The Lost Years Of Lily di LadyMorgan (/viewuser.php?uid=50596)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa Importante ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Figlia Inglese e Figlia Irlandese ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - La Fantasia fa Volare ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Un Amico ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Diagon Alley ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Gelosia ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Il Binario 9¾ ***
Capitolo 8: *** Capitolo 1 - Unità Spezzata ***
Capitolo 9: *** Capitolo 2 - Solo Lily e Solo Severus ***
Capitolo 10: *** Capitolo 3 - Palloni Gonfiati e Interrogazioni ***
Capitolo 11: *** Capitolo 4 - Mezzosangue, Sanguesporco e Purosangue ***
Capitolo 12: *** Capitolo 5 - Scacchi e Svenimenti ***
Capitolo 13: *** Capitolo 6 - Voli Mentali e Materiali ***
Capitolo 14: *** Capitolo 7 - Di Delusioni e Patti Mancati ***
Capitolo 15: *** Capitolo 8 - Grifondoro VS Serpeverde ***
Capitolo 16: *** Capitolo 9 - Unicorni e Giganti ***
Capitolo 17: *** Capitolo 10 - Feste Noiose e Fotografi Schizofrenici ***
Capitolo 18: *** Capitolo 11 - Cuore d'Inverno ***
Capitolo 19: *** Capitolo 12 - Magia Persa e Ritrovata ***
Capitolo 20: *** Capitolo 13 - Sull'Espresso per Hogwarts ***
Capitolo 21: *** Capitolo 14 - A Casa ***
Capitolo 22: *** Capitolo 15 - Riprendermi ***
Capitolo 23: *** Capitolo 16 - Imbarazzo e Rimorso ***
Capitolo 24: *** Capitolo 17 - Spina nella Zampa ***
Capitolo 25: *** Capitolo 18 - Stress Pre-Vacanze ***
Capitolo 1 *** Premessa Importante ***
Introduzione
– Da
Leggere, se volete capirci qualcosa, almeno nella prima parte
Ave
a tutto il popolo di EFP!
Allora,
come mi è già capitato di annunciare un paio di
volte, per tutto il
prossimo anno scolastico non sarò qui ad ammorbarvi con le
mie
storie in quanto sarò negli USA a fingere di farmi una vita.
Evviva,
potrebbe essere il commento.
Ma
siccome io sono sadica e vi voglio male, ho qui preparata una storia
a capitoli – il mio primo tentativo da anni, quindi
aspettatevi una
discreta schifezza – appositamente ideata e creata per non
lasciarvi all’asciutto tutto l’anno. Che animo
nobile il mio,
vero?
La
gestione della pubblicazione dei capitoli e delle risposte alle
recensioni sono lasciate interamente a mia sorella,
_Milady_, che avrà un più costante accesso a
internet di quanto non
potrò fare io e che ha gentilmente, nobilmente etc.etc.
accettato di
assumersi quest’onore e onere.
Ho
lasciato alla fine di ogni capitolo uno spazio personale, riguardo al
capitolo in sé e per sé e ovviamente precedente a
qualunque tipo di
commento, recensione et similia possibili. Ergo, saranno fuori
contesto rispetto a quello che potrete dirmi voi.
Mi
dispiace non poter avere con voi il solito rapporto che si instaura
solitamente fra autore e recensori, ma purtroppo è
estremamente
improbabile che io abbia un’intensa vita EFPiana mentre sono
in
America, quindi posso solo accludere fin d’ora i miei
ringraziamenti a chiunque si prenderà la briga di recensire,
aggiungere a preferite/seguire/da ricordare questa storia (se ce ne
saranno).
Ciò
detto, passerò un attimo a parlare della stessa.
Come
i più perspicaci fra voi avranno notato, parlerà
di Lily Evans, e
in particolare della sua prima infanzia e del suo primo anno ad
Hogwarts.
Il
racconto è scritto in prima persona da Lily, senza ulteriori
punti
di vista. Ciò non vuole dire che se deciderò di
continuare non
cambierò punti di vista, vuol dire solo che questo primo,
malaugurato tentativo descrive solo la sua
personale
esperienza, ed è quindi necessariamente di parte. Vorrei
sottolineare che il linguaggio dei dialoghi non è sempre
aderente a
quello che terrebbe una bambina di quell’età, ma
ipoteticamente è
scritto col senno di poi, e nessuno ha una memoria tale da ricordarsi
parola per parola come si esprimeva a quell’età, e
riempirle la
bocca di ‘gaga’ non mi sembrava il massimo. Quindi,
se ogni tanto
il lessico è più elevato di quello comunemente
usato da una bambina
di sette-dodici anni, fatemi il favore di abbonarmelo come licenza
letteraria. Per dirlo con le parole che ho usato una volta per
spiegarlo a una mia amica, Lily “racconta al passato
immergendosi
nel presente”, intendendo con questo il fatto che pur
raccontando
successivamente si immerge nelle situazioni, quasi rivivendole.
Gli
altri personaggi di cui mi sono maggiormente trovata a trattare sono,
ovviamente, Severus Piton, Petunia Evans, i signori Evans (da me
chiamati Alan e Cecilia), e durante il periodo a Hogwarts i
Malandrini ed altri compagni delle altre case.
La
storia è divisa in due parti, la prima che parla
dell’infanzia di
Lily fino al suo arrivo ad Hogwarts, la seconda del suo primo anno ad
Hogwarts. Sarebbe utile sapere che inizialmente la storia era nata
come un'unica, lunghissima one-shot (una
“panlogos”, ancora
meglio -.-), e sebbene intorno al… credo capitolo 8 della
prima
parte ho finalmente deciso di dividere effettivamente in capitoli,
quelli prima erano un’unica storia. Ora, ovviamente ho
modificato
alcune cose, soprattutto nei primi capitoli, ma vorrei scusarmi per
le interruzioni a volte brusche fra un capitolo e l’altro.
Inoltre,
siccome esistono già diverse storie di questo tipo e io non
le ho
lette tutte, vorrei
scusarmi con qualunque autore dovesse trovare rassomiglianze o simili
con le proprie storie,
non è stato fatto volontariamente. Non subito
perché sono via, ma
appena sarò tornata, se me le vorrà segnalare,
cercherò di
modificare debitamente.
In
base ad alcune fonti (a partire da Harry
Potter e la Pietra Filosofale, Capitolo
1), la guerra del mondo magico era già iniziata nel 1971,
primo anno
di scuola di Lily, ragion per cui la tensione fra Purosangue e non
è
già accesa, per quanto una ragazzina di undici anni ancora
non
riesca a percepirlo appieno.
A
questo proposito, vorrei sottolineare un piccolo cambiamento che ho
operato nella traduzione di alcuni termini inglesi resi diversamente
in italiano: nei sette libri di Harry
Potter in
italiano si parla solo di Purosangue e Mezzosangue, nel caso di Nati
Babbani. Ora, nella versione originale esiste un terzo termine,
“mudblood”,
che
letteralmente potrebbe essere reso come “sangue di
fango” e che
io ho preferito rendere come “Sanguesporco”. Per
intendersi, un
Sanguesporco è un mago nato in una famiglia babbana, senza
quindi
nessun antenato magico. Lily è una Sanguesporco, Piton
è un
Mezzosangue. La persecuzione dei Purosangue è rivolta ai
Sanguesporco, con un pizzico di disprezzo verso i Mezzosangue dai
puristi. La cosa, per quanto in italiano si percepisca poco,
è
chiaramente visibile nella differenza di atteggiamento già
solo di
Draco Malfoy nei confronti delle origini di Harry (un Mezzosangue) e
di Hermione (una Sanguesporco).
Inoltre,
credo di dover segnalare un piccolo cambiamento che ho fatto rispetto
al Canon: in base a quanto detto in Harry
Potter e i Doni della Morte, Lily
è nata il 30 gennaio 1960 e James il 27 marzo 1960. Senza
farmi
troppi problemi, ho invertito le date. Spero che la cosa non risulti
troppo sgradevole ai lettori.
Ancora,
in base ad un’intervista con la Rowling sembra che James
abbia
giocato come Cacciatore nella squadra di Grifondoro. Ora, ovviamente
durante il primo anno James non può giocare (sappiamo che
Harry è
il più giovane giocatore di Quidditch da un secolo), ma in
base ad
alcuni commenti o attitudini io intendo farlo diventare un Cercatore
e non un Cacciatore (anche perché ne “Il peggior
ricordo di Piton”
di Harry
Potter e l’Ordine della Fenice James
gioca con un boccino, e con i boccini di solito ci giocano i
Cercatori, secondo me).
Per
orientarsi ad Hogwarts, ho usato questa cartina, e l’unica
modifica
rilevante è stata che la Guferia si trova separata dal resto
dell’edificio (ovviamente luoghi e percorsi qui citati fanno
riferimento alla saga di Harry
Potter, non
alla mia u.u).
Se
ci sarà qualcuno che sente l’irrevocabile
necessità di parlare
personalmente
con me sarò sempre più o meno raggiungibile al
“contatta autori”,
ma è molto, molto
probabile
che le risposte tarderebbero molto a venire, vista
l’annunciata
mancanza di una connessione stabile in casa e i quasi certi impegni
di scuola/amici/lingua/famiglia contratti in un paese straniero.
A
parte questo, non credo ci sia altro da aggiungere a priori.
Quindi,
termino qui. Buona lettura!
PS:
ovviamente, io non posseggo niente, né che io sappia ci
guadagno
qualcosa. I personaggi, i luoghi, gli oggetti et similia appartengono
a quel gran genio di Mamma Row, per quanto me ne abbia fatto morire
la maggior parte -.-
Le
immagini messe a inizio capitolo al 90% non sono mie, tutt’al
più
le rielaborazioni sono mie, provengono dal Web (purtroppo prese anche
tempo fa e quindi innominate).
Salve
a tutti!
Io
sono la suddetta sorella che si occuperà della storia e
fingerà di
esserne capace (vedete quindi di non smascherami subito -.-). Sono
fermamente convinta di non essere in grado di gestire tutto
perché
nella famiglia quella brava con le parole è Lei (il genio di
Sil
alias LadyMorgan), ma tenterò per non lasciarvi a secco di
storie e
perché altrimenti tutto il lavoro di questi mesi va in fumo
e noi
non vogliamo questo...
Cose
importanti da sapere sono:
-
Dato che ho a disposizione ben 27
capitoli già pronti, ho intenzione di aggiornare una volta a
settimana, probabilmente di domenica, quando non studio.
Cercherò di essere il più regolare possibile e
nel caso di ritardi o problemi dovrei essere in grado di avvisare nel
capitolo precedente.
-
Lei è quella che scrive, ma
io sono quella demente, quindi se a volte parlo da sola o al plurale
non vi spaventate.
-
So che il rapporto tra autore-lettore
non ci sarà, ma io cercherò comunque di
rimpiazzarlo con un rapporto sorella dell'autrice-lettore,
cioè risponderò alle recensioni in modo personale
e dato che alcune volte sono stata presente alla stesura della storia o
mi è stato illustrato il processo nei minimi dettagli potrei
persino rispondere a domande inerenti alla storia che non sono state
sviscerate nelle note della vera autrice.
Pubblicherò
il primo capitolo poco dopo questa pagina o altrimenti domani
perché a mio parere tutto ciò è
estremamente importante e quindi andrebbe letto.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo I - Figlia Inglese e Figlia Irlandese ***
The Lost Years Of Lily
Posso credere a
qualunque cosa,
purché sia incredibile
Oscar Wilde
Premessa: Prima di Scuola
Capitolo I – Figlia Inglese e Figlia Irlandese
Non
so quali pianeti si fossero messi d’accordo per rendere la
mia
nascita così difficile, ma fu così: trentasei ore
di travaglio
piene, in cui mia madre fece del suo meglio e del suo peggio per dare
vita ad un essere di tre chili e mezzo che come primo ringraziamento
la fissò con due occhi grandi come metà faccia.
Dice
che fu uno dei momenti più belli della sua vita, che un
raggio di
sole penetrò la spessa coltre di nubi che addobbava Dublino
in
quella uggiosa giornata di marzo, ma non so quanto sia
realtà e
quanto sia solo affetto materno.
So
che mio padre mi prese subito in braccio e, dopo avermi guardata con
grande attenzione ed aver ricevuto in cambio uno sguardo perplesso,
esclamò compiaciuto: «Ha i tuoi occhi, Cecy! I
tuoi stessi,
bellissimi occhi!»
La
terza persona che mi vide fu una bambina di poco più di due
anni
che, dopo essersi sporta sul braccio di mio padre per capire cosa
stava guardando, incontrò come terza persona quegli stessi
occhi e
saltò indietro esclamando: «Bruuuutta!»
Ma poi, guardando meglio,
aggiunse: «Sembra bambola. È mia nuova
bambola!»
I
miei risero e io fui finalmente libera di gridare. Non credo che
avrei smesso tanto preso, non fosse stato per il fatto che mi madre
cominciò ad allattarmi a tradimento.
Quando
era nata mia sorella, il primo commento del migliore amico di mio
padre, William Caulfield, era stato “Ecco la tua figlia
inglese,
Alan. Quello che si ottiene a lasciarsi stregare dagli occhi verdi
delle britanniche…” Entrambi i miei genitori
avevano riso.
Quando
gli presentarono me, invece, mi guardò
con grande attenzione
fino a quando io non mi risvegliai e lo fissai con quello che, mi
dissero successivamente, era uno sguardo molto dignitoso. Lui
scoppiò
a ridere ed esclamò lanciandomi in aria e riprendendomi al
volo –
con gran scorno delle mie nonne, entrambe preoccupatissime che quel
pazzo furioso di Irishman ferisse la loro piccola e
preziosa
nipotina – e guardando mio padre maliziosamente:
«Ecco la tua
figlia irlandese, Alan. Con gli occhi dell’inglese, ma dello
stesso
colore della nostra bandiera… Ah, lei la educherò
io…»
«Certo
che lo farai» ribatté mia madre – donna
di estrema energia, dato
che neanche un’ora dopo il parto era di nuovo in piedi.
«Sei il
suo padrino.»
Pare
che dalla sorpresa quel buontempone che doveva diventare il terzo
adulto più responsabile della mia sicurezza mi abbia quasi
lasciata
cadere, con mio gran scorno. Ricominciai a piangere e mio padre mi
riprese in braccio esclamando: «Col cavolo che nomino padrino
questo
deficiente, Cecy! Ci vuole qualcuno con la testa sulle spalle per
questo genere di lavoro!»
«Se
tu puoi fare il padre, io posso fare il padrino» aveva
ribattuto
William ancora su di giri andando a schioccare un bacio sulla guancia
di mia madre. «E poi Cecy si fida di me, e se la nostra
razionalissima, ponderatissima e intelligentissima Cecy si fida tu
non puoi fare altro che attaccarti, Alan! La tua piccola figlia
irlandese sarà il mio fiorellino!»
Non
fu possibile toglierci quell’appellativo, “figlia
inglese” e
“figlia irlandese”, per molti anni.
Alan
Evans era un uomo di trentacinque anni alto e sempre sorridente,
laureato in letteratura e appassionato di cultura celtica. Aveva i
capelli color mogano e lo sguardo franco e leale di una persona che
non conosce sotterfugi. Era nato a Limerick e si era trasferito a
Dublino per seguire i corsi della Dublin University. Intorno ai
ventisette anni era andato a fare un seminario di qualche settimana a
Cambridge e lì aveva conosciuto mia madre.
Cecilia
Hallen era una bella donna, bionda e dagli stupefacenti occhi verde
chiaro, piena di quell’ironia british che
le valevano la
nomea di donna di indubbio fascino. Nata a Plymouth nella casa di
famiglia, una volta cresciuta si era iscritta, contro il volere del
padre, all’università di Cambridge, ed aveva
intrapreso con lode
la facoltà di scienze matematiche. Malgrado questo, aveva
anche
un’indiscussa passione per la storia antica e in particolare
la
storia e la lingua latina: era stato seguendo un seminario sulla
presenza romana in Britannia e gli influssi che aveva portato su
lingua e abitudini che aveva conosciuto mio padre.
Inizialmente
erano solo due ragazzi intelligenti uniti da una passione comune, ma
successivamente avevano cominciato a frequentarsi e, anche quando mio
padre era tornato in Irlanda, scriversi. Una volta che entrambi si
furono laureati, tornarono ad incontrarsi e, dopo aver finalmente
compreso che si erano innamorati, si sposarono (mio padre, sebbene
irlandese, era di professione protestante).
Si
trasferirono a Dublino quello stesso anno ed iniziarono entrambi a
lavorare come insegnanti in una High School vicino a casa nostra.
Qualche
anno dopo nacque Petunia, la “figlia inglese”,
così nominata,
probabilmente, perché aveva un carattere pignolo e ordinato
e
controllato che mal si accordava, secondo Will, almeno,
all’esuberanza della gioventù irlandese.
Secondo
lui io avevo un sorriso più aperto e ridevo più
spesso, anche se
come avesse fatto alla nostra nascita per indovinare tutto questo non
l’ho mai capito.
Quando
entrai nella loro vita, i miei genitori, oltre al loro lavoro,
stavano seguendo un tirocinio sempre alla Dublin University, e fra
università, figlie e lavoro era un miracolo, per loro, che i
nostri
nonni di Limerick ci facessero visita spessissimo per prendersi cura
di noi. Will, poi, era sempre in casa.
Cominciai
a parlare a sette mesi, e a detta di tutti non c’era modo di
farmi
star zitta, nonostante il mio vocabolario comprendesse solo le parole
“mamma”, “papà”,
“tata”, “pappa”, e, credo,
“ciccia”, anche se non so a cosa allora fosse
riferito. Forse a
Will, dato che ogni volta che entrava nella stanza io mi illuminavo e
lo salutavo con uno squillante “ciccia!” tutta
orgogliosa di me
stessa, tanto da valermi l’affettuoso appellativo di
“figlioccia
degenere”.
Non
mi tirai in piedi prima dei sedici mesi, e passai le mie prime
esperienze su e giù per le scale di casa mia, facendo
impazzire i
miei genitori dato che i gradini erano quasi più alti di me.
Tunia
mi aiutava sempre a salire le scale, sembrava orgogliosa e fiera di
prendersi delle responsabilità su di me, a patto che poi le
successive tre ore potesse passarle a pettinarmi i capelli, infilarmi
– o meglio provarci, visto che ero una bambina molto grossa
–
negli abitini striminziti delle sue bambole e rifilarmi il
tè peggio
preparato di tutta l’Irlanda e il Regno Unito, visto che
usava
quello liofilizzato in quantità tali che c’era
più tè che acqua,
anche se sembrava allora che io gradissi molto versarlo addosso a
qualunque cosa si trovasse davanti a me in quel momento.
A due
anni mi esprimevo più o meno correttamente, almeno per
quanto ci si
possa aspettare da una bimba di quell’età, e i
nostri genitori
erano talmente fieri di me e di Petunia che non era rado che ci
portassero a delle cene di lavoro, a volte anche con i loro stessi
professori. Erano felicissimi di poter mostrare la nostra educazione,
dato che a quattro anni Tunia sapeva già quale forchetta
scegliere
fra le possibili e io non interrompevo mai qualunque discorso
stessero facendo.
Quando
fui in grado di cominciare a correre e a saltare, ci si rese subito
conto che per qualche strano motivo la forza di gravità
aveva meno
effetto su di me che sugli altri comuni mortali: se volevo, potevo
atterrare in modo da cadere sempre in piedi, anche se allora non me
ne accorgevo: come si fa a considerare strana una cosa che risulta
del tutto naturale?
Avevo
cinque anni la prima volta che mi resi conto appieno di quel mio
strano potere, e se me ne accorsi fu solo perché, a detta di
tutti,
avevo un inconsueto spirito di osservazione per la mia età e
mi
rendevo conto che cose che io davo per scontate, come
l’atterrare
sempre in piedi, come i gatti, non erano affatto normali nei miei
coetanei.
Ma
allora credevo ancora fermamente nei folletti, nei lepricani, nelle
fate e nella magia che popolavano le storie di mio padre, e se
c’era
qualcosa che mi sembrava diverso dai miei compagni cominciavo a
credere di essere una fata.
Comunque,
i miei genitori coglievano solo di sfuggita l’aspetto per me
assolutamente magico di quella strana capacità. Mi avevano
addirittura iscritto a ginnastica artistica, per mettere meglio a
frutto quelle mie “abilità innate”: era
una delle poche palestre
irlandesi, e già il fatto che fosse capitata vicino alla
nostra casa
veniva da me considerato un segno del destino. Mia madre aveva
partecipato una volta ad una esibizione delle loro ragazze, e le ero
subito venuta in mente io e i salti che facevo, credendo che fossero
tutte doti naturali. In fondo, quando vedi un salto ben eseguito il
tuo primo pensiero non è che provenga dalla magia. Io invece
ne ero
fermamente convinta. Mi divertivo a pensare di essere una fata in
incognito, forse affidata dal re e dalla regina delle fate a dei
comuni mortali per proteggermi da un grave pericolo.
Tunia
mi prendeva sempre in giro per queste mie fantasie, quando gliele
raccontavo. Ma io ribattevo mostrandole i miei voli, chiedendole di
guardarmi la schiena per vedere se mi erano spuntate le ali,
raccontandole storie straordinarie che erano frutto della mia
sfrenata fantasia. Lei mi ascoltava sempre quando io volevo parlarne,
si divertiva a inframmentare commenti sarcastici qui e là
per
smorzare quell’incontrollabile vena di fantasia che premeva
in ogni
mia parola. A Tunia la magia non piaceva, diceva che era solo un modo
per farci dimenticare quanto squallida fosse la vita reale, ma che
una volta realizzato che non esisteva si restava delusi per troppo
tempo. Per i suoi sette anni e mezzo, era una delle persone
più
concrete che abbia mai conosciuto.
Io
non davo retta a quella che Will definiva la sua “flemmatica
razionalità inglese”.
Mio
padre, da buon irlandese, non smentiva né accoglieva mai le
mie
fantasie, ma era impossibile sbagliarsi sul luccichio del suo sguardo
quando, la sera, gli raccontavo com’era andata la giornata
facendo
permeare in ogni avvenimento, ogni parentesi la magia che dicevo ci
circondasse. Era lui che la sera, per farmi addormentare, mi
raccontava le straordinarie leggende della sua terra, mimandomi ogni
movimento con le mani o con piccoli oggetti attorno. Persino Tunia si
divertiva in quei casi.
Mia
madre, da brava inglese, di solito cercava di controbilanciare
l’influenza del marito insegnandoci la logica, il
ragionamento
razionale, e io adoravo le sue lezioni quasi quanto i racconti di mio
padre. Cecilia Evans era una donna gentile, affettuosa, intelligente:
fin da bambine ci aveva trattato come adulte in miniatura, sostenendo
che, sebbene fosse loro compito in quanto genitori guidarci sulla via
migliore, lei e mio padre dovevano insegnarci a fare le nostre scelte
da sole, come individui indipendenti. Non credo le sarò mai
abbastanza grata per questo.
Volevo
ad entrambi un bene immenso, e ne volevo anche a Tunia, sebbene mi
dispiacesse che non riuscisse a condividere la mia vena
irrimediabilmente fantasiosa.
Per
lei tutto ciò che dicevo erano stupidaggini e che quando mi
sarei
risvegliata dal mio sogno incantato ci avrei sofferto tantissimo, e
cercava quindi di dimostrarmi in tutti i modi che la magia non
esisteva.
Ma io
la sentivo dentro di me quando camminavo, quando correvo, quando mi
destreggiavo con le parallele, la trave, il volteggio, persino nel
corpo libero: la mia insegnante mi aveva fatto i complimenti quando,
superato il primo anno e mezzo di semplice allenamento fisico, avevo
mostrato la mia capacità di fare atterraggi perfetti senza
nessun
apparente sforzo. Ma per me era normale.
A
scuola ero popolare per quello, se si può parlare di
popolarità ai
primi anni delle elementari: avevo un selezionato gruppetto di amiche
intime che conoscevo fin dalla materna e stavo spesso con loro, ma
quando andavamo nel piccolo giardino della scuola e facevo vedere
loro cosa mi facevano fare a ginnastica, non erano in pochi quelli
che mi venivano a vedere.
Era
un periodo libero da qualunque preoccupazione, io ero felice, felice
della mia vita, dell’affetto dei miei genitori,
dell’amicizia dei
miei compagni, del fatto che tutto sembrasse riuscirmi facile.
Tunia,
da parte sua, stava diventando quella che mia madre definiva
“una
piccola damina”, teneva molto all’apparire
perfetta, precisa e
ordinata, la sua stanza, contrariamente alla mia, era sempre in
ordine e si divertiva ad atteggiarsi a signora.
Io
ero molto più per le corse, le gite, le
arrampicate… alcuni dei
momenti più belli della mia infanzia era quando arrivava
Will per
portare il suo “fiorellino” con sé a
fare una gita mentre i miei
genitori non potevano guardarci, perché lui sopportava e
anzi
incoraggiava la mia esuberanza, mi spingeva a mostrargli i miei
esercizi, mi faceva salire sugli alberi avvicinandomi ai rami dove
non arrivavo, mi faceva fare capriole lungo il suo corpo, e poi mi
prendeva in braccio e mi faceva ballare: per me non esisteva
felicità
più grande che ballare con Will mentre Tunia, che veniva
sempre con
noi anche se non partecipava ai nostri rumorosi giochi, ci guardava
con indulgenza. Di solito, quando uscivamo con Will, lei si faceva
preparare una borsa da mamma con dentro una piccola merenda e una
tovaglia da pic-nic. Completava il tutto portandosi una o
più
bamboline con cui giocare mentre Will mi faceva volare sugli albero o
sopra la sua testa: per lei eravamo come due bambini che si stanno
divertendo in maniera simpaticamente infantile, ma lei era superiore
a queste cose, sebbene a volte avessimo provato a
coinvolgerla
rifiutava sempre con un sorriso e si preoccupava di farci trovare
pane e marmellata quando tornavamo dal punto dove si era seduta.
In
quelle occasioni, appena ci allontanavamo Will mi si avvicinava per
sussurrarmi all’orecchio: «Figlia
inglese…» e io ridevo e lo
abbracciavo mentre cominciavamo una lotta scherzosa.
In
modo del tutto infantile e privo di malizia, ero innamorata del mio
padrino, pensavo che fosse la persona più bella del mondo e
con lui
mi sentivo felice e al sicuro, il suo sorriso era sempre in grado di
rischiararmi la giornata, e in generale il suo arrivo era collegato
per me ad un tale benessere che un giorno, dopo che stavamo tornando
a casa da una lunga escursione nelle campagne intorno a Dublino, gli
avevo chiesto con grande serietà: «Will, quando
sarò più grande
mi sposerai?»
Tunia
aveva subito alzato gli occhi, stupita e indignata più dal
fatto che
fosse la donna a proporsi all’uomo che non che io stessi
chiedendo
in matrimonio un uomo dell’età di mio padre.
Lui
invece era scoppiato a ridere e aveva levato una mano dal volante per
stringere la mia dicendo: «Sì, fiorellino, quando
sarai più grande
ti sposerò, se tuo padre non mi ammazza prima!»
Io
ero completamente fiduciosa sulla magnanimità di mio padre e
quindi
non mi porsi neanche il problema, anche perché quando
annunciai a
mia madre che da grande avrei sposato Will lei mi guardò con
un
sorriso e una risata appena trattenuta e disse a mio padre:
«Alan,
dì a quel pazzo scatenato del tuo migliore amico che
è troppo
vecchio per mia figlia!»
Io
avevo protestato e loro avevano continuato a ridere, e mio padre
aveva detto: «Quando sarai più grande, Lils, se
ancora vorrai
sposare quel cretino, vedrò di darvi la mia
benedizione.»
Quindi
per me non c’erano assolutamente problemi, anche se non
capivo
perché gli adulti dovessero ridere su quella che per me era
una
questione della massima serietà.
Fu
quando ci trasferimmo a Manchester, in Inghilterra, che dovetti fare
i conti con quella che mia sorella chiamava
“realtà”: in
Irlanda, in mezzo al verde ed alle tradizioni popolari, era facile
immaginare che il mondo fosse pieno di fate e folletti, ma in quella
città inglese caotica e non a caso chiamata “the
town of the
tall chimneys” tutto sembrava molto più
cupo, più
impossibile. Smisi di credere alle fate solo quando i miei nuovi
compagni mi cominciarono a prendere spietatamente in giro,
chiamandomi l’“Irlandese visionaria”.
Avevo otto anni.
I
miei genitori avevano entrambi terminato il tirocinio e pubblicato un
paio di libri che avevano, a quando pareva, catturato
l’attenzione
di alcuni professori. Avevano ricevuto un’ottima proposta
dalla
University of Salford, un posto davvero buono per persone della loro
età: a entrambi era proposta una cattedra fissa nella stessa
sede, e
quindi avevano colto al volo l’occasione. Inoltre, anche se
questo
lo capii solo dopo, erano entrambi inquieti per la situazione a
Dublino: nel ’66 era stata fatta esplodere la colonna di
Nelson e
fin da quando ero piccola mi ricordavo che c’erano molte case
che
venivano abbattute; allora non sapevo che erano edifici giorgiani
eliminati per un feroce senso di nazionalismo contro gli ex
dominatori inglesi.
Per
me, allontanarmi dall’Irlanda fu un tuffo al cuore, sebbene
col
tempo ci avrei fatto l’abitudine.
Per
una persona abituata a muoversi per spazi vedi, a correre, ridere,
dire quello che mi pareva, l’atmosfera pesante e grigia di
quella
città era opprimente. Magra consolazione, c’era
una palestra di
ginnastica non troppo lontano da casa nostra, grazie a dio. Ma
intanto non avevo più nemmeno il conforto di Will e la
felicità di
poter credere nella magia che Tunia continuava a ripetermi non
esisteva, come ormai avevo accettato anch’io per forza
maggiore.
Eppure
io sentivo ancora il mio potere, riuscivo ancora a fare quei salti e
quegli atterraggi che mi erano valsi due medaglie d’oro alle
gare
di ginnastica artistica. Anzi, quando compii nove anni riuscii
addirittura ad accendermi una fiammella sull’indice. La prima
volta
mi spaventai e la spensi cacciando un urlo. Solo Petunia accorse per
vedere cosa fosse successo, mamma e papà erano in giardino e
stavano
discutendo, e io avevo soffocato il mio grido sul nascere.
«Lily,
cos’è successo?» mi chiese
precipitandosi in camera mia. Io mi
stavo ancora guardando la mano, stupefatta. Tunia mi prese per le
spalle e mi scosse. «Lily, rispondimi immediatamente!
Cos’è
successo?»
Io
alzai gli occhi su di lei, ancora incredula, poi soffiai: «La
mia
mano… ha… preso fuoco!»
Lei
mi guardò per un attimo come se temesse per la mia
sanità mentale.
«Oh, smettila con tutte queste sciocchezze, Lily»
sbuffò alla fine
lasciandomi andare. «Credevo che da quando fossimo qui avessi
lasciato perdere tutte queste stupide fantasie!»
«Non
è una stupida fantasia, Tunia!» esclamai offesa.
«Era reale, è
successo sul serio… guarda!» aggiunsi aprendo la
mano e
concentrandomi. Due secondi dopo, una fiammella mi brillava sul
palmo, placida, calda ma senza essere ustionante.
Vidi
Petunia impallidire. «Cosa…?»
cominciò mentre si avvicinava per
vedere la fiammella, osservandola da tutte le angolazioni possibili.
«Come fai?» chiese in un soffio sfiorando appena il
mio piccolo
miracolo.
Io mi
strinsi nelle spalle e il fuocherello si spense. «Non lo so,
Tunia»
risposi, ancora un po’ scioccata.
«É… istintivo, quasi.»
Il
suo sguardo era quasi bramoso mentre si fissava sulla mia mano.
«Non
lo deve sapere nessuno, Lily, lo capisci vero?»
Io
rimasi confusa. Uno dei miei primi pensieri era stato quello di farlo
vedere ai ragazzi che mi avevano preso in giro la prima volta per
dimostrargli che la magia esisteva. Non sapevo neanche più
se era
vero, ma ero sicura che qualcosa fosse, e quindi
potevo
benissimo spacciarla per magia.
«Lily,
mi hai capito?»
Io
scossi il capo. «Perché?» chiesi
infantilmente. «Cosa può
esserci di male?»
Tunia
sospirò. «Potrebbero credere che sei strana, che
sei diversa…»
«Ma
è vero!» protestai io vivacemente.
«Ma
non lo devono sapere!» rispose lei. «Potrebbero
farti del male,
potrebbero essere pericolosi, potrebbero
spaventarsi…»
Io
stavo per ribattere quando una nuova scena mi apparve davanti agli
occhi: un ragazzino di quarta della nostra scuola, magro e pallido,
che veniva pestato a sangue da alcuni ragazzi poco più
grandi di noi
perché aveva fatto alcuni trucchetti di magia, forse per
impressionare alcuni dei bambini lì attorno. E sebbene
credevo che a
me non sarebbe successo – oltre a essere abbastanza veloce,
ero
sicura che non avrebbero picchiato allo stesso modo una ragazza
–
accettai il consiglio di Petunia.
E non
parlai a nessuno di quel mio piccolo dono.
Intanto
la vita continuava più o meno tranquilla, sebbene
continuassi ad
odiare i miei compagni ed a rimpiangere l’Irlanda: non
riuscivo ad
omologarmi, ero più brava a scuola, stavo sempre per i fatti
miei o
con Petunia, quando credevo di non disturbarla. A nessuno,
lì,
interessavano le mie storie o i miei salti, ero poco più che
invisibile, un’ombra abbastanza molesta che si aggirava
attorno a
loro. Non erano interessati o curiosi verso di me, ma indifferenti e
in alcuni casi addirittura ostili. Non sapevo nemmeno se era per
colpa mia o per colpa loro, ma ogni volta che incontravo altri
ragazzi della mia classe mi sembrava sempre che mi guardassero
stranamente o che sussurrassero alle mie spalle, tanto che a volte
avrei voluto sbottare: “Sì, sono diversa, e
allora?!”. Diventavo
sempre più introversa, anche se cercavo di fare buon viso a
cattivo
gioco. Non dico che diventassi scontrosa, ma nascondevo i miei
pensieri dietro una maschera più o meno sorridente.
I
miei genitori ne erano consapevoli, anche perché glielo
raccontavo
io il più delle volte, ma non sapevano bene cosa fare: si
erano
trasferiti perché tutti e due per il loro lavoro e, per
quanto
riguardava solamente loro, andava tutto benissimo. Quindi si
dispiacevano per me e mi consolavano, sollevavano e facevano ridere,
ma non potevano cambiare la situazione presente nella mia scuola. E
di fatto era colpa mia se prendevo tutto così male: il posto
non era
orribile, non avevamo preso una casa in centro e quindi c’erano
alcuni prati attorno alla nostra casa, la mia scuola era molto
più
grande di quella in Irlanda e c’erano molti più
bambini della mia
età. Forse era semplicemente il fatto che io mi trovavo
meglio con
le persone più grandi, gli adulti o a volte anche i vecchi.
E poi
ero piombata fra capo e collo a metà delle elementari in una
scuola
in cui già tutti si conoscevano da tempo, con cognizioni
diverse, e
spesso più approfondite, grazie al fatto di avere due
insegnanti
come genitori ed una smodata passione per le ricerche e gli
approfondimenti. Il fatto che fossi in poco tempo diventata la prima
della classe non mi aiutava, anzi, faceva sì che quelli che
prima
del mio arrivo erano i più bravi mi guardassero di sbieco e
spingessero anche gli altri a considerarmi una So-tutto-io snob. Ho
paura che ad un certo punto lo fossi diventata sul serio, anche se
cercavo di rimanere più imparziale possibile verso di loro.
Normalmente
mi rifugiavo nei miei mondi immaginari, creandomi amici fra le
creature fantastiche che avevo imparato a considerare solo frutto
della mia fantasia. Adoravo Carnevale e Halloween, quando potevo
mascherarmi e recitare e fingere di essere solo una dei tanti bambini
che passavano da porta a porta.
Anche
Tunia stava cambiando: per lei l’arrivo a Manchester non
aveva
significato una sorta di autoimposta emarginazione, ma un cambiamento
più profondo. Aveva fatto amicizia con alcune ragazze della
sua età
che io consideravo tremendamente superficiali e, per adattarsi meglio
ed essere accettata nel loro gruppo, aveva cominciato a comportarsi
come loro, esasperando la sua abitudine alla precisione in una
maniacale attenzione per il suo aspetto e per l’ordine delle
sue
cose, ostentando un atteggiamento che aveva dello sprezzante verso
gli altri ragazzi e parlando con vocaboli elaborati che le davano
solo un’aria obsoleta, anche perché la maggior
parte delle volte
non sapeva nemmeno cosa volessero dire. Inoltre, poiché
relazionarsi
da pari con una sorella minore era considerato da sfigati, raramente
mi rivolgeva la parola in pubblico.
Tutto
questo mi urtava e a volte mi faceva anche piangere, tuttavia non
sarebbe stato giusto definirmi infelice: ero troppo
giovane
per crogiolarmi in una malinconica depressione perpetua. Dopo il
primo periodo di riassestamento, in cui era risultato che provare a
fare amicizia con i miei compagni era un tentativo fallimentare,
avevo accettato il fatto che la situazione era cambiata radicalmente
dall’Irlanda ed avevo quindi cambiato completamente
prospettiva;
non provavo più a farmi degli amici fra persone che
consideravo
prevenute nei miei confronti, e era più facile che mi
ritirassi nel
mio mondo fantastico, popolato dagli amici immaginari con cui potevo
parlare liberamente e di tutto e che mi salvavano dalla solitudine, e
poi avevo cominciato a divorare dozzine di libri e riuscivo ad
immedesimarmi tanto bene nei personaggi che potevo piangere quando un
amico moriva come ridere di gusto per una battuta divertente.
In
base a questa nuova realtà, io e Tunia restavamo insieme
molto meno
rispetto a quando eravamo più piccole, e spesso, soprattutto
in
presenza dei suoi compagni, Petunia assumeva nei miei confronti un
atteggiamento di superiorità davvero irritante. Credevo di
capirne
le cause, e provavo ad accettarlo, ma era veramente difficile.
Anche
se ormai nessuno ci chiamava più così, eravamo
rimaste la “figlia
inglese” e la “figlia irlandese” che Will
aveva riconosciuto
così tanto tempo prima.
ANGOLO AUTRICE
Buongiorno,
buon pomeriggio o buonasera, lettori. Un saluto a tutti quelli che
sono arrivati fin qui, e un paio di note per chi vuole prendersi la
briga di leggerle.
Allora,
che io sappia non ci sono notizie sul luogo di nascita di Lily
né su
dove ha trascorso la sua infanzia. Riguardo al primo ho lavorato di
fantasia, riguardo al secondo ho scelto Manchester perché,
come ho
già detto nel capitolo, veniva chiamata “la
città delle alte
ciminiere”. Inoltre, nello spazio del Lexicon
dedicato
all’identificazione di Spinner’s End,
Manchester viene identificata come la più probabile
località
proprio per la sua natura industriale. Ciò nonostante, si
dice anche
che è improbabile che fosse in centro (ho pensato che il
quartiere
di Salford fosse il più indicato). Mi sono attenuta ad
entrambe le
descrizioni, basandomi anche sulla necessità di trovare un
fiume
vicino. Effettivamente c’è un fiume che scorre a
Manchester,
l’Irwell, e ci sono anche numerose fabbriche, molte delle
quali di
natura tessile (uno dei significati di “Spinner” in
inglese è
filatore). In base a quanto ho scritto io, Lily non vive direttamente
a Spinner’s End, ma solo abbastanza vicino; stando alla
descrizione
infatti Spinner’s End sembra un quartiere operaio, e per mia
scelta
ho preferito fare i genitori di Lily professori e non operai o
comunque lavoratori del settore industriale. In questa scelta sono
stata anche supportata dall’evidente disprezzo di Petunia per
Spinner’s End ne “La Storia del Principe”
di Harry
Potter e i Doni della Morte.
L’Irlanda
è una scelta che può avere numerose motivazioni.
Volevo qualcosa
che rendesse Lily più propensa a credere alla magia, che le
desse un
temperamento nettamente contrapposto a quello della sorella, e la
nota – non me ne vogliano gli esperti –
“vena magica”
dell’Irlanda è giunta fino alle mie orecchie.
Inoltre, mi sembrava
un posto molto migliore per crescere di una grigia città
industriale
inglese. Il trasloco mi serviva, oltre che per tornare nel Canon,
anche per poter dare a Lily quel senso di spaesamento che, secondo
me, l’avevano portata a comprendere ed apprezzare Severus
Piton,
anche se di questo parleremo nel prossimo capitolo.
William
Caulfield è, di fatto, la personificazione
dell’Irlanda. È
l’amico adulto, introdotto fra l’altro un
po’ successivamente a
livello cronologico, e devo dire che per descriverlo un po’
mi sono
ispirata ad un altro famoso padrino di Harry Potter, a.k.a. Sirius
Black, anche se la crudeltà della Rowling ci ha impedito di
vederlo
in tale veste.
La
ginnastica artistica è un omaggio a mia madre, da sempre
appassionata di questo sport. Inoltre, per un personaggio dinamico
come la Lily che ho sempre immaginato io, uno sport bello e
coreografico come questo era l’ideale. Di nuovo, gli esperti
o gli
appassionati mi perdonino le possibili ingenuità in materia.
Le
università/scuole citate sono effettivamente esistenti, e
spero che
il fatto che nei loro annali non siano riportati i coniugi Evans non
sia considerato oltraggio alle cattedre.
Bene,
credo sia tutto.
Ciao
a tutti coloro che hanno letto!
ANGOLO
PUBBLICANTE
Salve
a tutti!
Dato
che quel gran genio di mia sorella ha già sviscerato ogni
singolo
punto del capitolo, come è giusto che sia, io non ho molto
da
dirvi...
Ringrazio
subito chi ha letto l'avviso iniziale e chi leggerà questo
capitolo
(sempre che qualcuno lo faccia... EVVIVA L'OTTIMISMO! -.-)
Grazie
a...
purepura:
sono felice che la storia di interessi e se adori il personaggio di
Lily... questa è veramente la storia giusta dato che
è interamente
concentrata su di lei e sui suoi pensieri, e non lo dico solo per fare
pubblicità (o forse sì... vi lascerò
il beneficio del dubbio!)
Grazie
anche alle persone che hanno inserito la storia tra le seguite.
Ho ricevuto scrupolose e arrabbiate istruzioni in cui mi si intimava di aggiornare ogni DUE settimane, io obbedisco e mi dispiaccio per il mio errore nella presentazione. Alla prossima!
(Tutto
questo rivolgermi ad un inesistente pubblico non giova alla mia,
poca, sanità mentale...)
|
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Capitolo 3 *** Capitolo II - La Fantasia fa Volare ***
Premessa:
prima di scuola
Capitolo
II – La Fantasia fa Volare
La
nostra casa non era, fortunatamente, in un quartiere industriale, per
quanto in lontananza si potesse vedere la ciminiera di una industria
tessile che svettava tutt’attorno, ma non si poteva
pretendere più
di tanto in una città all’insegna dello sviluppo
imprenditoriale;
l’aria era relativamente pulita e la nostra scuola era
abbastanza
vicina, tanto che avevamo preso l’abitudine di andarci in
bici. Non
troppo lontano da casa nostra scorreva anche un fiume,
l’Irwell, ma
era talmente sporco che difficilmente ci avvicinavamo, per la puzza.
Però
attorno alla nostra casa c’erano dei campi in cui potevo
più o
meno sfogarmi, anche se dovevo allontanarmi parecchio dalla strada
per non essere presa per pazza. Sognavo ancora, ma con molta
più
maturità, dei pic-nic con Will, e inconsciamente mi
ritrovavo a
replicare ciò che allora facevamo insieme: correre, ballare,
arrampicarci, saltare, esercitarmi… con la differenza che
ormai
Tunia non veniva più con me e che quindi lo zainetto munito
di
merenda e dell’ormai immancabile libro era mio.
Mi
piaceva andare lontano da tutti, di fronte a casa nostra
c’era un
prato non particolarmente grande ma con un bellissimo albero in mezzo
su cui io passavo i pomeriggi più caldi, appollaiata su un
ramo
quasi orizzontale che fungeva da sdraio. Passavo le ore a leggere su
quell’albero, a volte mi appisolavo o contavo le nuvole,
oppure
tiravo fuori un blocco da disegno e facevo degli schizzi stentati di
ciò che mi circondava, cercando di coglierne
l’essenza. A volte
intavolavo anche discussioni con il mio folletto immaginato
preferito, Beagduille, spiegandogli quello che pensavo e ascoltando
con attenzione le risposte che mi dava. Lì potevo anche
cercare di
capire cosa fossero quelle specie di “poteri”
contro i quali
Tunia mi metteva in guardia, ed esercitarmi a controllarli;
dopotutto, se davvero c’era qualcosa di
diverso in me il
minimo che potevo fare era cercare di tenere tutto sotto controllo,
no?
Non
era facile, ci riuscivo solo in parte e solo concentrandomi con
attenzione. Inoltre non c’era nessuno a cui potessi parlarne,
nessuno che potesse condividere i miei successi, a parte Beagduille,
e per quanto partecipe era solo una parte di me. In particolare mi
allenavo a mantenere l’equilibrio ed a saltare facendo buoni
atterraggi, forse perché mi riusciva bene, forse
perché mi veniva
richiesto più volte a settimana dagli allenamenti: ero
capace di
camminare senza sforzo sul ramo dell’albero senza
aggrapparmi,
riuscendo a inserirci anche una ruota di tanto in tanto, e se mai
fossi caduta avevo la certezza che non mi sarei fatta niente. Non mi
facevo mai niente.
Ne
avevo avuto l’ennesima riconferma una volta che nostra madre
ci
aveva portate al parco giochi vicino casa nostra, quando ero andata
sull’altalena. Mi piacevano le altalene, mi piaceva
dondolarmi più
in alto possibile.
Ma
a Tunia no. Quando ero andata troppo in alto aveva urlato e per la
sorpresa mi aveva fatto lasciare la presa. Ero letteralmente volata
per un paio di metri mentre mia madre correva velocissima
verso
di noi ed ero atterrata in piedi, flettendo appena le ginocchia per
attutire il colpo. Ma non mi ero fatta assolutamente niente, anche se
questa volta il salto non era programmato. Ero atterrata come se non
avessi atteso altro tutto il tempo.
Mia
madre si era avvicinata e mi aveva preso per le spalle, esclamando:
«Lily, ma sei impazzita?! Cosa ti è saltato in
mente, potevi farti
male!»
«Sto
benissimo, mamma» le dissi, un po’ urtata da quel
rimprovero
immeritato. «Non ho fatto apposta, ho
solo…»
«Lily,
non devi andare così in alto!» si
inserì la voce petulante di
Petunia. «Potevi farti male, meno male che sei
atterrata…»
«Be’,
sarei davvero una stupida se dopo anni di ginnastica non fossi
nemmeno in grado di atterrare come si deve!»
«Lily,
non devi farlo mai più» rispose mia madre con
fermezza. «Potevi
farti male, lo sai, e non venirmi a dire che sei capace»
aggiunse severamente vedendo che stavo aprendo la bocca. «Non
dirmi
che hai fatto apposta, perché non ci credo.»
«No,
mi stavo solo dondolando, ma poi Tunia ha urlato
e…»
«Ah,
adesso la colpa è mia, vero?» esclamò
lei offesa.
Le
feci una smorfia prima di tornare a guardare mia madre. «Dai,
mamma,
ti sei sempre divertita a vedere i miei salti, dici sempre che sono
brava…»
La
sua espressione si addolcì appena. «Lo
so… ma mi hai colto di
sorpresa, ora, lo sai che potevi farti male…»
Più
tranquilla, io sorrisi. «No, se c’è un
motivo per cui Miss Lasdun
mi adora è che riesco sempre ad atterrare in
piedi» risposi
abbracciando mia madre – Miss Lasdun era la mia insegnante di
ginnastica artistica inglese.
Lei
mi accarezzò la testa con un sorriso. «Lo so,
Lils, ma preferirei
davvero che non andassi più così in alto. Se una
volta ti
distraessi…»
Io
non commentai, ma quando tornammo a casa intercettai
un’occhiata
ostile di Petunia. Non le piaceva quando “davo sfoggio di
me”,
per usare una sua espressione, lo trovava stupido e infantile. Spesso
mi faceva arrabbiare, assumeva un atteggiamento di disapprovazione
ogni volta che mi vedeva esercitarmi in ginnastica o correre o non
comportarmi “come si deve”. Stavo cominciando ad
odiare quella
frase, specie considerando che, siccome i miei genitori passavano
quasi tutto il giorno all’università, passavamo
quasi tutto il
pomeriggio solo noi due, con lei che poteva in tutta calma
disapprovare la mia educazione e la mia “infantile mania di
muovermi”, sebbene entrambe uscissimo, lei per andare dalle
sue
stupide amiche e io per andare al mio albero da Beagduille, che
sembrava aver stabilito la sua sempiterna dimora sui rami fronzuti di
Crann, il suo piccolo regno verde.
Era
divertente vederlo attendermi eccitato ogni volta che arrivavo di
corsa fino all’albero, saltellando da ramo a ramo ed
esclamando
“Corri, avanti, perché sei così lenta?
C’è tutto il nostro
regno qui, perché ritardi? Muoviti, su!”. Per
qualche motivo,
sebbene avesse le fattezze di un bambino più o meno della
mia età
con lo sguardo malizioso, la sua voce era simile a quella di Will,
rideva come lui e mi chiamava “fiorellino” come lui
e nessun
altro poteva fare.
A
scuola continuavo ad andare bene senza troppi sforzi, malgrado ora
non avessi più l’appoggio ulteriore dei miei
genitori. Ma tanto,
se avevo dubbi aspettavo che tornassero a casa e gliene parlavo,
erano sempre contenti di potermi spiegare qualcosa di più
delle mie
materie. E in ogni caso, se c’era una cosa che decisamente
non
mancava a casa mia erano libri, ivi comprese varie enciclopedie. Nel
dubbio, andavo nella sala, dove li tenevamo, e li consultavo.
Il
rapporto fra me e Tunia si alternava in alti e bassi senza mai
giungere ad una conclusione definitiva, lei continuava a
“insuperficialirsi”, come avevo detto una volta
indignata a
Beagduille, e le sue amiche non mi piacevano affatto. Specialmente
Prudence. Era una ragazzina straviziata, convinta che tutto il mondo
dovesse essere ai suoi piedi e trattava tutti con un’aria di
superiorità sprezzante fino a quando non potevano in qualche
modo
tornarle utili, sempre vestita all’ultima moda –
che fra l’altro
le stava anche malissimo – sempre pronta a umiliare e
trattare male
gli altri, mi detestava anche se mi aveva visto circa quattro volte
perché ero più che in grado di tenerle testa,
vista la sua
sconcertante ottusità da oca. E Tunia letteralmente la venerava.
Assumeva nei suoi confronti un atteggiamento di sottomissione
dandole sempre ragione e mi dava sui nervi ancora peggio di quanto
non facesse Prudence, il che non era facile. Cosa ci trovava in
quella, proprio non lo sapevo. Non era neanche carina! Aveva
degli occhi da pesce di un colore slavato che non si riusciva a
distinguere, la faccia tonda, la bocca sottile e insignificante, i
capelli di un colore stupido e era anche abbastanza grassa. Però
i suoi genitori erano davvero molto ricchi e per questo a scuola era
considerata “popolare”, quindi Tunia si era
affettata, appena
arrivata, ad arruffianarsela. Lei aveva accettato di buon grado,
primo perché aveva sempre piacere a circondarsi da
adulatori, poi
perché Tunia la incoraggiava a parlare ma era anche in grado
di
risponderle, e poi perché anche i nostri genitori, col
lavoro
all’università, stavano guadagnando bene. Sapevo
però che la
metteva contro di me, sapeva che tra noi c’era stato un
legame
forte, specie prima di venire qui, e non voleva che io mi
intromettessi fra loro, come facevo ogni volta che ero sola con
Tunia.
Una
volta stavamo discutendo proprio di quello, una giornata piovosa e
noiosa in cui non me l’ero sentita di andare da Beagduille ed
ero
rimasta a casa con un buon libro.
Tunia
era tornata un po’ più tardi e mi era venuta
incontro con la
faccia rossa e mi aveva apostrofato: «È vero o no
che oggi a scuola
hai detto a Prudy che le persone come lei non dovrebbero avere il
diritto di parlare?»
Io
avevo chiuso in tutta calma il libro che stavo leggendo e
l’avevo
guardata. «Non lo pensi anche tu?» avevo chiesto,
sinceramente
curiosa.
Era
arrossita ulteriormente. «Non capisco perché
prendi questo
atteggiamento. È una persona perfettamente normale, anzi, mi
permette di omologarmi a scuola, ha fatto tanto per me quando siamo
arrivati qui…»
«Sì,
come cercarsi una nuova schiavetta per divertirsi un
po’» avevo
ribattuto io disgustata. «Ma l’hai vista, Tunia? Ti
sembra che ti
parli come meriteresti? Vorrei capire cosa ci trovi in lei!»
«Lei
è una mia amica, Lily Evans, vedi di ficcartelo
bene in testa!»
aveva esclamato arrabbiatissima. «Mi ha aiutato molto
più di quanto
non abbia fatto tu, con quelle tue arie da diversa, sempre a parlare
di cose che gli altri non vedono, sempre chiusa e scontrosa, una
secchioncella che nessuno vorrebbe
conoscere… credi davvero
che sia strano che io non mi sia voluta escludere? Solo
perché tu
stai sempre fuori da tutto, credi che anche io debba essere
così?!»
Ero
rimasta senza parole. Da quanto tempo si teneva dentro tutto questo
rancore?
«E
davvero credi che una persona come Prudence possa
aiutarti a
omologarti, Tunia? Ma per favore! Tutto quello che ha fatto
è stato
renderti uguale a quelle stupide con cui sta sempre insieme, non ti
calcolerebbe neanche se non le dicessi quello che vuole sentirsi
dire…»
«Credi
che sia stato facile per me?!» aveva ribattuto rossa di
rabbia.
«Credi che sia facile rifarsi una vita dove tutti si
conoscono da
sempre, con una sorella che non fa niente per sembrare normale, che
si mette a saltare e a raccontare storie assurde…»
«Ah,
quindi sono io il problema, ora!» avevo
urlato. «Almeno io
non mi sono dovuta mettere con una cretina piena di sé per
farmi
notare! Bello vedere come tutti ti apprezzano per le tue
qualità,
Tunia, davvero bello…»
«Sei
proprio stupida, Lily!» mi aveva gridato
contro. «Proprio
non capisci che è grazie a lei se io ho una vita sociale, se
gli
altri mi rivolgono la parola, se…»
«E
davvero tu vuoi farti rivolgere la parola da persone del
genere?»
avevo ribattuto io sprezzante. «Che bella soddisfazione,
Tunia! Ti
sei trasformata in un’oca uguale a loro solo per poter
starnazzare
in coro, che bel risultato, complimenti…»
«Sempre
meglio di te, che non parli con nessuno se non con gli insegnanti e
passi le giornate a fare quegli stupidi esercizi e a parlare al vento
e a…»
«A
cercare di diventare una persona, non una
marionetta, Tunia!»
avevo urlato io. Mi stava veramente facendo arrabbiare.
Lei
mi aveva guardato rancorosa ed aveva cercato un nuovo punto da dove
attaccarmi. «E che cosa significa che quando avete cominciato
a
litigare il suo cappello nuovo è volato via ed è
finito in una
pozza di fango?» mi sputò contro in tono di accusa.
Io
rimasi a bocca aperta. Era vero che il cappello, l’orribile
cappello di Prudy era volto via non appena mi ero
arrabbiata,
ma che diavolo c’entravo io? «Tunia, non so se te
ne sei accorta,
ma viviamo in uno stato ventoso» le feci notare.
«Cosa cavolo
c’entro io col cappello di quell’oca?»
«Sei
stata tu, lo so che sei stata tu!» Era quasi isterica.
«Tu fai
accadere cose strane come quella fiammella, o i salti,
o…»
«Certo,
magari sono una fata, vero, Tunia?»
avevo ribattuto io
sarcastica, facendo il verso a tutte le volte che mi aveva preso in
giro per le mie fantasie.
«Non
so cosa sia!» aveva esclamato a voce acutissima.
«Ma devi lasciare
in pace Prudy, lei non c’entra con te, non voglio che tu
facci
allontanare l’unica vera amica che ho
qui…»
«L’unica
vera amica?! Ma fammi il favore, Tunia,
l’unica cosa di vero
che ha quella ragazza sono il caratteraccio e la
stupidità…»
«E
tu credi di essere tanto meglio?» aveva urlato lei.
«Sempre a darti
quelle arie, non parli con nessuno come se non ne fossero degni solo
perché ti accendi uno stupido fuoco sulla mano?!»
A
questa non avevo ribattuto. Avevo visto bene che non ne valeva la
pena. Ero uscita dalla stanza, prendendo lo zainetto che tenevo
sempre vicino a me e mettendoci dentro il libro, prima di avviarmi
verso l’ingresso per prendere la giacca.
Tunia
mi venne dietro cominciando a dire: «Scusa, Lils, non
intendevo
dire…»
Io
non la ascoltai e mi diressi fuori, sotto la pioggia, mentre lei mi
veniva dietro cercando di fermarmi. «Lily, non volevo, non
volevo…»
Io
mi liberai con uno strattone e corsi fuori, seguita dalle sue grida:
«Lily, scusa, mi dispiace, non uscire che sta
piovendo…»
Io
non la ascoltai e fui quasi felice di uscire con la pioggia, che
almeno nascondeva le mie lacrime impedendo di mostrare quel segno di
debolezza.
Quando
tornai a casa ero fradicia e malinconica, ma almeno mi ero calmata.
Tunia mi era subito venuta incontro abbracciandomi e dicendomi che
non voleva dire quello che aveva detto, che era una stupida e che ero
sempre la sua sorellina, ma malgrado questo, e il fatto che
l’avessi
perdonata, una parte di me continuava a ripetermi le sue parole.
C’era abbastanza verità da farmi riflettere ed
arrabbiare. Sapevo
che non avevo amici e che nessuno mi parlava a meno che non fosse
costretto, nemmeno per gentilezza, ma sentirmelo sbattere in faccia
da mia sorella era tutta un’altra cosa. Secondo lei, io ero
solo
una palla al piede fastidiosa, ero scontrosa, poco malleabile e snob.
Avrei potuto accettare critiche del genere con la massima
tranquillità da chiunque, ma non da lei. Non dalla mia
Tunia, che mi
preparava pane e marmellata quando uscivo, che mi diceva di non
credere alla magia per non farmi subire una cocente disillusione, che
mi proteggeva e mi faceva giocare quando glielo chiedevo.
Comunque
da allora, forse perché si sentiva in colpa, forse
perché credeva
giusto quello che le avevo detto anch’io, si
ammorbidì nei miei
confronti e non mi fece più una sparata come quella. Dopo un
po’
passò nel dimenticatoio e tornò tutto come prima.
Con
il ritorno della bella stagione io e Tunia a volte tornavamo a fare
dei pic-nic insieme, a volte i nostri genitori ci portavano da
qualche parte a vedere un museo o un bel paesaggio, oppure solamente
a visitare negozi.
Fu
in quel periodo che assunsi un controllo maggiore di quella strana
forza in me che inquietava tanto Petunia. Ora riuscivo a indirizzarla
come preferivo, con ancora qualche incertezza ma molta più
consapevolezza, anche se restava un lato di me prettamente istintivo.
I
miei genitori non lo sapevano, non gliene avevo mai parlato,
però
con Tunia sì, ed era a lei che mostravo tutti i miei
progressi,
anche se meno frequentemente rispetto al passato perché
vedevo
chiaramente che non le piaceva.
Io
invece ci prendevo sempre più gusto. Continuavo a non
trovare una
spiegazione sensata per quei fatti, visto che sembrava succedessero
solo a me, ma ora che avevo imparato a controllarli mi si aprivano un
sacco di allettanti possibilità: come in un assolato giorno
di
maggio in cui, vedendo che alcuni ragazzi stavano inseguendo un
ragazzino mingherlino perché, a quanto pareva, aveva
risposto loro
come io facevo con Prudence, avevo ordinato ai lacci delle loro
scarpe di allacciarsi fra loro e si erano ritrovati tutti a terra
senza capire come fosse successo.
Nessuno
capì cosa era accaduto, ma mezzo cortile scoppiò
a ridere e i
ragazzi si rialzarono furenti senza la possibilità di
trovare nessun
colpevole su cui sfogarsi. E intanto l’altro ragazzino era
riuscito
a scappare e loro avevano subito una meritata umiliazione. Mi sentii
una moderna Robin Hood, anche se la mia mente incontestabilmente
pignola precisava che in realtà non rubavo ai
ricchi per dare ai
poveri. Diciamo che avevo umiliato i prepotenti per
aiutare i
deboli. Mi faceva sentire molto importante.
Fu
quello stesso pomeriggio che entrai in contatto con il mio mondo.
Tunia
mi aveva chiamato nel primo pomeriggio dicendomi che mi doveva
parlare. Avevo accettato, non erano molte le volte in cui era lei a
invitarmi e volevo approfittarne.
Eravamo
andate al parco giochi vicino casa, e stavamo discutendo di una cosa
che da qualche tempo preoccupava seriamente lei e divertiva
maliziosamente me: i miei strani “poteri”. Lei era
l’unica che
aveva in qualche modo collegato lo strano incidente della mattina a
me.
Continuava
a dire che doveva esserci una spiegazione logica e razionale, che
probabilmente era a causa di qualche principio scientifico che ancora
non avevamo letto o che non avevamo capito, ma io ridevo mentre mi
dondolavo sull’altalena, sempre più in alto, fino
ad arrivare a
sfiorare il cielo con i piedi.
«Lily,
non farlo!» strillò Petunia sotto di me mentre io
cominciavo a
ridere. Perché non avrei dovuto farlo? Stavo quasi volando,
era la
sensazione più bella del mondo, mi sembrava di poter tornare
fino in
Irlanda via aria. Arrivai nel punto più alto
dell’arco e mi
lasciai andare con una capriola, come mi avevano insegnato a
ginnastica artistica, per poi atterrare con leggerezza per terra.
«La
mamma ti ha detto di non farlo!» Tunia aveva inchiodato per
terra
per venirmi incontro e mi guardava con aria severa.
Io
continuai a ridere mentre eseguivo degli inchini
tutt’intorno, come
ad una invisibile platea, la mente ancora proiettata nel mio volo.
«Ma dai, Tunia!» esclamai entusiasta.
«Non mi sono fatta niente, e
poi è fantastico, stavo volando! E poi, guarda,
l’ho scoperto
l’altro giorno!»
Mi
chinai per raccogliere un fiorellino caduto e lei, dopo essersi
guardata con circospezione attorno, probabilmente per controllare che
nessuno dei suoi snob amici ci vedesse, si avvicinò,
incuriosita suo
malgrado. Sapevo che, nonostante cercasse di non darlo a vedere,
amava vedere i miei poteri quasi quanto me.
La
guardai per accertarmi che fosse attenta e raggiunsi nuovamente
quella bolla nella mia mente che mi permetteva di compiere i miei
piccoli prodigi. E dopo essere certa che avesse funzionato, tesi la
mano verso di lei e le mostrai il fiore chiudere ed aprire i petali a
comando.
«Smettila!»
disse Petunia dopo essere rimasta a guardarli per un po’.
Io
risi di nuovo. «Non ti fa niente, Tunia, è solo un
fiore!» Ma il
suo sguardo mi indusse comunque a gettare a terra il bocciolo.
«Non
è giusto» mugugnò lei guardando il
fiore per terra. «Come fai?»
Stavo
per risponderle per l’ennesima volta che non lo sapevo, non
ne
avevo idea, quando una voce dietro di me disse sferzante:
«È ovvio,
no?»
Una
figura imbacuccata, simile ad un ragno, saltò fuori dal
cespuglio
dietro cui ci trovavamo, facendo strillare ed arretrare Petunia fino
alle altalene. Io ebbi un attimo di terrore, ma mi ripresi abbastanza
in fretta, anche se sentivo ancora il cuore battere forte per lo
spavento.
Era
un ragazzo. Anzi, un ragazzino, di sicuro più piccolo di
Tunia,
magro ed emaciato. Il suo sguardo era incerto, sembrava quasi pentito
di essere uscito. Cosa ci faceva dietro il cespuglio? Mi chiesi
lì
per lì. Perché non era venuto a giocare? E poi,
cosa intendeva
dire?
«Cosa
è ovvio?» chiesi perplessa.
Il
ragazzo si stava strofinando le mani, sembrava agitato. Lo vidi
gettare un’occhiata in tralice a Tunia e mi girai
anch’io. Stava
gironzolando attorno alle altalene, sembrava indecisa se farsi avanti
o no. Tornai a guardare quello strano ragazzo. Un cappotto troppo
grande lo imbacuccava da capo a piedi, minacciando di farlo
inciampare ad ogni passo. Mi chiesi perché non se lo
levasse, doveva
avere caldo in quella tenuta, ma la sua frase successiva mi fece
scordare di chiederglielo.
«Io
so che cosa sei» sussurrò nervoso.
Rimasi
spiazzata e piegai la testa di lato, come facevo di solito quando ero
perplessa. «Cioè?»
«Tu
sei… sei una strega» bisbigliò lui a
voce così bassa che dovetti
avvicinarmi per coglierla.
Arruffai
subito il pelo. Strega? Be’, non era proprio un complimento.
«Non
è una cosa carina da dire» osservai offesa. Mi
girai per andare
verso Tunia.
«No!»
mi fermò la sua voce. Sembrava stranamente disperata, tanto
da farmi
voltare un’altra volta. Si stava muovendo verso di noi a
saltelli,
e quello strano, spropositato cappotto gli aleggiava attorno dandogli
l’aria di un pipistrello gigante.
Mi
aggrappai ad uno dei pali dell’altalena e lo guardai da sotto
in
su. Chi era quel ragazzo? Cosa poteva volere da
me? Tunia
sembrava pensarla come me. Aveva afferrato l’altro palo e gli
stava
riservando il suo migliore sguardo raggelante. Forse perché
lui non
sembrava affatto badare a lei, non la guardava nemmeno. I suoi occhi,
così scuri da sembrare neri, erano fissi su di me, quasi
imploranti.
«Lo
sei» insistette. «Sei una strega. È un
po’ che ti tengo
d’occhio. Ma non c’è niente di male.
Anche mia mamma è una
strega, e io sono un mago.»
La
mia prima reazione fu qualcosa alla “poverino, questo
è pazzo”.
Poi uno scoppio di risa mi fece voltare verso mia sorella.
«Un
mago!» gridò baldanzosa, catturando infine la sua
attenzione. «Io
so benissimo chi sei! Sei il figlio dei Piton! Abitano già a
Spinner’s End, vicino al fiume» aggiunse rivolta
verso di me.
Conoscevo Spinner’s End di fama, e sapevo che era abitato da
persone poco raccomandabili. Mi era capitato di andare lì
con mamma
una volta, ma solo perché uno dei suoi migliori studenti
abitava lì
e lei era certa che fosse mancato a scuola per problemi in famiglia,
ed avevo visto solo delle casette di mattoni tutte uguali, con dei
minuscoli cortili davanti sormontate da una grossa ciminiera fumante.
E Petunia ne parlava sempre con disprezzo perché
lì abitavano le
persone che lei e il suo gruppo consideravano
“inferiori”. Il suo
sguardo infatti era aggressivo mentre si spostava su di lui.
«Perché
ci stai spiando?» chiese sospettosa portando automaticamente
una
mano alla piccola borsa in cui teneva gli spicci.
«Non
vi spio!» ribatté lui indignato guardando con
disgusto il movimento
di Tunia. A ben pensarci, non sembrava pazzo. Era solo un ragazzo
mingherlino, accaldato e indeciso, anche se nel suo sguardo verso mia
sorella si poteva notare un certo sprezzo. «Non te,
comunque»
disse sdegnoso. «Tu sei solo una Babbana.»
Lì
per lì mi chiesi cosa volesse dire, ma era evidentemente un
insulto
perché il tono era inequivocabile. E nessuno poteva
insultare mia
sorella! Perciò guardai quel ragazzo con più
rabbia. Perché era
venuto qui solo per insultarci? Obbedii immediatamente a Petunia
quando mi disse perentoria: «Lily, su, andiamo via!»
La
seguii lanciando uno sguardo di sbieco a quel Piton. Sembrava
infinitamente triste ora che ci guardava andare, e qualcosa dentro di
me si mosse.
«Ma
chi si crede di essere!» stava borbottando Petunia mentre mi
portava
a passo di carica verso di casa. «Figlio di un ubriacone,
probabilmente è completamente pazzo. Ma hai visto come si
vestiva?»
Io
annuii automaticamente, anche se la mia mente era mille miglia
lontana, tornava al parco giochi ed a quel ragazzo. Tunia diceva che
suo padre era un ubriaco e sua madre una casalinga, che lui non
usciva mai se non per andare a scuola, e che era uno scandalo che
persone del genere venissero accettate alla nostra scuola.
Quest’ultima frase mi riscosse. «Viene a scuola con
noi?» chiesi
stupita.
Lei
annuì con malcelato disgusto. «Sì, ha
la tua età, è nell’ultima
sezione… non te ne sei accorta, è quello che
stava scappando oggi!
Non che non si meritasse una buona dose di botte…
be’, è già
pazzesco che l’abbiano fatto entrare! Santo cielo, se solo
penso a
quel ridicolo cappotto che aveva prima… deve essere un
insulto a
tutto il vicinato…»
Ma…
quello strano ragazzo aveva detto che io ero una strega. Una
strega!
Per
un momento ci pensai su, anche se la parte più razionale di
me
diceva che erano tutte assurdità e che quel ragazzo
evidentemente
non era ancora cresciuto abbastanza. Eppure… essere una
strega
sarebbe stata la risoluzione a molti, troppi, interrogativi irrisolti
che mi ponevo da un po’ di tempo a questa parte. Come facevo
ad
accendere il fuoco con le mani, a “volare”, a far
muovere gli
oggetti a mio piacimento?
Però
avevo già visto cosa intendevano gli inglesi quando dicevano
“strega”. Di solito voleva dire arpia, megera o
qualcosa del
genere. Sbuffai. Cosa voleva dire quel ragazzo?
«…
e se ti avvicina di nuovo, Lily, devi ignorarlo, assolutamente! Non
rivolgergli mai più la parola, ok?»
D’accordo,
questo faceva un po’ a pugni con la mia idea di chiedergli
cosa
volesse dire. Be’, potevo sempre farlo all’insaputa
di Petunia.
Perciò annuii solamente mettendo a tacere la mia coscienza.
ANGOLO
AUTRICE
Salute
lettori, recensori etc.etc (se ce ne sono xD).
Siamo
di nuovo qui, con il secondo capitolo della premessa.
Qualche
nota di fine capitolo per farvi sentire più annoiati.
Allora,
tutte le spiegazioni locali le ho già date nello scorso
capitolo e
non ho intenzione di ripeterle, quindi per chi non sapesse
cos’è
l’Irwell o trovasse strana la presenza di industrie tessili
lì
intorno si vada a rivedere le precedenti note (oppure vada avanti
ignaro, dubito che faccia grande differenza).
Dunque,
l’incontro con Piton è, credo, la prima scena che
abbia mai
scritto di questa storia. Per la precisione, credo risalga a
più di
un anno fa, anche se poi ci ho aggiunto tutte le premesse e le
infiocchettature che avete appena finito di leggere. Mi sono
ovviamente basata sulle informazioni date ne “Il Racconto del
Principe” in Harry Potter e i Doni della Morte, che
nello
stendere tutta questa storia è ovviamente stato la mia
bibbia. Ora,
nel libro non si parla di capriole ma ho pensato di poterci passare
sopra. Il dialogo, invece, è riportato praticamente parola
per
parola.
Ho
cercato di rendere il rapporto fra Petunia e Lily come già
controverso anche prima del suo ingresso nel mondo della magia, come
le due diverse attitudini delle sorelle si manifestassero
già da
prima dell’avvento di Hogwarts, per quanto non fossero ancora
così
profondi.
Beagduille
è un personaggio che mi sono divertita a inventare quasi per
segnare
il passaggio fra i tempi “di Will” e quelli
“di Severus”, per
quanto questi ultimi siano ancora all’inizio. Il suo nome
è frutto
della fusione delle due parole celtiche “beag”,
piccolo, e
“duille”, foglia. Insieme, piccola foglia. Non
è che una
traduzione sgrammaticata, ma mi divertiva dargli un tono più
esotico. Grazie a mia sorella me lo sono sempre immaginato come
è
raffigurato nell'immagine d'inizio capitolo.
“Crann” vuol dire
semplicemente albero.
Credo
che per questo capitolo non ci sia altro.
Alla
prossima, lascio spazio a mia sorella.
ANGOLO
PUBBLICANTE
Salve
a tutti amati e assidui lettori!!
...Cri
cri... cri cri...
Ehm...
SALVE A TUTTI!
Bene!
Non ho la più pallida idea di cosa scrivere dato che tutti i
punti
trattabili nel capitolo sono stati discussi nell'Angolo dell'Autrice.
Ma siccome il mio compito è stare qui e fare scena, mi
inventerò
qualcosa... Spettacolino di Jazz? Entrata libera...
Ci
tengo ad informare i precedenti recensori delle storie di mia sorella
che non c'è bisogno che mi informino di chi sono, io so
tutto di voi
e vi sto osservando... nel senso che prima di accettare questo lavoro
ho studiato e quindi so TUTTO!!
Dato
che mi sto pendendo di aver accettato perché non ho idea di
cosa sto
scrivendo passo a rispondere alle recensioni:
-
S_marti_es: non ti preoccupare riguardo
alla parte di Hogwarts, arriverà tra un paio di capitoli e
Lily si sofferma un po' anche sul comportamento di James. Sono felice
che la caratterizzazione di Lily riscontri così tanto
successo e non piacciono nemmeno a me quelle FF che la descrivono come
una fotocopia di Hemione del passato. Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto come il precedente!
P.S. Sì, si era
capito ^.^
-
purepura: il collante per pagine lo
vendiamo in saldo al negozio dietro casa, è molto richiesto
xD! Will è un personaggio veramente stupendo, ironico e
simpatico e vuole molto bene a Lily. Riguardo a Petunia non sei l'unica
ad odiarla, anche se poi per me si riscatta un po' negli ultimi
libri... resta comunque un personaggio molto precisino e abbastanza
odioso, ma ha subito una grande delusione! Le etichette per sorelle
sono un'idea che è nata spontanea dai loro caratteri, ma
sono comunque geniali! Al prossimo capitolo!
-
lyrapotter: non preoccuparti per il
controllo, ti vorrei ricordare che quando tu e Sil stavate chattando io
era la sorella idiota che voleva il link degli “orsacchiotti pucciosi”-.- quindi non
c'è pericolo. Come ho già detto Hogwarts arriva
tra poco e ci sarà da ridere!
In effetti Lily e Petunia non
potrebbero essere più diverse e quindi l'idea di paragonarle
a due stati vicini ma diversi ci piaceva molto. Will è
ispirato ad principalmente a Sirius anche se ricorda un po' James...
non conoscevo il detto ma mi pare che calzi a pennello :D
Il trasferimento principalmente
serviva a quello e quindi lieta che lo scopo sia stato raggiunto e
infatti l'attuale incontro con il piccolo Piton è avvenuto
senza troppi intralci.
Silvia Beta mi chiede di dirti:
pensavi davvero che ti avrei abbandonata? Dopo tutto quello che
c'è stato tra noi?
-
malandrina4ever: so perfettamente chi sei e ho
sempre amato le tue recensioni, infatti ho inviato a Sil quella a Forse
un Angelo perché era troppo bella! La apprezzata molto e mi
ha detto di salutarti e che non ti devi sforzare troppo a lucidare il
trono che poi si consuma diventando di un fuori moda indaco.
Figurati! A me piace farlo
anche se sono abbastanza negata e non so mai cosa scrivere. Grazie per
tutto e modestamente questa storia è veramente perfetta!
Bene!
Considerando la fatica che mi è costata rispondere a queste
quattro
recensioni tremo al pensiero di cosa accadrà dopo! Quando i
lettori
si accavalleranno per scrivere recensioni e ci saranno pagine e
pagine di complimenti...
AAAAAAAAAAAAAAAAAAHH!!
So che succederà... ma io non sono pronta per questo! SONO
TROPPO
GIOVANE PER IMMOLARMI SU UNA FF!!!
…
Bene!
Dopo aver dato fondo alla mia demenza vado a fare matematica -.- le
dannatissime equazioni fratte mi perseguitano già dopo due
ore di
lezione.
Ci
vediamo tra due settimane!!
|
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Capitolo 4 *** Capitolo III - Un Amico ***
Premessa:
prima di
scuola
Capitolo III
– Un Amico
Nonostante
non l’avrei ammesso con nessuno, se non forse con Beagduille,
le
parole di quello strano ragazzo mi erano rimaste in testa e
continuavano a tornare nei momenti meno opportuni. Sei
una strega… “Strega”
era una parola che avevo sempre considerato del ramo
“cattivo”
della magia. Una strega era una persona che usava i suoi poteri solo
per sé stessa, per gabbare o addirittura fare del male agli
altri…
Eppure…
Continuavo
a pensarci mentre, sul mio albero, continuavo a far muovere le foglie
a un tocco delle mie dita, o ad accendere un fuocherello per
continuare a leggere se il cielo si oscurava o le foglie nascondevano
troppa luce… sei
una strega… ne
parlai con Beagduille più volte, mentre ci arrampicavamo
insieme
fino ai rami più alti per godere di una visuale migliore sul
nostro
quartiere. Per lui la cosa non aveva grande importanza: diceva sempre
che la magia era dappertutto, che non c’era bisogno di un
genio per
capire che io ne avevo, e che esistevano anche streghe buone. Io
obbiettavo che quelle erano fate, e lui rispondeva che le fate in
realtà erano vanitose e stupide, le streghe erano molto
più
interessanti. Però restava il fatto che ormai ero troppo
grande per
credere veramente
alla
magia, sebbene non riuscissi a spiegarmi gli strani… fenomeni?…
che riuscivo a causare. Ma una strega…
era
troppo da accettare, persino per me.
E
poi quel ragazzo, che con quella sua frase continuava a tornare a
intervalli scomodi nella mia testa, mi era del tutto estraneo, non
l’avevo mai visto né ci avevo mai parlato. Come
faceva lui
a
sapere se ero o meno qualcosa, quando a malapena ne ero consapevole
io stessa? Mi lambiccai per parecchio tempo su quello che poteva
voler dire, fino a quando non giunsi alla conclusione che la cosa
migliore da fare era cercare lui direttamente e chiedergli
spiegazioni, alla faccia di Tunia che non voleva.
Nei giorni seguenti
cercai diversi
stratagemmi per poter parlare con lui, ma l’occasione non si
presentò fino a due settimane dopo. L’avevo visto
correre via
inseguito da alcuni dei bulli di quartiere che Petunia e il suo
gruppo continuavano a lecchinare ed avevo notato che non aveva con
sé
la borsa. Così, mentre Tunia e gli altri guardavano fuori,
ero
rimasta indietro con una scusa ed ero tornata nella sua classe per
prenderla. Il suo posto era accanto alla cattedra, l’unico
che non
fosse già vuoto, e i suoi quaderni, sebbene spiegazzati e
macchiati
in alcuni punti, erano scritti con una precisione maniacale.
Incuriosita, guardai alcune delle pagine di quella che evidentemente
era matematica e mi accorsi che i risultati alle operazioni erano
tutti corretti, esatti, e senza un solo segno di cancellatura. Che
fosse un… come aveva detto che si chiamavano, mio
padre?…
autista? Autistico? Una cosa del genere, insomma. Però
papà diceva
che avevano reazioni anormali ad ogni situazione, che vedevano le
cose da un altro punto di vista, mentre lui mi sembrava comunque
ragionare con la nostra mentalità. Mi riscossi e rimisi le
sue cose
nella borsa appesa allo schienale della sedia, che sembrava essere
servita come scudo per diverse difese accanite.
Tralasciando ulteriori
dettagli, mi
diressi all’uscita. Avevo detto a Tunia di non aspettarmi,
che
alcune amiche mi avevano invitata per un giro, e lei, sebbene
chiaramente scettica, si era avviata verso casa, o forse verso casa
di alcune sue amiche, con le altre ragazze. Probabilmente non le
dispiaceva l’idea che la sua sorellina rompiscatole la
lasciasse un
po’ in pace. Quindi presi la bici e, dopo averci messo dentro
sia
la mia che la sua borsa, cominciai a pedalare.
Il problema è
che non ero sicura
di dove si fosse diretto. Fu solo per un colpo di fortuna se alla
fine lo trovai, parecchio lontano dalla scuola, vicino ad un albero
seminascosto. Parcheggiai la bici lì vicino e mi diressi
verso di
lui, che al rumore dei miei passi alzò la testa di scatto,
lo
sguardo vigile, ma parve rilassarsi quando si accorse che ero io.
Avevo deciso di essere
il più
diplomatica possibile, così sorrisi e gli porsi la borsa.
«Tieni»
dissi porgendogliela. «Ho pensato che ti facesse
più comodo
averla.»
Il suo sguardo
era…
indecifrabile. Sembrava indeciso se prendere la borsa ringraziando o
se considerare tutto uno scherzo. Alla fine tese la mano anche lui,
tendendo le labbra sottili in un sorriso stirato. Io allargai il mio
per incoraggiarlo.
«Grazie…»
mi disse lui
indeciso. Sembrava ancora aspettarsi qualche trucchetto nascosto.
Risi leggermente.
«Tranquillo, non
ci ho nascosto un serpente, sai?»
Funzionò: il
suo sorriso perse
l’aria tirata e divenne molto più naturale, come i
suoi movimenti,
meno impacciati. Mi ricordava comunque un ragno, ma non importava,
era solo un ragnetto spaventato. Forse era simpatico.
«Ho visto che
sei bravo a scuola»
dissi per rompere il silenzio che si era formato.
Lui rispose con una
strana smorfia.
«Sì, qui sì» disse.
«Ma per quello che vale…»
«A me sembra
importante andare
bene a scuola» obbiettai. «I miei sono insegnanti,
dicono che è
sui banchi che si formano le persone migliori…»
«Io non sono
fra loro» borbottò
lui guardandosi i piedi, che calzavano scarpe a occhio qualche numero
più grande del suo.
«E che ne
sai?» chiesi mentre
cominciavamo a camminare. «E poi sei sempre in tempo per
diventarlo,
no?»
Lui taceva, ma era
evidente che
stava soppesando le mie parole. «Anche tu vai bene»
buttò lì ad
un certo punto. Ma non era una domanda.
«Come lo
sai?» chiesi un po’
stupita.
«Abbiamo la
stessa insegnante di
lettere» disse dopo un attimo di silenzio. «Ci ha
letto uno dei
tuoi temi in classe, per mostrarci un corretto uso degli aggettivi ed
una buona fluidità linguistica.»
Mio malgrado, arrossii.
Ero
lusingata sia della stima della signorina Reynolds che
dall’evidente
ammirazione che traspariva dai suoi occhi scuri.
«Senti»
disse dopo un po’
fermandosi di botto. «Grazie, davvero. Non volevo essere
scorbutico,
è solo che…»
«Ehi,
tranquillo» lo interruppi
io prendendogli una mano. «È tutto a
posto.»
Lui tacque, ma il suo
viso
olivastro assunse una leggera sfumatura rosata. Io gli lasciai andare
la mano, arrossendo appena anch’io. «A proposito,
io sono Lily
Evans» dissi tendendogli la mano con aria fintamente
ufficiale.
Lui rimase per un attimo
indeciso,
poi la strinse. «Severus Piton» disse piano.
«Molto
piacere, Severus.»
Rimanemmo in silenzio
per un altro
po’, continuando a camminare.
«Senti»
dissi alla fine decidendo
di mettere le carte in tavola, «cosa… cosa stavi
dicendo l’altro
giorno, al parco giochi?»
E fu da allora che
cominciò la
nostra amicizia. Lui mi mostrò alcune delle magie che era in
grado
di compiere e mi spiegò tutto quello che sapeva sul mondo
nascosto
in cui, a quanto pareva, sarei presto entrata. Superai a piè
pari la
fase dello scetticismo, perché ogni parola che diceva
collimava con
le domande che ero solita pormi, e poi perché sembrava tutto
una
fiaba stupenda. Anche se stava mentendo, anche se era matto, il gioco
valeva la candela. Perché le storie che raccontava erano
meravigliose, mi parlava della storia dei maghi, di quando, intorno
al 1600, i maghi erano entrati in clandestinità, e
soprattutto mi
parlava di Hogwarts, la scuola di magia a cui entrambi saremmo
andati, mi parlava della sua storia, delle sue materie, dei suoi
professori. Un paio di volte, sottraendoli alla custodia della madre,
che appresi essere una strega sposata ad un Babbano, cioè un
non-mago, mi portò alcuni dei suoi vecchi libri di scuola,
che ci
divertimmo a sfogliare insieme in alcuni degli infiniti pomeriggi che
passavamo insieme, sulle rive dell’Irwell o nei campi poco
fuori
dalla nostra scuola.
Per me fu un nuovo
inizio, l’inizio
di una fase della mia vita che non si sarebbe conclusa prima di
molti anni.
Avevo di nuovo un amico,
uno in
carne ed ossa, che si sostituì gradatamente a Beagduille
fino a
quando questo non sparì del tutto, un amico con cui potevo
condividere i miei sogni, i miei dubbi e le mie speranze, e con cui,
soprattutto, potevo parlare senza timore di essere presa per pazza o
infantile. Con Severus non capitava mai: se gli mostravo una nuova
magia che avevo appena scoperto, non si spaventava né mi
guardava
ostile, ma anzi si entusiasmava e mi faceva i complimenti, provando
immediatamente a replicarla. Fu il solo essere vivente che condussi
con me a Crann, anche se era evidente che non era molto pratico di
alberi. Ma io salii e gli tesi la mano per aiutarlo, e da allora
quello divenne uno dei nostri rifugi preferiti. Di fatto era una
specie di nuovo Will, finalmente una persona con cui potevo sfogarmi
ed essere me stessa senza nessuna remora, con cui potevo parlare di
tutto quello che mi passava in mente perché ero sicura di
vederlo
interessato e che per di più mi spiegava tantissime cose, mi
apriva
letteralmente un mondo davanti agli occhi. Abbandonai i folletti e le
fate per passare alle creature che c’erano sui libri di cui
riusciva ad impossessarsi, come gli ippogrifi, le acromantule e gli
unicorni.
Né i miei
genitori né tantomeno
Petunia sapevano inizialmente con chi passassi le giornate, ma
vedendomi arrivare sempre più felice ed eccitata credettero
che
avessi finalmente trovato un’amica, e io non feci mai nulla
per
fargli cambiare idea.
Fu solo parecchio tempo
dopo,
quando mia madre mi invitò a far venire a casa nostra
chiunque
volessi, che mi aprii con loro. Non avevo mai accennato con loro a
quella che, ora lo sapevo, era la mia magia, e quindi per loro
inizialmente fu uno shock: decisamente l’ultima cosa che si
sarebbero aspettati, soprattutto considerando che avevano visto il
mio passaggio alla razionalità e quindi non mi credevano
più capace
di fantasie che considerassi ancora “reali”. Gli
raccontai tutto
per filo e per segno, dandogli alcune dimostrazioni della mia magia e
parlandogli di tutto quello che Severus mi aveva raccontato.
La loro prima reazione
fu
decisamente incredula. Mi accusarono di dire sciocchezze e fu solo
quando dalla frustrazione feci levitare il tavolino del salotto che
cominciarono a credermi.
Inizialmente
non la presero bene. L’idea che esistesse un intero mondo
nascosto
ad ogni angolo, e ancora più che io ne facessi parte, era
tale da
lasciarli costernati. Quando poi seppero dalle mie confuse
spiegazioni di Hogwarts e capirono che sarei andata a studiare per
sette anni in una boarding
school
di magia rifiutarono recisamente di accettarlo e dissero che non
potevo andare senza che nessuno sapesse niente di questa scuola.
Ci misi più
di un mese per farli
abituare all’idea, e ancora di più per strappargli
la promessa che
almeno ci avrebbero pensato.
Quella che non avrei mai
potuto
prevedere fu la reazione di Petunia. Ovviamente avevo raccontato
anche a lei tutto, e mano a mano che il racconto proseguiva vedevo il
suo viso contrarsi sempre di più, farsi sempre
più duro ed astioso.
La sua posizione era innaturalmente rigida, e quando finii di parlare
disse soltanto: «Sono tutte bugie! La magia non esiste, e tu
sei
solo una sciocca ragazzina che ha dato retta ai vaneggiamenti di un
pazzo!»
Il tono era talmente
velenoso che
indietreggiai come se mi avesse tirato uno schiaffo. «Tunia,
cosa
stai dicendo?»
«Proprio
non lo capisci,
vero,
stupida?» rispose Petunia avanzando verso di me e facendomi
indietreggiare spaventata. «Ti sta mentendo,
vuole
solo una scusa per poter restare con te, visto che non ha uno
straccio di amico e si sarà accorto che tu hai un cuore
troppo
tenero.»
«E
questo
cosa pensi che sia, Tunia?» urlai furibonda mentre, a comando
delle
mie dita, il suo cuscino si sollevava e veniva verso di lei.
Lì
per lì mi divertii quasi allo spettacolo: mia sorella
cacciò un
urlo parecchie ottave al di sopra delle possibilità di un
normale
essere umano e cercò di allontanarsi il più
possibile dal cuscino,
accucciandosi nel davanzale della finestra e tenendolo a distanza
mulinando le mani. «Smettila, smettila!»
strillava.
Uno
schiocco di dita, e il cuscino cadde a terra, innocuo, e lei si
sollevava ancora pallida. «Non farlo mai più, strega!»
Ciò detto, mi
voltò le spalle
mentre io cominciavo a richiamarla, inorridita da ciò che
avevo
fatto, ed uscì dalla stanza quasi di corsa. Non mi rivolse
la parola
se non lo stretto indispensabile per tutta la settimana successiva.
Io ne avevo parlato con
Severus un
giorno, ma lui non sembrava vedere la cosa dalla mia stessa ottica.
Mi stava spiegando con grande entusiasmo alcune delle leggi magiche.
Eravamo seduti in un
boschetto
vicino all’Irwell, e lui mi guardava con solennità
mentre diceva:
«Il Ministero può punirti se fai magie fuori dalla
scuola, ti
mandano delle lettere e se succede più volte ti
espellono.»
«Ma io le ho
fatte!» esclamai,
subito preoccupata di non poter andare in quel meraviglioso posto che
era Hogwarts.
«Noi siamo a
posto» mi spiegò
lui con pazienza. «Non abbiamo ancora la bacchetta. Ti
lasciano
stare, quando sei un bambino e non puoi farci niente. Ma a undici
anni cominciano ad istruirti, ed allora devi stare attento.»
Bacchetta
magica… non so cosa
avrei dato per averne una. Chissà
com’era… presi uno dei rametti
sparsi attorno a noi e lo agitai, quasi aspettandomi di vedere delle
stelline uscire dall’estremità. Poi feci un
sospiro profondo e
tornai a guardare il mio compagno. «Non è uno
scherzo, vero?»
chiesi, un po’ incerta. «Petunia dice che sono
tutte bugie. Dice
che Hogwarts non esiste.» Sospirai di nuovo. «Ma
invece sì, vero?»
«Esiste per
noi» mi spiegò lui
strappando dei ciuffetti d’erba. «Non per lei. Ma
noi riceveremo
presto una lettera, io e te.»
«Sul
serio?»
«Certo»
annuì lui con solennità.
Io ci pensai su.
«E arrivano
davvero con un gufo?»
«Di solito
sì» rispose Severus.
«Ma tu sei figlia di Babbani, quindi dovrà venire
anche qualcuno
della scuola a spiegarlo ai tuoi genitori.»
«Gliene ho
parlato un po’ di
tempo fa, e credo siano ancora convinti che sia tutto uno
scherzo»
confessai giocherellando con il rametto. Poi mi venne un dubbio.
«È
diverso se si è figli di Babbani?»
Lo vidi esitare. Il suo
sguardo
sembrava esaminare ogni dettaglio del mio aspetto, come per valutare
la risposta.
«No»
dichiarò infine. «Non lo
è.»
Trassi un sospiro di
sollievo.
«Meno male» commentai.
«Tu hai un
sacco di magia, sei una
strega potente» disse lui con foga. «Ho visto come
la controlli, è
raro per la nostra età, e io ti guardavo
sempre…»
La voce si
affievolì sulle ultime
parole. Non volevo metterlo in imbarazzo, quindi mi sdraiai
sull’erba
fingendo di non aver sentito l’ultima parte. Rimanemmo
così per un
po’, in uno di quei silenzi che erano parte integrante della
nostra
amicizia ma che non disturbavano né me né lui.
«Come vanno le
cose a casa tua?»
gli chiesi alla fine. Da alcuni suoi accenni piuttosto confusi, mi
era risultato evidente che suo padre non aveva preso bene la notizia
di aver sposato una strega quando sua madre gliel’aveva
detto, e da
allora c’erano stati sempre più litigi e
incomprensioni.
Ci fu un impercettibile
attimo di
silenzio prima che lui rispondesse: «Bene.»
Mi girai verso di lui.
«Non
litigano più?» chiesi cercando i suoi occhi.
«Oh,
sì, litigano» ribatté lui
con amarezza, seguendo il movimento delle proprie mani che avevano
preso a strappare alcune delle foglie cadute. «Ma tanto fra
poco me
ne andrò.»
«A tuo
papà non piace la magia?»
chiesi cercando di isolare il problema.
Si
strinse nelle spalle. «A mio padre
non
piace praticamente niente.»
«Severus?»
chiesi per cambiare
argomento visto che si era incupito.
Fu la parola magica:
sorrise e
l’espressione aggrottata sparì dalla sua fronte.
«Sì?»
«Puoi parlarmi
ancora… dei
Dissennatori?» domandai inventando sul momento.
«Perché?»
E ora cosa potevo dire?
«Be’, se
uso la magia fuori dalla scuola…»
«Non ti
daranno ai Dissennatori
per questo!» esclamò lui inorridito alla sola
idea. «I
Dissennatori sono per chi fa cose veramente gravi. Sono le guardie
della prigione dei maghi, Azkaban, ma tu non potresti mai finirci,
sei troppo…»
Si interruppe arrossendo
e prese a
strappare le foglie con più rabbia di prima. Io lasciai
cadere il
discorso, quando un fruscio alle nostre spalle ci fece voltare
entrambi: dietro un cespuglio c’era Petunia, che aveva
evidentemente seguito la conversazione da lì dietro.
«Tunia!»
esclamai tirandomi su
verso di lei. Ero contenta di vederla, forse così avrebbe
accettato
quello che ero.
Ma Severus
reagì diversamente:
saltò in piedi arrabbiato e le sputò contro:
«Chi è adesso la
spia? Che cosa vuoi?»
Ero inorridita: il mio
migliore
amico e mia sorella si guardavano come se solo la mia presenza gli
impedisse di saltarsi al collo. Tunia era arrossita violentemente, ma
non si era arresa. Il suo sguardo vagò sui suoi vestiti e
disse con
sprezzo: «Che cos’è che hai addosso? La
camicetta di tua madre?»
Un rumore secco le fece
alzare la
testa giusto per vedere un ramo spezzarsi e caderle addosso.
Io balzai in piedi
atterrita mentre
lei scoppiava a piangere e fuggiva via.
«Tunia!»
cercai di richiamarla.
Ma ormai era fuori dalla mia visuale. Mi voltai furiosa verso
Severus. «Sei stato tu?!»
«No»
mi rispose lui
arrogantemente, anche se sembrava un po’ spaventato.
«Sì
invece!» esclamai io
arrabbiata e ferita. «Sei stato tu! Le hai fatto
male!»
«No…
no, non sono stato io…»
Ma era chiaramente sulla difensiva.
Lo guardai cercando di
trattenere
le lacrime e corsi dietro Petunia per scusarmi con lei. Ecco una
delle stonature più evidenti nella mia nuova vita: Sev e
Tunia non
si potevano sopportare. Se potevano, evitavano anche di vedersi. Non
riuscivo a capire bene quale fosse il problema, ma mi sembrava che
entrambi avessero un sacco di pregiudizi l’uno verso
l’altra, Sev
perché Tunia era una Babbana e Tunia perché Sev
veniva da una
famiglia “poco raccomandabile”. Solo che mentre Sev
non ne
parlava mai, cercando semplicemente di scansare l’argomento,
Tunia
molte volte mi guardava con rabbia e mi diceva di lasciarlo perdere,
che una persona del genere mi avrebbe solamente riempito la testa di
idiozie nate dalla sua mente malata e che alla prima occasione mi
avrebbe fatto male. Soffrivo per quella situazione, ma non era mai
successo niente di così grave come quel pomeriggio. Era la
primissima volta che si ritrovavano faccia a faccia o quasi, di
sicuro la prima che si rivolgevano la parola da quel giorno nel parco
giochi, e gli effetti di quell’incontro non mi piacevano.
Neanche
un po’. Quindi corsi dietro Tunia a tutta
velocità, rimpiangendo
il fatto di non essere venuta in bici e quindi di essere più
lenta.
Quando la trovai, era
già a casa e
si era messa un blocco di ghiaccio sul bernoccolo e stava
snocciolando a mia madre il racconto di tutto ciò che era
successo,
ingigantendo l’incidente tanto da farmi passare da sorella
partecipe a strenua paladina di Severus. Infatti, sebbene fossi
arrabbiata con lui per aver fatto male a mia sorella, mi rendevo
conto che quando ci arrabbiavamo non riuscivamo a controllarci bene,
l’avevo sperimentato sulla mia pelle, e la provocazione era
stata
forte, perciò sapevo che non era del tutto colpevole, e
l’ipocrisia
di Tunia, che da quello che raccontava sembrava appena uscita da uno
scontro con una specie di orco in miniatura malvagio e perverso, mi
fece infuriare.
Fu la prima volta in
assoluto che
litigammo così seriamente, giungendo vicino ad
accapigliarci. Ne
stavo soffrendo enormemente, soprattutto per l’espressione
acida
che Tunia aveva stampata in viso. Alla fine dovette intervenire
nostro padre per dividerci, ma a quel punto io corsi in camera mia e
mi buttai sul letto scoppiando a piangere.
Poco dopo mi raggiunse
mio padre e
mi chiese cosa fosse successo. Io lo abbracciai e gli raccontai
tutto, cercando il suo conforto. Sembrava titubante.
«Lils, tesoro
mio, questo tuo
amico… è una brava persona?» mi chiese
alla fine.
Io tirai su la testa.
«Sì! È una
persona molto migliore di come non potesse essere, visto tutti i
problemi che ha avuto in famiglia, ma è buono! Solo
che… solo che
non riesce a giostrarsi bene con le persone! È tanto
introverso,
credo che abbia un po’ paura… o che si senta
estraniato… o…»
«Perché
ha colpito Tunia?»
Io tirai su col naso.
«Non ha
fatto apposta, papà, non riusciamo ancora a controllare
bene… la
nostra magia.» Lo guardai di sottecchi. «Non
è facile, sai, se ci
arrabbiamo poi è praticamente impossibile
controllarsi… va da
sola!»
Lui annuì
mordendosi le labbra.
«Lils, è possibile che faccia del male anche a
te?»
Io scossi con foga il
capo. «No,
papà, no! È quasi un anno che ci frequentiamo e
non mi ha mai fatto
niente! Ma neanche a Tunia avrebbe fatto niente se lei non gli avesse
detto… quello che ha detto!»
«Cos’ha
detto?» chiese lui
facendomi sedere sulle sue ginocchia.
Io lo abbracciai.
«Lo ha… lo ha
cominciato a prendere in giro.» Tacqui un attimo cercando di
bloccare le lacrime, odiavo piangere. «Vedi, la sua famiglia
non ha…
tanti soldi, e quindi si mette più che altro vestiti smessi.
Tunia
ha cominciato ad insultare i suoi vestiti, e lui è sensibile
su cose
del genere, quindi si è arrabbiato, e…»
«D’accordo,
tesoro, calmati!»
disse lui interrompendo il flusso di parole che stava fuoriuscendo
dalla mia bocca. «Mi fido di te, Lils, so che sei troppo
schizzinosa
per non stare con una persona a posto.» Mi guardò
con un grosso
sorriso. «La mia piccola principessa.» Poi
tornò triste. «Cerca
di essere buona con Tunia, d’accordo? Credo che…
stia soffrendo
molto con tutta questa storia, sai… magia e
simili.»
«Ma tu mi
credi, vero papà?» gli
chiesi guardandolo attentamente.
Lui sorrise di nuovo.
«Io credo
che tu sia una bambina davvero speciale. E credo anche»
aggiunse
mentre sia alzava tenendomi in braccio, «che se non andiamo a
cena
subito la mamma si arrabbierà molto.»
Dopo questa
chiacchierata riuscii a
recuperare la mia pace mentale, ma non riuscii a riconciliarmi con
Tunia. Mi evitava, non mi parlava più, se entravo in una
stanza lei
era sempre la prima ad uscire.
Io per ripicca, dopo i
primi
tentativi andati a vuoto, decisi di non parlarle più e di
passare
tutto il mio tempo libero con Severus. Un giorno lo portai anche a
casa per farlo conoscere ai miei, ma lui era estremamente impacciato
e riuscì a sciogliersi solo dopo che Tunia ebbe lasciato la
stanza
disgustata. I miei genitori furono entrambi molto gentili e nessuno
dei due mi ripeté più che forse frequentarlo era
pericoloso. Ne
uscii molto soddisfatta.
E lo fui ancora di
più quando, a
luglio, arrivò la mia lettera da Hogwarts accompagnata da
niente di
meno che la vicepreside, la professoressa Minerva McGranitt. Era una
donna alta e secca, dal naso pronunciato e lo sguardo severo, che si
presentò ad i miei genitori e rimase alquanto sorpresa
quando seppe
che sapevamo già molto cose. Interrogata, le spiegai della
mia
amicizia con un altro mago della zona, al che lei annuì e
tornò a
spiegare tutte le sfaccettature di una permanenza ad Hogwarts.
Si offrì
anche di accompagnarmi ad
acquistare tutto il necessario, ed i miei genitori acconsentirono a
patto di accompagnarci.
«Temo che non
sarà possibile per
entrambi» rispose la professoressa. «Il modo
più veloce per
arrivare è la Materializzazione – nel nostro mondo
è chiamato
così il potere di poter sparire e riapparire in due posti
diversi in
pochi secondi – e io non posso portare con me più
di due persone.»
I miei erano titubanti.
«Non
sarebbe possibile usare mezzi più… convenzionali?
Che so, una
macchina, o un treno…»
«Forse, ma
abbiamo poco tempo»
ribatté lei estraendo un orologio da taschino e guardandolo.
«E
come avete potuto vedere le cose da comprare sono parecchie.»
Li
guardò attraverso gli occhiali. «Posso
accompagnare uno di voi,
signori, assieme alla signorina Evans.»
I miei si guardarono un
attimo.
Entrambi sembravano indecisi su chi dovesse accompagnarmi. Alla fine
mia madre disse: «Caro, forse è meglio se vai
tu.» Lo guardò
sorridendo. «In fondo sei sempre stato tu quello che credeva
nella
magia… E poi forse è meglio se io rimango con
Petunia. Ha bisogno
di me per accettare il fatto.»
Lui rise ad
accettò sprizzando
gioia da tutti i pori: era chiaro che la proposta era proprio quello
che sperava. Perciò, dopo aver preso un braccio della
professoressa
McGranitt attendemmo di assistere alla prima vera magia
“matura”
che ci fosse mai capitato di vedere. Fu una sensazione
indimenticabile: come venir pressati in un tubo di gomma troppo
stretto a tempo indefinito.
ANGOLO
AUTRICE
Ave a tutti, vivi e
morti, belli e
brutti, che hanno letto questo capitolo.
Potete come sempre
saltare queste
note e passare subito all’angolo ringraziamenti di mia
sorella, o
potete farvi due p… ehm, scatole così leggendo
quelle tre idiozie
che devo con certosina precisione puntualizzare.
Dunque, come avete letto
il
capitolo è incentrato sull’inizio
dell’amicizia fra Lily e
Severus, e la conclusione brusca è dovuta ad un fatto che
avevo già
indicato nell’introduzione, e cioè che
inizialmente tutta la
storia era formata da un unico capitolo.
Ho leggermente ampliato
il dialogo
rispetto a come lo troviamo ne “La storia del
Principe”, ma spero
che la cosa non crei troppo disturbo.
Quanto
al fatto che fosse la McGranitt ad accompagnare Lily, ho pensato che
probabilmente per spiegare le cose ad una famiglia come quella di
Lily, che quindi non doveva sapere assolutamente niente di magia
(contrariamente ai Dursley, che invece si dava per scontato sapessero
già tutto), sarebbe stato più saggio mandare un
soggetto meno…
diciamo impressionate di Hagrid. Con rispetto per Hagrid parlando, ma
secondo me può fare davvero impressione a persone non
preparate. La
McGranitt invece era probabilmente già vicepreside
all’epoca (io
l’ho considerata tale, almeno) e a quanto risulta in Harry
Potter e il Principe Mezzosangue era
Silente, insegnante di Trasfigurazione e probabilmente vicepreside,
che si occupava di informare i ragazzi provenienti dal mondo babbano
e le loro famiglie, qualora ne avessero, di Hogwarts (come nel caso
di Tom Riddle). Quindi mi sono attenuta a questa teoria.
Per il resto,
nient’altro di
particolare, non mi sono potuta abbandonare troppo
all’introspezione
dei vari personaggi perché Lily ha comunque undici anni ed
è lei
che narra l’azione (e pur facendolo dal futuro la visuale
è
filtrata dalla percezione di allora u.u).
Quindi, saluti a tutti e
grazie a
quanti si sono presi la briga di recensire, aggiungere la storia a
preferite/seguite/da ricordare e a quanti stanno semplicemente
leggendo (se presenti, ovviamente). Non posso parlarvi direttamente,
ma sinceramente grazie!
E ora lascio spazio alle
risposte
alle recensioni.
ANGOLO
PUBBLICANTE
HI!
Assecondiamo la Globalizzazione e salutiamo in English!
Mi
scuso per il ritardo di un giorno, ma ieri ero in viaggio e quindi
impossibilitata di aggiornare, avrei potuto avvisarvi, ma non lo
sapevo nemmeno io xD So che non è una scusa... ma voi siete
persone
sagge e comprensive e non mi lincerete vero? Glascie!
Allora!
Passiamo alle faccende UTILI e IMPORTANTI al fine del mio discorso:
inizierei subito col ringraziare le 10 persone che hanno aggiunto la
storia tra le seguite e le 2 che la preferiscono! Grazie di esserci e
se qualche volta volete lasciare un commento, non siamo persone
tirchie e malevole e quindi vi faremo entrare nel nostro
esclussivissimo Club dei Recensori! (Magari potreste anche portare
idee innovative per il nome del Club -.-).
Passo
ora a rispondere ai nostri già colleghi del Circolo:
-
A malandrina4ever: diciamo che la loro amicizia
si svilupperà sempre di più nel corso della
storia e questo capitolo ne parla parecchio. Petunia è
comprensibile, ma comunque detestabile, concordo con te, ma dato che
viene descritta in questo modo non possiamo migliorarla, anzi! Diventa
sempre più detestabile nel corso della storia -.- (E la cosa
NON è facile!) Secondo me per quanto riguarda Piton cerca di
difendersi, credo che nella sua ottica distorta sia anche colpa sua se
Lily ha accettato di andare a Hogwarts e quindi lo detesta e il loro
odio aumenta a dismisura. Concordo su Lily, è una bambina
veramente speciale!
Tu mi fai recensioni serie, io
rispondo seriamente, ecco! Per curiosità... cosa diavolo
è un “fungo huacciuhuari”? Non credo sia
qualcosa, ma non si finisce mai di imparare...
P.S. In bocca al lupo con la
fenice, magari Silente ne ha un paio di riserva! Altrimenti prova il
pratico flacone “Fenix” della Fenix&Co. xDxD
P.P.S. Mica pensavi di essere
l'unica a dover riportare la risposta alla recensione ad un livello
sufficientemente idiota vero?
-
A purepura: è questo il fatto!
Loro ci hanno anche parlato, ma è lei che è
un'ottusa imbecille! A MORTE, A MORTE!
Ok... sfogo inutile a parte,
credo che anche io mi sentirei così se improvvisamente la
mia sorellina piccola (in questo caso io, considerando che sono la
minore xD) partisse per un mondo magico a cui io non avrò
mai accesso, le maggiori devono sempre aver già fatto tutto!
È uno dei loro tanti compiti... (Non me ne vogliano le
sorelle maggiori, le stimo e trovo che siamo molto utili *_*)
Grazie mille per i complimenti!
Ci sentiamo alla prossima!
-
A lyrapotter: salve a te sorella di spirito
della mia sorella normale! (pare 'no scioglilingua!). Non può esistere un rapporto tra
sorelle senza un po' di sane pestate, ma questo non significa che poi
non ci si debba più rivolgere la parola per tutta la vita!
Si fa la pace e si risolve tutto! Magari anche DUE giorni senza
parlare, ma poi scleri! O almeno questo per quanto riguarda me...
Per la mia felicità,
Prudence è stata ispirata ad una mia vera compagna di
classe, il suo comportamento era VERAMENTE così e concordo
che ispiri le randellate in testa! Anche qualcosa di più
permanente e doloroso -.- la cosa assurda, è che era veramente popolare! Tutti le baciavano i
piedi! Mah! Misteri...
Il triangolo Lily-Piton-Petunia
proseguirà ancora per un bel po' di chap e diciamo che la
situazione non sarà delle più rosee xD
çç...
çç... °-°... Una persona mi vuole
veramente chiamare “sorellina d'adozione” senza
avermi mai parlato! Ti Voglio Tanto Bene! Io ti chiamerò...
mumble mumble... S³ (Saggia Sorella di Spirito)! Nome veramente ridicolo, ma
adatto xDxD
Sono
molto felice di come la gente apprezzi la storia! È un po'
come un
tributo alla mia Sorella Americana!
Adesso
dirò una di quelle inutili frasi di circostanza che rendono
l'atmosfera più formale...
Grazie
di essere stati con noi! Vi auguriamo un piacevole soggior... OPS!
Sbagliato circostanza...
Spero
di ritrovarvi tutti qui! Alla prossima puntata!!
(Come
sono squallide le frasi di circostanza...)
|
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Capitolo 5 *** Capitolo IV - Diagon Alley ***
Premessa:
prima di scuola
Capitolo IV
– Diagon Alley
Quando
finalmente arrivammo, fu solo grazie a mio padre, che mi
afferrò al
volo da sotto le ascelle, che non caddi per terra.
La
professoresse McGranitt ci guardò attraverso i suoi grossi
occhiali
e si limitò a dire: «Può avere uno
strano effetto la prima volta.»
Si
diresse velocemente attraverso il locale in cui eravamo atterrati,
che sembrava una sorta di pub buio e non particolarmente pulito che
ospitava clienti fra i più strampalati: da strane vecchie
dai
capelli stopposi, il cappello a punta simile a quello che io avevo
indossato lo scorso Halloween e delle unghie di almeno cinque
centimetri a uomini dal viso bitorzoluto e completamente pelato
vestiti in modo estremamente eccentrico. Per non parlare poi dello
strano personaggio all’angolo, completamente ricoperto di
bende a
mo’ di mummia se non per una fessura all’altezza
della bocca da
cui beveva una strana sostanza fumosa.
La
mano di mio padre, ferma sulla mia spalla, si stava contraendo appena
alla vista di tutti quegli strani personaggi, ma la professoressa
McGranitt procedeva come se non esistessero facendoci strada verso
un’altra porta.
«Professoressa!
Che piacere vederla!» esclamò quello che
probabilmente era il
barman. «Un’Acquaviola piccola, al solito,
Minerva?»
«No,
Tom, la ringrazio» rispose lei spiccia senza fermarsi.
«In questo
momento sono in servizio per Hogwarts.»
Lo
sguardo dell’uomo si calamitò irresistibilmente
verso di noi. «Oh!
Nuove acquisizioni?» chiese sinceramente curioso guardandomi.
«E
belle acquisizioni, anche!» aggiunse compiaciuto.
«Oh, spero che ci
rivedremo ancora, signorina…?»
«Evans»
risposi io automaticamente. Nonostante non lo conoscessi, mi piaceva
quell’uomo. «Lily Evans.»
«Bene,
signorina Evans, è stato un vero piacere»
commentò lui continuando
a guardarmi. «E un grande piacere anche conoscere lei,
ovviamente»
aggiunse cortese guardando mio padre, che era ancora leggermente
circospetto.
«La
ringrazio, signor Tom» risposi io sorridendo.
Anche
lui sorrise, mettendo in mostra la bocca sdentata. «Solo Tom,
signorina Evans» ridacchiò. «Signore non
è un termine che mi si
addica.»
«Signor
Evans, signorina Evans, da questa parte, per favore!» ci
richiamò
la voce della professoressa McGranitt.
Con
un ultimo cenno di saluto a Tom, mio padre mi guidò
inesorabilmente
verso la porta, anche se io tornavo a girarmi spesso verso quel mio
primo contatto con il mondo della magia.
Ci
ritrovammo in un angusto spazio pieno di bidoni di fronte ad un muro
di mattoni, e per qualche secondo mi chiesi cosa mai dovessimo fare
lì. Poi la professoressa tirò fuori quella che
presupposi essere la
sua bacchetta e colpì un mattone poco sopra uno dei cestini.
Poi
altri due.
E
con nostro grandissimo stupore si aprì un arco capace di
farci
comodamente passare tutti e tre. Solo che mentre la McGranitt si fece
avanti subito, io e mio padre rimanemmo per un po’ a guardare
stupefatti quello strano miracolo. Ma niente in confronto allo
stupore che provammo quando guardammo oltre l’arco.
Eravamo
appena sbarcati in una viuzza su cui si affacciavano i negozi
più
affascinanti del mondo. Da una parte all’altra della strada
c’erano
più vetrine che nel centro di Dublino e
un’incredibile quantità
di persone vestite tutte in modo simile con quelle strane, lunghe
vesti che gli coprivano completamente il corpo. Effettivamente, io e
mio padre sembravamo un po’ fuori posto, lui in jeans e polo
e io
con un vestito bianco crema.
Guardandomi
attorno potei notare alcune esposizione di strane pentole –
che
appresi dal cartello chiamarsi “calderoni”
– di varie
dimensioni, poi un enorme negozio pieno di tutti i tipi di gufi e
famiglia, altri ancora con abiti simili a quelli indossati da tutti,
un altro che vendeva manici di scopa ed era fra i più
frequentati…
Ogni
tanto mio padre richiamava l’attenzione su alcuni dei
passanti o su
altri negozi, e la professoressa McGranitt, pur senza girarsi, ci
spiegava i vari usi dei materiali esposti e ci elencava quelli che
sarebbe stato più urgente procurarsi.
Per
prima cosa, tuttavia, si diresse decisamente verso la fine della
strada, dove si trovava un edificio candido come la neve, con scritto
sopra in caratteri elaborati “Gringott”.
«La
Gringott è la banca dei maghi» spiegò
la McGranitt con aria molto
accademica fermandosi poco distante dall’edificio che io e
mio
padre continuavamo a scrutare. «E viene custodita da
folletti, che
sono le creature più esperte di tesori del mondo
magico.»
Folletti?
Effettivamente, a guardia della porta che la professoressa stava
oltrepassando c’era una strana creatura poco più
bassa di me che
sembrava essere stata stirata alle estremità: aveva dita
lunghissime, piedi lunghissimi, barba appuntita e un naso a matita.
Si inchinò al nostro passaggio senza cambiare espressione.
Se
la mia faccia era simile a quella di mio padre, quel folletto doveva
essere molto professionale per non aver mostrato nessun tipo di
emozione.
Subito
dietro c’era una seconda porta che recitava una filastrocca,
e
dietro la porta c’era un enorme salone di marmo in cui
centinaia di
folletti si occupavano di servire le richieste delle dozzine di maghi
presenti. Vidi alcuni di quegli strani esseri pesare smeraldi grossi
come tazze ed altri muoversi velocemente attraverso le centinaia di
porte che si aprivano per tutto il perimetro della sala, oltre ad
altri ancora che, da dietro alti scanni sistemati simmetricamente
rispetto alla porta, compilavano e firmavano alcuni libri grandi
quanto loro.
La
professoressa McGranitt si fermò al centro della sala e ci
guardò
con la sua aria severa. «Dunque, maghi e… non
maghi usano monete
diverse.» Da una tasca dell’abito tirò
fuori una moneta d’oro
grande come un piattino da caffè, una d’argento un
po’ più
piccola e una di bronzo che non poteva avere più di un
centimetro di
diametro. «Questo d’oro»
spiegò alzando la moneta, «è un
Galeone. Diciassette Falci – che sono le monete
d’argento»
proseguì prendendo la seconda moneta, «fanno un
Galeone, e
ventinove Zellini» ci mostrò la più
piccola, di bronzo, «fanno un
Falci. Tutto chiaro?»
Noi
annuimmo e le fece altrettanto. «Bene. Ora, è
possibile effettuare
un cambio per le famiglie provenienti dal… mondo non
magico.»
Sembrava evitare accuratamente la parola “Babbano”,
forse
nell’intento di non offenderci. «Ed è
meglio procedere subito
visto che la maggior parte dei maghi non conosce né sa
contare
secondo il vostro sistema monetario.» Si girò con
uno dei suoi
movimenti veloci verso uno dei banconi.
Del
cambio si occupò mio padre, e mi parve di capire che lo
scambio non
era molto vantaggioso per le sterline, ma a essere onesta in quel
momento non mi interessava più di tanto. Continuavo a
guardarmi
attorno, cercando di assorbire tutto quello che vedevo. Per quanto mi
riguardava, mio padre finì troppo presto di effettuare il
cambio.
La
professoressa McGranitt ci portò immediatamente fuori per i
primi
acquisti. Accanto alla banca si trovava il negozio contrassegnato
Madama McClan: abiti per tutte le occasioni.
Quando
entrammo, una strega sorridente vestita di color lavanda ci venne
incontro seguita a poca distanza da quella che sembrava essere la
figlia, che doveva avere più o meno vent’anni.
«Oh,
professoressa McGranitt, buon giorno!» esclamò
andandole incontro.
Il suo sguardo si spostò su di noi. «Hogwarts,
immagino? Nuove
acquisizioni?»
«Esattamente»
annuì l’altra. «Questa è la
signorina Evans, e questo è suo
padre.»
«Molto
piacere» dissi con un sorriso. Con quella donna risultava
molto
facile sorridere.
Anche
mio padre sorrise e si fece avanti per stringerle la mano. Lei la
accettò e chiese: «Irlanda, vero? Nei pressi
di… Limerick,
giusto?»
Mio
padre la guardò stupito ed annuì.
Lei
mosse saggiamente la testa. «È impossibile
fraintendere l’aria
eccitata di un Babbano di Limerick… date
un’incredibile
soddisfazione» concluse con un altro sorriso placido.
«Ma»
aggiunse guardandomi, «noi siamo qui per te, vero
piccolina?» Fece
un cenno alla figlia. «Rosie, tu vai a guardare
quell’altro
ragazzo.» L’altra annuì e se ne
andò. «Bene, e ora a noi. Se
vuoi seguirmi, cara, andiamo a provarti la divisa.»
Mi
condusse nel retro del negozio continuando a chiacchierare con mio
padre dell’Irlanda e facendogli domande su come era cambiata
da
quando c’era stata l’ultima volta, poi, senza
smettere di
parlare, mi fece salire su uno sgabello e, dopo avermi fatto
indossare una lunga tunica nera, cominciò a prendermi le
misure ed
ad appuntare spilli in ogni centimetro di stoffa raggiungibile.
Dall’Irlanda
erano passati al suo negozio, e ora stava spiegando a mio padre che
ormai si riteneva un po’ troppo vecchia per lavorare a tempo
pieno
e che pensava di lasciare tutto nelle mani della figlia, che tanto si
era mostrata un’ottima sarta ed una degna erede. Mio padre
rispondeva con altrettanto entusiasmo, mentre la professoressa
McGranitt stava sulla porta e ci guardava con sguardo indecifrabile.
Dopo un po’, Madama McClan finì di prendere tutte
le sue misure e
mi fece scendere dallo sgabello. «Sono sicura che ci
rivedremo,
Lily» era passata dal cognome al nome senza nessun problema
dopo
pochi minuti di conversazione, «e grazie per avermi risposto,
Alan,
so quanto sono diventata logorroica in questi ultimi
tempi…»
«Affatto»
rispose mio padre sorridendo, «era tempo che non avevo una
conversazione del genere, e poi mi manca molto
l’Irlanda…»
«Ah,
sì, un posto magnifico» annuì lei.
«A presto, buoni acquisti!»
ci salutò dopo che mio padre ebbe pagato.
«Che
donna simpatica» commentò mio padre quando fummo
andati.
«Sì,
molto» annuii io mentre seguivamo la professoressa McGranitt
che
falciava la folla davanti a noi.
«Ah,
il Girigoro» disse quando fummo arrivati
davanti ad una
libreria fermandosi così bruscamente che per poco non le
andammo a
sbattere contro. «La migliore libreria del mondo, a mio
parere.»
Io
mi ero già fiondata dentro senza che nessuno dei due se ne
fosse
accorto. Mio padre – così mi disse in seguito
– era riuscito a
vedermi solo perché era facile riconoscere la mia chioma
fiammante
in mezzo alle vesti scure dei maghi.
Ma
non mi importava: le librerie erano il mio negozio preferito in
assoluto, e quella in particolare era più straordinaria di
tutte
quelle in cui ero stata fino ad allora. C’erano libri grandi
e
libri microscopici, alcuni con le copertine spesse e filigranate ed
altri talmente sottili che pareva si potessero rompere solo
guardandoli. Poi ce n’erano diversi che, avrei giurato,
cambiavano
colore quando li guardavi, moltissimi le cui immagini in copertina si
muovevano, e inoltre, prendendone alcuni a caso ed aprendoli, scoprii
che vari erano scritti a caratteri strani e difficilmente leggibili
ed altri erano completamente bianchi. Uno ad un certo punto mi
saltò
via dalla mano e, dopo avermi fatto una pernacchia, tornò al
suo
posto sullo scaffale.
Alla
fine mio padre mi riagguantò e assieme alla professoressa
McGranitt
mi portò a vedere i libri che mi servivano per scuola, anche
se
vedevo chiaramente che pure lui era affascinato dal posto. La
McGranitt considerò con indulgenza la mia scappata e
cominciò a
radunare i libri necessari con l’efficienza di un generale,
mentre
io scappavo di nuovo a cercarne altri da esaminare. Riuscirono a
scollarmi da lì solo quando la professoressa mi
informò che
Hogwarts aveva una biblioteca altrettanto fornita ed a cui tutti gli
studenti potevano accedere ogni giorno.
Ma
non fu l’unico momento in cui rischiai di andare fuori
controllo:
mi successe anche nella “farmacia”, un luogo
affascinante
dall’odore nauseabondo ma talmente pieno di piante ed
ingredienti
strani da ripagarlo ampiamente. Stavo controllando alcune boccette di
veleno e diverse piante medicinali (che mi avevano sempre
affascinato), quando papà mi chiamò per mostrarmi
alcuni corni di
unicorno e per farmi concentrare poi – facendo violenza su
sé
stesso – sugli ingredienti necessari per le pozioni di base.
Nel
negozio lì accanto acquistammo anche una bilancia ed un
meraviglioso
telescopio che, promisi a mio padre, avremmo usato anche a casa per
vedere le stelle, di cui entrambi eravamo appassionati. Un
po’ più
in là c’era il negozio di calderoni che avevo
notato all’andata,
alcuni talmente grandi da sembrare vasche da bagno ed altri poco
più
piccoli di una macchinetta per il caffè.
La
professoressa McGranitt restava di una calma olimpica, ma non credo
che il nostro entusiasmo le dispiacesse. Sempre più spesso
incontrava conoscenti che la salutavano o le tributavano un leggero
inchino, ma lei non rispondeva mai se non con un cenno della testa ed
un leggerissimo sorriso.
Alla
fine, ci condusse in un negozio un po’ appartato
dall’insegna
polverosa in cui comunque si leggeva “Olivander:
fabbrica di
bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.”.
La mia mente
ebbe un tuffo. Dal 382 avanti Cristo? Da quanto
caspita stava
lì quell’uomo?
Ma
prima che potessi chiedere, la professoressa McGranitt ci spinse
dentro il locale. Un lievissimo scampanellio, tanto debole che per un
istante mi chiesi se non l’avessi solo immaginato, accolse il
nostro ingresso in quell’ambiente buio ed assolutamente vuoto
a
parte per una sedia dalle gambe sottili su cui la McGranitt si
sedette giungendo le lunghe dita nervose.
Io
guardavo verso l’alto gli scaffali colmi di strane scatolette
basse
e lunghe che occupavano per tutta la sua altezza la stanza, quando
ebbi la strana sensazione di essere osservata. Non feci in tempo a
voltarmi che uno strano personaggio già avanti negli anni,
dai
capelli bianchi e disordinati e gli occhi grandi e luminosi
entrò
facendo sobbalzare mio padre quando disse a bassa voce: «Buon
pomeriggio.»
«Salve»
feci io un po’ imbarazzata tendendo la mano, che
però lui non
strinse. Mi stava scrutando con quei suoi occhi brillanti.
«Ah…
una nuova strega, quindi» mormorò guardandomi
attentamente. «E
dagli occhi di giada, vedo. Un grande potere, è
evidente.» Alzò lo
sguardo verso mio padre. «Il genitore, senza
dubbio?» mormorò fra
sé e sé.
«Signor
Olivander, buon giorno» disse la professoressa McGranitt, che
si era
alzata in piedi non appena l’uomo era entrato.
«Ah,
Minerva McGranitt» disse lui spostando lo sguardo da noi a
lei.
«Mogano, nove pollici, rigida, mi sbaglio forse?»
«No,
signore, la sua memoria è buona come sempre»
rispose la
professoressa con il primo, vero sorriso che le avessi mai visto.
«Sì…
sì, credo sia così» disse lui con
quella sua voce piana, pacata,
quasi assente. «Bene, vediamo un po’ cosa si
può fare…»
Si
avvicinò a me tanto che potevo contare le rughe attorno ai
suoi
occhi d’argento. «Quale mano usa per la
bacchetta?»
«La
destra, signore» risposi io in un soffio. Sembrava maleducato
parlare ad un livello di voce normale.
«Molto
bene. Alzi il braccio, per favore.» Un metro a nastro
cominciò a
prendermi varie misure che una penna d’oca annotava su un
foglio di
pergamena sospeso per aria. Intanto lui si aggirava attorno a me come
per vedermi da diverse angolazioni, e al contempo diceva:
«Ogni
bacchetta da me costruita, signorina Evans» non seppi mai
come
faceva a sapere il mio nome, visto che io non glielo avevo detto,
«ha
per nucleo una potente sostanza magica. Io uso solamente peli di
unicorno, penne di coda di fenice e fibre di cuore di drago. Non
esistono due bacchette da me costruite che siano perfettamente
uguali, signorina Evans, come non esistono due maghi che abbiano un
potere magico perfettamente uguale, e quindi naturalmente non si
hanno mai risultati altrettanto buoni con la bacchetta di un altro
mago.» Dopo avermi osservata con attenzione
cominciò a muoversi fra
gli scaffali mentre mi spiegava: «È la bacchetta a
scegliere il
mago, signorina Evans, non lo dimentichi mai. Loro ci sentono, si
adattano a noi ed eleggono uno solo di noi come loro padrone.
È una
grande onore essere accettati da una bacchetta, ed è per
questo che
loro rimangono fedeli al loro padrone, se non dopo la sua sconfitta.
Una bacchetta sconfitta può accettare come padrone il
vincitore, ma
è un caso raro. Può bastare
così» disse senza interrompersi, ed
il metro a nastro si afflosciò a terra immobile. Lui si
girò verso
di me così in fretta che io sobbalzai. «Bene,
cominciamo allora,
signorina Evans. Sequoia e cuore di drago, otto pollici e tre quarti,
flessibile. La prenda e la agiti.»
Ero
talmente emozionata che per poco non mi tremava la mano. La mia prima
bacchetta!
La
presi e la stavo sollevando per agitarla quando il signor Olivander
me la strappò di mano e la sostituì con
un’altra. «Cedro e piume
di fenice, nove pollici, elastica.»
Provai
ad agitare anche quella, ma non avevo neppure completato il movimento
che Olivander me la tolse per sostituirla con un’altra.
«Assolutamente no. Tasso e peli di unicorno, sette pollici e
mezzo,
rigida. Su, la provi.»
Ma
non era quella, né quella successiva. Fu solo al settimo
tentativo
che trovammo quella adatta a me: dieci pollici e un quarto, legno di
salice, con il cuore di peli di unicorno,
“sibilante”.
«Bene!»
esclamò Olivander riprendendo la bacchetta e mettendola
nella sua
scatola. «Un’ottima bacchetta per il lavoro
d’incanto, potente,
e molto fedele. Può ritenersi soddisfatta, signorina Evans,
è una
delle prime che abbia mai costruito, ha rifiutato decine di mani
prima di lei.»
«Sì»
sussurrai io. Ero ancora su di giri per l’emozione. Avevo una
bacchetta. Avevo una bacchetta con cui avrei potuto fare magie, che
aveva sprizzato scintille dorate al mio tocco, che mi aveva
riconosciuta come padrona! Mio padre mi strinse forte le spalle con
un gran sorriso mentre io ricevevo il pacchetto ancora sotto shock.
Mi riscossi abbastanza per ringraziare il signor Olivander, che
rispose con un leggero inchino prima di tornare nei meandri del
negozio.
«Su,
andiamo» ci incitò la professoressa McGranitt,
anche se sorrideva.
«Ormai dovrebbe mancare poco, ci mancano le pergamene e le
penne
d’oca e poi dovremmo aver finito.»
Io
annuii, anche se ero ancora in uno stato di trance. Riuscii a
riprendermi solo quel tanto che bastava per chiederle: «Come
faceva
il signor Olivander a sapere il mio nome? Io non gliel’ho
detto!»
La
sua risposta fu un sorriso enigmatico e l’altrettanto
enigmatica
frase: «Olivander non è un mago come molti. Come
faccia a
ricordarsi tante cose, o a indovinarne altrettante, è un
mistero
ancora irrisolto per i più.»
Mi
dovetti accontentare, ma accantonai presto quei pensieri. Non vedevo
l’ora di far vedere i miei acquisti alla mamma ed a Severus!
Ma
non ebbi modo di parlarne con mia madre se non il giorno dopo.
Approfittando della nostra assenza, aveva deciso di portare Tunia in
centro e di farla divertire lì, per distrarla, col risultato
che
quando tornarono – aveva lasciato un biglietto a mio padre
per
dirgli che cenavano lì – io stavo già
dormendo con la mia nuova
bacchetta sul comodino e un ricordo indimenticabile nel cuore.
ANGOLO
AUTRICE
Speravate
di esservi liberati delle mie noiosissime e puntigliose note di fine
capitolo, vero? Ebbene, non è così, è
l’unico modo in cui posso
esprimere la mia voce e non intendo rinunciarvi solo per farvi
piacere u.u
Quindi,
chi ha voglia e modo di darmi retta legga qui e chi non ce
l’ha
passi direttamente ai ringraziamenti che mia sorella così
generosamente ha accettato di scrivere in mia vece.
Dunque,
Diagon Alley. Una miniera di cose da dire e appuntare.
Allora,
tanto per cominciare ho mantenuto alcune vecchie conoscenze, come Tom
il barista e Olivander, perché Diagon Alley non sarebbe
Diagon Alley
senza di loro. Per entrambi sappiamo già dal Canon che si
trovavano
già lì ai tempi di Lily, Tom per quanto detto da
Silente a Tom
Riddle in Harry Potter e il Principe Mezzosangue, per
Olivander in base alla sua insegna (Fabbrica di bacchette di
qualità superiore dal 382 a.C.).
Per
madama McClan, devo dire che ho finto che il negozio fosse di
gestione familiare: la signora in questione sarebbe quindi la madre
della madama McClan di Harry Potter, e ho inserito anche una breve
visione della futura madama McClan – ovviamente la figlia che
presto dovrà subentrarle, il nome Rosie è dovuto
puramente alla mia
fantasia. Lo so che in base al titolo si potrebbe pensare che McClan
fosse il nome del presunto marito della signora, ma siccome anche
nella versione inglese non si parla di Mrs (il titolo, appunto, delle
donne sposate) ma di Madame (che può essere
l’equivalente francese
di Mrs o un modo onorifico di chiamare una signora straniera), ho
finto che ci fosse ambiguità nella forma e mi sono
arrangiata di
conseguenza.
In
quanto al fatto che il padre di Lily, un Babbano, vi possa avere
accesso malgrado tutto, dal secondo libro noi sappiamo che anche i
genitori di Hermione erano potuti entrare a Diagon Alley. Qui in
più
sono accompagnati dalla McGranitt.
Bene,
credo anche questa volta di aver finito.
Lascio
spazio alle più gradevoli risposte di mia sorella, e
ovviamente
accludo anche i miei più vivi ringraziamenti a tutti coloro
che si
sono presi la briga di recensire, leggere, aggiungere a
preferiti/seguite/da ricordare questa storia (sempre se ce ne sono,
cosa che io dal passato non so).
ANGOLO
PUBBLICANTE
Non
mi guardate così! Non è colpa mia! Non me lo sono
dimenticato... o
forse sì...
D'ACCORDO
E' VERO! ME LO SONO SCORDATO! Ma non è stata tuttatutta
colpa mia!
Siate clementi! Ero piena di compiti e... dovevo fare tante cose e...
andiamo mi poteta anche perdonare per una volta! Prometto che non
succederà mai più!!
Bene!
Dopo essermi prostrata ai vostri piedi e essere stata perdonata
(spero...), passo a rispondere alle recensioni di Voi, nostro
amatissimo pubblico!
-
A purepura: LadyMorgan ringrazia per
l'apprezzamento del suo ragionamento! Non sei l'unica a volere la
prematura dipartita di Petunia (ma tu guarda che paroloni!), ma
purtroppo muore prima Lily :( che disperazione... credo che i genitori
abbiamo avuto una reazione un po' fredda perché erano in
stato di shock! Pensa se ad un certo punto della tua vita, ti compare
davanti una tizia strana che ti dice che i maghi esistono e che tua
figlia piccola è parte di loro! Come reagiresti?
P.S. Complimenti per il/la
nuovo/a arrivato!
-
A malandrina4ever: se in questo capitolo ti sta
più antipatica voglio proprio vedere come sarà
nei prossimi... la situazione peggiora! Condoglianze per il
bastonicidio mancato, c'est la vie! Non tutto è possibile,
sigh! Sono andata su Youtube e la mia faccia è diventata
più o meno così O.o ------> XD
è una cosa assurda quella canzoncina!
È completamente priva di significato! La SSP ringrazia violettamente la sua adorata vice.
-
A googletta: non c'è
problema! Il Club è sempre aperto a nuovi vogliosi (non
prendetela male, pervertiti!) adepti! La tessera socio ti
sarà inviata al più presto xD
Ovviamente più
avanti i Malandrini avranno la loro parte nello show, ma per ora
lasciamoli nel loro bel cassetto a progettare idiozie! In effetti
è una cosa nuova e prima che Lily e James possano solo pensare di mettersi insieme...
Fa sempre piacere vedere
nuove persone leggere la nostra FF! Allora benvenuta di nuovo! Grazie
per l'immagine! *_* Sei la prima persona che la nota!
Mi
scuso ancora per il ritardo e mi accerterò che questo non
accada mai
più! Croce sul cuore!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo V - Gelosia ***
Premessa:
prima di scuola
Capitolo V
– Gelosia
Il
giorno dopo mi svegliai tanto presto da sconvolgere anche me stessa:
ero sempre stata una pigrona, di solito facevo una fatica tremenda ad
addormentarmi ma, una volta che ci riuscivo, non volevo svegliarmi
più. Tuttavia alle sette e un quarto del giorno dopo ero in
piedi e
saltellavo verso la cucina con uno dei miei nuovi libri sottobraccio.
Mi preparai una tazza di cereali e cinque minuti dopo arrivò
mia
madre, che si trovò immediatamente tempestata di racconti,
dimostrazioni e crisi di felicità a cui assistette con un
sorriso
sulle labbra ma uno sguardo leggermente angosciato negli occhi.
All’inizio non me ne accorsi, ma quando lo notai e le chiesi
il
motivo scoprii che nonostante tutto era molto preoccupata al pensiero
che sarei stata lontana per tanto tempo. Non voleva doversi separare
da me quando avevo ancora solo undici anni, e per di più
aveva paura
per Petunia, che il giorno prima le aveva parlato e che sembrava
tormentarsi dalla rabbia.
«Ma
perché?» chiesi io dopo un
po’. «Perché è
così
arrabbiata? Che cosa le ha preso?»
Mia
madre sospirò e mi prese sulle ginocchia. «Non
capisci, tesoro? È
gelosa. Chiunque vorrebbe avere un dono del genere,
pensi che
sia facile per Tunia, che per di più è anche la
maggiore, vedere la
sua sorellina partire per un meraviglioso mondo magico senza che lei
possa farne parte?»
Ora
che me la faceva vedere sotto questa ottica, mi accorgevo di essere
stata estremamente egocentrica per non averci pensato prima.
«Ma…
ma Tunia detesta la magia» osservai debolmente.
«Diceva
continuamente che la magia era una cosa per bambini stupidi, che era
inutile crederci…»
«Sì,
questo perché credeva che non esistesse.» Mi
guardò con i profondi
occhi verdi che avevo ereditato. «Tunia ha smesso di credere
nella
magia perché temeva di restare disillusa, ma ora che sa che
esiste è
normale che ne voglia far parte! Se non fossi
così grande
anche io ti invidierei un po’! Ti rendi conto
dell’occasione
meravigliosa che hai avuto e che Tunia non può
avere?»
Le
buttai le braccia al collo mentre riflettevo sulle sue parole.
«Forse
posso parlare col preside» azzardai titubante.
«Posso chiedergli di
fare entrare anche Tunia… sono sicura che imparerebbe
presto, non è
così difficile…»
Non
potei continuare perché in quel momento l’oggetto
delle nostre
discussioni entrò assonnata in cucina, strofinandosi gli
occhi. Mia
sorella era molto più mattiniera di me, non si alzava mai
dopo le
otto e mezza, nemmeno in vacanza.
Ma
appena mi vide in braccio alla mamma, fece una smorfia schifata e
fece per uscire nuovamente dalla camera. Io mi districai
dall’abbraccio e le corsi dietro. «Tunia! Tunia
aspettami!»
Ma
lei continuò a correre fino in camera sua, e sebbene io
fossi più
veloce, lei aveva le gambe più lunghe ed era partita in
vantaggio.
La sentii chiudere la porta a chiave e cercai di guardare dalla
serratura. «Tunia! Tunia, per favore! Ti voglio solo
parlare!»
«E
io non voglio parlare con te, Lily Evans!»
D’accordo,
quando Tunia cominciava a chiamarmi per nome e cognome era
solitamente segno che avevo fatto qualcosa di grave. «Tunia,
per
favore! Non puoi ignorarmi tutta la vita!»
Ci
fu un attimo di silenzio, poi la chiave girò nella toppa e
io mi
ritrovai a pochi centimetri di distanza dal viso scarlatto di mia
sorella, i capelli biondi completamente spettinati e
l’espressione
furiosa. «Ah, non posso, eh? E che importanza ha, visto che
fra un
po’ te ne va in quella scuola di matti? Non ti vedrei
comunque per
tutto l’anno, quindi sarà meglio fare pratica, non
credi?»
«Petunia,
adesso basta.» Mia madre ci aveva appena raggiunto e la
guardava
inflessibile. «Quello che è successo non
è colpa di Lily.»
«Certo!
Non è mai colpa di Lily per voi, vero?»
urlò lei rossa in faccia.
«No, ovviamente no! Lily è una santa, Lily
è la figlia perfetta,
Lily è la figlia con la magia, che andrà ad
imparare ad essere una
strega! Che peccato che non sia figlia unica!»
«Tunia,
cosa stai dicendo?» Ero inorridita: non mi aspettavo quel
fiume di
bile, né tanto meno avevo mai visto Petunia così
vicina a perdere
il controllo. «Io non… »
«Tu
devi solo stare zitta!» mi strillò lei.
«Stai zitta e non fare
altri danni, piccola strega!» Mi guardava con tanta rabbia
che
indietreggiai.
«Petunia,
stai facendo una scenata inutile» rispose mia madre, sempre
inflessibile. «Smettila di comportarti come una
bambina!»
Per
lei fu come ricevere uno schiaffo. Guardò la madre ferita e
scoppiò
a piangere, per poi rinchiudersi di nuovo in camera sua. «No,
Tunia,
per favore!» le gridai bussando a più non posso.
«Cosa
sta succedendo, qui?» chiese mio padre uscendo assonnato
dalla sua
camera. Guardò la mia faccia sconvolta, il viso dolente
della moglie
e sentì i singhiozzi provenienti dalla camera di Petunia.
«Cos’è
successo?» chiese guardando interrogativo la mamma.
Lei
sospirò pesantemente e gli spiegò
l’accaduto. Io li ascoltavo
solo per metà. Cercavo ancora di comunicare con Petunia
attraverso
il buco della serratura, ma era evidente che parlavo a vuoto: dalla
sua camera provenivano solo singhiozzi secchi e discontinui, tali che
stavo per cominciare a piangere anch’io.
Poco
dopo i miei genitori vennero a prendermi per allontanarmi, ma io
rimasi in camera mia tutto il giorno, senza andare da Severus come
avevo pensato. Solo i miei nuovi libri riuscirono a distrarmi per un
po’, ma quando udii il rumore di una porta che si apriva
scattai
come una velocista e corsi incontro a mia sorella che era appena
uscita dalla sua reclusione con una lettera in mano e si era
precipitata giù per le scale per poi uscire velocemente
ignorando i
miei ripetuti appelli.
Sconsolata,
tornai in camera e ripresi a sfogliare il Manuale per gli
incantesimi, Volume Primo che avevo comprato il giorno prima.
Provai anche a fare un paio di magie, e la concentrazione era tale
che solo a malapena udii la mamma chiamarmi per il pranzo.
Il
pomeriggio avevo una delle ultime lezioni di ginnastica artistica, ed
ero decisissima a non mancare: mi piaceva quello sport, forse
perché
ero brava, e mi sarebbe spiaciuto abbandonarlo.
E,
con mia grande sorpresa, scoprii che spiaceva anche alla mia
insegnante. «Sei l’allieva migliore che abbia mai
avuto da tanto
tempo a questa parte, Lily» mi disse quando la informai che
fra meno
di un mese me ne sarei andata in una boarding school. «Se ti
fossi
allenata più di frequente saresti potuta entrare nella
nazionale,
questo è indubbio.» Mi guardò con una
certa tristezza. « Ti sarà
possibile continuare ad allenarti, in questa tua scuola?»
Io
risposi che non lo sapevo, ed ero perfettamente sincera. Tanto per
cominciare, non sapevo cosa aspettarmi da Hogwarts e non avevo idea
di cosa ci sarebbe potuto o meno essere, ma mi ci voleva un grosso
sforzo di fantasia per vedermi allenare a ginnastica in una scuola di
magia.
Tuttavia,
non perse particolare tempo in convenevoli. «Alle parallele
per il
riscaldamento, ora!» mi disse perentoria, tornando ad essere
l’insegnante inflessibile che conoscevo.
Obbedii
immediatamente: erano il mio attrezzo preferito in assoluto, e quella
era probabilmente l’ultima volta che potevo usarle.
Quando
tornai a casa ero stanca e soddisfatta, e corsi subito a farmi una
doccia.
L’ultimo
mese con la mia famiglia fu un continuo alternarsi di alti e bassi:
da una parte, divoravo i libri che avevo comprato e memorizzavo
incantesimi su incantesimi, esercitandomi con Severus dove eravamo
certi di non essere visti, dall’altra Tunia non mi rivolgeva
la
parola e mi ignorava ostentatamente, passando la maggior parte del
suo tempo fuori casa.
Un
pomeriggio, mentre stavo tornando a casa con Sev e stavamo parlando
eccitati di quello che ci aspettava e degli incantesimi che avevamo
imparato quel giorno, lo vidi affilare lo sguardo: stava
fissando la finestra della camera di Petunia, da cui si poteva vedere
mia sorella con in mano una lettera e una busta lacerata dal sigillo
di ceralacca.
«Cosa…?»
borbottò avvicinandosi.
Io
lo presi per una spalla. «Che succede, Sev?»
Per
tutta risposta, lui mi indicò mia sorella. «Che
cos’ha Tunia?»
chiesi un po’ stupita.
Lui
strinse gli occhi. «La lettera. Viene da Hogwarts.»
Lì
su due piedi rimasi completamente spiazzata. Poi battei le mani
eccitata. «È meraviglioso! Significa che anche
Tunia è una strega!
Riprenderà a parlarmi!»
Ma
il mio entusiasmo andò a scontrarsi con il suo sguardo.
«Cosa c’è, Sev?»
«Tua
sorella non è una strega» mi disse a bassa voce.
«Te l’ho detto
vi… vi avevo già notato, in precedenza»
disse di malavoglia. «Un
mago mostra i suoi poteri fin da quando è bambino, e lei non
ne ha
mai mostrata una goccia.»
Guardai
con occhi diversi mia sorella. Ora che la vedevo meglio, stava
piangendo, e poco dopo buttò la lettera per terra per poi
allontanarsi dalla finestra. Pochi secondi dopo era uscita,
stringendo uno spolverino.
Si
fermò quando ci vide, ci rivolse uno sguardo disgustato e
proseguì
per la sua strada senza averci detto niente.
Io
mi voltai verso Severus. «Ma… se non è
una lettera di ammissione…
che cos’è?»
«Non
lo so» mi rispose lui in un soffio avvicinandosi alla nostra
casa.
«Cioè, probabilmente alle poste ci sono dei maghi
che controllano
le lettere dei maghi in incognito, però…
è strano. I Babbani non
possono prendere contatto con il nostro mondo.» Mi
guardò per un
attimo, titubante, poi proseguì: «Andiamo a
controllare?»
Io
esitai. «Non so…» dissi. «In
fondo… sono affari di Petunia…»
«È
del nostro mondo che stiamo parlando» mi
fece osservare lui.
«Possiamo vantare su quella lettera molti più
diritti di lei… in
fondo, tutto ciò che riguarda Hogwarts riguarda anche noi,
no?»
Il
ragionamento, in modo nebuloso, mi convinse, così entrammo
entrambi
in casa mia.
«Oh,
ciao Severus» lo salutò mia madre dalla cucina.
Lui
esitò un secondo prima di dire: «Buonasera,
signora Evans.»
Salimmo
al piano di sopra ed entrammo nella camera di Tunia. Come al solito,
era tutto in ordine, a parte per la lettera, gettata a terra, e la
busta, posata sul davanzale. Fu lì che io mi diressi,
guardando
l’ormai familiare pergamena gialla, l’inchiostro
verde ed una
sottile grafia un po’ obliqua che non mi pareva fosse la
stessa
delle nostre lettere.
«Lily,
vieni qui!» mi chiamò Severus, che aveva preso in
mano la lettera e
la stava esaminando.
Cara
signorina Evans,
sono
dolente di doverLe recare spiacevoli notizie, ma sfortunatamente la
frequenza ad Hogwarts è garantita solo per quegli studenti
in
possesso di particolari capacità innate che, purtroppo, non
sono
comuni a tutti.
La
mitizzazione di questi poteri è tuttavia sbagliata ed
esagerata, ed
ho conosciuto numerose persone che, pur prive, conducono vite
soddisfacenti senza farsi mancare nulla.
Con
l’augurio che Lei rientri fra queste, La saluto calorosamente,
Albus
P. W. B. Silente,
Direttore
Ci
guardammo negli occhi. I suoi erano maliziosi, i miei solo tristi.
«Ma
tu pensa…» commentò con un sorrisetto
divertito. Scorse di nuovo
la lettera e trasse un profondo sospiro. «Chi
l’avrebbe mai detto
che tua sorella sotto sotto bramava quel potere tanto
schifoso?»
Io
guardai tristemente la lettera. «Dici che Tunia abbia fatto
richiesta di ammissione e… e l’abbiano
rifiutata?»
«Be’,
tu che dici?» mi chiese continuando a guardare la pergamena
sorridendo.
Sospirai
pesantemente. «Adesso sarà ancora più
difficile farmi perdonare.»
Mi
si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. Poi il suo
sguardo
corse per un secondo alla finestra e una ruga si formò fra i
suoi
occhi. «Che dici, andiamo in camera tua?» mi chiese
accennando alle
nostre borse.
Io
annuii senza dire niente, ed uscimmo nell’esatto momento in
cui
sentii la porta di casa aprirsi ed il passo di mia sorella salire le
scale.
Ci
incontrammo davanti alla porta di camera mia, e lei lanciò
ad
entrambi uno sguardo in cui il disgusto si univa alla rabbia.
«Cosa
ci fa lui qui?» chiese riservando a
Severus lo stesso sguardo
che avrebbe riservato ad uno scarafaggio.
«È
mio amico, Tunia» ribattei alzando il mento. «E
mamma dice che
possiamo invitare gli amici.»
Non
ribatté, ma il suo sguardo non cambiò di una
virgola mentre si
spostava su di noi. Poi entrò in camera sbattendo la porta.
Mi
voltai con un sorriso di scuse verso Severus, che però non
aveva
ancora perso quella sua aria per metà maliziosa e per
metà
divertita. «Vuoi restare a cena con noi?»
Scosse
il capo. «Credo che tua sorella avrebbe un infarto, se
restassi.»
Sapevo
che quando prendeva una decisione non cambiava idea, perciò
non
insistetti.
Il
primo settembre arrivò troppo presto – o troppo
lentamente, a
seconda dei punti di vista.
Io
e Petunia non ci eravamo più parlate e lei non mi aveva mai
nemmeno
guardato, se non una volta a pasto e solo per
fissarmi
disgustata.
Mamma
e papà si sforzavano di comportarsi come se nulla fosse, e
la loro
allegria fu un balsamo per l’abbandono di mia sorella.
Petunia
ormai trascorreva più tempo fuori casa che dentro, tornava
solo per
i pasti e la notte. Ma siccome lei faceva colazione molto prima di me
e spesso pranzava fuori, l’unica occasione che avevo di
vederla era
a cena, e sempre per lo stretto indispensabile, visto che se ne
andava senza aver neppure deglutito l’ultimo boccone.
In
quei giorni io mi consolavo con Severus e con i miei genitori, o con
entrambi contemporaneamente, visto che da quando Petunia si era
auto-esiliata si vedeva molto più spesso Severus da noi.
ANGOLO
AUTRICE
Buonsalve
a tutti voi che siete arrivati fino qui!
Le
mie solite tre idiozie prima di lasciarvi nelle più
rassicuranti
braccia di mia sorella.
Di
nuovo, non me ne vogliano gli esperti di ginnastica artistica se ho
sparato (involontariamente, lo giuro!) qualche castroneria
relativamente a questo bellissimo sport.
La
lettera scritta da Albus Silente è ovviamente inventata, ho
cercato
di ricalcare, ove possibile, il suo stile e il suo modo di
esprimersi, se ho miseramente fallito fatemelo notare, sigh.
Chiedo
inoltre scusa per la brevità del capitolo, quelli della
prima parte
sono tutti un po’ più corti, anche
perché quando ho spezzato il
“Panlogos” iniziale ho dovuto trovare delle
giunture là dove
avevo appositamente scritto affinché non ce ne fossero,
quindi…
Inoltre,
ho cercato di rendere come una Lily undicenne potesse sentirsi nei
confronti della sorella, ma non sono andata troppo nello specifico e
nello “psicologicheggiante” per non renderlo troppo
innaturale. O
almeno, ci ho provato xD
Bene,
credo che per questa puntata sia tutto. I miei soliti ringraziamenti
a tutte le persone che mia sorella più profusamente
ringrazierà,
appena torno vedrò di scrivervi più nello
specifico.
ANGOLO
PUBBLICANTE
Buon
inizio Novembre a tutti! E buon Halloween in ritardo ^_^ Scusate
ancora se non ho aggiornato ieri, ma ero ad una festa *_*! Quindi non
starò 3 ore a chiedere perdono a voi sagge persone
perché mi sono
divertita, quindi automaticamente io sono felice, voi siete felici...
vero?
Dato
che mi sto arrampicando sugli specchi, glisserò amabilmente
il mio
ritardo e passero a rispondere alle vostre stupende recensioni!
Aggiungo
anche un ringraziamento speciale alle 14 persone che hanno aggiunto
la storia tra le seguite e alle 6 che la preferiscono! Grazie mille
ragazzuoli (mi raccomando, le due Z sono strascicate xD!)
-
a googletta: liete che il capitolo ti
sia piaciuto! In quanto a compiti... non me ne parlare! Io sono al
liceo e lì provano un sadico piacere nel caricarti di lavoro
-.- non per spaventarti per il tuo prossimo futuro xD! Per quanto
riguarda le immagini, se ti riferisci al disegno in sé lo
abbiamo trovato su internet, se ti riferisci alle cornici & co.
le faccio io ^^ grazie e alla prossima!!
-
a malandrina4ever: ti informo che ti dovresti
sentire in colpa, perché se sono demente è solo
colpa della tua recensione -.- La mia carica di serietà non
è bastata fino alla fine! REQUIEM e qualche minuto di
silenzio! Insomma e io cosa ti dovrei
rispondere? Mai visto una recensione così puramente demente! Forse la cosa dovrebbe
farmi paura... NO!! Ti amo! Per curiosità con che verdura
avresti accompagnato lo stufato di gufo?? La cucina mi interessa e sono
molto aperta a nuove tecniche culinarie! Io ci vedrei bene un po' di
funghi, anche se non disprezzerei delle patate arrosto croccanti fuori
e morbide dentro *__________________* Mi sta venendo fame! E per pranzo
c'è il CusCus... BUOOONO!!
-
a S_marti_es: ho letto anche la tua
recensione al capitolo precedente e ti ringrazio anche per quella! Ci
ha fatto molto piacere leggerla! Figurati che io Harry Potter l'ho
aperto la prima volta a 6 anni *O* e riguardo all'essere stati a Diagon
Alley... concordo pienamente! Inizia a conoscerla come le tue tasche
dopo il 3° libro xD e inizi ad amarla quando Fred e Gerorge
aprono il negozio di scherzi!!
-
a purepura: grazie mille! Sono felice
che il capitolo ti sia piaciuto! La partenza si avvicina davvero! La
partenza con l'immediata comparsa dell'esemplare
“Potter”, rarissima specie sotto sorveglianza xD
Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento! Alla prossima!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo VI - Il Binario 9¾ ***
Premessa:
prima di scuola
Capitolo VI
– Il binario 9 ¾
Io
e Sev non andammo insieme alla stazione, come non eravamo andati
insieme a Diagon Alley. Lui andò con sua madre prendendo il
treno
delle sei e un quarto per King’s Cross, da cui dovevamo
partire.
Anche noi andammo in treno, ma la nostra prenotazione era successiva,
il nostro treno partiva alle otto e un quarto. I
miei
costrinsero anche Petunia a venire con noi, ma lei fece di tutto per
mettersi più lontano possibile da me e rimase zitta tutto il
tempo,
mentre i miei continuavano a chiacchierare fra loro o con me. Mia
madre non la smetteva di darmi suggerimenti e consigli vari su come
comportarmi e su cosa fare. Era chiaramente preoccupata, anche se lo
nascondeva bene. Infatti ad un certo punto le presi la mano e strinsi
forte: qualunque cosa fosse successa, lei sarebbe comunque rimasta
mia madre, ed io sua figlia. Questo nemmeno tutta la magia del mondo
poteva cancellarlo. Mi guardò sorridendo ed in quel momento
il treno
arrivò.
«Forza,
principessa!» disse mio padre mentre mi aiutava a tirare
giù il
pesante baule. «Allora, la professoressa aveva detto binario
nove…
e tre quarti, giusto?»
Io
annuii. Petunia sbuffò. «Oh, per favore!»
esclamò uscendo
suo malgrado dal suo mutismo. «Non esiste un
binario del
genere!»
Io
mi girai. Mi ero veramente stufata di tutto quel suo atteggiamento.
«Sì, Tunia, come non esisteva la magia,
vero?»
Mi
guardò velenosa e cominciò a guardare i treni che
arrivavano e
partivano.
«Ragazze,
adesso basta!» esclamò mia madre. Poi si rivolse
verso di me. «Come
si arriva?»
Io
esitai un secondo. «Severus ha detto che mi aspettava per
mostrarmelo.»
Mia
madre annuì appena ed imboccammo la piattaforma delle linee
nove e
dieci. A metà strada circa, appoggiato ad uno dei piloni,
c’era
Severus che si guardava attorno impaziente e che quando ci vide
arrivare scattò come spinto da una molla. «Lily!
Finalmente siete
arrivati! Cominciavo a temere!»
«Sev!»
risposi io correndogli incontro. «No, siamo qui, siamo
arrivati.»
«Buongiorno,
Severus» sorrise mio padre.
«Buongiorno,
signor Evans. Signora Evans» rispose lui piegando appena la
testa
verso entrambi. Ignorò Petunia come lei ignorava lui e si
rivolse a
me colmo di eccitazione. «Devi assolutamente vederlo,
è
meraviglioso!» mi disse cominciando a tirarmi per mano verso
il
pilone dov’era appoggiato.
«Aspetta!
Sev!» Cominciavo a spaventarmi perché stava
andando dritto contro i
mattoni, che oltre a non accennare a muoversi avevano anche
l’aria
molto solida. «Sev! Rallenta! Andremo a sbattere
contro…» Ma non
ci fu nessun impatto. Attraversammo come in un sogno mattoni e
pilastro per ritrovarci in un altro binario completo di locomotiva a
vapore rosso fiammante ed un cartello con su scritto Binario
Nove
e Tre Quarti. Mi accorsi solo dopo un po’ che ero a
bocca
aperta. Severus mi guardava sorridendo, godendo del mio stupore, per
poi indicarmi la vera folla di maghi e streghe che
si
accalcavano sul binario. Non avevo mai visto un così grande
numero
di maghi della mia età. C’erano ragazzi di tutti i
colori che
ciarlavano chiassosamente, i loro genitori che tentavano invano di
controllarli e decine di gufi, barbagianni, civette, gatti e rospi
che saltellavano da tutte le parti, il tutto avvolto dal morbido fumo
bianco del treno.
Fu
in quel momento che realizzai che oltre a me ed a Severus non
c’era
nessuno. I miei genitori dovevano essere ancora fuori, senza capire
dove fossi. Con un enorme sforzo su me stessa, mi costrinsi a
distogliere gli occhi e fissai uno sguardo colpevole sul mio amico.
«Credo… di dover andare a prendere i miei
genitori» gli spiegai.
«Probabilmente si staranno chiedendo dove sia
finita…»
Lui
mi guardò imperscrutabile per qualche secondo, poi
annuì. «Dobbiamo
chiedere al capostazione di darci il via, lui controlla che non ci
siano Babbani che stiano guardando.»
Poco
dopo potemmo uscire e la prima cosa che vidi furono i miei genitori
poco distanti dall’espressione spaventata. Mia madre mi venne
incontro e mancò poco che mi tirasse uno schiaffo.
«Lily, non farlo
mai più!» mi gridò contro.
«Ci hai fatto prendere un infarto!»
«Scusa,
mamma» risposi, sinceramente pentita. «Non volevo
farvi
preoccupare, è solo che…» le mie scuse
si persero in un borbottio
inintelligibile.
Fu
mio padre il primo a rimettere pace. «Non importa, Lils, vedi
solo
di fare più attenzione.» Mi guardò
sorridendo. «Non sempre avrai
la scusa dell’eccitazione.»
Io
annuii e li spinsi verso il pilastro.
«Dovete…» cominciai, poi mi
accorsi che stavo quasi urlando e mi avvicinai per sussurrare.
«Dovete attraversare il pilastro. Il binario è
dall’altra parte.»
Mio
padre annuì.
Poco
dopo eravamo tutti e quattro dall’altra parte e loro si
stavano
guardando attorno con tanto d’occhi.
Solo
Petunia continuava a far finta che non le interessasse niente e
rifiutava recisamente di guardare il treno.
In
quel momento provai più pietà per lei di quanto
non mi fosse
successo fino ad allora. «Tunia…»
cominciai cercando di prenderle
la mano. Lei si scansò senza neanche guardarmi.
«Mi dispiace,
Tunia, mi dispiace! Ascolta…» riuscii a prenderle
la mano e lei fu
costretta a guardarmi, anche se continuava a cercare di liberarsi.
«Forse quando sarò là… no,
ascolta, Tunia! Forse quando sarò là
riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare
idea!» Ero
più che convinta di quello che dicevo: per mia sorella ero
più che
disposta a fare di tutto per aiutarla.
«Io
non… voglio… venirci!»
esclamò lei strattonando la mano più
forte che poteva. «Tu credi che io voglia andare in quello
stupido
castello per imparare ad essere una…
una…»
Ma
nonostante il tono sprezzante, vedevo i suoi occhi vagare quasi
involontariamente su tutto il binario, guardare il serraglio di
animali che schizzavano da tutte le parte, gli studenti che si
mischiavano ed urlavano, gli adulti scuotere la testa rassegnati.
«Credi
che io voglia… voglia essere un… un
mostro?» mi chiese
puntandomi finalmente in faccia due occhi gelidi e senza ombra di
affetto.
Fu
come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Mia sorella credeva che io
fossi un mostro. Mia sorella. La mia Tunia. La mia
stretta si
allentò tanto che riuscì a liberarsi.
«Io
non sono un mostro» bisbigliai. «Non lo
sono!»
«È
là che stai andando» ribatté mia sorella
compiaciuta. «In
una scuola speciale per mostri. Tu e quel… Piton…»
proseguì rabbrividendo al solo nome, «due
aberrazioni, ecco cosa
siete! È giusto separarvi dalla gente normale, per la nostra
sicurezza.»
Altro
schiaffo, forte, potente, senza pietà. Chi era quella
ragazza? Di certo non mia sorella. Tunia non mi avrebbe mai detto
cose così cattive. Mi stava facendo soffrire, mi stava
facendo
arrabbiare. Guardai un attimo i miei genitori, che invece sembravano
entusiasti di tutto il binario, e nella mia mente si
affacciò un
modo per vendicarmi: «Non pensavi che fosse una scuola per
mostri
quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti.»
Feci
centro: Petunia arrossì così tanto che quasi mi
aspettai di vederle
uscire fumo dalle orecchie. «Supplicare? Io non
l’ho supplicato!»
«Ho
letto la sua risposta» le comunicai io senza
pietà, come lei poco
prima. Ora ero io in vantaggio. «Era molto gentile.»
Lo
sguardo che mi rivolse spense tutta la momentanea baldanza.
«Non
dovevi…» sussurrò. «Era una
cosa personale… come hai potuto…?»
Era
tornata tutta la pena. Non solo non mi sentivo più in
vantaggio, ma
ora mi stavo caricando anche del peso della colpa. Lì per
lì,
mentre Severus mi spiegava i come ed i perché, era sembrato
tutto
logico, ma ora… lo guardai di sottecchi: era con sua madre,
una
donna su cui non riuscivo a farmi un’opinione, forse
perché non
avevamo mai parlato sul serio. Per qualche ragione, sembrava sempre
evitarmi. Assomigliava moltissimo a Severus.
Tunia
dovette intercettare il mio sguardo, perché
cominciò a
boccheggiare. «L’ha trovata quel ragazzo! Siete
entrati di
nascosto in camera mia!»
«No…»
feci io sulla difensiva. «Non di
nascosto…» Non sapevo bene cosa
dire, come giustificarmi, e iniziai a parlare a vanvera.
«Severus ha
visto la busta e non poteva credere che una Babbana avesse preso
contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci
dei maghi che lavorano in incognito per…»
«A
quanto pare i maghi ficcano il naso dappertutto!» mi
rinfacciò
Petunia pallida dalla rabbia, tanto da farmi temere per la sua
salute. «Mostro!» mi
sibilò contro per poi precipitarsi dai
miei genitori, dove sapeva che non avremmo potuto continuare la
discussione. Rimasi lì impalata come un’idiota
mentre ondate di
dolore e colpa mi sommergevano alternativamente. Avevo perso mia
sorella. Forse ero stata stupida. Forse avrei dovuto tenere Severus a
distanza e rifiutare di andare ad Hogwarts, così sarei
potuta
restare amica di Tunia. Anche se lei preferiva stare con le sue
amiche… ma almeno avrebbe continuato a
parlarmi… sarebbe
potuto essere tutto come prima…
«Lily!
Lily, muoviti, il treno parte fra cinque minuti!» Mio padre
mi stava
chiamando. Cercando di reprimere le lacrime, mi avvicinai a loro,
molto commossi, e li abbracciai più forte che potevo. Mi
sarebbero
mancati tantissimo, ne ero più che certa, ma almeno su di
loro ero
tranquilla, sapevo che mi volevano bene e che erano orgogliosi di me.
Era Tunia il punto dolente.
Salii
sul treno assieme al mio baule e mi trovai uno scompartimento
miracolosamente vuoto: avevo bisogno di restare da sola per potermi
sfogare in santa pace.
Poco
dopo arrivò un ragazzo più o meno della mia
età dai capelli un po’
lunghi, neri e gli occhi grigi dalle palpebre pesanti.
«Posso?»
chiese con l’aria di non interessarsi affatto del mio
permesso.
Io
annuii senza smettere di guardare fuori. Non volevo far vedere che
avevo pianto.
Si
sedette di fronte a me nel sedile centrale senza dire niente, mentre
io continuavo a cercare di trovare una soluzione al mio problema.
Ormai era fatta, stavo andando ad Hogwarts, dovevo convincermi che
non potevo cambiare ciò che era già stato.
Probabilmente Tunia
aveva solo bisogno di tempo per adattarsi… anche se in quel
momento
non riuscivo a crederci.
«Ehi,
posso venire qui? Il treno è pieno
zeppo…» Un ragazzino dai
capelli neri sparati in tutte le direzione e due occhi nocciola
scintillanti di malizia nascosti dietro un paio di occhiali si era
affacciato con un sorriso. Mi girai appena ma tornai subito a
guardare fuori. Addio al mio sogno di solitudine.
«Ma
prego» disse sarcastico il mio compagno di scompartimento
indicando
il posto di fronte a lui, accanto a me.
«Grazie»
rispose l’altro prendendo posto. «Non credevo fosse
così
difficile trovare un posto decente…»
Mi
disinteressai alla conversazione mentre tornavo a pensare ai miei
problemi. Avevo appoggiato la testa al vetro, nella speranza che
riuscissi a liberarmi di diversi pensieri che mi assillavano. Forse
avrei dovuto dormire un po’. Non sapevo quanto lungo fosse il
viaggio, visto che non sapevo dove fosse Hogwarts, ma presupponevo un
bel po’, visto che Sev diceva che si arrivava per ora di cena
e la
partenza era alle undici.
Sospirai
pesantemente e il mio sospiro appannò il vetro. Se avessi
dato retta
a Tunia e non gli avessi mai parlato, forse ora non sarei stata in
quel pasticcio.
Parli
del diavolo, in quel momento Severus si catapultò
all’interno
dello scompartimento, già con la divisa, per sedersi di
fronte a me,
senza badare agli altri due che intanto stavano chiacchierando a voce
troppo alta, per i miei gusti.
Gli
rivolsi una breve occhiata e mi girai di nuovo. «Non voglio
parlare
con te» mormorai infantilmente.
Rimase
spiazzato. «Perché?» mi chiese cercando
di incontrare i miei
occhi.
Trassi
un altro sospiro. «Tunia mi… mi odia.
Perché abbiamo letto la
lettera di Silente.»
Aggrottò
la fronte, sembrava non capire. «E allora?» mi
chiese perplesso.
Lo
guardai con profonda avversione. «E allora è mia
sorella!»
ribattei gelida passandomi rabbiosamente una mano sugli occhi. Mi
sembrò che stesse dicendo qualcosa, ma non capii cosa e
quando alzai
lo sguardo si stava mordendo le labbra.
«Ma
ci stiamo andando!» esclamò gioioso, forse per
farmi pensare ad
altro. «Ci siamo, finalmente! Stiamo andando ad
Hogwarts!»
In
effetti era un pensiero tanto meraviglioso da farmi sorridere,
sebbene non avrei dovuto. Ma pensare ad Hogwarts era sufficiente per
farmi stare meglio.
«Speriamo
che tu sia una Serpeverde» concluse lui soddisfatto
appoggiandosi
allo schienale.
Ne
avevamo parlato tante volte, e a me sembravano tutte buone case,
anche se lui insisteva nel dire che a Grifondoro ci andassero solo
gli zucconi gonfi di steroidi, a Corvonero i secchioni ed a
Tassorosso quelli non abbastanza abili per finire nelle altre tre. In
compenso aveva una vera venerazione per…
«Serpeverde?»
chiese il ragazzo accanto a me con un certo disprezzo che mi fece
inalberare subito. «Chi vuole finire a Serpeverde? Io credo
che
lascerei la scuola, e tu?» aggiunse rivolgendosi al ragazzo
di
fronte a lui.
Aggrottai
le sopracciglia mentre l’altro rispondeva con quella stessa
vena di
arroganza che lo aveva caratterizzato quando mi aveva chiesto del
posto: «Tutta la mia famiglia è stata in
Serpeverde.»
«Oh,
cavolo» commentò l’altro guardandolo con
un pizzico di
compatimento. «E dire che sembravi a
posto…»
L’altro
sogghignò. «Forse io andrò contro la
tradizione.» Inarcò un
sopracciglio, guardandolo. «Dove vorresti finire, se potessi
scegliere?»
Quasi
mio malgrado ero interessata alle loro discussioni, anche se tutto
quel razzismo di case mi dava un po’ sui nervi.
Lui
rispose brandendo una spada invisibile: «‘Grifondoro,
culla dei
coraggiosi di cuore!’ Come mio padre.»
Severus
se ne uscì con un verso sprezzante. Tutti e tre ci voltammo
verso di
lui.
«Qualcosa
che non va?» chiese il ragazzo alzando il mento.
«No»
sogghignò Severus. «Se preferisci i muscoli al
cervello…»
«E
tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?»
commentò l’altro ragazzo facendomi scattare in
piedi. Chiunque
fossero quei due e qualunque sarebbe stata la mia Casa, speravo
ardentemente che non fosse anche la loro.
«Andiamo,
Severus, cerchiamo un altro scompartimento» dissi ad alta
voce per
sovrastare le loro fragorose risate.
«Ooooooh…»
ribatterono quelli facendomi il verso e spingendomi a tirargli un
calcio negli stinchi quando gli passai davanti. Il ragazzo moro
cercò
anche di far inciampare Severus, spingendomi a lanciargli
un’occhiataccia.
«Ci
si vede, Mocciosus!» gridarono quando fummo usciti.
Io
ero partita a passo di marcia. «Idioti!» commentai
rabbiosa. «A
persone del genere non dovrebbe essere dato il diritto di
parlare, sono solo dei cretini pieni di sé dalla testa
vuota!»
Severus
camminava accanto a me annuendo, mentre la divisa di Hogwarts gli
svolazzava attorno.
Mi
fermai di scatto di fronte ad uno scompartimento semivuoto, a parte
per un ragazzo in un angolo che pareva o addormentato, o intento a
guardare fuori dalla finestra.
«Vieni,
tutti gli altri sono occupati» dissi entrando e scoccando uno
sguardo al resto della carrozza, da cui provenivano numerosi
chiacchiericci. «Scusa…» esordii aprendo
la porta. Il ragazzo si
girò mostrandomi due intelligenti occhi castani e un viso un
po’
malandato. «Non è che potremmo sederci? Il treno
è tutto
occupato…»
«Certo,
fate pure» rispose lui cortesemente accennando ai posti
davanti a
lui. Ci guardò sorridendo finché non ci
posizionammo. Mi piaceva
quel ragazzo, malgrado avesse i vestiti consunti e il volto con
diverse cicatrici aveva un’aria tranquilla che ispirava
fiducia.
Gli tesi la mano. «Io sono Lily, Lily Evans, e questo
è Severus
Piton, un mio amico.»
«Remus
Lupin» rispose lui stringendomi la mano sempre con quel suo
pacato
sorriso.
«Molto
piacere, Remus.»
«Piacere
mio…»
Severus
si limitò a fargli un cenno con la testa a cui Remus rispose
con un
leggero sorriso.
Ci
fu un attimo di assoluto silenzio. Severus sembrava in preda ad una
delle sue “crisi di umore nero”, come le chiamavo
io, e Remus
Lupin ci stava guardando senza dire una parola.
Alla
fine fui io a rompere il silenzio. «Anche tu del primo
anno?»
chiesi per sciogliere un po’ la tensione.
Annuì
e poi, apprezzando lo sforzo, proseguì:
«È stato un momento
bellissimo quando ho ricevuto la lettera la prima
volta…»
Io
risposi come di dovuto e dopo poco ci ritrovammo a chiacchierare
amabilmente del più e del meno, mentre io cercavo di far
intervenire
anche Severus, che però rispondeva a monosillabi e senza
sciogliere
quella maschera di acidità che lo prendeva di tanto in tanto.
Intorno
all’ora di pranzo arrivò una strana signora
grassoccia che
spingeva un carrello carico di dolci di tutte le forme.
«Qualcosa
dal carrello, cari?» chiese guardandoci con un grasso sorriso.
Io
mi avvicinai, più per curiosità che per vera
fame, e quando le
arrivai vicino non me ne pentii: il carrello era pieno di dolci che
non avevo mai sentito nominare, nemmeno da Severus, come Gelatine
Tuttigusti+1, gomme Bolle Bollenti, Cioccorane, Bacchette Magiche
alla Liquirizia, Zuccotti di Zucca ed un’infinità
di altre cose.
Papà mi aveva lasciato alcuni spicci da spendere come
preferivo per
il mio periodo a scuola, perciò presi alcuni campioni di
tutto –
con particolare enfasi sulle Cioccorane, ad essere onesta, visto che
io adoravo il cioccolato – e lo portai dentro.
Severus
mi guardava con l’espressione un po’ ammorbidita di
chi vede un
bambino eccitato e Remus Lupin sembrava divertito. Anch’io
stavo
sorridendo a trentadue denti, e lo feci ancora di più quando
riuscii
a posare tutto su un sedile. «Volete favorire?»
chiesi amabilmente,
di nuovo di ottimo umore.
Per
un po’ ci divertimmo a scartare le Cioccorane e provare a
prenderle
mentre saltellavano attraverso tutto lo scompartimento, per poi
fermarci e guardare le figurine all’interno, ma fu quando
arrivammo
alle Gelatine Tuttigusti+1 che davvero cominciammo ad eccitarci:
facevamo a gara a chi trovava il sapore più assurdo, e vinse
Severus
a cui toccò, poveretto, il gusto di terra bagnata.
Verso
metà pomeriggio, quando ormai ci eravamo cambiati con le
divise –
Remus ne portava una di seconda mano un po’ troppo lunga, ma
a lui
non faceva differenza – e Severus era riuscito a perdere
almeno un
po’ il suo cipiglio, udimmo dei rumori venire da fuori ed un
ragazzino pacioccone cadde lungo disteso di fronte al nostro
scompartimento, facendoci balzare tutti e tre in piedi.
Stava
piagnucolando qualcosa mentre una forma più alta di noi di
tutta la
testa e le spalle gli incombeva sopra con un sorrisetto. Fui la prima
ad arrivare allo sportello, che aprii con un colpo secco. Lupin era
dietro di me, sempre tranquillo ma con gli occhi attenti, e Severus
sembrava indeciso se immischiarsi o no.
«Cosa
succede?» chiesi guardando alternativamente la figura a terra
e il
ragazzo sopra di lui. Due occhi metallici si fissarono su di me
mentre un sorriso che aveva dello sprezzante mi percorreva dalla
punta dei piedi alla cima dei capelli.
«Niente
che possa interessare una primina come te» rispose con voce
lenta e
strascicata. «Puoi tornare nel tuo scompartimento.»
Non
lo stavo già più ascoltando: mi ero chinata verso
il ragazzo a
terra, che sembrava abbastanza incolume anche se traumatizzato.
«Tutto a posto?» gli chiesi mentre i suoi occhi
acquosi si
fissavano su di me tremando.
Provò
ad annuire ma gli uscì dalla bocca solo un singulto. Guardai
indignata il ragazzo dagli occhi metallici mentre anche Lupin si
chinava a vedere cosa fosse successo. «Cosa gli avete
fatto?»
Il
ragazzo sembrava sul punto di ridere. «Niente di
irreversibile»
rispose mentre si rizzava in piedi dominandoci tutti e tre dalla sua
notevole altezza. «E ora andatevene.»
Tesi
la mano al ragazzo per terra, e lo stavo aiutando ad alzare insieme a
Lupin quando mi ritrovai una bacchetta puntata alla gola. Mi
immobilizzai, stupefatta e spaventata. «Lui resta
qui» rispose la
voce odiosa.
In
un secondo tutti, nel corridoio, avevano la bacchetta alla mano,
compresi Severus e Lupin. «Oh, giochiamo a fare gli
eroi?» chiese
divertito mentre io, ripreso un po’ il controllo, mi
allontanavo la
bacchetta dalla gola e sguainavo la mia dalla tasca. «Tutti
futuri
Grifondoro, immagino?»
Notai
Severus fare una smorfia a quelle parole e abbassare la bacchetta.
«O
forse tutti meno uno?» proseguì il ragazzo mentre
i suoi occhi
d’acciaio si posavano su di lui. «Effettivamente tu
non
sembreresti uno di quegli idioti…»
Severus
sembrò prenderlo come un complimento, poiché
sogghignò. «Spero di
no» commentò.
«No,
spero anch’io» annuì l’altro
che si era improvvisamente fatto
pensoso. E, con gran sconcerto mio e di Lupin – e anche del
resto
della carrozza, a giudicare dagli sguardi stupiti –
abbassò la
bacchetta. «Andiamo ragazzi» ordinò agli
altri studenti dietro di
lui. Tuttavia fu l’ultimo ad andarsene. Continuava a fissare
alternativamente me, Severus e Remus, come a chiedersi
perché
stessimo tutti insieme. «Vuoi venire con noi?»
chiese a Severus
guardandolo. «Non sei costretto a restare con loro»
aggiunse
guardando me e Remus con disgusto.
Lo
vidi esitare un attimo. «Sono miei
amici…» mormorò alla fine con
un filo di voce.
«Davvero?»
La voce del ragazzo era colma di stupore. «Be’,
immagino ti
passerà presto» concluse. «Ci rivediamo
al banchetto.» Si
allontanò mentre la divisa gli svolazzava attorno ed i suoi
strani
capelli d’oro bianco scintillavano. Si girò solo
alla fine della
carrozza per lanciare un nuovo incantesimo al ragazzo dagli occhi
acquosi, facendolo cadere di nuovo lungo disteso. Poi
scoppiò a
ridere ed uscì.
«Ma
pensa tu!» commentai mentre lo aiutavamo ad entrare nello
scompartimento. «Ma chi si crede di essere quello
là?»
Il
ragazzino continuava ad inciampare nei suoi piedi. «Finite
Incantatem» ordinai alle sue gambe – era
uno degli incantesimi
che io e Sev avevamo imparato per primi, quando ci esercitavamo
–
ed il suo equilibrio sembrò migliorare.
«Tutto
a posto?» gli chiese Remus mentre ci sedevamo nuovamente.
Lui
annuì. «Grazie» mormorò senza
fiato. «Non avevo idea di come…»
«Be’,
ora è finita» disse Severus di malavoglia, mentre
tornava ad
appoggiarsi allo schienale mettendo via la bacchetta.
Lo
guardai, stupita dal suo tono. «Cosa
c’è, Sev?»
Sembrò
riscuotersi e fissò su di me i suoi occhi scuri, come sempre
incerti. «Niente» disse alla fine tornando a
guardare un punto
fisso davanti a lui.
Ma
non mi convinceva gran che. «Sicuro?» chiesi
inquisitoria.
Lui
annuì senza guardarmi. Sembrava totalmente preso dai miei
pensieri,
e dopo un po’ anch’io caddi nei miei. Quel ragazzo
– di cui per
altro non conosceva neppure il nome – aveva detto che sarei
stata
una Grifondoro. Be’, non avevo idea di dove sarei andata, ma
se
tutti i Serpeverde erano come lui… Una ruga mi
passò fra gli occhi
mentre ripensavo al dialogo. Secondo lui io e Severus saremmo finiti
in case diverse. Cercai di accantonare il pensiero e, per distrarmi,
ricominciai a chiacchierare con Remus e con l’altro ragazzo,
che
scoprii si chiamava Peter Minus.
Severus
restò in silenzio per tutto il viaggio, nonostante i miei
sforzi di
riallacciare uno straccio di conversazione. Fu solo quando scendemmo
dal treno e lo presi da parte che sembrò riscuotersi. Mi
guardava
senza quasi battere le palpebre. «Tu… tu vorresti
finire a
Grifondoro?» mi chiese con un filo di voce.
«Oh,
Sev!» esclamai abbracciandolo. «È questo
che ti preoccupa? No, non
voglio finire a Grifondoro più di quanto voglia finire da
qualunque
altra parte.»
Mi
sorrise debolmente.
«E
poi, Sev, siamo ad Hogwarts! Se davvero dovessimo
finire in due case diverse – e non è assolutamente
detto! – che
differenza credi ci farebbe? Resteremmo comunque amici, no?»
Non
perse del tutto l’espressione angosciata, ma il suo passo era
più
sicuro mentre ci muovevamo verso il gigantesco uomo irsuto che ci
stava accompagnando. Era davvero un gigante, alto come due uomini
alti e con una voce parecchio più bassa
delle possibilità di
un essere umano medio.
Severus
sbuffò sonoramente. «Cosa
c’è?» sussurrai mentre cominciavamo a
muoverci.
«Un
Mezzogigante» mi rispose lui con una smorfia.
«Ma
i Giganti non erano…?»
«Sì,
appunto.»
Guardai
meglio l’omone irsuto. «Non sembra
malvagio» provai a dire.
Lui
si strinse nelle spalle, ma qualunque risposta stesse per darmi gli
morì sulle labbra alla vista della prima panoramica di
Hogwarts: un
castello accoccolato su un promontorio a picco su un enorme lago, con
torri e torrette che svettavano a diverse altezze dominando il
paesaggio e centinaia di finestre illuminate che lanciavano riflessi
gialli sull’acqua.
«Avanti,
su!» gridò il Mezzogigante. «Non
più di quattro per battello!»
Riuscendo
a fatica a distogliere lo sguardo da Hogwarts, ci accorgemmo di
essere arrivati in riva al lago e che ci aspettavano alcune dozzine
di barchette munite di lanterna per attraversarlo. Severus ancora
guardava il castello, e gli occhi gli brillavano tanto che dovetti
scuoterlo per farlo salire su una barchetta.
Remus
Lupin e Peter Minus ci seguirono, e una volta che tutti fummo saliti
le piccole imbarcazioni si staccarono dalla riva e cominciarono a
navigare verso il castello. Era uno spettacolo incredibile: incombeva
su di noi mano a mano che ci avvicinavamo, avvolto da un cielo
stellato meravigliosamente bello.
Le
barchette attraversarono un passaggio nell’edera della
scogliera ed
arrivarono ad un porto interno contro cui le barchette urtarono
dolcemente. Scendemmo velocemente e seguimmo il Mezzogigante su per
uno stretto tunnel di pietra, per arrivare alla fine
all’ombra del
castello, su un prato verdissimo che conduceva dritto ad un immenso
portone a cui la nostra guida, dopo essersi accertato che fossimo
tutti presenti, bussò tre volte.
ANGOLO
AUTRICE
Ave
a tutti voi che state leggendo queste parole.
Sì,
anche io vorrei non ci fosse nulla da puntualizzare, ma visto che
è
l’unica cosa che posso fare dal tempo in cui mi trovo, eccomi
qui.
Riguardo
alle prime scene, niente di particolare da dire, mi sono attenuta il
più possibile a quanto racconta la Rowling in Harry
Potter e i
Doni della Morte e non mi pare di essere andata contro il
Canon.
Per
la seconda parte, lo so che deve essere stato davvero
un’incredibile
coincidenza del fato ad averla portata direttamente nello
scompartimento dei due malandrini mancanti all’appello, ma di
solito storie e fiction abbondano di questi strani casi e quindi mi
sono detta: perché non infierire?
Abbiamo
fatto conoscenza anche con un altro futuro amicone, indovinate chi
può mai essere, e in quanto al fatto che una ragazzina di
undici
anni possa rispondere ad uno di sedici lo so che sembra assurdo ma
l’ho visto succedere. E francamente credo che Lily fosse
abbastanza
avventata (o forse abbastanza stupida) da farlo.
In
quanto alle bacchette facili, ne ho già parlato
nell’introduzione
a proposito dei dissapori più marcati fra Purosangue e
Sanguesporco.
Nulla, nel Canon, induce a pensare che Peter Minus fosse un
Sanguesporco, anzi personalmente tenderei più
all’ipotesi che sia
se non proprio un Purosangue un Mezzosangue, ma a essere onesti, da
come viene descritto, mi pare il classico esempio di vittima del
bullismo. Quindi qui si tratta più di una questione di
principio che
di sangue.
Inoltre,
da quando incontrano Hagrid fino allo smistamento ho abbastanza
ricalcato le scene di Harry Potter e la Pietra Filosofale.
Per
il resto, niente di particolare. Vi congedo dalla premessa della
storia e vi condurrò per mano (metaforicamente parlando,
ovviamente)
verso la prima parte.
I
miei soliti ringraziamenti A Chi Sapete Voi (e no, non sto parlando
di un redivivo Voldemort u.u). E ora lancio la palla a chi ne
farà
un uso migliore.
ANGOLO
PUBBLICANTE
*me
schiva la palla lanciata dall'America*
Salve
a tutti cari lettori!
Come
vi va la vita? Passato un bel week-end?
Bene!
Buon per voi -.-
Il
mio è stato uno schifo! Ma dato che vi voglio bene e non
posso
ritardare ancora la pubblicazione, vi scrivo dal letto su cui sono
confinata da un po', causa influenza. Nel caso vi dovessero servire
dei germi per saltare la settimana di verifiche io sono disponibile
-.-
*Pausa
soffio naso e qualche colpo di tosse*
Dopo
avervi annoiato con la mia vita, ho una piccola comunicazione da
fare: dal prossimo capitolo la numerazione ricomincerà da 1
dato che
inizia il periodo ad Hogwarts e finisce la premessa sul Pre-Scuola.
Mi pareva giusto puntualizzarlo, anche se è una cosa
abbastanza
inutile, ma nel caso dovesse causare stordimento io vi avevo avvisati
^^
Passiamo
ora alle recensioni, che stanno crescendo sempre di più da
chap a
chap *____*
-
A malandrina4ever: assolutamente no!
È cosa buona e giusta mangiare patatina ad ogni ora del
giorno e della notte! È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di felicità? SI!
...
Ehm... non so da dove mi sia
uscita la parentesi da omelia O.o
…
…
Hai detto
“Scorpius”? Che nome bizzarro! S-C-O-R-P-I-U-S...
il suono mi è familiare anche se non mi riesco a ricordare dove potrei mai averlo sentito...
… di sicuro all'ultima lezione di
Astronomia! Quella dove dovevamo calcolare l'altezza delle
costellazioni sull'orizzonte... BRUTTI RICORDI!
Invece
“insalata” deve essere una vera e propria
allucinazione collettiva, come i CAVOLETTI DI BRUXELLES! Che non hanno
nemmeno il diritto di essere nominati in questa sede e che quindi da
ora in poi verranno censurati!
*_________________________________________*
Il ketchup! Questo sì che è un suono poetico! Ma
mai piccante concordo! Anche se subito dopo aver fatto colazione con il
cappuccino con i croissant, il ketchup forse stonava u.u o forse no??
-
A 9Anny7: oooooooooh! Che bello! Una
nuova lettrice! Benvenuta e lieta che il chap ti sia piaciuto! Sono
contenta che ti sia decisa ad uscire dall'ombra! Spero che questo chap
non ti ci faccia tornare xD
-
A purepura: non sei assolutamente
pignola! Anzi! Grazie di avermelo fatto notare! Ho corretto subito e da
ora in poi rileggerò i chap meglio, anche se mi fidavo
dell'occhio di falco di Sil... che stia perdendo colpi O.O
In effetti qui il piccolo Sev
è un po' antipatico, ma direi che anche Petunia se lo
meritava! Lo tratta alla stregua di uno straccio sporco! E noi conosciamo l'odio di Petunia per lo
sporco! Un saluto anche a te!
-
A mimmyna: è una cosa un po'
complicata, allora: mia sorella ha scritto questa storia, ma ora
è un anno all'estero per imparare meglio l'inglese e quindi
mi ha chiesto se potevo pubblicare i chap al suo posto, io ho accettato
e quindi eccoci qua! Lei lascia le sue note in “Angolo
Autrice” e invece io rispondo alle recensioni
nel'”Angolo Pubblicante”. Quindi dato che siamo
sorelle, nell'angolo autrice la sorella a cui di riferisce sono io e
nell'angolo pubblicante è lei (l'autrice). Spero di essermi
spiegata e di non averti solo scombussolato le idee!
-
A googletta: grazie mille! Allora,
è una foto di Lily e Petunia da piccole che viene bruciata
da un'ipotetica Petunia adulta! Lo so che è un po'
complicato, ma rendeva bene l'idea della gelosia! Come se quello che
era il loro rapporto non ci fosse più e quindi si dovevano
eliminare le prove! Sono contenta che tu ti sia divertita alla festa!
Pare che Halloween sia stato bello per tutti!
P.S. Lo riferirò!
xDxD
-
A S_marti_es: anche per me Piton qui
è un po' stronzetto! Ma dobbiamo capirlo! È un
modo per semi vendicarsi della tizia che lo sfotte dalla prima volte
che l'ha visto! E poi i bambini sanno essere perfidi!
Arriva il fatidico incontro con
James e Sirius! Contenta? Finalmente li potremo ammirare dall'alto
della loro magnificenza! *_______________________* e d'ora in poi
faranno presenza fissa!
Perfetto!
Grazie mille a voi che recensite e anche a voi che leggete e basta!
*La
palla che è riuscita a schivare prima torna indietro stile
boomerang
e la mette K.O.*
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 1 - Unità Spezzata ***
The
Lost Years Of
Lily
Non
approvo alcun intervento collettivo sull’ignoranza naturale.
L’ignoranza
è come un delicato frutto esotico: come lo si tocca, il
fascino è
perduto.
Tutta
la moderna teoria dell’istruzione è radicalmente
infondata.
Per fortuna, in
Inghilterra non
sortisce alcun effetto.
Oscar Wilde
Prima
parte: I anno
Capitolo 1
– Unità Spezzata
La
porta si spalancò come se non avesse atteso altro tutta la
sera.
Probabilmente era così.
In
quel momento ero eccitata al massimo, e da come si agitava direi che
anche Severus era in quello stadio. Il sorriso di Lupin, alla mia
destra, era più largo del solito, e Peter Minus si stava
mangiando
le unghie con una voracità davvero notevole.
Dietro
c’era la professoressa McGranitt con un abito verde smeraldo,
e ci
stava scrutando tutti con quel suo cipiglio severo che pareva parte
integrante del suo viso.
«Questi
sono gli allievi del primo anno, professoressa McGranitt»
fece il
Mezzogigante accennando a noi.
«Grazie,
Hagrid, da qui in poi li accompagno io.»
La
porta si spalancò. La sala in cui entrammo era talmente
grande che
ci sarebbe comodamente entrato un cottage di medie dimensioni. Il
soffitto poi era così alto da fare quasi impressione.
Davanti a noi
c’era uno scalone di marmo, che presumibilmente conduceva ai
piani
superiori, ed a cui passammo accanto quando la professoressa ci
portò
in una piccola stanza oltre la Sala d’Ingresso e quella vasta
alla
sua destra da cui proveniva un insistente brusio.
«Benvenuti
ad Hogwarts» cominciò scrutandoci attentamente uno
per uno,
«dunque, fra qualche minuto attraverserete questa porta per
unirvi
al banchetto di inizio anno, ma prima di prendere posto nella Sala
Grande, verrete smistati nelle vostre Case; la cerimonia dello
Smistamento costituisce un evento molto importante in quanto per il
tempo che sarete qui, la vostra Casa sarà un po’
come la vostra
famiglia. I trionfi che otterrete le faranno guadagnare punti. Mentre
ogni infrazione delle regole le farà perdere punti.
Alla fine
dell’anno, alla Casa con più punti
verrà assegnata una Coppa
delle Case, il che costituisce un grande onore per la Casa che la
riceve. Le quattro case sono Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e
Serpeverde. Ognuna di queste ha una nobile storia e da ognuna di esse
sono nati maghi e streghe di prim’ordine.
«La
cerimonia dello Smistamento inizierà fra pochi minuti.
Nell’attesa,
vi consiglio di fare del vostro meglio per rendervi…
presentabili.»
I suoi occhi vagarono su tutti noi, tanto da farci sentire ancora
più
disordinati ed a disagio di quanto già non fossimo.
In
effetti, durante tutto il suo discorsetto, la McGranitt non aveva
accennato né a come dovevamo venir smistati né a
cosa dovessimo
fare mentre lei se ne andava. Guardai Severus con una punta di panico
e notai che sembrava più immusonito del solito, ma
normalmente
questo era un sintomo di stress.
«Tu
sai come avviene la cerimonia dello Smistamento?» chiesi in
un
sussurro.
Lui
si strinse nelle spalle. «Mia madre parlava di un cappello
che
dovrebbe esaminare le nostre capacità, ma non me lo ha mai
spiegato
bene…»
Guardai
Remus e Peter Minus in cerca di lumi, ma non ne arrivavano: il primo
aveva perso il sorriso e si stava guardando le mani intrecciate, il
secondo aveva ripreso a mangiarsi le unghie ma senza
l’espressione
eccitata di poco prima.
«Credi
che dovremo dare una dimostrazione pratica di ciò che
sappiamo
fare?» chiesi mentre la mia mente partiva a ricordare tutti
gli
incantesimi che avevamo studiato quest’estate e cominciavo a
chiedermi quali avrebbero potuto chiedere e cosa sarebbe successo se
me ne avessero chiesti altri. L’ipotesi era così
terrificante che
cercai di non pensarci, anche se la mia mente continuava a tirare
brutti scherzi, come sempre quando ero nervosa. Al solito, mi
venivano in mente solo le ipotesi peggiori, e cioè che non
fossi
all’altezza, che mi chiedessero cose al di sopra delle mie
possibilità, che dovessi tornare a casa, che non potessi
più
praticare nessuna magia… ero così terrorizzata
che mi accorsi solo
dopo un po’ di aver stretto un lembo della tunica di Severus.
«Scusa» mormorai quando me ne avvidi avvampando.
Lui
si strinse nelle spalle e non disse niente. Parlò solo dopo
un po’.
«Non credo che… che abbiano messo ostacoli
insormontabili da… da
superare. In fondo dobbiamo solo capire in che Casa
andare…»
Io
annuii, grata per quelle parole. «E poi ci siamo esercitati,
giusto?» dissi per fare coraggio ad entrambi.
«Sappiamo comunque
diversi incantesimi che potrebbero tornarci utili…»
Lui
annuì debolmente.
Remus
era mortalmente zitto, mentre Peter Minus continuava a farfugliare
parole inintelligibili. Mi guardai attorno: gli unici a sembrare del
tutto indifferenti alla situazione erano i due ragazzi che erano
venuti nel mio scompartimento ed avevano preso in giro me e Sev ed
altri due che stavano di lato e parlottavano fra loro. A guardarli
non sembravano del nostro anno: uno era grosso e nerboruto,
dall’espressione truce, l’altro era più
smilzo ma più alto e
sembrava trovare tutta la faccenda mortalmente noiosa.
Ad
un certo punto, una ragazzina strillò, facendoci voltare
tutti come
un sol uomo: davanti a noi c’era una specie di… di
fantasma
bluastro con un ridicolo papillon rosso a pois gialli che ci stava
guardando con due occhietti maligni. «Oooooooooooooh!
Pivellini del
primo anno! Ma che gioia!» sogghignò venendoci
incontro.
Forse
per paranoia o forse per sicurezza, portai la mano
all’impugnatura
della bacchetta.
«Pix!»
urlò qualcuno, ed un istante dopo la testa di quello che
sembrava un
fantasma dal rassicurante color perlaceo uscì dal muro
facendo
sobbalzare alcuni studenti. «Questa volta l’hai
fatta grossa, Pix!
È inutile che scappi, ti prenderemo, schifoso, stupido,
piccolo
Poltergeist!»
Quasi
sobbalzai dall’acidità di quella voce. E non era
finita…
«Sir
Lionel, vi prego!» Il fantasma di un frate grassoccio stava
facendo
la sua apparizione. «Dovete perdonare, dargli una
seconda…»
«Mio
caro frate, gli abbiamo dato tutte le possibilità che
meritava e
anche di più.» Un terzo fantasma in calzamaglia e
gorgiera aveva
fatto la sua apparizione e guardava con profondo disgusto il primo
essere, il Poltergeist, che nel frattempo stava rivolgendo sonore
linguacce a tutti con profondo piacere.
Nessuno
sembrava essersi accorto della nostra presenza. Fu solo dopo un
po’
che il frate grasso guardò verso di noi e quasi fece un
salto
all’indietro, facendo sobbalzare anche l’uomo in
calzamaglia che
per poco non perse la testa.
«Nuovi
studenti!» disse abbracciandoci tutti con lo sguardo.
«Aspettate di
essere smistati, immagino?»
«Indovinato,
capo!» confermò la voce del ragazzo dai capelli
scompigliati del
mio scompartimento.
Lui
rise come ad una battuta divertente. «Oh, meraviglioso,
assolutamente meraviglioso!»
Nessuno
degli altri fantasmi sembrava trovare la cosa meravigliosa. Sir
Lionel stava ancora guardando in cagnesco Pix, che dal canto suo non
faceva nulla per migliorare la situazione continuando ad esibirsi in
una nutrita collezione di sberleffi, e l’altro sembrava
deciso a
mettere fine alla loro disputa prima di passare a noi. «Mio
caro
Lionel, vi prego di darvi una calmata! Se ne occuperà il
barone,
come sempre, e dopo aver saputo cos’è successo sta
sicuro che non
lo tratterà coi guanti…» concluse
guardando velenosamente il
Poltergeist, che da parte sua gli rivolse un’ultima boccaccia
prima
di passare attraverso il muro, subito inseguito da un belligerante
sir Lionel accompagnato dal fantasma in calzamaglia, mentre il frate
grasso continuava a dedicarci la sua attenzione. «Oooooooh,
spero
sarete tutti Tassorosso!» commentò guardandoci.
«Sapete, era la
mia…»
«Bene,
e ora può andare, frate» ribatté una
voce spiccia alle nostre
spalle, e tutti ci voltammo verso la professoressa McGranitt di
ritorno da… da qualunque fosse il posto in cui era andata.
«Lo
Smistamento sta per iniziare. In fila dietro di me.»
Uscì
senza guardare se la seguivamo o meno e ci guidò in un
salone ancora
più enorme di quello d’ingresso: una sala
gigantesca attraversata
per tutta la lunghezza da quattro lunghissimi tavoli e dominata, in
fondo, da un soppalco su cui si trovava il tavolo degli insegnanti.
Migliaia e migliaia di candele fornivano l’illuminazione, e
guardando verso l’alto notai che il soffitto era assente. Un
esame
più attento mi svelò che era una magia, e mi
ricordai, dandomi
mentalmente dell’idiota, di un passo letto in un interessante
libro
intitolato Storia di Hogwarts a cui avevo dato una
sfogliata
molto distratta d’estate.
La
professoressa ci fece imperturbabilmente attraversare tutta la sala,
sottoponendoci all’esame delle centinaia di altri studenti
presenti
e ci condusse fino al tavolo degli insegnanti, di fronte al quale
c’era uno sgabello a quattro gambe con sopra poggiato il
cappello
più consunto che avessi mai visto. Se davvero dovevamo
mettere il cappello, allora forse era un vantaggio che Tunia non
fosse stata ammessa: non si sarebbe mai sottoposta ad un’onta
del
genere. Chissà cosa faceva… me lo stavo ancora
chiedendo quando
uno strappo vicino al bordo si spalancò ed iniziò
ad intonare:
Se
fossi bello di viso ed aspetto
come
i cappelli che avete in assetto
forse
sarei in testa a uno studente
ma
senza muovermi, muto e silente
e
forse il mio compito non finirei
perché
una mente io no, non avrei
e
sarei soltanto un pezzo di pezza
che
sfiora il capo con una carezza.
Ma
è certo invece, o miei signori,
che
fra i cappelli, io son dei migliori
perché
solo io sono in grado di fare
uno
Smistamento che non abbia eguale
e
se Grifondoro, amici cari, è la via
che
volete imboccare, parola mia,
posso
affermar che non farà difetto
mai
coraggio, virtù ed intelletto.
E
se è Tassorosso la vostra via
ogni
pensiero sarà in armonia
con
la lealtà, giustizia ed onore
che
recano seco i buoni di cuore.
E
se imboccherete poi Corvonero,
lì
dove alberga il genio più vero,
la
vostra strada sarà la saggezza,
l’integrità
e l’assennatezza.
Se
Serpeverde sarà infine l’opzione
che
guiderà ogni nobile azione
menti
acute avrete e ambiziose
capaci
di far scelte pericolose.
E
ora che ho detto ciò che vedrete
in
quelle Quattro a cui apparterrete
saprete
che vi avrò ben giudicato
state
tranquilli, non ho mai sbagliato
perché
ogni errore è sciocco e pedante
ed
io sono il Cappello Parlante!
Lo
shock del cappello canterino mi sottrasse per qualche secondo la
parola, e cominciai ad applaudire in ritardo. «Quindi
dobbiamo solo
provare il cappello?» sussurrai a Severus.
«Pare
di sì» commentò lui, e, dopo aver
battuto un paio di volte le
mani, tornò perfettamente immobile, il viso sempre
più corrucciato.
Effettivamente,
per quanto la prospettiva di indossare il cappello fosse meno
terrificante di tutti gli scenari possibili che si erano affacciati
alla mia mente ansiosa, ora cominciavo a sperare che, qualunque cosa
dovesse fare quel cappello, potessimo farlo in separata sede, e non
sotto gli occhi di tutti.
Intanto
i primi studenti venivano smistati, ci furono tre Corvonero, due
Tassorosso, due Serpeverde e un Grifondoro – il ragazzo dallo
sguardo arrogante che c’era nel mio scompartimento, e che
aveva
causato una marea di applausi dal tavolo rosso-oro senza precedenti
–
prima di arrivare al famigerato: «Evans, Lily!»
Sentii
la mano di Severus stringere la mia quasi con rabbia, poi la stretta
si allentò e lui mi guardò andare con la stessa
ansia che
probabilmente era specchiata nei miei occhi. Cercai di farmi forza il
più possibile, ma mi sentivo le gambe di gelatina. Il
percorso fino
allo sgabello sembrava lunghissimo, sentivo centinaia di occhi
puntati su di me e la sensazione non era affatto gradevole.
Alla
fine arrivai, e sentii il cappello scivolarmi lentamente sugli occhi.
«Allora,
dunque» esordì una vocina nel mio orecchio
facendomi sobbalzare,
«qui c’è un’intelligenza
davvero notevole, parecchio coraggio e
una bella lealtà… senza contare anche un bel
desiderio di…
riuscire in questo mondo, giusto?»
«Ehm…
sì» sussurrai quasi senza muovere le labbra.
«Sì,
lo vedo. C’è di tutto nella tua testa, devo
ammettere, ma
probabilmente la Casa più adatta a te sarebbe…
Grifondoro!»
Sentii
le ginocchia cedermi mentre il cappello urlava a tutta la sala il suo
verdetto e mi affrettai a togliermelo dalla testa per alzarmi ed
andare verso il mio tavolo, ma a metà strada mi girai: non
ero a
Serpeverde, come Severus avrebbe voluto. Gli rivolsi un sorriso che
doveva essere orrendo, perché non ero proprio nella
disposizione di
spirito adatta per poter essere felicissima come avrei voluto, e lo
vidi guardarmi con gli occhi imploranti, infelici che aveva avuto la
prima volta che l’avevo visto.
Continuai
la mia lenta avanzata verso il mio nuovo tavolo, dove il ragazzino
che ci aveva presi in giro mi faceva spazio con quel suo
insopportabile sorriso; mi girai con decisione: anche se era un
Grifondoro, non intendevo diventare amica di una persona
così
disposta a prendere in giro gli altri. Mi sedetti dall’altra
parte
e guardai con ansia il resto dello Smistamento.
I
due ragazzi che erano nello scompartimento assieme a me e Severus
finirono tutti e due a Grifondoro – anche se per Peter Minus
si
dovette aspettare parecchio prima che il cappello desse un verdetto
–
e cercai di consolarmi dicendomi che almeno uno dei miei nuovi
compagni sembrava simpatico, ma in quel momento avevo la testa
altrove.
Quando
la professoressa arrivò alla P mi rizzai sulla panca su cui
ero
seduta, le dita incrociate sotto il tavolo. Guardai Severus avanzare
al suo nome e cercai – osai –
sperare ancora.
Ma
il cappello gridò: «Serpeverde!» quasi
nello stesso momento in cui
gli toccò la testa, e lui dovette andare all’altro
tavolo, quello
dalla parte opposta della sala, dove venne accolto da quello stesso
ragazzo dai capelli platinati che aveva preso in giro Peter Minus sul
treno.
Rivolsi
un sospiro sconfortato al mio piatto al pensiero di aver perso
così
in fretta l’unico amico che mi fossi fatta fino ad allora.
Remus
dovette accorgersene perché mi riservò il suo
solito sorriso, al
che cercai di tirarmi un po’ su di morale: in fondo
significava
solo che non avremmo dormito nello stesso dormitorio, no?
Neanche
trenta secondi dopo il secondo ragazzo del mio primo scompartimento
venne smistato a Grifondoro e si sedette di fronte a me, con mio gran
disgusto. Mi fece persino l’occhiolino!
Ero
più che certa che avrei passato metà delle mie
giornate a litigare
con quell’idiota e il suo degno compare alla sua sinistra. Lo
Smistamento si protrasse ancora per un po’, poi finalmente
finì.
Francamente non ne potevo più ed incominciavo ad avere una
fame
tremenda.
Il
professor Silente, il preside, si alzò non appena
l’ultimo ragazzo
venne smistato e ci guardò aprendo le braccia:
«Benvenuti!»
esclamò mentre i suoi occhi percorrevano tutta la sala.
«Benvenuti
ad un nuovo anno ad Hogwarts! Ci sono i soliti annunci di inizio anno
da fare, ma credo di interpretare il pensiero di tutti dicendo che
possono aspettare. Dateci dentro!»
Tutti
risero e puntarono lo sguardo sui loro piatti. Un po’
perplessa, lo
feci anch’io e mi accorsi in quel momento che si erano
riempiti di
una quantità incredibile di cibo. Senz’altro non
poteva essere
tutto per noi!
Guardandomi
meglio attorno tuttavia dovetti giungere alla conclusione che era
così, soprattutto a giudicare da come stavano mangiando i
ragazzi di
fronte a me: sembrava che non toccassero cibo da giorni! Con un certo
disgusto, distolsi lo sguardo e mi voltai verso Remus, alla mia
sinistra, con cui iniziai a chiacchierare del più e del
meno.
Un’altra ragazzina, Alice McDougal, si unì a noi
nella
discussione: aveva un viso tondo e cordiale, morbidi capelli chiari e
sottili come fili di seta e sembrava ancora nervosa e vagamente
sopraffatta dal trovarsi lì.
Però
proveniva da una famiglia purosangue, quindi conosceva già
Hogwarts
da quando era nata ed era assolutamente tranquilla al contatto con
qualunque tipo di magia potesse avvenire. Fu lì che conobbi
per la
prima volta la distinzione: tre classi, a seconda della propria
nascita, Purosangue, Mezzosangue e Sanguesporco. Io appartenevo
all’ultima categoria, senza un briciolo di magia che
derivasse
dalla mia discendenza, senza nessun parente che potesse definirsi
mago.
«Ma
è un insulto razzista e disgustoso»
proseguì Alice mentre
mangiava. «Sanguesporco… come dire sangue
contaminato! È la scusa
che i Purosangue più estremisti adducono ad alcune
persecuzioni di
maghi come… di maghi nati in famiglie Babbane. E in ogni
caso ormai
non ci sono quasi più maghi che non abbiano almeno una
goccia di
sangue Babbano nelle vene, se non avessimo sposato Babbani ci saremmo
estinti.»
Io
annuii mentre immagazzinavo il termine. «E i
Mezzosangue?»
«Be’,
loro sono i figli di un mago e di un Babbano» mi
spiegò lei
mettendosi in bocca una patata. «Non so, soffrono di meno
discriminazione, devo dire, però…»
Pensai
a Severus: quindi lui era un Mezzosangue e io una Sanguesporco. Bella
accoppiata, non c’è che dire…
Dopo
un po’ io e Remus cominciammo a discutere delle lezioni e
delle
nostre cognizioni attuali, e Alice gradatamente si
disinteressò
all’argomento. La Prefetto che ci aveva salutato quando ci
eravamo
seduti aveva accettato di chiacchierare con noi, e ci stava spiegando
come raggiungere le aule nel minor tempo possibile, oltre a
illustrarci i fondamenti della magia.
Alla
fine, dopo esserci serviti di porzioni più che abbondanti, i
cibi
sparirono nuovamente dai piatti e tornarono immacolati. Il preside si
alzò ed abbracciò tutti con un sorriso di
benvenuto.
«Dunque,
ora che siamo tutti sazi e dissetati, ho alcune parole da dirvi prima
di abbandonarvi ad un meritato riposo.
«Il
primo anno prenda nota del fatto che l’accesso alla foresta
che
circonda la scuola è severamente proibito a tutti gli
alunni, anche
ai più anziani, salvo essere accompagnati da un
insegnante su
richiesta di un insegnante.
«Il
nostro nuovo custode, il signor Gazza, mi ha inoltre pregato di
ricordarvi che i duelli e le gare nei corridoi sono vietati, come lo
sono anche un elenco di oggetti magici che potete trovare nel suo
studio.
«I
provini per le squadre di Quidditch si terranno a partire dalla
seconda settimana scolastica, e chiunque sia interessato a
partecipare come giocatore della sua Casa deve rivolgersi
all’insegnante di volo, la signora Powell, o ai direttori
delle
rispettive Case. La prima partita, Grifondoro-Serpeverde, si
terrà
il quattordici novembre.
«E
ora vi prego di salutare con calore la nostra nuova insegnante di
Difesa Contro le Arti Oscure, la professoressa Harvey, che ha preso
il posto del professor Cox trovandosi il medesimo
nell’impossibilità
di insegnare, al momento attuale.»
Una
donna piccola e segaligna si alzò e ricevette
l’educato applauso
con una smorfia, per poi tornare a sedersi legnosamente.
«Dunque,
credo che questo sia tutto» concluse Silente guardandoci
tutti con
un sorriso. «A letto ora, su!»
Ci
fu un improvviso caos mentre le centinaia di ragazzi presenti si
alzavano quasi contemporaneamente per salire. Speravo di riuscire a
vedere Severus per parlargli, prima di sera, ma a giudicare dalla
confusione attuale non sarebbe stato possibile.
Intercettai
solo per un secondo il suo sguardo quando uscii dalla sala a seguito
della Prefetto con cui avevamo chiacchierato, ma non riuscimmo
né ad
avvicinarci né a parlarci.
La
Prefetto ci guidò su per diverse rampe di scale, fino al
ritratto di
una donna decisamente in carne con indosso un abito rosa,
apparentemente di seta. Se mia madre fosse stata presente sarebbe
probabilmente stata in grado di dirmi chi fosse l’autore di
quel
quadro e il periodo in cui era stato dipinto, ma personalmente
l’unica cosa che potevo notare era che mi ricordava vagamente
alcuni ritratti di Leonardo da Vinci, un pittore italiano per cui
avevo sempre avuto una grandissima predilezione.
La
cosa assolutamente incredibile era che, come tutti i quadri nel
castello, si muoveva. Le sue movenze erano lente e calcolate.
«Parola
d’ordine?» chiese guardando la Prefetto.
«Faber
fati» scandì quella lentamente.
E
con nostra sorpresa il ritratto girò su sé stesso
aprendo un
passaggio circolare attraverso cui passammo tutti, ritrovandoci in
una stanza di belle proporzioni, rotonda, che ospitava diverse
soffici poltrone di velluto rosso, uno scaffale con parecchi libri ed
era ricoperta di arazzi rosso oro per tre quarti delle pareti. Da una
parte, poi, c’era un camino con già acceso il
fuoco.
La
Prefetto si girò verso di noi. «Questa
è la Sala Comune di
Grifondoro» disse dopo essersi accertata che ci fossimo
tutti. «È
un po’ il nostro luogo di ritrovo fra una lezione e
l’altra, a
cui si accede, come avete visto, con una parola d’ordine che non
dovete dare a nessuno esterno alla nostra Casa e che dovete
tenere a mente. Altrimenti, semplicemente, non potete entrare. I
dormitori dei ragazzi sono oltre quella scala a chiocciola a
sinistra, per le ragazze lo stesso a destra. Tutti gli effetti che
avete lasciato sul treno sono già nelle vostre camere. Per
qualunque
dubbio possa venirvi, rivolgetevi pure a me o ad un altro
Prefetto.»
Le
nostre stanze erano sempre circolari, più o meno, con cinque
letti a
baldacchino dalle tende di velluto scarlatto. Il mio letto era il
più
vicino alla finestra, quello di Alice era accanto a me. Le altre due
ragazze stavano già chiacchierando fra loro, e poco dopo
anche Alice
si unì a loro. Io mi misi il pigiama e mi avvicinai, ma il
mio unico
contributo alla discussione fu la mia presentazione e qualche assenso
nei momenti giusti. Non so perché, ma ero sempre stata in
leggero
imbarazzo in compagnia di ragazze. Mi trovavo meglio con i ragazzi,
forse perché erano meno… subdoli. In
realtà, stavo pensando di
cominciare a scrivere una lettera ai miei genitori, anzi, avevo
già
iniziato a comporla quando mi si parò davanti agli occhi
l’immagine
della faccia disgustata e furiosa di Tunia quando eravamo alla
stazione. Mi gelò letteralmente dentro. Sembrò
quasi che mi fosse
scivolato un blocco di ghiaccio nello stomaco, e mancò poco
che non
scoppiassi a piangere quando pensai che mia sorella mi vedeva come un
mostro. Un mostro!
Non
sapevo più cosa scrivergli. Se gli avessi descritto tutto
quello che
avevo visto mi avrebbe odiata ancora di più, soprattutto se
mamma
aveva ragione ed era davvero gelosa di me, però volevo anche
raccontare ai miei tutto quello che avevo visto. Sentivo di essere di
fronte ad un grosso dilemma, perché non volevo ferire Tunia
ma
volevo anche rendere i miei genitori partecipi della mia gioia, di
tutto quello che avevo visto.
Ci
rimasi a pensare per tutto il tempo in cui le altre ragazze
chiacchierarono, lambiccandomi il cervello nel tentativo di trovare
una soluzione valida.
Andai
a dormire con la testa che ancora mi congetturava di ipotesi
analizzate e scartate, che mi tennero a lungo sveglia nonostante la
stanchezza mi fosse piombata addosso tutta insieme.
Quando
finalmente mi addormentai, feci un sogno strano: ero completamente
avviluppata nello stendardo rosso-oro dei Grifondoro e stavo cercando
di liberarmi le mani per prendere la bacchetta quando, davanti a me,
si materializzò l’immagine di Tunia. Continuava a
chiamarmi,
dicendomi che dovevo raggiungerla, e cambiando espressione in quella
furente e disgustata vedendo che non potevo. Cercavo disperatamente
di liberarmi per poter andare da lei, ma lo stendardo si avvinghiava
sempre più stretto intorno a me e non riuscivo a fare
niente.
«Mostro!» era l’ultima
cosa che mi diceva. Poi il suo viso
si trasformava in quello di Severus, lo sguardo distrutto e abbattuto
come quando mi aveva vista andare a Grifondoro, poi la sua
espressione diventava gelida, maligna, similissima a quella del
ragazzo platinato del treno, mentre diceva: «Tutti futuri
Grifondoro, immagino…»
Non
mi svegliai, ma immagini sconnesse di mia sorella e del mio migliore
amico continuarono a turbare i miei sogni fino alla mattina dopo.
ANGOLO AUTRICE
Allora,
lo so che siete tutti lì con i pomodori per questo sfoggio
di
disabilità compositive, ma francamente se
c’è una cosa che non ho
mai capito è Come. Accidenti. Fa. Quello. Stupido. Cappello.
A
inventare una nuova canzone tutto gli anni -.-
Io
non sono Shakespeare e non sono Montale, non sono Leopardi e non sono
Milton, sono solo me stessa e francamente già cercare di
mantenere
gli endecasillabi è stata una faticaccia. Quindi vi prego di
perdonarmi e di mostrare pietà.
*LadyMorgan
si prostra in cerca di pietà*
Allora,
a parte la mia perdita di dignità a seguito delle mie scarse
capacità compositive, sono sicura che ci fossero alcune
note. Quindi
ora mi rimetto la testa a posto e cerco di concentrarmi di nuovo su
quello che dovevo dire. Sì. Certo.
Ah,
ecco. Tanto per cominciare, il discorso iniziale della McGranitt
è
praticamente uguale a quello tenuto nel libro e nel film di Harry
Potter e la Pietra Filosofale. Per esperienza so che i
discorsi
di inizio anno raramente variano quando devono dire così
poche cose.
Anche
la rapida panoramica dei fantasmi è un’idea che mi
è venuta
pensando al primo Harry Potter. Forse perché voglio mettere
il più
possibile in parallelo le esperienze di questi due personaggi che,
secondo me, sono sotto molti aspetti assai simili. In questa linea
è
anche l’inserimento del sogno a fine capitolo.
Per
quanto riguarda gli allievi del primo anno delle varie case, alcuni
sono puramente inventati, altri solo in parte (come il cognome da
nubile della futura Alice Paciock).
Avendo
tenuto in italiano il cognome di Piton, ovviamente
nell’ordine
alfabetico veniva prima di Potter, a differenza di quanto accade ne
“La storia del Principe”, dove l’ordine
è quello inglese e
quindi Snape viene dopo Potter.
La
parola d’ordine è un’altra castroneria
campata là per aria che
spero non dia troppo fastidio agli autentici latinisti presenti.
Grammaticalmente non è scorretta, ma è una vera
idiozia.
E
anche per oggi abbiamo finito, puff!
Lascio
a mia sorella il compito di rimediare agli irrimediabili danni fatti
da questo capitolo. E, come sempre, grazie. A tutti voi.
ANGOLO
PUBBLICANTE
Hola
a voi, mio amatissimo pubblico! Come state? Inutile domanda di
circostanza dato che non mi potete rispondere -.- Si deve allungare
il brodo no? Come previsto la numerazione è ripartita da 1,
ma, come
voi attenti signori avrete notato, non è più in
cifre romane.
Smetterò
di annoiarvi e passerò a rispondere alle vostre meravigliose
recensioni:
-
A mimmyna: mi dispiace che tu non
abbia capito :C mi fa sentire negata a spiegare le cose, e non
è una bella cosa considerando la prossima interrogazione di
storia :S
Sono comunque felice che il
capitolo ti sia piaciuto senza capire chi lo abbia scritto ^_^ Mia
sorella ringrazia molto per i complimenti!
-
A 9Anny7: purtroppo il topo
è necessario alla stesura del testo -.- anche se tutti noi
l'avremmo censurato volentieri! Le recensioni non infastidiscono mai
tranquilla! E data la stagione sono a corto di pomodori xD ma anche se
li avessi avuti non li tirerei mai a persone che recensiscono questa
meravigliosa storia! Grazie e spero che anche questo capitolo ti sia
piaciuto!
-
A S_marti_es: yes! Forever and ever! E
noi smentiamo quelle inutili voci che dicono che in realtà
sono morti tutti! Sono sporche calunnie! I miei Malandrini (vanno onorati con
la lettera maiuscola u.u) sono tutti V-I-V-I! Tranne la pantegana -.-
esso è inutile e privo di scopo!
Dopotutto anche Malfoy Senior
ha un suo scopo nella vita (non come il topo che, ribadisco,
è inutile!), lui serve a portare un po' di spessore alla
Nobile et Antichissima Casa di Serpeverde! Altrimenti con tutti
pazzoidi privi di personalità non c'era gusto no? Povero
Mocc... Piton! Diamogli ancora un po' di capitoli di tregua! Non
iniziamo da subito! Il povero piccolo Moccy non sa ancora cosa gli
riservano i prossimi 7 anni! Lasciamolo nella sua pace!
Grazie mille per tutti i
complimenti sulla stesura del capitolo! Dall'America sono molto
apprezzati ^^ tutti noi siamo con una Lily meno secchiona e
più grintosa! FORZA LILY VAI COSì (clap clap),
FORZA LILY VAI COSì (clap clap)
-
A googletta: *me arrossisce* prima o poi mi
farai morire a suon di complimenti per le immagini! Grazie davvero
tanto! È bello essere apprezzati in questo modo! In quanto
ad Harry Potter 7 io me lo sono visto tossendo come una scema per tutto
il tempo :C :C ma diciamo che nel cinema c'era di peggio xD Diciamo
però che all'inizio James e Sirius sono un po' stronzetti!
Ancora non lo consci e già gli affibbi un soprannome idiota?
(Per chi non lo avesse capito, parlo di Mocciosus). Spero che anche
questo capitolo (con relativa immagine xD) riscontri il tuo
apprezzamento!
-
A malandrina4ever: una Gelatina Tuttigusti+1 al
McDonald? O.o e di cosa dovrebbe sapere? Di patatine con hamburger,
CocaCola e... non so che altro?? *_________* ma che bella (e buona)
cosa! Anche se è meglio quella allo zucchero filato! Che si
mangia una volta all'anno perché ingrassa -.-
perché i dolci devono ingrassare?! Uno non potrebbe
ingrassare mangiando, che so... BROCCOLI? Almeno hai una buona scusa
per non mangiarli: «No, grazie! La verdura mi finisce tutta
sui fianchi!», che bel mondo che sarebbe
*______________________________________________*
Povero Piton che ha fatto
adesso! Non ha ancora parlato e già sprigiona odio (notare
come basti cambiare una sola lettera oDio oLio xD)... Devo dire
però che a me all'inizio James stava sulle scatole! Non puoi
dare giudizi così, a priori! Solo all'inizio, giuro! Poi mi
sono ricreduta e lo venero *.* come tutti noi dovremo fare! Ma James
senza Sirius è come la pasta senza il sugo! O peggio... le
patatine senza ketchup! Brrrr. Orrore.
Bene!
Dopo aver risposto io vado a fare i compiti: SISTEMI DI EQUAZIONI
LINEARI! Come non amarli -.-
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 2 - Solo Lily e Solo Severus ***
Prima
parte: I anno
Capitolo 2
– Solo Lily e Solo
Severus
La
mattina del mio primo, ufficiale giorno ad Hogwarts mi svegliai
intorno alle sei e, dopo aver rivolto uno sguardo disgustato alla
sveglia, mi accorsi che durante le ore di incoscienza la mia mente
doveva aver incessantemente lavorato al problema
“lettera” perché
mi ritrovai con l’illuminazione di scriverne due, una
per
Tunia e una per i miei genitori, e le stesse già stampate in
mente.
Mi vestii e mi lavai la faccia, poi scesi in una Sala Comune
completamente vuota e tirai fuori dalla borsa che mi ero preparata
penna e pergamena, guardando con poca fiducia quei due strumenti. Con
le penne stilografiche me la cavavo, ma le penne
d’oca…
Cara
Tunia,
come
stai? Da me tutto a posto, il viaggio è stato molto
tranquillo e
siamo arrivati intorno alla sera. A ben pensarci, la mia è
una
scuola esattamente come le altre, a parte per le materie: ci hanno
divisi in vari dormitori e poi abbiamo cenato, c’erano
dozzine di
pietanze compresi degli orribili dolci alla menta che ho avuto la
sfortuna di assaggiare. Ti lascio immaginare lo stato del mio stomaco
dopo…
Ho
conosciuto solo un paio di ragazzi, due sono veramente antipatici e
stupidi, continuavano a disturbare ed a ridere in maniera sgradevole.
Uno invece sembra a posto, si chiama Remus Lupin e mi è
sembrato
abbastanza intelligente.
Ci
sono personaggi che potrebbero essere il corrispondente della nostra
vecchia scuola: abbiamo un Sam Hawkins biondo platino con gli occhi
di metallo che se ne va in giro tutto tronfio come un pallone
gonfiato, una Sally Cook che è il nostro prefetto ed
è molto
gentile e disponibile, persino un Bobby Allys – che
però qui si
chiama Peter Minus – che è riuscito a farsi
mettere sotto il primo
giorno di scuola.
Stanotte
ho dormito malissimo, non so neanche perché, non riuscivo a
prendere
sonno.
Gli
insegnanti sembrano usciti da un libro, ce n’è uno
piccolo dai
capelli bianchi – sarà alto un metro, una cosa
assurda – una è
vecchia e legnosa, uno grosso e grasso ma con lo sguardo cordiale, e
poi c’è la professoressa McGranitt, che hai visto
anche tu. Ce ne
sono anche altri, ma molto più anonimi.
Il
preside mi sembra un’ottima persona, ha i capelli
bianchissimi e
due strani occhiali a mezzaluna, ma parla con molto affetto a tutti
noi e… be’, sembra a posto.
L’unica
cosa un po’ bizzarra è che i ritratti si muovono,
fanno prendere
certi spaventi…
Fammi
sapere come invece procede da te!
Lily
La
rilessi, accigliata. Non era una lettera chilometrica, ma era passata
solo una notte, non potevo – o non volevo far credere di
– avere
dozzine di cose da raccontare. Non mi sembrava neanche di averla
fatta in modo da farle rimpiangere troppo di non esserci, avevo
raccontato solo le cose più noiose.
Dopo
averla riletta un’ultima volta, aspettai che
l’inchiostro si
asciugasse e cominciai quella per i miei genitori.
Cari
mamma e papà,
non
fate leggere
questa lettera a Tunia!
Non
voglio che si
senta ancora più dispiaciuta.
Qui
è tutto
meraviglioso, ho avuto un viaggio in treno molto movimentato, prima
ho incontrato due ragazzi tremendamente arroganti che hanno preso in
giro me e Severus, poi siamo andati in un altro scompartimento dove
c’era un ragazzo tranquillo del nostro stesso anno molto
simpatico,
si chiama Remus Lupin ed è con me a Grifondoro –
è uno dei
dormitori– credo che potremo diventare buoni amici; Sev
è finito a
Serpeverde, invece . Poi è arrivato un altro ragazzino,
Peter Minus,
che veniva preso in giro da un grosso prepotente platinato,
però poi
siamo intervenuti io, Sev e Remus e se n’è andato.
Peter Minus è
un ragazzo strano, tremendamente ansioso e pacioccone, ma immagino ce
ne sia sempre uno così.
La
scuola è a dir
poco fantastica! È un castello medievale che sorge a
precipizio su
un lago enorme, con intorno montagne ricoperte di una foresta in cui
non è permesso andare. Avreste dovuto vederlo ieri notte
quando
siamo arrivati! Ci si arriva in barca – o almeno, noi siamo
arrivati in barca – ed era uno spettacolo meraviglioso,
c’era la
scuola circondata da stelle con le finestre illuminate.
Poi
siamo stati
smistati, lo Smistamento avviene grazie ad un cappello che
può
capire quali sono le tue qualità, ci sono quattro Case,
Grifondoro è
per i coraggiosi, Corvonero per gli intelligenti, Tassorosso per i
buoni e Serpeverde per gli ambiziosi, più o meno. Io sono a
Grifondoro, come vi ho già detto, non è pazzesco?
Non mi sembra di
essere tanto più coraggiosa del normale…
Comunque,
mi
dispiace da morire che Sev sia finito a Serpeverde, perché
è da lì
che viene il tronfio platinato e perché non siamo insieme,
però
sono sicura che potremo vederci comunque molto spesso. In fondo,
significa solo che siamo in dormitori diversi, che diamine!
La
Sala Grande, la
sala dove mangiamo, è enorme, ci sono quattro lunghi tavoli
per ogni
Casa e uno per i professori, ma la cosa più incredibile
è che il
soffitto è stregato per fare in modo che rifletta il cielo
sopra! E
ho visto anche dei fantasmi, stavano litigando fra loro a proposito
di Poltergeist, una sorta di fantasma mal riuscito. Pensate che qui i
ritratti si muovono, e la Prefetto che ci ha accompagnato nella Sala
Comune dice che a volte si muovono anche le scale!
La
Sala Comune di
Grifondoro sorge su una torre, è una bella stanza sul rosso
e il mio
dormitorio ha quattro letti, ci sono altre tre ragazze, con una ci ho
parlato e si chiama Alice MacDougal, sembra abbastanza simpatica, le
altre due… be’, devo dire che ci ho parlato poco.
Finisco qui perché
sennò si nota troppo che la lettera è
più lunga di quella di
Tunia, e non voglio che la legga. A lei ho scritto che qui non
è
niente di straordinario, quindi, ve lo ripeto, non
fatele avere questa lettera!
E per favore
fingete che vi abbia scritto che qui è carino e che sto bene
e
nient’altro.
Vi
scriverò
presto, intanto vi mando tutto il mio affetto,
Lily
Rilessi
anche questa e soffiai sopra per farla asciugare più in
fretta, con
l’unico risultato che dove l’inchiostro era
più fresco si mosse
e sbavò alcune lettere. Sospirai. Prima mi abituavo ad usare
quelle
dannate cose e meglio sarebbe stato.
Guardai
il mio orologio da polso: erano già le sette e mezza. Forse
avrei
fatto meglio a muovermi per inviarla. Mi bloccai dopo aver finito di
scrivere l’indirizzo sulle due lettere. Come facevo ad
inviarle? Io
non avevo un gufo, né niente di simile, quindi…
Fu
una fortuna, senza dubbio, che la Prefetto della sera prima stava
scendendo in quel momento insieme ad un altro paio di ragazzi. Mi
avvicinai un po’ indecisa, non sapevo se disturbare. Fu lei a
togliermi d’impaccio.
«Oh,
ciao piccola!» mi disse non appena mi vide. «Come
mai già
sveglia?»
Io
esitai un attimo. «Non riuscivo a dormire»
dichiarai alla fine,
onesta. Poi le chiesi a bruciapelo: «Scusa, non è
che potresti
dirmi come faccio ad inviare una lettera a casa? Avevo promesso ai
miei di dargli informazioni immediate.»
Sorrise,
probabilmente si stava trattenendo dal ridacchiare come facevano i
suoi accompagnatori solo per gentilezza. «Vieni, ti faccio
vedere.»
Mi
portò fuori dalla Sala Comune fino ad una torre un
po’ discosta
dalle altre dove c’erano dozzine e dozzine di gufi.
«Questa
è la Guferia» mi spiegò accennando alla
torre aperta. «Ci sono
sia i gufi della scuola per gli allievi che non ne hanno uno proprio
che quelli personali. Puoi usare tranquillamente quelli della scuola,
sanno trovare gli indirizzi da soli.»
«Grazie
mille» mormorai mentre guardavo tutti quegli uccelli.
«Come faccio
a capire se un gufo è della scuola?» chiesi
vergognandomi un po’
della domanda.
Lei
rise appena ed accennò ad alcuni nastrini che diversi gufi
avevano
legati alla zampa destra. «Quello è il simbolo che
i gufi sono
della scuola» mi spiegò. Stava per andarsene,
quando esitò e si
voltò nuovamente. «Hai mai… consegnato
una lettera via gufo?»
Io
scossi la testa arrossendo furiosamente per la mia ignoranza.
«Allora
forse è meglio se ti faccio vedere.»
Mi
prese le lettere dalle mani ed alzò un braccio schioccando
la
lingua. Uno dei gufi col nastrino si avvicinò con fare molto
professionale e tese una zampa. «Vedi, devi legare le lettere
al
nastrino, in modo che il gufo sia libero di volare più
liberamente,
e poi basta che dici la destinazione a voce. Semplice, no?»
Detto
e fatto da lei sembrava semplice, infatti, ma per riuscire a farlo
dovetti fare un paio di tentativi, a cui lei assistette con calma
olimpica e un piccolissimo sorriso. C’era poi il fatto che i
gufi
avevano delle unghie niente male e che erano pure abbastanza grossi,
per non dire proprio pesanti. E poi non avevo una grande
dimestichezza con i gufi, non sapevo bene come trattarli.
Al
secondo tentativo, tuttavia, riuscii con successo a legare le lettere
alla zampa del gufo ed a dargli l’indirizzo. Quello
sembrò
annuire, come per confermare che aveva capito, poi spiccò il
volo
fuori dalla finestra.
«Sei
stata brava» commentò la ragazza guardandomi
sempre con quel
sorriso. «Mi ricordo che a me ci vollero quattro tentativi e
diverso
aiuto per riuscire ad ottenere un risultato accettabile.»
La
guardai con un timido sorriso. «Be’, tu
evidentemente sei
un’insegnante migliore…»
«Oppure
tu sei un’allieva più abile»
dichiarò lei con molta nonchalance.
«A proposito, io sono Debbie Meadowes, dichiarata
Sanguesporco dai
Serpeverde e Prefetto-Perfetto dai Grifondoro.»
«Lily
Evans» risposi io ridacchiando. «Matricola per
tutti e due, credo.
Forse Sanguesporco per i Serpeverde» aggiunsi.
«Bene,
Lily Evans. Andiamo a fare colazione, sono quasi le otto,
ormai.»
Una
volta giù mi accorsi che la sala era ancora mezza vuota, non
c’era
ancora nessun Serpeverde, solo cinque Grifondoro, una dozzina scarsa
di Corvonero e, più numerosi di tutti, almeno venti
Tassorosso.
Individuai
Remus fra i Grifondoro presenti ed andai a sedermi vicino a lui, dopo
aver salutato Debbie Meadowes ed averla ringraziata per
l’aiuto.
Remus
mi sorrise e mi guardò sedermi, anche se sembrava un
po’ reticente
per motivi che non capivo.
«Allora?»
chiesi avvicinandomi il porridge. «Com’è
andata la nottata?»
Lui
esitò un attimo. «James Potter e Sirius Black non
sono stati zitti
un secondo.»
Lo
guardai un attimo, confusa. «I due ragazzi che erano di
fronte a noi
ieri sera» mi spiegò lui. «Quello con
gli occhiali e quello…»
«…
con quell’espressione da strafottente, sì, ho
capito» sbuffai.
«Sono una bella accoppiata, idioti allo stesso
modo…»
«Credo
si conoscessero già» commentò lui.
«Non da molto, ma almeno da un
po’. Continuavano a saltare sui letti e a prendersi a
cuscinate.
Frank stava per avere una crisi isterica.»
«Chi?»
«Frank
Paciock, un altro ragazzo. Non ci avevo fatto caso ieri sera, ma
sembra a posto.»
«Peter
Minus?» chiesi affondando il cucchiaio nel porridge.
Remus
si strinse nelle spalle. «Lui guardava Potter e Black con gli
occhi
fuori dalle orbite e ogni tanto guardava me con aria
colpevole.»
Ridacchiai
nel porridge, e anche lui sorrise leggermente. «Tu, invece?
Qualcosa
di interessante?»
«Non
così tanto» sbuffai. «Le altre ragazze
si sono messe a parlare di
trucchi e vestiti, non le seguivo molto, in realtà. Diamine,
abbiamo
undici anni!» aggiunsi.
«Pensavo che l’età
dell’idiozia
cominciasse tutt’al più a dodici-tredici! E poi mi
annoio a sentir
parlare di trucchi.»
Fu
il suo turno di ridacchiare.
«In
compenso ho dormito malissimo e stamattina mi sono svegliata alle
sei» aggiunsi con una smorfia. «Però
almeno sono riuscita a
scrivere e spedire una lettera per i miei, la mattinata non
è andata
tutta persa…»
Ridacchiò
più ad alta voce. «Be’, se ti
può confortare, Frank e Peter
russano prodigiosamente, è come stare su un picco quando
soffia la
tempesta! E James parla ininterrottamente dalle
sei in poi,
sembra trovarsi di fronte ad una conferenza!»
Risi
anch’io. «D’accordo,
parità» dissi di cuore. Mangiammo per un
po’ in amichevole silenzio mentre la sala si riempiva.
Quando
Severus arrivò avevo quasi finito e la professoressa
McGranitt era
già passata per consegnarci gli orari. Gli andai subito
incontro e,
dopo un attimo di esitazione, arrivò pure lui.
«Dobbiamo parlare»
dichiarai risolutamente. Lui sembrò incerto, e io mi
ammorbidii.
«Scusa, non volevo assalirti di prima mattina»
sorrisi. «Possiamo
parlare quando hai finito la colazione?»
Si
sciolse anche lui. «No, andiamo ora» disse piano.
«Sono già le
otto e un quarto e alle nove abbiamo lezione.»
Annuii,
grata che avesse accettato. Andammo nel parco, vicino ad un albero al
centro del prato, e ci sedemmo lì sotto.
Ci
fu un minuto di silenzio prima che potessimo dire alcunché,
poi io
cominciai: «Tu sei e resti il mio migliore amico, Severus.
Anche se
il mio cravattino ha un colore diverso dal tuo.»
Lui
annuì. «E tu sei la mia… migliore
amica, anche.»
Sorrisi,
anche se stavo guardando il lago. Faceva bene sentirselo dire, di
tanto in tanto. Erano secoli che nessuno me lo diceva. Anzi, a ben
pensarci non credevo che nessuno me lo avesse mai detto.
«Quindi,
chissenefrega di tutta questa faccenda Grifondoro contro Serpeverde,
ok? Io sono Lily e tu sei Severus, giusto?»
«Giustissimo»
approvò lui. Poi fece una smorfia. «Anche se
ancora non riesco a
credere che tu sia a Grifondoro. Grifondoro! Se me
lo avessero
detto ieri non ci avrei creduto.»
Sorrisi
di nuovo. Ero troppo contenta anche solo per sentirmi offesa.
«Credi
che sia così fifona?» gli chiesi ironica.
«No!»
si precipitò a dire lui. «No, assolutamente no,
cosa…»
Cominciai
a ridere. «Stavo scherzando, Sev!»
Si
rilassò appena, anche se il suo atteggiamento restava
più rigido di
prima. Alla fine disse, guardandosi le mani intrecciate:
«Credo che
Grifondoro e Serpeverde condividano… solo la lezione di
Pozioni…»
Annuii
anch’io guardandomi i piedi. «Sì, mi
pare di sì.»
Ci
fu un altro momento di silenzio. «Ma tanto»
aggiunsi alzandomi, «i
principi di base sono gli stessi, i programmi anche, quindi possiamo
comunque studiare insieme… e poi, sono sei ore al giorno. Il
giorno
ha ventiquattro ore, quindi abbiamo comunque diciotto ore da passare
insieme. Ora, diciamo che otto dormiamo, quindi sono comunque dieci
ore.» Lo guardai sorridendo mentre lui cominciava a
sogghignare,
probabilmente mi avrebbe somministrato una nuova base di calcoli
molto più complicati dei miei se ne avesse avuta la
possibilità.
«Direi che per mantenere la nostra amicizia bastano e
avanzano, no?»
Gli tesi la mano.
Rise
appena mentre si alzava aiutato dalla mia mano. Non l’avevo
quasi
mai sentito ridere. «Tesi impeccabile,
professoressa» commentò con
quel suo sogghigno. «Allora ci vediamo a Pozioni ed
a… be’,
facciamo dopo pranzo?»
«E
dopo l’ultima ora» annuii io. Mi guardai
l’orologio: erano le
nove meno un quarto. «Credo sia meglio se ci muoviamo, o
rischiamo
di arrivare in ritardo. Ed è il primo giorno, non credo sia
una
buona idea…»
Sorrise.
Poi, mentre mi giravo, mi afferrò per un braccio, facendomi
girare:
aveva di nuovo lo sguardo triste ed implorante. «Per
sempre?»
Sembrava
così piccolo quando faceva così. Tremendamente
fragile. D’impulso,
lo abbracciai. «Per sempre» confermai con decisione.
Poi
cominciammo a correre verso la scuola perché era tardi e
trovare la
strada non era esattamente facile: c’erano
circa
centoquaranta scalinate a Hogwarts, a quanto sapevo, e non tutte
portavano sempre allo stesso posto. Senza contare la nutrita gamma di
tranelli e trabocchetti che sembravano fatti apposta per far perdere
la testa agli studenti in ritardo.
Tuttavia,
grazie ad una corsa da campione del mondo, riuscii a raggiungere
l’aula della professoressa McGranitt – grazie anche
ai consigli
del fantasma di Grifondoro, quello in gorgiera che avevo visto il
giorno prima – alle nove spaccate al secondo. Mi ero appena
seduta
al primo banco, vicino a Remus, quando la professoressa
entrò
tacitando tutti con la sua sola presenza.
A
quei due a cui la sua presenza non bastava – mi riferisco
ovviamente alle due piaghe umane altresì nominate Potter e
Black –
riservò un’occhiata che avrebbe incenerito un
rinoceronte
africano, poi si schiarì la gola e cominciò:
«Siete qui per
imparare la difficile arte magica della Trasfigurazione,
probabilmente una delle materie più complesse che studierete
qui.
Chiunque venga sorpreso a commettere infrazioni nella mia aula
verrà
espulso senza fallo. Vi ho avvisati.»
Poi
trasformò la sua cattedra in una tigre e viceversa, prima
che una
sola studentessa avesse il tempo di urlare.
Il
resto della lezione la passammo a prendere complicati appunti sulla
teoria della Trasfigurazione, che dovemmo mettere in pratica nella
seconda metà della lezione dimostrando di saper cambiare una
manciata di fiammiferi in aghi.
In
realtà non era così difficile, se riuscivi a
trovare la
preparazione mentale giusta, ma a riuscirci al primo colpo fummo solo
io e il ragazzo con i capelli a cespuglio, Potter. Remus ci
riuscì
al secondo tentativo, da quanto era concentrato gli si era scavata
una profonda ruga in mezzo agli occhi. Black ci riuscì in
ritardo
probabilmente perché sembrava più impegnato a
guardare il soffitto
che a seguire la lezione. Pochissimi altri ci riuscirono, e solo alla
fine della lezione.
La
professoressa tuttavia sembrava soddisfatta, ed assegnò
cinque punti
a tutti quelli che c’erano riusciti velocemente,
cioè io, Remus,
Potter e Black. Vabbè, forse li avevo giudicati troppo
presto,
magari era solo un modo per sfogare l’agitazione da primo
giorno…
Una
lezione di Incantesimi bastò a dimostrare che le cose non
erano
affatto così: mentre io e Remus ci posizionavamo di nuovo ai
primi
banchi, chiacchierando sulla lezione, loro due si misero in fondo e
dopo neanche dieci minuti di lezione sembravano intenti a tirare
palline di carta a chiunque fosse a portata di lancio. Alla seconda
pallina che mi arrivò mi girai così di scatto
tirando fuori la
bacchetta che il pezzo di carta diretto verso la mia testa prese
fuoco e si accartocciò a metà strada, ottenendo
come unico
risultato quello di farli scoppiare a ridere e prescegliermi come
bersaglio principale. E sebbene avessi dato fuoco a molti, erano di
più quelli che arrivavano, tanto che alla fine anche Remus
non ne
poté più e li guardò con uno sguardo
tale da farli smettere per un
po’. O meglio, da farli smettere di concentrarsi su di me,
visto
che cominciarono a prendere di mira tutto il resto della classe.
Il
professore di Incantesimi, una sorta di folletto dalla barba bianca e
le dita lunghe, non sembrò farci minimamente caso e
continuò la sua
lezione come se niente fosse.
Il
pranzo passò in fretta, mangiai a fianco di Remus; mi stava
sempre
più simpatico mentre parlavamo, aveva quell’aria
di riservatezza e
calma ideali per farmi tranquillizzare. Discutemmo sulle lezioni, sui
compagni – in particolare due –
e sui professori,
scambiandoci opinioni, sebbene fossero passate solo tre ore. Forse
era solo perché era straordinariamente facile parlare con
Remus:
qualunque cosa mi venisse in mente, lui trovava sempre qualcosa da
dire, o faceva domande così intelligenti che era un piacere
rispondergli.
Subito
dopo pranzo potei finalmente parlare con Severus, che mi aspettava
nella Sala d’Ingresso, come convenuto. Uscimmo di nuovo nel
parco,
c’erano più studenti ora, e cominciammo a
chiacchierare delle
rispettive lezioni: lui aveva avuto Erbologia con i Corvonero e
un’ora di Difesa Contro le Arti Oscure, che aveva trovato
straordinariamente stimolante.
Mi
stava giusto descrivendo un nuovo incantesimo a cui non avevamo fatto
particolare caso durante l’estate che la professoressa aveva
citato
in classe, quando la campanella suonò e ci ritrovammo
nuovamente a
correre per non fare tardi.
Anche
io avevo lezione di Difesa Contro le Arti Oscure, e dovevo ammettere
che Severus non si era sbagliato: era davvero straordinariamente
stimolante. La professoressa Harvey ci tenne una conferenza di venti
minuti sull’importanza della sua materia, oltre che a scuola,
nella
vita reale, sui rischi che bisognava affrontare nella vita e
cominciò
a citare gli incantesimi che avremmo dovuto saper eseguire a fine
corso. Poi cominciò a dettarci appunti sugli incantesimi
più
facili, come quello in Inciampo, utile per far cadere un possibile
aggressore, e l’incantesimo della Pastoia, che aveva lo scopo
di
bloccare le gambe al suddetto aggressore.
Negli
ultimi venticinque minuti della lezione ci fece anche esercitare, ma
il massimo che io e Remus riuscimmo a fare fu farci cadere
contemporaneamente a terra e scoppiare a ridere dopo esserci guardati
in faccia. Fu probabilmente il risultato migliore di tutta la classe,
comunque. Gli altri si limitavano a guardarsi in faccia spaventati ed
a chiudere gli occhi quando l’altro provava
l’incantesimo.
Alla
fine, la professoressa Harvey separò me e Remus per far fare
esercizio anche agli altri, ma così era molto più
noioso: tutto ciò
che riuscivamo a fare era incantare il nostro avversario e guardarci
intorno mentre quello cadeva.
Frank
Paciock e Peter Minus, che si erano messi insieme, si stavano
guardando atterriti: sulla faccia di Frank stava cominciando ad
apparire una strana acne violetta, mentre i lobi di Peter si erano
allungati di diversi centimetri colorandosi di arancione.
Due
delle mie compagne di Casa si stavano guardando strizzando gli occhi
per la concentrazione. Alice MacDougal era senza un compagno e si
alternava con le altre due. In quel momento stava guardando le
bacchette con aria vagamente terrorizzata.
Dall’altra
parte della stanza, Potter e Black sembravano intenti in un duello
senza esclusione di colpi che comprendeva evidentemente una
più
vasta gamma di incantesimi e maledizioni di quelli appena spiegati.
Stavano ridendo come matti, continuando a ballonzolare in giro per la
stanza per evitare le rispettive fatture, tanto che alla fine dovette
intervenire la professoressa con un potente incantesimo di scudo per
separarli, anche se restavano in preda a risatine isteriche.
Complessivamente
la prima giornata mi sembrava buona. Quando finirono le ore di
lezione, e mi ritrovai con Severus, il nostro bilancio fu decisamente
positivo: aveva avuto Trasfigurazione il pomeriggio, e anche se
trovava la materia noiosa pensava che sarebbe comunque stata utile.
Tornammo
nel parco: era un posto veramente notevole, e per di più
c’erano
molte più possibilità di stare soli. Forse
saremmo dovuti andare in
biblioteca per cominciare a studiare, ma nessuno dei due ne aveva
voglia, preferivamo chiacchierare, visto che eravamo rimasti separati
tutto il giorno. In realtà, intorno alle sei andammo anche
in
biblioteca per cominciare a prendere le informazioni che ci aveva
chiesto la professoressa Harvey per Difesa Contro le Arti Oscure, ma
già alle sette tornammo nelle rispettive Sale Comuni per
poggiare le
nostre cose e cominciare a prepararci per la cena.
Vi
trovai Remus appartato in un angolo intento a scrivere il tema che la
professoressa McGranitt ci aveva chiesto. Quando mi avvicinai,
alzò
lo sguardo e mi guardò con un piccolo sorriso.
«Non
fai un po’ fatica a studiare qui?» chiesi indicando
con un ampio
gesto della mano tutta la sala. «Insomma,
c’è una confusione…»
«Forse,
ma in camera mia ce n’è ancora di più e
la Biblioteca chiude alle
sette, ho chiesto ad un prefetto…»
Mi
sedetti accanto a lui. «Come mai lo cominci
subito?» chiesi
aggrottando le sopracciglia. «Voglio dire, non abbiamo
Trasfigurazione fino a giovedì…»
«Sì,
ma… ma oggi ho avuto alcune difficoltà a
Trasfigurare i
fiammiferi, ho pensato che fosse meglio… portarmi avanti col
lavoro…»
«Ehi,
non era un rimprovero» sorrisi. «Probabilmente hai
ragione tu e
sono io che sono un’immatura… Posso studiare un
po’ con te?»
Lui
annuì e mi fece spazio, e passammo la successiva
mezz’ora a
completare la traccia per il tema che la professoressa aveva
richiesto. Forse non era proprio una meraviglia, ma
senz’altro era
una sufficienza. Remus sembrava deciso a continuare, ma gli feci
notare che dovevamo scendere a cena prima che sparecchiassero,
così
andammo a poggiare le cartelle nei dormitori e scendemmo.
ANGOLO
AUTRICE
Allora,
prima che possano esserci proteste riguardo alla facilità
con cui
Lily riesce ad affrontare i primi incantesimi vorrei difendermi
dicendo che Hagrid definisce lei e James Potter “I migliori
del
loro anno ad Hogwarts”, che Severus Piton, per quanto ancora
bambino, la definisce sua propria manu
“Una strega potente”
e che oltretutto si erano probabilmente esercitati insieme durante
l’estate sugli incantesimi più elementari.
Bene,
messo in chiaro ciò (sì, ho la coda di paglia
-.-), buonsalve a
tutti, gentili lettori, amici e affiliati vari! È tanto che
non ci
si sente u.u
Per
quanto riguarda il resto, stavolta non ho praticamente niente da dire
(sì, sto esultando anch’io, non è
meraviglioso?! ^^), se non
forse che non avendo dei programmi veri e propri dei corsi del primo
anno vado e andrò molto a naso, e probabilmente
dovrò introdurre
anche qualche novità, visto che così come vengono
messi nei libri
lasciano molto, molto, moooooooooolto spazio
all’immaginazione
-.-
Bene,
a parte questo grazie a chiunque sia arrivato fin qui a leggere senza
vomitare e alla prossima, ciao ciao!
ANGOLO
PUBBLICANTE
Hola!
Scusate per non aver pubblicato il capitolo ieri, ma non ho avuto
tempo. È già tanto se ci riesco oggi dato che
domani mi attende una
quadrupla interrogazione di latino :S
Vi
auguro anche buon Dicembre! Il Natale di avvicina e dobbiamo ancora
comprare tutti i regali per i vari parenti... è strano, ma
quando si
avvicinano le feste si moltiplicano. Devono essere inversamente
proporzionali ai soldi.
Perdonatemi,
la vicinanza di una verifica di mate si fa sentire (anche se non ci
saranno assolutamente le funzioni... MAGARI CI FOSSERO!)
Ringrazio
le 17 persone che anno aggiunto la storia tra le seguite e le 11 che
la preferiscono! Grazie mille!
Rispondiamo
ora alle recensioni! Che scriverò colorate per festeggiare!
-
A
9Anny7: che ti aspettavi?
È sempre la madre di Harry no? XD Lieta anche questo
capitolo ti sia piaciuto e aspetto con ansia il parere per questo!
L'idea del sogno non è proprio originale, ma ci stava! Alla
prossima!
-
A mimmyna: si infatti! Quella
dell'Angolo Autrice è, per l'appunto, l'autrice! Sono
contenta che tu ci sia arrivata finalmente! Per la poesia ci abbiamo
passato una nottata intera, non solo per “rispettare gli
endecasillabi”, ma anche per trovare delle rime che avessero
un senso u.u Grazie mille per i complimenti, pensiamo che sia molto
importante attenersi ai fatti scritti dal libro per rendere il tutto
ancora più realistico e dopo tutto... tale madre, tale
figlio! Aspetto con ansia un parere anche su questo! Ciaoo
-
A maladrina4ever: ti dirò una cosa, a
me Bellatrix sta estremamente sulle scatole, ma non
così tanto da farla uccidere da MOLLY! Vabbè che
si meritava una morte squallida come quella che ha fatto fare al mio Sirius, ma così per
me è troppo... non me ne vogliano le fan di Molly...
Grazie mille per la canzone del
Cappello, non è stato facile, ma siamo riuscite nel compito
di farla xD
SALSA MADONNA??? Cedi di
recensirlo in fretta questo capitolo, devo sapere cos'è! Ha un
nome strano O.o
Mi vuoi dire che tu sei parte
della famosa categoria “mangio come un troll, ma ho un fisico
da sbav?”?! E perché non sei in un museo, o per lo
meno sotto tutela come specie protetta?? NON È GIUSTO! Io
sono un fisico da “anche solo guardare una torta mi fa
prendere 9000000kg” -.- quindi spero do non morire di diabete
per lo meno... sarebbe squallido...”Non mangiò mai
un dolce, ma perì per il troppo fissarli” che
epitaffio triste =(
-
a googletta: come mai stai male? Qualche
problema? Il film non era poi così male, fatto bene e
praticamente identico a quello che dice il libro! Poi per me gli attori
fanno pena e Daniel Radcliffe fa veramente schifo però in
quanto ad effetti è fatto molto bene! L'immagine rappresenta
i due stemmi: quello di Grifondoro (il Grifone in campo rosso) e quello
di Serpeverde (il Serpente in campo verde) come se fossero fusi assieme
per simboleggiare che loro non si separeranno mai!
Per quanto riguarda Molly e
Arthur sono stati a scuola prima di loro, Molly è del 1949,
mentre Arhtur è del 1950! James e Lily sono degli anni 60!
Quindi avevano già finito da un po', per esattezza sono
andati a scuola dal '61 al '68. Diciamo che si sono mancati per poco xD
Per concludere ti volevo
chiedere un favore personale: potresti evitare tutte quelle
abbreviazioni? Non è che mi diano fastidio, ma faccio fatica
a capirne il senso ^^' sono veramente un'imbranata... Scusa!
-
A Ipswich
Rochester Clearwater: che bello! Un nuovo lettore
*.* Benvenuto/a! Grazie mille per i complimenti! Sono contenta che la
storia ti piaccia! Buona scuola xD
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 3 - Palloni Gonfiati e Interrogazioni ***
Prima
parte: I anno
Capitolo 3
– Palloni Gonfiati
e Interrogazioni
La
mia prima settimana fu generalmente tranquilla: mi alzavo la mattina,
facevo colazione con Remus e poi chiacchieravo una mezzoretta con
Severus, di solito nel parco, a volte anche girovagando per i
corridoi, poi andavo a lezione, pranzavo di nuovo con Remus, stavo
con Severus, tornavo a lezione e tornavo da Severus. La sera poi
stavo sempre con Remus, molto più diligente di me in fatto
“compiti”, che infatti mi spingeva a completarli il
giorno stesso
in cui me li davano, cosa che non avevo mai fatto prima.
Anche
Debbie Meadowes ebbe una parte importante nel mio primo periodo ad
Hogwarts: sembrava avermi preso in simpatia, ed ogni volta che ci
incrociavamo mi rivolgeva un sorriso e qualche parola gentile.
Inoltre, era sempre pronta ad aiutarmi o a consigliarmi quando ne
avevo bisogno, per qualunque tipo di informazione o suggerimento ero
sicura di poter contare su di lei. Era come avere una sorella
maggiore… o almeno, una sorella maggiore a cui stessi
simpatica.
Mi
rivelò addirittura che il suo vero nome era
“Dorcas”, ma che lo
odiava tanto che a tutti si presentava come
“Debbie” ed ormai era
conosciuta così.
In
breve presi ad adorarla: era intelligente, gentile e, secondo me,
bellissima; aveva lunghi capelli biondo-oro morbidi e spumosi, due
intelligenti occhi scuri sempre sorridenti, delle mani
meravigliosamente affusolate e un sorriso capace di conquistare i
cuori più duri.
E
poi, c’erano le lezioni.
Erbologia
era forse quella che mi riusciva peggio, probabilmente
perché ero
sempre stata scarsa a trattare le piante. Non che ci avessi mai
provato sul serio, però sembravo avere la sconfortante
capacità di
farle morire con incredibile velocità. In ogni caso,
l’utilizzo
delle piante mi interessava enormemente, e anche se non ero un asso
riuscivo comunque a cavarmela.
Pozioni
fu una rivelazione: il professor Lumacorno era un omone grasso
vestito con abiti costosi, e sembrava scrutarci tutti come in attesa
di vedere cosa saremmo riusciti a combinare. Ma preparare
pozioni…
era una cosa meravigliosa, era facile, era logico. Stavo sempre
vicina a Severus durante quelle lezioni, e anche se a volte mi
sentivo in colpa verso Remus, lui sembrava accettare il fatto con
tutta calma. Mi ero accorta che ogni tanto Severus lo guardava
storto, ma pensavo fosse solo una mia impressione. Alla fine della
settimana il professore sembrava averci già catalogato, ed
il mio
bilancio era stato nettamente positivo: mi sorrideva spesso e
già un
paio di volte mi aveva fatto i complimenti per i miei
risultati.
Anche Severus era nelle sue grazie, il che sembrava compiacerlo
parecchio.
Storia
della Magia era indubbiamente la materia più noiosa a cui
avessi mai
assistito: il professor Rüf era un uomo vecchio e mogio dalla
voce
monotona sempre uguale, che ci leggeva o raccontava eventi storici
senza cambiare mai intonazione causando uno sconfortante torpore. Di
conseguenza passavo più tempo a studiarla di sana pianta con
Remus o
con più raramente Severus (anche se a lui chiaramente non
importava
niente) che ad ascoltare in classe, e si scoprì che invece,
se letta
o spiegata in tono umano, era davvero interessante.
La
cosa più irritante in assoluto, invece, erano Black e
Potter, non
necessariamente in quest’ordine: Remus aveva ragione,
dovevano
conoscersi già da prima, perché non passava
momento senza che
stessero insieme, normalmente al centro dell’attenzione.
Erano
diversi, però: Black più facilmente sogghignava
invece di ridere,
ed uno strano sguardo che ogni tanto gli spuntava negli occhi mi dava
da riflettere, sembrava stesse cercando di trattenersi
dall’urlare;
Potter invece aveva sempre un sorriso che gli inghiottiva
metà
faccia, non uno di quei sorrisi che ti rendono spontaneo ricambiarlo,
ma un sorriso che sembrava avvisarti che da un momento
all’altro il
soffitto ti sarebbe caduto addosso e lui avrebbe potuto sghignazzare
in santa pace mentre tu ti liberavi delle macerie.
In
una settimana riuscirono ad allagare il secondo piano, causare un
incendio in Guferia e far venire una crisi isterica alla Signora
Grassa, tutto senza mai smettere di sghignazzare come iene ubriache!
E in più, sembravano aver preso di mira Severus: ogni volta
che
erano nel raggio di cinquanta metri gli uni dall’altro si
ingegnavano per lanciargli contro incantesimi e fatture fra le
più
odiose. E Severus, sebbene non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto
tortura, era sensibile di carattere e sapevo che ci rimaneva male
tutte le volte, caricandosi di un rancore sempre pronto ad esplodere.
Perciò,
mentre il tempo passava fra lezioni stimolanti o meno, ragazzini
idioti, lettere a casa e compiti scritti che facevo sempre insieme o
a Remus o a Severus, decisi che era arrivato il momento di imparare
un bell’incantesimo di Scudo che ci permettesse di difenderci
da
quei pazzi furiosi.
Fu
sorprendentemente difficile: ci volle più di un mese per
permettermi
di padroneggiare completamente l’incantesimo, e fu un mese di
ci
volle più di un mese per permettermi di padroneggiare
completamente
l'sforzi e concentrazioni mai raggiunto. Fu solo quando sia io che
Sev riuscimmo a controllarlo che ci accorgemmo di un dettaglio che
fino ad allora non avevamo notato: era citato come a livello dei
G.U.F.O., gli esami del a livello dei GUFO. quinto anno.
In
realtà era ancora approssimativo, ma contro le fatture
minori e
medie funzionava. E in ogni caso non ci aspettavamo di venir
maledetti tanto presto; doveva solo servire a bloccare persone
come (un nome a caso) Black e Potter quando cominciavano a
fare i
cretini, e cioè con allarmante frequenza.
Era
anche vero che non avevamo molto tempo per rafforzare lo Scudo:
avevamo troppo da fare con le lezioni, che dopo le prime basi si
stavano facendo veramente interessanti, anche se difficili.
Incredibilmente,
la materia in cui riuscivo meglio era Pozioni. Un’autentica
vergogna, secondi i Grifondoro, visto che il professore, Lumacorno,
era il direttore di Serpeverde, e ci era voluto davvero poco per
farmi capire che le due case si odiavano visceralmente. Eppure non
potevo farci niente. Mi piaceva, e mi veniva istintiva. Forse il
segreto del mio successo stava nel fatto che non seguivo mai le
istruzioni alla lettera, visto che mi sembravano costantemente
imperfette; all’inizio non capivo neanche perché,
era come leggere
un libro con degli errori grammaticali quando hai cominciato a
leggere da relativamente poco tempo, c’era qualcosa che non
mi
tornava ma non riuscivo ancora a definire cosa. Di
grandissimo
aiuto era stato un rotolo di pergamena che ci aveva dato il
professore il primo giorno, con scritti i principali ingredienti per
preparare pozioni, quelli che avremmo usato nel primo periodo, e i
loro effetti: la cosa mi era interessata fin da subito, e quindi
avevo mosso una discreta ricerca in biblioteca per approfondire,
trovando un piccolo, polveroso volumetto che illustrava le principali
reazioni degli ingredienti fra di loro.
E
leggendo quelle poche pagine, studiandomele, mi era sembrato come se
qualcosa fosse scattato nel mio cervello, non era quasi a livello
cosciente, era come una lampadina nel mio subconscio che si accendeva
ogni volta che cominciavo a leggere le quantità degli
ingredienti
richiesti per pozioni; avevo cominciato a definire più
chiaramente
gli errori che il nostro libro faceva: insomma, descriveva i
risultati, ma il metodo per arrivarci era approssimativo.
Le
prime volte avevo cercato di ignorare quella strana sensazione,
dicendomi che dopotutto erano i libri che sapevano, non io, qual era
il modo migliore di procedere. Eppure… grammatica
errata.
Non potevo farci niente, la sensazione era la stessa, anche se non
riuscivo a capire perché. Quelle istruzioni mi… irritavano.
Particolarmente quando il risultato non era perfetto. Il
professore sembrava sempre e comunque molto soddisfatto, ma io non lo
ero. Se c’era un punto dove la
“grammatica” era corretta nel
nostro libro, era nella descrizione dei risultati, che mancavo ogni
volta. Anche quando, con tutta la mia pignoleria e autocritica,
riuscivo ad ammettere di aver seguito ogni passaggio alla perfezione,
contato anche i secondi richiesti fra un passaggio
e l’altro,
c’era sempre qualcosa che non andava.
E
visto che, di lezione in lezione, si faceva più persistente
la
sensazione che se invece avessi seguito quel mio curioso istinto,
quel calcolo del subconscio, sarei riuscita ad ottenere un risultato
migliore, in capo a due settimane ero già mortalmente
seccata con il
mio libro, fatto senza precedenti.
Tuttavia
non ero ancora così sicura di me da permettermi di fidarmi,
tantomeno di me stessa; trascorsi il primo mese a dirmi che ero
senz’altro io che sbagliavo qualcosa, o che perdevo qualche
passaggio. E una fastidiosa vocina interiore commentava
“Sì,
fidarti di te stessa”; di solito aveva la voce di mia madre.
Per
un mese, un mese intero, buon senso e istinto avevano combattuto una
dura battaglia conclusasi alla fine con un compromesso:
l’istinto
aveva una occasione, non di più. Una
possibilità, e se
quella possibilità falliva, allora non se ne sarebbe parlato
più.
Malgrado
questo, la prima volta era stato quasi traumatico, perché
non ero
sicura che avrei ottenuto un risultato accettabile e quella parte di
me che aveva combattuto strenuamente per evitare pasticci mi stava
supplicando in ginocchio di lasciar perdere, ma alla fine avevo
rischiato il tutto per tutto trattando gli ingredienti in modo
diverso da quello descritto sul libro e spegnendo la pozione un
po’
prima, quando già mi sembrava pronta. Avevo,
diciamo… cambiato
leggermente le carte in tavola, ecco.
Ricordo
che Severus mi aveva guardato perplesso, stupido e anche un
po’
preoccupato, visto che non capiva cosa stessi combinando, ma non
aveva commentato: dopotutto anche lui era alle prese con la sua
pozione.
Il
risultato fu migliore di quanto avessi potuto sperare: era
esattamente quello descritto dal libro, e il professor Lumacorno
l’aveva guardato con notevole soddisfazione, lodandolo poi,
con mio
grande imbarazzo, di fronte a tutta la classe. Di solito si limitava
a farmi un grosso e grasso sorriso e ad assegnare punti a Grifondoro,
invece quella volta volle che tutta la classe vedesse, fece
avvicinare gli altri al mio calderone e mostrò a tutti la
pozione.
Io ero arrossita furiosamente. Ora, non voglio dire che non mi
facesse piacere ricevere delle lodi così entusiaste, ma
avrei
preferito che non lo facesse pesare anche a tutta la classe. Notai
gli sguardi sprezzanti o seccati dei Serpeverde, quelli
condiscendenti dei Grifondoro, il sorriso di Remus e la faccia un
po’
corrucciata di Severus.
«Come
hai fatto?» mi chiese non appena uscimmo. Eravamo rimasti
indietro,
il professore aveva voluto parlare ad entrambi per invitarci ad una
piccola cenetta che intendeva organizzare con alcuni studenti, ed il
corridoio era deserto. O così sembrava.
Io
aprii la bocca per rispondere ed in quel momento qualcuno dietro di
noi urlò: «Aguamenti!»
Feci
appena in tempo a tirare fuori la bacchetta quando uno schizzo
d’acqua mi investì all’altezza della
nuca.
«Protego!»
gridai, e lo schizzo si bloccò di fronte alla punta della
mia
bacchetta.
Accanto
a me Severus aveva fatto lo stesso, anche se aveva le punte dei
capelli gocciolanti. Era talmente furente che gli si era arrossato il
viso. Letteralmente, non ci vedeva più dalla rabbia.
«Exulcero!»
ululò puntando la bacchetta contro Potter e Black (e chi
altri?),
che stavano sghignazzando poco distanti.
Era
evidente che nessuno dei due si aspettava una qualche contromossa:
l’incantesimo colpì Black in pieno, spegnendone la
risata e
facendo apparire delle orribili bolle sul suo viso.
«Basta!»
urlai io, ma parlavo al vento: ora Potter era altrettanto furioso di
Sev.
«Tarantallegra!»
gridò quasi contemporaneamente a me. Le gambe di Severus
cominciarono a muoversi.
«Smettetela!»
urlai mentre Potter, anche se con la bacchetta alzata, si chinava
verso Black. Lo vidi bene solo in quel momento: la sua pelle sembrava
il campo di battaglia di un esercito di aerei. O di talpe. Era
ricoperto di strane vesciche simili ad ustioni che lo rendevano
assolutamente irriconoscibile. Accanto a me, Sev cercava
disperatamente di tenersi in piedi mentre le sue gambe si dimenavano.
Un attimo prima che cadesse, ordinai: «Finite
Incantatem!» e
il movimento convulso finì, facendolo barcollare
pesantemente.
Tornai
a guardare gli altri due: gli occhi occhialuti di Potter erano fissi
su di me, accusatori. Aveva di nuovo la bacchetta in posizione
d’attacco contro Severus, che dal canto suo sembrava sul
punto di
scagliare un’altra fattura, cosicché mi misi
velocemente in mezzo
con le palme rivolte verso entrambi. «Basta
adesso!» ordinai
inflessibile. «Avete fatto più che
abbastanza.»
Nessuno
dei due sembrava pensarla così, anzi continuavano a
guardarsi con
odio come se io fossi trasparente.
Lo
sguardo di Potter tornò su di me. «Guarda
cos’ha fatto la tua
amica serpe, Evans» disse velenoso indicandomi Black.
Io
mi morsi un labbro. «Deve andare in Infermeria»
dissi alla fine.
«No
che non deve» ribatté Potter impaziente.
«Non è permesso fare
incantesimi nei corridoi, finiremmo tutti nei guai!»
I
miei incisivi affondarono nel labbro inferiore mentre riflettevo.
«Non potreste trovare una scusa?» proposi.
Potter
rise. «Madama Challoner non è un’idiota,
riconoscerà subito la
fattura!»
Guardai
un attimo Severus, che tuttavia era tranquillissimo. Sorrideva, anzi.
Questo mi infastidì. «Va bene» dissi
freddamente a tutti e tre.
«Sev, ci vediamo dopo pranzo. Potter, porta Black
nell’aula di
Pozioni.»
«Lily…»
cominciò Severus.
«No,
Sev» lo interruppi io con decisione. «Ci hai messo
in questo
pasticcio e ora dobbiamo uscirne. A dopo.»
Lui
sembrò mortificato e si allontanò, facendomi
sentire in colpa. Lo
trattenni per un polso. «Scusa, non volevo essere
brusca» gli dissi
dispiaciuta.
Lui
annuì con una certa freddezza e se ne andò.
Quando mi girai, Potter
e Black erano ancora in mezzo al corridoio.
«Che
ci fate lì?» domandai incredula.
«Nell’aula di Pozioni, su!»
«Cosa
intendi fare?» domandò Potter mentre io prendevo
Black per un
braccio e lui per l’altro: aveva pustole anche sulle mani, e
sulla
faccia erano tanto fitte che non riusciva né a parlare
né quasi ad
aprire gli occhi.
«Secondo
te?» ribattei seccata. «Sto cercando di rimediare
alla stupidità
di voi ragazzi.»
Entrammo
nell’aula, fortunatamente vuota: sicuramente erano tutti a
pranzo.
Poggiai
la borsa, presi un calderone ed il libro di pozioni ed accesi il
fuoco.
«È
stato Mocciosus» ringhiò Potter.
«Prenditela con…»
«Voi
avete cominciato, Potter» ribattei gelida cominciando a
prendere gli
ingredienti. «E non era neppure la prima volta»
proseguii severa.
«Si può sapere cosa cavolo vi abbiamo
fatto?» aggiunsi voltandomi
a guardarlo.
Lui
si strinse nelle spalle mentre si sedeva accanto a Black, che gemeva
appena grattandosi le bolle.
«Tienilo
fermo» gli ordinai prima che potesse parlare. «Se
si gratta via
quelle cose gli verranno le cicatrici.» Bastò
l’ammonimento a
fermare Black. Evidentemente ci teneva al suo viso.
Potter
tornò a seguire i miei movimenti. Non lo guardavo, ma
sentivo il suo
sguardo perforarmi la nuca.
Restammo
qualche minuto in silenzio, io che preparavo la pozione, Potter che
guardava me e Black che cercava di stare fermo.
«Perché
stai con lui?» mi chiese di punto in bianco Potter facendomi
sobbalzare – a rischio di sbagliare il dosaggio di ortiche
secche,
accidenti a lui. «Tu sei una di noi.»
Misi
con un gesto brusco l’ultimo ingrediente e cominciai a
mescolare.
«Severus è il mio migliore amico»
spiegai algida. «Fine della
storia. Sai dove posso trovare un bicchiere?»
Lui
si alzò ed andò verso la credenza in un angolo
mentre io spegnevo
il fuoco. Controllai con una certa ansia la pozione, temendo di aver
sbagliato qualcosa, ma era della precisa sfumatura verde oliva
descritta nel libro. Rilasciava anche la leggera nebbiolina
semi-trasparente che la ricetta indicava come segno che era pronta.
Potter
tornò poco dopo con un calice che mi porse in silenzio. Io
vi versai
dentro la pozione e mi avvicinai a Black. A vederlo così
parecchia
della rabbia che provavo verso di lui stava sparendo.
«Tieni»
gli dissi porgendogli il calice. «È
l’antidoto, devi berlo
tutto.»
«Sei
sicura che non lo avvelenerai?» chiese Potter guardandomi
ironico.
Mi
alzai. «So quello che faccio, Potter» risposi
gelida. «Ma se non
ti fidi» aggiunsi perfidamente, «puoi sempre
portarlo in
Infermeria. Sono certa che madama Challoner non lo
avvelenerà…»
Potter
aprì la bocca per rispondere quando dietro di me Black
mandò giù
la pozione in un sol sorso. Ci voltammo entrambi verso di lui,
guardando le vesciche ritrarsi progressivamente lasciando la pelle
liscia ed intatta. L’effetto durò quasi un minuto,
ma a me parve
mostruosamente lungo.
La
pozione era fatta a dovere, ne ero sicura, e all’inizio delle
istruzioni la ricetta diceva chiaramente “contro forme
ostinate di
acne da pubertà o da incantesimo”, quindi era
adatta, ed in più
era molto facile, era la terza che avevamo provato in classe e
Lumacorno mi aveva fatto i complimenti per come era venuta,
però…
c’era sempre la possibilità che qualcosa andasse
storto. In fondo
facevo pozioni solo da un mese…
Tuttavia
le mie ansie furono frustrate dallo stesso Black, che balzò
in piedi
non appena la pozione finì di agire e dopo essersi tastato
il viso
per accertarsi che fosse tutto a posto, si diresse verso la porta
dichiarando: «Io vado a uccidere Mocciosus!»
«Oh,
no che non lo fai, Black!» ribattei io mentre tutta la
pietà
evaporava come neve al sole. «Potter ti ha già
vendicato, e io ti
ho aiutato, quindi ora lasci in pace Severus!»
Mi
guardò incredulo. «Evans, nemmeno tu puoi
veramente pensare che
gliela faccia passare liscia dopo quello che mi ha fatto!»
«Sì
che lo penso, invece!» esclamai io veementemente.
«Senti, Severus è
amico mio, e io ti ho guarito, quindi il debito è
saldato!»
«Non
è la stessa cosa.» Ma bene, ci si doveva mettere
pure Potter, ora?
«Non
mi interessa» esclamai con fermezza. «È
da quando siamo arrivati
che lo tormentate, ora siete pari, e basta. La prossima volta non
comportatevi da bambini!»
«Oh,
Evans, non ricominciare!» disse Potter seguendomi fuori
dall’aula.
«Noi non gli abbiamo mai fatto niente di
simile…»
«No,
ma è un mese che gli andate contro» ribattei io
muovendomi a passo
di marcia verso la Sala Grande. «Ora smettetela.»
Si
fermarono tutti e due di scatto, nello stesso istante, nella Sala
d’Ingresso, facendo fermare anche me.
«Evans,
in questo momento siamo in debito con te» cominciò
Black
solennemente.
«Ci
hai aiutato, nonostante tutto, quindi sei fuori dal nostro
mirino»
proseguì pomposamente Potter con quel suo solito ghigno
irritante.
«Ma
per quanto riguarda Mocciosus…»
«…
abbiamo un conto aperto con lui.»
Remus
aveva ragione, quei due sembravano davvero fratelli.
Si
completavano pure le frasi a vicenda!
Entrarono
senza darmi il tempo di ribattere e, una volta nella Sala, non
riuscii più a parlargli. Perciò mi sedetti vicino
a Remus
schiumando di rabbia ed avvicinandomi un piatto d’arrosto con
un
gesto brusco.
Mi
guardò sorpreso ma non disse niente. Era questa la cosa
meravigliosa
di Remus: non si faceva mai gli affari tuoi.
Non
riuscii a parlare con Sev dopo pranzo, quindi dovetti aspettare la
fine delle lezioni per poterlo incontrare. Era sotto il nostro solito
albero e stava leggendo un libro con la fronte aggrottata e
l’espressione arcigna.
«Ciao,
Sev» dissi per annunciare la mia presenza quando fui
vicinissima,
visto che lui non aveva alzato lo sguardo.
«Ciao»
rispose lui scontroso.
Mi
sedetti accanto a lui, aprii il libro di Pozioni e cominciai a
sfogliarlo: segnavo sempre le modifiche che facevo a bordo pagina, e
a volte le riguardavo pure, ma in quel momento servivano solo come
scusa per tenere gli occhi occupati. Nessuno dei due diceva niente,
tutti e due fingevamo con grande diligenza di leggere i libri di
scuola per non incrociare gli occhi dell’altro.
«Potter
e Black hanno giurato vendetta» lo informai dopo un
po’ seguendo
sempre la ricetta della “Bevanda Balbettante”, che
a detta del
libro faceva balbettare chi la beveva. «Ho provato a
trattare, ma
non hanno ceduto.» Sbirciai nella sua direzione: aveva ancora
il
viso incollato alle pagine. «Quindi forse faresti meglio a
stare
attento.»
Chiuse
il libro così bruscamente che sobbalzai. «Certo,
immagino che sia
quello che mi merito per aver aggredito i tuoi poveri amichetti
innocenti, vero?»
Rimasi
sbalordita. «Cosa stai dicendo, Sev? Lo so che hanno torto
marcio,
volevo solo…»
«Ma
non ti è venuto in mente, ovviamente, mentre li
aiutavi!»
«Cosai
avrei dovuto fare, Sev?» ribattei io cominciando a seccarmi.
«Black
non riusciva neanche a parlare e Potter si rifiutava di portarlo in
Infermeria. Immagino che secondo te avrei dovuto lasciarlo
lì a
sbrogliarsela, vero?»
Questo
lo mise a tacere, anche se il suo sguardo diceva chiaramente di
sì.
Rimanemmo a fissarci qualche secondo, poi io riaprii il libro con un
colpo secco e ripresi a leggere.
«Lily?»
tentò lui dopo un po’.
Io
finsi di non averlo sentito e girai rumorosamente pagina, ancora
arrabbiata.
«Lily,
lo sai che non intendevo questo!» esclamò lui, ora
implorante.
Io
chiusi il libro e mi appoggiai al tronco chiudendo gli occhi.
«Lo
so, Sev…» dissi stancamente. «E so che
quei due se le tiravano
per i capelli. Hanno avuto la sfrontata faccia tosta di dirmi che mi
avrebbero lasciata fuori perché li avevo aiutati, figurati!
Giuro
che li avrei picchiati, ma sono entrati in Sala Grande e
quindi… Io
gli avevo chiesto di lasciarti in pace, e loro hanno risposto che
erano in debito solo con me! Sono i più stupidi, tronfi,
egoisti
palloni gonfiati che conosca!» conclusi con tanta veemenza da
stupire me stessa. Effettivamente mi avevano notevolmente seccata con
quel loro odiosissimo atteggiamento.
Intanto
però Sev si era tranquillizzato e io mi ero sfogata, col
risultato
che riprendemmo a chiacchierare ed a studiare come se niente fosse.
Dopo
un po’ gli chiesi se poteva interrogarmi a Pozioni, visto che
il
professor Lumacorno mi aveva annunciato la sua intenzione di farmi
una sorta di… quiz, l’aveva
definito, per mettermi un
giudizio definitivo sul primo mese, mandandomi nel pallone: sono
assolutamente, completamente, irrevocabilmente terrorizzata dalle
interrogazioni, la mia testa va democraticamente in vacanza, tabula
rasa al posto di idee e arrivederci, se non so vita, morte e
miracoli di quella materia, cosa che non mi capita mai.
Tuttavia,
farmi interrogare da Severus era un ottimo tranquillizzante, visto
che non esisteva insegnante al mondo capace di fare domande
più
subdole: se scampavo da un’interrogazione con lui, allora ero
in
grado di superare quella di qualunque professore.
Solitamente
seguivano uno schema preciso: prima le domande difficili, poi quelle
più probabili ed infine quelle impossibili.
Di
solito superavo le prime due fasi più o meno tranquillamente
e poi
mi schiantavo contro la terza. Ora, visto che stavamo parlando di
Pozioni, la mia materia preferita, riuscivo, concentrandomi
seriamente, a superarle tutte e tre.
L’ultima
domanda di quella seduta mi mise però particolarmente in
difficoltà:
«Qual è la differenza fra Aconitum
Napellus e Aconitum
Lycoctonus?»
Maledizione
a lui, Severus sapeva perfettamente che Erbologia era la materia con
cui facevo più a pugni!
E
dal sorrisetto soddisfatto con cui osservava il mio andirivieni
davanti a lui credo fosse certo di avermi messa nel sacco.
Sì,
facile sogghignare quando hai il libro aperto davanti!
Aconitum
Napellus… Aconitum Lycocta…
Lycoctonum… Cosa cavolo avevano
di diverso? Nelle pozioni avevamo usato l’aconito,
ma…
Mi
fermai di scatto di fronte a lui. «Ma non erano la stessa
pianta?»
domandai guardinga.
Lui
sogghignò ancora più calorosamente e chiuse il
libro. «Sì, era
una domanda a trabocchetto.»
«Infame!»
lo accusai ridendo. «Mi hai fatto fondere le meningi su quei
dannati
Aconitum…»
«Ma
ora lo sai e non te lo dimenticherai più»
ribatté lui,
inattaccabile.
Io
fui costretta a dargli ragione, ma non intendevo dargliela vinta.
«Scommetto che tu non lo avresti saputo se non avessi avuto
davanti
il libro!»
Lui
mi guardò con sufficienza, anche se un po’
sorrideva. «Lily, per
quanto riguarda queste questioni elementari, io so assolutamente
tutto!»
Gli
feci una linguaccia. «Bene, e allora cosa ottengo se verso
della
radice di Asfodelo in polvere in un infuso di Artemisia?»
Si
bloccò in mezzo al prato e io lo guardai perfidamente: avevo
letto
quella pozione quasi per sbaglio, durante una ricerca, ed era al
livello dei M.A.G.O. Ero quasi sicura che non sapesse la risposta.
In
quel momento stava guardando fisso davanti a sé con le
sopracciglia
talmente corrugate che quasi si toccavano e io stavo un passo davanti
a lui: ora era il mio turno di sogghignare guardando i suoi sforzi
per ricordare.
Alla
fine però ne ebbi abbastanza e dissi: «Tranquillo,
questo è il
genere di domanda che se la chiedessi ad un nostro compagno ti
guarderebbe con lo sguardo vacuo balbettando a malapena i
nomi.»
Lui
mi guardò storto ma non disse niente.
«È
a livello dei M.A.G.O., Sev, sei autorizzato a non saperlo. Io mi ci
sono imbattuta per puro caso. Lo chiamano Distillato della
Morte
Vivente, è il…»
«…
narcotico più potente possibile da preparare, tale da far
sembrare
il sonno uno stato di morte, quasi una coma» concluse lui con
una
smorfia. «Sì, lo so. E tu sei l’essere
più infido del mondo!»
«Io?!»
protestai. «Sei tu quello che prima mi chiede di quei dannati
aconiti e poi dice di sapere tutto!»
«Avevo
detto ‘questioni elementari’»
ribatté lui piccato. «Queste non
sono questioni elementari. E comunque se mi avessi fatto pensare un
altro po’ ci sarei arrivato!»
«Sì,
come no!» lo sbeffeggiai io.
Riprendemmo
ad avviarci verso il portone, nuovamente in ottimi rapporti,
parlavamo e scherzavamo come se niente fosse. Anche lui riusciva a
sorridere di quel suo strano, incerto sorriso.
ANGOLO
AUTRICE
Buondì,
compagni di tante sventure, primi scontri all’orizzonte e con
essi,
immancabili nuove note.
Allora,
lo so che Aguamenti è un incantesimo che
nel Canon viene
citato come abbastanza avanzato (mi pare che compaia per la prima
volta nel sesto o nel quinto libro), qui ho finto che fosse un
incantesimo a livello del primo anno. Abbuonatemela, siate gentili!
La
pozione contro i foruncoli è la prima che Piton insegna
nella sua
classe, al primo anno, quindi era ragionevole supporre che entro il
primo mese sarebbe stata spiegata anche da quella buonanima di
Lumacorno. Non so se la definizione dicesse sul serio che era
“contro
forme ostinate di acne da pubertà o da
incantesimo”, ma siccome
era contro i brufoli fingiamo che valesse anche per i brufoli magici
e ciccia, ai fini della storia.
Dorcas
Meadowes è un personaggio Canon membro del primitivo Ordine
della
Fenice, secondo Moody una strega tanto abile da venir uccisa da
Voldemort in persona. Mi era interessata, ma siccome il nome Dorcas,
con tutto rispetto per le Dorcas del mondo, non mi piaceva,
l’ho
addolcito in Debbie.
In
ultimo, l’“interrogazione” fra Severus e
Lily è strettamente
parallela a quella a cui Piton sottoporrà Harry al primo
anno. Ho
pensato che forse avrebbe voluto vedere se il figlio era abile quanto
la madre in quella materia. Ah, gli appassionati di erbe non me ne
vogliano per la negazione delle differenze fra Napellus
e
Lycoctonum, che a quanto ho visto esistono, in
questo caso mi
sono rimessa a mamma Row per poter meglio seguire il suo schema.
Zzz…
Avvisatemi
quando ho finito.
Ah,
sì, ora, vero?
Comincio
ad annoiarmi da sola con queste stupide note -.- Dovrò
perderlo il
viziaccio di puntualizzare tutto, levano parecchio gusto a tutto il
racconto. Ma vabbè, ormai ho iniziato e immagino di dover
bere
l’amaro calice.
Sì,
certo -.-
Vabbè,
concludo con calorosi saluti e ringraziamenti a tutti coloro che si
sono dati pena di seguire la storia fin qui, a risentirci a presto
–
spero xD
ANGOLO
PUBBLICANTE
Ave
popolo di EFP!
Come
va la vita?
Io
sono raffreddata come al solito, colpa anche delle pallate di neve
che mi hanno raggiunto ieri... Ma non conta perché io amo la
neve e
quindi lei ha il diritto di farmi ammalare, soprattutto
perché la
mia scuola era chiusa sabato e quindi mi ha evitato 2h di latino e 2h
di matematica *_____________________*
Il
fatto che ci sia la neve mi ha ricordato una cosa importante: la
domenica fissata per il prossimo aggiornamento dovrebbe essere il 2,
allora è probabile che io sia in vacanza e quindi ci sta che
l'aggiornamento sarà rimandato o alla domenica successiva o
un
qualsiasi altro giorno dopo le vacanze di Natale.
Quindi,
essendo questo l'ultimo aggiornamento prima delle feste, BUON
NATALEE!!
Scusate
ma non faccio in tempo a rispondervi personalmente perché
vado di
fretta =(
Grazie
comunque a tutti!!
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 4 - Mezzosangue, Sanguesporco e Purosangue ***
Prima
parte: I
anno
Capitolo 4
– Mezzosangue,
Sanguesporco e Purosangue
Nei
giorni seguenti tuttavia Severus ebbe molte meno occasioni di
sorridere: Black e Potter si fecero scopo di rendergli la vita
impossibile, e per quanto io potessi urlargli contro loro
proseguivano imperterriti. Sev reagiva come meglio poteva, ma spesso
era in svantaggio, uno contro due, visto che raramente lo attaccavano
quando era con me, e lui non aveva ancora i riflessi abbastanza
pronti per poter evitare entrambi.
Una
reazione a quella persecuzione che non avevo previsto fu
l’accrescersi dell’“amicizia”
fra Sev e il ragazzo platinato
del treno, Lucius Malfoy. Passava tutto il tempo in cui non era in
mia compagnia con lui e la sua banda di smargiassi, e spesso e
volentieri quando ci dovevamo incontrare arrivava in ritardo, col
respiro affannato, le guance rosse e gli occhi brillanti balbettando
qualcosa a proposito del fatto che “Lucius gli doveva far
vedere…”
In
breve presi a detestare quel ragazzo più di quanto non
credessi
possibile.
Cercai
di dirmi che era solo una mia impressione, che magari quel ragazzo
non era realmente così male; insomma, Severus non era
così stupido
da farsi prendere al laccio da un ragazzo come io credevo fosse
Malfoy! Ma avevo paura: avevo sempre avuto un certo istinto per
capire le persone, quasi un sesto senso, visto che spesso non era
neppure a livello cosciente, e Malfoy non mi piaceva. Non mi piaceva
neanche un po’.
Ne
parlai con Debbie, promossa ormai al ruolo di confidente e
consigliera, e quando la vidi affilare gli occhi e stamparsi una
piega amara sulle labbra capii che i miei sentimenti erano
giustificati.
«È
un bullo straviziato che si crede un dio solo perché si
chiama
Malfoy» mi disse con disprezzo. «Un Serpeverde
della specie
peggiore, arrogante, ambizioso e senza scrupoli. Con un notevole
carisma personale, potrei aggiungere.» Mi guardò
con gli occhi un
po’ tristi. «È difficile capire questa
mentalità quando non ci
si è nati, Lily, ma anche i maghi hanno loro dogmi derivanti
dalla
loro storia e convinzioni che nei Serpeverde sono più
radicate che
mai. Vedi» proseguì facendomi sedere vicino a lei,
«Serpeverde è
per eccellenza la Casa più conservatrice delle quattro, la
tradizionalista, e i Malfoy sono fra le famiglie più
tradizionaliste
di tutte, e di conseguenza esercitano una grande influenza su tutto
il mondo magico e per riflesso su Serpevede. Lucius Malfoy è
l’epitome dei Malfoy, e quindi dei Serpeverde. Ciò
gli concede
automaticamente una grandissima autorità su tutta la sua
Casa, che
essendo legata alle tradizioni più conservatrici vede in lui
un
modello da imitare ed un leader da seguire.»
Intrecciò le dita,
pensosa. «È un buon oratore, devo dire, ed
è abilissimo a non
esporsi in prima persona. Seduce a parole i più piccoli e li
spinge
a diventare delle specie di subordinati, insegnandogli incantesimi
proibiti ed inducendoli a violare le regole, solitamente a scopo di
tormentare tutti coloro che secondo Serpeverde ed i tradizionalisti
non dovrebbero trovarsi ad Hogwarts, come i Mezzosangue, i
Sanguesporco ed i Filobabbani. Lui però resta dietro le
quinte, non
si sporca mai le mani. Ricordo che l’anno scorso un ragazzo,
Robert
Selwyn, ha rischiato l’espulsione a causa sua.»
Io
ero inorridita. Era quello il grande amico e leader di Sev? In che
pasticcio si stava mettendo?
«In
realtà non è tutta farina del suo
sacco» proseguì Debbie assorta.
«Quando avevo più o meno la tua età
c’era un’altra Serpeverde,
Bellatrix Black, che dirigeva la sua Casa con un pugno di ferro,
anche se era capace di esporsi di più. I Black sono
un’altra di
quelle famiglie tradizionaliste risalenti a prima del Medioevo,
rigidamente Purosangue e Antibabbane. Lei in particolare era una
concentrazione di tutte le loro convinzioni; a volte mi chiedo
persino se non fosse un po’ pazza. Era come una tarantola, o
una
vedova nera, silenziosa, in qualche modo affascinante e letale.
Preferiva però agire in prima persona, al contrario di
Malfoy. Una
volta ha addirittura rischiato l’espulsione per
l’accusa di aver
torturato un Tassorosso, Bob Hawkins.» Si prese le tempie fra
le
mani e sospirò. «Ricordo che ci fu uno scandalo
tremendo: i suoi
genitori, i genitori del suo fidanzato e l’intera Casata del
Black
lottò a pugni chiusi per mantenerla a scuola e smentire le
voci, e
alla fine l’ebbero vinta grazie ad una speciale intercessione
del
Consiglio Scolastico.» Strinse i denti.
«È quello che succede ad
avere un padre influente e tonnellate d’oro. Malfoy ha
cominciato
sotto di lei ed ha proseguito il suo lavoro quando se
n’è andata,
anche se con maggior discrezione: si limita a muovere i fili dietro
le quinte. È promesso alla sorella minore di Bellatrix,
Narcissa
Black.»
Rimasi
molto segnata da quel dialogo: avevo capito che ad Hogwarts vigevano
diverse regole non scritte indipendenti dalla nostra abilità
e dalle
nostre capacità, ma non mi ero mai accorta di quanto fossero
profonde, forse perché a Grifondoro nessuno me lo aveva mai
fatto
pesare. Ma se a Serpeverde erano così evidenti…
rimasi preoccupata
a lungo per Severus, ma non riuscii mai a parlargliene. Lui sembrava
sempre soprappensiero, ma non infelice; distratto, a volte, o in
preda ad una felicità febbricitante che mi preoccupava
più della
sua apatia. Ma c’era una sorta di blocco che non riuscivo ad
abbattere che mi impediva di capire cosa gli stesse succedendo. Gli
unici momenti in cui veramente si arrabbiava era quando comparivano
in scena Potter e Black. Loro ero sicura
riuscissero a
ferirlo, e per riflesso soffrivo anch’io e mi tormentavo per
giorni.
Debbie
se ne accorse e me ne chiese il motivo, ma io scansai
l’argomento.
Non ero sicura di volerne parlare. Avrei voluto i miei genitori, per
poter chiedere consiglio a loro, ma siccome non ero ancora sicura di
cosa avrei voluto chiedergli e non riuscivo a
rendere per
scritto le sensazioni che mi agitavano dovetti rinunciare.
Stavo
mano a mano scoprendo che l’amicizia fra una Grifondoro e un
Serpeverde non era così scontata come mi era sembrata
dapprincipio.
Ma non ebbi chiaro quanto fosse impossibile fino
alla
settimana prima di quella di Halloween.
Stavo
tornando in Sala Comune con Remus dalla Biblioteca, e come al solito
avevamo scelto la via meno trafficata (sia io che lui odiavamo la
folla), cioè una sorta di passaggio segreto, quando udimmo
uno
strillo acuto provenire da dietro l’angolo del corridoio che
stavamo percorrendo, qualche metro avanti a noi. Ci guardammo un
attimo negli occhi e ci precipitammo nel luogo di provenienza del
lamento, ritrovandoci davanti una scena che mi fece ribollire il
sangue: una ragazzina di Tassorosso più o meno della mia
età appesa
per aria a testa in giù con la divisa rovesciata che
continuava a
dimenarsi; intorno a lei, intenti a spanciarsi dalle risate, almeno
quattro Serpeverde più grandi di noi, fra cui Lucius Malfoy,
che pur
senza ridere sogghignava calorosamente e faceva sobbalzare la ragazza
con dei secchi movimenti del polso che teneva la bacchetta.
Lasciai
cadere la borsa ed afferrai la mia, urlando molto stupidamente:
«Fermi!»
Sebbene
inutile, il mio tentativo ebbe il vantaggio di ammutolirli per quasi
un secondo, durante il quale si accorsero che a parlare era stata una
primina e ripresero a ghignare.
«Vuoi
unirti anche tu alla tua amichetta Sanguesporco, rossa?» mi
chiese
beffardo Malfoy.
«Rimettetela
giù!» urlai io per tutta risposta.
«Altrimenti?»
sogghignò un altro ragazzo tremendamente alto e grosso.
«Tu e il
tuo amichetto ci maledirete? Andrete a piagnucolare dal
Preside?»
«Lasciatela
in pace» rispose Remus con la sua solita calma, che gli
invidiai un
po’: io ci mettevo un niente a prendere fuoco.
«Oh,
ma perché? Era tanto che non mi divertivo
così…Flagramus!»
Un
lampo di luce biancastra partì dalla sua bacchetta, e io per
riflesso involontario urlai: «Protego!»
Il
mio Scudo attutì il peggio, ma sia io che Remus barcollammo
e
rischiammo di cadere.
«Ohoh…
sai come si gioca, piccola rossa» commentò Malfoy
continuando a
sballottare la Tassorosso. «Dovremo impegnarci,
allora… e sia.»
Io
ero pronta ad evocare un nuovo Scudo, ma il suo incantesimo non era
diretto a me, bensì all’altra ragazza ancora per
aria.
Sobbalzai,
e lei cominciò ad urlare quando gli incisivi cominciarono a
crescerle fino a superarle il labbro inferiore.
Io
la stavo guardando inorridita, distraendomi, e fu solo grazie a
Remus, che mi si buttò addosso di peso, che non venni
colpita da una
maledizione. Tuttavia, a quella ne seguirono altre sempre
più
frequenti, costringendoci a restare sulla difensiva e ad
indietreggiare sempre di più. Adesso ero spaventata; non
avevo mai
respinto tanti incantesimi contemporaneamente e non ero sicura che
avrei retto a lungo. Accanto a me Remus era nelle mie stesse
condizioni, anche se il viso trasmetteva solo una concentrazione
assoluta. Era riuscito ad evocare uno Scudo, ma evidentemente si
accorgeva che non sarebbe bastato. Da soli era ovvio che non potevamo
far niente, perciò al di sopra degli scoppi degli
incantesimi gli
dissi con un coraggio che non sentivo: «Tu vai a cercare
qualcuno,
io provo a trattenerli!»
Una
pietra esplose poco sopra la mia testa, ricoprendoci di detriti.
«Non
essere sciocca, Lily» disse soltanto lui parando una fattura
diretta
al suo viso.
«Remus,
da soli non ce la facciamo!» esclamai spostandomi per evitare
il
vaso cinese che qualcuno mi aveva tirato addosso.
«Vai
tu!» ribatté cocciuto senza staccare gli occhi dai
Serpeverde.
Io
ovviamente non mi mossi, ma mi guardai freneticamente attorno
cercando una via di fuga. Il mio sguardo corse casualmente ad una
cornice vuota qualche metro più in là.
«Dobbiamo
spostarci a destra!» gli dissi mentre lui, con un incantesimo
ben
piazzato, distruggeva il soprammobile che minacciava la sua testa.
Annuì
al di sopra degli scoppi e, in un attimo di tregua, corremmo entrambi
verso la cornice, saltando letteralmente gli incantesimi. Vidi Remus
immobilizzare uno dei nostri aggressori con l’incantesimo
delle
Pastoie Total-Body e sospirai di sollievo, ma solo per un attimo: un
lampo di luce rossa, e Remus mi cadde accanto semisvenuto.
«Rem!»
urlai parando un incantesimo.
Mi
rispose con un sorriso tirato. «Sono ancora vivo»
disse, ma io non
ero affatto tranquilla: Remus aveva una salute cagionevolissima, si
era già ammalato due volte dall’inizio della
scuola e avevo paura
che quell’incantesimo l’avesse colpito duramente.
«Ce
la fai ad alzarti?» gli chiesi abbassandomi verso di lui.
«Ma
che quadretto commovente» commentò una voce
melliflua.
Mi
rialzai di scatto con la bacchetta alzata. Nel tempo in cui mi ero
distratta i Serpeverde si erano avvicinati ed ora ci premevano contro
il muro a circa tre metri di distanza.
«È
quello che succede a sfidare i superiori»
proseguì
quell’odiosa voce con sprezzo.
«Vai
via, Malfoy!» gli gridai sparandogli incontro il primo
incantesimo
che mi venne in mente. Lui lo parò con facilità e
reagì con tanta
prontezza che riuscii a malapena a schivare.
Ricominciarono
a serrarmi da vicino, diverse volte riuscii a salvarmi per puro
miracolo, ed ero talmente preoccupata a coprire anche Remus che
più
di una volta rischiai di espormi.
«Chiama
il ritratto!» urlai a Remus parando l’ennesima
fattura: ero più
che certa che se non fosse arrivato qualcuno in tempi brevi avrei
perso, e non mi sarebbe piaciuto.
Udii
Remus parlare concitatamente alla cornice, ma ero troppo concentrata
sul “duello” per capire cosa stesse dicendo, o se
c’era
qualcuno a rispondergli.
Ero
distrutta, e sentivo i miei riflessi rallentare penosamente. Loro
sorridevano tutti: stavano giocando con noi, si
divertivano
dei nostri tentativi ed attaccavano uno alla volta, come a sfidarmi a
capire verso dove avrei dovuto puntare lo Scudo la volta successiva.
Remus riprese possesso della sua bacchetta e ricominciò ad
aiutarmi,
ma anche lui era chiaramente provato.
Poco
dopo una fattura di Malfoy aggirò le mie barriere e mi
scaraventò
contro il muro, facendomi sbattere la testa e cadere.
Nel
mio cervello confuso c’era solo la certezza che dovevo
rialzarmi e
continuare ad evocare scudi, ma il mio fisico si rifiutava di
obbedire e in ogni caso non trovavo la bacchetta.
«Lo
vedi, Sanguesporco?» soffiò una voce suadente nel
mio orecchio.
«Mai sfidare i superiori.»
In
qualche modo riuscii a ritrovare il controllo delle mie braccia e gli
tirai uno schiaffo. In realtà avevo tanta poca forza che fu
poco più
che una carezza, ma non mi tagliavo le unghie da un po’ e
quindi lo
graffiai.
Lo
udii imprecare e sorrisi per un attimo, ma poi una forza violenta mi
artigliò alla gola, soffocandomi e terrorizzandomi. La presa
si
strinse ed io cominciai a boccheggiare, cercando invano di inviare
aria ai polmoni, ma la gola era bloccata, dovevo assolutamente
respirare o sarei morta.
La
vista mi stava scemando, ma mi accorsi che osservavo la scena da una
strana prospettiva: ero più in alto di Malfoy e compagnia,
Remus era
ai miei piedi, apparentemente svenuto, e, in uno sforzo di
concentrazione, mi accorsi che la mia schiena poggiava contro
qualcosa di duro.
Tuttavia
il mio cervello era troppo affamato di ossigeno per permettermi di
elaborare quelle informazioni. Soffocavo sempre di più, ero
terrorizzata e non riuscivo a trovare un appiglio.
Stavo
per svenire quando udii una voce gridare: «Petrificus
Totalus!»
La
morsa attorno alla mia gola svanì quasi
all’istante, e io scivolai
lungo una superficie dura per atterrare, o meglio cadere, vicino a
Remus.
Ansimavo
pesantemente, cercando di recuperare aria, ma avevo ancora i muscoli
percorsi da spasmi e la gola che mi bruciava come se avessi ingoiato
un ferro incandescente. Dopo qualche profondo respiro il mio cervello
tornò in attività e riprese ad analizzare
lentamente la situazione:
Remus era a pochi centimetri da me, sanguinava da un taglio sopra il
sopracciglio destro e sembrava incosciente, ma respirava. Gli
cominciai a tamponare il taglio, quando uno scoppio mi fece girare di
scatto: i Serpeverde mi davano le spalle, concentrati su due piccole
figure di fronte a loro intente, a quanto sembrava, ad una sorta di
danza fatta di capriole e flessioni. Uno sguardo più attento
ed una
messa a fuoco migliore mi informò che le due figure erano
Potter e
Black che si stavano esibendo in uno spettacolare numero di acrobazie
per evitare gli incantesimi degli altri… tre? Due? Come mai
solo
due?
Uno
di quei due si voltò e lanciò un incantesimo poco
distante da me,
facendo rinvenire due figure rigide che poco prima non avevo notato.
In
un angolo ce n’era anche una terza che identificai come la
Tassorosso, pietrificata e con gli incisivi mostruosamente lunghi.
Un
secondo scoppio, più forte del primo, richiamò la
mia attenzione
sui contendenti: Malfoy, che si era appena rialzato, si stava facendo
avanti con l’espressione furente ed i capelli scomposti, la
bacchetta minacciosamente alzata ed i gesti rigidi.
Se
Potter e Black, com’era evidente, non conoscevano
l’incantesimo
di Scudo, erano nei guai.
Mi
guardai freneticamente attorno e finalmente trovai la mia bacchetta.
Gattonai fino a prenderla ed urlai: «Protego!»
nello stesso
istante in cui Malfoy muoveva bruscamente la bacchetta come una
frusta.
Il
mio incantesimo arrivò prima, slanciato fra i due
schieramenti,
facendo apparire uno scintillante muro semi-trasparente e parando,
almeno in parte, la fattura di Malfoy. Sia Potter che Black
barcollarono fin quasi a cadere, ma riuscirono a restare in piedi.
Gli sguardi di tutti si calamitarono su di me: i Serpeverde erano
stupiti e furiosi, Potter e Black sembravano solo colti di sorpresa.
Ma
in quel momento non mi importava: mi sentivo nuovamente
sull’orlo
dello svenimento, sembrava che l’incantesimo si stesse
alimentando
della mia stessa forza vitale, lasciandomi sempre più
esausta.
I
miei compagni di Casa comunque si ripresero più velocemente
e
corsero raso muro verso di me prima che i Serpeverde, ancora
scioccati, potessero reagire.
Io
ero praticamente sdraiata per terra e tenevo la bacchetta con
entrambe le mani. Potter e Black mi raggiunsero poco prima che io
capitolassi e ritraessi lo Scudo. Le ginocchia mi cedettero, e se
Potter non mi avesse afferrato da sotto le ascelle mi sarei spalmata
a pelle d’orso sul pavimento.
«Tutto
bene, Evans?» mi chiese aiutandomi ad alzarmi.
Io
annuii col fiatone e riuscii a dire: «La formula
è… Protego…»
Lui
annuì e mi buttò a terra quasi nello stesso
secondo, mentre un
incantesimo volava sopra la mia testa. Black era alla mia sinistra ed
aveva i denti scoperti in uno strano sorriso mentre, con perfetta
incoscienza, continuava a lanciare incantesimi contro gli altri.
Formavamo
una sorta di barriera fra i Serpeverde e Remus, e io mi costrinsi a
riprendermi per evocare un nuovo Scudo, visto che né Potter
né
Black ci avevano mai provato ed era improbabile che ci riuscissero al
primo colpo. Io stessa ci avevo messo quasi due mesi per impararlo
correttamente, e solo perché io e Severus ci eravamo
spalleggiati
fin dall’inizio.
«Protego!»
ordinai fiaccamente alla mia bacchetta, radunando ogni brandello di
potere rimasto in mio possesso nel sorreggere l’incantesimo.
Potter
mi aiutò a restare in piedi, quasi prendendomi in braccio,
mentre
Black scagliava gli incantesimi più fantasiosi da dove si
trovava.
Io
potei soltanto ringraziare il cielo che solo Malfoy fosse del sesto
anno: sembrava l’unico dotato di una certa intelligenza, gli
altri
erano solo molto grossi e molto arrabbiati. Se avessero conosciuto le
stesse fatture che Malfoy si stava decidendo ad usare contro di noi
saremmo quantomeno finiti male, e saremmo finiti anche peggio se
Malfoy le avesse usate dall’inizio.
«Tranquilli!»
urlò una voce dietro di me. «Stanno arrivando,
tenete duro!»
Io
mi girai appena per capire chi aveva parlato e vidi il ritratto di
una signora di mezza età sbracciarsi. Annuii e detti nuova
forza
all’incantesimo, ravvivata dalla speranza di aiuti in arrivo.
Raddrizzai anche le spalle mentre una scarica di adrenalina mi
inondava le vene.
«Brava
Evans!» commentò Potter vicino al mio orecchio
allentando la presa
e riprendendo a scagliare fatture.
Fu
quando ricominciai a cedere che udii una voce urlare
dall’altra
parte della stanza: «Stupeficium!»
Il
lampo rosso colpì Malfoy in pieno petto facendolo
collassare. Un
secondo incantesimo bloccò il ragazzo grosso e prima che
potessero
reagire un terzo ragazzo era tenuto fermo da grosse corde.
Debbie
era arrivata e teneva sotto tiro l’ultimo Serpeverde,
disarmato.
«Signorina
Meadowes!» esplose una voce dietro di lei. «Lo sa
che non è
permesso praticare incantesimi nei corridoi!» Era arriva la
professoressa McGranitt.
Debbie
non abbassava la bacchetta. «Gli ho ordinato di
fermarsi» ribatté
impassibile. «Quando non l’hanno fatto mi sono
ritenuta
autorizzata ad intervenire.»
La
professoressa la guardò seccata a non disse niente. Il suo
sguardo
abbracciò invece tutta la scena: ebbe
un’esclamazione sorpresa
quando vide la Tassorosso per terra e il Serpeverde legato, strinse
le labbra a vedere Malfoy schiantato e l’altro pietrificato,
poi il
suo sguardo andò a me, nuovamente aggrappata a Potter, a
Black,
ancora con la bacchetta alzata, ed a Remus, che cominciava a muoversi
solo in quel momento.
«Violet!»
abbaiò alla fine. «Si può sapere
cos’è successo qui?»
«È
semplice, Minerva» ribatté il quadro animatamente.
«Ero uscita
dalla mia cornice per fare una visita al ritratto del monaco ubriaco
– è un po’ giù in questo
periodo – quando ho sentito gridare
aiuto da questo quadro ed ho visto quel simpatico ragazzo»
accennò
a Remus, «barcollante ed in difficoltà chiedermi
di andare a
chiamare aiuto mentre l’altra ragazza» mi
indicò, «evocava uno
Scudo.» Scoccò un’occhiata sprezzante ai
Serpeverde.
«Naturalmente ho capito subito che era una situazione
d’emergenza
e che dovevo cercare qualcuno, perciò sono uscita e non
appena ho
visto Debbie» le fece l’occhiolino,
«l’ho subito informata e
lei è accorsa, e lo stesso è successo con lei
poco dopo, Minerva.
Quando sono ritornata si erano aggiunti anche quei due
ragazzi»
accennò a Potter e Black, «lui»
indicò Remus, «era a terra e
sanguinava e anche la ragazza era debole, anche se cercava di tenere
su lo Scudo. Loro due stavano evitando le maledizioni come potevano,
poveri cari. Poi è arrivata Debbie e li ha colti di
sorpresa, ha
schiantato Malfoy, pietrificato Selwyn e incatenato Dolohov; Rowle
invece l’ha solo disarmato.»
«Rowle
è del terzo anno» si giustificò Debbie
a mezza voce.
La
professoressa la ignorò e ci guardò severamente.
«È quello che è
successo?»
Io
annuii stancamente e stavo per cominciare a raccontare quando Potter
mi strinse più forte in vita e dichiarò:
«Professoressa, credo sia
meglio se io e Sirius portiamo Evans e Lupin in Infermeria. Possono
rispondere più tardi.»
Black
si unì subito su quella scia e persino Debbie
sembrò d’accordo.
Io volevo protestare, ma Potter mi pizzicò il braccio e, per
qualche
motivo che a posteriori non seppi spiegarmi, tacqui.
«Anche
lei dovrebbe andare in Infermeria» osservò Remus
indicando la
Tassorosso.
«A
lei ci penseremo io e la signorina Meadowes fra poco, quando avremo
finito con questi qui» rispose la McGranitt guardando truce i
Serpeverde. Malfoy si era appena ripreso e ci stava fissando con
quello sguardo con cui si informa un uomo di essersi fatto un nemico
mortale, e continuò a fissarci fino a quando non fummo fuori
dalla
sua vista.
ANGOLO
AUTRICE
-
Mi sta tanto che il cu** di Harry era ereditario u.u
-
Buongiorno, duchessa -.-
Bene,
dopo questo scambio di finesse posso augurare
buonsalve a
tutti i presenti. Senz’altro potrei trovare un’altra
volta un
sacco di cose da dire tutte insieme, ma francamente non mi
va, mi
sono stufata e quindi se c’è
qualcosa che non torno la
cercherò nei prossimi capitoli o la accannerò,
come dicono dalle
parti mie.
L’unico
appunto forse è che i Serpeverde dovrebbero imparare a
mettersi un
palo o almeno una sentinella per avvisarli quando arriva qualcuno, ma
sarebbe fuori contesto. E in fondo quando vai appositamente in un
corridoio segreto non è che ti aspetti che improvvisamente
ci piombi
tutto il mondo giusto per guastarti le uova nel paniere, no? No. O
almeno, secondo me no. Non quando ci si sente molto sicuri di
sé.
Ah,
il Lexicon dice che Lucius Malfoy è del
‘54, quindi in
teoria dovrebbe avere 17 anni (siamo ancora nel ‘71).
Ciò
nonostante, è al sesto anno, avendo cominciato la scuola nel
’65.
Non
saltatemi addosso perché sono riusciti a cavarsela, non
sarà sempre
così e ho cominciato a inserire le mie motivazioni in mezzo
al
capitolo (sì, se cercate ci sono u.u) e verranno ampliate
leggermente nel prossimo. E poi, per quanto questo sia il film (in
questo preciso secondo non ho sottomano il libro e non posso
controllare se c’era anche lì -.-), li caro
Lucius, parlando con
Harry, dichiara “Anche i tuoi genitori erano degli stupidi
ficcanaso”. Diciamo che ho deciso di dargli motivo di
pensarla
così.
Il
capitolo inizialmente era più lungo e comprendeva questo e
il
prossimo, ma siccome preferisco non superare un dato numero di pagine
ho preferito spezzare a metà e farne due più
brevi. Anche perché
erano legati di fatto solo dal “panlogos” iniziale
-.-
Comunque,
la vicenda riprenderà nel prossimo capitolo. Riusciranno i
nostri
eroi a… ehm, no, sbagliato formula u.u
Alla
prossima, gente, vi lascio nelle capaci mani di mia sorella,
salutatela da parte mia ;p
ANGOLO
PUBBLICANTE
Salve
a tutti!
Per
prima cosa vi volevo augurare un bel BUON NATALE in ritardo, condito
da un più probabile Buon Anno.
Non
ho molte cose da dire, e soprattutto devo scappare a fare i compiti
delle vacanze, dato che domani la scuola ricomincia -.-
Prima di tutto
però, volevo fare una piiiicola richiesta a mia sorelle:
Sil, se mai leggerai queste mie parole, aiutami! Puoi fare i titoli un
po' più corti?? Questo non mi entrava nell'immagine e ho
dovuto modificare la S con Paint, rendendo il tutto un vero schifo -.-
GRAZIE!
Passiamo
quindi a rispondere subito alle vostre recensioni!
Allora:
-
A BabbaNatala (malandrina4ever): tu non sei Babba Natala?
Questo spiega come mai quest'anno mi sono arrivati solo libri -.-
*O* quando uno anche senza
aver studiato prende un voto più che decente, è
un cosa PIU' che meritata! È un dovere pubblico!
Perché se uno riesce a cavarsela senza sapere niente, o
è un genio o ha un culo pazzesco.
Sono a corto di cereali
Cheros... e dato che Lily è il personaggio principale...
accettano anche gli Special? Sono l'unica cosa che posseggo al momento
^^'
Come puoi ben vedere, appena
udita la minaccia, Sirius si ferma. Ci tiene alla sua faccia xD
-
A 9Anny7: Renato Zero?? Povero Piton!
Lo sono che sono quasi uguali... ma, non se lo merita! Grazie mille e
alla prossima!
-
A S_marti_es: brillante deduzione
collega! Io sono riuscita a fare fuori un'epifite! Ma io dico, non
hanno bisogno di NIENTE se non di un po' d'acqua spruzzata col
nebulizzatore una volta a settimana, ma IO ci sono riuscita lo stesso
-.-
Tranquilla, JvsL ci
sarà per taaaaanto tempo! Per non parlare di JeSvsP xD
Buon anno anche a te!
-
A mimmyna: grazie mille! Dopotutto
James e Sirius sono quasi come fratelli! È abbastanza ovvio
che si intendano così tanto da completarsi a vicenda!
Buon anno anche a te!
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 5 - Scacchi e Svenimenti ***
Prima
parte: I
anno
Capitolo
5 –
Scacchi e Svenimenti
«Accidenti,
questo sì che è stato un bello
scontro!» commentò Potter ridendo
non appena uscimmo dal corridoio, dando un cinque a Black.
Io
lo guardai incredula. «Stai scherzando, vero? Per poco non ci
ammazzavano!»
«Oh,
no, avevamo quel tuo fichissimo Scudo che ci proteggeva»
ribatté
lui sogghignando.
«Quel
mio “fichissimo” Scudo non è contro le
maledizioni, e infatti
per poco non morivo soffocata!»
«Comunque»
intervenne Remus a voce alta per zittirci, «come avete fatto
voi due
a trovarci?»
«Oh,
stavamo attraversando un passaggio che avevamo trovato qualche tempo
fa che portava a quel corridoio e quando abbiamo sentito degli scoppi
abbiamo deciso di andare a vedere» rispose Black con una
scrollata
di spalle.
«Quando
siamo arrivati abbiamo visto quattro Serpeverde che ci davano le
spalle e quello platinato con la bacchetta alzata verso Evans che era
appesa al muro e si stava contorcendo» proseguì
Potter. «A
proposito, non te l’ha mai detto nessuno che è
meglio stare fermi
quando ti stanno strangolando?» aggiunse rivolgendosi a me.
Per
poco non gli tirai un schiaffo. «Sai, non ero proprio nelle
condizioni ideali per pensare» ribattei
piccata.
Lui
aprì la bocca, ma Remus fu più veloce e chiese a
Black, che
sembrava divertirsi molto: «E poi? Cosa è
successo?»
«Be’,
li abbiamo colti di sorpresa, quindi James ha potuto pietrificare
Malfoy e io ho fatto lo stesso con Selwyn, perciò loro si
sono
rivoltati contro di noi e hanno cominciato a scagliarci fatture, poi
hanno liberato Malfoy e Selwyn e ce la stavamo vedendo brutta quando
Evans ha alzato uno Scudo fra noi e loro.»
Remus
mi guardò con le sopracciglia aggrottate. «Hai
evocato uno Scudo
fino a loro due?» mi chiese sorpreso.
Io
annuii.
«Ed
ha retto i colpi dei Serpeverde?» domandò sempre
più stupito.
Io
assentii nuovamente.
«Accidenti,
Lily» commentò lui. «Questa è
magia a livello dei G.U.F.O., se
non di più.»
Arrossii
per il complimento e Potter ridacchiò. Gli lanciai
un’occhiataccia
e lui si zittì, anche se continuava a sogghignare. Mi
staccai
bruscamente da lui.
«Mi
spieghi perché cavolo devi ridacchiare come una scimmia
ubriaca?»
Non riuscivo a capire perché, ma quel ragazzo riusciva ad
esasperarmi come pochi.
«Le
scimmie non si ubriacano» disse alla fine.
«E
tu che ne sai? E poi non cavillare! Se preferisci posso chiederti
perché cavolo ridacchi sempre come un demente, ho reso
meglio
l’idea?» Era strano, da parte mia, essere
così velenosa: di
solito facevo del mio meglio per sembrare cortese, come mi avevano
insegnato i miei genitori, ma in quel momento vedevo rosso.
«Più
o meno» ribatté lui. «Ridacchio come una
scimmia ubriaca – mi
piace di più questa immagine – perché
sto meglio se prendo le
cose alla leggera, contenta? E poi mi diverto: scontri del genere
interrompono la monotonia delle nostre giornate!»
«Già,
almeno potremo dire che non abbiamo sprecato il pomeriggio»
intervenne Black. «Una bella rissa con i Serpeverde
è un ottimo
metodo per colorare una giornata grigia. E poi dà
soddisfazione: non
hai idea di come mi sono sentito quando ho visto Malfoy e Selwyn
pietrificati, sapendo che eravamo stati noi…»
«Sì,
dev’essere una bella soddisfazione pietrificare il fidanzato
diciassettenne di tua cugina, vero?» commentò
Potter malizioso.
«L’hai
detto» confermò Black aiutando Remus a scendere le
scale. «E poi
ne siamo usciti bene, no? Nessuna punizione e nessuno è
rimasto
ferito.»
Io
mi schiarii rumorosamente la gola e indicai eloquentemente la fronte
di Remus, ancora sanguinante.
Black
cominciò a rispondere, ma Potter lo interruppe in un
irritante tono
conciliante: «Per questo, Evans, vi stiamo portando in
Infermeria.»
Lo
guardai con sguardo omicida. «Già, mi avevi quasi
fatto credere che
l’avessi fatto per noi. Posso capire Remus, ma io non ho
bisogno di
andare in Inferme…» Non riuscii nemmeno a
completare la frase: mi
si oscurò la vista e prima di toccare terra persi i sensi.
Quando
mi risvegliai ero sdraiata su un lettino e mi sembrava di avere un
riflettore puntato in faccia. Sbattei le palpebre un paio di volte e
mi accorsi che quella che mi era sembrata una luce accecante era solo
una tendina posta ai piedi della mia branda.
«Ah,
ti sei ripresa, allora» commentò una voce alla mia
destra.
Girai
la testa e vidi Remus, Potter e Black seduti sul lettino accanto al
mio, fissandomi con attenzione; Remus aveva una benda sulla fronte ed
era l’unico che non sorrideva. «Stai bene,
Lily?» mi chiese con
una certa ansia.
«Sto
benissimo» mentii io tirandomi su.
Con
un movimento tanto rapido che quasi non lo notai, Potter si
alzò e
mi respinse giù. «A cuccia, miss
Io-non-ho-bisogno-di-andare-in-Infermeria!» mi disse con un
sorriso
tanto stranamente affettuoso che mi venne spontaneo rispondere.
«Oh,
brava!» approvò lui. «Allora quella
serpe di Mocciosus non ti ha
completamente inacidito!»
Il
sorriso mi si spense come una lampadina fulminata. «Lascia in
pace
Severus» ringhiai. «Lui non ha fatto
niente!»
«Lui
è uno di loro» ribatté Potter
inappellabile. «Aspetta un paio
d’anni e poi ne riparliamo.»
«Tu
non lo conosci» sibilai io a denti stretti. «Non
hai idea di cosa
abbia passato, misuri tutto sul tuo metro, senza mai chiederti
perché
fa così, senza mai provare a capire…»
«Se
volevi farmi mettere nei panni di Mocciosus bastava dirlo,
Evans»
ribatté lui con un sorriso sornione. «Non devo far
altro che
evitare di lavarmi i capelli per qualche mese e starmene sempre
ingrugnito…»
Black
esplose in una risata uggiolante simile al latrato di un cane e io mi
incupii. «Ti credi così divertente,
Potter?» ringhiai sferzante.
«Vuoi
davvero saperlo? Sì!» rispose lui con perfetta
impudenza.
Io
rimasi spiazzata quasi un secondo, poi dissi con decisione:
«Be’,
non è così! Non si è mai divertenti
alle spalle degli altri!»
«E
questa dove l’hai letta? È il modo migliore,
invece!»
«Non
se quel qualcuno sei tu o i tuoi amici» replicai io in tono
definitivo.
Per
amor di pace, Remus intervenne nuovamente prima che Potter potesse
ribattere. «James, adesso basta! La stai facendo
stancare!»
Rimasi
quasi scioccata: da quando Remus chiamava Potter
“James”?!
Lui
mi guardò un secondo, poi tutta la sua animosità
parve sparire e
tornò a sorridere con vivacità. «Hai
ragione, Rem.» Sobbalzai.
Rem?! «Scusa, Evans, tu hai ragione e io
ho torto, Mocciosus
è un santo ed ha i capelli meravigliosamente
setosi.»
Black
scoppiò a ridere mentre io gli facevo una linguaccia.
«James,
nemmeno quegli occhi possono averti spinto a mentire
così!»
Anche
Potter rise. «No, qui sbagli, Sir: per quegli occhi mentirei
a mio
padre!»
Black
letteralmente ululò dalle risate, io arrossii furiosamente e
persino
Remus sorrise.
«Idiota!»
dissi, anche se non riuscii a trattenere un sorriso: nonostante
riuscissi a tenerlo sotto controllo, ero sensibile
all’adulazione e
mi piacevano i miei occhi; in effetti, erano l’unica parte di
me
che mi piacesse ancora, visto che stavo entrando in quella fase
d’età
in cui il proprio corpo è solo una brutta prigione.
Il
suo sorriso si allargò, ma riuscì, mordendosi la
lingua, a tacere.
«Comunque,
da quanto tempo sono qui?» dissi per sviare
l’argomento.
«Un
paio d’ore» mi rispose Black. «In
effetti, stavamo per andare a
cena.»
Mi
tirai lentamente su: il capogiro che mi aveva accolto da appena
sveglia si stava attenuando, e potei mettermi seduta senza effetti
collaterali, a parte quello di portare Potter a sedersi sul mio
lettino invece che su quello di Remus. Lo ignorai con quella che
sperai sembrasse dignità offesa e mi rivolsi a Remus:
«Cos’è
successo in queste due ore?»
«Niente
di particolare» rispose lui con una scrollata di spalle.
«A dir la
verità, siamo rimasti rinchiusi qui, visto che Madama
Challoner
temeva un ritorno di fiamma simile al tuo. Mi ha fasciato
perché
dice che i tagli da maledizione guariscono più in fretta se
sono
supportati da un riscontro fisico.» Alzò gli occhi
al cielo.
«Invece era più indecisa su cosa fare su te. A
essere onesto, lì
per lì ci siamo spaventati: un attimo prima stavi bene e
quello
dopo…»
«Eri
a terra come se un Bolide ti avesse colpito sulla nuca»
completò
Potter.
«Io
ero ancora un po’ rintronato da quell’incantesimo
che Malfoy o
chi per lui mi aveva lanciato» proseguì Remus come
se niente fosse,
«perciò sono stati James e Sirius a portarti fino
a qui. A Madama
Challoner stava per venire un colpo quando ti ha visto
così.»
«Ero
così terrificante?» domandai sinceramente
incuriosita.
«Be’,
no, non credo sia terrificante la
parola» rispose lui
pensoso. «Più che altro sembravi addormentata,
perché respiravi,
però eri pallidissima…»
«E
avevi il battito lento» specificò Potter.
«E
la bocca un po’ aperta» aggiunse Black.
«E
sembrava che ti avessero tagliato i fili, avevi le braccia che
penzolavano come se avessero voluto staccarsi»
precisò Potter col
suo solito tatto.
«Ero
svenuta» risposi ironica.
«Appunto»
continuò Remus imperturbabile. «Madama Challoner
ci ha fatto
raccontare tutto ed ha detto che probabilmente era dovuto ad un
qualche rigetto dell’incantesimo, o meglio del tuo fisico nei
confronti dell’incantesimo.»
«Più
o meno si era tenuto dentro troppa energia negativa che ha fatto
uscire solo a fatti finiti» si premurò di
spiegarmi Potter.
«Perciò
si è limitata a metterti sul lettino e farti bere a forza
una
pozione per controllare altri possibili effetti, ha dato un calmante
a me e James e si è occupata di Remus» concluse
Black. «In realtà
non ti sei persa niente. Non sappiamo nemmeno cosa faranno a Malfoy e
compagnia bella!»
«Lo
sapremo presto però» commentò Remus.
«Non credo che ci lasceranno
in pace per molto, vorranno la nostra versione dei fatti.»
«Quella
ragazza di Tassorosso…?» cominciai a chiedere io.
«È
già stata dimessa» rispose Remus.
«Più che altro ha subito un
grave shock psicologico, ma le hanno dato un filtro per calmarsi e
Madama Challoner le ha messo a posto i denti in un attimo.»
«Perché
le stavano facendo quello?» chiesi scontenta. «Cosa
gli aveva
fatto, si è saputo?»
Tutti
e tre scossero la testa.
«Probabilmente
volevano punirla per il sangue che le scorre nelle vene»
disse
Potter con disprezzo.
«Oppure
era al posto sbagliato al momento sbagliato, anche se ne
dubito»
disse Black alzando le spalle.
«Ah,
e Meadowes è venuta a vedere come stavamo circa
un’ora fa, e ci ha
chiesto di dirti che era incredibilmente orgogliosa di te»
specificò
puntigliosamente Remus.
Aggrottai
le sopracciglia. «Ma non ho cacciato tutti in un
pasticcio?»
«Si
è complimentata con tutti e quattro, in
realtà» raccontò Potter.
«Dice che ci siamo comportati da veri Grifondoro e che
dobbiamo
essere fieri di noi perché abbiamo tenuto testa a quattro
Serpeverde
più grandi. E quando ha saputo dell’incantesimo di
Scudo ha detto
che… be’, Remus ti ha già detto
cos’ha detto.»
«E
ha aggiunto che deve restare fra noi» puntualizzò
Black
ridacchiando. «La McGranitt non sarebbe contenta di nessuno
di noi
se lo sapesse, perché in ogni caso fare magie nei
corridoi è
proibito» citò con una voce
così simile a quella della nostra
insegnante che fece ridere tutti e tre.
«In
effetti siamo degli assoluti geni» disse compiaciuto Potter.
«Insomma, siamo usciti vincitori da uno scontro con degli
studenti
più grandi praticamente incolumi…»
Io
mi incupii di nuovo. «Non credo che la prossima volta
sarà così»
dissi pessimista. «Prima che arrivaste voi ci stavano
prendendo in
giro, non usavano incantesimi di grande potenza. In qualche modo,
volevano farci fiaccare prima di darci il colpo finale, stavano
giocando con noi come farebbe un gatto col topo. E dopo hanno avuto
troppo poco tempo per farlo.»
«Per
me siamo comunque dei geni» ribatté Potter.
«E non fare l’uccello
del malaugurio, Evans! Questa è l’influenza
nefasta di Mocciosus…»
«Guarda
che è grazie a Severus se ho imparato
l’incantesimo di Scudo!»
esclamai io. «Quindi dovresti essergli grato, visto che
è servito a
salvare tutti e quattro!»
«Io
sono d’accordo con Lily» intervenne Remus.
«Se avessero voluto
sconfiggerci subito avrebbero potuto farlo. Hanno semplicemente
commesso l’errore di usare una strategia di logoramento. Non
credo
lo faranno anche la prossima volta.»
Io
annuii. «In effetti ci siamo salvati solo perché
non pensavano che
sarebbe arrivato qualcuno e che quindi avrebbero avuto tutto il tempo
del mondo per coprire le loro tracce… Abbiamo nel complesso
avuto
una fortuna sfacciata.»
«Be’,
anche quella serve in uno scontro» commentò
placidamente Black
accomodandosi meglio. «Una parte di abilità, una
di imprudenza e
due di fortuna, ecco il segreto per vincere.»
«Un’ottima
ricetta, dottore» disse Potter. «La prego, mi
consentirà di
usarla?»
«Può
darsi. Ma voglio i diritti d’autore, e non mi
accontenterò di meno
del dieci percento su qualunque profitto tu possa avere da tali
regole.»
«Mostro!
Già cinque sarebbe un furto…»
«Insomma,
che sta succedendo qui?» Madama Challoner si avvicinava a
grandi
passi verso di noi accompagnata dalla professoressa McGranitt con
stampata in viso l’espressione più severa del suo
repertorio.
Noi
ci sedemmo immediatamente più composti.
«Signorina
Evans, lei dovrebbe essere a riposo, ora!» mi
sgridò madama
Challoner. «Il suo fisico ha subito uno sforzo tremendo e
deve
riprendersi.»
«Ma
io sto benissimo!» protestai. «Non mi gira neanche
la testa!»
Lei
mi ignorò e mi prese il polso con la sinistra, mentre con la
destra
versava un liquido fumante dall’aspetto poco invitante in un
calice.
«Beva»
mi ordinò spiccia mettendomelo in mano.
Io
lo guardai con palese disgusto. Non ho mai sopportato i medicinali,
faranno anche bene ma secondo me questo non giustifica il loro sapore
disgustoso.
«Beva
in fretta, signorina Evans!»
Io
mi morsi le labbra, poi avvicinai il calice alle labbra e bevvi tutto
d’un fiato. Aveva un sapore nauseante come il suo aspetto,
tanto
che in un primo momento temetti di dover rimettere. Cosa diavolo
c’era dentro quel beverone?
«Bene,
per questa notte lei resterà qui in Infermeria, preferisco
tenerla
sotto controllo.»
«Ma…»
cominciai a protestare io, ma stavolta a interrompermi fu la
McGranitt, che era rimasta a parlare con Remus. «Evans, se la
metà
di quello che mi sta dicendo il signor Lupin è vero lei
rimarrà
tassativamente in Infermeria questa notte. E lo stesso vale anche per
lei, signor Lupin, quindi non voglio sentir proteste.»
L’autorità
nella sua voce era tanto esplicita che dovetti capitolare, anche se
non mi andava per niente di restare in Infermeria tutta una notte
come un’agonizzante quando invece stavo benissimo.
Però non ero
ancora abbastanza sicura di me da riuscire a sfidare apertamente la
McGranitt, perciò mi riaccomodai sul lettino con
un’espressione
ribelle ed il forte desiderio che tutta la faccenda venisse messa a
tacere.
Ovviamente
non fu così. Anzi, nel breve arco di tempo che separava la
nostra
avventura dalla mattina dopo scoprii che aveva fatto il giro della
scuola.
Io
cercavo di schivare tutte le occhiate possibili che mi venivano
rivolte, restando per conto mio, con Severus o Remus.
In
realtà all’inizio fu difficile parlarne con Sev:
gli raccontai la
mia versione dei fatti, e lo vidi stringere le labbra e distogliere
lo sguardo. Mi aspettavo almeno un minimo di partecipazione, un
voltafaccia nei confronti di Malfoy, ma non quel silenzio.
Alla
fine intervenni bruscamente: «Sev, dì
qualcosa!»
Lui
sobbalzò e mi guardò quasi spaventato, ma
continuò a tacere.
Sospirai.
«Debbie mi ha parlato un po’ di Malfoy…
Sev, temo che tu ti stia
mettendo nei guai: non è una brava persona, anzi, potrebbe
spingerti
ad andare contro le regole, o…»
«E
allora?» mi interruppe lui senza guardarmi. «Tutti
vanno contro le
regole almeno un po’, non credo ci sia niente di
male…»
Lo
guardai incredula. «Sev, mi ha aggredito. Mi
stava
strozzando. Credi che non ci sia niente di
male?»
Mi
guardò implorante. «Forse non intendeva davvero
fare una cosa del
genere, magari era solo arrabbiato…»
«Tu
quando sei arrabbiato cerchi di uccidere le persone?»
ribattei io
impietosa.
«Non
ti avrebbe ucciso» disse lui debolmente.
«Forse… forse voleva
solo spaventarti…»
«E
con che diritto?» chiesi io retorica. «Non ho fatto
niente che
potesse giustificare il suo attacco…»
Lui
rimase in silenzio per un po’. «Lui… lui
ti stava davvero
strozzando?»
Io
annuii bruscamente.
Si
sedette al tavolo della Biblioteca, dove ci incontravamo da quando
stava diventando troppo freddo per poterci vedere fuori, sotto
l’albero, e si prese le tempie fra le mani.
Io
mi sedetti accanto a lui. «Che cosa c’è,
Sev?» domandai con una
dolcezza perfettamente in contrasto con l’asprezza di poco
prima.
Lui
alzò la testa per guardarmi, fece per parlare e ricadde
nuovamente
in un silenzio scoraggiato.
«Sev,
a me puoi dirlo, lo sai!» insistetti. Era da un po’
che avevo
l’impressione che Severus avesse qualche problema che mi
teneva
nascosto, ed ero decisissima a sapere cosa, visto che sembrava
causargli solo tristezza. «Magari posso
aiutarti…»
«No»
scattò lui guardando lo scaffale di fronte a sé.
«No, Lily, no.
Non è… tu non puoi capire» concluse
scoraggiato.
Trassi
un profondo sospiro. «Aiutami tu, allora» lo
incoraggiai
stringendogli una mano.
Stavolta
mi guardò, ma probabilmente fu peggio ancora: odiavo quello
sguardo
che recentemente aveva negli occhi, lo sguardo di un animale in
trappola senza via d’uscita. Ribollivo al pensiero che ero
impotente di fronte a quella specie di intima disperazione.
Lui
però scosse il capo e quando lo rialzò i suoi
occhi erano
nuovamente impenetrabili. «E Potter e Black,
allora?» mi disse
velenoso. «Loro vanno in giro sparando incantesimi che
neppure
conoscono contro le persone e nessuno gli dice niente.
Com’è che
invece Lucius è finito in punizione?»
Io
mi irrigidii nuovamente. «Potter e Black sono solo dei
bambini
deficienti, ma quello che ha fatto Malfoy non aveva niente a che
vedere con loro. Era Magia Oscura, ci scommetterei una mano! Sono
d’accordo che anche Potter e Black sono insopportabili, ma
non
usano la Magia Oscura.»
«Solo
perché non ne hanno le facoltà»
ribatté lui con un sogghigno.
«Non sarebbero capaci di usarla nemmeno…»
Lo
guardai incredula. «Ma loro non vorrebbero usarla! Tutto
quello che
fanno è un mucchio di confusione e basta, Malfoy ha
deliberatamente
attaccato me, Remus e Annis McMillian!»
«Tu
dici che è solo confusione, ma anche loro
“attaccano
deliberatamente” me e anche altri studenti, a quanto ho
visto…»
«Ma
non gli fanno del male» dissi io stancamente. «E
comunque non
stiamo parlando di quei due. Cosa cavolo c’entrano?»
«Niente»
rispose lui scontroso tornando a fissare la libreria.
«Non
fare così» gli dissi a metà fra
l’imperioso ed il supplice. «Se
ti chiudi non ti posso aiutare!»
Questo
lo fece sorridere appena. «Tu mi aiuti sempre»
disse a bassa voce.
Tornò a guardarmi, stavolta senza astio. «Mi hai
sempre aiutato,
non sai neanche quanto…»
Rimasi
nuovamente sorpresa, stavolta dalla nota carezzevole della sua voce.
«Sono la tua migliore amica, Sev, cosa
c’è di più naturale?»
«Niente.
Giochiamo a scacchi» disse con perfetta incoerenza.
Aggrottai
le sopracciglia. «E dove pensi di poter trovare una
scacchiera?»
Lui
sorrise, stavolta con malizia, e mi condusse in una grande stanza al
quinto piano, a cui si accedeva dal grosso quadro di cinque maghi
presi da una partita di scacchi, apparentemente poco usata, ma che
ospitava diverse scacchiere di diverse dimensioni.
«Che
posto è questo?»
Lui
mi portò avanti ed accese un braciere in un angolo con un
incantesimo. «Il vecchio circolo degli scacchi di
Hogwarts» mi
disse sedendosi ad una delle scacchiere più piccole.
«È in disuso
da anni, ma funziona ancora.»
«Come
l’hai trovato?» gli chiesi sedendomi di fronte a
lui.
Si
strinse nelle spalle. «Mi è stato detto dai
quadri» disse evasivo.
Poi
mi mostrò la scacchiera: sapevo giocare a scacchi, i miei mi
avevano
insegnato, ma non ero mai stata una campionessa. E poi quegli scacchi
mi confondevano. Tanto per cominciare, quando capii che avevano
volontà e pensiero indipendente quasi mi presi un colpo; e
poi
continuavano a darmi consigli contraddittori che mi facevano
solamente perdere la testa. Alla fine dovetti zittirli con un tonante
e quasi isterico: «Silenzio!» per riuscire a
riprendere una partita
degna di questo nome.
L’unico
danno era che cercare di battere Severus a scacchi era come cercare
di sfondare il muro di Berlino a testate: semplicemente impossibile.
C’erano delle cose in cui battere Severus era fuori
discussione, e
comprendevano la matematica, Difesa Contro le Arti Oscure e scacchi,
per elencare le principali. A suo svantaggio potrei dire che non
aveva molta fantasia, ma una logica schiacciante lo compensava
ampiamente: mentre io mi inventavo le strategie più
improbabili, lui
seguiva un suo schema mentale che lo portava in poco tempo dove
voleva arrivare, e cioè a farmi scacco. Non riuscivo neanche
a
restarci male, vista la spettacolarità di alcune sue mosse.
Presto
fare una seduta di scacchi tutti i giorni subito dopo pranzo divenne
quasi un rituale. Non sempre, mano a mano che diventavo più
brava,
finivamo le partite in quello spazio di tempo, ma in quel caso
riprendevamo il giorno dopo, visto che sembrava fossimo gli unici a
conoscere ed usare quella stanza. Era il nostro angolo privato,
quello dove né Malfoy, né Potter, né
Black, né Rowle né nessun
altro studente poteva disturbarci.
ANGOLO
AUTRICE
Sha…
Mi
sci piasciono tanto gli scacchi… **
Ma
questo non c’entra niente. *riprende il tono professionale*
Buonsalve
(quanto adoro questo saluto) a tutti, voi sfaticati che non avete
niente di meglio da fare in questo momento che leggere queste
idiozie. Sì, io vi vedo! A distanza di
diversi mesi, a essere
onesti, ma vi vedo… e quindi vi stringo
calorosamente la
mano e vi dico «Anch’io, signori,
anch’io…». Siamo colleghi
nella sfaticaggine. Almeno parlando per il mio presente che
è il
vostro passato, ma non perdiamoci nei meandri della
relatività del
tempo o anche il povero Einstain viene a farmi causa, e non mi va.
Forse
avrei fatto meglio a intitolarlo “Lily, lo scudo
umano!”. Ma in
fondo il primo motivo per cui Lily è stata introdotta dalla
Row è
che aveva fatto perfettamente da scudo al suo bambino, insomma la
conosciamo in funzione della sua qualità di scudo, quindi
scudi per
sempre WW!
Ok,
torno nel grigio mondo della realtà -.-
Anche
qui, niente da annotare che mi vada di annotare, quindi vi lascio in
pace dopo avervi porto i miei soliti saluti e ringraziamenti. A mia
sorella la palla, allora!
ANGOLO
PUBBLICANTE
Passi
la palla alla sorelle che non è degna di pubblicare il
capitolo...
Scusate veramente per il ritardo, ma nel rientro dalle vacanze i
professori si sono ricordati che il loro compito è fare
lezione
e non guardare il soffitto e quindi si sono messi a spiegare a tutto
spiano.
Scusatemi
ancora!
Allora,
dato che voi mi avete certamente perdonata, passerò ai
ringraziamenti.
Partiamo,
e concludiamo, con le persone che hanno recensito il chap:
-
A mymmina: sono molto contenta che
anche questo capitolo ti sia piaciuto e ringrazio anche per i
complimenti! Spero che anche questo ti soddisfi! Alla prossima!
-
A 9Anny7: mica pensavi fosse tutta
farina del suo sacco! Dopotutto, tale padre, tale figlio! Meno male che
le descrizioni andavano bene, perché a quanto mi pare di
aver capito sono sempre uno scoglio =D
-
A malandrina4ever: ti informo che domenica ho
parlato con la SSP e mi ha detto che hai il suo permesso di invadere il
mondo a patto che non diventi come Voldy e che ti ricordi di costruire
un obelisco viola per ogni città conquistata u.u
Santi siti dove
c'è gente volenterosa che pubblica le versioni di latino *O*
li LOVVO tantissimo! Anche se poi finisci col prendere 4 alle versioni
-.- Ma io ho inventato un modo originale! Le copi solo una volta ogni 2
frasi! Così c'è del tuo, ti sei sforzata et
voilà! =D
-
A ElleH: che bello, una nuova
lettrice! Benvenuta! Sono contenta che tu sia uscita dalla tua pigrizia
per scriverci quello che ne pensavi! E sopratutto perché
sono complimenti XD Spero che questo chap non ti faccia tornare nel
buio.
-
A S_marti_es: stai tranquilla che i JvsL
arriveranno a breve! Anche più accentuati di quanto non
siano qui! Mi fa piacere che lo scorso chap ti sia piaciuto e comprendo
che tu abbia visto solo James e Lily, dopotutto sono i protagonisti!
Tranquilla, come disse un vecchio saggio, è meglio vivere le
illusioni!
Grazie
a tutti e alla prossima!
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 6 - Voli Mentali e Materiali ***
Prima
parte: I
anno
Capitolo 6
– Voli Mentali
e Materiali
Pochi
giorni dopo la nostra piccola avventura apparve un annuncio nella
bacheca della Sala Comune che mandò in visibilio la maggior
parte
dei miei compagni: Mercoledì all’ultima
ora si terrà la prima
lezione di volo per gli studenti del primo anno.
Ad
essere onesta, anche io ero eccitata: avevo sempre adorato
l’idea
di volare, quando ero piccola ero capace di stare ore ed ore a
guardare stormi di uccelli per capire come facessero, per cercare di
indovinare quel meraviglioso senso di libertà…
Forse era per
questo che a ginnastica artistica il mio strumento assolutamente
preferito erano le parallele asimmetriche: avevo sempre
l’impressione
che il mio corpo non avesse peso, che potessi sollevarmi in aria da
un momento all’altro per volare via. Fino ad allora le
lezioni
erano state rimandate per causa maltempo, ma finalmente era arrivato
il momento.
E
poi erano tenute in concomitanza con i Serpeverde, quindi avrei avuto
anche un’altra occasione per stare con Severus!
Lui
però non sembrava molto entusiasta. Ci volle del bello e del
buono
(e tre spettacolari scacchi matti a mie spese) per fargli dire quale
fosse il problema.
Aveva
appena ordinato ai suoi pezzi di tornare ai loro posti quando io
affrontai la questione. Tutto ciò che fece, tuttavia, fu
stringere
le labbra in una linea sottilissima e distogliere lo sguardo. A quel
punto scattai. «Insomma, Sev, cosa c’è
di così grave nel volo?
Dev’essere una cosa meravigliosa, invece! Pensa a quando si
è in
aria, liberi da qualunque cosa! Senza nessun legame, senza niente di
niente che ti leghi a…»
«Non
voglio volare» brontolò lui a bassa voce.
Lo
guardai cercando di capire. «Vuoi dirmi
perché?» domandai con
garbo estremo.
Lui
prese la sua regina e cominciò a giocherellarci. Io non gli
misi
fretta, conoscendolo come lo conoscevo sapevo che insistere era
praticamente inutile. Perciò aspettai con tutta la
tranquillità di
cui ero capace che parlasse.
«Io
non so volare» buttò lì alla fine.
Quasi
risi per il sollievo. «Tutto qui? Neanch’io so
volare, se è per
questo…»
«Tu
non capisci!» L’urlo mi fece quasi
sobbalzare: Severus si era
alzato in piedi così di scatto che sia la sedia che la
scacchiera si
erano rovesciate. «Tu sarai brava, hai una grazia innata, sai
atterrare, sai già volare, io ti ho visto! Io invece
sarò
praticamente l’unico a non aver mai preso una scopa in mano,
se non
per spazzare!»
«Sev»
cominciai, «ci sono dozzine di figli di
Babb…»
«Sì,
ma io non sono fra loro!» sputò lui
muovendosi rabbiosamente su
e giù per l’aula. Poi si calmò
tutt’a un tratto e si prese la
testa fra le mani. «Non capisci, Lily…»
disse con voce
sepolcrale. «Io sono a Serpeverde, è scontato che
debba già
conoscere queste cose. So fare di tutto, finché riguarda la
mente…
ma volare… non ho mai provato in vita
mia…» Tacque un
attimo e riprese il suo andirivieni. «Devi capire che potrei
distruggere tutto» proseguì concitato
stropicciandosi le mani. «Io
non posso non essere già capace di fare
qualunque cosa!»
Mi
alzai anch’io e lo presi per le spalle. «Sev,
è normale non
essere capaci di fare tutto a questa vita» gli dissi con voce
rassicurante. «Guarda me: sono… abbastanza brava a
pozioni e poi
non mi ricordo il nome scientifico dell’aconito! Tu dici che
sarò
capace, ma non è assolutamente detto! Magari
cadrò a metà strada e
mi rovescerò…»
«Per
te sarebbe normale» ribatté lui pallido.
«Nessuno si aspetterebbe
che tu fossi capace, ma io…»
«Sev,
io e te abbiamo avuto gli stessi inizi!»
«Ma
non le stesse radici!» Ora stava di nuovo urlando.
«Mia madre era
una strega, Lily, e anche se mio padre è solo uno schifoso
Babbano
ubriacone, mia madre resta l’ultima discendente di una
famiglia
Purosangue antica di generazioni! Non è nemmeno pensabile
che
io non sia capace di fare qualcosa che riguardi la magia!»
«Sev,
ma guarda i miei compagni!» esclamai impaziente.
«Credi che persone
come Paciock, o Alice MacDougal, quanto a questo, riuscirebbero a
restare su una scopa per più di cinque secondi? E loro sono
Purosangue puri quanto i Malfoy!»
«Loro
sono a Grifondoro» soffiò lui sedendosi sul
davanzale di una delle
finestre.
Mi
sedetti accanto a lui. «E tu sei Serpeverde»
ribattei
tranquillamente. «Questo ti crea dei problemi?»
«Tu
non capisci» ripeté per l’ennesima
volta. «Per restare a galla,
devo saperlo fare. Punto, non ci sono storie.»
«Senti,
non è ancora detto che tu non sia capace»
obbiettai con molto
buonsenso. «E poi i principiante sono tutti uguali. Ho
sentito Avery
vantarsi di quanto è bravo su una scopa, ma dieci a uno sono
tutte
balle. E dovresti sentire Potter poi! Da far venire il voltastomaco.
Insomma, se sono queste le persone brave a volare, allora preferisco
non esserlo!» esclamai con decisione.
Lui
mi rivolse un mesto sorriso, ma durò solo un secondo.
«E se faccio
la figura dell’idiota?»
«Tu
non puoi fare la figura
dell’idiota» ribattei io
immediatamente. «Non con Peter Minus, Frank Paciock e Jane
Vane
nella stessa classe!»
Vane
era una mia compagna di classe, la persona più sciocca che
avessi
mai conosciuto (e ne avevo conosciute parecchie). Una definizione
azzeccata? “Oca Giuliva” sarebbe andata a
pennello…
Comunque
funzionò abbastanza da farlo smettere di tremare e fargli
nascere un
piccolo, riluttante sorriso. Incoraggiata, proseguii su quella
strada. «E poi magari scopriamo che invece sei un campione e
che
volare è tutta la tua vita» proseguii di buon
umore. «Come è
successo a me con la ginnastica artistica.»
«Mi
sarebbe piaciuto vederti» commentò lui
abbracciandosi le ginocchia.
Io
lasciai penzolare una gamba giù dal davanzale. «A
me piacerebbe
continuare» annuii. «Non so che darei per avere una
palestra qui…
credo che non avrei più niente da desiderare.»
Lui
rimase in silenzio.
Ne
parlai anche con Remus e, come al solito, lui non sembrò
né
entusiasta né terrorizzato. Guardava alla cosa con moderato
piacere,
ma non stava né martoriando le orecchie di tutta la sala
come Potter
né cadendo vittima di crisi isteriche come Severus.
Probabilmente
era per quello che mi piaceva.
Remus
era diverso.
Ci
avevo messo un po’ a capirlo, ma avevo scoperto che ero
tremendamente innamorata di lui, convintissima che fosse
l’amore
della mia vita e che non avrei mai potuto amare altri che lui, con
tutta la determinazione dei miei undici anni e della prima volta.
Cercavo di trattarlo da amica, perché in ogni caso preferivo
essere
amica che “fidanzata” dei ragazzi, ma non potevo
fare a meno di
godere di quella piacevolissima sensazione che mi ostinavo a chiamare
amore. Dal mio punto di vista, Remus aveva tutto ciò che
avrei
potuto chiedergli: era molto carino, con quei capelli biondo cenere e
gli occhi scuri, sognanti, intelligente, simpatico, tranquillo e
capace di mettermi a mio agio. Insomma, era perfetto. O almeno lo era
nella mia mente.
E
in qualche modo quel sentimento mi divertiva perché mi
piaceva
analizzarlo: lo comparavo più o meno inconsciamente con le
descrizioni che avevo letto nelle tonnellate di libri della
biblioteca dei miei genitori, cercavo punti d’accordo con i
grandi
amori della storia o della letteratura. A volte ero convinta che
fosse “più che amicizia, ma meno che amore; si
poteva definire
affetto” e l’attimo dopo mi beavo nella sensazione
di provare un
amore non corrisposto e senza speranza. Insomma, mi crogiolavo in
quella nuova sensazione che fino ad allora avevo conosciuto solo nei
libri.
Mi
convinsi che mi bastava vederlo per essere felice ed abbellii la mia
cotta infantile di tanti dettagli che a volte mi veniva voglia di
buttarla giù come racconto, anche se poi non lo feci mai.
Non vedevo
l’ora che arrivassero le vacanze di Natale per poterne
parlare con
i miei genitori.
La
lezione di volo arrivò troppo lentamente secondi i miei
gusti e
troppo velocemente secondo quelli di Severus.
La
professoressa Powell era una donna alta e secca, simile,
effettivamente, ad un manico di scopa, con un naso a punta modello
lapis e vestita completamente di color senape. Aveva una voce spiccia
e nasale, i suoi movimenti erano scatti e ci accolse senza neanche
presentarsi.
Il
gruppo di noi Grifondoro arrivò tutto insieme, i Serpeverde
erano
già lì ad aspettarci. C’erano due file
di manici di scopa
ordinatamente allineate l’una di fronte all’altra,
e tutti i
Serpeverde erano già accanto ad una. Io mi misi fra Remus e
Alice
MacDougal, di fronte a Severus, a cui rivolsi un sorriso
d’incoraggiamento che lui non ricambiò. Era un
po’ verdastro.
«A
sinistra del vostro manico di scopa, su!» sbraitò
l’insegnante
non appena arrivammo. «Be’, cosa state
lì a gingillarvi? Per
contare quante lentiggini avete, avete sbagliato corso, e ora a
sinistra della scopa!»
I
pochi ragazzi che erano rimasti indietro di affrettarono ad obbedire.
«Bene,
ora voglio che stendiate la mano destra sulla vostra scopa e diciate
‘su’ con tutta la decisione di cui siete capaci.
State ordinando
alla scopa di salire! Ora, avanti!»
Io
la guardai un secondo: sembrava perfettamente inanimata. Mi
ricredetti quando accanto a me Remus urlò:
«Su!» e quella si alzò
di un paio di centimetri, prima di ricadere.
Potter,
a sinistra di Remus, aveva già la scopa in mano e
l’espressione
molto soddisfatta.
Tornai
a guardare la mia scopa. Aveva detto tono imperioso, giusto?
«Su!»
ordinai seccamente, e con mio grande stupore quella filò su
a tutta
birra urtandomi dolorosamente il palmo aperto. La afferrai, ma ebbi
l’impressione di essermi rotta alcune falangi. Probabilmente
ero
stata troppo imperiosa. «Ahi!»
sussurrai prima di mordermi
le labbra, mentre mi salivano le lacrime agli occhi.
Di
fronte a me, Severus stava ancora combattendo con la sua scopa, che
sembrava divertirsi a rotolare per terra. Alla fine, esasperato,
urlò: «Su!» e quella salì, un
po’ debolmente, fino alla sua
mano.
Poco
distante, due ragazzi di Serpeverde erano riusciti a prenderla ma una
ragazza gridò: «SU!» con troppa veemenza
e si vide arrivare la
scopa sul naso.
Nascosi
un sorriso nella mano e mi guardai attorno. Alice MacDougal aveva
ancora la scopa saldamente piantata a terra e la stava supplicando.
«Prova…
prova ad usare un tono più deciso, fagli vedere chi
comanda» le
suggerii un po’ impacciata.
Lei
mi guardò con gratitudine e riprovò, riuscendo ad
afferrarla con la
punta delle dita. Ci scambiammo un sorriso.
«Bene,
ora che avete afferrato la scopa dovete imparare a tenerla. Non
vogliamo incidenti qui» sbraitò
l’insegnante passando in rassegna
tutta la scolaresca e correggendo le prese. La mia era abbastanza
corretta e non suscitò particolari commenti, e quella di Sev
anche.
«Ora
che avete imparato la presa giusta per la scopa, voglio che la
montiate. Non sedetevi troppo in fondo. Non vorrete scivolare a
terra!» Ci seguì attentamente mentre ci
posizionavamo e nuovamente
venne a correggerci. «Ora ricordate che per quanto la scopa
sia un
oggetto magico animato siete voi e nessun altro che comanda. Una
scopa riesce a capire quando siete indecisi o preoccupati e potrebbe
prendervi la mano. Perciò, state attenti e soprattutto siate
sicuri
di voi. Non correte alcun rischio.»
Ci
guardò tutti con occhi truce. Non so cos’avrei
dato per vederle
battere le palpebre.
«Bene.
Quando suonerò il fischietto, vi darete una spinta, forte,
per far
sollevare la scopa. Salite fino a circa un metro di altezza, le mani
ben salde sulla scopa, poi inclinatela in avanti e ritoccate terra.
Pronti? Al mio fischio, tre, due…»
Soffiò nel fischietto
d’argento che aveva legato al collo e tutti ci demmo una
spinta. La
mia fu un po’ troppo forte e mi innalzò sopra un
metro, ma bastò
inclinare appena la scopa per tornare giù.
Mi
sentivo estremamente frustrata: stavo per volare e non potevo fare
altro che stare ad un metro di altezza! Fosse dipeso da me sarei
già
partita per le nuvole…
Una
persona che sembrava avere la mia stessa idea era Potter, che
fregandosene dell’avvertimento era salito sopra di noi e
stava
svolazzando tranquillamente a cerchi concentrici sopra tutti noi.
Un
fischio della professoressa ci segnalò di scendere, e io
ritoccai
terra con profondo sconforto.
Accanto
a me, Alice MacDougal sembrava invece estremamente sollevata di avere
i piedi di nuovo saldamente a terra.
«Bene.
Questo è il primo esperimento per farvi capire cosa si
prova. Ora
potete sollevarvi a massimo due metri e coloro che se la sentono
possono muoversi un po’ intorno al giardino, restando
comunque a
portata di vista, di udito e di voce, chiaro? Al mio fischio,
tre, due…» Fischiò nuovamente.
Stavolta
mi detti una spinta più calibrata e raggiunsi velocemente i
due
metri. Potter era alla mia stessa altezza ed aveva già
virato, altri
due Serpeverde stavano per fare altrettanto ed il resto della classe
ci stava raggiungendo.
Un
venticello fresco mi scompigliava i capelli parlandomi di
libertà,
di velocità… come resistere a quel richiamo? E
poi aveva detto che
potevamo muoverci, se anche salivamo un po’ più su
di due metri
non moriva nessuno…
Inclinai
appena la scopa in su e quella immediatamente salì, come se
glielo
avessi ordinato. Trattenni un urlo di sorpresa e rafforzai la presa,
tenendomi in equilibrio. Dopo i primi secondi mi rilassai nuovamente
e sentii il mio cuore rallentare. Poi puntai dritta verso un angolo
del parco e la sentii accelerare. Sentivo i miei capelli muoversi
dietro di me e mi venne spontaneo sorridere. Come avevo fatto fino ad
allora senza quella inebriante sensazione di libertà?
Frenai
– non seppi neanche come avevo fatto – e mi guardai
indietro.
Severus non era imbranato come temeva, solo un po’ rigido.
Senz’altro era dovuto al fatto che era la prima volta. In
fondo
anche io avevo le dita talmente contratte che mi stavano cominciando
a fare male.
Remus
si stava sollevando con precauzione, allontanandosi dal mucchio per
aver maggiore libertà di movimento, ma sembrava stesse
più o meno
bene.
Frank
Paciock non era impacciato come sembrava di solito, però
teneva
entrambe le mani saldamente incollate alla scopa e sembrava
rifiutarsi di muoversi. Sotto di lui c’era Alice MacDougal,
pallida
come un lenzuolo.
Peter
Minus stava già ritornando a terra.
Controllai
di essere ancora saldamente a cavalcioni del manico e mi chinai
leggermente davanti per raggiungerlo. Dopotutto prima aveva
funzionato… funzionò: mi diressi con un sorriso
verso Severus. «È
meraviglioso, vero?» chiesi felice.
Lui
annuì, concentratissimo sul tenere la scopa in rotta.
«Allontaniamoci
da qui, c’è troppa gente, rischieremo di urtare
qualcuno»
proposi, e diressi la mia scopa verso il castello facendola
accelerare. C’era voluto poco a capire il meccanismo, non era
così
difficile, e poi … Dio, quanto amavo quella straordinaria
velocità.
Mi fermai a metà strada e mi volsi verso Severus, che mi
stava
raggiungendo un po’ più lentamente.
«È
diecimila volte meglio della bicicletta» gli dissi quando mi
raggiunse. «Verrebbe quasi voglia di non scendere
più…»
Un
brusco sobbalzo della scopa mi fece ingoiare le parole. Strinsi le
mani più forte sul manico, stupita. Ero perfettamente
immobile,
perché aveva scartato?
Anche
Severus aggrottò le sopracciglia. «Tutto a
posto?» chiese.
Io
annuii e stavo per rispondere quando lo fece di nuovo, solo che
più
violentemente. Era come se stesse cercando di disarcionarmi.
Cominciò
a sobbalzare con più frequenza, e io la guardai un
po’ stupita ed
un po’ spaventata: com’era che quella normalissima
scopa voleva
buttarmi giù?
«Devo
scendere» mormorai cercando di inclinare la scopa in avanti:
invano.
Non riuscivo più a sterzare. Mi dette un altro strattone e
cominciò
a salire. «Sev!» gridai mentre mi portava ancora
più su, dieci
metri, quindici metri…
Ero
terrorizzata, ma ancora lucida. La mia scopa stava cercando di
buttarmi giù. Quali potevano essere i lati positivi? Mi
spremetti le
meningi, ma non ne trovai neanche uno.
E
intanto la mia scopa mi aveva portato lontano dalla lezione, lontano
dai miei compagni, ora solo puntini neri su sfondo verde, e
continuava a darmi violenti scossoni, tanto che dovevo aggrapparmi
con tutte e due le mani per reggermi.
«Sev!»
urlai di nuovo, e in quel momento la mia scopa fece una capriola,
ribaltandomi e facendomi restare attaccata solo per una mano.
Concentrati,
mi dissi mentre il panico mi invadeva lo stomaco. Attacca
l’altra mano!
Fortuna
che avevo una presa salda… per l’ennesima volta mi
trovai a
ringraziare gli anni che avevo passato appesa alle parallele.
Afferrai
la scopa anche con l’altra mano, anche se quella per poco non
mi
sfuggì ricominciando ad agitarsi. Cosa diavolo stava
succedendo?
Sotto
di me si stavano radunando alcuni studenti. Forse si erano finalmente
accorti che avevo la scopa fuori controllo? Ma dov’era la
professoressa? Stavo per cadere, non volevo cadere, ero troppo in
alto, non sarei riuscita a tenermi ancora a lungo…
La
scopa mi dette un altro strattone e io mi ritrovai a fissare la
finestra del castello di fronte alla quale mi trovavo. Affacciato da
dietro, con gli occhi fissi su di me, c’era
un’inconfondibile
testa platinata completa di ghigno, nonostante continuasse a muovere
silenziosamente le labbra.
«Tu…»
sibilai mentre un nuovo scossone minacciava di buttarmi giù.
Bene,
dissi al ragazzo che mi stava fissando, è
la guerra che vuoi,
giusto?
Cominciai
a dondolarmi con le mani appese alla scopa per provare a tornare su.
Un esercizio elementare, provai a ripetermi, l’avevo fatto
centinaia di volte. No, non importava il fatto che fossi a quindici
metri d’altezza. No, non avrei lasciato la presa.
Stavo
per tornare nuovamente in sella quando la scopa fece una nuova
capriola, lasciandomi nuovamente appesa per un solo braccio e
facendomi urlare.
«Evans!»
gridò una voce sotto di me.
Coordinato
ai movimenti pazzi della mia scopa, sincronizzato come se stesse
eseguendo un balletto, c’era Potter, stavolta
senz’ombra di
spavalderia nel viso concentrato.
«Dammi
la mano!» mi incitò portandosi alla mia altezza.
Io
provai, ma la scopa dette un altro strattone che per poco non mi fece
cadere.
«Non
ce la faccio!» dissi portando nuovamente la mano al manico.
«Sì
che ce la fai, invece! Devi darmi la mano, subito!»
Io
provai di nuovo, ma non ce la facevo a lasciare andare. Non riuscivo
a fidarmi.
«Evans,
lasciati andare! Ti prometto che ti prendo!» mi disse, sempre
sincronizzato ai miei movimenti.
Io
mi morsi le labbra, ma un nuovo strattone mi fece alzare di diversi
metri. «Non posso!»
«Evans,
guardami!»
Mi
voltai verso di lui. I suoi occhi nocciola erano determinati,
sembravano bruciare.
«Lasciati
andare!»
Annuii
e mi dondolai, cercando di portarmi verso di lui.
«Perfetto!
Al momento in cui sei più vicina a me, lascia!»
Annuii
nuovamente ed eseguii chiudendo gli occhi per un secondo. Non so
neanche come, ma quando li riaprii ero sulla sua scopa,
miracolosamente sotto controllo.
Lo
strinsi in vita e ci mancò poco che cominciassi a piangere
sulla sua
spalla.
«Tranquilla»
mi disse lui mentre ricominciavamo a scendere. «É
tutto finito, sei
al sicuro.»
Mossi
la testa per segnalare che avevo capito. «Portami
giù, ti prego…»
La
professoressa stava arrivando in quel momento.
«Cos’è successo?»
sbraitò seguendoci nella discesa.
«La
mia scopa…» dissi io ancora ansimante.
«Ha cominciato a sbandare,
a salire… sembrava impazzita…»
«Da
quanto ne so io sembrava sotto malocchio» commentò
Potter
portandomi a terra con stile impeccabile ed aiutandomi a scendere.
Io
rimisi piede per terra e per poco non barcollai. Gli altri studenti
si stavano riunendo intorno a noi, i Grifondoro e Severus
preoccupatissimi, i Serpeverde leggermente annoiati. O divertiti, a
seconda dei casi. Serrai la mascella.
«Stai
bene, Lily?» mi chiese Severus prendendomi per le spalle e
scuotendomi.
«Lily,
tutto a posto?» La voce di Remus era insolitamente ansiosa.
Tutto
attorno a noi cresceva un mormorio discontinuo mentre si avvicinavano
sempre di più.
«Sto
bene…» risposi io incerta, cercando Potter con gli
occhi. «Non è
successo niente…» Incrociai alla fine il suo
sguardo. Era fuori
dal cerchio, con la professoressa, ma mi stava guardando ancora
leggermente ansioso. «Grazie» gli dissi a fior di
labbra, e lui
riprese a sorridere, spaccone.
La
professoressa annuì bruscamente e strepitò:
«Potter! Evans! Con
me, ora. Tutti gli altri devono tenere i piedi saldamente a terra.
Anzi, parlino col custode per le scope e vedano di tornare in fretta
nelle Sale Comuni. Subito, avanti!»
Io
mi mossi attraverso la massa, che si aprì in due ali per
farmi
spazio, e seguii la professoressa insieme a Potter, ancora
chiedendomi cosa altro avrei dovuto sopportare in quei primi mesi di
permanenza ad Hogwarts.
Lui
sembrava assolutamente tranquillo, sorrideva addirittura, ma sebbene
fosse un po’ irritante come atteggiamento non potevo
sottovalutare
che mi avesse appena salvato la vita.
ANGOLO
AUTRICE
Questa
povera ragazza avrà anche il cu… ehm, la fortuna
di suo
figlio ma c’ha pure la sua sfiga -.-
Tutte
a lei capitano…
Fortuna
che ci sta in giro qualcuno a soccorrerla, immagino…
Però
dopotutto è poco probabile che la lasciassero in pace dopo
“quello
che aveva fatto”, e se lei era tanto stupida da andare
lontano
dagli altri cacchi suoi u.u
Forse
dovrei ricordarmi che l’ho scritto io questo capitolo.
Sì, giusto.
Dunque,
la vicenda ovviamente continuerà nel prossimo capitolo,
anche questi
due erano legati, inizialmente, quindi lo stacco brusco
continuerà
in una ripresa altrettanto brusca.
Non
me ne vogliano le fan delle Lily/James, di cui io sono parte, ma
nella vita si amano più persone e pensare che avesse il suo
primo
amore a diciassette anni è un po’ utopico, quindi
per ora andiamo
nel platonico e sul sicuro col nostro lupacchiotto preferito. In
più,
quei due insieme come prima cotta mi ispirano. Non linciatemi!
E
rileggendo quello che ho appena scritto mi rendo conto che come
al
solito non ho detto niente che non potesse venir omesso con
la
solita, patetica scusa di voler partecipare un po’ a tutto
anche
come persona, oltre che come astratta autrice… ma
vabbè, immagino
di non poterci fare niente -.-
Tutto
quello che posso fare da qui dove sono ora quindi è
salutarvi,
mandarvi tanti baci e ringraziarvi personalmente (anche se non cito i
nick per non infrangere i diritti d’autore e lascio questa
sfida a
mia sorella u.u). Sì, ho capito, lascio spazio alle Cose
Davvero
Importanti, ossia gli autentici e personalissimi ringraziamenti.
Fuoco alle polveri, Mary…
ANGOLO
PUBBLICANTE
Buon
San Valentino a tutti! Auguri a tutte le Valentine presenti!
Scusate
per il mancato postamento di ieri, ma data la totale assenza di
compiti per oggi, ieri mi sono data alla pazza gioia :D Ma dato che
oggi è stata una giornata stupenda, non mi scalfirete con la
vostra
indignazione!
Spero
che voi stiate tutti bene!
Passiamo
ai ringraziamenti, l'unica cosa importante qui sotto:
-
A googletta: come odio le visite mediche
-.- Anzi, diciamo che odio i dottori in generale! Grazie mille per
l'immagine e buon per te sulla scuola -.-x2. Spero che anche questo
capitolo ti piaccia!
-
A malandrina4ever: … mi piacerebbe
rispondere alla tua recensione, ma ho un piccolo problema: a) mi sto
rotolando dalle risate sulla tastiera e quindi non posso scrivere
aesrahglkjshgapnut'ebvypawoiyvbiuyrbvicugyhvbaoiutyhoeiutvybseoitvy; b)
devo ancora capire alcuni passaggi O.o Sono comunque felice che il chap
ti sia piaciuto e che tu non voglia perdere il tuo naso u.u Pensa che
vita triste senza! Riguardo a James, diciamo che d'ora in poi ci
sarà quasi sempre ;-)
-
A ElleH: ringrazio anche te per
l'immagine ^^ mi fa sentire taaanto fiera di me stessa sapere che le
mie immagini sono apprezzate! Il fatto che ti sia piaciuto anche il
chap... è la ciliegina sulla torta! Spero che anche questo
ti piaccia!
-
A mimmyna: dopotutto Lily è
nata per essere uno scudo! Per
affinare la sua capacità ci deve pur aver messo un po' di
tempo, no? James e Sirius non si smentiscono mai :D
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 7 - Di Delusioni e Patti Mancati ***
Prima
parte: I
anno
Capitolo 7
– Di Delusioni
e Patti Mancati
«Grazie»
ripetei mentre la professoressa ci conduceva attraverso vari corridoi
e diverse scalinate.
Lui
sorrise. «Figurati. Ero ancora in debito di uno, ora siamo
pari…»
Aggrottai
appena la fronte. «Pensavo che con la storia di Malfoy
fossimo
pari…»
Lui
si strinse nelle spalle. «Tecnicamente tu dopo ci hai salvato
di
nuovo, piazzando quello scudo in mezzo e mettendoci
nell’imbarazzante
posizione di essere di nuovo in debito con te.»
Sorrisi
appena anch’io. «Comunque grazie» dissi
sincera. «Ho… davvero
avuto paura, prima.»
Lui
mi tirò un amichevole pugno sul braccio.
«Be’, è normale. Era la
prima volta, immagino, vero?»
Annuii.
«E
allora sei stata fin troppo brava. Un ragazzo che conosco si
è
schiantato a neppure due metri di altezza, e ci andava già
da un
po’. E la sua scopa non era neanche impazzita! Come hai fatto
a
reggerti?»
Io
arrossii appena. «Ho… vedi, esiste uno sport
babbano che io facevo
che mi ha… dato una presa più forte.
Quindi… riuscivo a restare
aggrappata.»
«Sei
stata molto brava» commentò lui. «Ti
stavo osservando, ti muovi
bene lassù. Come si chiama questo sport che dici?»
«Ginnastica
artistica» risposi io. Wow, era la prima conversazione civile
che
riuscivamo a tenere! «È meraviglioso, è
uno sport sia per maschi
che per femmine che utilizza diversi tipi di attrezzi per montarci
sopra delle coreografie… oh, dovresti vederle per capire,
alcune
sono spettacolari, sembra che gli atleti volino! Per esempio, i miei
attrezzi preferiti sono le parallele asimmetriche, sono due…
due
specie di aste messe ad altezze diverse per orizzontale, alle quali
si attaccano le atlete e… e si muovono. Non so come
descriverlo,
esistono tanti tipi di movimenti diversi, alcune sono giravolte,
altre salti mortali… dipende dal livello. Mi piacerebbe
farti
vedere alcune coreografie delle Olimpiadi… dei campionati
del
mondo» aggiunsi a mo’ di spiegazione di fronte al
suo sguardo
confuso. «Alcune sono… sono incredibili. Gli
atleti non sembrano
nemmeno umani.» Mi accorsi che avevo parlato a ruota libera
ed
arrossii, cercando di ricompormi. «E comunque ho visto che
anche tu
sei bravo! Come hai fatto ad accostare la mia scopa?»
Il
suo sorriso riacquistò l’aria spavalda.
«Be’, con modestia
parlando, credo che il Quidditch sia una delle cose che mi vengono
meglio al mondo.»
«Quidditch?»
ripetei io stupita.
«Godric,
Evans, dimenticavo che tu vieni dai Babbani! Certo
però… non
conoscere il Quidditch…»
«Cos’è?»
domandai interessata.
«Uno
sport… lo sport più meraviglioso del mondo, il
primo sport in
assoluto!» Gli brillavano gli occhi mentre cominciava a
spiegarmi:
«Ci sono due squadre di sette giocatori che si sfidano, ogni
squadra
ha tre Cacciatori, che si passano una palla grande rossa chiamata
“Pluffa”, due Battitori, che tengono lontani dagli
altri
giocatori due palle incaricate di buttarne giù
più possibile, i
Bolidi, un Portiere, che difende gli anelli in cui i Cacciatori
devono infilare la Pluffa, e un Cercatore, che è il ruolo
più
importante di tutti e uno dei più difficili. Il Cercatore
deve
trovare e acchiappare una pallina d’oro grande come una noce
chiamata…»
«Dentro,
ora!» lo interruppe la professoressa facendoci entrare in una
stanza
che non conoscevo, con diversi tavoli dentro e un armadio a muro di
lato. La vista della professoressa McGranitt seduta ad uno dei tavoli
con una penna in mano mi fece comprendere di trovarmi in Sala
Professori.
«Agatha!
Cos’è successo?» Guardò verso
di noi. «Evans? Potter?»
«Buongiorno,
professoressa» rispose Potter tranquillissimo sedendosi su
uno dei
tavoli e ricevendo due occhiate fulminanti.
«Scendi
subito da lì, Potter!» gli intimò la
McGranitt, e lui alzò le
mani in segno di resa tornando in piedi. Lei gli rivolse
un’ultima
occhiataccia prima di tornare a rivolgersi alla professoressa Powell.
«Cos’è successo? Cos’hanno
combinato?»
«La
scopa di Evans ha perso il controllo» rispose lei spiccia.
«Se non
fosse stato per Potter sarebbe caduta da circa quindici
metri.»
La
McGranitt sbiancò. In effetti, raccontato così
faceva impressione.
«C-cosa?» chiese, quasi certa di aver capito male.
«La
scopa di Evans è andata fuori controllo»
ripeté l’altra.
«Sbandava, si scuoteva e ad un certo punto ha persino fatto
una
capriola.» Fece una pausa e guardò eloquentemente
la professoressa
negli occhi. «E solo… un certo tipo di
incantesimi può far
sbandare una scopa.»
«Conosco
quel tipo di incantesimi, professoressa» dissi stancamente.
In
effetti, li avevo trovati in un interessante tomo chiamato Libro
Standard degli Incantesimi, ed avevo approfondito.
«Può
chiamarla tranquillamente “magia oscura” o
“malocchio” senza
mandarmi nel panico.»
Lei
mi guardò storto. «Benissimo» disse
acida. «La scopa è stata
chiaramente manomessa. Un malocchio di potenza considerevole,
considerato che le scope della scuola sono stregate apposta per
evitare questa eventualità. Dubito che uno
studente…»
«Forse
uno degli ultimi anni» buttò lì Potter
come per caso.
Gli
occhi di tutti si calamitarono su di lui. «Prego?»
chiese altera la
professoressa McGranitt.
Lui
si appoggiò a un banco e la guardò con aria
serafica. «Se non
sbaglio gli studenti degli ultimi anni possono diventare in grado di
compiere tali incantesimi» spiegò calmo.
«Dove
vorresti andare a parare, Potter?» domandò, ora
più attenta, la
professoressa McGranitt.
Lui
incrociò le braccia. Possibile che si fosse accorto di
ciò che io
avevo notato per caso? «Evans non è molto in buoni
rapporti con
alcuni studenti degli ultimi anni…»
spiegò vago.
Ma
non avrebbe potuto essere più esplicito. Era
verità nota ed
universalmente riconosciuta che la maggior parte dei Serpeverde
avesse giurato vendetta contro la sottoscritta, Remus, Potter e Black
per aver fatto mettere in punizione il loro capo.
La
McGranitt strinse le labbra ma non disse niente.
A
parlare fu la professoressa Powell.
«Potter…» Per la prima volta
la sua voce era incerta. Poi si voltò di scatto verso di me.
«Signorina Evans, lei ha visto niente?»
Perfetto,
e cosa le avrei dovuto dire, di grazia? Che avevo visto Malfoy
guardarmi maligno senza sbattere le palpebre e mormorando a bassa
voce qualcosa che certamente non era un augurio di tanta
felicità e
figli maschi?
A
giudicare dalla faccia di Potter avrei dovuto fare proprio
così.
«Io…» cominciai esitante. Sentirsi tre
paia d’occhi puntate su
di me non contribuì. Nessuno si era accorto che non ero
esattamente
tranquilla? Diamine, avevo appena rischiato di morire sfracellata! Il
mio errore fu incrociare lo sguardo di Potter. Era talmente
persuasivo che prima di essermene resa conto risposi:
«Sì. Ho visto
uno… studente… dietro la finestra del…
credo che fosse il terzo
o il quarto piano. Mi fissava e stava mormorando qualcosa.»
Alzai la
testa. «Non credo fosse un augurio di buon
Halloween.»
«Evans…»
La professoressa McGranitt sembrava stupefatta. «Se questo
è vero…
sarebbe un fatto molto grave! Sei riuscita a vedere chi
fosse?»
Ci
fu un altro attimo di esitazione. Alla fine optai per la
verità.
«Lucius Malfoy» risposi con un sospiro.
«Ma sono più che sicura
che smentirebbe e comincerebbe a dire che si trovava altrove.»
«Questo
è poco ma sicuro» rispose la McGranitt alzandosi e
cominciando a
muoversi su e giù per l’aula. «Ne sei
sicura, assolutamente
sicura?»
Sorrisi
appena. «Non è una persona che si confonda con
tanta facilità»
dissi soltanto.
«Potter?»
chiese la McGranitt voltandosi verso di lui.
Lo
guardai anch’io: aveva uno strano sorrisetto stampato in viso
e si
era nuovamente seduto sul banco. «Confermo,
professoressa» annuì.
«Fortunatamente la finestra non era a vetrata, ci si vedeva
attraverso benissimo, e quando sono arrivato Evans era esattamente
alla sua altezza. Lei conosce l’incantesimo, immagino: doveva
mantenere il contatto visivo, e lui non sbatteva neanche le
palpebre.»
Io
annuii per confermare.
La
professoressa riprese a camminare su e giù con
più veemenza di
prima. Alla fine, con un gesto brusco, si voltò verso il
caminetto e
buttò un po’ di polvere nel caminetto, facendovi
balenare delle
fiamme verdi. «Horace!» abbaiò facendomi
sobbalzare. «Vieni
subito, devo parlarti!»
E
con mio sommo stupore, dalle fiamme emerse la figura ben pasciuta del
professor Lumacorno, che dopo essersi scrollato la fuliggine di dosso
si guardò attorno e sorrise non appena mi vide.
«Lily! Che
bellissima sorpre…»
«La
scopa che la signorina Evans stava cavalcando è impazzita,
Horace»
gli comunicò freddamente la professoressa.
Lui
mi guardò inorridito. «Lily! Non ti sei fatta
niente, vero?»
«No,
professore, sto bene» risposi un po’ impacciata.
Dietro di me,
Potter sghignazzava alla grande.
«Abbiamo
motivo di pensare, Horace» disse la professoressa Powell,
«che
c’entri un tuo studente.»
Lui
le guardò sorpreso, non capendo – o fingendo di
non capire. «Un
mio… studente?» ripeté. «Come
può un mio studente…?»
«Nessuna
scopa impazzisce perché ne ha voglia, Horace!»
disse impaziente
l’insegnante di volo. «Serve una vasta conoscenza
della magia per
pronunciare un malocchio del genere!»
«Lo
so» ribatté lui. «Appunto!»
«Saprai
anche, immagino» intervenne la McGranitt, «che la
signorina Evans
non è… nelle grazie di alcuni tuoi studenti,
ultimamente.»
Lui
mi guardò e io abbassai lo sguardo, arrossendo.
Perché diavolo mi
sentivo colpevole anche quando non avevo fatto assolutamente niente?
La
discussione si protrasse per più tempo di quanto avessi
potuto
supporre: infatti, sebbene il professor Lumacorno fosse costernato
dalla notizia del mio quasi-incidente ed invocasse immediate
punizioni per il colpevole, stentava a credere che il suddetto
potesse essere Lucius Malfoy, con il quale aveva parlato
personalmente dopo il primo incidente e che, ne era sicuro, non si
sarebbe comportato più in modo così infantile. Io
già cominciavo a
rimpiangere di aver fatto il suo nome, visto che avevo anche
immaginato che comunque non avrebbe portato a niente, però
lì su
due piedi mi era sembrato giusto…
Alla
fine ci fecero andare, e la prima cosa che feci non appena fummo soli
fu chiedere a Potter: «Pensi che abbia fatto bene a
dirglielo?»
Ora, sarebbe opportuno notare che se io chiedevo
conferma di
qualcosa a James Potter la faccenda si era davvero
complicata.
Lui
tuttavia prese la cosa con la massima tranquillità
rispondendomi con
cristallina fermezza: «Sì.»
Mi
morsi le labbra. «Non credo che cambierà qualcosa,
e servirà solo
a far infuriare ancora di più Malfoy…»
«E
allora?» ribatté lui precedendomi.
«Varrebbe la pena averlo detto
solo per farlo…»
Io
alzai gli occhi al cielo e mi rifiutai di rispondere. Stava tornando
il James Potter che mi faceva urlare. E pensare che lo stavo
cominciando a trovare simpatico prima di entrare
nell’aula…
Guardai l’orologio.
«Accidenti,
sono già le cinque! Sono in ritardo!» esclamai
voltandomi di scatto
per tornare sui miei passi.
Lui
mi afferrò un polso facendomi girare. «Dove stai
andando, Evans?»
«Da
Severus» risposi io come se fosse ovvio. «Ci
incontriamo sempre nel
pomeriggio, sono già in ritardo…»
«E
credi che lui sia rimasto lì bel bello ad aspettare i tuoi
comodi?»
ribatté malignamente lui.
Lo
guardai con occhi di fuoco. «Al contrario di ciò
che succede a te,
signor Penso-Di-Essere-Davvero-Importante Potter, noi riusciamo a
trascorrere il tempo in modo proficuo anche senza stare a venti
centimetri di distanza! Sev mi avrà aspettato studiando o
leggendo,
o facendo qualunque altra cosa avesse voglia di fare in quel momento,
come sempre!»
«Sì,
come andare dietro Lucius Malfoy chiedendogli se aveva bisogno di un
fazzoletto da naso, offrendosi volontario.»
Strappai
la mano dalla sua stretta. «Non ti azzardare mai
più a dire una
cosa simile» soffiai, simile ad un gatto arrabbiato.
«Severus ne
vale dodici, di Lucius Malfoy.»
«Questo
lo dici tu! E non credo tu sia un giudice molto imparziale. Mi
piacciono i tuoi occhi quando sei arrabbiata!»
Lo
lasciai con quell’ultima, incoerente osservazione sulle
labbra,
schiumando di rabbia e cercando, con scarso successo, di
controllarmi. Non fosse stato per il fatto che non mi sembrava
corretto gli avrei tirato uno schiaffo. E cosa diavolo
c’entrava il
fatto che gli piacessero i miei occhi con tutto il resto?
Severus
(sia detto per inciso) non stava correndo dietro
Lucius
Malfoy, anzi stava sfogliando un libro di Difesa Contro le Arti
Oscure con aria estremamente interessata. Non appena mi vide,
comunque, alzò gli occhi e mi guardò
ansiosamente: «Lily! Tutto a
posto?»
Io
annuii, ancora furiosa, e mi sedetti di schianto sulla panca.
«Lo
odio!» esclamai con veemenza facendo sobbalzare diversi
studenti
attorno a me e guadagnandomi un’occhiataccia da parte della
bibliotecaria.
Severus
mi guardò come se temesse per la mia sanità
mentale. «Chi odi?»
«Potter!»
esplosi io.
«Silenzio,
insomma!» mi redarguì la bibliotecaria guardandomi
male.
«Quella
stupida, inutile, odiosa, pomposa, egocentrica ameba di
Potter!»
sibilai a voce più bassa.
Lui
mi guardò con un mezzo sorriso e poggiò il libro.
«Che ha fatto?»
mi chiese comprensivo.
Io
strinsi i pugni. «È…
è… non riesco neanche a dirlo! Oh,
perché
non l’ho picchiato?»
«Lily,
che ti ha fatto?» mi chiese lui più preoccupato.
«Fatto?»
ripetei. «Non mi ha fatto niente, se non
prendere in giro te
e me. Lo odio! È un ragazzino stupido, egoista e
viziato!»
Severus
mi consolò con molto entusiasmo ed uno strano sorriso sulle
labbra.
Sembrava che tutta la mia tirata lo compiacesse molto.
Andai
avanti per un bel po’ prima di accettare il fatto che stavo
facendo
una montagna di un granellino. Però non ne potevo
francamente più
di quel suo atteggiamento. Insomma, non poteva ignorarci e tanti
saluti?
Alla
fine presi di malavoglia il tema di Trasfigurazione che dovevo finire
e cercai di concentrarmi. In realtà metà della
mia testa era ancora
impegnata a lanciare insulti fra i più improbabili a
quell’essere
di dubbia provenienza umana comunemente noto come Potter
Odiosus,
ma non importa, riuscii a finirlo e rimasi anche abbastanza
soddisfatta del risultato. Severus continuò a leggere il
libro con
cui l’avevo trovato, mostrandomi ogni tanto alcuni
incantesimi che
pensava mi potessero interessare. Intorno alle sei e mezza, poco
prima della chiusura della biblioteca, andammo nella sala degli
scacchi per esercitarci con gli incantesimi.
Alle
sette andai da Remus ed ebbi l’improbabile quanto raro
piacere di
constatare che doveva ancora finire il tema di Trasfigurazione, lo
stesso che io avevo già finito. Mi
sentii molto importante:
io che finivo qualcosa prima di Remus? Non stava né in cielo
né in
terra.
«Ciao!»
mi salutò quando fui vicina.
«Ciao»
risposi io con un sorriso. «Sempre a studiare in mezzo a
questa
confusione?»
«Già»
confermò lui grattandosi il naso con la penna. «Ma
come ti ho già
detto in camera mia è impossibile e oggi non sono nemmeno
riuscito
ad andare in biblioteca…»
«Mi
pareva infatti di non averti visto» annuii sedendomi accanto
a lui.
«Serve una mano?» proposi.
Lui
mi guardò un po’ incerto. «Solo se ti
va» disse alla fine con
molta diplomazia.
Io
ovviamente accettai con un gran sorriso e trassi a me diversi libri.
Finì che riscrissi anche alcune parti del mio tema,
integrandone
altre che trovavo e confrontandomi con Remus. Sarebbe stata proprio
una sera perfetta, non fosse stato per il Potter Odiosus.
«Rem!
Che stai facendo?» Ma farsi gli affari suoi no, eh?
«Ancora
appresso a quei libri? Stacci ancora un po’ e ti verranno
lacrime
d’inchiostro! E lo stesso vale anche per te, Evans.»
Io
inarcai un sopracciglio – avevo imparato da poco a farlo e ne
andavo molto fiera – e stavo per dirgliene quattro quando
Remus
intervenne: «James, la consegna di questo tema è
per domani e non
sono riuscito a finirlo. Quindi devo farlo ora.»
«Oh,
era per questo che oggi pomeriggio dicevi che dovevi andare?»
Black
si appoggiò alla spalla di Potter guardandolo interrogativo.
«Esatto»
confermò Remus.
«Ci
dispiace Remus…» disse la vocetta sottile di Peter
Minus, sbucato
da una postazione ignota dietro altri due.
«No,
non ci dispiace affatto» ribatté Potter con un
gran sorriso. «Se
te li avessimo fatti fare oggi pomeriggio non li avresti potuto fare
con Evans, ed è tutto dire…»
Sia
io che Remus arrossimmo furiosamente mentre i tre ridacchiavano.
«I
vostri temi dove sono, invece?» chiesi
sarcastica.
Potter
e Black si strinsero nelle spalle. «Appariranno per domani
mattina»
promise Black. «In un modo o nell’altro.»
«Questa
mi piacerebbe vederla…» mormorai io in un
‘a parte’.
Potter
mi rivolse un falsissimo sorriso a trentadue denti. «Oh, la
vedrai,
Evans, la vedrai… o meglio, vedrai i risultati»
precisò con un
sorriso furbo. «Piuttosto, parlando di cose serie, vieni a
fare un
giro su un manico di scopa con me?»
Lo
guardai talmente esterrefatta che cominciò a ridere. Ero
più che
sicura di aver capito male. «Ti dispiacerebbe
ripetere?»
«No,
affatto. Vuoi venire a fare un giro su un manico di scopa con
me?»
Ok,
ora ero sicura che fosse impazzito. E la faccia sghignazzante di
Black lì accanto non contribuiva.
«Potter» dissi con calma
estrema. «Sei sicuro di sentirti bene? Non avverti strani
giramenti
di testa, vista offuscata e simili?»
«Oh,
per la vista offuscata mi basta fare questo»
ribatté
togliendosi gli occhiali. «Ma in generale no»
concluse
rimettendoseli.
«Potter»
ripresi io con la stessa calma con cui si parla ai malati di mente.
«I ragazzi del primo anno non hanno una scopa, e quelle della
scuola
sono sotto custodia.»
«Sto
limando i dettagli» ribatté lui. «Vieni,
allora?»
Rimasi
interdetta per un attimo. «Fai sul serio?» gli
chiesi incredula.
Sbuffò.
«Merlino, Evans, non era un’offerta così
difficile! La domanda
era molto precisa, bastava che rispondessi
‘sì’ o
‘no’!»
«No!»
esclamai io stupefatta. «Lo sai che non è
permesso! Sei
completamente impazzito?»
«No»
rispose lui tranquillissimo. «E ti ricordo che sei in debito
con me»
aggiunse con un mezzo ghigno.
Se
mi era rimasta in corpo un po’ di gratitudine per lui
evaporò
velocemente. «Sei tu che mi hai assicurato che eravamo alla
pari,
non più tardi di oggi pomeriggio» gli ricordai
gelida. «Soffri già
di demenza senile?»
«Io
no, ma tu evidentemente
sì» ribatté lui furbetto.
«Sbaglio o eri tu a sentirti in debito
non più tardi di oggi
pomeriggio?»
«Me
lo stai facendo passare molto in fretta» risposi io.
«E poi fra un
po’ è ora di cena, come la metteresti con questo
insignificantissimo dettaglio?»
«D’accordo,
basta così.» Remus si alzò in piedi e
si mise fra noi, una mano
sul petto di entrambi come per assicurarsi che non stessimo per
saltarci addosso. «James, l’offerta è
stata rifiutata. Lily, non
comportarti da bambina.»
«Non
mi sto comportando da bambina!» ribattei io offesissima.
«È lui
che se le tira per i capelli!»
«Incolpare
gli altri è sempre il primo sintomo del comportarsi da
bambina» mi
fece graziosamente presente il Potter Odiosus con
voce soave.
Mi
trattenni dal fargli una linguaccia e cercai una rispostaccia in
breve tempo. «E insistere su un argomento chiuso è
da muli»
risposi dopo una pausa infinitesimale.
«Questo…»
«Ragazzi,
Remus ha ragione, adesso basta.» Black guardò
Potter e me con un
sorrisetto. «Vi state comportando come una coppietta di
sposi.»
Per
la prima volta d’accordo, sia io che Potter cominciammo ad
andargli
contro in quarta fino a quando non intervenne nuovamente Remus
prendendomi per un braccio e rimettendomi a sedere accanto a lui.
«Sirius,
ti prego non mettertici anche tu! Mi bastano questi due» lo
pregò
stancamente Remus sedendosi accanto a me.
Io
lo guardai, ferita, e fu solo dopo che mi ebbe rivolto un discreto
occhiolino che ricominciai a valutare con razionalità la
situazione.
Perciò feci un respiro profondo e dissi con tutta la
diplomazia che
riuscii a trovare: «Grazie per la proposta, Potter,
preferirei di
no. Ti sono anche molto grata per ciò che hai fatto oggi
pomeriggio
e, se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti,
chiedimela. Se è
fattibile posso impegnarmi a farla. E mi dispiace esserti saltata
agli occhi, prima» aggiunsi computamente. Non riuscii
però a
trattenere un sorriso: se non riusciva a cogliere il lato comico di
tutto quel discorso allora non avevo davvero più speranze
per lui.
Invece
ridacchiò e mi disse con la stessa ironica
solennità: «Accetto le
tue scuse, Evans, e ti porgo le mie per aver fatto altrettanto.
Figurati, per oggi pomeriggio è stato un piacere, oltre ad
un’ottima
occasione per averti…»
Un’occhiataccia
congiunta mia e di Remus lo fece interrompere con un sorriso e
riprendere poco dopo: «… ripagata di un favore.
Cosa pensavate,
pervertiti? E per quanto riguarda il resto, figurati. Appena mi viene
in mente qualcosa che valga la pena farti fare sarai la
prima… o
forse è meglio dire la quarta, a saperlo.»
«Quindi
pace?» chiesi tendendogli la mano.
«Pace»
confermò lui stringendomela.
«Evviva,
tanti auguri e figli maschi!»
«Sirius!»
«Black!»
«Che
c’è?» chiese lui in risposta alle nostre
facce furibonde. A
essere onesti, Potter aveva ripreso a ridere come la solita scimmia
ubriaca, ma io avrei tanto voluto staccargli il naso a morsi. No, non
esattamente questo, ma come vena violenta ero su quella strada.
Cercai
di controllarmi nuovamente: non volevo davvero passare
per una
bambina litigiosa davanti a Remus. E comunque avevamo dimostrato che
un compromesso era raggiungibile. Il barlume di un’idea mi si
affacciò nella mente. «È negoziabile
una tregua?» chiesi
guardando alternamente Potter e Black.
Si
sedettero entrambi di fronte a me. «I termini?»
Anche
Peter Minus si avvicinò di più e si
accucciò vicino al tavolo,
visto che le sedie erano finite. «Peter, se preferisci
sederti qui…»
gli indicai la mia sedia.
Lui
arrossì con violenza e cominciò a balbettare
penosamente: «N-no,
n-non è as-solutamente ne-ecessario…»
«Insomma,
Pete! Faresti alzare una ragazza?» gli chiese Black con una
finta
severità che evidentemente non venne colta come tale, visto
che lo
sprofondò in nuove crisi di imbarazzo.
Gli
rivolsi un’occhiataccia e tornai a guardare Peter.
«Guarda, io
preferisco restare in piedi.» E glielo dimostrai alzandomi.
«I
termini?» ripeté Potter con l’aria di
non aver seguito una parola
dello scambio appena avvenuto.
Feci
mente locale mentre appoggiavo le mani sul tavolo. «Ripartire
da
zero» dissi dopo un po’. «Non abbiamo
più debiti gli uni verso
gli altri, non ci sono conti in sospeso e quindi possiamo riprendere
a trattarci civilmente, e…»
«Ci
sto!» disse subito Potter senza neanche lasciarmi finire.
Lo
guardai con un sorriso tanto falso quanto scintillante, lieta che
avesse abboccato così in fretta.
«Sicuro?»
«Certo!»
ribatté lui poggiandosi allo schienale.
«Black?»
domandai io volgendomi verso di lui.
Mi
guardò con una certa diffidenza, ma disse: «Si
può fare.»
«È
la vostra risposta definitiva? Promesso?»
«Sì,
Evans, sì» mi rispose Potter spazientito.
«È la quinta volta che
ce lo chiedi!»
«Bene!»
conclusi io soddisfatta risedendomi – visto che Peter Minus
non
aveva voluto saperne. «Perché l’accordo
comprende anche Severus.»
Si
scatenò immediatamente un pandemonio. Sarebbe valsa la pena
di
fregarli anche solo per vedere le loro facce in quel momento: Potter
passò dal tronfio trionfo allo scorno più nero, e
Black
dall’incertezza alla furia più totale.
«No!
Così non vale!»
«Non
hai mai parlato di Mocciosus!»
«Forse
perché non mi hai lasciato finire, Potter?»
«Non
se ne parla!» rispose categorico Black.
«Avete
promesso, Black» gli feci presente io con grande
soddisfazione.
«Ce
lo hai estorto!»
«Come
Potter ha così carinamente fatto notare, ve l’ho
chiesto cinque
volte per sapere se eravate sicuri. La prossima volta fatemi finire
di parlare!»
«Non
ci pensare neanche, Evans» ribatté Potter con
fermezza.
«Avete
promesso, Potter» ripetei inflessibile. «Vorreste
essere i primi
Grifondoro che non sanno mantenere una promessa?»
Lui
mi guardò con un’aria di accusa a cui io risposi
con un sorrisetto
simile al suo di poco prima: ero estremamente soddisfatta di me
stessa, certa com’ero di averli messi con le spalle al muro.
Remus
accanto a me rideva silenziosamente, Peter mi guardava con gli occhi
sgranati come a chiedersi come potessi osare tanto.
«I
termini dell’accordo non prevedevano Mocciosus»
disse Potter in
extremis.
«Solo
perché tu non me li hai fatti finire, Potter.»
«Noi
non abbiamo promesso per una cosa che riguardasse anche
Mocciosus!»
«Ma
non avete fatto neanche il contrario» gli feci presente io.
«Il
nome di Mocciosus non è stato neanche fatto!»
«Non
cercare di scivolare così, Potter! Se prendi me, prendi
anche
Severus!» Lo guardai con un ghigno soddisfatto.
«Accetteresti di
stringere un accordo con me senza Black?»
«Non
potrebbe giurare al posto mio» ribatté Black.
«Oh,
sì, visto che è il tuo migliore amico e sa come
la pensi.» Inarcai
un sopracciglio. «E comunque non mi hai mai dato
l’impressione di
dare tanta importanza al giuramento di Severus…»
«Non
è al suo giuramento che do importanza,
è alla sua presenza
nel…»
«Aspetta,
Sir» disse Potter lentamente. Si girò a guardarmi.
«Mocciosus non
è presente, in questo momento.»
«Complimenti
per l’arguzia, Potter» commentai io.
Mi
ignorò. «Quindi non possiamo sapere il suo parere,
mancando uno dei
membri dell’accordo.»
«Mi
ha autorizzato a fare da portavoce» ribattei io con molta
nonchalance.
«Ma
così usurpi i suoi diritti!»
Alzai
gli occhi al cielo. «Non siamo in un ufficio legale, Potter.
Diciamo
che io sono l’avvocato del diavolo.»
«Ecco,
allora torna dal tuo datore di lavoro e portagli i miei
saluti…»
«Sirius,
sta’ zitto un secondo!» Potter mi
guardò. «Se l’accordo
prevedeva anche Mocciosus, avrebbe dovuto essere presente visto che
cambierebbe molto il comportamento di tutti…»
«Siete
sempre voi che attaccate, lui si difende soltanto!» Stavo
cominciando ad arrabbiarmi un’altra volta.
«Basterebbe che voi
interrompeste…»
Mi
fermai di fronte alle loro facce incredule. «Evans, credi davvero
che siamo solo noi ad attaccarlo?» mi chiese Potter.
Lo
guardai gelida. «Lo so, Potter, vi ho
visti!»
«E
non credi che lui faccia altrettanto?»
Sbuffai.
«Come potrebbe non farlo visto che siete sempre due contro
uno e in
qualche modo deve difen…?»
«Due
contro uno? Evans, ma in che mondo vivi?» Potter
mi guardò
sinceramente stupito. «Davvero credi che siamo solo
noi?»
Stavo
andando in svantaggio e lo sapevo, ma non volli darlo a vedere.
«Siete stati voi a cominciare, Potter, da quel giorno sul
treno!
Diamine, neppure vi conoscevate e già…»
«Credo
che questa conversazione sia inutile, Jamie» fu il parere di
Black
mentre si alzava guardandomi con alterigia. «A quanto pare la
signorina qui presente non sa vedere oltre il suo
naso…»
«Smettila,
Sirius!» disse Remus con fermezza. Li guardò
entrambi severamente.
«Lily ha ragione a dire che avete cominciato voi, sono sicuro
che se
discuteste della cosa…»
«Discutere?
Con Mocciosus?» fece James incredulo. «Non ne
avremmo il tempo
materiale, Rem, non so se ti sei accorto di come si svolgono i nostri
soliti incontri…»
«Cosa
vorresti dire con questo, Potter?» chiesi alzandomi anche io.
«Semplicemente
che non dovresti prendere per oro colato tutto ciò che dice
quella
serpe, Evans» mi rispose Potter. Fece passare lo sguardo su
tutti
noi e guardò un orologio da taschino.
«È meglio se scendiamo a
cena, si sta facendo tardi» sospirò andando al
ritratto della
Signora Grassa con Black e Peter.
Io
rimasi con Remus e mi accasciai sconfortata sulla sedia. Eppure ero
così sicura di aver finalmente trovato una risoluzione al
nostro
comune problema… «Non è
giusto!» dissi esattamente come una
bambina piccola a Remus.
Lui
mi dette una pacca comprensiva sulle spalle. «Lo
so» annuì. «Ma
non lo fanno per cattiveria, è solo che sono
tanto… tanto…»
«Stupidi»
borbottai io.
«Era
‘giovani’ la parola che avevo in mente, ma credo
possa andare
comunque» sorrise lui. «Dai, almeno ci hai
provato…»
«E
ho fallito» risposi io cupa.
«Sono
sicuro che… Piton… saprebbe apprezzarlo per il
suo giusto valore»
mi confortò lui. «Ma è difficilissimo
far cambiare idea a quei due
una volta che hanno preso posizioni…»
«Sì,
ma perché le hanno prese contro
Severus?» sbottai io. «Che
gli avrà mai fatto di male, proprio non riesco a capirlo! E
a cosa
si riferiva Potter prima?» aggiunsi rabbiosa.
Lui
esitò un attimo. «Non lo so» disse alla
fine.
«Rem»
lo pregai, «almeno tu non mentirmi!»
«Non
ti sto mentendo» mi rispose lui cominciando a mettere le sue
cose in
borsa. «Poco tempo fa, James e Sirius avevano accennato ad
alcuni…
episodi… avvenuti fra loro e alcuni Serpeverde, fra cui
Piton, ma
niente di più. Non so i dettagli.»
«A
me sembra normale che Severus voglia reagire» dissi con un
certo
astio. «Insomma, chi starebbe a guardare gli eventi
precipitargli
addosso senza fare niente?»
Una
piuma gli scivolò di mano e lui riuscì ad
afferrarla prima che
toccasse terra. «Sì, probabilmente è
vero» concluse.
ANGOLO
AUTRICE
Primo
tentativo di tregua rotto, aspetteremo il prossimo, si’ore e
si’ori, per fare scommesse…
E
intanto nessuno è morto neanche questa volta. Be’,
non possono
morire persone a ogni capitolo, parrebbe quantomeno innaturale,
nonostante siamo negli anni di Voldemort…
Abbiamo
in compenso assistito al nostro primo tentativo di approccio, che si
è concluso con un… due di picche. Dovranno
passare diversi anni
prima che le cose cambino, anche se qui è più per
una presa in giro
che per una cotta. Ma sorvoliamo.
Sì,
lo so che sto di nuovo parlando di aria fritta -.- Ma non è
carino
farmelo notare, ecco.
Dovrò
salutarvi un’altra volta senza avere la più
pallida idea di chi
siate, e questo per me è molto sconfortante…
forse modificherò
alcune conclusioni, nel caso riesca a venire fuori durante uno di
questi capitoli… vedremo, per ora sono ancora a giugno
’10 e
quindi non ne ho idea. Dovrà ancora passare del tempo prima
che
possa trovare alcunché da dire di personale.
Ma
questo non vi interessa, quindi di nuovo devo scappare.
Ringraziamenti
a tutti, fingete che quello che scriverà Mary sia di mio
pugno
(anche se probabilmente io non saprei farlo così bene -.-
altro
pensiero sconfortante…).
Be’,
insomma, ciao a tutti!
ANGOLO
PUBBLICANTE
Buonasssssssssssssssssssssssssera!
Prima
di tutto volevo informare le S.V. che per tutto il mese di Marzo la
storia verrà aggiornata ogni settimana. I comandi vengono
dal
quartier generale, e chi sono io per dissentire? Questi aggiornamenti
sprint sono anche per festeggiare i 18 della mia amata sorellona che
li compirà a breve u.u
Da
quello che ho capito, da Aprile le cose torneranno normali.
Ciancio
alle bande, passerò ai ringraziamenti:
-
A googletta: *__________________*
Così gonfi troppo il mio ego u.u grazie mille per l'immagine
e sono felice che anche il chap ti sia piaciuto. Evidentemente il cu**
della famiglia è ereditario u.u Lo so che Sirius non si vede
molto in quel chap, ma dopotutto tra lui e Lily non c'è
tutto 'sto gran rapporto prima del fidanzamento dei due piccioncini
*_______* Al prossimo chap!
-
A malandrina4ever: più che della
colla in generale a me piace quello della Coccoina! Sembra di MANDORLE!
E io adoro le mandorle u.u In effetti la fisica è abbastanza
incomprensibile e te lo dice una che fa lo scientifico .________.
Come ti vengono queste
immagini? Ahahaha! Io non ci avrei mai pensato! Anche se,
effettivamente, non è molto dignitoso u.u
Per il resto, spero che anche
questo chap ti sia piaciuto!
-
A _NEMO: non avevo notato la
recensione, chiedo venia! Ma già che ci sono, ti ringrazio
anche per quella.
In quanto a Madama Chips, hai
ragione, sono andata a controllare su Wiki ed è vero, ma io
sono innocente u.u È mia sorelle che scrive la storia,
vedrò di farglielo sapere e in tanto ti ringrazio io per
avercelo fatto notare :D Spero che in questo non ci siano altri errori,
nel caso non esitare e farmelo notare ^^
-
A S_marti_es: credo che il “ci
sta” renda l'idea perfettamente u.u era tutto un faccino
puccioso *_____* Della serie strapazzami di coccole! Anche se non credo che Lily
lo vedesse così :D Spero che tu ti ritenga soddisfatta anche
di questo chap! Alla prossima!
-
A ElleH: sono contenta che la cosa di
Lily-Remus abbia riscosso successo! Anche secondo me era una cosa molto
carina *____________* Spero che questo chap non ti deluda!
Scusatemi
le risposte sono un po' corte, ma, data l'ora, sto crollando dal
sonno :D Solo che lo volevo postare oggi u.u
Notte!
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 8 - Grifondoro VS Serpeverde ***
Prima
parte: I
anno
Capitolo 8
– Grifondoro vs
Serpeverde
Pochi
giorni dopo si tenne la festa di Halloween. Non avevo mai, fino ad
allora, visto una celebrazione tanto magnifica: la Sala Grande era
probabilmente l’epitome di tutto ciò. Centinaia di
gigantesche
zucche intagliate galleggiavano a mezz’aria insieme alle
candele,
orde di pipistrelli vivi svolazzavano attorno ai tavoli e un
affascinante strato di polvere copriva tutte le superfici. Il cibo
poi era ancora più incomparabilmente delizioso del solito;
avevo
sempre sentito dire che nelle scuole il cibo cucinato era sempre di
pessima categoria, ma o Hogwarts non era a conoscenza di questo fatto
o lo aveva deliberatamente reinterpretato. Fatto sta che quando la
sera arrivai nella Sala Grande per il banchetto il profumo delle
varie pietanze servite quasi mi fece cadere in catalessi.
La
serata trascorse tranquilla, se così si può dire,
ci fu più
confusione del solito ed alcuni ragazzi spararono in aria incantesimi
che fecero apparire degli spettacolari fuochi d’artificio che
ingaggiarono una furibonda lotta fra Case, ma a parte quello
l’unico
avvenimento degno di una certa nota fu l’interpretazione da
parte
dei fantasmi del momento della loro morte; mi divertii
particolarmente quando Sir Nicolas ci mostrò i movimenti
maldestri
del boia che l’aveva mal decapitato.
Passai
la festa a fianco di Remus, e l’unica pecca fu che anche
Potter e
Black, accompagnati da Peter Minus, si sedettero vicino a noi. Io non
mi lasciai coinvolgere per lealtà verso Severus e mi limitai
a
scambiare diverse osservazioni con Peter Minus – avevo
scoperto che
era di nuovo diventato un bersaglio, e non solo per Lucius Malfoy ma
anche per diversi membri della nostra stessa Casa – e
ovviamente
con Remus, che divise la sua attenzione a metà fra me e gli
altri
due. La crescente intimità fra i tre mi stava cominciando a
preoccupare. Remus era completamente diverso da Potter e Black, ed
avevo una paura quasi folle che lo corrompessero e lo rendessero
uguale a loro. O peggio ancora che lo allontanassero da me; ero
più
che sicura che non sarei riuscita a sopportarlo: non avrei mai
parlato con Remus come facevo con quei due, lo promisi
solennemente a me stessa. Eppure non riuscivo ad evitare di essere
inquieta. Forse perché avevo già classificato
Potter e Black come
irrecuperabili.
Due
giorni dopo Remus era di nuovo ammalato.
Andai
a cercarlo in infermeria la mattina dopo, e lo trovai a letto, il
viso più sciupato e smagrito del solito e l’aria
abbattuta. Mi
sembrava anche che si fosse fatto un nuovo graffio, ma non ne ero
sicurissima.
«Ehi!»
lo salutai sedendomi accanto al suo lettino. «Come
va?»
Mi
rivolse un sorriso tirato. «Insomma… questa
stupida influenza!»
Cercò di sorridere più naturalmente ma
riuscì solo a fare una
smorfia. «Vorrei sapere perché me le prendo tutte
io…» aggiunse
cercando di buttarlo sul leggero.
A
ben guardarlo, aveva proprio l’aria di chi è stato
malato o sta
appena cominciando a guarire. «Cos’ha detto Madama
Challoner?»
chiesi trattenendomi a stento dall’accarezzargli una mano.
Si
irrigidì appena. «Devo restare ancora un paio di
giorni, a seconda
di come si sviluppa la… la malattia.»
Deglutì. «Ma prima della
fine della settimana dovrei essere come nuovo.»
Annuii
e restai un po’ con lui a parlare, promettendogli
scherzosamente
che gli avrei preso gli appunti per tutti i giorni che avrebbe
saltato e lasciandolo quando Madama Challoner mi cacciò
letteralmente fuori dall’Infermeria.
Come
promesso, Remus tornò in circolazione qualche giorno dopo e
io gli
passai i miei appunti, facendogli un rapido ripasso di tutto
ciò che
si era perso – in realtà, non moltissimo.
Con
Severus ero tornata alla normalità. Non gli avevo parlato
dei miei
sospetti su Lucius Malfoy né di quello che Potter mi aveva
detto sui
loro scontri, ma ci limitavamo a chiacchierare delle nostre giornate,
delle nostre scoperte, di ciò che più ci
interessava; avevo
cominciato a spiegargli come facevo a ottenere voti così
straordinari a Pozioni, dicendogli che secondo me le istruzioni date
erano imperfette e quindi, in base agli effetti dati dalle varie
erbe, era molto meglio modificarle un po’. Lui ascoltava con
molta
attenzione e un paio di volte mi fece domande a cui io non seppi dare
una risposta precisa: forse perché quella tecnica era, anche
per me,
molto approssimativa.
Lui
mi faceva esercitare di continuo in Difesa Contro le Arti Oscure, che
era in assoluto la materia che gli riusciva meglio. Passavamo
pomeriggi sani a “giocare” a combattere, io
interpretavo le parti
più disparate, fingendomi una volta una strega ribelle,
un’altra
un vampiro dotato di poteri o qualunque altra creatura che la mia
fantasia inventasse sul momento, divertendomi come una matta, mentre
lui restava sempre concentratissimo e con un leggero sogghigno sulle
labbra.
Io
ero quella che si muoveva di più, saltava dappertutto,
faceva
capriole e salti per evitare gli incantesimi, fingendo di essere in
pericolo, di essere abile.
Lui
era quello che affrontava le cose con calma, con
razionalità, senza
scomporsi per poter usare la sua forza al massimo della sua notevole
estensione.
Eppure
eravamo, in qualche modo, pari. Certo, io stavo sempre più
sulla
difesa che non sull’attacco, come invece capitava a lui, e
conoscevo solo incantesimi meno potenti dei suoi, ma in compenso i
miei scudi erano più forti dei suoi e i miei riflessi
più pronti.
Perfettamente equilibrati, la nostra era una danza di incantesimi che
si interrompeva sempre troppo presto.
Poco
tempo dopo si tenne la prima partita di Quidditch della stagione. Da
quando Potter aveva cominciato a parlarmi di quello sport, avevo
sentito la mia curiosità accrescersi continuamente, volevo
conoscere
anche quell’aspetto della vita magica, volevo vedere cosa
delle
persone allenate riuscivano a combinare a cavallo di un manico di
scopa.
Non
ero l’unica, comunque: tutta la scuola non parlava
d’altro, e se
fossi passata per i corridoi più frequentati avrei potuto
vedere le
due squadre, spalleggiate da entrambe le Case, farsi avanti con dei
tentativi di sabotaggio che né i professori né il
custode
riuscivano a bloccare.
Intanto,
iniziato novembre, il termometro era precipitato facendo sprofondare
Hogwarts in una coltre di gelo; il prato era brinato tutte le
mattine, sul Lago Nero si stava cominciando a formare un sottile
strato di ghiaccio e passare per i corridoi stava diventando
un’impresa non da poco. Il fatto che non finii assiderata fu
dovuto
in gran parte a Remus, che mi insegnò un semplice
incantesimo che
permetteva di portare un fuocherello chiuso in un barattolo, fornendo
di fatto una stufetta portatile. Gliene fui estremamente grata: ero
sensibile al freddo, specialmente alle mani, e non era raro che
dovessi portare uno spesso strato di guanti anche nelle aule,
complicandomi il compito di prendere appunti: infatti, mentre nella
Sala Comune e in Sala Grande erano accesi ampi bracieri che
riscaldavano l’ambiente, per i corridoi e nelle aule faceva
tanto
freddo che non era raro vedere il proprio respiro condensarsi.
Invece,
con quel nuovo sistema, la temperatura delle mie mani
migliorò
sensibilmente e mi permise di proseguire come se niente fosse.
Fu
di Remus anche il suggerimento di leggere il libro Il
Quidditch
attraverso i secoli, una lettura molto interessante che
forniva
un sacco di dettagli su quello sport, fra l’altro
estremamente
complicato, almeno sulla carta: c’erano settecento modi per
fare un
fallo! E la cosa pazzesca era che nel corso di una partita nel 1473
si erano anche verificati tutti…
Una
partita finiva quando il Cercatore, il giocatore che secondo Potter
doveva essere il più abile, acchiappava una pallina dorata
chiamata
“Boccino d’oro”, che oltre a concludere
il gioco dava anche
centocinquanta punti alla squadra che l’aveva preso. Per
quello,
probabilmente, i Cercatori erano i giocatori presi più di
mira dalla
squadra avversaria.
Ogni
goal dei Cacciatori valeva dieci punti, ed esistevano quindi dei
casi, sebbene rari, in cui una squadra aveva vinto anche senza
prendere il Boccino.
Il
resto lo appresi dalle conferenze che Potter si sentiva in dovere di
farci subire ogni venerdì durante le ore di Storia della
Magia, in
cui si studiava e dibatteva di tutto fuorché delle
ribellioni dei
Goblin del Medioevo.
Finalmente,
domenica 14 arrivò il giorno della partita. Fui buttata
giù dal
letto ad un orario barbaro (le sette meno dieci! Di domenica!) dai
sussurri non poi tanto sussurrati di Jane Vane e Mary McDonald, che
per qualche ragione ignota ai più erano già in
piedi.
Guardai
con desiderio il mio cuscino. Potevo sempre girarmi
dall’altra
parte e riprendere a dormire, no?
«Dai,
Jane, non possiamo!»
«Sono
sicura di sì, invece! Mia sorella ha detto che lo
permettono!»
«Sì,
ma tua sorella ha quindici anni! Credi che
accetterebbero
anche noi?»
«Certo
che sì! Perché no? E poi non dobbiamo dirgli
necessariamente la
nostra età…»
Sì,
perché infatti senza dubbi tutti vi scambieranno per
navigate donne
di mondo, vero? A proposito, chi è quel
“tutti”?
«Insomma,
Mary, non essere così fifona! Sei anche a
Grifondoro!»
«Non
sono una fifona!» C’era un certo astio nella voce
di Mary. «Penso
solo che sia troppo presto…»
Ah,
l’avevo detto io che Mary era la mente pensante di quel
duo…
«Va
bene, tu fai quello che preferisci. Io mi preparo e scendo.»
Sì,
te ne prego! Strinsi forte gli occhi calmando il respiro e cercando
di continuare a dormire. Il ronfare, simile alle fusa di un gatto, di
Alice alla mia destra poteva aiutarmi. Come faceva a dormire? Non
sentiva tutto il rumore che facevano quelle due?
«Santo
cielo, Jane, cosa stai facendo?»
«Non
ti sembra evidente?»
No,
affatto. E non può sembrarti evidente a voce più
bassa?
«Dove
li hai presi?» C’era una punta di desiderio nella
voce di Mary.
«Me
li ha dati Anne» fu la distratta risposta.
Passò
un po’ di tempo in cui riuscii, con mio grande gaudio, a
riaddormentarmi, salvo essere nuovamente buttata giù dal
letto
quando Vane lanciò uno strilletto compiaciuto:
«Fatto! Sono
assolutamente perfetta!»
Mary
mormorò qualcosa di inintelligibile.
Io
grugnii qualcosa di altrettanto inintelligibile e mi tirai su per
guardare la sveglia sul comodino. Le otto e cinque.
Strabuzzai
gli occhi e guardai meglio. Senz’altro, vista
l’ora, avevo la
vista confusa… le lancette segnavano inesorabilmente le otto
e
cinque.
Come
facevano ad essere le otto e cinque se pochi secondi prima erano le
sette meno dieci?
«Jane,
sei proprio sicura…?»
«Oh,
Mary, non fare la guastafeste! È perfetto, invece!»
Detti
uno schiaffo al mio cuscino e mi tirai su. «Ragazze, potreste
abbassare un po’ la voce, per favore?» chiesi con
un’ottima
imitazione di una voce impastata dal sonno – non che dovessi
imitare poi tanto.
Dal
bagno uscì la testa bionda di Mary.
«Oh,
ciao Lily… scusa» disse imbarazzata.
«Non volevamo svegliarti…»
«Sì,
scusa Evans, ma sai…»
Buttai
di nuovo la testa sul cuscino mentre Vane cominciava a parlarmi
dell’importanza di fare una buona prima impressione, in
particolare
quando quella prima buona impressione doveva colpire i membri della
squadra di Quidditch. Alla fine apparve in tutto il suo splendore e
mancò poco a che scoppiassi a ridere: aveva gli occhi
cerchiati da
una matita nera, sembrava che qualcuno l’avesse presa a
pugni, le
labbra di un colore troppo acceso – non riuscii a
identificare,
nell’ombra, se fosse rosso o fucsia – e qualcosa di
cremoso
sparso un po’ su tutta la faccia. Non osavo immaginare come
dovesse
presentarsi alla luce del sole.
Tossii
un attimo e poi dissi con il massimo della diplomazia: «Scusa
se mi
intrometto, Vane, ma non credi di… di aver un po’
esagerato?»
Lei
si fiondò in bagno per guardarsi con attenzione allo
specchio.
«Santo cielo, Evans, mi hai fatto prendere un
colpo» disse uscendo
esattamente come prima.
Cercai
con cura le parole adatte nella mia testa. «Non pensi
che… così…
truccata… potresti dare
un’impressione… sbagliata?»
Mi
guardò come se temesse per la mia sanità mentale
e scoppiò in una
risata chioccia. «Oh, Evans, sei tanto tanto
piccina!»
Arruffai
il pelo. Piccina?
«Tutte
le ragazze si truccano così, non credo che staranno a notare
me…»
Io
veramente non avevo mai visto ragazze conciate a quel modo, ma non mi
pareva molto utile dirlo. «Ehm… Vane?»
la richiamai visto che lei
era tornata ad ammirare la sua opera. «Non per sembrare una
rompiscatole, ma tu sei del primo anno…»
«Oh,
ancora con questa storia!» esclamò lei in tono
capriccioso. «Non
vado in giro con un cartello “primo anno” in
fronte, sai, Evans?»
Sapevo,
ma mi astenni dal fare i numerosi commenti che mi sarebbero venuti
spontanei. La partita iniziava alle undici, tanto valeva cominciare
ad alzarsi. Misi un piede giù dal letto e mi accorsi di aver
appena
toccato la stoffa di una maglietta. Stupita, mi guardai in giro con
più attenzione e mi accorsi che effettivamente tutta la
camera era
disseminata di numerosi e vari capi d’abbigliamento di
origine
ignota.
«Cosa.
Cavolo. È. Successo. Qui?!»
chiesi a scatti guardando il
resto del campo di battaglia.
Mary
ebbe quantomeno il buon gusto di parere imbarazzata. Vane, invece,
sembrava deliziata di tutta la situazione, di tutta la sua vita, e di
tutto il suo aspetto. «Oh, ho dovuto cercare taaaaanto per
trovare
uno straccetto da mettermi» si giustificò.
«Non trovavo
assolutamente niente di adatto, ma ci credi, Evans?»
La
mia risposta fu una sorta di ringhio. Tuttavia mi girai con un
sorriso dolcissimo che già avrebbe dovuto metterla in
allarme e
dissi con garbo estremo: «Immagino allora, Vane, che tu
voglia
rimediare al disastro che hai combinato in questa
stanza…»
Lei
scoppiò a ridere. «Ma Evans, sai perfettamente che
così non farei
in tempo…» il resto della frase le si spense sulle
labbra alla
vista del mio sguardo. «Dicevi sul serio?» mi
chiese, vivente
immagine dello stupore.
Non
fosse stato per il fatto che era troppo stupida per poterci prendere
gusto, mi sarei cominciata a strappare i capelli.
«Sì, Vane, dicevo
sul serio. Siamo in quattro a vivere in questa camera, è
terreno
pubblico…»
Vedere
la sua espressione sgonfiarsi come un palloncino era uno spettacolo
esilarante. Rimase con una faccia abbattutissima, apparentemente non
in grado di spiccar verbo.
«Ma
Evans…» piagnucolò alla fine.
«Sì,
Vane?»
Mi
guardò con gli occhi luccicanti di lacrime. «Ci
metterei una vita a
mettere tutto a posto…»
«Lo
so, Vane.»
«E
oggi c’è la partita!»
«Lo
so, Vane.»
Due
grossi lucciconi le cominciarono a ballare ai lati degli occhi.
«Arriverò in ritardo! Dopo tutta la fatica che ho
fatto…»
«Non
piangere, Vane, ti si scioglierà il trucco» le
raccomandai
soavemente io. «E se “tutta la fatica che hai
fatto” consiste
nel rendere impresentabile la nostra camera…»
«Sei
cattiva, Evans!» rispose scoppiando in lacrime e facendomi
reprimere
un singulto di riso.
«Vane»
le ricordai, «se piangi ora ti rovinerai tutto il trucco, e
sarebbe
un peccato, dopo tutta la fatica che hai fatto…»
Mi
guardò con occhi imploranti ma perfettamente asciutti.
«Non posso
farlo!» pronunciò drammaticamente.
Io
mi sedetti con uno sbuffo. «Va bene, facciamo
così» proposi. «Ora
prendi solamente le tue cose e le metti nella tua parte
di
camera e stasera le rimetti a posto.»
Non
l’avessi mai detto: Vane se ne uscì in un urlo
inarticolato di
gioia e venne presa dall’impellente desiderio di privarmi
della
testa attraverso una stretta letale, che dovetti allentare a poco a
poco mentre lei non finiva più di darmi della santa, mitica
e altri
aggettivi che non ricordo.
«Ehm…
sì, Vane, sì» dissi quando alla fine
riuscii a riprendere possesso
della mia gola. «Ora… raccogli le tue cose, o
farai tardi…»
Come
un ciclone, raccolse velocemente tutti i vestiti sparsi in giro e li
ammucchiò sul suo letto, per poi uscire di corsa con un
sorriso che
le tagliava la faccia a metà. Mary mi salutò
velocemente e la seguì
mentre anche Alice dava segni di vita.
«Mhm…»
fu il suo primo commento. «È già
mattina?»
Io
mi stavo infilando la divisa. «Sì, Alice, sono le
otto e
trentacinque.»
«Uffa…»
borbottò lei spostando le coperte. Condividevo ampiamente i
suoi
sentimenti, odiavo alzarmi presto soprattutto la
domenica.
«Non
dirlo a me» ribattei abbottonandomi la camicia.
«È dalle sette che
quelle due mi tengono sveglia!»
Mi
rivolse un assonnato sguardo solidale e scese dal letto.
«Brr! Fa
freddo, vero?» mi chiese stringendosi nella sua camicia da
notte
bianca.
Presi
il maglione e me lo infilai, poi andai al comodino e presi il
barattolo del fuoco. «Tieni» le dissi
porgendoglielo. «Tranquilla,
non scotta. Però riscalda.»
Lo
prese in mano e lo strinse a sé mentre io finivo di mettermi
il
grembiule.
«Posso
usare il bagno prima io?» le chiesi mentre si alzava, ancora
col
fuoco al petto. Accennò di sì con la testa e io
andai a lavarmi la
faccia.
L’acqua
era gelata e mi svegliò notevolmente, anche se mi
congelò le dita.
Cominciai poi a pettinarmi i capelli, sempre arruffati di prima
mattina. Li odiavo: avevano un colore idiota e una forma amorfa.
Insomma, non significavano niente. E poi risaltavano subito.
Guardai
la mia immagine allo specchio e sbuffai, poi mi passai una fascia fra
i capelli e uscii. Alice si era già vestita e si stava
strofinando
gli occhi.
Le
sorrisi mentre si avviava al bagno, poi presi la bacchetta e il mio
fuocherello, oltre al mantello e ad un paio di guanti e scesi. Avrei
preso la sciarpa dopo colazione.
Remus
era immancabilmente già arrivato, ma stava chiacchierando
con Potter
e Black, quindi feci per sedermi un po’ più in
là quando lui mi
vide e mi invitò vicino a loro. Non potei che accettare, ma
rimasi
in silenzio per gran parte della conversazione – o per meglio
dire,
per gran parte del duetto fra Potter e Black.
Peter
Minus arrivò dopo un bel po’ tutto affannato
balbettando scuse
sconnesse, ma gli altri gli fecero spazio senza problemi ed inclusero
anche lui nella conversazione.
Alle
dieci e mezza cominciammo a muoverci verso lo stadio. Io ero
avviluppata nella mia sciarpa ed avevo dei pesanti guanti di lana che
quasi mi impedivano qualsiasi movimento, ma ero euforica: non vedevo
l’ora di assistere alla partita. L’unica pecca era
che non potevo
assolutamente tifare con Severus, visto che le due
case a
sfidarsi erano proprio Grifondoro e Serpeverde.
Un
peccato, ma a quanto pareva indispensabile.
Perciò
andai sulle tribune opposte a quelle di Serpeverde a tifare per la
squadra della mia Casa.
Non
eravamo gli unici ad essere arrivati prima, comunque: quasi tutte le
tribune erano già piene a metà, e continuavano ad
affluire ragazzi.
La maggior parte dello stadio, alle undici meno cinque, era in rosso
e oro, mentre solo un quarto, o poco più, era in verde e
argento.
Forse Grifondoro aveva una squadra più popolare?
Alle
undici in punto le due squadre uscirono dagli spogliatoi e si
radunarono ad anello attorno al centro del campo, dove la
professoressa Powell aveva poggiato un baule con dentro i palloni.
Osservai
i capitani scambiarsi una stretta di mano per poi salire in sella
alle scope.
«Bene,
signore e signori, sta per iniziare! Con la partita
Grifondoro-Serpeverde di quest’oggi diamo ufficialmente il
via alla
stagione di Quidditch. I capitani Goldwyn per Grifondoro e Malfoy per
Serpeverde si stringono la mano mentre le loro squadre cominciano a
sollevarsi…»
A
fare la telecronaca era uno studente dell’ultimo anno di
Tassorosso
che non conoscevo. «Madama Powell libera i Bolidi, seguiti
dal
velocissimo e quasi indistinguibile Boccino d’Oro!»
«Accidenti,
se è veloce!» fu il mio commento nel vedere quella
pallina sparire
praticamente subito.
Nel
posto avanti a me, Potter sogghignò. «No, Evans,
guarda! È lì!»
mi indicò un punto parecchio sopra le nostre teste in cui si
riusciva a vedere un minuscolo bagliore d’oro, scomparso poco
dopo.
Ma era pressoché invisibile. Come diavolo aveva fatto?
Mi
stava guardando col sorriso malizioso che aveva quando stava per
farmi uscire dalle staffe. «Sì, lo so che
probabilmente sei
stupefatta di fronte alle mie straordinarie capacità, ma
almeno
chiudi la bocca, Evans!»
Non
riuscii a impedirmi di sorridere. «Fammi il favore di andare
al
diavolo, Potter» gli dissi molto educatamente tornando a
concentrarmi sulla partita.
«La
Pluffa viene liberata e la partita ha inizio! Intercettata
immediatamente da Penny Clark di Grifondoro, un’ottima
cacciatrice
che alla finale dell’anno scorso ha segnato da sola undici
goal,
passa al capitano Roger Goldwyn che vola alto a tutta birra verso i
pali della porta, schiva un Bolide lanciatogli da Percival Rowle e
passa la Pluffa a Rose Jones e… no, Jones viene colpita da
un colpo
di Bolide dietro la testa e Robert Selwyn recupera la Pluffa, schiva
un Bolide lanciato da John Morris e passa… ah, la Pluffa
è stata
intercettata dal capitano di Grifondoro Goldwyn, che la passa
velocemente a Clark, che la passa a Jones, che si libera, davanti a
lei non c’è nessuno… il Portiere Pucey
si tuffa… ma la Pluffa
passa! Grifondoro ha segnato ed è in vantaggio!»
Mi
accorsi di stare urlando solo quando udii la mia voce mischiarsi a
centinaia di altre. Erano incredibili: volavano, si incrociavano, si
scontravano, si passavano quella palla come se avessero calamite alle
mani… una cosa straordinaria, da non credersi!
«E
mentre dagli spalti i tifosi rosso-oro esultano la palla torna ai
Serpeverde, più agguerriti che mai, ecco Selwyn che si
dirige a
tutta velocità verso la parte opposta del campo, schiva due
Bolidi,
Clark e Jones e passa a Price, che si esibisce in una capriola per
evitare un Bolide e prosegue la sua corsa verso la porta. Goldwyn si
fa avanti… ah! Ma viene colpito da un Bolide di Rowle e
barcolla,
Price si avvicina inesorabilmente alla porta di Grifondoro, sta per
tirare… no, la Pluffa gli cade di mano mentre un Bolide di
Moore lo
colpisce al braccio, e Clark con una spettacolare giravolta la
afferra! Cecil Deverill si fa avanti per bloccarla… fallo!
Selwyn commette un clamoroso Blurting
e per poco non sbalza Clark dalla scopa, madama Powell fischia un
rigore…»
«Tu,
sporco inutile figlio di una…!»
«James!»
«Oh,
andiamo, Remus! Hai visto cosa a fatto quell’inutile mucchio
di…»
«Potter,
calmati!» sibilai io a denti stretti anche se ero altrettanto
indignata: come si permetteva quell’essere inutile di
commettere un
fallo del genere? «Non gliene manca una, vero?»
commentai guardando
Penny Clarck mettere in rete e portarci ancora in vantaggio.
«Sleali,
razzisti, snob e pure maschilisti!»
Tre
teste si girarono in contemporanea a guardarmi. «Maschilisti?»
ripeterono ad una voce Potter e Black.
«Insomma,
guardateli!» sbuffai io mentre Deverill volava davanti a noi
con la
Pluffa in mano. «Non c’è una
sola giocatrice in tutta la
squadra di Serpeverde! Grifondoro ne ha due e sono pure fra le
più
brave!» esclamai con veemenza mentre Rose Jones strappava la
palla a
Price e la tirava a Penny Clark, dall’altra parte del campo.
«Sì,
e sono anche piuttosto carine…»
«Sirius,
te lo ha mai detto nessuno che hai il cervello di un Kappa
rintronato?»
«Sì,
Remus, tu!»
«I
Grifondoro dirigono la partita per trenta a zero e sono in possesso
di palla, Goldwyn esegue un’abile doppietta con Clark ed
entrambi
vanno verso la porta… ma aspettate! Sembra che il capitano
di
Serpeverde Lucius Malfoy abbia avvistato il Boccino, sta scendendo in
una picchiata spettacolare verso gli spalti di Tassorosso…
il
Cercatore di Grifondoro William Taylor gli è alle calcagna,
ma parte
svantaggiato… picchiata sempre più veloce, questi
due si
schianteranno al suolo…»
Accanto
a me, James gemette. «Non
farlo, stupido!
Non vedi che è una Finta Wronsky?»
«Una
che?»
Ma
non ebbi bisogno di risposte: in quel momento, Malfoy interruppe la
picchiata e tornò a sollevarsi, mentre Taylor non ci
riuscì e si
schiantò a terra.
Dagli
spalti verde-argento si levò un coro di fischi ed
incoraggiamenti al
loro capitano.
«…
e pare che Taylor sia appena rimasto vittima di una Finta Wronsky,
una pericolosa azione diversiva fra Cercatori… intanto il
capitano
Goldwyn chiede ed ottiene un time-out mentre la sua squadra e madama
Powell scendono per verificare le condizioni di Taylor.»
Io
gemetti insieme a tutta la mia curva e dall’altra parte i
Serpeverde esplosero in fischi e recriminazioni.
«Non
ce la farà…» dissi con voce roca.
«Quello schianto… è un
miracolo che non l’abbia ucciso…»
Accanto
a me, pallido come un lenzuolo, Remus sembrava avere la mia stessa
opinione, mentre Black sembrava divertito e Potter furioso.
«Macché
ucciso e ucciso!» ribatté spazientito.
«È solo un po’
rintronato, ma tanto lo era anche prima, non abbiamo perso un gran
che…»
«Potter,
non fare il bambino!»
«Non
sto facendo il bambino! Andiamo, anche uno stupido si sarebbe accorto
che era una finta…»
«Io
non me n’ero accorto» obbiettò
quietamente Remus.
James
lo guardò impaziente. «Intendo dire un bravo
giocatore!» ribatté.
«Insomma, Malfoy non vola neanche così
bene!» Poi tornò a
sedersi. «Perderemo» annunciò con voce
sepolcrale. «Non possiamo
vincere se quello è il nostro
Cercatore…»
«Andiamo,
James, non fare l’uccello del
malaugurio…»
«Uccello
del malaugurio un corno, Remus!» rispose lui arrabbiatissimo.
«Ti
rendi conto che sarà Malfoy a vincere?
Come fai a
sopportarlo?»
Effettivamente,
da quel punto di vista aveva ragione. Puntai gli occhi sulla nostra
squadra a terra e vidi che Taylor si stava rialzando. «I
nostri
Cacciatori sono parecchio più bravi» tentai.
«Forse riusciamo ad
andare in vantaggio…»
Lui
mi guardò immusonito. «Dovremmo avere
più di centocinquanta punti
di vantaggio, Evans, è praticamente impossibile»
rispose tetro.
«Ora, sono d’accordo che i nostri Cacciatori sono
molto migliori
di quegli altri, ma senza Cercatore non si vince…»
Tuttavia
sembrò quasi che potessi aver ragione io: Clark, Jones e
Goldwyn
segnarono altre cinque reti nei successivi dieci minuti, mentre
Serpeverde riuscì a scavalcare il Portiere Carter una volta
sola.
Ora conducevamo il gioco per ottanta a dieci.
Avevo
artigliato lo schienale della sedia di Potter davanti a me e
continuavo a sussurrare come in una nenia: «Ce la possiamo
fare…
Ce la possiamo fare… Ce la possiamo
fare…»
Al
nono goal Potter si girò verso di me e commentò:
«Sì, Evans,
forse ce la possiamo fare, ma questo non è un buon motivo
per
strapparmi la pelle della schiena.»
Stupita,
abbassai lo sguardo alle mie mani e mi accorsi che, insieme allo
schienale della poltrona, avevo afferrato anche il mantello di
Potter. «Scusa» fu tutto quello che riuscii a dire.
Poco
dopo Serpeverde segnò un’altra volta e io mi
accasciai sul mio
sedile: lo spirito pessimistico di Potter sembrava avermi presa.
«Ma
figurati! Se non altro farmi afferrare da te darebbe un senso alla
giornata…»
Guardai
in cagnesco la sua nuca. «Potter» gli dissi
avvicinandomi al suo
orecchio, «se proprio la tua vita ha così poco
senso, sono disposta
ad afferrarti, ma per la gola!»
E
dopo avergli dato una rapida dimostrazione, tornai al mio posto
incrociando le braccia ed accavallando le gambe, giusto in tempo per
non perdermi il nuovo fallo di Serpeverde: «… il
Portiere Pucey
scatta in avanti per bloccare la Cacciatrice Jones… un
momento,
quello era Cobbing!»
Un
fischio prolungato di madama Powell gli dette ragione.
Jones
mise in rete un altro goal, e riuscirono a segnarne altri due prima
che i due Cercatori partissero di corsa alla vista del Boccino
d’Oro.
Potter
era balzato in piedi non appena i due si erano mossi e ora li stava
guardando ad occhi semi-socchiusi, concentratissimo come se ci fosse
stato lui su quella scopa.
Molti
altri si erano alzati in piedi per seguire meglio, ma andavano tanto
in alto che era difficile seguirli.
«Tieni,
usa questo» mi disse Remus passandomi il binocolo.
Non
era un normale binocolo: aveva una messa a fuoco particolare e
diverse manovelle a lato che permettevano varie opzioni come
‘replay’
e ‘azione per azione’, ma non mi importava: quello
che volevo
vedere io era cosa stava succedendo lassù. Malfoy era in
vantaggio,
ma non riusciva ancora a prendere il Boccino, Taylor era un
po’
indietro ma stava al passo.
Passai
nuovamente il binocolo a Remus e mi accorsi che, senza, i due erano
praticamente invisibili. Remus se lo stava portando agli occhi quando
Potter glielo strappò di mano dicendo un distratto:
«Scusami un
attimo, Rem…»
Poi
se lo incollò agli occhi.
Io
sbuffai e tornai a guardare il campo. Grifondoro aveva segnato
un’altra volta e così Serpeverde,
perciò il punteggio attuale era
centotrenta a venti.
Potter
davanti a me sospirò profondamente e si tolse il binocolo.
«Malfoy
non solo non è un giocatore eccezionale, ma non è
neppure un buon
capitano» mugugnò restituendo il binocolo a Remus.
«Insomma,
guarda la sua squadra! Dipendono in tutto e per tutto dal Cercatore!
Se solo Taylor avesse un po’ di sale in zucca gli daremmo una
di
quelle batoste…»
«Taylor
se ne va, l’anno prossimo» lo informò
Black che si era
appropriato del binocolo e seguiva i due Cercatori. «Puoi
sempre…»
Ma
Potter lo aveva afferrato per la gola e stretto così forte
da
soffocargli le parole. «Davvero? Dici sul serio? Oh, Sir,
questa è
la notizia migliore che tu potessi darmi! Meraviglioso! Allora
l’anno
prossimo sì che gli daremo una di
quelle…»
«…
batoste che si sognano la notte, sì, l’hai
già detto, James» gli
fece cortesemente notare Remus guardando con aria rassegnata il suo
binocolo.
«Sì»
confermò Potter con gli occhi scintillanti. «Te lo
prometto, Rem!»
Io
alzai gli occhi al cielo. Davvero credeva di essere così
bravo? A me
pareva che i giocatori per aria fossero straordinari, mentre lui
continuava a parlarne come se fossero degli incapaci. Come poteva
essere certo di essere più bravo di ragazzi che si
allenavano da
molto più tempo di lui?
Grifondoro
segnò un’altra volta. Ora, il nostro Cercatore
poteva essere
quello che gli pareva, ma i nostri Cacciatori erano mitici. Oppure il
Portiere avversario stava dormendo sulla scopa. O forse entrambi.
In
quel momento un urlo si alzò dagli spalti dei Serpeverde e,
alzando
lo sguardo, noi notammo che Malfoy stava scendendo con un caloroso
sogghigno tenendo nel pugno destro una pallina dorata.
«Ebbene,
sì, signore e signori, il capitano di Serpeverde Lucius
Malfoy
conquista il Boccino d’Oro portando la sua squadra alla
vittoria
per un punteggio di centoquaranta a centosettanta!»
Gli
spalti verde-argento sembravano esplodere mentre il resto della
scuola scuoteva la testa abbattuto.
«Guarda
quell’idiota come sogghigna…»
ringhiò Potter guardando Malfoy.
«Non
so te, fratello, ma io ho una grande, impellente voglia di tirargli
un pugno e spaccargli qualcuno di quei dentini da castoro»
rimarcò
Black guardandolo truce.
Annuirono
entrambi mentre quel sorriso canagliesco che pur su due visi
differenti si specchiava perfettamente su entrambi faceva la sua
comparsa.
«Sir,
lasciami dire che sei un mito!»
«Oh,
no, James, al contrario, il mito sei tu…»
«Ma
no, no, troppo gentile!»
Mi
voltai sconfortata verso Remus. «È
un’impressione mia o soffrono
di disturbi da personalità multipla?»
Lui
mi rispose con un sorrisetto complice ma non disse niente. Davanti a
noi i due stavano proseguendo per il loro sproloquio e Peter Minus si
sforzava ansiosamente di tenere il passo, con scarsi risultati a
giudicare dalla sua faccia sempre più disperata.
Sospirai
e guardai l’orologio: era l’una e mezza. La partita
era durata
due ore e mezzo. Un tempo non indifferente.
«Sarà
meglio scendere» dissi a Remus imbronciata. «O ci
ritroveremo
circondati da tutta la calca dei ragazzi che
escono…»
Lui
annuì e ci allontanammo dagli altri tre, che per conto loro
continuavano a confabulare. Ma avevamo sottovalutato l’orda
di
tifosi rosso-oro che si stava riversando fuori dagli spalti,
investendoci come un’ondata di maremoto.
Per
quanto stessimo cercando di restare insieme tenendoci per mano,
avevamo solo undici anni ed eravamo circondati da ragazzi molto
più
alti e grandi di noi. In breve, finimmo per separarci. Io cercavo
disperatamente una via di fuga, non sapevo dove andare ma volevo a
tutti i costi uscire da quella marea di persone. Mi muovevo
diagonalmente, certa che ci fosse un limite a tutta quella folla e
che dovevo raggiungerlo velocemente.
Quando
finalmente riuscii a guadagnare spazio, cioè dopo il ponte
che
attraversava il sottile fiumiciattolo che scorreva fra Hogwarts e lo
stadio, mi mossi ancora più velocemente per restare
finalmente senza
centinaia di persone attorno e alla fine ci riuscii andando
praticamente sotto gli alberi della Foresta Proibita che scorreva
parallela al percorso. Un po’ più in là
c’erano vari studenti
che commentavano la partita, urlavano o facevano a botte. Scossi la
testa con repulsione e feci un passo indietro, verso la foresta.
ANGOLO
AUTRICE
Haloa
a tutti, giovani, vecchi, belli, brutti, maschi, femmine e
ermafroditi!
Mi
siete mancati in queste due settimane (sempre che mia sorella abbia
rispettato le scadenze; di solito è
così)…
E
così assistiamo alla prima partita della stagione. Ma a
parer mio
Hogwarts senza Quidditch è decapitata. Mi
mancherebbe…
Spero
di essere riuscita a rendere ciò che volevo mostrare, anche
se ho
dovuto descrivere tutto dagli spalti per ovvie ragioni di POV. In
quanto ai falli, provengono da fonte certa quanto Wikipedia, che a
sua volta trae informazioni, credo, da Il Quidditch
attraverso i
Secoli, direttamente dalla penna di Mamma Row, quindi
pienamente
Canon.
E
indovinate cosa sto per dire? Anche questo è uno dei
capitoli
tagliati a metà, nel senso che il prossimo
continuerà da dove
questo finisce, quindi prendete appunti. *sogghigna*
Sì,
ora me ne vado -.-
E
ovviamente tanti grazie, inchini e salamelecchi a chiunque stia
leggendo queste (e le precedenti xD) parole, a chi le segue, le
preferisce e le ricorda u.u
ANGOLO
PUBBLICANTE
Tua
sorella rispetterebbe le scadenze se TU non rompessi le PLUFFE!
Quindi diciamo che ti sono mancati in questA settimanA e non in
questE settimanE u.u
Perdonate
questo piccolo sfogo contro la quasi-diciottenne,
anche detta autrice della FF, ma non mi può fare questi
commenti,
ecco -.-
Rispettando
le sue volontà aggiorno dopo una settimana invece di due e
ringrazio
le persone che hanno recensito e quelle che hanno aggiunto la storia
trai preferiti/seguiti/ricordati. Rispettivamente grazie alle 15
persone che preferiscono, alle 32 che seguono e alle 2 che ricordano.
Vorrei inoltre dire che... abbiamo
superato le 60 recensioni totali!!! Gioite
anche voi!
Passiamo
ora a ringraziare le persone che hanno recensito questo chap:
-
A _NEMO: ti ripeto di non
preoccuparti! Mi dispiace se non ho corretto, ma dopotutto le
correzioni spettano all'autrice... quando la sento la
informerò :D Sono contenta che questo chap ti sia piaciuto e
che, almeno qui, non ci siano stati errori ;) La cara Lily deve ancora
rifletterci su, ma dopotutto ha ancora 11 anni! Quindi non possiamo
pretendere troppo u.u La sorella, cioè moi, ringrazia per
l'apprezzamento del suo lavoro sporco ^^
-
A S_marti_es: in effetti sì,
io ho già letto tutto e sono anche stata presente alla
stesura dei capitoli di tanto in tanto ^^ Quindi, IO detengo il potere! Diciamo che potrei dare
informazioni, ma vi leverei tutto il gusto, no?
Quindi se in questo chap
c'è James sappiamo già che ti piace? A priori?
COMODO! Spero che gli altri personaggi non ti guastino il quadretto con
il vecchio Jamie <3 Alla prossima!
-
A malandrina4ever: sono belli a pari merito
*___________________* Oppure dobbiamo creare due classifiche diverse...
Mister Hogwarts: Sirius e Mister Grifondoro: James! È
fattibile! Però poi non vorrei che il povero Jamie pensasse
di essere più brutto di Piton essendo solo di Grifondoro...
e poi magari Siriuccio pensa di essere più brutto di Frank!!
AAAAAAAAAH! *_Milady_ segue malandrina e fugge*
Buon
divertimento a tutti e alla prossima!
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 9 - Unicorni e Giganti ***
Prima
parte: I
anno
Capitolo 9
– Unicorni e
Giganti
La
foresta non era così spaventosa come sembrava: fitta
senz’altro lo
era, ma c’era uno scarso sottobosco e i passaggi fra gli
alberi
erano ampi. Non dubitavo che addentrandosi sarebbe diventata
più
intricata, però così vicina alla strada era
percorribile.
La
stavo guardando con discreto interesse quando notai un bagliore
argentato ai limiti della mia zona visibile. Curiosa, aguzzai la
vista per vedere cosa fosse, e feci qualche passo avanti il
più
silenziosamente possibile.
Non
avevo dimenticato gli avvertimenti di Silente il primo giorno: avevo
la bacchetta a portata di mano ed ero sul chi vive, però
volevo
anche assolutamente scoprire cosa fosse quella cosa.
Mi
avvicinai lentamente e alla fine riuscii a distinguerlo: sembrava un
cavallo. Ma al mio approssimarsi alzò la testa e notai un
corno
scintillante al centro della fronte, che mi lasciò
stupefatta: non
era un cavallo, era un unicorno.
I
suoi occhi d’argento liquido mi fissavano interrogativi ed un
po’
spaventati, e sembrava sul punto di scappare.
Mi
immobilizzai: era troppo bello per permettergli di scappare
così in
fretta. Perciò, con la massima calma, alzai la mano per
mostrargli
che non avevo cattive intenzioni, e per fargli sentire il mio odore;
magari così non si sarebbe spaventato troppo.
Sembrava
ancora incerto: il suo sguardo continuava a saettare da me a tutte le
possibili vie di fuga, ma sembrava stranamente restio ad andarsene.
Il perché lo capii poco dopo.
Un
cespuglio poco distante da noi si mosse, facendomi girare di scatto,
ed un puledrino d’oro puro mi venne fiduciosamente incontro
con gli
occhi colmi di innocenza. Era uno spettacolo straordinario: piccolo,
magro e nervoso, ma straordinariamente toccante. Si avvicinò
a me
senza nessuna paura e cominciò a leccarmi la mano.
Mi
inginocchiai il più lentamente possibile per portarmi alla
sua
altezza e cominciai ad accarezzarlo. Lui emise un leggero, musicale
nitrito e scosse la bella chioma.
L’altro
unicorno vicino a me era sembrato molto nervoso
all’apparizione del
piccolo, ma ora si era tranquillizzato un po’. Si era anche
avvicinato di più e mi aveva messo la testa su una spalla,
dandomi
fiducia e controllandomi al tempo stesso.
Osai
tendere una mano per accarezzare anche lui e lo accettò con
tranquillità, nitrendo appena.
Il
piccolo era tutto contento, si agitava sulle zampe sottili e
saltellava da una parte all’altra prima di tornare da me. Poi
tornava a dirigersi verso la foresta e di nuovo da me. Sembrava
volesse invitarmi a casa sua. Alla fine mi prese eloquentemente un
lembo della divisa fra i denti e mi tirò appena verso il
cuore della
foresta. Anche l’altro sembrava deciso a portarmi verso di
là, mi
spingeva col muso – attento a non mettere il corno in
posizione
d’attacco – invitandomi a seguire il piccolo.
Mi
ero appena alzata dopo aver preso la decisione di seguirli in barba
al buon senso quando una profonda voce rauca esclamò:
«Perdinci!
Che ci fai qui?»
Mi
girai di scatto, spaventata, ma gli unicorni sembravano tranquilli e
perciò cercai di tranquillizzarmi anch’io.
Di
fronte a me c’era il Mezzogigante, Hagrid mi sembrava si
chiamasse.
«Io…»
cominciai a dire cercando una scusa adeguata.
«Io…»
Lui
mi si avvicinò e mi guardò da capo a piedi.
Faceva impressione: un
omone alto più di due metri e mezzo con una barba fitta ed
incolta
che lasciava a malapena vedere occhi e naso e una balestra
dall’aria
minacciosa sulla schiena.
Poi
fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: scoppiò a
ridere e
dette una leggera carezza sul dorso dell’unicorno
d’argento. «Ti
ci piacciono, eh?» mi chiese con un sorriso. «Gli
unicorni, dico?»
Io
annuii guardandolo. Sembrava tranquillo ed ero quasi sicura
sorridesse. «Non ne avevo mai visti, prima» mi
giustificai.
«Davvero?
Questo è un peccato! Sono creature meravigliose gli
unicorni»
rispose mentre il piccolo cominciava a saltellargli attorno tutto
felice. «Non so neppure se mi piacciono di più da
cuccioli o da
adulti» proseguì indicandomeli entrambi.
«Belle bestie, davvero.
Tremendamente gentili, e timide. Si fanno avvicinare solo dalle
femmine, di solito. Da cuccioli sono più
socievoli» mi spiegò poi
dando un buffetto al puledro. «Quasi quasi ci piacciono pure
i
maschi. Le femmine adulte invece» aggiunse indicandomi
l’altro,
abbastanza tranquillo, «sono nervose. Hanno paura che ci
colpiscono
i piccoli, per questo.» Mi guardò
dall’alto. «È strano che una
femmina col cucciolo si fa avvicinare. Di solito stanno appartati,
non vengono mai fino a quaggiù. Questa deve avere un
motivo…» Mi
superò e guardò attentamente gli alberi attorno a
sé. «Ah, eccolo
il perché» commentò guardando la
corteccia degli alberi. «Vieni,
vieni, guarda» mi invitò poi indicandomi il
muschio che cresceva
sull’albero. «Lo vedi questo? È muschio
di Persia. Rarissimo, in
Gran Bretagna non cresce, quasi affatto. Servono alberi molto molto
vecchi per farlo crescere. È il cibo preferito degli
unicorni, e
questa mamma voleva che il cucciolo lo prendesse… gli fa
bene, il
corno ci diventa più forte e migliora la salute.»
Guardai
attentamente il “muschio di Persia”. Nulla, a
vederlo, indicava
qualche caratteristica particolare, ma aveva un odore penetrante e,
guardando molto attentamente, si potevano notare dei minuscoli
fiorellini bianchi all’interno.
Sentii
qualcosa tirarmi per la mano e vidi che il piccolo unicorno aveva
preso la manica della mia tunica fra i denti e mi stava tirando.
«Gli
piaci» mi disse Hagrid tutto orgoglioso. «Gli piaci
proprio. E
anche alla mamma.»
Infatti
l’unicorno bianco-argento era vicina a me e mi guardava senza
quella paura istintiva che aveva all’inizio.
Mi
venne spontaneo sorridere: erano davvero creature straordinarie.
«Sono meravigliosi» sussurrai chinandomi nuovamente
per accarezzare
il piccolo.
«Eh,
sì» annuì Hagrid. Non sembrava
più così spaventoso ora che gli
stavo parlando, anche se aveva una pronuncia buffa. «Devi
averci il
tocco, per trattare con gli unicorni, e se li prendi in un momento no
è meglio avere alle spalle un albero e buoni riflessi, o
potresti
finire su uno di quei corni. Mai infastidire una mamma unicorno, se
vuoi la mia. Non sono aggressivi ma se ci tocchi i
piccoli…»
Lasciò in sospeso la frase e prese alcuni ciuffetti di
muschio dalla
parte più alta dell’albero, dov’era
fuori dalla portata
dell’unicorno, porgendolo alla madre. «Piuttosto,
che ci fai tu
qui?»
«Io…»
ricominciai un po’ intimidita. Decisi che la
verità era la strada
migliore. «Stavo tornando dal campo da Quidditch»
spiegai alzandomi
nuovamente in piedi. «E stavo passando vicino alla foresta,
sa, per
levarmi dalla calca. Poi però ho visto uno scintillio
d’argento
fra gli alberi e sono venuta a vedere.» Lo guardai
implorante. «Lo
so che è proibito, signore, ma non mi sono allontanata
tanto, e poi
non è successo niente di grave, non
crede…»
«Perdinci,
ragazzina, non chiamarmi signore! Chiamami Hagrid e dammi del tu. Mi
ci fai sentire vecchio, a chiamarmi signore!»
ribatté lui
guardandomi con un sorriso.
Io
annuii e mi tranquillizzai. «Va bene, sign… voglio
dire, Hagrid»
mi corressi in fretta. «Ero solo venuta…»
«Tranquilla,
perdiana, non ti mangio mica!» ribatté lui
velocemente. «Non mi
devi dire niente, volevo solo saperlo! È normale voler
vedere la
Foresta, ricordo che quando ero un soldo di cacio come te anche io ci
andavo! È un posto troppo bello per non attirare
l’attenzione…»
Guardò nuovamente gli unicorni, poi fissò il
cielo. «È già
tardi…» commentò quasi fra
sé. Tornò a guardarmi. «Immagino
che tu non hai mangiato, vero?»
Io
mi accorsi solo in quell’istante che dovevo ancora andare a
pranzo
e che doveva essere tardi, ormai. «Accidenti, è
vero! Che stupida,
mi ero completamente dimenticata…»
«Tranquilla,
tranquilla…» ribatté lui bonariamente.
«Puoi venire a pranzo da
me, anche io devo mangiare…»
A
essere onesta avevo un po’ di paura: insomma, quando sei
cresciuta
a Hansel e Gretel e Pollicino e un gigante simile ad un orco ti
invita a pranzo a casa sua non puoi non sentirti leggermente nervosa.
Però fino ad allora non mi aveva fatto niente di male, e in
ogni
caso qualcuno se ne sarebbe pur accorto se fossi sparita senza
lasciare traccia. Quindi non dovevano esserci troppi problemi.
Annuii.
Lui
sorrise di nuovo. «Brava ragazza!»
approvò facendomi ridere.
«L’altro giorno ho visto dei ragazzini sul limite
della foresta.
Ma quando ci ho parlato sono scappati a gambe levate. Sai»
aggiunse
ridendo mentre ci allontanavamo, «credo che ci avevano paura
di me!»
Io
risi insieme a lui e ci avviammo verso la sua casetta discutendo del
più e del meno, come vecchie conoscenze. Aveva un modo di
fare
burbero e schietto che invitava alla fiducia, e i suoi occhi,
nerissimi, erano comunque così buoni che dopo un attento
esame era
impossibile ritenerlo ancora un violento barbaro.
La
sua casa era una specie di grossa capanna, o piccolo cottage, a
monolocale, con appesi al soffitto il prodotto di una fruttuosa
cacciagione e altri oggetti che non riconoscevo; in un angolo
c’era
un letto imponente ed un grosso camino scoppiettava su una parete.
Era abbastanza grande da poterci entrare in piedi, ma visto vicino ad
Hagrid sembrava di proporzioni medie.
Feci
appena in tempo a notare tutto ciò che un grosso animale
– lì per
lì mi sembrò un lupo, ma poi si rivelò
solo essere un cane enorme
– mi si avventò contro poggiandomi le zampe sulle
spalle e
cominciando a leccarmi indiscriminatamente tutta la faccia. Se non ci
fosse stato Hagrid dietro di me sicuramente sarei finita a terra. Lui
mi resse e scoppiò in una risata che nonostante i toni bassi
sembrava affabile. «Ci piaci pure a Thor! Ma allora ci sai
proprio
fare, eh?»
Io
non potevo rispondere in quanto avevo la faccia tutta impiastricciata
di saliva e l’aggressione del cane non era ancora finita:
dopo
avermi ripulito la faccia cominciò a
saltellarmi intorno e ad
aggrapparsi a me nei momenti in cui meno me lo aspettavo, facendomi
barcollare tutte le volte.
Hagrid
ancora rideva, ma mi portò una bacinella d’acqua
gelida con cui
potessi lavarmi. Quando tornai più o meno in possesso della
mia
vista, notai che aveva messo sul fuoco una grossa teiera di rame che
controllava di tanto in tanto.
Per
quanto non amassi il tè come il latte – e in
questo ero una
pessima inglese, con gran disperazione di mia madre – ero
contenta
di avere qualcosa con cui scaldarmi dopo il freddo della partita.
Hagrid imbandì un autentico festino, offrendomi dei dolci
fatti in
casa della consistenza di un dischetto da hockey e alcune tartine,
fortunatamente commestibili. Thor aveva appoggiato la testa sulle mie
ginocchia e di questo gli ero abbastanza grata, in quanto se non
altro potevo rifilare a lui i biscotti senza sembrare scortese.
Era
facile parlare con Hagrid, e in più sapeva assolutamente
tutto dei
dintorni del castello: era come avere una mappa vocale a
disposizione. Mi raccontò delle varie creature che vivevano
nella
foresta (oltre agli unicorni scoprii che ospitava una colonia di
centauri, alcuni lupi mannari, diversi ippogrifi e qualche grifone,
oltre ad altre creature che Hagrid curava personalmente), delle loro
abitudini, di cosa si nutrivano… mi raccontò
persino alcuni
aneddoti sulla Piovra Gigante del Lago! A quanto sapeva era
lì da
sempre, o almeno fin da quando lui era arrivato a scuola. A volte
sospettava che figliasse e quando i piccoli diventavano grandi la
piovra spariva, ma non ne era sicuro.
«È
una scuola sempre in movimento, mai un momento di pace» mi
spiegò
mentre bevevamo il tè. «Pensa che
quest’anno Silente ha fatto
importare direttamente dal sud Italia un Platano Picchiatore per
farlo crescere qui.» Bevve una gran sorsata e, dopo essersi
pulito
la bocca col dorso della mano, proseguì: «Mica
facile, sai, farli
crescere in Inghilterra. Ci piace un clima più caldo, di
solito, ma
il nostro insegnante di Erbologia sa il fatto suo, credi a me! Ha
dovuto cambiare il terreno apposta per lui, è una pianta che
se non
ci dai quello che vuole picchia, e forte, anche, oh!» Bevve
nuovamente. La sua tazza era grande più o meno come una
pentola
media.
«In
che senso» chiesi sorseggiando il tè, «picchia?»
«Be’,
mica si chiama Platano Picchiatore perché è
scemo, sai?» mi disse
con un sorriso. «È per questo che è
così difficile da tenere: se
ti avvicini troppo, pam!, lui ti picchia coi suoi rami. Quindi non ti
avvicinare mai, il nostro è ancora giovane ma quei rami in
testa
fanno male, credi a me!»
Annuii
riflettendo un po’ su quella strana pianta. «E
perché l’ha
fatta importare qui?» chiesi curiosa. «Voglio dire,
è pieno zeppo
di studenti, gli incidenti potrebbero capitare…»
«Ah,
sì…» disse lui vago. Aveva la faccia di
uno che si sta
avventurando su un sentiero pericoloso. «Be’, credo
che il
professor Wrightii vuole farci esercizi con quelli più
grandi, sai,
gli studenti del settimo anno… e siccome non sono facili da
capire
se non li vedi, Silente lo ha fatto venire qui. Una nuova
opportunità, no?» esclamò forzatamente.
Il
suo tono non mi convinceva affatto. Aveva l’aria di uno che
si sta
arrampicando sugli specchi. Forse non mi stava mentendo, ma ero
più
che sicura che non mi stesse neppure dicendo tutta la
verità.
«Secondo me è pericoloso» dissi con
decisione.
Lui
scosse la testa. «La gente dice che sono pericolose un
mucchio di
cose» osservò con saggezza. «Ma sono
quasi sempre pregiudizi.
Insomma, la gente ha paura dei Thestral! Come si
può…»
«Cosa
sono i Thestral?» chiesi io subito.
«Delle
specie di cavalli alati, un po’ più
magri» mi spiegò lui.
Aggrottai
la fronte. «Perché la gente ne ha paura,
allora?»
«Be’,
vedi» cominciò, «li può
vedere solo chi ha visto la morte in
faccia, ecco. Per tutti gli altri sono invisibili, anche se se li
colpisci senti, eccome…»
«Ah»
fu il mio unico commento mentre riflettevo sulle implicazioni che
questo comportava. «Ma perché la gente ne ha
paura?» chiesi
nuovamente.
«Be’,
perché sono stupidi, ecco!» rispose lui con forza.
«La gente non
li può vedere se non vede la morte e allora tutti saltano su
e
dicono che portano jella e balle simili…»
«Che
assurdità» annuii io. La mentalità
scettica della mia famiglia,
specie dai tempi di Manchester, aveva lasciato poco spazio alle
superstizioni. In questo ero una pessima irlandese: ma mio padre non
se l’era mai presa a male.
«Appunto»
approvò lui riservandomi un’occhiata di
apprezzamento. «Sono
intelligentissimi ed hanno un senso dell’orientamento
pazzesco.
Riescono a portarti in un posto anche se non ci sono mai
stati…»
«Comodo»
commentai pensando a quanto sarebbero stati utili anche per i
Babbani.
«Già.»
Rimasi
a chiacchierare fino a pomeriggio inoltrato, e quando tornai insieme
a lui a scuola eravamo diventati ottimi amici e lui mi aveva
strappato la promessa di venirlo a trovare per il tè il
sabato
successivo.
Ci
andai, naturalmente, e consolidammo la nostra amicizia. Mi
portò
persino al limitare della foresta, facendomi vedere alcune delle
creature che allevava lui personalmente.
Quando
ne parlai con Severus, lui scosse la testa con aria scettica e non
commentò, ma i suoi occhi mostravano palesemente che non
approvava.
«Potrebbe essere pericoloso, Lily» mi
avvertì un pomeriggio dopo
che ero tornata da una nuova visita da Hagrid. «I Giganti
sono
creature rozze, incontrollate e con una estrema propensione alla
violenza. In più sono ottusi e barbari.
Quell’Hagrid è un
Mezzogigante, ci scommetterei la mia media a Difesa Contro le Arti
Oscure!»
«E
allora deve aver preso più dalla parte umana che da quella
di
Gigante» ribattei io inflessibile. Alzai lo sguardo da sopra
la
scacchiera a cui stavamo giocando. «Hai mai provato a
parlarci, Sev?
Non riuscirebbe a fare del male ad una mosca, nemmeno
involontariamente! Torre in A4.»
«Mossa
stupida» ribatté lui. «Hai lasciato
scoperto l’alfiere. Cavallo
in D3.»
«Sapevo
lo avresti fatto» ribattei gongolando. «Alfiere
nero in A5.
Scacco.»
«Bella
tattica» ribatté lui. «Ma non funziona.
Continui a sottovalutare
le pedine, ed è una grandissima stupidaggine. Pedina in
B6.»
«Uffa,
Sev!» esclamai io poggiandomi allo schienale della poltrona.
«Credevo di esserci riuscita per una volta.»
Lui
sogghignò. «Pensi troppo alle mosse più
immediate. Dovresti
costruirti una strategia flessibile.»
«Sì,
come se fosse facile» borbottai io guardando la scacchiera.
«E in
ogni caso sono riuscita a mangiarti la regina, quindi non sono
proprio una schiappa!»
«No»
concesse lui continuando a sogghignare. «A volte le tue
strategie
sono talmente pazze da non essere prevedibili. Ma sei ancora una
principiante.»
Io
ordinai all’alfiere di spostarsi e continuai il gioco in
silenzio.
«Ma
comunque è pericoloso» riprese lui mentre io
continuavo a chiedermi
cosa fosse meglio muovere. «Un Mezzogigante non è
una compagnia
raccomandabile.»
«Oh,
ma chi sei, mio padre, Sev?» ribattei io ancora impegnata a
pensare
alla prossima mossa. «Non ha mai attentato alla mia vita, se
non
dandomi dei biscotti più duri del cemento, e in ogni caso
l’ha
fatto in perfetta buona fede!»
«Non
sai cos’altro potrebbe fare in perfetta buona
fede!» ribatté lui
impaziente. «Potrebbe avere un raptus e farti del male! Non
si sanno
controllare, sono come dei bambini! Dei bambini stupidi, rozzi e
maneschi! E malvagi! Insomma, non sai cosa…»
«Sev»
risposi io con calma pericolosa. «Hagrid è amico
mio. E so che non
mi farebbe del male. Fine della storia.»
«No,
adesso mi stai a sentire, Lily!» ribatté lui
arrossandosi appena
per la rabbia. «Forse tu puoi continuare a ignorare quello
che ti
sta sotto il naso, ma siccome sei mia amica non posso permetterti di
farti del male! Lily, i Giganti sono pericolosi, lo vuoi capire?
Quello che ha detto la professoressa Harvey non ti ha insegnato
niente?»
«Hagrid
non è un Gigante» ribattei io muovendo una torre.
«E non è
pericoloso. Altrimenti Silente non lo lascerebbe stare a scuola, a
contatto con i suoi alunni, insomma! È guardiacaccia e
custode delle
chiavi, e in più gode della più completa fiducia
di Silente.»
Rimase
per un attimo in silenzio prima di dire: «Silente…
è un mago
eccezionale, e su questo siamo d’accordo, ma ha anche una
grande
propensione a… a fidarsi troppo delle persone. Da a tutti
una
seconda possibilità, anche quando non se la meritano.
Insomma,
quello che sto cercando di dire è…»
«Ho
capito perfettamente cosa stai cercando di dire, Sev»
replicai io
gelida. «Ma mi fido di Hagrid.»
Si
alzò dalla sedia così di scatto che sobbalzai.
Prese la sua borsa
di prepotenza e ne trasse fuori quello che sembrava un giornale
spiegazzato. «Guarda!» mi incitò
mettendomelo sotto il naso. «Lo
vedi, questo?» Mi indicò la foto in prima pagina:
mostrava un
paesaggio totalmente devastato da quello che sembrava un ciclone di
notevoli proporzioni: alberi sradicati, case semi distrutte, persone
che urlavano dappertutto… «È opera di
un Gigante» mi disse dopo
avermi fatto osservare bene le immagini. «Anzi, probabilmente
di più
Giganti, ma che importa? Capisci? I Giganti sono incontrollati, e
molto, molto forti. In più resistono agli incantesimi, e
quindi è
tremendamente difficile abbatterli. Sono un pericolo per tutti, te ne
rendi conto? Senti un po’ qui» proseguì
riprendendo il giornale e
cominciando a leggere: «Nella tarda mattinata di
ieri si è
verificato il passaggio di un clan di Giganti nel basso Norfolk, a
poche miglia da Long Stratton. Le creature, non ancora catturate,
hanno portato devastazione nel territorio ferendo gravemente quindici
persone fra maghi e Babbani ed uccidendo un mago, Thomas Carrey, 54
anni, trovato sepolto nelle macerie della sua casa. La moglie,
sconvolta dal lutto, ha dichiarato… Capisci cosa
intendo?
Neppure i maghi sono al sicuro! Ascolta!» proseguì
febbrilmente.
«No, ascoltami Lily!» aggiunse quando vide che io
stavo per
parlare. «Nemmeno il Ministero sa che cosa fare! Il
Ministro
della Magia ha commentato: “Disgraziata vicenda, ma gli Auror
sono
già sulle loro tracce e confidiamo di riuscire a riprenderli
ed
abbatterli prima che combinino altri danni”.
Bisognerà poi
decidere se credere a queste affermazioni o alle testimonianze di
diversi maghi che hanno dichiarato di aver trovato segni
inequivocabili della presenza di Giganti nei pressi delle loro case.»
«Quante
sciocchezze!» ribattei io piccata. «Se si fossero
trovati davvero
nei pressi delle loro case non sarebbero in grado di
raccontarlo.»
«La
gente fa di tutto per farsi notare» commentò lui
stringendosi nelle
spalle. «Ma non è questo il punto! I Giganti per
nessun motivo
vanno avvicinati. Non sono come noi, sono poco più che
bestie,
ottusi e brutali, e…»
«Hagrid
non è né ottuso né brutale!»
esclamai io. Stavo cominciando ad
arrabbiarmi e mi sentivo le guance in fiamme. «Anzi, ha una
conoscenza davvero notevole di tutta la foresta e delle creature che
lo abitano! Ed è anche tanto cordiale, mi tratta con
gentilezza
anche se sono figlia di Babbani!» esclamai quasi con ferocia.
«Non
gli importa niente che il mio albero genealogico non sia puro come
quello dei tuoi compagni, mi tratta per quello che sono!»
«Anche
io ti tratto per quello che sei, Lily!» esclamò
lui ferito.
Ma
io ero troppo arrabbiata per controllare quello che dicevo.
«Sì, e
per quanto ancora durerà, Sev? Hai visto come mi guardano i
tuoi
compagni, sai cosa la pensano la maggior parte dei maghi
sui… su
quelli come me! Quanto ci vorrà perché riescano a
corrompere anche
te? Fra quanto credi che…»
«Lily!»
esclamò lui arrabbiato e anche mortificato. «Credi
davvero che…
credi davvero…»
Tutta
la mia rabbia parve sparire come per magia. In un attimo, ebbi orrore
di quello che avevo appena detto. «Sev,
io…» cominciai mentre mi
venivano le lacrime agli occhi. «No, Sev, no, assolutamente
no, sono
solo…»
«Pensi
davvero che riuscirei a fare una cosa del genere?»
«No!»
esclamai cercando di rimediare al gigantesco pasticcio che avevo
creato. «Scusami, sono una stupida, una ragazzina,
è che… oh,
Sev!» esclamai scoppiando a piangere e rannicchiandomi
appoggiata al
muro. «Sono stanca, Sev, e non so neppure cosa dico! Cosa
c’è di
sbagliato nell’essere venuti dai Babbani? Che differenza
c’è?
Cosa ho fatto io di male?» Nascosi la testa nelle ginocchia.
Lo
sentii accucciarsi accanto a me e poco dopo la sua mano strinse forte
la mia spalla. «Shh, Lily, non cambia assolutamente
niente»
sussurrò. «Tu sei una strega bravissima, sei una
delle prime, qui!
Insomma, il professor Lumacorno ti adora!»
Risi
fra le lacrime. «Sì. È ridicolo,
vero?» Tirai su col naso e mi
asciugai gli occhi. «Sono una stupida» dissi
stizzosamente. «Una
stupida bambina piagnucolosa. Odio piangere! E per
cosa, poi?
Per idioti come… come Malfoy, o Avery, o chi so
io…»
Mi
passò, con mia grande sorpresa, una mano dietro le spalle,
in un
gesto di conforto che non mi sarei mai aspettata da lui. Sevreus
semplicemente non sopportava le manifestazioni di affetto, ancor meno
se richiedevano il contatto fisico. Poteva ancora ancora sopportare
una stretta di mano, o un abbraccio di massimo un secondo
cronometrato, ma niente più. Aveva una tale repulsione per
ogni tipo
di vicinanza che aveva contagiato anche me: gli unici abbracci che
ora potevo sopportare erano quelli dei miei genitori e quelli che
decidevo di dare io di mia spontanea volontà. Se una persona
mi
abbracciava troppo a lungo o troppo intensamente rimanevo totalmente
imbarazzata o provavo un vago senso di disagio misto a fastidio.
Però
quella stretta era leggerissima ed esprimeva solo conforto, quindi mi
ci adattai velocemente. Anzi, mi fece molto meglio di quanto avrebbe
fatto quella di chiunque altro proprio per la sua rarità.
Perciò
mi aggrappai in silenzio alla sua mano e rimanemmo così per
un tempo
che sembrò passare subito durando
un’eternità.
ANGOLO
AUTRICE
La
guerra si avvicina…
Ok,
enorme cacchiata: la guerra è fuori ed è ancora a
stato embrionale,
quindi ciccia. Però si è parlato parecchie volte
delle devastazioni
dei Giganti ai tempi di Voldemort, particolarmente in Harry
Potter
e il Calice di Fuoco, quindi mi è sembrato
normale introdurre
l’argomento in relazione ad Hagrid…
Ah,
e ovviamente questa è la prima presentazione di Hagrid come
amico e
non come figura marginale, ma in vari accenni sparsi qua e
là per i
libri mi è sembrato che conoscesse abbastanza bene sia Lily
che
James, quindi in qualche modo dovevo introdurlo.
Ah,
ho cercato di inserire nel suo parlato alcuni degli errori che avevo
notato anche nei libri, non so se ci sono riuscita bene: più
che
altro ho evitato i congiuntivi ed ho inserito più
“ci” del
dovuto…
Immagino
che potrei puntualizzare un altro paio di cose, ma non mi va, a
essere onesta: attirerei i vostri sguardi su alcuni errori che ho
cercato di camuffare, e da parte mia non sarebbe propriamente una
furbata…
Perciò,
arrivederci a tutti, vivi morti e anche brutti (minsk, ho fatto la
rima… O.O).
ANGOLO
PUBBLICANTE
Minsk,
che per chi non lo sapesse, è la capitale della Bielorussia!
Perdonate,
ma è un giochetto che facciamo sempre io e Sil.
Perdonate
anche il mio tremendo ritardo nell'aggiornare, ma domenica scorsa non
ero a casa e invece questa domenica cercavo di sopravvivere con le
stampelle -.- Non è affatto facile! Se poi considerate tutte
le
persone che a scuola te le fregano con frasi tipo:
“Guardatemi!
Sono il Dottor House” o minchiate del genere capirete il mio
umore
-.-
Fortuna
che tra un po' me le levo...
Ehm...
Tornando alla storia, chiedo ancora scusa e prometto che
farò
pubblica ammenda in qualche modo u.u
Passiamo
alle recensioni!
-
_NEMO: scusa non l'ho rifatto, ma le
mie giustificazioni sono presentate abbastanza su ^^ Sono contenta che
il chap ti sia piaciuto! Anche io adoro il Quidditch, anche se senza
James <3 non è la stessa cosa u.u Diciamo che ci
rifaremo i prossimi anni :D Lily è trooooppo carina e
pucciosa *_________* E le Serpi sono maschiliste -.- Quindi non
meritano di vivere u.u Tranne Tom <3 Alla prossima!
-
malandrina4ever: BOCCOLI D'ORO!!! Ti giuro che
mi sto ancora sganasciando dalle risate! Povero Malfoy! Lui, l'unico
che fa swiiish grazie a Pantene, declassato a
BOCCOLI d'oro... XD Ti ho amato u.u Anche per la grassezza della
pantegana -.- Non si merita nemmeno un fottutissimo cuore -.-
A chi piace l'insalata?
È... erba venuta male! C'è anche gente che la
mangia scondita... a 'sto punto va a fare compagnia alle mucche -.-
-
S_marti_es: ahahahahaha! Povero Malfoy!
Nessuno lo apprezza! :D Non diamogli la soddisfazione di vedersi
finalmente con dei capelli maschili! Si, sono maschili anche se non ci
sono u.u Le donne non sono pelate -.- Gli uomini sì -.-
Grazie mille per le immagini! Sono contenta che ti piacciano!
Muahahaha!! Io detengo il
ppppotere!! POTERE!!!
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Capitolo 17 *** Capitolo 10 - Feste Noiose e Fotografi Schizofrenici ***
Prima
parte: I anno
Capitolo 10
– Feste Noiose
e Fotografi Schizofrenici
Il
primo dicembre Remus mancò da scuola dicendoci che sua madre
era
gravemente ammalata. Mi spaventai un po’ a quella notizia, ma
tornò
poco tempo dopo dicendoci che fortunatamente era guarita e, sebbene
fosse ancora molto debole, non temevano ricadute immediate.
Il
tempo dalla partita al mio ritorno a casa trascorse così
velocemente
che a volte mi chiesi che fine avesse fatto; il fatto è che
era
straordinariamente facile abituarsi alla routine di Hogwarts:
lezioni, compiti, chiacchierate, incantesimi…
Il
giorno prima dell’inizio delle vacanze, il professor
Lumacorno
organizzò un’altra delle sue cenette, invitando
sia me che
Severus, i migliori del suo corso.
In
realtà ero un po’ imbarazzata: cosa mi sarei
dovuta mettere per
un’occasione del genere? Non avevo portato nessun tipo di
vestito…
il mio sguardo sconsolato cadde nella mia sezione di armadio e si
calamitò sulla semplicissima veste da mago nera che mio
padre aveva
insistito per prendermi da Madama McClan quando lei me
l’aveva
fatta vedere. Era quanto di più semplice si potesse
immaginare, ma
in mancanza di meglio…
La
tirai fuori dall’armadio e la guardai meglio:
complessivamente era
un bel capo, non attirava l’attenzione e poteva essere adatta
a
qualunque circostanza. Mi cambiai velocemente e mi guardai allo
specchio del bagno, critica.
In
quel momento entrò Alice. «Ehi! Stai bene
così, Lily!» esclamò
guardandomi attentamente.
Io
mi voltai di nuovo verso la mia immagine riflessa.
«Dici?»
commentai scettica.
«Sì,
è proprio bella questa veste!» rispose lei
guardandomi con
attenzione. «Girati!»
Ruotai
su me stessa e mi sottoposi al suo esame. «Mhm»
commentò lei
girandomi attorno come una sarta. «Allora, hai un aspetto
molto…
molto… come dire?… una via di mezzo fra serioso e
chic. Sì, mi
piace! Ma» aggiunse prendendo una ciocca dei miei capelli e
guardandoli con aria critica, «questi vanno
sistemati.»
Rivolsi
un’occhiata esasperata al mio riflesso. «Lo so, ma
non ho
assolutamente idea di come…»
«Lascia
fare a me!» mi interruppe allegramente lei. «Hai
dei capelli
talmente meravigliosi che sarà semplicissimo… oh,
non ti farò
niente di troppo elaborato» aggiunse in risposta al mio
sguardo
guardingo, «lo so anche io che non ti piacciono, e credo di
essere
d’accordo… però lasciami fare, ho
sempre desiderato poter
sistemare i tuoi capelli, sono così belli… lisci,
soffici,
setosi…»
La
guardai a bocca aperta mentre cominciava a trafficare con spazzola e
pettine. «Stai scherzando, vero? Pendono mosci come delle
tende e
per di più hanno un colore assolutamente pazzo!»
«Hanno
un colore meraviglioso» ribatté lei. «E
non penderanno affatto
mosci quando avrò finito. Siediti.»
Mi
sedetti sul mio letto scoraggiata e la sentii trafficare con i miei
capelli per quasi un quarto d’ora, prima che ritirasse la
spazzola
e dichiarasse trionfante: «Fatto! Ora prova di nuovo a dire
che sono
mosci!»
Mi
condusse davanti allo specchio e mi sottopose al mio stesso esame.
Aveva detto la verità, non aveva fatto niente di complicato:
i miei
capelli erano semplicemente tirati indietro in una specie di grossa
coda che lasciava tutti i capelli spumeggianti attorno. Non sapevo
come riuscissero a sfidare la gravità a quel modo, fatto sta
che lo
stavano facendo e ci stavano anche riuscendo bene. Si movevano anche
appena, come sospinti da una piccolissima, insistente brezza di
vento.
«É…»
cominciai stupefatta, sfiorando appena lo specchio con la punta delle
dita. «…Strano» conclusi guardandomi.
Quella ragazza non sembravo
io.
«Sei
bellissima, invece» rispose Alice guardandomi soddisfatta.
«E credo
tu sia anche in ritardo» aggiunse guardando
l’orologio. «Per che
ora dovevi essere lì?»
«Io
e Severus pensavamo di ritrovarci alle otto nel Salone di
Ingresso»
risposi distrattamente, intenta a guardarmi da tutte le angolature
possibili.
«Ehm,
Lily?» disse Alice picchiettandomi su una spalla.
«Sai,
credo che dopotutto non sto così male» conclusi
stando ferma.
«Grazie mille, Alice, non so cosa avrei fatto senza di
te…»
«Lily?
Non perché non mi faccia piacere, ma… ecco, adesso
sono lo
otto passate…»
Mi
voltai di scatto verso di lei – i miei capelli assecondarono
con
grazia il mio movimento. «Passate da quanto,
esattamente?» chiesi
con un principio di orrore.
«D-dieci
minuti? Più o meno…»
Non
riuscì a terminare perché io me ne uscii con un
urlo strozzato e mi
precipitai fuori. Ritornai tre secondi dopo perché avevo
dimenticato
la bacchetta e le scoccai un veloce bacio sulla guancia mormorando:
«Grazie!» prima di scendere a precipizio dal
dormitorio.
La
Sala Comune era affollata, come sempre, ma non ci feci caso
perché
fortunatamente riuscii a raggiungere il ritratto della Signora Grassa
molto più in fretta di quanto non mi sarei aspettata. Mi
sembrava
quasi che tutte le persone che stavano fra me e quello si fossero
ritratte…
Percorsi
le scale a velocità massima, e grazie ad alcune delle
scorciatoie
che avevo scoperto con Remus o con Severus riuscii ad essere nella
Sala d’Ingresso in un tempo ottimo, anche se avevo li fiatone.
Severus
era lì ad aspettarmi, anche lui vestito di nero.
«Scusa, Sev»
ansimai quando finalmente lo raggiunsi. «È che
Alice mi ha aiutato
e non mi sono accorta di che ore fossero…»
Non
mi dava l’aria di ascoltarmi: era rimasto vagamente scioccato
dal
mio arrivo. Ovvio, dovevo avere un aspetto terrificante, sentivo il
fiato andare e venire ed ero più che sicura di aver rovinato
l’acconciatura, se così si poteva chiamare, che mi
aveva fatto
Alice. Inoltre senz’altro avevo il viso arrossato dalla
corsa.
Insomma, povero Severus, dovevo averlo sconvolto arrivando in quello
stato.
«Mi
dispiace, ti giuro che non ci avevo proprio fatto
caso…»
«Non
importa, figurati» mi rispose lui con aria assente. Si
riscosse
appena e sorrise. «Stai benissimo, sai?»
Arrossii
appena e scrollai le spalle. «È tutto merito di
Alice, in realtà,
io ero lì a disperarmi, ma poi è arrivata lei
e… puff! Un secondo
dopo non mi riconoscevo più.»
«Ha
fatto un ottimo lavoro» disse lui prima di arrossire e
cambiare
precipitosamente discorso: «Lucius mi ha detto che le cenette
del
professor Lumacorno si tengono nel suo ufficio.»
«Andiamo
allora!» esclamai io allegramente per dissolvere quel momento
di
imbarazzo.
Ci
avviammo e quando arrivammo per un attimo credetti di aver sbagliato
porta: ci ritrovavamo infatti in un grande stanzone addobbato con
metri e metri di seta verde, rossa, blu, oro… dava
l’impressione
di trovarsi in una tenda. Inoltre era affollata
all’inverosimile,
c’erano dozzine e dozzine di persone. In un angolo riuscii a
scorgere un piano orchestra e al centro era riservato uno spazio per
le danze.
«Ah,
Lily, Severus!» urlò la voce del professor
Lumacorno mentre lui
stesso parve materializzarsi davanti a noi. «Vi stavo proprio
aspettando… una festa ben riuscita, vero?» disse
poi orgoglioso,
guardandosi attorno.
Indossava
una specie di marsina color verde acqua con passamaneria argentata e
le calvizie incipienti erano coperte da un cappello da mago
coordinato. Mi afferrò per una spalla e ci
trascinò fra la folla,
salutando di tanto in tanto i numerosi ospiti.
«Ah,
Augustus!» chiamò ad un certo punto facendoci
sobbalzare. «Ragazzi,
vi presento Augustus Wooster, un mio vecchio studente, grande
distillatore di Pozioni e direttore della rivista Mille e uno
modi
per usare le Pozioni. E questi, Augustus, sono Lily Evans e
Severus Piton, sono sicuro che ti ricordi quando ti ho parlato di
loro due, gli studenti più versati per la mia materia che
abbia mai
conosciuto… questa signorina mi ha preparato non
più tardi di ieri
un perfetto Liquore Distensivo, ne ho provato una goccia ieri sera e
mi sono addormentato come un fringuello… e in più
è riuscita
anche a controbilanciare gli effetti collaterali dell’oppio
aggiungendo un pizzico di estratto di arabica. Dico, come ti
può
venire in mente di aggiungere arabica ad una pozione per il
sonno?»
«Notevole,
davvero notevole» commentò un mago basso e
esilissimo dai sottili
baffetti neri. «La ragazza chiaramente ha un
dono…»
«Proprio
così!» annuì entusiasticamente
Lumacorno. «Pensa che ieri il
Liquore non aveva neppure quel sapore di stantio che assume di
solito, ma, indovina?, sembrava di mandar giù un sorso di
cognac!
Ah, non so come abbia fatto ma è stato
geniale…»
«Geniale
davvero» annuì l’altro pensoso
guardandomi attentamente. «La
signorina Evans senz’altro ha un futuro appena uscita da
Hogwarts…
hai già pensato a cosa ti piacerebbe diventare?»
mi chiese
continuando a scrutarmi.
«Veramente
no, signore» risposi un po’ imbarazzata.
«Non ho… ancora fatto
in tempo a guardarmi attorno come si deve…»
«Be’,
dovresti pensarci» mi incalzò lui.
«È sempre meglio cominciare a
farsi un’idea fin dall’inizio…»
«Sì,
signore» risposi io.
«Ah,
e Severus sarebbe uno studente assolutamente eccezionale,
l’unica
pecca è che è capitato in classe con questo
piccolo genio… ma la
professoressa Harvey ne parla benissimo e dice che è il
migliore
della sua classe…»
Vidi
Severus arrossire appena e sorrisi.
Parlammo
con il signor Wooster ancora un po’, poi Lumacorno si
allontanò
per salutare qualcun altro e noi con una scusa ci defilammo verso il
tavolo dei rinfreschi.
«Fiu…»
commentai io. «Credevo che non saremmo riusciti a liberarci
più da
lì…»
Lui
annuì e prese una limonata, mentre io mi servivo acqua.
«Hai visto
qualcun altro del nostro anno?»
Io
mi guardai attorno, cercando di scorgere qualche volto familiare, ma
non trovai nessuno. «Non mi pare» risposi
sorseggiando l’acqua.
«Ma c’è tanta confusione che non ne sono
sicura…»
Lui
annuì.
«I
signori mi scusino» disse quello che sembrava un tavolino
ambulante
avvicinandosi.
Aggrottai
le sopracciglia spostandomi. «Cosa…?»
cominciai a chiedere quando
una creatura buffissima, dalla pelle di una strana tonalità
di verde
e con due enormi orecchie, alzò il vassoio che reggeva sulla
testa e
cominciò a metterci sopra altre pietanze.
«Cosa
sei?» chiesi infine completamente sbalordita.
Lui
alzò verso di me due acquosi occhi a palla. «Pecky
è Elfo
Domestico, signorina» rispose riuscendo, non capii come, a
inchinarsi tenendo fermo il vassoio.
Guardai
Severus in cerca di lumi e, siccome non ne arrivavano, chiesi ancora:
«Cos’è un… un Elfo
Domestico?»
«Percky
è umilissimo servitore dei signori»
trillò lui in risposta.
«Percky aiuta a tenere in ordine la Scuola di Magia e
Stregoneria di
Hogwarts.»
Aggrottai
la fronte. «Una sorta di… di inserviente,
diciamo?» chiesi
cercando di non offenderlo.
Ma
lui parve solo raggiante che avessi afferrato così in
fretta. «Sì,
signorina, sì!» esclamò entusiasta.
«Percky vive per tenere
pulita la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! È il
suo scopo
nella vita!»
«Ah!»
esclamai io sempre più perplessa.
«Percky
può fare qualcosa per la signorina?» aggiunse
continuando a
scrutarmi.
«No,
no, grazie Percky» risposi io in fretta con un sorriso.
Lui
sprofondò in un nuovo inchino e, dopo aver finito di
caricare il
vassoio, tornò a mischiarsi con la folla.
«Che
buffa creatura» commentai con Severus guardando il punto da
cui era
sparita.
«Già»
annuì lui. «Mia madre mi aveva accennato una volta
agli Elfi
Domestici, ma non ne avevamo più parlato… hanno
lo scopo di
servire, è uno stile di vita, per loro.»
«Solo
servire?» chiesi curiosa.
Lui
annuì. «Ma a quanto so a loro piace»
aggiunse scrollando le
spalle. «È l’unica cosa che sappiano
fare…»
Lasciammo
cadere il discorso quando Lumacorno ci venne nuovamente incontro,
trascinando più o meno per un braccio un altezzoso Lucius
Malfoy.
Rimasi stupefatta quando si fermò davanti a noi assieme al
suo
improbabile accompagnatore. «Lily, so che tu e Lucius avete
avuto
alcune divergenze in passato, ma sono sicuro che tutti e due sareste
lieti di metterci sopra la parola fine» attaccò
subito afferrando
anche un mio braccio e avvicinandomi a loro due.
Incontrai
i freddi occhi metallici di Malfoy e strinsi le labbra. Saremmo stati
lieti di fare cosa?
«Ma
certamente, professore» disse cerimoniosamente Malfoy
riservandomi
uno sguardo beffardo. «Quale magnifica
idea…»
Si
stava prendendo gioco di me. Sarebbe stato palese agli occhi di
chiunque, se non a quelli parziali del professore. Ora, sapevo che
era uno studente più grande, che conosceva più
incantesimi di
quanti io ne avrei saputi prima di raggiungere il sesto anno e che
non aveva neanche una particolare inclinazione alla pietà,
ma il suo
nemmeno troppo celato disprezzo stuzzicava una parte di me che era
meglio lasciare a riposare: quando mi arrabbiavo facilmente perdevo
il controllo pur di guadagnare alcuni punti. Quindi alzai il mento e
gli rivolsi un sorriso tanto scintillante quanto falso.
«Ovviamente,
professore» annuii con molto più coraggio di
quanto in realtà non
provassi.
«Splendido!»
esclamò lui stropicciandosi le mani. «Quindi
è tutta acqua
passata?»
«Tutta»
ripeté strascicato Malfoy prendendomi una mano e chinandosi
a
baciarmela.
Rimasi
a dir poco sconvolta da quel gesto, ma cercai di non darlo a vedere.
E non appena incrociai i suoi occhi, potei nuovamente vedere che lo
stava facendo solo per mostrarmi quanto fossi inferiore.
Perciò
sorrisi ancora e mi inchinai con tutto il garbo che mi aveva
insegnato mia nonna prima di
morire. Testa alta, piega appena il collo, fai sembrare tutto
un
unico movimento.
Era
assurdo, pensavo fra me e me, che la mia prima occasione di
sperimentare una riverenza fosse di fronte ad un ragazzo che mi
odiava solo per prendermi una ripicca. Forse stavo sbagliando. Ma non
riuscivo a non reagire. Ogni insulto, pur venendo da parte di un
ragazzo più grande, pur cerimoniosamente velato, andava
ripagato
allo stesso modo.
Il
suo sorriso si allargò appena mentre io mi ritiravo su.
«Una
riverenza degna di una regina» disse una voce dietro di me.
Voltandomi,
vidi una delle ragazze più belle su cui avessi mai poggiato
lo
sguardo: capelli biondissimi, con una coroncina di fiori gentilmente
poggiata sui boccoli ordinati, il vestito più bianco e
spumoso di
una nuvola, gli occhi della più chiara tonalità
di azzurro, era una
visione capace di mozzare il fiato a qualunque uomo di buon senso. Mi
sembrava una delle principesse delle fiabe che leggeva mia madre.
«Cissy»
la salutò Malfoy inchinandosi appena e prendendola sotto
braccio
dopo averle sfiorato entrambe le mani con le labbra. Si
voltò di
nuovo verso di me. «Permettimi di presentarti la mia
fidanzata.
Narcissa Black. Cissy, questa è Lily Evans.»
Piegai
appena la testa di fronte alla ragazza e lei mi rispose con
un’ironica riverenza. «Così questa
è la piccola Evans» fu il
suo commento mentre mi squadrava da capo a piedi con un sorriso
scintillante, ma freddo. «Ho saputo tante cose su di
te…»
«E
noi su te, Black» rispose una voce musicale dietro di me
mentre due
mani mi si poggiavano sulle spalle. Alzai la testa e vidi Debbie in
abito dorato rivolgermi un sorriso di complicità. Poi
alzò
nuovamente uno sguardo vagamente critico sulla coppia.
«Stringiamo
nuovi legami di amicizia, vedo» commentò con
estrema cortesia.
«Pensavo
fossi tu la maggiore promotrice della fratellanza fra Case»
rispose
Malfoy con voce di velluto.
«È
chiaro, Malfoy» replicò dolcemente Debbie.
«Quali incredibili
perdite subiremmo altrimenti?»
«Nessuna
che sapremmo sopportare» ribatté con egual
dolcezza Narcissa Black.
Vidi
un sorriso leggermente sdegnoso dipingersi sulle labbra di Debbie
mentre le due si squadravano sempre con falsa e ostentata
amichevolezza. Erano probabilmente le ragazze più belle di
tutta la
sala; tutte e due bionde, ma in modo completamente diverso: i capelli
di Debbie potevano ricordare il grano maturo, o l’oro, quelli
di
Narcissa sembravano piuttosto raggi di luna, tanto erano chiari. La
prima aveva gli occhi profondi e vellutati, la seconda freddi e
ghiacciati. La carnagione di Debbie era quasi dorata, morbida, quella
di Narcissa ricordava l’alabastro o la porcellana di una
bambola.
Lumacorno
ci stava guardando con attenzione, una mano sulla spalla di Severus.
Dovevamo formare uno strano quadretto: da una parte due ragazzi
platinati sottobraccio, di fronte a loro una ragazzina rossa vestita
di nero con dietro una bionda sedicenne in oro, e in mezzo, ma un
po’
indietro, un grosso professore con accanto un altro ragazzino pallido
in abito nero.
Qualcun
altro dovette pensarla così perché un ometto
ossuto spuntato fuori
dal nulla ci scattò una fotografia prima che chiunque di noi
se ne
potesse accorgere.
«Ah,
Grenville!» esclamò il professor Lumacorno
facendosi avanti.
«Vieni, vieni, ti voglio presentare i miei ragazzi!»
«Degli
ottimi soggetti» rispose lui guardando con soddisfazione la
macchina
fotografica.
Il
nostro quadro si era sciolto, Debbie mi aveva levato le mani dalle
spalle e si era messa a fianco a me, strizzandomi l’occhio.
Si era
avvicinato anche il capitano della squadra di Quidditch di
Grifondoro, Roger Goldwyn, e le aveva passato una mano in vita.
Dall’altra
parte Malfoy e Black si erano cominciati ad allontanare e io mi ero
avvicinata a Severus, riprendendo il mio bicchiere.
«Ragazzi!»
stava cinguettando intanto Lumacorno. «Voglio presentarvi
Grenville
Winkworth, il più grande fotografo che La Gazzetta
del Profeta
abbia mai avuto e mio ex allievo! Credo ci abbia immortalato tutti
con uno dei suoi scatti a sorpresa!»
«Proprio
così, Horace carissimo» rispose lui mellifluo.
«Formavate un bel
quadro, un bel quadro davvero… Tu, ragazza!»
proseguì rivolto a
Debbie. «Dì, mai pensato ad una carriera come
modella?»
«Decisamente
no, signore» rispose lei scioltamente.
«Ah,
la signorina Meadowes è una che crede nelle virtù
del cervello!»
spiegò Lumacorno al fotografo. «La vedremo Capo
Dipartimento entro
pochi anni, se vuoi la mia…»
Mi
eclissai discretamente con Severus mentre gli altri continuavano a
ciarlare di foto e carriere.
Bevvi
di getto un sorso d’acqua, ma era chiaro che avevo bisogno di
ben
altro… guardai Severus.
«Be’,
cosa ne pensi?» gli chiesi mentre anche lui beveva la sua
limonata.
Lui
si strinse nelle spalle. «Sto pensando che mai, per tutto
l’oro
del mondo, farei il fotografo» disse con una certa forza.
Ridacchiai.
«A essere onesta, neanche io» confessai.
«Mi sembra un lavoro
particolarmente noioso.»
Lui
non rispose e continuò a guardasi attorno. Io mi avvicinai
alla
finestra più vicina e mi sedetti nella nicchia, facendogli
segno di
venire a sedersi accanto a me.
«Credi
che dovremmo venire la prossima volta?» gli chiesi indicando
con un
ampio gesto del bicchiere tutta la sala.
Si
strinse nuovamente nelle spalle. «Non lo so»
rispose cauto. «Voglio
dire, non sono particolarmente divertenti e su questo sono
d’accordo,
però potrebbero tornarci utili, specie fra qualche
anno…»
«Sarà…»
dissi io sorseggiando l’acqua, «ma per quanto mi
riguarda ne
riparleremo fra qualche anno.»
ANGOLO
AUTRICE
Festino
di Lumacorno? Qualche lume sulla dinamica?
Qui
ho inventato quasi completamente di sana pianta: mi è
sembrato
logico presupporre che il professor Lumacorno, che secondo
l’autorevole parere di Silente “formava una specie
di club dei
suoi prediletti con sé stesso al centro, presentava
l’uno
all’altro, creava utili contatti tra i
membri…”, avrebbe fatto
del suo meglio per sanare la spaccatura fra uno dei suoi studenti
più
promettenti per nascita, ricchezza, contatti e, probabilmente,
“fascino personale” e uno dei suoi nuovi astri
nascenti delle
Pozioni.
In
quanto al resto, non credo ci sia altro da dire. “Grifondoro
e
Serpeverde si detestavano per principio”, come dice Harry,
quindi
niente di cui stupirsi se quattro ragazzi delle due Case opposte e
dello stesso anno si detestassero, specie considerando che qui ho
fatto Debbie Sanguesporco.
Bene,
nient’altro. O forse sì. Be’, se me ne
ricorderò vi farò un
fischio e spererò che qualcuno si volti. Per ora, solo i
miei più
calorosi arrivederci e grazie a chiunque sia in linea ;p
Parola
alla mia più soddisfacente sorella, che potrà
riuscire lì dove io
ho fallito (profezia per la vita, fra l’altro…).
ANGOLO
PUBBLICANTE
Profezia
per la vita un par di palle -.- In questo momento TU sei in America a
goderti un anno lontano dalla pazzia familiare mentre io sono qui a
studiare matematica cercando di non venire rimandata a Giugno -.-
Ah, sappi che odio i
tuoi titoli di 2000000000000 km -.- Non mi entrano nelle immagini -.-
Ma ti Lovvo un
casino lo stesso u.u
Ehm...
…
…
Voi fate finta di
non aver sentito niente ok ^^
Avete
apprezzato la mia puntualità? Credo che sia una delle prime
volte
che aggiorno puntuale *ç* Un applauso a moi! Vorrei avvisare
che i
capitoli a mia disposizione prima o poi finiranno, ora come ora ne
mancano sette.
Bastano
fino al ritorno di mia sorella, poi non mi sentirete più :(
ECCHISSENEFREGA!
Penserete, ma sappiate che mi mancherete.
Recensioni
Time!
-
A
_Celeno:
che bello! Sono felicissima
che questa storia ti abbia indotta a recensire per la prima volta
*____________* So' soddisfazioni! Grazie mille per tutte le tue
osservazioni, l'originalità è una cosa molto
importante per una FF! Altrimenti si rischia di scadere nel banale u.u
Spero che anche questo capitolo ti piaccia! Alla prossima!
-
A malandrina4ever: tanti patpat per le
stampelle, grazie a Dio ora me le sono tolte, ma non mi
scorderò mai quello che ne hanno fatto... anche io ho visto
gente che usava le mie stampelle per combattere
dicendo frasi epiche mentre la gente urlava “Guardate che
portano sfiga!” ci spero brutti
bastardi, così imparate a fregarmi le stampelle! Ehm... tornando persone serie, si dai ce la possiamo fare u.u
Ti giuro che i
“deliziosi cereali Sirius” mi hanno fatto rotolare
dalle risate! Calza troppo bene! Mi sa che per un paio di capitoli
James e Sirius (siano sempre lodati) non ci saranno per un po'...
francamente non mi ricordo! Dopotutto ancora non si sopportavano u.u
Al prossimo capitolo!
-
A _NEMO: grazie mille! La mia
sorellina, pardon sorellona, è sempre stata geniale in
queste cose *ç* Chi non vorrebbe un puledrino dorato
*__________* Sono così puccioserrimi! Tanto lo sappiamo che
prima o poi Sev distruggerà tutto :'/
Buaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!!!! Con questa disperazione in corpo, mi
ritiro! Alla prossima!
Bene!
Compiuto il mio compito e fatto il mio fattito, scappo a studiare
Biologia <3 per il compito di domani! Fatemi un in bocca al
lupo!!
Bye
bye!
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 11 - Cuore d'Inverno ***
Prima
parte: I anno
Capitolo 11
– Cuore d’Inverno
Trascorsi
il viaggio di ritorno con Severus, Remus andò in un altro
scompartimento con Potter, Black e Minus, che era entrato a far parte
del trio dopo che i primi due lo avevano soccorso in una circostanza
poco chiara. Probabilmente l’avevano soccorso e basta, come
sembrava necessario fare ad ogni ora del giorno: Peter Minus non era
assolutamente quel tipo di persona in grado di badare a sé
stesso,
aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse, ed aveva scelto Potter
e Black, e in misura minore anche Remus. Ora, ad essere completamente
onesti e totalmente obbiettivi, quei due riuscivano a sopravvivere ad
ogni cosa e ad atterrare anche sulle gambe. Insomma, irritanti al
massimo.
Io
e Sev, in compenso, eravamo più legati che mai: in qualche
modo era
il fratello che non avevo mai avuto, se avevo un problema era lui la
prima persona con cui ne parlavo, se c’era qualcosa che non
mi
tornava nelle lezioni era lui che mi aiutava a risolverla, e lo
stesso capitava anche al contrario.
Più
si avvicinava il momento di tornare a casa e più mi sentivo
nervosa:
mentre mamma e papà mi avevano mandato spesso delle lunghe
lettere
colme di affetto, non avevo ricevuto neanche due righe da Tunia. Un
silenzio che i miei genitori non commentavano e che mi faceva
tremendamente male. Io avevo continuato a scriverle, sperando che un
giorno lei avrebbe risposto, ma non l’aveva mai fatto.
Cercavo
di renderla partecipe dei miei sogni, delle mie esperienze, dei miei
pensieri, ma senza scambio. Nei primi tempi avevo sperato che fosse
tutto dovuto al fatto che non si fosse ancora abituata
all’idea,
che avesse paura dei gufi, che si fosse rotta un polso… me
le
inventavo tutte per cercare di giustificare quel suo ostinato
silenzio, ma passati i primi mesi mi ero dovuta arrendere
all’evidenza che Tunia non mi voleva scrivere. Non voleva.
Mia
sorella non mi voleva parlare.
Su
questo Sev non riusciva a consolarmi. Cercava di farmi godere di
più
il mondo magico, di distrarmi, di farmi pensare ad altro, ma non
poteva annullare quel vuoto che sentivo dentro, all’altezza
dello
sterno, quando ad ogni lettera dei miei genitori non ne corrispondeva
una di Tunia.
Una
volta arrivati alla stazione, quasi dimenticai di prendere il baule
per la fretta di scendere, e una volta sulla banchina mi guardai
ansiosamente attorno alla ricerca della mia famiglia. Ma non riuscivo
a trovarla da nessuna parte. Guardai sorpresa Severus, che stava
tranquillamente trascinando il suo baule senza cercare i suoi
genitori.
«I
Babbani non possono superare la barriera se non sono accompagnati da
un mago» mi spiegò vedendo la mia faccia confusa.
Aggrottai
le sopracciglia. «E non potrebbero farsi un elenco dei
genitori dei
ragazzi nati Babbani per accompagnarli dentro?» chiesi
seccata.
Si
limitò a stringersi nelle spalle mentre si avvicinava alla
barriera.
Lo seguii di corsa. «Tua madre non li può
accompagnare?» chiesi
cercando di trascinare il baule a passo con me.
Si
fermò e fece un respiro profondo. «Mia…
mia madre non può
venire, oggi» disse alla fine mantenendo un tono atono.
«Mi ha
mandato il biglietto del treno un paio di giorni fa.»
«Stai
scherzando!» esclamai sbigottita.
«Perché non l’hai detto
subito? Ti accompagniamo a casa noi, è ovvio!»
«Lily…»
cominciò lui.
«Lily!»
L’espressione
di Severus si irrigidì, ma io mi ero girata immediatamente:
avevo
riconosciuto la voce. Remus mi stava venendo incontro con il suo
baule malandato e il suo solito sorriso. Si era liberato di Potter e
Black.
«Volevo
augurarti buon Natale, a scuola non abbiamo più avuto
tempo…»
disse arrossendo lievemente.
Arrossii
anch’io, probabilmente con molta più violenza.
«Oh! Grazie Remus.
Anche a te! Saluta tua madre da parte mia, anche.»
«Sì,
certo. Ehi, se ho qualche difficoltà con quel tema sulle
Pozioni
Refrigeranti per Lumacorno…»
«Mi
sentirò profondamente offesa se non mi scriverai»
conclusi io
sorridendo di felicità. Essere la migliore a Pozioni aveva i
suoi
vantaggi…
«Grazie.
Allora ciao!» Sembrò esitare un attimo, poi mi
porse la mano che io
strinsi sorridendo. Si voltò verso Severus, continuando a
sorridere
ma con più timidezza. «Buon Natale anche a te,
Piton.»
«Lupin…»
si limitò a ringhiare lui con una espressione che nemmeno i
più
ottimisti avrebbero potuto interpretare come lieta.
«Ciao,
Lily» concluse lui per colmare il momento di imbarazzo che si
era
creato. Si allontanò dirigendosi verso una donna dagli
stessi
capelli biondi e lo stesso viso segnato, probabilmente la madre. La
guardai incuriosita. Stanca, lo era senz’altro, ma non
sembrava
essere stata malata.
Severus
continuava a guardare storto nella sua direzione.
Ciò
mi fece tornare in mente la sua scortesia precedente. Perciò
gli
cominciai a dire in tono di rimprovero: «Sev, non potresti
almeno
provare…»
«Lily!»
Mi
voltai nuovamente mentre Alice MacDougal mi correva incontro. Mi
abbracciò di slancio e per poco non mi fece cadere, ma
sorrisi
comunque alla sua irruenza: da quando l’avevo aiutata con una
pozione che assolutamente non le riusciva ero per qualche arcana e
misteriosa ragione stata nominata sua principale amica, e per quanto
fossi più legata a Severus e in misura minore a Remus, e lei
al
ragazzino dalla faccia tonda, Frank Paciock, era bello avere anche
un’amica femmina. Anche perché
potevamo parlare nel
dormitorio e non dovevamo fingere di interessarci a tutte quelle
altre sciocchezze che riempivano i discorsi di Jane Vane e Mary
McDonald.
«Promettimi
che mi scriverai, questo è il mio indirizzo Babbano, la
posta arriva
e ce la recapitano via normale, quindi non fare storie che non hai un
gufo» mi ammonì con severità.
«Io posso mandarti un gufo, vero?
Non ho mai capito niente di quello strano modo che usano i Babbani
per portare la posta, quei… cosi, come si chiamano?
… francofoni? Bolletti?»
«Francobolli»
le suggerii io cercando di non ridere.
«Sì,
quelli. Insomma, non ci capisco niente, ma tanto i tuoi non si
spaventano se vedono Avis, vero?»
«No,
direi di no» risposi io. «Solo che la posta Babbana
è più lenta…»
«Oh,
allora ti scriverò io e tu darai la risposta a Avis, direi
che è il
modo migliore» concluse lei sciogliendomi
dall’abbraccio.
«Promettilo!»
Scoppiai
a ridere. «Prometto che ti manderò una minuziosa e
noiosissima
descrizione del nostro albero di Natale e del vestito che
metterà
mia sorella, contenta?»
«Sì!»
trillò lei deliziata stritolandomi un’altra volta
le costole e
correndo verso i genitori.
Debbie
era poco distante, così ne approfittai per fare un cenno di
saluto
anche a lei, che rispose con una strizzatina d’occhi e un
sorriso.
«Andiamo,
Lily» mi disse Sev di malavoglia afferrandomi per un braccio
e
guidandomi fuori dal passaggio.
Poco
distanti da lì c’erano i miei genitori. Caspita,
non mi ero resa
conto di quanto mi fossero mancati…
Lasciai
bellamente cadere il baule e corsi loro incontro, abbracciandoli come
se avessi avuto le braccia larghe il doppio.
«Tesoro,
sei qui…»
«Lils,
sei qui…»
«Cucciolo!
Ci sei mancata così tanto…»
«Lils,
ma quanto sei cresciuta?» aggiunse mio padre quando ci fummo
separati quanto bastava per vederci. Rimasi a bocca aperta: quando
ero partita, non arrivavo nemmeno alle sue spalle: ora la mia testa
sbatteva contro il suo mento.
«Io…
io non lo so» balbettai cercando di capacitarmene.
Anche
mia madre mi osservò meglio. «Sei sempre
più bella» concluse
prima di riabbracciarmi.
Mi
allontanai dopo essermi guardata attorno. «Tunia non
c’è?»
chiesi mentre il sorriso mi si incrinava.
I
miei esitarono.
«Non
c’è?» ripetei mentre un grosso macigno
mi sprofondava nel petto.
«Ha…
preferito restare in macchina» spiegò alla fine
mia madre. «Non…
non è stata molto bene, ed ha paura per il
freddo…»
«Per
il freddo?» ripetei io incredula.
«Non viene a salutarmi
perché ha paura del freddo?»
«Lils…»
«Perché
mi fa questo?» chiesi scoppiando finalmente a piangere.
«Cosa le ho
fatto?»
Mia
madre mi abbracciò forte mentre mio padre mi stringeva le
spalle.
«Ciao, Severus» disse dopo, forse cercando di
cambiare argomento.
Lo
udii confusamente rispondere: «Buongiorno, signor
Evans.»
«È
andato bene, il primo trimestre?»
«Molto
bene, la ringrazio…»
«Perché?
Perché?» continuavo a balbettare io aggrappata a
mia madre.
«Credevo l’avesse superato, che non mi volesse
scrivere solo
perché…»
«Tesoro,
lo sai che Tunia è… è
ostinata» disse mia madre. «È solo un
po’… solo un po’ preoccupata, ha paura
di perdere sua sorella…»
«Perdermi?»
ripetei io. «Come fa ad aver paura di perdermi se neanche mi
vuole
vedere?»
«Lily…»
«Tunia
non mi vuole bene, non me ne vuole perché sono
una…»
«Lily,
abbassa la voce!» mi sibilò Severus.
«È
meglio se andiamo a casa, tesoro» mi disse mia madre
cominciando a
pilotarmi fuori.
«Aspettate»
mormorai io. «Sev è da solo, può venire
con noi?»
Ci
fu un attimo di silenzio. Alzando gli occhi, vidi mia madre e mio
padre scambiarsi uno sguardo preoccupato.
«Cosa
c’è?» chiesi tirando su col naso.
Li
vidi nuovamente esitare.
Capii
in quell’istante. «È per colpa di
Tu… di Petunia?»
chiesi gelida.
Non
mi risposero, ma i loro sguardi erano eloquenti.
«Sev
ha la mia età» risposi con
forza, guardandoli tutti e due.
«Ed è da solo. Non mi importa
niente di cosa voglia o non
voglia Tunia, non può tornare a casa…»
«Lily,
è tutto a posto.» Mi girai: Severus mi stava
guardando con quel suo
sorriso amaro che tanto odiavo. «Te l’ho
già detto, ho un
biglietto per il treno…»
«Me
ne infischio!» urlai io per tutta risposta. «Se
l’unico problema
è che Petunia non riesce a fare i conti con sé
stessa…»
«Cecy,
Lils ha comunque ragione» intervenne mio padre.
«Severus non può
fare il viaggio di ritorno da solo, non alla sua
età…»
«Lo
so, Al.» Si girò verso Severus e gli sorrise, come
solo mia madre
sapeva sorridere. «Vieni, Severus, ti portiamo a
casa.»
Lo
vidi fare un istintivo gesto di repulsa. «Non è
necessario, non c’è
bisogno di…»
«Sev,
per favore!» esclamai io. «Mi
sentirei davvero meglio se
venissi con noi.»
Avevo
toccato un tasto sensibile ribaltando la situazione. Nonostante
cercasse di mostrare indifferenza, Sev mi era sinceramente
affezionato, quanto io lo ero a lui, e sapevo che non mi avrebbe mai
volontariamente fatto male. Quindi sarebbe venuto, almeno per me. E
in quel momento avevo bisogno di lui.
Vedevo
la mia richiesta pesare e fare breccia nella sua mente come se avessi
avuto una didascalia accanto. «Se non è un
problema…»
«Ma
certo che non lo è!» rispose mio padre prendendo
anche il suo
baule. «Così se Lils si dimentica di raccontarci
qualcosa puoi
rimediare tu…»
Il
viaggio in macchina fu quanto di più angosciante avessi mai
sperimentato.
Tunia
era lì, con le braccia conserte e le labbra serrate. Quando
malgrado
tutto le corsi incontro e la abbracciai rimase ferma immobile,
irrigidendosi soltanto quanto bastava per farmi capire che la mia
stretta non era gradita. Mi ritrassi ferita e mormorai:
«Ciao,
Tunia…»
«Ciao»
rispose brevemente lei, voltando la testa. Quando però
notò
Severus, che stava aiutando mio padre con i bagagli, il suo sguardo
divenne di odio puro. «Lui cosa ci fa
qui?» ringhiò.
«Lui
è mio amico, Tunia» risposi io
irrigidendomi all’istante. «E
farà il viaggio di ritorno con noi.»
Si
voltò così velocemente che sobbalzai.
«Cosa?» ringhiò chinandosi
verso papà, che era entrato in quell’istante al
posto del
guidatore.
«Sua
madre non è potuta venire a prenderlo, quindi lo
accompagniamo noi»
spiegò lui allacciandosi la cintura.
«Cos’ha
la tua mammina?» sibilò
Petunia quando Sev entrò accanto a
me. «Ha cercato di dimenticarsi di avere te come
figlio?»
Mia
madre si voltò e le vibrò un sonoro schiaffo
sulla guancia. «Non
ti azzardare mai più a dire una cosa del
genere, sono stata
chiara, Petunia?» esclamò con la mano ancora
alzata mentre mia
sorella la guardava stupefatta. «Non sei venuta a salutare
Lily,
sono mesi che tieni il muso per niente, se ora
intendi anche
diventare di una maleducazione come questa ti posso garantire che
resterai in punizione per un tempo così lungo che sarai
vecchia
prima di averla scontata!»
Lo
sguardo di Tunia era quello di un cane che viene azzannato dal
padrone: accusavano mia madre, le dicevano chiaramente
“traditrice”.
Spostò la mano dalla guancia e si girò verso il
finestrino, dandomi
le spalle e facendo di tutto per non guardare né me
né Severus.
Tuttavia, dal movimento delle sue spalle capii che stava piangendo.
Provai a stringerle la spalla, ma appena la sfiorai si ritrasse come
se fossi stata un ragno, perciò rinunciai, sebbene per poco
non
scoppiai a piangere anch’io.
«Non
ci pensare» mi sussurrò Severus quando mi voltai
verso di lui.
«Allora,
Lils, racconta! Com’è stato il primo periodo di
scuola?»
Cominciai,
dapprima esitante, poi sempre più tranquilla, cercando di
non
rendere la narrazione troppo brillante per non intristire
ulteriormente Petunia. Fu comunque uno sforzo vano: dove io cercavo
di contenermi, Severus interveniva ampliando e lodando, con un
entusiasmo non da lui. Cioè, sapevo che Sev era innamorato
di
Hogwarts, ma ora sembrava insistere sui particolari più
insignificanti, per caricarli di nuovo fascino, trasformava le
faccende più banali in eventi straordinariamente magici. I
miei
genitori ascoltavano e facevano domande, cercando di figurarsi come
dovesse apparire, ridendo e divertendosi come se anche loro fossero
stati lì. Anche io mi stavo rasserenando, solo
l’ostinato mutismo
di Tunia, il suo sguardo furente verso il finestrino mi impedivano di
essere completamente felice.
Arrivammo
a Spinner’s End quando il sole stava già
tramontando, e attendemmo
che la madre di Severus venisse ad aprire prima di andarcene. Eileen
Piton era più magra e lacera dell’ultima volta che
l’avevo
vista, i suoi abiti erano più consunti e mal curati e i suoi
occhi
erano ora completamente privi di quella luce che invece animava
quelli di suo figlio: erano gelidi e vuoti, e facevano pensare a due
tunnel immersi nel buio.
Ricordo che accolse Severus senza palesate manifestazioni di affetto,
ma il modo in cui gli passò una mano attorno alle spalle e
in cui lo
guardò significò più di mille parole.
Gli occhi cambiarono
d’improvviso espressione: d’un tratto aveva lo
stesso sguardo di
Severus quando era infelice, quando si sentiva senza via
d’uscita,
lo stesso modo in cui mi aveva guardato quando ero stata smistata a
Grifondoro. Per un attimo, provai una grande pena per lei, cercando
di capire cosa poteva aver provocato quello sguardo senza speranze.
Quasi in risposta al mio pensiero, quei due occhi nerissimi si
alzarono e mi trapassarono, dandomi la sensazione che quella donna
potesse leggermi fino in fondo all’anima. Cercai di
sorridere, ma
lei non ricambiò, e la strana sensazione rimase fino a
quando non
distolse lo sguardo.
Con
un cenno di saluto, mio padre rimise in moto, e io continuai a
guardare Severus e sua madre fino a quando non sparirono dalla nostra
vista.
Arrivammo
a casa in silenzio, anche se scendendo non potei fare a meno di
sorridere: anche la casa mi era mancata, con tutte le sue piccole
imperfezioni, i fiori alle finestre, il piccolo giardino un
po’
trasandato (a parte per l’angolo sotto la supervisione di
Tunia,
meticolosamente in ordine) e il tappetino con la scritta
“Benvenuti”.
Dentro
non era cambiato assolutamente niente, se non per una mia grande
fotografia che ora capeggiava sul camino del salotto, sorridendo a
chiunque entrasse. Sorrisi in risposta e alzai lo sguardo verso i
miei genitori, entrambi dietro di me, palesemente felici di avermi di
nuovo a casa. Solo Petunia, senza parlare a nessuno, era salita di
corsa in camera sua e ci si era chiusa dentro.
Sospirai
profondamente e guardai i miei. «Quanto pensate che
durerà?»
chiesi sperando forse che qualcuno mi rassicurasse con un
“Pochissimo, anzi, in questi giorni chiedeva sempre di te,
deve
essere stata l’emozione…”.
Invece
i miei si guardarono e passò qualche minuto prima che mia
madre
dicesse: «Non molto, credo. Ormai tiene il muso
più per abitudine
che per altro, il riaverti qui la farà tornare come
prima…»
Ma
per testardaggine o per altro, Tunia non cambiò per tutta la
mia
permanenza a casa.
ANGOLO
AUTRICE
I
bambini sono sempre più ostinati degli adulti nel concedere
il
perdono… e sappiamo che Petunia non perdonerà mai
sua sorella.
Bene,
primo scontro a casa Evans registrato dall’inizio
dell’anno,
primo cammeo di Eileen Prince (tranquilli ai fan, avrà
più spazio
nel prossimo capitolo) e pausa da Hogwarts e tutto ciò che
comporta.
Non
credo ci sia molto da dire in relazione a questo capitolo, le cose
importanti sono poche e spero che le reazioni descritte risultino
realistiche.
Non
so se sono riuscita a lasciarlo trasparire (a volte il dover
descrivere tutto da un solo punto di vista può risultare
limitativo)
ma fra Petunia e Severus è stata dichiarata guerra, solo che
Severus
è uno stratega molto più sottile – il
sottolineare lo splendore
di Hogwarts sapendo come Petunia avrebbe reagito è una mossa
molto
più furba di insultarlo davanti ai propri genitori.
Ma
forse avrei fatto meglio a lasciare che lo notaste da soli.
Pardonnez-moi
^^”
E
ora, prima di fare altri danni, lascio spazio a forze maggiori e
allego, come di consueto, i miei più vivi, profondi e
sentiti
ringraziamenti a chiunque sia ancora qui ad annoiarsi dietro questa
storia.
ANGOLO
PUBBLICANTE
In
questo momento sono divisa in due parti, una è felice per
essere
tornata a pubblicare la storia, l'altra è annoiata e
incazzosa per
l'interrogazione di diritto di domani -.- Quindi non fate caso a
idiozie su processi o sulla Corte Costituzionale che potrebbero
sfuggirmi ^^
La
parte felice è contenta di risentirvi e vi porta i saluti
personali
di LadyMorgan che sono andata a trovare in America per Pasqua! :D Nel
caso vi interessi sta bene ed è felice u.u
La
parte incazzosa mi ricorda che sto cercando di non ricordarvi quanto
io sia in ritardo con l'aggiornamento cianciando di cose inutili...
Chiedo
quindi perdono e mi cospargo il capo di cenere, anche se non mi
metterò a giurare che non succederà mai
più perché dato che la
scuola sta per finire, manca un mese esatto senza contare le
domeniche :DDD, i prof ci sfondano di verifiche e interrogazioni,
come la sopracitata di diritto per cui ora dovrei essere a studiare
-.-
Ciancio
alle bande, passiamo ora a rispondere alle vostre recensioni!
-
A malandrina4ever: torna esattamente il 29
giugno! Quindi data la frequenza con cui aggiorno, potrebbe anche
tornare prima di 7 capitoli ^^ Chi dice che io mi voglia liberare di te
;) Sappi che anche io sono una tua grande fan, anche se non recensisco
mai... Adoro soprattutto CaS e le parodie *_____________________* ma
anche quelle sui malandrini sono MITICHE! Insomma, amo tutte le tue
storie :D Tranquilla per la nuova generazione, mi fa veramente schifo u.u Secondo me
è stata scritta solo per impedire che qualcuno scrivesse sui
loro figli e quindi è inutile ù.ù
James e Sirius torneranno tra un bel po' mi sa, ora come ora ci sono le
vacanze e quindi loro non ci sono u.u Spero che tu non smetta di
leggere per questo ;) Alla prossima!
-
A Ravenwood: oooooh! Che bello! Un nuovo
lettore *O* Ti do il benvenuto :) Sono felice che la caratterizzazione
ti piaccia, ti assicuro che è davvero mooolto curata da
quella perfezionista dell'autrice! Spero che continuerai a seguirci!
-
A _NEMO: che figata gli scambi
culturali! Il fatto che io abbia una sorella che lo sta facendo ora
come ora non ha influito sul mio giudizio u.ù Sono felice
che la festa sia stata ben riuscita, in tutti i sensi ;) L'unicornino
puccioso arriverà! Sono riuscita a non farmi infilzare e
quindi prima o poi te lo spedisco! In bocca al lupo con la tua francese!
-
A _Celeno: grazie mille per avermelo
fatto notare, a costo di sembrare ignorante, ti dico che credevo che si
scrivesse con due Z e che quindi non si è trattato di un
errore di battitura ^^” Sono comunque felice che la festa ti
sia piaciuta e che Lily rientri nei normali canoni di un'undicenne :D
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 12 - Magia Persa e Ritrovata ***
Prima
parte: I anno
Capitolo
12 –
Magia Persa e Ritrovata
Natale
arrivò senza gran clamore, con il solito cenone preparato da
mia
madre ed alcuni amici di famiglia che venivano fin da quando ero
piccola. I miei nonni irlandesi non potevano venire, rimasero a
Dublino senza dimenticarsi di mandarci i nostri regali, mentre i
genitori di mia madre arrivarono portando con loro il solito
mega-gigante pudding di mia nonna, completo di monetina
d’argento
che quasi spaccò i denti di Tunia, sempre torva ma almeno
meno di
quando ero arrivata.
Era
tutto molto bello, ma avevo ancora la sensazione che mancasse
qualcosa.
E
quando, mentre ci stavamo mettendo a tavola, suonò il
campanello di
casa, capii finalmente cos’era.
Mio
padre era andato ad aprire, e dalla porta avevo sentito la sua voce
scoppiare a ridere d’improvviso e parlare esultante, mentre
un’altra, altrettanto nota per quanto non la sentissi da
più tempo
di quanto fossi disposta a sopportare, si sovrapponeva alla sua.
«Will!»
esclamai balzando giù dalla sedia e precipitandomi incontro
al mio
padrino. Gli saltai in braccio senza nemmeno accorgermene,
perché
fra noi era sempre stato così, e per poco non lo feci
cadere. Non
sembrò curarsene, stava ridendo, e il modo in cui mi strinse
a sé
mormorando: «Ciao, fiorellino!» era lo stesso di
sempre.
Non
riuscii a staccarmi da lui per molto, molto tempo. Mi era mancato da
morire, da quando eravamo arrivati a Manchester potevo averlo visto
massimo quattro volte e la cosa mi era pesata incredibilmente. E ora
era lì. Il mio padrino, il mio primo amore, il mio primo
migliore
amico, era lì.
«Mi
sei mancato» mormorai affondandogli il naso nel collo.
«Mi sei
mancato proprio tanto!»
Lui
continuò a stringermi senza dire niente, ma muovendosi
lentamente
verso il salotto. Era diverso da come me lo ricordavo: si era
lasciato crescere un po’ di barba, i suoi capelli erano
più lunghi
e c’era qualche segno in più attorno ai suoi
occhi. Ma il sorriso
era sempre lo stesso.
Mia
madre corse subito incontro ad abbracciarlo e ci furono diverse
strette di mano fra lui e i miei nonni e gli altri ospiti presenti, e
quando finalmente riuscimmo a metterci tutti a tavola mi
sembrò che
anche Tunia stesse tornando a sorridere.
La
neve fuori rendeva ancora più piacevole
l’atmosfera, le fiamme del
caminetto, i regali erano meravigliosi: un maglione verde smeraldo da
parte di nonna Georgie (quella inglese), da cui avevo ereditato gli
occhi, di lana pesante con una treccia fatta a lato, un nuovo
orologio da polso da nonno Justin, suo marito, una bellissima scatola
di matite per colorare da parte di nonna Micky e un album coordinato
da nonno Gerry, un pacco di libri di una delle sue autrici preferite
da mia madre, uno interamente sullo spazio da papà, e vari
vestiti o
oggetti da parte degli altri.
Ero
felice, scherzavo con gli amici di mio padre e poi correvo dai nonni
per ringraziarli, riscaldata dall’atmosfera gioiosa, allegra
e
spensierata che si sentiva ovunque. Il nostro piccolo salotto era
completamente invaso, la musica invitava a ballare e stavamo parlando
tutti insieme contemporaneamente, e quando Will mi prese in braccio e
cominciò a ruotare su sé stesso a tempo di musica
sentii che
difficilmente sarei potuta essere più felice. Era sparito
tutto, in
quel momento non ricordavo che Tunia mi odiava, che Sev non era con
me, che non avrei mai avuto speranze con Remus e che Hogwarts mi
mancava da morire, ma solo che ero con le persone che più
amavo e
che niente poteva distruggere quella felicità. Quando ci
mandarono a
letto era passata la mezzanotte ed io avevo avuto il tempo di
rivolgere il solito pensiero a Severus, deplorando il fatto che non
avesse accettato il mio invito, ed a Remus, di cui avevo parlato con
mia madre che era stata molto comprensiva verso di me e che si era
detta ansiosa di conoscerlo.
Il
giorno dopo andai in autobus a trovare Severus, con la ferma
sensazione che il suo Natale non fosse stato bello come il mio. Lo
trovai davanti alla porta di casa sua, seduto sui gradini e con la
testa sulle ginocchia. Tutta la felicità che avevo
accumulato nelle
precedenti ventiquattro ore svanì non appena alzò
lo sguardo. Ora i
suoi occhi assomigliavano a quelli di sua madre anche
nell’espressione, aveva la stessa aria abbattuta, senza
speranze,
ma la cosa più terrificante era un grosso livido che gli
spiccava
sulla guancia sinistra, tanto gonfio da deformargli la faccia.
«Cosa
è successo, Sev?» urlai correndogli incontro.
Quando
gli venni vicina il suo sguardo divenne terrorizzato. «Lily,
non
puoi restare qui!» esclamò alzandosi in piedi di
scatto, con un
subitaneo gemito di dolore. «Vattene via, Lily,
vattene!»
Non
gli prestai nemmeno ascolto: gli corsi incontro e gli guardai il
viso, trasalendo d’orrore: aveva il labbro spaccato, oltre
alla
guancia tumefatta, e faceva fatica a muoversi senza trasalire.
«Che
ti hanno fatto, Sev?» sussurrai con le lacrime agli occhi.
Levò
le mie mani dal suo viso e mi spinse lontano da casa sua.
«Lily,
devi andartene, vattene!» esclamò cercando di
allontanarmi.
«Va
bene, vieni con me così ti porto da un medico!»
esclamai
dirigendomi di nuovo verso la stazione dell’autobus.
Si
fermò. «No, Lily, vai tu.»
Mi
fermai anch’io. «Non scherzare, Sev, devi andare da
un medico!»
Lui
scosse il capo.
«Perché
no?» esclamai impaziente, cercando di portarlo con me.
Esitò.
«Lily, se vedo un medico comincerà a chiedermi
cosa è successo,
come me le sono fatte e non posso rispondere…»
«Non
puoi rispondere? Sev, qui andrebbe chiamata la
polizia, altro
che un medico! E ora vieni con me, se non vuoi andare da qualcuno ci
penserà mia madre, o mio padre, non importa chi ma devi
mettere del
ghiaccio su quel livido! Puoi restare da noi, e…»
«Lily.»
Pronunciò il mio nome senza intonazioni particolari, come
una
constatazione. «Non posso lasciare mia madre.»
«E
può venire anche lei, allora!» ribattei io.
«Che problema pensi
che ci sia, abbiamo spazio, tu puoi dormire con me e
lei…»
«Lily,
non lo accetterebbe mai.»
Stavo
per mettermi a gridare. «Sev, ti sei visto in faccia? Hai
bisogno di
cure, di un pasto abbondante e di un buon letto, e poi potremo
discutere dei come e dei perché!»
«Lily,
se i tuoi genitori mi vedessero così cosa pensi
che…?» Si
interruppe e si voltò di scatto quando sentì la
porta aprirsi
dietro di lui.
Istintivamente
alzai anch’io lo sguardo e vidi un uomo alto ed emaciato, dai
capelli neri e sporchi e le guance insipide per la barba non fatta.
Solo gli occhi erano grigi e di notevole bellezza, ma in quel momento
erano appannati, sembravano non vedere niente di ciò che
c’era
davanti a lui, e comunque non riuscivano a controbilanciare un naso
troppo adunco e la generale trascuratezza del suo aspetto.
«Lily,
vai via!» mi sussurrò Severus mentre
l’uomo abbassava lo
sguardo e sembrava metterci a fuoco.
Io
rimasi aggrappata al suo braccio. Stavo facendo una cosa estremamente
stupida, ne ero consapevole, ma Sev non voleva venire, e io senza di
lui non mi muovevo. Specie poi se era stato ridotto in quello stato
dal padre, non intendevo lasciarlo solo con lui.
L’uomo
mosse quattro passi barcollanti verso di noi e fissò il suo
sguardo
su di me. «Ah, questa è l’amichetta che
ti sei fatto in quella
gabbia di mostri, vero, Severus?» chiese guardandomi
dall’alto.
«Sì, capisco perché l’hai
presa… speri già di andare lontano,
vero?» Si avvicinò fino a sfiorarci e tese la mano
verso il mio
viso.
«Non
la toccare!» sibilò Severus
allontanandogli la mano.
Per
tutta risposta l’uomo scoppiò a ridere. Non avevo
mai sentito una
risata così piena di follia.
«Cos’è, hai paura che ci faccio
male, alla tua ragazzina? Ah! Le ragazzine non sono il mio forte,
mostriciattolo.» Mi scrutò spostandosi i capelli
dalla faccia.
«Cosa hai da spartire con lui? È solo un povero
fallito, come sua
madre!»
«Non
parlare così della mamma!»
Il
suo sguardo si indurì mentre si spostava verso Severus.
«Ah, è
questo che ti insegnano in quella gabbia di matti, vero? Ti ficcano
in testa che puoi dare ordini a tutti, solo perché puoi
sputacchiare
un po’ di formule con quel pezzo di legno! Be’, ho
già insegnato
io a tua madre che non può, e non
avrò problemi a insegnarlo
anche a te, mostro!» Alzò la mano per colpirlo.
Riuscii a tirarlo
indietro abbastanza per evitare il colpo, ma questo sembrò
farlo
solo infuriare ulteriormente. «Ah, tu sei dalla sua parte,
vero? Sei
solo un nuovo mostriciattolo che avvelena questo schifo di mondo!
Dovreste morire tutti, dovreste essere abbattuti!»
Continuavamo ad
indietreggiare mentre lui barcollava verso di noi. «Vieni
qui,
Severus, vieni da tuo padre! Ti insegno io cosa fare con questa
magia, con questi poteri! Anche a te, streghetta, vieni qui, vieni,
coraggio!»
«Lasciala
in pace!» urlò Sev mentre da uno dei
muretti incompiuti si
staccava un mattone e levitava velocissimo verso la testa
dell’altro.
Lo colpì con precisione alla tempia, facendolo cadere a
terra.
«Corri!»
Corremmo
lungo tutta Spinner’s End, cercando di mettere la maggiore
distanza
possibile fra noi e quell’uomo, cercando di non scivolare sul
ghiaccio. Arrivammo giusto in tempo per vedere le portiere
dell’autobus che ci avrebbe portato nel mio quartiere
chiudersi, ma
con uno scatto riuscii ad arrivarci vicino ed a farle riaprire.
Aspettai poi Severus, che aveva perso parecchie forze in tutta quella
corsa, e lo feci entrare prima di me. Pagai il biglietto sia per me
che per lui direttamente all’autista, che non fece domande e
partì.
Guardai
il mio migliore amico ridotto in quello stato, la fronte appoggiata
contro il vetro gelido, lacrime silenziose di rabbia e di dolore che
gli scorrevano lungo le guance, e mi sentii un verme per essermi
sentita così felice solo poche ore prima, senza pensare a
lui, senza
essermi chiesta cosa stesse passando. Lo abbracciai forte,
stringendogli le mani gelate, e lo tenni stretto fino a quando non
arrivammo vicino a casa mia.
Una
volta scesi, mi voltai verso di lui. «Preferisci che chieda
ai miei
di aiutarti o che prenda io un po’ di ghiaccio o qualcosa che
possa
servire e ci penso io?»
Mi
guardò. «Potresti pensarci tu?»
Perciò
entrammo in casa e salimmo diretti verso camera mia, mentre io
annunciavo con voce più disinvolta possibile che ero tornata
a casa.
Poi scesi in cucina e mi procurai un bel po’ di ghiaccio, che
avvolsi in un canovaccio. Quindi tornai su.
Sev
era accoccolato nel davanzale della finestra e guardava la neve che
aveva cominciato a scendere con un’espressione profondamente
abbattuta. Gli poggiai il ghiaccio sulla guancia e mi sedetti accanto
a lui. Continuava ad evitare i miei occhi, guardava alternativamente
le sue ginocchia o fuori dalla finestra, ma notavo lo stesso che
aveva gli occhi lucidi. I suoi vestiti erano fradici, quindi ero
andata al mio armadio e gli avevo preso un golf pesante, che lui
aveva sostituito al suo solito cappotto.
Rimanemmo
in silenzio per parecchio tempo, io che continuavo a scrutarlo
pensando al modo migliore per aiutarlo e lui che teneva il ghiaccio e
guardava altrove.
Alla
fine, poggiò il canovaccio di lato e sospirò
profondamente.
«Ne
vuoi parlare?» gli chiesi con tutta la dolcezza possibile.
Ed
il racconto arrivò, dapprima esitante, poi sempre
più fluido.
Quando
era arrivato a casa, suo padre non era ancora tornato. Sua madre si
era arrabbiata perché ci aveva coinvolto, non voleva che
dovessero
dipendere da noi, e riteneva che chiedere aiuto a dei Babbani fosse
peggio della loro stessa situazione; aveva paura che ci saremmo
immischiati nei loro affari e che avremmo cercato di dargli un
qualche appoggio non richiesto. Lui si era limitato a portare le sue
cose su, e dopo un po’ sua madre era salita e gli aveva detto
con
aria stanca che probabilmente per lui sarebbe stato meglio restare ad
Hogwarts per Natale. Lui aveva ribattuto che non intendeva lasciarla
sola e lei allora gli aveva detto che sarebbe stato più
facile con
lui al sicuro, a scuola. Si era addormentato dopo un po’,
stanco
dalla lunga giornata, ed il giorno successivo era andato tutto bene,
aveva parlato a lungo con sua madre del primo periodo di scuola e le
aveva mostrato i suoi libri per farle vedere a che punto erano
arrivati.
Poi
era arrivato suo padre. Chiaramente era ubriaco, ma quella non era
una novità, per lui. Sua madre si era immediatamente messa
fra loro
due, ma Tobias Piton lo aveva comunque notato. Il suo benvenuto era
stato un “Ah, se qui, mostriciattolo. Non vuoi fare altre
stregonerie, vero?”. Aveva spostato sua madre con una spinta
ed era
andato verso di lui. Eileen si era di nuovo fatta avanti, cercando di
fermarlo, ed allora tutta la sua furia si era rivolta verso di lei.
Sev
piangeva mentre mi raccontava di come i suoi genitori avessero
ripreso a litigare, con più forza del solito, mentre il
padre
picchiava la madre con tutta la sua forza. Ora però non era
più un
bambino inerme, era in grado di difendersi. Per un attimo aveva avuto
paura di essere espulso da Hogwarts, ma era passato tutto quando
aveva sentito sua madre urlare. Prima che se ne fosse reso conto, li
tavolino della cucina si era sollevato ed era andato dritto contro
suo padre, tramortendolo per qualche istante. Sua madre si era
alzata, il labbro spaccato, e lo aveva condotto quasi di peso su per
le scale, in camera sua, sussurrandogli: «Chiuditi dentro!
Fra
qualche ora dovrebbe uscire di nuovo, magari non si
ricorderà più
che sei qui… non si ricorda mai niente. Non uscire per
nessun
motivo, hai capito? E non usare la magia! O potrebbero venire a
vedere che succede!»
Quindi
lo aveva chiuso dentro e, quando era tornata, era mattina, e Piton
era già andato via. Era Natale.
Comunque,
la madre sapeva che sarebbe tornato, o per ora di cena o un
po’ più
tardi, quindi verso le sette lo aveva riportato in camera e lo aveva
nuovamente chiuso dentro. Tuttavia, all’alba si era svegliato
a
causa delle grida provenienti dal piano di sotto, del rumore di
mobili rovesciati, e nonostante la porta chiusa a chiave era riuscito
ad uscire e si era ritrovato di fronte il padre più ubriaco
del
solito che aveva strappato una gamba del tavolo e la stava usando per
picchiare la madre, gridando: «Ora non sei più tu
la padrona, vero?
Chi è che comanda qui? Chi?»
Si
era aggrappato alla sua schiena e gli aveva fermato il braccio, ma
non era riuscito a bloccarlo, ovviamente. Il padre lo aveva
scaraventato a terra, senza più la gamba del tavolo ma
infuriato, ed
aveva cominciato a picchiare anche lui mentre la madre urlava. Alla
fine era riuscita a raggiungere la bottiglia di birra che
l’uomo
aveva lasciato cadere e gliela aveva data in testa, facendolo cadere
di botto. Ma lui non aveva nessun posto dove andare comunque, sua
madre si rifiutava categoricamente di rendere pubblica la sua
disgrazia, aveva portato nuovamente Severus in camera sua e gli aveva
impartito le prime medicazioni lì per lì, con
quei pochi strumenti
che aveva. Il giorno dopo, quando Sev si era svegliato, era sceso
dalla finestra fino al vialetto, per non essere costretto ad
ascoltare un’altra volta le litigate dei suoi genitori.
E
poi ero arrivata io.
Oltre
al racconto in sé, che da solo sarebbe bastato a farmi
inorridire,
era terrificante anche il modo in cui veniva raccontato, con la voce
spezzata, amara, a volte ferma e gelida. E poi, quella era la prima
volta in tutta la mia vita che vedevo Severus piangere. Non aveva mai
pianto, né quando i bulli della nostra scuola
l’avevano pestato a
sangue, in quarta, né quando Potter o Black lo prendevano in
giro,
né in nessun’altra circostanza. Era una sensazione
stranissima,
anche il semplice prendere coscienza che Sev sapeva piangere.
Anche se lo stress psicologico che stava sopportando avrebbe
piuttosto reso strano il contrario.
«Perché?»
mi uscì dopo un po’ che Severus aveva finito il
suo racconto.
«Perché non cercate aiuto, Sev? Ci sono delle
persone…»
«Lily,
quand’è che ti deciderai ad usare il cervello di
cui sei dotata?»
mi interruppe lui prendendo nuovamente il ghiaccio e distogliendo lo
sguardo dalla finestra. «Se ci rivolgessimo ad una qualche
autorità
magica, verrebbe fuori tutta la situazione di mia madre, il suo
matrimonio e le nostre faccende private verrebbero messe su piazza,
e lei non vuole. I Prince sono antichi di secoli, e nonostante lei
sia considerata una traditrice del suo sangue ha ancora il suo
orgoglio. Non intende infangare ulteriormente il suo nome, non
è una
cosa che riuscirebbe ad accettare.»
«Nemmeno
per aiutare te?» sbottai io guardandolo con rabbia.
Sospirò,
esasperato. «Lily, cosa pensi che potrebbero fare? Modificare
la
memoria di mio padre in modo da fargli dimenticare tutto e poi
trasferirci da qualche altra parte? Ah!» Il suono, che
sarebbe
dovuto essere sarcastico, venne spezzato da un gemito quando mosse i
muscoli del viso. «Non ne hanno il diritto, in base a non mi
ricordo
più quale legislazione il Ministero della Magia non ha
autorità
bastante per immischiarsi in affari multipli fra mondo magico e
Babbano.» Si prese la testa fra le mani. «E per di
più è una
legge recente, quindi avranno tutti gli interessi a farla
rispettare.» Sospirò. «E il mondo
Babbano, oltre a non essere
accessibile per ragioni… etiche, ha la sgradevole tendenza a
immischiarsi negli affari altrui.» Mi guardò con i
suoi profondi
occhi neri. «Cosa pensi che succederebbe se degli assistenti
sociali
venissero a trovarci? O se portassero tutto in un tribunale?»
Rise:
era evidente che considerava l’ipotesi talmente surreale da
poterci
scherzare sopra. «Se mio padre si rivolgesse a un avvocato, e
lui
decidesse, secondo la prassi Babbana, di ritrarre mia madre come una
persona poco rispettabile scavando nel suo passato, cosa pensi che
troverebbe? Mia madre non ha un passato, Lily. Non esistono
documentazioni della nascita di mia madre, né certificati
medici,
codici fiscali, certificati di frequenza scolastica o niente del
genere. È una persona fantasma, per il mondo Babbano. Certo,
quando
si è sposata si era provvista di alcuni documenti
indispensabili, e
immagino che abbiano il suo nome da qualche parte visto che
continuano a mandarci le tasse, ma crollerebbe tutto di fronte ad
un’analisi approfondita. E allora? Ne verrebbe fuori un
disastro, e
se siamo riusciti ad andare avanti fino ad ora senza nessun tipo di
aiuto, ora che ho Hogwarts che senso pensi che avrebbe?»
Aprii
la bocca per ribattere, ma mi accorsi di essere a corto di argomenti.
Come al solito, la logica di Sev non faceva una grinza, e non ero
abbastanza informata di sistemi legislativi e giudiziari –
anzi, a
essere onesta non ci capivo proprio niente – per poter
offrire
alternative valide.
Mi
appoggiai scoraggiata allo stipite della finestra. «Cosa
pensi di
fare, allora?» chiesi dopo un po’. «La
mia casa è a tua
disposizione, lo sai, se ti dà fastidio non è
neanche necessario
informare i miei genitori…»
Mi
guardò con una punta di incredulità.
D’accordo, era difficile
fare qualcosa a casa mia a insaputa dei miei genitori, specie
considerando che mi fidavo tanto di entrambi che difficilmente tenevo
segreti con loro, ma per Sev ero disposta a provare. Non avevo la
minima intenzione di permettergli di tornare a casa sua, non ora che
sapevo per certo quello che vi succedeva.
Rimasi
schioccata per tutti gli anni che lui aveva passato in una situazione
simile senza che io me ne fossi mai accorta, senza che fossi mai
andata ad indagare…
«Cosa
preferisci fare?» chiesi di nuovo.
Lui
esitò. Chiaramente non aveva proposte da avanzare e sapeva
che senza
proposte lo avrei tenuto legato al davanzale fino alla fine delle
vacanze. Si raggomitolò su sé stesso e
poggiò la testa alle
ginocchia. Dopo un po’ la rialzò e mi
guardò dritto negli occhi,
sussurrando: «Lily, se fossi al mio posto e io al tuo,
lasceresti
davvero sola tua madre?»
Eccolo
qui. Scacco matto, come al solito.
Per
un istante mi arrabbiai anche con lui, per quella sua straordinaria
capacità di mettermi con le spalle al muro in una sola
mossa, ma poi
dovetti fare i conti con la ragione. Sapevo perfettamente cosa avrei
fatto se fossi stata al suo posto, e ovviamente anche lui lo sapeva.
Mi conosceva troppo bene.
Lanciai
un mezzo grido di esasperazione e mi alzai cominciando a camminare su
e giù per la stanza. «Non è la stessa
cosa» dissi alla fine dopo
un paio di giri. «La tua è una situazione
concreta, non una
speculazione filosofica!»
«Appunto»
ribatté lui, impassibile. «A maggior ragione
essendo la mia una
situazione concreta, credi che concretamente la lascerei da sola?
Lily, pensaci!»
Ringhiai
e ricominciai il mio andirivieni.
Eravamo
di nuovo nel bel mezzo di una partita a scacchi che non avevo
intenzione di perdere, anche se la mia sconfitta già si
profilava.
«Va bene, Sev» dissi ad un certo punto bloccandomi.
«Riprendiamo
in mano la situazione se fossi io al posto tuo e tu al mio.»
Lo
guardai: a giudicare dallo sguardo aveva capito dove volevo andare a
parare. «Se tu fossi al posto mio, davvero mi lasceresti
tornare a
casa sapendo cosa mi aspetta?»
I
suoi occhi dicevano chiaramente “no”.
Scacco.
Probabilmente non matto, conoscendo Severus, ma comunque un buon
scacco.
Cercò
a lungo una risposta, ma sapevo che anche lui, come me, non mi
avrebbe mai materialmente permesso di farmi del male. Piuttosto
sarebbe andato dal mio supposto padre e gli avrebbe lanciato una
fattura. Era più o meno così che mi sentivo
anch’io.
Effettivamente
non arrivò nessuna risposta, ma non era necessaria. Aveva
preso la
sua decisione, e la mia non lo avrebbe influenzato.
Mi
sedetti sconfortata accanto a lui. «Cosa dovrei fare,
Sev?» chiesi,
improvvisamente stanca. «Non posso lasciarti
andare. Non
sapendo cosa ti aspetta.»
«Può
darsi che mio padre non si ricordi niente» ribatté
lui con un
cinismo che mi raggelò. «La sua memoria
è completamente corrosa,
dopo la botta che ha preso è possibile che non si ricordi
niente per
un po’.»
«Ma
dopo potrebbe tornare in sé stesso» risposi io
appoggiandomi allo
stipite della finestra. «Lo ha già dimostrato, mi
pare.»
Non
disse niente, si limitò ad appoggiarsi all’altro
stipite.
Io
intanto continuavo a pensare. Come facevo a risolvere una situazione
del genere? Doveva pur esserci qualcosa che potevo fare…
«Tua
madre non può usare la magia per tranquillizzare tuo
padre?» chiesi
dopo un po’, lentamente.
Lui
arrossì e non rispose.
Lo
guardai: teneva di nuovo gli occhi bassi.
«Sev?»
Ispirò
profondamente e disse: «Mia madre… la sua
magia…» Si interruppe
come per raccogliere le idee. «La magia di mia madre non
funziona
più bene.» La confessione gli costava molto, era
evidente. «Lei…
è vissuta troppo a contatto con mio padre.»
Raccolse altra aria
prima di continuare. «La magia può essere
influenzata dalle
emozioni, sai. Mia madre è… è vissuta
in un polo negativo troppo
tempo. L’influenza continua del mondo babbano, unita alla
violenza
di mio padre… hanno spento la sua magia.»
«Può
succedere?» sussurrai stupefatta.
Lui
annuì.
Mi
appoggiai di nuovo alla finestra mentre assorbivo il concetto.
Perdere la magia… rabbrividii al solo pensiero. La magia era
una
cosa istintiva, faceva parte di te stesso, ne eri così
intimamente
legato che era assurdo pensarla scissa dalla tua mente. Pensai a come
dovesse essere per qualcuno che nella magia c’era nato e
cresciuto
e d’improvviso capii l’espressione tormentata e
vuota di Eileen
Piton. Io mi sarei potuta adattare ad una vita normale, dopotutto
c’ero cresciuta fino ad allora, ma lei? Se davvero discendeva
da
una famiglia purosangue probabilmente non aveva mai imparato a fare
niente senza magia…
Cercai
di accantonare il pensiero per concentrarmi sul presente, ma
l’immagine della madre di Sev continuava a entrarmi nella
testa. Ci
volle diverso tempo prima che riuscissi a fare nuovamente mente
locale sul nostro problema. Al momento, la magia era evidentemente
fuori dalla nostra portata. Ed era altamente frustrante, se solo
pensavo che c’erano alcuni incantesimi anche semplicissimi
che
sarebbero potuti servirci, se solo avessimo potuto usarli…
Mi
tirai su talmente di scatto che anche lui sobbalzò.
«Ma
certo!» esclamai battendomi una manata
sulla fronte.
Mi
guardò come se temesse per la mia sanità mentale.
In effetti,
conoscevo i sintomi di quando ero eccitata: gli occhi mi diventavano
febbricitanti, i capelli assecondavano la mia pazzia agitandosi e i
miei muscoli erano tutti contratti, tanto che i miei movimenti erano
scatti. Non proprio la classica immagine della persona sana di mente.
«Sev,
qual è la materia in cui noi eccelliamo di più, e
che non necessita
magia?» chiesi io guardandolo con occhi da pazza.
«Pozioni! Oh,
certo, solo perché non si sta a strillare formule tutto il
tempo non
lo monitoreranno, è sicuro… preparare Pozioni non
è controllato,
ne sono sicura, quel modulo non diceva che il controllo dipendeva
dalla bacchetta e dagli incantesimi? Non servono bacchette per
preparare Pozioni, Sev, né incantesimi!»
In
un attimo anche lui era entrato in quello stato di euforia, aveva
seguito perfettamente il mio pensiero. «Certo!»
sussurrò mentre i
suoi occhi neri si animavano. «Come ho fatto a non pensarci
prima?»
«Perché
io sono un genio!» mi pavoneggiai scherzosamente, mentre mi
tuffavo
verso il mio baule cercando il libro di pozioni, salvo ricordarmi,
una volta aver rivoltato tutto il suo contenuto, che l’avevo
tirato
fuori qualche giorno prima e che era sulla mia scrivania.
Non
dovemmo sfogliare tanto: la pozione soporifera era una delle
più
elementari, a detta del professor Lumacorno. Sfogliai gli ingredienti
e lessi velocemente il procedimento, mentre la mia mente cominciava a
rivisitare automaticamente alcuni passaggi.
Ero
esultante: era una cosa che potevamo fare, era una cosa che sapevamo
fare ed era una cosa che avrebbe aiutato Severus. Cominciammo
subito, rubai di nascosto il fornelletto a gas che mia madre usava
tanto di rado da non ricordarsi dove fosse e corsi nuovamente su,
premunita anche di una piccola pentola visto che il calderone era
troppo grande per starci su, e fra l’altro non ero neanche
sicura
che avrebbe retto il suo peso.
«Allora,
gli ingredienti ci sono tutti?» chiesi mentre mi legavo i
capelli
per non essere intralciata nel mio lavoro.
Non
ci fu risposta: entrambi ci mettemmo efficientemente al lavoro per
controllare, e risultò, con un colpo di fortuna insperato,
che in
effetti c’erano. Meno male che era una pozione semplice! Ci
fu
qualche problema con l’estratto di camomilla albina, ma alla
fine
riuscii a trovarlo in fondo alle mie scorte, in quantità
appena
sufficiente. Tirammo un sospiro di sollievo e andammo avanti.
Non
era una pozione lunga, ci volevano meno di due ore per prepararla, e
ce la sbrigammo alla svelta. Io, forte della mia media impeccabile,
mi ero improvvisata chef, e Severus mi seguiva con il solito ghigno
che dimostrava che tanto non lo avrei comandato mai e che mi stava
solo assecondando, come si fa con i bambinetti. Ma ne ero felice: mi
dimostrava che era tornato sé stesso.
ANGOLO
AUTRICE
Buonsalve
a tutti i presenti che hanno voglia di leggere anche queste poche
parole prima di passare ai ringraziamenti, molto più
piacevoli.
Dunque,
in questo capitolo ci sono molte cose che ho inventato in quanto non
sono riuscita a trovarle (forse per qualche mia negligenza, forse
perché non sono mai state specificate).
Prima
fra tutte, la legislazione magica: non sono una laureata in
Magisprudenza e non sono neppure Hermione, quindi non so se ho
sparato un mucchio di fesserie a raffica, ma in ogni caso siccome
tutti i Purosangue si lamentavano sempre di più delle
infiltrazioni
di Babbanofili al Ministero e dell’eccessiva tolleranza degli
stessi verso i Babbani, ho pensato che una legge che regolasse le
unioni miste non fosse così lontana dalla possibile
realtà.
Secondo,
per quanto riguarda Eileen Prince ho cercato di interpretare il
più
possibile il suo carattere in base a quanto risulta nei libri,
cioè
la sua incapacità di bloccare il marito e il suo rifiuto di
chiedere
aiuto. La seconda faccenda l’ho attribuita
all’orgoglio, la prima
ad un eccessivo stress emotivo. Non sono sicurissima che la magia si
possa veramente “perdere”, ma che sia pesantemente
influenzata
dalle emozioni si è già visto, ad esempio quando
vengono fuori
peggio se un mago è troppo agitato, fino a casi estremi come
Merope
Gaunt che sembrava una Maganò finché era restata
sotto l’influenza
del padre e del fratello; diciamo che il suo è il caso a cui
mi sono
maggiormente ispirata.
Terzo,
in quanto al fatto che le pozioni non siano monitorate, è
una
conclusione dovuta all’esperienza: in Harry Potter
e il Principe
Mezzosangue Silente dichiara “Si può
intercettare la magia, ma
non chi la compie”, dando per scontato che si debba quindi
applicare una magia. Creare pozioni, se non si usano incantesimi
ulteriori, non è un vero e proprio incantesimo, è
più lento e in
qualche modo più subdolo, quindi a parer mio non era
monitorato.
E
questo è quanto per questa puntata, spero che non abbiate
trovato
troppe incongruenze.
Quindi,
dopo i miei più sentiti ringraziamenti a chiunque si prenda
la briga
di leggere, mi resta solo una parola da dirvi: hasta la vista!
ANGOLO
PUBBLICANTE
Hola,
tanto per
rimanere in tema spagnolo ^^
Come
state? Non
sentite il caldo che vi risveglia i muscoli e gli uccellini che
cinguettano sotto la doccia? Come non li sentite?! AMPLIFON! Il primo
mese è gratis u.u Io sono troppo felice per il quasi arrivo
dell'estate, e quindi della fine della scuola :D:D, da passare la
vita a saltellare senza pensare alle verifiche finali :D Come si fa a
pensare allo studio quando fuori c'è il sole! E soprattutto
quando
al cinema c'è Pirati dei Caraibi *________________* Nel caso
voi non
lo abbiate ancora visto non vi rivelo niente u.u Solo una cosa
piccola piccola... I PERSONAGGI MASCHILI SONO UNO PIU' FIGO
DELL'ALTRO! E non dico sono Jack, partono cori angelici, ma anche il
missionario fa la sua porca figura *_____________* E quindi io prima
o poi me lo rivedrò u.u Anche se devo tornare al cinema e
spendere
10€ IO CI TORNERO' ù.ù E voi non me lo
potete impedire!
Spero
che abbiate
apprezzato la mia puntualità u.u Mi sono sforzata e mi sono
attaccata memo ovunque e alla fine eccomi qui! Puntuale per la prima
volta dopo il 2 o il 3 chap! Parlando di capitoli, siamo quasi
arrivati a 20! Come siamo bravi neh? Insomma la storia cresce, la
trama si infittisce e... non esultate troppo -.- L'essere quasi
arrivati a 20 non vi salverà dagli altri 40000 capitoli che
sono in
cantiere -.-
Dopo
questo sclero
dovuto al mal di testa, passo a rispondere alle vostre mitiche
recensioni!
-
A _Celeno: io non ci avevo nemmeno
pensato, me lo sono trovato scritto così, il computer non
protestava con le sue simpaticissime sottolineature rosse, o forse
sì ma non ci ho fatto caso ^^, e quindi non mi era proprio
venuto in mente ^^”
In effetti la povera Petunia fa
un po' pena a tutti inizialmente, ma se poi pensi che non la
perdonerà mai... allora mi fa incavolare -.- Anche io sarei
stata gelosa, ma non puoi tenerle il muso a vita e trattare suo figlio
come uno straccio! Spero che Elieen Prince non ti abbia delusa! Bye bye!
-
A malandirina4ever : dove vai di bello? In vacanza
in un luogo esotico ad abbronzarti tanto tanto? *_____________* Si vede
che sono in mentalità estiva... non faccio altro che pensare
al MARE! E il fatto di pensarci anche durante le spiegazioni sulle
equazioni irrazionali è del tutto irrilevante
è.è Molto meglio il mare della matematica
*_____________* Se tu sei un'amante della matematica, mi scuso, ma io
la detesto -.- Infatti non sono allo scientifico, cioè luogo
dove si studia matematica, ma sono al BIOLOGO, luogo dove si fa
taaaanta biologia e matematica non esiste -.- XD Che bel mondo sarebbe
senza matematica :D
Tornando alla storia... Piton
è mooolto meglio in quanto a strategia! Lei lo insulta e lui
le rinfaccia Hogwarts! Chissà chi dei due riesce meglio...
Mi-mi-mi-mistero! XD
-
A Crazymoonlight: sono contenta che ti sia
piaciuta! In effetti non ne girano molte di storie sulla vita di Lily,
chissà perché ma viene sempre associata a James
-.- Va bene che sono una bellissima coppia, ma inizialmente si
odiavano! Spero che la caratterizzazione di Elieen Prince ti sia
piaciuta, LadyMorgan ci si è impegnata un sacco ^^
È sempre bello reclutare nuovi lettori! Al prossimo capitolo!
Vorrei
ringraziare anche le 19 persone che hanno messo questa storia tra le
preferite, le 4 che l'hanno messa tra le ricordate e le 38 che
l'hanno messa tra le seguite! Grazie mille!
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Capitolo 20 *** Capitolo 13 - Sull'Espresso per Hogwarts ***
Prima
parte: I anno
Capitolo 13
– Sull’Espresso
per Hogwarts
La
separazione dalla mia famiglia fu dura come l’altra volta, se
non
di più. Tunia non ci accompagnò alla stazione:
disse che un’amica
l’aveva invitata a pranzo e che lei aveva accettato. Immagino
sia
superfluo soffermarmi sui miei sentimenti di allora.
In
quei giorni, grazie alle nostre Pozioni soporifere e
tranquillizzanti, eravamo riusciti ad arginare almeno un po’
il
problema Piton, anche se io e Sev avevamo deciso in comune accordo di
non farne parola con Eileen per paura che considerasse anche questa
una volgare e non richiesta intrusione nei suoi affari privati. In
realtà, quando alla fine Severus era tornato a casa, io mi
ero messa
a preparare una nuova pozione, più difficile, che
però intendevo
assolutamente finire prima del giorno dopo. Anche in questo caso fui
fortunata: gli ingredienti bastarono (anche se dovetti saccheggiare
un po’ le siepi e gli orti dei vicini per procurarmi alcuni
delle
erbe meno magiche che quindi non avevo fra le mie scorte) e anche il
tempo, per quanto passai una notte quasi in bianco. Avevo deciso di
seguire le istruzioni alla lettera, visto che era più
complicata, ma
a metà operazione avevo già rinunciato. Insomma,
non era colpa mia
se il procedimento era scritto male!
La
pasta arancione collosa che ottenni guarì rapidamente i
lividi e le
ferite di Severus, così ebbi anche un’ottima scusa
per invitarlo
più spesso a casa mia e cercare di ignorare il fatto che, da
Natale,
Tunia non mi guardava neanche più.
Capodanno
ci vide nuovamente separati, perché lui preferì
nuovamente non
venire. Malgrado le mie insistenze. Sapevo che lo faceva per non
complicare ulteriormente il mio difficile rapporto con Petunia, ma la
cosa dava comunque fastidio, perché
l’atteggiamento di Tunia non
sarebbe cambiato e io non avrei potuto avere il mio amico accanto. Ma
cercai di fare buon viso a cattivo gioco.
Tuttavia,
non riuscii a non divertirmi: era l’ultimo giorno che Will
sarebbe
rimasto con noi, e quindi andammo a fare un giro per il centro di
Manchester, e io risi un sacco a sentire Will criticare con le stesse
parole che avrei voluto usare io quella brutta città e tutto
il suo
grigio, fumoso e industriale splendore.
Prima
della fine delle vacanze, insistetti anche per andare a Diagon Alley:
avevo tutte le intenzioni di prendere un regalo a Severus. Dopotutto,
dodici anni erano comunque un compleanno importante…
Ci
misi un po’ a ricordarmi come si faceva ad aprire il portale,
ma
mio padre mi aiutò e riuscimmo ad entrare. Mi diressi
spedita al
Ghirigoro: avevo già una mezza idea di cosa prendere, e fui
quanto
mai lieta di constatare che c’era ancora.
Separarmi
dai miei genitori, un’altra volta, fu una pugnalata che la
felicità
di tornare ad Hogwarts contribuì a guarire. Anche Sev era
felice, e
in qualche modo più tranquillo: da quando non
c’erano più segreti
fra noi lo sguardo angosciato che odiavo così tanto non era
più
venuto a galla. Anzi, quando ci incontrammo a King’s Cross
era
felice come non ricordavo di averlo visto da tantissimo tempo,
sembrava sul punto di saltellare – cosa alquanto
incompatibile con
l’idea che avevo di Severus Piton.
«Bene,
eccoci di nuovo a galla» dissi con un sospiro guardando i
miei
genitori che mi salutavano dal binario.
Lui
seguì il mio sguardo e vide cosa aveva causato la mia
tristezza.
«Dai, in estate li potrai rivedere» disse in un
tentativo di
ottimismo.
«Sì,
lo so» risposi io cercando di non sospirare nuovamente.
«Ma è
veramente tanto tempo…»
«Oh,
dai, ti ricordi come è volato il primo trimestre?»
Da
quel punto di vista dovevo ammettere che aveva ragione, ma erano
comunque cinque mesi. Cinque mesi! Sembravano
davvero tanti…
Nonostante
io fossi abbattuta, lui era in brodo di giuggiole. Non riusciva
neppure a stare seduto fermo. «Non hai idea di come mi sia
mancata
Hogwarts in questi giorni…» disse con un sospiro
di contentezza
guardando il panorama filare fuori.
Sorrisi
a sentire il suo entusiasmo. Quando parlava così, Sev
sembrava un
ragazzo normale e non l’adulto in miniatura che si sforzava
di
diventare. Passammo la prima mezzora del viaggio in uno
scompartimento completamente vuoto in coda al treno, probabilmente
l’ultimo, a discutere di cosa avremmo fatto nel prossimo
pentamestre. Mi distrassi: riuscii a relegare Tunia ed i miei
genitori in un angolo della mia mente.
Poi
arrivò Alice. Era paonazza, palesemente aveva corso, ma
quando
arrivò mi fece un sorriso che le andava da un orecchio
all’altro.
«Lily! Se qui! Ma perché vi siete nascosti
quaggiù, vi ho cercato
dappertutto!»
«Buon
anno anche a te, Alice!» scherzai alzandomi per abbracciarla.
Ricambiò
con entusiasmo l’abbraccio e poi mi prese le mani.
«Dai, vieni,
siamo tutti di là! Io, Frank, Remus,
James…»
«James?»
feci io irrigidendomi un attimo. «Intendi Potter?»
«Sì,
e Sirius e Peter!» concluse lei entusiasta. «E
Remus mi ha chiesto
dov’eri, e io ho risposto che non lo sapevo, e allora ti
siamo
venuti a cercare, e ti ho trovata!»
Ero
un po’ dispiaciuta che non mi avesse trovata Remus, ma a
parte
quello ero felicissima di vedere Alice. «Ma non sono sei
posti per
ogni scompartimento?» obbiettai con molta ragionevolezza.
Lei
scosse il capo. «Non in tutto il treno, alcune carrozze hanno
otto
sedili, non so perché…»
Stavo
per accettare quando mi ricordai dei… rapporti…
che c’erano fra
Potter, Black e Severus. «Alice, non so
se…»
«Oh,
lo so che tu e Potter non riuscite ad andare d’accordo, ma
lui ha
promesso di fare il bravo, e…»
«Fammi
indovinare» intervenne la voce sarcastica di Severus dietro
di me.
«Ha detto che sarebbe stato un piacere averla
con voi e che
saresti dovuta andarla a cercare.»
«Sì,
è andata così» annuì Alice
guardando sorpresa il mio amico. «Come
lo sapevi?»
Lui
si strinse nelle spalle e tornò a guardare fuori dal
finestrino.
Alice guardò me. «Come lo sapeva?»
sussurrò.
Io
feci un sorrisetto. «Sev è più
perspicace di quanto non pensino
quelli che non lo conoscono» risposi ridacchiando del suo
stupore.
Lei
scosse la testa scacciando il pensiero e tornò alla carica.
«Ma
verrai?»
Il
sorriso mi si spense.
«Oh,
dai, non potete stare qui da soli come due
emarginati…» protestò
lei.
«Ehm,
Alice…» iniziai io esitante. «Potter e
Black non vanno molto
d’accordo con Severus…»
«Sai,
Lily, a volte sei davvero un po’ troppo ingenua»
sbottò Sev
voltandosi a guardarmi. «Pensi davvero che l’invito
comprenda
anche me?»
Rimasi
per un attimo in silenzio. Non avevo assolutamente soppesato quella
possibilità, a essere onesta. Come al solito, Sev ci era
arrivato
prima di me. Forse perché per me era abbastanza assurdo
pensare ad
un viaggio verso Hogwarts senza Sev.
«Lui
non può venire?» chiesi incredula ad Alice.
Lei
sembrò stupida da quell’idea. «No,
naturalmente può venire, se
lo vuole» rispose senz’ombra di imbarazzo.
Be’, se non altro non
era lei quella che non lo voleva. «Ti va?» chiese
poi educatamente
rivolgendosi direttamente a Severus.
Eccolo
lì, il sorriso amaro che avevo sperato di non rivedere
più per il
più lungo intervallo di tempo possibile. «Non
credo che i vostri
amichetti sarebbero molto contenti di vedermi arrivare.»
Be’,
immagino che questo risolvesse la faccenda. «Vi vengo a
trovare
quando passa la strega del pranzo, che ne dici?»
«Oh!»
esclamò lei delusa. «Proprio no?»
Scossi
la testa. Mi dispiaceva, inutile negarlo, ma mi sarei sentita molto
peggio lasciando Severus o costringendolo a subire la compagnia di
due ragazzi che odiava recisamente, e non senza ragione.
Sospirò.
«A Remus dispiacerà» commentò
tornando verso la porta. «E anche
io speravo che avremmo potuto fare il viaggio
insieme…»
Cercai
di sorridere, nonostante il mio cuore si fosse congelato.
«Dai, sono
sicura che avremo dozzine di occasioni per vederci durante tutto il
viaggio. O al massimo al banchetto. A scuola. Alle lezioni. Alla fine
non ne potrai più di me!» scherzai.
Lei
mi fece un sorrisino triste e uscì.
Tornai
a sedermi vicino a Sev, che non aveva ancora abbandonato
quell’espressione odiosa. «Non sei obbligata a
restare con me, lo
sai, vero?» chiese con notevole sforzo. «Non ho
intenzione di
obbligarti a restare qui.»
«Dai,
Sev, pensi davvero che riuscirei a sopportare Potter, o Black quanto
a questo, senza il tuo vitale supporto?» lo presi in giro
cercando
di buttare la faccenda sul ridere. «E sarebbe davvero sleale
da
parte tua farmeli affrontare da sola…»
Funzionò.
Tornò a sorridere e continuammo a chiacchierare
piacevolmente come
se non fosse successo niente. In realtà, la mia mente era
lontana,
stavo pensando a Remus. Non potevo farci niente, era più
forte di
me. A Remus che mi voleva con loro, a Remus che mi aveva cercata, a
Remus a cui sarebbe dispiaciuto non avermi lì…
anziché scoprirmi
guarita dalla mia “infatuazione”, come
l’aveva descritta mia
madre, era evidente che fosse più forte che mai.
Tuttavia,
essendo una donna, riuscivo a pensare a più cose
contemporaneamente
e quindi, mentre un angolo della mia mente rimuginava su Remus,
l’altra stava discorrendo con Severus. Uno dei vantaggi nello
stare
in uno degli ultimi scompartimenti del treno era che non passava
quasi mai nessuno a controllare, e quindi potemmo finalmente
esercitarci in tutti gli incantesimi di cui avevamo letto durante le
vacanze. Non in quelli offensivi, ovviamente, c’era troppo
poco
spazio, ma prima dell’una io avevo trasfigurato un libro in
un
cuscino e viceversa e Severus aveva fatto svolazzare alcune penne per
tutta la stanza, prima che io ordinassi ad alcune delle mie pergamene
di inseguirle. Eravamo nel bel mezzo di quel combattimento giocoso
quando arrivò la strega del carrello.
Prendemmo
solo qualche dolcetto, particolarmente Cioccorane e Gelatine
TuttiGusti+1, a cui mi ero particolarmente affezionata dopo averne
trovata una ad un gusto stranissimo ma che era in assoluto la cosa
più buona che avessi mai assaggiato. Sev era molto
più cauto, anzi,
per essere onesti non si fidava affatto, ma tanto Sev era diffidente
per natura, quindi poco danno. Finito il nostro mezzo pranzo, ci
mettemmo d’accordo in modo che io potessi andare da Alice e
lui da
alcuni suoi compagni di Casa, e decidemmo che ci saremmo rivisti
nello scompartimento intorno alle tre.
Perciò
io percorsi il treno in tutta la sua lunghezza cercando il loro
scompartimento, dandomi mentalmente dell’idiota per non aver
chiesto ad Alice dove fosse. Alla fine, tuttavia, li trovai. O per
meglio dire, trovai quello che restava del loro scompartimento: uno
spazio di pochi metri quadrati completamente ripieno di una schiuma
densa e violetta che bloccava tutti al loro posto. Stupefatta, aprii
la porta con una certa cautela e dovetti fare un salto indietro per
evitare di essere investita dall’autentica onda che il mio
gesto
provocò.
«Lily!»
sputacchiò Alice mentre la sua testa emergeva, completamente
bagnata, dal sedile più vicino all’uscita.
«Cosa
diavolo avete combinato?» chiesi io talmente interdetta da
non fare
niente.
«James…
e Sirius… non so cosa abbiano fatto, ma ha cominciato a
venir fuori
questa schiuma…» cominciò lei mentre un
nuovo getto le soffocava
le parole in bocca.
Estrassi
velocemente la bacchetta. «Finite incantatem!»
ordinai
puntandola a caso verso lo scompartimento.
Non
funzionò proprio benissimo, ma quando bastava per
permettermi di
entrare, preceduta da un getto di aria calda che feci sgorgare dalla
punta della bacchetta e riusciva a… sciogliere, per
così dire, le
bolle. Riuscii a raggiungere Alice e le insegnai
l’incantesimo,
prima di spostarmi verso il posto accanto a lei: Frank Paciock aveva
evidentemente tentato di raggiungere la bacchetta e ci era quasi
riuscito, ma aveva la bocca talmente piena di bolle da non riuscire a
sillabare nessun incantesimo. Di fronte ad Alice c’era Remus,
letteralmente immobilizzato, che saltò su non appena lo
raggiunsi
con le sopracciglia aggrottate e l’aria di chi vuole
commettere un
omicidio con aggravante.
Lo
lasciai mentre liberava Peter Minus e mi diressi verso gli ultimi due
posti ancora pieni di bolle, provando una gioia feroce mentre
ordinavo alla mia bacchetta: «Aguamenti!»
ed un getto da
idrante finiva dritto in faccia a qualunque dei due pazzi sadici
fosse che aveva dato il via a tutta quella baraonda. Mentre la
schiuma si scioglieva, riconobbi i capelli spettinati. «Potter»
ringhiai mentre, per riflesso alla mia rabbia, anche il getto
aumentava di potenza.
Dietro
di me, Remus stava riservando lo stesso trattamento a Black, con un
profondo piacere personale, almeno a giudicare
dall’espressione
vendicativa.
Quando
alla fine ritenni che Potter fosse abbastanza zuppo, interruppi
l’incantesimo. «Cosa cavolo vi è saltato
in testa, mentecatti?»
fu il mio benvenuto mentre lui cominciava a sputare acqua e bolle.
«Ah,
Evans, eri tu» ribatté tuttavia lui in tutta
calma. «Avrei dovuto
immaginarlo, non tutti sono così
violenti…»
«Cosa
pensavate di fare, nel nome di Merlino?» ribattei io tenendo
la
bacchetta sollevata.
Lui
si strinse nelle spalle. «Stavo mostrando a Sirius un
incantesimo
che avevo scoperto frugando negli archivi di casa
mia…»
«…
e stavamo cominciando a scoprirne gli effetti…»
proseguì Black da
dietro strizzandosi i capelli e sorridendo sfacciatamente a Remus.
«…
quando quella stupida porta si è chiusa, il getto
è aumentato
improvvisamente e ci siamo trovati tutti immobilizzati prima di poter
dire ‘Aiuto’» concluse Potter serafico,
asciugandosi gli
occhiali.
«E
abbiamo tremato aspettandoci l’arrivo di qualche Prefetto
fino a
quando non sei arrivata tu» specificò Black.
Rimasi
lì per qualche istante a passare lo sguardo
dall’uno all’altro,
appoggiata alla finestra, fino a quando tutto il peso della loro
stupidità mi precipitò addosso e mi ritrovai in
preda ad
un’irrefrenabile risata prima ancora che fossi riuscita a
capire
come poteva essere successo.
Gli
altri mi guardarono stupefatti. Alice si stava ancora finendo di
liberare delle bolle, Frank ne aveva una che gli usciva
dall’orecchio
sinistro e diverse ancora attaccate alla divisa, Peter Minus ne
sfoggiava due sulla sommità della testa simili alle orecchie
di
Topolino e Potter e Black sembravano due pulcini bagnati. Remus
torreggiava ancora fra quei due, la bacchetta puntata verso Black e
un sorriso un po’ colpevole rivolto verso di me. Nonostante
questo,
poche bolle erano sopravvissute alla sua bacchetta.
Continuai
a ridere fino a quando non dovetti appoggiarmi ad un sedile per non
cadere. Piano piano anche gli altri avevano cominciato a scorgere il
lato comico della situazione e stavano iniziando a ridacchiare,
così
che quando riuscii finalmente a calmarmi anche gli altri erano nelle
mie stesse condizioni. Mi asciugai gli occhi e guardai Potter e
Black. «Voi due siete in assoluto, i più
deficienti, pazzi,
stupidi, immaturi…»
«Ottusi»
mi suggerì cortesemente Remus.
«…ottusi,
limitati, insulsi mentecatti che io abbia mai conosciuto!»
conclusi
riprendendo a ridere. «Eravate… eravate
così-ì buffi!»
Mi
rimasero a guardare un altro po’, poi Potter mi si
avvicinò e
disse: «Evans, non vorrei dirtelo, ma non mi sembra una
grande idea
da parte tua continuare a ridere…»
«E
perché no?» chiesi io con la voce ancora tremante.
«Non hai visto
la tua faccia…»
«Perché
ti farei notare che in quanto stupidi, pazzi, immaturi e bla bla bla,
non siamo in grado di controllare i nostri gesti.»
Mi
interruppi di colpo, d’un tratto vigile. «Non
oseresti!»
sibilai cercando di nascondere un sorriso.
Lui
sogghignò. La sua mano corse alla bacchetta così
velocemente che
feci appena in tempo a prendere la mia prima che un getto
d’acqua,
combinato con uno d’aria proveniente da Black investissero me
e
Remus. Di fatto ci ritrovammo in mezzo ad un miniciclone, e fu una
fortuna che avessi preso in mano la bacchetta perché
sicuramente non
sarei riuscita a raggiungerla altrimenti. Evocai velocemente uno
scudo e ci riparammo dietro di questo mentre l’acqua
schizzava
tutto attorno a noi, gelida ma incontestabilmente innocua.
«Siete
completamente pazzi?» chiese Remus stupefatto (e anche
abbastanza
fradicio) mentre il getto si interrompeva.
Ma
ormai io ero partita: un ghigno mi si disegnò sulle labbra,
mentre
guardavo alternativamente Potter e Black – ghigno che,
bisognerebbe
aggiungere, fece guadagnare velocemente l’uscita sia a Alice
che a
Frank, che si trascinò dietro anche Peter, in avida
contemplazione
dell’accaduto.
«Carica!»
esclamai scagliandogli contro la prima fattura che mi venne in mente
e cominciando a schivare le loro, mentre anche Remus, con una natural
riluttanza, su univa a me in quella memorabile battaglia.
La
situazione sarebbe probabilmente degenerata – erano entrambi
molto
veloci, e dovevo ringraziare i mesi di allenamento con Severus se
riuscivo a restare in piedi – quando passò una
pattuglia di
Prefetti che, con una rapida occhiata a tutti quanti bloccarono gli
incantesimi, ci disarmarono e ci immobilizzarono tutti.
La
scena che si presentò era simile ad villaggio devastato da
un
uragano particolarmente acquoso: c’era schiuma dappertutto,
le
pareti grondavano acqua e i sedili erano tutti ammaccati, noi
quattro, fradici, stavamo ansimando – Potter e Black per la
verità
stavano ridendo come matti – e Remus e Black presentavano
affascinanti graffi sulla guancia.
«Che
cosa sta succedendo qui?» urlarono in mezzo a quel caos
guardando
alternativamente i colpevoli.
Quattro
voci cominciarono a rispondergli contemporaneamente, tanto che alla
fine dovettero zittire tre di noi per capire cosa fosse successo.
L’unica a cui venne concesso il permesso di parlare
– e di
spiegarsi – fui io.
«C’era
un ragno» spiegai io inventando sul momento con la
più sfrontata
faccia tosta, «Potter» specificai indicando il
ragazzo, «aveva un
enorme ragno in testa e non se ne era accorto. Per levarlo senza
fargli del male, gli ho lanciato un incantesimo, ma lui si è
spostato e, credendo che lo stessi attaccando, mi ha attaccata,
così
Remus» ed accennai al mio amico immobilizzato, «mi
ha difeso, e
Black» lo indicai, «ha preso le difese di Potter, e
la cosa è
degenerata.»
I
due Prefetti mi guardarono scettici e liberarono Black . «Non
era un
ragno, era una tarantola!» disse subito lui seguendo la mia
linea
d’onda con ammirevole prontezza, «io l’ho
visto solo dopo, ma
ormai era troppo tardi per farlo capire a James, e non potevo certo
permettere che venissimo attaccati così,
impunemente!»
«Un
ragno gigante, grande almeno quanto la mia mano!» disse
Potter
entrando con entusiasmo in campo e sventolando la mano davanti al
viso del Prefetto per enfatizzare il discorso.
«L’ho visto quando
stava scappando, era enorme!»
«E
per di più di una specie velenosa, anzi,
velenosissima!» spiegò
Remus inventando sul momento. «Si poteva capire dalla
caratteristica
strisciolina rossa… sul dorso… che ho potuto
vedere mentre
quell’intelligente animale batteva in ritirata!»
«E
fra l’altro non potevi dirmi “hai un ragno in
testa” invece di
attaccarmi, razza di stupida?!» esclamò Potter
guardandomi e
cercando di non ridere. «Proprio tipico di te!»
«Be’,
lo sai che Remus sviene ogni volta che vede un ragno, non volevo
causare uno… svenimento in piena serata!»
«Non
svengo sempre!» protestò Remus indignato. Il mio
sguardo lo ammonì
e lui sospirò. «Svengo solo quando sono grandi e
pelosi!»
«Esattamente
come questo!» intervenne Black mimando il movimento di un
ragno.
«Era un ragno nerissimo con una striscia a forma di teschio
sul
dorso, peloso peggio di uno yeti e con le zampe lunghe dieci
centimetri!»
Tutti
lo guardammo compassionevoli. «Sai, Black, un bel paio di
occhiali
non guasterebbero» intervenni guardandolo con compatimento.
I
poveri Prefetti ci guardarono sconvolti e, dopo aver asciugato il
tutto, ci liberarono. «Bene, vedo che c’era una
spiegazione…»
disse il primo stralunato. «Un ragno può
causare… reazioni
inconsulte…» Ci guardò ancora una
volta, poi assunse un’aria
severa. «Ma non fatelo mai più, la prossima volta
non saremo così…
indulgenti.»
Noi
prontamente ci lanciammo in promesse di condotta impeccabile giurando
che Prefetti giusti e con ampio discernimento come loro servivano per
creare un mondo migliore e stavamo ancora promettendo quando i due
uscirono sperando di non dover tornare mai più in questa
gabbia di
matti.
Potter
controllò che se ne fossero andati e si girò
verso di me. «Un
ragno!» disse con disgusto. «Di
tante scuse che potevi
inventarti, tu vai a cercare un ragno!»
«Be’,
provaci, tu genio delle scuse, a trovarne una decente mentre sei
immobilizzato, ricoperto di schiuma e per di più bagnato
fino
all’osso!» ribattei io piccata sedendomi sui sedili
nuovamente
perfetti. «E poi ha funzionato, li abbiamo sconvolti
abbastanza da
scappare, no?»
«Avranno
pensato che siamo dei matti senza cervello»
sogghignò Black
sedendosi.
«Il
che non sarebbe neanche così lontano dalla
realtà» mormorò Remus
in un a parte.
Ci
guardammo tutti in faccia e scoppiammo nuovamente a ridere.
Servì
l’intervento combinato di Alice, Frank e Peter per farci
smettere.
«Ero
venuta convinta di trovarvi normali o arrabbiati e vi ritrovo così?»
chiese Alice guardandoci scettica. «Allora quei Prefetti non
sono
davvero serviti a niente…»
«Devo
ammettere di… no» disse Potter con un sorrisetto.
«Anzi, è colpa
loro se stiamo ridendo…»
«Ah,
e, per inciso, ce li avete mandati voi?» chiese Black
giocherellando
pericolosamente con la bacchetta.
Frank
assunse un’aria vagamente colpevole, Alice invece sorrise con
una
punta di malizia. «In realtà
sì» confessò ridacchiando.
«Ma che
potevamo fare? Quando ho visto Lily fare quella faccia ho temuto che
stesse arrivando il peggio…»
«Sì,
devo ammettere che quando vuole fa spavento» convenne Potter
in tono
elogiativo.
Io
chinai la testa in un ironico inchino e alzai lo sguardo verso Remus.
C’era sempre quel leggero senso di colpa dietro il suo
sorriso.
«Ehi, tutto bene?» chiesi guardandolo attentamente.
Lui
si riscosse e annuì, arrossendo leggermente. Senza sapere
nemmeno
perché, mi sentii arrossire anch’io. Merlino,
quant’era carino…
«Credo
che Remus sia ancora sconvolto per il suo primo richiamo
ufficiale»
dichiarò Black sorridendo malizioso e tirandogli una
gomitata. «Il
nostro aspirante Prefettino non può sopportare una simile
onta sulla
sua immacolata fedina penale…»
Remus
se ne uscì in una poco immacolata linguaccia e Black aveva
quasi
rimesso mano alla bacchetta quando lo colpii con un Petrificus
Totalus e, per sicurezza, riservai lo stesso trattamento anche a
Potter. Mi ritrovai fissata da sette paia di occhi stupefatte (due
delle quali immobili). Con un sorrisetto, soffiai sopra la punta
della bacchetta come avevo visto fare in un film western che avevo
visto al cinema con i miei e la rimisi a posto.
«Stavamo
dicendo?» chiesi affabilmente.
«Nel
nome di Merlino, perché hai…?»
cominciò Frank guardandomi
annichilito mentre io sfoderavo un sorriso sornione.
«Nel
caso non te ne fossi accorto, Frank, Black stava per ricominciare a
fare magie» cominciai guardando il soffitto. «E
direi che per oggi
hanno fatto abbastanza. E Potter lo avrebbe senza dubbio liberato,
quindi sarebbe stato tutto inutile.» Sorrisi e mi trattenni a
malapena dal canticchiare. «Sono stata fortunata a sfruttare
il
fattore sorpresa, vero?» chiesi cercando di non gongolare
troppo
rivolgendomi alle due figure pietrificate vicino a me, che nonostante
tutto riuscivano a guardarmi con sguardo accusatore.
Remus
stava ridacchiando e Peter Minus era ancora sulla soglia, la bocca
spalancata e lo sguardo ebete, tanto da farmi temere che se una mosca
solitaria gli fosse finita in bocca non se ne sarebbe nemmeno
accorto.
«Prometto
che vi libererò prima di uscire, e voi potrete liberamente
vendicarvi a scuola» conclusi con nonchalance, battendo un
colpetto
sulla mano immobile di Potter accanto a me. D’un tratto
però mi
accigliai. «Vendicarvi di me, ovviamente»
sottolineai.
Remus
mi assecondò velocemente sedendosi di fronte a me e
chiedendo ad
Alice con aria amabile: «Vuoi un po’ di queste
Cioccorane, Alice?»
Lei
ridacchiò appena e si sporse per prenderne alcune, senza
riuscire a
non guardare le due figure statuarie accanto a noi.
Frank
si rimise tranquillamente accanto ad Alice e prese una Gelatina
TuttiGusti+1, porgendone anche una a Minus, che sembrava indeciso se
sedersi o no.
«Non
pensate che… che li dovremmo liberare?» chiese
dubbioso accennando
a Potter e Black.
«No,
non lo penso affatto» ribattei io scioltamente, accettando la
Cioccorana che Remus mi offriva. «Può solo fargli
bene stare fermi
per un po’, e poi non apprezzi questo silenzio, finalmente?»
aggiunsi sognante accennando al fatto che non udivamo più
nessun
tipo di schiamazzi o niente del genere.
«Sì,
ma…» Minus sembrava disperatamente alla ricerca di
argomentazioni
per farci liberare gli altri due. «Insomma, non hanno fatto
niente
per… meritarsi questo» disse debolmente.
«Stavano solo
scherzando…»
«Appunto»
ribattei io staccando un pezzo di cioccolato con i denti.
«Chi
scherza paga, si dice dalle mie parti…»
Remus
rise nuovamente. «Dalle mie “chi rompe
paga”» osservò
guardando i due.
Feci
un gesto noncurante con la mano. «Sì, fa lo
stesso» risposi.
«Direi che stavano anche rompendo, no? E poi»
aggiunsi guardando
nuovamente Minus, «non posso rimetterli in libertà
ora, no? Si
vendicherebbero subito, visto che non ho ancora la garanzia che mi
attaccheranno solo a scuola. Quindi è fuori
questione» conclusi.
Questo
lo zittì per la successiva mezz’ora. Restammo a
chiacchierare per
un po’ e solo io non continuai a gettare occhiate di striscio
alle
due figure immobili, ma anzi li ignorai con tanta ostentazione che
ogni tanto Alice guardava prima loro e poi me e poi cercava di non
ridere.
Saremmo
probabilmente andati avanti fino alle tre, quando me ne dovevo
andare, se Minus, con una prontezza di spirito che non mi sarei mai
aspettata da parte sua, non avesse finto di voler andare a vedere
qualcosa vicino alla finestra e invece, sebbene me ne sarei accorta
solo più tardi, non avesse pronunciato a mezza voce
l’incantesimo
per liberarli.
Io
stavo ridendo ed ero come sempre di spalle, quindi quando Potter mi
saltò addosso senza più badare alla magia finii
completamente
sbilanciata e mi ritrovai a terra di pancia con il suo naso vicino
alla nuca e la sensazione che una delle mie rotule non avesse retto
allo schianto.
«Chi
è che deve aspettare fino al castello, Evans?» mi
soffiò in un
orecchio senza comunque prendere la bacchetta ma limitandosi a
bloccarmi le mani dietro la schiena.
«Potter…»
ringhiai cercando di riprendere il respiro. «Ti ricordi di
quella
discussione che abbiamo avuto poco dopo l’incidente con la
scopa?»
Colto
di sorpresa lui annuì senza fare niente, dandomi il tempo di
reagire. «Allora credo che sarebbe carino informarti che
è grazie a
quello sport che ti dicevo se ora posso fare questo!»
Mi
passai con uno strattone le braccia sopra la testa ruotando su me
stessa al contempo e allontanandolo con un calcio. Mi tirai
velocemente in piedi, massaggiandomi i muscoli delle braccia: erano
secoli che non facevo quell’esercizio e non mi ricordavo
quanto
facesse male. Di conseguenza, non ebbi la prontezza di reagire
all’istante quando Potter mi lanciò contro un
nuovo incantesimo.
Mi colpì di striscio, ma solo perché Remus,
liberatosi di Black che
non era minimamente intervenuto per aiutare Potter, mi
allontanò con
un soffio di aria calda tanto forte da farmi barcollare e, di
conseguenza, spostare.
«Adesso
basta!» ruggì una voce dietro di noi e
tutt’un tratto sia io, che
Remus che Black che Potter eravamo senza bacchette, mentre Frank e
Alice le tenevano tutte e quattro saldamente in mano.
«Queste
le teniamo noi fino a quando voi non vi date una calmata»
dichiarò
Frank severo di fronte al nostro sguardo stupefatto. «E non
provate
a prenderle» aggiunse guardandoci storto. «Per oggi
avete fatto più
che a sufficienza.»
Di
fronte a quel risvolto inatteso, tutti noi prendemmo un respiro
profondo e ci preparammo a calmarci, sedendoci di nuovo.
Ci
continuammo a guardare in cagnesco dopo un po’, poi, ad un
tratto,
Potter mi fece una smorfia talmente buffa che non potei fare a meno
di ridacchiare. Lui si unì subito a me, e quando anche
Remus, Black
e, con un pizzico di incertezza, Minus si aggiunsero fu difficile per
Frank e Alice mantenere la parte di severi guardiani di bacchette.
«Sei
assolutamente stupido!» annunciai a
Potter quando riuscii ad
articolare una frase. «Mi hai fatto male!»
Lui,
senza alcuno spirito cavalleresco, si strinse nelle spalle con
offensiva noncuranza e ribatté: «Anche io non ero
proprio comodo in
quella posa assurda!»
«Te
l’eri cercata» ribattei io senza esitare.
«Erano tre ore che non
stavate più fermi.»
«E
che senso ha stare fermi?» intervenne Black interrompendo
Remus che
gli stava per parlare. «Abbiamo una giornata da dover
occupare su
questo stupido treno, il minimo che si possa fare è cercare
di
divertirsi…»
«Riempiendo
di bolle lo scompartimento?» chiese Remus sarcastico
guardandolo,
nello stesso istante in cui io ribattevo: «Infatti
pietrificarvi è
stato proprio divertente…»
«E
per inciso, voi due vi siete divisi le vittime a parte o è
stato
istintivo?» proseguì lui passando lo sguardo
dall’uno all’altro.
«Voglio dire, avevate un copione secondo il quale James
doveva
attaccare Lily e Sirius me o era tutto improvvisato?»
«Be’…»
cominciò Potter con un sorrisetto, «in
parte era
improvvisato… dopotutto tu sei più vicino a
Sirius e Evans a me…
però immagino che ci sia messa anche una buona dose di
organizzazione premeditata.»
Gli
rivolsi una smorfia mentre Black cominciava a ridere sguaiatamente.
Mi passai di nuovo, distrattamente, una mano sulle spalle, cercando
di calmare il dolore dovuto allo sforzo dei muscoli a freddo senza
essere notata, ma Potter si girò verso di me nel momento in
cui lo
facevo e quindi mi vide.
Smise
subito di sorridere. «Seriamente, ti sei fatta
male?» chiese
guardandomi un po’ accigliato.
Aggrottai
le sopracciglia – in tutta onestà non mi aspettavo
quella domanda
– e pensai ad una risposta adeguata. Non trovandola, mi
strinsi
nelle spalle – cosa che, per altro, mi provocò una
nuova fitta.
«Era tanto che non facevo
quell’esercizio» dissi solamente. «E
tu hai una bella presa» aggiunsi cercando di buttarla sullo
scherzoso.
Le
tre arrivarono senza che nessuno avesse più cercato di
uccidere
qualcun altro, anzi, stavamo tutti chiacchierando piacevolmente
quando lo sguardo mi cadde sull’orologio da polso di Remus e
mi
fece balzare in piedi.
«Caspita,
sono già le tre!?» esclamai agguantando il polso
di Remus e
controllando meglio. Ad una conferma delle lancetta, lo lasciai
andare e mi risedetti per un attimo, salvo rialzarmi per rivolgermi a
Frank. «Devo tornare da Sev, Frank. Posso riavere la
bacchetta?»
Lui
mi guardò un po’ scettico.
Sbuffai.
«Ti prometto che non incanterò i due
mentecatti» dissi scocciata.
«Almeno fino al castello» aggiunsi a bassa voce.
Borbottando,
lui me la porse.
«Be’,
ci vediamo al banchetto, allora» dissi con un piccolo cenno
di
saluto a tutti quanti prima di dirigermi verso la porta.
«Evans,
spiegami per quale motivo dovresti stare in compagnia di Mocciosus
invece che di noi» disse Black guardando per aria.
Inarcai
un sopracciglio. «Perché è il mio
migliore amico e ci eravamo
messi d’accordo così?» chiesi retorica
avviandomi verso la porta.
«E non chiamarlo Mocciosus.»
«Oh,
dai, Evans, lo sai anche tu che è adattissimo,
invece!» esclamò
Potter con una smorfia. «E poi è un mortorio.
E un mortorio
unticcio, per di più!»
Mi
bloccai mentre automaticamente irrigidivo i muscoli.
«Potter» dissi
a denti stretti, «non costringermi a infrangere la promessa
che ho
appena fatto a Frank.» E prima che potesse aggiungere altro
schizzai
fuori dallo scompartimento per non sentire altre malignità
su Sev.
Raggiunsi
lo scompartimento quasi di corsa, chiudendomi la porta alle spalle
con un gesto brusco. Sev non era ancora arrivato, quindi mi accinsi
ad aspettarlo tirando fuori il libro di Pozioni e cominciando a
leggere.
ANGOLO
AUTRICE
Dunque,
il viaggio di ritorno è stato ispirato ad un’altra
fanfiction che
non ho mai pubblicato che avevo scritto con mia sorella, alla quale
devo il primitivo suggerimento del ragno come scusa e a cui faccio
quindi tanto di cappello, con i miei più sentiti
ringraziamenti.
I
Prefetti sicuramente non ci sono cascati, ma dopotutto non si
può
mettere in punizione quattro bambinetti deficienti così come
se
niente fosse… ovviamente i prefetti in questione non
erano
di Serpeverde e non comprendevano Debbie,
altrimenti non se la
sarebbero cavata così a buon mercato. Ma non importa, in
fondo ce ne
sono molti altri che avrebbero avuto la possibilità di
intervenire.
Mi
diverto come un’idiota a scrivere dei loro litigi…
mi ispirano,
non so perché.
Ma
in ogni caso ora devo lasciare il resto della pagina libero
affinché
mia sorella possa compiere il suo pio dovere, vero? E va bene, passo
e chiudo anche per questa volta, vi saluto da un altro tempo e da un
altro luogo.
ANGOLO
PUBBLICANTE
Buona
domenica a tutti!
Non
ho molto da dire dato che sono puntuale di nuovo :D e di solito
questo spazio prevede che io mi prostri ai vostri piedi implorando
perdono. Quindi, posso solo augurarvi una buona giornata e una
prossima fine della scuola!
Volevo
anche informarvi che questo è il penultimo capitolo in cui
dovrete
sopportare la mia presenza, infatti il 29 torna la vera autrice,
alias mia sorella, e quindi sarà lei a proseguire la
pubblicazione.
Diciamo che mi mancherete, ma i saluti veri e propri li lascio alla
prossima volta u.u
Ora
passo invece a rispondere alla recensione ^^
-
A malandrina4ever: *_______________________*
Maaaaaaaare!! A me sci piasce il mare! Infatti non vedo l'ora di
andarci u.u Non solo perché è taaanto bello, ma
perché se ci vado significa che non ho compiti e se non ho
compiti significa che la scuola è finita e se la scuola
è finita significa che sono in vacanza *O*
Ora mi posso deprimere
perché io non sto andando al mare e
quindi significa che io ho compiti e quindi
significa che la scuola non è finita e
che quindi io non sono in vacanza
ç____________________ç Bwaaaaaaaaaaa!
Perchèèèèèè?
Resisti, manca poco alla fine! E se manca poco alla fine significa
che... ok basta u.u
Perdonami se ti ho associata
alla matematica! Ma, sai, esiste gente a cui piace! E quindi forse tu eri una di
quelle rare creature u.u Nel caso ti avrei chiesto il trucco per
farsela, non dico piacere, ma per lo meno sopportare!
Parlando della storia, Sev fa un
po' pena, ma dopotutto la sua situazione familiare non era un mistero!
Comunque sono riusciti a risolvere la situazione e ora stanno tornando
ad Hogwarts. Spero che tu abbia apprezzato James e Sirius xD Alla
prossima!
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 14 - A Casa ***
Prima
parte, I Anno
Capitolo
14 – A
Casa
Non
posso dire in tutta sincerità che gennaio fu un mese
tranquillo.
Nemmeno per gli standard di Hogwarts.
Il
nove mattina mi precipitai in Sala Grande ad un orario insolitamente
mattiniero per me, il regalo per Sev stretto in mano e profondamente
felice all’idea che fra poco gli avrei fatto una sorpresa.
Non
riuscii quasi a mandar giù niente a colazione, tanto che
Alice e
Frank mi guardarono un po’ stupiti, ma io non dissi nulla: a
undici
anni, avere un segreto o uno pseudo segreto mi dava ancora un
gradevolissimo senso di importanza e mistero. Non appena vidi Sev
entrare in sala assieme a due o tre dei suoi compagni balzai in
piedi, poi mi ricordai che doveva ancora fare colazione e mi
immusonii. Uffa.
Però,
con la sua solita prontezza, lui aveva colto il mio movimento e,
conoscendomi come mi conosceva, aveva capito che volevo parlargli,
quindi prese alcuni toast dal tavolo e si diresse verso
l’uscita
cominciando a mangiare quelli. Io, felice come una pasqua, corsi
verso la porta per incontrarlo, dopo aver velocemente salutato Alice
e Frank che probabilmente avevano capito o capito male. Ma la cosa
non mi interessava più di tanto.
Lo
raggiunsi davanti alla porta che dava sul Salone di Ingresso, ed
entrambi uscimmo insieme dopo esserci salutati. Appena fuori dal
raggio di visuale della Sala Grande, gli misi in mano di prepotenza
il mio regalo ed esclamai sorridendo: «Buon compleanno,
Sev!»
Se
gli avessi detto che aspettavo un bambino non avrebbe potuto fare una
faccia più sorpresa. Passò ripetutamente lo
sguardo da me al regalo
e poi di nuovo a me, come a volersi capacitare del fatto che era
davvero in mano a lui.
Io
gongolavo: ero estremamente soddisfatta di me per il risultato
ottenuto. Lui continuava a guardare il pacchetto come se da un
momento all’altro avesse dovuto cominciare a morderlo. Era
estremamente buffo.
Quando
decisi che avrebbe dovuto superare il suo imbarazzo, lo esortai:
«Be’, coraggio! Aprilo!»
Continuando
a guardarmi con lo stesso sguardo che mi aveva rivolto anni prima
quando gli avevo restituito lo zaino, lui lo aprì e gli
occhi gli
diventarono talmente tondi che ebbi l’improvvisa impressione
di
guardare un pesce palla.
Alla
fine, con molte esitazioni e sussulti ogni volta che la più
piccola
porzione del regalo veniva fuori, riuscì a tirarlo fuori. E
a quel
punto la sua espressione fu impagabile.
«Lily…»
riuscì solo a balbettare mentre guardava il volume I della
nuovissima collezione Magia Difensiva Pratica: Come Usarla
contro
le Arti Oscure. L’avevo notato il primo giorno a
Diagon Alley e
avevo subito pensato che fosse un bel libro. Una volta che
l’abilità
di Sev per Difesa Contro le Arti Oscure era emersa, non avevo potuto
non pensare a lui ogni volta che mi tornava in mente.
Con
mano tremante, lo aprì e cominciò a sfogliarlo:
era pieno di
illustrazioni animate a colori, che mostravano i corretti movimenti
per la bacchetta e gli effetti dell’incantesimo, con relative
spiegazioni teoriche a fianco.
I
suoi occhi parevano sfocati mentre percorrevano le pagine, le
annotazioni e i consigli per fatture e contro fatture…
«Lily…»
ripeté di nuovo continuando a sfogliare sempre
più velocemente. «…
È meraviglioso. Il più bel regalo che abbia mai
ricevuto…»
I
migliori soldi che avessi mai speso.
«Non
so davvero come…»
Lo
abbracciai ridendo. «Passa dei buoni dodici anni, Sev,
sarà più
che sufficiente…»
Passammo
il giorno nella sala degli scacchi a provare e riprovare tutti gli
incantesimi citati nel primo capitolo. Studiavamo anche la teoria,
per avere una visione a trecentosessanta gradi ed aiutarci nella
pratica, ma di fatto era molto maggiore il tempo che passavamo a
esercitarci che non a leggere. Un’autentica fortuna che fosse
domenica…
Scendemmo
a pranzo appena in tempo per rubare qualche fetta di pane, un
po’
di roast beef e del succo di zucca, poi ritornammo nella nostra aula
a continuare a provare. Il giorno dopo tutti e due avevamo Difesa
Contro le Arti Oscure, quindi non dovemmo neppure sentirci troppo in
colpa per aver passato il pomeriggio a quel modo, visto che grazie al
libro riuscimmo ad ampliare notevolmente i nostri temi sul
funzionamento degli incantesimi di paralisi.
Intorno
alle cinque arrivò un elfo domestico con una torta. Sev
rimase
sbigottito e io ripresi a ridere: era un’idea che mi era
venuta
tornando a scuola ma che non avevo idea di come mettere in pratica,
inizialmente. Volevo che Sev avesse un compleanno che si rispettasse,
visto che sapevo che non aveva mai tenuto in considerazione quel
giorno, nemmeno quando eravamo diventati amici. Perciò avevo
deciso
che, oltre ad un regalo, era giusto che avesse anche una torta. E
lì
era sorto il problema: come ottenere una torta? Non potevo certo
portarmene una da casa, né comprarne una (dove,
poi…); non avevo
assolutamente idea di dove fossero le cucine di Hogwarts, né
mi
ricordavo di aver mai sentito parlare di un cuoco o qualcosa del
genere: normalmente sembrava che il cibo si producesse da solo. Avevo
soppesato per qualche tempo l’idea di chiedere a un
professore, ma
non ero sicura fosse legale andare nelle cucine, e in più
ero certa
che Sev non avrebbe approvato: era sempre tanto chiuso…
però
magari il professor Lumacorno… ed era lì che era
scattata la
lampadina: Lumacorno, festini, Percky, “Percky
è umilissimo
servitore dei signori”, “Percky può fare
qualcosa per la
signorina?”… forse Percky mi
avrebbe potuto aiutare. Ero
già pronta a saltare in piedi per la contentezza quando un
nuovo,
più concreto problema mi aveva raggiunto: come cavolo facevo
a
chiamare Percky? Non l’avevo più visto dopo il
festino di
Lumacorno, né sapevo dove potesse essere… al che,
forse in preda
alla disperazione, forse in preda ad un improvviso lampo di genio,
avevo chiamato come sperando che mi potesse sentire:
«Percky?»
Ed
in un attimo mi ero ritrovata a rimirare la testa grossa e glabra
dell’elfo, che si era subito inchinato vedendomi ed aveva
chiesto
con la sua vocetta acuta: «La signorina
ha…?»
Non
aveva fatto in tempo a finire: ero saltata in piedi ed ero corsa ad
abbracciarlo ringraziandolo a profusione, fino a quando non mi ero
accorta che la situazione lo imbarazzava parecchio. Allora, ridendo,
gli avevo chiesto scusa e mi stavo cominciando a giustificare quando
lui mi aveva interrotto esclamando: «La signorina non deve
scusarsi,
la signorina è tanto buona! Perky solo era sorpreso, nessuno
lo
aveva mai trattato così prima di
allora…»
Imbarazzatissima,
ero tornata a chiedergli scusa, ma lui aveva scosso il testone
dicendo: «Non era brutta sensazione per Percky, signorina,
solo…
strana.»
Al
che mi ero un po’ tranquillizzata ed avevo cercato il modo
migliore
per fargli la mia richiesta. Alla fine, avevo optato per un
diplomatico: «Percky, per caso sai dove sono le cucine e se
c’è
un cuoco a cui mi devo rivolgere per un favore?»
«La
signorina vuole andare nelle cucine?» aveva chiesto lui
ascoltandomi
attentamente.
Io
avevo annuito. «Ora, non so se è possibile, ma mi
faresti davvero
un grandissimo…»
Non
mi aveva nemmeno lasciato finire: aveva stretto le sue lunghe dita
attorno al mio polso e avevo sentito una strana sensazione di
occlusione comprimermi i polmoni, finita nel momento in cui Percky mi
aveva lasciato il polso. Guardandomi intorno, mi ero accorta di
trovarmi veramente nelle cucine di Hogwarts. Era
un’enorme
stanza dal soffitto altissimo che mi ricordò per qualche
secondo la
Sala Grande, salvo per il fatto che alle pareti erano accatastati
tutti i tipi di pentole, padelle e tegami che potessi immaginarmi,
oltre ad ospitare un gigantesco focolare di mattoni
dall’altra
parte. La sala era attraversata da quattro lunghi tavoli, e capii che
era stato questo a rendere così prepotente la somiglianza
con la
Sala Grande.
Oltre
un centinaio di piccoli Elfi domestici scorrazzavano per la cucina
portando piatti, ingredienti, pentole, scope… mi sembrava di
essere
entrata per sbaglio in un gigantesco formicaio.
«Noi
ha ospiti!» aveva esclamato Percky a voce altissima,
attirando
l’attenzione di tutti.
Non
avevo fatto in tempo a guardarmi intorno che una dozzina di Elfi mi
si era fatta attorno con dei sorrisi che andavano da un orecchio
all’altro e mi avevano spinto verso un tavolino a parte,
riempita
di biscotti e tartine e munita di tazza con tè fumante. Una
volta
accertatisi che non mi mancasse niente, Percky mi era tornato vicino
chiedendomi qual’era il favore che volevo chiedere.
E
così io gli avevo chiesto se il nove gennaio (in
realtà due giorni
dopo) avrebbero potuto portare una torta nel vecchio circolo di
scacchi di Hogwarts – ero sicura che saremmo andati
lì, quel
giorno. Avevo cominciato a indicargli la strada, ma la sapevano
già.
Certo, probabilmente la conoscevano anche da molto prima che io
venissi a sapere di essere una strega.
Comunque,
erano sembrati talmente entusiasti della mia idea che non ero neppure
riuscita a sentirmi in colpa per averli sobbarcati di nuovo lavoro,
quando evidentemente ne avevano già tanto di per loro.
Perciò,
quel giorno avemmo anche una torta con tutti i crismi
d’occasione:
panna, pan di Spagna e dodici candeline. La mangiammo seduti per
terra o sul davanzale, continuando a muoverci, a chiacchierare e a
ridere: era uno dei giorni più belli che passavamo da tanto
tempo a
quella parte. Sev, in particolare, non sembrava più lui: gli
occhi
gli luccicavano, continuava a sorridere con una punta di
incredulità,
la sua mano continuava a correre verso il libro per sfiorarne le
lettere dorate del titolo, o per contemplare l’immagine di
una
fattura. Oppure anche solo per prendere una fetta di torta, per
infilare un dito nella panna, come avevo sempre fatto io quando
cucinava mia madre, come fanno tutti i bambini. Solo che per lui era
tutto nuovo. Era la prima volta che lo vedevo così felice
che fosse
il suo compleanno.
I
giorni seguenti un po’ di quella felicità si era
conservata, e ci
riunivamo spesso nella nostra aula per giocare a scacchi, discutere e
provare incantesimi. Il vantaggio nell’essere entrambi bravi
a
scuola era che non rimanevamo mai troppo sbilanciati: eravamo
più o
meno allo stesso livello, per incantesimi, a volte vincevo io e a
volte vinceva lui, a parte a scacchi in cui vinceva regolarmente
lui. Solo una volta, quasi per sbaglio, riuscii a dargli
scacco
matto; e alla partita successiva mi stracciò in sei mosse,
tanto da
farmi riflettere se la volta prima mi avesse lasciato vincere.
Le
lezioni proseguivano, impegnative come al solito.
Intorno
al quindici il professor Lumacorno se ne uscì con una
pozione che
mise in crisi quasi tutta la classe, tanto che Alice e Remus vennero
a chiedermi di rispiegargliela. Fiera di poter usufruire della mia
abilità, e intimamente lieta di poter passare altro tempo
con Remus,
mi misi tanto d’impegno nelle spiegazioni che dopo un
po’ si
aggiunsero anche Peter Minus e Frank Paciock, così che mi
ritrovai
con quattro allievi a cui dare ripetizioni. In realtà, a
parer mio
Remus non aveva bisogno di ripetizioni, e glielo dissi anche, ma lui
rispose che il risultato non lo soddisfaceva affatto e non era per
niente sicuro di aver ben compreso il procedimento, così
rinunciai:
mi faceva troppo piacere stare con lui per insistere
affinché se ne
andasse.
Alice
si impegnava seriamente e Frank era così concentrato che gli
si
formavano tante piccole rughe sulla fronte, ma nessuno dei due era
particolarmente portato; in quanto a Peter, lui si sforzava, ne ero
sicura, ma non riusciva assolutamente a indovinare la sequenza degli
ingredienti, o a contare i minuti, o a correggerla dopo aver
sbagliato: su di lui ci volle un lavoro molto più lungo.
A
volte ne parlavo con Severus, addirittura cercai ottimisticamente di
coinvolgerlo, ma non servì a niente: con me si trovava bene,
ma non
intendeva passare più dello stretto indispensabile con gli
altri
miei compagni.
Mi
dispiaceva ma non potevo dire niente: dopotutto anche a me non
piacevano i suoi compagni. Per niente, a essere onesti. Soprattutto
Malfoy, con cui Sev passava tutto il tempo che non passava con me. Ma
in fondo, con quello che era successo nel primo trimestre, non
c’era
neanche di che stupirsi, no?
In
ogni caso, lui sembrava aver deposto l’ascia da guerra dopo
quella
sera da Lumacorno, e io cercavo di ripetermi che era più che
normale
che uno studente del sesto anno, per quanto tortuoso come Malfoy, si
disinteressasse completamente di una del primo. Ero quasi contenta di
essere così poco importante.
Solo
qualche tempo dopo riuscii a capire che non era così: la
vendetta,
nei Serpeverde, cresce fredda, come tutto. Viene analizzata e
calcolata e quando avviene è esattamente al momento giusto,
né
troppo presto né troppo tardi.
Ma
non potevo ancora capirlo.
Era
tutto facile allora, o quasi. Il ciclo scuola, amici e compiti si
alternava ad un ritmo confortante, inframmentato dalle quasi
quotidiane lettere dei miei genitori. Ero felice, felice
perché Sev
non aveva più messo il muso dopo il suo compleanno, felice
perché
Potter e Black non ci stavano tormentando, felice perché
potevo
parlare con Remus tutte le volte che volevo senza che gli altri si
mettessero in giro a malignare… felice, insomma.
Quindi
non ero assolutamente preparata a quello che sarebbe successo quella
sera. Stavo tornando dall’aula degli scacchi, dove avevo
passato le
ultime ore prima del coprifuoco con Sev, e stavo percorrendo un
corridoio in quel momento deserto, tanto da farmi sospettare che
l’ora fosse più tarda di quanto non avessi
inizialmente pensato.
Fu un attimo, un fruscio da dietro una statua.
Quando
mi girai, non c’era niente. Quando però tornai a
camminare,
successe qualcosa.
Quando
infine mi risvegliai ero in Infermeria, ed avevo
l’impressione che
tutte le costole mi andassero a fuoco.
Davanti
a me mi sembrava di vedere alcuni visi distorti, e le mie orecchie
credevano di captare qualche suono, ma ci volle un altro intero
minuto prima che riuscissi a sentire cosa stessero dicendo, e quando
le loro voci riuscirono a penetrare nella mia testa mi trafissero il
cervello con tanta violenza che avrei voluto tapparmi le orecchie,
non fosse stato per il fatto che le braccia non rispondevano
più ai
miei comandi.
Fortunatamente,
Madama Challoner – santa donna – non appena si
accorse che ero
rinvenuta per prima cosa fece allontanare tutti e li zittì
con una
sola, minacciosa occhiataccia, poi si chinò su di me.
Mi
sentivo la testa confusa, pesante… non riuscivo a mettere in
fila
due pensieri.
«Cosa…
è… successo?» riuscii alla fine a
sillabare, facendo saettare lo
sguardo su tutti i visi attorno a me: Madama Challoner, che stava
versando un liquido fumante in un bicchiere, Alice, il viso tondo
smagrito per l’angoscia, Remus, più pallido del
solito e Potter e
Black.
Scossi
la testa per vederci meglio. Potter e Black? Cosa ci facevano Potter
e Black al mio capezzale?
In
quel momento realizzai che l’Infermeria era inondata di luce.
«Che
ore sono?» chiesi cercando, senza risultati, di tirarmi su.
Alice,
forse sollevata del fatto che riuscissi a formulare un pensiero
coerente, mi rispose con un piccolo tremito nella voce: «Sono
le…
le dieci e mezzo, in realtà.»
Le
dieci e mezzo? Di mattina? Ma se un secondo prima era sera…?
Un
nuovo, terrificante dubbio mi prese. «Che giorno è
oggi?» chiesi
guardandoli uno per uno.
«È
il ventitré gennaio, Lily» mi rispose Remus.
Il
ventitré gennaio, il ventitré gennaio…
un momento. Cinque minuti
prima era il ventuno gennaio o sbagliavo?
«Cosa…
è…?» Deglutii l’intruglio che
Madama Challoner mi aveva ficcato
in bocca a tradimento.
«Lasciatela
in pace, potrebbe essere ancora un po’ confusa» li
ammonì
severamente.
«Non
sono confusa!» ribattei debolmente senza convincere nessuno.
«Voglio
sapere cosa è…»
«Non
ora, signorina Evans» ribatté Madama Challoner con
la solita
energia. «Ha subito uno shock tremendo, è
incredibile che si sia
ripresa in due soli giorni…»
«In
due… cosa diamine è successo qui?»
Quasi urlai, visto che nessuno
sembrava intenzionato a darmi risposte. La pozione, quale che fosse,
che mi aveva dato Madama Challoner aveva notevolmente contribuito a
ridarmi le forze.
Lei
per tutta risposta mi prese il polso e confrontò il mio
battito con
un orologio che teneva nell’altra mano, poi eseguì
un incantesimo
che fece apparire a mezz’aria una strana linea ondeggiante.
«Devo
andare a prendere altro ricostituente» borbottò
contrariata
guardandoci tutti male. «Non fatela agitare, sono stata
chiara? È
già abbastanza provata di suo…»
Non
appena se ne andò, comunque, tutti mi si fecero intorno.
Prima
che potessero dire niente, comunque, li anticipai io. «Cosa
è
successo? Come fa a essere il ventitré? Era il ventuno
cinque minuti
fa!»
«Lily»
cominciò Remus parlando con grande lentezza,
«sei… sei stata
aggredita.» La voce gli si incrinò appena.
«Non sappiamo ancora di
preciso chi sia stato, ma qualcuno ha usato diverse fatture su di
te…
e… e pare anche delle Maledizioni Senza Perdono.»
Deglutì e
sembrò incapace di proseguire.
Potter
si sostituì a lui. «Ti abbiamo trovata io e Sirius
il ventuno
notte… o forse sarebbe meglio dire il ventidue
presto» si corresse
scrupolosamente.
Aggrottai
la fronte. «Cosa ci facevate fuori a
quell’ora?»
Alzò
gli occhi al cielo. «Cosa Merlino te ne
importa, Evans?
Eravamo fuori, e meno male, visto che ti abbiamo trovata
completamente svenuta in mezzo a un corridoio deserto!»
Corridoio
deserto… ero in un corridoio deserto nel mio ultimo ricordo.
«Ti
abbiamo portata subito in Infermeria, ovviamente»
proseguì Black.
«Madama Challoner non era molto contenta di essere stata
svegliata,
ma quando ti ha visto… be’, credo che stesse per
perdere il
controllo. Ci ha mandato persino a chiamare il professor
Silente…»
Ok,
ora mi stavo seriamente innervosendo.
«Ma
perché? Che cos’ho?»
«Lily,
sei rimasta in coma per due giorni» disse Alice con un
singhiozzo
nella voce. «Hanno usato la Maledizione Cruciatus, Lily,
quando
Remus me l’ha detto… ho…
temuto… il peggio…»
«Hai
ferite su tutto il corpo, e Madama Challoner dice che è un
miracolo
se non ti si è incrinata una costola, visto che pare che le
Cruciatus possano farlo…» proseguì
Potter guardandomi con
un’espressione seria ed arrabbiata che non pareva neanche sua.
Stavo
per porre una nuova domanda quando la porta si spalancò e
qualcuno
entrò correndo e urlando: «Lily!»
Era
Sev. Si precipitò accanto al letto, pallido come non
l’avevo mai
visto, e spaventatissimo.
«Cosa
ti hanno fatto, Lily, ho appena sentito dire il professor Lumacorno
che ti hanno aggredita…»
«Ah,
l’hanno aggredita, vero?» Mi voltai di scatto verso
Potter, che
stava guardando Sev con un’espressione talmente velenosa che
istintivamente mi ritrassi. «Non l’hanno solamente aggredita,
piccolo Serpeverde da strapazzo, l’hanno torturata
e le
hanno cancellato la memoria! Ti rendi
conto di cosa
significhi questo?!» aggiunse urlando.
Il
poco colore rimasto sul viso di Severus svanì.
«Cosa…?» riuscì
solo a balbettare terrorizzato.
«Lo
sai cosa possono averle fatto, vero?»
sibilò Potter. Mi
stava veramente spaventando, sembrava invecchiato improvvisamente.
«Immagino che passiate tanto tempo a discutere come ammazzare
i
sudici Sanguesporco da voi, vero?»
«Io…»
balbettò Severus.
«Cosa?
Hai idea di cosa le abbiano fatto?!»
Non
ero solo io a guardare Potter con un misto di orrore e
incredulità:
anche Remus sembrava sconcertato da quello scoppio improvviso e Alice
si era allontanata quasi d’istinto. Black invece continuava a
spostare uno sguardo cupo da me a Sev a Potter.
Lui
invece era assolutamente furioso, fuori di sé. Ad un certo
punto mi
afferrò il braccio destro. «Guarda!»
ordinò a Severus
sollevandomi la manica del pigiama fino alla spalla.
«Guarda!»
Sulla pelle, vicino alla scapola, c’era uno strano segno nero
simile ad un ragno stilizzato che affondava le punte nel mio braccio.
D’istinto,
sottrassi il mio braccio dalla presa di Potter e cercai di osservare
meglio il segno. «Che cos’è?»
chiesi guardando le… le zampe,
se così si potevano chiamare quelle specie di
rombi storti,
muoversi sulla mia spalla.
«Chiedilo
alla tua amica serpe, Evans» ribatté Potter con
voce gelida mentre,
dietro di me, Alice e Remus trattenevano il fiato alla vista di
quella specie di tatuaggio.
Mi
voltai verso Sev: i suoi occhi erano dannatamente simili a quelli di
sua madre, due tunnel vuoti senza luce e senza speranza.
«Sev?»
chiesi.
Lui
aprì la bocca per parlare un paio di volte, senza emettere
un suono,
guardò me pieno di spavento e passò poi lo
sguardo a Potter, che lo
fissava inflessibile dalla mia destra.
Lo
guardai anche io. «Che cos’è?»
ripetei guardandoli tutti, uno
per uno.
Fu
stranamente Black a rispondermi. «È il sigillo
degli schiavi,
Evans» mi rispose con la voce che fremeva di rabbia.
«Quando ancora
si praticava la schiavitù umana i maghi erano soliti
marchiare i
loro schiavi con un sigillo simile a quello, per riconoscerli e
controllarli.» Si strinse nelle spalle. «Sono
secoli che non si
usa, non sapevo nemmeno che qualcuno si ricordasse ancora
quell’incantesimo, pensavo fosse perso da
tempo…»
«Un
simbolo di inferiorità»
sottolineò Potter guardando Sev
senza pietà. «Un marchio per riconoscere quelle
sottospecie di
maghi che sono i Nati Babbani, come dicono, un nome a caso, i
Serpeverde!» Accompagnò la
frase con una nuova occhiataccia
a Severus.
Lo
guardai. «Lui non è come loro» dissi
d’istinto, contrapponendomi
a quel fiume di bile che gli stava riversando addosso senza che lui
reagisse. «È stato lui a dirmi che ero una strega,
che non c’erano
differenze…»
«Prova
a chiedergli di ripetertelo» ribatté lui
continuando a fissare Sev.
«Vediamo se è già diventato
così ipocrita…»
D’istinto,
strinsi la mano del
mio migliore amico. «Sev non è
così» ripetei più decisa.
«Non
ho bisogno di conferme, lo so che non è
così…»
Lo
sguardo che lanciò a me era una via di mezzo fra
frustrazione e
rabbia. Senz’altro avrebbe continuato per quella strada, se
dietro
di lui non fosse apparsa Madama Challoner accompagnata da niente meno
che il preside, Albus Silente.
Era
la prima volta che lo vedevo così da vicino, e il mio primo
impulso
fu quello di alzarmi in piedi. Quando quattro paia di mani mi
respinsero giù, capii che non sarebbe stata
un’idea grandiosa.
«Bene,
allora, ci siamo riprese, signorina Evans?» mi chiese
pacatamente
avvicinandosi al mio lettino mentre gli altri si allontanavano per
lasciarlo passare.
Avevo
la bocca arida. «Mi… mi stavano raccontando cosa
era successo,
professore» riuscii a dire incrociando i suoi occhi.
Lo
sguardo gli si venò di tristezza. «Ah,
sì. Immagino che lei non
conservi nessun ricordo dell’accaduto, vero?»
Io
scossi la testa, rimpiangendo subito dopo di averlo fatto
perché il
movimento mi fece aumentare il dolore. «Ricordo solo che
stavo
tornando al dormitorio, il ventuno sera, poco prima del coprifuoco,
ero da sola in un corridoio, poi ad un tratto ho sentito un…
una
specie di fruscio, mi sono girata e non ho visto niente e poi
d’improvviso ero qui.» Lo guardai frustrata.
«Cosa è successo,
professore?»
Lui
aveva allungato una mano verso il comodino ed aveva preso la mia
bacchetta. «Temo che sarà molto difficile
ricostruire l’accaduto,
signorina Evans, specialmente senza la sua testimonianza.»
Avvicinò
la punta della sua bacchetta a quella della mia e mormorò
una
formula che non riconobbi.
Subito
si formò una specie di striscia d’argento unita ad
un sibilo, poi
un velo sempre d’argento simile agli scudi che evocavo di
solito,
poi un altro simile…
Confusa,
stavo guardando quelle immagini quando il professor Silente
sospirò
più profondamente e interruppe l’incantesimo.
«Cos’erano
quelli?» chiesi prima di riuscire a trattenermi.
Due
occhi azzurro ghiaccio si puntarono su di me. «Quelli,
signorina
Evans, sono gli unici testimoni che abbiamo al momento di quanto era
successo» mi rispose pacato. «Sono gli incantesimi
che questa
bacchetta ha compiuto… in ordine inverso. Pare che lei si
sia
difesa per tutto il tempo possibile da chiunque l’abbia
attaccata.»
Mi
riappoggiai ai cuscini, mentre una nuova ondata di stanchezza si
abbatteva su di me. «Non mi ricordo niente… niente!»
gemetti cercando di spremermi le meningi e, al contempo, di
controllare le lacrime. «Non esiste un modo per farmi tornare
la
memoria, o…»
«Gli
incantesimi di memoria sono di potenza diversa in base al mago che li
pratica, ma eliminarli del tutto è difficilissimo, per non
dire
impossibile, e mai privo di dolore.» Con la coda
dell’occhio
scorsi gli altri ascoltare attentissimi. «Per ricordare
completamente servono stimoli esterni molto forti o incantesimi tali
da mandare la mente fuori controllo. In parole povere, signorina
Evans» concluse senza staccare lo sguardo dal mio,
«dovremmo farle
ripetere quell’esperienza o rischiare la sua
pazzia.»
«No!»
esclamarono ad una voce Sev, Remus e Potter, prima di scambiarsi
un’occhiata. Remus sembrava stupefatto e indignato per la
proposta,
Sev e Potter erano stranamente simili nell’espressione,
stavano
entrambi guardando il preside come a sfidarlo a farmi una cosa del
genere.
Un
vago sorriso si disegnò sulle labbra di Silente.
«Il che ovviamente
è fuori discussione» li rassicurò con
dolcezza.
Tornai
ad appoggiarmi ai cuscini. Gli occhi mi pizzicavano per le lacrime
che cercavo di non mostrare. «Cosa si può fare,
allora?» mormorai
temendo di conoscere già la risposta.
«Per
prima cosa, lei deve riposarsi e riprendere le forze.» Lo
sguardo
del preside si fece tagliente. «E i suoi aggressori verranno
trovati, e puniti.»
Annuii,
sentendomi stranamente confortata da quel discorso anche se non avevo
idea di come avrebbero potuto trovarli.
«Ah,
signorina Evans, credo sia bene informarla che ci siamo sentiti in
dovere di informare i suoi genitori dell’accaduto. Dovrebbero
essere qui tra poco.»
Mi
tirai su di scatto facendo sobbalzare tutti. «Qui? Mamma e
papà?»
«Signorina
Evans, lei non deve compiere sforzi!» mi redarguì
immediatamente
Madama Challoner cercando, senza successo, di farmi riappoggiare ai
cuscini.
La
ignorai completamente, ero spaventatissima. «Saranno al
sicuro,
professore?»
Mi
scrutò attentamente, come cercando qualcosa dietro ai miei
occhi.
«Le posso garantire che non succederà loro
niente.»
«Mai,
vero? Nessuno userà incantesimi su di loro, vero?
Perché sarebbero
completamente inermi qui, non hanno magia, non potrebbero
difendersi…»
«Non
entreranno in contatto con gli studenti, signorina Evans, e la loro
visita sarà strettamente confidenziale» mi
rassicurò lui. «Un
membro del corpo docenti li accompagnerà dentro e fuori la
scuola
per accertarsi che non gli succeda niente durante la loro permanenza
qui.»
Mi
riappoggiai ai cuscini, riprendendo a respirare. Avevo avuto
l’impressione che il cuore mi si fermasse quando avevo capito
che
mamma e papà, due Babbani,
sarebbero entrati in un
edificio pieno di maghi razzisti e potenzialmente violenti.
«La
ringrazio, signore» mormorai con voce rotta.
Lui
annuì appena e si diresse verso la porta, aprendola per far
entrare
di gran carriera i miei genitori.
Rimasi
nuovamente sorpresa: erano già lì? Come facevano
tutti ad arrivare
esattamente nel momento in cui mi ero ripresa?
«Lils!»
esclamò mia madre gettandosi accanto al lettino ed
abbracciandomi
strettamente, mentre mio padre cingeva sia me che lei. «Lils,
stai
bene? Cosa è successo, abbiamo ricevuto una lettera ieri
sera…»
Ieri
sera… con un giorno di ritardo, quindi…
In
quel momento però ero talmente felice di vederli che
cominciai a
piangere, cercando di farlo il più silenziosamente
possibile. Lo
stress però era forte, non riuscivo a
controllarmi… e poi mi
sentivo stranamente al sicuro: i miei genitori erano lì, mia
madre
mi stava accarezzando la testa e mio padre mi stava stringendo, non
poteva succedermi niente.
Mi
lasciarono sfogare senza dire niente, solo continuando ad
abbracciarmi, poi mio padre si alzò e guardò
Silente. «Cosa è
successo?» chiese con una vena di rabbia nella voce.
«La lettera
che abbiamo ricevuto diceva solo che Lily era stata aggredita e si
trovava in condizioni critiche…»
«Tesoro,
come ti senti?» Mia madre mi stava ancora stringendo come se
avesse
paura di vedermi scappare via.
«Molto
meglio, ora» risposi io continuando ad abbracciarla, mentre
Silente
spiegava la situazione a mio padre, sempre più scioccato.
Quando il
preside ebbe finito, fece un passo indietro, lo guardò
incredulo e
tornò da noi.
«Lily,
non puoi restare qui» disse con fermezza. «Non
così. Non se la
situazione è così grave.»
Mi
sembrò di aver d’improvviso inghiottito un buco
nero, qualcosa che
mi risucchiava tutto da dentro senza lasciar niente al suo posto.
«Co…
cosa?» riuscii a balbettare mentre Sev alzava uno sguardo
sconvolto
su mio padre.
Mi
prese per le spalle. «Lils, ti rendi conto di cosa
è successo?» mi
disse stringendomi. «Hai visto come sei ridotta? Se questo
è quello
che ti succede stando qui, diamine, non ti terrò qui un
minuto di
più!»
«Papà,
non è questo quello che mi succede qui…
è stato solo un episodio,
solo un caso…»
«Solo
un caso» ripeté lui con una smorfia incredula
guardando mia madre.
La
guardai anch’io: aveva un’espressione frustrata e
dolente che non
ricordavo di averle mai visto. «Lily, da quello che ci hai
raccontato a Natale non era la prima volta che avvenivano scontri fra
studenti, anche più grandi» disse con lentezza,
guardandomi negli
occhi. «Fin’ora sei stata fortunata, ma come hai
visto la fortuna
non dura per sempre… non voglio che tu sia in
pericolo.»
«E
poi cos’è questa storia che non ricorda
niente?» aggiunse mio
padre guardando tutti i presenti.
«Cos’è, le hanno indotto
amnesia o… o qualcosa del genere?»
«Alcuni
incantesimi riescono a manipolare la memoria» rispose Sev con
lentezza, mentre gli occhi di mio padre si calamitavano verso di lui.
«Ma sono ad un livello molto, molto avanzato… non
credo che ci
siano più di sette o otto studenti capaci di
evocarlo…»
«E
allora non sarebbe possibile trovare il colpevole?»
esclamò mio
padre frustrato, tornando a guardare Silente. «Se solo sette
o otto
studenti possono provocarlo…»
«Il
difficile non è trovare il colpevole,
papà» risposi io lentamente.
«Il difficile è provare che sia stato
lui.»
Calò
un silenzio significativo e imbarazzato.
«Gli
incantesimi non lasciano tracce tangibili?» chiese alla fine
mia
madre, senza smettere di accarezzarmi la testa.
Io
annuii. «Ma vi ricordate quando ho detto che siamo ancora in
un
sistema tipo feudale? Ecco, immaginate di dover accusare il
conte…»
«Lily,
se davvero c’è la possibilità che il
colpevole rimanga a piede
libero tu non resterai in questo posto un momento di
più!» esclamò
mio padre furibondo.
«Non
è così semplice» disse una voce dietro
di lui cogliendoci tutti di
sorpresa. Alice si era fatta avanti, mentre io sbattevo le palpebre:
mi ero completamente dimenticata che gli altri erano ancora qui.
«Mamma,
papà, lei è Alice» dissi un
po’ in ritardo, indicandola. «E
quelli sono Remus Lupin, James Potter e Sirius Black.»
Notai
un piccolo sorriso apparire sulle labbra di mia madre al nome di
Remus e arrossii. Tuttavia, lei strinse la mano a tutti con la stessa
gentilezza e non fece niente per mettermi in imbarazzo, cosa di cui
le fui immensamente grata.
«Cosa
vuol dire “non è così
semplice”?» chiese mio padre tornando a
guardare Alice.
«Vuol
dire che Lily non sarebbe molto più al sicuro là
fuori che qui
dentro» intervenne Potter guardandolo senza esitazioni.
«Anzi, qui
almeno ha la possibilità di imparare a
difendersi.» Sorrise senza
allegria. «Nel mondo dei maghi, per quanto stiamo facendo
passi
avanti negli ultimi tempi, esistono ancora degli estremisti che
credono nell’idea del sangue puro»
spiegò guardandoli entrambi.
Non l’avevo mai visto così serio.
«E
molti di questi estremisti sono molto, molto più pericolosi
di
quanto non potranno mai essere un paio di ragazzini esaltati»
proseguì Black con la stessa intensità.
«E non si limitano a
colpire gli studenti, colpiscono anche i Bab… le persone
come voi,
solo per sentirsi più forti.»
«Se
le persone come Lily venissero tolte dalla scuola sarebbe un
po’
come dargliela vinta» aggiunse Potter.
«È esattamente questo che
vogliono, eliminare quelli che secondo loro non dovrebbero studiare
la magia, anche quando sono dotati come lei.»
«Abbiamo
bisogno di lei per dimostrare che sbagliano» intervenne Alice
guardandomi con uno dei suoi luminosi sorrisi. «È
la prova vivente
che quello che affermano è assurdo.»
Mi
sentii arrossire violentemente.
«Senza
contare» si intromise Remus dopo avermi guardata per qualche
secondo, «che lascerebbe un vuoto notevole dietro di
sé.»
Se
prima ero arrossita, non era niente in confronto ad ora.
«Non
lascerò che le succeda qualcos’altro»
mormorò Sev a voce così
bassa che quasi faticai a sentirlo.
E
allora, forse per la prima volta da tantissimo tempo a quella parte,
mi sentii finalmente a casa.
ANGOLO
AUTRICE
“Lucius,
mio viscido amico… Mi dicono che non hai ripudiato le
vecchie
abitudini, anche se davanti al mondo presenti un volto rispettabile.
Sei ancora pronto a prendere il comando in una battuta di caccia al
Babbano, suppongo…”
L’aristocrazia
inglese ha strani gusti in fatto di prede, direi -.-
Ma
in fondo, non potevo fare che Lily la passa tutta liscia
così, come
se niente fosse. Immagino che l’unico rimpianto del colpevole
sia
stato non poter dichiarare pubblicamente che era stato lui.
Comunque,
capitolo denso, forse, ma necessario. Con la tensione al massimo fra
Grifondoro e Serpeverde, oltre che fra Purosangue e Sanguesporco, non
potevo, come ho già detto, lasciare Lily incolume. Sarebbe
stato
innaturale. Quindi eccoci qui.
Nessuna
nota particolare, non credo ci sia molto altro da aggiungere…
A
parte i miei ringraziamenti a chiunque sia in ascolto
sull’altra
linea, ovviamente.
Mi
sento quasi stupida a ripeterlo tutte le volte, ma grazie. Grazie a
chiunque si prenda la briga di seguire questa storia, non so ancora
chi siete ma vi ringrazio sinceramente. Appena tornerò
vedrò di
farlo meglio, più personalmente. Intanto, lascio questo
felice
compito a mia sorella, sono certa saprà farlo molto meglio
di me.
Alla prossima!
ANGOLO
PUBBLICANTE
Ebbene
sì, maledetto Carter!
Oops...
sbagliato copione ^^
Ehm,
ehm...
La
tristezza è suprema :( Sappiate che questa è
l'ultima volta che
leggerete il mio Angolo Pubblicante. Dal prossimo chap Autrice e
Pubblicante si fondono in una sola persona... E questo è un
bene,
perché significa che mia sorella sta per tornare
*______________*,
ed è uno male perché io non sarò
più con voi...
*Bang!
Pubblicante spara a lettore che stappava lo champagne scoprendo che
torna l'autrice
IETTATORE!
Lo so che voi siete felici di avere di nuovo LadyMorgan, ma per lo
meno fate finta u.u
Quindi
questa è l'ultima volta che sono io a rispondere alle vostre
recensioni.
Questa
storia ha significato tanto anche per me, mi ha accompagnata in
questo anno di assenza di mia sorella e scandiva le settimane. Anche
se molte volte mi sono dimenticata di aggiornare puntualmente, me ne
dispiacevo sempre e poi cercavo di rimediare in qualche modo idiota.
Insomma
mi mancherà tutto questo, è stata una parte di
quest'esperienza.
Passerò
quindi a rispondere per l'ultima volta alle vostre recensioni.
-
A Milka: grazie mille. Sia io, sia
Silvia apprezziamo molto i complimenti ^^ Io personalmente sono molto
felice che la caratterizzazione ti sia piaciuta, anche se il merito
è suo ;) Sono lieta che tu apprezzi anche la mia
collaborazione, però :D
Sono anche molto contenta che i
personaggi suscitino in te emozioni diverse, una conferma in
più del fatto che sono scritti bene XD Insomma, la tua
recensione mi ha fatto molto piacere e spero vivamente che continuerai
a seguire la storia anche senza la mia fondamentale presenza ;)
-
A malandrina4ever: mi mancherai o
SorellaXDPrugna. Non mi sono presa la briga di controllare, ma mi pare
che il tuo soprannome fosse questo XD
ODDIO! Ti sei veramente
prostrata hai piedi di Peter?! Della pantegana! Del mostro
traditore! Del lurido, viscido, inutile, inetto, stupido, senza
cervello, privo di scopo, vile, ottuso, e taaaaante altre cose che ora
non mi va di scrivere? COME HAI OSATO! Io mi fidavo di te, sniff. E tu
mi tradisci così? Non ti rivolgerò più
la parola u.u
Dalla regia mi fanno notare che
non ci siamo mai parlate, ecco perché odio la regia
è.é
Non avrai nemmeno la
possibilità di chiedermi scusa! Rimarrai per sempre con il
rimorso di esserti inchinata a Peter. Peter!
Diciamo che prima o poi ti
perdonerò, infatti suppongo che l'ira della SSP
sarà peggio del mio disprezzo LOL.
In bocca al lupo mannaro!
Vorrei
anche ringraziare tutti quelli che hanno aggiunto nelle
preferite/seguite/da ricordare. E anche tutti quelli che hanno
recensito i capitoli precedenti.
Grazie
a tutti!
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 15 - Riprendermi ***
Prima
parte: I Anno
Capitolo
15 –
Riprendermi
Seduta
in
Guferia, pensavo. Non mi muovevo da tanto tempo, sentivo le mie lacrime
gelate
contro le guance.
I
miei genitori
se ne erano andati.
E
io avevo
improvvisamente realizzato che in loro presenza dovevo essere forte,
perché
loro non conoscevano il mio nuovo mondo e ne avevano più
paura di me. Avevo
pianto con loro, per lo stress emotivo subito. Avevo pianto
perché con loro
potevo piangere. Ma non mi potevano aiutare. Non c’erano modi
per aiutarmi,
l’avevo capito fin da subito.
E
quello strano
marchio lasciato sulla mia spalla non era neanche lontanamente
spaventoso come
il marchio che torturava la mia mente.
Non ricordavo niente.
Poteva
essermi
successa qualunque cosa in quell’ora, anche se le diagnosi di
Madama Challoner
avevano ricostruito con abbastanza efficacia quello che mi avevano
fatto.
Non
volevo che
mi vedessero piangere.
Per
questo ero
scappata in quell’angolo solitario e gelato. Volevo piangere.
No, non volevo piangere. Non
volevo ma ne avevo
bisogno, e allora cercavo di non farmi vedere.
Non
ero più
rimasta sola da quando Madama Challoner mi aveva dimessa: Severus,
Alice e
Remus facevano la ronda, a volte accompagnati da Black, Potter, Paciock
o
Minus. Inoltre, la mia disavventura aveva fatto il giro della scuola,
quindi
capitava che venissi salutata nei corridoi da dei perfetti sconosciuti.
La
notizia che
una primina Grifondoro dal dubbio stato di sangue fosse finita in
Infermeria per
lesioni da incantesimi era trapelata. A quanto mi avevano raccontato i
miei
amici, c’era stata un’ondata di rabbia da parte di
tutta la nostra Casa ed un
notevole incrinarsi dell’amicizia fra Grifondoro e
Serpeverde, come se fosse
stato necessario. Tassorosso e Corvonero erano rimasti neutrali, ma si
vedeva
bene che non approvavano assolutamente l’aggressione. Alcuni
studenti di
entrambe le Case con cui potevo aver rivolto al massimo una dozzina di
parole
mi erano venuti a trovare per informarsi della mia salute e tre giorni
dopo il
mio ricovero Madama Challoner aveva accettato di far entrare un Hagrid
notevolmente sporco di terra e dotato di un mazzo di… fiori,
credo, nella sua
ottica, straordinariamente simili a carciofi e che emettevano un
inquietante
sibilo ogni volta che la conversazione si interrompeva.
In
tutta quella
confusione, i miei genitori se ne erano dovuti andare solo due giorni
dopo
essere arrivati, dopo essersi assicurati che ricevevo cure costanti e
che mi
sarei rimessa presto: il rischio che la notizia della loro presenza si
diffondesse era troppo alto, a Hogwarts la velocità con cui
circolavano le voci
aveva un che di particolarmente magico. Malgrado tutto, ero riuscita a
impormi
di insistere con loro affinché se ne andassero, visto che
ero terrorizzata che
qualcuno potesse in qualche modo aggredirli. A volte sospettavo che fra
ritratti, gargoyle parlanti e quant’altro fosse impossibile
mantenere un
segreto.
Era
stato da un
ritratto che avevo saputo che, a quanto pareva, a numerosi studenti di
Serpeverde erano capitati strani incidenti non ben spiegati: il
martedì dopo il
mio ricovero, Rowle era stato portato in Infermeria per via di
un’eruzione di
pustole su tutto il corpo che non erano riusciti a guarire, Avery poco
tempo
dopo aveva saltato tutte le lezioni per un inspiegato quanto improvviso
attacco
di febbre e mi fu riferito che Malfoy andava in giro con aria talmente
furiosa
che tutti erano certi gli fosse successo qualcosa.
Severus
non ne
parlava e non commentava, e in sua presenza sia Remus che Alice non ne
parlavano, per quanto possibile. Curiosamente, nemmeno Potter e Black
ne
parlavano più di tanto, anche se quando Remus mi
raccontò dell’accaduto
cominciarono a sghignazzare senza neppure troppo ritegno, chiaramente
divertiti.
Ma
ora dovevo
piangere. E chissà, forse il trovarmi in Guferia mi faceva
sentire più vicina
ai miei genitori. Mi mancavano. Mi mancavano tremendamente, e Tunia
ancora di
più.
Rimasi
lì
seduta a rimuginare per non so quanto tempo. Cercavo di
tranquillizzarmi, e non
ci riuscivo. Non sapevo neppure più se volevo stare sola o
in compagnia, se per
orgoglio volevo rifiutare qualunque conforto o se volevo solo
appoggiarmi alla
spalla di qualcuno e sentirmi consolare.
Il
tempo
continuava a peggiorare, ma più i miei muscoli si
intorpidivano per il freddo
più perdevo la voglia di andarmene.
E
poi, sembrava
quasi che la neve lenisse il mio dolore… come un anestetico,
come se riuscissi
ad addormentarmi, senza incubi. Cara neve…
«Evans!»
Alzai
la testa,
infastidita da quell’urlo.
«Evans!»
La
porta della Guferia
si aprì ed entrò niente di meno che James Potter,
con la bacchetta illuminata
alta e l’espressione più preoccupata che gli
avessi mai visto.
Quando
mi
scorse, mi parve di notare una scintilla di rabbia nei suoi occhi, ma
tutto
avveniva così da lontano… “Dove sei
stata?”, “Tutto il pomeriggio che ti
cerchiamo…”, “Che ti salta in
testa…” erano frasi prive di significato, per me.
Giunse invece nettamente chiaro un suo esasperato
“Merlino!” mentre la finiva
di scuotermi e pronunciava un incantesimo che non ricordavo.
D’improvviso mi sentii
caldissima, e l’ovatta che occludeva le mie orecchie
sparì.
«Vieni,
hai un
principio di congelamento, di questo passo finirai metà
dell’anno in Infe…»
«No!»
esclamai con forza trattenendo
bruscamente il suo braccio.
Mi
guardò
stupito. «No cosa?»
«Non
voglio
andare in Infermeria» dissi freneticamente artigliandogli il
mantello.
«Andiamo… andiamo in Sala Grande, ho
fame…»
Mi
guardò
stranito. «Evans, il banchetto è finito da almeno
un’ora…»
Che
ore erano?
«Allora…
allora
andiamo in Sala Comune, non voglio che restino tutti
preoccupati…»
«Su
quello non
c’è problema.» Mentre mi pilotava
giù per le scale, tirò fuori dai meandri del
grembiule un piccolo specchietto rotondo. «Sir?
L’ho trovata. La porto in Sala
Comune appena si è riscaldata un po’, era in
Guferia. Trova gli altri,
arriviamo tra una mezz’oretta.»
«Se
sta bene,
dille da parte mia che è un’idiota»
brontolò la voce di Black dallo
specchietto, facendomi sobbalzare. «C’è
Remus che stava per avere una crisi
isterica…»
Io
arrossii
furiosamente e Potter rise. «Non mancherò di
riferire, tranquillo.» Richiuse lo
specchietto e se lo mise in tasca. «Sirius dice che sei
idiota» mi informò con
un mezzo sogghigno.
Continuò
a
trainarmi verso il castello.
«Cos’era
quel
coso?» chiesi dopo un po’. Mi accorsi che stavo
battendo i denti e strinsi
forte la mascella per coprire il rumore.
«Uno
specchio a
doppio senso» mi rispose lui come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. «Io ne
ho uno e Sirius ha l’altro, ci consentono di comunicare a
distanza.»
«Bello»
mormorai mettendomi le mani sotto le ascelle. Mi ero improvvisamente
resa conto
di quanto facesse freddo. «Sembrano dei telefoni che si
possono portare in
giro.»
«Dei
che?»
chiese lui mentre ci allontanavamo sempre di più dalla
Guferia.
«Telefoni.
Sono…» Una nuova raffica di vento coprì
le mie parole. Il fatto che la Guferia fosse separata
dal
resto del castello si stava rivelando più scomodo di quanto
non credessi.
Poco
prima di
arrivare al portone, Potter mi fece fare una brusca deviazione verso la
zona
più incolta delle mura esterne.
«Che
fai?» gli
chiesi in un soffio mentre ci dirigevamo verso una cortina
d’edera.
«Evans,
mi
ascoltavi prima quando parlavo? Il banchetto è finito,
stiamo infrangendo il
coprifuoco, il portone è chiuso.»
Sentii
un
crampo di paura afferrarmi lo stomaco. «Siamo…
chiusi fuori?» gracchiai con
voce resa stridula dal freddo.
Sorrise
appena.
«Ho detto questo?» Si avvicinò al muro
fino a toccarlo e scosse un po’ l’edera,
facendoci cadere addosso una considerevole quantità di neve.
«Entra, su» mi disse
spingendomi verso il piccolo pezzo di muro liberato
dall’edera.
Ero
troppo
debole per ribattere; feci come mi diceva, aspettandomi di sbattere
contro le
pietre compatte che vedevo… ma non ci fu nessun impatto:
attraversai il muro
come se non esistesse e piombai nell’oscurità
più completa. Non riuscivo a
vedermi neppure le mani. E dopo l’ululato continuo del vento
fuori,
l’improvviso silenzio faceva quasi impressione. Quando mi
sentii afferrare la
spalla non potei impedirmi di sobbalzare. «Tranquilla, sono
io» disse Potter
tirando fuori la bacchetta. «Lumos!»
Ora
che
riuscivo a vederlo, ci trovavamo in uno stretto passaggio di pietra dal
soffitto basso molto umido, con l’aria di non essere stato
usato per molto
tempo.
«Che
posto è
questo?» chiesi mentre continuava a spingermi avanti. Prima
che potesse
rispondermi, come se mi fossi appena ricordata di qualcosa, tirai fuori
la
bacchetta e la accesi anch’io.
«Ah,
non ti eri
completamente rimbecillita, allora» commentò lui
lasciandomi andare.
«Cominciavo a temere che parte del tuo cervello si fosse
congelato. Comunque,
questo è uno dei passaggi più brevi che conducono
fuori dalla scuola, io e
Sirius ci siamo imbattuti mentre cercavamo di scappare da
Gazza…»
«Com’è
che voi
due state sempre scappando dal custode?» chiesi mentre il
sangue cominciava a
rifluirmi nelle vene. Molto. Molto dolorosamente.
Lo
sentii sogghignare.
«È un uomo senza
senso dell’umorismo» disse soltanto.
Feci
una
smorfia che non poté vedere mentre proseguivamo in quello
spazio angusto e vuoto.
«Sgattaiolate spesso fuori di notte?» mi informai
in tono mondano, per ignorare
la paura che quel luogo buio e pieno di ragni mi ispirava.
Ridacchiò.
«Solo quando dobbiamo recuperare compagne troppo orgogliose
per chiedere
aiuto.»
Trattenni
una
rispostaccia. «E vi capita spesso?»
Lo
udii
ingoiare una risata. «Ultimamente sì.»
Mi
stavo per
girare, quando lo udii dichiarare dietro di me: «Pallone,
rigetto, arancia,
stecchito.»
Spalancai
la
bocca. «Hai fuso l’ultimo neurone che ti rimaneva o
è un indovinello?»
Dietro
di me
qualcosa scattò e una lama di luce penetrò nel
buio del passaggio.
Potter
mi
superò con un sogghigno. «Mai sentito parlare di
parole d’ordine, Evans?»
«Mai
così
stupide» borbottai senza accettare la mano che mi aveva teso
per aiutarmi ad uscire.
Mi
scrutò con
aria critica. «Non hai l’aria molto sana»
mi informò senza un minimo di tatto.
«Sei praticamente blu.»
Mi
passai una
mano sugli occhi. «Devo essere rimasta lì per
più tempo di quanto non
sembrasse… non ci ho fatto caso.»
«Sì,
ho notato»
mormorò lui abbassando la voce. «Credo che oggi ci
siano Anderson e Hawkins di
Corvonero e Flit e Selwyn di Serpeverde di ronda, senza contare Gazza e
la
Harvey.»
Non
gli
domandai neppure come lo sapeva. Probabilmente aveva rubato i turni da
qualche
incauto Prefetto. «Dove siamo?» chiesi guardandomi
attorno. La stanza era
piccola e la luce sembrava non avere una provenienza precisa.
«Nello
sgabuzzino delle scope e dei solventi dietro il bagno delle ragazze del
secondo
piano» mi informò lui premendo uno dei mattoni che
componevano il muro. Il
passaggio si aprì e lui mi fece cenno di passare con un
ironico inchino.
Passai
con la
bacchetta in guardia e mi guardai attorno. Conoscevo quel bagno, anche
se di
solito lo evitavo: c’era un fantasma non molto simpatico che
lo infestava, che
non faceva altro che piangersi addosso. «Immagino sia inutile
chiederti come
diavolo siete finiti nel bagno delle ragazze per sfuggire al custode,
vero?»
Nascose
una
risata in una mano. «In realtà ci siamo infilati
nella prima porta che abbiamo
trovato e Sirius è riuscito a abbagliare abbastanza il
fantasma che ci stava
per portarla dalla nostra parte. Io stavo correndo e sono scivolato e
sbattendo
contro il muro ho aperto questo passaggio. È stato
buffo…»
«Immagino…»
dissi con un sorriso immaginandomi la scena. Stavo per ridere, ma i
muscoli mi
facevano ancora male per il freddo e mi ero appena accorta che il mio
stomaco
stava brontolando.
Potter
mi
guardava attentamente, anche se sempre con quel piccolo sorriso di
scherno.
«Confesso che non so bene cosa fare, se non vuoi andare in
Infermeria» disse
alla fine. «Voglio dire, tu hai bisogno di mangiare e in Sala
Comune non c’è
niente… o meglio, forse riusciamo a fare una colletta di
dolci, ma tu hai
bisogno di qualcosa di caldo, e non mi sembra che…»
«Andiamo
nelle
cucine» suggerii debolmente appoggiandomi al muro. La
stanchezza continuava a
piombarmi addosso ad ondate, e se un secondo prima mi sembrava di stare
bene,
quello dopo i miei muscoli venivano presi da un tremito incontrollabile
che mi
infiacchiva sia fisicamente che psicologicamente. Forse aspettare che
il freddo
lenisse il mio dolore non era stata una grande idea.
Siccome
non
avevo ancora ricevuto una risposta alzai lo sguardo: Potter mi fissava
con gli
occhi spalancati e la bocca un po’ aperta.
«Che
c’è?»
chiesi io cercando di riprendere fiato.
«Nelle
cucine?»
Io
annuii.
«Sai, credo che tu abbia ragione, un po’ di cibo mi
farebbe bene» ammisi con un
piccolo sorriso. «E tanto ormai sanno che mi hai trovata,
quindi anche se tardiamo
qualche minuto non credo che…»
«Tu
sai dove sono le cucine?»
mi chiese a
metà fra lo stupefatto e il deliziato.
Io
annuii di
nuovo. «Perché…?»
«Tu mi stai dicendo che vivi nella mia
stessa Casa da quattro mesi e non mi hai ancora detto dove stanno le
cucine?»
mi chiese alzando tanto la voce che dovetti fargli cenno di abbassare
tono.
«Non
ti
eccitare, lo so da meno di un mese» mormorai.
«Be’,
dobbiamo
andarci» dichiarò lui risolutamente.
«Assolutamente. Io e Sirius le stavamo
cercando già da un po’ e…»
Mi
concessi un
sogghigno. «Be’, essere bravi a Pozioni
servirà a qualcosa…»
«Cosa
c’entrano
le Pozioni, per Merlino?» chiese lui abbassando la voce
mentre metteva fuori la
testa dal bagno per controllare che non ci fosse nessuno. Lo sentii
borbottare
contrariato. «Accidenti, Evans, se avessi saputo che ci
sarebbe voluto così
tanto avrei portato il…» S’interruppe di
scatto e ritirò la testa. «Be’, dove
stanno le cucine?»
«Sotto
la
Sala Grande, si entra
da un quadro con la frutta. Lo stesso sotterraneo che porta alla Sala
Comune
dei Tassorosso, a quanto so, almeno, non se sai
dove…»
«Certo
che lo
so, Evans, per chi mi hai preso?» chiese quasi offeso. Si
appoggiò alla parete
e cominciò a contare. «Quindi sono
circa… quattro piani, giusto, per arrivare?
E il fatto che sia vicino a una Sala Comune non
aiuta…»
«Possiamo
anche
andare direttamente alla Torre, magari è
più…»
«Non è più facile,
Evans, e se ti
degnassi anche solo di contare i piani lo capiresti anche tu»
mi disse
stizzito. «Quanto vorrei avere il…» Lo
vidi stringere i pugni e rilassarli
d’improvviso. Ora stava di nuovo sorridendo.
«Be’, dovremo improvvisare,
immagino» disse alla fine di buonumore.
«È sempre il piano migliore.»
Ciò
detto, mi
prese per un polso ed uscì nel corridoio, muovendosi molto
velocemente vicino
alle pareti.
Arrivammo
al
primo piano senza difficoltà, ma lì incontrammo
Pix. Ci muovemmo immediatamente
per una delle scorciatoie che evidentemente conoscevamo entrambi prima
che ci
raggiungesse. Ci guardammo un attimo e proseguimmo lungo il passaggio
fino ad
arrivare al Salone d’Ingresso.
A
gesti, gli
indicai la porta per i sotterranei e lui annuì. Ci arrivammo
di corsa ed
entrammo nel corridoio illuminato a passi felpati. Se fosse arrivato
qualcuno
ci avrebbe per forza visti, eravamo in piena luce e non
c’erano né nicchie né
armature in cui ci saremmo potuti nascondere. L’unico
vantaggio era che il
corridoio era un’unica, lunga curva e quindi, in
teoria, chi entrava non ne aveva una visuale completa.
Un’arma a
doppio taglio.
«Credo
ci convenga
correre» mormorai sfiorandogli il braccio. «Non ci
sono nascondigli da qui al
quadro.»
«Mi
sa…» Il
rumore di una porta che si apriva ci fece sobbalzare tutti e due.
«Vai!»
Corremmo
il più
silenziosamente possibile lungo il corridoio, pregando che non venisse
nessuno
dall’altra parte. A metà corridoio, mi fermai di
fronte a uno dei quadri più
grandi, quello con una ciotola d’argento piena di frutta, e
una volta fatto il
solletico alla pera spinsi la maniglia verde apparsa e mi fiondai
dentro le
cucine il più velocemente possibile.
Dietro
di me,
Potter chiuse velocemente la porta e alzò la testa,
guardandosi attorno.
«Signorina!
Buonasera!» Percky mi stava venendo incontro strofinandosi le
lunghe dita in un
canovaccio e guardandomi con un sorriso.
«Ciao,
Percky»
mormorai io sorridendo in risposta. «Spero tu stia
bene…»
«Percky
sta
benissimo, signorina.» Mi guardò e le sue orecchie
parvero afflosciarsi. «Ma la
signorina sembra non stare benissimo…»
«Ho…
ho avuto
una settimana intensa, Percky…» dissi vagamente,
in imbarazzo.
Lui
annuì con
il testone, comprensivo. «E benvenuto al signorino,
anche!» disse facendo una
riverenza verso Potter.
Mi
voltai a
guardarlo: sembrava gli avessero appena annunciato che le vacanze
estive
sarebbero durate tutto l’anno. «È
magnifico!» sussurrò guardandosi attorno.
«Elfi
Domestici… certo, è talmente
ovvio…»
«Percky
può
fare qualcosa per i signorini?» chiese lui guardandoci in
radiosa attesa.
Questo
parve
scuotere Potter. «Sì, potremmo avere due
cioccolate calde? La signorina qui è
gelata…»
«Se
non crea
troppo dist…» iniziai io, di nuovo in imbarazzo,
ma non mi ascoltò neppure: era
già partito alla volta dei fornelli per dare
l’allarme generale.
Altri
due elfi
ci si avvicinarono. «Se i signorini vogliono
accomodarsi…» ci dissero rispettosamente
facendoci strada verso un tavolino sistemato lì su due piedi.
«È
meraviglioso…» mormorò Potter sedendosi
e guardandomi con un sorriso che gli
tagliava la faccia in due.
Mi
venne da
sorridere in risposta, anche se mi sentivo un po’ in colpa:
in fondo li stavo
solo caricando di nuovo lavoro…
«I
signorini
vogliono panna sulla cioccolata?» Percky si era avvicinato e
ci stava guardando
interrogativo.
Prima
che io
potessi rispondere, Potter annuì entusiasta.
«Sì, la panna sarebbe
l’ideale!»
Percky
parve
squittire di felicità e corse a portare il nuovo ordine:
dopo neanche un minuto
due tazze di fumante, deliziosa cioccolata calda con panna ci vennero
scarrozzate davanti su un vassoio argentato assieme a un piattino con
biscotti
e una zuccheriera, per ogni evenienza.
«Grazie,
siete
stati molto gentili» dissi con un sorriso mentre ci
poggiavano il vassoio sul
tavolino. Si inchinarono fino a terra come se gli avessi fatto il
più grande
favore del mondo e si ritirarono per lasciarci bere tranquillamente.
«Evans»
scandì
Potter mentre si portava la tazza alle labbra guardandosi attorno,
«non so come
hai fatto a trovare questo posto ma sei un genio!»
«Grazie»
mormorai arrossendo appena e chiudendo le mani sulla tazza bollente per
assorbirne il calore. «E grazie anche per avermi portata via
dalla Guferia»
aggiunsi, riscuotendomi. «Credo che ci sarei rimasta,
altrimenti.»
«Figurati»
rispose lui con noncuranza bevendo dalla tazza.
Cominciai
anch’io a sorseggiare la mia cioccolata: aveva una
temperatura perfetta, né
così bollente da scottare il palato né troppo
fredda per riscaldare dentro.
Aveva un effetto benefico istantaneo. Chiusi gli occhi per poterne
meglio
assaporare il calore e la dolcezza. Senza ombra di dubbio, era la
miglior
cioccolata che avessi mai assaggiato.
«Evans,
mi hai
fatto uno dei migliori regali di compleanno che potessi
chiedere» commentò la
soddisfatta voce di Potter.
Riaprii
gli
occhi. «È il tuo compleanno?» chiesi
stupita.
Si
strinse
nelle spalle. «Fra un paio d’ore
sì» mi disse con un sorriso.
Lo
guardai e
cominciai a ridacchiare.
«Che
c’è?»
chiese abbassando la tazza.
«Hai
due baffi
di panna» lo informai ridacchiando più forte.
«Ah
sì?»
Incrociò gli occhi per cercare di vedersi. Era estremamente
buffo. Se li leccò
via e parve degustarli per un attimo. «Be’, in quel
caso erano i baffi più
buoni che avessi mai avuto» commentò girando la
cioccolata.
«Me
lo
immagino» confessai sempre ridendo. Il freddo sembrava un
ricordo lontanissimo,
nel caldo delle cucine di Hogwarts. «Be’, buon
compleanno in anticipo, allora»
dissi dopo un po’.
«Grazie»
rispose lui con aria compita.
Ci
guardammo
per un attimo, serissimi tutti e due, e riprendemmo a ridere.
«Seriamente,
come hai fatto a trovare le cucine?» chiese continuando a
girare la cioccolata.
Così
cominciai
a raccontargli del festino di Lumacorno, del mio primo incontro con
Percky e
del desiderio che avevo di far passare un buon compleanno a Severus, e
di tutto
ciò che ne era conseguito.
«Quindi,
come
ti ho già detto, essere bravi a Pozioni torna utile, a
volte» conclusi
soddisfatta prendendo un cucchiaio di panna.
Non
mi aveva
interrotto una sola volta, e verso la fine aveva abbassato gli occhi.
«Sai,
continuo a non capire perché stai con
Mocciosus…» cominciò. Gli rivolsi
un’occhiataccia. «Però sei una brava
amica» concluse imperturbabile.
Mi
spiazzò: non
mi aspettavo quel commento.
Alzò
gli occhi
verso di me e sogghignò. «Sai, se me lo dicevi
prima che bastava farti un
complimento per zittirti avrei passato l’anno a
complimentarmi con te» mi
informò, bastardo.
Gli
rivolsi una
poco aristocratica linguaccia. «Allora sono contenta che non
lo sapessi»
commentai finendo l’ultimo sorso della mia buonissima
cioccolata.
«Ah,
ma ora lo
so» commentò lui in tono saggio. «E
quindi non ti risparmierò, d’ora in
avanti.»
Lo
guardai
male. «Non ci provare» lo ammonii.
Poggiò
il
cucchiaio e la tazza sul piattino e incrociò le dita,
sogghignando.
«Altrimenti, Evans?»
Gli
rivolsi una
nuova occhiataccia. «Altrimenti…
chiederò a Percky di non farti più entrare
qui»
improvvisai. Era un bluff bello e buono, non pensavo che gli Elfi
Domestici
avrebbero mai impedito a qualcuno di andarli a trovare, ma
sorprendentemente funzionò:
i suoi occhi persero l’aria spavalda.
«Non
lo
faresti» disse subito, allarmato.
Mi
portai la
tazza alle labbra, anche se era vuota. «Scommettiamo,
Potter?»
«Non
sei così
sadica, Evans…»
Finsi
di
mandare giù un sorso. «Sei tu che dici sempre che
stare a contatto con i
Serpeverde mi fa male…»
«Lo
vedo»
commentò lui imbronciato. Sospirò. «Va
bene, niente complimenti fuori contesto.
Contenta?»
«Sì»
risposi
poggiando la tazza e guardandolo con un sorriso. «Abbiamo un
accordo?» chiesi
tendendo la mano.
Improvvisamente
ridacchiò. «Non credo che l’avresti
fatto, in ogni caso» disse stringendomi la
mano. «Ma vabbè, al massimo posso ignorare il
tutto.»
«Non
ci
provare» lo ammonii ritirando la mano.
Sogghignò.
«Vedremo, Evans» disse spettinandosi i capelli.
«Dopotutto non era un giuramento,
il tuo…»
«Infame!»
lo
accusai, non sapevo se arrabbiarmi o ridere.
Si
strinse nelle
spalle con aria modesta.
Presi
un
biscotto mentre riflettevo. «Sai» dissi
all’improvviso, riportando i suoi occhi
su di me. «Io proprio non ti capisco.»
«Comprensibile,
col cervello mezzo congelato che hai» mi disse in tono
partecipe, battendomi
alcuni colpetti sulla spalla.
Lo
ignorai.
«Insomma, a volte non so che darei per poterti prendere a
schiaffi, mi esasperi
davvero. Non so, con Sev, per esempio, o quando fai di tutto per
provocarmi.»
Sospirai e affondai i denti nel biscotto. Di solito non mi piacciono, i
biscotti, ma quello era veramente buono. «E poi ci sono dei
casi in cui sembri
solo un amico.» Sbuffai: non capivo davvero.
Si
strinse
nelle spalle. «Forse perché entrambi mi
divertono» commento sorridendo. «La
parte di me stesso e la parte del fido amico…»
«James!»
Sobbalzai:
quella sembrava proprio la voce di Black…
Infatti,
Potter
tirò fuori il suo specchietto e lo aprì.
«Sirius, non indovinerai mai dove
sono!»
«Spero
all’inferno o in paradiso, James Potter, o non ti
giustificherò, non questa volta!»
«Meglio:
molto
meglio, Sir! Sono nelle cucine!»
«Nelle
cucine?»
La voce di Black si fece improvvisamente eccitata. «Le hai
trovate, alla fine?
Perché non mi hai chiamato? Dove sono? Come hai
fatto?»
«In
realtà le
ha trovate Evans» disse lui di malavoglia. «Sono
nel corridoio dei Tassorosso,
dietro un quadro con un cesto di frutta. Se fai il solletico alla pera
appare
una maniglia e dietro…»
«Evans? Che c’entra lei?
È ancora lì con
te?»
«Certo
che è
ancora qui con me, idiota! Pensavi che l’avrei lasciata
andare in Sala Comune
da sola con un principio di congelamento?»
Uno
sbuffo
forte e impaziente si alzò dallo specchio. «Cosa
vuoi che possa pensare quando
mi avevi detto che tornavi in una mezzora e ne sono passate
tre?»
«Lo
so, ma mi
ha detto delle cucine! Non avrai pensato che mi lasciavo sfuggire
un’occasione
del genere!»
«È
lì vicino a
te?»
Potter
alzò le
sopracciglia. «Chi?»
«Evans,
idiota!»
Potter
alzò gli
occhi su di me. «Proprio accanto, amico.»
«Passamela!»
Potter
mi tese
lo specchio ridacchiando. «Una chiamata interscolastica per
lei, signorina.»
Presi
lo
specchio e sobbalzai quando vidi il viso di Black riflettersi dove
normalmente
si sarebbe dovuto trovare il mio. «Evans» mi disse
solennemente il ragazzo, «non
so come tu abbia fatto a trovare le cucine, ma sei un genio e noi ti
siamo
debitori.»
Alzai
lo
sguardo verso Potter. «Voi due sembrate proprio
fratelli» commentai passando lo
sguardo dall’uno all’altro. «Non credo
sia passata più di un’ora da che Potter
mi ha detto la stessa, precisa, identica cosa» spiegai a
Black.
Si
strinsero
contemporaneamente nelle spalle.
«Poteva
andarci
peggio» commentò Potter ridendo e riprendendosi lo
specchietto. «Oh, e Sir, non
indovinerai mai chi c’è qui: Elfi
Domestici!»
«Elfi
Dom… oh,
no!» esclamò Black con una smorfia. «E
come vi trattano?»
«Benissimo!
Ci
hanno preparato due cioccolate calde da favola…»
«James,
non ti
sembra un po’ presto per le cioccolate?»
«Sirius
Black,
fammi il favore di…»
Mi
accorsi di
star perdendo la conversazione, ora i discorsi mi arrivavano come
attraverso
una radio mal sintonizzata: una nuova ondata di stanchezza mi aveva
raggiunto,
e lottava per abbassarmi le palpebre.
Era
estremamente piacevole trovarmi lì, al caldo ed asciutta,
ascoltando i bisbigli
di Potter e Black e i rumori di sottofondo degli elfi che ripulivano la
cucina
per il giorno dopo. Non credevo mi sarei potuta sentire di nuovo
così bene,
eppure era così. Ero tranquilla…
«Credo
che
dovremmo tornare in Sala Comune prima che ti addormenti» mi
disse,
lontanissima, una voce che riconobbi vagamente come quella di Potter.
Mugugnai
di
disappunto. «Posso dormire qui…» dissi
mentre cercavo di tenere gli occhi
aperti. «Domani è domenica, non morirà
nessuno se per oggi sto qui…»
«Evans…
Evans!
Smettila! Non puoi addormentarti qui!»
«Perché
no?»
chiesi con la voce impastata dal sonno. «È
comodo…»
Mi
parve di
sentirlo afferrarmi il braccio e scuoterlo. «Evans! Avanti,
non puoi dormire…»
Poi,
sempre da
più lontano, una vocetta acuta, diversa: «Percky
può aiutare i signorini?»
La
voce
esasperata di Potter: «Sì, sapete come farci
tornare in dormitorio…»
Sentii
qualcosa
afferrarmi un braccio. «Aspetta, prima di cadere in
catalessi: giurami che non
andrai di nuovo a congelarti non appena ti sarai svegliata.»
Senza
comprendere la richiesta, io annuii.
«Perché
tu non
sei inferiore, Evans: non permettere a quei deficienti razzisti di
fartici
diventare, ok?»
Non
compresi
del tutto, ma mi parve una bella frase: sorrisi e annuii di nuovo. In
qualche
modo la mia mano trovò la sua e la strinse, per fargli
capire che avevo capito.
Poi
la mia
testa andò definitivamente in vacanza.
Angolo
Autrice
Mi
sono divertita a scrivere questo capitolo…
Credo
sia stato quello che mi ha fatto penare
di più: ne ho scritti circa tre diversissimi fra loro, fino
a quando, in
un’assolata (ma dove? -.-)
nottata di
giugno il buio mi ha portato consiglio: quindi eccolo qui. Una piccola
parte in
realtà è tratta dagli altri tentativi, ma la
maggior parte è frutto
dell’ispirazione del momento. “Mai scrivere di
getto”, direbbe la mia
insegnante di italiano. Ma tanto io lo faccio sempre comunque, quindi
credo di
poter sopravvivere anche stavolta.
Piccolo
appunto: nei libri, la Guferia è una
delle torri
del castello, qui ho adottato la versione del film secondo cui invece la Guferia
è un edificio a
sé. Espediente letterario, abbuonatemelo, please!
E ovviamente, i miei soliti,
triti e ritriti
grazie a chiunque sia arrivato fino qui con sempiterna costanza e buona
fede.
Non vi posso vedere da qui, ma sinceramente: grazie.
Angolo
Autrice Bis
Dunque,
siccome pare che sia tornata prima che i
capitoli siano finiti e che mia sorella si sia infine liberata
dell’ingrato compito
di pubblicare, eccomi qua a fare gli onori di casa. Innanzitutto,
scusatemi fra
il ritardo ma fra jet leg, vita da riprendere e palle varie sono stata
leggermente occupata e sono infelice di annunciarvi che probabilmente
lo sarò
anche per il prossimo mese e quindi non so quanta regolarità
ci sarà negli
aggiornamenti.
Ad
ogni modo, quello che dovrei fare è
ringraziare tutto e tutti per la prima volta direttamente, ma ho deciso
che
siccome EFP
si è evoluto dalla mia
ultima visita aggiungendo la fichissima opzione “rispondi ai
recensori” me ne
avvarrò anch’io e quindi la risposta precisa ai
vostri gentilissimi commenti
appariranno come per magia nel vostro account. E speriamo bene xD
Qui quindi ringrazio i 24 che
hanno trovato
questa storia degna di entrare fra i loro preferiti, i 4 che la
ricordano e i
49 (O.O) che la seguono. Sapete come fare un autore felice, ragazzi!
|
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Capitolo 23 *** Capitolo 16 - Imbarazzo e Rimorso ***
Prima
Parte, I
Anno
Capitolo
16 –
Imbarazzo e Rimorso
La
mattina dopo
mi risvegliai tranquillamente nel mio letto. Mi sentivo stranamente
riposata, e
ci volle qualche momento perché comprendessi le ragioni di
tale benessere: la
sera prima, la cioccolata calda, quella strana
dichiarazione… tu non sei
inferiore… curiosa la
nitidezza con cui quella frase si era impressa nella mia mente,
considerando
che stavo praticamente dormendo quando me l’aveva detta.
E
pensare che
era stato Potter a
dirmelo… curioso. Davvero curioso.
Tirai
su la
testa e mi guardai attorno: tutti i letti, compreso quello di Alice,
erano già
vuoti. Un po’ stupita, guardai il mio orologio. Le dodici e
mezzo.
Strabuzzai
gli
occhi e guardai meglio, ma erano incontestabilmente le dodici e mezzo.
Come mai
nessuno mi era venuto a svegliare?
Mi
vestii in
fretta e furia e mi precipitai fuori dal dormitorio in Sala Comune,
praticamente deserta, fino alla Sala Grande, dove il pranzo stava per
cominciare.
Cercai
Severus
con gli occhi: la mattina prima mi aveva detto che il pomeriggio
sarebbe dovuto
restare in dormitorio, non avevo capito bene a fare cosa, e quindi non
sapeva
del mio quasi-congelamento. Non che avessi intenzione di andare a
piangere da
lui, stavo sorprendentemente meglio, ma di domenica ci incontravamo
sempre la
mattina e volevo rassicurarlo. Tuttavia non era al tavolo dei
Serpeverde, né da
nessun’altra parte. Perciò mi diressi al tavolo
dei Grifondoro e mi sedetti
vicina ad Alice.
«Buongiorno,
dormigliona» mi salutò con un sorriso.
«Le serate in Guferia mettono sonno,
eh?»
La
guardai un
secondo, sorpresa che lo sapesse, prima di ricordarmi che Potter aveva
detto a
Black della mia piccola disavventura e probabilmente lui
l’aveva riferito a
Remus e Alice.
«Già»
commentai
soltanto attirando verso di me il piatto del passato di verdure e
servendomi.
«Non mi ero accorta di avere tanto
sonno…» Gettai un’occhiata veloce lungo
il
tavolo: riuscii a scorgere Potter, Black e Minus un po’
lontani da noi, ma non
riuscivo a trovare… «Dov’è
Remus?» chiesi immergendo il cucchiaio nel passato.
«In
Infermeria»
mi comunicò con un sospiro. «Malato. Influenza o
qualcosa del genere, già ieri
sembrava star male, in realtà…»
Remus
malato. Di nuovo. Sembrava non
passasse mese
senza che Remus cadesse malato.
«Ma
come fa a
prenderle tutte lui?» chiesi un po’ a lei e un
po’ a me stessa.
Lei
si strinse
nelle spalle. «Forse è sensibile al
freddo… in fondo è del Kent, può darsi
che
il salto di temperatura gli faccia male…»
Come
teoria non
mi convinceva un gran che, in realtà. Dopotutto Remus non
era l’unico ragazzo
del sud della Gran Bretagna…
In
quel
momento, Frank Paciock si sedette accanto ad Alice. «Ciao
ragazze» ci salutò
con un sorriso avvicinandosi un piatto. «Passato una bella
mattinata?»
«Lily
ha
dormito fin’ora» commentò Alice con una
risatina.
Io
le feci una
discreta linguaccia. «Avevo sonno ed è
domenica» dissi soltanto in tono
sostenuto.
«E
le
cioccolate calde con James stancano, vero?» chiese Frank con
un sorrisetto.
Quasi
mi
strozzai con l’acqua. «C-come, scusa?»
chiesi asciugandomi la bocca.
Frank
guardò
verso l’Ancora Per Poco Vivente Potter e sorrise.
«È tutta la mattina che James
ne parla a Sirius… siete andati nelle cucine a prendere una
cioccolata, vero?»
Anche
Alice,
ora, mi guardava interessata. Io ero estremamente imbarazzata e non
sapevo cosa
dire. Furiosamente, mi accorsi di arrossire. «Ero stanca,
Frank, ed ero
infreddolita» dissi controllando la voce. «E
siccome sapevo dove erano le
cucine, ho pensato che fosse una buona idea…»
«Con
James?» mi
chiese lui, malizioso.
D’accordo,
da
quando il buono, tranquillo Frank Paciock si divertiva a mettermi in
imbarazzo?
«Be’,
è lui che
mi ha… mi ha trovata, o insomma…»
«Ah,
meglio
ancora» commentò lui masticando un boccone di
roast beef. «Salvataggio e cioccolata,
secondo le migliori tradizioni…»
Alice
ridacchiò. Io ero probabilmente viola. «Non
è stato niente del genere» dissi
tuttavia, complimentandomi con me stessa per il tono disinvolto.
«Io avevo
freddo e lui si è offerto di aiutarmi, tutto qui.»
«Esattamente
quello che ho detto io» rispose lui divertito.
«Salvataggio e cioccolata,
niente di meno…»
«Frank,
basta,
dai…» Per un secondo benedissi Alice in tutte le
lingue che conoscevo. «Non
vedi che la stai mettendo in imbarazzo?»
Mi
guardavano
entrambi con un sorriso. Mi stavano solo prendendo bonariamente in
giro, lo
sapevo, ma mi sentivo comunque incandescente: una cosa che non avevo
mai potuto
tollerare erano i pettegolezzi, soprattutto se riguardavano me e un
ragazzo.
Cercavo di muovermi il più cautamente possibile anche per
quello.
«Lily,
tranquilla, ti stavo solo prendendo in giro» mi disse infatti
Frank con un gran
sorriso. «Lo so che non è stato niente di
più…»
Ciò
nonostante,
non riuscii a tranquillizzarmi e rimasi sul chi vive fino alla fine del
pranzo.
Corsi
subito da
Severus.
Mi
stava
aspettando con un piccolo sorriso, che mi fece sospettare che non
sapesse
niente di quello che era successo la sera prima. Vigliaccamente,
perché sapevo
che poteva diventare più apprensivo di mio padre, preferii
non raccontarglielo.
Ma
ovviamente
mi conosceva troppo bene per non notare la differenza. «Va
tutto bene?» mi
chiese mentre salivamo verso la sala degli scacchi per la sua solita
vittoria.
Annuii
appena.
Mi
guardò, una
smorfia insoddisfatta sulle labbra. «Lily, non sono
stupido» mi informò. «Sei…
strana.»
«Strana
in che
senso?» chiesi rimandandogli la domanda.
Dette
la parola
d’ordine al quadro e lo oltrepassò.
«Be’, tanto per cominciare stai andando in
giro con la testa piegata» disse sedendosi. «E poi
ogni tanto la alzi e se
fossi qualcun altro ti metteresti ad imprecare.» Mi
guardò con un pallido
sorriso. «E nonostante questo il tuo sguardo è
diverso rispetto a ieri e i
giorni prima.» Piegò leggermente la testa.
«Non sei più terrorizzata. Pedone in
E4. Sembri più rilassata rispetto a… alla
settimana scorsa.»
Finsi
di
osservare con molta attenzione la scacchiera. «Pedone in
E5» ordinai alla fine,
nonostante fosse una mossa talmente scontata da non giustificare il mio
precedente mutismo. «Forse sono riuscita a… a
superarlo, ecco.»
«Sarebbe
la
cosa migliore, credo. Alfiere in C4.» Mi guardò
attentamente mentre il suo
alfiere bianco si muoveva.
«Pedone
in D6»
mormorai distratta, senza concentrarmi realmente sul gioco. Stavo
continuando a
riflettere sul fatto che qualcosa dentro di me che mi bloccava e
terrorizzava
si era spezzato. Ero ancora spaventata, certo, ma non più
terrorizzata. E
stando a Sev, si notava.
«Cavallo
in C3.
Cos’è cambiato?» chiese, continuando a
cercare i miei occhi. «Ieri sembravi più
abbattuta del solito…»
Sussultai
e mi
morsi un labbro. «Stavo pensando ai miei genitori»
confessai portandomi una
ciocca di capelli dietro le orecchie. «Cavallo in
C6.» Sospirai pesantemente e
alzai la testa. «Sai, al fatto che… che non sono
qui, e non possono capire fino
in fondo il mondo di qui…» Affondai nuovamente i
denti nel labbro per impedirmi
di piangere. «Loro non sono di qui, Sev, e questo li
può spaventare… non posso
spaventarli ancora di più io…»
Lui
rimase in
un silenzio cogitabondo riflettendo sulle mie parole.
«Cavallo in F3» disse
alla fine. «Be’, penso sia abbastanza normale,
Lily» commentò. «Dopotutto
significa solo che stai crescendo.» Sorrise appena.
«Non potrai appoggiarti per
sempre ai tuoi genitori…»
«Lo
so, ma
anche loro… sono preoccupati» confessai.
«E io ho solo undici anni, Sev, e gli
voglio bene, e non voglio che arrivino a non capirmi
più…» Sbiancai mentre
pensavo ai miei genitori, fermi accanto a Tunia e con lo stesso sguardo
disgustato, a dirmi “Mostro”. «Non posso
essere contemporaneamente un mostro e
una Sanguesporco, Sev, non ce la faccio!» dissi muovendo
l’alfiere bianco.
Lui
annuì.
«Lily, puoi essere quello che ti pare, ma sei perfetta per
entrambi i mondi.»
Mi guardò quasi timidamente. «Insomma, pensa alla
faccia che ha fatto Lumacorno
quando ha visto i tuoi genitori!»
Mi
venne quasi
da ridere mentre ripensavo alla scena: era apparso misteriosamente in
Infermeria quando i miei genitori stavano ancora tentennando sul
ritirarmi o
meno per vedere come stavo e complimentarsi personalmente con loro per
i miei
risultati, spettacolo già buffo di suo, ma quando poi aveva
capito che i miei
genitori erano entrambi Babbani e che il professor Silente gli chiedeva
di
controllare che non entrassero in contatto con nessuno studente era
rimasto
talmente sorpreso che non era stato in grado di rispondere subito. Si
era
ovviamente ripreso in fretta, ma alla lezione successiva mi aveva
guardato in
modo strano per tutto il tempo e alla fine della lezione mi aveva
chiesto,
incredulo: «Ma erano i tuoi veri genitori quelli che erano in
Infermeria la
scorsa domenica?»
Ero
rimasta un
po’ stupita e avevo annuito.
«E…
e sono
tutti e due Babbani?» mi
aveva
chiesto sempre più incredulo.
Mi
ero sentita
sprofondare: avrebbe cominciato anche lui a detestarmi
perché ero figlia di Babbani?
Non ero decisamente nelle condizioni mentali per sopportarlo, ed avevo
risposto
in modo forse un po’ sgarbato: «Sì, sono
Babbani, e sono stati dei genitori
molto migliori di tutti quei maghi Purosangue che insegnano ai figli a
odiare
tutti quelli diversi!»
Era
rimasto
stupito dal mio sfogo ed aveva subito specificato: «Lily, lo
dicevo perché ero
sorpreso, non per altro! Non ho pregiudizi io, figurati!» Mi
aveva rivolto un
grasso sorriso di incoraggiamento e mi ero un po’
rassicurata. «Merlino, ho
visto io stesso i tuoi risultati… per questo ero sorpreso!
Ero convinta
provenissi dagli Evans del Galles, Gisbert Jen Evans è il
fondatore della Società per il
Catalogo e la
Ricerca di Filtri, Infusi
e Pozioni, e Louisa Kristin Haefs-Evans è
l’inventrice della pozione contro
l’ipnosi dei vampiri, pensavo foste imparentati…
con un talento come il tuo,
sembrava lampante che provenissi da una rispettabile famiglia di
maghi…»
«E
invece vengo
da una rispettabile famiglia di Babbani, signore» avevo detto
io con un piccolo
sorriso.
«In
ogni caso,
Lily, resto convinto che saresti dovuta venire a Serpeverde»
mi aveva risposto lui
guardandomi con una smorfia. «Con un cervello come il tuo e
una tale abilità
nelle pozioni sei proprio sprecava a Grifondoro…»
Ero
rimasta per
un attimo a bocca aperta: nel corso di cinque mesi ero stata aggredita
tre
volte dai Serpeverde e lui mi veniva a dire che sarei stata bene con
loro?
«Grazie, signore, ma sto bene dove sto» avevo detto
alla fine optando per la
diplomazia.
«Continua
a
dirmi che dovrei stare a Serpeverde» dissi con una smorfia
mentre spostavo
l’alfiere che lui aveva appena minacciato col suo pedone.
«L’avrei
voluto
anch’io» mormorò, ma talmente piano che
quasi non lo sentii. Rimanemmo in
silenzio per un po’, mentre io continuavo a riflettere sulla
mia situazione.
«Ma
non mi hai
ancora detto cos’è cambiato, Lily» mi
fece osservare, riscuotendomi.
Ebbi
un attimo
di panico: mi sentivo ingiustamente colpevole verso di lui, anche se in
realtà
non avevo fatto niente… «Cosa ti fa pensare che
sia cambiato qualcosa, Sev?»
chiesi in extremis, prendendo tempo.
Lui
sospirò e
mi guardò con una punta di esasperazione. «Dal
fatto che in circostanze normali
non ti saresti mai fatta battere da uno scacco tanto palese»
mi disse indicandomi
la scacchiera. Come al solito, aveva vinto.
Abbassai
le
spalle e sospirai. «Devo essere distratta»
mormorai. «Scusa.»
Rise
appena. «Tu perdi e ti
scusi con me?» Mi
guardò con un mezzo sogghigno.
«Lily, sei ancora più illogica di quanto tu non
sia già normalmente.»
Gli
feci una
linguaccia.
«E
se c’è una
cosa che ho notato in questa settimana in cui eri completamente fuori
di te è
che non sei mai arrivata così vicina a battermi a
scacchi» riprese
appoggiandosi allo schienale.
Mi
dedicai un
attimo di raccoglimento prima di alzare la testa.
«Sev… ora non ti arrabbiare,
ma ieri pomeriggio ero davvero fuori di testa… sai, tutta la
storia dei miei
genitori, quella
specie di marchio sulla
spalla, la sensazione di… la sensazione
di…» Feci un respiro profondo e
inghiottii. «La sensazione di non appartenere a nessun
mondo» conclusi a
bassissima voce. Lui si limitava ad osservarmi, attento.
«Ecco… credevo di aver
bisogno di stare sola. Volevo stare
sola, tu non c’eri, e non avevo voglia di parlare con
nessuno.» Gli rivolsi uno
sguardo interrogativo: era sembrato sul punto di parlare, ma poi aveva
scosso
la testa ed era tornato immobile. «Solo che
dall’incidente non… non sono più
stata lasciata sola, quindi mi… mi sono liberata di Alice e
Remus e sono andata
in Guferia.» Lo guardai di sottecchi.
Ci
fu una pausa
di silenzio.
«E
fin qui mi
sembra che non ci sia niente di così sconvolgente»
disse alla fine invitandomi
a proseguire.
Sospirai.
«Credo di essere rimasta lì più tempo
di quanto non credessi, perché Remus e Alice
si sono preoccupati e… e hanno cominciato a
cercarmi.» Non cambiò espressione.
«Con Potter e Black» precisai. Osservai la sua
mascella irrigidirsi. «È finita
che… che mi ha trovato Potter.» L’ansia
mi fece parlare a raffica. «Io mi ero
quasi addormentata in Guferia, ma sai com’è,
lì fa freddo, è sempre aperta, e
mi stavo congelando, anche se non me ne ero accorta, Potter mi ha detto
che
dovevo tornare dentro, e poi mi ha detto che era già passata
l’ora di cena e
che quindi i portoni erano chiusi, quindi siamo entrati da un passaggio
segreto
e siccome io avevo freddo siamo andati nelle cucine e gli Elfi mi hanno
portato
una cioccolata calda per riscaldarmi.» Respirai
profondamente, avevo parlato
tutto d’un fiato. «E poi mi sono addormentata in
Cucina e quando mi sono
risvegliata ero in camera ed era mezzogiorno.»
Era
di una
rigidità innaturale, non aveva mosso un muscolo per tutta la
durata del mio
racconto. Il suo sguardo era fisso sul vuoto, la bocca contratta in una
piega
amara.
«E
quindi,
cos’è cambiato tanto da riscuoterti?»
chiese alla fine. Quasi sobbalzai dal suo
tono aspro.
Guardai
con
molta attenzione fuori dalla finestra. «Mentre mi stavo
addormentando… ero
congelata, Sev, ero rimasta fuori tutto il tempo e fuori nevicava, ero
stanchissima… Potter ha detto una cosa che… che
credo che siccome era stata
l’ultima cosa che avevo sentito prima di cadere in catalessi
mi abbia un po’
suggestionato.» Osai incrociare i suoi occhi. «Non
ero del tutto in me, vedi,
avevo addosso una stanchezza terrificante, e credo
che…»
«Cosa
ti ha
detto, Lily?» mi interruppe lui senza cambiare espressione.
«Solo…
solo che
non ero inferiore» dissi in un soffio. «E che non
dovevo permettere agli altri
di farmelo credere. E mi ha fatto promettere di non andare nuovamente a
cercare
di congelarmi.»
Stavolta
il
silenzio si prolungò per parecchi minuti. Io non osavo dire
altro, e lui dal
canto suo si era rifugiato in quella quasi ostentata
immobilità.
Alla
fine emise
un ringhio esasperato ed esclamò: «Mi spieghi
perché non posso voltare un
attimo le spalle senza che tu vada a ficcarti in qualche altro
pasticcio?»
Abbassai
la
testa. «Non ho fatto apposta, Sev, ero solo stanca e volevo
stare sola e…»
«Mi
spieghi
perché non riesci a stare tranquilla cinque
minuti?» Si alzò di scatto e mi
venne praticamente addosso, girando verso di lui la poltrona su cui mi
trovavo.
«Lily, come faccio a impedirti di farti male?
Tu…» Si allontanò di scatto,
esasperato.
Mi
alzai e gli
andai incontro, poggiandogli una mano sulla spalla. «Sev, io
sto benissimo, non
mi è successo niente…»
«Lily,
ti rendi
conto che è dovuto intervenire Potter
per
salvarti?» ringhiò velenoso. «Potter! Hai
idea di come questo mi faccia…?»
«Sev,
l’unica
differenza è stata che tu non sapevi che stavo
male!» esclamai, interrompendolo.
«Lo so perfettamente che saresti venuto anche tu, prima tu,
perché mi conosci
meglio, e…»
«Lily,
è una
settimana che provo a consolarti» mi fece notare sempre con
quel tono basso e
ringhiante. «E ci è voluta una sola serata
con Potter perché tu stessi meglio?»
Mi
impietrii,
non avevo valutato quell’aspetto della situazione.
«È… è stato solo il misto di
stanchezza, freddo e suggestione, Sev!» esclamai
aggrappandomi al suo braccio.
«Sev, sai perfettamente cosa penso di Potter! Lo sai! Ci sei
anche tu quando
litighiamo, sai cosa…»
«Sì,
Lily, lo so. O almeno
dovrei…» Si portò una mano
alla fronte, chiudendo gli occhi.
Io
ero
immobile. «Sev… Sev, ti giuro che mi dispiace,
è che ero depressa, e confusa, e
non capivo cosa volevo, e quindi non ho pensato prima
di…»
«È
proprio
questo il problema, Lily: non hai pensato
prima di agire!» Si voltò verso di me,
esasperato. «Tu non pensi mai prima
di agire, ti butti e conti sul
fatto che atterrerai in piedi! È un atteggiamento che hai
sempre avuto, sempre! Da quando ti
conosco…»
Mi
sentii in
colpa perché effettivamente era così: di solito
mi buttavo perché ero abituata
ad atterrare in piedi. Ero sempre atterrata in piedi, sia fisicamente
che
psicologicamente.
«Sev,
io ci
provo, ma stavo male, e non volevo che gli altri… che gli
altri mi vedessero in
quello stato, e non sapevo cosa… fare…»
Sospirò
pesantemente e andò a sedersi nel vano della finestra,
portandosi le ginocchia
al petto.
«Sev?»
Mi
avvicinai lentamente a lui, cercando i suoi occhi, ostinatamente
rivolti verso
il panorama fuori. Mi sedetti anch’io.
«È possibile che entro la prossima era
geologica tu mi perdoni?»
Sbuffò
di nuovo
e affondò la testa nelle ginocchia, prima di alzarla di
nuovo. «Lily, sei una
cosa impossibile!»
Lo
guardai
interrogativa.
«Non
solo commetti
le peggio idiozie come se fossero normali»
cominciò guardandomi scontento. «Ma
poi metti anche su quella faccia mortificata che mi fa sentire un verme
finché
non ti ho scusato. Non è giusto!»
Sorrisi,
più
rilassata. «Se mi dici quale faccia devo fare per farti
più contento ci provo,
Sev, solo che… davvero, mi dispiace, scusami, non
volevo…»
Ispirò
a fondo
ed espirò ancora più lentamente.
«È ovvio che ti scuso, testa di Grifondoro che
non sei altro» borbottò alla fine, distogliendo lo
sguardo. «Ma vorrei davvero
capire cosa devo fare con te. Avevo promesso a tuo padre che ti avrei
impedito
di farti ancora del male…»
«Sì,
ma come
hai detto tu non puoi passare tutta la vita appiccicato a me»
gli dissi in tono
incoraggiante. «Non è colpa tua se ogni volta che
ti allontani io vengo presa
dallo sconforto e agisco senza usare la testa…»
Sorrise
suo
malgrado, tornando a incrociare i miei occhi. «La prossima
volta compro un
guinzaglio da cani babbano e quando me ne vado ti lego da qualche parte
e ti ci
lascio fino a quando non torno» mi informò.
«Oppure uso un qualche incantesimo
per introdurmi nella tua testa vuota e ficcarci dentro un po’
di buon senso…»
«Quando
vuoi»
risposi, felice che fosse tornato a sorridere. «E in ogni
caso è stato solo un
episodio, Sev, di solito non vado a ficcarmi nei
guai…»
Mi
guardò
estremamente scettico.
«D’accordo,
ogni tanto mi ficco nei guai, ma raramente…»
Inarcò
un
sopracciglio.
«Va
bene, sono
nei guai un giorno sì e uno no, ma non lo faccio mai
apposta!»
«No,
infatti»
confermò lui storcendo le labbra. «Ed è
esattamente di questo che mi lamento.
Se almeno lo facessi apposta sapresti anche come evitarli, invece lo
sei perché
non pensi, e quindi vai avanti
confidando solo in qualche magia che ti impedisca di farti del male. E
per
quanto tu abbia una discreta fortuna, quella non dura per
sempre.»
«La
fortuna è
cieca» commentai io.
Fece
una
smorfia. «Forse, ma la sfiga ci vede benissimo»
disse tetro facendomi ridere.
«Non c’è niente da ridere, ragazzina
spudorata!» Ma non mi ingannava, anche lui
stava sorridendo.
«Che
dovevi
fare ieri pomeriggio, comunque?» chiesi abbracciandomi le
ginocchia.
Si
strinse
nelle spalle con aria noncurante, ma i suoi occhi erano improvvisamente
vigili.
«Un… una specie di… gruppo di studio,
direi» disse alla fine. «Una riunione fra
compagni in cui abbiamo discusso del più e del
meno…»
«Hai
aiutato
tutti a fare i compiti?» chiesi con un sorriso: se
c’era una cosa di cui
Severus non aveva bisogno era aiuto per la scuola.
«Non
proprio»
disse ostentando un tono tranquillo. «Più che
altro abbiamo parlato, sai come
capita…»
Annuii:
anche
io e Remus e Alice quando ci mettevamo lì per studiare
passavamo prima
parecchio tempo a chiacchierare, fino a quando il più
diligente della
situazione, alias Remus, non ci richiamava all’ordine.
«Ti
sei
divertito?»
Annuì,
guardando fuori. «Il tempo non promette bene, vero?»
Mi
strinsi
nelle spalle. «Magari appena smette di nevicare possiamo fare
una battaglia a
palle di neve» proposi, infiammandomi all’idea.
«Oppure possiamo pattinare sul
lago, credo che la scuola metta a disposizione dei pattini, io non sono
molto
brava ma Tunia una volta mi ha accompagnato e non era
troppo…»
«Lily,
se c’è
una cosa che non farò
di sicuro è
pattinare sul lago» mi disse lui con fermezza. Notando il mio
sguardo deluso,
aggiunse nello stesso tono: «Per la battaglia a palle di neve
vedremo.»
«Grazie!»
esclamai balzando in piedi e scoccandogli un velocissimo bacio sulla
fronte. «E
ora combattiamo!» conclusi tirando fuori la bacchetta e
cominciando a spostare
le scacchiere.
Lui
non
parlava: era impietrito al suo posto con lo sguardo fisso, esattamente
com’era
quando lo avevo lasciato.
«Sev?»
chiesi
incerta guardando i suoi occhi vitrei.
Si
girò verso
di me lentamente, senza perdere l’espressione sgranata.
«Sev,
su! Sono
quasi le quattro, ormai!»
Si
alzò
sciogliendo un muscolo dopo l’altro e mi aiutò a
spostare le ultime scacchiere.
Angolo
Autrice
Lo
so, anche io mi sono odiata per questo
capitolo e visto che appena lettolo mia sorella ha commentato solo
“Povero
Severus!” immagino che il mio non fosse solo un parere di
parte.
A volte
il tentativo di restare il più possibile IC ti porta
più in là di dove uno
vorrebbe andare, senza nemmeno avere la garanzia di esserci
riuscito… però era
una conseguenza logica di quello che era successo nel precedente
capitolo, mi
dispiace ma è così. Sì. Ecco. Almeno
è quello che mi vado ripetendo da un po’
di tempo a questa parte…
Però
poi fanno pace, no? *sorride in modo
incoraggiante*
Ditemi
almeno che non state odiando Lily per
quello che ha fatto, anche se temo che sia così…
ma diamine, gente, ha undici
anni, è piccola! È
piccola ed ha
subito una cosa malvagia, non può già tenere
tutto sotto controllo… credo. A
parer mio, almeno.
Quindi
basta, mi sto lasciando una recensione
da sola e non è questo il motivo per cui mi pagate. Ah no,
dimenticavo
l’assenza di fini lucrosi. Vabbè,
dev’essere che sto scrivendo all’una e mezzo
di notte e quindi ho una certa tendenza al discorso indiretto libero. E
poi il
caldo di giugno soffoca…
Perciò
ringraziamenti a chiunque ci sia, se c’è
ancora qualcuno, e lascio campo libero a chi avrà la
responsabilità di scusare
i miei scritti ^^
Angolo Autrice Bis
Questo
era l’ultmio capitolo in cui esistevano
delle noti da autrice assente, dal prossimo quindi, se
deciderò di continuare a
metterle, saranno direttamente della me dell’attuale presente
e non della me
del presente di, ormai, più di un anno fa.
Pare
assurdo che sia passato già un anno… vuol
dire che questa storia compie più o meno due anni xD Mi fa
sentire assurdamente
vecchia, specie con la crisi scrittoria che mi ha presa da quando sono
tornata
dalla Virginia… Oh, be’, con un po’ di
fortuna mi riprenderò.
Intanto sono qui solo
per ringraziare chi
continua a seguirmi nonostante gli aggiornamenti discontinui e la
schizofrenia
delle note, in particolare i 27 che
preferiscono questa storia, i 5 che
la ricordano e i 54 che la seguono.
Inutile
aggiungere altro, vero?
|
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Capitolo 24 *** Capitolo 17 - Spina nella Zampa ***
Prima
Parte, I
Anno
Capitolo
17 –
Spina nella Zampa
Febbraio
portò
con sé tanta nebbia e tanta apatia, almeno per me. Dopo le
emozioni di gennaio
non avevo più incrociato i miei presunti aggressori, le
indagini, se di tali si
poteva parlare, erano cadute nel dimenticatoio e io avevo ripreso il
controllo
della mia mente quanto bastava per avvicinarmi ad essere la Lily
di prima.
Io
e Sev non
andammo a pattinare sul ghiaccio né a fare a palle di neve,
ma un pomeriggio
riuscii a convincere Alice e Frank ad accompagnarmi fuori e ci
divertimmo per
qualche ora tutti contro tutti, mentre Severus era nella sua Sala
Comune con il
gruppo di studio di cui mi aveva parlato la prima volta a fine gennaio.
Le
lezioni
proseguivano imperturbate come sempre, anche se le interrogazioni e i
test si
stavano facendo più serrati: i professori erano infatti
risoluti ad avere un
quadro di metà anno prima della fine di marzo, cosa che
comportava parecchio
studio extra per tutti. Se non fosse stato per il fatto che avevo Sev
come migliore
amico e Remus come coscienza probabilmente sarei rimasta indietro,
vista la mia
malsana tendenza a ridurmi sempre all’ultimo minuto.
In
ogni caso,
uscii fuori da quel periodo senza troppe difficoltà, anche
se ricevetti un
nuovo rimprovero da Severus per la mia scarsa serietà e uno
più scherzoso da
Remus che, testuale, “non se lo sarebbe mai aspettato da
me”.
Black
e Potter
ovviamente non studiarono neppure per sbaglio, fecero quasi venire una
crisi
isterica a Remus quando la McGranitt li
sgridò in classe perché i loro tre compiti erano
identici e saltarono strategicamente i giorni in cui si sarebbero
tenuti i test
più difficili. Ovviamente passarono in punizione
metà del tempo che non
passavano in classe.
Dopo
la tregua
di gennaio, a febbraio si aprirono nuove ostilità per la
loro decisa e ostinata
avversione verso Severus. Tuttavia, siccome avevano deciso che io ero
fuori dal
mirino, ne approfittavano quando io andavo via con Remus per occuparsi
di
Severus, forti del fatto che era solo. Di conseguenza ogni accenno di
buoni
sentimenti gli uni verso gli altri andò democraticamente a
farsi benedire.
Raggiungemmo
il
picco i primi giorni di marzo, quando stavo riaccompagnando Remus in
Sala
Comune dopo l’ennesimo malanno.
Stavamo
chiacchierando di quello che si era perso in quei giorni, in
particolare delle
ultime consegne della McGranitt, quando arrivammo ad un corridoio
scarsamente
frequentato dove comunque c’era un drappello di persone che
assisteva ad una
scena che non riuscivo a vedere bene. Sia io che Remus, incuriositi, ci
avvicinammo per capire cosa stesse succedendo.
In
mezzo al
cerchio c’erano Potter e Black che ridevano sguaiatamente, e
dalla parte
opposta c’era Severus che si stava muovendo dissennatamente,
la bacchetta a
terra lontano dalla sua portata.
Senza
neanche
accorgermene lasciai il braccio di Remus e mi mossi a suon di gomitate
fino
alla prima fila. C’erano studenti di tutte le età.
E nessuno di loro aveva mosso
un muscolo per aiutare Sev.
Tirai
fuori la
bacchetta e la puntai contro Severus. «Finite
Incantatem!» ordinai mentre la rabbia montava
progressivamente.
Lui
barcollò e cadde, vittima
probabilmente di un incantesimo Tarantallegra. Corsi verso di lui e lo
aiutai
ad alzarsi, mentre intorno a me gli altri cominciavano a protestare.
«Evans,
che
stai facendo, per Merlino?» mi chiese seccato Potter tenendo
la bacchetta
alzata.
Black,
dal canto suo, spedì
nuovamente Severus per terra rendendogli scivoloso il terreno sotto i
piedi.
«Smettila!
Smettetela subito, tutti e due! Non è divertente!»
«Questo
lo dici
tu, Evans» commentò Black mentre con uno sbuffo
allontanava la bacchetta dalla
mia portata. Uno dei ragazzi del drappello la prese al volo e la
tirò a Potter,
che la afferrò al volo senza distogliere lo sguardo da
Severus.
«Ridammela!»
gli ordinai perentoria.
Entrambi
risero, accompagnati anche dagli altri. Mi guardai attorno: erano pure
più
grandi di noi, possibile che si divertissero ancora in quel modo
infantile?
«Altrimenti,
Evans?»
Alzai
la
bacchetta. «Ridammela, Potter» ringhiai mentre
pensavo a quale incantesimo
fosse più opportuno usare.
Vidi
Black
avvicinare la testa a Potter in un sussurro udibilissimo.
«Ah, stai attento ora
Jim, questa ha tirato fuori gli artigli…»
Tutti
attorno a
noi risero e io mi sentii arrossire. Finsi di non accorgermene e mi
chinai
verso Severus, aiutandolo nuovamente ad alzarsi e cercando di ignorarli.
«Tutto
a
posto?» gli sussurrai mentre si rimetteva dentro. Se io ero
arrossita non era
niente in confronto a lui: era praticamente viola, e negli occhi aveva
un bagliore
omicida che non mi ricordavo di avergli mai visto.
«Tu…»
ringhiò guardando Potter che
continuava a sventolare la sua bacchetta come trofeo.
Lui
per tutta
risposta sogghignò e la agitò più
platealmente.
Tornai
ad
alzare la mia. «Potter, ridammi subito quella
bacchetta!»
Dal
nostro
pubblico si alzarono nuovi risolini e la mia stretta sulla bacchetta
aumentò
mentre sentivo il sangue affluirmi alle guance.
«Non
riesci
nemmeno a dargli uno scontro alla pari? Bravo, davvero, coraggioso
a prendertela con un avversario
disarmato…»
«Ma
bene,
Mocciosus, ora ti fai difendere dalle ragazzine?» chiese
Black beffardo
guardando Severus.
«Che
cosa sta
succedendo qui?»
Gli
studenti si
aprirono subito in due per lasciar passare il possessore di quella
voce. Molti
se ne andarono più discretamente possibile, prevedendo guai.
Sentii
ogni
muscolo del mio corpo contrarsi mentre cercavo di illudermi di aver
confuso la
sua voce, di essermi ingannata in qualche modo…
«Evans,
Potter,
Black, incantesimi nei corridoi? Sono proibiti dal regolamento, dieci
punti in
meno a Grifondoro.» Alto, pallido e sogghignante, Malfoy
stava avanzando verso
di noi spalleggiato dai soliti Rowle e Selwyn. «Ma bene, ci
si batte anche?»
aggiunse beffardo guardando le nostre bacchette puntate gli uni contro
gli
altri. «Altri dieci punti in meno a Grifondoro. Potter, credo
che quella sia la
bacchetta di Severus. Usare incantesimi contro gli altri studenti
è proibito,
quindi questi sono altri cinque punti in meno a Grifondoro.
Congratulazioni,
credo che nessuno sia mai riuscito a fare una tale tripletta in una
sola ora al
primo anno…»
Ero
paralizzata: anche se era passato più di un mese, il mio
corpo stesso si
ribellava all’idea che Malfoy fosse così vicino e
per di più in una posizione
di potere. Avevo i muscoli talmente rigidi che temevo mi sarebbe venuto
un
crampo.
«Severus,
grazie per il coraggioso tentativo di interromperli ma era
superfluo» aggiunse
avvicinandosi a Sev e passandogli una mano sulle spalle.
Mi
accorsi che
stavo trattenendo bruscamente il respiro e lo rilasciai andare
più lentamente
possibile, cercando di essere silenziosa. Non mi ero ancora mossa, non
ci
riuscivo.
«Evans,
se non
abbassi subito quella bacchetta i punti diventeranno venti.»
In
qualche modo
mi riscosse: abbassai di scatto il braccio e altrettanto velocemente mi
girai
verso di lui, alla mia sinistra; mi stava guardando sogghignando, come
Rowle e
Selwyn, il braccio ancora attorno alle spalle di Severus, che stava
accuratamente evitando il mio sguardo.
«Sei
veramente
un idiota platinato, Malfoy.» La voce di Potter era fredda,
sprezzante. «Bravo
a rigirare la situazione come ti fa comodo, ma qui ci stanno circa
venti
testimoni che ti possono dire…»
«Non
mi sembra
che nessuno di loro sia intervenuto per fermarvi» gli
comunicò dolcemente
Malfoy, tirandomi inconsciamente una scudisciata: era vero.
«E non si insultano
i Prefetti della scuola: altri dieci punti in meno a Grifondoro.
Vogliamo
proseguire fino ad arrivare a cinquanta? Siete sulla buona strada, mi
pare…»
«Va
all’Inferno, Malfoy» ribatté per tutta
risposta Black.
«Dieci
punti in
meno a Grifondoro, Black. Su, siete vicini, ormai siete a
quarantacinque…» Ci
guardò tutti con un mezzo sogghigno e incontrò i
miei occhi. Ero di nuovo
immobile, furiosa mentalmente e terrorizzata fisicamente, un misto
niente
affatto gradevole, che lui contribuì ad peggiorare
aggiungendo: «Dovreste
prendere esempio da Evans, se non sbaglio lei ha imparato la
lezione…»
Mi
parve una
frase tanto mostruosa, contornata dalle risatine di scherno di Rowle e
Selwyn,
che per poco non gli lanciai una fattura. Sentii le dita contrarsi
lungo la
bacchetta e stavo per alzarla quando sentii una mano stringermi la
spalla e mi
voltai: era Remus, che mi stava facendo segno di no con la testa.
Malfoy seguì
divertito quello scambio.
«Ecco,
siamo
già diventate più brave a controllarci,
vero?» sottolineò delicatamente quando
tornai a guardarlo, rancorosa ma di nuovo immobile: Remus sembrava
irradiare
calma, o quantomeno pazienza. «Alla fine abbiamo imparato
come trattare i superiori, vero?»
Sentii
la mano
di Remus attanagliarmi la spalla e dentro di me contai mentalmente fino
a
dieci. Non reagire. Non reagire, è
giusto
quello che vuole…
Guardai
Severus, che dall’inizio del dialogo era rimasto fermo e si
stava guardando le
scarpe, senza dire niente. E ferendomi come le parole di Malfoy non
avrebbero
mai potuto fare.
«Questo è troppo!»
E
prima che io
o Remus avessimo potuto bloccarli, Potter e Black gli avevano lanciato
contro
un incantesimo a testa, che lui ovviamente parò.
«Punizione, Potter, Black»
comunicò con voce flautata. «Credo che la
professoressa McGranitt non sarà
molto lieta di sentire il mio rapporto…»
«Ficcatelo
nel…!»
«James,
no!»
Remus alzò una mano verso di lui. «No»
disse poi più a bassa voce mentre tutti e due lo guardavano
furiosi.
Malfoy
lo
guardò. «Bene, se non fossi un Mezzosangue
pezzente e Grifondoro, Lupin, credo
che ti farei i complimenti per la sagacia»
commentò facendomi girare di scatto
furiosa, tanto da spingere Remus a darmi uno strattone per rimettermi a
posto.
«Lily, per Merlino, non capisci che è
esattamente quello che vuole?!»
Stavo
ansimando
pesantemente e sentivo che lo sforzo di restare ferma mi stava facendo
dolere i
muscoli. «Va’ via, Malfoy» dissi alla
fine, cercando di controllare la voce.
Non intendevo scoppiare davanti a lui. «Hai avuto quello che
vuoi, ora vai via!»
«Non
mi faccio
dare ordini dalle Sanguesporco, Evans, pensavo l’avessi
imparato» rispose lui
con sufficienza.
«Lucius…»
Mi
girai a sentire la voce di Severus e lo vidi lanciare uno sguardo
implorante a
Malfoy, che per tutta risposta gli batté sulle spalle con
aria compassionevole.
«Non
farti
tradire da un eccessivo amor di pace, Severus» lo
ammonì quasi con delicatezza.
Tornò a fissarmi con alterigia. «Non verso i
Sanguesporco. Devono capire qual è
il loro posto…»
Udii
un
mormorio di protesta alzarsi dai pochi ragazzi rimasti ad assistere, e
vidi
Potter e Black rischiare di scattare un’altra volta, frenati
appena in tempo da
Remus, che lasciò me per precipitarsi dagli altri due.
«Io
sono lenta a
capire» mormorai facendo voltare un esasperato Remus verso di
me.
Malfoy
scoppiò
a ridere. «Sì, me n’ero
accorto.» Mi guardò con disprezzo. «Ma
dopotutto non
potevamo aspettarci niente di meno, non credi?» E sempre
ridendo cominciò a pilotare
Severus e gli altri Serpeverde venuti fuori dal corridoio.
Io
continuai a
fissare Severus che si allontanava in silenzio, senza osare voltarsi in
dietro.
Come aveva potuto? Come aveva potuto?!
«Perché
ci hai
bloccato?» Black stava praticamente urlando verso Remus.
«Lo hai visto, quello
schifoso… quello schifoso cane bastardo figlio
di…»
«Sirius
Black,
metti in moto quell’unico neurone che non si è
ancora fuso!» Non avevo mai
sentito Remus parlare così aspramente: suonava quasi strano
sentire la sua voce
sempre pacata e gentile così graffiante. «Non
capisci che non aspettava altro?»
«E
allora?»
chiese Potter con sufficienza. «Potevamo fargliela vedere a
quel brutto…!»
«Non
che non
potevate, Potter!» ringhiai io voltandomi per la prima volta
verso loro due.
«Malfoy sarà pure un deficiente dalla testa
montata, ma è del sesto anno,
quindi puoi stare tranquillo
che conosce incantesimi che tu ti sogni soltanto, non era solo,
c’erano altri
quattro Serpeverde, tutti più grandi di noi, e avrebbe avuto
anche un discreto
alibi per giustificarsi.» Lo guardai mentre il suo sguardo
fiammeggiante si
puntava su di me. «Non capisci che ci avrebbe guadagnato
molto di più lui che
non voi?»
Lo
vidi
contrarre la mascella. «È successo altre volte,
Evans, e abbiamo vinto noi!»
Eravamo
rimasti
soli.
«E
credi che
questo basti? Ah!»
Mi ritrovai a
ridere istericamente, sotto i loro sguardi stupefatti. «Li
avevamo presti alla
sprovvista, e ci avevano sottovalutati, ma ora l’hanno
capito, non sono
stupidi! Non lo sono…» Mi appoggiai al muro mentre
mi accorgevo che stavo per
mettermi a piangere.
Sev
non era
intervenuto. Non aveva fatto niente.
Vidi
Potter
cercare invano una risposta.
«E
perché ti
sei messa in mezzo, comunque?» intervenne di punto in bianco
Black, guardandomi
storto. «Stava andando tutto liscio prima che venissi tu ad
aiutare quella
serpe…»
«Una
serpe che non ha alzato un dito
mentre quel
bastardo ti dava della Sanguesporco, aggiungerei…»
puntualizzò Potter con
ferocia.
Alzai
la testa
verso di loro: mi stavano guardando tutti e tre, e notai vagamente
anche Minus
avvicinarsi.
«Sta’
zitto…»
sussurrai mentre mi accorgevo che stavo cominciando a piangere.
Remus
mosse un
passo verso di me, ma io stavo guardando Potter e Black. «State zitti!»
urlai prima che la voce mi
si spezzasse.
Raccolsi
la
bacchetta, che mi era scivolata fra le dita quando Severus e Malfoy
erano
usciti, e corsi via, corsi lontano da loro, senza ascoltare Remus che
mi
richiamava, o i passi che mi rincorrevano, senza sentire più
niente…
Avevo
le
orecchie foderate di ovatta e il respiro spezzato dai singhiozzi mentre
ripensavo alla scena appena avvenuta. Sev non aveva fatto niente. Niente. Era rimasto a guardare mentre
quello mi dava della Sanguesporco, mentre mi ricordava del marchio
praticamente
sparito, mentre riapriva una ferita che Severus sapeva
quanto era stata profonda…
Non
provai a
giustificarlo, ero troppo ferita per farlo. Non ci sarei riuscita.
Corsi
fino ad
uscire dal castello, al freddo, scansando chiunque incontrassi,
cercando di non
singhiozzare… Attraversai i prati di corsa, ansimando,
cercando di recuperare
ossigeno, sperando che lo sforzo fisico servisse in qualche modo a
distrarmi…
Crollai
vicino
alle serre, dove mi sedetti e abbracciai le gambe, scoppiando
finalmente a
piangere. Cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia e rimasi
lì,
accogliendo l’acqua come un conforto perché
nascondevano le mie lacrime.
Nascosi la testa sulle ginocchia, lasciandomi andare fino a quando le
lacrime
finirono e singhiozzi cominciarono ad intervallarsi più
raramente.
«Lily!
Perdiana, cos’è successo?»
Alzai
la testa
e vidi Hagrid venirmi incontro; il cappotto di pelo che indossava lo
rendeva
ancora più enorme.
«Ciao
Hagrid»
mormorai alzando lentamente la testa.
Lo
vidi
aggrottare le sopracciglia. «Che ti è successo,
Lily?» mi chiese mentre la
pioggia cominciava a cadere più fitta. «Che ci fai
qui fuori sola? Sta
piovendo, sono quasi le sei…»
«Sto
bene»
dissi in un tono che non avrebbe convinto nessuno. «Sono solo
stanca…»
«Sembri
un Diricawl
bagnato» mi disse aiutandomi ad alzarmi e stringendomi a
sé. Emanava un calore
confortante. «Vieni, prendiamo un tè.»
Mi
accompagnò
fino a casa sua, dove era acceso un fuoco, e mise il mio mantello ad
asciugarsi
mentre preparava il tè. Quasi non me ne accorsi: ero in
piedi dietro una sedia
e stavo scorrendo lo schienale con la mano, continuando a pensare a
quanto era
appena successo. Sev praticamente non aveva parlato. Non aveva fatto
niente per
aiutarmi. Io avevo provato ad
aiutarlo…
Tirai
su col
naso e Hagrid si girò. «Che ti hanno fatto,
Lily?» mi chiese mentre si infilava
un grembiule rosa a fiori. Il suo sguardo si fece improvvisamente
minaccioso.
«Ti hanno attaccata di nuovo? Perché se
è così io vado dal professor Silente e
li faccio buttare fuori a calci nel…»
«No»
dissi con
un filo di voce. «Non proprio…» Mi
guardai attorno. «Thor non
c’è?» chiesi
accorgendomi in quell’istante che il cane non mi era ancora
zompato addosso.
Lui
si avvicinò
ad un angolo della stanza e sollevò una coperta: in un
grosso cesto foderato di
cuscini c’era Thor, semi-addormentato.
«Cosa
gli è
successo?» chiesi avvicinandomi per fargli dei grattini
dietro le orecchie.
«Spina
nella
zampa» bofonchiò lui controllando la teiera.
«Gli si è ficcata fino all’osso,
ieri è stato malissimo, per poco non si
infettava… era un po’ che zoppicava,
doveva avercela da qualche giorno. Comunque, l’ho levata e ho
chiesto a Madama
Challoner un anestetico e ce ne ho dato un po’. Il peggio
è passato, ormai…»
Levò
la teiera
dal fuoco. Io ero ancora vicina a Thor, assente. Il
peggio è passato… la mia spina era
stata davvero levata?
Ripensai a Severus e riflettei amaramente che la mia spina era appena
stata
conficcata.
«Lily!
Lily!» Mi girai di scatto
e scoprii
Hagrid che mi fissava con una punta d’ansia. «Tu
hai pianto» dichiarò
osservandomi. «Che ti è successo, dimmi!»
Mi
avvicinai al
tavolo e presi una tazza di tè, fissando il liquido ambrato
a lungo e soffiando
lentamente per intiepidirlo. «Prima,
Malfoy…» Sospirai e chiusi gli occhi.
«No,
devo partire da prima» mormorai mentre cercavo di raccogliere
le parole.
Non
mi mise
fretta, rimase a guardarmi in attesa che parlassi.
E
ovviamente
parlai: almeno avevo davanti un ascoltatore imparziale, e dovevo fare
ordine
nella mia mente. Quando però arrivai al momento in cui
Malfoy mi aveva chiamata
“Sanguesporco” Hagrid saltò su
indignatissimo. «Cos’ha fatto?»
ruggì facendomi
sobbalzare.
Mi
strinsi
nelle spalle. «Non è la prima volta»
dissi evitando i suoi occhi.
Era
furente.
«La prossima volta che lo vedo ci penso io a spiegargli un
paio di cosette»
sputò, la barba fremente. Faceva davvero paura.
Poggiai
la
tazza. «Grazie, Hagrid.» Esitai un attimo e
proseguii: «Ma ho paura che non
servirebbe a molto, e potresti metterti nei guai…»
Si
sedette e mi
guardò arrabbiato. «È tutta colpa
dell’aria. C’è cattiva aria in
giro.» Si
voltò. «La tensione si taglia con un coltello, sta
per scoppiare…» Batté una
mano sul tavolo tanto all’improvviso che sobbalzai,
spaventata. «Sono secoli
che gli idioti come Malfoy cercano di mandare via i figli di Babbani.
Colpa di
Serpeverde, quel vecchio pazzo…» Bevve una lunga
sorsata di tè. «E ormai siamo
lì, e poi salterà in aria…»
Sospirò pesantemente. «Malfoy è solo
uno spocchioso
idiota che fa il galletto.» Mi guardò.
«E nessuno ha detto niente?!» esclamò,
di nuovo indignato. «Sono tutti così
fifoni?!»
Scossi
lentamente la testa. «I due ragazzi che stavano attaccando
Severus… gli stavano
per lanciare un incantesimo, ma Remus li ha bloccati.»
Borbottò
un po’
ma poi osservò: «Sì, era la cosa
più furba da fare. Ma mi fa attorcigliare il
fegato pensare…» S’incupì di
scatto. «E il tuo amico? Lui non ha detto niente?»
Trattenni
bruscamente il fiato. «…No» dissi alla
fine pianissimo.
Si
arrabbiò
parecchio. «Ma che razza di persona è?! E tu lo
avevi appena aiutato…»
Bevvi
il tè.
«Lui è di Serpeverde, forse ha… ha
avuto paura…»
«E
allora è un
coniglio» dichiarò lui senza mezze misure.
«Serpeverde! Lily, non dovresti
stare con uno di Serpeverde. Marci dentro, tutti quanti, ecco come
sono…»
«Sev
no…» dissi
io in automatico, e mi morsi le labbra. Siccome mi stava guardando
interrogativo, proseguii: «Insomma, mi ha sempre…
sempre difeso. Solo che lo
avevano appena attaccato, e umiliato…» Cominciai a
parlare, più a me stessa che
a lui. «E a un certo punto ha provato a parlare, ma Malfoy
l’ha zittito…» Mi
venne comunque un groppo in gola: aveva chiamato Malfoy
“Lucius”… io non avevo
mai chiamato Black o Potter “Sirius” e
“James” perché l’avrei
considerato un
tradimento verso di lui, quasi un simpatizzare
con il nemico… «E mi dice sempre che
sono una brava strega, e che non ci
sono differenze, che sto bene anche in questo
mondo…» La mia mente,
automaticamente, stava costruendo una difesa per Severus.
«Credo che fosse
spaventato, Malfoy ha molta influenza a Serpeverde e quella
è la sua Casa…» Sì,
questo poteva starci, era più plausibile.
«Dopotutto siamo al primo anno, e ci…
ci stiamo ancora costruendo un ambiente, non è facile stare
contro uno del
sesto anno…» E Malfoy sembrava esattamente il
genere di persona da prendersela
con uno del primo solo perché era stato
contraddetto… «Sì, doveva essere una
situazione difficile per lui, è per questo che…
che non è riuscito a
intervenire…» Tacqui, mentre riflettevo a questo
aspetto della situazione.
Hagrid
rispettò
il mio silenzio, la sua esperienza con gli animali doveva avergli
suggerito che
quando un cucciolo inquieto si stava riprendendo era meglio lasciare
tempo al
tempo.
Alla
fine,
forse per distrarmi da tutto quello speculare ozioso, chiese:
«Chi erano i due
ragazzi che avevano attaccato il tuo amico? Non dovevano essere due
simpaticoni…»
Sbuffai:
decisamente non erano due simpaticoni. «Non so se li conosci,
sono di
Grifondoro anche loro, si chiamano James Potter e Sirius
Black…»
Quasi
si
strozzò nel tè. «J-James e
Sirius?» chiese guardandomi da sopra la tazza.
Lo
guardai
sorpresa. «Li conosci, quindi?»
Si
passò una
mano sulla bocca. «Perdici se non li conosco!»
esclamò con un sorriso. «Vengono
spesso qui per un tè, mi fanno fare delle
risate…»
Mi
irrigidii.
«Sono due ragazzini stupidi» fissi a denti stretti.
«Stupidi e immaturi!
Lanciano incantesimi su chiunque sia a portata di tiro e continuano a
prendersela con Severus…»
Si
accarezzò la
barba, pensoso. «Be’, sono un po’ vivaci,
quello sì, ma attaccare qualcuno
così, come dici tu… be’, mi pare
strano…»
«È
dall’inizio
dell’anno che lo hanno preso di mira» dissi cupa.
«Fin da quando eravamo in
treno, si comportano in modo veramente odioso, ogni volta che possono,
e…»
«Ma
dai!»
esclamò lui incredulo.
«Giuro!»
proseguii io infervorandomi. «Anzi, all’inizio
avevano preso di mira anche me,
ma quando poi li ho aiutati…»
«Sì,
me ne
hanno parlato.» Hagrid mi guardò sovrappensiero.
Poi si batté una mano sulla
fronte con quella che mi parve la forza necessaria per ribaltare un
camioncino.
«Era di questo che parlavano, allora!»
«Cioè?»
chiesi
io provando ad inzuppare un biscotto nel tè, sperando di
ammorbidirlo un po’.
«Be’,
quando
parlano di te dicono sempre che ti ficchi in cose più grosse
di te» disse lui
scrutandomi con sguardo indagatore.
Poggiai
la
tazza e tirai fuori il biscotto, duro come prima. «Parlano di
me?» chiesi sorpresa.
Lui
annuì.
«Quando mi raccontano delle baraonde che fanno
c’entri spesso tu» commentò.
«E
dicono sempre che non dovresti immischiarti.»
Aggrottai
le
sopracciglia. «Io non mi immischierei se loro non lo
rendessero indispensabile»
dissi offesa. «Ma attaccano sempre Sev due contro uno,
e…»
«Due
contro
uno?» ripeté lui aggrottando le sopracciglia.
«No, Lily, qui devi averci capito
male, loro dicono che si azzuffano più che altro con alcuni
gruppetti di
Serpeverde del primo o del secondo anno, e spesso sono pure di
meno…»
Contrassi
la
mascella. «Non è affatto
vero»
risposi, risentita da quella ipocrisia. «Quando attaccano
Severus è sempre da
solo, ne approfittano quando non ci sono io, io li ho visti, Hagrid, lo
stavano
facendo anche questa volta, c’erano loro due che avevano
disarmato Sev e tutti
quegli idioti attorno a fare il tifo come se fosse stato un incontro di
boxe, e
Sev che non poteva difendersi e non c’era nessuno che dicesse
niente, e loro
avrebbero continuato a umiliarlo a quel modo e a…»
La troppa rabbia mi bloccò
le parole in gola.
Hagrid
aveva
ancora quell’espressione confusa, incerta. «Lily,
ne sei sicura?»
Lo
guardai
incredula. «Certo che ne
sono sicura,
Hagrid, li ho visti!»
Sorseggiò
pensosamente il suo tè, e dopo un po’ lo imitai.
Circa
un’ora
dopo mi avviai verso il castello più leggera, mentre pensavo
nuovamente a
giustificazioni o anche solo motivazioni che potessero scusare il
comportamento
di Severus. Ero giunta alla conclusione che il suo mancato intervento
era
giustificato dalle circostanze, ma che la sua apparente
familiarità con Lucius
Malfoy fosse qualcosa di cui avremmo assolutamente dovuto parlare.
Camminavo
lentamente, cercando di capire…
Quando
arrivai
in Sala Grande la cena era già cominciata, perciò
andai a sedermi vicina ad
Alice e Frank e li ascoltai chiacchierare con la mente ancora assente,
mentre
scrutavo il tavolo di Serpeverde cercando Severus. Lo trovai che
mangiava a
testa bassa con i capelli che gli ricadevano davanti agli occhi.
Avevo
pensato
diecimila volte a quello che gli avrei detto e a come avrei affrontato
l’argomento,
ma quando lo vidi alzarsi, ben prima che l’ultima portata
fosse servita, mi
alzai così di scatto anch’io che i bicchieri
tintinnarono, attirando
l’attenzione di tutti i ragazzi più vicini. Non mi
importava, ero totalmente
concentrata su ciò che dovevo fare.
Scavalcai
con
un gesto automatico la panca prendendo la borsa che non avevo
più riportato in
Sala Comune e mi precipitai verso l’uscita. Misurai i passi
senza guardarmi
attorno, tenevo gli occhi fissi su un punto morto ignorando le poche
teste che
si alzavano al mio passaggio e mi guardavano interrogative. Tenni i
miei
muscoli sotto controllo fino a quando non fui uscita, poi allungai
progressivamente la falcata fino a cominciare a correre, per
raggiungere il mio migliore amico.
Quasi
gli
sbattei contro quando me lo ritrovai fermo in mezzo al corridoio che
portava ai
sotterranei, la testa abbassata e le mani strette a pugno. Lo evitai
per un
pelo e mi bloccai anch’io.
«Non
dovresti
correre nei corridoi» mi disse piano senza girarsi.
«Rischi di scivolare e
farti male…»
«Voglio
che
parliamo» dissi in un sussurro stranamente forte.
«Ho bisogno che parliamo, e
fra un po’ scatta il coprifuoco.»
Continuando
a
rivolgermi le spalle, lui annuì.
«Nella… nella nostra stanza,
allora?»
«Sì.»
Senza
guardarci, camminammo fianco a fianco lungo tutti i corridoi fino al
quinto
piano, nella “nostra stanza”. Io mi diressi filata
fino alla finestra e mi
sedetti lì a braccia incrociate, fissando risolutamente i
suoi occhi.
Lui
rimase in
prossimità della porta a testa bassa, sfiorando con le dita
la scacchiera più
vicina.
«Sev?»
lo
richiamai abbastanza bruscamente, continuando a scrutarlo. Volevo
arrivare fino
in fondo una volta per tutte, ma ero anche abbastanza risentita da
potermi
dimenticare di essere gentile. «Vorresti avere
l’estrema cortesia di spiegarmi
cosa ti è successo oggi pomeriggio?»
Non
era questa
la domanda che gli volevo fare. Non era per quello che volevo
spiegazioni, me
ne ero già create abbastanza di mio, e inconsciamente non
volevo vedere Severus
incapace di darmi una risposta. Perciò aggiunsi subito dopo:
«No, lascia
perdere. Per quello posso capire che l’influenza di Malfoy su
Serpeverde è
troppo grande, e dopotutto tu sei di Serpeverde. Posso capire che era
una
situazione difficile per te, e posso anche accettare che non
eri in condizione di fare niente.» Interruppi il
mio monologo
solo per lanciargli un’occhiata un po’ obliqua. I
capelli gli ricadevano
davanti agli occhi, contribuendo ulteriormente a nasconderli.
«Sev, mi faresti
il favore di guardarmi mentre ti parlo?» gli chiesi
sforzandomi di mantenere la
voce tranquilla. Con scarsi risultati. Sembrava piuttosto quella di una
bambina
stizzita.
Alzò
la testa e
mi guardò quanto bastava per farmi rimpiangere di averglielo
chiesto. Forse che
non conoscevo quello sguardo? Non avevo fin troppo presenti i suoi
occhi neri,
disperati, tristi?
Sev
non
lasciava quasi mai che le emozioni prendessero il sopravvento, ma i
suoi occhi
lo tradivano sempre.
Ed
erano
un’arma molto più potente contro la mia rabbia di
quanto non lo sarebbero mai
state scuse e giustificazioni.
Non
ero fisicamente capace di restare
arrabbiata
con lui come avrei voluto quando mi rivolgeva quello sguardo. Mi
sembrava che
la mia rabbia, il mio risentimento fossero ben poca cosa comparati al
suo
dolore, alla sua paura.
«Sev,
mi
spieghi di preciso cosa ti ha fatto Malfoy?» chiesi
stancamente, senza più
ombra di stizza. Mi sentivo improvvisamente come se tutto il peso del
suo
sguardo si fosse poggiato sulle mie spalle.
Continuò
semplicemente a guardarmi, senza dire niente.
«Sev,
che ti ha
fatto? È tutto l’anno che va avanti questa storia,
cos’è successo?»
Di
fronte al
suo ostinato mutismo, sospirai e provai a indovinare:
«È come aveva detto
Debbie? Malfoy vi… vi parla e vi incanta con le sue parole,
e siccome ha tanta
influenza sulla tua casa vi sentite in dovere di fare quello che
dice?»
«No»
disse lui,
quasi automaticamente. Poi si morse le labbra. «Lily, non
è… facile.»
«Vedrò
di
essere all’altezza» risposi io inarcando un
sopracciglio.
Abbassò
nuovamente la testa e si appoggiò al muro. Il suo silenzio
era tuttavia in
qualche modo diverso, sembrava
stesse
raccogliendo le idee. Lo lasciai fare, cercando di reprimere la miriade
di
sensazioni che mi invadevano.
Alla
fine
cominciò, reticente e stranamente formale:
«Serpeverde è sempre stata la Casa
più impopolare di tutte
e quattro, lo sai questo, vero?» Senza darmi nemmeno il tempo
di rispondere,
proseguì: «Ciò porta a una
certa… introversione
in noi stessi. La nostra amicizia è strana anche
perché i Serpeverde di solito
non hanno amici fuori dalla loro Casa, né le altre Case
vorrebbero per amico un
Serpeverde. Perciò, come ti dicevo, siamo molto…
sulle nostre.» Fece un
profondo respiro e proseguì: «Lucius… Malfoy
è uno dei Serpeverde più anziani e,
come anche tu hai capito, uno dei più
influenti.» Si morse le labbra. «Quindi prende come
parte dei suoi compiti
anche il far coesistere a livello efficiente tutti i membri della
nostra Casa,
in modo che almeno al nostro interno siamo coesi e siamo quindi
più forti.» Mi
scoccò un rapido sguardo e vedendo che stavo per parlare
aggiunse in fretta:
«Siamo sempre attaccati dall’esterno,
Luc… Malfoy
semplicemente esagera nel reagire e nel prevenire questi
attacchi. Ci aiuta
tutti, è come essere in una specie di squadra, in un
gruppo… con le sue regole,
ovviamente.» Fissò un punto morto e
proseguì: «Non contraddirci gli uni con gli
altri, supportarci sempre, cercare di pensare sempre agli interessi
della
nostra Casa…»
«Come
attaccare
i Sanguesporco, Severus?» chiesi io gelida mentre, non
richiesta, nelle mie
orecchie risuonava la voce di Potter: vediamo
se è già diventato così
ipocrita…
Il
suo sguardo
si incupì e disperò, prima di abbassarsi.
«No. Più che altro… più che
altro
gruppi di… studio… ricerche,
interessi comuni…» Non avevo mai visto Severus
così in difficoltà con le
parole. Non era normale… «Sai,
come
tu con… Lupin…»
Lo vidi contrarre
automaticamente la mascella. «O quella MacDougal, qualcosa
del genere…»
«Malfoy con gruppi di studio con
voi?»
chiesi io inarcando un sopracciglio.
«No…»
Si morse
le labbra e io lo guardai più da vicino. Era davvero
strano tutto quell’imbarazzo, da parte di Severus.
Severus
non era mai imbarazzato con me. La
mia mente pignola cominciò ad elencare le accezioni.
«Lui… monitora, credo
sia la parola. Ci controlla. E sorveglia. E se
ritiene sia necessario ci… aiuta»
concluse, scegliendo con gran cura le parole.
«A
fare i
compiti?» chiesi io ancora più scettica. E urtata.
C’era qualcosa che Severus
non voleva dirmi. Qualcosa che aveva a che fare con questi suoi gruppi
di studio e con Malfoy che non
riteneva
opportuno condividere con la sua migliore amica.
«No…»
Non gli
piaceva la piega presa dalla discussione. Mi chiedevo cosa si fosse
aspettato.
«Ci aiuta… in situazioni… come quelle
con… Potter.
E Black. Prima» disse. I suoi occhi assumevano
sempre una sfumatura più
tempestosa quando anche solo il pensiero di
quei due lo raggiungeva.
Se
pensavo a
tutta la sua filippica sulla solidarietà interna alle case
il discorso filava.
Però non mi era mai venuto che veramente
si
fosse infilato in pasticci così grandi da richiedere
addirittura l’intervento
di Malfoy. Contro Potter e Black?
Un
pensiero mi
colse all’improvviso. «Malfoy aveva già
avuto scontri con Potter e Black?»
chiesi incredula.
Mi
guardò come
se mi fosse sfuggito qualcosa di ovvio. «Luciu…
Malfoy non si scontra con
Potter e Black, non ne ha bisogno.» Mi rivolse una mezza
occhiata. «È un
prefetto. Di solito… aiuta solo a risolvere situazioni come
quella… quella…
quella di oggi.»
Di
nuovo,
sembrava tutto sensato; ma sembravo aver appena sviluppato
una… repellenza alle
spiegazioni sensate. Sembravano tutte mezze verità. Se non
altro, questo
spiegava perché i rubini nella nostra clessidra sembrassero
sempre diminuire un
po’ quando Severus veniva, per così dire,
attaccato.
Angolo
Autrice
Ebbene,
nonostante questo capitolo abbia più di
un anno, sto scrivendo le note dal presente presente.
Non siete anche voi emozionati?
…
…
Potevate
almeno avere la decenza di fingere
eccitazione, io non chiedo tanto -.-
Ad
ogni modo *ehm ehm*
Strascichi
di quanto successo pochi capitoli fa
– dopotutto, per quanto forte, non è pensabile che
Lily esca dalla sua
situazione con Malfoy completamente intonsa. Inoltre, dovevo darle un
motivo
nuovo di zecca per odiare meglio Potter e Black, e la scenetta di cui
sopra mi
pareva quanto mai appropriata, nonché simile a quello che,
sappiamo, andranno
avanti a fare per almeno i quattro anni successivi.
L’incantesimo
Tarantallegra è una fattura di
livello medio-basso, può essere usato anche come fattura
offensiva per
distrarre l’avversario se si è più
esperti, ma siccome qui i nostri pargoli
hanno solo dodici anni la fattura in questione ha provocato solo
movimenti
convulsi da parte di Severus. Molto divertenti se sei un bullo con un
pubblico
da divertire u.u
En
passant, mi piace troppo scrivere di Malfoy
come del viscido codardo che è. Non so, è una
figura che mi ispira, punto.
Soprattutto per dare un’occasione per mostrare le reazioni
più probabili da
parte dei futuri Malandrini, con James e Sirius che ovviamente lo
mandano a
quel paese e Remus che cerca di pacificare i deficienti. Laddove
Severus serve
a mostrare il loro lato più antipatico, quello prepotente e
arrogante, Malfoy
li riporta al loro ruolo più da eroi pazzi. Dicotomia che io
trovo estremamente
interessante.
Altro…
ah, sì, ovviamente Hagrid
conosce sia Sirius che James, mi sembra proprio
il genere di persona che i due farebbero in fretta ad aggraziarsi,
considerando
conoscenze varie e carattere.
E
per la cronaca i dirikawl sono i nostri dodo.
“Sembri un Diricawl bagnato” ho pensato potesse
essere una traduzione
hagridesca del nostro “Sembri un pulcino bagnato”.
E
immagino che questo sia tutto.
Vi
lascio a rimuginare sui “gruppi di studio”
dei Serpeverde e i loro scontri con James e Sirius.
Non
che ce ne sia un gran bisogno, immagino…
Ma
me ne devo andare perché ora che non ho più
freni rischio veramente di fare note più lunghe del capitolo
stesso – sarà che
ho fatto in tempo a riprendermi dall’ultima volta.
Quindi
ora sarà bene ringraziarvi per la
costanza malgrado gli aggiornamenti discontinui e passare a pubblicare
il
capitolo – una volta trovata l’immagine adatta,
ovviamente.
I miei speciali
ringraziamenti, come sempre, ai
29 che hanno messo questa storia fra i preferiti, i 5 che ce
l’hanno fra le
ricordate e i 56 che la seguono :)
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Capitolo 25 *** Capitolo 18 - Stress Pre-Vacanze ***
Prima
Parte, I
Anno
Capitolo
18 –
Stress Pre-Vacanze
Più
Marzo si
avvicinava alla fine, più mi sentivo grata del fatto che
presto ci sarebbero
state le vacanze di Pasqua. Sentivo di averne veramente bisogno: amavo
Hogwarts
ed era veramente stata come una seconda casa per me, ma in quel momento
tutto
quello che volevo era correre alla mia prima
casa e sentirmi dire che mi volevano bene e che tutto andava
per il meglio.
Pasqua
era
sempre stato un periodo che adoravo nella nostra famiglia. Primo,
perché ero
golosissima di cioccolato e i miei nonni mi portavano sempre almeno un
uovo.
Secondo, semplicemente, perché a Pasqua sembrava che niente
potesse andare
storto. Perciò era con discreta esaltazione che aspettavo
quel momento, anche e
soprattutto perché il mio compleanno sarebbe caduto proprio
il lunedì della
settimana di Pasqua, praticamente il primo giorno di vacanza, ed ero
felicissima di poterlo festeggiare in famiglia. In realtà,
ero molto ansiosa di
entrare a pieno termine nella mia adolescenza – tanto ansiosa
quando determinata
a non diventare una classica “oca” come mia nonna
diceva che tutti gli
adolescenti fossero. Per una questione di principio, io non volevo
esserlo. Mi
ripromisi che sarei rimasta semplicemente uguale a me stessa.
La
settimana
che precedette le vacanze parve la vendetta dei professori per il fatto
che
stessimo per andare in vacanza: ci caricarono di tanti compiti che
passai quasi
tutti i pomeriggi in sala comune o in biblioteca a studiare con Severus
e Remus
fino, e a volte anche oltre, l’ora di cena.
Certo,
studiare
con Remus poteva essere distraente: il più delle volte mi
fissavo a guardare il
movimento ritmico con cui si passava un dito nel nodo della cravatta
per
annodarlo mano a mano che la serata andava avanti, o la scrittura
minuta e
precisa con cui scriveva. A essere onesta gliela invidiavo
appassionatamente:
non avevo una calligrafia orribile, ma ero mille miglia lontana dalla
precisione stampata del suo corsivo. In compenso stavo diventando
sempre più
brava a fare la gnorri quando lui si girava verso di me, e il fissare
la
pergamena con aria concentratissima non aveva più misteri
per me. Da quel che
mi dicevano le mie guance, non avevo ancora imparato ad impedirmi di
arrossire,
ma speravo di arrivarci prima di dover dare spiegazioni imbarazzanti.
«Uff,
non ho la
più pallida idea di cosa significhi tutto
ciò» commentò la penultima sera prima
delle vacanze poggiando con forza la piuma sul tavolo e facendomi
sobbalzare.
Lo
guardai da
sopra il tema che stavo scrivendo: aveva le braccia incrociate e una
ruga
profonda fra le sopracciglia, e le sue labbra erano atteggiate in un
adorabile
broncio. Non l’avevo mai visto perdere il controllo a quel
modo.
«Cosa?»
chiesi
interrompendo il mio lavoro.
Si
girò verso
di me, quasi irritato, e sbottò:
«Perché c’è bisogno di un
incantesimo di
torsione per il ginkgo?»
Dovetti
controllare la mia mascella per impedirle di cadere a terra. Remus
sosteneva
ancora di avere problemi in Pozioni, il che io non ritenevo vero, e si
divertiva a scherzare con me e Alice sul fatto che non ne capisse
niente. Non
era mai scattato così solo per una difficoltà
sull’uso di una pianta.
Alice,
di
fronte a me, sembrava pensarlo allo stesso modo.
«Be’, le foglie del ginkgo
biloba sono famose per aiutare la circolazione cerebrale ossigenandone
maggiormente le cellule.»
Guardai
Alice
con un mezzo sorriso: erbologia, sia magica che babbana, era qualcosa
in cui
non aveva minimamente rivali. A parte forse Frank Paciock, difficile a
dirsi –
dopotutto quando parlavano insieme sembrava di ascoltare due
giardinieri in
fase di dibattito.
«E
quindi cosa
c’entra con una pozione per dimenticare? E perché
l’incantesimo di torsione?»
La voce di Remus risuonò come uno schiocco di frusta.
Lo
guardai
ancora più stupita. «Be’, il ginkgo da
solo aiuta la memoria, l’incantesimo di
torsione serve a invertirne gli effetti e quindi permette alla pozione
di
cominciare una reazione chimica che…»
«Sì,
sì, grazie
tante» sbuffò lui incrociando nuovamente le
braccia.
Sia
io che
Alice ci scambiammo uno sguardo incredulo. «Remus, ti senti
bene?» chiese
cautamente lei.
«Benissimo,
perché?» ribatté lui piantandole due
occhi dilatati addosso.
«Sembri…
diverso» dissi io studiando con attenzione i suoi movimenti.
Sbuffò
e si
passò una mano fra i capelli. Sobbalzai: era un gesto
così alla Potter che per
un attimo mi sembrò quasi di trovarmelo di fronte. Poi
però chiuse gli occhi e
trasse tre respiri profondi, tornando ad essere il mio Remus. Quando
tornò a
guardarci, l’ombra dietro il suo sguardo era sparita.
«Scusate, ragazze» ci disse
piano, rilassando i muscoli della schiena. «È solo
che… dev’essere lo stress da
fine trimestre.» Ci rivolse un sorriso un po’
debole e tornò a guardare il
tema. «Tanto non riuscirò a finirlo per
domani» disse all’improvviso
raccogliendo le sue cose. «Meglio che dorma un po’,
così magari domani non sarò
un tale piccolo insopportabile idiota. Buonanotte.»
Io
stavo per
protestare, ma la mano di Alice trovò la mia e me la
strinse, bloccandomi. Nel
tempo che le rivolsi un’occhiataccia, Remus si trovava
già sulle scale del suo
dormitorio e stava superando un Frank Paciock alquanto sorpreso.
Ci
venne
incontro e si sedette sulla sedia lasciata libera da Remus.
«Lo avete
accoltellato con una piuma, quel povero ragazzo?» ci chiese
passando lo sguardo
dall’una all’altra.
«No»
rispose
Alice, indignata per tutte e due. «Non so, stavamo finendo i
nostri temi di
pozioni e d’un tratto gli si è storta la
luna.»
Io
stavo ancora
guardando nella direzione in cui Remus era sparito e quindi mi persi la
battuta
successiva, ma quando Alice sbottò: «Non
è colpa mia se voi maschi siete
soltanto un gruppo di disturbati lunatici!», mi trovai
costretta a girarmi.
«Eppure
non
sono io quello che sta strillando» osservò Frank
guardandola con un misto di
affetto e divertimento.
«È
interamente
colpa tua, Frank Paciock» fu la molto dignitosa risposta di
Alice, che però
stava sorridendo in risposta.
Per
un attimo
rimasero a guardarsi e io, trovando un’occasione per
vendicarmi dei loro
commenti di quasi due mesi prima – e no, non ero
assolutamente una persona che
portava rancore – ne approfittai per commentare:
«Sapete, sareste una
bellissima coppia.»
Ebbi
la
soddisfazione di farli violentemente arrossire entrambi, ma il piacere
di una
loro risposta mi fu sottratto da una voce che dietro di me
commentò: «È
esattamente quello che sostengo anche io, Evans.» Spettinato
come sempre,
immancabilmente accompagnato da Black e Minus, Potter si era
noncurantemente
appoggiato allo schienale della mia sedia e ci stava guardando tutti
dall’alto
in basso.
«Per
inciso,
non è che Remus ha lasciato qui il suo tema?»
s’informò in tono salottiero
Black facendo scorrere lo sguardo sul tavolo. «No,
perché non sputerei in
faccia all’occasione di levarmelo dai
piedi…»
Benedissi
mentalmente Remus e la sua previdenza nel portarsi via il tema.
«Invece di
copiare e fare arrabbiare sia Remus che i professori, non potreste
sforzare
quei quattro neuroni che non sono ancora morti di solitudine del vostro
cervello?» ribattei altezzosamente riarrotolando il mio tema.
Black
mi guardò
con un sopracciglio inarcato. «A volte vorrei che mi fosse
possibile
comprenderti, Evans» commentò storcendo appena il
labbro. «Ma purtroppo non è
così, quindi ti prego di voler risparmiare il
fiato.»
«Allora
lo
porto all’altezza della tua comprensione» ribattei
io bellicosamente inarcando
anch’io un sopracciglio – non potevo certo
permettergli di mantenere il
primato. «Smettetela – di – copiare
– da – Remus. Capito?»
«Concetto
interessante, forma difficile» commentò Potter da
sopra la mia testa.
«E
tu levati
dalla mia sedia» gli dissi alzando lo sguardo verso di lui.
«Na,
ci sto
comodo» ribatté lui appoggiandocisi ancor
più pesantemente.
Alice
alzò gli
occhi al cielo e scambiò un’occhiata con Frank,
che per tutta risposta roteò
gli occhi e sorrise.
Probabilmente
quello mi irritò più del commento di Potter,
perché mi alzai in piedi di scatto
spedendogli, con grande soddisfazione, la sedia nello stomaco e chiusi
con un
colpo secco il libro per dar maggior teatralità alla cosa.
Poi mi voltai a
fronteggiare Potter, che si stava massaggiando lo stomaco.
«Tu ti rendi conto
che solo per pozioni abbiamo un tema sulla corretta preparazione della
pozione
per dimenticare, una relazione sui dodici usi del sangue di drago e tre
capitoli da studiare, vero?»
«Evans,
smettila
di essere così bacchettona» ribatté
tranquillamente lui. «Ti verranno le
rughe.»
Mia
nonna
diceva sempre che prima di rispondere a qualcuno quando si era
arrabbiati era
meglio contare fino a dieci. Non arrivai neppure a sette. «E
tu smettila di
essere così idiota!» gli strillai poco
signorilmente contro. Mi voltai di
scatto dalla sua faccia sogghignante a quella di Black. «E
anche tu, dov’è la
pergamena di Remus, devo copiare questo tema, devo copiare
quest’elenco! Cosa
ci venite a fare qui a scuola, ne avete una qualche idea?»
Udii
vagamente
Alice dirmi qualcosa da dietro ma non ci feci caso, troppo concentrata
a
fulminare con gli occhi Potter e Black. «Non me ne
importerebbe niente dei
vostri casini, se solo riusciste a tenerveli per voi, ma invece dovete
sempre
coinvolgere altri, ed è la cosa più egoista e
disg…»
«Che
cosa
succede qui? Lily, perché stai urlando?» Debbie
era arrivata da dietro di Black
e ci stava fissando tutti con sguardo severo.
Io
mi morsi le
labbra. Non approvavo i metodi di Potter e Black ma non li avrei
denunciati per
principio, non mi sarei mai abbassata al livello di una spia.
«Io…» balbettai
sentendomi le guance andare a fuoco. «Io… stavo
solo…» Il sogghigno di Potter a
pochi centimetri dalla mia faccia incandescente non aiutava.
«È
stata
semplicemente provocata, signorina, è stato tutto
un… un malinteso» mi venne in
aiuto Alice, alzandosi dalla sedia.
«Sì,
è stato
solo un brutto fraintendimento» le diede manforte Frank.
«Vero Lily?»
Passai
lo
sguardo da loro due a Potter e Black. «Ovviamente»
gli sillabai in faccia, per
poi rilassare di nuovo i muscoli e guardare Debbie. «Mi
dispiace, Debbie, ho
perso le staffe, non avrei dovuto…»
«Che
non
succeda mai più, Lily» mi disse lei guardandomi
negli occhi. «Urlare in Sala
Comune non è soltanto sbagliato, è maleducato nei
confronti degli altri ragazzi
che sono qui e che hanno diritto a un luogo tranquillo per
studiare.»
Avevo
gli occhi
lucidi e le guance rossissime, ma tenni gli occhi bassi e sussurrai
appena: «Mi
dispiace, lo giuro, è solo che…»
«Va
bene così,
Lily» disse soltanto lei prima di tornare alla sua poltrona e
ai suoi amici
accanto al fuoco.
Mi
sentivo
negli occhi le lacrime dell’umiliazione e le unghie che mi
ero affondata nel
palmo dall’inizio del rimbotto stavano cominciando a farmi
veramente male.
Mi
morsi le
labbra a sangue e mi girai di scatto a prendere le mie cose, che
scaraventai
senza grazia in borsa, prima di dirigermi in dormitorio.
«Lily…»
mi
chiamò Alice venendomi incontro, ma io la scansai con un
gesto secco e mi
diressi quasi di corsa verso il mio dormitorio, dove Vane e McDonald
stavano
chiacchierando di fronte ad una collezione di smalti magici.
Alzarono
la
testa alla mia brusca entrata. «Evans, vuoi
provare?» mi chiese graziosamente
Vane indicandomi l’ampia gamma di colori a sua disposizione.
«Lasciami
in
pace» fu la mia poco diplomatica risposta mentre buttavo la
borsa sul letto e
mi chiudevo in bagno. Aprii l’acqua del rubinetto per
soffocare il rumore e mi
sedetti sul bordo della finestra, ginocchia al petto, a piangere per il
bruciante senso di mortificazione che le parole di Debbie avevano
lasciato.
Poco
tempo
dopo, sentii bussare alla porta e la voce di Alice mi raggiunse:
«Lily? Lily,
sei qui?»
Mi
immobilizzai
e mi asciugai velocemente le lacrime.
«Lily?
Possiamo
parlarne, dai…»
Mi
strinsi più
forte le ginocchia al petto.
«Lily?
Su, dai,
vieni fuori…»
Mi
morsi le
labbra e sbloccai lentamente le braccia, alzandomi dal davanzale
cercando di
non fare rumore.
«Lily!
Guarda
che vengo dentro io!»
Non
avevo pensato
a quell’eventualità. Mi scervellai in cerca di un
incantesimo che mi
permettesse di bloccare la porta, ma non me ne venne in mente neanche
uno. Ero
più che sicura che ne avessi letto uno almeno una volta, ma
in quel momento
proprio non riuscivo a ricordarmi né la formula
né se avevo mai imparato a
farlo.
«Lily!
Conto
fino a tre!»
Venni
velocemente a patti con il fatto che farmi stanare come una bambina
riottosa
sarebbe stato molto meno dignitoso che aprire la porta di persona, e
lanciai
quindi un’occhiata veloce allo specchio per accertarmi che i
miei occhi non
recassero troppe tracce di pianto.
«Uno…»
Mi
lavai
velocemente la faccia per cercare di far passare il rossore che me li
contornava.
«Due…»
Le
aprii la
porta in faccia sul tre, la tirai dentro prima che potesse reagire e
richiusi
la porta dietro di lei senza neanche preoccuparmi di guardare le
reazioni di
Vane e McDonald. E tanti cari saluti alla dignità salva.
Alice
ci mise
qualche secondo per riprendersi dal brusco cambio di stanza. Mi
guardò incerta
qualche secondo, mentre io contraevo la mia faccia per non mostrare
assolutamente niente. Con scarsi risultati. Una rapida sbirciatina allo
specchio mi mostrò una faccia a metà fra
l’imbronciato e il furioso.
Intanto,
Alice
aveva ripreso fiato. «Senti, lo so che quei tre sono cretini
e che Debbie è
stata ingiusta, ma, davvero, non importa a
nessuno…»
«Ero
solo
stanca» risposi senza convincere nessuno.
Alice
storse le
labbra, probabilmente offesa da quell’insulto alla sua
intelligenza.
Sospirai
pesantemente e mi preparai a rendere la mia recita più
convincente. «Sono
stanca, Alice» ripetei, e siccome non era così
falso non dovetti nemmeno
sforzarmi tanto per far assumere al mio tono una nota strascinata.
«Con tutti
questi compiti, e gli esami che si avvicinano, e…»
«Lily,
agli
esami mancano mesi»
puntualizzò lei.
Risi
debolmente. «Quando hai per amici Sev e Remus è
difficile tenerlo presente…»
Rise
anche lei.
«Sì, quei due insieme devono essere una macchina
da guerra» osservò con un
sorriso. «Insomma, Remus è sempre convinto di non
sapere niente e poi è il
cocco di tutti i professori, e anche Piton… è
sempre così… così concentrato,
come se quello che stesse
facendo fosse la cosa più importante al
mondo…»
Sorrisi
a
quella descrizione molto azzeccata del mio migliore amico.
«Ma
seriamente,
Lily, non dovresti permettergli di stancarti, sei comunque una delle
studentesse migliori della scuola, perfino Jack stava
dicendo…»
«Chi
è… Jack?»
chiesi cercando freneticamente nella memoria un nome da collegare alla
faccia.
Lei
rise di
nuovo. «Certo, Lily, a volte veramente… Jack Boot,
Corvonero del nostro anno.
Non puoi non sapere chi
è, è seduto
tre banchi più in là a
Incantesimi…»
Ci
misi un
secondo per focalizzare un viso appuntito e lentigginoso, non brutto,
ma con ancora
tutta l’infanzia addosso. Era molto bravo a Incantesimi, in
effetti, uno dei
migliori. «L’ho sempre chiamato Boot, al massimo
John, non mi era mai…»
«Ecco,
altro
problema di frequentare due patiti dello studio»
sottolineò Alice con aria
perfida. «Ti perdi tutti i moti sotterranei della
scuola…»
Sorrisi
in un
tentativo di humor. «Per i sotterranei di solito mi affido a
Sev, in effetti…»
La
sua risata e
le sue successive chiacchiere su John/Jack Boot mi informarono che
almeno per
il momento ero salva da una discussione sulle mie reazioni emotive.
Angolo
Autrice
Sì,
lo so che non è affatto cortese tornare
dopo mesi di assenza con un capitolo di transizione. Non è
neppure giusto. Ma
questo è quello che passa per il convento, e
chissà perché per il convento
passa solo quello che vuole passare.
Non
mi dilungherò ulteriormente sulle abitudine
di vari ritrovi religiosi.
Capitolo
non particolarmente ricco, e che non
arriva neppure dove mi aspettavo di farlo arrivare – anche
perché ho cominciato
a scriverlo prima che iniziasse la scuola e l’ho finito,
aehm, oggi, quindi
l’idea originale per giocoforza si doveva modificare.
Se
a qualcuno interessa guardare il calendario
lunare del 1972, anno in cui ci troviamo, saprà che la luna
piena di Marzo era
il 29, ergo Pasqua cadeva il 2 aprile, cosa di cui ci interessa
relativamente,
ma vuol dire che il malumore di Remus è effettivamente, come
ha così
argutamente osservato Alice, dovuto alla “luna
storta”.
Per
i più attenti, il cognome “Boot”
è una
vecchia conoscenza. Se non sbaglio nella versione italiana veniva reso
come
“Steeval” o qualcosa del genere, per resa di nomi
parlanti, ma siccome non me
lo ricordavo e non mi andava di andare a guardare, sono andata per la
versione
inglese e grazie tante.
Ah,
che durante le vacanze pasquali fosse
possibile tornare a casa l’ho dedotto dal fatto che nel terzo
HP i Dursley
pregano Harry di “restare a scuola per le vacanze di Natale e
di Pasqua” e che
nel settimo, se non sbaglio, Ginny non torna più a scuola
“dopo le vacanze di
Pasqua”. Non ho i libri sottomano, non posso citarvi le
pagine ma da qualche
parte c’è, parola di nerd.
Che
altro dire, sono ancora in preda a questa
specie di blocco scrittorio che mi sta consumando le risorse psichiche
e quindi
non posso promettere niente riguardo al prossimo capitolo. Posso solo
dire che
non ho intenzioni di sospendere questa storia fino a quando non si
mostrerà
chiaro che il contrario è una mera presa in giro, ma ho
paura che gli
aggiornamenti continueranno a essere discontinui. Credetemi, sono la
prima a
rammaricarmene.
Intanto, però, ho tutti
i diritti di
compiacermi del fatto che malgrado la mia carenza di disciplina sono
arrivata
per la prima volta nella mia storia di autrice a ben 94 recensioni
totali J Bene, avete appena
fatto di me una scrittrice
felice. Idem con patate per i 32 che hanno messo questa storia fra i
preferiti,
i 6 fra le ricordate e i 61 (61!) fra le seguite.
Applausi!
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