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Sono le sette e trenta di
mattina, il suono di una sveglia, irrompe nel silenzio di un appartamento
assopito.
Una ragazza si sveglia, poggia
rumorosamente la sua mano sulla sveglia, e maledicendo il giorno già alle
porte, si dirige in bagno.
E intanto non sa, che non
sarà, un giorno come tutti gli altri..
*********
-“E tu, chi sei?!”-
-“Nel mio paese, colui che
salva una vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la mia vita ti
appartiene.”-
Non so chi fosse,
non so perché evadeva sempre dalle mie domande, ma provai un tale senso
di protezione nei suoi confronti, che non potei far altro che portarlo via con
me.
“Ricordati di me”,
solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della mente
invecchiata o distratta.
Ma pur sempre una storia d’amore.
aawaa GIORNO QUALUNQUE aawaa
Chap n.1
Eccomi qua questa,
sono io!
Capelli biondi
inesorabilmente lisci, occhiaie profonde e scure ad incorniciare occhi neri e
grandi.
Non sarei poi
tanto male, se non fosse per il grigiore che il mio volto emana riflesso nello
specchio; ma è ancora troppo presto, ed io come al
solito ho dormito troppo poco.
Mi passo
lentamente ancora una mano di fluido idratante sul viso, tirando queste
piccole, impertinenti rughe a “zampa di gallina”, come le chiamano
quei simpaticissimi omini in camice bianco, chiamati chirurghi estetici.
Ok sì, ho
trenta anni, ma non sono poi da buttare!
E’ che mi
piace lamentarmi, penso sia il passatempo preferito d’ogni essere umano;
ma sì, è un po’ il prezzo da pagare per essere stati messi,
a gratis aggiungerei, su questa terra senza arte ne
parte.
Vi starete
domandando chi è colui che ronfa nel mio letto; quel dormiglione
è il mio compagno, Simone.
Siamo insieme da
un anno, ma conviviamo da tempo immemorabile, in quanto siamo stati amici,
molto prima di avventurarci in una storia vera e propria.
Praticamente
comprammo questa casa con i nostri risparmi, convinti che avremmo passato, per
forza di cose, una vita insieme; io sono sempre stata un disastro con gli
uomini, vengo da un passato burrascoso e poco felice, lui invece è
sempre stato uno spirito libero, misogino a tratti, un’
anima costantemente in pena.
All’epoca,
nessuno dei due aveva la minima intenzione di sposarsi, così ci siamo
appoggiati l’uno sulle spalle dell’altra, in nome di una grande
amicizia. Ovvio.
Ci siamo sempre
capiti, compensati, praticamente perfetti nello stare insieme, in senso lato
ovviamente, ma poi l’amore si è messo in mezzo e così, dopo
dieci anni di convivenza e due mesi di fidanzamento, ci siamo sposati.
Bello, romantico,
penserete voi.
Così
è stato, oltre perché ci siamo sposati su una spiaggia caraibica, le cose fra noi andavano a meraviglia.
Andavano, ah
già, ho usato il passato.
Beh sì,
andavano.
E’ un
po’ di tempo che fra noi non va più nulla, ma proprio niente!
Siamo troppo
lontani, sembriamo così distanti, ognuno perso fra le sue cose, ognuno
preso da qualcosa che non siamo noi.
Io vorrei tanto un
figlio, ma il fato proprio non ne vuole sapere!
Ci proviamo da
mesi ormai e quando parlo di specialisti con Simone, si arrabbia ed alza la
voce; questo, non fa altro che aumentare le tensioni fra di
noi.
Che poi, non so
nemmeno se ne sono ancora innamorata; siamo stati migliori amici per
così tanti anni che forse l’affetto, tramutato in amore un tempo,
non era poi così amore come credevo… .
Eccolo, si muove,
si agita,. Quando fa così, sta per svegliarsi.
Adesso
aprirà gli occhi, verdi, profondissimi e tirerà la coperta un
po’ più su, per scacciare via la luce; io gli passo accanto,
afferro la borsa dell’ufficio, ma mi fermo.
Ciocche di capelli
biondi e ribelli, sono sparse sul cuscino. Sembra un angelo.
Capitolo 2 *** L'uomo che viene da lontano (parte1) ***
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RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
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L’UOMO
CHE VIENE DA LONTANOaawaa
(Parte1)
Chap
n.2
-“Buongiorno
Sibilla!”-.
Sibilla,
ho sempre amato il mio nome.
Forse,
l’unica cosa buona che i miei genitori hanno fatto per me.
Chissà
forse mio padre fra una sbronza e un’altra e mia madre tra un anti-
depressivo e l’altro, avevano comunque deciso di lasciarmi qualcosa di
bello.
Sì,
un nome.
-“Buongiorno
Lucia!”-.
Lucia
è la mia collega d’ufficio, condividiamo la stessa stanza, in
questo ufficio stampa di un quotidiano minore della mia città.
Abbiamo
un buon rapporto, mi piace la sua testa matta, concilia un po’ con la
mia, costantemente su di giri.
-“Novità?!”-.
Le passo accanto, prendendo posto alla scrivania.
-“Ti
ha chiamato Bruschi, vuole sapere se accetterai l’offerta per la
pubblicazione del libro. Gli ho detto che lo avresti richiamato.”-.
-“Libro?!”-.
Accendo il computer distrattamente, riflettendo sulle parole della mia collega
“Oh accidenti! Quel libro! Me ne ero proprio dimenticata!”-.
-“Ehi,
ma dove hai la testa?! Fossi in te lo annoterei a caratteri cubitali sulla mia
agenda!”-.
-“Sì,
figurati… dove la trovo io un’idea per un romanzo?! D’amore
poi?!”-.
-“Scrivi
di te! Ti sei sposata con il tuo migliore amico, dopo anni di convivenza! La
gente impazzisce per le storie come la tua!”-.
-“Ah-
ah, brillante idea! E ce lo scrivo che sono a un passo per ritrovarmi gli
avvocati in casa?!”-.
-“Siete
già a questo punto?!”-. Si alza in piedi, porgendomi una tazza di
caffè.
-“Non
proprio. Diciamo che l’uno aspetta la mossa falsa dell’altro per
colpire.”-.
-“Mi
dispiace Lila. Ma trovala un’idea per quel libro; nessuno ti paga per
un’idea al giorno d’oggi! Ed anche profumatamente!”-.
-“Non
so, vedremo…”-.
La
vedo alzare le spalle, girare la sua poltrona e tornarechina a lavoro sul suo pc.
Io
apro la mia posta, do una veloce occhiata alle e-mail, prima d’essere
attratta da uno strano brusio; mi volto, c’è della gente riversata
in strada, sul marciapiede dell’edificio di fronte al nostro, intenta ad
inveire contro al cielo.
Mi
basta alzare un po’ più lo sguardo per trovare una spiegazione a
quelle urla; c’è un uomo, sospeso nell’aria, in piedi sul
cornicione.
Istintivamente
mi porto una mano alla bocca, sfilandomi gli occhiali da vista.
-“O
Dio, ma che fa…”-.
Lucia
mi guarda, girandosi anch’ella verso la strada alle nostre spalle.
-“Sembra
voglia buttarsi… buahhh un altro genio che spera d’ottenere
qualcosa con queste scenette! Che poi, li stanno licenziando in massa
veramente, in quell’ufficio?!”-.
-“Ma
che ne so io! So solo che non può buttarsi!”-. D’improvviso
mi alzo dalla sedia, facendola scivolare contro la scrivania.
-“Sì
che può! Guarda come si sporge!”-.
-“No!
No! No! C’è parcheggiata la mia macchina là sotto!”-.
Non
le do il tempo di controbattere, corro verso l’appendiabiti e vi sfilo la
giacca che mi appartiene.
Mi
vesto di fretta, saltando qualche bottone, agitatamente e nervosamente con la
mano libera apro la porta che da sui corridoi dell’ufficio.
-“Lila!
Lila dove vai?!”-. La voce di Lucia mi richiama, dal fondo.
-“A
salvare la mia auto da quel pazzo e dalle ventiquattro rate che ancora mi
mancano per finire di pagarla!”-.
Rido,
pensando di essere così maledettamente venale anche in un momento
critico.
Simone
mi rimprovera spesso di essere attaccata ai beni materiali, ma lui proviene da
una famiglia benestante, non sa cosa significhi accontentarsi del poco che si
ha.
E
la mia auto, per me è tutto.
Rido
di nuovo, Simone è ancora nei miei pensieri.
Le
porte automatiche dell’edificio in cui lavoro, si aprono non appena la
mia corsa affannosa vi si scontra al limite della soglia; così, finisco
direttamente in strada, senza che me ne sia resa conto.
Alzo
gli occhi, il pazzo è ancora lì.
Da
lontano, infondo alla strada sento delle sirene spiegate avanzare.
Non
ho tempo, se la polizia arriva prima di me, potrò dire addio alla mia
bella macchina.
Mentre
cerco di farmi venire un’idea, scorgo la scala anti- incendio al lato del
palazzo; con una corsa forsennata mi ci porto su, salendo gradino per gradino a
perdi fiato.
Arrivo
in cima alla terrazza che sono stremata.
Annaspo,
piegata in due sulle ginocchia.
“Non ho più
l’età”, penso
mentre mi porto affianco all’uomo del cornicione; mi avvicino cauta, non voglio
spaventarlo e tanto meno provocargli una caduta accidentale.
Non
voglio andare a fare compagnia a mio padre, in carcere.
E
voglio la mia auto ancora intera.
Ma
il tipo mi sente, percepisce i miei passi, la mia paura forse, perché ho
voluto fare l’eroina ma adesso ho davvero una fottutissima paura.
-“Brava Sibilla, sei veramente brava! Adesso
cosa gli dirai per farlo scendere?! E’ una macchina è solo una
stupida macchina, potevi farti gli affari tuoi!”-.
Si
è girato, mi sta scrutando, allora mi fermo, non so come possa reagire;
è un uomo stravolto, ha il viso pallido e scarno, i capelli arruffati ma
le labbra dischiuse in un mezzo sorriso. Sembra mi stia leggendo dentro, sembra
possa udire i miei pensieri.
Ho
paura. Il cuore mi batte all’impazzata.
Restiamo
a guardarci, non posso staccare gli occhi da quella figura così
enigmatica; avrà si e no cinquanta anni, ha delle belle spalle larghe e
l’aspetto impettito come gli ufficiali di polizia che andavano e venivano
da casa mia quando ero piccola.
-“Ah…
finalmente è arrivato qualcuno!”-.
Il
suo intervento mi lascia spiazzata. Strabuzzo gli occhi, scuoto un po’ la
testa, forse non ho sentito bene.
-“Sa,
io non ricordo perché sono qui. Sono felice di vederla qua, signorina.
Lei sa perché sono qui?!”-.
Proprio
come temevo, si tratta di uno squilibrato di prima categoria; sorrido, falsa,
penso, penso a cosa posso dire ad un uomo appeso su un cornicione che non
ricorda come vi è arrivato.
“I
pazzi vanno sempre assecondati!”-. Questo, mi ripeteva sempre mia madre.
Per
questo quando mio padre la convinse che era pazza davvero, si fece rinchiudere
in manicomio.
-“Sicuramente
ha sbagliato strada, magari voleva scendere e non ha fatto caso alle scale
dietro le mie spalle.”-. Non so se regge, ma lui ci pensa, mi sorride.
-“Ci
sono delle scale?!”-. Risponde sbalordito.
-“Sì,
guardi…”-. Gli indico la rampa –“proprio lì,
alle mi spalle! Se vuole, l’aiuto a scendere e ci andiamo
insieme.”-.
-“Ah,
vecchio rincoglionito! Ha ragione Betty quando dice che ho una pessima
concentrazione!”-.
Gli
sorrido, non so chi sia questa Betty, sinceramente sto entrando così
nella parte che Betty potrei essere anche io.
Per
un attimo sembra essere tornato serio, si guarda incerto le mani, poi alza il
volto e mi sorride.
-“Sarebbe
così gentile da dirmi che ore sono?!”-. Lo guardo, non posso
replicare, devo essere accondiscendente.
-“Sono
le dieci e mezza.”-.
-“C’è
una chiesa qui vicino?!”-.
-“Più
di una.”-.
-“Lei
ha tempo per me?!”-.
-“Sono
qui apposta. Prego, mi dia la mano, la faccio scendere e andiamo in chiesa
insieme.”-.
Tentenna
un attimo, poi allunga il braccio verso il mio.
Mi
avvicino in un baleno, pochi attimi e potrebbe deconcentrarsi; lo aiuto a
scavalcare, poi di peso lo tiro verso me.
Mi
finisce fra le braccia, si alza immediatamente arrossendo un po’, poi si
sistema i vestiti.
Lo
tengo per mano, ci voltiamo verso le scale, trovando un mucchio di persone ad
aspettarci.
Lui
mi stringe la mano, poi si nasconde dietro le mie spalle; anche lui non ama la
polizia.
-“Piacere
signora, sono Luisa Miller, psicologa”-. Una donna mi stringe la mano,
venendomi incontro –“complimenti è riuscita a destarlo, io
stessa non avrei saputo fare di meglio!”-.Le sorrido falsamente,
sorpassandola.
-“Signora
deve lasciare una deposizione!”-. Un uomo in divisa mi blocca il
passaggio. Come vorrei essere pazza anche io in questo momento!
-“Senta
non ho nulla da depositare, questo è mio nonno, sa ha qualche problemino
mentale, lo avevo affidato alla badante ma lo sa come sono queste straniere,
sono delle sfruttatrici e basta! Si è distratta e lo ha lasciato solo.
Fortunatamente sono arrivata in tempo.”-.
-“Si
ma…”-.
-“Senta
stiamo tutte e due bene, nessuno si è fatto male per cui non vorrei
farle perdere del tempo prezioso. Questa città è piena di banditi!”-.
Gli sorrido, se convinco anche lui, cambio mestiere all’istante!
-“La
lascio andare stavolta, ma badi che non succeda più. E la straniera,
vuole denunciarla?!”-.
-“Non
si preoccupi starò più attenta. E per la denuncia lasciamo
perdere. Arrivederci!”-.
Lo
supero trascinandomi il “nonnetto” con me.
Questo
mi sorride, sollevato, più sereno di prima; in un attimo, siamo sul
fondo della strada.
La
gente ci fissa, qualcuno batte le mani, qualcun altro prega; ma dura poco, dopo
un po’ tutto torna alla normalità.
Siamo
sotto al mio ufficio, dall’altro lato della strada; lo esorto ad entrare
con me, ma lui resiste.
-“Eludere
la legge è un reato grave. Se io vengo su con lei, quelli mi vengono a
cercare.”-.
-“Ah!
Ma io l’ho salvata! Dovrebbe essere riconoscente!”-. Adesso sono
semplicemente me stessa, Sibilla.
-“Io
non sopporto i luoghi chiusi. L’aspetto qua.”-.
-“Allora
mi aspetti qui, ci metto pochissimo.”-.
Annuisce,
solo allora mi decido a lasciarlo per rientrare in ufficio.
Una
volta entrata, Lucia mi assale di domande.
-“Senti
ti spiego tutto domani, adesso devo andare! Me lo firmi tu il
permesso?!”-.
-“Lila
sicura che è tutto a posto?!”-.
-“Sì,
non ti preoccupare.”-.
-“Senti
stai attenta, ok?! E va tranquilla, il permesso te lo firmo io.”-.
-“Ok,
grazie! A domani Lù.”-.
Quando
esco, sono stranamente felice, contenta.
Sembra
non vedo l’ora di stare con un pazzo; infondo è così, non
so cosa mi abbia fatto, ma voglio aiutarlo, capirlo.
E
sono curiosa, e per un attimo le mie preoccupazioni non esistono più.
Ma
giro l’angolo e di quell’ uomo, non c’è più
traccia. Svanito.
Mi
volto prima a destra, poi a sinistra; lo cerco, fra il vuoto, fra il niente.
Ma
lui se n’è andato.
E
una folata di vento alza polvere nel cielo e la deposita proprio lì,
infondo al mio cuore, lasciandovi una tristezza che non avrei mai saputo
spiegare. Mai.
Capitolo 3 *** L'uomo che viene da lontano (parte2) ***
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L’UOMO
CHE VIENE DA LONTANOaawaa
(Parte2)
Lo
cerco ancora un po’, percorrendo la via per qualche metro, nella speranza
di vederlo; è solo, è stravolto, probabilmente non saprà
neanche dove andare.
E
poi è pazzo. E questo basta.
Però
lo sto cercando, e non so nemmeno chi sia.
Perché
lo sto cercando?! Perché me ne preoccupo tanto?!
Infondo
potrei voltarmi, ritornare al mio lavoro, alla mia vita. Ma non posso.
Ha
bisogno di me, lo sento. Forse, sono pazza anche io.
-“Signorina,
hai idea di quanto mi ha fatto aspettare là fuori?!”-.
Mi sbuca davanti, in mano ha un sacchetto; è della pasticceria
all’angolo, quella dei bignè favolosi.
Lo
guardo, non so che dirgli, mi lascia spiazzata ogni volta!
Però
sono felice d’averlo ritrovato, infattirido e la mano si posa dinnanzi alla bocca, “come
fanno le brave signorine” mi diceva sempre la mia allevatrice,
all’orfanotrofio.
-“Ero
sicura d’averci messo giusto un po’!”-.
-“Eh
no, non lo sa… ora che finisce di dire po’, sono già passati
cinque minuti! Il tempo è tiranno!”-.
-“Però,
vedo che lo ha speso molto bene il tempo in
attesa!”-. Gli indico il sacchetto che stringe
fra le mani, grandi e rovinate, dagli anni o da chissà quale loro
compagno.
-“Sono
biscotti. Vuole?! Betty dice sempre che finirò
per ingrassare come un maiale, prima o poi!”-.
Betty, ancora lei. Chissà chi
sarà mai questa donna.
Ora
che lo guardo bene, ogni volta che nomina il suo nome torna serio; il suo sguardo
ridente si spegne e quegli occhi piccoli si abbassano come una saracinesca,
alla fine di una lunga giornata.
-“Sì
grazie, molto volentieri!”-. Infilo la mia mano esile nel pacchetto, un
biscotto al cioccolato mi riempie il palmo “questi, sono i miei
preferiti!”-. Addento la meraviglia.
-“Vede?!
La vita è un po’ come un pacchetto di biscotti, infila la mano,
pesca quello giusto e tutto ha un altro gusto. Così, chi demorde nella
vita non ha capito che basta sfidare la sorte, per trovare il giusto sapore.”-.
Lo
guardo, cerco di carpire le sue parole.
Il
biscotto si scioglie sulla mia lingua, regalandomi note di cioccolato dolce e
denso.
Mi
fermo pensando ai tempi in cui la mia vita assomigliava a quel sapore; io,
Simone, la nostra vita… era una sfida! Ma eravamo felici, perché
essa ci conduceva alla felicità.
E
quando ho smesso di sfidare la vita, questa ha perso sapore.
-“Ha
ragione lo sa! Credo ne comprerò un sacchetto anche io di questi
biscotti buonissimi, chissà che non mi aiutino
a migliorare le cose!”-.
-“Bene!
Prima però vorrei trovare una chiesa, se non le dispiace…”-.
Ora
cammina più spedito, fatico a stargli dietro, ma quando prendo il suo
passo si ferma, all’istante; si guarda intorno, si
tocca i capelli, poi mi fissa.
-“Forse
è meglio che cammina lei davanti, io non conosco la strada.”-.
Non
riesco a trattenermi! E’ troppo buffo, scoppio a ridere rigogliosamente.
Oh
mamma, se me lo avessero detto che mi sarei trovata in mezzo alla strada, con
un perfetto sconosciuto a ridere così, non ci avrei creduto!
-“Venga
con me!”- Lo prendo sotto braccio, tracciando un nuovo cammino
–“se passiamo di qui facciamo molto prima!”-.
-“Questa
città è molto grande…”-.
-“Come
ogni metropoli che si rispetti. Non c’era mai stato prima?!”-.
-“Betty si perderebbe sicuramente…”-.Sfugge alla mia domanda, perdendosi
ancora fra i suoi pensieri.
-“Oh
sì, è probabile.”-.
Ci
fermiamo; dinnanzi a noi, il parco che costeggia la chiesa si apre in tutta la
sua meravigliosa bellezza.
-“Questa
è la chiesa di S.Patrizio, una delle
più importanti della città, se non la più grande!”-.
-“E’
molto bella, dice che possiamo stare un po’ nel giardino?!”-.
-“Certo!
Anche se credevo volesse seguire una
messa…”-.
-“Oh
no! A quest’ora la mia Betty era abitudinaria
andare in chiesa, così ovunque mi trovo sento
il bisogno d’andarci anche io, così che mi possa illudere di
vederla arrivare come un tempo.”-.
-“Doveva
essere molto speciale questa Betty, se continua a
cercarla a distanza di tempo.”-.
-“L’amavo
molto.”-. Mi risponde serio, ma mi guarda
spiegando un sorriso compiaciuto e sereno, facendomi cenno d’
addentrarci nel parco.
Amavo.
Era.
Anche
lui ha usato il passato. Anche la sua Betty, ERA sua.
Improvvisamente
mi sento così vicina a quell’uomo, i
dolori del mio cuore sembrano meno pesanti, come se fosse più semplice
se a dividerli si è in due.
Camminiamo
un po’, fin che non ci accomodiamo ai piedi di una grande fontana.
Il
sole è alto, crea giochi di luce e riflessi con l’acqua e le
vetrate colorate della chiesa; sembra tutto una festa, anche se
c’è quiete intorno.
-“E
lei, cos’ha nel cuore lei?!”-. Lo fisso
serio, sorrido un po’ disabituata a sentirlo fare domande.
-“Io
veramente non lo so.”-.
-“Ognuno
sa cos’ha nel cuore! Persino lei!”-.
-“Confusione.
Credo d’avere questo nel cuore…”-.
-“Ma
no signorina, la confusione può stare solo qui…”-. Mi sfiora
leggermente le tempie, innegabilmente mi ritrovo a sussultare.
–“perché nel cuore non c’è posto per troppe
cose!”-. Lo sento ridere, la cosa mi da un piacere estremo.
-“Allora
non ho niente nel cuore.”-.
-“Le
persone cattive non hanno niente nel cuore! E lei non assomiglia neanche
lontanamente a una persona cattiva.”-.
-“Come
può dirlo, lei non mi conosce!”-.
-“Non
starei qui, se avessi percepito questo stia tranquilla!”-.
-“Ma
è lei che mi ha portato qui! E non capisco neanche perché…
mi scusi la franchezza.”-.
Parlo
ridendo, ma in realtà sono seria.
Voglio
sapere. Ci sono dentro come non credevo d’essere mai stata dentro, in
vita mia.
E’
un enigma che devo sciogliere.
Una
spiegazione a lui, che mi fa sentire così stranamente serena e appagata.
-“Sì
che lo sa, stamattina lei ha sentito che avevo bisogno ed è accorsa in
mio aiuto. E la strada per questo posto, scusi la franchezza, me l’ha
indicata sempre lei!”-.
-“Lei
è molto furbo… questo non glie lo ha mai detto la sua Betty?!”-.
-“Lei
nel cuore ha sicuramente qualcosa di speciale, perchè è
così forte da mandarle in confusione la mente. Se la liberasse,
sicuramente se ne renderebbe conto!”-.
Glissa
le mie domande, nuovamente.
Le
sue parole mi turbano. Sembra mi scavi nella mente, ogni volta che apre bocca.
Adesso
ho paura.
Ciò
che dice è giusto, ma ciò che dice mi costringe a pensare,
riflettere. Ed io non voglio.
Basta
farmi del male, io non voglio più chiedermi il perché delle cose.
Mi
alzo stizzita, gli urlo contro.
-“Ma
lei chi è?! Perché è qui?! Cosa vuole da me!”-.
-“Si
calmi, non faccia così troverà ogni risposta se libererà
la testa dai pensieri…”-.
Si
è alzato, mi tiene il volto fra le mani, non stringe, è una morsa
delicata.
Sta
massaggiando le mie tempie, piano, metodicamente.
Sento
un fluido scorrermi lungo il corpo, dentro le vene che pulsano forte.
Chiudo
gli occhi, mi lascio andare.
Il
mio corpo è elettricità, immagini confuse della mia vita si
rincorrono fra loro, giocando a una lotta senza armi.
Mi
lascia andare.
Riapro
gli occhi. Lo guardo intensamente nei suoi.
-“E
tu chi sei?!”-. Parlo sussurrando, a fil di voce.
-“Nel
mio paese, colui che salva la vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la
mia vita ti appartiene.”-. Parla piano anche
lui, il suo tono non è più informale.
-“Vieni
da molto lontano, perché io questa legge non l’ho mai
sentita.”-. Sorride.
-“Sono
ciò che vuoi farmi essere, non preoccuparti delle forme. Ascolta e fai
ciò che senti! Anche se tu hai sentito, che io avevo bisogno di te.
Sibilla.”-.
Sibilla.
Ha pronunciato il mio nome imperiosamente.
Ma
lui come conosce il mio nome?!
Tremo.
Adesso sì che ho davvero tanta paura.
Ma
lui mi accarezza una guancia, amorevolmente; con il meno indica il cartellino
identificativo dell’ufficio, appeso al colletto della mia camicia.
Lo
guardo sospirando, dandomi della scema.
-“Io
sono l’uomo che viene da lontano, non un indovino…”-.
Lo
abbraccio, istintivamente. Mi sento meglio.
Ricambia
il mio abbraccio, massaggiandomi dolcemente i capelli.
Odora
di buono. Di sapienza. Di mistero.
-“Sì
è fatta ora di andare a casa. Sono molto stanca.
Vieni…”-.
Gli
allungo la mano. Annuisce.
Non so chi fosse, non so perché evadeva sempre dalle mie
domande, ma provai un tale senso di protezione nei suoi confronti, che non
potei far altro che portarlo via con me.
Prima di cominciare,
vorrei ringraziare MALKONTENT per la
sua recensione!
Sono molto contenta che
la fic ti piaccia, a dispetto di tutto sono molto euforica per questa storia e
trovare qualcuno che condiva questa euforia, mi va alla grande ^_-
Continua a seguirmi se
vuoi! ^_-
MICHELLE che
gioia ritrovarti! Mi fa sempre piacere leggere le tue recensioni!
Ebbene sì,
rieccomi qua ^_^
Io proprio non ci riesco
a stare lontana da questo sito ! ^-^’
aawaa COLPA,
AMORE E PREGIUDIZIOaawaa
Camminiamo di
fianco stavolta, lui mi sfiora la spalla con la sua; sembra il mio
proseguimento e mi diverte guardare le nostre due ombre mischiate fra loro!
Siamo
stranamente silenziosi, non una sua pillola di saggezza, non una mia domanda
evasiva. Nulla.
Ma nel
silenzio c’è complicità, perché io lo sento, sento
il suo respiro incerto e lo sfrigolio del tessuto della giacca contro i suoi
fianchi, che scandisce alla perfezione il rumore dei suoi passi.
E quindi non c’è
solitudine nel silenzio, perché io sono sintonizzata sulle sue
frequenze.
-“Abiti
molto lontano?!”-. Mi fa lui,
nel pieno del silenzio.
-“Non
molto, siamo quasi arrivati.”-. Vorrei domandargli perché, ma
tanto so già che non risponderebbe. Sorrido.
-“Quando
ridi, il volto si rilassa e ti scopre due fossettine adorabili proprio
qui…”-. Si stava toccando le guance, picchiettando leggermente,
-“Anche Betty le aveva. Era molto bella sai?!”-.
-“Mi
piacerebbe tantoconoscerla questa
Betty!”-.Gli dico con entusiasmo
infantile, poi dinnanzi a una vetrina mi specchio, controllando le mie
fossette; anche Simone le adorava.
Adorava,
sì.
Ora quando mi
passa affianco sembra neanche notarmi; il suo sguardo o mi trapassa o mi
schiva.
E non è
certo esaltante come cosa, dopo tutti i soldi che spendo in cure di bellezza e
cosmetici!
Oh mio Dio,
sto ironizzando su me e Simone; devo essere impazzita….
-“Dai
entra! Non restare lì impalato!”-.
Siamo sul
pianerottolo di casa, la porta è spalancata ma lui resta fermo sull’uscio.
Tentenna,
sembra impaurito. Allora lo prendo per mano, trascinandolo dentro.
-“Questa
è casa mia!”-. Faccio una leggera piroetta su me stessa; vado
molto fiera del mio piccolo e modesto nido! La verità è che
Simone mi ha lasciato arredarla secondo il mio eccentrico e variegato gusto,
lasciandomi libera di fare e strafare, perciò ne vado fiera, è il
riflesso della mia personalità dalle pareti ai mobili!
–“Mettiti pure comodo, vado a preparare un buon caffè.”-.
-“No
caffè no, mi rende nervoso.”-.
-“Beh
anche a me a dire il vero…”-.
-“Un the
però lo gradirei. Grazie.”-.
Gli sorrido
annuendo e recandomi in cucina; le chiavi di casa e il sacchetto di biscotti che
ho comperato, scivolano sul tavolo in legno chiaro.
Sulla dispensa
c’è un biglietto per me: “Stasera torno tardi, ho la
partita di calcetto e sicuramente te n’eri dimenticata! Possibile che in
ufficio non ti trovo mai? Un bacio, Simone.”
Lo stacco via,
con forza e frustrazione; no! Le sue maledette partite di calcetto preferisco
rimuoverle dalla testa, soprattutto perché stanno rubando del tempo
prezioso da passare insieme, ultimamente. Non fa altro che scappare, neanche
avessi la peste.
Il foglietto
vola nel cestino, senza neanche troppi preamboli.
Apro il frigo
e verso nei bicchieri un po’ di liquido rosastro, vagamente simile a the
alla pesca; ritorno in sala e lui è affianco alle mie foto, le guarda
teneramente, incuriosito da quei volti, da quelle espressioni.
-“Quello
è Simone. Non so per quanto tempo ancora, comunque è mio
marito!”-.
Si gira nella
mia direzione, puntandomi i suoi occhi neri addosso; uno sguardo strano,
d’ammonimento e duro.
Mi sento
imbarazzata, mi siedo cercando di nascondere le mie gote arrossate fra i
capelli folti.
-“In
buona e in cattiva sorte… una formula recita così.”-. Si
siede anche lui, ma nel farlo mi rifila una sua, neanche tanto sua, predica.
-“Più
che una formula a me servirebbe una ricetta d’amore!”-.
-“E per
fare cosa?! L’amore non è un testo scritto su un foglio di carta.
E lì servirebbe a poco comunque.”-.
-“La
situazione non è così semplice, io non so neanche perché
l’ho tirato fuori questo discorso. Scusami ma non voglio
annoiarti.”-.
-“La tua
testa è così piena di pensieri inutili che hai annebbiato il
cuore, gli hai fatto dimenticare come funziona!”-.
Ancora con la
storia del cuore annebbiato; potessi farmi delle lastre al momento le farei!
Sono proprio curiosa di vedere se il mio cuore è così malandato
come dice.
E se lo fosse,
quale medicina sarebbe meglio prendere; lasciarsi o restare.
-“La colpa
non è mia, vorrei lo fosse ma non credo lo sia.”-.
-“In
amore non ci sono colpe ma solo errori, che si possono evitare se
vuoi.”-.
Alzo le
spalle, scuoto un po’ il capo in cerca di afferrare questa sua ultima
saggezza sull’amore; non ci sono colpe, possibile?!
Se scorrono le
diapositive della mia storia con Simone, io vedo solo una serie infinita di
colpe, errori certo sì, ma che conducono per forza di cose a un
colpevole, piuttosto che ad un altro.
Io stessa mi
sento la colpevole di questo naufragio e Simone è il mio errante.
Se non mi
avesse voltato le spalle, io non lo eviterei.
Allora sarebbe
meglio lasciarsi.
E così
che inizia la fine. Tremendo gioco di parole, tremenda verità.
-“Stai
ancora pensando?!”-.
Stacco gli
occhi dalle foto, lontane, sul mobile in noce.
Annuisco,
giocando a far scivolare il dito sul bordo liscio del bicchiere.
-“Perché
pensi?! Prenditelo l’amore che vuoi!”-. Comincia a giocare
anch’egli col bicchiere, seriamente concentrato –“voi ragazzi
di nuova generazione non sapete quanto siete fortunati. Avete tutto a portata
di mano, eppure neanche questa fortuna vi fa capire che alle volte anche un
piccolo gesto può bastare.”-.
-“Ma chi
te lo fa fare di perdere tempo con i miei problemi?! Guarda te l’ho
detto, lascia stare.”-.
-“Tu
perché hai perso tempo con me?!”-.
-“Non lo
so. Ma non credo di aver perso tempo, questo sì.”-.
-“Idem.”-.
-“Ma io
sono io, sono Sibilla. Tu invece chi sei?! E perché non rispondi mai a
una domanda?!”-.
-“Odio i
quiz.”-.
-“O hai
paura d’affrontare un discorso?!”-.
-“Non c’è
niente di timoroso nelle parole, è scoprirsi che fa paura. Ora ti ho
risposto.”-. Ride, beffardo.
-“Se
avessi avuto paura di scoprirti, non mi avresti seguito.”-.
Mi guarda
enigmatico, si sistema i capelli, ricci e nero corvino.
Ha qualcosa di
affascinante la sua presenza; mi incute paura e mistero, ma allo stesso tempo
gaiezza e sicurezza.
Sibila
qualcosa, ma non afferro una sola parola; il rumore metallico delle chiavi che
girano nella serratura, ha distorto il silenzio.
Dopo pochi istanti,
Simone appare sull’uscio della porta.
-“Ciao
Lila.”-. Grida credendomi lontano da lì, poggia il suo borsone
accanto al divano –“partita rimandata!”-. lasciandosi cadere
giù, dando le spalle alla sala, ignaro di tutto.
Allora mi
alzo, gli vado vicino.
-“Sono
qui, non devi per forza gridare!”-.
Fa leva sulle
braccia, con una faccia curiosa si alza.
-“Oh..”-.
Si alza in piedi di botto, arrossendo appena accortosi di un’altra
presenza in casa –“ oh scusa! E mi scusi anche lei, non
l’avevo vista!”-. Si avvicina al mio uomo del mistero,
stringendogli la mano.
-“Simone.”-.
-“Piacere.”-.
Piacere. Solo
quello. Simone lo guarda aspettando un nome, un aggettivo o qualsiasi altra
cosa servisse ad appellare quell’uomo, ma non ottenendo risposta sorride
falso dirigendosi in cucina.
Ovviamente mi
fulmina con lo sguardo.
Se sapesse che
è tutta la mattina che cerco di farlo parlare, avrebbe poco da
fulminare!
Mi scuso, e lo
raggiungo.
-“Possibile
che delle tue partite non possa fare a meno?!”-. Gli sussurro stando ben
attenta a non farmi sentire.
-“Mi
sembra d’averti appena detto che è stata rimandata. Chi è
quello?!”-.
-“Simone
è il principio! Mi avevi promesso di passare un po’ più di
tempo insieme!”-.
-“Sibilla
mi dispiace, lo sai quanto ci tengono i ragazzi alle partite del lunedì
sera! Insomma, chi è quello?!”-.
-“Ah
sì?! E a quelle del mercoledì?! A quelle del sabato?! Anche a
quelle tengono?! A me invece chi ci tiene?!”-.
-“Non
farne una tragedia adesso! E poi anche tu sei occupata, o mi sbaglio?! Ma chi
è quel tipo me lo dici sì o no ?!”-.
-“Ma che
ne so io!!!”-.
-“Dovevo
avvertirti lo so. Ma questo chi è, l’uomo del mistero che non si
può sapere come si chiama?!”-.
-“Simone,
io non lo so.”-.
-“Ah
bene. Abbiamo un uomo in salotto che non solo non si presenta, non sappiamo
nemmeno chi sia! Sibilla, sei impazzita?!”-.
-“Non lo
so davvero.”-. Adesso mi guarda serio, mi stringe le spalle mettendomi a
sedere.
-“Chi lo
ha fatto entrare?!”-.
-“Io.”-.
-“Ecco,
allora lo sai chi è.”-.
-“Simone
non è così semplice la questione.”-.
-“Spiegati
allora, però aspetta”- prende una sedia venendomi di fianco
–“fammi sedere perché ho come la sensazione che non sia una
storia molto felice.”-. Ride, e la sua risata mi da ai nervi.
-“Ma di
che ti preoccupi, scusa! Non è mica un mostro!”-.
-“Ma se
hai detto che non lo conosci!”-.
-“Non
conosco il suo nome, ma non credo sia pericoloso.”-.
Lo vedo
fissare i suoi occhi verdi nei miei.
Non sta
capendo, sbuffa, prendendosi il volto fra le mani.
Odio quando mi
guarda così, nei suoi occhi vedo scorrere pensieri innominabili; forse
penserà che sono pazza, con tutte le mie incoerenze, le mie follie.
Odio pensare
che pensi che io sia pazza.
Allora mi
caccio qualcosa di bocca, strozzando qualche parola qua e là, per farle
divenire più corpose poi, quando gli racconto tutto dell’uomo del
mistero.
-“Non sa
dove andare, allora l’ho portato qui. Ecco tutto.”-.
Scuote la
testa, ridendo falsamente, ironico e arcigno.
Si alza in
piedi, tirando la sedia via, con un colpo secco.
-“Cioè
vuoi dirmi che ti sei portata dentro casa un pazzo suicida, che sembra
raggirare ogni tua domanda sensata, rifilandoti pillole di saggezza, solo
perché non sa dove andare?! Sibilla, tu non stai bene…”-.
-“Ti ho
già detto che non è cattivo.”-.
-“Ma tu
che ne sai!”-. Alza un po’ la voce, gli intimo di abbassarla, ma
prosegue senza darmi ascolto –“ per me può anche essere un
maniaco, uno stupratore, uno psicotico! Ma poi ti sei bevuta il cervello?!
Eludere la legge, portarlo qui, lo sai che se quello fa una cazzata ci passiamo
di mezzo?!”-.
-“Adesso
smettila! Mi stai facendo paura!”-. Mi alzo dalla sedia anche io,
giocando nervosamente con le mani –“Te l’ho detto, non
è cattivo.”-.
-“E vuoi
tenerlo qui magari?!”-.
-“Ma
sì, per una notte, almeno fino a quando non gli trovo una sistemazione
adeguata.”-.
-“Dovevi
lasciarlo dov’era! Tu non sei la sua badante!”-.
-“Ma
come fai ad essere così egoista?! Come riesci a fregartene sempre e di
tutto e di tutti?!”-.
-“Lo fai
apposta eh?!”-. Ride, mordendo una mela –“dai, dillo che lo
fai apposta. Tu vuoi farmi pagare il fatto che non sto con te, che non ci metto
impegno, che non riesco a darti il figlio che vuoi… ammetti che questa
è la tua punizione, perché io non posso credere che tu sia
arrivata a questi livelli!”- poi la getta via, tornando a urlarmi in
viso.
Lo guardo con
disprezzo, rabbia, indignazione.
Come
può pensare una cosa simile. Come ?!
-“La
verità è che un vecchio pazzo ha avuto pietà di me, uno
sconosciuto! Tu che vivi con me da una vita, che mi conosci meglio di chiunque
altro, tu, mi hai abbandonata, lasciata sola.”-.
-“Un
vecchio pazzo, sì. Ma la tua vita è così, se uno non
è squilibrato non riesce ad arrivare a te.”-.
Sento gli
occhi inondarsi di lacrime, lo guardo scuotendo un po’ il capo, ferita
come solo il marchio a fuoco della brutale verità, può fare.
Lo vedo
portarsi una mano alla bocca, allungarmi le braccia, chiedermi scusa; ma il mio
corpo si divincola, si dimena da quelle braccia che non sente più
familiari e scappa.
Via, lontano.
Fuori di là, fuori da quella casa.
Passo veloce
dinnanzi al mio uomo del mistero, che mi guarda afflitto, dispiaciuto.
So che ha
sentito, mi fermo un attimo ricambiando quegli sguardi.
Ma il dolore
è troppo, non resisto, non riesco a trattenere quel dolore animale.
Apro di getto
la porta e mi butto fra le scale.
Adesso non
importa chi è il colpevole o qual è la colpa. Adesso
l’importante è fuggire.
Fteli, ti ringrazio moltissimo per aver lasciato un
segno del tuo passaggio!
Spero di ritrovarti
presto!
Michelle come
sempre sei troppo carina e gentile, ti ringrazio per aver giudicato le mie
storie bellissime!
Malkontent ti dico che tu sei volata fra le mie recensitici preferite Invece ^_^ ; hai colto nel segno lo spirito della storia, ed è
sempre un piacere quando accade per chi le scrive!
aawaa RICORDI aawaa
Chap n.5
La sera
è appena calata, mentre corro per le strade vuote della mia città
posso sentire l’odore forte dell’umidità, entrarmi nelle
narici.
E’ un
odore forte, che penetra in fondo, come certi dolori.
Che non vanno
via certo con il levar del sole.
Mi perdo di
vicolo in vicolo, lasciandomi inghiottire da quell’ assurdo
silenzio, rotto solo dal rumore pesante deimiei passi; tutto ciò che vorrei
adesso è farmi inghiottire da un buco nero.
Ma cosa
succede al mio corpo?!
Sento che
è andato avanti nella sua folle corsa disperata, ma la realtà
è che è trattenuto da una forza violenta, proprio dietro le mie
spalle; mi volto, quell’uomo mi ha seguita.
E mi ha presa,
per una manica. Stringe.
Mi tiene
ferma, vorrei continuare, ma sono stanca non riesco ad oppormi.
Allora mi
lascio andare, e il mio peso gli finisce contro; ma non mi scansa, nemmeno quando gli batto forte i pugni contro il petto,
nemmeno quando il pianto si fa isterico e singhiozzante.
Lui mi tiene
lì, ferma fra le sue braccia.
-“Ogni
lacrima è una perla restituita alla terra e tu sei preziosa come quella
pietra che porti negli occhi, bimba mia.”-. Mi sussurra dolcemente in un
orecchio, carezzandomi i capelli.
-“Oh mio
Dio! Sono ridotta proprio male…”-. Ho smesso di piangere, per un
momento credo di sentirmi meglio, merito sicuramente delle sue parole e il suo
calore –“ se mi hai seguito, singhiozzante, in una strada buia!
Devo farti proprio pena…”-.
-“Sai
chi mi faceva davvero pena?!”-. Mi guarda,
aspettando risposta.
-“No.”-.
L’accontento.
-“Chaki,
il mio cane! Ma poverino, lui era ceco e zoppo!”.-.
-“Ma tu
ne sai una più del diavolo…”-. Scuoto il capo, ridendo.
-“Non ho
sessanta anni per niente!”-.
Fregato!
Lo guardo
negli occhi, bene- bene, sa di aver scucito un pezzo di se, per questo ride
anch’egli.
Mi prende per
mano, conducendomi nell’antro di un giardino alle nostre spalle; uno
degli innumerevoli, della mia città.
Lo seguo, in
silenzio, perché ormai lo so che con lui non servono troppe parole.
Entriamo,
timorosi e silenziosi. Complici.
C’è
un odore buono, d’aranci, velato appena- appena.
Questo odore
mi è familiare, riporta indietro la mia mente a una sera lontana-
lontana…
Faccio mia
questa fragranza così dolce e rasserenante, lasciandomi condurre in una meritata quiete e pace.
Ma dura poco,
ci fermiamo dinnanzi ad una terrazza, da dove si scorge un crepuscolo di
città non ancora addormentata, piena di luci piccole ma scintillanti;
ora ricordo!E non posso far altro
che lasciarmi andare in un sospiro estasiato, accompagnato da qualche lacrima
che dispettosa comincia a rigarmi il volto.
-“Mi
dispiace.”-. Mi fa d’un tratto, appoggiando la sua mano sulla mia,
come se avesse capito.
-“Romantico
vero?! Diceva che questo era l’unico posto
veramente meritevole, dove poteva chiedermi di sposarlo. Non avrei mai pensato
di tornarci un anno dopo, sola.”-. E giù ancora lacrime, e
giù ancora singhiozzi.
-“Ma tu
non sei sola, Sibilla.”-.
Tenta di
abbracciarmi, ma mi divincolo.
Infondo chi
è lui, per dirmi che non sono sola?!
Lui è
entrato da poco meno di un giorno nella mia vita, e pretende di sapere come mi
sono sentita in questi mesi?!
No, nessuno sa
quanto è brutto il declino di una storia d’amore, se non ci si
ritrova dentro.
-“Tu non
sai niente di come mi sento io. Niente!”-. Improvvisamente mi ritrovo ad
urlare.
-“Sento
la tua disperazione e questa diventa la mia!”-.
-“Ma
cosa vuoi da me?! Sai, Simone ha ragione a direche sono una
pazza! Ha ragione quando dice che mi contorno di
pazzi!”-. Mi allontano un po’, da quel posto, da lui.
-“Tu
devi dirmi cosa vuoi da me! Sei tu che hai deciso di metterti in contatto con
me stamattina! Mi hai portato con te, nella tua casa, nella tua vita! Io lo so
perché sono qui ora, adesso tocca a te scoprire perché anche tu
ci stai. ”-. Maledico i suoi giochetti verbali, mi adiro, stringo i pugni
non volendo ammettere la verità.
-“Sono
stufa di parlare per enigmi, sai che ti dico?! Che me
ne vado. Addio. Ciao!”-.
Sono in preda
ad una vera e propria crisi di nervi, credevo che la sua presenza mi aiutasse
in qualche modo a non pensare, ma adesso la sento pesante, asfissiante.
Lui dice il
vero, dice sempre il vero e la verità adesso è ripugnante, la
rifiuto, la rinnego.
-“Scappare
non ti serve a niente, Sibilla.”-.
-“Non
pronunciare più il nome, se non sono degna nemmeno di sapere il
tuo!”-.
Cammino
svelta, cercando di allontanarmi il più possibile dal parco, dal buio
per raggiungere finalmenteun’uscita.
-“Victor.
Mi chiamo Victor.”-.
Sento che si
ferma, le foglie cadute in terra non sfrigolano più sotto ai suoi passi;
allora mi fermo anche io, so che questa è una prova di fiducia.
Lui ne da un po’ a me, ed io non scappando ne do un
po’ a lui.
-“Bene!
Un intero giorno per sapere il tuo nome… non oso immaginare i mesi che ci
vorranno prima che tu mi dica qualcosa della tua vita! Comunque non è un
male, ho tutto il tempo del mondo, nessuno mi aspetta!”-. Incrocio le
braccia, imbronciata.
Ride.
All’inizio penso mi stia prendendo in giro, poi lo vedo piegarsi su se
stesso e trasformare la sua risatina in qualcosa di rigoglioso e spumeggiante.
Mi piace il
suo modo di ridere, d’un tratto mi sembra sia ritornata anche la mia
attrazione verso la sua figura.
-“Scusa,
cosa hai da ridere?!”-.
-“Nulla,
sei davvero divertente.”-.
-“Fantastico!
Accorrete gente, abbiamo la giullare del
parco!”-.
Questo lo fa
ridere ancora di più.
-“Ah…
va al diavolo!”-. Lo mando a quel paese agitando le
bracci al cielo, sconfitta e derisa mi allontano di nuovo.
-“E se
ti dicessi che ci sono già stato?!”-. Mi
rincorre e riafferra da dietro, di nuovo.
-“Ti
crederei.”-. Lo guardo nel profondo degli occhi, riesco a leggere anche
nella sua anima.
-“Aiutami
Sibilla. Io ho bisogno di te.”-.
-“Io non
so che fare…”-. Sussurro, lo vedo tremare, socchiudere gli occhi
per poi riaprirli e buttarli in un punto lontano, dinnanzi a se.
-“Ecco,
credo sia venuto il momento di parlarti di Betty…”-. Allenta la
presa, gli sento la mano scivolare piano, lungo il fianco.
Lo fisso,
adesso sorrido appagata e felice.
Lo prendo
verso me, ci sediamo su di una panchina e occhi negli occhi, comincia a
parlare.
Piano, lento,
concitato e maledettamente ipnotizzante.
Mi racconta la
sua vita, e i brividi saltano sulla mia pelle come biglie impazzite.
Dice di venir
da lontano, un paese sperduto nella steppa americana ,
a metà tra far west e villaggio indiano.
La sua era una
famiglia numerosa, di povera gente umile e lavoratrice; viveva con la madre e
le sorelle, lui era l’ultimo di quattro figli.
La loro
situazione non era delle più felici, e quando sua madre morì di
tubercolosi lui e le sue sorelle vennero sbattuti in
collegio.
Suo padre,
vecchio ubriacone molesto, li abbandonò sperdendosi per il vasto
continente. Victor dice di essere sicuro che quell’ anima così
crudele ancora è in vita, dice di sentire ancora le sue urla la notte,
quando è solo e non riesce a dormire.
Aveva sette
anni, quando finì in un istituto per ragazzi orfani; mi si stringe il
cuore, anche io avevo la sua stessa età quando
fui “spedita” in collegio. Coincidenze, terribili.
Lì,
conobbe la “sua” Elisabeth. Betty.
Furono da
subito, dal primo sguardo, inseparabili.
Betty era la
sua migliore amica, compagna d’avventure, di piccole marachelle, complice
nell’aspro destino che la vita aveva scelto per loro; soli, piccoli,
senza l’affetto dei genitori.
Victor la
descrive come una graziosa bimbetta dai lunghi boccoli rossi, carattere vivace,
risata gaia.
Una bellissima
bambina, trasformatasi poi negli anni, in una bellissima donna; passarono parte
dell’adolescenza fianco a fianco, fra libri di scuola, pic-nic sotto alle
fresche fronde di salici piangenti condividendo sempre la stessa aria.
Erano legati
da qualcosa di magico, il loro rapporto era vivo, scherzoso, fraterno quasi.
Ma più
Betty cresceva, più diventava emblema di desiderio; la sua bellezza era
acerba, inviolata, condita da una grazia e portamento innato, per non parlare
poi della sua intelligenza acuta, vispa.
Il passo verso
l’innamoramento, fu quindi breve.
Non mi
racconta se fosse mai stato ricambiato o meno, parla
di questo amore come qualcosa di platonico, astratto a tratti.
La vedeva come
un angelo al quale non avvicinarsi troppo, per non rischiare di sciuparlo o
contaminarlo.
Ma come nelle
migliori favole d’amore, il destino si mette in mezzo ricamando la sua
triste trama; Betty venne adottata da una famiglia
d’alta borghesia che la portò via con se, in Europa.
L’ultima
volta che Vic la vide, aveva diciotto anni, il sogno di diventare medico e di
rincontrarsi prima o poi, da grandi.
Fu distrutto
dalla sua partenza, non solo se ne andava via una parte importante della sua
vita, ma si ritrovava ancora una volta solo.
L’unico
sostegno della sua triste e infelice vita se ne stava andando per sempre
Non aveva
più nulla percui restare, quindi, fece domanda per l’esercito e si
arruolò.
Pilota
aeronautico; almeno aveva la possibilità di girare il mondo in lungo e
largo e far diventare il sogno che portava nel cuore, di rivederla, una
certezza fantastica.
Inutile dire
che di lei, non ebbe più alcuna traccia.
Betty venne ingoiata in un futuro che cancellava con un colpo di
spugna il passato dell’infanzia, dei pic-nic sotto agli alberi e delle
risate adolescenziali.
-“Chissà
se la rincontrerò mai…”-.
Finisce il suo
racconto con questa speranza, fra i miei occhi lucidi e il silenzio del parco
addormentato.
-“Tu
devi aiutarmi a ritrovarla.”-. Mi fa, distendendosi piano sulla panchina.
E’ tutto rannicchiato, mi fa tenerezza guardarlo afflitto e sconsolato
–“sono stanco di girare per il mondo.”-.
-“Farò
tutto il possibile, credimi.”-.
-“Sibilla
se tu mi aiuterai, io aiuterò te. Ma adesso è meglio se
vai… Simone si starà preoccupando.”-.
-“Non lo
so.”-.
-“Sarà
dispiaciuto per quello che ti ha detto, non farlo preoccupare oltre, va da lui
e digli che tutto si risolverà per il meglio.”-.
-“E se
così non fosse?!”-.
-“Fa che
sia così. Non perdere il tuo amore Sibilla, non farlo anche tu.”-.
A questo
punto, non so più che dire, mi alzo dalla panchina, sistemandomi alla
meglio; lo scruto, rimane fermo immobile a guardare il cielo sopra la sua
testa.
E’ un
bel vedere, ma non posso immaginare che voglia rimanere qui.
-“Ti
prego, vieni a casa con me.”-.
-“Avete
bisogno di tranquillità e armonia, bambina. Io sto qua, non mi
può succedere nulla! Sono già morto da un pezzo…”-.
-“Sì
ma…”-.
-“Ci
vediamo domani. Buonanotte.”-.
Non ho mai capito bene cosa intendesse con
l’aiutarmi., io non avevo mai chiesto il suo
aiuto, certo infondo al cuore
sapevo di volerne un po’ anche io, ma non avevo mai osato chiedere.
Ma lui sapeva, lui ascoltava le mie frequenze, non
aveva bisogno di sentirsi dir nulla, perché dare, poi il tempo me ne
dette atto, era il suo bellissimo compito.
Spero di non deludere le
tue aspettative, intanto ti ringrazio per aver lasciato un commento.
kiss
aawaa NUVOLE E
LENZUOLAaawaa
Chap n.6
Esco
dal parco piuttosto preoccupata per Victor; lasciarlo solo, abbandonato a se
stesso, mi fa sentire tremendamente in colpa.
Forse
c’è riuscito davvero, forse ha avuto ragione anche su questo; sto
cominciando a fare mia la sua vita, la sua storia, e questa mia preoccupazione
è il chiaro sintomo dell’attaccamento inspiegabile, che continuo
ad avere nei suoi confronti.
Ma
adesso forse, un motivo c’è.
Lui
è così simile a me, il suo passato è corso veloce su una
linea molto uguale alla mia.
Ed
io lo so cos’è quello sguardo sempre triste e vago che lo
caratterizza ed io so perché è così difficile fidarsi del
prossimo; sguardo di un bambino che ha visto i suoi genitori strappati dalla
sua vita, sguardo speranzoso di rivederli ancora una volta, sguardo di un uomo
che ha perso l’amore, diffidenza verso il prossimo per timore di essere
abbandonato nuovamente.
Ma
lui si è fidato di me, ed io certo non posso abbandonarlo.
Fra
un pensiero e l’altro, mi ritrovo sotto casa, senza accorgermene.
Esito
a salire, provo un innato senso di paura e vergogna; sono scappata, come faccio
sempre da una vita, con lui.
Anche
stavolta non ho avuto il coraggio di restare, affrontarlo e con Simone anche le
mie paure.
Le
parole di Victor balenano nella mia mente, quasi d’improvviso; prenditelo
l’amore che vuoi, mi ha detto.
E
così farò, salirò su, gli dirò di restare con me, e
che tutto passerà.
Simone
capirà, si infondo lui mi ama e per questo capirà.
Salgo
le scale del palazzo di fretta, piena di speranza, di fiducia.
E
d’amore, sì d’amore. Perché infondo io Simone lo amo
ancora tanto.
Apro
la porta piano, non voglio svegliarlo qualora dormisse, anche se nel cuore
prego sia sveglio.
Voglio
toccarlo, parlargli, guardarlo. Io lo voglio.
-“Sibilla,
sei tu?!”-. E’ steso sul divano, semi appisolato, con una vecchia
coperta a coprirgli le gambe e il telecomando abbandonato lungo un fianco
–“Oddio mi hai fatto preoccupare!”-. Si alza venendomi
incontro. Mi abbraccia. Resto immobile, tesa.
Mi
sciolgo solo quando le sue mani contornano il mio viso, e leggo nei suoi occhi
la paura per me.
Allora
sospiro, buttandogli le braccia al collo, saltandogli addosso con impeto
violento; lo bacio sul collo con avidità e passione, fra una lacrima
dolce-amara che cola sulla mia guancia e il respiro che si fa sempre più
affannoso e desideroso, come il folle pensiero di volerlo dentro me, tutta la
notte.
Lui
ricambia i baci, posso sentire la stessa passione sbattermi addosso, mi prende
il viso fra le mani, cerca di rubare la magia dai miei occhi, ma non riesce a
fare altro che farsi trasportare dalla passione.
E
mi ama, mi domina, mi prende, per tutta la notte. Come volevo, come ha voluto.
-“Sei
fantastica…”-. Mi dice, quando stremati e abbattuti
dall’amore, ci lasciamo andare.
-“Vedi
cosa ti perdi, quando sei lì a dare calci a un pallone?!”-. Rido,
tirando le lenzuola fin sopra al naso.
-“Ah,
brutta bimba cattiva…”-. Si gira e in mezzo secondo mi è
sopra di nuovo –“cosa sono queste sconcerie?!”-. Non mi da il
tempo di rispondere, coprendo le mie labbra con le sue. Morbide, sensuali,
languide. Poi continua a parlare.
-“Mi
dispiace, tanto. Non volevo trattarti male.”-.
-“Non
pensarci, quel che è stato è stato..”-.
-“Ma
lui, dov’è?!”-.
-“Chi,
Victor?!”-. Mi guarda, cela un sorriso malizioso scuotendo un po’
il capo –“diciamo che voleva lasciarci in intimità.
Chissà cosa intendeva…”-. Lo guardo maliziosa a mia volta,
sorridendo.
-“Già,
chissà…”-.
Coglie
la provocazione, facendomi sua nuovamente e ripetutamente.
La
notte vola così, fra le coperte bianche scomposte e i nostri corpi
aggrovigliati in un abbraccio intenso e coinvolgente.
****
-“Oh,
scusa ti ho svegliato…”-.
Apro
gli occhi, fuori è già mattino.
Il
sole sbatte contro le tapparelle semi abbassate, la stanza è inondata da
una calda luce dorata, nonostante quella palla gigante sia coperta da nuvole e
Simone, lui così pigro e dormiglione, già è in piedi.
-“Già
sveglio?!”-. Mi alzo, afferrando l’orologio sul comodino.
-“C’è
del caffè in cucina, pronto e in tazza.”-. Non risponde alla mia
domanda, biascica qualcosa di molto vago. Allora mi soffermo ad osservarlo;
sembra vada di corsa, la camicia è bianca sbottonata e una cravatta
appoggiata al collo resta in attesa d’essere annodata.
Alzo
le spalle, dirigendomi verso il mio caffè.
E’
alzandomi che noto quella valigia; ripiegata sul divano, con i vestiti
perfettamente piegati, tipico del suo ordine maniacale verso la perfezione.
Non
mi rendo subito conto della situazione, passo avanti ma non appena realizzato,
mi fermo.
Una
valigia, quella valigia. La valigia dei viaggi, delle partenze, delle…
delle fughe.
Sì,
sì, sì. Come ho fatto a non pensarci, Simone non si fa mai
spostare per i viaggi di lavoro, Simone è troppo pigro per partecipare a
delle conferenze.
Simone
sta scappando.
Il
cuore batta all’impazzata, credo d’essere diventata paonazza in
volto in un secondo.
-“Cos’
è quella?!”-. Corro verso la nostra stanza, lo trovo ancora
lì che traffica nel suo comodino; lo tiro per un braccio, attirando la
sua attenzione.
-“E’
una valigia.”-. Furbo, maledettamente furbo.
-“Simone
per piacere non cominciare! Dove stai andando?!”-.
-“Senti
Sibilla, mi dispiace forse dovevo dirtelo prima ma non abbiamo avuto modo di
parlare e… e….”-.
-“Cosa
stai blaterando?! Dove stai andando Simone?!”-.
-“Allora,
non è semplice io… io me ne sto andando. Vado da mia madre
sì, starò via per un po’, a casa sua.”-.
-“Perchè?!”-.
La voce mi muore in gola. Sto per piangere, lo sento.
-“Per
riflettere, per prendermi una pausa da tutto ciò. Ho bisogno
d’aria, ho bisogno di stare solo.”-.
Le
sue parole sono pallottole roventi che bruciano la mia pelle.
E
mi trapassano.
Se
ne sta andando, se ne sta andando. Il mio cervello non è capace di
pulsare altro.
-“Ma
come, dopo stanotte?! Io credevo…”-.
-“..che
si sarebbe sistemato tutto?! Dio Sibilla come puoi essere così…
così… ingenua?! Tu credi davvero che basti una notte d’amore
per risolvere tutto?! Io sono ancora infuriato con te, ci sono ancora troppe
cose che non riesco a capire e che non mi vanno giù!”-.
-“Ed
è scappando che le risolverai queste tue cose?!”-. Mando
giù il mio boccone di lacrime, non posso piangere, non posso permettere
al mio assassino altre lacrime.
La
sua calma e razionalità mi fa venire il volta stomaco, giro e rigiro su
me stessa, non riuscendo a capire se la mia freddezza sia altrettanto
vomitevole.
Come
se me lo aspettassi, come se questo momento dovesse essere già scritto
nel mio cuore.
-“Vuoi
parlare di fughe proprio tu?! Sibilla la verità è che nessuno dei
due ha più nulla da dirsi. Scappare è più semplice.”-.
-“Tu
hai fatto l’amore con me stanotte. Non ha significato nulla per
te?!”-.
-“E’
per questo che me ne vado; voglio risolvere i miei problemi personali per
ritornare pulito e nuovo da te, verso questa passione e amore che ancora
c’è, e che ho sentito ieri notte.”-.
-“Non
mi troverai Simone. Tu non mi troverai.”-.
-“E’
il rischio che devo correre. Adesso scusa, devo andare il taxi mi
aspetta.”-.
Si
allontana da me, come la fine dell’estate per uno studente che deve
ritornare a scuola.
Sono
vuota, inerme, spenta.
Continuo
a fissare il vuoto, e nemmeno il tonfo della porta desta dentro me qualcosa.
Nulla,
niente.
Riesco
solo ad alzare il telefono, parlare con Lucia prendendomi quelle famose ferie
arretrate ed abbandonarmi fra le lenzuola, che profumano ancora della sua
pelle.
No,
non posso piangere.
Riesco
a chiudere gli occhi per un po’, sogno forse.
Ho
visto l’ombra di un uomo, che mi tocca una guancia sorridendomi.
Vorrei
fosse Simone, cerco di trovare in quegli occhi i suoi, ma quest’uomo non
si scopre.
Sorride
ancora.
E
quel sorriso è familiare… .
Mi
alzo all’improvviso; ho sentito un fastidio allo stomaco, come un crampo
che percorre le viscere, tumultuandoti tutta.
Un
fastidio maledetto, poi guardo l’orologio, sono le undici passate.
Mi
porto una mano alla bocca… .
-“Victor!”-.
Esclamo, prima di lanciarmi sull’armadio per vestirmi.
Sono
contenta che mano a mano si aggiungano nuovi lettori a questa mia ficcy.
All’inizio,
quando pubblicavo i primi capitoli ero piuttosto perplessa sul risultato della
storia in per se; credevo fosse un tema troppo
ambiguo, per essere apprezzato nella categoria romantico, e troppo sdolcinato
per rappresentare un’altra qualsiasi categoria.
Invece,
con mio sommo piacere, riscontro parecchi pareri positivi; grazie, grazie di
cuore a tutti!
A
te Michelle,
che sei da sempre la mia portavoce personale ^_- non posso che dirti che non ti
devi preoccupare se non hai tempo da perdere con le recensioni! Sono contenta
giàche
ti ci dedichi ^_-
E
a te Zia Esmy,
per le parole usate nel descrivere la storia. Grazie di cuore!
kiss
aawaa
QUANDO
L’AMORE RIPAGAaawaa
Chap n.7
Sono
fuori in strada, cammino a rilento, affaticata e stremata; fuoric’è
un inaspettata calura, nonostante sia ancora troppo presto per parlare di
primavera.
E
mi lascio portare dalle strade ormai familiari, centimetro per centimetro di
una vita passata a percorrerle, con tutti gli stati d’animo addosso.
Oggi
sto male, sono triste, delusa.
Eppure
il mio cuore è così imbottito da non sentire più alcun
dolore.
Sono
ancora viva?!
Io,
proprio io, che ho fatto di una commedia la mia intera vita?!
Io
proprio io, che se sommassi le lacrime che ho versato, potrei contenere
l’intero oceano?!
E
allora mi do un pizzico; la mia pelle diafana s’arrossa in un secondo,
formando delle macchioline rosacee per tutta la superficie.
Sì,
sono viva.
Anche
perché, prima di morire devo assolutamente consegnare un qualcosa di
molto speciale, al mio caro amico speciale.
E
ce l’ho qui, proprio fra le mani! Che tengono
strette, un pezzo di carta scarabocchiato da alcuni appunti, note,
e riferimenti; prima d’uscire di casa, mi sono collegata su
internet per delle ricerche importanti.
Ho
cercato di trovare Betty.
E’
stato difficile, le indicazioni e i ricordi di Victor sono piuttosto sbiaditi e
lontani, ma alla fine ce l’ho fatta.
Questa
è la chiave della memoria. E’ la chiave dei ricordi.
Ora
sono più felice.
Il
pensiero del suo sorriso e della faccia da ebete che metterà in volto quando gli racconterò tutto, mi rende gioiosa.
-“Oh,
mi scusi!”-. Qualcosa, o meglio dire qualcuno, mi urta
mentre cerco d’attraversare un ingombrante marciapiede affollato.
Mi giro per guardarlo meglio, sorrido.
-“Victor!”-.
-“Oh,
Sibilla!”-. Rallenta la sua corsa, mettendosi al paro con il mio passo.
-“Stavo
venendo giusto da te.”-.
-“Ed
io stavo giusto tornando al parco per farmi trovare, da te! Scusami, ma non ho
saputo resistere a quei fantastici biscotti dell’altro giorno!”-.
E’ buffo, è divertente.
Tutto
sporco di cacao e il viso contento come quello di un bambino con un lecca-lecca
in mano.
-“Figurati,
anzi già che ci sei…”-. Allungo invadente una mano nel suo
sacchetto –“non ho nemmeno fatto colazione!”-. E addento
così una delle meraviglie al cioccolato che Victor stringe fra le mani.
-“Senti,
ho preso un po’ di giorni liberi, ho deciso che voglio darti una
mano.”-.
-“Dici
sul serio?!”-. D’improvviso i biscotti e
il sacchetto none esistono più, mi guarda estasiato, felice.
Annuisco
porgendogli fra le mani un foglietto ripiegato in quattro, che avevo tanta
premura di consegnargli.
-“Ci
sono un po’ d’informazioni sulla tua Betty.”-.
Gli indico d’aprire il foglietto, ma lui rimane
impalato a fissarlo. Stenta a credere che finalmente avrebbe
saputo qualcosa, qualsiasi cosa sulla sua amata.
-“Ti
prego, dimmi tu a voce. Non ho il coraggio d’aprirlo.”-. Me lo riconsegna, sembra teso e nervoso.
-“Va
bene, ma troviamo un posto dove sederci.”-.
Ci
accomodiamo sotto agli alberi, mi sfilo la giacca e l’appoggio sul prato
curato di una piazzola a poca distanza da noi.
Fa
caldo, immensamente caldo.
Mi
guarda impaziente, puntando i suoi piccoli occhi neri incerti.
-“Sai,
da quello che sono riuscita a scoprire, sembra viva in Austria. E’
lì che è stata adottata dalla famiglia che la vennero a prendere quando era ragazza e sempre lì ha deciso di
continuare a vivere poi. La sua famiglia è una famiglia di medici sai?! Probabilmente avrà coronato il suo sogno.”-. Gli sorrido, vedo aprirne uno grande e disteso sulle sue
labbra. –“ha una famiglia molto numerosa e influente nel suo paese,
della ricca borghesia se non ho capito male.”-.
-“Sicuramente
sarà un’elegante donna borghese. Dovevi vederla quanto era fine
già da ragazzina.”-.
-“Non
vedo l’ora di conoscerla.”-.
-“Co- conoscerla?!”-. Mi fissa
serio, incerto se ha capito o meno cosa intendo dire.
-“Sì,
conoscerla. Di persona! Ho fatto già i biglietti, sono lì,
proprio nelle tue mani.”-.
Apre
il foglio, dentro ci sono ripiegati due biglietti andata/ritorno
per L’Austria.
Li
stringe fra le mani, comincia a fissare il vuoto, mugolando qualcosa di
incomprensibile.
Non
sembra sia un lamento. Ma forse lo è.
Credo
sia maledettamente insopportabile al cuore la sensazione di poter rifar tua una
persona che credevi ormai persa. Dolce sensazione ma
straziante.
Straziante
come il ricordo che ti ha tenuto in vita fino ad allora.
Ed infatti non mi sbagliavo.
Victor
si scioglie in un pianto silenzioso, che cresce e irrompe nel pieno canto di
una coppia di fringuelli, che dal ramo d’un albero sopra le nostre teste,
cantano la loro gioia e attesa per una primavera imminente.
E
presto Victor avrà la sua, di primavera.
Sono
felice. Ho fatto felice un uomo, che adesso mi abbraccia, si rifugia fra le mie
braccia. Braccia che più volte hanno cercato riparo nelle sue, e che
beate adesso ricambiano la cortesia.
-“Ma
io non posso chiederti di fare anche questo per me.”-.
Mi dice, alzando il volto dalla mia spalla.
-“E
perché mai?! Per me è un piacere, la tua
vita mi appartiene, ricordi?!-.”-.Rido, imitando la sua voce.
-“Ma
tu hai tuoi problemi, che ti tengono legata qui.”-.
-“Non
c’è più alcun problema che mi tiene legata qui. Non ho
più niente Victor, solo tu puoi darmi veramente qualcosa.”-.
-“Simone
è andato via?!”-.
Mi
spara a bruciapelo, colpisce là dritto nel cuore.
Non
so che rispondere, rimango basita, pietrificata.
Sento
il corpo irrigidirsi, le mie labbra contrarsi in un ghigno.
Allora
mi allunga una mano, sulla mia, prendendola a sé e stringendola forte.
La
bacia e l’accarezza. Asciuga ancora qualche lacrima dalla sua guancia,
per poi rompere il silenzio fatto solo di sguardi; il mio incuriosito e
intenerito, il suo colpevole e dispiaciuto.
Sento
i brividi corrermi lungo la schiena, come quando succede qualcosa di irreale e
il solo fermarti a pensare, o riflettere, ti fa venire la pelle d’oca.
Victor
è per me qualcosa di inspiegabile.
Come
le lacrime che adesso solcano le guance, le mie guance rosa, al naturale.
Odio
dover ammettere che ancora una volta sto piangendo per lui, sto piangendo per i
guai della mia vita, senza fare nulla per impedire che avvengano.
Mi
sento un mostro. O qualcuno forse direbbe, che sono solo umana.
-“Tornerà,
stai tranquilla lui tornerà.”-.
-“Tu
dici?!”-. Non ho molte forze per controbattere,
mi dimetto soltanto al volere del cielo e alle sue parole che suonano
così perfette e imperiose.
-“Nei
suoi occhi ho visto il fuoco, e ardeva per te. Una persona che non ti ama, non
brucia così.”-.
-“E
tutto questo ardore lo ha fatto scappare via da me?!”-.
-“E’
imperfetto l’amore, quasi quanto colui che lo comanda; lui è
scappato solo perché l’amoreche prova adesso non riesce a
comandarlo e a farlo riflettere; un po’ come stai facendo tu con lui.”-.
Sembra
un po’ la favoletta che ci raccontiamo noi donne quando un uomo ci lascia sole; ma sì infondo
è innamorato, se ha avuto ancora una reazione nei nostri confronti,
è perché ci ama.
L’ho
sempre trovata un po’ ridicola. Ma in bocca a
lui sta bene.
Andiamo!
Un uomo scappa e basta, e reagisce solo quando viene
toccato nel profondo;
OH CIELO!!
Questo
vuol dire che ho toccato Simone nel profondo?!
-“Sono
stanca di farmi comandare dall’amore, Victor. Anche perché, lui
non ti ripaga mai!”-.
Lo
sento ridere di gusto, una risatina fresca, zampillante. E mette il buonumore.
-“Capirai
cara Sibilla, un giorno tu capirai che non è proprio così.”-. Mi tende una mano, per farmi sollevare da terra.
–“andiamo?! C’è un viaggio che ci aspetta.”-.
E mi sorrise, ed allora io non seppi far altro che
seguirlo.
L’amore gli aveva fatto ritrovare Betty ed io allora capii che non era proprio vero, che
l’amore non ripagava i suoi torti.
Quella risata, i suoi gesti, le sue parole. Piano-
piano cominciai ad avere più chiare le cose dentro me;la sua venuta, la sua storia, lui non
era capitato nella mia vita per caso, lui era finito nella mia vita, nella mia
storia, per farmi capire quel qualcosa sepolto nella memoria del cuore,
invecchiato oppure distratto.
A
questo punto non vorrei risultare banale o scontata, ma lo ripeto: sono
immensamente felice!
Una
nuova lettrice!
Sapete
ora capisco perché mi piace così tanto svuotare la fantasia e
metterle su “carta bianca”; è per vivere momenti come
questo!
Grazie
Rowina,trtrtr
gentile! Ouch.. non mi dire
così che mi fai sentire colpevole... mia madre direbbe lo studio prima
di tutto! Ma si sa, i consigli dei genitori restano lì dove sono… ^_^
Zia Esmy: ma quanto mi fanno felice le tue parole?! Un
sacco guarda!
Vedi
coincidenza vuole che mi bekki sempre nel momento
giusto ^_- mitika !
La
mia Sibilla l’ho sempre immaginata così, dolce e altruista con una
nota di pazzia che la rende unica! Non poteva far altro che aiutare Victor!
E
anche tu hai colto nel segno, infondo lo stesso Victor è un po’ la
raffigurazione di Sibilla, al maschile, solo con un passato poco chiaro che lo
rende più misterioso ed enigmatico!
aawaa
RINCORRENDO
UN SOGNOaawaa
Chap n.8
-“No!
No! Victor!!”-. Siamo nell’androne del mio palazzo, Vic mi sta trascinando da almeno un
chilometro, ed inutili sono i miei lamenti –“oh… Vic non è possibile, non ora! Cioè è
un delirio… Vic!!!”-.
Praticamente mi obbliga a prender le chiavi dalla mia borsetta, aprire la porta
di casa e tuffarci in camera da letto.
Ehi ?! Ma cosa state pensando?!
Io amo il mio Simone, e con tutto rispetto per la categoria, i sessantenni non
rientrano proprio nel mio raggio di gradimento!
-“Su
forza! Prendi le tue cose e partiamo subito!”-.
-“Vic è da folli! Non ho nemmeno prenotato un albergo,
un ostello o che ne so una pensione!”-. Ma a poco importa, il mio corpo,
dissociato dalla mente, ha già aperto la valigia riposta sapientemente
sotto al letto.
-“Può
anche darsi che non ci serva!”-.
-“Ah-
ah! E dove dormiremo?! I ponti e parchi sono ancora
inesplorati per me!”-.
Oh,
oh bocca mia taci! Poverino, lui forse un vero posto dove stare, da quando
è “in cerca” non lo ha mai avuto; forse avrebbe voluto,
anche se espressamente non me lo ha mai detto.
Mi
sento una sciocca.
Ma
sì, infondo che importanza ha un tetto al paragone di una favola e il
suo realizzo?!
-“Cioè,
io non volevo dire che non ci starei se fosse
necessario…”-.
-“Sibilla,
probabilmente non ci servirà un posto dove dormire, perché forse
questo incontro sarà talmente breve, da non lasciare tempo per
consumarlo.”-.
Salvata
in corner.
Però,
che strane le sue parole, mi hanno messo la tristezza nel cuore.
Non
che nella mia vita sia mai stata ottimista,
però un po’ c’ho ricamato su tutta questa faccenda, i miei
bei sogni me li sono fatti.
Già,
ma il sogno è mio, e la realtà è la sua.
Chissà
come si sente. Chissà cos avrà pensato, LUI.
Mi
sono impossessata del suo sogno, non è giusto.
-“Victor,
ti prometto che sarà l’incontro più intenso di tutta la tua
vita. Noi la troveremo, tu ci parlerai finalmente! Potrai toccarla, ridere con
lei!”-. Gli vado vicino, prendendogli le mani. –“E io ti
giuro, che ti sarò vicino in qualsiasi momento tu lo vorrai, non ti
lascerò mai solo. Io voglio che questo viaggio sia speciale.
Speciale.”-.
Mi
stringe forte le mani, posso sentire le sue dita premere forte sulla pelle.
Me
le bacia. Ancora e ancora.
Rido e ancora rido,
lo abbraccio, lo abbraccio forte.
Poi
il distacco; c’è una grande valigia da rimboccare e trascinare via
con se, in questo viaggio speciale.
-“Ecco,
credo d’aver preso tutto!”-. Afferro un golfino blu, un paio
d’occhiali da sole, e quando sono veramente pronta, con scatto secco alzo
il manico della valigia pronta a scorrere sulla strada dell’evasione.
Adesso
sto bene,che
importa dove andrò o cosa farò, adesso c’è solo
eccitazione e frenesia, del resto non mi importa.
Di
lui, ancora meno.
Non
lo avviserò, non gli dirò niente di nulla, questo è il nostro
viaggio, mio e di Victor e la sua razionalità, la sua maniacale
precisione non mi seguirà. Mai più, credo.
-“Vic, puoi andare avanti tu, per piacere?!
Faccio una telefonata e ti raggiungo.”-.
-“Faccio
caricare la macchina intanto.”-.
-“Perfetto.”-.
Mi
allontano un attimo, verso la prima cabina telefonica a vista.
Devo
farlo. Devo risolvere in qualche modo questa situazione fra
di noi.
Ma
solo nelle favole, le principesse vivono per sempre felici e contente con i
loro principi azzurri.
-“Pronto?!
Avvocato, mi sente?!”-.-“Vorrei
trasformare quella richiesta fattale tempo fa, in pratica.
Legale.”-.-“Oh no, sono in partenza, se la inoltrasse lei al
diretto interessato sarai più felice. Sa, momentaneamente ha cambiato
indirizzo.”-.-“Perfetto, allora al mio ritorno la
raggiungerò in studio per quella firma. La ringrazio,
arrivederci.”-.
E
metto giù.
Ora
so cosa si prova nel fare una telefonata del genere.
Eppure
milioni e milioni di persone l’hanno fatta, almeno una volta, quella telefonata
nella loro vita; per me è già così gravoso averne fatta
una, insomma basta un pronto, si va bene, firmiamo
delle carte, e un matrimonio, ma prima ancora una storia d’amore,
finisce.
Che
sensazione strana prova il mio corpo, non sembro neanche più io, non mi
sento neppure in me stessa.
Sembro
trasalita dalla mia stessa materia, rimbalzando chissà dove.
Ma
adesso è tardi per cercarla.
Adesso
un taxi giallo, da lontano suona, invitandomi a seguirlo.
*******
-“E’
tutto il giorno, che ti vedo scarabocchiare su quel pezzo di carta! Vuoi dirmi
che stai facendo?!”-.
Dolce,
tenero Vic. Persa nei miei pensieri, non mi sono
nemmeno resa conto di essere a picco nell’aria, con lui, che mi stringe
la mano “perché ho molta paura di questi congegni
dell’aria”. E quando gli ho fatto gentilmente notare che lui questi
congegni li ha governati, mi ha risposto con la sua leggiadra semplicità
che “i miei erano altri tempi”.
Lo
adoro, sono totalmente subdola dalla sua persona.
-“Ma
non era una mia prerogativa, quella di far domande?!”-.
-“Devo
prendere la tua curiosità e farla mia per sempre, sai solo così
ci saremmo davvero scambiati qualcosa l’uno dell’altra!”-.
-“Bello..”-.
Riesco a malapena a sibilare.
Non
ho mai pensato che lui volesse qualcosa di mio; sono una ficcanaso, logorroica,
petulante a tratti eppure lui, lui l’essere così perfetto ai miei
occhi, vuole qualcosa di mio.
La
mia curiosità.
Ricordo
da bambina, la suora che si occupava della mia educazione all’istituto,
diceva sempre che la mia intelligenza era frutto di una curiosità vivida
e vivace.
Diceva
sempre di conservare la mia fantasia viva dentro me; lei
mi avrebbe portata lontano, fatto di me una persona diversa dalle altre.
Ero
piccola, avevo perso entrambi i genitori, distrutta dal destino eppure quella
donna vide in me fantasia e vivacità.
Come
in questo momento.
Non
so se sono capace io nel sodomizzare il dolore e nascondere le cicatrici, o
è soltanto la mia forza di volontà che è davvero
più forte di tutto.
“Comunque
nulla, sto solo scrivendo qualche appunto su di me, su questo viaggio..”-.
-“E
posso leggerle?!”-.
-“Ah,
no! Mi vergogno troppo, e poi è una cosa top- secret!”-.
Rido, mi diverte pensare che in realtà
non sono solo pensieri miei; se ammettessi che sto facendo di questa pazza
avventura, di questo suggestivo incontro una storia da scrivere su carta
bianca, non reggerebbe più di tanto la mia falsa vergogna o pudore.
Chissà,
forse per la prima volta nella vita, sto facendo qualcosa di speciale solo ed
esclusivamente per me.
Egoista, ma felice d’esserlo. E’
concesso a tutti, no?!
-“Ah!
Finalmente ti vedo ridere!”-.
-“Sì,
sono stranamente ed eccitatamene serena in questo
momento! Bah?!”-.
-“Avrai
cominciato a seguire i consigli di questo povero vecchio…”-.
-“Tu
non sei vecchio!”-.
-“Sibilla,
per piacere!”-. Tossisce un po’ prima di continuare
–“sono vecchio e tu sei bugiarda! Fortuna che gli specchi non
parlano altrimenti…”-.
-“Altrimenti?!
Guarda che stai benissimo!”-.”Ma non dirmi che hai paura del
giudizio di Betty?!”-.
Tossisce
ancora una volta, volge lo sguardo verso l’oblò, arrossendo un
po’.
Ha
paura.
Che
dolce, sembra un bambino. Per questo non sembra avere gli anni che ha.
L’accarezzo
su una guancia, si gira di scatto sorridendo.
-“Il
bello è che lei penserà le stesse identiche cose, quando ti
avrà di fronte.”-.
-“Oh,
dubito che il tempo avrà deturpato la sua
bellezza.”-.
-“La
bellezza no, ma la sicurezza e la sfrontatezza dei suoi vent’anni,
sì.”-.
Sorride,
accarezzandomi amorevolmente la guancia.
Eh
già.
Io
non sarò mai più bella come adesso, non sarò mai
più sfrontata come ora, non sarò mai più pazza e
incosciente come in questo momento, che sto lasciando l’uomo che amo
senza curarmi dello spettro della solitudine che all’età di Victor,
verrà a bussarmi.
Ma
io non aprirò. Piuttosto voglio morir sola.
-“Stai
pensando a lui?!”-. Ma perché riesce a
leggermi dentro in questo modo?!
-“Oh
io veramente…”-. Ma perché?!
Perché ho appena detto che mi sento serena!
–“Sì.”-.
-“Sai
cosa ho pensato?!”-.
-“Cosa?!”-.
-“Che
se non sarà lui a tornare, lo andremmo a
prendere noi!”-.
-“Credo
sia un po’ difficile Vic…”-.
-“Difficile?!
Perché Sibilla?! Perché se è
qualcosa che vuoi davvero, ti arrendi così facilmente?!”-.
-“Arrendermi?!”-.
Oh Dio, l’ho già fatto. Quasi. Mi sono arresa!
-“Sì
arrenderti! Tu usi troppo la testa! Io non sento il tuo cuore; dimentica il
cervello e ascoltalo, non ti tradirà!”-.
-“Già…”-.
Peccato che forse non c’è più tempo per le parole, per
ascoltare o provare.
Credo
che adesso ci sia solo tempo per riorganizzare una vita che riparte da me.
Mi sono sempre chiesta perché
congenitamente l’uomo e quasi tutti gli esseri
simili ad esso, da che mondo è mondo, optino per le soluzioni più
semplici, ma dannatamente dolorose.
Che l’uomo goda nel frustrarsi?!
Che scappare allievi soltanto una pena già
scontata e nessuno l’ha mai capito?!
Ma infondo perché sarei
dovuta restare, perché avrei dovuto guardare il miouomo uscire di scena limitandomisoltanto a perire lentamente?!
Meglio aver messo mari e monti fra
di noi. Meglio, molto meglio.
Una carta di separazione, due firme leggibili e di
me e Simone non sarebbe restato altro che la parola fine.
Quasi.
-“Non
credevo che l’Austria fosse così lontana!”-.
-“E’
solo una questione di punti di vista! Se giri il mondoal contrario, forse la strada ti
sembrerà più corta!”-.
-“Giusto!
Perché non ci ho pensato prima?!”-.
Già,
perché?!
Forse
questa osservazione potrebbe essere adatta per un mucchio di cose nella vita;
se avessi girato strada forse non avrei incontrato una cabina telefonica e non
avrei fatto quella chiamata.
Se
fossi girata probabilmente non avrei nemmeno incontrato Victor, e adesso non
sarei con lui, sospesa nel cielo a rincorrere una strada che invece, abbiamo
preso nel verso giusto.
Un
grazie di cuore a tutte le mie recensitici, purtroppo come avete potuto notare,
stavolta sono stata un po’ più lenta nel mio aggiornamento.
Ahimè
si torna a sgobbare e il lavora mi lascia proprio poco tempo, ma comunque
voglio assolutamente finirla questa storia, perché non so spiegarvi come
mi è entrata dentro!
Vi
giuro che quei due pazzi di Sibilla e Victor mi perseguitano anche nei sogni!!
Sarà
normale?
Kiss
a todossssss
aawaa
WILLKOMMEN IN OSTERREICH aawaa
Chap n.9
Sono
seduta su una comoda panca in legno, con i bagagli scomposti ai miei piedi, in
attesa del nostro taxi.
Victor
si è allontanato un attimo, “giusto per dare un occhiata in
giro”, queste le sue parole, quando gli ho chiesto il perché.
Ma
le sue stranezze appaiono ai miei occhi, come dolci aspetti di un carattere
assai particolare. E questo mi piace, mi piace non scandalizzarmi di
ciò, perché io lo capisco, sono dentro la sua testa, conosco i
suoi movimenti e saperlo mi fa sentire onorata e speciale.
Fra
i miei pensieri, quasi dimenticavo di aver messo piede nel paese straniero; siamo
approdati in Austria!
Bella,
mi piace. Questo paese sembra così caldo, così dolce.
Mi
rasserena il pensiero di trascorrere del tempo fra questa gente, così
solare e bella in tutti i sensi in cui può essere bella una persona; qui
tutti sono cortesi, gioviali, il sorriso poi è la carta d’imbarco di
ognuno di loro.
-“Signorina,
sale?!”-. Un omone rossiccio, dal basso del suo simpatico taxi giallo, mi
parla in perfetto tedesco.
Lo
guardo un po’ stralunata, indecisa sul da farsi; il mio dizionario pocket
, pronto all’uso, comincia a far librare le sue pagine fra le mie mani.
Spilucco
qualche parola, imbarazzata e impacciata, quando da dietro le spalle, compare
Victor; afferra il mio beauty case, fa aprire il cofano e in perfetto tedesco
spiega al tassista dove portarci.
Rimango
a fissarlo imbambolate per un po’, poi sorrido; questo uomo è
davvero un’ inesauribile fonte di scoperte!
-“Vuoi
rimanere lì ferma ancora per molto tempo?!”-.
-“Non
ci penso proprio!”-. Rido divertita, per poi
tuffarmi in auto insieme a lui.
Willkommen
in Lienz, recita un
cartello all’entrata di un paesino diroccato fra le montagne verdi.
L’aria
è fresca, il sole è una magia opaca sopra le nostre teste.
Deve
esserci una festa popolare da queste parti, perché il paese è
percorso, lungo la sua via principale, da banchi in fiera e le facce della
gente, sanno della felicità di persone in festa.
Che
bellezza!
La
cosa che risalta più agli occhi però, sono le migliaia d fontane
zampillanti che adornano ogni piazzetta, e i fiori, grandi bouquet di fiori
colorati sui cigli delle strade.
Che
ordine, che armonia si respira in questa cittadina. E’ un sogno, un
bellissimo sogno.
-“Ti
piace?!”-. Victor distoglie i pensieri, incanto forse, dal mio sguardo
rapito.
-“Molto.”-.
-“Già,
è tutto così bello qui…”-. Si rattrista, nei suoi
occhi posso leggere note di ricordi infelici, lontani e mai assopiti.
-“Chi
lo sa, magari ti chiederà di restare…”-.
-“Oh
Sibilla, che vai farneticando!”-.
-“Perché
no?!”-.
-“Perché
sono vecchio, indesiderabile e chissà cosa altro!”-.
-“Ancora
con questa storia! Tu non sei vecchio! E l’unico motivo per il quale
potrà respingerti è forse l’essere già sposat…”-.
Mi
azzittisco, cosa non ho mai osato pronunciare.
Oh
Dio si può essere così ingenua?!
Se
volevo rassicurarlo un po’, con questa mia linguaccia lunga ho stroncato
ogni probabilità di rivederlo sorridere.
-“Non
dispiacerti Sibilla! Guarda che ci ho pensato su anche io!”-. Ha letto
nei miei occhi, nelle mie labbra corrucciate e nelle mie espressioni
così dannatamente cristalline.
-“E
cosa farai a quel punto?!”-. Gli chiedo, certa ormai che nessun altro
colpo sarà mai più mortale.
-“Il
destino è ineluttabile, fatale, probabilmente tornerò da dove
sono venuto, felice comunque nel cuore, d’averla rivista ancora una
volta.”-.
-“Credi
ti basterà?! Non avrai comunque cambiato nulla!”-.
-“Sì,
ma finalmente questo sortilegio verrà spezzato. Non dovrò mai più
vagare per il mondo…”-.
-“Sì
ma…”-.
-“Sibilla,
a volte l’essenziale è non avere tutto ciò che desideriamo,
e questo per non uccidere il desiderio stesso, dentro noi! Il mio per lei, non
passerà mai, anche se dovessi ritornare nel mio paese con soltanto uno
dei suoi sorrisi.”-.
Non
riesco a concepire come si possa vivere soltanto del sorriso, della persona
amata.
Tornare
a mani vuote, dopo questo lungo viaggio della speranza e dei sogni è un
suicidio bello e buono!
Sono
davvero preoccupata, adesso; leggo l’ansia nei suoi occhi, il timore, e
volente o no riesco percepirlo ora anche nei miei.
E
se di Simone mi restasse soltanto un sorriso?!
Provo
ad immaginare come potrei sentirmi.
Volto
pagina, questo pensiero mi uccide.
Ci
penso e ci ripenso, rimugino su senza neanche rendermi conto di aver sigillato
questo pensiero coi fatti. Spessi e cartacei.
Ma
allora, se non posso vivere al pensiero di perderlo, come posso pensare di
vivere soltanto con il ricordo di un suo sorriso?!
Comincio
a pensare di aver fatto l’errore più madornale di tutta la mia
vita.
-“Siamo
arrivati, il vostro albergo è quello là!”-.
Il
tassista arresta la sua corsa, indicandoci una deliziosa villetta verde acqua,
al di là della staccionata dinnanzi ai nostri occhi.
Io
e Victor emettiamo un gridolino eccitato, quasi
all’unisono.
-“Che
posto magnifico!”-.
Scendo
dall’auto apprestandomi a godere di questa meraviglia.
L’aria
è fresca, i fiori sono sempre al loro posto, solo stavolta al posto di
fontane scintillanti, sorge un piccolo ruscello al fianco del nostro hotel.
Qui
sembra il tempo si sia fermato; sembra di trovarsi in un luogo paradisiaco, l’eden
biblico ai nostri occhi si prostra.
E
vive la quiete, la quiete velata dal cinguettio di passerotti che si raccontano
l’amore da un ramo all’atro di un albero, cuore pulsante fra
migliaia di alberi nel parco.
-“Già,
ancora meglio della descrizione sulla guida. Sei stanca, Sibilla?!”-.
-“No,
non direi. Ma mi piacerebbe sdraiarmi un po’ sotto quegli alberi.”-.
-“Vai
pure, poso i bagagli in stanza e ti raggiungo.”-.
-“Perfetto.”-.
Cammino
lenta, cercando di capirecosa sia
questa sensazione di benessere che mi attraversa il corpo, liberandomi dalle
repressioni terrene, facendomi sentire come un elemento della natura che ho
intorno.
Si
passa troppo tempo a pensare, ha ragione Victor; ha ragione quando mi dice di
staccare la testa dal resto del corpo e falla volare, come ali di gabbiano su
mare aperto.
Lo
vorrei tanto, vorrei tantissimo sentirmi abbandonata così, ancora per
molto tempo,in questa dolce quiete
corporea.
Ma
non c’è pace per i miei pensieri, non c’è pace per
nessun centimetro del mio corpo.
E
il mio cuore, quello l’ho rimasto a casa, attaccato ad una cornetta
telefonica penzolante, in strada.
-“Stai
bene?!”-.
Apro
gli occhi, per un attimo la sua voce mi è sembrata ultraterrena,
piombandomi negli orecchi, facendomi vibrare.
Provvidenziale,
come sempre.
-“Pensavo…”-.
-“A
cosa?!”-. Si sistema al mio fianco, distendendosi sull’erba fresca.
-“Che
se potessi, rimarrei così per l’eternità…”-.
-“Eternità?!
Hai la fortuna di vivere e morire, nascere per compiere un cammino, portarlo a
termine passando per la vita, per cessarlo con la morte, e vai cercando
l’eternità?!”-. Ride, accarezzandomi una guancia –“Non
sai che fortuna che hai…”-.
-“Parli
come se fossi immortale, sai?!”-.
Mi
giro cercando i suoi occhi ma sfuggono inesorabili, ai miei.
Tremo,
penso alla parola sortilegio.
Parlando
di Betty, lui ha usato questa parola; parola
dispettosa che ha deciso di balenare nella mia mente così, adesso, senza
ragione.
E
se fosse… ma no, cosa vado a pensare, la magia non centra, non può
essere credibile!
Io
non c’ho mai creduto!
Sibilla
riprenditi, torna in te.
Però
il pensiero costante resta…
-“A
volte si vive così intensamente che sembra non debba finire
mai…”-.
-“Victor!
Cos’hai?! Non ti ho mai sentito parlare così!”-. Mi alzo per
stragli di fronte bene- bene, le sue parole mi hanno toccato nel profondo,
immergendomi in un senso di paura.
-“Niente
piccola Sibilla, niente.”-.
Sorride
suo malgrado, sforzandosi di farsi vedere sereno.
Una
morsa atroce si impossessa del mio cuore, non so dire cosa sto provando in
questo momento.
Per
un attimo ho pensato all’ipotesi di non vederlo più, di non averlo
più al mio fianco.
Terribile
sensazione, timore di aver vissuto così tanto al suo fianco di non
poterne più fare a meno.
Non
voglio perderlo, non importa cosa succederà, come andrà a finire
quaggiù.
Io
non voglio perdere Victor per nessun motivo al mondo.
Lui
mi ha stregata.
Rido. Ho paura.
Nessuno
mi ha mai reso indipendente, nessuna droga, persona o vizio.
Mi
dispiace per questa lunga assenza, ma qui fra una cosa e un’altra, tra un
mondiale vinto e l’altro..^____^
non
c’è stato nemmeno il tempo per capire cosa diamine stavo facendo!
^__^’
Come
state tutte?!
Spero
bene, davvero!
Michelle comunque io lavoro alle poste italiane ^_-
Scusate
se vi saluto frettolosamente ma manco a dirlo devo
scappare,
kisses
LuNaDrEaMy
aawaa
DESTINI
CHE SI UNISCONOaawaa
Chap n.10
Ho
sempre amato tanto il risveglio di mattina presto, nei luoghi di vacanza;
c’è la possibilità di concentrarsi su un nuovo giorno
appena nato, godendo della bellezza del mistero del vivere.
Mi
piace tuffarmi nel sole che fa capolino da dietro le montagne, perdermi nel
silenzio e nella quiete di un paesaggio naturale, incontaminato da qualsiasi
fonte barbarica di violenza urbana.
Qui,
niente auto che strimpellano i loro clacson già alle sei di mattina,
niente urla disumane, e quel rumorino costante in
sottofondo chiamato caos.
Se
fossi stata nella mia città, adesso starei maledicendo la sveglia sul
comò, probabilmente avrei alzato lo stereo ad un livello assordante, per
poi farmi risucchiare nel buco nero del delirio cittadino.
Invece
sono qui, niente maledizioni, niente musica alta, tanto meno alcun delirio in
cui farmi ingorgare.
Sono
in pace.
Victor
dorme ancora, dopo un “accesa” discussione, su chi dovesse dormire o meno sul sofà -mi ha praticamente
prima pregato e poi torturato, di lasciarci dormire lui contro la mia
volontà- ha chiuso i suoi occhi neri, stremato dal viaggio e da tutta
l’ansia che io lo so, alberga nelle sue membra.
Stare
con lui, nella stessa stanza e sotto lo stesso tetto è stato così
naturale, non so spiegare, c’è qualcosa di lui che sento
così familiare.
Forse
in un’altra vita ci siamo già conosciuti?!
Sorrido,
Sibilla realista e pragmatica, Sibilla concreta e disillusa, adesso crede nella
reincarnazione?
-“Oh
Cielo, devo essere davvero impazzita!”-.
Ma
la sua vicinanza ha reso tutto un po’ magico, e questa magia lo ammetto,
mi piace davvero tanto.
-“Sì,
buongiorno, sono la signora Ballarini. Si ricorda,
l’avevo già contattato?! Senta sarebbe
così gentile da dispormi degli orari dei vostri uffici?!”-.
-“Siamo
aperti tutta la mattinata signora, e nel pomeriggio almeno fino alle
quattro.”-.
-“Perfetto!
Lei mi assicura che potete ricorrere agli archivi, quindi?!”-.
-“Possiamo
darle qualche informazione generale, ma lo sa per diritto alla privacy non
possiamo scender in particolari…”-.
-“Oh
ma non si preoccupi! Qualsiasi informazione è preziosa!”-.
-“Bene
ci fa piacere. A presto, quindi!”-.
-“A
presto!”-.
Attacco
felice, prendo carta e penna e lascio un bigliettino a Victor.
“Vic, ho chiamato
il comune, è aperto tutta la mattinata, se passi possono darti
informazioni in più su Betty. Lascio a te
questo compito, non credere che voglia abbandonarti ma ritengo giusto lasciarti
nella tua intimità, in questa scoperta. Sono in giro per il centro, ci
vediamo a pranzo. Bacio, Sibilla.”
Lascio
scivolare la penna lungo il tavolo, deposito il bigliettino sul cuscino,
accanto a quell’uomo che beato continua
assopito la sua rincorsa verso il sogno.
Ma
non è solo questione onirica.
E
lui, ancora non lo sa!
Mi
piace parecchio questo paese; i negozi sono ordinati, curati e spesso e
volentieri i commercianti che vi lavorano, ti lasciano il sorriso stampato sul
volto, quando esci con amabili sacchetti adornati di carta velina, nella mano.
La
busta che penzola dalla mia, è di un negozio all’angolo che vende
dolci tipici.
E’
più forte di me, sono una golosa cronica.
Ma
il perché è presto detto; il dolce sapore che ti lascia un
pezzetto di cioccolata, quando sei nei momenti giù, sa tirarti su anche
meglio di qualsiasi coccola!
Anche
meglio, di quanto saprebbe fare qualsiasi uomo!
Che
diciamocelo… se noi donne amiamo così tanto i dolci, è
anche e soprattutto colpa di alcuni maschietti!
Questi
poi, sono particolarmente buoni; miele fuso in cioccolata, il tutto sopra una
glassa croccante di biscotto.
L’apoteosi.
Davvero!
Do
un altro mozzico a questi favolosi biscotti e lascio svolazzare la mia velina color pastello, dal sacchetto ormai
semi-vuoto.
Il
mio giro per Lienz continua, ed io sono stranamente gaia.
Non
dovrei esserlo, visto la quantità industriale di biscotti che ho
ingurgitato, ma nessun pensiero brutto scalfisce questo stato di
serenità.
Il
volto è tornato disteso, le rughe d’espressione sono meno marcate,
il mio sguardo sembra aver riacquistato quello splendore dei tempi andati.
Dio
ho 30 anni e parlo come un’anziana signora;mi
serve proprio una bella botta di vita!
-“Signora,
mi sta ascoltando?!”-.
-“Oh,
ero soprapensiero mi scusi, diceva?!”-.
-“Vede?!
Il suo volto ora è disteso, liscio e levigato, il tutto grazie a questo
concentrato di succo d’arancia e…”-.
-“…
olio d’oliva, certo!”-.
Mi
diverte fare impazzire le commesse, questa poi mi ha impiastricciato tutto il
volto con una crema appiccicosa, promettendomi almeno dieci anni di meno, sul
mio viso semplicemente troppo stressato e non ancora così decadente.
Quando
glielo faccio notare, mi risponde che in realtà i cosmetici danno
l’effetto al nostro viso/corpo o quel che sia, che noi decidiamo di
dargli; infondo non sarà una crema a renderci più giovani, ma lo
spirito giovane che abbiamo dentro, che ci permette ancora di prenderci cura di
noi e di farci invecchiare con serenità.
Mi
piace!
Infondo
ha ragione, la nostra psiche è così condizionata, che
probabilmente il solo il pensiero di impiastricciarci in montagne di fango o
cospargerci d’unguenti miracolosi il viso, già convince noi donne
che non avremmo più la cellulite e il volto di pesca che avevamo a venti
anni!
E
potrei farne mille di esempi, ma alla fine sorrido a questa ragazzotta
bionda e le sfilo la crema dalle mani; il mio alter ego stasera avrà di
che nutrirsi!
All’improvviso
mi sento più giovane, sorrido con il miracolo fra le mani e mi dirigo in
cassa.
-“Lei
ha un volto molto bello signora, mi raccomando non lo trascuri! Ora che ci
penso, non le ho fatto vedere…”-.
-“Grazie,
ma non mi serve altro Odette!”-.
Ah,
simpatiche commesse, se non ti fanno uscire dai negozi, con almeno la crema, la
maschera e il balsamo, non sono contente!
Lei
se ne accorge e sorride, arrossendo un po’.
Non
lo sa, ma tempo fa per sbarcare il lunario, la commessa l’ho fatta anche
io.
Così
la saluto affettuosamente, promettendole di venire a fare qualche
altro acquisto prima di partire.
-“Sai,
ho molte colleghe al quale una ringiovanita servirebbe!”-.
Allora
le sue gote tornano sorridenti, mi strizza un occhiolino e finalmente mi decido
a pagare il mio acquisto.
Ed
in cassa, fra un pensiero e l’altro, vedo l’ombra di Victor passare
dinnanzi alla vetrina.
E’
mischiato fra la gente, ma la sua figura la riconoscerei fra mille,
perché porta un’aurea con se, che lo distingue fra tutti.
Affretto
il mio acquisto, uscendo dal negozio.
Mi
riporto in strada, grido il suo nome, correndogli incontro.
Lui
non mi sente, continua a camminare dritto e spedito.
Continuo
a correre, ma d’improvviso la strada si fa più piccola, come tutte
le immagini che scorrono dinnanzi ai miei occhi.
Mi
arresto.
Almeno
credo, perché tutto scorre come un tapis roulant impazzito; mi sento
sballottata da una parte all’altra, come una pallina da flipper.
Che
c’è?! Cos’ho?!
Sento
delle voci, mani che cercano di toccarmi, ma le immagini restano striminzite e
sfocate, poi non lo so, so solo d’aver sentito un qualcosa di freddo e
duro sbattermi contro la schiena.
-“Signora?!
Mi sente?!”-.
Sembra
proprio che stamattina non riesca a sentire nessuno.
Eppure
sono qui, io ci sono, vi ascolto!
C’è
un uomo, in piedi, di fronte a me; stropiccio un po’ gli occhi, le
immagini non sono ancora chiare, così mi arrendo richiudendoli in un
istante.
-“Victor?!”-.
Chiedo, sperando che dal suono di quell’ombra,
fuoriesca un sì.
-“No
signora, lei è in ambulatorio, io sono un medico.”-.
-“Medico?!”-.
Riapro
gli occhi, a tempo record. Stavolta riesco a vedere meglio; sì sembra un
dottore, ha tutta l’aria d’esserlo, strizzato in un camice bianco e
gli occhiali poggiati sul naso.
-“Ha
avuto un malore e l’hanno portata qui.”-.
-“Chi
mi ha portata qui?!”-.
-“Dei
passanti. Era sola?!”-.
-“Stavo
inseguendo un amico. Non sono austriaca, sono in vacanza nel vostro
paese.”-.
-“Sì,
abbiamo già schedato i suoi dati, non si preoccupi stanno già
avvisando i suoi parenti.”-.
-“Oh
no nono…
“-. Mi alzo sui gomiti, poi piano cerco quanto meno di mettermi seduta
–“mi faccia la cortesia di non chiamare nessuno!”-.
-“Signora
si calmi, le fa male alzarsi di getto.”-.
-“Guardi
probabilmente sarà solo stanchezza, sto bene, davvero.”-.
Ma
fa spallucce, probabilmente avrà sentito ripetersi questa frase milioni
di volte; così, mi stendo nuovamente, cercando di trovare una posizione
abbastanza comoda.
-“Le
abbiamo fatto le analisi del sangue, per questo si sente un po’
spossata.”-.
-“Già,
fortuna che dormivo! Odio il sangue!”-.
Ride,
devo sembrarle piuttosto buffa.
-“Che
c’è?! Perché ride?! Non ha mai sentito parlare di fifa da sangue?!”-.
-“In
realtà, no!”-.
-“Non
mi crede?! E’ perché viene
sottovalutata questa cosa, e snobbata praticamente da chiunque! Soprattutto da
voi camici bianchi!”-.
-“Ma io le credo, le credo! Solo mi
dica, nella sua totale repulsione al sangue, sono compresi anche medici e
ospedali forse?!”-.
Sorride
ancora. Mi innervosisce.
Mi
urta pensare che ha capito che odio qualsiasi cosa,
faccia parte del mondo ospedaliero.
-“Penserà
che sono una bambina…”-. Metto il broncio,
lui smette di ridere.
-“Perché?!
Io dormo ancora con la luce accesa.”-.
-“No…
non è possibile!”-. Cerco di non ridere, ma trattenere una risata
è assai dura.
-“Ogni
tanto, mi capita. Ahimè ora penserà che sono
un bambino…”-.
-“No,
penso che fa bene, di notte si fanno brutti incontri…”-.
Il
silenzio cala sulle nostre teste.
Deglutisce,
abbozzando un sorriso; non posso credere che se la stia facendo sotto!
A
questo punto è più forte di me, mi metto a ridere senza
più speranza di ritorno.
Lui
mi guarda, incuriosito dapprima, poi si lascia andare in una risata
anch’egli.
-“Il
suo hotel è molto lontano?!”-.
-“Non
troppo, perché?!”-.
-“Se
vuole può dimettersi, ma devo farle firmare un foglio.”-.
-“Preferirei,
sa alloggio con una persona anziana. Non vorrei si spaventasse troppo.”-.
-“Come
preferisce, solo dovrà ritornare domani per le risposte agli
accertamenti.”-.
-“Benissimo,
non ho di questi problemi. Sono appena arrivata!”-.
Si
congeda, sparendo fra un corridoio di legno pavimentato.
Mi
alzo con cautela, la testa non gira più e la vista sembra sia tornata a
posto, appoggio i piedi in terra restando comunque appoggiata al mio letto.
Affianco
a me, c’è una finestra bassa; scosto un po’ la tendina,
affacciandomi in fuori.
Non
è un ospedale come quelli che ci sono nella mia città; mura e
cemento, camere bianche e neon.
No,
è una villetta a due piani, in stile inglese, di un delizioso color
verde acqua; non c’è fila, non ci sono code, la gente sorride
anche qui.
Ed
io penso a cosa mi sia successo. Perché vi sono
finita dentro.
Sarà
davvero solo stanchezza?!
Non
lo so, un po’ ho paura.
Distolgo
lo sguardo dalla strada, girandolo sulla stanza; è piccola, ma
c’è una scrivania d’ebano scuro, vecchio stile, con alcune
fotografie e cornici.
Sarà
lo studio del dottore.
Leggo
le incisioni sulla sua targhetta d’oro, poggiata ordinatamente sul mobile:
DoktorFrankWillhelm.
Willhelm. Willhelm…
questo cognome non mi è nuovo.
Rifletto
su cosa possa ricordarmi questo cognome, ma il
tentativo si fa vano.
Mi
sforzo nuovamente, ma il dottore ritorna e distoglie i miei pensieri.
-“Oh,
riesce ad alzarsi! Allora non sta così male come dice…”-.
-“Glie
lo avevo detto, no?!”-.
-“Aveva
ragione, ma non si strapazzi, uno svenimento non va mai comunque
sottovalutato.”-.
-“Non
si preoccupi, ci tengo alla mia pellaccia!”-.
Mi
passa il foglio da firmare, mi consegna un pacco di compresse per il mal di
testa, stringendomi la mano.
-“E’
stato un piacere conoscerla…”-. La sua mano e la mia, penzolano
insieme in attesa di appellativi.
-“…Sibilla.”-.
-“Oh
bel nome, Sibilla! Io sono Frank.”-. Annuisco
indicandogli la targhetta.
-“Oh
questa!”-. La prende in mano, carezzandola via dalla polvere accumulatasi
su –“Sembra dovrò toglierla di mezzo, presto cambieremo sede
d’ambulatorio…”-.
-“E’
un problema?!”-.
-“Oh
no, ma sa questo ambulatorio era di proprietà di mia madre.
Ci
ha lavorato una vita intera, è medico anche lei.”-.
-“Capisco,
è dura staccarsi da qualcosa a cui si tiene
molto.”-.
-“Già.”-.
Mi
rabbuio un po’, staccarsi dal passato, dalla storia e dai ricordi non
è mai cosa semplice.
I
ricordi non fanno vivere meglio, i ricordi non aiutano a vivere, i ricordi sono
soltanto degli spettri che ribussano ogni tanto alle nostre porte per
compatirci e ricordarci cosa eravamo, dissolvendo la speranza buona di
ciò che siamo adesso.
-“Si
faccia forza, non credo che sua madre sia felice nel vederla così.”-.
-“Oh,
lei non è mai stata completamente felice.”-.
Si asciuga una lacrima, prima che sgorghi.
-“Come
tutti, del resto.”-. L’accarezzo su una
guancia, sorridendogli.
-“La
sto annoiando, mi dispiace.”-.
-“Ma
scherza?!Mi piacciono queste vecchie storie di famiglia.”-.
-“La
mia è bizzarra, sa?! Mia madre non è
nemmeno austriaca, venne adottata dai miei nonni in
uno di quegli orfanotrofi al confine con il mondo.”-.
-“Sono
orfana anche io e posso capirl…”-.
D’improvviso
il cuore comincia a pulsarmi forte nel petto.
Ora
capisco tutto.
Ora
so che cosa è il vago senso di appartenenza a questo posto che mi bussa
dentro, da quando sono entrata.
E
quel cognome.
Questa
storia. La sua storia.
Un dottoressa. Un ambulatorio.
Una
famiglia di medici molto influente in Austria.
Una
famiglia bizzarra.
Una
donna adottata. Un orfanotrofio.
L’infelicità
costante.
Elisabeth
JoanneWillehlm.
L’ho
trovata. Io l’ho trovata.
Non
dico una parola, comincio a piangere dall’emozione.
Frank mi guarda inconsapevole, colpevole
forse d’aver fatto rivivere in me chissà quale triste ricordo del
passato.
Ma
non sa il dono che mi ha fatto; lo abbraccio forte, senza dire una parola, lui
ricambia il mio stringendomi forte a se.
E’
dolce, è rassicurante, è familiare.
Ho
provato solo due volte nella vita questo tipo di sensazione; la prima quando ho
conosciuto Simone, la seconda quando ho incontrato
Victor.
Con
questa fanno tre.
E
tutto torna, tutto fila, tutto è scritto.
-“Io
vengo da parte di Victor…”-.
Non seppi spiegare mai a me stessa, come riuscii a
conciliare una cosa così straordinaria, con una sola frase diretta ma
sconclusionata.
Non so, sapevo che avrebbe capito, nel mio cuore
sentivo che c’era qualcosa che univa il mio destino al suo.
Lo avevo percepito entrando in quella stanza,
aprendo gli occhi e facendomi assorbire da tutta quell’energia
che vagava nell’aria.
-“Victor?!”-.
Ha slegato l’abbraccio, abbandonandosi alla sua poltrona di pelle nera.
–“Non sai quanto è che sto aspettando di vedere apparire quell’uomo.”-.
-“E’
qui, con me.”-.
Quanto mistero, quanta magia, mi ero fatta
inghiottire dall’assurdità delle coincidenze,
dall’assurdità del destino, io proprio io, miscredente fino al
midollo; ma adesso non importavanopiù i perché, adesso
c’ero dentro davvero con tutta me stessa e portare a compito questa
avventura pazza e straordinaria, era tutto ciò che di meglio potevoterminare nella mia vita.
Care
Rovina e Zia Esmy, non so come ringraziarvi per le
belle parole, spese nelle vostre recensioni.
Davvero,
sono molto lusingata, d’essere riuscita a trasmettere delle emozioni,
attraverso le mie righe e il mio testo; credo sia uno dei complimenti
più belli per una persona che si impegna nello scrivere, ed adora quello
che fa tra le altre cose pur non avendone fatto mestiere, possa ricevere!
Le
soddisfazioni che sto ricevendo con questa storia sono davvero impagabili e
impensabili, visto lo scetticismo che comunque l’idea di
per se di questo racconto, aveva suscitato all’inizio in me.
Ma
ora tutto è cambiato, credo che l’essere riuscita a sentire mio
questo testo, mi abbia dato anche quella spinta in più per renderlo
così com’è; qualcosa di sovrannaturale, equilibrato, non
invadente.
Amo
questa storia, ed amo voi recensitici, per il vostro sostegno. Grazie di cuore!
Michelle, ringrazio anche te, sono riuscita a leggere per tempo la tua
recensione, prima di postare questo capitolo! Grazie cara,
e vai tranquilla, il tempo è tiranno per chiunque!
Vi
mando un caro abbraccio.
LuNaDrEaMy
aawaa
SORTILEGIO
ED OBLIO.aawaa
Chap n.11
-“Victor.
E’ tutta la vita che ne sento parlare.”-.
Frank è ancora sulla sua poltrona,
gira nervosamente le ruote sotto ai suoi piedi, slittando a destra e sinistra.
-“Come
Betty, il tempo passato a sentir parlare di lei, mi
ha insegnato ad amarla anche senza averla vista prima.”-.
Frank porta i suoi enormi occhi blu, nei
miei.
Non
mi ero accorta della loro bellezza imbarazzante; scruta le mie parole, se
soltanto le potesse veder scritte, riuscirebbe a sbrogliare i nodi dei suoi
perché.
Lo
so, capisco le sue domande.
Siamo
rimasti qualche minuto a parlare, ma di chi sia io in realtà, non ha
capito molto.
Come
dargli torto, davanti a se ha una perfetta sconosciuta.
-“Se
vuoi, ho qualche sua foto.”-.
-“Mi
piacerebbe tantissimo vederle.”-.
Mi
avvicina alla sua scrivania, mostrandomi alcune cornici; in tutte, padroneggia
la figura minuta di una donna, bellissima.
Ha
profondi occhi chiari, capelli rossi e ricci, sguardo vivace
e temperamento forte, a giudicare dalle pose.
Sì,
è proprio lei.
Mi
sembra impossibile d’averla dinnanzi agli occhi.
Eppure,
è solo un pezzo di carta plastificata.
-“Lo
diceva Victor, che tua madre era bellissima.”-.
-“Mia
madre non faceva altro che parlarmi di lui, del suo carattere pacato, dei suoi
modi gentili, della sua intelligenza. A volte dimenticavo persino che stesse
parlando di un essere umano, tanto fosse perfetto!”-.
-“Lo
è, sai?! E’ davvero un elisir di bellezza
e raffinatezza.”-.
-“Lo
credo, altrimenti non ne sarebbe stata innamorata tutto questo tempo.”-.
-“Lei,
lo ama ancora?!”-.
-“Non
ha mai smesso. Sì, i miei nonni l’hanno fatta sposare con mio
padre e lei si è presa cura di noi, della casa, del suo lavoro, con
amore e dedizione, ma il suo sguardo non era mai felice, come quando raccontava
di lui.”-.
Alzo le spalle, guardando un po’
più in là; certamente Victor ne sarà felice.
Sono
emozionata al pensiero della faccia che farà, quando ella stessa le
dirà le medesime parole.
E
le sue paure, le sue paure svaniranno come bolle di sapone nell’aria.
D’altra
parte, non so se essere dispiaciuta per questo ragazzone al mio cospetto; come
ci si dovrà sentire, sapendo che la propria madre, abbia vissuto una
vita intera con il proprio marito, amando però un altro uomo?!
Io
mi sentirei strana.
Strana,
non so se è il termine più esatto.
Ma
quale rapporto straordinario deve avere questa donna, che per anni ed anni non
ha avuto pudori, con il sangue del suo sangue, parlandogli di codesto uomo?!
Per
un attimo rabbrividisco; io e mia madre non parlavamo quasi mai, o almeno i
nostri rari incontri verbali, finivano per essere quasi sempre scontri.
Ma
questa, è un’altra storia.
-“Ma
lei, dov’è adesso?!”-.
Frank mi guarda stupito, aggrottando le
sopracciglia per la sorpresa.
Chiude
gli occhi poi, lasciandosi andare in una risatina sarcastica.
-“Ma
come, non lo sai?!”-.
-“No,
non so.”-.
-“E
Victor non sa?!”-.
-“Non
sappiamo nulla.”-.
-“O
Dio mio, il compito più duro è capitato a me.”-.
-“Lei
è in Friedhof, sulla strada che costeggia la pineta all’entrata del
paese.”-.
Sto
per domandargli di essere più chiaro, non conosco bene la sua lingua, so
che Victor capirebbe, ma non saprei come spiegargli; d’improvviso
però, la porta della nostra stanza si apre, scoprendo sull’uscio una
vecchina, accompagnata da un’infermiera.
Ho
una morsa, alla bocca dello stomaco.
Per
un attimo, mi ritrovo a pensare che sia lei. Betty.
-“Dottore
la disturbo?!”-. L’infermiera, una procace
ragazza bionda, si affretta a parlare.
-“Certo
che lo disturbiamo, non vede è in dolce compagnia!”-. Gli fa
l’anziana, sorridendo ad entrambi.
La
bionda arrossisce un po’, lasciandosi andare in una risata un po’
troppo sguaiata.
Sorrido
anche io, divertita da questa bizzarra signora.
-“Cosa
abbiamo oggi, signora Folk?!”-.
-“Dottore
il solito dolore all’anca. Non sono più l’arzilla vecchietta
di una volta…”-.
Signora
Folk, non credo sia uguale alla parola mamma.
Sospiro,
quasi sollevata.
Frank mi stringe le spalle, pregandomi di
attendere un attimo.
Decido
però di lasciarli soli, accompagnandomi alla porta, portandomi fuori.
Il
corridoio che si affaccia ai miei occhi, è deserto; mi siedo su delle
panche di legno chiare, fissate alla parete.
Ripenso
a tutto quello che è successo in quella stanza, ed un brivido mi
attraversa la spina dorsale.
Per
un attimo sono così felice, d’aver paura di non saper raccontare a
Victor questa scoperta sensazionale. Ho paura, di non avere più parole
da impiegare.
Sembra
tutto così illogico, eppure è vero, non sono in un sogno.
Domani,
non mi sveglierò.
E
se lo farò, Victor sarà fra le braccia della sua Betty.
Mi
do un pizzico.
Giusto
per un ulteriore constatazione.
La
mia pelle s’arrossa in un secondo.
Questo
livido, sarà il sigillo della verità:
Elisabeth
e Victor finalmente, si ricongiungeranno.
-“Sibilla!”-.
Frenk apre la porta, cercandomi con lo sguardo.
-“Dimmi,
dimmi tutto.”-. Mi alzo, portandomici
di fronte.
-“Ho
da fare per un altro bel po’. Tu va a casa, hai bisogno di
riposare.”-.
-“Sì
credo sia meglio. Non vedo l’ora di dire tutto a Victor.”-.
-“In
bocca la lupo, allora.”-.
-“Se
mi serve fortuna, quella è per i miei esami!”-.
Mi
sorride, carezzandomi la guancia. Sorrido a mia volta, carezzando la sua.
-“Allora
ciao, a domani.”-.
-“A
domani.”-.
Mi
giro lentamente, accompagnandomi verso l’uscita.
Sono
piena di speranze, invasa e pervasa da sentimenti
totalmente lontani da solitudine, frustrazione, depressione.
Se
non fosse che lui, LUI, è così lontano dai miei occhi, dal mio
cuore.
-“Sibilla,
aspetta!”-. Mi giro, Frank è alle mie
spalle.
-“Oh
dottore, ora capisco perché le sue visite durano così tanto; lei
i pazienti non li lascia scappare!”-.
-“No,
mi sono dimenticato di darti una cosa preziosa e importante.”-.
Si
fruga nelle tasche, aprendomi di conseguenza il palmo della mano.
-“Mia
madre mi dette questo tempo fa, dicendomi che se alla mia porta fosse mai
apparso Victor, avrei dovuto consegnarglielo.”-.
Un
ciondolo, giace raggomitolato nella mia mano.
Un
rubino rosso incastonato in una montatura semplice e delicata, risplende nelle
sue sfaccettature donando riflessi stupendi.
Lo
stringo forte.
Posso
sentire scorrere in quella pietra dura il tempo, l’energia di un’ amore mai assopito, la speranze che con esso non
è mai morta.
Poi
una chiave, grande e d’ottone, appesa alla stessa catena d’oro
giallo; guardo il ragazzo incuriosita.
-“La
chiave, apre la porta dell’appartamento posseduto da mia madre in
giovinezza.”-.
-“Grazie
Frank, grazie di tutto.”-.
Lo
abbraccio forte, alzandomi sulle punte per riuscire ad avvolgerlo bene.
-“Grazie
a te.”-. Mi cinge la schiena, accucciandosi con
il volto nella mia spalla.
Poi
lo lascio, salutandolo definitivamente.
Cammino
spedita verso il mio albergo, il nostro albergo.
C’è
una verità da raccontare, il testimone di una vita passata nel pensiero
dell’uomo anziano che ha sconvolto la mia di vita, da consegnare.
-“Victor?!
Victor ci sei?!”-.
Apro
la porta della nostra camera, cercandolo con lo sguardo.
Non
mi risponde, allora chiudo bene la porta, portandomi nell’appartamento.
Chissà
dov’è.
Sono
impaziente di vederlo, fremo.
Distrattamente
passo accanto al terrazzo che da sul parco, collegato
con alcuni scalini di pietra; continuo per la mia strada, poi ci ripenso e
torno indietro, notando che la porta-finestra è spalancata.
Mi
affaccio, scendo le scale, sono in giardino.
Da
lontano, Victor mi chiama a gran voce.
Agito
il braccio, incamminandomi verso di lui.
Ma
le gambe cedono, mi accascio in terra come un frutto maturo, cadente dagli
alberi.
Vedo
il suo volto farsi bianco, poi una corsa affannosa verso la sua bimba stesa in
terra.
-“Sibilla,
che cosa hai?!”-. Mi aiuta a rialzarmi.
-“Non
lo so Vic, io ti giuro che non lo so.”-. Mi passa una mano sulla fronte, preoccupato.
-“Sei
pallida. Vuoi che chiami un dottore?!”-.
-“Oh
no, è da lì che sto tornando.”-.
-“E
cosa ti hanno detto?! Ma perché non sei rimasta
lì?!”-.
-“Victor
non preoccuparti, sto bene”-. Lo vedo che mi fissa amorevole
–“davvero, e poi non potevo restare, ho delle cose troppo
importanti da dirti.”-.
-“Non
c’è niente di più importante della tua salute.”-.
-“Come
sei caro, ma aiutami a distendermi piuttosto! C’è davvero qualcosa
che bolle in pentola.”-.
Ride,
cercando di alzarmi da terra; sono appoggiata sulla sua schiena, camminiamo un
po’, riuscendo in breve a rientrare nell’appartamento.
Mi
porta in stanza, facendo attenzione a non strattonarmi troppo.
Delicatamente poi, mi fa stendere sul
letto; sistema i cuscini, ordina la cena e si accomoda sul bordo del letto,
sempre con la mano stretta nella mia.
-“Sei
andato al comune?!”-.
-“Sì,
sono riuscito a ricavare l’indirizzo di un appartamento appartenuto a Betty, ma nulla più. Ci sono passato, ma sembra
fosse disabitata”-.
-“E’
normale, Betty non vive più in quella
casa.”-. Lo guardo divertita, lui mi guarda pensieroso –“ma voleva che comunque tu avessi
quelle chiavi.”-.
Victor
continua a guardarmi, incerto e spaurito; prendo il ciondolo, lo sfilo dalla
tasca del mio golf chiaro, porgendolo a lui.
-“E
non solo. Betty voleva che tu avessi questo ciondolo,
consegnandolo a Frank suo figlio, con la speranza che
un giorno tu avresti bussato alla sua porta.”-.
Victor
fissa intensamente il gioiello; i suoi occhi neri si fanno piccolissimi in un
attimo.
Il
suo sguardo mi spaventa, innaturalmente teso, mortalmente spento quasi.
Non
riesco a capire se sia il ciondolo, o le parole che mi
ha sentito pronunziare.
-“Ha,
ha un figlio?!”-. A quanto
pare, sembra essere la seconda opzione.
-“Sì.
E’ stata sposata Vic, ma è vedova da
qualche anno.”-. Mi schiarisco la voce,
stringendogli forte la mano –“credo di sapere cosa stai provando in
questo momento, ma voglio che tu sappia, che lei non ha fatto altro che
pensarti ed amarti, per tutto il corso della sua vita.”-.
-“Te
lo ha detto lei?!”-.
-“Suo
figlio. Mi ha detto che il suo volto, si illuminava solo
quando parlava di te, Vic.”-.
-“Potrà
bastare a cancellare, che lei è stata di un altro uomo?!”-.
Non
l’ho mai visto così.
Ha
urlato, sì credo abbia urlato.
Ma
la sua voce è così bassa che un leggero sforzo, storpiato dal
dolore, sembra uno straziante urlo.
Non
so che dire, avrei voglia di piangere.
-“No,
non credo basti. Non c’è nulla che basti a sopportare l’idea
che l’uomo o la donna che si ami, nel frattempo che tu sei stato via,
è stato d’altri. Ora, hai la possibilità di scoprirlo.”-.
-“
Lo sai cos’è questo ciondolo?!”-.
-“No.
Vuoi dirmelo?!”-.
-“Glie
l’ho donato, prima che partisse.”-.
-“Qualcosa
che vi avrebbe legato per tutta la vita. E’ un gesto molto romantico.”-.
-“Quando
è partita, lei giurò d’amarmi per tutta la vita.”-. Mi guarda triste, afflitto.
-“Non
ti è rimasto solo questa pietra di quell’amore.
E’ lei che te le sta dicendo, ridandoti indietro questo gesto
d’amore.”-. Gli stringo il palmo, chiudendolo
a riccio.
-“Pensi
sia così?!”-. Fissa la sua mano chiusa,
cercando con lo sguardo momenti ormai andati.
-“Ne
sono sicura, non avrebbe aspettato una vita, per vederti bussare alla sua
porta. Almeno, io non lo farei.”-.
-“Allora
perché hai permesso che Simone andasse via, se lo ami?!”-.
Oh,
mi ha scalzata.
Ma
ha ragione; se non aspetterei per vita un uomo che non amo, perché ho
permesso al solo uomo che amo, di scappare via dalla mia vita?
Bella
domanda.
E
Simone rimbalza nel mio cuore, dopo vani attimi in cui credevo d’averlo
assopito.
-“Forse,
perché ero ferita. Come te, in questo momento.”-.
Il mio sguardo scappa lontano, il rimorso invece, si avvicina. –“ma
non siamo noi ad aver passato una vita lontani
l’uno dall’altra, non sono io che ho sposato un uomo amandone
invece un altro, non sono io che ho tenuto quella porta aperta, sapendo che lui
sarebbe comunque tornato. Io, io l’ho chiusa per sempre forse… tu,
tu che finalmente sei sull’uscio, tu che finalmente hai trovato la strada,
non sbattertela in faccia. Non ora, Victor!”-.
E’più
forte di me, la coscienza, il rimorso di coscienza, spinge con forza per
entrare, ed io povera donna illusa e speranzosa di non farci ancora i conti,
non posso far altro che sciogliermi al suo volere.
Piangendo.
Lacrime amare, lacrime così
troppo presto
padrone di me.
Lacrime
che non attendevo, come un cattivo ospite, come una brutta sorpresa nel momento
più felice della tua vita.
Ahimè:
sto perendo.
-“Oh
cielo! Quale povero vecchio lamentoso sono diventato… ti sto facendo
piangere per colpa mia, bambina!”-. Mi stringe forte a se, spostandomi
quasi con la sua forza brutale, dalla posizione comoda che occupavo.
Ed
io sono inerme, fra le sue braccia, come un relitto alla deriva.
-“Non
sei un vecchio lamentoso, sono io la ragazzina stupida che pensava di metter
fine al dolore, con quattro fogli e una firma. Stupida.”-.
-“Non
è mai troppo tardi per rimediare, ti ho insegnato questo. Ed io ho
sbagliato con te Sibilla. Ti insegnato a non arrenderti, eppure sono qui a
lamentarmi.”-.
-“Anche
i migliori sbagliano. Ma la loro forza è nel rialzarsi.”-.
-“Bene,
allora alziamoci, lasciamo le lamentele a chi ne ha fatto una
virtù.”-.
-“Ho
paura, Vctor.”-.
-“Anche
io.”-.
-“Tu
mi resterai accanto?!”-.
-“Io
ti sarò vicino comunque.”-.
-“Comunque?!”-.
Non mi rispose, o almenonon lo fece mai a parole.
Sapeva di non poter promettere
l’eternità, sapeva che non avrebbe resistito a tanto, senza di
lei.
Lui che già sapeva, lui che aveva sempre
saputo, ma non aveva mai osato credere.
Ed io non potevo certo immaginare, che LEI se lo sarebbe portato via con se, lontano.
Lontano, come l’oblio che li legava, chelo aveva tenuto
in vita, senza cielo e terra.
Cominciai ad aver seriamente paura che non lo
avrei mai più rivisto e questo fece di me una vittima; la vittima di un
sortilegio e di un oblio, che d’improvviso cambiò destinatario.
Ma questo io, non potevo ancora saperlo.
Ragazze, come avrete capito, siamo in fase finale!
Conto di concludere la storia fra uno, due capitoli al massimo.
Mi dispiace se vi lascio con questa incognita,
quasi a svelare il finale, senza che ve lo sareste aspettato
ma per l’idea che ho in mente, credo sia l’ideale!
E’
da parecchio che non aggiorno questa mia ultima “fatica”, giunta
quasi al termine.
Ci
tengo parecchio a mandare un saluto particolare ai miei recensitori, più
le mie scuse ovviamente, ed un saluto speciale a chi si aggiungesse fra essi.
Un
caro saluto,
LuNaDrEaMy
aawaa
DESTINAZIONE
FUTUROaawaa
Chap
n.12
-“Sibilla,
raggiungimi nel mio studio. Ho i risultati delle tue analisi.”-.
E’
da circa dieci minuti, che fisso la parete della mia stanza.
Gli
occhi sono fermi, sempre sullo stesso punto.
Il
cuore batte all’impazzata, nella probabilità che l’unica
risposta alle mie domande, sia positiva.
Sì,
sei malata Sibilla.
Sì,
stai morendo.
Ghigno
un po’, non è possibile che sia in procinto della fine; mio padre
da ragazzina inveiva sempre contro di me, con la solita crudeltà:
-“L’erba cattiva non muore
mai!”-.
Ecco,
lui sentenziava che il sangue amaro scorrente nelle mie vene, mi avrebbe tenuta
in vita fino all’eternità.
Ma
quel povero pazzo non sapeva che il mio sangue era il sangue di tutte le
ragazzine della mia età; sangue dolce, sangue impaurito, sangue
papà-non lasciarmi sola.
Era
mio padre. Ma mi odiava.
Lui,
è morto prima di me, me l’ha fatta sotto al naso.
Mi
alzo dal letto, lo sguardo è tornato a muoversi sul mondo.
Mi
vesto lentamente,scandisco i
movimenti uno ad uno, come se non dovessi mai più compierli.
-“Sibilla non sei ancora morta, Sibilla non
sai quale sarà il tuo destino.”-.
Una
voce pulsa nelle mie membra, è distinta, femminile.
Ho
paura.
Non
sembra neanche più la mia coscienza parlante.
Il
mio cuore è un tamburo, lo ascolto rapita; mai nella vita potrò
sentirmi più viva di adesso.
-“Ho
un appuntamento col dottor Willhelm.”-.
-“Prego,
si accomodi signora. Il dottore è in visita, ma la raggiungerà
presto.”-.
Ringrazio
la segretaria con un cenno del capo.
Con
i testa ancora tanti dubbi e paure, mi accomodo su una poltroncina
dell’atrio.
Un
odore di lavanda, si espande dai corridoi; sa di freschezza, di pulito,
l’annuso divertita.
E
mi lascio cullare da quella fragranza, fin quando Frank, non si materializza
dinnanzi ai miei occhi.
-“Cara,
t’aspettavo.”-.
-“Siamo
qui adesso.”-.
-“Sì
certo. Vieni, accomodati.”-.
Mi
fa entrare nel suo studio, sempre in straordinario ordine e perfezione.
Le
foto di sua madre padroneggiano la sua scrivania; stamane sembra che quella
donna mi sorrida, al di là del vetro.
Frank
se ne accorge, restando allibito anch’egli per un secondo.
Poi
sorride, e con delicatezza estrema, mi porge la cartella con i risultati degli
esami.
-“E’
tanto grave?”-. Sussurro a voce roca.
-“No
Sibilla. Non è grave.”-. Trattiene una risata, il che fa ben
sperare.
Mi
distendo con un sospiro, lasciando andare via le tensioni.
Apro
la cartella incuriosita, sfogliando con lo sguardo tutta quella serie di nomi
troppo articolati e difficili da leggere.
-“Non
riesco a capire cosa c’è scritto. Voi medici parlate una lingua
tutta vostra! E per di più sono in un paese straniero!”-.
Mi
lascio andare in una risata, lui si accompagna alla mia, avvicinandomi.
-“Guarda,”-.
Con il dito scorre su una riga, nella cartella ancora fra le mie mani
“qui c’è scritto che diventerai madre, Sibilla.”-.
Lo
guardo. Poi guardo la cartella.
Poi
di nuovo, guardo lui, negli occhi, profondissimi, chiari.
-“Non
stai scherzando, vero?!”-.
-“No,
aspetti un bambino. Vero.”-.
Oh
misera me!
Ho
parlato di morte, mi sono crogiolata in una fine che non esiste, quando io nel
grembo, porto la vita?
Sono
senza parole, ammutolita ed estasiata nella mia sorpresa.
-“Non
sai da quanto tempo, aspetto di ricevere una notizia così
bella!”-.
-“Per
questo, ti ho fatta venire subito qui.”-.
-“Grazie
Frank, grazie davvero.”-.
-“Io
non ho fatto nulla.”-.
Ride,
imbarazzato.
Ha
un qualcosa di infantile, il rossore dipinto sulle sue guance.
L’accarezzo,
sorridendo a mia volta.
-“Ora
vado, a presto.”-.
-“A
presto, cara.”-.
Lascio
lo studio, con il cuore colmo di felicità, lasciando che ella stessa mi
inghiottisca nel suo vortice di incantoe leggerezza.
E’
ancora presto, le strade sono semi vuote; un leggero vento accarezza le gote,
fresco e mai pungente, dolce e mai aggressivo.
Mi
piace questa terra.
Mi
piace ancor di più sapere che sarò presto mamma.
Quanto
ho sognato questo momento.
Quanto
ho atteso di lasciarmi cullare dalla certezza e non abbandonarmi
all’oblio dell’incertezza.
-“Quanto ho voluto, sentirti dentro di
me.”-.Mi sfioro il ventre, delicatamente.
Sono
una donna, adesso sì che sono una donna.
Passo
dinnanzi a una cabina telefonica, per un attimo quel telefono sembra chiamarmi;
mi attira a se, è come se fosse messo apposta lì.
Simone.
L’istinto
è chiamarlo e dargli la dolce notizia.
Ma
non si può, non ora che avrà ricevuto il plico di fogli, in cui
è steso per bene la fine del nostro matrimonio.
Sono
alle strette, se lo chiamo, questo influenzerà per sempre le nostre vite
e le nostre scelte; ma se lo chiamassi, gli darei semplicemente la gioia di
sentirsi padre…
-“Risponde
la segreteria telefonica del numero…”-.
Aggancio
in completo mutismo, prendo le prime ecografie di nostro figlio, gli allego un
bigliettino e le spedisco; DESTINAZIONE… FUTURO.
“Auf
Wiedersehen”-.
-“Auf
Wiedersehen”-. Saluto la gentile impiegata delle poste, ed esco in
strada.
Ed
è mentre sono per la via del ritorno, che mi imbatto in quel cartello,
stretto, nero, spento.
Spento
come le vita.
Spento
come quel luogo, che racchiude la fine di un uomo.
E
la fine di tanti uomini. Di chi resta, e di chi ci entra. Per sempre.
Friedhof.
Cinquecento
metri sulla destra.
Quel
cartello campeggiacon la sua
scritta e le sue croci nere disegnate.
Friedohf.
Cimitero.
Ho
tumulto al cuore.
D’improvviso
non c’è più gioia, solo paura.
E
tremore, ed ansia.
Mi
porto una mano alla bocca, cercando di trattenere lo shock; comincio a correre
più forte del vento, che forte mi spinge per quei cinquecento metri
della fine.
Sempre
contenta delle belle parole che avete da spendere per me. Grazie di tutto
cuore!
Stavolta
ho cercato d’aggiornare un po’ più di fretta, ma nel farlo
mi è venuta in mente, ancora una mezza idea per questa storiella!
Credevo
di terminarla con questo capitolo, ma pensandoci bene ci sono ancora parecchie
cose da poter raccontare!
Sì,
sì. ^^
Ok,
vi lascio. A presto
LuNaDrEaMy
aawaa UN ANGELO NELLA MIA VITAaawaa
Chap n.13
Il
mio arrivo in friedhofè piuttosto bizzarro; la
mia corsa irrompe nella quieta, facendomi vergognare del tale chiasso.
Non
siamo alle giostre.
Me
ne rendo conto troppo tardi.
Varco
il cancello di ferro nero, pesante come un macigno, lugubre quanto
l’atmosfera.
Il
vento agita le fronde; degli improbabili uccellacci,
si alzano in volo nel cielo.
Non
sono per nulla spaventata.
Non
che lo dovrei essere, ma non ho mai amato varcare nella solitudine e nel silenzio,
senza nessuno al mio fianco.
Ma questo posto mi piace; dolci essenze
arboree di pregio, donano al luogo un carattere particolarmente romantico.
-“Victor dove sei…”-.
Mi
accuccio nelle spalle, fa freddo.
Girovago
di tomba in tomba, cercando quella sagoma a me tanto familiare.
Non
è difficile scorgerlo, nascosto fra i cespugli rigogliosi, retto
immobile come la più vigile sentinella; dinnanzi a lui, una piccola e
modesta lapide di granito risplende ai raggi del sole.
La
semplicità di questa terra e della gente che vi abita, si fa beffa anche
dello sfarzo e delle rivalità familiari.
Dove
sono nata io, la gente quantifica la potenza in base alla grandezza.
Pochi
passi, gli sono accanto; accarezzo leggera la sua spalla, prima di chinarmi a
porgere un fiore, raccolto da un cespuglio di narciso.
Il
granito rosastro sembra illuminarsi ancora di più.
E
lei, da quella foto scolorita, fredda ma inesorabilmente etèrea, mi
sorride anche stavolta.
-“Eccola
la mia Betty. L’ho trovata finalmente.”-.
-“Mi
dispiace, caro. Non sai quanto mi dispiace.”-.
Sono
affranta, ho creduto nel sogno della favola d’amore, che la realtà
mi sembra così brutta e insopportabile.
Betty era un po’ anche mia, nei miei
sogni.
E’
come se l’avessi persa io stessa, con le prime luci del mattino.
Victor
mi sorride, si fa forza, ma il suo volto tradisce disperazione.
Muta,
interna, devastante.
-“La
vita di un uomo è fatta anche di dipartite. Noi non abbiamo colpe,
dobbiamo solo aspettare.”-.
-“Aspettare
cosa?!”-. Ho paura, le sue parole parlano di
arrendersi.
-“Di
ricongiungerci alle persone care, Sibilla. Come adesso, io l’ho trovata,
ed è ora che smetta di girovagare per il mondo.”-. Sorride, nervoso, gli occhi gettati al di là di
qualcosa che non esiste.
-“E
cosa farai adesso?!”-.
-“Semplice,
mi fermerò.”-.
Le
sue parole suonano così innaturali, per un attimo sembro non percepire
più la sua aurea, sembra non riesca più a sintonizzarmi sulle sue
frequenze.
E’
come se mi fossi svegliata, dal torpore nel quale mi aveva racchiusa.
-“Io
non ti lascio solo”-. E’ tutto ciò che riesco a dirgli,
balbettando.
-“Tu
hai la tua vita.”-. Si gira verso me, mi tende
una mano sulla spalla e continua a parlare –“hai Simone, lo scopo
del vostro proseguimento insieme. Non puoi lasciarlo solo, ora che il destino
ha lasciato nel tuo sacchetto il gusto di una nuova scoperta…”-.
Il
gusto di una nuova scoperta.
Sorrido.
Ecco
perché non voglio lasciarti Victor.
Tu
sei per me un mentore, un amico, una di quelle persone speciali che capita una
sola volta d’incontrare.
-“Vede?! La vita è un po’ come un
pacchetto di biscotti, infila la mano, pesca quello giusto e tutto ha un altro
gusto. Così, chi demorde nella vita non ha capito che basta sfidare la
sorte, per trovare il giusto sapore.”-.
Le sue parole, battono in testa.
Sembra passata una vita da allora. Da quando decise di trascinarmi
nel suo mondo, fantastico.
-“Victor…”-. Non riesco a dire altro, mi ha
commossa. Le lacrime scendono e rigano il volto, sono lacrime tristi, che fanno
male, bruciano quanto l’addio che sento sto per dargli.
-“Adesso sai cosa fare Sibilla.”-.
Mi prende a se, stringendomi forte –“il tuo cuore è pieno
d’amore, va e fallo cantare!”-.
-“Come faro senza di te ?”-. Continuo a fissarlo negli
occhi, soffocati dalle lacrime.
-“Oh piccola Sibilla, avrai così tante cose da fare
da domani, che tu stessa dimenticherai di avermi conosciuto! Ma
c’è di più…”-. Prende respiro, mi accarezza una
guancia –“Non hai più bisogno di me. E lo
sai…”-.
Provo ad oppormi, ma il suo sguardo mi fa capire che è una
verità ormai impossibile da tacere.
Lui ha trovato la sua Elisabeth e per quanto mi sembra impossibile
da capire, fermerà il suo cammino a questo momento, in questo posto.
Ed io? Ho scoperto di essere in attesa
del figlio di Simone.
Non posso fermarmi ancora, devo correre da lui e salvare
ciò che resta del nostro matrimonio.
-“Grazie di tutto.”-. Gli
sussurro, all’orecchio, prima
d’abbracciarlo forte.
-“Grazie a te piccola mia. Tu mi hai dato quanto di
più, potessi offrirti io stesso.”-.
Lo guardo, le sue parole spiegano più di quanto io stessa potrei fare, aggiungendone delle altre.
Gli bacio una guancia, e non penso che è l’ultima
volta che vedrò quell’uomo. No.
Vivrà sempre in me, nascosto fra i miei pensieri e fra le
pieghe del mio cuore.
Mi volto per portarmi via di là, cammino
svelta. Non si sente rumore. Né si proferisce parola.
-“Victor…”-.
Non resisto. Mi volto per un ultima volta.
No, non è la stanchezza, e nemmeno le lacrime. Non sono
lontana, e lui non si è nascosto.
E’ andato via. Non c’è più. Victor non
è.
Non me lo disse mai chiaramente, ma io
ne fui così sicura, e ancora oggi che parlo di lui, crebbi e credo
fermamente, che Victor fosse un angelo.
Per la sua grazia, il suo animo
gentile, l’equilibrio e la pace delle sue parole.
Nella vita di chiunque, può
capitare un incontro eccezionale, SPECIALE.
Per il momento in cui capita. Per le
situazioni così impreviste, che si apprestano ad amalgamarti subito alla
compagnia di tale persona.
L’arrivo di Victor nella mia
vita fu imprevisto, quanto enigmatico; dapprima non riuscii a capire cosa
centrava quell’uomo totalmente sconclusionato, nella mia grigia e misera
esistenza piatta. Io così presa dalla routine dei miei giorni tutti
uguali, io così dannatamente sconfitta e arresa al destino avverso del
mio matrimonio, non trovavo il perché a quell’uomo, alle sue
parole che toccavano la mia anima, che riuscivano a spiegare mesi emesi di frustrazione interna. Lui ci
riusciva. Ci è riuscito. Mi ha liberato dalla cappa dell’apatia.
Mi ha ridato speranza e coraggio. Volontà, di riaprire il cuore e farlo
cantare!
Questo era il suo compito, questo era
il perché. Ecco cosa centrava lui con me.
E lo ha fatto facendomi passare per la
sua storia, di un amore diviso, lontano, avverso al destino almeno quanto il mio;
mi ha fatto entrare nel suo dolore, nella sua impotenza, per non far sì
che un domani, la “pazza” vagabonda diventassi io. Buttati mi
diceva, rischia mi diceva. Ma io era arrabbiata, troppo, per dar retta alle
parole di uno sconosciuto .Credevo fossero solo
sciocche similitudini, la sua storia e la mia! Quanto mi sbagliavo e quanto un
sorriso adesso prende il posto di una lacrima, tutte
le volte che ci penso.
Non ho più dolore, mi ha
guarita. Sono di nuovo viva. Sibilla. Me.
Non riesco a staccare i piedi da terra, terribile sensazione
immobilità.
Credo si chiami paura. Sì è paura
quando le mani si agitano nervosamente, quando strusciano sui fianchi
come se dovessero accendere una miccia e scoppiare da un momento
all’altro.
Le porto in tasca, magari staranno comode. Ma qualcosa di
appuntito mi pizzica un polpastrello; le tiro fuori e con loro, viene fuori
anche la minuscola chiave d’ottone che avevo lasciato a Victor…
Sono
sicura, d’aver lasciato il ciondolo con la chiave a Victor; eppure, or
ora, non riesco a spiegarmi come sia finito nella mia tasca.
Mah.
Non
ho tempo per pensare, devo correre in albergo, fare di corsa le valigie e
tornare a dov’ero, prima che il ciclone Victor mi travolgesse.
La
chiave magari, la restituirò a Frank.
Sono
ancora un po’ scossa, gli occhi mi bruciano e dentro hocome una sensazione di vuoto.
Non
riesco a darmi una spiegazione, ma capita spesso, quando si perde una persona
cara.
Quando
Simone se ne è andato da casa, lo stomaco mi è bruciato per una
settimana intera;
se lo perdessi per una vita intera, non oserei immaginare
come ne risentirei.
Adesso,
ho troppa voglia di vederlo.
-“Prego,
prego signora si sposti da questa parte.”-.
Un
agente di polizia, mi scorta al di là della strada che stavo
percorrendo.
-“Cosa
è accaduto?!”-.
-“Il
ponte che collega le due estremità della
città ha ceduto signora. E’ pericoloso rimanere.”-.
-“Senta ma il mio hotel è dall’altra parte, io
devo ripartire, come farò?!”-.
-“Penseremo
a farle ricapitare i bagagli in un altro alloggio.”-.
-“Io
non ho, un altro alloggio.”-.
-“Signora,
non ho tempo da perdere, mi scusi.”-.
Ecco,
in questo preciso momento, vorrei sprofondare in un abisso nero.
Mi
guardo intorno, c’è deliro, traffico, confusione; l’amabile
tranquillità e i sorrisi di questo paese sembrano stati cancellati
d’un sol colpo.
Non
so cosa fare, non so dove andare, perché…
Mi
volto e cammino svelta.
Cammino,
così senza meta, in balia dell’umore, del destino.
E
piango, sono fragile, sono scossa.
Io
che dovrei essere su un aereo, io che adesso sento l’impellente bisogno
di tornare a casa.
Voglio
la mia casa, il mio caos cittadino. Il mio Simone.
Una
cancellata di bronzo, blocca il passo.
Non
so dire dove sono, è un posto della città che ancora non ho mai
visitato.
Il
motivo per cui mi sono fermata qui, proprio non saprei
spiegarlo.
C’è
un odore di lavanda qui.
Sarà
questo il motivo.
Mi
ricorda i giorni passati qui.
E
piango ancora. Il ricordo di Victor bussa dolcemente nei miei pensieri.
Mi
manca tanto. Mi manca già.
Se
fosse qui, lui saprebbe cosa fare.
Con
la sua ironia, le sue battute fuori dal mondo. Con la
sua calma e razionalità, il suo proteggermi e volermi bene, senza
condizioni.
Mi
sento morire dalla malinconia, ma poi penso che adesso è fra le braccia
della sua Betty.
Non
sarà mai stato più felice.
Ed
allora, sono felice con lui.
Come
è bella questa villa.
E’
sontuosa, ma di una finezza unica; passo al di sotto di un
arcata che annuncia il portone d’entrata, ci sono fiori profumati,
e rampicanti che rendono ancor più fascinoso questo luogo.
Mi
sembra il giardino dei misteri, che da piccolina sognavo con le mie compagne di
colleggio, quando cercavamo di ricreare con la
fantasia, quello che non avevamo.
Mi
sembra di sognare ad occhi aperti, ancora adesso.
Mi
porto avanti, sembra sia disabitata.
Le rampicanti, coprono una targa; la scopro,
lasciandomi andare nella mia curiosità bambina.
“Lavandelhause”
Casa
della lavanda.
Mi
piace!
Sorrido,
poi ho un flash; questo odore significa di più, molto di più.
Mi
infilo le mani in tasca.
La
chiave di Victor, mi riempie la mano.
La
infilo nella toppa del portone; dapprima tentenno sorridendo un po’ dalla
vergogna, poi giro con un gesto secco.
Ela chiave gira.
Apre.
Il
cancello si sposta dinnanzi ai miei occhi, cigolando; tremo dall’emozione
e dalla paura.
Deglutisco,
poi incredula, mi porto al di là del giardino; i miei occhi ora sono
lì, puntati nel cielo alto e viola di tramonto, che sorridono a lui, al
suo giochetto beffardo, ma grati del momento di
felicità di cui lui, gli ha fatto dono.
-“Grazie Victor…”-.
Ed
è esattamente come lo immaginavo, questo immenso e composto guardino; lavanda appena sbocciata, violacea e viva,
cespugli di gardenie e fronde d’alberi di salici piangenti.
Davvero
un sogno.
Sfioro
appena quell’erba soffice, incolta ma perfetta
nella sua imperfezione; in un baleno, attraverso il giardino e sono dinnanzi
alla porta d’entrata.
Il
cuore palpita forte, ma non esito, infilo la chiave e magicamente si apre
davanti a me, un salone degno delle migliori case regali.
Entro
estasiata, non so bene perché sono qui, ma mi godo la meraviglia.
Le
pareti sono la prima cosa che risaltano ai miei occhi; una spessa carta color
rubino le adorna, è articolata e sontuosa, ma
la sua straordinaria bellezza risiede nei dipinti attaccativi su.
Una
mano esperta ha calcato i volti di quelle persone, perché altrimenti non
si spiega come mai sembrino così vivi e reali.
Riconosco
Elisabeth, nella giovane fanciulla riccia.
Una
raffigurazione della sua bellezza acerba, di gioventù.
Il
salone termina con una grande scala centrale, innalzata centralmente nella
casa.
Salgo.
Non ho meta.
Si
aprono diverse stanze, dove primeggiano altri dipinti, mobili antichi e di
fattura pregiata, tende di una stoffa a me sconosciuta.
Per
un attimo chiudo gli occhi, e cerco d’immaginare la vita trascorsa in
quelle stanze; vedo l’ombra di una donna, che cammina austera in quella
casa, mandando avanti i lavori della servitù, inseguendo indisciplinati
bambini che giocano a saltare dalle scale.
Questa
casa avrebbe molto di cui parlare.
Li
riapro, entro a caso in una delle ultime stanza sul
fondo di un corridoio stretto, fermandomi.
Questa,
è l’unica stanza spoglia.
C’è
un solo cassettone di legno ed una scrivania con i cassettini.
Quel
cassettone mi chiama, ed io non so perché gli ho risposto subito;
dentro, riposti ordinatamente, ci sono degli indumenti usurati, di non so dire
con esattezza di quale epoca siano, ma certamente antica ed
alcune scatole.
Sposto
i vestiti ed apro le scatole.
Plichi
di lettere, fasciati con dei nastri, si ritrovano nella mia mano.
Mi
accomodo in terra, con le lettere poggiate sulle gambe.
Sento
il bisogno di leggerle.
Sono
poesie, mano scritti e qualcosa di vagamente simile a
cantilene.
Mi
rialzo, prendo uno dei vestiti, lo accarezzo, sentendolo mio.
Lo
indosso senza chiedermi come mai, sento solo che lo voglio addosso.
E’
un abito bianco, semplice, con chiusura a fascia sotto al petto.
Io ed Elisabeth abbiamo la stessa taglia.
Sorrido,
poi come una bambina giro su me stessa facendo svolazzare il pizzo della gonna
dell’abito.
Mi
sento stranamente felice.
-“C’e
qualcuno?!”-.
Una
voce irrompe dalla quiete del corridoio.
Per
un attimo ho paura e vergogna di me.
Cerco
di nascondermi, poi mi porto verso l’uscita, cercando di non fare rumore.
La
sagoma di un uomo, si avvicina minacciosamente al corridoio dov’è
la mia stanza; ho paura, ma l’istinto di scappare è più
forte di tutto.
Schizzo
via, trovandomi faccia a faccia con quell’uomo.
-“Sibilla,
sei tu?!”-.
Ho
gli occhi un po’ annebbiati, mi sforzo di guardalo
bene e finalmente riconosco in lui una faccia amica.
-“Oh,
Frank!”-.
-“Cara,
tutto bene?! Sembri spaventata a morte!”-.
-“Oh
sto bene…- Mi guardo per un attimo, avvampo di vergogna-“ perdonami
se ho fatto irruzione qui, senza permesso ma… mi
è successa una cosa irreale e…”-.
-“Sibilla
calmati mio Dio! Ti farai venire un infarto!”-.
-“Frank, ho bisogno di sedermi un attimo.”-.
-“Sì,
lo penso anche io.”-.
Mi
ha presa sotto braccio, portandomi nel soggiorno.
Ha
scaldato dell’acqua servendoci del the.
Mi
spiega con la sua solita tranquillità, che gli capita spesso di
ritornare in questa casa, per tenere curato il giardino.
-“E’
una villa molto bella.”-.
-“Era
di mio padre. La fece costruire apposta per mia madre. Sai, lei amava la
lavanda e mio padre amava lei. Questo era il monumento del suo amore.”-.
-“Doveva
amarla davvero tanto allora.”-.
Frank non risponde, guarda basso il
pavimento.
-“Oh
cielo! Sono stata indelicata, scusami Frank sono un
vero disastro.”-. Mi alzo di scatto, portandomi
verso l’uscita. Mi sento un idiota, una vera idiota.
Lui
si alza con me, afferrandomi per un braccio.
-“Non
devi preoccupartene. So che non l’hai fatto apposta.”-.
Mi
sorride, è un bell’uomo.
Un
bellissimo uomo. E’ attraente, ed il suo sorriso cela un non so cosa di
misterioso.
-“Dove
l’hai trovato questo?!”-. Mi sfiora il
colletto dell’abito.
-“In
un cassettone, in una delle stanze sul fondo.”-.
-“Mia
madre non faceva mai entrare nessuno in quella stanza.”-. Sorride divertito, prendendomi per mano e conducendomi
ci nuovamente.
-“Se
c’è qualcosa che ti piace, puoi prenderlo se vuoi.”-. Mi dice, appena entrati.
-“Oh
no, non voglio abusare ancora della tua gentilezza.”-.
Mi spoglio di quelle vesta, ripiegando delicatamente quell’abito
per non sciuparlo. –“Però c’è ancora qualcosa
che puoi fare per me…”-.
-“Cosa?!”-.
Mi fissa, con i suoi profondi occhi blu.
-“Dirmi
la verità, per esempio.”-.
-“Cosa
vuoi sapere. Sii più precisa.”-.
-“Voglio
sapere Frank, conoscere. Perché vedi io ho
conosciuto un uomo straordinario ed ho compreso i suoi insegnamenti, ma
perché quell’uomo ha voluto che io fossi
qui oggi, proprio non lo so.”-.
-“Vediamo
se posso aiutarti…”-.
Mi
ha presa nuovamente per mano, facendomi sedere in terra e porgendomi alcuni
scritti.
-“Vedi
questi?! Sono formule, druidi, incantesimi.”-.
-“Adesso
sono io, a non capire dove vuoi arrivare.”-.
-“Elisabeth
la rossa. Elisabeth dai ribelli capelli rossotiziano, si diceva fosse figlia di una zingara, allevata
nella alcova di maghe e fattucchiere, prima d’essere abbandonata in
orfanotrofio. Da bambino non capivo perché la mia mamma perdeva
innumerevole tempo a chiudersi in questa stanza, finche un giorno non la spiai;
aveva i capelli legati e difronte a lei innumerevoli
monili d’oro disposti su di un tavolo. C’erano candele tutto
intorno, ed incensi che creavano un fumo denso e scuro. E lei, parlava un lingua a me incompresa.
Quel
giorno, capii che i discorsi dei grandi su mia madre, non erano poi così
sballati.”-.
-“Il
fatto che una donna abbia amato i riti esoterici, non significa che fosse una maga, Frank.”-.
-“E’
quello che ho creduto anche io, finche non siete sopraggiunti tu e
Victor.”-.
-“Cioè?!”-.
-“Leggi
questo.”-. Mi porge un quaderno, ricamato sul
fronte e ingiallito dal tempo.
-“E’
il suo diario… non credo sia giusto.”-. Lo
sfoglio distrattamente, per poi riconsegnarglielo.
-“Parla
della sua vita, i suoi pensieri più profondi. E c’è Victor.
Il loro incantesimo d’amore e il loro rito per non spezzarlo mai.”-.
-“Cosa
centra Victor?!”-.
-“Lei
lo ha tenuto con sé, per sempre. Un pomeriggio, passato
ad annoiarci non sapevamo che fare, così
cita lei, gli ho tolto una goccia di sangue in segno del suo amore e ne ho
fatto la nostra pozione d’amore. Così, resteremo sempre uniti,
ovunque andremmo. Nessuno può dividerci, sebbene il tempo e lo spazio ci
sono nemici, ma io sono sua e lui sarà per sempre mio. Il sangue chiama
sangue.”-.
Rabbrividisco,
eppure tutto ciò che ho vissuto fino a qui, non dovrebbe farmi essere
scettica.
Conto
davvero i brividi, che pervadono la mia pelle.
-“E’
assurdo Frank.”-.
-“Non
lo è Sibilla, mi sono reso conto che l’ho sempre saputo.”-.
Lo
guardo enigmatico, cercando di leggere nelle sue parole.
-“Pensare
che avevo avuto sempre dinnanzi agli occhi, quel ciondolo che portava al collo.
Ignoravo che dentro vi fosse l’essenza del loro amore, la chiave di
tutto.”-.
Il
sangue chiama sangue, questa frase ribatte nella mia testa incessantemente.
D’improvviso,
tutto mi sembra più chiaro.
Come
un raggio di sole, sparato nel cielo tempestoso.
Frank, in tutta la sua vita ha cercato molto
più che la sua Elisabeth.
-“Frank... non dirmi che tu…”-.
-“Sono
figlio suo, Sibilla.”-. Mi stringe le spalle,
mi guarda disperato-“ Quando ti ho vista bussare
alla mia porta e fare il suo nome, ho temuto di morire in un secondo”-.
-“Tu,
sapevi tutto?!”-.
-“Non
poteva che essere così, Sibilla.”-.
Sono
davvero scioccata.
Senza
parole.
Ma
come potrebbero mai riempire il caos nella mia testa, due sciocche e insulse
parole?
Frank è il figlio naturale di Victor,
ed Elisabeth quando partì sapeva di essere incinta; sigillare il legame
suo con quello di Vic, era l’unico modo per far
sì di farlo tornare a se.
Si
sarebbe gridato allo scandalo, l’avrebbero messa alla gogna ancor prima
che per le sue fattezze così poco convenzionali.
E
forse, si sarebbe data colpa proprio a quei suoi ricci, capelli rossi.
-“Ero
convinto che tu sapessi, ma dovevo capirlo dal nostro primo incontro in
ambulatorio, che non era così.”-.
-“Victor
mi ha tenuta all’oscuro di tutto.”-.
-“Neanche
lui sapeva.”-.
-“Neanche
lui?!”-.
-“E’
stato qui tempo fa. Quando mi ha visto, gli è gelato il sangue nelle
vene.”-.
Povero
Victor.
Una
vita intera a correre dietro ad un amore, ignaro di dover coglierne poi anche i
frutti.
Per
un attimo provo tristezza; sarei voluta essergli accanto in quel momento.
Ma
forse, non ho nulla da rimproverarmi, mi ha tenuta fuori per proteggermi anche
stavolta, il mio povero dolce Vic.
-“Questa
storia è così assurda, sovrannaturale, io non credo di aver
sentito mai tanto in tutta la mia vita!”- Lo guardo un po’ troppo
sovreccitata, ma la foga è tanta –“ e credimi, la mia vita
è paragonabile ad una telenovela!”-.
Riesco
anche a sorridere e sciogliere le tensioni.
Lui
si associa alla mia risata, lasciandosi distendere cullato da finta
serenità.
-“Avanti,
chiedimelo pure.”-. Lo sto fissando da un
po’, arrossisco al pensiero che mi abbia scoperto,
letto dentro.
-“Insomma
un uomo come te, figlio di due persone un po’ speciali… mi stavo
chiedendo se…”-.
-“Sai
Sibilla, chiamarla magia non mi è mai piaciuto troppo. Mi ritengo una
persona speciale sì, proprio come hai detto tu.”-.
-“Ed
io che pensavo fosse pazza, la gente che andava
farneticando certe cose…”-.
-“Io
non posso raccontarti che se mi gettassi giù da un palazzo di dieci
piani, magicamente mi spunterebbero le ali, ma che riesco a sentire le persone,
ciò che hanno dentro nel loro profondo e nella loro intimità,
questo sì.”-.
-“Proprio
come tuo padre.”-. Sorrido, che
“potere” fantastico ha ereditato quest’uomo.
-“Noi
potremmo fare molto insieme, cara Sibilla.”-.
Mi stringe teneramente la mano nella sua.
-“Noi?!”-.
Mi scanso, so che non vuole essere invadente, ma non riesco ad evitarlo.
-“Sì
io e te.”-. Sorride, vagamente imbarazzato.
-“No
Frank. Questo è il tuo destino, la tua vita.
Io non centro nulla con questo mondo, ho la mia vita che mi attende.”-.
-“Quindi,
tu te ne andrai?!”-.
-“Sì,
devo mettere in pratica gli insegnamenti di tuo padre, ma lontano da
qui.”-.
-“Perdonami,
sono stato invadente e…”-.
-“Cosa?!
Cosa… tu mi hai aiutato tantissimo invece. Tuo padre lo ha fatto, tua
madre, io vi sarò grata in eterno per questo. Prima d’arrivare qui ero uno straccio, una persona senza un anima, vuota
dentro. Mi avete aiutata a colorare la mia intimità, dare un senso a
tutto quello che mi circonda e il coraggio, d’osare.”-.
Quelle
furono le ultime parole che scambiammo, in quella casa.
Frank mi aiutò a recuperare i miei
bagagli e prenotarmi un taxi per tornare finalmente a casa.
-“Ah,
Frank!”-. Mi sfilo le chiavi di tasca,
facendole penzolare alla sua vista.
-“Tienile.
Sono anche tue adesso. Nel mio paese, vige il culto
dell’ospitalità, così ogni volta che vorrai rifugiarti qui,
saprai dove andare.”-.
Lo
guardo commossa, trattenendo appena le lacrime.
Sono
stata bene qui. Davvero bene.
Ma
a ogni modo, c’è il futuro che mi chiama, ed io non voglio farlo
aspettare.
Allora vorrei
ringraziarvi una per una, in special modo RoWina, Zia
Esmy e michelle.
Rowina grazie per le belle parole che hai sempre speso
per me, per gli accorgimenti e le correzioni. Ho apprezzato davvero tanto la
tua lealtà. E la tua curiosità, nel seguirmi comunque. Grazie!
Zia Esmy,
quanto sei dolce. Guarda l’altra volta, ti giuro
che mi sono emozionata sulla tua recensione; non è un bel periodo
nemmeno per la sottoscritta, purtroppo sembra che i mali arrivino tutti insieme. Ovviamente poi l’umore si trasmette
facilmente su ciò che scrivo, anzi questo sito mi serve un po’ da
cuscinetto.
Ad ogni modo, ti sono
vicina, cara. Spero passi tutto presto.
Michelle, tu sei il mio portafortuna lo sai! Imperterrita,
mi segui ovunque. Grazie, davvero grazie per la fiducia e la passione con cui
mi apprezzi in quello che faccio.
Comunque prima dei saluti
finali, volevo avvisarvi che ho aggiornato di un capitolo, precedente a questo,
ma forse vi è sfuggito, non so.
Ora vi lascio.
Un bacio dolce
LuNaDrEaMy
aawaaRICORDATI DI ME aawaa
Chap n.15
-“Ma
perché non risponde…”-
L’utente da lei chiamato, potrebbe essere irraggiungibile
–“Oh, rispondi accidenti a te!”-.
Dall’altro
capo della città, un ragazzo biondo, cerca-invano-
di stabilire una contatto telefonico, con la donna che ama.
La sta
cercando da tempo ormai.
Attende di
sentire ancora una volta la sua voce, che meravigliosa, può mettere fine
all’angoscia che porta dentro, da quando
l’ha lasciata sola.
-“Sempre occupato!”-. L’utente da lei chiamato risulta
essere occupato-“ Fortuna che blaterava di gettare il cellulare
nella spazzatura…”-.
E
c’è un altro capo della città, che attende una ragazza
bionda anch’essa.
Appena scesa
da un aereo internazionale.
Appena riposta
la sua avventura alle spalle.
Vuole sentire
l’uomo che ama, che le manca.
Ma non sa che
lui, la sta cercando da tempo immemorabile, non lontano da lì.
Prendo il mio
mazzo di chiavi dalla borsa, le infilo distratta nella serratura; in lontananza
sento il taxi fermo sotto casa, mettere in moto e ripartire.
Il palazzo
è stranamente silenzioso, come se tutto intorno trattenesse il fiato,
per gustare il mio ritorno in patria.
Non è
cambiato nulla, da quando sono andata via.
I soliti
foglietti appesi in bacheca, delle improbabili riunioni condominiali e un
leggero odore di tinteggiatura fresca, che si espande per tutto
l’androne.
Odio gli odori
acri, ma tutto sommato questo adesso, sembra l’odore più buono che
abbiamai annusato.
La porta
è ormai aperta, poggio come di consueto le
valigie ai miei piedi, prima di girarmi sulla stanza.
Se ci fosse
Simone, adesso starebbe a rifilarmi la predica.
-“Cosa
ti costa, portarle fino in camera?! Se le lasci qui, non concludi nulla!”-.
Mi manca da
morire. Adesso amerei anche le sue prediche, giuro.
Rido, nulla è perduto.
Mi appoggio
alla porta; piano, si richiude alle mie spalle.
Mi volto.
Simone
è là.
Non dico mezza
parola, impalata come uno stoccafisso, sullo stipite della porta, resto a
fissarlo.
Non so se
è una visione.
Non so se
è il paradiso. Forse adesso mi sveglierò e scoprirò che quell’aereo non è mai arrivato, che si
è frantumato contro il cielo, non atterrandomi mai.
Ma lui
sorride. Emozionato, insicuro come un bambino, con quegli occhi verdi e
immensi.
No, non
è un sogno.
Emetto un gridolino eccitato.
Solo allora,
Simone si sblocca venendomi incontro.
E mi abbraccia
forte.
Mi toglie il
respiro, mi soffoca, mi stringe in una morsa così forte che quando mi
lascia, annaspo.
Ma mi
rifà sua.
Mi bacia le
guance, le prende fra le mani, disegnando con i pollici piccole carezze.
Stiamo
piangendo insieme.
Le lacrime si
mescolano al sapore dolce di un bacio, che non tarda mai ad arrivare, ma che
dura un eternità.
Bum, bum, bum. Il cuore è impazzito.
Ed io non ho
mai desiderato nessun altro, come lui.
Le sue mani
salgono sul mio corpo.
La camicetta
di seta color avorio, vola.
La sua maglia
si toglie via da sola, così il resto dei nostri indumenti.
Mi prende in
braccio, conducendomi in camera.
Delicatamente,
mi posa sul letto; in ginocchio sul pavimento, mi bacia dappertutto.
Non
c’è mezzo centimetro di pelle, che non è sfiorata da quelle
labbra sensuali.
E lo fa,
guardandomi dritto negli occhi; ah quegli occhi, mi penetrano l’anima.
E mi uccidono.
Così
come quando si ferma sulla mia pancia, la bacia e incrociando il mio sguardo, mi
sussurra un ti amo dolcissimo.
C’è
nostro figlio lì. Lo sa.
Adesso
finalmente lo sa.
L’accarezza
come se fosse qui fra noi, gli da un altro bacio, poi scivola piano dentro me.
Fare
l’amore.
Dicono sia un
bisogno fisico.
Non credo che
il desiderio che provano due persone che si amano, sia dettato solamente dal
bisogno fisico.
Simone mi
porta in alto, là dove nessuno può condurmi.
E potrei stare
mesi, anni, senza il suo corpo, ma non potrei fare a meno del suo amore neanche
per mezzo secondo nella mia vita.
-“Ti ho
cercata tantissimo. Dove sei stata tutto questo tempo?!”-.
-“Sono
stata via per un po’.”-.
-“Mi hai
fatto spaventare. Credevo ti fosse successo qualcosa.”-.
-“Beh,
qualcosa è successo.”-.
Rido, gli porto la mano sul ventre.
Eh già,
quante cose successe da allora.
Il bambino,
Victor, Frank, Betty…
e l’Austria.
Mi sembra
d’aver vissuto cento anni, in poche settimane.
-“Sì
qualcosa è successo.”-. Si alza dal
letto, va in sala, per poi tornare con un plico di fogli in mano.
–“sono passato di qua giorni fa. Volevo restituirti questi.”-.
Apro il plico.
I fogli della separazione, si materializzano davanti ai miei occhi.
-“Non ho
mai neanche pensato, di poterti perdere. Mi dispiace averlo fatto pensare a
te.”-.
-“Ma io
sono tornata per te, adesso.”-.
-“Non ti
chiederò mai scusa abbastanza, per il male che t’ho fatto.”-. Sembra non ascoltarmi, nei suoi occhi leggo sincero
dispiacere.
-“Simone?!”-.
-“Sì?!”-.
-“Tu mi
ami?!”-.
-“Tanto,
Sibilla.”-.
-“Allora
non hai nulla da rimproverarti.”- L’accarezzo amorevolmente
–“ Sai cosa ho capito stando via?! Che non
c’è amore senza spine e sacrificio, ma l’importante è
restare uniti, superare, guardare oltre.”-.
-“Io
sono tornato per restare, superare, guardare oltre.”-.
-“Ed io
per amare. E farmi amare.”-.
-“E
questi?!”-.
Mi guarda,
nella mano sventola i fogli dell’addio.
Glie li tolgo
di mano, con gesto secco; uno ad uno, volteggiano nell’aria, sottoforma
di minuscoli pezzettini di carta stracciata.
Ci
accoccoliamo ancora un po’, prima di lasciarci andare ad una notte
insonne, d’amore, racconti e confidenze.
-“Caffè?!”-.
La sveglia
suona, con gesto secco la spengo, guardando Simone; ha la testa poggiata sul
mio avambraccio, gli occhi insonnoliti gettati nei miei.
-“Doppio…”-.
Si alza, stampandomi un bacio sulla guancia.
Ci dirigiamo
in cucina, per la colazione e le solite quattro chiacchiere prima di scappare
al lavoro.
Mi piace
questo senso di pace, la nostra tranquillità.
-“Sai,
mi stavo domandando dove sia finito quel signore
là…come diamine si chiama!”-.
Poggio
la tazzina sul
tavolo, scoppiando a ridere.
-“Victor.
Si chiama Victor.”-.
-“Ah
sì, Victor. Dov’è?”-.
-“Quando
lo hai conosciuto, non mi sembravi così interessato…”-. Rido, mi piace stuzzicarlo.
-“Ora mi
interessa invece!”-. Ride un po’ imbarazzato –“Hai
passato più tempo con lui che con me, ultimamente…”-.
Se sapesse che
ci ho passato molto più che del tempo insieme, forse non riderebbe.
Se sapesse che
sono proprio i suoi insegnamenti, ad avermi ricondotto qui, forseavrebbe anche
il coraggio di volgere un pensiero profondo per quell’uomo
straordinario.
Sorrido,
guardando lontano.
Questa storia
non resterà sepolta nel mio cuore.
Io ci penso
notte e giorno a te, caro Victor.
-“Diciamo
che…”-. Mi alzo, prendendo la borsa dell’ufficio
–“lo saprai molto presto! Ora scappo, ci vediamo più
tardi.”-.Lo bacio
sulla fronte, prima di scappare.
-“Ho
annullato il torneo di calcetto per i prossimi nove mesi!”-.
Sento che mi
grida, dalla cucina.
Ma sono
già fra scale.
Sono in
estasi. Mi pizzicotto il braccio.
No, è
tutto vero!
-“Ricordati
di me, solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della
mente invecchiata o distratta. Ma pur sempre una storia d’amore. Bella,
la trama sembra avvincente!”-.
Lucia mi
guarda dal basso della sua sedia; mi è molto mancata.
In ufficio si
respira la solita aria assopita, ma lei, con il suo carattere e la sua
parlantina riesce a rendere l’atmosfera gioviale.
Sono
orgogliosa del mio semi-capolavoro, in realtà del mio primo libro in
assoluto, ma del suo parere posso fidarmi.
Mi ha sempre
perseguitata e motivata sul scriverne uno tutto mio, da quando seppe che amavo scrivere, presentandomi dall’alto
delle sue conoscenze, ai migliori editori della città.
Lei è
una scrittrice mancata.
Da quanto ho
capito, vede in me il suo proseguimento. E questo mi piace, mi rende
orgogliosa.
-“Ti
piace sul serio?!”-.
-“Sì.
E’ una bella storia, eterea e così sovrannaturale. Brava!”-.
-“Non
l’ho ancora finita a dire il vero. Mi manca un finale.”-.
-“Lo
troverai, ne sono certa.”-.
–“Questo viaggio ti ha fatto bene, Sibilla. Sono così
contenta, nel vederti e sentirti così in forma e felice.”-.
-“Grazie
Lù. Ma il mio passaggio qui sarà molto
breve…”-.
-“Non
dirmi che ripartirai?!”-.
-“Oh
no!”-. Mi siedo sulla mia poltrona, accarezzandomi il ventre
–“sono incinta, Lucia.”-.
La vedo
alzarsi dalla sua postazione, venirmi incontro e regalarmi un abbraccio sincero
e aperto.
-“Sono
proprio felice!”-. Sono commossa, la mia voce è rotta dal pianto.
-“Oh la
mia piccolina! Finalmente mi fai diventare zia!”-.
Siamo
scoppiate a ridere, fra qualche lacrima e sorriso, prima
di rimetterci a lavoro.
-“Sei
tremenda, mi hai fatto sciogliere tutto il trucco!”-.
-“Ah,
sei bella lo stesso, falla finita!”-.
Le dita scorrono veloce sulla tastiera,
c’è molto arretrato, ma non me ne preoccupo, tornare a lavoro mi
stimola mentalmente.
Un collega mi porge una tazza di caffè e
nel sorseggiarla, i miei occhi vengono attratti alla
finestra.
Quella finestra.
Mi alzo.
Qui è cominciato tutto. Sorrido
leggermente, pervasa dai brividi.
Scruto bene l’edificio di fronte. Sorrido;
oh santo cielo! Lo sto cercando davvero.
Che mi abbia lanciato la sua maledizione?!
Forse dovrò passarla io la mia vita, ad
aspettare di vedermelo sbucare dal nulla.
Vorrei distrarre il pensiero, m agli occhi restano
fissi sulla strada, si mescolano fra la gente.
D’improvviso, qualcosa di minuscolo infondo alla
strada mi attrae; è un sorriso, quel sorriso, quegli occhi.
Il suo sorriso. I suoi occhi.
E una mano. Mi saluta.
Oh mio Dio. E’ lui.
E’ davvero lui. Victor.
E’ un attimo. Sorride ancora, mi da forza.
Vuole farmi sapere che c’è. Sempre ci
sarà.
Ricordati
di me, perché io ricorderò te.
E allora ciao, ciao Victor
Gli sorrido.
Solo allora, si rimette quel buffo berretto sul
capo, per mischiarsi fra la folla.
Ora sa, che starò bene.
-“Sibilla,
che c’è?!”-. Lucia mi guarda
perplessa.
-“Nulla,
davvero.”-.
Mi rimetto a
lavoro, voltando le spalle alla finestra.
Ma una volta
seduta, il mio sguardo sente il bisogno di rigettarsi in strada, ancora una
volta; sta svanendo.
Adesso mi
volterò e quando lo farò, lui non ci sarà più,
davvero.
Fatto.
E il vento si rialza nuovamente; ma stavolta la
polvere non si anniderà in nessuno cuore.