A Francesca
che condivide
il
mio debole per i professori affascinanti.
A tutte le
ragazze che non ne sono immuni.
Ringrazio infinitamente ThePoisonPrimula e Drama_Queen per il banner che hanno realizzato per la storia.
Capitolo 1
Era
ancora profondamente addormentata quando il cellulare aveva iniziato a
squillare, provocandole un mezzo infarto per lo spavento.
Stropicciandosi gli
occhi con le mani, si prese qualche secondo per riaversi dallo sgradito
risveglio prima di prestare attenzione al suo telefono che continuava
imperterrito
a proporle quell’orribile suoneria che lei non si era mai
decisa a modificare.
«Pronto?»
esordì poco convinta, soffocando a fatica uno sbadiglio.
«Tesoro?»
indagò
sua madre, preoccupata. «Stai bene?».
«Certo».
«Immagino
tu stia per uscire» continuò, «quindi
ti auguro buona fortuna per il tuo esame».
Quante volte
avrebbe dovuto
ripeterle che non si augura buona fortuna?
In più di dieci
anni sembrava non aver afferrato il concetto, eppure lei si era
sforzata di
trasmetterglielo..
Un
momento, aveva davvero detto “immagino tu stia per
uscire”?
Clara
si voltò di scatto verso la radiosveglia sul comodino,
pregando silenziosamente
che il suo presentimento fosse sbagliato.
7.55.
L’orologio
digitale aggiornò proprio in quell’istante
l’ora, mentre la ragazza districava
ansiosamente le gambe dal lenzuolo che, dispettoso, sembrava voler
peggiorare
la situazione.
«Mamma
devo scappare».
Chiuse
la conversazione senza aggiungere altro, consapevole che ogni minuto
trascorso
a spiegare cosa stava succedendo era estremamente prezioso per potersi
vestire
e sistemare prima di uscire.
Era
in ritardo. No, era in uno spaventoso ritardo.
Marta
le aveva dato appuntamento alle 8.20 per una colazione veloce prima
dell’esame,
come loro abitudine da ormai tre anni. Clara sapeva, anzi ne era certa,
che
violare quel rito avrebbe provocato conseguenze inimmaginabili. Non era
superstiziosa, quello no, però perché cambiare le
tradizioni quando queste sembravano
produrre effetti positivi?
Si
avviò a passo di marcia verso il bagno, sciacquandosi il
viso che portava
ancora i segni del cuscino, mentre le occhiaie della sera prima erano,
se
possibile, più evidenti.
Con
qualche imprecazione poco fine mandò al diavolo la mancata
sveglia e si fece
una coda alta, raccogliendo i capelli che quella mattina sembravano
proprio
incapaci di assumere una forma accettabile.
Tornò
in camera sbuffando, le premesse per una giornata disastrosa sembravano
esserci
tutte.
Ringraziò
la sua diligenza che l’aveva spinta a preparare la borsa la
sera prima, così da
evitare di dimenticare a casa qualcosa di fondamentale. Aprì
l’armadio,
rapidamente estrasse un abito fiorato e un cardigan da abbinarci e se
li
infilò: non aveva il tempo di meditare sulla mise
più adatta per l’occasione. Avvicinandosi
al comodino recuperò la sua tracolla e, per vendetta,
lanciò il cuscino contro
l’orologio prima di uscire velocemente dalla stanza.
Sciocca, si
rimproverò da sola, ma scoppiò a ridere rovinando
la sua ramanzina.
Si
precipitò letteralmente giù dalle scale, sperando
di non incrociare nessun
condomino che le rallentasse il passo. Arrivò in strada e si
mise a correre
verso la fermata del tram distante un centinaio di metri, mentre lo
sferragliare del mezzo iniziava a essere udibile alle sue spalle.
Non posso
perderlo.
Se
lo ripeté come un mantra una dozzina di volte, mentre
aumentava il ritmo delle
falcate.
Si
fermò solo davanti alle porte aperte, piegandosi in due
sulle ginocchia con il
fiato corto e i polmoni in fiamme.
«Serve
aiuto?»
le chiese cortesemente un signore anziano lì accanto.
Gli
fece cenno di no con la testa, troppo in debito di ossigeno per
articolare una
frase intera di senso compiuto. Dopo
un’ultima occhiata scettica l’altro si
allontanò, occupando l’unico posto a
sedere rimasto libero.
Era
una giornata no, avrebbe dovuto prenderne atto, scendere da quel
dannato tram e
tornare sotto le coperte dove nulla di spiacevole sarebbe potuto
accadere.
Il
cellulare prese a squillare di nuovo, richiamando
l’attenzione di un paio di ragazzini
di fronte a lei che ridacchiarono. Era così oscena la sua
suoneria?
Per
un lunghissimo istante pensò di ignorarlo, convinta che
fosse sua madre.
«Marta?»
domandò incerta, dopo essersi decisa a rispondere.
«Dove
sei finita?».
«Sto
arrivando»
tagliò corto.
Non
era il caso di spiattellare il suo devastante inizio di giornata a
tutti i
presenti che sapientemente fingevano di interessarsi al panorama quando
invece
ascoltavano attentamente ogni sua parola.
«Sei
già al bar?».
«Affermativo».
Affermativo? Sul
serio? La
sua amica guardava troppe serie tv poliziesche, era un dato di fatto.
«Prendimi
una brioche alla marmellata e una spremuta di arancia, per favore».
Odiava
sfruttare le altre persone ma, in quella situazione, o Marta le
ordinava la
colazione o l’avrebbe sicuramente saltata, conoscendo i tempi
medi con cui i
tavoli venivano serviti.
«Già
fatto».
Ecco
perché adorava Marta: sapeva raddrizzare il suo umore con un
gesto gentile e
completamente inatteso.
«Grazie.
Sarò lì a minuti».
Quando
finalmente scese dal tram ebbe l’istinto di mettersi a
saltare per la gioia e
la soddisfazione di essere arrivata in tempo per trangugiare il
cornetto e non
presentarsi all’esame a digiuno, rischiando di collassare sul
foglio delle
domande.
«Eccomi,
eccomi, eccomi»
cantilenò sbracciandosi mentre raggiungeva Marta al tavolo.
Un
paio di uomini si voltarono nella sua direzione, probabilmente
perplessi da
quella manifestazione di gioia, ma Clara li ignorò
lasciandosi cadere sulla
sedia.
«Hai
una faccia»
commentò la sua amica, osservandola attenta.
«Non
c’è bisogno che tu me lo dica, lo so benissimo»
ammise
sconsolata, addentando la brioche.
Era
deliziosa, tiepida, come piaceva a lei.
«Cos’è
successo?»
indagò Marta, la cui curiosità era proverbiale.
«Non
mi è suonata la sveglia».
«E’
un miracolo che tu ce l’abbia fatta allora» si
complimentò l’altra.
«Davvero»
ammise Clara. «Sarebbe
stata una tragedia saltare questo esame».
Spazzolandosi
le briciole dalle gambe recuperò la sua spremuta,
portandosela velocemente alle
labbra per dissetarsi dopo la colazione e la corsa di poco prima.
«Che
schifo».
Per
fortuna riuscì a trattenersi dallo sputare il sorso che
aveva appena bevuto, altrimenti
il vestito di Marta sarebbe stato irrimediabilmente rovinato.
«Che
succede?»
domandò l’amica, vedendo la sua faccia disgustata.
«E’
dolcissima. Imbevibile».
«Chiedi
di portartene un’altra» le propose, cercando di
calmarla.
Clara
lanciò un’occhiata veloce all’orologio
accorgendosi che erano già in ritardo,
figurarsi se poteva concedersi il lusso di attendere un’altra
spremuta, una
decente.
«Lascia
perdere»
la rassicurò. «Porto
il bicchiere al bancone e andiamo, ok?» propose, recuperando
la sua borsa. E magari faccio il culo al
barista tanto che ci sono.
Mentre
passava cautamente tra due tavoli un ragazzo si alzò e le
diede una spallata,
involontariamente. La ragazza recuperò fortunatamente
l’equilibrio, ma non
riuscì ad evitare che la spremuta si rovesciasse al suo
fianco, per terra.
«Scusami»
si affrettò a dire l’altro. «Non mi ero
accorto che ci fosse qualcuno».
Era
carino, ancora di più per l’espressione
supplichevole che gli si leggeva in
viso.
«Sono
Claudio»
aggiunse spudoratamente, tendendole la mano e approfittando del momento.
Clara
non fece in tempo a replicare perché fu interrotta da una
voce proveniente da
dietro le sue spalle.
«E
io sono quello che gradirebbe la sua attenzione, se non è
chiedere troppo».
Ma senti questo!
Come si permette?
Si voltò infuriata, trovandosi di fronte gli occhi più azzurri
che avesse mai
visto.
Dopotutto
le cameriere non avrebbero dovuto pulire
il pavimento, dato che la spremuta si era versata copiosamente
sulla camicia e i pantaloni dello
sconosciuto.
Considerazioni
Spero
che abbiate gradito questo primo capitolo. Non è nulla di
trascendentale, solo
una storia che vuole lasciarsi leggere, senza troppe cerimonie. Si
svilupperà
in cinque capitoli, almeno se non cambio i miei progetti. Fatemi sapere
se ne
vale la pena.
A
presto!
Lexi