Storia di un'Inquisizione

di lady hawke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno: vita famigliare ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: primi segnali di magia ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: lettere dal nord ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro: Durmstrang ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque: vita da studentessa ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei: apprendistato da bardo ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette: racconti d'estate ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto: rientri, cipolle e delegazioni ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove: nozze imminenti ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci: il torneo ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici: Guendalina va a Durmstrang ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici: le bacchette di Olof ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici: scrigni ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici: stella cadente ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici: ammazzadraghi ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici: notti bianche ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassette: volta la carta ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto: gattabuia ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannove: Freddafiamma ***
Capitolo 21: *** Capitolo venti: il processo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventuno: il rogo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventidue: ritornare ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitre: brezze estive ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note: Benvenuti nagivanti internettiani! Questa storia, sappiatelo, è attualmente in corso e in via di più precisa definizione, ma l'ho iniziata almeno tre anni fa e da allora non sono più riuscita a togliermela dalla testa. L'idea è partita da un personaggio su cui Harry doveva fare un tema per le vacanze, all'inizio del terzo libro. Non so se ricordate: si parlava di come i maghi sfuggivano ai roghi usando l'incantesimo Freddafiamma, che lasciava una bella sensazione di solletico sulla pelle. Guendalina amava così tanto la sensazione che nel corso della sua vita si fece per l'appunto dare fuoco trentasette volte. La storia mi era rimasta impressa, così ho deciso di proporvela. Ho scelto un'ambientazione diversa dall'Inghilterra perchè sono masochista e nei limiti del possibile ho curato sia l'ambientazione spaziale che temporale. So che non è perfetta, ma in caso di errori non fatevi scrupoli e segnalatemi cosa non va! Dedico il prologo a Liz, lei sa benissimo il perchè! <3


Storia di un'inquisizione

Prologo

Guendalina la Guercia era sempre stata una a cui piaceva giocare con il fuoco. Era astuta, non aveva alcun senso del pudore e la sua vita era dominata da strane coincidenze.
In quanto sua sorella, penso di poter dire che la conoscevo bene, quasi come le mie tasche. Effettivamente quello che ho scritto ha l'aria di sembrare un necrologio, dato che parlo al passato, ma non lo è affatto. Lei è la più piccola e se io, Hilda, centotrentaquattro anni lo scorso giugno, sono così pimpante potete immaginare quanto lei appaia giovanile. Non la vedo da anni, ma sono certa di non sbagliarmi. Per questo sto scrivendo: un po' per crogiolarmi nella mia triste sequenza di ricordi lontani, un po' per ricordarmi di lei e anche per dar sfogo alla mia grafomania. Quando si vive così a lungo l’idea di lasciare traccia di sé diventa una mania, e mia sorella merita un po’ di fama per il futuro.
Ma torniamo al discorso delle coincidenze. Innanzitutto devo confessarvi che il suo soprannome "la Guercia", non aveva motivo di esistere. E' sempre stata dotata di un'ottima vista; una caratteristica che si porterà nella tomba. Anche nel suo nome c'è qualcosa che non andava. Non so voi, ma a me Guendalina fa pensare ad una bella ragazza ben piantala con le guanciotte rubiconde. Invece lei era altissima e snella, con il viso sempre bruciato dal sole, dato che ha passato la sua vita all'aria aperta. Ma c'è una cosa importante che non è ancora stata detta, e che riguarda lei e me. Guendalina la Guercia era nata in Ungheria nel 1357 da una famiglia di maghi.
Decisamente non era un buon periodo per venire al mondo nella profonda Europa, fidatevi di chi l'ha vissuto. Non lo è nemmeno ora, ma ora l’esperienza, dalla mia, mi rende molto più facile sopportare le follie di questo mondo. Cercherò comunque di chiarirvi la situazione. Come sicuramente saprete, all'epoca il continente attraversava ancora il tunnel dei secoli bui, e il primo spiraglio di luce era lontano.
Il mondo che vedo oggi, fuori dalla mia finestra, è rimasto ostile e spaventato da noi. Ma luci nuove appaiono all’orizzonte, meno roghi vengono innalzati. Non so che diranno gli indovini, ma può essere un buon segno per il futuro.
Le comunità magiche, oggi come allora, discutevano della possibilità di nascondersi da orde di Babbani preoccupati.
Preoccupati e superstiziosi com'erano di natura passavano, e passano tutt’ora, in verità il tempo ad osservare con sospetto la loro ombra alla ricerca del Maligno, come lo chiamano loro. All’epoca si erano lanciati in vere guerre sante contro di noi, e credevano veramente che sarebbero stati in grado di affrontarlo, se "Lui" fosse comparso. Per Adalberto e Sigifrida Godefroid - i nostri genitori -, come per tutti gli altri maghi, la paranoia di queste comunità di Babbani non era un grosso problema. Noi tutti avevamo imparato a sottrarci agli sguardi indagatori dei nostri vicini, trovando il modo di vivere sereni. In questi ultimi anni, lo confesso, a volte trovo divertente instillare il dubbio nei miei dirimpettai, e un giorno di questi potrei confessare loro la mia vera età; anziana e sola come sono, necessito di qualche distrazione.
Comunque sia, le vecchie comunità avevano giustamente pensato che i maghi non avrebbero più dovuto manifestare i loro poteri in pubblico. Troppi guai, troppi disastri erano nati dalla convivenza di persone così diverse.
Tutti i governi magici ne discutevano, in tutte le assemblee di maghi se ne parlava, ma mai una volta che si giungesse ad una risoluzione definitiva. L’imperativo era, e rimaneva: discreto è meglio.
Per un po', grazie a questo sistema, le cose parvero funzionare, ma con il sopraggiungere delle carestie e della peste, solo pochi anni prima della mia nascita, la situazione era precipitata. In un mondo in cui anche il sole sembrava splendere meno del solito, il timore era la norma. I Babbani sembravano sempre avere in mente il ricordo di creature misteriose e di figure mitiche. Ogni volta che se ne dimenticavano spuntavano in mezzo ai villaggi Banshee o altre creature a rovinare tutto. Ricordandole ne erano affascinati, e proprio per questo le temevano. Cercammo in molti modi di dissuaderli queste credenze; ma un faccia a faccia con un Ungaro Spinato è difficile da dimenticare.
Sembravano esasperati dal male che effettivamente albergava in queste terre; perciò cercarono un capro espiatorio per tutto ciò, e lo trovarono nella magia. Naturalmente nessun Babbano sarebbe stato in grado di riconoscere la vera Stregoneria; ciò nonostante cominciammo a guardarci intorno sempre più spesso.
In questo clima io e mia sorella siamo nate e cresciute. Una sola grande differenza ci ha separato. Mentre io approvai e decisi di seguire quest’ordine, lei scelse la via dell’esibizionismo. Ma forse, è meglio partire dal principio…

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Capitolo 2
*** Capitolo uno: vita famigliare ***


Note: Nuovo capitolo tutto per voi. Spero dia qualche informazione e soddisfazione in più!


Capitolo primo: vita famigliare

Guendalina nacque nel tardo pomeriggio del sei maggio 1357 tra le urla di sua madre e i sospiri di suo padre. All’epoca casa Godefroid era già abitata da una bambina di cinque anni, Hilda, e la sua euforia dava sui nervi a tutti. Passò ore a tormentare il padre Adalberto con mille domande.
- Allora è nata?
- Non ancora Hilda, e per l'amor del cielo non chiedermelo più!
Alla bambina pareva davvero strano che ci volesse così tanto per fare una sorella. E poi erano in due di là, a darsi da fare. La madre era infatti assistita da una giovane donna conosciuta col nome di Silvana. Per farla breve, lei era la levatrice di fiducia di ogni famiglia di maghi dabbene. Aveva visto nascere tutti nel circondario, negli ultimi anni, Hilda compresa. Far nascere i bambini era un mestiere sempre a rischio. L'uso di medicinali e erbe per lenire il dolore puzzava di stregoneria a molti; figurarsi se avessero saputo degli incantesimi che si usavano sul serio. Silvana doveva muoversi sempre con grande discrezione, per questo.
Finalmente, un'ora prima del tramonto, la piccola venne alla luce. I suoi occhi grigi ancora semi-chiusi erano già avidi di vita, come avrebbe sempre ricordato il padre in seguito, parlando di lei. Come si acquietarono gli strilli della neonata, Silvana uscì dalla stanza.
- Adalberto entra a vedere la bambina, è impaziente di conoscerti.
Hilda rimase delusa dal fatto che si erano completamente dimenticati di lei. Prese a strattonare la gonna della donna esigendo attenzione.
- E io?
- Dovrai aspettare ancora un po’ piccola. – disse la levatrice, sorridendo – la tua mamma sta bene, vedrai. Io però devo andare ora. – Hilda perse la presa dell’abito, e la strega cominciò a indossare il suo mantello da viaggio.
- Dove?
- A far nascere un altro bambino. – spiegò prima di riprendere la sua scopa e uscire con circospezione. La bambina corse alla finestra per vederla andare via. La osservò mentre spariva tra i vicoli scuri, per raggiungerla di nuovo con lo sguardo quando era ormai soltanto un punto nel cielo crepuscolare. Alla piccola non era ben chiaro perché tutti andassero in giro con quell’aria un po’ spaurita, ma ci si era rassegnata. Nessuno rispondeva mai alle sue domande.
Presto, però, Hilda sentì il richiamo della madre, così si apprestò a vedere la sua nuova sorellina. Entrò titubante nella stanza, e si arrampicò sul letto, a fatica. Osservandola da vicino, la bambina vide con sommo disgusto che la sorella somigliava più ad un ragno rugoso che ad un essere umano. La prima impressione che ne ricavò non fu delle migliori. Guardò i genitori, e capì che non era il caso di esprimere quel pensiero: sembravano così fieri della loro creazione! Rimase perciò lì, silenziosa, a fissarla mentre dormiva. L’alzarsi e abbassarsi regolare del corpicino aveva un che di ipnotico. Fu una serata alquanto strana.

***

Dal principio Guendalina fu una grossa delusione, per Hilda. Non era nemmeno lontanamente divertente, come le avevano promesso mesi prima. I discorsi alla: “Vedrai, sarà come un’amica per te”, “Presto giocherete insieme” le sembravano delle enormi bugie.
D’altronde, non c’è molto da dire, nel dettaglio, su come sia la vita quotidiana con un neonato. La nuova arrivata piangeva ogni notte per ore, urlando talmente forte da riuscire a svegliare anche la sorella maggiore, che dormiva dall’altra parte della casa, un piano sopra di lei.
Adalberto cercava di passare quanto più tempo possibile nel suo negozio di calderoni, mentre Sigfrida, la madre, era sempre sfinita e di pessimo umore; impegnata com’era non aveva certo tempo per la figlia maggiore, e Hilda finiva per passare le giornate ciondolando da una parte all’altra, tentando di recuperare il sonno perduto.
Cosciente di quei disagi, una sera Adalberto portò a casa per la sua bambina un sacchetto contenente l’ultima novità in fatto di dolci magici: le caramelle Tuttigusti+1. Hilda ne prese una marrone scuro, che sembrava al gusto di cioccolato, ma amara fu la scoperta: il sapore era quello, né più, né meno, dello sterco di cavallo.
Sconfitta e derisa dal fato, Hilda pensò seriamente di compiere un piccolo crimine, la sua piccola soddisfazione personale: un fratricidio. Non riuscì mai, però, a portare a termine il proprio scopo. L’età le aveva regalato, all’epoca, ben poche risorse, e il sonno costante non faceva che inibire i suoi propositi omicidi; cedette dunque prima di pensarci seriamente. Dopo due settimane d’inferno Sigfrida decise di mettersi in ghingheri e di portare a far battezzare la nuova piccola di famiglia. È raro che una madre presenzi all’evento: in genere, per sicurezza, il rito si svolge a pochi giorni dalla nascita, prima dunque che una donna possa riprendersi degnamente dal parto, ma la signora Godefroid fu irremovibile.
Nessuno capì il perché di quell’ostinazione, e la strega non ne fece parola con nessuno, mai. Fu forse l’istinto, o una visione notturna a suggerirle di essere presente quel giorno; il mistero, però, rimase.
Maggio volgeva al termine, ma ciò nonostante la pioggia era caduta copiosa nei giorni precedenti, e raggiungere la piccola pieve fuori dal villaggio di Dazelburg significò attraversare una landa di fango. Adalberto e la sua famiglia viaggiarono sul carro del mugnaio, per evitare di sporcarsi di terra; nulla poterono, però, contro la farina.
Quando finalmente giunsero davanti al selciato della piccola chiesetta, la bambina saltò giù in una nuvoletta bianca, con un cipiglio come a dire “prima iniziamo, prima torniamo a casa”. La cerimonia fu intima: oltre alla famiglia Godefroid erano presenti poche altre persone, tutte dotate di poteri magici. Del resto si trovavano tutti in condizione di essere ospiti in città brulicanti di Babbani; rimanere uniti era a dir poco essenziale.
Mentre il prete rendeva Guendalina Godefroid ufficialmente un membro della comunità, i presenti di premurarono di fare felicitazioni a Sigfrida e alla sua tempra, ad Adalberto e alla sue gioie famigliari e al decoroso contegno di Hilda che, invece di fare i capricci, aveva finito per addormentarsi come un sasso sulla panca di legno della chiesetta. Brusco fu il risveglio una volta tornata a casa, poiché sua madre l’obbligò a fare il bagno in una tinozza piena di acqua sempre troppo calda o troppo fredda.
E così, eccettuato quell’evento fuori dalla norma, la vita proseguì tranquilla. Appurato che Guendalina era una compagnia noiosa se dormiva, molesta se era sveglia, Hilda preferì concentrarsi sulla cosa che le premeva di più: la prima manifestazione di un suo potere magico. Sapeva che Medea, la figlia dell’alchimista che abitava in una delle più belle case del villaggio, aveva spento il fuoco solo desiderandolo alla tenera età di quattro anni e che Ferenc, il figlio del macellaio, tornava a casa da Durmstrang in grado di fare meraviglie. La bambina già sognava di poter andare a quella grande scuola, dove avrebbe potuto esprimere la sua vera natura protetta, e senza alcun pericolo. Non si erano mai visti Inquisitori, a Durmstrang, e probabilmente non sarebbero stati capaci di inciampare dentro alla scuola nemmeno volendo: nonostante il cipiglio deciso e l’aria spaventosa, suo padre li aveva sempre definiti degli stupidi.
Affascinata dall’idea di controllare anche lei le fiamme, Hilda cominciò a sostare in prossimità del fuoco, cercando di farlo spegnere. Per due volte ebbe l’impressione di aver dato segno di magia, ma non si era trattato di altro che della corrente delle finestre o di quella causata da sua madre che aveva aperto una porta o l’altra.
- Hilda, tesoro, ormai l’estate si sta avvicinando, non ti ostinare a stare davanti al fuoco. – la riprese sua madre, mentre si avvicinava al grande focolare della cucina, portando con sé un calderone.
- Volevo fare qualche magia. – spiegò la bambina. – Come ha fatto Medea.
- Non si possono cercare le manifestazioni magiche. Arrivano improvvisamente, senza che un mago o una piccola strega se ne renda conto. Ci vuole tempo, per questo.
- Ho già cinque anni. – iniziò la bambina, preoccupata. – E se fossi una Magonò? E se non potessi andare a scuola?
- Hilda, io ho fatto la mia prima magia che avevo quasi nove anni, e tuo padre non deve averne avuti meno di sette, quando ha fatto recitare al cane del notaio tutto quanto l’alfabeto, perciò non dovresti preoccupare troppo. – insistette la madre, mentre armeggiava con piccole ampolle di vetro e strani ingredienti. Hilda sorrise, perché la prima manifestazione di magia del padre aveva fatto notizia all’epoca. Abacus, il vecchio notaio di Dazelburg, era una persona molto stimata e conosciuta perfino nelle città vicine; in moltissimi si rivolgevano a lui per risolvere le loro controversie. Era famoso anche per il suo bellissimo cane da caccia bianco di nome Neve, con cui attraversava i boschi per fare razzia di lepri. Era stata perciò una bella sorpresa, una mattina, vedere Neve trotterellare per le vie recitando tutto scodinzolante l’alfabeto. Per poco il vescovo della città vicina non aveva condannato al rogo mezzo villaggio! Nonostante questo, però, Hilda sapeva che non si sarebbe sentita tranquilla finchè non fosse stata cerca di essere una strega, e di esserlo per davvero. Non poteva immaginare che avrebbe fatto, altrimenti. Di certo, Guendalina non aveva ancora di questi problemi: non era che una poppante in fasce.
- Che ne dici di distrarti facendo una commissione per me? – chiese poi Sigfrida alla bambina, dopo un po’. Mescolava il suo calderone con aria esperta e concentrata, notò Hilda. Probabilmente la madre stava mettendo a punto una pozione difficile.
- Cosa devo fare?
- Dovresti andare nel pollaio e recuperarmi due piume di gallina bianche. – disse sua madre, senza guardarla in faccia.
- A cosa ti servono? Che pozione è? – si volle informare la piccola, prima di eseguire la richiesta.
- Be’, se tutto va bene, questa dovrebbe evitare che tu e tua sorella vi riempiate di pidocchi come è successo ai Wittkower l’estate passata.
Sconvolta dalla rivelazione, Hilda emise un grugnito di disappunto: aveva sperato in qualcosa di molto più interessante, ma a casa Godefroid la magia non sembrava essere che un prosaico mezzo per semplificarsi la vita. Perciò, sollecitata nuovamente dalla madre, la bambina uscì di casa, sospirando. Messo il naso all’aria aperta, Hilda inspirò profondamente l’aria che cominciava a portare gli odori dell’estate che provenivano dalla campagna lì vicina. Dazelburg era un posto molto piccolo, popolato da non più di duecento anime, e sembrava un microcosmo a sé. Con un piccolo sforzo, Hilda avrebbe potuto osservarlo tutto da cima a fondo senza fare un passo di più.
Alla sua destra lungo la via di strada battuta, non più di cinque case, e la via verso i campi. Casette piccole in sassi e legno, proprio come la sua, con un po’ di intonaco giusto per renderle più allegre. Visto il sole e il bel tempo qualcuno aveva cominciato a mettere vicino alle finestre alcuni vasi di fiori, che sembravano puntini colorati come le Tuttigusti+1.
Di fronte a lei la via che portava alla casa dell’alchimista e a quella di Silvana, la levatrice. Lì lavorava anche il suo papà, vendendo calderoni di ottima qualità sia a maghi che a Babbani. Papà non era uno che faceva il difficile sui clienti. Alla sua sinistra, invece, c’era una stradina di cui non si vedeva la fine, poiché svoltava verso la piazza con la piccola chiesa per la messa, l’osteria aperta sempre anche a notte fonda, e il palazzo del nuovo notaio, il figlio di Abacus. In linea d’aria, poco lontano e protetto da un fossato profondissimo il vecchio castello dei Trapp, la famiglia che controllava tutta la campagna circostante. Osservando attentamente tutto quanto, la bambina si chiese davvero che poteva offrirle il mondo là fuori, ma soprattutto perché i suoi genitori non l’avessero ancora portata a vedere quello che c’era più lontano: si sarebbe accontentata della città e del suo vescovo antipatico ammazzamaghi, perfino. Sospirò e si avviò verso il recinto delle galline dietro al cortile, lì accanto. Sperò di non doverle strappare a tutti i costi, perché era già stata beccata da quegli stupidi pennuti, e una volta era stata sufficiente. Infilò perciò una manina nella casetta dove queste venivano chiuse la notte, gioendo della propria fortuna: due piume di gallina ma anche due uova fresche. Un bottino degno di un re.

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Capitolo 3
*** Capitolo due: primi segnali di magia ***


Note: Scorrendo il capitolo precedente ho notato un errore che a tutti è sfuggito: la MALEDETTA cioccolata, che nel Medioevo NON dovrebbe starci manco per sbaglio .__. . Have mercy, sono proprio sballata e non me ne sono accorta. Ciò detto, suppongo in ogni caso che i maghi non abbiano aspettato *bellafaccia*Colombo per trovare l'America. Non è una scusante e no, al momento NON scriverò una storia sui collegamenti magici America/Europa precolombiani. O magari sì... in ogni caso, NON ORA. Gustatevi il capitolo, intanto <3


Capitolo due: primi segnali di magia

Passò un altro anno prima che la magia potesse manifestarsi in lei. Guendalina aveva compiuto un anno e due mesi, il grano era stato mietuto quasi ovunque nei campi con grande fatica, e il profumo del fieno stipato nei fienili dietro a casa arrivava fin nella sua stanza. Gli ultimi papaveri appassivano nel vaso sopra al tavolo del soggiorno, e di poteri magici, per Hilda, neanche a parlarne. Sua madre cercò dunque di distrarla cercando di insegnarle a scrivere e a leggere decentemente, ma la bambina non voleva saperne. Senza magia, protestava, non avrebbe avuto senso niente altro. Suo padre, invece, cercava di farle notare come, senza far di conto, non avrebbe potuto servire la birra nemmeno all’osteria.
L’unica cosa che funzionava, alla fine, e la costringeva a comportarsi quasi bene, era la minaccia di mandarla alla scuola ecclesiastica, dove i monaci del monastero poco fuori città insegnavano ai figli dei mercanti un po’ di aritmetica e di geometria il sabato prima dei vespri.
- Dunque Hilda: oggi devi leggere qualcosa, non ti permetto di farla franca.
- Ma madre! Quando saprò di essere una strega lo farò, promesso. Io mantengo le promesse!
- Se aspetti così tanto se e quando andrai a Durmstrang sarai la scolara più ignorante di tutti: non potrai leggere gli ingredienti per le pozioni, non conoscerai gli incantesimi, non imparerai le formule di aritmanzia e non saprai mai trasfigurare niente. Prendi dunque il libro di ricette e dettami gli ingredienti della torta di mele, avanti.
Sigfrida non era una donna cattiva: con quell’aspetto etereo, i capelli biondi e gli occhi chiari, sembrava la personificazione della dolcezza. Ma possedeva risolutezza, e quando era necessario usarla sapeva farlo. Finito di riprendere sua figlia, aveva posato Guendalina nel suo seggiolone, in modo che potesse starsene tranquilla e lontana dai pericoli. Per distrarla le aveva dato in mano un cucchiaio di legno, perché potesse giocarci e non fare i capricci. Prese poi una ciotola, qualche cucchiaio, una brocca d’acqua e alcuni ingredienti; poi si rivolse di nuovo ad Hilda.
- Preso il libro?
- Sì. – Hilda si arrampicò su una sedia e ci si inginocchiò, in modo da poter stare seduta di fronte alla madre.
- Bene, Hilda. Comincia a leggere, e non barare. La ricetta della torta di mele non te la ricordi bene.
A fatica Sigfrida riuscì a sapere quanta farina, quante uova, quanto zucchero e quante mele doveva usare. Incespicando Hilda leggeva il procedimento, dava consigli e chiedeva di poter partecipare. Il sottofondo costante di entrambe era Guendalina che succhiava un po’ il cucchiaio e poi lo sbatteva sul suo seggiolone, ridendo del rumore che creava.
- Falla smettere, per favore! – disse Hilda alla madre, dopo un po’.
- Sii paziente, sta solo giocherellando. – fece Sigfrida.
- Posso toglierle il cucchiaio?
- Se lo fai si metterà a piangere, tesoro.
A Hilda, dunque, non restò che fissare la sorellina con aria ostile, e continuare la sua opera di aiutante. Ma più fissava Guendalina, più questa ci prendeva gusto, esaurendo alla svelta la pazienza della bambina. Ad un certo punto Hilda sbuffò, e a quel punto accadde una cosa strana: il cucchiaio di legno sfuggì alla presa di Guendalina, rimase un attimo sospeso per aria e alla fine fece un volo dritto dritto nel secchiaio.
Guendalina gorgheggiò entusiasta, mentre Hilda era annichilita. Sigfrida, invece, sorrideva.
- Sei stata tu, Hilda?
- Non… lo so. – balbettò la bambina – Non lo so. Volevo solo che lei la smettesse.
- Sei stata tu. – continuò sua madre con aria tranquilla, cominciando a versare il composto nella teglia prima di infornarla. – Benvenuta ufficialmente nel mondo della magia. Ora, se non ti dispiace, ricopia tre volte la ricetta. Devi fare pratica con la scrittura.
La bambina, ancora sconvolta, obbedì senza fiatare. Il compito le venne presto a noia; non c’era grande fantasia nel ripetere una sequenza di ingredienti banali, sarebbe stato più interessante ricopiare i versi di un bardo, o di una qualche fiaba.
- Non potrei ricopiare qualcos’altro? – chiese dopo aver finito solo la prima stesura della ricetta. – Non c’è… non lo so… un libro di Incantesimi, di Pozioni… qualcosa così?
- Magari vorresti un libro di Incantesimi, giusto per provarne un paio? – sua madre la scrutò con sguardo inquisitorio a cui Hilda non poteva proprio sfuggire.
- Forse... – tentò.
- No, tesoro. Sei decisamente troppo piccola per prendere in mano oggetti così antichi e delicati. – del resto si parlava di un manoscritto in casa Godefroid da almeno tre generazioni. – Se proprio vuoi cambiare compito puoi mettere per iscritto le fiabe che ti racconta papà.
L’idea era già più entusiasmante, ma non più semplice. Ormai conosceva a menadito le fiabe che le venivano raccontate la sera sulle ginocchia di papà, ma da qui a scriverle… a malapena conosceva il significato di alcune di quelle parole!
- Prima finirò le ricette. – borbottò la bambina, intingendo la penna nel calamaio. Di colpo Guendalina, con il suo unico impegno di produrre bolle di saliva a ripetizione, sembrava una creatura invidiabile.
Sigfrida osservò la sua figlia maggiore presa in vani tentativi di non riempirsi di inchiostro e sorrise: sarebbero di certo dovute passare altre primavere, prima di Durmstrang.

***

Da quel primo tentativo di magia involontaria Hilda scoprì di essere una strega molto dotata. Dotata nel fare Incantesimi senza volerlo, più che altro. Aveva fatto inacidire del latte al mercato, come da migliore tradizione delle streghe nell’ottica Babbana, una mattina in cui Guendalina aveva pianto per quasi un’ora. Aveva chiuso dentro al suo pollaio Antonius, un Babbano suo coetaneo, che l’aveva derisa perché in quanto femmina non avrebbe mai frequentato la scuola come lui. Cosa di per sé non grave, aveva il terrore di andare in mezzo a un mucchio di Babbani tutta sola, ma non le piaceva sentirsi dire che non poteva fare qualcosa.
Non si trattava che di marachelle semplici, innocue e teoricamente senza gravi conseguenze. C’era sempre da fare i conti, però, con gli Ammazzamaghi. Era molto semplice instillare sospetti nella cittadina, e fu chiaro che non tutte le imprudenze involontarie di Hilda erano rimaste ignorate dagli abitanti di Dazelburg.
Fu la faccenda del latte inacidito a tradirla, proprio perché così compatibile con gli isterismi dei cittadini. Si mormorò parecchio e per parecchi giorni, tanto che le famiglie di maghi della città finirono per doversi riunire.
Non erano molti i maghi, a Dazelburg, ma abbastanza per riunirsi nella piccola casetta di Bogumil, il macellaio. A dispetto della sua occupazione, in effetti, discendeva da una famiglia di maghi da un lunghissimo numero di generazioni che si perdeva nel tempo: non era propriamente un caso, chiaramente, se la sua merce era la più fresca della regione, acquistata persino dai nobili Trapp.
Presenti quella sera erano naturalmente Adalberto e Sigfrida Godefroid, Bogumil con il figlio Ferenc e la moglie Ewa, Hipolit, l’alchimista, con i figli Medea, Theodoro, Basilio e la moglie Jacinta, assieme al tintore Caio con la moglie Cunegonda e la madre di lei Marcianna e infine Silvana, la giovane levatrice; nessun altro mago nel raggio di miglia.
- Devi stare attento, Adalberto. – iniziò Hipolit il quale, godendo di ottima stima in città, non voleva compromettersi in alcun modo. – Tua figlia ci fa rischiare grosso. - Erano tutti seduti attorno ad un tavolo di legno scuro, illuminati solo dalla luce del camino e da alcune candele. La concentrazione di tante persone in un ambiente un poco angusto li aveva costretti a stringersi molto.
- Hilda ha cinque anni, non puoi pretendere che controlli la magia. – scattò Sigfrida. Nessuno di loro aveva mai potuto controllare i propri poteri prima di aver preso una bacchetta in mano.
- Nessuno pretende che si controlli… - aveva tentato Silvana, con aria conciliante e materna, affezionata com’era a tutti i bambini che faceva nascere.
- Inacidire il latte in mezzo al mercato però è grave! È il genere di cose per cui chiamano gli Inquisitori. – Cunegonda sapeva che nessun Inquisitore avrebbe mai potuto torcer loro un capello, ma li avrebbe di sicuro costretti a cambiar villaggio, probabilmente, e lei non aveva nessuna intenzione di andarsene da Dazelburg.
- Se solo se ne fosse accorto qualcuno in tempo…
- Lo so, Medea, lo so. – Adalberto si sentiva colpevole, ma era difficile notare un incantesimo partito accidentalmente in un mercato stracolmo di contadini arrivati dalla campagna. – Io stesso ho creato i miei guai.
- Questo ormai è successo, inutile starne a parlare. – intervenne Bogumil. – Il problema è per il futuro. Tutti noi abbiamo fatto magie accidentali che potevano riempirci di guai, dobbiamo solo sorvegliare il più possibile i nostri figli e riparare ai danni che combinano il prima possibile. Vale per tutti non solo per i Godefroid.
Ci furono mormorii di assenso, ma una voce di levò sopra le altre, quella di Marcianna, la strega più anziana.
- L’ultima volta che gli Inquisitori sono venuti ero sposata da poco, e non è buon segno. Verranno presto, che i bambini facciano volare le mucche o meno. Il vescovo controlla ciclicamente tutte le province, è sempre stato così, me lo diceva mia madre. Tenete nascosi arnesi e bacchette. E se dovessero scoprire qualcuno di noi, be’… sappiamo cosa fare. – le sue parole avevano il suono di una profezia mal recitata, ma il resto dei presenti conosceva a fondo il pericolo a cui erano esposti. La voce roca di Marcianna aveva reso tutti un po’ cupi; poco dopo la riunione si sciolse e ogni mago tornò alla propria casa.
Hilda si sentì in colpa, la mattina dopo, vedendo che sua madre nascondeva con incantesimi di Disillusione qualsiasi oggetto anche solo vagamente collegabile alla magia: anche se era piccola, sapeva che non era cosa buona.
- Cosa faremo se arriveranno gli Inquisitori? – chiese al padre la sera stessa.
- Faremo in modo che non ci trovino, e spereremo che non catturino Babbani per sbaglio. – rispose Adalberto, sospirando.

***

Gli Inquisitori si fecero attendere, e giunsero a Dazelburg che Hilda aveva ormai otto anni, e Guendalina tre. Arrivarono a cavallo, da est, assieme alla cattiva stagione. Non stavano in città, ma erano alloggiati al vecchio monastero, anche se si diceva che erano ospiti molto graditi al castello, e che anche il notaio, Gregorius, era stato invitato a partecipare alle sontuose cene che i conti erano in grado di offrire.
La famiglia Godefroid, come tutta la comunità cittadina, li vide per la prima volta in una piovosa domenica mattina, durante la messa. Rispondevano agli ordini diretti del vescovo, ma non portavano il saio o la tonsura: erano milizie private, con lo scopo di indagare e in caso di necessità redimere o punire. I motivi per non voler avere a che fare con gente simile non facevano che aumentare.
- Sono proprio brutti! – commentò Guendalina una volta tornata a casa, mentre la madre le toglieva il mantello zuppo di pioggia. – Non li voglio qui.
- Se vengono qui come dobbiamo fare? – domandò invece Hilda, arrivando al nocciolo della questione.
- Fare finta di niente, ma non ti preoccupare, verranno a cercarmi prima in bottega, e poi, se qualcosa non gli torna, verranno a casa. – spiegò Adalberto, tranquillo. Questo però non aveva rasserenato in alcun modo la figlia maggiore, che temeva di venir scoperta.
Gli Inquisitori rimasero in città quasi un mese, interrogando, indagando e ispezionando. Hipolit e Jacinta assieme ai figli furono gli unici per la verità ad avere problemi, ma del resto essere alchimisti dichiarati nel 1360 comportava tali rischi. Se questi “brutti, brutti uomini”, come li chiamava Guendalina, erano giunti con la pioggia, se ne andarono poi lasciando a Dazelbug freddo e nebbia.
- Per Merlino, sono peggio di un Dissennatore. – sbottò Sigfrida – Con l’aggravante che lasciano quest’umidità da far ammalare le ossa!
- Mamma, cos’è un Dinnatore? – chiese Guendalina.
- Qualcuno che, se avrai fortuna, non dovrai mai incontrare, tesoro. – tagliò corto lei. E a Dazelburg si sentirono ancora più fortunati quando seppero che a Gyor, nell’Ungheria occidentale, erano stati accesi almeno quattro roghi.

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Capitolo 4
*** Capitolo tre: lettere dal nord ***


Note: Eccomi finalmente con un aggiornamento prima che gli impegni universitari/natalizi mi uccidano lentamente. Spero vi piacerà!


Capitolo tre: lettere

Dopo i roghi e la paura degli Inquisitori, tutto tornò tranquillo, almeno per un po’. Hilda proseguiva i suoi studi abbastanza diligentemente da aver preso buona confidenza con penna e calamaio, anche se non dava mai pubbliche dimostrazioni di questa sua abilità. Non erano molti i Babbani in grado di leggere e scrivere, e ancora più rare erano le ragazze istruite a modo; nemmeno Griselda Trapp, la figlia del conte, era in grado di scrivere altro oltre la sua firma.
Nonostante ciò Hilda aveva presto preso l’abitudine di stare nella bottega con suo padre. Benché ufficialmente fosse lì per lucidare casseruole e calderoni e lanciare sorrisi incoraggianti a chi passava, stava imparando a tenere i conti sul libro mastro.
La ragazzina adorava quel posto, e non le dispiaceva troppo nemmeno strofinare il metallo per la gran parte del tempo: quando finiva il lavoro la superficie era così lucida che ci si poteva specchiare, cosa che lei faceva più spesso di quanto non avrebbe dovuto. La bottega era diventata il nuovo confine del suo mondo: non era un confine lontano, ma le dava l’impressione di stare diventando grande. Era un luogo piccolo, con gli oggetti tutti accatastati a caso, ma Adalberto riusciva a trovare qualunque cosa al primo colpo, anche senza Incantesimi di Appello. Pentole di ogni dimensione, di ferro, di peltro o di rame, investivano i clienti non appena si varcava la soglia. I più corpulenti rischiavano sempre di far cadere le pile accumulate, e i più alti rischiavano di colpire quegli oggetti, non meno numerosi, che erano appesi al soffitto. L’unico luogo ordinato era il tavolo dove sedevano Adalberto e la figlia; era generalmente spoglio, e ospitava solo sacchetti di monete, il libro mastro, penna e inchiostro, lo straccio di lana grezza di Hilda e in genere una pentola o due in fase di pulizia. I sacchetti di monete avevano tutti un cordoncino di colore diverso, per poter facilmente distinguere se era valuta Babbana o meno, ed erano tutti protetti da Incantesimi Antifurto che tranciavano dita con dolorosa facilità. In questo ambiente quieto ma caotico, la bambina teneva d’occhio la sua prorompente magia.
- Oh Adalberto, – dicevano spesso gli abitanti di Dazelburg che passavano a salutarlo – dovrai presto metterti a trovare un buon marito per le tue figliole, o non ci sarà nessuno che potrà tirare avanti gli affari!
- C’è tempo per questo, c’è tempo. – rispondeva Adalberto, consapevole dei lunghi anni di scuola che dovevano ancora affrontare le sue bambine.
- Magari Sigfrida ti darà un maschio, un giorno di questi, è un peccato che non ci sia ancora riuscita.
A questi commenti Hilda a freno dominava i suoi poteri: parlavano di lei e della sorella come degli impicci! Se solo avessero saputo quanto era brava con addizioni e sottrazioni! Ma suo padre stupiva sempre per le risposte gentili e che non consentivano repliche.
- Per niente al mondo cambierei le mie figlie per un ragazzo fannullone che aspira alla vanagloria come il figlio dei Dotrov, e nemmeno Sigfrida.

***

Se dunque Hilda attendeva di avere l’età per andare a Durmstrang, la scuola dei maghi più a nord del mondo, Guendalina sbuffava in attesa di fare la bambina grande come sua sorella. Anche lei dovette attendere con pazienza il manifestarsi dei suoi poteri, e avvenne quando aveva solo quattro anni. Il confronto con la sorella, che ormai si destreggiava tra ingredienti per pozioni e nomi di incantesimi strani, l’aveva resa quasi rabbiosa nel suo volersi dimostrare all’altezza. E il modo in cui diede visione dei suoi poteri fu più vistoso di quello di Hilda, ma fu abbastanza fortunata da potersi risparmiare gli sguardi di Babbani indiscreti. Stava passeggiando con la sorella e la madre per la cittadina, quando un improvviso temporale le aveva costrette a rifugiarsi dentro la bottega di Caio, il tintore.
- Perdonaci, ma non ho voglia di inzupparmi fino alle ossa, e non voglio che le bambine prendano un raffreddore. – si scusò Sigfrida, mentre raccomandava alle figlie di non toccare niente. Hilda prese prontamente per mano Guendalina, che stava per tuffarsi su un mucchio di stoffe rosso scuro, preziosissime.
- A casa non abbiamo niente di rosso. – fece la bimba, tutta compita. – E’ un colore da signori.
- State pure, Sigfrida, non è un problema. – le disse Caio, mentre si puliva le mani. Il negozio era pulito e ordinato, con tutti i pezzi di stoffa catalogati per colore, ma dal retro arrivavano ondate dei terribili odori delle tinture. – Ti piace il rosso, Guendalina? – chiese poi il mago, rivolto alla bambina.
Guendalina alzò gli occhi verso il mago e sorrise. – No, io preferisco il verde. Mi piacerebbe avere tutto verde, a casa, ma la mamma dice quello va bene solo se vivi nei boschi.
E immediatamente, tutte le stoffe di Caio presenti nella stanza si tinsero di un fantastico verde brillante.
- Buon Merlino! – esclamò Hilda, scioccata, lasciando la presa della sorella. – Non sono stata io!
- E di sicuro né io, né Caio. – sospirò Sigfrida, lievemente imbarazzata. – Mi spiace davvero per l’inconveniente, pensi di poterlo sistemare in fretta?
Il mago rise. – Oh, con un colpo di bacchetta e in meno di un minuto. – disse, mentre si accingeva a sistemare il danno di Guendalina.
- E chi è stato? – chiese la piccola.
- Come chi? Tu hai detto che volevi tutto verde! – esclamò Hilda, mentre le stoffe riacquistavano i colori originali.
- Io? – ripetè Guendalina. – Ma non volevo!
- Non preoccuparti, tesoro, capita a tutti di non controllare i propri poteri, all’inizio. – fece sua madre, accarezzandole una guancia.
- E almeno stavolta non è successo in piazza. – commentò il tintore con una risatina.
- Sia ringraziato il cielo. – fece la signora Godefroid, sollevata. Non avrebbe potuto reggere un’altra riunione per discutere sull’incontrollabilità delle sue figlie.
Adalberto accolse con entusiasmo la notizia dei poteri magici della sua secondogenita, e rise molto dell’episodio delle stoffe.
- Questo non ti autorizza a trasformare di verde tutto quello che ti piace, Guenda, spero che tu lo tenga bene a mente.
- Spero non vengano più gli Inquisitori, mai mai più. – sospirò Hilda, seduta al tavolo della cucina. Con la paura che era venuta a tutti quanti per colpa sua, aveva imparato a considerare la magia come un dono molto, molto pericoloso.
Da quel momento in poi Guendalina si divertì molto a ricolorare, come lei preferiva, più o meno qualunque cosa. Tinse di blu le piume delle oche di Hipolit, scolorì le rose rampicanti che crescevano vicino alla chiesa e tinse di rosso i capelli di Marcianna per farla sembrare meno vecchia. La bambina sembrava voler esibire molto sfacciatamente i suoi poteri, e le prese più di una volta da sua madre per aver provato a parlarne con i suoi coetanei Babbani. Anche Hilda, più di una volta, approfittando del suo ruolo di sorella maggiore, le diede alcune strigliate memorabili.
Passarono gli anni, e Hilda, il 13 gennaio 1363, compì finalmente undici anni. Si era svegliata presto ed era rimasta avvolta nella sua coperta di lana a sentire i rumori della casa che si svegliava. Fuori c’era neve ovunque, e non sarebbe partita prima del disgelo, ma ormai la meta era finalmente vicina. Quando sentì sua madre chiamarla saltò fuori dal letto e corse giù per le scale gelide confidando nel fuoco della cucina. Là avrebbe trovato acqua non ghiacciata per lavarsi un poco e una colazione abbondante per festeggiare. Con sua somma soddisfazione vide che la piccola Guendalina stava morendo di invidia.
- Quando parti? Quanto stai via? Perché io non posso venire? Cosa ci vai a fare? Partono anche Theodoro e Basilio? – la bimba continuava a recitare questa tiritera senza sosta, e toccò ad Adalberto frenare quella lingua, perché Hilda era troppo impegnata a godersi la torta di mele della mamma.
- Guenda, ne abbiamo parlato a lungo. Hilda partirà in primavera, e tu la seguirai quando avrai undici anni, come abbiamo fatto tutti noi. I figli di Hipolit e Ewa partiranno con lei, visto che hanno alcuni anni di studi che li aspettano ancora. – le disse suo padre, piazzando anche davanti a lei una fetta di torta enorme. Guendalina si considerò soddisfatta della risposta e cominciò a mangiare a sua volta.
- Scriveranno, non è vero? – chiese Hilda alla madre.
- Durmstrang sa trovare i suoi studenti, non temere.
E così, Hilda passò i successivi due mesi alla finestra, controllando che il cielo fosse limpido, e che la neve cominciasse ad abbandonare le strade fangose di Dazelburg. Spesso Guendalina la imitava, sospirando per un’attesa che per lei sarebbe stata ben più lunga.
A marzo ormai la neve se n’era andata del tutto e fu con trepidazione, dunque, che Hilda venne raggiunta in bottega dalla madre un pomeriggio, con in mano una lettera.
- E’ appena arrivata. – disse la donna. Hilda guardò in direzione del padre, che annuì comprensivo. La ragazzina abbandonò pentola e straccio, e seguì la madre in casa, in preda ad una strana frenesia. Stracciò quasi la pergamena per poter forzare velocemente il sigillo.

Scuola di Magia e Stregoneria di Durmstrang
Tramite la presente missiva, avvisiamo la giovane Hilda Godefroid che possiede tutti i requisiti per accedere alla nostra scuola. Verrà recuperata e trasportata a Durmstrang nella notte tra il 16 e il 17 marzo. In allegato troverà l’elenco di tutto ciò che le occorre.
Guinifredo del fu Guillipado, Stregone.

- Notte del sedici marzo. – rilesse Hilda ad alta voce. – E’ dopodomani.
- Per allora avremo già quasi tutto il bagaglio che ti occorrerà. – la tranquillizzò sua madre, affaccendandosi subito. – Ti serviranno abiti pesanti, la scuola è molto a nord. – disse, mentre spostava di peso Guendalina dalla cassapanca su cui era seduta e cominciava a svuotarla.
- Mi mancherà la bacchetta, però. – fece Hilda.
Sua madre si bloccò per un attimo, e si voltò a guardarla. – Non puoi trovarla a Dazelburg, ti porteranno loro a prenderne una.
- E con cosa la pagherò?
- Ti daremo i soldi necessari per tutto quanto, non temere. – le sorrise la madre. E per la prima volta da che aveva memoria, Hilda ebbe paura all’idea di partire. Sarebbe stata sola, senza nessun volto amico, per un sacco di tempo.
- Mi sarà concesso di scrivere? – domandò.
- Certo…
- Per forza, sennò a me chi dirà com’è la scuola? Devono farti scrivere! – tuonò Guendalina.
Hilda ridacchiò, e aiutò la madre a ripiegare panni e biancheria che le sarebbero serviti. Suo padre rientrò, quella sera, con un calderone per la ragazza, e le fiale prese da Hipolit, assieme a varie piume d’oca e pergamene. Mancava l’inchiostro, perché durante il viaggio avrebbe potuto congelarsi, e Hilda poteva facilmente procurarselo a Durmstrang.
Prepararono il suo bagaglio, facendo in modo che nella sua sacca, più facile e comoda da trasportare di un baule, fosse possibile buttarci dentro di tutto, tramite un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Tutto era ormai pronto, a Hilda non rimaneva che aspettare. La notte del 16 marzo, dopo cena, tutta la famiglia Godefroid rimase alzata, Guendalina inclusa, in attesa. Era consuetudine che i maghi viaggiassero di notte per destare meno sospetti. Nessuna persona per bene si aggirava per le strade non illuminate, e ladri e assassini non facevano la spia su uomini a cavallo di scope volanti. I tre figli dell’alchimista avevano ognuno la sua scopa, sistemata con l’Incantesimo Imbottito per affrontare il lungo viaggio, ma Hilda era troppo piccola, per quell’anno si sarebbe dovuta accontentare di fare il passeggero. A mezzanotte, quando i rintocchi del campanile si zittirono, i Godefroid e i Onogur, la famiglia di alchimisti, uscirono di casa e alzarono gli occhi verso il cielo, in attesa. Nel frattempo gli Onogur attraversarono la via, avvicinandosi alla casa di Hilda.
- Buonasera a voi. – li salutò Ewa, - Vostra figlia è pronta?
Hilda era appiccicata alla madre, avvolta nel suo mantello nero, terrorizzata.
- Ha paura di viaggiare di notte. – disse Guendalina con fare impertinente.
- L’abbiamo avuta un po’ tutti, la prima volta. – fece Basilio, l’ultimo nato in casa dell’alchimista. Aveva tredici anni e un aspetto che lo faceva sembrare più piccolo. Gli altri due fratelli, Medea di sedici anni e Theodoro di quindici, annuirono comprensivi, e Hilda si sentì leggermente rincuorata.
- Sta arrivando. – disse poi Adalberto, indicando il cielo. Alzarono tutti il naso all’insù e videro un puntino luminoso avvicinarsi a loro e scendere, rivelando man mano la sagoma di un uomo a cavallo di una scopa.
- Gyula è in ritardo quest’anno. – commentò Medea, estraendo la sua bacchetta e pronunciando l’Incantesimo Lumos, affinché potessero esser visti. Il mago planò dunque verso di loro e atterrò nella strada silenzioso come un gatto. Hilda e Guendalina, che lo vedevano per la prima volta, trattennero il fiato.
- Pessimo viaggio, c’era un vento da gelare. – commentò l’uomo salutando i presenti. Era alto e molto magro; aveva occhi chiari che scintillavano grazie alla luce della sua bacchetta, e lunghi capelli biondi. Hilda ne ebbe immediatamente una gran soggezione.
- Medea, Theodoro e Basilio, è un piacere vedere che il vostro soggiorno a casa ha giovato alla vostra salute. Pronti per la traversata? – chiese.
- Certamente. – i tre fratelli inforcarono le scope, dimostrandosi pronti a partire. I loro genitori li salutarono con calore. Nel mentre, Gyula si voltò verso i Godefroid.
- Hilda Godefroid è pronta per il suo primo viaggio? – domandò rivolta alla bambina.
- S… sì. – balbettò lei, stringendo a sé la sua sacca con forza.
- Non temere, bambina, il viaggio sarà lungo, ma è sicuro, e quando si sarà fatto giorno lo troverai perfino piacevole. – la rassicurò il mago, sorridendo.
- Verrà a prendere anche me, vero signore? – chiese subito Guendalina, mostrandosi allo sconosciuto.
- Quanti anni hai?
- Sei, e ho già compiuto magie. Magie fantastiche. – rispose prontamente la piccola, facendo ridere i suoi genitori.
- Allora presto sarai dei nostri. – convenne Gyula, accondiscendente. – Saluta i tuoi genitori, Hilda; non li vedrai per mesi.
La ragazzina sospirò e si voltò verso i genitori, con gli occhi lucidi.
- Sii forte bambina mia, Durmstang è un posto sicuro e splendido, per un mago. – le disse suo padre, stringendola a sé.
- Non sei sola, come vedi, e là ti farai molti amici. – Sigfrida le baciò le guance e la spinse dolcemente verso la sorella. – Saluta Guenda e parti, non ti puoi attardare.
Guendalina, nonostante le battute sarcastiche ai danni della sorella maggiore, la strinse violentemente e le disse solo: - Ti invidio tanto, ma non vedo l’ora di essere di nuovo con te.
Convinta, dunque, salì sulla scopa di Gyula, e assieme ai tre Onogur si avviò nel cielo buio verso la Scandinavia, verso Durmstrang. L’ultima cosa che vide furono i puntini luminosi delle bacchette dei suoi genitori, che la salutavano con affetto dalla strada sempre più piccola.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro: Durmstrang ***


Note: Con colpevole ritardo, eccomi ad aggiornare questa storia. Questo capitolo, per la quantità di cose che mi sono dovuta inventare sembrando credibile, mi ha impegnato non poco, e spero che vi possa dare la metà della soddisfazione che ha dato a me! Come sempre, segnalate eventuali fregnacce!

Capitolo quattro: Durmstrang

Quando Dazelburg sparì dalla vista, a Hilda non rimase che stringersi a Gyula, cercando di trattenere quanto più calore poteva. Non sapeva di preciso quanto tempo ci sarebbe voluto, ma dalle parole del mago era chiaro che avrebbe visto l’alba in volo. Ora capiva perché nei mesi freddi nessuno tendeva a fare lunghi viaggi: il rischio di congelarsi i piedi e le mani era davvero troppo alto. I tre Onogur volavano accanto a lei, con le bacchette illuminate per farsi strada. Non parevano per niente impressionati, e anzi, Theodoro non faceva altro che sbadigliare, dando l’idea di uno che avrebbe preferito fare un lungo sonno ristoratore.
- Chi porterà a Durmstrang gli altri studenti? – chiese ad un certo punto Hilda, cercando di farsi sentire nonostante il vento contrario.
- Maghi come me, per lo più. Ci dividiamo aree di competenza e raduniamo un po’ di studenti man mano che risaliamo al nord. – rispose Gyula. – Dovremo fare tappa a Praga e Liberec tra non molto.
- E in che regno sono?
- Boemia. – rispose il mago, prima di sterzare a sinistra con una rapidità che per poco non fece perdere l’equilibrio alla bambina. Viaggiarono ancora per un bel pezzo nella notte, prima di scendere a terra. Atterrarono in un campo, seguendo le indicazioni luminose delle bacchette. Là li aspettavano quattro ragazzi più o meno dell’età di Medea e Theodoro, che si apprestarono a salutare le loro famiglie frettolosamente, prima di schizzare in cielo.
Si presentarono a Hilda mentre volavano in formazione, approfittandone per chiacchierare con gli Onogur. Si chiamavano Vàclav, Venceslao, Berta e Jana, e sembravano entusiasti di vedere una nuova strega pronta per unirsi a loro. Parlavano latino con uno strano accento, ma già l’averli capiti, per la bambina, era un grande successo. A Liberec, poco più a nord, accolsero Franz, un ragazzino di undici anni spaventato quanto Hilda, dai vistosissimi capelli rossi, che gli rendevano la vita in mezzo ai Babbani un inferno, tanto che spesso finiva per tingerli per passare inosservato, come raccontò scocciato, e Cosma, un simpatico chiacchierone che raccontò a Gyula come aveva speso i suoi mesi a casa. Franz si appollaiò dietro Hilda, tutto tremante, pregando di non cadere di sotto durante la traversata. La ragazzina cercò di rassicurarlo dicendogli che a lei, per ora, non era capitato nulla di male. Ripartirono dunque in direzione del regno di Polonia.
Franz chiese se avrebbero sorvolato anche l’Impero Germanico, ma Gyula spiegò che i maghi di quel regno frequentavano un’altra scuola, così come quelli vivevano ai confini del Granducato di Lituania, che erano vicini alla scuola russa.
Fecero fermate a Cracovia, Stettino e Danzica, dove recuperarono in tutto altri otto studenti, di cui tre novellini come Hilda, prima di sorvolare il mare. Sulla scopa di Gyula non c’era più posto, quindi i nuovi arrivati vennero smistati sulle scope degli studenti anziani. Ora, mentre il sole cominciava a sorgere da est, iniziava l’attraversata vera e propria senza pause. Gyula aveva appena finito di fare il suo giro di raccolta, non restava che raggiungere Durmstrang. Era la prima volta che Hilda vedeva il mare, e ne era molto impressionata. Sapeva che c’era un grosso lago, in Ungheria, chiamato Balaton, ma non l’aveva mai visto. Quello che vedeva sotto di sé, ad ogni modo, sembrava enorme. Notò, quando cominciarono a vedere la terra, che Gyula e gli altri stavano salendo al nord seguendone la costa: ormai erano in Scandinavia, e la meta si faceva vicina. Sperava che avrebbero fatto presto, perché il sole era sempre più alto, e lei sempre più stanca.
Dall’alto, mentre il sole rendeva il mare una massa abbacinante, Hilda osservò le piccole casette e i fiordi ripidi come non ne aveva mai visti. Sorvolando un enorme agglomerato di case, il più grande che lei avesse mai visto, Gyula spiegò che si trattava di Stoccolma, la più grande città della Svezia. Risalendo ancora verso nord, Hilda vide altre città, qualche porto, e di tanto in tanto strisce di terra bianca: la neve, lassù, non era ancora scomparsa.
Raggiunsero Lulea, una cittadina di mare, e solo a quel punto Gyula e gli altri puntarono verso l’interno, alle pendici delle montagne. Attraversando boschi fittissimi, si addentrarono in una vallata stretta e deserta, dove presto Hilda e gli altri riuscirono a intravedere un maniero.
- Eccoci arrivati. Durmstrang è davanti a voi. – disse il mago, planando verso il basso.
Hilda cercò di sporgersi per vedere meglio. Il castello di Durmstrang era immenso ai suoi occhi, decisamente più grande del castello dei Trapp, vicino a Dazelburg. Era circondato da enormi e alte mura di pietra che facevano ben due giri. Durmstrang sorgeva su una piccola altura e il primo giro di mura si trovava a metà della collina, mentre il secondo avvolgeva come un nastro il maniero. Vi erano numerose torri circolari disseminate di piccole finestrelle. L’impressione che ne ebbe la bambina fu magnifica. Mentre sorvolava le mura e il ponte levatoio in volo, capì che quelle forme di cautela non erano per i maghi, o quanto meno non per loro. Planarono nel cortile interno e finalmente atterrarono.
- Sgranchitevi le gambe, ragazzi. – suggerì Gyula, mentre faceva scendere Hilda e Franz dalla scopa. Entrambi, sorpresi dal trovarsi in un posto sconosciuto, si misero con il naso per aria a guardarsi intorno. C’era la neve sui tetti appuntiti delle torri, e in piccola parte anche negli angoli in ombra del cortile. Le finestre, ora lo si vedeva bene, erano tutte protette dai vetri, un vero lusso. Intorno a loro c’era il vociare del più alto numero di ragazzi che avessero mai visto riuniti assieme. I due ragazzini erano stanchi, e cominciavano a chiedersi se avrebbero potuto riposare. Le gambe formicolavano da morire e la schiena sembrava a pezzi.
Altri maghi e streghe intanto continuavano a planare nel cortile, ma presto la piccola comitiva di Gyula fu attratta da un singhiozzare accanto a loro.
Medea si avvicinò a una ragazzina in lacrime, chiedendole cosa avesse. Questa la fissò con odio, prima di tirare su con il naso.
- Sono tutte streghe qui! Tutte streghe, e maghi. Eretici senza Dio! – sbottò in un latino alternato a parole in una lingua poco chiara.
- E’ il tuo primo anno a Durmstrang? – chiese Hilda.
- Io non voglio stare qui! Io non devo stare qui. Non voglio bruciare nelle fiamme dell’inferno, non voglio, non voglio! – strillò la ragazzina ricominciando a piangere.
Franz non capiva, ma Cosma scosse la testa.
- E’ una nata Babbana, nessuno nella sua famiglia è un mago o una strega.
- E come l’hanno portata qui? – chiese Franz.
- Gyula ci spiegava che è difficile trovarli. Spesso si nascondono e ancora più spesso non vogliono venire qui. – disse Vàclav. – Gli insegnano a temerci, del resto. Se lei è arrivata qui, però, non credo che sia perché i suoi genitori le abbiano dato il permesso. – aggiunse serio.
- Dov’è la tua famiglia? – chiese Medea, posandole un braccio sulla spalla. La ragazzina si liberò dalla presa goffamente, singhiozzando.
- Non ce l’ho più. Non mi vogliono più vedere. Hanno scoperto che faccio magie e mi hanno scacciata lasciandomi al convento delle clarisse, ma io non voglio fare magie, io non lo faccio apposta. Il diavolo mi perseguita! Al convento pensavo che mi avrebbero guarita, ma mi hanno portata via la scorsa notte!
- Portata via? – Hilda era straordinariamente confusa.
- Era sola e spaventata in un convento di monache, non mi sorprende che siano andati a prenderla. I maghi e le streghe soli vengono sempre portati qui, è molto importante che imparino a controllare la magia, potrebbero essere pericolosi, sennò. – spiegò Vàclav.
Hilda annuì, grave. La sua fantastica vita a Durmstrang sembrava complicarsi. La ragazzina in lacrime intanto continuava a singhiozzare recitando a bassa voce delle preghiere in un latino quasi accettabile. Capire quello che aveva detto aveva richiesto una buona dose di fantasia. Del resto i figli dei maghi imparavano a casa quella lingua così utile a capirsi in una scuola che mescolava tanti paesi diversi. I nati Babbani, soprattutto se poveri, non avevano di certo quella fortuna. Lo stare in un convento per quella ragazzina era stato sicuramente d’aiuto.
- Tieni. – le disse Hilda, porgendole un fazzoletto di stoffa. – Non è avvelenato. – aggiunse, perché la sua coetanea non si spaventasse.
La giovane la fissò a lungo, poi afferrò il fazzoletto e si soffiò rumorosamente il naso. - Qual è il tuo nome? – azzardò.
- Maria. – pigolò la ragazza.
- Io sono Hilda, invece. – rispose la giovane Godefroid. Avrebbe voluto chiederle da dove venisse, ma capì che Maria non se la sentiva. Ci sarebbe stato tempo in futuro, per parlare. Tutti gli studenti erano ormai giunti a scuola, perciò Gyula fece segno ai ragazzi sotto la sua tutela di entrare.
- E’ ora che prendiate un po’ di caldo.
- Puoi dirlo! – fece Basilio, iniziando a marciare con un buon passo verso il portone in legno e metallo.
Fu un vero sollievo, in effetti, mettere piede entro le mura del castello, al caldo. L’atrio era ampio e le pareti erano coperte di arazzi. Hilda seguì la folla e si ritrovò dopo pochi passi davanti a due rampe di scale che partivano dalle estremità della sala per ricongiungersi su un pianerottolo di pietra grigia. Gli studenti furono separati: i maschi sulla scalinata di destra, le femmine su quella di sinistra. Iniziarono a salire prima i nuovi arrivati e poi via via gli studenti più grandi. Il pianerottolo, come presto scoprì la ragazzina, dava l’accesso ad un ampio salone con lunghe panche e tavoli sistemati a ferro di cavallo, come quelle di un refettorio. Un grande camino, sul fondo della sala, era seminascosto da un tavolo su cui sedevano diversi maghi e streghe. Dalle finestre era possibile vedere le montagne. Entrarono nella sala schierati come un esercito, ragazzi da una parte e ragazze dall’altra. Maria continuava a tremare, nonostante il freddo fosse lontano. Hilda allungò la testa verso i ragazzi in prima fila, scambiandosi uno sguardo incoraggiante con Franz. I suoi vicini di Dazelburg, tutti più grandi, erano da qualche parte dietro di lei. L’uomo seduto al centro del tavolo si alzò in piedi: aveva capelli biondissimi fino alle spalle, occhi chiari e una cicatrice profonda sul viso. Quel gesto fu sufficiente perché nella stanza calasse un silenzio quasi irreale. Hilda notò che i maghi e le streghe che aveva visto nel cortile con gli studenti erano tutti seduti al tavolo, Gyula compreso.
- Miei cari studenti, ben ritrovati o benvenuti entro le mura di questo castello. Per chi fosse qui per la prima volta, il mio nome è Guinifredo del fu Guillipado, e sono il gran maestro di Durmstrang. Qui imparerete a dominare la magia in tutte le sue forme, che siano Incantesimi o Pozioni, Fatture o Malefici. Imparerete qual è il potere che ne deriva e come usarlo contro i Babbani per difesa o offesa.
Hilda sentì tirare su con il naso, e pensò che si trattasse di Maria, ma la sua amica era tranquilla. Probabilmente c’erano altri nati Babbani a scuola.
- Per coloro – riprese Guinifredo – la cui magia è stata finora la causa del proprio isolamento, della paura e della persecuzione, questa è la meta che vi compete. Qui nessuno vi condannerà all’inferno o vi emarginerà. Se la magia è dentro di voi è perché siete tra le poche fiaccole di luce in una notte senza luna. – la voce del mago era profonda e forte, si diffondeva nella stanza apparentemente senza sforzo. – Accanto a me siedono coloro che si prenderanno cura di voi: mastro Olof donerà le bacchette agli studenti che sono giunti qui per la prima volta, madama Astrid si occuperà del vostro latino, che dovrà essere perfetto per poter pronunciare i vostri incantesimi, madama Serafina, conoscitrice esperta di veleni, vi insegnerà pozioni e fatture, mastro Aapo vi insegnerà a usare la bacchetta magica e a compiere i vostri incantesimi, mastro Jarno si curerà delle stelle e delle profezie che esse celano, madama Irina vi insegnerà i misteri delle lingue antiche, mastro Pekka, invece, i misteri delle leggi della natura. Sarete inoltre accuditi da Gunilla per i vostri malanni, Ingalil vi rifocillerà, mentre Gyula si occuperà di insegnarvi come sopravvivere in lande come questa. Verrete istruiti e protetti. In cambio avete l’obbligo di seguire una buona condotta e di dovere obbedienza. – fece una pausa, mentre Hilda annuiva, convinta. Niente più incidenti con il latte inacidito, per lei. – Ma ora, per prima cosa, dovete riposare. La traversata è stata lunga e pericolosa. – a quelle parole si levò un brusio, era giunto il momento di poter finalmente rivedere un letto.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque: vita da studentessa ***


Note: Eccomi dopo quasi un mese. Volevo scusarmi con voi lettori, ma ho avuto un esamotto di mezzo, che sono felicissima di aver dato XD. Poi vabbè, devo rimettermi a scrivere perchè sto finendo i capitoli di margine, ma questo non è un vostro problema! Non del tutto, almeno. Ho immaginato Durmstrang in Svezia, in questa zona: Norrbotten. JKR si limita a dire che la scuola è a nord, quindi mi sono sentita libera di piazzarla. Noterete, o forse no (XD), che non tutto l'est Europa è a Durmstrang, questo perchè ho immaginato che i paesi più ad est frequentino una loro scuola in Russia, e lo stesso per i maghi tedeschi e austriaci, anche perchè all'epoca i confini statali erano differenti. Siccome sono molto distratta, fatemi sempre sapere se leggete/trovate stranezze o incongruenze, ve ne sarei davvero davvero grata. Sento che manca qualcosa da dire, ma non so cosa... perciò, buon capitolo!


Capitolo cinque: vita da studentessa

Studenti e studentesse furono accompagnati nei rispettivi dormitori, situati nei torrioni. Le torri esposte ad ovest ospitavano le ragazze, quelle ad est i ragazzi. Vi era una tradizionale divisione poi, che sistemava gli allievi in ordine di età. Coloro che frequentavano i primi tre anni occupavano assieme una medesima torre, quelli del quarto e del quinto un’altra, e infine, quelli del sesto e settimo, ormai vicini alla conclusione dei loro studi, vantavano il diritto di alloggiare nelle stanze più alte, che avevano la vista migliore della vallata del Norrbotten. Hilda entrò nella camera che avrebbe diviso con altre tre sue coetanee, degna del più sfavillante dei sogni. Il camino era acceso e scoppiettante, gli alti letti, allineati sul lato sinistro della stanza, erano coperti da baldacchini con tende pesanti. Armadi e bauli ai lati al camino avrebbero contenuto tutti i suoi averi. Lasciò cadere la sacca vicino ad uno dei letti, mentre scambiava qualche parola con le compagne, e si avvicinò alla finestra; da quell’altezza era possibile scorgere un lago dall’acqua blu che rifletteva i raggi del sole. Soddisfatta, tornò verso il letto che aveva scelto, ci si arrampicò sopra e chiuse le tende. Un minuto dopo lei, come gran parte degli studenti, si godeva un sonno a lungo agognato.
Vennero svegliate dal suono di alcune campane, che si trovavano chissà dove nel castello. Aprendo le tende del baldacchino, Hilda notò che fuori era buio.
Poco dopo le ragazze, ancora mezze addormentate, vennero raggiunte da Ingrid, una studentessa del terzo.
- Tra poco sarà pronta la cena, dovete sistemarvi e scendere. Più tardi sarà possibile fare il bagno. – spiegò.
- E le bacchette magiche? – chiese Caterina, una giovane ragazza bulgara.
- Verranno assegnate domani mattina, senza fretta. – rispose Ingrid, prima di lasciare la stanza. Le ragazze, dunque, cominciarono a rassettarsi. Accanto ai letti vi erano vasi colmi d’acqua per ripulirsi e Maria, con sorpresa, notò che l’acqua era tiepida.
- Che razza di sortilegio! – esclamò, facendosi il segno della croce. Sorridendo, Hilda vide che poi Maria si affrettò a pulirsi senza stare troppo a pensare a magie e incantesimi. Scambiò un’occhiata con Ester, la quarta compagna di stanza, e si sorrisero a vicenda: la nata Babbana sarebbe diventata presto una di loro.
A cena, nel grande salone dove erano stati presentati ai docenti, il banchetto fu sontuoso. Zuppe, carne, e birra per scaldare gli animi. Maschi e femmine erano di nuovo a contatto fra loro, benché divisi per tavoli. Ebbero la possibilità di familiarizzare un poco dopo che furono serviti i dolci, e Hilda ne approfittò per stare vicina ai suoi conoscenti di Dazelburg. Ai nuovi rintocchi delle campane, però, tutti dovettero ritirarsi.
- Studenti del primo anno. – annunciò il gran Maestro Guinifredo. – Domani, dopo colazione, vi verranno assegnate le bacchette. Per voi e per tutti gli altri da domani comincia il lavoro vero con le lezioni e le esercitazioni. Godetevi il bagno caldo e dormite sodo.
- Siamo obbligate a fare il bagno? – chiese Maria, mentre risalivano le scale. Nessuno aveva idea di dove si trovassero le sale da bagno. L’unica cosa che avevano trovato per ora erano stati il vaso per lavarsi il viso e il vaso da notte, ben nascosto sotto il letto.
- Non vorrai puzzare come una renna dopo che ha passato tutta l’estate nei prati. – sbottò una giovane dama dall’arazzo accanto a cui stavano passando. Maria lanciò un gridolino, ma si zittì con la mano prima che mezza scuola si girasse a guardarla.
- I quadri e gli arazzi parlano, spesso. – spiegò Ester, senza scomporsi. – Che problemi hai con il bagno?
- Di questa stagione e di notte? – sbottò Maria, scandalizzata. – Ci si può ammalare!
- Queste stanze e l’acqua saranno molto calde, non penso ci sia nulla da temere. Non mi dispiacerebbe togliermi questa polvere di dosso.
Salite le scale notarono, accanto all’ingresso della camera, una porta di legno che prima non avevano visto. Incuriosita, Caterina aprì la porta e si affacciò all’interno, subito imitata dalle altre. All’interno oltre a una grande quantità di vapore, c’era una vasca di pietra abbastanza grande da contenere tre o quattro persone, scaffali con saponi e oli profumati e una panca dove abbandonare i vestiti. Una piccola finestrella avrebbe dovuto illuminare la stanza, che al momento invece risplendeva alla luce delle candele.
- Io vado per prima. – disse Caterina, entrando.
Hilda trovò corroborante l’immergersi nell’acqua calda, anche se le fece tornare una gran voglia di dormire. Perfino Maria alla fine si convinse, ma solo dopo continue assicurazioni sul fatto che difficilmente sarebbe morta di polmonite di lì a tre settimane.
Dormirono tutte e quattro come ghiri, quasi che il pisolino del pomeriggio non le avesse per niente aiutate a recuperare le forze. La mattina successiva sarebbe stata impegnativa, meglio essere pronte.

***

Il laboratorio di Olof, tutto fare e creatore personale delle bacchette magiche degli studenti di Durmstrang, si trovava decentrato rispetto alle aule e al grande salone dove i ragazzi mangiavano. Era un casottino a sé stante, comunicante con il castello tramite un piccolo corridoio di pietra e dalle finestre si scorgeva bene il lago che Hilda aveva intravisto dalla sua stanza. Maschi e femmine ebbero dunque l’occasione di rimanere mescolati un po’ più a lungo del consentito, benché dovessero stare in file separate, in attesa della loro assegnazione. I lavori di Olof costavano molto, e richiedevano tempo, poiché andavano scelti con cura. Maria si spaventò un po’ vedendo i disastri combinati dai suoi coetanei mentre maneggiavano bacchette inadatte a loro, e più volte le belle vetrate del laboratorio andarono in frantumi. Olof non se ne curava: si lisciava i baffoni biondo rossicci e con la sua bacchetta nodosa risistemava sempre tutto senza scomporsi. Se a Caterina bastarono due tentativi per la sua bella bacchetta di abete rosso e Maria incredibilmente azzeccò la sua bacchetta di faggio al primo colpo, Hilda ed Ester dovettero armarsi di molta più pazienza perché provarono rispettivamente dieci e quattordici bacchette diverse, prima di trovare quella giusta. Le monete che gli studenti avevano posato sul bancone man mano che pagavano la loro preziosa merce, ora erano impilate ordinatamente. I figli di Babbani, generalmente recuperati in condizioni di estrema povertà o strappati dalle famiglie erano esentati dal pagare. Olof e tutto lo staff di Durmstrang sapevano che un mago avrebbe sempre avuto tempo per ripagare i suoi debiti al momento giusto. Una bacchetta era un investimento per il futuro. Espletata quest’ultima formalità le ragazze furono accompagnate a seguire la lezione di madama Astrid, mentre i ragazzi vennero spediti a lezione da madama Irina.
- Speravo avremmo iniziato ad operare con le bacchette. – mormorò Franz all’indirizzo della sua amica, mentre ritornavano in castello. – Non a leggere strofe noiose!
Hilda ridacchiò appena, mentre si dividevano verso diverse ale del castello.
- A pranzo mi dirai com’è andata! – lo salutò, mentre imboccava le scale.
Durmstrang era una scuola efficiente ed operosa come un alveare, ma richiedeva ai suoi allievi che si lavorasse in silenzio. Le aule inoltre erano effettivamente spoglie come un monastero. La stanza dove entrarono le ragazze al rintocco delle campane era lunga e stretta, e ricordava uno scriptorium. Banchi lunghi a due posti con le rispettive panche in legno erano sistemati alle estremità della stanza, lasciando un ampio spazio al centro. Madama Astrid le aspettava dietro la sua scrivania in pietra nera con l’aria cordiale e una pila di pergamene davanti.
- Prendete posto ragazze. – salutò, mentre distribuiva con la magia un foglio di pergamena su ogni banco, dove era già possibile vedere una bella piuma bianca per studente e una boccetta di inchiostro da dividere. – Come vi ha riferito il gran maestro Guinifredo il mio compito è insegnarvi a padroneggiare perfettamente il latino. Che siate figlie di streghe o meno, venite da paesi i cui usi sono diversi, la lingua è impura e spesso imparata approssimativamente.
Partiremo dalle basi, dalla grammatica, per poi passare ai discorsi di Seneca e Cicerone. Passò dalle parole ai fatti in meno di un minuto. La donna scriveva su una lavagna dietro di lei e parlava, chiedeva, interrogava, faceva leggere ad altra voce, correggeva. In una stanza simile ogni bisbiglio che non fosse lo sfregare della penna sulla pergamena rimbombava in maniera inquietante e faceva sentire veramente in colpa le povere chiacchierone, per non parlare dello sguardo pieno di disappunto di madama Astrid che si posava immediatamente su di loro.
- Signorine, parlare tra di voi vi è concesso nelle ore libere. Sono ammesse solo domande a me, e io vi darò il permesso di parlare se lo riterrò opportuno. – la strega non aveva bisogno di alzare la voce, perché rimbalzava sulle pietre raggiungendo anche le studentesse in fondo alla classe. Il gran maestro l’aveva detto durante la loro prima cena: erano tenute ad obbedire. Perciò molte sospirarono, magari in maniera un po’ troppo rumorosa, e si misero al lavoro, declinazione dopo declinazione.
Fu in questo modo un po’ soporifero e noioso che Hilda iniziò per davvero a frequentare Durmstrang. A tutte le lezioni cui prese parte in quei primi giorni venne loro impedito di usare la bacchetta, con grande sollievo di Maria, ma con grande scorno da parte delle altre. Eppure, nonostante tutto, a scuola c’era un clima fantastico. Non doveva nascondersi, era circondata da suoi simili, e non c’erano Babbani nel raggio di miglia e miglia. Era come sognare, come essere nel rifugio perfetto. E nonostante la noia fu in questi termini che descrisse la sua prima settimana nella lettera che avrebbe inviato ai suoi genitori.

***

Guendalina, a Dazelburg, il posto più noioso del mondo da diverse settimane, a suo dire, accolse la lettera della sorella con estrema gioia. Dovette, questo è vero, fingere di cacciare il gufo in malo modo, per salvare le apparenze, ma fu felice di accoglierlo poi in casa e rifocillarlo con pane e dolci. Avrebbe voluto andare in negozio con suo padre, almeno per far passare velocemente quelle lunghe giornate primaverili, ma era troppo piccola ancora. A quanto pareva non aveva l’età per fare niente. E, in effetti, in parte era vero. Non capiva la gran parte delle parole scritte sulla pergamena, anche perché era scritta in latino.
- Mamma! Hilda ha scritto, ma non si capisce niente! – borbottò Guenda, seguendo la madre mentre faceva il bucato, al pollaio, le camere, il cortile.
- Guendalina, non pensi sarebbe più corretto aspettare che papà sia a casa per leggerla con noi? – domandò Sigfrida, stanca di quel cicaleggio molto rumoroso.
- Potremmo andare noi da papà in negozio e leggergliela! – propose la bambina. Proposta che divenne ordine; dovettero andare al negozio e declamare la lettera riga per riga.
Cari mamma, papà e Guendalina,
il viaggio è andato bene, anche se lungo e faticoso. Abbiamo preso, io e gli altri, tanto freddo che temevo non mi sarei scaldata mai più! Durmstrang è fantastico, e siamo circondati ai boschi, da un lago e da creature da cui ci dicono dovremmo star lontani. Ho ricevuto la mia bacchetta, ed è stato difficilissimo averla, ne ho provate tantissime, ma alla fine l’ho avuta. E’ di ginepro, contiene crine di unicorno ed è piuttosto lunga. Per ora nessuno ci consente di usarla, però, siamo su pergamene noiosissime. Qui ci sono anche figli di Babbani, che non hanno nessuna idea del perché siano qui. Una è in stanza con me, ha continuato a piangere tutta la prima sera, prima di rassegnarci, e ci ha messo un po’ per dirci che veniva dalla Romania. Ora devo andare, Gyula ci aspetta per fare un po’ di esplorazioni all’esterno. Qui c’è ancora neve, ma non vedo l’ora!
Rispondete presto
Hilda.

Sigfrida e Adalberto annuirono soddisfatti, Hilda si trovava bene, e non c’era nessun motivo per essere preoccupati per lei.
- Non le fanno ancora toccare la bacchetta. – ridacchiò Guendalina. – Non da invidiare come pensavo. – sentenziò la bimba, soddisfatta.

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Capitolo 7
*** Capitolo sei: apprendistato da bardo ***


 Note: E vabbè, ho quasi fatto passare un mese. Perché son rincoglionita, ecco perché ç____ç. Vi chiedo scusa, ma sono stata risucchiata in un vortice di neve di “oddio non so se arriverò fino a Bologna” e di tirocinio in un archivio che potenzialmente potrebbe non finire mai. In tutto questo non ho scritto quasi una riga, letto anche meno, e anche se avevo questo capitolo pronto mi son dimenticata di postarlo. Shame on me. Ora riprenderò a darmi da fare. Giuro. Anyway, nessuna particolare nota qui, Dazelburg e Guendalina non vanno troppo d’accordo e vi piglierete il lato oscuro di questa bimbetta. Have fun! XD
 
Capitolo sei: apprendistato da bardo
 
Le gioie di Guendalina durarono poco. Hilda mandava una lettera alla settimana, facendo resoconti piuttosto precisi su quello che capitava a scuola. La bacchetta venne presto inaugurata, e a quanto pareva usarla era estremamente divertente. Notizie, queste, che acuirono notevolmente nella bambina il suo senso di isolamento. Non c’erano maghi della sua età, non ce n’erano di più piccoli, e quelli più grandi o erano adulti o erano a scuola. Guenda trovava spesso quasi noiosa la compagnia dei coetanei, e mentire in continuazione era difficile.
Le sue compagne di giochi e di scorribande nel paese erano particolarmente noiose, e il suo unico svago era, a dirla tutta, il mercato settimanale della piazza, dove stava sempre ore con la madre.
- Perché non vai sul sagrato della chiesa con le tue amiche? – chiese Sigfrida un mercoledì, mentre valutava se comprare pesce dal Balaton o meno.
- Non parlano di niente di interessante. Si chiedono come sarà il raccolto, quale mamma ha la miglior ricetta dello stufato, la sorella maggiore di quella si è sposata, l’amico di un conoscente di un cugino ha una stalla tutta sua. – elencò Guendalina. – Se almeno si parlasse di principesse, di re, anche solo di Griselda Trapp. La cosa più interessante che Hanna ha raccontato ieri è stato che la Nera, una delle sue galline, l’ha beccata mentre le prendeva le uova. – sospirò avvilita.
- Di che vorresti parlare, invece? – chiese Sigfrida, paziente.
- Di cose come quelle che fa Hilda! – sbottò. Ufficialmente Hilda e tutte le altre figlie di maghi e streghe si allontanavano per andare nella città di Kaposvàr da alcuni parenti, per imparare meglio le buone maniere. – Ci sono le renne, e i draghi! E chissà quali altri misteri nel lago!
- Zitta Guenda. – Sigfrida le tappò la bocca immediatamente, perché era a portata di orecchio di alcune vicine. – Non dire niente!
- Non vedo perché. – borbottò Guendalina. Sei anni non erano molti, ma erano abbastanza per capire come girava quel piccolo angolo di mondo che era Dazelburg. – Nessuno è capace di farci del male.
Sigfrida poteva capire il disagio della figlia, ma non per questo avrebbe accettato la sua insolenza. Finì la commissione senza commentare, dopo di che la trascinò dietro la bottega del macellaio Bogumil, affinché nessuno le sentisse.
- Ascoltami, Guendalina, e ascoltami bene. Hilda non si è mai, mai permessa di lamentarsi in questo modo, né di dimostrarsi così superiore ai Babbani. E come lei, nessuno di noi. Dumstrang è un sogno, e come tale dovrai aspettare del tempo perché si avveri. Niente è facile, e niente è immediato. Dazelburg è il posto in cui vivi, con la tua famiglia e i tuoi amici. Trova il meglio che puoi. Il resto verrà quando sarai più grande, ma per ora, non permetterti mai più di sbottare così. – si era chinata per vedere negli occhi la bambina. – Ogni volta che un Inquisitore indaga in una città è molto facile che qualcuno muoia. Non si tratterà di te, ma di qualcuno, probabilmente innocente. Perciò finiscila immediatamente. – concluse, arrabbiata. Non c’era da scherzare, su queste cose.
Guendalina non fu felice del trattamento che le fu riservato, e faticò parecchio per non scoppiare a piangere.
- Posso andare a giocare? Non voglio più stare qui. – chiese, cercando di non far tremare il labbro.
- Certo. – Sigfrida si addolcì. – Tieni a mente quello che ti ho detto.
Guendalina si defilò a passo svelto, cercando di non inciampare per colpa del bordo della gonna. Accontentarsi di Dazelburg, nello stato d’animo in cui era, pareva proprio impossibile. Non c’era altro da fare: viveva nel posto più noioso d’Ungheria e per altri cinque anni sarebbe stata costretta a farselo piacere. Oppure…
Be’, nessuno le aveva detto che non poteva divertirsi in quei lunghi anni di attesa. Se le sue amiche raccontavano cose noiose, poteva pensarci lei a regalare qualche brivido in più. Camminò a passo spedito in direzione del sagrato: tanto valeva iniziare subito. Un paio delle sue amiche erano sedute sul gradino in pietra antecedente alla chiesa. Confabulavano eccitate, segno che probabilmente era da poco giunta una novità.
- Dicono che Griselda andrà in sposa presto. – chiocciava Margit, tutta eccitata.
- Spero che il corteo passi di qui. – Hanna sospirava, figurandosi nella mente spettacoli di strada e abiti sontuosi.
- Quale corteo? – domandò Guendalina fingendo interesse.
- Quello dei Trapp! Pare che Griselda verrà presto concessa in sposa al primo signore di bell’aspetto che suo padre troverà adatto per la sua unica figlia.
- Ma non ha nemmeno l’età di Medea, è giovane! – commentò Guendalina. Per quello che ne capiva lei, Medea sembrava una donna, ma la primogenita degli Onogur aveva spalle larghe e un sorriso bianchissimo. Griselda, da quel che si diceva, pareva eterea come una creatura del bosco.
- Io non l’ho mai vista, dev’essere bella. E avrà una magnifica dote. – spiegò Margit, che ripeteva i discorsi sentiti in casa. – Lo diceva anche Gabor, il maniscalco.
- Magari i Trapp riusciranno ad avere un maschio, dopo aver sistemato la figlia. – aggiunse Hanna. Dorina e Bonifac Trapp cercavano da molto tempo di avere un figlio. Dorina era rimasta incinta già quattro volte, senza successo. Per due volte aveva perso i bambini, poi era nata Griselda, e l’ultimo, un maschietto, non era durato che due settimane. Dorina però era giovane, avrebbe potuto tentare ancora.
- Chissà chi sposerà Griselda. – fece Guendalina, decisa a dare un po’ di pepe alla mattinata. – Forse un soldato, o un cavaliere che compia avventure e imprese magnifiche. I bardi potrebbero percorrere l’Ungheria intera per cantare le sue gesta, come quelle di Dezso.
L’effetto sul piccolo pubblico fu ottimo. Guendalina stava davanti a loro, in piedi, dando le spalle alla piazza del mercato. Margit e Hanna, sedute vicine, la fissavano dal basso verso l’alto, già rapite.
- Chi è Dezso? – chiese una.
- Come? Ma è un famosissimo eroe! Dovrebbero conoscerlo tutti! – Guenda arricciò il naso, quasi offesa, e si sistemò una ciocca di capelli castani con aria di superiorità. In realtà stava cercando di prendere tempo, perché non conosceva nessun cavaliere di nome Dezso, ma vista la curiosità delle amiche, ora doveva inventarsi qualcosa.
- Che ha fatto per essere così conosciuto? – Margit, che aveva sette anni e che in fondo si sentiva giustamente la più grande e la più saggia, fremeva: non era giusto che qualcuno conoscesse qualcosa che a lei era ignoto.
- Ha sconfitto un mostro con cinque teste, tanto per cominciare. – iniziò Guendalina. Alzò lo sguardo verso il portale della chiesa. Il timpano posto sopra raffigurava il Giudizio Universale: osservando quelle sculture strane e mostruose poteva farsi venire qualche buona idea. – Dezso si trovava in un bosco di querce, molto, molto lontano da qui. – disse. – Vi si trovava perché stava per raggiungere le terre del buon re della Turingia, a ovest, che l’aveva chiamato per affidargli una missione pericolosissima! – a quest’ultima parola, Guendalina si era alzata in punta di piedi, come per dare enfasi alla parola e sembrare lei stessa più minacciosa. Hanna e Margit erano rapite.
- Ma… - proseguì – mentre attraversava il bosco impervio, sentì degli strani rumori, come di rami spezzati. Dezso si guardò attorno, il cavallo sotto di lui soffiava nervoso. Non riusciva a scorgere niente… quando… ad un certo punto… - ed ecco una pausa ad effetto durante la quale le sue amiche trattennero il fiato – un enorme mostro apparve davanti al suo cammino! Il cavallo si impennò, disarcionò il cavaliere e fuggì via! Dezso rimase a terra, difeso solo dalla sua spada. Le teste del mostro erano diversissime: una era come quella di un cane grosso, l’altra come quella di un lupo, una come quella di un drago, una come quella di un falco e la quinta… la quinta era come quella di un serpente! – Guendalina tirò fuori la lingua per imitare il sibilo dell’animale. Lo fece così bene che Hanna lanciò un grido e scappò via, subito seguita da Margit. Guendalina, soddisfatta, si voltò verso la piazza e si lasciò cadere sui gradini. Le campane della chiesa e più in là quelle del monastero cominciarono a suonare i rintocchi di mezzogiorno.
La mattinata era passata in un lampo.
La sensazione di vedere le due amichette pendere dalle sue labbra fu molto gratificante, per Guendalina, quasi inebriante. Non doveva nemmeno impegnarsi troppo: idee spaventose e leggende di dubbio gusto non erano difficili da inventare e, per rendere la cosa più realistica, poteva farsi raccontare qualche oscuro misfatto dai suoi vicini maghi. Mentre pensava a questo, si ritrovò a passare davanti alla casa del tintore; Cunegonda, sua moglie, stava spazzando l’ingresso. Le sue mani erano sporche di colore, e doveva aver appena smesso di aiutare il marito. Per fortuna nessuno degli orribili odori del laboratorio arrivava in strada: Caio aveva incantato tutta la casa per evitare che si appestasse. Proprio nella bottega di Caio Guendalina aveva dato mostra dei suoi poteri per la prima volta. La bambina considerò la coincidenza molto fortunata.
- Guendalina, che ci fai tutta sola? – la salutò Cunegonda, posando lo sguardo su di lei.
- Ero al mercato con la mia mamma, ma lei ora è tornata a casa. Ero davanti alla chiesa con Hanna e Margit a giocare.
- Oh, ottimo. – Cunegonda sorrise materna. Si era sposato più o meno nel periodo in cui era nata Guenda, ma non aveva ancora avuto figli. Di conseguenza era sempre molto gentile con i bambini degli altri. La bambina vide che sembrava disposta a chiacchierare, e ne approfittò senza giri di parole.
- Conosci qualche storia di maghi famosi? Io non ne conosco tante, e mi piacerebbe imparare tante cose prima di andare a scuola. – chiese, stropicciandosi le mani. Cunegonda annuì sorridendo, posando la scopa sul muro di casa.
- Vieni dentro. Mi tolgo questa vernice con uno dei nostri sistemi infallibili e sarò a tua disposizione. – la strega fece l’occhiolino alla bambina, che sorrise. – Corri ad avvisare tua madre, però. Non facciamola preoccupare per niente.
A quelle parole, Guendalina corse a casa a tutta velocità, tenendo la gonna alzata per non inciampare. Raggiunse la piccola casetta in fondo alla via in un paio di minuti.  – Mamma! – urlò aprendo la porta di casa. – Cunegonda mi ha promesso di raccontarmi alcune storie di maghi e streghe famosi, posso andare, vero?
- Guenda, che modi! – Sigfrida era seduta davanti al camino, rammentando un paio di calzettoni. – Mi hai fatto prendere un colpo! Non entrare più in casa in questo modo!
- Scusa, non volevo. – sospirò Guendalina, rimanendo attaccata alla maniglia della porta. – Posso andare però, vero?
- Vai pure. – concesse la madre. – Vedi di essere a casa per pranzo, però.
- Promesso! – quasi ridendo, Guendalina chiuse la porta di casa e ripercorse la via in senso contrario, diretta a casa di Caio.
- Cunegonda? Eccomi! La mamma ha detto che posso restare fino ad ora di pranzo. – annunciò la bambina ad alta voce, mentre bussava alla porta.
Cunegonda le aprì immediatamente: - Entra pure. Da chi cominciamo? Gergerly il pazzo o Gyuri il possente?
In breve tempo, Guendalina imparò così tante storie e saghe da fare invidia ad un menestrello di mestiere.
 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo sette: racconti d'estate ***


 Note: Bene, benone. Un altro mese è passato. Di mezzo ho tirocinato, ho lavorato e ci ho infilato un altro esame. E’ un pietoso modo per giustificarvi innanzi ai vostri occhi. Sto completando il capitolo undici aggiungendo circa 200 parole a sera, che non è il mio regime solito, ma di questi tempi tutti quello che viene è buona cosa. Vorrei essere molto più prolifica, riuscire a scrivere qualcosa su Ginny Weasley o così, ma vedrò come viene. Per ora beccatevi questo capitolo con Guenda la Terrorizzatrice di Babbani. Spero vi piaccia, e spero che in un caso o nell’altro vogliate farmelo sapere.
 
Capitolo sette: racconti d’estate
 
Non era difficile fare concorrenza ai menestrelli, perché nel piccolo villaggio di Dazelburg semplicemente non ce n’erano. Arrivavano di tanto in tanto solo nelle grandi occasioni: battesimi, matrimoni ed eventi simili. Guendalina, perciò, aveva campo libero. Da principio non raccontò niente di diverso dalle avventure che si potevano sentire nei poemi cavallereschi: grandi battaglie, amori difficili, re e principesse. Le piaceva interpretare le voci, fare i personaggi, muoversi sulla terra battuta della piazza. Il suo entusiasmo era talmente grande che in chiesa, la domenica, cantava con quasi più voce dei monaci, e presto il prete la richiamò all’ordine perché si comportasse come una bambina per bene e non come un uccello del malaugurio. Guendalina non era troppo dotata per il canto e i suoi strilli distraevano il coro.
Adalberto e Sigfrida ne risero e Guendalina stessa non se la prese per niente: aveva di meglio da fare. Le lettere di Hilda arrivavano a casa puntuali, e ad ogni novità straordinaria, Guendalina si sentiva in dovere di alzare il tiro nei suoi racconti.
Uomini squartati, fiumi di sangue, occhi di tritone, draghi, mitiche creature di cui si narrava solo in testi antichissimi: questi erano di media gli elementi che ricorrevano sulla bocca della piccola strega. Tutto materiale più che sufficiente a spaventare tutte le piccole Babbane di Dazelburg, che urlavano e squittivano di paura. Seminare il terrore era tremendamente piacevole.
Se le bambine erano un bersaglio semplice, i bambini erano invece una prova più ardua. Per principio difficilmente avrebbero dato retta a Guendalina, che era alta poco più di un metro e che era disgraziatamente era femmina. Questo però non la fece desistere: era una sfida che poneva a se stessa, e l’avrebbe vinta.
Ce n’era uno in particolare che Guendalina avrebbe terrorizzato volentieri, ed era Antonius. Suo padre era il mugnaio della cittadina, e per questa ragione poteva permettersi di mandare suo figlio al monastero perché imparasse un po’ di latino e un po’ di letteratura antica. Questo era sufficiente perché Antonius facesse la voce grossa con gran parte degli altri ragazzi, e fresco nella memoria di Guenda era il ricordo di Hilda che lo rinchiudeva nel pollaio per averla derisa. Peccato che alcuni non imparassero mai la lezione.
L’occasione perfetta si presentò in estate, quando gran parte degli abitanti di Dazelburg erano impegnati nei campi per raccogliere il grano. In quel periodo i commerci rallentavano e così anche le attività cittadine poiché quasi tutti, eccetto i più piccoli e i più anziani, davano una mano nei campi. Antonius passava gran parte del tempo a portare secchi d’acqua per le mucche, facendo avanti e indietro dal pozzo, mentre molte bambine, come Guendalina, aiutavano Marcianna a sgranare le spighe, versando il contenuto in grossi sacchi di tela scura.
Portare secchi pesanti però stancava, e il ragazzino, accaldato e sudato, spesso si sedeva vicino a Marcianna, sotto alla fila di faggi in mezzo a uno dei campi, per riprendere fiato.
- Riposati un po’ ragazzo. – fece Marcianna, facendogli segno di sedere accanto a lei. – I secchi sono molto pesanti.
- Già. – ammise Antonius, sedendosi. Guendalina lo teneva d’occhio, mentre continuava il suo lavoro.
- Theodoro secondo me non avrebbe avuto bisogno di fermarsi così tanto. E’ forte. – disse ad un certo punto, senza guardarlo.
Colpito nell’orgoglio, Antonius si risentì. – Theodoro non è qui però ad aiutare la sua famiglia e la cittadina. E poi è più grande di me.
- Solo di un anno. – specificò Guenda.
- E’ vero. – fece un’altra bimba accanto a lei.
- E Theodoro passa quasi tutto l’anno via a studiare, non è certo un uomo d’arme che allena la sua forza. – continuò Guendalina, serafica. – Per questo, io dico, non dovresti faticare più di lui.
Stanco di essere messo in cattiva luce da una bambina di sei anni, Antonius decise di reagire.
- Dovresti pensare invece al tuo, di lavoro. Alla tua età avresti già dovuto iniziare il terzo sacco, la mattina è inoltrata, invece sei a malapena a metà del secondo. – fece, indicando diverse altre bambine più veloci di Guenda. – La superbia non è un dono per una fanciulla.
- Suvvia, Antonius. – intervenne Marcianna. – Guendalina è piccola, e sta sempre in mezzo agli adulti. Le piace darsi qualche aria.
- Non sono arie, è la verità! – insistette la piccola strega. – Antonius dovrebbe preoccuparsi di essere forte, o non sopravviverebbe ad un incontro con uno dei mostri della foresta.
- Non penserai che queste storielle da notte invernale mi spaventino. Sono grande, Guenda, e non sono una femminuccia. Conoscevo queste storie da prima che tu nascessi. – rispose lui.
- Non credo. In quella che io conosco non c’entra la peste, e non c’entrano gli uomini. Sono gli spiriti del bosco. Vivevano qui da prima che arrivasse Gesù! – attaccò Guenda, continuando a sgranare le spighe. – Sono quelli che una volta chiamavano dei. Ora non sono più nessuno, e sono arrabbiati, per questo fanno del male agli uomini.
- Questo è sacrilego! – fece una ragazzina. – Marcianna, diglielo!
- Zsuzanne, non c’è niente di sacrilego, e il buon Dio lo sa bene. Ci sono delle creature nel bosco, e se una volta sono state abituate ad essere adorate non mi sorprende che siano molto arrabbiate, ora che nessuno non crede più a loro.
- Però me l’hai raccontato tu, Marcianna, hanno dei poteri, non è vero? – chiese Guendalina.
- Certamente. – rispose l’anziana. – Il demonio è sempre molto generoso, con chi lo ascolta.
- E che potrebbero fare? Con un crocifisso o dell’acqua santa si possono mandare via tutte le creature che l’Inferno butta fuori! Solo le donne possono aver paura di questo.
- Se è questo che credi, Antonius… - Guendalina alzò le spalle, e si fece silenziosa. Sapeva di essere riuscita ad instillare il dubbio nel ragazzo, mentre le sue compagne già mormoravano preghiere e si facevano segni della croce per scongiurare il Malocchio.
- Perché, a cosa dovrei credere? – chiese il Babbano con fare impaziente, dopo qualche minuto.
- Be’, - iniziò Guendalina. – Dovresti credere che da solo di notte in un bosco non ci devi stare, se vuoi uscirne vivo. Gli spiriti proteggono i ladri e gli assassini, ovvero gente come loro. Quanto agli altri…
- Che fanno agli altri? – chiese Brigitte, sistemando la lunga treccia bionda che portava.
- Oh be’… dipende. Heroldus, che viveva vicino a Buda è stato ritrovato pietrificato, probabilmente aggredito da una gorgone. Teneva un crocifisso in mano, pietrificato anch’esso. Bema, una ragazza che viveva vicino alla Foresta Nera, molto, molto lontano da qui, si era introdotta nella selva di notte per incontrare il suo amato, ma uno spirito gliel’aveva impedito. Ha cercato di opporgli resistenza con un talismano che le aveva donato una maga, ma non è servito.  E’ stata ritrovata in un pozzo giorni dopo, morta.
A quel punto le bambine erano tutte spaventate a morte, mentre Antonius fingeva disinteresse. Guendalina, soddisfatta della sua perfidia, si mise a canticchiare, fingendo di essere sola. Marcianna, invece, che se la rideva sotto i baffi, aprì bocca. – Bene, Antonius, dopo questa bella parentesi di spiriti è ora che tu ti rimetta al lavoro. Il bestiame avrà sete.
Il ragazzo sospirò e si alzò lentamente. Per raggiungere il pozzo doveva attraversare una breve, ma fitta boscaglia e dopo quei racconti, benché fosse pieno giorno, si sentiva a disagio.
Per quel pomeriggio Antonius la passò liscia, ma il giorno dopo un rumore di animali verso le sei di sera lo annichilì e lo spaventò a tal punto che fu visto correre senza secchi alla mano verso i campi, urlando come un indemoniato. Il trambusto raggiunse le donne al lavoro, Guendalina compresa, che non fece altro che commentare con un “Ben gli sta”. Marcianna, anziana e saggia, sorrise appena.
- Attenta Guendalina, già tua sorella ha fatto riunire il nostro consiglio una volta. Non costringerci a fare lo stesso di nuovo. – spiegò la strega, sospirando. – I poteri involontari sono una cosa, terrorizzare Babbani di proposito è un’altra.
- Ha fatto tutto lui. Se lo merita. – insistette Guenda, alzando il mento tutta orgogliosa. – Mi comporto male con chi si comporta male con me. Gli altri li tratto bene.
- Per ora. – l’anziana non ne era del tutto sicura. Guendalina aveva cominciato a prenderci davvero gusto a spaventare gli altri, difficile immaginare che avrebbe smesso, almeno non prima di qualche anno.
 
 

***
 
La premonizione di Marcianna fu, manco a dirlo, rispettata. Guendalina continuò ad essere il terrore di tutti i bambini di Dazelburg, e la preoccupazione di alcuni ragazzi più grandi e con una forte inclinazione per la superstizione.
Sigfrida e Adalberto lasciavano correre. Del resto Guendalina si applicava nello studio con maggiore solerzia di Hilda alla sua età, motivo per cui erano dell’idea di non preoccuparsi di alcune sue intemperanze. Il ritorno della sorella da Durmstrang verso novembre poi, l’avrebbe di certo calmata.
La notizia del rientro di Hilda a casa arrivò a Dazelburg il primo novembre. La notte prima era piovuto incessantemente, e le vie della cittadina erano umide e fangose. L’aria era fredda, e quando il vento si infilava per le vie più strette i cittadini rabbrividivano da capo a piedi. Quando il piccolo gufo sceso dalla Svezia giunse a casa Godefroid la trovò deserta, come tutte le altre. Si erano tutti stretti dentro alla cattedrale, per la messa di Ognissanti. Le spesse mura in pietra chiara risuonavano del canto dei monaci, mentre Guendalina sbadigliava, assonnata. Nonostante ciò fu la prima a vedere il pennuto sbattere insistentemente il becco contro la persiana della finestra della cucina, e fu lei che si premurò di portarlo in casa, vicino al fuoco. Queste attenzioni però, non la risparmiarono da violente beccate da parte del morbido postino. Aveva le dita ancora così infreddolite che il dolore che sentì fu atroce.
- Non è una lettera di Hilda, mamma. – considerò la bambina, mentre porgeva la pergamena a Sigfrida. Adalberto si avvicinò a lei per leggerla a sua volta e sorrise apertamente, una volta scopertone il contenuto.
- La manda Maestro Guinifredo. – spiegò alla figlia. - Ha cominciato a nevicare abbondantemente a Durmstrang, e se aspettano troppo nessuno sarà in grado di sostenere un’attraversata. Hilda tornerà a casa l’undici novembre.
Guendalina si sedette al tavolo, e posò la testa sui suoi pugni, senza rispondere. Indossava ancora il mantello, e pareva un fagotto di lana.
- Qualcosa ti turba, bambina mia? – Sigfrida si era avvicinata a lei, e le aveva accarezzato la testa, scostandole il cappuccio.
- Pensavo a quant’è lontana Durmstrang. – rispose la bambina. Rimase in contemplazione un altro minuto, prima di riprendersi e decidere di rifocillare il piccolo animaletto appollaiato sulla mensola del camino. Sarebbe dovuto ripartire presto, e sarebbe stato un peccato farlo aspettare, con la consapevolezza del grande freddo che avrebbe dovuto affrontare.
Ci fu eccitazione in tutta la piccola comunità magica, nei giorni successivi. Il due novembre, mentre tutta Dazelburg si preoccupava di onorare i propri morti portando fiori secchi al camposanto dietro alla chiesa, Guendalina zampettava come una cavalletta tra la tomba del nonno Bonifàc e quella della zia Borbàla, morta a sei anni per una polmonite che nemmeno un mago era riuscito a far guarire.
- E’ felice perché torna la sorella, eh? – chiese Marcianna ad Adalberto, mentre percorrevano la via verso le rispettive case e negozi.
- Immagino di sì. Essere l’unica strega in tutta la città l’ha resa molto irrequieta.
- Comprensibile. Dove vivevo io da ragazza la mia famiglia era l’unica così, a Pitvaros. So che adesso ci sono almeno tre famiglie, dovrebbero annoiarsi un po’ meno. – disse la donna, continuando a chiacchierare. - Sono curiosa di vedere che farà la nostra Silvana, ormai è in età da marito, e anche Ferenc lo è. Credo sia ora di incrementare un po’ la nostra comunità. Che ne dici, Adalberto?
- Diamo tempo al tempo, Marcianna. Può darsi che avremo segni propizi presto.
- L’ultimo che lo ha detto è stato Bert una decina di anni fa, prima di fare un incontro ravvicinato con un vampiro.
- Questo perché a scuola non se l’era mai cavata con la Divinazione.
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo otto: rientri, cipolle e delegazioni ***


 Note: Siccome è passato un mese e ho bisogno di tante coccole, ho deciso si aggiornare questa storia. Spero vi ricordiate ancora di me! Mentre aprile volge al termine, studiare mi diventa ogni giorno più duro e vorrei solo dormire, sappiate che sono comunque riuscita a completare il capitolo dodici, che magari non è in italiano, ma almeno è pronto XD. Se arrivo a giugno con gli esami finiti e la mente pronta, prometto che cercherò di essere più rapida e più produttiva, perché io mi metto tristezza da sola. Ad ogni modo vi lascio a Hilda, Guenda ed altri. Alla prossima e fatemi sapere!

Capitolo otto: rientri, cipolle e delegazioni
 
Durmstrang non era meno in fermento di Dazelburg. Con l’idea di un vicino ritorno a casa, parecchi studenti erano distratti a lezione e poco propensi ad ascoltare le nozioni che venivano loro inculcate. Certo era che non conveniva a nessuno farsi cogliere impreparato, poiché veniva costretto a passare il resto della lezione in piedi, accanto a chi stava insegnando, reggendo sulla sua testa con un incantesimo di levitazione un bacile di acqua fredda. Diversi avevano fatto un bagno non previsto. Hilda era entusiasta di tornare a casa, rivedere i campi nudi e i volti dei suoi famigliari. A Durmstrang, se guardava fuori dalle finestre, non si vedeva altro che neve, senza contare che il sole tramontava prestissimo, poco dopo l’ora di pranzo, lasciando tutti quanti nella più completa oscurità. Insomma, erano giorni di grandi preparativi, ma non tutti avevano la possibilità di tornare alle proprie famiglie.
- Tu resterai qui, Maria? – chiese gentilmente Ester un pomeriggio, mentre preparava i suoi bagagli. Non avrebbero viaggiato insieme, poiché venivano da zone diverse, ma Maria era sola. Strappata undicenne da un convento, era difficile pensare che per lei ci fosse posto da qualche parte.
- No, agli studenti non è permesso rimanere. Chi è senza famiglia come me viene spostato a Lulea, vicino al mare. Non è lontano da qui e ci sono famiglie di maghi disposte ad ospitarci.
- Resterai molto vicina, dunque. – fece Caterina. Lei proveniva da un’antica famiglia stabilitasi un secolo prima in  Bulgaria, e aveva un buon pezzo di strada davanti a sé.
- Già. Ma farà freddo e buio, io sono ancora abituata alla Romania. – rispose Maria. Aveva smesso di lottare contro la sua natura, ma restava confinata nel regno di Svezia, un luogo che non le apparteneva, senza contare che ora, che aveva finalmente delle amiche, sarebbe stata costretta a vivere in isolamento, in mezzo ad estranei per l’ennesima volta.
- Le comunicazioni sono lente e difficili, in inverno. Ma niente ti impedisce di scriverci, non appena ti sarai stabilita. A me farebbe piacere, anche se ci metterò un po’ a rispondere, visto che sono la più lontana. – a Hilda spiaceva, e provando a immedesimarsi nei panni di Maria si sentiva morire. Le sarebbe piaciuto fare di più, ma avrebbe scritto, e scritto tanto. Caterina ed Ester, che era Polacca, avrebbero potuto rimanere in contatto più facilmente.
- Grazie. – sorrise la ragazza. – Spero più che altro di trovarmi bene nella famiglia in cui mi assegneranno. Quattro mesi possono essere brevi o molto lunghi.
La conversazione morì su questa frase, e rimase a lungo nella mente delle quattro ragazze. Si apprestarono a partire la sera del dieci novembre; il sole era già calato, e le torce che illuminavano il cortile, continuamente spazzato per togliere la neve, aveva un’aria lugubre e inquietante. Durmstrang stessa era lugubre e possente, ma per chi arrivava rappresentava un nido sicuro; per chi partiva invece, si mostrava nella sua più cruda realtà. C’era un po’ di vento, fuori, e lo si sentiva fischiare contro i portoni e contro il ponte levatoio. Hilda e le sue amiche tremarono. Gli accompagnatori smistarono gli studenti a seconda della loro destinazione, e le bambine non si sentirono diverse dai gufi che avevano spedito così spesso in quel lungo periodo di lontananza da casa. Prima di lasciarsi si abbracciarono a lungo, mentre le lacrime spuntavano dagli angoli dei loro occhi.
- Passeranno in fretta. – fece Ester con voce raffreddata.
- Oppure no. – rispose Maria, malinconica. – Ci vediamo a primavera.
Con molto meno entusiasmo di quando era salita la prima volta, Hilda si affidò a Gyula assieme a Franz, Medea, Theodoro, Basilio, Vàclav, Venceslao, le sorelle Berta e Jana, Cosma e altri. Una delle delegazioni di Ungheresi e Boemi si preparava a tornare a casa.
Hilda non aveva dimenticato l’intenso freddo che si provava durante la traversata, e ritrovarlo non fu per niente piacevole. Non c’erano alternative però, e dunque non fece altro che stringersi il mantello addosso e sperare che la notte passasse presto. Quando Franz scese, a Liberec, la ragazza si sentì ancora peggio, non più scaldata dalla presenza dell’amico accoccolato sulla scopa dietro di lei. Ma a quel punto si stava davvero avvicinando a Dazelburg e, anche se le poche fiaccole della città erano a malapena visibili, sentiva qualcosa, come una bussola interna, indicarle il punto in cui era la sua casa. Notando che la scopa cominciava a perdere quota e avvicinarsi al suolo si sentì eccitata e felice: avrebbe rivisto presto mamma, papà e Guendalina. E trattenne a fatica un gridolino quando scorse i loro visi, illuminati dalla lanterna che teneva suo padre in mano. Anche Ewa e Hipolit erano presenti, e sorridevano.
- Finalmente! – si lasciò sfuggire Basilio, mentre scendeva quasi in picchiata. Fu il primo a mettere i piedi a terra, mollando la scopa come se non dovesse servirgli più.
- Hilda! – si lasciò scappare Guendalina, felice di rivedere la sorella e gli Onogur. Non vedeva l’ora di passare l’inverno ad ascoltare le loro storie.
In breve furono tutti a terra. Il cielo cominciava a schiarire leggermente, lame di luce si intravedevano tra la nebbia, e presto sarebbe stato giorno.
- Com’è andato il viaggio, Gyula? – chiese Hipolit.
- Freddo e scomodo, come sempre. – sorrise il mago. – Non vedo l’ora di essere a Buda per riposarmi anche io, infatti.
- Ricordo bene com’era! – fece il signor Onogur.
- Parti, allora, prima di renderti visibile. Speriamo che a Durmstrang i ghiacci non durino troppo a lungo. – fece Ewa, mentre abbracciava i suoi figli.
- Spero di non dover aspettare aprile com’era successo nel 1354, questo no. – il mago si stiracchiò e le sue articolazioni scricchiolarono rumorosamente. – Bene. Buon inverno, ragazzi. Ci vediamo presto.
Fu un momento, e Gyula, che viaggiava senza zavorre, non fu che un puntino nel cielo bigio. Le famiglie riunite si abbracciarono per un attimo, poi salutandosi, si dispersero nelle rispettive case.
- Tutti a dormire, avanti. – ordinò bonariamente Sigfrida.
E i giovani viaggiatori dormirono tutti a lungo come ghiri, provati dal freddo, dal vento e dalla tanta strada percorsa.
Hilda, come tutti i giovani maghi di Dazelburg, dormì fino al primo pomeriggio, e Guendalina non fu da meno; non vedendo la sorella da mesi, decise di infilarsi nel suo letto e di sonnecchiare con lei. Né Adalberto né Sigfrida se ne sorpresero.
Per la maggiore delle figlie dei Godefroid fu strano riadattarsi alla vita del piccolo borgo Babbano. Il dover tornare a nascondersi costituiva un peso scomodo, e la piccola Guendalina, con tutte le sue domande, non faceva che acuire il suo sconforto.
- E’ un castello grande?
- Sì, molto.
- Più di quello dei Trapp? – insisteva Guendalina, seguendo la sorella per casa come un’ombra, e perfino fuori, quando andava ad espletare certi bisogni.
- Guenda, lasciami vivere. – commentava di solito Hilda, scocciata. – Ad ogni modo sì, è molto più grande, e molto più isolato, e scommetto molto più accogliente.
- Ci sono drappi di seta alle pareti come nell’Impero d’Oriente?
- Troppo freddo, lassù, per le sete. – borbottava la ragazza, cercando di seminare la sorella, e tentando invano di rifugiarsi nella bottega del padre.
Quando Hilda diventava noiosa e antipatica, nonché volgare, visto che Durmstrang le aveva donato un repertorio in oscenità piuttosto notevole, Guendalina andava a torturare gli altri componenti della comunità magica.
Importunava Medea attaccandosi alle sue gonne, distraeva Theodoro dai suoi esperimenti di alchimia e pretendeva sempre di giocare con Basilio: la piccola era incontenibile.
Quello che apprese in queste lunghe interviste, però, fu molto utile, perché consentì a Guendalina di aumentare notevolmente il suo repertorio di storie spaventose. Non lontano da Durmstrang viveva un nutrito branco di Lupi Mannari, che spesso si spingeva anche molto vicino alla scuola stessa; per questo i ragazzi uscivano solamente accompagnati da Gyula e non lasciavano mai le mura di Durmstrang a meno che non fosse strettamente necessario. Così spiegò Theodoro un pomeriggio alla bambina, che si premurò di diffondere questa voce tra tutti i piccoli abitanti di Dazelburg.
- Mi hanno detto che tua sorella è diventata famosa qui. – disse un giorno Medea a Hilda, mentre vagavano nel bosco a recuperare qualche vecchia fascina.
- Che intendi?
- Non hai visto come la guardano tutti i bambini e alcuni ragazzi? – insistette Medea. Hilda Godefroid ci pensò su, rendendosi conto che in effetti, i bambini che accompagnavano i genitori in bottega da suo padre sbiancavano alla vista di Guenda.
- Avrà fatto altre magie senza controllo, immagino. – sospirò. – Dubito che riesca a non fare danni.
Medea ridacchiò: - Non è questo il punto. Racconta storie di paura, è diventata la cantastorie di Dazelburg di fanciulli e fanciulle non ancora sposati.
Hilda alzò lo sguardo verso la sua compagna: - Un buon modo per farsi degli amici, non c’è che dire.
- Be’, si sarà anche annoiata a morte. – convenne Medea, sospirando. – Cos’è la vita qui, dopo la scuola?
- Ferenc non si annoia, e si è diplomato tre anni fa! – fece notare Hilda, camminando sulle foglie marroni e bagnate che ricoprivano tutto il sottobosco.
- Immagino che questo sia perché la sua carne è la migliore di tutta la regione, non gli serve niente di più, a parte una moglie.
Ferenc pareva non avere ancora nessuna voglia di sposarsi, con grande sconforto di Marcianna, che continuava a sostenere che ci fosse bisogno di altri bambini dotati di poteri magici. Qualcun altro, però, stava operando grandi cambiamenti: presto si diffuse la notizia che Griselda Trapp era stata promessa in sposa a Gottifred Jasor, un figlio cadetto proveniente da una famiglia di nobili dell’Impero Germanico: se il tempo avesse tenuto sarebbero giunte presto a Dazelburg le prime delegazioni del futuro sposo.
Fino a Natale, però, questo si rivelò impossibile: preso la neve cominciò a cadere copiosa sulle pianure e sui boschi: le comunicazioni tra una regione e l’altra si erano fatte lente. Il cielo era spesso bianco, e l’unica attività che poteva essere svolta con poca difficoltà consisteva nel portare i maiali a mangiare. La neve continuò a scendere lieve e silenziosa, e ne venne così tanta che tutti gli uomini della cittadina dovettero mettersi a spalare piazze e strade perché si potesse tornare a circolare liberamente.
La notte della Vigilia, però, si rivelò magica. La neve amplificava notevolmente la luce delle fiaccole della processione verso la chiesa, ma attenuava il suono dei canti dei monaci del vicino convento, rendendo l’atmosfera assai fiabesca: fu quello il primo momento in cui Hilda non sentì la nostalgia della scuola.
La comunità di maghi si era riunita nella casa di Bogumil ed Jacinta per approfittare dell’ottima carne del macellaio e mangiare tutti insieme. A mezzanotte poi, uscirono tutti insieme per andare alla Santa Messa e salutare la nascita di Gesù bambino. L’aria era gelida, e c’era un lieve vento che rendeva molto difficile tenere accese le candele che ognuno di loro portava con sé: Hilda e Guendalina si guardarono intorno, mentre si avvicinavano alla piazza, con le guance rosse dal freddo. Era bellissimo vedere la città tutta riunita a quel modo, perché la luce delle piccole fiaccole faceva somigliare tutti a delle piccole stelle.
Dopo Natale tornò bel tempo, e la stagione resse fino all’inizio del 1364. Ciò, oltre la possibilità di non sprofondare in metri e metri di neve, significava anche l’arrivo della delegazione dall’Impero Germanico.
Non erano stati dati annunci, né indicazioni. Nessuno sapeva quando sarebbero arrivati i forestieri, ma non fu difficile riconoscerli, quando furono visibili all’orizzonte.
Giunsero una mattina di metà gennaio, da ovest: una lunga, lunghissima parata di cavalieri, musici, saltimbanchi. Li videro i contadini nei campi, ed alcuni dei bambini corsero per i sentieri fino alla città, per avvisare tutti quanti.
Hilda e Guendalina erano a casa, vicine al fuoco: la prima stava affettando con fatica una cipolla che sarebbe servita per la zuppa. Le veniva da piangere, e stava tirando su con il naso da un paio di minuti; l’altra, invece, era appollaiata sul tavolo della cucina, a ripassare la regola del tre e risolvere alcuni problemi matematici. La madre era fuori, a nutrire le galline.
Fu Margit, una delle amiche di Guenda, a dare l’annuncio ai Godefroid; bussò alla loro porta chiamando tutta eccitata il nome dell’amica, finchè Hilda, con le mani che emanavano odore di cipolla e gli occhi arrossati non le aprì.
- Sono giunti, sono giunti finalmente! – esclamò tutta eccitata.
- Chi? – chiese Hilda, piuttosto scocciata.
- La delegazione di Gottifred Jasor! Dicono che ci sono almeno venti cavalieri, musici e saltimbanchi! Li aspettano al castello, e si suppone faranno festa per giorni.
A quelle parole, Guendalina saltò giù dalla sedia, sgranando gli occhi. – Ma è magnifico! Hilda, andiamoci, chiediamolo alla mamma, ti prego!
Hilda sospirò: mollare il lavoro a metà non le piaceva, ma le cipolle non sarebbero mai mancate a Dazelburg, mentre una delegazione di un cavaliere non la si ricordava a memoria d’uomo.
- Vai a chiedere alla mamma il permesso, io pulisco qui e andiamo. – disse. Alle sue parole, Guenda schizzò fuori dalla porta come un’indemoniata, seguita dall’amica.
Hilda invece si avvicinò al secchio d’acqua che tenevano di scorta, e si pulì il viso per scacciare ogni traccia di lacrime: niente potè contro l’odore delle sue mani, ma nessuno è perfetto, si disse. Si tolse il grembiule e si considerò pronta ad uscire: a quel punto la sorella la stava già aspettando trepidante sulla soglia, chiamandola a gran voce.
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo nove: nozze imminenti ***


 Note: sarò breve. Sono una caccola. Periodo della mia vita devastante per impegni e intoppi del più multiforme genere. Universitariamente parlando ho vinto completando gli esami (applausi grazie XD) ed è il motivo per cui non ho scritto più una fava di niente. Il tempo mi è stato crudelmente sottratto e solo ora mi rendo conto dell’ammazzata che ho fatto. Non imitatemi MAI XD. Però! Ora sono quasi libera, quasi, dico quasi perché la legge di Murphy mi perseguita, e cercherò di essere più… presente.
Spero che questo capitolo vi piacerà ^^

Capitolo nove: nozze imminenti
 
La giornata era limpida, e l’aria freddissima. Hilda e Guendalina si strinsero nel loro mantello più che poterono e seguirono Margit che correva per la strada, per raggiungere una piazza insolitamente popolata. Tutti a Dazelburg sembravano disposti ad abbandonare le loro attività per assistere allo spettacolo, ma non era semplice abbandonare i propri mestieri, soprattutto per i garzoni di bottega. Le tre ragazzine, prive di questi problemi, attraversarono la piazza fangosa correndo, in direzione del castello dei Trapp, là dove erano diretti anche i soldati. Corsero fino alle ultime case, fin verso la strada che conduceva alla campagna; là c’erano altri bambini, ragazzini, donne e ragazze in spasmodica attesa.
Guendalina spintonò e passò davanti a tutti per mettersi in prima fila e Hilda la seguì assieme a Margit, senza preoccuparsi troppo di pestare qualche piede. In questo modo fu la prima a vederli arrivare: un luccichio lontano e brillante all’orizzonte, accompagnato da un calpestio di zoccoli farsi sempre più vicino.
- Eccoli! – urlò Margit, indicandoli.
I cavalieri procedevano in fila due per due con le loro belle armature, gli elmi decorati e le picche in mano. I cavalli, enormi, possenti e dal pelo lucidissimo, emanavano nuvolette di fumo dalle loro froge. Alcuni di loro portavano balestre a braccio, e tutti spade legate alla cintura, lunghe e letali. Lo sferragliare delle armature era coperto dal suono di flauto di alcuni musici che accompagnavano la carrozza delle fantesche, dei servi e dei saltimbanchi.
- Ma c’è anche il conte? Arriva anche lui oggi? – chiese Hilda a una vicina.
- Dicono che questa sia solo la carovana di benvenuto per annunciarsi alla giovane Griselda e alla famiglia, lui arriverà tra qualche giorno, con altri cavalieri e altri musici per sollazzare la giovane.
- Ma la sposerà, dunque? – chiese Hannah, un’altra delle amiche di Guenda.
- Al primo giorno di sole dall’arrivo di Gottifred Jasor, poiché tutto è pronto. – disse la donna bene informata. – Me l’ha detto monaco Ambrosius, che è stato al castello. Vivranno qui, e se Dorina non darà un maschio alla casata il castello resterà a lui. Se invece l’avranno prenderanno possesso di un qualche possedimento qui vicino. Gottifred non ha ereditato terra, ma denaro.
Hilda registrò quelle informazioni: c’era la possibilità che avessero un nuovo signore a Dazelburg nel giro di pochi anni. Mentre pensava a ciò continuò ad osservare i cavalli, le carrozze e i carri che si dirigevano verso il maniero seguendo la strada come un lungo serpente colorato. Rimasero tutti a bocca aperta vedendo poi il ponte levatoio abbassarsi, poiché non accadeva spesso, e rimasero tutti lì a veder sparire i soldati ormai lontani, fino a che non furono tutti ingoiati dalle mura.
Quando fu chiaro che nient’altro di eccezionale sarebbe accaduto, la cittadina ritornò alle sue abituali occupazioni, ma molti dei più giovani erano sovreccitati.
- Hai visto i musici? – trillava Guendalina tenendo per mano la sorella, sulla via del ritorno. – Nessuno qui sa suonare un bel niente, non avevo mai sentito cose simili.
Hilda annuiva, pensierosa: anche lei si era emozionata molto, ma sentire all’infinito Guenda sproloquiare su quant’erano belli e grandi i cavalli la stava stancando velocemente. Perciò tornò a casa a finire le sue faccende, poi, con il permesso della madre, andò dagli Onogur, per avere la possibilità di parlare con qualcuno della sua età.
- E’ la prima volta in vita mia che vedo succedere qualcosa di interessante qui. – disse Medea, mentre lavava con la magia alcune fiale utilizzate dal padre. – Fuori Durmstrang è tutta una noia, Buda dev’essere infinitamente più interessante.
La ragazza avrebbe iniziato in primavera il suo ultimo anno di preparazione scolastica, e chi sa cosa sarebbe stato di lei, dopo. I Babbani non erano granchè, solo tra di loro ci si divertiva un po’, ma erano in così pochi!
- Dovrebbero fare un torneo per le nozze. – disse Theodoro. – E’ un matrimonio importante, e la regione che governano i Trapp è tanto grande, verrà un sacco di gente da queste parti.
- Spero succeda prima di partire, allora. Sarebbe davvero ingiusto essere a Durmstrang mentre c’è un torneo vicino a casa. – Basilio ci teneva a vederlo, subiva il fascino delle armate, benché ne avesse viste ben poco nel corso della sua giovane vita.
La fortuna, però, sembrava girare a favore dei giovani abitanti della cittadina: Hilda aveva ricevuto una lettera da Maria che le raccontava quanta fosse la neve dalle sue parti e di quanto fosse intenso il gelo. Se le cose non fossero cambiate in qualche modo, c’era il rischio che i ragazzi non potessero recarsi a Durmstrang prima della fine di marzo.
Nell’attesa che Gottifred giungesse in città, cavalieri e musici alloggiavano al castello, dando ottime occasioni di svago ai Trapp e ai castellani. E se i primi si ritenevano sufficientemente nobili da occupare il loro tempo solo nella caccia col falcone, gli altri cominciarono a riversarsi nella piccola cittadina, rendendo il borgo più vivo di quanto non fosse mai stato.
Guendalina come tutti i bambini aveva preso il vizio di passare le sue giornate a zonzo a chiacchierare con quegli sconosciuti e a fare amicizia. Molti dei ragazzi e delle ragazze più grandi, invece, si alzavano presto la mattina per andare a rimirare e a farsi guardare dai cavalieri che uscivano nella campagna. Chi poteva si agghindava i capelli con nastri per risultare più appariscente, evento così sfacciato che divenne protagonista assoluto delle prediche domenicali del parroco sui buoni costumi da osservare per le donne non sposate.
Nonostante lo scompiglio, musici e saltimbanchi continuarono a tenere banco. C’era un abilissimo mangiatore di pugnali e fuoco che attraeva Guendalina più di altri: aveva dei trucchi così geniali, così appariscenti. Convinse Hilda o altri maghi a seguirla per assistere ai suoi spettacoli più di una volta.
- E’ proprio strano. – disse un giorno a Ferenc, il figlio del macellaio. – E’ troppo bravo.
- Forse è uno di noi. – le rispose il ragazzo. E in effetti questa era l’unica opinione sensata che si potesse avere.
Gran parte dei maghi di Dazelburg si sarebbe accontentata di intuire la presenza di un proprio simile in città, ma non Guendalina, che puntò come un segugio l’uomo e lo seguì molto attentamente.
Un giorno gli si parò davanti con aria risoluta mollando la mano della sorella che la accompagnava. Stavano camminando per la strada e la strana figura era apparsa improvvisamente nel suo campo visivo. Sigfrida era al mercato, e chiacchierava con alcune vicine.
- Io lo so chi siete voi! – gli disse, decisa.                  
- Oh, mia dolce fanciulla, mia affezionata ammiratrice. Conoscete il mio nome? – l’uomo si avvicinò alla bambina e si chinò verso di lei, sorridendo. Indossava una calzamaglia dai colori sgargianti molto stretta e aveva un lungo mantello grigio a proteggerlo dal freddo.
- Non conosco il vostro nome, ma so cosa siete. – fece la bambina, fissandolo.
- Guenda, zitta! – Hilda le afferrò il mantello e fece per trascinarla via.
L’uomo non sembrava sconvolto dalla frase, ma semplicemente curioso.
- Non farò alcun male a vostra sorella Guenda, mia giovane…
- Si chiama Hilda. – specificò Guendalina.
- Piantala! Vieni via! – la ragazza agguantò il braccio della sorella e fece per strattonarla, ma la bambina le sgusciò via.
- Giovane Hilda, non ho intenzione di arrecar danno a voi o alla vostra sorellina, non temete. – le disse l’uomo, senza muoversi. Ormai alloggiava lì da una settimana, non pensava che qualcuno avrebbe potuto avere così paura di lui, non era del tutto estraneo.
- Ne sono sicura, messere. – la ragazzina si rese conto che un tale comportamento poteva suonare davvero esagerato, e cercò di giustificarsi. – Non credo vogliate nuocermi, ma lei – disse, indicando la sorella, pericolosa quanto un drago sputafuoco, - sa essere veramente sfacciata. Non vogliamo arrecarvi alcun disturbo.
- Ma io non disturbo mai! – protestò Guendalina.
- Dolce avvertimento e premura, mia cara ragazza, ma non angustiatevi, non mi siete di alcun impiccio. Che sarei dunque io, mia piccola nuova amica? – disse l’uomo, rivolto a Guenda.
- Voi siete un mago, proprio come me! – trillò la bambina, sorridendo. – Nessun Babbano sa fare certe cose.
A quelle parole Hilda trasalì, spaventata a morte. Non sapeva che fare: se schiaffeggiare la sorella, stordire l’interlocutore, scappare o che altro: rimase lì, immobile e pallida, conscia della gravità della frase appena pronunciata.
- Guendalina, credevo che il passaggio degli Inquisitori ti avesse insegnato qualcosa. – Sigfrida era apparsa alle spalle delle figlie improvvisamente, alta e solida come una colonna.
- Ma è dei nostri, mamma! – protestò la piccola.
- E’ così? – Sigfrida fissò l’uomo che da chinato che era si era alzato in piedi per osservare la donna negli occhi.
- Colto in flagrante. – ammise, sorridendo. – Non sapevo ci fossero maghi qui, o sarei stato più accorto.
- Avreste dovuto in ogni caso. – fece Sigfrida, rigida. – Il vostro nome?
- Se chiedete no, non ho studiato nella vostra scuola al nord, ma nell’impero. Mi chiamo Albert, per servirvi mia signora. – Albert si inchinò leggermente, e a quel segno di rispetto Sigfrida cercò di rilassarsi.
- E’ più bravo degli altri, l’avevo detto io! – intervenne Guendalina, tutta soddisfatta.
Hilda si trattenne ancora una volta dal colpire la sorella, ma l’avrebbe fatto non appena fosse stata libera dalle occhiate di sua madre e del… mago.
- Non pensavo ci fossero maghi qui.
- Pochi, ma ce ne sono, messer Albert. E desiderano rimanere nei luoghi dove sono nati loro e i loro padri, comprendete? – spiegò Sigrfida, cercando di non farsi sentire dai passanti.
- Naturalmente, mia signora. Proteggerò questo segreto di villaggio. Del resto, sono qui di passaggio, tornerò al mio paese o verso altre città dopo il matrimonio.
- E il torneo. – fece Guenda.
- E il torneo, esatto. E’ dunque il caso che torni a preparare i miei trucchi, non vorrei che il pubblico ne rimanga deluso. – l’uomo sorrise, inchinandosi di nuovo.
Era chiaro che quel saltimbanco non era lì per procurare guai, perciò Sigfrida lo salutò con cortesia e gentilezza, invitando le bambine a fare altrettanto. Si congedarono dunque da messer Albert e tornarono verso casa.
Guendalina prese uno schiaffo dalla sorella non appena mise piede in cucina; Hilda aveva approfittato di una breve ma quanto mai opportuna assenza della madre che era andata a conferire della novità con gli altri maghi del paese.
- Sei proprio sciocca, Guenda. Te l’abbiamo detto mille volte. Che avresti fatto se non fosse stato un mago?
La bambina tirò su con il naso: era raro che la sorella la colpisse.
- Io ne ero sicura, Hilda, sicurissima! – piagnucolò, mettendosi a piangere. – E avevo ragione io. Qualcuno glielo doveva chiedere.
- Sicura? Per qualche trucco meglio riuscito? Non deve uscire niente che faccia pensare alla magia, Guenda, per nessuna ragione! Perché credi che Durmstrang sia in Scandinavia, per il clima? – stanca delle giustificazioni della sorella, Hilda iniziò semplicemente ad ignorarla, prendendo qualche ingrediente per esercitarsi con una pozione, in attesa della madre.
Il fatto che un mago fosse nascosto tra il seguito di Gottifred non era una notizia di per sé allarmante, ma andava semplicemente segnalata. Passata l’iniziale diffidenza, il singolare Albert finì per cenare diverse volte a casa dell’una o dell’altra famiglia per raccontare un po’ di novità del mondo magico dell’ovest.
Gottifred Jasor arrivò la settimana successiva, accompagnato da altri cavalieri. Lo si riconosceva per il cavallo bianco e l’armatura veramente splendida, lucente e decorata. Fu chiaro a quel punto che le nozze erano imminenti. 

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci: il torneo ***


 Note: siccome sto per partire per una settimana mi pare giusto comportarmi bene e regalarvi un nuovo capitolo, sperando che vi piaccia ^^
Buona settimana a venire a tutti!

Capitolo dieci: il torneo
 
I giovani maghi e streghe di Dazelburg ebbero presto la conferma che avrebbero potuto assistere ai grandi eventi previsti nella cittadina. Le prime timide avvisaglie dell’arrivo della primavera erano comparse in Ungheria, ma lassù, nel freddo nord, il gelo quell’anno sembrava non voler allentare la presa e Durmstrang continuava a tacere.
Naturalmente nessuno ebbe il tempo per dispiacersene, poiché i preparativi per le nozze e il torneo erano quasi ultimati, e tutti erano curiosi di vedere la magnificenza dei festeggiamenti.
Nessuno, nemmeno a distanza di miglia e miglia, avrebbe potuto ignorare il matrimonio dei Trapp.
Alla fine, dunque, venne il famoso giorno di sole atteso dall’arrivo di Gottifred. Quella mattina l’aria era fredda e il cielo terso. Quando il sole fece capolino ad est, molti degli abitanti di Dazelburg e la corte dei Trapp erano già in attività. Il fornaio lavorava da almeno quattro ore, i servi del castello stavano spazzando la neve dal cortile, gli scudieri stavano sistemando il terreno su cui si sarebbero svolti i giochi. Hilda e Guendalina, non direttamente coinvolte nella festa, vennero svegliate in maniera non proprio piacevole dalle campane della chiesa che cominciarono a suonare.
- Mamma, falle smettere! – urlò Guenda, rigirandosi sotto la sua coperta di lana.
- Ma come? – chiese Sigfrida dalla cucina, già in piedi e vestita. – Sono settimane che spasimi per vedere questa festa, e ora vuoi dormire? Hilda, avanti, falla alzare e falla vestire, non costringete me o vostro padre a buttarvi giù.
In genere Adalberto a quell’ora sarebbe già stato in bottega, ma tutta la città era in festa, tolti l’oste, il fornaio e pochi altri. Approfittando dunque del suo tempo libero, e della mancanza di risposte articolate da parte delle sue figlie assonnate, si premurò di evocare le loro coperte e richiamarle al piano di sotto. Sigfrida osservò la scena ridacchiando: mentre le figlie inveivano contro la crudeltà del padre, lei poteva osservare la coperte piegarsi ordinatamente sul tavolo della cucina. Con premesse simili, alle due sorelle Godefroid non restò che alzarsi e farsi belle per la lunga giornata.
Guendalina, dopo il trauma delle campane e del gelido risveglio, si sentiva come se si dovesse sposare lei stessa. Chiese e pretese di indossare un bel vestito verde che teneva nella cassapanca per le migliori occasioni. Era uno di quegli oggetti a cui aveva cambiato colore con la magia, ma che non era mai stato risistemato. Osservò ammirata Hilda mentre si intrecciava i capelli con un nastro, mentre la mamma raccoglieva e sistemava i suoi; tra non molti anni Hilda avrebbe avuto un’età in cui sarebbe stato consigliabile nascondere quella chioma bionda sotto una cuffia, come spesso faceva Medea. Quello, però, era un giorno di festa, e nei giorni di festa le regole e le consuetudini cambiano sempre un po’.
Non c’erano fiori ad addobbare le finestre o le strade, ma nastri, piume e frutta essiccata in quantità. Tutti gli abitanti della cittadina indossavano i loro abiti migliori, e mentre l’osteria offriva birra a prezzi veramente convenienti, la gran parte delle persone si metteva già in strada per raggiungere il maniero. Certo, nessuno avrebbe potuto introdursi del castello né quel giorno, nè mai; ma gli sposi sarebbero presto usciti con il corteo per farsi ammirare e per assistere al torneo in loro onore.
Per vedere qualcosa era perciò indispensabile trovare buoni posti, arrampicarsi su alberi, staccionate improvvisate e palchi d’onore montati per i castellani.
Musici e giocolieri avevano invaso la piazza, il tragitto e lo spiazzo dove si sarebbe disputato il torneo, suonando, danzando e cantando. Indossavano abiti sgargianti e colorati quasi come i tendoni dei cavalieri accampati lì vicino.
Anche il monastero quel giorno aveva aperto le porte alla cittadinanza, e non era raro trovare un monaco a passeggio per le campagne o curiosare in direzione del castello.
L’attesa fu piuttosto lunga, poiché gli sposi non si fecero vedere prima di mezzogiorno. In molti erano stati sostenuti dal pane caldo e fragrante del fornaio, che continuava a sfornarne in grande quantità.
Dall’ingresso del castello, il cui ponte levatoio era stato abbassato in mattinata, iniziò ad uscire il corteo nuziale: Dorina e Bonifac Trapp, l’intera corte e i cavalieri sfilavano oltre il fosso verso i campi e i tendoni. Nel punto d’osservazione migliore era stato montato un palco di legno provvisorio affinché la corte potesse seguire i giochi comodamente.
Ci volle un po’ per identificare gli sposi in mezzo a tutte quelle persone ben vestite, ma quando Hilda li vide, a cavallo e affiancati, rimase rapita.
- Guarda Guenda, sono loro!
Gottifred era facilmente riconoscibile, poiché era in sella al cavallo bianco con cui era giunto a Dazelburg: si vedevano anche da lontano i suoi capelli biondi e il suo abito rosso e oro, coloratissimo. Griselda, accanto a lui, pareva davvero molto più giovane di Medea, benché dovessero avere circa la stessa età. Indossava anche lei un abito rosso ed oro, con lunghe maniche che le nascondevano le mani, e la gonna ampia copriva la groppa del suo cavallo baio. Entrambi indossavano un preziosissimo mantello orlato di pelliccia: erano davvero magnifici.
- Griselda sembra una creatura del bosco, sembra una fatina. – fu l’unico, ammirato commento di Guendalina.
Mentre gli sposi, i nobili e tutti i castellani prendevano posto sugli spalti a loro adibiti, anche tutta la popolazione di Dazelburg cercava di sistemarsi e di trovare buoni punti d’osservazione. Non era affatto semplice, perché l’evento aveva richiamato in città gli abitanti dei centri vicini che in genere si riversavano lì solo per la fiera di San Martino.
Guendalina, decisa a non perdersi d’animo, s’arrampicò su una quercia poco lontana, dove si trovavano già Margit e altri ragazzini. Fu una gran faticaccia, in realtà, e senza l’aiuto delle sue amiche probabilmente non ce l’avrebbe mai fatta, ma una volta che trovò una buona posizione su un ramo spoglio potè considerarsi veramente soddisfatta.
Hilda, invece, si accodò agli Onogur e ai ragazzi più grandi che, facendosi largo tra la folla, tentavano di raggiungere la zona del palco d’onore.
- Se siamo fortunati, potremmo arrampicarci sulle impalcature dietro agli spalti, la vista dovrebbe essere perfetta. – fece Theodoro.
- Ma non ci cacceranno se andiamo là? – domandò Hilda. Non aveva alcuna intenzione di mettersi nei guai in un giorno di festa.
- No, anche perché comunque dovremmo salire su quella quercia laggiù, per vedere bene. E l’unico modo per raggiungere i rami alti è usare l’impalcatura o la scopa. – continuò a spiegare Theodoro a voce bassissima, per non farsi sentire dagli abitanti. La cosa era più facile a dirsi che a farsi, naturalmente, a causa della gran folla, ma dopo qualche minuto i ragazzi riuscirono a raggiungere gli spalti. Diverse erano le guardie che passeggiavano in zona con aria particolarmente burbera, e a Hilda la cosa non piacque per niente, ma altri due giovani si stavano arrampicando senza che nessuno dicesse loro di andarsene, almeno per il momento. Rapidamente, lei, Theodoro e Basilio si avvicinarono alle travi e iniziarono a salire. Unica ragazza degli Onogur, Medea era rimasta indietro, assieme a Silvana e Ferenc: era ormai considerata una ragazza adulta, e una brava futura moglie non si arrampica sugli alberi come una bambina. Tutto diverso, invece, era il problema di Hilda: era bassa, rispetto ai ragazzi, e faceva fatica a raggiungere gli appigli giusti. Con vergogna, dovette ammettere che senza l’aiuto di Basilio non sarebbe mai arrivata sull’albero, ma nel momento in cui si sedette, capì che il viso arrossato, il sudore e la vergogna di dover chiedere una mano erano stati ben ripagati.
- Magnifico, vero? – le disse Basilio, accanto a lei.
Decisamente, ammise la ragazza con se stessa. Da quella postazione poteva vedere la spianata per i giochi, i cavalieri pronti a giostrare e perfino il verde dell’abito di Guendalina: un puntino colorato che la fece sorridere. Alla sua sinistra il palco della nobiltà era ormai al completo, presto tutto avrebbe avuto inizio.
Fu Gregorious, notaio della piccola cittadina, a presentare i cavalieri. Questi, con le armature più lucide che mai, sfilarono davanti al palco d’onore inchinandosi agli sposi e al pubblico quando sentivano pronunciare il loro nome. Le armature sferragliavano molto, mentre i cavalli camminavano avanti e indietro per posizionarsi: Hilda, come tutti i presenti, sentiva l’eccitazione crescere, presto avrebbero duellato sul serio.
I primi due cavalieri si posizionarono alle due estremità della lizza, la barriera in legno che ormai da anni veniva utilizzata per separare i giostranti, e presero le lance spuntate.
Al segnale convenuto, i due si lanciarono l’uno contro l’altro a gran velocità, pronti a scontrarsi. Guendalina quasi cadde dal suo ramo quando sentì il clangore delle lance spezzate e del metallo delle armature che si sfioravano: un rumore assordante che investì tutti quanti, subito seguito dal rumoreggiare della folla entusiasta che applaudiva e acclamava. Entrambi i contendenti erano rimasti saldamente in sella, leggermente ammaccati, ma pronti a scontrarsi di nuovo; lo fecero per altre due volte, e alla fine il cavaliere dal pennacchio rosso, così lo identificò Guenda poiché ne aveva dimenticato il nome, risultò il vincitore.
Non tutti i cavalieri furono così fortunati: diversi vennero disarcionati da cavallo, altri vennero colpiti all’altezza dell’elmo. In tutto questo, le schegge delle lance che venivano distrutte volavano da tutte le parti sulla spianata.
Poteva sembrare un divertimento monotono, ma tra una coppia e l’altra di duellanti vi erano delle pause per permettere di sistemare la terra smossa o di raccogliere i monconi di legno troppo appuntiti che avrebbero potuto ferire i cavalli. Quella, in genere, era una buona occasione perché musici e saltimbanchi riprendessero il sopravvento sui festeggiamenti.
Canzoni e giochi di guerra, dunque, si alternavano pacificamente in quel pomeriggio assolato, anche perché, da parecchio tempo ormai, era difficile che nei tornei si verificassero incidenti mortali. Ciò non impediva, però, a volte capitasse di farsi veramente male.
Un giovane duellante bavarese ebbe particolare sfortuna: il suo avversario riuscì a colpirlo sull’elmo, sfilandoglielo completamente. Non sarebbe stato un problema, in condizioni normali, ma il contraccolpo l’aveva sbilanciato abbastanza da farlo cadere a terra, e il suo destriero, mostrando davvero poca misericordia per il suo proprietario il cui piede era rimasto incastrato in una staffa, era fuggito al galoppo verso i campi. I suoi scudieri dovettero inseguirlo per un po’ nella campagna, prima di recuperarlo. Del bavarese, per un po’, non rimase altro che l’impronta del suo corpo trascinato sul terreno umido del campo.
- Oh, che sfortuna. – disse Hilda ad alta voce. Dalla sua postazione privilegiata era riuscita a vedere, solo per un momento, lo sguardo terrorizzato del duellante prima di sparire al seguito del suo destriero.
- Be’, non dovrebbe essersi fatto troppo male, credo. – fece Basilio, sentendo che tutto il pubblico rumoreggiava sull’accaduto.
- A te piacerebbe essere trascinato a testa in giù? Se vuoi proviamo mentre torniamo a Durmstrang. – rispose il fratello Theodoro.
- No, non ci tengo. Del resto, io non ho mai desiderato fare il cavaliere.
- Sarebbe un buon modo di vivere avventure, però. – disse Hilda.
- Quelli come noi non ne hanno bisogno, le viviamo già per conto nostro, senza scomodare armature e lance.
La discussione dei ragazzi fu interrotta dal rientro del bavarese su una barella di tela: era steso, e una benda macchiata di rosso gli fasciava la testa, ma era comunque tornato sulla pista per dimostrare che era ancora vivo e per omaggiare gli sposi.
Nonostante ciò il torneo proseguì fin verso il tramonto; alla fine vinse un altissimo sassone che, proprio per la sua imponente stazza, sbaragliò chiunque altro senza dare nemmeno l’impressione di sforzarsi. Ricevette il suo premio direttamente dalle mani della giovane sposa, e si congedò tra gli applausi della folla.
- Credevo avrebbe duellato anche Gottifred. – commentò Hilda, mentre si preparava a scendere dall’albero su cui era rimasta tutto il pomeriggio senza uccidersi. Sapeva che i festeggiamenti sarebbero continuati, ma difficilmente avrebbe resistito ancora in quella posizione così scomoda.
- Griselda temeva fosse pericoloso e ha insistito perché non si mettesse in mezzo, mi diceva mia madre. Gottifred evidentemente non voleva angustiarla – spiegò Theodoro. – I festeggiamenti potrebbero proseguire per giorni, e può darsi che faranno giochi di abilità, a quelli non mancherà di certo.
Quali che fossero i divertimenti pensati per i giorni a seguire, tutte le persone che erano giunte per quell’evento cominciarono ad abbandonare lo spiazzo: diversi avevano un buon tratto di strada per tornare alle loro dimore, e chiunque avrebbe preferito evitare l’oscurità della notte.
Hilda raggiunse i suoi genitori, impegnati a recuperare l’incontenibile Guendalina con la forza. Fosse dipeso dalla bambina, sarebbe rimasta a osservare lo smantellamento della lizza fino a notte inoltrata. Nonostante la lunga giornata trascorsa, Guenda cicalò eccitata per tutto il rientro a casa e fino a che non fu messa a letto; quando spensero le candele e tutti si prepararono a dormire Hilda tirò un sospiro di sollievo. Ancora qualche cinguettio su armature e pennacchi e l’avrebbe strozzata.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo undici: Guendalina va a Durmstrang ***


 Note:Son qui per portarvi serenità. Mentre l’Italia è sotto il giogo di Caronte, maledetto lui e l’Africa, io vi porto in Svezia, perché sì, Guenda sta crescendo e inizia pure lei la scuola. Tanti saluti da Parigi e da Roma, dove sono stata di recente. Godetevi il capitolo, spero non contenga svarioni!

Capitolo undici: Guendalina va a Durmstrang


Le fastose nozze della giovane Trapp rimasero un argomento quotato nella piccola cittadina per parecchio tempo. Guendalina ne fu assai felice, poiché tutto ciò dava al luogo in cui viveva un’aura di meraviglia che non aveva mai avuto, e per un po’ smise perfino di spaventare i giovani di Dazelburg. Hilda invece portò poco dopo i sui racconti nel grande nord di Durmstrang, dove furono apprezzati soprattutto da chi, come Maria, si era annoiata a morte. Non di meno, liberarsi dalla pressante presenza di Guenda rappresentò un vero sollievo per la giovane strega.
Passarono alcuni anni e nella piccola Dazelburg si verificarono diversi cambiamenti. Dopo tanta attesa Caio il tintore riuscì ad avere due bambini dalla moglie Cunegonda. Nacquero a distanza di un anno: un maschio e una femmina, che vennero battezzati con i nomi di Ian e Brigitte. Marcianna, sempre attiva e pimpante, era ormai la donna più anziana della città, e pareva ringiovanire ogni volta che veniva al mondo un piccolo mago o una piccola strega. Ebbe inoltre la gioia di vedere la dolce levatrice Silvana sposarsi con Ferenc, il figlio del macellaio: un’unione su cui aveva puntato da tempo.
I tre Onogur avevano ormai completato i loro studi a Durmstrang e si stavano impegnando a fondo per diventare ottimi alchimisti come il loro padre.
In tutto questo, Guendalina era divenuta una graziosa bambina di undici anni, pronta per iniziare la sua avventura nel profondo nord dell’Europa. Essere stata per lungo tempo la più piccola bambina dotata di poteri magici l’aveva fatta crescere in una sorta di isolamento che veniva annualmente interrotto solo nei mesi in cui la sorella e gli altri studenti di Durmstrang erano a casa, ma finalmente era giunta l’ora del suo riscatto.
- Gyula quest’anno porterà via anche me! Hilda, pensi che lo farò con lui il viaggio o con te? Riuscirò a non addormentarmi durante la traversata? In quanti saremo a salire? – continuava a chiedere spesso la ragazzina, mentre davano una mano in casa o nel negozio del padre.
Guendalina era cresciuta, oh sì, pensava Hilda osservando la snella e alta figura della sorella, ma era rimasta petulante e chiacchierona come quand’era piccola.
- Guenda, stai buona, ti ho già spiegato tutto almeno venti volte, appena arriverà la lettera da Durmstrang ci prepareremo e partiremo, niente di più.
- Sai qual è la cosa che preferisco? – continuava la ragazzina, ignorando il tono scocciato di Hilda – Che c’è qualcuno a casa che invidierà me come io ho invidiato te e Medea, Theodoro e Basilio. Brigitte forse è ancora piccola per capire qualcosa, ma Ian sono giorni che lo sento frignare per questa cosa!
Era una considerazione ben stupida, lo sapeva Hilda, come lo sapeva Guendalina. Ian e Brigitte avevano tre e due anni, e di sicuro avrebbero avuto bisogno di un po’ di coscienza in più per poter invidiare chicchessia, ma Guenda aveva bisogno di un motivo per sentirsi superiore, e la sorella non aveva intenzione di negarglielo: quanto meno, avrebbe smesso di seminare il panico con storie di paura.
Quando la lettera giunse, i primi di marzo, Guendalina impazzì. La lesse e rilesse così tante volte da impararne a memoria ogni riga, e la fece leggere ad ogni mago o strega della città, trattandola come una reliquia. Hilda e i suoi genitori fecero spallucce, rassegnati: il freddo e il viaggio forse l’avrebbero calmata.
Finalmente la notte del dieci marzo Gyula apparve sopra le case di Dazelburg come da consuetidine. Guenda, coperta dal suo mantello pesante da viaggio, era in uno stato di eccitazione ormai indefinibile. Non aveva nemmeno un briciolo della paura che Hilda aveva provato alla sua prima traversata: ne era solamente felice. Certo, le sarebbero mancati i genitori, ma non la vita che conduceva lì, non la noia, non le consuetudini. Forse le storie di Marcianna e Cunegonda, questo sì, ma poco altro. Mentre pensava a tutto questo Guenda teneva il naso all’insù seguendo la discesa del mago che si faceva di attimo in attimo sempre più grande.
- Buonasera, signori Godefroid. Pronti per la doppia partenza di quest’anno? – li salutò Gyula, posando i piedi a terra.
- Io sono prontissima! – disse Guendalina, piena di entusiasmo.
- E anche noi lo siamo. – fece Adalberto, spingendo in avanti la sua secondogenita. – Questa è pericolosa come un drago, Gyula, tenetela d’occhio. – aggiunse sorridendo.
Hilda scoppiò a ridere, guardando in direzione della sorella, che sembrava molto sorpresa da quella definizione.
- In tal caso, invece che salire con Hilda salirà con me. – disse il mago. – Salutate la vostra famiglia ragazze, siete in partenza.
- Scrivete spesso e fate buon viaggio. – disse loro Sigfrida, prima di abbracciarle. Il padre fece altrettanto, dopodiché, Hilda decollò sulla sua scopa, seguendo la scia di Gyula e Guenda stretta a lui. La traversata era iniziata, e la sensazione di libertà che la più piccola delle Godefroid provò fu inebriante.
Era già stata su una scopa in passato, naturalmente, e aveva assistito all’incanto che aveva fatto suo padre sulla scopa della sorella per il suo secondo anno a Durmstrang, ma non era mai salita così in alto, né aveva fatto mai tanta strada. Certo, l’aria era gelida, e i piedi a penzoloni davano spesso la sensazione di essere sul punto di poter precipitare, ma era semplicemente magnifico.
Dopo un po’ si voltò a guardare come se la cavava Hilda in solitaria: benché sapesse che la sorella era molto più tranquilla e meno intraprendente di lei, vide che provava le sue stesse sensazioni; bastava vederle il profilo per vedere che era felice anche lei di essere lì e non a casa. L’aria le aveva fatto cadere all’indietro il cappuccio e i suoi capelli chiari si distinguevano anche nell’oscurità della notte.
La traversata fu lunga e costellata da numerose tappe man mano che si saliva verso nord. Ben presto, Guendalina si ritrovò con una ragazzina aggrappata dietro di lei e una vera e propria formazione di giovani maghi tutt’attorno. La giovane si sentiva molto più stanca di quanto non avesse immaginato prima: l’euforia era scemata e davvero non capiva come si potesse resistere tanto a lungo a guidare una scopa. Tra uno sbadiglio e l’altro si tenne ben stretta a Gyula, sperando di non addormentarsi. Giunsero vicino al mare verso l’alba, e i primi raggi di sole iniziarono ad illuminare i fiordi a picco sull’acqua: erano la cosa più straordinaria mai vista per Guendalina, esattamente com’era stato per Hilda cinque anni prima. La sorella maggiore, consapevole di ciò, si avvicinò alla scopa di Gyula, e con voce chiara, apparentemente non provata dal viaggio, urlò in direzione della sorella: - Che ne pensi?
- E’ magnifico! – fu la risposta della ragazzina, piena di ritrovato entusiasmo. Del resto, Guenda aveva cercato per tutta la sua giovane vita avventure ed emozioni e ora si trovava sospesa sopra un mare cupo e minaccioso, mentre all’orizzonte le si apriva un orizzonte di un paese del tutto sconosciuto: non ci sarebbe potuto essere niente di più magico al mondo.
Quando si ritrovarono a volare sopra Lulea, cittadina che di solito contrassegnava per Gyula e i suoi studenti l’abbandono della costa, il mago e i ragazzi planarono senza usare incantesimi di Disillusione o affini. Lulea era abitata solamente da famiglie di maghi, ed era il luogo dove i Nati Babbani passavano il lungo inverno in cui la scuola rimaneva chiusa, ed era dunque lì che gli ultimi studenti venivano raccolti prima di raggiungere Durmstrang. Tra loro c’era anche Maria, la compagna di stanza di Hilda, che si mise in volo proprio accanto all’amica, sorridendo.
Era molto cambiata dal suo primo, traumatico incontro con la magia: non temeva più l’Inferno, non si faceva il segno della croce ad ogni incantesimo che sentiva pronunciare e sapeva di essere tra persone che si preoccupavano realmente del suo bene, più di quanto avesse fatto la sua famiglia o il monastero in cui era stata abbandonata. Pativa ancora la solitudine di Lulea, ma il suo addestramento da strega riusciva a ripagarla di tutto.
Quando superarono le mura del castello ed atterrarono nel cortile, Guendalina fu veramente felice di poter rimettere i piedi a terra: le sue gambe erano tutte un formicolio, ma almeno era a destinazione.
- Così questa è tua sorella! – Guenda non aveva fatto in tempo ad entrare entro le mura della scuola che a quanto pareva era già una personalità. La ragazzina si voltò, trovandosi davanti una giovane molto alta dai capelli scuri che la fissò con curiosità per un attimo, prima abbracciare con forza sia Hilda che Maria.
- E’ bello ritrovarti, Caterina. – rispose la maggiore delle Godefroid. – Questa è Guendalina, sì. Finalmente inizia il primo anno: non ne poteva più di rimanere a casa da sola.
- Laggiù è una noia da morire. – confermò la piccola con aria convinta.
Il piccolo drappello, a cui presto si aggiunsero anche Ester e Franz, al solito irriconoscibile a causa della tintura sui capelli, fu costretto presto a muoversi in direzione delle scalinate d’accesso al salone centrale. Come di consueto maschi e femmine salirono su scale diverse, per ritrovarsi vicini, ma separati, davanti al corpo docente di Durmstrang. La novità, per Guendalina, fu sufficiente per farle dimenticare almeno per il momento il peso del lungo viaggio affrontato. Vide il gran maestro Guinifredo del fu Guillipado scrutare i nuovi arrivati ad uno ad uno, e la cosa la impensierì un poco: a Dazelburg si trovava in una posizione di vantaggio, facendo parte di una ristretta elite, ma lì era una delle tante, davvero tante ragazze presenti, senza alcun talento particolare, a parte colorare i vestiti a sproposito.
Quando la voce del Gran Maestro si diffuse, potente e profonda, nella sala, Guenda ne fu sorpresa. Conosceva a grandi linee il discorso di presentazione, poiché sua sorella gliene aveva parlato diverse volte, ma lo ascoltò con attenzione: non vedeva l’ora di incontrare Olof e riuscire a guadagnarsi una bacchetta coi fiocchi. Eppure la stanchezza era grande, e quando sentì che il Gran Maestro li congedava provò un gran sollievo. Rimessasi in piedi, affiancò la ragazza che aveva viaggiato sulla scopa di Gyula assieme a lei, una strega di undici anni, e cominciò a seguire la massa delle ragazze che saliva verso le torri rivolte ad ovest.
- Stanca? – la voce di Hilda giunse alle sue spalle, e Guenda si voltò appena mentre continuava a salire le scale.
- Molto. – rispose sbadigliando.
- E’ normale, il primo viaggio è assolutamente il peggiore. – la rassicurò la sorella, posandole una mano sulla spalla. – Ma i letti sono fantastici, perciò buon sonno, ci vediamo a cena! – e così, con una disinvoltura nel modo di fare che Guenda non le aveva mai visto a Dazelburg, Hilda scivolò con le sue amiche su per una scalinata stretta, lasciandola sola alla ricerca del suo caldo giaciglio.
Mettendo piede in quella che sarebbe divenuta per i prossimi tre anni la sua stanza, Guendalina sospirò soddisfatta: camino scoppiettante, finestra sul panorama ancora invernale, e letti caldi.
- Permesso. – le disse una ragazzina, tossicchiando. In effetti, persa ad ammirare quella che sarebbe stata la sua casa per un po’, la giovane Godefroid era rimasta impalata sulla soglia, impedendo alle altre tre di entrare.
- Oh, scusatemi. – disse, imbarazzata, avvicinandosi ad un letto e lasciando cadere il suo bagaglio.
- E’ una stanza grande. Ci starebbe tutta casa mia, qui dentro. – esclamò un’altra ragazza mentre camminava a testa per aria, trascinando la sua borsa.
- Anche la mia, se è per questo. – disse Guendalina, sbadigliando. – Venite da lontano?
- Lituania. – risposero le due ragazze che avevano parlato. – Io sono Iwona e lei è Izabela. Veniamo dalla stessa cittadina. – proseguì una delle due, presentandosi e presentando l’amica. Si erano sistemate su letti vicini, com’era prevedibile.
- Io mi chiamo Guendalina, vengo dall’Ungheria. E tu? – la giovane Godefroid si rivolse alla quarta ragazza dai capelli molto ricci e scompigliati, l’unica che non aveva ancora parlato.
- Mi chiamo Draga. Sono l’unica ragazza della Boemia del mio anno. – disse, con un tono che era un misto tra timidezza e orgoglio.
Nessuna delle streghe parlò molto più a lungo: tempo pochi minuti ed erano tutte crollate sui loro letti per riposarsi almeno un po’ prima di cena.


 

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Capitolo 13
*** Capitolo dodici: le bacchette di Olof ***


 Note:  Relativamente puntuale eccomi ad aggiornare. Ovunque voi siate, qualunque cosa stiate facendo, spero vi stiate divertendo! Se state schiattando di caldo come accade alla sottoscritta, spero che il gelo della Svezia possa sollazzarvi. Buona lettura!


Capitolo dodici: le bacchette di Olof
 
Nonostante il riposo prima di cena, Guendalina e le sue compagne non ebbero alcun problema a dormire come ghiri tutta la notte. L’eccitazione all’idea di poter finalmente prendere in mano una bacchetta vera non mancava di certo, ma il peso di un lungo viaggio sulla scopa era una prova al di là delle forze di ragazze così giovani.
Fare colazione, una colazione ben più nutriente e grassa rispetto a quella che Guendalina seguiva di solito, le fece venire una gran voglia di provare bacchette. Sapeva che sua sorella aveva avuto bisogno di fare moltissimi tentativi prima di trovare la sua, ma sperava sentitamente di essere più fortunata.
Guenda e le sue compagne di stanza dovettero armarsi di mantello e sciarpa per potersi recare da Olof: il vento gelido della Svezia non dava tregua nemmeno all’interno delle alte mura di Durmstrang. Così, cercando di non bagnarsi le scarpe mentre attraversavano il cortile, gli studenti del primo anno raggiunsero la bottega del tuttofare del castello, mentre i loro compagni più grandi iniziavano le lezioni. Avevano intravisto Olof al tavolo dei docenti, ma a nessuna era sembrato imponente come lo sembrava in quel momento, appoggiato al portone del suo laboratorio.
- Benvenuti studenti. – li salutò il mago, mentre si scambiava un cenno con gli accompagnatori dei ragazzi. Vedeva che molti lo fissavano intimoriti e spaventati, e la cosa lo divertiva tutte le volte un mondo. – Dunque signorini e signorine, guadagnarsi una bacchetta può essere un lavoro lungo, perciò non voglio piagnistei sulle attese, sulla bacchetta giusta che non si trova eccetera. Dedicherò ad ognuno il tempo che merita, e fine della storia. Entrate su! Prima le streghe e il primo che spinge lo butto nel lago. – con queste premesse bellicose, Olof si spostò dalla porta congedando Jarno e Gunilla, che avevano accompagnato i ragazzi fin là, e fece entrare le nuove leve di Durmstrang.
- Questo Hilda non me l’aveva detto. – sospirò Guendalina, vagamente turbata.
Mentre alcune studentesse armeggiavano con le prime bacchette loro proposte, la piccola ungherese si guardava intorno. La bottega o il laboratorio, a prescindere da come lo si voleva chiamare, era pieno di oggetti a di poco bizzarri: strani alambicchi, scope rotte da riparare, medaglioni, anelli, armi e oggetti assolutamente indefinibili erano ammonticchiati su mensole, scaffali o semplicemente appesi al soffitto, come i calderoni nella bottega di suo padre. Le venne un colpo quando, per colpa di una terrorizzata ragazzina, un’ascia attraversò tutta la stanza per andare a colpire una delle finestre che si infranse in un’infinità di pezzettini.
- Buona bacchetta per duellante, ma non certo per te, piccola Agnuska. – ridacchiò Olof sfilando la bacchetta dalla mano pietrificata della piccola omicida in carriera. – Serve legno più morbido. – disse, cominciando a cercare sullo scaffale.
Dopo che Agnuska riuscì a trovare la bacchetta adatta a lei, toccò alle altre mettersi alla prova. Guendalina approfittò di questo tempo per osservare bene il paesaggio che si vedeva fuori dalle finestre, anche se in realtà stava a distanza di sicurezza dai vetri, e ci si allontanò ancora di più dopo che Olof si mise a raccontare di quanto, quindici anni prima, alcune schegge si erano conficcate nel volto di alcuni studenti che non si erano tolti dai piedi abbastanza alla svelta. Però, nonostante la distanza e le esplosioni occasionali, Guenda notò che la superficie del grande lago era ancora parzialmente ghiacciata, e che fuori Dumstrang non c’era altro che neve. Non esattamente quello che sperava, ma era solo marzo; il caldo sarebbe, forse, arrivato. Quando giunse il turno delle sue compagne di stanza, Guendalina cercò di prestare maggiormente attenzione a quello che stava succedendo.
Iwona, terrorizzata all’idea di poter amputare arti ai compagni lì presenti, provò due o tre bacchette, prima di trovare quella adatta a lei. Si accorse che era quella giusta semplicemente perché non le scappò via dalla mano, come le era successo per le precedenti. Izabela riuscì non si sa come a tagliare le trecce di una sua compagna, causandole una crisi di pianto placata solo dal deciso e risolutivo intervento di Olof, mentre quando trovò la sua bacchetta allacciò lo scarpone un po’ malandato di un ragazzino che era seduto su uno sgabello vicino a lei. Con Draga, invece, le cose presero una piega interessante. Benché silenziosa e apparentemente timida, Guendalina vide come era sicura di sé nel momento di dover maneggiare quei pezzi di legno così apparentemente insignificanti, ma fondamentali per dei giovani maghi.
- Ah, vedo che non hai paura di combinare danni. – le disse infatti Olof, passandosi una mano sui baffoni.
- Se mi va male andrò come gli altri, e per ora si è riusciti a sistemare tutto. – rispose la boema.
- Sicuro, sicuro. – ridacchiò il mago. – Prova questa su. – le porse una bacchetta di quercia molto grossa e spessa, ma non reagì in alcun modo in mano alla giovane, che ne rimase grandemente delusa. Provò ad agitarla un po’, ma quella rimase inerte.
- Ah, pensavo che la tua magia fosse un po’ più robusta, tutta sicura come sei. – commentò l’uomo, facendo sparire la bacchetta.  Draga assunse un’espressione indispettita: se era lì voleva dire che era sicuramente una strega, e Durmstrang era obbligata a fornirle una bacchetta che almeno reagisse al suo tocco.
- Vediamo questa. Sottile e leggera, ma rigida. Se ruoti il polso bene ti darà soddisfazione. – le spiegò Olof, mettendole in mano una bacchetta di tutt’altro tipo. Fu una buona intuizione, perché come Draga fece per sollevarla, questa lanciò delle scintille violette assolutamente innocue. Bacchetta e proprietaria si erano trovate, e se le circostanze l’avessero permesso, non si sarebbero più lasciate.
Dopo Draga fu infine il turno di Guendalina. Nell’avvicinarsi al bancone di Olof notò che il ragazzino a cui Izabela aveva riallacciato lo scarpone era ancora comodamente seduto sullo stesso sgabello di prima, in perfetta traiettoria per essere colpito dalla ragazza.
- Che succede se combino un guaio? – chiese lei con una certa apprensione, rivolgendosi al mago.
- Niente, si ripara il danno, come s’è fatto fino ad ora. – le rispose Olof con estrema leggerezza, mentre tirava fuori una bacchetta dal suo astuccio. Guenda si chiese come avrebbe potuto aggiustare una persona colpita da chissà quale incantesimo o maledizione, ma si tenne il dubbio per sé e, non appena prese in mano l’oggetto che le porse l’uomo, lo agitò un po’. Metà delle bacchette e degli astucci presenti sullo scaffale rotolarono giù dalla loro collocazione come un’ondata parecchio rumorosa.
- Ops. – si lasciò sfuggire Guenda, dettaglio che fece ridere chi aveva già la sua bacchetta, e sorridere chi ancora la stava aspettando. Olof stesso sorrise, si lisciò i baffi e con aria imperturbabile risistemò tutto con un solo incantesimo.
- Se non altro hai risparmiato le finestre. – le disse, sfilandole di mano la bacchetta che aveva provato e porgendogliene un’altra. Nemmeno quella nuova diede risultati accettabili, e nemmeno quella successiva, o quella dopo ancora, con la quale Guenda ingrandì, fino a portarle alle dimensioni di un pugno, alcune delle monete con cui le altre ragazze avevano pagato il loro strumento.
- Spero tu non voglia farmi impazzire come tua sorella, eh, signorinella? Hilda Godefroid ne ha provate dieci.
- Spero di no, sono davvero molte. – rispose la ragazzina, un po’ preoccupata.
- Conosco chi ne ha provate almeno trenta. – fece il mago porgendogliene una di abete rosso. – Prova ora.
Guendalina mosse un po’ il polso. Non aveva fatto molto caso alla direzione del suo movimento, ma se ne accorse quando vide il camino di fronte a lei riempirsi per un attimo con una fiammata arancione e potente. Era il genere di cose che poteva essere scambiata per l’ennesimo tentativo infruttuoso, ma Guenda sentì che quella piccola, sottile bacchetta d’abete rispondeva come se si fosse trattato del prolungamento del suo braccio.
- Meno di tua sorella, dunque. – le sorrise Olof, mentre lei pagava la sua bacchetta con un sacchetto di monete d’oro. Da quel momento in poi non osservò più i tentativi di nessuno studente, e non si sconvolse più di tanto a causa di vetri infranti e cose simili. Con una bacchetta era diventata una vera strega, e non c’era niente di più importante di quello, al momento.
Guendalina non era la sola entusiasta del suo acquisto. Tutti i ragazzini del primo anno tenevano in mano le loro bacchette come sacre reliquie, e le posarono con cura sui banchi della loro prima lezione: lingue antiche. Non era di certo una materia per cui le bacchette sarebbero servite, ma nascondere quelle piccole meraviglie di legno era praticamente impossibile.
Irina era una donna piccola, dai capelli chiarissimi e gli occhi di ghiaccio, che sorrideva sempre. Questo dettaglio aiutò molto le studentesse del primo anno a mettersi a loro agio, mentre i ragazzi erano a lezione con Pekka sulle leggi della natura. Seguire la lezione di Irina però non era semplice: la donna parlava un latino perfetto, e non perdeva molto tempo per cercare di farsi capire. Solo ogni tanto, quando vedeva le facce perplesse di alcune studentesse, rallentava un po’, cercando usare qualche parola o di svedese, o di tedesco. La conclusione di questi tentativi era invariabilmente una: - Vostro latino è schifo, ragazze. Oggi pazienza, da domani si deve migliorare. – E questa, generalmente, era l’unica frase che tutte capivano, un po’ per il tono, un po’ perché la strega semplificava al massimo i termini.
Improvvisamente, con sgomento, Guendalina capì perché Hilda aveva scritto così spesso a casa di noiosi giorni in cui non aveva usato la bacchetta: senza un buon latino non si andava da nessuna parte e volenti o nolenti, tutti gli studenti avrebbero dovuto impararlo per bene.
Fu, questo, un dettaglio che venne ribadito durante tutto il giorno, lasciando Guendalina e le sue compagne in uno stato di profonda delusione.
- Comincio a pensare che il vero problema di venire fin qui a Durmstrang non sia il fatto che siamo in mezzo alla neve. – considerò Iwona, mentre scendeva con le altre dalla torre per andare a cena. Guendalina, sospirando, non potè che concordare con lei. Il clima poi, per il momento non era d’aiuto: il sole calava così presto che già nel primo pomeriggio era quasi tramontato, e si finiva per passare lunghe ore in dormitorio o nelle sale di lettura a compitare sillabe, verbi e declinazioni. Nemmeno i pasti luculliani potevano ripagarla di quella sottile apatia che coinvolgeva la giovane strega e le sue amiche. A metà della prima settimana ci fu un momento in cui Guenda fu ad un passo dal provare nostalgia di casa, ma il non essere da sola nemmeno e l’avere l’appoggio di coetanee a cui non doveva nascondere la sua natura sembrò bastare a tenerla di buon umore.
Se Irina non perdeva giorno per lamentarsi del latino pessimo dei suoi studenti, la collega Astrid non perdeva certo tempo a constatare semplicemente i danni: ragazze e ragazzi cominciarono presto a riempire pergamene su pergamene, e la strega non era mai tenera né sul bisbigliare in classe, né sulla calligrafia.
- Signorina Draga, le sue O sembrano uova di drago già schiuse, se non si corregge alla svelta troverà un secchio di acqua gelida pronto per esserle messo sulla testa.
Visto il clima dunque, Guendalina si considerò molto fortunata di arrivare alla domenica senza sentirsi troppo stanca. Durmstrang non era decisamente posto per pigri.
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo tredici: scrigni ***


 
Note:  Eccoci con un nuovo capitolo! Sappiate che è l'ultimo di scorta che mi rimane, e che quindi presto dovrò trovarmi qualcosa da fare XD. Per intanto grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono! <3



Capitolo tredici: scrigni


Passarono i giorni e finalmente, dopo troppo studio noioso e privo di attrattive, le ragazze del primo anno poterono frequentare la loro prima lezione con mastro Aapo. L’interesse per le materie aveva avuto già una bella scossa grazie alle prime scoperte di veleni e pozioni con l’aiuto di madama Serafina, ma l’idea di poter usare una bacchetta aveva lasciato Guendalina insonne per tutta la notte precedente.
Mastro Aapo non era un mago giovane: lo si capiva dal fatto che aveva diversi capelli bianchi nella sua chioma, e alcune rughe sul viso; certo non raggiungeva la veneranda età di Marcianna, ma di sicuro era passato molto tempo da quando lui era arrivato a Durmstrang per studiare magia.
- Bene signorine. Sedetevi e non toccate niente, tanto per cominciare. – disse il mago. Come inizio non era rassicurante, ma le ragazze obbedirono e si sedettero con calma e in silenzio, così com’erano state abituate.
- Davanti a voi si trovano degli scrigni in legno intarsiato. Possono contenere o un piccolo premio per voi o una piccola fattura, a seconda di come vi comporterete.
- Oh. – Guendalina scambiò un’occhiata perplessa con le sue compagne, e fissò il piccolo contenitore davanti a lei con sospetto. L’idea di venire affatturata per un suo errore non le piaceva affatto.
- Durmstrang non è scuola nota per deturpare o menomare studenti che non adempiono al proprio dovere. Quello accade nelle steppe mongole o nell’impero cinese, perciò nessuna di voi deve preoccuparsi. Questo metodo vi insegnerà solo ad impegnarvi con solerzia. Fuori le bacchette, dunque.
Sospettosa, Guendalina posò la sua sul banco, e così fecero le altre.
- Ora che vi siete un po’ ambientate qui e conoscete almeno qualche nozione di teoria, è giunta l’ora di avere a che fare con la pratica, che è altrettanto giusta e salutare. Troverete estremamente difficile, le prime volte, compiere magie assennate. E’ altresì probabile che non riusciate affatto. Ciò non deve spaventarvi o preoccuparvi. L’applicazione e l’esercizio possono fare miracoli. – Mastro Aapo parlava passando avanti e indietro tra i banchi delle sue allieve con passo calmo e leggero. Una volta finito di parlare tornò alla sua cattedra, dove l’attendeva il suo personale scrigno che però, a differenza di quello delle giovani fanciulle, era d’argento. Prese la sua bacchetta dal tavolo, mosse leggermente il polso puntandolo sulla serratura e disse: - Alohomora!
Appena pronunciato l’incantesimo lo scrigno si aprì, mostrando al suo interno una piuma d’oca tinta di rosso fiammante.
- La migliore della classe riceverà questa piuma per scrivere per una settimana. – spiegò Aapo alle presenti. – Ora tocca a voi. Prendete la bacchetta. – iniziò, mostrando nuovamente il gesto – puntate alla serratura movendo delicatamente il polso e dite: Alohomora.
A quel punto, non restò che fare dei tentativi. Izabela fu la prima a cimentarsi con l’Alohomora; pronunciò l’incantesimo con voce quasi tremante, e il suo piccolo scrigno starnutì senza dar segno di volersi aprire.
- Riprovi, signorina, e consiglio alle sue compagne di mettersi al lavoro, invece di fissare lei come pesci lessi. – Aapo cominciò a passeggiare avanti e indietro tra i banchi, correggendo o incoraggiano le sue allieve a seconda del bisogno.
Giunte a quel punto Guendalina non poteva cincischiare oltre. Prese la sua bacchetta e la strinse saldamente nelle sua mano. Respirò profondamente e cercando di imitare al meglio il movimento che aveva visto fare a mastro Aapo toccò il suo piccolo scrigno scandendo bene l’incantesimo. Com’era prevedibile, questi non diede segno di volersi aprire, la serratura scattò a vuoto e niente ne uscì. La ragazzina considerò comunque l’evento di buon auspicio, soprattutto perché gli scrigni di altre sue compagne fischiarono, sibilarono o fuggirono per la stanza. Letteralmente. Più di una studentessa dovette rincorrere la sua scatolina in giro, mentre altre venivano stoppate con il piede da mastro Aapo in persona.
- Tranquille, fanciulle, è tutto normale. I manufatti sono stati appositamente incantati da me per resistere ad ogni incantesimo impreciso. Dovrete impegnarvi di più.
Così Guendalina riprovò, più e più volte. Ci teneva a figurar bene, ma non ottenne, nonostante tutti i suoi sforzi, niente di più che qualche cigolio e dovette riconoscere la bravura di un’altra sua compagna, Medgarda. Fu l’unica che riuscì ad aprire lo scrigno, sebbene per pochi attimi, prima che questo si richiudesse precipitosamente; per questa ragione fu la prima della classe a ricevere la piuma scarlatta in premio.
- Che invidia! Prima vera lezione di magia con mastro Aapo e non ho combinato niente! – sbottò la ragazzina, appena ebbe occasione di parlare dell’accaduto con la sorella.
Certo, chiunque avrebbe voluto impressionare i maestri, ma a quanto pareva Guendalina aveva atteso quel momento con talmente tanta trepidazione da considerare il suo fallimento un’onta vergognosa.
- Non c’è da angustiarsi tanto, su! – cercò di rassicurarla Hilda. Si erano fermate a parlare in corridoio dopo un incontro quasi fortuito, mentre raggiungevano le aule studio. Nonostante fossero nella stessa scuola le lezioni impegnavano tanto le due sorelle, che faticavano a incontrarsi.
- Quasi tutti gli studenti hanno ottenuto quella penna, prima o poi; non c’è davvero niente per cui avere il broncio. – aggiunse Franz, con fare incoraggiante, unendosi a loro. Al di là delle lezioni e dei dormitori, a Durmstrang era concesso che maschi e femmine studiassero assieme, e tutti ne approfittavano per stare in compagnia almeno un po’.
Guendalina, in ogni caso, non era stata troppo conquistata dagli incoraggiamenti degli altri, ma fu tremendamente fiera di se stessa la settimana successiva, quando il suo scrigno obbedì senza esitare ad ogni sua richiesta. Capì presto che più si esercitava e più la sua magia diventava precisa, efficace ma soprattutto potente. E mentre capiva questo a Durmstrang si affacciava lentamente la primavera. La neve andava sciogliendosi dai tetti, spariva dal cortile e lasciava intravedere il colore degli aghi di pino e abete nei boschi poco lontani. Fu sorprendente, per la ragazzina e le sue compagne, vedere quanto poteva cambiare il paesaggio. Nel giro di un mese la Svezia assunse i contorni di un luogo quasi ospitale in cui vivere, ma soprattutto diede a tutti gli studenti del primo anno la possibilità di mettere il naso fuori dalla fortezza per la prima volta dopo il loro arrivo. Era Gyula ad occuparsi proprio di questo, insegnando alle ragazze e ai ragazzi come sopravvivere in lande inospitali, come cercare e recuperare molti ingredienti per pozioni e imparare a stare lontani dai guai.
- Avviserò tutti voi una sola volta. Sembrerà sciocco ma c’è sempre qualcuno che ci prova e poi va a finire male: non vi venga mai in mente di immergervi nelle acque del lago come prove di coraggio o simili. Non desidero raccattare qualcuno di voi in condizioni pietose o peggio ancora affogato. Non piace a me, come si sicuro non piacerebbe a voi.
Guendalina e le sue compagne guardarono al lago con aria cupa: l’idea che qualcuno potesse volercisi immergere pareva davvero sciocca, ma Gyula assai difficilmente parlava a vanvera.
Presto i momenti preferiti della giovane strega divennero proprio le ore passate all’aperto: nonostante l’aria fosse spesso troppo fredda e le lunghe camminate particolarmente stancanti, il tempo trascorso con Gyula era qualcosa di speciale. La faceva sentire bene e senza limitazioni: non c’erano le regole imposte dal decoro della scuola, c’era solo il dover badare a se stessi, e questo, a Guenda, piaceva da morire.
Le lettere che inviava a casa erano sempre piene di entusiasmo, con il tempo i suoi progressi con la magia furono evidenti, e ciò non poteva che riempirla di orgoglio. Hilda ne sorrideva: non dovendo più sopportare in solitaria i suoi sfoghi e le sue follie si ritrovò a considerarla molto più tollerabile. Certo nemmeno le mura di Durmstrang poterono compiere il miracolo su quella ragazzina dal carattere incontenibile come un assalto di cavalleria. Imparò presto a conquistarsi le piume scarlatte di Mastro Aapo, ma altrettanto in fretta imparò che per non ritrovarsi bagnata fradicia era necessario un grande equilibrio, affinché il secchio non le cadesse dalla testa.
- Non capisco perché Gyula si preoccupi tanto per il lago, se continui così ti verrà una polmonite anche senza mettere il naso fuori dal castello.
- Grazie per l’interessamento, Izabela. – rispose Guenda, tra uno starnuto e l’altro, mentre rientravano nella torre dopo le lezioni. Certo, se l’era cercata mettendosi a chiacchierare nel mezzo della lezione di madama Irina, ma non si sentiva in colpa proprio per niente, pensò, mentre si toglieva gli abiti bagnati preparandosi ad una lunga, lunghissima sosta davanti al fuoco. Era dunque chiaro che, benchè fosse ormai abituata alla routine giornaliera del castello, Guendalina avrebbe continuato a mal digerire tutto quello che non riguardava direttamente la magia.
- Del resto, se avessi voluto imparare bene il latino me ne sarei andata in monastero, vicino a casa. – era solita sbottare mentre traduceva Seneca e Cicerone.
Il suo disappunto era così mal nascosto che per Pasqua aveva già collezionato ventisette diversi secchi posati sulla sua testa, molti dei quali, purtroppo, franati al suolo tra le risate della classe. Con l’arrivo dell’estate, però, Guenda si ritrovò improvvisamente ad avere nostalgia di casa sua e di Dazelburg. Per quanto potesse essere bella la Svezia, Guendalina si ritrovò con sorpresa ad attenere il tramonto stando alla finestra. Le mancava l’odore dei fiori, quello dei campi di grano che ingiallivano al sole e la vista delle pianure senza fine. Perciò, quando il tempo tornò a peggiorare e la partenza fu prossima, Guenda non si sentì del tutto dispiaciuta. Hilda aveva trovato quasi strana questa smania di casa, e l’aveva avvertita su quanto avrebbe potuto rivelarsi deprimente l’inverno ungherese, ma la sorellina aveva replicato che aveva le sue ottime distrazioni, e che il tempo sarebbe passato. Aveva un bagaglio di nuovi racconti da far spavento. In tutti i sensi. Non era una vita, erano pochi mesi, del resto.
- Come credi. – aveva alla fine risposto Hilda, sconfitta. Per carità, la Svezia non era forse la terra più ospitale del mondo, questo lo sapeva, ma il senso di libertà e di protezione che le davano le mura di Durmstrang non era ritrovabile da nessun’altra. La sorellina, a volte, era davvero troppo strana.
Quando Gyula si risolse a partire con la sua piccola delegazione, nonostante la tristezza per il dover salutare le amiche per mesi, la piccola fu entusiasta all’idea dell’attraversata e lo si vide bene all’enorme sorriso che regalò ai suoi genitori appena atterrò in un alba piovosa, finalmente a casa.


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Capitolo 15
*** Capitolo quattordici: stella cadente ***


 Note:  chiedo perdono per il ritardo nell’aggiornamento, ma sono stata travolta da impegni di tesi che purtroppo mi portan via una sacco di tempo che potrei passare a scrivere, senza parlare delle lauree dei miei compagni di corso che si son presi l’alloro e l’arrivo, giusto per non farci mancare nulla, dei miei 25 anni. Insomma, se ho scritto sto capitolo è stato un po’ anche per MAGIA. Spero vi piaccia come al solito, anche perchè si fa un bel salto temporale rispetto al precedente. Ho pensato che non fosse necessario mostrare tutti gli anni scolastici (stavo per scrivere universitari, sob XD) di Guenda. A voi! ^^









Capitolo quattordici: stella cadente

Passarono sei anni, anni nei quali Guenda cominciò a partire per Durmstrang da sola. Hilda aveva ormai completato il suo percorso di studi, ed era diventata una strega a tutti gli effetti. Aiutava il padre in bottega, e pensava un po’ troppo spesso a Franz, che non aveva perso il vizio di tingersi la sua zazzera rossa. Guendalina, invece, aveva finalmente imparato che il dono della magia aveva un prezzo: nel caso dei maghi dell’Europa centrale significava passare perennemente da un inverno all’altro. Con il tempo era diventata un’alunna molto più disciplinata, ma le capitava ancora di ritrovarsi con un secchio in testa, di tanto in tanto. Per prenderla in giro, quando Gyula accompagnava gli studenti fuori dal maniero, le dicevano sempre che probabilmente si era bevuta più acqua del lago lei di molti dei pesci che ci abitavano. Questo aveva fatto sì che alcuni suoi compagni avessero cominciato a chiamarla Merluzzo, e ormai si era fatta una fama con quel nome. Guendalina non se la prendeva troppo: a casa aveva avuto la meglio su Antonius quando aveva solo sei anni raccontando storie di paura, ora aveva ben di meglio con cui difendersi, senza contare che ora era diventata molto più alta, e più forte. In effetti, tra lei e Hilda un estraneo avrebbe ormai faticato a capire chi fosse la maggiore. Hilda aveva gli stessi occhi chiari di sua madre Sigfrida e lunghi capelli biondo spento, sempre nascosti da una cuffia bianca; il suo viso rimaneva però tondo come quello di una bambina. Guendalina invece era cresciuta come un giunco: alta, asciutta, espressione volitiva e decisa.
- Mi perderò il torneo di Tachov, quest’anno. – sospirò Draga, una mattina a colazione. Era il 24 marzo, ma la neve cadeva leggera al di là delle grandi vetrate del salone. Era stato un vero colpo di fortuna che gli studenti fossero riusciti a rientrare a scuola prima delle ultime nevicate invernali.
- Io ne ricordo uno quand’ero piccola, nella mia città, a Dazelburg, per il matrimonio della figlia del conte. Era stato uno spettacolo meraviglioso. – Guenda, a distanza di anni, ricordava ancora l’eccitazione di quei giorni, la quantità di gente, i colori e le splendide armature. Da allora, Dorina era morta, e Griselda aveva partorito due femmine: Leokadia e Konstantyna.
- Se solo fossimo più vicini a Stoccolma… - disse Iwona. – È la capitale del regno, è di sicuro più grande e vivace di Lulea, che non offre niente se non un po’ di pesce, vero Merluzzo?
- Se mi chiami ancora Merluzzo ti ritroverai teste di pesce nel letto per un mese, è una promessa. – sibilò Guenda. – Ad ogni modo, di solito gli studenti dell’ultimo anno vengono portati nella città. Mia sorella c’è stata, assieme a tutti i suoi compagni, credo che sia là che si è baciata con il suo amico per la prima volta. – aggiunse ridacchiando. Hilda non gliel’aveva mai confessato, era troppo riservata per dire una cosa simile, ma dall’espressione che aveva al suo rientro al castello doveva essere successo qualcosa di grosso. Eppure lei era rimasta a Dazelburg, e Franz a Liberec, almeno per il momento.
- Smettila di fare la pettegola, non sta bene parlare così degli assenti. – la rimproverò Agnuska.
- Mica ne ho parlato male, è mia sorella dopotutto. – rispose Guenda, sorridendo. – E io non tengo talismani sotto al mio cuscino la notte per fare innamorare qualcuno.
La parola “talismani d’amore” era generalmente sufficiente a zittire chiunque. Guendalina sapeva che molte delle sue compagne li utilizzavano per tentare di far innamorare i ragazzi della scuola, ma sapeva anche, perché erano i maestri a ribadirlo spesso, che erano soluzioni inutili ed inefficaci. Nel caso questo sfuggisse alle orecchie delle giovani studentesse, c’era sempre qualche personaggio melodrammatico di un arazzo pronto a rincarare la dose. Come Vausilla, la Dama Fedele, che si era uccisa centoventitre anni prima perché il suo amato cavaliere aveva accettato il pegno d’amore di un’altra dama, nonostante lei avesse preparato e conservato una mezza dozzina di amuleti. S’era affogata nel lago per cui Gyula pregava affinché nessuno ci mettesse piede, e s’era guadagnata la fama eterna dei cantori, i quali, per certi versi, avrebbero fatto meglio a dimenticarsene.
- Non innamoratevi, giovani donzelle, non fatelo mai! La morte non vi merita così giovani e belle! – urlava spesso dalla parete dove era alloggiata. Non che le studentesse non fossero disposte a provare compassione per lei, ma sentirla gracchiare il lunedì mattina non era mai piacevole.
Nonostante questi pessimi risvegli, e le crisi isteriche che potevano causare, la routine di Durmstrang riprese con tranquillità. Molte lezioni, molte ore chine a studiare nelle sale di lettura o a consultare i volumi della biblioteca, e molte sere a respingere gli spifferi delle finestre con incantesimi appena imparati. C’erano, inoltre, le lezioni notturne con Mastro Jarno. Erano splendide, ma starsene sul tetto della torre, a mezzanotte passata, avvolti da mantelli e coperte a scrutare il cielo pareva una tortura. Ancora ad aprile erano in tanti a prendere un raffreddore o l’influenza per questa ragione, e non c’era Incantesimo Riscaldante di sorta che potesse cambiare le cose, motivo per cui Gunilla protestava spesso.
Quell’anno era toccato a Draga: dopo l’ennesima notte all’addiaccio si era ritrovata con una forte tosse e il naso completamente chiuso, tanto che dormire era diventata un’impresa. Aveva dovuto scendere in Infermeria, uno stanzone del pian terreno occupato da due lunghe file di letti e ampie finestre. Gunilla le aveva tassativamente proibito di rientrare in dormitorio per evitare di contagiare le altre.
- E’ inutile che strepiti, donzella. – continuava a ripeterle la donna, sorda alle proteste della ragazza. – Devi rimanere qui altre due notti, e due notti resterai qui. Le tue compagne non se ne fanno niente di una strega che fa rumore tutta sera e che le può fare ammalare. E anche voi, fanciulle, avete due minuti per salutarla. Non sta per morire e non è in partenza, penso possiate aspettare di riaverla ai piani alti con voi. – Guendalina e le altre ci avevano provato, a stare vicine alla loro amica, ma la Guaritrice era riuscita a smorzare i loro entusiasmi sul nascere. Non si erano arrese, e avevano continuato a presentarsi durante le pause o dopo i pasti, ma erano state sempre fermate sulla soglia, e non avevano potuto fare altro che far sentire la loro vicinanza a Draga, che era comunque in compagnia di altri giovani malati, in maniera piuttosto approssimativa.
Gunilla era una strega abbastanza giovane ma, a differenza della giovane levatrice Silvana di Dazelburg, che Guenda ricordava dolcissima con tutti, era burbera e con un pessimo carattere. Le sue doti erano impagabili, ma un po’ di simpatia in più non avrebbe guastato. La giovane Godefroid aveva sperimentato spesso quel caratteraccio sulla sua pelle, quando veniva forzata a bere latte, miele e altri intrugli strani per curare i suoi numerosi raffreddori: la strega non aveva fatto altro che borbottare tutto il tempo su quanto fosse stupido ammalarsi per colpa di punizioni altrettanto sciocche. In quei momenti Guendalina aveva sempre annuito con convinzione per evitarsi altri rimbrotti.
Eppure, non appena Draga si ristabilì (e le bastarono non più di cinque giorni, perché, come aveva detto Gunilla, era di costituzione forte e tenace), dovette tornare sulla torre.
Le ore di Astonomia facevano parte di quei momenti in cui ragazzi e ragazze potevano stare insieme, ma in verità non erano proprio i momenti ideali per legare.
Agnuska, Iwona, Izabela, Draga e Guendalina indossavano i loro abiti più pesanti ed erano avvolte da tutti gli strati di coperte che erano riuscite a portarsi fin lassù dalla camera. Iwona non faceva che continuare a ripetere l’Incantesimo Riscaldante per tenere calde tutte e quattro: capiva che arrivava il momento di rinnovarlo quando sentiva una delle sue compagne battere nervosamente i denti. Jarno stesso sembrava un fagotto ambulante: anche lui stava seduto, di fronte ai ragazzi, coperto da un numero infinito di strati di pellicce e tessuti.
- Bene, miei giovani. L’ora è propizia. – Mastro Jarno aveva un naso sottile e molto lungo che rendevano il suo profilo inconfondibile quando alzata il viso verso la volta celeste, come in quel momento. – Se osservate il cielo, vicino allo zenit, troverete davanti a voi la Chioma di Berenice, e poco più a sud Spica, che fa parte della costellazione della Vergine… - mentre mostrava il cielo, illuminandosi il viso di tanto in tanto con la bacchetta nei casi in cui doveva spiegare qualcosa guardando in faccia i suoi studenti, raccontava l’origine dei nomi degli astri e delle leggende che erano state raccontate già in tempi antichissimi. Guenda teneva sempre la faccia in alto, rivolta alle stelle e al vento gelido che le faceva ghiacciare le guance: l’aria le pungeva il naso ad ogni respiro. E fu proprio per quel suo vizio che vide una scia di luce attraversare il cielo, rapida come una saetta.
- Una cometa, Mastro Jarno! – esclamò una voce alla sinistra delle quattro giovani. Era la voce di Marcus, loro coetaneo. Un altro con il vizio di tenere spesso la testa in alto anche quando non era necessario.
Anche Jarno aveva la testa rivolta verso l’altro, e l’aveva vista passare. Una cometa che sfreccia nel cielo di aprile: secondo suo modo di vedere, non era un buon segno.
- Di sicuro un segnale del cielo, e non credo uno buono. – disse ad alta voce, mentre un certo mormorio di diffondeva tra la classe. – Per stasera direi che possiamo rientrare. Non voglio che altri di voi finiscano da Gunilla, avanti. – i giovani maghi si guardarono attorno, perplessi, ma era ormai l’una e ciò fece sì che scesero verso i dormitori senza stare a discutere.
- Non promette niente di buono. – disse Agnuska, mentre si svestiva per mettersi a dormire, una volta tornate nella loro stanza calda e accogliente.
Fu evidente a tutte che non prometteva nulla di buono quando videro, la mattina dopo a colazione, che Jarno e Guinifredo del fu Guillipado conversavano tra di loro a bassa voce, parlando fitto. Anche Gyula si era presto unito a quella misteriosa conversazione e le facce di nessuno dei tre apparivano rassicuranti. Poco dopo videro Guinifredo alzarsi in piedi e richiamare l’attenzione della scuola: siccome era strano che lo stregone agisse in questo modo, nel salone calò rapidamente il silenzio.
- Miei giovani studenti, giungono importanti notizie dal nord. – esordì. – Diversi draghi sono stati avvistati a Kiruna e a Tärnaby, si stanno muovendo verso questa zona, perciò tutte le lezioni all’esterno del castello sono momentaneamente interrotte. A nessuno è concesso di uscire da Durmstrang senza accompagnamento o permesso. Finchè rimarrete qui, gli Incantesimi di protezione faranno sì che nessun danno possa esservi arrecato, perciò le lezioni continueranno come sempre ad eccezione di quelle di Mastro Gyula. – e mentre il brusio nella stanza non faceva che crescere, Guinifredo tornò a sedersi e riprese il suo pasto senza dare alcun segno di preoccupazione.
- Draghi! – esclamò Izabela, sconvolta. – Non erano mai scesi tanto, prima d’ora.   
- C’è sempre una prima volta, a quanto pare. – Draga aveva appena affondato i denti in una fetta di pane bianco e masticava con aria concentrata. – Saranno dei Grugnocorto Svedesi o dei Dorsorugoso Norvegesi?
- Fa differenza? Ci obbligano comunque a rimanere qui dentro, se non vogliamo fare la fine di un bell’arrosto. – Guenda bevve dalla sua coppa lentamente; l’acqua che si beveva nella scuola era sempre quasi gelida, ma a lei piaceva moltissimo: la trovava quasi più buona, a quella temperatura.
- Be’, i Grugnocorto sono più piccoli, e generalmente più schivi, quindi è più facile che stiano lontani dai luoghi abitati. – spiegò l’amica.
- Non invidio i maghi che abitano a Kiruna e a Tärnaby. Draghi mangia-uomini non sono facili da nascondere…
- Nasconderli è il minore dei loro problemi, Iwona. – rispose Izabela. – Villaggi inceneriti, Babbani inferociti e… - non ebbe nemmeno bisogno di finire la frase, sapevano tutti a che si riferiva: quando le cose andavano male, prendersela con maghi e streghe diventava tristemente inevitabile.



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Capitolo 16
*** Capitolo quindici: ammazzadraghi ***


Note: Finita la tesi, finito il capitolo! So che state aspettando che accada QUALCOSA in questa storia, e sono felice di dirvi che se Elisabetta I non mi avesse assorbito TUTTE, ma proprio TUTTE le mie energie, mi sarei mossa prima. Ci sto arrivando e ce la farò. Farò anche magari capitoli un pelo più lunghi, sennò arrivo al capitolo 8 miliardi senza che sia realmente successo nulla di nulla. Ciò detto, io spero proprio che vi piaccia, e che non vi annoi. Scusate, sono lenta e poco appassionante in sto periodo, ma rimedierò, LO GIURO!






Capitolo quindici: ammazzadraghi

Maggio portò con sé aria tiepida e si prese la neve rimasta, liberando la brulla terra svedese. La timida primavera del nord si spandeva attorno al castello, ma nessuno poteva goderne. Da quasi un mese tutti gli studenti erano chiusi nel castello, costretti a prendere un po’ d’aria solo nel cortile, protetto da mura possenti e da incantesimi. Il gran Maestro Guinifredo spariva spesso, assieme ad altri insegnanti, per occuparsi della questione dei draghi; anche diversi abitanti magici di Lulea avevano iniziato a partecipare a queste spedizioni, ma niente aveva impedito alle creature di imperversare nella valle. Diversi villaggi erano stati visitati e, nonostante l’enorme quantità di Incantesimi di Disillusione dispiegati, erano stati avvisati da Babbani. La voce era corsa di bocca in bocca, giungendo fino a sud, a Stoccolma.
- Ma perché non tornano su nel nord? – si chiese Guenda, mentre scriveva una lettera a casa; era seduta a gambe incrociate sul letto, e usava un vecchio tomo di magia come piano d’appoggio, rendendo la sua calligrafia non troppo regolare.
- L’inverno è stato molto rigido, credo sia fame. – spiegò Izabela, sbadigliando. – Mio padre scrive che quando i draghi trovano posti dove c’è molto da mangiare o distruggere è difficile rispedirli dove stavano prima.
- Se continua così usciremo di qui solo quando finirà la scuola. – disse Iwona.
- Se continua così sarà un problema tornare fuori con un manico di scopa e non finire nelle fauci di un lucertolone. – commentò Draga, lugubre.
- Potrei scrivere anche questo a casa. Giusto per dare un pensiero in più. – sospirò Guendalina. A Dazelburg si erano tutti preoccupati da morire leggendo il racconto della giovane sul drago che aveva sorvolato la scuola non più di una settimana prima. Era stato uno spettacolo affascinante, per certi versi, ma vedere dalle finestre un bestione volante lungo metri che annusava l’aria in cerca di prede non era stato per niente rassicurante. C’era da sperare che gli incantesimi fossero potenti per davvero.
E lo erano, quantomeno lo erano abbastanza da permettere che la routine scolastica continuasse senza intoppi. Ciò, però, non era di alcuna consolazione per Guendalina, perché si sentiva in gabbia: una condizione che non era portata a sopportare con pazienza. Evitò accuratamente di scrivere a casa delle pessimistiche previsioni delle sue compagne di dormitorio, continuando a monitorare la situazione.
Alla fine, verso luglio, gli avvistamenti sembrarono farsi sempre più rari; alcuni cavalieri ammazzadraghi di professione erano saliti al nord per ucciderne il più alto numero possibile e disperderli: il valoroso ser Ulf era rimasto nelle foreste assieme al suo destriero, ma altri, avevano portato a casa trofei di guerra. Ser Wilhelm, noto per la sua generosità, si era fermato a Durmstrang per donare due cuori di drago a Olof, affinché potesse realizzare ottimi nuclei per le sue bacchette. Aveva deciso di fermarsi presso il castello solo per una notte o due per riposarsi dalle fatiche della battaglia, prima di riprendere il cammino per il sud, dove aveva i suoi possedimenti. Siccome gli ospiti, soprattutto gli ospiti di rango, a scuola erano molto rari, tutti gli studenti erano caduti in uno stato di autentica eccitazione nell’apprendere quella notizia.
Del resto erano anni che Guendalina non vedeva un cavaliere, e lo stesso valeva per molte delle sue compagne, ragion per cui tutte si dimostrarono molto distratte a lezione, preferendo passare il tempo a guardare dalla finestra, cercando di scorgere Wilhelm mentre conferiva con Mastro Guinifredo o con Mastro Olof.
- Non è tempo per distrazioni! – aveva tuonato madama Serafina, mentre spiegava loro la composizione di alcune pozioni curative. – Se sbagliate la quantità di ingredienti da preparare finirete per uccidere, invece di salvare. E nessun cavaliere di sorta sistemerà i vostri pasticci!
Serafina aveva ragione, e naturalmente c’erano momenti molto più consoni per spiare sconosciuti, eppure i suoi rimproveri erano serviti a poco. Dopo la fine della lezione Guendalina e le sue amiche si erano accaparrate i posti migliori della biblioteca, vicino alle finestre, per poter continuare la loro osservazione. Incuranti degli spifferi, avevano atteso di veder passare il cavaliere, e quando l’avevano visto dirigersi in direzione del casotto di Olof erano scattate in piedi ed erano corse di sotto quasi avessero avuto le ali ai piedi.
Rischiarono più volte di inciampare, rotolare e cadere a terra, ma non ci fecero caso: travolsero senza pietà anche alcune studentesse più giovani mosse dalle loro stesse ragioni, ma fu Iwona ad arrivare per prima davanti alla bottega di Olof. Il fabbricante di bacchette aveva appena fatto entrare il suo ospite e stava per richiudere la porta del suo laboratorio quando intravide le ragazze.
- Mie giovani streghe, a meno che alcune di voi non abbiano misteriosamente rotto a metà la propria bacchetta come è accaduto ad altre vostre compagne, questo non è posto per voi. – disse loro il mago con un sorriso malizioso.
- … ma noi volevamo solo… - tentò di obiettare Agnuska.
- Niente bacchetta rotta, niente consulenza con Olof. – ridacchiò il mago, prima di chiudere la porta.
- Ma davvero ci sono ragazze che hanno rotto la loro bacchetta per questo? – commentò Draga con aria indignata.
- Guarda alla tua sinistra. – sospirò Guenda.
Accanto all’amica boema c’era Izabela, pronta a rompere in due la bacchetta con l’aiuto di un ginocchio. Si bloccò non appena notò lo sguardo di fuoco delle altre ragazze. – Gesto eccessivo, vero?
- Stupido, più che altro. – rispose Megarda.
- Andiamo a spiare, è meglio. – Guenda prese il braccio di Izabela e cominciò a trascinarla, prontamente seguita dalle altre. Le ragazze fecero capolino da una delle finestre, una di quelle che puntualmente venivano infrante dai novellini con le bacchette di prova ad ogni primavera, stando attente a non esporsi troppo. Il vetro spesso deformava i contorni, ma tutte potevano ben vedere la massiccia figura di Olof dietro al suo bancone e Wilhelm di fronte a lui, mentre parlavano. Il cavaliere non indossava più la sua armatura bruciacchiata e ammaccata, e l’enorme mantello nero che portava creava un evidente contrasto con i suoi capelli chiarissimi.
- Non sentiamo che stanno dicendo! – si lamentò Guenda.
- A questo c’è rimedio. – rispose Draga, puntando la bacchetta contro il vetro. – Non si sentirà benissimo, ma è meglio di niente. – Le ragazze si misero in ascolto ed iniziarono ad origliare la conversazione.


- Speravo proprio che qualcuno approfittasse della presenza dei draghi per farmi un regalo simile, Wilhelm. E’ uno dei nuclei che preferisco lavorare… - stava dicendo Olof.
- E non è stato per niente facile recuperarli. Appena ne uccidi uno altri sono pronti ad attaccarti. È così che abbiamo perduto Ulf. – rispose Wilhelm, senza nessuna particolare intonazione nella voce.
- Lo avete recuperato, almeno?
- E’ stato trascinato in una delle loro tane, recuperarlo sarebbe stato un vero e proprio suicidio. Pare non fossero così feroci da almeno cinquant’anni, e un nemico del genere non va sfidato troppo, del resto hai visto la mia armatura. – Wilhelm si passò una mano tra i capelli con aria stanca. Doveva avere poco più di vent’anni, ma aveva un’aria così seria, mentre parlava, da sembrare un uomo più adulto.
- Ho visto sì. Il tuo povero armaiolo impazzirà nel rivederla.
- Ha fatto il suo dovere, senza quella sarei rimasto lassù anche io, magia o meno. – sospirò il cavaliere. – Ad ogni modo, spero che le continue sortite li facciano desistere definitivamente.
- Qui hanno smesso di farsi vedere, avrai ricevuto la lettera di Guinifredo.
- Sì mastro Olof, ma qui tutte le prede sono protette e rinchiuse in un castello, non vorrei puntassero a Stoccolma… - insistette il cavaliere, cominciando a camminare per la stanza.
- Non si hanno notizie simili a memoria d’uomo. – Olof fece una pausa, vedendo che l’altro continuava a camminare avanti e indietro come un lupo in gabbia.
- E con la cometa come la mettiamo? – Wilhelm si era avvicinato alla finestra dalla quale le ragazze stavano origliando: per non farsi scorgere si erano schiacciate e abbassate contro la parete.
- E’ una cometa. Sappiamo che portano cattive nuove, a volte, ma le scampagnate di draghi da queste parti mi sembrano già sufficienti. Non vorrai diventare pessimista come un Babbano qualunque. – Olof aveva un gran senso pratico, e non badava troppo alle cose che succedevano sopra la sua testa.
- Perché hai la fortuna di non frequentarli troppo, amico mio. – il cavaliere fece una pausa, guardando fuori dalla finestra. – Ad ogni modo per ora tutto è tranquillo, il tempo ci dirà come andranno le cose. – fece per voltarsi, ma poi il cavaliere aprì improvvisamente la finestra, e agguantò Guenda per il mantello prima che tentasse anche solo di correre via, come avevano fatto le sue compagne. – Guarda guarda, ci sono giovani spie nel maniero, mastro Olof. – disse, rivolto al fabbricante di bacchette. – Quanto a voi, madamigelle. – urlò in direzione delle ragazze, già nel cortile – E’ meglio che torniate indietro. Non v’è onore nell’abbandonare un’amica in difficoltà.
Guendalina era mortificata: non solo le sue amiche avevano cercato di piantarla in asso, cosa per cui l’avrebbero pagata cara, ma era ancora trattenuta per il mantello come un gattino da un cavaliere. Se l’avessero saputo Hilda o sua madre…
- Oh, le giovani ficcanaso di prima. – Olof si era affacciato a sua volta alla finestra. - Hanno cercato di origliare con le buone, ma quando non gliel’ho permesso hanno trovato un’alternativa.
- Le bacchette magiche servono anche a questo. – disse Draga con spavalderia, la prima a tornare sui suoi passi.
- Come ti ho già detto anni fa, la tua magia non è forte come sembra, mia giovane allieva. – la redarguì Olof. – Cosa speravate di sentire?
- Quello di cui tutti mormorano: battaglie coi draghi. – tentò di dire Iwona, parlando a bassa voce. Erano grandi per farsi cogliere in flagrante a quel modo, lo sapevano bene, ma la curiosità era stata troppa. L’isolamento a cui erano state sottoposte per mesi, inoltre, non aveva affatto aiutato.
- L’avevo detto a Guinifredo. Porta un autentico cavaliere in questa scuola anche solo per due notti e farai impazzire le studentesse. – Olof aveva fatto cenno alle ragazze di entrare nel suo laboratorio, e anche Guenda, dopo essere stata liberata dalla ferrea presa di Wilhelm, le aveva seguite. Si stava massaggiando il collo con aria afflitta e depressa, quando sentì la porta chiudersi violentemente.
- Bene, mie giovani donzelle. Sappiate che per azioni come le vostre la punizione non sarà piacevole. – iniziò Olof, lisciandosi i suoi baffoni. – Ser Wilhelm potrà decidere se comunicare la decisione a mastro Guinifredo o se lasciare a me lo sgradito compito.
Le giovani sbarrarono gli occhi, spaventate: mastro Guinifredo non era un soggetto molto simpatico per quanto concerneva le punizioni, donzelle o meno, sapevano che tendeva ad essere esemplare.
- Vedo che hanno perso baldanza. – ammise il cavaliere. – Per questa volta potremmo lasciar correre e tenere il preside all’oscuro della faccenda.
- Oh, grazie, grazie nobile cavaliere! – furono costrette a pigolare le giovani, tentando di sorridere timidamente.
- Non avevamo cattive intenzioni, davvero. Eravamo solo curiose! – insistette Iwona, forse tra tutte la più mortificata.
- Oh oh. – Olof ridacchiò, lisciandosi i baffi. – Ma la curiosità uccise il gatto. Per ottenere il mio perdono, ad ogni modo, dovrete lavorare per me.
E lo fecero, anche di buona lena. Olof divise fra loro i compiti e fece loro portare legna in laboratorio, spazzare il pavimento, preparare il tè, rassettare, togliere la cenere dal camino, inviare missive via gufo, togliere il sangue rimasto dai cuori di drago che gli erano stati donati, e altro ancora; il tutto sotto l’attenta e divertita supervisione dei due maghi.
Vennero liberate dai loro incarichi quando era ormai ora di cena; Guendalina e le altre erano decisamente sfinite e desiderose di riposo.
- Mi raccomando, salutate il vostro cavaliere, perché domani farà ritorno alle sue lande! – ridacchiò Olof, divertito.
Possibilmente più mortificate di prima, le ragazze fecero una dignitosa riverenza e si avviarono verso il castello a testa china.
- Punizione esemplare, oserei dire. – commentò ser Wilhelm, quando rimase solo con Olof.
- Almeno impedirà loro di fare sciocchezze. Saranno troppo stanche. – annuì il fabbricante di bacchette, convinto.


 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo sedici: notti bianche ***


Note: Perdonate l’attesa, ma ce l’ho fatta. C’ho messo un po’ a crearlo, ma spero che l’attesa ne sia valsa la pena per voi. Dettaglio, la chiesa di San Giacomo non me la sono inventata, ma esiste realmente ed è questa: http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Giacomo_(Stoccolma)

Capitolo sedici: notti bianche

Eppure, nonostante la stanchezza, nonostante la punizione e l’estrema voglia che aveva Guenda di farsi un bagno caldo, qualche sciocchezza covava nella sua mente. A cena fu silenziosa mentre osservava con sguardo critico il tavolo dei professori, ed in particolare ser Wilhelm; i minuti passavano e un piano perfetto e geniale prendeva corpo nella sua mente, e non vedeva l’ora di condividerlo con qualcuno.
- Ho un’idea. – annunciò poi con fare spiccio e guardingo, attirando l’attenzione delle amiche. I corridoi, le aule studio e il salone si stavano svuotando: molti studenti stavano rientrando nei dormitori, e la scuola stava diventando di minuto in minuto più silenziosa. Nella settimana successiva ci sarebbe stata una pausa dall’attività scolastica per far riposare gli allievi e fare loro godere, in condizioni normali, della breve estate svedese. Questa pausa, che in genere provocava grande gioia in tutti quanti, non comportava però nessun cambio nell’orario del coprifuoco, estremamente severo soprattutto nei giorni in cui gli studenti avrebbero potuto approfittarne di più.
- No, non mi piace quella tua faccia. Non promette niente di buono. – la interruppe immediatamente Draga, puntandole il dito contro.
- Ma se non ho ancora parlato!
- Siamo già state punite, oggi. – disse Iwona, mesta, - Mi basta.
- Ehi, io sono quella che è stata afferrata per la collottola come un gatto, perciò merito di essere ascoltata. – si era alzata in piedi dalla panca, e aveva fatto segno alle amiche di seguirla. Non disse nulla finchè non raggiunsero il dormitorio.
- Allora? – domandò Agnuska.
- E se vi proponessi di scappare da scuola ed arrivare a Stoccolma seguendo le orme di ser Wilhelm in modo da non perderci? – disse tutto in una volta, con gli occhi che scintillavano d’eccitazione.
- COSA? – tuonarono le altre in coro.
- Sei forse impazzita? – le chiese Megarda. – Non possiamo, ci sono i draghi, e non conosciamo la strada.
- Per questo io approfitterei della scorta di Ser Wilhelm. – insistette Guendalina. – Partirà all’alba, noi possiamo seguirlo dall’alto con le nostre scope, senza farci vedere.
- E’ un piano folle, Guenda. – cercò di farla ragionare Izabela. – Ci scopriranno e non voglio pensare a come potrebbero punirci.
- Nessuno verrà mai a saperlo. Senza lezione non ci saranno controlli. In una settimana potremmo andare e tornare: non lascerò la Svezia senza aver mai visto Stoccolma. Mi rifiuto! – sbottò la ragazza. Non era per niente giusto, tutti gli studenti di Durmstrang avevano il diritto di vedere la capitale del regno svedese, e se la scuola non voleva concederglielo lei se lo sarebbe preso.
- Dovremmo prendere le scope… - disse Draga, pensierosa.
- No, no! – tuonò Megarda, scotendo la testa, mentre i capelli scuri le finivano davanti al viso. – Non se ne parla.
- Per me puoi non venire, mi basta solo che tu taccia. – Guenda l’osservò con aria di sfida, prima di posare lo sguardo su Draga. – Pensavo di prenderle all’alba, approfittando dei preparativi per la partenza di Wilhelm.
- E’ l’unica alternativa, in effetti. – rispose Draga dopo un po’, mordicchiandosi il labbro.
- Perché sei così ostinata, Guendalina? Che importa di Stoccolma? Potremmo sempre andarci in futuro. – chiese Agnuska, dando voce alla curiosità di tutte. Guenda, accerchiata dagli occhi curiosi delle amiche, provò a pensarci. Voleva realmente dare una spiegazione razionale e credibile per convincerle a seguirla, eppure il suo cervello non le suggeriva molto. Sapeva benissimo che la sua richiesta era assurda e inutilmente pericolosa, ma il solo pensiero di fuggire da scuola per una notte o due e affrontare un’avventura la riempiva di una gioia tale che contenersi era quasi doloroso. Rimase per un po’ in silenzio, prima di rispondere.
- Perché se ci riuscissimo sarebbe grandioso. – disse solamente.
In qualche modo la frase fu d’effetto: Draga, la più pronta già dall’inizio ad unirsi all’impresa, annuì convinta e si dichiarò pronta a partecipare. Sospirando Agnuska annuì a sua volta; Izabela e Iwona, invece, non fiatarono e si mossero verso gli armadi per tirar fuori i loro mantelli più pesanti. Megarda tentennò un po’, poi, borbottando maledizioni verso chiunque, e in special modo Guendalina, si rassegnò a far parte della spedizione.
I preparativi occuparono il gruppetto per parecchio, ma quando furono pronte si apprestarono a recuperare le loro scope e ad attendere l’alba; non avevano molto margine di tempo, considerata la latitudine a cui si trovavano e la stagione. Il sole sarebbe comparso molto presto.
Uscirono dalla stanza silenziosamente, lanciando il più alto numero di Incantesimi di Disillusione mai visto, e scesero le scale tentando di fare il minimo rumore, tentando di non svegliare nessun personaggio degli arazzi: non che a loro potesse importare qualcosa del girovagare degli studenti, ma detestavano essere svegliati nel bel mezzo della notte. Raggiunsero rapidamente il magazzino, accanto alla scuderia: lì si trovavano le loro scope, e lì accanto poterono sentire i bisbigli di Ser Wilhelm con il ragazzo di scuderia. Le ragazze si scambiarono un sorriso, il piano stava funzionando. La porta del magazzino non era stata sigillata con la magia, proprio per via dei preparativi in corso, ed entrare non fu un problema; più difficile recuperare il proprio mezzo senza usare un Accio e senza farne cadere altre decine. Sudarono freddo, ma furono premiate dal successo.
- Ormai ci siamo. – bisbigliò Guendalina, entusiasta, mentre i primi raggi di luce cominciavano a mostrarsi timidamente in cielo; l’alba era prossima.
Rimasero rintanate e con le scope in pugno in attesa; alla voce di Wilhelm presto si aggiunse quella di Mastro Guinifredo.
- Non era necessario che foste sveglio per la mia partenza. – protestò il cavaliere.
- E farvi sgattaiolare via dal castello come un ladruncolo? Non sarebbe stato affatto cortese da parte mia, inoltre volevo verificare che le barriere magiche fossero abbassate. – replicò gentile Mastro Guinifredo. – Del resto è una delle mie responsabilità. Vi auguro un rientro privo di pericoli.
- Che il Signore lo voglia. Se ho fortuna domani sarò in città.
Vi furono altre brevi parole di commiato, poi si sentirono i passi di Guinifredo allontanarsi e quelli di Wilhelm, accompagnati dallo scalpiccio degli zoccoli della sua cavalcatura, dirigersi verso il cortile.
- Nessuna barriera magica. – commentò Iwona. – E’ perfetto!
Rimasero immobili e in attesa, poi attraversarono la scuderia di corsa, osando affacciarsi fin sul cortile, giusto in tempo per vedere Wilhelm montare in sella ed uscire dal portone principale al passo, diretto a sud. Come avevano previsto, la cancellata fu abbassata subito dopo il passaggio del cavaliere, ma non se ne preoccuparono; avevano puntato un’altra uscita secondaria, di norma poco sorvegliata. Nei paraggi non c’era nessuno, ed era ancora abbastanza buio perché potessero attraversare il cortile di corsa, rasenti al muro, poi tagliarono per la dispensa dei viveri. Da là avrebbero avuto l’accesso indisturbato all’ingresso, dove di norma i commercianti effettuavano le consegne.
- Alohomora. – la voce di Draga tremò, mentre pronunciava l’incantesimo, ma quando la porta si aprì e le ragazze si trovarono fuori dalle mura, libere, furono entusiaste, come se nessuna avesse mai dubitato di quell’impresa nemmeno per un momento. E fu allora che il sole cominciò a spuntare.
Montarono in sella alle loro scope e si diressero verso sud, seguendo la direzione che aveva preso Ser Wilhelm; se anche il cavaliere avesse optato per un mezzo simile gli sarebbe bastato un giorno per raggiungere la città, ma di certo non avrebbe potuto passare inosservato agli occhi dei Babbani. Perciò, consapevoli di dover affrontare un campeggio in aperta campagna o di dover sostare in un qualche villaggio, le giovani volarono ad alta quota, onde evitare di farsi vedere da qualche sparuto essere umano, e rallentarono l’andatura quando scorsero in lontananza il loro cavaliere.
- Dovremmo allontanarci dalla rotta ogni volta che attraverserà un villaggio, o saremo a rischio. – ricordò a tutte Agnuska, certamente la più prudente del gruppo. Guendalina era in testa alla formazione, il viso verso l’alto a godersi il sole e il suo successo.
- Non temere. – disse all’amica. – Non ho proprio voglia di farmi trovare.
Volarono per tutta la mattina, senza sosta e senza mai mettere i piedi a terra; costeggiarono fiumi e laghi, mentre l’aria si faceva sempre un po’ più calda. Fu un problema quando Wilhelm si inoltrò in un bosco per far riposare la sua cavalcatura e mangiare qualcosa mentre il sole era allo zenit. Le scope non erano proprio adatte ad attraversare luoghi simili, e andare a piedi avrebbe fatto perdere loro troppo tempo. Pur stando a distanza di sicurezza fu una vera impresa non perdersi e non farsi beccare. Izabela e Megarda ebbero il mantello impigliato nei rami di un abete, mentre Guendalina si accontentò di riceverne uno direttamente in faccia a causa di un momento di distrazione. Sputò aghi di abete per la successiva ora.
Quando finalmente Wilhelm si fermò, lasciando il suo cavallo a brucare felicemente l’erba del sottobosco, le ragazze si appostarono un po’ lontane per riposarsi a loro volta.
- Hai ancora della roba verde fra i denti. – disse gentilmente Agnuska, mentre Guenda sputacchiava.
- Sento. Ma si sono incastrati tra i denti, porca miseria!
- Shh! Non gridare! – Iwona le mise una mano davanti alla bocca. – Non qui. Non ti fidare degli incantesimi di Disillusione.
- Ma abbiamo usato pure il Muffliato. Potrei gridare per ore, se solo lo volessi.
E mentre il bisticcio continuava, Draga e Megarda aprirono le loro sacche, tirando fuori le provviste. – Uscire passando dalla dispensa è stato davvero intelligente, da parte nostra. – disse la giovane boema, mentre lanciava alle amiche pezzi di pane e pancetta. Mangiarono velocemente, tenendo d’occhio la loro inconsapevole guida, e dopo circa mezzora, ripartirono.
Ci fu poi, e finalmente, un momento in cui Wilhelm decise di spronare il suo destriero al galoppo, accelerando l’andatura. Questo permise alle giovani di fare altrettanto e di guadagnare terreno verso la capitale.
Il problema dei villaggi non si pose fino a sera, eccettuato un piccolo gruppo di case che circumnavigarono senza difficoltà. C’era ancora luce, quando Wilhelm decise di fermarsi in un villaggio che a Guendalina ricordava moltissimo Dazelburg, ma che in realtà ricordava molto anche la casa delle altre fanciulle, anche se qui la maggior parte della costruzioni era in legno. Così erano la chiesa, attorno alla quale erano state ordinatamente costruite le altre casette, e anche la dimora dei cittadini più ricchi, quasi sicuramente speziali o commercianti.
Fu lì che videro dirigersi ser Wilhelm; del resto era famoso in tutta la nazione per le sue epiche battaglie coi draghi, era facile per lui ottenere vitto e alloggio grazie alla sua sola presenza. Così non era per le ragazze, che atterrarono pensando di presentarsi a piedi alla taverna e pagare per una notte di riposo in un giaciglio il più decente possibile.
- Ci serve una valida scusa e dobbiamo far sparire queste scope, o sospetteranno di noi. – disse Iwona, estraendo la bacchetta.
- Possiamo dire che siamo in pellegrinaggio per la chiesa di San Giacomo. Una scusa del genere dovrebbe bastare anche se siamo solo ragazze. – disse prontamente Draga.
- Non abbiamo molte alternative e poi usano scuse simili anche gli altri studenti che scendono a Stoccolma da Durmstrang. – convenne Guendalina. – Che problema c’è, Iwona? – domandò poi all’amica.
- La tua scopa ha voglia di spazzare, invece di farsi rimpicciolire. – borbottò la giovane, contrariata.

La taverna del villaggio era buia e fumosa, ma calda e piacevole. L’oste, un omone dalla barba nera, non fece particolari commenti sulla presenza di giovani scese dal nord per andare a rendere omaggio a San Giacomo, e se ne uscì con un commento un po’ piccato: - Oh sì, me ne capitano tutti gli anni, di solito sono di più.
- Colpa dei draghi, messere. – rispose prontamente Guendalina, - Molti non hanno il coraggio di muoversi.
Il discorso si spostò prestissimo su Ser Wilhelm, ospite sicuramente di dimore migliori e protagonista di imprese più degne di nota di cinque ragazze del nord. Pagarono il prezzo per l’alloggio e la cena, un coniglio stufato al ginepro che rese tutte molto felici. Stanche dal viaggio, le ragazze non si trattennero a lungo nell’ampio salone, e si rifugiarono nella stanza loro assegnata. Era spoglia, molto più spoglia della camera che condividevano a Durmstrang: c’era un unico pagliericcio che avrebbero dovuto condividere con una coperta pulita ma logora, un unico vaso da notte e una piccola finestra.
- E’ caldo e pulito. Non serve altro. – disse Izabela, posando la sua sacca da viaggio. – Blocchiamo la porta con gli incantesimi, non voglio sorprese. Bloccarono porta e finestre e alla fine, sentendosi protette e al sicuro crollarono addormentate in pochissimo tempo.
Si svegliarono all’alba, riposate ed entusiaste. Abbandonarono velocemente la taverna e cincischiarono attorno alla casa che aveva ospitato il cavaliere: non appena lo videro uscire e congedarsi capirono che era ora di partire nuovamente.
Ci vollero molte altre ore di viaggio, durante le quali Wilhelm non fece mai nessuna pausa; procedeva a spron battuto, rallentando solamente quando si ritrovava ad attraversare villaggi e paesi, via via più numerosi mano a mano che proseguiva verso sud. Se il cavaliere procedeva tranquillo per la sua strada, le streghe avevano il loro bel da fare per celarsi alla vista di Babbani a passeggio, evitare villaggi e non perdere di vista la loro guida. Era faticoso e snervante, ma portarono a compito il termine senza lamentarsi troppo. E alla fine, a pomeriggio inoltrato, nonostante il sole ancora alto, la loro perseveranza fu premiata: giunsero a Stoccolma.
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassette: volta la carta ***


Note: Troverete il titolo del capitolo molto legato al caro Faber, ma è un caso, più o meno. La canzone però è meravigliosa, se volete ascoltarla sono certa che vi piacerebbe, a me mette tanta allegria. Ho fatto ricerche molto… ridotte sull’aspetto che potesse avere Stoccolma a metà Trecento. Sapete, finché si parla del proprio paese o di posti grossi e conosciuti come Londra e Parigi è un conto, ma qui mi ritrovavo a brancolare nel buio, più o meno; confido nella vostra clemenza. “Staden mellan broarna” è svedese, naturalmente, e significa città tra i ponti. Mi scuso inoltre per il ritardo dicendovi che il capitolo è un pochino più lungo, e che mi impegnerò a non farvi più attendere tanto. I commenti non sono graditi: di più :3







Capitolo diciassette: volta la carta
 
Sapevano che Stoccolma si trovava vicino al mare, ma non si aspettavano che sorgesse su diversi isolotti collegati da ponti di legno e pietra. Il sole si rifletteva sulle acque dei canali, rendendo tutta la città splendente.
- Ecco perché la chiamano “staden mellan broarna”. – Megarda, che veniva da un villaggio piccolissimo e per cui anche Durmstrang era un immenso universo a sé stante, la capitale della Svezia pareva gigantesca.
- Dovremmo nascondere le scope. – Agnuska pareva ansiosa; avevano visto Ser Wilhelm sparire tra la folla, accolto come un eroe, e non si sentiva troppo tranquilla in mezzo a tante facce sconosciute.
- Dovremmo rimpicciolirle e nasconderle, questo è certo. – Guendalina, autoproclamatasi capo della spedizione, annuì convinta. – Cerchiamo un vicolo.
Non fu troppo difficile, in realtà: erano tutti troppo ansiosi di congratularsi con l’ammazzadraghi, e benedire il suo rientro come uomo sano e salvo. Forse Stoccolma non sarebbe stata così entusiasta, se avessero saputo che Wilhelm era un mago, ma la sua reputazione era al momento immacolata, e tanto bastava.
Le giovani fuggiasche, intanto, erano nascoste presso un crocicchio isolato, e stavano rimpicciolendo le loro scope a turno, coprendosi con il mantello.
- E anche questa è fatta. – disse Iwona, soddisfatta. – Cerchiamo alloggio?
Si misero in marcia, camminando tranquille per la città. La gente brulicava ovunque, era tanta, tantissima, e le case molto più alte rispetto a quelle a cui erano abituate loro, ed estremamente colorate; che fossero di legno o in pietra, erano quasi tutte intonacate. Bazzicando tra una bottega e l’altra e stando bene attente a non farsi rubare il loro denaro, poiché era essenziale anche solo per tornare a Durmstrang, le ragazze camminarono fino a Stortorget, la grande piazza.
Là, come si può trovare ovunque, anche in paesi come Dazelburg, c’era una taverna affollata e rumorosa che dava anche la possibilità di fermarsi per la notte. Così com’era accaduto la sera precedente, pagarono per la loro stanza e per la cena di due giorni.
- Prima di riempirci lo stomaco dobbiamo andare alla chiesa di San Giacomo. – disse al quel punto Draga, aprendo la bocca. – San Giacomo è il patrono dei Viaggiatori, e noi abbiamo detto che è per lui che eravamo in viaggio, anche adesso a quell’oste. – Draga lo indicò con il mento, squadrandolo torva. – Andarci per davvero è un nostro dovere.
Siccome nessuna aveva voglia di ricevere una maledizione celeste o di perdere il favore della Fortuna di cui avevano tanto bisogno, si avviarono alla chiesa sul fare della sera. Dovettero chiedere più volte dove trovarla, perché le indicazioni erano generalmente piuttosto vaghe sul genere di “quella rossa”, ma quando la raggiunsero dovettero ammettere che la descrizione era stata tutto fuorché mendace.
San Giacomo era una chiesa piccola, anche per gli standard delle ragazze, e a differenza di Durmstrang o delle chiese che si conoscevano sul continente, era costruita interamente di legno dipinto, tranne che per il tetto, costruito con ardesia grigiastra. Non era che una piccola cappella, sgargiante e accoglientissima. All’interno profumava di pino, e i grandi tronchi levigati e lucidati, usati per le arcate, risplendevano alla luce delle candele.
L’ambiente era spoglio, in verità: c’erano i banchi per la messa, il crocifisso, con un Cristo magrolino e parecchio striminzito, per la verità, e un bacile in pietra per l’acqua santa. Tutte quante immersero la mano, prima di farsi il segno della croce e di andare a inchinarsi davanti all’altare. Avevano acquistato candele, lungo la strada, e lì avevano deciso di accenderle come ringraziamento.
- Dovere compiuto. – disse Guendalina, uscendo dalla chiesa. – Ora la città è ai nostri piedi.
E lo fu, perché fino a che il sole rimase visibile in cielo, almeno un po’, le giovani si preoccuparono di scoprire le sfumature che cambiavano sulle facciate, si affacciarono sui ponti, e scivolarono sull’acciottolato consunto mentre passavano davanti all’imponente palazzo sede del re Alberto di Mecleburgo, un re non sempre amato, ma spesso temuto, che si era preso il suo regno con la forza e l’aveva difeso al costo di pesanti assedi. Sorprendeva che a Stoccolma niente di tutto questo fosse visibile: tutto pareva un’oasi di pace e tranquillità, anche quelle torri di pietra.
- Non è saggio vagare di sera. – disse ad un certo punto Megarda. – Inoltre ho fame. Rientriamo e teniamoci lontane dai guai. – aggiunse. Nessuna aveva da ridire in proposito, perciò, tenendosi strette a due a due, tornarono verso la piazza principale. Fu un percorso accidentato, perché le dimensioni della città le fecero perdere un paio di volte, ma a forza di girare intorno riuscirono a rientrare.
La taverna del Gallo, questo era il nome del luogo che sarebbe stato il loro… rifugio per quei giorni, era affollata e caotica. Le giovani studentesse di Durmstrang avevano già sperimentato quanto fosse saggio rimanere in disparte in un angolo, evitando contatti con estranei: vista la loro età, la loro inesperienza, ma soprattutto il loro sesso, c’era poco da scherzare.
Nonostante il gran vociare degli avventori si riuscivano a distinguere lingue diverse: parecchi marinai erano in sosta lì, e in fondo sembrava di essere quasi nel grande castello nascosto tra le montagne. Guendalina non sentì la sua lingua madre, ma del resto dubitava ci fossero molti ungheresi in grado di solcare i mari; sentirono però, assieme ad un sacco di svedese che masticavano a fatica grazie a Durmstrang, molti danesi, norvegesi e perfino lingue parlate in parti d’Europa che a stento avevano sentito nominare nel corso delle loro lezioni. Continuarono a tendere le orecchie, incuriosite, ma si ritirarono nella loro stanza quando il vociare era ancora alto. La camera era fredda e umida, rispetto agli standard a cui erano abituate, e dovettero adoperarsi a lungo perché iniziasse a scaldarsi.
- Bella locanda, per la capitale del regno. – sbottò Draga, stringendosi nel suo mantello. – Avremmo più caldo vagando per i sobborghi. È estate, accidenti!
- Porta pazienza, tanto conosciamo un mucchio di Incantesimi Riscaldanti. – ribatté Guendalina, sotto lo sguardo attonito di Megarda e Agnuska.
- Zitta! – esclamò la prima. – E se qualcuno ti sentisse?
- Dubito che qualcuno voglia origliare la stanza chiusa a chiave di un gruppo di anonime forestiere. – Guendalina non tollerava a lungo allarmismi secondo lei inutili, e per questa ragione lei e le compagne bisticciarono per un po’, finché non si addormentarono.
Il sole era già alto, quando le giovani aprirono gli occhi, e il fuoco del camino acceso con tanta cura doveva essersi estinto da ore. Rabbrividendo, le impavide giovani di Durmstrang si prepararono per godere di un’altra giornata piena di avventure a Stoccolma. Notarono presto come dovunque il nome di Sir Wilhelm veniva pronunciato, assieme a parole di benedizione e protezione per lui e la sua casata. Dopo un rientro in patria così trionfale, del resto, non poteva essere altrimenti. Molti avevano parole anche per Ulf, il cavaliere rimasto al nord: al suo nome di solito seguiva un sospiro e un segno della croce; in quel mondo, i cavalieri ammazzadraghi difficilmente conoscevano la vecchiaia, del resto.
- Chissà dove vive Wilhelm. – si chiese Megarda. – Di sicuro deve avere un grande palazzo.
- Non necessariamente grande. – rispose Iwona, sistemandosi il mantello. – Ma di sicuro vicino al palazzo reale o a quello di giustizia. Vicino al potere.
- Potere Babbano… - precisò Izabela. – Come sempre.
Incuriosite dall’insieme di lingue udite la sera prima, le ragazze si spostarono nella zona sud della città, verso il porto; l’idea era di curiosare con aria innocente, e carpire qualche succosa informazione su quello che accadeva nel continente. Per fare questo, le ragazze dovettero spostarsi da un isolotto all’altro, e attraversare una considerevole quantità di ponti, alcuni dei quali in legno e per niente solidi.
Benché nessuna di loro avesse mai abitato vicino al mare, non ebbero difficoltà a raggiungere la loro meta; quello che le stupì, in effetti, fu la quantità di persone che lo popolava.
- Sembra un formicaio. – fu il commento di Guendalina, e in effetti non era lontano dalla verità. Almeno cinque navi erano attraccate e un gran numero di marinai si affaccendava a caricare e scaricare merci, per non parlare delle persone che vendevano, compravano, o barattavano quelle stesse merci appena arrivate con altre. Non controllato, c’era anche qualcuno che si teneva occupato con attività non necessariamente legali: alcuni cercavano di passare inosservati, altri non ne facevano affatto mistero.
All’incrocio tra un banco del pesce salato e alcune case c’era infatti un uomo in piedi dietro ad un barile, circondato da almeno una dozzina di persone. Aveva tre carte, re e fante nero, donna rossa, e invitava i presenti a indovinare a carte coperte dove fosse nascosta la carta rossa. Era chiaro che il gioco era pensato per non far vincere quasi mai chi puntava denaro, e l’abilità di chi teneva le carte nello spostarle con estrema agilità e rapidità era notevole.
- Perché continuano a giocare, se c’è sempre e solo da perdere? – si chiese Agnuska, mentre le ragazze osservavano la scena.
- Perché c’è anche sempre qualcuno che vince. – aveva risposto Draga. Aveva indicato con lo sguardo un uomo dall’aria distinta, che si atteggiava con un po’ troppa noncuranza.
- Può darsi che sia il suo gancio. – Guendalina ne aveva visti parecchi, di tipi così nella sua infanzia. Suo padre le aveva insegnato come riconoscerli e come evitare di farsi fregare denaro nelle fiere.
- Ovvero? – chiese Megarda.
- E’ il socio del tizio delle carte. Serve a dimostrare a chi è presente che si può vincere a questo gioco. Di solito scommette una cifra spropositata, e vince in barba a tutti quanti la somma pattuita.
- Bella fregatura.
- L’hai chiesto tu. – sorrise la giovane ungherese. – Vediamo se ho ragione.
Si avvicinarono al capannello e per circa dieci minuti, il distinto signore che avevano adocchiato rimase muto spettatore degli eventi, senza proferire verbo, se non qualche parola di biasimo per i denari che riempivano le tasche dell’uomo delle carte.
- Prima o poi qualcuno ve le svuoterà di nuovo! – lo sconosciuto finalmente prese la parola, e tutti gli occhi dei presenti, in particolare quello delle giovani streghe, si puntarono su di lui.
- Volete forse averne voi il privilegio? Vi sfido volentieri, messere.
- Scommetto una corona contro la vostra regina rossa. So che la troverò. – annunciò lo sconosciuto, convinto, mentre un mormorio sorpreso si diffondeva tra le persone lì ammassate.
L’uomo dietro al barile raccolse le carte, e con quelle si grattò la guancia sbarbata, apparentemente molto sorpreso.
- Se è così che desiderate… - posò le carte, scoperte, in modo che tutti potessero vedere la figura della regina al centro, poi le voltò, e le mosse sul barile, rapidamente. – Signore, a voi la scelta. Dov’è nascosta la regina?
Lo sconosciuto parve riflettere un momento mentre sembrava che attorno si fosse creato un silenzio carico di aspettative. Il caos del porto pareva un vago sottofondo a malapena udibile. Dopo una ragionevole attesa carica di mistero, l’uomo parlo: - Alla vostra destra.
L’altro voltò la carta, e la regina si mostrò in tutto il suo splendore; i presenti si lasciarono sfuggire mormorii di pura e autentica sorpresa.
- Messere! Grandiosa è la vostra fortuna! – l’uomo delle carte cianciò a lungo della sorte e dei suoi misteri, e solo dopo un bel pezzo si decise, infine, a pagare il suo cliente.
- Non sono nemmeno i bugiardi migliori che si possono trovare in giro. – commentò piano Iwona. – Dopo che Guenda ce l’ha fatto notare li ho osservati bene e non hanno fatto che ammiccare tra loro.
- Sarebbe proprio divertente sbugiardarli. – fu invece il commento di Izabela, che alzò lo sguardo, in verità colmo di pena, per un uomo che, galvanizzato da quanto appena visto, tentava a sua volta la fortuna.
- Oh be’, se lo meriterebbe. Chissà quanto denaro ha raccolto, così.
- Mi viene da pensare che avremmo potuto farlo anche noi e guadagnarci qualcosa. – Megarda aveva soppesato le parole di Agnuska, giungendo alla più pratica delle soluzioni. Del resto, non ci voleva troppa astuzia, per arricchirsi così.
Guendalina invece taceva: fissava ora l’uomo delle carte ora il suo socio, pensierosa. Poi parlò improvvisamente con tono autoritario: - Facciamolo.
- Cosa?
- Freghiamo il furbacchione, vediamo che succede.
- Hai idea di come fare? – fu la sollecita domanda di Draga. Era un’idea che comportava dei rischi, ma solleticava tutte le presenti.
- Bisognerebbe capire qual è il suo trucco. – disse Agnuska.
Iwona, accanto a lei, annuì. Aveva osservato bene la dinamica, e pensava di aver indovinato il sistema: - Secondo me nasconde la regina nella manica e la fa ricomparire solo al momento di mostrare dov’era in realtà nascosta. Ma mentre il povero giocatore punta la carta, la regina dev’essere ben nascosta e al sicuro.
- Possiamo marcare la carta con un incantesimo…
- Shh! Fuori questione, Megarda! – sbottò Agnuska.
- Non serve. Basta impedirgli di tirare fuori di nuovo la regina dopo che l’ha nascosta. – disse Guenda. – Vi mostro come. – senza paura avanzò tra la folla, pestando in verità un bel po’ di piedi, con le amiche che a stento le stavano dietro.
- Messere! – urlò con voce chiara, in uno svedese approssimativo e imbastardito dal suo marcato accento ungherese. – Voglio tentare la sorte con voi!
- Oh, una deliziosa giovinetta! – l’uomo si voltò verso di lei e sorrise, deliziato. – E sembra veniate da molto lontano. E ditemi, graziosa, quanto scommettete che la fortuna vi sia amica?
- Un quarto di corona. – la strega sentì gli occhi puntati su di lei ma, soprattutto, sentì le amiche l’avevano raggiunta: le percepiva alle sue spalle e questo le diede ancora più baldanza. – E vi chiedo di poter esaudire un desiderio.
La folla rumoreggiò incuriosita, e l’uomo sorrise: - Non si dica che non sono un gentiluomo. Chiedete, mia dolce fanciulla.
A quel punto fu Guendalina a sorridere, pensando che l’avrebbe trovata dolce ancora per poco. – Voglio girare io stessa la carta che sceglierò.
L’uomo impallidì per un solo istante, mentre le amiche di Guenda ridacchiavano giulive.
- Per piacere, messere. – insistette la ragazza, con il tono più dolce che le riuscì. Lanciò uno sguardo al gancio, chiaramente non entusiasta della novità, ma quello che contava era il parere dell’uomo di fronte a lei. Egli annuì, e Guenda sentì che lo aveva in pugno.
- E sia, per un quarto di corona. Spero tanto che la regina vi sia amica. – le carte le furono mostrate, furono girate e mescolate, e infine, posate sul barile. – Tocca a voi ora, donzella.
Senza tremare, senza incespicare e con pieno controllo di sé, Guendalina avanzò, quasi sfacciata.
Allungò la mano e godette nel farla scorrere, sollevata, sopra le tre carte, sfiorandole appena. Se avesse voluto, se avesse solo voluto, avrebbe potuto girarle tutte e tre con la magia, contemporaneamente. Ma si trattenne, e voltò quella centrale: un fante nero.
La folla attorno a lei rumoreggiò, dispiaciuta, e l’uomo di fronte a lei fece per dirle: - Sono costernato, mia giovane amica ma… - lo vide allungare la mano destra per girare le altre carte, ma lei fu più veloce: con entrambe, voltò le carte ai lati di quella centrale, scoprendo il re nero a sinistra… e un altro fante nero a destra.
- Messere, voi siete un ladro e un bugiardo. – disse ad alta voce.
Molti dei presenti, spintonandosi per vedere meglio che c’era sul bancone, si lasciarono sfuggire esclamazioni inorridite e grondanti odio quali “bastardo!” ed epiteti poco galanti riferiti alla di lui madre, che a quanto pareva non era stata proprio una mogliettina a modo.
- Scommetto che hai la regina nella manica! – imperturbabile, Guendalina aveva continuato a infierire, affondando la sua lama sempre di più: una sensazione magnifica. Lo fu un po’ meno quando un uomo quasi la calpestò per raggiungere il baro, che cercava di darsi alla fuga. Gli saltò addosso e gli sollevò la manica, facendo cadere a terra la carta della povera regina rossa, sollevata e mostrata ai presenti quasi fosse una santa reliquia.
- La ragazza aveva ragione! Il bastardo ha fregato tutti quanti! Ridacci i soldi! – urlò un altro, avventandosi a sua volta sull’uomo.
Guendalina avrebbe proprio voluto rimanere lì, immobile e sorridente, a godersi la scena. Il piccolo capannello di persone presenti però, era più inferocito che mai, e altre persone, dal porto, si stavano avvicinando incuriosite, non necessariamente con lo scopo di fare da pacieri tra le parti. Per cui, qualcuno più prudente di lei, quasi sicuramente Agnuska, le afferrò il vestito all’altezza della spalla e la trascinò via, evitando di finire nei guai. Andarsene fu un’ impresa: la gente spingeva, urlava, si faceva largo. Il rischio di cadere e farsi calpestare non era piccolo e ci volle quello che parve loro un secolo, per tornare a respirare comodamente. Dietro di loro guerriglia urbana, davanti a loro le navi e il mare.
- Oh, gli sta proprio bene. – commentò Guendalina, ridacchiando. – Ah, gli tremava la mano, quando ha visto quello che stavo facendo.
- Ora di sicuro perderà più di una corona. – Megarda era altrettanto gioviale, così come tutte. La loro amica si era comportata egregiamente.
- Bene. – Draga sorrise – Andiamo da qualche altra parte, qui direi che abbiamo rovinato l’atmosfera.
Senza rammarico, fecero per allontanarsi, distraendosi a guardare i giochi di luce del sole sull’acqua che lambiva le banchine, dimentiche del fatto che l’uomo che avevano appena gabbato aveva un complice. Non ebbero il tempo né di vederlo, né di udirlo: il trambusto alle loro spalle era troppo alto perché facessero a caso a lui. Fu Guendalina a sentire una salda presa sul suo polso e di uno strattone che la fece quasi cadere a terra; quando si girò a vedere cosa o chi la stesse trattenendo, capì di aver compiuto un’enorme sciocchezza.
- Certe cose, donzella, non restano impunite.
Vedendo che l’uomo brandiva un coltello, emise un gemito, cercando di liberarsi dalla stretta, ma fu qualcun’altra a fare la mossa decisiva. Senza pensarci, Draga aveva disarmato l’uomo con la magia. Prese dal panico, anche tutte altre l’avevano imitata estraendo la loro bacchetta, inclusa Guendalina, che si era allontanava quanto bastava da essere, così lei riteneva, fuori pericolo.
L’uomo rimase immobile a fissarle, quasi stordito.
- Non osate toccarmi, ladro. – minacciò Guendalina. Ora che aveva di che difendersi, aiutata dal provvidenziale aiuto di Draga, si sentiva sicura e pericolosa.
Sentendo la voce della ragazza l’uomo si scosse, e iniziò a urlare. – Streghe! Sono loro ad aver imbrogliato, il gioco delle carte era onesto! Io avevo vinto! Streghe! Fatele arrestare, hanno cercato di uccidermi!
Tutto il porto si voltò a guardarle. Erano in sei, contro una moltitudine non definita, e avevano in mano le bacchette. Non dovettero nemmeno parlarsi, ma scelsero di correre, cercando di sparire nei vicoli di Stoccolma.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo diciotto: gattabuia ***


Note: Sommersa da noiosissima fatti di vita sono scomparsa e desaparecida e me ne vergogno in maniera oscena, ma ieri notte ce l'ho fatta, ho vinto io e il capitolo si è finito! Tra l'altro sto anche cercando di farli un po' più lunghi, sennò non la finiamo davvero più. Ringrazio chiunque legga per la sua stoica pazienza e se volete lasciare un segno del vostro passaggio sarete certamente i benvenuti. Grazie, e non pestatemi XD. La ricostruzione storica, as usual è il più verosimile possibile, in caso di erroracci et similia fatemelo sapere, che mi cospargo il capo di cenere! Per la gioia di tutti, sappiate che Wilhelm è tornato :)


Capitolo diciotto: gattabuia

Le giovani streghe corsero, o per meglio dire fuggirono per i ponti, le strade e i vicoli della capitale. Se avessero conosciuto almeno qualche mago in città avrebbero potuto chiedere aiuto per nascondersi più agilmente, ma erano sole e, a parte l’uso di qualche incantesimo di Disillusione, non avrebbero saputo come difendersi. Guendalina sapeva che gran parte della colpa era sua e che per merito della sua spacconata tutto il porto avrebbe saputo fare una descrizione abbastanza curata di lei; perciò ebbe un’idea.
- Dobbiamo dividerci. – urlò alle sue compagne, mentre lo scalpiccio di molti piedi dietro di loro la rendeva spaventata come mai era stata in vita sua.
- Non ci contare! – le rispose Megarda, ormai con il fiato corto.
- Tanto sono io che ho lanciato l’incantesimo. – le disse Draga. – Siamo tutte nella stessa barca. – determinata a perseverare nella sua condotta, la ragazza si voltò per lanciare uno Stupeficium, sufficiente a disperdere buona parte dei loro inseguitori. L’espediente spaventò molti dei presenti, ma non risolse il problema, perché qualcuno aveva allertato le guardie reali e le aveva messe sulle loro tracce. E così, alla fine, guidate da una folla inferocita, le guardie circondarono tutte e sei le fuggiasche; a loro non rimase altro da fare se non schiacciarsi contro la parete di una casa, ormai senza fiato. Una dozzina di guardie le separava da autentici abitanti di Stoccolma agguerritissimi e pronti ad aggredirle.
- Streghe, a morte!
- Puttane del diavolo!
- Siano messe a morte! Hanno portato i draghi!
Com’era prevedibile, nessuno ebbe compassione di loro, ma presto il vociare confuso fu attenuato da una delle guardie, che prese la parola con fare autoritario: - Siete state pubblicamente accusate di stregoneria, e per questa ragione verrete arrestate per essere sottoposte a giusto processo! – mentre la guardia parlava a voce alta, in modo che tutti la sentissero, le altre si impegnarono a prendere in custodia le ragazze e a legarle. Agnuska, pallida come un cadavere, non si oppose né disse alcunché; Megarda si schiacciò contro il muro nel vano tentativo di scomparire, soffiando come un gatto; Draga e Izabela tirarono, strattonarono e lanciarono insulti alle guardie, senza che la cosa impedisse loro di essere ugualmente legate, anche se Draga si distinse a tal punto a forza di tirare calci che fu strattonata via direttamente per i capelli. Furono però Iwona e Guendalina le più difficili da portar via, perché reagirono come due furie, urlando, ringhiando e ruggendo: non l’ebbero vinta e furono destinate all’ennesima sorte delle compagne. Vennero tutte portate via in mezzo alla folla che faceva ala al loro passaggio sputando o facendosi il segno della croce. Fu un viaggio breve, ma per niente confortante.
Stoccolma era priva di un vero e proprio palazzo di giustizia e, generalmente, i prigionieri in  attesa di giudizio, così come quelli tenuti a scontare lunghe pene, venivano trattenuti all’interno del palazzo reale. Del resto, il re non veniva a conoscenza della maggior parte di loro. Trascinate, spinte e portate quasi di peso, le sei streghe fecero un ben poco onorevole ingresso nel palazzo dal lato ovest, e passando attraverso una serie di cortili di servizio vennero fatte scendere nelle viscere della fortezza.
Le prigioni erano, com’era prevedibile, tutto fuorché piacevoli: buie, umide e sporche. L’aria che vi si respirava era stantia e sapeva di escrementi umani. Percorsero un corridoio buio, male illuminato da alcune torce, inframmezzato da porte di legno con piccole finestrelle ad altezza d’uomo, protette da inferiate. In quei piccoli spazi si erano affacciati gli altri prigionieri della fortezza, intenti a guardare con una certa curiosità i nuovi acquisti; presto si diffuse la voce dell’accusa che aveva portato le ragazze in quel luogo, e allora tornarono gli sputi e gli epiteti volgari: Megarda dovette fare uso di tutta la sua freddezza per non scoppiare a piangere.
Alla fine una porta venne aperta, mostrando una cella vuota e squallida, vennero spinte dentro tutte insieme. Un attimo dopo sentirono alle loro spalle il rumore della serratura che veniva fatta scattare: erano prigioniere.
Si guardarono intorno: un secchio in un angolo, pagliericcio piuttosto vecchio in terra e qualche coperta su una panca. La luce filtrava da una piccola finestra in alto, sulla parete opposta rispetto alla porta, e sbarrata da inferiate.
- Dobbiamo andarcene da qui. – furono le prime parole di Draga, tra tutte, quella che aveva mantenuto più lucidità.
- E come?
- Sveglia, Agnuska! Ti pare saggio rimanere qui? Come se non fossimo in grado di far scattare una serratura!
- Ma se… - Iwona borbottò qualcosa, scambiandosi occhiate con le altre.
- Se cosa? Siamo streghe, fuggiamo di qui! Qualcuna di voi ama così tanto questo posto da volerci rimanere? -  sbottò Draga.
- Ma ragiona, non sapresti che fare una volta aperta quella porta, lo sai anche tu. – Far saltare la serratura sarebbe stato davvero il meno, questo lo sapevano. E una volta fuori? Nessun prigioniero le avrebbe aiutate, anzi, sarebbero stati i primi a dare l’allarme. Com’erano state prese una volta sarebbero state prese una seconda, questo era certo.
- Potrei zittire tutti prigionieri, e spaventare le guardie. Posso farlo! – insistette Draga.
- E allora perché ci hanno preso? – Guendalina non aveva ancora preso la parola, e quando lo fece, lo fece con voce cupa. – A rigor di logica saremmo dovute scappare.
- E’ stato un caso… - insistette Draga, meno convinta.
- No. – di colpo la baldanza, la sicurezza e la convinzione di Guendalina Godefroid erano sparite, rimaste altrove.
- Ma a Durmstrang ci cercheranno. – disse Izabela.
- Sempre che non siano già sulle nostre tracce. – convenne Megarda. – Se c’è qualcuno che può tirarci fuori di qui è Mastro Guinifredo, o qualcuno in sua vece.
- Mio padre mi ucciderà, quando lo verrà a sapere. – sospirò Agnuska.
- Se non lui ci penserà il re, con le nostre accuse si muore. – rispose Draga. – Per questo insisto che dovremmo andarcene adesso. Tenterò anche da sola.
Nella cella calò il silenzio; Draga esclusa, parevano tutte così mortificate e spaventate da non saper reagire.
- Codarde! – sibilò la ragazza dai capelli ricci. Nessuna pensava che avrebbe osato farlo, ma dovettero ricredersi quando fece scattare la porta con un Alohomora. – Chi viene con me? – si voltò un’ultima volta, agguerrita. Iwona, Izabela e Megarda le furono dietro, lasciando Agnuska e Guendalina nella cella, una troppo spaventata per fuggire, l’altra troppo annichilita.
Entrambe, guardandosi negli occhi, si misero ad ascoltare i rumori, confusi, che venivano dall’esterno; i passi delle amiche, le urla dei prigionieri prima e delle guardie poi. Durò per qualche minuto, e poi niente.
- Devono essere fuori, nel cortile. – bisbigliò Agnuska, mentre Guenda annuiva in silenzio. Altre voci indistinguibili e lontane, poi nulla.
- Ci verranno a prendere, dovessero farcela?
- Non lo so, Agnuska. – Draga non era sembrata particolarmente incline alla gentilezza; aveva lanciato loro uno sguardo abbastanza irritato e disgustato, prima di uscire. – Ma è probabile che chiederà aiuto.
- Lo spero.
Passarono quelle che, per Guenda e la sua compare rimasta, sembravano ore. La luce, dalle piccole finestre a bocca di lupo era cambiata: ormai era pomeriggio inoltrato, e il sole faticava ad illuminare. Le ombre si stavano allungando, così come aumentava la paura di Guenda.
All’imbrunire tornarono a sentirsi urla e passi e la cosa preoccupò le due prigioniere: essere donne ed essere in prigione non era notoriamente una buona cosa, ma ebbero i brividi quando sentirono le voci delle compagne, voci incrinate e sofferenti: erano state catturate di nuovo.
Ci fu del trambusto, rumore di colluttazione, tutto coperto dalle voci e dalle grida degli altri prigionieri, poi quattro sagome vennero gettate nella loro cella semibuia come sacchi, prima che la porta venisse sprangata di nuovo.
- Al prossimo tentativo verrete passate con la spada. – disse una guardia, prima di lasciarle.
Agnuska fu la prima a gettarsi vicino a loro, nessuna delle quattro aveva un bell’aspetto; le guardie si erano sentite in diritto di usare maniere più forti, rispetto alla mattina, per riportarle indietro.
Iwona e Megarda erano tremanti ma in salute, mentre Draga era chiusa in un mutismo quasi preoccupante: il suo orgoglio era troppo ferito perché osasse aprire bocca.
- Siamo arrivate fino al cortile esterno. – spiegò Izabela, affranta. – Là eravamo allo scoperto: nessun posto per nascondersi, non avevamo idea di dove andare per riuscire ad uscire, e loro erano troppi, anche per una strega. O per quattro.
- Mi dispiace. – ammise Guendalina.
Rimasero in silenzio, al buio, sedute vicine sul pagliericcio, in attesa che venisse portata loro la cena, o qualcosa di simile. Quando cominciò ad intravedersi uno spicchio di luna in cielo, una guardia portò loro sei ciotole in legno, contenenti una brodaglia tiepida e insapore, che mangiarono grazie a vecchi cucchiai scheggiati. Fu deprimente e umiliante oltre ogni dire, ma nessuna osò fiatare, o lamentarsi.
Alla fine, stanche e provate, le ragazze si avvolsero nelle coperte e, complice l’incantesimo riscaldante che avevano usato, si addormentarono in breve tempo. Tutte tranne due.
- Dispiace anche a me, sai? – bisbigliò Draga, piano, rivolta verso Guendalina, accanto a lei.
- Per cosa?
- Mi spiace di averti dato della vigliacca e di averti lasciato qui con Agnuska, presa dalla mia voglia di fuggire.
- Io speravo riusciste, e che pensaste a come chiamare aiuto anche per noi. – ammise Guendalina.
- L’avrei fatto. Ero arrabbiata con te, ma ti giuro che l’avrei fatto.
Nell’oscurità, Guenda cercò la mano di Draga, e la strinse. – Ci sono andati giù pesanti?
La ragazza dovette attendere per un bel po’ una risposta, e finì per temere di non riceverne alcuna.
- Puoi immaginare. Minacce, per lo più. – disse infine Draga.
- Iwona zoppicava, l’ho vista io. – insistette, con voce preoccupata. – E tu non hai parlato per ore.
- Il mio è orgoglio ferito, davvero. Nessuna si è presa più di qualche schiaffo. Tutto sommato hanno paura, di noi.
- Non saremmo mai dovute partire.
- Troppo tardi per pensarci, Guenda. Vedremo come andrà.
Nessuna vide le lacrime dell’altra, o sentì singhiozzi, ma entrambe si ritrovarono a tirare su con il naso più di una volta, prima di addormentarsi. La loro unica speranza era che qualcuno, da fuori, si accorgesse della loro assenza.
 
                                                               ***
 
E qualcuno, in effetti, le aveva scorte. Maria, la vecchia compagna di scuola di Hilda, la Nata Babbana, si era ormai trasferita da qualche tempo a Stoccolma, perché aveva sempre sopportato a fatica i piccoli orizzonti di Lulea, dov’era stata cresciuta, dopo il suo arrivo a Durmstrang, e dopo il convento. Era stata avvertita del tafferuglio da una passante, e aveva intravisto Guendalina giusto un momento prima che venisse trascinata via dalle guardie. Allarmata, senza nemmeno chiedersi cosa ci facesse la sorella di Hilda in quel pasticcio, scrisse alla sua amica un messaggio quasi telegrafico, ma chiaro. Poi, si precipitò al palazzo di Ser Wilhelm.
Di norma una semplice sarta come lei non sarebbe stata ricevuta nella bella dimora di un signore che possedeva terre e beni, ma i maghi erano bravi a mettere da parte le convenzioni, soprattutto nei casi di emergenza.
Affrettandosi il più possibile, Maria raggiunse la dimora del mago nel primo pomeriggio.
La casa era, all’apparenza, molto anonima; identica a quella di un qualunque borghese abbastanza ricco da potersi permettere qualche lusso. Re Alberto non permetteva ai suoi nobili  di possedere immobili troppo sfarzosi in città, perciò chi non voleva guai doveva adeguarsi.
Maria bussò al portone sul retro, l’ingresso esclusivo per gli ospiti con poteri magici, e attese che qualcuno venisse ad aprire. Seminascosto dall’oscurità comparve un piccolo Elfo Domestico molto guardingo, che la fissò con aria ostile.
- Ho bisogno di parlare con il tuo padrone. Oggi sono state arrestate delle streghe, streghe vere. – aggiunse, parlando con tono concitato.
Inchinandosi leggermente, l’Elfo si scostò per farla entrare, e richiuse subito la porta. Maria si guardò intorno smarrita in quell’ingresso buio e spoglio.
- La strega deve seguire Crispin e attendere fuori. Al padrone non piacciono gli ospiti inattesi.
- E sia. – docilmente, Maria seguì la creatura su per le scale, ritrovandosi di colpo inondata dalla luce che filtrava dalle finestra a losanga del piccolo loggiato chiuso che presto si trovò ad attraversare.
- Dovete attendere. – disse ad un certo punto Crispin con aria decisamente pomposa, prima di bussare ad una porta in fondo al corridoio.
Maria attese con pazienza, e quando l’Elfo si ripresentò per chiamarla, vi furono altre scale, altri corridoi e altri passaggi. Alla fine, fu condotta alla presenza del cavaliere.
L’accolse in uno studiolo piccolo, le cui pareti erano coperte da arazzi magici con una piccola scrivania e un piccolo camino incastonato in un angolo. Maria si guardò intorno con aria intimidita, aspettando che fosse il padrone di casa, in piedi davanti a lei, a rompere questo silenzio.
- Vi chiedo scusa per l’accoglienza in questa stanza, inadatta a ricevere ospiti, ma di rado ricevo visite inattese. – disse, con un lievissimo fastidio nella voce.
Imbarazzata, Maria fece una piccola reverenza. – Mi scuso, ser Wilhelm, ma sono qui per parlarvi con urgenza.
- Sì, è quello che Crispin ha lasciato intendere. Avanti dunque.
Benchè fossero più o meno coetanei, Maria provò un’incredibile soggezione a conferire con quell’uomo, come se l’insicurezza dei suoi undici anni non l’avesse mai lasciata. Trasse un profondo respiro, e parlò. – Immagino abbiate sentito dell’arresto delle streghe di oggi.
- Sì, e non ne sono sorpreso. Di questi tempi tutti cercano facili vittime.
- Ho ragione di credere che si tratti di vere streghe. Una di sicuro lo è. Un’ungherese, una giovane studentessa di Durmstrang, non deve avere che sedici o diciassette anni.
- Una studentessa della scuola di magia? – Wilhelm invitò la sua ospite a sedersi con un gesto della mano, mentre lui assumeva un’espressione molto sorpresa. – Guinifredo aveva sospeso il viaggio a Stoccolma.
- Qualcuna deve aver pensato di non dare retta al Gran Maestro. – commentò Maria. – E’ probabile che si siano messe in un mare di guai. Io ho scritto alla sorella di Guendalina, ma dall’Ungheria non potranno fare nulla e non sapevo se avvisare Durmstrang. Sono molto giovani e di sicuro impreparate a quello che potrebbe accadere loro.
- Ma come possono essere arrivate qui? Possibile che da Durmstrang non si siano accorti dell’assenza di alcune streghe? – Wilhelm si avvicinò al camino, dando le spalle alla strega. I personaggi sugli arazzi borbottarono confusamente.
- Devono aver approfittato della sospensione delle lezioni. Nessun appello e nessun controllo, lo sapete quanto me.
- Già… - Wilhelm si voltò di nuovo verso Maria. – Quante ragazze?
- Io ne ho contate sei, ma non posso garantire che siano tutte streghe. – Maria si morse il labbro. – Pensate di riuscire a fare qualcosa? Mi scuso di essere piombata così a casa vostra, ma siete una delle personalità più esponenti in città e confidavo su di voi.
Ser Wilhelm sorrise con aria stanca: era ancora provato dalle sue ultime battaglie, e avrebbe di certo preferito evitarsi una grana del genere. – No, avete fatto bene. Non potrò fare nulla prima di domani, quando potrò forse chiedere di poter vedere le streghe in questione. Scriverò io a Mastro Guinifredo, spiegando la situazione, voi avete svolto degnamente il vostro compito.
Maria sorrise. – Posso domandarvi un’altra cortesia?
- Quale?
- Vorrei essere tenuta al corrente dello svolgersi della faccenda, per poter avvisare la mia amica ungherese. Può darsi che voglia giungere a Stoccolma, ma non vorrei stesse troppo in pensiero.
Il volto del cavaliere si rilassò, mentre andava a sedersi dietro al suo tavolo, in modo da poter guardare negli occhi Maria. – Certamente. Mi auguro che troveremo il modo di salvare quelle ragazze, anche se ci sarà il processo, e conseguentemente, il rogo.
Di colpo il volto di Maria si incupì. – Nessuna possibilità di dichiararle innocenti?
- Quasi nessuna, a meno di non voler far nascere sospetti su di me, sull’intera comunità. Non è questo che desidero, e inoltre, anche il rogo, sapete, è un problema che si può aggirare.
- Ma le giovani ne saranno in grado?
- Farò in modo che sopportino le conseguenze delle loro azioni senza trarne troppi danni. Avete la mia parole di cavaliere.
Maria ringraziò e si congedò da ser Wilhelm. Fuori, per le strade, non si fece altro che parlare degli avvenimenti della mattina, e ancora di più si parlò quando iniziò a circolare la voce che alcune prigioniere avevano tentato la fuga, arrivando quasi a raggiungere la cinta esterna delle mura, prima di essere riacciuffate. La strega rumena, una volta considerata maledetta dai suoi genitori, al punto di volerla abbandonare, rientrò nella bottega in cui lavorava e si mise a cucire con aria cupa.
- Che fine avevi fatto? – le chiese la corpulenta proprietaria.
- Ero andata a sentire qualcosa sulle prigioniere.
- Quelle brutte streghe? Ah! Spero che le brucino come un bell’arrosto, non si meritano nient’alto, credi a me, Maria!
Maria sospirò, e iniziò a pregare per Wilhelm e Guendalina.
 
 
 
 


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Capitolo 20
*** Capitolo diciannove: Freddafiamma ***


Note: Con orribile, orribile ritardo giungo FINALMENTE ad aggiornare. Cos'è successo? Niente, ho semplicemente scritto altre cose, come si può notare dal mio account e Guenda... Guenda ne ha un po' sofferto, ma non voglio che accada più, promesso! Spero vogliate perdonarmi, e spero che questo capitolo possa essere d'aiuto ad essere clementi con me! :3

Capitolo diciannove: Freddafiamma

Guendalina e le sue amiche non potevano immaginarlo, ma le notizie corsero rapide e veloci, mentre loro languivano in prigionia. La missiva di Maria raggiunse Hilda a Dazelburg pochi giorni dopo, mentre dava una mano alla bottega del padre. Il messaggio lasciò la giovane in preda allo sgomento, poi alla rabbia. Che ci faceva sua sorella, a Stoccolma? Non aveva scritto loro non più di due settimane prima lamentandosi del fatto che non avrebbero abbandonato il castello prima della fine delle lezioni? Non era stato abbastanza chiaro, Mastro Guinifredo? La faccenda era grave, gravissima, e non riusciva ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere alla sorella, là in prigione. Rimase così, ferma a testa china sul bancone, fino a che il padre non la riscosse, chiedendole se si sentiva bene. Porse ad Adalberto la pergamena con gli occhi lucidi.
- E’ da parte di Maria.
Il padre, dapprima perplesso, sbiancò letteralmente, leggendone il contenuto.
- Come è arrivata fin laggiù? Come ha fatto a farsi scoprire?
- Non lo so. Deve essere stata vista mentre praticava un qualche incantesimo.
- Maria parla di altre cinque giovani; le ha trascinate con sé in questa follia, come hanno potuto seguirla!
Hilda abbassò la testa, pensierosa. Guendalina era sempre stata brava a farsi dare retta da tutti, e non dubitava del fatto che anche a scuola godesse di una discreta popolarità tra le sue compagne.
- Credi che a Durmstrang lo sappiano?
- No, Hilda, o Guinifredo di sicuro ci avrebbe scritto. – Adalberto si passò una mano davanti alla faccia, preoccupato.
- Maria ha scritto che mi terrà informata di quello che accadrà, vuole chiedere aiuto alla comunità magica di Stoccolma.
- E intanto mia figlia marcisce in prigione! – il mago sospirò, nervoso. – Maria è stata sollecita e molto cara, ma non basta.
La giovane sapeva che il padre era preoccupato e frustrato almeno quanto lei. Non osava pensare alla reazione di Sigfrida, quando avrebbe udito le notizie. Riflettè un momento, prima di dar voce ai suoi pensieri.
- Potrei andare io a vedere. A cavallo di una scopa dovrebbe essere semplice, posso raggiungere Durmstrang in una nottata, e da lì poi muovermi a Stoccolma.
Adalberto per un pezzo diede segno di non udirla, continuando a rigirarsi la pergamena fra le mani, angosciato. Ad un certo punto estrasse la bacchetta, e cancellò il messaggio di Maria.
- E’ meglio non lasciare prove. – prese la penna, la intinse nell’inchiostro e cominciò a scrivere. – La tua idea è buona, perciò ti chiedo di partire immediatamente e di consegnare questo messaggio a Guinifredo e a lui soltanto. Intesi?
- Ma mamma…
- Cerca di prendere il necessario per il viaggio senza farti vedere da lei, voglio essere io a parlarle. Allontanati dai centri abitati e poi prendi il volo.
Con il cuore gonfio di angoscia, Hilda abbracciò suo padre e si apprestò a fare i suoi leggeri bagagli. Le circostanze le furono d’aiuto, poiché si accorse presto che sua madre non era in casa, probabilmente intrattenuta da una vicina a chiacchierare, perciò, ringraziata la sua fortuna agguantò la scopa, denaro e un ricambio d’abito e prese rapidamente la via dei campi, e non appena l’orizzonte fu sgombro prese il volo. Sapeva che avrebbe dovuto dirigersi senza indugi e senza distrazioni in Svezia, ma non sapeva cosa avrebbe dovuto affrontare a Stoccolma e non aveva voglia di farlo da sola; cedette perciò al suo istinto e ai suoi egoistici desideri, virando verso Liberec, e giungendo davanti alla casa di Franz poco prima del tramonto.
Bussò con urgenza alla porta, e fu la madre del suo amico ad aprirle, un’alta donna dai capelli rossi che le sorrise dolcemente, non appena Hilda si presentò.
- Un po’ sfacciato da parte di una giovane strega nubile presentarsi così all’improvviso a casa di un mago.
- Vi chiedo scusa, - rispose Hilda arrossendo – non avrei osato tanto se non si trattasse di mia sorella, si è cacciata nei guai a Durmstrang, e volevo chiedere aiuto a Franz.
La strega sorrise di nuovo. – E vuoi che ti accompagni, voi due soli, verso la Svezia? Sempre peggio. No, no, non arrossire di nuovo. Capisco che sei preoccupata, ed è meglio che una donna non viaggi sola, se può. Franz è in fondo alla strada, starà rientrando, sono certa che ti darà una mano.
Hilda ringraziò e si precipitò nella direzione indicatale mentre la madre di Franz sospirava. – Del resto se non si è mosso lui doveva pur muoversi lei, sia benedetta la sorella Godefroid. – disse tra sé e sé, mentre richiudeva la porta.
Franz, che da tempo si era rassegnato al colore dei suoi capelli e non li tingeva più, sbucò da un angolo della strada, e si ritrovò Hilda praticamente in braccio.  Fu sorpreso e felice di rivedere la sua vecchia e cara amica, ma si incupì molto quando sentì perché era venuta da lui.
- Temo che la processeranno per stregoneria, la manderanno al rogo, quella stupida.
- Non è un problema insormontabile, Hilda, ci sono incantesimi che possono ovviare al problema.
- Io non so se mia sorella li conosce, quegli incantesimi, e non posso sapere quanto sarà rapido l’aiuto da Durmstrang o da qualunque altro in città. Io devo andare su e… - Hilda si bloccò, in imbarazzo. – Ha ragione tua madre, è inopportuno.
- No. – Franz le prese la mano. – E’ molto opportuno, invece, e nessuno avrà da ridire. Verrò con te, devi solo darmi il tempo di prendere il necessario, seguimi. – l’accompagnò in casa sua, e ignorò volutamente le domande a trabocchetto di sua madre, mentre raccoglieva i vestiti e la sua scopa.
- Tuo padre riderà molto, quando lo saprà.
- Digli che è una faccenda seria per cui non c’è niente da ridere.
Senza fiatare, la donna avvolse del pane in un fazzoletto e lo porse a Hilda. – Anche gli sfacciati devono mangiare.
- Grazie. – Hilda si sentiva in colpa. Non aveva dato spiegazioni a quella donna, e lei si stava fidando, o fingeva di fidarsi delle loro intenzioni, dando loro anche delle provviste. – Mi dispiace non potervi spiegare meglio che succede.
- Lo farà Franz al suo rientro, e sarà meglio che sia una spiegazione convincente. Ora andate.
Attesero che le strade si facessero deserte, spiando i passanti dalle finestre con l’imposte accostate; quando la via fu libera presero il volo.

                                                                  ***
Il primo giorno di prigionia, per Guendalina e le altre, fu pietoso. Rinchiuse lì, senza notizie dal mondo esterno, in una cella sempre troppo buia e troppo sporca, il tempo sembrò non passare mai. Nel pomeriggio una pioggia torrenziale si abbatté sulla capitale e l’aria si riempì di un’umidità ancora più insopportabile, lì dove si trovavano. Il peggio fu quando l’acqua cominciò a colare dalla bocca di lupo, unica apertura verso l’esterno, creando una piccola cascatella e bagnando tutta la paglia del pavimento.
Megarda ebbe una crisi di pianto, e fu merito della ritrovata calma di Agnuska, che ovviò al problema con la magia, se tutte mantennero il controllo di sé. Ad eccezione della consegna della cena, non ebbero visite.
- Non durerà a lungo. – disse Draga, grave. – Tutta la città conosce le nostre facce e ci ha viste. Presto credo verremo gettate in pasto alla folla di nuovo.
- Dio non voglia. – sospirò Izabela, con voce rotta.
Eppure ci fu qualcosa di profetico, nelle parole della giovane boema dai capelli ricci, poiché il mattino dopo, quando il sole era tornato a splendere sulla città, sentirono il cigolio della chiave nella toppa.
Fu per sciocco istinto che tutte e sei si schiacciarono contro la parete di fondo della cella, perché di certo non avrebbero potuto nascondersi o rendersi invisibili, cercando di non prestare attenzione al nuovo arrivato.
- Sono pericolose, messere, io non vi consiglio di rimanere solo con sei di loro…
- So bene a cosa vado incontro, e non possono di certo essere peggio di un drago. Lasciatemi solo con loro, se non vi dispiace. – lo straniero zittì la guarda con fare sufficientemente perentorio da convincerlo ad inchinarsi brevemente e da uscire, chiudendo la porta dietro di sé.
- Chiamatemi quando vorrete uscire. Resterò in zona. – disse la guarda, mentre faceva di nuovo girare la chiave nella toppa.
Era stato uno scambio breve, ma era stato sufficiente ad incuriosire Guendalina e a farle alzare lo sguardo, riconoscendo lo sconosciuto.
- Ser Wilhelm! – bisbigliò.
- Muffliato. – disse l’uomo, lanciando un incantesimo sulla cella. – Con questo nessuno potrà sentire e origliare il nostro incontro.
- Come ci avete trovato? – chiese Iwona.
- Siete la notizia del giorno, fanciulle, difficile non sapere nulla di voi. Siete fortunate, però. Una di voi è stata riconosciuta e quella persona è corsa ad avvisarmi.
Per le sei fuggitive di Durmstrang fu come assaggiare miele: era splendido sapere di non essere abbandonate a loro stesse, ma non c’era traccia di sorriso sul volto del cavaliere.
- Ho scritto a Mastro Guinifredo, visto che siete fuggite da scuola contro il suo espresso volere.
- Era necessario? – domandò Guendalina.
- A dir poco dovuto, non avete idea del danno che avete causato. - Wilhelm si avvicinò a loro e abbassò la voce. – Avete agito imprudentemente e come delle sciocche, questo è indubbio, ora bisogna solo pensare a come farvi uscire da qui, però. E questa è una mia responsabilità.
- Alcune di noi hanno tentato la fuga… - Draga si tormentò una ciocca di capelli. – Non è andata bene.
- E vorrei che non ci riprovaste più, non saranno gentili con voi.
- E allora come? – chiese Agnuska.
- Nelle vostre condizioni non è possibile impedire a nessuno di considerarvi vere e autentiche streghe. Vi hanno visto in troppi. Uscirete di qui solo per subire un processo per stregoneria da cui, qualunque cosa direte, verrete condannate al rogo.
Le sei ragazze trasalirono, benché non si trattasse di un’assoluta sorpresa. Avevano pensato di poter ricorrere ad una scappatoia, grazie a Ser Wilhelm, ma evidentemente erano troppo compromesse.
- Useranno torture? – osò chiedere Izabela.
- No, non se ammetterete subito le vostre colpe. – la voce di Wilhelm si fece più morbida e tranquilla. – Date loro le risposte che desiderano e almeno questo vi verrà risparmiato.
- E per il rogo?
Wilhelm sospirò. – E’ il vero motivo per cui sono qui, in realtà. Esiste un incantesimo che rende le fiamme fredde e piacevoli, e dovrete imparare ad usarlo prima che veniate giustiziate.
- Saremo legate, e anche se fosse noi finiremmo per non bruciare, potrebbero accorgersene.
Il cavaliere si concesse un sorriso: - Non avete mai assistito ad un rogo di streghe, immagino.
Le sei giovani fecero segno di no con la testa.
- E’ semplice nascondere la bacchetta nella propria veste, e le corde non sono mai troppo strette. Cederanno facilmente con le prime fiamme. Quanto al resto dovrete lanciare un Incantesimo di Disillusione, ma questo può essere fatto anche dagli spettatori presenti all’evento. Quello che conta  è che voi rimaniate vive e in salute.
- Qual è l’incantesimo, mio signore? – chiese Agnuska.
- Freddafiamma. Dovrete esercitarvi dando fuoco alla paglia, e cercando di rendere il fuoco innocuo per le vostre carni. Io tornerò domani notte per controllare che tutto stia procedendo come deve.
- Ma le guardie…
- Io so come non essere visto, qui. Ora, fanciulle, è necessario che io me ne vada. Sapete di non essere sole, e sapete che riceverete aiuto. Ora viene il vostro turno.
Ser Wilhelm diede un colpo alla porta, e una guarda corse ad aprire.
- Spero non vi abbiano dato problemi, ser.
- Ne daranno ancora per poco. Presto saranno morte. – rispose il cavaliere, prima di andarsene.
Fu un colloquio breve, ma illuminante per le giovani streghe. Di colpo le ore di inutile inattività ed attesa divennero momenti di febbrile lavoro sull’Incantesimo Freddafiamma e sui vari tentativi delle ragazze di incendiare la paglia senza farsi scoprire. Dovettero rendere la cella silenziosa, lasciare una o due di loro in guardia a seguire i rumori provenienti da fuori, mentre le altre quattro, a turno, cercavano di trovare un modo per non morire arse vive.
Non fu difficile trovare il modo di causare piccoli incendi controllati, Agnuska era brava con gli incantesimi d’acqua, e riusciva a porre facilmente fine ai roghi delle amiche. Più complicato era pronunciare correttamente la formula suggerita da ser Wilhelm e vedere di non bruciarsi.
Izabela fu la prima a tentare, pronunciando l’incantesimo con voce troppo flebile ed insicura; non appena posò la mano sulla piccola fiammella a terra ne avvertì il calore, e sospirò, affranta.  
Iwona tentò comunque di posarci la mano sopra, e la smorfia di dolore che ne seguì rese chiaro il suo fallimento. Draga, Guendalina e Megarda non furono da meno. In condizioni normali, a scuola, sicure e protette dalle mura di Durmstrang, le ragazze avrebbero sospirato scocciate, avrebbero abbandonato l’impresa e avrebbero atteso tempi migliori. Ma la sicurezza del castello nel nord della Svezia era ormai lontano, dalle loro capacità dipendeva la loro stessa vita, e per questo non si fermarono fino a tarda sera, quando ricevettero per cena pane secco e una brodaglia dall’inquietante colore grigio.
- Vorrei saper trasfigurare il cibo. – disse Megarda, ingoiando con aria disgustata il primo boccone.
- Prima impareremo a controllare le fiamme, poi faremo anche questo, non temere.
La speranza donatale da Ser Wilhelm avevano restituito forza e fiducia a Guenda, che sentiva ancora pesare su di sé la responsabilità dell’accaduto. Doveva assolutamente imparare a salvarsi, e doveva impararlo al più presto.
Le prove dell’incantesimo Freddafiamma continuarono il giorno seguente e fu con soddisfazione che Guendalina, alla fine, riuscì a far passare la propria mano attraverso il fuoco.
- Fa solletico. – disse, eccitata.
- Sicura? Non brucia?
- Tutt’altro, è fresca e piacevole, prova a mettere tu stessa la mano, Agnuska.
Titubante, Agnuska seguì il consiglio dell’amica, ed in breve le altre fecero altrettanto. La speranza di potersela cavare si faceva reale, ora; così, grazie ad una certa dose di ostinazione, per la fine della giornata furono tutte in grado di domare il fuoco, e Ser Wilhelm ne sarebbe di sicuro stato compiaciuto. Sarebbero sopravvissute al rogo.

                                                                    ***

Nel frattempo, Franz e Hilda si affrettavano per raggiungere Durmstrang e da lì Stoccolma. Arrivarono al castello a metà mattina, stremati; Hilda era tesa e nervosa e la sua voce tremò quando chiese di essere ricevuta da Guinifredo. Quando entrambi fecero il loro ingresso nelle sue stanze, la giovane crollò pesantemente su una sedia, mentre Franz rimase dietro di lei in piedi, come un cane da guardia, con le mani appoggiate alle sue spalle.
- Ho ragione di credere che mia sorella ed altre cinque studentesse corrano gravi pericoli a Stoccolma. – esordì Hilda, porgendo il messaggio del padre a Guinifredo. Mentre il mago leggeva, la ragazza spiegò brevemente di come Maria l’avesse avvisata e di come lei stessa si fosse precipitata in Svezia. Guinifredo ascoltò in silenzio, alzando appena lo sguardo su Franz, la cui chiara estraneità alla faccenda lo rendeva una presenza curiosa, poi prese la parola.
- Ser Wilhelm, che abitualmente risiede a Stoccolma, ci ha avvisato dell’accaduto. Vostra sorella e le sue cinque compagne sono fuggite da scuola e sono tutt’ora prigioniere nelle prigioni del castello, in attesa di subire un processo per stregoneria.
Hilda annuì, pallida. – Le attende il rogo.
- Prima di questo, però, le attende il processo. Ser Wilhelm mi ha assicurato che darà alle sei impudenti fuggitive tutte le istruzioni del caso per sopravvivere. Ho piena fiducia nel cavaliere, ed egli è ben stimato alla corte del re, soprattutto dopo la questione dei draghi qui nel nord.
- Perciò dovremmo semplicemente attendere il corso degli eventi? – chiese Franz, intromettendosi.
- Solo la famiglia Godefroid era già al corrente del fatto, quindi la missiva che è da poco stata inviata alle famiglie delle sei scomparse non giungerà come una novità, almeno per voi. Da qui il mio potere è poco; non ho contatti con il tribunale di Stoccolma che le condannerà. E’ la comunità magica della città che potrà intervenire, fermo restando che la legge verrà applicata in ogni caso. Raggiungerò la capitale il giorno dell’esecuzione per assicurare alle giovani un sicuro rientro e un’adeguata punizione.
- Quanto a noi?
- So che l’ultimo dei vostri desideri è rimanere qui in attesa. Vi suggerisco di riposare e poi di andare a Stoccolma e seguire gli sviluppi della questione.
Hilda e Franz annuirono. Avevano entrambi bisogno di un lungo riposo, prima di riprendere il viaggio.
 
 

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Capitolo 21
*** Capitolo venti: il processo ***


Note: come di consueto mi scuso per l'immenso ritardo con cui mi accingo a pubblicare. Certo sempre di mantenere il ritmo di almeno un capitolo al mese ma il destino, altre storia, ma soprattutto la vita di tutti i giorni, mi risucchiano via più tempo di quanto vorrei. Spero non mi odierete per questo e spero che apprezzerete anche questo capitolo che, anche se non sembra, è stato scritto con tanto amore. Al solito, segnalatemi pure svarioni vari, vedrò di correggerli!

Capitolo venti: il processo

Ser Wilhelm si era Materializzato nella cella delle prigioniere all’alba, cogliendole nel sonno. Era in piedi, avvolto da un lungo mantello scuro, al centro della piccola prigione, con bacchetta in mano, per illuminare un poco la stanza.
- Oggi è un gran giorno, fanciulle, dovreste svegliarvi. – le chiamò.
- Ci sarà il processo? – Agnuska sbadigliò aprendo gli occhi.
- Sì, la vostra condanna sarà certamente emessa entro il pomeriggio.
- A quando l’esecuzione? – Guendalina si era alzata in piedi, assonnata.
- Entro pochi giorni, sarà uno spettacolo molto atteso. Per questo sono qui, devo verificare i vostri progressi con l’Incantesimo Freddafiamma, ed è meglio farlo in fretta, prima che qualcuno noti qualcosa.
Le ragazze, ormai tutte sveglie e armate di bacchette, evocarono delle fiamme e le resero innocue; Guendalina ridacchiò, quando passò il braccio in mezzo al fuoco, fresco e piacevole. – Non è stato facile. – disse, non riuscendo però a nascondere la sua soddisfazione.
Wilhelm annuì, soddisfatto: il fatto che fossero tutte riuscire a destreggiarsi con la magia in quel modo avrebbe certamente reso le cose più semplici.
- Rendo omaggio al vostro merito. Per oggi, intanto, preoccupatevi solo di quello che accadrà in tribunale.
- C’è qualcosa che dovremmo dire? – s’informò Iwona.
- Non in questo caso, siete libere di dire quello che preferite. Io sarò lì, e sarò tra i vostri accusatori più feroci.
- Ma… - Megarda rimase interdetta, anzi sorpresa da quelle parole. Si aspettava che Ser Wilhelm avrebbe fatto parte della difesa.
-  Io devo rimanere insospettabile, mie giovani. Difendo solo i Babbani ingiustamente accusati di stregoneria, non altri.
Fece un inchino e si Smaterializzò con un crack, lasciando le sei giovani sole.
Ormai sveglie, Guenda e le sue amiche si ritrovarono ad aspettare la chiamata per il processo, chiamata che, quando giunse, le fece trasalire. Fu una delle guardie che le aveva arrestate ad aprire la porta della loro cella e ad apostrofarle in malo modo.
- E’ giunta per voi l’ora del processo. – si fece avanti, facendo entrare nel campo visivo delle streghe altre due guardie, che si avvicinarono per incatenarle. – Questo serve ad evitare sorprese. – disse. Poi fece un cenno ai suoi compari, e tutti e tre spinsero fuori le ragazze.
Per quanto fosse spiacevole ricevere di nuovo epiteti raccapriccianti dagli altri prigionieri era un piacere invece riemergere dalla pancia del castello rivedere il sole e l’aria fresca. Una volta giunte al cortile, vennero scortate in un palazzone isolato, rispetto agli altri, cupo e minaccioso: il palazzo di giustizia. Di nuovo, tornarono ad avere a che fare con ambienti cupi e stretti, ma decisamente meno maleodoranti delle prigioni, e infine si ritrovarono in un aula di tribunale.
La sala era gremita: i banchi di legno per il pubblico sembravano ospitare tutta Stoccolma, ed occupavano tre lati dello stanzone rettangolare; loro si erano intrufolate con le guardie da una porticina laterale, accanto agli scranni dove stavano i giudici; Draga, che alzò lo sguardo su di loro, ne rimase impressionata: tra loro c’era lo stesso Ser Wilhelm, una maschera di impenetrabile severità.
Furono portate tutte quante, con discreta malagrazia a dire il vero, al centro dell’aula, mentre il fragore e, di nuovo, gli insulti, la facevano da padrone. Fu solo quando i giudici si alzarono in piedi per iniziare il processo che il caos cominciò lentamente a scemare, lasciando spazio ad un brusio di sottofondo. Le streghe si scambiarono un’occhiata, poi abbassarono gli occhi a fissare le loro mani legate: sarebbero rimaste così ancora per poco.
- Si chiede silenzio in aula per procedere nell’esaminare le accuse rivolte a queste sei donne. – uno dei sei giudici, un prete, a quanto si poteva intuire dall’abito scuro, aveva preso la parola. La voce era ferma e chiara, dallo sguardo trapelava puro odio. L’impressione dovette essere notevole, poiché nella sala calò il gelo. – Costoro, - riprese, a voce alta. – sono state arrestate perché colte sul fatto mentre eseguivano atti di stregoneria, contro natura e contro Dio!
- Padre Ian, è ora dunque di interrogare le imputate. – rispose uno degli altri giudici, alzandosi a sua volta. - Draga Claes, è questo il vostro nome? – chiese, rivolto ad una delle ragazze.
Draga, preoccupata, alzo lo sguardo verso Ser Wilhelm; il cavaliere era stato chiaro, negare la loro natura avrebbe solo portato alla tortura e comunque alla condanna a morte. Sospirò, e si preparò a rispondere.
- E’ questo, sì.
- Siete stata condotta qui davanti alla corte con le vostre compagne perché accusata di avere compiuto atti di stregoneria al porto, non più di pochi giorni orsono. Ammettete la vostra colpevolezza o vi dichiarate innocente nei riguardi di queste accuse?
Draga si guardò intorno: le sue compagne erano imperscrutabili, mentre il pubblico attorno a lei manteneva un silenzio carico di curiosità.
- Mi dichiaro colpevole. Tutti coloro che erano al porto mi hanno potuto vedere.
Un brusio eccitato fece rumoreggiare i cittadini di Stoccolma; in genere gli accusati negavano a lungo prima di cedere all’evidenza delle prove, la cosa rappresentava un’inconsueta novità. Uno degli altri giudici cominciò a scrivere con una sottilissima piuma bianca il resoconto delle prime domande, mentre anche alle altre cinque veniva chiesto il loro nome e la veridicità delle accuse.
Iwona Mazur, Izabela Wojcik, Agnuska Lund, Megarda  De Vos e Guendalina Godefroid divennero dunque molto presto nomi associati a pericolose creature maligne. Tutte confessarono serenamente, senza tentennare nemmeno un secondo, ma ciononostante furono introdotti in aula diversi testimoni, tra cui il baro che, per primo, aveva urlato a tutti di essere stato aggredito da streghe.
- Io sono un uomo onesto, e sono invece stato accusato di essere un baro, per colpa di queste figlie del demonio! – aveva uggiolato come un cagnolino, fingendosi sincero e spaventato. Guendalina non era riuscita a chiudersi la bocca. – Tu baravi, io ti ho semplicemente smascherato!
- Con l’aiuto del demonio!
- Lo rifarei oggi stesso, se ti vedessi in strada!
Sconvolto, l’uomo si rivolse alla corte: - Quella ragazza è il Maligno stesso! Mi minaccia perfino ora, davanti ai suoi giudici!
Guendalina alzò lo sguardo verso ser Wilhelm; non aveva paura di continuare a dire ad alta voce ciò che pensava di quell’uomo, ma temeva di esagerare. Il cavaliere, però, sembrava avere un contegno decisamente tranquillo, e la giovane ungherese capì di poter continuare. – Mi ha minacciata con un coltello, a questo mi serve la magia, difendermi da quello che potrebbe arrecarmi offesa. Ho forse sbagliato nell’avere a cuore la mia vita?
- Oltraggio! – tuonò padre Ian. – Oltraggio alle leggi umane e divine, oltraggio alla brava gente di questa città. Ascoltate, brave persone di Stoccolma, questa è una manifestazione del maligno! Queste sei giovani sono state mandate qui per irretirci e minacciarci, e noi non lo permetteremo!
La folla presente rumoreggiò per un bel pezzo e dovettero aspettare che il caos scemasse, prima di riprendere quella farsa di processo. Altre persone vennero chiamate a testimoniare: racconti di come il terrore si fosse impossessato dei presenti mentre le ragazze fuggivano, della paura mortale che avrebbe sicuramente fatto venire i capelli bianchi a molti di loro, del bisogno di confessarsi e mettersi l’anima in pace dopo il contatto con cotale crudeltà… testimonianze eccessive, ridicole e francamente poco plausibili che vennero però debitamente trascritte su pergamena da uno dei sei giudici. Lo scricchiolio della penna rimase un sottofondo continuo e costante, fastidioso ed inevitabile; Megarda si ritrovò perfino a sbuffare, quasi dimentica delle corde che le trattenevano i polsi e della paura che aveva provato fino al giorno prima. L’ottusità dei Babbani era micidiale. Mantenne però il suo contegno, e così tutte le altre, fino a che…
- E’ chiaro che questi poteri di natura demoniaca sono stati ricevuti in dono in cambio di atti carnali con il Demonio stesso!
- Questo no! – tuonò Izabela. – Questo mai! – era disposta a dare spago a quella messinscena ridicola, ma non avrebbe mai accettato che insinuassero atti del genere.
- Oh, non mentite, donzella – insistette padre Ian. – Non c’è altro modo per cui voi possiate aver raggiunto una tale crudeltà e un tale potere. Come Eva vi siete fatta irretire, avete ceduto, e siete state deboli, tutte voi.
- Siete voi il bugiardo, in quest’aula. E non è per mezzo del maligno che io possiedo i miei poteri!
- Siete lontane dalla luce del Signore, streghe. Per voi non c’è che l’abisso dell’Inferno, dal quale potreste sfuggire solo con il pentimento, l’abiura e la penitenza.
- Dovrei credere di essere in torto, per scegliere di pentirmi. E io non credo di esserlo, nessuna di noi lo crede. – lo interruppe bruscamente Guendalina, alzando la voce.
- Potessi bruciare, piuttosto che darvi ragione. – aggiunse Draga.
- Non conosciamo torti se non i vostri. – dissero quasi insieme Agnuska e Iwona, mentre le altre annuivano. Alzando lo sguardo verso Ser Wilhelm riuscirono a scorgere per un brevissimo istante un sorriso colmo di soddisfazione, mentre l’aula esplodeva di nuovo in urla e grida; padre Ian era semplicemente congelato da tale malvagità d’animo.
Il cavaliere ne approfittò per prendere la parola e sovrastare tutti con la sua voce: - E’ chiaro a tutti che costoro hanno perduto ogni via per la salvezza e il perdono. C’è una sola strada, per creature del genere, ed è il rogo!
Fu una decisione che piacque molto al pubblico presente, che approvò con applausi, nuove grida e altre manifestazioni del genere. Guendalina e le sue compagne erano al centro di quella baraonda davvero infernale, tese ma non spaventate. La parte semplice era alle loro spalle, ora si profilava il difficile. Recitare la parte delle fedeli di Satana era nulla di fronte all’inscenare la propria morte davanti ad un pubblico numeroso, scampando alle fiamme e agli occhi dei presenti.
Nella confusione generale furono riportate nella cella che le aveva ospitate nei giorni precedenti. Presto ci sarebbe stato un rogo.

Hilda e Franz giunsero a Stoccolma quel pomeriggio, in una città che fremeva per i preparativi di quello che, si diceva, sarebbe stato uno spettacolo come non se ne vedeva da almeno una generazione. Rinfrancati dalla sosta a Durmstrang non persero tempo e si recarono a loro volta da Ser Wilhelm. Com’era accaduto a Maria, furono accolti dal suo elfo, Crispin, che li condusse dal suo padrone, nel suo piccolo e affollato studio.
- Ero stato avvisato della vostra visita, siate i benvenuti.
- E’ possibile per me vedere Guendalina? – Hilda ormai aveva avuto il tempo di sbollire del tutto la rabbia nei riguardi di quella sorella così propensa ai guai, e la preoccupazione era ciò che la spingeva.
Wilhelm scosse la testa, sconsolato. – Sono prigioniere molto ben sorvegliate, temo che questo sia impossibile, ma posso dirvi che è in salute e che presto sarà libera, non appena verrà eseguita la condanna.
- Saranno in grado di cavarsela? – chiese Franz.
- Ho avuto modo di istruirle io sull’incantesimo Fredda Fiamma, ma sarà necessario creare incantesimi di Disillusione per la folla. Loro dovranno credere che tutto ciò sia vero.
- Possiamo essere d’aiuto? – c’era una nota nervosa, nella voce di Hilda, che non riusciva a celare. Questa volta il cavaliere annuì: - Naturalmente, ma vi prego di rimanere concentrata e tranquilla. È stata avventatezza, quella di vostra sorella e delle sue amiche, ma a tutto c’è rimedio e queste giovani impareranno una lezione che voglio sperare non dimenticheranno mai.
I due giovani annuirono e ringraziarono il cavaliere per il suo impegno, e si prepararono a congedarsi, ma a quel punto Wilhelm si mise in piedi.
- Vi prego di accettare la mia ospitalità per questa notte, il palazzo è grande abbastanza per ospitarvi.
Franz e Hilda si guardarono negli occhi, imbarazzati. – Siamo grati della vostra offerta, ma avremmo una persona da vedere, qui a Stoccolma, si tratta della ragazza che è venuta ad avvisarvi dell’accaduto, devo porgerle i ringraziamenti per quanto ha fatto per me e la mia famiglia. – spiegò Hilda, sentendosi scortese e inadeguata.
Wilhelm, in realtà, reagì tranquillamente. – Ma è naturale, siete ospiti, non prigionieri, qui. Una galeotta in famiglia immagino basti ed avanzi. Sentitevi liberi di andare dove volete, ma permettetemi di insistere per avervi come ospiti a cena e questa notte.
Di fronte ad una tale cortesia fu impossibile sottrarsi, e Franz e Hilda alla fine si convinsero ad accettare.
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventuno: il rogo ***


Note: Sommersa dall'estate ci ho messo una vita a scrivere un capitolo che, in realtà, non è nemmeno troppo lungo, e che mi fa sentire in colpissima verso eventuali lettori ancora in ascolto. Mi dispiace, cerco di fare il possibile, ma mi perdo in troppi progetti e in troppe cose. Potete tirarmi le orecchie, però, fino a farmi somigliare ad un elfo XD

Capitolo ventuno: il rogo

C’era vento, il giorno dell’esecuzione. Guendalina e le sue amiche riuscivano a sentire il rumore dell’aria che si infilava sotto le tegole e tra le pietre del castello, perfino dalla profondità della cella in cui si trovavano. L’aria era riuscita ad infilarsi nella piccola finestrella a bocca di lupo, assieme alla luce, facendo ondeggiare i loro capelli.
- Questo potrebbe essere un problema. – constatò Agnuska, sospirando.
- Non fermerà però i giudici, o padre Ian, o il boia. – e Guendalina sapeva di avere ragione. Niente avrebbe privato Stoccolma del suo spettacolo tutto speciale. Quello che però le preoccupava molto di più, in realtà, era la possibilità che il vento interferisse con la loro magia. Nessuna trovò il coraggio di esprimere quei dubbi ad alta voce, e parlarono d’altro.  Due ore dopo delle guardie vennero a prenderle. Ridevano moltissimo e avevano una strafottenza nei modi che non piacque a nessuna, ma perfino Draga si trattenne e lasciò che le legassero i polsi; lamentarsi avrebbe reso le corde più strette, e ormai tutte loro non vedevano l’ora di riassaggiare la propria libertà. Guendalina si guardò i segni sulle braccia, sospirando e sperando ardentemente che non avrebbero lasciato alcuna traccia, di lì a qualche settimana.
Risalirono pian piano le scale delle segrete, raggiungendo prima il cortile più esterno del maniero, poi la piazza; la gran parte dei criminali veniva giustiziata entro le mura, ma Guendalina e le sue amiche erano un caso speciale. E lì, nella piazza circolare, dove le case colorate con i tetti di paglia spioventi si affacciavano, erano state allestite sei piccole pedane con sei pali di legno al centro, mentre sotto di essi erano accatastate fascine in gran quantità. A Guendalina sembravano sei enormi scope volanti, e trovò la cosa buffa, per un momento.
Meno divertente fu esserci legate sopra, e di poco conforto fu scambiare sguardi con Megarda, piuttosto che con Iwona, o Draga. Tutte erano molto impegnate a cercare con la mano la bacchetta, nascosta nella veste. Avevano fatto le prove anche di questo, in cella, e tutte, perfino la tremante Agnuska, riuscirono presto a impugnare la sua attraverso la stoffa del suo abito estivo.
La giovane strega scrutò tra la folla, cercando di individuare volti noti. Ser Wilhelm era presente, naturalmente, proprio di fronte a loro, su uno spalto di legno, assieme a padre Ian ed agli altri giudici che le avevano condannate. Fu impassibile, quando incrociò il loro sguardo, ma tutte sapevano che avrebbe lanciato incantesimi di Disillusione potenti su di loro, aiutandole a fuggire inosservate. Abbassando lo sguardo, Guenda ad un certo punto vide, con sorpresa, sua sorella Hilda, accanto a Franz e a Maria; in ultimo intravide Mastro Guinifredo, il preside di Durmstrang. Sapevano che sarebbe venuto a recuperare le sue studentesse disperse, ma faceva uno strano effetto vederlo lì, fuori dalle famigliari mura del castello. Era una via di mezzo tra il sollievo di essere in buone mani e il terrore di quello che sarebbe capitato loro quando il preside le avrebbe avute tra le loro grinfie.
Se c’erano altri maghi, però, Guendalina non avrebbe saputo dirlo, perciò continuò ad osservare in giro, cercando di vedere se c’erano personaggi ambigui tra la folla rumorosa, fino a che padre Ian non si alzò in piedi per dare inizio all’esecuzione. Il vociare della folla si placò non appena l’uomo aprì bocca.
- Queste sei fanciulle sono state riconosciute colpevoli dei seguenti crimini: stregoneria, eresia, offese alla morale e a Dio. Interrogate e processate hanno ammesso le loro colpe senza mostrare alcun segno di pentimento o di rimorso, dimostrando di essere irrimediabilmente corrotte e votate al demonio. Pertanto sono condannate a morte, e che le fiamme dell’Inferno le accolgano.
La folla esplose urlando a gran voce, mentre sei uomini si avvicinarono alle condannate. Guendalina li sentì arrivare alle sue spalle, e voltò la testa per cercare di vederli, perché non capiva dove avrebbero appiccato l’incendio, e questo la rendeva inquieta. Tentò a lungo, ma riuscì solo a vedere le sue compagne fare altrettanto; poi riuscì ad intravedere delle sagome allontanarsi: i roghi erano stati accesi. Le fascine sotto di lei presero fuoco rapidamente; si trattava del resto di legno secco, e lo sentì crepitare prima ancora di vedere le fiamme rosse. Ma più di tutto fu la colonna di fumo a impressionarla. Iniziò come un sottile filo grigio che saliva danzando verso il cielo, ma si fece presto ampio e il vento, in maniera non molto galante, lo spinse verso il suo viso. Attese un po’, ma quando la coltre di fumo si fece scura e densa si contorse e si mosse fino a che riuscì a sfilare le mani dalle corde. Si graffiò contro il legno, ma evitò di farci caso, troppo presa a recuperare la sua bacchetta. Una volta che riuscì ad afferrarla rimase con le mani dietro la schiena, fingendo di essere ancora legata. Poi, quando già il fumo la faceva tossire, pronunciò l’incantesimo Freddafiamma. Lo bisbigliò in continuazione, tossendo, respirando fumo, mentre sentiva l’aria attorno a sé farsi sempre più calda. Non poteva vedere o udire le sue compagne, e questo la preoccupava, mentre davanti a lei le fiamme si avvicinavano. Ripetè a voce bassa l'incantesimo così a lungo da perderci quasi la voce, cercando di non farsi distrarre dal caos della piazza che inveiva contro di loro, ma quando vide una fiamma lambirle la veste e sentì il solletico si rilassò, sperando che per le sue amiche fosse lo stesso. Un po' tossendo, un po' ridendo, Guendalina a quel punto si chiese cosa dovesse fare: si trovava in un mondo ovattato fatto di fumo dove non poteva vedere nulla, e anche i rumori giungevano a lei ovattati e indefiniti. Questo fu vero fino a che davanti a lei non si parò la figura di Mastro Guinifredo: lo riconobbe dagli occhi chiari e dalla cicatrice che aveva in viso. Saperlo così vicino fu una liberazione, per lei.
- Godefroid, è ora di scendere da questo palco. - controllò che fosse effettivamente slegata, e poi la spinse via. Guendalina, camminando senza vedere bene, si ritrovò a caracollare sulle fascine e sulle fiamme. Le fecero il solletico, e ridendo, si ritrovò a terra, in mezzo alla piazza urlante. Nessuno fece caso a lei, come non dovevano aver fatto caso a Guinifredo: Dovevano essere entrambi sotto l'effetto di incantesimi di Disillusione. Si rimise in piedi velocemente, cercando di confondersi tra la folla, intontita da tutto quel rumore. Mentre camminava tese l'orecchio ai commenti della gente, cercando di non tossire troppo forte. "Le ho sentite ridere, quelle maledette!", "Devono essere state felici di ricongiungersi con Satana.", "Non saranno così felici, il Giorno del Giudizio." Guendalina sorrise, respirando aria pura, e continuò per la sua strada, finchè qualcuno non l'afferrò per un braccio.
- Guenda! - Era Hilda, assieme ad Agnuska e Megarda. E Franz, naturalmente. Guendalina non era mai stata così felice di rivedere volti amici così da vicino. - Dove sono le altre?
- Guinifredo le sta recuperando. Ser Wilhelm non può muoversi dalla sua postazione.
Guendalina ricominciò a tossire e Hilda prese un panno bagnato, cominciando a strofinarglielo sulla faccia senza alcuna grazia, per toglierle la fuliggine dal viso. Il panno bagnato rischiò di soffocarla più e peggio che il fumo, ma la piccola fuggitiva sapeva che la sorella era mortalmente arrabbiata con lei, e non osò protestare.
Nella confusione dovuta alla calca, intanto, Franz si era fatto largo e aveva recuperato Draga e Iwona. Izabela li raggiunse per ultima, scortata da Guinifredo. Avevano tutte la faccia annerita, chi più e chi meno, notò Guendalina osservando le compagne, e l'aria di merluzzi affumicati.
Hilda ripulì sommariamente il viso a tutte, ma con più grazia di come aveva fatto con la sorella.
- E’ meglio andare, ora. – disse Guinifredo. – Il grosso è fatto.
Si fecero largo tra la folla, incespicando. Tutte e sei le fuggitive erano ancora abbastanza stordite e Guendalina camminò con fare quasi svagato. Forse fu per questo che Hilda le arpionò il braccio con forza, per evitare che si perdesse. Che fosse per quello o per rabbia, Guenda gliene fu grata in ogni caso: era stanca di tutto, dalla prigionia al processo, al rumore per strada ed dei mille sotterfugi per farla franca. Perciò fu sollevata, quando furono scortate in una casa signorile ed elegante, pulita ma soprattutto silenziosa.
- Ser Wilhelm rientrerà non appena avrà concluso i suoi impegni. Su suo ordine Crispin ha preparato bagno caldo e vestiti nuovi per le giovani. – l’Elfo Domestico di casa accolse il piccolo drappello con un grande inchino, lasciandoli entrare.
- Preparatevi e rimettetevi in ordine, ripartiremo quanto prima possibile. – intimò Guinifredo, poco propenso ad essere di buonumore.
Guendalina alzò lo sguardo sulla sorella, che ancora non accennava a mollare la presa su di lei.
- Tu ed io faremo i conti. – le disse solo, prima di spingerla via, verso le sue compagne.
L’acqua in cui si immersero per lavarsi divenne prima nera, e poi grigia, quando fu cambiata, e infine trasparente, dopo il terzo passaggio. Tutte, in silenzio, si strofinarono con energia la pelle.
- Non dimenticherò mai lo schifo di quella cella. – sbottò Draga, che aveva raccolto interi piccoli universi, nei suoi ricci stretti.
- Siamo fuori, e siamo in salute. – commentò Agnuska, spazzolandosi i capelli bagnati. – E’ ciò che conta.
Izabela, tra tutte, non era così ottimista. – Non è finita, e non lo sarà per un bel po’. Rischiamo ancora l’espulsione da scuola, per non parlare del disonore su di noi, e sulla nostra famiglia. – sospirò, preoccupata. – Non so che sarà di me, una volta tornata a casa.
- Non siamo certo le prime streghe vere che finiscono su un rogo. Abbiamo agito stupidamente, è vero, ma siamo qui e nulla è accaduto.
- Non per merito nostro, Guenda, e questo lo sai anche tu.
Megarda aveva ragione, sospirò la giovane strega. Di tutta quell’incresciosa faccenda quello che le dispiaceva di più, alla fine, era l’essersi rivelata completamente incapace di risolvere da sé la faccenda. Avrebbero già dovuto conoscere un incantesimo salvavita in caso di rogo, e avrebbero dovuto, soprattutto, evitare di farsi catturare. Avrebbe dovuto, avrebbe dovuto… Guendalina sapeva di essere giovane, ma avrebbe davvero dovuto fare di più. Era una strega, in fondo, e non una Babbana qualunque, e questo doveva pur servire a qualcosa, no?
Le fosse capitato di nuovo, avrebbe agito più assennatamente, di questo era certa. Ma il peggio era alle spalle, e anche lei, come le sue amiche, doveva pensare a quello che sarebbe accaduto a scuola, e a sperare che la sua famiglia non volesse la sua testa. Hilda non sembrava affatto ben disposta nei suoi riguardi, e di certo non poteva darle torto. Sospirò nuovamente, e si immerse completamente nella vasca, sperando che i capelli venissero puliti.
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo ventidue: ritornare ***


Note: Mi scuso fin da ora con la brevità di questo capitolo, per i lettori ancora in ascolto, ma credo che la chiusa di questo capitolo sia adatta e appropriata. Dilungarmi non sarebbe servito a granché se non a posticipare, ancora, l'aggiornamento. Perciò eccoci qua. Spero vi piaccia

Capitolo ventidue: ritornare

Ci volle tempo, ma alla fine le sei fuggitive riuscirono a ripulirsi. L’avere finalmente la pelle profumata, i capelli in ordine e abiti puliti fu un toccasana e fu di estremo conforto. Vennero accompagnate da Crispin nella grande sala da pranzo della casa; là stavano Hilda, Franz, Wilhelm e Guinifredo. Erano impegnati in un’accesa discussione, ma si interruppero brutalmente, quando le sei streghe fecero il loro ingresso.
- Bene. – le accolse Guinifredo, con tono freddo e piatto. – Direi che sono riuscite a togliersi di dosso la fuliggine e la paura. Ora che tutto è stato risolto per il meglio possiamo pensare di fare ritorno a Durmstrang ed affrontare le conseguenze della vostra fuga.
- Dormirete qui, stanotte. – rivelò ser Wilhelm, - La partenza sarà domattina. Arriverete a scuola ancora con la luce del giorno.
- Saremo espulse?
Guinifredo alzò lo sguardo su Megarda, che aveva aperto bocca. Non fu uno sguardo rassicurante. – No, ma questo non credo renderà più piacevole la vostra permanenza a scuola. – rispose.
Le ragazze annuirono in silenzio, rassegnate al loro destino.
La serata passò quieta e silenziosa. Alcune delle ragazze ricevettero lettere furiose dalle loro famiglie, ma non Guendalina. Aveva Hilda lì con lei, ed era una presenza sufficiente a ricordarle quanto fosse nei guai, e quanto se ne sarebbe pentita.
Hilda aveva covato la sua rabbia in silenzio, dissimulando con Franz e con il preside della scuola, ma prese a schiaffi la sorella, quando furono sole, forte come non aveva mai fatto quando erano bambine.
- Cosa pensavi di fare? Come ti è saltato in mente di venire fino qui sola, armata di scopa?
Guendalina rimase muta, sconvolta. Non avrebbe avuto modo di replicare, la sua colpa era chiara e cristallina.
- Potevi morire, Guenda. Ce l’hai un’idea di quanto sia pericoloso andare in giro a lanciare incantesimi, per una strega che non sa quel che fa?
- Non ci ho pensato…
- Tu non pensi mai. – Hilda l’abbracciò stretta, e Guenda la lasciò fare, visto che era assai meglio quello rispetto all’essere colpita. – Non volevo colpirti forte, ma sono stata arrabbiata e preoccupata per giorni, lo capisci questo?
Guendalina lo capiva, e per questa ragione scelse di ignorare il bruciore sulle sue guance, stringendo la sorella. Era sulla via di casa, e questo importava.
Partirono tutti la mattina dopo, all’alba, lasciando una Stoccolma grigia e nebbiosa. Ser Wilhelm li salutò cordialmente; Guendalina e le altre gli erano molto grate, consce del disturbo che avevano dato, e del rischio a cui avevano esposto anche lui. Salutarono con calore l’Ammazzadraghi e, a cavallo delle loro scope, miracolosamente recuperate non si sapeva bene come, partirono con Guinifredo alla volta di Durmstrang. Franz e Hilda li seguirono per un breve tratto, per poi cambiare rotta, e scendere di nuovo a sud, verso l’Ungheria.
L’unico dato positivo per Guenda e le altre, era che dovendo attendere la fine della scuola, sarebbero rientrate in case in cui la furia dei genitori sarebbe sicuramente scemata, almeno in parte.
Fu una traversata sorprendentemente rapida. Erano occorsi due giorni, all’andata, perché avevano seguito un cavaliere che rientrava senza fretta, che si muoveva a cavallo. La scopa era un mezzo che sapeva essere sorprendentemente rapido, se ben sfruttato, e tutte seguivano in scia il loro preside, che procedeva senza tentennamenti, seguendo una rotta che doveva conoscere certamente a memoria. Era così veloce che a volte per le ragazze era difficile tenere il suo passo, ma a nessuna fu concesso di rimanere indietro: Guinifredo si voltava spesso a controllarle, quasi temesse un tentativo di fuga. Era una precauzione inutile; nessuna aveva intenzione di allontanarsi, e l’unico vero impedimento era dato dall’aria fredda che pungeva gli occhi e li faceva lacrimare. Alcune di loro, in realtà, piansero per davvero, per togliersi di dosso la tensione, la stanchezza e la paura. Il paesaggio, le montagne, e i boschi, tutto scivolò loro accanto e sotto i loro piedi senza che lo notassero. La gioia vera fu data solo dalle alte e possenti mura di Durmstrang, da cui erano mancate troppo a lungo e da cui volevano disperatamente tornare.
Era ancora ora di lezioni, quando atterrarono nel cortile di pietra, e fu un bene: evitò che cadessero su di loro sguardi curiosi dei compagni di studi. In quei pochi giorni erano circolate moltissime voci, non tutte particolarmente onorevoli, e avrebbero dovuto passare un bel po’ di tempo a spiegare, chiarire e raccontare cosa fosse successo.
Avevano diritto ad un po’ di tregua fino all’ora di cena, per questo Ingalil le scortò nelle loro stanze, portando loro qualcosa da mangiare.
Nel bene e nel male ora erano a casa e al sicuro. Potevano pensare serenamente al domani.
Con il sole e l’alba riprese anche la quotidiana vita da studentesse. La punizione loro annunciata fu esemplare, ma giusta: di solito gli studenti facevano a turno per servire i pasti ai tavoli, per rassettare e per fare il bucato. Le sei fuggitive si ritrovarono a dover compiere quelle mansioni per tutto il restante anno scolastico, senza eccezioni e senza pause. La cosa aveva la doppia funzione di punirle e di controllarle a vista, poiché non rimanevano mai sole, ed erano continuamente osservate.
Guendalina rischiò di prendere a pugni un suo compagno, fermamente convinto nell’insinuare che lei era fuggita da scuola per amore. Per quanto disonorevole, Guenda preferiva la verità: per una strega un rogo era sicuramente meglio di sciocche romanticherie.
Ricevette lettere furibonde da suo padre e sua madre, a cui rispose con pazienza, cospargendosi il capo di cenere. Cominciava a stancarla l’idea di dover chiedere scusa all’infinito, ma sperava che il tempo avrebbe migliorato le cose. Per intanto, si accontentava di servire zuppa rovente a chi diffondeva voci che non le piacevano, evitare di dover tenere sulla testa secchi d’acqua gelida, e di potersi appallottolare sotto le coperte dopo una lunga giornata di lavoro.
Per le altre cinque si poteva dire che era lo stesso, anche se i rapporti tra loro si erano decisamente raffreddati. Lavoravano insieme ma parlavano pochissimo. Izabela e Iwona sembravano fare stato per conto loro, Megarda e Draga brontolavano, ognuna per suo conto, e Agnuska sembrava affetta da mutismo. Ciò preoccupava Guendalina, che sperava di poter riprendere i rapporti, così come erano stati prima di Stoccolma, ma capiva che, per ora, non c’erano le condizioni per farlo. Ognuna aveva i propri pensieri da metabolizzare, e tutto il lavoro che dovevano portare a termine le sfiniva, senza contare lo studio.

Chi avrebbe avuto molto da dire, invece, era Hilda. Aveva passato giorni bui, tesa, preoccupata e furiosa, e Franz le era rimasto vicino, spesso in silenzio, senza mai alterarsi per quel suo atteggiamento nervoso e indisponente. Era stato infinitamente paziente e buono, con lei, e gliene era grata. Senza di lui e senza Maria, che aveva stretto in un lunghissimo abbraccio, prima di salutarla, non sapeva che avrebbe fatto.
Avevano sorvolato l’Europa in silenzio, appaiati. L’aria mancava quasi, all’altitudine a cui viaggiavano, ma non si fidavano troppo, e gli Incantesimi di Disillusione che avevano lanciato non sarebbero certo durati per sempre. Avevano di recente visto come reagivano i Babbani alla magia, e non avevano alcuna intenzione di rendersi partecipi di un nuovo rogo di streghe e stregoni.
C’era ancora luce, quando raggiunsero Liberec, e per questa ragione atterrarono in mezzo alla boscaglia, per evitare di farsi vedere. Da lì, Hilda sarebbe ripartita poi da sola, diretta a casa.
- Preferisci riposarti e ripartire domani?
- No, mia madre e mio padre credo abbiano fretta di rivedermi e di parlare di Guenda…
- Oh be’, - Franz si passò una mano nei capelli color fiamma – Immagino che per loro sia un sollievo, sapere che è finito tutto bene. È stata un’idea stupida, ma poteva andare peggio.
- Guenda è stupida, quando si mette in testa queste cose, l’ha sempre fatto.
- Andiamo, Hilda. Guenda avrà avuto anche l’idea, ma l’hanno seguita in cinque, si devono dividere la responsabilità delle loro azioni, non darle tutta la colpa. – il ragazzo sorrise. – Io ne ho anche approfittato per fare una bella scampagnata, non vedo cosa potrei desiderare di più.
Hilda sospirò. – Mi dispiace averti coinvolto, con il senno di poi avrei potuto fare da sola, ma non avevo idea di quello che avrei trovato e pensavo che una faccia amica sarebbe stata d’aiuto.
- A me piace molto l’idea di essere la faccia amica a cui ti rivolgi quando hai bisogno. E, anche se è scorretto, vorrei che tu avessi bisogno di me molto spesso.
La strega rise come non le capitava di fare da più di una settimana, e abbracciò stretto il suo amico. Franz, che era ben più alto di lei, le baciò i capelli, prima di accomiatarsi da lei.
- Tornerai a trovarmi?
- Perché non vieni tu a Dazelburg, una volta tanto?
Hilda sorrise ancora, e si lasciò baciare dal mago, prima di inforcare la scopa e librarsi in cielo come un rapace, diretta a casa.
 
 





 

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitre: brezze estive ***


Note: Dopo una lunghissima assenza ritorno FINALMENTE a pubblicare. Che mi era successo? Persa nella vita, più che altro. Viaggi, impegni, un nuovo lavoro, mancanza di ispirazione. La povera Guendalina ci ha perso, perso e perso, ma siccome detesto lasciar perdere i progetti a cui tengo ho stretto i denti e alla fine eccomi qua. Spero di non ricevere forconi in risposta. 
Con vergogna e sincero affetto,
Lady.

Capitolo ventitre: brezze estive

Quello che accadde poi fu prevedibile, almeno da qualcuno con qualche buona conoscenza di magia. Guendalina e le sue amiche passarono tutti i mesi che le separavano dal diploma lavorando, facendo corvee e studiando sodo. Si diplomarono come tutti gli altri sul finire dell’autunno, e con successo. Dopo una lunga fase di silenzi e di rispettose distanze, Guenda, Iwona, Izabela, Megarda, Agnuska e Draga erano riuscite a ritrovarsi, ed erano tornate amiche. Man mano che il ricordo degli eventi di Stoccolma si faceva meno vivo e più lontano, erano tornate tutte più tranquille e serene, e perfino le voci di corridoio nella scuola si erano placate, per la gioia di tutte. Erano poi tutte rientrate alle loro case, lontanissime le une dalle altre, con la promessa di mantenere un contatto epistolare. Contatto che, sorprendentemente, si era mantenuto negli anni. Non sempre continuo, non sempre regolare, ma sempre presente.

Nell’anno del signore 1377 Guendalina aveva vent’anni. Dazelburg non era cambiata, rispetto a quando era una bambina. Chi conosceva era invecchiato o cresciuto, qualcuno era morto, qualcun altro se n’era andato. Normale vita e normali storie di Babbani e maghi. Hilda aveva finito, finalmente, per sposare Franz e aveva lasciato la città alla volta di Liberec. Tutti si aspettavano che presto avrebbero iniziato a mettere al mondo altri piccoli mostriciattoli rossi.
Anche Guendalina era entrata nell’età in cui ci si aspettava da lei che trovasse marito e mettesse su famiglia, ma non sembrava averne alcuna intenzione. Lavorava alla bottega con suo padre, tenendo i conti e tenendo in ordine, aiutava sua madre in casa e scriveva molte lettere. Era una vita tranquilla, che lei trovava disperatamente noiosa, ma non si cacciava nei guai, ed era cosa di cui tutti erano davvero grati. Raccontava ancora storie ai bambini della città, seduta sui gradini della grande chiesa, spaventandoli a morte. Non aveva perso il suo talento, ma con gli anni l’aveva invece affinato. Griselda e Gottifred avevano finalmente messo al mondo un figlio maschio, un ragazzino pallido che ogni tanto si vedeva andare a caccia con il falcone assieme al padre. Non era certo che sarebbe diventato adulto, ma per ora c’era qualcuno in grado di ereditare il castello dei Trapp, ora divenuti Jasor.
Guendalina sperava che Leokadia e Kostantyna pensassero presto a sposarsi, perché l’occasione avrebbe di certo portato di nuovo a Dazelburg cavalieri, dame, giocolieri e una parvenza di vita. La piatta, dolce Ungheria, con i suoi campi e i suoi boschi era di sicuro un posto piacevole, ma nemmeno lontanamente divertente. Aveva imparato molte cose a Durmstrang, ma niente di tutto ciò le serviva a molto, in bottega.
- Ti vedo annoiata. – Adalberto aveva osservato a lungo la figlia, in quegli anni, e aveva notato come avesse cominciato a spegnersi sempre più. Non tutte le persone erano fatte per la serenità e la quiete, e il mago si era da tempo rassegnato all’idea che la figlia facesse parte di quella cerchia. La vedeva fremere in tutte le sue piccole azioni quotidiane, come si aspettasse qualcosa che non arrivava mai.
Guendalina stava lucidando un paiolo con la magia, seria e concentrata. Non smise di lavorare, mentre alzava lo sguardo sul padre. – Non pensi mai che il dono della magia sia inutile?
- Non credo di capirti.
- Sono stata sette anni in Svezia a studiare, e tutto quello che faccio è usare questa bacchetta per pulire e per rassettare.
Guendalina sbuffò, mentre il padre sorrideva, indulgente. Tutti i maghi attraversavano quella fase, e ai più passava con il tempo.
- Cambierebbe qualcosa se potessi mostrare al mondo cosa sei? Pensaci.
- No, ma mi divertirei molto di più. – commentò convinta. Avrebbe potuto colorare le mele di blu, cambiare oggetti in altri, volare in cielo in pieno giorno e altre cose meravigliose.
- I doni più preziosi sono quelli che vanno protetti di più. – si avvicinò alla figlia e le diede un bacio sui capelli. – Troverai la tua strada.
- Se non fosse la stessa che ha trovato Hilda ti dispiaceresti?
- Non ho mai pensato che avresti avuto la stessa saggezza di Hilda. – rispose Adalberto con sincerità.

Venne l’estate, e Guendalina si ritrovò a rifiorire. C’era tanto lavoro nei campi, e come le capitava da bambina si ritrovava a dare una mano ai fattori e ai contadini. Non aveva problemi ad alzarsi all’alba, ad entrare nella stalla e a mungere le mucche mentre altri si preparavano a fare la mietitura. Era una delle poche ragazze che non si lamentava nel mettere le scarpe in mezzo al letame, un po’ perché a Guendalina importava davvero poco, un po’ perché aveva i suoi sistemi per uscire da una stalla profumata come quando ci era entrata.
Aiutava a tagliare l’erba per i conigli e il fieno per gli altri animali, stava al sole e non si preoccupava di nient’altro che di sentire l’aria calda sul viso. Sudare, spettinarsi, sembrare un cespuglio incolto non aveva alcuna importanza. Sigfrida l’aveva redarguita più di una volta sul fatto che così non avrebbe mai raccolto le attenzioni di nessuno, ma Guenda non ci badava: preferiva essere libera così com’era e presto, si era detta, sarebbe stata anche fuori da quel piccolo angusto paese.
Eppure anche così scompigliata com’era era riuscita a raccogliere le attenzioni di qualcuno, anche se si trattava del perdigiorno del paese.
Dotrov non era il genere di ragazzo che una madre avrebbe approvato per la figlia. Di qualche anno più grande, rispetto a Guendalina, era noto per vivere di espedienti e ciondolare tutto il giorno in compagnia di Antonius, il figlio del ricco mugnaio che non aveva tratto molti vantaggi dallo studiare latino in monastero.
Guenda ricordava bene Antonius perché era riuscita a terrorizzarlo a morte, ancora bambina, con una delle sue storie di paura, quanto all’altro… l’aveva evitato senza doversi nemmeno impegnare, ma pareva destino che le due mine vaganti di Dazelburg finissero per incrociarsi.
Non avevano mai parlato molto prima, e Guendalina li considerava a malapena. Per un motivo o per l’altro non erano personaggi che le interessava frequentare, e lei era bravissima ad ignorare chi non le andava a genio.
Così, quando li vide passare sotto di sé, mentre lei si gustava una mela seduta a cavalcioni di una quercia, con la schiena appoggiata sul tronco, non diede nemmeno segno di averli visti.
- Ma che bella vista, mia leggiadra madamigella. - Fu così che Dotrov attirò la sua attenzione, fermandosi esattamente sotto di lei.
Se avesse avuto almeno metà del pudore che doveva avere una nubile della sua età, Guendalina sarebbe arrossita fino alle punte dei capelli, ma così non era, perciò rispose a modo.
- Messere, se voi teneste gli occhi sulla strada sarebbe più agile il vostro cammino. - Rispose, senza abbassare lo sguardo su di lui e senza ritirare le gambe.
Dotrov rise, trovando la risposta di suo gusto.
- Temi che io inciampi, Guandalina?
- Può essere che lo speri. - Allungò il collo verso terra notando che Dotrov era in compagnia del suo inseparabile compagno di birbonate. “Anche se è difficile pensare che inciamperete in due. Buon pomeriggio Antonius.”
- Che pensi di fare lassù, lontana dalle tue padelle? - chiese l’altro, ignorando l’insulto.
- Coglierti di sorpresa e spaventarti, mi riusciva bene, da bambina. - Finì la mela e tirò il torsolo per terra, ai piedi di entrambi i ragazzi. “Un’abitudine che non ho potuto conservare nel tempo.”
- Immagino che non saresti tanto arguta, coi piedi per terra.
- Solo perché sono una ragazza? Antonius, se hai sprecato il tuo tempo sui libri mi dispiace per te, ma non è mia la colpa. - Guendalina si tirò su e cominciò a scendere dall’albero; saltò quando fu ad un metro da terra. La gonna si sollevò, ma lei non ci fece caso. Ci fecero caso Dotrov e Antonius, però. Il figlio dl mugnaio accantonò per un attimo l’idea di essere offeso.
- Cosa ci facevi lassù? - le chiese Dotrov, incuriosito.
- Ser Gottifred è in giro con il figlio e i suoi falconi per la caccia, volevo vedere dove andavano.
- Io lo so dove vanno. Li ho seguiti qualche volta, a cavallo. - Disse Antonius, dandosi molta importanza.
Guendalina sembrò illuminarsi, accantonando momentaneamente l’antipatia che provava per lui. - E’ lontano?
- Galoppando no di certo.
- E hai cavalcature per tutti e tre? -chiese Dotrov con un ghigno. - Anche se potrebbe bastare per due, la ragazzina me la trascino dietro io. - Sorrise incoraggiante, e Guendalina fece lo stesso di rimando.
- Mi pare ovvio, come farebbe mio padre altrimenti? Venite con me. - Con l’aria sfrontata di chi poteva permettersi ben due cavalcature, Antonius si avviò verso il mulino di suo padre, tallonato da Guendalina e Dotrov, che passeggiavano dietro di lui, affiancati.
- Non sono mai salita a cavallo. - Confessò Guenda, camminando svelta per riuscire a tenere il passo con i suoi due accompagnatori. Non aveva particolare interesse ad avere a che fare con nessuno dei due, ma la situazione stava avendo un risvolto sufficientemente interessante da rimanere lì e seguire l’evolversi della faccenda.
- Non è difficile, al cavallo baderò io, a te non resta che rimanere aggrappata a me.
Guendalina sorrise, conscia della sbruffoneria della frase. Volava su una scopa da quando aveva undici anni e di certo avrebbe avuto un ottimo equilibrio anche a cavallo. La ragazza stette zitta e si lasciò guidare.
Il mulino della famiglia di Antonius era al limitare di Dazelburg, vicino al grande canale che faceva girare la ruota delle macine. Guendalina conosceva bene quel corso d’acqua, perché Hilda la portava sempre lì d’estate a bagnarsi i piedi, quando l’aria era rovente e il sole bruciava. Il ragazzo condusse tutti e tre nella stalla dove convivevano più o meno pacificamente tre mucche, due cavalli e un asino particolarmente territoriale che cominciò a ragliare non appena li vide.
- Ho solo una sella, la Nera la usiamo sempre per portare il carro. - Spiegò senza imbarazzo. Solo il notaio del paese aveva più di due cavalli, escluso il castello naturalmente, e nessuno avrebbe potuto biasimarli per avere sella solo per uno.
- Con una coperta e i finimenti mi arrangio, ma la donzella qui deve stare comoda. - C’era un velato tono di presa in giro nella voce di Dotrov, e sia Antonius che Guendalina lo colsero. La giovane non disse nulla e stette in disparte mentre i suoi due compari lavoravano. Fissava i cavalli con sospetto: erano animali enormi e non ci era mai andata molto vicino, anche se  immaginava che non avrebbero essere più pericolosi di una mucca. La Nera era alta e robusta, con degli zoccoli enormi e un nasone rosa; aveva una certa aria di superiorità mentre Dotrov le posava un panno sulla schiena e lo fissava con delle cinghie, mentre Tempesta, così si chiamava il piccolo gioiellino di Antonius sbruffava annoiato.
In poco tempo si ritrovarono fuori nel cortile: Antonius e Dotrov già in sella, Guendalina accanto alla Nera, indecisa.
- Non è il momento di fingersi impaurite. -Le disse il ragazzo, porgendole la mano. - O si va o si resta.
Guendalina non se lo fece ripetere due volte, e due minuti dopo galoppavano per i campi, all’inseguimento dei Jasor.
 
 
 
 

 

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