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Ciao a tutti mi presento, sono Feade!
Visto che non siete tonte credo che abbiate capito che sono nuova da queste
parti e che questa e la mia prima fanfic! Per cui siate clementi, per favore.
Il primo capitolo forse è un po’ lungo,
ma il bello (secondo il mio autorevolissimo parere) viene dopo.
Cioè una mia amica ne ha già letto un
pezzo e la trova fantastica, ma sapete come sono le amiche……!
Quindi confido in voi, nei vostri
commenti e in Legolas, che non c’entra niente però è figo! Certo non che
Aragorn sia da meno. Ma lasciando perdere queste cose………vi saluto e vi invito a
esclamare con me: <> J ciao.
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Laurelin
- Ti amo! -
Voleva porgli alcune
domande, ma dalla sua bocca non uscivano suoni.
- Ti amo! -
“Perché non riesco a
parlargli?” pensò fra se: per lei il bisogno di risposte era assillante.
- Ti amo! -
Non riusciva a
rispondergli e, con la voce che finì in un’eco, urlò invano: “Come ti chiami, chiami, chiami, chiami…..”
- Svegliatevi mia
signora, svegliatevi! -
- Eryn, Eryn dov’è
quell’elfo, l’elfo che mi ha detto…… -
- Cosa le ha detto mia
signora? -
- Niente……niente Eryn,
lascia stare, era solo un sogno. -
Laurelin, così si
chiamava la dama della baia del Belfalas, come l’albero della Luna a Valinor,
il cui nome significa “canto d’oro”. Il suo nome rispecchiava la limpidezza, la
bellezza, la dolcezza della sua voce che solo l’antica Luthien Tinuviel poteva
superare.
La fama della sua voce
era arrivata sino ai confini di Valinor, ma nessuno, tranne i Valar e alcuni
elfi, l’aveva mai sentita, per cui rimase una leggenda.
Laurelin viveva solitaria
con la sua ancella, nonché amica, Eryn. La sua solitudine era dovuta al fatto
che i suoi genitori, entrambi della casata dei Lindar (“cantori”: Teleri),
volevano tenerla con loro e prima di morire la segregarono sulla costa della
baia, a sud di Dol Amroth, che delimitarono con una barriera invisibile e
insuperabile da lei e da esseri maligni, dove rimase rinchiusa per ben 2000
anni cosicché non potesse correre pericoli.
La sua storia col tempo
si trasformò in favola e da favola in leggenda e molti abitanti della Terra di
Mezzo compirono lunghi viaggi alla ricerca della fanciulla prigioniera; molti
di loro sostenevano di averla vista e la descrivevano come un candido angelo
dalle immense ali bianche o come una fattucchiera che attirava le sue vittime
col suo canto.
Ma tutto ciò non era
vero. I suoi capelli erano biondi come l’oro, la sua pelle candida come la
schiuma delle onde che s’infrangono sulle scogliere, i suoi occhi sembravano
aver catturato la luce dei due alberi dell’isola obliata, la sua figura esile
ricordava i giovani salici che si tendono dolcemente verso l’acqua e la luce
che emanava era come il sole nell’oscurità; tutto questo aveva un prezzo: lei
era come il cristallo, bastava un solo tocco per deturpare quel perfetto quadro
di eterea bellezza.
Eppure in quei giorni la
luce dei suoi occhi era diminuita; la sua anima era triste, si sentiva sola con
le sue abitudini troppo monotone anche se piacevoli.
Laurelin, sulle spiagge
della baia, soleva cantare storie antiche con animali di ogni genere: pesci mai
visti, con colori simili all’argento e all’oro, guizzavano allegri nell’acqua,
la quale venne chiamata dall’elfa, Nen Celeb cioè “acqua d’argento”; uccelli
variopinti cinguettavano motivetti allegri e gli alberi rendevano l’atmosfera
fresca con un leggero frusciar di foglie; a seguito di una pioggia il frusciare
lasciava cadere leggere gocce d’acqua che, accarezzate da sottili raggi solari,
creavano una cortina di luce dai riflessi dorati. Anche Eryn accompagnava i
canti, ma la sua voce, seppur dolce e melodiosa, non eguagliava quella della
sua signora.
Nonostante tutto Laurelin
sentiva l’impellente bisogno di andarsene, di uscire da quella prigione
invisibile.
- Mia madre disse prima
di morire: “Nessuno ti farà del male finché questa barriera ti proteggerà. La
barriera verrà infranta……….”; sono sicura che il resto della frase conteneva la
soluzione per distruggere la barriera, purtroppo non ricordo quelle parole. -
- Non ti preoccupare,
troverai la soluzione a questo tuo enigma! - interloquì Elatan, - Noi elfi di
Tol Falas ti aiuteremo e non ti abbandoneremo mai, sei come una figlia per noi.
-
- Grazie senza il vostro
aiuto non ce l’avrei mai fatta a resistere. -
- Ti ricordi quando ti
abbiamo trovata, per caso, nel bosco? -
- Si, mi avete puntato
gli archi contro credendo che fossi una preda - rise dolcemente.
- Tu piangeviperché eri spaventata e sola, eri ancora
piccola! -
- Poi tu mi presi in
braccio e io cominciai a tirarti i capelli perché volevo difendermi e…… -
- Ti addormentasti tra le
mie braccia. Comunque eri brava a tirare i capelli, avevi una forza incredibile
per la tua età! -
- Scusa, ma tu cosa
avresti fatto se un gruppo di venti elfi sconosciuti ti avessero puntato contro
gli archi nell’azione di colpirti?! Poi mi spaventai ancora di più quando
tentasti di portarmi viadalla baia. -
- Mi dispiace, ma non
potevo saperlo. Quando salii sull’imbarcazione tu mi cadesti dalle braccia come
se ci fosse stato un muro; solo allora capii che la tua esistenza era segnata
da un sortilegio. -
- Non scorderò mai quello
che vidi al contatto con la barriera: morte e distruzione. Ma li c’eri tu: una
luce nell’oscurità; così cantai. -
- Da quel giorno non ti
abbiamo mai abbandonata! Tentammo di tutto per distruggere quel muro, ma non ci
riuscì nemmeno Mithrandir. -
-Forse dovrei smettere di
sognare e convincermi che sono destinata a questa prigione invisibile. -
- Non dire così, non
pensarlo neanche: non devi smettere di sperare! -
Le baciò la fronte come
un padre alla sua figlia, le sorrise teneramente e lentamente si diresse verso
la spiaggia.
Elatan era il capo degli
elfi della vicina isola di Tol Falas, dalla quale molti di essi portavano
viveri e doni per Laurelin che in cambio li deliziava col suo canto. Lui era
molto attaccato all’isola fin dai tempi antichi (era figlio di un Primo Nato) e
a tutti gli elfi nati lì. Inoltre conosceva ogni segreto dell’isola.
Molte volte lei aveva
chiesto di raccontarle come fosse l’isola e la descrizione era sempre la
stessa, ma non le importava, le bastava sognare.
Così ogni volta Elatan
diceva:
-Tol Falas ha tre punte
sulle quali ci sono altrettanti porti: a sud ovest Dinlond, “porto silenzioso”,
ormai in disuso perché affacciato sul mare esterno dove navighiamo molto
raramente e dal quale un giorno partiremo per l’Isola Perduta; a sud Eldalond,
“porto delle stelle”, dov’è situata la torre osservatrice dalla quale si può
ammirare lo splendore della volta celeste notturna; a nord Alqualonde, “porto
dei cigni”, in memoria dell’antico porto dei Teleri in Aman. L’isola è
circondata da spiagge con una sabbia bianca e fine, simile a minuscoli diamanti
che, per i suoi riflessi cristallini, poniamo su oggetti, gioielli e armi;
nell’entroterra collinare crescono prati di un verde rigoglioso e una piccola
foresta di salici, Taur Tathren “foresta del salice”, dove gli elfi dell’isola,
elfi Sindar o Teleri, si ritirano spesso per meditare (il che può durare per
intere settimane) oppure per chiedere o dare consigli agli Ent nati lì.
A Tol Falas non esiste
una città, anzi la città è Tol Falas stessa: noi elfi abbiamo costruito le nostre
casein luoghi diversi dell’isola, per cui
non c’è un posto con un’alta concentrazione di abitazioni e di conseguenza non
c’è una città. Le nostre case sono esternamente piccole ma dentro, come per
magia, direbbero gli uomini della Terra di Mezzo, sono talmente spaziose da
ospitare comodamente tre famiglie di elfi. Nelle case l’atmosfera è calma e
gioiosa allo stesso tempo, si medita e si gioca e la sera, nella stanza del
fuoco, nel cui camino arde una fiamma eterna ed eterea, si narra e canta di
tempi antichi, gloriosi eroi, storie d’amore, di solitudine che parlano di
elfi, mezz’elfi, uomini, mezz’uomini, Valar e, molto raramente, dei nani. Questa
atmosfera ricorda, volutamente, la piccola casa del gioco perduto, “Mar vanwa
tyalieva”, di cui si ricorda una poesia che descrive la spensieratezza di quel
posto a Tol Eressea:
“Un
tempo sapevamo quella terra, Tu e Io,
e una volta là vagando siamo andati
nei lunghi
giorni da lungo tempo nell’ oblìo
una bimba bruna, un bimbo con i capelli
dorati.
Forse
per i sentieri del pensiero al focolare
nella stagione fredda e bianca,
o nelle
ore intessute di blu crepuscolare
di
piccoli letti presto rimboccati
d’
estate nella notte stanca,
nel
Dormire tu e io viaggiammo sicuri
e là ci siamo incontrati,
sulla
vestina bianca i tuoi capelli scuri
e i miei
biondi arruffati?
Camminavamo timidi per mano,
in sabbia d’ oro tracce di bambino,
raccoglievamo perle e conchiglie nei secchielli
e tutt’ intorno cantavano gli uccelli,
gli usignoli in alto tra le fronde.
Scavammo
a cercare argento con le pale
Cogliendo
scintillii di sponde,
poi
corremmo a riva lungo ogni radura erbosa
per scoprire
la tiepida viuzza tortuosa
che ora
non sappiamo più trovare,
tra gli alti alberi e il loro sussurrare.
Non era
notte, non era giorno compiuto,
ma un
crepuscolo perpetuo di luci soffuse
quando
la prima volta allo sguardo si dischiuse
la Casa Piccina del Gioco Perduto.
Pur
vecchissima, appena innalzata,
bianca,
e il tetto di paglia dorata
con i trafori di grate per spiare
che guardavano verso il mare;
c’eran
la nostre aiuole di bambini,
i non
-ti - scordar che ornano i giardini,
margherite
rosse, senape e crescione,
e ravanelli per il tè…
Là tutti
i lati, adorni di bosso,
erano
colmi dei fiori preferiti: il flogo,
il
lupino, il garofano e l’ altea,
sotto un albero di maggio rosso;
la gente
invadeva i giardini
e
parlava i propri linguaggi bambini,
ma non con Me e Te.
Perché
certi, con argentei innaffiatoi,
si bagnavano le vesti tutte intere
o spruzzavano gli altri; alcuni poi,
per costruire case, città piccole o dimore
negli alberi, stendevano il
progetto.
Certi si arrampicavano sul tetto;
altri cantavano, soli e isolati; o in tondo
qualcuno danzava i cerchi delle fate,
avvolto in ghirlande di margherite
e c’ era chi stava in
inchino profondo
dinanzi
a un piccolo re che di bianco s’ abbigliava,
la corona di calendule; e cantava
le strofe di tanto tempo fa…
Ma due piccoli bimbi affiancati,
teste vicine, capelli mescolati,
camminavano qua e là
per mano ancora; e quanto tra loro si diceva
prima del Risveglio, che separarli doveva,” ……-
-……”solo noi conosciamo, ora e qua.”- diceva l’elfa accompagnando la
voce di Elatan.
Poi l’elfo proseguiva:
- Noi di Tol Falas svolgiamo
ogni lavoro possibile e immaginabile, ma siamo soprattutto portati per la
navigazione e la fabbricazione di oggetti che mirano ad eguagliare i Silmarilli
ormai perduti.
La vita è calma, forse
troppo monotona, di sicuro l’ideale per la nostra stirpe anche se quest’ultima
anela sempre di più all’isola persa di Valinor, dove un tempo crescevano
rigogliosi i due alberi del Sole e della Luna.-
Era incredibile come
quell’elfo descrivesse l’isola; se qualcuno non l’avesse mai vista si sarebbe
immaginato un paradiso e così era.
Purtroppo Laurelin era
una di quei “qualcuno” che non l’avevano mai vista.
E continuava a pensarci:
lei era costretta ad osservare quella splendida isola dalle rive della baia
ogni giorno, ne conosceva tutti i vari profili e le diverse ombre che si
spostavano durante il giorno a celare alcuni suoi angoli; non ce la faceva più.
Quei 2000 anni che per
gli elfi erano passati con immensa velocità, per lei erano stati lunghi e
interminabili……eterni come lei stessa.
Si accorse della strana
reazione della ragazza e corse da lei.
Inginocchiandosi
l’abbracciò e lei si rannicchiò contro il suo petto.
- Laurelin, piccola…… -
- Ti prego Elatan, non
lasciarmi. - disse mentre il pianto diventava più violento e il suo corpo veniva
scosso dai singhiozzi, - Ho paura! Non voglio rimanere sola; sono stanca di
rimanere rinchiusa in questo posto. Resta per favore, resta! -
Rimase tra le braccia dell’elfo,
che in tutta la sua lunga vita non aveva mai visto piangere così uno della sua
stessa razza.
Il pianto diminuì
- Resta. - sussurrò.
Elatan sospirò
tristemente.
- Non ti lascerò - disse
alzandosi e prendendola in braccio.
Guardò il cielo stellato.
- Questa notte starò con
te e Eryn - le sussurrò.
- Grazie. - disse in un
sospiro addormentandosi.
Elatan chiamò uno dei tre
elfi che lo stavano aspettando alla barca.
- Avvisa mia moglie che
tornerò domani, lei capirà. -
- sarà fatto. -
Gli elfi salutarono il
loro capo e partirono alla volta di Tol Falas.
Elatan portò Laurelin
fino alla casetta e la depose sul letto.
Eryn, che non aveva
assistito all’accaduto, lo guardò interrogativamente.
- Resterò con voi questa
notte. - disse con un cenno del capo verso l’elfa addormentata.
Eryn annuì.
- Puoi dormire nel mio
letto. - disse.
- No, grazie. Io resto
accanto a Laurelin. - disse cercando qualcosa da mettere sul pavimento per
stendersi.
L’elfa sorrise.
- Aspetta. - sparì nella
stanza adiacente e ricomparì con quattro coperte.
L’elfo era dubbioso.
- Quattro? - chiese.
- Certo: due per
sdraiarsi, una come cuscino e una come coperta! Io penso a tutto! - disse
sottovoce per non disturbare la ragazza.
Eryn andò a dormire nella
sua stanza augurando la buona notte.
Elatan si preparò il
giaciglio accanto al letto di Laurelin e vi si stese sopra prendendo la mano di
lei nella sua.
L’amica di Laurelin fece
capolino dalla porta. Sorrise e la richiuse.
Laurelin sognò.
CONTINUA……
COMMENTATE!!!!!!!!!!!!!!!
Please! Si ammetto che
questo capitolo è un po’ noioso, ma i prossimi sono un pò più…………………….OK!
Perché non
posso sentirti, tu parli e io non ti sento…
- Ti amo -
Sto svelandoti il mio
amore per te……no non andartene, non andartene, andartene,
andartene,
andartene….- Telperion
non gridare, comunque non me ne vado! –
Sbatté le palpebre,
mettendo a fuoco il luogo:
- Era solo un sogno? Non
è possibile! Era così reale e lei…così bella. –
Una figura comparve sopra
di lui:
- Oh no, è impazzito; ti
senti bene? Sentiamo se sei malato. -
- Piantala
non sono malato, non posso esserlo, sono un elfo! Sto benissimo e tu non ti fai
mai gli affari tuoi, vero Legolas?! -
- Mi piace farmi gli
affari degli altri, si scoprono tante cose delle quali non avresti
mai saputo niente. -
- Anche
a me piace impicciarmi degli affari altrui e conosco molte cose su di te. Come
quella volta che per vedere Dol Guldur hai messo il
sonnifero nel vino di nostro padre, il re Thranduil,
perché non ti fermasse e, anche,…… -
Legolas gli tappò la
bocca con la mano.
- Zitto non voglio che mi
scoprano adesso, lo sai che nostro padre non è clemente; non
è che io non mi fidi di te e degli altri, però…… -
- Non ti preoccupare, noi
non tradiamo il nostro principe, il nostro miglior amico. - disse uno dei tre
elfi che accompagnavano Legolas e Telperion.
- Non temete, mi fido
ciecamente di voi, però,……non chiamatemi più principe,
mi fa sentire vincolato da dei doveri precisi.
- Va bene,……”principe” - disse Telperion con un’espressione di sfida
sul volto.
- Che
cosa hai detto?! Fatti avanti, atterrami se ci riesci! - ribatté Legolas con la
medesima espressione.
Entrambi, con una
velocità incredibile, cominciarono il “combattimento”.
I tre elfi assistevano
alla scena; uno di essi con un’espressione di preoccupazione
sul volto disse:
- È sempre la stessa storia, uno dei due
incita l’altro e poi finiscono sempre col combattere; sono irrecuperabili! -
- Secondo te chi vince
questa volta? Sembrano entrambi in piena forma. - disse un altro.
- È difficile prevedere
chi dei due ne uscirà vittorioso; in ogni modo è sempre piacevole vedere i più
veloci elfi di Bosco Atro combattere! - rispose il terzo, - In più sono
fratelli! -
Telperion si bloccò,
un’espressione triste crebbe sul suo volto; Legolas accortosi dell’improvviso
del cambiamento di Telperion si arrestò.
- Cosa
hai? Telperion stai bene? Fratello mio rispondi.
-
Come se la parola
“fratello” gli avesse inflitto una grave ferita, Telperion cadde a terra; con
lo sguardo cercò Legolas, come in cerca di un appiglio al quale sostenersi, e
con voce sommessa disse: - Non sono tuo fratello, sono solo il tuo
fratellastro. -
- Anche se ciò è vero io ti voglio bene più di un fratello, sei il mio
fratellino!- lo abbracciò, - Cosa diranno a palazzo quando sapranno che hai
pianto per una cosa del genere?! -
- Ehi, io non ho pianto!
- ribatté Telperion inarcando un sopracciglio.
Ci fu un attimo di
silenzio, poi entrambi scoppiarono a ridere mentre i
tre elfi che assistevano rimasero immobili per lo stupore.
Telperion era il figlio
adottivo di Thranduil, venne
portato a Bosco Atro da Mithrandir, il quale aveva allevato la madre del bimbo
dandole il nome della sua spada: Glamdring; infatti
sua madre era un’orfana di origine Sindar.
Il padre era, invece, un Galadhrim; si chiamava Elentirmo
“osservatore di stelle” perché il suo sguardo era sempre rivolto alle stelle.
Entrambi i genitori di Telperion morirono ed affidarono il figlio allo stregone
grigio, salvandogli, così, la vita.
Telperion era uno degli
elfi più belli e veniva paragonato, come Legolas, a
uno dei Luminosi, i primi nati.
Aveva capelli biondi
lunghi e ben curati (come ogni elfo che si rispetti), i suoi occhi era come perle azzurre che rispecchiavano il candido colore
del cielo limpido.
Insieme a Legolas, era
uno dei più alti della sua stirpe; era agile e pieno di vitalità, con un rapido
movimento tendeva il suo arco e con eleganza scoccava una freccia della quale
si poteva udire il sibilo, me che agli occhi, escludendo quelli elfico, era
invisibile tanto era veloce.
Il suo nome, Telperion,
era lo stesso nome dell’albero del Sole a Valinor.
Telperion era munito di un arco dei Galadhrim,
il popolo di Lothlorien, donatogli da Mithrandir in
ricordo del padre; la sua faretra bianca, finemente decorata con rune elfiche in oro, conteneva frecce dalla
punte argentate; alla cintura, raffigurante motivi vegetali ricamati con
fili d’oro, erano appesi due pugnali in avorio di fattura Sindarin,
sulle cui lame e impugnature erano incise con l’oro le medesime rune eliche
della faretra, le quali tradotte nella Lingua Corrente significano: “Ci sarà
sempre luce anche nell’oscurità più profonda”. Vestiva con un abito verde e
dorato che ricordava la sua discendenza da due stirpi di elfi:
Sindar e Galadhrim; l’abito, pur essendo molto
leggero, riscaldava pienamente nelle stagioni fredde, inoltre gli permetteva di
confondersi con la natura grazie ai riflessi creati dal tessuto elfico.
La compagnia era appena partita dalla dimora degli elfi di
Bosco Atro.
I cinque erano diretti a Imladris
perché Legolas era stato convocato per partecipare ad un consiglio indetto da
Sire Elrond.
Erano tutti intorno al fuoco silenziosi.
Le fiamme ardevano vivaci e danzavano dolcemente negli
occhi degli elfi. Quegli occhi che avevano veduto troppe cose per poterle
raccontare tutte..
Ognuno era assorto nei propri pensieri.
Legolas si distese appoggiandosi sul tronco, le mani unite
dietro il capo.
Chiuse gli occhi tentando di scacciare i pensieri
che gli affollavano la mente: affrontare il consiglio non sarebbe stato
semplice. Quel Gollum aveva causato
l’ira di suo padre, re Thranduil, che l’aveva
congedato senza un sorriso o un gesto di affetto.
Diede un calcio ad un rametto che andò a finire tra le
braci.
I suoi compagni non si scomposero,
sapevano il motivo di quella tensione.
Telperion fissò intensamente le fiamme portando le mani
davanti ad esse.
Quel calore che le fiamme gli donavano era lo stesso che
provava ogni giorno da quando era arrivato a Bosco Atro: quando Legolas gli
sorrideva, quando lo prendeva in giro; quando suo “padre” gli parlava con
parole affettuose. Quelle parole che la mattina stessa aveva
negato a suo fratello.
Il tepore solleticava i suoi palmi.
Aveva paura di abbandonare i suoi cari e, soprattutto,
Legolas.
Ma quel calore che provava quando
sognava la sua elfa era unico, indescrivibile.
Corrucciò lo sguardo, era turbato da quelle visioni che
non sapeva riconoscere come veritiere o erronee, frutto della sua fantasia.
Legolas notò lo stato d’animo di Telperion.
- Che succede, Telperion? -
I tre elfi si voltarono verso il loro principe
interrogativamente.
Telperion ritirò le mani dal fuoco e si voltò confuso
verso il fratello.
- Io, non lo so………………il calore del fuoco……… -
- Ti ascolto. -
- Questo calore……è lo stesso che sento quando mi stai
vicino…….ma…….. -
Legolas sorrise: solo suo fratello sapeva parlargli così
facendogli dimenticare i suoi problemi.
- Ma? - chiese uno dei tre elfi.
- Ma non è lo stesso che sento
quando c’è lei………. -
- Se non ne vuoi parlare…….. -
- Lei è come una fiamma. - lo interruppe Telperion, - Una
fiamma che arde nel mio petto, che mi brucia lasciandomi arido
e anelante acqua. Così il suo fuoco si trasforma in chiara, limpida,
fresca acqua che colma la mia sete di affetto. Lei mi
annulla, rendendomi il tutto. Lei…… - Telperion chiuse gli occhi, - …è solo un
sogno che tale rimarrà lasciandomi incompleto, come perennemente assopito. -
Legolas si rialzò incuriosito.
- Vuoi dire che non l’hai mai vista? -
Telperion annuì.
Un altro fece per parlare, ma Legolas alzò una mano
bloccandolo.
Il principe si distese.
Gli altri quattro elfi si rilassarono cercando di
addormentarsi.
Nessuno parlò più.
CONTINUA…
Hi, magnifici lettori!
Questi primi capitoli sono un po’ lentucci,
ma vi prometto che i prossimi saranno moooolto più
belli.
(Ah, ah, ah, ah!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!N.d. lettori) (grazie della fiducia! LN.d.Fea).
Ah, volevo avvisarvi che Legolas non è il protagonista di
questa storia, ma dato che mettere un personaggio è
obbligatorio, ho dovuto per forza mettere lui……..quindi, Sorry!!!!!!!
Cmq spero che qualcuno continui a
leggerla. Mi ha fatto mui piacere sapere che qualcuno
ha tentato l’impresa kamikaze di leggere il primo capitolo…………….apprezzo il
sacrificio e l’impegno.
(che autolesionista, ti stai autocriticando!! N.d.OminodelcervellodiFeade)
Ringrazio il mio Omino per il commento e invito tutti a
commentare, commentare e commentare.
Toi ìrimar. Ilyain antalto annar
lestanen Ilùvatàren. Ilu
vanya, fanya, eari, i-mar, ar ilqua ìmen. Ìrima ye Nùmenor.
Nan ùye sére indoninya sìmen, ullume; ten sì ye tyelma, yéva tyel ar
inarquelion ìre ilqua yéva nòtina, hostaniéva, allume: annata ùva tàre fàrea,
ufàrea!
Man tàre antàva nin Ilùvatar, Ilùvatar, enyàre tar i tyel, ìre
Anarinya queluva?
Cioè
Ilùvatar creò questo Mondo per gli Elfi e gli Uomini e li mise tra le
mani dei Potenti: essi stanno nell’Ovest. Sono santi, benedetti, amati – tranne
il Nero: egli è caduto. Alcar è stato gettato fuori del Mondo: ciò è bene. Per
Elfi hanno fatto la Luna, per gli uomini il caldo Sole. Sono belli, loro. A
tutti essi [i Potenti] diedero in misura eguale i doni di Ilùvatar. Il Mondo è
bello, il cielo, i mari, la terra e tutto ciò che vi si trova. Nùmenor è bella
ma il mio cuore non soggiornerà mai più qui; poiché vi è una finalità e vi sarà
una fine e una decrepitezza, quando tutto sarà stato finalmente contato e
numerato, ma non sarà abbastanza. Padre, oh Padre, che cosa mi darai in quel
giorno dopo la fine, quando il mio Sole impallidirà?
Appena fu pronunciata
l’ultima parola, Legolas trasse un sospiro.
- La fine……chissà quando
avverrà?! Chissà se noi riusciremo a vederla o se le armi e il dolore avranno
il sopravvento sulla nostra immortalità. -
Nel gruppo cadde il
silenzio, quando una voce rauca e maligna gridò:
- Ho io la risposta al
tuo enigma elfo, la fine potrai vederla prima di quanto non immagini. - la
creatura scagliò una freccia che sfiorò, ferendo, il viso di Telperion.
- Non hai una bella mira
chiunque tu…… - non riuscì a terminare la frase che la creatura cadde a terra
senza vita.
- Un orchetto…comunque,
Legolas, potevi farmi finire la frase - disse Telperion voltandosi; in quel
preciso istante un altro orchetto stava per ferire Legolas. Telperion con uno
scatto scagliò una freccia contro il nemico, Legolas, intuendo le intenzioni di
suo fratello, si girò abbassandosi ed estraendo i due pugnali dalla sua faretra
li conficcò nel fianco della bestia. L’orchetto si ritrovò morto con una
freccia al cuore e due pugnalate nel fianco senza accorgersene tanto
velocemente i due compirono l’azione.
- Sì! - gridarono in coro
i due fratelli.
- Un’imboscata! - gridò
uno dei tre elfi dopo la sorpresa per la celerità dei due.
Non passò che qualche
minuto che la compagnia aveva già ucciso tutto il plotone orchesco.
Gli elfi rinfoderarono le
armi e recuperarono le frecce.
- Si può sapere dove li
vanno a prendere degli orchetti così lenti e deboli? – esclamò Telperion
estraendo una freccia da un orco, - Credo comunque che non saranno i soli da
queste parti. Quindi ci conviene muoverci se non vogliamo avere contrattempi e
arrivare tardi al consiglio che, mi sembra, dia già problemi di per sé. –
concluse dando un’occhiata a Legolas.
Quest’ultimo non aveva
ascoltato una sola parola di quello che aveva detto suo fratello. Si era
voltato verso la sua sacca appesa alla sella del cavallo e vi aveva estratto
una boccetta.
- Legolas che stai………? -
- Ti hanno ferito. -
rispose interrompendolo.
- Dove scusami? -
- Il viso! -
Telperion si toccò una
guancia. Un leggero rivolo di sangue vi scendeva.
- Oh, ma non è…… - tentò
di dire Telperion.
- Certo che è! Fermo che
ti metto questo unguento. –
Telperion non ribatté
consapevole che Legolas non l’avrebbe ascoltato.
L’elfo lo curò
delicatamente.
- Dai, basta Legolas, non
muoio dissanguato! -
- Non capisci niente! -
- Certo che capisco,
piantala! -
- Non darmi ordini! Hai
2888 anni, 43 meno di me! -
- Sarai più grande di età
ma non di cervello! –
- Cosa?! –
- Ragazzi calma. –
intervenne uno dei tre elfi.
I due fratelli lo
trafissero con lo sguardo.
- io…….non………cioè…… -
Gli atri scoppiarono a
ridere.
Legolas mise via gli
unguenti e salì a cavallo.
- Dobbiamo andare ora:
probabilmente troveremo altri impicci lungo la strada. -
I quattro elfi saltarono
in groppa ai loro destrieri.
Partirono al galoppo con
in testa Legolas che si era fatto serio.
Dopo un’ora di viaggio
erano nei pressi dell’Anduin.
I pensieri di Telperion
erano rivolti a Imladris: non aveva mai visto quella dimora elfica.
Raggiunse Legolas.
- Legolas – disse ad alta
voce per sovrastare lo zoccolio, - senti com’è Imladris, non l’ho mai visto. -
- Beh, ……è un bel posto.
– disse chinato sul collo del cavallo.
- Ho intuito anch’io che
è un bel posto, non penso che Elrond vivrebbe in una topaia. –
Legolas frenò il suo
cavallo costringendo gli altri a fermarsi e scoppiò a ridere.
- Scusa ero assorto nei
miei pensieri e non ti stavo ascoltando. Ti va se te ne parlo sulle rive
dell’Anduin? Ci accampiamo li. -
- Certo, basta che te ne
ricordi. –
- Hai la mia parola –
- Ah, allora…….! –
- È la parola di un
futuro re elfico! –
- Appunto Legolas,
FUTURO! –
- Telperion galoppa prima
che ti trafigga con tutte le mie frecce. –
Telperion partì al
galoppo sorridendo.
I cinque cavalieri
galopparono mentre la luce del sole si spengeva all’orizzonte. I deboli raggi
del sole creavano, sui loro fluenti capelli dorati, rossi riflessi come fiamme
vivaci.
A qualche miglio da loro
intravidero il grande fiume.
Spronarono i loro
cavalli, ansiosi di riposarsi e di far riposare i loro fedeli destrieri.
Erano appena smontati da
cavallo sulle rive del fiume e si stavano rinfrescando.
Telperion vide suo
fratello al suo fianco chino sull’acqua e assorto nei suoi pensieri.
SCIAFF!
- Per tutti i Valar
dannato di un fratello! -
Telperion approfittando
del momento propizio aveva spinto suo fratello nel fiume.
Telperion venne preso da
un attacco di riso che si protrasse a lungo nel vedere Legolas con i capelli
per aria, tutto bagnato.
I tre elfi erano rimasti
basiti con un mezzo sorriso stampato sulle labbra.
Legolas si rialzò furente.
Uscì dall’acqua.
- Io ora termino la tua
vita su questa terra! Scappa perché ti giuro che non mi freno! -
Telperion rideva.
- Mi hai capito? -
Telperion rideva.
- TELPERION! -
- S…scusa Legolas…ah,
ah……hai……hai…- scoppiò a ridere.
- Cos’ho Telperion? –
- Hai……hai… -
Legolas gli tirò uno
schiaffo.
- …un ciuffo in piedi! -
Legolas si toccò i
capelli. Cercò di trattenere una risata, ma scoppiò inesorabilmente anche lui.
Si erano divisi i
compiti: uno andava a prendere la legna e accendeva il falò, un altro andava a
cacciare, un altro ancora foraggiava i cavalli, Legolas si cambiava i vestiti
fradici mettendoli ad asciugare e Telperion…………rideva.
Era ormai buio e la luce
del falò, come la sera precedente, riscaldava i loro animi.
Questa volta nessuno
parlò, scelsero i turni di guardia e andarono a dormire.
Il primo turno toccò a
Telperion per aver spinto suo fratello in acqua.
Era seduto su di una
roccia vicino al bosco. Guardava attento ogni onda che si creava sulla
superficie dell’acqua. Percepiva ogni singolo movimento e rumore della foresta.
Percepiva le anime dei suoi compagni perdersi in lontani ricordi di tempi
passati.
Percepiva la voce del
vento che gli sussurrava incessantemente che tutto ciò che vive è un dono.
Percepiva il suo cuore
battere con il battito della terra, battere con il battito del fiume, battere
come il battito di…………..
- Passi? -
Si voltò veloce
impugnando i suoi due pugnali.
Si arrampicò veloce e
silenzioso su di un albero.
I passi si fecero più
vicini.
Si fermarono.
Telperion osservò la
figura.
L’ombra si chinò su
Legolas spostandogli una ciocca di capelli dal viso.
Telperion saltò giù
dall’albero e con un movimento felino bloccò le braccia alla figura.
- Fermo o ti uccido. -
- Cosa credi di fare elfo
contro di me? – disse dimenandosi.
- La tua presunzione si
manifesta quando sei in netto svantaggio rispetto al tu avversario. – osservò
Telperion.
- No, ero obiettivo! Un
elfo gracilino come te……-
Telperion gli passò un
braccio intorno al collo e strinse.
- Ok, ok! Ho capito! Mi
ero sbagliato! -
L’elfo non mollò la
presa.
L’uomo chiuse gli occhi
attendendo una mossa da parte del suo aggressore.
Una risata cristallina lo
scosse.
Telperion liberò l’uomo.
Quest’ultimo lo guardò
interrogativo.
- Non volevi……? -
- Ucciderti? - chiese
Telperion.
L’uomo annuì.
- Perché avrei dovuto?
Hai solo spostato una ciocca di capelli dal viso di mio fratello. -
L’uomo era ancora
confuso.
L’elfo gli sorrise.
- Vieni siediti accanto
al fuoco che così posso osservarti meglio. -
La figura seguì l’elfo.
Il fuoco li separava.
- Mi presento. Il mio
nome è Telperion, secondogenito di re Thranduil del bosco alle tue spalle. -
- Il mio nome è Boromir,
primogenito del sovrintendente di Gondor. –
- Cosa ci fai da queste
parti? –
- Sono stato convocato ad
un consiglio a Gran Burrone. –
- Ah, lo stesso vale per
noi! –
- Che argomento porterai
al consiglio? –
L’uomo rimase in
silenzio.
- il mio paese è
continuamente, assiduamente attaccato da Mordor e…… -
Telperion lo fissò e vi
lesse tristezza e angoscia, ma tutto cambiava subito in speranza frammista e
paura.
L’elfo venne subito
attratto dall’animo di quell’uomo. Così impenetrabile, tormentato, confuso.
Decise di non svegliare i
compagni, avrebbe proseguito il turno per tutta la notte parlando con l’uomo.
Il sole spuntò tingendo
d’oro le foglie di Bosco Atro.
I raggi solleticavano i
bei visi degli elfi che si svegliarono riposati dalla lunga dormita.
Legolas aprì gli occhi e
si trovò di fronte il viso di un uomo ai capelli rossicci.
D’istinto estrasse il
pugnale e glielo porto alla gola.
L’uomo si svegliò di
soprassalto.
- Di giorno o di notte mi
ritrovo sempre con un elfo che minaccia di uccidermi! - si lamentò.
Legolas lo fissò
interrogativo.
Telperion si accucciò
alle spalle di legolas e gli toccò la spalla con un dito.
L’elfo si girò.
- Buon giorno fratellone!
Lui è Boromir di Gondor! -
Legolas rimise via il
pugnale e sospirò.
CONTINUA……..
Ciao.
Si, è vero devo dire che
in questo capitolo Telperion sembra un po’ pirla, ma serve per risollevare di
spirito la storia visto che dopo non è allegrissima.
I tre
elfi erano ancora immobili a fissare l’isola in fiamme.
Il fumo
si alzava dai porti; le navi incendiate affondavano.
Eryn era
sconvolta tanto da non riuscire ad alzarsi in piedi.
Laurelin
non riusciva a staccare lo sguardo da quella visione orribile.
- Elatan?
-
L’elfa
non ottenne risposta.
- Elatan
che significa? Perché….non….Come….? -
Non
sapeva neanche cosa dire, come esprimere il suo sgomento.
Inaspettatamente
le labbra di Elatan si mossero in un lieve sussurro.
- Non
posso aiutarli. -
Da quel
sussurro trasparì tutta l’angoscia che l’elfo custodiva.
Eryn ne
era pienamente consapevole e ne era sconvolta. Così vicini eppure così lontani.
E quella
realtà faceva troppo male.
Elatan si
voltò. Non voleva continuare ad assistere impotente.
Calò il
silenzio, rotto solo da lontane grida. L’odore di fumo invadeva insistente
l’aria.
…………
- Una
barca! – esclamò Laurelin.
Gli altri
due si voltarono di scatto.
Si, una
barca si stava avvicinando alla riva.
Elatan
corse in acqua fin dove poteva arrivare e bloccò la barca portandola a riva.
Laurelin
corse per aiutarlo, ma si fermò prima di toccare l’acqua: la barriera.
Elatan
portò la barca sulla spiaggia mentre Eryn li raggiungeva.
Due elfi
erano riversi nella barca feriti.
I tre li
aiutarono a scendere e li sdraiarono sulla riva.
Uno era
ferito ad un braccio; l’altro aveva una profonda ferita al ventre causata da un
pugnale.
Elatan li
riconobbe subito: erano i figli di un suo caro amico.
Il capo
di Tol Falas mandò le due elfe a prendere dei medicamenti mentre lui tentava di
bloccare l’emorragia al ventre dell’elfo con un pezzo di stoffa.
- Calmo,
stai fermo. – gli disse mentre premeva sulla ferita.
-
Ah………l’isola…..- cercò di dire, ma il dolore era troppo forte.
L’altro
parlò per lui.
- Gli
orchi………l’isola……….ah……..aiutaci…..hanno bisogno………….ora! Ela…..tan! –
- Non
posso lasciarvi. –
- Siamo
due. – replicò l’elfo stringendo i denti, - loro sono un intero popolo!
Laurelin e Eryn baderanno a noi……vai! –
Elatan
annuì, non senza una punta di rimorso. Corse alla barca, la spinse al largo e
saltò su prendendo in mano i remi. In poco era già a metà strada.
Arrivarono
le due elfe intuendo dove fosse andato Elatan.
Cominciarono
a curare i due feriti. Non poterono evitare di arrecare doloreall’elfo ferito al ventre.
Quando
terminarono li aiutarono ad alzarsi e sorreggendoli li portarono nella casa. Li
fecero sdraiare in due letti.
Laurelin
rimboccò le coperte ad uno dei due.
Una mano
dell’elfo si posò sulla sua.
L’elfa lo
guardò in volto.
I suoi
occhi erano carichi di dolore e tristezza.
- Grazie.
– sussurrò.
- Non
devi ringraziarmi, era mio dovere aiutarvi. Come è dovere di Elatan aiutare
l’isola. –
I due
elfi s’irrigidirono.
Laurelin
capì e fece cenno a Eryn di sedersi. Si sedette a sua volta guardando i due
fratelli.
- Raccontateci
cosa è successo. – chiese.
I due
tacquero come se quella richiesta gli fosse costata cara.
- Se non
volete parlarne non fatelo, non siete obbligati. -
- No,
avete il diritto di saperlo. – trasse un sospiro, - Anche se questo mi arreca
grande dolore. –
L’elfa
abbassò lo sguardo, mentre l’elfo si preparava a cominciare.
- Ieri sera il cielo era
limpido e terso, come ogni giorno, per precauzione, nei nostri porti si montava
la guardia. Un improvviso lampo rosso solcò il cielo; da Dinlond, Eldalond e
Alqualonde, i nostri tre porti, arrivarono tre messaggeri, due dei quali feriti
che portavano notizie di tre navi enormi, ciascuna approdata in un porto, che
avevano fatto sbarcare decine di Balrog, goblin, orchetti e Uruk-hai…. - un
brivido di terrore scosse l’elfo che, dopo un attimo di silenzio, riprese il
racconto. - Queste orde di putridi esseri maligni hanno invaso i porti
bloccando ogni via d’uscita. Hanno bruciato le nostre navi e i nostri porti che
i nostri arcieri tentano di difendere fino allo stremo delle forze…… vengono
tutti massacrati senza pietà. Alcuni sono andati verso le abitazioni per creare
un fronte che possa bloccare quegli esseri.-
l’elfo strinse i denti
quando una fitta gli passò il braccio. Laurelin gli bagnò la fronte con una
panno bagnato.
- La scorsa notte ho
visto morire decine di madri e di bimbi, i loro visi erano ancora color
porpora, ma i loro corpi senza vita; molti miei amici sono caduti, li ho
sentiti gridare dal dolore, non per le ferite, ma per distruzione dei propri
sogni: tutti aspettavano il giorno per ritornare a Valinor……….vedranno solo le
aule di Mandos e mai più la nostra amata Valinor! -
L’elfo tacque qualche
minuto, Laurelin era sconvolta dalle sue parole e non riuscì a pronunciare una
parola.
L’elfo, con le lacrime agli occhi, proseguì.
- Le case più vicine ai porti sono state completamente
arse dal fuoco, la maggior parte delle donne e dei bambini sono stati nascosti
in una casa al centro dell’isola dove i nemici non sono ancora giunti……….ho
visto balrog, demoni dei tempi antichi, abbattere case come fragili ramoscelli.
Quelle case dove abbiamo passato i momenti più belli. Gli Uruk-hai fanno stragi
di arcieri, di donne e di bambini: alcuni più crudeli degli altri continuano a
dilaniare i corpi senza vita dei più giovani; la nostra resistenza si sta
indebolendo. È per questo che nostro padre ci ha mandati per invocare il tuo
aiuto. Eravamo ancora illesi tranne qualche lieve ferita, non c’erano più
imbarcazioni intere, percui ci tuffammo per raggiungerti a nuoto. Ma una
pattuglia di goblin ci avvistò e ci scagliò contro una quantità inimmaginabile
di frecce, come vedi molte ci hanno ferito, ma dovevamo salvare l’isola così,
sfiniti, cercammo di non pensare alle ferite e di nuotare il più veloce
possibile per chiedervi aiuto. Fortunatamente una barca era ancora intatta. Il
resto lo sai. -
Laurelin ed Eryn erano rimaste senza fiato.
Sembrava un racconto irreale, purtroppo era l’esatto
contrario.
L’elfo chiuse gli occhi addormentandosi.
Le due elfe uscirono dalla stanza.
Nessuna delle due pronunciò parola: erano sconvolte!
Laurelin uscì e continuò a fissare per tutta la notte
l’isola e intonò un canto per le anime in viaggio per le aule di Mandos.
Eryn andò a letto, ma non chiuse occhio.
Più volte i due chiesero aiuto durante la notte.
La mattina dopo l’elfo feritoalla spalla stava già molto meglio e poté
alzarsi da letto. L’altro dovette restare sdraiato, le sue condizioni erano
ancora precarie.
Il silenzio regnava sovrana quel giorno.
Tutti erano in ascolto dei lamenti del popolo di tol
Falas.
Elatan raggiunse l’isola e vi approdò su di una spiaggia
isolata per non attirare l’attenzione.
S’inerpicò per il pendio.
L’aria era pesante e si faticava a respirare.
Era vicino ad uno dei porti.
Sentiva i rumori delle armi che s’incrociavano e i fischi
delle frecce.
Salì più in fretta.
Spostò i rami e le fronde che gli intralciavano il
passaggio.
La foresta terminò.
Fuoco…….fuoco, fiamme e distruzione.
Balrog, orchi e ogni essere maligno immaginabile erano
alle prese con un fronte di elfi che si battevano strenuamente.
Molti da entrambe le parti erano morti.
Nel vedere i suoi compagni morti a terra la collera lo
invase.
Recuperò una spada e un arco e si diresse di corsa verso i
guerrieri che stavano cedendo.
- Tangado haid! (Mantenete le posizioni!) – Gridò.
Gli elfi riconobbero il loro capo e sorrisero.
Incoccarono le frecce armati di nuova volontà e forza.
- Leithio i phillin! (Scagliate le frecce!) -
All’unisono gli elfi scagliarono le frecce al comando di
Elatan.
Quando
Telperion vide Imladris rimase sbalordito; era come gliel’aveva descritta suo
fratello: i porticati, il boschetto, le fini decorazioni, le piccole cascate,
il candore dell’insieme si fondeva in un unico perfetto quadro.
Erano
appena arrivati nella dimora di Elrond e degli stallieri li avevano accolti
portando i loro cavalli nelle stalle e rifocillandoli; delle dame li avevano
accompagnati ai loro alloggi lasciandoli riposare e invitandoli alla cena che
si sarebbe tenuta quella sera alla tavola di sire Elrond.
Avevano
viaggiato velocemente e senza soste. A loro si era aggiunto Boromir, contento
di un po’ di compagnia dopo il lungo tragitto dal regno di Gondor.
Telperion
aveva avuto molto tempo per studiare l’animo di quello strano uomo, così
chiuso, serio, scontroso…….ma buono.
Legolas
non aveva avuto il tempo di pensare a lui, ma era curioso di sapere che notizie
e che domande portasse dal regno degli uomini, il regno di Aragorn.
Adesso
erano stanchi, spossati dalla cavalcata.
Legolas,
per rispetto, andò subito da Elrond per porgergli i saluti del Bosco Atro.
-
Principe Legolas, siete il benvenuto nella mia casa in questi tempi oscuri. -
- Grazie.
– disse Legolas abbassando il capo in segno di riverenza.
- So che
con te è venuto anche tuo fratello, Telperion. –
- Si, mio
signore. –
Elrond
poggiò una mano al mento e rimase in silenzio pensoso.
Legolas
attendeva.
- Tuo
fratello avrà uno strano futuro…….complesso – sussurrò.
Legolas
corrucciò lo sguardo interrogativamente.
- Ma non
è di lui che siamo qui per discutere. – disse rialzando il tono di voce, - Come
avete viaggiato, avete incontrato impedimenti? -
Legolas
narrò delle varie imboscate da parte di vari ed esigui gruppi di orchi, anche
nelle vicinanze di Imladris, nessun luogo era più sicuro.
Parlò
dell’uomo che era arrivato da Gondor e ancora Elrond rimase pensoso, ma subito
congedò Legolas con un cordiale sorriso. Legolas s’inchinò portandosi una mano
al petto ed uscì.
Appena
fuori respirò profondamente, sollevato.
Telperion
era uscito dalla sua stanza e stava visitando la dimora elfica.
Quelle
bianche terrazze sullo strapiombo, che si affacciavano su cascate di rara
bellezza che giocavano con le pietre sulle quali si poggiavano creando una
sottile cortina di vapore che imperlava l’aria, possedevano un’eterea serenità.
Rimase
fermo, immerso in quell’atmosfera di pace: un’illusione in quel periodo di
dolore.
Si
allontanò vagando per i corridoi del luogo. Non incontrò molte persone, ma chi
incontrava gli rivolgeva un cordiale saluto.
Solo
verso sera l’ambiente si animò. Arrivarono quattro mezz’uomini con un uomo, un
ramingo del nord, gli parve. Vide elfi da Lothlorien e uomini, ma le presenze
che più lo disturbarono furono due nani.
Si ritirò
nella sua stanza, voleva riposare prima di cena.
Legolas
stava andando verso la sala dei banchetti.
Era
vestito con una tunica verde a maniche svasate e colletto alto. Come solito, in
queste occasioni ufficiali doveva portare la corona da principe. Lui era
l’ambasciatore di Bosco Atro.
Stava
proseguendo per un corridoio quando una porta si aprì e ne uscì Telperion.
Legolas
sorrise, finalmente una persona che lo risollevava dal peso dei suoi pensieri.
-
Telperion. -
L’elfo si
girò sorpreso: vestiva anche lui un abito verde con maniche strettee pantaloni leggermente svasati di un verde
più tenue.
-
Telperion, ti sei riposato? Sei pronto per la cena? -
- Certo,
questo luogo è splendido per la pace interiore. Comunque per la cena sono
prontissimo a seguirti dato che non so dove si debba andare. –
Legolas sorrise.
- Non ti
preoccupare c’è sempre tuo fratello che provvede a tutto. -
Chiacchierando
si diressero verso la sala.
Davanti
alla porta si fermarono e si guardarono a vicenda.
Nessuno
dei due voleva entrare per primo.
- Sei tu
l’ambasciatore! – disse Telperion.
-
Telperion ti prenderei volentieri a coltellate. –
Aprì il
portone ed entrò seguito da suo fratello.
Calò il
silenzio.
Uno dei
due nani sbuffò.
-
Benvenuti principi di Bosco Atro, accomodatevi. - li invitò Elrond.
Il silenzio
terminò mentre tutti gli invitati tornavano agli argomenti che stavano
discutendo.
Boromir
bloccò i due elfi salutandoli e cominciando a discorrere con loro su Imladris.
Legolas
si staccò quasi subito dai due rifugiandosi su una sedia solitario: non aveva
voglia di parlare.
A tavola
vennero discussi vari argomenti.
Tutti
mangiarono a sazietà, dopodiché la folla cominciò a separarsi in gruppetti per
continuare i discorsi precedentemente abbandonati.
Legolas
aveva già abbandonato la sala e Telperion lo fece poco dopo, quando terminò la
discussione con Boromir.
Uscì, ma
Legolas non c’era già più.
Si
diresse in un corridoio in cerca del fratello, ma gli unici due che incontrò
furono i due nani.
Appena li
vide fece un inchino alle due figure che, con uno sguardo bieco, risposero con
un impercettibile cenno del capo e se ne andarono voltandogli le spalle e
borbottando.
- Questi
elfi, gente strana. Ascolta tuo padre, Gimli, questa è gente sgarbata! -
Telperion
non sapendo stare zitto rispose a tono.
- Senti
chi parla, il barbuto di turno! -
I due
nani si voltarono e ribatterono con foga.
- Voi
elfi, feccia della Terra di Mezzo, vi vantate per la vostra bellezza e altezza,
ma siete solo delle sciacquette! L’unica cosa che sapete fare è tendere l’arco
e cantare. –
- Almeno
non siamo sgraziati come voi e non parliamo a sproposito……..vi ricordo che
siete in una dimora elfica. –
- Noi non
guardiamo in faccia a nessuno. –
-
Mmmmh,………..penso che così vi rendiate più apprezzabili agli altri. –disse ironicamente.
- Elfo
impertinente. –
- Nano
scorbutico. –
L’atmosfera
si stava scaldando.
- Che
succede qui? -
- Non
impicciarti, uomo, in faccende che non ti riguardano. – gli ringhiò Gloin.
- Scusalo
buon uomo ma non capisce che è scortesia. Il suo cervello è troppo ristretto. –
- Cosa
hai detto?! Ripetilo se ne hai il coraggio. –
- Certo
che te lo ripeto! Non hai cervello. –
Il viso
di Gloin diventò paonazzo e stava per avventarsi su Telperion quando l’uomo,
preceduto da Legolas, si frappose tra i due.
- Basta,
finitela con questa inutile discussione! – gridò Aragorn sovrastando le loro
voci.
Calò il
silenzio.
I due
nani indignati si voltarono e se ne andarono.
Telperion
sospirò chiudendo gli occhi e calmandosi.
Aragorn
squadrò con aria interrogativa l’elfo, mentre Legolas guardava con compatimento
i due nani che si stavano allontanando.
- Salve
amico mio – rispose Legolas posando una mano sulla spalla dell’uomo, - è da
tanto tempo che non ci vediamo, anni ormai. –
Telperion
che era rimasto in silenzio richiamò l’attenzione del fratello tamburellando
con le dita sulla sua spalla.
- Oh,
salve anche a te……….- cominciò l’uomo.
-
Telperion……è mio fratello, quello impulsivo di cui ti avevo parlato…-
- Ma… -
- Sai è
un po’ strano… -
- Ma… -
- A volte
esagera… -
- Ma… -
- Parla
troppo… -
- Ma… -
- Poi… -
- Mi fai
parlare si o no?! O parlo io e faccio da solo conoscenza con quest’uomo o me lo
presenti tu! –
- Te
l’avevo detto che è impulsivo. –
- Non sono
impulsivo, il fatto e che tu…… -
- Basta
non litigate anche voi! – esclamò l’uomo esasperato. – Mi presento: sono
Aragorn figlio di Arathorn…… -
- …ed
erede al Trono di Gondor! –
Telperion
era molto felice di quell’incontro. Suo fratello gli aveva parlato a lungo di
quell’uomo ed ora poteva finalmente vederlo.
Parlarono
insieme finché Telperion raggiunse la sua stanza e li salutò cordialmente.
Il giorno
seguente di mattina Telperion si svegliò completamente riposato.
Aveva
riflettuto su molte cose quella notte e una di queste era Boromir. Quell’uomo
enigmatico lo incuriosiva. Per tutto il viaggio aveva tenuto un aspetto
enigmatico e riservato.
Ma si sa
che agli elfi nulla si nasconde e tutto nascondono.
Comunque
quella mattina sarebbe stata movimentata: si sarebbe svolto il Consiglio.
Telperion
era ancora ignaro che dopo quell’evento la sua vita avrebbe avuto una svolta
incredibile.
Legolas
era già arrivato davanti al terrazzo dove si sarebbe svolto il Consiglio. Il
suo morale era a terra.
Non c’era
ancora nessuno.
Si
appoggiò ad una colonna tenendo lo sguardo basso.
Aragorn
raggiunse il terrazzo e trovandovi l’elfo lo richiamò.
Legolas
calò quella sua solita maschera di serenità sorridendo all’uomo.
Ma non
era facile ingannare il ramingo difatti:
- Legolas
smetti di sorridere. -
Legolas
spaesato divenne serio.
- Cosa ti
turba? – gli domandò l’uomo invitandolo a sedersi su una delle sedie del
terrazzo.
- Non lo
so, Aragorn……….presentimenti. –
-
Presentimenti su cosa? –
- Su
tutto: Bosco Atro, l’Anello, Gollum, mio fratello. –
- Tuo
fratello? –
- Si, non
so perché ma………ma…………lascia stare. –
Aragorn
capì che non era il caso di proseguire.
Poggiò
una mano su una spalla dell’elfo che sorrise contento di avere un amico al
fianco.
Telperion
si avviò verso il terrazzo.
Stava
facendo volare il suo pensiero in ricordi ameni quando il viso dell’elfa del
suo sogno gli apparve e scomparve come una folata di vento.
Si bloccò
in mezzo ad un corridoio.
Il
respiro veloce.
“Perché
proprio adesso?” si disse.
Serio
proseguì fino ad arrivare al terrazzo.
Molti
erano già arrivati.
Prese
posto al fianco di Legolas senza proferir parola.
Il
fratello lo guardò interrogativamente.
Telperion
incrociò il suo sguardo e scosse il capo.
Legolas
non volle insistere anche perché Elrond era giunto al suo seggio.
Il tanto
temuto Consiglio era cominciato.
Si parlò
della rinnovata minaccia di Sauron e Legolas annunciò la fuga di Gollum seguito
dall’annuncio del tradimento di Saruman svelato da Gandalf.
Era
peggio di quanto si sarebbero aspettati.
L’Anello
venne esposto.
Calò il
silenzio.
Boromir
si alzò come ipnotizzato dall’oggetto e quando vi si avvicinò Gandalf pronunciò
le parole nere di Mordor.
Un’ondata
di dolore, odio, crudeltà sommerse gli elfi presenti, memori delle sofferenze
subite dal loro popolo.
Ma
Boromir continuò imperterrito a voler utilizzare l’Anello come arma contro il
nemico.
Telperion
aveva scovato il suo punto debole che era quasi sicuro, lo avrebbe portato alla
distruzione interiore.
Telperion
divenne triste dopo che Boromir discusse animatamente con l’uomo: non avrebbe
mai voluto una cosa del genere.
I nani
insultarono gli elfi che di scatto si alzarono offesi.
Telperion
rimase seduto.
La
discussione si protrasse a lungo e Telperion era sempre più cupo e serio: prima
l’elfa poi Boromir e adesso anche una discussione su chi dovesse portare
l’Anello.
Ma lo
hobbit di nome Frodo prese questo incarico facendo terminare il dibattito.
Aragorn
si offrì per accompagnarlo insieme a Gandalf.
Poi una
voce:
- E hai
il mio arco. -
“No”
pensò Telperion, “Non puoi.”
Rimase
fermò immobile, bloccato.
Nel
frattempo la Compagnia che sarebbe partita divenne di nove membri e Elrond
annunciò la formazione di quest’ultima affermando che sarebbero partiti il
giorno dopo.
Telperion
non riuscì a trattenersi, si alzò e se ne andò senza parlare sotto lo sguardo
interrogativo dei presenti. Solo Legolas capì e chiedendo scusa andò a
raggiungere suo fratello.
Telperion
arrivato alla stanza si fermò e rimanendo nel corridoio si appoggiò alla porta
con la schiena scivolando lentamente sedendosi a terra.
Rimase li
immobile: il suo mondo era crollato.
Tutto era
successo in quelle poche ore: l’elfa, Legolas, Boromir, l’Anello.
Ora era
confuso e depresso.
Legolas
raggiunse il corridoio che portava alla stanza del fratello e lo vide lì,
seduto a terra.
Si
avvicinò e si accucciò al fianco davanti a Telperion che aveva la tesata
reclinata verso il pavimento.
-Telperion…!
–
Telperion
alzò lo sguardo su Legolas.
Quest’ultimo
si rattristò a vedere gli occhi lucidi di suo fratello.
Durante
il consiglio non aveva pensato a cosa poteva comportare la sua decisione, ma
ormai era presa.
- Il
mondo mi è crollato addosso, Legolas. -
Legolas
lo osservò.
- Questa
mattina presto il viso dell’elfa mi è apparso; Boromir, come avrai intuito è
segnato; il male è tornato di nuovo, quello stesso male che mi ha privato della
mia vera famiglia; e adesso tu………non andare, ti prego. - lo supplicò.
Legolas
scosse il capo.
- Non
posso ormai la decisone è stata fatta e non tornerò indietro. -
Le
lacrime salirono agli occhi di Telperion.
- Come
faccio…….adesso…… -
Legolas
lo abbracciò.
- Sono
ancora solo! – sussurrò Telperion.
Legolas
lo strinse a sé chiudendo gli occhi.
CONTINUA…
Eccomi,
un po’ in ritardo, ma eccomi!
Come va
carissimi lettori? Spero bene, direi che la storia si sta evolvendo piuttosto
bene! A me sembra di si………Commentate ciccini miei!
Il
respiro affannoso gli faceva muovere velocemente il petto.
Eccolo lì
l’elfo appena morto, al suo fianco a terra.
E lui
lo conosceva, come conosceva ogni altro abitante dell’isola.
Ora si
guardava attorno spaventato da tanta crudeltà.
Gli orchi
tornarono all’attacco.
- Serrate
le file! – gridò Elatan.
Gli elfi
si unirono formando una doppia linea.
Impugnarono
gli archi.
- Leithio i phillin! -
Una selva
di frecce cadde come pioggia mortale sui nemici, sventandone il primo attacco.
Ma gli
avversari erano tanti e ben organizzati; mentre loro erano confusi e spaesati
dall’improvviso attacco.
Elatan si
voltò verso il porto.
Un brivido gli percorse la schiena: il porto stava per cedere
all’attacco delle fiamme.
E le
grida, quelle grida di anime innocenti.
E
quei versi sovrumani di………
- Non è
possibile! –
- I balrog! – gridò un elfo in avvertimento, ma si sentiva
nella voce un tremolio di paura.
Avanzavano con passo pesante, le membra infuocate ospitavano il male più orribile.
Edeccoli procedere distruggendo tutto sul loro cammino, le
fruste di fuoco abbattevano crudelmente alberi.
Elatan
chiuse gli occhi ricordando il terrore provato quando attaccarono Gondolin: lui c’era.
I balrog avevano preso d’assedio la città e ne avevano distrutto le porte……..pure Glorfindel
morì salvando tutti i fuggitivi dall’attacco di uno di essi.
Ora era
lui che doveva guidare il suo popolo e sarebbe morto pur di salvarlo, come fece
a sua volta Glorfindel.
Riaprì
gli occhi animati da una vivida fiamma di odio e
vendetta.
Impugnò
il suo arco e scagliò una freccia contro uno di quei
mostri che rallentò per poi riprendere la sua marcia distruttiva.
Un
messaggero era stato mandato per avvisare gli elfi nell’isola che Elatan era
arrivato e di andare ad unirsi alle linee di difesa con lui.
La
notizia arrivò presto e un coro di grida si alzò dall’isola in segno di
fedeltà.
Dopo poco
una folla di elfi arrivò pronta a combattere.
Si
disposero in una linea di difesa perfetta e incoccarono le frecce che vennero scagliate su di un unico balrog
che cadde a terra morto.
Continuarono
ad attaccare così rallentando la marcia degli enormi
mostri.
Laurelin
stava osservando in silenzio i volti dei due feriti.
Ora stavano
meglio, ma sicuramente l’influsso maligno che proveniva dall’
isola non contribuiva alla loro pronta guarigione.
Così si
ritrovava a pensare a quello che stava avvenendo al di là
della striscia di mare che li separava.
- Perché? – sussurro a se stessa.
In
risposta ebbe solo echi di grida lontane.
Gli elfi
stavano retrocedendo: i balrog erano troppi e in più
per ucciderne uno doveva essere attaccato da quasi tutti gli elfi.
Ormai
erano in prossimità delle case e le elfe stavano
organizzandosi per fuggire.
Molte
erano già uscite di casa con i figli che le seguivano.
Si
stavano dirigendo verso la foresta al centro dell’isola, l’unico rifugio
rimanente.
Gli elfi
tornarono all’attacco più feroci di prima.
Ma i balrog riuscirono a sfondare la difesa e a raggiungere le
case.
La prima
frusta calò e una casa venne distrutta completamente
mentre le fondamenta bruciavano.
Laurelin
ebbe come una stretta al cuore.
Si
sentiva persa, impotente di fronte a quella catastrofe contro la quale non
poteva fare niente per colpa di quella barriera.
Rimase
ferma con gli occhi che vagavano febbrilmente per la stanza in cerca di
qualcosa che potesse aiutarli.
Si fermò
chiudendo gli occhi: non poteva fare nulla………nulla!
Le sue
labbra si socchiusero e una dolce melodia ne uscì.
- Mamma!
-
Una
piccola elfa in lacrime era immobile davanti alla porta di casa sua,
terrorizzata.
Sua madre
stava tentando di raggiungerla disperatamente quando una frusta calò
violentemente sulla casa.
………
Un grido
lacerò il cielo.
La madre
cadde in ginocchio disperata.
Alcuni
elfi la raggiunsero e l’aiutarono a fuggire.
Gli elfi stavano diminuendo.
La difesa
cedeva e i balrog non avevano pietà per nessuno.
Elatan
combatteva senza tregua.
Ma i
nemici erano alle case e presto avrebbero raggiunto la foresta.
Allora
sarebbe stata veramente la fine.
In poco i
balrog li sovrastarono: la fine li aveva raggiunti
presto.
Una dolce
melodia li sfiorò.
I balrog infastiditi si bloccarono e un elfo ne approfittò scoccando una freccia tra gli occhi di uno di
essi che cadde a terra morto.
…….
- Elatan,
bisogna colpirli in mezzo agli occhi! – gridò l’elfo.
Così
tutti fecero: incoccarono le frecce e lanciarono.
I balrog caddero a decine sotto i colpi precisi degli elfi.
Dopo poco
il porto di Alqualonde era salvo.
Ma
non era ancora finita: anche gli altri due porti, Dinlond ed Eldalond, erano
sotto attacco.
Gli elfi
armati di nuova sicurezza e speranza si diressero a sud.
Laurelin
cantava sottovoce quella dolce melodia, quando nella mente le apparve una
cittadella cupa.
Era
abitata da uomini e forse da hobbit.
Un
cartello era appeso fuori dal cancello d’entrata di
quello strano luogo.
La
visione si stava sfuocando, ma riuscì lo stesso a leggere ciò che vi era
scritto.
……Brea……
CONTINUA…
UUUUUUUOOOOOOOOOOOOHHHHH!!!!!!!!!!
Eccomi di
nuovo insieme a voi accanite/i lettrici e lettori! Mi
sa che di lettori (maschietti s’intende!) non ce ne sono…….beh, peggio per loro!!!!!Tessssore, Commentate!
Una
leggera brezza lasciava presagire una tormenta.
I
corridoi di Imladris erano deserti….tranne
uno ne l quale la presenza di un elfo rischiarava la strada.
Telperion
era immobile di fronte alla stanza di Legolas.
Sembrava
una statua.
Una
bellissima statua scolpita nel cristallo da uno dei migliori artisti.
Legolas
non riusciva a dormire.
Era teso
per la missione e, anche se non voleva ammetterlo neppure a sé stesso, per suo
fratello.
Si rigirò
più volte nel letto.
Si fermò
con il volto sprofondato nel cuscino e sospirò arrendendosi.
Si alzò.
Si vestì
svogliatamente lasciando aperta la casacca sul petto nudo.
Aprì la
porta e, tenendo lo sguardo basso, la richiuse.
Si voltò
verso il corridoio………
-
Telperion! - esclamò.
L’elfo lo
guardò serio.
-
Telperion posso capire che tu sia preoccupato, ma tornerò. -
- Come
tornerai? – chiese scettico il giovane elfo.
- Vivo
Telperion, vivo! Ne sono certo. –
- Ma non convinto. – replicò.
-
Telperion…… -
- No
Legolas. Ti prego, parliamo di altro, abbiamo poche ore da trascorrere ancora
insieme. –
L’elfo
annuì.
Così,
dimentichi di tutto quello che doveva accadere, passeggiarono come solevano
fare tra gli alberi di Bosco Atro.
La luna
svolgeva il suo dolce compito illuminando i loro passi e allietando i loro
animi con quei pallidi cristalli che brillavano nel cielo
sferzati dal vento dell’Ovest.
Lasciarono
le dimore per addentrarsi nel boschetto che cresceva rigoglioso accanto al
fiume.
L’atmosfera
era calma e la quiete faceva da cornice alla bellezza eterea dei due fratelli.
Si
sedettero ai piedi di una frondosa quercia.
Entrambi rimasero in silenzio contemplando i suoni della natura.
Spossati
dalla tensione accumulata in quei pochi giorni, i due fratelli si
addormentarono contro l’ampio tronco.
Intanto
la luna salutava quelle due creature per lasciare spazio al sole.
La debole
luce di quest’ultimo spunto per illuminare il volto di Legolas che si svegliò.
Era il
giorno tanto atteso e tanto temuto.
Si alzò
senza far rumore e si diresse verso la sua stanza per prepararsi.
Ormai il
sole era completamente visibile tra le fronde della grande
quercia, ma i suoi raggi erano ancora deboli.
Telperion
si svegliò sbattendo più volte le palpebre.
Si guardò
attorno.
……
-
Legolas! -
Si alzò velocemente
e corse verso i cancelli.
Legolas
era tra i suoi compagni pronto a partire per
quell’assurdo viaggio.
Salutò i
tre elfi che avevano accompagnato lui e suo fratello a
Imladris e Arwen, sua cara amica.
Elrond
stava giungendo per dare il suo saluto alla Compagnia.
Legolas
si guardò nervosamente intorno.
Telperion
non si faceva ancora vedere.
Il Re
elfico pronunciò le parole di commiato, mentre Arwen
e Aragorn si scambiavano sguardi di cupo e intenso
dolore.
Frodo si
voltò per incamminarsi.
Legolas cercò
di aggrapparsi con lo sguardo a quel piccolo giardino nel quale vari elfi sostavano, tranne uno: Telperion.
Aragorn
lo riportò alla realtà posandogli una mano su una spalla.
-
Andiamo, amico mio. -
Legolas
si voltò sconsolato.
- Non è
venuto. -
- Chi,
signor Legolas? – chiese Sam.
- Dammi
pure del “tu”. – sorrise tristemente l’elfo, - Mio fratello non cera. –
- L’elfo
che durante il Consiglio se n’è andato? –
- Si,
proprio lui. – disse rabbuiandosi.
Doveva
arrivare in tempo.
Doveva
fermarlo.
Corse a perdifiato
per i corridoi.
Sorpasso
molti elfi.
Raggiunse
la scalinata.
Entrò nel
piccolo giardino.
Si fermò
appena in tempo per non andare contro sire Elrond.
-
Buongiorno Telperion. -
- Dov’è mio fratello, sire? – chiese intuendo già la risposta.
- Il principe
Legolas è partito con la Compagnia da non molto. Credo comunque
che col passo che tengono abbiano già percorso molta strada. Vorrei chiederti
una cosa. – chiese Elrond conscio di ciò che l’elfo gli
avrebbe risposto. – Perché non sei venuto? Il
volto di tuo fratello era turbato e infelice…….preoccupato. –
Telperion
non rispose, fischiò per richiamare il suo cavallo e, facendo un breve inchino,
montò in groppa e partì per raggiungere la Compagnia.
Mentre
il giovane elfo si allontanava Elrond sorrise.
- Ne ero certo. – disse.
Legolas
era l’ultimo del gruppo.
Camminava
deciso, ma i suoi pensieri erano altrove.
Molte
volte ricevette occhiate interrogative dai suoi compagni, ma non vi fece caso.
Telperion
si bloccò ad un bivio.
Smontò da
cavallo esaminando le impronte fresche sul terreno.
Rimontò a
cavallo imboccando il sentiero di sinistra.
Gli hobbit stavano chiacchierando tranquillamente con Gimli e i due uomini con Gandalf.
Legolas
si bloccò.
Gandalf
se ne accorse e si fermò anch’esso imitato dal resto
dei componenti della Compagnia.
Tutti si
voltarono verso l’elfo.
- Cosa hai sentito? -
- Shhh……! –
Il
silenzio calò.
-
Zoccoli…… - sussurrò Legolas.
Silenziosamente
fece cenno di nascondersi tra la boscaglia.
Un
cavaliere si fermò sulla via.
Telperion
si fermò.
Scese da
cavallo e …….
-
Telperion! -
Un’esclamazione
venne dalla foresta.
L’elfo si
voltò e vide uscire Legolas seguito dai suoi compagni.
Telperion
corse ad abbracciare suo fratello.
- Oh
Valar, Legolas!-
-
Telperion, cosa fai qui? -
- Perché non mi hai svegliato? -
- Io……… -
- Ti
prego, resta. – disse Telperion bloccandogli le parole.
- No, ho
un impegno da portare a compimento. –
Il
giovane elfo lo guardò disperatamente negli occhi mentre gli altri assistevano
muti alla discussione.
Telperion
lo strinse a sé.
- Ava
care Legolas, ava hotuli! (Non farlo Legolas, non
farlo!) -
Legolas
spalancò gli occhi sorpreso.
Suo
fratello aveva usato addirittura l’alto elfico, il Quenya.
Tutti,
tranne Gandalf e Aragorn,
non compresero quell’ultima frase.
Legolas
non sapeva cosa dire.
Così Gandalf ruppe il silenzio.
-
Telperion seguici per un tratto, per favore. –
L’elfo lo
guardò e annuì sommessamente.
Camminarono
fino a sera inoltrata al bivio che portava alle montagne tra Imladris e Moria.
Lì si
fermarono accampandosi.
Accesero
un piccolo fuoco e vi si sedettero attorno.
Legolas
era silenzioso.
Una
flebile voce ruppe il silenzio che regnava.
- È colpa
mia? -
Gli
sguardi si posarono su Telperion.
- No
Telperion, no.È una mia decisione. Tu non c’entri. Sentivo che era mio dovere e ho
accettato. -
Dai volti
dei due elfi non trasparivano turbamenti, ma le loro voci tradivano quella
maschera di serenità.
- Giovane Telperion, - esordì Gandalf, - Sei
cresciuto molto dall’ultima volta che ti vidi. Fu quando ti portai a Bosco Atro
per affidartia re Thranduil
e a suo figlio Legolas. Avresti dovuto vedere il volto di tuo fratello quando
ti vide: per lui eri come un dono prezioso. Era stupito e felice di averti come
fratellino, si sentiva importante…….non per la società, per quello era già
principe, ma per se stesso, per te. Sto sbagliando Legolas? -
L’elfo
negò sorridendo a quei ricordi.
- detto
questo non credo che tua fratello abbia voluto
vendicarsi di qualcosa che hai fatto. O almeno si
sarebbe vendicato in un modo differente. Non ti pare? -
Telperion
annuì.
Gli hobbit erano rimasti attenti fino all’ultima parola.
- Così
voi non siete fratelli fratelli. – cominciò Pipino, - cioè……fratelli……..quei fratelli………insomma, i
fratelli fratelli. -
- Pipino,
cosa stai dicendo? – gli chiese Merry confuso.
- No, non
siamo fratelli di sangue. – disse Telperion, - i miei genitori sono morti
affidandomi a Gandalf che a sua volta mi affidò al
padre di Legolas. –
- Per cui tu non vuoi che Legolas parta perché hai paura di rimanere
solo anc……-
- Shhhh! – lo zittì Aragorn.
Telperion
si alzò rifugiandosi nel folto della foresta su di un albero.
Legolas
lo raggiunse poco dopo.
L’elfo si
sedette ai piedi dell’albero.
-
Telperion io…….-
- Lo so, devi andare. –
Silenzio.
- Prima sul sentiero, quando mi hai fermato………….mi
hai parlato in alto elfico. -
- Si. –
- Mia hai
sorpreso……ecco, colpito. –
- Ero……disperato, non sapevo più cosa inventarmi. –
Legolas
sorrise dolcemente.
Telperion
scese dall’albero e si mise di fronte asuo fratello.
-
Promettimi di tornare vivo. Promettilo! -
- Lo
prometto. – disse Legolas.
Entrambi
si portarono la mano destra sul proprio cuore per poi
portarla sul cuore dell’altro: era il loro gesto di fedeltà come fratelli.
“Il mio
cuore è col tuo, sempre” questo è il significato di quel gesto.
-
Torniamo dagli altri. – disse Legolas.
Trovarono
i compagni tutti addormentati.
I due si
sdraiarono: Legolas si addormentò subito, mentre Telperion rimase svegliò a
riflettere per addormentarsi più tardi.
- Ti amo.
-
Si stava
ancora confessando a quella bellissima fanciulla che
non gli rispondeva.
- Ti amo.
-
Insistette
vanamente.
La dama
scomparsa lasciando spazio ad un cielo prima sfuocato,
poi sempre più nitido.
Si stava
svegliando.
Non era
ancora l’alba.
- Brea. -
Una voce
rimbombò nella sua testa come un’eco lontana.
- Brea. -
Non seppe
dire se fosse una voce femminile o maschile, era
indefinibile.
Sentì il
bisogno impellente di seguire ciò che diceva.
Non
poteva essere solo una coincidenza.
Ora che ne aveva la possibilità doveva coglierla: avrebbe potuto
trovare quella dama.
Cercò
disperatamente delle armi, una sacca da viaggio e un mantello, dato che le sue
cose erano rimaste a imladris.
- Cerchi
questi? -
La voce
di Gandalf lo fece voltare.
Spalancò
gli occhi nel vedere il suo equipaggiamento che aveva lasciato alla dimora del
re elfico.
- Me le
ha date sire Elrond! Sapeva cosa avresti fatto e non
chiedere di più. -
Telperion
sorrise.
Si fidava
dell’Istar.
L’elfo si
equipaggiò velocemente.
Poi si
bloccò frugando nella sacca da viaggio.
- Tieni.
-
Gandalf
gli porse una pergamena e una piuma per scrivere.
Telperion
sorrise come ringraziamento.
Prese una
foglia dalla sua sacca, la spezzò. Un liquido di un verde brillante ne uscì.
L’elfo vi intinse la piuma e scrisse.
Quando
ebbe terminato arrotolò la pergamena e la legò con il gambo di un fiore.
Guardò Gandalf.
- Non ti
preoccupare, ha già pensato sire Elrond a mandare un messaggero a tuo padre per
avvisare della vostra partenza. -
Telperion
chinò il capo.
Poi si
avvicinò a Legolas.
Poggiò la
pergamena al suo fianco.
Si portò
il pugno destro al cuore per poi posarlo su quello di suo fratello.
Gli diede
un leggero bacio sulla fronte.
- Hai
promesso. – gli sussurrò.
Si rialzò
coprendosi il capo col cappuccio del lungo mantello.
Salutò Gandalf e montò a cavallo.
- Dove andrai, giovane Telperion? - gli chiese Gandalf.
- A Brea, Gandalf. A presto. –
Detto
ciò, spronò il cavallo verso Ovest mentre il sole nasceva alle sue spalle.
- Gandalf,
una profezia ci è stata tramandata dai Tempi Antichi.
-
- Sei sicuro di ciò che affermi
Elrond? –
- Non sono mai stato più sicuro,
amico mio. –
“Il figlio della
luna e la figlia del sole si incontreranno
e per la prima volta non sarà né giorno né notte,
ma solo luce.”
Gandalf
guardò il sole nascere a Est per poi voltarsi verso
Ovest.
-
Prosegui figlio della luna. Donaci la luce. -
CONTINUA…
Ciao,
Buona Pasqua a tutti ………un po’ in ritardo.
Scusate
se ho impiegato un po’ di tempo ad aggiornare, ma ero
in montagna e non avevo con me il mio fedele computer.
Per cui
un immenso sorry a tutti!
Spero che
questo capitolo possa ripagarvi di tutto il tempo che avete dovuto aspettare.
L’aveva
fissato negli occhi con la consapevolezza che non avrebbe più rivisto l’Isola
Perduta.
In quegli
occhi solo l’incredulità e la rassegnazione. Quegli occhi che avevano atteso
costantemente per millenni e che per quell’attesa non erano stati ripagati. Ma
a lui, primo nato, era stato concesso di vivere fino alla fine. Sino a qualche
attimo prima quell’elfo era sicuro di intraprendere il viaggio verso
Valinor…..ora era sicuro di intraprendere il viaggio verso le aule di Mandos.
Erano le
speranze che tenevano in vita quelle anime; ma neppure la speranza può
resistere al crudele ferro.
Così solo
la nuda terra bruciata restava.
Quel coro
di speranze delle vittime di Eldalond stava lentamente tacendo e avrebbe presto
lasciato posto all’insistente silenzio che, con il suo manto ingannatore,
avrebbe coperto i corpi di quegli elfi rubandone la voce e rendendola sale che
si scioglie nell’acqua senza lasciare traccia.
Mai
dolore più grande lacerò il petto di Elatan e degli elfi al suo seguito.
……………
Ed ecco
giungere l’insistente silenzio, rapire completamente quelle ultime note di
speranza e lacerare lo spazio con il tutto e il niente.
Ecco che
viene a crearsi quel vuoto che risucchia ogni emozione, che ti lascia inerme
davanti alla distruzione del male, che ti toglie ogni possibilità di parlare,
pensare,……….gridare.
……………
Questa
era la pazzia terribile del suono del silenzio: si sarebbe parlato all’oscurità
come una vecchia amica con la quale confidarsi, narrarle di sogni nei quali la
gente raccontava senza parlare e sentiva senza ascoltare.
Quei
sogni che negli ultimi momenti di vita avevano attraversato le menti spossate
delle vitttime, annllandone la speranza e intaccando anche le menti dei
sopravvissuti. Quei sogni che turbavano gli animi erano delle schegge roventi
che si conficcavano nel cuore.
……………
Il capo
dell’isola spezzò quella coscienza che generava l’incoscienza dell’anima, con poche
parole cantate suuna lieve e
malinconica melodia:
- Cadde
nell’alta marea
del lago dell’Ade,
mentre gemea
parole opache.
Nel dolore
di un antico timore,
che venne sopito
e ora riacquisito,
l’anima sprofonda,
cade giù,
sempre…
…più…
…giù. -
Chiuse
gli occhi in una preghiera silente mentre pronunciava lentamente le ultime
parole, come se pesassero più delle altre.
Gli elfi
accanto a lui stavano perdendo fiducia nel destino e nel futuro.
Ognuno
rifletteva con amarezza sul male che si era abbattuto su di loro.
Elatan
prese mano alla spada.
Aprendo
gli occhi, con uno sguardo di puro odio, pronunciò quella frase che venne
tramandata di aedo in aedo fino a me, vostra aedo, e che oggi riporto alla vita
scrivendola su questo foglio di pergamena………
- Oggi,
non perdono! -
………perché,
per quel giorno, Elatan scordò il significato della parola “pietà”.
CONTINUA…
Molto
riflessivo questo capitolo, vero?! E molto triste. A me viene da pensare a
quanto poco tempo a disposizione abbiamo per far avverare i nostri sogni o le
nostre mete. E come un solo attimo ti possa togliere tutto. Pensate a quegli
elfi che speravano di rivedere la loro isola e …Puff… niente, non possono,
muoiono. E mentre muoiono capiscono………è troppo triste e deprimente. Con questo
capitolo voglio, oltre a proseguire la storia naturalmente, denunciare la
guerra e tutto ciò che causa. Spero che molte persone lo leggano per questo
messaggio che voglio dare. Per cui a chi lo leggesse chiedo gentilmente di
farlo, a sua volta, leggere ad un suo amico, conoscente o chiunque d’altro.
GRAZIE,
spero che il messaggio arrivi a più persone possibile.