Una storia fra le corde della mia chitarra.

di the ghost of Bonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # Occhi d'ebano. ***
Capitolo 2: *** # Tre mesi per cambiare vita. ***
Capitolo 3: *** # Barattolo di cuori e pietre nere. ***
Capitolo 4: *** # Gioco della bottiglia. ***
Capitolo 5: *** # Non significa niente, vero? ***
Capitolo 6: *** # Voglio mordere la vita. ***
Capitolo 7: *** # Non mi voglio perdere niente. ***
Capitolo 8: *** # In frantumi. ***
Capitolo 9: *** # Non è mai troppo tardi. ***
Capitolo 10: *** # Donami un sorriso, io ti donerò l'anima. ***
Capitolo 11: *** # Sei nelle mie vene. ***
Capitolo 12: *** # Preparativi e... sfoghi. ***
Capitolo 13: *** # Buon Natale! ***
Capitolo 14: *** # Coltellino svizzero. ***
Capitolo 15: *** # La notizia di David. ***
Capitolo 16: *** # Resti con me? - Concerto. ***
Capitolo 17: *** # Sei un caso disperato. ***
Capitolo 18: *** # Rivelazione. ***
Capitolo 19: *** # Il mio futuro con te. ***
Capitolo 20: *** # Finalmente la verità. ***
Capitolo 21: *** # La realtà di Paul. ***
Capitolo 22: *** # Fuga. ***
Capitolo 23: *** # All'ultimo minuto. ***
Capitolo 24: *** # Gamberetto mutante. ***
Capitolo 25: *** # Epilogo - cinque anni dopo. ***



Capitolo 1
*** # Occhi d'ebano. ***


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Capitolo 2
*** # Tre mesi per cambiare vita. ***


# Tre mesi per cambiare vita.

Stupida. Stupida. Stupida. Cretina. Idiota. Stupida. L'avevo già detto? Stupida!
Come mi era venuto in mente di dire tutto ad Alex? Avevo deciso di dirglielo perché ci speravo, perché sapevo che non l'avrei più visto, perché volevo capire cosa provava.
« Mi piaci. »
Idiota. Glielo dissi come se lo stessi informando che la nutella è buona. Lui, come reagì? Beh. Per una frazione di secondo sorrise, poi divenne rosso, successivamente le labbra, da un aperto sorriso divennero una smorfia indifferente, e lui, scappò via dai suoi amici, come un bambino.
Il bambino che mi aveva fatta soffrire per nove mesi. Forse, fu quel fatto a farmi cambiare idea su di lui. Forse non era così maturo come pensavo, forse non era tanto diverso dagli altri, forse, se ci credi troppo, i sogni non si avverano. Anche se glielo avessi detto l'ultima settimana di scuola, sapevo che la tortura non sarebbe finita. Mi aspettavano ancora gli esami. Settimane in più con la sua irritante ed imbarazzante presenza. Svolsi i miei esami, scritti e orali, al meglio, e non ci parlammo più.
Quell'estate, finii per dimenticarlo. Certo, provavo qualcosa quando leggevo il suo nome in chat su Facebook, ma... solo perché era lui. Insomma, perché era il ragazzo di cui, poco tempo prima, ero innamorata. Ma non provavo più nessun sentimento per Alex.
Agli inizi di luglio, partii con Lucy, mia cugina, verso il posto che più amavamo al mondo, un posto con il mare. Avremmo trascorso due mesi laggiù. E li trascorsi al meglio, facendo nuove conoscenze, incontrando Jean-Luc, un ragazzo biondo francese, la sua ragazza, Delphine, francese anche lei. Col tempo, iniziai a credere di provare qualcosa per Jean-Luc, ma era solo illusione, solo nostalgia dell'amore.
Alla fine di agosto, non riuscivo ad accettare l'idea di dover tornare alla vita di sempre. Dover tornare a scuola, anzi, inziare la nuova scuola, tra i banchi con qualcuno che non conoscevo, che non avevo mai visto prima. La sera prima di partire, riuscii a vedere tra la folla di persone che passeggiavano, Jean-Luc, mano per mano con la sua ragazza. E sorrisi, perché lui era felice e lo ero anch'io.
La notte, mi svegliai alle tre circa. Era arrivato il momento di partire. Uscii, per assaporare un'ultima volta l'aria di quel posto, cercando di trattenere le lacrime. Mi diressi verso l'auto, e partii. Un lungo viaggio che durò mezza giornata. In quelle ore, pensai. Pensai ad Alex, a come lo avevo dimenticato e a quanto stessi meglio senza di lui. A Jean-Luc, il ragazzo che mi fece ricordare come avere una cotta come i bambini. Alla mia nuova vita, e a come sarebbe cambiata da quel momento in poi. E non avevo idea che sarebbe cambiata tanto, più del previsto.

Spazio Autrice u.u

Anche questo capitolo è corto, lo so. Ho cercato di creare un riassunto di quello che accadde in quei tre mesi, perché dal prossimo capitolo inizierà la vera storia. E sapete una cosa? Non vedo l'ora.
Alla prossima, e mi raccomando, recensite!

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Capitolo 3
*** # Barattolo di cuori e pietre nere. ***


Barattolo di cuori e pietre nere.

I know I can't take one more step
towards you, 'cause all that's waiting is regret.
And don't you know I'm not your ghost anymore?
You lost the love I loved the most.

Ricordo perfettamente l'agitazione che come un mantello invisibile mi avvolgeva il primo giorno di liceo. Ovviamente, cuffie, ascoltando Jar of Hearts di Christina Perri. Ero nel parcheggio della scuola, mi guardavo intorno nervosamente, cercando qualcuno di mia conoscenza. Sarebbe stata un'ancora di salvezza, quando vidi una ragazzina correre verso di me: capelli scuri e corti, un lungo ciuffo le ricadeva sul viso. Lentiggini, un paio enorme di occhiali neri. Agile e piccola, come sempre.
« Ciao! » mi salutò, sfoderando un sorriso.
« Ciao Mary! » risposi alla mia migliore amica, eliminando ogni traccia di ansia. La campanella della scuola suonò, ad accogliere tutti i primini all'ingresso il vice-preside. Ci condusse in una sala enorme. Entrai, ed i miei occhi incontrarono quelli di Alex, che mi sorrise e mi salutò. Lo ignorai completamente, e andai a prendere posto il più lontano possibile di lui, ma sentivo il suo sguardo pungente fisso su di me. Il vice-preside fece un noioso discorso, e ogni tanto scambiavo qualche battuta con le mie due migliori amiche, sedute ai miei lati: Bonnie e Mary. Bonnie, quell'anno, aveva sfoderato un nuovo taglio: dai capelli lunghissimi, ad un taglio davvero corto. Mi aveva sorpresa. Quando ci dovemmo separare, andai nella mia classe con i nuovi compagni: circa una trentina di alunni. La mia compagna di banco era Mary.

I've learned to live half alive, and
now you want me one more time?

Pochi giorni dopo, davanti all'entrata della scuola, stavo chiaccherando con Mary e alcune nuove amiche. Mary poi diventò quasi rossa, fissando un punto aldilà di me, e mi disse, il tono di voce forse un po' troppo alto:
« Sarah! » io mi voltai, a vidi Alex sfrecciarmi accanto.
« Ciao! » mi salutò, poi se ne andò via. Nuovamente non risposi, e quando fu lontano, sussurrai:
« Ma vai a farti fottere. »
Secondo le mie amiche, aveva una cotta per me. Cosa risposi io alle mie adorabili amiche? Che non me ne importava nulla. Aveva avuto per nove mesi la possibilità di farsi avanti, ma non l'ha sfruttata. E mi voleva adesso che io non lo amavo più? Oh, si sbagliava.

Who do you think you are? Running 'round leaving scars,
collecting your jar of hearts, and tearing love apart.
You're gonna catch a cold
for the ice inside your soul.
Don't come back for me, who do you think you are?

Forse Alex capì, fatto sta che non mi salutò più. Ma continuava a fissarmi, e la cosa mi dava parecchio fastidio, ad essere sincera. Ogni volta che per puro caso o, forse, per disgrazia, gli passavo accanto, lui mi guardava. E io cosa avrei dovuto fare? Ogni volta, lo ignoravo.
***
L'ultima ora di quel martedì, la campanella suonò, segnando la fine della giornata scolastica. Contenta, raccolsi le mie cose e mi diressi verso la fermata del pullman. Non ci mise molto ad arrivare, accompagnato da sbuffi e insulti, ovviamente. Così, salii e presi posto. Tra i ragazzi in piedi, c'era un ragazzo alto, proprio accanto a dove ero seduta io. Alzai lo sguardo, e per un momento mi concentrai su piccoli particolari, come il colore castano dei suoi occhi... poi sorrise ai suoi amici, e da quel sorriso rimasi rapita. Colpo di fulmine? No. Mi aveva solo... catturata. Nulla di più. Scoprii che Martyn - così lo chiamavano gli amici - scendeva proprio una fermata prima della mia. Successivamente, scesi dal pullman e mi diressi verso casa mia. Davanti alla porta, suonai il campanello e un ragazzo alto dai capelli scuri e gli occhi d'ebano spalancò la porta. Sorpresa, rimasi con la bocca socchiusa per alcuni secondi: Paul.
« Ciao » lo salutai, imbarazzata. Lui si fece in parte per farmi passare.
 « Ciao.. » risposero lui e mio fratello David, seduto a tavola, in coro. Mi guardai intorno, e notai che mia madre non c'era. Chiesi a mio fratello dove fosse, e lui mi rispose che quando lui era tornato con Paul, lei non c'era.  Annuii distratta, per poi avviarmi verso la mia stanza, che non era mai stata così in ordine. Giustamente, gettai lo zaino sul mio letto, per rimediare. Dopo, tornai nel salotto, e mi sedetti abbastanza lontana dai due ragazzi, per
mangiare. Non dissi nulla per tutto il pranzo, ero ancora imbarazzata.
« Ah, David. » iniziai il discorso.  
« Questa sera vengono le mie amiche a casa.  » gli dissi. Lui e Paul si scambiarono uno sguardo indecifrabile.
« Ma, Sarah. » disse mio fratello, aggredendo la forchetta. « Questa sera vengono anche i miei amici! »
« Stai scherzando? Dove le mettiamo... quante persone sono? »
« Quattro. »
 « Dove le mettiamo nove persone a dormire?! »
Paul osservava la discussione in assoluto silenzio.
« Beh, dormiremo qui in salotto, per terra. Non c'è altra soluzione.» concluse David. Io annuì, e ripresi a mangiare.

 

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Capitolo 4
*** # Gioco della bottiglia. ***


Gioco della bottiglia.

« Facciamo il gioco della bottiglia! » propose ad alta voce Mary. Ovviamente, un turbine di imprecazioni seguì quell'affernazione da parte dei maschi. Bonnie sorrise maliziosa.
« Allora, votiamo! » esclamò contenta, guardandosi intorno. Sapeva di avere la vittoria in pugno, cinque contro quattro. « Chi è favorevole? » le mani delle mie amiche scattarono in aria. Mi lanciarono un'occhiataccia quando videro che io non avevo ancora alzato la mia mano. Alla fine mi arresi, e alzai la mano.
« Cinque contro quattro! » urlò Bonnie ai ragazzi, contenta. « Abbiamo vinto! »
I quattro ragazzi sbuffarono sonoramente. 
« Ma non abbiamo una bottiglia! » provò Tom, l'amico dai capelli neri di mio fratello.
« Ce l'ho io. » sorrise maliziosa Bonnie, e, appoggiata la bottiglia al centro fra di noi - in cerchio - diede il cinque a Mary.
« Cominciamo? » domandò Mary, appoggiando la mano sulla superficie di vetro. Stava per farlo girare, quando mio fratello intervenne:
« Si, ok, però non tra fratelli! » ribatté lui.
« Ovviamente. » confermai io, sicura.
Poi, nel giro di pochi secondi, la bottiglia prese a girare, colei che avrebbe scelto il nostro destino, e in quel momento, sfiorò la gamba di Paul, che alzò lo sguardo guardando tutte le ragazze.
« Con chi si bacerà il nostro Paul? » esclamò Tom, accanto al ragazzo.
« Adesso lo scopriamo. » gli rispose Mary, e fece di nuovo girare la bottiglia. In quel momento, chiusi gli occhi, mentre la mia agitazione cresceva. Quando, improvvisamente, qualcosa di gelido prese contatto con la pelle della mia mano. In quel momento, sbarrai gli occhi. Un boato si levò da tutti i presenti, e i miei occhi incontrarono quelli di Paul. Incredibile quanto mi sentissi in agitazione. Ero diventata sicuramente rossa. Impercettibilmente, avvicinai il mio viso a quello del ragazzo, che fece lo stesso. Sentivo lo sguardo di tutti puntato addosso a noi, mentre le nostre labbra si facevano sempre più vicine. Sentii il suo respiro unirsi al mio, in quello spazio che ci divideva. Non sapevo né cosa, né chi guardare in quel momento, così chiusi gli occhi, e le nostre labbra si unirono. Gli applausi ci circondarono, ma attorno a me, tutto stava svanendo. Il mio primo bacio, per un caso?
« Ragazzi! » percepii, nella confusione, la voce di mia madre fuori dalla porta del corridoio che ci separava dalla zona genitori. « Se fate il gioco della bottiglia, almeno non usate la lingua! »
« Lingua! Lingua! Lingua! Lingua!* » il coro aumentò, ed in quel preciso momento, ci separammo.
« Contateci. » borbottai, tornando al mio posto. Osai alzare gli occhi, che si incatenarono con quelli di Paul. Era anche lui agitato come me?
« Ricominciamo! » urlò Mary, e questa volta, la bottiglia toccò proprio lei, che sorrise, imbarazzata. Appoggiò nuovamente la mano, e la bottiglia si voltò più a lungo: Tom. Si baciarono.
Eppure, nella mia mente, era viva solo la sensazione della labbra di Paul e le mie unite.
Circa mezz'ora dopo, spensi la luce e tutti ci mettemmo a dormire. Solo, piccolo particolare, io non riuscivo a dormire. Stupido gioco della bottiglia! Sentivo il respiro lento e irregolare di tutti, che, a differenza mia, erano già addormentati. *tratto da Tutti pazzi per amore. xD



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Capitolo 5
*** # Non significa niente, vero? ***


Non significa niente, vero?

Il mattino dopo mi svegliai per prima. C'era chi dormiva con la bocca spalancata e la bava alla bocca - la maggior parte - e c'era chi faceva finta di dormire. Mi alzai e legai i miei capelli in una coda disordinata. Guardai tutti in viso, finché non mi fermai su un viso bianco, i capelli neri spettinati.
« Chissà chi bacerà il nostro Paul? »
Quella frase rimbombò nella mia testa, e quando lui aprì piano gli occhi e scossi la testa. Poi, velocemente mi diressi verso la cucina. Aprii il frigorifero, tirai fuori il latte e, fregandomene, bevvi dalla bottiglia.
« Ciao.. »
La bottiglia aperta mi scivolò dalla mano, io sussultai e mi voltai, rossa in viso: Paul.
« Oh, ciao! » dissi, sorridendo incerta, chinandomi con dei fazzoletti in mano per pulire la pozzanghera bianca a terra. L'improvviso contatto con le dita di Paul mi fece mancare un battito. Lui allontanò di scatto la sua mano, passandosela tra i capelli.
« Volevo parlarti... » sussurrò. Io mi alzai e posai la bottiglia sul tavolo.
« Dimmi tutto. » risposi, agitata.
« Senti... per... sì, insomma... per il bacio di ieri sera... » balbettò. « Ecco... non significa niente, vero? »
Per un motivo che non potevo comprendere, quelle parole mi trafissero l'anima.
« Oh, no. Certo che no. » sorrisi, esitante. Lui annuì.
« Ok. Perfetto. Torno a dormire, allora. »
« Certo. »
E lo vidi allontanarsi. Mentre parlava, ricordavo il sapore delle sue labbra, calde e morbide.
***
Quando tutti si furono svegliati e vestiti decentemente, andammo a fare colazione. Nulla di speciale: semplice latte caldo e cereali.
Io ero seduta tra Mary e Bonnie. Vicino a Mary c'era Tom, poi Marc - l'amico che ieri sera aveva baciato Bonnie - , David e Paul. Gli altri, erano già andati a casa.
Quando i miei occhi incontravano quelli di Paul, entrambi abbassavamo lo sguardo, a parlare solo il flusso dei nostri pensieri, probabilmente. La voce era persa nell'aria, forse quella respirata prima del contatto fra le nostre labbra, quel bacio che mi aveva scombussolato la nottata, irrompendo nei miei pensieri e nei miei sogni. Cosa diavolo mi stava succedendo?
Al momento di andare via, prima di pranzo, io e Paul ci guardammo un'ultima volta. Lui mi sorrise e io risposi. In quel momento pensai a quanto fosse bello il sorriso di Paul. Fino a quando una stupida porta di legno non lo fece uscire da casa mia. E mi sentii improvvisamente persa.
***
Non significa niente, non significa niente, niente...

« STAI ZITTO! » urlai nel cuore della notte.
« Sarah? Stai bene? » chiese mio fratello sbadigliando.
« N-nsi. Un incubo. » sussurrai. Il mio cuore martellava contro il mio petto.

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Capitolo 6
*** # Voglio mordere la vita. ***


Voglio mordere la vita.

Dio, perché mi sento così stupida? Dammi una risposta, ti prego. Ogni volta che provo a non pensarci e chiudo gli occhi, di nuovo i suoi compaiono nel buio. Dimmi perché continuo a pensarlo. Non sono mai stata così, mi vergogno. Non sono una di quelle ragazze che non fanno altro che pensare a qualcuno. Ma non posso farci niente. Se lui sta sempre nei miei pensieri. E quando dico sempre, intendo sempre. Perché lui mi perseguita anche nei sogni.

« Sarah! » la voce del mio professore di storia mi riportò all'interno della classe. Mary mi stava fissando, così anche Gwen, Amy e le altre. « E' la terza volta che ti richiamo! » ringhiò Mr. Dathid. « La prossima volta ti sospendo! » com'era esagerato. Infondo, stavo solo pensando a Paul. Quando Mr. Dathid si voltò di nuovo verso la lavagna, Mary mi diede una leggera gomitata. Io sbuffai, e mi accorsi di non aver nemmeno aperto il libro. Spiai dal libro di Mary e mi resi conto che avevano cambiato persino capitolo! Quando la campanella suonò e il professore uscì dall'aula, fu un sollievo per me.
« Allora? » mi chiese Mary, prima dell'arrivo della professoressa di matematica.
« 'Allora' cosa? » chiesi, frugando nel mio zaino in cerca di qualcosa.
« Cos'è che ti distrae continuamente? » rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. La fissai per qualche secondo.
« Nulla di importante. » e mi ritornò in mente quella maledetta frase.
Non significa niente.
Oh, per te Paul non significava niente. Quel bacio mi aveva cambiato la vita, per quanto mi riguardava.

Forse ci aveva creduto, forse aveva deciso di ignorarmi, Mary si voltò a parlare con Amy.
Ed ero anche terribilmente agitata. No, non perché tra pochi minuti avrei avuto una verifica di matematica - ok forse anche quello - ma perché la sera prima, gli avevo chiesto l'amicizia dopo aver passato intere serate sul suo profilo di Facebook. Alla fine, la professoressa entrò in classe e distribuì i fogli.
Iniziai a mordicchiare la matita, osservando la prima domanda. Negli anni di scuola avevo imparato una cosa: mai guardare le altre domande. Ti potresti confondere e basta.

1. Dai la definizione di grado complessivo di un polinomio.
Oddio, quando l'avevamo fatta questa roba?!
Scossi la testa e mi ricordai che io la risposta la sapevo. Così, presi la penna nera dal mio astuccio e iniziai a scrivere tutto ciò che mi ricordavo.
« Il tempo sta per scadere, ragazzi. » disse la professoressa, circa cinquanta minuti dopo. Mi mancava solo un'espressione. Mi ritrovai a torturarmi le mani, ed andai nel pallone.
« Dai, ce la fai. » fu quel soffio di voce che mi diede la voglia di continuare. Era la voce di Paul, ne ero più che certa.
« Il tempo è scaduto! »
Veloce, scrissi il risultato e consegnai la verifica alla professoressa Malthen. Dopo di che, uscii dalla classe per fare ricreazione. Veloce mi diressi alla macchinetta.
« Permesso » sussurrò un ragazzo alle mie spalle. Mi scostai e mi accorsi che era Martyn, quello del pullman. Dato che non c'era nulla di buono, cedetti il posto agli altri ed uscii nel cortile della scuola. Alex mi sfrecciò davanti, sorridendomi. Alzai gli occhi al cielo e sobbalzai, quando due mani familiari mi coprirono gli occhi.
« Ehmm.. Mary? Amy? Bonnie? »
« No! » starnazzò imitando una voce femminile, la voce invece di un ragazzo.
« Matthew! » sorrisi e mi voltai. Eccolo lì, il mio migliore amico: capelli leggermente lunghi e occhi castani, felpona nera e un sorriso rassicurante.
« Sarah! » rispose lui. Ci incamminammo
lungo il cortile.
« Beh, che mi racconti? » mi chiese
lui. « Insomma, è da un casino di tempo che non ci sentiamo. »
« Oh beh... amo la mia scuola, adoro i miei nuovi compagni di classe, ma odio i professori. »
« Ti capisco. » sbuffò lui.
« Tu, invece? » gli chiesi, facendogli segno di sederci sul prato.
« Mi sono fidanzato. » sorrise. « Con Alison. Te la ricordi? »
« Certo. Sono contenta per te. »
Solo in quel momento pensai a quanto avessi trascurato i miei vecchi amici. Per un momento mi ero dimenticata di Alison. Conoscevo Alison da quando avevamo quattro anni. Poi, lei si era trasferita per qualche anno ed era tornata in città adolescente. Cacchio, se era cambiata. L'anno prima era la mia compagna di banco, ma aveva scelto un'altra scuola superiore, e c'eravamo di nuovo perse di vista. Ma lei era una ragazza speciale e Matt era di più, e meritavano di stare insieme.
« Io sento che tu stai pensando ad un ragazzo. » disse malizioso. Io lo guardai per qualche secondo, arrossii e abbassai lo sguardo, finendo per trovare come passatempo strappare l'erba« Allora? Ho indovinato? » continuò.
« Ehm, si. C'è un ragazzo che... insomma, è simpatico. »
« Ti pia-»
« E ci siamo baciati. »
Matt sgranò gli occhi per un secondo, poi iniziò a boccheggiare.
« Per un caso. » continuai. « Gioco della bottiglia. »
« Caso fortunato, direi. »
« Fortunato un corno. » replicai. « E' per colpa di quel bacio se.. mi.. piace. »
« E ora cosa vuoi fare? »
« Ora... voglio mordere la vita. Capisci? Per sapere di cosa sa.» 

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Capitolo 7
*** # Non mi voglio perdere niente. ***


Quel giorno capii che di te non mi volevo perdere nulla. Nemmeno un sorriso, non uno sguardo, nemmeno un gesto. Capii che mi sarebbe mancato anche battendo le palpebre, capii che mi stavo innamorando di lui.

Quel giorno avevo casa libera. Sì, David era uscito "a casa di amici"... con la sua ragazza, Hellen. Mi aveva detto di usare la scusa degli amici in caso i nostri tornassero prima di questa sera tardi.
Una volta che mio fratello fu fuori casa, corsi in cucina, presi un pacchetto di patatine, misi il dvd di School of Rock e saltai sul divano. Quando il film iniziò dopo il caricamento, sentii suonare il campanello. Così, sbuffando mi alzai, pensando che David aveva dimenticato qualcosa. Quando spalancai la porta, il mio cuore perse un colpo. E in quel momento, sentii come una dolce armonia riempire l'aria attorno a me.

Perché persino quando ti sogno,
il sogno più bello non basterebbe,
perché mi mancheresti ancora, tesoro.



Amavo quella canzone, e Paul me la ricordava ogni secondo di più. Ogni nota di quella canzone corrispondeva all'emozione che un suo sorriso riusciva a trasmettermi.
« Ciao.. » mi disse imbarazzato davanti alla porta, grattandosi la testa. In quel momento pensai a quanto avrei voluto passargli la mano tra i capelli neri.
« C-ciao! » risposi, cercando di mantenere il tono più calmo possibile, nonostante il mio cuore volesse saltargli addosso. « Cerchi David? » chiesi.
Lui annuì.
« Mi dispiace, è con... » esitai.
« Hellen? » chiese lui, sorridendo. Per qualche secondo rimasi ad osservare il suo sorriso, poi mi resi conto dell'espressione da ebete che dovevo avere, ed annuii.
« Vuoi entrare lo stesso? » chiesi, titubante. Temevo la risposta.

Potrei restare sveglia solo per sentirti respirare,
osservare il tuo sorriso quando dormi,
quando sei lontano e sognante... potrei rimanere
persa in questo momento per sempre.


« Oh, beh... d'accordo. » disse, entrando in casa. Eppure, aveva qualcosa di diverso. Era più alto, si era tagliato i capelli e indossava una camicia a maniche corte nera. « Ti disturbo? » continuò, voltandosi verso di me, guardandomi negli occhi.
Tu? Disturbarmi, amore mio? Rendi solo le mie giornate più meravigliose.
« No, no. Non ti preoccupare! » risposi, sedendomi sul divano e timidamente facendogli segno di sedersi accanto a me. Lui lentamente venne verso di me e si sedette accanto. Era terribilmente rigido, nervoso. La sua pelle era calda, e il contatto con il mio braccio mi fece provare un brivido.
« Vuoi? » chiesi, mostrandogli il pacchetto di patatine. Senza farselo ripetere due volte, lui aggredì il pacchetto e tirò fuori una decina di patatine. Io sorrisi, per la prima volta trovando il coraggio di sorridergli.

Ringrazio Dio che siamo insieme.
Voglio solo stare con te, in questo momento,
che per me è un tesoro,
per sempre, sempre e sempre.


Con il telecomando, premetti 'Play'. Quando il film ricominciò, gli occhi di Paul si illuminarono.
« E' 'School of Rock?' » chiese, osservando lo schermo.
« Sì, lo conosci? »
« Adoro questo film! »
E io adoro te. Era così strano e meraviglioso poter parlare con lui liberamente. Senza David in giro, ecco. Per tutto il film, ascoltai il suono della sua risata, così puro, naturale. Per tutto il tempo con lui, ascoltai il battito del mio cuore aumentare. Quando il mio cellulare vibrò. Mary. La ignorai.
« Non rispondi?  » mi chiese Paul, osservando il cellulare.
« Non ho voglia. » mi giustificai. Non avevo voglia di perdere nemmeno un istante con lui. Quando alzai di nuovo lo sguardo, mi accorsi che lui mi stava guardando. Un brivido mi percorse la schiena. E improvvisamente sentii la mancanza delle sue labbra, di quel bacio che mi aveva cambiata.
« Era il tuo ragazzo? Avete litigato? » sussurrò, chiedendosi se doveva fare quella domanda. Il suo interesse mi garbava assai.
« Ragazzo? No, sono single. » risposi, imbarazzata.
« Io ho lasciato la mia ragazza pochi giorni fa. » ammise, ma sembrava sollevato. « Ma la cosa peggiore è che le do ripetizioni di matematica. »
Qualcosa mi solleticò lo stomaco. Gelosia?
« Te la cavi in matematica? » chiesi, tanto per cambiare argomento. Luì annuì, inarcando appena le sopracciglia.
« E' la materia dove vado meglio, ho 8 di media. » e lo sussurrò passandosi una mano tra i capelli.
« Io mi accontenterei della metà. » risposi sorridendo.
« Potrei aiutarti, se ti va. »
E la gioia mi saltò addosso.
« Davvero? Dovrei recuperare l'ultimo 5... »
Sì, proprio nella verifica di qualche giorno prima, quando pensavo a lui.
« Iniziamo adesso? » mi chiese, alzandosi in piedi. Io, sorpresa ma compiaciuta, annuii.
« Vado a prendere le cose, allora. »
Così, mi allontanai. Entrai nella mia camera, e una volta dentro, posai la testa sulla porta di legno.

Non voglio chiudere i miei occhi,
non mi voglio addormentare,
perché mi mancheresti, amore,
 e non mi voglio perdere niente.


Presi le mie cose velocemente e mi diressi verso il tavolo, dove Paul, seduto, mi stava aspettando. Sentivo il cuore che premeva contro il mio cuore, era come una calamita con il cuore di Paul.
E quando comicniammo, anche la matematica divenne un piacere.

 

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Capitolo 8
*** # In frantumi. ***


« Devi dirgli ciò che provi. »

Mentre percorrevo la strada per casa sua, le parole della mia migliore amica rimbombavano nella mia mente. Ed ero davvero pronta a confessargli tutto. Il problema era: come avrebbe reagito? E soprattutto: se l'avesse detto a David?
Non mi importava realmente. Insomma, David non era un tipo geloso, infondo.
E più mi avvicinavo alla palazzina dove abitava, più io mi agitavo. E se avesse reagito come Alex? No. Paul era più maturo. E poi, prima che potessi bussare, il portone si socchiuse emettendo un piccolo suono. Io sorrisi: che mi avesse vista dalla finestra?
Corsi le scale più in fretta che potevo, glielo avrei detto e basta, senza troppi giri di parole. E fu davanti alla sua porta che esitai; era socchiusa. Sospirai e pensai a come sarebbe cambiato il nostro 'rapporto' dopo la mia confessione. Così, spalancai la porta, e desiderai non averlo mai fatto.

Piove anche qui,
e aspetto che
passi un pensiero diverso da te.
E' una fotografia,
rubata in casa tua,
quando eri con me, per me...


Non poteva essere vero. No, non lui. Perché lui? Di nuovo, peggio che con Alex.
Perché un'altra ragazza lo stava baciando proprio in quel momento? Lasciandomi morire, sentii le mie ginocchia cedere. Rimasi pietrificata dall'orrore, non lo avevo ritenuto possibile.
« Ma cosa fai?! » urlò poi lei, i lunghi capelli rossi legati in una coda. Paul la guardò per un momento, quando si accorse di me e sgranò gli occhi.
« Oddio, Sarah... » sussurrò. Gli occhi si inumidirono, socchiusi le labbra per parlare, ma non trovai le parole. Così, chiusi la porta e tornai indietro, nella mia mente era vivo solo il ricordo di Paul che baciava l'altra ragazza. Mi sentivo tradita, in un certo senso.
« Sarah! » lo sentii chiamarmi in cima alle scale, ma lo ignorai. Non avevo voglia di vederlo, farmi del male da sola. Continuai a ignorare i suoi richiami fino al portone, quando le sue dita mi afferrarono il polso, bloccandomi.
« Lasciami spiegare... » disse lui.
« Non hai niente da spiegarmi. Non vedo perché dovresti spiegarlo a me. » sussurrai, soffocando la rabbia che stava esplodendo dentro di me. Poi, la ragazza lo chiamò. « Vai da lei. » conclusi, e afferrai la maniglia socchiudendo la porta.
« Non mi importa di lei. » sembrava mi stesse supplicando. Ma di nuovo lo ignorai, ed uscii, sbattendo la porta. Per tutta la strada fino a casa, piansi.
Un pezzo della mia anima era scivolato via, lasciando solo il dolore dentro di me.

***

And you seem
To break like time
So fragile on the inside
You climb these grapevines
Would you look now
Unto this pit of me on the ground
And you wander through these
To climb these grapevines.


Ero nella mia camera, fuori pioveva a dirotto. Nelle mie cuffie, Orchard of mines dei Globus. Mi aiutava a distrarmi dal ricordo di Paul, anche se non completamente.
Poi, il mio cellulare squillò proprio accanto a me, era David.
« Pronto? David? David, stai calmo, non ti agitare! Se parli in fretta non capisco, dimmi cosa è successo! »
E quando parlò, il telefono scivolò dalle mie mani, e si distrusse, andando in frantumi.

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Capitolo 9
*** # Non è mai troppo tardi. ***


Quelle parole bloccarono per un attimo il flusso dei miei pensieri. Poi, la sua immagine comparve nella mia mente: lui, steso a terra accanto alla sua moto nera, il viso insanguinato ma meraviglioso. Gli occhi chiusi, cullati da una melodia che solo lui poteva sentire, una melodia che lo stava portando lontano da me. E, solo in quel momento, mi accorsi di quanto i pezzi della mia anima si sarebbero frantumati se solo la sua assenza fosse sopravvissuta per poco. Ciò che sapevo, era che lui adesso respirava a fatica sull'asfalto, magari la sua anima era già a gambe incrociate sulle nuvole, ad osservare la mia solitudine. Ma no, lui non poteva morire. Non era egoista, non poteva lasciarmi da sola. E io l'avevo perdonato. Non m'importava di quel bacio, volevo solo averlo per me. Non sarei stata in grado di rinunciare a Paul. Sapere che non avrebbe più donato il suo sorriso al mondo, sarebbe stata la cosa più difficile di accettare.
« Sarah, cosa è successo? » la voce di Mary mi arrivò alle spalle. Io mi voltai, ma non piangevo. No, lo avrei dovuto accettare?
« Paul. Incidente... io... io devo... » non conclusi la frase. Non potevo perdere tempo, non potevo fare tardi. Avevo un'appuntamento con la morte, dovevo chiederle un favore.
Ma la cosa davvero meravigliosa, era che lui era vivo, che stava bene. Su un lettino dell'ambulanza, diretta all'ospedale più vicino, e io dovevo raggiungerlo. Diretta al luogo che lo avrebbe salvato, diretta al luogo che avrebbe reso la mia vita migliore.
Camminavo velocemente, ma ad ogni secondo, sentivo il suo cuore che batteva. La cosa mi dava forza, voglia di lottare insieme a lui per la vita. Entrai nell'ospedale. Era così... triste... e non potevo credere che Paul fosse davvero in un posto del genere. Ma cosa gli era saltato in mente?
Disperata, mi rivolsi alla prima dottoressa che mi passò davanti: la bloccai appoggiandole una mano sulla spalla.
« Mi scusi, dov'è Paul Carthen? » la mia voce era spezzata, rotta dalla voglia di piangere.
« Il ragazzo... ehm... lo hanno portato in quella stanza... » mi disse, distratta.
Io la ringraziai e velocemente mi diressi verso la stanza indicata dalla dottoressa. Prima di entrare, sospirai. Lo volevo davvero vedere? Lacerare la mia anima per un solo attimo con lui? Sì.
Spinsi la porta bianca ed entrai. Poi, lo vidi. E vederlo, era davvero peggio che immaginarlo: le labbra graffiate, il viso appena ripulito dal sangue, e i suoi occhi chiusi davanti una strana sensazione di vuoto. Accanto a lui, c'era una sedia dove vi era seduta una ragazza dai lunghi capelli rossi disordinati, il viso sconvolto, le braccia nude graffiate. Quando la riconobbi, la rabbia si rivoltò nello stomaco.
« Sei venuta, allora. » sussurrò, alzandosi in piedi. Ebbi la sensazione che per lei fu un sollievo vedermi lì. « Sai, sei fortunata. » continuò.
Io la fissai per un momento, insicura, e il mio sguardo per un momento scivolò nuovamente sul viso di Paul.
« Voleva ad ogni costo farti sapere la verità. Ma tu non rispondevi alle sue chiamate, ai suoi messaggi. Alla fine ha deciso di venire direttamente da te, per farti sapere la verità. »
« Cosa? » non riuscivo a trovare un senso alle parole che mi stava dicendo.
« Ho baciato io Paul, quel giorno. Lui non c'entra niente e voleva che lo sapessi. »
« Perché? » sussurrai, una lacrima mi attraversò calma il volto.
« Non ci arrivi da sola? » concluse. Poi, mi passò accanto ed uscì dalla stanza. E, in quella frazione di secondo, capii. Sorrisi. Anche se la mia anima non se la sentiva, il mio cuore ebbe la meglio. Mi sedetti sulla sedia vuota accanto al lettino bianco dove Paul era steso, addormentato.
« Cosa hai combinato, scemo? » sussurrai, singhiozzando. Afferrai la sua mano fredda e graffiata, e la portai alle mie labbra. Con l'altra mano, gli accarezzai i capelli e poi scesi sul viso, sfiorando appena, con le dita, le labbra. Era meraviglioso anche ridotto in quello stato.  « Sai, non credevo che sarei mai arrivata a questo punto, e in realtà credevo di dirtelo in un altro modo. » e sospirai, facendomi forza. « Io... io ti amo Paul. Ma... ormai, credo sia troppo tardi. » conclusi, alzandomi in piedi e dirigendomi verso la porta bianca. Mi voltai un'ultima volta, quando socchiusi la porta, e la voce di Paul, ridotta a un sussurro, mi trapassò l'anima come un raggio di luce.
« Non è mai troppo tardi. »





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Capitolo 10
*** # Donami un sorriso, io ti donerò l'anima. ***


Si riaddormentò. Dopo aver pronunciato quelle parole, che per me erano come un'ancora di salvezza, si era addormentato di nuovo. Sorrisi, le guance bagnate dalle lacrime. Velocemente, con i polsini delle maniche le asciugai ed uscii dalla stanza, chiudendo piano la porta. Mi ritrovai davanti David, che era ancora pallido in faccia.
« Sei già entrata? Come sta? » mi chiese, preoccupato. Io non riuscii a rispondere che lui spalancò la porta e io nuovamente lo vidi. Volevo entrare, ma capii che quel momento era dedicato alla loro amicizia, e io non potevo interromperlo. Così, mi constrinsi a voltarmi e proseguire verso quelli che dovevano essere i genitori di Paul: lei, Annabelle, una donna alta e magra dai capelli castano chiaro verso il rosso, due grandi occhi verdi. Il padre, Robert, era un po' più in carne della moglie, ma i suoi occhi erano dello stesso colore di Paul, anche se non dello stesso splendore.
Mi voltai appena, e vidi Bonnie, Matthew e Mary correre verso di me.
« Ragazzi, che ci fate qui? » sussurrai, trascinandoli in un angolino.
« Come stai? » chiese Matthew, fissandomi.
« Come sta Paul? » lo interruppero Bonnie e Mary.
Io sorrisi, e sul loro viso parve tingersi un po' di rossore.
« Sta... beh... non è messo benissimo... ma per un secondo ha preso conoscenza... e ha parlato. »
« Cosa ha detto? »
Non risposi. Volevo custodire quelle due parole che mi avevano scaldato l'anima. E lui mi aveva donato un sorriso, io gli avevo donato l'anima.
Ignorai le loro richieste, e diedi le spalle anche a loro. Poco dopo, dalla stanza uscì anche David, sconvolto.
Istintivamente mi avvicinai a lui e lo avvolsi in un abbraccio. Lui si aggrappò a me, forse vergognandosi di piangere. Per lui non doveva essere facile, come non lo era per me. Non avevo mai pensato al suo punto di vista. Il suo migliore amico era appena stato vittima di un incidente, aveva rischiato la vita... Quando sciolsi l'abbraccio, gli sorrisi.
« Coraggio, Dave. » sussurrai, e lui annuì. Era sempre mio fratello, d'altra parte. Poi, vedendo le espressioni di tutti, non riuscii a trattenermi ed emisi un singhiozzo forte. Borbottai 'bagno' e mi avviai il più lontano possibile da quella sala, lontana dagli sguardi di tutti...
Raggiunsi il bagno, dove, davanti al lavandino mi specchiai.
Ero davvero diventata questa? Una quattordicenne dallo sguardo maturo, lo sguardo era lo spettro della bambina che ero fino a poco tempo prima. Quella bambina era ancora viva, in qualche angolo nella mia anima. Improvvisamente, sentii una calda mano appoggiarsi sulla mia spalla e mi voltai: Matthew. Lo guardai. Le labbra presero a tremare, non riuscivo a parlare. Così, lo abbracciai, lasciandomi cullare dalle braccia del mio migliore amico. E, se lo era, un motivo c'era. Matthew era davvero un ragazzo speciale, e io mi consideravo la ragazza più fortunata del mondo, perché era un amico fantastico.
« Si è svegliato » mi sussurrò in un orecchio. Io sciolsi leggermente lo sguardo e lo fissai, boccheggiando.
« C-cosa? » chiesi, incredula. Poi, senza dargli tempo di ripetere, uscii dal bagno e corsi fino alla sala dove adesso tutte le sedie erano vuote, probabilmente erano tutti da Paul. Davanti alla porta chiusa bianca, sorrisi e spalancai la porta. Mi sentii imbarazzata quando gli sguardi di tutti si posarono su me e Matthew. Paul mi guardò per qualche istante, sul suo viso un'espressione indecifrabile, però sorrideva. Ed era una cosa meravigliosa, poterlo vedere sorridere. Quella luce era tornata nei suoi occhi.
« Sei un cretino. » borbottò mio fratello, e Paul annuì.
« Lo so. » rispose, e anche David sorrise.
Bonnie e Mary continuavano a fissarmi, mentre Matt, capendo la situazione, faceva finta di nulla e guardava Paul, standosene nascosto appena dietro di me. Annabelle era sull'orlo delle lacrime, il padre stava vicino al figlio. Per la seconda volta, gli occhi di Paul incontrarono i miei. Io abbassai lo sguardo, imbarazzata. Quando, dopo un quarto d'ora circa, tutti se ne furono andati, io rimasi lì, sotto gli sguardi maliziosi delle mie amiche e quello comprensivo di Matthew.
« Ciao... come stai? Nella confusione non ho avuto la possibilità di parl- » dissi, euforica, ma lui mi interruppe.
« Sei ancora arrabbiata con me? » chiese, la voce rauca. Incredibile quanto potesse suonare dolce il suo tono di voce. Io scossi solamente la testa. Poi, pensai che dopo quello che era successo, avrebbe dovuto saperlo, e che lo amavo. A meno che...
« Paul. » lo chiamai sussurrando e sedendomi al bordo del letto. « Tu... ti sei svegliato, poco fa, ricordi? »
Lui scosse la testa. E una fitta mi trapassò il cuore.
« N-no? Non ricordi nulla? » ero di nuovo sul punto di scoppiare a piangere.
« Dovrei? » chiese, chiudendo gli occhi.
« No, certo che no. Senti.. credo che tu sia stanco, io vado. » mi congedai, e lui annuì appena. Poi, uscii dalla stanza e senza dire una parola mi sedetti tra Matthew e David.
Non ricordava nulla, non sapeva che lo amavo.



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Capitolo 11
*** # Sei nelle mie vene. ***


Nothing goes as planned,
everything will brake.
People say goodbye,
in their own special way.


L'attesa era il tempo più lungo della mia vita. Cosa stessi aspettando? Non ne avevo idea. Forse stavo aspettando che la voce di un angelo mi sussurrasse la speranza, che ciò che mi aveva detto Paul non corrispondeva alla verità.

Oh, you're in my veins,
and I cannot get you out.


Io lo amavo. E si, dovevo maledire le mie amiche per questo. Ma credo che avrei finito per innamorarmi di lui lo stesso. Perché io non mi ero innamorata del suo aspetto fisico - che era fantastico, eh - ma delle emozioni che mi procurava il solo incontrare i suoi occhi, del suo profumo di miele e vaniglia, del suo nome che filtrava nelle mie vene.

Oh, you're all I taste
at night inside of my mouth.


Mi ero innamorata del sapore delle sua calde e morbide labbra. Ciò che in quel momento mi faceva sorridere, era il solo ricordo del nostro bacio di pochi mesi prima. Due mesi e quattordici giorni. Si, ero malata e avevo contato i giorni dal momento in cui la mia vita era cambiata.

Nothing stays the same,
nobody is perfect
but everyone wants to play.


Accanto a me c'erano il mio fratello 'acquisito', Matthew, e dall'altro lato quello vero, David.
David era colui che probabilmente era sofferente quanto me. Lui perché era il suo migliore amico; io, inoltre, dovevo sopportare la pena che lui non ricordasse la mia confessione, il mio momento di felicità assoluta.
Poi, un calore avvolse la mia mano: quella di Matthew. Appoggiai la testa sulla sua spalla. Conoscevo Matthew dalla prima media, ma avevo stretto amicizia solo in seconda. A mio parere, una delle fortune più grandi. Passammo ancora una ventina di minuti quando un dottore ci obbligò a tornare a casa e ci disse di tornare il giorno dopo.
Quella sera non riuscii a dormire, ero ancora troppo scossa per riuscire a prendere sonno.

All that you rely on
And all that you could fake
Will leave you in the morning
Come find you in the day.



E, anche se mi fossi addormentata, non sarebbe cambiato molto. Avrei continuato a pensare a lui, sognandolo.
Lo avrei sognato: i suoi occhi d'ebano, chiusi dopo un'incidente avvenuto per causa mia. Sì, la colpa era mia. Se non fossi scappata via in stile film, se lo avessi lasciato spiegare... forse - anzi, sicuramente - non gli sarebbe successa alcuna cosa. Se non lo avessi incontrato, non mi sentirei così e ora il mio cuscino non sarebbe bagnato.
Ma, probabilmente, dato che non posso farci niente, continuerò ad amarlo come faccio da due mesi e quat - ah, no, quindici giorni.


 

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Capitolo 12
*** # Preparativi e... sfoghi. ***


Erano passate due settimane da quando Paul era stato dimesso dall'ospedale, ed era un mese che io non lo vedevo. Si, beh, David si sarebbe insospettito se fossi andata ogni giorno a trovarlo.
La cosa positiva di tutto questo? Che finalmente lui stava bene, dopo tante sofferenze.
E dov'ero io a fare tutte queste riflessioni? Ovviamente nel bar della scuola.
Cullavo fra le mani fredde una tazza di cioccolata bollente, seduta ad un tavolino con i miei amici vicino alla finestra, osservavo la neve cadere danzando sul prato innevato che circondava il liceo.
« Sarah, ci sei? »
La voce di Amy e le altre distolsero l'attenzione dai miei pensieri, riportandomi a quella che era la realtà.
« Allora, ci stai? » chiese Bonnie. Non avevo idea di cosa stessero parlando.
« Cosa? »
« A Natale! » esclamò Mary, sorridendomi; davanti a lei un enorme libro. « Sei l'unica che ha casa libera! »
No. Non un'altra delle loro trovate geniali.
« E quindi...? » chiesi incerta, temendo la risposta - che, tra l'altro, conoscevo già.
« Possiamo organizzare una festicciola...? » propose Amy.
Matt non aveva ancora parlato.
« Dai! » Mary si sporse in avanti, afferrandomi le mani e constringendomi quindi ad abbandonare la mia tazza di cioccolata. Io sospirai.
« Va bene... i miei genitori sono dai miei zii questo Natale. Ci lasciano con la vecchia baby-sitter novantenne e non sente. Probabilmente si dimenticherà anche di venire. Ma poi... siamo solo noi, vero? »
Bonnie, Amy e Mary si scambiarono uno sguardo che non mi piacque per nulla.
« Ma cosa ti hanno messo nella cioccolata? »
« In che senso? »
« E' ovvio, no? Ognuna con il rispettivo fidanzato... »
Di nuovo persi il filo del discorso. Ok, Matthew aveva qualcosa di strano. Lui di solito non se ne stava zitto un secondo e, oggi, era l'unico a non aprire bocca. Mentre le mie amiche parlavano tra di loro, io mi avvicinai a lui e gli afferrai la mano. Lui, finalmente, alzò lo sguardo verso di me.
« Tutto bene? » gli chiesi. Lui mi guardò per un momento, poi annuì e tornò ad osservare il vetro.
« Sicuro? » continuai. Sapevo di essere una rompibiiiiip, ma era il mio migliore amico e aveva qualcosa di strano. Lui sospirò, ma non era un sospiro scocciato... più che altro, di uno che non vuole pensare a qualcosa. Si alzò e mi fece cenno di seguirlo. Ci fermammo davanti al bancone. Dopo qualche secondo, parlò.
« Mi ha lasciato. Alison. » disse tutto d'un fiato. I suoi occhi divennero lucidi.
« Oddio, no... » sussurrai. Mi sentivo terribilmente egoista. Ero così occupata a pensare a me e a Paul che non mi ero accorta di non essere l'unica a soffrire. « Matt, io... mi dispiace... »
Lui fece spallucce. Riuscii a vedere una lacrima appena accennata, adagiata sulle ciglia.
« Perché? » chiesi. Matthew sorrise, pensando a qualcosa che - a quanto pareva - lo rendeva incredulo.
« E' convinta che a me piaccia un'altra... è ridicolo! » Abbozzai un sorriso. Matt? Innamorato di qualcuna che non fosse Alison? Impossibile.
« E secondo lei, chi sarebbe? »
Matt mi guardò, prima di rispondere.
« Crede che tu mi piaccia. »
In quel momento sgranai gli occhi. Quanto poteva essere stupida quella ragazza? Così tanto da credere che... Dio, era così ridicolo che non riuscivo neanche a dirlo.
« Ma è una sciocchezza! » esclamai.
« Lo è, vero? » continuò Matt, sbuffando. « Ha detto "E' inutile che stiamo insieme se pensi a lei"... »
« Oddio. Ma, dico io, non capisce che la ami? »
« Sì, io credo di sì... » sussurrò Matthew.
In quel preciso momento, dietro di lui comparve Alex che ammiccò nella mia direzione. Non lo presi a calci solo per rispetto a Matt.
« E allora parlale. » conclusi. « Cerca di chiarire. E dille da parte mia che è un'idiota. »
Matthew sorrise, e fu per me un sollievo. Tornammo a sederci. O almeno, ci provai, quando una lurida mano mi bloccò, appoggiata sulla spalla.
« Ciao, bellezza... » era la rivoltante voce di Alex, così ubriaco da fare più schifo del solito.
Ma fu quando provò a baciarmi che sferrai un pugno sul suo lungo naso.
« Stammi lontano, viscido verme. » sputai, fregandomene del fatto che tutti ci stessero guardando. Raccolsi la mia roba, indignata, e uscii scortata dai miei amici. Matt rivolse ad Alex uno sguardo omicida, prima di uscire.
« No! » esclamai all'improvviso. « Non ho nemmeno bevuto la cioccolata! »

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Capitolo 13
*** # Buon Natale! ***


SOUNDTRACK: Yiruma - kiss the rain

Il pomeriggio della vigilia di Natale, ero china sul libro di matematica, intenta a recuperare quel misero 4... avevo finora concluso dodici espressioni, sette delle quali erano risultate. Non indossavo nulla di speciale: semplice felpona rossa e jeans. Tra un paio d'ore sarebbero arrivati i miei amici e quelli di David.
Così, esasperata, chiusi il libro e andai a sistemare le ultime cose prima del loro arrivo. Dopo un'ora e mezza, finii, e in quel preciso momento suonò il campanello.
Spalancai la porta e con un colpo al cuore mi ritrovai davanti a Paul, seguito da David, Hellen, Tom e un'altra ragazza, Mary e Jamie - il suo ragazzo, Amy ed infine Matthew. Li salutai uno ad uno, e per ultimo Paul. Avevo paura di parlargli perché, l'ultimo giorno in cui andai a trovarlo all'ospedale, lui mi chiese cosa fosse successo appena dopo l'incidente, e io non gli avevo risposto. Ma era inevitabile, e presto mi ritrovai faccia a faccia con lui.
« Ciao »
« Ciao »
Salutammo insieme. Presi la sua giacca nera e la appoggiai su un bracciolo del divano. Lui era dietro di me. Che si aspettasse qualcosa?
« Come stai? Insomma... ti sei ripreso? » chiesi, imbarazzata.
« Si si, ehm.. sto... meglio, grazie » rispose, torturandosi le mani e andando velocemente da David.
Matthew rideva e scherzava, segno che era tornato lo stesso dopo gli ultimi avvenimenti.
Senza aspettare, Mary corse alla radio, ma quando vidi il CD che aveva fra le mani - Taylor Swift - deglutii e bloccai appena in tempo.
« Eh no, cara mia! »
E la musica che accompagnò quella serata furono solo gli Aerosmith.
***
David, Tom e le loro ragazze erano appartati in qualche stanza a 'parlare', Mary e Jamie non si facevano tanti problemi: si baciavano in un angolino della stanza. Lui: metallaro da far paura, lei: la fata dei fiori.
Bonnie e Marc stavano facendo conoscenza.
Paul indossava una semplice felpa nera. Aveva una piccola e bianca cicatrice vicino alle sopracciglia. Osservava la neve cadere con lo sguardo perso nel vuoto. Io mi avvicinai a lui e mi misi al suo fianco, guardando con lui lo spettacolo appena oltre il vetro.
« Sarah... cosa è successo, quel giorno? » chiese senza guardarmi.
Non risposi. Non avevo il coraggio di dirgli nuovamente cosa provavo per lui, di come il mio cuore pregasse di saltare fuori dal petto in quel momento.
« Sarah, ti pre- »
Qualcosa di verde attraversò l'aria cadendo tra di noi. Era uno degli addobbi di Natale appesi al bordo della finestra. Lo guardammo entrambi. Vischio.
Poi, dal vischio, i nostri sguardi scivolarono tra le emozioni nei nostri occhi.
« Io c-credo che ci dovremmo... »
« ...Baciare? » concluse lui in un sussurro.
« Per la seconda volta » dicemmo insieme.
Per un secondo esitammo. Poi, più veloce di quanto mi aspettassi, Paul mi strinse a sé e mi baciò con passione. Io non riuscivo a respirare, tale era forte l'emozione che in quel momento mi coinvolse.
Il pensiero di David trapassò la mente di entrambi. Ci separammo come se una scossa elettrica fosse passata tra di noi.
Sentivo che il mio cuore batteva ancora all'impazzata, e non per la vergogna di essere al centro di tutti. Ma per ciò che era appena accaduto.
Con la coda dell'occhio vidi Matthew sorridere malizioso, le braccia incrociate.
Non osavo guardare Paul in faccia, l'imbarazzo era troppo. La musica era altissima, ma io non la sentivo. La mia mente stava osservando qualcosa che gli altri - forse solo Paul - non potevano vedere.
Senza rendermene conto, mi voltai verso il ragazzo dagli occhi d'ebano che mi avevano fatta innamorare, e parlai.
« Ecco. » sussurrai, guardandolo negli occhi. « Ti ho detto questo qul giorno. »
Paul boccheggiò, senza guardarmi - fissando il pavimento.
« Cosa? » chiese.
« Hai capito » sbuffai, andandomene, ma lui mi raggiunse e si parò davanti a me.
« Io... voglio.. ho bisogno di sentirtelo dire, credo. » balbettò incerto e imbarazzato, passando una mano fra i capelli. Io deglutii.
« Ti amo. » Ecco. L'avevo detto. Avevo firmato con un respiro la mia condanna a morte. « Ti amo dal nostro primo bacio, pochi mesi fa. »
Mi sentivo libera, leggera, senza più segreti... in parte. «Volevo solo fartelo sapere. » conclusi.
Paul per un momento rimase immobile, poi divenne rosso e sorrise.
« Dici... sì, ecco. Dici sul serio? »
Io annuii, osservando un punto impreciso della stanza. Mi abbassai per raccogliere il vischio, quando le dita bianche di Paul si intrecciarono con le mie. Lui sorrideva, e la gioia mi avvolse in un mantello invisibile.
Già, non avevo problemi ad ammetterlo, adesso. Io lo amavo.
« Posso dirti una cosa? » chiese, abbandonando una mano per accarezzarmi il viso. Io annuii. « Ti amo anch'io. »
Sentirlo fu meglio che immaginarlo. Un applauso seguì quelle parole, che io sentivo esplodere nella mia testa come fuochi d'artificio, solo che lo spettacolo era lui.
« Buon Natale » sussurrai, prima di baciarlo di nuovo.

Spazio Autrice u.u

We wish you a merry Christmas,
we wish you a merry Christmas,
and a happy new year!

*Sclera* Mabbbuongiorno! :3
Sono ancora elettrizzata perché é Natale u_u Beh, Buon Natale!
Questo capitolo è un regalo di Natale, anche se mi sembra troppo smielato, e io non sono smielata ç__ç
Comunque... BBBUON NATALE! :DD

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Capitolo 14
*** # Coltellino svizzero. ***


Io e Paul avevamo fatto promettere ai presenti di no dire nulla a David di ciò che era successo a Natale. Inoltre non sapevano nulla della nostra relazione segreta, dei nostri incontri del pomeriggio, con la scusa di far fare una passeggiata al cane - o le ripetizioni di matematica.
Amavo passeggiare mano nella mano con lui, lasciando le impronte dell'amore sulla neve, il cane che zampettava contento... era tutto perfetto.
L'unico aspetto negativo della mia storia con Paul? Nessuno poteva sapere di noi e, se sapeva, doveva tacere. Se solo David avesse saputo cosa ci fosse tra il suo migliore amico e sua sorella... no sapevo cosa sarebbe successo, perché lui non era un tipo geloso ma era imprevedibile e temevo una sua reazione.

There's a place out there for us,
more than just a prayer
or anything we ever
dreamed of.


Quel pomeriggio il sole era già calato ed era buio, io e Paul camminavamo lungo una strada solitaira, tenendoci per mano.
« Io vado un po' più avanti » mi sussurrò lui, prendendo il guinzaglio e portando Pudding lontano.
Forse un po' troppo, perché non vedevo più il mio ragazzo.
Poi, sentii uno 'Pst' provenire da... un albero?
No, ok, stavo sclerando.
« Sarah » un altro sussurro, da più voci. « Vieni »
« Paul, non è divertente. » esclamai, il tono di voce forse un po' troppo alto. Mi guardavo intorno, ad illuminare tutto solo il bagliore della luna.
« Chi è questo Paul? Un tuo amico? »
« Non ti interessa » risposi, non esattamente sicura.
« Si che mi interessa » un'altra voce, dal lato opposto. Ok, iniziavo realmente ad avere paura. Con la mano cercai di sfilare il cellulare di tasca, ma non ci riuscii, perché impegnata a levarmi di dosso le mani che mi tappavano la bocca. Provai ad urlare, ma non ce la feci.
« Dacci ciò che hai: soldi, gioielli, tutto. Svelta! » era la voce di un ragazzo davanti a me. Gli consegnai il mio portafoglio, la collana che portavo al collo. Non gli diedi l'anello che Paul mi aveva regalato a Capodanno. Era troppo prezioso.
« Anche quello! » urlò il ragazzo dietro di me. La sua voce era terribilmente familiare.
« No. » risposi, stringendo i pugni.

We can be the kings and queens
of everything if we believe.
It's written in the stars
that shine above.


Quello davanti a me estrasse un coltellino svizzero.
A quella vista, anche la mia anima prese a tremare. Sarei morta in quel momento?
« No. » continuai, senza dimostrare la mia paura.
« Ok, ragazza, lo hai voluto tu! » esclamò quello con il coltellino.
Stava per colpirmi quando due nuove ombre comparvero e glielo strapparono via.
Le mani di - ... Alex?! - mi lasciarono, e io mi gettai a terra. La luna schiarì il viso di Paul e Matthew.
« Ridatele tutto » ordinò Paul, il tono incredibilmente fermo.
« Altrimenti, Paul? » lo sfidò Alex, sussurrando il suo nome con una nota di disgusto.
« Stai zitto, Alexander. Fai come ti dice. » continuò Matthew.
« Oppure? » ripeté Alex.
Ovviamente non sapeva cos'era in grado di fare il mio ragazzo davvero arrabbiato. Se lo avesse saputo, non avrebbe continuato.
« Paul, basta. Andiamo via! » lo pregai, ma lui mi ignorò. Matt teneva lo sguardo fisso su di lui, attento.
« Ho detto: ridalle tutto. » scandì bene le parole. Alex sorrise.
« Ho detto: oppure? » lo prese in giro. Grave, grave errore, Alexander.
Come previsto, Paul sferrò un pugno in pieno viso al ragazzo per cui avevo una cotta l'anno prima. L'amico di Alex, che non conoscevo, provò con il coltello a spaventare Paul, che, invece, restò impassibile. Quando Alex si rialzò, provò ad avvicinarsi a me, dicendo:
« Non ricordi il tuo amore? »
Paul mi guardò per un momento, schivando appena in tempo il coltello di AJ, l'amico di Alex, ma Matthew si mise davanti a me.
« Non avete altro da fare?! » sbuffò. Poco dopo, Pudding saltò tra le mie braccia.
« No. Direi di no. » rispose Alex, fissandomi.
« Si può sapere cosa volete? » urlai, alzandomi in piedi. Con la coda dell'occhio, fissavo Paul schivare il coltello di AJ.
« Te. » sussurrò Alex.
« Tu sei pazzo! » esclamai. « Hai avuto nove mesi per accorgertene! » sputai la rabbia che in tutti quei mesi avevo represso.
« Me ne sono accorto ora. Problemi? »
« Il problema è che non ti amo più. »
A quella frase, il viso di Alex mutò. Si fermò per qualche secondo, poi, si guardò intorno, torturandosi le mani. Era come se si fosse risvegliato da un lungo sonno.
« Oddio. Vi prego, scusateci... AJ, vieni. »
Così, Alex e il suo amico dal labbro inferiore insanguinato se ne andarono. In quel momento, scoppiai a piangere, gettandomi fra le braccia di Paul, che mi accarezzò i capelli e mi baciò la fronte.
« Va tutto bene... » sussurrò, stringendomi contro il suo petto. Notai che una sua manica era strappata e la sua pelle era aperta da un profondo taglio.
« Sei ferito. » dissi, fissando il taglio.
« Alex è un idiota. » continuò Matt, psservando il punto in cui Alexander era sparito con AJ. « Non so come tu abbia fatto ad innamorar - » si bloccò prima di finire, ma ormai il danno era fatto.
Paul appoggò il mento sulla mia testa, sfiorandomi le braccia con carezze. « Già... cos'è questa storia? » chiese.
Sospirai prima di rispondere. Poi, raccontai di come nell'ottobre della terza media, commisi l'errore di prendermi una cotta che col tempo divenne qualcosa di simile - ma lontano - all'amore per lui.
« Ho un motivo in più per spaccargli la faccia. » concluse Paul, facendo spallucce.
« E io ti do una mano. » s'intromise Matt, sorridendo.
Qual era il mio merito per un ragazzo e un migliore amico così meravigliosi? Non l'avevo ancora capito.

Spazio Autrice u.u

Ed eccomi qui! Mentre il resto del mondo dorme, io da brava bambina che non ha nulla da fare, aggiorno. u_u Cosa dire? No, questa robaccia non è data dalla cattiva influenza che la sera ha su di me, perché questo capitolo è stato frutto della mia mente da appena sveglia u____u
Comunque... fatemi sapere cosa ne pensate e recensite, perché i tasti non mordono v.v
Alla prossima,
Bonnie.

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Capitolo 15
*** # La notizia di David. ***


Quando la campanella suonò entrai in classe. La professoressa Malthen era già seduta alla cattedra. Grazie alle 'ripetizioni' di Paul, la mia media era passata da 4 a 7 e io stavo benissimo.
La disposizione dei posti era cambiata, quindi Mary ed Amy non erano più le mie compagne di banco, ma Gwen e Joe, il mio compagno di classe chitarrista e rockettaro. Purtroppo, Matthew frequentava un altro liceo ma la fortuna era che fosse nel mio stesso istituto.
Paul, invece, frequentava il liceo in un'altra città, e mi toccava sentirlo o al cellulare o quando avevamo ripetizioni di matematica.
Andai a sedermi, tirai fuori la mia roba, quando la Malthen mi chiamò alla lavagna. In dieci minuti, svolsi l'espressione e me ne andai al posto.
Il professor Dathid aveva finito di perseguitarmi, e anche Alex.
Studiavo ogni pomeriggio, aspettando il sabato, il giorno di matematica con il mio ragazzo.
Arrivata a casa, quel venerdì avevo commesso l'errore di lasciare il cellulare acceso e vicino a David. Poi, vibrò.
« Sarah, telefono! » mi chiamò, guardando il cellulare. Letto il nome, inarcò le sopracciglia. « Perché hai il numero di Paul? »
Persi un battito. Dovevo improvvisare, inventarmi una scusa al momento.
« Oh, perché... dopo la faccenda di Alex - era una fortuna che Paul e Matt fossero da quelle parti - siamo diventati abbastanza amici. E poi, mi dà una mano con matematica. »
Dopo questa lunga e breve (?) spiegazione, rubai il cellulare dalle sue mani e lessi il messaggio.
'Ehi, per domani alle 15 va bene? Ho un impegno alle 14!'
Sorrisi e risposi, sotto lo sguardo indiscreto di mio fratello.
'Certo, ehm... Dave ci ha quasi scoperti.'
Messaggio inviato.
Già, con Paul e Matthew avevamo deciso di modifiare un po' la vera storia di Alex e il suo amico con il coltellino svizzero, AJ.
Nella versione 'ufficiale' dei fatti, io passeggiavo tranquilla con Pudding, e che Paul e Matt passavano di lì.
Non avevo intenzione di denunciare Alex e AJ, come i miei dicevano. No. Era fuori di sè quella sera e, a patto che mi stesse lontano, non lo avrei denunciato. Non volevo più pensarci.
Andai nella mia stanza e appoggiai lo zaino sul letto di David, per poi buttarmi a peso morto sul mio, il cellulare in mano.
Non avevo fame, avrei mangiato dopo aver dormito un po'.
Chiusi gli occhi, quando il cellulare vibrò di nuovo.

'Cosa?!'
L'avevo immaginato. Appena qualcuno che non fossero i nostri amici, o peggio, David, rischiava di sapere di noi, lui impazziva.
Ma era così tenero quando impazziva! Ok, continuo a raccontare.
'Ma adesso è tutto ok. Ci vediamo domani.'
Inviai il messaggio e cancellai l'intera discussione, chiudendo gli occhi ed addormentandomi. Mi svegliai quando Matthew entrò nella mia camera: circa... tre ore dopo?!
« Oh, scusa! Ti ho svegliata? » chiese lui, passandosi una mano fra i capelli. « Dave mi ha detto che eri qui, e.. - »
« Tranquillo » lo interruppi io.
« Ah, ok. » sospirò, sorridendo.  « Volevo chiederti se... » sembrava imbarazzato. « Mi daresti una mano con tedesco? »
Disse infine, guardandomi insicuro.
 « Certo! » esclamai sorridente balzando giù dal letto.  « Ho anche dei compiti per domani, se non sbaglio. »
Matthew annuì, poi andò alla finestra.
« Sai che Alison mi ha già rimpiazzato? »
Io rimasi stupita: Alison non era mai stata una ragazza del genere, ma era sempre stata innamorata di Matthew, e Matt di lei.
« Magari vuole solo farti ingelosire. »
Matthew fece spallucce.
« Se è così non funziona. Non mi piace più. » stava mentendo, anche a sè stesso. Il suo tono di voce lo aveva tradito.
« Non è vero » sussurrai, con i libri in braccio.
« Lo so » i suoi occhi erano di nuovo lucidi, e quelle non erano lacrime di disperazione, ma quelle di un ragazzo davvero innamorato di una che lo aveva lasciato ingiustamente.
Cinque minuti dopo, cominciammo. Non insistetti più di tanto, per non farlo pensare ad Alison e al suo nuovo ragazzo.
« Allora, » cominciai.  « vedo che siete alle basi del tedesco... » sussurrai, sfogliando le pagine del suo quaderno.  « Dimmi il presente dei verbi essere e avere. »
Lui mi guardò come chiedendomi se stessi scherzando, poi sospirò e recitò a memoria quello che gli avevo chiesto.
Bene, i due verbi principali li sapeva.  « Con cosa hai problemi? »
« Accusativo » rispose lui.
« Ma è facile! » esclamai io.  « L'articolo determinativo maschile diventa 'den' e quello indeterminativo 'einen'. Cosa non capisci? »
« Non lo so, non mi va giù il tedesco! »
Per un momento mi bloccai, riflettendo, e forse capii.
« Ehm... Matt, di che tedesco stai parlando? »
« Del nuovo ragazzo tedesco di Alison, Franz Schwazer. » e il nome lo disse con una nota di disprezzo.
« Mi sa che devo parlare con Alison. Oppure parlerò con sua sorella Elizabeth. »
Matthew scosse appena la testa.  « No » disse, serio.  « Devo parlarci io. »
Io annuii. Poco dopo, Matthew se ne andò. Controllai il cellulare: dodici chiamate perse da Paul. Mi accertai che David non fosse nella zona e lo chiamai.
« Sarah! » mi salutò lui. Però non era arrabbiato...
« Ho visto le tue chiamate, cosa c'è? »
« Cos'è questa storia di David? »
« Ti spiego domani.  » conclusi e, salutandolo, premetti il tasto rosso.
***
Davanti alla porta, bussai. Ero tesa perché accanto a me c'era David. Perché era lì? Voleva stare un po' con il suo migliore amico. Paul spalancò la porta sorridendo, ma il suo sorriso diminuì appena quando vide mio fratello.
« Ciao! » ci salutò.  « David, che ci fai qui? »
Si fece da parte per farci entrare e, quando David lo oltrepassò, Paul mi rivolse uno sguardo stranito. Io risposi facendo spallucce. Poi, David, si voltò di scatto verso di noi e Paul sobbalzò.
« Paul, avrei bisogno di una mano in matematica. Ti dispiace? »
« No, certo che no.  » rispose il ragazzo dai capelli neri, colto alla sprovvista.  « Venite, allora.  »
Ci condusse nella cucina di casa sua. Ci fece sedere al tavolo, io vicino al mio ragazzo, David di fronte a lui.
« Un attimo, vado aprendere lla mia roba. » sussurrò mio fratello, alzandosi e uscendo dalla stanza. Io e Paul ci scambiammo uno sguardo per una frazione di secondo, prima di baciarci. Quando i passi di David si fecero vicini, ci separammo.
« Eccomi qui  » esclamò mio fratello, entrando. Paul mi fece veloce un occhiolino e io abbassai lo sguardo, sorridendo imbarazzata.
Dopo due ore, ci fu una pausa.
 « Ah, già! » disse David, improvvisamente e battendosi una mano sulla fronte.  « Questa sera io e la mia band suoniamo in un locale, una specie di locanda. Venite, vero? »
Io e Paul ci guardammo.
« Certo, va bene. »
« Ok! »Avremmo passato la serata insieme, ad un concerto. Poi, continuammo con la matematica. 

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Capitolo 16
*** # Resti con me? - Concerto. ***


Verso le 20.30, cominciai a prepararmi. Indossavo una giacca blu scuro e dei pantaloni neri, i capelli lisciati a dovere, poca matita. Salutai i miei genitori che erano a tavola a cenare.
David aveva chiesto loro esplicitamente di non venire al suo concerto.
Sotto casa, trovai Paul con due caschi in mano, le spalle appoggiate al muro e un sorriso irresestibilmente malizioso. Mi porse uno dei due caschi, salutandomi.
« Sicuro? Insomma, dopo l'incidente non - »
« Sono sicurissimo » mi interruppe, e salii sul motorino dietro di lui. Partimmo, destinazione 'locanda sconosciuta dal resto del mondo'. Tenevo le braccia strette attorno alla sua vita e ancora non ci credevo. Non credevo che anch'io avessi raggiunto la felicità assoluta insieme ad un ragazzo che realmente mi amava.
« Altri sospetti da parte di tuo fratello? » chiese Paul, facendo una curva.
« No, per adesso. » risposi io. « Ma quanto manca? »
« Tre... due... uno » parcheggiò il motorino. « Arrivati » esclamò. Davanti al portone, mi disse: « Entra prima tu. Io arrivo fra pochi minuti. »
Aveva ragione. David non doveva sospettare alcuna cosa. Annuii ed entrai nel locale. Quando David, sul palco, mi vide, mi sorrise.
Risposi al sorriso e andai a sedermi al bancone. Dopo un minuto circa, entrò Paul, che subito mi cercò. Quando mi trovò, si sedette accanto a me.
« E' bravo, no? » disse il mio ragazzo, voltandosi verso David. Io annuii e mi alzai, urlando:
« Vai, David! Sei un figo! » Paul si mise vicino a me e scoppiò a ridere, specialemente alla vista di un gruppo di ragazze che mi fulminò con lo sguardo. « Sono sua sorella! » mi giustificai. Paul passò un braccio attorno alla mia vita.
« Se Dave ti vede... »
« E' troppo occupato adesso, per pensare a noi. »
E mi baciò veloce. Per fortuna, David era voltato dall'altra parte. Io mi misi a ridere senza motivo.
« Ho la nausea di questa canzone » urlai a Paul, ma sembrava un sussurro in confronto al volume della musica. Lui mi guardò stranito. « L'ho sentito provarla non so quante volte » ammisi, e Paul sorrise, facendo le corna al palco e facendo svegliare il metallaro che tempo prima era in lui. Andai al bancone e ordinai qualcosa da bere, una cosa qualsiasi. Quella cosa mi fece ubriacare.
Non capivo nulla, le luci giravano davanti a me e la voce di Paul assomigliava a quella dei Chipmunks.
Sentii le sue braccia sollevarmi e farmi salire da qualche parte.
« She's buying a stairway to heaven! » urlai.
« No, it's a stairway to bed, 'cause you are ubriaca. » mi corresse Paul.
Dopo dieci minuti, l'effetto del drink era svanito, stavo bene. Ero su un letto, in una stanza senza finestre ed illuminata dall'orologio fosforescente che indossavo, e da una candela appoggiata su un comodino.
« Ti senti meglio? » mi chiese Paul, seduto al mio fianco, mi accarezzava i capelli. Io annuii. Poi, lui si alzò, sussurrando:
« No, Paul, aspetta! » lo pregai. Lui si fermò di colpo, fissandomi. « Resti con me? »
« Questa sera? »
« Anche per sempre, se vuoi. »
E accadde l'inaspettato.

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Capitolo 17
*** # Sei un caso disperato. ***


Domenica mattina ero nel mio letto, non in uno della locanda della sera prima. Guardai l'ora al cellulare: 11:47.
Scivolai già dal letto e un giro di testa mi obbligò ad andare in bagno, dove vomitai. Probabilmente era l'effetto di quel maledetto drink. Mi sedetti sul pavimento freddo, portandomi una mano alla bocca, quando mi ricordai ciò che era successo.
Cercando di ignorare la cosa, presi i miei libri ed andai in cucina, dove trovai i miei genitori.
Li salutai e mi sedetti al tavolo, cominciando a studiare. Finii velocemente i compiti e accesi il computer per poi andare su Facebook. Paul non era connesso. Dovevo parlargli, accidenti! In quel momento entrò David.
« Ieri sera è stato gentile Paul, vero? »
« Eh? » balbettai, agitata.
« Ti ha riportata a casa. » la mia anima sospirò di sollievo. « Certo che potevi evitare di ubriacarti! Ti ho vista... »
« Mi dispiace » dissi, abbracciandolo.
In quell'abbraccio cercai di metterci le scuse per tutte le bugie che gli avevo raccontato.
« Ora stai bene? » mi chiese, sorpreso dalla stretta.
« Ho un po' di nausea. Prima ho vomitato. » confessai.
« Sei un caso disperato! » disse David, ridendo.
Poi, presi il cellulare e provai a chiamare Paul, ma non rispose.
Mi stava evitando?
***
Lunedì non andai a scuola, mia madre era convinta che il vomito fosse dovuto a qualche virus. Non le avevo detto di aver bevuto.
Ero sul divano a guardare School of Rock, ed improvvisamente ricordai quel pomeriggio con Paul prima dell'incidente.
Il cellulare mi vibrò fra le dita fredde: Paul.
'Buongiorno. Scusa, non avevo visto le chiamate.'
Allora non mi stava evitando! Di questo fui solo contenta.
Ero da sola a casa, i miei genitori erano a lavoro e David a scuola. Perché Paul era a casa? Oh, chi se ne frega!
'Vieni?'
Chiesi solamente. Poco dopo arrivò un altro messaggio con risposta affermativa.
Dopo dieci minuti, Paul suonò il campanello. Sorridente, andai ad aprire. Subito avvicinò le sue labbra alle mie sfiorandole appena, ma io scappai via e corsi in bagno.
Nota per me: mai più bere.
Paul intanto mi aveva raggiunta.
« Stai bene? » mi domandò, appoggiandomi una mano sulla spalla. Avrei voluto rispondere 'sì', ma scossi la testa.
« E' da ieri che... vomito! Quella roba mi ha fatto male! »
Poi, Paul mi avvolse tra le sue braccia e mi sussurrò all'orecchio 'Sei la mia idiota preferita'.


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Capitolo 18
*** # Rivelazione. ***


Mercoledì cominciai a stare meglio, e giovedì tornai a scuola.
La campanella che segnava la fine dell'ora di scienze quel venerdì segnò la fine della giornata scolastica. Mi piegai per raccogliere lo zaino, appoggiai il giubbino su di esso ed uscii dalla classe, diretta alla fermata dove avrei preso il pullman.
Mi fermai di botto quando vidi Paul che parlava con Martyn, cominciai a sudare.
« Dovrebbe arrivare tra cinque minuti » gli disse Martyn. Probabilmente, stavano parlando dei pullman. Paul si voltò e, quando mi vide, sorrise.
Io accennai un sorriso forzato, mentre lui si avvicinava verso di me.
« Paul! Cosa ci fai qui? » chiesi, forse a voce un po' troppo alta, guardandomi intorno.
« Volevo farti una sorpresa. Sono uscito un'ora prima oggi. » si giustificò, lasciando cadere la frase in un bacio a fior di labbra, a cui non risposi.
Non riuscivo a pensare ad altro che a quel pensiero che mi occupava la mente da giorni.
E quando glielo avrei detto, come avrebbe reagito? Mi avrebbe lasciata?
« Devo dirti una cosa »
Pensai ad alta voce, ma me ne accorsi troppo tardi e sbiancai.
Paul mi guardò un momento, inarcando le sopracciglia.
« Oh, ok... va bene, dimmi tutto. »
Presi un respiro prima di parlare, come se dopo l'aria sarebbe venuta a mancare.
« Sono incinta »

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Capitolo 19
*** # Il mio futuro con te. ***


Ci fu una pausa di pochi secondi a seguire la mia rivelazione, i secondi più lunghi della mia vita.
Martyn, accanto a noi, mi stava fissando con la bocca socchiusa.
Forse notando la mia agitazione, Paul mi passò un braccio lungo le spalle e mi portò in un punto non molto affollato. Poi, abbandonò le mie spalle e mi sentii persa.
« Stai scherzando? » disse, guardandomi negli occhi. La cosa non aiutava per niente. Scossi la testa.
« Cacchio » sbuffò lui, passandosi una mano tra i capelli. Una lacrima mi rigò il volto, ma le fredde dita di Paul che mi accarezzarono il viso la fecero seccare.
« Ehi » sussurrò, abbracciandomi. « E' meraviglioso »
Io scoppiai a piangere, specialmente quando Paul si chinò leggermente per parlare alla pancia, ancora piatta.
« Ehi, piccolo... » lo salutò. Io, fregandomene della folla, lo tirai su per le braccia e lo avvolsi in un abbraccio.
Poi, qualcuno arrivò alle spalle di Paul.
« Buonsalve » esclamò Matt. « Cos'hai? » mi chiese, notando le mie lacrime.
« Nulla » risposi io, asciugandole velocemente.
« Non lo sa? » sussurrò Paul. Io scossi la testa.
« Non so cosa? »
Io sospirai prima di rispondere. « Io... sì, ecco... tu... Paul... Dave... Ok, te lo dico e basta. Aspetto un bambino.»
« E ci voleva tanto a dirlo? A che ora arriva? » l'ingenuità momentanea di Matthew era un qualcosa di unico. Ma la cosa davvero meravigliosa era quando si accorgeva del vero senso della frase, quella piccola, comica e perfetta 'o' che si dipingeva sul suo volto. « No » disse improvvisamente. Paul mi passò un braccio lungo le spalle. « Non aspetti un bambino in quel senso... tu... tu... sei incinta? »
Io annuii, e in quel momento mia ccorsi veramente di ciò che da quel momento a nove mesi sarebbe successo. Ero pronta a diventare madre? A sacrificare ciò che i miei avevano sacrificato per me? Ero pronta a crescere mio figlio? A insegnargli ciò che era giusto o sbagliato, quando nemmeno io lo sapevo? Avrei imparato per lui. Matthew mi abbracciò.
« Siete una cosa impossibile voi due! » esclamò. « Lo sa qualcun altro? »
Anche Paul mi guardò.
« Ehm.. Mary, che lo aveva capito prima di me, tu, Paul e basta. E voglio che per un po' rimanga così. »
« Ho capito. I tuoi erano scontati in quella frase, vero? »
Scossi la testa. « Non lo sanno. Nemmeno - e specialmente - David. »
Matt sgranò gli occhi.
« Ma... lo sai che tra un po' non lo potrai più nascondere? » chiese, guardandomi la pancia.
« Lo so. Ed è di questo che ho paura. Quando non lo potrò più nascondere, quando diventerò una balena, cosa farò? »
Scoppiai nuovamente a piangere.
« Siamo giovani, ma ce la faremo. Non ti abbandono » sussurrò Paul, intrecciando le sue dita con le mie.
« Io nemmeno » s'intromise Matt.
« Cacchio, sto per diventare padre! » esclamò Paul, come se se ne fosse appena reso conto. « Tra... tra... nove mesi! »
« Sei fantastico » gli dissi, senza pensarci. Era venuto spontaneo.
Qualsiasi altro ragazzo mi avrebbe lasciata o chiesto l'aborto, ma Paul no: lui voleva tenerlo ed era anche contento.
« Hai perso il pullman » aggiunse Matt, all'improvviso.
***
Erano passate tre settimane dalla mia rivelazione. Stavo leggendo un libro, stesa sul divano, cuffie alle orecchie. Era l'inizio di aprile.
All'improvviso, ascoltando quella canzone*, chiusi gli occhi e la mia immagine comparve nel buio.

Ero seduta a gambe incrociate sull'erba, in un parco. Non ero sola: Paul era accanto a me. Sorrideva e imboccava un bambino, che di mangiare non ne voleva sapere.
« Dai, David, mangia! » esclamò Paul.


David? Se fosse stato un maschio, lo avrei chiamato così. Come mio fratello. E se fosse stata una bambina? Non ne avevo idea. Forse Asia, o Evelyn. Ma, ahimè, era ancora troppo presto per pensarci.
Oppure no?
***
« Tra quanto pensavi di dirmelo? Eppure, credevo ti fidassi di me »
La voce era tagliente, i suoi occhi feriti, ma pronti a colpire.
Dopo, David se ne andò, lasciando in me solo il senso di colpa.


No. Glielo dovevo dire. Però... non da sola. Volevo Paul con me.
Glielo avrei detto il giorno dopo, ero decisa.

Davvero?

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Capitolo 20
*** # Finalmente la verità. ***


Quando rivelai a Paul le mie intenzioni, lui sgranò gli occhi.
Mi chiese più volte se fossi davvero sicura.
La mia risposta, ogni singola volta, era:
« A cosa serve rimandare? »
Alla fine, Paul annuì e, davanti a casa mia, esitammo.
« Senti. Facciamo una cosa. Per adesso parlo solo del mio.. ehm.. stato. Più avanti, non oggi, parlerò anche di te. »
Paul fece un cenno distrattamente, per poi sussurrare:
« Ok. Se a te va bene così, va bene anche me. »
Sembrava sollevato.
Nervosa, suonai il campanello. Dopo pochi secondi, mio padre venne ad aprire la porta.
« Ciao! » ci salutò, facendoci entrare.
« Salve » lo salutò Paul. Io ero troppo agitata per pensare ai saluti.
« Cerchi David? E' in camera sua »
Chiese, rivolto a Paul, che non sapeva cosa rispondere.
« Papà. » sussurrai, chiamando a raccolta tutto il mio coraggio. « Devo dirvi una cosa. E vorrei che ci fosse anche David. Specialmente lui. »
« E' grave? »
Non risposi. Mio padre si allontanò per chiamare mio fratello.
Poco dopo, mia mamma, papà, David e anche Pudding erano sul divano e mi fissavano. La cosa non aiutava.
« Papà, poco fa mi hai chiesto se la cosa fosse grave. Sai, non ti so rispondere, perché è una cosa talmente enorme che non so come definirla. » dissi, balbettando e in preda al panico. Sentii gli occhi inumidirsi.
« Non ho nemmeno preparato un discoso, perché volevo dirvelo e basta, e a dire il vero non so perché sto facendo tanti giri di parole. » presi un sospiro e parlai. « Sono incinta »
« Oh madre » sussurrò David, sconvolto. Mio padre non disse nulla, così  neanche mia mamma. Le parole, probabilmente, si erano congelate loro in bocca. L'unica esclamazione, l'aveva detta David, che dopo aver afferrato il concetto, chiese:
« Chi è il padre? »
Secondo i piani, non avrebbe dovuto saperlo subito... la domanda fatale. A tradirci, fu lo sguardo complice che io e Paul ci scambiammo. Gesto che non sfuggì a David.
« Oddio, no... » scattò in piedi. Ci indicava freneticamente: prima me, poi Paul. « Tu... io... voi... » aveva gli occhi lucidi. Non lo avevo mai visto in quello stato.
« La mia bambina » esclamò improvvisamente mio padre, mia madre non aveva ancora la forza di parlare.
« Da quanto tempo va avanti questa storia? » sputò David. Era arrabbiato, sorpreso, confuso, deluso...
« Stiamo insieme da... quattro mesi » ammise Paul.
« Tu... tu... tu stai in silenzio! » lo zittì David. « Sporco traditore! » urlò, fuori di sè. « Mi avete preso in giro per tutto questo tempo! Mi fidavo di voi, e invece, in questi mesi...! » non finì la frase.
« David...  » provò a parlare Paul.
« Ti ho detto di stare zitto! Non ti voglio più vedere! Vai fuori, esci da casa mia! » urlò. Paul mi guardò un momento, prima di andarmesene. Io non mi opposi.
Cosa sarebbe successo?
« Sei mia sorella. Credevo di potermi fidare di te »
« Tu puoi fidar-»
« Ho notato! » sbuffò. « Preso in giro... per mesi! »
Voltò le spalle, chiudendosi a chiava nella stanza. Mia madre si alzò in piedi e mi abbracciò. Cominciai a singhiozzare.

- Spazio autrice.
Eccomi, sono tornata, finalmente! Le mie settimane senza EFP sono finite :')
Beh, si lo so, non è un granché come capitolo, però... niente, non anticipo nulla su cosa accadrà!
Alla prossima,
Bonnie.

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Capitolo 21
*** # La realtà di Paul. ***


Non mi ero mai chiesta quale fosse il punto di vista di Paul, in tutta questa faccenda. Credevo di essere l'unica davvero coinvolta, perché i problemi maggiori erano i miei. Ero io ad aspettare un bambino a quindici anni, io ad avere tradito la fiducia di mio fratello, io ad avere interrotto i contatti con lui.
Non mi aspettavo certo di vedere Tom alla fermata del mio pullman quel sabato. Pioveva a dirotto, ma lui era lì, solo il cappuccio a riparare i suoi capelli mossi dalla pioggia che non accennava a diminuire. Appena mi vide avvicinarsi a lui, si bloccò.
- Ciao.
Mi salutò. Io provai a mostrare un sorriso, terribilmente forzato.
- Ciao Tom.
- Stai bene?
Chiese, soffermando lo sguardo sul mio ventre per qualche secondo.
- Si, grazie..
Balbettai in imbarazzo.
- Io.. volevo parlarti, Sarah.
- So di aver sbagliato con David..
- Non voglio parlarti di David. - Mi interruppe. Non continuai, ero sorpresa. - Ma di Paul. Sta male.
Lasciai la presa del mio zaino, che scivolò dalle mie dita e si schiantò sull'asfalto bagnato.
- Cosa intendi?
- Sta male. - ripeté. - A parte me, lo hanno abbandonato tutti. David non lo guarda nemmeno. Paul ha iniziato a fumare, lo vedo spesso con una sigaretta tra le labbra, non ha voglia di parlare e se ne sta per conto suo. Rispende male a chiunque gli si avvicini, tranne a me. Gli manchi. Vorrebbe starti vicino, ma ha paura.
Ero sconvolta. Non mi importava di essere davanti a Tom, singhiozzai e scoppiai a piangere. Era tutta colpa mia. Dovevo rimediare.
Nella mia mente, comparve l'orribile immagine di Paul seduto su dei gradini, una sigaretta tra le dita e il fumo che filtrava tra le sue labbra, che bramavano solitudine.

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Capitolo 22
*** # Fuga. ***


Quel giorno ero sola a casa: i miei erano al lavoro e Dave... Dave non c'era. Non mi parlava da due mesi, sembravano un'eternità e questo mi rendeva ancora più abbattuta e sola. Mi mancavano le nostre piccole chiaccherate, le battute... volevo salutarlo un'ultima volta. 
Avevo deciso di scappare, da sola o con Paul. Non sapevo come, ma non sopportavo più questa tortura.
Paul non sapeva nulla del piano, sarei passata da lui e allora avrebbe deciso cosa fare.
Saremmo andati a Londra, mio figlio - o mia figlia - sarebbe cresciuto lì. Lo volevo davvero? Non lo sapevo.
Il fatto era che non ce la facevo più. Non sopportavo la sua assenza e la voglia di stare con lui era troppo forte. 
Avevo bisogno delle sue braccia, volevo sentirle avvolgermi e sussurrarmi che andava tutto bene. Volevo che mi dicesse che mi amava, che anche lui aveva bisogno di me.


 Mi accarezzai la pancia, trattenendo le lacrime, raccolsi il cellulare ed il portafoglio, poi uscii lasciando solo un biglietto sul letto di David: sto bene, non preoccupatevi e non cercatemi.
Solo questa piccola frase. Lo stavo facendo solo per Dave!
A Matt e gli altri non avevo detto nulla della fuga, non volevo farli finire nei guai.
Camminavo da sola, il cielo era rosso perché durante il tramonto. Con le cuffie nelle orecchie, ascoltavo un brano in pianoforte.
Tenevo due biglietti aerei per Londra fra le mani, ormai non riuscivo più a leggere cosa ci fosse scritto perché la vista era annebbiata dalle lacrime
Camminavo e pensavo... pensavo alla mia storia con Paul, come si era evoluta, da quel semplice incontro prima dell'estate, prima di Jean-Luc e dopo Alex.
Ma ora, Paul era il mio presente e forse il mio futuro. Mentre mio figlio ci sarebbe sempre stato. Ed eccomi lì: davanti alla porta della casa di Paul, alle otto di sera. Sospirai, e suonai. Quando me lo ritrovai daanti, lasciai scappare un singhiozzo e mi portai le mani alla bocca.
- Sei... qui... 
Sussurrò lui, la bocca socchiusa e il respiro interrotto. Io lo abbracciai, cercando quel calore che per così tanto mi era mancato. Lui mi prese il viso fra le mani e baciò le mie labbra.
- Scappiamo!
Esclamai, gli occhi lucidi.
- Cosa?
- Andiamo via! Il mondo non è ancora pronto per noi.
Spiegai.
- Ma... non so, siamo così giovani!
- Non mi importa. Andiamo a Londra.
Dissi, mostrandogli i biglietti.
- Londra? - Chiese, prendendo un biglietto in mano. Era ancora sotto shock, ma sembrò convincersi. - Ok, prendo la mia roba.
Sussurrò, io lo bloccai, dicendogli di non portar nulla, come avevo fatto io. Provò a ribattere, ma non lo fece. Annuì e prese solo cellulare e portafoglio. Poi uscì di casa.
Eravamo una famiglia: io, Paul e nostro figlio.

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Capitolo 23
*** # All'ultimo minuto. ***


Eravamo solo noi due: avevo il viso appoggiato alla sua spalla, sopra la stoffa ruvida della sua maglietta, mentre lui teneva le dita saldamente intrecciate alle mie. Solo angoscia, l'attesa che il nostro volo venisse chiamato, poi tutto sarebbe cambiato. Solo un viaggio e poi saremmo diventati adulti.
Un brivido percosse entrambi quando la voce metallica annunciò il volo per Londra. Ci guardammo velocemente, immobilizzati dalla paura di un nuovo inizio. Ci alzammo, non del tutto sicuri. 
- Andi...
La voce di Paul venne interrotta da quella di mia madre. Erano tutti dietro di noi: lei, mio padre, Annabelle, Robert e... David. C'era anche lui.
Mi voltai, e vederli fu davvero meglio che percepirli. Mia madre non trattenne un singhiozzo e venne ad abbracciami:
- Sarah, Dio mio! 
- Mamma, io ve l'avevo detto...
- Detto? Detto?! Tu non ci hai detto niente, hai lasciato solo un biglietto a tuo fratello!
Io non risposi, una lacrima mi rigò il volto. Lasciai la presa dei biglietti, che caddero a terra. Il silenzio fu interrotto da Annabelle, che corse goffamente verso Paul e gli mise il volto fra le mani:
- Paul! - urlò. - Stai bene?! 
Il ragazzo dai capelli neri era imbarazzato, confuso, spaesato... tentò un sorriso, e io mi sentii priva di tristezza, solo grazie a quel suo magnifico sorriso.
David ci guardava, le mani fra le tasche dei jeans. Si avvicinò a noi e, ignorando le madri, avvolse me e Paul in un abbraccio pieno del sentimento che per mesi aveva represso. 
Sentii Paul rispondere con entusiasmo all'abbraccio del suo migliore amico.
- Sei un idiota.
Sussurrò David.
- Lo so.
Rispose Paul, proprio come alcuni mesi prima, in una stanza d'ospedale...


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Capitolo 24
*** # Gamberetto mutante. ***


La dottoressa mi fece stendere su un lettino, Paul era seduto accanto a me. Tenendomi una mano, osservavamo lo schermo. Nostro figlio sembrava un gamberetto, ma gli volevo già bene. 
La dottoressa Nix mi alzò la maglietta scoprendo la pancia gonfia - ero incinta da tre mesi - e mise uno strano gel.
Paul era molto agitato, era evidente, ma sorrideva incoraggiante di fronte alla mia espressione preoccupata. 
Poi, il viso della Nix mutò in una smorfia. Paul la fissò, insicuro.
- Qualcosa non va?
Chiesi io.
- No, no, anzi...va tutto bene. Solo che... 
Disse, esitando.
- Solo che... cosa?  
- Beh - sospirò, sorridendo. - Ci sono due cuori.
- G... gemelli?! 
Balbettai, urlando.
- No, è un mutante.
Rispose Paul. I suoi occhi erano lucidi.
David rideva sguaiatamente in un angolino, ma era rosso in viso e visibilmente commosso, mentre Matthew e Mary aspettavano fuori e sentivo le loro grida di gioia.

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Capitolo 25
*** # Epilogo - cinque anni dopo. ***


Camminavano lungo una stretta via, poggiavano i piedi su un tappeto lungo, fra le manine tenevano un velo bianco...
Io, davanti a loro, sorridevo all'uomo che mi aspettava all'altare. Avevo solo vent'anni, stavo andando a sposare l'uomo che più avevo amato nella mia vita. Lui aveva ventitré anni, gli occhi erano gli stessi, uguali a quando l'avevo incontrato, la medesima luce. I gemelli, David e Lucy, avevano i capelli mossi e castani come i miei, gli occhi d'ebano come quelli di Paul.
Lucy, la mia piccolina, sembrava una principessa con il suo vestitino verde chiaro. Quando arrivai accanto a Paul, gli occhi divennero lucidi e mi lasciai scappare una lacrima.
Mia figlia raggiunse la sua 'zia' preferita, Lucy, mia cugina. Lei aveva sedici anni, aveva i capelli raccolti in modo elegante, un vestitino corto color rubino; mio fratello David, accanto alla piccola Lucy, indossava una camicia bianca, abbinata a pantaloni neri. Era già tanto che non fosse circondato dai paparazzi, da quando la sua band aveva fatto successo lo seguivano dappertutto. Ci sorrideva, quasi soddisfatto e con quel sorrisetto malizioso di quando ci guardava insieme.
Annabelle e mia madre erano in lacrime, Robert e mio padre le consolavano.
David, il mio piccolino, era lo sposo in miniatura.
Matthew ed Alison erano fidanzati dalla seconda superiore. Bonnie e Marc, migliori amici e forse qualcosa di più. Mary e Jamie, prossimi alle nozze.
Lucy, la sedicenne, aveva un certo legame con Jean-Luc, il francesino biondo!
Lucy, invece, mia figlia, aveva una particolare simpatia per Peter, il figlio di un'amica di famiglia... peccato che lui avesse diciassette anni!
David, il gemello, era in quella fase dove i bambini dicono 'Bleah, le ragazze!
Beh, io avevo finito il liceo e come lavoro facevo la doppiatrice. David e mio marito avevano un rapporto fraterno, nonostante il litigio di pochi anni prima.
Alex aveva messo la testa a posto e ora frequentava l'università, facoltà 'latino'.
Amy era diventata veterinario, mentre Aj... lui, era morto in un incidente dopo aver bevuto troppo. Fu probabilmente questo episodio a cambiare Alex, che dall'università era fidanzato con una sua compagna conosciuta l'ultimo anno di liceo.
Ricordo la sua faccia quando mi aveva vista per la prima volta con il pancione a settembre: era sconvolto!
Quanto a Paul... lui era sempre bellissimo. Oggi aveva un fascino mai visto prima, forse perché stava sposando la ragazza di cui era innamorato.
- Posso dirti una cosa? - chiese, sussurrando, come al momento in cui ci eravamo messi insieme. - Ti amo.
- Ti amo anch'io.
Risposi, sussurrando, sorridendo.
Era tutto perfetto. 
L'amore, forse, è davvero la soluzione ad ogni cosa.

Spazio Autrice u.u
Eccomi qui... *tossisce* oddio, non ci posso credere, ho davvero finito questa storia. Spero di non aver annoiato i miei lettori e ringrazio coloro che mi hanno sostenuta, incoraggiandomi.
Beh, spero continuiate a seguirmi e a leggere le schifezze che scrivo.
Alla prossima,
Bonnie.

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