Bottled Up Inside.

di DreamWanderer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nonsense. ***
Capitolo 2: *** 4. Recensione. ***
Capitolo 3: *** 5. Deep Inside. ***
Capitolo 4: *** 9. Incanto di Neve. ***
Capitolo 5: *** 13. Here. ***



Capitolo 1
*** 1. Nonsense. ***


1.
Nonsense.


Karen’s PoV

E la mia testa è ancora su quel treno.

Viaggia, viaggia, viaggia senza mai davvero fermarsi, sentendosi come in movimento anche nei momenti di sosta.

Viaggia, viaggia, viaggia.

Dove viaggi, non lo so.

La musica ad alto volume fa vibrare l’aria, mentre io siedo su questa panchina inchiodata a terra. E anche a me sembra di essere comunque in movimento.

Sto aspettando che quel treno passi di qui per riportare a casa la mia testa, oppure per portare a casa me.

Ma il treno ancora viaggia.

E viaggia, e viaggia.





Angoletto!
Beh... eccomi qua, come avevo promesso in "Perdue." Un po' in ritardo, ma ci sono ^-^'''''
Allora... questa è una storia originale, la prima che pubblico. È una storia costruita a spezzoni, una storia composta da tanti momenti vissuti da Karen.
Scrivo questa storia per lei. Per darle un po' di giustizia. Per darle un filo di voce.
Quest'inizio è corto, è corto da far schifo e ne sono consapevole. Il prossimo capitolo, "Una Storia Senza Lieto Fine.", lo troverete presto se navigate nella sezione Originali>Generale. La storia avrà il titolo "Slices of Life."
Lo so, vi ho appena confuso le idee. Lasciatemi spiegare:
La saga di Karen ("Shards & Shades") si articola in quattro storie principali:
-Bottled Up Inside. (Originali>Introspettivo)
-Slices of Life. (Originali>Generale)
-Of Dream and Desire. (Originali>Romantico)
-From a Friend's Eye. (Originali> o Introspettivo o Generale, non ho ancora deciso ^-^''''')
Tutte le storie si articolano lungo il filo conduttore che è la storia di Karen, ma ho dovuto distinguere questi filoni per motivi di pubblicazione: sapete, genere, rating... cose di questo tipo.
Lo so, è un gran casino a spiegarla così, ma non dovete preoccuparvi: potete anche scegliere di seguire solo una storia, ogni capitolo può essere letto indipendentemente dagli altri.
Se invece, come spero, vorrete seguire tutta la saga, potete stare tranquilli: alla fine di ogni capitolo vi dirò dove trovare quello seguente.
Per chiunque abbia bisogno di chiarimenti, vi rimando alla mia pagina su FB: DreamWanderer
Fantastico, l'angoletto è più lungo della storia.... -.-
Per vostra gioia, ho finito!
Spero di ritrovarvi presto nel prossimo capitolo, che dovrebbe essere on-line entro e non oltre il prossimo weekend!
Un bacio a tutti voi!
;*

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Capitolo 2
*** 4. Recensione. ***


4.
Recensione.


Karen’s PoV

È sera, è buio, e io sono in casa da sola.

Di nuovo.

Eccheppalle!

Il film che ho messo nel lettore DVD scorre sullo schermo, fotogramma dopo fotogramma, rigorosamente in inglese. Io non sto nemmeno facendo finta di guardarlo.

C’è il computer acceso vicino a me, con una finestra aperta sulla pagina della mia mail, una sulla home di Facebook e una sulla pagina account di EFP. Lo sbircio una volta ogni tanto, quasi sperando che succeda qualcosa pur di dar tregua alla noia che mi rende irrequieta.

È sabato sera, e io sono a casa da sola, ad annoiarmi a morte. A meditare piani omicidi di vendetta, ma so benissimo che non li considererò nemmeno di striscio… mi faccio i film solo per passare il tempo.

I miei sono fuori a cena, a dare la caccia a uno di quegli infiniti piatti del buon ricordo che mio padre ama tanto. Mia sorella invece è uscita con i suoi amici, è andata a ballare. Grazie per l’invito, eh.

Certo, logico, io studio in un’altra città, torno qui per il weekend e regolarmente --no, dico, REGOLARMENTE-- quelli escono, o fuori per un giretto tra città, o fuori a cena con amici e colleghi, o a ballare in discoteca o a una festa di compleanno. E regolarmente --no, dico, REGOLARMENTE-- io sto a casa. Fantastico.

Le parole della mia bellissima sorella mi rimbombano nelle orecchie, portando anche una bella pugnalata:

--Esci coi tuoi amici, deficiente!--

E non è tanto quel deficiente a ferire, so che lo dice un po’ per rompere le scatole e un po’ per affetto, quanto la quarta parola.

Amici.

Averceli gli amici, vorrei ribattere. C’ho provato una volta, e m’ha riso in faccia. Tanto per cambiare.

Ne ho appena cinque o sei di amici, idiota d’una bionda. Ma Dalila la sera non esce, con Andrew è un casino da quando Judith m’ha tirata in mezzo, Mel è in vacanza con il suo ragazzo. Seli e Annie stanno in altre città.

Apro di scatto gli occhi e fisso la luce, cercando non tanto di accecarmi quanto di scacciare le ombre che già sento premere attorno a me.

Le ombre dei miei pensieri, della mia rabbia, del mio rancore.

E così ritorno su EFP, recupero una storia e comincio a recensire un capitolo che avevo lasciato indietro per questioni di tempo.

E la recensione si forma pian piano, con pazienza infinita, mentre io allineo ogni parola, ogni punto esclamativo, ogni faccina digitata con i simboli matematici. E viene lunga, lunghissima. C’è il saluto iniziale, dove rispondo ai ringraziamenti, sempre molto calorosi, degli autori. Ad esso, ovviamente, seguono il solito “chiedo venia” per aver saltato il capitolo precedente, che prometto di recuperare qui in seguito. Sono scuse esagerate simpatiche, giocose, tanto per ridere, anche se il dispiacere d’origine un po’ c’è. E non è per manie di persecuzione, anche se quelle non mancano, ma perché so benissimo quanto gli autori apprezzino le mie recensioni.

Dopo questi due primi trafiletti, comincia il vero commento. Ed è un commento che si articola seguendo i paragrafi della storia, lasciando un parere e un complimento su ogni aspetto che ritengo sia di rilievo o che semplicemente mi è piaciuto tanto. E sono sempre tanti, forse anche troppi, gli elementi che mi colpiscono. Dal banale aggettivo per caratterizzare il gesto di un personaggio al cliff-hanger mozzafiato con cui è stato concluso il capitolo. Sono recensioni complete, quasi professionali, ma anche simpatiche… perché le urla contro il personaggio che fa il bastardo non mancano mai, così come non mancano gli scleri o le faccine.

E infine ci sono le mie “note a fondo pagina”, dove faccio ulteriori complimenti sullo stile, sulla storia in generale, sulle descrizioni, sulla trama. E chiudo con la mia firma, il mio “famoso” bacio.

Io sono contenta che gli autori mi apprezzino tanto, perché è importante anche per me sapere di aver lasciato una bella recensione. Anche se è più corta di quelle che lascio ai miei autori preferiti, anche se contiene una piccola critica scritta ovviamente con tatto e umiltà --sì, perché non sono una ruffiana, se faccio dei complimenti vuol dire che li meritano--. Mi piace far sentire loro che ci sono, che sarò lì per loro se mai saranno insicuri su un capitolo, o se hanno paura che i fan li abbandonino perché hanno un blocco o dei problemi che impediscono loro di pubblicare. Mi piace far sentire loro che sono un’amica, oltre che una fan, anche se non li conosco personalmente.

Ma alla fine forse un po’ li conosco, perché nonostante i personaggi siano tanti lo scrittore è sempre uno. E da qualche parte, in quei personaggi, c’è sempre in pezzo d’identità del loro creatore. A volte è anche più di un pezzo, forse.

E così scrivo ogni frase, mettendoci complimenti, ironia, stima, rispetto, emozione, risate. Metto tutto quello che posso, e forse so anche perché. O almeno, lo immagino. Me lo dicono anche loro che sono un angelo, a scrivere sempre così tanto.

Quello che forse però non sanno, e che di per certo non so nemmeno io, è che sono sempre in due le persona che finiscono per beneficiare di quelle recensioni: una è ovviamente, l’autore; l’altra invece, sono io.

Perché tutte quelle parole messe pazientemente in fila una dietro l’altro sono le parole che io ho lasciato nella valigia. Sono tutte le parole che non ho detto mai, che non dico mai, che non dirò mai. Ed è per questo che il mio grazie a loro diventa ancora più sentito, più vero: perché condividendo i loro sogni mi permettono di immedesimarmi un po’ nei loro personaggi e di vivere altre esistenze, e di dire altre parole.

E forse anche loro lo sanno, a livello magari inconsapevole, perché quando mi ringraziano lo fanno con repliche altrettanto dettagliate, altrettanto intrise di rispetto e gratitudine.

Ecco perché mi piace recensire, perché passo serate come queste non a scrivere a mia volta ma a stilare un commento dettagliato della storia di qualcun altro. Perché è un atto non solo voluto e apprezzato e spontaneo e bello, ma è anche un atto dovuto. A loro, e anche un po’ a me stessa.






Angoletto!


Ed eccomi qua, puntuale di lunedì sera! Vabbè, puntuale come i cavoli a merenda, ma sorvoliamo...


Allora, questo è il secondo capitolo di Bottled Up inside, e il quarto se vogliamo prendere in esame tutta la saga. Non ho molto da dire a riguardo, se non ammettere che è un po' strano e che non ho la minima idea di come sia venuto fuori (un po' come quest'intera saga, a dirla tutta)... ma è venuto fuori, perciò eccolo qui!
E diciamocelo, a chi di noi autori non piacerebbe ricevere sempre recensioni così? :)

Se qualcuno di voi lettori ha voglia di lasciare un commento, non preoccupatevi: apprezzo di sicuro! Per qualsiasi domanda, curiosità o quant'altro, vi ricordo che potete trovarmi sia su EFP che qui su Facebook: DreamWanderer


Un bacio a tutti voi!
;*

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Capitolo 3
*** 5. Deep Inside. ***


5.
Deep Inside.



Karen’s PoV

CRASH.

È il suono che riempie il silenzio di quest’appartamento.

CRASH.

È il suono di un prezioso oggetto di vetro soffiato che va in pezzi contro la parete.

CRASH.

È il suono della mia rabbia.

CRASH.

È il suono della mia rabbia che trova finalmente una via di sfogo.

La gente, di solito, preferisce urlare finché le corde vocali non sono più in grado di emettere alcun suono. Io non ci riesco.

Ho una seria difficoltà a sfogare qualunque sentimento di rabbia, ira, frustrazione o dolore. Eccetto comportarmi in modo parecchio antipatico, bene inteso. Persino questa manifestazione mi costa fatica: mi viene voglia di mordermi a sangue le labbra, stringere una mano a pugno e costringere l’altra a rimettere giù il fragile oggetto che ho appena strappato dallo scaffale.

Ma non lo farò.

Oggi, non ho intenzione di cedere al senso di colpa. Oggi, non ho intenzione di soffocare di nuovo l’istinto di distruzione che sta trasformando i miei sentimenti in un maremoto. Oggi, per una volta, non voglio pensare al dopo; perché so alla perfezione che una volta passato l’uragano mi sentirò male per aver mandato i pezzi la maggior parte dei ricordi delle mie gite a Venezia. Oggi non voglio fermare l’inferno che si sta scatenando nel mio appartamento.

Ci sono frammenti di vetro dappertutto pronti a trasformare questo caos in sangue, la musica che esprime il lato più gotico di Within Temptation e Evanescence è talmente alta che potrebbe addirittura disegnare crepe nei piatti di ceramica esposti su alcune mensole. I “famosi” Piatti del Buon Ricordo.

Ne guardo uno con odio, e tiro anche quello contro il muro. Il frastuono del materiale fragile che va in pezzi mi fa incredibilmente bene, e qualcosa dentro di me alza la voce con soddisfazione nell’ammirare altri cocci accasciarsi sul pavimento.

Sì cazzo!

Non del tutto soddisfatta, alzo di più la musica e sbatto una porta e tiro un’altro piatto. Ormai una cacofonia di vibrazioni sonore squassa l’aria, ma io sto cominciando a sentirmi meglio. Decisamente meglio.

Finalmente il mio respiro comincia a calmarsi, e da affannato che era, inizia a tornare regolare. Il cuore pian piano rallenta e riprende un ritmo più scandito, molto più rassicurante di quello impazzito che l’avevo costretto a imporsi. L’adrenalina lentamente si consuma, lasciandomi stanca e tremante, anche se posso ancora sentire quanto mi avesse inebriata prima.

E io ritorno in me stessa.

Le tempie pulsano fastidiosamente a causa del mal di testa tanto forte da nausearmi, e allora abbasso la musica per darvi un po’ di sollievo. Non di tanto però.

Perché la tempesta dentro continua a infuriare.

La rabbia è sedata, ma la pace è ancora lontana. Sono solamente stanca di lanciare oggetti, non mi va proprio più. La musica però mi aiuta, ho bisogno di tenerla alta per sintonizzare i miei sentimenti su altre frequenze, in modo che ognuna di queste emozioni indefinite possa trovare la propria via di sfogo.

Le note cambiano, e il lato classico dei ritmi latini di Enrique Iglesias riesce finalmente a sedare tutta la furia che si stava ancora contorcendo dentro di me, a sopprimere l’ira che ancora frustrava la mia stanchezza.

E ciò che rimane in me, è il nulla.

Il vuoto si fa strada nel mio petto, e io mi stendo sul divano, ora veramente esausta. Non mi prendo nemmeno il disturbo di accoccolarmi, o di stringermi le ginocchia al petto: non fermeranno neanche un po’ ciò che mi sta minacciando adesso.

Penso a quanto sia stata stupida, la scintilla che ha provocato tutto lo scempio che mi circonda adesso. Una vera cavolata, una semplice, inutile lite con mia sorella. Peccato che quella banale scintilla abbia dato fuoco a sentimenti parecchio più insistenti, più fastidiosi, più radicati, più pericolosi.

Mancanza.

Il vuoto, appunto. Questo vuoto che riposa in me, ben nascosto sotto evanescenti presenze, spettri di cose. Sono presenze illusorie, che dovrebbero rappresentare sia quello che sento di possedere sia quello a cui sento di appartenere. Sono ombre di realtà banali, quasi scontate: casa, famiglia, amicizia. Sono quelle presenze che ti tengono in piedi quanto tutto il resto della tua vita diventa friabile e comincia sfaldarsi tra le tue mani. Sono presenze che io m’illudo di avere.

Nostalgia.

Voglia di poter rivedere tutte le persone che sento più vicine a me, nonostante l’oceano che la vita ha posto tra me e loro. Desiderio di riuscire finalmente a lasciar andare tutte quelle che, invece, mi hanno lentamente messa da parte per poi dimenticarmi. Illusione di avere la possibilità di riprendermi la mia vita com’era, prima che questi sentimenti cominciassero lentamente a crescere dentro di me.

Solitudine.

Il senso di isolamento. È l’incapacità di rendere gli altri partecipi dei miei sentimenti, dei miei pensieri. È la sensazione di non poter confessare a nessuno ciò che ho davvero dentro, perché mi riderebbero in faccia senza prendermi sul serio, oppure scapperebbero a gambe levate, oppure mi riterrebbero pazza. È la percezione di camminare sospesa su un filo che nessuno riesce a distinguere: da un lato la vita di tutti i giorni, dove si trovano tutti gli altri; dall’altro, le mie ombre, quelle che nessuno ha mai nemmeno sospettato.

Odio.

Il disprezzo che io nutro per la mia vita, ma soprattutto per me stessa. Mi sento meschina a provare disgusto per la mia esistenza, perché da un punto di vista esterno non è affatto male: una bella casa, una famiglia integra, un percorso di studi promettente, brava gente intorno. Eppure io non mi ci ritrovo. E allora mi sento un’ingrata, smetto di detestare la mia vita… e comincio a detestare me stessa. Ogni singolo difetto diventa insostenibile, insopportabile, intollerabile. Ogni minimo sbaglio è degno delle una pene capitali, senza possibilità d’appello. Ogni piccola imperfezione si trasforma in un errore che dovrebbe essere eliminato.

Bisogno.

La necessità di superare mancanza, solitudine e odio, e l’incapacità di farlo da sola. L’urgenza di trovare la mia ancora di salvezza, nonostante io non riesca a capire cosa debba fare, né cosa voglia davvero.

La musica cambia ancora, e sento il mio corpo rilassarsi come sotto l’effetto di un’anestesia. Le note di Sarah McLachlan scendono su di me come un balsamo, spalancando infine le porte all’ultimo sfogo: lacrime.

Cominciano a scendere lungo le mie gote, tracciando il loro solco salato sul mio viso ormai inespressivo. Molte scivolano giù dal mento, ma alcune riescono a insinuarsi tra le mie labbra per ricordarmi di quanta amarezza siano intrise. Colano sul cuscino, che le assorbe subito… come se non ci fossero mai state.

Nulla di tutto questo ci sarà, domani: spazzerò via tutti i cocci da terra, pulirò i segni che alcuni oggetti colorati hanno tracciato muro, raddrizzerò i quadri appesi. L’unico elemento che testimonierà l’esistenza di quest’ora sarà la mancanza di alcuni ornamenti dalle mensole, il vuoto che riempirà gli spazi lasciati tra una suppellettile e l’altra. Ma nessuno noterà niente, perché riorganizzerò gli scaffali, nascondendo l’evidenza.

Do uno sguardo agli oggetti rimasti, e noto che almeno sono riuscita a risparmiare quelli che mi piacevano di più.

Una nebbia di stanchezza cala sui miei pensieri, il mio corpo si rilassa completamente, gli occhi si chiudono, il respiro si calma, il battito si fa più lento ma più deciso, scandito.

Come a chiudere il cerchio, l’aspetto più dolce della musica di Within Temptation e Evanescence si libra nell’aria, cullandomi nel sonno.











Angoletto!

Eccoci qua gente! Ho un giorno di ritardo, scusate... mi sono completamente scordata che fosse lunedì!


Comunque. Questo capitolo è vecchio. A confessare tutto, mi sembra risalire a una vita fa. A un'altra persona, quasi. Karen cambia, all'interno di questa storia. Cambia lei, come tutti gli altri personaggi, d'altra parte.

Il prossimo capitolo e quello dopo ancora li troverete in "
Of Dream and Desire.
". Spero di sentirvi presto!
Un bacio

;*

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Capitolo 4
*** 9. Incanto di Neve. ***


9.
Incanto di Neve.


Karen’s PoV

Sospiro, e sul vetro appare una nuvoletta di vapore. È inverno, e fa freddo. Tanto, davvero tanto freddo.

Tuttavia, nonostante io stia indossando una semplice sottoveste di raso, in questo momento non lo sento poi troppo. Sono nella casa di campagna della mia famiglia, dove ci troviamo sempre per Natale. È una struttura antica, anche se rimessa a nuovo, enorme, tanto che ognuno di noi può avere la sua stanza.

C’è appena stata una festa in mio onore. La festa per il mio compleanno. Una festa a cui io mi sono sentita completamente estranea e assente.

Gli invitati erano abbastanza, amici delle superiori nella stragrande maggioranza, più qualcun altro a cui mi sento leggermente più vicina, assieme a mia sorella Jen e alcune sue amiche. Lei era l’unica della famiglia: con loro avevo già festeggiato.

La festa è finita da qualche ora, e alcuni dei partecipanti si sono fermati a dormire qui: troppo alcol nel sangue per permettermi di lasciarli andare a guidare con il cuore in pace. Li ho quasi costretti a rimanere.

Nel mio, di sangue, non c’è niente di più che qualche sorso di vodka alla pesca. Non mi fa quasi niente, posso berne anche mezza bottiglia senza stare male. Buffo, considerando che invece basta appena un sorso di coca-cola e rum per farmi rimettere l’intera cena, oltre all’anima.

Una delle mie contraddizioni.

Fuori, uno stormire di fronde d’alberi spogli, causato da un’improvvisa folata del vento gelido che tormenta la mia città da qualche giorno ormai, mi rivela che la bora non se n’è ancora andata. Io non rabbrividisco nemmeno.

Quando avevamo risistemato tutte le stanze, tutti quanti mi avevano dato della ragazzina: ho insistito fino all’esasperazione per convincerli a creare una piccola nicchia nella parete esterna, in corrispondenza della finestra.

Ora c’è una piccola ansa, foderata da un bel cuscino morbido e caldo che sta esattamente sopra un termosifone. Il tepore si spande piacevolmente, imprigionato dalle tende che ho appeso per proteggere questo mio angolino.  La lunghezza di questo rifugio non è altra che quella della finestra, ma per me basta e avanza. Ho fatto mettere addirittura una lampadina, per ogni evenienza che coinvolga una probabile lettura di mezzanotte. Attraverso il vetro pulito vedo il giardino della casa, immerso nell’oscurità. La totale assenza di luci intense mi permette di godermi il cielo invernale in tutto il suo splendore.

È il mio angolino, quest’ansa.

Mi rannicchio qui ogni volta che voglio staccarmi dal mondo esterno. Peccato che non basti tirare le tende per cancellarlo, né per fermarlo.

Sento un mugugno indistinto, e do uno sguardo veloce nella mia camera.

Luke si sta rigirando tra le lenzuola del mio letto. A giudicare dalla sua espressione, mi sembra anche che si stia godendo il soggiorno.

Torno a raggomitolarmi nella mia nicchia, sollevata dal fatto che non si sia svegliato. Non so come l’avrebbe presa nel vedermi accoccolata qui.

Lontana da lui.

Sono stata praticamente costretta a invitarlo alla mia festa, ma l’avevo visto un po’ brillo e così ho insistito perché rimanesse. Io però sono l’unica che conosce, visto che gli altri che si sono fermati erano i miei compagni. Non voleva stare da solo, quindi mi ha implorata di lasciarlo dormire con me. E io, ovviamente, da brava scema, ho ceduto.

L’ho accompagnato in camera mia prima, dicendo che tornavo giù a salutare gli altri che dovevano ancora andarsene. In realtà, ci sono voluti altri tre quarti d’ora buoni per rimandare tutti a casa, più un altro po’ per mettere a posto un minimo. L’aiuto dei miei compagni ha sveltito, ma comunque ci è voluta un’oretta prima che tornassi di sopra. Una volta salita, l’ho trovato addormentato.

Con mio sommo piacere.

Mi sono cambiata, e poi sono scivolata qui nel mio rifugio. Lontana da lui. Si è preso una specie di sbandata per me, credo. Alcuni dei miei amici mi incoraggiano, ma non capiscono che la cosa è molto superficiale.

Luke è bello. Non è quel tipo di bellezza assoluta o folgorante, ma non è affatto male. A essere onesta, però, mi mette un po’ in soggezione: ho una corporatura piuttosto minuta, e lui ha sia una certa altezza sia le spalle robuste. Mi fa sentire ancora più fragile di quanto già non mi veda, e questa cosa non va bene. Judith, una delle mie amiche che spinge perché vorrebbe che ci mettessimo assieme, mi ha detto che lo vedrebbe bene a proteggermi, ma io mi sento… minacciata.

So cosa vuole da me. È la stessa cosa che si vogliono tutti. Ognuno cerca di ottenere il mio corpo per poi arrivare alla mia anima, ma non riesce mai ad affondare fino al mio cuore. Forse perché ha anche poche possibilità.

Perché c’è lui, tra me e chiunque cerchi di conquistarmi. Lui, che mi manca terribilmente. Lui, che, nonostante sia mio amico, da me vuole quello che vogliono tutti gli altri bastardi: vuole il mio corpo, perché sa che cercare il mio cuore sarebbe complicato, vista la nostra situazione… così cerca di accontentarsi. Lui, che invece potrebbe averlo, se solo non avessimo le vite che abbiamo.

Ryan.

“Sto facendo del mio meglio per non innamorarmi di te”, mi diceva. Non credo si aspettasse che fossi io, a cedere ai sentimentalismi.

I miei occhi scuri tornano a guardare il cielo, si perdono a contemplare la falce di luna che spunta fuori a tratti dalle nubi. Li sento farsi lucidi, ma le lacrime restano impigliate alle mie ciglia. Sospiro.

Il vetro mi rimanda il mio riflesso, un’immagine semplice e perfettamente ordinaria: iridi brune, viso da bambina, capelli disordinati, occhiali. Niente di che. Non si vede nemmeno l’inquietudine che si sta contorcendo dentro il mio petto. Della rabbia verso me stessa che mi riempie ogni pensiero di disgusto, nessuna traccia.

Mi sento irrequieta, in questi giorni, e non riesco a trovare pace, né respiro. Non c’è una ragione precisa, ma i sensi di estraneità e inadeguatezza non mi abbandonano nemmeno per un momento.

Il mio disprezzo per me stessa è forte. Ho queste emozioni insolite, e non dovrei provarle. Perché la mia è una vita niente male: un buon percorso di studi, un rendimento soddisfacente, una famiglia integra e unita, amici con cui andare a ballare nelle serate libere, nessuna difficoltà imminente dal punto di vista economico. Obiettivamente, non sono messa affatto male.

Ecco perché sto ancora peggio quando mi rendo conto di questi sentimenti sgradevoli che tempestano la mia anima: perché non sono giustificati.

Selene, un’amica di quelle vere, mi ha detto che semplicemente non ho ancora trovato il mio posto, la mia strada. Credo che abbia ragione, ma non saprei cosa fare per tentare di identificare il luogo dove potrei stare bene. Anche perché sento di non poter abbandonare ciò che ho qui. Per cosa, poi? Per una meta utopica e completamente ipotetica? Non saprei nemmeno dove andare. Preferisco accontentarmi di questa vita sicura, anche se sento di non appartenerle.

La verità è che mi manca un sogno. La mia vita è bella, ma io non so che farmene. Non ho nessun talento particolare da coltivare, nessuna ambizione da inseguire. Mi limito a fare quello che sento di poter fare, che mi piace, anche se non è la mia aspirazione. Tutto sommato, basta fare, almeno per tenere la mente impegnata, lontana da riflessioni come questa.

Qualche volta mi sento stanca, anche un po’ esasperata, e insofferente verso tutto ciò che mi circonda. In momenti del genere cerco rifugio nei soli sogni che posso ancora permettermi: sogni impossibili. Esistenze alternativo che vivo attraverso la lettura, che costruisco grazie alla scrittura. È il mondo dell’irrealtà, dell’invenzione, quello a cui sento di appartenere. Un mondo che però è fuori dalla mia portata, precluso a questo universo perché esiste solo a livello creativo. Non appartiene a questa dimensione più di un riflesso all’acqua.

Stringo le labbra, soffocando un gemito di dolore tra le corde vocali. Mi sento sola in questo momento. Sola e stanca, ma i miei pensieri non mi danno pace. Nella mia testa si alternano dolore, irrequietezza, rabbia, esasperazione, impotenza, in un ciclo ripetitivo che toglie il fiato. Lascio ciondolare la testa all’indietro, con un sospiro.

Succede all’improvviso, il miracolo.

Tentacoli di silenzio si avviluppano attorno a ogni cosa, includendo me nel loro abbraccio. Il tormento causatomi dalle mie riflessioni sembra affievolirsi appena, la sua presa sulla mia anima ferita si allenta.

Guardo fuori, e vedo che il prato è imbiancato da una leggera spolverata di brina. Il candore della rugiada ghiacciata rifulge un poco sotto la delicata luce sfumata dei tenui lampioni lontani. Il tempo passa, e sotto i miei occhi meravigliati quel manto chiaro s’ispessisce, fino a diventare una coltre di neve. I fiocchi leggeri si attaccano subito, fanno presa senza difficoltà sul paesaggio già gelato dal freddo del mese invernale.

Sono del tutto incredula, è semplicemente troppo bello per essere vero. Apro leggermente la finestra, giusto quello che basta per far passare la mia mano, dopo aver controllato che le tende siano ben tirate: l’ultima cosa che voglio è che Luke si svegli adesso a causa del refolo freddo che si insinua in camera mia, e che riempie subito il piccolo anfratto in cui mi sono rifugiata. Tremo appena.

L’aria fredda di questa notte d’inverno mi punge impietosa la pelle. Ma il disagio passa in secondo piano, quando avverto tanti piccoli cristalli di neve sciogliersi al contatto con le mie dita. Stringo il pugno e lo porto al petto, felice, e richiudo la finestra. Sento gli occhi farsi lucidi per la gioia, e soprattutto per il sollievo.

Man mano che la neve ricopre ogni cosa, la quiete s’insinua in me, districa la matassa ingarbugliata dei miei pensieri e porta un po’ di tranquillità e di silenzio. Le mie riflessioni da masochista sono finalmente sopite, e anche se la cosa è temporanea per ora mi basta.

Mi distendo sul cuscino, raggomitolandomi, e mi tiro la coperta fin sotto il naso. Con un braccio sotto la testa, ricoperto dai miei capelli, non levo lo sguardo dal giardino che s’imbianca, fiocco dopo fiocco. Socchiudo appena gli occhi, mentre un sorriso inconsapevole distende sia le mie labbra che il mio volto.

Pace.









Angoletto!

Buongiooorno! Lo so, ho saltato una settimana. È un mio problema temo, in vacanza perdo il senso dei giorni e delle settimane... e visto che buona parte di questa saga è già scritta mi scordo di pubblicare ^^''''' sì sono un disastro, ne sono consapevole.

Allora, che dire di questo capitolo? Beh, finalmente cominciamo a scoprire qualche personaggio in più che fa parte della vita di Karen. È lontana da Ryan ormai da un po', e per lei è tempo di ricominciare a lottare un po' ogni giorno. Per quanto ammetto che sia un personaggio malinconico e un po' lagnoso, devo dire in sua difesa che sa anche quando è ora di darci un taglio e ricominciare a mettersi in cammino.

Abbiamo incontrato un po' di gente in questo capitolo! Abbiamo Luke, che le darà non pochi pensieri. Abbiamo sua sorella Jen e la sua amica Judith. E Selene, che per adesso è ancora una presenza più distante ma non per questo si rivelerà meno decisiva.

I volti di questa nuova "folla" li trovate tutti sulla mia pagina autrice di FB, di cui vi lascio qui l'indirizzo: DreamWanderer (EFP)

Il prossimo capitolo lo troverete nella storia Slices of Life., dove conosceremo un po' meglio Selene.

E questo è tutto.
Ci risentiamo presto, un bacio a tutti voi!
;*

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Capitolo 5
*** 13. Here. ***


13. Here.
13.
Here.




Karen’s PoV

Lasciatemi qui.

Lasciatemi qui, sola, come sono anche troppo spesso.
Lasciatemi qui, stanca, non so nemmeno io di cosa. Forse di tutta questa vita vuota, o forse di questo mondo malato e malsano, o forse del mio essere così costantemente seconda.

Lasciatemi qui, triste, per qualcosa che nemmeno io riesco a capire. La voglia di piangere senza motivo a farmi compagnia.

Lasciatemi qui, fredda, a morire di nostalgia per qualcosa di dolce che non ho mai nemmeno conosciuto, ma che vorrei sentire anche un po’ mio.

È una sera come un’altra. Solo una sera di musica e silenzio come un’altra. Una sera d’insonnia come un’altra. Con il mio solito vecchio malessere a farmi compagnia e tante canzoni, alcune giuste, alcune meno, alcune del tutto sbagliate. Una sera con tante storie da scrivere passata invece a leggere.

Una sera come tante altre. Una sera in cui voglio essere lasciata sola.

Lasciatemi qui, stasera.

Una sera in cui io lancio l’ennesimo sguardo al computer, e decido di chiudere la pagina di musica senza osare riaprire internet. Non voglio vedere la mail intasata di notifiche inutili, non voglio vedere la mancanza dell’unico messaggio di cui avrei bisogno in questo momento.

E così rimango immobile davanti alla scrivania, a fissare il monitor nero. Come se potesse accadere un miracolo, come il mio desiderio potesse emergere dallo schermo. Ma non accade nulla, e io chiudo il computer, giro lo sguardo per fissarlo al pavimento.

I miracoli non accadono, mi dico, quasi si trattasse di una lezione che non sono riuscita a imparare da bambina. No, i miracoli non accadono. Di certo non a me.

Volto le spalle alla scrivania e siedo sul letto, anche se il movimento ricorda più un lasciarsi cadere. Sento una stanchezza profonda salirmi da dentro, un senso di sfinimento che sembra volermi succhiare via la forza anche per respirare.

Odio avere il ciclo, è una di quelle poche cose che mi toglie qualunque energia, qualunque voglia di fare, di sognare. Mi lascio sfuggire un sospiro esausto, e anche esasperato, e mi stendo sul materasso. La morbidezza delle coperte soffici, sotto di me, mi rassicura un po’. Allungo stancamente la mano, alla cieca, e trovo immediatamente le casse del mio MP3. Accendo il lettore con un solo gesto, e la musica, già impostata sull’opzione shuffle, parte da sola.

E, a dirla tutta, parte bene: mi offre la canzone giusta, una canzone adatta per consolare l’angoscia che mi sale a spirale nel petto. A volte mi sembra quasi che abbia sviluppato una coscienza propria, questo affarino musicale, mi sembra quasi che mi conosca. È da anni che ce l’ho, anni passati a cambiare una canzone dietro l’altra ogni qual volta il mio umore capriccioso mi rendesse insofferente una particolare canzone. E in tutti questi anni, mi sembra quasi che un semplice pezzo di tecnologia abbia imparato a captare le onde inviate dalle mie emozioni per tararsi esattamente sulle melodie di cui ho bisogno. Ora mi offre note armoniose, note che scivolano immediatamente sul mio dolore, trasformandolo in malinconia, note che scendono immediatamente a riempire il vuoto che sento pulsare fastidiosamente nel mio petto, quel vuoto da cui ho ingenuamente cercato di proteggermi appallottolandomi come una gattina infreddolita.

Sì, ho freddo.

Ho freddo fuori, perché ho il vizio assai discutibile di andare in giro in maglietta. Anche d’inverno, sì, non ci posso fare niente: felpe, maglioni, golfini… mi sento soffocare ogni volta che mi ci avviluppo.

E ho freddo anche dentro, perché la solitudine in questo momento si fa sentire, dolorosa quanto il mal di pancia mensile. Ed è un soffrire talmente sottile, talmente inafferrabile, che nemmeno la musica riesce a lenirlo del tutto.

Lancio una veloce occhiata malinconica al computer spento, poi incasso il capo nelle spalle per accoccolarmi ancora di più su me stessa, in me stessa. Chiudo gli occhi, per impedire alla luce tenue della giornata di sole di riflettersi sulle lacrime che hanno ormai annacquato il mio sguardo, eludendo le mie resistenze.

Perché quando si arriva a lui, io divento improvvisamente fragile. Mi sembra d’indebolirmi tutt’a un tratto, come se la forza a cui mi aggrappo con le unghie e con i denti per sostenere il peso della vita di tutti i giorni scomparisse all’improvviso.

Mi chiudo improvvisamente su me stessa, stringo le mani sulla stoffa della mia maglietta, nascondo il viso tra le braccia. Tremo, e un gemito mi scivola dalle labbra senza che io possa fare niente per soffocarlo, per negarlo anche a me stessa. Sento le labbra stirarsi in una smorfia mentre i ricordi mi esplodono nella mente, annegando ogni altro pensiero presente nella mia testa.

Tanti, troppi ricordi.

Il calore delle sue mani che mi accarezzano i fianchi, la morbidezza dei suoi capelli che mi solleticano appena il collo, l’arroganza dei suoi denti che mi mordono le labbra, l’intensità del suo sguardo che a momenti mi squarcia il cuore, la dolcezza dei suoi sorrisi che nasconde sulla mia pelle, l’impudenza delle sue parole che mi fanno arrossire fino a tendere al color pomodoro maturo.

Annego il viso nel cuscino, incasso le spalle, stringo un braccio al petto e uno al ventre, rannicchio le ginocchia. Lo faccio un po’ per scaldarmi, e un po’ per illudermi che questi semplici gesti possano arginare la tempesta che sento incombere su di me, una tempesta che però mi viene da dentro.

Serro le palpebre, cercando di escludere la luce, per non dover vedere il mondo, per poter sentire la melodia delle mie illusioni.

Mi mordo le labbra, cercando di soppiantare il dolore fisico al dolore che sento in gola, per non lasciarmi andare alla dolcezza delle mie fantasie.

Illusioni. Fantasie. Desideri. Non vivo d’altro, quando sono lontana da lui. Costruisco mille castelli fatti di pensieri tanto meravigliosi quanto irrealizzabili, vivo delle notti tranquille e dense di sogni che la Luna mi regala una volta ogni tanto.

Ormai è buio, ma la mia mente si è inceppata quando fuori c’era ancora luce, quando sono praticamente inciampata in chat, e ci ho trovato Ryan.

Abbiamo chiacchierato un po’, scherzando, raccontando le novità, stuzzicandoci. Staccarsi dal computer è stata la parte difficile, anche se a dirla tutta è stata la precarietà della mia connessione internet a impormi di chiudere. Mi sono divertita molto però a chiacchierare un po’ con lui, è stato bello.

È dopo, che è venuto il dolore.

È bastato sentire in bocca l’amarezza della distanza, per riprendere a stare male. È bastato immaginare il modo in cui mi avrebbe sorriso mentre mi prendeva in giro senza astio, per sentire un battito di dolore propagarsi nel petto. È bastato desiderare di essere tra le sue braccia, per ricominciare a soffrire anche più di prima.

Il fatto di averlo così lontano da tempo mi ha colpita come mai prima d’ora. C’è come una patina a dividerci, e mi è sembrato quasi ritrovarmici invischiata, tanto da non riuscire nemmeno a respirare. Gli ho mandato una mail per dirgli che dovevo scappare visto che la mia connessione non ne voleva sapere di reggere un contatto via chat, e poi ho chiuso tutto.

Sto male, nemmeno il cielo sa quanto sto male, quanto mi torturi non dirgli che mi manca come l’aria, che se potessi volerei da lui anche ora, che mi piacerebbe ricevere una sua visita per portarlo in tutti quei posti che vorrei mostrargli, che soffro in silenzio mentre i ricordi mi scorrono impietosi nella mente, nitidi come luce e taglienti come lame.

Sento di avere bisogno di lui, un bisogno assurdo, quasi sia lui l’elemento che mi manca per trovare il mio posto in questa bella vita a cui mi sento completamente estranea. Perché alla fine è stato lui a farmi sorridere quando io volevo piangere, a chiamarmi bella quando io giudicavo il mio riflesso a malapena passabile, a considerarmi speciale quando io sentenziavo di essere strana e sbagliata, lui a farmi forza quando la mia improvvisa fragilità minacciava di mandarmi in pezzi, ad accarezzarmi quando io mi sarei presa a schiaffi, ad accettare anche la parte più incasinata di me quando io invece mi sarei immediatamente buttata via se solo ne avessi avuto l’occasione, a darmi la spinta giusta quando io tentennavo troppo. Perché mi vuole bene, perché mi vuole ancora nonostante le difficoltà che non ci abbandonano, nonostante la distanza che ci tortura, nonostante la sfortuna che si mette continuamente tra noi.

Io senza di lui non riesco a stare.

Non credo che riuscirò mai a rassegnarmi al ricordo, non credo che smetterò mai di volerlo, non credo che potrò mai dimenticarlo. Dovrei costringermi a staccarmi da lui, dovrei davvero. Ma non posso, non ce la faccio. E nemmeno voglio. Non ancora. A costo di stare male come un cane ancora per un po’.

Il lettore MP3 mi culla con note dolci, parole malinconiche. E io cerco di abbandonarmi senza rimpianti a un sonno senza riposo, ma ricco di una complicità speciale tra musica e sentimenti.

In mente, solo un desiderio, solo una canzone: “wish you were here”.







Angoletto!

Eccoci qui, di nuovo in ritardo, per l'ennesimo capitolo di Shards & Shades. E di nuovo da un treno. Direi che ormai posso cominciare a pianificare gli aggiornamenti a seconda di quando sto sui treni, visto che sembrano essere gli unici momenti in cui riesco a mettermi qui al computer a scrivere queste due righe e a postare i capitoli in santa pace!

La vita è troppo caotica di recente. Sta capitando anche a voi? Tante cosette tutte assieme, un guaio più grosso degli altri, un po' di tensione a casa e a scuola, parecchia stanchezza? Oppure è questa Luna che fa reagire strano qualcosa di storto dentro di me?

Boh. Comunque, torniamo al capitolo che mi sa ch'è meglio ^^'''''''
Ecco qui Ryan, che ritorna a Karen con violenza, con la violenza emotiva che in un certo senso lo contraddistingue. E Karen torna a far la lagna. No, disprezzo per le mie stesse parole a parte dai.... a me questo capitolo piace. L'unica cosa che "odio" di esso è che... beh, è che è sempre attuale. Ancora oggi, mentre io scrivo, la "vera" Karen ancora soffre perché il "vero" Ryan è lontano.
Un'altra cosa. Questo è in un certo senso un capitolo introduttivo al prossimo, che troveremo in "Of Dream and Desire."... sì, torniamo ai sogni a luci rosse, ma per la prima (e forse unica ^^''') volta, sarà Karen a sognare e non Ryan. Il nuovo capitolo è ancora in fase di scrittura, perciò non so quando sarà pronto, ma vedrò di darmi una mossa!

Le ultime raccomandazioni:
1. per chi si fosse perso lo scorso capitolo, visto che è stato pubblicato in una nuova storia, lo trovate qui: "From a Friend's Eye."
2. per chi avesse bisogno di me (curiosità, commenti, scambiare due parole, prendere pasticcini XD) mi trovate qui: DreamWanderer ~EFP


Stay tuned people!
Al prossimo treno
;*

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