I wish you could see.

di Noth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I wish you could see. ***
Capitolo 2: *** Put your hands on me. ***
Capitolo 3: *** A few words. ***
Capitolo 4: *** Makes me wanna smile. ***
Capitolo 5: *** So human, so beautiful. ***
Capitolo 6: *** Autumn brings shivers. ***
Capitolo 7: *** Maybe I'm falling for you. ***
Capitolo 8: *** Angel from hell. ***
Capitolo 9: *** It's not you, it's me. ***
Capitolo 10: *** I will be the one. ***
Capitolo 11: *** I'm miles away from where you are. ***
Capitolo 12: *** It's that I love you. ***
Capitolo 13: *** The absence of him. ***
Capitolo 14: *** Wake me from this nightmare. ***
Capitolo 15: *** Souldn't we experiment? ***
Capitolo 16: *** I had to take him away. ***
Capitolo 17: *** Please don't leave me. ***
Capitolo 18: *** Kurt. ***
Capitolo 19: *** Happiness has your name. ***
Capitolo 20: *** I wanted to stop. ***
Capitolo 21: *** Only death will destroy us ***
Capitolo 22: *** What do I have to do? ***
Capitolo 23: *** Confusion. ***
Capitolo 24: *** As if you weren't there. ***
Capitolo 25: *** Is it because of Kurt? ***
Capitolo 26: *** Last moment. ***
Capitolo 27: *** So is this Christmas? ***
Capitolo 28: *** Who would have imagined? ***
Capitolo 29: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** I wish you could see. ***


Wow, è la mia prima AU. Insomma, introducendovi la storia Blaine è diventato cieco in un incidente d'auto. Viene trasferito in un nuovo istituto specializzato, e lì incontra Kurt. Un ragazzo eccellente, gentile, un po' timido e fin troppo innocente. Quell'istituto sarà la culla di una storia d'amore impetuosa fatta di fantasie, di immagini mai viste, di bugie e di un sentimento che nessuno dei due riuscirà mai a reprimere. Si dice che il filo del destino leghi le persone ancora prima che si incontrino.



I Wish you could see.
-Capitolo Primo-



iwycs

 




Era difficile. Era sempre stato difficile per me non vedere. Credevo che mi ci sarei abituato in fretta, ma si era rivelato degenerante trovarmi a dover solo immaginare ciò che una volta avevo potuto vedere.

Cercavano tutti di farla semplice, di rendermi le cose più facili ma, in realtà, si sentivano solo in colpa per le mie condizioni. Era colpa di quelli che avevo reputato i miei migliori amici se, due mesi prima, avevo avuto quell’incidente d’auto ed ero finito in ospedale con una benda scura sugli occhi che non mi avrebbe permesso di vedere neanche una volta tolta. Mai più.

I miei genitori avevano convenuto fosse il caso di farmi cambiare scuola, portandomi in un istituto specializzato per non vedenti, dove avrei seguito corsi speciali ed avrei imparato a leggere il braille. Quello che più mi premeva era riuscire ad imparare a leggere gli spartiti e a suonare la chitarra, perché non avevo intenzione di lasciar perdere la musica. Le mie corde vocali non erano danneggiate: potevo farcela.

Ero in parte felice ed in parte triste al pensiero di abbandonare quella che per tutta una vita era stata la mia realtà ma, mi feriva profondamente ammetterlo, io non ne facevo più parte. Non potevo vivere in un mondo dove tutti i miei amici parlavano di belle ragazze che, oltre a non interessarmi per ovvie ragioni, ora potevo solo immaginare.

Me ne stavo seduto in macchina, sul sedile del passeggero, mentre i miei genitori guidavano in silenzio verso l’istituto Doge con la radio a volume bassissimo.
Non vedevo la strada, non potevo guardare il cielo e domandarmi se avesse potuto piovere. Ero un uomo a metà e sentivo di aver deluso qualcuno con quella mia improvvisa mancanza. Già il fatto che fossi gay aveva scosso l’equilibrio familiare, ora potevano davvero darmi dell’handicappato. Era una cosa dolorosa, una cosa che detestavo. Il problema era che il primo a crederci ero proprio io. Non mi sentivo normale.

« Siamo quasi arrivati, tesoro. » squittì mia madre con il tono di voce apprensivo che assumeva di continuo quando doveva parlare con me. Si sentiva il colpa? Come se le mie condizioni fossero centrate qualcosa con lei.

Sentii la macchina slittare su una rumorosa strada sterrata ed immaginai di trovarmi in aperta campagna, circondato da alberi da frutto, in una sorta di isola felice.
Perché non avevo la possibilità di vedere tutto questo?

La vettura inchiodò e qualcuno spense la radio. Mio padre tossicchiò e scese dalla macchina.
« Ci siamo? » domandai.
« Già. » rispose mia madre tutto d’un fiato. Era frustrante sentire che tratteneva le lacrime. Doloroso e frustrante.

Qualcuno – probabilmente mio padre-  aprì il baule della macchina per tirare fuori le mie cose, mia madre smontò e venne ad aprirmi la portiera. Erano entrambi talmente gentili e tristi che, per questa volta, decisi di non puntualizzare quando odiassi vederli che, improvvisamente, mi viziavano.
Sentii la mano di mia madre afferrare la mia e trascinarmi fuori dall’auto ed, infine, davanti alla porta d’ingresso. Attraversammo quello che doveva essere stato un cortile, perchè sentii la voce di diversi giovani mischiarsi in una dissonante e chiassosa melodia fino a che qualcuno non urtò mio padre che si trascinava dietro la mia valigia. Udii il tonfo ed un mormorio di scuse mortificato, seguito da dei passi irregolari che si allontanavano.

La mano di mia madre si strinse più saldamente sulla mia. Papà bussò, deciso, ed i rintocchi riecheggiarono oltre la porta che, qualche secondo dopo, qualcuno venne ad aprire. Il portone non scricchiolò quando si spalancò, sentii solo lo scattare fluido della serratura.
« I signori Anderson? » chiese una voce femminile dal tono saccente e disponibile.
« Sì, esatto. » rispose mio padre dopo qualche attimo di esitazione. « Siamo qui per l’inserimento di nostro figlio: Blaine... » iniziò, ma lo interruppi.
« So ancora parlare, papà. » sbottai, più acido di quando non avessi voluto.
« Chiaro che puoi. » convenne la vocetta. Una mano che non riconobbi mi afferrò il polso, camminando veloce verso l’interno, trascinandomi alla cieca verso un corridoio immenso. Sentivo i tacchi di mia madre alle mie spalle ed avevo udito qualcuno dire a mio padre di lasciargli la valigia e che me la avrebbero fatta recapitare in stanza.

La mia nuova vita stava per iniziare e mi sentivo già spaventosamente e detestabilmente solo. Quella sensazione fu così improvvisa e dolorosa che mi dovetti mordere il labbro per scacciare le lacrime.
« Attento ai quattro gradini. » mi avvisò la voce saccente. Come mi aveva appena detto incappammo in degli scalini, ricoperti di soffice moquette, sulle quali per poco non inciampai. Non ero abituato a camminare così veloce, stavo perdendo il senso dell’orientamento.
L’ambiente stava diventando più caldo, al punto che avrei potuto tranquillamente togliermi il cappotto.

Entrammo in una stanza, ci fermammo di colpo e lei mi mollò il polso.
« Allora: benvenuto all’”Istituto per Non Vedenti Andrew Doge”. Sono Janet e mi occupo delle scartoffie e dell’accoglienza. Ora ti assegnerò un tutor, cioè uno degli studenti migliori della scuola. Ovviamente sarà del tuo stesso anno. Il suo compito sarà aiutarti ad orientarti. Fidati di lui ed ascoltalo, mi raccomando, è il modo migliore per integrarsi qui. » poi, senza aspettare che rispondessi, si rivolse ai miei genitori. « E’ tempo di baci ed abbracci! Ci si rivede alla festa di Ognissanti. »

Mia madre mi si fiondò addosso, piangendo e stringendomi forte, mentre mio padre mi metteva una mano sulla spalla.
« Andrà tutto bene. » gli dissi, sfoggiando un sorriso tanto falso quanto ampio. Sarebbero stati loro a doverlo dire a me, ma sapevo di non poterlo pretendere. Fu un piagnisteo lungo ma, grazie a Dio, anche questo ebbe fine. Uscendo dal luogo dove eravamo i miei genitori chiusero la porta, lasciandomi da solo con Janet in un posto che non conoscevo affatto e non potevo vedere. Era come essere sospeso nel vuoto, lasciando che il nulla mi avvolgesse.

« Da ciò che vedo il tuo tutor sarà Kurt Hummel. » la voce della ragazza proveniva ora da un luogo sotto la mia testa, questo mi fece intuire che dovevamo essere in una sorta di ufficio e che doveva essersi seduta.
« Cosa mi farà fare? » domandai, sentendomi incredibilmente stupido ed inetto al pensiero di poter non essere al livello di nessuno di quei ragazzi.
« Dipende. Lui organizzerà ciò che ti serve. Il suo fascicolo è un orgia di voti eccellenti, per Dio! » sentii il fruscio dei fogli che Janet stava leggendo. Il cloak dello scatto di una serratura mi fece voltare d’istinto, anche se non avrei mai potuto vedere chi fosse entrato.

« Oh, tu devi essere Kurt. Parlavamo giusto di te! » squittì Janet e la sentii alzarsi, probabilmente per portarmi più vicino alla persona che era appena entrata.
« Ce la faccio da solo, davvero. » le dissi, muovendomi con le braccia avanti verso dove avevo sentito aprirsi la porta. Trovai a tentoni una mano che mi si poggiò sul petto. Di colpo le mani divennero due e mi tastarono il viso con velocità, soffermandosi tra i miei indomabili capelli ricci e le ciglia lunghe. Mi passò due dita sulle labbra e lungo il collo, per poggiarsi infine sulle mie spalle.

« Piacere: Kurt. Anche se lo sai già amo fare le presentazioni per bene. » dalla persona dinanzi a me provenne una voce acuta, strana, con un timbro talmente particolare da essere immediatamente riconoscibile e allo stesso tempo difficile da identificare.
« Credevo che fossi un ragazzo. » esclamai, senza pensare a quanto potesse suonare offensivo ciò che avevo appena detto.
Sentii una sorta di risatina scuotere il corpo di fronte a me.
« Io sono un ragazzo, infatti. » rispose.

Avvampai. Ora ciò che avevo esclamato suonava anche peggio. Dovevo aver fatto una pessima prima impressione. Avevo sempre creduto di essere bravo in queste cose, avrei dovuto ricredermi.
« Sono... sono mortificato. Davvero. »
Lui rise ancora.
« Ti perdono solo perché la prima volta sbagliano tutti. » rispose.

Janet tossicchiò

« Vi lascio alle vostre presentazioni. Ho delle cose da controllare in archivio. Kurt, sai quello che devi fare, vero? » domandò. Il suono dei suoi tacchi si avvicinò a noi, per poi superarci ed uscire dalla porta. Voltandomi urtai per sbaglio il petto di Kurt e mi accorsi di averlo molto più vicino di quanto avessi pensato. Forse per un non vedente avere le persone a stretto contatto era normale.
« Certo. » rispose lui, più a se stesso che a Janet che si era già allontanata. Andò a chiudere la porta e poi mi poggiò una mano sulla schiena, dirigendomi verso il centro dell’ufficio.







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Spazio Autrice:
E' la mia prima storia di questo tipo, ma so che ne esistono tantissime famosissime di inglesi quindi perchè non tentare? Spero che la storia vi faccia venire voglia di continuare a leggerla e fatemi sapere se vi è piaciuta, se per caso avete qualche consiglio, curiosità, dubbio.

Ho deciso di consigliare una canzone per capitolo da ascoltare mentre si legge il pezzo, quella di oggi è:
Hey There Delilah dei Plain White's.

Vostra,

{noth


Licenza Creative Commons
I Wish You Could See by Noth, Elisa Spigariol is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Unported License.

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Capitolo 2
*** Put your hands on me. ***


I wish you could see.
-Capitolo 2-







« E così ti chiami Blaine. » esclamò, dopo avermi fatto sedere su una poltroncina che puzzava di polvere. Mi aveva accompagnato con gentilezza ed attenzione. Immaginai che sapesse come mi sentivo: ero per la prima volta in un luogo sconosciuto.
« Posso chiederti quanti anni hai? » domandò.
« Fa parte della routine d’accoglienza? »
Lui sospirò. « Fa parte della mia routine d’accoglienza. Non mi piace avere a che fare con degli sconosciuti ed immagino capirai. »
Non ero sicuro di capirlo, ma lo assecondai. Mi ispirava una fiducia che raramente mi era capitato di provare. Allo stesso tempo però mi spaventava.

« Ho diciassette anni. »
« Io diciassette e mezzo. » puntualizzò, con un cipiglio orgoglioso nel tono di voce.
Sorrisi, pensando a come sembrava semplice. Non innalzava barriere, non metteva muri freddi tra me e lui. In quei due mesi mi era parso di essere quasi sovrastato da tutti gli ostacoli che il non vedere aveva creato tra me ed il resto del mondo.

« Sei cieco dalla nascita? » continuò imperterrito.
Deglutii a fatica.
« No, magari. Forse sarebbe più semplice e sarei in grado di muovermi senza ribaltare vasi o inciampare su ogni gradino. » mormorai, stringendomi le mani come a darmi coraggio. Parlare della cecità mi faceva immergere in una pozza di disagio densa e gelida, ed io non sapevo nuotare.
« Non so dirti se hai ragione. Nemmeno io sono cieco da sempre. Un incidente domestico: mio padre non sapeva cucinare molto bene. Ci fu una fuga di gas, tutto prese fuoco e, bè, eccomi qui. » riassunse con tono macabro.

« Mi dispiace che ti sia successo questo. » cercai di sembrare solidale. Istintivamente alzai il capo alla ricerca del suo sguardo ma, come al solito, avevo tralasciato un piccolo dettaglio: i miei occhi non funzionavano, era ora di farmene una ragione.
« Oh, io non mi sono fatto nulla in confronto a mia madre. Lei è morta in quell’incidente. » aggiunse freddo. Tacqui, sentendo il sangue congelarsi nelle vene come se avessi inghiottito azoto liquido.
« Io... io... »

Lui sospirò, alleggerendo l’atmosfera che si era fatta tesa.
« Tu, invece? » chiese.
« Un incidente d’auto con i miei migliori amici. Quello che guidava era completamente ubriaco ed io, all’impatto con l’altra macchina, sono volato fuori dalla vettura ed ho battuto la testa. Dovrei essere felice di essere vivo. »
« Dovresti, sì. » commentò lui. « Eri a una festa? » domandò, cercando di rendere quella conversazione – irrimediabilmente gelida – meno fredda, con pochi risultati.
« Già. Sai dovevo conoscere un ragazzo lì, alcuni miei amici volevano che uscissimo insieme... » mi accorsi troppo tardi di aver detto troppo. Quel dialogo era appena stato rovinato. Avevo lasciato intendere la mia omosessualità, mi ero lasciato andare.
Avevo fatto un casino.

« Sì, anche la mia migliore amica non faceva altro che organizzarmi appuntamenti con altri ragazzi. Anzi, lo fa tutt’ora. » borbottò, ridendo.
Boccheggiai. Non aveva battuto ciglio alla mia affermazione ed, anzi, aveva appena lasciato intendere di essersi trovato nella mia stessa situazione, ma quindi...
« ... aspetta: anche tu sei gay? » domandai sconcertato. Non mi aspettavo per nulla di trovare altri omosessuali in quella scuola per figli di papà.
« Sei il primo che sembra sorpreso. » esclamò, entusiasta.

Un gigantesco sorriso mi esplose sul viso ed il mio cuore sembrò prendere nuova vita.
Non ero solo. Non ero costretto a nasconderlo, lì.
« Mi sembra impossibile. » mormorai, scuotendo la testa e scoppiando in una risata sollevata.
« Bè, credici, bello. » rispose, facendo un versetto esasperato. Era così liberatorio poter avere a che fare con qualcuno così simile a me e così disponibile nei miei confronti.

Avrei tanto voluto poter scorgere i suoi occhi per poter vedere la sua anima.

« Come mai prima mi hai tastato il viso? » domandai, piegando d’un lato la testa ed immaginando Kurt che se ne stava seduto di fronte a me con un sorriso imbarazzato e due grandi occhi luminosi.
« Perché voglio poter immaginare la persona con cui sto parlando. È una fissa, scusa. »
Sentii il frusciare della stoffa ed immaginai che avesse accavallato le gambe.
« Non ti scusare, è una cosa terribilmente bella. » sussurrai.
« Però non posso capire i tuoi colori. » mugugnò lui malinconico. « Ti da fastidio se te li chiedo? » domandò imbarazzato. Fino a poco prima era stato così sicuro di sé ed ora sembrava, invece, traballare.
« Bè... va bene. » assentii.

Il cambiamento nel suo tono di voce mi fece intuire che fosse diventato di colpo decisamente allegro.

« Capelli? »
« Castano scuro, quasi neri. »
« Occhi? »
« Verdi. »
Kurt batté le mani e sospirò.
« Amo gli occhi verdi. » mormorò, e lo disse con una tale innocenza che il fatto che stessi arrossendo sembrava incredibilmente fuori luogo ma, per fortuna, non poteva vedermi.
« Grazie. » balbettai.

« Vuoi toccarmi? » chiese.
A quel punto la mia faccia divenne color porpora, sentii le guance scaldarsi all’istante e le orecchie quasi emettere fumo. Ma che andavo a pensare?
Il mio silenzio fece capire a Kurt ciò a cui avevo creduto alludesse e si affrettò a correggersi.
« No, no! Non... non in quel senso! Intendevo... parlavo della faccia! Come avevo fatto io. » rise istericamente, evidentemente imbarazzato.

Quasi non riuscivo a muovermi al pensiero di con chi doveva credere di avere a che fare.
Fantastico, ero diventato Blaine il maniaco. La prima impressione che stavo facendo, su una scala da uno a dieci, dubitavo superasse il due.

« Bè, puoi analizzare il mio viso se vuoi. È una bella sensazione, giuro che è utile davvero. » insistette.
Sospirai, mi alzai e cercai di raggiungerlo senza inciampare su nulla. Il pavimento era di marmo liscio e scivoloso, questo non aiutava. Delle mani riuscirono ad afferrarmi i polsi e mi fece abbassare fino a toccargli la soffice e liscia pelle del viso. Le mie dita, a confronto, erano terribilmente ruvide e callose.

« Sei un musicista, vero? » disse. « Hai i calli sulla punta delle dita. Chitarra? Violino? Ukulele? »
« Chitarra, in effetti. Sei bravo, dovrei essere io ad analizzare te. » sorrisi. Mi piaceva da impazzire il modo in cui si poneva. Era genuino e forte, però anche timido ed inspiegabilmente innocente.
« Ho sempre voluto cantare accompagnato solo da una chitarra. » sussurrò e, passandogli i pollici sulle labbra come aveva fatto lui poco prima, sentii che sorrideva. I suoi zigomi erano delicati, aveva grandi occhi con delle ciglia lunghe, sopracciglia arcuate e regolari, la pelle simile alla porcellana ed i capelli tirati indietro e laccati verso l’alto. Mi domandai come potesse avere una pettinatura così precisa senza potersi vedere allo specchio. Il naso aveva una forma strana ma era morbido e freddo.

« Canti? » chiesi.
« Ogni tanto. » rispose, alzando le spalle.
Aveva avuto ragione. L’idea di esplorare una persona senza vederla era come chiedersi, al buio, cosa potevi avere tra le mani: magico. Mi sembrava di essere tornato bambino. Era una sensazione da brividi.

« Di che colore hai i capelli? »
« Castano chiaro, anzi, meglio dire che è un misto tra il castano, il color cenere ed il miele. » specificò, e risi della sua precisione. « Così è più preciso e – essendo io uno stereotipato gay appassionato di moda – mi piacce da morire giocare coi colori. » spiegò senza smettere di ridacchiare.
« E gli occhi? Dimmi un colore semplice, per favore, non sono ferrato come te. »
« Azzurri. » sorrise di nuovo. « Un bell’azzurro, in effetti. » si vantò, gonfiando il petto.

Era adorabile. Poche persone meritavano quell’appellativo, ma lui lo era davvero.
« Mi piacevano, una volta, gli occhi azzurri. » dissi soprappensiero.
Percepii le sue sopracciglia inarcarsi pensierose sotto le mie mani.
« Una volta? »

Assentii.

« Ora non li posso più vedere. »





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Spazio Autrice:
Che posso dirvi, loro sono adorabili. Scrivere su di loro è così semplice perchè sono loro a decidere la storia, non io.
Che vi sembra?
Vi piace?
Vi interessa?
Vi farò un piccolo spoiler..



La scuola è completamente maschile.
Pensateci voi.


Spero che vi piaccia, davvero, ci sto mettendo il cuore.
{noth

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Capitolo 3
*** A few words. ***


I wish you could see.
-Capitolo Terzo-






Già, non avrei mai più potuto vedere gli occhi azzurri che tanto mi piacevano. Avrei solo potuto immaginarli. Avrei solo sentito i profumi dei manicaretti che mia zia preparava il giorno di Natale. Avrei solo toccato l’erba morbida dei prati del lago dove eravamo sempre andati in vacanza. Tutto sarebbe rimasto solo nei miei ricordi. Avrei dovuto pregare che la mia memoria rimanesse forte e che non dimenticassi nulla di tutto ciò che avevo avuto la possibilità di vedere fino ad allora.
E soprattutto dovevo accettare la mia condizione.

Quell’odio che cresceva dentro di me, senza rassegnarsi, mi mangiava pezzo per pezzo, mentre le mani fredde di Kurt mi prendevano i polsi ed allontanavano i miei palmi dal suo volto.
« Sai, Blaine, a volte è meglio quello che immagini di quello che davvero vedi. Dopotutto i sogni sono più belli della realtà, no? »
« Sì, ma non sono veri. » replicai, testardo. Non riuscivo a mandarla giù. Ora più che mai volevo poter spalancare gli occhi e vedere quelli di Kurt. Volevo poter notare le sfumature dei suoi capelli, guardare il colore del pavimento di marmo e notare gli accostamenti di colori che lui poteva aver fatto con i suoi vestiti, soprattutto constatato che non poteva vederli. Volevo guardarmi allo specchio, stavo dimenticando la mia faccia. Volevo guardare il sole ed il cielo. Volevo poter leggere la musica. Non avevo mai voluto vivere così, non avevo mai voluto sentirmi così diverso.

Prima che me ne rendessi conto le lacrime mi stavano già sprofondando nelle guance, colando lungo il viso ed il collo, finendo sulle mani fredde di Kurt.

« Blaine, cos... » mormorò, sottraendosi alla mia presa.
« Scusami, scusa sul serio non so che mi prende. Non... non piango mai, giuro. Sono un tipo allegro, davvero. » mormorai, mentre sorridevo e piangevo, mentre il mio corpo veniva scosso dai tremiti e dai singhiozzi.

Non mi ero mai sentito peggio in vita mia. Neanche dopo l’incidente. La mia nuova vita mi era crollata addosso fin dall’inizio. Era come essere chiusi in una scatola senza nessun buco né per la luce né per respirare.

Kurt si alzò in piedi, mi prese per mano e mi portò verso una fonte di vento. Che fosse un condizionatore?
Dal rumore che fece intuii che dovesse essere una finestra. Kurt la aprì e lasciò che la brezza fredda, mista al calore del sole, mi accarezzasse il viso. Il profumo della terra mi penetrò le narici all’istante.
« Dimmi cosa credi che ci sia fuori da questa finestra. » disse, inspirando.
Mi passai una mano sul viso cercando di asciugare le lacrime e risposi.
« Non lo so. »

Mi diede una piccola pacca dietro la testa.
« Provaci. » squittì, più acuto del solito.
Mi costrinsi a provare, nonostante la parte razionale di me dicesse che stavo solo ritardando l’inesorabile. Tagliai mentalmente i lacci con i quali avevo imprigionato la mia anima da sognatore e le immagini mi esplosero nella mente.

« Una distesa di erba. Erba rigogliosa e uno steccato a sinistra dove stanno degli animali. Un’altalena dove una bambina si dondola placida e... degli alberi gialli e rossi con metà delle foglie a terra. Due ragazzi leggono distesi su una coperta. Il sole scalda ma il vento riesce a mitigare il suo calore. Vedo delle nuvole paffutelle all’orizzonte. Vedo... il sole che splende luminoso come sempre. » conclusi. Tirai su col naso e Kurt rise e sospirò.
« Sei quasi più bravo di me. » commentò, e mi passò un pollice sulla guancia, raccogliendo le lacrime che ero appena riuscito a fermare.

« Tu sai cosa c’è davvero qua fuori? » domandai, chiudendo gli occhi e godendomi il sole.
Kurt fece un verso simile a quello di un gatto quando si stiracchia.
« Sì, ma non te lo dirò mai. La tua versione era infinitamente più bella. » rispose.

Il quel momento gli fui talmente tanto grato che non potei trattenermi dal prendergli la mano. La trovai al primo colpo e fu incredibile. Era come se sapessi dove fosse Kurt, era come se si fosse legato a me in qualche modo, nel giro di una mezzora.
« Grazie. » gli mormorai. Lui mi prese gli angoli della bocca e li tirò verso l’alto.
« Grazie a te. » rispose sottovoce. « E sorridi, ero sicuro che non lo stessi facendo. » e si allontanò.

« Cosa dobbiamo fare ora? » domandai, cercando di riacquistare un qualche contegno, cosa che mi stava risultando abbastanza difficile.
« Voglio insegnarti ad usare il bastone, quanto meno. Che ne pensi? »

Muovermi senza picchiare contro un muro ogni due metri sarebbe effettivamente stato interessante.
Acconsentii.

« Buona idea, potrei risultare meno un pericolo pubblico così. »
Ridacchiò e sentii la maniglia scattare di nuovo. Stavamo per uscire nuovamente in corridoio.
« Gli altri saranno già a lezione ma io ho la mattinata libera per aiutare te. Oh, quanto mi piace fare il tutor. » esclamò.

 
***

 
Usare il bastone non era poi così difficile, o meglio, pensavo peggio. Almeno sembrava più semplice con Kurt accanto. Mi teneva una mano sulla spalla e mi dava delle indicazioni di base con voce gentile.
« Non ti preoccupare, è facile. La prima volta me lo sono tirato sui piedi, sono caduto sulle ginocchia ed ho rovinato irrimediabilmente un paio di pantaloni di raso Mark Jacobs. Un disastro. »

Mentre tastavo il terreno – passeggiavamo infatti nel cortile della scuola – scoppiai a ridere.
« Ma allora sei veramente un esperto di moda, non scherzavi! »
Un bastone mi colpì una gamba, ed ero più che certo che non fosse il mio.
« Certo! Io non scherzo mai. » precisò, con un tono di voce flautato ed ovvio.

Mi resi conto di stare facendo uscire dalla sua prigione il Blaine che l’incidente aveva soppresso. Mi ricordavo di essere stato solare, sorridente, spontaneo, lievemente strano... e ricordavo anche di essermi immediatamente spento dopo aver appreso che non avrei mai più scorto la luce. Ora però quel Blaine stava riemergendo, un ragazzo terribilmente adorabile lo stava resuscitando. Mi rendevo conto sempre di più che, con questa nuova vita, sarebbe nato un nuovo Blaine, un Blaine che speravo sarebbe stato migliore. Volevo lasciarmi andare con Kurt, volevo inibire ogni freno ed essere me stesso al meglio che potevo: come faceva lui.

« Come fai a vestirti bene, ad abbinare i colori, se non puoi vederli? »
Lui fece un verso impettito.
« Sono tutti i miei vecchi vestiti, tastandoli li riconosco e mi ricordo che colore hanno. » spiegò, mettendosi al mio fianco. « E’ una giornata tiepida. » commentò. Io inspirai l’aria fresca che profumava di foglie secche, bosco, terra ed asfalto. Il sole mi intiepidiva il maglione e immaginavo di camminare su un sentiero pentagrammato, andando a tempo e scrivendo le note con il bastone.

Toc.
Colpii un sasso e, per miracolo, riuscii ad evitarlo col piede.

« Stai migliorando! » esclamò entusiasta.
« Kurt tu sai dove stiamo andando? » chiesi.
« Ho fatto questa strada migliaia di volte, conosco ogni mattonella di questo cortile. »
« Da quanto tempo sei qua? » domandai curioso.
Lui si fermò e cambiò discorso.

« Dovremmo rientrare, devi ancora ritirare il numero della tua stanza. Inoltre devi conoscere il tuo compagno. Essendo una scuola maschile, ovviamente, sarà un ragazzo. » mi prese il bastone da passeggio ed afferrò la mia mano. Mi portò indietro, camminando dinanzi a me, come all’asilo. Ricordavo di non aver passato degli anni poi così belli lì, però ma mano di Kurt era delicata e, nonostante percepissi fosse turbato, sfiorava la mia con dolcezza.

Tornammo all’ombra e mi immobilizzò.
« Blaine voglio che tu capisca una cosa. » mormorò. « Io non sono solo un tutor. Voglio dire... ho parecchi amici, è vero, e a scuola sono un punto di riferimento e mi piace che tutti mi prestino attenzione, lo ammetto. Ma tu sei diverso e io lo ho capito subito. Tu sei come me e mi fai sorridere veramente, non il sorriso falso che devo sfoggiare con tutti solo perchè si aspettano che lo faccia. Ti prego, non diventare anche tu uno dei tanti senza-volto che chiede di sedersi accanto a me in mensa. Resta vero, okay? Ricordati che sono come te e lo rimango, indipendentemente da tutto. »

Non risposi come si aspettava, non c’era nulla che dovessi confermare di ciò che aveva detto: io volevo restare. Volevo poter parlare con lui e sentirmi finalmente parte di qualcosa, parte di qualcuno. Non mi sarei perso nel mucchio, non se lui me lo chiedeva così.
Non poteva capire quanto fossi felice di averlo incontrato. Non  mi importava se lo aveva appena conosciuto, non ci voleva molto a capre quanto una persona fosse speciale: poche parole.

« Fanno corsi di musica qua a scuola? » chiesi.
Lui rispose sbigottito.
« Sì, certo: di canto, chitarra, piano, trombone, batteria e flauto traverso. Perché? »
Sorrisi e, questa volta, fui io a cercare la sua spalla. Vi poggiai la mano e sentii il calore che il suo corpo emanava e la morbidezza della stoffa dei suoi abiti.
« Perché dobbiamo cantare assieme, ci accompagnerò con la chitarra, presto, va bene? »
Lo scosse un brivido e ridacchiò, scuotendo appena le spalle.

« Promesso? » chiese timidamente.
« Promesso. » confermai e non potei fare a meno di chiedermi se anche lui prestasse così tanta attenzione ai miei particolari quante io ne prestavo ai suoi.





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Note dell'autrice.

Volevo ringraziare tutte quelle persone che hanno recensito la storia, ogni recensione per me significa tantissimo, poi fin'ora sono tutte
positive e questo mi riempie di gioia. Sono davvero contenta di riuscire ad inserirvi nell'universo dell'Istituto Doge, era quello che volevo
fare e spero che, anche questo capitolo, vi sia piaciuto come gli altri.
Purtroppo non potrà essere sepre tutto rose e fiori, lo sapete, vero?

Grazie a tutte.
Davvero.
Se potessi verrei là e vi abbraccerei.
Non posso, ma fate finta che lo abbia fatto.

Yours,
{noth

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Capitolo 4
*** Makes me wanna smile. ***


I wish you could see.
-Capitolo Quarto-






Salimmo a fatica le scale, io ero poggiato al corrimano ed ero davvero lento, ma Kurt non si spazientì, anzi, mi tenne una mano sulla schiena per aiutarmi e spronarmi.
« Diventerai presto veloce, non ti preoccupare. »
« Mi fido. » risposi.

Percorremmo poi un corridoio a sinistra, avevo dato a Kurt il bigliettino scritto in braille con il numero della mia stanza, dove c’era già la valigia. Sul muro, accanto ad ogni porta, intuivo ci fossero dei cartellini, sempre scritti in braille, con il fatidico numero impresso. Kurt, infatti, strisciava le dita sulla parete per leggere, cosa che io ero totalmente incapace di fare.
Trovammo in fretta la mia stanza, troppo in fretta per i miei gusti. Ogni parte del mio corpo voleva stare ancora un po’ con lui. A dire il vero sarei rimasto con lui sempre. Era questo l’effetto che Kurt faceva a tutti? Era così terribilmente utopico da volerlo sempre con sé?

Eravamo discretamente vicino alle scale, forse sarei riuscito a trovarle senza rotolare giù.
« Eccoci, la stanza 1042 al primo piano. Mi raccomando: ricordatelo così se ti perdi sai cosa chiedere. »
Con la memoria che mi ritrovavo dubitavo che me lo sarei ricordato anche solo dopo dieci minuti. Dimenticavo spesso anche i testi delle canzoni che suonavo.

« Uhm, okay, tenterò. Posso entrare? » chiesi e, in tutta risposta, Kurt abbassò la maniglia e la serratura scattò fluidamente.
Non appena entrammo sentii un odore strano: l’odore metallico della ruggine. Mi colpì con una zaffata violenta, ma non riuscii ad identificarlo subito. Kurt fu molto più svelto di me e, non appena fiutò l’aria, mi superò con passo sicuro. Lo sentii tastare in giro fino a raggiungere un letto a molle che scricchiolò quando si appoggiò.

« Mio Dio. » sussurrò tremante. Il suo tono mi fece istintivamente preoccupare.
« Cosa? Che succede? Kurt non riesco a capire, non vedo, non capisco! » gridai. Lui venne da me, mi posò una mano sul petto, cercando di reggersi in piedi. Tremava, era scosso. Tremavo anche io perché non capivo nulla. Il mio bel sogno in cortile si era appena trasformato in un terribile e confuso incubo. La mano di Kurt era bagnata, umida ed appiccicosa.
« Qual-qualcuno. È successo qualcosa a qualcuno lì, nel letto, c’è sangue. N-non posso vedere, non lo posso aiutare, Blaine che posso fare? »
« S-sangue? » balbettai. L’adrenalina nel corpo mi accese come una torcia, tremavo ma avevo le funzioni celebrali a mille.

Kurt si appoggiò al mio petto, aggrappandosi come se stesse per cadere e lo sentii annuire.
« Kurt... io sono.... ho tanta paura del sangue... » mormorò, tremando come una foglia. Ed ecco che la maschera perfetta di Kurt Hummel si era sbriciolata a terra. Era umano.
Era esattamente come aveva detto di essere: come me.

In un nanosecondo decisi il da farsi.

Lasciai scivolare Kurt a terra, lo sistemai raggomitolato contro il muro e mi voltai verso la porta. Potevo farcela. Dovevo solo provarci, dove solo stare attento. Sapevo come fare, sapevo come muovermi, o meglio, non lo sapevo ma dovevo farlo.
« Kurt vado a cercare aiuto, va bene? Dimmi, ti prego, dimmi dove devo andare appena arrivo alla fine delle scale. » dissi ansimando, sapendo che qualcuno, su uno dei letti di quella stanza, stava perdendo sangue ed aveva perso conoscenza. « Per favore, aiutami. »

Kurt ansimò, cercando di fermare il tremolio delle labbra.
Perché era andato subito a vedere il corpo nonostante avesse sentito ed identificato subito l’odore del sangue e sapesse quanto lo terrorizzasse? Si sopravvalutava, purtroppo. Desiderava così tanto essere perfetto da non curarsi di sé.

« Va-vai lungo tutto il corridoio a sinistra, poi svolti a destra due volte e tro-trovi una porta. È la stanza de-del preside. »

Non me lo feci ripetere due volte. Sapevo di essere incredibilmente lento, incredibilmente incapace e terribilmente inetto, ma era il momento di dare prova del mio coraggio. Sapevo di averlo, nascosto da qualche parte. Mi lasciai la porta della stanza e l’odore di sangue alle spalle, tenni le mani poggiate su muro e continuai ad andare lungo tutto il corridoio più in fretta che potevo, anche se mi sembrava di camminare nel nulla e mi pulsava la testa. Raggiunsi le scale, sentii il corrimano colpirmi l’avambraccio e mi aggrappai ad esso più forte che potei. Iniziai a scendere i gradini di fretta, stando attento a non scivolare, cercando di mettere bene i piedi e di non mancare nessuno scalino. Scendere fu più facile che salire, per fortuna, e raggiunsi in fretta la base delle scale. Ora il dilemma.

Cosa aveva detto Kurt?
Corridoio di destra o di sinistra?
Dannazione a me e alla mia pessima memoria.
 Dovevo decidere, dovevo spremermi le meningi e ricordare. Dovevo.

«Va-vai lungo tutto il corridoio di sinistra, poi svolti a destra due volte e tro-trovi una porta. »

Sinistra.
Svoltai e beccai in pieno una colonna che si trovava alla base delle scale, decorativamente. La testa mi bruciava da morire, il colpo mi aveva stordito terribilmente. La fronte pulsava velocissima ed il dolore mi era penetrato nel cranio come un milione di aghi. Avrei voluto lasciarmi cadere a terra, ma sapevo che da me dipendeva la vita di una persona e... soprattutto dovevo dimostrare a Kurt che ce la facevo. Dovevo fargli vedere la mia forza. Fargli vedere che ero forte e debole proprio come lui. Che valevo la pena.

Mi trascinai lungo il corridoio appoggiato al muro. Il mondo traballava come se fossi sopra una gigantesca palla rotante e sicuramente la fronte mi si era gonfiata. Non c’era davvero nessuno per i corridoi, forse erano davvero tutti a lezione come Kurt aveva detto.
Svoltai a destra tutte e due le volte che aveva detto e, quando ormai credevo di essermi perso, sbattei un piede contro una porta. Misi la mano avanti appena un po’ e toccai il legno tipico della soglia di una stanza.

Bussai più volte, con gli occhi doloranti e la testa grande come un pallone.
« Un momento prego. »
« Non ce l’ho un momento! » gridai, esasperato e decisamente disperato.

Spalancai la porta senza alcun ritegno, pentendomi all’istante della mia insolenza, ma non c’era tempo.
« Ma cosa... » borbottò un vocione profondo. Sentii una sedia spostarsi, probabilmente il preside si stava alzando.
« Che diamine le è successo? » domandò.

Mi appoggiai allo stipite, ansimando e tossendo. Non osai immaginare come fosse ridotta la mia faccia.
« Non importa come sto io. Nella mia stanza, la numero... » mi diedi una pacca in testa, peggiorando il dolore, « ...1042 c’è qualcuno che sta perdendo molto sangue. Sono nuovo quindi non so nulla ed il mio tutor è sotto shock, per favore mandi qualcuno ad aiutarli! » gridai.

Silenzio.

« Bè? » sbottai.

Qualcuno mi prese per le spalle e mi guidò fino ad una poltroncina, non lo avevo nemmeno sentito avvicinarsi. Profumava molto. Mi dimenai, facendomi correre una fitta lungo la schiena.
« Non ho bisogno di aiuto! » ululai. C’erano cose più importanti da fare, perché non capiva?
« Primo: » disse, « qui le priorità le decido io. Secondo: tu hai bisogno di aiuto eccome, impara ad ammetterlo. Terzo: ho già premuto il bottone dell’allarme della stanza sulla mia scrivania, un insegnante o un bidello è sicuramente già andato a vedere. » spiegò, con tono calmo.

Boccheggiai.
« Non le interessa sapere cosa è successo? Chi è ferito? Perché lo ha fatto? » domandai, cercando di raggiungere da solo l’uscita dalla stanza per tornare da Kurt, ma l’uomo mi trattenne.
« Credimi, figliolo, è meglio non saperlo. » rispose.

Invece sì. Kurt. Dovevo sapere come stava. Dovevo abbracciarlo, ringraziarlo per la giornata e chiedergli di dimenticare ciò che era successo in quella stanza.
Volevo che stesse bene perché mi ero accorto che, quando lui sorrideva, sorridevo anche io. Kurt mi faceva venire voglia di cantare. Mi faceva venire voglia di vivere.







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Spazio Autice:
Bè, come sono veloce! Meglio sfruttare l'ispirazione, credetemi.
Insomma, in questa scuola succede di tutto. Kurt non è forte come sembrava. Blaine è più forte di quanto pensasse.
Si scoprono molto diversi da come pensavano.
Scoprono che fingere non aiuta nessuno dei due e che l'uno può sistemare i cocci rotti dell'altro.
Ci sono persone che sono fatte per guarirsi a vicenda, eppure per trovarsi davvero gli ci vuole un po'. 
I sentimenti umani sono così volubili, dopotutto, no?

Grazie a tutte voi, tutti i vostri complimenti mi stanno facendo venire voglia di amarvi. Veramente.
Vi ringrazio di cuore e spero che continuerete a seguire questa storia che, ad ogni parola, mi prosciuga sempre di più il cuore.

Yours,
{noth

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Capitolo 5
*** So human, so beautiful. ***


I wish you could see.
-Capitolo 5-







L’infermeria non aveva alcun odore e la cosa mi confondeva non poco. Ero disteso su delle lenzuola soffici ma dal profumo completamente anonimo. L’unica cosa che mi consolava era il sapere di avere Kurt, silenzioso, ad un metro di distanza su un altro lettino. Respirava pesantemente, non parlava, cercava di diventare invisibile.
Che duro colpo doveva essere stato per la sua concezione di perfezione.
Mi rendevo conto sempre di più di quanto fosse un ragazzo tutto da aggiustare. Si teneva assieme come poteva, fingendo di stare bene e di essere positivo, ma dentro di lui c’era un bambino abbandonato che piangeva.

Non so come arrivai a quelle conclusioni così in fretta, ero sempre stato lento ad apprendere la vera natura di una persona, ma avevo la sensazione che Kurt si fosse inspiegabilmente lasciato capire.
L’infermiera che stava al banco a scribacchiare, che poco prima mi aveva bendato la testa, si alzò, facendo parecchio rumore, e si avviò verso dove presumevo ci fosse la porta.

« Vado via qualche minuto. Il preside vuole vedermi nel suo ufficio. Voi... riposate, okay? Non deve essere stato un grande inizio di giornata. » disse con tono dolce. Ricordai che mia nonna mi parlava sempre così quando ero piccolo. Mi diceva che ero il bambino più bravo e bello del mondo. Chissà che avrebbe detto ora vedendomi cieco e con il viso contuso e bendato per colpa della colonna dove avevo sbattuto la testa.

La porta si chiuse alle spalle dell’infermiera e calò il silenzio.
« Ehi, Kurt... » inizia, sentendo il labbro che mi doleva a parlare, ma non mi importava troppo in quel momento. L’unica persona che faceva parte della mia nuova vita ancora non si era ripresa dallo shock ed era mio dovere aiutarla. No?
Forse.

« No, ti prego. So cosa pensi. Quanto devo essere stupido per crollare di fronte ad una cosa del genere. Ho provato a superarlo, dico davvero. Pensavo sarebbe passato come la paura di esibirmi davanti ad un pubblico. A quanto pare, come la paura del buio e quella di guardare mio padre in faccia, quella del sangue è rimasta. Sono un inetto, va bene? E ora non aggiungere altro, ti prego. » faceva lunghe pause tra ogni frase, respirando tra i denti, cercando forse di trattenere quelle lacrime che, appena lo avevo conosciuto, credevo non fosse in grado di versare.
Mi resi conto di come lo avevo paragonato ad una sorta di fratello maggiore, perfetto ed utopico, senza pensare a quanto invece, essendo nelle mie stesse condizioni, potesse essere fragile e sensibile.

La sua umanità era così bella e così nascosta che, per me, aver potuto vederla, era stato quasi un regalo.

« No, no. Non hai capito che volevo dire. » risi. Il dolore mi si propagò su tutto il viso, ma ero così felice. Ero felice di aver intravisto un lato di Kurt che probabilmente in pochi conoscevano. Lui non era quella facciata calma e rilassata. Lui era un tormento interiore che lo divorava e che spingeva per uscire. Lottava, ed era magnifico.
Lo sentii muoversi e girarsi su quel lettino anonimo.
« Allora illuminami. » sussurrò, serio come poco prima.

Era talmente sommerso dai suoi complessi personali da non capire quanto potesse significare per una persona riuscire ad aprire una breccia nell’armatura che si era minuziosamente costruito.
« Non sono bravo con le parole, penso tu lo abbia capito. Penso solo che tu sia umano, Kurt. Era così difficile crederlo prima, con quella tua perfezione, quel sorriso misurato e quelle parole contate, pensate e ripensate. Io non riesco mai ad inquadrare le persone, faccio davvero schifo, non scherzo, ma con te mi è risultato incredibilmente semplice. Come se fossi stato tu il primo ad aprire una fessura così che potessi prima intravedere dentro di te, e poi quasi toccare quello che sei davvero. Diamine tutti hanno delle paure, Kurt! Non è sbagliato averne, e nemmeno rende più... stupidi. » presi fiato e ridacchiai. « Ho superato la mia paura dei conigli nani una cosa come... l’anno scorso. » ammisi. Lo sentii ridere appena. Ero riuscito a farlo sorridere di nuovo. Fui molto fiero di me.
« Dubito che qualcun altro possa pensarla così. » disse.

Non risposi, perché a dire il vero a me non importava che lo pensassero gli altri.
« Davvero avevi paura dei conigli nani? » aggiunse infine, ridacchiando.
« Oh, sì, sul serio. Con quei... dentini acuminati e quelle orecchie che avrebbero dovuto farli sembrare teneri. Ma non lo erano. Credo che la mia paura dipendesse più che altro dal fatto che, quando ero piccolo, uno di quei mostriciattoli pelosi mi morse. » annuii. « Sì, credo proprio che sia andata così. »
« Che cosa terrificante. » esclamò, fingendosi scandalizzato. Notai immediatamente che la sua respirazione era diventata più regolare e leggera.
« Non ne hai idea. La tua paura per... per il sangue invece da dove potrebbe venire? » domandai, augurandomi di non rovinare troppo l’atmosfera. Volevo sapere cosa creava le sue debolezze. Volevo capirlo in una maniera così morbosa da sorprendermi.

Kurt non mi rispose subito.
« Te lo spiegherò un giorno, davvero. » sussurrò, facendo un respiro profondo. Accettai quella promessa implicita con un verso accondiscendente.

Il silenzio cadde di nuovo su di noi come una coperta. Fino a che Kurt non volle parlare di nuovo.
« Non sai quanto vorrei vederti. » ammise a bassa voce. « Forse capirei perché il tuo viso ha così tante rughe d’espressione anche se ora non sorridi quasi mai. Oppure vedrei cosa cavolo ti sei fatto alla faccia schiantandoti su quella... »
« ...su quella colonna, sì. » precisai, cercando di sorridere più silenziosamente possibile. « Non sarebbe un bello spettacolo, fidati. »
Lui sbuffò ostentando allegria.
« Sarebbe carino. »

Mi portai una mano alla bocca per tentare di nascondere ancora il mio sorriso ad ogni sua parola. Ogni cosa che usciva dalla sua bocca era così spontanea, così sincera, faceva battere il cuore e non credevo se ne accorgesse.
Quanto tempo ci voleva per accorgersi che una persona ti piaceva?
Forse più di quanto ci stavo mettendo io.

« Davvero ho le rughe? » mi lamentai, dando voce al silenzio che avevo creato mentre mi crogiolavo nel suo ultimo commento.
« Sono leggerissime, non ti preoccupare, ma per uno come me che legge il braille la tua faccia è come un grande disegno, o una grande mappa. » spiegò.
Strinsi le lenzuola con le mani.
« E il mio viso che dice? » chiesi, imbarazzato.
« Che devi tornare a sorridere come facevi una volta. »

Il cuore sobbalzò e sospirai.
« Comunque vorrei proprio sapere come hai fatto a beccare la colonna a lato delle scale! »
Evidentemente aveva sentito più di quanto pensassi della conversazione tra me e l’infermiera.
« Ero molto confuso e molto di fretta! » piagnucolai. « Avrei potuto fare molto di peggio credimi. Inoltre ho avuto una conversazione bizzarra col preside. Quel’uomo non è normale. »

Kurt sbuffò.
« E chi lo è? »
Non potei far altro che essere d’accordo con lui.

« E il ragazzo che perdeva sangue? »
« Credo lo abbiano portato in ospedale. » rispose.
« Che gli era successo? »
« Probabilmente aveva tentato il suicidio. » una pausa. « Non sarebbe il primo. »
« E’... è drastico. » balbettai, sconcertato. Togliersi la vita doveva essere una cosa terribile.
« Sicuramente non è morto, tranquillo. Avrai molto tempo per capire cosa lo ha portato a quel gesto. Non ti preoccupare. » mi rassicurò. Se avevo molto tempo per parlare col mio compagno di stanza avevo molto tempo per stare con Kurt. L’idea iniziava a piacermi.












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Spazio Autrice:
Aspettavo da un po' di fare una conversazione di questo tipo tra i due. Sì, ne avevano bisogno.
Blaine già ha iniziato ad accorgersi di come Kurt è diverso. 
Kurt ha iniziato a capire quanto Blaine gli sia indispensabile.

Non voglio anticiparvi niente, ma il ragazzo suicida non sarà un personaggio troppo secondario.

Grazie per tutte le recensioni, per tutti i complimenti, a tutte le persone che la leggono, la seguono, la hanno messa tra le ricordate o le seguite.
Grazie, dal pronfondo del mio cuore.

Spero di non deludervi mai.
{noth

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Capitolo 6
*** Autumn brings shivers. ***


I wish you could see.
-Capitolo 6-








Era passata una settimana e il ragazzo suicida non era ancora tornato. Non che la cosa mi importasse, stavo bene da solo nella mia stanza, ma allo stesso tempo ero troppo curioso di sapere cosa lo avesse portato a compiere un gesto così estremo.
« Non sarebbe il primo. »  aveva detto Kurt e questo mi terrificava. Forse era meglio non pensarci.

Il tempo volava, soprattutto quello che passavo con lui. Con il bastone stavo migliorando e, anche se non era affatto facile, stavo imparando a leggere il braille. Io e Kurt ci trovavamo ogni pomeriggio – su una panca del cortile – e lui mi faceva esercitare, anche se scoppiava spesso e volentieri a ridere per come spezzettavo le parole.
Stavamo sul retro della scuola e lui sosteneva di essere uno dei pochi ad essersi spinti così tanto nell’ignoto. Ogni tanto, mentre leggevo ad alta voce, posava la sua mano sopra la mia facendo più pressione e consigliandomi di sentire meglio i puntini per essere più veloce e preciso a recepire le lettere. Non credo si accorgesse dei sussulti che facevo ogni volta che mi sfiorava. Tra di noi correva una strana elettricità statica che mi faceva sobbalzare ad ogni tocco.

Quella giornata era particolarmente fredda, era ottobre inoltrato ed il gelo iniziava a battere sul mondo e ad ingoiare il caldo. Aveva il naso congelato e mi nascondevo dietro ad una sciarpa che Kurt mi aveva dato qualche giorno prima. Aveva detto che ero stato un idiota a non portarmene una e che doveva rimediare a questa eresia. La stoffa era soffice e pungente, color antracite – aveva spiegato lui – anche se non avevo idea di che cosa fosse. Gli avevo chiesto di dirmelo in parole semplici ma si era limitato a rifiutare, dicendo che avrei dovuto colmare le lacune in terminologia con la fantasia ed immaginarlo.

Per qualche strana ragione immaginavo fosse un arancione chiaro e splendente, anche se mi sembrava decisamente poco nello stile sobrio e moderno che nella mia mente avevo associato a Kurt.
« Scusa il ritardo! » urlò una voce, poco lontano da me. Era Kurt, lo avevo sentito arrivare. Mi chiedevo come facesse a correre senza vedere dove andava. Forse era vero che conosceva la strada bene come la “trama della sua pashmina preferita”.
« Non ti preoccupare, qua fuori stavo diventando una statua di ghiaccio. » risposi, lui si sedette sulla panchina proprio accanto a me.
« Non... sembra positivo. » commentò confuso.

Feci un verso esasperato.
« Ma sarei stato una bellissima statua di ghiaccio! Tutti avrebbero potuto ammirarmi. Avresti fatto un favore all’umanità. » scherzai con un finto tono ovvio che fece quasi scoppiare a ridere anche me.
Lui esplose in una risata cristallina che cercava di soffocare coprendosi la bocca con la mano.
Ormai, anche senza vedere, potevo dire dai suoni che emetteva e dai suoi silenzi cosa stava facendo. Ero così orgoglioso di me.

« Allora mi sa che ho fatto un favore al mondo. » commentò, con un tono di voce di scherzosa offesa.
« Tutta invidia, caro mio. » alzai le braccia in segno di esasperazione. Lui evitò di rispondere dandomi una gomitata sul braccio.
« Allora? Non vuoi farmi sentire come leggi? » chiese, producendo il solito fruscio che creava il suo accavallare le gambe. Si appoggiò su di me spalla su spalla, probabilmente per stare al caldo.
« Sì, se non mi si congela prima la lingua. » borbottai rabbrividendo, leccandomi le labbra gelide e screpolate.
« Te la sciolgo io se succede. »

Ecco. Lo sapevo che avrebbe detto una cosa del genere ed io gli avrei dato un significato completamente diverso. Forse era vero, forse una delle mie amiche della vecchia vita aveva avuto ragione: nascondevo dietro ad una tenera innocenza ed una pungente simpatia il mio animo da maniaco.
Sperai improvvisamente che si sbagliasse.
Rimasi in silenzio, ribollendo nel mio imbarazzo come una teiera e sentendo le guance, che poco prima erano gelide, scaldarsi come se vi si fosse acceso un fuoco dentro.

Kurt, per la millesima volta, dovette correggersi, capendo cosa potevo aver pensato.
« Oh, no! Cioè... non pensare male! Intendevo facendoti parlare! » la sua voce divenne decisamente stridula. La sua innocenza si incrinava di più ogni istante che passava con me.
Lo stavo contagiando.

« Oggi il professore di Italiano mi ha consigliato di leggere un libro chiamato “Il cuore del padre”. Me lo ha dato e mi ha detto che mi sarebbe stato utile. » cambiai discorso frettolosamente.
Alla parola padre Kurt trasalì silenziosamente.
« Bè, cominciamo allora. » sull’ultima sillaba la sua voce traballò.
Aprii il libro, passando i polpastrelli sulla pagina puntellata e concentrandomi sulla punta delle dita. Ogni giorno le lettere diventavano più definite e facili da unire. L’esercizio serviva davvero e Kurt, come al solito, aveva avuto ragione.

« Sem...sembrava che il mondo mi...stesse guardando. Occhi di fuoco si...accendevano al mio pass...aggio. Era colpa di mio padre...mi ripetei...tutta colpa sua. Ma gli...volevo ancora bene. »
Feci una pausa.
« Voler...volere bene ad una persona è per...pericoloso. Una...volta che l’affetto ha iniziato a scorrere è difficile fermarlo. Non...si chiude come un rubinetto. »
Kurt sospirò.

Mi sentivo troppo coinvolto nella seconda parte. Era come se stessi leggendo un diario segreto.
« E’... un libro interessante. Piuttosto intimo però. » disse.
Calò il silenzio.

Non riuscivo a trovare qualcosa da dire, quindi provai ad andare avanti a leggere. Avevo, però, perso il segno quindi optai una frase a caso.
« Gli voglio bene. Come...come il primo giorno in cui mi sor....sorrise, come quando mi pianse ad...addosso e anche adesso...che ho paura di dirglielo...gli voglio troppo bene. »

Kurt mi prese l’avambraccio, facendo scivolare la mano fino ad intrecciarla con la mia.
Nel mondo dei non vedenti un contatto così era la più grande delle emozioni.

Non sapevo cosa dire, soprattutto perchè, all’interno della mia mano fredda e ruvida, dove la sua era a contatto con la mia, sentivo scintille ed un formicolio persistente.
« Non so che mi prende. » dissi a voce bassa. « E’ possibile voler bene ad una persona così tanto e così in fretta? »
Lo stretta sulla mia mano si accentuò.
« Ci sono persone alle quasi non puoi fare a meno di voler bene. »










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Spazio Autrice:
Ebbene il momento è giusto, signori. Il momento dove le emozioni prendono il sopravvento.
Dopo tutto ad occhi chiusi non siamo tutti quanti più vulnerabili?

Voglio tenervi in ansia quindi il capitlo finisce di botto, ma il prossimo sarà.... scoppiettante e chissà che ci scaldi un po' da 'sto freddo.

Grazie di cuore per tutti i bei commenti, mi fate sentire davvero apprezzata e che ciò che scrivo piaccia è il migliore dei regali.

Yours,
{noth

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Capitolo 7
*** Maybe I'm falling for you. ***


I wish you could see.
-Capitolo 7-








« Ci sono persone alle quali non puoi fare a meno di voler bene. »

La sua voce si era persa in un eco lontano nella mia mente, incidendosi sui bordi della mia cassa toracica come un tatuaggio.
Non riuscivo a rispondere nulla, dare voce ai miei pensieri sembrava impossibile.

« Perché ti conosco da così poco ed ho solo voglia di conoscerti di più? Perché ci tengo già così tanto a te? » chiesi, sottovoce. Avrei voluto potere almeno vedere la sua faccia. Posare i miei occhi sul suo vero viso. Di solito quando ero con un amico ero allegro ed esageratamente stupido, ora però, con Kurt, finivamo sempre per parlare di cose a cui non ero mai riuscito a dare voce.
« Vorrei tanto poterlo sapere anche io. » mormorò. « Anche se a dire il vero io sono quello che ancora crede alle favole ed al principe azzurro, quindi forse dovrei stare zitto. » sorrise.

Il vento mi accarezzò il viso, come a cercare di strapparmi via la risata che mi si schiudeva sul volto ogni volta che Kurt parlava. Aveva dato un senso ad una nuova vita in cui non speravo nemmeno.
Non credevo che da cieco avrei potuto essere così felice.
« Quella del principe azzurro è una bella storia. » commentai e Kurt rise timidamente.

Era il momento di mettere da parte le moine e l’imbarazzo.
Era uno di quei momento in cui sai di dover parlare.
Di dover dire certe cose.

« Grazie. » mormorai.
« Grazie? » domandò confuso.
« Sì, sai è uno di quei momento in cui si dovrebbe fare uno di quei discorsi belli ed articolari ma... io non sono bravo. » ridacchiai e strinsi la mano di Kurt. « Grazie per aver dato un nuovo senso ad una vita che credevo finita. Sembra una frase banale di quelle che trovi nei cioccolatini ma... grazie di esistere. Davvero. Il mio attuale mondo brilla ancora, metaforicamente ovvio, perché ci sei tu. »

Avevo appena finito di parlare, non lo avevo nemmeno sentito muoversi – evidentemente sapeva di essere decisamente silenzioso – e di colpo sentii le sue labbra sulle mie.
Questo bacio era molto diverso da tutti quelli che avevo ricevuto fin’ora. Senza vedere, ogni altra sensazione ti esplodeva nel cervello come un fuoco d’artificio. La bocca di Kurt era morbida e calda, si adattava alla mia e la punta delle sue dita mi tratteneva il viso con una delicatezza atrocemente controllata, come se avesse paura che mi potessi infrangere come cristallo, come un fiocco di neve, come un bel sogno.

Ero immobile eppure, al mio interno, una tempesta di fuoco stava bruciando ogni briciola di emozione. Non sapevo come reagire: se ridere o piangere. Non sapevo se fosse giusto o sbagliato e nemmeno se fosse troppo presto. Ma perché avrei dovuto sapere tutte queste cose? A chi interessavano? Di certo non a me. Mi sembrava di aver aspettato quell’istante di assoluta perfezione per tutta la mia insulsa vita.

Paragonata a quel momento tutto ciò che c’era stato prima sembrava terribilmente insulso.

Mi vennero in mente le parole di una canzone, non so come in mezzo a tutto il caos che mi sfracellava il cervello.
“I think that possibly maybe I’m falling for you.”
In realtà era più che possibile, ed avrei dovuto togliere il “forse”.
Io mi stavo innamorando di Kurt. Lui mi aveva salvato, mi aveva fatto vedere che potevo avere una vita normale.
Mi aveva mostrato che potevo ancora essere felice.

Gli passai una mano tra i capelli in piega, accorgendomi troppo tardi che poteva dargli sui nervi, eppure lui me lo lasciò fare. Quando ci allontanammo seppi che avrei dato una gamba per poterlo guardare negli occhi. Dovetti accontentarmi della sua mano nella mia che, imperterrita, non mi lasciava.
Cos’era scattato tra di noi? Perché quell’affetto era cresciuto così in fretta?

« Wow. » sussurrò. « Non avevo mai voluto baciare qualcuno così tanto in vita mia. »
Feci schioccare le labbra, chiudendo gli occhi qualche istante.
« Mi domando cosa mi hai fatto. » esclamai infine, non sapendo se ridere per quanto mi sentivo felice. Appoggiai il libro per terra e mi voltai verso di lui anche se non potevo vederlo.

Kurt sospirò sognante. In qualche modo sapevo che era rosso in viso.
« Ci tengo a te, lo sai? È praticamente assurdo pronunciato da me, soprattutto contando che l’ultima volta che lo ho detto a qualcuno avevo sette anni ed era un orsetto di peluche a cui avevo disegnato un paio di pantaloni che, personalmente, adoravo. » borbottò tra sé e scoppiai a ridere come un pazzo al solo pensiero di immaginarmelo, piccolo e minuto, mentre, con un pennarello, faceva dei calzoni al suo teddy bear preferito. Nella mia immaginazione aveva anche la lingua fuori lateralmente per la concentrazione. Una scena adorabile.

« Dovrei leggere più spesso. » commentai, quasi tra le lacrime e Kurt mi diede una pacca sulla testa. « Ahi! » strillai. « Perché lo hai fatto? » mi lamentai.
« Perché... sei un idiota! » squittì lui con quella sua voce ambigua ed acuta che lo rendeva così unico e riconoscibile alle mie orecchie.

« Domenica abbiamo la giornata libera, giusto? » domandai, trattenendo le risate per la faccia che immaginavo Kurt stesse facendo.
« Certo, vuoi fare qualcosa? » chiese pratico.
Mi rigirai la sciarpa attorno alle dita apprezzandone la fine tessitura e la consistenza soffice ma ruvida.
« Pensavo di uscire e... andare in una caffetteria. Che dici? »

Kurt si irrigidì.
« Blaine... vuol dire percorrere a piedi tutta la strada sterrata fuori dall’istituto e prendere un autobus. Non lo ho mai fatto prima e... la strada è pericolosa... »
L’ottimismo mi scorreva nelle vene come alcool, mi sentivo ubriaco.
« In due possiamo farcela. Devo imparare e tu sei bravo. »
« Non so, Blaine... per quanto mi piacerebbe assecondare le tue follie credo ci convenga aspettare che tu sia un po’ più ferrato. » rispose dubbioso.
Cercai di non suonare dispiaciuto ed assentii. Probabilmente aveva ragione, dovevo frenare la mia impulsività.

« Però potremmo andare nell’aula di musica e tu potresti suonare la chitarra! Per me. » esclamò, battendo le mani.
Mi incupii all’istante.
« Non so se sono ancora capace.... non... non così. »
Lui mi posò una mano sulla bocca, facendo schioccare la lingua.
« Nulla è cambiato. La chitarra non si suona solo con la testa, sai? »

Perché tutto quello che diceva sembrava sempre incredibilmente sensato? Avevo riflettuto e pensato per giorni interi se mai sarei mai stato in grado di suonare di nuovo e ora – con quel suo tono di voce gentile, acuto e rassicurante – aveva spazzato via tutta la mia insicurezza. Ormai era chiaro: Kurt era magico.
« Va bene, va bene, ma dovrai accompagnarmi nell’aula di musica. » assentii infine.

Qualsiasi cosa pur di saperlo felice.

« Ti passerò a prendere entro la mattinata di domenica in camera. » accettò accondiscendente, entusiasta all’idea. «  Ora torniamo dentro, fa davvero freddo qui. Sei... sei migliorato molto nella lettura, comunque. » commentò e mi fece alzare in piedi. Traballai come se mi fossi appena svegliato da un sogno.
« Ti accompagno nella tua stanza. » propose e, con il bastone, arrivammo entrambi al caldo dell’istituto.

Fuori si gelava davvero nonostante fosse solo autunno.

Mi resi conto di non sapere dove fosse la camera di Kurt. Non me lo aveva detto. Che fosse venuto il momento di fargli alcune domande? Mi accorsi che, nonostante il suo evidente egocentrismo, non parlava quasi mai seriamente di sé.
Arrivammo, più velocemente di quanto ricordassi, davanti alla porta della mia stanza che era, inspiegabilmente, spalancata. Misi le mani avanti per cercare la maniglia e trovai il vuoto.
Che diamine...

« Credo che il tuo compagno di stanza sia tornato. » sussurrò Kurt al mio orecchio. Il suo respiro si perse sulla pelle del mio collo e rabbrividii.
Sapeva sempre tutto un secondo prima di me. La cosa buffa era che mi fidavo, fatto che – dopo l’incidente – non era più successo.

Dall’interno della stanza provenivano dei rumori sommessi.
Bussai sullo stipite.
« Permesso? » domandai e sentii un tonfo sordo.
















----------------------------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Questi personaggi decidono da soli cos deve accadere, giuro! Io volevo aspettare un po' per creare l'intesa giusta tra loro due ma se la sono creati e la hanno sfruttata.
Non gli servo più, maledetti ragazzacci.

Ora ditemi che non vi ho accontentato!
Più Fluff di così?

Spero che continuerete a seguirmi, io continuerò a scrivere e spero di non deludervi.
Ci tengo a sapere le vostre opinioni, sul serio.
Ognuna conta moltissimo per me e le tengo molto in considerazione.

Grazie di tutto.

Yours,
{noth

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Capitolo 8
*** Angel from hell. ***


I wish you could see.
-Capitolo 8-








« Chi è? » domandò una voce spaventata in uno squittio sommesso. Un timbro profondo, maschile e melodico, che si reputava bello appena sentito.
Entrai poggiando le mani sul muro del corridoio d’entrata.
« Sono... sono Blaine Anderson, il tuo compagno di stanza. » risposi, tendendo una mano dietro di me per assicurarmi che ci fosse Kurt.
Toccai la manica del cappotto di lana che indossava: mi copriva le spalle.

« Ah, quello che dovrebbe avermi salvato. » rise con amarezza.
« Che c’è? » sbottai. Non mi piaceva che la gente mi rideva in faccia ed il suo atteggiamento era terribilmente arrogante e strafottente
« Oh, no, no niente. Ti sembrerà banale ma ti sei chiesto se io volevo essere salvato? »

Dai rumori che faceva doveva stare disfacendo la valigia.
Tornava?
Da dove?

« Ma senti un po’ tu... » iniziai, ma Kurt mi fermò, poggiandomi una mano sulla spalla.
« La vita è un dono. » disse. « Dovresti essere grato a Blaine per averti dato un’altra possibilità di viverla. »

Calò un silenzio pesante, interrotto solo dall’ansimare esasperato della mia rabbia.
Chiunque fosse quel tipo, non mi piaceva.
« Se poi tu preferisci fare l’adolescente depresso... sono problemi tuoi. Ti chiedo però di non infastidire Blaine, cercava solo di farti un favore. »
Kurt era serio e deciso. Come se stesse parlando a se stesso oltre che al ragazzo.

Adoravo che mi stesse difendendo, odiavo che lo facesse qualsiasi altra persona, ma Kurt era il mio angelo custode. Lui mi permetteva di vedere col cuore.
« Ora devo andare. Per favore siate cordiali. » ordinò, con il tipico tono di voce da tutor. Era rientrato nel suo ruolo abbandonando quello del vero Kurt, e detestai ancora di più il ragazzo suicida per questo.

Sia io che il mio compagno di stanza facemmo un verso poco convinto: se c’era una cosa in cui non ero bravo era farmi andare a genio le persone che non mi piacevano a pelle.

Accompagnai Kurt alla porta, sfiorandogli la mano in segno di scuse. Il corridoio pareva vuoto e silenzioso. Ci fermammo e ci voltammo l’uno verso l’altro.
« Non metterti contro nessuno, Blaine, per esperienza. Non voglio che tu ti faccia male. »
Abbassai lo sguardo e sorrisi anche se lui non poteva vedermi: mi sembrava di sentire parlare mia madre.
« Ci proverò. » risposi, e mi alzai appena sulla punta dei piedi per riuscire a dargli un bacio a fior di labbra, fresco, e che profumava di lui. Ogni volta che parlava, sorrideva mi toccava o mi baciava  provavo una terribile voglia di scrivere una canzone e suonare.

Kurt era la mia musa.

« Ti prego, tra tutti i tuoi impegni come nuovo arrivato non ti scordare di me. Non ora che mi sto affezionando. » gemette.

Kurt solitamente era sicuro di sé, ma c’erano dei momenti in cui sembrava vulnerabile come un cerbiatto. Era contraddittorio ma lo rendeva umano.
Il cuore mi sobbalzò nel petto. Sentivo l’affetto verso di lui crescere di più ad ogni respiro che condividevamo, non avevo mai provato una sensazione del genere e non sapevo nemmeno dargli un nome. Sapevo solo che guadagnava sempre più spazio nel mio petto. Ne avevo paura ma era così forte che, anche se avessi provato a contrastarla, avrei perso.

« Non credo di essere capace di dimenticare certe cose, nonostante la mia pessima memoria. » sorrisi, e lo sentii dischiudere le labbra. « Allora, ci vediamo domenica? » chiesi.
« Passo a prenderti. » rispose. « Ora vado. Ci vediamo, Blaine. » sussurrò imbarazzato. Sentii i suoi passi allontanarsi da me.
« Puoi scommetterci. » sussurrai tra me e me.


***


« Sono Blaine Anderson. » mormorai, cercando di essere gentile.
« Me l’hai già detto. » rispose l’altro.

Blaine, stai calmo, provaci, te lo ha chiesto Kurt. Non pensare al fatto che si sta comportando da cazzone, sii gentile.

« Lo so, ma mi pareva carino ricominciare tutto daccapo. » dissi, sedendomi sul mio letto.
Continuava a fare rumori, avrei voluto poter vedere che diamine stava facendo.
« Non attacca. » commentò.
« Oh, ma qual è il tuo problema? Sto provando ad essere gentile e tu... tu costruisci un muro! »

Ergeva barriere ad ogni lato, per rendersi immune ad ogni attacco esterno. Il suo problema non era che non poteva vedere, sì ovviamente anche questo, ma la verità era che lui non voleva vedere.
Si era chiuso nella sua scatola di cartone e non voleva uscirne.
Un momento: da quando ero diventato così bravo a capire le persone?

« Io non ho nessun problema. » rispose secco.
« A me sembra il contrario. Davvero, non so se... se devo chiederti scusa per averti salvato. »

I rumori cessarono di colpo.
Lo sentivo respirare nel silenzio.
« Anche se accettassi le tue scuse oramai il danno è fatto. Ora mi controllano e, se ci riprovassi, lo scoprirebbero subito. »

Boccheggiai, sconvolto.
« Si può sapere perché vorresti rifarlo? » domandai esasperato.
« No, non si può. » rispose e, a tentoni, uscì dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle, andando chissà dove.
Tirai un pugno sul cuscino.

Chissenefrega.


***


Sapevo di avere un pratico telefono, con i numeri denominati da dei segni in braille, sul comodino. Qualche giorno prima avevo provato a chiamare mia madre per dirle che stavo bene ma conoscevo il braille troppo poco ed aveva risposto una bambina dei Michigan che non sapeva nemmeno chi fosse Teresa Anderson.
Avrei potuto chiamare Kurt se avessi avuto il suo numero, sfogarmi.

Mi rifugiai nelle emozioni che mi martellavano nel petto. Forse stavo correndo troppo. Kurt era... era magnifico. Era terribilmente bello vedere come i suoi bordi frastagliati riuscivano a combaciare alla perfezione coi miei.

Il cuore correva decisamente più veloce della mente e, se fosse stata una gara, sarebbe stato in testa con un consistente vantaggio.
Non mi interessava avere un compagno di stanza terribile, almeno fino a quando potevo passare del tempo con l’angelo che l’inferno mi aveva mandato per tentarmi con una seconda possibilità di felicità.

Bè, la avrei accolta.








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Spazio Autrice:
Scusatemi se questo capitolo è più corto, ma voglio tenervi sulle spine per il prossimo, vi assicuro che Blaine inizierà a far venire fuori quel lato maschio che c'è dentro di lui. Non si può nascondere per sempre, giusto?

Non voglio anticiparvi nulla!

Al prossimo aggiornamento, e grazie di cuore a tutti, giuro.

Vostra,
{noth

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Capitolo 9
*** It's not you, it's me. ***


I wish you could see.
-Capitolo 9-









Cercavo di concentrarmi sulle lezioni, davvero, ci provavo, ma le mie dita fremevano alla voglia di toccare la mano di Kurt. Era tutta la settimana che mi ripetevo che era stato solo un bacio, ma il mio cervello di rifiutava di assimilare la parola solo.

Cercavo di ascoltare il professore di scienze ma tra i cromosomi e la genetica compariva di continuo il flash delle emozioni che mi erano esplose addosso come un bombardamento premeditato. Inoltre i rapporti col mio compagno di stanza non miglioravano affatto: litigavamo per ogni cosa e ancora si rifiutava di dirmi il suo nome.

Dovevo contare sempre fino a dieci prima di rispondergli.

Finalmente era però giunta la domenica e mi ero svegliato felice come non mai al pensiero di poter finalmente passare del tempo da solo con Kurt. Ci eravamo incontrati solo una volta in seguito a quella giornata ed eravamo a lezione di storia, che condividevamo nell’orario. Non eravamo quasi nemmeno riusciti a parlare. La mia prima settimana era passata ed ora lui non era più il mio tutor e non aveva più tutto il tempo di stare con me che aveva prima.

Rimpiangevo i momenti in cui allungavo la mano e lo trovavo al mio fianco e questo non era da me. Qualcuno doveva avermi fatto un incantesimo: Cupido o chi per lui doveva avere un’ottima mira.

Mi stavo cercando di vestire, sperando di ricordare giusti i colori degli abili in modo da non sembrare un pagliaccio. Kurt non li avrebbe potuti vedere, questo è vero, ma mi faceva sentire in pace con me stesso l’idea di essermi preparato per quell’uscita. Certo, non ero mai stato in grado di abbinare gli abiti quando li vedevo, figuriamoci adesso.

Toc toc.
Qualcuno bussò alla porta.
« Ehi, vai tu! » gridai all’altro dal bagno, mentre cercavo disperatamente di farmi la barba senza guardarmi allo specchio. Nessuna risposta e nessun movimento: il mio compagno di stanza doveva essere uscito prima di me.
Mattiniero.

Effettivamente non sapevo nemmeno che ore fossero, poteva essere tardi, non mi ero mai risparmiato nel dormire.

A pensarci mi sembrava impossibile essere stato tanto cupo e triste per tutti i due mesi seguenti all’incidente, ora mi sentivo me stesso, solo che il mondo era un po’ più confuso e buio ma, con un angelo al mio fianco, sembrava una cosa sopportabile.
Era come se stessi re imparando a vivere.

Rischiando di rovinare al suolo, inciampando sul pigiama che avevo buttato a terra, corsi ad aprire la porta. Trovai la maniglia e la abbassai, sentendo immediatamente il profumo del dopobarba di Kurt.
Amavo quell’odore, sul serio.

« Schiuma da barba? » domandò, toccandomi il viso e portando via un po’ della mousse biancastra che mi impiastricciava la guancia. Mi resi conto di dover finire la rasatura e che ero pieno di schiuma su tutta la faccia.
Sì, forse un pizzico imbranato lo ero.

« Scusa, cercavo... cercavo di fare qualcosa che evidentemente non sono in grado di fare. Non mi ero mai accorto che rasarsi fosse così difficile, credo anche di essermi fatto un taglietto sullo zigomo. » borbottai, facendolo entrare nella stanza.
« Sei un caso disperato. » ridacchiò Kurt fingendosi esasperato. Il silenzio nella camera era evidente. « Il tuo compagno? »
Feci spallucce, dirigendomi a tentoni e rumorosamente verso il bagno mentre rischiavo di nuovo di inciampare sulla maglietta del mio pigiama che mi si era avvinghiata ad un piede.

« Tizio deve essere già uscito. » risposi, schiantandomi sulla porta della toilette.
« Tizio? » domandò sconcertato, seguendomi con professionalità.
« Si ostina a non volermi dire il suo nome. » spiegai, e lo sentii entrare nel bagno dopo di me.

« Oh. » mormorò, poi sembrò accorgersi di colpo di qualcosa. « Aspetta non sei nudo o in mutante, vero? Perché... bè ecco potrei uscire... e tu... tu fai con comodo! » balbettò, arretrando e schiantandosi sullo stipite della porta.
« Ti farebbe differenza? Non mi puoi vedere! » esclamai, cercando di trovare il rasoio a tentoni.
Kurt fece un verso acutissimo, all’apice dell’imbarazzo.
« Ma... ma è questione di privacy! Voglio dire è comunque sconveniente e... »

Lo faceva apposta, vero? Lo faceva apposta a farmi impazzire.
La sua innocenza mi faceva venire voglia di abbracciarlo, di toccarlo a prescindere ed ero talmente assonnato che non riuscivo nemmeno a pensare a quanto quel pensiero potesse suonare sconveniente.
Avrei dovuto pensarci, ma Kurt rendeva le cose molto difficili.

« Non riesco a radermi, accidenti! » esclamai, cercando di lenire l’imbarazzo per non farlo scappare via. Kurt smise di balbettare e squittire e si avvicinò a me.
« Dammi qua. » ordinò, ed io eseguii. Ero appena riuscito a trovare il rasoio e lui me lo prese di mano. Mi tirò su il mento con un dito, quasi per prendere coscienza del mio viso.

Mi passò delicatamente la lama sulla guancia, precisamente e senza esitazioni. Passò attorno alle mie labbra, scivolò fluidamente sul mento e sul collo. Il profumo della schiuma mi stava intontendo mischiandosi a quello delicato di Kurt. Il cuore mi sfondava le costole e lo sentivo pulsare anche nelle tempie.
Era un gesto che consideravo molto più intimo di lui.

« Come fai a farlo? » domandai. « Non... non mi vedi? » mormorai.
Lui rise forzatamente.
« Diciamo che ho dovuto farla spesso a mio padre sia da vedente che da non vedente. » spiegò, aprendo l’acqua del lavandino ed invitandomi a sciacquarmi il viso.

« Perché? » chiesi, cercando di non dare a vedere quanto volevo sapere qualcosa su di lui.
« Oh, niente di che. Finisci che andiamo. » disse velocemente, cercando di uscire dal bagno.

Allungai la mano e riuscii ad afferrarlo per un braccio.
« Basta scappare. » gemetti. « Parlamene, ti prego. Mi sento inutile e senza valore se non lo fai. »
Lui sospirò profondamente, senza riuscire a trovare le parole.
« Sono io il problema? Non vuoi che sappia? » domandai. « Non ti preoccupare allora... »

Kurt si gettò su di me, crollandomi sul petto.
« Non sei tu il problema, sono io. » sussurrò flebilmente.
Lo strinsi a me.








---------------------------------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Avevo detto che avei aggiornato in fretta perchè i due capitoletti erano più corti, quindi eccomi qua.
Momento tensione, momento tensioneee.
Questi Klaine non ne vogliono sapere di essere felici e contenti, eh? Purtroppo le loro difficoltà saranno all'ordine del gionro, soprattutto vista la loro situazione, i loro sentimenti improvvisi e la loro timidezza e differenza.

Poi aveva in mente questa scena del 'taglio della barba' da un po' ho dovuto farla, scusatemi.

Ho aggiornato abbastanza in fretta?
A domani con il prossimo capitolo, si spera.
Sapete com'è, ho verifica di spagnolo e interrogazione di storia. Ah-ah.

Spero che vi piaccia, un abbraccio.

Vostra,
{noth

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Capitolo 10
*** I will be the one. ***


I wish you could see.
-Capitolo 10-








Kurt faceva respiri profondi e sentivo le sue ciglia sbattere freneticamente sulla mia pelle per trattenere le lacrime.
Mi chiesi come potesse pensare di essere un problema. Non riuscivo proprio a vederlo diversamente da una soluzione o una miglioria.
« Tu? » domandai, rabbrividendo con addosso solo la canottiera.

Lui annuì.
« Sono terribilmente solo e più cerco di dimenticarmene più questo mi si sbatte in faccia. » disse.
Si sedette per terra lo sentii incrociare le gambe sul tappetino peloso che ricopriva le fredde mattonelle del bagno e lo imitai appoggiando una mano sul lavandino per non sbatterci addosso mentre mi abbassavo.

Nonostante mi stessi abituando ad avere solo il buio davanti agli occhi, non ero ancor rassegnato alla mia cecità e speravo sempre di tornare a vedere con qualche battito delle palpebre di troppo ma, come in quel momento, non accadeva mai.
Allungai una mano alla ricerca della sua gamba, per confortarlo.
Sono qui, parlami.

Chi gli aveva fatto questo?

Attesi nel suo silenzio. Respirai ed attesi, contando gli attimi ascoltando i suoi molteplici tentativi di trattenere i singhiozzi e di ingoiare le lacrime con dei respiri profondi.
« Mio padre... è in coma vegetativo da anni, sai? Lui... lui tentò di salvare mamma mentre io corsi fuori dalla casa che prendeva fuoco. I pompieri arrivarono in fretta, sul serio, ma ormai era troppo tardi per lei e lui... lui cadde e sbatté la testa. Per quanto riguarda me della polvere incandescente mi entrò negli occhi, bruciandomi, e rendendomi come sono ora. Ma mio padre... lui non mi ha più potuto parlare né per rassicurarmi, né per dirmi che andava tutto bene. » prese fiato e si sottrasse alla mia presa sulla sua gamba. Immaginai che si fosse raggomitolato su se stesso. « Avevo dieci anni, Blaine. Ho passato quasi metà della mia vita a fare la barba a mio padre che rimaneva immobile nonostante le sue funzioni vitali ancora gli permettessero di restare... vivo. Non mi ha più sorriso. Non gli ho potuto raccontare di questa scuola dove i servizi sociali mi trasferirono. Non gli potrò raccontare di quando mi innamorerò. Non esistono più, per quanto io voglia convincermi del contrario. Tutta l’ammirazione di questa scuola non mi basta a compensare l’ammirazione del mio papà. »

Scattai in avanti, non so come evitai di prendermi una testata, e lo circondai con le braccia. Tremava e non mi importava. Sarei stato la sua roccia come lo era stato lui con me la settimana prima. Sarei stato il suo bastone da passeggio, la sua fune nel pozzo, l’amore che avrebbe guarito il suo cuore spezzato. Non lo avrei lasciato da solo. Non potevo nemmeno immaginare di farlo, ci tenevo troppo, disperatamente, terribilmente, come un idiota. Volevo solo tenerlo tra le braccia per sempre, volevo stargli vicino, volevo sfiorarlo e sentire il suo profumo.
Sentire il suo racconto era terribile. Avrei fatto in modo che non gli pesasse. Avrei fatto in modo che non ci pensasse. Sarei stato abbastanza per colmare quel vuoto. Lo promisi.

« Non mi sento in colpa, avevo dieci anni non avrei potuto aiutare papà, ma, Dio, quanto mi sento solo ora. Sto male, sempre. Le uniche volte in cui mi dimentico di questo dolore che mi segue come un’ombra scura che toglie via la luce ad ogni cosa, è quando sono con te. Per questo all’inizio ci tenevo tanto a passare del tempo in tua compagnia. Mi facevi stare inspiegabilmente bene. » tirò su col naso. « Sei l’unica stella del mio buio firmamento. »
Sorrisi.

Lo strinsi ancora e lasciai che mi macchiasse la canottiera di lacrime, lasciai che mi stringesse fino a farmi male e lasciai che parlasse. Lasciai che tutto fluisse fuori da lui. Lo lasciai smettere di essere perfetto.
« La prossima volta che vai da tuo padre voglio venire con te. » dissi. Lui alzò la testa verso di me, lo sentii muoversi sotto il mio mento.
« Vado ogni due settimane la domenica, quindi perderesti il tuo giorno libero... » mormorò. Ma perché doveva sempre preoccuparsi per me?
« Non c’è nessun giorno libero senza di te. Tizio non regge il paragone. Non lo reggerebbe nemmeno con una delle mie pantofole a forma di Pluto. »
Riuscii a farlo ridere.

« Va bene. Ti farò conoscere mio padre. » sussurrò. Gli presi il viso tra le mani e con i pollici cancellai le lacrime dalle sue guance.
Volevo disperatamente poterlo vedere. Lo desideravo come l’aria. Lo desideravo come.... come desideravo lui.
Mi alzai in piedi, accogliendo con un brivido il freddo che mi attanagliò non appena mi staccai dal corpo caldo di Kurt, e lo aiutai ad alzarsi.

« Sarò un disastro, ora. » borbottò alle mie spalle mentre prendevo la felpa da sopra il water e me la infilavo.
« Nessuno ti può vedere. » risposi.
« Tu sì. Tu mi vedi fin troppo bene. » disse, e si appoggiò con il viso alla mia schiena, facendo passare le braccia sulla mia gabbia toracica in un abbraccio leggerissimo che mi tolse ugualmente in fiato.
« Se... se stai così non ti posso proprio vedere. » fiatai, cercando di non dare a vedere quanto quel contatto significasse per me.
« Il cuore vede a 360° » mormorò, le labbra posate sulla mia schiena. « Grazie, Blaine. » sussurrò.

Pregai di riuscire a distrarlo per sempre, di riuscire a guarirlo per l’eternità, così come lui guariva me.
« Che ne dici di non rovinare questa bella domenica ed andare nella stanza della musica a suonare qualcosa? » proposi. Lui annuì debolmente sulla mia schiena. Si allontanò da me ed uscì dalla porta.
Stupito lo ascoltai allontanarsi verso l’altra stanza.
« Cosa... » borbottai.
« Vestiti! » strillò. « Non pensare che non abbia sentito che sei ancora in mutande. »
Mi accorsi di non avere ancora preso i pantaloni che avevo scelto e buttato dentro la vasca da bagno ed arrossii.

« Giuro che non me ne ero accorto! » risposi, la voce acuta ed imbarazzata. Mi affrettai ad infilarmeli in fretta ed uscii dal bagno.
« Sì, certo. » rispose Kurt, sentii che sorrideva.
 

 
**

 
 
Appena arrivammo davanti alla stanza della musica udimmo che qualcuno stava suonando il pianoforte. La melodia era spezzettata e malinconica, sembrava composta da un pazzo eppure era terribilmente bella. Mi accarezzava il cuore e lo prendeva a schiaffi.

« Credevo di aver prenotato l’aula. » mormorò Kurt, sorpreso.
Bussammo e, abbassando la maniglia, la musica cessò di colpo.

Il silenzio regnava sovrano nell’aula dove fino a pochi secondi prima la musica aveva impregnato le pareti.
« Sì? » chiese una voce che ben conoscevo.

Tizio.

Magnifico, suonava, e pure bene. Come potevo detestarlo ora? Mi ero sempre fermamente imposto di non odiare i musicisti. Forse avrei potuto fare un’eccezione.

« Sono Kurt Hummel, ho prenotato l’aula per questa mattina. » disse Kurt pacatamente.
« Oddio, sei ancora il tipo dell’altra volta. Dimmi che Blaine voglioricominciaredacapo Anderson non è con te. » sbuffò lui. Il fruscio dei fogli di carta mi disse che stava raccogliendo degli spartiti.
« Sì, c’è. » rispose Kurt. Non era probabilmente in vena di aggiungere altro dopo ciò che aveva appena passato nel bagno.
« Potresti smetterla però di affibbiarmi soprannomi idioti. » aggiunsi.

« Me ne vado. » disse lui, e i suoi passi vennero verso di noi. Ci superò senza salutare.
« Bel pezzo comunque. » aggiunsi, sincero e strafottente.

Un verso sarcastico fu l’unica risposta che ottenni. Quel tipo era da prendere a sberle. Prima o poi lo avrei fatto.
« Simpatico. » disse Kurt. « Ma ora voglio sentirti suonare. »

Mi spinse dentro l’aula e si allontanò. Fece un sacco di rumori, segno che stava cercando a tentoni la chitarra. Pregai di saper ancora suonare ma, soprattutto pregai di riuscire a far uscire la voce per cantare qualcosa con Kurt. Non vi era nulla di più intimo della musica.
Nulla che avrebbe potuto dirgli quanto avevo voglia di lui.









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Spazio Autrice:
Questa volta non ho proprio nulla da dire.

Vostra,
{noth

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Capitolo 11
*** I'm miles away from where you are. ***


I wish you could see.
-Capitolo 11-

Vi consiglio di ascoltare questa canzone durante la lettura.
http://www.youtube.com/watch?v=ANWRhyp-RcM








Impugnai la chitarra e trasalii. Sentivo il legno verniciato sotto le dita, le corde grosse e ruvide e quelle fine e lisce. Imbracciavo lo strumento come un vecchio amico, il cuore che mi batteva come un tamburo, proprio come una volta.
Amavo suonare, ed amavo la musica.

Eravamo seduti su due sedie una di fronte all’altra e potevo sentir crescere l’interesse di Kurt ad ogni respiro.
Provai degli accordi semplici, cercando di accendere la luce nei miei occhi, ma scoprii di non averne bisogno. Le dita sapevano esattamente come muoversi. Il cuore creava la musica al posto mio e lui sapeva perfettamente dove premere i polpastrelli.

Iniziai a suonare, senza aspettare altro, come se finalmente fossi tornato a respirare. La melodia veniva da sé e riecheggiava per tutta la stanza.
L’acustica era magnifica.
 

I find the map and draw a straight line
Over rivers, farms, and state lines
The distance from here to where you'd be
It's only finger-lengths that I see
I touch the place where I'd find your face
My finger in creases of distant dark places
 
I hang my coat up in the first bar
There is no peace that I've found so far
The laughter penetrates my silence
As drunken men find flaws in science

 
 
Il cuore mi batteva al ritmo della musica. Martellava dando un senso a tutto il silenzio in cui avevo vissuto dopo l’incidente. Era talmente bello che avrei potuto farlo per sempre. Lo facevo con tutto me stesso, stavo mettendo a nudo la mia anima e fu allora che Kurt iniziò a cantare con me.
 

Their words mostly noises
Ghosts with just voices
Your words in my memory
Are like music to me
 
I'm miles from where you are,
I lay down on the cold ground
I, I pray that something picks me up
And sets me down in your warm arms

 
Le nostre voci si sposavano magnificamente, creavano un’armonia dolce e struggente. Lui cantava in maniera splendida. Si prestava perfettamente alla canzone, creava un contrasto con il mio timbro vocale e rendeva la melodia il pianto di una ragazza col cuore spezzato.
Non vi erano parole per descrivere la sensazione che provai. Stavo facendo ciò che amavo di più con la sola persona della quale mi fosse mai importato più di me stesso.
Era come fare l’amore vestiti. Avrei potuto morire in quell’istante.
 

After I have travelled so far
We'd set the fire to the third bar

We'd share each other like an island
Until exhausted, close our eyelids
And dreaming, pick up from
The last place we left off
Your soft skin is weeping
A joy you can't keep in
 
I'm miles from where you are,
I lay down on the cold ground
And I, I pray that something picks me up
and sets me down in your warm arms

 
Eravamo stati uniti dal destino. Qualcosa aveva deciso che saremmo state anime gemelle: ne ero terribilmente sicuro.
Qualcuno doveva aver deciso di farmi un regalo e non lo avrei mai ringraziato abbastanza.

La canzone, purtroppo, terminò e tra di noi cadde il silenzio.
Non c’erano parole, non dopo quello che avevamo cantato.

Ci muovemmo all’unisono, cercando l’uno le braccia dell’altro per stringerci. In quel momento non mi importava di vedere, mi ero reso conto che con Kurt non serviva. Riuscivo a percepirlo in maniera diversa, come non mi era mai capitato, mischiando tutti i sensi e creando una sensazione che andava ben oltre quella della vista. Appoggiai a terra la chitarra mentre le nostre bocche si scontravano dolcemente e si schiudevano in contemporanea. Le mie mani cercavano ingorde il suo viso, passando tra i suoi capelli mentre lui mi cingeva il collo. Ogni emozione sembrava amplificata, ogni respiro pareva riecheggiare per la stanza avvolgendoci come una coperta bollente. Gli passai le mani sotto la maglia, sulla schiena e sulla sua pancia piatta e rigida. Era caldissima ed immaginavo che Kurt sentisse il contrasto con il freddo delle mie dita. Ero affamato e volevo sempre di più.

La canzone mi aveva inibito i freni ed aveva rilasciato la passione nelle mie vene. Aveva liberato la belva dentro di me, però io non volevo fare del male a Kurt. Non volevo passare per il Blaine maniaco che non volevo essere.
Lo desideravo, sì, e tanto, ma non sarebbe andata così. Non avrei sbriciolato la sua innocenza in quella maniera, non me lo potevo permettere.

« Non qui, non ora. » gemetti, allontanandomi da lui. Ansimava e si sedette di nuovo sulla sedia, con un tonfo esausto.
« Sì, direi che mi devo preparare. Non avevo mai sperimentato nulla di... di così intenso. » sussurrò. Riuscivo ad immaginarmelo con lo sguardo sconcertato e luccicante.
Chissà se la mia fantasia somigliava, in qualche modo, alla realtà.

« Mi ero quasi dimenticato della scena del bagno. » balbettò, « Ma ora me ne sono ricordato. »
Scoppiai a ridere, cercando di prendere fiato e spegnere il cuore che pompava il desiderio nel mio sangue.
« Vuol dire che sono bravo. » commentai, arrossendo e sorridendo come un ebete.

Ricevetti un calcio su uno stinco.
« Ahi, accidenti! » esclamai.
« Sei fortunato che non ti ho beccato altro. » borbottò imbarazzato con una voce da bambino.

Era tutto troppo perfetto.

Come non detto partì di colpo la sirena dell’anti incendio, assordante e potente. Mi tappai le orecchie e mi alzai terrorizzato, chiedendomi confuso dove fosse la porta e che strada dovessimo prendere in quel caso. La mano di Kurt mi afferrò un polso e mi allontanò il palmo dal padiglione auricolare. Mi si avvicinò all’orecchio e gridò:
« Restiamo qui! Scommetto che è un’esercitazione. » mi tirò verso di sé che, con una mano verso davanti, mi trascinava a sedermi su uno sgabello doppio, freddo e liscio, oltremodo morbido. Prese la mia mano e la posò davanti a me così che potessi toccare i tasti di un pianoforte. Il suono si sentì forte sopra il grido disperato della sirena.

« E se c’è davvero un incendio? » domandai intimorito.
« Davvero ti importa? » mi disse, un cipiglio allegro nella voce.
« Non voglio morire ora che ho incontrato te. » risposi, premendo un tasto del piano.

Lui posò la mano sopra la mia.
« Io invece potrei anche morire qui. Con te. Tanto non potrebbe esserci nulla di più bello in futuro, sono sicuro. »

Gli diedi un tenero bacio sulla guancia. Non gli avrei mai comunque permesso di morire, ma ancora non sapevo che quello sarebbe stato solo l’inizio dei miei rapporti ravvicinati con i pensieri suicidi di Kurt.












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Spazio Autrice:
Ciao a tutte, finalmente un capitolo un po' più lungo.
Allora, vi avviso che il fatto che Kurt non possa conoscere il colore dei suoi abiti se è cieco da quando aveva 10 anni è premeditato :D

In ogni caso la canzone che cantano i due Klaine è Set Fire to the Third Bar degli Snow Paltrow.
http://www.youtube.com/watch?v=bApYAqrQZWU
Ascoltatela e capirete.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, davvero.
Lo considero l'inizio di qualcosa di... pericoloso.

Grazia a tutti, non posso credere che mi seguiate.

Vostra,
{noth

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Capitolo 12
*** It's that I love you. ***


I wish you could see.
-Capitolo 12-







Restammo tutta la mattinata nell’aula di musica, anche passato l’allarme anti incendio, suonai fino a farmi indolenzire la punta delle dita e Kurt mi chiese di insegnargli a suonare la chitarra ed il pianoforte. Lui non aveva mai potuto imparare. Per quanto riguardava l’ultimo strumento non ero abbastanza bravo da beccare tutti i tasti giusti senza vedere bene, quindi mi rifiutai. Mi obbligò, però, a prometterli che mi sai esercitato e, prima o poi, gli avrei insegnato una canzone.

Gli misi quindi in mano la chitarra e lo sentii che la tastava e ne respirava il profumo.
« Ora che devo fare? » domandò.
Mi sedetti in fronte a lui con aria professionale.
« Fai scorrere la mano sinistra sulle corde e suonale. »

Lui lo fece ed il suono riecheggiò per la stanza.
« Non fa lo stesso rumore che fa quando suoni tu. » commentò e trattenni una risata. Mi alzai e gli misi una mano sopra la testa per aggirarlo ed arrivargli alle spalle. Misi il braccio destro in modo da schiacciare le corde coi polpastrelli e gli dissi di suonare con la sinistra.
Venne fuori una quasi melodia, un po’ dissonante, ma Kurt era felice e tanto bastava. A volte era come avere a che fare con un bambino.

« Vabè, posso dire di aver imparato ad usare la sinistra. » disse.
« Oh, sì, ed è la parte più difficile. » risposi, baciandogli la tempia.
Lui squittì sorpreso.
« Davvero? » chiese meravigliato, mentre gli prendevo la chitarra dalle mani e, a tentoni, cercavo un posto dove appoggiarla.
« No, ma non volevo smontarti così brutalmente. » risi.

Lui sbuffò.
« Ti odio. »
« Ti amo anche io. » gli risposi, continuando a ridere. Non ero sicuro di intenderlo davvero, ma le parole e mi erano uscite talmente spontaneamente che non avevo avuto il coraggio di fermarle.

« Andiamo in mensa, latin lover. » borbottò Kurt, evidentemente trattenendo un sorriso.

Okay, probabilmente lo amavo davvero.

Mi brontolò lo stomaco, avevo fame. Lo raggiunsi correndo e, per errore ed eccessivo impeto, gli diedi una testata.
« Ahi! Che dolore atroce! » gridai.
« Mi hai sbriciolato il cranio! » strillò lui.
Finché non mi sbricioli il cuore, pensai, va tutto bene.


***


Ci mettemmo in coda col vassoio in mano cercando di annusare cosa potesse offrire quel giorno la mensa. C’erano delle lunghe maniglie su tutto il bordo della coda a cui ci potevamo appoggiare per andare nella giusta direzione e non rischiare di superare.

« Il mio naso dice... cotoletta alla milanese e carote lesse con salsa piccante. » disse Kurt con tono di scommessa.
Feci un verso disgustato.
« Le mie papille gustative sperano che ti sbagli. » commentai.

Arrivammo a prendere i piatti che eravamo ormai gli ultimi della fila, o almeno così credevamo.
Ci stavamo servendo il cibo da sopra la tavolata appena preparata, quando sentimmo qualcuno parlare alle nostre spalle con la cuoca.
« Potrebbe farmi queste senza salsa? »

Tizio.

Quel tipo era come i funghi, era ovunque, anche dove non lo volevi.
« Come sai che c’è la salsa? » chiese la cuoca.
« Ne sento l’odore, ovviamente. » rispose lui, scocciato.

« Guarda un po’ chi c’è. » esclamò Kurt, sarcastico.
« Ma siete come mia madre e sua sorella: ovunque. » commentò scocciato e ci superò non appena il piatto gli fu posato sul vassoio dalla donna della cucina.
« Ciao Panco, ciao Pinco. » salutò.

Mi sorpresi di quanto il mio udito fosse diventato fine.
Mi ripetei come un ossesso di ignorarlo mentre mi sembrava che, concentrandomi, potessi sentire il battito del cuore di Kurt.
Camminammo lungo la tavolata unica che si estendeva lungo tutta la mensa. Quando cominciammo a sentire le voci affievolirsi capimmo che avevamo raggiunto gli ultimi posti vuoti della sala. Ci sedemmo, Kurt fece il giro per potersi sedere in fronte a me, lo sentii scivolarmi accanto. Non gli dissi nemmeno quanto sarebbe stato inutile dato che non potevo fissarlo negli occhi mentre mangiavo: mi bastava pensarci.

« Buon appetito. » sussurrò e sentii il tintinnare delle sue forchette unirsi al baccano generale. Lo imitai, posando sulla tavola le mani e trovando le posate, per poi piantarle su quella che Kurt aveva azzardato fosse una cotoletta alla milanese. Mi ficcai il pezzetto di cibaria in bocca e dovetti constatare che aveva avuto ragione, perché la panatura croccante mi si sbriciolò in bocca ed il sapore salato e speziato della carne mi esplose sulla lingua.
« Uno lo hai azzeccato. » borbottai.
« Ovviamente. » rispose orgoglioso ed impettito.

Roteai gli occhi sorridendo e tornai al piatto, assaggiando quelle che, dall’odore, Kurt aveva dato per carote con salsa piccante.
Perse punti perché erano solo patate dolci con sugo al tonno.
« Ah, oh, Game over, hai perso. » commentai.
« Di poco. » rispose, con tono offeso.
« Certo, certo. »

Il pranzo continuò senza intoppi, anche se nella mia testa non faceva altro che apparire a ripetizione il bacio nella sala della musica, le sue braccia strette attorno al mio collo, le sue labbra sulle mie, le mie mani sulla sua pelle calda e liscia.

Mi riusciva molto difficile deglutire, sensazioni del genere non ne avevo mai provate. Era come se fossimo stati due agenti chimici infiammabili che prendevano fuoco a stare così vicini.
« Ci credi al destino? » gli chiesi, ma non potei ricevere una risposta poiché qualcuno si avvicinò a Kurt e ci interruppe.

« Ciao Kurt. » era la voce di Janet.
« Ciao. » rispose lui educatamente, inghiottendo un boccone.
« Hey. » mi salutò cordiale, le risposi con un cenno che lei poteva benissimo vedere.
« Ciao Janet. »
Lei fece un verso, soddisfatta che ricordassi il suo nome.

« Sono qui solo per darti un messaggio dalla presidenza. »
« Dimmi pure. » la incitò Kurt, appoggiando le posate sul tavolo con un tintinnio.
« Ti hanno assegnato come Tutor straordinario a Mark Black. » poi si schiarì la voce. « Il ragazzo suicida della scorsa settimana, quello di cui ci ha avvertito Blaine. » specificò.
« Che? » sbottai. « Non ne ha bisogno! »
Kurt mi diede un calcio sotto la tavola.

« Ehm, va bene, quando devo cominciare e dove? » chiese pratico.
« Domani mattina, sarà nell’atrio di entrata. Fai quello che fai sempre. Anche se è qui da una settimana in più di Blaine è preso molto più indietro di lui. » mi posò una mano sulla spalla e mi ci volle una buona dose di autocontrollo per non scrollarmela di dosso.

Non mettere in cattiva luce Kurt, mi dissi.

« Perfetto, ti ringrazio. » disse gentile e la mano che avevo sulla spalla sparì, assieme ad un rumore di tacchi che si allontanavano.
Per qualche strano motivo piantai infantilmente il muso e non mi soffermai nemmeno sul fatto che ora sapevo il nome di Tizio. Mark: bleah, orrendo.
 
Niente da fare, mi stava antipatico.

« Ho accettato per i crediti e perché ho sempre detto di sì a tutti, compreso a te. » spiegò.
Non gli risposi.
« Non posso credere che tu stia facendo il geloso! » esclamò.
« Io non... » tradii il mio silenzio e fui obbligato a continuare. « Non mi piace! Lui, dico. E... sì, faccio il geloso quanto mi pare. Cioè non sono geloso! Io... »

Non sapendo come continuare mi alzai da tavola e mi diressi verso dove sapevo esserci le pattumiere e posai il vassoio sul tavolino dove poi avrebbero diviso il mio pranzo. Mi trovai Kurt alle spalle, mi afferrò e mi trascinò fuori dalla mensa dopo aver messo i suoi piatti accanto ai miei.
« Dove vai, vieni qui. » disse, tenendomi per il polso.
« Non avrai più tempo per stare con me. » brontolai, sentendomi un idiota.

Non mi ricordavo di essere mai stato così geloso, ma era come se l’aver perso la vista avesse concentrato tutti i miei sensi su Kurt e ora avessi bisogno di lui. Provavo un senso di possesso assoluto.
« Solo per una settimana! » replicò.
« E ti pare poco? Passerai tutto il tempo con... Mark! »
Alzai le braccia e le abbassai con esasperazione.
« Ma credi che mi faccia piacere? » domandò infine, stupito.
« Io non... »
« Preferirei stare con te, ovviamente, ma ho anche dei doveri qui. E il mio dovere, purtroppo, non puoi essere solo tu, per quanto io voglia. »

Smisi di respirare per qualche istante.
« Il tempo passerà in fretta, Blaine, te lo prometto, qual è il problema? »
Non mi lasciò il tempo di rispondere perché si allontanò lungo il corridoio, lasciandomi lì. Avrei dovuto essere io quello che se ne andava stizzito.
« Il problema è che ti amo. » mormorai, accasciandomi contro la parete.























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Spazio Autrice:
Scusate l'attesa ma è due settimane che ho verifiche tutti i santi giorni. E pure la prossima settimana. Che SUICIDIO miseria.
Spero comunque che non vi spaventerete da questo "litigio" tra i due e che la storia continui a piacervi.

Le recensioni sono sempre ben accette e vi ringrazio tutte tantissimo per aver dato un senso alle mie giornate con i vostri apprezzamenti!

Attenzione, le cose si complicano!

Nostra,
{noth

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Capitolo 13
*** The absence of him. ***


I wish you could see.
-Capitolo 13-








Tornai in camera a fatica, incapace di concentrarmi, mettendoci un’eternità. Spalancai la porta e mi trovai a pensare a quella terribile discussione che avevo fatto con Kurt, pentendomi di essere stato così cattivo e così possessivo.
Tra noi c’era qualcosa, ormai era evidente, ma questo non mi dava alcun diritto di avanzare delle pretese su di lui, no?
Non ne ero sicuro.

Nella stanza udii il rumore ovattato della musica proveniente dalle cuffie quando è sparata a volume troppo alto. Mark era in camera e probabilmente non mi aveva sentito entrare. Volevo prendergli la testa e sbattergliela sul muro, ma forse sarebbe risultato fuori luogo.
Forse.

Mi avvicinai a lui, misi avanti le mani e trovai quasi all’istante le sue orecchie e gli levai le cuffie. Stranamente non oppose resistenza.
« Ciao, che vuoi? Oh, aspetta non mi interessa. Ciao. » disse, e solo allora cercò di rimettersi l’auricolare. Non glielo permisi.
« Primo: così diventerai sordo. » commentai. « Secondo: il fatto è che io voglio qualcosa da te, e poco mi frega se non ti interessa. »
Lo sentii alzare le spalle.
« Ti ascolto solo perché non ho voglia di mandarti via. » mi rispose, acido.

Cercai di respirare a fondo e di non prenderlo a pugni. Avevo sempre creduto di essere un tipo tranquillo ma quel ragazzo sembrava rendermi inspiegabilmente violento.
« Bene. Io... ho sentito che Kurt ti farà da tutor. »
« Sì, lo so, sono stato informato. Se ti consola, margheritina, ho provato a farmelo cambiare ma il preside è stato irremovibile. »
Sospirai, forse di sollievo, ma non ero ancora soddisfatto e non lo sarei stato mai.

« Bè, stai attento. » lo avvertii.
« A che cosa? »
« A... bè Kurt è il mio... amico. »

Mark scoppiò in una fragorosa risata.
« Margheritina, guarda che ho capito che sei dell’altra sponda. » affermò, quasi divertito, mentre diventavo paonazzo.
Dovevo smentire; la mia natura non avrebbe dovuto essere così palese. Avevo sempre voluto che fosse una cosa privata che avrei detto solo alle persone più fidate e lui non rientrava nella cerchia.
Chi ci rientrava più oramai?

« Non so di cosa stai parlando. Sei pazzo. »
Mark fece un verso penoso.
« Tesoro, ti sento quando ascolti Katy Perry, le Pussicat Dolls e le canzoni della Disney – mentre sei in doccia – tramite il tuo cellulare. E comunque andiamo... te e Pinco siete il panino bruciacchiato col burro e la marmellata. » prese fiato. « Tanto per la cronaca tu sei il panino bruciacchiato. »

Ignorai il suo ultimo insulto.
« Pensala come vuoi. »
« Oh, ma io ne sono sicuro. » disse.

Esplosi.
« Bene! E allora ricordati che Kurt è mio! »
Mi sorpresi di me stesso. Non credevo di essere tanto preoccupato, tanto arrabbiato, tanto bisognoso di conferme.
« Senti, Blaine, hai presente la metafora del panino di prima? Io sono il burro che separa il pane dalla marmellata. » lo sentii leccarsi le labbra. « Oppure che se li mangia entrambi. »
Lo presi per il bavero, alzandolo appena dal letto.
« Stai lontano da Kurt. » ringhiai tra i denti.
« Tu non puoi dirmi cosa fare. » sibilò e mi afferrò il polso con la mano stringendo e costringendomi a mollarlo. Era forte. « E questo farai meglio a ricordartelo, margheritina. »

Detto questo si alzò ed ebbi la sensazione che mi sovrastasse. Arretrai di un passo e scivolai su qualcosa che si trovava a terra, cadendo in avanti ed aggrappandomi alla sua maglietta.
I nostri volti erano troppo vicini.
« Goditelo finché puoi. » sibilò, e mi allontanò rimettendosi le cuffie distendendosi sul letto ed alzando, se possibile, il volume della musica ancora di più. Mi diressi verso il bagno e mi chiusi dentro, facendo scivolare la schiena lungo la porta.

Mi presi la testa tra le mani: stava andando tutto a rotoli di nuovo.

Mark, nell’altra stanza, canticchiava una canzone.
Splendido: era pure intonato.


 
***


 
Due giorni, due giorni senza Kurt e già volevo arrampicarmi su un albero e gridare come un pazzo.
La sua assenza era ovunque dentro di me. Mi ero drogato della sua presenza fino a raggiungere una pericolosa dipendenza, ma non potevo correre da lui. Lo aveva detto ed aveva avuto ragione: i suoi doveri non riguardavano soltanto me.

Mi ero rifugiato nello studio e mi ero esercitato talmente tanto a leggere che oramai quasi non staccavo più le parole. Stavo in stanza quasi tutto il giorno, ascoltando musica e fantasticando sul colore che avrebbero potuto avere i muri e i copriletto e, nel contempo, pensavo anche a Mark che era fuori con Kurt. Chissà se si erano toccati il viso come avevamo fatto noi due.

Inoltre mi venne da pensare una cosa: come faceva a sapere il colore dei suoi vestiti se era diventato cieco a 10 anni? Era illogico e non capivo per quale motivo potesse avermi mentito su uno dei due argomenti.

Affondai il viso nella sciarpa calda che mi avvolgeva il collo. Oramai era quasi un mese che ero in quell’istituto, era il 28 novembre, il tempo era passato con una terrificante velocità. Ora ogni minuto senza i battibecchi con Kurt era un calvario. Leggevo un libro con le dita che scorrevano velocemente sul testo. Era un romanzo che Kurt aveva tanto voluto che leggessi e me lo aveva infine prestato. Ero rimasto sveglio la notte per finirlo e lo avevo già letto tre volte. Ero giunto al pezzo che preferivo: “E’ per il semplice fatto che esisti che il mio cuore non grida più oscenità da tutte le parti. Mi hai insegnato che senza di te non sono niente.”

Rileggevo quella frase all’infinito, cercando quasi di stamparmela sulle mani, sul cuore, sugli occhi spenti che non la vedevano, e di farla mia.

“Poche cose sono presenti quanto l’assenza.”

Deglutii forzatamente e chiusi il libro, decidendo distrarmi facendo qualcosa di molto stupido.
Un tipo introverso come Mark sicuramente doveva avere dei segreti. Ero sicuro che avrei provato un insano piacere nello svelarli. Il solo pensiero che Kurt gli stesse insegnando a leggere mi faceva ribollire il sangue e salire l’acido in gola.

Mi alzai dal letto e mi avvicinai al suo, traballando.
Avrei odiato se qualcuno lo avesse fatto a me e proprio per questo volevo ferire quel ragazzo che sembrava di pietra.
Anche perché ero convinto che tanto di pietra non fosse.










----------------------------------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Che dire, finalmente sono riuscita a scrivere il capitolo e finalmenter le cose cominciano a prendere una piega d'azione.
Blaine non aspetta solo Kurt, Blaine vuole tenerselo stretto.

Sono contenta che così tante persone seguano questa fanfiction, per me è un autentico sogno!
Spero solo che siate contente del seguito e vi assicuro che non resterete a bocca asciutta.

Grazie a tutte, di cuore.

Vostra,
{noth

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Capitolo 14
*** Wake me from this nightmare. ***


I wish you could see.
-Capitolo 14-







I suoi cassetti erano quasi vuoti, quel comodino era così anonimo che non avrei mai detto fosse stato suo. Non vi era niente sopra. Dentro il primo vi era un vecchio quaderno scritto a penna, non in braille, quindi doveva risalire a quando non era ancora vittima della cecità e, in quel momento, non ero in grado di leggerlo. Il secondo traboccava di pezzi di carta e di calzini appallottolati. Il terzo inizialmente non si aprì e dovetti forzarlo con delle penne che avevo nello zaino. Ci misi parecchio, e pensai che dentro vi fosse chissà che cosa, ma, non appena vi misi le mani, incontrai solo una superficie quadrata, liscia, dura e fredda. Aveva un buco al centro ed i bordi erano intagliati: una cornice portafoto.

Peccato che non fossi capace di vederla.

La presi dal cassetto ed, estraendola, qualcosa cadde a terra cominciando a parlare: una registrazione.
“...per questo mi sento così vuoto, ma ora...”

Un registratore. La voce di Mark veniva da quell’oggetto. Lo presi e scoprii che, al tatto, sembrava molto simile a quello di mio nonno. Effettivamente ormai tutti usavano il cellulare se dovevano registrare qualcosa, quella scelta non doveva essere stata casuale.

Trovai in fretta il tasto di rewind, posizionato nello stesso posto di quello di mio nonno, e riavvolsi del tutto il nastro. Con l’adrenalina che mi scorreva folle nelle vene premetti play: se Mark mi avesse scoperto mi avrebbe ammazzato.

Cloak.

24 settembre. Diario, non posso più scriverti, per il semplice fatto che non posso più vedere. Mi sono bruciato gli occhi con un accendino, non so perché l’ho fatto. Volevo provare qualcosa, dato che dopo che Lui è morto non riesco più a provare niente. In parte sono contento perché non voglio vedere il mondo se Lui non c’è. Mi capisci, vero? No, non ci riesco neanche io. Lui mi capirebbe. Domani mi trasferisco in un istituto per ciechi, ma mi chiedo perché non mi richiudono in un manicomio, ormai è evidente che sono pazzo.” Una risata gutturale. “Mi sono accecato! È terribile, Diario, cazzo, davvero. Perché l’ho fatto? Non lo so, o forse sì.” Una pausa. “Non lo ritrovo in nessuno, sai Diario? È scomparso per sempre. Chissà se mi abituerò mai al fatto che è morto. No, non voglio.

Un altro click e cominciò un’altra registrazione, non potevo fare a meno di ascoltare.

25 settembre. Diario, questo posto è una vera merda e sono stato stupido ad accecarmi, ora lo so. Non riesco nemmeno più a vedermi allo specchio, che schifo. Cercano tutti di essere gentili ma io non voglio gentilezza. Io voglio David. E siccome non posso averlo non voglio nient’altro.”

Misi qualche secondo in pausa. Cercai di racimolare tutte le informazioni registrate che avevo udito, di dargli un senso, ma prendevano solo pieghe deformi ed inquietanti. Non sapevo se provare compassione o ribrezzo. Mi confondeva molto il suo autolesionismo. Avevo provato la stessa sensazione di smarrimento, ma non ero mai arrivato al punto di ferire me stesso, nonostante ci avessi fatto qualche pensierino. Non avevo avuto abbastanza odio nei confronti della vita, né abbastanza coraggio, per applicare quei pensieri. Quanto doveva essere stato disperato per accecarsi volontariamente con del fuoco?

Scivolai per errore sul tasto di avanzamento veloce e le parole iniziarono a confondersi e scavalcarsi una sull’altra fino a che non riprometti il tasto play.
...iota, mi ha salvato. Non volevo morire, mi ero pentito, ma nemmeno voglio dovergli essere riconoscente. Come si è permesso di interferire in affari che non lo riguardano? E cercava pure di instaurare un qualche rapporto con me.” Di sottofondo sentii il rumore del getto della doccia e delle mie canzoni riprodotte dall’altoparlante del cellulare. “Nessuno può penetrare la mia corazza ora. Non più, e così nessuno può ferirmi se non io stesso. Forse nemmeno. È in doccia ora, incazzato perché non voglio avere a che fare con lui e perché non mi comprende. Poverino, sapesse che non è l’unico.” Una pausa. “Non voglio innamorarmi ancora, Diario, non voglio più. Ho paura a stare in stanza con una persona così sensibile ed ho paura anche dell’amico del mio coinquilino. Ho paura dei sentimenti e loro sono un concentrato di emozioni. Le sento a distanza oramai. Le percepisco. Devo stargli lontano. Devo... devo trovare il modo di subirli a piccole dose così da fare come un vaccino e diventarne immune.”

Misi in pausa di nuovo. Mi sedetti per terra ed incrociai le gambe. Mi presi la testa tra le mani e, per la prima volta, desiderai aver visto gli occhi di Mark prima di giudicarlo. Non mi pentivo del fatto che mi stesse antipatico – aveva fatto di tutto per risultare odioso agli occhi di tutti – ma non riuscivo ad immaginare che la sofferenza dietro al suo comportamento fosse tanta. O meglio, forse non avevo voluto vedere.

Non avrebbe mai accettato la mia amicizia e ora capivo perché. Ed ora era giù con il mio uomo e tutto ciò che aveva detto al suo Diario sembrava lasciare supporre un’omosessualità che non avevo, neanche per un attimo, sospettato.

Cosa dovevo fare?

Cosa avrei dovuto fare?

Avevo il terrore che alla fine sviluppasse un amore malsano verso Kurt ed avevo anche la sensazione di conoscermi troppo bene e di sapere che, se Mark si fosse innamorato, sarei stato troppo male per lui e non sarei stato capace di portargli via la sua unica ragione di vita. Ero fatto così, non importava quanto una persone fosse stata cattiva nei miei confronti, quando si trattava della sofferenza non riuscivo a provare odio per una persona. Solo in casi eccezionali e, per ora, Mark non riusciva a rientrare in quei casi, avrebbe dovuto impegnarsi molto di più. Allo stesso tempo però non volevo perdere Kurt, mi mancava il respiro solo a pensare di non trovare più la sua mano vicino alla mia, il suo viso liscio sotto il mio tocco inesperto e avevo bisogno delle sue labbra per esplorargli l’anima. Io vedevo attraverso Kurt, non avevo null’altro che mi desse una parvenza di felicità in quella vita buia.

Avevo una paura tremenda che non avrei retto una situazione del genere.

Pregai che le mie fossero tutte supposizioni infondate e che il carattere di Kurt non sbriciolasse l’armatura di Mark, così da non fare del male a nessuno dei due.
Lanciai il registratore sopra il letto, dove rimbalzò e colpì il muro sul quale stava poggiato, lasciando partire uno spezzone di audio.

“... quanto li invidio quei due.”








---------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Volevate sapere dove volevo andare a parare? Ebbene eccomi qui con il colpo di scena più scenoso e colposo.
Sì, scusate, sono strafatta di camomilla, comprendetemi.

In ogni caso si svela un po' meglio il vero probrema di Mark, la intenzioni di Mark, le paure di Blaine.

A volte i problemi più li nascondi e più si moltiplicano, no?

Questo capitolo è dedicato ad Ilaria, la mia donna dei pinguini, e a Aleka80 che segue le mie storie e mi lascia sempre una recensione spezzacuore, e poco fondata, sulle mie capacità di scrittrice.

Grazie a tutte voi che siete arrivate fino a qui, ora come ora necessiterei davvero tanto di una vistra recensione visto il momento di tensione e di svolta!

Vostra,
{noth

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Capitolo 15
*** Souldn't we experiment? ***


I wish you could see.
-Capitolo 15-







Faceva freddo, più del solito, l’inverno si stava davvero avvicinando anche se non mi piaceva crederci. Il freddo mi dava un’idea di coccole e di cioccolata calda e... e tutto quello mi riportava alla promessa di Kurt che saremmo andati in un bar assieme, quando fossi diventato più esperto. Il pensiero che mi martellava nel cervello era che io ero migliorato, ma magari a Kurt poteva non interessare più
O forse mi facevo solo troppi film.

Stavo seduto su quella panchina di cui non sapevo il colore, a lasciarmi carezzare dal gelido vento che mi creava chiazze rosse sulle guance, tenendo in mano un libro di cui non vedevo la copertina. Era tutto così schifosamente vuoto se non sentivo la voce di Kurt che rideva delle mie battute idiote; mi sembrava quasi di essere morto.

E poi c’era Mark.

Mi ero talmente perso nei miei pensieri da non essermi accorto che qualcuno si era avvicinato e si era seduto accanto a me.
Non ebbi bisogno di chiedere per sapere chi fosse: il profumo dolce e allo stesso tempo neutro della pelle di Kurt mi diede tutte le informazioni di cui necessitavo.

Avevo in programma di restare nel mio silenzio punitivo, ma la mia bocca parlò senza che le dessi il permesso.
« Ciao. »
Accanto a me lui sussultò.
« Blaine! » esclamò, trattenendo un’emozione che mi scaldò il cuore congelato dal freddo.

« Già. » risposi, imbarazzato, rigirandomi le dita nelle frange della sciarpa che lui mi aveva regalato.
« Ti ho cercato tutta oggi pomeriggio, in camera non c’eri. » spiegò, cercando la mia mano a tentoni. Inspiegabilmente mi ritrassi e le ficcai entrambe in tasca. Lui non si arrese e infilò la mano nella piega del giubbotto fino a trovare la mia. Non ebbi la forza di scrollarmelo di dosso. « Sul serio: avevo bisogno di te. » la voce gli si ruppe sull’ultima parola e respirò a fondo.
« Di me? » domandai, ingenuamente, stringendogli la mano nella mia tasca, non riuscendo a fare altrimenti.
Lui assentì, deglutendo.

« Mi... mi mancavi. » ammise infine.
Un sorriso mi si distese sul volto, piccolo e nascosto, come un piccolo uccellino che rompe il guscio. Il sorriso che tanto mi mancava e che solo lui riusciva a far uscire.
« Anche tu, non sai quanto. » ma non dimenticavo perché mi era mancato. « Con Mark com’è andata? » Il suo nome era come un deserto di sabbia sulla mia lingua. Usciva sbriciolandosi e seccandomi la gola.

« Non lo so. » rispose, scrollando le spalle, Il suo profumo si fece più forte mentre avvicinava a me. « Non è come che credevo. Non è né arrogante, né egocentrico, né scostante, né maleducato. Finge di esserlo, lo percepisco solo ora, e non so come prenderlo perché non mi permette di tirare fuori la parte di lui che si ostina a lasciare sepolta tutta questa... questa... »
« Sofferenza. » conclusi per lui.

Kurt tossì, un rantolo secco che lo scosse interamente.
« Sì, precisamente. Come lo sai? » domandò, estraendo la mia mano dalla tasca e ficcandola in quella della sua giacca.
Esitai qualche istante, ero sicuro che non avrebbe approvato il mio ficcare il naso negli affari di Mark. Non avrebbe approvato per nulla. Però non potevo tenerglielo nascosto.
« Bè... per caso mi è capitato tra le mani un registratore contenente i diari audio di Mark ed ho... bè ho capito molte cose. » mormorai, confondendo le parole le une sulle altre, cercando quasi di nascondere il mio peccato.

Kurt trattenne una risata.
« Per caso? » chiese sarcastico. In quel momento fui sicuro che stesse alzando un sopracciglio.
« Assolutamente. Giuro su... sul mio amore per le canzoni di Rihanna. »
A quel punto Kurt non riuscì più a trattenere le risate.
« Ma tu ODI Rihanna! » esclamò, appoggiando la testa sulla mia spalla.
« Ma cosa vai dicendo! » risposi doppiamente sarcastico. « Okay, mi hai scoperto. Lo so, lo so, non avrei dovuto. »

Si strusciò sulla mia giacca, facendomi rabbrividire.
« Dovrei darti ragione ma ammetto di essere piuttosto curioso. Okay, magari molto curioso. Che diceva? »

« A te non ha detto niente? » domandai.
Lui scosse la testa.

« Quando non sono con te, però, non è così odioso. Credo sia questo fatto di.... me e te che lo disturba. Questo noi. »
« A me non disturba affatto. » borbottai e lui mi diede un bacio sulla guancia, a fior di labbra, un bacio che mi fece scendere un’ondata di calore lungo tutta la colonna vertebrale e mi sciolse ogni vertebra.     

« Vorrei tanto sapere che gli è successo. »  sussurrò poi. « Sembra stare così... male. »
« E tu hai una passione per i casi disperati, nevvero? » risi.
Lui mi diede una gomitata sulle costole.
« E’ solo che sto meglio se le persone vicino a me sono felici. » borbottò, fingendosi offeso.
Gli baciai i capelli, inspirandone il profumo di shampoo e lacca.
« Tu fai le persone felici. » confessai. « Anzi, no. » mi corressi. « Tu fai felice solo me. Ed è così che deve essere. » sbottai.

Ero ancora gelosissimo di Mark e quei pochi minuti con Kurt non bastavano a farmela passare. Mi tornarono in mente tutti i dubbi che avevoavuto, tutta la solitudine, e gli strinsi più forte la mano.
« Vi siete toccati il viso? » mormorai, ostentando indifferenza. Lui ridacchiò.
« Era qui che volevi arrivare, allora. » ridacchiò. « Lo trovo... dolce. »
Io no, la gelosia mi faceva male, non lo trovavo dolce affatto.
« Non hai risposto. » borbottai. La consapevolezza che ci fosse un motivo al perchè non lo aveva fatto cominciò a farmi ribollire il sangue.

Lui sbuffò.
« Sai che lo faccio con tutti perché mi piace immaginare le persone con cui ho a che fare. Lo ho fatto con te e con tutti quelli a cui ho fatto da Tutor. » cercò di spiegare, mantenendo un tono pacato, ma la sua voce non potè fare a meno di sembrare stridula.
« E ti innamori anche di tutti? » domandai, inghiottendo il nodo che avevo in gola. Avevo una paura folle che si innamorasse di qualcun altro, che fossi solo uno dei tanti, di non contare per lui tanto quanto lui contasse per me.

Mi facevo tutte le pare mentali di una ragazzina , era vero, però non riuscivo a farne a meno.
E non riuscivo nemmeno a far diminuire il bene che gli volevo.

« Certo che no, Blaine. » rispose lui, lievemente scocciato.

Non seppi che rispondere.

« Sono venuto qua per te. Ti ho cercato l’intero pomeriggio come un idiota, consapevole del fatto che mi stessi evitando , e sono venuto qua perché è il nostro posto. Non credevo che potessi esserci, invece eccoti qua. » fece una pausa, « Io non mi innamoro di nessun altro, almeno non finchè... non finchè questo affetto che provo per te mi occupa per intero il petto. Non potrei neanche volendo. È così forte che mi fa paura. » sussurrò.

Mi sembrava di stare cavandogli le parole dalla bocca con la forza. Doveva essere difficile per lui ammettere quella debolezza, lo era sempre stato.
« Fa paura anche a me perché, nonostante ciò che dici, sei troppo perfetto e so che ti perderò. » risposi, tirando quasi su col naso. « E poi c’è Mark che teme di innamorarsi di te e so che, dopo quello che ho sentito nel suoi diari, non sarei in grado di non farmi da parte. » spiegai.
« Questo non succederà. » replicò, stringendomi forte il braccio. « Perché io non potrei ricambiare. Mai. »

Gli presi il viso e lo attirai a me, appoggiando le labbra sulle sue, schiudendole lievemente e nutrendomi di lui, mentre passava lentamente una mano tra i miei ricci ribelli. Avevo improvvisamente molto caldo.

« Per qualche strano motivo ti appartengo. » mormorò sulle mie labbra e dandomi un bacio leggero.

Ero in fiamme. Continuavo a pensare che Kurt avesse inspiegabilmente un ottimo sapore.
« Andiamo al bar dove avevamo detto l’altra volta. Sono pronto a muovermi, ora. » proposi, afferrandogli la mano.
« Ma non è domenica. Dovremmo uscire di nascosto... »
« Chissene. Ti prego, fallo per me. » lo implorai, e lo percepii chiaramente sorridere.
« Non mi giova questo tuo conoscere le mie debolezze così bene. » borbottò, alzandosi in piedi e tirandomi con sé. Mi scontrai con il suo corpo ed ebbi un brivido. Lasciai cadere per errore il libro che avevo in grembo e lo seguii, camminando silenziosamente fuori dall’istituto
.













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Spazio Autrice:
Pensavate che i problemi fossero finiti?
Oh, vi sbagliavate di grosso e ve lo proverò.
Oh, può essere che ci sia una scena  a rating rosso in uno dei prossimi capitoli, ma non vi dico se per il sesso o per la violenza.

Grazie per avermi seguito fino a qui, vorrei ringraziare il gruppo "You're killing me know" di facebook. Sono una piccola famiglia che continua a ripetermi che sono perfetta anche se non lo sono.
Grazie ragazze. 
Vi voglio bene.

Vostra,
{noth

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Capitolo 16
*** I had to take him away. ***


I wish you could see.
-Capitolo 16-








La strada sterrata era proprio dissestata come mi era sembrato percorrendola in macchina. Solo Kurt aveva dietro il bastone e io stavo aggrappato a lui cercando di non inciampare sulle buche. Lui era uscito sempre e solo accompagnato da qualcuno, il che mi portava a pensare, solo in quel momento e passata l’euforia iniziale, che fosse palesemente una follia. Però ero con Kurt e questo muoveva avanti ogni mio passo.

« E’ una cazzata, lo sai, vero? » domandai, mettendo il piede su un sasso e sbilanciandomi.
« Perfettamente. » rispose lui, eppure continuammo ad arrancare .

La punta della sua scarpa di incastrò in una buca ed io gli andai addosso, facendoci cadere entrambi a terra. Mi sbucciai le mani ed era terribile non sapere quando e come avrei colpito il suolo poiché non potevo vederlo.
« Okay, il mio didietro non approva questa nostra spedizione. » commentò, rialzandosi faticosamente in piedi.

« Dici che all’Istituto non ce ne accorgeranno? Che non ci siamo, dico. » domandai, pulendomi le mani dalla terra e dai sassi. Bruciavano, ma volevo così tanto sedermi in quel maledetto Bar e prendere una cioccolata calda con Kurt che non riuscivo a convincermi di quando davvero stessimo rischiando.
« Spero di no. »

Come avremmo trovato il locale senza vedere? A che fermata saremmo scesi?
Eravamo veramente due poveri illusi se pensavamo di farcela.
Arrivammo, dopo un tempo che parve interminabile, alla fine della strada e sentii distintamente il rumore del traffico. Era un rumore che, inconsciamente, mi terrorizzava e mi gridava di tornare indietro.

Non potevo vedere le macchine. Sarei stato investito. Sarei diventato cie... no, aspetta, quello era il passato. Io ero già cieco. E grazie a ciò avevo incontrato Kurt.

« Sicuro che l’autobus passi qui? » chiesi, avvinghiandomi ancora di più a lui. Mi carezzò appena la mano che gli stringeva il braccio.
« Sì. Abbiamo raggiunto la strada, ora aspettiamo il primo autobus, chiederò all’autista di dirci di smontare nei pressi di un bar e anche a che ora potremmo riprendere il mezzo per tornare indietro. È una pazzia, ma potremmo farcela. » mormorò, fermandosi. Non ebbi il coraggio di lasciarlo e gli restai attaccato.

« Hai un buon profumo, sai? » gli dissi, respirando l’odore di smog e cemento che non mi era per nulla mancato in quel mese abbondante passato nell’Istituto. Era una sorta di oasi sicura per le persone come me. La fragranza di Kurt spiccava in mezzo a tutto quello che espiravo.
« Da cosa so? Se mi annuso io non sento niente. » disse.
Inspirai a fondo e gustai appieno il suo odore. Era così familiare: mi ricordava la felicità, mi ricordava un dolore piacevole. Mi ricordava che mi ero disperatamente e innamorato di lui, come un folle.
« Hai un odore... dolce e amaro. Come di fragola e pompelmo. È dolce e buonissimo, assomiglia a quello delle mele dolci con un retrogusto di menta forte. Potessi imbottigliarlo. » sospirai. Poi avvampai, grato alla cecità che gli impediva di vedermi. Lo sentii incassare la testa tra le spalle, timidamente.

« Davvero, io non riesco a sentire questo ben di Dio. » mormorò, annusando appena.
« Giuro. Sei da mangiare. » gli risposi, amando il modo in cui si irrigidì dopo che lo dissi.

 
 

***


 
Erano passate ore e nessun autobus era più passato. Saranno state oramai le otto di sera ed il freddo mi aveva terribilmente intirizzito le dita. Ormai non passavano più nemmeno le macchine per quella strada. Era già poco frequentata e, a quell’ora, tutti erano a casa, accanto alla stufa, a mangiare con le proprie famiglie. Io e Kurt ci eravamo seduti a terra e ancora nessuno dei due aveva parlato di tornare all’Istituto. Ci sarebbero voluti venti minuti a piedi ed eravamo entrambi semi congelati. Il vento novembrino ci aveva congelato il sedere e il naso che, personalmente, non riuscivo più a sentire. Mi sfregai forte le mani, senza ottenere alcun calore.

« St-sto cong-elan-do. » ammisi.
« A-anche io. » la voce di Kurt era ancora più acuta del solito. « Ma non voglio tornare all’Istituto, non voglio. » biascicò, come un bambino. Ficcai il viso nella sciarpa che ancora conservava del calore.
« C-cosa? Perc... »
Non mi lasciò terminare.
« Perché là è do-dove tu sei arrabbiato con m-me. Là è dove c’è M-Mark e dove tu sei gelo-so. Là è dove devo essere per-perfetto e là è dove ho paura di perderti. Ti sei ma-mai chiesto se io fossi geloso di Mark? Lui è in sta-stanza con te tutto il tempo e si può i-innamorare di me tanto quanto di t-te. »

Mi battevano i denti per il freddo e cambiai posizione delle gambe, la mia schiena era posata su quella di Kurt e lo sentivo respirare velocemente.
« M-mi sa che entrambi ci pre-preoccupiamo di perderci quando nessuno dei ha in re-realtà intenzione di lasciare l’altro. » commentai, sorridendo nel vedere che non ero l’unico geloso. Lui estrasse una mano dalla tasta con un fruscio ed afferrò la mia. Eravamo seduti al bordo della stradina sterrata, nell’erba fredda e secca, sul terreno congelato. Per quanto sarebbe stato poetico che non avessi freddo grazie alla presenza di Kurt, in realtà gelavo sul serio.

« Ti amo, e non posso credere di averlo detto. » borbottai.
La sua mano si strinse di più attorno alla mia.
« Non credevo che avrei mai sperimentato l’amore prima di incontrarti. » sussurrò,. Lo immaginavo con delle imperfette lacrime negli occhi mentre tentava di non fare scendere.
Quanto ero stato fortunato ad incontrarlo?


 
 
***


 
Un altro paio d’ore erano passate. Il freddo era divenuto, se possibile, ancora più intenso ed iniziavo ad avvertire i primi sintomi dell’ipotermia. Non riuscivo a muovere bene le gambe e non vedere nulla attorno a me cominciava ad inquietarmi, soprattutto a quell’ora di sera. Dovevamo tornare indietro, per quanto amassi stare lì con Kurt rischiavamo veramente di morire assiderati rimanendo seduti a terra avvolti dal gelo.

Raccolsi tutta la forza che avevo per muovere la bocca e spalancare la mandibola e riuscire a spostare la lingua per dire:
« Dobbiamo tornare indietro. »
Parlai tutto d’un fiato e sentii una nuvoletta vaporosa uscire assieme alle parole.
La testa di Kurt si mosse a scatti da una parte all’altra.

« Lo... lo so che dovremmo... ogni parte di me vuole tornare... ogni... ogni parte di me... tranne il cuore... » esalò, sforzandosi di parlare.
Presi fiato, lasciando l’aria fredda entrare in me e ghiacciarmi lo stomaco. « Blaine. » sussurrò lui. « Resteresti qua con me per sempre? Moriresti qua con me? »

Le sue parole mi si congelarono nelle orecchie, ferendomi al cervello e all’anima. Fui scosso da un brivido e cercai di pensare, anche se il freddo mi impediva di concentrarmi. Non sentivo più bene le dita della mano.
« Cosa... cosa stai dicendo? Io... io voglio vivere con te. Non morire. Non so cosa ci sarà dopo la morte. Io voglio vivere tutta la mia vita con te. » biascicai, cercando di mantenere un tono di voce chiaro e comprensibile.

Lui fece un verso sarcastico.
« Hai ragione, lo so che hai ragione, ma allora perché desidero solo... solo morire? Accanto a te la morte mi sembra una cosa così eterna. Mi libererebbe dalla maledizione che questo mondo mi ha fatto. » rispose, parlando a spezzoni, lasciando che le sue frasi a metà mi colpissero al petto, facendomi preoccupare.

« Kurt... perché sei così fissato con la morte? Non è la prima volta che fai questo discorso. » oramai parlare era diventato più fluido, ma la mandibola mi faceva ugualmente male.
Lui deglutì rumorosamente, mentre le gambe congelate iniziavano a dolermi e gli occhi a bruciare.
« Non lo so. Perché da quando ho dieci anni mi sento così di troppo a questo mondo e sento che questa vita è più effimera di quanto non crediamo. Ho paura di restare solo di nuovo, mentre se... se moriamo assieme allora... bè allora saremo uniti nell’eternità. » tirò un pugno per terra. « E’ terribilmente senza senso eppure continuo a crederci! » singhiozzò a rallentatore, forse per colpa del freddo.

« Io e te siamo uniti per l’eternità anche da vivi. E questo è quanto. Te lo giuro sul mio cuore pulsante, sulle nostre mani intrecciate, sul tuo profumo, sulle mie gambe ghiacciate, sul dolore che provo quando non ci se e sulla gelosia malata che provo nei tuoi confronti. Chiaro? Non c’è bisogno di morire per essere eterni. Quello che provo per te lo è, d’accordo? » conclusi, lui non rispose, tirò su col naso, segno che forse ancora lui riusciva a sentirlo. « Mi hai capito bene? » ripetei. Lui annuì piano.

« Grazie a Dio ti ho trovato. » sussurrò, più a se stesso che a me.
« Grazie a Dio resterò. » risposi.

Mi girai e gli presi il viso tra le mani, posai le mie labbra ghiacciate sulle sue, non sentivo nulla ma questo non rendeva il bacio meno importante. Stavo suggellando una promessa. Stavo giurando amore eterno alla persona migliore che avessi mai incontrato ma, più di tutto, stavo giurando per me.

Mentre le nostre anime si carezzavano sentii distintamente spezzarsi un rametto a poca distanza.

« Che razza di coppia di froci. » ululò una voce maschile e grave a poca distanza. Ci voltammo immediatamente all’unisono, scattando in piedi portai Kurt dietro di me. Per la prima volta ero io a proteggere lui, mi sentii forte.

Le voci si moltiplicarono.
« Gay. »
« Andate a nascondervi, abomini naturali. »
« Si stavano baciando, cazzo, baciando! » urlò qualcuno, disgustato.

Arretrammo, cercando di voltarci e di tornare all’Istituto. Dovevamo scappare.
Qualcuno mi prese per la spalla e mi spinse per terra. Erano veloci, erano tanti, non ci vedevo. Il mio sedere congelato sbattè contro il suolo e la botta mi si propagò per tutta la spina dorsale.
« Per favore, lasciateci in pace, stavamo tornando all’Istituto! » gridò Kurt, raggiungendomi a terra con un tonfo.

« Non toccatelo. » ringhiai ai nostri aggressori. Con la mente pensai ad un modo qualsiasi per uscirne ma avevo troppo freddo e le gambe mi facevano troppo male per darmi delle idee concrete.
« A me parevate impegnati a fare tutt’altro. » disse uno.
« Già. » gli diede man forte qualcuno. « A infettare il nostro mondo. Quell’Istituto per ciechi è un covo di finocchi. »
Tutti fecero versi disgustati. Kurt, accanto a me, iniziò a tremare.

La violenza fisica lo uccideva. Era una di quelle persone che può sconfiggerti a parole, ma non in quelle condizioni.
Non dovevano toccarlo.
« Sentite... lasciateci and... » cercai di convincerli, ma mi arrivò una scarpata sulla guancia. Il dolore mi fece quasi gridare. Mi morsi il labbro con violenza.

Il mio primo pensiero fu alla fragilità di Kurt verso le percosse. Conoscevo il suo corpo, non dovevano toccarlo.
Dovevo portarlo via.
Dovevo portarlo via.













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Spazio Autrice:
No, non vi voglio male, giuro.
Spero che questo capitolo, più lungo del solito, vi piaccia ed un parere mi sarebbe alquanto utile.

Insomma, gli omofobi sono ovunque, la sera escono a mandrie lo so sa.
Vi spoilero che Blaine nel prossimo capitolo capirà molte cose sui pensieri di Kurt.

In ogni caso, sì, giuro che non vi voglio morte e GRAZIE di cuore a tutte per le recensione e per tutte le persone che seguono la storia.
Tutte queste visite non me le aspettavo, vi adoro, sul serio.
Vorrei dedicare questo capitolo alla 3x05 che uscirò martedì e ci darà molto su cui fangirlizzare!

Vostra,
{noth

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Capitolo 17
*** Please don't leave me. ***


I wish you could see.
-Capitolo 17-







Ero terrorizzato. Al mio fianco Kurt si sforzava di non piangere e tremava di freddo. Avrei voluto portarlo via, poter vedere dove andare e correre nella giusta direzione con scaltrezza fino a lasciarmi quegli zotici alle spalle. Era un incubo, uno di quelli in cui sai che il mostro sta per mangiarti ma non puoi farci proprio niente. Mi portai nuovamente davanti a lui per proteggerlo.

« Vedo che non imparate dai vostri errori. Ragazzi, che ne dite di una lezioncina per i nostri amici finocchi qua? »
Mentre le ginocchia mi tremavano incontrollabilmente, un grugnito di approvazione si sollevò sopra di noi. Kurt accanto a me respirava pesantemente.
« No, no vi prego. » li implorai, cercando di alzarmi in piedi, ricevendo una pestata sulla mano. Erano più vicini di quanto non credessi ed anche più numerosi.

« Le preghiere non serviranno poi a tanto, tesorini. » commentò uno con una voce grave e profonda. Se il suo corpo era grosso come la sua voce dovevamo decisamente scappare via.

« No, no picchiate me al suo posto. Le prenderò per tutti e due io. Per voi dovrebbe andare bene, no? » la voce tremante di Kurt mi colpì come uno schiaffo.
« Kurt ma cosa stai dic… »
« E’ okay per voi? » chiese nuovamente, alzando il tono di voce.
Delle risate sadiche esplosero sopra di noi. Sentii qualcuno tirare in piedi Kurt che ansimò dolorante. Il freddo mi stava annebbiando ogni senso.
« Certo che è okay. Così l’altro dovrà subirsi le tue urla, è un’idea perfetta. » esclamò quello che parlava più spesso. Doveva essere il capo.

Presero il viso di Kurt e me lo posarono sullo stomaco dopo che due di loro mi ebbero afferrato per le braccia e tirato in piedi.
« Scusami. » sussurrò e probabilmente solo io lo sentii. Percepii le lacrime salirmi agli occhi, ma non potevo piangere o avrei peggiorato la situazione.
« No, no Kurt che diavolo fai! » gridai, prima che qualcuno mi tirasse uno schiaffo.

« Zitto e impara. » mi sussurrò uno dei due che mi teneva in piedi. Ero sicuro che se mi avessero mollato sarei crollato a terra. Iniziai a respirare
faticosamente quando sentii i primi colpi venire inferti a Kurt.

Era la musica peggiore del mondo.
I suoi gemiti di dolore mi si imprimevano nell’anima, mi laceravano il cuore e le mie grida erano completamente inutili. Mi dimenai con violenza, sentendo la pelle strapparmisi a causa dell’irrigidimento dovuto al freddo.

« Tenetelo fermo! » gridò il capo, e i due scimmioni dietro di me strinsero la presa.

I gemiti di Kurt si erano fatti urla, ero certo lo stessero colpendo, in due o più contemporaneamente, allo stomaco, alle gambe, alle braccia, all’addome. Lo sentii iniziare a singhiozzare e non potei fare a meno di immaginarmelo coperto di sangue. La visione mi fece impazzire.

« Basta! » gridai, cercando di liberarmi. Sgusciai di lato e riacquistai l’uso di un braccio ma venne subito stretto nuovamente nella morsa dell’aggressore alla mia destra.

Le lacrime mi inondarono il viso.

Sentire i singhiozzi di Kurt e i colpi che gli venivano inferti era un requiem che non volevo ascoltare.
Dovevo fermarli.

Come gli era saltato in mente di farsi picchiare al posto mio? Mingherlino com’era. Elegante com’era. Grazioso com’era. Fragile com’era.

Mi morsi forte un labbro e cercai di pestare un piede a uno dei due scimmioni, senza risultati.
Kurt iniziò a tossire, lo sentii crollare al suolo scosso da singhiozzi e singulti, mentre mormorava agli aggressori di avere pietà.

« Guardate! Piange pure! » rise quello con la voce grossa ed ebbi una voglia atroce di ammazzarlo. Volevo ammazzarli tutti per aver osato toccare Kurt.
« Kurt! Oh, Dio, Kurt! » gridai, senza ricevere nessuna risposta.

Le risate continuarono imperterrite, mentre il corpo di Kurt veniva preso a calci e calpestato.

L’odio che provavo era terribile, volevo morire, volevo salvare Kurt, volevo ucciderli tutti. Era tutta colpa mia e della stupida idea che avevo avuto di andare in un Bar assieme. Ero stato un idiota. Un completo idiota.
Cercai di accasciarmi a terra e i due scimmioni mi tirarono dei pugni sullo stomaco, per poi mollarmi mentre cadevo al suolo.
Il mondo aveva cominciato a girare.

« Ehi, Samuel… Samuel quell’altro non si muove più. » commentò una vocina più piccola.
« Cazzo, Samuel, Eric ha ragione non respira! » esclamò un altro, avvicinandosi.

Cadde il silenzio.

« Cazzo andiamocene via! Via, via! » gridò il capo, quel Samuel. Alzai la testa e li sentii arretrare e scappare lontano.
« Porca puttana lo hai ammazzato, razza di deficiente! » disse una voce in lontananza, mentre i nostri aggressori fuggivano, scomparendo dal mio raggio uditivo.

Ammazzato.

No, non poteva essere possibile.

Mi trascinai verso dove avevo sentito cadere, poco prima, il corpo di Kurt. La bile mi risaliva in gola e lo stomaco mi doleva da morire. Non vedevo niente, ero pieno di lividi e avevo le braccia informicolate. Non sentivo le dita. Afferrai il lembo della sua giacca e mi trascinai verso di lui. Trovai il suo viso e gli misi una mano davanti alla bocca.

Non lo sentivo respirare.

Non lo sentivo fare nulla.

Le lacrime mi inondarono il viso, congelandosi appena uscite. Singhiozzavo come un pazzo. Dovevo chiamare aiuto.
Dovevo.

Mi ricordai che Kurt aveva sempre un cellulare in tasca, mentre io lo avevo dimenticato all’Istituto. Tirarlo fuori per chiamare aiuto in precedenza gli sarebbe stato comunque inutile.
« Cazzo. » biascicai, mentre cercavo la sua tasca. Le mie dita trovarono in fretta il cellulare e riuscii a digitare il numero del Pronto Soccorso più velocemente che potevo.

« Kurt ti prego resisti, ti prego resisti, ti prego non lasciarmi, ti prego… » mormorai, mentre il tu-tu del telefono mi perforava un timpano.

“Pronto?” disse una voce metallica dall’apparecchio.
« Pronto, ho bisogno di aiuto. Mandate… mandate in fretta qualcuno nella stradina d’entrata dell’Istituto Doge per Non Vedenti! Presto, vi prego! » gridai, mentre prendevo la mano gelida di Kurt e la stringevo.
“Saprebbe dirci di preciso la via? “ chiese la voce elettronica.
Singhiozzai.
« No, no sono cieco, vi prego! »
La voce all’altro capo del telefono biascicò qualcosa.
“Arriva un’ambulanza. Tenetevi pronti e applicate le manovre di primo soccorso.” Disse, professionale e allo stesso tempo annoiata.
La chiamata si interruppe.

Mi accasciai sul petto di Kurt, piangendo come un idiota e colpevolizzandomi come poche volte mi era capitato di fare. Se avessi perso Kurt sarei impazzito. Se non ci fosse più stato lui nel mio mondo, sarei morto. La mia vita sarebbe finita.

« Non t’azzardare a mollarmi così, capito, non t’azzardare a lasciarmi! » gli dissi, aspettando che la sirena dell’ambulanza mi svegliasse da questo incubo.
Perché era un incubo, vero?

Le mani mi tremavano, il freddo mi attaccava da ogni lato, rendendomi impotente dinanzi a tutto.
« Ti prego, Dio, se esisti salva Kurt, dammi una seconda possibilità, non portarmelo via. Non c’è primavera senza di lui, ti prego… » mormorai, perdendo conoscenza e sentendo, in lontananza, il rumore di una sirena.





















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Spazio Autrice:
Innanzitutto dedico questo capitolo a MissProngs, a Annunziata e ad Ilaria, che mi seguono e non so come facciano.

Secondo: so che mi state odiando e, credetemi, mi odio anche io ma questo capitolo era fondamentale per l'andamento della storia che ho programmato. 

Vi prego, non lanciatemi i pomodori, non voglio ferire nessuno, spero che nonostante il dolore il capitolo vi sia piaciuto.

Non mi dilungo tanto e... aggiornerò presto.

Vostra,
{noth

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Capitolo 18
*** Kurt. ***


I wish you could see.
-Capitolo 18-










Odore di disinfettante, che brucia il naso e che ti inonda i polmoni. Sensazione di pacifico fresco. Puzza di anziani e di malattie. Sapore di sangue in bocca. Lenzuola bianche mi avvolgevano e un ago mi infilzava il braccio sinistro.
Ero in ospedale.

La mia mente era ancora intorpidita e mi bombardava di flash dei pochi minuti di coscienza che avevo vissuto prima di svenire.

Kurt.

Il suo nome fu come una martellata nelle costole. Mi ricordai di colpo ogni istante, ogni pugno, ogni risata, ogni lacrima ed ogni gemito che avevo sentito quella sera. Spalancai gli occhi, quasi aspettandomi una fortissima luce ad accecarmi ma, com’era ovvio, fu come se avessi ancora le palpebre serrate.
Respiravo velocemente e cercavo, inutilmente, un segno della presenza di Kurt accanto a me. Se eravamo in ospedale l’ambulanza ci aveva salvato. Se eravamo in ospedale c’erano ancora delle possibilità.

« Ehi! Siediti, Gesù Cristo, vuoi romperti un’altra costola? » la voce di Janet mi perforò i timpani. Mi era accanto, probabilmente seduta a lato del letto, e mi costrinse a distendermi prendendomi un braccio e trascinandomi giù. L’ago della flebo mi fece male.

« Dov’è Kurt? Janet che ore sono? Dov’è Kurt? » chiesi, ansimando e pregando con tutte le mie forze. Il cuore mi martellava nel petto, minacciando di sbriciolarmi la cassa toracica. Sentivo il suo pulsare frenetico fin sulle tempie.

Lei si schiarì la voce.
« Sono le… » guardò l’orologio. « Le due e mezza di notte. Sei rimasto privo di coscienza circa mezz’ora e poi, dopo essere rinvenuto, sei crollato in un sonno profondissimo. L’ospedale ha avvertito immediatamente l’Istituto – data la vostra cecità e la quindi vostra scontata appartenenza a tale scuola. Stavo dormendo, stavo pure facendo un bel sogno con Brad Pitt che veniva a prendermi su un unicorno viola. È squillato il telefono e sono schizzata sull’attenti. Mi hanno detto che due ragazzi erano stati ritrovati privi di conoscenza all’imboccatura della strada per l’Istituto ed erano entrambi ciechi. Ho chiesto una rapida descrizione di voi e poi, sospettosa, sono andata a controllare nelle vostre stanze e non c’eravate. Allora ho avvisato il preside e sono corsa qui. Sono impresentabile e posso dirmi felice che tu non mi possa vedere. » spiegò.

Tutto quello non mi interessava.

« Dov’è Kurt? » ripetei, con l’ansia che traspariva da ogni sillaba che pronunciavo.
Lei sospirò e mi mise una mano su un braccio.
« Blaine… » cominciò.
« Ti prego, ti prego dimmi che sta bene. » sussurrai, e le lacrime mi scesero nuovamente lungo le guance, senza che sbattessi le palpebre, deformando il mio viso e la mia espressione. Restai lì, fermo ad imbrattare le lenzuola di gocce salate che mi scivolavano sul mento e il collo. Lei mi strinse il braccio, cercando di confortarmi.

« Ci tieni davvero,  non è così? » mormorò. « Non temere, non è morto. Ha un braccio rotto, due costole incrinate e molti, molti lividi, ma è vivo. Ha subito un forte shock e dorme da molto. Il preside è lì con lui. Ecco… l’ambulanza è arrivata appena in tempo. Aveva subito un colpo molto forte alla testa e rischiava sul serio. »

Sospirai. Il sollievo mi riempì i polmoni e fui così felice che iniziai a singhiozzare come un disperato, portandomi le mani sul viso e piangendo rumorosamente, ignorando il fatto che Janet fosse lì e mi vedesse, anche se io non potevo vedere lei.
« Dio, grazie, grazie, grazie… » ripetei, il viso inondato dalle lacrime. Lei sorrise e mi diede una pacca sulla spalla che mi procurò una fitta, ma non importava.
Respirare ora aveva un senso. Vivere ora era meraviglioso.

« Blaine… ti dispiace dirmi cosa vi è successo? Insomma non credo proprio che vi siate schiantati su tutti gli alberi che costeggiano la strada d’entrata della scuola… »
Tirai su col naso, grato a ogni molecola dell’universo per avermi fatto quel regalo. Per avermi ridato la linfa della vita. Per aver lasciato Kurt a vegliare su di me ancora un po’.
« Possiamo… possiamo parlarne una volta tornati all’Istituto? » domandai, cercando di cancellare le lacrime dal mio viso e togliendomi le coperte di dosso, scoprendo di avere addosso un camice liscio e lungo. Probabilmente bianco, mi dissi.

« Vuoi andare da Kurt, non è così? » disse lei, scostandosi da accanto al letto e facendo rumore con la sedia.

 Annuii.

Ora che ero alzato l’odore di disinfettante si mischiava a quello del caffè forte e dell’alcool. Era terribile, avrei voluto tapparmi il naso.

Mi tremavano le mani per la felicità e mi girava ancora la testa, ma dovevo andare da Kurt.
« Blaine, hai una costola rotta, non è il caso… » cercò di afferrarmi per un braccio, ma mi divincolai in fretta.
« Ti prego, lasciami andare. » la implorai, fissandola negli occhi, sperando che fossero ancora espressivi come una volta. Lei sbuffò rumorosamente, e per un secondo ebbi un flash di lei. Un flash di luce, qualcosa mi aveva dato colore agli occhi per un istante. Una vista di un nanosecondo, velata e sfuocata, come un sogno disordinato ma presente. Una ragazza con i capelli rossi e degli occhiali grandi. Occhi enormi e azzurri bassa e mingherlina. Si mordicchiava nervosamente il labbro. La avevo… la avevo vista. Per un nanosecondo soltanto.
Quella botta in testa mi aveva fatto impazzire. Avevo le visioni.

« Lascia almeno che ti accompagni fino a là. C’è il preside con Kurt, come ti ho già detto. » propose. Annuii accondiscendente e scesi dal letto, trovando delle ciabatte di gomma spessa e mi trascinai appresso il palo con attaccata la flebo.

Il cuore mi spaccava a metà per la forza con cui pulsava. Mi tremavano le gambe, le labbra, le mani e perfino l’anima.
Janet mi guidò lungo un corridoio gremito di persone che mi passavano accanto, urtandomi e parlando fitto. Era freddo e un brivido mi corse lungo la schiena.

Ci vollero due minuti per raggiungere la stanza dov’era stato ricoverato Kurt, ma mi sembrò un’eternità. Avevo voglia di arrendermi e abbandonarmi sul suo petto. Fondermi con lui. Volevo che diventassimo una cosa sola così poi nulla avrebbe mai potuto dividerci.

Janet si fermò e bussò, la porta doveva essere chiusa. Qualcuno la spalancò e mi resi conto di aver trattenuto il respiro.
« Cosa… Oh, Janet. » disse la voce profonda del preside. « Che succede? »
Lei mi trascinò in primo piano ma ascoltai appena la loro conversazione. La mia testa era troppo occupata a realizzare che alle spalle del preside dormiva

Kurt ed era vivo. Era vivo. Era ancora mio.

« Questo è Blaine Anderson, l’altro ragazzo, e vorrebbe restare qualche minuto con Kurt. Crede sia possibile? » domandò praticamente, mentre i miei occhi non riuscivano proprio ad asciugarsi.

Il preside stette in silenzio qualche attimo, sicuramente intento in uno scambio di sguardi con Janet, e alla fine sospirò esausto.
« Credo proprio di avere bisogno di un caffè, in effetti. » borbottò e si scansò dalla porta, tirandomi verso l’interno e sgusciandomi pesantemente accanto. « Si è praticamente appena svegliato. E tu come stai, Signor Anderson? » domandò.
Gli risposi per semplice cortesia, sentendo un’attrazione terribile verso Kurt. Dovevo andare da lui. Volevo andare da lui.
« Sono ancora qui. » risposi, di fretta. Lui fece un verso comprensivo.
« Abbiamo avvisato i tuoi genitori, arriveranno a breve. I genitori di Kurt… bè suo padre è già ricoverato in ospedale non c’era bisogno di chiamarlo. »
I miei genitori. Proprio ciò di cui non avevo bisogno.
« Gra-grazie signore. » mormorai e lui, percependo una certa urgenza nel mio tono di voce, si chiuse la porta alle spalle.

Praticamente volai da Kurt, sentendo di nuovo le lacrime bruciarmi gli occhi come acido. Trovai le sbarre accanto al suo letto e mi ci aggrappai, pregando di restare in piedi. Cercai, disperato, la sua mano che giaceva accanto al suo corpo, sopra le lenzuola. Era calda e viva.
Kurt c’era.
Kurt era lì, davvero lì.

Mi lasciai sfuggire un singhiozzo. Ero io a essere stato salvato, non Kurt. Salvando lui qualcuno aveva salvato me.

Una voce flebile mi giunse all’orecchio.
« Cos… chi… » era più un fiatare confuso.
« Kurt, Kurt sono io, sono Blaine. » risposi, non riuscendo a bloccare le lacrime. Avevo dato fondo ad ogni scorta, quella notte.

Un sospiro pesante scosse il corpo di Kurt. Più che un sospiro dei violenti singhiozzi.
« Oddio… oddio sei vivo… Dio… » balbettava, incapace di concludere le frasi. Era una musica bellissima ed allo stesso tempo orrenda quella che proveniva dal suo corpo. Piangere doveva fargli molto male al petto.
Gli misi una mano sulla guancia e trovai un tubicino che la percorreva. Gli avevano fornito l’ossigeno.
Qualsiasi cosa pur di farlo stare bene.

« Ssh, ssh. » mormorai. « Va tutto bene. Sei tu quello messo peggio. » cercai di non singhiozzare, tirando su col naso. « Come stai? »
Lui posò una mano tremante sopra la mia che si trovava sulla sua guancia bagnata. Volevo distendermi accanto a lui e non lasciarlo mai più.
« Sei… sei vivo. Sto da Dio. » rispose, singhiozzando anch’egli.

Risi.

Risi ed ebbi un altro flash. Un flash in cui Kurt era disteso sul lettino dell’ospedale, una visione sfuocata. Era pieno di lividi, sorrideva tra le lacrime ed i suoi capelli erano un vespaio ma non importava. Non importava perché in quel flash avevo scorto i suoi occhi azzurro-verdi fissi ma… suoi.
Un flash.
Perché avevo quei flash?
Erano dei nanosecondi in cui riuscivo a scorgere il mondo e non era mai successo nei tre mesi precedenti. Perché? Era normale? Era differente dalle solite immagini che mi creavo nella testa. Erano reali.

« Kurt… io ho dei flash. Dei flash brevissimi in cui intravedo il mondo come una volta. » sussurrai, insicuro. Forse ero diventato pazzo.
« Cosa? » domandò, tutto d’un fiato.
« Sì, ti ho appena… ti ho appena scorto. » mormorai, imbarazzato e respirando velocemente.
Sarebbe stato un sogno potere anche solo avere dei minuscoli spezzoni di rara realtà.
« Ma… ma è magnifico. Sei sicuro? Come…come sono io? » domandò, tossicchiando per la fatica.
« Non esagerare. » mi preoccupai. « Sei la più bella creatura che abbia mai… intravisto. » sorrisi, asciugandomi una lacrima. « Lividi e tutto il resto. »

La testa mi doleva ma entrambi scoppiammo a ridere. Gli sfiorai il naso bagnato di lacrime con le labbra e quando mi piegai verso di lui ebbi una fitta ma me ne fregai. Avevo Kurt, lo avevo anche appena visto per la prima volta. Se era un sogno non volevo svegliarmi.















--------------------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Dico solo che ho pianto scrivendo questo capitolo, e posso assicurare che capita raramente.
Il merito non è da attribuire a me ma a loro.
LORO.

Buona 3x05 per domani.

Vostra,
{noth

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Capitolo 19
*** Happiness has your name. ***


I wish you could see.
-Capitolo 19-
(attenzione, RATING GIALLO/ARANCIONE)

 






Mi beai di ogni istante che trascorrevo con Kurt. Respiravo come se mi fosse stato tolto un peso dal petto.

Restai là in silenzio ad ascoltarlo inspirare ed espirare, con la mano nella sua e, mentalmente, ringraziai in silenzio chiunquecifosse per quel momento.

« Non avresti dovuto proporti come capro espiatorio. » lo ammonii poi.

« E lasciare che picchiassero anche te? Quando avevo l'opportunità di salvarti? »

Feci un verso di disappunto.

« Vederti soffrire non mi salva, Kurt. »

Lui sospirò, tossendo ed accartocciandosi per il dolore alla costola.

« Stai bene e pure io sto bene. Questo conta. » gracchiò in un mormorio. Gli strinsi la mano e mi resi conto di amarlo più di quanto fosse necessario. Più di quanto fosse normale.

Bussarono e la porta si spalancò senza aspettare una risposta. Un rumore di tacchi corse verso di me e delle braccia mi avvolsero il collo, protettive, mentre la donna che mi abbracciava piangeva e mormorava il mio nome.

Mia madre.

« Mamma... va tutto bene... » la abbracciai educatamente mentre squittiva e piangeva.

« E' la... la seconda volta che... che devo ringraziare Dio... perchè... perchè sei vivo... » singhiozzò, stringendo la presa sul mio corpo.

« Inoltre una costola rotta non è esattamente ciò che definirei 'stare bene'. » borbottò mio padre trascinandosi stancamente dentro la stanza, non curandosi minimamente di Kurt.

« Sto bene, papà. » ripetei, con tono irremovibile. Lui sbuffò.

« Certo. Lui chi è? » domandò, ed intuii che stesse indicando Kurt con un dito affusolato.

Mi volsi verso Kurt ed immaginai che stesse fingendo di dormire, dato il suo silenzio e visto che non potevo vederlo.

Sorrisi.

« Lui è Kurt. » dissi solamente. Dal tono con cui lo avevo detto ero sicuro che sia mia madre che mio padre avessero capito. Era come se avessi implicitamente aggiunto 'lo amo'.

Di colpo, imbarazzati, entrambi si allontanarono da me ed iniziarono una fitta conversazione con il preside per venire a conoscenza l'accaduto.

Tanto meglio per me.

 

***

 

Tornare all'Istituto era stato liberatorio. Nessuna infermiera a controllarmi ogni due ore, nessun paziente chiacchierone, nessun parente appresso e, soprattutto, Kurt era di nuovo solo mio.

Entrambi ci stavamo riprendendo piuttosto bene e, grazie agli antidolorifici, la nostra sofferenza era ridotta a quella che poteva cresre una puntura di zanzara.

Inoltre Kurt era stato sostituto come Tutor, e non seguiva più Mark.

Oh, ecco, un'altra questione in sospeso: Mark. Erano cambiate molte cose da quel punto di vista. Avevo compreso il suo dolore, la sua rabbia e la sua cattiveria. In confronto a lui ero stato molto fortunato. Il mio Kurt era ancora vivo, il suo no.

Eravamo tornati da un paio di giorni ed ancora non avevo avuto occasione di parlargli faccia a faccia a causa dei suoi orari. Al momento, comunque, non era lui la mia priorità, bensì Kurt.

Dopo averlo accompagnato un paio di volte avevo imparato dov'era la sua stanza. Era quasi considerabile una singola dato che il suo compagno faceva parte della Alliance, l'associazione che viaggiava di Istituto in Istituto, in giro per il mondo, per partecipare a concorsi per non vedenti, e non era quasi mai presente.

O almeno così aveva detto Kurt.

Raggiunsi il fretta la sua stanza, camminando lentamente per i corridoi di quella scuola che, oramai, mi era diventata familiare.

Non avevo più avuto flash in seguito all'ultima volta, solo qualche raro scorcio di mondo al quale non avevo dato troppo peso: un colore, uno sprazzo di luce.

Bussai alla porta e la voce di Kurt, acuta come sempre, mi invitò ad entrare. Abbassai lentamente la maniglia e sgusciai dentro.

« Come sapevi che ero io? » chiesi, chiudendomi la porta alle spalle. Lui fece un verso incomprensibile.

« Intuito da gay. » rispose, ridacchiando.

« Caspita, credevo esistesse solo quello femminile. » commentai, divertito.

« Oh, no no, quello di noi gay è molto più efficace credimi. » disse, e sospirò.

Con passo discretamente sicuro mi avvicinai a dove sapevo ci fosse il suo letto, dal quale proveniva la sua voce, e trovai la sua mano allungata verso di me. Vi intrecciai la mia e mi sedetti accanto a lui, togliendomi le scarpe.

Era come se fosse stata domenica: nessuno di noi due aveva impegni o lezioni: era un miracolo. Eravamo, infatti, esonerati fino a giovedì per un presunto 'recupero post-shock'. Vi era qualcosa di incredibilmente eccitante all'idea di essere i soli uomini liberi di tutta la scuola. Era trasgressivo e confortante, una sensazione che avevo scoperto di apprezzare.

« Come stai? » domandai, e lui fece spallucce.

« Come un puzzle incollato con la gomma elastica: non mi spezzo mai. »

Eccolo, ecco un flash che appariva: Un nanosecondo di puro Kurt. I capelli soffici e in piega, gli occhi chiari intenti a fissarsi le mani che teneva in grembo e che stringevano le mie. Le gambe incrociate e dei pantaloni di una tuta vecchia che sapeva tanto da 'tempo libero', particolarmente appariscente era invece la T-shirt bianca che indossava: troppo trasparente per i miei gusti.

Conservai quell'istante nella mia memoria, nel cassetto infinito che portava il suo nome.

« Te lo... te lo ho già detto che ti amo? » mormorai, sorridendo e posandogli una mano sulla coscia.

Lui assunse un tono falsamente innocente e sopreso.

« Uhm, sì, circa una decina di volte negli ultimi due giorni. Decisamente troppo poco per i miei gusti. » commentò, e mi afferrò per il colletto della camicia trascinandomi dolcemente verso di sé. La costola mi implorò pietà, ma la misi a tacere, imbavagliandola in un angolo della mente dove non potevo sentirla.

Le nostre labbra si incastrarono perfettamente, schiudendosi lentamente. Gli presi il viso tra le mani mentre lui mi circondava il collo con le braccia calde. Il suo profumo mi intontiva e mi ritrovai in fretta sopra di lui, col fiato corto.

« Fermo, non ti sei ancora rimesso, ti farai del male... » gli sussurrai tra gli ansimi. Lui per tutta risposta mi baciò di nuovo.

« Non potrebbe interessarmi di meno. » mormorò, il suo alito caldo sulle mie labbra.

Aveva appena scatenato la bestia che avevo dentro e non ne era consapevole.

Gli morsi il labbro e lo sentii gemere. Avevo il terrore di frantumarlo, di sbriciolarlo, ma avevo talmente tanta voglia di lui, delle sue labbra, della sua pelle, che la mia mente non riusciva quasi a fermarsi per pensare.

Kurt mi passò lentamente le mani sotto la camicia, accarezzandomi la schiena bollente e procurandomi brividi di atroce piacere. Mi slacciò i bottoni e me la sfilò con dolcezza.

Non vedendo ogni sensazione corporea era quadruplicata, ogni brvido mi scuoteva l'anima e mi fondeva sempre di più con lui.

« Sei sicuro? » mormorai, mentre gli sfilavo la T-shirt con facilità.

Lui mi baciò la punta del naso.

« Più che sicuro. »

La sua pelle, a contatto con la mia, si sfregava provocandomi la pelle d'oca. I nostri respiri, trattenuti appena, si fondevano, intrecciandosi sulla nostra lingua e nei nostri cuori che si univano l'uno all'altro con spasmodica passione.

Gli misi le mani sui fianchi e lo attirai a me, mentre i nostri petti si toccavano. Sentivo il suo cuore battere freneticamente contro la mia pelle.

Era come rinascere.

I pantaloni scivolarono via in fretta ed un flash mi giunse veloce agli occhi: la pelle lucida e sudata di Kurt, i suoi occhi brillanti ed enormi, le sue labbra umide di baci che non smettavamo di scambiarci.

Le lenzuola calde ci avvolgevano e, preso dalla frenesia, quasi nemmeno mi accorsi di entrare in lui, venne tutto naturalmente, ma quel contatto quasi mi uccise.

Capii che non avrei mai più desiderato altre labbra, nè altre mani, ne altra pelle, ne altre emozioni come quelle che lui era capace di farmi provare.

Non erano fuochi d'artificio, era un'esplosione nucleare corrosiva, radioattiva e distruttiva che volevo mi contagiasse per intero e mi divorasse. Era così piacevole, così forte, così dolce che esplodemmo all'unisono.

Poggiai la mia fronte sulla sua e sentii le lacrime scendergli sulle guance e bagnargli le ciglia.

« Ti amo così tanto, Blaine. Così tanto che la felicità oramai porta il tuo nome. » mormorò, mentre lo circondavo con le mie braccia e lui si accoccolava su di me.

Quella era la felicità che avevo sempre cercato, la realizzazione che non riuscivo a trovare. Tutto questo si poteva riassumere in un sono nome: Kurt.












--------------------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Mi dispiace, non ho nulla da dire. Cioè mi sono alzata alle due, questa notte, per vedere l'episodio.
Ho pianto come una povera inetta disperata. 
Il loro amore è così forte che fa impallidire qualsiasi altra coppia. 
La loro dolcezza mi distrugge con lentezza.

Ho voluto aspettare di vedere l'episodio prima di scrivere definitivamente il capitolo.

Grazie a tutti per essere giunti fino a qui, è un onore essere letta da voi.
Un onore e uno sconfinato piacere.

Vorrei dedicare il capitolo a Clara e Chiara che, in classe insieme, discutono di questa fic e mi fanno molto felice.

Grazie.

Vostra,
{noth

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Capitolo 20
*** I wanted to stop. ***


I wish you could see.
-Capitolo 20-






La fantasia era diventata una realtà in cui ero felice. Tutto brillava, i colori erano troppo accesi, il mio corpo pulsava pieno di vita, era come se fossi stato drogato. Tutto odorava di Kurt e, questa volta, era un profumo pungente, forte, che mi stordiva. Ero disteso sotto le coperte, sul mio petto poggiava la sua testa. I suoi capelli mi si appiccicavano al petto sudato mentre lui dormiva. Era come aver scovato la perfezione, come aver trovato la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, come aver fato un senso ad un puzzle a cui mancava un pezzo.

Ero sempre stato così sbagliato, per qualche motivo, ora invece mi sentivo bene. Era la morte dei miei sensi: non potevo sopportare tanta dolcezza.

Non mi preoccupavo nemmeno per gli altri, probabilmente era mezzogiorno ed erano tutti in mensa.

Sentii arrivare un flash e buttai l’occhio su Kurt, che riposava pacificamente, respirando piano. Aveva gli occhi chiusi, le ciglia lunghe gli creavano delle ombre morbide sugli zigomi. La pelle pallida e morbida, frutto di ore di peeling mattutino, era colpita da dei raggi di luce e sembrava brillare. Il calore solare mi scaldava come una stufa e pareva impossibile, in quella situazione, che fuori fosse oramai dicembre. Non riuscivo a pensare al freddo, né al vento gelido, né a nulla che non fosse il contatto col corpo di Kurt che era attaccato al mio. La sua mano mi si poggiava lieve al lato del mio torace e, per qualche istante, rividi i momenti in cui pensavo per lui non ci fosse più nulla da fare. Sbattei le palpebre più volte e scacciai quel pensiero, tornando vedere il buio.

Come se Kurt percepisse quello che provavo si svegliò, muovendosi di scatto.

« Ho sonno. » disse, come se qualcuno lo avesse svegliato di proposito.
« Non ti ho svegliato io, giuro. » mormorai, baciandogli i capelli. Lui rabbrividì e si ficcò sotto le coperte ancora più profondamente, strisciando la guancia sul mio petto e facendomi trattenere il respiro.

« Hai mai pensato che le cose sarebbero potute essere così perfette? » chiesi, sovrappensiero.

Lui fece una smorfia.
« Non direi perfette, la perfezione è una strada ad uscita multipla. » disse, con la voce ancora impastata dal sonno.
Rimasi spiazzato.

« Che intendi? »
Lui si morse il labbro e continuò.
« Nel senso che ci sono un milione di cose che dovrebbero aggiungersi a tutto questo per ottenere la perfezione, altrimenti, se si aggiungessero, cosa diventerebbe? Una super perfezione? Nah. » storse il naso.

Non volevo dare a vedere di esserci rimasto troppo male, quindi mi affrettai a dire qualcosa.
« Ad esempio cosa potrebbe aggiungersi? »
Lui sospirò, pesantemente.

« Potrebbe guarire mio padre, potrebbe tornare in vita mia madre, potrei vedere di nuovo, potrei intraprendere la carriera che avevo sempre sognato. Cose così. Cose che per me significano ancora molto. »

Ecco cos’era così importante per lui che per me non contava: la famiglia. I miei genitori erano una grande seccatura. Nel periodo di Ognissanti non erano venuti a trovarmi, per fortuna, ma mi era bastato vederli in ospedale per farmi passare la voglia di stare in loro compagnia. Chissà cosa avrebbe dato Kurt per parlare di nuovo con sua madre o suo padre.
Inoltre un’altra grande differenza tra noi era che io non puntavo ad una carriera. Certo, mi sarebbe tanto piaciuto fare il musicista, ma non era poi così importante. Sarei rimasto volentieri a casa, a cucinare e ad arredare un ipotetico appartamento tutto mio. Avrei fatto la casalinga e sarei stato anche fin troppo bene, con un tetto sopra la testa, un piatto caldo e una persona accanto. A me sarebbe bastato.

« E quindi ti accontenti? » chiesi, cercando di non suonare accusatorio.

Non volevo litigare, non ora. Ero sempre stato terribilmente permaloso ed orgoglioso ma non volevo che questo si mettesse tra me e Kurt.
Non volevo, eppure non riuscivo a fermare la rabbia che, come al solito, mi travolgeva come un fiume in piena.
« No, no Blaine, non intendevo... »

Rotolai lateralmente, mentre mi urlavo di smetterla, di essere ragionevole e capirlo. Di non rovinare tutto.

« Intendevi che non basterei io a rendere il tutto completo. » dissi, con tono duro. Lui mi prese il viso tra le mani.
« Ah no, eh, non fare come al solito che ti senti messo da parte e scappi via imbronciato, va bene? » sbottò. « Non intendevo dire che non mi basti tu. Tu mi fai felice, con te sto in paradiso. Questo non conta? La perfezione di cui parli è così importante? »
Gli presi i polsi, non osando stringerlo nonostante fossi arrabbiato, e lo allontanai da me.

« Non è questo, Kurt. È che hai un concetto di perfezione talmente alto che mi viene da pensare che forse non ci rientrerò mai. » gridai, scivolando giù dal letto e tastando il pavimento alla ricerca delle mie mutande e dei miei vestiti. Fu un impresa alquanto ardua visto com’erano sparsi per il pavimento.
Sentii le lenzuola frusciare, segno che Kurt doveva essersi faticosamente messo a sedere.

« Non so se non vuoi capire o non capisci, Blaine, tu hai una famiglia ancora viva, e poco importa se non ti piace, ce l’hai, e questo e molto più di quanto io potrò mai avere. Hai una voce spettacolare, sei in gamba e sai suonare diversi strumenti. Non hai nemmeno troppe pretese, quindi per questo ti è più facile accettare le tue condizioni. Inoltre ora hai pure questi flash in cui vedi... io è dieci anni che non so come è fatto il mondo. Dieci anni, Blaine. Non so nemmeno come sono! Se sono alto, come stanno i miei capelli e no, non so nemmeno il colore dei miei vestiti perché quelli che ho ora non sono più quelli di quando avevo dieci anni, che conoscevo a memoria. Me li hanno comprati e la cosa mi da un fastidio immenso perché sì, mi era sempre piaciuto da morire fare shopping. Mi dispiace non avertelo detto, ma mi metteva a disagio. » borbottò. « Non credi che possa pretendere qualcosa di più? Non è perché non mi basti tu, ma perché non mi basto io. » spiegò, infilandosi la maglietta con un suono secco.

Mi accucciai, abbracciandomi le ginocchia, oramai completamente vestito.
Rischiavo di esplodere.

Era tipico di lui girare le cose a suo favore. Era la sua tecnica, ma aveva ragione.
Il problema era che ero io a non voler sentire ragioni.
Perché non poteva dirmi che ero il suo tutto e basta? Ero davvero così tanto uno sciocco romantico senza speranze?
Mi risposi da solo: .
Dovevo smetterla di pensare che l’amore fosse il fulcro del mondo. Sì, lo era, la attorno vi ruotavano cose ugualmente importanti.

Ero così diverso.
Kurt me lo ricordava spesso, mi teneva coi piedi per terra nonostante fosse anche l’elio che mi gonfiava e mi portava verso l’alto come un palloncino impigliato tra i rami di un albero.

« Io... meglio che vada a vedere come se la passa Mark. E ho delle cose da studiare. » dissi, mentre il mio vero io, incatenato dall’orgoglio, lottava per liberarsi, correre ad abbracciare Kurt e chiedergli scusa.
« Ma non siamo ammessi ai corsi fino a... » Kurt allungò una mano verso di me e mi sfiorò.

« Ti prego. » lo interruppi. « Ho bisogno di andarmene. Non è che voglio essere il tuo tutto, Kurt, non lo pretendo, anche se sarebbe tutto quello che vorrei, ma è che per me tu sei come la gravità. Sei una misteriosa forza fondamentale che mi tiene attaccata a sé ed io amo questa gravità. Perché sono terribilmente ed irrimediabilmente innamorato di te Kurt, non so se lo capisci. » sentii il petto attorcigliarsi per il dolore provocato da quelle parole. « Vorrei solo avere la certezza di contare altrettanto per te. Sapere che non è così mi uccide Kurt. Mi uccide. » dissi, dirigendomi verso la porta a tentoni, pur sapendo molto bene dove si trovava. Afferrai la maniglia al primo colpo e, dopo un attimo di esitazione, uscii.

Ero un idiota e stavo male. Male da morire.
Dovevo smetterla di rischiare di mandare tutto a puttane con Kurt, eppure non riuscivo a farne a meno.







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Spazio Autrice:
Scusatemi tantissimo per il ritardo, sono stata un po' lenta e mi dispiace!

Purtroppo non può essere tutto rose e fiori tra loro, sono troppo diversi e Blaine è troppo sulla difensiva su certi argomenti.
Ora entrerà in scena un vecchio amico che ben conosciamo dai capitoli precedenti.

Spero che vi piaccia ancora molto la storia e che vi sia mancata almeno un po'!

Le 117 recensioni sono tutte dei regali stupendi che mi fate. Con voi è sempre Natale.

Vostra,
{noth

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Capitolo 21
*** Only death will destroy us ***


I wish you could see.
-Capitolo 21-









Per qualche strano motivo ci vedevo. Era tutto buio attorno a me, ma avevo in mano una candela e qualcosa mi diceva di andare avanti a camminare in quel nulla. Era freddo ed indossavo solo una t-shirt bianca e dei pantaloni blu del pigiama. Rabbrividii, circondandomi il petto con un braccio, per scaldarmi, dato che la fiamma della candela sembrava gelida come quel corridoio.

Mi guardai intorno e dovetti ammettere che, effettivamente, non ero nel nulla. Cominciavano a delinearsi delle pareti che dovevano essere state bianche, ma erano troppo in ombra per dire se davvero lo fossero. Allungai il braccio che teneva la candela e cercai di illuminare il muro alla mia sinistra, accorgendomi di essere scalzo. La luce illuminò una foto, una gigantografia che riconobbi, in bianco e nero e piena di scritte. Mi avvicinai ancora di più ed osservai i volti che quella foto ritraeva.

Ero io, attorniato dai miei ex migliori amici. C’erano Adam, Tommy, Lucas e pure Jellie, la ragazza maschiaccio. Erano tutti in macchina con me al momento dell’incidente. Lucas guidava, cantando assurde canzoncine natalizie.

La foto però, anche se ci ritraeva sorridenti, aveva qualcosa di strano. C’erano quelle scritte a lato e quei segnacci fatti a pennarello che ci deturpavano il volto.

Anzi, no. Deturpavano solo il mio.

Avevo due baffi sbilenchi e i denti cancellati ad alternanza. Inoltre mi avevano disegnato una coda di maiale e un fumetto che diceva: “Sono un frocio, nessuno fotte come me.”

Arretrai di scatto e la candela mi cadde di mano mentre cercavo di capire che stesse succedendo. Avevo la sensazione che fossero stati loro a rovinare quella foto, felici di essersi finalmente liberati del peso che ero. Era la prima volta che sentivo veramente la mia omosessualità come qualcosa di sbagliato.

Tremai, la fiamma della candela rimase accesa, intoccabile ed eterea. La cosa più strana era che non mi sorprendevo di poter vedere. Era tutto normale. Tutto come una volta. Tutto come quella squallida e annacquata vita che avevo avuto prima della cecità. Prima di Lui.

Qualcuno raccolse la candela al mio posto e, nonostante la visuale avrebbe dovuto essere ridotta, riconobbi all’istante le mani di Kurt. Teneva in mano la candela con aria triste. Mi guardava ed arricciava il labbro come a trattenere le lacrime.

Non sapevo cosa dire.

Lo continuavo a fissare, la bocca spalancata nel tentativo di dire qualcosa ma era come se avessi avuto una ragnatela in gola che catturava ogni suono che cercavo di emettere.

« Non voglio più stare con te, Blaine. » disse Kurt, la voce stridula. « Non voglio perché non fai altro che ferirmi ed io non sto bene. » continuò.
Cercai di ribattere, il cuore a mille ed il sangue che correva frenetico per tutto il corpo. Aprivo la bocca ma nulla ne usciva. Non riuscivo a spiegare, non riuscivo a trattenerlo.
Una lacrima gli solcò il viso, lenta, ed ogni millimetro che percorreva era uno strappo sul mio cuore. I suoi occhi grandi mi fissavano, troppo grandi, troppo atrocemente tristi, troppo accusatori.

No, Kurt, ti prego non lasciarmi.

« Eri il mio angelo, ti amavo così tanto. Così tanto. Perché mi hai fatto questo? » iniziò a singhiozzare e le sue lacrime colpirono la fiamma della candela, che però non si spense. « E’ tutto finito ora. » disse, la voce gli si spezzò in gola e fece qualche passo verso di me. Il suo viso era tutto ciò vedevo, mi stava ad una distanza minuscola, i suoi occhi erano inchiodati nei miei ed avrei voluto correre, abbracciarlo ed impedirgli di andarsene.

Per qualche motivo non ci riuscivo.

Mi poggiò una mano sulla guancia ed io non riuscii a muovere un muscolo. I miei nevi erano tesissimi, quasi come se volessero afferrare la sua mano e tenerla poggiata su di me. Il mio intero corpo era concentrato su di lui. Era come se fossi diventato una statua di sale.

Senza che sbattesse le ciglia le lacrime gli inzupparono il viso e lui scomparve, portando con sé la candela e lasciandomi al buio più completo. Solo in quel momento riuscii a muovermi, o meglio crollai al suolo, raggomitolandomi e sentendo il dolore pervadermi l’intero petto. Ogni osso del mio corpo sembrava essersi spezzato e gridare pietà.

La voce di Kurt ancora mi inondava i pensieri: “Non fai altro che ferirmi. E’ tutto finito ora.”

Il mio cuore si dimenava come un folle, cercava di uccidermi dall’interno, tentava il suicidio strangolandosi.
E lo capivo.

Gridai, un urlo disumano che squarciò il silenzio e trasmise tutto il mio dolore. Il vuoto traballò, tutto inizio a tremare,le lacrime mi impiastricciarono il viso ed i capelli e poi non ci fu più nulla.



***


« E svegliati, porca miseria! »

Un imprecazione mi fece spalancare gli occhi e, questa volta, non vidi nulla. Solo il caro, adorabile, normale buio che mi diceva che, assurdamente, andava tutto bene. Mi alzai a sedere ed ansimai, in preda ad un attacco di panico. Il sudore mi imperlava la fronte e mi correva lungo la schiena, dandomi una sensazione di fastidio e di ansia. Delle mani mi diedero delle forti pacche sulla schiena e, lentamente, tornai a poggiare la testa sul cuscino, respirando a fondo.

« Pensavo stessi avendo un infarto, cazzo. » sbottò Mark incazzato, sedendosi al lato del mio letto. Doveva essere rientrato dopo che io avevo già preso sonno.

Il peggio era passato, ma ancora mi scuotevano dei brividi ad intervalli regolari e non riuscivo a smettere di tremare.
Il silenzio ci avvolse come una coperta, fino a che Mark sospirò.

« Era solo un incubo, ma sembrava fosse molto peggio. Ah, per la cronaca, non la finivi più di nominare Pinco. » poi ci pensò su. « O era Panco lui? »

Deglutii a fatica e cercai di riprendere il controllo di me. Mi passai una mano tra i capelli madidi e feci un respiro profondo.

« E’ stato terribile. » mormorai. Lui mi diede una pacca sulla spalla.

« Bè... sì, so come sono gli incubi. » borbottò. « Ti va di parlarne? » bisbigliò, quasi come se si stesse sforzando di essere gentile.

Sapevo che era il meglio che poteva fare e mi accontentai, non potendo fare a meno di pensare che avrei voluto Kurt accanto. Anche se ero arrabbiato con lui.

« Kurt. » dissi, come se spiegasse tutto. « Era freddo e lui piangeva e mi lasciava. » ripetei come se fossero le parole più difficili di questo mondo da pronunciare.

Mi si formò un doloroso nodo alla gola, come quando cerchi di non piangere.

« Mh. » commentò lui. « Bè, non era la realtà. »
Io scossi furiosamente la testa,
« Potrebbe diventarlo, e tutto perché sono una grande testa di... »
« Ehi, ehi, take it easy. » mi interruppe. « Qualcosa mi fa intuire che avete litigato. »

Mi girai verso di lui: profumava di dopobarba, forse si era fatto la doccia mentre dormivo. Assurdo, non avevo sentito niente.
« Qualcosa? » chiesi, balbettando.

Lui ridacchiò, e fu quasi la prima volta che lo sentii ridere. Ora che ci pensavo era stranamente gentile. Forse, per la prima volta, si sentiva solidale nei miei confronti.
O forse il sonno gli faceva stranamente bene.
Oppure era schizofrenico.
Decisamente l’ultima.

« Uhm sì, il fatto che le tue scarpe sono sparse per la stanza e ci sono inciampato sopra. Che borbotti nel sonno e che in bagno profuma di fiori e Marsiglia, segno che ti sei messo a spruzzare deodorante come un ossesso, altra cosa che fai solo quando sei sconvolto, confuso ed incazzato: ovvero quando litighi con Pinco. » concluse.
Non credevo proprio che mi avesse analizzato così bene. Forse ero io che non prestavo affatto attenzione a nulla che non fosse Kurt. Ma la cosa non mi toccava: Kurt era tutto ciò che volevo.

« S-sì. Abbiamo litigato. O meglio, io me la sono presa. » spiegai, sulla difensiva, notando che iniziavo a calmarmi.
« Blaine non ti preoccupare. Ho capito subito che lui ti vuole bene sul serio. E tu altrettanto. Legami così li spezza solo... solo la morte. » sussurrò, esitando sull’ultima parola.
« Come lo sai? » domandai. Il tono che usai sembrava molto quello di un bambino con la madre che gli spiega perché non deve aver paura del buio.
Lo sentii passarsi una mano tra i capelli.
« Lo so e basta. Ora torna a dormire, è tardi, e va tutto bene. » disse. Sì alzò e tornò nel suo letto, lasciando una scia di dopobarba.

Rimasi a fissarlo nonostante non potessi vederlo. Quasi sorrisi tra me e me nel vedere che una sorta di rapporto eravamo riusciti a crearlo.

« Ricordati che domani ti devo parlare. » gli dissi. E lui si immobilizzò.
« Non è che perché ti ho salvato da un incubo ora sono tuo amico, eh. » puntualizzò, rigirandosi nel letto.

Mi tirai le coperte fin sopra il naso e sprofondai nel cuscino, cercando di non pensare a Kurt, ma fu quasi impossibile. Era dentro le mie vene, non potevo estirparlo. Mi correva nell’anima.
Era parte di me.
Una parte che non volevo perdere.

« Questo è ovvio. » gli risposi, sperando che, anche se non volevo dirglielo, sapesse che gli ero molto grato.




















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Spazio Autrice:
Dedico questo capitolo a Martina che mi sta aiutando a tradurla in inglese, a Clara che legge sempre, a Miss Prongs, a Marta, a Erika, a Sofia, a Giulia, a Annunziata, a Eleonora, a Luca e a tutte le ragazze del gruppo You're Killing Me Now. 
Siete la migliore famiglia del mondo.

A Aleka, a Black_Hole, a Kklaine, a Shion, Only, e tutte le ragazze che recensiscono.
Grazie.

Per quanto riguarda Mark vedrete.
per quanto riguarda la Klaine vedrete.

Vi amo. Grazie per essere giunti fin qui, è un onore che le mie storie vi facciano compagnia per qualche minuto.

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Capitolo 22
*** What do I have to do? ***


 I wish you could see.
-Capitolo 22-








Il sonno era stato comunque agitato, ma non mi aspettavo di venire svegliato dal suono assordante dello squillare del telefono. Sobbalzai e mi tirai a sedere, cercando a tentoni la cornetta sopra il comodino, accanto al mio letto, con la mano.
Afferrai la plastica fredda e sollevai il ricevitore fino a portarmelo all’orecchio, mentre Mark si rigirava nel letto borbottando oscenità verso l’apparecchio.

« Pronto? » biascicai, la bocca impastata e pervasa da un sapore amaro e fastidioso.
« Pronto, sono Janet. Sei Blaine? » squittì la sua voce dal ricevitore. Come faceva ad essere già alzata? Chissà che ore erano.
« Sì, sono io. » gracchiai. « Che succede? »

Il telefono ronzava, facendomi venire il mal di testa.

« Ho l’ospedale in attesa sull’altra linea. Hanno telefonato e vogliono parlare con te. »
Smisi di respirare : cosa poteva essere successo? Chi si era fatto male?

Deglutire mi fece quasi male.

« Passameli. » risposi, il cuore che batteva freneticamente nel petto.
Dopo un click, la voce cambiò ed un uomo tossì sulla cornetta.

« P-pronto? » balbettai.
« Buongiorno, scusi il disturbo così presto. Parlo con il signor Blaine Anderson? » domandò.
« Sono io, sì, che succede? »

Altri colpi di tosse.

« Chiedo scusa. Sono il primario Robert Martin, l’uomo che la ha visitata nei suoi giorni di permanenza qui al St. James Hospital la settimana scorsa. Volevo solo porle delle domande poiché, osservando gli esami fatti, mi sono venuti dei dubbi di una certa rilevanza. » spiegò, con tono professionale, mentre cercavo di ignorare il brusio che sentivo di sottofondo.

« Che genere di dubbi? » domandai, preoccupato. In parte ero sollevato perché, almeno, il problema riguardava me e non qualcuno a cui volevo bene. Ma poi a chi volevo bene? Solo a Kurt.
E lui stava bene, anche senza di me.
Scossi la testa per scrollarmi di dosso quei pensieri e tornare alla telefonata.

« Lei si limiti a rispondere ed essi troveranno una spiegazione. Le è capitato, ultimamente, di notare forti emicranie? » chiese.

Ne stavo avendo una proprio in quel momento. In realtà, negli ultimi tempi, quasi tutto mi creava mal di testa. Stare con Kurt attenuava il dolore ma, effettivamente, era spesso troppo presente.
Non ci avevo dato poi molto peso, era stata una cosa sopportabile, soprattutto se ero esente dalle lezioni.

« Sì, voglio dire... ogni tanto, nulla di grave. » risposi, vago.
« Questo lo lasci giudicare a me. Passiamo alla prossima domanda: ha mai avuto dei flash indefiniti sulla... intendo se è riuscito a scorgere qualcosa oltre la sua cecità. Attimi di colore, o luce, o addirittura immagini vere e proprie? »

Ecco dove voleva arrivare.
Avevo paura di rispondere, non volevo spere perché accadeva, avevo cercato di evitare di pensarci. Sapevo che la cosa non era normale.
« Ecco io... » iniziai. « Bè ecco... »
La voce al telefono assunse un tono fermo.
« E’ di estrema importanza. »

« Bè, ecco sì. » ammisi, « Ma credevo fosse... »
Lui mi interruppe.
« Si rende conto di cosa significa, vero? »
Mi ammutolii.
« Lei, Signor Anderson, potrebbe stare riacquistando la vista. »

Il mio cielo fu squarciato da un violento fulmine. Una notizia che non avrei mai sperato, un regalo divino che squarciava il mio buio.

Però.
C’era un però.

Da cieco potevo frequentare l’Istituto. Da vedente no.

La mia vita da vedente era stata orribile, un tremendo vuoto che si era allargato sempre di più sotto i miei piedi. Poi era arrivato il buio e quella voragine si era inspiegabilmente riempita.
Di colpo.
Di colpo nel buio qualcuno aveva preso la mia mano e mi aveva sorriso. Quel qualcuno era stato Kurt.

Se fossi tornato a vedere sarei dovuto andare via.

« Quindi? » chiesi, con voce strozzata. Il panico mi aumentava nel petto ad ogni respiro e mi attorcigliava le viscere.

Ero talmente combattuto. Dentro di me imperversava una guerra di emozioni senza esclusione di colpi.
« Quindi vorrei che oggi pomeriggio lei venisse qui per degli accertamenti. Ho già parlato con la signorina Janet Cartwright ed ha detto che sarebbe disposta ad accompagnarla qui in macchina, in modo da evitare che... bè che succeda un altro spiacevole accadimento come quello dell’ultima sua uscita. »

Io e Kurt non avevamo detto ancora a nessuno cos’era accaduto, in molti però avevano tratto le loro conclusioni.

In ogni caso, a pensarci, nemmeno eravamo stati puniti per essere usciti di nascosto, il che era parecchio strano. Forse sul serio credevano in quel fantomatico shock che avremmo dovuto aver subito.
Non capivano che ci bastava essere entrambi vivi. Non ci importava altro.
Almeno a me.

« Va... va bene. A che ora? » chiesi.
« Alle 16.30 ho del tempo da dedicarti. Cosa ne dici? »
Mugugnai in cenno d’assenso.
« Ottimo, lascerò tutte le informazioni alla signorina Cartwright. A questo pomeriggio, saluti. »
Click.

La telefonata di interruppe.

« Si può sapere chi cazzo era? » bofonchiò Mark, la voce ovattata dal cuscino.
Avevo ancora la cornetta in mano, gli occhi spalancati e la testa compressa dai troppi pensieri. Il dolore a questa non faceva che peggiorare e non sapevo neanche io cosa desideravo.

Una volta recuperare la vista sarebbe stato un miracolo, anzi, il miracolo. Ora non sapevo se lo volevo. Ora non importava più come una volta. Ora le mie priorità erano cambiate, ed al primo posto c’era sempre Lui.

« Era... solamente l’ospedale. » risposi, stropicciandomi gli occhi. Cercare di tornare a dormire oramai era impossibile. Non avrei preso sonno nemmeno con delle pillole.
« L’ospedale? » domandò Mark, cominciando a svegliarsi.
« Non ti preoccupare, routine. » risposi, rabbrividendo a contatto con il freddo della stanza. Se c’era una cosa che non funzionava, in quella scuola, era il riscaldamento.
« L’ospedale non è la routine di nessuno, tantomeno tua. » disse. « Non che mi freghi, ma vorrei sapere se sto per avere una singola invece di una doppia. »

Riuscii a fare un sorriso amaro.
« Potrebbe restare singola anche senza che io muoia, ho paura. »
Rimase un silenzio interrogativo che mi lasciò in bocca un sapore neutro e sabbioso che avrei voluto sputare a terra.

« Ti dispiace essere un po’ più specifico? Non so nemmeno che cazzo di ore sono e stavo facendo un sogno niente male. » borbottò, rigirandosi ancora nel letto.
Mi sfilai la maglietta, sentendo ancora più freddo, e pensando di andare in doccia a pensare. Avevo davvero bisogno di lasciare scorrere via tutto quello che avevo dentro. Rischiava seriamente di lacerarmi la pelle e farmi esplodere.

Non rispondere, non rispondere, non rispondere, non rispondere...

« Potrei stare riacquistando la vista. » sussurrai.
Sentirlo dire dalla mia voce faceva ancora più male.
Percepii i rumori dall’altro letto cessare di colpo.

« Mi predi in giro? » sibilò.
« Vorrei. » risposi, sospirando ed alzandomi dal letto con la pelle d’oca a causa del freddo che mi prendeva a morsi la pelle. Mi strinsi le mani attorno al petto.
« Tu sei pazzo. Hai una fortuna sfacciata, porca puttana! » esclamò, sbattendo una mano sul letto. Effettivamente non era da biasimarlo. Tutti quanti, lì dentro, la avrebbero pensata come lui.
« Se riacquisto la vista non potrò più stare qui. » spiegai, dirigendomi verso il bagno e restando sulla soglia.

La pelle calda a contatto con l’aria gelida tremava in tensione. Potevo sentire i muscoli tesi e rigidi.
Mark si lasciò andare ad un colpo di tosse.

« ... Più spazio per me? » azzardò. Non capiva. Proprio non riusciva a vedere le cose dal mio punto di vista.
« Sto parlando di Kurt. » spiegai, spazientito.

Era ovvio, porca miseria, ovvio che c’entrava lui.
Era sempre lui.

« Sei un pelo monotono però, dovresti pensare un po’ più a te stesso. » commentò, lasciandosi andare sul cuscino con un tonfo.

Feci un verso scettico e mi diressi in bagno, aprendo l’acqua della doccia con gesti meccanici.

Kurt era me.
Io ero lui.
Oramai si parlava di una cosa sola. Non riuscivo a pensare a me senza collegarmi in un modo o nell’altro a lui. Era impossibile. Era un’appartenenza asfissiante che levava il respiro ma donava vita. Una dipendenza al quale avevo dato il via consapevolmente.

Mi levai i pantaloni, chiusi la porta e mi sfilai i boxer. Entrai in doccia e l’acqua calda mi avvolse come un magnifico balsamo curativo. Lasciai che il flusso liquido e bollente mi si insinuasse tra i capelli, sotto il collo, dietro le orecchie, lungo la schiena e sul petto. Mi appoggiai al bordo della doccia e chiusi gli occhi.

Cosa dovevo fare?





















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Spazio Autrice:
Sì, l'idea per questo capitolo mi è venuto in doccia, poco sgamabile, no?
In ogni caso spero vi piaccia e vi assicuro che se le cose vi sono sembrate incasinate fin'ora figuretavi in seguito.

Le malattie sono terribili, molte non si possono curare.
So di cosa parlo.
E non so perchè lo sto dicendo.

Questa volta è il caso di dedicare un altro capitolo a Ilaria che, inspiegabilmente, mi ammira.
O meglio mi scrive dei messaggi che mi uccidono e nemmeno lo sa.
O meglio ora lo saprà.
O meglio boh.
O meglio... meglio.

Spero che il capitolo e la storia vi piacciano.
Le recensioni sono sempre super apprezzate e contano moltissimo per me. TUTTE.

Vostra,
{noth

Ps: Avete visto uno degli ultimi disegni di Muchacha?
Vi ricorda niente?
( è esaltata)

http://26.media.tumblr.com/tumblr_lutsadzQmS1qldu0so1_500.jpg

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Capitolo 23
*** Confusion. ***


I wish you could see.
-Capitolo 23-







L’ospedale era nauseabondo come sempre. Il viaggio in macchina era stato tranquillo, accanto a Janet che blaterava cose senza senso solo perché aveva una paura atroce del silenzio. La sua macchina profumava di pino e pizza ed era piccola, almeno considerato il fatto che non ero decisamente molto alto e toccavo tranquillamente a terra con i piedi, anzi, riuscivo quasi a distendere le gambe.

L’odore di anziani e ammoniaca mi faceva pizzicare gli occhi e storcere il naso.

Janet mi tenne una mano sulla schiena e mi accompagnò in una gremita sala d’attesa. Avevo il terrore di inciampare sulle gambe di un qualche vecchietto o, magari, di incappare in un bambino e cadergli malauguratamente sopra. Se avessi potuto vedere sarei potuto essere più tranquillo.

Forse la mia improvvisa guarigione non sarebbe stata poi così tanto una cattiva notizia.

Janet si allontanò, dicendomi che andava a parlare con l’impiegata allo sportello per chiedere del dottor Martin.

Mi strinsi nelle spalle, cercando di impedirmi di farmi troppi complessi e di continuare a pensare al fatto che avrei perso Kurt, perché mi ero già rosicchiato abbastanza le unghie e ormai mi bruciava la punta delle dita.

Mi sedetti sulla prima sedia che trovai vuota e qualcuno mi posò una mano sulla gamba. Mi voltai di scatto e sentii odore di vecchio e di medicine, misto al profumo di zuppa di ceci.
« Tutto bene, giovanotto? » mi chiese un’affabile ed anziana voce gentile.
Feci un sorriso tremolante. Mi era sempre piaciuto quanto i vecchietti si preoccupassero sempre troppo sia per loro per gli altri. Mi faceva tornare in mente mia nonna quindi, tutto sommato, il mio sorriso era genuino.
« Abbastanza, signore, grazie. » risposi.

« Sei pallido e non fai altro che tenere lo sguardo fisso. » commentò, lasciandosi andare ad un attacco di catarrosa tosse.
« Questo perché sono cieco. » mormorai, cercando di assumere un’aria gentile.

Il signore rimase in silenzio per qualche minuto e, infine, mi diede una stretta confortante alla coscia dove aveva poggiato la mano poco prima.
« Ci sono cosa peggiori. » borbottò.
« Me ne sono reso conto, sì. » risposi.

La mia mente già vagava lontana, quando una voce troppo conosciuta mi portò alla realtà.
« Sì, nessun problema. Aspetterò nella sala d’attesa. »
La voce squillante di Kurt.

Che ci faceva lì? Perché ero condannato a doverlo avere accanto anche nei momenti in cui avrei dovuto stare da solo per mantenere una certa lucidità?

Poi una voce strillò, mentre mi agitavo.
« Il signor Rodulphus Laurens! »

Ed il vecchio accanto a me si alzò, liberando la sedia. Con lui se ne andò anche il suo odore, rimpiazzato da quello di Kurt che si era avvicinato.
Lo sentii posare le mani sulla sedia e tastarla.
Si volse verso di me, sentii il fruscio della sua pelle, mentre me ne stavo rigido e seduto come se fossi incollato.
« E’ libero questo posto? Posso sedermi? » chiese.
Stetti un po’ troppo in silenzio e tentai un goffo tentativo di camuffare la mia voce, senza molti risultati.
« Ehm certo, si sieda pure. »

Kurt quasi cadde dalla sedia mentre vi si appoggiava.
« Blaine? » strillò ad un tono di voce così acuto da sembrare quasi un ultrasuono. Avvampai. Il suo udito era stato ottimo come al solito. « Cosa ci fai qui? »
« Potrei farti la stessa domanda. » risposi, lui sbuffò mentre il brusio della sala d’attesa aumentava.

Il mio mal di testa era direttamente proporzionale a quel chiacchiericcio.

« Sono qua per venire a trovare mio padre. Pensavo di sistemare le cose tra me e te domenica, così ho approfittato di oggi. Mi ha accompagnato Paul, un collega di Janet. »
Non seppi cosa rispondere.

Lo amavo, ero così felice che fosse là con me. La mia roccia ferma in mezzo alla tempesta, ma c’era troppa confusione dentro di me, troppa rabbia, troppa indecisione sugli ultimi accadimenti e, inoltre, non mi era ancora passata l’arrabbiatura per l’ultima discussione.
Questa volta lasciar perdere mi stava risultando molto difficile.

« Tu? » domandò. « Sta male qualcuno? Perché non mi hai detto niente? »
Scossi la testa, respirando a fondo.
« E’ solo un accertamento per i soliti flash. » spiegai.
A chi volevo darla a bere?
« Accertamenti? »
Prima o poi avrebbe dovuto comunque saperlo.
« Potrei stare tornando a vedere. » dissi, freddo.

Fu come se tutto attorno a me si congelasse. Rabbrividii.
« Signor Blaine Anderson? » disse una voce, ed alzai lo sguardo. « Prego, mi segua. »

Mi misi in piedi e Kurt mi prese un polso, la mano tremante.
« Sai cosa significa questo, vero? » sussurrò, e seppi che aveva capito subito qual era il mio problema.

Mi sottrassi alla sua presa, stringendo i denti, e mi diressi a tentoni verso la voce che mi aveva chiamato. Era tutto uno schifoso incubo.
Strinsi i pugni.
 

 
***

 
Il medico si presentò gentilmente e mi fece le stesse domande che avevo sentito per telefono.
Risposi in egual maniera anche se, spesso, mi richiese di essere più specifico.

Mi domandò più volte di fissarlo, mi prese il viso e disse che mi stava puntando contro gli occhi una torcia da diverse angolazioni. Mi concentrai per cercare la fonte del mal di testa e riuscii ad avere un flash del primario.

Era un uomo sulla quarantina, relativamente giovane, con un principio di barbetta incolta e due grandi occhi verdi nascosti dietro un paio di occhiali spessi. Scribacchiava su un foglio e trascriveva a computer. Mi lanciò un’occhiata prima che tutto tornasse buio.

Mi chiese dettagli specifici su quando avevo avuto questi flash e mi portò a fare un’altra TAC, oltre a quella già fatta dopo il pestaggio, ed una risonanza magnetica. Mi toccò gli occhi e mi tastò la nuca.

Dopo un’ora e mezza chiuso in quell’ufficio finalmente sentii che la tortura stava per finire.

« I miei sospetti erano fondati. L’emorragia che ti aveva causato la cecità si sta ritraendo a causa della seconda contusione riportata. Il nervo ottico è come se stesse lentamente ritornando in vita ma, per completare la sua opera, sarebbe necessario un intervento di riassorbimento dell’emorragia. È un intervento delicato ma di normale amministrazione. Sarebbe di nuovo tutto come prima. »

Respirai a fondo, chiudendo le palpebre e toccandomi gli occhi ciechi, sentendo la pupilla muoversi sotto le mie dita.
Avrei potuto tornare a vedere tutto. Il sole, la pioggia, gli strumenti musicali, i colori, i vestiti, il mio viso allo specchio… Kurt.
Però sarei stato strappato a lui.
Non riuscivo ad acconsentire all’intervento con quel pensiero fisso in testa.

« Perché non hanno capito prima che la causa della mia cecità era questa emorragia? » domandai.
Lui trattenne il respiro qualche istante per poi espirare in una sorta di curiosa esasperazione.
« Perché è molto difficile arrivare a pensare, subito dopo un incidente, che possa essere quella la causa. Poteva essersi reciso il nervo o magari danneggiata quella parte di cervello. Non è per vantarmi, ma sono un medico davvero bravo, non biasimo i miei colleghi per non averlo capito subito. »spiegò, alzandosi dalla sedia e cominciando a camminare per l’ufficio.

« Quindi cosa ne dici? »
Respirai a fondo.
« La chiamerò entro un paio di giorni per farglielo sapere. Ho davvero bisogno di pensarci. » affermai.

Il medico sembrò schiantarsi contro qualcosa.

« Cioè… davvero vuoi pensare a se vuoi tornare a vedere? » domandò sconcertato.

Annuii.

« Una volta questa sarebbe stata la mia priorità, ma a volte nella vita incontri delle persone che… spostano il baricentro del tuo mondo. »
Il medico non rispose e, con un silenzio comprensivo, mi accompagno alla porta.

« Aspetto tue notizie. Ci sentiamo, Blaine. » disse con tono serio.
Uscii nuovamente nell’atrio.
« Le avrà. » risposi, e deglutii e fatica.














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Spazio Autrice: 
Dedico questo capitolo a 
Harmony89
DaltonWarbler93
Che mi hanno lasciato delle magiche e dolcissime recensioni.

E per la prima volta.... SPOILER da prossimo capitolo!
Entrai nella stanza bussando.
"Chi è?" chiese Kurt, la voce sommessa.
"Sono io. " dissi, avanzando verso dove avevo sentito provenire la risposta.
Kurt si lasciò sfuggire un singhiozzo.
Oh, no, stava piangendo.



Ed ora GRAZIE di cuore per essere arrivate fino a qui.
Siete state tutte magnifiche.
Spero che vi piaccia ancora come all'inizio.

Vi lascio dove potete trovarmi.



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Capitolo 24
*** As if you weren't there. ***


I wish you could see.
-Capitolo 24-







« Kurt è nella stanza di suo padre. » mi disse Janet non appena mi vide.

La fissai sorpreso.
« Non ti ho ancora chiesto niente. »

Lei sbuffò.
« Credo di essere capace di anticipare le tue domande. Parli solo di Kurt. »

Incassai la testa sulle spalle.
« Vieni che ti accompagno prima che tu muoia perché non hai il coraggio di chiedermelo. » sbuffò. « A proposito, il primario mi ha detto dei tuoi occhi. Che hai deciso di fare? »

Alzai le spalle mentre mi trascinava per i puzzolenti corridoi stantii dell’ospedale.
« Deciderò. » spiegai, per la seconda volta. « Ho altre priorità. »
Janet strinse la presa sulla mia mano.

« Attento a non dimenticarti di te stesso. »


 
***



Entrai nella stanza bussando.
« Chi è? » chiese Kurt, la voce sommessa.
« Sono io. » dissi, danzando verso dove avevo sentito provenire il suono.

Kurt si lasciò sfuggire un singhiozzo.
Oh, no, stava piangendo.

Costrinsi le mie gambe a camminare. Mi marciva il cuore a sentire il dolore traboccare dal corpo di Kurt. A stento tratteneva i singulti. Come facevo ad essere arrabbiato con lui? Non ci riuscivo, il mio cuore si rifiutava, non mi ricordavo nemmeno come si faceva.
« Kurt… io… » mormorai, avvicinandomi al lettino dove immaginavo stesse suo padre. Riuscivo dannatamente bene ad immaginarmi lui, ricurvo sul genitore, che gli teneva la mano fredda.

Il bip continuo dei macchinari attorno a noi scandiva il tempo in maniera dolorosamente lenta.
« Dovrei… dovrei esser felice per te. » mormorò, non riuscendo a smettere di emettere quel suono, come se stesse cadendo a pezzi.

Mi misi accanto a lui e rimasi in piedi.
Mi stavo spezzando anch’io.
Immaginavo il ragazzo che amavo che correva nella stanza del padre in ospedale, in lacrime, e che raccontava il suo dolore a quel corpo che non poteva più confortarlo e rassicurarlo. Avrei voluto prendere un bisturi e piantarmelo nel petto.

« Ma non ci riesco. Non andare via, ti prego, non andartene. Non lasciarmi anche tu. » sussurrava mentre quasi mi pareva sentire il rumore del suo cuore che si infrangeva. Poi si volse verso di me, di colpo, al punto che, dove avevo appoggiato le mani sulle sbarre di contenimento del letto, mi bagnarono le sue lacrime.
Lacrime che aveva cercato a lungo di controllare, che erano il sangue che sgorgava da una ferita che io avevo aperto.

« Avevi ragione: senza di te non c’è nulla. L’altro giorno…eri sul serio la mia vita. Non la mia perfezione, ma il mio tutto sì. Non mi interessa la perfezione se accanto a me ci sei tu. Non riesco… non riesco neanche a respirare al pensiero che te ne andrai. » il lamento che lo scosse poi fu come il suono di un animale nel momento in cui cessa di vivere.

Caddi in ginocchio, lo sguardo vitreo e le lacrime che mi uscivano dagli occhi senza che sbattessi le palpebre.
« Non vo… non voglio andarmene via. Io voglio restare con te. Tutta la vita. Tutto quello che ho vissuto prima mi sembra solo una patetica e sbiadita ombra. Kurt, ti prego, perdonami, non ho chiesto io di tornare a vedere. »

Mi voltai lentamente verso di lui, le spalle che tremavano ed il petto che sembrava esplodere.

Ecco arrivare un altro flash: il suo viso era voltato verso il mio, gli tremavano le labbra e gli occhi brillavano di lacrime che continuavano a solcargli il viso come gocce di sangue. Le ciglia erano incollate tra loro, zuppe, ed aveva gli occhi e le guance rosse. La patina bagnata sugli zigomi e lungo il collo rifletteva la luce della stanza.

Ecco, era successo: mi ero spezzato.

Il cuore, l’anima, il corpo.
Basta.
Non avevo mai visto così tanta sofferenza, tanta disperazione nel volto di nessuno.
Il buio mi avvolse di nuovo.

« Blaine per quanto mi faccia male tu devi tornare a vedere. Anche se questo mi uccide non… non puoi restare cieco per me. » mormorò, cercando di calmarsi.
« Per te lo farei, lo sai. » risposi, appoggiando la testa sulle sbarre del letto.

Ed eccoci là, come due stupidi, a volerci e a correre contro vento nel tentativo di rimanere assieme.
Quante difficoltà avevano cercato di distruggerci?
Quante lacrime avevano provato a soffocare il nostro amore?
Ma era troppo forte. Al punto che forse sarebbe sopravvissuto anche se io fossi morto.

« Non so che fare. » gemetti.
« Resta con me. Però torna a vedere. » suggerì.
« Se torno a vedere mi manderanno via. »

Lui scosse freneticamente la testa, cercando di controllare i tremiti.
« Non se il preside non lo viene a sapere. Basterà fingere. Dobbiamo solo corrompere Janet. »

Aveva senso ma suonava tanto di nuovo come una pazzia che sarebbe finita male, come l’ultima volta.

« Non posso sopportare di avere questa fortuna e tu no. » dissi, la voce mi tremava palesemente. « Non riesco ad essere egoista quando si tratta di te. »
Lui tirò su col naso, espirando come una quasi risata.
« Neanche io. » soffocò un singhiozzo. « Ma in questo caso non posso permettermi di chiederti di restare cieco per me. È fuori discussione. Che rapporto potre… potremmo mai avere poi? »

Sarei rimasto con lui anche con le gambe spezzate e le dita mozzate, non so se lo avesse compreso. Però lo capivo.
« Sarà un casino. » mormorai, passandomi il dorso della mano sotto il naso.
« Papà dice che andrà tutto bene. » gemette Kurt facendo frusciare le lenzuola del letto del padre.

Sorrisi amaramente e mi impedii di pensare al viso di Kurt in quel momento.
« Non mi sono neanche presentato. » dissi, dopo qualche istante di silenzio in cui riacquistavo il controllo di me.
Kurt espirò, quel sospiro che si emette quando si ride mentre si piange.
« Hai ragione. » squittì. Mi prese la mano, umida e bagnata. La sua tremava. « Papà, questo è l’uomo della mia vita. Non avete avuto occasione di incontrarvi prima. Si chiama Blaine. » disse, rivolto al padre.
« Pi-piacere. » mormorai, in imbarazzo. La mano di Kurt sulla mia, anche dopo che avevamo fatto l’amore, mi sembrava comunque sempre un contatto incredibilmente speciale ed intimo. Dovevo essere malato.

Kurt sospirò.
« Spero solo che senta. »

Mi abbracciò di colpo, come un naufrago che trova un’isola nel mezzo di una tempesta in mare aperto. Si aggrappò a me e scoppiò di nuovo a piangere, crollando quasi a terra, inzuppandomi la felpa e inondandomi del suo profumo.
Mi promisi di farlo felice sempre, sicuro che lui avrebbe per sempre reso felice me.


















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Spazio Autrice:
Purtroppo oggi non è stata una grande giornata, il mio problema di salute è peggiorato e questo si è ripercosso sulla fic.
Spero comunque che vi piaccia perchè la ho sentita molto vicina. 

Vi consiglierei di ascoltare la canzone "9 Crimes" leggendo questo capitolo.
E' la mia colonna sonora del giorno.

Ho un mal di testa atroce quindi perdonatemi se ora dimenticherò qualcuno:
Grazie a:
Aleka
Marta
Assunta
Erika
Eleonora
Annalisa
Martina
Ilaria
MissProngs
Chiara
Clara
Annunziata
Luca
Antonio
Beatrice
Greta
Sofia
Nancy
Lia

Ilaria Pinguina
Grazie
Grazie per farmi sentire speciale
Grazie per dirmi che qualcosa valgo
Grazie per darmi la felicità.

Vostra,
{noth

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Capitolo 25
*** Is it because of Kurt? ***


I wish you could see.
-Capitolo 25-




 

 
Avevo acconsentito a fare l’operazione. Kurt aveva detto che saremmo riusciti a restare assieme e, per quanto scettico, non riuscivo a non fidarmi di lui.
Avrei parlato con mio padre, ero sicuro che avessimo degli interessanti avvocati disposti a convincere la scuola a farmi restare. Avrei fatto tutto il possibile.

Per la prima volta utilizzai di mia spontanea volontà il telefono della mia stanza, mentre Mark, dal rumore, ascoltava la musica ad un volume che avrebbe presto portato i suoi timpani al suicidio.

Digitai il numero di lavoro di mio padre con il dito che tremava. La cornetta mi urlava il suo tu-tu nell’orecchio finché, dopo parecchio tempo, qualcuno parve rispondere.

“Pronto? Robert Anderson.” La voce di mio padre tuonò dal telefono facendomi vibrare il padiglione auricolare.

« Sono Blaine. » risposi, e sentii la musica sparata a palla nelle orecchie di Mark fermarsi di colpo, immergendomi nel silenzio.

“Oh, ciao figliolo.” Abbassò la voce. “Che succede?”

Mi ripetei una decina di volte che gli stavo chiedendo un favore per la prima volta in tutta la mia vita e che mi avrebbe permesso di stare con Kurt nonostante l’essere un vedente.

« Mi serve un favore da te.  Mi hanno chiamato dall’ospedale ieri e mi hanno fatto visitare perché avevo dei flash e delle emicranie. Il succo della cosa è che potrei tornare a vedere grazie ad un’operazione. » feci una pausa. Ancora dirlo mi sembrava impossibile. Mark si lasciò andare ad un colpo di tosse.

“E’… fantastico, Blaine. Se è dei soldi per l’intervento che hai bisogno…”

Lo interruppi. Sapevo fin troppo bene che per noi i soldi non erano mai stati un problema.
« Quelli sono l’ultimo dei miei problemi. Ho chiamato per chiederti un’altra cosa. » respirai a fondo. « Io voglio restare in questo Istituto anche da vedente.
In ogni caso l’operazione avrà bisogno di tempo per stabilizzarsi, non sarà tutto immediatamente perfetto. Oramai è il mio Senior Year e voglio poterlo terminare qui. Basterà falsificare qualche carta, parlare col preside e… che ne so… attivare il tuo plotone di avvocati… »

Al telefono calò il silenzio mentre mi mordevo nervosamente l’interno della guancia e mi tremavano le mani.

“E’ per quel Kurt?” domandò, serio.

« Me lo devi, papà. » risposi.

Lui sospirò a fondo e riuscii ad immaginarmelo troppo bene mentre, con disappunto, si afferrava la radice del naso. Il silenzio aumentava la mia ansia. Era la mia unica possibilità e, in quel momento, mi pentii di non essere stato abbastanza gentile con loro. Forse sarebbero stati più spinti ad aiutarmi se fossi stato un figlio modello. Ma non lo ero. Come potevo esserlo? Ero diventato cieco, ero merce avariata.

Almeno secondo loro.

Kurt non era affatto merce avariata, anzi, era perfetto.

“Va bene. Vedrò di sistemare questa cosa ma…” fece una pausa. “Blaine?”

« Dimmi papà. »

Uno sbuffo esausto.
“Ricordati che ho fatto questo per te e smettila di trattarmi come se non ti capissi. Io ti capisco.”

Oh, perfetto, era il momento di una paternale. Non era che non gli volevo bene, era mio padre dopotutto, ma c’era qualcosa, dentro di me, che mi impediva di andare d’accordo con lui.
Chiamiamola adolescenza.

« Sì, papà, lo so. È che a volte non sembra. Comunque allora posso fare affidamento su di te? Non mi devi preoccupare? Posso fidarmi e sapere che andrà tutto bene? »

Mio padre rise lievemente al telefono, con quel suo grave timbro di voce che non somigliava per niente al mio.

“Figlio mio, se c’è una cosa che ancora non sai è quanto so essere persuasivo. Inoltre non sarà difficile sistemare le cose dato che tutti gli studenti della scuola non possono capire se ci vedi o no. Non ci saranno problemi.” Mi rassicurò.

« Okay… grazie. » borbottai, facendo un respiro di sollievo e consapevole che, se c’era una cosa in cui lui era bravo, questo era il suo lavoro.

“Ora ho una riunione in azienda. Devo andare. Avviserò tua madre, sarà molto felice.” Disse, e qualcuno lo chiamò in sottofondo.

« Certo, ci vediamo. Avvisami quando hai fatto. »

“Mh.”

Tonk.

La telefonata si chiuse.

Ora tutto sembrava più leggero. Non avevo potuto far capire al telefono quanto fossi felice, ma la verità era che la contentezza ed il sollievo mi si gonfiavano nel petto. Sembrava che stessero per sfondarmi le costole.

« Qualcosa mi dice che qualcuno è stato molto fortunato. » commentò Mark.

Feci un sospiro e scoppiai a ridere.
« Terribilmente. »

Mark fece un verso sarcastico.
« Se dicessi che sono felice per te mentirei, perché ti invidio parecchio. »

Sorrisi, conscio del fatto che tempo addietro, a questa sua affermazione, avrei voluto tirargli una sprangata sui denti.

« Dio, tornerai a vedere e resterai pure con Pinco. Avrete anche superato tante difficoltà ma a me sembra che vi sta andando tutto fin troppo bene. »

Feci spallucce.
« Aspetterei a parlare, fossi in te. » borbottai. « A proposito, mi sento in dovere di dirti una cosa. »

« Dimmi che non sei incinto. » sbottò.

Mi trattenni dal ridere come un ossesso. Ero troppo felice, tutto era in technicolor.

Per la prima volta sentii arrivare un flash di Mark. I colori si delinearono lentamente, così come i bordi dell’immagine. Era seduto sul letto a gambe incrociate, indossava un paio di jeans strappati ed una felpa scura. Aveva una cresta bionda e degli occhiali da sole. Effettivamente si era bruciato gli occhi con un accendino e non ero sicuro di volere sapere quanto male fosse preso sotto le lenti scure. Aveva un viso ovale e delle belle mani da pianista. Se avessi dovuto dire che somigliava a qualcuno avrei detto a Jared Leto, il cantante di quel gruppo marziano o qualcosa del genere.

« E così sei un punk. » commentai.

Il buio tornò ad inghiottire il mio mondo.

« Non… non posso credere che tu abbia avuto un flash adesso. Mi piaceva il mio ruolo di donna del mistero. »
Mi morsi le labbra per non ridere.

« Volevo, comunque, dirti che qualche tempo fa per sbaglio ho ascoltato il tuo diario registratore. E che mi dispiace per David. »
Era uno di quei momenti di intimità, in cui ci si dice tutto, e mai avrei creduto che un momento del genere lo avrei condiviso con Mark.

Il silenzio calò come una zuppa densa e calda.

« Guarda che me ne sono accorto subito e, purtroppo, l’incazzatura ha già fatto in tempo a passarmi. » rispose. « Ma ti prego comunque di non nominarlo. »
Sospirai.

« Come vuoi, ma sappi che mi dispiace. »

Mi colpì in pieno una ciabatta.

« Ah, ti prego, smettila di essere così melenso! »

Trovai a tentoni la ciabatta e gliela rilancia, domandandomi come facesse ad aver mantenuto quella mira così perfetta.

















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Spazio autrice:
Ho fretta, mia madre reclama il computer.
Vi lascio solo un piccolo spoiler.
Credo che il capitolo di Natale vi piacerà.

Vostra,
{Noth

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Capitolo 26
*** Last moment. ***


I wish you could see.
-Capitolo  26-










In qualche modo papà era riuscito a sistemare le cose. Il preside mi aveva convocato nel suo ufficio e spiegato che, per quanto non sarebbe stata la prassi, visto che oramai avevo cominciato lì l’anno scolastico e che le conseguenze dell’operazione avrebbero potuto essere innumerevoli ed avevo anche subito un danno fisico e morale durante la mia permanenza all’Istituto, lui e mio padre avevano concordato che avrei potuto terminare l’anno in quella scuola.

« L’unica condizione è che nessuno deve sapere che puoi vedere. Nessuno studente. Vorrei evitare eventuali reclami. » terminò, respirando a fondo.

Il cuore mi martellava nelle costole ed ero combattuto tra il sorridere come un ebete ed il continuare a mantenere un certo contegno.
« Grazie… grazie signore. » mormorai, gli occhi terribilmente lucidi. Qualcosa stava andando per il verso giusto. Per la prima volta nella mia vita tutto aveva cominciato a girare nella direzione che desideravo e non potevo fare a meno di sentire la felicità come una dose di anfetamine dritta in vena.

« Tornatene a lezione ora, Signor Anderson,  la tua operazione è stata fissata per il 20 dicembre. Ti consiglio di prepararti, e avvisa pure quel tuo amico con cui passi tutto il tempo libero, quel Kurt Hummel. Non crederai che sia davvero così stolto da pensare che tu non glielo dica, vero? »

Annuii vigorosamente e, nella foga di uscire a raccontarlo a Kurt, quasi mi schiantai sulla porta di legno massiccio dell’ufficio. Me la chiusi alle spalle, con un sorriso atrocemente largo e confuso stampato sul volto.

Avrei voluto correre da qualche parte, saltare tanto da toccare il cielo e tornare sulla terra dal mio angelo.

Sentii il preside borbottare: « Ragazzi. », ma oramai ero già partito in quarta. Scivolavo per i corridoi con le mani attaccate ai muri, mi pareva che il tempo si fosse fermato. Tornai a lezione con il fiatone, soprattutto perché sapevo fosse quella di storia, ovvero l’unica che avevo in comune con Kurt.

Entrai in classe in fretta e furia.
« Signor Anderson, lei ed il suo sorriso inquietante potete tornare a sedervi. » borbottò annoiato l’insegnante.

Ebbi un flash lungo un battito di ciglia: Kurt sorrideva.

 


****


 
Era giunto il giorno dell’operazione ed ero assolutamente oltre il puro e semplice terrore. Mi ero dimenticato quanto le siringhe, i lettini e gli ospedali mi mettessero a disagio e continuavo a camminare avanti e indietro come un ossesso nella sala d’attesa.

« Che ne dici di sederti? » propose Kurt che, ovviamente, avevo costretto i miei genitori a portare via con me.
« No, credo che inizierei a contorcermi. » un brivido mi percorse dai talloni alla nuca. Kurt non seppe se ridere o sbuffare.

Mia madre e mio padre non avevano parlato con lui per tutto il tragitto. Mi avevano solo confermato che avrebbero firmato per acconsentire l’intervento.
Kurt, dal canto suo, mi aveva timidamente sfiorato con la mano e la aveva tenuta vicina alla mia tutto il tempo. Le mie terminazioni nervose cercavano di avvicinarsi alla sua pelle come se fossimo stati due magneti con i poli differenti. Una forza più grande di me mi obbligava a cedere a quella vicinanza. Volevo passargli le dita tra i capelli, accarezzargli il viso e sentire come il suo corpo si tendeva quando lo toccavo.

« Andrà tutto bene. » mormorò Kurt, afferrandomi per un lembo del cardigan e fermando la mia camminata da martire.

Inspirai a fondo.
« Non riesco a fare a meno di pensare che potrei non uscire da quella sala operatoria. Tutte le operazioni hanno… hanno una base di rischio. Ho il terrore che le cose stiano andando troppo bene e che il Karma decida di bilanciare le cose ora. Ho… ho tanta paura Kurt. Davvero tantissima. » tremai. Mi accucciai, nel tentativo di trattenere i tremiti. Non riuscivo nemmeno a fermarmi ripetendomi che c’erano altre persone in sala. Kurt si inginocchiò accanto a me.

« Blaine? Ssh, Blaine, ascoltami. Andrà tutto bene, okay? Devi fidarti di me. Ti mentirei mai su una cosa del genere? Io e te, per sempre, ecco la mia promessa. Credimi, va bene? » disse, il tono sicuro. Mi prese la testa tra le mani e la sua pelle fresca mi accese le terminazioni nervose. Avvolto dalle sue braccia mi diede un bacio sulle labbra, casto e leggero, ma talmente sentito che dovetti davvero respirare a fondo per non lasciare cadere le lacrime che mi pungevano gli occhi da mezz’ora ormai.

Nella sala cadde il silenzio di colpo, però nessuno venne a dividerci o a farci del male. Sospirai di sollievo.

« Blaine Anderson? »  chiamò una voce femminile e seria. Mi voltai, scivolando dalla presa di Kurt che immaginavo avesse alzato lo sguardo vuoto. Una mano mi si poggiò sulla spalla e mi aiutò a tirarmi su. Mi accompagnò fuori dalla sala d’attesa.

« Aspetti un secondo. » chiesi, e tornai indietro, a prendere la mano di Kurt, rischiando di inciampare sulle fessure tra una mattonella e l’altra del pavimento. Mi scontrai con lui e gli poggiai la testa sulla spalla.

« Lo sai che ti amo, vero? » sussurrai.
Lo sentii sorridere e mi abbracciò per qualche secondo.
« Certo. Ti amo anche io, Blaine. » rispose, in un fiato.

La verità di quel momento ed il pensiero che avrebbe potuto essere l’ultimo ebbero la meglio.

Mi voltai verso l’infermiera.
« Può venire anche lui? Voglio che stia… anche fuori, quanto più vicino possibile a me. Lui… lui mi porta fortuna. » le dissi.

L’infermiera rimase in silenzio, come se si stesse lentamente guardando attorno. Forse gli sguardi giudicanti che ci circondavano erano di più e più pericolosi di quanto non avessi pensato. Alla fine parve decidere.
« Va bene, starà oltre il vetro. » acconsentì, e portai Kurt via con me.

 


****


 
Mi avevano spogliato e messo su un lettino scomodo e freddo. Attorno a me diversi medici facevano un sacco di baccano: fruscio di fogli, tintinnio di strumenti in metallo, parole in gergo specifico che non riuscivo a capire. Alla fine mi fu messa una mascherina di plastica sulla bocca e sul naso. Odorava di zucchero e menta forte.

Una voce forte parlò.
« Adesso, Signor Anderson, la prego di inspirare a fondo e di lasciarsi andare. »

Annuii impercettibilmente ed eseguii, sentendomi all’istante intorpidito e pesante. Il corpo mi si stava sciogliendo, era tutto appiccicoso e lento.

« Risponda alle domande. » mi ordinò. « Come si chiama? »

Mi costò un enorme sforzo aprire la bocca.
«… Blaine… » biascicai.

Il mondo iniziava a perdere forma e suono, tutto scompariva, tutto tranne un paio di occhi che mi veniva sempre in aiuto quando ero nel buio, con il nulla attorno al mio mondo cieco. Due occhi azzurri che conoscevo molto bene.

Kurt.

« … ncora? » chiese la voce, sempre meno distinta.
« Ku… Kurt… » riuscii a mormorare.

Mi rotearono gli occhi all’indietro, la voce ordinò.

« Possiamo cominciare. »

E da quel momento in poi non sentii più nulla se non una brutta sensazione troppo presente. Una sensazione che non mi piaceva per niente. 




















------------------------------------------------------------------

Spazio Autrice:
Lo sapete che sono terribilmente sadica, però non poteva andare tutto troppo, troppo rose e fiori, o sbaglio?
Insomma, adesso non disperatevi.
La storia mica è finita, ci mancherebbe.
Vi aspettano dei capitoli molto... molto K.O.

Spero che vi sia piaciuto e che sentiate la suspance come la sento io anche se so già cosa accadrà!

Vostra,
{noth

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Capitolo 27
*** So is this Christmas? ***


I wish you could see.
-Capitolo 27-








Mi sembrava di stare in mezzo a una tempesta. Mi sentivo scosso, come se fossi sott’acqua e le correnti mi sballottassero con violenza sugli scogli. L’acqua mi entrava nei polmoni e mi bruciava le vie respiratorie.

Allo stesso tempo ero intontito e non riuscivo a smettere di tremare come un ossesso. Qualcosa non andava in me.

Qualcosa stava andando terribilmente storto.

Era come se fossi una lampadina attaccata ad una fonte di elettricità intermittente.
Mi ero reso conto di non essere nella realtà, era come se fosse stato tutto sottosopra.

Il buio attorno a me lampeggiava, sentivo grida che riecheggiavano nel vuoto. Urla e strilli, poi fu come se attorno a me il nero cambiasse e assumesse la forma del mio salotto di casa.

Lo vedevo.

Era come se fossi tornato indietro di anni. Era sempre Natale e mi avevano regalato il CD dei cori natalizi cantati dai bambini. Mi guardavo come se fossi stato lontano anni luce. In salotto cantavo e ballavo, avrò avuto quattro anni o giù di lì, mentre i miei genitori mi guardavano preoccupati. La loro voce suonava disgustosamente distorta.

« Ha qualcosa che non va. »
« Robert, è solo un bambino che balla in salotto... » mi giustificò mia madre mentre mio padre scuoteva la testa.

« Ho una gran brutta sensazione a riguardo. Se fosse... »
Mamma lo prese per un braccio, l’aria tristemente seria. Un’espressione che non si addiceva al clima natalizio.
« Saremmo obbligati ad amarlo comunque. »

Papà sospirò e tutti si sciolse come se qualcuno ci avesse buttato sopra dell’acido.

Loro sospettavano già, e me lo avevano sempre detto. Era una cosa che mi aveva sempre sconvolto.
Inizialmente rifiutavo la mia condizione e non volevo che lo sapesse nessuno. In qualche modo però loro lo avevano capito prima di me.

Una sferzata di vento mi scaraventò a terra, facendomi sbattere la testa a terra.
Fu come tornare, in qualche modo, nel mio corpo, anche se ero ancora privo di conoscenza e sotto anestesia. Non percepivo, infatti, corporalmente ciò che accadeva eppure era come se fossi semplicemente lì, disteso, nudo a guardare.

I medici correvano per la stanza. Si passavano strumenti, ansimavano dietro alle loro mascherine e sentivo un ronzio di sottofondo che era quasi un fischio ininterrotto.

Era davvero fastidioso, avrei voluto poterlo spegnere.

Poi mi voltai verso il vetro dove stavano in piedi a guardare i miei genitori e Kurt. Le loro facce mi spiazzarono: mia madre stava aggrappata a mio padre e sprofondava nel suo petto mentre singhiozzava. Il volto di papà era rigido e pallido, quasi cereo.

La cosa che più mi distruggeva era Kurt: il suo viso era contratto, gli occhi rossi e le mani giunte, come a darsi sostegno e, allo stesso tempo, a pregare. Piangeva, le lacrime gli rotolavano giù dalle guance, calde ed irrefrenabili. Rimaneva immobile e sembrava così fragile che sarebbe bastata una lieve brezza a farlo cadere al suolo e a sbriciolarlo.

Cosa stava succedendo? Perchè non capivo?

Mi voltai a guardare la tabella dei miei valori generali e vidi da dove proveniva il suono acuto e continuo.
La borsa che rilevava il mio battito era immobile.

Ecco perché tutti correvano.

Stavo morendo. Perché? Avrebbe dovuto esser un’operazione così semplice...

Kurt.
Non potevo fargli questo.

Non potevo essere l’ennesima persona che se ne andava.

Mi diedi uno schiaffo. « Torna nel tuo corpo! » mi ordinai, ma rimasi ugualmente fermo lì mentre, a rallentatore, il mondo attorno a me cadeva a pezzi.

Mi avvicinai a Kurt e posai la mano sul vetro dinanzi a lui.
« Non ti farò questo. » sussurrai, fissando il suo viso ed incidendomelo nella memoria.
« Salvatemi! » gridai ai medici, che non mi sentivano.
« Salvatemi. Dio, salvami! » gridai di nuovo.

Il suolo si mosse e fu come se fossi stato dentro a una di quelle palle di vetro da scuotere dalle quali cade la neve.

Caddi e sbattei la testa contro uno degli angoli del tavolino degli attrezzi chirurgici e non vi fu più niente, se non un canto lontano.

Una voce limpida.
“Silent night, holy night, all it’s cold and all it’s bright...”
Il silenzio.

 
 
***

 
 
Il rumore del chiacchiericcio generale e delle persone che si abbracciavano e sorridevano mi ronzava nelle orecchie.
Il suono dell’acqua che correva nei tubi dei termosifoni e dei lettini che venivano spinti dagli infermieri rimaneva ininterrotto ed era tutto ciò che sentivo.

Non riuscivo a muovermi. Ero morto?

« Si è svegliato? » chiese una dolce voce anziana.
Qualcuno scosse animatamente la testa.

« No, ma lo farà. » disse Kurt. Il cuore iniziò a battermi freneticamente nel petto e cercai di muovere le mani, invano.
« Non ti preoccupare, è la vigilia di Natale, tutto può succedere. »

Kurt tirò sul col naso.
« Lo so. » rispose e dei passi si allontanarono irregolari.

Una mano passò accanto alla mia e me la sfiorò, intrecciandosi ad essa con lenta dolcezza ed un tremolio straziante. Kurt iniziò a parlare.

« Se ne sono andati tutti, domani è Natale. Non me ne vado nemmeno in Istituto. Non avrebbe senso un’altra vigilia senza di te e... »

« Kurt, stai qua tu questa notte? Sicuro che... che non vuoi andare? » sbucò la voce di mia madre dal nulla, come se fosse dalla porta.
« Andare dove? Non saprei proprio dove... Posso... posso restare qui? » chiese, umilmente, Kurt. Il suo tono di voce mi spezzò il cuore.

Se fossi stato capace di muovermi avrei singhiozzato.

« Va bene... allora a domani. Buon Natale. » disse mia madre, avvicinandosi al lettino e schioccandomi un bacio sulla fronte prima di sparire.

Kurt sospirò.

« Buon Natale, Blaine. » sussurrò Kurt, ed una lacrima mi si infranse sulla mano.

Tornò tutto buio, come se fosse stato interrotto un collegamento.
Come se fosse stato tutto un sogno.
 

 
***

 
 
Gli occhi sembravano cuciti con del filo spesso, ma riuscii a spalancarli con fatica.

La luce mi sferzò gli occhi e vidi le lampade a neon del soffitto dell’ospedale. Sbattei le palpebre più volte e l’immagine non svanì. Spostai lo sguardo verso le mie coperte e vidi Kurt, gli occhi ancora umidi, appoggiato scomodamente sulle lenzuola, la bocca semi aperta e gli occhi serrati. Dormiva come un sasso, ed era terribilmente bello.

I miei occhi funzionavano. Tutto era pieno di luce, di colori, di forme, di vita.

Sorrisi, ero felice. Ero vivo, vedevo, ed ero con Kurt. Non avrei dovuto svegliarlo, dormiva così bene, ma dovevo condividere quel momento di felicità assoluta con lui. Poi volevo sapere che diamine era successo, volevo capire che mi fosse capitato ma, più di tutto, volevo vedere i suoi occhi. Fissarli a tempo indeterminato finchè non fossi stato stanco.

« Kurt... » gracchiai, la gola secca e la bocca impastata. Quanto tempo era passato dalla mia operazione? Se era la vigilia... quasi quattro giorni.

« Ehi, Kurt... » ripetei e lui si mosse appena, scattando quasi subito sull’attenti.

« Cos... chi... »
« Sono Blaine. Sono... sveglio. » mormorai.

Sul suo viso prima si fece largo la sorpresa, poi la notizia penetrò più a fondo e sorrise, ridendo istericamente mentre le lacrime gli inondavano per la millesima volta il viso. Non si preoccupò nemmeno di fermarle mentre rideva e piangeva e mi saltava al collo, singhiozzando e bagnandomi la clavicola ed il collo.

Lo strinsi a me, nonostante fossi terribilmente intorpidito e stranamente esausto.

« Buon Natale... » mormorai tra i suoi capelli.
Lui rise più forte, tanto che accorse un’infermiera.

« Che succede... oh, il paziente 1301 si è svegliato, avviso il medico! » squittì la donna bassa e mingherlina,
entusiasta.

« Spero... spero proprio che non sia un sogno perché non potrei avere un regalo di Natale migliore. » rispose, col tono di voce che si usa per le preghiere.




















-----------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Mi dispiace avvisarvi che ci stiamo avviando verso l'epilogo. Purtroppo siamo QUASI giunti alla fine.
Non sarà il prossimo capitolo, però vi avviso che il tempo è limitato.

Vi ringrazio per avermi seguito fino a qui, sono felice di aver passato del tempo in vostra compagnia e spero che i miei personaggi vi abbiano accompagnato come hanno fatto con me.

Siete state tutte speciali.

Tutte fondamentali.
TUTTI.

Grazie di cuore, spero che continuerete a leggere.
In ogni caso ho cominciato un'altra long fic Klaine chiamata Don't you remember, per chiunque sia curioso di leggerla o gli sia piaciuto il mio modo di scrivere.

Grazie, vi voglio bene,
vostra
{Noth

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Capitolo 28
*** Who would have imagined? ***


I wish you could see.
-Capitolo 28-








Avevo chiesto tante cose per Natale, in passato. Ero partito con degli stupidi pupazzi fino a desiderare, come sempre, oggetti più costosi, ma non avrei mai immaginato che quel Natale avrei ricevuto la felicità impacchettata in un corpo longilineo, decorata con due occhi azzurri terribilmente amabili e un sorriso che toglieva il fiato.

Il mio cuore impazziva, le lacrime mi bagnavano il viso e il corpo caldo di Kurt mi stringeva forte come non mai. Mi avvolgeva con le sue braccia e la sua stretta quasi mi levava il respiro ma non lo avrei mai allontanato da me. Tremava e continuava a ridere e piangere, ringraziava il cielo e si aggrappava a me come se fosse potuto cadere a terra se solo mi avesse mollato.

I nostri corpi erano così vicini che sentivo il frenetico pulsare del suo cuore contro le mie costole. Combaciavano perfettamente, come due pezzi di puzzle inizialmente troppo diversi per incastrarsi, eppure creati per formare un’immagine che, solo con i nostri due tasselli uniti, acquisiva senso.

Ora capivo perché mi ero sempre sentito perso, un viaggiatore del mondo senza alcuno scopo, alla ricerca di un obbiettivo che, nella mia mediocrità, non riuscivo a trovare. Poi era arrivato Kurt ed era come se, improvvisamente, avessi avuto tutto chiaro davanti agli occhi. Ero stato letteralmente un cieco che aveva visto la luce.

Ci allontanammo ma Kurt non smetteva di fissarmi.

I suoi capelli erano disordinati a causa delle condizioni in cui aveva dormito. Erano di un colore simile al miele bruciato, un castano dorato. Le sopracciglia erano arcuate e regolari, sovrastanti due occhi cerulei e rossi, di un azzurro grigiastro tendente al verde difficilmente identificabile. Il viso ovale era rigato di lacrime e le sue labbra erano curvate in un sorriso di disperata felicità.

« Dio, quanto sei bello. » mormorai, passandomi una mano sotto gli occhi. « Kurt io… io ci vedo…sai? » sussurrai, guardandomi attorno.

Nulla attirava la mia attenzione come lui.
I mie occhi erano tutti per lui.

« Sì, ed è un miracolo visto quello che è successo in sala operatoria. » borbottò, inarcando un sopracciglio. « Non vedevo nulla, ma i suoni erano fin troppo chiari. Non ho… non ho mai avuto così tanta paura in vita mia perché non potevo vedere. » spiegò, la voce lievemente distorta dal pianto.

« Io, invece, è come… come se avessi visto tutto dall’esterno. » sussurrai, cancellando coi pollici le lacrime dal suo volto e baciandogli uno zigomo.

« Non parliamo di questo, ti prego. Sono troppo felice che tu sia vivo e…che tu sia sveglio. » singhiozzò. « Sento il cuore che mi esplode. » sorrise.

Era mio, era solo mio.

« Vorrei solo sapere che è successo durante l’intervento… » commentai, cercando di mettermi a sedere ma era come se il mio corpo pesasse quintali.
« Stai immobile. Ti uccido se ti muovi, giuro. » mi minacciò Kurt, asciugandosi le lacrime.
« Okay, okay, starò fermo. »
Mi lanciò uno sguardo ammonitore.

« Comunque non ho capito molto, ma sembra che avessero toccato un nervo collegato al cervello durante l’operazione ed è tutto andato a rotoli. Eri vivo per miracolo, sei stato in coma cinque giorni contando quello dell’intervento. È stato un incubo, già mi vedevo a visitarti ogni domenica come mio padre… » disse, ed una lacrima sfuggì al suo controllo.

Mi si contrasse il cuore.

« Non lo avrei permesso. » sussurrai.
« Lo so. » singhiozzò.

Mi baciò e sapeva di sale, di sale e di zucchero che era la combinazione assurda del suo sapore. Era come tornare finalmente completo. Gli misi le mani fredde attorno al collo fino a sfiorargli la nuca. Rabbrividì e schiuse le labbra.

Una lacrima mi cadde dagli occhi serrati.

Ce la avevo fatta.

Ci allontanammo e fui costretto a notare la fissità del suo sguardo ed il modo in cui la luce non sembrava riflettersi sulla sua pupilla.

Deglutii a fatica, avrei tanto voluto che lui fosse stato altrettanto fortunato.

« Bene, vedo che qualcuno ha deciso di svegliarsi. » riconobbi la voce ancor prima di vederlo dalla porta: il primario che mi aveva visitato la prima volta.
« Così sembra. » risposi tossendo. Non sapevo se sorridergli ed essergli grato o odiarlo per avermi portato ad un passo dalla morte.
« Beh, buon per te. L’operazione è andata a buon fine, quindi. Questo è l’importante. Come ti senti? » domandò, avanzando verso di me con una cartellina in mano.

Feci spallucce.

« Come se fossi tornato dal mondo dei morti. Però ci vedo. » risposi, sprofondando indietro nel cuscino ed afferrando la mano di Kurt che accolse il contatto con un espressione di sorpresa. Il dottore ci guardò ma rimase impassibile.

« Potresti avere mal di testa nelle prossime ore. Se diventa troppo forte fammi sapere, c’è un pulsante che puoi premere per chiamare un’infermiera. »
Assentii, mentre lui se ne andava prendendo appunti sulla sua cartellina.

Tornai a Kurt.
« Quindi non sei mai tornato all’Istituto? » domandai.
Lui scosse la testa.
« Mai. » rise. « Come potevo? »
« Bè, in macchina. » suggerii, poggiandogli una mano sulla guancia, lui chiuse gli occhi.
« Idiota. » commentò.

Non avevo mai avuto bisogno di vederlo, ma era tutta un’altra cosa poter notare le sfumature delle sue espressioni facciali, le varietà dei suoi sorrisi, le pieghe che assumeva la sua bocca ad ogni smorfia.

Il colore della sua pelle era una cosa che adoravo.

« Ti ho già detto Buon Natale, Kurt? » chiesi, tornando a guardarlo negli occhi mentre con il pollice disegnavo cerchi sul dorso della sua mano.
Lui si insinuò sul mio petto, appoggiandosi sulla mia clavicola ad ascoltare il battito del mio cuore.
« Mhhm. » mugolò. « E’ veramente un buon Natale, Blaine. » sussurrò appena, tanto che pensai quasi di essermelo immaginato.


 
***



Fuori dalla finestra della mia stanza la neve cadeva fitta, non era più Natale eppure l’atmosfera ancora aleggiava nell’aria, zuccherosa e calda. Stavo sotto le coperte, a “riposare” come dicevano tutti. In realtà mi annoiavo a morte, però almeno mi avevano lasciato la chitarra e stavo componendo una canzone.

Le parole inizialmente non riuscivano ad uscirmi, era come se un sasso gli ostruisse la via, ma poi avevo chiuso gli occhi, avevo respirato ed avevo pensato al momento in cui mi ero svegliato ed avevo visto Kurt praticamente per la prima volta e tutto si era riversato come un fiume in piena nella mia mente tanto che, se non lo avessi scritto da qualche parte, probabilmente sarei esploso.
 

I met a boy, once upon a time
The kind of boy you met only once in your life
He was so perfect, you know?
I couldn’t help loving him from the start.
 
He was my savior,
I fell in love with the way he made me feel.
I was a complete mess
But he patiently fixed me, he was so kind.
 
I let the snow fall,
I let everything fail.
I waste my life,
But he was still there,
Always there.
 
He met me in my darkest time,
I was so upset, I didn’t want to know I was alive.
He was a mess too, you know?
I just hadn’t figured it out yet how similar we were.
 
I saved him unconsciously,
It has been the best thing I’ve ever done in my life
I’ll never thank him enough,
He’s forever my angel on the blind side.
 
I let the snow fall,
I let everything fail.
I waste my life,
But he was still there,
Always there.
 

 
La melodia era perfetta. Non avevo mai scritto una canzone che mi portasse sull’orlo delle lacrime prima d’ora. Mi passai una mano tra i capelli e guardai la neve fuori dalla finestra, non potendo fare a meno di pensare a chi mai avrei dovuto ringraziare per tutta la fortuna che avevo avuto.

Qualcuno bussò alla porta.

« Avanti. » risposi, e Kurt entrò. Aveva gli occhi lucidi. « Kurt! Cosa succede? » esclamai, cercando quasi di alzarmi dal letto, sentendo le gambe indolenzite.

Kurt mi fece cenno con la mano di stare fermo.

« Niente. Ho solo accidentalmente sentito la canzone che suonavi. » disse, sorridendo.

« Oh. » mormorai, imbarazzato. « Non è niente è da… è da finire. È un abbozzo. » mi affrettai a dire.

Kurt si avvicinò al mio letto, ridendo e, a tentoni, trovò la mia bocca con la mano così da zittirmi.

« E’ perfetta. Non ti rendi conto di quanto ti amo. » sussurrò.

Gli presi il viso tra le mani.

« E’ perfetta perché parla di te. Ti amo anch’io, cazzo. » risposi.

Lui rise.

« Hai rovinato un bel momento con una parolaccia. » borbottò.

Feci un verso esasperato e lo baciai, sentendolo sorridere sotto le mie labbra.

Chi avrebbe mai pensato, all’inizio della mia storia all’Istituto, sarei mai stato così felice alla fine?


























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Spazio Autrice:
Grazie per avere letto questa storia. Ognuno di voi è stato un compagno incredibile, un lettore amabile, vi ringrazio.
LA STORIA NON E' FINITA, MANCA L'EPILOGO!
Purtroppo però poi, dopo quello, sarà definitivamente la fine.
Non potete capire quanto mi dispiaccia dover abbandonare i miei personaggi, mi ero cozì affezionata a questi due mascalzoni che, alla fine, sono riusciti a far finire tutto troppo bene.
Spero che vi sia piaciuta, spero di avervi fatto ridere e piangere, e spero che continuerete a seguire le mie storie perchè sì, ho cominciato un'altra long chiamata "Don't you remember?"

Grazie, dal profondo del cuore per essere stati i lettori migliori che si possano mai desiderare.
Vi voglio bene.

Vostra,
{noth

CI SI VEDE ALL'EPILOGO, MASCALZONI!

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Capitolo 29
*** Epilogue ***


I wish you could see.
-Epilogue-









Erano passati anni e ancora dentro mi sentivo sempre lo stesso ragazzino di un tempo. Avevo 72 anni, questo era vero, ma ancora il cuore mi batteva forte ogni volta che Kurt mi sorrideva.

Mi ricordavo quel periodo all’Istituto, ricordavo la mia cecità, ancora sentivo il sapore dei nostri baci e la paura di perderci. In un modo o nell’altro non era successo, eravamo ancora lì. Eravamo nella nostra casa di campagna, comprata assieme, in mezzo al nulla, a vivere la nostra vita.

E se non fossi mai diventato cieco? E se non avessi avuto quell’incidente? Se il mio amico non fosse stato ubriaco alla guida? Se i miei non avessero deciso di farmi cambiare scuola? Se Kurt non fosse stato il mio tutor?

La nostra relazione era stata un insieme di coincidenze. Coincidenze perfette, coincidenze che avevano creato una linea del destino che avevamo inseguito tra troppe difficoltà.

Alla fine io avevo recuperato la vista e Kurt no. Con il passare degli anni, però, aveva imparato a vedere attraverso di me, come se fossi semplicemente un prolungamento naturale di lui. Una parte di lui. Come se fossimo una cosa sola.

La cosa bella era che dopo tutto quel tempo ero ancora profondamente, incondizionatamente e stupidamente innamorato di Kurt come non lo ero mai stato.

Avevamo fatto un matrimonio segreto a Las Vegas, una cosa da due pazzi che davano troppa retta al cuore e si erano fatti fare da testimoni da un tipo vestito da elfo completamente ubriaco e da Mark che aveva tanto insistito per partecipare alla pazzia. Quel ragazzo era stato una manna dal cielo dopo i primi dissapori.

« Blaine. » mi chiamò Kurt che, con il suo solito bastone, usciva dalla casa e si appoggiava allo stipite della porta. Come facesse a sapere che ero seduto in veranda era un mistero.

« Dimmi. » risposi, alzandomi lentamente dalla sedia in vimini e raggiungendolo, prendendo la sua mano che, nonostante la pelle più raggrinzita, era ancora calda come un tempo ed aveva la stessa forma che mi aveva fatto battere il cuore.

Lo guardai ed aveva ancora quegli occhi pazzeschi, quello sguardo vuoto eppure carico di emozioni, quel sorrisetto che mi aveva fatto desiderare di poterglielo strappare e tenerlo per me.

« Cosa guardi? » chiese, schiarendosi la voce che a me sembrava sempre uguale a quella di un tempo anche se, probabilmente, non lo era.

« La nostra vita. » gli risposi, baciandolo sulla guancia.
Era passato tanto tempo ed ancora rabbrividiva.

« Ti rendi conto che siamo il frutto di un milione di coincidenze? » domandai a mia volta, guardandolo. Sul suo viso comparve una ruga in più – nonostante la cura che avesse sempre avuto per la sua pelle, al tempo non c’era soluzione – e corrucciò la fronte.

« Non ho mai creduto nelle coincidenze. » rispose.

Rimasi interdetto.

« Nel destino? » chiesi, balbettando appena.

« No. »

« Nel futuro prescritto? »

« Nemmeno. »

« Nel sentiero che siamo portati a scegliere? »

« Pff. »

« E in cosa crederesti, scusa? » domandai, quasi scocciato e senza sapere cosa dire.

In tutti quegli anni mai mi ero posto una domanda simile. Lui avanzò e si sedette sulle gradinate della veranda, tendendomi una mano ed invitandomi ad imitarlo. Mi misi accanto a lui e, come sempre, mi parve di essere tornato giovane come un tempo. Per mano per i corridoi dell’Istituto, fianco a fianco al supermercato, oppure mentre gli raccontavo com’era la Spagna o il Canada durante i nostri viaggi, o a raccogliere le sue lacrime quando, ogni anno, arrivava l’anniversario della morte di sua madre e quando morì definitivamente suo padre, senza svegliarsi mai.

Eravamo stati così necessari l’uno per l’altro. Mi aveva dato la voglia di vivere che all’epoca mi era mancata.

Mi aveva insegnato cos’era l’amore di cui tutti parlavano, ma non ero mai riuscito a provare.

« Io credo in noi. In noi che ci siamo cercati e trovati per il semplice fatto che avevamo bisogno l’uno dell’altro. Credo che tutte le nostre scelte portassero a questo noi. È una cosa che abbiamo, in un certo senso, scelto. Non inventato. Avrei potuto non piacerti. Avresti potuto innamorarti di Mark. » disse, sorridendo e facendo spallucce.

Di colpo fummo di nuovo giovani, accanto a me c’era il Kurt che amavo ed avevo sempre amato. Il Kurt che avevo conosciuto. Gli strinsi la mano e sorrisi come se fosse la cosa più semplice del mondo.

Sorridere.

E ci avevo messo così tanto ad imparare a farlo.

« Anche io credo in noi. » borbottai, fingendomi offeso. « Ma tu hai sempre le parole giuste per descrivere queste cose. Ti invidio. »

Lui rise e tornai alla realtà. Tornai a una realtà che non avrei mai creduto di poter avere, tornai a questa strana realtà in cui avevo imparato ad essere felice.

« Mi ami ancora come una volta, Blaine? » mi chiese Kurt, abbassando lo sguardo. « Voglio dire, anche ora che sono brutto e rugoso? »
Lo veci voltare verso di me e poggiai la mia fronte sulla sua.

« Amore mio, ti ricordo che mi sono innamorato di te senza vederti, e questo sentimento non conosce confini visivi. Sarai sempre il bellissimo ragazzo che mi ha salvato. Sarai sempre la persona che mi ha insegnato a vivere. Questo basta e avanza. » sospirai.

Restammo in silenzio, non so per quanto, forse qualche attimo, forse una vita intera. Poi dissi:

« Per me tu sei sempre bellissimo, comunque. » gli diedi un bacio sulla punta del naso.

« Per me tu sei sempre bruttissimo, ti avviso. » replicò lui, sorridendo. I suoi occhi cercavano invano il mio viso.

« Come sarebbe a dire? » mi offesi.

« Io ti ho sempre immaginato brutto, non fraintendermi. Non tutti possono essere fortunati come te e vedere la persona che amano, quindi accontentati. »
mi si accoccolò sulla spalla. Proprio come un tempo.

Non risposi.

« Idiota. » borbottò. « Sei sempre stato bellissimo per me, ma non montarti la testa. » confessò infine.

Continuai a guardare l’orizzonte.
« Puoi descrivermi com’è il tramonto? Dovrebbero essere ormai le sei e mezza ed immagino che il sole stia tramontando e che lo stessi aspettando dato che
ti eri appostato qua fuori. » mormorò.

Sorrisi. Mi conosceva troppo bene ed il mio cuore sobbalzò proprio come un tempo.
« Oggi è particolarmente arancione e crea delle lunghe ombre sugli alberi qui intorno. Il sole è rosso e le nuvole sono appena appena rosate. Le sfumature di arancio sembrano infinite, giuro, uno dei più bei tramonti mai visti. »

Kurt sospirò.

« Sei bravissimo a descrivere. » commentò.

« Ho avuto anni di esperienza. » gli misi un braccio attorno alla spalla. Lui ridacchiò.

« Bè, il tramonto migliore comunque era quello di Parigi, ricordi? »

Avvampai al solo pensiero.
« Ero molto preso da altro, se non sbaglio, insomma mi stavi distraendo troppo efficacemente mentre ti descrivevo il tramonto, non sei stato leal… » non riuscii a terminare la frase perché mi baciò. Ed eccomi di nuovo un semplice ragazzo cieco, un ragazzo che aveva trovato la sua felicità col tempo e quando sperava che non sarebbe mai arrivata. Un ragazzo che aveva troppo da ringraziare per essere arrivato fino a lì.

« Non abbiamo ancora molti anni davanti. » mormorai, gli occhi ancora serrati al ricordo della sensazione della prima volta che lo avevo baciato.

« Lo so, ma non ho rimpianti, sai Blaine? » rispose, sospirando.

Inspirai il suo profumo, che era sempre lo stesso che aveva impregnato tutta la casa, la mia pelle ed anche il mio letto.

« Una volta ne avevo tanti, ma mi hai insegnato che ogni momento è perfetto. » strofinò il naso sulla mia guancia.

« Neanche io ho rimpianti, Kurt, neanche io. » sussurrai, baciandogli una tempia. « Almeno so che moriremo insieme. »

« Sarà un per sempre, vero? » domandò, e me lo immaginai bambino, con gli occhi grandi ed un tono infantile. Quel genere di domande che si fa alla
mamma.

« Certo, Kurt. Per sempre. »






















iwycs

by Marta (C) Grazie, davvero.


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Spazio Autrice:
Non sto piangendo, giuro, non sto piangendo.
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Okay, magari un pochino.
Mi mancheranno così tanto, mi mancherete così tanto anche voi, diamine. Mi mancherete.
Mi mancherà scrivere questa storia, caspita. Però potrei sempre scriverci delle one-shot a riguardo.
Grazie per averla letta tutta, per tutti i complimenti fatti, per tutte le meraviglie che mi avete detto, 
per tutte le lacrime versate, per i sorrisi fatti, per la suspance sentita, per le recensioni
per averla inserita nelle preferite, per averla letta tutta, per avermi fatto sentire che stavo facendo qualcosa di giusto.
Grazie per essere state le lettrici migliori che avrei mai potuto volere, questa volta è veramente un epilogo.
Spero che vi sia piaciuta e, ora che è finita, vorrei proprio sapere il vostro parere complessivo. Ci terrei davvero.
Grazie di cuore per aver reso tutto questo possibile. Ognuno di voi.

per sempre vostra,
{noth


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Chi volesse seguirmi ancora ho iniziato "Don't you remember", un'altra long Klaine che spero vi piaccia. Un bacio.

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