla schiena causato dall’impatto con le mensole, mentre lui
cercava di
limitare i danni provocati dalla sua avventatezza appoggiandosi ai
volumi
ordinatamente disposti. Nessuno dei due prestò particolare
attenzione a un paio
di libri che capitolavano a terra, stravolti dalla smania di toccarsi
che li
stava divorando. Quasi si scontrarono nella fretta di ritrovare le
labbra dell’altro,
consapevoli dell’attrazione reciproca che li guidava,
cancellando ogni
inibizione. Giulio le afferrò saldamente un fianco,
portandosela più vicina,
mentre con l’altra mano le accarezzava il collo intrecciando
tra le dita
qualche ciocca di capelli. Passarono alcuni minuti in cui si separarono
solo
per riprendere fiato e lanciarsi un’occhiata complice e
divertita, senza tuttavia
guastare quel momento magico con qualche parola inopportuna. Erano
ancora lì,
in piedi contro la libreria, quando un deciso bussare li interruppe,
mandandoli
temporaneamente nel panico.
«Maledizione!»
mormorò Giulio, mentre si avviava alla porta per vedere chi
era venuto a disturbarli.
«Aspetti»
lo fermò lei.
Vedendolo
stupito gli indicò le condizioni della sua camicia, che per
metà era
fuoriuscita dai pantaloni, insieme alla cravatta che penzolava in
disordine. Lo
aiutò a ricomporsi, quasi come una mamma con il proprio
figlio, per poi
defilarsi verso la scrivania dove non avrebbe potuto essere scorta.
«Giulio,
ragazzo mio!» esclamò una voce rauca
dall’esterno. «Capito in un cattivo
momento?».
Era perfetto
fino a un attimo fa, pensò
Clara lasciandosi sfuggire un sospiro di frustrazione.
«No,
sono solo piuttosto impegnato» ammise il giovane dopo un
caloroso saluto.
«Cosa
ti è successo?» indagò
l’altro, indicando il sopracciglio tumefatto.
«Niente
di grave» chiarì Giulio. «Afferrando un
manuale ne ho sbadatamente fatti cadere
un paio».
Non
sembrava essere particolarmente a disagio nell’apparire uno
sciocco, eppure la
ragazza si sentì in colpa per averlo costretto a pronunciare
quella bugia che
lo dipingeva assai diversamente dalla persona precisa che lei conosceva.
«Sono
incidenti che capitano» scherzò
l’anziano collega. «Piuttosto, ero venuto a
chiederti se avevi già piani per pranzo,
perché in caso contrario vorrei
presentarti alcuni amici docenti».
Giulio
esitò impercettibilmente, come se per un istante
l’idea lo avesse allettato a
sufficienza da mandare in fumo il suo incontro con Clara.
«Mi
dispiace, oggi è una giornata veramente piena».
«Peccato.
Erano desiderosi di conoscere un professore così giovane e
brillante».
Clara
avrebbe dovuto esultare per la decisione di Visconti e sentirsi
lusingata dell’importanza
che, con quel rifiuto, lui le aveva automaticamente attribuito. Eppure
la
sensazione di essere diventata improvvisamente un ostacolo era
così forte da
annebbiarle la vista di lacrime e cancellare il sorriso allegro che
fino a quel
momento le aveva illuminato il viso.
Non
ascoltò la fine della conversazione e si accorse solo
all’ultimo che Giulio
aveva richiuso la porta e stava tornando da lei, completamente ignaro
delle sue
recenti riflessioni.
«Dov’eravamo
rimasti?» chiese ironicamente.
Si
chinò su di lei per baciarla ma la ragazza si
scostò, lasciandolo di stucco.
«C’è
qualcosa che non va?». Era serio, il tono divertito di poco
prima aveva
lasciato spazio a uno apprensivo, quasi allarmato.
«Sì»
chiarì Clara, sforzandosi di guardarlo negli occhi.
«Non dovremmo continuare, è
sbagliato».
«Perché?»
«Perché
lei sarebbe dovuto andare a quel pranzo, mentre io avrei dovuto essere
già a casa,
a preparare il mio esame».
Giulio
scoppiò quasi a ridere, apparentemente sollevato.
«Se
il problema tra noi è l’invito che ho rifiutato,
allora non preoccuparti, non
me ne importava niente» ammise sincero.
Bugiardo.
«Anche
se fosse vero» continuò Clara imperterrita.
«Rimane il fatto che io non dovrei
essere qui, con lei, nel suo ufficio».
«Perché?».
«Perché
stiamo infrangendo qualsiasi regolamento universitario!»
sbottò lei, allargando
le braccia per palesare l’ovvietà della sua
affermazione. «Io sono una
studentessa e lei è un professore».
«Mi
hai mai trattato come tale?» domandò lui,
incredulo.
Ci ho provato.
La
ragazza esitò e lui ne approfittò per ridurre le
distanze tra di loro,
incombendo su di lei pur senza risultare minaccioso, perché
nei suoi occhi si
scorgeva nuovamente un certo ottimismo.
«Sii
sincera».
«No»
capitolò Clara.
«Ti
prego, non cominciare ora».
L’attirò
a sé per evitare che lei potesse inventare altre scuse,
strappandole una debole
protesta prima che entrambi si abbandonassero alle sensazioni provocate
dal
bacio che si stavano scambiando.
«Non
lasciare che le convenzioni guidino sempre le tue azioni» le
sussurrò dolcemente
all’orecchio, mentre si spostava dalla sua bocca per
aggredire il collo
lasciato scoperto dal vestito che lei indossava. Clara si godette il
tocco
delicato delle sue labbra, mentre con le mani gli scompigliava i
capelli corti
per poi spostarsi verso il petto solido e armeggiare con i bottoni
della sua
camicia. Li fece passare attraverso le asole, uno alla volta, come se
avesse a
disposizione l’intero giornata e non una manciata di minuti.
Nel frattempo
Giulio aveva tempestato di baci e piccoli morsi la sua gola,
arrossandole la
pelle e provocandole ondate di calore che non riusciva a spegnere; non
fu
affatto d’aiuto quando iniziò ad accarezzarle la
curva del seno, sfiorando con
un pollice la scollatura dell’abito e il bordo del reggiseno.
Clara sentì l’eccitazione
crescere e con essa il bisogno di averlo più vicino, pelle
contro pelle. Senza esitazioni
gli sfilò la camicia, aiutandolo a districarsi dai polsini,
per poi liberarlo
anche dalla cravatta che finì
sul
pavimento. Dopo un’occhiata provocatoria si dedicò
al collo del giovane,
alternando labbra e lingua, in una scia di focose attenzioni che
terminò all’altezza
del cuore con un sospiro strozzato di Giulio.
Clara
si sollevò e sorrise compiaciuta, fiera di essere riuscita a
penetrare quella
corazza di imperturbabilità che sembrava alleggiare intorno
al professore.
«Questa
me la paghi» replicò lui, ridendo.
Prima
che lei potesse rendersene conto, la spinse indietro in modo che la sua
schiena
si appoggiasse alla superficie della scrivania. Ma Clara, colta di
sorpresa,
allargò le braccia a frenare la discesa e urtò un
portapenne che si rovesciò,
spargendo a terra l’intero contenuto.
Sei
irrecuperabile.
Arrossì
immediatamente, ritrovandosi sui gomiti a fissare Giulio che era
rimasto in
piedi a occupare lo spazio tra le sue gambe.
«Sono
una frana» disse imbarazzata. «Mi scusi».
Lui
la ignorò e si piegò su di lei, accarezzandole i
fianchi snelli fino a quando
la sua bocca si fermò sul suo petto, dove posò un
paio di baci languidi.
«Cosa
ne dici di darmi del tu?» propose divertito, lanciandole
un’occhiata scanzonata, simile a quella di un bambino dispettoso.
Era
del tutto logico quello che lui chiedeva, ma Clara si
ritrovò in difficoltà,
come se chiamarlo per nome fosse un gesto più intimo di
quelli che avevano già
condiviso.
«Va
bene».
«Giulio»
sottolineò lui, insoddisfatto.
«Va
bene, Giulio».
Il
sorriso che le regalò fu sufficiente a spazzare via ogni
indecisione, perché era
colmo di una gioia inaspettata, la stessa che in quel momento lei
avrebbe
potuto scorgere anche sul suo viso se solo si fosse guardata allo
specchio. Il
bacio che si scambiarono un istante dopo sembrava portare con
sé una nuova consapevolezza:
c’era qualcosa di speciale, tra loro. Ora lo sapevano
entrambi.
Considerazioni
Ok,
siete totalmente giustificate se volete ricoprirmi di improperi! Sono
imperdonabile, vi ho lasciato più di un mese senza
aggiornamenti. Spero possiate
scusarmi, ma durante la sessione di esami di gennaio non sono riuscita
a
scrivere perché ero troppo stanca per potermi concentrare
sulla storia. Poi ho
sofferto per qualche giorno di crisi di ispirazione, non riuscivo a
scrivere
una singola riga. Finalmente sono riuscita a produrre questo capitolo,
che è
sicuramente uno dei più importanti e che, proprio per
questo, ha reso la
ripresa ancora più difficile. Non sono sicura di essere
riuscita a renderlo
bene, spero di sì, in ogni caso fatemi sapere cosa ne
pensate.
Ora
gli aggiornamenti dovrebbero tornare a essere regolari.
Mi
siete mancate, non immaginate quanto.
A
presto!
Lexi
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo
10
L’amplesso
era arrivato, in tutta la sua travolgente pienezza. Si erano guardati
negli
occhi, intensamente, mentre i loro corpi erano scossi dalle ondate
conclusive
del piacere che avevano condiviso e che li aveva visti unirsi
lì, su quella
scomoda scrivania. Giulio si era accasciato un attimo sulla spalla
della
ragazza, come a voler assaporare un’ultima volta il sapore
della sua pelle e il
profumo dei suoi capelli, sparsi disordinatamente sul piano sotto di
lei.
Clara
capì che era tutto finito quando lui finalmente si
alzò, uscendo da lei e
dandole le spalle. Non si era aspettata che quel momento di imbarazzo,
che
naturalmente seguiva un rapporto sessuale tra estranei, fosse colmato
da frasi
altisonanti e dichiarazioni di amore imperituro. Non era una sciocca.
Eppure il
silenzio che scese tra di loro, a riempire lo spazio lasciato da gemiti
e
sospiri che si erano susseguiti fino a poco prima, la lasciò
disorientata. A
fatica si sollevò, percependo un lieve fastidio alla schiena
laddove era stata
premuta contro la solidità del legno dal peso di Giulio.
Mentre il professore
si rivestiva, lei recuperò l’intimo e
sistemò il vestito leggero che aveva
scelto quella mattina e che era rimasto arrotolato in vita,
poichè la foga
della passione aveva impedito loro di spogliarsi completamente. Avrebbe
voluto
specchiarsi per constatare lo stato dei suoi capelli, sicuramente
arruffati per
via delle carezze di Giulio, ma si accontentò di passarvici
le mani e legarli
in una coda ordinata. Mentre
recuperava
le proprie ballerine, finite chissà come dietro una sedia,
notò la cravatta del
giovane, ugualmente abbandonata sul pavimento.
«Cercavi
questa?» esclamò canzonatoria quando si accorse
che Giulio era alla ricerca
piuttosto frenetica di qualcosa.
«Proprio
così» ammise lui, allungando una mano per farsela
consegnare e degnandola di
un’occhiata per la prima volta da quando si era allontanato
da lei. Fu
questione di una manciata di secondi, perché il suo sguardo
si sottrasse
velocemente a quel contatto, rivolgendosi alla parete dietro di lei.
Cosa ti succede?
Avrebbe
voluto porgli quella e un altro centinaio di domande per capire il
motivo di
quel suo atteggiamento inspiegabilmente distaccato, ma la paura di
udire parole
che l’avrebbero ferita, proprio quand’era
più vulnerabile, la frenò.
Voltandosi
recuperò la propria borsa e vi infilò
rabbiosamente gli appunti che aveva
dimenticato sulla scrivania, passati inevitabilmente in secondo piano
alla luce
degli sviluppi del loro incontro.
«Maledizione»
imprecò Giulio, strattonandosi nervosamente la cravatta
intorno al collo. Clara
lo osservò in silenzio, captando segnali di insofferenza nel
lieve tremolio
delle sue mani e negli sbuffi che emetteva ripetutamente.
«Lascia
fare a me» si offrì, vedendo che il professore non
otteneva alcun risultato, se
non quello di stropicciare ulteriormente la sua cravatta.
Giulio
si arrese, a malincuore, consegnandogliela e rimanendo immobile in
attesa che lei
svolgesse il compito affidatole. Clara si sistemò di fronte
a lui, gli sollevò
il colletto e vi fece scorrere intorno il morbido tessuto per poi
concentrarsi
sul nodo da creare. La sua vicinanza non la aiutava a mantenere la
lucidità
necessaria e ci volle tutta la sua forza di volontà per
escludere dalla mente
le immagini dei loro baci appassionati e richiamare i ricordi degli
insegnamenti di suo padre, che aveva accontentato il suo desiderio di
bambina
di imparare ad annodare una cravatta.
«Finito»
annunciò soddisfatta.
«Grazie»
rispose Giulio, arretrando impercettibilmente. «Ti
sarò sembrato un impiastro,
ma di solito me la cavo».
Entrambi
colsero immediatamente il doppio senso che quella frase portava con
sé,
nonostante il giovane l’avesse pronunciata per alleggerire la
tensione
palpabile che aleggiava tra di loro.
«Scusami,
ma ora ho del lavoro da sbrigare» continuò,
recuperando la giacca dallo
schienale della sua sedia.
Non ho
più tempo per te.
Era
quello il messaggio sottointeso, affiancato da un implicito invito ad
andarsene
da quello studio e, forse, dalla sua intera esistenza.
«Sì,
certo. Capisco» balbettò Clara, che non si
aspettava di essere liquidata così
sbrigativamente.
Afferrò
le proprie cose e si avviò verso la porta, senza avere il
coraggio di chiedere spiegazioni
o di protestare. Si era illusa di aver condiviso con lui molto
più di un
rapporto sessuale e ora ne scontava le dolorose conseguenze.
«Clara»
la fermò lui, quando lei aveva già la mano sulla
maniglia della porta, pronta a
uscire.
La
ragazza si voltò, trovandolo a pochi passi da lei. Avrebbe
potuto toccarlo, se
solo avesse allungato il braccio e si fosse sporta verso di lui.
«A
presto» concluse, sorridendole insicuro.
Quanto presto?
Non
c’era nulla di confortante nelle sue parole, nulla che le
facesse presagire la
sua volontà di rivederla ancora e di istaurare tra loro una
relazione che
esulasse da quella che avevano come alunna e professore. Nonostante
ciò, Clara
ne fece tesoro e si aggrappò con tutte le proprie forze a
quel barlume di
speranza che da esse poteva trarre.
«A
presto».
A
passo spedito si avviò lungo i corridoi che aveva
attraversato solo qualche ora
prima, facendo affidamento sul suo senso di orientamento per ritrovare
gli
ascensori che l’avrebbero condotta al piano terra.
Tirò un sospiro di sollievo
quando li raggiunse e premette il bottone argentato su cui campeggiava
una
freccia rivolta verso il basso.
«Fermati»
le ordinò una voce conosciuta, mentre lei stava mettendo
piede all’interno
dell’ascensore che aveva risposto alla sua chiamata.
Clara
ubbidì, arretrando e fissando incredula Giulio, che si
avvicinava ansimante
dopo quella che molto probabilmente era stata una corsa. Per un attimo,
mentre
lui riprendeva fiato, si cullò nell’idea che si
fosse precipitato lì per
implorare perdono e stringerla nuovamente tra le sue braccia.
«Avevi
scordato questo» esordì invece, consegnandole il
manuale che aveva promesso di
prestarle per agevolarla nello studio.
«Grazie»
disse lei, riconoscente. «Me ne ero dimenticata, che
stupida».
Si
fissarono per qualche istante, il tempo che un altro ascensore
arrivasse al
piano lasciando scendere alcune persone che li ignorarono, dirette ai
loro
uffici.
«Ora
devo andare» ammise Clara, ribaltando le posizioni di poco
prima. Ora era lei a
volersi sottrarre velocemente a quella situazione per rifugiarsi nella
sicurezza di casa sua, dove avrebbe potuto riflettere con calma sui
recenti
avvenimenti.
«In
bocca al lupo per l’esame» le augurò
Giulio.
Rimase
lì, immobile, ad aspettare che lei scomparisse e il suo
sguardo penetrante fu
l’ultimo dettaglio che Clara riuscì a scorgere
prima che le porte si
chiudessero tra di loro.
È
finita.
Era
un pensiero dal retrogusto amaro quello che
l’accompagnò fuori dall’edificio,
dove una ventata di aria calda e umida le fece rimpiangere la frescura
garantita dall’impianto di condizionamento interno. Cercando
di non sprecare
ulteriori minuti si diresse verso la fermata del tram, ma un suono
breve e
acuto del suo cellulare l’avvisò che aveva
ricevuto un messaggio, così si fermò
all’ombra di un palazzo per leggerlo.
«Sei
in università? Pranziamo insieme?».
L’invito
di Marta era allettante, non poteva negarlo. In quel momento, confusa
com’era,
poter ascoltare il consiglio di un’amica fidata le sembrava
indispensabile. D’altra
parte, la sua coscienza le ricordò che l’esame
incombeva e che lei si era già
concessa troppe distrazioni.
«Un
panino al volo» rispose, sentendosi meglio per quel
compromesso con se stessa.
«Perfetto.
Ti aspetto al solito posto».
Clara
raggiunse il bar in cinque minuti scarsi e individuò subito
Marta, seduta a
quello che insieme avevano eletto come il loro tavolo preferito,
perché si
trovava in un angolo tranquillo ma dotato di una buona vista sul resto
del
locale e sull’esterno.
«Eccoti!»
la salutò l’amica, dimostrando
un’allegria che la ragazza si ritrovò a
invidiare.
Sfogliarono
l’ampio menu scambiandosi qualche breve riflessione sul loro
livello di
preparazione, senza che Clara riuscisse a introdurre
l’argomento che più le
premeva discutere e che le aveva persino sottratto l’appetito.
«C’è
qualcosa che non va?» le chiese Marta, preoccupata.
Tutto.
Giulio
aveva appena fatto il suo ingresso e si stava facendo largo tra sedie e
tavoli
per raggiungere dei colleghi che Clara notò solo allora,
seduti a poca distanza
da loro. Marta, vedendo che l’amica non rispondeva,
seguì la direzione del suo
sguardo e riconobbe il professore.
«Non
dirmi che ti tormenta ancora!» esclamò, mal
interpretando l’espressione
corrucciata dell’altra.
Non immagini
quanto.
«Abbiamo
fatto sesso».
Dirlo
ad alta voce lo rese infinitamente più reale di quanto fosse
stato fino a quel
momento.
«Voi
che cosa?» urlò Marta, non riuscendo a
trattenersi. Così facendo attirò
l’attenzione
di tutti gli avventori, compreso lo stesso Giulio, che non si era
accorto della
presenza della ragazza.
I
loro occhi si incontrarono, mescolando sorpresa e imbarazzo. Il giovane
non
impiegò molto a collegare lo stupore di Marta al rossore che
colorava le guance
dell’amica e il suo sguardo si velò di delusione e
amarezza, di cui la ragazza
era l’unica destinataria. Se solo avesse potuto, Clara si
sarebbe alzata per
spiegargli che aveva frainteso, che il loro segreto sarebbe rimasto
tale e che
lei non avrebbe provocato problemi. Rimase invece seduta, inchiodata al
suo
posto da un ruolo che era chiamata a interpretare e a cui non poteva
rinunciare
senza che la sua carriera e quella di Giulio fossero irrimediabilmente
compromesse.
La
mano di Marta, che stringeva comprensiva la sua, fu il solo conforto
che poté
concedersi.
Considerazioni
Pensavate
che, dopo lo scorso capitolo, fosse tutto rose e fiori eh? Invece no,
la
situazione tra i due inevitabilmente si complica, com’era
prevedibile se
consideriamo che il loro rapporto non dovrebbe nemmeno esistere.
Secondo voi
cos’è successo a Giulio? Cosa gli è
passato per la testa? E Clara, avreste
agito nel suo stesso modo? Non è stato facile scrivere
questo capitolo, perché temo
che l’evoluzione dei sentimenti provati dai due personaggi
possa risultarvi
inaccettabile. Fatemi sapere se vi sembra logica oppure campata per
aria.
Ovviamente sarò disponibile a spiegare più
dettagliatamente ciò che qui si può
solo leggere tra le righe e ipotizzare.
Detto
questo, spero di leggere le vostre opinioni e vi ringrazio per essere
ancora
qui a leggere la storia.
A
presto!
Lexi
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