Calibri di lar185 (/viewuser.php?uid=28541)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Principe ***
Capitolo 2: *** Folle quotidianità - ben nascosta ***
Capitolo 3: *** La possibilità di scelta, - prove di maturità ***
Capitolo 4: *** Mai sul serio, - mai profondamente ***
Capitolo 5: *** Dopo un attimo, tutto era finito ***
Capitolo 6: *** Ricerche ***
Capitolo 7: *** Ricordami sempre come il tuo unico amore ***
Capitolo 8: *** Con l'amore che non immagini ***
Capitolo 9: *** Credendo che tu sia solo mia ***
Capitolo 10: *** Tuo - non più per sempre ***
Capitolo 11: *** Cosa hai fatto, amore? ***
Capitolo 12: *** Calibri ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Principe ***
Bianca non prendeva mai il caffè, ma questa era una situazione di emergenza. Tutti prendono il caffè quando si tratta di iniziare una giornata importante, lo aveva visto anche nei film. E poi faceva uno strano effetto dire al cameriere del bar “un caffè per favore”. Sembrava di essere una donna in carriera.
Il cameriere le lanciò un’occhiata furtiva, Bianca si chiese se l’ansia che aveva addosso stesse trapelando attraverso i suoi occhi o le sue parole. Rimase in silenzio e ferma mentre le mani iniziavano a sudarle, seduta sullo sgabello del bar a fissare il vuoto.
Stava per prendere un caffè senza un motivo valido, questo la faceva sentire un po’ idiota. Si passò le mani sulle cosce per pulirsele dal sudore e si portò una cicca di capelli biondi dietro l’orecchio. Non bastava il fatto che tra meno di un’ora sarebbe entrata a scuola per sostenere l’esame di stato, ci si metteva anche il caldo. Se c’era una cosa che Bianca non sopportava, era il caldo: quello di quel giorno, per essere sinceri, era pura afa. Un’afosa giornata di luglio in una delle città più calde della zona Sud, Napoli.
E un esame di stato che le saliva attraverso la schiena, chiedendo un caffè.
Bianca immaginò un triangolino viola che si arrampicava sui suoi riccioli, si sedeva sulla sua testa e beveva il suo caffè.
Rise di se stessa, poi pensò che l’ansia la stava conducendo alla follia.
La voce grave del giovane cameriere irruppe nei suoi pensieri anomali. Bianca alzò gli occhi spaesata e vide il viso del giovane che sorridendo le poggiava dinanzi la tazzina di caffè. Aveva i capelli scuri e un paio di occhi verde smeraldo.
-
Gradisce un bicchiere d’acqua?- chiese dopo un attimo, gentilmente.
Questo accadeva spesso, Bianca lo sapeva. Nei bar, insieme al caffè, si offriva anche un bicchiere d’acqua. Anche se sinceramente non aveva mai capito perché dopo il caffè uno dovrebbe avere sete di acqua. Il caffè e l’acqua sono due cose diverse, separate, semplicemente distanti. E’ come voler bere un bicchiere di latte dopo il pollo con le patatine. Non ha senso.
Ma in quel momento non doveva dare ascolto ai suoi pensieri, doveva rispettare una routine, quella degli adulti, che prima di andare al lavoro entrano in un bar, prendono un caffè e un bicchiere d’acqua. Dunque doveva accettare.
-
Si, grazie- rispose con un mezzo sorriso.
Il cameriere sorrise a sua volta e con un movimento veloce le offrì un bicchiere di plastica colmo d’acqua.
Bianca sorrise, poi prese in mano la tazzina di caffè. Sentiva l’odore inebriarla mano mano che avvicinava la tazza alla bocca. Bevve tutto d’un sorso, come aveva visto fare molte volte. Un sapore amarognolo le riempì la bocca e la gola, e non poté fare a meno di fare una smorfia.
Aveva dimenticato di zuccherarlo.
Riportò la tazza sul piattino, e mentre stava ancora ingoiando quella brodaglia amara, la sua attenzione fu attratta da una strana creatura che aveva appena fatto il suo ingresso nel bar.
Bianca non aveva mai visto una persona più stravagante.
La ragazza che aveva illuminato con il suo avvento l’intero locale aveva un corpo sinuoso e leggiadro; era alta e slanciata, la sua pelle era bianca come il latte e lunghi e mossi capelli rossi le scendevano lungo il corpo fino alla vita. La luce del sole faceva brillare quei capelli come se fossero stati d’oro, e anche la sua pelle sembrava emanare una strana luce. Bianca si chiese come mai, in pieno luglio, quella giovane non fosse abbronzata neanche un po’.
Quando si voltò nella sua direzione, Bianca osservò anche il suo viso: aveva un naso piccolo, sottile e ricoperto di lentiggini chiare, gli occhi erano grandi e azzurri, contornati da ciglia bionde, le labbra erano sottili e rosee. Aveva una t-shirt gialla e verde che lasciava le braccia e le spalle scoperte, una gonna di jeans corta sulle ginocchia e un paio di sandali marroni, che si abbinavano perfettamente con la borsa dello stesso colore, a frange.
Con un sorriso radioso si sedette accanto a Bianca e con voce smielata disse:
-
Buongiorno! Ehm, potrei avere un cappuccino? Non molto caldo per favore. E una brioche alla marmellata. Solo all’albicocca, però. Ce l’avete di ciliegia? Oh, va bene, per questa volta fa lo stesso. Infondo, col cappuccino non ci sta tanto male!-
Bianca non poté fare a meno di restare a fissarla per qualche momento a bocca aperta. Di sicuro non era del luogo. Eh no, molte cose lo indicavano: come prima cosa, la carnagione eccessivamente chiara. Anche il napoletano più cadaverico sarebbe stato più scuro di lei. Poi c’era l’accento: quello di sicuro non era napoletano. Non lasciava cadere le parole e non ne appesantiva nessuna: era certa che non fosse di Napoli, eppure non riusciva a individuare se la parlata le ricordava qualche altro dialetto.
Lo stesso cameriere che aveva servito Bianca servì anche la nuova arrivata, che sorrideva beatamente come se si trovasse dinanzi alla cosa più bella del mondo. Bianca pensò che aver incontrato una persona tanto stramba fosse di buon augurio per il suo esame di stato.
Una speranza.
Un auto convincimento.
Oh già, doveva essere un auto convincimento, perché di sicuro non poteva essere la realtà.
Bianca afferrò il bicchiere d’acqua che aveva davanti e se lo portò alle labbra. Aveva intenzione di berlo velocemente ed andare via, quando la ragazza parlò di nuovo.
-
Mi scusi…?- disse, alzando il dito rivolta al cameriere.
-
Mi dica signorina- rispose quello, sorridendole.
La giovane fu imbarazzata dal suo sorriso come una bambina alla quale viene fatto un complimento, abbassò lo sguardo per un frazione di secondo e poi riprese dicendo:
-
E’ passato di qui per caso un principe?-
Il cameriere la guardò stralunato, Bianca evitò per un pelo di strozzarsi con l’acqua.
Il giovane cameriere aveva un’espressione contesa tra il divertito e il perplesso.
-
Un principe- ripeté lei, e poi, scandendo le sillabe: - prin-ci-pe-
Bianca si diede un colpo sul petto e iniziò a tossire.
La ragazza e il cameriere la guardarono, Bianca avrebbe voluto dir loro che non si stava affogando, era solo un po’ d’acqua di traverso, ma non riusciva a parlare.
La ragazza le diede un leggerissimo colpetto sulla schiena e d’un tratto Bianca smise di tossire.
-
Stai bene, cara?- le domandò poi, dimenticando per un attimo la questione del principe.
Bianca arrossì.
-
Ehm, si, grazie- rispose in un sussurro.
La fanciulla le rivolse un altro sorriso e tornò a guardare il cameriere, che sembrava sempre più perplesso ad ogni momento che passava.
-
Allora?- chiese di nuovo la giovane.
-
Cosa?- chiese il giovane cameriere, fingendo di aver dimenticato la sua precedente domanda.
-
Le chiedevo del principe,- ripeté in assoluta tranquillità la ragazza, - se ha visto per caso un principe-
Bianca evitò di bere altra acqua, il cameriere trattenne una risata.
-
Principe ha detto?-
-
Già. Un principe. Non mi dica che non ne ha mai visto uno-
Il cameriere alzò le spalle.
-
Beh, solo in televisione, e di solito non c’è mai tanto da dire su di loro. Principe William, principe Henry… non molto utili alla società-
La giovane sembrava sconcertata.
-
Oh- sospirò, portandosi una mano alla bocca, - ma a parte la televisione, non ne ha visto uno qui dentro, vero?-
Il cameriere scosse la testa.
-
Credo che lei si stia sbagliando, signorina. Non ci sono principi da queste parti-
La ragazza scoppiò a ridere.
-
Oh, no, c’è n’è uno, glie lo posso garantire. E’ venuto in città con me. Solo che ora non so dove sia-
Il cameriere guardò Bianca quasi come per chiederle aiuto.
Bianca era sconvolta e divertita.
-
Beh, in questo caso mi dispiace, signorina, non so come aiutarla. Qui non se ne vedono di principi… ma se posso domandare, di quale paese è principe il vostro amico? Siete turisti a quanto ho capito. State visitando Napoli?-
La fanciulla sorrise imbarazzata.
-
Beh, si, diciamo anche che siamo dei turisti. E lui è beh… un principe, non c’è molto da dire. Viene da un paese molto lontano-
-
Medio- Oriente?-
-
Uhm, no-
-
Qualcuno dei paesi balcanici?-
-
Neanche-
-
Okay, ho capito. Segreto di Stato-
La ragazza rise di nuovo, ma non aggiunse altro.
Bianca stava per chiedere il conto, quando si rese conto che la ragazza si era voltata verso di lei e la stava fissando.
-
E tu, l’hai per caso visto?-
Bianca la guardò negli occhi senza comprendere se stesse davvero parlando con lei. Ma poi, ricordando che non c’erano altre persone nel bar, ne dedusse che era davvero lei la destinataria della domanda.
Arrossì, poi rise abbassando lo sguardo.
-
No, mi dispiace. Non ho mai visto un principe in vita mia-
La fanciulla inarcò le sopracciglia, sembrava dispiaciuta.
-
Davvero? Oh, mi dispiace molto-
Bianca non capì la sua delusione. Era dispiaciuta perché le aveva detto che non aveva mai visto un principe in vita sua, oppure semplicemente perché non aveva visto il suo di principe?
La ragazza sembrò assorta nei suoi pensieri, poi rise sotto i baffi.
-
Com’è strano che voi non abbiate mai visto un principe- commentò poi, passando gli occhi dal cameriere a Bianca.
-
A me sembra strano il contrario- commentò Bianca sotto voce, non riuscendo a resistere alla tentazione di rispondere.
Il cameriere si trattenne dal ridere, la fanciulla guardò Bianca con un sorriso sincero.
-
Oh, ma dovevo aspettarmelo. Da quanto ho capito, qui non sono di casa i principi-
Bianca annuì, il cameriere sorrise mentre osservava la giovane strana che dalla borsa estraeva uno stravagante borsellino fuxia e tirava fuori da esso alcune monetine.
Bianca si ricordò improvvisamente dell’esame di stato.
-
Posso avere il conto?- chiese poi, come rinsavita, mentre la ragazza ancora giocava con i soldi.
-
Ma certo- rispose il cameriere con prontezza.
Velocemente Bianca pagò la sua ordinazione e raccolse le sue cose.
-
Arrivederci!- salutò poi, rivolgendosi anche alla fanciulla che stava adesso riponendo nella borsa il portamonete.
-
Arrivederci!- salutò il cameriere con un gesto della mano.
-
Ciao cara, - rispose la ragazza alzando appena lo sguardo, - e in bocca al lupo!-
-
Crepi!-
Bianca sorrise e uscì dal bar venendo invasa dal caldo della strada.
Il sole brillava nel cielo e l’aria era pesante, ma se c’era qualcosa di ancora più pesante era la testa di Bianca.
Non aveva mai passato un quarto d’ora più insolito: aveva bevuto il caffè amaro, conosciuto una giovane folle e adesso andava a fare l’esame di stato come se niente fosse.
Stava quasi per convincersi che dopotutto niente di quanto era accaduto poteva ritenersi anormale quando le risuonarono nella mente le ultime parole della giovane.
“In bocca al lupo!”
Il sangue le si gelò nelle vene e si fermò per un attimo.
Come faceva la ragazza a sapere del suo esame di stato?
No, evidentemente non lo sapeva. Non avrebbe potuto saperlo, non la conosceva, non l’aveva mai vista prima! Era stata forse assalita da una strana ansia-pre-esame riconoscibile da soggetti difficilmente classificabili? Questa era pura fantasia.
Sorrise, non sapendo neanche perché.
Era di nuovo convinta che tutto quell’accaduto sarebbe stato di buon auspicio. |
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Capitolo 2 *** Folle quotidianità - ben nascosta ***
Eva si alzò dal letto e diede un’occhiata fuori dalle vetrate della sua camera: era una giornata di sole, il giardino era illuminato in ogni suo angolo e i zampilli d’acqua della fontana sembravano coriandoli di luce. Una lustra macchina nera era ferma sulla ghiaia, proprio dinanzi all’entrata principale della villa.
Eva storse il naso, con un movimento del capo spinse indietro i lunghi capelli castani.
Era arrivata. Era di nuovo lì.
La portiera della macchina si aprì e ne uscì una giovane ragazza elegantemente vestita, con i capelli lisci e lucidi sotto il sole.
La sua sola vista l’aveva turbata.
Eva si ritirò dalla vetrata con un sospiro insofferente e si sedette sul letto a braccia incrociate.
Era stato un periodo troppo breve e felice, quello durante il quale lei non era stata presente in casa sua: per qualche anno aveva avuto l’illusione che la sua vita potesse essere tornata alla normalità, ma questo era semplicemente troppo bello per essere vero. Lei, con tutto il suo bagaglio di stranezze, era tornata. E chissà quale altro guaio avrebbe combinato stavolta.
Se ci fosse stata ancora sua madre, forse tutto questo non sarebbe mai accaduto. Eva avrebbe avuto la vita che le era da sempre stata destinata, quella della ragazza ricca e viziata che ottiene tutto semplicemente schioccando le dita. Già, era quella la vita che avrebbe dovuto vivere: e invece, era una ragazza ricca e viziata soltanto all’apparenza. Le cose che accadevano dentro casa sua da quando dopo la morte di sua madrezia Clarissa aveva deciso di prendersi cura di lei, erano tutto tranne che normali.
La madre di Eva, Amalia, era morta quando Eva aveva dieci anni. La mamma era sempre stata una donna distinta ed elegante, una principessa: l’aveva abituata sin da piccola a tutti gli agi e i lussi che la loro condizione economica permettevaed Eva aveva avuto un’infanzia oltremodo perfetta. Suo padre era diverso da sua madre: un uomo mite, non eccessivamente attaccato al denaro, per niente snob, eppure con un’eredità enorme. La famiglia di suo padre era sempre stata tra le più ricche delle cittàe alla prematura morte del nonno, suo padre aveva ereditato aziende, cantieri e chi più ne hapiù ne metta. Vivevano in una sontuosa villa situata a Corso Vittorio Emanuele, la più grande del quartiere, e mentre suo padre cercava di destreggiarsi tra gli impegni lavorativi che gli erano piombati addosso, lei e sua madre vivevano nel lusso più assoluto.
La morte di Amalia era giunta all’improvviso, con un infarto fulminante. Suo padre, che l’aveva amata moltissimo, delegò ai propri fratelli i pesi di lavoro e si rinchiuse in casa con sua figlia, in una bolla di dolore. Suo padre era sempre stato un uomo fragile e di grande sensibilità: Eva, seppure fosse ancora una bambina, iniziava a preoccuparsi e a credere che suo padre non si sarebbe mai più ripreso. Questo l’avrebbe inevitabilmente portata ad una devastante solitudine.
Dopo due mesi dalla morte della madre, però, arrivò a casa loro la zia Clarissa.
Eva l’aveva vista forse due o tre voltenelle grandi feste di famigliae non le era mai stata molto simpatica, forse per colpa della determinante incompatibilità dei loro caratteri. La zia Clarissa era la sorella minore della sua defunta madre, era una donna energica, simpatica, allegra, in una sola parola, folle. Eva al contrario era chiusa, introversa, scontrosa, per niente amichevole, e come tale odiava tutte le persone che sprizzavano allegria da tutti i pori. La zia Clarissa arrivò il 21 marzo, al posto della primavera: era un marzo freddo e piovoso, ed Eva ricordava ancora il ticchettio dei suoi passi nell’androne di casae la sua voce squillante che riempiva l’ambiante. Aveva un vestito verde, elegante e sontuoso, e un’altrettanto elegante acconciatura ornava i suoi ricci biondi. La zia Clarissa non era sposata, a detta sua per scelta: diceva che il matrimonio vincolava l’animo dalla sua libertà di espandersi da un lato all’altro della propria immensità, e che il vero amore non aveva mai bussato alla sua porta. La zia Clarissa, sebbene sembrava sempre essere uscita da un uovo di Pasqua, era realista: non credeva che il vero amore fosse destinato a tutti. Di certo, questo esisteva: aveva avuto modo di constatarlo osservando i propri genitori ( i nonni materni di Eva), che sebbene molto anziani erano ancora innamorati come il primo giorno, e con la propria sorella, che anche se morta, aveva vissuto un lungo e gioioso amore.
Ma a lei, proprio non era accaduto: questo però non la faceva soffrire, in quanto riteneva la sua vita comunque piena di amore e di impegno verso il prossimo.
Clarissa disse che non aveva intenzione di andare via almeno fin quandole cose non le sarebbero sembrate abbastanza solide da andare avanti da sole. In quel momento Eva non capì quelle parole, ma ci sarebbe stato tempo per poter riflettere su esse. Clarissa si presentò come la salvatrice della famiglia: era giunta per far riprendere il cognato dalla sua depressione e per accudire la sua adorata nipotina. Eva dovette lentamente farsi diventare simpatica la zia Clarissa, anche se sembrava vivere in un universo parallelo: le raccontava continuamente fiabe fantastiche e surreali, vestiva in modo stravagante e con lei non c’era mai la quiete.
Per i primi mesi, però, suo padre non mostrò segni di ripresa: ogni giorno la zia Clarissa passava qualche ora con lui, cercando di psicanalizzarlo e di rendergli il fardello meno pesante. La zia era laureata in psicologia, ma non lavorava: anche questa era una scelta. Provenendo da una famiglia molto ricca, non aveva bisogno di lavorare per vivere e aveva scelto di tenere per se quella sua innata facoltà di allietare la vita delle persone con l’arte della parola e di usarla solo con chi le faceva più comodo. Come ad esempio, suo padre.
Un giorno, dopo che furono passati cinque mesi, suo padre uscì di casa insieme alla zia Clarissae quando ritornò era un altro uomo: di nuovo allegro, di nuovo poetico, di nuovo suo padre.
Eva non riuscì a capire cosa fosse accaduto. Chiese spiegazioni alla zia Clarissa, la quale le disse che suo padre aveva finalmente trovato la vocazione della sua vita e che adesso non l’avrebbe più visto né depresso e né tanto meno chiuso in un ufficio a trafficare con le inutili imprese di famiglia. Eva non seppe decidere se la zia Clarissa aveva fatto un miracolo o un disastro.
“Hai cambiato lavoro, papà?” chiese, dopo il discorso con la zia. Lui la prese tra le braccia, le baciò le guance e sorridendo rispose: “Beh, diciamo di si. E adesso molte cose cambieranno, piccola mia”.
E le cose cambiarono sul serio.
Da quel giorno, tutte le mattine suo padre e la zia Clarissa uscivano di casa alle nove e ritornavano alle cinque in punto, sempre allegri e pimpanti, e nessuno spiegò mai ad Eva per i successivi sei anni quanto stava succedendo. Per i primi mesi Eva pensò che la zia Clarissa avesse seriamente fatto del bene a suo padre, in quanto lo vedeva non solo felice, ma anche molto più contento di uscire al mattino per andare a lavoro: mai negli anni precedenti l’aveva visto più entusiasta. La vita di Eva nonostante ciò non aveva subito drastici cambiamenti: poteva sempre avere tutto quello che voleva, vivere con le sue solite abitudini e invitare le amiche a casa. Rispetto a prima, passava meno tempo con la zia Clarissa, ma questo le parve un bene: liberarsi di quella vocina fastidiosa che le raccontava in continuazione storielle e fiabe era stato un bene per la sua emicrania.
Poi iniziò a chiedersi di cosa trattasse quel famoso nuovo lavoro di suo padre.
Iniziava a crescere, e nei discorsi con le sue amiche spesso capitava al centro la domanda sul lavoro dei propri genitori. Poiché tutti sapevano che Eva aveva perso la madre, cercavano di evitare discorsi in cui c’entrasse la figura materna e si concentravano dunque su quella paterna. Eva mentiva, dicendo che suo padre era il capo dell’azienda di famiglia, come era stato per dieci anni. In realtà, a quella domanda Eva non conosceva risposta.
Di che cosa si occupava adesso suo padre?
Fu ben sei anni dopo che scoprì la risposta. E quando la conobbe, rimpianse i tempi della sua curiosità, desiderò non aver saputo mai niente, di esserne sempre rimasta all’oscurocosì da vivere la sua vita normalmente.
Se non fosse venuta al corrente della situazione, lei ora non starebbe salendo le scale della sua casa per andare ad occupare una delle sue camere.
Si era ripetuta mille volte che era tutta una follia, tutto un sogno, tutto uno stupido scherzo di quella folle della zia Clarissa, eppure era un incubo che non aveva mai termine. Aveva tentato di parlare con suo padre, di dirgli di tirarsi fuori da quel mondo di svitati, ma lui non l’aveva ascoltata. Anzi, le aveva detto che avrebbe dovuto aprire la sua anima e non richiudersi in un ordine e in una realtà che non significavano niente.
Questa era adesso la vita di Eva.
Una folle quotidianità ben nascosta.
Bianca si specchiò sorridendo, si passò una mano fra i capelli e poi tornò a guardare fuori dal finestrino con aria eccitata, fin quando, qualche secondo dopo, era di nuovo a specchiarsi.
-
Vuoi smetterla? Sei bellissima- buttò fuori Stefano, al suo fianco.
-
Non essere ridicolo. Questa è la mia serata, ed io non devo solo essere bellissima. Devo essere unica-
Bianca ammonì il fratello maggiore con un’occhiata truce, Stefano rispose sorridendo.
-
“La tua serata”… come se tutte le serate non fossero le tue!- disse alzando le spalle.
Bianca lo guardò un po’ interdetta, con un’espressione quasi delusa.
-
Che vuoi dire?- gli chiese.
Stefano si stupì così tanto del tono della sorella che la guardò per un attimo con occhio smarrito per poi ritornare a fissare la strada dinanzi a se inespressivo.
-
Beh, voglio dire che, insomma, hai sempre avuto tutto quello che volevi, e invece ti comporti come se questa fosse l’unica volta che diamo una festa in tuo onore, l’unica in cui ti vesti così elegante, insomma, capisci cosa intendo?-
-
Ma oggi mi sono diplomata!- esclamò Bianca portandosi una mano al petto, quasi offesa.
-
Si, lo so. Ma la festa per il tuo diciottesimo compleanno non è stata forse molto più stratosferica di questa? Non sei sempre stata riempita di attenzioni?-
Bianca si sentì in colpa per le parole del fratello. Non c’aveva mai pensato fino a quel momento, ma era inevitabilmente vero. Sebbene non fossero miliardari, mamma e papà non le avevano mai fatto mancare niente e l’avevano sempre trattata come la principessa della casa. A differenza di Stefano, che chissà per quale miracolo della natura, raggiunta una certa età dell’adolescenza aveva iniziato ad essere talmente maturo da iniziare a pensare con la sua testa, lei aveva seguito la scia lasciata dalla sua infanzia riuscendo a diventare con gli anni sempre più viziata. La festa che aveva organizzato quella sera, per festeggiare il suo diploma, era solo una delle miriadi di feste che i suoi le avevano permesso di organizzare. Quello che aveva indosso era forse il ventesimo abito che la mamma le aveva permesso di comprare nonostante nel suo armadio ci fossero abiti ugualmente belli e mai indossati.
In un secondo la maturità le crollò addosso.
Si sentì una bambina viziata da assecondare, un peso da sostenere. E la cosa più bella era che mamma e papà non si erano mai lamentati delle sue richieste, sebbene alcune – ora lo riconosceva- fossero davvero assurde. Come aveva potuto pensare, quella mattina davanti al suo caffè, di aver raggiunto davvero la maturità? Il percorso era appena cominciato, nato da quella consapevolezza che Stefano aveva destato in lei.
-
Tu pensi che io sia stupida?- chiese poi, con un’espressione nella voce del tutto nuova.
Stefano, colpito da quel tono, le rivolse un altro sguardo colpito, poi alzò le spalle.
-
Certo che no. Non sei stupida-
-
E perché mi comporto così? Santo Cielo, non riesco a crederci-
Bianca si portò una mano alla fronte, si lasciò cadere all’indietro sul sediolino dell’auto scuotendo la testa.
-
Ehi, Bianca, ma che ti prende? Suvvia, smettila-
Smetterla? Oh no, aveva appena cominciato. Tutto era appena cominciato. Eppure lei non si era mai ritenuta una stupida, una frivola, una sciocca. Lei non lo era. Faceva molti ragionamenti, si interessava di letteratura, di arte, di fisica. Non era una stupida. Non lo era, vero?
L’incubo di poter essere quello che lei aveva sempre odiato la mandava fuori di testa. Si osservò da capo a piedi riuscendo solo a provare disgusto per se stessa. Indossava un costosissimo vestito in raso nero, arricciato sul petto e liscio e sinuoso sui fianchi e sulle gambe; un paio di scarpe nere e scintillanti che completavano l’opera. I capelli, ricci e biondi, scendevano inanellandosi tra loro sulle spalle mentre il viso era artisticamente truccato.
Solo qualche minuto prima, quando si guardava allo specchio, si piaceva un sacco. Adesso sentiva di aver esagerato, aveva esagerato nella sua vita, nella sua festa, nel suo trucco. Avrebbe dovuto essere più parsimoniosa, come lo era Stefano. Lui si che si era reso conto di doversi prendere le sue responsabilità, lui si che era cresciuto.
Lei invece credeva di aver raggiunto la maturità dinanzi ad un caffè.
Oh, era davvero una stupida, ora se ne rendeva conto. Ma se la consapevolezza in situazioni come queste poteva condurre davvero alla follia, Bianca non si lasciò andare fuori di testa. Capì che la consapevolezza era il punto di partenza per una nuova vita.
La sua nuova vita.
Adesso non era più una liceale, e questo era quanto di più importante le fosse successo negli ultimi giorni e quanto di più utile le si proponeva per il raggiungimento del suo scopo. Avrebbe imparato a non chiedere troppo ai suoi, a prendersi cura meglio delle sue cose, a crearsi una vera personalità. Avrebbe smesso di essere la solita svampita, avrebbe smesso di fare una marea di cose che prima credeva fondamentali.
-
Non fare quella faccia- mormorò dopo un attimo Stefano, preoccupato dall’espressione di Bianca, - c’è tempo per crescere nella vita, e sei ancora molto giovane. Per stasera goditi la tua festa, poi si vedrà-
Stefano parcheggiò la macchina dinanzi al ristorante.
Poi si vedrà? Le aveva appena fatto sorgere dai meandri dell’inconscio la consapevolezza che era una viziata ed irresponsabile adolescente e tutto quello che sapeva dire adesso era “poi si vedrà”? No, non c’era niente da vedere in seguito. Sarebbe iniziato tutto quella sera, quella sera stessa.
Stefano scese dalla macchina e si avviò verso la sua portiera per aiutarla a scendere, ma Bianca fu più svelta di lui: in batter d’occhio fu fuori dall’auto e fissava con occhi malinconici l’entrata della lussuosa villa che aveva scelto per quell’occasione.
Tra pochi secondi avrebbe fatto il suo ingresso nella Bertolini’s Hall e si sarebbe trovata davanti tutta la sua famiglia e i più stretti amici che sorridenti le avrebbero augurato un futuro luminoso. Ma come avrebbe potuto lei divertirsi tra tutto quel lusso quando si sentiva tremendamente vuota? Se pensava ai giorni precedenti le veniva in mente con quanto fervore tra una pagina di latino ed una di greco aveva immaginato l’ingresso alla sua festa. Nella sua mente quell’entrata avrebbe rappresentato, insieme al caffè amaro di quella mattina, la vera entrata in società, il vero inizio della sua vita.
In realtà stava solo riempiendo la sua esistenza di fronzoli senza riuscire più a trovare se stessa.
Sentì quasi un colpo al cuore quando quei pensieri le attanagliarono il cervello.
Stefano la riportò con i piedi per terra, dandole un leggero buffetto sul braccio.
Bianca si ridestò, finse un sorriso.
Così, accompagnata dal fratello, fece il suo ingresso nel lussuoso ristorante, respirando sempre più a fondo ad ogni passo che faceva.
-
Sai, credo che tu abbia ragione su di me- disse a Stefano un attimo prima di entrare in sala.
-
Ci stai ancora pensando? Dai, non farne un dramma!-
-
Invece lo è, è un vero dramma. Hai ragione a dire che ottengo sempre tutto quello che voglio senza rendermi conto che le cose che voglio sono davvero futili. È l’ennesima festa che do in mio onore, mi sento davvero egocentrica…-
-
Ma tu sei egocentrica, tesoro- la prese in giro il fratello, sorridendo.
Bianca lo guardò supplichevole.
-
Credevo che oggi sarebbe iniziata la mia maturità, ma in realtà non so più chi sono. Mi nascondo tra le feste, i vestiti, gli amici, i sogni che ho per una vita di gloria. Ma non so nemmeno chi sono io e cosa voglio davvero-
Gli occhi le si fecero lucidi, Stefano la prese per le spalle.
-
Ma che fai, piangi? Santo Cielo, piange! Ti è dato di volta il cervello per caso? Sei una persona molto positiva, Bianca, e forse si, un po’ egocentrica, ma sei lo stesso una ragazza fantastica. Avanti, smettila di piangere ed entriamo, ti stanno aspettando tutti!-
Stefano le passò le dita sul viso per asciugare le poche lacrime cadute, Bianca abbozzò un sorriso.
-
Okay, va bene-
-
Ecco, così mi piaci. E adesso entriamo-
…
La sensazione che provò fu quella di affogare in un melmoso lago dimenticato da Dio e dall’uomo mentre un mostro a tre teste ti prende per le braccia e per i fianchi e inizia a morderti.
La gola le bruciava per quanti “grazie” aveva detto e lo stomaco si chiudeva sempre di più ad ogni pietanza che veniva portata. E pensare che era stata lei stessa a scegliere il menù. La sua migliore amica Cleo aveva organizzato un regalo fantastico che sarebbe entrato in sala a mezzanotte spaccata, ma Bianca iniziò a pensare di non voler nessun regalo.
Quando iniziò a temere di soffocare sul serio, si alzò dal tavolo scusandosi, dicendo di essere diretta in bagno, e uscì in punta di piedi dal ristorante.
Appena si fu allontanata dalla musica e dal rumore di quella sala, iniziò a sentire di nuovo i polmoni pieni di ossigeno e sentì il sangue affluire di nuovo al viso e alle mani, che fino ad un secondo prima erano state pallide.
L’aria fresca ed umida che le arrivò in faccia contribuì a farla sentire meglio.
Il panorama del corso Vittorio Emanuele catturò gli occhi di Bianca, che fissò il Vesuvio e poi il mare, dentro il quale si specchiava tutta la città. Le miriadi di luci che vedeva luminose dai pendii del vulcano erano di tutti i colori, - rosse, gialle, verdi,- e vedeva, in lontananza, le autovetture che si muovevano sulle strade distanti. Si spostò a fissare il mare ammirando i riflessi bianchi della luna e una nave in lontananza, diretta chissà dove. Era incredibile vedere la città immersa in una luminaria così viva e non riuscire a scorgere neanche un rumore.
Bianca incrociò le braccia e fece qualche passo verso il ciglio per marciapiede. Era un sollievo essere lontana da quel caos che lei stessa aveva creato, eppure le dispiaceva non poter essere felice come sua madre, suo padre, Cleo e tutti gli altri amici che erano venuti per festeggiare. Non avrebbe mai creduto di poter andare incontro a tanti ragionamenti e tante convinzioni nella stessa giornata. Stava succedendo tutto troppo in fretta.
Mentre ancora pensava a queste cose, una lunga e lussuosa macchina nera si fermò a qualche metro da lei, facendo rombare il motore. Bianca non poté fare a meno che voltarsi in direzione della portiera che si stava aprendo, e non poté fare a meno di meravigliarsi.
La fanciulla che quella stessa mattina al bar l’aveva fatta ridere con l’assurda storia del principe scese elegantemente dall’auto indossando un vestito nero e lucente. Aveva i lunghi capelli rossi raccolti sulla nuca lasciando cadere sul viso alcuni boccoli, sorrideva beata come quella mattina e teneva sull’avambraccio destro lo strascico del lungo vestito. Chiuse con un gesto deciso la portiera dell’auto e questa ripartì senza esitazione lasciando la ragazza lì davanti.
Bastò un’occhiata, una semplice occhiata, e la ragazza esclamò:
-
Ciao! Oh ciao, ti ricordi di me?-
Bianca fu invasa da un’incrollabile sentimento di allegria.
-
Oh si, certo. Eri al bar questa mattina, su al Vomero-
-
Si, esatto! Che bel vestito che hai! Vai ad una festa? Oh, scusami, che sciocca: la festa è la tua-
La ragazza rise sotto i baffi, Bianca la guardò incuriosita.
Tutto il discorso di quella mattina, compreso il suo augurio, le ritornò alla mente come un flash.
-
Oh si, ma… come fai a saperlo?-
-
Sapere cosa?-
-
Che la festa è la mia, cioè, che do una festa. E che stamattina avevo l’esame di stato. Tu mi hai augurato in bocca al lupo quando sono uscita dal bar, ma non potevi sapere che avevo un esame. O forse lo sapevi? Ci siamo già incontrate forse?-
Era partita in quarta, domandava cose una dopo l’altra senza riuscire a fermarsi.
La giovane rise.
-
Beh, ho notato la tua borsa con i libri e la tua espressione ansiosa. Siamo a luglio ed è impossibile che stessi frequentando ancora la scuola, dunque avevi un esame. Mi sembravi tanto preoccupata! È andato tutto bene, vero? Oh certo, ma che domande: non staresti festeggiando se non fosse così-
Bianca osservò il suo sorriso luminoso ed allegro, i suoi occhi vispi guardarla con dolcezza e curiosità.
-
Si, è andato tutto bene, - rispose, stranamente imbarazzata, - per fortuna è andato tutto bene. Ma come sai che sto dando una festa?-
-
Non la stai forse dando?-
-
Si ma…-
-
Hai un fantastico vestito-
-
Grazie, anche tu. Dov’è che vai?-
-
Oh, anche io ho una sottospecie di feste. Ma non una festa per il diploma-
-
Una festa di compleanno?-
-
Mmh, una specie. Sono molto emozionata! Non partecipo a molte feste-
Bianca avrebbe voluto dire lo stesso, ma avrebbe mentito. La ragazza le si avvicinò di qualche passo porgendole la mano.
-
Io mi chiamo Lara - disse, ammorbidendo ancora di più la voce.
Bianca guardò la bianca mano che Lara le porgeva, poi decisa la strinse.
-
E io Bianca. Piacere di conoscerti-
-
Il piacere è tutto mio-
Lara abbozzò un inchino, poi rise.
-
L’hai trovato poi il tuo principe?- chiese dopo un attimo.
Lara parve pensarci un secondo su, poi sorrise.
-
Oh si, certo. Era andato a fare semplicemente una passeggiata, ma aveva dimenticato di avvertirmi. E’ un po’ sbadato!-
Bianca sorrise, poi riprese:
-
È il tuo ragazzo?-
-
Chi?-
-
Questo… principe-
-
Oh no, no. No, lui non è il mio ragazzo. Ma siamo amici-
A Bianca veniva da ridere. Aveva l’impressione che qualsiasi cosa dicesse fosse divertente, surreale, impossibile.
-
Oh, capisco. Quanto tempo restate a Napoli?-
Lara sorrise.
-
Un bel po’-
-
Siete in vacanza?-
-
Mmh, non proprio-
-
A casa di amici?-
-
Parenti-
Lara rise, poi abbassò lo sguardo.
-
Adesso devo andare o farò tardi. Ci rivediamo, Bianca-
-
Già, si. Perché no-
-
È stato un piacere incontrarti-
-
Anche per me-
Lara le si avvicinò e le tese la mano. Bianca la strinse sorridendo, poi guardò Lara allontanarsi sul marciapiede lentamente.
Sospirò mentre osservava la sua figura allontanarsi, rimase a fissarla per qualche secondo sentendo la gioia scivolarle attraverso il vestito.
Abbassò lo sguardo e poi diede un’occhiata dietro di se, come se avesse paura che sopraggiungesse qualcuno a chiamarla.
Quando si voltò di nuovo verso Lara, lei non c’era più. |
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Capitolo 3 *** La possibilità di scelta, - prove di maturità ***
Eva scese le scale goffamente, si stropicciò gli occhi e fece il suo ingresso in cucina. La luce del sole entrava dalle finestre spalancate, l’aria era stranamente fresca.
Amanda sorrideva in maniera snervante.
Era in piedi di fianco al tavolo, indossava un abito verde e giallo scollato sul petto e lungo fino alle ginocchia ed aveva tra le mani un grande piatto con su qualcosa che sembrava una torta.
Eva storse il naso senza rispondere al saluto.
-
Dov’è mio padre?- chiese acida.
-
È andato a fare delle commissioni. Mi ha detto che potevo prepararti la colazione-
-
Colazione? Sto ancora digerendo la cena-
Eva si sedette al tavolo e si stropicciò di nuovo gli occhi sospirando rumorosamente.
-
Non vuoi una fetta di torta?-
Amanda si chinò verso di lei sbattendo le palpebre con fare civettuolo, Eva le lanciò uno sguardo talmente antipatico che la ragazza quasi si spaventò.
-
Okay, va bene. La mangerò io- disse poi, quasi a se stessa.
Eva aspettò che la ragazza si fosse girata verso il bancone della cucina per farle il verso.
Era lei quella che era scesa dalla macchina il giorno prima, con i capelli lisci e lucenti sotto il sole. Era lei quella che era tornata dopo due anni, lei, quella che era andata via lasciandola nei guai.
Amanda si tagliò una fettina di dolce, la mise in un piattino e si sedette di fronte ad Eva.
-
Come fai ad avere fame dopo tutto quello che abbiamo mangiato ieri?- le chiese dopo un momento.
Amanda alzò lo sguardo dal dolce con aria interrogativa.
-
Io non ho mangiato quasi niente ieri- mormorò.
Il suo sguardo tradiva qualcosa, Eva capì al volo. Questa volta non doveva essere stato molto piacevole per Amanda fare il suo ritorno in quella casa, Eva era quasi tentata di capirla, comprenderla. Dentro di se faceva fatica ad ammettere che le voleva bene, forse un po’ - si, solo un po’- e adesso le dispiaceva per lei, adesso che la poverina si ritrovava faccia a faccia con la realtà dalla quale era dovuta fuggire.
-
Sei stata una maleducata. Papà aveva fatto preparare tutti i tuoi piatti preferiti- disse con fare accusatorio.
Amanda non fece caso al suo tono e tantomeno alla portata della frase. Si limitò al alzare le spalle, Eva aggrottò le sopracciglia e distolse lo sguardo da lei. Aveva paura che nei suoi occhi Amanda leggesse quanto in realtà era dispiaciuta. Era difficile da spiegare, eppure il suo odio per Amanda nascondeva qualche falla.
-
Mi è dispiaciuto molto per tuo padre, - mormorò Amanda, - spero non se la sia presa troppo-
Gli occhi verdi di Amanda incrociarono quelli bruni di Eva.
-
Lascia perdere- buttò lì Eva, allontanando di nuovo la vista da lei. Amanda fissò la sua torta con l’espressione di chi ha perso completamente l’appetito, Eva si coprì il viso con i capelli corvini quasi a nascondersi.
Amanda la guardò con la coda dell’occhio e sospirò intuendo i suoi pensieri. Si passò una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio e si schiarì la voce.
-
Ascolta Eva, io lo so che…-
-
Hai combinato un gran casino? Dubito che tu possa capirlo-
-
Non volevo che succedesse-
-
Eppure è successo. Non era questo che eri venuta a fare qui, Amanda -
-
Ho commesso un errore, lo so, e sono andata via perché era la cosa migliore che potessi fare in quel momento-
-
Eppure ora sei di nuovo qui-
-
Ma adesso spero che…-
-
Perché sei tornata, Amanda?-
La domanda era cruda, quasi cattiva, ma Amanda non si fece intimidire dal tono di Eva. Dal canto suo, la ragazza era contenta che il suo tono fosse apparso tanto aggressivo. In quel modo avrebbe mascherato le sue vere emozioni.
Gli occhi di Amanda tradirono un sentimento che Eva non poté fraintendere.
-
Perché sono andata via prima del tempo- rispose poi Amanda, stando bene attenta a non guardare negli occhi l’altra.
-
Oh, certo. E aspetti che io ci creda?- sbottò fuori Eva.
-
Devi crederci-
-
Perché?-
-
Perché è la verità-
-
No, Amanda, non è la verità. Tu sai qual è la verità-
-
Non è quello che pensi tu -
-
Mi hai messa nei guai quando sei andata via Amanda, e io…-
-
Vorrei che tu mi raccontassi come…-
-
Non ora,- Eva abbassò lo sguardo, - adesso non ho più voglia di parlarti-
-
Non dire così-
La voce di Amanda mutò, Eva si sentì in colpa.
Il silenzio le avvolse per qualche momento, Eva sospirò quasi per attirare l’attenzione dell’altra.
-
Hai detto qualcosa a tuo padre quando sono andata via?- chiese poi Amanda, abbassando il volume della voce.
-
No. Ma aveva già capito tutto da solo-
Amanda sospirò, abbassò lo sguardo.
-
Tuo padre è un santo-
-
Già, lo so. E ti vuole bene, Amanda. Adesso sta’ attenta a non fare sciocchezze-
Eva si alzò dalla sedia e lasciò la stanza.
Amanda la guardò uscire velocemente mentre dentro le cresceva una strana malinconia e un grande senso di colpa. Si sentiva rimproverata da Eva come se fosse stata una sorella minore e avrebbe tanto desiderato poterlo essere. Anche se non era mai stata molto gentile, Amanda sapeva che Eva non sarebbe stata capace di fare del male ad una mosca e che tutte le sue reazioni erano perfettamente ragionevoli: lei era un elemento del tutto inatteso nella vita sua e di suo padre, e in più totalmente fuori dal comune. Senza volerlo Eva era rimasta coinvolta in qualcosa che non aveva scelto e che non sapeva gestire, ma non per questo non aveva imparato a volerle bene.
Avrebbe voluto avere una vita diversa, e in quel momento poteva capirla. Anche lei avrebbe tanto voluto avere un destino diverso, avere la possibilità di poter fare scelte diverse nella vita.
Ma alcune volte purtroppo di scelta non ce n’è.
L’aria fresca di quel giorno aveva permesso a Bianca di poter tenere i capelli sciolti. Camminava con fare malinconico per via Scarlatti guardandosi intorno come se stesse osservando vetrine e negozi per la prima volta, come se non fosse mai entrata in nessuno di essi, come se quella non fosse la sua città.
Quella mattina si era svegliata molto presto anche se la festa della sera prima si era protratta fino a tardi e aveva deciso di andare a prendere un po’ d’aria per schiarirsi le idee. Ne aveva proprio bisogno, adesso che sentiva essere arrivata la tanto attesa maturità. Cosa fa una ragazza matura quando scopre di esserlo? Beh, tanto per iniziare, cerca un progetto per la sua vita. Bianca studiava già da svariati mesi per poter entrare nella facoltà di medicina, era sempre stato il suo sogno sin dall’infanzia ed era sempre stata molto determinata a raggiungere il suo scopo. Ragionandoci adesso, si rendeva conto che la scelta di quella facoltà poteva pure restare invariata: una ragazza matura sceglie una facoltà impegnativa e seria, quale quella di medicina. Poco importava se qualche mese prima era attratta fanaticamente dal suo probabile futuro stipendio da dottoressa in carriera, adesso si rendeva perfettamente conto che stava per scegliere quel mestiere per mettersi a servizio degli altri ed essere utile alla società. Proprio come una ragazza matura.
E poi avrebbe dovuto smetterla di chiedere soldi ai suoi genitori per ogni capriccio. Si rendeva perfettamente conto che sebbene mamma e papà le avrebbero sempre volentieri elargito liquidi, non poteva certo chiederne per tutta la vita. Non poteva certo dipendere da loro ancora per molto! Avrebbe avuto bisogno di un lavoro. Ma ammesso e non concesso che fosse riuscire ad entrare a medicina, sarebbero passati almeno dieci anni prima che riuscisse a lavorare stabilmente. E fino a quel momento cosa avrebbe fatto? Come avrebbe vissuto? Doveva prendere esempio da Stefano. Lui aveva un lavoro. Certo, non lo impegnava moltissimo, ma comunque lo aveva. Fino a qualche mese prima aveva snobbato la scelta del fratello di lavorare in un negozio di cd, mentre adesso capiva quanto questa scelta fosse stata presa alla sacrosanta luce della maturità. Anche lei aveva bisogno di un lavoro, anche un semplice lavoretto estivo.
Quella nuova consapevolezza la rendeva allo stesso tempo felice e triste.
Se era pur vero che era giunta a questa lodevole conclusione, doveva riconoscere di non sapere da dove cominciare per trovare un lavoro. Cos’è che sapeva fare bene?
Standoci a pensare un po’, si rese conto che non c’era niente in cui ella eccellesse. Avrebbe dovuto, almeno per il momento, cercare un lavoro di convenienza, uno per il quale non si richiedeva una certa competenza.
Si sentiva in seria difficoltà.
Si passò una mano tra i capelli, diede un’occhiata alla strada prima di attraversare via Morghen e salire le scale mobili fino a raggiungere il bar Mexico, lo stesso nel quale la mattina precedente aveva preso il caffè. Passò lentamente dinanzi ad esso e proprio quando stava per dare un’occhiata al suo interno, sentì una mano toccarle la spalla.
Si voltò di scatto quando sentì la squillante voce di Lara penetrarle i timpani.
Non riusciva a crederci. Di nuovo lei.
Bianca la salutò con un enorme sorriso, fingendo di essere allegra.
Lara le sorrideva gioiosamente come il giorno prima. Aveva i capelli rossi legati un una treccia e indossava un paio di pantaloncini verde militare su una graziosa camicetta giallina. Ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica di tela gialla e portava una borsa color paglia a tracolla. Accanto a lei c’era un ragazzo alto ed atletico che sorrideva impacciato. Aveva i riccioli color dell’oro e vispi occhi celesti.
Santo Cielo, quello doveva essere lui, - si, il principe.
-
Oh, Bianca! Che piacere vederti! Questo è un segno, è davvero un segno! È la terza volta in due giorni che ci incontriamo!-
Lara parlava e gesticolava agitandosi tutta mentre il ragazzo al suo fianco arrossiva.
Bianca sorrise timidamente.
-
Anche per me è bello vederti - disse, tentando di farla smettere con quel teatrino ridicolo.
Lara rise, la sua risata cristallina le fece venire la pelle d’oca.
Quanto era strana quella ragazza.
-
Oh, oh, ma non vi ho presentati! Che sbadata! Bianca, lui è Ariel! Lui è, ehm…- Lara si chinò verso Bianca abbassando la voce, - lui è il principe!-
Bianca sgranò tanto d’occhi fingendosi sorpresa.
-
Oh, è lui?-
-
Già! Come sono felice di potertelo presentare!-
Bianca sorrise e guardò Ariel.
-
Piacere di conoscerti, io mi chiamo Bianca- disse porgendogli la mano. Stette molto attenta a parlare lentamente e a pronunciare bene le parole, aveva l’impressione che non fosse molto pratico con l’italiano. Chissà di quale Paese era il principe. Oh Dio, principe! No, no, stava perdendo tutta la sua maturità: lui non poteva essere un principe, e pure se lo fosse stato, non vedeva il motivo per cui dovesse farsi portare in gita turistica da una svampita come Lara.
-
Il piacere è mio- rispose Ariel stringendole la mano. Il suo italiano era perfetto.
Lara sorrise.
-
Ariel, Bianca è la mia nuova amica. Non c’è passo che faccia in questa città senza incontrarla! Non credi che sia un segno?-
Ariel sorrise a sua volta guardando Bianca.
Il principe indossava un paio di jeans scuri e una maglietta a mezze maniche azzurra, con una simpatica corona dipinta sopra.
-
Di certo lo è!- rispose Ariel.
-
Che segno?- chiese Bianca istintivamente.
Lara rise poggiando una mano sul braccio di Ariel.
-
Beh, te lo spiegherò poi. Ma perché non vieni con noi? Ci farebbe incredibilmente piacere, non è vero Ariel?-
-
Certamente. Sarebbe un vero piacere, Bianca. Ti va di venire con noi?-
Bianca distolse lo sguardo dai quattro occhi scintillanti ed azzurri che la fissavano cercando una risposta adatta, quando lo sguardo le cadde d’improvviso su un cartello bianco esposto alla vetrina del bar.
“Cercasi cameriere”
Oh! Quella era la sua grande occasione! Un lavoro! Quello poteva essere il suo lavoro!
Istintivamente sorrise dimenticando la domanda dei due, stava quasi per entrare nel bar e piantarli lì quando il cameriere che il giorno prima le aveva servite comparve sull’uscio.
Bianca e Lara lo guardarono in contemporanea, Ariel si limitò ad un sorriso timido.
-
Ciao- salutò Bianca.
-
Ciao- salutò il ragazzo, prima di spostare lo sguardo su Lara e su Ariel.
-
Buongiorno! È un piacere rivedere anche lei!- esclamò zuccherosa Lara.
Il giovane sorrise e prima che potesse aggiungere altro Lara partì di nuovo in quarta:
-
Lui è il ragazzo che cercavo ieri mattina!-
-
Oh!-
Il ragazzo parve sorpreso, guardò Bianca divertito per poi accennare un inchino.
-
Piacere di conoscerla, sua maestà!-
Ariel e Lara risero di gusto, Bianca arrossiva anche se non ce n’era motivo.
-
Oh, non è necessario!- sbottò fuori Ariel.
-
Già, lui è in vacanza!- aggiunse Lara.
Il ragazzo rise, Lara afferrò Bianca per un braccio.
-
Ad ogni modo, stavamo giusto per andare! Le va di unirsi a noi?- chiese al giovane cameriere.
Lui scosse la testa divertito.
-
Mi piacerebbe signorina, mi creda, ma ho ancora da lavorare!-
-
Ehi, aspettate un attimo, ho visto che cercate personale, e io cerco un lavoro…-
Bianca tentò di divincolarsi da Lara per avvicinarsi al cameriere.
-
Oh si! Ti interessa?-
-
Si, molto!-
-
Se ritorni nel pomeriggio trovi il proprietario del locale, potrai parlare con lui-
Bianca sorrise, Lara si fermò per attenderla.
-
Si, mi farebbe enormemente piacere!-
-
Posso aspettarti questo pomeriggio?-
-
Ehm, io, si, credo che…-
-
Mi chiamo Sergio -
Il ragazzo le porse la mano, Bianca la strinse timidamente.
Lara intervenne:
-
Oh, Sergio, non ve ne pentirete di assumere Bianca. Non è davvero adorabile? Si, pensi che è la terza volta che l’incontro in due giorni, è davvero un segno…!-
Ci risiamo con la storia del segno, pensò Bianca.
Sergio sorrise divertito, poi disse a Bianca:
-
Ci rivediamo nel pomeriggio. Tratterrò il proprietario fin quando non arrivi-
-
Non ritarderò. Ti ringrazio Sergio -
-
Non c’è di che-
Lara prese Bianca sottobraccio e salutò con la mano dicendo:
-
Arrivederci signor Sergio! E a proposito, io mi chiamo Lara!-
-
È stato un piacere signorina Lara! Arrivederci altezza!-
Ariel lo salutò sorridendo prima di affiancare Lara che iniziava già a parlare di nuovo:
-
Non sapevo cercassi un lavoro, Bianca, ma è una scelta davvero nobile da parte tua, oh si, sii certa che ti assumeranno, Sergio è simpatico non trovi? Metterà una buona parola per te, ne sono certa! E io ed Ariel verremo a trovarti durante i turni, ovviamente non ti disturberemo, ma sarà una cosa tanto carina! Non trovi Ariel? Oh Bianca, che bello passeggiare tutti insieme! Ti racconterò di quella volta che…-
Bianca si lasciava trascinare da Lara di nuovo verso via Morghen mentre con la coda dell’occhio quasi riusciva a scorgere lo sguardo di Sergio che ancora la guardava dai vetri del bar.
…
Eva afferrò le lenzuola che stava per portare nella camera di Amanda quando sentì la porta di casa aprirsi.
Eva posò le lenzuola sul mobile del corridoio e scese le scale velocemente e si diresse verso la porta.
-
Ciao papà! - salutò sorridendo, andandogli incontro.
-
Ciao tesoro. Com’è andata la mattinata?-
-
Bene, grazie-
-
E dov’è Amanda?-
-
Nella sua stanza a sistemare le sue cose-
La voce di Eva si colorò di uno strano tono quando suo padre menzionò Amanda, tanto che questa, che era appena comparsa sulle scale, esitò prima di dire:
-
Sono qui. Ciao Francesco -
Eva e Francesco si girarono verso lo scalone ed osservarono la ragazza scendere lentamente.
-
Ciao Amanda. Come stai?- le chiese Francesco mentre finalmente posava in un angolo la ventiquattrore e abbracciava anche lei.
-
Bene- rispose lei, felice di quell’abbraccio.
Eva storse il naso.
Suo padre trattava Amanda come se fosse sua figlia anche se non erano neanche lontanamente parenti.
-
Che ne dite se stasera vi porto a cena fuori? Dobbiamo festeggiare il ritorno di Amanda tra di noi!- disse poi Francesco passando gli occhi da una ragazza all’altra.
-
E c’è da festeggiare?- chiese acida Eva.
-
Eva, per favore…-
Francesco accompagnò le sue parole severe con un’occhiataccia che però Eva riuscì ad evitare.
Amanda alzò le spalle sorridendo.
-
Sarebbe molto carino, non credi Amanda?- riprese Francesco, mantenendo il suo tono entusiasta.
-
Non voglio costringere Eva – mormorò Amanda, stringendosi nelle spalle.
-
Non la costringi, Amanda. Eva ne è contenta, è solo che non può fare a meno di essere antipatica-
Francesco diede una gomitata alla figlia sorridendole.
-
Non abbiamo già festeggiato ieri?- chiese seccata Eva.
-
Si, ma stasera saremo solo noi tre. È qualcosa di più intimo- insistette Francesco.
Eva storse la bocca sospirando rumorosamente, Amanda rise.
-
Cosa c’è da ridere?- chiese poi Eva lanciandole un’occhiata di fuoco.
-
Non so,- confessò Amanda, - mi rendi allegra, Eva –
Amanda sostenne l’occhiataccia di Eva fino a quando quest’ultima si stancò di sentirsi ripagata con quella gentilezza non richiesta e infine sbuffò:
-
Vada per la cena. Ma non prendeteci l’abitudine!-
Così dicendo risalì le scale irritata mentre alle sue spalle sia Francesco che Amanda ridevano sotto i baffi.
-
Devi scusare Eva, è il suo caratteraccio. Ma sono certa che ti vuole bene ed è contenta quanto me di riaverti qui-
Francesco sorrise ad un’Amanda sconsolata, quest’ultima sospirò.
-
Eva non può essere biasimata. Sono andata via lasciando voi due nei guai e non ho potuto fare niente per aiutarvi. E ti ringrazio per non avermi fatto pesare la cosa, Francesco. E ti chiedo scusa se non ti ho raccontato niente, è solo che io ero…-
-
Impaurita?-
Francesco si sedette sulla poltrona dell’atrio invitando Amanda ad occupare quella accanto a lui.
-
Già, - rispose la ragazza sedendosi, - e anche imbarazzata. E inoltre pensavo che non sarebbe successo niente di grave, e invece…-
-
E infatti non è successo niente di grave-
-
Ma è stato solamente un caso. Capisci cosa sarebbe potuto succedere se…?-
-
Lascia perdere, Amanda, non pensarci. Adesso sono passati due anni e in due anni la vita delle persone cambia. Non devi preoccuparti, okay?-
Amanda sorrise di fronte allo sguardo incoraggiante di quell’uomo che amava come fosse suo padre.
-
Ti ringrazio Francesco -
-
Non devi. Noi siamo la tua famiglia, non scordarlo-
-
Non ho avuto ancora occasione di chiedere ad Eva come effettivamente siano andate le cose dopo la mia partenza-
Amanda abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per esser fuggita come una ladra.
-
Ne avrete di tempo per parlare. Per stasera pensa solo a rilassarti-
Amanda sorrise di nuovo, poi abbracciò Francesco.
Chissà se era vero che il tempo è capace di cancellare qualsiasi cosa.
Bianca si era ritrovata a fare da guida turistica a Lara ed Ariel senza averlo chiesto né tantomeno voluto. Le era venuto un gran mal di testa a star dietro tutta la mattinata alla risata cristallina di Lara. Più passava del tempo con lei più si rendeva conto di quanto fosse effettivamente strana: c’erano stati momenti in cui si era persino chiesta se fosse di questo mondo. Impossibile che una ragazza rimanesse letteralmente a bocca aperta davanti all’orologio della funicolare di Chiaia come se fosse la cosa più incredibile che abbia mai visto nella sua vita. Dov’è che viveva, in un paesino talmente dimenticato dal mondo e da Dio da non aver mai visto una funicolare? Ariel non sembrava meravigliato come lei: era più timido e meno estroverso di Lara. Teneva le mani in tasca e osservava le cose che Bianca aveva mostrato loro con un sorriso che a volte rasentava il malinconico. Ariel era bello come Lara: sembravano essere quasi fratelli anche se i tratti dei loro visi erano palesemente diversi, ma c’era un qualcosa che inspiegabilmente li accomunava. Avevano camminato per il Vomero per quasi due ore fino a quando non era arrivata l’ora del pranzo e Bianca aveva dovuto ritornare a casa. Congedarsi da Lara ed Ariel era stato alquanto difficile nonostante una parte del suo cervello era così intontito da voler andare via al più presto. Se da un lato l’atteggiamento estremamente espansivo di Lara le faceva venir voglia di mettersi ad urlare, era intenerita dalla timidezza di Ariel e dal sorriso di entrambi, che parevano essere dei bambini inesperti del mondo. Iniziò a credere che l’avvento della maturità l’avesse trasformata in una calamita per persone strane: con la luce della serietà avrebbe dovuto illuminare quelle anime vaganti per indirizzarle verso la retta via. In realtà la questione era molto più semplice di quanto appariva: aveva semplicemente passato la giornata con due turisti provenienti da chissà dove. Questo particolare tormentò il suo cervello per ore. Quando aveva chiesto loro la città di provenienza, si erano limitati a dire che provenivano dal Nord Europa e che nonostante questo sapessero entrambi parlare bene l’italiano in quanto Ariel aveva studiato lingue e i genitori di Lara erano originari di Firenze. Com’è che due fiorentini s’erano trasferiti nella monarchia di chissà cosa e che la loro figlia fosse diventata tanto amica del principe? Ammesso che Ariel fosse davvero un principe. Era una cosa davvero assurda detta così, eppure Ariel aveva tutta l’aria del principe fiabesco, non soltanto per la sua bellezza non invasiva, ma anche per il suo temperamento e le sue maniere. Le notizie che Bianca aveva ricevuto da loro erano esigue: da quello che poté dedurre dalle parole confuse della ragazza, ella ed Ariel erano praticamente cresciuti insieme poiché suo padre svolgeva un lavoro molto importante a corte. Anche l’identità di questo lavoro non fu specificata, ma si trattava probabilmente di qualcosa riguardante la sicurezza. Di quale paese era il principe Ariel? Questo Bianca non era riuscita a capirlo, eppure non aveva mai sentito parlare di un principe Ariel prima. Avrebbe dovuto documentarsi su Internet, sfogliare le monarchie europee per compilare una lista. Dall’atteggiamento dei due però era riuscita a capire che a loro non andava di parlare del loro paese di provenienza. Era come se fossero giunti lì in incognito o peggio, di nascosto. Già, di nascosto: se un principe decide di andare in vacanza, come minimo prenota un lussuoso albergo e si porta dietro i suoi maggiordomi. Lara ed Ariel soggiornavano invece dai cugini di Lara, che abitavano a Napoli. La cosa non era per niente chiara. E di chi era la festa alla quale Lara stava andando la sera precedente? Amici dei cugini? Altri parenti? E perché Ariel non era con lei?
Una delle mille ipotesi che Bianca formulò fu quella che i due fossero fuggiti da qualche manicomio, ma chissà perché, scartò quasi subito quell’opportunità. Sebbene Lara aveva tutta l’aria d’essere folle, non lo sembrava così tanto da dare l’impressione di essere uscita dal manicomio.
Prima di congedarsi Lara le aveva chiesto se avessero potuto incontrarsi di nuovo. Anche ad Ariel era piaciuta l’idea, e Lara aggiunse anche che avrebbe tanto voluto il suo aiuto per scegliere dei vestiti da comprare per la festa di fine estate alla quale avrebbe dovuto partecipare prima di ripartire. In quel momento a Bianca non venne in mente di chiedere chi è che dava una festa di fine estate, così semplicemente accettò. Era strano come stando insieme a loro il suo animo paresse calmo e rilassato e come si sentisse stranamente a suo agio. Una volta rimasta sola però, cominciavano le domande e i dubbi sulla loro identità. Si stava cacciando in un guaio? Era pericoloso frequentarli? Sebbene da ragazza matura doveva porsi certi quesiti, Bianca si rifiutò di credere che in Lara ci fosse qualcosa di minaccioso.
I pensieri avrebbero continuato per un bel po’ a riempirle la testa se non avesse dovuto fermarsi dinanzi all’entrata del Bar Mexico, dove aveva il fatidico incontro con il proprietario per avere con lui il colloquio che Sergio quella mattina le aveva assicurato.
Sospirò prima di entrare come se si stesse accingendo a fare un importante colloqui con chissà quale notevole agenzia, poi a piccoli passi fece il suo ingresso nel bar.
Non ebbe neanche il tempo di avvicinarsi al bancone che Sergio la chiamò dall’altro lato del locale.
La sua voce era possente e calda, Bianca si voltò verso di lui con un timido sorriso e si avvicinò velocemente.
-
Ciao- salutò tentando di apparire in qualche modo riconoscente, ma il sorriso disarmante di Sergio mise a tacere qualsiasi sua intenzione. Il ragazzo si era appoggiato con i gomiti sul bancone e la fissava dritto negli occhi con quel suo strano sorriso tanto bello.
-
Il proprietario è qui, gli ho già parlato di te-
Il cuore iniziò a batterle dinanzi a quelle parole, sorrise mentre sentiva di star arrossendo. Strano, Bianca non era mai stata una ragazza timida.
-
Ti ringrazio molto- disse solamente, incespicando con le parole e tenendo lo sguardo basso.
Sentì che Sergio rideva sotto i baffi prima di allontanarsi verso il retro del locale da dove poi ne uscì qualche minuto dopo accompagnato da un omaccione alto e grasso con un berretto in testa e simpatici baffetti bianchi. Nonostante quella figura potesse sembrare inquietante, i suoi occhietti piccoli e vispi donavano ilarità alla sua persona tanto da farlo sembrare un nonnetto divertente.
-
Oh! Tu devi essere Bianca- disse, avvicinandosi a lei e porgendole la mano.
Bianca sorrise stringendo la mano dell’uomo.
-
Si, sono io. La ringrazio per il tempo che mi dedica- mormorò, di nuovo nella sua strana timidezza.
Sergio era accanto al proprietario con le mani dietro la schiena e il suo sorriso fiero.
-
Oh, non devi ringraziarmi! Piuttosto, andiamo a sederci, così possiamo parlare con calma. Oh, Sergio, portaci qualcosa da bere!-
-
Ai suoi ordini!-
Sergio simulò un inchino e poi si ritirò di nuovo dietro il bancone.
-
Suvvia, andiamo a sederci!-
Bianca non se lo fece ripetere due volte e qualche secondo dopo era seduta di fronte al signor Enrico (così si chiamava) e iniziò ufficialmente il suo primo colloquio di lavoro.
Il signor Enrico le chiese quanti anni avesse e se avesse già esperienza nel settore, e Bianca dovette confessare di non aver mai lavorato in un bar, ma disse di essere una ragazza sveglia ed attiva e che imparava in fretta. Il signor Enrico restò colpito positivamente da quella giovinetta che pensò di metterla in prova per una settimana. Quando Sergio giunse al tavolo con due bicchieri di succo di frutta, Enrico gli diede una pacca sulla spalla amichevolmente e disse:
-
Te la affido! Insegnale tutto quello che c’è da sapere sul bar e la sua settimana di prova andrà splendidamente. Puoi iniziare domani, Bianca, ti darò una tabella con i tuoi orari-
Bianca sfoderò un sorriso a trentadue denti, stava per saltare al collo di Enrico e abbracciarlo così forte da stritolarlo, avrebbe voluto urlare e piangere al contempo, ma, con la voce rotta dall’emozione disse solamente:
-
Oh Dio, signor Enrico la ringrazio di tutto cuore! Non la deluderò, farò del mio meglio e…-
Enrico si alzò e rise sotto i baffi.
-
Tranquilla, tranquilla. Ci vediamo domani mattina, alle sei e mezza!-
-
Non tarderò!-
Il signor Enrico si allontanò dal tavolo ridendo sotto i baffi e ritornò nel retro del locale, sparendo così come pochi minuti prima era comparso.
Quello era stato il colloquio di lavoro più breve che Bianca avrebbe mai potuto fare nella vita.
-
Complimenti!- esclamò Sergio risvegliandola dall’estasi.
Bianca gli rivolse un sorriso esagerato.
-
È tutto merito tuo, Sergio! Non so come ringraziarti, davvero, tu sei…-
Sergio rise, poi si sedette al posto occupato poco prima da Enrico.
-
Non devi ringraziarmi. Devi avergli fatto una buona impressione, lui è molto severo riguardo il personale-
Bianca restò sorpresa da quell’affermazione. Eppure non pareva per niente severo.
-
E la tua amica principessa?- scherzò subito dopo Sergio, senza dare a Bianca il tempo di ringraziarlo di nuovo.
-
Oh, Lara? No, lei non è mica mia amica, l’ho solo incontrata qui l’altra mattina e da allora pare che mi perseguiti, me la ritrovo ovunque, non so davvero, non mi è mai capitata una cosa del genere, e poi d’altronde…-
Bianca era partita in quarta, il solo sentir nominare Lara le dava una loquacità inaspettata e irrefrenabile. Sergio osservava le sue labbra muoversi velocemente, sorrideva mentre gli occhi brillavano.
-
È una ragazza davvero dolce. Peccato che sia un po’ fuori di testa- commentò alla fine Sergio, ridendo insieme a Bianca.
-
Mi dispiace molto per stamattina, sai, Lara tende ad essere un tantinello festosa. Esagerata. Ecco, si, esagerata. Mi ha praticamente costretta a farle da guida della città, l’ho avuta nelle orecchie per ore, santoddio, è una cara ragazza, non lo metto certo in dubbio, la come fa Ariel a starle dietro? Lui è tranquillo. Un bel po’ tranquillo-
-
Chi, il principe?-
Il tono di Sergio si fece un pochino più serio.
-
Già, proprio lui. A quanto pare il padre di Lara fa qualcosa come il diplomatico o che so io, e lei è diventata amica di questo principe-
-
L’hai saputo da dove viene, questo qui?-
Bianca scosse la testa.
-
Io non credo sia un principe. Al massimo è qualche cugino di corte-
Sergio rise alle sue parole, Bianca abbassò lo sguardo chiedendosi se doveva ella stessa ridere o meno.
-
Ascolta Bianca, so che forse è prematuro da parte mia, però mi chiedevo se ti andasse, beh, - Sergio arrossì, si confuse, - se ti andasse di uscire con me questa sera. Come amici, s’intende. Mi piacerebbe conoscerti, potrei spiegarti qualcosa del tuo nuovo lavoro e ti prometto che non faremo tardi visto che domani è il tuo primo giorno di lavoro-
Bianca sorrise, abbassò per un attimo gli occhi impicciata, poi guardò di nuovo Sergio, i suoi occhi smeraldo. Era davvero carino, e in quel momento anche tremendamente in imbarazzo. Si chiedeva se fosse conveniente che una ragazza matura accettasse l’invito ad uscire sebbene non conoscesse per niente il ragazzo in questione. Avrebbe dovuto rifiutare, conoscerlo meglio sul posto di lavoro e poi, forse, accettare il suo invito. E se lui non glie l’avesse più richiesto? Avrebbe perso l’occasione di frequentare un ragazzo davvero carino e che sembrava anche un tipo a posto. Se non altro era bello, questo era un punto a suo favore. Non voleva accettare ma nemmeno rifiutare.
Sorrise di nuovo.
-
Sei davvero molto carino con me, - mormorò, un po’ civettuola, Sergio iniziò ad arrossire ancora di più, cercava di evitare lo sguardo di Bianca.
-
Scusami, - iniziò a dire, - forse ti sembrerò sfacciato. Lascia stare, non pensarci… mi sento un po’ stupido!-
Sergio iniziò a ridere, forse per allentare la tensione che provava.
-
No, non mi sembri sfacciato, tutt’altro- rispose Bianca, intenerita dal suo comportamento, - una pizza insieme mi farebbe piacere- concluse poi.
Sergio parve illuminarsi.
-
Davvero?- balbettò.
-
Si, davvero- rispose Bianca.
-
Va bene, allora ci incontriamo qui alle otto, d’accordo? Porto il mio scooter-
Bianca sorrise.
-
Va bene. A stasera allora-
-
A stasera-
Note:
Salve a tutti e grazie per recensire e seguire questo racconto. Ci tengo a precisare che tutti i luoghi, ristoranti, vie e bar sono reali. E' la prima volta che in un racconto sono così precisa sui luoghi, ma narrando della mia città, lo trovo necessario.
Grazie a tutti ed a presto,
Lara. |
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Capitolo 4 *** Mai sul serio, - mai profondamente ***
- Non è che devi andare ad un matrimonio. Andiamo soltanto a mangiare la pizza-
Eva si poggiò con le spalle alla porta della camera di Amanda. Sentì dall’interno le risa della ragazza.
- Non restare fuori. Entra- la invitò poi.
Eva non se lo fece ripetere due volte, aprì la porta della camera ed entrò. Amanda era seduta dinanzi allo specchio che si dava un’ultima spazzolata ai lunghi capelli ramati. Appena Eva entrò, Amanda si alzò e volteggiò su se stessa, mostrandole un abito in seta viola, che faceva risaltare la lucentezza del suo viso. Era un abitino semplice, stretto in vita e lungo fino alle ginocchia, Eva l’avrebbe definito “da passeggiata”.
- Come ti sembro?- domandò Amanda.
Era davvero carina, ma Eva non l’avrebbe mai ammesso.
- Sembri una caramella – commentò.
Amanda rise di nuovo, poi afferrò la borsa lasciata sul letto.
- Ecco, possiamo andare- disse infine.
Eva abbozzò un sorrisetto contrariato, poi uscì dalla stanza seguita da Amanda. Scesero velocemente le scale, Francesco le aspettava nell’atrio.
- Bambine, finalmente!- esclamò allargando le braccia.
- Come hai detto, scusa?- lo rimproverò Eva.
Francesco rise.
- Cosa c’è? –
Eva scosse la testa, Amanda aprì la porta di casa. Dopo qualche minuto erano tutti e tre in macchina, Eva aveva chiesto di poter guidare, ma Francesco non glie lo concesse.
- Le bambine non guidano-
- Io non sono una bambina, papà-
- Per stasera lasciami giocare al padre premuroso che porta le sue figlie a cena fuori!-
Papà era d’ottimo umore, Eva decise di temperare le sue frecciatine e di ritirare il veleno dalla lingua.
Amanda si sedette sul sedile posteriore, Eva occupò quello accanto a suo padre e partirono.
…
Bianca si aggiustò il casco in modo che scombinasse il meno possibile i capelli e salì dietro Sergio sul suo scooter rosso.
- Hai paura?- chiese Sergio.
Bianca alzò le spalle.
- No, per niente. Perché dovrei aver paura di uno scooter?-
- Non lo so. Alcune ragazze hanno paura-
“Sfigate” pensò Bianca.
- Quante ragazze sono salite su questo scooter?- chiese.
- Meno di quelle che pensi-
Sergio mise in moto e partirono. Il vento fresco sulle gote di Bianca e sulle sue braccia era come un leggerissimo solletico, si strinse a Sergio e chiuse gli occhi per un attimo. Non conversarono molto lungo il tragitto, ma forse era meglio così. Era meglio parlare a quattr’occhi, come di sicuro una ragazza matura avrebbe fatto. Ora che ci pensava, era la prima volta che usciva con un ragazzo, adesso che era “matura”. Il suo ultimo fidanzato era stato un vero disastro, ma adesso le cottarelle adolescenziali erano finite.
Sergio parcheggiò il motorino a piazza Dante ed insieme si misero in cammino.
- Scommetto che sei andata mille volte da Sorbillo e che decidere di portarti lì è una scelta scontata- disse Sergio.
Bianca si chiedeva perché fosse così agitato.
- No, in realtà non ci sono andata poi moltissime volte. E poi è la pizzeria più buona della città. Sei un vero galantuomo-
Sergio sorrise, si incamminarono.
- Perché non mi racconti qualcosa di te?- lo spronò Bianca. Già, se dovevano uscire insieme era bene che Sergio si facesse conoscere.
Lui alzò le spalle imbarazzato.
- Beh, non so cosa dirti, ehm, studio alla facoltà di Storia, sono al terzo anno. Lavoro per mantenermi gli studi, è molto pesante per me poiché spesso devo rimanere sveglio tutta la notte per studiare, ma è un sacrificio che sono disposto a fare per la laurea-
Bianca lo guardò ammirata. Era perfetto, già, perfetto: una donna matura come lei aveva bisogno di un uomo colto ed intelligente al suo fianco. Appassionato. Sergio le pareva appassionato.
- Oh- riuscì soltanto a dire.
Sergio le sorrise.
- Tu cosa fai invece?-
- Mi sono diplomata ieri-
- Auguri!-
- Grazie,- abbassò gli occhi sorridendo, - ho frequentato il liceo classico. Sto studiando per entrare a medicina-
Parlò spedita senza mangiarsi le sillabe come era abituata a fare quando si trovava in una situazione nuova.
Continuarono a parlare di scuola ed università fino a quando non giunsero dinanzi al ristorante. Erano fortunati, di mercoledì non c’era quasi nessuno.
- Un tavolo per due- chiese gentilmente Sergio. Il giovane cameriere sorrise indicandogli di salire al piano di sopra. Bianca sorrise a sua volta, Sergio la prese inaspettatamente per mano.
…
- E’ così tanto tempo che non mangio la pizza!- esclamò Amanda piena di gioia.
Eva, con le braccia incrociate sul petto, guardò in alto come per chiede pietà a Dio, supplicandolo di riprendersi quella sciagura. Non c’era minuto che Eva non pensasse agli enormi guai nei quali Amanda l’aveva cacciata.
- Sono davvero felice- disse Francesco, - ora conoscerai la pizza più buona della città!-
Amanda sorrise, Eva lesse nel suo sguardo una punta di perplessità.
Scesero dalla macchina ed entrarono da Sorbillo.
Per fortuna che non era sabato, o ci sarebbe stato da aspettare ore ed ore.
Eva entrò per prima, chiese un tavolo per tre mentre Amanda e suo padre conversavamo amabilmente. Il giovanotto guardò Eva con ammirazione, come se si stesse chiedendo contemporaneamente da dove fosse spuntata fuori una ragazza tanto carina e quanto dovesse essere ricca, visto il modo in cui vestiva. Eva se ne accorse, ma non ne fece un dramma. Il ragazzo gli indicò il piano superiore, e i tre salirono velocemente le scale.
Eva vide lo sguardo di Amanda incupirsi, sembrava non ascoltare le parole di suo padre. Lo guardava con occhi vuoti, annuendo ai suoi discorsi. Suo padre però non si accorgeva di niente. In realtà era così contento che Amanda fosse tornata che si sarebbe messo a parlare con lei anche nel sonno. Eva sospirò, poi sorrise amabilmente al cameriere che li accompagnò al tavolo. Sedettero all’angolo destro della sala, a ridosso della finestra. Amanda e suo padre si posizionarono vicini, con i volti rivolti verso la finestra, Eva invece con le spalle ad essa.
…
Sergio si lasciò andare ad uno sguardo malinconico che a Bianca non sfuggì. Aveva abbassato gli occhi come per evitare di guardarsi intorno, quasi come se avesse paura. Gli occhi di Bianca erano attenti, non le sfuggiva mai niente. Evitò di parlare per un minuto o due, e quando Sergio la guardò ebbe quasi l’impressione che avesse capito. Lo sguardo di Bianca era talmente intenso da non lasciare spazio a ipotesi. Si, se n’era senz’altro accorta.
- Sei mai stata innamorata?- le chiese.
Bianca alzò le spalle.
- Credo di no- rispose decisa, mentre continuava a fissarlo.
Sergio aveva sorriso, adesso la malinconia non c’era più.
- Perché mi chiedi una cosa del genere?- chiese poi, mentre si versava un po’ di Coca.
- Non lo so, - rispose confuso il ragazzo, - era tanto per sapere-
- E tu sei mai stato innamorato?-
Sergio restò in silenzio per qualche momento.
- No- rispose poi.
Bianca rise.
- Non ci credo-
- Come?-
- Non ci credo-
- E perché mai?-
- Non sei più un ragazzino. Ti sarà capitato qualche volta di innamorarti-
Sergio sorrise, gli occhi gli si illuminarono.
- Beh, no. Mai sul serio, mai profondamente. Ho voluto bene alle ragazze che ho frequentato, ma non avrei sposato nessuna di esse-
- Io non ho voglia di sposarmi, ma questo non significa che non voglia innamorarmi-
Bianca aveva assunto un tono serio, quasi distaccato. Sergio smise di sorridere, la guardò intensamente.
- Questa è una frase molto saggia-
…
Non avevano ancora iniziato a mangiare che Eva sentì il cuore cominciarle a battere all’impazzata. Nascose il rossore delle sue gote soffiandosi il naso, abbassò gli occhi e tentò di nascondere la sua immagine dietro quella del padre.
Non riusciva a crederci.
Sbirciò un altro po’ sporgendosi verso sinistra, tra suo padre ed Amanda, e bastò un’occhiata perché capisse di non essersi sbagliata. Iniziò a fare un calcolo delle probabilità, ragionando sulla sfortuna che le stava ripiombando addosso: tra tutti i ristoranti che ci sono a Napoli, quante possibilità c’erano di dare inizio ad una nuova sciagura? Non poteva essere vero! Dovevano andarsene. E in fretta.
- Eva, tutto bene?- chiese suo padre.
- Ssh!- lo zittì Eva, abbassando la testa quasi a poggiarla nel piatto.
- Ma cosa ti succede?- chiese a sua volta Amanda, modulando il tono della voce.
Eva le lanciò un’occhiata fulminante.
- Dobbiamo andarcene- bisbigliò.
- Ma perché?-
Amanda fece per voltarsi verso l’altra parte della sala ma Eva la tirò per la maniche sotto il tavolo.
- Bambine!- le richiamò Francesco, ma ormai entrambe erano accovacciate sotto il tavolo.
- Si può sapere cosa ti prende?- chiese ancora Amanda.
- Ma non capisci? È qui! Dobbiamo andarcene! È un incubo, questo è un incubo…-
Amanda sbiancò, gli occhi le si fecero lucidi, la voce spezzata.
- Cosa? È qui? Ne sei… sicura?- farfugliò con un filo di voce.
- Già! È sempre colpa tua, lo sapevo! Mi porti sfortuna! Adesso alziamoci e scappiamo!-
- Ma se passiamo per di la ci vedrà…-
- Ma non capisci allora? Dobbiamo correre! Scappare! Evaporare!-
Amanda riemerse dal pavimento e si chinò verso Francesco per bisbigliargli qualcosa in un orecchio. Anche lui cambiò espressione.
- Dobbiamo andare via!-
Eva era sempre più spaventata.
…
Bianca fissava il tavolo, la tovaglia gialla e i tovaglioli. Aveva fatto bene ad uscire con Sergio? Se lo stava chiedendo, adesso che lui era andato in bagno. Si chiedeva se non era stata un po’ troppo avventata. No, di sicuro non lo era stata, lui era un tipo simpatico e si stava comportando bene. Eppure pareva quasi che si vergognasse o si sentisse a disagio, Bianca non avrebbe saputo dirlo. Si guardò intorno, nell’angolo opposto al suo vide tre persone che discutevano animatamente, parevano spaventati, o almeno così sembrava la ragazza che le era di fronte, dai lunghi capelli corvini. In un batter d’occhio, come se non stessero aspettando altro, si alzarono e velocemente attraversarono la sala e scesero le scale. Bianca non poté fare a meno di lanciar loro un’occhiata curiosa, ma dopo un attimo se ne dimenticò totalmente. Ecco Sergio che ritornava, sorridente e magnifico. Forse stava iniziando davvero una nuova vita, e per quanto questa cosa le sembrasse ancora assurda e senza senso, sapeva che era davvero così e che Sergio avrebbe potuto far parte della sua nuova, stupenda e matura vita. |
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Capitolo 5 *** Dopo un attimo, tutto era finito ***
Eva non aveva tanti amici, e neppure un fidanzato. Tutti la ritenevano un po’ troppo scorbutica, troppo altezzosa. In realtà Eva era soltanto un po’ irritabile, ma questo non era da considerarsi un difetto, era piuttosto una caratteristica. Ma a lei non importava molto, ormai il tempo in cui la sua preoccupazione fondamentale era piacere ai ragazzi era passata, adesso era arrivata l’epoca del “come fare per liberarsi di Amanda”.
Dopo quanto era successo in pizzeria, Amanda era diventata paranoica: se ne stava tutto il giorno chiusa in casa, camminando nervosamente avanti e indietro con gli occhi spiritati e le gote bianche, di tanto in tanto lanciava sguardi preoccupati alle finestre per poi ritirarsi, impaurita. Era convinta che quello che era accaduto non era un caso.
- Smettila adesso. Non puoi continuare così- la rimproverò Eva il terzo giorno.
Amanda scattò in piedi appena sentì la sua voce.
- Non entrare così all’improvviso senza avvisare. Mi metti paura-
Amanda si lasciò cadere sul divano.
- Tu sei pazza-
Eva si sedette accanto a lei, Amanda le lanciò uno sguardo fulmineo.
- Hai voglia di uscire un po’?- le domandò.
- Ma che sei impazzita? No, no! Non posso uscire!-
Eva sospirò stizzita.
- E hai intenzione di rimanere rinchiusa qui fino a quando, precisamente?-
- Per tutto il tempo necessario-
Il tempo necessario, aveva detto. Cosa intendesse Amanda per “tempo necessario” ne aveva una vaga idea. Per quanto poco poteva conoscere Amanda, sapeva che i suoi stati di agitazione erano difficilmente domabili, e poiché suo padre glie l’aveva affidata, questo significava che fino a quando Amanda non si sarebbe decisa a smetterla con la vita della monaca di clausura, neanche lei poteva fare nient’altro. Questo era ingiusto, oltre che incredibilmente odioso. Eva non era la baby sitter di Amanda, questo suo padre lo sapeva bene, eppure continuava a convincersi del fatto che Eva avrebbe imparato ad accettarla, se lui glie l’avesse in qualche modo imposta.
- Ascolta, principessina, non ho intenzione di restare rinchiusa qui perché devo farti da balia!-
- Non devi farmi da balia. Se vuoi, esci pure-
Esci pure? Si, era facile per lei: se papà l’avesse scoperto l’avrebbe uccisa.
- Lo sai che non posso lasciarti da sola-
- Parlerò io con tuo padre-
- Non ti ascolterà. Andiamo Amanda, ragiona: finalmente sei tornata ad invadere la mia casa, la mia città e tutto il mio mondo, e cosa decidi di fare? Restare chiusa in casa? Si muore di caldo. Andiamo al mare!-
- Non mi va-
Eva si alzò dal divano più stizzita di prima.
- Sei una piaga-
- Mi dispiace, Eva –
- Ti ammazzo-
Eva lasciò la stanza, Amanda continuò il suo giro di perlustrazione avvicinandosi di soppiatto a tutte le finestre della casa.
Bene, Maometto non va alla montagna? La montagna andrà da Maometto.
Salì velocemente le scale e si chiuse la porta della sua camera alle spalle, dopo di che afferrò il cellulare e compose frettolosa un numero.
Dopo due squilli una calda voce maschile rispose:
- Ciao, bellezza! Credevo non m’avessi più richiamato!-
Dall’altro capo del filo era Riccardo, un giovane con il quale Eva era uscita una volta o due. Era simpatico, un po’ ingenuo, ma molto carino. Frequentava la stessa facoltà di Eva, quella di Architettura, e conosceva più persone lui che quante Eva avesse speranza di conoscere in tutta la vita.
- Ciao Ricky, - rispose lei, civettuola, - senti, stasera do una festa. Ti va di venire? Porta tutti gli amici che hai, non importa quanti sono-
- Mi sembra una fantastica idea-
Eva rise di nuovo, gli diede qualche altra indicazione e poi agganciò il telefono, pronta a fare qualche altra telefonata.
- Ora glie la faccio vedere io alla principessina…-
…
Bianca non era solita far cose del genere, ma era come se Lara avesse un chissà quale ascendente su di lei. Dopo essersi fatta convincere a fare un giro per negozi (già in cerca del famoso abito per la famosa festa di chissà quando) subito dopo aver concluso il suo turno di lavoro, adesso aveva invitato Lara a casa sua per mangiare una fetta di torta alle mele preparata da sua madre. Lara aveva saltellato dalla gioia, Bianca l’aveva guardata stranita. Le faceva tenerezza questa Lara, le sembrava un’orfanella, un’inesperta del mondo, come se non sapesse neanche camminare. Era entrata in ogni negozio propostole da Bianca con tanto di occhi spalancati, sconvolta, come se non avesse mai visto niente di simile. Eppure Bianca c’avrebbe giurato, Lara ne sapeva qualcosa in fatto di moda, si vestiva davvero bene. Quel giorno aveva un grazioso abito rosso, stretto in vita, la borsa di paglia del giorno dell’esame di stato e un paio di sandali rossi. Eppure, Lara sembrava non dare per niente importanza agli abiti che indossava, sembrava non avesse scelto lei di indossarli. Guardava ammirata le vetrine, le sete, i fiocchi e quant’altro capitasse sotto tiro. Quando finalmente ebbero perlustrato Via Scarlatti, Bianca era esausta, così, per non lasciare l’orfanella in strada da sola, le aveva proposto di sedersi alla sua tavola per una fetta di torta.
Bianca abbozzò un sorrisetto mentre infilava le chiavi nella toppa ed apriva la porta.
Lara seguì Bianca come un cagnolino, silenziosa e stranamente a disagio. La casa era silenziosa, il lungo corridoio era illuminato dalla luce della finestra che proveniva dalla cucina, sulla destra, mentre sulla sinistra si apriva il salone.
- Sono a casa!- gridò.
Dalla stanza infondo al corridoio si aprì una porta e Stefano le corse praticamente incontro.
- Ma a che ora hai finito ‘sto turno di lavoro? – esclamò, quasi ridendo. Si bloccò però alla vista di Lara, che lo lasciò confuso ed esterrefatto.
- Ciao- disse poi, alzando la mano in segno di saluto.
Stefano era imbarazzato, Bianca non ricordava di averlo mai visto in una situazione del genere. Lara sorrise, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Ciao- mormorò a sua volta.
Bianca posò la borsa sull’appendi abiti e mi portò le mani ai fianchi sospirando.
- Non m’avevano sequestrata, è che sono andata a fare un giro con Lara - disse, indicandola.
- Piacere, io sono Stefano. Il fratello di Bianca-
Lara sorrise, Bianca non poteva credere ai suoi occhi. Magicamente, Lara non stava dando spettacolo di se.
- Ciao, io sono Lara - disse, stringendo la mano che Stefano le porgeva.
- Ho pensato di invitarla per una fetta di torta. Lara è straniera, sai?-
Bianca aveva dato le spalle ai due per dirigersi in cucina, dove ora apriva il forno e tirava fuori la torta.
- Oh. Da dove vieni?-
- Dal Nord-
Stefano fissava Lara con curiosità, come se si aspettasse che continuasse a parlare.
Bianca rise.
- Non fissarla, non ti dirà di più. Diciamo che è timida. Avanti, cosa fate sull’uscio della porta? Lara, vieni dentro. Ste, vuoi un po’ di torta anche tu?-
Lara passò gli occhi smarriti prima su Stefano, poi su Bianca, che le porgeva un piattino con la torta. Stefano con un sorriso le indicò la cucina, Lara si fece coraggio ed entrò. Sembrava un gattino allontanato dalla madre che faceva di tutto per ambientarsi in un nuovo ambiente. Lara si sedette alla sinistra di Bianca, Stefano si posizionò proprio di fronte alla nuova arrivata.
- Come vi siete conosciute?- iniziò Stefano.
Bianca offrì una forchettina a Stefano ed una a Lara, che la prese con un sorriso.
- Ci siamo incontrate il giorno del mio esame di stato. Lara è stata una specie di portafortuna, o almeno io la considero tale-
Bianca si infilò un pezzetto di torta in bocca, osservò Lara che giocherellava con la forchetta.
- Io credo piuttosto che sia stato un segno- mormorò poi, spezzando la torta nel piattino.
- Segno?- chiese Stefano, cortese ed incuriosito.
- Beh, si, - Lara masticò velocemente la torta, - quando si è destinati ad incontrare una persona. Una guida. Io non credevo potesse succedermi!-
Si stava liberando dalla corazza della timidezza, eppure sembrava in soggezione davanti a Stefano. Lui sembrava stregato, ma Bianca non lo biasimava. Lara era strana e anche molto carina.
- Credi che Bianca sia la tua guida?-
Stefano le lanciò un’occhiatina, Bianca alzò le spalle con un sorriso.
- Una cosa del genere- rispose Lara.
- Quanto resterai a Napoli?- incalzò Stefano.
- Un bel po’- rispose lei, come se questa fosse proprio la risposta che lui volesse sentire.
- Sai che lei conosce un principe?- ricominciò Bianca.
Lara abbassò gli occhi sorridendo imbarazzata.
- Principe?-
Stefano sembrava avere la stessa reazione di Sergio.
- Oh, è una lunga storia, e anche questa “segreta”-
Bianca rise, poi mangiò un altro pezzetto di torta. Stefano non chiese nulla circa la segreta identità di Ariel, piuttosto sorrise a Lara. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, e lei sembrava essersene accorta.
- Un altro po’ di torta?- chiese poi Bianca, vedendo che nessuno parlava.
- No, grazie. Ma era davvero buona, fai i complimenti a tua madre- disse Lara, mentre posava educatamente la forchetta nel piatto.
Quando Bianca si alzò per riprendere i piattini, Stefano sembrò risvegliarsi da un sonno.
- Sono stato invitato ad una festa, questa sera. Vi va di venire con me?- chiese.
Bianca si voltò sconvolta. Era la prima volta che Stefano diceva una cosa del genere.
- Festa?- chiese, quasi balbettando.
- Già. Riccardo mi ha detto che posso portare chi voglio-
- Oh, ma io non sono stata invitata- disse subito Lara, come se volesse scrollarsi quel fardello di dosso.
- Non preoccuparti, è come se lo fossi stata-
- Chi da questa festa?- intervenne Bianca, tornando al tavolo.
- Un’amica di Riccardo – rispose Stefano, dandole appena un’occhiata.
Bianca se le immaginava, le amiche di Riccardo. Donnette senza cervello, oche civettuole con il cervello grande quanto una nocciolina. Riccardo era da sempre uno dei migliori amici di Stefano sebbene non avessero granchè in comune. Stefano era introverso, intellettualoide, con “pochi amici ma sinceri”, mentre Riccardo aveva tutta l’aria del playboy, con il fisico scolpito e i capelli biondi al vento. Riccardo non era però un ottuso latin lover, era piuttosto un, ehm, come definirlo, un errore genetico: simpatico, bello ed intelligente. Tre aggettivi difficile da trovare nello stesso uomo.
- Non sarà una di quelle ochette che sbavano dietro Riccardo?- chiese Bianca disgustata.
- No, questa è una con cui è uscito qualche volta- spiegò Stefano, - e a quanto pare ha deciso di dare una festa nella sua mega villa-
- È pure una figlia di papà…-
Stefano alzò le spalle, Lara li guardava come se stessero parlando in turco.
- Vuoi venirci?- le chiese Stefano, rivolgendole uno sguardo affettuoso.
- Io…- Lara arrossì, - non credo di poter venire-
- Ma perché no?- chiese Bianca, - quasi quasi ci vado anche io!-
Lara scosse la testa.
- Mi fa davvero piacere che tu m’abbia invitato, - disse rivolta a Stefano, - ma sai, non posso muovermi molto senza Ariel, e poi…-
- Porta anche lui. Non c’è nessun problema- intervenne Bianca.
- Oh, ma io, davvero, cioè…-
- Ho capito, ho capito,- intervenne Stefano, - non vuoi venire-
- Oh no, non è questo! Però, forse, ehm, se l’avessi saputo con un po’ di anticipo io…-
Bianca rise, Stefano la guardava deluso.
- Dai, non fa niente. Se non ti va lascia stare. Possiamo sempre vederci in un’altra occasione-
Lara abbozzò un sorriso, Bianca rimase colpita da quella frase. Suo fratello ci stava provando con Lara.
- Senza dubbio!-
Lara si alzò improvvisamente dal tavolo.
- Devi andare via?- chiese Bianca, intuendo i pensieri della ragazza.
- Oh, si, si è fatto un po’ tardi adesso, e devo andare a recuperare Ariel. Sono contenta di averti conosciuto, Stefano-
Stefano si alzò, l’accompagnò alla porta senza lasciare a Bianca il tempo di intervenire.
- Anche per me, Lara. Conto di rivederti presto-
- Oh, anche io. A presto. Ciao Bianca!-
- Ciao tesoro- rispose con un battito di ciglia Bianca, poggiandosi all’uscio della cucina.
Lara uscì dalla porta di casa, Bianca la sentì scendere le scale. Poi finalmente scoppiò a ridere.
- Ma che ti prende?- le chiese Stefano con un filo di voce.
- Stai facendo la corte a Lara!- esclamò Bianca.
Stefano incrociò le braccia.
- Sei impazzita? È una turista, cercavo di essere gentile-
- Si, certo. A me non dai a berla-
- Pensala come vuoi-
- Già, la penso come voglio, e cioè nel modo giusto! È strana, non è vero? Eppure affascinante, già, capisco che possa piacerti!-
- Ma non mi piace!-
Stefano si avviava verso la sua stanza.
- Senti, c’è davvero questa festa stasera o l’hai detto solo per avere un’occasione con Lara?-
- Certo che c’è la festa. Non m’invento bugie per fare colpo sulle turiste-
- E allora mi porterai davvero con te?-
- Fa’ un po’ come ti pare-
E così dicendo, Stefano chiuse la porta della sua camera lasciando Bianca appena un pelo fuori da essa.
…
Bianca iniziava a credere di non aver mai visto così tanta gente in vita sua. Entrando dalla porta c’era un enorme atrio, sulla destra un altrettanto enorme salone gremito di persone, mentre sulla sinistra c’era una grande porta a vetri, chiusa. Forse si trattava della cucina, alla quale la proprietaria di casa non voleva lasciare l’accesso. Di fronte alla porta di casa c’era un enorme scalone in marmo. Bianca pensava che ormai non esistessero più scaloni così, credeva che non le costruissero più delle ville di quel genere! Era piena d’entusiasmo fino ai capelli anche se non conosceva nessun altro se non Stefano e Riccardo.
Sebbene era dispiaciuta che Lara non fosse venuta (ci sarebbe stato da ridere a vedere Lara in una situazione del genere) Bianca non aveva rinunciato all’occasione di andare ad una festa. Vero, non era stata personalmente invitata e non conosceva nessuno, ma le pareva un ottimo modo di festeggiare la sua prima giornata di lavoro come donna matura. Forse andare alla festa di una riccastra non era proprio da donna matura, ma non le importava. Ad aprirle le porte di casa era stata una ragazza che a giudicare dall’aspetto, doveva essere ubriaca fradicia. Stefano la salutò alzando le spalle, Riccardo le posò una mano sulla spalla, poi si voltò per dire ai due che non si trattava della padrona di casa. Oh bene, pensò Bianca, se era lei la prima ad essere ridotta in quello stato, c’era da preoccuparsi. Stefano le aveva chiesto perché non avesse deciso di invitare Sergio, ma Bianca non aveva risposto. Non che non le andasse di vederlo, ma non sarebbe sembrata sfacciata ad uscire con lui per ben due sere di fila? E poi era meglio andarci piano. Si, certo, era carino, ma questo non significava ancora niente. E poi cosa avrebbe pensato di lei, se l’avesse chiamato chiedendogli di accompagnarla ad una festa alla quale non era stata neanche invitata? Lui avrebbe pensato che era una stupida ochetta, dunque era stato meglio lasciar perdere.
La musica era assordate e dopo qualche minuto, Bianca non si ritrovò più al fianco di suo fratello.
…
Eva chiuse a chiave la porta della sua stanza. Non le andava che qualcuno decidesse di chiudersi al piano di sopra, che era assolutamente off limits. Se soltanto papà avesse scoperto di quella festa, sarebbe stato un disastro. Si mise in tasca la chiave e fece per scendere le scale, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.
L’avrebbe riconosciuta tra mille.
- Cosa sta succedendo?- domandò Amanda, con un filo di voce. Eva si voltò verso di lei, i suoi occhi lucidi modellavano un’espressione tra l’impaurita e l’irritata.
Eva alzò le spalle con un sorriso.
- Ho dato una festa- rispose tranquilla.
- Una festa?-
- Già. Sai cos’è una festa?-
- Beh, io…- Amanda sembrava confusa, - certo che lo so. Ma c’è un rumore assurdo!-
- Mettiti un bel vestito e vieni giù. Ti divertirai un mondo-
- Quante persone hai invitato?-
- Non lo so. Saranno una cinquantina-
- Cinquanta?-
Amanda sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
- Dovresti rilassarti, e una festa è proprio quello che ti ci vuole. Vieni giù!-
- No-
- Avanti Amandina. Nessuno ti mangerà-
Amanda aggrottò le sopracciglia, Eva scese qualche scalino, pavoneggiandosi nel suo tubino nero.
- Sei cattiva con me-
Eva sorrise.
- Non sono cattiva. Voglio solo divertirmi un po’-
- Invece l’hai fatto soltanto per mettermi in difficoltà-
- Non essere egocentrica-
- Perché cerchi di vendicarti?-
- Non voglio vendicarmi-
- Fai di tutto per rendermi la vita impossibile-
- Se avessi voluto farlo, saresti già morta-
Eva si allontanò velocemente, con le guance arrossate e la rabbia che le cresceva dentro.
…
Bianca avrebbe voluto prendere qualcosa da bere, ma chissà perché, non lo fece. Il tavolo sistemato di fronte alla vetrata che dava sul giardino era colmo di bevande, ma non osava avvicinarsi. I due divani in pelle bianca, sistemati perpendicolarmente alla vetrata, erano colmi di giovani ubriachi o semplicemente brilli, gettati l’uno sull’altro.
Bianca avrebbe tanto voluto sapere chi era la proprietaria di quella casa e perché aveva deciso di dare una festa tanto orribile. Quasi si pentì di esserci andata, ma subito dopo fu presa da un moto di orgoglio. Doveva soltanto trovare un modo per divertirsi e quella festa sarebbe stata fantastica. Si incamminò verso la porta a vetri situata alla sinistra dell’ingresso, si specchiò sulle ante di un lucidissimo mobile, osservò la sua figura snella e slanciata, l’attillata gonna nera e la camicetta bianca ricca di volant. Era elegante, non c’è che dire.
Anche se la porta vetrata era chiusa, Bianca decise di aprirla, e così, con un gesto veloce, si ritrovò in cucina. Era stranamente tutto in ordine, miracolosamente una stanza salva dal disastro. Si avvicinò al lavello, afferrò un bicchiere di vetro e bevve un po’ d’acqua. Si sentì sollevata, si poggiò con le mani al lavabo e attese qualche momento, come se volesse riprendersi dalla musica assordante che continuava a pulsarle nelle tempie. Bevve un altro sorso d’acqua, quasi quasi le sarebbe piaciuto restare lì, in quella stanza, fino alla fine della festa, ma poi non avrebbe avuto niente da raccontare e si sarebbe sentita una perfetta idiota. Stava quasi per andarsene via, quando vide un’ombra avvicinasi alla porta, poi una mano che la apriva. Bianca non ebbe tempo di aprire bocca che si trovò davanti un giovane, poco più grande di lei, dagli intensi occhi neri. Pareva inespressivo, era fermo sull’uscio e la fissava. Bianca sentì un tuffo allo stomaco, la testa girarle, la vista appannarle, non capiva cosa stava succedendo. Il giovane aveva lunghi capelli castani, una muscolatura scolpita, vestito in modo semplice, non adatto ad una festa. Bianca pensò per un attimo che fosse ubriaco, in quanto continuava a fissarla senza parlare, eppure non le pareva tale. Gli occhi pungenti stavano scavando dentro i suoi, vedeva il petto gonfiarsi per i suoi respiri, quasi percepiva la sua pelle.
Con movimenti veloci, il giovane avanzò verso Bianca fino a quando non si trovò ad un passo da lei.
Gli occhi divennero dolci, la sua presenza non più invasiva. Se Bianca si era sentita minacciata dalla sua comparsa sull’uscio, adesso se ne sentiva rassicurata.
Avrebbe voluto parlare, ma non ci riusciva.
Il giovane che le era ad un passo dal viso era di straordinaria bellezza.
Bianca non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, il ragazzo mosse impercettibilmente il capo.
Poi la baciò.
Fu tutto così veloce che Bianca non se ne avvide. Sentì le sue mani stringerle i fianchi, le sue labbra assaggiarla, la sua lingua scontrarsi con la sua, il suo respiro, la sua pelle.
Dopo un attimo, tutto era finito. |
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Capitolo 6 *** Ricerche ***
Eva passò gli occhi attenti su ogni angolo del salotto.
La
luce del sole filtrava dalla vetrata, tutto era in perfetto ordine. Suo padre,
al rientro, non si sarebbe accorto di niente. Sorrise soddisfatta, ma solo un
secondo dopo un sentimento molto simile al senso di colpa la attanagliò. Le
parole di Amanda le risuonavano nel cervello, la sua ostinazione a restare
chiusa nella sua stanza per tutta la durata della festa, i suoi occhi
fiammeggianti che quella mattina l’avevano guardata. Era incredibile come pure
col silenzio Amanda riuscisse sempre a farla sentire in colpa.
Eva
non si sentiva cattiva, non aveva organizzato quella festa per fare un torto ad
Amanda, anche se il fatto che poi questo fosse inevitabilmente accaduto la
rendeva un tantinello soddisfatta, una soddisfazione quasi sadica. Il sadismo
scemava però quando incontrava gli occhi accusatori di lei. Quella mattina papà
sarebbe tornato, e sebbene era certa che Amanda non avrebbe fatto la spia,
avrebbe dovuto sopportare il suo malumore.
Stava
dando un ultimo sguardo al grande mobile di fronte alla vetrata e si accorse che
c’era un piccolo amuleto poggiato su di esso.
Eva
sospirò insofferente avvicinandosi all’oggettino. Qualcuno, in preda all’alcool,
aveva dimenticato il proprio monile. E adesso come avrebbe fatto a capire di chi
fosse? Non conosceva almeno la metà della persone che erano state presenti la
sera prima!
Con
fare annoiato prese l’amuleto e bastò un attimo affinché fosse pervasa da un
forte sentimento di ansia e panico insieme.
L’amuleto
era rotondo, d’argento, e sopra c’era rappresentata una strana foglia. Quella
foglia, apparentemente normale, era un chiaro simbolo.
Uno
di loro
era stato lì la sera prima e aveva perso quell’amuleto. O l’avevano fatto
apposta? L’avevano poggiato lì ed erano andati via?
Con
gli occhi pieni di rabbia corse verso la cucina gridando il nome di
Amanda.
Amanda
la guardava con occhi interrogativi e contemporaneamente freddi mentre si
dirigeva verso di lei, non riuscendo a comprendere la sua ira. Fino a pochi
minuti prima, Eva rimaneva rintanata in un silenzioso senso di colpa, adesso,
improvvisamente, la vedeva accendersi d’ira.
-
Cosa
è successo?- chiese, non rivolgendole nemmeno uno sguardo.
-
Guarda
cosa ho trovato! Erano qui! Qualcuno
era qui!-
Amanda
si voltò verso Eva, osservò il ciondolo che la giovane faceva pendere dinanzi ai
suoi occhi.
Sentì
un fremito nello stomaco.
-
Fammi
vedere!-
Con
foga afferrò l’oggetto, se lo rigirò tra le mani come se non volesse credere che
fosse vero.
-
Wow!-
commentò, allibita.
Eva
iniziò a camminare irrequieta avanti e indietro.
-
Non
voglio altri guai, capito? Quando viene mio padre mi
sente…-
-
Cerca
di calmarti, Eva…-
-
Calmarmi?
Non ci penso neanche! -
Amanda
sospirò infastidita, sapeva che Eva stava come sempre
esagerando.
-
Non
succederà niente di male- mormorò Amanda, del tutto
tranquilla.
-
Si,
certo, come no! Me lo sento nel sangue, nelle ossa! Tu porti solo guai nella
nostra famiglia!-
Eva
gridava, Amanda la guardava inespressiva.
-
Ce
ne sono altri come me. Può darsi che
siano capitati alla tua festa. Dopotutto, conoscevano già il
luogo-
-
Avevano
avuto indicazioni precise! Non dovevano presentarsi qui fino alla fine
dell’estate!-
Eva
sbraitava sempre di più. Amanda rivolse di nuovo gli occhi all’amuleto. Eva
aveva ragione, tutti sapevano di non dover frequentare quella casa, era stato un
categorico desiderio di Eva. Eppure, poteva anche darsi che non l’avessero
ascoltata.
-
Saranno
di sicuro loro- concluse, con un sorriso.
-
E
se non lo fossero? Se fosse quel, come si chiama…-
-
Calibri?-
La
voce di Amanda si destò, Eva la guardò in cagnesco.
-
Già-
Amanda
sorrise.
-
E
allora non c’è di che preoccuparsi-
-
Non
è vero. Non mi piacciono le storie su di lui-
Eva
aveva abbassato il tono della voce, lanciò uno sguardo fulminante ad
Amanda.
-
Non
succederà niente. Stai tranquilla-
Amanda
accarezzò la testa di Eva mentre si allontanava dalla cucina, lasciando la
ragazza a blaterare da sola sulle sue paranoie.
Era
vero, poteva darsi che qualche altro come lei fosse venuto alla festa, o ancora,
che fosse venuto proprio Calibri. Ma c’era un’altra persona che possedeva
quell’amuleto, una persona che non avrebbe dovuto averlo e che probabilmente lo
conservava nonostante il passare del tempo. Se fosse stato lui? Se l’avesse
lasciato apposta perché lei lo trovasse?
Sentì
una stretta al cuore, le lacrime affiorarono agli occhi. Non poteva permettersi
di piangere, né di ricordare.
…
Lavava
tazzine di caffè, offriva cappuccini, cornetti. Bianca, con un automatismo degno
di un robot, lavorava instancabilmente dietro il bancone del bar. Dopo aver
superato con successo la settimana di prova, era stata assunta. Sorrideva ai clienti come se la loro sola
vista attivasse un meccanismo nel suo cervello, li salutava tutti con la stessa
formula e così andava avanti da ore. Aveva rivolto poche parole a Sergio, che
lavorava accanto a lei senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Aveva
tentavo di strapparle un sorrisino o una risata, tra un caffè ed un altro, ma
era come se Bianca fosse inglobata all’interno di un iceberg. Sorrideva per
convenienza, rispondeva con fredda gentilezza.
Il
vero problema era che Bianca non riusciva a capacitarsi di quanto successo la
sera della festa. Erano passati due giorni, eppure continuava a sognare quel
bacio tutte le notti, continuava ad avere il viso di quel ragazzo stampato nel
cervello. Chi era?, si chiedeva. Perché non l’aveva mai visto prima? Perché non
aveva avuto il coraggio di dire neanche una parola? Era come se la lingua le si
fosse bloccata, attorcigliata. Nella sua fantasia, Bianca aveva immaginato che
fosse un principe di un paese lontano, un angelo esiliato, un miracolo mandato
da Dio, una qualsiasi cosa mandatale per bloccare le sue facoltà fisiche e
mentali. Non riusciva a spiegarsi come potesse essere successo, poiché
razionalmente non aveva nessuna spiegazione. Dunque, aveva provveduto ad usare
la fantasia. Sapeva che non era degno di una ragazza matura perdersi
nell’immaginazione, ma non riusciva a farne a meno. E poi, modestamente, la
fantasia non le era mai mancata.
Il
locale si sfollò velocemente ed improvvisamente, come se in città non fosse
rimasto più nessuno a voler fare colazione. Bianca sospirò, si asciugò la fronte
sudata.
-
Tutto
bene?-
La
voce suadente di Sergio le solleticò le orecchie, Bianca
sorrise.
-
Si, tutto
bene-
- Sei un
po’...strana-
Bianca
alzò le spalle.
-
No, cosa dici?- gli sfiorò una spalla con la mano.
Si
sentiva in colpa nei confronti di Sergio, infondo era come se lo avesse tradito. E’ vero, erano usciti solo una
volta insieme e non era successo niente di compromettente, ma lavoravano insieme
tutti i giorni e i segnali da parte di lui erano chiari. Bianca gli piaceva un
sacco. E come avrebbe dovuto comportarsi lei? Fino a qualche giorno prima, anche
lei pensava che Sergio fosse perfetto. Certo, prima che un misterioso uomo
sconosciuto venisse fuori dal nulla a sconvolgere la sua quotidianità. Nei
momenti di maggiore sconforto, Bianca aveva pensato che forse non l’avrebbe più
rivisto e che forse doveva mettere da parte l’accaduto. Dopo il bacio, il
ragazzo misterioso era letteralmente scomparso. Bianca l’aveva cercato per tutto
il resto della serata, ma senza risultato. Ad un certo punto aveva anche
ipotizzato di essersi immaginata tutto, ma un momento dopo si era ricreduta. Non
era possibile ricordare alla perfezione un viso solo sognato, e poi Bianca non
aveva bevuto neanche una goccia. Impossibile che avesse avuto un’allucinazione,
lui era vero, e adesso non riusciva a toglierselo dalla
testa.
-
E’ come se mi stessi evitando- mormorò Sergio, risvegliandola dai
pensieri.
Bianca
rise.
-
Io? Evitando? No, ti stai sbagliando... sai, è solo che questo lavoro è molto
stancante, sono molto stressata-
Bianca
sospirò come per simulare la stanchezza.
Sergio
abbozzò un sorriso, le accarezzò il volto con la punta delle
dita.
- Beh, allora dobbiamo rimediare a tutto questo
stress!-
Bianca gli lanciò un’occhiata dolce, ma quel momento fu
interrotto bruscamente da una voce squillante.
- Buongiorno! Salve, salve a tutti! Sergio, Bianca, ciao!
Santo Cielo, che cera che hai, Bianca!-
Lara aveva spalancato la porta seguita da Ariel e ora
poggiava le braccia sul bancone, fissandoli con un sorriso a trentadue
denti.
- Buongiorno, signorina!- esclamò Sergio sorridendo, - e
buongiorno sua maestà!-
Ariel rise imbarazzato.
- No, per fare, signor Sergio. Mi chiami solo Ariel!-
Sergio sfoderò un luminoso sorriso.
- Va bene, Ariel, a patto che tu non mi dia del lei-
Ariel rise di nuovo, annuendo.
- Come stai, Bianca?- chiese poi Lara ad una pallida
Bianca.
- Sto bene, grazie- rispose Bianca con uno scialbo
sorriso.
- Mmh, non si direbbe. Ti sei stancata troppo alla
festa?-
Bianca sussultò.
- Quale festa?- chiese Sergio, spostando gli occhi su
Bianca.
- Oh, niente, - iniziò Bianca, ridendo, - solo una festa di
qualche giorno fa, sai, mio fratello mi ha portata con se!-
- Ah –
Sergio aveva perso un po’ d’entusiasmo, Bianca avrebbe
voluto strangolare Lara per la sua loquacità.
- E dunque, com’è andata questa festa?- riprese Lara.
- Già, com’è andata?- le fece eco Sergio.
Bianca passò gli occhi sui due, deglutì a vuoto.
- Era una noia, - sbottò fuori, - ed erano tutti ubriachi.
Non vedevo l’ora di andarmene-
Sergio annuì interessato, Lara sorrideva.
Bianca lanciò uno sguardo disperato ad Ariel, che la capì
al volo.
Bianca non capì mai come fece.
- Quand’è che finite il turno? Mi piacerebbe fare una
passeggiata con voi. Lara parla in continuazione di quanto Bianca sia esperta
della città!-
Come se fossero stati catturati dal suono della sua voce,
Lara e Sergio si voltarono verso di lui. Dimenticarono completamente la faccenda
e iniziarono a chiacchierare amabilmente con Ariel.
In quel momento Bianca ebbe per la prima volta
l’impressione che Ariel avesse una qualche speciale capacità.
...
- Francesco, credo che tua figlia sia seriamente
paranoica-
Amanda aveva sussurrato quelle parole protendendosi verso
il suo interlocutore, dall’altra parte del tavolo della cucina.
- Eva è solo facilmente impressionabile-
- Mi sta mandando fuori di testa. E tutto per quello
stupido amuleto-
Francesco sorrise.
- Sai, Eva si è sempre ostinata a fare tutto da sola, senza
l’aiuto di nessuno. Da quando sua madre è morta, si è barricata dietro questo
suo carattere forte, il coraggio, la temperanza. Credeva di avere tutto sotto
controllo, ma quando sei arrivata tu nelle nostre vite, - qui Francesco fece una
pausa, - è come se tutte le sue certezze fossero cadute. Si è ritrovata
all’interno di un mondo diverso, e lei non conosce altri modi di reagire se non
questo-
- La paranoia?-
- Devi comprenderla. Dovete comprendervi a vicenda. Anche
tu sei piuttosto paranoica, Amanda, soprattutto riguardo certe questioni –
Francesco aveva cambiato tono sulle ultime due parole,
Amanda arrossì.
- Eva mi ha raccontato della tua ostinazione a restare
chiusa in casa. Ha detto che è stato questo a spingerla ad organizzare quella
festa... certo, avrà una punizione per non avermi chiesto il permesso, ma non
credi che anche tu, Amanda, sia stata un pochino, beh, come dire, esagerata?-
Francesco era ritornato dal suo viaggio d’affari quella
stessa mattina, e dopo aver assistito all’ennesimo litigio tra Eva ed Amanda, la
prima le aveva confessato di aver dato una festa dove, citando le sue parole,
“una orribile creatura si è introdotta lasciando questo amuleto”.
In effetti, Eva esagerava: quella di Amanda era tutta gente
pacifica, ma lei proprio non voleva metterselo in testa.
- Eva non ha niente da temere. Io si- rispose decisa
Amanda.
- Questo non è vero, sai di non aver niente da temere-
- Non è così semplice come credi. Io sento che succederà
qualcosa!-
- Avanti, Amanda. Cerca di tranquillizzarti, okay? Bevi un
po’ d’acqua, prepara uno dei tuoi manicaretti!-
Francesco si alzò ridendo, Amanda lo seguì con lo
sguardo.
- E ora dove vai?-
- A parlare con mia figlia. Cercherò di farle tornare il
senno-
Così dicendo, Francesco uscì dalla cucina lasciando Amanda
in preda alle sue tremende sensazioni.
…
-
Grazie mille per la passeggiata, ma adesso devo proprio
andare. Mio fratello si starà chiedendo che fine ho fatto!-
Bianca finse un sorriso, Sergio, Ariel e Lara la guardarono
un po’ delusi.
-
Devi già andare via? Mi dispiace un sacco!- esclamò Lara,
gettandole le braccia al collo.
Dopo la frase ad effetto di Ariel e dopo la conclusione del
loro turno di lavoro, Bianca e Sergio avevano deciso di portare Lara ed Ariel a
Mergellina. Il vento fresco ed inusuale aveva reso la passeggiata perfetta, Lara
aveva fatto milioni di foto al mare, ai monumenti, ai loro sorrisi. Bianca non
aveva fatto altro che chiedersi come Ariel avesse potuto catturare la loro
attenzione con una banale frase, e quando si rese conto che non sarebbe mai
arrivata a spiegarsi quel mistero, decise di sostituirlo con quello del ragazzo
della festa. Certo, doveva sembrare davvero assurdo visto che rideva e scherzava
con Sergio come se fosse il suo ragazzo, ma sembravano convivere in Bianca per
la prima volta due personalità completamente diverse. Riusciva a simulare
normalità e si convinse che era la presenza di Ariel a permetterglielo. Di
solito Bianca non era capace di simulare un bel niente.
-
Ci rivediamo presto- disse Ariel, lanciandole uno sguardo
significativo.
-
Ciao Bianca, ci vediamo domani a lavoro- disse a sua volta
Sergio, cingendole i fianchi con le mani e stampandole un bacio sulla
guancia.
Bianca sorrise civettuola.
-
Grazie del pomeriggio ragazzi. A presto!-
Così dicendo si allontanò dal bar Mexico, dove erano
tornati dopo il giro turistico. In realtà, non appena ebbe sceso le scale e
attraversato via Morghen, Bianca cambiò totalmente espressione, confessando a se
stessa di non avere intenzione di tornare a casa.
Quello che stava per fare l’avrebbe forse bollata per
sempre come maniaca compulsiva-ossessiva, ma non poteva farla finire così. Non
poteva rinunciare a quello che avrebbe potuto essere il suo principe azzurro,
cavaliere mascherato o che so io soltanto per degli stupidi ragionamenti che la
sua mente chiamava “logici”. E pensandoci bene, si era convinta di non dover
avere nemmeno sensi di colpa nei confronti di Sergio. D’altronde, loro due non
stavano insieme e non c’era stato tra di loro nessun discorso di chissà quale
profondità. Lui non l’aveva mai baciata. Chissà, forse un bacio di Sergio
avrebbe potuto farle cambiare idea, dissuaderla dall’intento assurdo di trovare
un ragazzo che sembrava introvabile. Ma fino a quel momento lui non l’aveva mai
baciata, dunque Bianca si sentiva in pieno di diritto di dare inizio alle
ricerche. Sebbene non fosse stato mai nel suo carattere fare follie, adesso
avrebbe iniziato a farne qualcuna. Quella che aveva in mente, la prima, era di
tornare alla casa della festa, bussare, e chiedere alla giovane proprietaria
notizie su quel misterioso ragazzo. Certo, probabilmente c’avrebbe messo un buon
quarto d’ora per convincerla di non essere pazza, ma subito dopo, forse,
avrebbero potuto instaurare un rapporto. Chissà com’era, questa padrona di casa,
Bianca non l’aveva vista alla festa, o forse l’aveva vista, mischiata tra quegli
ubriachi. Chissà se era una figlia di papà, come la maggior parte delle amiche
di Riccardo. Oh, ma che domande! Certo che lo era. Abitava praticamente in una
reggia! Chissà quanti agi aveva che Bianca non avrebbe avuto mai.
L’imbarazzo prematuro che sentiva non poteva bloccarla.
Con decisione obliterò il biglietto della funicolare e attese che questa
arrivasse per poi condurla al Corso Vittorio Emanuele, dove si trovava la super
villa.
Si mordeva la lingua dal nervosismo, non sapeva cosa dire.
Ma se c’era un’unica possibilità di poter incontrare quel ragazzo, Bianca doveva
giocarsela.
A tutti i costi.
…
Eva si chiedeva se potesse mai esistere pomeriggio più
noioso di quello.
Certo, lei non avrebbe mai confessato a suo padre della
festa se non si fosse trovata in uno stato di panico avanzato, ma lui avrebbe
anche potuto risparmiarle la punizione dato che l’aveva vista con i suoi occhi
mentre sbraitava con il sangue che le stava per far scoppiare gli organi.
“Questo pomeriggio porterò Amanda a fare shopping, ma tu non verrai!” aveva
detto subito dopo un amorevole discorso sui suoi stati di panico. Eva era
arrabbiata. Adesso, a causa della stupida punizione di suo padre, era costretta
a rimanere in casa mentre lui aveva portato Amanda a spasso. Se dovevano giocare
alla figlia e alla figliastra, che lei fosse almeno la figlia, come infatti lo
era. Perché Amanda, anche se le aveva rovinato la vita, doveva essere sempre
premiata?
Eva si sentiva una bambina gelosa dei suoi giocattoli, ed
in effetti sapeva di comportarsi così. Ma cosa poteva farci? Continuava ad
essere biasimata a causa della sua paranoia, come piaceva chiamarla ad Amanda, ma era
chiaramente una situazione ribaltata. Eva era una ragazza normale, e in quanto
tale era del tutto ordinario il fatto che rimanesse sbigottita da certi eventi.
Ciò che non era normale erano le reazioni di Amanda, le sue manie, o pensandoci,
la sua stessa esistenza.
La casa era grande e silenziosa. Eva uscì dalla sua camera
decisa a scovare nel frigo qualcosa da bere mentre attendeva il ritorno
dell’odiata, ma non fece nemmeno in tempo a scendere uno scalino che sentì il
campanello della porta suonare.
Che fossero già di ritorno? Nessun altro se non loro
avrebbe potuto bussare direttamente al portone senza passare prima per il
citofono appena fuori dalla villa, a meno che la svampita non avesse lasciato il
cancello aperto, come sospettava. Eva sbuffò. Cos’è, i negozi erano chiusi?
Erano finiti i saldi?
Con aria annoiata scese le scale e si diresse verso la
porta, la spalancò con fare altezzoso. Stava quasi per sputare fuori una delle
sue frasi velenose, quando si accorse che dinanzi a lei non c’era suo padre e né
tantomeno Amanda.
Divenne improvvisamente seria.
La giovane ragazza che le era davanti doveva avere diciotto
o diciannove anni, non di più. Aveva ricci capelli biondi e occhi scuri,
profondi ed intelligenti. Era imbarazzata, Eva lo notava, ma non era per quello
che sussultò.
Non era la prima volta che Eva vedeva quella giovane.
-
Ehm, ciao, scusami- iniziò la ragazza, - so che non mi
conosci, e in realtà neanche io ti conosco, però…-
Era la ragazza di quella sera in pizzeria, ne era sicura.
Spalancò tanto d’occhi.
Poi si mise a gridare.
**
Bianca avrebbe voluto tapparsi le orecchie, ma non sarebbe
stata la mossa giusta da fare.
-
Ehi, ehi, non gridare! Non sono una ladra, io voglio
soltanto…-
-
Stai lontana!- gridò la giovane dai lunghi capelli corvini
che le aveva aperto la porta.
Bianca fece un passo indietro alzando le mani in segno di
innocenza, vide la ragazza afferrare una scopa da dietro la porta.
-
Ma sei matta?- domandò, allibita.
-
Perché sei qui? Ti ha mandato lui?-
-
Eh? Lui chi?-
-
Non fare finta di niente!-
-
Cioè ma, dico, stai bene? Sei malata?-
-
Non fingere ho detto!-
La ragazza le puntò minacciosamente la scopa contro, Bianca
stava per cadere dagli scalini.
-
Ehi ascolta, non so per chi tu mi abbia scambiata, ma ti
assicuro che io…-
-
Eri con lui, ti ho vista! Non fare l’innocente!-
-
Ti droghi?-
-
Cosa?-
-
Ti sei fatta? Dì la verità, a questo punto l’ho
capito!-
Bianca incrociò le braccia nervosa, la ragazza tirò
indietro la scopa.
-
Non dire assurdità, - rispose, abbassando il tono, - non mi
drogo. E tu non cercare di cambiare argomento. Sei una di loro forse? Sei venuta
a riprenderti il ciondolo? Sei venuta alla mia festa?-
Ciondolo? Una di loro? Ma di cosa diavolo stava parlando? Bianca
iniziò a pensare che quella giovane fosse fuori di testa e che non fosse lei la
vera padrona di casa.
-
Non ho perso nessun ciondolo, - esordì, - e si, sono venuta
alla tua festa. Sempre che sia stata tu a darla-
La giovane la guardò con aria confusa e interrogativa, mise
via definitivamente la scopa.
-
Non sei una di loro?- domandò, quasi in un sussurro.
-
Una di cosa?- gridò spazientita Bianca.
-
Ssh!-
La fanciulla le mise una mano sulla bocca, poi la tirò
dentro per un braccio, chiudendo con un tonfo la porta.
-
E allora si può sapere chi diavolo sei?-
**
Eva avrebbe voluto credere a quegli occhi innocenti, ma la
sua paranoia
aveva preso di nuovo il sopravvento. Quella giovane era in pizzeria la sera che
erano stati costretti a scappare, e adesso magicamente si trovava a casa sua.
Che fosse solo una coincidenza? Erano forse stati visti?-
-
Mi chiamo Bianca, - iniziò la ragazza, - e tu devi essere
la ragazza che ha dato la festa-
Il tono di Bianca era amichevole, Eva alzò le spalle
altezzosa.
-
Si, sono io- rispose, in un sussurro appena udibile.
-
Oh, meno male! Era proprio te che cercavo!-
Eva la squadrò da capo a piedi.
-
Non sei autorizzata a parlare. Le domande qui le faccio
io-
Bianca sembrava confusa.
-
Credo tu stia sbagliando persona- disse, con il tono
tranquillo con cui ci si rivolge a qualcuno che sta per avere una crisi di
nervi.
-
Io invece credo di no, - ribatté Eva, trascinandola con se
in salotto. La fece sedere sul lungo divano bianco di pelle e si sedette accanto
a lei.
-
Okay, partiamo da una domanda semplice, - iniziò Eva, -
conosci un certo Sergio?-
-
Si-
-
Bene. Questo spiega molte cose-
-
Ma quali cose? Anche tu conosci Sergio?-
La domanda fece sussultare Eva.
-
Tu devi solo rispondere, non fare domande-
-
Non sono in una caserma di polizia. E potresti anche dirmi
come ti chiami e ascoltare il motivo per cui sono venuta qui, invece di farmi
stupide domande. E potresti, inoltre, chiedermi scusa per come mi hai
accolta!-
Le guance della giovane bionda si erano arrossate, Eva si
sentì profondamente in colpa. Evidentemente, quella ragazza non sapeva niente,
né il passato di Sergio e né tantomeno la storia dell’amuleto perduto. E non era
nemmeno una di
loro.
Stava combinando un gran casino. E ora doveva
rimediare.
-
Mi chiamo Eva – disse, sorridendo, - e si, hai ragione,
sono stata davvero scortese. Ma non devi darmi troppo peso, io, sai io… soffro
di paranoia. Non
dovrebbero lasciarmi a casa da sola!-
Eva si morse la lingua, sapeva che inventandosi quella
scenetta non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, ma doveva
tentare.
-
Come lo conosci Sergio?-
-
Sergio? Quale Sergio?-
-
Quello che era con me in pizzeria. L’hai detto tu-
-
Oh! Vecchia conoscenza!-
-
Come hai fatto a ricordarti che c’ero proprio io con
lui?-
-
Lascia perdere! Cos’è che mi dovevi chiedere?-
-
È per caso il tuo ex fidanzato? Sei ancora innamorata di
lui? In questo caso, mi dispiace molto, ma io non lo sapevo. E comunque non
credo di essere più tanto interessata a lui-
Eva finse di pensarci su.
-
Già! Ex fidanzato! È proprio così… la nostra rottura mi ha
distrutto, sai, adesso ho difficoltà a relazionarmi con le persone e così…!- Eva
si lasciò cadere con le spalle sui morbidi cuscini fingendo disperazione, - così
adesso sono caduta in paranoia!- guardò Bianca, parve riaversi per un momento, -
ma non ce l’ho con te perché sei uscita con lui! Non preoccuparti, prenditelo,
sposatelo, scappate insieme! Magari lontano da qui milioni di anni luce!- Eva
sfoderò un sorriso a trentadue denti, si accorse di incutere timore a
Bianca.
-
Non… non voglio scappare con lui- biascicò lei.
-
Ah no?- Eva saltò su, - ma ad ogni modo, non è di lui che
dobbiamo parlare! Perdona la mia accoglienza, dimentica tutto quello che ho
detto, okay?-
-
Beh io in realtà…-
-
Lo so, lo so: non è usuale che una persona si presenti
sull’uscio di casa con una scopa, pronta a malmenarti. È che pensavi tu fossi una di loro!- Eva
tossì, - … una delle sue mille ragazze! Mi fa tanto soffrire questa
situazione!-
Eva tirò su col naso, abbassò lo sguardo, Bianca rimaneva
in silenzio.
-
Ma, dimmi tesoro, come mai sei qui?-
**
Bianca pensava che incontrando Lara aveva incontrato
l’apogeo della follia, ma si sbagliava. Eva, l’affascinante e sensuale riccastra
amica di Riccardo, era un concentrato di follia molto più pericoloso di quanto
Lara avrebbe mai potuto essere nell’intero corso della sua vita. Lara non le
avrebbe mai puntato una scopa contro, al massimo l’avrebbe ricoperta di zucchero
e caramelle gommose. Eva era un’anti-Lara o giù di lì, se ne stava convincendo
osservandola mentre smaniosamente parlava. Aveva cambiato umore nel giro di
venti secondi, prima sembrava una serial killer lucida e calcolatrice, solo
pochi minuti dopo una pazza disperata. Le ipotesi qui erano tre: o era pazza, o
era drogata, o… nascondeva qualcosa.
Sebbene credere che l’ultima ipotesi fosse vera l’avrebbe
messa in ulteriori casini, Bianca era protesa verso quella. Eva nascondeva
qualcosa, oltre ad essere irrimediabilmente matta.
-
Beh, come avrai capito, sono stata alla tua festa l’altra
sera- iniziò Bianca.
-
Oh, gran bella festa, non ti pare?-
-
Si, davvero inusuale- Bianca si schiarì la voce, iniziava a
sentirsi tremendamente in imbarazzo, - e volevo chiederti se, insomma… ho
incontrato una persona-
Eva sorrise accompagnandosi con un movimento del capo.
-
Una persona? Un ragazzo, immagino-
-
Già-
-
Ed era carino?-
-
Molto-
-
Che cosa meravigliosa! Ti ha dato il suo numero di
telefono?-
-
Ecco, il fatto è proprio questo. Non mi ha detto nemmeno il
suo nome-
Eva scoppiò a ridere, Bianca la guardò di sbieco.
-
Tesoro!- esclamò poi, - spero tu non glie l’abbia data-
-
Cosa? No, no!- Bianca arrossì, - non è successo niente.
Volevo soltanto chiederti, ecco, se per caso, ascoltando la mia descrizione,
sapresti dirmi chi è-
Eva rise di nuovo, Bianca si sentì una stupida ingenua.
-
Ascolta, dolcezza, - iniziò Eva poggiandole amichevolmente una
mano sulla spalla, - questo ragazzo, chiunque egli sia, ti ha evidentemente
preso in giro. Com’è possibile che passi una serata indimenticabile con te senza
neanche dirti il suo nome? E’ chiaro che non vuole essere rintracciato. Sai, i
ragazzi sono così… oggi qui, domani lì. Non sai mai come prenderli, e non è
consigliato innamorarsi!-
Eva continuava a sorridere, Bianca scosse la testa.
-
No, non è così. Lui non era come gli altri ragazzi-
-
Parli già da innamorata…-
-
No, Eva, ascoltami. Lui era strano, era diverso. Io ero
sola in cucina a bere un bicchiere d’acqua, e lui d’un tratto entra, come un
miracolo! Fa scorrere la porta ed entra, okay? Ci sei fin qui? Bene. Poi mi
arriva vicino, io non riesco a parlare e nemmeno a respirare, lui è troppo bello
per poter fare qualsiasi cosa, il tempo si ferma e… mi bacia. E poi va via.
Capisci? È stata una magia!-
Bianca non riusciva a credere di aver parlato in modo così
enfatico con una perfetta sconosciuta. Eva sorrise, un sorrisetto
indagatore.
-
Ascolta, Bianca, sono sicura che quello che tu mi racconti
sia vero, - iniziò, con voce smielata, - ma non credo di poterti aiutare -
Bianca curvò gli angoli della bocca in una smorfia che
voleva essere un sorriso o forse un’espressione delusa.
-
Speravo che, se te l’avessi descritto fisicamente, forse tu
avresti potuto aiutarmi-
Gli occhi di Eva si ridussero a due fessure.
-
D’accordo, tesoro, potremmo provarci. Ma non ti prometto
niente… sai, c’era così tanta gente che metà degli invitati non l’ho neanche
incontrata!-
Eva si poggiò con le spalle ai morbidi cuscini, i capelli
si sistemarono sulle spalle in maniera ordinata. Eva guardò Bianca con fare
ammaliante.
-
Avanti, avanti. Dimmi com’è fatto il nostro principe
azzurro-
La parola principe fece sussultare Bianca, la quale
ricordò, come un flash, il primo incontro con Lara.
-
Beh, allora vediamo, era alto forse un metro e ottanta, era
possente, muscoloso…già, si, lo era, aveva lunghi capelli scuri e magnetici
occhi verdi… o castani? Penso siano stati castani. Era di indescrivibile
bellezza, le mani lisce, la pelle lucida, labbra carnose…-
Eva rise sotto i baffi, Bianca smise di parlare e iniziò ad
arrossire.
-
Mi dispiace, tesoro, - disse Eva, trattenendosi dal ridere,
- sai, mi sa di non conoscere il tuo misterioso amante. Non ho mai incontrato
nessuno di indescrivibile bellezza!-
Bianca si sentì una perfetta idiota. Non soltanto si era
introdotta a casa di una pazza paranoica che di sicuro usava sedativi, ma non
aveva risolto un bel niente. Si alzò dal divano con un gesto improvviso che fece
sussultare Eva.
**
-
Oh. Cosa succede tesoro?-
Eva odiava la commedia che stava recitando, ma preferiva
passare per pazza davanti alla sconosciuta che rischiare che lei iniziasse ad
avere dei sospetti.
-
Ti ho rubato troppo tempo, e… beh, devo andare adesso. Non
fa niente per il ragazzo, me ne farò una ragione-
Bianca sembrava delusa e parecchio imbarazzata. Adesso si
stava dando una sistemata alla gonna bianca, fissava il pavimento in preda alla
vergogna. Eva aveva fatto centro: la bambolina di porcellana sarebbe rimasta in
silenzio a rimurginare sulla perdita del bambolotto dei suoi sogni e avrebbe
dimenticato la sua accoglienza e la loro strana conversazione.
-
Mi dispiace così tanto!- Eva si alzò, fece per abbracciare
Bianca, - lo sai, le delusioni d’amore sono le peggiori. Ma cosa vuoi farci! Una
ragazzina simpatica e ingenua come te… è così semplice che venga ingannata! Ma
c’è tempo affinché tu possa imparare come sono fatti gli uomini, tutti
approfittatori!-
Eva si accorse che Bianca non la seguiva più, era come
persa nei suoi pensieri. Gli occhi erano accesi di una strana luce, il passo
deciso mentre camminava verso la porta d’ingresso.
-
Grazie del tempo che mi hai dedicato, Eva. Mi ha fatto
piacere conoscerti-
Eva aprì la porta, Bianca fece un passo fuori, poi le tese
la mano.
Eva la guardò per qualche secondo, poi glie la afferrò con
sicurezza.
-
Anche per me è stato un vero piacere. Torna a trovarmi
quando vuoi! E… Bianca!-
-
Si?- Bianca si stava già allontanando lungo il vialetto di
ghiaia, - dimmi pure-
Eva si schiarì la voce.
-
Non dire a Sergio di avermi conosciuto-
-
Perché?-
-
Non mi va. Sai, è meglio per entrambi se le nostre vite
rimangano separate in tutto e per tutto-
-
Come vuoi-
-
Grazie mille-
-
Grazie a te. Ciao!-
-
Ciao tesoro!-
Eva vide Bianca uscire dal grande cancello lasciato aperto,
poi richiuse velocemente la porta e si poggiò ad essa, incredibilmente
sconsolata. Non si credeva capace di recitare una simile commedia, passare da
una stato di euforia omicida a quella di povera psicopatica agli arresti
domiciliari. Di sicuro Bianca aveva pensato di avere a che fare con una poco di
buono, ma non le importava. Le cose fondamentali erano due, in primis, Bianca
non sapeva niente del passato di Sergio e non era una spia, e poi, Sergio si era
rifatto una vita.
Girò la chiave nella toppa e risalì le scale verso la sua
camera.
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Capitolo 7 *** Ricordami sempre come il tuo unico amore ***
calibri cap 7
Bianca
camminava lentamente, si godeva la luce del crepuscolo. Il caldo era scemato, ed
anche il suo entusiasmo. Dopo il suo incontro con Eva, tutto le pareva più
assurdo di prima. Com’è che Sergio aveva frequentato una psicopatica del genere?
Bianca si stava abituando ad avere a che fare con le persone folli, ma mentre
con Lara ed Ariel era sempre avvolta in un mistico velo di felicità surreale,
con Eva non era stato così. Eva le pareva un normale essere umano con gravi
disturbi psicologici, non un folletto canterino o che so io proveniente da una
terra lontana. Ripercorse velocemente il loro dialogo: dapprima stava per
colpirla con la scopa incolpandola di chissà che cosa, poi si era
improvvisamente calmata mascherando il tutto con l’idea della paranoia da
ragazza mollata. Non che non potesse essere vero, ma la lucidità con la quale
l’aveva accolta le pareva improbabile se paragonata al resto dell’incontro.
Quando le aveva aperto la porta, Eva era normale. Solo dopo un attimo, quando si
era accorta di averla già vista in quel ristorante con Sergio, era impazzita.
Bianca si chiedeva ancora come avesse potuto riconoscerla! Aveva fatto così
tanta attenzione a lei? Bianca non ricordava affatto di aver visto Eva quella
sera in pizzeria.
Era
davvero come le aveva detto? Era impazzita dopo che Sergio l’aveva mollata? In
definitiva, sebbene la storia sembrasse un tantinello assurda, sarebbe potuta
essere vera. Aveva già sentito di certe ragazze che avevano completamente
cambiato modo di fare dopo una rottura. Certo, a suo giudizio erano davvero
delle stupide, ma poteva capitare. Forse Eva era davvero innamorata di Sergio.
Un altro particolare le tornò alla mente. Eva aveva fatto riferimento alle mille ragazze di Sergio, accusandola di
essere una di loro. Che Sergio fosse
una persona del genere? Un latin lover? Che la stesse soltanto usando? Bianca
non riusciva a conciliare l’idea che aveva di Sergio con il breve schizzo
offertole dalle poche parole di Eva. Non poteva essere così, Sergio era senza
dubbio un ragazzo serio: studiava, aveva un lavoro, si occupava responsabilmente
di se. E se le avesse mentito? Se lavorava per pagarsi l’affitto e non studiava
un bel niente? No, era impossibile. Bianca si rifiutava di credere che un
ragazzo tanto carino fosse capace di dire queste bugie, e poi che motivo ne
avrebbe avuto? Non poteva fare colpo sulle ragazze anche dicendo la verità?
Considerando quant’era carino, non l’avrebbero di sicuro lasciato andare solo
perché non studiava. No, Sergio non poteva mentire. Dunque era stata la follia
di Eva a parlare, e non la realtà dei fatti. Essendo stata mollata,
evidentemente Eva non riusciva ad immaginare che Sergio avesse potuto avere, in
futuro, relazioni con altre ragazze. Quindi, per difendersi, aveva elaborato di
lui una contorta immagine solo per convincersi di essersi liberata di uno
schifoso dongiovanni e non di un romantico giovane. Se ammetteva per un secondo
che Eva fosse folle, allora questo era sicuramente vero. Ma sebbene Bianca
stesse tentando di convincersi in tutti i modi della follia di Eva, c’era sempre
qualcosa che non quadrava, anche se non riusciva a capire cosa. Era come se Eva
avesse tremendamente paura, come se qualcosa di terribile le stesse
succedendo.
Scosse
la testa liberandosi da quei pensieri quando giunse dinanzi al cancello di casa
sua. Aprì la cassetta della posta con fare annoiato e ci trovò una lettera.
Sopra non c’era scritto niente, né mittente né destinatario. Bianca si guardò
intorno, tenne in mano per qualche momento la candida busta senza riuscire a
capire. Avevano sbagliato cassetta? Non le pareva una cosa possibile, in quanto
se ci fosse stato sopra almeno un nome, non ci sarebbe stata possibilità di
errore. Non c’era sopra nemmeno in francobollo, questo significava che la
lettera non era stata spedita, ma infilata direttamente nella buca delle
lettere. Che fosse un qualche messaggio per Stefano? Curiosa, Bianca tirò fuori
le chiavi e dopo aver attraversato il cortile, aprì la porta del palazzo e salì
le scale fino a raggiungere il proprio appartamento. Aprì la porta, annunciò
alla famiglia di essere tornata e poi si rinchiuse nella sua camera. Si guardò
intorno come se temesse di essere spiata, poi aprì la busta e ne estrasse un
foglio di carta, piegato in quattro. Era alquanto stropicciato, come se la
lettera fosse stata rimaneggiata varie volte prima di essere messa in quella
busta. Poi si decise a leggerla.
Caro
amore,
non
conosco niente della tua vita. Hai ragione tu. Mi sono comportato da smidollato,
da sconsiderato, da folle. Ma come puoi biasimarmi? All’improvviso mi hai detto
di non cercarti più, di sparire dalla tua vita e non mi hai neanche detto il
perché. Cosa sta succedendo, amore? E’ stata forse colpa mia? C’è qualcosa che
ti fa paura?
Io
non ti conosco, hai ragione tu.
Già,
hai proprio ragione, amore. Ma forse non è necessario conoscere una persona per
innamorarsi. Non è necessario che io ti conosca, io già ti amo. Ho amato l’aria
che respiravi dalla prima volta che ti ho visto. Mi hai detto che ho sbagliato,
che ho sbagliato tutto, che ho sbagliato a venire a quella festa. E se ti dico
che mi sono ritrovato lì per caso, tu non mi credi. Già, perché dovresti credere
alla storia di un folle innamorato che racconta di essersi ritrovato di notte
per caso ad una festa in maschera in grande stile, e di aver visto lì la donna
dei suoi sogni? Oh, sei una bugiarda. Hai il coraggio di dirmi che sono un pazzo
quando a quella festa c’eri anche tu. Ricordo il tuo vestito d’avorio, i tuoi
capelli, il tuo odore, la tua maschera argentea luccicante. Eri una regina
vestita da stella. Eri la più bella del mondo, eri la più bella cosa che io
abbia mai visto nella mia intera vita. Mi hai detto che nella mia vita vedrò
molte cose più belle di te, ma non ci credo. No, non può essere, non può essere!
Non riesco ad immaginare un secondo della mia vita senza di te, non riesco ad
immaginare un discorso senza il tuo nome. Non riesco più a percorrere le strade
che abbiamo percorso insieme, perché ogni passo non fa altro che aumentare la
mia follia, la mia innaturale voglia di rivederti. Inizio ad avere l’insonnia.
Non dormo di notte, non dormo di giorno, non dormo mai. Ho le occhiaie fino alle
labbra, non studio più. Ho saltato due esami nell’ultimo mese. I miei amici non
mi riconoscono più, vogliono che vada da un medico. Ma c’è una sola persona in
grado di salvarmi, e quella sei tu. Dov’è che sei scappata? Perché non torni da
me?
Aspetterò
tutta la vita se necessario. Ma non ti aspettare che io mi arrenda, non posso. Mi lascerò
morire.
Ti
amo.
Tuo,
Càlibri.
Bianca accarezzò con la
punta delle dita quelle parole come se fossero rivolte a lei. Gli occhi le si
fecero lucidi per un attimo, poggiò la lettera sulla scrivania e la osservò da
lontano inerme, con le mani poggiate sul grembo.
Non
aveva mai letto una cosa del genere prima d’allora.
Iniziò
a chiedersi chi fosse questa Amore e chi fosse Calibri. A pensarci bene, non
aveva mai conosciuto una persona di nome Calibri. Ma forse era uno pseudonimo,
un nomignolo che aveva utilizzato il ragazzo come segno di riconoscimento. Rise
per un attimo, immaginando Amore e Calibri vestiti con abiti ottocenteschi, lei
alla finestra di un grande palazzo nobiliare e lui nel cortile di questo,
inginocchiato dinanzi alla finestra con in mano la busta della
lettera.
Se
non avesse parlato di esami, Bianca avrebbe sospettato che si trattasse davvero
di una lettera vecchio stile. Insomma, oggi giorno chi scriverebbe una lettera
tanto appassionata con tanto di pseudonimo?
Bianca
si accostò di nuovo alla lettera, lesse qualche rigo alla rinfusa e sorrise
dolcemente.
Chissà
perché Amore l’aveva lasciato all’improvviso. Se si fosse trattato di un film o
di un romanzo, probabilmente la giovane ragazza era stata scoperta dal padre che
la voleva sposata con un ricco e anziano gentiluomo e l’aveva costretta ad
andare via dal paese. Così lei, per non mettere in pericolo la vita del suo
uomo, il quale sapendo la verità si sarebbe battuto per sposarla e per farla
rimanere in città, gli aveva mentito dicendole di dimenticarla per
sempre.
Tipica
scena da commedia romantica.
Ma
oggi giorno, nessuno mente al proprio amato solo per proteggerlo. Non esistono
queste cose: si mente al proprio amato solo per fargli del male, d’altronde le
bugie in amore non hanno mai portato a niente di buono.
Dunque,
perché Amore l’aveva lasciato?
Forse
era una pazza psicopatica dalla personalità multipla, una specie di Eva. Un
giorno lo amava e un altro giorno no. E dunque, in preda a queste crisi di
follia, gli aveva detto di non amarlo e di lasciarla in pace per sempre. Se
Calibri avesse saputo della sua follia, non si sarebbe innamorato di lei e
l’avrebbe guardata da lontano compatendola, ripetendo nel cervello “povera
matta, è bella ma matta!”. Che poi, per quale assurdo motivo Calibri non sapeva
come era giunto alla festa in maschera dove aveva incontrato per la prima volta
Amore? Forse era ubriaco. Già, forse era arrivato ubriaco in una delle
discoteche del quartiere credendo di essere in un castello incantato, ad una
festa in maschera. Se pur fosse andata così, smaltita la sbornia non avrebbe
dovuto ricordare niente di tutto quello che aveva fatto la sera precedente, o
comunque avrebbe dovuto rendersi conto che non si trovava ad una festa in
maschera ma semplicemente in discoteca. Oppure era lui il matto. Uno di quegli
psicopatici che perseguitano le ragazze.
Avrebbe
voluto sapere se Calibri era davvero il nome del ragazzo o se era solo uno
pseudonimo, come lei credeva. Doveva essere un ragazzo davvero romantico per
usare uno pseudonimo in una lettera d’amore. Faceva tanto amor cortese,
letteratura bretone…
Bianca
prese tra le mani la busta dentro la quale aveva trovato la lettera. Il fatto
che non c’era il francobollo iniziò a farla insospettire.
Calibri
aveva sbagliato indirizzo. Credeva che Amore abitasse lì, in casa sua, ma aveva
sbagliato.
Le si
strinse il cuore, avrebbe tanto voluto incontrare Calibri per dirle che aveva
sbagliato casa. Forse Amore abitava nel suo stesso palazzo e Calibri aveva
sbagliato solo ad imbucarla. Si, poteva essere così. Cosa avrebbe dovuto fare?
Bussare a tutte le porte e chiedere se conoscevano un certo Calibri? Sarebbe
stata una cosa ridicola, e se pure fosse riuscita ad incontrare Amore, dal
momento che lei aveva lasciato Calibri, di sicuro non avrebbe ammesso di
conoscerlo e non avrebbe preso la lettera. Si trovava in un cunicolo ceco, senza
via d’uscita.
Piegò
la lettera, la ripose nella busta e la conservò nel cassetto della sua
scrivania. Immaginava che un giorno Calibri avrebbe bussato alla sua porta
chiedendole di restituirgli la sua lettera, e di certo sarebbe stato un
bell’incontro. Ma cosa poteva fare lei, adesso? Non poteva recapitare la lettera
alla reale destinataria, non poteva rintracciare Calibri. Non c’era un bel
niente che lei potesse fare.
-
Bianca!
Vieni a darmi una mano!-
La
voce della mamma risuonava dal fondo del corridoio, Bianca chiuse il cassetto
della scrivania.
-
Arrivo!-
…
Eva
passò lo sguardo dal bicchiere di aranciata al cameriere che la poggiava sul
tavolino davanti a se. Lo guardò più volte, in religioso silenzio, e nello
stesso silenzio esaminò il bicchiere di aranciata. Stava controllando che tutto
fosse perfettamente in ordine, come le piaceva. Amanda, seduta di fronte a lei,
pareva indifferente. Sorrise al giovane cameriere prima di ringraziarlo, poi
prese il bicchiere di aranciata e bevve un lungo sorso.
Il
caldo si faceva finalmente sentire. Il pomeriggio volgeva al termine e
finalmente Amanda si era fatta coraggio ed era uscita di casa, sfuggendo alla
sua segregazione forzata. Eva aveva il viso rilassato, pareva essersi liberata
della sua paranoia. Erano passate ventiquattro ore dal suo strambo incontro con
Bianca e le cose procedevano normalmente. Ovviamente, non aveva fatto parola né
con Amanda e né con suo padre di quanto accaduto. L’avrebbero sicuramente
accusata di essere stata troppo impulsiva.
-
Ti
vedo tranquilla- esordì Amanda, poggiando il bicchiere sul
tavolino.
Eva
sospirò, rivolse ad Amanda un sorriso sincero.
-
Non
sono pazza come voi credete, - iniziò
Eva, modulando il tono della voce, - e per una volta ho deciso di darvi ascolto.
Non mi preoccuperò. Ma nel caso dovesse succedere qualcosa di spiacevole, allora
non potrete rimproverarmi come tanto vi piace fare. Vi avevo
avvertiti-
Agli
occhi di Amanda, Eva pareva rassegnatasi nel ruolo che le era capitato, quello
della povera pazza incompresa. Dal canto suo, Eva sapeva che la sua reale
tranquillità scaturiva dal fatto che Bianca non si fosse più fatta viva e che
quindi non aveva messo in pericolo nessuno.
-
Non
devi preoccuparti, Eva. Tutto è perfettamente normale-
-
Non
sembrava la pensassi così, qualche giorno fa-
Eva
bevve un lungo sorso di aranciata senza staccare gli occhi da Amanda, la quale
sembrò imbarazzata. Non le piaceva che Eva facesse riferimento alle sue fissazioni.
-
Le
mie, a differenza delle tue, sono delle paure reali- rispose pacata
Amanda.
-
A
me non sembra-
-
Lasciamo
perdere. Non voglio litigare con te-
Amanda
rivolse gli occhi alla statua di Piazza Bellini, alla sua destra. Una leggera
folata di vento fece danzare i fiori, vedeva i turisti attraversare la piazza.
Molti di questi si fermavano nel loro stesso bar, prendevano un tavolo non molto
distante dal loro e si godevano la serata.
Eva
rise sotto i baffi.
-
Hai
ragione, neanche io voglio litigare con te-
La
frase della giovane colpì Amanda, che ridestandosi la guardò interrogativa. Era
la prima volta da quando era tornata che Eva non le pareva sulla difensiva.
Forse questo era il momento adatto per chiedere, per sapere finalmente cosa era
successo quando due anni prima aveva lasciato la città. Si fece coraggio, sapeva
che l’argomento avrebbe potuto aizzare la belva che dormiva dentro
Eva.
Si
schiarì le voce.
-
Eva,
ascolta…-
-
Si?-
-
C’è
una cosa di cui avrei tanto voluto parlarti-
Eva
non si scompose, posò il bicchiere davanti a se, poggiò il mento in una mano e
la fissò.
-
Dimmi
pure-
Amanda
abbozzò un sorriso.
-
Sai,
non abbiamo mai, ehm, parlato di quando io, cioè…-
-
Di
quando sei andata via?-
-
Già-
-
Penso
tu sappia già tutto-
Amanda
sospirò, il tono di Eva si era indurito.
Come
non detto.
-
Beh,
si, ma solo sommariamente- mormorò, cercando di intenerirla, - lo so che non ti
piace parlarne-
-
No,
infatti-
-
Ma
non credi che io abbia il diritto di sapere?-
Il
silenzio calò tra loro, Eva si leccò le labbra, si poggiò allo schienale,
incatenò Amanda a se con uno sguardo fulminante.
-
No,
Amanda. Non hai nessun diritto nei miei confronti-
Amanda
sentì il suo cuore rompersi come uno specchio. Mille pezzi affilati cadevano
ovunque, lacerandola.
-
L’unica
cosa che ti è data sapere, - continuò fredda Eva, - è che ti ho liberato dal più
grosso guaio della tua vita. E credo tu debba essermi
riconoscente-
-
E
lo sono, - rispose pronta Amanda, - ma il fatto che è io non so
se…-
Eva
scosse la testa.
-
Lascia
perdere, okay? Sei stata tu a dirmi di voler dimenticare
tutto-
-
Lo
so, però…-
-
Dimmi
la verità, Amanda. Tu non ci riesci-
-
Come,
scusa?-
-
Non
riesci a dimenticare. E vuoi che io ti parli del passato così da assaporare quei
momenti. È tutto finito, non lo capisci? È finito-
Amanda
sentì le lacrime fare capolino nei suoi occhi.
Eva
allungò la mano sul tavolino fino a sfiorare la sua. Amanda alzò gli occhi
lucidi verso di lei.
-
Ascoltami,
Amanda, questa è la cosa migliore. È la cosa migliore per
tutti-
…
Era
stata una pessima idea chiedere a Stefano di unirsi a loro: adesso Bianca si
ritrovava al centro tra discorsi che non le interessavano neanche un po’, e come
se non bastasse, il flirt tra suo fratello e Lara sembrava inarrestabile. Ma
dov’era Ariel quando serviva? Se ci fosse stato, probabilmente ad un’occhiata
ammiccante di Bianca avrebbe sfoderato una di quelle sue frasi perfette, di
quelle che distolgono l’attenzione e cambiano le carte in tavola. A detta di
Lara, però, Ariel quel giorno era impegnato con chissà chi. Ma quanta gente
conoscono, questi qui?, si chiedeva Bianca. Lara aveva detto che soggiornavano
da alcuni suoi cugini, mentre altri parenti di Ariel che vivevano in città
facevano di tutto per passare un po’ di tempo con lui. Che strana coincidenza,
sia i parenti di Ariel che quelli di Lara abitavano a Napoli. La cosa la
incuriosiva, e non poco. Com’è che dei parenti di un lontano principe vivessero
qui in incognito? O non erano parenti poi così prossimi, o non vivevano in
incognito. Erano soltanto, beh, sconosciuti. In definitiva, Bianca non aveva mai
sentito parlare di Ariel, e non sapeva da quale paese provenisse.
Scosse
la testa. Nel momento stesso in cui le venivano in mente quei pensieri,
rifletteva sulla loro assurdità. A volte si svegliava al mattino pensando che li
avesse solo sognati, che non fossero mai esistiti nella realtà. Poi però in
fretta e furia si alzava e si preparava per il lavoro, e così veniva travolta
dal mondo reale e non aveva più tempo di riflettere sui frutti della sua
fantasia.
Per
fortuna via Roma era terminata e davanti a loro si apriva Piazza Dante, da cui
erano partiti quel pomeriggio. Stefano sorrise a Lara, stavano ancora blaterando
di chissà che cosa. Bianca diede un’occhiata distratta
all’orologio.
-
Spero
io sia stato esaustivo nelle spiegazioni!- esclamò Stefano, Lara piegò la testa
da un lato sorridendo, come una bambina alla quale si regala una
caramella.
-
Sei
stato bravissimo, e conosci un sacco di cose! È stato un pomeriggio molto
interessante, grazie Stefano!-
Bianca
rimaneva in silenzio a guardare quei saluti smielati, si sedette ai piedi della
statua di Dante Alighieri con il viso tra le mani, Stefano le lanciò un’occhiata
ambigua.
-
Ehi,
adesso devo proprio andare, ma tu perché non rimani un altro po’ con Bianca?
Sono sicura che le farebbe piacere portarti a vedere il
Conservatorio-
-
Eh?-
Bianca
si ridestò non appena sentì le parole del fratello. Lara guardò Bianca come se
fino a quel momento non si fosse accorta della sua
presenza.
-
Oh,
sarebbe meraviglioso!- commentò poi, saltellando felice. Bianca lanciò
un’occhiata fulminante a Stefano. Di certo quello che aveva voglia di fare in
quel momento non era restare ancora in giro per la città dopo un’asfissiante
pomeriggio.
-
Cosa
ne dici, Bianca?- la punzecchiò Stefano.
Bianca
sospirò.
-
Va
bene. Insomma si, okay, andiamo a vedere il Conservatorio-
La
sua voce tradiva qualcosa, ma Lara sembrò non accorgersene
affatto.
-
D’accordo
sorellina, allora ci vediamo più tardi-
-
Ciao
Stefano-
Lara
salutò Stefano con un abbraccio caloroso che lo fece arrossire. Bianca avrebbe
voluto ridere, ma si trattenne. Quando finalmente Stefano fu abbastanza lontano,
anche loro ripresero a camminare. Lara pareva al settimo cielo, Bianca dimenticò
il suo malumore. Lara le faceva sempre lo stesso effetto.
Si
incamminarono verso Port’Alba, Lara si fermava ogni due secondi per ammirare le
bancarelle, i libri, la strada.
-
Come
mi piacerebbe vivere qui- commentò, quasi come se stesse parlando con se stessa.
Bianca rimase colpita dalla sua voce per niente smielata.
-
Non
vorresti tornare a casa tua?- chiese istintivamente.
Lara
parve riflettere.
-
Sai
Bianca, dove vivo io la vita è tutta diversa. È come se fosse sfocata, mi
capisci? Da quando sono venuta qui, è come se stessi vivendo
davvero-
-
Vivi
alla corte di Ariel?-
Lara
alzò le spalle con un sorriso.
-
Si,
per alcuni periodi vivo con lui. Ma cambio spesso casa-
-
Come
mai?-
-
I
miei genitori si spostano molto, a loro piace viaggiare. Ma questo viaggio,
questo è stato necessario che io lo facessi da sola. Cioè, con Ariel
–
-
I
tuoi sono dei tipi severi?-
-
Non
li definirei severi. Nessuno da noi è
severo-
“Da
noi”. Ma dov’era che viveva, questa Lara? Dalle sue parole spesso traspariva una
saggezza che Bianca non avrebbe immaginato. Dietro quella sua enorme voglia di
vivere si nascondeva forse la sua reale personalità, la sua temperanza, la sua
ragionevolezza. Tutti i ricordi di una vita che Bianca non riusciva, nonostante
gli sforzi, ad immaginare. Lara era vissuta come una principessa alla corte di
Ariel? Tra di loro c’era mai stato qualcosa?
-
Lara,
ascolta-
-
Si?-
La
giovane si voltò, guardo Bianca interrogativa e
tranquilla.
-
Tu
ci credi alle lettere d’amore?-
Bianca
si stupì della sua stessa domanda. Era stato come se le parole fossero venute
fuori da sole. Ripensò con fulminea velocità alla lettera di Calibri, quasi come
se Lara potesse darle delle risposte.
-
Certo
che ci credo- rispose Lara, - l’amore è una cosa
importante-
-
Tu
credi?-
-
Certo.
Tu non ci credi nell’amore?-
Bianca
ebbe qualche momento di esitazione.
-
Beh,
vorrei crederci. Ma sai come va il mondo, no? E’ come se ti spingesse a non
crederci più-
Lara
sorrise, un sorriso nostalgico. Sembrava stesse riflettendo su qualcosa di
lontano e invisibile.
-
Non
tutte le storie possono essere felici, Bianca. Ma questo non significa che
l’amore non esista-
Bianca
guardò Lara negli occhi, lei sorrise.
-
Ti
va se ti racconto una storia?- propose poi. Bianca sembrò colpita dalla sua
domanda, ma con un cenno del capo acconsentì.
-
C’era
una volta una fata. Una fata vera, di quelle con le ali e la bacchetta magica.
Un giorno, scese sulla Terra per esplorare il mondo e si innamorò di un giovane
mortale. Tutti sanno che le fate non possono intrattenere rapporti con i
mortali, ma alla nostra fatina non importava. Si era talmente innamorata che
avrebbe volentieri rinunciato alle sue ali e alla sua magia, se questo
significava restare con il suo amato. Ovviamente, non gli aveva confessato nulla
sulla sua vera identità. Nel mondo delle fate vigevano regole severe: non era
possibile per nessun motivo al mondo, neanche per amore, confessare ai mortali
una cosa del genere. La fata pensò che fino a quando riusciva a mantenere il
segreto, sarebbe rimasta sulla Terra con lui, ma poi si rese conto di non poter
continuare così. Un rapporto d’amore è basato innanzitutto sulla fiducia, e non
poteva mentire al suo amato. D’altro canto però, non poteva nemmeno rivelargli
la verità: questo avrebbe significato mettere in pericolo la vita di tutte le
altre fate. Così, un giorno, sebbene il cuore le si spezzasse, decise di
abbandonarlo. Gli fece un lungo discorso dove gli spiegava stava per partire per
un paese lontano e non sarebbe più tornata, dunque lui avrebbe fatto bene a
dimenticarla. Il ragazzo uscì fuori di senno, iniziò a tormentarla chiedendole
di restare o almeno di portarlo con se. Ma lei non poteva portare il suo amato
nel mondo delle fate, dove stava per fare ritorno. Così un giorno, lasciò la
casa nella quale aveva vissuto quel poco tempo sulla Terra, e volò via. Sebbene
lui sapesse che lei se n’era andata, ogni giorno si recava davanti a quella casa
e lasciava una lettera d’amore nella cassetta della posta. Sapeva che lei non
avrebbe mai letto quelle lettere perché ormai era andata via, ma nel suo cuore
non morì mai la speranza di poterla rivedere, un giorno lontano. La fata non
seppe mai di quelle lettere, e sebbene soffrisse molto, si convinse di aver
fatto la scelta giusta. Continuò a sperare che lui potesse trovare una ragazza
che lo meritasse, che non avesse da nascondergli niente e che poteva in tutto e
per tutto amarlo. Passarono più di otto mesi da quando lei se n’era andata, e il
ragazzo si rassegnò. Non scrisse più lettere e né si recò più in quella
casa-
Bianca
sentì una stretta al cuore, immaginò la cassetta della posta piena di lettere
che nessuno aveva letto. Immaginò Amore, che non aveva letto la lettera di
Calibri e probabilmente non l’avrebbe mai fatto, e tutto solo per uno stupido
errore. Una inspiegabile tristezza le cadde addosso.
-
E
lei non è più tornata?- domandò con un filo di voce.
Lara
scosse la testa.
-
No,
mai più-
-
E
lui ha trovato un’altra ragazza?-
-
Non
lo so-
Bianca
sospirò, Lara le poggiò una mano sulla spalla.
-
Vedi,
Bianca, spesso l’amore è così.
Imprevedibile e folle. Ma te la sentiresti di dire che l’amore tra il ragazzo
mortale e la fata non fosse vero? Di sicuro lo era. E forse, se avesse potuto
funzionare, sarebbe diventata una delle più belle storie d’amore di sempre. Ma a
volte l’amore è così. Ma non bisogna
smettere di crederci-
Bianca
parve riflettere per qualche momento.
-
Come
facciamo a credere all’amore se tutte le storie che ci raccontano finiscono
male?-
-
Come
dici?-
-
Ogni
storia d’amore che si rispetti ha un finale tragico, anche la tua. Pensa a Romeo
e Giulietta, Paolo e Francesca. Di certo rimani affascinato dalla loro passione,
ma che conclusione hanno? La morte-
Lara
non si scompose.
-
Se
non avessero questi finali probabilmente non sarebbero nemmeno diventate storie
famose-
Bianca
si voltò si scatto verso di lei, la guardò con aria
interrogativa.
-
Perché?-
domandò.
-
Pensa
se Romeo fosse arrivato al capezzale di Giulietta solo qualche minuto dopo.
L’avrebbe trovata sveglia, e insieme sarebbero scappati. Non ci sarebbe stato
niente da raccontare, avrebbero vissuto una vita normalissima e la loro
avventura giovanile sarebbe stata velocemente dimenticata-
-
Ma
non si possono preferire per questo i finali tragici-
-
Non
tutti i racconti d’amore finiscono male. Cenerentola sposa il
principe-
-
Ma
quella è una favola-
-
E
dunque?-
-
Non
si possono far piangere i bambini, e dunque deve finire bene per
forza-
-
Non
è vero. Conosci la vera storia della Sirenetta? Il principe si innamora di
un’altra fanciulla e lei si pugnala e diviene spuma del mare. Anche questa è una
favola-
-
Questa
è la cosa più triste che io abbia mai sentito-
Si
fermarono, canti melodiosi provenivano dalle alte mura del Conservatorio. Lara
alzò lo sguardo verso la grande struttura, la osservò
ammirata.
- Perché mi fai queste
domande sull’amore?- chiese d’un tratto.
Bianca
alzò le spalle.
- Non lo so. Ma tu
sembri una che ne capisce-
Lara rise
divertita, per la prima volta Bianca la vide sotto una luce diversa, come
se non sembrasse
poi tanto infantile.
- Beh, invece io non ne capisco proprio
niente-
- Non sembrerebbe da come ne
parli-
- Mia madre mi ha raccontato molte
storie, ho letto molti libri. Ma non ho mai vissuto l’amore. Per questo sono
venuta fin qui, sai? –
- Per vivere
l’amore?-
- Per vivere. Vivere
finalmente-
Bianca meditò
sulle parole di Lara, sul suo finalmente. Cosa era successo nel suo
passato?
Voltò la
testa, vide due giovani ragazze allontanarsi dal bar di Piazza Bellini, alle sue
spalle. Riconobbe in una di loro Eva.
- Bianca? Dove
vai?-
- Vieni con me, Lara. Ti
presento una persona-
...
Eva
tirò Amanda per un braccio, sentiva il sangue ribollire nelle vene. Eccola. Era
lei. No, aspetta un momento, non poteva essere lei. Di sicuro si stava
impressionando, era un brutto turco della sua mente. Si stava dirigendo verso di
loro, ma era una stupida coincidenza. C’era un’altra ragazza che le camminava
accanto, una giovane dai capelli rossi e l’aria infantile. Per un attimo le
venne da ridere. Da dove diamine l’aveva pescata? Amanda voltò gli occhi verso
ciò che Eva stava guardando. La riconobbe in un istante, come era successo anche
ad Eva il giorno prima. Era impressionante come le cose che ci colpiscono
rimangono intatte nella nostra memoria.
Bianca
si fermò la pochi passi da loro, Amanda sbiancò.
-
Eva...-
sussurrò tra i denti.
-
Tranquilla,
la conosco- fu costretta a
confessare la giovane, in un mormorio poco chiaro.
-
Che
cosa?-
Amanda
avrebbe voluto gridare, ma ormai Eva era ad un palmo dalla giovane
biondina.
-
Ciao,
Eva – salutò Bianca, con un luminoso sorriso.
Eva
sorrise a sua volta, si chinò verso Bianca per baciarle le
guance.
-
Bianca!
Ciao, come stai?-
Amanda
fissò Lara per un secondo che parve interminabile, sembrò annegare dentro i suoi
occhi celesti. Eva si accorse a malapena di quell’occhiata, era ancora impegnata
nei convenevoli.
-
Cosa ci fai da queste parti?- chiese poi Eva, portandosi le mani sui
fianchi.
-
Oh, sono in giro con la mia amica Lara. È straniera, ed è la prima volta che
viene in città. La porto a fare un giro turistico. Lara, ti presento Eva, la
ragazza della festa. Eva, questa e Lara -
**
Bianca
s’aspettava che Lara iniziasse a fare la caramellosa come ben sapeva fare,
invece arrossì tutta, e senza staccare gli occhi dalla ragazza dai capelli
ramati strinse timidamente la mano di Eva. Bianca si chiedeva cosa le stesse
succedendo, sembrava stregata dalla giovane che accompagnava
Eva.
-
Piacere, Lara!-
-
Molto piacere-
La
voce di Lara era un sibilo confuso, Bianca era confusa.
Eva
fece ondeggiare la lunga chioma, sorrise di nuovo.
-
E tu cosa ci fai in giro?- chiese Bianca.
Eva
strinse il braccio della ragazza dai capelli ramati.
-
Oh, solo una passeggiata! Non sopporto di restare troppo tempo in
casa-
-
Capisco. E’ tua sorella?-
La
domanda fu spontanea, Bianca non seppe trattenerla.
-
Si- si affrettò a rispondere Eva, - lei è mia sorella, Amanda. Amanda, lei è
Bianca. Te ne ho parlato, ricordi?-
Amanda
sorrise appena, strinse la mano di Bianca.
-
Certo che ricordo. Piacere di conoscerti, Bianca-
-
Il piacere è mio-
**
Amanda
strinse la mano di Bianca, si chiese dov’è che Eva l’avesse conosciuta e perché
non glie ne avesse parlato subito.
Eva
e Bianca chiacchierarono per qualche altro momento, lei continuava a fissare la
giovane che si chiamava Lara, che imitava il suo silenzio.
-
Mi piacerebbe se ci incontrassimo qualche volta- disse Bianca, amichevole verso
Eva.
Amanda
sussultò, sentì che Eva aveva fatto lo stesso. Aveva assunto la sua tipica
espressione non entusiasta, ma Bianca non poteva accorgersene.
-
Ci mancherebbe altro, tesoro. Buona passeggiata, e buona vacanza,
Lara!-
Lara
salutò con la mano senza aprire bocca, Bianca abbracciò calorosamente Eva.
Eva
le guardò allontanarsi verso Piazza Dante, tirò un sospiro di sollievo. Dovevano
capitare tutte a lei. Si detestava in quel momento per non aver detto niente ad
Amanda, ma l’aveva fatto esclusivamente per il suo bene. Se l’avesse fatto, non
solo sarebbe stata rimproverata, ma Amanda avrebbe passato un’altra settimana
chiusa in casa ciondolandosi nei suoi invisibili problemi. Aveva cercato solo di
fare la cosa giusta. C’era forse qualcosa di male nel cercare di preservare le
persone che si amano? Certo, non è che per Amanda provasse questo fortissimo
sentimento, ma non poteva mentire a se stessa e chiudersi nei cinismo: Amanda la
influenzava, e se due anni prima aveva affrontato guai fino al collo, era stato
solo per proteggerla.
Amanda
le lanciò un’occhiata fulminante, Eva sospirò.
-
Lo so, lo so. Scusami. Ti prometto che ti racconterò tutto okay? Basta che non
vai in escandescenza. Non ti sopporto quando fai così. Ehi ma che hai? Stai
bene? –
-
Si si, sto bene, non preoccuparti-
Amanda
non sembrava interessata alle scuse e alle spiegazioni di Eva, sembrava avere i
pensieri tutti da un’altra parte.
-
Perché non mi stai sgridando? Ti senti bene? Oh, ecco, ho capito, stai pensando
a quella ragazza. Lara. Che c’è? Che ha che non va?-
Amanda
lanciò un’occhiata infuocata ad Eva, sorrise debolmente.
-
Niente-
rispose, in un sussurro sdolcinato.
Eva
la strinse per un braccio.
-
Amanda,
- e chiamandola per nome si fermò, guardandola dritto negli occhi, - dimmi la
verità-
Amanda
alzò le spalle con un sorriso innocente.
-
E’
una di noi-
…
Stanca
come non mai, Bianca si diresse verso casa dopo aver lasciato Lara alla fermata
della metropolitana. Avrebbe voluto accompagnarla a casa, ma lei glie lo aveva
impedito. Aveva detto che non c’era nessun problema se andava a casa da sola,
dopotutto stava imparando a conoscere la città. Bianca in realtà era solo
curiosa di sapere dove alloggiava e chi erano questi tanto famigerati parenti.
Per la prima volta nella sua vita Bianca si trovava dinanzi ad un mistero bello
e buono e sembrava non avere nessuna voglia di risolverlo. Si avvicinò al
cancello, tirò fuori le chiavi e lo aprì. Stava quasi per richiuderselo alle
spalle quando notò che la cassetta delle lettere non era completamente chiusa.
Lo sportellino penzolava, come se qualcuno l’avesse aperta e poi non richiusa.
Fece una strana smorfia con la bocca, non avrebbe voluto controllare ma la
curiosità vinse. Infilò la mano nella cassetta e ne estrasse una busta identica
a quella del giorno prima. Il cuore le saltò in gola, le guance le pizzicavano.
Come una ladra, corse per le scale e quando entrò in casa non si curò affatto
della tavola apparecchiata e della mamma che le chiedeva di darle una mano, si
chiuse nella sua stanza con tanto di chiave e scartò velocemente la
busta.
Caro
Amore,
è
la seconda lettera che ti scrivo eppure mi pare di avertene scritte trecento.
Arrivo fuori casa tua e la appoggio nella cassetta delle lettere con una tale
speranza, che quasi vorrei restare lì fermo fino a quando non uscirai dalla
porta e verrai a controllare la cassetta delle lettere. Mi dicono che tu sei
partita, ma io non ci credo. Sei barricata in casa. Stai riflettendo sulla tua
crudeltà nei miei confronti.
Perché
mi fai questo? Resterei ore fuori dalla tua finestra, ricordo quando ci siamo
conosciuti, quando io ti riaccompagnavo a casa e poi non riuscivo ad andarmene
perché ero incollato con gli occhi a quella finestra. Guardavo la luce
accendersi, poi vedevo la tua ombra che svolazzava avanti e indietro. In quella
enorme casa, la luce della tua finestra sembrava un’unica lucciola in tutta la
notte buia. Adesso, quando resto durante la notte fuori dalla tua finestra, non
la vedo mai accendersi. Le tendine sono chiuse e non sento nessun rumore,
nemmeno quello della tua ombra. Dove ti nascondi, amore? Ti nascondi da me? Non
riesco più a vivere da quando sei andata via. Non riesco a dormire senza la tua
voce, non riesco ad immaginare senza i tuoi racconti. Ricordi quando ci sedevamo
insieme davanti al mare e mi raccontavi mille storie? Il nostro amore era così
simile a quelle storie, così etereo. Sai amore, a volte quando chiudo gli occhi
ancora ti vedo, qui accanto a me. I miei genitori mi danno del pazzo, i miei
amici vogliono che vada da uno psicologico. Tua cugina minaccia di chiamare la
polizia se mi scopre di nuovo appostato fuori dalla vostra casa. Ma cosa posso
farci? Un ragazzo innamorato è forse da incolpare? Voglio sapere la verità, e
non mi arrenderò fino a quando non la scoprirò.
Nonostante
il nostro tempo è stato breve, so che dentro di te è nata la stessa scintilla.
So che mi pensi, che mi sogni, che mi ami esattamente che io penso, sogno ed amo
te. Resterò fuori dalla tua finestra sperando in un tuo ritorno, intanto
ricordami sempre come il tuo unico amore,
Càlibri.
Bianca
piegò velocemente il foglio di carta, scostò le tende della sua finestra e
scrutò la strada. Non c’era nessuno. E a pensarci bene, non c’era mai stato
nessuno appostato fuori dal loro palazzo. Enorme casa, l’aveva chiamata Calibri.
Si trattava di un’altra casa? Non era possibile, Calibri aveva detto
espressamente di conoscere la casa dove Amore abitava. E allora perché Bianca
non aveva mai visto nessuno? Forse quella sera non c’era andato, spaventato
dalla minaccia della cugina di Amore. Già, a detta di Calibri Amore viveva in
casa con sua cugina. Che Bianca sapesse, nel suo palazzo non c’erano ragazze che
abitavano con le cugine, ma poteva benissimo sbagliarsi. Già, forse si
sbagliava. La cosa certa era che Amore abitava in quel palazzo, Calibri lo
conosceva bene, tanto bene da restare fisso con gli occhi sulla finestra di
Amore. Bianca si sentiva sempre più in colpa. Calibri stava sbagliando a
recapitare le sue lettere e Amore non le aveva ricevute. E se Amore fosse
davvero partita, come Calibri aveva accennato? Non ci sarebbe stato niente di
strano, dato che erano in periodo di vacanze.
Passò
le dita sulle parole, rifletteva senza trovare una soluzione. Se Calibri
conosceva la casa di Amore, perché continuava a sbagliare ad imbucare quelle
lettere? Su ogni cassetta della posta c’era il nome della famiglia, quindi
Calibri non avrebbe potuto sbagliarsi, e inoltre, nella lettera c’era scritto
che era proprio lui a recapitare quei messaggi, non c’era nessuno che lo faceva
al posto suo, che so, un amico o un parente. In quel caso, il mandante avrebbe
potuto confondersi. Ma non Calibri, Calibri non avrebbe mai potuto. Sembrava
ossessionato dal pensiero di Amore, Bianca ne era quasi spaventata. Una passione
violenta lo divorava, un’ossessione senza precedenti. Cosa sarebbe successo se
Amore fosse uscita allo scoperto accettando di incontrarlo?
Le
venne in mente la storia che Lara le aveva raccontato quel pomeriggio, delle
lettere lasciate alla fata. Sorrise a se stessa, immaginò che anche Amore fosse
una fata e che Calibri fosse il ragazzo che lei aveva amato. Ma quella storia
era diversa: il ragazzo sapeva che la fata se n’era andata per sempre, Calibri
invece era follemente innamorato, Calibri la aspettava, la cugina di Amore lo
minacciava. Se anche Amore fosse stata una fata, avrebbe di sicuro fatto una
magia a Calibri per farsi dimenticare. O forse se l’avesse amato davvero, gli
avrebbe confessato il suo segreto. Nonostante il suo pragmatismo, Bianca si
riconosceva una romantica senza precedenti. Il pensiero volò fino a quel ragazzo
che l’aveva baciata alla festa di Eva, sentì un tuffo dentro lo stomaco. Il solo
ricordare quel momento le scatenava dentro una confusione difficile da gestire.
Possibile che dovesse rassegnarsi? Gli eventi successi l’avevano distratta da
quel pensiero, eppure sottilmente Bianca continuava a pensarci.
Piegò
la lettera di Calibri e la ripose nel cassetto della scrivania insieme alla
precedente.
Da
quel giorno, le lettere iniziarono ad arrivare con regolarità, e Bianca le
conservò tutte.
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Capitolo 8 *** Con l'amore che non immagini ***
calibri cap 8
La
casa in cui Lara alloggiava era una villetta a via Aniello Falcone, a due piani.
Bianca la fissava sbigottita, si era immaginata Lara seduta sul letto di uno
squallido alberghetto anche se sapeva che non era così. Adesso la aspettava,
dovevano di nuovo andare in giro per la città. Si aprì una finestra al secondo
piano, ma Bianca non vide nessuno. Sospirò, guardò l’orologio. Erano le dieci e
un quarto. Quel giorno aveva il turno pomeridiano al bar, così aveva deciso di
passare la mattinata con Lara. Era una specie di droga, questa Lara, e di tanto
in tanto bisognava aumentare la dose. Era strano come Bianca sentisse il bisogno
di telefonarla, di raccontarle di se e di come Lara facesse altrettanto. Certo,
Bianca non era ancora riuscita a scoprire da dove venisse e che tipo di rapporto
ci fosse tra lei ed Ariel, ma era convinta che informazioni del genere sarebbero
arrivate col tempo. Intanto, quell’alone di mistero che la contornava la faceva
sembrare ancora più interessante, come se non lo fosse già il suo modo di porsi
e di presentarsi in pubblico. Il suo rapporto con Lara era estremamente sincero:
alcune volte Bianca si imbarazzava tremendamente per il suo comportamento
caramelloso e Lara se ne accorgeva, e altre volte Bianca sospirava così tanto
che Lara capiva di essere incappata in uno di quei discorsi senza fine e che la
stava annoiando.
Bianca
stava per farle un colpo di telefono quando sentì il cancelletto della villa
aprirsi. Si aspettava di vedere Lara uscire, sorridente come sempre, ma non fu
così. Sentì il respiro mancarle e la pelle illividire quando mise a fuoco la
persona che era uscita dalla porta candida e che ora attraversava il piccolo
vialetto di ghiaia diretto proprio verso di lei.
Si
trattava del ragazzo di quella sera.
Bianca
pensò di stare avendo le allucinazioni, ma non appena il giovane spinse con mano
decisa il cancelletto e fu ad un solo centimetro da lei, non ebbe nessun tipo di
esitazione.
Era
proprio lui.
Il
ragazzo misterioso portava i suoi lunghi capelli castani sciolti sulla schiena,
vestiva in maniera normale, sembrava non soffrire nemmeno un po’ il caldo. Aveva
uno sguardo fiero e dolce al contempo, gli occhi grandi ed espressivi, le gote
alte ed il mento non troppo pronunciato. Il naso era dritto e lungo, ma
armonizzava perfettamente con il suo viso. Era bello da morire, come una
scultura di Michelangelo. Aveva la pelle abbronzata come Bianca la
ricordava.
Lo
fissava senza nessun tipo di pudore, lui inizialmente parve non accorgersene, ma
appena si tirò dietro il cancelletto e alzò gli occhi, la
vide.
Si
fermò, restarono a fissarsi per qualche momento.
-
Ciao-
Bianca
non poté credere di aver sentito la sua voce. Restò in silenzio a fissarlo
ancora per qualche momento, lui sorrideva ancora, non sembrava imbarazzato,
anzi, sembrava si ricordasse perfettamente del loro incontro alla
festa.
-
Ciao-
biascicò, confusa. Non riusciva a connettere i pensieri e non riusciva a
capacitarsi che il suo principe azzurro fosse davvero lì.
Il
giovane sorrise di nuovo, un sorriso disarmante.
-
Aspetti
qualcuno?-
La
sua domanda la sorprese, Bianca immaginava che potesse perdersi in frasi
sconnesse come spesso fanno i ragazzi della sua età, ma lui era perfettamente a
suo agio.
-
Si-
rispose Bianca, senza riuscire ad articolare parole diverse da
monosillabi.
Il
ragazzo lanciò a Bianca uno sguardo sorridente, stava per andare via ma Bianca
gli poggiò delicatamente una mano su un braccio.
-
Aspetta…-
Lui
si voltò.
-
Si?-
Aveva
il tono di voce più dolce che Bianca avesse mai sentito.
-
Ti
ricordi… ancora… di me?-
La
domanda suonava assurda alle orecchie di Bianca. Certo che si ricordava, o non
l’avrebbe salutata. O era abituato a fare così con chiunque incontrasse? Le
pareva improbabile.
Il
giovane sorrise di nuovo.
-
Certo
che mi ricordo, - disse, con una strana voce suadente, - ci siamo incontrati alla festa-
Bianca
avrebbe voluto sorridere ma qualcosa glie lo impediva, probabilmente la follia
della situazione. Non riusciva a controllarsi e neppure a staccare la mano dal
braccio di lui.
-
Già,
ecco, per l’appunto…- inizio a farfugliare senza riuscire ad arrivare ad una
conclusione.
Il
ragazzo si avvicinò di un passo a lei, aveva un’espressione divertita e un po’
mortificata.
-
Scusami,
devo esserti sembrato un po’… maleducato. Ma non è nel mio costume
agire così, quello è stato un unicum, - parlava lentamente, eppure a Bianca
sembrava che le parole uscissero fuori ad una velocità impressionante, - mi
dispiace molto. Mi chiamo Christian –
Le
teste la mano, Bianca la fissò inerme.
Alzò
gli occhi verso di lui, un moto d’agitazione la pervase.
-
Perché
sei entrato in quella cucina e mi hai baciata?-
Le
parole uscirono fuori da sole, Christian ritrasse colpito la mano. La guardò
quasi sconvolto dal suo tono un tantino più coraggioso, ma un attimo dopo
sorrideva di nuovo.
-
Eri
molto bella-
Bianca
alzò le spalle imbarazzata.
-
Grazie.
Ma sai, è stata una cosa non molto normale. Non che tu non sia normale, io mi
auguro tu lo sia, però non è una cosa normale quella che hai fatto. Avresti
potuto almeno parlarmi -
-
Potevi
parlarmi tu-
Il
tono di lui era divertito, Bianca scosse la testa.
-
Non
potevo-
-
E
perché?-
Già,
perché? Non poteva certo dirgli di essere rimasta folgorata dalla sua bellezza e
dal suo gesto.
-
Beh,
perché non sono stata io a baciarti, ma tu-
-
Mi
dispiace-
-
Ti
comporti sempre in maniera così strana?-
-
Non
proprio-
-
Sei
fidanzato?-
-
No-
-
Sposato?-
-
Eh?-
-
Scusa.
Okay, insomma, piacere. Io sono Bianca-
Stavolta
fu lei a tendere la mano, Christian la afferrò prontamente, poi rise divertito,
Bianca invece era compiaciuta.
-
Ricominciamo
daccapo, ti va?- iniziò nuovamente lui, con una strana sicurezza nella
voce.
Bianca
assentì, i riccioli le caddero sugli occhi.
-
D’accordo,
va bene-
Christian
sorrise, poi guardò l’orologio che aveva al polso.
-
Oh,
devo andare. Si è fatto davvero tardi, ma… è stato bello rincontrarti,
Bianca-
-
Anche
per me-
-
Ci
rivediamo-
-
Okay.
Ciao Christian -
-
Ciao
Bianca-
Christian
si allontanò sul marciapiede, Bianca non riusciva a rendersi conto di quanto era
appena successo. Restò immobile a fissare la sua immagine fino a quando non
scomparve all’orizzonte, gli occhi le pizzicavano e si sentiva tutta accaldata.
Era evidentemente andata in subbuglio, la cosa la rendeva felice e la
preoccupava al contempo. C’aveva quasi perso le speranze di rivederlo, e invece
all’improvviso eccolo comparire, uscire dalla casa di Lara come
se…
…
aspetta un attimo, casa di Lara?
…
Terza
lettera, arrivata di giovedì sera.
Caro
Amore,
è
così che funziona, ogni volta. Cerco di dormire e quando chiudo gli occhi ci sei
sempre tu, sembra quasi che possa allungare le braccia verso di te, stringerti,
amarti come una volta. Mi sento vecchio dentro, come se il tempo passato con te
fosse stata la mia giovinezza, e adesso, senza di te, mi sento solo come un
vedovo, come se fossi stato rinchiuso nella bolla dei ricordi, destinato a
guardare tutto da lontano, senza poterlo raggiungere.
Quando
riapro gli occhi, tendo le braccia per toccarti ma tu non ci sei. E ogni volta è
sempre la stessa cosa, sempre gli stessi pensieri. Ma non era qui un attimo fa?,
mi chiedo, smarrito, come se stessi per diventare pazzo. E poi mi rendo conto
che ti stavo sognando, o forse no, eri tu che mi venivi in sogno, come se ti
fosse concesso starmi accanto solo per brevi istanti, e tutti eterei. Quando mi
rendo conto che il sogno ha preso il sopravvento sulla realtà, mi alzo e mi
dirigo in cucina, mi preparo un caffè e fumo una sigaretta, quelle che mio padre
lascia sul tavolo della cucina. Non dovrei fumare, ma il fumo mi calma, lo vedo
salire verso la luce al neon della nostra cucina, creare dei grossi buchi dentro
i quali affogo. Fumare una sigaretta è come andare in trance per una manciata di
minuti, e a volte, come se volessi allungare l’agonia, fumo pianissimo, faccio
dei tiri non profondi e vedo la cenere farsi sempre più consistente e alla fine,
irrimediabilmente, cade sul tavolo e sono costretto a pulirla
via.
Succede
sempre così, è come un appuntamento con i ricordi. Forse mi sto conducendo
lentamente verso la follia, ma cosa c’è di più dolce se so che quando l’avrò
raggiunta, vivrò nel delirio di te?
Con
l’amore che non immagini, tuo
Càlibri.
…
Eva
rassettò velocemente la sua scrivania, stava per chiudere anche l’ultimo
cassetto quando scorse una scatola rosa con sopra un fiocco. Diamine, si era
dimenticata di metterla in un luogo sicuro! Per tutto quel tempo non aveva avuto
di che temere, ma adesso Amanda era tornata, quindi era molto meglio nascondere
quella scatola. Sollevò il materasso e poggiò la scatola lì sotto, in un buco
che lei aveva trasformato in un cassetto segreto tra il materasso ed il legno.
Ripose il materasso e ci si sedette sopra, sospirò sentendosi un tantinello
cattiva. Forse avrebbe dovuto smettere di tenere nascoste ad Amanda delle cose
che dopotutto appartenevano più a lei che a se stessa, ma qualcosa glie lo
impediva. Il solo pensare di restituire ad Amanda delle cose che lei non sapeva
neanche le appartenessero la faceva sentire tremendamente tagliata fuori. In effetti, quando
Amanda era andata via, era stata Eva a prendere le redini di quella che era
stata lì la sua vita e in un certo senso se n’era appropriata. Aveva passato
lunghe nottate senza chiudere occhio, immergendosi in pensieri proibiti dove la
protagonista era proprio Amanda. Dopotutto, Eva cosa poteva saperne di quello
che aveva passato e stava passando? Scosse la testa rendendosi conto di quanto a
volte riusciva ad essere contraddittoria. Non la sopportava eppure talvolta la
compiangeva, le veniva voglia di difenderla. Quando avrebbe potuto una volta e
per tutte farla finita con lei, non l’aveva fatto. Ci pensava spesso: quando Eva
era stata costretta dagli eventi a
gestire la vita di Amanda quando era scappata, avrebbe potuto dire tutta la
verità e togliersi dagli impicci. Ma non l’aveva fatto, l’aveva protetta. Non sapeva neppure come ci
fosse riuscita, a diciotto anni una ragazza normale avrebbe dovuto pensare
all’Università, alla nuova vita che le si presentava, mentre Eva si era dedicata
anima e corpo a insabbiare l’esistenza di una persona che era dovuta, da un
momento all’altro, scomparire. Si era resa una sorta di detective, e sapeva che
per questo Amanda le era molto grata. Eva si sentiva in diritto di possedere una
parte della vita di Amanda, anche se sapeva che il suo segreto non sarebbe
durato per sempre.
Quasi
come se l’avesse chiamata, Amanda si affacciò alla porta socchiusa. I capelli
erano legati in una treccia, gli occhi erano ingenui e
freddi.
-
Posso
entrare?- domandò.
-
Si,
entra- rispose Eva, in un sussurro.
Amanda
si sedette sulla sedia da scrivania di Eva, la guardò come se volesse leggerle
dentro.
-
Se
ti faccio una domanda, mi prometti di non metterti a fare la psicologa dei miei
sentimenti?- buttò fuori Amanda, tanto velocemente che Eva alzò gli occhi
indagatori su di lei. Non aveva voglia di mettersi a battibeccare, quindi fece
una strana smorfia di assenso e si stese sul letto di un fianco, con il gomito
sul materasso e la guancia poggiata sul palmo della mano.
Amanda
abbozzò un sorriso, i suoi occhi si accesero.
-
L’hai
più rivisto in questi anni?-
-
Chi?-
-
Avanti,
Eva…-
-
Sergio?-
Amanda
zittì, Eva roteò gli occhi per la stanza.
-
Mmh,
no. Non mi pare-
-
Oh-
Eva
si accorse che Amanda voleva sapere di più ma non osava chiedere. Sospirò quasi
di insofferenza, si mise seduta con le spalle al muro.
-
Io
e Sergio non frequentiamo gli stessi ambienti, dovresti saperlo. Non siamo
nemmeno iscritti alla stessa facoltà!, - Eva alzò le spalle, tentava di
mantenere un tono neutrale, - e a parte quel breve periodo, no, non mi pare di
averlo rivisto-
-
Adesso
è fidanzato con Bianca?-
Amanda
non aveva alzato gli occhi, forse timorosa dello sguardo di
Eva.
-
Mmh,
non lo so. Può darsi-
Amanda
annuì con un sorrisino, Eva sentì una fitta allo stomaco. Era da tanto che non
parlava di Sergio in maniera così seria.
-
Tu
pensi che lui abbia… capito
qualcosa?- domandò di nuovo Amanda.
Eva
scosse la testa.
-
No.
Assolutamente. Non aveva una grande fantasia-
Il
commento lasciò Amanda interdetta, si lasciò cadere sullo schienale della
sedia.
-
Io
penso che ce l’avesse- commentò a sua volta, con un sorriso
sbarazzino.
Eva
scoppiò a ridere.
-
Era
un tipo strano, su questo non c’è dubbio. Ma non mi sembrava granchè
intelligente-
-
Oh,
lo era-
-
Non
che fosse stupido, però…-
-
Mi
ricordava Calibri in certi suoi atteggiamenti-
Eva
alzò le braccia.
-
Non
ricominciare con questo Calibri…-
Amanda
scoppiò a ridere.
-
Tu
non lo conosci nemmeno! Come fa a starti antipatico?-
-
Non
mi è antipatico, - sibilò Eva, - è soltanto che è inquietante il modo in cui parli di
lui-
Eva
voltò lo sguardo verso la finestra per non sostenere lo sguardo di
Amanda.
-
Calibri
è una persona speciale, - iniziò Amanda, con tono rassicurante, - lui è capace
di connettersi con le persone, di farle vivere. Sa guarirti con uno sguardo,
essere presente per te ogni volta che vuoi-
-
È
repellente, - commentò Eva scuotendo la testa, - sembra quasi un fantasma, uno
che ti entra nel cervello!-
Amanda
rise di nuovo, Eva era contrariata.
-
Sei
facilmente impressionabile, Eva. E sei paranoica-
-
Paranoica
ci sarai tu, con i tuoi racconti fiabeschi-
-
No,
lo sei tu-
-
Tu!
-
Tu
ho detto!-
…
-
Era
lui! È uscito da quella porta ed era proprio lui!-
Bianca
strattonava Lara per le spalle, che la guardava
interrogativa.
-
Chi?-
-
Il
tipo della festa, quello che mi ha baciata all’improvviso! Era lui, è uscito da
casa tua qualche momento fa!-
Lara
la fissava interrogativa.
-
Ne
sei sicura?-
-
Altroché!
Ci ho anche parlato!-
Lara
si portò una mano al mento.
-
Uscito
da casa mia, dici?-
-
Si!
Si chiama Christian!-
Lara
parve riaversi, annuì, ma con poca convinzione.
-
Christian!
– esclamò.
-
Vive
in casa tua? È un tuo parente?-
-
È
mio cugino-
Una
frase senza effetto, insolita per Lara. Bianca saltellò felice, sorrideva come
non mai.
Certo,
avrebbe dovuto aspettarselo: con chi altri se non con Lara poteva essere
imparentato un tipo così strano? Stava succedendo qualcosa di strano nella sua
vita, ma nemmeno voleva sapere cosa. Si sentiva incatenata al presente come mai
prima era successo, e mai si era sentita così viva e coinvolta come quel
momento.
-
È
meraviglioso! Che tipo è? Cosa fa nella vita? Va
all’Università?-
Lara
si scrollò Bianca di dosso, si aggiustò la borsa sulla spalla e abbozzò un
sorriso.
-
Mmh,
si, studia, penso… qualcosa come… conservazione dei beni culturali… non ne sono
sicura-
Bianca
era piena di entusiasmo, Lara sembrava voler cambiare discorso ad ogni
costo.
-
Ed
è simpatico? Mi è parso molto affascinante!-
-
Si,
ehm, è un bravo ragazzo- si limitò a rispondere Lara, mentre si avviavano nella
direzione opposta alla quale si era avviato Christian poco
prima.
Bianca
guardò Lara con fare sospettoso, ma lei non parve
accorgersene.
-
C’è qualcosa che non va?-
-
Eh? No-
-
Mi sembra che questo argomento ti metta a disagio-
Lara
squadrò Bianca, sorrise.
-
E’ solo che, beh sai, io e Christian non ci conosciamo molto
bene-
Il
suo tono era mutato, Bianca mugugnò qualcosa di incomprensibile, Lara
continuò:
- Non ci vediamo molto spesso, sai
com’è... abbiamo delle vite molto diverse-
- Che tipo di vita fa lui?- chiese
interessata Bianca.
- Non lo so...-
Lara
era confusa ed imbarazzata, Bianca ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa che
Lara non volesse confessarle.
- Sicura che non ci sia
dell’altro?-
Lara
alzò le spalle e scosse la testa.
-
Assolutamente no- rispose, risoluta.
Bianca
si voltò dall’altra parte, quell’atteggiamento non faceva altro che aumentare la
sua curiosità ed alimentare il fuoco della stravaganza di
Lara.
-
Scommetto tu non sappia come faceva a trovarsi alla festa di Eva
–
Lara
scosse la testa.
-
Non ne ho idea-
Bianca
sospirò, aveva la netta sensazione che non sarebbe riuscita a ricavare niente da
quella che sembrava la sua unica speranza.
-
Tu non m’avevi detto niente di questa avventura- buttò lì Lara, quasi per
stuzzicarla. Bianca alzò le spalle imbarazzata.
-
Credevo non fosse importante- mentì, abbassando il volume della
voce.
-
A quanto pare invece lo è- commentò Lara, lasciandosi scappare una
risata.
-
E’ molto strano, Lara. Da quando ti conosco continuano a capitarmi cose molto
strane-
Lara
si fermò, sembrò colpita.
-
In che senso?- chiese, quasi preoccupata.
Bianca
sorrise, era sorpresa e divertita.
-
Nel senso che... beh, non lo so. Sto conoscendo tanta gente nuova, è come se mi
trovassi in un turbine di emozioni vissute tutte allo stesso
momento...-
-
Cosa dirai a Sergio adesso?-
Bianca
trasalì. Non c’aveva ancora pensato. Guardò Lara come per chiederle aiuto, la
giovane le poggiò una mano sulla spalla rassicurante.
-
Non preoccuparti. Sergio capirà-
-
Non posso dirgli la verità-
-
Come?-
Lara
sembrava di nuovo colpita.
-
Non posso. Penserebbe che sono pazza-
-
Infondo, un po’ lo sei-
Bianca
rise.
-
Non sono pazza. È che quel ragazzo ha risvegliato qualcosa in me, Lara, qualcosa
che forse non avevo mai provato prima d’allora-
Lara
abbassò gli occhi con un sorriso amaro.
-
Che c’è?- chiese Bianca, accorgendosi dell’espressione
dell’amica.
-
Niente-
...
Quarta
lettera di Càlibri, del venerdì sera.
Caro
Amore,
stavolta
è stato più difficile delle altre volte. Di solito quando arrivo sotto la tua
casa, vedo delle luci accese, sento dei rumori in lontananza, e allora mi sembra
di vederti, che scendi e sali le scale, che ridi, cucini, apparecchi la tavola.
Mi sembra di vederti e allora sorrido, mi sento invaso da una forza sovrumana e
metto la lettera al suo posto. A volte controllo persino che sia stata ritirata
la posta, e fino ad oggi è sempre successo. Le lettere sono arrivate in casa,
nelle tue mani, e a volte mi immagino persino che le leggi, le annusi e le
stringi al petto.
Ieri
sera invece è stato tutto diverso, le luci erano tutte spente, come se foste già
tutti a dormire. Tutti giaceva nel silenzio, e mi sono sentito un peccatore che
infrange il più grande sacrilegio a poggiare la lettera nella cassetta vuota. È
come se avessi rotto un incantesimo, un silenzio, svelato un segreto dimenticato
e custodito per migliaia di anni. Ma tu eri lì dentro che dormivi, non è vero? I
tuoi occhi chiusi, poggiati sul cuscino, come piace a te, con la testa affondata
chissà dove, forse stai sognando.
Ho
fissato la tua casa con occhi tristi ed innamorati. Mi sono sentito per la prima
volta come un peso. Un qualcosa di non desiderato, lasciato senza una
motivazione a vegetare fuori dalla porta. O meglio: come un bambino abbandonato,
in fasce, sul ciglio della strada. Ma tu non saresti mai capace di abbandonarmi,
lo so. Non lo faresti mai, è solo che adesso non ci sei, ma tornerai. Mi sento
in balia della pazzia, un delirio assurdo e disumano mi prende e mi lascia
scivolare in pensieri ridicoli e senza senso, a volte guardo un punto fisso nel
vuoto fino a quando non sento gli occhi che lacrimano, così mi prendo la testa
tra le mani e mi interrogo su quanto è successo, e non trovo una motivazione
valida ai tuoi gesti.
Cosa
è successo, Amore? È davvero finita come mi hai detto?
Con
la speranza di ritrovarti, tuo
Càlibri
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Capitolo 9 *** Credendo che tu sia solo mia ***
calivri cap 9
Un
sospiro, Eva si fermò davanti alla porta di vetro del bar, incrociò le braccia.
Non riusciva a credere di essere lì, dopo tutto quello che aveva fatto per
evitarlo durante tutto quel tempo. Si portò una ciocca di capelli neri dietro
l’orecchio, diede un’occhiata all’interno.
Sergio
sorrideva, si muoveva da una parte all’altra del bancone offrendo aperitivi,
caffè, pasticcini.
Non
aveva fatto altro che cercare di dimenticare i suoi occhi smarriti nella notte,
la sua paura, le sue mani che la prendevano per i polsi e la supplicavano. Aveva
chiuso la finestra di fronte al suo viso, tirato via le tende e poi era
scoppiata a piangere. Dov’era Amanda, quando avrebbe dovuto salvarla dal
delirio?
Ma
adesso non avevano più senso quei ricordi, quasi non esistevano più. Aspettò
qualche secondo, poi Sergio alzò lo sguardo e la vide. Eccola, finalmente aveva
smesso di nascondersi. Smise di fare quello che stava facendo, impallidì, sentì
il sangue raggelarsi. Gli occhi la fissavano come se fosse un miraggio.
Eva
si sedette ad uno dei tavoli, Sergio fu una scheggia. Uscì fuori col blocchetto
delle ordinazioni, attraversò i tavolini che lo separavano da lei.
Eva
indossava dei jeans scuri e stretti, un’elegante top nero ricco di ricami e
delle alte scarpe lucide e nere. I capelli corvini, raccolti in una scialba
treccia, cadevano sulla sua schiena, il viso era altezzoso e fiero come sempre,
gli occhi piccoli e intrusivi. Le labbra tese, chiuse, le mani incrociate sul
grembo.
Ora
Sergio le era davanti e quasi non le pareva vero.
-
Ciao- mormorò lui, in un sussurro emozionato.
Sergio
non sapeva se quella di Eva fosse una visita di cortesia o una semplice
coincidenza, anche se aveva imparato che nella vita di Eva esistevano ben poche
coincidenze.
-
Ciao Sergio –
La
voce di Eva era fredda, suadente, un po’ roca. Lo guardava fisso negli occhi,
senza perdere un attimo delle emozioni che trasudavano dai suoi
occhi.
-
Cosa... cosa ci fai qui?- domandò stranito Sergio, senza riuscire a stringere il
blocchetto delle ordinazioni.
Eva
abbassò lo sguardo.
-
La città non è di tua proprietà- lo provocò, con un sorriso
beffardo.
Sergio
scosse la testa con un sospiro di insofferenza.
-
Non ci vediamo da due anni-
-
Lo so-
-
Perché sei qui?-
-
Sei diverso, Sergio -
-
Me lo dicono tutti-
-
Ma ti trovo in gran forma-
-
Non cambiare argomento-
-
Conosci una certa Bianca?-
La
domanda lo spiazzò. Sergio sgranò gli occhi, strinse le
labbra.
-
Si. E con questo?-
-
Curiosità-
-
La conosci?-
-
Potrei-
-
Non la infastidire-
Eva
scoppiò a ridere.
-
Potrei chiederti la stessa cosa-
-
Non c’entra...-
-
Non ero certo io a braccare casa tua, darti il tormento e a gridare fino a notte
fonda-
Sergio
aveva gli occhi pieni di rabbia, Eva era rilassata.
-
Perché sei venuta a cercarmi, Eva?-
-
Sei innamorato di Bianca?-
-
Questi non sono affari tuoi-
-
Qui tutto è affar mio,- Eva si alzò, prese la borsa, lo fissò dritto negli
occhi, - mi è passata la voglia del caffè. Ci rivediamo-
Stava
per fare un passo, ma Sergio la prese per un braccio, Eva
fremette.
-
Sarà passato anche del tempo, Eva, ma io non sono solito dimenticare. Scoprirò
tutti i tuoi segreti, uno ad uno, e poi non potrai più
nasconderti-
-
Non mi fai paura, Sergio -
-
Questo si vedrà-
Sergio
lasciò la presa, Eva gli lanciò uno sguardo significativo e andò
via.
...
Quinta
lettera di Calibri, domenica.
Caro
amore,
mi
sento come un bambino chiuso in una gabbia. Sono troppo basso per riuscire a
raggiungere il catenaccio, cercare di aprirlo e correre via. Mi hai chiuso in
una gabbia amore, e hai chiuso il mio cuore dentro un cassetto segreto che porti
con te. Dove te ne vai amore, perché non t’incontro più? Te ne sei andata sul
serio? Non t’ho scritto più per qualche giorno, sperando in una tua riposta. Ma
non è arrivata nessuna lettera, nessuna telefonata, nessuna notizia. Sono sempre
più convinto che l’amore sia una malattia e che io ne sia gravemente ammalato.
La cosa più grave è che io non voglio guarire, non ho intenzione di smettere di
scrivere queste lettere, smettere di sperare, smettere di sognarti. Mi
raccontavi tante belle storie amore, e io mi sedevo accanto a te e ti ascoltavo
come se non sapessi fare altro, come se fossi nato solo per ascoltare la tua
voce, comprendere le tue parole. T’ho amato troppo poco e troppo intensamente e
tu sei sparita, velocemente.
Le
lacrime cadono calde sulle mie guance. Sono distante, ma i ricordi mi
attanagliano il cervello. Passerà l’estate ed io non saprò più nulla di te? Abbi
pietà di me, delle tue storie, delle mie lacrime, del nostro amore. Abbi pietà
del mio tempo, di quello che abbiamo condiviso, di quello che vivrò senza di te.
Senza paura dimmi la verità ed accettala anche tu amore, non restare ferma. Apri
gli occhi amore, lo so che sei combattuta, lo so che hai dei segreti. Di cosa
hai paura, amore? Hai paura di me?
Credendo
che tu sia solo mia, ti amo ora e per sempre, tuo
Calibri
Bianca
sedeva sotto un ombrellone da giardino, su una sedia morbida, rosata, Ariel le
sorrideva.
Lara
ed Ariel l’avevano convinta a pranzare in giardino con loro visto che gli zii
erano a lavoro, e lei aveva timidamente accettato. Il fatto di entrare in quella
casa la rendeva nervosa, si chiedeva se Christian fosse in camera sua, con la
porta chiusa ad ascoltare la musica, o fosse ancora fuori
casa.
Il
pranzo che Lara aveva allestito in giardino era soltanto per tre, e Bianca era
rimasta un tantinello delusa. Le sarebbe piaciuto che ci fosse anche Christian,
avrebbero potuto parlare, conoscersi meglio, vedere come si comportava Lara in
sua presenza.
Ma
Christian non c’era, e lei non fece nessuna domanda.
Lara
aveva preparato un piatto nordico, con patate e pesce, e avevano amabilmente
conversato.
A
volte pareva che si conoscessero da anni.
Adesso
Lara era entrata in casa per mettere in ordine, Ariel invece rimaneva seduto di
fronte a Bianca con il sorriso stampato sulla faccia.
-
E’
molto bella questa casa – commentò imbarazzata Bianca, arrossendo sotto lo
sguardo di Ariel.
Lui
sorrise.
-
È
degli zii di Lara, loro le vogliono un gran bene-
Bianca
alzò le spalle con un sorrisino.
-
Lo
conosci Christian?- domandò poi, d’un tratto, vincendo la sua improvvisa
timidezza.
Ariel
cambiò espressione per qualche momento, poi tornò a
sorridere.
-
Si,
certo. È un ragazzo molto complesso, ma gentilissimo, - Ariel ridusse gli occhi
a due fessure, intrecciò le mani sul grembo e assunse quell’espressione
enigmatica che Bianca non riusciva mai a decifrare, - e tu hai una bella cotta
per lui-
-
Cosa?,
- sbottò fuori Bianca, prendendo colore, - no, sei sulla cattiva strada, io lo
conosco appena, noi si, insomma…-
-
Lo
so, lo so-
Bianca
zittì, guardò interrogativa Ariel che adesso sorrideva
compiaciuto.
-
Cosa
sai?- domandò incerta.
-
Quello
che è successo a quella festa-
-
E
come fai a saperlo?-
-
Me
lo ha detto lui-
-
Siete
amici?-
-
Una
specie-
-
Ma
come, cioè…-
Ariel
scoppiò a ridere, Bianca era sempre più imbarazzata.
-
Christian
si confida spesso con me. Certo, non ci vediamo molto spesso, ma tra di noi c’è
un bel rapporto. Se posso darti un consiglio, vacci piano con lui. È un po’
incostante, ma molto fascinoso. Credo tu te ne sia
accorta-
Bianca
ascoltò senza fiatare, le parole di Ariel erano chiare e concise, rifinite
dentro i limiti del ragionevole, cosa che accadeva di rado quando si trovava con
loro.
-
È
strano, - iniziò poi, con l’emozione nella voce, - non mi era mai successa una
cosa del genere prima d’allora, e non pensavo potesse mai succedermi, cioè,
insomma, è una cosa impensabile. Lara è stata molto vaga sul suo conto, io non
so come comportarmi, noi non ci conosciamo affatto, eppure non so, io sento
che…-
Il
sorriso improvviso e rassicurante di Ariel la fece
ammutolire.
-
Credo
che anche lui abbia una cotta per te-
…
Bianca
continuava a ricevere le lettere di Calibri, sempre di sera, sempre scritte
sulla stessa carta che pareva un po’ ingiallita, con la stessa grafia elegante.
Le conservava tutte gelosamente, alcune volte le rileggeva come se fossero delle
ninna nanne, i pensieri dolci di Calibri e il suo innato talento nel descrivere
i sentimenti la faceva sentire meglio, la mente era come invasa da un dolce
profumo e così si addormentava, cullata da quella che ormai definiva la sua
storia d’amore personale, una favola inventata apposta per
lei.
Sorrise
tra se e se mentre chiudeva il libro di biologia e si legava con un movimento
veloce i capelli. Si era divertita parecchio dalla fine degli esami di stato, ma
adesso era arrivata l’ora di rimettersi sotto con lo studio se voleva passare i
test di medicina. Sospirò, il sole stava tramontando, si affacciò alla finestra,
osservò il vialetto vuoto. Le sarebbe piaciuto vedere Calibri arrivare, poggiare
delicatamente la lettera nella sua cassetta, così che lei avrebbe potuto
chiamarlo e dirgli finalmente la verità, una verità di cui lui non era a
conoscenza. Avrebbe voluto conoscerlo, guardare negli occhi un ragazzo
innamorato. Non le era mai capitato.
Stava
per rientrare, quando vide una figura camminare lentamente, con le mani in
tasca, assaporare il vento della sera. Ci mise qualche minuto a riconoscerlo,
poi sorrise a agitò la mano in segno di saluto.
-
Christian!-
chiamò.
Lui
parve sorpreso, si voltò e la vide, la salutò anche lui prima di avvicinarsi
alla sua finestra.
-
Ciao,
Bianca! Che piacere rivederti!-
Le
sue parole erano calde e morbide, Bianca le vedeva quasi salire verso di lei.
Sorrise come una bambina imbarazzata.
-
Cosa
ci fai da queste parti?- domandò.
-
Oh,
sono andato a trovare un amico, adesso sto tornando a casa- spiegò lui con un
raggiante sorriso.
Bianca
annuì, si protese dalla finestra per poterlo vedere meglio. Con le luci della
sera pareva ancora più bello.
Bianca
non l’aveva più incontrato da quella mattina fuori dalla villa di Lara, e un po’
per timore e un po’ per mancanza di occasione, non aveva più fatto ritorno a
casa dell’amica. Le parole di Ariel però non le aveva dimenticate: Christian
aveva un interesse per lei. Strano, poiché non aveva fatto in modo di vederla,
né aveva chiesto a Lara di poter combinare un incontro. Forse era colpa di
quella strana tensione che c’era fra loro, colpa dell’ammutolirsi di Lara ogni
volta che lui veniva nominato, colpa delle sue risposte monosillabiche
sull’argomento. Beh, non avrebbe potuto chiedere ad Ariel? Loro erano pur sempre
grandi amici, stando alle parole che lui le aveva rivolto la settimana
precedente. O forse non era vero, lui non aveva un interesse per Bianca e Ariel
si era solamente confuso.
-
Tu
cosa fai chiusa in casa in una serata bella come questa?-
Christina
allargò le braccia sorridendo, Bianca sentì un groppo allo
stomaco.
-
Ho
appena finito di studiare. Mi preparo per i test di medicina- spiegò, con un
sorriso da ebete stampato sul volto.
-
Hai
da fare?-
-
Come?-
-
Stasera,
intendo. Hai da fare?-
Bianca
non riusciva a credere alle sue parole. Christian la stava invitando ad uscire,
ad uscire con lui. Questo non poteva essere che un sogno. Pensò velocemente a
Sergio, a come durante quella settimana l’avesse visto nervoso e a come nemmeno
lui aveva mai fatto parola sulla loro strana amicizia. Di certo lui le rivolgeva
delle particolari attenzioni, ma non le aveva più chiesto di uscire con lui-
forse si era accorto che qualcosa era cambiato, oppure boh, forse era colpa di
quegli strani sbalzi d’umore che aveva. Bastava che restasse solo un minuto da
solo, e Sergio si rabbuiava. A lavoro parlava poco, si limitava fare il suo dovere senza rivolgere a
Bianca neanche uno sguardo. Bianca temeva che fosse preoccupato per qualcosa,
non l’aveva mai visto così strano. Eppure non desiderava saperne di più:
l’importante era che Sergio non si stesse innamorando di
lei.
-
No,
niente- si affrettò a rispondere, guardandolo fissa.
Christian
sfoderò un luminoso sorriso.
-
Ti
va di fare due passi?- domandò lui, per niente impacciato o imbarazzato. Bianca
annuì, gli disse di aspettare e chiuse la finestra. Si diede uno sguardo allo
specchio, si accorse di essere vestita in maniera davvero indecente per uscire
con Christian e fece più velocemente possibile per indossare qualcosa di
seducente ma semplice al contempo. Quella sera i suoi genitori avevano entrambi
il turno di notte all’ospedale, dunque non erano in casa, quindi si limitò ad
avvisare Stefano e uscì di corsa, cercando di controllare i battiti del suo
cuore.
Appena
gli fu di fronte, si sentì perfettamente tranquilla. Non capì come questo poteva
star succedendo, solo pochi momenti prima stava per avere un infarto mentre
adesso si sentiva perfettamente a suo agio.
-
Sei
molto bella- commentò Christian, la sua voce calda e vellutata la invase. Bianca
abbassò lo sguardo imbarazzata, sorrise.
-
Anche
tu non sei male –
-
Andiamo?-
-
Andiamo-
…
Amanda
era andata a dormire presto, così Eva aveva riposto velocemente le scodelle
della cena e si era ritirata in camera sua, ad ascoltare un po’ di musica. Si
era domandata per tutta la durata della cena cosa avesse Amanda senza riuscire a
capirlo. Pareva preoccupata, triste, sconsolata. Eva aveva provato a far finta
di niente, ma alla fine non ci era riuscita e aveva provato ad essere gentile e
dolce con lei, sperando che le confessasse cos’era che non andava. Ma non c’era
niente da fare, era una ragazza piuttosto chiusa. Anche suo padre aveva notato
quella sua strana gentilezza, tanto che le aveva lanciato uno sguardo
interrogativo. Papà capiva sempre quando c’era qualcosa che non andava, bastava
uno sguardo: con gli anni avevano imparato a capirsi, cercando di riempire il
vuoto che la mamma aveva lasciato quando era morta. Forse era per questo che Eva
era sempre tanto scontrosa: chiusa nella sua bolla, nel suo mondo impenetrabile.
Stava
quasi per stendersi, quando sentì uno strano rumore alla finestra. Si alzò piena
di sospetto e di paura, credendo di essersi impressionata. Poggiò le spalle al
muro, in attesa. Dopo qualche momento, un nuovo rumore, come se qualcuno stesse
lanciando sassi al vetro.
Il
cuore iniziò a batterle a mille. Si avvicinò guardinga alla finestra, con un
gesto veloce l’aprì, guardò in basso.
-
Sei pazzo?- domandò soffocando le parole ad un Sergio che la fissava con gli
occhi che brillavano.
-
Perché, non lo sai?- scherzò lui, tenendo tra le mani un altro
sasso.
-
Che ci fai qui? Come hai fatto ad entrare?-
-
Come se non lo sapessi… ho scavalcato il cancello del giardino. Non ci vuole
molto, sai-
-
Davvero? Allora scavalcalo di nuovo e vattene!-
Aveva
la pelle in fiamme, gli occhi di Sergio cercavano avidamente i
suoi.
Aveva
mentito quando aveva detto a Bianca che Sergio era stato il suo ragazzo, perché
Sergio era di quanto più lontano ci potesse essere da un fidanzato e quanto più
vicino esistesse ad un’ossessione.
-
Non ci penso neanche. Fammi salire-
Eva
scosse la testa.
-
Scordatelo-
Sergio
non rispose, iniziò ad arrampicarsi sul muro infilando mani e piedi nelle crepe.
Era agile e veloce, ma d’altronde non era la prima volta che lo
faceva.
-
Sei matto? Smettila! Se non scendi subito mi metto ad urlare, sveglio mio padre
e chiamo la polizia!-
Sergio
balzò dentro, si trovò ad un palmo dal viso di Eva, lei sentiva l’adrenalina
salire. Sergio la guardò con aria di sfida.
-
Che c’è, non urli più?- domandò beffardo.
Eva
fece per spalancare la bocca ed emettere un grido, ma Sergio glie la tappò
prontamente e la spinse contro il letto. Eva cadde sul morbido materasso, una
mano di Sergio ancora sulla sua bocca, un’altra tra i capelli. I suoi occhi la
raggelavano.
-
Non mi provocare- sibilò poi, scostando la mano di Sergio dalle sue labbra. Lui
sorrise, derisorio.
Solo
in quel momento Eva realizzò che Amanda dormiva a sole poche camere di distanza
dalla sua, la paura crebbe, fece per alzarsi e lui la
trattenne.
-
Cosa vuoi, Sergio?-
La
domanda era cruda, fredda e ricca di tensione.
-
Te-
La
baciò, un bacio avido, passionale, completo.
...
Non
era molto tardi, ma a Bianca sembrò essere passata tutta la notte. Christian la
riaccompagnò davanti casa, Bianca poggiò sconsolata la mano al cancelletto e
piegò la testa da un lato.
-
Grazie Christian, è stata una bella passeggiata-
-
Anche per me. E tu sei davvero simpatica oltre ad essere molto
bella-
Bianca
rise, socchiuse gli occhi e si protese verso di lui, sfiorandogli il collo con
le dita. Lo sentì sospirare, il buio cadeva su di loro e nessuno poteva
vederli.
-
Bianca...- sospirò lui, portandole le mani sui fianchi. Lei rise, alzò lo
sguardo per scorgere i suoi occhi magnetici.
-
Si?- domandò, con un mormorio roco.
Christian
si avventò sulle sue labbra, la strinse forte, preda di una strana passione. Lei
ricambiò convinta il bacio, chiedendosi quante volte l’avesse
desiderato.
Lui
si staccò con remissività, le sue mani cercarono il suo
volto.
-
Mi piace tanto baciarti- confessò, ansante. Lei gli accarezzò le guance,
scendendo verso il collo ed il petto.
-
Sei una specie di uomo misterioso o di principe azzurro, non è vero?- domandò
giocosa Bianca, dando sfogo finalmente alle sue fantasie.
Lui
rise.
-
Può darsi-
-
Non è vero che studi in questa città. Tu non abiti a Napoli, sei venuti qui con
Lara ed Ariel -
Non
era una domanda, era piuttosto una convinzione.
-
Queste sono informazioni personali- mormorò lui, passando le mani sulla sua
schiena. Bianca sospirò.
-
Potresti sparire da un momento all’altro? Dimmi la verità, Christian, un giorno
potrei non trovarti più, come la storia della fata costretta a tornare nel suo
mondo d’origine?-
Christian
le sfiorò il collo con le labbra.
-
Non so per quanto resterò- confessò infine, con una pacata tranquillità. Bianca
ingoiò il groppo che aveva in gola, lo strinse più forte.
-
Non mi dirai mai dove andrete, vero?-
-
Non posso-
Bianca
sorrise, si staccò da lui.
-
Adesso è meglio che io vada a letto. Non fuggire durante la notte- lo ammonì,
chiudendo il cancello. Christian poggiò le mani su quelle di lei, stringendo il
ferro.
-
Ci credi nelle maledizioni, Bianca?-
La
giovane scosse la testa.
-
No-
-
Io inizio oggi-
Bianca
non comprese le sue parole, ma non ebbe il tempo di chiedere niente. Christian
si allontanò velocemente, tanto che non riuscì nemmeno a scorgere la sua ombra
buia che spariva.
Spaesata
e confusa, si staccò violentemente dal cancello, tanto che lo fece ondeggiare, e
con esso la cassetta delle lettere. Sentì un lieve rumore sordo provenire da
essa, con un movimento veloce infilò la mano e riconobbe la carta al
tatto.
Calibri.
Note:
- La pasta con patate e pesce che
cucina Lara è un piatto che io e mia madre abbiamo visto cucinare in Norvegia da
una coppia nordica, si prepara con i gamberetti ed è piuttosto
buono!
Grazie a chi mi segue con
assiduità
Lara
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Capitolo 10 *** Tuo - non più per sempre ***
calibri10
I
suoi baci erano una droga, le sue mani che esploravano ogni angolo della sua
pelle come segni indelebili della vita che non le apparteneva.
Sergio
le sfilò la maglietta, trastullò con i gancetti del reggiseno e giocò con la
lingua ad accarezzarle i lobi, poi scese verso il collo. In ginocchio sul letto
Eva sentì le lacrime salire fino agli occhi, inumidirli.
-
Basta…-
mormorò, mentre lui continuava a baciarla con passione e trasporto, - Sergio,
santo cielo smettila…-
Era
un bisbiglio categorico, lui smise per un attimo di baciarla, la guardò negli
occhi.
-
Perché?-
domandò, mentre non cessava di tenerla stretta.
Eva
ansimava, si portò una mano al petto e poi tornò ad alzare gli occhi su Sergio,
trattenendo le lacrime.
-
Hai
sbagliato a venire. E io sto sbagliando tutto-
Con
un gesto veloce si infilò di nuovo la maglietta, si alzò dal letto e diede le
spalle a Sergio, che la guardava, ferito e confuso.
-
Perché
sei venuta da me l’altro giorno?- domandò con la voce spezzata, mentre si alzava
e la raggiungeva, cingendole i fianchi con le braccia.
-
Ho
sbagliato a venire da te- sbottò Eva in tutta risposta, cercando di ignorare i
fremiti che sentiva invaderle l’anima quando le sue mani entravano a contatto
con la sua pelle nuda.
-
Scusami
Eva, io…-
-
Cosa?
Ad essere stato il solito scortese?-
-
Non
ero dell’umore-
Le
baciò il collo, il lobo dell’orecchio destro. Eva sospirò, fece per allontanarsi
ma lui la strinse di più.
-
Sergio…-
sibilò, districandosi.
-
Mi
sei mancata. Mi sei mancata da morire-
-
Non
è vero. Non dirmi bugie-
Sergio
smise di baciarla, si staccò da lei e si mise a sedere sul bordo del letto,
finalmente Eva si voltò per affrontare i suoi occhi. Ma erano diversi da quello
che si aspettava, Sergio era sofferente, i suoi occhi pieni di
malinconia.
-
Pensi
che io menta, non è vero?- chiese, in un sussurro poco
chiaro.
-
Certo
che lo penso, - rispose Eva, mentre perdeva convinzione, - anzi, se ne sono
certa. Tu amavi lei. Non me-
Sergio
si alzò, Eva iniziò a piangere.
I
suoi occhi erano profondi, neri, freddi.
-
Hai
ragione, si, io la amavo, - mormorò
Sergio ad un passo delle sue labbra, - ero innamorato di lei. Ma sono pazzo di te. Innamorato pazzo. Sai cosa significa?, -
le passò una mano sulla nuca, con l’altra iniziò a asciugare le lacrime sul suo
viso, - sono pazzo di te. Farei qualsiasi cosa per te, qualsiasi. Se mi chiedi
di buttarmi da quella finestra lo faccio, e sai che lo faccio. Chiedimi
qualsiasi cosa e lo farò. Ti prego Eva. Dimentica il
passato-
…
Ultima
lettera di Calibri.
Caro
amore,
mi
hanno detto che hai strappato le mie lettere, ferocemente, con gli occhi crudi
di rabbia, affamati di novità.
Immagino
i pezzetti di carta che cadono svolazzando sul pavimento, si ammucchiano ai tuoi
piedi e tu nemmeno li guardi, non li raccogli, vai avanti. Ma non riesco a
credere che tutto questo possa essere vero. Se non mi ami più. Devi avere il
coraggio di dirmelo in faccia, guardarmi negli occhi, vigliacca, guardami negli
occhi e lasciati andare, annega, affoga, cadi per
sempre.
Cosa
ti è successo, amore? Perché ancora ti chiamo amore? Cos’è che mi impedisce di
andare via da questa sofferenza, da questa casa, da questo mondo? Cosa mi
impedisce di allontanare i tuoi ricordi davanti al dubbio che ora mi tormenta?
Te lo dico io, è l’amore. L’amore incondizionato che provo, che mi farebbe
rimanere in piedi tutta la notte aspettandoti arrivare, aspettando di sentire la
tua voce.
Piango
mentre stendo le mie ultime parole. Te ne vai senza cuore dopo aver mangiato il
mio, rapito le mie emozioni, distrutto il mio mondo, il mio futuro, la mia
fiducia, tutto quello in cui credevo. Cosa cerco in te, che sei il senso persino
della mia ultima sofferenza, del dolore che mi logora?
È
che forse sei una vigliacca, o forse io troppo ingenuo che credo che tu possa
fare un gesto del genere, strappare i segni del mio amore. Ma non posso negarti
anche l’ultimo mio respiro, l’ultima mia esalazione, l’ultimo spirito di
sentimento che mi ritrovo, ah, tu, cosa sei, tu! Piango e ti vorrei cancellare
dagli occhi e dalle mani, ma poi il dolore mi droga e mi fa assopire, mi fa
cadere la penna dalle mani dolcemente. Sei come una dolce droga per me, il solo
parlarti mi fa desiderare di pronunciare ancora più parole, il solo pensarti mi
fa venire in mente possibili situazioni future, le tue parole e le tue dannate
mani sul mio viso!
Sei
l’amore più dolce che ho avuto, e sento che per quanto tu mi stia distruggendo,
per me non sarai eterna. Oh no, amore, per quanto tu possa essere dolce, nelle
mie notti insonni io sono giunto alla conclusione che tu non sarai eterna, mia
bella, sarai come un quadro attaccato alle pareti di una casa dimenticata, uno
di quei quadri ai quali uno lancia uno sguardo distratto passando per caso, e
poi si dimentica all’istante di quello che ha visto. La ro vinosità a cui mi hai
condotto non è eterna, amore mio, niente è eterno a questo mondo, se non la luce
del sol,e e tu non sei un sole, vorrei che lo fossi, che tu fossi per me tutto
il sole del mondo, ma cosa sei se non un inganno? Un sogno, un inganno dei sensi
e l’amore che non avrò mai, l’insistenza febbrile della mia gioventù sprecata,
mandata al diavolo. Ma ti prometto che io amerò ancora, amore, amerò dopo di te
e sarà tutto diverso, finito, diverso. Ma tu, invece, tu non sarai così. per te
non sarà così. Credi di ridere sadicamente mentre strappi le mie parole, ma
queste ti tormenteranno fino alla fine dei tempi, fino a quando il tuo corpo non
cadrà supino abbandonandosi alle sofferenze più eterne, fino a quando i tuoi
occhi avranno consumato tutte le lacrime, e allora volerai per il mondo,
cercando i frammenti di queste lettere, ormai mangiate dalle sabbie. Non ci sarò
più per te, e non ci sarà spazio nemmeno trai miei ricordi, nelle pagliuzze che
scorgevi nei miei occhi, nei tuoi racconti.
Oh,
i tuoi racconti, i tuoi racconti non posso dimenticarli. Forse quelli, si, li
scriverò da qualche parte eludendoli da te, trascinandoli via. Saranno
incredibilmente lontani da te, come se non me li avessi
raccontati.
Disperato
e folle del futuro, tuo – non più per sempre
Calibri
Era
notte fonda quando Bianca lesse per la terza volta la lettera di Calibri. Era
decisamente una lettera diversa dalle altre. Che cosa era successo? Chi aveva
dato quella terribile notizia a Calibri, tanto da fargli rivalutare il suo
amore, tutte le cose scritte nelle lettere precedenti? Le parole di quella
lettera sembravano essere state concepite da un dolore sovrumano, potente e
poetico al contempo. Bianca non aveva mai visto niente del
genere.
Nel
buio della sua stanza, Bianca posò la lettera sul lenzuolo e diede uno sguardo
fuori dalla finestra, si perse nel blu del cielo. Com’è che Amore non si era mai
lasciata impietosire? Se lo chiedeva ormai da un bel po’, dato che non riusciva
a dormire.
Perché
quelle lettere continuavano ad arrivare all’indirizzo sbagliato? Cosa stava
succedendo, e come fare a scoprire chi era Calibri? Come fare a scorgerlo mentre
infilava le sue lettere? E perché diamine continuava ad infilarle nella cassetta
sbagliata?
Non
c’erano più scuse plausibili, non era Calibri ad portare quelle lettere, ma
qualcuno che volutamente sbagliava a riporle e che molto probabilmente voleva
che Bianca le leggesse.
Rise
di se stessa, pensò a se stessa con un lungo impermeabile beige, in un film
giallo in bianco e nero. Si sentiva talmente egocentrica alcune
volte…
Beh,
c’era poco da immaginare, la situazione era chiara: dietro quelle lettere
misteriose c’era qualcuno che per chissà quale assurdo motivo, voleva che Bianca
ricevesse quelle lettere che erano palesemente non indirizzate a lei. La domanda
ora era semplice. Chi?
…
Lunedì
mattina, il bar era meno pieno del solito. Stavano iniziando per tutti le
vacanze estive e la città si stava svuotando. Bianca era silenziosa, Sergio di
pessimo umore. Un clima freddo e pesante regnava nel locale, e solo all’entrata
di qualche cliente i due giovani sorridevano a denti stretti e con voce mielosa
chiedevano cosa potevano offrire loro.
Bianca
lanciò un’occhiata interrogativa a Sergio, che si nascondeva dietro la macchina
dei caffè con il viso a pezzi e due occhiaie grandi quanto borse dell’acqua
calda.
-
Non
hai dormito?- esordì Bianca, con un sussurro appena
udibile.
Sergio
alzò lo sguardo verso di lei, che riponeva i bicchieri puliti davanti a
se.
-
Mmh,
non molto- rispose, cercando di sembrare convincente.
Bianca
lo incatenò con lo sguardo, lui si lasciò andare ad un sospiro sofferente,
Bianca si avvicinò.
-
C’è
qualcosa che non va?- sussurrò poi, calando la testa verso di
lui.
Sergio
sciolse le braccia dal petto, incontrò gli occhi di
Bianca.
-
Ti
ricordi quando mi hai chiesto se sono mai stato
innamorato?-
Bianca
annuì curiosa mentre scrutava il suo sguardo, Sergio
sospirò.
-
Ti
ho mentito, - sentenziò, catturando il suo sguardo, - sono stato innamorato. Due
volte-
Bianca
piegò la testa da un lato con un sorrisino, Sergio abbassò gli
occhi.
-
Non
avevo intenzione di mentirti, - iniziò, quasi per scusarsi, - è che sai, volevo
dimenticare-
Bianca
lo guardava rassicurante.
-
È
lecito- disse, mentre tirava fuori le tazzine ed i bicchieri dalla
lavastoviglie.
Sergio
smise di nascondersi dietro la macchinetta del caffè, si avvicinò a lei
confondendo il viso nel fumo che usciva dall’apparecchio.
-
Non…
dici niente?-
Bianca
sorrise, la domanda di Sergio era stentata.
-
Non
conosco molto dell’amore, - iniziò, poggiandosi con le mani al banco, - perciò
non credi che dovresti essere tu a parlarmene?-
Sergio
era imbarazzato, si accostò a Bianca e sussurrò:
-
L’amore
è un problema, - la voce era soffice
e leggera, - e lo è ancora di più quando sai di non poterne parlare con
nessuno-
Bianca
ridusse gli occhi a due fessure.
-
Perché
non puoi parlarne con nessuno?-
-
Perché
è complicato-
-
Parlane
con me-
L’invito
di Bianca perforò le orecchie di Sergio fino a colpirgli
l’anima.
-
Non
sono bravo a parlare d’amore-
-
Senz’altro
sei innamorato, - commentò Bianca, -
e io ho molto da imparare-
Lei
sorrideva, un sorriso sincero e senza macchie. Gli tese la
mano.
-
Amici?-
Sergio
sorrise confuso.
-
Amici-
…
Impegnati
a guardare il panorama della città dalla Villa Floridiana, Sergio e Bianca
rimasero in silenzio per qualche minuto, come se avessero dimenticato il motivo
di quella passeggiata. Si vedeva in lontananza via Caracciolo ed il mare, e giù
all’orizzonte le isole. Bianca guardò Sergio, i suoi occhi verdi puntati
all’orizzonte, uno sguardo laconico, triste, perso, i lineamenti rilassati ma la
bocca serrata, come se fosse nervoso. Aveva la mano stretta a pugno, posta sul
muretto sul quale si stavano appoggiando. Non si accorse subito dell’occhiata di
Bianca, attese un po’ prima di voltarsi e sorriderle.
-
Starei affacciato qui per ore – mormorò, passando gli occhi dal mare a Bianca.
Lei sorrise di nuovo, ma non parlò. Aspettava che fosse lui a parlare, lui a
raccontare. Chissà perché, Bianca sentiva che i racconti delle persone
l’avrebbero aiutata risolvere il mistero di Calibri, come se la storia di quel
ragazzo fosse legata alle vite di tutti gli abitanti della città, come se ognuno
conservasse di lui una piccola parte.
Sergio
abbassò lo sguardo con un sospiro.
-
Sono innamorato, si- confessò, quasi come se Bianca non fosse un’amica ma un
giudice pronto a condannarlo, - sono innamorato da un po’ di tempo, forse beh,
non proprio poco, però... me n’ero quasi dimenticato. L’avevo come seppellito,
ecco. Questa persona, questa... ragazza, ecco, non è mai stata la mia fidanzata.
E questa storia io non potrei raccontarla a nessuno perché glie l’ho
promesso-
-
Cos’è, una specie di giuramento?- chiese Bianca. Sergio tentò un
sorriso.
-
Si, diciamo che è un giuramento. La nostra relazione non doveva trapelare in
nessun modo, nessuno doveva sapere, ed in effetti nessuno sa-
-
Perché lei ti ha chiesto questo?-
-
Non lo so-
Sergio
fece una pausa, Bianca aggrottò le sopracciglia.
-
Non le hai mai chiesto il perché?-
-
Era spaventata, tormentata. Ed anche il nostro amore era tormentoso. Ci vedevamo di nascosto,
perché era come se fossimo inseguiti da qualcosa, come se potessimo essere
scoperti. Non c’era niente da scoprire, Bianca, perché io penso che l’amore è così, è incasinato e
basta-
-
Da quanto tempo sei innamorato di lei?-
Sergio
sembrò riflettere per un po’.
-
Due anni- rispose poi, in un sussurro. Bianca annuì.
-
Un giorno lei mi disse che dovevamo smetterla di vederci, smetterla con tutta
quella storia. Ho cercato di fare qualcosa, ma non c’è stato niente da fare, e
allora ho pensato di arrendermi e di riprendere in mano la mia vita. È stato
difficile e pensavo di esserne uscito, poi lei è ricomparsa, all’improvviso, e
tutto è tornato a galla-
Sergio
fece una pausa, sospirò come per cercare di seppellire un antico
dolore.
-
Mi dispiace molto, Sergio – mormorò Bianca, poggiandogli una mano sulla spalla.
Lui abbozzò un sorriso.
-
Scusami Bianca, non sono stato sincero con te- disse, guardandola finalmente
negli occhi. Lei sorrise, un sorriso affettuoso.
-
Non è vero Sergio, non devi scusarti con me. A volte sai, il dolore porta a fare
delle cose di cui non siamo fino in fondo consapevoli, altre volte,
inaspettatamente, facciamo la cosa giusta-
Sergio
l’abbracciò, un gesto che lei non si aspettava perché sussultò. Lui affondò la
testa tra i suoi capelli e restarono così per un po’, fino a quando Sergio fu
preso come da uno spasmo e si sciolse dall’abbraccio.
-
Vorrei raccontarti delle storie- disse, con gli occhi
luminosi.
-
Storie?- chiese colpita Bianca, senza capire.
-
Già. Me le hanno raccontate tempo fa ed è come un patrimonio che mi porto
dentro, delle fantasie travolgenti che non ho mai condiviso con nessuno. Ma
adesso mi piacerebbe che tu le ascoltassi. Sei la prima persona che incontro da
anni che merita di conoscerle-
-
Che tipo di storie sono?- chiese Bianca, curiosa.
-
Su Calibri-
Bianca
ebbe un sussulto, si fece pallida, serrò le labbra e sgranò gli
occhi.
-
Come hai detto?-
Note:
Inizio con il ringraziare chi sempre legge i miei
capitoli, li segue e li commenta. Come avrete capito, stiamo per arrivare alla
resa dei conti e spero che il racconto continui ad entusiasmarvi, e soprattutto,
spero di essere riuscita a creare "suspance". Se vi piace questa storia,
seguitemi anche in "Tutte le bugie di Lena" e "Bosikom Luybov'- Il beneficio del
buio"
Grazie a tutti,
Lara
|
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Capitolo 11 *** Cosa hai fatto, amore? ***
calibri11
Ore
19.15
Le
storie che narravano di Calibri erano di quanto più assurdo Bianca avesse mai
ascoltato. Gli occhi di Sergio si illuminavano quando parlava di questo essere
leggendario, principe di un paese lontano, che faceva del bene a tutti e
riusciva a guarire con il solo pensiero, con il solo sorriso. Calibri non era
come tutti gli altri, e Sergio pareva saperlo bene. Mentre Sergio parlava, ebbe
l’impressione che il Calibri di cui stesse parlando non era lo stesso che le
spediva quelle strane lettere. Dai racconti di Sergio Calibri era audace,
coraggioso, deciso. Quelle lettere invece mostravano solamente un ragazzo
debole, malato d’amore. Cosa stava succedendo? Qual’era la
verità?
-
Chi ti ha raccontato tutte queste storie?-chiese d’un tratto Bianca, con un
cipiglio quasi nervoso. Sergio alzò le spalle sorridendo, lasciandosi andare con
la schiena sull’erba del parco.
-
Una persona. Una persona che amavo- disse, con l’aria sognante. Eppure non era
la stessa espressione che aveva avuto quando avevano parlato della persona di
cui era innamorato attualmente, ora aveva detto “persona che amavo” e quasi
pareva pensarci con una relativa serenità.
Bianca
non parlò, quasi aspettasse che lui aggiungesse qualcosa, ma per un minuto
scarso Sergio rimase muto. Poi, guardando le nuvole diradarsi nel cielo
cristallino, aggiunse quasi in un sussurro proibito:
-
Era una persona molto strana, ed io l’amavo con la tenerezza di un ragazzino.
Come il primo amore, quello che ti distrugge tutte le membra. Non respiravo
quando lei era con me, il cuore mi batteva talmente forte che un giorno o
l’altro sarebbe scoppiato!, - rise, sembrava che i ricordi affiorassero, Bianca
abbassò d’istinto gli occhi, - non sapevo molto di lei, né da dove venisse né
cosa facesse. Sapevo solo che mi aveva rapito il cuore. Passavo con lei ogni
momento disponibile, per me era come una droga. Lei si sedeva accanto a me e
iniziava a raccontare queste storie assurde su Calibri. A volte era come se io non
avessi aspettato altro che lei dalla vita, e alcune volte penso che se non se ne
fosse andata...-
Si
fermò, era come se stesse confessando troppo.
-
Dove se n’è andata?- chiese Bianca.
-
Non l’ho mai saputo. Un bel giorno mi ha detto che sarebbe partita e che non
dovevo più cercarla-
Bianca
abbassò lo sguardo tristemente.
-
Mi dispiace- farfugliò. Sergio si voltò verso di lei con un sorriso
dolce.
-
No, non dispiacerti. È stato molto tempo fa, e anche se avrei voluto soltanto
sapere che fine aveva fatto... non fa niente, è tutto finito
ormai-
Sergio
tornò a guardare il cielo, Bianca fu scossa da un fremito. Di chi erano quelle
lettere? Sergio avrebbe potuto aiutarla? Era contesa, non sapeva se rivelargli
tutto sarebbe stata la cosa giusta, ma forse ne valeva la pena tentare. Cosa
aveva da perdere, dopotutto?
-
Sergio...- balbettò, imbarazzata.
-
Si?-
-
Ascolta, devo dirti una cosa, cioè, voglio chiederti aiuto per una
questione-
-
Cosa è successo?-
Sergio
era preoccupato dal tono di Bianca, si mise a sedere di fronte a lei,
piantandole gli occhi verdi sul viso.
Bianca
ingoiò saliva a vuoto mentre per il nervosismo non riusciva a stare
ferma.
-
Da un po’ di tempo mi arrivano a casa delle lettere. Cioè, non è che vengono
spedite, c’è qualcuno che le mette nella mia cassetta della posta e va via. Non
c’è una frequenza precisa, a volte anche una dopo l’altra. Sono tutte firmate
col nome di Calibri-
Sergio
impallidì, l’espressione del suo volto mutò.
-
E’ impossibile... – mormorò, mentre non riusciva a
muoversi.
-
Lo so, sembra una cosa assurda ma è vero, non so cosa fare, non so a chi
appartengono e soprattutto, non so chi è la persona che le porta da
me!-
Sergio
si alzò di scatto come invasato.
-
Dove sono queste lettere?-
Sembrava
allarmato, Bianca si alzò subito con un’aria spaventata. Lo fissava con tanto
d’occhi aperti.
-
A casa mia- mormorò,- le ho conservate-
Sergio
non parlava, sembrava stesse riflettendo su qualcosa di fondamentale importanza,
era al contempo sconvolto e stranamente lucido, come se gli si fosse aperto uno
squarcio nella mente.
Bianca
iniziava ad avere paura di quella reazione, forse non avrebbe dovuto dirglielo!
Dopotutto, che ne sapeva lei di quello che Sergio aveva passato? Iniziò a
pentirsi, il suo volto divenne l’espressione della paura.
Strattonò
Sergio per un braccio.
-
Sergio! Stai bene? Che succede, Sergio?-
Lui
finalmente parve riaversi, si accorse che Bianca era impaurita e si impose di
calmarsi. Sospirò, addolcì la sua espressione ed accarezzò un braccio di
Bianca.
-
Potrei vederle?-
...
ore
19.47
-
Eva?
Eva, è pronta la cena! Non scendi?-
Amanda
bussava con insistenza, ma Eva non rispondeva.
-
Tesoro,
stai bene? Sicura che è tutto apposto?-
Continuava
a battere le nocche della mano sul legno bianco della porta, tendendo
l’orecchio. Eva fissò la porta, aveva un grosso groppo in gola ma si sforzò di
rispondere.
-
Cenate
pure senza di me. Non mi sento tanto bene- riuscì a dire.
La
sua voce sembrava convincente, infatti Amanda le lasciò qualche sdolcineria e
poi scese di sotto, Eva riusciva a sentire i suoi passi per le scale. I passi di
Amanda, la voce di Amanda, persino il sentirla nominare la mandava in paranoia.
Era assalita da qualcosa come i sensi di colpa senza esserne perfettamente
consapevole, si teneva la testa tra le mani cercando di dimenticare il suo
incontro con Sergio, cercando di perdonarsi.
Non
doveva succedere, non sarebbe dovuto succedere niente del
genere.
Come
diavolo glie era venuto in mente di recarsi lì? Cosa sperava di
ottenere?
Sospirò
rumorosamente sentendosi ipocrita e vigliacca. Anche se Sergio non l’aveva
dimenticata, le cose non erano semplici. Si alzò, camminò per la stanza come per
calmarsi, poi fu assalita nuovamente dai sensi di colpa. Alzò il materasso, tirò
fuori dall’incavo la busta che aveva nascosto. La tenne tra le mani respirandoci
sopra, gli occhi le si riempirono di lacrime. L’aprì con foga e velocità, poi
una paura strisciante l’avvolse.
Era
vuota.
Le
lettere erano sparite.
Guardò
meglio nell’incavo per vedere se fossero cadute, ma non c’era niente. In panico,
buttò per l’aria il materasso, le lacrime iniziavano a scorrerle sul volto
veloci, erano grandi lacrime che le appannavano la vista rendendo tutto ancora
più difficile. Non c’era niente, nessuna traccia delle
lettere.
Si
alzò con uno scatto deciso, aprì tutti i cassetti della scrivania e gettò per
terra quanto c’era dentro, incurante. I suoi occhi erano fissi sulle sue mani
che scavavano, senza risultato. Passò alle mensole dei libri dell’università, li
gettò a terra uno dopo l’altro, producendo un tonfo sordo. Si portò disperata le
mani ai capelli quando realizzò che non erano neanche lì. Piangeva come una
fontana, cercava di liberarsi il viso ma non ci riusciva. Si accasciò a terra,
tra fogli e libri, e diede sfogo a quanto aveva
nell’anima.
La
disperazione saliva attraverso quelle lacrime.
Le
lettere non c’erano più.
…
Ore
20.05
Bianca
infilò la chiave nella toppa, sapendo che a quell’ora casa sua era vuota. Con un
gesto fulmineo fece entrare Sergio, che era rimasto in silenzio durante tutto il
tragitto. Bianca sentiva che stava per cacciarsi in un mare di guai, ma evitò di
parlare per peggiorare la situazione. Guidò Sergio in camera sua, aprì il
cassetto della scrivania dove aveva conservato le lettere e le porse a Sergio,
che le guardò con aria sconvolta. Una dopo l’altra Sergio le sfogliava, sembrava
leggere di sfuggita qualche rigo e poi passare a quella successiva, continuava a
fissarle mentre le mani gli tremavano. Bianca non capiva. Cosa avevano a che
fare quelle lettere con Sergio?
Poi
gli occhi del giovane di riempirono di lacrime, lacrime che lui abilmente
represse. Si accasciò senza forze sul letto di Bianca tenendo ancora in grembo
le lettere, le sue mani le stringevano come un tesoro.
-
Sergio?
Sergio, devi dirmi cosa sta succedendo e devi dirmelo
adesso-
La
risolutezza in quel momento le pareva la cosa migliore. Sergio alzò gli occhi
verso di lei, la vedeva, impaurita e decisa dinanzi a lui.
-
Chi
ti ha dato queste lettere?- sibilò, con tono serio e
freddo.
Bianca
sentì un fremito nel petto.
-
Nessuno.
Mi sono state recapitate, te l’ho già detto-
-
Bianca,
per favore, devi dirmi la verità!-
-
Questa
è la verità-
Sergio
si alzò, sembrava in preda ad uno spasmo.
-
Te
le ha date Eva?- gridò, fuori di se.
Bianca
lo guardava allibita, istintivamente fece un passo indietro come per
allontanarsi. Non rispondeva, non riusciva più a muoversi né a parlare. Non
aveva mai visto questa versione di
Sergio. Il ragazzo sventolò le lettere in aria mentre il suo petto si gonfiava
per i respiri pesanti.
-
No,
non me le ha date nessuno! E tu come sai che conosco Eva?-
Sergio
rimase interdetto. Ecco, questo non doveva dirlo. I suoi occhi parevano cercare
una risposta, ma invano.
Fece
per uscire dalla stanza di Bianca, ma lei lo fermò chiudendo la porta con un
movimento fulmineo e parandosi davanti a lui.
-
Tu
non esci di qui fino a quando non mi dici tutto quello che sai di questa
storia!- sputò fuori, con tono velenoso.
Sergio
aveva gli occhi lucidi, la mano con la quale teneva le lettere
tremava.
-
Devo
andare da Eva – disse, in un sussurro poco chiaro.
-
Cosa?-
-
Devo
andare da lei. Bianca, tu non capisci-
-
Già,
non capisco, ma adesso tu mi spiegherai ogni cosa-
-
Non
posso. Non c’è tempo-
-
Tempo?
Per cosa? Basta adesso, Sergio. Tu sai qualcosa che io non so, è
evidente-
Sergio
sospirò spazientito.
-
Devo
andare-
Con
un gesto veloce riuscì ad aprire la porta e a sgattaiolare fuori prima che
Bianca potesse fare altro.
-
Ehi!
Sergio, Sergio!-
Ma
lui non l’ascoltava, aveva aperto la porta e stava correndo per le scale, Bianca
poteva sentire dei singhiozzi, forse erano lacrime.
Sconvolta
ed impaurita, ma ad un passo dalla verità, afferrò le chiavi della macchina di
Stefano e si gettò all’inseguimento di Sergio.
…
Ore
20. 32
Christian
sorrideva ad una contrariata Lara, che lo seguiva poco distante mentre
camminavano lungo il Corso Vittorio Emanuele.
-
M’hanno
detto che è un po’ psicopatica- azzardò, con voce abbastanza alta da far voltare
Christian e ridere Ariel.
-
Oh,
avanti. Vedrai che non sarà così male. E poi non facciamo mica
paura-
Christian
sorrise, Ariel alzò le spalle imitandolo, mentre Lara continuava tenere in
broncio.
-
Potevate
anche andarci voi due da soli, visto che vi divertite così tanto- continuò, con
tono pungente. Ariel le poggiò una mano sulla spalla.
-
Lara,
non sentirti discriminata- disse, con
quel suo strano tono che sorprendeva Bianca, - lo sai come sono fatti questi
signorini ricchi. Sono un po’ schizzinosi-
Lara
si scrollò la mano di Ariel di dosso, arrossendo dall’ira.
-
Non
provare ad usare i tuoi giochetti con
me. E lo sai che non sopporto di essere trattata in quel
modo-
Christian
rise di Lara sotto i baffi, la tirò per un braccio facendola avvicinare a
se.
-
Avanti,
non la vedrai neppure. Dobbiamo solo riprenderci il mio amuleto e andare
via!-
-
Non
potevi stare un po’ più attento? E tra l’altro sai che la smorfiosa ci aveva
impedito di avvicinarci a casa sua fino alla fine
dell’estate!-
Christian
rise di nuovo, sembrava estremamente tranquillo.
-
Avevo
solo voglia di divertirmi un po’!-
-
Certo,
certo. Poi hai incontrato Bianca e…-
Ariel
lasciò la frase a metà, provocando in Christian una reazione inaspettata. Si
rabbuiò, abbassò lo sguardo. Anche Lara cambiò espressione, adesso divenne seria
e quasi fredda. Alzò le spalle con fare nervoso.
-
Non
fare quella faccia, adesso. Te l’avevo detto di non metterti nei guai con
Bianca. È una brava ragazza- lo ammonì, quasi sottovoce.
-
Lo
so- rispose Christian con tono
duro, - non credere che non sappia a cosa sto andando
incontro-
-
Sei
un’irresponsabile, ecco cosa sei-
-
Lara,
ti prego, - intervenne Ariel, con un’occhiata eloquente, - non mi sembra il caso
di inveire contro di lui-
-
Ah
no? Ci sono state date indicazioni precise quando siamo venuti qui. E tu non sei
certo diverso dagli altri, nonostante ti piaccia
crederlo!-
Christian
non rispose alla provocazione di Lara, sapeva che lei teneva molto a Bianca. Non
riusciva a sentirsi in colpa sebbene sapeva che non avrebbe dovuto iniziare
quella relazione con lei. Avrebbe portato soltanto sofferenza, per
entrambi.
-
Hai
ragione, Lara. Non avrei dovuto- mormorò infine.
-
Beh,
almeno lo capisci. Ma ormai è troppo tardi-
Lara
aveva un tono rassegnato ma nervoso, incrociò le braccia al
petto.
Ormai
erano arrivati dinanzi alla villa, Lara alzò la testa riconoscendo
l’edificio.
-
Allora,
bussiamo?- chiese Ariel, con tono abbastanza allegro da smontare quell’atmosfera
tesa.
-
Okay.
Ma se ci apre quella io non parlo, sia chiaro. Se esce Amanda è un altro paio di
maniche. O il signor Francesco, s’intende. Che brav’uomo. Come può avere una
figlia del genere? In cosa gli somiglia? Che facciamo, noi? Paura? Facciamo
paura? E io sono molto più carina di lei. Ma come fa Amanda a sopportarla? Io
l’avrei disintegrata. Ehi ehi, scherzavo. Non guardatemi
così-
…
Ore
20. 43
Sergio
aveva parcheggiato il suo scooter appena fuori dalla villa, Bianca fermò l’auto
poco distante e scese, seguendolo. Si aspettava che bussasse, ma non lo fece. Lo
vide correre lungo il muro ricoperto dai rampicanti, tastare con le mani
come se cercasse qualcosa, poi all'improvviso sparire tra le foglie,
arrampicarsi sul muretto, arrivare in cima
e confondersi tra gli alberi.
Sergio
si stava introducendo furtivamente a casa di Eva.
Sempre
più sconvolta ma decisa più che mai ad andare infondo a quella faccenda, si
tolse le scarpe con il basso tacco che non le avrebbero concesso l’arrampicata,
e facendosi coraggio infilò le mani nelle crepe del muro, come aveva visto fare
a Sergio poco prima. Con i piedi nudi era difficile arrampicarsi, ma la sua
determinatezza vinceva l’inesperienza.
Sto
violando una proprietà privata,
si ripeteva in preda ad uno strano senso di colpa. Ma non poteva trovare il
cancello aperto, come la volta precedente? Eh no, sarebbe stato tutto troppo
facile. E Sergio, perché non aveva bussato?
Troppe
domande le affollavano la testa, ma a breve avrebbero trovato
risposta.
**
Sentirono
il citofono suonare, Francesco si pulì le labbra con un tovagliolo e osservò
l’orologio.
-
Ma
chi sarà a quest’ora?- chiese, rivolgendosi ad una interrogativa
Amanda.
La
cena, preparata solo per loro due, pareva un po’ triste senza Eva, che quella
sera non aveva voluto partecipare. Era da un po’ che Francesco la vedeva assente
e poco partecipe, e aveva provato a spiegarselo con la presenza di Amanda, che
sapeva disordinare la vita della figlia, ma Eva non si era mai chiusa in una
così strana solitudine.
-
Vuoi
che vada io?- chiese Amanda, alzandosi già dalla tavola. Francesco stava per
rispondere, ma Amanda era già al citofono.
-
Chi
è?- domandò.
Christian,
dall’altra parte, si annunciò. Gli occhi di Amanda si illuminarono, sorrise,
allontanò un po’ il ricevitore dalla bocca e disse rivolta a
Francesco:
-
Sono
loro! Ti dispiace se entrano, Francesco?-
Francesco
si alzò sorridente.
-
Ma
no, sei impazzita! È un piacere per me. Potrebbero fermarsi a cena, hai cucinato
così tanto!-
Amanda
sorrise raggiante, invitò i ragazzi ad entrare ed aprì loro il cancello, poi
corse alla porta. Francesco la affiancava, e quando i tre furono arrivati
sull’uscio, si abbracciarono contenti.
-
Che
bello vederti! Oh Dio, sembra un secolo! Ariel! Sei così diverso, santo Cielo!
Lara, tesoro!-
Amanda
era al settimo cielo, Lara sorrideva intimidita, così diversa da come Bianca
l’aveva sempre conosciuta. Christian era il più spigliato, aveva salutato
Francesco e dato due schioccanti baci sulle guance di
Amanda.
-
Mi
dispiace essere piombati qui così, all’improvviso, ma sai, mi sono accorto di
una cosa, - disse Christian, senza far troppi giri di parole, - credo di aver
dimenticato qui il mio amuleto-
Amanda
sorrise mentre Lara si stringeva nelle spalle. Si guardava intorno chiedendosi
dove fosse la pazza isterica, ma la casa era immersa nella pace e nel
silenzio.
-
Oh,
allora eri tu! Eva per poco non sveniva. Le avevo detto che potevi esser stato
tu, ma lei non ha voluto sentire neanche una parola su di te. Sai com’è fatta,
ma infondo è una brava ragazza-
Amanda
parlava gesticolando molto, mentre le gote erano arrossate
dall’emozione.
-
Mi
dispiace molto di averla spaventata, non era mia intenzione. Porgile le mie
scuse- disse Christian, misurando le parole ed il tono della
voce.
-
Ragazzi,
non restate sull’uscio, venite pure dentro! Amanda ha appena preparato una bella
cenetta, e mia figlia non è dei nostri stasera. Vi va di fermarvi con
noi?-
Il
tono di Francesco era simpatico e galante, Ariel piegò la testa da un lato con
un sorriso sincero.
-
Non
vorremmo disturbare…- mormorò.
-
Disturbare?
Ma no, cosa dite! Avanti, Amanda, fai strada ai tuoi
amici-
Amanda
si diresse verso la cucina, Francesco chiuse la porta di casa e poi seguì i
ragazzi.
**
Sergio
correva per il giardino con i capelli al vento, il viso rigato di lacrime e il
respiro corto. Non si era accorto che Bianca l’aveva seguito, non aveva fatto
abbastanza attenzione. Non c’era molto tempo da perdere, non c’era nemmeno tempo
per pensare. Arrivò sotto la finestra di Eva, vide che c’era la luce
accesa.
Era
fortunato, Eva era in camera sua.
Infilò
le lettere nella tasca dal pantalone e con grande agilità prese ad arrampicarsi,
come ormai sapeva fare bene.
Arrivò
fino al vetro, si poggiò con i gomiti sul davanzale, la finestra era
aperta.
Eva,
in lacrime, sedeva al centro di un’enorme confusione.
Come
risvegliato da una luce che mette in mostra il giusto ordine dei pezzi di un
puzzle, Sergio comprese il motivo della disperazione di
Eva.
-
Cerchi
queste?-
Le
lacrime avevano fatto spazio ad una roca voce spezzata, con un balzo Sergio era
dentro la stanza, stringendo tra le mani le lettere.
Eva
si alzò colpevole, allarmata, ansimante, con gli occhi arrossati e la paura
disegnata abilmente sul suo bellissimo e vitreo viso.
Con
una strana luce negli occhi, Eva smise di singhiozzare e si lanciò verso Sergio,
tendendo le mani verso le lettere, che lui prontamente tirò via prima che
potesse afferrarle.
Sergio
ricominciò silenziosamente a piangere, lasciando che le lacrime scendessero
lungo le guance ed il collo. Con gli occhi, si parlavano.
Eva
si coprì il volto con le mani, incapace di proferire
parola.
-
Cosa
hai fatto, Eva? Cosa hai fatto?- domandava Sergio a bassa voce, mentre si
avvicinava a lei, poggiando le mani sui suoi capelli, - cosa hai fatto, eh? Eh,
amore? Cosa hai fatto? Come hai potuto?-
**
Bianca
aveva visto la luce accesa in quella che sospettava essere la camera di Eva,
aveva visto Sergio arrampicarsi, ma sapeva che non sarebbe riuscita a salire
anche lungo il palazzo fino alla finestra. Aveva il fiatone, graffi sulle gambe
e sui piedi.
Era
ora di mettere fine a quella storia.
Corse
per il giardino fino a quando non giunse davanti alla porta di casa. Aveva
paura, ma non importava. Bussò il campanello, come già aveva fatto una volta,
non molti giorni prima. Attese, prima che Amanda aprisse la
porta.
La
guardò interrogativa, sconvolta, la osservò da capo a piedi mentre le si
facevano strada pensieri oscuri nella mente.
Nessuna
delle due parlava, si guardavano fisse negli occhi, Bianca era
stremata.
-
Amanda?
Amanda, chi è?-
La
voce di Francesco risuonava nel grande atrio, ma non compariva
nessuno.
-
Che
ci fai qui? Come hai fatto ad entrare? Cosa è successo?-
Le
domande di Amanda erano veloci e fredde, aveva una mano ancora sul pomello della
porta mentre tentava di dare un senso a quella scena.
-
Sta…
sta succedendo qualcosa…- balbettò Bianca a mezza voce, mentre sentiva le
lacrime farsi strada nei suoi occhi.
Ci
mancava solo che si mettesse a piangere.
Si
sentì un rumore di sedie che si strisciavano sul pavimento, poi Francesco
comparve dietro Amanda.
-
Amanda,
che succede? Chi è questa giovane? Posso esserti utile?-
Dopo
un attimo, Christian spuntò dalla porta a vetri dietro la quale lui e Bianca
avevano avuto il loro fatidico primo incontro.
Bianca
sgranò tanto d’occhi.
-
Christian!-
-
Bianca!-
-
Bianca?-
risuonò la voce di Lara, che si catapultò sull’uscio, affiancando Amanda e
coprendo quasi completamente Francesco.
Bianca
non l’aveva mai vista così, con quell’aria finalmente da adulta, con gli occhi
accesi e con quel tono di voce così serioso, che non le si
addiceva.
Calde
lacrime scesero sulle sue guance, mentre il respiro le si era bloccato in
gola.
Christian
si fece largo tra le ragazze mentre anche Ariel finalmente compariva, a
completare quell’assurdo quadretto.
Bianca
sentì un fremito allo stomaco quando Christian la afferrò per le spalle e la
strattonò come per risvegliarla. Sembrava preoccupato, Bianca tentava di leggere
i suoi occhi.
-
Bianca,
Bianca, che succede? Che ti succede?-
Bianca
non rispondeva, Christian la strinse al petto, poi Lara si avvicinò e tirando
via Christian, guardando Bianca tra le lacrime che coprivano i giovani occhi
dell’amica.
-
Bianca…
cosa sta succedendo? Come sai che eravamo qui?-
-
Non…
non lo sapevo- biascicò lei, tra i singhiozzi.
Amanda
si morse le labbra, Lara le lanciò un’occhiata significativa.
-
Sergio
è qui. È di sopra, da Eva. È salito dalla finestra- mormorò poi, vincendo la
confusione.
Tutti
si voltarono verso Amanda, che non riusciva a credere alle sue orecchie. In un
secondo gli occhi le si riempirono di lacrime, si allontanò fulmineamente dalla
porta, Francesco tentò di fermarla.
-
Amanda,
aspetta, ragiona, noi adesso non…-
-
Lasciami,
lasciami!- gridava, in preda ad una strana e spasmodica disperazione. Bianca
guardava allibita la scena, Ariel e Lara tentavano di aiutare Francesco,
Christian si rivolse a lei con un tenue sorriso, che appariva come un raggio di
sole durante una tempesta.
-
Bianca,
io non…-
-
Voglio
sapere la verità, Christian, adesso non voglio più le bugie di nessuno di
voi-
Amanda
riuscì a liberarsi dalla stretta dei tre, corse per le
scale.
**
Amanda
aprì la porta con un tonfo, le lacrime rigavano le sue guance e la rendevano
diversa. Amanda non era così, Amanda non piangeva.
Adesso
Amanda era senza paura, senza domande, solo con un’enorme dolore dipinto sul suo
volto.
Sergio
era sconvolto.
Lasciò
cadere le lettere a terra, spalancò la bocca per la
sorpresa.
Eva
era statuaria, pareva che si fosse congelata nel momento in cui Amanda aveva
aperto la porta. Eppure se qualcuno avesse potuto guardare nella sua anima,
avrebbe visto ardere un fuoco difficile, un fuoco che le stava consumando le
membra. Si sentì sprofondare in quei pensieri proibiti, si sentì scoperta, come
una ladra. Si accasciò a terra chiudendosi il viso tra le
gambe.
-
Amanda…-
Sergio
era come tornato indietro nel tempo.
Indietro
di due anni.
Amanda
non parlava, lo fissava e desiderava correre ad abbracciarlo, fingere che il
tempo non fosse mai passato e che quelle braccia fossero sempre le stesse, che
il suo sorriso fosse sempre lo stesso e soprattutto, che il suo cuore fosse
sempre lo stesso.
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Capitolo 12 *** Calibri ***
calibri 12
Festa
dell’Incoronazione, due anni prima
Sergio
non aveva voglia di uscire di casa, ma l’avevano trascinato quasi con la forza.
“Non ti sai divertire”, gli ripetevano gli amici, mentre lui chiudeva annoiato
il libro sul quale preparava il prossimo esame. Non era stato mai un grande
festaiolo, Sergio: gli piaceva studiare, leggere, raccontare. Aveva molti amici
perché era un ragazzo socievole, disponibile e gentile, ma era da tutti loro
estremamente diverso.
Quella
sera però, pareva non esserci scampo.
Lo
tirarono via dallo studio in una calda serata di luglio e lo trasportarono con
loro in giro per la città. Le stelle si vedevano sempre di meno, il cielo pieni
di luminarie, grandi fasci di luce bianca provenivano da ogni
dove.
Distratto,
con la testa poggiata pesantemente sul sedile posteriore dell’auto di uno dei
suoi migliori amici, Gabriele, ascoltava i loro
discorsi.
Fermarono
la macchina al Corso Vittorio Emanuele, quella sera stranamente non c’era quasi
nessuno. Certo, iniziano le vacanze, pensava Sergio. Le persone non sono mica
qui, in giro per la città, sono tutte ai falò sulla spiaggia, a quelle
noiosissime feste in discoteca. Non è nemmeno sabato! E io non dovrei essere
qui.
Pensieri
leciti, ma segreti. Camminavano guardando il mare dall’alto, discutevano,
qualcuno aveva preso una birra. Poi, dall’altro lato della strada, ecco ergersi
un’enorme villa, tutta illuminata, ed ecco il cancello appena aperto, e ragazzi
e ragazze in abito da sera fare il loro ingresso.
I
ragazzi si guardano tra loro, vogliosi di entrare. Sergio sghignazzò, non
potranno mai essere invitati ad una festa del genere, pensava. E nemmeno
io.
Poi,
Corrado, il più coraggioso, con una strana luce negli occhi tirò via Gabriele e
gli sussurrò qualcosa all’orecchio, Gabriele all’inizio non voleva, si sentiva
un po’ in colpa, ma alla fine tutti furono d’accordo.
Bisognava
imbucarsi. Per una volta non sarebbe successo niente. E se c’era il buttafuori
all’ingresso, poco male, se la sarebbero svignata nel
giardino.
Sergio
scosse la testa deciso. Non era il caso di fare una cosa del genere, ma non lo
stettero a sentire. Attraversarono la strada in un lampo e si unirono al fluire
di persone che entrava in quella villa.
…
Eva
avrebbe preferito non essere in casa, ma suo padre l’aveva costretta. Adesso che
anche lei conosceva il suo segreto, il suo nuovo “lavoro”, doveva essere
partecipe della grande Festa dell’Incoronazione.
Eva
non credeva al paranormale e non c’aveva mai creduto, ma aveva dovuto mettere in
discussione tutte le sue certezze quando suo padre le aveva narrato la storia
del Lago Incantato e di quello che c’era nascosto sotto di
esso.
Il
Lago Incantato non si trovava in un luogo preciso, era qui e lì, a comodità
delle persone. Non era d’acqua, ma sembrava che lo fosse. O meglio, era acqua se
credevi che lo fosse, se non lo credevi, lei non lo era. Coperto da salici e
muschio, Eva non sapeva come si facesse a vederlo, sapeva solo che quando lo si
vedeva, al di sotto di esso, si potevano scorgere dei visi, come di persone che
dormivano sotto il Lago, con i capelli fluttuanti in un mare di luce bianca, e
gli occhi chiusi. Erano come dei morti, degli annegati di chissà quale epoca
storica che chissà per quale motivo, nel Lago Incantato avevano la loro seconda
possibilità, la possibilità di vivere di nuovo. Chiusi sotto il Lago, avevano
una nuova vita.
Di
tanto in tanto però, era loro concesso di venire sulla terra per dei periodi ben
scanditi, non un giorno di più né un giorno di meno. Venivano fuori dal Lago
asciutti, emergevano e risplendevano tutti di una rara bellezza. Cosa venissero
a fare sulla terra? Ignoto. Si diceva che avessero un compito, che ognuno di
loro avesse speciali facoltà e che sapessero più di quanto si potesse mai
immaginare. Erano arguti, intelligenti, attivi.
Il
compito di suo padre era quello di andare a pescare ogni anno dei novellini e di
custodirli fino a quando non avessero fatto ritorto sotto il Lago. Qual’era il
frutto di questo lavoro? Non c’era.
Suo
padre non veniva in nessun modo pagato, ma continuava a gestire le aziende della
loro famiglia, anche se lei credeva che ormai avesse delegato tutto agli zii.
Era impossibile privarla del tenore di vita che aveva sempre condotto, dunque
suo padre alternava il deprimente lavoro che gli spettava con questa brillante
attività. Ad iniziarlo era stata la zia Clarissa, durante la sua
permanenza.
Eva
non sapeva come la zia Clarissa fosse venuta a conoscenza del Lago Incantato e
qual’era il suo compito, ma sapeva che era lei la responsabile di tutto.
All’inizio, Eva tentava di farsene una ragione: poteva benissimo dimenticare
tutte quelle frottole, d’altronde suo padre non si sarebbe mai permesso di
portarla a vedere questo fantomatico Lago, e lei non sarebbe mai venuta in
contatto con questi essere fantastici. Doveva soltanto vivere la sua vita in
maniera del tutto normale, come aveva sempre fatto, convivendo con quel segreto
che per niente al mondo avrebbe dovuto rivelare. Il segreto del Lago Incantato
era custodito da pochi, e nessuno doveva venire a conoscenza della sua esistenza
e dell’esistenza del suo popolo, date le loro speciali
capacità.
La
vita di Eva continuava, nonostante gli incubi, fino a quando suo padre non le
aveva felicemente comunicato che quell’anno la Festa dell’Incoronazione si sarebbe
tenuta lì, a casa loro. Eva aveva tentato di opporsi, ma suo padre non aveva
desistito. Ormai, Eva era a conoscenza del segreto e la loro casa era la più
grande e la più adatta per ospitare un evento del
genere.
La
Festa Dell’Incoronazione
avveniva pochi giorno dopo l’arrivo del popolo del Lago sulla terra. Era come
una festa d’iniziazione o un che di simile, dove avveniva l’incoronazione della
loro Regina, che si ripeteva ogni anno.
Ma
non era questa, la cosa più grave. La cosa più grave era che suo padre aveva
deciso di far alloggiare nella loro casa una delle novelline, con la quale aveva
fatto particolare amicizia.
E
quella sera, Eva avrebbe dovuto incontrarla per la prima
volta.
…
Amanda
non aveva mai visto niente di simile. Nascondeva gli occhi dietro una maschera
argentea, i capelli raccolti in una strana acconciatura dietro la nuca, con
delle piume grigie come ornamento, alle mani dei guanti bianchi e un lungo abito
di colore simile alla maschera, che scendeva sinuoso lungo il suo corpo. Era la
prima volta che Amanda veniva sulla Terra, la prima volta che vedeva così tante
persone. La sua vita, sotto il Lago, non era niente di entusiasmante:
bibliotecaria di corte, rinchiusa dalla mattina alla sera tra i libri. Certo,
non le dispiaceva occuparsi di una così nobile arte come la scrittura, ma aveva
così tanto sentito parlare delle meraviglie della Terra che non vedeva l’ora che
venisse il suo turno, finalmente il suo momento. Sarebbe emersa dal Lago e
avrebbe passato tre lunghi mesi sulla Terra, e non chiusa in
biblioteca.
Aveva
la testa piena di idee, Amanda: fantasie, immaginazioni, una miriade di frottole
bambinesche. Le aveva tutte prese dai libri, quelli che era destinata a
custodire gelosamente. C’erano giornate, lì a corte, dove non succedeva un bel
niente, e dunque lei si sedeva sugli scaffali più alti e leggeva storie su
storie. La maggior parte erano storie d’amore: narravano quasi sempre di
principesse in pericolo salvate da audaci principi, e qualche altra di tenere
storie d’amore tra amanti sfortunati. Ma nessuna di quelle storie aveva il
sapore della vera favola, della vera meraviglia. Nessuna di loro infatti parlava
di Calibri.
Calibri
era il suo principe, il principe del regno, delle emozioni, dei
sogni.
Tra
le persone che abitavano la corte, Calibri era quello che più spesso le faceva
visita, accompagnato dal fratello minore Ariel.
Calibri
ed Ariel avevano capacità diverse, entrambi meravigliosi, ma diversi. Calibri,
tra i due, era di sicuro quello che si faceva notare di più: gagliardo,
coraggioso, abile in ogni sport e in ogni arte, generoso, capace di vivere in
simbiosi con gli altri, accarezzare i loro pensieri. Ariel, diversamente dal
fratello maggiore, era più timido ed introverso, e anche le sue capacità erano
decisamente più nascoste. Per niente esibizionista, Ariel riusciva a deviare
l’attenzione delle persone, incantare con i suoi discorsi, incatenare le persone
all’istante.
Ma
adesso era distante da loro: né Calibri né Ariel erano venuti sulla Terra con
lei, il primo per chissà quali impegni, il secondo perché non era ancora giunto
per lui il momento. Quando li aveva salutati, entrambi non sembravano gelosi del
suo viaggio. Calibri sorrideva con dolcezza, Ariel era impegnato con la sua dama
di compagnia, Lara.
Lara
era una fata diversa dalle altre, per questo Ariel l’aveva scelta come sua dama
e consigliera. Dolce, ribelle, incredibilmente fantasiosa, Lara viveva in un
mondo tutto suo, dal quale emergeva raramente. La sua presenza a corte era come
un getto di acqua fresca, una ventata di gioia e di continua
novità.
Con
lei però era giunta la madre dei due ragazzi, Europa. Lei era la Regina, e come ogni anno,
era tradizione che venisse incoronata davanti a tutti i partecipanti alla
festa.
La
casa nella quale era stata condotta da Francesco era quella nella quale avrebbe
dovuto alloggiare. Francesco era il primo essere umano che Amanda aveva visto, e
con il quale aveva avuto subito una grande intesa. Francesco le ricordava tanto
suo padre, quando da piccola la portava in giro per i boschi e le sorrideva così
dolcemente. Anche Francesco era padre, Amanda l’aveva capito subito dai suoi
occhi. Il feeling che si era creato tra loro aveva spinto Francesco ad invitarla
a stare a casa sua. Solitamente, erano messe a disposizione del popolo del Lago
alcune case, ma Francesco aveva fatto per lei un’eccezione. Sapeva anche che
Francesco aveva perso la moglie e che aveva una figlia, Eva. Era tanto curiosa
di conoscerla.
…
Nessuno
aveva chiesto loro chi fossero, nessuno si era preoccupato della loro identità.
Così, Sergio ed i suoi amici stavano partecipando alla più strana festa in
maschera di tutti i tempi. Si procurarono qualcosa da mettere sul volto scavando
in uno strano recipiente che c’era all’entrata, colmo di mascherine, e avevano
tentato di mischiarsi alla folla.
Sergio
non si sentiva a suo agio. Aveva paura di essere scoperto, paura persino che
qualcuno potesse parlare con lui. La grande sala era piena di eleganti signore
in abito da sera e altrettanti eleganti signori in giacca e cravatta. Una di
loro lo colpì particolarmente, era seduta dall’altra parte della sala, aveva una
maschera argentea sul volto e pareva imbarazzata, proprio come
lui.
…
Eva
scese le scale di fretta, si strinse nell’abito nero, lungo e stretto ad
accarezzare le curve del suo corpo. Una ragazza di diciannove anni avrebbe
dovuto pensare all’Università imminente, non ad una stupida festa di esseri
immondi.
C’erano
mille persone, tutte mascherate. Quale di queste era Amanda? Non lo sapeva,
quasi non voleva saperlo.
…
Un
ragazzo le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Chissà chi era,
Amanda non l’aveva visto. Non era uno appartenente al suo mondo, se n’era
accorta dal semplice tocco della sua mano. Le sorrideva, aveva un sorriso
smagliante e coraggioso. Pareva Calibri, ma non era lui. Aveva occhi verdi e
brillanti che brillavano dalla maschera, e capelli ricci e neri, luminosi. Le
aveva chiesto di ballare! Oh, ballare! Era così tanto tempo che non ballava!
Come? Oh già, tra poco c’è l’Incoronazione, questo è l’ultimo ballo. Allora sarà
meglio accettare, prima che il ragazzo vada via. Amanda afferrò la mano di
Sergio, si fece condurre in pista e ballarono in silenzio, guardandosi negli
occhi come se in quegli occhi ci fosse già scritto
tutto.
Era
una situazione incredibile, da favola. Amanda non riusciva a credere a quanto le
stava succedendo, lei, la bibliotecaria dimenticata, lei, la fantasiosa!, stava
ballando con un ragazzo, un essere umano, un bellissimo essere
umano.
La
musica sfumò, tutti applaudirono, poi le luci divennero soffuse e al centro
della sala apparve Europa. Il suo lungo vestito dorato brillava nella sala, il
suo sorriso era serio e autoritario. Si fece avanti un giovane ragazzo che
faceva parte del suo mondo, portando su un cuscino ricamato d’oro una grande
corona. Il ragazzo che le era accanto le strinse leggermente la mano e le chiese
sussurrando delle spiegazioni. Oh, lui non sapeva cosa stava succedendo. Come
mai non lo sapeva? Eppure in quella festa tutti avrebbero dovuto sapere. Amanda
si limitò a dire che quella era l’Incoronazione, e lui assentì. Poi le chiese se
era una festa a tema, e Amanda, senza sapere cosa significasse, gli rispose di
si.
Europa
fu incoronata, e senza dire una parola, sorrise dolcemente prima di battere le
mani e dare inizio così nuovamente alle danze.
Amanda
ballò con Sergio fino alla fine della serata.
…
Eva
non era contenta.
Erano
passate due settimane dalla festa, e lei si stava rovinando l’estate e la vita.
Amanda aveva occupato la stanza infondo al corridoio, era ordinata, pulita,
simpatica, dolce, accomodante. Sapeva cucinare, curare la piante, cantare. Ogni
sera a cena non la smetteva di ringraziare per l’ospitalità e cercava in ogni
modo di creare un rapporto con lei. Eva non lo voleva, quel rapporto con lei. La
reputava un’infiltrata, una specie di aliena che aveva ridotto in poltiglia la
mente di suo padre e che voleva prendere il controllo sulla sua
famiglia!
Suo
padre la trattava come una seconda figlia: quando tornava a casa la sera le
chiamava “bambine”, e le portava spesso fuori a fare gite o a cena. Eva non
sopportava tutto quel trambusto e spesso era scortese con Amanda. Lei non pareva
curarsene, Eva aveva iniziato a sospettare che potesse leggere nel pensiero o
che di simile, perché sorrideva sempre come per
compartirla.
E
poi, stava violando le regole: si era messa in testa di diventare amica di quel
Sergio, uno che si era infiltrato alla Festa dell’Incoronazione. Per fortuna non
aveva capito niente, se no sarebbero stati in un mare di guai. Eva aveva evitato
di dire a suo padre delle tresca tra Sergio ed Amanda, sia perché non era suo
costume fare la spia nonostante odiasse la fatina, e sia perché si augurava che
Amanda la smettesse. Infatti le fatine non potevano avere nessun tipo di
rapporto sentimentale con gli esseri umani, e a lei pareva proprio che le cose
si stessero dirigendo verso quell’inevitabile buco nero della vita,
l’amore.
Lo
capì subito, dagli sguardi trasognati di Amanda quando rientrava, dai regali che
ogni tanto portava con se e dai fiori che arrivavano, con bigliettini romantici.
Le cose si stavano mettendo male, Amanda e Sergio si stavano
innamorando.
…
Già,
si stava innamorando: viveva in una casa che non era la sua, con una sottospecie
di sorellastra che l’odiava, ma si stava innamorando. Non credeva possibile una
cosa del genere, ma si stava innamorando, e per giunta di Sergio, un essere
umano.
L’aveva
perdonato per essersi infiltrato alla loro festa, come lui stesso aveva
confessato, e si era scusato fino all’inverosimile. Amanda aveva dovuto
ovviamente inventare molte cose su di se: aveva detto di essere venuta a trovare
sua cugina e suo zio, e che avrebbe alloggiato da loro per un po’. Sergio
c’aveva creduto, e all’inizio tutto era magnifico. Lui la portava a visitare la
città, a mangiare la pizza ed il gelato, in giro con il suo scooter, al mare.
Amanda amava stare con lui, sedersi sull’erba fresca sotto gli alberi del bosco
di Capodimonte a raccontare ciò che sapeva meglio: la vita di Calibri. Sulla
Terra non era come nel suo mondo: lì nessuno sapeva di Calibri e avrebbe potuto
narrare di lui come di un eroico personaggio delle
fiabe.
Sergio
ascoltava estasiato, pendente dalle sue labbra. Si rendeva conto che il
sentimento che stava crescendo tra loro era pericoloso, ma non le importava.
Adesso, le importava solo di stare con lui, godersi la vacanza, godersi
finalmente l’amore, la vita che aveva sempre desiderato.
…
Poi
Sergio si innamorò perdutamente di lei e le chiese di rimanere a Napoli con lui,
di venire in vacanza con lui, di non partire più. Ma Amanda si rendeva conto di
non poter fare niente del genere. Era innamorata di lui fino al midollo, ma
sapeva, in cuor suo, di aver mentito a Sergio sulle cose più importanti, le sue
origini e la sua identità. Su cosa si basa un rapporto d’amore se non sulla
fiducia? Amanda aveva soltanto ingannato Sergio, facendogli credere di essere
quella che non era. Solo in una cosa non aveva mentito, e cioè il suo
amore.
In
preda alla disperazione, non le restava altro che chiedere aiuto ad Eva. Era la
sola persona che potesse realmente aiutarla ad uscire da quel
guaio.
Quando
Eva seppe che Amanda non aveva ancora interrotto i rapporti con Sergio e che
anzi, aveva continuato a vederlo e che ormai erano arrivati al punto di non
ritorno, andò su tutte le furie. Iniziò a sbraitare cose sconnesse sulle regole,
i segreti e la vita ormai rovinata per sempre.
C’era
una sola cosa da fare, ed in fretta: Amanda doveva andare
via.
Era
difficile, ma Amanda si caricò del coraggio necessario e disse a Sergio che non
l’amava più. Non sapeva da dove avesse preso quel coraggio, né se l’avesse
realmente avuto o era l’amore per lui, la vergogna per avergli mentito a fare le
sue veci. Sergio scoppiò in lacrime, supplicò Amanda si spiegarsi, di dargli
delle risposte, di dirgli di più. Ma non ci fu niente da fare, Amanda aveva
ormai fissato la data della partenza una settimana dopo, con il cuore ormai
morto.
…
Il
controllo della situazione era tutto nelle mani di Eva. Suo padre stava
preparando l’occorrente per la partenza anticipata di Amanda mentre quest’ultima
era chiusa nella sua camera, in lacrime di dolore.
Sergio
non si arrendeva.
Ogni
giorno bussava alle loro porte, gridava, si disperava, cercava di entrare in
casa chiedendo di Amanda. Eva non lo sopportava. Gli gridava dalla finestra di
andarsene, dicendo che Amanda ormai se n’era andata. Ma lui non ci credeva, e
stava giorno e notte appostato là, dietro il muretto, e aspettava che lei
uscisse.
Ma
lei non usciva, e quando lo sentiva gridare piangeva ancora di più, nascondendo
la testa sotto il cuscino.
Poi
iniziò a scrivere delle lettere.
Le
infilava ogni sera nella cassetta della posta e poi aspettava che qualcuno
venisse a prenderle. Quel qualcuno era sempre Eva.
Sapeva
che non avrebbe dovuto leggerle, ma la tentazione era troppo forte. Amanda aveva
ancora alcuni giorni da passare in casa sua, avrebbe potuto bussare alla sua
porta e consegnarle quelle lettere. Le avrebbe conservate in ricordo di Sergio,
là dove sarebbe andata.
E
invece Eva non lo fece.
Lesse
la prima lettera, la seconda, la terza. Erano appassionate lettere d’amore che
imploravano Amanda di tornare, dove raccontava il suo dolore e il suo
tormento.
Eva
sapeva di fare una cosa sbagliata non consegnando le lettere alla destinataria,
ma si nascondeva dietro un brutto alibi, quello della protezione. Doveva
proteggere Amanda da quel malsano amore, dunque era meglio se quelle lettere lei
non le avesse mai lette.
Erano
tutte firmate “Calibri”, come il nome del principe del regno di Amanda, sul
quale lei raccontava molte storie. Eva era commossa da tutto quell’amore, ma più
si commuoveva e più si convinceva che quelle lettere dovevano essere conservate
lontano da Amanda.
Le
chiuse così nel cassetto della sua scrivania e disse a Sergio che Amanda le
aveva strappate tutte senza neanche leggerle, indignata.
Il
tono di Eva era così serio che lui ci credette.
Qualche
giorno dopo, Amanda partì.
…
Anche
dopo la partenza di Amanda, Sergio continuava a gironzolare per quei posti,
chiedendosi dove fosse, con il cuore spezzato dopo aver saputo la fine che
quelle lettere avevano fatto, ma chissà perché, non riusciva ad allontanarsi da
quella casa.
Tutto
cominciò un giorno che Eva era sola in casa e lui entrò di nascosto, si
arrampicò sul muro e balzò in camera sua. Lei era lì, che
dormiva.
Gli
prese una stretta al cuore per quanto le pareva dolce, ma bastò che spostasse la
sedia per sedersi che lei si svegliò, urlò, lo minacciò di chiamare la polizia,
ma alla fine non fece niente del genere. Si misero a parlare di Amanda, Eva gli
diceva di dimenticarla, perché ormai se n’era andata via per
sempre.
Sergio
le chiese se poteva tornare, ma lei gli disse di no.
Lui
non l’ascoltò, e tornò lo stesso, tornava la sera, quando Eva era sola nella sua
camera e suo padre chissà dove, nella grande casa.
All’inizio
era tutto difficile perché loro erano diversi, lei era ricca e viziata,
frequentava persone altolocate e snob, mentre lui era povero, lavorava per
pagarsi gli studi e non aveva mai un soldo.
Era
difficile perché finivano quasi sempre a parlare di Amanda, era difficile perché
inspiegabilmente si capivano, perché Sergio pensava che Eva fosse bellissima,
difficile perché stava dimenticando il passato, stava guarendo dalla follia
d’amore che l’aveva preso durante l’estate.
Se
con Amanda si sentiva come trasportato in un mondo favoloso ed impossibile, con
Eva si sentiva fin troppo reale, i suoi occhi erano reali e lo tenevano
inchiodato alla realtà, il suo tono duro che lo colpiva, le sue mani che lo
indagavano, i suoi baci che lo mandavano fuori di
testa.
Era
successo che s’erano innamorati, così, come la mattina il sole sorge, come
l’acqua che scorre nei fiumi, con la naturalità dell’universo. Come la promessa
di Sergio fatta in un momento di rabbia e dolore, la promessa di innamorarsi di
nuovo, la promessa di un amore vero.
…
Eva
non si era mai innamorata prima d’allora, né credeva che avrebbe mai potuto
innamorarsi proprio di lui. Cosa fare adesso? Lasciare che le cose andassero
avanti, provare ad essere felice, dimenticare quello che aveva fatto, fingendo
che lei potesse essere per Sergio tutto quanto Amanda non era mai stata e non
avrebbe mai potuto essere? Forse avrebbe dovuto farlo, provare ad essere felice
con Sergio dicendogli tutta la verità, sperando che lui la perdonasse? No, era
impossibile. Non poteva mentire al ragazzo che amava, ma non poteva dirgli la
verità. Così, nonostante la loro storia clandestina andasse avanti già da alcuni
mesi, tra lunghe chiacchierate notturne, lettere e messaggi nascosti, Eva decise
di darci un taglio. Non avrebbe mai voluto dire addio all’unica persona con
quale si sentiva se stessa, l’unica alla quale aveva raccontato del dolore dopo
la morte di sua madre, l’unica che la faceva sentire viva, ma doveva farlo. Era
necessario che lo facesse. Così si riappropriò della freddezza e della
scontrosità e chiuse la finestra a Sergio, che ci mise molto poco a recepire il
messaggio.
Non
le chiese spiegazioni e non si fece più vedere.
…
Due
anni dopo
Erano
passati ormai due anni e Amanda li aveva passati nella sua biblioteca, mentre il
cuore e la mente erano fissi ad un lontano momento del passato, quando aveva
incontrato quello che era stato il breve amore della sua vita. Non le importava
più di leggere storie, di sedersi sugli alti scaffali, nemmeno di parlare con
Calibri gl’importava. Aveva passato tutto quel tempo in solitudine, fingendo di
essere tornata ad essere la stessa di sempre, con le solite occupazioni e i
soliti pensieri, ma non era così. Quando era notte, ripensava a Sergio e a tutto
quello che avevano passato insieme, a quanto era stato intenso e breve il loro
amore.
Si
odiava per averlo lasciato senza una motivazione, senza nemmeno convincere se
stessa, ma sapeva che era quello il suo bene, adesso. Chissà, forse si era
rifatto una vita, aveva incontrato nuove persone, aveva dei nuovi amori. Molto
probabilmente l’aveva dimenticata, e con lei tutte le loro passeggiate, i loro
baci, i racconti su Calibri.
Tutto.
E
adesso che si avvicinava il momento per Calibri, Ariel e Lara di andare sulla
Terra, i pensieri su Sergio erano sempre più frequenti, così come la sua
gelosia. Lara non faceva altro che blaterare su quanto si sarebbe divertita,
mentre Ariel le lanciava sguardi significativi, come se le chiedesse di
smetterla, di non parlare davanti a lei. Ariel si accorgeva che Amanda soffriva
a sentire quei discorsi. Amanda aveva tentato di stroncare l’entusiasmo di Lara
sulle bellezze della Terra, ricordandole la regola più importante, ovvero non
innamorarsi di nessuno. Per spingere Lara a pensarci su, le raccontò la storia
di una fata che fu costretta ad abbandonare il suo amore per aver infranto le
regole.
Ma
ad ogni modo, si era già arresa all’evidenza, i suoi amici sarebbero partiti
mentre lei sarebbe rimasta lì, nella biblioteca, a
vegetare.
Solo
all’ultimo momento, Calibri le disse che avrebbe intercesso per lei
permettendole di fare un secondo viaggio. Non era una cosa concessa a tutti, per
questo Amanda si sentì molto fortunata quando la risposta fu
affermativa.
Sarebbe
tornata.
Avrebbe
rivisto Napoli, Francesco, Eva… ma non Sergio. Oh no, lui non poteva rivederlo,
non poteva nemmeno sapere che era tornata. Se gli fosse venuto in mente di
parlarle, di cercarla, cosa sarebbe successo? Avrebbe nuovamente messo a
repentaglio la vita di Eva, che l’aveva protetta quando Sergio assaliva la sua
casa, chiedendo di lei. Già, se non fosse stato per Eva Sergio avrebbe scoperto
il suo segreto e nessun abitante del Lago avrebbe potuto più andare sulla Terra.
Infondo, anche se Eva si era sempre comportata in modo scontroso, sapeva che
aveva un grande cuore e che forse le voleva anche un po’ di
bene.
Con
il cuore colmo di speranza, Amanda si apprestava a ritornare sulla
Terra.
--
Calibri
non poteva mantenere il suo vero nome, in quanto sulla Terra era inesistente.
Per questo, prese il nome di Christian.
--
La
sera della festa del diploma di Bianca, Lara si stava recando alla Festa
dell’Incoronazione.
--
La
storia che Amanda ha raccontato a Lara è quella che Lara ha raccontato a Bianca
dinanzi al Conservatorio.
--
E’
stato Ariel a far si che Bianca ricevesse le lettere di Sergio, nel momento in
cui capì che suo fratello si era innamorato di lei. Memore della brutta
avventura che Amanda aveva vissuto anni prima e convinto che l’amore, quello
vero, esige rispetto, Ariel aveva studiato un piano infallibile
per cui Bianca, senza volerlo, si sarebbe messa alla ricerca del mittente di
quelle lettere fino a quando non avrebbe scoperto tutta la verità. Quando
Calibri lo venne a sapere, non si arrabbiò, ma lo ringraziò perché sapeva che
non sarebbe stato giusto abbandonare Bianca allo stesso modo in cui Amanda aveva
abbandonato Sergio due anni prima.
--
Amanda
ha perdonato Eva.
--
Eva
è ancora innamorata di Sergio, e Sergio lo è ancora di
Eva.
Siamo dunque giunti quasi alla fine, il prossimo
capitolo sarà l'epilogo di questa storia. Ringrazio le 11 persone che la seguono
e le invito a commentare per esprimere le loro opinioni, per me
importantissime.
A presto,
Lara
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Capitolo 13 *** Epilogo ***
calibri epilogo
Epilogo
– Un mese e mezzo dopo
Bianca
inserì titubante i suoi dati, con le dita che tremavano. Bastava cliccare su
“Invio” e sarebbe comparsa davanti ai suoi occhi la graduatoria. Chiuse gli
occhi e fece un lungo sospiro, dopo di che si decise a premere il
tasto.
Aprì
gli occhi solo qualche secondo dopo, per poi accorgersi che aveva guadagnato
un’ottima posizione e che era entrata alla facoltà di
Medicina.
Saltò
dalla gioia, gridò di vittoria mentre le guance le si arrossavano. Non fece
nemmeno in tempo a telefonare alla mamma che il telefono
squillò.
Sorrise
leggendo il numero sul display.
-
Pronto?-
rispose, emozionata.
-
Allora,
campionessa? Com’è andata?-
La
voce metallica di Sergio era coperta dai clacson delle auto. Era probabilmente
in strada.
-
Ce
l’ho fatta, ce l’ho fatta! Ho superato i test!- esclamò Bianca, saltellando
felice per la stanza. Non poteva vedere Sergio, ma scommise che stava
sorridendo.
-
Questa
si che è una grande notizia! Ma non avevo dubbi, campionessa. Beh, adesso non ci
resta che festeggiare! Ti va un aperitivo? Passo a prenderti tra
un’ora!-
Bianca
sorrise raggiante.
-
D’accordo,
ti aspetto-
…
Settembre
era arrivato troppo in fretta, ma Bianca sembrava per la prima volta aver chiara
davanti a se tutta la sua vita, i suoi obbiettivi, i suoi progetti. Si strinse a
Sergio mentre lui metteva in moto lo scooter, viaggiarono contenti fino a quando
non giunsero a San Martino, dove Sergio parcheggiò lo scooter e fece accomodare
Bianca ad uno dei tavolini esterni del bar. Ordinò due aperitivi e finalmente si
rivolse a Bianca con un sorriso raggiante.
-
Sapevo
che ce l’avresti fatta- commentò, contento.
Bianca
osservò il suo sorriso, notò una punta di malinconia in quegli occhi che ormai
conosceva così bene.
-
Grazie.
Sai, avrei in mente tante cose da fare, ho desiderato così tanto superare questo
test, vorrei tanto che i ragazzi…- si bloccò, Sergio la fissò perdendo ogni
gioia.
Amanda,
Calibri, Lara ed Ariel erano andati via qualche settimana prima, e nessuno
sapeva se sarebbero mai ritornati. Da quella famosa sera, quando finalmente
aveva scoperto la verità sia sulla loro identità che sulle bugie di Eva, tutto
era radicalmente cambiato. Innanzitutto, si era trovato di fronte ad una realtà
difficile da accettare, pensare che Calibri esisteva davvero, recuperare Amanda
da un passato tormentoso, rivedersela davanti agli occhi, bella come non mai.
C’era
stato tanto da spiegare, tanto da comprendere, ma Sergio non riusciva ad odiare
Eva per quanto aveva fatto. Aveva privato Amanda dei suoi ricordi, del suo
amore, quasi rubandoglielo. Ma se la guardava negli occhi non riusciva a non
perdonarla, a non pensare al suo dolce bisogno d’affetto, all’amore che
dichiarava, al perdono che implorava.
Bianca,
dal canto suo, aveva dato finalmente un senso a molte cose: le stranezze di Lara
ed Ariel, le lettere, il bacio di Calibri. Era stato incredibile anche per lei
scoprire che un Calibri esisteva davvero e che in realtà, quello che aveva
scritto quelle lettere non era altri che Sergio. Si sentiva spaesata dinanzi a
quella realtà, dinanzi ad un giovane uomo, principe di un altro regno, che
l’amava e che non poteva però starle accanto. Sentiva divampare dentro la
passione per lui, senza sapere niente della sua vita, dubitando persino della
sua esistenza. Ma erano arrivati ai limiti dell’assurdo, e ora sia lei che
Sergio erano persone diverse.
Si
guardarono per un attimo scambiandosi sentimenti proibiti.
-
Vorresti
che fossero qui?- concluse la frase Sergio, con una nota di sarcasmo e
tristezza.
-
Si,
lo vorrei- mormorò in risposta Bianca.
Sergio
alzò le spalle.
-
Tu
non sai quello che dici, - abbassò gli occhi, - questa storia ci ha distrutto, e
tutto senza una motivazione-
-
Non
dire così, Sergio. È vero, siamo stati coinvolti senza volerlo, ma ormai tutto è
finito. E tu dovresti perdonare Eva e tornare con lei-
Le
parole di Bianca lo colpirono, alzò gli occhi per fissarla. Sapeva che Bianca
aveva stretto con Eva una sincera amicizia, e che le parole che diceva fluivano
dalla consapevolezza che anche Eva l’amava ancora. A differenza sua però, Eva lo
ammetteva. Lui invece, si chiudeva nel dolore delle sue menzogne cercando, per
l’ennesima volta, di dimenticare.
-
Bianca,
io…-
-
Ne
sei innamorato. Ne sei profondamente innamorato. Eva ha sbagliato, ma si è
pentita. Sbagliare è umano, e tu devi perdonarla. Promettimi che la
chiamerai-
Bianca
stese la mano sul tavolino fino a sfiorare quella di Sergio. Lui sorrise
confuso, negli occhi Bianca leggeva gratitudine e volontà.
-
Grazie,
Bianca. Non so perché stai facendo tutto questo per me-
-
Perché
sei mio amico, e in questa storia ci siamo finiti insieme-
-
Avrei
voluto che ci conoscessimo in modo diverso, in un momento diverso,- gli occhi di
Sergio scrutavano il panorama, implacabili, - avrei voluto conoscerti quando ero
me stesso. O quando ritornerò ad esserlo, non so-
-
Adesso
sei te stesso-
Bianca
sorrideva contenta.
-
E
adesso puoi ritornare a vivere- aggiunse, scuotendolo.
Sergio
sorrise commosso, tese la mano verso Bianca.
-
Allora
ricominciamo da adesso, ti va?-
Bianca
annuì, contenta e confusa.
-
Piacere,
Sergio -
-
Piacere,
Bianca-
Fine.
Eccoci giunti alla fine di questo racconto, ringrazio le
dodici persone che l'hanno aggiunta tra le seguite e le invito nuovamente a
commentare. Un ringraziamento speciale va a Beatrix con le sue preziose
recensioni ricche di consigli. Vi ringrazio per al'ttenzione e spero la storia
sia stata di vostro gradimento, vi invito a seguirmi dunque in "Bosikom Lyubov'-
Il beneficio del buio" - "L'impero dei Fiori" e "Tutte le bugie di Lena".
Grazie e a presto
Lara
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