vetro vetruccio
vetrina
canta lui
mentre si siede
e gli altri
si siedono, dicendo
guarda guarda, il
sasso che arriva
son solo le
vecchie facce oggi
quelle di cui non ci si stanca mai
e son solo i
vecchi occhi oggi
di che han visto… direbbero hai visto mai?
son solo le
vecchie mani oggi
ragnatelate di destino e di lavoro
non
se le guardano mai
son solo le
vecchie scarpe oggi
striate di terra, polvere,
salita e discesa
lo sguaiato riso sdentato delle
falle
son solo le
vecchie voci oggi
e sorridono senza fretta
che le parole son spesso troppo
rapide
e guardano
lui, che ha chiamato a raccolta
e non dice niente ancora
mentre cerca di tornare indietro
e le vecchie
strade oggi
sembrano un sogno lontano
non troppo nitido, incisione
profonda
lui dice ma ricordate voi…?
e
capovolgendo la clessidra
la sabbia
che scorre verso l’alto
sussurra ma eravate dopotutto voi…?
la neve
finta che cade giù
in un mondo
a palla di vetro-plastica
la targhetta
dice ‘mondo’
e dentro lo
pigiò la dea ‘folla’
suonando strana
la similitudine
con quella
‘follia’ tanto targata
sulla pelle
di quelle stranezze singolari
loro, loro
che giravano con le redini spezzate
senza farne
vanto od orgoglio
dicono
cantavano con cuore
mentre
uscivano dalle consuetudini delineate
dicono non
erano sbronzi o drogati
un vecchio
in angolo strizzò l’occhio, disse
sostanza di che si nasce abusati
calpestati sì, ma senza condiscendenza
e quando lo
cercarono per un parere
non era più
lì e non aveva avuto nome mai
ed era un
tripudio di fabbricazione lucidata
c’erano
moine di pelle abbronzate
bikini
sdraiati sulle macchine da corsa
capelli
lunghi maschili che vendevano profumi
cravatte che
sillabavano telegiornali
bocche
luride che schifavano la sporcizia
mandavano
giù parole come popcorn
quando rivomitavano s’aspettavano l’applauso
gli scaffali
erano troppo alti
comprensibile
non voler vedere aldilà
scambiare
valori con confezioni allineate
non
scambiare confezioni con non-merce
scambiare
opinioni meglio se con chi da ragione
le pagine potevano
essere riscritte o bruciate
e chiunque
poteva avere un confetto di auto-realizzazione
purché ci
fossero abbastanza braccia a reggerlo verso l’alto
le tastiere
mettevano le lettere al posto giusto
per
decifrare le emozioni adatte da incanalare
tutto era
perfetto, ed aveva il prezzo esatto
tutto era
già compreso, ed aveva l’apposita descrizione
tutto era
già venduto e comprato, categorizzato
così che
niente fu più lasciato indietro
e finalmente
c’era spazio per immenso vuoto
la neve vera
cadeva su cemento e muri
persone
finte correvano in tutte le direzioni
e lui ora
ancora insiste… ma
ricordate noi?
come un
sogno ad occhi aperti
le orecchie
piene di urla e di clangore di catene schiave
ma gli occhi
vedevano il rossetto in sorrisi
ma gli occhi
vedevano scarpe un passo dietro l’altro
ma gli occhi
vedevano negozi agghindati
ma gli occhi
vedevano ognuno la propria vita
ma gli occhi
vedevano e non credevano
ma erano
ciechi davvero
e vedevano
senza il lucido sulla brutta copia
ancora, allora… ma ricordate noi?
come si
alzarono quei cartelli al vento come vele
come fu
spezzato l’incantesimo delle mille-meraviglie
ed erano
ruvide quelle loro grida
ed erano
alle prime armi le loro parole
ed era così
sanguinante e vivo il loro… cosa?
questione di
cervello, disse lo psicoterapeuta
questione di
medicine giuste, disse il dottore
questione di
esperienza, disse il guru
questione di
leggi, disse l’avvocato
questione di
giustizia, disse il giudice
questione di
ambiente, disse il sociologo
questione di
istinti, disse il pragmatista
questione di
disciplina e comprensione, disse il pedagogo
questione di
valori, disse il filosofo
questione di
significati, disse il letterato
questione di
cultura, disse l’esperto
questione di
dinamiche, disse il perito
questione di
amicizie, disse qualcuno intervistato
questione di
forze contrapposte, disse il giornalista
questione di
violenza, disse lo sbirro
questione di
errore, disse il questore
questione di
pazienza, disse il sostenitore
questione di
strategia, disse il direttore
questione di
bella presentazione, disse il teorico
questione di
chimica, disse il fisiologo
questione di
questioni, disse il relativista
il nostromo
rideva e beveva, beveva e cantava
le streghe
ballavano e scherzavano
si faceva i
figli della giungla sulle corde dell’albero maestro
e il mare
non lascia calcolare la distanza
quando si
guardò la terra del ‘mondo’ (vedere etichetta)
era così
lontana da sembrare ridicolmente minuscola
sua maestà
la regina del corridoio in persona
venne e abbaiò
pretendendo ‘stare al mondo’
lui ricorda,
ricorda questo
scolpito sul
ponte, insipiente al sapone
il tuo mondo mi fa schifo
e quando le
vecchie e le nuove generazioni
chiesero di
vuotare le tasche sulle alternative valide
lui sa, sa
ancora questo
scusate, ho buttato via la scatola delle
istruzioni
quale tipo
di persona si ritrova
gli incubi
ambientati in supermercati
quale tipo,
quale tipo di persona
scambiare i
vivi per morti ambulanti
quale tipo,
quale tipo di persona
affondando
con gli anfibi nelle spiagge
quale tipo,
quale tipo di persona
capace di
fare a pezzi coi denti le camicie di forza
quale tipo,
quale tipo di persona
a gambe
levate, via da ogni cura e soluzione
quale tipo,
quale tipo di persona
abbracciando
alberi come maledetti hippie
quale, quale
tipo di persona
sentire
nostalgia delle rondini al tramonto
quale tipo,
quale tipo di persona dorme solo
col viso
coperto per non essere sorpresa nei sogni
quale tipo,
quale tipo di persona
credere che
gli schermi siano specchi d’allodole
quale tipo,
quale tipo di persona scambierebbe
il palo del
metrò per un ramo da battaglia
quale, quale
tipo di persona
pulirsi le
mani con la terra e trovare sincero il sangue
quale tipo,
quale tipo di persona
fuggire le
immagini fotografiche come demoni
quale tipo… tipo di… tipo di che??
il nostromo
divenne sobrio l’istante stesso
e le streghe
caddero nel mezzo del ballo
i figli
della giungla spalancarono gli occhi
migliaia di
zattere si profilarono all’orizzonte
una bandiera
verde, un sacco di parole nuove
le parole
giuste, i termini corretti
iniziavano
come eco-, ed erano un pappagallo automatico
iniziavano
come bio-, ed erano trucco a inganno aperto
iniziavano
come ribel-, ed erano un pacco confezionato
iniziavano
come rivoluz-, ed erano una trappola a molla
iniziavano
come etic-, ed erano prodotto commerciale
iniziavano
come comunis-, ed erano glorie mai accadute
iniziavano
come giovan-, ed era un’asta al ribasso
iniziavano
come moderat-, ed erano spari a salve
iniziavano
come compromes-, ed erano l’ultima rivalsa che moriva
iniziavano
come democr-, ed erano lo scacco della…
iniziavano
anche così, come liber-, ed erano la scusa per ogni
che
per questo
aprirono una falla nella nave
per questo
in piedi sul parapetto si salutarono
si buttarono
prima che finisse d’affondare
l’onde li
portarono in direzioni diverse
e avevano
visto, avevano visto
il mantello
regale della signora ‘folla’
che arrivava
davanti ad ogni flotta
mille e
mille volte ripetuta
a oscurare
ogni faccia, ad affogare ognuno in tutti
una
mareggiata dopo l’altra
il caso e la
sorte, l’abilità e la prontezza
a recarli un
po’ ovunque su diversa costa
e lui oggi
non sa come poterlo ricordare
agli altri
chiede aiuto, ma forse non si può fare
deh che la
roccia dopotutto si fa mordere dal vento
e certi
passi possono farsi solo nella direzione dei piedi
tornare
indietro non si saprebbe più
per questo
ora le giovani ostriche a bussare sulla grotta
ognuno di
loro ne esce diverso a veder chi è là
c’è chi
invita e chi scaccia, chi pensa sapere tutto
e chi non
riesce a dire più niente
né sulla
notte dell’antro né sulla luce del sole
aspettando
il ritorno di chi s’affidò alla propria zattera
aspettando
di ritornare sulla propria zattera, di ripartire, di ritornare…
e ora che
camminano sulla strada come ombre
giacché non
sono toccati dalle parti orizzontali della strada
ora che li
guardano come stranieri-in-ogni-dove
giacché non
vedono case nelle scatole né senso nelle carte
ora che
mordono le mani che sorridono con due volti
e vengono loro
restituiti cento e cento colpi per un solo gesto
ora che non
sono disposti a farsi inchiodare a martirio
e seppure
perdenti in partenza ridanno colpo su colpo
ora che
trovano divertimento nelle personalità ordinatamente impalcate
e seppure ai
ferri corti riberrebbero le lacrime per non implorare da bere
ora che
vengono sorvegliati e seguiti e inquisiti
e ancora la
paura non li stringe a vicolo cieco e dietro-front
ora che non
furono, non sono, e non saranno mai da esempio, ma hanno i loro
e ricordando
un ragazzino con la pistola puntata, la vita lasciata alla pallottola mancata*
ora con
familiarità che si guarda la bocca spalancata di un’arma direzionata addosso
e si ha in
testa la paura del dolore del colpo ricevuto tante volte in diverse maniere
… e ora? E qui? Quando, e come? Ricordate,
voi, come ci s’arrivò e per di dove?
No, che indietro non si sa più tornare.
No, che son cose matte da cercare.
No, che noi s’è nati con ‘sto sangue, e
questo solo abbiamo da versare.
No, che noi di noi abbiam
ognuno uno solo e niente d’avanzo,
si fa come si può, talvolta si cerca fortuna
e talvolta scampo,
qualche volte uno sprazzo di cielo, e
qualche volta il nero negli occhi,
tal’altra può essere che per sputar zucchero
si pigliano busche,
e qualche altra che per non dare l’ultimo
colpo sopraggiunge
non si sa quale cosa di tra la tempesta
fuliggine della rabbia marcia,
e qualche volta si cade e si rimbalza,
talvolta si crolla e lì si resta.
E come volar senza penne e come gioire senza
coda, non si sa.
E come scegliere direzione senza naso, e
come lavarsi senza pioggia, non si sa
E come vivere con catene o come morire senza
esserci ancora dentro fino al collo…
questo sopra a tutto, noi, ovvero che sia,
non si sa e non si saprà mai.
D’altronde dunque cani randagi s’è, e bastardi
si resta.
Ma correre a
perdifiato nelle ombre dei boschi
Ma sdraiarsi
sulle colline a riprendere il cielo cogli occhi
come miele, come miele
E a cercar
tesori nella spazzatura
E a
improvvisare mercato e bisca tra le strade
come gioco, come gioco di vita
Ma
re-imparare le costellazioni di tra la via lattea
Ma a
rampicare tra i rami come scimmie inguaiate
come miele, come miele
E a fare
giochi di prestigio con le tasche fuggiasche
E a cogliere
di sorpresa le feste cui non s’è invitati
come gioco, come gioco di bugia
Ma
ritrovarsi noi, e là, sempre là, come non c’è altro luogo mai
Ma a sfidare
le corna della capra e a litigare col maiale
come miele, come miele
E a fare a
rimpiattino con i colletti bianchi e le visiere blu-nere
E a
depistare di tiro mancino le domande sempre stesse
come gioco, come gioco a scherzo
crudele
E lei, e lei
come sorride, come parla e come ride
E lei, lei
passeggiando in notturna e mani sui fianchi in mezzo al campo
come miele, come miele
che le ostrichette a chiedere lo spartito
e diedero
loro inchiostro e carta bianca, strizzando l’occhio
che non
dissero mai, che il sopra può esser capovolto in sotto
per quanto
si giochi con gli specchi, essi sono estremamente frantumabili
vetro, vetruccio,
vetrina
stanno ritti
i manichini, impallidiscono i passanti e gli aguzzini
il nostromo
affogato aspettava all’angolo, e lei aveva tutto negli occhi
vetro, vetruccio, vetrina…
e lui forse
non ricordava come faceva la rima
guarda… mormorò il coro greco nella sua testa a
nota acuta
stralunato,
aveva una pietra in mano
dicevano di
fondarci una chiesa
dicevano di
scagliarla a una donna infedele
dicevano di
poter indicare con precisione il bersaglio, nemico, fantoccio, colpevole
dicevano di
usarla nella professional fionda da ‘rebel-model’
dicevano di
posarla senza fare scherzi
dicevano che
sarebbe andato tutto bene
dicevano che
sarebbe stato tutto diverso
dicevano che
era da al più presto sondare e rimediare
dicevano che
le ostriche non avrebbero capito niente
dicevano che
la signora ‘folla’ sarebbe andata su tutte le furie
dicevano ‘o
la pietra o la vita’, qui siamo nel ‘mondo’ (vedere etichetta)
vetro vetruccio vetrina… gorgogliò il nostromo nella birra
vetro vetruccio vetrina… sussurrò lei senza muovere le labbra
guarda… solo nella sua testa, ma erano le voci
vecchie, le vecchie care voci
guarda… sorrise lui
… la pietra che non aspetta…?
Chiese il vecchio poggiato al muro
Non proprio.
… lo schianto che non ha fretta…?
Non così.
… la miccia che si svolge schietta…?
Non male, davvero, ma non è così.
E il vecchio
sornacchiava uno sputo di tabacco per simpatia.
Alzò le
spalle e andò via, e sorrideva, e nessuno seppe mai come si chiamò.
E lui caricò
indietro il braccio come corda d’arco
…e il resto, beh, si sa…
guarda guarda, il
sasso che arriva
* ad Anteo Zamboni, a Sole, a Baleno, e a tutti gli altri e le altre