Ti amo
Il racconto di Laurelin e Telperion
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Ciao a tutti mi presento, sono Feade!
Visto che non siete tonte credo che abbiate capito che sono nuova da queste
parti e che questa e la mia prima fanfic! Per cui siate clementi, per favore.
Il primo capitolo forse è un po’ lungo,
ma il bello (secondo il mio autorevolissimo parere) viene dopo.
Cioè una mia amica ne ha già letto un
pezzo e la trova fantastica, ma sapete come sono le amiche……!
Quindi confido in voi, nei vostri
commenti e in Legolas, che non c’entra niente però è figo! Certo non che
Aragorn sia da meno. Ma lasciando perdere queste cose………vi saluto e vi invito a
esclamare con me: <
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Laurelin
- Ti amo! -
Voleva porgli alcune
domande, ma dalla sua bocca non uscivano suoni.
- Ti amo! -
“Perché non riesco a
parlargli?” pensò fra se: per lei il bisogno di risposte era assillante.
- Ti amo! -
Non riusciva a
rispondergli e, con la voce che finì in un’eco, urlò invano: “Come ti chiami, chiami, chiami, chiami…..”
- Svegliatevi mia
signora, svegliatevi! -
- Eryn, Eryn dov’è
quell’elfo, l’elfo che mi ha detto…… -
- Cosa le ha detto mia
signora? -
- Niente……niente Eryn,
lascia stare, era solo un sogno. -
Laurelin, così si
chiamava la dama della baia del Belfalas, come l’albero della Luna a Valinor,
il cui nome significa “canto d’oro”. Il suo nome rispecchiava la limpidezza, la
bellezza, la dolcezza della sua voce che solo l’antica Luthien Tinuviel poteva
superare.
La fama della sua voce
era arrivata sino ai confini di Valinor, ma nessuno, tranne i Valar e alcuni
elfi, l’aveva mai sentita, per cui rimase una leggenda.
Laurelin viveva solitaria
con la sua ancella, nonché amica, Eryn. La sua solitudine era dovuta al fatto
che i suoi genitori, entrambi della casata dei Lindar (“cantori”: Teleri),
volevano tenerla con loro e prima di morire la segregarono sulla costa della
baia, a sud di Dol Amroth, che delimitarono con una barriera invisibile e
insuperabile da lei e da esseri maligni, dove rimase rinchiusa per ben 2000
anni cosicché non potesse correre pericoli.
La sua storia col tempo
si trasformò in favola e da favola in leggenda e molti abitanti della Terra di
Mezzo compirono lunghi viaggi alla ricerca della fanciulla prigioniera; molti
di loro sostenevano di averla vista e la descrivevano come un candido angelo
dalle immense ali bianche o come una fattucchiera che attirava le sue vittime
col suo canto.
Ma tutto ciò non era
vero. I suoi capelli erano biondi come l’oro, la sua pelle candida come la
schiuma delle onde che s’infrangono sulle scogliere, i suoi occhi sembravano
aver catturato la luce dei due alberi dell’isola obliata, la sua figura esile
ricordava i giovani salici che si tendono dolcemente verso l’acqua e la luce
che emanava era come il sole nell’oscurità; tutto questo aveva un prezzo: lei
era come il cristallo, bastava un solo tocco per deturpare quel perfetto quadro
di eterea bellezza.
Eppure in quei giorni la
luce dei suoi occhi era diminuita; la sua anima era triste, si sentiva sola con
le sue abitudini troppo monotone anche se piacevoli.
Laurelin, sulle spiagge
della baia, soleva cantare storie antiche con animali di ogni genere: pesci mai
visti, con colori simili all’argento e all’oro, guizzavano allegri nell’acqua,
la quale venne chiamata dall’elfa, Nen Celeb cioè “acqua d’argento”; uccelli
variopinti cinguettavano motivetti allegri e gli alberi rendevano l’atmosfera
fresca con un leggero frusciar di foglie; a seguito di una pioggia il frusciare
lasciava cadere leggere gocce d’acqua che, accarezzate da sottili raggi solari,
creavano una cortina di luce dai riflessi dorati. Anche Eryn accompagnava i
canti, ma la sua voce, seppur dolce e melodiosa, non eguagliava quella della
sua signora.
Nonostante tutto Laurelin
sentiva l’impellente bisogno di andarsene, di uscire da quella prigione
invisibile.
- Mia madre disse prima
di morire: “Nessuno ti farà del male finché questa barriera ti proteggerà. La
barriera verrà infranta……….”; sono sicura che il resto della frase conteneva la
soluzione per distruggere la barriera, purtroppo non ricordo quelle parole. -
- Non ti preoccupare,
troverai la soluzione a questo tuo enigma! - interloquì Elatan, - Noi elfi di
Tol Falas ti aiuteremo e non ti abbandoneremo mai, sei come una figlia per noi.
-
- Grazie senza il vostro
aiuto non ce l’avrei mai fatta a resistere. -
- Ti ricordi quando ti
abbiamo trovata, per caso, nel bosco? -
- Si, mi avete puntato
gli archi contro credendo che fossi una preda - rise dolcemente.
- Tu piangevi perché eri spaventata e sola, eri ancora
piccola! -
- Poi tu mi presi in
braccio e io cominciai a tirarti i capelli perché volevo difendermi e…… -
- Ti addormentasti tra le
mie braccia. Comunque eri brava a tirare i capelli, avevi una forza incredibile
per la tua età! -
- Scusa, ma tu cosa
avresti fatto se un gruppo di venti elfi sconosciuti ti avessero puntato contro
gli archi nell’azione di colpirti?! Poi mi spaventai ancora di più quando
tentasti di portarmi via dalla baia. -
- Mi dispiace, ma non
potevo saperlo. Quando salii sull’imbarcazione tu mi cadesti dalle braccia come
se ci fosse stato un muro; solo allora capii che la tua esistenza era segnata
da un sortilegio. -
- Non scorderò mai quello
che vidi al contatto con la barriera: morte e distruzione. Ma li c’eri tu: una
luce nell’oscurità; così cantai. -
- Da quel giorno non ti
abbiamo mai abbandonata! Tentammo di tutto per distruggere quel muro, ma non ci
riuscì nemmeno Mithrandir. -
-Forse dovrei smettere di
sognare e convincermi che sono destinata a questa prigione invisibile. -
- Non dire così, non
pensarlo neanche: non devi smettere di sperare! -
Le baciò la fronte come
un padre alla sua figlia, le sorrise teneramente e lentamente si diresse verso
la spiaggia.
Elatan era il capo degli
elfi della vicina isola di Tol Falas, dalla quale molti di essi portavano
viveri e doni per Laurelin che in cambio li deliziava col suo canto. Lui era
molto attaccato all’isola fin dai tempi antichi (era figlio di un Primo Nato) e
a tutti gli elfi nati lì. Inoltre conosceva ogni segreto dell’isola.
Molte volte lei aveva
chiesto di raccontarle come fosse l’isola e la descrizione era sempre la
stessa, ma non le importava, le bastava sognare.
Così ogni volta Elatan
diceva:
-Tol Falas ha tre punte
sulle quali ci sono altrettanti porti: a sud ovest Dinlond, “porto silenzioso”,
ormai in disuso perché affacciato sul mare esterno dove navighiamo molto
raramente e dal quale un giorno partiremo per l’Isola Perduta; a sud Eldalond,
“porto delle stelle”, dov’è situata la torre osservatrice dalla quale si può
ammirare lo splendore della volta celeste notturna; a nord Alqualonde, “porto
dei cigni”, in memoria dell’antico porto dei Teleri in Aman. L’isola è
circondata da spiagge con una sabbia bianca e fine, simile a minuscoli diamanti
che, per i suoi riflessi cristallini, poniamo su oggetti, gioielli e armi;
nell’entroterra collinare crescono prati di un verde rigoglioso e una piccola
foresta di salici, Taur Tathren “foresta del salice”, dove gli elfi dell’isola,
elfi Sindar o Teleri, si ritirano spesso per meditare (il che può durare per
intere settimane) oppure per chiedere o dare consigli agli Ent nati lì.
A Tol Falas non esiste
una città, anzi la città è Tol Falas stessa: noi elfi abbiamo costruito le nostre
case in luoghi diversi dell’isola, per cui
non c’è un posto con un’alta concentrazione di abitazioni e di conseguenza non
c’è una città. Le nostre case sono esternamente piccole ma dentro, come per
magia, direbbero gli uomini della Terra di Mezzo, sono talmente spaziose da
ospitare comodamente tre famiglie di elfi. Nelle case l’atmosfera è calma e
gioiosa allo stesso tempo, si medita e si gioca e la sera, nella stanza del
fuoco, nel cui camino arde una fiamma eterna ed eterea, si narra e canta di
tempi antichi, gloriosi eroi, storie d’amore, di solitudine che parlano di
elfi, mezz’elfi, uomini, mezz’uomini, Valar e, molto raramente, dei nani. Questa
atmosfera ricorda, volutamente, la piccola casa del gioco perduto, “Mar vanwa
tyalieva”, di cui si ricorda una poesia che descrive la spensieratezza di quel
posto a Tol Eressea:
“Un
tempo sapevamo quella terra, Tu e Io,
e una volta là vagando siamo andati
nei lunghi
giorni da lungo tempo nell’ oblìo
una bimba bruna, un bimbo con i capelli
dorati.
Forse
per i sentieri del pensiero al focolare
nella stagione fredda e bianca,
o nelle
ore intessute di blu crepuscolare
di
piccoli letti presto rimboccati
d’
estate nella notte stanca,
nel
Dormire tu e io viaggiammo sicuri
e là ci siamo incontrati,
sulla
vestina bianca i tuoi capelli scuri
e i miei
biondi arruffati?
Camminavamo timidi per mano,
in sabbia d’ oro tracce di bambino,
raccoglievamo perle e conchiglie nei secchielli
e tutt’ intorno cantavano gli uccelli,
gli usignoli in alto tra le fronde.
Scavammo
a cercare argento con le pale
Cogliendo
scintillii di sponde,
poi
corremmo a riva lungo ogni radura erbosa
per scoprire
la tiepida viuzza tortuosa
che ora
non sappiamo più trovare,
tra gli alti alberi e il loro sussurrare.
Non era
notte, non era giorno compiuto,
ma un
crepuscolo perpetuo di luci soffuse
quando
la prima volta allo sguardo si dischiuse
la Casa Piccina del Gioco Perduto.
Pur
vecchissima, appena innalzata,
bianca,
e il tetto di paglia dorata
con i trafori di grate per spiare
che guardavano verso il mare;
c’eran
la nostre aiuole di bambini,
i non
- ti - scordar che ornano i giardini,
margherite
rosse, senape e crescione,
e ravanelli per il tè…
Là tutti
i lati, adorni di bosso,
erano
colmi dei fiori preferiti: il flogo,
il
lupino, il garofano e l’ altea,
sotto un albero di maggio rosso;
la gente
invadeva i giardini
e
parlava i propri linguaggi bambini,
ma non con Me e Te.
Perché
certi, con argentei innaffiatoi,
si bagnavano le vesti tutte intere
o spruzzavano gli altri; alcuni poi,
per costruire case, città piccole o dimore
negli alberi, stendevano il
progetto.
Certi si arrampicavano sul tetto;
altri cantavano, soli e isolati; o in tondo
qualcuno danzava i cerchi delle fate,
avvolto in ghirlande di margherite
e c’ era chi stava in
inchino profondo
dinanzi
a un piccolo re che di bianco s’ abbigliava,
la corona di calendule; e cantava
le strofe di tanto tempo fa…
Ma due piccoli bimbi affiancati,
teste vicine, capelli mescolati,
camminavano qua e là
per mano ancora; e quanto tra loro si diceva
prima del Risveglio, che separarli doveva,” ……-
-……”solo noi conosciamo, ora e qua.”- diceva l’elfa accompagnando la
voce di Elatan.
Poi l’elfo proseguiva:
- Noi di Tol Falas svolgiamo
ogni lavoro possibile e immaginabile, ma siamo soprattutto portati per la
navigazione e la fabbricazione di oggetti che mirano ad eguagliare i Silmarilli
ormai perduti.
La vita è calma, forse
troppo monotona, di sicuro l’ideale per la nostra stirpe anche se quest’ultima
anela sempre di più all’isola persa di Valinor, dove un tempo crescevano
rigogliosi i due alberi del Sole e della Luna.-
Era incredibile come
quell’elfo descrivesse l’isola; se qualcuno non l’avesse mai vista si sarebbe
immaginato un paradiso e così era.
Purtroppo Laurelin era
una di quei “qualcuno” che non l’avevano mai vista.
E continuava a pensarci:
lei era costretta ad osservare quella splendida isola dalle rive della baia
ogni giorno, ne conosceva tutti i vari profili e le diverse ombre che si
spostavano durante il giorno a celare alcuni suoi angoli; non ce la faceva più.
Quei 2000 anni che per
gli elfi erano passati con immensa velocità, per lei erano stati lunghi e
interminabili……eterni come lei stessa.
- Elatan - chiamò singhiozzando,
- Elatan, ti prego, aspetta. -
L’elfo quasi arrivato
alla barca si voltò.
Si accorse della strana
reazione della ragazza e corse da lei.
Inginocchiandosi
l’abbracciò e lei si rannicchiò contro il suo petto.
- Laurelin, piccola…… -
- Ti prego Elatan, non
lasciarmi. - disse mentre il pianto diventava più violento e il suo corpo veniva
scosso dai singhiozzi, - Ho paura! Non voglio rimanere sola; sono stanca di
rimanere rinchiusa in questo posto. Resta per favore, resta! -
Rimase tra le braccia dell’elfo,
che in tutta la sua lunga vita non aveva mai visto piangere così uno della sua
stessa razza.
Il pianto diminuì
- Resta. - sussurrò.
Elatan sospirò
tristemente.
- Non ti lascerò - disse
alzandosi e prendendola in braccio.
Guardò il cielo stellato.
- Questa notte starò con
te e Eryn - le sussurrò.
- Grazie. - disse in un
sospiro addormentandosi.
Elatan chiamò uno dei tre
elfi che lo stavano aspettando alla barca.
- Avvisa mia moglie che
tornerò domani, lei capirà. -
- sarà fatto. -
Gli elfi salutarono il
loro capo e partirono alla volta di Tol Falas.
Elatan portò Laurelin
fino alla casetta e la depose sul letto.
Eryn, che non aveva
assistito all’accaduto, lo guardò interrogativamente.
- Resterò con voi questa
notte. - disse con un cenno del capo verso l’elfa addormentata.
Eryn annuì.
- Puoi dormire nel mio
letto. - disse.
- No, grazie. Io resto
accanto a Laurelin. - disse cercando qualcosa da mettere sul pavimento per
stendersi.
L’elfa sorrise.
- Aspetta. - sparì nella
stanza adiacente e ricomparì con quattro coperte.
L’elfo era dubbioso.
- Quattro? - chiese.
- Certo: due per
sdraiarsi, una come cuscino e una come coperta! Io penso a tutto! - disse
sottovoce per non disturbare la ragazza.
Eryn andò a dormire nella
sua stanza augurando la buona notte.
Elatan si preparò il
giaciglio accanto al letto di Laurelin e vi si stese sopra prendendo la mano di
lei nella sua.
L’amica di Laurelin fece
capolino dalla porta. Sorrise e la richiuse.
Laurelin sognò.
CONTINUA……
COMMENTATE!!!!!!!!!!!!!!!
Please! Si ammetto che
questo capitolo è un po’ noioso, ma i prossimi sono un pò più…………………….OK!
Secondo il mio parere.
Ma, vedete voi………..CIAO!