Occhi di lupo 2.0 di Mary P_Stark (/viewuser.php?uid=86981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** cap.4 ***
Capitolo 5: *** cap.5 ***
Capitolo 6: *** cap.6 ***
Capitolo 7: *** cap.7 ***
Capitolo 8: *** cap.8 ***
Capitolo 9: *** cap. 9 ***
Capitolo 10: *** cap.10 ***
Capitolo 11: *** cap.11 ***
Capitolo 12: *** cap.12 ***
Capitolo 13: *** cap.13 ***
Capitolo 14: *** cap. 14 ***
Capitolo 15: *** cap.15 ***
Capitolo 16: *** cap.16 ***
Capitolo 17: *** cap.17 ***
Capitolo 18: *** cap.18 ***
Capitolo 19: *** cap. 19 ***
Capitolo 20: *** cap. 20 ***
Capitolo 21: *** cap.21 ***
Capitolo 22: *** cap. 22 ***
Capitolo 23: *** cap. 23 ***
Capitolo 24: *** cap. 24 ***
Capitolo 25: *** cap. 25 ***
Capitolo 26: *** cap. 26 ***
Capitolo 27: *** cap. 27 ***
Capitolo 28: *** cap. 28 ***
Capitolo 29: *** cap. 29 ***
Capitolo 30: *** cap. 30 ***
Capitolo 31: *** cap. 31 ***
Capitolo 32: *** cap. 32 ***
Capitolo 33: *** cap. 33 ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** capitolo 1 ***
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1.
Narra la leggenda che un uomo vestito di pelli di
lupo, dagli occhi color dell’ossidiana e capelli scuri come ali di corvo, si
avventurò un giorno nella foresta ai piedi dei Monti Urlanti.
Suo era il desiderio di poter dare voce al proprio
dolore, oltre alla remota possibilità di chiedere al dio lupo la possibilità di
debellarlo.
Rimorso e infinita disperazione avevano colto l’uomo
quando la moglie, nel partorire la loro prima figlia, era morta tra immenso
strazio.
Il suo cuore aveva ceduto allo sconforto, e neppure la
salvezza della figlia aveva scongiurato la caduta nel baratro in cui l’uomo era
finito.
Colmo di speranza, si era quindi inoltrato nella
foresta del dio lupo, nel cuore la preghiera di poter tornare a sorridere come
un tempo.
Raggiunta infine la statua del dio-lupo Hevos, alle
sorgenti del fiume Fenar, l’uomo si era inginocchiato dinanzi a essa, chiedendo
a gran voce di poter riavere la moglie al suo fianco.
Era stato con la paura sul volto, e lo stupore negli
occhi, che si era ritrovato a fissare la figura del giovane Hevos, divenuto
carne innanzi ai suoi occhi.
Imberbe e dal viso perfetto, la divinità aveva osservato
lungamente il postulante con i suoi occhi dorati.
Mentre un lento sorriso si era dipinto sul suo volto
immortale, aveva mormorato con voce piana: “Colei che tieni tra le braccia è
tua figlia, viandante?”
Osservando il fagotto che teneva stretto a sé, l’uomo aveva
assentito, mormorando poi roco: “Sì, lei è mia figlia Hyo.”
Allungando una mano dalle lunghe dita aggraziate, il
dio aveva sfiorato il viso della neonata che, puntando due brillanti occhi neri
su di lui, aveva sorriso, gorgogliando allegra.
Ciò aveva riempito di letizia il giovane immortale.
“Ella mi diletta, viandante… concedimi di prenderla in
braccio, dunque” gli aveva a quel punto ordinato il dio, sorridendo alla
piccola.
Il viandante, timoroso di incorrere nelle ire dell’immortale,
aveva acconsentito, porgendogli subito la bimba.
Immediatamente, Hyo aveva riso ilare e il dio,
carezzandole il viso con espressione divertita, aveva dichiarato: “Ho udito la
tua invocazione, viandante. Tu sai che non mi è concesso varcare le soglie del
mondo dei morti, che di diritto appartiene a mio fratello, quindi, perché tu
chiedi l’impossibile?”
“Seguo il culto del Lupo e non del Corvo, mio signore,
per questo ho pensato di rivolgermi a voi. La mia vita non ha più senso, senza
Zenah, né io sento più il mio cuore battere, senza di lei. Solo per Hyo sto
continuando a respirare, ma questa non è esistenza” aveva ammesso il viandante,
sospirando pesantemente.
Continuando a osservare Hyo senza degnare di uno
sguardo l’uomo, il giovane dio aveva replicato con una certa acredine: “Vuoi tu
dunque dire che neppure una creatura pura come tua figlia, è capace di tenerti
in vita con serenità? Non conta dunque nulla, per te? Dimmi, allora, perché
l’hai voluta in questo mondo?”
“Era desiderio di Zenah… e lei me l’ha portata via” aveva
sibilato suo malgrado l’uomo, reclinando il capo e non accorgendosi perciò del
cipiglio del dio.
Assottigliando le iridi dorate, il dio aveva così
mutato i bei lineamenti del suo giovane volto e per poi asserire glaciale: “Le
tue parole sono come acqua che scorre su un sasso, per le mie orecchie. Nulla
conta, per me, se non la vita di ogni essere vivente. Non mi occupo di morti ma, se per te è
così importante Zenah da passare sopra all’esistenza della tua stessa figlia,
intercederò per te presso mio fratello, così da ricongiungerti alla tua amata…
a una condizione, però. Dai a me Hyo, e io ti riunirò a Zenah.”
“Cosa? Ma…” aveva tentennato l’uomo, risollevando il
capo per fissarlo timoroso.
“Decidi in fretta, uomo, prima che la mia pazienza
venga meno!” aveva esclamato il dio, continuando a vezzeggiare con un dito la
bambina.
“Lo farete davvero?”
“Dubiti forse della parola di un dio!?” aveva perciò
tuonato Hevos, facendosi di fiamma e fissandolo veramente per la prima volta.
I suoi occhi avevano emanato sdegno e furia al tempo
stesso.
L’uomo era infine crollato a terra scuotendo il capo così
il dio, sogghignando soddisfatto, aveva dichiarato sprezzante: “Ah… capisco. Allora
è vero che, la di lei vita, non conta niente, per te. E sia! Riavrai la tua
amata, ma pagherai per sempre lo scotto di averla voluta di nuovo con te.”
“Cosa volete dire?” aveva esalato l’uomo, impallidendo
dinanzi alle sue parole profetiche.
“Ciò che per un uomo mortale conta come lo scorrere
della sabbia in una mano, così non è per una donna, ma te ne renderai conto da
solo. Ora va’, prima che cambi idea!” aveva esclamato a gran voce il dio,
svanendo in una nuvola di luce.
Hyo era scomparsa con lui.
***
Un alito di vento si incuneò
tra le finestre socchiuse della stanza di Aken che, sbadigliando, si risvegliò
dal suo sonno leggero.
Sbattendo più volte le palpebre
per comprendere da dove provenisse quella fastidiosa corrente d’aria, osservò
cupo i battenti dischiusi prima di decidersi ad alzarsi.
Slanciate le lunghe gambe fuori dal letto, il giovane
principe si incamminò verso la finestra, poggiando i piedi sulle morbide stuoie
di pelliccia che lo riparavano dal gelido pavimento di pietra.
Chiusi i battenti, osservò ora completamente sveglio
le case e i palazzi della città di Rajana, la capitale del regno di Enerios.
Rajana era già desta da ore, centro nevralgico dello
scambio di merci provenienti da ogni angolo del loro ricco reame.
Dalle possenti montagne a nord giungevano gemme
preziose, pelli pregiate e nobili metalli, che consentivano ai paesini
abbarbicati tra rocce e declivi scoscesi di sopravvivere a quelle aride lande.
Dal sud, ove il mare era ricco di vita, pesci di ogni
razza e perle rilucenti giungevano in eguale quantità, diretti sia al mercato
interno che a quello estero.
Aken sorrise di fronte al brulicare di persone e mezzi,
nei pressi della grande piazza del mercato.
Ironico, si chiese cosa sarebbe successo se, un
dannatissimo giorno, tutta la prosperità del suo regno fosse scemata di colpo.
Nessuno di loro sarebbe sopravvissuto un solo giorno,
a rape ed erbe di campo. Nessuno.
“Troppa opulenza” brontolò tra sé, prima di distogliere
lo sguardo dalla finestra per dedicarsi ad altro.
Presi da una sedia gli indumenti che, la sera
precedente, aveva ripiegato diligentemente, Aken indossò calze, pantaloni e
camiciola di lino finissimo.
A quel punto, indeciso sul da farsi, osservò per un
momento una delle sue ricche tuniche ricamate ma, al fine, indossò un
giustacuore di cuoio al suo posto.
Un buon allenamento mattutino non gli avrebbe certo
fatto male e, vestito come un damerino di corte, non avrebbe potuto farlo.
Così deciso, infilò ai piedi corti e consunti stivali
di cuoio e, dopo aver legato in una coda di cavallo i lisci e neri capelli, che
ormai gli giungevano ben oltre le spalle, uscì dalla propria stanza.
A grandi passi, quindi, si diresse senza ulteriori
indugi verso la caserma di Rajana.
In quanto principe ereditario, Aken avrebbe dovuto
fare colazione insieme alla sua famiglia, e non certo nel refettorio dei
soldati.
Ormai da tempo, però, si era concesso il lusso di
disertare quell’impegno mattutino.
Nel corso degli anni, le persone invitate al tavolo dei
reali erano diventate, per lui, sempre più insopportabili e fonte continua di
mal di testa.
Non amava la sua posizione e, meno ancora, essere
l’oggetto delle brame di potere della nobiltà.
Da quando aveva compiuto diciotto anni, la Corte aveva
tentato con ogni mezzo di vederlo sposato a questa o quella dama di corte, ma
sempre di ottimo lignaggio.
A sette anni di distanza dal suo primo ballo ufficiale,
e alla susseguente investitura a erede della corona, nulla era cambiato.
Quei lugubri pensieri lo portarono ad accigliarsi per alcuni
attimi ma, quando raggiunse le scale di servizio, Aken si rasserenò a ogni
gradino lasciato dietro di sé.
Non amava il luogo in cui i suoi avi avevano vissuto
per secoli.
Non che il palazzo, con le sue alte torri merlate di
arenaria grigia, le sue mura possenti e i suoi robusti contrafforti, non fosse
bello, o non meritasse di essere osservato con ammirazione.
Semplicemente, vivere lì non lo aggradava.
L’essere costantemente controllato, studiato,
vivisezionato dalla Corte, rendeva la sua vita a palazzo ben peggiore di una
campagna militare.
Durante la lotta, poteva brandire spada e scudo per
difendersi, ma a palazzo?
Un coltellino da burro era ben misera arma, e non
poteva certo levarla contro coloro che, il suo ardore di guerriero, riteneva
meno che mere caricature di uomini.
Meno che meno, poteva sfoderarlo contro le nobili dame
di corte che, con i loro ventagli e i loro profumi svenevoli, erano forse
peggio delle zecche.
Con uno sbuffo, lanciò un rapido sguardo all’alta
torre di guardia, su cui svettava la bandiera con il lupo nero, su campo rosso,
che era il simbolo del suo regno.
Dopo averla osservata sventolare al vento per alcuni
attimi, riprese il suo lesto cammino verso la foresteria della caserma.
Meglio non pensare a quanto avrebbe voluto essere come
quel lupo, e fuggire per sempre da quei luoghi.
Spartana come ogni ricovero militare, la caserma di
Rajana – situata nei pressi del Palazzo Reale – poteva vantare non solo i
soldati meglio addestrati del regno, ma anche la più fornita scuderia di
Enerios.
I cavalli, scelti esclusivamente per la loro forza, possanza
e capacità di resistenza in battaglia, erano i meglio addestrati di tutto il
reame.
Solo il regno di Vartas ne vantava di migliori. Non
che a loro piacesse ammetterlo, ma era un dato di fatto.
Aken ammirava da sempre quelle bestie indomite che,
come autentici guerrieri, correvano incontro alla morte portando al galoppo i
propri cavalieri, senza temere colpo di spada o punta di lancia.
Il suo destriero non faceva differenza.
Come ogni mattina, il principe si recò alle scuderie
per salutare il suo fedele destriero Rohal, con cui aveva già combattuto
diverse battaglie.
Lo stallone nero, scorgendolo sull’entrata della
stalla, sbuffò sonoramente, agitando il capo oltre la bassa porta lignea del
suo box.
Il giovane principe, sorridendo lieto, si avvicinò per
carezzarlo e dire gentilmente: “Buongiorno, mia fulgida tempesta.”
Rohal strusciò il muso contro la sua spalla,
dimostrandogli tutto il suo affetto incondizionato e Aken, sorridendo
maggiormente, gli allungò un dolcetto, sussurrando complice: “Se mi vede lo
stalliere, ci metteremo nei guai, ma di certo te lo meriti. Acqua in bocca,
però.”
Il suo nitrito allegro dimostrò al principe quanto il
regalo fosse stato gradito.
Dopo un ultimo grattino alle orecchie, il giovane se
ne andò in direzione della caserma per raggiungere il refettorio.
Lavatosi le mani in un bacile di acqua fresca, prima
di entrare nella bassa struttura a pianterreno ove i suoi uomini si riunivano
per il rancio, Aken salutò i presenti, ricevendo in risposta inchini e pacche
sulle spalle.
Sorridendo a tutti loro con trasporto, si diresse
senza ulteriori indugi verso le vivande già pronte, prendendo un po’ di carne salata
e del pane di noci.
Non gli fu difficile trovare un angolo libero ove
sedersi. A quell’ora, molti soldati erano già di ronda, quindi la sala era
quasi vuota.
Sedutosi a un tavolo di legno grezzo come gli altri
soldati presenti, Aken iniziò a mangiare tranquillamente, lo sguardo perso nel
vuoto e ora del tutto privo di preoccupazioni.
Era più a suo agio tra i soldati, i cavalli e le
spade, piuttosto che tra trine, merletti, profumi speziati e vuote parole.
Che si divertisse il fratello minore, a corteggiare le
dame! Lui aveva di meglio da fare!
Quel breve idillio, però, durò ben poco.
Un paggio in livrea, entrando nel refettorio con il
chiaro intento di trovare proprio lui, distrusse i suoi piani per quella
mattinata.
Non appena quegli occhi spiacenti si posarono sul suo
volto aggrottato, Aken seppe di avere terminato lì, per quel giorno.
Bloccandosi subito – era insolito che i paggi si
facessero vedere in caserma, se non per questioni urgenti e della massima
importanza – Aken gli fece cenno di avvicinarsi.
Annuendo, il ragazzo in livrea si inchinò contrito, mormorando:
“Vostra Altezza mi scuserà, ma Sua Maestà richiede la vostra presenza nella
sala del trono.”
Storcendo il naso, Aken borbottò: “Cosa vuole, Sodan?
Non te l’ha detto?”
Scuotendo il capo, il giovane replicò vagamente
imbarazzato: “Non ha ritenuto opportuno dirmi nulla, Vostra Altezza.”
Spostando di lato il piatto di peltro ancora semi
pieno, Aken si adombrò ulteriormente in viso, seguendo poi Sodan fuori dal
refettorio.
Ripresa la via del palazzo, il principe macinò a
grandi passi la distanza che lo separava dalla sala del trono, facendo le scale
a due a due per impiegare meno tempo.
Sapeva di non fare cosa gradita alla sua famiglia, desinando
in refettorio, ma addirittura interromperlo per spregio, gli sembrava troppo!
Preso un gran respiro quando finalmente raggiunse la
porta della sala del trono, Aken lasciò che Sodan lo annunciasse ai genitori.
Con passo deciso, quindi, si avviò verso il palco
ricoperto di velluto rosso, dove il padre e la sua matrigna erano assisi.
Re Arkan di Enerios era un uomo possente e fiero, di
cui Aken aveva preso in pieno l’aspetto.
Una lunga cicatrice ne solcava il viso, scendendo dal
sopracciglio destro fino al mento in una linea frastagliata e sottile, retaggio
di un’antica battaglia contro il regno di Vartas.
I suoi capelli, ormai canuti al pari della barba
folta, rispecchiavano la sua età, così come la gamba sinistra irrigidita
dall’artrite.
Pur non volendolo, questo aveva costretto il re a
utilizzare un bastone per muoversi più speditamente.
Nonostante questo, Arkan avrebbe potuto benissimo
uccidere dieci uomini con la sola forza del suo braccio, tanta era ancora l’energia
vitale insita in lui.
Era un guerriero da cui guardarsi le spalle,
nonostante tutto, e Aken lo sapeva.
Inchinandosi dinanzi al padre pur fremendo di rabbia
dentro di sé, il principe puntò i suoi occhi smeraldini in quelli d’acciaio
dell’uomo che, dopo un momento, esordì dicendo: “Ho notizie preoccupanti da
comunicarti, Aken. Ho preferito non aspettare oltre e mettertene al corrente.”
Aggrottando immediatamente la fronte, Aken raddrizzò
la figura possente, stringendo le mani
dietro la schiena.
In attesa di ragguagli, fissò un attimo la sua
matrigna, sorridendole gentilmente.
Il re sospirò, riprendendo la parola e tornando a
ottenere l’attenzione del figlio.
“Due settimane orsono, ho inviato un falco ad Anok
Fort, ma non mi sono giunte notizie in risposta dalla guarnigione. Ormai, sono
diversi mesi che non riceviamo messaggi da parte loro e comincio a temere che,
a Vartas, stiano combinando qualcosa che non vogliono farci sapere.”
Come per ogni abitante di Enerios, il solo sentir
nominare Vartas – regno a loro
confinante, e nemico giurato da diverse generazioni – fece irrigidire Aken.
Accigliandosi maggiormente, il giovane guerriero fissò
ansioso il padre, presagendo notizie ancora più allarmanti di quelle che già
aveva udito.
Anok Fort era stato costruito sul confine tra i due
regni, nelle vicinanze della Valle del Silenzio, proprio per tenere sotto
stretta sorveglianza i movimenti di Vartas.
Ma se, come il padre sospettava, qualcosa era avvenuto
al forte, qualcuno avrebbe dovuto scoprire cosa stesse succedendo prima della
riapertura dei passi, la primavera successiva.
“Volete che organizzi una spedizione, padre?” chiese
allora Aken.
Annuendo, Arkan disse contrariato: “So che siamo agli
albori dell’inverno e che, al nord, le condizioni non sono ottimali, ma non
possiamo attendere la primavera, con il rischio che loro ci attacchino
trovandoci impreparati. Vorrei inviare qualcuno degno di fiducia, ma conosco
solo te, da poter inviare in mia vece.”
Aken preferì non dire nulla in proposito: non era
insolito che il padre non si fidasse dei suoi stessi uomini e, più di una
volta, lui era dovuto intervenire per sedare eventuali disagi.
Era cosa risaputa, tra le truppe, che i generali erano
fedeli ad Aken, e non al re suo padre, e proprio per questa totale mancanza di
fiducia.
In questo, re Arkan aveva sempre difettato. Non aveva
mai dato lustro a coloro che lo servivano, e questo aveva creato una
spaccatura, tra la Corona e l’Esercito.
Solo Aken era il collante che ancora teneva legati i
due mondi.
“Contattare il borgomastro di Marhna è stato inutile,
perciò procedi con cautela, figlio. Non vorrei trovassi una serpe in seno, al
tuo arrivo tra le montagne” aggiunse Arkan, del tutto ignaro dei pensieri del
figlio.
Annuendo a sua volta, Aken replicò ombroso: “Sarò
cauto nei limiti del possibile, padre. Preparerò i miei uomini, e partirò alla
volta del forte entro il più breve tempo possibile. Dovremmo essere in grado di
prendere la via delle montagne già domani.”
“Molto bene” assentì Arkan.
A quel punto Anladi, la seconda moglie del re, prese
la parola.
Più giovane di Arkan di quindici anni, Anladi era stata
data in sposa al re dopo la morte della madre di Aken, perita a causa di una
brutta febbre polmonare.
Al re, Anladi aveva dato due figli, di cui Arkan
andava particolarmente fiero, e si era presa cura di un bambino di sei anni,
senza più una madre, portandolo alla maturità.
Aken provava affetto profondo per quella donna minuta
dai biondi capelli e gli occhi azzurri come le acque dei ghiacciai, cui il
fratellastro Ruak assomigliava in tutto e per tutto.
Non aveva mai provato risentimento alcuno nei suoi
confronti, anche se lei aveva preso il posto che, un tempo, era stato di sua
madre.
Osservandola curioso, le sentì dire: “Durante il
viaggio di ritorno, vorrei sostassi presso la tribù di Kaihle. E’ molto tempo che
non abbiamo sue notizie, e vorrei sapere come sta. Ovviamente, le porterai i
miei saluti e ringraziamenti, oltre ad alcuni doni che vorrei farle avere.”
Kaihle era, come Aken ben sapeva, la Signora di una
delle tribù di donne-lupo presenti alle pendici della catena montuosa che li
separava da Vartas.
Era stato presente anche lui quando, ormai disperati,
avevano chiamato a palazzo Kaihle per salvare Anladi - e il principe che
portava in grembo - da morte certa.
Nessuno dei loro guaritori era stato in grado di fare
nulla, ma quella donna era riuscita laddove tanti uomini avevano fallito.
Aveva accudito la partoriente fino alla nascita del
bimbo, scongiurando la morte di entrambi dopodiché, senza chiedere nulla in
cambio, se n’era tornata alla sua tribù.
Era l’unica donna-lupo che Aken avesse mai conosciuto
in vita sua.
Se lei in particolare non gli era sembrata una donna
sciatta o volgare, le voci che circolavano sul loro conto non erano certo delle
più lusinghiere.
Di loro, si diceva che fossero più simili a uomini che
a donne, e che la loro proverbiale capacità di parlare con i lupi fosse dovuta
a un patto fatto con i demoni delle nevi.
Secondo il suo modo di vedere, erano solo sciocche
credenze, ma comprendeva senza difficoltà alcuna da dove nascessero quelle
storie colme di timore.
Pur essendo una pratica vecchia di secoli, e accettata
dalla Corona, gli abitanti di Enerios ancora stentavano a comprendere come
interi gruppi di donne vivessero sole nelle foreste del regno.
Figurarsi tra le vette impervie dei Monti Urlanti.
Fra loro non era concessa la presenza di nessun uomo e,
quel che più sconcertava, erano seguite a vista, e venerate, dai lupi che
condividevano la loro esistenza.
Ma Kaihle, quella donna-lupo che aveva visto solo una
volta, aveva salvato la sua matrigna e il fratello, perciò meritava rispetto.
Annuendo, Aken dichiarò: “Le porgerò i vostri saluti,
madre, e le porterò i vostri doni per ringraziarla.”
Sorridendo, Anladi annuì al figliastro, e aggiunse:
“Ricordati di salutare tuo fratello, prima di partire.”
“Non mancherei mai” sorrise un momento Aken, tornando
poi a rivolgersi ad Arkan. “Avete altro da dirmi, padre?”
“Solo avvisarti che lady Tyana è con tua sorella
Melantha, e vorrebbe vederti” asserì il padre, con un accenno di irritazione
nella voce.
Arcuando un sopracciglio con espressione ironica, Aken
celiò: “Ancora, padre? Vi ho già detto che, quando vorrò un cappio dorato al
collo e una catena alla caviglia, ve lo farò sapere.”
“Ti ho solo chiesto di conoscerla, nulla più. E’ così
difficile?” sospirò a quel punto il re, esasperato dalle intemperanze di lunga
data del figlio maggiore.
“Sì, in effetti. E, finché non sarò soddisfatto di ciò
che vedrò, non mi sposerò. Con permesso” ironizzò il principe, uscendo dal
salone dopo un breve quanto frivolo inchino.
Incamminatosi lungo il corridoio con passo rigido e
irritato, Aken raggiunse in breve tempo le scale che conducevano dabbasso,
nell’ampio cortile sul retro del palazzo.
Da lì, per giungere al campo da tiro con l’arco, ove
solitamente si allenava suo fratello Ruak, avrebbe impiegato pochissimo.
Nel contempo, avrebbe evitato a piè pari i luoghi in
cui, solitamente, passeggiavano le dame di corte per mostrarsi ai nobili
imbellettati e pronti a maritarsi.
Lui, di certo, non sarebbe stato tra questi. Che si
dilettassero pure gli altri, nel rincorrere quelle arpie, pronte soltanto a
mettere le mani sugli ori dei poveri malcapitati.
Non voleva neppure sentir parlare di matrimonio, dopo
la scandalosa scenata di lady Eluane.
Vistasi rifiutare durante un balletto di gala, aveva
strepitato come un’aquila, accusandolo di essere un amante di uomini.
Quel suo accenno, non solo l’aveva spinto a sollevare
una mano per schiaffeggiarla – subito calata per rispetto verso entrambe le
loro famiglie – ma gli aveva anche fatto comprendere quanto vuota e vanesia
fosse la ragazza.
Se non era in grado di accettare un rifiuto senza dare
di matto, non poteva certo essere all’altezza della Corona cui tanto ambiva.
Una donna degna di tale nome avrebbe preso il suo
diniego con maggiore classe e, sicuramente, facendo meno baccano.
Inoltre, dargli dell’amante di uomini! Lui!
Quel pensiero lo irritò per l’ennesima volta.
Aveva avuto davvero un bel fegato ad accusarlo di una
cosa simile, visto quanto fosse risaputa la sua nomea di amante.
Non una di loro, aveva preteso qualcosa di più della
sua compagnia e lui, ben volentieri, si era prodigato per ringraziarle per quel
comportamento disinteressato.
Non che sguattere o contadine potessero sperare nella
Corona, ma ad Aken era servito stare con loro, e condividerne l’intimità del loro
letto.
Durante le fredde notti d’inverno, o nei caldi giorni
d’estate che bruciavano Rajana e le sue mura, quelle giovani donne erano state
la sua salvezza.
Quelle ragazze, che di merletti e regole di
comportamento non facevano certo uno stile di vita, gli avevano insegnato a
gustare i veri piaceri della vita.
Una risata, una battuta sussurrata all’orecchio nel
momento dell’amplesso, una carezza sincera, un bacio d’addio dato col cuore.
Ben poche avevano voluto essere pagate per i loro
servigi, limitandosi ad accettare le sue visite come un regalo insperato.
Trattandosi di giovani sole, orfane di genitori o vedove,
lui aveva equamente provveduto ad aiutarle e, da loro, non aveva mai ricevuto
pressioni o critiche.
Forse, comprendevano più di chiunque altro il suo
bisogno di evadere dal palazzo.
Forse, anche loro avevano bisogno di isolarsi dal
mondo, per qualche ora, e godere della compagnia di un uomo che non abusasse di
loro.
Forse, solo loro lo vedevano realmente per quello che
era. Un uomo, e nulla più.
Sbuffando contrariato per la piega melanconica che
avevano preso i suoi pensieri, Aken scalciò un ciottolo con rabbia.
Aguzzando poi lo sguardo, cercò tra i molti giovani,
impegnati in allenamento, la figura del fratello Ruak.
Tendenzialmente, non era difficile trovarlo, vista la
sua passione per l’arco lungo, oltre che per la sua chioma bionda, così rara a corte.
Sorridendo non appena lo scorse, l’alta e longilinea
figura abbracciata da neri abiti di pelle, Aken si avvicinò a Ruak e il suo
istruttore con passo veloce.
“Buongiorno! Già impegnato a maltrattare il tuo arco?”
Fermandosi di colpo, e ritirando il braccio prima di
scoccare la freccia che teneva saldamente tra le dita, Ruak si volse a mezzo
nel sentire la voce del fratello.
Sorridendo di rimando ad Aken, esclamò: “Buongiorno a
te! Dovresti saperlo che io non maltratto le mie armi. Men che meno il mio
fedele arco. Già in fuga da Tyana?”
Ridacchiando insieme all’istruttore di Ruak, che ben
conosceva le sue reticenze a sposarsi e l’assidua caccia che, invece, stava
conducendo Tyana, Aken ammise: “Più o meno. Quella ragazza è davvero testarda
come un mulo. Sembra quasi che, nel raggio di cento miglia, non esista un solo
uomo che le piaccia. Tranne il sottoscritto, ovviamente.”
“C’è in palio la corona, Vostra Altezza. Credo sia
questo, il vero motivo della sua ritrosia a scegliere altri uomini” commentò
l’istruttore, sogghignando suo malgrado.
“Come darti torto! Il punto è che queste nobildonne
sono tutte così maledettamente pedanti che…” brontolò il principe ereditario,
prima di scrollare le spalle e cambiare discorso. “Ti rubo mio fratello per un
po’, Nogarth.”
“Attenderò qui, Altezza” annuì l’uomo, appoggiandosi a
una staccionata di legno.
Allontanatisi di qualche passo, Aken si fermò per
sedersi scompostamente su un muricciolo di sassi e, fissando il fratello con
aria seria, disse a un curioso Ruak: “Devo partire per un viaggio, fratellino,
quindi dovrai badare tu alla famiglia.”
Spalancando gli occhi cerulei, incorniciati da scure
ciglia nere, Ruak lo fissò sorpreso prima di chiedere turbato: “Non siamo un
po’ avanti con la stagione, per un viaggio?”
“La necessità lo impone. Nostro padre prevede guai sul
confine, ed è giusto andare a controllare” gli spiegò Aken, stringendogli le
spalle con un braccio quando il fratello si sedette al suo fianco.
Ruak era quasi alto come lui, ormai, pur se non
altrettanto robusto.
Avevano un’identica carnagione bronzea e volti dai
tratti nobili, ma il fratello minore aveva occhi gentili e caldi come quelli
della madre.
Quelli smeraldini di Aken, invece, avevano visto
troppe morti e troppo sangue, per essere egualmente limpidi, ma non erano meno
belli di quelli di Ruak.
“Capisco” annuì il fratello minore. “E, come al
solito, nostro padre non si fida che di te, per una missione simile, nonostante
tu sia l’erede e quindi, di fatto, assai importante per la Corona.”
Aken sbuffò, sapendo bene cosa volesse dire il
fratello, con quelle parole.
“Lo conosci. Non lascerebbe a nessun comandante, una
missione così importante.”
“Ma mette a rischio te, nell’impuntarsi a questo modo” sottolineò Ruak, sbuffando a sua
volta.
“Da per scontato che io torni, visto che sono suo
figlio. Chi mai potrebbe battermi?” ironizzò a quel punto Aken, dandogli una
pacca sulla gamba.
Ruak lasciò perdere il discorso, limitandosi a dire:
“Starai attento, per lo meno?”
“Quando mai non sono stato attento?” lo irrise
bonariamente Aken, ghignando in risposta.
Storcendo il naso, Ruak gli rammentò per contro: “Ti
ricordo che sei quasi finito in un crepaccio, per rincorrere una lepre.”
“Un caso fortuito” ridacchiò lui, pur tornando serio
subito dopo. “Te lo prometto; starò attento e tornerò a casa tutto intero.”
Ruak lo fissò in cerca di rassicurazioni e, dopo aver
scorto negli occhi del fratello tutta la sua buona volontà, accennò un sorriso
e celiò: “Non è che questa storia te la sei inventata per evitare le brame
della bella Tyana?”
Ridendo fragorosamente, Aken ammise: “Casca a fagiolo,
non posso negarlo, e non mi dispiace allontanarmi da chi vorrebbe mettermi una
corda attorno al collo. Mi piace ancora troppo divertirmi, e senza restrizioni
da seguire.”
“Lo immagino, e non posso darti torto. Finché puoi…”
commentò Ruak, con aria saputa.
Storcendo il naso con espressione torva, Aken replicò:
“Cosa vuoi saperne, tu, sbarbatello?”
Ruak ridacchiò, strizzandogli l’occhio.
“Più di quanto tu non creda, fratello.”
“Oh” esalò il fratello, basito di fronte
all’affermazione di Ruak. “Ah, beh, allora…”
Tornando serio, il giovane principe abbracciò strettamente
il fratello maggiore per un attimo, prima di dire contro la sua spalla: “Fai
buon viaggio, Aken, e torna da me.”
“Spero proprio di sì” sorrise lui, stringendolo a sé e
dandogli sonore pacche sulla schiena.
Amava Ruak come se fosse nato dalla sua stessa madre,
e non avrebbe mai voluto causargli alcun dolore.
Questa volta, però, promettere di essere prudente, gli
parve una concessione davvero dura da fare.
***
Osservando il suo aiutante di campo, che conosceva da
più di nove anni, ormai, Aken sospirò forse per la centesima volta, ed esalò:
“E’ davvero necessario starsene qui seduti a elencare tutti i lavori che non eseguirò in mia assenza, e che tu dovrai sobbarcarti in mia vece?”
Sollevando ironicamente un sopracciglio, la penna
d’oca stretta nell’unica mano rimastagli, Kannor replicò suadente: “Proprio
perché tu non sarai presente, io devo avere ben chiaro cosa fare,
mentre tu corri a menar le mani su al nord.”
“Ah-ah. Davvero spiritoso” sospirò Aken, passandosi
una mano tra i folti capelli rilasciati sulle spalle.
I suoi uomini si erano dichiarati entusiasti di
partire, forse stanchi di crogiolarsi tra le sicure e amene pareti della città.
O, più semplicemente, desiderosi di lucidare col
sangue le loro preziose spade.
A ogni buon conto, nel giro di poche ore, ognuno dei
soldati da lui scelti per partire, aveva preparato armi e bagagli e ora, a lui,
spettava solo il compito di guidarli.
Un’unica lagnanza gli era giunta, e proprio da Kannor.
Non aveva gradito sapere che, anche per un viaggio
all’apparenza semplice come quello, sarebbe rimasto a Rajana.
Era stato un autentico inferno fargli comprendere i
motivi per cui desiderava lasciarlo a Rajana.
Non a causa del suo braccio monco, ma per avere un
amico a gestire i suoi interessi in vece sua.
Ora, a sera tarda e con l’odore pungente della cera di
pino ad ardere nei bracieri di ferro battuto, Kannor si stava sottilmente
vendicando.
Appioppandogli quel noiosissimo lavoro di ‘controllo scartoffie’, come amava
chiamarlo lui, sapeva di fargli un dispetto non da poco.
Non aveva mai dimenticato quando, sul campo di
battaglia, aveva dovuto mozzargli il braccio maciullato per salvargli la vita.
Anche a distanza di anni, Aken si sentiva sempre in
colpa per non aver potuto far altro per lui, oltre che prendergli quella mano
che ora, fantasma, aleggiava vicino alla manica vuota della sua camicia
immacolata.
Kannor non gliene aveva mai fatto una colpa e, anzi,
lo aveva sempre preso in giro per i suoi rimorsi.
Spesso, lo aveva gratificato con pessime battute
sull’essere un uomo con una mano sola, a cui Aken aveva sempre riso a fatica.
Quella sera, quella mano mancante avrebbe voluto
prenderlo a pugni, se avesse potuto, tanto si sentiva a disagio.
Ma forse si meritava il vago sentore di fastidio che
gli rodeva le carni.
Tornando serio, Kannor puntò la penna sul foglio
pergamenato e borbottò: “Non ti servirà a niente ragionare su cose passate, o
sulla mia mano che non c’è più. Ho capito perché non mi vuoi lassù tra i monti,
e lo accetto perché so quanto poco ti piaccia che degli estranei ficchino il
naso nei tuoi affari. Per questo, non per motivi reconditi, stiamo
facendo questo lavoro noiosissimo. Anche se un po’ di soddisfazione la sto
provando, la ammetto, a rovinarti la serata.”
Il sorriso pacioso con cui terminò la frase fece
sorridere Aken che, ghignando, lo indicò divertito, asserendo: “Lo sapevo che
avevi uno spirito sadico, nascosto dietro quella faccia da schiaffi!”
“Parla per te, baffetto!” ghignò Kannor, ricorrendo a
un vecchio nomignolo che la coorte gli aveva affibbiato al tempo in cui,
giovane guerriero in partenza per una battaglia, aveva sfoggiato dei
ridicolissimi baffi per darsi un tono.
Ridendo di quel ricordo – a cui era seguito il brutto
incidente di Kannor – Aken sussurrò: “Avrei voluto restare là con voi per
sempre.”
Sorridendogli comprensivo, l’amico replicò: “E io
vorrei tanto toglierti il peso che grava sulle tue spalle, amico mio, ma non
posso davvero. Di tutte le cose che posso fare per te, questa mi è
impossibile.”
“Lo so” sospirò Aken, prima di aggiungere: “Dai,
continuiamo.”
“Sì, agapry.
Continuiamo” annuì Kannor, tornando a fissare lo scritto dinanzi a lui.
Amico caro.
Ne aveva così pochi, a ben pensarci!
***
Serrati i lacci e controllato che tutto fosse a posto,
Aken sistemò le varie sacche da viaggio, allacciandole agli anelli appositi
della sella.
Sulla schiena del cavallo, legò il telo oleato della
sua tenda e infine, scrutati i suoi uomini con occhi attenti, chiese burbero: “A
che punto siete?”
“Siamo a posto, principe” dissero quasi in coro, senza
neppure sollevare gli occhi da ciò che stavano facendo.
Non c’era bisogno di inchini o sguardi compiacenti,
con Aken.
Annuendo, lui dichiarò: “Ottimo. Partiamo tra dieci
minuti!”
“Sì, Altezza” esclamarono a gran voce i suoi uomini.
Non un cedimento nel tono, non un dubbio. Lo avrebbero
seguito ovunque, e in questo lui contava.
Annuendo nuovamente prima di lanciare uno sguardo
torvo in direzione del cielo plumbeo, Aken si avviò in direzione dei suoi
familiari.
Questi, lo attendevano sotto l’architrave della porta maestra
che dava sul cortile di palazzo.
Lì, diede un’occhiata d’insieme a tutti loro, come a
volerseli imprimere nella memoria, dopodiché percorse gli ultimi passi che li
separavano e abbracciò i genitori e il fratello con calore.
Rivoltosi poi alla sorella, che se ne stava ritta al
fianco della madre e dell’amica Tyana, chiese con voce piana: “Pregherai per
me, sorella?”
“Come ogni volta” replicò laconica lei, allungando una
mano perché il fratello gliela baciasse.
Sogghignando divertito – era risaputa la loro acredine
– Aken le baciò il dorso della mano prima di lanciare uno sguardo a Tyana, al
fianco di Melantha, e aggiungere: “Chiederò anche a voi una preghiera, mia
signora, perché il viaggio sia sicuro e il ritorno vittorioso.”
“Sarò lieta di pregare per voi, Altezza” sorrise
melliflua la fanciulla, forse sperando di essere baciata a sua volta.
Aken si limitò però a inchinarsi dinanzi a lei con
rigore marziale e, con un movimento elegante, tornò sui suoi passi senza più
voltarsi indietro.
Non si sarebbe mai lasciato andare a gesti teneri con Tyana,
poiché sapeva bene di non provare nulla per la procace fanciulla.
Se il padre si fosse risentito del suo modo di agire,
beh, avrebbe avuto tutto il tempo di sbollire la rabbia.
Raggiunto che ebbe il suo destriero, salì in groppa con
un fluido e potente movimento di gambe e, scrutando i suoi con malcelato
orgoglio, gridò: “Possiamo partire, uomini! Ci aspetta un bel po’ di strada da
percorrere!”
Con un corale grido di esultanza, la compagnia si
mosse come un sol uomo verso l’uscita del maniero, Aken in testa al gruppo
mentre gli altri guerrieri lo seguivano a gruppi di due.
Non appena raggiunsero le larghe porte difensive, Aken
le scrutò aprirsi per loro.
Dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sua
famiglia, volse subito gli occhi in direzione della via principale della città,
che lo avrebbe condotto fino alla Carovaniera del Nord.
Da lì, avrebbe volto i loro sguardi verso i Monti
Urlanti, verso i loro profili netti e seghettati, oltre i quali si trovava il
regno di Vartas.
Gli abitanti di Rajana salutarono il loro principe in
partenza, e cori festosi si levarono per augurare a lui e ai suoi uomini una
vittoriosa spedizione.
In cuor suo, però, Aken dubitò fortemente che dei
semplici canti di esultanza potessero bastare; non questa volta.
Questa volta, qualcosa lo turbava, anche se non
riusciva a comprendere da dove gli venisse quella sensazione.
Lui era sempre stato un uomo d’azione, non si era mai
lasciato scoraggiare da mendaci preoccupazioni, spesso ingannevoli e menzognere.
In quell’occasione, però, il disagio iniziò a
insinuarsi in lui fin dal primo passo fuori dalle mura di Rajana, e andò
peggiorando a ogni miglio accumulato alle loro spalle.
Osservando gli alberi ricolmi di foglie ingiallite,
pronte a cadere sull’erba secca dei prati e sul fondale ghiaioso della
Carovaniera, Aken si chiese che genere di tempo avrebbero trovato tra i monti.
Era risaputo che l’inverno, tra le lande del Nord,
giungeva prima, e i Monti Urlanti non erano famosi per i loro benvenuti
calorosi.
Non era il periodo migliore per avventurarsi sulle
alte montagne che li separavano da Vartas, ma la minaccia incombente di un
attacco era motivo più che valido per correre qualche rischio.
Non lo avrebbero certo fermato un po’ di vento freddo
e del nevischio, questo era assodato.
Solo, avrebbe preferito da parte del padre una
maggiore fiducia nei suoi sottoposti.
Denigrare così apertamente l’abilità dei suoi
ufficiali, in favore del figlio maggiore, non era cosa che sarebbe passata
inosservata.
Già da tempo, Arkan aveva allontanato da sé le più
alte sfere del comando militare, preferendo delegare tutto ai figli.
Se questo era stato, di per sé, un segno di fiducia
nei confronti di Aken e Ruak, aveva però segnato una netta spaccatura con i
comandanti della guarnigione.
In gran segreto, sia lui che il fratello avevano
comunque chiesto consiglio agli ufficiali, ma Aken dubitava che la loro mano
tesa sarebbe bastata.
Era il re, a comandare, non i figli.
E tenere a distanza i comandanti militari era un
errore grossolano.
Aken era un guerriero esperto, e aveva passato anni a
combattere come soldato presso il reame amico di Karton, dietro diretto ordine
del padre.
Presto, sarebbe spettato anche a Ruak un simile
compito anche se, personalmente, avrebbe preferito tenere il fratello sotto la
sua ala almeno per qualche anno ancora.
Tutta la sua esperienza, però, gli sarebbe servita ben
poco se, durante una guerra, non avesse potuto contare sul valido aiuto dei
comandanti delle guarnigioni militari.
Era questo, che suo padre non teneva in debito conto.
Sperava soltanto che, se fosse giunto il momento di
utilizzare l’esercito, le alte gerarchie dell’esercito non li avrebbero
abbandonati a loro stessi a causa delle decisioni insensate del re.
Guardando un momento Likas, uno dei suoi amici di
lunga data, sorrise mestamente e chiese: “Hai portato la tua solita fiaschetta?
Credo di aver bisogno di una dose di corroborante liquido.”
“Ma certo, principe” sogghignò lui, mostrandogliela. “Non
manco mai di portare il mio porta fortuna. Ci fermiamo al solito posto,
Altezza?”
“Piantala di adularmi col mio titolo, Likas. Sai come
mi chiamo” rise Aken, afferrando dalla mano dell’amico la vecchia fiaschetta in
metallo, colma di idromele speziato.
La madre di Likas soleva sempre prepararne un po’ al
figlio, in previsione di missioni come quelle.
“Sì, per la tua gioia immensa, ci fermeremo a
Rastanie” aggiunse poi il principe, ghignando all’amico.
“Ottimo! Devo giusto dire due parole a una ragazza che
conosco” sorrise soddisfatto Likas, sfregandosi le mani coperte da guanti di
cuoio grezzo.
Un altro soldato rise e replicò: “Dirle qualcosa? Tu
vuoi farle qualcosa!”
Tutti risero e Likas, sogghignando, ribatté: “Che ci
posso fare se Kanania è così bella!?”
Dandogli una pacca sulla spalla, Aken ammise
divertito: “Ne siamo convinti tutti, Likas, ma vedi di non arrivare stremato, o
potrebbe averne a male.”
“A costo di dormire sulla sella, arriverò fresco come
una rosa” rise lui, guardando bramoso la sagoma scura del paese all’orizzonte,
che avrebbero raggiunto solo in serata.
Scrutandolo a sua volta, Aken si chiese se, per
togliersi dalla mente quelle sgradevoli sensazioni, avrebbe preso a sua volta
una donna con cui scaldarsi il letto.
Quando, però, raggiunsero Rastanie, il suo malumore fu
così palese da scoraggiare tutte.
Neppure la più audace delle ragazze della casa di
piacere - dove fecero tappa dopo cena - si avventurò al suo tavolo, lasciandolo
solo con il suo boccale di birra e le sue riflessioni.
Qualcosa nelle parole del padre lo aveva turbato,
sebbene non avesse detto niente di specifico.
Era più che ovvio, per lui, che il pericolo di
un’invasione fosse più reale di quanto molti dei suoi uomini non credessero.
Per la buona riuscita del viaggio, però, prudenza
voleva che quelle preoccupazioni rimanessero solo sue.
Ai suoi soldati non avrebbe espresso alcun timore; lui
era la loro guida, e doveva essere un punto di riferimento per tutti loro.
No, nessun cedimento.
Finito il boccale di birra, che aveva acquistato più
per abitudine che per reale necessità, Aken si alzò e uscì dalla casa di
piacere per gustarsi il fresco della sera.
L’odore fumoso e stantio di quel luogo non aveva certo
contribuito a sanarne l’umore, come pure le grida eccitate di alcuni uomini
ubriachi.
L’esterno del locale, profumato dei dolci sentori
della notte ormai prossima, era preferibile al caos dell’interno.
Sedutosi su un basso muretto di cinta che delimitava
un campo a maggese, osservò le prime stelle alte in cielo e il piccolo spicchio
di luna apparso all’orizzonte, vicino ai monti ancora lontani.
L’aria era pungente, ma a lui non dispiaceva.
Portava con sé il profumo dei pini e della resina,
l’odore freddo della neve che imbiancava le cime dei Monti Urlanti e il calore
dei camini accesi nelle case.
Tutt’intorno, non v’era nessuno.
Era solo, in quell’angolo di strada, intento a
contemplare il cielo di quella serata di fine autunno, gustandosi aromi e odori
che solo in campagna poteva trovare.
Voltandosi in direzione dei prati quando udì il
richiamo di un cervo in lontananza, Aken si chiese se, da quelle parti, vi
fossero dei lupi.
Come a confermare i suoi sospetti, dalle vicine
colline si levò l’ululato inconfondibile di uno di loro.
“Sono a caccia” commentò in un sussurro, appoggiando
distrattamente un piede sul muricciolo.
Passò almeno mezz’ora prima che, dalle ombrose cime
delle colline, lo stridio di un cervo si levasse improvvisamente nella notte
stellata.
A giudicare dal rantolo sorpreso dell’animale, doveva
essere stato catturato.
Levatosi in piedi prima di spazzolare via dai
pantaloni dei residui di polvere, Aken lanciò un ultimo sguardo al contorno
indistinto del bosco, prima di avviarsi pacificamente verso la locanda.
Sperò, pur
senza sperarci troppo, di poter godere di una buona notte di sonno, in
previsione del viaggio del giorno successivo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
2.
Dal libro delle Reminiscenze.
Crescita e vita di Hyo, capostipite della Razza.
Hyo crebbe in bellezza e virtù, nel regno immortale di
Hevos, e il padre scontò caro il suo baratto con il dio.
Pur avendo riavuto la sua amata Zenah, la notizia
della perdita della figlia minò l’animo della donna al punto che, da quel
giorno per lei così infausto, non emise più parola.
L’uomo pianse e scagliò maledizioni all’indirizzo del
dio, ma nulla ne venne.
Il giovane Hevos, troppo preso dal crescere la sua
pupilla, non pensò mai di rispondere alle ingiurie di quel singolo essere
mortale.
Vestita di rugiada e di petali di fiori, Hyo divenne
una giovane fanciulla dalla lunga chioma dorata e il portamento di una ninfa
dei boschi.
La divinità, abbagliata da tanta bellezza, un giorno
le disse: “La tua avvenenza, mia diletta, è sgargiante come il sole. Essa potrà
crearti non solo gioia, ma anche tristezza infinita. Sii dunque cauta nel
concedere il tuo cuore, poiché gli uomini sono creature infide, e non si curano
di ciò che può provare il tuo animo.”
Hyo, confusa, guardò il suo mentore e replicò: “Perché
mi devo preoccupare degli uomini, se io ho te?”
Sorridendo, il giovane dio le carezzò la guancia e mormorò:
“Per quanto io lo desideri, non potrò tenerti per sempre con me, per cui voglio
che tu sia preparata a ciò che troverai nel mondo da cui provieni. Sii lesta di
mano, come di pensiero. Pondera le scelte e le amicizie. Non fermarti alla
prima occhiata, e non credere a tutto ciò che ti verrà detto, ma vaglia sempre
quello che udirai e cerca da sola le risposte alle tue domande.”
Annuendo, Hyo abbracciò il suo mentore, chiedendo
supplichevole: “Potrò rivederti, una volta che sarò tornata nel mio mondo?”
“Io sarò con te, anche se non potrai più vedermi in
queste sembianze. Ti darò la capacità di difendere te stessa e la tua
discendenza, in modo da essere indipendente dagli uomini che ti abbandonarono
così scioccamente. I lupi del bosco, che a me sono devoti e che ti sono amici,
saranno i tuoi fidi compagni e ti sapranno aiutare a conoscere il mondo da cui,
fino a ora, ti ho tenuta lontana perché tu crescessi e imparassi a vivere
libera” le sorrise Hevos, baciandola sulle labbra.
Hyo pianse tra le sue braccia e il giovane dio,
stringendola a sé, disse ancora: “Che questi giorni siano lieti, mia diletta. Il
tempo che passerò ancora con te, lo voglio trascorrere nella gioia e nella
serenità. Vieni dunque con me e comincia a imparare, tramite i miei occhi, ciò
che troverai oltre questo luogo ameno e privo di dolore.”
Lei annuì e smise di piangere e la divinità,
sfiorandole il ventre, mormorò soave: “Non sarai mai sola, anche grazie a lei.”
“Sì, mio amato” annuì Hyo, nuovamente felice.
***
Due settimane erano passate, dalla loro partenza da
Rajana in quella fredda mattina di fine autunno.
Procedendo verso settentrione lungo la Carovaniera, il
tempo si era fatto via via più instabile, e l’aria più fredda.
Le piante avevano perso completamente le foglie
ingiallite dal freddo, colorando campi e muriccioli di pietra di tinte dal
bruno a biondo dorato.
Se quel viaggio avesse avuto scopi diversi, Aken
avrebbe gradito quei paesaggi fiabeschi e il lieve sentore di terra umida,
misto a quello della legna bruciata nelle case.
Trattandosi di una missione militare, però, l’unico
pensiero che lo sfiorò fu che la stagione
invernale si stava avvicinando a grandi passi.
Per diretta conseguenza, il loro viaggio non avrebbe
potuto che peggiorare man mano che i cavalli si approssimavano alla meta.
Quando infine raggiunsero la periferia di Marhna,
ultima cittadina di Enerios prima del confine con Vartas, la Carovaniera
portava i chiari segni di una breve quanto nefasta nevicata.
Fango e poltiglia si mescolavano a fogliame e piccoli
rametti, rendendo il loro procedere più lento e difficoltoso di quanto Aken non
potesse sopportare.
La sua pazienza, con il procedere del viaggio, era
scemata fin quasi a svanire.
Dacché avevano lasciato il paese di Rastanie, il suo
umore si era progressivamente rabbuiato.
Se, in un primo momento, i suoi uomini avevano cercato
di rabbonirlo con battute di spirito, al loro arrivo a Marhna nessuno di loro
aveva più le forze, o la voglia, per capire cosa stesse succedendo al loro
principe.
Neppure il bel paesino alle pendici dei monti, con le
sue case di sasso e tronchi di legno, riuscì a restituire il sorriso ad Aken.
Solitamente, era un amante di quei luoghi così
distanti dai clamori della città eppure, quel giorno, quasi non li notò.
La sua mente non era abbastanza bendisposta per quel
genere di attrazioni, in quel momento.
Seguito dai suoi uomini, si limitò a chiedere un paio
di informazioni ad alcuni passanti, così da poter raggiungere la casa del
Borgomastro.
Fu solo a mattina inoltrata, che il gruppo armato
raggiunse l’imponente casa del sindaco di paese.
Scesi che furono da cavallo, Aken guardò indispettito
il fango che, durante l’ultimo tratto di strada, aveva schizzato i suoi
stivali.
Detestava le formalità, ma non sopportava di
presentarsi a estranei meno che in ordine.
Tenendo sollevato l’orlo del mantello perché non
facesse la stessa fine, il principe raggiunse in pochi passi la veranda che
proteggeva l’ingresso della villa dalle intemperie.
Lì, dopo aver preso in mano il cordone della campana
che penzolava a lato del portone d’entrata, tirò un paio di volte, ascoltando
distrattamente il suo scampanio allegro.
Di certo, non rispecchiava il suo umore sempre più
nero.
In meno di un minuto, si presentò all’entrata una
matrona dai capelli canuti e stretti in un rigoroso chignon che, squadrandolo
curiosa, sorrise incerta prima di chiedere: “Vostra signoria desidera?”
“Annunciate al Borgomastro che il principe Aken di
Rajana desidera parlargli” asserì con voce stentorea e piana.
Spalancando gli occhi per la sorpresa e il timore
insieme, la donna si affrettò a eseguire l’ordine, dopo averlo invitato
graziosamente a entrare.
Scrutando distrattamente la matrona allontanarsi
attraverso il largo atrio di casa, Aken si avvicinò all’enorme camino acceso
che si trovava sul lato opposto dell’entrata.
Toltosi i guanti, si massaggiò le mani intirizzite dal
freddo, attendendo paziente che il Borgomastro giungesse.
Guardandosi intorno brevemente, Aken notò subito
quanto quell’ambiente fosse sfarzoso, nonostante si trattasse di una casa di
montagna.
Le pareti erano sapientemente stuccate e tinte
d’azzurro e, quasi ogni dove, arazzi riccamente decorati abbellivano
l’ambiente.
Ricchi tappeti percorrevano da un angolo all’altro
immenso atrio, portando alle scale di marmo e ferro che conducevano al piano
superiore.
Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità,
Aken si chiese come un semplice Borgomastro di una città montana potesse
permettersi dei lussi del genere.
Lui non si occupava di economia, ma non credeva
possibile che i tributi pagati dai valligiani bastassero per poterlo far vivere
in una simile agiatezza, considerando che
tre quarti dei proventi andavano alla Corona.
Nell’udire dei passi frettolosi giungere dalle scale,
lasciò a un altro momento quel pensiero.
Volgendosi a mezzo, vide giungere dal piano superiore
un uomo rubizzo sui cinquant’anni, abbigliato con vesti di prezioso velluto
damascato e bei stivaletti di capretto ai piedi.
L’uomo in questione, raggiuntolo in gran fretta, si
inchinò compitamente, dicendo: “Altezza… è un onore avervi qui. In cosa posso
esservi utile?”
Scrutandolo per un momento per fissare nella sua
memoria quei lineamenti, Aken dichiarò sbrigativo: “Ho bisogno di sapere da voi
alcune cose, e riguardano tutte il forte a nord di qui. Quando avete inviato
gli ultimi rifornimenti ad Anok Fort? E perché non avete risposto alle missive
di mio padre?”
Apparendo sorpreso dal suo dire, il Borgomastro esordì
turbato: “Circa due mesi fa, ho inviato al forte un carro carico di viveri e
attrezzi, esattamente come prescritto dal contratto di fornitura stipulato con
la Corona. Per quanto riguarda le
missive, mio signore, qui non è giunto alcunché.”
Aggrottando impercettibilmente la fronte, Aken allora disse:
“Ho bisogno di parlare con gli uomini che hanno eseguito la fornitura. Potete
farli venire qui?”
Sbattendo le ciglia un paio di volte con aria sempre
più confusa, l’uomo si affrettò a eseguire l’ordine.
Con un forte battito di mani, chiamò a sé uno dei
garzoni che, trotterellando instabile sulle smilze gambe, si approssimò al suo
padrone, borbottando un saluto e un inchino.
Ossequioso fino a rasentare il timoroso, il giovane
mormorò: “In cosa posso esservi utile, signor Nohann?”
“Corri subito a chiamare Dankor e suo fratello. Di’ a quei due che il
principe desidera parlare con loro. In fretta! Vai!” spiegò l’uomo, rigirandosi
nervosamente le mani tra loro.
Il ragazzo parve sorpreso, ma si affrettò a correre
verso la porta principale per dirigersi alla casa dei commercianti.
Tirato in volto e vagamente pallido, Nohann riportò lo
sguardo sul principe e, con una gentilezza quasi forzata, disse: “Posso
invitarvi ad accomodarvi nel salottino degli ospiti?”
Guardandosi gli stivali inzuppati, Aken replicò con un
mezzo sorriso: “Meglio che non mi muova di qui. Ho già fatto abbastanza danni
all’entrata.”
“Come preferite voi” disse Noann, continuando a
guardare lui e la porta a intervalli regolari.
E’ molto nervoso. Chissà cosa nasconde? pensò Aken, aggrottando impercettibilmente la fronte.
Dovettero attendere circa una ventina di minuti, prima
di veder ricomparire il giovane sguattero.
Era accompagnato da due uomini corpulenti e abbigliati
con pesanti maglioni di lana grezza, brache di pelle scamosciata e alti stivali
di cuoio nero.
Le loro mani avrebbero potuto spezzare in due un giovane
albero, e Aken non fece fatica a capire quale fosse il loro secondo lavoro,
oltre a quello di commercianti.
Le piccole asce che portavano legate in vita, ne erano
chiara testimonianza.
Presentatisi al principe con rozzi ma sentiti inchini,
i due uomini squadrarono Aken in attesa di conoscere i motivi della loro
chiamata.
Il giovane principe, senza attendere oltre, andò
diritto al punto e chiese: “Com’era la situazione, al forte, quando siete
giunti lì l’ultima volta?”
“Non c’era nulla di strano, Altezza. Abbiamo
consegnato il carico e siamo tornati indietro con le lettere dei soldati, come
al solito” dichiarò Dankor, un po’
sorpreso da quella domanda.
Sollevando un sopracciglio con evidente meraviglia,
Aken borbottò: “Le lettere, eh? Allora, se qualcosa è successo, è accaduto dopo
la vostra partenza.”
“Accaduto? Pensate sia successo qualcosa al forte?”
chiese preoccupato Nohann, impallidendo.
“Abbiamo questo sospetto” ammise Aken, pensieroso.
Due mesi.
Più o meno, il periodo di tempo da cui non avevano più
notizie.
Possibile che i guerrieri di Vartas avessero tenuto
sotto controllo le spedizioni delle provviste, per sapere quando attaccare?
Non era da loro agire così abilmente, ma tutto poteva
succedere.
“Ho bisogno di una sistemazione per me e i miei uomini,
per questa notte” dichiarò alla fine Aken, rivolgendosi al Borgomastro. “Potete
provvedere?”
“Subito, Altezza” mormorò ossequioso Nohann, sospingendo
verso la porta il giovane garzone che, a più riprese, annuì agli ordini
sibilati dal padrone.
Nuovamente, Aken rimase vagamente sconcertato dal
comportamento del Borgomastro.
Non volendo mettere a parole i suoi dubbi di fronte a
così tanti estranei, preferì astenersi e, dopo aver ringraziato Nohann, uscì
assieme ai due commercianti raggiungendo
la strada infangata dinanzi alla casa.
Lì, Dankor, attirandone l’attenzione, disse a bassa
voce: “Altezza, una cosa.”
“Sì?” mormorò Aken, voltandosi curioso verso l’uomo.
“Forse non significa nulla, ma… non c’erano lupi” dichiarò
Dankor, notando l’evidente sorpresa del principe. “Solitamente, in quella zona,
c’è sempre stato un branco di lupi ma, quando siamo passati l’ultima volta, non
si è udito un solo ululato.”
Lupi, eh? Forse, avrebbe dovuto chiedere consiglio a
Kaihle, prima di passare il valico di Fenak che conduceva al forte.
Un attimo dopo aver concepito quel pensiero, però, si
diede dello sciocco e, scuotendo il capo, disse: “Staremo in guardia. Grazie.”
Dopo aver scrutato i due commercianti allontanarsi
lungo la via, Aken rimontò a cavallo e attese paziente che il giovane garzone
di Nohann tornasse per indicare loro dove avrebbero alloggiato per la notte.
Questo gli diede il tempo di pensare alle ultime
parole del nerboruto commerciante.
Era davvero strano che un intero branco cambiasse zona
di colpo.
Sapeva con ragionevole margine di sicurezza che i lupi
erano ferocemente territoriali, per cui, un cambio di zona di caccia era
impensabile.
Trovava difficile credere che un intero clan di lupi
si fosse spostato da un luogo all’altro, senza un motivo apparente.
Quelle montagne pullulavano di branchi piuttosto
numerosi, che mal avrebbero preso l’invasione da parte di un altro gruppo di
predatori.
No, questa faccenda non gli piaceva per nulla ma non
aveva il tempo di badare anche ai lupi sulle montagne.
Il suo compito primario era raggiungere il forte.
Quando fosse stato alla presenza di Kaihle, avrebbe
chiesto informazioni al riguardo, non un minuto prima si sarebbe occupato della
cosa.
***
Raggiunta la stanza assegnatagli, dopo aver
attraversato la sala principale dell’unica locanda di paese, Aken si gettò sul
letto dopo essersi tolto stivali e mantello.
In quel momento, giunsero due ragazzi con la tinozza
per il bagno e dei secchi fumanti di acqua.
Sorridendo soddisfatto, attese che tutto fosse pronto per quel
gradevole interludio.
Non appena i giovani se ne furono andati, assieme ai
suoi stivali da ripulire dal fango, una ragazza dalla chioma corvina si fece
avanti e, con un sorriso timido, chiese: “Avete bisogno per il bagno, Altezza?”
Era d’uso che gli uomini di alto rango fossero serviti
da giovani fanciulle, anche per intrattenersi allegramente con esse, se fosse
capitato.
Personalmente, preferiva pensare da solo al proprio
bagno per cui, con un sorriso di scuse, scosse il capo e disse: “No, grazie, ma
ti sono grato del pensiero.”
Porgendole una moneta d’argento, che lei accettò con
un inchino, Aken la guardò uscire silenziosamente dalla stanza e, quando finalmente
fu solo, si spogliò.
Fu con un sospiro di sollievo, che immerse il suo
lungo e muscoloso corpo nell’acqua fumante, concedendo a se stesso di
rilassarsi per un po’.
Calmandosi gradatamente, man mano che l’acqua bollente
agiva sui suoi muscoli tesi, Aken affondò leggermente nella tinozza.
Chiusi gli occhi, cominciò a massaggiarsi con la
spugna e il sapone al sandalo che si era portato da palazzo, alleviando i
dolori causati dal viaggio e dalla lunga permanenza a cavallo.
Quella stanchezza non lo aiutava a ragionare con
chiarezza, perciò avrebbe dedicato tutta la sua attenzione a una cosa frivola
come il bagno, prima di tornare a focalizzare la propria mente sulla missione.
Staccare ogni tanto faceva bene, anche a lui.
Passando la spugna sulla pelle abbronzata e segnata da
diverse cicatrici, che gli rammentavano i suoi trascorsi nell’esercito, Aken si
lavò anche i capelli corvini, sentendoli finalmente profumati dopo tanti
giorni.
Amava i cavalli, ma non agognava ad avere il loro
stesso odore.
Quando l’acqua cominciò a freddarsi, Aken uscì dalla
tinozza per avvolgersi in un morbido panno profumato e, sedutosi sul letto, si
asciugò strofinandosi con forza.
Frizionati un poco i capelli per togliere quanta più
acqua possibile, indossò abiti puliti e scese infine nel salone per la cena.
Raggiunti i suoi soldati, che avevano seguito il suo
esempio, li salutò e si sedette accanto a loro a un tavolo di legno grezzo.
Ordinò spezzatino e zuppa per tutti, insieme alla
buona birra di montagna che producevano in quella zona.
Farall, accomodato al suo fianco, lo scrutò in viso
per un momento prima di dichiarare gaio: “Se avessimo saputo che un bagno
avrebbe fatto miracoli sul tuo umore, ti avremmo buttato in qualche torrente giorni
fa!”
Ridendo di se stesso, Aken ammise: “Scusatemi, se vi
sono sembrato burbero come un orso, ma tutta questa situazione mi sta portando
più mal di testa di quanti non ne vorrei. C’è qualcosa che non mi quadra, e non
so raccapezzarmi in tal senso.”
“Quando raggiungeremo il forte, sapremo tutto. E’
inutile preoccuparsi adesso, Aken” asserì Finarr, bevendo da un boccale della
birra schiumosa e profumata.
Annuendo debolmente all’amico, Aken prese il suo
boccale e disse: “Forse hai ragione. E’ inutile fasciarsi la testa prima di
rompersela.”
Vassoi di carne e ciotole di zuppa calda vennero
portati al loro tavolo, assieme ad altri boccali di birra e sidro speziato.
Quei profumi così deliziosi solleticarono le papille
gustative di Aken che, con un sorriso soddisfatto, affondò la forchetta nel
piatto.
“Nessuna cucina è migliore di quella di montagna.”
“Forse, il nostro principe ha scordato come si mangia
a palazzo” ridacchiò Finarr, mangiando di gusto.
“Me ne ricordo, amico mio…” replicò ridendo Aken “… e
credimi, nulla batte la buona cucina contadina.”
La cameriera che aveva servito loro le libagioni,
sorrise compiaciuta nel passare accanto al loro tavolo e, poggiato un boccale
accanto a quello del principe, dichiarò: “Sua Altezza ha gusto da vendere. Per
voi… offre la casa.”
“Grazie, gentile signora. E fate i complimenti al
cuoco. La carne è tenerissima e ben cotta” asserì Aken, prendendone un altro
pezzo e masticandolo con gusto.
La matrona sorrise e annuì a più riprese, prima di
voltarsi verso l’entrata della locanda quando sentì il portone di legno aprirsi
e cigolare leggermente.
Abbigliata di pelli di daino e armata di un corto
spadino legato al fianco, una fanciulla entrò nel locale assieme a un uomo di
circa una quarantina d’anni.
Insieme a loro, enorme e nero come la notte, un lupo
li seguì all’interno, senza però destare alcuna sorpresa nelle persone
presenti.
Aken, che aveva levato incuriosito lo sguardo, al pari
della matrona che aveva servito loro da mangiare, ne rimase sorpreso e allibito
al tempo stesso.
Una ragazza-lupo.
Gli altri avventori non fecero caso a quello strano
trio, che ora si trovava accanto al bancone dove servivano da bere.
Era evidente che doveva essere di casa, lì.
Colto da uno strano interesse, continuò a puntare lo
sguardo sul trio uomo-fanciulla-lupo, chiedendosi chi fossero.
L’oste, vedendoli, andò loro incontro, stringendo la
mano all’uomo e porgendo un pacchetto alla ragazza, che ringraziò con un bel
sorriso sul volto grazioso.
Subito dopo, carezzò sul capo il grande lupo, che
piegò il muso verso il basso come a ringraziare a sua volta.
Un po’ sorpreso, Aken vide l’oste ridacchiare e
allungare un osso al lupo che, con cautela, lo prese tra i denti prima di
accucciarsi per terra mentre la ragazza dialogava con i due uomini.
La fanciulla, dai capelli ramati stretti in un’unica
treccia lunga fino alla vita, rimase a chiacchierare con loro per una ventina
di minuti, prima di abbracciare l’uomo
con cui era entrata.
Richiamato a sé il lupo, quindi, se ne andò dalla
locanda per immergersi nel buio della notte, all’esterno del locale.
L’oste, a tal riguardo, si rivolse all’amico e chiese:
“Sarà il caso che tua figlia se ne torni a casa tutta sola? E’ notte
inoltrata.”
L’uomo rise e replicò divertito: “Sola? E quel
bestione di sessanta chili che le stava al fianco, cos’era?”
L’oste rise con lui e gli offrì una birra, del tutto
ignari dello sguardo di Aken che, come ipnotizzato, continuò a fissare il punto
in cui la ragazza era stata fino a pochi momenti prima.
Farall, stupito dal suo comportamento, gli chiese
vagamente preoccupato: “Cosa c’è, Aken?”
“Eh? Oh, niente” disse lui, riscuotendosi da quello
strano torpore in cui era caduto.
Quindi, quella era una ragazza-lupo!
Si era aspettato di vedere chissà che cosa, non certo
quella specie di frugoletto dalla pelle dorata dal sole e dai capelli color del
rame.
E quel lupo!
Avrebbe potuto sbranarla in un sol boccone, eppure la
seguiva con una devozione a dir poco singolare.
Davvero non capiva come potessero riuscirvi.
Quando se ne tornò in camera, molto più tardi, i suoi
pensieri tornarono alla giovane intravista nella locanda, al suo viso giovane e
fresco, al suo sorriso e alla sua risata spontanea.
Con un certo sgomento da parte sua, rammentò anche la
curva appena accennata dei suoi fianchi e le sue gambe snelle e slanciate.
Scuotendo il capo per il fastidio, Aken disse tra sé:
“E’ troppo tempo che non sto con una donna, se mi metto a guardare le ragazzine.”
Ma, a tutti gli effetti, quella non poteva essere una
ragazzina, vista la curva del seno che era riuscito a scorgere.
Spalancando gli occhi di fronte a quella
constatazione, si sollevò a sedere, disorientato da quei pensieri.
Raggiunta la finestra, la aprì per osservare la
foresta baciata dai bianchi raggi della luna.
Subito, si chiese se la fanciulla fosse al sicuro tra
quelle fronde buie, con la sola compagnia di un lupo.
“Quelle donne sono folli, se permettono a una
ragazzina di aggirarsi da sola, di notte, per la foresta” brontolò a bassa voce,
tornando a coricarsi sul letto per cercare di dormire.
Non erano affari suoi, come vivevano quelle donne. Lui
aveva ben altro a cui pensare e, per farlo, doveva riposare!
***
La mattina venne presto, anche troppo presto per i suoi gusti e Aken, sbadigliando stancamente, si
levò da letto solo per scoprire di aver dormito con gli abiti addosso.
Ridendo di sé, raccolse la sua roba prima di raggiungere
gli altri per colazione.
Era davvero messo bene, se si lasciava sconvolgere
sensi e vita da una ragazzina di cui non conosceva nulla!
Presto si sarebbero rimessi in viaggio per il valico,
lasciandosi alle spalle il paese di Marhna e, con esso, la strana ragazza-lupo.
In serata, avrebbero sicuramente raggiunto il ponte
che oltrepassava la sorgente del fiume Fenak, che li separava da Anok Fort e,
da lì, alla verità su quella situazione ingarbugliata.
La sua mente doveva essere concentrata solo su queste
informazioni basilari.
Quando abbandonarono la cittadina in sella ai loro destrieri, Aken lanciò uno
sguardo alle cime imbiancate della Catena dei Monti Urlanti.
Tra sé, sperò ardentemente che, per una volta, non
rendessero onore al loro nome, scatenando una tempesta di neve, almeno finché
loro si trovavano tra quelle pendici
impervie.
Quelle alte montagne, ricche di guglie aspre e ripide,
non promettevano nulla di piacevole.
Meno ancora, i metri di neve gravanti sui loro
fianchi, che attendevano solo una scusa qualsiasi per staccarsi e abbattersi su
di loro.
Poco lontana, la Valle della Luna, la profonda gola
scavata dal fiume Fenak per giungere a valle, era luogo ricco di pericoli e via
seguita solo dai folli e dai disperati.
Aken conosceva pochissime persone che si fossero
arrischiate a percorrere quello stretto cunicolo roccioso, e tutti erano
concordi nel dire che quel luogo era la dimora dei demoni.
Beh, di sicuro lui non si sarebbe mai avvicinato a
quella gola maledetta!
Fu nel tardo pomeriggio, con Marhna ormai lontana e
gli spettri di una valanga a tener loro compagnia, che un vento gelido e
tagliente cominciò a spirare sulla valle.
Stringendosi il mantello intorno al collo, Aken rallentò
l’andatura e borbottò roco: “Ecco il benvenuto dei monti.”
“Davvero caloroso” commentò Rias, sbuffando.
Una leggera lanugine nevosa era caduta nella notte,
imbiancando la vallata alle pendici dei monti e rendendo l’intero paesaggio più
sinistro di quanto non fosse in realtà.
Osservando le coste ripide delle colline che si
andavano a fondere con le montagne poco distanti, sperò ardentemente che,
dietro di esse, non vi fossero spie nemiche.
Non erano numerosi a sufficienza per contrastare un
agguato, e quel luogo era un ottimo posto per attaccarli.
Tutto, però, andò per il meglio, almeno finché non
raggiunsero il valico. O quello che ne rimaneva.
A quanto pareva, un masso si era staccato dai monti
vicini, finendo col distruggere il ponte.
Il che poteva, almeno in parte, spiegare la mancanza
di notizie dal forte, ma non l’ignoranza palesata dal borgomastro.
Come poteva non sapere della distruzione del ponte?
Possibile che non avesse mandato nessuno a controllare
le sue condizioni, in vista dell’inverno?
Che nascondesse la sua inettitudine? O c’era molto di
più?
Aggrottando la fronte di fronte a un sospetto sempre
crescente, Aken osservò Farall, anch’egli piuttosto accigliato e, voltato il
cavallo verso di lui, disse: “La cosa mi piace sempre meno. Il borgomastro non
ci ha raccontato tutto, temo.”
“Non sarebbe il caso di tornare indietro e
interrogarlo?” domandò Kinas, ringhiando nervosamente.
“No. Potrebbero tenderci una trappola all’imbocco del
paese. Se il caro borgomastro è al servizio di Vartas, potrebbe avere ideato un
piano per eliminarci, nel caso rimettessimo piede in paese per vendicarci” decretò
Aken, scuotendo il capo. “Anzi, mi stupisce molto che non ci siano saltati
addosso nel giungere qui.”
“Forse, non si aspettavano una nostra visita, e non
hanno potuto predisporre un agguato degno di tale nome ma, come dici tu,
potrebbero benissimo aspettarci al ritorno, ora che sanno che siamo qui e che
abbiamo scoperto questo” commentò
Gar, massaggiandosi un baffo nell’osservare quel che rimaneva del ponte di
roccia.
Sbuffando, Aken assentì al suo compagno.
“Dirigiamoci a sud-est, verso il villaggio di Nestar.
Lì, chiederemo consiglio a Kaihle. Lei conosce sicuramente una strada
alternativa per raggiungere il forte e, forse, sa qualcosa anche del
borgomastro.”
“Ci dovremmo affidare all’aiuto di una donna?”
brontolò Likas, facendo tanto d’occhi.
“Sarà anche solo una donna, come dici tu, ma quella stessa
donna ha salvato mio fratello e la mia matrigna da morte certa, e io mi fido di
lei” replicò Aken, avviando il cavallo verso la costa della collina.
“Togliamoci da qui e troviamo un posto riparato dove accamparci. Raggiungeremo
il villaggio domani.”
Una volta raggiunta la cima dell’altura più vicina e
interamente coperta di neve, Aken individuò una bassa coltre di pini di
montagna dalla forma nodosa e raggrinzita.
Fatto cenno ai suoi uomini di fermarsi, dichiarò: “Ci
accamperemo qui. Questi alberi ci difenderanno da sguardi indiscreti e dal
vento.”
In fretta, montarono l’accampamento senza accendere il
fuoco.
Ascoltando il sibilare del vento tra i rami secolari
di quei bassi pini dalle forme più svariate, Aken pensò a come meglio comportarsi
in quella situazione di potenziale pericolo.
Era ormai chiaro che il borgomastro sapeva qualcosa,
ed era più che sicuro che, se fossero tornati sui loro passi, avrebbero trovato
ad attenderli degli uomini armati.
Era più che probabile che la popolazione di Marhna ne
fosse all’oscuro, o li avrebbero ammazzati notte tempo.
Quindi, i fantomatici uomini di Vartas non erano nelle
vicinanze,… ma dove?
Sì, rivolgersi a Kaihle era la soluzione ottimale.
Lei non si sarebbe mai alleata con Vartas, e avrebbe
saputo consigliarlo su come raggiungere il forte nel più breve tempo possibile.
Non aveva le conoscenze sufficienti di quel luogo, per
affrontare la Valle della Luna ma, a nord-est, il passaggio era più agevole.
Sicuramente, Kaihle conosceva un sentiero sicuro per
lui e i suoi uomini.
Con quelle convinzioni riuscì finalmente a prendere
sonno, nonostante il rumore incessante del vento.
***
Smontato il campo in tutta fretta, cancellarono le
tracce della loro presenza con rami di pino legati dietro i loro cavalli.
Direttisi verso Nestar con il sole che brillava oltre
le cime delle montagne innevate, gli uomini di Aken cominciarono a chiedersi
come si sarebbe risolta quella missione.
Niente stava andando come previsto, e l’idea di un
possibile agguato in quelle lande desolate, non rallegrava nessuno.
Persino Aken, solitamente appassionato combattente,
trovò la situazione sgradevole.
Guardandosi intorno con espressione torva e
preoccupata insieme, si chiese se non sarebbe stato meglio tornare a Rajana da
una strada secondaria, piuttosto che rischiare ancora.
Ma lui aveva una missione da compiere, e non poteva
tornare alla capitale come un coniglio. Sarebbe andato ad Anok Fort, a costo di
arrivarci prono.
Non lontano, l’ululato di un lupo si aprì la strada
fino a raggiungerli sullo stretto sentiero che stavano percorrendo.
Volgendo uno sguardo apprensivo alla foresta che li
circondava, Aken temette per un momento per le loro vite.
Sapeva che quasi tutti i branchi del luogo erano
governati dalle donne-lupo, ma non poteva sapere se, tra quei boschi impervi,
qualche animale solitario stesse mietendo vittime incolpevoli.
Loro non erano nelle condizioni di perdere neppure un
cavallo.
Quando poi, dal fitto dei cespugli nodosi che li
circondavano, un branco di una ventina di lupi li raggiunse sulla mulattiera,
Aken alzò una mano per fermare i suoi uomini.
Apprensivo, osservò i predatori dinanzi a loro,
chiedendosi cosa avessero in mente.
I lupi li osservarono a loro volta a denti snudati per
alcuni attimi dopodiché, ammorbidendo i loro tratti, si disposero intorno al
gruppo come a formare una scorta.
Il capo branco, un lupo dal pelo dorato, affiancò il
cavallo di Aken e gli fece cenno con il muso di proseguire.
Il principe parve stupito della cosa, ma avviò il suo
cavallo e, con lui, si mossero anche i suoi cavalieri e il branco di lupi.
Appurato che questi predatori in particolare non erano
lì per cacciare loro, dove li stavano conducendo?
Quella specie di parata andò avanti fino al villaggio
di Nestar e, quando finalmente giunsero in vista delle case di legno delle
donne-lupo, il branco si sparpagliò.
Sospirando sollevato, Farall borbottò: “Cominciavo a
pensare ci stessero conducendo in un luogo dove banchettare.”
“E’ chiaro che ci stavano controllando da un po’”
commentò Aken, contrariato.
Non si era affatto accorto di essere spiato!
Avviatisi verso quello che sembrava essere il
caseggiato principale del villaggio, Aken osservò con non poca meraviglia le
loro abitazioni.
Erano costruite con tronchi levigati, incastrati gli
uni sugli altri, e circondate da bassi steccati e piccoli giardini, ora
ricoperti da un basso strato di neve.
Accanto alle case, piccole stalle si ergevano per
proteggere gli animali domestici e, forse, gli stessi lupi.
Poco più avanti, procedendo lungo la via, scorse con
sorpresa alcune bambine di sei o sette anni che, tenendo in braccio i cuccioli
di lupo, correvano da un lato all’altro della strada.
Tutte, portarono i piccoli in un grande recinto
coperto da un’enorme tettoia di legno.
Enormi caseggiati in sasso fiancheggiavano la via
principale e, sbirciando all’interno dei portoni spalancati, Aken vide fieno,
casse stivate e pellami accatastati su pianali di legno.
I loro magazzini per l’inverno.
Separata dal resto delle abitazioni e vicina a un
piccolo torrente, una fucina in piena operatività faceva sbuffare il camino di
pietra, che sorgeva ritto da un tetto spiovente.
Una donna al mantice controllava che la temperatura
dell’altoforno fosse adeguata per la preparazione dell’acciaio.
Ogni attività, ogni movimento all’interno del
villaggio, era rigidamente controllato da altissime guerriere in armi, che poco
avevano a che spartire con le fragili donne della Capitale.
Come la ragazza che Aken aveva visto a Marhna, anche
le altre donne presenti portavano abiti di pelle di daino, più o meno lunghi ed
elaborati.
Tutte, invariabilmente, portavano i capelli legati in
lunghe trecce che giungevano anche fino alla vita.
Sempre più confuso, il principe lanciò uno sguardo
sopra il villaggio, scorgendo imponenti frangi valanga in legno e, nuovamente,
si chiese come avessero fatto a costruire tutto da sole.
Solo per trasportare i tronchi, e scavare buche
sufficienti per contenere i travi principali, dovevano aver lavorato mesi!
Dopo aver attraversato l’intero villaggio, sotto le
occhiate divertite delle donne-lupo, Aken si fermò di fronte alla casa più
grande tra tutte e legò le redini a una palizzata.
Data solo una fuggevole occhiata al palco di un cervo
appeso sopra l’entrata, raggiunse la porta e bussò.
Dopo pochi attimi, il battente si aprì e una giovane
dalla chioma corvina e gli occhi verdi come smeraldi lo accolse con un lieve
sorriso, dicendo: “Benvenuti al nostro villaggio, cavalieri. Cosa desiderate
dalle donne-lupo di Nestar?”
“La Signora del villaggio è in casa? Sono il principe
Aken di Rajana. Vorrei conferire con lei, se fosse possibile” esordì Aken,
notando lo stupore dipingersi sul volto della ragazza.
“Mia madre è presente. Sarà onorata di parlare con te,
principe” poi, arrossendo leggermente, aggiunse: “I tuoi stivali, prego. Non
puoi entrare in casa con quelli.”
Osservando le sue calzature sporche e piene di fango,
annuì Aken e li tolse in fretta, mentre la ragazza si apprestava a consegnargli
un paio di pianelle di pelle di coniglio.
Entrato nella casa, interamente costruita di legno e
pietra, il principe ammirò le splendide pelli stese sul pavimento e i magnifici
arazzi che decoravano le pareti.
Una volta di più, dovette ricredersi su quanto si
diceva di loro. Non erano affatto rozze, tutt’altro!
Quel luogo denotava cura per i particolari, pulizia e
ordine.
Accompagnato l’ospite fino a una stanzetta riscaldata
da un bel fuoco, che bruciava in un camino di roccia grigia, Tyura si inchinò a
sua madre, assisa su uno scranno.
Imitatala, Aken scrutò la donna alta e magra sulla
quarantina d’anni, che lo stava osservando da una pesante poltrona ricoperta di
pelli.
Con educazione, disse: “Sono lieto di rivederti,
Kaihle, Signora di Nestar. Non so se ti ricordi di me, poiché sono passati
molti anni dal nostro unico incontro. Sono Aken di Rajana.”
La donna gli sorrise cordiale e, nell’indicargli una
poltrona ricoperta di pelle di daino, dichiarò: “Ricordo il tuo volto, giovane
principe, anche se i tratti di fanciullo sono ormai scomparsi, sul tuo viso di
uomo. Sii il benvenuto, Aken di Rajan. La mia scorta ti è stata utile per
raggiungere il villaggio più agevolmente?”
Un po’ sorpreso, lui annuì.
“Li hai mandati tu, mia Signora?”
Annuendo, Kaihle sorrise con lieve malizia e dichiarò:
“Ho ricevuto notizia dal mio lupo, della vostra presenza, così ho preferito
farvi scortare perché non vi perdeste. Ci sono molti sentieri che portano qui,
e non tutti sono sicuri. Dimmi, principe, cosa ti porta tra la mia gente in un
momento così infausto? L’approssimarsi dell’inverno non è mai periodo buono,
per avventurarsi tra i monti.”
Ammaliato suo malgrado da quella donna così sagace e
affascinante, Aken mormorò con un misto di rispetto e timore: “Ti porto i
saluti di mia madre Anladi, mia Signora, e doni per te e le tue sorelle. Spezie
del sud e filamenti di canapa. Mia madre pensava potessero esservi più utili di
gioielli o stole di seta. Inoltre, vorrei chiederti un favore, se fosse possibile.”
Sorridendo, Kaihle disse divertita: “Sono lieta di
ricevere i suoi saluti e i suoi doni, visto soprattutto quanto essi siano
lungimiranti. Tua madre adottiva non è mai stata una donna vacua, e lo dimostra
anche da gesti come questo. Ma dimmi; come posso essere utile al principe di
Rajana?”
“Il valico di Fenak è crollato, e io devo raggiungere
il forte che si trova sul passo. Sai se esistono altre strade per
raggiungerlo?”
Aggrottando impercettibilmente la fronte a quella
notizia, Kaihle batté le mani un paio di volte e attese.
Subito, la ragazza che aveva accolto il principe tornò
nella stanza, uno sguardo timoroso stampato sul viso abbronzato e serio.
Osservando la voluttuosa ragazza che aveva detto di
essere la figlia di Kaihle, Aken si chiese il perché della sua paura, ma non
attese molto per scoprirlo.
Come acciaio, la voce di Kaihle sferzò l’aria in
direzione della figlia.
“Era compito tuo riferirmi di eventuali cambiamenti
sul valico. Perché non sapevo nulla della caduta del ponte?!”
Accusando il colpo, e avvampando di collera e
umiliazione per essere stata ripresa davanti al principe, la ragazza reclinò
compita il capo e mormorò: “Me ne dispiace, madre. Ho pensato non fosse
necessario tornarvi. C’ero stata solo un mese fa e…”
“Tyura, non ti ho dato licenza di pensare al posto
mio” replicò secca la donna. “E ora, vai a chiamare tua sorella Eikhe. Ho
bisogno di lei.”
“Ma madre…” esalò la ragazza, impallidendo nel
rialzare il capo e fissare la madre con occhi che esprimevano sconcerto e
dubbio.
“Ora, Tyura” ingiunse la donna, decisa.
La fanciulla fuggì letteralmente dalla stanza e
Kaihle, osservando spiacente Aken, disse: “Mi scuso per il suo comportamento.
E’ giovane, e non ha ancora compreso l’importanza del suo compito come mia
erede.”
“Non deve essere facile, per una ragazza, avere simili
pressioni sulle spalle” commentò conciliante Aken.
“Per noi, è normale” replicò affabile Kaihle, con una
leggera scrollata di spalle.
Pochi minuti dopo, accompagnata da Tyura, entrò la
stessa ragazza del villaggio e Aken, sorpreso, osservò in viso la fanciulla che
tanto l’aveva colpito alla locanda.
Anche Eikhe parve sorpresa di vederlo ma, contenendo
la propria curiosità, fece un breve inchino al principe prima di sedersi a
gambe incrociate ai piedi della madre.
Sorridendo alla fanciulla, accomodata sulle stuoie di
pelle di orso, Kaihle chiese: “Vi siete già incontrati, figlia mia?”
Annuendo, Eikhe dichiarò: “Il principe era a Marhna,
due sere fa. L’ho visto alla locanda, mentre salutavo papà.”
“Capisco” chiosò pacata la donna, mentre Aken si
stupiva sempre di più. “Principe, lei è la mia seconda figlia, Eikhe. Sarà lei
a scortarti oltre la Valle della Luna e, da lì, al forte di Anok.”
“Che cosa?!” esclamarono quasi insieme i tre giovani
presenti.
Tyura fissò rabbiosa la sorella, lanciando uno sguardo
di aperto desiderio in direzione del principe che, del tutto preso
nell’osservare sbigottito Eikhe, non si accorse di nulla.
Kaihle, invece, disse serafica: “Non devi stupirti, principe.
Eikhe è perfettamente in grado di compiere il compito assegnatole. Conosce quei
luoghi meglio di tutte noi, quindi potrà esserti di aiuto nella tua missione.”
“Ma madre, devo finire il lavoro con i cuccioli! E
poi, devo recuperare le mie prede!” esalò Eikhe, avvampando d’ira per
quell’imprevisto.
“Madre, manda me, ti prego!” intervenne Tyura,
stringendo le mani al petto.
“Figlie, ora basta!” esclamò severa Kaihle, azzittendo
entrambe. “Farete come vi ho detto, è chiaro?!”
Eikhe annuì di malavoglia e Tyura, fissando duramente
la sorella, le sibilò: “Ti odio!”
“E‘ reciproco” le fece la lingua lei, alzandosi con
grazia ferina.
Guardato il principe per un momento con aria più che
infastidita, Eikhe disse subito dopo: “Partiremo domani con il sorgere del
sole.”
“E sia” assentì Aken, ancora sorpreso da quella
situazione assurda.
***
Scalciando con rabbia uno dei suoi cuscini, Eikhe si
buttò sul suo letto coperto di pelli, imprecando senza freni.
Nys, il suo lupo nero, le si avvicinò lesto,
leccandole il viso per consolarla.
Tutto si sarebbe aspettato, tranne che quell’ordine!
Non voleva accompagnare l’arrogante principe delle
pianure, che giungeva lì dal nulla e pretendeva di avere tutte ai suoi piedi!
Lei aveva i suoi compiti da svolgere, e le sue trappole
da controllare!
Non poteva perdere tempo in futili questioni!
Strillando rabbiosa, si levò dal letto muovendosi
rabbiosamente per la sua camera e, con gesti furiosi, prese a preparare le
sacche per il viaggio.
All’esterno della sua casa di tronchi, ignari del suo
malumore, gli uomini del principe vennero accolti per la notte nelle abitazioni
più grandi del villaggio.
Guardando torva il gruppo di guerrieri oltre la
superficie gelida della finestra, Eikhe buttò sul letto il necessario per il
viaggio e, ripiegato diligentemente il suo prezioso mantello di pelliccia
d’orso, disse a Nys: “Mi mancava solo questa… se l’avessi saputo, sarei andata
direttamente a controllare le trappole. Non sarei mai tornata qui!”
Nys uggiolò per farle comprendere il suo dispiacere e
lei, sedendosi a terra, lo abbracciò affondando il viso nel suo folto pelo nero.
“Almeno, so che ci sarai tu a tenermi compagnia, caro
Nys.”
Il lupo le leccò il viso e si sfregò contro di lei
confortante ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Non potevo nascere lupo?”
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Capitolo 3 *** cap.3 ***
3.
Dal libro delle Reminiscenze
L’addio di Hevos a Hyo
Hyo partorì una
bimba dai chiari capelli e gli occhi dorati, retaggio di entrambi i genitori.
Baciando la
figlia sulla fronte, il dio-lupo disse orgoglioso: “Porterai con te la mia
eredità, mio amore prediletto. Con te vivono le mie speranze e i miei sogni,
poiché il mio tempo qui è ormai giunto al termine, e sarai tu a godere le gioie
di questo mondo mortale al posto mio.”
Ormai pronta a
quanto la aspettava – da mesi, Hevos l’aveva preparata per quella separazione
definitiva quanto inevitabile – , Hyo si strinse un momento al dio.
“Questa è davvero
l’ultima volta che ci vediamo, vero?”
“Sì, mia amata
Hyo, almeno in questa forma. Non mi è più concesso prendere forma umana, ormai,
ma sappi che io sarò in te, e in lei” le
sorrise il dio, prima di riconsegnarle
la figlia e aggiungere:“ Non sarete mai sole, e i lupi vi saranno amici e
compagni.”
“Non so se sarò
capace di fare tutto da sola. E se non fossi in grado di scegliere per il
meglio per entrambe?” gli domandò Hyo, stringendo a sé la figlia e guardando
spaventata il volto immortale e triste di Hevos.
Cominciando ad avvertire
prepotente la stanchezza, il dio si piegò su un ginocchio, sfiorando la candida
neve che ricopriva il prato dinanzi la sua casa tra i monti.
Ansante, mormorò
alla compagna: “Ciò che porti con te, ti guiderà nella scelta. Hai il dono di
poter comprendere a chi concedere il tuo amore, ma presta attenzione, mia
adorata! Molti cercheranno di dirti cosa fare, poiché sei donna. Io voglio per
te un futuro diverso dalla semplice e cieca obbedienza per cui, anche se i tuoi
occhi ti diranno diversamente, basati sempre sul tuo istinto, perché esso ti
guiderà nella giusta direzione.”
“Sì, lo farò”
annuì alla fine lei, baciando la figlia sui capelli prima di sorridere più
fiduciosa a Hevos.
Inginocchiatasi
dinanzi a lui, sfiorò le sue labbra ormai fredde con un casto bacio e aggiunse
con coraggio: “Insegnerò a nostra figlia quanto l’hai desiderata e amata. Saprà
sempre quanto suo padre sia stato buono e amorevole con entrambe noi.”
Carezzandole il
viso con il dorso della mano, Hevos allora sorrise.
“I tuoi occhi,
che ho voluto per te così simili ai miei, saranno il nostro legame. Da essi,
capirò che c’è il tuo sangue nelle figlie e nei figli che verranno dalla tua
stirpe… e dalla mia.”
Hyo annuì e sussurrò:
“Proteggerò i miei figli e le mie figlie con l’aiuto della forza che mi hai
dato, e con il coraggio che il tuo amore ha forgiato in me.”
Annuendo, il
giovane dio la lasciò dunque tornare nel mondo degli uomini, ben sapendo di non
poter indugiare oltre e, con un sospiro, tornò alla sua casa immortale per non
uscirne più in forma umana.
***
Ritta e fiera sulla sella
del suo baio, Eikhe era pronta per partire.
Paziente, osservò il gruppo
di soldati approssimarsi alle proprie cavalcature per riprendere il viaggio
verso Anok Fort.
Levatasi all’arrivo
dell’alba, Eikhe aveva caricato le proprie sacche sul cavallo prima di
ragguagliare la madre sul percorso che avrebbe intrapreso.
Qualora fosse stato necessario,
era preferibile che almeno una donna-lupo conoscesse le sue mosse e, nel caso
specifico, chi meglio della madre?
Lanciato uno sguardo al
principe, ombroso in viso sin da quando l’aveva visto uscire dalla casa dove
aveva riposato quella notte, Eikhe si chiese se disprezzasse la loro presenza.
Forse, semplicemente, trovava
assurda l’idea di fidarsi di una donna, per un simile compito.
Con un sorriso ironico
dipinto sul viso, fece avvicinare il proprio cavallo al suo e disse:
“Buongiorno, principe.”
Sollevando lo sguardo per
osservarla, Aken la scrutò meditabondo
per alcuni attimi prima di rendersi conto di un particolare non da poco e che, sicuramente, avrebbe creato parecchi problemi
fra i suoi uomini.
Osservandole la corta gonna
di pelle, che indossava sopra alti stivali al ginocchio, il giovane principe esordì
torvo: “Buongiorno a te. Sicura di non avere freddo, così abbigliata?”
Scrutando le gambe libere
dalla costrizione dei pantaloni, Eikhe scrollò le spalle e disse: “Affatto. Tu,
invece, hai freddo?”
“Sono abituato ad altri
climi” scrollò le spalle lui,
allacciando saldamente la sella.
“Perché, allora, non mi poni
la vera domanda che ti ronzava in testa, principe?” sorrise sorniona la
giovane.
Aken si accigliò leggermente
a quel commento – che il suo viso fosse divenuto di colpo trasparente? – ma
preferì non aprire bocca in merito, chiedendo piuttosto: “Il tuo cavallo non ha
morso né briglie. Sei certa di poterlo guidare?”
Scrollando le spalle come a
voler liquidare l’argomento abbigliamento, Eikhe rispose succintamente al
principe.
“Lui non ha bisogno di nulla.
Esegue solo quello che gli dico.”
“Ma davvero?” celiò
sprezzante uno dei soldati, alle loro spalle.
Voltandosi a mezzo, Eikhe lo
squadrò malamente prima di dire: “L’ho addestrato di mia mano, e non ha bisogno
di nient’altro che della mia voce”
Sorridendo vendicativa non
appena vide il soldato sghignazzare al suo indirizzo, Eikhe mormorò a bassa
voce: “Kalkos, pensaci tu. Un colpo di coda, grazie.”
Il cavallo, nitrendo e
scuotendo divertito il muso, mosse la coda colpendo in pieno viso l’impreparato
soldato.
Quest’ultimo imprecò
contrariato, e si allontanò dall’animale con uno sguardo crucciato.
Sorridendo suo malgrado,
Aken fece un cenno col capo a mo’ di ovazione e dichiarò: “Nulla da dire, è
addestrato bene.”
“Lo so” rispose lei, aspramente.
“E ora, vogliamo partire, o dobbiamo aspettare che il sole tramonti su questo
giorno?”
“Do io gli ordini,
signorina, se l’avessi dimenticato” precisò il principe, adombrandosi
nuovamente prima di salire in sella a Rohan.
“Ma sono io che conosco la
pista, non tu, principe” ribatté lei, accigliandosi al pari di Aken.
“Vorrà dire che mi
consiglierai, ma nulla più” acconsentì lui a quel punto, dandole un buffetto
sulla guancia con aria di superiorità.
Soffiando tra i denti per
essere stata trattata come una bambina, Eikhe lo fissò con occhi che mandarono
fiamme.
Aken rimase un po’ stupito
nel rendersi conto, solo in quel momento, che la ragazza aveva singolari e
splendenti occhi d’ambra.
Occhi gialli come quelli di
un lupo.
Ripensando all’uomo della
locanda e a Kaihle, non ravvide in loro una simile tonalità e, curioso, si
chiese da dove potesse essere saltata fuori.
In quel particolare
frangente, aveva un che di inquietante e rischiava di rasentare l’assurdo, se
si pensava al grande lupo nero che la seguiva come un’ombra.
Gli stessi profondi occhi
ambrati scintillavano sul suo muso ricoperto da bel pelo nero.
Con un brivido, Aken si
chiese se la ragazza non avesse veramente sangue di lupo nelle vene, come
raccontavano tante storie di paese.
Cercando di non farsi
prendere da inutile nervosismo, il principe richiamò i suoi uomini perché si
sbrigassero dopodiché, scrutata Eikhe,
chiese con voce piana: “Da che parte, ragazza?”
“Di là” accennò lei,
muovendo la cavalcatura con un colpetto sul fianco del cavallo.
Affiancatala subito in testa
al gruppo, Aken le domandò con sincero interesse: “Sei certa di ricordare la
strada?”
“La percorro venti volte
l’anno, principe, perciò credo di conoscerla abbastanza bene” celiò Eikhe,
sollevando un sopracciglio con ironia.
“Come mai ci vai tante
volte?” si informò lui, ora curioso.
“Il ‘sentiero dell’orso’, la via tra i monti che percorreremo per
arrivare ad Anok Fort, è il percorso più breve per raggiungere i luoghi in cui vivono
i bufali di montagna, che ci servono per fabbricare le coperte e i mantelli per
l’inverno” gli spiegò, scrutando distrattamente il riflesso del proprio viso
sulla lama del pugnale che aveva tolto dal suo fodero da stivale.
Guardandola accigliato, Aken
non poté esimersi dal chiedere: “Sentiero dell’orso? E’ un nome casuale, o c’è
un motivo?”
Osservandolo con un certo
divertimento, Eikhe mormorò divertita: “Il potente principe delle pianure ha
paura di un orso?”
Un basso brontolio si levò
dalle fila degli uomini alle loro spalle ma Aken, azzittendoli con un cenno
della mano, aggrottò la fronte e replicò con semplicità: “Un orso non dovrebbe
turbare il mio pensiero? Se ci stai portando in una trappola, non aspettarti di
uscirne viva, ragazzina.”
Aggrottando la fronte, Eikhe
non ci pensò su due volte e, puntato il pugnale in direzione del principe, sibilò
rabbiosa: “Una donna-lupo non mente mai! Ho ricevuto l’incarico di scortarti,
principe, e io eseguo alla lettera gli ordini che mi vengono assegnati! Non
sono come voi uomini, che tramate nell’ombra per ottenere ciò che volete, e
tradireste persino vostra madre, al fine di giungere allo scopo!”
Colpito dalla sua
sfrontatezza, e dal totale disinteresse per le spade che i suoi uomini snudarono
per puntarle contro di lei, Aken la fissò in quegli occhi che sprizzavano
scintille.
Levando lentamente una mano
per chetare i suoi soldati, il principe replicò infuriato: “La tua
sfacciataggine è grande, marmocchia. Ti
converrà non irritarmi, se non vuoi che ti sculacci!”
Sperando di spaventarla con
il suo sguardo torvo, Aken ricevette una brutta sorpresa quando Eikhe,
scoppiando a ridere di gusto, disse per contro: “Devi solo provarci, principe,
e ti ritroverai senza mani!”
Alle sue crude parole seguì
subito un ringhio sommesso.
Abbassando in fretta lo
sguardo, Aken trovò ad attenderlo lo sguardo famelico del lupo della ragazza
che, incuneato tra le loro cavalcature, lo stava scrutando in attesa di
ricevere l’ordine per attaccare.
Scostando di colpo il suo
stallone, il principe ringhiò rabbiosamente: “Attenta a quel che fai, ragazza!”
“Lo faccio sempre” decretò
con estrema serietà, prima di schioccare la lingua e fare un cenno del capo al
suo lupo.
Immediatamente, Nys partì di
corsa scomparendo dinanzi a loro e Aken, confuso da quella mossa improvvisa,
chiese sospettoso: “Dove va, ora?”
“In avanscoperta. La neve
inibisce il suo olfatto, per cui si deve affidare agli occhi, per esserci
d’aiuto” spiegò serafica Eikhe, tornando a guardare davanti a sé e senza più
degnarlo di uno sguardo.
Sbuffando, Aken lasciò
perdere la loro volubile guida e, ripreso che ebbero il loro cammino, rallentò
l’andatura per farsi raggiungere da Farall.
“Se non fosse che ci serve
il suo aiuto, la butterei nel primo dirupo disponibile. E’ insopportabile” si
lagnò il principe, confidandosi con l’amico di vecchia data.
“E’ una ragazzina e, in
quanto tale, è scorbutica e vuole fare la saccente. Però, non è male” commentò
Farall, osservandole con un certo apprezzamento le gambe, messe in evidenza
dalla corta gonna di pelle.
Storcendo il naso nel
rendersi conto che le sue peggiori paure erano appena divenute realtà, Aken ribadì
aspramente: “Smettila, maniaco! E’ solo una bambina!”
“Vallo a dire alle curve
morbide che ha. Se non fosse per il suo lupo, ci farei un pensierino” ridacchiò
piano il soldato, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia da
parte del principe.
“Pensi che vi permetterei di
toccarla? E’ la figlia di Kaihle, e la riporterò al suo villaggio senza che
nessuno di voi le abbia torto un capello” brontolò Aken.
“E chi vuole torcerle i
capelli?” commentò Farall, prima di dichiarare ironico: “Avanti, Aken, perché
credi che se ne stiano rintanate nei boschi? E’ per comportarsi in maniera
indecorosa, senza che nessuno dica loro niente!”
Storcendo il naso, Aken
preferì non rispondere alle asserzioni di Farall.
Volgendo lo sguardo dinanzi
a sé, osservò la schiena diritta di Eikhe e il suo portamento fiero mentre, con
gesti sicuri, li accompagnava attraverso il bosco.
Chissà se quella ragazza era
già scesa a valle per cercarsi un uomo, o se era troppo giovane per farlo?
Doveva avere all’incirca
sedici anni, a giudicare dalla statura e dalla conformazione del fisico anche
se, a dirla tutta, non poteva esserne sicuro.
Non se ne intendeva molto di
giovani donne come lei.
Non poteva negare, comunque,
che il lieve ondeggiare della sua treccia biondo-ramata fosse quasi ipnotico.
Soprattutto quando i radi
raggi del sole filtravano nel bosco, illuminandola e facendola sembrare d’oro
fresco di conio.
Come non poteva negare che
il suo portamento in sella fosse elegante e indomito, degno di una guerriera
quale lei sembrava essere, nonostante la giovane età.
Il grosso problema, però,
era negare a se stesso che le gambe che poteva intravedere grazie al suo
abbigliamento succinto, non fossero attraenti e degne di nota.
Quello sì che gli risultava
difficile.
Scuotendo il capo di fronte
a simili pensieri, Aken si chiese se il viaggio non l’avesse istupidito del
tutto.
Adducendo come scusa alle
sue divagazioni il fatto che Eikhe avesse un abbigliamento poco consono, portò
la sua attenzione al bosco che li circondava.
Torvo, si chiese dove fosse
andato a finire il lupo della ragazza.
Come a dar voce ai suoi
pensieri, un ululato lontano si levò tra gli alberi ed Eikhe, rizzando le
orecchie, si mosse lesta, poggiando i piedi sulla sella.
Lanciato poi uno sguardo
veloce ad Aken, esclamò a gran voce: “Seguite il mio cavallo! Io vado avanti!”
“Ehi, aspetta!” esclamò per
contro il principe, prima di vederla balzare agilmente dalla sella per
afferrare un ramo d’albero e poi sparire alla sua vista, balzando da una pianta
all’altra con l’abilità di uno scoiattolo.
Basiti, i suoi uomini
fissarono prima lui, poi il cavallo della ragazza e Rias alla fine, fischiando
sorpreso, esalò: “Ma come diavolo fa a muoversi così?”
“Non hai visto che peserà sì
e no cinquanta chili, coi vestiti addosso?” ghignò aspro Gar, massaggiandosi un
baffo con fare pensieroso. “Perché avrà avuto tanta fretta?”
Aggrottando pericolosamente
la fronte, Aken decretò lapidario: “Non appena la troveremo, esigerò
spiegazioni.”
Kinas, divertito dal
cipiglio del principe, asserì: “Aken è furioso.”
“Direi di sì. Non è abituato
ad avere a che fare con qualcuno che non gli obbedisce” commentò Lenar,
ridacchiando.
“Proseguiamo” ringhiò Aken,
al colmo dell’ira.
Avrebbe ricevuto
spiegazioni, o l’avrebbe trattata come la marmocchia quale era.
***
Seduta su un masso in
compagnia di Nys, Eikhe sorrise nel veder giungere il suo cavallo, subito
seguito dalla compagnia di uomini del principe.
Avvicinatasi a Kalkos, lo
accarezzò gentilmente, mormorando: “Mio buon amico, bravo. Li hai portati qui
sani e salvi.”
Rivolgendo poi uno sguardo
distratto ad Aken, aggiunse: “Ora la pista è sgombra.”
“Potrei sapere da cosa?” borbottò
Aken, con voce bassa e resa roca dall’ira che covava dentro di lui.
Scrollando le spalle, Eikhe si
limitò a dire: “Niente di che.”
Imprecando, il principe smontò
di sella con un unico, fluido movimento e, paratosi dinanzi alla ragazza, si
chinò verso di lei, sibilando rigido: “Esigo di sapere cosa è successo!”
Puntando i pugni sui
fianchi, Eikhe replicò piccata: “Nulla che non potessi risolvere da sola!”
Soffiando rabbiosamente tra
i denti, Aken non se lo fece ripetere due volte e, sotto gli occhi sorpresi di
tutti, prese la ragazza e se la caricò su una spalla.
Tra le grida indignate di
lei e le urla di giubilo degli uomini, si diresse verso un masso con tutta
l’intenzione di mettere in pratica le sue minacce.
Quella marmocchia lo aveva
davvero stancato!
“Maledizione, lasciami!”
strillò lei, inviperita.
“Non ci penso neppure,
stupida marmocchia che non sei altro” brontolò lui, prima di avvertire, alle
sue spalle, un basso ringhio di avvertimento.
“Attento, principe!” gridò a
quel punto Farall, mettendolo sull’avviso.
Imprecando vistosamente,
Aken mollò subito la presa lasciando, cadere Eikhe un attimo prima che i denti
di Nys si chiudessero sul suo avambraccio.
Osservando poi furioso lupo
e padrona, esclamò: “Che diavolo gli prende?!”
Aggrappandosi a Nys perché
non attaccasse ulteriormente, Eikhe disse nervosa: “Nys mi protegge da chiunque
osi toccarmi, te compreso, principe.”
Sguainando la spada, Kinas li fissò con sguardo torvo e borbottò: “Penso
io al lupo, principe?”
Fissando rabbiosa il
soldato, Eikhe estrasse la daga che portava legata dietro la schiena e, voltandosi
in direzione dei soldati, disse per contro: “Toccate il mio lupo e, uomini del
re o meno, io vi uccido tutti.”
I soldati risero sguaiati,
di fronte a quella minaccia ma Aken, che ora poteva scorgere la ragazza di
spalle, si accorse di un particolare che, in precedenza non aveva notato.
Torvo, perciò, le chiese:
“Hai affrontato un orso, ragazza?”
Rinfoderando la daga quando
tornò a scrutare il principe Aken , Eikhe annuì e disse semplicemente: “Era
un giovane orso, ma avrebbe potuto
richiamare la madre, se fossimo arrivati tutti insieme coi cavalli, così io e
Nys lo abbiamo allontanato.”
Pur aggrottando la fronte di
fronte al racconto della ragazza, il principe non disse più nulla.
Annuendo, grata per il silenzio
dell’uomo, Eikhe risalì sul suo cavallo e fece cenno a Nys di proseguire,
mentre gli uomini la osservavano con il dubbio dipinto negli occhi.
Quando, però, i loro sguardi
accusatori caddero sulla sua tunica lacerata, e sui segni inequivocabili di una
zampata d’orso, le proteste scemarono fino a scivolare nel silenzio più
assoluto.
Fu solo all’imbrunire che
Eikhe fermò la cavalcatura, in
prossimità di una sorgiva riparata dal vento.
Aken, che non aveva più
detto nulla di ciò che era successo – neppure durante una breve pausa per il
pranzo – la vide scendere da cavallo con
il viso tirato da tensione e stanchezza.
Preferendo non aprire bocca
per non farla irritare, si limitò a ordinare ai suoi uomini di montare le tende
e accendere un fuoco per la notte.
Lanciandole solo brevi
occhiate di tanto in tanto per capire se avesse bisogno del loro aiuto, Aken non
poté esimersi dal prendere la parola quando la vide prepararsi un giaciglio
sotto un albero.
Sorpreso, le chiese: “Non
hai una tenda per ripararti dal freddo?”
Un po’ stupita di sentire la
sua voce, lei lo fissò a occhi sgranati prima di dire: “Non ne ho bisogno. Sono
solita dormire così.”
“E se dovesse nevicare?”
replicò Aken, indicando il cielo con un dito.
“Non nevicherà” replicò lei,
lanciando uno sguardo alle stelle che stavano comparendo all’orizzonte. “Non
c’è vento, e il cielo è sgombro. Dormirò bene.”
“Testarda marmocchia”
brontolò lui, volgendole le spalle mentre lei ridacchiava tra sé.
Accomodandosi sulla stuoia
di pelle di montone, che aveva steso sotto l’albero come giaciglio, Eikhe volse
le spalle agli uomini e sospirò.
Mentre il cavallo le faceva
da scudo contro occhiate indiscrete, la ragazza si slacciò la tunica
sfilacciata per controllare i danni lasciati dall’orso.
Rivolgendosi a Nys, chiese:
“Com’è messa?”
Il lupo osservò la ferita
arrossata ma che, fortunatamente, non stava sanguinando e, uggiolando
lievemente, leccò la mano a Eikhe, facendola sorridere.
“Ottimo,… basterà un olio
ammorbidente, allora” mormorò pensosa, prima di aggrottare la fronte non appena
udì Nys ringhiare.
Restando a diversi passi dal
cavallo, e tossicchiando per avvertire della sua presenza, Lenar, il più
anziano del gruppo, esordì dicendo: “Ti serve aiuto per la ferita, ragazza?”
“Faccio da me” ringhiò
caustica lei.
Ammorbidendo i tratti del
viso con un sorriso sincero, Lenar tentò di nuovo.
“Ho una figlia della tua
età, ragazza, non devi aver timore di me. Desidero solo aiutarti.”
Un po’ sorpresa, Eikhe fece
un cenno a Nys di sdraiarsi al suo fianco e l’uomo, annuendo grato per
quell’implicito invito, oltrepassò la barriera fornita dall’enorme figura del
cavallo.
Inginocchiatosi alle spalle
della ragazza, osservò la ferita sulla sua schiena, tastandola gentilmente con
una mano.
Con occhio critico, Lenar
annuì dopo un momento e disse: “Sei fortunata, non sembra aver fatto infezione,
e non dovrebbero rimanere striature a malapena visibili. Hai un balsamo
lenitivo?”
“Nella sacca” mormorò Eikhe,
continuando a tenere la tunica sui seni, sempre pronta a reagire al minimo
accenno di pericolo.
Annuendo, l’uomo cominciò a
frugare nella sacca indicata, trovandovi ogni genere di medicinale e di
medicazione e, un po’ confuso, chiese: “Tutte queste cose le preparate voi?”
“Quasi tutto. A Marhna,
compriamo soltanto l’olio di callan, perché qui la pianta non riesce a
crescere” gli spiegò, sentendo le mani
ruvide dell’uomo passare sulla ferita ancora dolente.
Stringendo i denti per il
bruciore, si sentì dire: “Hai avuto coraggio, ad affrontare l’orso da sola.”
“Era piccolo, e c’era Nys,
con me” si limitò a dire, come se nulla fosse.
Quando ebbe finito, Lenar le
prese dalla sacca una tunica pulita e lei, voltandosi a mezzo, sorrise appena e
disse: “Grazie della cortesia. Sarebbe stato difficile, farlo da sola.”
“Ringrazia il principe. E’
stato lui a dirmi di venire a prestarti aiuto. Pensava che, con me, saresti
stata più a tuo agio” dichiarò l’uomo, sorprendendola.
Nel rivestirsi, Eikhe
osservò Lenar allontanarsi per raggiungere i suoi compagni.
Non senza una certa
curiosità, la ragazza si appoggiò alla schiena del suo cavallo per guardare la
figura imponente del principe, seduto comodamente contro una pianta e intento a
bersi del sidro speziato.
Non si sarebbe mai aspettata
una simile cortesia, da quella sottospecie di pallone gonfiato.
Alla fin fine, forse si
sentiva solo in colpa per averle dato della marmocchia.
Ridendo tra sé, Eikhe si
sedette a mangiucchiare un po’ di carne secca prima di sdraiarsi e coprire se
stessa e Nys con il suo mantello di pelle d’orso.
Era ben decisa a lasciare il
pensiero di quegli uomini di pianura ben lontano dalla sua testa.
Kalkos, per evitarle
spifferi durante quella notte fretta e stellata, si mise dietro di lei per
scaldarla con il suo corpo e Lenar, osservando la scena da lontano, ridacchiò e
disse ai suoi amici: “Lo credo anch’io, che non ha bisogno di una tenda! Quei
due terrebbero al caldo una comitiva di persone!”
Aken osservò contrariato il viso rilassato di Eikhe, poggiato su una
delle sue sacche e maledettamente vicino al muso del lupo e, sbuffando, borbottò:
“Se a lei sta bene così...”
Farall ghignò beffardo e,
dandogli di gomito, mormorò: “Vorresti scaldarla tu, principe?”
Aken gli lanciò un’occhiata
ferale e ringhiò: “Taci, Farall, prima che ti faccia ingoiare la mia sporta!”
“Piantala di dire idiozie,
Farall. La ragazza ha fegato, e non merita le tue battutacce” rincarò la dose
Lenar, lanciando un ceppo nel fuoco, che sfrigolò prepotente, sollevando
scintille scarlatte nell’aria ormai gelida della notte.
“La sua ferita?” si informò
subito Aken.
“Sta bene. Deve averla
colpita solo di striscio” spiegò Lenar. “Mi chiedo solo perché sua madre
l’abbia mandata con noi. Non è un po’ piccola?”
“A detta di Kaihle, è la
migliore guida che potessimo trovare tra le montagne” dichiarò Aken, scrollando
le spalle.
“Sarà, ma l’idea che abbia
l’età di mia figlia non mi aiuta” borbottò Lenar, sbuffando.
“Perché? Vorresti
rimboccarle le coperte? Il suo lupo ti mozzerebbe una mano, se tu ci provassi!”
ridacchiò Rias, ingollando del sidro dalla sua borraccia.
“Razza di idiota…” brontolò
Lenar. “… non mi stupisce che Syderna non ti voglia più vedere.”
Aggrottando subito la
fronte, Rias mise mano al pugnale e replicò stizzito: “Ripetilo, se hai il
coraggio!”
Sollevando una mano, Aken
impose il silenzio e, grave, disse a tutti loro: “Smettetela di sbranarvi. Abbiamo
una missione da compiere, e questo non comprende il vedervi scannare per
opinioni discordanti. Andate a dormire. Farò io il primo turno di guardia.”
Brontolando, Rias rinfoderò
il pugnale e se ne andò nella sua tenda mentre Lenar, lanciata un’ultima
occhiata a Eikhe, si alzò ed entrò nella propria.
Aken attese che tutti i suoi uomini si fossero
ritirati per la notte, prima di alzarsi per fare un giro d’ispezione per il
campo e montare per il suo turno di guardia.
Soffermandosi un momento
dinanzi a Eikhe, studiò quel viso di bambina addormentata con occhi pensierosi.
In cuor suo, si chiese come
avesse potuto, quel batuffolo di ragazzina, affrontare un orso.
Anche solo un cucciolo, come
aveva precisato lei.
Davvero non comprendeva. Era
così difficile crederlo.
Eppure, i segni che aveva
scorto sotto la tunica erano i graffi di un orso, e non poteva neppure pensare
che il suo lupo, per quanto forte, lo avesse scacciato da solo.
No, doveva averlo aiutato
lei per forza. Il punto, era che, per lui, era inconcepibile.
Sistemandosi contro una
pianta dopo aver abbandonato lo strano trio, la larga spada poggiata sulle
gambe accavallate, Aken osservò meditabondo il fuoco.
Fiochi rumori della notte
giungevano alle sue orecchie attente, mantenendolo desto.
In lontananza, verso est,
una slavina si staccò da una fiancata del monte, scivolando innocua fino a
fermarsi alle pendici degli alberi.
Poco distante da loro,
nascosti alla vista ma non all’udito, Aken percepì alcuni cervi in cerca di
cibo e acqua e, tra essi, riconobbe il richiamo inconfondibile di un maschio.
Chiusi gli occhi per meglio
concentrarsi su ciò che lo attorniava, Aken li riaprì sorpreso un attimo dopo
quando sentì un fruscio di fogliame nelle vicinanze.
Volgendosi in direzione di
Eikhe, scorse la sagoma scura di Nys allontanarsi dopo aver guardato la sua
padrona per un lungo istante.
Osservando dubbioso il viso
in ombra della ragazza, vide i suoi denti lampeggiare in un sorriso, e il
bianco dei suoi occhi brillare in risposta allo sfrigolio del fuoco, prima di
svanire di colpo, sotto le palpebre abbassate.
Evidentemente, aveva
lasciato andare a caccia il lupo.
In fondo, un po’ di carne
fresca non avrebbe nuociuto alla loro dieta; nelle loro sacche avevano solo
carne secca e gallette.
Un ben misero sostentamento,
visto che non si erano ancora presi la briga di cacciare qualcosa.
A quel pensiero, Aken storse
il naso.
Sicuramente, la ragazza
glielo avrebbe fatto notare.
Sbuffando, si ripromise di
risponderle a tono per non darle l’impressione di non avere il controllo della
situazione, cosa che, in realtà, sapeva di non possedere più.
Da quando Eikhe aveva preso
in mano le redini della spedizione, lui si era sentito uno stupido, per aver
lasciato fare a una ragazzina.
Inoltre, si era lasciato
impadronire dal senso di colpa per non aver pensato, in prima persona, alla
sicurezza sua e dei suoi uomini.
Avrebbe dovuto immaginare
che, su un sentiero con un simile nome, avrebbero potuto trovare degli orsi ad
attenderli!
Invece, si era mantenuto
saldo nella sua virilità offesa, e non l’aveva seguita per assicurarsi che non
avesse bisogno di aiuto, scoprendo poi che era stata ferita per difenderli.
Se il padre fosse venuto a
sapere del suo comportamento, lo avrebbe aspramente ripreso.
Prendersela per le cattive
maniere di una ragazzina!
Doveva essere davvero
arrivato al fondo del barile, per comportarsi così.
Eppure… eppure, sentire la
superiorità e la sicurezza nella voce di quello scricciolo di ragazza, lo aveva
fatto sentire talmente inadatto al suo compito da infuriarsi con lei.
In un colpo solo, aveva mandato
al diavolo tutta l’educazione che il suo precettore aveva faticato tanto per
insegnargli.
Eikhe si stava dimostrando
così maledettamente diversa da tutte le altre donne che, nel corso degli anni,
aveva conosciuto che, alla fine dell’opera, non sapeva come relazionarsi con
lei.
L’unica cosa che capiva era
che, se avessero voluto giungere ad Anok Fort senza scannarsi, avrebbero dovuto
entrambi darsi una calmata.
Ma era così difficile farlo,
quando lei rifuggiva tutte le regole che era stato abituato a seguire fin da
piccolo.
Servire e proteggere le
donne.
Già, come farlo, con quella
piccola peste urlante, e il suo lupo dai denti perennemente snudati?
Parlare con proprietà, e
senza mai eccedere.
E come, se ogni suo atto lo
spingeva a strangolarla, o abbaiarle contro in preda all’ira?
Non toccare mai una donna,
neppure sotto la spinta dell’ira.
Al primo giorno, aveva già
cercato di sculacciarla. Figurarsi alla fine della campagna, cosa sarebbe
potuto succedere!
Passandosi una mano sul viso
stanco, Aken tornò con lo sguardo alla loro guida e, con sua somma sorpresa, la
ritrovò accucciata contro il cavallo.
Il suo viso appariva imbronciato
e le mani erano raccolte a pugno, quasi che la mancanza del lupo le pesasse
anche nel sonno.
Chissà che genere di legame
c’era tra loro, per spingerla a difenderlo come, poche ore prima, aveva fatto
senza alcun timore per la propria vita?
Anche lui era affezionato ai
suoi cani da caccia e al suo stallone, ma non era la stessa cosa. Ne era
sicuro.
Eikhe poteva comprendere ciò
che diceva il suo lupo, e viceversa, il che la metteva su un livello molto
superiore al suo.
Chissà cosa le diceva lui,
quando erano soli? Come sapeva confortarla con una sola occhiata?
Riscuotendosi da quei
pensieri quando udì il lupo tornare, Aken lo vide trascinare un cervo di media
stazza, ancorato ai suoi denti affilati.
Alzatosi subito per
aiutarlo, si vide ringhiare contro con asprezza.
Comprendendo non fosse il
caso di aizzarlo ulteriormente, sollevò le mani in segno di resa e se ne tornò
al suo posto, mentre Nys svegliava Eikhe leccandole il viso.
Lei si risvegliò mugugnando
qualcosa ma, quando vide il muso del suo lupo, si aprì in un sorriso e lo
abbracciò, incurante del fatto che fosse inzuppato di sangue.
Sporcandosi a sua volta, Eikhe
rise prima di osservare il cervo morto e dire: “Sei stato bravo, complimenti.”
Nys scodinzolò contento ed
Eikhe, preso il coltello, lanciò solo un veloce sguardo ad Aken prima di
sedersi a gambe incrociate vicino alla preda.
Con un colpo secco, poi, affondò
il coltello alla base del collo dell’animale e spinse.
Attenta, Eikhe lacerò la
pelle fino all’inguine e, sotto lo sguardo attonito di Aken, lo aprì con un
unico, fluido movimento.
Caparbiamente, cominciò a strattonare
la pelliccia per staccarla dal muscolo, ben intenzionata a scuoiarlo.
Sporcandosi ulteriormente di
sangue, la ragazza non prestò minimamente attenzione alle occhiate stupite di
Aken e, concentrandosi solo sull’animale, mormorò a Nys: “Tienigli ferma la
testa.”
Messasi in posizione,
cominciò a tirare dopodiché, lacerata anche la pelle sulle zampe, completò il
lavoro liberando l’animale dalla sua pelliccia morbida.
Appesala a un ramo basso,
Eikhe iniziò a eviscerare il cervo, mettendo provvisoriamente le interiora su
una distesa di foglie secche.
Fatto ciò, lo tranciò a
pezzi e lo ripulì dal terriccio alla sorgente d’acqua.
Soddisfatta, lasciò che Nys
si cibasse dei resti inutilizzabili.
Poggiati infine i pezzi di
carne su un panno oleato, che estrasse dalla sua sacca, ve li avvolse con cura.
Per un attimo, osservò la
pelle stesa sul ramo prima di scrollare le spalle e dire, rivolta a Nys: “Mi sa
che dovremo buttarla… un vero peccato. Mi avrebbe fruttato un bel gruzzolo.”
“Sembri un barbaro, così
conciata” celiò Aken dietro di lei, facendola sobbalzare.
Guardandosi, Eikhe notò le
macchie di sangue sulla tunica e sulla pelle abbronzata e, liberandosi in una
risatina divertita, disse: “Mi laverò alla sorgente… prometti di non
guardarmi?”
“Non spio le bambine”
brontolò lui, distogliendo lo sguardo.
Lei si limitò a fargli la
lingua prima di dirigersi alla sorgente.
Lì, si tolse la tunica ed
entrò nell’acqua gelida emettendo uno squittio di sorpresa, e affondando subito
dopo nella polla.
Immergendo anche la tunica,
la lavò dal sangue, lanciando di tanto in tanto occhiate dubbiose in direzione
di Aken.
Quando ebbe terminato,
chiamò Nys per consegnargli la tunica da portare dinanzi al fuoco e, uscita che
fu dall’acqua, si affrettò ad asciugarsi con un telo prima di indossare il suo
cambio d’abito.
Sentendosi nuovamente pulita
e in ordine, Eikhe si avvicinò al fuoco per asciugarsi i capelli e Aken,
sbirciandole il viso rosso, le chiese: “Non hai avuto freddo?”
“Sono quasi congelata, in effetti,
ma detesto sentirmi sporca” ammise con candore, frizionandosi i capelli con forza.
Ora che li aveva sciolti,
Aken scoprì che le giungevano fin oltre la vita e che, come pensava, una volta
asciutti, erano vaporosi e mossi come spuma marina.
Attirato dalle calde
luminosità di quelle ciocche ramate, Aken quasi non si accorse della domanda di
Eikhe.
Riscuotendosi dal suo
pellegrinaggio mentale sui capelli della ragazza, borbottò: “Puoi ripetere,
scusa?”
Scrollando le spalle, lei domandò
nuovamente: “Perché hai mandato Lenar, prima?”
“Ho pensato che ti saresti
maggiormente fidata di un uomo dell’età di tuo padre, piuttosto che di uno di
noi” si limitò a dire, scrollando le spalle.
Annuendo, lei lo sbirciò in
viso da sotto le ciglia bionde, e mormorò divertita: “Già, specialmente
considerando che, durante tutta la giornata, non avete fatto altro che
guardarmi le gambe.”
Accigliandosi per quel commento, Aken replicò
astioso: “E tu vestiti maggiormente, se non vuoi sentirti addosso gli occhi di
tutti!”
Lei si limitò a sorridere,
sinceramente sorpresa e, socchiudendo gli occhi, dichiarò: “Cosa ci troverete,
poi, di così interessante...”
Sinceramente sbalordito, lui
replicò: “Si capisce da uscite simili, che sei solo una bambina.”
Piccata, lei borbottò: “Ho diciassette
anni, non due mesi, per tua norma e regola, e sono donna da almeno quattro, se
vogliamo spaccare il capello in quattro!”
“Oh, ma davvero?” brontolò
il principe, sorpreso che non provasse vergogna nel parlare di cose simili.
Neppure sua sorella si
sarebbe sbilanciata tanto, con lui.
“Non ho remore a dirtelo.
Non credo tu sia così ignorante, in fatto di donne, principe… o, almeno, lo
spero per te e per la tua futura sposa” ribatté lei, facendolo infuriare.
“So molte più cose di te,
sulle donne!” bofonchiò Aken, rigido come un fuso.
“Non penso proprio, ma ti
lascerò crogiolare nelle tue certezze” sorrise ironica lei, prima di vedersi
raggiungere da Nys.
Incuneandosi sotto il suo
braccio, Nys uggiolò ed Eikhe, abbracciatolo, affondò il viso nel suo bel pelo
nero e mormorò: “No, Nys, il principe non mi angustia affatto, stai tranquillo.
Niente di quello che dice, può realmente toccarmi.”
Assottigliando le iridi
smeraldine, Aken fu tentato di mandarla al diavolo ma, con Nys lì accanto, si
trattenne dal farlo.
Dubbioso, però, continuò a
guardare i due, chiedendosi ancora una volta se Eikhe, in realtà, non fosse un
lupo mancato. |
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Capitolo 4 *** cap.4 ***
4.
La mattina seguente, gli
uomini vennero svegliati dal profumo inconfondibile di carne arrostita sul
fuoco.
Aprendo gli occhi per lo
torpore, Aken fissò confuso Lenar, intento ad aiutare Eikhe a preparare alcune razioni
da sistemare nelle sacche per il viaggio.
Alzatosi dal suo giaciglio –
non aveva voluto dormire nella sua tenda per puro cipiglio, e ora aveva le ossa
rotte e i muscoli indolenziti – Aken si passò una mano sul volto assonnato
prima di dirigersi con passi lenti e ciondolanti al torrente.
Dopo un momento di
esitazione, immerse le mani nell’acqua gelida e si pulì il viso, svegliandosi
completamente.
Sull’erba alla sua sinistra,
come Aken poté notare, erano ancora visibili le orme dei piccoli piedi di Eikhe.
Rammentando quando l’aveva
osservata avvicinarsi a quelle acque raggelanti, se la immaginò affondare in
esse, il bel corpo illuminato dalla luna e che…
Spalancando gli occhi quando
si rese conto di dove stessero andando i suoi pensieri, scosse il capo per il
fastidio e, rialzatosi in fretta, si avviò speditamente verso il fuoco.
“Buongiorno a entrambi. Avete
preparato la carne secca?”
“Buongiorno, principe” esordì
Lenar, voltandosi a mezzo per salutarlo. “Ho trovato Eikhe impegnata a
prepararne delle strisce da arrostire, così ho pensato di darle una mano.”
Annuendo, Aken osservò per
un momento la ragazza che, con dita abili, stava estraendo dal terreno degli
involti di foglie d’erba. “E quelli?”
Mostrandone uno ad Aken
nell’alzarsi da terra, Eikhe disse: “Buongiorno, principe. Ho pensato di
preparare anche un po’ di carne, arrostita col calore delle braci. Sarà più
buona da mangiare, per colazione.”
“Buona idea” si limitò a
dire il principe, mentre i suoi uomini uscivano dalle tende.
“Non potendo affumicarla,
l’unico modo per salvarla qualche giorno in più è stato cuocerla…” scrollò le
spalle Eikhe, continuando a mostrare il procedimento al principe. “… ma,
sicuramente, non sarà mai buona come stagionata, visto che non ho potuto usare
delle spezie. Comunque, può andare, per tenerci in forze.”
“Vero” annuì ancora Aken,
non sapendo esattamente cosa dirle.
Non poteva certo farle
capire il proprio disappunto, né bacchettarla per una cosa a cui, invece,
avrebbe dovuto provvedere lui.
Squadrandolo vagamente
dubbiosa per alcuni attimi, chiedendosi il perché della sua reticenza a
parlare, Eikhe preferì non discutere con lui di prima mattina.
Dopo aver sorriso a Lenar, perciò,
affiancò Nys e disse a bassa voce: “Controlla tu, per me.”
Aken, che l’aveva seguita
con lo sguardo nel momento stesso in cui aveva sorriso a Lenar, aggrottò immediatamente
la fronte non appena la vide prendere la via del bosco.
A gran voce, le urlò dietro:
“Ehi, dove stai andando?!”
Voltandosi a mezzo nel
sentirlo parlare, lei lo fissò rabbiosa per un momento prima di infilarsi nella
boscaglia senza degnarlo di una risposta.
Già sul punto di imprecare e
seguirla, Aken sentì Lenar aprire bocca per mormorare a bassa voce: “Principe,
tornerà tra breve.”
“E tu come lo sai?!” ringhiò
Aken, offeso dai silenzi della ragazza.
Non aveva davvero il minimo
rispetto per il ruolo che lui deteneva?!
Sorridendo leggermente,
Lenar disse solo per le orecchie di Aken: “Problemi femminili. Tornerà quando
avrà trovato quello che cerca.”
“Oh” esalò lui, calmandosi
subito e arrossendo leggermente.
Dopotutto, era una donna, e
avrebbe dovuto aspettarsi che cercasse un po’ di intimità ma, ancora una volta,
si era lasciato prendere dalla rabbia, senza ragionare.
Ma perché Eikhe gli faceva
quell’effetto?
Sedendosi accanto al fuoco
mentre Lenar metteva a scaldare il caffè, Aken si perse a chiedersi perché,
quella ragazza, riuscisse a scardinare con tanta facilità i suoi principi.
Vi aveva fatto affidamento
fino a quando non aveva incontrato sulla sua strada quella creatura
imprevedibile.
Che fosse così semplice
metterlo in difficoltà?
Dopotutto, era abituato a
trattare le donne, di qualsiasi classe sociale o età, eppure lei lo mandava in
confusione totale.
Non riteneva di essere una
persona dalla mentalità ristretta ma, forse, la sua reticenza a comprenderla
dipendeva dal fatto che, in realtà, non accettava il suo stile di vita.
Forse.
Raggiunto dai suoi uomini,
Aken sorrise loro nel dare il buongiorno e, quando Kinas ridacchiò nel notare
la mancanza di Eikhe, si chiese cosa sarebbe stato meglio dire ai suoi soldati.
Sicuramente, non la verità,
o sarebbero saltati fuori i commenti più osceni e irrispettosi.
Mentalità ristretta o meno,
le doveva protezione come a un qualsiasi altro membro del suo gruppo.
Alla domanda dei suoi amici,
Aken disse soltanto: “E’ andata a cercare delle erbe qui nei dintorni.”
“Con questa neve? Deve
sapere a naso, dove trovarle!” ridacchiò Finarr, mordicchiando un pezzo di
carne.
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Lenar celiò: “Prima di prenderla in giro, dovresti ringraziarla per
la colazione che stai mangiando adesso, ragazzo.”
Finarr lo fissò stupito per
un momento, prima di scrutare il pezzo di carne che stava mangiando e, storcendo
il naso, chiese burbero: “Perché, scusa?”
“Il suo lupo è andato a
caccia, stanotte, e lei lo ha scuoiato e tagliato perché fosse pronto per
stamattina” spiegò loro Aken, chiudendo un momento gli occhi nel bere il suo
caffè. Era davvero ottimo o, forse, lui ne aveva più bisogno di quanto non
immaginasse.
Facendo tanto d’occhi,
Finarr esclamò: “Lo ha scuoiato?!”
“Esatto, come il prossimo
che mi seguirà nel bosco con intenti più che ovvi” dichiarò dietro di loro
Eikhe, rossa in viso per l’ira e tesa come una corda di liuto.
Accanto a sé, seguito da un
Nys a denti snudati, se ne stava Likas che, a mani legate, osservava Eikhe come
se avesse voluto sgozzarla da un momento all’altro.
Guardandoli confuso per
alcuni momenti, Aken si volse subito dopo per contare i suoi uomini.
Dopo aver imprecato
silenziosamente tra sé per non essersi accorto della mancanza del compagno, si
alzò per raggiungerli e chiese: “Cos’è successo?”
Sospingendo contro Aken il
suo soldato, Eikhe sibilò rabbiosa: “Prova a immaginarlo da te, principe.”
Detto ciò, si allontanò a
grandi passi per andare ad appollaiarsi su una roccia sulla sponda opposta del
torrente, il volto adombrato e gli occhi che mandavano scintille.
Imprecando a più riprese, il
principe liberò Likas con gesti furiosi prima di dire, a gran voce e con fiero
cipiglio: “Che diavolo volevi fare, idiota?!”
“Volevo solo rimetterla al
suo posto, principe” sbuffò Likas a testa bassa, massaggiandosi i polsi
doloranti.
“Te l’ho forse ordinato? Non
mi sembra proprio!” ringhiò Aken, dandogli una spinta tale da farlo crollare a
terra. “E’ questo il grado di civiltà dei miei uomini?! Un’altra intemperanza
del genere, e vi rispedisco a Rajana per farvi radiare dall’esercito!”
Il diretto interessato pensò
bene di rimanere in silenzio mentre gli altri suoi compagni, alternando
occhiate a Eikhe e Likas, si chiesero silenziosi cosa fosse realmente successo
nella foresta.
“Ora, continuate a fare
colazione. Tra un’ora si riparte” decretò ombroso Aken, dirigendosi poi verso
il torrente a passi lenti e misurati.
Sul ciglio del torrente, in
posizione di difesa, Nys cominciò a ringhiare al suo indirizzo ma Aken, ignorandolo
completamente, balzò su un paio di massi per oltrepassare il rio.
Era ben deciso a raggiungere
Eikhe, e scusarsi con lei per le intemperanze del suo uomo.
La ragazza, raggomitolata su
se stessa, lo fissò con occhi funesti ma, non appena lo vide sorridere
spiacente, si rilassò impercettibilmente e chiese: “Cosa vuoi, principe?”
“Solo chiederti come stai” mormorò,
osservando Nys, che lo seguiva a un passo di distanza. “Mi morderà, se mi siedo
un attimo?”
Eikhe guardò un momento Nys
e il lupo, come a un muto ordine, si accucciò ai suoi piedi, sempre guardando
il principe con occhi attenti.
Interpretandolo come un
invito, Aken si accomodò su un masso vicino e le domandò gentilmente: “Ti ha
mosso violenza?”
“Ah!” esclamò lei, levando
fiera il capo. “Non ci sarebbe riuscito neppure se mi avesse trovata bendata e
con le mani legate.”
Di fronte al suo
scetticismo, Eikhe precisò: “C’era Nys, con me. E’ stato lui a impedirlo.”
“Ah… quindi, non ti ha
toccata, vero?”
“No” scosse il capo la
ragazza.
“Bene. Sono cose che proprio
non sopporto” annuì Aken, pensieroso.
Guardandola con attenzione,
notò subito il suo volto pallido e le labbra tirate perciò, con fare casuale,
disse: “Mia madre usa spesso queste foglie, quando non sta bene. Me le ha date
qualora mi fossi buscato un raffreddore, qui sulle montagne.”
Sorpresa, Eikhe vide comparire
dinanzi al naso un sacchetto di pelle e, confusa, squadrò Aken.
Con un sorrisino
conciliante, il giovane dichiarò contrito: “Non ho pensato ai problemi che
avresti potuto avere, scusami. Qualora non dovessi sentirti bene per
continuare, non hai che da dirmelo.”
Preso il sacchetto tra le
mani, lei lo aprì, scoprendovi all’interno delle foglie secche di neralla,
un potente antidolorifico e, sorridendo appena, disse: “Non ho bisogno di
rallentare tutti. Ne mangerò una foglia, e starò bene.”
“Come preferisci” assentì
lui, scrollando le spalle e alzandosi.
Bloccandolo a un polso,
Eikhe mormorò: “Principe… grazie.”
Sorpreso da quel momentaneo
cedimento, Aken sorrise più tranquillo
“Di nulla, ragazza. Tra
un’ora partiamo, va bene?”
“Sarò pronta” annuì Eikhe.
In fretta, posò sulla lingua
una foglia secca e, storcendo il naso per il suo sapore acre, la succhiò mentre
Aken, con passo lento, se ne tornava dai suoi uomini.
“Che strano tipo” mormorò,
una volta sola, continuando fissare la schiena imponente del principe.
***
Udendo l’ululato di Nys nel
mezzo della foresta, Eikhe annuì soddisfatta e, rivolgendosi ad Aken, dichiarò:
“La strada è sgombra. Possiamo proseguire.”
Annuendo, Aken spronò il suo
cavallo e, osservando la ragazza che cavalcava al suo fianco, le domandò: “Come
fai a capirlo?”
“Ho imparato da piccola. E’
come imparare a parlare. Allo stesso modo, Nys capisce l’uomo, quando parla”
spiegò Eikhe, seduta tranquillamente sul suo cavallo, tenendo le braccia
incrociate sul petto.
Guardando Kalkos che,
tranquillo, percorreva il sentiero senza aver bisogno della guida di Eikhe,
Aken esalò con un risolino: “Mi fa ancora senso, vedere un cavallo che se ne va
per gli affari suoi.”
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Eikhe disse per contro: “Prova a mollare le briglie, principe. Vedrai
che il tuo stallone seguirà ugualmente la pista.”
“Non è la pista, a turbarmi,
ma gli imprevisti. Cosa succederebbe, se il cavallo si imbizzarrisse?” dichiarò
dubbioso, scrutando un momento le enormi conifere che li circondavano.
“Non lo farebbe. Lui sa che
sono sulla sua schiena. Potrà avere paura, ma non mi scaraventerà a terra” spiegò
con calma Eikhe, prima di volgere lo sguardo su un lato della pista, quando
avvertì un frullo d’ali tra i cespugli.
Assottigliando le iridi
dorate, Eikhe prese l’arco alle sue spalle e, incoccata in fretta una freccia,
attese l’attimo adatto per tirare, gli occhi di Aken puntati su di lei.
Quando l’uccello si levò al
loro passaggio, la ragazza lo centrò con sorprendente facilità, facendolo
finire tra i cespugli.
Subito, Lenar si esibì in un
applauso spontaneo, che portò la ragazza a sorridergli divertita.
Balzata poi dal cavallo, lo
andò a recuperare e disse: “Carne fresca per stasera.”
“Sei abile, con l’arco” asserì
Aken, fermando la propria cavalcatura per aspettarla.
Allo stesso modo, i suoi
uomini bloccarono i cavalli e attesero pazienti il ritorno della ragazza.
“Sono abituata a sfamarmi da
sola” gli spiegò con semplicità, legando il pennuto a un anello della sella.
“Tutte noi sappiamo farlo.”
In quel mentre, Nys tornò da
loro con la lingua ciondoloni ed Eikhe, tagliando con un coltello la testa
dell’uccello appena catturato, gliela porse e disse: “Sei stato bravissimo, Nys,
grazie.”
Mentre il lupo azzannava la
carne da piuma fresca di cattura, Aken scrutò curioso l’arma della ragazza e la
faretra da sella piena di frecce.
Prendendone in mano una, la
soppesò attentamente tra le mani prima di dire: “Non sono punte di metallo.”
“No, infatti. Sai cosa
sono?” chiese Eikhe con un sorriso furbo.
“Di primo acchito, direi che
si tratta di qualcosa di simile all’ossidiana, o alla selce” mormorò
pensieroso, portando la punta di freccia verso il sole per ammirarne le sottili
venature bianche sul fondo nero.
“Sono ‘artigli di demone’, per essere precisi” disse Eikhe,
sorprendendolo. “Conosci la loro storia?”
“Non si narra che un
cacciatore fu inseguito dai demoni fino a una valle illuminata da sole, e che
lì i demoni esplosero in mille pezzi di pietra, perché colpiti dalla luce del
giorno?” le chiese Aken, aggrottando leggermente la fronte nel tentativo di
ricordare esattamente la storia.
“Esatto. Si dice che questo
tipo di pietra sia nata così e che, proprio perché di discendenza
soprannaturale, sia così dura e resistente. In realtà, ne esistono filoni
interi, all’interno dei Monti Urlanti, basta saperli trovare. Uno molto
importante è nelle vicinanze della Valle del Silenzio, dove sorge Anok Fort.
Non è un caso, se il re tuo nonno fece costruire il forte proprio lì, a suo
tempo” spiegò Eikhe, sorprendendo tutti.
“Quindi, Anok Fort, è
costruito con questa pietra?” esalò Aken, sempre più curioso.
“Solo il lato rivolto verso
nord-est, quello che punta in direzione di Vartas. La galenda, o ‘artiglio di
demone’, è un tipo di roccia estremamente difficile da lavorare, per cui
costruire un intero forte con quel tipo di materiale sarebbe costato, oltre che
ingenti sforzi, anche un vero e proprio patrimonio in termini di costi.” ammise
Eikhe, tamburellandosi pensosa il mento.
Riprese la freccia quando
Aken gliela porse e, dopo averla sistemata nella faretra, aggiunse: “A noi
torna comodo usarla per lance e frecce. Nella fucina, produciamo solo le nostre
daghe… comprare l’acciaio ci costa molto, e lo usiamo con parsimonia. Per cui,
tutto ciò che viene usato maggiormente, cioè frecce e lance per la caccia,
viene fabbricato con la galenda. Non
che sia facile dare la forma alle punte, ma costa sicuramente meno, per le
finanze del villaggio.”
“Non ho davvero parole”
esalò Aken, fissandola a occhi sgranati.
Eikhe sorrise misteriosa e
disse: “Pensavi davvero che fossimo solo delle donne isolate in un bosco?”
Aken preferì non rispondere.
***
Quella sera, dopo aver
percorso un buon tratto di strada a cavallo senza intoppi di alcun genere,
Eikhe li fece fermare nelle vicinanze di un piccolo tempio rupestre.
Senza dire nulla, vi entrò
con una piccola sacca di pelle in mano, lasciando che al campo provvedessero i
soldati.
Inginocchiatasi di fronte
alla statua del dio-lupo, Eikhe intonò una preghiera per propiziare il loro
viaggio dopodiché, poggiato il suo tributo ai piedi del dio, si levò in piedi e
osservò con sguardo perso i begli affreschi alle pareti.
I passi leggeri di qualcuno
alle sue spalle la portarono a voltarsi di colpo e, un po’ sorpresa, Eikhe vide
il principe avanzare lentamente, intento a osservare i dipinti della cappella.
Fermatosi a un passo da
Eikhe, Aken mormorò: “Sono molto belli… è il vostro dio, questo?”
“Sì, è Hevos, il dio-lupo.
Lo veneriamo al pari della nostra capostipite” asserì, indicando l’immagine di
una graziosa fanciulla dai capelli dorati. “Lei è Hyo, colei che diede inizio
alla nostra stirpe.”
Osservandola attentamente,
Aken notò un particolare non da poco e, chinando lo sguardo su Eikhe prima di
guardare la statua del dio, fu colto da un dubbio .
Grattandosi la guancia con
fare pensoso, le chiese: “Quanto tempo fa è stato fatto questo dipinto?”
Sorridendo misteriosa, lei
dichiarò: “Quasi quattrocento anni fa, perché?”
“Non ho potuto fare a meno
di notare la somiglianza che c’è tra te, Hyo e Hevos” dichiarò Aken,
accigliandosi leggermente.
Eikhe sollevò un
sopracciglio con ironia e domandò: “Cosa c’è? Il potente principe ha paura
della mia discendenza divina?”
“Dico solo che è curioso”
precisò lui, sbuffando.
Perché doveva ironizzare su
tutto?
Addolcendo i tratti del
volto, Eikhe tornò a fissare Hyo e disse: “Forse è realtà, o forse no, ma a me
piace la morale della storia tra Hyo e il dio-lupo.”
“E cioè?” le chiese, curioso.
Guardandolo per un momento, domandandosi
se realmente fosse interessato a conoscere la storia, Eikhe sospirò e cominciò
a narrargli gli eventi che la vecchia Harua le aveva raccontato tanti anni
prima.
Sorpreso dallo sguardo
malinconico che apparve negli occhi dorati della ragazza, Aken cominciò a
chiedersi se non gli stesse nascondendo qualcosa.
Quando ebbe terminato il
racconto, Eikhe gli domandò: “Tu avresti barattato tua figlia per la tua
compagna?”
Sorpreso da quella domanda,
Aken ci pensò su un attimo prima di ammettere: “No, non credo. Se avessi una
figlia, ella rappresenterebbe l’amore tra me e la mia compagna, quindi non
potrei dire di averla persa. E avrei il dovere di crescerla con tutto l’affetto
possibile, ricordandole anche l’amore che provò la madre nel metterla al
mondo.”
Il sorriso che si dipinse
sul volto di Eikhe lo stupì, stregandolo al punto tale da non fargli notare che
la ragazza, sfiorandolo al braccio, aveva di fatto annullato ogni distanza tra
loro.
Con un sussurro a metà tra
il divertito e il sorpreso, lei si appoggiò al suo avambraccio per alzarsi in
punta di piedi e, al suo orecchio, disse: “Il principe Aken, a quanto pare, è
anche una persona romantica e prodiga d’amore.”
A quelle parole, Aken si
scostò da lei come se si fosse scottato ed Eikhe, ridacchiando, domandò: “Ti
offende sentir apprezzare il tuo lato più nascosto?”
“Non è questo. Sono solo
poco abituato a mostrarlo” brontolò lui, fissandola malamente. “E mi stupisce
molto che a te piaccia una storia simile, visto dove e come vivi.”
Indispettendosi subito, lei replicò
con un sibilo: “Non ho mai detto che mi piaccia vivere così!”
Detto ciò, se ne uscì a
grandi passi e Aken, basito di fronte a quella risposta, si chiese se la
ragazza fosse felice di vivere come le avevano insegnato o se, in realtà, non
aspirasse ad altro.
Tornando a guardare la
statua del dio di Eikhe, Aken mormorò dubbioso: “Sai rispondermi tu, dio che le
guidi lungo un cammino così aspro e duro?”
Naturalmente, non ottenne
risposta.
Nell’osservare Hyo e il dio
insieme alla loro figlia, Aken si chiese se, in realtà, lei non aspirasse tanto
ad avere una vita come le altre donne-lupo ma, piuttosto, ad avere un compagno
per la vita come era successo alla loro capostipite.
“Come un lupo” disse tra sé,
chiedendosi se non fosse quello l’insegnamento ultimo che il dio aveva voluto
trasmettere, e non l’odio verso gli uomini.
Scrollando le spalle per
cancellare quei pensieri che non erano da lui, Aken se ne uscì dal piccolo
tempio, lasciando un obolo ai piedi della statua.
Era meglio non indagare
oltre sulla faccenda.
Non era un amante della
teologia e, di certo, non avrebbe iniziato in quel momento a occuparsi di
uomini e dèi.
Guardandosi intorno per
cercare la figura di Eikhe non appena fu fuori dal tempietto, la trovò
appollaiata su un masso, diversi metri più in alto rispetto a loro, in
compagnia di Nys.
Vedendo le loro teste
vicine, si chiese nuovamente se la ragazza non avrebbe preferito essere un
lupo.
Sbuffando, distolse lo
sguardo e se ne tornò al falò insieme ai suoi uomini.
Preso un po’ di sidro per
sé, lasciò che la sua mente si allontanasse dalla figura di Eikhe e da ciò che
essa comportava.
Era preferibile pensare
unicamente alla sua missione, e a quanto dovesse fare per riportare a casa i
suoi uomini sani e salvi.
Da quello che Eikhe gli
aveva detto, entro un giorno avrebbero raggiunto la fine della Valle del
Silenzio, dove il fiume Fenak estendeva il proprio letto in un altopiano
roccioso.
Lì, sarebbe stato possibile
guadarlo senza problemi.
Da quel punto in poi, si
sarebbero spinti nuovamente a nord-ovest per raggiungere Anok Fort e, se tutto
fosse andato bene, lo avrebbero raggiunto in una settimana.
Scoprire cosa fosse
successo, a quel punto, sarebbe stato facile.
Temeva solo il giorno in cui
avesse scoperto la verità perché, anche nelle più rosee previsioni, non doveva
trattarsi di niente di buono.
Sgranocchiando una galletta,
Aken chiese a Lenar: “Likas è in perlustrazione?”
“Sì, Aken…” poi, con un
sorrisino, aggiunse: “… non gli è piaciuto per nulla il trattamento che gli ha
riservato Eikhe, questo è certo. Fossi in te, vedrei di tenerli il più lontano
possibile l’uno dall’altra, se non vuoi ritrovarti con due cadaveri durante il
percorso.”
“Temevo sarebbe successo…”
sospirò Aken, prima di guardare i suoi uomini e dichiarare: “…perciò, vale la
pena di spendere due parole in proposito. Quello che ho detto a Likas, vale
anche per voi. Non voglio che le manchiate di rispetto, è chiaro?”
“Con quel lupo a farle da
guardia, solo uno sciocco poteva pensare di avvicinarla” borbottò Finarr,
mangiando la sua cena a testa bassa. “Ma non mi va giù che se ne vada in giro,
e si atteggi, come un uomo.”
“La sua tribù le ha
insegnato questo” precisò Lenar.
“Piantala di difenderla su
tutto!” sbuffò Rias, fissando il compagno con astio. “Se quella femmina si fosse
comportata in maniera consona, Likas non avrebbe fatto ciò che ha fatto!”
“Non la difendo, visto che
non ne ha bisogno…” precisò Lenar, irritato. “… sto solo dicendo che
l’educazione che le hanno dato è questa, quindi non potete pretendere che si
comporti diversamente.”
“Che c’è, Lenar, te la sei
scopata ben bene, e non ce ne siamo accorti, per decantare tanto quella
troietta?” ridacchiò Farall, fissandolo ironico.
Lenar fece per mettere mano
al pugnale, mentre Aken si alzava con un diavolo per capello.
Tutti, però, Farall
compreso, si azzittirono subito quando, dagli alberi, giunsero le risatine
allegre di diverse donne.
Scivolando a terra dai rami
su cui erano rimaste appollaiate fino a quel momento, apparvero agli occhi
degli uomini interamente coperte da pelli d’orso.
I loro volti, oscurati da
maschere di terracotta, resero le loro voci roche e leggermente ridondanti.
“Ma guarda… degli uomini in
terra sacra.”
Puntando loro contro le
lunghe lance che tenevano in mano, l’unica donna con la maschera tinta di bianco
ringhiò torva: “Cosa ci fate, qui?!”
Accorrendo loro incontro,
Eikhe si affrettò a dire: “Sono con me, saggia Akeva! Non levate le armi contro
di loro, per favore!”
La donna che aveva parlato
per ultima, sollevando la maschera, guardò Eikhe per un momento prima di dire:
“Ah, figlia sacra. Come mai hai condotto qui questi uomini?”
“Dovevo la mia visita al dio
ed ero in zona, così…” scrollò le spalle lei, mordendosi nervosamente un labbro.
“Un uomo si aggira per i
boschi,… fa parte del tuo gruppo anche lui?” chiese un’altra donna, rimanendo a
volto coperto, la lancia sempre levata verso gli uomini di Aken.
“Sì, Saggia Guardiana” mormorò
Eikhe, mantenendosi vigile e attenta, le mani leggermente tremanti.
Osservando uno a uno i
soldati, che erano rimasti seduti sotto la minaccia delle loro armi, Akeva
asserì severa: “Non ho gradito le parole di scherno che sono uscite dalle
bocche di alcuni di loro. Sai che non ammettiamo comportamenti simili, sul
territorio del dio-lupo.”
Tutti fissarono malamente
Rias e Farall ed Eikhe, cercando di correre ai ripari, disse lesta: “Devi
perdonarli, Saggia Akeva, non…non conoscono la prassi e loro…loro…”
Notando le mani tremanti di
Eikhe, Aken si chiese se avesse paura di quelle donne.
Nel suo sguardo, però, lesse
ben altro, di certo non timore.
Anche Akeva, probabilmente, dovette
leggervi un potenziale pericolo perché, assottigliando le iridi perlacee, chiese
preoccupata: “Sono tua responsabilità, figlia sacra?”
“Sì… e io…” tentennò,
reclinando il capo per poi stringersi le braccia al petto, quasi volesse
bloccare se stessa. O qualcosa dentro di lei.
“Abbassate le armi!” esclamò
in fretta Akeva, volgendosi verso le sue compagne per essere certa che l’ordine
venisse immediatamente eseguito.
Sospirando di sollievo non
appena le lance vennero calate, Eikhe si passò una mano sul volto, divenuto
pallido come la luna e, scrutando grata Akeva, mormorò roca: “Grazie, Saggia
Guardiana.”
“Scusami, figlia sacra, non ho
capito subito la situazione per quella che era. Termina pure la tua missione, e
che Hevos ti accompagni” asserì Akeva prima di guardare le sue compagne e dichiarare:
“Andiamocene, qui non c’è bisogno di noi.”
In pochi attimi, come erano
venute, le donne-lupo si dileguarono nella notte e gli uomini, sospirando di
sollievo, dissero quasi all’unisono: “Ma da dove sono sbucate?”
Infuriata, Eikhe si volse
verso di loro con un diavolo per capello e sibilò: “E’ tutto il giorno che ci
sorvegliano, idioti! Se proprio volete dire fesserie, non ditele qui, quando ci
sono le Guardiane ad ascoltarvi! Loro odiano gli uomini… più di qualsiasi altra di noi!”
“Ehi, ma non potevi
dircelo?!” ribatté Rias, sentendosi un po’ sciocco per non essersi reso conto
di niente.
“Pensavo ve ne foste
accorti!” sbottò la ragazza, a denti stretti, le mani ancor più tremanti di
prima. “Sareste morti, se non fossi intervenuta e, per poco, non mi avete
portato allo scontro!”
“Le avresti… attaccate?”
esalò Lenar, sorpreso.
Con occhi colmi di lacrime,
lei crollò in ginocchio e, scoppiando a piangere, annuì sconvolta, non
riuscendo a rispondere di fatto all’uomo.
Lenar, prendendola tra le
braccia, la cullò gentilmente, fissando aspro i suoi compagni.
“Sarete contenti, adesso!”
I soldati ebbero la decenza
di tacere ma Aken, che non aveva perso un solo attimo di quella strana
conversazione, non ebbe il tempo di sentirsi in colpa.
Piuttosto, si chiese cosa avesse
voluto dire la Guardiana, definendola ‘figlia
sacra’.
Cosa ancora più dubbia, però,
cosa avesse voluto dire Eikhe, insistendo sul fatto che lei avrebbe attaccato
le sue stesse compagne, pur di difendere loro.
E ancora, cosa aveva voluto
dire, col fatto che quelle donne odiavano gli uomini più di loro?
Intendeva dire tutte le
donne-lupo e, in quel caso, per quale motivo,… o c’era dell’altro? Qualcosa che
Eikhe stava tenendo loro nascosto?
Cosa nascondeva quella
ragazza che, solo un attimo prima, era parsa pronta a dar battaglia mentre, in
quel momento, piangeva disperata tra le braccia di Lenar?
Davvero non comprendeva, ma
quell’episodio presentava più di una lacuna, ai suoi occhi.
Dopo lo scampato scontro,
comunque, i soldati si infilarono silenziosi nelle loro tende mentre Aken, come
suo solito, si apprestò a fare il primo turno di guardia.
Sedendosi contro un albero, il
principe osservò Eikhe che, in quel momento, dormiva placida accanto a Kalkos e
Nys.
Per un istante, si chiese
come stesse, e se lo scoppio di pianto l’avesse aiutata a calmarsi.
Vederla tremare a quel modo
lo aveva preoccupato perché, nei suoi occhi, non aveva letto paura, ma sete di
sangue.
Per una ragazza esile come
Eikhe, gli aveva dato un po’ i brividi.
Pur essendo più alta di
molte altre donne che aveva conosciuto – superava il metro e settanta – il suo
fisico era asciutto e, all’apparenza, troppo debole per essere definito
pericoloso.
Eppure, aveva combattuto
contro un orso e, poche ore addietro, aveva minacciato un intero gruppo di
donne-lupo ben più robuste di lei.
Che fosse tenuta per legge a
difendere chiunque lei guidasse, fossero essi anche uomini addestrati alla
lotta?
No, non credeva fosse questo,
il problema.
Quindi, cosa poteva voler
dire lo sguardo pieno di livore e furia che aveva scorto in quegli occhi di
lupo?
Quando Aken si sentì
interpellare, quasi non sobbalzò sulla stuoia che aveva steso a terra.
Sorpreso, vide Eikhe avvicinarlo
per poi sedersi al suo fianco, avvolgendosi nel suo pesante mantello d’orso.
“Avevi bisogno di qualcosa,
Eikhe?” le chiese, sorpreso di vederla sveglia.
Scrollando le spalle, la
ragazza mormorò mogia: “Non riuscivo a dormire, così ho pensato di aiutarti a
montare di guardia.”
“Mi spiace per quello che
hanno detto i miei uomini. Dovrei mettere un tappo in bocca a ciascuno di loro
ma, purtroppo, non ne ho qui con me” brontolò lui, accennando un mezzo sorriso
di contrizione.
“Non mi curo di ciò che dicono.
Le parole non uccidono nessuno e, a volte, io stessa faccio battute scadenti su
noi donne…” ironizzò lei, ammiccando. “…ma le Guardiane non la pensano così, e
preferirei stessero attenti a quel che buttano fuori da quelle fogne a cielo
aperto che sono le loro bocche”
“Glielo dirò…” assentì lui,
prima di domandarle: “…ma puoi spiegarmi perché hai detto che le avresti
attaccate? E cosa volevi dire, dicendo che loro odiano più noi uomini che voi
donne-lupo?”
“Siete sotto la mia protezione
perché io sono la vostra guida, e la mia parola è un impegno. Con tutto ciò che
essa comporta” sospirò lei, afflitta. “E, per quel che riguarda la mia
asserzione, significa che loro non sopportano quelle come me. Gli occhi gialli, per intenderci. Ci reputano delle… aberrazioni.
Non posso dirti altro, principe. Può bastare per sanare la tua curiosità?”
“Mi accontenterò” assentì
l’uomo, scrollando le spalle. “Il tuo mantello? Puoi raccontarmi dove l’hai
preso?”
Ringraziandolo mentalmente
per quel cambio di argomento, Eikhe disse: “Lo abbiamo catturato io e Nys, un
anno fa. Io sono tornata a casa con un braccio rotto, e Nys aveva graffi
ovunque, ma la pelle ce l’ho io, ora.”
“Eikhe, ma… quanto era
grosso?” esalò, sorpreso.
“Un po’…” borbottò,
pensierosa. “… ben più alto e grosso di te, comunque.”
“Mi stai dando dell’orso?”
ritorse lui, aggrottando la fronte.
“Forse sì” ammise la ragazza,
sorridendo sotto la coltre di pelliccia.
“Burlarsi del proprio
principe. Non sei molto educata” mugugnò, fingendosi offeso pur non essendolo.
Gli piaceva parlare con Eikhe, senza che vi fosse astio tra loro.
“No, forse non lo sono, ma a
mio padre sto bene così” sospirò infine la giovane, le palpebre ora pesanti per
il sonno.
“Tuo … padre? E Kaihle?”
“Lei? Forse solo il dio-lupo
sa cosa vorrebbe da me…” ridacchiò, prima di aggiungere: “… dimentica quel che
ho detto; è solo una sciocchezza infantile.”
“Come vuoi” mormorò Aken.
Rimasero in silenzio per diverso
tempo finché Aken, sbirciandola in viso, non la vide addormentarsi e crollare a
terra per la stanchezza.
Arrischiandosi a coprirla
per bene con il mantello, il principe scorse sui palmi delle mani di Eikhe i segni lasciati dalle sue
unghie.
Sorpreso, notò il sangue
rappreso dove si era lacerata la carne. Che cosa aveva trattenuto, per ferirsi
a quel modo?
***
La mattina venne ed Eikhe,
dopo aver lanciato uno sguardo al tempio del dio-lupo, riprese il cammino lungo
il sentiero senza dire una parola.
Gli occhi ambrati, vigili e
attenti al minimo cambio di luce, setacciavano ogni centimetro visibile del
bosco.
Dietro di lei, Aken si
chiese se la preoccupazione che aveva letto nei suoi occhi, la sera precedente,
fosse scemata.
Quando, però, la sentì
discutere con Rias, che si stava lagnando circa i disagi del viaggio, sorrise
più tranquillo.
Se non fosse stata
irascibile come suo solito, non avrebbe dato risposte così mordaci al suo
soldato.
Dopo quel momentaneo scoppio
d’ira tra i due, tornò il silenzio nella piccola compagnia guidata da Eikhe.
Più tranquilla, la ragazza
si concesse il lusso di estrarre da una sacca un pezzo di pelle, un ago e del
filo colorato, e iniziò a cucire seduta sulla sella.
“Ah, finalmente una cosa da
donne!” celiò Farall, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Lenar.
Eikhe neppure lo ascoltò e,
con occhio attento, si mise a ricamare la borsetta di pelle che stava
confezionando per la moglie di suo padre.
Il suo onomastico cadeva
nell’anno nuovo ma, per terminare quell’elaborato ricamo, sapeva che avrebbe
impiegato molto tempo.
Impegnata com’era con quella
missione, e con il ritiro delle prede dalle trappole - cui avrebbe dovuto
pensare al suo ritorno -, era meglio sfruttare ogni momento disponibile.
Curioso, Aken spronò il suo
cavallo per affiancarlo a quello della ragazza e, nello sbirciare il suo
elaborato ricamo, mormorò ammirato: “Ci perderai la vista.”
“Non corro questo rischio” dichiarò
lei, senza staccare gli occhi dal suo lavoro.
“Non dovresti guardare la
pista?”
“Kalkos sa quale strada
percorrere. E Nys è le mie orecchie e i miei occhi” gli spiegò pacata Eikhe.
“Ti fidi molto” asserì Aken,
continuando a scrutare il movimento ipnotico della mano di Eikhe. Era davvero
veloce, nel ricamare, oltre che molto brava.
Sollevando un momento lo
sguardo per puntarlo su Aken, lei domandò con semplicità: “Ti fidi dei tuoi
uomini, principe? Daresti in mano loro la tua vita?”
“Beh, sì, certo” ammise lui.
“Al pari tuo, io affiderei
la mia vita a loro due. Siamo cresciuti insieme, e il rapporto che ci lega è
più profondo di quanto tu non possa immaginare, principe. Questo ci porta a
pensare, prima di tutto, al benessere dell’altro prima che al nostro. Ciò fa di
loro i miei compagni, come i tuoi soldati sono i tuoi compagni d’arme” gli
spiegò Eikhe, tornando al suo lavoro di cucito. “In questo, noi due siamo
simili, principe.”
“Credo di sì” ammise Aken,
guardando Nys, intento ad annusare l’aria.
Il grande lupo si volse a
osservarlo per un momento poi, senza motivo apparente, trottò avanti per aprire
la pista, lasciando sola Eikhe insieme a loro.
Era più che evidente che Nys
non la volesse lasciare con loro, poiché non aveva idea di ciò che avrebbero
potuto farle.
In egual maniera, però, sapeva
di doversi spingere in avanscoperta per evitare loro dei guai.
Abbozzando un sorriso, Aken mormorò
spiacente: “Povero lupo; gli verrà un esaurimento nervoso, di questo passo.”
“Eh?” esalò Eikhe, sorpresa.
Guardandola un momento in
quegli enormi occhi dorati, Aken aggiunse: “E’ preoccupato per ciò che potremmo
farti in sua assenza, e non gli piace allontanarsi, anche se sa che deve
farlo.”
Sorridendo compiaciuta, lei
annuì e dichiarò: “Hai spirito di osservazione, principe, i miei complimenti.”
“Imparo molto, osservando” si
limitò a dire lui, scrollando un poco le spalle.
Eikhe emise una breve
risatina, dopodiché tornò a dedicarsi al suo ricamo.
Non avendo altro da dirle,
Aken osservò il bosco che li precedeva sapendo che, con Nys dinanzi a loro, non
correvano pericoli.
Curioso come, in pochi
giorni, fosse arrivato a fidarsi tanto di un lupo, eppure era così.
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Capitolo 5 *** cap.5 ***
Questo capitolo è un po’ triste, ma non si poteva evitare, vista l’avventura che attende Aken, Eikhe e Nys. Fatemi sapere che ne pensate! ^_^
5.
Imprecando vistosamente,
quando si trovò a fissare a occhi sgranati il fronte di una frana dalle
proporzioni enormi, Eikhe scese da cavallo, incredula e furiosa.
“Non è possibile! E’ a dir
poco senza senso!”
Imitandola, Aken la affiancò,
guardando amareggiato l’enorme distesa di massi sconnessi color grigio tortora
dinanzi a loro.
Pareva che i demoni stessi
si fossero divertiti a sparpagliare per il sentiero pezzi di roccia grandi come
palazzi.
“La nostra pista passava di
lì?”
“Purtroppo sì, e non
possiamo attraversarla. I cavalli si romperebbero le zampe, e non possiamo
raggiungere Anok Fort a piedi, in questa stagione” sbuffò Eikhe, camminando
pensierosamente avanti e indietro, cercando freneticamente di trovare una
soluzione a quel guaio colossale.
Lanciando sguardi alterni
alla sua compagnia e alla frana, Eikhe finì col dire dubbiosa: “Provo a
saggiare il terreno, ma non prometto nulla.”
“Che cosa?! Non se ne
parla!” esclamò Aken, bloccandola per un braccio.
Lei lo fissò astiosa per un
momento, prima di prendere un gran respiro per calmare i nervi e aggiungere:
“Non voglio lasciare nulla di intentato, prima di cercare un’altra via. E’
meglio.”
“Ti accompagno, allora”
brontolò il principe, deciso a non mollare.
Subito, Lenar si intromise.
“Vado io con lei, principe.”
Eikhe gli sorrise grata ma
Aken, scuotendo il capo, replicò: “Chi comanda, qui?”
La ragazza-lupo fece tanto
d’occhi e Lenar, annuendo, reclinò il capo con un cenno di assenso.
Slacciatosi in fretta la
spada, il principe dichiarò: “Bene, vedo che ci siamo capiti.”
Sollevando le braccia al
cielo, Eikhe esalò nuovamente a gran voce: “Non è possibile!”
Aken si limitò a ridacchiare
e, con passo cauto, cominciò ad arrampicarsi sui massi gelidi che, da pochi
giorni, avevano tagliato a metà il bosco.
Quell’inconveniente li
divideva dalla mulattiera che li avrebbe condotti al fiume Fenar e, da lì, alla
pista che conduceva ad Anok Fort.
Affrettandosi a seguirlo,
Eikhe ingiunse a Nys di non muoversi dopodiché, raggiunto il principe, borbottò:
“Non era necessario che venissi, principe.”
“La spedizione la comando
io, e non mi va che la mia guida rischi da sola” replicò lui, mostrandole un
mezzo sorriso da sopra la spalla.
“L’importante è che tu possa
dire di aver messo in chiaro la tua autorità con una donna” sbuffò per contro
la ragazza, accigliandosi.
“Piantala di lamentarti,
Eikhe, e cerca di capire se questi affari reggono” si limitò a dire lui,
indicando i macigni distribuiti in modo disordinato intorno a loro.
Le guglie della Valle del Silenzio
avevano fatto loro proprio un bel regalo, decidendo di crollare poco prima del
loro passaggio.
Mostrando i denti per la
rabbia e la frustrazione, Eikhe cominciò a guardarsi intorno con occhio
clinico, talvolta saltando a piè pari su alcuni massi, sempre sotto lo sguardo
vigile di Aken.
Per nulla al mondo, lui si
sarebbe perdonato se alla ragazza fosse capitato qualcosa di male.
Aggrottando la fronte a ogni
movimento pericoloso dei massi sotto di lei, Eikhe strillò di sorpresa quando
una lastra scivolò sotto di loro, minacciando di portarli a valle.
Senza pensarci, la ragazza
spinse via Aken al solo scopo di non farlo ruzzolare lungo la scarpata,
rimanendo però bloccata sulla roccia pericolante.
Aken crollò su un masso
vicino, stordito e sorpreso dal suo gesto e, guardandola scivolare insieme al
masso, gridò il suo nome, già prevedendo la sua misera fine.
Al colmo dello stupore,
però, la vide piegarsi su se stessa e balzare via con la stessa agilità e forza
che avrebbe impiegato lo stesso Nys, ricadendo incolume su un masso, poco più
in basso rispetto a lui.
Dietro la coltre di massi,
le grida concitate degli uomini dissero ad Aken che avevano udito i rumori
prodotti dalla lastra scivolata a valle.
Per rincuorarli, perciò,
gridò: “Tutto a posto! Stiamo bene!”
Voltandosi verso valle, poi,
si affrettò ad allungare una mano a Eikhe per aiutarla a risalire, fissandola
in viso con un’espressione molto simile all’ammirazione.
Avvedendosene, lei arrossì
leggermente e borbottò: “Scusa se ti ho spinto. Non ti ho fatto male, vero?”
“Non direi” scosse il capo,
sorridendole. “Fai onore al tuo nome. Non avevo mai visto un essere umano
muoversi con così tanta agilità. Evidentemente, stare tanto tempo nei boschi,
fortifica e rende abili.”
“Come? Oh, sì, … sì” annuì
in fretta lei, prima di sentenziare torva: “La pista non è praticabile,
comunque. Dovremo passare lungo il Cono del Silenzio.”
“Il che?” esalò il principe,
sorpreso.
Storcendo il naso, Eikhe mormorò
ombrosa: “Una pista che si trova a poche miglia da qui. E’ su un altro versante,
e non è stata sicuramente toccata dalla frana, ma non mi piace percorrerla.”
“E perché?” le chiese,
mentre tornavano sui loro passi.
“E’ pericolosa, maledettamente pericolosa. Le correnti
d’aria provenienti dal fiume, che scorre a un centinaio di metri sotto il
sentiero, impediscono l’uso dell’olfatto e dell’udito. Per questo, viene
chiamato Cono del Silenzio, perché nessuno può udire nulla, in mezzo a quel
caos di suoni” gli spiegò, fissandolo dubbiosa.
Eikhe si guardò intorno,
sempre più turbata e ansiosa, ma aggiunse: “E’ il luogo ideale per un agguato e
anche Nys sarà inutile, perché io non potrei udirlo, se anche andasse in
avanscoperta e mi segnalasse il pericolo.”
“Capisco” sospirò lui,
storcendo la bocca in una amara piega di disappunto.
“Per questo, ho preferito
allungare un po’ il tragitto e passare di qui, ma mi è andata male” sospirò a
sua volta Eikhe, fissandolo spiacente.
“Non è colpa tua. Hai
cercato di evitarci il maggior numero di guai, e te ne sono grato” disse
sinceramente Aken.
“E’ il mio compito” annuì semplicemente
la ragazza-lupo, scendendo d’un balzo dal muro della frana.
“Montate a cavallo, si torna
indietro. Imboccheremo un sentiero più pericoloso, ma è l’unico che ci rimane”
dichiarò Aken ai suoi uomini, mentre risaliva in sella al suo stallone.
I soldati annuirono con aria
grave ed Eikhe, rimessasi a capo del gruppo, li guidò lungo un sentiero
laterale.
In lontananza, il rombo
sordo e violento del fiume Fenar cominciò a farsi strada.
Eikhe sapeva bene che
procedere lungo quel sentiero poteva essere pericoloso, specialmente se
qualcuno aveva intenzione di tendere loro una trappola.
Non esisteva comunque altro
modo, per raggiungere la loro meta.
Avrebbero dovuto passare in
quella gola che le metteva i brividi, e la faceva sentire inutile e indifesa.
***
Il sole reclinò
all’orizzonte, tingendo le nevi dei Monti Urlanti con toni dell’amaranto e del
rosso, tanto da apparire come enormi laghi di sangue.
Il vento, che fino a quel
momento non avevano percepito perché in mezzo al bosco, cominciò a farsi
sentire prepotente, facendo agitare i mantelli e nitrire i cavalli per il
fastidio.
Il sentiero che stavano per
imboccare procedeva lungo il fianco sud di una valle ripida e stretta, chiamata
Valle del Silenzio.
Da essa, quella stretta
mulattiera aveva preso il suo sinistro nome.
Imboccarlo, e percorrerlo
per raggiungere Anok Fort, avrebbe richiesto molto meno tempo rispetto al
Sentiero dell’Orso, ma Eikhe odiava usarlo.
A causa della sua
pericolosità, preferiva evitarlo ogni volta che poteva, e anche questa volta non
fu diverso.
Dando delle pacche
consolatorie a Kalkos, Eikhe mormorò spiacente: “Non cambia mai, questo posto,
amico mio.”
Osservando le pareti a
strapiombo, che incombevano su di loro come zanne pronte a chiudersi in un
colpo solo, Aken osservò oltre la gola e dichiarò torvo: “Il confine con Vartas.”
“Già” annuì Eikhe,
guardandolo turbata. “Oltre quelle rocce adunche e quelle pinete impervie, si
può raggiungere uno dei loro punti di osservazione più sfruttati. Ogni tanto ci
vado, giusto per curiosare, ma è sempre ben presidiato. Poco più in là, verso
est, c’è il loro avamposto.”
Proseguendo al passo per non
far innervosire i cavalli - il sentiero era stretto e poco agevole - Eikhe e
gli altri avanzarono lungo la strada cercando di non lasciarsi distrarre dal
sibilo incostante del vento.
Al pari dei cavalli, Nys
tenne le orecchie basse per non lasciarsi ingannare dai rumori illusori portati
dalle raffiche provenienti da valle.
Un centinaio di metri più in
basso, graffiante e rabbioso, il Fenar ruggiva in quella gola stretta e
imponente, lanciando gridi disumani che avrebbero spaventato chiunque.
Anche i soldati valorosi a
cui si stava accompagnando Eikhe in quel momento.
L’umore di tutti non impiegò
molto per farsi più cupo finché, a un certo punto, Rias perse del tutto il
controllo.
Sbottando furioso, esclamò:
“Dove diavolo ci hai portato, strega?!”
Bloccando la cavalcatura,
Eikhe ringhiò da sopra una spalla: “Piantala di urlare, idiota! Peggiori solo
la situazione!”
“Smettila immediatamente,
Rias. Siamo stati debitamente avvertiti che sarebbe stato un percorso
disagevole” disse a sua volta Aken, tenendo a stento il suo cavallo che, al
grido di Rias, si era ulteriormente innervosito.
“Non mi interessa! Sono
stanco di ascoltare le parole di quella donna! Che se ne stia al suo posto, una
volta per tutte!” sibilò il soldato, scendendo da cavallo con aria bellicosa.
“Stupido” sussurrò Eikhe,
voltandogli le spalle con aria disgustata.
Lenar fu lesto ad allungare
un braccio per fermare Rias e, fissandolo malamente, gli intimò: “Smettila di
comportarti come un bambino! Non stiamo giocando!”
“Lo so perfettamente!”
esclamò Rias, estraendo un pugnale e allontanando con le minacce Lenar.
Aggrottando la fronte, Aken
ordinò perentorio: “Adesso basta. Hai esagerato. Rinfodera quel pugnale, se non
vuoi che mi arrabbi sul serio.”
Giunto al fianco del
principe, incurante degli sguardi di tutti e degli occhi socchiusi di Eikhe –
fissi su di lui con espressione meditabonda – Rias lo guardò con occhi
spiritati ed esclamò: “Lo farò subito!”
Detto ciò, senza alcun
preavviso da parte sua, Rias affondò il pugnale nel collo di Kalkos, portando
Eikhe a urlare rabbiosa mentre il cavallo, con un nitrito, crollava a terra in
fin di vita.
Assistendo alla scena,
impietrito dalla sorpresa, Aken non fece in tempo ad afferrare Eikhe e,
sgomento, la osservò cadere a terra prima di rendersi conto delle intenzioni di
Rias.
Nel momento stesso in cui lo
vide piegarsi in avanti con l’intento di aggredirla, si mosse veloce sulla
sella e lo gettò al suolo con uno spintone, gridando: “Non un passo di più,
folle! Uomini, bloccatelo!”
In fretta, Farall e Gar
scesero dai cavalli per bloccare Rias.
Volgendosi per aiutare Eikhe
ad alzarsi, Aken la vide portare mano alla daga, gli occhi iniettati di sangue
e i denti snudati, come in cerca di una preda da azzannare.
“Eikhe, aspetta, tocca a
me…” cominciò col dire lui, prima di veder crollare a terra uno dei suoi
uomini, colpito al petto da una freccia.
Sorpresa, Eikhe perse subito
di vista la sua vendetta e volse lesta lo sguardo in direzione delle guglie che
li circondavano.
Sgranando gli occhi, scorse
tra esse almeno una ventina di uomini armati fino ai denti, tra cui diversi
arcieri.
Strillando a pieni polmoni,
spinse Aken dietro il corpo ancora caldo di Kalkos e gridò: “Una ventina di
soldati! Sulle rocce!”
Annuendo in fretta, Aken
volse lo sguardo verso l’alto per scorgere la posizione dei loro nemici.
Già sul punto di richiamare
all’ordine i suoi soldati, dovette azzittirsi alla vista di altri armigeri
provenienti dalla strada che avevano appena percorso.
Li avevano accerchiati!
Le spade vennero sguainate,
ma il numero di nemici presenti, e le frecce che schizzavano da ogni dove,
volsero subito il risultato dello scontro a loro svantaggio.
Pur essendone consapevole, Aken
non volle neppure per un momento pensare alla resa.
Non gliel’avrebbero
concessa, poiché sapeva bene cosa i suoi nemici volevano in realtà; la sua
morte.
Cercando di difendersi come
meglio poté, del tutto impotente di fronte alla possibile morte dei suoi
uomini, Aken lanciò uno sguardo dietro di sé, cercando Eikhe.
Vedendola assieme a Nys, si
sentì stranamente sollevato, sapendola ancora viva.
Quel benessere, però, durò ben
poco perché, a peggiorare una situazione di per sé già disperata, arrivò anche
una persona che lui, purtroppo, conosceva fin troppo bene.
Fermando il cavallo a poca
distanza dai cadaveri dei soldati già caduti durante il primo scontro, il
principe Nargan di Vartas sollevò una mano per bloccare le ostilità.
Sorridendo lascivo ad Aken, esordì
dicendo: “Finalmente, il primogenito di Arkan è giunto a trovarmi. E’ da un po’
che ti cerco, sai?”
“Nargan. Davvero bello
scherzo, mi hai fatto. Se non sapessi che è impossibile, direi che la frana
l’hai fatta cadere tu” sbottò Aken, continuando a controllare le mosse del
nemico con la coda dell’occhio.
Osservando la strage di
uomini che lo circondava, Nargan dichiarò divertito: “Ti rimangono pochi
uomini, da quel che vedo e… ah, una donna-lupo. E della peggior specie,
oltretutto.”
Eikhe assottigliò le iridi
dorate, stringendo maggiormente la daga nel suo pugno e Nargan, sogghignando al
suo indirizzo, asserì: “Sììì,… riconosco quegli occhi di fuoco. Molte tue
compagne sono al mio servizio, cara… non vorresti seguire il loro esempio?”
“Non vendo me stessa a nessun
uomo, come a nessun principe o re” replicò Eikhe, rigida e fiera.
“Sì, dite sempre le stesse
cose ma, dopo un breve soggiorno presso le mie reali dimore, cambiate tutte
idea” sorrise mellifluo Nargan. “Cambierai anche tu.”
“Morirò, prima che tu possa
toccarmi” dichiarò la ragazza-lupo, guardandolo senza timore alcuno nello
sguardo.
Tornando a osservare Aken,
Nargan gli chiese con sincero interesse: “Hai già assaggiato la sua carne
succosa, Aken? Provala, ti saprà soddisfare. Se è come le sue sorelle, è
appetitosa come un frutto proibito.”
Assottigliando
pericolosamente le iridi dorate, Eikhe digrignò i denti e Nargan, leccandosi le
labbra come pregustando un pranzo prelibato, disse ghignante: “Sì, infuriati,
figlia sacra, sfoga la tua forza affinché io possa goderne. Mi saprai dare lo
stesso piacere che mi hanno dato le tue compagne del Valico, ne sono sicuro.”
“Maledetto!” ringhiò lei,
tremando di rabbia.
Ecco spiegato perché, al
Valico, non erano più presenti i branchi di lupi!
“Eikhe” mormorò Aken,
voltandosi a guardarla con occhi sgomenti.
Pallida in viso e tremante,
aveva lo stesso sguardo voglioso di sangue che il principe le aveva scorto
pochi giorni addietro, al tempio.
Cosa voleva dire, Nargan,
con quelle parole? Perché Eikhe doveva infuriarsi?
“Non userò la mia forza per
farti godere del massacro che compirei!” gridò infine lei, gettando a terra la
daga, e sorprendendo sia Nargan che Aken.
Tornando impassibile in
volto, il Signore di Vartas sollevò nuovamente il braccio e ordinò: “Uccideteli
tutti e prendete lei viva! La voglio per la mia collezione!”
Già pronta a dar battaglia,
Eikhe sentì Lenar gridare al suo indirizzo: “Eikhe, porta via di qui il
principe! Salvalo!”
“Ma che dici, Lenar!?”
ringhiò Aken, contrariato.
Spingendo indietro il
principe, Lenar si pose tra loro due e i nemici, ingiungendo: “Andate!”
Lanciato uno sguardo disperato
ad Aken, la ragazza lo prese per mano ed esclamò: “Seguimi, e non fare
domande!”
Dopo aver osservato per l’ultima
volta i suoi uomini, la seguì lontano dai combattimenti mentre le grida, dietro
di loro, riprendevano senza sosta.
Con gli occhi colmi di
lacrime, la ragazza-lupo cominciò a correre lungo il sentiero, tallonata da
Aken, che ancora la teneva per mano.
Non appena raggiunse un punto
lungo cui calarsi, lasciò andare il principe e cominciò a scendere, tenendosi
come meglio poté alle pareti di roccia.
Subito dubbioso, Aken la
seguì, pur gridandole: “Dove vai?! Non arriveremo da nessuna parte, così! E
dov’è Nys?! Non lo vedo da nessuna parte! Non possiamo abbandonare anche lui!”
“Fidati!” replicò soltanto
lei, lanciando occhiate nervose alla strada che correva sopra di loro.
Dovevano scendere il più
possibile prima di gettarsi, o sarebbero morti entrambi.
Mentre discendevano il più
velocemente possibile, lo scalpiccio del cavallo di Nargan giunse alle orecchie
di Eikhe, che si bloccò un momento prima di scorgere il viso ghignante
dell’uomo.
Dal sentiero, li stava
osservando divertito, già pronto a ballare sul cadavere di Aken prima di fare
fiero pasto di lei.
Non vedendo altre soluzioni,
Eikhe mormorò ad Aken: “In questo punto, il fiume è abbastanza profondo. Dobbiamo
lanciarci.”
“Che cosa? L’impatto con
l’acqua ci ucciderà!” esalò Aken, sorpreso e sgomento. “Se devo morire, meglio
con una spada in mano, al fianco dei miei uomini!”
“Non si sono sacrificati
perché tu morissi sulla spada di Nargan!” lo ingiuriò Eikhe, pur comprendendolo
benissimo.
Il pensiero di aver
abbandonato essa stessa la lotta, la faceva sentire malissimo, ma c’era molto
più che il suo orgoglio, in ballo.
C’era il destino del regno
intero, e lei doveva ricondurre Aken a Rajana, perché parlasse con il re suo
padre.
“Rimani stretto a me” aggiunse
quindi con minore acredine, prima di tornare a osservare Nargan e, a gran voce,
urlare: “Non avrai le nostre vite!”
Detto ciò, lasciò andare le
mani dalla roccia, tirandosi dietro anche Aken e, chiusi gli occhi, si strinse
a lui, mormorando spiacente: “Non c’era altro modo per salvarti, mi spiace.”
“Eikhe! Che vuoi dire?!” esalò
lui, osservando l’acqua farsi sempre più vicina.
Le ultime cose che rammentò
furono l’impatto con l’acqua e il sorriso di Eikhe.
***
Sputacchiando a più riprese
per poter respirare, Eikhe si guardò intorno con aria spaventata, prima di
rendersi conto di dove si trovasse.
Rammentando il volo
spaventoso che avevano fatto, la ragazza cercò con lo sguardo la figura di Aken.
Non trovandola in mezzo alle
rapide che li stavano spingendo a valle, cominciò a chiedersi se avesse
fallito.
Spinta dall’ira prodotta da
Nargan, Eikhe aveva sfruttato ogni più piccola cellula del suo corpo per
attutire il colpo ad Aken, ma non era certa di esservi riuscita.
Purtroppo, non rammentava
nulla dell’impatto con il fiume.
Chiamandolo a gran voce più
e più volte, Eikhe rinunciò ben presto a cercarlo a quel modo e, tuffandosi
sott’acqua, si guardò intorno a più riprese finché non lo trovò bloccato tra
due massi.
Apparentemente svenuto e con
la testa sanguinante, pareva sul punto di cedere alle rapide da un momento
all’altro.
Riemergendo, Eikhe fischiò
un paio di volte nella speranza di veder comparire Nys e, nell’udire il suo
ululato in risposta, sorrise sollevata e gridò: “Aiutami! Aken è bloccato
sott’acqua!”
Lasciate cadere le sacche
che teneva tra i denti, Nys si tuffò in acqua per raggiungere la padrona e,
insieme a lei, cominciò a strattonare Aken per liberarlo dalle rocce.
Se non lo avessero
trascinato via dal fondale, ogni speranza di salvarlo sarebbe stata vana.
Affondando i denti nella
cotta di maglie di ferro dell’uomo, Nys riuscì a tirarlo quel tanto da
permettere a Eikhe di liberarlo.
Una volta condottolo fino a
riva, il lupo si scrollò dall’acqua e osservò preoccupato la sua padrona
gettarsi a terra, esausta e piena di graffi.
Leccandole il viso, Nys si
sentì dire da un’esausta Eikhe: “Dobbiamo portarlo al sicuro. Non devono
trovarci, qualora decidessero di cercarci su questo lato della montagna.”
Il lupo annuì e, assieme
alla padrona, cominciò a trascinare Aken verso uno dei tanti rifugi che avevano
scoperto, nel corso degli anni, in quei luoghi.
Con non poca fatica, e
bloccando più e più volte i loro passi per la troppa stanchezza, riuscirono
infine a scomparire alla vista del
crinale, immergendosi in una macchia boschiva ai piedi del Valico di Kortoss.
Non appena raggiunsero la
grotta che, anni prima, aveva usato come riparo di emergenza durante una
tempesta di neve, Eike e Nys trascinarono all’interno Aken.
Lì, lo poggiarono contro una
parete di roccia ricoperta di licheni biancastri, finalmente liberi di
sospirare di sollievo.
Quel sollievo, però, durò
ben poco, quando Eikhe si rese conto dell’assoluta immobilità del suo principe.
Tremante di freddo, la
ragazza si affrettò ad accendere un fuoco di torba – che teneva sempre come
scorta di emergenza, nei suoi rifugi – dopodiché, senza ulteriori indugi,
cominciò a togliere gli abiti bagnati al principe.
Uno dopo l’altro, li stese
sulle rocce appresso al fuoco, che iniziò a sfrigolare, caldo e piacevole,
ammorbando l’aria di profumi intensi e speziati.
Indumento dopo indumento, il
rossore sul viso di Eikhe crebbe ma, troppo preoccupata per la vita di Aken, preferì
non pensare al proprio virginale pudore.
Lasciatolo con il solo
perizoma a coprirne le parti intime, cominciò a strofinarlo con le mani per
riattivarne la circolazione.
Spaventata quanto sollevata,
lo vide rabbrividire e, non potendo fare altro, in attesa che il fuoco
prendesse vigore, si sdraiò al suo fianco aderendo alla sua pelle gelata con il
suo corpo più caldo.
Fatto ciò, avvolse entrambi
con il suo mantello di pelle d’orso, lo abbracciò e mormorò sentitamente: “Ti
prego, Aken, devi vivere,… non abbandonare la lotta proprio ora!”
Sfregando le mani sul suo
petto, Eikhe si rivolse poi al suo lupo, dicendo: “Nys, sdraiati al suo fianco;
ha bisogno anche del tuo calore.”
Il lupo annuì ed Eikhe,
ormai al limite del crollo fisico, ma decisa a salvarlo, continuò a massaggiare
il suo corpo possente mentre, a stento trattenute, calde lacrime le pungevano
gli occhi dorati.
***
La prima cosa che avvertì al
suo risveglio, fu il dolce profumo del miele caldo.
Sorridendo placido, avvertì
la morbidezza inconfondibile di un seno, premuto contro di lui.
Ridestandosi lentamente da
quel meraviglioso torpore che lo avvolgeva, Aken si volse a mezzo, attirando
più vicino la donna che aveva al fianco.
Affondando il viso tra i
suoi morbidi capelli, avanzò con la mano lungo una coscia tornita fino a
raggiungere la curva soda del fondoschiena.
Lì, con sua somma sorpresa,
sentì le piccole mani della ragazza spingerlo via e una voce, vagamente
ironica, domandare: “Cosa pensi di fare, principe?”
Spalancando di colpo gli
occhi nel riconoscere quella voce venata di spirito, Aken fissò senza parole il
viso di Eikhe.
Con un piccolo sorriso
malizioso stampato sul viso stanco, si appoggiò su un gomito per guardarlo
curiosa e aggiungere: “A cosa pensavi, di preciso?”
Scostandosi un poco da lei,
più che mai confuso, si accorse di avere il petto nudo e di essere coperto dal
pesante mantello di pelle d’orso della ragazza.
Sgranando ancor di più gli occhi,
vide i suoi abiti stesi ad asciugare sopra a un mucchio di torba fumante.
Ma che diavolo era successo?
Dubbioso, controllò sotto il
mantello e, notando solo il suo perizoma a offrirgli ben poca copertura, la
fissò malamente e borbottò: “Mi spieghi che è successo?”
Facendo spallucce, Eikhe si
limitò a dire: “Quando siamo finiti nel fiume, tu hai battuto la testa contro
un sasso e sei svenuto. Quando me ne sono accorta, ho cercato di tirarti fuori
dall’acqua, ma la tua cotta di maglia ti stava portando a fondo, così ho
chiamato Nys per aiutarmi.”
“Nys? Si è salvato?” esalò
il principe, guardandosi intorno con aria eccitata.
Nonostante tutto, quella
notizia lo confortava più di quanto avrebbe mai detto solo a pochi giorni
addietro.
“L‘ho fatto allontanare
dalla battaglia. Ai soldati di Nargan non interessava nulla di lui, per cui non
l’hanno neppure degnato di uno sguardo” spiegò succintamente lei, grattandosi
un taglietto sullo zigomo in via di guarigione.
Aken lo guardò sospettoso.
Come poteva essere la sua unica ferita, visto il volo che avevano fatto?
E come aveva fatto, lui, a non farsi praticamente nulla, a
parte il bernoccolo che aveva in fronte?
“Bene o male, siamo riusciti
a tirarti fuori e, per maggiore sicurezza, ti abbiamo portato fino a questa
grotta, dove ho potuto curarti la ferita. A quel punto, ti ho spogliato perché
eri bagnato fradicio, e rischiavi l’assideramento, se non avessi fatto così. Alla
fine, ho dormito accanto a te per scaldarti, visto che tremavi come una foglia.
Temevo ti fosse venuta la febbre.”
Guardandola in viso, i suoi
occhi sinceri intenti a osservarlo tranquilla e la bella bocca atteggiata a un
sorriso, Aken si sentì in dovere di
dire: “Mi hai salvato la vita, …grazie.”
“Dovere, principe…” poi,
sogghignando maliziosa, aggiunse: “… era la prima volta che spogliavo un uomo, o
che dormivo con lui, se è per questo.”
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Aken allora le chiese: “E lo spettacolo è stato di tuo gradimento?”
“Credo di sì. Non avevo mai
visto un uomo senza abiti, ma devo dire che non mi dispiace” replicò con
naturalezza lei, stupendolo.
Non c’era traccia di malizia
nella sua risposta, si era semplicemente limitata a dire quello che pensava e,
per lui, era già una bella novità.
La schiettezza di questa
ragazza cominciava davvero a piacergli.
Appoggiandosi su un gomito, il
principe lanciò un’occhiata ai suoi abiti e le domandò: “Pensi saranno
asciutti, ormai?”
“Controllo subito” disse
lei, uscendo dal caldo giaciglio.
Con non poco disappunto,
Aken notò la sua tunica di pelle e, non sapendo trattenere il disappunto,
borbottò: “Tu, perché hai gli abiti asciutti?”
Ridendo nel tastare quelli
di Aken, la ragazza indicò le sacche a terra e disse: “Nys ha preso con sé le
sacche del cavallo, prima di fuggire, così avevo il mio cambio a disposizione.”
“Ah” commentò torvo Aken.
“Ti dispiace non avermi
visto senza abiti, principe?” sorrise lei, voltandosi a mezzo.
“Non prendermi per un
maniaco, ragazzina” brontolò per contro
il principe, pur sapendo che in parte era vero.
“Sei offeso perché ti ho
spogliato? L’ho fatto solo per salvarti la vita, principe” esalò a quel punto
Eikhe, sinceramente sorpresa e amareggiata. “Non devi pensare che l’abbia fatto
per secondi fini.”
Vedendola così preoccupata,
Aken si diede dello stupido per aver parlato a quel modo e, fattole cenno di
avvicinarsi, le disse: “Coraggio, torna qua sotto, fa sicuramente più caldo.”
Lei annuì dubbiosa e,
guardandolo in viso nell’infilarsi sotto il morbido mantello, gli chiese: “Sei
arrabbiato, principe?”
“Eikhe, puoi chiamarmi Aken,
non ci sono problemi…” asserì lui, quieto. “… e non sono arrabbiato, né ho
pensato male di te. So che non sei capace di concepire un pensiero così
meschino.”
Lei tornò subito a sorridere
e dichiarò: “Grazie per aver notato che non sono come Tyura.”
“Tua sorella?” esalò lui,
ricordando la formosa ragazza che si era presentata al fianco di Kaihle.
“Perché dici così?”
Sbuffando, Eikhe borbottò:
“Lei è fissata con gli uomini, ne fa un’autentica malattia. Nostra madre le ha
detto che, finché non avrà compreso il reale motivo che deve spingerci tra le
braccia di un uomo, non le consentirà di scendere a valle. Ma io so che c’è già
stata. A lei interessa solo l’aspetto carnale del rapporto tra un uomo e una
donna, non pensa a quello che potrebbe succedere durante quell’unione.”
“E cioè?”
“Creare una nuova vita”
spiegò lei, pacata, giocherellando con una ciocca dei capelli ramati. “Sai che
non viviamo con gli uomini con cui dividiamo il letto, ma forse non sai il
perché.”
“In effetti” ammise lui,
mettendosi comodo per ascoltarla.
Aveva un che di rilassante,
il tono della sua voce.
“Vedi, mia madre me lo ha
spiegato. Mi ha detto che noi viviamo da sole, indipendenti dall’uomo, perché
così possiamo esprimere noi stesse in ogni cosa, e che non potremmo farlo
seguendo le leggi che vigono nel mondo dei maschi. Quando decidiamo di unirci a
uno di loro, quindi, lo facciamo
consapevolmente, e pronte ad accogliere la nuova vita che, da quell’unione,
potrebbe nascere. Sappiamo comunque, fin dall’inizio, che non potrà mai esserci
un vero legame con coloro che condividono con noi l’atto in sé” gli spiegò
Eikhe, guardandolo a intervalli regolari. “Non può esistere amore tra uomo e
donna.”
“E se nasce un maschio?”
“Torna con il padre dopo
essere stato svezzato. Gli uomini con cui si sono sempre unite le mie sorelle,
erano consapevoli della cosa” spiegò lei con tranquillità. “Loro avrebbero
avuto la possibilità di avere un erede, e noi avremmo avuto la possibilità di
generare una nuova sorella.”
“E tu?”
“Io, cosa?”
“Sei contenta di vivere
lontano da tuo padre?”
“Lo vedo piuttosto spesso,
in effetti. Lui fa il conciatore giù a Marhna, e io passo a trovarlo in
laboratorio” ammise la ragazza, volgendosi
prona e appoggiando i gomiti a terra. “Sua moglie mi detesta, ma le piacciono
le pelli che ogni tanto le regalo, così abbiamo il tacito accordo che, se io
voglio vedere mio padre, lo vado a trovare dove lavora, e non a casa.”
“Oh,… gelosa di tua madre?”
“Non so, forse odia quello
che sono. E anche il mio fratellastro. Dice che sono un’incivile e una
aberrazione della natura” dichiarò Eikhe, con un risolino. “Ma mio padre non la
pensa così, ed è contento di vedermi. E poi, il mio fratellastro ha solo dieci
anni, per cui posso anche perdonarlo.”
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Aken le chiese: “Non hai mai pensato di farla pagare al tuo
fratellastro?”
“A Konis? No! Non ne vale la
pena. C’è aria nella sua testa, e non capirebbe nulla neppure se gliela
rompessi. Sono convinta che, quando crescerà, migliorerà un poco. Deve pur aver
preso qualcosa da nostro padre… spero” ridacchiò lei, prima di chiedere. “E tu?
Hai un fratello simile?”
“No, Ruak è un ragazzo
gentile e onesto, e gli voglio bene. Ma mia sorella Melantha è come tuo
fratello. Ci siamo odiati a prima vista, per così dire” le spiegò Aken, ridendo
suo malgrado.
“Forse, è anche per questo
che nacquero le nostre tribù. Per permettere alle donne libere di pensiero di
poter vivere lontane dal giogo dell’uomo” pensò ad alta voce Eikhe,
sorprendendolo. “Noi ragioniamo con la nostra testa, non pensiamo solo a
ubbidire ciecamente agli ordini degli uomini, quindi non diventiamo così
rimbambite come le donne di paese che, invece, ho conosciuto finora.”
A quel punto, Aken rise di
gusto ed Eikhe, guardandolo dubbiosa, esalò: “Beh? Che hai?”
“Niente. Pensavo a quello
che hai detto…” ridacchiò lui, asciugandosi lacrime di ilarità. “…e la cosa mi
ha fatto pensare. Credi davvero che gli uomini siano solo capaci di dare
ordini?”
“Tu cos’hai fatto, fin da
quando abbiamo intrapreso questo viaggio?” precisò lei, rammentando le
reprimende dei primi giorni.
“Beh, pensavo avessi bisogno
di una mano, e…” cercò di giustificarsi lui. “… insomma, sei solo una bambina e
allora…”
“Una bambina?!” esclamò lei,
sbottando. “Prima non mi sembrava fossi di quell’avviso!”
Arrossendo suo malgrado,
Aken borbottò: “Mi scuso per prima, Eikhe, ma non ero del tutto cosciente e
pensavo che…”
“Sì, pensavi che ci fosse
una prostituta, al tuo fianco” lo rabberciò lei, torva.
“Non frequento prostitute,
fino a prova contraria. Inoltre, cos’avrei dovuto pensare, scusami?!” protestò
Aken, iniziando a irritarsi. Possibile che non lo capisse?
“Nulla, forse. O forse, che qualcuno stava
solo aiutandoti a scaldarti” precisò lei, irrigidendosi non poco.
“Non lo si fa molto spesso,
Eikhe, ricordalo. Almeno, non da noi!”
“Maledizione, testone che
non sei altro! In che altro modo avrei dovuto fare, visto che stavi
congelando?! Ti ho asciugato come meglio ho potuto, ma non è servito a niente,
e così ho dovuto usare questo metodo!” urlò a quel punto la ragazza-lupo,
scagliandosi contro di lui verbalmente.
“D’accordo, scusami, sono io
che ho pensato male, non tu ad aver agito in maniera scorretta” asserì allora
Aken, sfiorandole una spalla con la mano con fare conciliante.
Lei, però, se la scrollò di
dosso, alzandosi in tutta fretta e, livida in viso, dichiarò aspra: “Sarai un
principe di nascita, Aken, ma sei solo un maledetto cafone, come tutti gli
uomini!”
“Eikhe, ti ho detto che mi
spiace!” le gridò dietro lui.
“E pensi che io sia così
sciocca da accettare le tue scuse, solo perché mi hai sorriso e mi hai parlato
gentilmente?!” esplose lei, estraendo un pugnale dal suo stivale di pelle.
“Che vuoi fare?” le chiese
un po’ teso.
Grugnendo, la ragazza-lupo lo
fissò disgustata e, nell’uscire dalla caverna, borbottò: “Vado ad aiutare Nys a
cacciare un bufalo!”
“Eikhe, aspetta!” esclamò
lui, inutilmente. “E bravo idiota. Ormai dovresti averlo capito che non è come
le donne che conosci.”
Guardandosi la mano che
l’aveva sfiorata in maniera così intima, Aken sentì un profondo desiderio
nascergli all’altezza dei lombi e, buttandosi a terra, grugnì esasperato.
“Per tutti gli dèi! E’ solo
una ragazzina!”
***
Risvegliandosi di
soprassalto quando udì l’uggiolio di Nys nei pressi dell’entrata, Aken fissò
costernato Eikhe che, a fatica, stava portando la carcassa di un bufalo morto
all’interno della grotta.
Sistematolo poi in un
piccolo anfratto laterale, la guardò buttarsi a terra stremata mentre Nys,
premuroso, le leccava il viso per confortarla.
Chiedendosene il motivo,
Aken si affrettò a uscire dal suo giaciglio per indossare almeno le brache.
Avvicinatosi alla ragazza,
notò con disappunto che, sulla coscia destra di Eikhe, un profondo squarcio ne
segnava le carni.
Preoccupandosi immediatamente,
Aken fece per avvicinarsi ma Nys, ringhiandogli contro, si mise tra lui e la
sua padrona, ben deciso a tenerlo lontano.
Il principe, contrariato, lo
rabberciò in malo modo.
“Piantala di essere così
geloso di lei. Devo curarle la ferita!”
Ansando, Eikhe mormorò
stanca: “Lascialo fare, Nys. Non riuscirei a farlo da sola.”
Nys abbassò le orecchie e lo
lasciò passare, pur se controvoglia.
Presala in braccio, a quel
punto, Aken la scortò vicino alla torba fumante e chiese alla ragazza: “Cos’è
successo?”
“Mi ha caricata” rispose
concisa lei, il respiro reso fiacco dalla stanchezza.
“Spostarsi era da codardi?”
replicò lui, sollevando un sopracciglio con ironia.
“Non ho più la daga, con me.
Dovevo per forza usare il coltello, e così…”
Spalancando lentamente gli
occhi quando si rese conto di quello che aveva fatto, Aken esalò turbato: “Ma
perché rischiare tanto?”
“Hai bisogno di abiti più
pesanti, o morirai. I tuoi vestiti sono rimasti ai nostri nemici, e io devo
fartene degli altri” si limitò a dire Eikhe, ansimando per il dolore alla
gamba.
Avvedendosi del suo pallore,
Aken perse di vista ogni cosa tranne la sua ferita e, affrettandosi a ripulirla
con un pannetto, le domandò lesto: “Qui c’è bisogno di qualche punto… hai con
te un ago?”
Annuendo, lei gli indicò una
delle sacche posate contro il muro di roccia.
Cominciando a guardarvi
dentro, Aken trovò il necessario contenuto in un sacchetto di pelle.
In fretta, lo prese insieme
a una ciotola per l’acqua e al suo coltello.
Guardandola per un momento,
indeciso sul da farsi, ammise con una certa preoccupazione: “Ti farà molto
male, Eikhe.”
“Non voglio morire
dissanguata. Fai quello che devi fare” disse per contro lei, fissando rabbiosa
la ferita.
“Metti questa tra i denti”
diciarò allora lui, allungandole un pezzo di carne secca. “E avvertimi, se non
ce la fai.”
Lei si limitò ad annuire e
Nys, sedendole accanto, poggiò il muso vicino al suo braccio.
Sorridendogli grata, Eikhe mormorò
al suo lupo: “Il principe sa il fatto suo, tranquillo. Mi guarirà.”
Allontanatosi un momento,
Aken tornò con una manciata di neve in mano e, poggiandola sulla gamba ferita,
disse: “Serve a desensibilizzarla.”
Lei annuì, stringendo i
denti per il gran male.
Cominciando a ricucire la
ferita, Aken si stupì enormemente della grande forza insita in quella ragazza
che, stoicamente, resistette all’intero intervento senza mai chiedergli di
fermarsi.
Mai una volta emise un solo
grido di dolore.
Sul suo viso notò più che
evidenti i segni della sofferenza, accentuati dalle lacrime che le colavano sulle
gote rosse, ma Aken non udì mai la sua voce.
Quando infine terminò
l’operazione, prese a fasciarle la gamba strettamente, asserendo: “Sei stata
bravissima, Eikhe. Meglio di tanti uomini che conosco.”
Lei non disse nulla e,
quando Aken terminò di bendarla, la vide crollare sulla pelle d’orso, scossa da
singhiozzi ora non più trattenuti.
Subito, il principe le fu
accanto, attirandosela vicino ed Eikhe, scoppiando in un pianto dirotto, pianse
contro il suo torace nudo fino a che non fu troppo esausta anche per
singhiozzare.
Carezzandole i fini capelli
biondo ramati, Aken mormorò dolcemente: “Ora va meglio, vero? Non devi
vergognarti di dimostrare il tuo dolore.”
Sempre contro di lui, Eikhe sussurrò
preoccupata: “Rimarrà una brutta cicatrice, vero?”
“Ho ricucito il più
sottilmente possibile, quindi dovrebbe diventare quasi invisibile” precisò lui,
sorridendo leggermente.
In fondo, era una ragazza
fin nel midollo anche lei, e certe cose la preoccupavano esattamente come le
altre.
Lei tirò su col naso e si asciugò
gli occhi col dorso della mano e, nello scostarsi da lui, disse: “Grazie,
Aken.”
“Di nulla,… te lo dovevo,
no?” sorrise lui, guardando poi Nys. “Ce l’ha ancora con me?”
“No, non più” sorrise la
ragazza-lupo, accarezzando il pelo morbido di Nys. “Ora, sa che non sei
malvagio, e che non mi farai del male.”
“Bene, non ci tenevo a
ritrovarmi con il sedere punzonato dai suoi denti” commentò lui, facendola
scoppiare a ridere.
Gradendo molto vederla
nuovamente tranquilla, nonostante sapesse che la ferita doveva farle ancora
molto male, Aken dichiarò: “Ora finisco di vestirmi. L’aria comincia a essere
fredda.”
“Si avvicina la notte” annuì
lei.
“Quanto tempo ti ci vorrà
per confezionare i vestiti?” le chiese, infilandosi la blusa di lana.
“Una settimana. La pelle
deve asciugare bene, o sarai una calamita per i predatori. Dopodiché, in una
giornata al massimo, la cucirò sulla tua tunica” spiegò lei, cominciando a
mangiare un po’ di carne secca.
“Speriamo che regga il
tempo” sospirò il principe, allacciando gli alamari della tunica.
“Dovrebbe. Una volta che
potremo muoverci, ci avvieremo verso il valico di Kortoss, che si trova nei
pressi del Monte Ruona e, da lì, prenderemo il sentiero verso Anarsis.
Seguiremo il fiume Fenar fino a raggiungere una delle tribù dei Koirant che sorgono lungo il suo percorso, e
lì baratteremo qualcosa in cambio di una canoa” gli spiegò per sommi capi il
suo piano, tracciando dei simboli sulla terra smossa della caverna.
“Intendi proseguire via
fiume?” esalò lui, incredulo.
“Fino alle cascate, almeno.
Da lì in poi, prenderemo un paio di cavalli. Saremo vicino alla capitale e lì,
tutti ti conoscono. Non avremo problemi a farci fare un prestito” borbottò,
aggrottando un poco la fronte. “Il problema lo avremo all’inizio. Il valico è
spesso controllato, quindi dovremo essere cauti.”
“Come sai queste cose?” le
domandò a quel punto, incuriosito da tanto sapere.
“Sono una cacciatrice, Aken.
E’ normale che conosca questi posti. Ho un bel gruzzolo, da parte, con tutte le
pellicce che ho venduto finora” sorrise lei, divertita.
“Non finirai mai di sorprendermi”
commentò il principe, con un bel sorriso sul volto ruvido di barba.
Lei sorrise di rimando e
disse: “Ci conto.”
“Dispettosa” rise lui, prima
di guardare Nys e chiedere: “Come può esserti così fedele? In fondo, il lupo è
un animale selvatico.”
“Nys è nato nel villaggio. E
io mi sono presa cura di lui. E’ così che instauriamo un rapporto simbiotico
con loro. Esattamente come con i cavalli” ammise, carezzando il pelo nero del
lupo al suo fianco, che le stava leccando la coscia appena sotto la fasciatura.
“Ho imparato così a capire cosa mi dice. Dopo un po’, è abbastanza semplice.
Hanno un vocabolario piuttosto variegato, ma comprensibile.”
“Quindi…non è…” borbottò
lui, sfiorandosi la testa con un dito.
Ridendo suo malgrado, Eikhe esalò:
“Davvero si pensa questo, di noi? No, non usiamo la telepatia. Non so nemmeno
se esista. Impariamo solo a capire cosa dicono… un po’ complesso, ma non
impossibile.”
“E’ più di quanto riuscirei
a fare io. Non ho mai avuto molta pazienza nell’imparare le cose” ammise lui,
con un risolino.
“Non ti piaceva studiare?”
chiese lei, sorpresa.
“Oh, tattica militare, sì. E
anche astronomia e fisica, ma non parlarmi di musica, o di poesia. Sono una
vera schiappa” ammise, storcendo il naso. “Non sono mai stato quello che si
dice una persona elegante, o di classe.”
“Conosci il corso le
stelle?” esalò però lei, sorpresa e affascinata.
“Sì, quasi tutte, per la
verità. Perché?”
“Io ne ho sempre e solo
conosciuto alcune, e solo per capire quale fosse la mia posizione, ma mi
piacerebbe imparare a conoscere come si chiamano le altre costellazioni. Puoi
farmele vedere?” gli domandò, sorridendo speranzosa.
Lui annuì, indicandole di
uscire e, avvolgendo entrambi nel mantello di Eikhe, le indicò un masso vicino
su cui sedersi.
Guardando verso l’alto, al
cielo punteggiato di piccole lacrime d’argento, le sussurrò: “Vedi quella
stella brillante, a nord?”
“Sì, la conosco. Uso quella,
per orientarmi. E’ la Veneranda, vero?” annuì lei, lanciandogli un breve
sorriso.
“Esatto. Ma forse non sai
che fa parte di una costellazione chiamata Centauro” le spiegò allora lui,
indicandole un disegno immaginario nel cielo. “Vedi, se segui quelle sette
stelle, formano il corpo del mitico animale.”
“E’ vero!” esalò Eikhe,
sorridendogli maggiormente.
Soddisfatto per averla fatta
sorridere, Aken continuò nella sua lezione di astronomia.
“Più a destra, quella grande
U formata da cinque stelle, si chiama Giara. E più a sud, quel lungo serpentone
di stelle, rappresenta il Drago.”
Poggiandosi distrattamente a
lui sotto il pesante mantello di pelliccia, Eikhe sospirò estasiata.
Osservandone il viso sereno
e gli occhi brillanti, Aken fu tentato di stringersela al fianco ma, ben
sapendo che l’avrebbe quanto meno spaventata, si limitò a lasciarla in quella
posizione.
Con calma, perciò, continuò
la sua dissertazione.
Nys, che li osservava
guardingo, uggiolò sorpreso quando vide il capo di Eikhe ciondolare e Aken,
sorprendendosi, la osservò mentre cedeva al sonno e alla stanchezza,
addormentandosi contro di lui.
Sorridendo comprensivo, la
sollevò delicatamente in braccio e, sotto lo sguardo attento del lupo, la
riportò nella grotta, dove la stese sul loro pagliericcio improvvisato e la
coprì con il largo mantello.
Subito, Nys si accucciò al
suo fianco per scaldarla e Aken, sdraiandosi dietro di lei, la avvolse con il
suo braccio, dicendo al lupo: “E’ solo per tenerla al caldo, è chiaro?”
Il lupo lo fissò con i suoi
occhi gialli per qualche attimo, prima di annuire con il muso.
Appoggiato il capo sulla
sacca di pelle che fungeva anche da cuscino, Aken inspirò il dolce profumo di
miele dei capelli di Eikhe e, poco dopo, si addormentò a sua volta.
***
La mattina seguente li vide
ancora in quella posizione ed Eikhe, svegliandosi per prima, si stiracchiò
leggermente prima di accorgersi di essere letteralmente inglobata in un’alcova
calda e accogliente.
Sorridente, strinse a sé per
un attimo Nys, baciandogli il musetto peloso e ricevendo in cambio una leccata
sul viso.
Voltandosi poi verso Aken,
ancora addormentato, scostò il suo braccio robusto e si alzò in silenzio per
preparare la colazione.
Aveva dormito benissimo,
avvolta in quel caldo bozzolo, e non poteva certo dire che Aken si fosse
comportato male con lei, nonostante all’inizio l’avesse giudicata solo una
mocciosa.
Era stato veloce ed
efficiente nel sistemarle la ferita, e prodigo di attenzioni nel cercare di
distrarla dal dolore.
Sì, era una brava persona,
sebbene ogni tanto fosse un po’ rozzo.
Ravvivate le braci con nuova
torba e qualche rametto secco che era riuscita a trovare il giorno precedente,
Eikhe mise a scaldare un po’ della carne ormai frollata del bufalo.
Estratto poi dalla sua sacca
il contenitore del miele, lo avvicinò al fuoco perché riprendesse la sua forma liquida.
Il profumo della carne cotta
portò Aken a svegliarsi dopo poco.
Sollevandosi a mezzo, il
principe guardò curioso Eikhe, intenta a spezzare delle gallette e ricoprirle
di miele alle nocciole e, sorridendo, mormorò: “Buongiorno. Sei mattiniera, a
quanto vedo.”
Voltandosi a mezzo, lei
sorrise di rimando, dicendo: “Buongiorno, principe. Sì, non dormo mai molto.”
“La gamba, come va?” le
chiese, alzandosi per raggiungerla.
“Meglio, quasi non la sento”
asserì la ragazza, allungandogli una galletta col miele.
Addentandola, il principe ne
gustò il dolce sapore ed esalò compiaciuto: “Dovrò dire alla mia cuoca di
preparare il miele così. E’ ottimo.”
Ridacchiando suo malgrado,
Eikhe disse: “Non è difficile da fare, deve solo mettere in un mortaio le
nocciole e triturarle, poi le mescola con il miele, e il gioco è fatto.”
Vedendo Nys cibarsi a sua
volta di gallette, Aken dichiarò: “Piacciono anche a lui.”
“Preferirebbe cibarsi solo
di carne, ma sa di avere bisogno anche degli zuccheri del miele, visto quello
che dovremo fare tra qui e una settimana” ammise Eikhe, guardando amorevolmente
il suo lupo.
Arrischiandosi ad avvicinare
la mano a Nys, Aken chiese dubbioso: “Posso accarezzarlo?”
“Nys?” disse allora Eikhe,
guardando gli occhi dorati dell’animale.
Nys fissò per un momento gli
occhi smeraldini di Aken, prima di appoggiare la testa a terra e tirare in
avanti le orecchie.
Sentendosi invitato a
procedere, Aken passò la grande mano sul pelo morbido del lupo, sorrise e mormorò:
“Sei proprio un bravo lupo, sai?”
Continuando così per un po’,
il principe si spinse a grattare dietro le orecchie di Nys e il lupo, tirando
fuori la lingua, fece sorridere divertita Eikhe, che disse a un curioso
principe: “E’ contento. Non riesce mai a grattarsi bene, in quel punto.”
“Felice di essere stato
d’aiuto” commentò allora Aken.
***
Osservando il fiume insieme
ad Aken, Eikhe sospirò e disse: “Sono tornata a controllare, subito dopo essere
stata certa delle tue condizioni, ma non ho trovato nessuno. Mi spiace.”
Sospirando a sua volta, Aken
si piegò sulle ginocchia e, con aria assente, osservò il turbinare delle acque
del Fenar senza dire nulla.
I suoi uomini, i suoi
compagni erano morti per salvarlo e ora, per portare a termine la missione,
rimanevano solo loro due e un lupo.
“Ho fallito” ansò, il capo
reclinato in avanti.
Chinandosi al suo fianco,
Eikhe scosse il capo e replicò: “Non è vero, Aken. I tuoi uomini si sono
sacrificati per permetterti di avvertire tutto il tuo popolo, quindi non
pensare di aver mancato ai tuoi doveri. In casi come questo, era l’unica
soluzione.”
“Ma loro avevano lo stesso
mio diritto di vivere, Eikhe!” esclamò lui, alzandosi di scatto.
I suoi occhi verdi
scintillavano di ira e rancore ed Eikhe, sorpresa da quelle parole, gli sentì ringhiare
con frustrazione: “L’essere un principe mi rende davvero così speciale?!
Dimmelo!”
Alzandosi a sua volta, Eikhe
disse soltanto: “Sei un uomo di carne e sangue come loro, ma tu hai un compito
che nessuno di noi potrà mai portare sulle spalle… il Regno. Tu sei il Regno, Aken di Rajana, che ti
piaccia o no, e tuo compito primo è quello di difenderlo. Esattamente come io
difenderei mia madre e il villaggio, perché è mio dovere.”
“Dovere…” sbuffò lui,
voltandole le spalle. “… a volte, ne ho piene le scatole di sentirmi così… speciale.”
Reclinando il capo, Eikhe mormorò:
“Lo so, anche troppo bene.”
Voltandosi a guardarla, il
viso atteggiato a una profonda tristezza, Aken non se la sentì di proseguire
nella sua arringa e, con un sospiro, le domandò: “Ti spiace se intono una
preghiera per loro… da solo?”
Lei scosse il capo e disse:
“No, capisco il tuo bisogno di solitudine. Rimani pure, ma non tardare. Io ti
aspetterò alla grotta.”
Lui annuì e, non appena la
sentì lontana, si concesse il lusso di piangere. |
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Capitolo 6 *** cap.6 ***
6.
Dopo avere steso ad
asciugare al sole la pelliccia di bufalo, Eikhe se ne tornò nella grotta per
riposare la gamba ferita.
Notando il suo pallore e il
sudore della sua fronte, Aken le ordinò perentorio: “Siediti; devo controllare
la ferita.”
“Posso farlo da sola, non devi
disturbarti” replicò lei, scrollando le spalle con fare noncurante.
“Sono il tuo principe, e
devi obbedirmi” ribatté allora lui, sorridendo divertito nel notare le sue
sopracciglia aggrottarsi leggermente.
Senza preoccuparsi del suo
titolo nobiliare, Eikhe gli fece la linguaccia e Aken, ridendo, mise mano alle
bende.
Dopo averle sciolte, facendo
attenzione a non farle male, il principe controllò scrupolosamente il taglio
ricucito tastandolo con dita esperte.
Eikhe, nel frattempo, lo
studiò durante il suo attento esame e gli chiese curiosa: “Hai curato molti
feriti, principe?”
“Diversi, in effetti. E con
tagli peggiori del tuo, se devo essere sincero. Una volta, ho dovuto amputare
un braccio a un amico, e non ho gradito molto la cosa” le spiegò, spalmando
sulla ferita del grasso che aveva trovato dentro la sacca di Eikhe. “Questo impedirà
alla pelle di screpolarsi.”
Fasciata nuovamente la
ferita, Aken continuò a parlare, dicendo: “Sta guarendo bene. Non ha formato
pus, ma non devi sforzarti, almeno per un po’, se vuoi che la guarigione non
subisca ritardi.”
“Capisco” annuì la ragazza,
incrociando le gambe e appoggiandovi sopra le mani. “Che dovrei fare, allora?”
“Riposarti” scrollò le
spalle lui, cercando di guardarla in viso ed evitando di puntare lo sguardo
sulle sue gambe tornite, messe in evidenza dalla corta gonna che ancora
indossava. “Per fare una bella cosa, dovresti indossare le tue brache, così terrai
al caldo l’arto leso.”
Guardandosi un momento, lei sorrise
maliziosa e replicò con ironia: “E tu non sarai costretto a guardare
dappertutto, per evitare di cascare con gli occhi sulle mie gambe, vero?”
Sbuffando, Aken la fissò
torvo, ribattendo: “Ragazza, forse credi che sia insensibile di fronte a uno
spettacolo simile, ma ti sbagli. Hai due gran belle gambe, e averle sempre
sotto il naso, tutto il santo giorno, ha un certo effetto, su di me.”
Lei parve sorpresa e si
affrettò a coprirle con la pelle d’orso così il principe, sospirando, scosse il
capo, dandosi mentalmente dell’idiota.
“Scusa, sono stato cafone
come al solito.”
“Davvero… trovi siano
belle?” chiese allora, lei, scrutandolo da sotto le lunghe ciglia bionde, lo
sguardo percorso dal dubbio.
Un po’ stupito da quella
domanda, Aken la guardò per capire se lo stesse prendendo in giro, ma nei suoi
grandi occhi d’ambra lesse solo un’autentica sorpresa.
Sorridendo indulgente,
decise di rispondere con il massimo della serietà.
“Nella mia vita sono stato
con più di una donna, Eikhe, come potrai immaginarti, e posso dirti con
ragionevole margine di sicurezza che le tue gambe sono molto belle.”
Storcendo un po’ il naso,
lei lo fissò torva e brontolò: “Non lo dici solo per consolarmi?”
“Consolarti di cosa?” chiese
a quel punto lui, sinceramente confuso.
“Del fatto che mi rimarrà
una bella cicatrice” dichiarò la ragazza-lupo, indicando la gamba ferita, ora
coperta dalla pelle d’orso.
“Ti ho detto che si vedrà
appena e…” cominciò col dire lui, prima di rammentare la carnagione dorata
della ragazza.
Arricciando un po’ il naso,
si morse un labbro e disse: “Oh, già… la tua abbronzatura.”
“Appunto. Si vedrà una bella
riga bianca…” borbottò Eikhe, sbuffando. “… beh, poco male. Tyura si divertirà
alle mie spalle come al solito.”
“Oh, e perché?”
“Dice che non mi troverò mai
un uomo, perché sono piatta come una tavola e ho il fisico di un ragazzo” borbottò
con una smorfia, prima di aggiungere: “Ma io preferisco essere così, che
esagerata come lei!”
Ripensando alle forme sode e piene della ragazza, Aken sorrise divertito
e, in dovere di tranquillizzarla, dichiarò: “Personalmente, prediligo le forme
più aggraziate, e non così… sovrabbondanti.
Inoltre, non credo proprio che tu abbia le forme di un ragazzo. Hai linee
morbide su un fisico slanciato, tutto qui.”
Eikhe fece tanto d’occhi,
prima di scoppiare in una frenetica risata e Aken, curioso, le chiese: “Perché
stai ridendo?”
“Se mia sorella ti sentisse,
principe, impazzirebbe di rabbia. Non è mai stata definita… sovrabbondante!” rise lei, asciugandosi
lacrime di ilarità.
“Oh, cielo! Forse non sono
stato molto educato” commentò contrito, passandosi una mano tra i lunghi e neri
capelli, rilasciati sulle spalle.
“No, per niente!” esalò la
ragazza, buttandosi sulla pelle d’orso per il gran ridere.
“Ora basta, però,… mi fai
sentire un idiota” brontolò il principe, vedendola così smodatamente divertita.
“Non posso farne a meno.
Tyura si è sempre considerata bellissima, e diceva di me che ero solo un brutto
cucciolo di lupo mentre ora tu, un principe, la sminuisci così… è troppo buffo”
rise lei, tenendosi lo stomaco con le mani.
“Cucciolo … di lupo?” ripeté
lui, sorpreso.
Annuendo, Eikhe riuscì in
qualche modo a riprendersi e disse, tra una risatina e l’altra: “Sì… mi ha
sempre chiamata ‘cucciolo di lupo’,
per via del colore dei miei occhi. Non li ha nessuna, nella mia famiglia, e
così mi ha sempre presa in giro, dicendo che sono un lupo mancato. Inoltre, al
villaggio, la vecchia Narhu dice che porta sventura avere gli stessi colori di
Hevos e di Hyo, perché è sinonimo di… mancanza di rispetto nei confronti del
dio. Come se avessi scelto io, il colore dei miei occhi. Molte si sentono a
disagio quando io sono presente, così hanno coniato il termine per darmi una…
regolata.”
“Non mi sembra molto carino.
In fondo, il color ambra non ha nulla di particolare, per poter essere
denigrato a quel modo. E poi, come hai detto tu, non lo hai deciso tu, il
colore degli occhi” asserì Aken, stupito da quanto Eikhe gli aveva appena
confessato.
“Vallo a spiegare a quelle
che dicono che siamo solo portatrici di sventura” replicò lei con tono caustico.
“Non ho ben capito il perché, visto che la somiglianza al dio-lupo dovrebbe,
invece, inorgoglirle ma, al contrario, tutte quelle che conosco ad avere la
mia… sventura, hanno i miei stessi
problemi. Siamo viste con pregiudizio e diffidenza.”
“Strano, visto che, come
dici tu, la stessa Hyo e il vostro dio, li avevano. Non fu un dono dello stesso
Hevos?” dichiarò il principe, aggrottando impercettibilmente la fronte.
“Già. Li cambiò lui, a Hyo,
perché la sua stirpe fosse riconoscibile agli occhi di tutti. A volte, mi sono anche
sentita dire che… beh, che non è normale che io sia così” scrollò le spalle
lei, infischiandosene almeno apparentemente.
Osservandola attentamente,
Aken disse: “Però, particolari, li sono.”
“Mi piace essere
particolare. E poi, mi donano, no?” celiò Eikhe, prima di vedere trottare Nys
verso di sé.
Il lupo le si gettò addosso,
mandandola gambe all’aria e Aken, sorpreso, si chiese se il lupo non fosse per
caso impazzito.
Quando, però, senti Eikhe
ridere divertita, si accorse che i due stavano solo giocando.
Preferendo non continuare
oltre a pensare alle belle gambe della ragazza, o alla stranezza dei suoi occhi,
Aken si alzò e andò a controllare che la pelle di bufalo non subisse visite
sgradite.
Sedutosi su un masso sotto
il sole, dopo aver controllato che i pioli che la sorreggevano fossero ben
saldi, il principe osservò le alte montagne alle loro spalle.
Rabbrividendo all’idea di
doverle aggirare per raggiungere il passo, si chiese se sarebbero realmente
riusciti nel loro intento di raggiungere Rajana.
Tornare dal sentiero
dell’orso era impossibile, visto che la parete rocciosa da cui si erano
lanciati, era a picco sulla gola del fiume.
Non avevano l’attrezzatura
necessaria per una scalata.
L’unica strada possibile era
quella indicata da Eikhe.
Seppure non gli andasse di
ammetterlo, era interamente nelle sue mani, ed era una cosa cui non era
abituato.
Specialmente se si
considerava che tutta la missione era nelle mani di una ragazzina.
Già, una ragazzina che ti ha salvato la vita! E che tu
hai trattato come una poppante!
pensò torvo lui, provando uno strano rimescolio allo stomaco.
Rimorso? Non era davvero in
grado di dirlo.
Sentendola ridere
dall’interno della caverna, sorrise comunque sollevato e, per qualche motivo a
lui sconosciuto, fu quasi invidioso della loro allegria e del loro spirito
d’adattamento.
Nessuno dei due pareva
realmente preoccupato da quello che li attendeva, ed Eikhe aveva predisposto
ogni cosa nel modo migliore per il loro breve soggiorno nella grotta.
Non c’era che dire; era
davvero brava. E lui non sapeva come esserle d’aiuto.
Tornando a osservare la
pelle stesa al sole, Aken si chiese come sarebbe riuscita a farne degli abiti
per lui.
Ridendo tra sé, si domandò se
sarebbe sembrato un barbaro, con quella roba addosso.
Il solo pensiero di
presentarsi dinanzi alla sorellastra, abbigliato come un uomo di montagna, lo
portò a sogghignare divertito.
Sicuramente, lei e la sua
inseparabile Tyana sarebbero fuggite a gambe levate, credendolo un bifolco.
“Potrebbe essere un buon
metodo per liberarmi di quella strega” commentò tra sé Aken, grattandosi una
guancia irsuta di barba. “Ormai, dovrei farmi anche la barba.”
Pensando a quanto, però, gli
tenesse caldo il viso, preferì evitare di sbarbarsi e si concesse il lusso di
tenerla.
Era da una vita che era
sempre perfettamente rasato, e non aveva idea di cosa volesse dire avere un po’
di barba in viso.
Considerando il freddo che
avrebbe patito sulla montagna, preferì tenersi quella naturale protezione che
gli stava crescendo in viso, senza preoccuparsi del suo aspetto trasandato.
Rilassandosi contro la
parete di roccia alle sue spalle, Aken chiuse gli occhi, godendosi il tepore
del sole.
Non si accorse quindi
dell’arrivo di Eikhe che, osservandolo con un sorriso, lo scosse leggermente, domandandogli:
“Ti va di fare un giro di ricognizione, principe?”
Aprendo un occhio per
guardarla – aveva nuovamente legato i capelli in una treccia – Aken si alzò,
annuendo.
“Ho bisogno di sgranchirmi le
gambe, in effetti, ma tu? Dovresti riposare.”
“Rischio di rimanere zoppa,
se non mi muovo, e poi ho messo i pantaloni” dichiarò, indicandoglieli.
Osservando con aria curiosa
i suoi pantaloni di daino, da cui pendevano belle frange sui fianchi, Aken asserì
ammirato: “Sono davvero belli. Hai fatto tu anche questi?”
“Ognuna di noi si fabbrica
gli abiti da sola da quando compie dodici anni. E’ la tradizione.”
“E se una non è ferrata nel
cucito?” le chiese, cominciando a discendere il crinale con lei.
“Si fa degli abiti più
semplici. Oppure, baratta qualcosa in cambio di abiti” gli spiegò, scrollando
le spalle. “A me piace arricchirli di particolari il più possibile, invece.
Perdo giorni interi a ricamarli, ma il risultato mi piace.”
Dando una seconda occhiata
alle brache, Aken notò come le cuciture fossero fatte a regola d’arte.
Con non poca sorpresa, intravide
tra le frange una complessa rete di tralci, stampati a fuoco sulla pelle di
daino.
“Non li avevo notati, prima.
Sono davvero ben fatti. Li fai con una pressa a fuoco?”
“Grazie per il complimento”
sorrise lei. “Sì, uso una pressa con l’immagine in negativo. Se avessi più
tempo, farei qualcosa del genere anche sulla tua, ma già ricoprire la tunica mi
prenderà del tempo, per cui…”
“Mi accontenterò di quello
che potrai fare per non farmi morire di freddo” scosse il capo lui, dandole una
pacca sulla spalla.
“Probabilmente, non
risulterà molto elegante” tenne a precisare la ragazza.
“Pensi mi importi?” sorrise
lui, sollevando ironicamente un sopracciglio.
“Volevo solo lo sapessi,
principe.”
Guardandola per un momento,
lui si bloccò a meta di un passo e sottolineò perentorio: “Voglio che mi chiami
per nome, Eikhe. Mi sento un idiota, quando mi chiami ‘principe’.”
“Ma lo sei… un principe,
intendo” specificò lei, ammiccando comica.
“Lo spero!” esalò lui.
“Senti, Eikhe, mettiamola così, prendilo come un favore che ti chiedo, va
bene?”
“D’accordo… Aken” assentì
lei, arricciando le labbra all’insù in un sorriso sbarazzino.
Annuendo soddisfatto, il
principe dichiarò: “Ora andiamo bene.”
“Come dici tu” mormorò la
ragazza prima di fermarsi e, piegandosi su un ginocchio con qualche difficoltà,
sfiorare una leggera infossatura nel manto nevoso.
“Problemi?”
“No, cibo. Il bufalo, con
l’appetito di Nys, durerà solo un paio di giorni, quindi ci serve altra carne
da far frollare” asserì, alzandosi e guardando la spada di Aken. “Quella
servirebbe a ben poco, nel cacciare un daino, e io non ho il mio arco.”
“Pensi a un agguato?”
“A una trappola. Di solito
le uso per i castori, ma penso di poterne fare una adatta a un daino” borbottò
pensierosa, guardandosi intorno con aria attenta.
“Sei una miniera
inesauribile di idee” esalò lui, fissandola ammirato.
“Ho solo vissuto più tempo
di te nella foresta” replicò lei, pratica, cominciando a raccogliere dei rami
piuttosto elastici ai piedi delle alte piante.
Guardandoli con attenzione,
Eikhe ne scelse alcuni, che poi legò con i lacci di pelle che aveva nella sua
scarsella da cintura.
Fissati i rametti tra la
neve, nelle vicinanze di un albero ricco di corteccia giovane, disse: “Verrà
quasi sicuramente a mangiarla, visto che è nella zona. In questo periodo, non
hanno altro tipo di sostentamento.”
“Ci nascondiamo là dietro?” mormorò
lui, indicando dei cespugli vicini.
Lei annusò l’aria e annuì.
“Sì, il vento è a nostro favore.”
Seguendola dietro il
cespuglio, Aken si accucciò al suo fianco e chiese a bassa voce: “Pensi dovremo
aspettare molto?”
“Non saprei, perché?” chiese
a sua volta lei, guardandolo curiosamente.
Scrutando il cielo farsi
cupo per l’approssimarsi di nubi temporalesche, Aken dichiarò: “Se impieghiamo
troppo tempo, potremmo finire in mezzo a una nevicata.”
“Già, hai ragione. Beh, ci
sapremo regolare in base al tempo, facciamo così. Se vediamo che peggiora, ce
ne andremo via.”
“Va bene.”
Passarono accucciati dietro
il cespuglio più di un’ora e Aken, che cominciava ad avere le gambe
intirizzite, mormorò piano alla compagna di viaggio: “Devo alzarmi.”
“Male alle gambe?”
“Non solo” commentò lui,
sogghignando. “Devo allontanarmi un attimo.”
“Cose da uomini?” sussurrò
lei, sollevando un sopracciglio ironicamente.
“Esatto. Non vorrei
scandalizzarti, visto che sei ancora illibata” sogghignò malizioso.
“Troppo gentile” celiò lei,
portandosi una mano al cuore con espressione falsamente affascinata.
“Stai attenta, mentre non ci
sono” replicò a quel punto il principe, dandole un buffetto sulla guancia.
“Come sempre” mormorò lei,
guardandolo allontanarsi mentre, con una mano, andava alla guancia che Aken
aveva pizzicato.
Un sorriso spontaneo le
sorse sul viso mentre, divertita, si chiedeva il perché del gesto.
Tornando con lo sguardo alla
trappola, dopo un altro momento passato a scrutare la figura di Aken
allontanarsi nel bosco, Eikhe prestò solo una fuggevole attenzione ai rumori
dietro di lei.
Quando lo sentì tornare, sussurrò
piano: “Sei più libero, ora?”
“Molto, cara” commentò
caustico lui.
Lei lo sbirciò in viso con
ironia e disse: “Nessuno mi ha mai chiamato ‘cara’,
prima d’ora.”
“Neanche tua madre?” chiese
sorpreso lui, sbattendo le ciglia con espressione perplessa.
“No. Mi ha sempre chiamata
solo per nome” mormorò come se nulla fosse.
Ad Aken parve un po’ strano
e, da un certo punto di vista, anche ingiusto perciò, stringendole un braccio
intorno alle spalle, le disse: “Mi sembra ingiusto che non ti abbiano mai detto
‘cara’, da piccola.”
Eikhe lo fissò con
espressione sconvolta, prima di ridacchiare sommessamente e dire: “Il potente
principe di Rajana si dimostra più sensibile d’animo di quanto non voglia dare
a vedere.”
Brontolando, lui ritirò
lesto il braccio e sentenziò: “Forse avevano ragione a non chiamarti così… sei
acida come le lacrime.”
“Lo so” commentò lei prima
zittirsi e, con un gesto, indicare ad Aken un daino in avvicinamento.
Aken si fece guardingo a sua
volta, e osservò l’animale avventurarsi sulla neve fino a raggiungere l’albero dove
avevano posizionato la trappola, vittima sacrificale designata dal destino.
Tutto si svolse in pochi
attimi.
L’animale, ignaro del
pericolo, infilò la zampa nell’improvvisata tagliola e la fece scattare con un
suono sordo.
Subito dopo, cominciò a scalciare
impaurito nel tentativo di liberarsi, ma ogni suo intento risultò inutile.
Eikhe si mosse lesta per
impedirgli di scappare e, con un gesto secco e deciso, gli ruppe l’osso del
collo, facendolo cadere a terra morto, senza più un suono.
Un po’ sconcertato, Aken uscì
dal nascondiglio e, scrutando il corpo esanime dell’animale, esalò: “Perché il
collo?”
“Non possiamo lasciare
tracce di sangue. Attireremmo dei colleghi che preferirei non incontrare. Anche
se gli orsi dovrebbero essere ormai in letargo, non voglio rischiare che
qualcuno di loro abbia il sonno leggero, o la pancia vuota” disse lei, prima di
indicare la preda e aggiungere. “Da queste parti, amano più la carne, del
miele.”
Con un sogghigno, poi, fissò
le braccia forti di Aken e, indicando la preda, asserì: “A te il piacere,
principe.”
Sollevando un sopracciglio
con ironia, si piegò per sollevare sulle spalle il daino e, sogghignando,
disse: “Adesso ti torna comodo avere un bestione al tuo fianco, vero?”
“Esatto, e poi sei stato tu
a dirmi di non sforzare la gamba” replicò lei, dando una pacca sull’arto in
questione.
“Io e la mia boccaccia”
bofonchiò Aken, avanzando lentamente sulla neve con il suo pesante carico sulle
spalle.
Osservando il cielo plumbeo
sopra di loro, Eikhe storse il naso e borbottò: “Temo ci bagneremo.”
Alzando il naso per aria,
Aken annuì grave e disse: “Pare di sì. Beh, poco male, ormai sono abituato a
denudarmi con te presente.”
“Già, ma io no” brontolò per
contro la ragazza, con un leggero rossore a imporporarle le gote.
“Prometto di essere bravo” celiò
lui, pur roso dalla curiosità.
Non negava di essere curioso
di vedere cosa si celasse sotto quegli strati di pelle di daino.
Quando infine raggiunsero il
loro rifugio, Nys li guardò dubbiosi e indicò con il muso il mucchio di torba
acceso.
Eikhe, annuendo, disse:
“Grazie per averlo rinvigorito.”
“Gliel’hai insegnato?”
chiese curioso Aken, posando il daino morto vicino al bufalo.
“Sì. Anche a lui piace stare
al caldo, non credere” sorrise la ragazza, cominciando a slacciare i pantaloni.
Subito, Aken si volse per
non guardarla ed Eikhe, lasciato scivolare l’indumento a terra, lo raccolse per
appenderlo al filo che già aveva steso nella grotta nei giorni precedenti.
Toltasi anche la tunica, la
stese accanto alle brache, prima di avvolgersi in un telo di pelle di daino e sciogliersi
i capelli per lasciarli asciugare.
Quando ebbe terminato,
disse: “Ho finito.”
Aken assentì e si spogliò
senza grossi problemi, mettendo gli abiti ad asciugare.
Non senza una certa
curiosità, notò come Eikhe stesse tenendo gli occhi saldamente incollati al
terreno, ben decisa a non guardarlo in nessun modo.
Avvoltosi nel mantello di
Eikhe, lasciando libero solo il torace, si sedette vicino alla torba accesa e
la ragazza, tornando a guardarlo, esalò con un risolino: “Mi sento un po’
sciocca, ora come ora.”
“Perché?” chiese lui,
incrociando le possenti braccia sul torace muscoloso.
Mordendosi un labbro,
pensierosa, Eikhe ammise: “Beh, vedi, quando ti ho soccorso, non sono certo
stata lì a pensare a come… insomma, non ho prestato molta attenzione a ciò che
facevo. Ma ora, è tutto diverso. Tu sei qui, perfettamente lucido e sveglio, e
senza vestiti. E io, uguale. E’ strano.”
“La necessità non ti ha
creato disagio, ma ora la cosa è differente” dichiarò lui, annuendo. “Sei
incuriosita da qualcosa?”
Sbirciando il suo torace
muscoloso e coperto da una leggera peluria scura, al pari degli avambracci
possenti, Eikhe mormorò sommessamente: “Per la verità, sono più che altro
intimorita.”
“E da cosa?” chiese lui,
curioso.
Indicandogli un braccio, lei
ammise: “Per quanto io possa essere agile e veloce, tu potresti uccidermi solo
con un tuo braccio, vero?”
“E’ possibile” ammise lui,
scrollando le spalle.
“Ho sentito che molti uomini
picchiano le loro donne, se non sono… soddisfatti” mormorò lei, esponendogli i
suoi dubbi.
Sollevando un sopracciglio,
Aken le chiese per contro: “Tuo padre lo fa?”
“No!” esclamò subito lei.
“E pensi che io potrei
approfittare di te con la forza?” chiese allora il principe, con un mezzo
sorriso.
Dopo un momento, lei scosse
il capo. “No, non credo.”
“Allora, non preoccuparti di
nulla. Guardami pure quanto vuoi, se può contribuire a sanare la tua curiosità.
Non mi offendo” sorrise lui, tranquillo.
“Sei molto vanitoso, sai?” celiò
la ragazza, con un risolino.
“Un po’, sì. Ammetto che è
piacevole essere l’oggetto di osservazione di una giovane donna” sorrise il
principe, bonariamente.
Lei ridacchiò, scuotendo
leggermente le spalle nude e Aken, osservando quella pelle dorata dal sole,
venne colto da un dubbio.
Non sapendo resistere, le
chiese: “Eikhe, ma, la tua pelle…”
Socchiudendo maliziosa gli
occhi, lei ammise: “Sì, ho preso il sole nuda. C’era Nys a vigilare sulla mia
intimità, però.”
Guardando di scatto il lupo,
che ricambiò l’occhiata con estrema serietà, Aken brontolò dicendo: “Essere un
lupo ha i suoi vantaggi.”
Eikhe scoppiò a ridere, un
suono che ad Aken cominciava davvero a piacere molto, ed esalò: “A lui non fa
né caldo, né freddo, Aken!”
“Posso immaginarlo” chiosò
Aken, grattandosi la barba.
Non era abituato ad averla,
e cominciava già a dargli fastidio. Ma teneva caldo, quindi…
Avvedendosi della sua barba
incolta, Eikhe asserì: “Hai deciso di lasciarla crescere? Fai bene. Ti aiuterà
a sopportare il freddo, anche se ti farà sembrare un barbaro.”
“Avevo pensato giusto al
freddo” annuì, prima di chiederle: “Sto così male, con la barba?”
“No, non direi. Solo, non
hai più la faccia di un principe, ma di un uomo comune” si limitò a dire lei,
allungando una mano per sfiorargli la peluria sul mento. “E’ morbida.”
Guardando la sua piccola
mano giocare con la sua barba, Aken fu tentato di prenderla nella sua ma,
all’ultimo momento, lasciò perdere per non spaventare Eikhe e far imbestialire
Nys.
Non poteva permettersi il lusso
di giocare con lei, con il suo lupo in bella posta.
Ritirando la mano, Eikhe si
sdraiò e disse: “Ti spiace se dormo un po’? Stare così tanto tempo accucciata
mi ha indebolito la gamba, e ora sono stanca.”
“Riposa pure, tranquilla. Io
e Nys vigileremo.”
“Grazie” sospirò lei,
chiudendo gli occhi.
Quando sentì il suo respiro
farsi piano e regolare, Aken la osservò
con un sorriso gentile stampato sul volto.
Era nelle mani di quel
frugoletto di donna, ma cominciava a sentirsi a suo agio con lei.
Era svelta di pensiero e
molto socievole, per nulla preoccupata di mentirgli o apparirgli diversa da
quella che in realtà era, e solo per accattivarsi la sua simpatia.
Era fresca e frizzante come
una sorgente d’acqua, e altrettanto piacevole.
Osservando le sue mani
raccolte vicino al viso, proprio come avrebbe fatto una bambina, Aken mormorò a
Nys: “Sembra indifesa, vero, in questo momento?”
Il lupo guardò Aken per un
momento prima di annuire con il muso e il principe, curioso, gli chiese:
“Capisci quello che dico?”
Nys annuì ancora e Aken,
accarezzandogli cauto la testa, gli domandò seriamente: “Permetterai che mi
prenda cura della tua padroncina, qualora ne avesse bisogno?”
Il lupo gli leccò la mano e
Aken, sorridendogli grato, disse: “Grazie della fiducia.”
Tornando a fare silenzio, il
principe rimase in contemplazione della ragazza, ripensando ai loro primi
giorni insieme, a come fosse stato difficoltoso accettarla per quella che era.
Lenar, al contrario, l’aveva
presa immediatamente sotto la sua ala, comprendendola e facendosela amica.
Sorridendo tristemente, Aken
si appoggiò a un gomito e, a bassa voce, si chiese: “Chissà cosa ti ha
raccontato di sé, mio buon amico?”
Già, i suoi amici.
Con tutto il caos di quei
giorni, con l’incidente di Eikhe e il resto, aveva avuto poco tempo per pensare
a loro, se non quando si era concesso il lusso di piangerli sulle rive del Fenar.
Gli sembrava tremendamente
ingiusto non poter dar loro una degna e adeguata sepoltura, ma sapeva bene di
non potersi permettere un lusso simile.
La cosa più difficile di
tutte, alla fin fine, sarebbe stato dire alle loro famiglie il perché della
loro morte, e quella era una situazione in cui odiava trovarsi.
Tutte le volte.
Persino nei confronti di
Rias, che aveva ucciso il cavallo di Eikhe e l’aveva aggredita, non riusciva a
provare risentimento perché, alla fin fine, era morto anche lui in quella
missione.
No, non gli riusciva
proprio.
Sospirando, tornò a guardare
il grande lupo nero e, accarezzandolo con un movimento ripetitivo della mano,
gli chiese: “Eikhe odia qualcuno?”
Il lupo lo fissò,
impossibilitato a rispondergli.
Fissando la ragazza
addormentata, Aken si chiese se le malelingue che l’avevano etichettata come ‘cucciolo di lupo’ le dessero fastidio o
se, nel corso degli anni, avesse desiderato vendicarsi di loro.
Personalmente, trovava
ingiusto farle subire ingiurie simili, e per cose così stupide, anche se alcuni
aspetti di tutta quella vicenda ancora non gli erano chiari.
Sapeva per certo che le
donne delle tribù si definivano ‘figlie
del branco’, ma Eikhe era stata etichettata come ‘figlia sacra’, sia dalla Guardiana del Tempio, che da Nargan.
Quindi, cosa c’era di
singolare, in lei, per meritare un simile titolo?
Forse, l’epiteto di ‘figlia sacra’ dipendeva dal colore
degli occhi, che ricordava quelli del dio?
Ma allora, perché
ingiuriarla?
Avrebbero dovuto esserne
orgogliose, invece ne avevano quasi paura, da quel che aveva capito dalle
parole di Eikhe.
Scuotendo il capo, lui
disse: “No, davvero non ti capisco, Eikhe.”
Capitolo un po’ più breve. Qui cominciamo a scorgere un certo avvicinamento tra i due protagonisti, e un affastellarsi di domande di Aken. Naturalmente, tutte le sue domande verranno presto svelate, ma per ora non posso darvi anticipazioni, altrimenti vi rovinerei la sorpresa. Non manca comunque molto al bandolo della matassa. ^_^ |
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Capitolo 7 *** cap.7 ***
Lacrime e risate, in questo capitolo, e anche la scoperta, nel cuore di Aken, di un nuovo, caldo sentimento. Buona lettura!!! :-)
7.
Intenta a cucire la pelle di
bufalo sulla tunica di Aken, Eikhe osservò per un momento il principe,
placidamente sdraiato di fronte al fuoco di torba.
Poggiato per un momento
l’indumento sulle gambe, sorrise e gli chiese: “Cosa ti turba, principe?”
Lui sollevò di colpo gli
occhi per guardarla dubbioso poi, sospirando, sorrise appena e mormorò: “Nulla,
in realtà. Pensavo al Passo che dovremo percorrere domani. Sei certa non ci
siano altre vie?”
Scuotendo il capo, lei tornò
seria e disse: “No, è l’unica strada che ci possa portare al Valico di Kortoss.
E, da lì, verso la via della salvezza.”
“Non ci sono altri modi per
ritornare sui nostri passi?” si informò a quel punto Aken, pur sapendo già la
sua risposta.
“No. Ci sono quasi trecento
iarde di parete a strapiombo, tra noi e il Cono del Silenzio” gli spiegò lei, emettendo
un sospiro spiacente.
“E, se proseguissimo lungo
questo crinale, incontreremmo altre pendici rocciose a frenarci, giusto?”
Non ci aveva realmente
sperato, però…
“Sì. Purtroppo non
riusciremmo ad attraversare le creste rocciose che ci aspettano più a est. La
Valle del Silenzio è impervia da ambo i versanti. Sarebbe troppo rischioso
anche solo metterci piede” disse Eikhe, vedendolo adombrarsi in viso. “Cosa
c’è?”
“Mi spiace di esserti
d’impaccio. Se fossi stato più oculato, non ci troveremmo in questa situazione”
dichiarò suo malgrado Aken, sorprendendola.
Lasciando stare il suo
lavoro di cucito, Eikhe gli si avvicinò carponi e, guardantolo nei profondi
occhi verdi, disse sinceramente: “Non dirlo neppure, Aken. Non mi sei
d’impaccio. Tu non avevi un lupo che potesse pensare al tuo bagaglio, né potevi
immaginare che saremmo stati attaccati. E’ stata solo sfortuna. O qualcosa di
peggio, temo. Ma questo non cambia il risultato finale.”
“Tu, però, mi hai dovuto
salvare quando, invece, avrei dovuto essere io a pensare a te!” esclamò lui,
facendola sobbalzare per la sorpresa.
“E questo, quando lo hai
deciso?” esalò la ragazza, più che mai sconvolta.
“E’ normale che sia così!”
sbuffò Aken, contrariato.
Lei sorrise con vago
divertimento, a quel punto e, sedendogli vicina, ammise: “Nessuno ha mai
pensato alla mia personale incolumità. Mai. E’ un gesto molto cavalleresco,
grazie, ma non devi preoccuparti che non sia capace di difendermi.”
“Non lo penso, ragazzina, ma
è mio dovere proteggerti. Sei un suddito del mio regno, una donna…” brontolò,
sollevandole il mento per scrutarla in viso prima di aggiungere roco: “… poco
più di una bambina, e devi guidarmi per territori selvaggi e pericolosi. Pensi
davvero che non ti difenderei, anche solo per ringraziarti di quello che fai?”
La ragazza-lupo lo fissò
senza parole nelle sue profondità smeraldine e Aken, sorridendole, aggiunse
piano: “Non sono solo un rozzo cavaliere delle pianure, Eikhe.”
Lei si allontanò leggermente,
turbata dalle strane sensazioni che sentì montare dentro di sé e, annuendo
debolmente, tornò al suo lavoro di cucito, borbottando: “Comincio a crederlo.”
“Bene” annuì lui, prima di aggiungere:
“Cosa intendevi dire, prima, con ‘o
qualcosa di peggio’?”
“Nargan ha parlato di altre
donne-lupo, presenti alla sua Corte” gli rammentò Eikhe, adombrandosi nel
riprendere in mano la tunica. “Non vorrei che ci avessero trovato a questo
modo. Ricordi che ha accennato al fatto di averti cercato per un bel po’? Forse,
era sulle vostre tracce fin da quando avete lasciato Marhna.”
“Il borgomastro” ringhiò
Aken, aggrottando la fronte. “Scommetto tutto quello che vuoi che li ha
avvertiti lui, della nostra presenza in zona.”
“E non deve essere stato
difficile rintracciarci, ben sapendo che l’unica pista disponibile per
raggiungere Anok Fort, era il Sentiero dell’Orso” sospirò Eikhe, scuotendo il
capo. “Nys ha percepito la presenza di un lupo nelle vicinanze, nei giorni
precedenti l’agguato, ma non mi è parso affatto strano. Ce ne sono molti, in
queste zone, e non mi sono mai preoccupata di loro. Forse avrei dovuto.”
“Non è colpa tua, Eikhe. Nessuno
poteva immaginare che ci stessero seguendo con un lupo” ci tenne a dire Aken,
comprensivo.
Non voleva assolutamente che
si sentisse in colpa, soprattutto per una cosa su cui non avrebbe potuto avere
alcun controllo in nessun caso.
“Sarà come dici tu, però…” mormorò
Eikhe, reclinando il capo, afflitta. “Lenar e gli altri sono morti, e io…”
“Non osare dire una parola
di più, Eikhe” la bloccò sul nascere Aken, avvicinandosi a lei e sollevandole
il viso con un dito per fissarla negli occhi.
Dopo un lungo momento,
passato a scrutare quegli splendenti occhi dorati, aggiunse: “Nessuno ha colpa di ciò che è
successo. In ogni caso, eravamo inferiori di numero, e sarebbe potuta andare
peggio, molto peggio di così. Avremmo
potuto morire tutti. E il regno ne avrebbe sofferto.”
“Vero” ammise Eikhe,
imbrigliata nelle sue iridi di smeraldo.
“Bene, e ora non pensarci
più, o mi vedrò costretto a sculacciarti” ironizzò lui, scostandosi dalla
ragazza-lupo per tornare a sedersi.
“Devi solo provarci”
ridacchiò a quel punto Eikhe, tornando finalmente al suo lavoro di cucito.
“Ti sconvolgi, se mi tolgo
la camicia? Vorrei pulirmi un poco” le chiese dopo un momento Aken, avvicinandosi
maggiormente al fuoco di torba.
“Fai pure; non si disprezza
mai chi ama tenersi in ordine” sorrise lei, scrollando le spalle.
Lui ridacchiò e disse: “Lo
supponevo.”
“Si ha un odorato molto
fine, e quindi…” ciangottò Eikhe, sollevando il nasino con aria di sufficienza.
Aken sorrise divertito di
fronte al suo spirito così faceto e, toltosi la camicia, prese la ciotola che
aveva messo a scaldare vicino al fuoco.
Utilizzando un pezzo di
radice di sapone, si ripulì sommariamente il torace con ampi gesti delle mani,
prima di sentire Eikhe imprecare.
Voltandosi sorpreso, la vide
tenersi un dito tra le labbra e, curioso, le chiese: “Ti sei punta?”
“Sì” ammise lei, con aria
aggrottata.
Guardarlo durante le sue
abluzioni, non era il metodo migliore per terminare il suo lavoro!
Doveva stare più attenta a
ciò che faceva e, soprattutto, doveva piantarla di fissarlo inebetita!
Riprendendo il suo cucito,
Eikhe calò il viso con rabbia per concentrarsi unicamente sulla cucitura da
terminare.
A sua volta, Aken tornò a
pensare alle sue abluzioni, terminando di asciugarsi con un pannetto di daino.
Dopo quel breve interludio,
sorrise soddisfatto di sé e infilò nuovamente la camicia, mormorando: “Ora mi
sento meglio.”
Rientrando al trotto nella
grotta proprio in quel momento, Nys leccò sul viso Eikhe a mo’ di saluto poi,
avvicinandosi ad Aken, gli diede un leggero colpetto contro la gamba.
Sorpreso, il principe guardò
la ragazza in cerca di spiegazioni, sentendosi così dire in risposta alla sua
muta domanda: “Ti sta salutando. Accarezzalo sulla testa.”
Aken annuì e Nys, tirando
fuori la lingua, si sedette soddisfatto e incuneò il muso sotto la coda,
addormentandosi subito dopo.
“Deve essere esausto” chiosò
il principe, continuando ad accarezzarlo.
“Abbastanza. Sta
pattugliando il fronte della montagna, per essere certo che non ci siano altri
nemici nella zona ma, per farlo, si esaurisce” gli spiegò Eikhe, mordendo il
filo per spezzarlo. “Ecco, ho finito. Provatela.”
Aken si alzò subito, prendendo
la tunica dalle mani protese di Eikhe e, indossato l’abito con attenzione, se
lo saggiò addosso, osservando compiaciuto l’ottimo lavoro svolto dalla ragazza.
Annuendo, dichiarò: “E’
perfetto, grazie.”
“E’ passabile ma, per quello
che deve fare, andrà benissimo” annuì critica lei, prima di sbadigliare. “Ora,
credo dormirò anch’io.”
Aken, allora, si tolse la
tunica riponendola sulle sacche poi, steso che ebbe il panno di daino più
grande a terra, coprì entrambi col mantello di pelle d’orso.
“Buonanotte” mormorò a quel
punto, sorridendole.
“Anche a te” sorrise lei,
accoccolandosi contro di lui prima di chiudere gli occhi.
Passando un braccio intorno
alle spalle della ragazza-lupo con fare protettivo, Aken inspirò il dolce
profumo di miele dei suoi capelli e, sorridendo, chiese a bassa voce: “Come fai
ad avere sempre i capelli così profumati?”
Eikhe ridacchiò suo
malgrado, dicendo: “Segreto.”
“Mi piace il loro profumo” mormorò
Aken, affondando un momento il viso nella massa morbida della chioma di Eikhe,
prima di inspirare a fondo.
“Davvero?” sussurrò Eikhe,
riaprendo gli occhi per guardarlo.
I loro volti erano
vicinissimi.
Aken annuì e disse: “Hanno
lo stesso profumo del miele, e io adoro il miele.”
Eikhe sorrise, a quel
commento.
“Non mangiarmeli, però.”
“Vedrò di contenermi” annuì
lui, dandole un buffetto sul naso. “Ora riposati. Non ti disturberò più.”
“Non mi hai disturbato” ci
tenne a precisare lei, prima di domandargli: “Posso avvicinarmi un po’ di più?
Ho freddo.”
“Ma certo, piccola” assentì
il principe, afferrandole un braccio perché gli circondasse la vita.
Completamente addossata a
lui, Eikhe sorrise nella semi oscurità e mormorò soddisfatta: “Adesso, va
meglio. Sembri una fornace.”
“Ho più carne intorno alle
ossa per potermi scaldare” celiò lui, massaggiandole delicatamente la schiena.
“L’aria si è fatta decisamente più fredda, stanotte.”
“Domani ci sarà bel tempo… e
molto freddo” dichiarò Eikhe, prima di sbadigliare.
“Capisco” annuì Aken.
Vedendo le sue palpebre
crollare per il sonno, Aken smise di parlare e si limitò a stringerla
maggiormente a sé per tenerla al caldo.
Addormentatasi quasi subito,
Eikhe sospirò soddisfatta, facendo nascere un sorriso spontaneo sul volto del
guerriero.
***
La mattina venne e Aken,
svegliatosi per primo a causa di un bisogno fisiologico impellente, aprì gli
occhi solo per ritrovarsi il viso di Eikhe a un dito dal suo.
Completamente addormentata e
quasi sdraiata su di lui, una gamba mollemente rilasciata sul suo inguine,
sembrava del tutto ignara della situazione imbarazzante.
Sbuffando, Aken si guardò
con esasperata attenzione e borbottò: “Non è possibile!”
Scostandola piano per non
destarla, il principe sibilò irritato verso se stesso: “Non mi ha svegliato lei…
ma dell’altro!”
Alzatosi in silenzio, guardò
ironicamente la smaccata protuberanza evidenziata dai calzoni stretti, segno
primo della sua erezione.
Uscendo perciò in tutta
fretta dalla grotta, rise divertito non appena fu fuori dall’antro in cui
ancora riposavano i suoi compagni di viaggio.
Dopo essersi liberato la
vescica, ma non del suo secondo e
impellente problema, disse tra sé: “E ora, come rientro? Anche con sopra la
camicia, si vede lo stesso.”
Lanciato uno sguardo alla
neve che lo circondava, e che avrebbe potuto risolvere il suo dilemma, storse
il naso, borbottando disgustato: “Non ci penso minimamente! Dovrà sopportarne
la vista.”
Una volta tornato
all’interno della grotta, trovò Eikhe ad attenderlo, assonnata ma sveglia e
che, guardandolo con una certa ironia, dichiarò: “Devo aver combinato un
guaio.”
Scrollando le spalle, lui chiosò
sarcastico: “Purtroppo, noi uomini siamo molto suscettibili, quando siamo in
certe situazioni.”
“Ti fa male?” gli chiese
lei, alzandosi e mettendosi ad armeggiare con le sacche da viaggio.
“Potremmo parlare di
qualcosa che non sia lui?” esalò Aken, sforzandosi di non ridere.
“D’accordo” chiosò Eikhe,
sghignazzando suo malgrado.
Dandole un amichevole pugno
sulla testa, lui protesto gentilmente, asserendo: “Piantala, Eikhe. E’ anche
colpa tua. Mi stavi dormendo addosso!”
Arrossendo nel saperlo, lei
tornò subito seria ed esalò: “Scusami, Aken, non l’ho fatto di proposito,
credimi!”
Sorridendole cordiale, lui
annuì, replicando subito: “Lo so benissimo che non l’hai fatto apposta,
sciocchina, ma il mio corpo reagisce al tuo, anche nel sonno, e posso fare ben
poco per fermarlo.”
“Capisco” annuì a quel punto
Eikhe, sbirciandolo in viso prima di chiedergli: “E’ sempre così?”
“In che senso?”
“Ti è capitato anche le
altre sere?”
“Non proprio. Diciamo che,
stamattina, è andata così. Sei turbata dal mio… desiderio di uomo?”
Pensandoci su un momento,
lei chiese: “E’ involontario?”
Annuendo, pur non essendo
del tutto onesto con lei e con se stesso, Aken disse: “Per un uomo è abbastanza
normale svegliarsi … eccitato. Diciamo che la tua presenza lo rende solo più
facile a succedersi.”
“Ah” gracchiò Eikhe, facendo
tanto d’occhi.
“Forse non avrei dovuto
dirtelo. Ti imbarazza molto parlare di queste cose, vero?” le domandò,
continuando a scaldarsi le mani dinanzi al fuoco.
“Non so come mi devo sentire.
Tu ne parli tranquillamente, quindi dovrei esserlo anch’io, ma…” scrollò le
spalle lei, sbuffando.
“E’ solo perché non sei mai
stata con un uomo, Eikhe, per questo provi imbarazzo” dichiarò Aken, facendo
spallucce.
“Tu dici?”
“Credo di sì. Non hai peli
sulla lingua, quando parli di cose che conosci, no? Quindi, sei in imbarazzo
solo perché, di questo, conosci poco” asserì, trovando l’argomento assai
strano.
Non gli era mai capitato di
parlare a quel modo con una donna e, soprattutto, di argomenti simili.
Ridacchiando, lei asserì
divertita: “Nulla, vorrai dire. Il primo uomo che ho visto senza abiti addosso,
sei stato tu.”
“E’ vero” ammise Aken.
“Allora, parliamo d’altro. Il mio coinquilino si calmerà a breve, tranquilla. La
tua gamba migliora?”
“Non la sento quasi più. L’hai
ricucita perfettamente” annuì lei, sorridendogli e cercando, nel contempo, di
non pensare al coinquilino eccitato
di Aken.
La sua battuta per
sdrammatizzare l’aveva fatta divertire ma,
nel contempo, l’aveva incuriosita ancora di più.
Aken le faceva davvero uno
strano effetto.
“Molto bene” disse lui nel
frattempo. “Dovrai essere in forze, visto che dovremo attraversare quella gola
nevosa.”
Alzandosi da terra, Eikhe si
stiracchiò e, dopo aver indossato gli stivali e la tunica, si drappeggiò sulle
spalle il mantello.
“Tu sei pronto?”
“Come non mai” commentò
Aken, con una smorfia ironica.
Lei si limitò a sorridere e,
estratte dalle sacche quattro cordelle di pelle, le legò ai ganci delle sacche,
facendole diventare dei pratici zaini.
Aken, che osservò stupito i
suoi movimenti per tutto il tempo, esalò ammirato: “Ora capisco a cosa
servivano quegli anelli!”
“Non si può mai sapere in
che situazioni ci si possa trovare, e portare uno zaino è ben più comodo che
trascinare una sacca, non credi?” dichiarò pratica Eikhe, sollevandone una per
metterla alle spalle del principe.
Lasciato che gliela
infilasse, lui annuì, dicendo: “Niente da dire, hai ragione.”
“Fa piacere saperlo” rise la
ragazza-lupo, infilando infine il proprio zaino. “Nys, ci precedi?”
Il lupo annuì e trottò fuori
dalla grotta ed Eikhe, con un piccolo sospiro, disse: “D’accordo, andiamo.”
Non appena furono all’esterno
dell’antro, che li aveva ospitati per più di una settimana, Eikhe rabbrividì
leggermente prima di puntare lo sguardo verso il Passo che avrebbero dovuto
valicare.
Sbuffando leggermente, mormorò:
“Speriamo che tenga.”
“Temi si stacchi un fronte
di valanga?” le domandò Aken, seguendola verso il pendio che avrebbero dovuto
affrontare.
“Niente di più facile. Se
non procediamo nella direzione giusta, rischiamo di rompere il fronte nevoso,
provocando un distacco di neve” borbottò lei, controllando le guglie della
montagna, che si inerpicavano minacciose verso il cielo terso.
Un vento inclemente batteva
la costa su cui stavano faticosamente salendo ed Eikhe, continuando a osservare
la neve sopra di loro, aggiunse a bassa voce: “Questo vento non fa che
peggiorare le cose. Non mi piace.”
“Non c’è altro modo, no?
Allora, tanto vale continuare” dichiarò Aken, dietro di lei.
Lei si fermò per guardarlo
malamente e, a mezza voce, disse: “Non è un problema, se io muoio, ma tu sei il
principe, Aken. O te ne sei dimenticato?”
Osservandola sinceramente
stupito, lui esalò: “E cosa c’entra?”
“Sono responsabile della tua
incolumità, sciocco. Se tu morissi, chi pensi ne prenderebbe la colpa? Non
impiegherebbero molto a scoprire chi vi guidava tra le montagne . Una volta
saputo che una donna-lupo ha guidato alla morte il principe di Enerios, il re
si scaglierebbe contro la mia gente. E io non lo voglio” borbottò Eikhe,
irritata.
Storcendo il naso, Aken
replicò: “I tuoi sono solo ragionamenti contorti e senza senso. Pensi veramente
che mio padre potrebbe prendersela con le tue amiche, se anche venisse a sapere
di una mia eventuale morte? Mio padre sa perfettamente che gli incidenti
possono capitare, e nutre grande fiducia in tua madre, sappilo.”
Tornando a camminare dinanzi
a sé, la ragazza-lupo protestò perentoria: “Devo comunque salvaguardare la tua
vita, anche se tuo padre si dimostrasse più comprensivo di quanto io non pensi
al momento.”
“Mocciosa impertinente”
brontolò Aken, prima di lanciare uno sguardo dubbioso a Nys, che procedeva
dietro di loro.
Non stava ringhiando, né
pareva offeso dal modo in cui aveva parlato a Eikhe.
Che fosse d’accordo con lui,
dopotutto? A saperlo!
“Resta dietro di noi, Nys,
così non avrai problemi” si sentì in dovere di dire il principe, pur sapendo
che era una sciocchezza.
Il lupo non era stupido e
sapeva da solo che la neve si era fatta troppo alta, per lui.
Non occorreva un genio, per
sapere che doveva obbligatoriamente camminare lungo il percorso da loro
tracciato.
Guardando negli occhi gialli
del lupo, Aken lo vide snudare i denti in una sorta di sogghigno lupesco, quasi
fosse divertito da quelle attenzioni inutili.
Rendendosi conto che si
stava solo divertendo alle sue spalle, il principe ridacchiò nervosamente ed esalò:
“Nys ha un senso dell’umorismo davvero macabro.”
“Lo so” commentò pacata
Eikhe, senza neppure voltarsi.
Voltandosi a mezzo verso
Nys, Aken borbottò: “La tua padrona è davvero insopportabile, quando ci si
mette.”
Il lupo si limitò a
scodinzolare, come volendo fare da paciere tra i due e Aken, ridendo suo
malgrado, gli carezzò il capo.
“Le sei molto fedele, eh?”
Nys annuì, leccandogli la
mano.
Tornato a guardare dinanzi a
sé, Aken aggrottò un poco la fronte e dichiarò: “Se si alza ancora un po’ la
neve, dovrò venire davanti io.”
Sbuffando, Eikhe borbottò:
“Conto che non superi quest’altezza, principe.”
“Piantala, Eikhe, …ti ho già
detto di non chiamarmi così” replicò lui, tirandole la treccia di capelli.
“Ahia!” ringhiò per diretta
conseguenza la ragazza, faticando a tenere a freno rabbia e tono di voce.
Fissandolo astiosa da sopra
una spalla, gli sibilò contro: “Non rifarlo, è chiaro?!”
“Altrimenti?” ironizzò il
principe, più che tranquillo.
Lei sollevò le braccia al cielo
come per voler imprecare ma, sapendo di non potersi sfogare a gran voce per non
scatenare una slavina, si mangiò le parole in bocca.
Macinando passi su passi,
continuò nella salita per almeno un centinaio di iarde prima di aggrottare la
fronte e fermare di colpo la sua avanzata.
Bloccandosi dietro di lei,
Aken le chiese: “Beh, che c’è?”
“Guarda lì più avanti, …c’è
un avvallamento nella neve” mormorò lei, aggrottando la fronte.
“Ebbene?”
“Potrebbe esserci una
spaccatura. Un seracco nascosto dalla neve fresca” ipotizzò la ragazza-lupo,
sibilando tra i denti per il fastidio.
Storcendo il naso, Aken
disse: “Non sembra molto larga. Pensi di poter passare, con un balzo?”
“Se la neve non fosse così
alta, sì” annuì lei, prima di guardare le ampie spalle di Aken e sorridere
ironica.
Guardandola dubbioso, il
principe borbottò: “Cosa ti sta frullando in testa, ragazza-lupo?”
“Fammi salire sulle tue
spalle. Salterò da lì” gli spiegò succintamente.
“Come?” esalò lui,
sconcertato.
“Non riuscirei a saltare in
nessun altro modo. Ti userò da piattaforma” gli suggerì, scrollando le spalle.
Annuendo lentamente, lui le
permise di issarsi sulla schiena fino a sentire i piedi della ragazza sulle
spalle.
A quel punto, senza alcun
preavviso, la vide balzare oltre l’avvallamento, finendo nella spessa coltre di
neve poco dinanzi a loro.
Un po’ preoccupato, Aken
disse: “Eikhe, va tutto bene?”
Ridacchiando, lei si rimise
in piedi e, togliendosi la neve di dosso, annuì.
“Sì, tutto a posto. Ora
smuovo la neve; se è come penso, crollerà giù come un castello di carte.”
Sedendosi in terra, diede
delle spinte alla neve coi piedi e, dopo ripetuti tentativi, si scostò alla
svelta quando la sentì tremare e crollare dinanzi a sé.
Aken e Nys si spostarono
indietro quando, dinanzi ai loro occhi, si aprì una voragine di diversi piedi
di larghezza.
Affacciandosi per
controllare, il principe borbottò contrariato: “Avremmo fatto un bel volo. Non
se ne vede la fine.”
Annuendo, Eikhe si sporse a
sua volta, storcendo il naso.
“Decisamente. Ora, comunque,
potete saltare di qua agevolmente.”
Nys non si lasciò pregare e,
con un balzo leggero, fu dall’altra parte.
Imitatolo, Aken spiccò un
salto per terminare oltre la voragine ma, incespicando con un piede, rovinò
disastrosamente contro Eikhe, gettandola a terra in un mucchio di neve.
Strillando per la sorpresa,
Eikhe si ritrovò il peso di Aken addosso e, ridendo suo malgrado divertita, lo
fissò negli occhi ed esclamò: “Non sapevo ti mancassero così tanto le donne, da
saltarmi addosso a questo modo.”
Arrossendo nonostante tutto,
il principe si raddrizzò subito, dandole una mano a rimettersi in piedi e,
sbuffando, disse: “Come sei spiritosa. Sono scivolato sulla neve.”
Lei rise e replicò: “Lo so,
cosa credi?”
Sollevando le braccia al
cielo, esalò esasperato: “Ah, che razza di guida doveva capitarmi! Lunatica è
dire poco!”
Eikhe si limitò a sorridere
e, seguendolo lungo il pendio, ne osservò le ampie spalle diritte e fiere,
indice primo della sua forza e del suo spirito indomito.
Niente pareva piegarlo, né
la morte dei suoi uomini, né le difficoltà del viaggio che avevano appena
intrapreso, e che li avrebbe condotti su vie pericolose e sconosciute.
Il principe delle pianure
che lei tanto aveva disprezzato, si stava rivelando diverso da quello che aveva
in un primo momento creduto e, suo malgrado, la cosa le fece piacere.
Non si sarebbe prodigata
volentieri, per una persona che non lo meritasse.
Per Aken, invece, non aveva
problemi a offrire il suo aiuto.
Sapeva ormai del suo
orgoglio smisurato, e poteva immaginare cosa potesse significare, per lui, mettersi
nelle mani di una donna quando, per una vita, era stato abituato diversamente.
Il principe, però, pareva
aver finalmente compreso che, di lei, poteva fidarsi ciecamente, senza temere
secondi fini da parte sua.
Ora, doveva ricambiare il
favore e lasciare che Aken la aiutasse, qualora lo avesse voluto.
Avvicinatosi perciò a lui,
allungò una mano per stringere la sua e Aken, volgendosi a mezzo per guardarla
sorpreso, la vide sorridere fiduciosa e cordiale.
Tranquillizzato, le sorrise
di rimando e proseguì con lei al fianco, sempre tenendo la piccola mano nella
propria.
Fermatisi giusto il tempo di
un breve pasto, i due ripresero il cammino fino a raggiungere il Passo nel
primo pomeriggio.
Lì, sotto il loro occhi, si
aprirono le impervie vallate di Vartas, con i loro boschi e i loro villaggi
sparsi sulle alture.
Quello che però colpì i due
giovani non fu il paesaggio, quanto quello in esso contenuto.
Decine di migliaia di uomini
erano assiepati in svariati accampamenti alle pendici dei valichi montani.
Il fatto che, in valle, i
lavori fervessero con energia, non lasciava presagire nulla di buono.
Facendo tanto d’occhi di
fronte a quello spettacolo angosciante, Aken guardò sconvolto Eikhe, esalando:
“Era questo, ciò che non volevano far vedere a quelli di Anok Fort!”
“Vogliono invadere il regno”
ansò sgomenta Eikhe, ugualmente confusa e preoccupata.
“Dobbiamo tornare al più
presto, devo predisporre le truppe o…” dichiarò Aken, continuando a fissare
quello spettacolo miserevole.
Guardando Nys, Eikhe mormorò
lesta: “Vai a fare un sopralluogo, Nys. Noi ti aspetteremo alla Caverna
dell’Alce, va bene?”
Il lupo annuì e cominciò a
discendere il crinale mentre la ragazza-lupo, tirandosi dietro uno sconvolto
Aken, mormorò: “Nys ci farà sapere cosa succede.”
“Non rischia di…” obiettò
lui, prima di scorgere il dissenso di Eikhe.
“No, nessuno baderà a lui”
precisò lei, prima di notare, su una vicina cresta di monte, un’apertura di
poco più di un metro. “Eccola.”
“Come fai a conoscerla?” le
chiese Aken, mentre la raggiungevano.
“Ci siamo accampati lì una
notte, io e Nys. Fuori, infuriava la tempesta e saremmo morti, se non
l’avessimo trovata” gli spiegò succintamente, affacciandosi all’interno per
scoprire se il piccolo pertugio avesse già degli inquilini.
“Perché ‘caverna dell’alce’?” chiese a quel punto lui, entrando dopo la
ragazza.
“Avevamo catturato un alce,
quella volta. Avevamo faticato non poco, a trascinarla nella grotta per non
perdere la pelle” rammentò lei, sedendosi a terra dopo aver appoggiato la sacca
su un masso.
Storcendo il naso, Aken le chiese:
“Toglimi una curiosità, Eikhe, ma da quando vai in giro da sola a cacciare?”
“Da sola, mai, c’è sempre
stato Nys, con me. Comunque, caccio senza un’altra donna-lupo al fianco da
quando avevo dodici anni” ammise tranquillamente, intenta a spostare un masso
poco lontano, mentre rispondeva alle sue domande.
Ancora sconvolto da quella
notizia, Aken non si accorse neppure di ciò che Eikhe estrasse da sotto il
masso.
Non appena sentì lo schiocco
inconfondibile del fuoco, però, osservò senza parole il piccolo mucchietto di
legna e torba che aveva ammonticchiato in un angolo della grotta.
Confuso, le si avvicinò per
scoprire dove avesse preso quella roba e, con sua somma sorpresa, scoprì una
piccola insenatura nella roccia.
Con tutta probabilità, la
ragazza vi aveva raccolto un bel po’ di
legname per i casi di emergenza.
Sempre più stupito di fronte
alla bravura di quella giovane così strana, che il caso gli aveva fatto
incontrare, Aken disse: “Mi stupisci ogni giorno che passa. Non avevo idea tu
fossi così oculata.”
“Non è questa gran cosa. Mia
madre mi ha insegnato che, se scopro un buon riparo, è sempre meglio tenerci
dentro il minimo indispensabile per sopravvivere” si limitò a dire con
naturalezza. “Togliti i vestiti e falli asciugare. Quel tuffo nella neve ci ha
inzuppati per bene.”
Annuendo, Aken emise un
risolino.
“Se non fosse perché sei tu,
penserei ti stia divertendo a vedermi spogliare.”
Ridendo nonostante tutto,
lei si volse per fare lo stesso e, preso il suo cambio nella sacca, si rivestì
alla svelta prima di passare al principe il suo mantello.
“E’ indubbiamente uno
spettacolo interessante, ma penso prima di tutto alla tua salute, piuttosto che
a guardarti.”
Sedendosi vicino al fuoco,
lui annuì e, dandole un buffetto sulla guancia, asserì: “Lo so, e ti ringrazio
per le tue cure. Quando parli con quel cipiglio autoritario, dimentico per un
momento di essere un guerriero, e torno a essere bambino.”
“Ti manca tua madre, Aken?” gli
chiese con estrema serietà, ben sapendo che Anladi era la seconda moglie del
re, e non la sua vera madre.
Annuendo, lui tornò con i
suoi ricordi a un passato ormai lontano, a ombre e figure talmente vacue da
essere quasi indistinguibili.
Una sola cosa era chiara e
limpida, in lui: il loro amore reciproco.
Sua madre lo aveva sempre
amato, e così lui, lei.
“A volte… specialmente
quando sono in pericolo. Ricordo che mia madre non amava affatto la mia
passione per le armi. Aveva paura mi facessi male.”
Sorridendogli, Eikhe dichiarò:
“Era una madre molto accorta.”
“Oh, sì, fin troppo, direi”
ammise lui, ridacchiando. “Ricordo che, a sei anni, poco prima che si
ammalasse, mi vietò di andare ad allenarmi con gli altri guerrieri perché aveva
il timore che potessi ferirmi.”
“Sei anni? E già ti
permettevano di addestrarti?” esalò lei, sollevando sorpresaa un sopracciglio.
“Non esattamente. Diciamo
piuttosto che era l’unico sistema per tenermi lontano dai guai. Diversamente,
facevo impazzire i precettori, e mi nascondevo ovunque, col rischio che mi
rompessi davvero l’osso del collo.
Non ho mai amato rimanere chiuso a palazzo” ironizzò Aken con tono vagamente
triste.
Eikhe ne rimase sorpresa. Non
avrebbe mai pensato che il principe non amasse il suo luogo di nascita.
“Quindi, l’unico sistema per
tenerti più o meno al sicuro, era farti stare con i soldati. Ma non stavi
attento come promettevi a tua madre, giusto?” ipotizzò a quel punto la ragazza,
piegando le ginocchia per potervi poggiare i gomiti.
“Pensi che un bambino di sei
anni faccia quello che gli dice la madre?” sospirò lui, scuotendo il capo,
nella voce il mesto ricordo della madre. “Disobbedii, e mi ruppi un braccio
durante un allenamento. Mia madre non mi disse nulla ma, da quel giorno, mi
allenai solo con il mio insegnante privato di scherma. Bastava un suo sguardo,
per capire se avevo commesso un errore o meno.”
“Doveva essere una madre
dolce e gentile. La ricordi con un tale affetto” mormorò Eikhe con un piccolo
sospiro.
Guardandola sorpreso, Aken allora
le domandò: “Kaihle non è affettuosa con te?”
“Eh?” esalò lei,
riscuotendosi da quel momentaneo cedimento. “Beh, non in questi termini, se è
questo che intendi. E’ molto severa, con me e Tyura, ma so che ci vuole bene.
Forse, con me è un poco più scostante perché ho un carattere difficile.”
“In che senso?” volle sapere
lui.
“Dice che mi comporto come
un lupo selvatico…” scrollò le spalle lei. “… me lo dice spesso, specialmente
quando sto tanto tempo nei boschi con Nys.”
“E perché stai così tanto
tempo lontana dal villaggio?” le chiese a quel punto Aken, osservandola
dubbioso.
“Ti sembrerà strano, ma
adoro passare il mio tempo nella foresta con Nys. Amo le mie sorelle del
villaggio, ma non mi sento del tutto parte di loro, lo ammetto” sospirò la
ragazza, corrucciandosi. “Non… non sono del tutto convinta che sia giusto
quello che facciamo.”
“Che intendi dire?” volle
sapere lui, accigliandosi leggermente.
Dove voleva andare a parare?
“Beh, vedi… come saprai, i
lupi si scelgono un compagno per la vita, e rimane quello fino alla morte di
uno dei due. Noi, invece, ci uniamo agli uomini solo quando siamo pronte per
procreare” gli spiegò, fissando lo sguardo a terra.
Parlarne con Aken cominciava
a farla sentire strana, e non riusciva più a guardarlo negli occhi così
apertamente come era stata solita fare quando si erano appena conosciuti.
Ora, sentiva qualcosa
ribollirle dentro ogni qual volta i suoi occhi incrociavano quelli del giovane
principe, specialmente se ciò di cui stavano parlando era un argomento così
personale come quello.
Con un gran respiro, Eikhe
cercò di riprendere il controllo delle proprie emozioni e continuò.
“Io non credo ne sarei
capace. Trovarmi un uomo solo per concepire un figlio, intendo.”
Sorridendo gentilmente, comprendendo
cosa volesse dire, Aken mormorò: “Vorresti anche tu un compagno per la vita,
come i tuoi lupi?”
Lei annuì debolmente e il
principe, sollevandole il viso per guardarla nelle sue profondità dorate, disse:
“E’ bello che tu lo voglia, Eikhe.”
“Ma non è quello che dicono
alla tribù. Io non posso averlo”
precisò lei, fissandolo spaventata. “Per questo, mi sento più parte del branco
dei lupi, che compagna delle mie sorelle, esattamente come Hyo. Lei aveva donato
un figlio a Hevos perché amava lui,
non perché voleva semplicemente diventare madre e portare avanti una stirpe di
donne libere.”
Avvedendosi del suo
turbamento, Aken la prese tra le braccia, facendole poggiare il viso contro il
suo torace nudo.
Cullandola contro di sé,
ascoltò con rammarico i suoi singhiozzi strozzati, e carichi di un dolore che
pareva essere antico quanto profondo.
Con voce resa roca dalla
tensione che sentì nascere dentro di sé nel percepire il suo dolore, le disse:
“Povera bambina… ma perché non vi lasciano decidere liberamente?”
Affondando il viso
nell’incavo del suo braccio, Eikhe cercò di non piangere e mormorò: “Non ho il
potere di farlo. E’ il Consiglio delle Tribù che ha sempre deciso le regole,
almeno da duecento anni a questa parte.”
“Ugualmente, non è giusto
privarti di qualcosa che vorresti” sussurrò lui, continuando a cullarla
gentilmente.
Cominciando a piangere in
silenzio, Eikhe si strinse ad Aken senza neppure accorgersene.
Presala sulle gambe, la
tenne in grembo come avrebbe fatto con una bambina, finché lo scoppio di pianto
non fu passato.
Quando finalmente i
singhiozzi della ragazza scemarono fino a scomparire, le scostò un poco il
volto per sorriderle comprensivo.
Asciugandole le lacrime
sotto gli occhi sfiorandola con il pollice, Aken le chiese: “Da quanto tempo
non parli con qualcuno, Eikhe?”
Arrossendo suo malgrado per
quel momentaneo cedimento, lei mormorò contrita: “Da mesi, ormai.”
“Non hai un’amica, al
villaggio, che la pensi come te?”
“Parlo con Sendala, a volte…
è l’unica che non mi giudica per quello che penso, o per quello che sono, ma…”
sospirò lei, reclinando il capo mestamente.
“…ma neppure lei ti capisce
fino in fondo, vero?” terminò per lei Aken, sistemandole una ciocca di capelli
con gesti gentili di una mano.
Lei annuì, scostandosi
lentamente da lui.
“Già. Scusami se sono
scoppiata a piangere. Evidentemente, sono più stanca di quanto non credessi. Di
solito, non sono così.”
Annuendo, Aken lasciò che si
rialzasse. Era meglio non eccedere, con i contatti intimi, o non aveva davvero
idea di dove avrebbe potuto condurli.
“Nessuno mi porterebbe a
credere che tu sia una ragazza tutta lacrime e fazzoletti, credimi!”
Eikhe tornò a sorridere
brevemente poi, piegandosi verso le sacche, disse con la voce ancora un po’
arrochita dal pianto: “Visto che dobbiamo aspettare Nys, tanto vale mangiare un
po’, no?”
“Giusto. Cominciavo a
sentire un certo languore allo stomaco” annuì Aken, passandosi una mano sul
ventre piatto e muscoloso.
Lei gli passò un po’ di
carne secca e delle gallette, dopo essersi scostata da lui per sedersi su un
masso.
Lì, Eikhe fissò turbata Aken
prima di dire: “Se il tempo tiene, saremo al Valico di Kortoss entro domani
sera, altrimenti…”
“… altrimenti, moriremo?” aggiunse lui senza preamboli, masticando
lentamente il pezzo di carne secca.
Eikhe annuì. Era inutile
girarci intorno.
“Se la tempesta infuriasse,
ci terrebbe bloccati qui per giorni, e non c’è legna a sufficienza per
scaldarci per così tanto tempo, né cibo sufficiente.”
“Capisco” annuì Aken, senza
scomporsi.
La ragazza-lupo lo fissò per
un momento prima di mormorare: “Mi spiace non ci siano altri modi per
raggiungere Rajana.”
“Non è colpa tua, no?
Quindi, non ti scusare. Stai già facendo fin troppo, visto che non eri stata
assoldata per farmi da scorta” scrollò le spalle lui, sorridendole ironico
prima di finire la carne secca.
Succhiatosi un dito, dove
era rimasto un sentore di carne, Aken la fissò dubbioso per un attimo, prima di
dire: “Piuttosto, mi è tornata in mente una frase di Nargan. Ha detto qualcosa
circa alcune tue compagne del valico e, a tal proposito, ho pensato a ciò che
mi hanno riferito alcuni uomini di Marhna. Mi dissero di non aver visto lupi,
al loro ultimo passaggio per raggiungere il forte. Cosa pensi possa essere successo?”
Aggrottando la fronte, Eikhe
si mordicchiò la punta di un dito con fare nervoso.
Ci aveva pensato anche lei,
quando aveva sentito Nargan parlarne.
“Dubito fortemente che le
mie sorelle possano essere passate dalla parte di Vartas, almeno non volontariamente.
Odiano i vartassyan perché sono dei
veri primitivi, con le donne. Più degli altri, insomma.”
A quel commento, Aken
ammiccò divertito, ed Eikhe scrollò una mano come per mandarlo al diavolo.
Ugualmente, comunque,
proseguì nel suo discorso.
“Credo piuttosto che le
abbiano prese prigioniere, uccidendo nel contempo i lupi della tribù. So per
certo che loro accompagnano sempre i convogli fino al Forte, per essere sicure
che le scorte arrivino. Non è raro che ci siano slavine da quelle parti, ed è capitato
più di una volta che loro abbiano aiutato i carri a liberarsi dalla neve. Fa
comodo anche a noi avere la difesa del Forte dalle incursioni di Vartas, quindi
credo sia successo qualcosa di simile.”
“E che voleva dire parlando
di… di ‘figlie sacre’ come te?” volle
sapere lui, non del tutto certo che lei avrebbe risposto alla sua domanda.
Guardandolo per un momento con
aria dubbiosa, Eikhe sospirò e disse: “Mi stupisce che siano riusciti a
prendere anche loro. Siamo difficili da… catturare.”
“Perché ho l’impressione che
mi nascondi qualcosa?” dichiarò il principe, adombrandosi in viso.
“Aken…” esalò la ragazza,
chiedendosi se fosse arrabbiato con lei per via dei suoi silenzi.
Aveva un viso così cupo e
accigliato, da metterle quasi paura.
Aken, però, aveva tutt’altro
per la testa, perché i suoi pensieri non stavano affatto gravitando intorno a
quanto lei non gli dicesse, quanto piuttosto alle affermazioni circa i suoi
desideri.
Lei voleva un compagno per
la vita, e non un semplice amplesso con un uomo al solo scopo riproduttivo
come, invece, sembrava dire la loro legge.
Eikhe si era definita più un
lupo, che una appartenente alla sua tribù.
Se questo, da un lato, lo
aveva stupito, dall’altro lo aveva reso tremendamente consapevole del fatto
che, il suo compagno, avrebbe voluto essere lui.
Già il solo pensarlo era
pura follia, perché sapeva bene che Eikhe non era la donna adatta a lui.
Non poteva comunque fare a
meno di pensare a quanto stesse bene in sua compagnia, a quanto la sua voce gli
ispirasse serenità, a quanto il suo sorriso, o il suo pianto, potessero farlo
sentire bene, o male.
Mai nella vita, aveva
provato tali sentimenti, assieme a una donna.
Erano tutte sensazioni che
non riusciva a frenare e, pur dandosi dello stupido, vista la gravità della
situazione, non ce la faceva a non pensare a lei.
O al desiderio di diventare
un tutt’uno con quella giovane amazzone dagli occhi dorati.
Il suo piccolo lupacchiotto.
Il solo pensiero lo portò a
sorridere e, levato lo sguardo su Eikhe, la trovò a fissarlo pensierosa, la
bocca atteggiata a una leggera smorfia e le sopracciglia chiare accigliate.
Sembrava non riuscisse a
comprendere qualcosa.
Inclinando il capo di lato, le
chiese: “Cosa c’è, Eikhe?”
“Posso girare a te la
domanda?” replicò lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. “Perché ti sei
fatto di colpo ombroso? E’ per via della nostra situazione, che sei
preoccupato? O c’è dell’altro?”
Scuotendo la mano con un
gesto noncurante, lui replicò tranquillo: “No, lo so anch’io che rischiamo di
morire, Eikhe. Non ero preoccupato per quello, non temere. Neppure durante le
battaglie, la morte mi preoccupava.”
“E cosa ti rende ansioso,
allora?” gli domandò sorpresa. Cos’altro poteva angustiarlo?
Ridendo suo malgrado, Aken
scrollò la testa, replicando mesto: “Pensieri da uomo, tesoro, niente di cui tu
ti debba impensierire.”
Lei arrossì leggermente e
sorrise, dicendo: “Tesoro? Ma come siamo gentili!”
Aken sogghignò divertito e
replicò: “Ti devo trattare bene, se non voglio che mi lanci da un dirupo, no?”
Eikhe scoppiò a ridere ed
Aken, lieto nel vederla finalmente più serena, rimase a fissarla in silenzio
per alcuni istanti, abbeverandosi di quella splendida visione.
“Ora sì che mi piaci, Eikhe.
Sorridente come dovrebbe esserlo qualsiasi ragazza della tua età.”
“Perché, alla veneranda età di venticinque anni, come
bisogna essere?” ironizzò lei, ridendo e asciugandosi una lacrima ilare.
“Voglio ricordati che hai solo otto anni più di me, non ottanta.”
Imponendosi un atteggiamento
compassato e altero, Aken dichiarò con serietà: “A venticinque anni bisogna
essere seri, pacati, estremamente educati e mai impulsivi.”
Chiusi gli occhi, sollevò un
dito e aggiunse: “Si deve avere proprietà di linguaggio e di comportamento e…”
Scaraventato a terra
all’improvviso da Eikhe, Aken si ritrovò a fissarla da quella strana
prospettiva capovolta, lei tutta ridacchiante e soddisfatta.
Storcendo il naso, le domandò:
“Ma che ti è preso?”
“Mi davi sui nervi…” rise
lei, mettendo mano ai fianchi di Aken. “… soffri il solletico?”
Aken impallidì leggermente –
era anche troppo sensibile, da quel punto di vista – e chiese dubbioso:
“Perché? Non vorrai infierire su un uomo disarmato, e svestito, per giunta?”
Sorridendo diabolica, Eikhe
annuì e disse: “Se può servire a toglierti quell’aria di superiorità dalla
faccia, sì. Non mi piacevi per niente, compassato com’eri. Sembravi una prugna
secca.”
Rialzandosi di scatto, Aken
fece andare gambe all’aria Eikhe e ringhiò falsamente irritato: “Prugna secca,
a chi?!”
Lei rise nel rimettersi in
piedi e, indicandolo con ironia, esclamò: “Tu, è ovvio.”
Aggrottando la fronte, Aken
lanciò un’occhiata ai suoi pantaloni.
Avvedutosi che erano
asciutti, si liberò con un gesto negligente del mantello – portando Eikhe e
sgranare gli occhi per la sorpresa e l’imbarazzo – e li indossò e disse: “Così,
almeno, non rischierò colpi bassi.”
Indietreggiando di un passo,
Eikhe aggrottò la fronte e mormorò: “Perché?”
“Per restituirti la
pariglia!” esclamò lui, gettandosi sulla ragazza.
Strillando per la sorpresa e
il divertimento, Eikhe crollò sulla sacca degli abiti e, ridendo a crepapelle,
sentì le mani di Aken farle il solletico sui fianchi con diabolica meticolosità.
Pur dimenandosi per
liberarsi, si trovò bloccata dalle sue gambe massicce, del tutto intenzionate a
tenerla bloccata a terra.
Con le lacrime agli occhi,
Eikhe riuscì a dire: “Dèi, ti prego… basta, Aken! Non resisto più!”
“Ma davvero? Non era quello
che volevi fare a me?” ghignò per contro lui, continuando nella sua tortura.
“Sì, ma non l’ho fatto!”
protestò lei, riuscendo in qualche modo a liberare un braccio dalla sua morsa.
Raggiungendo un fianco nudo
di Aken, Eikhe si vendicò prontamente e il principe, sobbalzando per la
sorpresa, si scostò da lei, crollando a terra, scosso da brividi.
Approfittandone immediatamente,
la ragazza-lupo gli saltò addosso, iniziando a fargli il solletico.
Pur non volendo, il principe
cominciò a ridere senza più riuscire a fermarsi, cercando inutilmente di
afferrare la ragazza perché terminasse quell’assalto.
Avvoltala con le braccia, se
la schiacciò contro il petto e, osservando le sue gote rosse d’ilarità con un
sorriso deliziato, esclamò: “Piantala, strega!”
Lei gli fece la lingua prima
di scoppiare ancora a ridere, e dire: “Non stai meglio, ora?”
Il principe la fissò senza
capire per un momento, prima di afferrare il gioco sottile cui l’aveva fatto
partecipare.
Mettendosi a sedere e
trascinandola con sé, annuì e ammise: “Sì, sono più rilassato, grazie. Sembravo
così teso?”
Eikhe annuì, ora seria in
viso e, messasi cavalcioni sulle sue gambe, dichiarò con semplicità: “Io e Nys
giochiamo sempre, per rilassarci. Pensavo ne avessi bisogno anche tu. Ti sei
offeso, se mi sono presa questa libertà, principe?”
Era così impulsiva e
schietta e, nella sua semplicità,… così maledettamente seducente.
Non si rendeva minimamente
conto di quanto, quel suo essere così naturale, lo facesse andare in deliquio?
Pur ritenendosi un egoista,
desiderò con tutto se stesso che continuasse per sempre a essere così sincera e
diretta, ma solo con lui.
Scuotendo il capo, lui le
sorrise e, dandole un buffetto sul naso, disse: “No, piccola, anzi, devo
ringraziarti per aver pensato a tirarmi su di morale.”
Lei scrollò le spalle e mormorò:
“Di nulla, Aken.”
***
Nys li raggiunse durante la
notte, trovandoli ancora addormentati vicini, avvolti dal mantello di pelle
d’orso e coi volti che denotavano la stanchezza accumulata in quei giorni di
privazioni.
Avvicinantosi silenzioso, si
sistemò accanto alla padrona, addormentandosi a sua volta.
Quel che aveva da riferire alla
sua padroncina era sì, importante, ma non così tanto da destarla nel bel mezzo
della notte.
Avrebbe atteso il sorgere
del sole per metterla al corrente di ciò che aveva scoperto.
***
La mattina venne anche
troppo in fretta e Nys, svegliatosi per primo, leccò il viso della padrona per
svegliarla.
Non poteva più attendere.
Eikhe si mosse debolmente,
sollevando le palpebre appesantite dal sonno ma, non appena vide Nys, sorrise
lieta ed esclamò: “Aken, svegliati. E’ tornato!”
Strizzando gli occhi per un
momento, Aken si ritrovò il muso di Nys dinanzi
al viso e, con sua somma sorpresa, il lupo leccò anche lui.
Eikhe allora rise e disse:
“Sei diventato il suo cucciolo!”
“Che cosa?” esalò Aken,
sollevandosi a mezzo mentre Nys continuava a leccarlo.
Cercando di intercettarlo
senza far finire le dita in mezzo alle sue zanne, Aken lo bloccò scherzosamente,
afferrandolo per il muso.
“Che ti prende, stamattina?”
Nys si liberò agevolmente,
buttandolo a terra con il suo peso e Aken, sbuffando, chiese ancora: “Allora,
si può sapere cos’hai?”
Uggiolando, Nys lo liberò
dopo un momento ed Eikhe, aiutato Aken a rialzarsi, gli spiegò il comportamento
del suo lupo.
“Dice che ti è grato per le
cure che mi serbi, per cui ti ha preso sotto la sua ala, per così dire.”
“Sotto la sua zampa, vorrai
dire!” commentò Aken, sorridendo a entrambi. “Ebbene?”
Nys si volse verso la
padrona, cominciando a uggiolare e la ragazza, aggrottando più volte la fronte,
impallidì leggermente prima di dire torva: “Saranno almeno cinquantamila unità.
Hanno cavalli in abbondanza, carri pieni di vettovaglie e catapulte… e altri ne
arriveranno dalle pianure, da quel poco che ha sentito.”
Incupendosi, Aken annuì
grave.
“E così, sono davvero decisi
ad attaccarci, eh? Ma troveranno pane per i loro denti, questo è certo!”
“Dobbiamo arrivare a Rajana
al più presto. Se passano il confine, potrebbero colpire anche i nostri
villaggi, vero? L’unica strada percorribile adesso, a causa della frana che ha
bloccato il Sentiero dell’Orso, è il Valico di Kortoss. Da lì, passeranno ad
Anarsis e, infine, giungeranno a Enerios” mormorò Eikhe, preoccupata.
Annuendo, Aken le chiese:
“Quante tribù dei lupi ci sono, sulle montagne?”
“Siamo una trentina…
settemila persone circa, in tutto” dichiarò lei, pensosa, sorprendendolo.
“Così tante donne?” esalò lui.
“Non pensavi, vero?” sorrise
lei, divertita.
“Lo ammetto, no. E sanno tutte combattere?”
“Tolte le anziane e le
bambine, saremo circa quattro-cinquemila combattenti esperte” decretò Eikhe,
rimuginando sui numeri di sua conoscenza.
“Saremo? Verresti in guerra anche tu?” esalò Aken, un po’ turbato
dall’idea.
“Ma certo! A cosa pensi
andremo incontro, scendendo a valle? Solo a scampagnate nei boschi?” replicò
lei, un po’ piccata. “Continui a trattarmi come una bambina, nonostante tutto,
eh?”
Alzandosi stizzita, Eikhe
raccolse la sua sacca, buttandosela sulle spalle con malagrazia.
Osservandola spiacente, Aken
si alzò a sua volta per uscire dal loro riparo, ben deciso a chiederle scusa.
La visione di ciò che li
attendeva all’esterno, però, lo ammutolì di colpo e, sgomento, osservò la
lastra di neve compatta e ghiacciatasi nella notte.
Mettendo dubbioso un piede
su quella massa uniforme e trasparente, per poco non crollò a terra riverso sulla
schiena.
Imprecando furiosamente, esclamò:
“Ci mancava solo una pista di pattinaggio!”
“Lo praticate anche voi?”
chiese curiosa Eikhe, fissandolo sorpresa e dimenticando per un momento l’ira
provata all’interno della grotta.
“Qualche volta, quando i
laghi a valle ghiacciano” annuì Aken, prima di chiederle: “E ora?”
Guardando Nys, che pareva
turbato al pari di Aken, Eikhe sospirò un momento prima di dire: “Ad averci
pensato, ne avrei presi un paio anche per te, ma…”
Sbuffando, si sedette su un
sasso, estraendo dalla sua sacca un paio di strani sandali dalle suole
ricoperte di punte acuminate.
Dopo averli allacciati sotto
gli stivali, li saggiò sulla neve ghiacciata e infine guardò il suo principe.
“Aken, tu dovrai prendere in
braccio Nys… pensi di farcela?”
Osservando il corpo
slanciato del lupo, lui annuì senza problemi.
“Basta che non mi morda.”
Sorridendo con un certo
sadismo, lei dichiarò: “Non lo farà, …sei il suo cucciolo.”
Aken storse il naso a quella
parola ed Eikhe, tornando seria, disse: “Dovrai tenerti a me come se fossi un
appoggio, altrimenti potresti scivolare, portando a valle Nys con te.”
“Ma sei certa di poter
tenere entrambi noi? Siamo piuttosto pesantucci” replicò Aken, guardandola
turbato.
“Vuoi metterli tu, questi
sandali? Dubito riusciresti a calzarli” replicò piccata Eikhe, indicandosi il
piede, ben più piccolo di quello del guerriero.
Aggrottando un poco la
fronte, Aken però le fece notare un particolare.
“Non li posso calzare, ma li
possiamo modificare, no?”
“In che senso?” borbottò
lei, aggrottando la fronte.
“Non avrò tutto il piede
coperto quei denti metallici, ma avrò sicuramente un appoggio migliore sul
ghiaccio, rispetto alle suole di cuoio, no?” ipotizzò lui, fiducioso.
“Tagliando un paio di lacci e mettendoli sui lati, risolveremo il problema. Se
io scivolassi, non riusciresti a tenermi, Eikhe, mentre io riuscirei di
sicuro.”
Lei lo fissò ombrosa per
qualche momento ma, alla fine, tornò sui suoi passi, raggiungendo nuovamente la
grotta.
Lì, si tolse i calzari e,
dopo aver ordinato ad Aken di sedersi, cominciò a operare le modifiche del caso
mentre Nys osservava a intervalli regolari il fronte della montagna e i suoi
due compagni di viaggio.
Lavorando abilmente con il
coltello e i lacci di pelle, Eikhe riuscì a fissare sotto le suole degli
stivali di Aken le due basi acuminate e, annuendo debolmente, disse: “Sono
rovinati, ma hai ragione. Io non riuscirei a tenervi, se tu scivolassi.”
Il principe, a quel punto,
si levò in piedi, saggiando le sue insolite calzature.
Tornato che fu sulla neve,
annuì e disse: “Ora va decisamente meglio.”
Poi, piegandosi su un
ginocchio, disse: “Coraggio, Nys, in groppa.”
Nys uggiolò contrariato ed
Eikhe, ridacchiando, disse: “Lo so che non è molto decoroso, per un lupo ma le
tue zampe, sul ghiaccio, non fanno presa, lo sai.”
Sconfitto, Nys venne
sollevato da Aken che, sistemandoselo come meglio poté, dichiarò: “Non sei un
peso piuma, eh?”
Il basso ringhio di Nys lo
portò a azzittirsi ed Eikhe, poggiate le mani sui fianchi di Aken, mormorò:
“Procedi pure.”
“Mi perdoni per quello che
ho detto prima?” le chiese Aken, prima di muovere un solo passo sulla neve
ghiacciata.
Eikhe sospirò e,
poggiando un momento la fronte contro la
schiena di Aken, annuì una sola volta.
“Dovrei saperlo che non sei
abituato a vedere delle donne combattere, eppure mi dimentico sempre. Sei
scusato. Davvero.”
“Bene” annuì lieto il
principe.
Iniziata la discesa sulla
lastra di neve, le mani di Eikhe strette con forza alla sua tunica, Aken scrutò innanzi a sé oltre lo scudo fisico
di Nys.
Deglutendo a fatica, sperò
ardentemente di non combinare un guaio, che avrebbe messo tutti e tre sul primo
convoglio per il Regno dei Morti del dio-Corvo.
Non voleva commettere nessun
errore, e non solo perché ciò avrebbe significato la morte quasi certa.
Soprattutto, non voleva
deludere Eikhe quando, per una volta, non aveva il totale controllo della
situazione.
Le doveva troppo, e non solo
per quel che riguardava quel viaggio.
Era impressionante quante
cose fosse in grado di fare, nonostante la sua giovane età.
Giorno dopo giorno, Aken si
stava rendendo conto che, quella ragazza, avrebbe potuto veramente
rappresentare per lui la svolta nella vita che tanto aveva cercato.
L’unico problema, e non da
poco, era la loro appartenenza a due mondi diversi.
Erano così diametralmente
opposti che, neppure in mille anni, avrebbero potuto condividere ciò che lui
cominciava a sentire per lei.
Sospirando leggermente di
fronte a quella verità incontestabile, Aken cercò di lasciar perdere quei
pensieri poco consoni alla missione che stavano svolgendo e, concentrandosi
sulla discesa, domandò: “A est?”
“Sì, prosegui di là. Il Valico
è circa un miglio oltre quella cresta di roccia” annuì Eikhe, indicandogliela
con il braccio teso.
“Ci vorrà tutta la giornata,
per raggiungerlo, di questo passo” brontolò Aken, accigliandosi.
“Anche meno, se scivoliamo
giù” ribatté lei. “Guarda dove vai, e non ti lamentare.”
“Sì, mamma” la rabberciò
lui, caustico.
Senza starci neppure a
pensare, Eikhe gli assestò un sonoro ceffone sul didietro e Aken, stringendo i
denti, imprecò.
“Ehi! Vuoi farci cadere?!
Che ti prende?!”
“Scusa, mi è venuto
spontaneo” fece la lingua lei, ridendo nonostante tutto.
“Stupida” si lamentò Aken.
Eikhe si limitò a sorridere
maliziosa e, osservando il muso di Nys, che se ne stava appoggiato sulla spalla
di Aken, lo vide snudare i denti in una sorta di sogghigno.
Lei lo ringraziò,
accarezzandogli il muso e il principe, sbirciandola da sopra la spalla libera, le
chiese: “Cos’avete in mente, voi due?”
“Nulla, Aken, te lo assicuro”
sorrise Eikhe, rimettendo la mano sul suo fianco.
Storcendo il naso, non del
tutto convinto, il principe procedette sulla parete di neve e ghiaccio fino a
che il sole non divenne così accecante da rendere quasi impossibile proseguire.
A quel punto, Eikhe ingiunse
ad Aken di fermarsi.
“Dobbiamo mettere le bende
sugli occhi.”
“Credo anch’io” annuì lui,
di malavoglia.
Come il giorno precedente,
per evitare che il riverbero li accecasse, i due giovani indossarono delle
diafane strisce di stoffa sugli occhi.
Con calma misurata,
ripresero poi la discesa, sempre tenendosi in direzione del Valico di Kortoss.
Riposando le braccia a ogni
ora, Aken ripensò a ciò che i suoi occhi, il giorno precedente, avevano scorto.
Gli agglomerati di tende
bianche dell’esercito non promettevano niente di buono, e lui doveva
assolutamente raggiungere Rajana per preparare i suoi soldati, o sarebbe stata
la fine per tutti loro.
Con il sole già ripiegato
verso ovest, Aken si volse forse per la centesima volta a osservare Eikhe, che
stava dando a Nys un pezzo di carne secca.
Silenziosamente, si chiese
cosa sarebbe potuto succederle, se la guerra avesse toccato anche le sue terre.
Come aveva detto lei,
avrebbe combattuto al fianco delle sue sorelle, ma sapeva per certo che, il
solo pensiero, lo avrebbe fatto rabbrividire di paura.
Ormai non poteva più fare
nulla per impedire a se stesso di provare un affetto incondizionato per Eikhe e
il suo lupo, e sapeva che questo non era affatto un bene, né per lui, né per la
ragazza.
Pur sapendolo, non poté
esimersi dall’intenerirsi di fronte al tenero sguardo con cui la ragazza osservò
il suo lupo, perciò pregò ardentemente di poter fare qualcosa per entrambi.
Era così strano provare un
trasporto così profondo per una persona che conosceva da così poco tempo
eppure, per Eikhe, lui sentiva esattamente questo.
E anche per Nys, a dir la
verità.
Inginocchiatosi accanto a
loro in quel momento di pausa dal loro avanzare lungo la montagna, accarezzò
Nys sul capo, grattandolo dietro le orecchie e, sorridendo, disse: “Mio buon
Nys…”
Eikhe lo fissò allibita per
un momento prima di sorridere.
“Ti piace, eh?”
Aken si limitò ad annuire,
lasciando che Eikhe interpretasse come volesse il suo assenso.
Ripreso infine il lupo in
groppa, ricominciò a discendere il crinale, intravedendo in lontananza la prima
vegetazione montana.
Da quel punto, erano ancora
invisibili dal Valico, ma presto quella condizione di vantaggio sarebbe svanita.
Quanto più tardi avessero
raggiunto i pini di montagna, tanto più certa sarebbe stata la loro
sopravvivenza.
Il problema, in seguito,
sarebbe stato trovare un luogo in cui ripararsi per la notte, ma confidava
nella bravura di Eikhe nel risolvere dilemmi simili.
A dissolvere le sue
speranze, però, pensò Eikhe che, osservando cupa il declinare del sole, brontolò:
“Stasera passeremo una nottata piuttosto disagevole, mi sa.”
“Niente ripari, qui?” mormorò
allora Aken, cominciando a sentire pesantemente la stanchezza.
“Solo una rientranza nella
roccia. Servirà a tenerci riparati dal vento, ma nulla più. Dovremo dormire
accucciati contro la parete rocciosa, e usare tutte le pelli che abbiamo a
disposizione per tenerci al caldo. La temperatura calerà drasticamente,
stanotte” spiegò lei, ombrosa, indicandogli il cielo sgombro di nubi. “Spero
solo che basti ciò che abbiamo.”
“Capisco” annuì Aken. “Se
facessimo un letto di rami di pino, però, non percepiremmo il freddo della
roccia, no?”
Lei annuì dopo un momento e,
con un mezzo sorriso, dichiarò: “Dovrai fare il boscaiolo.”
“Già. Taglierò anche qualche
ramo un po’ più grosso perché ci ripari ulteriormente dal vento, non si sa mai”
annuì pensieroso Aken.
“Ottima idea. Con la tua
forza, non avrai problemi” assentì Eikhe stringendosi un poco più a lui. “Sono
contenta di non essere sola, stavolta.”
Un po’ sorpreso,
comprendendo perfettamente non intendesse parlare di Nys, quanto di una presenza
umana al suo fianco, Aken le chiese: “Oh, e come mai?”
“Mi rendo conto che, da sola,
non riuscirei a superare tutti gli ostacoli che si pareranno dinanzi a noi. Con
te, invece, sono sicura di riuscirci” sorrise lei, illuminando il suo viso
stanco e provato dalla fatica.
“Ti sono grato della
fiducia, piccola…” sorrise Aken, soddisfatto da quella confessione. “… ma la
cosa è reciproca. Sono le tue idee geniali che ci stanno cavando dai guai, e ne
sono consapevole.”
“Davvero?” mormorò la
ragazza, sbirciando il suo volto.
Aken assentì con decisione.
“Nutro profondo rispetto per
quello che sai fare, e per te come persona, Eikhe. Se ogni tanto ti sembra che
io oltrepassi i limiti, sembrandoti un maschilista, è solo perché desidero
aiutarti, e non lasciare tutto il peso della missione su di te.”
“Io me la prendo per un
nonnulla, non devi badare alle mie sfuriate. Come vedi, cominciano e finiscono
in breve tempo” replicò Eikhe, arrossendo lievemente.
“Come dici tu” sorrise lui.
***
Dopo aver accatastato una
buona quantità di rami contro, e ai piedi, della parete dove avrebbero dormito,
Aken andò a recuperare i due grossi arbusti che aveva divelto.
Questo, avrebbe protetto il
loro sparuto gruppo dal vento ed Eikhe, quando li vide, rise di gusto.
“Ma hai disboscato il monte!?”
Sogghignando, Aken disse:
“Non proprio, ma ho faticato parecchio a convincere questi due a prestare il
loro aiuto a tre poveri viandanti.”
Eikhe si coprì la bocca con
una mano per non scoppiare in un’altra frenetica risata e Nys, saltellando
intorno ad Aken, lo portò a domandare: “Ma che gli prende?”
“Capisce cos’hai fatto, ed è
contento” gli spiegò la ragazza, carezzando il suo lupo sulla schiena.
Sistemando i rami in maniera
tale da creare una piccola alcova protetta, Aken vi si infilò dentro e annuì
soddisfatto.
“Coraggio, bambine e lupi,
adesso.”
Eikhe gli fece la lingua
prima di sorridere e accovacciarsi al suo fianco dopodiché, allargato un
braccio, accolse al suo fianco Nys.
A quel punto, Aken sistemò
meglio i grossi rami perché li circondassero completamente e domandò con un
certo orgoglio: “Cosa te ne pare, per un rozzo guerriero delle pianure?”
“Ottimo. Non avrei saputo
fare di meglio” mormorò Eikhe, affondando nel mantello di pelliccia.
Avvolgendola con un braccio,
Aken se la tirò contro e protestò gentilmente: “Sei fredda come un ghiacciolo,
piccola. Stammi più vicino.”
“Lo so, ma ora mi scaldo” replicò
Eikhe, sorridendogli convincente.
“Nys? Tutto bene, lì?”
chiese a quel punto Aken.
Il lupo annuì col muso così
Aken, soddisfatto, dichiarò: “D’accordo, rimani solo tu da scaldare, signorina,
e ho tutta l’intenzione di non lasciarti infreddolita ancora per molto.”
“Che intendi dire?!” esalò
lei, avvampando in viso e guardandolo con occhi sgranati.
Ridendo di sommo gusto, Aken
prese le piccole mani tra le sue, dicendo: “Sciocchina! In tanti giorni che
dormiamo insieme, ti ho mai toccato in modo intimo?”
“Solo una volta, ma non lo
sapevi” precisò lei, pur tranquillizzandosi un poco.
“Ti ho già chiesto scusa,
per quello, e non intendo tornare sull’argomento” si lamentò scherzosamente
lui, cominciando a massaggiarle le mani intirizzite.
“Che piacevole tepore”
sussurrò lei, socchiudendo gli occhi.
“Ti piace?” mormorò Aken.
Lei annuì, appoggiando il
capo contro il suo torace e, in breve tempo, si addormentò.
In silenzio, Aken continuò a
scaldarla, massaggiandole anche le braccia.
Solo dopo essere stato certo
che anche Nys si fosse appisolato, accostò una mano al viso della ragazza e,
carezzandolo leggermente, sorrise e disse: “Sei una ragazza rara, Eikhe di
Nestar, non c’è dubbio, e io sono orgoglioso di essere qui con te.”
Nel sonno, Eikhe sorrise e
Aken, calando sul suo viso, le sfiorò la fronte con un bacio prima di
addormentarsi a sua volta. |
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Capitolo 8 *** cap.8 ***
Le cose cominciano a farsi davvero pericolose e… beh, credo che potreste anche avercela con me, alla fine di questo capitolo, ma siate comprensive! La storia doveva andare così! Non potevo evitare nulla di ciò che sta per succedere. Spero comunque che sarà una lettura interessante.
8.
Una coltre di nubi minacciose
e rigonfie ricopriva il sole che, la giornata precedente, li aveva accompagnati
fino a raggiungere le pendici del valico.
Un solo giorno di ritardo, e
avrebbero trovato ad attenderli una tormenta.
E la morte.
Adombrandosi non appena Aken
scorse dietro una guglia di roccia l’avamposto di miliziani vartassyan, che
presidiava il Valico di Kortoss, si accostò a Eikhe per sussurrargli: “E’
presidiato. C’è del fumo che esce dal comignolo della casamatta, e quattro
uomini sulla mulattiera.”
Aggrottando la fronte, la
ragazza-lupo annuì ombrosa.
“Non possiamo evitarli,
purtroppo. Dobbiamo ingaggiare battaglia. Non esistono altre vie.”
Annuendo grave, pur sapendo
quanto la cosa fosse pericolosa, Aken disse perentorio: “Resta dietro di me. Farò
più danni io con la spada, che tu con il tuo pugnale.”
Pur controvoglia, Eikhe assentì
ma, afferratolo a un braccio, strinse leggermente e mormorò con voce
leggermente incrinata dall’ansia: “Stai attento, però.”
“Certo” le sorrise
brevemente lui, prima di attirarla a sé per un abbraccio. “Buona fortuna,
Eikhe.”
Irrigidendosi per un
momento, la ragazza si rilassò subito dopo tra le sue braccia e, avvolgendolo
con le proprie, strinse con forza, sussurrando contro il suo petto: “Buona
fortuna a te, Aken. Possa Hevos guidare i tuoi passi.”
“E così i tuoi” mormorò per
contro lui, lasciandola andare prima di portare la sua attenzione su Nys.
Carezzandogli la testa e la
schiena più e più volte, Aken si chinò verso di lui per stringerselo al petto
e, contro il suo pelo nero e folto, disse: “Stai attento anche tu, Nys.”
Il lupo accettò l’abbraccio
prima di leccarlo in viso e dargli qualche colpetto con il naso, portando Eikhe
a dire con voce rotta dall’emozione: “Vuole che tu stia attento, che tu non ti
faccia male, perché gli darebbe grande dolore perderti.”
“Vedrò di accontentarti,
amico mio” gli promise Aken prima di guardare Eikhe, che ancora li stava
fissando con occhi lucidi. “Cosa c’è?”
Lei si limitò a scuotere il
capo d’oro rosso, gli occhi enormi e di una purezza disarmante fissi su di lui.
Ciò che le uscì dalla bocca,
fu un sussurro di rassegnata sicurezza, come se ogni pezzo di un enorme e
labirintico puzzle fosse infine andato al suo posto.
“Nulla. Per una volta, va
tutto bene.”
“In che senso?” le chiese
lui, estraendo lentamente la spada, pronto a dar battaglia.
“Te ne parlerò più tardi, se
potremo” gli promise lei, afferrando il proprio pugnale prima di scuotere un
paio di volte il capo.
Era necessario che
ritrovasse la concentrazione, in vista di ciò che dovevano fare entro breve.
Non poteva mettersi a
pensare ad Aken e a ciò che Nys aveva appena fatto, non era davvero il momento
giusto.
Ma era così difficile non
apprezzare il gesto che il suo lupo aveva appena compiuto… per lei.
Carezzandolo con lo sguardo
e con la mano libera dal pugnale, Eikhe disse al suo inseparabile compagno:
“Grazie, amico mio. Grazie.”
Lui scodinzolò un momento,
prima di seguire Aken lungo il pendio che li avrebbe portati alla guarnigione.
Con un leggero sospiro, Eikhe
si accodò al gruppo, ormai pronta a dar battaglia.
Di tutto il resto, se a
Hevos fosse piaciuto, avrebbero parlato più tardi.
Agendo come molte altre
volte aveva fatto, Aken sfruttò l’effetto sorpresa per attaccare la piccola
guarnigione sul passo.
Lanciando il suo grido di
battaglia, si scagliò lesto e mortale contro il nemico, senza minimamente
risparmiarsi e cercando di attirare su di sé l’attenzione dei soldati.
Sorpresi da quel proditorio
e inaspettato attacco, due sentinelle non fecero neppure in tempo a sfoderare
le spade, che Aken pensò a mozzar loro la testa senza troppi complimenti.
Nys ne attaccò un terzo,
così da permettere a Eikhe di affondare il suo pugnale nel collo del nemico.
In un solo momento, fu il
caos.
Una decina di uomini uscì
dalla casamatta, armati di tutto punto, e si avventarono contro gli assalitori
con l’unico intento di uccidere.
Fare prigionieri, per i
soldati di Vartas, non era contemplato.
Volgendo lo sguardo verso il
nemico più prossimo, Aken ingaggiò subito battaglia, notando solo fuggevolmente
i movimenti lesti dei suoi due compagni.
Certo, quello non era il
momento adatto per farsi prendere dalla paura per la loro incolumità, ma i suoi
occhi li cercarono in ogni caso, tra un fendente e l’altro.
Allo stesso modo, Eikhe intervallava
sguardi preoccupati in direzione di Aken – che se la stava vedendo con tre
soldati – a occhiate al suo lupo.
Tra ringhi e colpi di zanne,
Nys tentò in ogni modo di mantenere a distanza di sicurezza il maggior numero
di soldati, in modo tale da permettere a Eikhe di combattere più agevolmente.
La superiorità in battaglia,
però, divenne ben presto evidente ai tre.
Turbata al pensiero che Aken
rimanesse ucciso, proprio mentre tentavano di tornare ad Enerios, lanciò l’ennesima
occhiata preoccupata nella sua direzione.
Proprio in quel momento, un
soldato si lanciò a spada levata verso Nys.
Scorgendo quel proditorio
attacco con la coda dell’occhio, la ragazza fece a malapena in tempo a volgersi
verso l’amico fidato.
Quando le sue iridi dorate
incontrarono quelle di Nys, la lama acuminata del soldato di Vartas si aprì un
varco nel torace del lupo, passandolo da parte a parte proprio dinanzi alla
sconvolta padrona.
Spalancando gli occhi fino a
farsi male, Eikhe rimase sbalordita da quella scena, troppo scioccata anche
solo per parlare, congelata sul posto di fronte al sangue del suo lupo.
Copioso, stava scivolando
sul manto di neve battuta, inondandola di un rosso cupo profumato di ferro e
morte.
Tutt’intorno a lei la
battaglia continuava a infuriare e, morto il lupo, i soldati le si avvicinarono
per finire anche lei.
Eikhe, però, non vi badò,
tanto era il dolore che in quel momento stava provando.
Forte come piena di fiume,
l’ira percorse le sue vene, riempiendola di un livore senza fine.
Aggrottando pericolosamente
la fronte nel porsi dinanzi all’uccisore di Nys, gridò come una furia e si
avventò contro di lui con il solo ausilio del pugnale.
Avvertendo quell’urlo
disumano, Aken si volse in fretta per scoprire cosa fosse successo e, quando
vide Nys a terra, il suo cuore perse un battito per lo shock.
Quel che più aveva temuto si
era verificato e là, steso sulla neve immacolata, una delle creature più
intelligenti e buone che avesse mai conosciuto, aveva perso la vita per salvare
la sua.
Hevos non volesse che, a
perire sotto la spada nemica, fosse stata anche la sua padrona!
Con gli occhi iniettati
dalla paura più atavica, Aken corse perciò subito in cerca della figura di
Eikhe , già temendo il peggio.
Fu così con immensa sorpresa
che la vide gettarsi a testa bassa contro un soldato, mentre i rimanenti la
stavano accerchiando per attaccarla.
Lei, però, non parve per
nulla preoccupata dal pericolo incombente e, con un secco gesto della mano, straziò
la gola del soldato che aveva attaccato prima di rialzarsi in fretta da terra e
ingaggiare battaglia.
Dopo essersi liberato con un
fendente al petto del suo nemico, Aken si mosse lesto per andare in suo
soccorso ma, ben presto, si rese conto di quanto poco le servisse aiuto.
Inferocita a causa della
morte del suo fedele compagno, Eikhe era fuori di sé dalla rabbia e, per
questo, mortalmente pericolosa.
Con calma glaciale, si
diresse verso i restanti soldati che, divertiti dalla sua furia, la
circondarono completamente, ignorando il principe.
Già sul punto di avvicinarsi
a loro per distogliere da Eikhe l’attenzione degli uomini, lui la sentì urlare:
“Stanne fuori! Sono miei!”
Gli armigeri risero del suo
ammonimento e fecero per assalirla ma lei, assottigliando le iridi dorate,
mostrò i denti come un lupo e si gettò contro il più vicino tra loro senza
dargli il tempo di reagire.
Il pugnale scese dritto al cuore,
uccidendolo sul colpo.
Prima ancora che il corpo
del soldato morto toccasse terra, Eikhe si lanciò contro un secondo nemico,
imitando le movenze di Nys nel muoversi.
Come una furia, lo graffiò
in viso con le unghie facendolo urlare di dolore.
Mentre gli altri tre
soldati, ora spaventati, cercavano di allontanarsi, Eikhe piantò il pugnale
nello stomaco dell’uomo che aveva ferito, rigirando la lama per essere sicura di
causarne la morte.
Un fiotto si sangue le
schizzò l’abito e le braccia, ma lei neppure vi fece caso mentre, con uno
strattone, ritirava il pugnale per pensare ai nemici restanti.
Eikhe era in tutto e per
tutto un lupo all’attacco della sua preda, in quel momento.
Di fronte a quello
spettacolo macabro, Aken si chiese se le leggende avessero in fondo un loro
fondamento.
Non aveva mai visto nessun
essere umano muoversi a quel modo, a
quella velocità, con quella forza.
Forse, era proprio di questo
che Eikhe aveva avuto timore di parlargli.
Eikhe che, non contenta
dello scempio già perpetrato e desiderosa di altro sangue, si volse verso i
restanti soldati a denti snudati.
Gli abiti erano lordi del
sangue dei suoi nemici, al pari del viso distorto dalla furia e, leccandosi le
labbra con aria spiritata, li fissò arcigna prima di ringhiare: “Berrò il
vostro sangue, maledetti!”
I soldati, ormai
terrorizzati, fecero per scappare ma Aken sbarrò loro la strada, falciando
l’aria con la spada.
“Non sfuggirete alla morte.
O me, o lei.”
Spaventato e tremante, uno
dei soldati riuscì a dire: “Tu non sai di cos’è capace quella strega!”
Aggrottando la fronte, Aken
fece per rispondere, quando il rantolo del soldato che gli aveva parlato lo
colse di sorpresa.
Spalancando gli occhi, scorse
dietro di lui la figura sottile di Eikhe, gli occhi colmi di una luce sinistra
e animalesca.
Estratto il pugnale dalla
schiena del soldato morto, che stramazzò a terra con gli occhi spalancati e
vitrei, Eikhe si volse verso i restanti due, già pronta a colpire.
Questi, tremanti e pallidi
come cenci, gettarono a terra le spade e, inginocchiatisi dinanzi a lei, la
supplicarono più e più volte.
“Ti preghiamo, figlia sacra,
risparmiaci!”
Eikhe li fissò rabbiosa, i
denti bianchissimi evidenti sul mare di sangue che le tingeva il viso, mentre
un basso ringhio si levava dalla sua gola.
Artigliando alla collottola il
più basso tra i due, lo sollevò con una mano sola, staccandolo da terra come se
fosse stato una bambola di pezza.
Sbalordito di fronte a quella
forza inusitata, Aken non mosse però un dito quando, di colpo, Eikhe spezzò il
collo al soldato, gettandolo poi contro il suo compagno ancora in vita.
L’altro, cominciando ad
annaspare sulla neve, ormai certo della sua fine, si liberò alla svelta del
corpo esanime del compagno e cominciò a correre verso il valico.
Raccolta da terra la spada
di uno dei soldati morti, Eikhe la lanciò con tutta la sua forza contro il
fuggiasco, trapassandolo.
Di colpo, come era giunto il
caos, così scomparve.
Nessun rumore fendeva quei
luoghi, solo i loro respiri affannosi e il lieve stormire dei pini sui crinali.
Ansimante e sporca di sangue
da capo a piedi, la ragazza osservò la strage che aveva compiuto con occhi
freddi e privi di compassione.
Avvicinandosi a lei per
essere certo che stesse bene, Aken notò con sgomento quanto le sue mani
tremassero di rabbia a stento trattenuta.
“Eikhe… è tutto finito…”
sussurrò lui, le mani levate dinanzi al viso come per calmare un animale
inferocito.
A quelle parole, Eikhe
sollevò due occhi sconvolti sul volto di Aken e, come se in lei si fosse aperto
uno squarcio, la maschera di fredda determinazione andò in briciole, sostituita
solo dal volto di una ragazza terrorizzata.
Con un singulto strozzato, corse
verso il corpo esanime di Nys e, piegatasi in ginocchio, scoppiò a piangere
senza alcun freno.
Allungando le braccia verso di lui, Eikhe lo attrasse a
sé per stringerlo al petto e, più e più volte, ripeté il nome del suo lupo,
cullandolo come nella speranza che potesse risvegliarsi da un momento
all’altro.
Spiacente nel vederla così
sconvolta, e sentendosi in colpa per la morte di Nys - e per ciò che l’aveva
costretta a risvegliare dentro di sé - le si inginocchiò accanto, poggiandole
una mano sulla spalla tremante.
L’unica cosa che poteva
fare, in quel momento, era darle il suo silenzioso appoggio e conforto. La sua
forza.
Dopo un istante, Eikhe si
voltò lentamente per guardarlo in viso e, con voce rotta, esalò: “Non c’è più…
non è più con me…ora sono sola!”
Mordendosi un labbro per la
rabbia e la frustrazione che sentiva rimordergli la coscienza con zanne
poderose, Aken le passò le mani sul viso per ripulirlo dal sangue e dalle
lacrime.
Attirandola a sé, lui
mormorò piano tra i suoi capelli: “Non sei sola, Eikhe, ci sono ancora io, con
te. Non sei sola.”
Dopo un momentaneo rifiuto,
in cui si divincolò febbrilmente per scostarsi da lui, Eikhe si addossò
completamente al corpo statuario di Aken.
Stringendolo con forza, la
ragazza pianse tutta la disperazione che aveva in corpo, senza minimamente
risparmiarsi.
Nys se n’era andato.
Il suo fido compagno,
l’amico di una vita, il confidente sincero.
Non l’avrebbe più visto
balzare per i prati, correre incontro a lei, cacciare per la foresta, ululare
alla luna pallida in cielo.
Niente di tutto ciò
l’avrebbe più accompagnata. Ora era sola.
Il giovane principe, non
sapendo che altro fare per alleviare il dolore di una simile perdita, la prese
in braccio per allontanarla da quella carneficina.
Dopo averla portata all’interno
della casupola del posto di guardia, si andò a sedere vicino al fuoco e la
cullò dolcemente senza mai lasciarla andare.
Sapeva bene cosa volesse
dire perdere chi si amava tanto, e chi si aveva sempre avuto al fianco per una
vita.
“Rammento quando persi mia
madre. Ero distrutto dal dolore, perché non avevo potuto far nulla per
aiutarla. Si è spenta lentamente, nel suo grande letto, mentre io pregavo per
lei. Non mi sono mai perdonato per non averla salvata.”
“Era… era malata…”
singhiozzò Eikhe, sempre stretta a lui, il viso affondato nella sua tunica.
“Lo so, ma avrei voluto
ugualmente aiutarla” replicò lui, scostandole i capelli dalla fronte per darle
un casto bacio.
Eikhe ne fu immensamente
sorpresa e, mentre le lacrime abbandonavano i suoi occhi, lei lo fissò con
occhi sgranati e colmi di mille domande.
In quel momento, però, Aken preferì
non rispondere a quei dubbi leciti, limitandosi a dire: “So che tu disprezzi il
mondo degli uomini, Eikhe, ma mi aiuterai a salvare il mio popolo? Ho bisogno
di te, per farlo.”
Eikhe tornò col pensiero
all’ultimo saluto di Nys, a ciò che lei non
aveva detto ad Aken riguardo al comportamento del suo lupo.
Di fronte a quelle parole
colme di una fiducia incondizionata, avvolse le braccia attorno al suo collo e
annuì più e più volte, mormorando con voce rotta: “Sì, ti aiuterò. Ti aiuterò,
principe, ti aiuterò, Aken.”
Stringendola maggiormente a
sé, Aken le massaggiò lentamente la schiena per chetarla e, piano, le disse:
“Vado a recuperare le nostre sacche, ora. Aspettami qui accanto al fuoco.”
“Va bene” annuì lei,
sciogliendosi di malavoglia dal suo abbraccio.
Aken le sorrise comprensivo,
dandole un buffetto sulla guancia prima di uscire dalla stazione di sosta sotto
lo sguardo pensieroso di Eikhe.
Una volta rimasta sola, la
ragazza-lupo si strinse le mani al petto e sussurrò tra sé: “Cosa devo fare,
Nys? Cosa?”
Nel silenzio della notte,
immersi nel buio della grotta dove avevano trovato riparo subito dopo la fuga
da Nargan, Eikhe aveva scrutato il principe addormentato.
Placidamente stretto a lei
nell’intento di scaldarla, gli era parso tranquillo e ingannevolmente innocuo.
Nel vederla sveglia, Nys
aveva uggiolato lievemente, mettendola al corrente di ciò che pensava sul
comportamento del principe.
Lei lo aveva irriso,
definendo le attenzioni di Aken una semplice cortesia ma, con il passare dei
giorni, anche Eikhe aveva notato un cambiamento in lui… e in se stessa.
Se, da principio, stare in
sua compagnia non le aveva causato nessun problema, tutto era cambiato da
quando lui l’aveva curata alla gamba.
Da quel momento in poi,
guardarlo in viso le era divenuto più difficile, per lo meno non senza
arrossire come una sciocca, o sentire il cuore in tumulto dentro di sé.
Non avendo mai provato
sentimenti simili, non aveva compreso cosa le stesse succedendo, almeno finché
non si erano trovati nella Grotta dell’Alce, e lui l’aveva consolata durante il
suo sfogo di pianto.
Aken l’aveva capita come
nessun altro prima di allora, l’aveva accudita fino a quando non si era sentita
meglio, e lei si era ritrovata a desiderare che quelle braccia forti non la
lasciassero più andare.
Si era così rivolta a Nys
per avere un consiglio, e lui non aveva esitato a darle la risposta che lei
tanto aveva paventato e sperato al tempo stesso.
Quella mattina, nell’abbandonare
il loro rifugio sicuro, il suo lupo aveva tentato di dire ad Aken ciò che il
suo cuore avrebbe voluto per entrambi.
Solo lei, però, lo aveva
compreso, portandone il peso da quel momento in poi.
Prenditi cura di lei e di te stesso. Amala come io la
amo.
Con le lacrime che tornarono
a bruciarle negli occhi, Eikhe raccolse le ginocchia al petto e pianse tra i
singhiozzi, chiedendosi più e più volte: “Perché devo amare e soffrire al tempo
stesso? Perché?”
***
Raggiunti i cespugli dove
avevano nascosto i loro oggetti personali, Aken li raccolse con un sospiro
prima di tornare sui suoi passi per
raggiungere Eikhe all’interno della casamatta.
Nel farlo, però, fu
costretto a sfiorare con lo sguardo il corpo straziato di Nys, steso sulla neve
schiacciata e macchiata di sangue.
Era morto per causa sua, e
non se lo sarebbe mai perdonato.
Sperava soltanto che almeno
Eikhe trovasse il perdono nel suo cuore.
“Non doveva andare così,
amico mio” sussurrò lui, carezzando il muso ormai gelido del lupo.
Con un ultimo sospiro
tremulo, Aken lanciò uno sguardo ai cadaveri lasciati a terra da Eikhe e, ancora
una volta, si chiese come fosse riuscita, uno scricciolo di ragazza, a compiere
un simile massacro.
Quel dilemma, però, avrebbe
trovato un altro momento per essere risolto; ora aveva un compito ben più
importante da portare a termine.
La verità avrebbe atteso
ancora un poco.
Avrebbe parlato con Eikhe di
quello che era successo, quando si sarebbe sentita in grado di farlo.
Ora, doveva solo pensare a
lei, e farla riprendere dallo shock della morte del suo compagno di vita.
Raggiunta infine Eikhe
all’interno della casupola riscaldata da un bel fuoco vivace, che strideva
appieno con il suo umore plumbeo, Aken le si avvicinò torvo.
“Dovresti toglierti quegli
abiti sporchi e farti un bagno caldo, Eikhe.”
Lei lo fissò senza capire e il
principe, lanciato uno sguardo a una tinozza di di legno appoggiata contro una
parete, disse: “Vedi, là? Puoi usare quella. Ti scaldo l’acqua, così laviamo
anche gli abiti.”
Eikhe annuì senza parlare e tornò
a voltarsi verso il fuoco, sospirando afflitta di fronte alle fiamme scoppiettanti.
Aken, dal canto suo, non
sapendo come reagire al suo silenzio, si diresse verso quello che doveva essere
il ripostiglio alla ricerca di sapone e quant’altro.
Cercando a più riprese sugli
scaffali, trovò dopo una lunga ricerca una corteccia di pianta saponaria e dei
teli di cotone puliti.
Presili insieme a un paio di
grossi secchi di latta, li portò nella stanza principale della casamatta e si
mise a preparare il bagno per Eikhe.
La ragazza, completamente
apatica, osservava muta le lingue di fuoco che danzavano nel camino.
Lanciandole forse per la
centesima volta uno sguardo ansioso, Aken non le disse nulla, preoccupandosi
solo di fare in fretta quanto si era ripromesso.
Aveva visto molti soldati
cadere preda di quel genere di afasia, e non voleva che Eikhe si perdesse nei
meandri della sua mente, per non tornarne mai più.
Dopo aver recuperato diverse
manciate di neve e averle gettate in un grosso bacile, appese quest’ultimo al
gancio nella bocca del camino e infine sistemò la tinozza vicino al fuoco.
A quel punto, il giovane
prese un telo di cotone, lo appese a una delle travi della casamatta e infine disse:
“Così ti potrai lavare in tutta tranquillità, senza aver paura che io guardi.”
Lei si limitò a scrollare le
spalle e Aken, sospirando afflitto, cominciò a chiedersi come avrebbe fatto a
smuoverla dal suo silenzio apatico.
Lasciarla stare per un po’
forse era la scelta migliore, anche se non poteva esserne del tutto certo.
Conosceva vari metodi per
scrollarle l’apatia di dosso, ma erano tutti piuttosto… violenti.
Per il momento, era meglio
evitare.
Doveva darle il tempo di
assimilare la morte di Nys. E di scaricare la rabbia che l’aveva …trasformata.
Ripensare a lei nelle vesti
di una fredda assassina non gli piaceva per nulla e, anche se quelli che aveva
ucciso erano i loro nemici, lo aveva spaventato scoprire cosa fosse in grado di
fare.
Ora comprendeva perché,
dinanzi a Nargan, si era rifiutata di combattere.
Sapeva cosa
avrebbe potuto fare.
Avrebbe rischiato di colpire
anche i suoi compagni di viaggio, non solo gli uomini di Vartas, e questo,
Eikhe non se lo avrebbe mai perdonato.
Quando finalmente l’acqua fu
pronta per il bagno, Aken vuotò i catini di acqua nella tinozza e, rotto un
pezzo di pianta saponaria, ve lo immerse
perché formasse sufficiente schiuma.
Richiamata infine
l’attenzione di Eikhe, il giovane si esibì in un frivolo inchino, cercando di
puntare sull’ironia per smuoverla un poco e, parlando in falsetto, le disse:
“Il vostro bagno, signorina.”
La ragazza-lupo lo guardò
per diversi istanti, tentando di sorridere.
Ringraziandola per lo sforzo,
lui allargò il sorriso sul suo volto – che però non raggiunse mai gli occhi – ,
e mormorò: “Coraggio, piccola, o si fredderà.”
Eikhe annuì, alzandosi in
piedi e Aken, spostandosi oltre il telo, ascoltò con un nodo allo stomaco il
fruscio degli abiti di lei e il leggero sciabordio dell’acqua nella tinozza.
Tremante, sentì le mani
fremergli per la voglia di raggiungerla ma, dandosi dello stupido, sbuffò e se
ne andò in direzione del vicino tavolo per non essere ulteriormente tentato dai
suoi desideri così inopportuni.
Quando, però, non udì altro
rumore se non il crepitio delle fiamme, cominciò a preoccuparsi.
Avvicinandosi guardingo al
telo, chiese titubante: “Eikhe, ti senti bene?”
Non ricevendo risposta, Aken
si affacciò timoroso oltre la tenda improvvisata e, con un singulto strozzato,
la vide seduta a gambe raccolte contro il petto.
Le braccia stringevano
spasmodicamente le ginocchia mentre i capelli le ricoprivano la schiena,
immergendosi nell’acqua come una cascata di rame fuso.
Impietosito dal suo dolore,
Aken si inginocchiò accanto alla tinozza, mettendosi alle sue spalle.
Scostandole la massa di
serici capelli color del miele, prese la spugna e la inzuppò, mormorando poi
ansioso: “Devi reagire, Eikhe, o morirai anche tu.”
Cominciando a passarle la
spugna sulla schiena macchiata di sangue, Aken si morse un labbro per non
cedere all’impulso di toccarla.
Si prese cura di lei come se
fosse stata sua sorella, e le massaggiò i capelli con calma, lavandoglieli con
cura ed eliminando qualsiasi traccia di corpi estranei.
Quando ebbe terminato quel
compito – per lui davvero difficilissimo –
Aken si portò di fronte a lei e le disse: “Eikhe, devi pensarci tu, ora.
Io non credo che…”
Lei lo sbirciò in viso senza
sollevare il proprio dalle ginocchia e, con voce piana, sussurrò: “Non mi
interessa nulla, se mi vedi.”
Imprecando, lui si accigliò
immediatamente e replicò con voce roca: “Ma a me sì! Sono un uomo, per tutti
gli dèi, e non è così facile, per me!”
Eikhe allora si umettò le
labbra e, allungando una mano fuori dall’acqua, la passò sulla guancia coperta
di barba di Aken, carezzandolo gentilmente.
Con un mesto sorriso,
inclinò il capo e disse piano: “Sì, scusami, non avevo capito. Farò da sola.”
“Bene” annuì lui, passandole
la spugna e dirigendosi nuovamente oltre il telo.
Un solo momento in più lì
con lei, e le avrebbe messo le mani addosso.
Passò mezz’ora prima che
Eikhe terminasse le sue abluzioni e, quando lui si volse, la vide avvolta in un
panno di cotone.
Interamente bagnato, il telo
le si era incollato al corpo perfetto, disegnando curve che lui aveva solo
immaginato nei suoi sogni.
Era morbida e
spaventosamente attraente, ma sembrava del tutto inconsapevole dell’effetto che
aveva su di lui.
Respirando affannosamente
per riprendere il controllo, le disse roco: “Lascia che ti asciughi i capelli.”
Eikhe annuì e, dopo aver
preso una sedia per accomodarsi di fronte al fuoco, gli diede le spalle per
permettergli di lavorare più agevolmente.
Aken sfruttò quei brevi
momenti per ritrovare un minimo di controllo e, dopo aver preso un panno asciutto,
cominciò a frizionare dolcemente i lunghi capelli di Eikhe.
Tenendosi il telo sui seni,
la ragazza mormorò roca: “Ti avevo giudicato male, Aken.”
“In che senso?” le chiese,
prendendo una spazzola per lisciarle i capelli.
Erano serici al tatto e
lucenti come oro zecchino, alla luce del fuoco.
“Pensavo fossi arrogante e
borioso, ma sei un uomo buono. E gentile” asserì lei, piano, lo sguardo perso
nelle fiamme che danzavano dinanzi a loro. “E piaci… piacevi a Nys.”
“Oh, arrogante lo sono”
commentò lui, ironico. “Non ricordi quante volte ti ho dato della mocciosa? E
quante altre avrei voluto sculacciarti?”
Abbozzando una risatina
tremula, lei replicò: “In parte, mi comporto da bambina. Ho diciassette anni,
Aken, e non sono così impertinente da credermi già adulta.”
“Lo sei, fidati, lo sei” replicò
roco lui, tenendo tra le sue mani i capelli umidi di Eikhe.
“Perché ho ucciso quegli
uomini?” buttò lì lei, come se fosse l’unica spiegazione ovvia alla
dichiarazione di Aken.
“Non solo” replicò lui.
“Porti sulle tue esili spalle il destino di tutta la missione, senza alcuna
paura o cedimento, e sei brava nel fare praticamente tutto. Non la reputo una
cosa da poco, né una cosa da bambini.”
“Mi hanno insegnato a
prendermi cura di me stessa, Aken. Per me, è normale” poi, con un sospiro,
aggiunse: “Ma non sono abituata a stare senza Nys.”
Bloccando le mani sulla
chioma di Eikhe, Aken sospirò e mormorò spiacente: “Era più dell’affetto che vi
legava, vero?”
Annuendo, lei ammise: “Una
volta, Nys mi disse che avrebbe preferito fossi nata lupo. Gli sarebbe piaciuto
avere una compagna come me.”
Abbozzando una risatina,
Aken esalò: “Oh, ecco perché sentiva in me una minaccia!”
Anche lei si concesse il
lusso di ridere, dicendo: “Sì, è vero.”
***
Quando riaprì gli occhi dal
sonno pesante in cui era caduto, Aken si ritrovò il profumo di Eikhe nelle nari,
dolce e intenso come il più esotico degli aromi.
Senza comprenderne bene il
perché, il giovane si rese conto subito dopo di averla lì accanto a sé,
circondata dal suo braccio e completamente addormentata.
Un subitaneo sorriso sorse
sul suo volto.
La sera precedente, Eikhe
gli aveva chiesto di poter dormire vicini e lui, ovviamente, non gliel’aveva
rifiutato.
Avrebbe fatto qualsiasi
cosa, per accontentarla, forse anche correre nudo per il bosco in pieno
inverno, anche se dubitava lei gliel’avrebbe mai domandato.
Volgendo lo sguardo verso
l’unica fonte di luce della stanza, Aken notò subito quanto le fiamme si
fossero assottigliate.
Alzatosi lentamente per non
svegliarla, lo rinvigorì con ceppi nuovi prima di tornare da lei e sistemarsi
alle sue spalle per riprendere a dormire.
Fu però con sorpresa che,
all’improvviso, la sua voce lieve come brezza ruppe il silenzio della stanza, sussurrandogli:
“Domani ci sarà tempesta.”
“Eikhe, ma…”
“Lo sento dall’aria che
penetra attraverso il camino” mormorò a occhi chiusi. “E da quella che scivola
sotto la porta.”
Lanciato uno sguardo al battente
ligneo – chiuso da una spranga, disposta di traverso contro di essa – , Aken percepì
effettivamente uno spiffero fastidioso provenire da quella direzione e,
curioso, chiese: “Come lo sai?”
“Il vento è cambiato, e
porta con sé l’odore tipico dei temporali invernali” asserì la ragazza,
voltandosi a mezzo e aprendo gli occhi per guardarlo.
Ora, i loro volti erano
vicinissimi.
Osservandola alla luce
altalenante del fuoco, Aken le chiese preoccupato: “Non hai dormito affatto,
vero?”
Lei scosse piano il capo e
Aken, carezzandole il viso liscio come pesca, disse roco: “Devi riposarti,
Eikhe, o rischierai di ammalarti. E io non voglio che succeda.”
Lei sorrise appena e annuì,
prima di chiudere gli occhi e affondare il viso nella pelliccia della sua
tunica, tenendo i pugni chiusi contro il suo torace.
Sospirando stancamente, Aken
tornò ad avvolgerla tra le braccia e, con attenzione, sistemò il mantello di
pelle d’orso su entrambi per ripararsi dal freddo.
Era disarmante la fiducia
incondizionata con cui Eikhe si stava affidando a lui, senza minimamente
preoccuparsi del fatto che fossero soli, un uomo e una donna, in una capanna
sperduta in mezzo alle montagne.
Solo questo bastava a fargli
capire quanto la ragazza poco conoscesse gli uomini.
Se da un lato la cosa lo
fece sorridere, dall’altra lo fece sentire quanto mai inadeguato a interpretare
la parte del fratello maggiore.
Visto soprattutto il
desiderio che provava nei suoi confronti.
Non puoi pensare a cose del genere, quando c’è in
ballo la sicurezza del tuo regno, idiota!, pensò tra sé, torvo. E’ poco più
di una bambina, e tu devi proteggerla, non lasciarti andare ai tuoi sentimenti!
Ragiona, e comportati da uomo d’onore!
Stringendo i denti, si
costrinse a dormire nonostante sentisse imperiosa una spinta ai lombi.
Imprecando dentro di sé per
quella situazione assurda, si assopì col viso tra i capelli di Eikhe, sognando
di lei e di Nys, allegri e spensierati mentre giocavano in una radura.
Quando la mattina li
abbracciò con il suo gelido tocco, Aken si sentì piuttosto disorientato nel
trovarsi da solo, vicino al fuoco allegro che sfrigolava nel camino, e senza
alcuna traccia di Eikhe.
Scostato di getto il
mantello, Aken si levò in fretta, guardando freneticamente tutt’intorno a sé
senza però vederla.
Già preoccupato per lei, fu
con immenso sollievo che la vide rientrare nella casamatta, parzialmente
coperta di neve, mentre uno sguardo crucciato brillava nei suoi occhi foschi.
Notando subito il vento
carico di neve che imperversava all’esterno, Aken la osservò sbarrare la porta.
“Prepariamoci a passare qui
qualche giorno. Il fronte della tempesta è enorme.”
“Che cosa?” esalò lui,
confuso più che mai.
Liberandosi della neve che
le era caduta addosso, Eikhe si avvicinò al fuoco per scaldarsi e, toltasi gli
stivali per lasciarli ad asciugare vicino al focolare, si avvicinò a lui a piedi
nudi.
“Ero uscita per seppellire
Nys e recuperare le armi dei soldati, ma la neve aveva già ricoperto ogni cosa,
rendendomi impossibile trovare sia lui che gli uomini. Stanotte è caduto quasi
un metro di neve e, se continuerà così tutto il giorno, per domani ce ne saranno
due metri, davanti alla porta.”
“Maledizione!” ringhiò il
principe, irritandosi.
“La tempesta ritarderà anche
i nostri nemici, Aken. Se anche ci fosse una pattuglia in arrivo qui, cosa di
cui dubito, rimarrà bloccata a sua volta” gli spiegò, scrollando le spalle.
“Perché dubiti che ce ne sia
una in viaggio?” le domandò a quel punto, fissandola curioso.
“Per via della dispensa” asserì,
osservando la porta del ripostiglio. “E’ ben fornita, e si vede che la roba è
recente. C’è persino della verdura fresca. I rifornimenti sono stati fatti non
più di una decina di giorni fa. E so per certo che non ne ricevono che una
volta ogni due mesi.”
“Quante volte sei passata di
qui?” chiese lui, dubbioso.
“Parecchie volte. Ci sono
delle prede ottime, in queste vallate” disse lei, prima di guardarlo e chiedere:
“Cosa vuoi per colazione?”
“Eh?” esalò Aken,
sconcertato.
“Visto che abbiamo un’intera
dispensa da cui attingere, tanto vale rifocillarsi come si deve. Abbiamo
entrambi patito ristrettezze, durante questo viaggio, quindi dobbiamo
recuperare le forze” si limitò a dire Eikhe, avviandosi verso il ripostiglio.
Messa mano alla maniglia
della porta, però, si volse a mezzo e aggiunse gentilmente: “Sei stato carino,
stanotte. Grazie.”
“Pensavo avessi bisogno di
un po’ di calore umano, dopo quello che è successo. Niente di che” scrollò le
spalle lui, sorridendole. “Va un po’ meglio?”
“Mi abituerò” commentò
mestamente lei. “Non hai nulla da chiedermi?”
“Solo se ne vuoi parlare” asserì
Aken, pacifico.
Sospirando, lei fissò il
fuoco nel camino per diversi minuti, indecisa su cosa dire ad Aken senza
rischiare di spaventarlo.
Non era un argomento di cui
parlava volentieri, ma era giusto dargli delle spiegazioni, dopo quello che
aveva visto con i suoi occhi.
Tornando a guardare
l’imponente guerriero dopo un tempo che le parve eterno, gli chiese: “Ricordi
cosa ti dissi di Hyo e del nostro dio-lupo, vero?”
Lui annuì dubbioso ed Eikhe,
umettandosi le labbra, aggiunse: “La forza che Hevos diede alla sua compagna, è
quella che tu hai visto. Si risveglia con la rabbia, la rabbia provata quando
vogliamo proteggere qualcuno … o salvare qualcuno che amiamo.”
“Quindi…” esalò Aken,
sbigottito.
“Non lo so, Aken” ansà lei,
reclinando il capo e tremando leggermente. “Ne ho paura, e ce l’hanno tutte
coloro che sanno cosa sono, cosa
siamo. Anche le altre che portano
il Sigillo del dio, sono così.”
“Il… Sigillo?” ripeté Aken,
confuso.
Annuendo, Eikhe ammise con
un mesto sorriso: “Il colore dei miei occhi è il simbolo di ciò che porto nel
sangue. Per questo, tutte le donne delle tribù, e prime tra tutte le Guardiane,
mi temono. Ci temono.”
“Quante siete, in tutto?”
chiese a quel punto, ancora leggermente sbigottito da quella dichiarazione.
“Non credo più di un
centinaio” scrollò le spalle Eikhe. “Capisci, ora, perché non volevo
parlartene? Non mi piace quel che faccio, quando la furia mi prende, ma non so
come bloccarla, o come incanalarla. E… e così faccio quello che hai visto. Ne ho paura.”
Avvicinatosi a lei, le sfiorò
le spalle con le mani, lui si limitò a dire con estrema serietà: “Mi hai
salvato, e hai vendicato Nys. Io ho visto solo
questo.”
Lei spalancò le palpebre
apparendo stranamente, e assurdamente, indifesa agli occhi di Aken.
“Dici… davvero?”
Lui le sorrise ed Eikhe,
arrossendo nel rispondere al suo sorriso, si limitò a dire: “Ti preparo la
colazione.”
Aken la osservò entrare nel
ripostiglio per poi armeggiare tra gli scaffali, fino a uscirne con una scatola
rettangolare e un sorriso sulle belle labbra rosse.
Curioso, le chiese. “E
quella?”
“E’ piena di panini dolci.
Metterò a bollire un po’ di infuso di canelda, così li potremo mangiare”
dichiarò soddisfatta.
“Sono secoli che non mangio
più panini dolci” ammiccò lui, sfregandosi le mani prima di domandarle: “Non
hai freddo ai piedi, così?”
“Un po’, ma non ho altre
calze, oltre a quelle che stanno asciugando” dichiarò, indicando quelle stese
sopra il fuoco, insieme ad altri indumenti che, la sera prima, avevano lavato.
Storcendo il naso, Aken brontolò:
“Allora, rimani vicino al fuoco. Ci penso io, dai.”
“Non se ne parla” replicò
lei, scrollando le spalle con fare noncurante. “Siediti e mangia il tuo panino
dolce. Non sia mai che mi preoccupi per un po’ di freddo ai piedi.”
“Testarda marmocchia” sbuffò
lui, andandosene a grandi passi verso il tavolo.
Eikhe ridacchiò nel mettere
una pentola piena d’acqua sul fuoco e, ammiccante, disse: “Lo so.”
Aken sorrise nel vederla
apparentemente serena sebbene sospettasse che, parte della sua gaiezza, fosse
studiata al solo scopo di tranquillizzarlo.
Non faticava a immaginare
quanto, ogni suo più piccolo pensiero, fosse focalizzato su ciò che era
successo il giorno precedente.
Nys e lei erano troppo
legati perché Eikhe non ne sentisse la mancanza, ma lei sapeva anche
altrettanto bene quanto fosse rischioso, in quel momento, lasciarsi andare al
dolore e al senso di perdita.
Avrebbe avuto un tempo e un
luogo migliori per piangerlo, ma non era questo il momento.
Pur sapendolo, e pur
comprendendo quanto anche Eikhe ne fosse consapevole, gli spiacque che non
potesse lasciarsi andare come, invece, l’occasione avrebbe richiesto.
In silenzio, Aken si gustò
il panino dolce, rimuginando su quei pensieri mentre il profumo della canelda
si espandeva per tutta la casupola.
All’esterno, il vento
infuriava con sempre maggiore forza, e il principe si chiese se avrebbero
potuto sopravvivere ugualmente, se non avessero raggiunto il valico per tempo.
Guardando Eikhe dubbioso le
sentì dire, come in risposta ai suoi pensieri: “Probabilmente, no.”
“Come temevo” annuì lui,
sospirando. “Più a valle, esistono dei punti in cui ripararsi?”
“Alcuni” borbottò,
concentrata nel rimestare la tisana con un mestolo di legno. “Ci sono stata
diverse volte e, se niente è cambiato, vi potremo trovare riparo, quando
ripartiremo.”
“Ottimo” dichiarò Aken,
alzandosi dalla panca per avvicinarsi a lei.
Eikhe lo fissò curiosa da
sopra la spalla, alto e possente come una quercia secolare e, quando lui le
cinse le spalle con un braccio, chiese turbata: “Cosa c’è?”
“Niente, stai tranquilla” scosse
il capo lui, godendosi il fuoco vicino alla ragazza.
Era rilassante sentirla
accanto a sé e, sebbene la sera prima avesse provato l’impellente desiderio di
farla sua, quella mattina era tranquillo come dopo una notte di intensa
passione.
Per quanto lo trovasse
strano, si rese conto che gli bastava saperla lì, viva e in salute, per essere
in pace con se stesso.
Non aveva mai provato
sensazioni simili, e provarle per quella ragazza gli pareva strano, vista l’estrazione
sociale così differente.
Eppure, di cosa si stupiva,
in fondo? Neppure lui era mai stato un vero figlio di Rajana, non l’aveva mai
apprezzata come, invece, sapeva fare il fratello.
Lui aveva sempre prediletto
la vita libera, all’aria aperta, piuttosto che gli agi di palazzo.
Quindi, perché sorprendersi
dei propri sentimenti verso Eikhe?
Non avrebbe scambiato quelle
sensazioni per tutto l’oro del mondo, e poco gli importava quello che avrebbero
pensato gli altri.
Eikhe era una donna che
avrebbe amato volentieri, se le loro condizioni glielo avessero permesso.
Purtroppo, però, sapeva bene
che non gli avrebbero mai consentito di condurla a palazzo come sua compagna, e
neppure credeva che Eikhe avrebbe accettato di vivere in una città.
Ammesso e non concesso che
lei provasse la stessa cosa per lui.
A conti fatti, tutti i suoi ragionamenti
contorti erano solo mere speculazioni su una cosa che non sarebbe mai potuta
avvenire.
Lui era il principe
ereditario di una dinastia millenaria, Eikhe era una ragazza-lupo.
Finché non fossero giunti a
Rajana, comunque, lui avrebbe goduto della sua compagnia, imprigionando ogni
momento nella sua mente.
Li avrebbe conservati
gelosamente per gli anni a venire, finché non fosse morto in solitudine, senza
di lei.
Osservandola con occhi colmi
di profonda nostalgia al pensiero di doverla lasciare, un giorno non lontano,
la strinse impercettibilmente a sé ed Eikhe, preoccupata, chiese ancora: “C’è
qualcosa che ti turba, Aken. Perché non me ne parli?”
Perché sei tu, il mio turbamento, pensò lui, prima di dire semplicemente: “E’ solo il
viaggio che ci aspetta a darmi pensiero. Ho paura di non poterti difendere come
vorrei.”
Aprendosi in un sorriso canzonatorio,
lei replicò: “So difendermi da sola.”
“Lo so, ma mi piace pensare
che tu possa aver bisogno di me” sorrise lui, disarmante.
Lei arrossì, reclinando il
capo e, scostandosi da lui, prese la pentola di infuso per andare al tavolo e
versarne il contenuto in due boccali.
Nell’osservarla allontanarsi,
Aken si pentì amaramente di averla confusa con il suo dire.
Andandole incontro per
mettere una pezza a quella tremenda gaffe,
le disse: “Perdonami, non volevo turbarti.”
Lei sobbalzò leggermente quando lo sentì parlare, finendo per scottarsi
con l’infuso.
Lasciata andare sul tavolo
la pentola, si massaggiò dolorante la mano bagnata e già arrossata.
“Accidenti!”
Subito, Aken le prese la
mano tra le proprie, mormorando ansioso: “Aspetta, lascia che ti aiuti.”
Eikhe, tremante, si scostò
da lui, esalando: “Aken, io…”
Fissandola come se fosse
stato tramortito da un colpo alla testa, Aken si rese conto di avere davanti
una creatura impaurita e confusa, non la solita coraggiosa Eikhe.
Reclinando le mani lungo i
fianchi, disse spiacente: “Devo averti messo veramente in imbarazzo, scusami.”
Lei si morse un labbro e gli
volse le spalle, sentendo il suo cuore battere all’impazzata senza che lei
riuscisse a fermarlo.
Dandosi della folle per aver
reagito in maniera così pavida, di fronte a una semplice dimostrazione di
interessamento da parte di Aken, si scrollò mentalmente per riprendere un
minimo di controllo.
Non era ciò che voleva? E
allora che paure erano, queste?!
Aken era gentile e cortese
con lei e, rispetto ai primi giorni, era davvero cambiato, accettandola e
rispettandola per quella che era, mettendosi completamente nelle sue mani.
E lei, invece di apprezzare
la cosa, lo allontanava per un semplice gesto di cortesia. Sciocca che era!
Certo, il solo sentire il
calore delle sue mani, l’aveva mandata completamente nel pallone, ma non era
una scusa valida per trattarlo a quel modo!
Dov’era finita, la vecchia
Eikhe, che non aveva paura di nulla e di nessuno?
Persa negli occhi smeraldini del tuo principe,
disse una vocina impertinente nella sua testa.
Già, persa è dire poco, annuì tra sé Eikhe, prendendo un gran respiro prima
di voltarsi nuovamente verso Aken, abbozzare un sorrisino e dire: “Scusami tu,
per prima… ho reagito da sciocca.”
Aken, che si era seduto
reclinando il capo verso il basso, lo risollevò di slancio non appena la sentì
parlare e, fissandola curioso, le sentì dire ancora: “Ho reagito male a un tuo
semplice interessamento. Dovrei averlo capito che non stai trattandomi da
bambina, eppure ci ricasco sempre. Scusa davvero.”
Lui si mise a ridere
sommessamente e, passandosi una mano sul viso con espressione sofferta, la
fissò con estrema serietà, mormorando roco: “Lungi da me è l’idea di trattarti
da bambina, anche se dovrei eccome.”
“Come?” esalò lei, sgranando
gli occhi di fronte al suo sguardo infuocato. “E perché?”
“Ah! Perché?!” esclamò a quel punto lui, battendosi una mano sulla
gamba con espressione tragicomica.
Un po’ sorpresa da
quell’improvvisa reazione, che non si sarebbe mai aspettata in Aken, Eikhe ansò:
“Che ti prende?”
“Mi prende che ti vorrei
avere qui, seduta stante, perché sei la donna più intrigante e desiderabile che abbia mai conosciuto” ammise
lui, alzandosi e avvicinandosi a lei con aria minacciosa.
Fuori, il vento soffiava
impetuoso, pari almeno al desiderio ormai incontrollato di Aken.
Indietreggiando di un passo,
Eikhe lo fissò attonita e, senza poter fare nulla per fermarlo, si sentì
prendere per le braccia e attirare contro il suo petto ampio e duro.
Il suo viso, cupo e teso, si
chinò su di lei per dirle ancora: “Voglio averti, Eikhe, con una forza che non
posso più contenere, ma significherebbe asservirti a me, e non voglio darti
l’impressione di essere un animale senza controllo. Perciò, sto cercando di
convincermi a trattarti come se fossi la mia sorellina minore, ma mi è
impossibile, credimi!”
Eikhe fece tanto d’occhi
nell’udire quelle parole e, fissando le profondità smeraldine di Aken, vi lesse
una disarmante passione e altrettanta paura.
In quel momento, comprese
che ogni frase che le aveva appena detto corrispondeva a verità.
Stava tentando con ogni
mezzo di comportarsi da uomo d’onore, con lei, rispettandola e onorandola in
ogni modo pur di non farle paura, di ledere i suoi diritti di donna, libera da
ogni giogo maschile.
Non voleva prevaricarla in
alcun modo, sebbene la volesse come un uomo vuole una donna.
Mordendosi un labbro per la
tensione che stava accumulando dentro di sé, Eikhe gli chiese: “Davvero
vorresti questo, da me?”
Stringendola a sé, affondò
il viso tra i suoi capelli rilasciati mollemente sulle spalle e non più
costretti in una treccia e, con voce resa roca dal desiderio, disse: “Ogni
singolo istante in cui stiamo insieme. E non so come riuscirò a raggiungere
Rajana senza averti, ma sono anche più egoista di così, Eikhe.”
“Perché?” volle sapere lei,
stordita dal calore che avvertiva intorno a sé, e dentro di sé.
“Perché ti vorrei per sempre
con me, anche dopo la fine della nostra missione. Non voglio separarmi da te,
ma so che non posso obbligarti a rimanere a Rajana” mormorò Aken, ormai libero
da freni.
Che senso aveva mentirle, a
questo punto?
Sorpresa da quella
confessione piena, Eikhe sentì le lacrime pungerle gli occhi.
Scostandosi da Aken per
guardarlo in viso, lo sguardo ora sicuro, prese tra le sue mani quel volto che
le era diventato così caro e, abbassandolo verso di sé, lo baciò senza dire
nulla, stupendolo oltre misura.
Era dunque questo, di cui
sua madre aveva tanta paura?
Era il rapimento, la
confusione, lo stordimento, il calore nel cuore?
Di questo, Kaihle aveva
terrore folle?
Per questo la odiava?
Perché lei, invece, era in
grado di amare? Voleva amare?
Nel poggiare le labbra su
quelle calde di Aken, Eikhe si chiese questo per un attimo, prima di lasciare
andare a briglia sciolta tutto ciò che, in quei giorni, si era accumulato
dentro di lei.
I suoi sguardi che, dapprima
accigliati, si erano fatti caldi e comprensivi.
Le sue parole che, da dure e
irrispettose, si erano fatte tenere e gentili.
Il suo tocco che, da aspro e
tirannico, si era fatto morbido e dolce.
Questo, odiava
sua madre.
Questo,
lei amava.
Aken, congelato sul posto
dal bacio improvviso quanto inaspettato di Eikhe, si chiese confuso cosa l’avesse spinta a quel
gesto.
Ben presto, però, ogni
pensiero logico venne spazzato via dalla sua mente, ormai divorato dal
desiderio che aveva di lei.
Infiammandosi a quel tocco
di piuma, la strinse con forza a sé un attimo più tardi e approfondì il bacio,
esigendo molto di più da lei.
Piegandole indietro la testa
con la mano immersa tra i suoi capelli di fiamma, Aken le schiuse la bocca,
affondando nelle sue calde profondità.
Con maschia soddisfazione,
sentì il suo ansito di piacere farsi largo nel suo animo combattuto.
Giocando con lei perché partecipasse attivamente, le titillò le
labbra con piccoli baci per poi impadronirsi nuovamente della sua bocca.
A quel punto Eikhe,
sopraffatta dalle sue stesse sensazioni, si aggrappò alla tunica di pelle di
Aken nel tentativo grossolano di aprirgliela.
Ridendo, il principe la
aiutò senza però lasciarle andare la bocca.
Affondando le mani tra la
tunica e la camiciola, Eikhe sentì distintamente l’uomo ansimare e tremare
sotto le sue dita.
Staccandosi un momento da
lui per guardarlo, gli occhi resi cupi dal desiderio, Eikhe sussurrò confusa e
meravigliata: “Mi sentivo così sciocca, mentre ti sbirciavo di nascosto, e
sentivo il mio cuore battere all’impazzata. Ho impiegato un sacco di tempo per
capire cosa mi stavi facendo.”
Sorridendole nel carezzarle
i folti capelli, lui le sfiorò uno zigomo con un bacio leggero, replicando:
“Non ti sei mai sentita attratta da un uomo, giusto?”
Lei scosse il capo, gli
occhi grandi e bisognosi di risposte così Aken, continuando a darle dolci baci
sul viso, continuò dicendo: “Immagino anche che tua madre si sia ben guardata
dallo spiegarti che cosa si sente, quando ci si innamora.”
“Nessuna di noi lo sa o, per
lo meno, ci è vietato saperlo, poiché
non ci è consentito innamorarci degli uomini. Credo che lei, addirittura,
aborrisca il solo pensiero di innamorarsi di qualcuno” precisò Eikhe, prima di
sospirare quando Aken le sfiorò la base della schiena con una mano. “Ora ne so
il motivo, però. E’ così… soverchiante.
Vi darebbe un potere enorme, su di noi!”
“Solo se l’uomo fosse
sciocco e insensibile” precisò Aken, continuando a carezzarle la schiena con
dolci movimenti circolari. “Se amasse a sua volta la donna con la stessa forza,
egli stesso non avrebbe alcun potere, poiché esso sarebbe interamente nelle
mani di lei.”
Questo parve eccitarla
perché, sorridendogli maliziosa, passò un dito sulle labbra tumide di Aken,
come a voler saggiare le sue parole.
Lui ansimò, chiudendo un
momento gli occhi prima di tornare a fissarla con espressione torva.
“Ne vuoi approfittare?”
“E’ tutto così strano…”
esalò lei, portandosi la stessa mano al cuore, che batteva furiosamente. “…e
così maledettamente confuso. E’ quel che senti anche tu?”
Aken si limitò a prendere la
sua mano per poggiarla sul torace e, di fronte al suo sguardo percorso da un
profondo desiderio, lo stupore si disegnò sul suo giovane volto di donna.
“Capisci cosa sento?”
sussurrò lui, tornando a baciarle il viso e la curva sinuosa del collo.
“Capisci cosa provo?”
“S-sì” sussurrò Eikhe con
voce tremante, piegandosi istintivamente all’indietro.
Assottigliando le iridi
dorate mentre lui risaliva con una mano sotto la sua tunica, disegnando scie
infuocate sulla sua pelle, lei domandò: “Non è la mancanza di una donna a
portarti a questo, vero?”
“No, sei solo tu” ansò lui,
scostandosi da Eikhe per non proseguire oltre.
La ragazza non disse nulla,
limitandosi a far scorrere le mani sulla tunica di Aken prima di afferrarla per
le spalle e farla scivolare lungo le sue braccia robuste e dai muscoli rigonfi.
Trattenendo il respiro, Aken
la lasciò fare, seguendone con lo sguardo i movimenti lenti, prima di
chiederle: “Sei certa di volerlo?”
Lei si limitò a sorridere,
dicendogli: “Ti ho mentito, ieri.”
“Come?” esalò lui,
completamente confuso.
Poggiando il capo contro la
camiciola di Aken, Eikhe sussurrò: “Nys voleva che tu ti prendessi cura di me…
che tu mi amassi. Voleva dire questo.”
“Eikhe, ma cosa…?” sussurrò
lui, afferrandola per le spalle per scostarla da sé e guardarla in viso.
La ragazza sorrise
raggiante, sicura come mai avrebbe potuto essere e, carezzandogli una guancia, ammise:
“Era la sua benedizione. Ha accettato la mia scelta, … come la tua. Era
convinto che io fossi già nel tuo cuore, prima ancora che io mi rendessi conto
di volerti.”
Aken si limitò ad avvolgere
il suo viso tra le mani per baciarla con passione, togliendole del tutto il
respiro e le forze.
Quando le fu impossibile
resistere oltre, si afflosciò contro di lui con tutto il suo esile peso e Aken,
ansando contro le sue labbra, esalò: “Tu mi vuoi?”
Lei annuì con decisione.
“Dici di essere egoista, ma
la sono anch’io. Ti voglio come una donna-lupo non dovrebbe volere un uomo. Ti
voglio come mio compagno, mio amante, mio amico per il resto dei miei giorni, e
so che è sbagliato.”
“Perché?” ansò Aken,
stringendola a sé così forte da aver quasi paura di farle male.
“Perché tutto ci è contro.
Il tuo titolo, il mio ruolo, tutto!” esclamò
in un soffio lei, prima di aggiungere: “Ma, come ti ho detto, sono una
creatura egoista.”
Scoppiando in una risatina
tremula, lui la baciò per un momento prima di dire: “Allora, siamo davvero
fatti l’uno per l’altra, perché io sono ugualmente egoista.”
“Non avrei mai pensato di
arrivare a dire che l’egoismo fosse una virtù” sorrise lei, prima di chiedere:
“Mi amerai?”
“Ti sto amando anche ora,
Eikhe, anche se non come il mio corpo sta urlandomi di fare” le sorrise lui,
con aria vagamente straziata.
Per diretta risposta, Eikhe
si sciolse dall’abbraccio di Aken e, con mani ferme, slacciò la tunica poco per
volta sotto il suo sguardo affamato.
Denudando i seni piccoli e
pieni, lasciò infine scivolare a terra l’indumento ormai inutile.
Imitandola, Aken tolse la
camiciola per gettarla poi a terra con negligenza mentre lei, tranquilla, lo
osservava senza alcun timore nello sguardo.
“Sicura di voler andare
avanti? Non vorrei che…” tentennò lui, quando le mani gli scivolarono sui lacci
delle brache.
Eikhe sorrise replicando:
“Sono nata e cresciuta nella foresta, Aken. So come sono fatti i maschi.”
“Non gli uomini” precisò
lui, denudandosi di fronte a lei dopo un momento.
Eikhe fece tanto d’occhi di
fronte all’adamitica bellezza dell’uomo che aveva dinanzi e, pur avendolo già
visto senza abiti, sfiorò con reverenziale timore quei muscoli possenti e
solcati da cicatrici vecchie di anni.
Immersa in sua
contemplazione, Eikhe si accorse solo vagamente delle mani voraci di Aken che,
sciogliendole i lacci dei pantaloni, la denudarono con facilità, lasciandola
senza nulla addosso oltre la sua chioma lucente.
Sorridendogli quando lui la
scostò da sé per abbeverarsi lo sguardo con la sua immagine, Eikhe gli sentì
dire: “Sei più bella di quanto avessi immaginato nei miei sogni.”
“Mi sognavi?” chiese lei, deliziata
all’idea che quel possente guerriero delle pianure potesse averla vista in
sogno.
Annuendo, Aken la avvicinò per
sentirla accanto a sé, pelle contro pelle, e mormorò: “Sin da quando mi sono
svegliato con te accanto, la prima volta.”
Inarcandosi contro di lui
quando lo sentì muoversi con abile maestria sulla sua pelle accaldata, Eikhe
non badò minimamente al crescere della furia della tempesta che imperversava
all’esterno.
Era unicamente desiderosa di
dedicare i suoi pensieri all’uomo che aveva al suo fianco.
Tracciando scie di baci
sulla sua pelle dorata dal sole, Aken le sfiorò con reverenziale timore i
piccoli seni con le mani.
Ansimando sorpresa, Eikhe lo
guardò chinarsi per baciarglieli, scatenando in lei una ridda di emozioni mai
provate.
Accompagnandola con gesti
teneri all’alcova che avevano diviso vicino al fuoco, lui la fece sdraiare sul
mantello di pelliccia, seguendola subito dopo.
Continuando
nell’esplorazione del suo corpo, le disse roco: “Hai un corpo stupendo, Eikhe.”
“Non sono troppo magra? O
alta?” riuscì a chiedere lei tra una carezza e l’altra.
“Sei esattamente come ti
immaginavo. Tonica, forte, morbida dove serve… affascinante e pericolosa”
mormorò lui, scendendo fino al fulcro della sua femminilità.
“Aken!” esclamò lei,
sorpresa e affascinata da quel turbinio di sensazioni piacevolissime.
“Tranquilla, amore, so come
fare” sussurrò lui, continuando nella sua magia, facendole toccare vette di
piacere mai raggiunte.
Tremando sotto il suo tocco
esperto, Eikhe perse completamente di vista la loro missione e il pericolo che
li circondava, divenendo una creatura fatta solo di sensazioni.
Sensazioni che Aken stava
portando a dei livelli che mai, nella vita, avrebbe creduto di poter
raggiungere.
Le sue mani si mossero
sensuali sul suo corpo, abituandola a quanto avrebbe sperimentato entro breve.
Quando divenne per entrambi impellente
raggiungere quel traguardo, lei sussurrò ansiosa: “Aken, ti prego, non resisto
più!”
“Sarà solo un attimo,
piccola.”
“Non ho paura del dolore”
sorrise lei, baciandolo con trasporto.
Tenendo le sue labbra unite
a quelle di Eikhe, Aken affondò in lei con un’unica spinta e, quando sentì il
suo ansito di sorpresa e dolore, lo lenì con dolci carezze.
Poco alla volta, abituò il
corpo della ragazza alla sua intrusione, finché non fu certo di potersi muovere
senza causarle ulteriore disagio.
Lentamente, le spinte si
fecero più audaci e Aken, sorridendo fiero, ascoltò i gemiti di Eikhe unirsi ai
propri.
Senza più trattenere il
proprio desiderio, la condusse per mano fino alle più alte vette del piacere.
Insieme, gridarono
nell’estasi di quel momento prima di ritornare al presente, dimentichi di tutto
e di tutti se non del compagno che stringevano tra le braccia.
Dopo un istante che parve
durare in eterno, Aken scivolò via da lei tenendola stretta al petto e, con un
movimento del braccio, coprì entrambi con il mantello.
Ansando leggermente, Aken la
osservò negli enormi occhi dorati, che lo fissavano vacui e colmi della
passione che aveva saputo risvegliare in lei.
In un sussurro, le chiese:
“Sono stato troppo brutale? Hai sentito dolore? Forse avrei potuto…”
Azzittendolo con una mano,
lei gli sorrise e, sollevatasi a mezzo per baciarlo sulle labbra, disse: “Sei
stato meraviglioso. Smettila di preoccuparti.”
“Continuo a pensare che
avrei dovuto fermarti, fermarmi…ma…” mormorò,
ancora preoccupato.
Eikhe si limitò a
sorridergli, dicendo per contro: “Era ciò che entrambi volevamo. E questo non
potrà mai essere un male, Aken. Mai!”
“Ma tu sei ancora in lutto,
e…” tentennò ancora lui, sfiorandole la fronte con la propria e fissandola con
occhi addolorati.
“La morte di Nys mi
accompagnerà per sempre, Aken, non potrò mai cancellarlo dal mio cuore, ma mai lui avrebbe voluto che io smettessi
di vivere a causa sua. A maggior ragione, sapendo che avevo trovato il mio compagno, il mio lupo” cercò di tranquillizzarlo lei, carezzandogli una guancia.
Sorridendo a quelle parole,
lui annuì e, baciandole teneramente la punta del naso, sussurrò: “Sì, sono e
sarò sempre il tuo lupo.” |
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Capitolo 9 *** cap. 9 ***
Capitolo più breve, ma decisamente più rilassante rispetto al precedente. Si scoprono molte parti oscure su Hevos e Hyo, oltre al vero messaggio che il dio-lupo avrebbe voluto tramandare alle sue figlie. Buona Lettura!
9.
Seduto comodamente
all’interno dell’enorme tinozza di cui disponevano nella casamatta, Aken sospirò
sollevato nel passarsi la pezzuola umida sulla pelle.
Quei lunghi giorni di
stenti, e la battaglia che li aveva visti protagonisti sul valico, lo avevano
logorato nel corpo e nello spirito non meno di Eikhe.
In quel momento, la
ragazza-lupo era intenta a rammendare uno strappo nella sua tunica di pelle di
daino.
Dopo il loro primo atto
d’amore, Aken aveva preferito non starle troppo addosso, preferendo che la
ragazza si abituasse a lui nelle sue nuove vesti di amante, oltre che di amico
e compagno.
Trovava stranamente
rilassante anche il solo fatto di poterla avere accanto a sé.
In passato, non avrebbe mai
detto di essere capace di apprezzare anche la semplice intimità domestica con
una donna.
Il genere di intimità che
tanto aveva bramato – e che aveva avuto – l’aveva, sì, soddisfatto appieno, ma
gli aveva anche aperto le porte di fronte a un nuovo mondo.
Guardarla dormire,
placidamente rannicchiata contro il suo torace, scorgere le sue palpebre
tremare al risveglio, salutarla con un bacio e un sorriso.
Erano tutte sensazioni
nuove, per lui.
Certo, ogni donna con cui
era andato a letto era stata, per lui, quanto di più simile a un’amica avesse
mai avuto.
Parlare con loro, passare il
suo tempo con loro, l’aveva risollevato da angosciosi momenti in cui tutto, ai
suoi occhi, era parso inutile e menzognero.
Con Eikhe, tutto questo si
era trasformato, evoluto in qualcosa di più complesso e più semplice al tempo
stesso, facendogli finalmente scoprire il vero significato della parola ‘amore’.
Non gli sembrava sciocco o
superficiale pensare all’amore, pur conoscendola da così poco tempo.
In lei aveva trovato tutto
ciò che aveva sempre desiderato e, con sua somma sorpresa, anche diverse cose
che mai si sarebbe immaginato di volere.
Al tempo stesso, aveva
gioito nello scoprire che, non solo lei ricambiava appieno i suoi sentimenti,
ma che anche lo stesso Nys lo aveva accettato come potenziale compagno di
Eikhe.
Già, Nys.
Mentre la tempesta
continuava a infuriare fuori dalla casamatta, Aken si figurò il suo corpo ormai
ghiacciato e ricoperto da palmi e palmi di neve.
Nessuno avrebbe pianto su
una tomba con il suo nome, o avrebbe portato fiori per lui.
Al disgelo, la sua carcassa
sarebbe stata divorata da qualche predatore e, del suo corpo mortale, non
sarebbe rimasto che il ricordo.
“Pensare così affannosamente
ti farà venire le rughe” mormorò Eikhe dalla sedia su cui era accomodata.
Aken sollevò il capo a
guardarla, l’esile corpo ricoperto solo dalla sua camiciola di lino – che le
stava tremendamente grande – e, con un mezzo sorriso, celiò: “Con le rughe, non
mi vorresti più?”
Lei si limitò a sorridergli
da sopra la spalla prima di riprendere il suo ricamo e dire: “Ti prenderei
anche se fossi vecchio e curvo, mio lupo.”
Suo lupo.
Da quella prima volta
assieme, Eikhe non aveva più smesso di chiamarlo così.
Invece di sentirsi vagamente
sciocco per quel nomignolo, Aken aveva provato di volta in volta un calore
sempre più profondo nel petto.
Sapeva perfettamente che,
secondo le leggi cui era stata indottrinata fin da piccola, ciò che stava
compiendo era qualcosa di molto simile all’apostasia, ma Aken non voleva nulla
di diverso da questo.
L’aveva desiderata, aveva
imparato ad amarla e comprenderla e ora, il solo pensiero di non poterla avere
al suo fianco per la vita, era così straziante da togliergli il fiato.
Ugualmente, proprio perché
l’amava, non poteva costringerla a regole che ne avrebbero minato la libertà di
pensiero e di movimento.
Lui amava anche questo, di
lei.
Non c’era nulla, in Eikhe,
che avrebbe cambiato.
Lasciato sulla sedia il suo
lavoro di cucito, Eikhe lo raggiunse alla tinozza e, carezzandogli la guancia
ricoperta di folta barba, sorrise e disse: “Credo dovremmo darle una spuntata.
Ormai è davvero lunga, e cominci a sembrare un vero barbaro.”
Massaggiandosi il mento,
dove stava crescendo un morbido cuscinetto lungo almeno un paio di dita, Aken
annuì.
“In effetti, potrei anche
rischiare di non riconoscermi io stesso. Sai se qui dentro c’è il necessario
per farsi la barba?”
Lei si limitò a sogghignare
e Aken, storcendo il naso, chiese: “Che hai in mente?”
Da dietro la schiena tirò
fuori una forbice dall’aspetto piuttosto sinistro e, con un luccichio negli
occhi, domandò: “Vuoi concederti a me?”
“Preferirei concederti qualcos’altro…” precisò Aken, percependo
un leggero irrigidimento all’altezza dei lombi. “… ma, visto che sei armata e
sembri pericolosa, mi metterò nelle tue mani.”
Eikhe si limitò a
ridacchiare e, dopo aver preso accanto a sé una sedia, si accomodò e iniziò ad
accorciare diligentemente la barba di Aken, stando ben attenta a non tagliarlo.
Dopo una ventina di minuti
passati sotto le mani della ragazza, il principe saggiò con mano esperta il
lavoro di sbarbatura, annuì e disse: “Potrei sempre tenerti come mio aiutante.”
Lei storse il naso e
replicò: “Non mi fermerei mai in un castello, neppure per te.”
“Lo so…” sorrise mesto lui.
“… non lo pretenderei mai, comunque.”
Eikhe scivolò contro di lui
per abbracciarlo e, poggiando il capo contro il suo, mormorò spiacente: “Non
sarebbe comunque possibile, non credi? Io sono solo una semplice ragazza di una
tribù di montagna, mentre tu sei un principe. Non vorresti davvero una compagna
così per la vita, anche se te lo permettessero, no?”
“E questo, chi te lo dice?”
replicò con veemenza lui. “Eikhe, pensi che mi sarei sbilanciato a dirti ciò
che ti ho detto, se il mio fosse stato solo un riflesso dovuto al bisogno
fisico che avevo di una donna? Ho resistito ben più tempo di ora, senza godere
di un corpo femminile!”
Fissandolo per un momento
senza parole, Eikhe gli sorrise dolcemente prima di asserire contrita: “Non
funzionerebbe comunque. Viviamo agli antipodi, Aken.”
Sbuffando, lui replicò
ombroso: “Non ne parliamo più, ti va?”
“Come desideri” annuì lei, baciandolo
sulla fronte per poi rialzarsi. “Preparo il pranzo.”
Aken si limitò ad annuire,
preferendo non pensare alle parole profetiche di Eikhe.
Sapeva perfettamente quanti ostacoli c’erano tra loro due, ma non voleva
sentirglieli elencare proprio in quel momento.
Non quando aveva appena
assaporato sulla pelle il profumo del suo amore.
***
Per i successivi tre giorni,
a parte rare escursioni esterne per mantenere sgombro il passaggio di fronte
alla capanna, i due giovani passarono la maggior parte del tempo scoprendo i
segreti più intimi dei loro rispettivi corpi e animi.
Al tempo stesso, però,
tentarono di non pensare a quello che li avrebbe aspettati, una volta
intrapreso il viaggio di ritorno verso Rajana.
Nessuno di loro voleva
rovinare quei brevi momenti di pace pensando alla guerra imminente, o alla loro
prossima separazione.
Per Eikhe, era già difficile
non perdersi nei ricordi di Nys.
Se avesse anche pensato al
momento in cui avrebbe dovuto dire addio ad Aken, avrebbe sicuramente perso la
testa.
Non credeva comunque che,
per lui, fosse diverso.
Il quarto giorno, con un bel
sole alto e splendente nel cielo invernale, Eikhe decise infine di riprendere
il cammino verso le vicine valli di Anarsis.
Non aveva senso non
approfittare di quella tregua nel maltempo, sebbene sapesse che questo
costituiva, per entrambi, il primo ceppo delle pira su cui entrambi sarebbero
arsi al momento definitivo del distacco.
Ugualmente, il Reame aveva
bisogno delle notizie che portavano con loro, e questo non potevano
dimenticarlo.
Stazionando silenziosamente
di fronte a un tumulo di sassi - che aveva eretto nel punto in cui si trovava
Nys - Eikhe si ripromise di portare a termine la missione anche per il suo
fidato e amato compagno di vita.
Aveva speso così tanto, di
sé, per salvaguardare sia lei sia l’uomo che stava imparando ad amare con tutto
il cuore!
Fermo accanto a lei, il viso
serio e ombreggiato dalla colpa e dal dolore, Aken osservò in silenzio sia
Eikhe sia il tumulo.
Quanto potevano essere forti
e strazianti, i sentimenti che stavano squassando il suo giovane cuore di donna?
Sapeva di poter fare ben
poco, in quel momento, a parte starle accanto e dimostrarle tutto il suo
affetto.
Dubitava fortemente che,
qualsiasi cosa lui avesse detto in quel momento, avrebbe pacificato il suo
animo dal senso di colpa e dallo sconforto.
Con un ultimo sospiro e un
bacio abbandonato sulle rocce, che indicavano il luogo in cui giacevano i resti
mortali di Nys, Eikhe si volse verso Aken.
Sorridendogli appena,
mormorò con forza: “Coraggio, procediamo pure.”
Aken annuì ed Eikhe,
allungandogli una delle pezze di cotone da sistemare dinanzi agli occhi.
“La tua cara amica.”
Di malavoglia, Aken la
indossò prima di dire: “Speravo di non doverla più rimettere. Mi sento un
idiota, con questa cosa addosso.”
“Non è vero che lo sembri e
poi, serve a ripararci gli occhi dal riverbero del sole. Rimarremmo accecati,
con tutta la neve che è caduta, e il sole a picco su di essa” replicò lei,
bendandosi a sua volta.
“Avrai anche ragione, ma mi
sento comunque un idiota” brontolò lui prima di notare un particolare di cui,
in precedenza, non si era avveduto.
Con sommo stupore di Aken,
Eikhe aveva letteralmente sradicato il coperchio di una delle casse delle
provviste all’interno della casamatta.
Dopo aver apportato alcune
modifiche, l’aveva posizionata all’esterno della casupola dicendogli
ironicamente che, quello strano oggetto sgraziato, sarebbe stato il loro asso
nella manica.
In un primo momento, l’aveva
preso come uno scherzo ma, quando la vide dirigersi verso il coperchio in
questione, la fissò dubbioso, apertamente confuso di fronte alle sue mosse.
Divertita dalla sua
confusione, Eikhe domandò: “Mai andato su uno slittino?”
“Rajana è in una pianura,
Eikhe… dove avrei dovuto scivolare?” celiò lui, dubbioso.
“Allora, comincerai adesso.
Se vogliamo scendere, dovremo per forza fare così. Tu pesi troppo, per poter
camminare sullo strato di neve caduto in questi giorni, quindi procederemo su
questa slitta improvvisata” dichiarò lei, indicandogli per l’appunto il
coperchio capovolto, dotato di alcune corde robuste ai lati.
“Ecco perché ti sei messa a
fare il carpentiere, l’altro giorno!” esclamò l’uomo.
Storcendo il naso l’attimo
dopo, però, le domando dubbioso: “Perché non me l’hai detto subito?”
“Non sapevo se il vento
avrebbe formato una crosta sufficientemente spessa per permettermi di usarla”
scrollò le spalle lei.
“Dobbiamo parlare di più,
noi due” brontolò lui, prendendola per la vita con un braccio.
Eikhe ridacchiò, arrossendo
leggermente, e disse per contro: “Abbiamo avuto altro a cui pensare, credo.”
“Già” sogghignò Aken,
sedendosi sullo slittino improvvisato prima di avvolgerle la vita con un
braccio e aggiungere: “Sei davvero sicura di non esserti pentita di niente?”
Guardando dietro di sé per
scrutarlo in viso, Eikhe disse: “Pentirmi di te? Affatto. Non cambierei niente
di ciò che abbiamo condiviso. Mi spiace soltanto di non aver potuto gioirne
appieno come avrei voluto.”
“Ti senti in colpa?” le
chiese Aken.
A lui era successo in ogni
momento.
“Non in colpa” scosse il
capo lei. “Ma avrei voluto che Nys vedesse quanto sono felice con te, adesso.”
“Sei… felice?” sorrise più
che lieto Aken, dandole un bacetto sulla guancia.
Eikhe rise suo malgrado ed
esalò sorpresa: “Hai davvero bisogno di rassicurazioni in tal senso?”
“No, ma mi piace sentirtelo
dire” scrollò le spalle il principe, prima di aggiungere: “Partiamo?”
“Sì.”
Con un sospirone, Aken
disse: “Che gli dèi ce la mandino buona.”
“Fidati” si limitò a dire
lei.
“Detto da una donna, suona
come una condanna a morte” replicò lui, guadagnandosi una gomitata nel fianco.
“Ahia! E’ questo il modo di trattare il tuo principe?”
“Quando fa lo scemo, sì” celiò
la ragazza, ridacchiando e dandosi una spinta coi piedi. “Quando ti dico ‘frena’, punta i calcagni fuori dalla
slitta.”
“D’accordo” annuì lui,
avvolgendole la vita anche con l’altro braccio. “A volte, dimentico quanto sei
piccola.”
“Sono io a essere piccola, o
tu a essere grande?” replicò lei, mentre la slitta cominciava il suo viaggio
sulla neve.
“Un po’ tutt’e due le cose” ammise
lui, sorridendo. “Questa tua idea è comoda. Ci sta risparmiando ore e ore di
cammino accidentato nella neve.”
“Lo so. Spero solo che il
tragitto sia sempre così agevole” dichiarò Eikhe, spostando di quando in quando
il peso a destra o a sinistra.
Procedettero a buona
velocità per più di mezz’ora, mantenendosi paralleli alla cresta di monte che
li separava dal fiume Fenar, che avrebbero dovuto percorrere più a valle con
una canoa.
Eikhe, comunque, dubitava
che avrebbero potuto proseguire in eterno in quel modo e, quando si frappose tra
loro e la valle uno squarcio, la giovane sospirò demoralizzata.
Fermando la slitta dopo aver
lanciato l’ordine ad Aken, la ragazza avanzò sullo strato di neve, guardando
oltre un apparente seracco.
Con non poco sgomento, esalò:
“Questa non ci voleva, pur se me l’aspettavo.”
“Cosa c’è?” chiese Aken,
curioso, avvicinandosi a sua volta.
“Una costa del monte è
franata. Deve essere successo di recente perché, l’anno scorso, non c’era” brontolò
Eikhe, tornando indietro. “Come te la cavi con le arrampicate?”
“Benino…” dichiarò lui,
torvo. “… quant’è il dislivello?”
“Dovrebbero essere trecento
metri, più o meno” asserì Eikhe, legandosi ben bene una delle sacche sulle
spalle. “Ma, per lo meno, questa parete è ricca di appigli e non è a
strapiombo. Non dovremmo incontrare troppe difficoltà, nello scendere.”
“Ottimo! Poteva andare tutto
liscio? No, certo!” mugugnò lui, imitandola. “La slitta?”
“Lasciala pure lì. Una volta
discesi più a valle, la neve dovrebbe essere più bassa, e ci sono troppi massi
sporgenti. Rischieremmo solo di farci male” scosse il capo lei, sospirando
scontenta.
“Come temevo” borbottò Aken,
lanciando uno sguardo affranto in direzione della slitta.
“Dai, vieni” lo incitò lei,
tirandogli una mano.
***
La discesa sfiancò entrambi,
pur se il tragitto risultò essere più semplice del previsto.
Non appena ebbero raggiunto
il fondo del crepaccio, i due giovani si lasciarono cadere su un mucchio di
neve, incuranti del freddo e della possibilità di essere avvistati da qualche
vedetta nella zona.
Si trovavano ancora a Vartas
e, sebbene il confine con Anarsis fosse poco distante, non potevano concedersi
il lusso di rimanere all’aperto per troppo tempo.
Nargan era lontano,
probabilmente di ritorno verso il suo esercito e li credeva morti, ma nulla
vietava che avesse messo dei franchi tiratori un po’ ovunque per scoraggiare
eventuali ‘curiosi’.
Di malavoglia, Aken fu il
primo a risollevarsi dalla neve e, presa per mano Eikhe, la tirò in piedi.
“Dove andiamo, guida?”
Sbuffando affaticata, lei
indicò una pineta poco distante e disse: “Laggiù. In quel bosco, c’è una
piccola grotta che può fare al caso nostro. Sempre che non sia occupata.”
“Orsi?” domandò Aken,
rabbrividendo involontariamente.
“Già ma, alla peggio, posso
sempre…” disse lei, digrignando i denti e mostrando le unghie con fare
minaccioso.
Sollevando un sopracciglio
con espressione curiosa, Aken le chiese: “Ma… non ti succede solo se c’è di
mezzo qualcuno in pericolo, o che desideri proteggere?”
“Sì” assentì lei,
guardandolo con espressione dolce.
Aggrottando la fronte, Aken
scosse il capo e dichiarò: “Scordatelo, tesoro, non farò da esca solo per farti
diventare una belva.”
“Antipatico” brontolò lei.
“Se ci sarà un orso, lo
sistemerò da solo” asserì lapidario il principe, battendo un paio di volte la
mano sulla sua spada.
“Ah!” esclamò lei. “Questa
la voglio vedere!”
“Mi credi incapace di
uccidere un orso?” le ritorse contro lui, accigliandosi.
“Aken, non hai la più
pallida idea di quanto sia grosso un orso, vero?” replicò lei, sollevando un
sopracciglio con aria scettica.
“Beh, non ne ho mai cacciato
uno, però…” tentennò un poco lui.
“Appunto. Quello che ho
catturato con Nys era grosso il doppio di te, in altezza e larghezza” specificò
lei, prima di sospirare e scuotere il capo.
Stringendola a sé per un
momento, lui le baciò i capelli, sperando di poterla trascinare lontana dai
ricordi.
“D’accordo, niente colpi di
testa, allora.”
“Sì” annuì lei, restandogli
accanto mentre, con tutta calma, riprendevano il cammino verso il bosco.
Facendosi strada tra la neve
e i sassi sporgenti, i due impiegarono il resto del pomeriggio per raggiungere
il riparo offerto dalla foresta di abeti.
Una volta penetrati
all’interno, l’oscurità li avvolse ed Eikhe, per la prima volta in vita sua,
dovette fare affidamento solo sui suoi occhi e sulle sue orecchie.
Un po’ confusa da quella
tragica novità, si bloccò, guardandosi intorno come cercando un appiglio cui
aggrapparsi.
Comprendendo cosa volesse
dire, per lei, affrontare quell’avventura senza Nys, la strinse a sé e disse:
“Prenditi tutto il tempo che vuoi, Eikhe.”
Lui si era sentito
ugualmente spaesato e nudo, senza i
suoi uomini, pur se aveva avuto al suo fianco Eikhe.
Aveva dovuto imparare
nuovamente a camminare, per così dire ma, grazie all’aiuto della ragazza, era
infine riuscito a risollevarsi.
Ora, Eikhe avrebbe dovuto
fare la stessa cosa, e Aken l’avrebbe aiutata a farlo, per quanto possibile.
Lei gli sorrise, sollevando
il viso per meglio cogliere odori e rumori e, chiusi un momento gli occhi,
annuì debolmente e disse: “Da quella
parte.”
Annuendo, Aken la seguì
fiducioso ed Eikhe, tenendo la mano in quella grande e forte dell’uomo,
cominciò a muovere i primi passi in un mondo per lei del tutto nuovo.
Un mondo in cui Nys non
c’era più, un mondo dove era Aken il suo compagno, la sua spalla. E il suo
uomo.
Sorridendogli per un
momento, disse sorpresa: “E’ tutto così strano! Con Nys, prestavo più
attenzione alle sue reazioni, che a quello che mi circondava. Ora, invece, sono
io a dover decifrare il linguaggio della foresta e, pur sapendo riconoscere
ogni cosa, mi sembra di essere una straniera in una terra mai vista.”
“E’ come essere appena nati,
e scoprire tutto per la prima volta” annuì Aken, al suo fianco.
“Sì, esatto” assentì a sua
volta, lieta che Aken riuscisse a capirla.
“Beh, vorrà dire che
scopriremo le cose in due. Spiega anche a me quello che devo ascoltare” le
propose lui, sorridendole.
E lei cominciò a parlargli
del soffio del vento tra le fronde, del borbottio delle acque dei ruscelli, o
del fruscio delle ali di un uccello tra le foglie di un cespuglio.
Abbeverandosi della voce
suadente di Eikhe, Aken dimenticò ogni preoccupazione e ogni dolore,
consapevole solo della ragazza che camminava al suo fianco e che lo teneva per
mano.
Quando infine raggiunsero la
caverna, Eikhe buttò all’interno un sasso per ascoltarne l’eco e, annuendo, dichiarò
con sicurezza: “Se vi fosse stato qualcosa… o
qualcuno, all’interno, avrebbe prodotto un suono più sordo.”
“Per maggiore sicurezza,
comunque, vado avanti io” asserì Aken, sguainando la spada.
“Come vuoi” sorrise lei,
sollevando le mani in segno di resa.
Aken la baciò fuggevolmente
sulle labbra e, con fare guardingo, entrò nella grotta per controllare che
tutto fosse in ordine.
Quando, però, ebbe oltrepassato
di alcuni metri l’entrata dell’antro, dovette fermarsi per fissare allibito le
escrescenze luminose che decoravano la caverna.
Queste, sottili come lamine
e apparentemente infinite, illuminavano la grotta come se vi fosse stato acceso
un fuoco all’interno.
Dietro di lui, Eikhe gli
spiegò succintamente: “Sono muffe. Risplendono come le lucciole, non ti pare?”
“Sapevi che c’erano?” esalò
Aken, rinfoderando l’arma per guardarla stupefatto.
“Sì, ma non fioriscono
sempre. A volte, non brillano affatto” asserì lei, scrollando le spalle. “Non
so dirti perché.”
“Beh, poco importa. L’importante
è che non ci sia compagnia” borbottò il principe, sedendosi a terra. “Hai la scorta anche qui?”
“Ovvio” annuì lei,
sollevando un sasso per liberare un po’ di fascine e dei pezzi di legno più
grandi. “Non manco mai di rifornire i luoghi in cui mi fermo spesso.”
“Non è rischioso
avventurarsi fin qui solo per cacciare?” chiese a quel punto lui, intento a
osservarla accendere il fuoco.
“In realtà, no. Siamo più o
meno a due settimane di cammino da Nestar. Di solito, io e Nys imboccavamo il Sentiero
dell’Orso e, da lì, svoltavamo a sud-est per oltrepassare il Monte Ruona, percorrendo
uno stretto valico che c’è sopra il paese di Royconea” gli spiegò, pulendosi le
mani prima di sedersi vicino ad Aken. “Da lì, si evita a piè pari il Valico di
Kortoss e i suoi sgradevoli abitanti.”
“Hai viaggiato molto” esalò
Aken, ammirato.
“E tu? Non penso tu sia
sempre stato a Rajana, vero?” gli domandò, usando l’acciarino per accendere il
fuoco.
“No, infatti. A quindici
anni, sono partito per il Regno di Karton, risiedendo per quattro anni alla
corte di re Nikos, per fare praticantato come soldato. Ho preso parte a diverse
battaglie, prima di tornare a Rajana e terminare il mio addestramento” le raccontò succintamente, rammentando gli anni che aveva passato lontano
da casa.
In fondo, era stata una
bella vita.
“Non era male, a dir la
verità. Tra i soldati di re Nikos, ero un semplice combattente, come tutti gli
altri. Non avevo favoritismi di nessun genere, e la cosa mi stava più che
bene.”
“Rimpiangi quel periodo,
vero?” intuì Eikhe, stringendosi le ginocchia al petto.
Annuendo, lui emise un
sospiro e disse: “Il cameratismo che si crea tra commilitoni è una cosa che,
solitamente, un erede al trono non può mai provare. Tutti i soldati, alla fin
fine, ti guardano con una certa apprensione, perché si aspettano da te che, da
un momento all’altro, possa rivoltarti contro di loro. Come semplice soldato,
invece, mi sono fatto degli amici fidati che, al termine del mio apprendistato,
sono venuti con me a Rajana per passare sotto il mio comando.”
“Chi?” volle sapere lei.
“Ricordi che ti dissi di un
mio amico, a cui dovetti amputare un braccio?” disse Aken, vedendola annuire.
“Uno è lui. Ora, Kannor è a palazzo, ed è il mio attendente. Non ha gradito
molto il fatto che io sia partito senza di lui, per questa missione, ma ora
sono doppiamente felice che non sia venuto con me.”
Lei sorrise comprensiva,
annuendo debolmente.
“Come perse il braccio?”
“Durante una scaramuccia tra
clan. Io e una cinquantina di uomini fummo inviati presso un feudo vicino a
Rajana per sedare una battaglia tra alcuni signorotti di campagna e, durante
gli scontri, Kannor venne ferito da una lama arrugginita. Il braccio andò quasi
subito in cancrena, così fui costretto ad amputarlo fino al gomito.”
Nel dirlo, Aken sospirò.
“Capisco come ti senti. Pensi
che, se fosse rimasto nel suo paese natio, lui avrebbe ancora il suo braccio
mentre, seguendoti, ha dovuto subire questa triste sorte” dichiarò Eikhe,
sorridendogli mestamente.
Annuendo, Aken la avvolse
con un braccio e disse: “So che è assurdo, ma continuo a sentirmi colpevole,
come lo sono per Nys.”
“Non devi. Nys non avrebbe
mai voluto che ti succedesse qualcosa, e neppure io. Non si è battuto solo per
me, ma per entrambi” gli rammentò, scrollandolo leggermente. “Eri il suo
cucciolo, ricordi?”
“Già, il suo cucciolo”
sospirò lui, chinandosi a baciarla.
Eikhe si strinse a lui per
approfondire il contatto e Aken, senza lasciarsi pregare, si lasciò andare a
terra assieme alla ragazza.
Avvertiva forza quanto
entrambi avessero bisogno di stare insieme, per superare l’enorme dolore e la
solitudine che, la morte di Nys, aveva lasciato nei loro cuori.
Molto tempo dopo, avvolti
nel mantello di Eikhe, Aken ridacchiò nel dire: “Mi sento ancora un idiota, per
averti spiattellato tutto a quel modo.”
Ridendo, lei gli passò una
mano tra i lunghi capelli per sistemarglieli e replicò: “Se non l’avessi fatto
tu, ci avrei messo molto poco io. Ricordi che, prima di attaccare il Valico di
Kortoss, ti dissi che ti avrei spiegato il perché del mio sorriso?”
“Sì, e allora?” annuì lui,
curioso.
“Ti avrei detto che quel che
poi ti ho confessato nella casamatta. Che ti desideravo come mio amante e
compagno, perché ti amavo” sussurrò lei, poggiando il capo contro la sua
spalla.
“Mi ha fatto piacere
sentirtelo dire” ammise Aken, intrecciando le dita di una mano alla sua. “Ed è questo
che non capisco, delle vostre leggi. Perché vi vietate di amare? E’ davvero così
spaventoso, amarmi? Trovi sia un peccato mortale?”
“E’ lo Statuto e, su questo
punto, mia madre è irremovibile. Lei e le altre, i membri del Consiglio delle
Tribù, odiano gli uomini perché portatori di problemi e schiavitù. Da almeno
duecento anni, è fatto divieto assoluto di amare un qualsiasi uomo, anche colui
con cui si è generato una figlia. So per certo che, con mio padre, Kaihle
mantiene un rapporto più o meno formale, ma la cosa finisce lì. Col padre di
Tyura, neppure parla più, quando scende a Marnha.”
“Continuo a non capire”
ammise Aken. “Come può aver accettato di stare con loro – e quindi, avere un
rapporto intimo decisamente profondo – per poi non degnarli neppure di
sentimenti come l’amicizia, o l’affetto?”
Storcendo il naso, Eikhe
disse a mo’ di spiegazione: “Cosa fanno gli uomini, dopo una battaglia?”
“Oh” esalò, ammettendo tra
sé l’innegabile verità. “Quindi, ci sfruttate?”
“Il nocciolo è questo, anche
se credo sia stupido. Ci lamentiamo che gli uomini sono gretti e insensibili,
degli sfruttatori, e poi li ripaghiamo con la stessa moneta. E’ assurdo, e non
credo proprio sia questo l’insegnamento che Hevos voleva portare nel mondo,
dando una figlia alla donna che amava” sospirò Eikhe, prima di guardarlo negli
occhi e dire: “Quando sapranno quel che ho combinato, finirò nei guai.”
Facendo tanto d’occhi, lui esalò
falsamente sorpreso: “Perché? Cos’hai combinato?”
“Mi sono innamorata di te, ecco
cosa” brontolò lei, cercando di non ridere.
“Ah. Ma non ne sembri
contenta” ammise lui, sollevando un sopracciglio con ironia, gongolando però
dentro di sé nel sentirle professare il suo amore per lui.
“Sento già i colpi della
sferza sulla schiena, ecco perché” precisò lei, ombrosa.
Accigliandosi
immediatamente, Aken le chiese torvo: “E’ questa la punizione prevista?”
“Sì. L’ho vista comminare
solo una volta, e non è stato piacevole. Ora, quella donna vive a Marhna con il
suo attuale marito, e ha due figli maschi” gli spiegò lei, sospirando.
“Non hanno un cuore!” sbottò lui, indispettito.
“Sono ligie alla legge”
precisò Eikhe.
“Sono testarde” precisò
Aken.
“Mantengono l’ordine, giusto
o sbagliato che sia” sottolineò lei, pur non credendogli essa stessa.
“Ma non capisci, Eikhe, che
ciò che dici è assurdo? Come possono, tante donne, non essersi mai innamorate?
Mi sembra impossibile. E’ più facile credere che, semplicemente, si siano
piegate alla legge, pur provando dei sentimenti per un uomo.”
“E’ possibilissimo” ammise
Eikhe, aggrottando la fronte.
Ora che sapeva dare un nome
agli strani sentimenti che aveva sentito crescere dentro di lei, dubitava
fortemente fosse possibile tenerli ingabbiati dentro il proprio animo per molto
tempo.
Ma, come diceva Aken, era
quasi impossibile che nessuna di loro si fosse innamorata di qualcuno.
“Sì, e credo che l’odio di
tua madre derivi proprio da questo. Forse, ha amato qualcuno a tal punto che,
pur di rispettare quella stupida legge, ha trasformato l’amore in odio” dichiarò
il principe, sempre più sicuro di sé. “E, come lei, molte altre donne-lupo
devono essersi trovate nella stessa situazione. Il punto è; perché?”
“Cosa vuoi dire, Aken?” gli
chiese, accigliandosi leggermente.
“Pensa a ciò che mi hai
detto del mito. Hevos disse a Hyo di badare a ciò che gli uomini le avrebbero
detto, così da non rimanerne ingannata. Di non cedere alle lusinghe degli
uomini perché, per loro, sarebbe risultato normale cercare di assoggettarla ai
loro voleri, con le buone o con le cattive” mormorò Aken, gli occhi leggermente
sgranati di fronte a quella scoperta.
“Ho la netta impressione che
la leggenda sia stata travisata, e in peggio. Se hai ragione, ci siamo chiuse
volontariamente in una sorta di prigione dorata per non correre il rischio di
rimanere deluse ma, così facendo, ci siamo anche precluse la felicità” esalò Eikhe,
sbattendo le palpebre con aria confusa e scioccata.
“Per non dover più soffrire
a causa di scelte sbagliate, vi siete allontanate dalla strada tracciata da Hyo
e dal dio-lupo senza neppure accorgervene” annuì Aken, spiacente.
“Credo di sì” annuì lei, fissandolo
con occhi sgranati.
Sorridendo indulgente, Aken
le sfiorò la guancia con il dorso della mano, asserendo: “A ogni modo, il
saperlo non ci può aiutare, ora come ora. Inoltre, le mie sono solo
supposizioni. Non mi permetterei mai di mettere becco in cose simili, visto che
io non appartengo a questa professione di fede.”
“Non si tratta di seguire o
meno Hevos, si tratta di capirlo, e penso che tu sia il primo a farlo da
secoli” ansò Eikhe, scuotendo il capo afflitta. “Che abbiamo mai fatto?”
***
In ginocchio di fronte a un
enorme lupo bianco che, come un’emanazione spettrale, se ne stava ritto sulle
zampe anteriori, Eikhe sorrise e mormorò gaudente: “Mai avrei sperato di
vederti, Maestro.”
“Sono fiero di te, figlia
mia, poiché finalmente fra di voi si sta risvegliando la piena consapevolezza
delle mie parole, dopo così tanti anni di oblio e infelicità” asserì il lupo,
ammantato di luce dorata.
“Perché abbiamo perso la
strada, Maestro?” chiese allora lei, affranta.
“Per paura. La paura frena
anche gli spiriti più indomiti. Finché non avessi sentito il cambiamento in
almeno una di voi, non avrei mai potuto presentarmi qui per parlare. Non è nei
miei poteri piegare le volontà altrui. Ma ora, grazie a te, e altre come te, mi
è concesso portare il messaggio che avrei tanto voluto avessero tramandato
tutte le donne-lupo, quando lasciai andare Hyo perché raggiungesse la sua Casa
Mortale.”
“Abbiamo smarrito la via.
Anch’io stavo per smarrirla per paura” sospirò Eikhe, reclinando il capo.
“Essa non alberga più nel
tuo cuore, figlia mia diletta. Il tuo spirito è ancora piegato dal dolore, ma
esso guarirà, non dubitare.”
“Nys mi manca tremendamente”
sussurrò la ragazza-lupo, con occhi colmi di lacrime.
“E tu manchi a lui, ma egli
gioisce nel sapere che hai con te un compagno che ha a cuore la tua felicità.”
Sorridendo più tranquilla,
Eikhe disse: “Grazie per queste parole, mio Maestro.”
Scodinzolando, il grande
lupo bianco la mise in guardia.
“Prestate attenzione,
durante il vostro cammino, poiché il nemico non è lontano da voi. Affrettatevi
dunque a raggiungere il fiume.”
“Sì, Maestro” annuì lei
prima di udire, alle sue spalle, un sospiro di sorpresa.
In piedi accanto all’entrata
della grotta, Aken li osservava a occhi spalancati quando increduli.
Il grande lupo bianco,
guardandolo con i profondi occhi dorati, esclamò stentoreo: “Proteggi e ama mia
figlia, mortale dal cuore sincero!”
“Lo… lo farò” riuscì a dire
Aken, ancora sbalordito dalla sua vista.
Il lupo assentì al suo
indirizzo e, trottando via senza dire altro, svanì tra gli abeti, lasciandoli
soli.
Rialzandosi quando non
scorse più la sua diafana figura, Eikhe raggiunse Aken che, senza parole, la
fissò sbalordito e lei, annuendo, disse: “Sì, era lui.”
“Ora, credo che non mi
stupirò più di nulla. Cosa voleva?” esalò lui, appoggiandosi alla parete di
roccia con le gambe leggermente tremanti.
“Dirmi che sto percorrendo
la giusta via, e ci mette in guardia dai nostri nemici, che non sono lontani”
dichiarò, sorridendo eccitata. “Capisci, Aken? Ero nel giusto! Fino a ora, sono
sempre stata nel giusto! Anche se nessuno mi ha mai ascoltata!”
Sorridendole di rimando, lui
la abbracciò con calore, replicando: “Uno c’è stato.”
“Sì, il mio mortale dal
cuore sincero” annuì lei, stringendosi all’uomo. “Porterò il suo messaggio tra
le mie sorelle, se loro vorranno ascoltarlo ma, in un modo o nell’altro,
seguirò la sua Parola.”
Tornando con lo sguardo al
punto in cui, poco prima, Aken aveva scorto l’emanazione del dio-lupo in cui
Eikhe credeva, aggiunse piano: “E io ti proteggerò con tutta la mia forza, e ti
amerò con tutto il mio cuore.” |
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Capitolo 10 *** cap.10 ***
10.
Appollaiata su un ramo, a
circa una decina di metri d’altezza, Eikhe lanciò un breve ululato per
avvertire Aken della presenza di alcuni soldati di Vartas.
Questi, si stavano
avvicinando al nascondiglio del principe, tra il fitto dei cespugli.
Subito, uno dei guerrieri di
ronda si guardò intorno con aria curiosa ma il suo comandante, richiamandolo
subito, lo rabberciò in malo modo.
“Non perderti ad ascoltare i
lupi! Lo sai che tra queste foreste se ne trovano a frotte!”
“Pareva vicino, però” borbottò
il soldato, storcendo il naso.
“Poco importa, lo infilzerai
con la tua spada. Esattamente come abbiamo fatto con quei pezzenti del
villaggio” sogghignò il comandante, facendo ridere anche gli altri.
Ma non Eikhe.
Assottigliando le iridi
dorate, la ragazza-lupo strinse nella mano il corto pugnale e, lanciandosi
dalla pianta che l’aveva nascosta fino a quel momento, si gettò contro uno dei
soldati, buttandolo a terra.
Immediatamente, gli uomini
della compagnia misero mano alle spade per difendersi dal misterioso assalitore
che li aveva aggrediti.
Quando, però, videro solo una
donna accanto al corpo morto del soldato, aggrottarono confusi la fronte.
Erano semplicemente incapaci
di comprendere come fosse riuscita, una ragazzina, a uccidere con un sol colpo
un uomo ben più grande di lei, e armato di tutto punto.
Eikhe si limitò a fissarli a
denti snudati quando all’improvviso, alle loro spalle, Aken lanciò il suo grido
di battaglia per distrarre l’intera compagnia dal secondo attacco della
ragazza.
Spiazzati da quell’agguato
nella foresta, che mai si sarebbero aspettati, i soldati si ritrovarono a
combattere per la vita.
In breve, comunque, tra i
fendenti micidiali di Aken e la forza smisurata di Eikhe, lo sparuto gruppo di
soldati di Vartas fu spazzato via.
Al loro posto, il silenzio
riprese possesso di quei luoghi ancestrali.
Ansante, Eikhe ringuainò il
pugnale dopo averlo ripulito dal sangue e, ripreso faticosamente il controllo
di sé, guardò Aken per essere sicura che stesse bene.
Quando se ne fu accertata,
emise un lungo sospiro e decretò soddisfatta: “Non compiranno più stragi, ora.”
“A quanto pare, si sono
divertiti, più a valle” grugnì il principe, osservando le sacche piene d’oro
che pendevano dalle cinture di alcuni di loro.
“Motivo di più per
eliminarli” sibilò Eikhe, stringendo i pugni per l’ira.
“Calma, tempesta. Non ci
sono più nemici da abbattere” sorrise lui, avvicinandosi a Eikhe con passo
tranquillo.
Sollevando una mano, lei però
gli disse: “Aspetta un momento.”
“Cosa c’è?” chiese il
principe, accigliandosi subito.
“Non è ancora passata, c’è
qualcos’altro…” ringhiò lei, guardandosi intorno e fiutando l’aria a più
riprese. “… c’è pericolo.”
“Dove?” esalò Aken,
assottigliando le iridi smeraldine mentre si guardava attorno con fare
minaccioso.
Un sibilo tagliò l’aria
immota della foresta ed Eikhe, gettato a terra Aken senza troppi complimenti, venne
colpita al braccio dalla freccia destinata al principe.
Ringhiando di rabbia, il suo
viso si fece di ghiaccio e, strappandosi il dardo di dosso senza sentire alcun
dolore, gridò con voce metallica: “Franchi tiratori!”
Senza perdere tempo, Aken
trascinò Eikhe al riparo tra i cespugli e, già sul punto di prendersi cura di
lei, la sentì soffiare tra i denti, come se attendesse solo il momento di
affondare gli artigli nell’uomo che l’aveva ferita.
Piano, le chiese: “Eikhe,
cosa posso fare?”
“Niente… devo… devo prenderlo…”
soffiò lei, ansimando nel tentativo di trattenere la furia.
La tensione stava salendo.
Doveva agire, o avrebbe
rischiato di impazzire.
Aken era in pericolo, lo
sentiva, e doveva eliminare alla radice il problema.
“Resta nascosto” sibilò la
ragazza, con voce resa innaturale dalla collera.
Annuendo, Aken lasciò che
Eikhe desse libero sfogo alla furia che l’attanagliava, sebbene fosse lacerato
dalla paura per lei.
Senza fiato, la vide uscire
dal nascondiglio con l’agilità e la velocità di un lupo, il corpo piegato in
avanti come se stesse per andare a caccia.
Schivando abilmente le
frecce che gli arcieri le scagliarono contro, Eikhe li attaccò uno dopo l’altro
con mortale precisione, lasciando sul campo solo una scia di corpi esanimi.
Ansante, si fermò unicamente
dopo aver dato la morte anche all’ultimo nemico dopodiché, fatto segno ad Aken,
crollò a terra sfinita ed esalò: “Non ne posso più!”
Accorrendo da lei, la vide
nuovamente tranquilla, il viso pallido e stanco e il braccio lordo del sangue
che stava perdendo dalla ferita di freccia.
Presala in braccio, la portò
al riparo da eventuali sguardi e, liberatala dalla tunica, cominciò a pulirle
la ferita.
“E’ sempre così?”
“La furia?” mormorò lei,
vedendolo annuire. “Purtroppo sì. Quando mi prende, devo darle sfogo.”
“Sembravi… un lupo” ammise
lui, fissandola negli occhi dorati. Occhi di lupo.
“Hai paura… di me?” esalò
lei, mordendosi un labbro mentre cercava di scostarsi dal suo tocco.
“No” scosse il capo Aken,
convinto.
Con un gesto deciso della
mano, la tenne ancorata a sé ed Eikhe, dopo un momento di ritrosia, smise di
muoversi.
“Solo, mi sembra così strano
vederti cambiare a quel modo. Sei così fredda, così impassibile, quando la
furia ti coglie. Tu non sei così! Sei una ragazza dolce e sensibile, dal cuore
generoso e forte, non una guerriera sanguinaria e spietata.”
Sentendo le lacrime pungerle
gli occhi, Eikhe le ricacciò indietro e asserì: “E’ un’arma di difesa di cui
farei volentieri a meno.”
“Lo immagino, ma non mi farà
mai cambiare opinione su di te. Tu, per me, sarai sempre e solo la piccola,
dolce Eikhe” le sorrise, baciandola sul naso.
“Grazie” sussurrò lei, ben
più che grata. “Sei la prima persona che non ha paura di me.”
“A parte le altre figlie
sacre, giusto?” replicò lui, terminando di fasciare la ferita di Eikhe.
“Già” annuì lei,
addossandosi a lui con aria stravolta. “Mi fa un male cane!”
“Lo credo!” si arrischiò a
ridere Aken, abbracciandola. “Ah, la mia piccola furia ferita.”
“Piantala” brontolò lei,
cercando di non ridere.
“Giammai, tesoro. D’ora in
poi, ti chiamerò piccola furia” sorrise il principe, dandole un buffetto sul
naso.
“Ah, ah, divertente” mugugnò
Eikhe, storcendo il naso prima di sorridergli. “Ti amo, Aken.”
“Anch’io, piccola” dichiarò
Aken, mordendole la punta di un dito.
“Che fai?” ridacchiò lei,
guardandolo divertita.
“Gioco. I lupi non giocano
per tirarsi su di morale?” rise lui, mordendole un altro dito.
“Sì” annuì lei.
***
Attraversando il villaggio che
i soldati di Vartas avevano depredato e dato alle fiamme, Eikhe fissò
inorridita i cadaveri carbonizzati di uomini, donne e bambini.
Fermatasi in prossimità di
una donna che, inutilmente, aveva cercato di proteggere la figlia con il
proprio corpo, sospirò e disse: “Non hanno certo mostrato molta pietà.”
“Per questo, dobbiamo
impedire che mettano piede a Enerios. Vartas è senza scrupoli, e le terre di
confine sono i luoghi preferiti da quei banditi dei suoi soldati. Non è
insolito che facciano scorribande simili. Anche sui nostri confini, ogni tanto,
ci sono di questi problemi” brontolò Aken, fissando accigliato quell’inutile
massacro.
“Anarsis non ha un esercito
stabile che possa confrontarsi con loro?” gli chiese Eikhe, passando con lo
sguardo da una casa all’altra, alla ricerca di qualche superstite.
Il principe scosse il capo,
sollevando una porta divelta per osservare dentro la casa data alle fiamme.
“Anarsis è guidato da una federazione di
capi-tribù ma, alla fin fine, nessuno lo governa realmente e, di conseguenza,
quando succedono avvenimenti simili, ricade unicamente sugli abitanti delle
tribù vicine. I capi tribali sono lontani da qui, al sicuro nelle loro case in
pianura e del tutto decisi a rimanervi. La difesa del territorio è compito di
quei pochi valorosi che hanno a cuore famiglia e amici ma, di certo, possono
fare poco contro un esercito regolare e ben addestrato.”
“Un esercito regolare… armato malissimo” brontolò per l’ennesima
volta Eikhe, ripensando a quando aveva controllato le armi dei soldati morti.
Aveva sperato di poter
rubare almeno una spada o due, da usare come baratto, giù a valle, ma era stato
tutto inutile.
Non solo i vartassyan erano
mal riforniti di vestiario, ma anche di armi, pressoché arrugginite o di
pessima fattura.
Niente che avrebbe potuto
interessare le tribù valligiane.
Aken sorrise appena a quel
commento sprezzante, ma assentì. Anche lui era rimasto disgustato da quella
vista.
Nargan non era certo un re
generoso con il suo esercito.
“Quindi, se anche Vartas li
invadesse, non muoverebbero mano!?” esalò Eikhe, indignata.
“Esatto, ma sanno bene che
Vartas non verrà mai qui per invaderli perché, a parte le capre e la lana, non
hanno altro da offrire. E Vartas vuole molto di più” le spiegò Aken, dando un
calcio a un ciocco di legno bruciato. “Vartas vuole la ricchezza di Enerios. Si
limiteranno a passare di qui, utilizzando questo canale naturale verso Enerios
e faranno terra bruciata intorno a loro ma, in definitiva, non faranno altri
danni.”
“Ma noi glielo impediremo”
sorrise a quel punto la ragazza, stringendogli una mano.
“Sì” assentì il principe. “E
gli impediremo di distruggere i vostri villaggi.”
Eikhe sorrise maggiormente,
a quelle parole e, per Aken, fu come veder sorgere il sole.
No, non avrebbe mai potuto
aver paura di una creatura così celestiale, neppure quando la furia la
prendeva.
Lei era Eikhe, il suo amore,
e tanto gli bastava.
“Proseguiamo. Più a valle,
c’è un rifugio sicuro” lo mise al corrente lei, stringendo la mano di Aken.
“Conosco una piccola famiglia che abita nella foresta. Potranno darci riparo e
cibo fresco.”
“Hai conoscenze anche ad
Anarsis?” esalò lui, sorpreso.
“Qualcuna ma, purtroppo, non
sul fiume” scrollò le spalle Eikhe. “Per quello, dovremo inventarci qualcosa.”
“Ogni cosa a suo tempo” annuì
Aken con fare tranquillo.
Annuendo a sua volta, Eikhe
gli sorrise prima di incamminarsi per lasciare i resti del villaggio distrutto
dagli uomini di Vartas.
Imboccato uno stretto sentiero
che li condusse in un bosco di querce, lo mise al corrente di un suo ricordo.
“Qui, ho sempre trovato un
sacco di lontre. Ci sono parecchi torrenti, e sono solite fare le tane in
questi luoghi. Ci ho fatto una bella sciarpa per la moglie di mio padre, una
volta.”
“Ne sarà stata compiaciuta.”
“Abbastanza. Mi permise
addirittura di vedere mio padre a casa, per una volta” chiosò lei,
ridacchiando.
“Accidenti” sorrise
divertito Aken.
Indicandogli una quercia
particolarmente vecchia, Eikhe disse: “Una notte di tempesta, io e Nys ci siamo
rifugiati qui sotto per ripararci dalla pioggia battente. Se ci vuoi credere,
tra le sue fronde non è riuscita a passare neppure una goccia.”
Lanciando uno sguardo ai
folti rami ora sgombri di foglie, annuì convinto.
“Non fatico a crederlo, con
tutti i rami che ha.”
Sorridendo, Eikhe lo tenne
per mano durante tutto il tragitto, raccontandogli aneddoti sulle sue avventure
per i boschi assieme a Nys.
Del tutto perso nell’ascolto
della sua giovane vita, Aken si lasciò assorbire completamente dal suo
racconto.
Qualsiasi cosa uscisse da
quelle labbra a forma di cuore, meritava di essere ascoltato.
Inoltre, ad Aken faceva
piacere vedere come il ricordo di Nys, per Eikhe, si stesse facendo via via più
dolce, e non più guastato dalla sua morte prematura.
Era il segno evidente che lo
sconforto non avrebbe più preso Eikhe.
Almeno fino alla loro
separazione ma, di questo, preferiva non parlare. Neppure pensarci, a dir la
verità.
Quando infine raggiunsero
una piccola casa di tronchi, costruita nel fitto di una querceta, Eikhe si
fermò e mormorò: “Avanzerò io, per prima. Vedendo te, potrebbero spaventarsi.”
“Sono così brutto?” celiò
Aken, strappandole un risolino.
“Non per quello, sciocco.
Perché non ti conoscono” fece la lingua lei, avanzando guardinga.
Dalle finestre della casa,
Eikhe vide muoversi una tenda e, subito dopo, la porta si aprì per lasciar
uscire due ragazzini di circa dieci anni.
Tra allegre risate e grida
di giubilo, corsero ad abbracciarla, esclamando: “La zia Eikhe è tornata! La
zia Eikhe è tornata!”
Abbracciando quei ragazzini
con le lacrime agli occhi, Eikhe baciò ciascuno di loro sulle guance prima di
veder uscire anche una donna dai corti capelli dorati.
Sorridendole, la donna
mormorò: “Bentornata, figlia sacra.”
Rispondendo al suo sorrido
di benvenuto, Eikhe si rialzò per abbracciare anche lei e, affondando lo
sguardo nelle iridi così simili alle sue, replicò: “Grazie, figlia sacra.”
“Il tuo lupo non è qui?” domandò
la donna, guardandosi intorno turbata.
Sospirando, Eikhe scosse il
capo e, facendo cenno ad Aken di avvicinarsi, asserì: “Stiamo andando a Rajana
per parlare con il re. Portiamo gravi notizie dal confine con Vartas. E Nys è
morto sul Valico di Kortoss, mentre tentavamo di oltrepassarlo.”
Annuendo grave di fronte a
quella notizia, la donna osservò l’alto guerriero che aveva raggiunto il fianco
di Eikhe e, arcuando un poco un fine sopracciglio, chiese: “Sei un guerriero di
re Arkan?”
“Sono suo figlio Aken” ammise
lui, esibendosi in un piccolo inchino prima di guardarla con aria curiosa e
chiedere: “Siete anche voi una figlia sacra, vero?”
Annuendo, Seletta scrutò un
momento Eikhe prima di chiedere a sua volta: “Conoscete il perché del nome?”
Aken sorrise complice a
Eikhe e disse: “Molto bene.”
Sorridendo sollevata,
Seletta dichiarò più serena: “Prego, seguitemi in casa. Sarete sicuramente
stanchi e sofferenti per il viaggio. Cenerete alla mia tavola e dormirete qui,
per stanotte.”
“Grazie, Seletta” sorrise
Eikhe, tenendosi al fianco i due bambini.
“Se non ci si aiuta tra di
noi, elyken, chi dovrei aiutare?” sorrise Seletta, chiudendosi alle
spalle la porta.
“Scusate l’impertinenza, ma
cosa vuol dire?” chiese Aken, sedendosi su una delle sedie che la donna offrì
loro.
“Significa ‘occhi d’oro’. Solitamente, tra di noi,
ci chiamiamo così” scrollò le spalle Seletta. “Spero che uno stufato possa
bastare. Non ho altro, sul fuoco.”
“Sarà una cena regale, dopo
giorni passati a mangiare carne arrostita o gallette” sorrise Aken, prendendo
sulle ginocchia i due ragazzini. “E voi, ometti, come vi chiamate?”
Sorridendo timidi, ma anche
assai curiosi, i due dissero in coro: “Kalon e Raltan.”
“E date una mano a vostra
madre?” chiese ancora Aken, sorridendo loro.
“Sììì” esclamarono in coro i
due.
Scompigliando loro i capelli,
e facendo il solletico ai due ragazzini, Aken li fece ridere a crepapelle e
Seletta, sorridendo indulgente, disse loro: “Non disturbate il principe e andate
a prendere dei secchi d’acqua. Penso vorranno fare un bel bagno, dopo tanto
camminare.”
“Sarebbe gradito, in effetti”
annuì Aken, vedendo correre fuori i due bambini con le facce sorridenti e rosse
di allegria.
Lanciato un ultimo sguardo
grato ad Aken, Seletta ricominciò a mescolare lo stufato, che stava sobbollendo
sul fuoco del camino, dicendo: “Ai ragazzi manca la figura paterna, ma non mi
sono più fidata ad avvicinarmi al villaggio per trovare un uomo.”
Sospirando, Eikhe spiegò la
storia ad Aken che, a quella menzione, aveva fissato confusamente l’alta donna
dalla chioma dorata.
“Quando Seletta decise di
non lasciare al suo uomo i due gemelli avuti da lui, ma di andarci a vivere
insieme, la sua tribù la scacciò, dopodiché uccise il padre dei bambini,
lasciandola a vagare da sola nel bosco coi due neonati.”
Aken fece tanto d’occhi
nell’udire quella storia e, guardando Eikhe sconvolto, le sentì aggiungere:
“Trovò rifugio presso un villaggio, per un po’, accudita da alcune donne che
compresero la sua situazione e le diedero una mano a crescere i piccoli. Quando
i figli furono più grandi, si trasferì qui per allevare un nuovo lupo e far
crescere i suoi figli secondo i suoi dettami, non quelli della tribù.”
“Ogni tanto scendo al
villaggio, e la gente è gentile con me, ma non mi trovo bene, tra loro. Così,
ho deciso di rimanere qui da sola, insieme ai miei figli e al mio lupo” ammise
Seletta, sorridendo mesta ad Aken.
L’attimo seguente, lanciò
un’occhiata amorevole al bel lupo grigio sdraiato di fronte al fuoco e che,
sentendosi interpellato, scodinzolò felice prima di emettere un singolo guaito.
Seletta lo carezzò in testa
prima di tornare a dedicarsi allo stufato e il lupo, con uno sbadiglio, si
sdraiò nuovamente a terra e chiuse gli occhi.
Dopo aver osservato quel
breve scambio di delicatezze, Aken sospirò, pensando a quanto dovesse aver
sofferto la donna per la perdita della persona amata.
Stringendo a sé Eikhe
sovrappensiero, brontolò: “Davvero non capisco perché dobbiate sottostare a
queste stupide leggi.”
Un po’ imbarazzata, Eikhe sorrise
a Seletta che, sollevando un sopracciglio con aria sorpresa, esclamò: “Oh, ma
tu pensa!”
Aken si limitò a sorriderle
prima di chiederle: “Non vi sentite offesa, vero?”
“Dovrei? Vi limitate a
comportarvi come un uomo innamorato della sua donna, e sono d’accordo con voi.
Sono stupide leggi” chiosò Seletta, tornando al lavoro.
“Ho visto lui,
Seletta” mormorò a quel punto Eikhe,
sfiorando la spalla dell’amica con una mano.
La donna si irrigidì a
quelle parole e, puntando sull’amica due occhi sbalorditi, esalò confusa: “Si è
manifestato?”
Annuendo, Eikhe dichiarò con
veemenza: “Sì, e ci ha dato ragione. Ha detto che ormai il tempo è maturo per
un cambiamento radicale.”
Mordendosi un labbro,
Seletta sospirò e, reclinando il viso, mormorò commossa: “E’ una ben magra
consolazione, visto quello che hanno fatto al mio povero Melak. Ma sono lieta
che il suo sacrificio non sia stato vano, se ha permesso a Hevos di riemergere
dal suo Regno Immortale per parlare con te.”
“Nulla potrà mai ripagarti
per la sua perdita, ma farò in modo che le nostre sorelle ascoltino la verità.
E’ ormai tempo” sospirò Eikhe, staccandosi da Aken per abbracciarla.
Comprendendo quanto le due
donne avessero bisogno di parlare da sole, Aken si alzò e, con un piccolo
inchino, disse: “Vado ad aiutare i ragazzi con i secchi d’acqua.”
Detto ciò uscì e Seletta,
stretta a Eikhe, mormorò spiacente: “Sai che non potrete rimanere insieme,
vero?”
Annuendo con un nodo alla
gola, Eikhe sospirò, bene conoscendo la realtà dei fatti.
“Non posso reprimere ciò che
sento, per cui rimarrò con lui per tutto il tempo che ci concederanno. So bene
che neppure lui può esimersi dal riprendere su di sé i propri doveri, e che io
non potrei mai essere la sua donna, ma non credi che un po’ di felicità sia
meglio di niente?”
“Sì, credo di sì. Prestate
attenzione, però. Sai bene cosa potrebbe accadere” le rammentò, scostandosi da
Eikhe per guardarla negli occhi e poggiarle una mano sul ventre piatto.
Annuendo, Eikhe seguì con lo
sguardo il gesto dell’amica, ma la sua risposta fu salda, senza paura di alcun
genere.
“Lo so, ma correrò il
rischio. Comunque.”
Seletta le sorrise
comprensiva e, quando vide rientrare Aken con i suoi figli appollaiati sulle
spalle, rise allegra ed esclamò: “Ma cosa state facendo, discoli che non siete
altro?!”
Ridendo, i due bambini
saltarono giù dalle spalle di Aken e dissero insieme: “Il principe ci ha fatto
fare un giro sulle spalle!”
Sorridendo grata ad Aken,
Seletta disse: “Spero non vi abbiano fiaccato la schiena.”
Con un gran sorriso, Aken
scosse il capo e replicò: “Devono crescere ancora un bel po’, prima di
diventare pesanti. Ora, sarà meglio che vada a recuperare i secchi al torrente,
altrimenti il bagno ce lo sogneremo e basta.”
Eikhe rise felice e disse:
“Vengo ad aiutarti.”
Aken annuì e insieme
uscirono dalla capanna mentre Seletta, con un piccolo sospiro, mormorò tra sé:
“Spero vada tutto bene, ragazzi”
***
Sdraiato su un comodo
pagliericcio vicino al fuoco, Aken scrutò pensieroso le fiamme sfrigolare nel
camino di pietra.
Con la mente, tornò alla
cena di quella sera, condivisa con Seletta e i suoi figli, e alle allegre
risate dei bambini.
Con un tremulo sorriso,
pensò a cosa avrebbe voluto dire avere dei bambini da Eikhe, graziosi frugoli
dai capelli dorati e gli occhi d’ambra che scorrazzavano per casa, combinando
disastri e urlando come matti.
Volgendosi su un fianco per
osservare il viso addormentato dell’amata, se la figurò come madre e tornò a
sorridere.
Poteva anche essergli
sembrata una ragazzina, quella notte alla locanda, ma ormai sapeva che non la
era affatto.
Era una donna in tutto e per
tutto, e lui l’amava.
Sapeva bene che i suoi
desideri non si sarebbero mai tramutati in realtà, perché le loro vite erano
troppo diverse.
Erano troppo agli antipodi
per essere compatibili, ma non riusciva a non pensare a lei, e a cosa volesse
dire averla al fianco ogni giorno.
Lo spaventava pensare a
quando sarebbero giunti alla capitale, e avrebbero dovuto separarsi per
prepararsi alla guerra.
Non lo stimolava per nulla l’idea
di saperla in mezzo all’esercito di donne che, come speravano, si sarebbe mosso
contro Vartas insieme a loro.
Sapeva però bene che lei non
avrebbe rinunciato a combattere, perché il suo sangue l’avrebbe spinta in
difesa della sua gente, come le aveva visto fare fino a quel momento, per lui.
Attirandola vicino, Aken la
strinse a sé baciandole i capelli profumati e, chiusi gli occhi, pregò che
nulla le succedesse e che il suo dio-lupo la proteggesse da ogni male.
Pur sapendo della sua reale
esistenza, quell’accorata preghiera non bastò a confortarlo e, per tutta la
notte, continuò a rigirarsi insonne, turbato da immagini di lotta e sangue.
La mattina giunse anche
troppo alla svelta e, con il volto percorso dalla stanchezza e da profonde
occhiaie che ne segnavano il viso, si levò dal pagliericcio per andarsi a
lavare al vicino torrente.
Con l’aiuto di Seletta, Eikhe
invece le sacche per il proseguo del viaggio, che li avrebbe condotti fino alle
tribù dei Koirant, poco più a valle.
Liberatosi infine della
stanchezza, grazie alle acque fredde provenienti dai nevai a monte, Aken tornò
alla capanna giusto in tempo per vedere Eikhe nuovamente armata di daga.
Osservando dubbioso Seletta,
la sentì dire: “Una donna-lupo che si rispetti ha sempre la sua daga al fianco.
Ne avevo una in più, e così…”
“Almeno, non dovrò vederla
lottare con il solo pugnale alla mano” annuì grato Aken, sorridendo a Eikhe.
“Oltre alla carne secca e a
qualche frutto essiccato, ho aggiunto del grasso di bufalo da spalmare sulle
gallette. E’ molto calorico, quindi vi darà energia qualora doveste rimanere
senza carne per un po’.”
Volgendo lo sguardo verso
est, indicò loro la via da percorrere e aggiunse: “Proseguendo verso est,
troverete una tribù piuttosto grande, quindi non vi dovrebbe essere difficile
fare un buono scambio per una canoa. Fate attenzione alle rapide, però. Ci sono
un paio di punti piuttosto pericolosi.”
“Presteremo attenzione”
sorrise Eikhe, avvicinandosi a Seletta per abbracciarla. “Grazie ancora di
tutto.”
Dopo un momento, Seletta
ricambiò la stretta dell’amica, mormorando con voce rotta dall’ansia: “Di
nulla, amica mia, sarete sempre i benvenuti, da me. Siate prudenti e, per amore
di Hevos, non commettete sciocchezze inutili!”
Detto ciò, si sciolse
dall’abbraccio di Eikhe per stringere a sé anche il principe, dicendogli: “Se
gli dèi ce lo concederanno, ci rivedremo, Altezza.”
“Solo Anken, Seletta. Solo
Aken. Pregherò ogni giorno perché avvenga il nostro incontro, e grazie ancora
per l’ospitalità” replico lui, dandole un bacio sulla guancia prima di chinarsi
a fare lo stesso con i bambini, che si strinsero con forza a lui, tentando con
tutte le loro forze di non piangere.
Seletta li osservò al pari
di Eikhe con una stretta al cuore, prima di dire: “Fate buon viaggio.”
I due annuirono, salutandoli
con ampi cenni della mano prima di rimettersi in cammino.
Dopo aver abbandonato la
casa di Seletta, procedettero di buona lena attraverso la foresta, senza
sentire il bisogno di parlare.
Ciascuno di loro aveva la
mente attraversata da pensieri discordanti, pensieri che non desideravano
mettere a parole per non darsi vicendevolmente false speranze.
Nessuno dei due aveva
bisogno di sentirsi dire che niente valeva come una vita spesa insieme.
I rispettivi doveri da
assolvere, però, gli impedivano di fuggire per restare soli per sempre.
Dovevano raggiungere Rajana
vivi, e dichiarare ciò che sapevano.
Non potevano semplicemente
sparire tra i boschi, fingendo di essere morti per il mondo, ma non per loro.
Il dovere li stava portando avanti
con forza instancabile, e nulla potevano per fermare il corso degli eventi.
Neppure il loro amore poteva
bloccare i loro passi nel sottobosco, né tanto meno la consapevolezza che, una
volta giunti a destinazione, non si sarebbero più potuti rivedere.
Accompagnati da un sole
diafano, adombrato da chiare nubi di vento, i due viandanti percorsero diverse
miglia prima di decidere di fermarsi nei pressi di una radura.
Lì, aperte le sporte per
pranzare, si sedettero su un paio di massi, mangiando nel più completo
silenzio.
Rari uccelletti cantavano
allegramente tra le fronde spoglie di alcuni faggi secolari ed Eikhe,
ascoltandoli con aria persa, sospirò e terminò di mangiare.
Silenziosa, si inoltrò da
sola nel bosco sotto gli occhi attenti di Aken, che preferì non chiedere nulla,
immaginando il motivo del suo riserbo.
Terminato il suo pranzo,
Aken rimise in ordine le sacche prima di sdraiarsi al sole per riposare un poco.
Chiusi gli occhi, si ritrovò
a dormicchiare placidamente, ignaro del ritorno della ragazza che, con gli
occhi colmi di lacrime, lo osservò con il cuore straziato dalla sofferenza.
Ricacciato indietro a fatica
il pianto, Eikhe mormorò infine a mezza voce: “Dobbiamo riprendere il cammino,
Aken. Mi spiace.”
Riaprendo gli occhi, Aken si
rialzò con un movimento fluido di gambe e annuì in silenzio, caricando in
spalla la sua sacca prima di porgere alla ragazza la restante.
Con un sorriso obliquo, si
limitò a dire: “Fatti coraggio, piccola, andrà tutto per il meglio.”
“Non ti posso più nascondere
nulla, eh?” celiò lei, sbuffando.
“Temo di no” ammise lui,
dandole una pacca sul sedere, facendola così ridere.
***
Impiegarono due giorni per
raggiungere la prima tribù di Koirant di quella zona.
Erano una popolazione locale,
dedita alla pastorizia e basata su una rigida cultura a caste, in cui la figura
della donna era fortemente succube dell’uomo.
Aken osservò dubbiosò le
casupole di fango, sassi e paglia, che si intervallavano a mucchi di legna e
bassi recinti, costruiti con semplici rami d’albero intrecciati tra loro.
“Ma siamo sicuri che
potranno esserci d’aiuto?” non poté esimersi dal chiedere il principe,
chinandosi sull’orecchio della compagna.
Il degrado di quel luogo,
era più che evidente.
I bambini giocavano insieme
agli animali, abbandonati nella più completa sporcizia, in barba al fango che
insozzava gli uni quanto gli altri.
“Non pensavo fossero messi
così male” sussurrò di rimando lei, continuando a camminare al suo fianco,
mentre i primi koiranii uscivano
dalle loro casupole per scrutarli con aria preoccupata e sprezzante al tempo
stesso.
Avanzando guardinghi lungo
quella che doveva essere la via principale della tribù, Eikhe si tappò il naso disgustata,
quando si accostarono a un recinto di maiali.
Questi, gozzovigliavano felici
e luridi in mezzo alla melma, in cui erano mescolati come se nulla fossero
anche i loro escrementi.
Quello che però le fece
rischiare sul serio di stare male, fu vedere alcune donne in catene, gettate in
mezzo a quello stesso lerciume e legate agli steccati come bestie.
La loro pelle appariva
grigiastra, allo sguardo e, in più di un punto, violacee ecchimosi e tagli
freschi denotavano le violenze subite.
Quella visione fu troppo,
per Eikhe.
Già sul punto di portare la
mano alla daga, sentì Aken dire a denti stretti: “Non cerchiamo guai, Eikhe,
ricordalo.”
“Scusa, hai ragione, ma è
degradante vedere certe cose” sbuffò lei, ricomponendosi solo a stento prima di
distogliere lo sguardo.
Sapeva che non erano lì per
quello e che, una volta liberate le donne, quelle sarebbero tornate alla tribù o,
peggio, si sarebbero uccise per la vergogna di essere state tolte al loro
padrone.
Ma quello spettacolo era
così osceno!
“Resta dietro di me e non
parlare. Non credo gradirebbero un tuo intervento” si premurò di dirle Aken,
notando alcuni uomini avvicinarsi con in mano rozzi forconi di legno, e l’aria
di avere dimenticato le buone maniere a casa.
“Va bene” annuì lei,
guardandosi intorno con sguardo accigliato, la mano pronta sull’elsa della
daga.
Fattole segno di aspettarlo
a qualche passo di distanza, Aken si rivolse agli uomini del villaggio,
parlando un dialetto in lingua franca in uso tra le montagne.
Quello che doveva essere il
capo, si avvicinò di un passo per rispondere al saluto, lanciando poi
un’occhiata curiosa a Eikhe, ritta e fiera e per nulla intenzionata a chinare
il capo in presenza di così tanti uomini.
Aken, che la scrutò
preoccupato per un momento - timoroso che perdesse le staffe da un istante
all’altro - disse lentamente: “Siamo qui di passaggio, e avremmo bisogno di una
canoa per discendere il fiume.”
L’uomo studiò Aken con occhi
cupi, lanciando di tanto in tanto occhiate turbate alla lunga spada che gli
pendeva al fianco dopodiché, con voce cauta, domandò: “Cosa puoi darci, per la
canoa?”
“Ho ben poco con me, oltre
agli abiti che indosso, e alla spada che porto” ammise Aken, allargando le
braccia con aria sconsolata.
“La ragazza è tua?” chiese
l’uomo con il suo parlare stentato, indicando Eikhe con il forcone.
“Più o meno” disse cauto
Aken.
“L’hai rubata?” volle sapere
l’uomo, accigliandosi subito.
“Affatto. La ragazza è di
una tribù di donne-lupo” gli spiegò Aken, vedendo l’uomo farsi guardingo.
“Non sarà… una di quelle?” borbottò
l’uomo, assottigliando le iridi di pece.
“In che senso?” volle sapere
Aken, già presagendo guai.
“Quelle dagli occhi gialli”
dichiarò lui, sputando in terra per diretta conseguenza.
“Perché? Se anche fosse?”
chiese a quel punto il principe, pregando che non succedesse il finimondo.
“Sono le più cattive, non lo
sai? Hanno il sangue malvagio” sbottò l’uomo, tornando a guardare Eikhe che,
con un sorriso ironico, lo guardò di rimando.
“Questa in particolare non è
cattiva. Mi ha salvato la vita in più di un’occasione” replicò sobriamente
Aken.
Massaggiandosi il mento
barbuto e sporco di pezzetti di cibo, l’uomo pensò per un poco a quelle parole,
prima di dire: “Se è così forte, allora vendimela, e io ti darò la canoa.”
“Che cosa?!” ansò Aken,
spalancando gli occhi.
“La legherò con le catene, e
la userò per la difesa del villaggio” annuì l’uomo, sorridendo soddisfatto.
Adombrandosi, il principe replicò
il più pacatamente possibile: “Non se ne parla neanche. Cercati qualcos’altro,
altrimenti niente.”
Oscurandosi in viso, l’uomo
disse: “Non hai nient’altro che mi interessi. O lei, o niente canoa.”
“Niente canoa, allora”
sbuffò Aken. “Non ti lascerò la ragazza perché tu la riduca in schiavitù.”
“Beh, allora vattene da qui,
se non vuoi fare affari con me. Non ci piacciono gli stranieri, soprattutto gli
stranieri come te” gli sputò contro l’uomo, scacciandolo con il forcone.
“Non mi faccio pregare”
ringhiò Aken, girandosi e allontanandosi a grandi passi, prendendo Eikhe per un
polso per portarla via.
Confusa, la ragazza lo seguì
in silenzio, mentre uscivano dal villaggio senza aver combinato uno scambio per
la canoa.
Guardando l’agglomerato
allontanarsi mentre percorrevano la sponda del Fenar verso valle, la ragazza si
chiese dubbiosa cosa mai fosse successo da far infuriare Aken a quel modo.
Osservando il viso torvo del
principe che, burbero, stava ancora camminando a passo di carica, Eikhe gli
chiese: “Allora, mi vuoi dire cosa ti hanno detto, e perché ce ne siamo andati
così?”
Lui si fermò per guardarla
in viso e, con un pesante sospiro, le avvolse le spalle con un braccio prima di
ammettere mestamente: “Mi hanno chiesto di lasciarti là in cambio della canoa,
e io non ho accettato.”
Lei fece tanto d’occhi e,
sorridendo dolcemente, disse. “Sei stato molto carino a difendermi, ma sarei
potuta fuggire nella notte, e avremmo avuto la canoa.”
“Non ti baratto per una
canoa!” sibilò lui, furioso. “Né per tutto l’oro di questo mondo, è chiaro?!”
Stringendosi a lui per un
momento, Eikhe disse per contro: “Sei gentile, a dirlo, ma così dovremo
attendere di raggiungere il prossimo villaggio.”
“Non mi importa. Tu non sei
una merce di scambio” brontolò lui, arrossendo suo malgrado. “Sei una persona,
per tutti gli dei, non capisci?!”
La ragazza-lupo e disse con
un gran sorrisone: “Capisco benissimo e, soprattutto, capisco che in te
qualcosa è cambiato. Non si tratta solo del fatto che provi affetto per me,
vero? Hai cambiato idea sulle donne in generale, giusto?”
Annuendo suo malgrado, Aken
borbottò contrito: “La mia ottusità è stata ben plasmata dalle tue mani, non
c’è dubbio.”
“Ne sono felice…” sorrise
lei. “… ma, la prossima volta, non farti scrupoli di coscienza.”
“Non se ne parla. Non ti
avrei lasciata in quella tribù neanche se mi stessi antipatica. Sono solo dei
selvaggi senza ritegno! Trattano le donne al pari di oggetti senza valore. No,
niente da fare” scosse il capo lui, con un tono che non ammetteva repliche.
Saltandogli con le braccia
al collo, lei lo baciò allegra esclamando: “Oh, Aken, ti amo tanto!”
Ridacchiando nonostante
fosse ancora piuttosto turbato dallo scambio di battute con il capo tribù, lui
la strinse a sé e replicò: “Anch’io, piccolo lupo.”
Eikhe gli sorrise felice ma,
con tono serio, aggiunse: “Al prossimo villaggio, mostragli il mio mantello di
pelle d’orso. Forse, gli basterà. Alla peggio, potremo aggiungere anche la
borsa ricamata che avevo preparato per la moglie di mio padre.”
“Con tutto il tempo che ci
hai speso sopra, sarebbe un vero peccato privarsene” sospirò Aken, guardandola
spiacente nei suoi occhi dorati. “Ma hai ragione. Sono le uniche cose che
possiamo dare in cambio della canoa.”
Annuendo, Eikhe scrollò le
spalle, rassegnata.
“La borsa la posso rifare, e
posso sempre trovare un altro orso a cui chiedere la pelle, no?”
Aken rise suo malgrado.
“Non credo sarà molto
d’accordo, l’orso in questione.”
“Poco male” celiò lei, prima
di dire, più seriamente: “Non possiamo permetterci altri scrupoli di sorta.
Ormai sono settimane che manchi, e avresti già dovuto dare tue notizie.
Dobbiamo raggiungere Rajana prima che tuo padre faccia partire una seconda
spedizione, e finisca in una trappola di quelli di Vartas.”
Il principe non poté che
darle ragione.
“Sì, il tuo discorso non fa
una piega. Se, come penso, il borgomastro di Marhna ha avvisato Nargan del
nostro arrivo, nulla mi vieta di pensare che una seconda spedizione potrebbe
essere decimata molto prima del Sentiero dell’Orso.”
“Lo eviteremo” promise
Eikhe, stringendogli la mano.
Aken le sorrise e, dandole
un bacio sulla fronte, annuì e disse: “Con il tuo aiuto, ne sono più che
certo.”
***
La notte venne ed Eikhe,
trovando riparo assieme ad Aken nel tronco cavo di un’enorme quercia, dormì
poco e male.
Il sibilo del vento tra i
rami spogli del querceto, che aveva offerto loro protezione, la tenne sveglia
per gran parte della notte, impedendole di riposarsi.
Aken, non poco divertito dal
suo aspetto, la canzonò per un po’ finché lei, esasperata, non gli mostrò i
denti e fece l’atto di morderlo.
A quel punto lui,
caricandosela su una spalla, la portò per un bel pezzo di strada celiando: “Se
volevi montare su, bastava dirlo, no?”
“Piantala di fare lo stupido
e fammi scendere!” brontolò lei, dandogli dei pugni sul torace.
“Perché, invece, non ti
metti comoda sulla mia schiena e non dormi un po’? Non hai minimamente
riposato, stanotte, e hai bisogno di essere fresca come una rosa” le fece
notare lui, di nuovo serio.
“Sono pesante, Aken”
protestò lei, mettendo il broncio.
“Sì, come un uccellino.
Avanti, sistemati e dormi” le ordinò con un sorriso.
Lei brontolò ancora ma
accettò e Aken, con un sorriso, la sentì assopirsi poco dopo mentre, con passo
lento, lui proseguiva lungo la sponda ovest del Fenar.
Accompagnato da un bel sole raggiante
e dal cinguettio di alcune allodole di bosco, Aken percorse diversa strada con
Eikhe sulle spalle.
Quando finalmente scorse un
secondo agglomerato di Koirant poco
più a valle, la svegliò, sussurrandole con gentilezza: “Secondo
tentativo, Eikhe. Tira fuori la borsetta e togliti il mantello. Proviamo a fare
come hai detto tu. E, stavolta, rimani fuori dal villaggio. Chissà che, non
vedendoti, siano più invogliati a trattare.”
Annuendo, lei sbadigliò ancora
assonnata prima di riferirgli: “Ti aspetterò più avanti, lungo il fiume, va
bene?”
“D’accordo. A più tardi,
allora” disse Aken, baciandola. “Stai attenta.”
“Anche tu, non si sa mai”
annuì lei, allontanandosi di corsa con passo leggero e silenzioso.
Ammirandola per un momento
con aria deliziata, i suoi movimenti così simili a quelli di Nys, Aken si
riprese a sufficienza per dirigersi verso il villaggio con la sua mercanzia in
mano.
Richiamata quindi l’attenzione
del capo-tribù, gli offrì i suoi oggetti in cambio di una canoa.
Come si era aspettato, però,
l’uomo fece delle rimostranze, adducendo come scusa lo scarso valore degli
oggetti offerti, rispetto a quanto richiesto.
A quel punto, non potendo
fare altrimenti, si slacciò la spada e la mostrò all’uomo, borbottando:
“Prendere o lasciare. Non ho altro.”
Il capo-tribù sfilò l’arma
dal fodero per saggiarla in mano e infine, dopo alcuni attimi interminabili,
annuì e disse: “Avrai la tua canoa, straniero.”
Detto ciò, fece segno a un
ragazzo male in arnese di accompagnarlo verso il fiume.
Con un piccolo cenno di
ringraziamento, Aken si avviò fuori dal villaggio a passo lesto, non essendo
ancora del tutto sicuro delle intenzioni di quegli uomini.
Disarmato e senza altre armi
a parte i suoi pugni, avrebbe potuto rimanere vittima di un agguato quindi,
quanta più strada avesse messo tra quella gente e se stesso, meglio sarebbe
stato.
A circa cinque minuti dal
villaggio, e dopo aver attraversato una piccola faggeta dai giovani virgulti,
Aken riuscì finalmente a scorgere un pontile grossolano sulla sponda del fiume.
Lì, il ragazzo gli indicò
una rozza canoa di pelle e legno, armata di un paio di pagaie.
Annuendo, il principe lo
ringraziò con un sorriso forzato prima di salire a bordo e allontanarsi dalla
riva per essere sicuro di non incappare in qualche guaio.
Dopo aver saggiato le pagaie
tra le mani per un momento, si lasciò trasportare dalle acque del Fenar,
pagaiando di tanto in tanto per tenersi a distanza dai massi sporgenti e i
punti più impetuosi della corrente.
A circa un miglio dal
villaggio, come promesso, Aken si accostò alla riva per raccogliere Eikhe che,
con un sorriso, disse: “A quanto pare, sono stati esosi. Non hai più la spada.”
“Già, dei veri sciacalli.
Per questa specie di bagnarola, hanno voluto un pagamento esorbitante. Solo la
mia spada, vale una decina di canoe, non certo una!” brontolò Aken, tornando a
pagaiare.
“Lo so, Aken, ma
l’importante è essere riusciti nell’intento. Da qui in poi, il viaggio sarà
sicuramente più semplice” lo rincuorò lei, aiutandolo a contenere la forza
della corrente con al sua pagaia. “Risparmieremo giorni e giorni di marcia,
proseguendo sul fiume. Entro breve saremo a casa.”
“Sarà anche vero che questa
canoa vale qualsiasi prezzo pagato, visto quello che risparmieremo in termini
di tempo, ma mi sento nudo senza la spada” sbuffò lui, con un piccolo sospiro.
“Ti presterò la mia daga, se
questo servirà a farti stare meglio” gli propose Eikhe con un sorrisino.
“Non prendermi in giro,
cucciolotta. E’ davvero snervante essere senza armi quando, per una vita, le
hai sempre avute al fianco” replicò lui, contrariato.
“Lo so, infatti, non
scherzavo” assentì Eikhe, più che mai seria.
“Vedremo, va bene?” borbottò
dopo un momento Aken.
“Come vuoi” annuì Eikhe,
scrollando le spalle.
Aken le sorrise e le baciò
il capo dicendo: “Seletta l’ha regalata a te, non te la toglierei mai.”
“Per te, sono disposta a
fare un’eccezione” replicò lei, con un sorrisino.
“Grazie, piccola.” |
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Capitolo 11 *** cap.11 ***
11.
Lasciata la canoa sul bordo
del fiume quando raggiunsero le Cascate del Cielo – già nel Reame di Enerios –
Eikhe ed Aken ne discesero per prendere la via per il villaggio più vicino.
In lontananza, le colline
ormai brulle e spruzzate di neve leggera si intervallavano a lunghi filari di
viti e frutteti a riposo.
Campi a maggese riposavano
in attesa di essere coltivati l’estate successiva, ignari che, ai primi albori
della primavera, sarebbero stati sacrificati per la guerra.
Sarebbero stati schiacciati sotto
il passaggio di zoccoli di cavalli e stivali di soldati che, per la difesa del
regno, avrebbero fatto scempio di quei terreni agricoli.
Camminando speditamente
lungo una mulattiera, circondata da prati rinsecchiti dal freddo invernale,
Eikhe sospirò leggermente.
“Tra qualche mese, queste
terre brulicheranno di morte e devastazione.”
“L’alternativa sarebbe la
distruzione del regno” replicò Aken, pur comprendendo il suo dispiacere. “Mio
padre ripagherà per le coltivazioni distrutte.”
“Non a questo stavo pensando,
ma al sangue che lorderà la terra” sussurrò Eikhe. “Il dio-corvo sarà lieto del
tributo a lui versato. Haaron il Nero griderà sulle alture, mentre Hevos
piangerà la morte delle sue creature.”
“Esiste un motivo per cui
Hevos ti si è mostrato sotto le sembianze di un lupo?” le domandò, ancora intimidito
da quell’evento più che inaspettato, e desideroso di far cambiare argomento a
Eikhe.
Non voleva vederla così
turbata.
Inoltre, tentare di dare un
senso alla visione che aveva avuto, era decisamente importante, per lui.
Poter dire di essere stato
alla presenza un dio, non era da tutti.
“E’ la sua vera forma,
quella primigenia. Per lo meno, è quel che sappiamo noi. Non conosciamo i
motivi che lo spinsero a camminare tra gli uomini, prendendone le sembianze, né
sappiamo cosa lo obbligò a riprendere sembianze animali, ma tant’è. Il fatto
stesso che, però, si sia scomodato a tornare e camminare tra noi è indice del
fatto che qualcosa, effettivamente, sta avvenendo. Lui ha detto che c’è in atto
un cambiamento. Forse, non solo io e Seletta abbiamo compiuto la scelta da lui
desiderata anni e anni orsono.”
“Non si era mai manifestato,
prima?” esalò sorpreso Aken.
“No, ma forse, ove lui
risiede, il tempo scorre diversamente, e non si è neppure reso conto di quanti
anni siano passati dalla morte di Hyo” scrollò le spalle Eikhe, prendendolo per
mano con un sorriso timido. “Posso?”
“Certo” le sorrise di
rimando lui. “E’ plausibile, o si sarebbe reso conto molto tempo fa degli
errori commessi dalle sue discendenti.”
“Già” sospirò Eikhe,
reclinando il viso verso terra.
Se fosse intervenuto prima,
lei forse non avrebbe dovuto dire addio ad Aken, e Seletta non avrebbe perso il
compagno.
Comprendendo i motivi del
suo silenzio, Aken preferì non chiederle più nulla.
Turbato, osservò in
lontananza la spianata dove si trovava il villaggio di Elcantar, che avrebbero
raggiunto entro un paio di giorni al massimo.
Con tutta probabilità,
avrebbe fornito loro i mezzi per raggiungere Rajana, interrompendo di fatto la
loro solitudine beata.
***
Uno spicchio di luna si
intravedeva oltre le colline, illuminate dai raggi del sole morente, quando misero
finalmente piede a Elcantar.
Trattandosi dell’ultimo
villaggio prima del confine con Anarsis, il paesino poteva contare su una vasta
gamma di magazzini merci, spesso usati dai mercanti per gli scambi commerciali
con l’estero.
Non fu un caso se,
nell’entrarvi con passo spedito, scorsero un gran numero di carri impegnati nel
carico e scarico delle merci.
Le costruzioni abitative
erano in netta minoranza, rispetto alla zona prettamente commerciale, ma a loro
stava bene così.
Non di un’abitazione avevano
bisogno, ma di un mercante di cavalli.
Sollevato e accigliato al
tempo stesso all’idea di poter finalmente contare su un aiuto esterno, Aken si
rivolse a Eikhe, dicendole: “Qui potremo trovare una cavalcatura.”
“Quanto distiamo da Rajana?”
gli chiese, guardandosi intorno curiosa, mentre un facchino le passava accanto
armato di un carretto a due ruote.
“Se i miei calcoli sono
esatti, il villaggio dovrebbe distare più o meno quattro, cinque giorni di
viaggio dalla capitale” le spiegò lui, stringendole la mano che, per tutto il
giorno, aveva tenuto saldamente nella sua.
“Allora, siamo quasi
arrivati” sospirò lei, con un sottofondo malinconico nella voce.
“Purtroppo sì” ammise il
principe, fermandosi per guardarla in viso.
Lei sospirò afflitta e
disse: “Senti Aken, ne abbiamo già parlato, no? Io non posso rimanere, e tu non
puoi andartene. La cosa finisce qui.”
“E il mio cuore? E il tuo?”
replicò Aken, prendendola per le spalle.
“Pensi veramente che alla Corona
interessi?” sbottò lei, seria in viso. “O che a mia madre interessi?”
Sospirando, lui rilasciò le
braccia lungo i fianchi, assentendo suo malgrado.
“No, non interesserebbe a
nessuno.”
“Appunto. Lasciamo le cose
come stanno, Aken. E’ meglio” decretò lei, pur sentendosi morire dentro.
Era penoso il pensiero di
separarsi, ora che la sua presenza le era diventata vitale come il respirare.
Ma aveva saputo fin
dall’inizio che, donarsi a lui, avrebbe significato la separazione, quindi non
poteva lamentarsi o concedersi falsi vittimismi.
Donando se stessa ad Aken,
aveva scelto la via più difficile da percorrere, e doveva accettarne le
conseguenze.
Avrebbe potuto tacere sul
suo crescente interesse verso di lui, ma aveva deciso di dare ascolto al cuore,
per una volta, e non sarebbe tornata indietro rimpiangendo le sue scelte.
Non poteva farlo, né per se
stessa, né per rispetto nei confronti dei sentimenti di Aken.
Riprendendo il cammino,
Eikhe disse: “Non appena saremo a Rajana, io tornerò alla mia tribù e chiederò
a mia madre di indire un Concilio delle Anziane, così da darvi man forte sul
confine.”
“Capisco” sospirò lui, prima
di bloccarla un momento, baciarla con gentilezza e dirle: “Quando saremo in
città, non potrò più farlo.”
“No” sorrise triste lei. “Ne
va della tua reputazione.”
“Sapessi quanto mi
interessa” sbottò lui, lasciandola andare.
***
Ben conoscendo il
commerciante di cavalli di quel piccolo villaggio di frontiera, Aken si diresse
a colpo sicuro verso la bassa costruzione di mattoni che si trovava al confine
più estremo del paese.
Non appena scorse le
recinzioni di legno ove il vecchio amico Ekeros teneva i suoi animali, sorrise
a Eikhe e disse: “Qui potranno aiutarci.”
Lei annuì mesta e si
allontanò di un passo da lui – preferendo non attirare troppa attenzione – , prima di soffermarsi a guardare la tunica
sdrucita e i calzari sporchi di terriccio seccato e fango.
Allo stesso modo, Aken scrutò
se stesso sapendo bene che, nel complesso, dovevano apparire piuttosto
malandati.
Non poteva però sopperire a
quel particolare di cui, alla fin fine, non gli importava minimamente.
Una volta a Rajana,
avrebbero potuto sistemare anche questo ma, per il momento, il fatto di
apparire più o meno in ordine lo turbava davvero poco.
Quando infine raggiunsero la
casa del commerciante, Aken sorrise nel vederlo sulla porta di casa, intento a
parlare con un vicino.
Sollevando una mano, esclamò
a gran voce: “Ekeros, buongiorno!”
L’uomo, sentendosi chiamare
da quella voce familiare, si volse sorpreso e, con un profondo inchino, esalò
strabiliato: “Vostra Altezza, ma… cosa vi è successo?”
Guardando dubbioso la ragazza
al suo fianco e l’aspetto trasandato di entrambi, il mercante si chiese confuso
quali peripezie avessero superato, per giungere al villaggio così conciati.
“Parecchi guai, da quel che
puoi tu stesso notare” dichiarò lui, conciso. “Hai un cavallo da prestarmi, per
raggiungere Rajana?”
Arrossendo suo malgrado,
Ekeros si passò una mano tra i radi capelli e borbottò contrito: “Mi spiace, Altezza,
ma i cavalli che avevo sono andati alle guardie forestali, giusto un paio di
giorni fa. L’unico animale che mi rimane è uno stallone da monta, ma non è
abituato né al morso, né alla sella.”
“Niente di meglio” dichiarò
lesta Eikhe, prendendo l’iniziativa. “Potete mostrarmelo?”
Ekeros parve sorpreso dalla
sua richiesta ma Aken, prendendo le redini della situazione, disse: “Fai come
dice.”
Annuendo, l’uomo li
accompagnò all’interno del recinto, seguiti dappresso dal curioso vicino di
casa.
Nel vedere il possente
stallone all’altro capo dell’entrata, Aken mormorò piano alla ragazza: “Sei
certa di quel che fai? E’ un bel bestione.”
“Fidati” celiò lei, entrando
nel recinto e prendendo in mano una cavezza di corda.
Ekeros si preoccupò non poco
nel vederla procedere in direzione dello stallone fremente e, rivolgendosi al
proprio principe, esalò ansioso: “Siete certo che la vostra amica possa…”
Sorridendo, Aken replicò:
“Se sapessi la metà delle cose che è capace di fare, non ti stupiresti affatto
delle sue mosse!”
Eikhe si approssimò
silenziosa al possente stallone che, annusando la presenza di un estraneo,
pestò furiosamente uno zoccolo a terra, sbuffando tra i denti.
La ragazza, per nulla
impensierita, sollevò lentamente una mano come per calmarlo e cominciò a
parlargli con voce suadente, producendo dei suoni soffusi e dolci tali da
tranquillizzarlo.
Il cavallo indietreggiò di
un passo, ma Eikhe proseguì nella sua nenia fino ad accarezzargli il muso
vellutato e il collo possente, muovendo la mano con delicatezza, senza fretta.
Le carezze si prolungarono,
diventando un tutt’uno con la strana melodia canticchiata da Eikhe.
Lentamente ma
inesorabilmente, lo stallone piegò remissivo il muso, poggiandosi contro di lei
e nitrendo soddisfatto.
Sorridendo soddisfatta, la
ragazza-lupo allora lo abbracciò, mormorando piano al suo orecchio: “Grazie,
mio bel cavallo.”
Sorpreso e sgomento al tempo
stesso, Ekeros guardò il suo principe e domandò timoroso: “Ma chi è quella
ragazza?”
Orgoglioso, lui si limitò a
dire: “Una figlia sacra.”
I due uomini parvero
intimoriti da quella notizia.
Quando poi la videro tornare
indietro la ragazza insieme al cavallo, che la seguiva fiducioso, la fissarono
con un timore così evidente che Aken dovette faticare non poco per non
scoppiare a ridere loro in faccia.
Trattenendosi dal fare
qualsiasi commento, si limitò a chiedere: “Avete una coperta da mettere sulla
schiena del cavallo?”
“Volete montarlo a pelo?” esalò
Ekeros, sempre più sorpreso.
“Sì” annuì Eikhe, portandolo
fuori dal recinto. “Principe, lascia che ti annusi, così potrà riconoscerti” aggiunse
poi, rivolgendosi ad Aken.
Aken annuì, avvicinandosi
all’enorme bestia dal manto nero e, lasciato che lo annusasse, le domandò: “Ti
ha anche detto come si chiama?”
Sorridendo, lei si limitò a
dire: “I cavalli non hanno nomi, ma lui si vede molto elegante e distinto,
quindi penso che lo si potrebbe chiamare Leance.”
Annuendo, il principe disse
a un esterrefatto Ekeros: “Te lo riporteremo a tempo debito.”
“Non… non è un problema, Altezza”
riuscì a dire l’uomo, fissando ancora Eikhe mentre montava a cavallo con un
gesto fluido, aiutata da Aken che le fece scaletta con le mani intrecciate.
Messosi alle sue spalle,
Aken le disse: “Guidalo pure, Eikhe.”
“Nessun problema” assentì
lei, dando una pacca leggera sul collo del cavallo.
Subito l’animale partì al
trotto e, non appena ebbero lasciato il villaggio, seguiti dagli sguardi
attoniti di tutti, Eikhe lo lanciò al galoppo.
Tenendosi aggrappata alla
criniera del cavallo, mentre Aken la stringeva alla vita per non cadere,
sorrise beata, gustandosi la frescura sulla pelle e il profumo di freddo della
neve.
Sorridendo, Aken chiosò: “Lo
hai scioccato a morte, quel pover’uomo.”
“Peggio per lui. Leance è un
cavallo docilissimo. Basta tenergli lontano il ferro del morso. Allora, diventa
nevrastenico” sorrise a sua volta lei, scoppiando a ridere.
“Te l’ha detto lui?”
Assentendo, Eikhe lanciò uno
sguardo veloce al cielo, prima di rispondere.
“Il vocabolario dei cavalli
è molto limitato, Aken, e di certo non sarei riuscita a intavolare una simile
discussione con Leance, credimi. Ma si può capire molto, di un cavallo, da come
si muove.”
Indicandogli i segni intorno
alla bocca del cavallo, aggiunse: “Ho notato subito quelle piaghe, perciò ho
dedotto che gli stallieri gli avessero fatto molto male. I suoi occhi roteavano
furiosi tutte le volte che muovevo la mano vicino alle sue labbra, poverino.
Aken assentì, non trovando
nulla da ridire nel suo ragionamento. Non vi era magia alcuna nei suoi gesti,
solo semplice logica e un pizzico di sensibilità.
“Capire come chiamarlo,
invece, è stato più semplice. Me l’ha detto il suo portamento fiero. Ma è stato
divertente far credere a quel commerciante che io potessi leggergli nella
mente” ironizzò Eikhe, ammiccando comicamente.
“Che dispettosa!” ridacchiò
Aken, dandole un bacio sul capo.
Lei si limitò a sorridere
prima di scorgere le prime stelle in cielo.
“Per quanto tempo vuoi
viaggiare?”
“Finché Leance se la
sentirà” propose a quel punto Aken.
“Sentito, mio bel cavallo?”
sorrise Eikhe.
Il cavallo nitrì orgoglioso e,
forte della sua possanza, riuscì a percorrere la distanza che li separava da
Rajana in soli tre giorni e mezzo.
Quando infine giunsero alle
porte della città, Eikhe bloccò la cavalcatura e, sbalordita, fissò le miriadi
di case che si paravano tra loro e le alte mura perimetrali.
Sconvolta, esalò: “Niente
può essere così grande!”
Fiera e maestosa, la città
di Rajana si estendeva per diverse centinaia di iarde attorno alle mura di
cinta, che proteggevano il centro nevralgico della città e il suo imponente
maniero.
Alti torrioni di guardia si
levavano ai quattro angoli dei camminamenti, che percorrevano la lunga muraglia
difensiva.
Possenti porte di ferro e
legno, invece, – in quel momento aperte per consentire il passaggio di carri e
uomini – proteggevano gli ingressi alla parte più antica di Rajana.
Proseguendo al passo
attraverso l’agglomerato urbano, dove abitavano i contadini e i cittadini di
ceto inferiore, Eikhe continuò a osservare ogni cosa con la bocca leggermente
socchiusa.
Gli occhi erano sgranati, e dava
l’idea di avere una gran paura di ciò che vedeva.
“Non sei mai stata in
città?” chiese allora Aken, sorpreso dal suo timore.
Scuotendo il capo, Eikhe indirizzò
la cavalcatura verso una delle torrette di guardia, dove si trovavano un paio
di soldati preposti al controllo dei portali e, piano, disse: “L’unico paese
che ho mai visto, è Marhna. Non pensavo esistessero costruzioni così
imponenti.”
“Tranquillizzati, non
succederà niente” la rassicurò, sorridendole comprensivo.
Poteva ben immaginare quanto,
quella profusione di cose e persone, potesse confonderla.
Effettivamente, Rajana era
davvero grande, se vista da un occhio straniero.
A conti fatti, dovevano ancora entrare all’interno delle mura,
dove si trovavano i palazzi dei nobili e le case dei commercianti, ben più
imponenti delle piccole abitazioni che in quel momento li circondavano.
Non appena furono abbastanza
all’ingresso alla città, una delle guardie impose loro l’alt, prima di esclamare
con voce stentorea: “Le vostre generalità, viandanti!”
Eikhe si fece muta e Aken,
preferendo evitare guai, esordì dicendo: “Non mi riconosci più, Rokus? Capisco
di avere un aspetto piuttosto trasandato, ma…”
La guardia lo fissò attonito
per alcuni attimi, impallidendo visibilmente.
“Mio principe, ma… e la tua
scorta? Cos’è successo? E la ragazza con te?”
Eikhe lanciò un’occhiata torva
al soldato, che si stava soffermando un po’ troppo a osservarle le cosce
tornite così Aken, ridendo, lo rabberciò bonariamente, asserendo: “Fossi in te,
presterei attenzione a quel che guardi, Rokus, o potresti trovarti senza un
orecchio. La mia giovane amica è molto lesta di mano, e le ragazze-lupo non
amano essere oggetto di occhiate leziose da parte degli uomini.”
Il soldato osservò dubbioso
l’elsa del coltello che usciva dallo stivale della ragazza e, tornando
velocemente a scrutare il suo principe, tossicchiò per mascherare l’imbarazzo.
“Vi faccio precedere dalle
trombe… arriverete più velocemente a palazzo” asserì soltanto il giovane
soldato, preferendo soprassedere sul resto della conversazione.
“Molto bene, grazie” disse
Aken, con un sogghigno.
In poco meno di un minuto,
dalle torri di guardia si levò uno squillo di trombe lungo e prolungato, dal
timbro alto quanto trillante.
Sotto gli occhi stupiti di
Eikhe, la strada che avrebbero imboccato al loro ingresso si liberò come per
magia.
Spiegandogliene il motivo, Aken
ammise: “E’ un accorgimento che abbiamo inventato per poter attraversare Rajana
in breve tempo altrimenti, in un giorno di mercato, si rischierebbe di
impiegare più di un’ora, per oltrepassare la piazza principale.”
“Ottimo metodo” esalò lei,
dando un colpetto ai fianchi di Leance perché procedesse al trotto leggero. Meglio
non rischiare troppo.
Lanciarlo al galoppo avrebbe
potuto essere pericoloso, nonostante i presenti si stessero tenendo
rigorosamente sui due lati della via.
Quando fu abbastanza sicura
di non incorrere in qualche incidente, Eikhe si arrischiò a ridacchiare, dichiarando:
“Non gli avrei mica tagliato un orecchio, sai?”
“Forse, ma non mi piaceva come
ti stava guardando e, alla fine, l’orecchio gliel’avrei tagliato io” precisò
lui, adombrandosi leggermente.
Eikhe si limitò a sorridere
compiaciuta, prima di lasciarsi andare a un’esclamazione non propriamente
femminile quando, dinanzi ai suoi occhi, iniziarono a comparire le elaborate
quando smodatamente costose dimore dei nobili.
Stucchi e alti colonnati si
inframmezzavano a larghe vetrate colorate, e bei balconi dai parapetti in ferro
battuto.
Eleganti carrozze, nel
frattempo, percorrevano le vie laterali, o uscivano da portoni riccamente
decorati da antichi blasoni gentilizi.
“Incredibile…”sussurrò
strabiliata, mentre il cavallo procedeva spedito e diretto verso l’immenso castello
ormai prossimo.
Attraversarono la piazza
principale della città dove, in quel momento, banchi di mercanti e carri di
bestiame la stavano invadendo con vivaci colori e varietà di suoni.
Eikhe osservò quello
scenario per lei insolito con occhi per metà sorpresi e per metà turbati,
chiedendosi come la gente di città potesse sopportare quel caos così infernale.
Quando infine raggiunsero le
porte del palazzo, che conducevano al largo cortile di selciato, Eikhe tirò un
sospiro di sollievo e rallentò l’andatura del cavallo.
Segretamente, ringraziò
Hevos per averle fatto superare quello sbarramento di persone e cose, che
l’avevano intimidita più di quanto avrebbe mai realmente confessato.
Aken, nel frattempo, scrutò
tutt’intorno, familiarizzando nuovamente con quelle pareti a lui famigliari.
Sorrise nel veder giungere
alcuni stallieri, già pronti a prendere in consegna Leance e, prevenendoli per
evitare incidenti, si affrettò a scendere e dire: “Non avvicinatevi a lui, se
non volete perdere una mano. Se ne starà buono dove lo lascerà la ragazza.”
Gli stallieri annuirono tra
profusi inchini e ringraziamenti agli dèi per il suo ritorno.
Aken li ringraziò per il
loro sentito benvenuto, e lanciò che a
occuparsi dell’enorme cavallo fosse Eikhe.
Di certo, non aveva bisogno
di consigli su come trattare quel focoso stallone.
Attendendo che la ragazza
terminasse di legare le briglie di Leance a un palo nei pressi della vicina
stalla, Aken la prese per un braccio non appena lei gli fu vicina.
Insieme, si avviarono poi
all’interno del palazzo sotto lo sguardo un po’ sconcertato dei domestici.
Passando attraverso lunghi
corridoi riccamente decorati, e ampie anticamere ricoperte di elaborati arazzi
dai mille e più colori, Eikhe rimase turbata nel notare l’opulenza di quel
luogo e lo sfarzo che ivi regnava.
Con un tremulo sospiro,
scrutò gli ori e i velluti che ricoprivano le pareti di quel palazzo
apparentemente interminabile, simbolo primo di ciò che era Aken.
Lì, dinanzi a lei, stava il
tragico epitaffio della loro storia d’amore.
Ogni dipinto, ogni affresco,
ogni bardatura era una stilettata al cuore, per lei.
Lui apparteneva a quei
luoghi, non a lei. Non alle montagne. Non ai ruscelli impervi. Non ai boschi
ombreggiati.
Diversamente da Eikhe che,
invece, viveva e respirava di
montagne, di ruscelli e di boschi.
Lei era una donna-lupo, non
una nobildonna di Corte, né tantomeno una cortigiana.
Anche se, sporca e stanca per
quel viaggio massacrante, non si sentiva più neppure tale.
Se c’era una cosa che non voleva,
era far fare brutta figura a sua madre e le sue sorelle, presentandosi a quel
modo al re.
Non voleva dare una scusa ai
detrattori dei clan delle donne-lupo, per parlare in malo modo di tutte loro.
Strattonando con decisione la mano di Aken, che ancora
la tratteneva con gentilezza, la ragazza esalò: “Non posso!”
Volgendosi verso di lei e avvedendosi
subito della sua titubanza a proseguire, lui le chiese: “Ma che ti prende?”
Guardandosi accigliata,
Eikhe borbottò: “Non vorrai davvero che mi presenti a tuo padre conciata a
questo modo?! Sembro appena stata gettata in un letamaio.”
Un po’ sorpreso, Aken guardò
anche se stesso, piuttosto sbattuto dal viaggio e con la barba lunga e, con un
sospiro esasperato, ammise: “Anch’io sembro preso, sbatacchiato e gettato via,
Eikhe, ma capirà, quando gli diremo cos’è successo.”
Prima ancora di poter
replicare, la ragazza-lupo si volse ansiosa, non appena udì i passi concitati di
qualcuno lungo il corridoio che stavano a loro volta percorrendo.
Con sua somma sorpresa – e
disappunto – Aken vide avvicinarsi la sorella Melantha in compagnia di Tyana,
entrambe riccamente abbigliate e fresche come rose.
Di certo, in netto contrasto
con le loro attuali condizioni.
Imprecando debolmente, Aken
cercò di fare buon viso a cattivo gioco e, ironico, si esibì in un frivolo
inchino, asserendo: “Buonasera, sorella… milady. E’ un piacere vedere due facce
conosciute, dopo tanto viaggiare.”
Facendo tanto d’occhi nel
vedere in che condizioni fosse ridotto il fratello, e squadrando malamente la
ragazza vicino a lui, Melantha si portò una mano al naso, esalando: “Dunque,
eri tu! Stavo giusto accorrendo al cortile per scoprire chi fosse giunto, di
così importante, da meritare l’uso delle trombe. Ma cosa ti è successo? Sembri
un barbaro! E quella… quella ragazza, chi è?”
Subodorando guai, Aken attirò
dietro di sé Eikhe e, trattenendo a stento una risposta piccata, replicò
serafico: “Sono scampato alla morte diverse volte, in queste settimane, e non
ho badato molto a come potessi apparire, quando sono entrato a Rajana pochi
minuti fa, cara sorella. Inoltre, la ragazza che hai osservato con tanta
malagrazia, è colei che mi ha salvato, quindi, portale il rispetto dovuto.”
Spalancando gli occhi per la
sorpresa e il livore, Melantha fece per rispondere per le rime al fratello, ma
l’arrivo di Ruak e della madre le impedirono di procedere oltre.
Scostandosi per permettere
loro di avvicinarsi, si portò contro la parete assieme a Tyana che, fino al
quel momento, era rimasta in sconfortato silenzio, di fronte alle condizioni
miserevoli di Aken.
Abbracciando senza troppi
problemi il figliastro, Anladi esclamò al colmo della gioia: “Figliolo, meno
male! Quando abbiamo sentito suonare le trombe, abbiamo sperato fossi tu!”
Nello scostarsi con un
sorriso carico di sollievo, la regina scorse infine Eikhe dietro di lui, e aggiunse:
“Oh, ma… è una ragazza-lupo, vero?”
“Sì, madre, e mi ha salvato
la vita” tenne a precisare lui, prima di salutare il fratello con una stretta
di mano.
Avvicinandosi a Eikhe, che
la stava osservando guardinga e silenziosa, Anladi le sorrise e, cordialmente,
allungò le mani verso di lei per stringere le sue.
“Posso immaginare che
abbiate passato dei momenti molto spiacevoli, a giudicare dalle vostre attuali
condizioni. Vieni con me, bambina, e lascia che mi prenda cura di te. Avrete
tempo per parlare con il sovrano più tardi, quando vi sarete ripresi dal
viaggio.”
Eikhe cercò con lo sguardo
Aken, che però le sorrise rassicurante.
Non potendo fare altro – e
non volendo mancare di rispetto proprio alla regina, la ragazza si risolse a
seguirla, ben decisa a non mettere in imbarazzo nessuno.
Né se stessa, né le sue
sorelle, né tanto meno Aken.
Fermo assieme al fratello
maggiore nel bel mezzo del corridoio, Ruak scrutò le due donne allontanarsi
assieme e, solo quando ebbero svoltato l’angolo, si arrischiò a domandare: “Davvero
ti ha salvato?”
“Almeno una dozzina di volte…”
annuì Aken, allontanandosi dalla sorella e la sua amica senza neppure
salutarle. “… e ha perso il suo lupo, durante uno scontro.”
“Non pensavo avrei mai visto
una donna-lupo in vita mia” esalò Ruak, sorridendo divertito. “Sembra molto
carina, a parte la sporcizia che, tra l’altro, ricopre anche te.”
Ridacchiando suo malgrado, il
fratello maggiore ammise divertito: “Saresti sporco anche tu, se avessi
viaggiato a tappe serrate come abbiamo fatto noi, attraverso ghiacciai, boschi
e sassaie.”
“Spero mi vorrai raccontare
qualcosa, fratello” asserì speranzoso Ruak, con occhi brillanti di eccitazione.
“Vieni con me, mentre
riprendo sembianze umane” rise allora Aken, avviandosi verso i suoi
appartamenti con passo spedito.
***
L’appartamento in cui la
regina aveva condotto Eikhe, era interamente ricoperto di pelli e tappeti, per
contrastare il freddo pavimento di pietra.
Alle pareti, abbellite da
stupendi arazzi a fantasie fiorate, pendevano una decina di torce, appese a
pesanti anelli di metallo.
Un enorme letto occupava
quasi completamente la parete opposta al largo camino, già debitamente acceso e
sfrigolante.
Intimidita suo malgrado
dall’eleganza di quel luogo, Eikhe si guardò intorno sperduta, chiedendosi chi
vivesse in quell’enorme stanza.
Indulgente, Anladi lasciò
che la ragazza curiosasse tutt’intorno a sé, comprendendo in parte la sua
confusione.
Doveva essere uno shock, per
lei, vedere luoghi simili, e così diversi da ciò cui era abituata.
Colse perciò l’occasione di
studiarne la figura slanciata, adatta a una vita tra i boschi e, al tempo stesso,
si chiese come una ragazza potesse aver salvato il figlio da morte certa.
Non che non si fidasse delle
parole di Aken, ma ammetteva senza remore che quella ragazza-lupo appariva
tutto tranne che una pericolosa guerriera.
Non in quel momento, almeno,
spaesata e intimorita come sembrava essere.
Non avrebbe comunque
commesso l’errore di sottovalutarla, né di mettere in dubbio il dire del
figlio.
Cauta, perciò, le chiese:
“Dimmi, bambina… sei della tribù di Nestar?”
“Sì, mia regina, sono figlia
di Kaihle, la Signora del villaggio” annuì Eikhe, intenta a sfiorare con dita
leggere il contorno armonioso di una poltrona di legno.
Sorridendo più tranquilla –
di Kaihle, si sarebbe fidata a occhi chiusi – Anladi allora disse: “Kaihle? E
come sta? La ricordo con così tanto affetto.”
Eikhe la scrutò in viso per
alcuni attimi prima di sorridere più tranquilla.
La regina non sembrava
scorbutica come le era parsa, invece, la sorellastra di Aken, perciò non le
sarebbe costato nulla essere gentile a sua volta.
“Mia madre sta bene, mia
regina. Ti ringrazia per i saluti, e ti è grata per i preziosi doni che ci hai
inviato. Ricambia con altrettanto affetto le tue attenzioni.”
Sorridendo sollevata, Anladi
le domandò: “Sei la figlia più giovane? Se non ricordo male, quando Kaihle
giunse qui, aveva una bimba di un anno, assieme a lei.”
“Mia sorella Tyura, sì”
annuì Eikhe, prima di chiedere contrita: “A chi ho rubato la stanza, mia
signora? Non vorrei aver disturbato inavvertitamente qualche nobile di Corte.”
Guardandola con grande
comprensione, Anladi scosse il capo, bene decisa a rasserenarla.
“Stai tranquilla, cara.
Questa è una camera per gli ospiti, per cui non hai disturbato nessuno. Ti farò
portare una tinozza per il bagno, e degli abiti puliti. Potrai riposarti, nel
frattempo.”
“Ti ringrazio molto, mia
regina” mormorò Eikhe con un inchino formale, guardandola uscire dopo un ultimo
sorriso di commiato.
Rimasta sola, la
ragazza-lupo tornò a osservare con non poco stupore il lusso da cui era
circondata.
Non osando sporcare le belle
coperte dell’enorme letto a baldacchino che aveva innanzi a sé, si avvicinò al
camino e si sedette su un tappeto per scaldarsi.
Nel giro di cinque minuti,
servitori e cameriere le prepararono un bagno degno di un re.
Curiosa, Eikhe scrutò divertita
la gamma di profumi e saponi che le misero a disposizione, e infine scelse
l’aroma più semplice che le riuscì di trovare.
Affondando poi nella
tinozza, si liberò finalmente dallo strato di sudiciume che la ricopriva e, nel
contempo, ripulì i suoi vestiti da polvere, fango e terra.
Dopo aver pulito il tutto
più che adeguatamente, Eikhe appese gli abiti ad asciugare vicino al camino, prima
di avvicinarsi al letto per controllare cosa le avessero portato.
Attonita, fissò senza parole
la bracciata di abiti che, vaporosi, ricoprivano tutta l’ampiezza del talamo.
Più che mai confusa, si
chiese turbata come diavolo si facesse a indossarli.
Dopo vari tentativi, Eikhe
riuscì infine a indossare solo una sottoveste di mussolina bianca, che le
arrivava fino alle ginocchia.
Guardandosi allo specchio,
scoppiò a ridere di gusto, trovandosi quanto mai ridicola.
Prima ancora di potersela togliere, però, sentì
bussare alla porta e, sorpresa, chiese: “Chi è?”
“Sono Aken, posso entrare?”
“Certo” assentì lei,
tornando a guardarsi allo specchio con un risolino a fil di labbra.
Sorpreso nel trovarla
seminuda e di fronte allo specchio, Aken si affrettò a richiudersi la porta
alle spalle perché altri non la vedessero.
Osservandole la lunga chioma
umida, che si era incollata alla sottoveste che indossava, si avvicinò alla
ragazza e, avvoltala tra le braccia, sussurrò: “Vuoi tentarmi, piccola strega?”
Lei si volse a mezzo,
sorridendogli nel ricevere il suo bacio.
Fu a quel punto che notò i
suoi abiti, lo sfarzo delle stoffe e dei ricami e, timorosa, mormorò: “Se ti
avessi conosciuto abbigliato così, forse mi avresti spaventato.”
“Non sto bene?” esalò lui,
guardandosi con aria divertita.
“Sì, ma sei distante come la
luna, ora” sospirò lei, reclinando il capo.
Sollevandoglielo con un dito,
lui le sorrise, replicando: “L’abito non conta nulla, Eikhe. Sono ancora Aken.”
“Lo so, ma…”
Indulgente, le chiese: “Come
mai indossi solo la sottoveste?”
“Oh, si chiama così?” esalò
la ragazza, sfiorando l’indumento con dita esitanti.
Ridendo suo malgrado, Aken le
domandò: “Immagino tu non abbia la più pallida idea di come fare a indossarli,
vero?”
“Appunto” celiò lei,
sorridendo.
Scrutandola alla luce del
fuoco, che disegnava il contorno del suo corpo attraverso la diafana
trasparenza della sottoveste, Aken le disse roco: “Se non avessi fretta di
condurti da mio padre, ti farei mia anche adesso.”
“Non voglio presentarmi a
tuo padre con abiti che non sono miei” replicò lei, seria in volto. “Sono una
ragazza-lupo e mi presenterò a lui così, non come la copia sbiadita di una
delle vostre donne.”
Annuendo, e comprendendone i
pensieri, Aken le si portò alle spalle e, presa una salvietta, le propose:
“Lascia che ti aiuti con i capelli, allora. Così, daremo il tempo alla tua
tunica di asciugarsi. Dopodiché, ti aiuterò a spazzolarla perché recuperi
morbidezza, va bene?”
Lei annuì, ma ai capelli e
alla tunica pensarono molto tempo dopo.
***
Quando Anladi raggiunse la
stanza di Eikhe per sapere se fosse pronta, bussò un paio di volte, dopodiché
entrò senza attendere risposta e disse: “Bambina, sono io, Anladi,… volevo
sapere se…”
Bloccandosi subito quando
vide Aken seduto alle spalle di Eikhe, intento a pettinarle i capelli, Anladi esalò:
“E questa, che novità è?”
“Ah, madre…” sorrise lui,
senza smettere di passare la spazzola sui capelli della ragazza. “… la sto solo
aiutando. L’ho fatto spesso, in queste settimane.”
Avvicinandosi ai due, e
notando che Eikhe indossava il suo abito di pelle nuovamente pulito, la regina
dichiarò con aria decisamente scioccata: “Non sapevo neppure che fossi capace
di una simile gentilezza nei confronti di una donna, visto come sei solito
schivare le attenzioni di tutte!”
“Madre, ti prego” replicò il
figlio, indulgente quanto divertito.
Prima ancora di punzecchiare
nuovamente il figliastro, Anladi si avvide della fresca ferita alla gamba di
Eikhe e, sgranando un momento gli occhi, chiese spiacente: “Oh, mia cara, ma cosa
ti è successo?”
“Un bufalo. Lo stesso che
indossava tuo figlio quando siamo arrivati” sorrise Eikhe, sfiorando con un
dito la linea rossa che si estendeva sulla sua coscia. “Non era propenso a
darmi la sua pelle, e così…”
Sorridendo suo malgrado divertita,
Anladi assentì.
“Lo immagino. E lo hai ucciso tu, bambina?
Allora, hai ben più coraggio di me. Ho visto la tunica che hai confezionato e
devo dire che, viste le condizioni in cui hai dovuto lavorare, hai fatto un
lavoro degno di nota.”
“Grazie, mia regina. Mi sono
arrangiata con quello che avevo” mormorò lei, apprezzando il suo complimento. La
regina le piaceva.
Non le stava affatto facendo
pesare il suo ruolo e, anzi, la trattava con gentilezza e semplicità.
Del tutto preso dal suo
ruolo, Aken non le stette minimamente ad ascoltare e, preso un laccio, il
principe intervenne, dicendo: “Una treccia, Eikhe? O due?”
“Una, per favore.”
“Agli ordini” annuì lui,
lavorando con abilità con i capelli della ragazza.
Decisamente divertita dal
comportamento del figliastro, Anladi celiò: “Devi essere riuscita a mettere un
po’ di sale in zucca, a questo mio debosciato figliolo, se si prodiga così per
te. Ora so a chi farò fare le mie trecce, d’ora in poi.”
Aken si limitò a ghignare ed
Eikhe, con un risolino, dichiarò: “Abbiamo passato dei brutti momenti e, di
solito, gli eventi eccezionali sgrossano i difetti e ammorbidiscono le menti.”
“Parole sagge, cara” assentì
Anladi prima di notare, nello sguardo di Aken, una luce diversa dal solito.
Sollevando un sopracciglio
con aria sorpresa, lanciò un’occhiata di sottecchi in direzione di Eikhe e si
chiese se, i due, non stessero nascondendo qualcosa.
Preferendo non mettere in
imbarazzo la ragazza, si astenne dal parlarne in sua presenza dei suoi dubbi.
In fondo, non sarebbe stato
educato porle domande personali, visto che si erano appena conosciute.
Quando la treccia fu pronta,
Eikhe si alzò e disse: “Possiamo andare.”
Annuendo, Aken si levò in
piedi a sua volta e si avviò verso
l’uscita della stanza, seguito a ruota da Eikhe e Anladi.
Nel percorrere i corridoi di
palazzo, la ragazza-lupo non badò minimamente agli sguardi sorpresi della
servitù, ora che era nuovamente presentabile.
Se non accettavano il fatto
che lei fosse diversa da loro, questo non doveva minare la sua sicurezza.
Aveva l’approvazione di
Aken, ed era orgogliosa di ciò che era, perciò questo le dava la forza per
affrontare qualsiasi cosa.
Quando infine raggiunsero la
sala del trono, accompagnati dalla voce stentorea di un paggio e dal suono di
trillanti trombe dalla strana forma a S, Eikhe lasciò che Aken la scortasse
fino al palco ove si trovava il re.
Lì, con un aggraziato
movimento, il principe si inginocchiò di fronte al suo sovrano, subito imitato
dalla ragazza.
Nel farlo, comunque, Eikhe
lanciò in fretta uno sguardo ai lati dell’enorme sala, notando la presenza dei
fratelli di Aken, oltre a una decina di guardie e un paio di nobili
dall’aspetto piuttosto sparuto.
Consiglieri? Non avrebbe saputo
dirlo con certezza.
Mentre Aken si rialzava per
raggiungere il padre e ricevere da lui un abbraccio di benvenuto, la ragazza osservò
tra il folto delle ciglia l’imponente sovrano che aveva di fronte.
Riconoscendo in lui i tratti
del figlio, si sentì trapassare dal suo sguardo d’acciaio, e faticò non poco a
reggerne il confronto.
Era ovvio che la stava
valutando e, nonostante si sentisse intimorita dall’enorme sala in cui si
trovava, Eikhe gonfiò il petto e rammentò di essere figlia di Kaihle, della
tribù di Nestar.
Non doveva avere timore di
nessun uomo, o sovrano che fosse.
Arkan, dopo aver osservato
il figlio tornare sui suoi passi per affiancare la giovane ragazza-lupo giunta
con lui, scrutò quella fanciulla che pareva non aver paura di lui.
Discendendo i gradini del
palco tenendosi al suo bastone, disse mestamente: “Solo voi due, di tutti gli
uomini inviati al forte?”
“Purtroppo sì, padre” sospirò
Aken, prima di guardarlo curiosamente mentre si avvicinava pensieroso a Eikhe.
Fermatosi proprio di fronte
alla ragazza, che sollevò lo sguardo per guardarlo in viso, l’uomo chiese torvo:
“Non hai paura di me, ragazza-lupo?”
“Dovrei, sire?” replicò lei,
tesa.
Il sovrano fece comparire un
sorriso furbo sul volto solcato da rughe, e disse: “Ora so come sei
sopravvissuta alle montagne, ragazza-lupo. Qual è il tuo nome, figlia sacra?”
Sorpresa che l’uomo
conoscesse l’etichetta usata nelle loro tribù, cosa che stupì anche Aken, lei mormorò:
“Sono Eikhe, sire, figlia di Kaihle, del villaggio di Nestar.”
“Ah…” annuì lui, compiaciuto.
“…molto bene. Appartieni a una famiglia che io apprezzo. Alzati Eikhe, figlia
di Kaihle, e dimmi ciò che sai. E’ dunque giustificato il timore di mio figlio,
figlia sacra?”
Levandosi in piedi con
grazia di movimenti, Eikhe annuì e dichiarò: “Dopo essere stati attaccati
proditoriamente da alcuni uomini di Vartas, siamo stati costretti a fuggire,
rifugiandoci oltre confine. Nei pressi del Valico di Kortoss, ho inviato in
avanscoperta il mio lupo per scoprire con esattezza cosa stesse succedendo a
valle. E’ così che abbiamo saputo del prossimo attacco di Vartas, e dei motivi
per cui, da Anok Fort, non inviavano più notizie. E’ molto probabile che siano
tutti morti.”
Sospirò, nel pensare alle
decine di persone abitavano quel forte.
Molti li aveva conosciuti,
durante le sue caccie e, pur se non avrebbe saputo ricordarne tutti i nomi, le
spiacque per loro.
“A occhio nudo, abbiamo
contato circa due centinaia di tende campo, che possono contenere fino a dieci
uomini ciascuna, ma il mio lupo ha parlato di altri uomini in arrivo dalle
pianure. Inoltre, nell’acquartieramento a valle, erano già presenti carri con
vettovaglie, armi e diverse catapulte.”
Presente in sala, e ritta in una delle alcove destinate ai membri
più altolocati della Corte, Melantha borbottò dubbiosa: “Dobbiamo affidare la
nostra sicurezza ai vaneggiamenti di una ragazza e di un lupo, padre?”
Fulminando con lo sguardo la
sorella, Aken fece per parlare ma il re, sollevata una mano per bloccare l’ira
del figlio, dichiarò: “Ti è permesso stare qui, ma non parlare durante i miei
colloqui, Melantha, dovresti saperlo. Inoltre, non sei addentro a simili
argomenti, perciò evita di disquisire su cose che non conosci.”
Rivolgendosi a Eikhe, e
ignorando il cipiglio della sua unica figlia, il re domandò: “Dove si trova,
ora, il tuo lupo? Posso capire un poco quel che dice, e vorrei conoscere ciò
che ha visto dalla sua bocca.”
Lo stupore per quella
scoperta venne presto surclassato dal dolore per la perdita di Nys così,
incurvando leggermente le spalle, Eikhe mormorò: “Purtroppo è morto sul Valico,
sire.”
Il re allora batté la mano libera
sulla spalla di Eikhe, asserendo: “Comprendo il tuo dolore, e non ti chiederò
altro di lui, figlia sacra. Lo ricorderò con affetto, sapendo che ha lottato al
tuo fianco per riportare a casa mio figlio. Ora cos’altro potete dirmi?”
Mentre Eikhe fissava
apparentemente sconvolta il re, Melantha si ribellò vibratamente, esalando:
“Non vedo cosa possa interessarci la morte di un lupo, padre, né perché tu
debba mostrarti tanto gentile con lei! E’ un nostro suddito! E’ suo dovere servire la Corona!”
Lanciandole uno sguardo di
fuoco, Eikhe strinse i denti e la sua mano corse istintivamente alla daga che
portava alla cintura.
Prevedendo le sue mosse, però,
il sovrano accentuò la stretta sulla sua spalla, asserendo: “Placa la tua ira,
figlia sacra. Mia figlia non conosce la tua forza, e non sa cosa significhi
offendere persone come te né, a quanto pare, ha imparato cosa voglia dire
essere un membro della famiglia reale.”
“Comprendo che tua figlia non
conosca le nostre usanze, sire, ma non ammetto si disonori la morte del mio
compagno” mormorò in un sibilo Eikhe, cercando di chetarsi.
Melantha, nel frattempo, la
fissò con un livore sempre crescente, indispettita dalle parole cupe del padre.
“Un’altra parola, sorella, e
giuro che provvederò a darti una lezione. Nys era migliore di tante persone che
io conosco, te compresa!” sbottò a quel punto Aken, accigliandosi.
Offesa, Melantha scrutò in
viso la madre per cercarvi conforto ma, notando solo il suo sguardo ferito,
raccolse le gonne e se ne andò sdegnata.
Re Arkan allora sospirò e
lasciò andare la presa dalla spalla di Eikhe, quando fu abbastanza sicuro di
poterlo fare senza rischi per se stesso e per gli altri presenti nella sala.
Non senza una certa
tensione, tornò all’argomento principale della loro conversazione e ordinò:
“Parlatemi di ciò che avete scoperto.”
Aken intervenne per primo e
disse: “Il borgomastro di Marhna sa quasi sicuramente qualcosa. Quando gli chiesi
informazioni su Anok Fort, si fece molto titubante, quasi temesse
ripercussioni. Forse, non si aspettava che qualcuno giungesse così presto a
chiedere notizie del silenzio dal forte. Quando poi giungemmo al ponte sul Fenar,
lo trovammo distrutto, così decisi di recarmi al villaggio di Kaihle per
chiedere consiglio su che strada seguire per raggiungere Anok Fort. Eikhe fu mandata come guida dalla stessa Kaihle ma,
dopo aver oltrepassato la Valle del Silenzio, ci attaccarono, probabilmente
dietro indicazione dello stesso borgomastro. Nargan era con loro.”
Annuendo grave, il re asserì
torvo: “Invierò un battaglione di uomini a prelevarlo, e una scorta per la
nostra ospite perché possa tornare a casa in sicurezza. Immagino tu sia ansiosa
di rivedere tua madre. Quando ti sentirai in forze per partire, non avrai che
da dirlo.”
Eikhe lo ringraziò con un
cenno del capo, ma replicò: “Non ho bisogno di una scorta, sire. Se potessi
prestarmi una cavalcatura veloce, la rimanderei indietro con il primo mercante
di passaggio a Marhna.”
“Sia come vuoi, figlia sacra”
assentì il re, prima di guardare il figlio con orgoglio. “Sapevo che affidare a
te questa missione, sarebbe risultata la scelta vincente. Nessun altro avrebbe
saputo fare ciò tu hai fatto, figlio. Ora, comincia a preparare i tuoi uomini, Aken.
Io, nel frattempo, invierò messaggi alle guarnigioni perché si preparino. Pare
che, al disgelo, ci sarà da battagliare.”
“Sì, padre” annuì Aken,
lanciando uno sguardo affranto in direzione di Eikhe.
“Accompagna nelle sue stanze
la nostra ospite. Immagino vorrà riposarti dopo un così periglioso viaggio.”
Rivoltosi poi a Eikhe,
aggiunse: “Ritieniti libera di rimanere quanto vuoi, figlia sacra. La mia casa
è a tua disposizione. Ti devo la vita di mio figlio, e sono un uomo che onora i
propri debiti.”
Inchinandosi profondamente
al re, Eikhe mormorò soltanto: “La tua generosità è grande, mio re, ma non ci
sono debiti, tra di noi. Tu permetti a me e le mie sorelle di vivere in pace
nel tuo regno, seguendo le nostre regole di condotta, perciò salvare tuo figlio
è stato il minimo che io dovessi a te. Prometto che farò di tutto per
convincere i nostri clan a darti man forte, al risveglio della primavera.”
“L’aiuto delle tribù dei
lupi sarà ben accetto, grazie, giovane Eikhe” dichiarò il re, con un cenno del
capo.
A un cenno della mano del
sovrano, il gruppo poté accomiatarsi.
Subito seguita da Aken,
Eikhe uscì perciò dalla sala del trono e, una volta raggiunto il corridoio,
mormorò sorpresa: “Tuo padre è un uomo davvero incredibile! Non sapevo
conoscesse l’etichetta delle nostre tribù.”
“A dir la verità, non lo
sapevo neanche io” sorrise lui, affiancandola. “Rimarrai almeno un poco, vero?”
Sospirando, lei disse: “Mi
concederò un poco per riprendermi dalle fatiche del viaggio, ma non rimarrò
molto. Non possiamo rischiare, lo sai bene, Aken. E poi, ora sei nel tuo
ambiente naturale ma io no, e comincio già a sentirmi soffocare.”
Presala per le spalle, Aken protestò
con veemenza: “Non voglio che tu te ne vada!”
“Ma devo, o morirò. Vuoi
vedermi morire, Aken?” sorrise tranquilla la ragazza, vedendolo inorridire a
quelle parole.
“Perché dici così?” esalò
lui, sgranando gli occhi.
“Io ho bisogno dei miei
boschi, dell’ululato dei lupi, del suono dell’acqua nei ruscelli, del
cinguettio degli uccellini e dello stridio delle aquile” gli spiegò, sospirando
malinconicamente: “Per quanto bella e imponente possa essere la tua casa, io
non potrei mai vivere qui. E poi, in che ruolo? Di tua amante? Sii serio,
Aken.”
“Non saresti la mia amante,
e lo sai!” ringhiò lui, irritato dalla veridicità delle sue parole. “Saresti
mia moglie!”
Un po’ sorpresa, e non poco
commossa da quelle parole, Eikhe si arrischiò a sfiorargli la guancia con una
mano.
“Mesi fa avrei riso di una
frase simile, ma ora non più. Mi onori, dicendomi tutto ciò, mio principe, ma
non te lo permetterebbero. Sii felice di ciò che abbiamo condiviso, e fattelo
bastare come me lo farò bastare io.”
“Ma Eikhe…” protestò
debolmente lui.
“Ti prometto che non mi
unirò mai ad alcun altro uomo, mio principe. Non posso darti altro, oltre a ciò
che già hai di me” sospirò la ragazza, rilasciando la mano lungo il fianco.
“E cioè?” sussurrò Aken,
prossimo ad abbracciarla.
“Il mio cuore, la mia anima
e il mio amore imperituro, mio principe” sorrise lei.
“Smettila di chiamarmi così,
Eikhe. Sai il mio nome!” ringhiò lui.
“Se lo usassi ora, ne
morirei” singhiozzò lei, stupendo enormemente Aken che, presala per le spalle,
la condusse fino a un’alcova, riparata da sguardi indiscreti.
Strettala in un abbraccio,
lasciò che sfogasse le sue lacrime, sentendo il suo cuore andare in frantumi
come la speranza di una vita insieme alla donna che aveva imparato ad amare più
di se stesso.
Ma, proprio perché la amava
tanto, doveva accettare di perderla per il suo stesso bene.
Lasciatala andare quando le
lacrime furono solo un ricordo, le sentì dire: “Ora, vorrei rimanere un momento
da sola.”
Annuendo mesto, la vide
allontanarsi con passo sicuro lungo il corridoio e, accondiscendendo alla sua
richiesta, non la seguì per lasciarla ai suoi pensieri.
Raggiunti i camminamenti lungo
le mura di palazzo dopo un lungo peregrinare per i corridoi, Eikhe lanciò uno
sguardo sofferente all’enorme città che si apriva ai suoi piedi.
Poggiandosi pensierosa a una
merlatura del muro di cinta, ascoltò il vociare della gente dabbasso e il
rumore dei carri e degli animali nel mercato.
Stordita da quella cacofonia
informe, Eikhe aggrottò più e più volte la fronte, nel vano tentativo di darvi
un ordine logico.
Tutto era troppo strano, per
lei, troppo estraneo, troppo soffocante.
Le mura del palazzo
sembravano volerla fagocitare e, pur sapendo che era solo una sciocchezza
puerile, rimanere fuori al freddo era preferibile che starsene all’interno, tra
quelle ricchezze fin troppo opulente.
Il suo mondo era fatto di
creature viventi, non di fredda e inerte roccia.
Sfiorando con un dito la
dura consistenza della pietra sotto cui riposava la sua mano, Eikhe sospirò
leggermente, affranta dalla sensazione di perdita che già sentiva nel suo cuore
palpitante.
Non poteva indugiare molto,
o separarsi da Aken sarebbe stato impossibile, quasi come strapparsi un arto
dal corpo.
Permettere a se stessa di
far vedere quel lato debole ad Aken, sarebbe equivalso a pura follia.
Sarebbe stato male per lui,
ed era l’ultima cosa che desiderava.
“Un giorno, e poi me ne
andrò” sussurrò tra sé Eikhe, prima di notare un’ombra lunga estendersi fino a
sfiorare la sua.
Levando lesta il capo per
scrutare in viso una delle guardie di ronda sul camminamento, Eikhe provò un
istintivo groppo in gola nel riconoscere quei tratti, quegli occhi, ora
percorsi dal dubbio.
Deglutendo a fatica, riuscì
a dire: “Avevi bisogno di qualcosa, soldato? O temi possa essere un pericolo
per te e gli altri?”
La guardia abbozzò una
risatina nell’appoggiare a terra il puntale dell’alabarda che teneva saldamente
in mano e, scuotendo il capo bruno, si limitò a dire: “Niente di tutto ciò. Mi
chiedevo solo se tu fossi la giovane giunta a palazzo con il nostro principe.”
Lei annuì guardinga, il
dolore alla gola ora più forte, e chiese: “Sì, perché?”
“Allora, puoi dirmi cos’è
successo a mio padre, vero?” le domandò a quel punto il soldato, perdendo di
colpo il sorriso che era balenato sul suo viso sbarbato.
Eikhe sentì il cuore
spezzarsi in due, a quella domanda e, sospirando amareggiata, mormorò: “Tuo
padre si chiamava Lenar, giusto?”
Il giovane annuì e chiese
semplicemente: “Com’è morto?”
Mordendosi un labbro per non
piangere – già molte volte aveva pianto l’amico, e non doveva farlo proprio di
fronte al figlio – , Eikhe disse mestamente: “Durante l’agguato che ha
massacrato tutti i compagni del principe. Ci trovavamo in una gola senza vie di
fuga. Ci attaccarono dall’alto e alle spalle, avvertiti da una spia della via
che avevamo intrapreso. Non potei fare nulla, per lui. Fu gentile con me, e lo
ricordo con affetto ogni giorno.”
Annuendo con un nodo alla
gola, il ragazzo dichiarò: “E’ morto da eroe, allora.”
Eikhe assentì con vigore,
non avendo remore ad ammetterlo.
“Si è sacrificato per permettermi
di salvare il principe, perciò sì, è stato a dir poco eroico.”
Il soldato le sorrise, forse
confortato dalla sicurezza insita nelle sue parole.
“Grazie per le tue parole,
ragazza-lupo. Ora mi sento un po’ meglio.”
“Vorrei averti potuto dare
notizie migliori. Lenar avrebbe meritato ben altro destino” sospirò Eikhe,
reclinando spiacente il viso.
“Era un soldato valoroso, e non
avrebbe potuto desiderare fine migliore” disse soltanto il giovane, prima di
ricomporsi e aggiungere: “Scusami, ora devo continuare la ronda.”
“Sì, certo” annuì Eikhe,
rimanendo di nuovo sola.
Un venticello leggero si
levò improvviso sulla città, portando con sé l’odore del fumo dei camini e, un
po’ a sorpresa, il sentore fresco della neve.
Scrutando curiosamente il
cielo, la ragazza scorse cupe nubi addensarsi sulla capitale, dense e
minacciose e foriere di tempesta.
Presto si sarebbero
scatenate, ne era sicura.
Eikhe sospirò afflitta,
insofferente alla sola idea di percorrere tutto il tragitto verso Marhna sotto
una tempesta di neve.
Già sul punto di ritornare
all’interno del palazzo per riposarsi un poco, in previsione della sua partenza,
si trovò a fronteggiare la figura del principe Ruak, fermo a pochi passi da lei
in attenta contemplazione.
Ricomponendosi subito dopo
l’iniziale sorpresa, Eikhe si esibì in un piccolo inchino, prima di domandare:
“Mi cercavi, principe?”
“In effetti, sì” annuì Ruak.
“Posso rubare un po’ del tuo tempo, figlia sacra?”
“Tuo fratello mi chiama per
nome, perciò puoi farlo anche tu, principe” dichiarò la ragazza, seguendolo
all’interno del palazzo mentre i primi fiocchi di neve cominciavano a cadere
sulla città.
“Grazie” mormorò il giovane,
invitandola ad accomodarsi in un bel salottino dalle ampie finestre, rivolte
sul cortile interno di palazzo. “Posso offrirti qualcosa?”
“No, grazie. Sto bene così. Di
cosa volevi parlarmi?” volle sapere lei, incrociando le mani in grembo e
accavallando le gambe.
Cercando di non pensare alla
deliziosa piega delle sue cosce, o al colore dorato della sua pelle, Ruak si
accomodò su una poltrona e, guardandola ostentatamente in viso, disse: “Aken mi
ha parlato a grandi linee del vostro viaggio, e mi ha detto che avete
combattuto diverse volte.”
“E ?” lo incitò lei, con un
gesto della mano.
“Non ho potuto fare a meno
di notare che mio padre ti ha chiamata ‘figlia
sacra’, mentre so perfettamente che le donne-lupo vengono chiamate ‘figlie del branco’. Mi sono chiesto il
perché” le chiese semplicemente Ruak.
Un po’ sorpresa, Eikhe si
ritrovò a sorridere a quel giovane dalla ribelle chioma dorata e i profondi
occhi azzurri.
“Hai orecchio per i
particolari, principe. Sì, è vero, tra la mia gente vengo etichettata come ‘figlia sacra’. Vuoi sapere il perché,
giusto?”
“Se non è vietato da qualche
convenzione che io non conosco” precisò subito Ruak. “Inoltre, non ho mai visto
mio padre così preoccupato come quando ti sei rivoltata contro Melantha, e mi è
parsa una cosa strana. Mi sono chiesto perché, un uomo forte come mio padre, si
sia allarmato.”
Poi, con un risolino,
aggiunse: “Anzi, avrei preferito vi lasciasse accapigliare un po’. Mia sorella
è buona, ma ha un caratteraccio, perché è viziata all’inverosimile, e le
sarebbe servita una batosta.”
“Non da me, credimi” replicò
Eikhe, del tutto seria.
Ruak, allora, la fissò
sinceramente stupito, e colmo di ancor più domande che in precedenza.
Sospirando, la ragazza-lupo
scrutò un momento fuori dalla finestra – ora nevicava davvero forte – prima di
domandare al principe: “Quanto sai della nostra religione?”
“So che credete
nell’esistenza di un dio-lupo, e che, secondo la leggenda, una donna umana si è
unita a lui, generando la vostra stirpe. Non so molto di più, mi spiace” le spiegò Ruak, arrossendo leggermente e
passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
“E’ più di quanto sperassi” replicò
lei, fissandolo nei brillanti occhi azzurri.
No, non era come Aken, ma
aveva il suo stesso sguardo sincero e diretto.
“Il titolo di figlia sacra nasce dalle caratteristiche
somatiche che mi sono proprie. Per intenderci, pelle dorata, occhi d’ambra e
capelli biondo-ramati. Sono i tratti salienti di Hevos, il nostro dio-lupo, e
di sua figlia. Coloro che nascono con questi tratti caratteristici, beneficiano
del titolo di figlia sacra.”
“Quindi, il titolo verrebbe
assegnato solo per una vostra somiglianza al dio-lupo?” replicò scettico Ruak, sollevando
un sopracciglio arcuato.
Ridendo di fronte alla sua
incredulità – in questo, somigliava tantissimo ad Aken – Eikhe sciolse le gambe
per allungarvi sopra gli avambracci.
Scrutando con le sue
profondità ambrate il viso serio e attento di Ruak, gli domandò con estrema
serietà: “Davvero vuoi sapere cosa significhi essere una ‘figlia sacra’?”
Ruak annuì, imitando la sua
posizione e fissandola con sincero interesse.
Eikhe, a quel punto, sorrise
compiaciuta, ben decisa a esporre ogni cosa al principe, quando Aken entrò quasi
di corsa, trafelato e con uno sguardo più che accigliato stampato in faccia.
Vedendoli insieme, aggrottò
la fronte prima di sbottare. “Cosa stai facendo, Ruak?!”
“Nulla, fratello. Stavo solo
amabilmente chiacchierando con Eikhe, prima che tu penetrassi qui come una
furia scatenata” dichiarò il fratello minore, sorridendo sornione alla ragazza,
che restituì il sorriso.
“Tuo fratello si stava
chiedendo cosa potesse significare essere una ‘figlia sacra’, tutto qui” gli spiegò Eikhe. “Mi sembra una domanda
lecita, non ti pare?”
Infuriandosi immediatamente,
Aken fissò in malo modo il fratello prima di replicare seccamente: “Che ti è
saltato in mente di farle domande così personali?! Eikhe, scusalo da parte
mia.”
“Aken, non c’è problema…”
scosse il capo lei, sorprendendolo. “… tuo fratello ha il tuo stesso spirito, e
non ho paura di parlarne con lui.”
“Ne sei certa?” borbottò
lui, titubante, continuando a fissarla con aria esitante.
“E’ una cosa così terrificante
da ammettere?” esalò Ruak, stupito dalla reazione del fratello.
“Per Eikhe, forse sì” sbuffò
Aken, appoggiandosi al davanzale della finestra e continuando a fissare ombroso
il fratello.
“Beh, se è così tremendo,
allora…” tentennò Ruak, deglutendo di fronte allo sguardo accigliato di Aken.
“Non è tremendo, ma può
spaventare chi mi ascolta. E chi mi vede” precisò Eikhe, alzandosi in piedi per
poi porsi di fronte a lui. “Attaccami, principe.”
“Cosa?” esalò Ruak, facendo
tanto d’occhi e schiacciandosi contro lo schienale della poltrona dov’era
accomodato.
Sospirando divertita, Eikhe allora
gli propose: “D’accordo, la faccio più semplice. Punta un coltello al collo di
tuo fratello.”
“Ehi, dico!” esclamò Aken,
con un mezzo sorriso, fissandola con ironia.
Sollevando un sopracciglio
con aria ammiccante, lei disse per contro: “Disarmerò tuo fratello prima ancora
che dica bah!”
Un po’ sorpreso, Ruak
estrasse lo stiletto che teneva alla cintura e, come chiestogli da Eikhe, si
mosse per raggiungere il fratello, l’arma saldamente stretta nel suo pugno.
Come sempre, la ragazza-lupo
percepì il correre del sangue nel suo corpo, l’accelerarsi del suo cuore, i
muscoli tendersi.
Sapeva
che Aken non era in pericolo, sapeva
che quello era solo un gioco, ma il fuoco dentro di sé non comprendeva la
differenza tra realtà e finzione.
In un lampo, si mosse veloce
come un lupo e disarmò Ruak senza dargli il tempo di reagire, strappandogli di
mano lo stiletto con una tale forza da torcere quasi le dita del giovane
principe.
Fissandola basito mentre, massaggiandosi
la mano indolenzita, Eikhe consegnava a un divertito Aken lo stiletto del
fratello, Ruak la squadrò in viso per alcuni attimi prima di esclamare: “Mi
venisse un colpo! Come hai fatto?”
Rilassando i tratti del
volto – che si erano tesi come corde di liuto nel momento stesso in cui Ruak
aveva mosso il primo passo verso Aken – Eikhe lo fissò a sua volta per
sincerarsi sulle sue prime reazioni.
Con un sorriso sollevato,
apprezzò non poco il fatto che fosse eccitato da quel piccolo spettacolino
improvvisato.
Non spaventato.
Sorridendo ad Aken che le
stava strizzando l’occhio complice, Eikhe asserì con tranquillità: “E’ quanto
volevo spiegarti prima. Possiedo la forza di un lupo, o forse di più, e questo
è il tratto più peculiare dell’essere
una figlia sacra, anche se non il più evidente.”
“Credimi, sei più forte di
un lupo” celiò Aken, scrollando le spalle. “Quell’uomo sul Valico, lo hai
sollevato con una mano sola, Eikhe, ed era più del doppio di te.”
“Dovevi proprio ricordarmelo?”
replicò lei, con un sospiro tremulo.
“Scusa, ma la faccenda è
reale” dichiarò Aken, adombrandosi nuovamente. “Stavo pensando a quanto detto
da Nargan. E’ possibile che le figlie sacre che sono presso di lui, possano
schierarsi contro Enerios?”
“Non saprei ma, per
difendere i propri figli, combatterebbero eccome” sospirò Eikhe,
sorprendendolo. “Mi viene il sospetto che Nargan le abbia legate a sé con il
vincolo dei figli. Se lui le avesse messe incinta con la forza, o ne tenesse
prigionieri i figli, loro sarebbero costrette dal sangue a combattere.”
“Il sangue? Il legame
affettivo coi figli?” le chiese Aken, cercando di seguirne i pensieri.
Annuendo, Eikhe asserì
mestamente: “Per una donna-lupo, non c’è vincolo più forte di quello esistente
con le proprie figlie ma, per una figlia sacra, la cosa è ancora più profonda.
E’ un bisogno fisico, come tu ben sai.”
“Cosa intende dire?” volle
sapere Ruak, guardandoli con espressione confusa.
“Eikhe aveva il compito di
portare a termine la sua missione, che comprendeva tenere in vita me e, per una
figlia sacra, è un vincolo viscerale” gli spiegò Aken. “Durante una scaramuccia
con alcuni uomini di Vartas, nonostante Eikhe fosse ferita a un braccio, non ha
smesso di combattere finché non ha avvertito che il pericolo era scemato.”
“Potete…fare questo?” esalò
Ruak, con reverenziale timore.
Lo sguardo terribilmente
grave di Eikhe parlò per lei.
“Le figlie sacre possono
avvertire il pericolo nell’aria come farebbe un lupo. Sentiamo gli stessi odori
che percepiscono loro, udiamo le stesse cose, anche se solo quando… beh, quando
siamo attive, per così dire.”
“Quando, insomma, acquisite
questa forza.” ipotizzò Ruak, cercando di capire cosa volesse dire.
Eikhe annuì più volte, grata
per gli sforzi del principe di comprendere ciò che stava tentando di spiegare.
“Se loro sentissero minacciati
i propri figli, muterebbero immediatamente e, finché la minaccia non fosse
terminata, continuerebbero a lottare, fino a morire, ma continuerebbero.”
Aken sospirò ombroso e Ruak,
preoccupato, disse grave: “Se tanto mi da tanto, nemici simili si possono solo
uccidere, ma non ferire, e neppure tanto facilmente, temo.”
“Già” sospirò Eikhe.
***
Muovendo la mano sul
lenzuolo mentre, insonnolito, cercava la figura sinuosa di Eikhe, Aken si
risvegliò di soprassalto quando non trovò altro che le pellicce.
Sorpreso, si mise a sedere
sul letto per cercare la sua figura nella stanza. Nulla. Di lei, neanche
l’ombra.
Già terrorizzato all’idea
che Eikhe avesse approfittato del suo sonno, per andarsene, Aken bloccò
immediatamente qualsiasi suo tentativo di cercarla quando un suono lontano
attirò la sua attenzione.
Afferrata la sua vestaglia
da camera, uscì dalla sua camera da letto per dirigersi sulla balconata della
sua stanza, ormai ampiamente ricoperta di neve.
La coltre di nubi nere che
copriva Rajana gli impediva di vedere la luna, ma la luce era sufficiente per
scorgere una figura scura appollaiata sul parapetto del balcone.
Eikhe.
Ancora un ululato. Sì, non
si era sbagliato. Nel silenzio della notte, un lupo stava ululando.
Aken si avvicinò in silenzio
alla ragazza che, assorta, stava ascoltando quell’ululato solitario.
Quando lui le fu accanto, la
vide alzarsi e scendere con un balzo, mentre quel lugubre suono si spegneva
nella notte.
“Cosa succede?” volle sapere
il principe, stringendola a sé perché potesse scaldarsi col calore del suo
corpo.
Con un piccolo sorriso, lei
si strinse ad Aken, prima di mormorare: “La tempesta infurierà per una
settimana o più. Lui ne ha bisogno per mandare il suo monito a tutte noi.”
“E’ chi penso io?” esalò
Aken, impallidendo leggermente.
Annuendo, Eikhe disse: “E’
tornato per aiutarci, Aken. Sa bene che la mia sola parola non cancellerà la
paura e il risentimento delle mie compagne, ma la sua parola sarà come
il sole sulla neve. Scioglierà ogni resistenza, e le donne-lupo combatteranno
al vostro fianco.”
Sfiorandole una spalla con
la mano, Aken le domandò intuitivo: “Diceva anche dell’altro, vero?”
Lei sospirò e assentì.
“Mi sta… concedendo un po’
di tempo.”
“Per cosa?” volle sapere
lui.
“Per stare con te” ammise
Eikhe, guardandolo negli occhi.
Ad Aken non servì sapere
altro.
**********
Mi sento sempre un po’ carogna, quando arrivo a questo punto, ma non si può evitare ciò che succederà entro breve. Spero che la lettura sia stata piacevole, e spero di poter aggiornare quanto prima! Fatemi sapere cosa ne pensate! ^_^ |
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Capitolo 12 *** cap.12 ***
12.
Seduta sul parapetto interno
di uno dei camminamenti, che sporgeva sul cortile di palazzo, Eikhe stava
osservando assorta Aken.
In compagnia di Ruak e Kannor
– che aveva conosciuto il giorno seguente il loro arrivo – scrutavano il
principe, impegnato a spiegare ai soldati cosa volesse dire avere a che fare
con le figlie sacre.
Non essendo mai state
affrontate su un campo di battaglia, erano vere incognite per tutti loro.
Sinceramente divertita dallo
scetticismo dei soldati e dagli strenui, quanto inutili, tentativi del principe
di mettere a parole quanto sapeva, la ragazza chiese ai suoi due compagni di
passeggiata: “E’ davvero convinto che gli crederanno sulla parola?”
“Forse, dovrai dimostrarlo
coi fatti” ammise Ruak, guardandola con un sorriso complice, dopo aver scrutato
a sua volta Aken e aver ridacchiato senza ritegno alcuno.
Ammiccando nella sua
direzione, Eikhe gli spazzolò il mantello coperto da un dito di neve e mormorò premurosa:
“Ti buscherai un raffreddore, principe, a startene qui fuori. Perché non torni
dentro?”
Ridendo divertito, lui
scrollò le spalle e ribatté tranquillamente: “Sono abituato a stare all’aperto.
Tu, piuttosto, non hai freddo con quell’abito così leggero?”
Guardandosi la tunica lunga
al ginocchio e gli stivali di pelle che le arrivavano sì e no a metà polpaccio,
Eikhe storse il naso e disse per contro: “Da dove vengo io, questa temperatura
è gradevole.”
Ruak la fissò con autentica
sorpresa prima di scoppiare a ridere ed esalare: “Allora, preferisco non sapere
cosa intendi tu, per freddo!”
Ridendo con lui, Eikhe replicò:
“Chiedilo a tuo fratello; lui lo sa.”
“Posso immaginarlo. Se i
Monti Urlanti sono degni del loro nome, non credo sia stata una passeggiata
attraversarli” brontolò Ruak, prima di vedere Aken volgersi a mezzo per
guardarli curioso. “Penso sia giunto il tuo momento, Eikhe. Mi sembra essere
ormai a corto di parole.”
“Dici?” ammiccò lei,
alzandosi con un piccolo balzo dal muro di cinta per tornare a poggiare i piedi
sul camminamento, appena ripulito dalla neve.
Nelle vicinanze, sempre ligi
al loro dovere, i soldati scrutavano la città armati di alabarde, sui loro
volti la concentrazione massima dipinta a lettere cubitali.
Ma i loro occhi
scintillavano di ilarità, forse divertiti dall’atteggiamento materno di Eikhe
nei confronti di Ruak, o per via della loro aperta mancanza di rispetto del
protocollo.
Era a dir poco indecoroso
che la giovane ragazza-lupo passasse così tanto tempo da sola – e senza una
nobildonna al seguito – con il principe Ruak, ma a entrambi non sembrava
importare nulla.
La prima volta che Melatha
aveva fatto ‘accidentalmente’ notare
la cosa al fratello, lui le aveva riso in faccia, proponendole per contro di
essere lei la dama di compagnia della
loro ospite.
Con uno sguardo sdegnato e
un insulto piuttosto colorito, Melantha si era allontanata in uno svolazzare di
gonne e pizzi, lasciando il fratello a ridere sguaiatamente di fronte a tanto
livore.
Quando poi aveva raccontato
ogni cosa a Eikhe, l’ilarità era cresciuta alle stelle.
Da quel momento, come per un
tacito accordo tra di loro, i due giovani avevano fatto il tutto e per tutto
per farsi sorprendere in luoghi appartati e, sovente, senza la compagnia di Kannor
o Aken.
Anche grazie a
quell’infantile scherzo ai danni della sorella, Ruak aveva avuto l’opportunità
di fare conoscenza con la giovane amica del fratello.
Certo, aveva dovuto rassicurarla
circa le sue buone intenzioni ma, alla fine, Eikhe si era rilassata al punto
tale da essere sincera e diretta anche con lui, non solo con Aken.
Non che non valesse la pena
di puntare a una ragazza come lei, ma Ruak aveva capito ben presto che Eikhe non
era la persona adatta per un semplice giro tra le lenzuola.
E neppure lui avrebbe voluto
un simile sollazzo, da lei.
Le piaceva in mille modi
diversi, ma non come donna da portarsi a letto, il che era una bella novità,
per lui e per i suoi giovani ormoni impazziti di sano diciottenne.
Eikhe era davvero una donna speciale.
Sorridendole mentre
continuava a osservare il cortile gremito di soldati, le chiese: “Hai bisogno
di una mano, per convincerli?”
Pensandoci su un attimo,
Eikhe gli propose a sorpresa: “Tieni puntata su di me una freccia.”
“Che cosa?” esalò Ruak,
impallidendo visibilmente.
Accennando una risatina
divertita, Eikhe aggiunse: “Mentre Aken mi presenterà agli uomini, scagliala
contro di me, ma senza alcun preavviso.”
“Sei… sicura?” tentennò il
giovane principe, storcendo il naso prima di cercare con lo sguardo l’aiuto di
Kannor.
L’attendente di campo di
Aken fissò la ragazza parimenti sorpreso e le chiese preoccupato: “Non è un po’
troppo rischioso, Eikhe?”
Strizzando un occhio con
aria complice, Eikhe si limitò a dire: “Fidatevi,… Ruak non mi centrerà.”
“Lo spero, o mio fratello mi
farà a fettine sottili, e poi mi mangerà” deglutì vistosamente Ruak, portando la
ragazza-lupo a ridere dolcemente.
“Aken non ti torcerebbe un
capello. Ti vuole troppo bene, per farlo” scrollò le spalle Eikhe, ammiccando
poi a Kannor, che annuì più sicuro.
“Tu dici?” gracchiò Ruak,
lanciando uno sguardo al fratello e al suo aiutante di campo.
“Io dico di sì” annuì lei,
avviandosi poi verso le scale che l’avrebbero condotta nel cortile dabbasso.
“Dici che devo fidarmi?”
chiese ancora Ruak, guardando Kannor con espressione dubbiosa e disperata
assieme.
“Eikhe mi pare convinta, e
io sono sicuro che non le succederà nulla. Aveva uno sguardo più che
tranquillo” annuì l’attendente, dandogli una pacca sulla spalla.
“Parli bene, tu. Non sei tu
a dover puntare una freccia su di lei” brontolò Ruak, andando a prendere il suo
arco di malavoglia.
Con un sorriso divertito a
illuminargli il viso, Kannor rimase sui bastioni a osservare gli uomini,
dabbasso, in attesa dell’arrivo di Eikhe.
Curioso, si chiese cosa
sarebbe successo, una volta che la ragazza avesse mostrato loro cosa
sapesse esattamente fare una figlia sacra.
Lui era già stato testimone
della sua bravura, e aveva insistito a sua volta con il principe perché
l’esercito ne venisse messo al corrente.
Ora, però, si chiedeva se
non fosse un’impresa troppo complessa, convincere dei guerrieri fatti e finiti
della pericolosità di una donna che, alla fin fine, arrivava a malapena alla
spalla del loro principe.
Certo, Eikhe non era piccola
– superava di poco il metro e settanta e, per una donna, era un’altezza
mirabile – ma il metro e novanta di Aken rimarcava la differenza di statura.
E di stazza.
Voltandosi a mezzo quando vide
tornare Ruak con il suo arco stretto in mano, Kannor disse: “Speriamo basti.
Non vorrei davvero vederla al suo peggio.”
“Neppure io. Mi spaventa la
sola idea” borbottò Ruak, incoccando una freccia al suo arco. “Una volta, per
scherzo, ho provato a fare un agguato a mio fratello, e non ti dico dove mi
sono ritrovato.”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa, Kannor lo fissò come in cerca di spiegazioni e Ruak,
sospirando, allentò la presa sulla freccia per parlare.
“Dopo la prima volta in cui
ho visto in azione Eikhe, ho voluto scoprire fin dove si potesse spingere il suo dono, così mi sono nascosto in
una delle alcove dei corridoi e ho aspettato di veder passare lei e Aken. Beh,
nel giro di mezzo secondo, mi sono ritrovato lungo disteso sui tappeti, con lei
a cavalcioni su di me e la sua maledetta daga piantata contro la gola.”
Kannor sgranò gli occhi,
sinceramente sorpreso, prima di sentirlo aggiungere: “Non ti dico quanto ero
sconvolto… e quanto era sconvolta lei!
Si è profusa in scuse per più di un’ora, mentre mio fratello mi insultava a più
riprese, finché non ho detto a Eikhe di smetterla, altrimenti mi sarei
mortalmente offeso.”
“Beh, se non è una prova
quella!” esclamò Kannor, fischiando ammirato.
“Da quel momento non ho più
provato a fare nulla, anche perché Eikhe ci resterebbe troppo male, se per
disgrazia finisse col farmi anche solo un graffietto, e io non voglio in alcun
modo ferirla. E’ una ragazza troppo dolce e sensibile, perché io mi diverta con
lei solo per dare sfogo alla mia curiosità” dichiarò Ruak, tornando a incoccare
la freccia.
Sorridendo sornione, Kannor
celiò al suo indirizzo: “Qualcuno ha preso una cotta?”
Sbuffando, lui replicò
accigliato: “Qualcuno si è reso conto
che ci sono ben più di un paio di tette e un bel culo, in alcune ragazze.”
Limitandosi a ridacchiare,
Kannor gli sorrise vagamente orgoglioso mentre Eikhe raggiungeva Aken sotto gli occhi curiosi
e dubbiosi degli uomini radunati nel piazzale.
Sorridendo al principe dopo
aver fatto un breve cenno a tutti i soldati presenti nel cortile, la ragazza dichiarò
senza preamboli: “Sono scettici, eh?”
“A dir poco” borbottò Aken,
guardando curiosamente suo fratello e Kannor sui bastioni interni del maniero.
“Perché Ruak ha l’arco? Deve andare a lezione?”
“Qualcosa del genere” mormorò
vaga Eikhe, sorridendogli misteriosamente.
Lui storse il naso, poco
convinto, ma tornò a rivolgersi ai suoi uomini.
“So che, all’apparenza, una
figlia sacra può apparire come una qualsiasi altra donna, ma credetemi, non è
così.”
“Detta a questo modo,
crederanno che io abbia corna e coda nascoste da qualche parte” celiò Eikhe,
facendo scoppiare a ridere diversi uomini.
Ridendo a sua volta, Aken
scrollò le spalle prima di continuare il suo discorso.
“Potrete riconoscerle
perché hanno tutte i capelli chiari e
gli occhi ambrati, oltre ad avere una forza smisurata, e una velocità di
movimento di molto superiore a quella di un uomo comune.”
In quel mentre, il sibilo di
una freccia oltrepassò il cortile ed Eikhe, con destrezza, si volse a mezzo e
intercettò il dardo con una mano sotto gli occhi sgomenti dei soldati e di
Aken.
Un coro di sorpresa si levò
dai presenti mentre Aken, fissando furioso il fratello – che lo stava salutando
con aria imbarazza e impertinente al tempo stesso –, si chiese che razza di
scherzo fosse quello.
Gli era quasi venuto un
colpo nel sentire il sibilo della freccia, ma non aveva affatto capito da dove
stesse provenendo.
Quando Eikhe l’aveva
intercettata senza difficoltà, aveva di sicuro perso almeno dieci anni di vita.
Prevenendo qualsiasi
reazione violenta da parte di Aken, Eikhe disse lesta: “Gliel’ho detto io. Era
il modo migliore per far capire ai tuoi uomini cosa significhi avere a che fare
con una come me.”
Spezzando il dardo tra le
dita, Eikhe continuò seria, rivolgendosi ai soldati ancora attoniti:
“Avvertiamo per natura il pericolo rivolto contro di noi, o contro coloro che
riteniamo di dover proteggere, esattamente come farebbe un lupo per la propria
famiglia. Dovrete tener conto del fatto che, molto probabilmente, le figlie
sacre contro cui combatterete saranno guidate dal bisogno impellente di
proteggere le loro creature. Penso sia l’unico modo in cui Nargan le abbia
legate a sé, e cioè mediante i figli, o altre sorelle di sangue tenute
prigioniere.”
“Vorresti farci credere che
…” tentennò un soldato, guardandola dubbioso “…che non è tutta una messinscena,
questa? Eri d’accordo con il principe!”
Sbuffando, Eikhe fissò Aken
e dichiarò sgarbata: “Gli uomini delle pianure hanno la testa più dura di un
macigno, a quanto vedo, non ero solo un problema dei tuoi compagni d’arme! Mi
chiedo come potrete vincere contro Nargan, se ragionate così!”
Prima ancora di poter
replicare all’aspro commento di Eikhe, Aken scorse il soldato che aveva
parlato lasciare le fila del gruppo per
avventarsi contro la ragazza.
Già sul punto di bloccarlo e
di rimproverarlo a male parole, il principe sì bloccò non appena si avvide del
sorriso soddisfatto di Eikhe, dipinto sul suo volto sereno.
Lo aveva fatto di proposito!
Come un bisonte infuriato,
il soldato si avventò contro Eikhe con tutta l’intenzione di gettarla a terra.
I sensi della ragazza, però,
risvegliati dal pericolo, registrarono con dovizia di particolari ogni suo
movimento e ogni difetto nella sua postura offensiva.
Approfittandone istantaneamente,
lei lo atterrò con una spazzata prima di arrampicarsi lesta sul cornicione di
una finestra nelle vicinanze, fissando il gruppo dall’alto con i suoi occhi
ambrati, ridotti a due esili fessure infuocate.
Un basso ringhio di gola le
scaturì dalla bocca dai denti snudati e gli uomini, osservandola al colmo dello
stupore, fecero istintivamente un passo indietro.
Ma non il soldato gettato a
terra.
Lui, indifferente al
pericolo, sguainò un pugnale dal fodero e si lanciò nuovamente contro Eikhe
sotto lo sguardo sofferente di Aken.
Pur comprendendo le
motivazioni della ragazza, temette per la sua incolumità.
Non vista, Anladi osservò a
sua volta la scena dalla Sala della Musica, stringendo convulsamente le mani
attorno alla stoffa dell’ampia gonna.
Eikhe sogghignò nel vedersi
nuovamente attaccare dall’uomo e, preferendo una risposta diretta, si avventò
contro di lui come avrebbe fatto Nys.
Atterrandolo senza sforzo
alcuno, strinse una mano attorno al suo collo, mentre l’altra lo disarmava con
uno schiaffo violento.
Senza fatica, lo immobilizzò
a terra, poggiando le ginocchia sugli avambracci del soldato.
Una mano stringeva il suo
collo taurino, mentre l’altra era sollevata sopra la sua testa, come monito a
non muoversi.
La voce che scaturì dalla
sua bocca era metallica e fredda come il ghiaccio.
“Avresti dovuto restare
dov’eri, e non attaccarmi!”
Rivoli di sudore ghiacciato
scesero sul volto attonito e spaventato del soldato che, invano, cercò di
liberarsi dal suo peso.
Gli altri soldati e Aken
osservavano muti la scena, in ansiosa attesa dell’esito finale dello scontro.
Eikhe, non contenta, chinò
il viso verso di lui, i denti messi in evidenza dal sogghigno dipinto sul suo
volto, reso inespressivo dalla furia.
Con un sussurro di ghiaccio,
aggiunse: “Berrò il tuo sangue e godrò del suo calore lungo la gola.”
“Eikhe” si arrischiò a
richiamarla Aken, temendo potesse perdere il controllo.
Le sue mani stavano tremando
considerevolmente.
La furia stava avendo il
sopravvento sul suo intento primario.
Il lupo stava uscendo in
tutta la sua violenta e primordiale ferocia.
La ragazza si volse rabbiosa
verso di lui e a quel punto Aken, non potendo fare altro per fermarla, si
avvicinò guardingo a lei e si inginocchiò al suo fianco.
Con voce carezzevole,
mormorò: “Non ti è nemico, Eikhe. Anche lui è sotto la tua tutela. E’ uno dei
miei uomini, come lo era Lenar.”
Nel sentirlo nominare, Eikhe
sgranò gli occhi, che si fecero liquidi di lacrime e, lasciando immediatamente
la presa dal collo del soldato, fissò Aken e disse confusa: “Scusa, io non… non
avrei dovuto… però…”
Sul collo del soldato era
presente un’ecchimosi più che evidente.
“Sst, non dire nulla,
Eikhe…” la azzittì gentilmente lui, aiutandola ad alzarsi mentre alcuni soldati
accorrevano a dare una mano al compagno ancora steso a terra. “… hai fatto
bene. Era l’unico modo per chiarire le idee a tutti.”
Mordendosi un labbro per la
tensione nervosa, Eikhe strinse i denti fino a far spillare una goccia di
sangue e Aken, turbato, esalò: “Eikhe, attenta, ti stai facendo male!”
“Devo. E’ l’unico modo che conosco per calmarmi” ansimò la ragazza
prima di fissare lo sguardo sui soldati ed esalare con voce roca: “Non si
fermeranno mai, mai! L’unico modo per
bloccarle è ucciderle.”
I soldati annuirono, ora più
che convinti della veridicità delle sue parole.
Guardandola spiacente, Aken
mormorò contrito: “Non avrei dovuto obbligarti a portare a galla un simile
potere.”
“Se servirà a salvare i tuoi
uomini, allora il mio dolore sarà stato speso per una giusta causa” disse per
contro Eikhe, leccandosi il labbro ferito e calmandosi gradatamente.
Le mani le tremavano ancora,
ma ora in maniera meno convulsa.
Pur desiderando abbracciarla
e aiutarla a farle passare la paura, il principe si limitò a fissare i suoi
uomini uno a uno, prima di asserire torvo: “Non sottovalutatele mai, se non volete
ritrovarvi con la gola mozzata.”
“Lo… lo avresti fatto sul
serio?” chiese il soldato ferito, fissando Eikhe con occhi ancora leggermente
sgranati dalla paura.
Eikhe annuì lapidaria, senza
remora alcuna.
“Una volta che il processo è
innescato è difficile, per non dire impossibile, bloccarlo. Il principe mi ha
detto l’unica cosa che avrebbe potuto frenare la mia mano.”
Il figlio di Lenar, presente
tra le fila dei soldati, le sorrise benevolo e dichiarò: “Penso che tu ci abbia
dato una grande lezione di umiltà, ragazza-lupo… per quanto mi riguarda, io ti
ringrazio.”
Eikhe annuì debolmente,
rivolgendo un sorriso grato al giovane.
Più tranquillo, Aken la
fissò in viso per comprendere come stesse.
I suoi occhi erano
nuovamente limpidi, privi del ghiaccio rovente che era brillato ferale nel suo
sguardo. Forse, il peggio era passato.
“Quante figlie sacre hai
detto che ci sono, sulle montagne?” chiese a quel punto Aken, intrecciando le
braccia sul petto per impedirsi, ancora una volta, di stringerla a sé.
Averla così vicina e non
poterla toccare come avrebbe voluto, era un’autentica tortura.
Rimuginandoci un attimo,
Eikhe asserì: “Saremo poco più di un centinaio, non di più.”
“E Nargan, quante ne avrà
con sé?” chiese allora lui, aggrottando leggermente la fronte.
“Spero il meno possibile.
Ma, visto che ha nominato le donne del passo, so con certezza che, tra quelle
tribù, erano presenti almeno una ventina di figlie sacre. Inoltre, non posso sapere
se quelle che risiedono nel regno di Anarsis abbiano o meno avuto a che fare
con Nargan, perché non abbiamo molti contatti con loro. Il loro numero potrebbe
variare da venti, a cento, senza alcun problema” ammise Eikhe fissando cupa
Aken, spiacente per ciò che stava dicendogli.
Lui annuì grave prima di
sentire sulla pelle il calore inconfondibile di un raggio di sole.
Impallidendo leggermente,
tornò a guardare Eikhe, notando sul suo viso lo stesso pallore.
La neve aveva smesso di
cadere e, entro breve, le sarebbe stato possibile prendere la via di Marhna.
Il tempo era scaduto.
Tornando a rivolgersi agli
uomini di Aken, Eikhe dichiarò lapidaria: “Non esiste nulla, in natura, che
possa fermare una figlia sacra lanciata in battaglia. Quindi, dovrete
ucciderle, perché ferirle non basterà. E dovrete essere rapidi, perché una
figlia sacra è pericolosa finché non muore.”
Gli uomini la guardarono con
serietà ed Eikhe, con un piccolo sospiro, aggiunse mestamente: “Credo non ci
sia altro da dirvi. Avrei preferito avere più tempo per mostrarvi come ci
muoviamo durante una battaglia, ma credo di non poter più rimanere. Devo
tornare a Nestar.”
“Non puoi proprio
aspettare?” esalò Aken, restio a lasciarla andare.
Scuotendo il capo, Eikhe mormorò
a capo chino: “Lui è stato chiaro. A tempesta finita, avrei dovuto
ripartire. Sono passate due settimane, e non posso più attendere. Ormai,
l’inverno è cominciato e devo approssimarmi ai monti, se non voglio rimanere
bloccata qui.”
“Capisco” sospirò Aken,
prima di veder avvicinarsi il fratello e Kannor.
Sui loro volti, era evidente
che anche loro avevano compreso che il tempo di Eikhe alla capitale era
terminato.
Come sicuramente era
visibile nei suoi occhi, anche nei loro brillava una triste luce di rimpianto.
“Voi due, rimanete con gli
uomini e spiegate tutto che avete imparato a vostra volta sulle figlie sacre.
Avere più opinioni in merito non farà che bene. Poi, io e te, fratello,
parleremo un po’.”
Annuendo preoccupato, Ruak
prese Eikhe per una spalla e disse: “Di’ una buona parola per me, ti prego.”
“Contaci” gli sorrise Eikhe,
avviandosi in direzione del palazzo in compagnia di Aken.
Una volta avvolti dalle
pareti gradevolmente calde del maniero, Aken scortò la ragazza in una sala
d’armi del pianterreno.
Dopo aver controllato
attentamente, e per diversi minuti, le rastrelliere colme di spade e daghe di
antica fattura, si volse in direzione della ragazza.
“Vorrei farti dono di una
daga nuova, se per te va bene. Un piccolo segno della mia riconoscenza, per
tutto ciò che hai fatto per me e per il Regno.”
“Sai che non ce n’è bisogno”
replicò lei, sorridendo.
“Mi va di farlo” replicò
Aken, volgendosi per mostrarle l’oggetto scelto per lei.
Avvolta da un elegante
fodero di cuoio nero a ricami dorati, una daga dall’ampia lama pendeva dalle mani
di Aken.
Prendendola con timore
reverenziale, osservò ammirata la bella trafilatura in oro che percorreva tutta
l’elsa fino al pomo e lì, con eleganza, andava a formare un giglio sulla
superficie liscia e lucida di un’ossidiana.
“E’ davvero un dono degno di
nota. Sei sicuro di volermela regalare?” esalò Eikhe, guardandolo negli occhi
verdi e brillanti di lacrime.
Annuendo, lui tornò a
togliergliela dalle mani per poi mormorare: “Meriteresti mille altre cose
ancora, e lo sai.”
“Aken” sospirò lei, guardandolo
spiacente, le lacrime che pungevano anche i suoi occhi ambrati.
Allacciatagliela al fianco,
Aken ristette un momento con le mani sulla cinghia di cuoio poi, con un
sospiro, le domandò: “Posso avere un ultimo bacio, almeno?”
A Eikhe sfuggì un risolino
e, alzatasi in punta di piedi, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con la
stessa passione che aveva sempre messo in ogni loro incontro amoroso.
Aggrappandosi a quelle
sensazioni, le disse subito dopo: “Abbi pietà del mio cuore, Eikhe, e
promettimi che resterai solo mia.”
“Te l’ho già detto, manterrò
il patto, principe” sorrise lei, allontanandosi di un passo quando udì i passi
leggeri di qualcuno raggiungerli nella sala d’armi.
Sulla porta dell’armeria
comparve Anladi che, notando l’arma al fianco di Eikhe, asserì mestamente:
“Immaginavo avresti voluto partire, a tempesta finita, per cui vorrei prendessi
questo, con te.”
Avvicinatasi alla coppia, le
mostrò un mantello di pelliccia di volpe, aggiungendo con tono roco e sentito:
“Ho notato che, tra le tue cose, mancava un indumento pesante per il viaggio
che ti appresti a fare, così vorrei accettassi uno dei miei. Ti terrà al caldo
durante tutto il tragitto, bambina.”
Stringendosi al petto il bel
mantello pregiato, Eikhe esalò a occhi sgranati: “Siete molto buona con me, mia
regina, grazie.”
“Non potrò mai sdebitarmi a
sufficienza con la tua famiglia, Eikhe, ed è il minimo che io possa fare per
colei che mi ha riportato mio figlio” sorrise la donna, abbracciandola con
calore prima di aggiungere solo per le sue orecchie: “Vorrei darti ben altro, ma non è in mio potere, mia
cara.”
Eikhe si limitò a restituire
l’abbraccio, sorpresa e lieta che la regina sapesse, e approvasse.
***
Appoggiata alla sella che
aveva messo a Leance, una volta giunta nella stalla dove il cavallo aveva
soggiornato in quelle settimane, Eikhe osservò Aken con divertimento.
Intento a controllare che le
sacche da viaggio fossero chiuse correttamente, sembrava volesse uccidere
qualcuno da un momento all’altro.
Lo capiva, perché avrebbe voluto
sfogarsi a sua volta allo stesso modo, ma era inutile infuriarsi con
l’ineluttabilità del destino.
“Vanno benissimo, Aken. E’
inutile che le fissi così male.”
Aken sbuffò, lasciando
infine perdere le sacche e la ragazza, arruffando i capelli del principe con una
mano, celiò: “Non essere così ombroso, Altezza.”
Scostandosi, lui si passò
nervosamente una mano tra i capelli per risistemarli e, fissandola malamente, sbottò:
“Ho tutte le ragioni per esserlo, e lo sai! Smettila di burlarti di me, piccola
strega!”
“Adoro quando mi chiami
così” ghignò lei, ben decisa a non mostrare la sua tristezza.
Sospirando afflitto, lui si
volse a mezzo come per andarsene ma poi, bloccandosi a metà di un passo, le ordinò:
“Stai attenta, quando ti troverai sulla carovaniera.”
“Non sono sempre stata attenta?”
replicò lei, prima di vedere Ruak entrare nella stalla. “Principe, buongiorno.”
“Eikhe” le sorrise cordialmente
lui, notando subito il cipiglio irritato del fratello. “Ti sei svegliato male,
Aken?”
“Lasciami in pace, Ruak”
brontolò il fratello maggiore, uscendo a grandi passi dalla stalla e scalciando
un sassolino con rabbia.
Scrollando le spalle di
fronte al comportamento insensato di Aken, Ruak ridacchiò e si avvicinò a Eikhe
per abbracciarla.
Depostole un bacio sulla
fronte, disse: “Fai buon viaggio, e porta con te i miei ringraziamenti per ciò
che hai fatto.”
“Lo rifarei altre mille
volte” replicò Eikhe, prima di aggiungere: “Prenditi cura di tuo fratello. Fa
tanto il gradasso, ma ha un cuore sensibile.”
“Lo so” annuì Ruak,
sorridendole. “Mi sarebbe piaciuto che tu fossi rimasta più a lungo. Avrei
voluto approfondire la nostra amicizia, ma so che c’è bisogno della tua parola
tra le tue sorelle.”
Abbracciandolo nuovamente con
forza, Eikhe mormorò contro il suo petto: “So che sei una persona buona come
tuo fratello, Ruak, e anch’io avrei voluto rimanere di più.”
Sospirando, Ruak la tenne
stretta a sé per un momento, prima di mormorare: “Ad Aken si spezzerà il
cuore.”
Eikhe preferì non dire nulla
e, quando si scostò da lui, gli carezzò una guancia con affetto.
“La donna che conquisterà il
tuo cuore, troverà in te un uomo degno e capace.”
“Grazie, Eikhe” le sorrise
lui, prendendo Leance per le briglie di corda per accompagnarlo fuori dallo
stallaggio.
“Lo penso veramente” disse
solo lei, seguendolo all’esterno con passo lesto.
Nel cortile antistante il
largo portone che conduceva fuori dal perimetro protetto del maniero, trovò ad
attenderla Aken, insieme ad Anladi.
Abbracciandola e baciandola
sulle guance, la regina le disse: “Sii prudente, bambina, e porta i miei
ringraziamenti a Kaihle.”
“Lo farò, mia signora” mormorò
la ragazza, scostandosi dalla donna per sorriderle.
Infilata poi la mano nella
sua scarsella da cintura, le pose tra le mani due piccole pietre dure e dalla
forma sferica.
Anladi, sorpresa, fissò
quelle gemme trasparenti e dal colore dorato senza sapere bene cosa fossero.
“Sono chiamate ‘occhio di lupo’, per via del loro
colore e della forma. Noi figlie del
branco le portiamo sempre come portafortuna, e volevo farne dono a te e a tua
figlia, mia regina. Possono essere indossate solo da donne.”
“Ma… e tu, Eikhe?” esalò
Anladi, rigirandosi le pietre tra le dita, e notando il minuscolo foro passante
che contraddistingueva entrambe le gemme.
“Facevano parte di un
bracciale a sette pietre. Ne avrò in abbondanza, per portarmi fortuna nel
rientro” sorrise Eikhe, lanciando uno sguardo divertito verso le porte del
palazzo, da cui si poteva intravedere la figura semi nascosta di Melantha.
Anche Anladi la notò, e
sorrise mesta nel richiudere la mano sulle gemme, mormorando: “E’ troppo
abituata a essere solo una principessa. Ed è in parte colpa mia.”
“E’ figlia del luogo in cui
è cresciuta, esattamente come me” scrollò le spalle Eikhe.
Nelle settimane passate a
palazzo, aveva notato quanto Melantha fosse imprigionata nel suo ruolo, e
quanto questo la condizionasse.
Dubitava fosse una persona
veramente cattiva, ma il suo ruolo le imponeva un comportamento che non poteva
andare d’accordo con quello di Eikhe.
Ugualmente, voleva lanciarle
quell’offerta di pace. In fondo, dopo quel primo incontro, non era più stata
fastidiosa, con lei.
Come aveva detto alla
regina, era figlia del luogo in cui era cresciuta.
Salendo a cavallo dopo aver
lanciato un ultimo sguardo ad Aken, che reclinò il viso e disse: “Vi ringrazio
per la gentile ospitalità, e prometto che farò il tutto e per tutto, per
convincere le mie sorelle a darvi man forte.”
Ciò detto, diede un colpo di
tacco ai fianchi del cavallo e partì.
Alle sue spalle, Anladi e
Ruak la salutarono con gesti leggeri delle mani mentre Aken, in disparte,
mormorò: “Eikhe.”
Fu il tonfo sordo dei
battenti del portone che si chiudeva, a restituire al principe un minimo di
contatto con la realtà.
La figura di Eikhe era
sparita. Forse, per sempre.
E a lui sarebbe rimasto solo
il ricordo di lei, a imperitura memoria dell’amore che provava per quella
giovane ragazza-lupo.
Anladi gli sfiorò
comprensiva un braccio per ricondurlo a palazzo e lui, con un cenno di assenso,
la seguì.
Melantha li osservò entrare
con un misto tra curiosità e contegno e la madre, nel prenderla sottobraccio,
le sorrise, dicendole: “Potevi venire a salutarla, se volevi.”
La principessa storse il
naso, scuotendo poi la testa, limitandosi a dire: “Non le piacevo. Perché
rovinarle il viaggio con la mia presenza?”
“Non hai fatto molto per
piacerle” brontolò in risposta Aken, vedendosi poi rivolgere uno sguardo di
biasimo dalla madre.
“Tyana ti ha detto qualcosa
in merito?” le domandò intuitiva Anladi, vedendo arrossire la figlia per
diretta conseguenza.
Melantha la fissò con occhi
enormi e spaventati, ma la madre non chiese altro. Sapeva quanto, la figlia,
fosse sensibile ai commenti delle dame di corte.
Purtroppo, vivere in quel
mondo non era facile per nessuno, e la figlia aveva un carattere molto
sensibile ai rimbrotti.
L’idea di perdere la stima
di una sole delle nobili cortigiane, era per lei sinonimo di terrore puro.
Non faticava a immaginarsi
ciò che l’amica le avesse paventato, se solo si fosse comportata come i
fratelli.
Mostrandole perciò una delle
pietre dono di Eikhe, Anladi le disse: “La farò montare su un bracciale, perché
tu possa portarlo quando vuoi. E nessuno saprà mai che te lo ha regalato lei.”
Melantha fece tanto d’occhi
e, nel prendere in mano la singolare pietra ambrata, mormorò: “E’ davvero per
me?”
“Solo le donne possono
portarlo. E’ un portafortuna.”
La principessa, allora,
sollevò il suo polso per mostrare un sottile monile in argento che indossava e,
sorridendo appena, mormorò: “Puoi farlo mettere qui?”
“Tutto quello che vuoi,
figlia mia” assentì Anladi, sorridendo nel vedere come Melantha stringeva nella
mano la piccola pietra.
***
Lasciando andare il grande
stallone alla maggior velocità possibile, Eikhe macinò miglia su miglia
impiegando quasi due settimane a raggiungere la sua gente.
Nonostante le strade fossero
ormai dissestate, e i sentieri boschivi fossero coperti di neve, raggiunse
infine Nestar, la sua casa.
Quando il branco di lupi del
suo clan la accolse nei pressi del villaggio, Eikhe fu lesta a calmare il
cavallo, pregandolo di non spaventarsi.
Procedendo al passo, e
tenendo saldamente le briglie di corda per tenere sotto controllo i lievi
tremori di Leance, Eikhe eruppe in un sorriso colmo di gioia e mestizia insieme,
quando scorse le prime case di legno della sua tribù.
L’arrivo al villaggio di
Nestar fu, per la ragazza, quanto di più doloroso le fosse mai successo fino a
quel momento.
Ormai era lontana da Aken,
lontana da metà del suo cuore, e non poteva far nulla per riavvicinarsi a lui.
Il suo compito era portare
la parola del Re tra le sue compagne, sperando che tutte avessero udito gli
ululati del dio-lupo e avessero compreso la gravità della situazione.
Doveva farsi forza per dare
ad Aken la possibilità di sconfiggere i suoi nemici, offrendogli il maggior
numero possibile di alleati a dargli man forte.
Al tempo stesso, avrebbe
dovuto dimenticarlo e relegarlo in un angolo segreto del suo cuore, sperando
nel contempo di sopravvivere alla separazione.
Non era sicura di poter
continuare a vivere senza di lui, ma aveva fatto una promessa, e lei manteneva sempre
la parola data.
A qualsiasi costo, anche se
sapeva che, questa volta, il prezzo sarebbe stato elevatissimo.
Smontando da Leance con un
agile movimento di gambe gambe non appena giunse di fronte alla casa della
madre, Eikhe lo legò alla palizzata dell’abitazione prima di percorrere i due
gradini di pietra che portavano all’entrata.
Lì, toltasi gli stivali
infangati, bussò un paio di volte al battente di quercia prima di ritrovarsi
davanti la sorella.
Sorprendendola oltremodo, Tyura
la abbracciò ed esclamò con foga: “Sorella! Ormai ti davamo per morta! Cos’è
successo?!”
Dopo aver ricambiato l’abbraccio
con una punta di imbarazzo, Eikhe entrò in casa e indossò le pianelle di
coniglio ai piedi, dicendole con autentico affetto: “Ti spiegherò tutto, Tyura,
tranquilla. Mi fa piacere vedere che stai bene. Sai se la mamma è in casa?”
Al nominarla, la donna
comparve dalla sua stanza e, con un sorriso, la strinse un momento a sé in un
rapido abbraccio, prima di dichiarare: “Il dio-lupo ha risposto alle mie
preghiere. Sei salva, figlia mia.”
Annuendo, Eikhe mormorò
seria in volto: “Lo avete udito, vero?”
Grave in viso, Kaihle annuì
e, nel condurla in salotto, disse: “Spiegami cosa significa il suo messaggio. Diceva
di parlarne con te.”
“Sarà la guerra, madre, e il
Re ha bisogno del nostro aiuto. Durante la mia missione per accompagnare il
principe Aken ad Anok Fort, siamo stati attaccati da re Nargan, che ha
massacrato tutta la scorta di Sua Altezza. Noi ci siamo salvati per miracolo e,
nel risalire verso il Passo di Kortoss, abbiamo visto cosa stanno preparando. Ci
sono decine di migliaia di uomini pronti a invadere il Regno, decisi a
distruggere tutto ciò che incontreranno sul loro cammino” spiegò Eikhe con
enfasi. “Non risparmieranno nessuno, madre. Sono esseri spietati!”
Aggrottando la fronte,
Kaihle si guardò intorno con aria accigliata e, infine, le chiese: “Dov’è Nys?
Perché non è con te?”
“E’ morto sul passo, e
Kalkos è stato ucciso durante l’agguato di Nargan, che ha decretato la morte
dei compagni del principe” sospirò Eikhe, reclinando il capo e sentendo l’ormai
familiare dolore al petto.
Sospirando spiacente, Kaihle
le poggiò una mano sulla spalla, comprensiva.
“Hai subito gravi perdite,
figlia mia, e penso tu sia stanca e provata dal viaggio. Vai a riposare, mentre
io penserò a come risolvere questa situazione. Il Consiglio delle Anziane si
deve riunire quanto prima.”
Annuendo, Eikhe sottolineò
con foga: “E’ importante mettere da parte l’ostilità con gli uomini, madre, e
aiutare il Re, o non ci sarà futuro per nessuna di noi!”
“Hai parlato con Arkan?”
volle sapere Kaihle, accigliata.
“Sì, è stato cortese, e ha
usato i titoli che mi sono dovuti…” le spiegò Eikhe, prima di aggiungere: “…
Nargan è una bestia, invece. Voleva… sobillarmi perché usassi la mia forza… e
mi ha detto che molte di noi sono in mano sua. Non oso neppure pensare a
cosa possa aver fatto loro.”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa e preoccupazione, Kaihle asserì: “Questo è allarmante. Devo
parlarne con le altre capo-tribù. Sei disposta a ripetere ciò che sai anche a
loro?”
“Sì, madre” assentì Eikhe,
ben sapendo il perché di quella domanda.
Fin da quando, alla sua
nascita, il Consiglio delle Anziane era stato informato della sua peculiare
rarità, nessuna di loro aveva mai voluto avere a che fare con lei.
Le figlie sacre erano temute
e odiate dalla maggioranza delle figlie del branco.
Durante le sessioni di
Consiglio tenutesi a Nestar, Eikhe non aveva mai potuto essere presente, per
non scatenare le ire di molte delle consigliere.
Ora, però, avrebbe dovuto
affrontarle nonostante la loro ostilità e i membri del Consiglio, a loro volta,
avrebbero dovuto tacere le loro rimostranze dinanzi a lei, per una volta.
No, non era una cosa che le
facesse piacere fare, ma doveva.
“Bene, ora vai e riposati” ordinò
a quel punto Kaihle, accomiatando la figlia minore.
Annuendo, Eikhe tornò sui
suoi passi per uscire dalla casa matronale
assieme alla sorella e lì, notando la cavalcatura della sorella, Tyura
le chiese: “Dove hai preso quel bel cavallo? E il mantello che indossi?”
“Lo stallone me lo ha
regalato il re, come ringraziamento per ciò che ho fatto. Si chiama Leance” le
spiegò Eikhe, rimettendosi gli stivali. “Il mantello è dono della regina,
invece, mentre la daga me l’ha donata il principe Aken.”
Carezzando il bel pelo
serico dell’animale, Tyura esalò ammirata: “E’ davvero un bell’animale, dai
muscoli possenti e le zampe forti. Deve costare una fortuna.”
“Non lo so davvero ma sì, è bello. Ed è molto veloce” ammise con
un sorrisino Eikhe, prendendo l’animale per le redini per condurlo verso la
piccola stalla di casa sua.
“Mi spiace per Nys, sorella.
Era un lupo davvero buono e fedele” disse a quel punto Tyura, seguendola lungo
la via principale del villaggio, e tenendo a debita distanza le loro sorelle
con occhiate accigliate.
Avrebbero avuto tempo per
parlare con la sorella, ma non in quel momento.
“Ora come farai?”
“Ne sceglierò uno dal
recinto, e gli insegnerò quel che devo” sospirò Eikhe, bloccandosi a metà di un
passo prima di dirle: “Non temere per me, Tyura. Posso cavarmela anche senza
che tu incenerisca con lo sguardo tutto il villaggio.”
Ridendo suo malgrado, Tyura
si passò una mano sulla chioma scura, e ammise: “Eh, già, credo tu possa farlo
davvero. So che abbiamo litigato spesso, in questi anni ma credimi, mi sei
mancata davvero. Quando non abbiamo più avuto tue notizie, ho capito che la tua
morte mi avrebbe spezzato il cuore. Siamo diverse in tante cose, ma ti voglio
bene.”
Sorridendole con autentico
affetto, Eikhe la abbracciò per un istante, replicando: “E io ne voglio a te,
Tyura. Ma ora torna pure dalla mamma. Avrà bisogno anche di te per scrivere le
missive; sono tante e, in due, finirete prima.”
“Già. Ti vedremo per cena?”
annuì lei, sciogliendosi dall’abbraccio.
“Sì, verrò” sorrise Eikhe,
prima di allontanarsi per raggiungere casa sua.
Raggiunta la sua capanna –
che aveva voluto per sé all’età di sedici anni, trovando ormai impossibile
vivere sotto lo stesso tetto della madre – , mise Leance nel suo box al coperto
e gli diede biada e avena.
Dopo aver riempito
l’abbeveratoio, gli tolse sella e sacche da viaggio e lo strigliò a dovere.
Sistemato che ebbe il
cavallo, lasciò le sacche nell’atrio di casa e ne uscì subito dopo per
dirigersi al capanno dei lupi, così da scegliere il suo nuovo compagno.
Non le piaceva sostituire
Nys come se niente fosse, ma sapeva di non poter rimanere senza un lupo.
Facendosi forza, entrò
perciò nell’ampio capanno dove solevano addestrare i cuccioli e, dopo essere
stata accolta dagli uggiolii allegri dei lupacchiotti, si inginocchiò accanto a
loro.
Presone uno in braccio, dichiarò
con un mesto sorriso: “Sarai il mio nuovo compagno, Liar.”
Il bel lupetto grigio le
leccò allegramente il viso e lei, nonostante tutto, rise stringendoselo al
petto e, nel suo pelo, affondò il viso e pianse lacrime amare.
Pianse per Nys, che era
morto per difenderla, e pianse per Aken, che aveva lasciato a Rajana forse per
sempre.
Sapeva che il loro amore non
avrebbe potuto avere altro esito e, pur a malincuore, aveva dovuto partire
senza voltarsi più indietro.
Il suo posto era lì, con le
sue sorelle, e non tra le mura di pietra di un castello.
Anche se, in quel castello,
c’era l’altra parte del suo cuore spezzato.
Dopo diversi minuti passati
in ginocchio nel capanno, circondata dall’allegria inconsapevole dei cuccioli
impegnati in un innocuo gioco, Eikhe se ne tornò alla capanna con il suo nuovo
lupo in braccio.
Non senza sorpresa, si vide
raggiungere dalla cara amica Sendala.
Con un sorriso e un bacio
sulla guancia, le disse: “Ciao, Sendala. E’ bello rivederti.”
“Eikhe, cara! Non sai che
paura mi hai fatto prendere, quando non ti abbiamo più vista tornare!” esclamò
lei, abbracciandola con foga.
Ridacchiando nel sentire il
lupo protestare, schiacciato malamente contro i seni dell’amica, Eikhe si
liberò dell’abbraccio e disse: “Spaventi Liar, Sendala.”
“E Nys?” esalò la ragazza,
impallidendo nel guardarsi intorno con espressione accigliata.
“E’ morto, come Kalkos, ed è
tutta opera di quei maledetti di Vartas” le spiegò Eikhe con asprezza,
invitando l’amica a seguirla nella sua capanna.
“Quando abbiamo sentito la
voce del dio, ci siamo spaventate a morte. Non era mai successo prima” esalò
Sendala, accomodandosi su una sedia coperta di morbida pelliccia di volpe.
Nell’accendere il fuoco nel
camino di pietra con l’intento di scacciare il freddo che, tante settimane di
assenza, si era impadronito di quelle pareti, Eikhe commentò con un risolino: “Dillo
a me, che l’ho visto!”
“Dici davvero?” gracchiò
Sendala con timore reverenziale. “E com’è?”
“Oh, non era in forma umana.
Mi ha detto che non può più riprendere quelle sembianze. Era un enorme lupo
bianco, dagli occhi ambrati e scintillanti. Mi ha detto del pericolo che
incombeva su tutte noi, e mi ha lasciata col monito di convincere tutte le
nostre sorelle a collaborare con il Re. Se vogliamo salvarci, dobbiamo aiutarli” asserì Eikhe, preferendo tralasciare la parte
che riguardava il suo calvario personale.
Nessuna di loro era ancora
pronta ad accettarlo, forse neppure Sendala.
“La vecchia Nahru ha detto
che ci avviciniamo a un’era di grandi cambiamenti, perché il dio non si sarebbe
mai preso la briga di intervenire personalmente per una cosa meno che
importantissima” annuì Sendala, torva in viso.
Gli scuri capelli neri
scintillavano rossastri alla luce del fuoco.
“Ti ha detto quali
cambiamenti?” chiese curiosa Eikhe, continuando a tenere il lupetto sulle
gambe.
Era importante che Liar
imparasse a riconoscere soprattutto il suo odore.
Scuotendo il capo, Sendala sbuffò
contrariata.
“Ci ha solo detto che le
figlie sacre avranno un ruolo molto importante in questa fase di cambiamento.”
“Capisco” sospirò Eikhe,
reclinando il capo per dare un bacio al musetto di Liar che, per diretta
conseguenza, la leccò su una guancia strappandole un risolino.
Sfiorando il capo dell’amica
con una mano, Sendala disse: “Sembri molto abbattuta, Eikhe. Senti la mancanza
di Nys e Kalkos, vero?”
Eikhe non poté che assentire,
pur se sapeva di non stare dicendo interamente la verità.
“Era il mio lupo da così
tanto tempo che… beh, mi ha spezzato il cuore vederlo morire a quel modo.”
“Cos’è successo, Eikhe?”
chiese allora lei, accigliandosi leggermente.
“Eravamo sul Valico di
Kortoss, e ci siamo scontrati con gli uomini di Vartas. Uno di loro lo ha
infilzato con una spada e io…beh, io…” sospirò Eikhe, scrollando le spalle. “…
ho reagito. Li ho uccisi tutti, uno dopo l’altro, sotto gli occhi del principe.”
“Lui… cos’ha detto?” ansò
Sendala, sgranando gli occhi.
Lei era una delle poche ad
aver visto la parte animalesca di Eikhe, e sapeva quanto potesse essere
sconvolgente, la sua vista.
“Nulla. Mi ha solo chiesto
come ci ero riuscita, ma non era spaventato” le spiegò Eikhe, tralasciando il
modo in cui l’aveva accudita dopo quello scoppio di rabbia.
“Beh, dopotutto, gli hai
salvato la vita. Era il minimo, da parte sua, non metterti in imbarazzo”
precisò Sendala, annuendo grave.
Ha fatto ben di più, pensò Eikhe, sorridendo al ricordo.
*************
Non mi uccidete, ma Aken ed Eikhe dovevano separarsi, altrimenti la storia sarebbe finita lì. Le loro avventure, comunque, sono bel lungi dall’essere terminate, perciò continuate a leggere! :) |
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Capitolo 13 *** cap.13 ***
13.
La riunione delle capo-tribù
si svolse il mese seguente il ritorno di Eikhe.
Con un misto tra sorpresa,
sgomento e gioia, la ragazza scoprì suo malgrado di aspettare un figlio da
Aken.
Per evitare qualsiasi
problema con la madre, preferì tacere quella scoperta.
Complice le basse
temperature e i pesanti abiti invernali che erano costrette a indossare, il suo
segreto fu ben protetto dai potenziali sguardi accusatori di tutte.
Nel giorno del Consiglio
delle Anziane, il villaggio di Nestar era in fibrillazione.
Nessuna di loro aveva idea
di quello che le Signore delle tribù avrebbero potuto decidere.
Inoltre, Eikhe non era del
tutto sicura che le preghiere di Hevos avrebbero potuto qualcosa, se tutte loro
non si fossero trovate d’accordo a intervenire per aiutare Arkan contro Vartas.
L’odio che, nei secoli, si
era esteso nei cuori delle donne-lupo nei confronti degli uomini, era così
radicato e potente che, forse, neppure la preghiera di Hevos avrebbe potuto
spezzarlo.
Usati solo per poter avere
delle figlie che portassero avanti la tradizione, gli uomini avevano ben poca
voce in capitolo, nella crescita della prole.
Nel caso in cui fosse nato
un maschio, il bimbo veniva svezzato e poi ricondotto dal padre, indegno del
suo sangue e non adatto a crescere nei boschi accanto alla madre.
Era una tragica verità il
fatto che, pur opponendosi a tante illogiche pratiche sessiste, come le
percosse e il maltrattamento in famiglia, le donne-lupo fossero miopi al pari
degli uomini.
Per Eikhe, ora era evidente
come il sole che brillava tranquillo tra i monti.
Non v’era più alcuna
differenza, tra loro e gli uomini.
Sfruttavano per il proprio
interesse l’altrui sesso, ormai dimentiche della lezione di Hevos che le aveva
volute sì, indipendenti e fiere, ma mai
egoiste.
E non v’era forse egoismo,
in ciò che facevano?
L’amore che Hyo e Hevos
avevano condiviso nel dare alla luce la piccola Evanna non esisteva più, nelle
tribù di donne-lupo a loro devoti.
Era stato sostituito dalla diffidenza,
dal sospetto e dalla cieca cocciutaggine.
Cocciutaggine che, quel
giorno, Eikhe sperava di spezzare o, quanto meno, di veder in parte scemare.
Per l’evento così importante
di quel giorno, Eikhe, Tyura e un altro paio di sorelle erano state incaricate
di preparare la Sala Consigliare.
Le giovani si erano perciò impegnate
per far risplendere ogni più piccola asse del pavimento, o pietra del camino,
che componeva l’enorme salone.
Raccolti per il fuoco odorosi rami di Abete delle Nebbie,
il camino era poi stato acceso nella sala consigliare perché fosse degnamente
accogliente per le ospiti.
Avvolte dal dolce profumo di
resina, una quarantina di donne si erano infine accomodate su morbidi cuscini
ricamati, in attesa dell’intervento di Kaihle e della figlia.
Un vento inclemente sibilava
tra le case di Nestar, mentre una neve fredda e leggera cadeva sulle montagne,
andando sommarsi a quella precedentemente caduta in quelle settimane.
Servendo tisane calde e vino
speziato alle ospiti, Tyura si ritirò in un angolo del salone non appena ebbe
terminato quel compito.
Alzandosi infine in piedi
per meglio osservare le sue ospiti, Kaihle esordì con tono stentoreo: “Grazie a
tutte voi per essere intervenute, nonostante il tempo inclemente di questi
giorni. La situazione è grave, e penso che tutte voi abbiate udito la voce del
nostro dio, tra le guglie di queste montagne.”
Molte annuirono silenziose e
la Signora del Villaggio, proseguendo nel suo dire, aggiunse: “A tutte noi è
parso preoccupante il suo monito ma, chiedendo conferma a mia figlia, ho
scoperto il perché di tanta sollecitudine.”
“Dovremmo dunque schierarci
con gli uomini?” insorse una donna, irritata.
“Per la salvezza di noi
tutte, è di vitale importanza accettare quest’alleanza” annuì Kaihle, seria in
viso. “Di’ quello che sai, figlia.”
Annuendo, Eikhe si alzò in
piedi dall’angolo della stanza che stava occupando assieme a Tyura e si
avvicinò alla madre con passo lesto.
Cercando di ignorare le
occhiate accigliate di molte di loro, si schiarì la voce e iniziò a narrare ciò
che sapeva.
“Agli albori dell’inverno, ho accompagnato il
nostro principe e alcuni suoi uomini sul Sentiero dell’Orso, per scoprire cosa
fosse successo ad Anok Fort. Siamo però stati attaccati dagli uomini di Vartas
e, solo per pura fortuna, io e il principe siamo riusciti a salvarci.”
Un coro di sommesso stupore
si levò tra le donne, ma Eikhe preferì non ascoltare i borbottii di alcune di
esse.
Il fatto che non reputassero
la morte di quegli uomini incresciosa, non le serviva a rimanere vigile e
controllata.
“Quando ci siamo ritrovati
in territorio nemico,…” proseguì la ragazza con tono fermo. “…abbiamo scoperto
cosa cercassero di celare ai nostri occhi i nostri comuni nemici. Vartas sta
radunando un esercito che, attraverso il Valico di Kortoss, invaderà Anarsis e,
da lì, il regno di Enerios. Ho udito lo stesso re Nargan affermare con orgoglio
i propri intenti bellicosi e credetemi, non mentiva.”
Un brusio preoccupato si
levò tra le presenti e un’anziana donna, guardandola torva, dichiarò torva:
“Perché dovremmo abbassarci ad aiutare gli uomini? Sappiamo difenderci da sole.
Inoltre, perché dovremmo credere proprio a te, sik’neam?!”
Accusando il colpo pur non
volendo – odiava essere definita ‘abominio’,
soprattutto da loro – Eikhe reclinò un momento il capo prima di dire umilmente:
“Sono solo un’ambasciatrice della Sua parola, come Lui stesso vi ha detto. E
porto con me la gentile richiesta del Re, che con me è stato generoso e prodigo
di lodi verso tutte noi.”
“Ah, sappiamo bene come gli
uomini cerchino sempre di blandire le donne con le lusinghe e tu, come una
sciocca, ci sei cascata?” replicò l’anziana che l’aveva insultata, irridendola
senza ritegno. “Sei anche andata a scaldare il suo letto, per ringraziarlo della sua cortesia?”
Avvampando in viso, Eikhe
strinse le mani a pugno lungo i fianchi e, con ira a stento trattenuta, si
limitò a dire: “Mai mi sarei permessa di insozzare il nome delle mie sorelle o
di mia madre, compiendo un simile gesto. Ma tengo a precisare che le nostre
tribù vivono grazie alla stirpe dei
re di Enerios, che non ne hanno mai impedito la sopravvivenza. La famiglia
reale non è mai stata contro di noi.”
“Potremmo ricacciare i loro
eserciti in pianura tutte le volte che vorremmo!” sbottò la donna, pur con meno
enfasi di prima.
“Ora non dire sciocchezze,
Neralla. Gli uomini del Re ci farebbero a fettine sottili, se solo volessero.
Sono molti più di noi, e con più mezzi” replicò una delle Consigliere, con una
nota aspra nella voce.
Sollevando una mano per
interrompere sul nascere una discussione inutile, Kaihle si rivolse alle due
contendenti per chetarle.
“Neralla, Ophiana, pace, per
favore. Non siamo qui per disquisire di Re e uomini, ma di una guerra
imminente. Lasciate finire di parlare mia figlia e, solo in seguito,
parlerete.”
All’assenso di tutte, Eikhe
tirò un sospiro di sollievo e proseguì nel suo discorso, sapendo bene di aver
lasciato la vera nota dolente per ultima.
“L’esercito di Nargan può
contare su un numero imprecisato di figlie sacre, tra le loro fila.”
Vedendo impallidire molte
Consigliere, a quell’accenno, aggiunse: “Re Nargan mi ha detto di averne
diverse, nel suo esercito, e sapete bene quale sia il loro potere. Non so
quante siano schierate sotto la sua egida, ma dieci di loro valgono come cento
di noi.”
“Com’è possibile che si
siano vendute a degli uomini?!” ringhiò Neralla.
Levatasi in piedi, mosse i
primi passi verso Eikhe con il chiaro intento di infierire su di lei.
“Non potevamo certo
aspettarci niente di meglio, da feccia come te e le tue compagne! Siete un
insulto allo stesso Hevos! Non meritate di avere simili doni, poiché siete solo
foriere di infelicità e malasorte!”
Intervenendo dal fondo del
salone, Tyura accorse per bloccare Neralla e, frapponendosi tra sé e la
sorella, sibilò con tono aspro e lapidario.
“Un solo passo di più, Consigliera,
e mi riterrò in dovere di snudare la daga. Non si levano le mani, in questa
sala, e tu stai ingiustamente denigrando mia sorella per una cosa che non ha
fatto.”
“E’ così che le educhi,
Kaihle?” brontolò Neralla, fissando malamente la padrona di casa.
Imperturbabile, la donna
replicò: “Al rispetto delle leggi? Sì. Tyura ha detto il vero. Non si levano
mani, qui dentro, e mia figlia minore non ha tradito noi tutte per congiungersi
a Vartas. Potrà anche non incontrare il vostro favore per ciò che è, e su
questo non discuto, ma non ha detto nulla che possa incorrere nel tuo biasimo.”
Preferendo non dare troppo
peso alle parole della madre che mai, nel corso della sua breve vita, l’aveva
difesa dall’accusa di essere una sik’neam,
Eikhe poggiò una mano sulla spalla di Tyura perché si scostasse.
Dopo averne visto l’assenso,
disse: “Non ho mai levato la mano contro nessuna di voi, Consigliera, né
comincerò certo oggi, ma non ti permetto di insultarmi gratuitamente, non
avendone motivo.”
“Non mi scuserò con te,
figlia di Haaron” le sputò in faccia Neralla, usando il peggior epiteto
possibile si potesse rivolgere a una figlia sacra.
Sgranando gli occhi di
fronte a quell’esplicita violazione del protocollo, Eikhe rimase senza parole.
Tyura, al contrario, si
lanciò in un’esclamazione piuttosto colorita, replicando furiosa: “Non sarai
d’accordo nell’usare il titolo che spetta a mia sorella, ma non osare mai più nominare in questa stanza il
nome del dio-corvo, quando ti rivolgi a lei!”
“Avremmo dovuto cancellare
quel titolo assurdo secoli fa!” sbottò Neralla, fissando in cagnesco Tyura.
“Solo Evanna La Splendente ne era degna! Loro…”
e, nel dirlo, puntò il dito contro Eikhe. “…sono solo delle aberrazioni della
natura! Non meritano il potere di un dio nelle mani!”
“E’ la gelosia, a parlare?”
intervenne all’improvviso una donna sul fondo della sala, sorprendendo tutte le
presenti.
Tutte le Consigliere si
volsero verso la figura che, per ultima, era entrata nella sala e la diretta
interessata, levatasi in piedi, mostrò a tutte i suoi splendenti occhi dorati –
al pari dei capelli stretti in una treccia.
“Prima di rivolgere simili
insulti a quella piccina, che non può difendersi da te perché molto più educata
di una certa Consigliera di cui non farò
il nome, accanisciti contro di me, se ne hai il coraggio, e pagane le
conseguenze.”
Neralla tentennò un momento,
allentando la tensione alle spalle e la figlia sacra, sorridendo divertita,
esclamò: “Ah, una volta giunti al dunque, taci, Neralla? Dov’è il tuo coraggio?
Non combatti contro chi può risponderti a tono?”
“Kreathe, ti prego…” sospirò
Kaihle, scuotendo il capo per il fastidio.
Seccamente, Kreathe replicò
al suo tono scocciato con uno serafico e vagamente punteggiato di ironia.
“Non voglio venirti a noia,
Kaihle ma, visto che tu non difendi tua figlia dalle ignobili accuse rivolte
contro di lei, ho deciso di muovermi io. Voi ci odiate per motivi che non
volete neppure prendere in esame, e vi accanite su tutte noi a priori, senza
tener conto che ogni individuo è diverso dall’altro, e portare rancore non ha
senso.”
“Una di voi sterminò un’intera
tribù! L’hai forse dimenticato?!” ringhiò Neralla, riprendendo vigore.
Eikhe si morse un labbro per
non parlare, ma pensò Kreathe a redarguirla con asprezza: “Successe più di
cento anni fa, e sappiamo tutte
perché avvenne!”
“Sì, perché quella maledetta
voleva tenersi il suo bambino. Il suo
maschio impuro!” sputò con rabbia Neralla, inveendo contro la figlia sacra
con ampi gesti delle braccia.
Ridendo sardonica, Kreathe
ribatté: “Che c’è Neralla? Furiosa perché lei ha avuto il coraggio di farlo,
mentre tu hai dovuto riportare al villaggio i tuoi tre maschietti senza mai avere una figlia a cui lasciare i tuoi preziosi insegnamenti? Chissà cosa vorrà
mai dire?”
“Non li avrei tenuti neppure
sotto tortura!” sbuffò Neralla, prima di replicare aspramente: “Se Hevos ha
voluto così, per me, così sia. Ma non accetterò mai ciò che Luesrea fece alla
sua stessa gente.”
“Dimentichi un punto chiave”
intervenne pacata un’altra donna, scrutando seriamente Neralla. “Il legame tra
una figlia sacra e le proprie creature può scatenare la freoha, e lo sai bene.”
Il Marchio di Hevos, o
Ferocia Divina.
La freoha era sempre stata temuta da tutte, fin da quando Luesrea
aveva fatto scempio di tutto il suo villaggio, reo di averle tolto, e ucciso, il figlio maschio perché lei
non potesse riprenderlo con sé.
Da quel momento in poi, la
nomea delle figlie sacre era caduta nel baratro, divenendo monito di sventura e
presagio di morte, invece di dono e grazia del cielo.
Siveya, che aveva parlato
per chetare Neralla, volse lo sguardo in direzione di Eikhe e, con un gesto
grazioso della mano, disse: “Prosegui pure, figlia sacra, e scusa la
maleducazione di alcune di noi. Non ti interromperemo più.”
Sbuffando, Neralla tornò a
sedersi al pari di Kreathe mentre Tyura, per qualsiasi evenienza, fiancheggiò
la sorella prima che ella riprendesse a parlare.
“Per rispondere alla
Consigliera Neralla, penso che le figlie sacre nelle mani di Nargan siano state
catturate, stuprate e torturate e, se quel che temo è vero, ne tengono in
ostaggio i figli avuti da quegli stupri, o mantengono in schiavitù altre
sorelle per imporre su di loro il dominio. Questo
le spingerebbe a muoversi contro Enerios… per salvare loro la vita, non per
alto tradimento.”
Alcune delle donne presenti
reclinarono il capo, combattute di fronte allo sguardo inquisitorio di Eikhe.
Approfittando di quel
momento di pace ritrovata, Kaihle dichiarò con una certa veemenza: “Non
possiamo fermarci di fronte alla nostra proibizione di aiutare gli uomini,
quando c’è in ballo qualcosa di più di una legge. Da sole, non potremo mai
fermare lo stuolo di soldati mosso da Vartas, neppure se tutte le figlie sacre presenti
tra le nostre fila muovessero contro di
loro. Dobbiamo unire le nostre forze
a quelle di re Arkan.”
A quel punto, le capo-tribù
annuirono di malavoglia e Kaihle, volgendo lo sguardo in direzione della figlia
minore, ancora ferma al suo fianco, chiese: “Eikhe, che disposizioni ti ha dato,
il re?”
“Avrebbe atteso un mio
messaggio, mehem. Nel frattempo,
avrebbe comunque inviato un primo contingente a Marnha per prelevare il
borgomastro, che sospettiamo essere in combutta con Vartas” spiegò succintamente
la ragazza.
“Quel vecchio pallone
gonfiato…” sbuffò Kaihle, accigliandosi. “… avrei dovuto capire che nascondeva
qualcosa. Era troppo guardingo e ruffiano, nei suoi affari.”
“Beh, ormai dovrebbe già
essere ai ferri degli uomini del re, quindi…” commentò Eikhe, prima di
chiedere. “… cosa dovrò scrivere a Sua Maestà, madre?”
“Digli che accettiamo di dar
loro una mano, e che ci troveremo col grosso dell’esercito più a sud, in
direzione di Royconea. Suppongo che sarà da lì che attaccheranno” le spiegò la
madre, dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sala.
Eikhe assentì. “Secondo i
loro Maestri della Guerra, è molto probabile.”
“Bene. Siamo tutte
d’accordo, allora?” domandò Kaihle, osservando le altre donne.
Tutte annuirono ed Eikhe, sempre
guardando la madre, chiese: “Posso usare il tuo studio per scrivere a re Arkan,
madre?”
“Vai pure. Noi abbiamo altro
di cui parlare” disse a quel punto Kaihle, guardandola con i suoi occhi
profondi color del ghiaccio.
Eikhe si affrettò a
distogliere lo sguardo, timorosa che, anche con una sola occhiata, la madre
potesse venire a conoscenza del suo segreto.
Dopo aver salutato le altre
donne, si recò nello studio della madre, seguita a breve distanza da Tyura che,
con un sospiro, borbottò: “Non ho davvero voglia di mettermi a combattere,
anche se malmenerei volentieri Neralla, ora come ora.”
“Credo non ci sia molta
scelta, sorella. O combattiamo, o ci ammazzano. Però mi unirei a te contro la
Consigliera, onestamente” celiò con un sorrisino Eikhe, sedendosi alla
scrivania della madre.
Preso un foglio di carta e
il calamaio, Eikhe vi intinse la penna e cominciò a scrivere al sovrano,
confermando la loro disponibilità a combattere con l’esercito.
Fluenti, le parole
scivolarono sul foglio pergamenato e, quando terminò il tutto, lo asciugò con
carta assorbente e appose un sigillo di ceralacca sul foglio ripiegato.
Tenendo la lettera nella
mano destra con aria pensosa, Eikhe si chiese se non fosse il caso di scrivere
anche ad Aken ma, all’ultimo momento, preferì evitare.
A che pro, rinfocolare un
dolore già forte dentro di sé e, immaginava, anche dentro di lui? Meglio
lasciarlo in pace.
Levatasi in piedi sotto lo
sguardo attento di Tyura, Eikhe le disse: “Domani la porterò a Marhna, e la
consegnerò a un corriere della Corona.”
“Andrai a trovare tuo
padre?” chiese allora Tyura.
“Perché?” esalò sorpresa la
sorella minore.
“Così, per dire. Vedo che
non ci sei più andata, ultimamente” scrollò le spalle lei.
“Forse lo farò. Ho avuto
così tanto da fare, con l’addestramento di Leance e di Liar, che non ho fatto
caso al tempo che passava” ammise Eikhe, pacata.
In effetti, mancava da
Marhna già da un po’ di tempo, ma aveva aspettato che le acque si fossero
calmate un poco, prima di muoversi.
Sapeva benissimo che, se
avesse visto subito il padre, avrebbe ceduto all’impulso di parlargli di Aken,
e sarebbe scoppiata a piangere.
Ora, invece, consapevole del
fatto che, in ogni caso, una parte del suo amore impossibile sarebbe rimasta
con lei, si sentiva più tranquilla e poteva affrontare il padre con il cuore
più leggero.
Uscita dalla casa della
madre dopo aver salutato la sorella, Eikhe indossò il suo pesante mantello di
pelliccia per tornarsene alla sua capanna.
Una volta all’interno, si
divertì a giocare un poco con Liar vicino al fuoco, prima di stendersi di
fronte a esso e sfiorare il ventre ancora piatto, ma che conteneva la piccola,
giovane vita che stava crescendo dentro di lei.
Sospirando, Eikhe chiuse gli
occhi e si assopì sul tappeto vicino al camino.
Premuroso, Liar le si
accoccolò vicino, come se avesse percepito il suo bisogno di compagnia.
Con un sorriso, Eikhe lo
abbracciò e si addormentò completamente, cullata dal respiro regolare del suo
lupo e dallo scricchiolio della legna nel fuoco.
Niente avrebbe potuto
riportarle Aken, Nys e Kalkos, ma doveva lottare con tutta se stessa per non
cedere allo sconforto, ora che una vita cresceva in lei giorno dopo giorno.
Quel fragile legame, quel
lieve battito d’ali che, ogni tanto, avvertiva sfarfallare dentro di sé,
sarebbe stata la sua ancora di salvezza dalla follia e dal crollo emotivo.
Lui, o lei che fosse, Eikhe
lo avrebbe amato con tutta se stessa, perché in quel bambino era racchiuso
tutto il suo amore per l’uomo che lo aveva generato.
***
La mattina seguente, di
buonora, uscì per sellare Leance e, dopo avergli avvolto i garresi con pesanti
teli di pelle, salì in groppa e si diresse verso Marhna assieme a Liar.
La sua missiva doveva
partire quanto prima per la Capitale.
La neve caduta durante la
notte aveva ispessito la coltre già presente da settimane, rendendo più
difficoltosa la discesa a valle.
Con tutta calma, quindi,
Eikhe procedette lungo il sentiero tenendo salde le redini di corda di Leance.
Quando fosse stato
abbastanza abituato a lei, avrebbe tolto quell’inutile fardello ma, per il
momento, entrambi avevano la necessità di quell’ingombrante strumento.
Dopo aver impiegato quasi
tutta la mattina per scendere a Marhna, Eikhe raggiunse la casa del borgomastro,
dove sapeva avrebbe trovato il comandante della guarnigione inviata da Sua
Maestà.
Nel presentarsi di fronte
all’enorme casa a due piani, chiese udienza e si mise in attesa vicino all’entrata,
accanto ad alcuni soldati di guardia che la scrutavano curiosi.
Evidentemente, la vista di
una ragazza-lupo doveva essere un’autentica novità, per quei giovani soldati di
città.
Pareva non fossero in grado
di staccarle gli occhi di dosso.
Se, per la gente di Marnha,
lei non rappresentava affatto un evento degno di nota, per quei soldati non
sembrava essere lo stesso, e questo la portò a sorridere divertita.
Sorridendo cordiale ogni
qualvolta riusciva a intercettare i loro sguardi curiosi, Eikhe si vide infine avvicinare
guardinga da un soldato.
Tossicchiando imbarazzato,
costui le domandò: “Scusami, ma… sei tu, per caso, la ragazza che ha salvato il
nostro principe?”
Annuendo un po’ sorpresa –
che si fosse sparsa tanto in giro, quella notizia, a Rajana? – Eikhe replicò:
“Sì, perché?”
“Laograd, laggiù, diceva che
eri tu, che ti aveva vista a palazzo, e volevamo esserne certi” le spiegò il
soldato, scrutandola con un misto tra curiosità e confusione.
Ridendo sommessamente, Eikhe
domandò maliziosa: “E cos’altro ti ha detto, Laograd, su di me?”
“Beh, che tu… tu…” tentennò
il giovane, guardandosi sovente alle spalle per cercare aiuto nei suoi
compagni.
Nulla. Tutti
sembravano impegnati a fare altro.
Presa a compassione per quel giovane soldato, Eikhe si
fece più gentile e, seria, gli disse: “Se conosci un soldato di nome Podgard,
parlagli di me e digli di raccontarti di Eikhe di Nestar. Lui era presente,
quando ho spiegato agli uomini del re cosa
sono.”
“Eh?” esalò lui, prima di vedere la porta
della casa del borgomastro aprirsi.
Sull’entrata, Ruak apparve a
sorpresa davanti agli occhi sorpresi di Eikhe che, avvicinandosi a lui a grandi
passi, esalò: “Principe! Non sapevo avessero mandato te.”
“Mio padre non si fida che
dei propri figli, perciò…” ironizzò il giovane, allungandole una mano per
stringere quella della ragazza. “Vieni dentro, Eikhe, qui fuori si gela e io ho
tanta voglia di parlare un po’ con te in un luogo più ameno.”
Annuendo, Eikhe seguì il
principe all’interno dell’abitato, debitamente riscaldato dai camini accesi.
Dopo essere stata invitata
in un salottino dalle rosee pareti, dove brillava l’ennesimo camino acceso, si
accomodò a un cenno del giovane.
Guardandosi intorno
incuriosita – era la prima volta che entrava in quella enorme casa – , ne studiò
le pareti scevre di ogni ornamento, al pari delle piccole alcove nei muri.
Sorridendo sorniona a Ruak,
chiese: “Le macchie più scure alle pareti stanno a significare che avete tolto
dei quadri?”
Al suo assenso, Eikhe
domandò: “Pensate siano il pagamento offerto da Vartas per corrompere il
borgomastro?”
“Non lo pensiamo. Ne siamo
sicuri” sogghignò Ruak, sorprendendola un poco. “Ho condotto personalmente
l’interrogatorio, e ha cantato come un’allodola. Davvero uno spettacolo
disgustoso.”
“Posso immaginarlo,
conoscendo il tipo” ammiccò Eikhe prima di dire divertita: “I tuoi uomini mi
guardavano come se avessi le corna e la coda nascoste da qualche parte.”
Ridendo nell’offrire tè
caldo e pasticcini a Eikhe, non appena la domestica li consegnò loro, il
principe dichiarò: “Devi capirli, Eikhe. Non hanno mai visto una ragazza-lupo
in vita loro. E poi, tu sei speciale, visto che hai salvato mio fratello da
morte certa.”
“Se lo dici tu…” celiò lei,
sorseggiando la bevanda ambrata. “Quindi, stavolta il re ha mandato te in
missione?”
Ruak sbuffò nonostante tutto
e, accavallando le lunghe gambe, borbottò: “Mi ha fatto piacere uscire da
palazzo, ma trovo assurdo che lui voglia delegare sempre a me e Aken il comando delle missioni, quando abbiamo dei
comandanti degni di tutto rispetto, e che opererebbero ugualmente bene al posto
nostro. Denigra l’ordine militare, comportandosi così, ed è deleterio per il
buon nome della Corona.”
Annuendo, Eikhe asserì: “E’
come se mia madre preferisse delegare sempre alle Madri, lasciando Figlie
sempre senza compiti da eseguire. Minerebbe la sua autorità, un simile
comportamento.”
“Esatto. Perciò, per quanto
io sia stato felice di venire – e incontrarti – sono anche assai contrariato, e
non solo io.”
“Essere l’autorità in capo a
tutto, non deve essere facile. Neppure per tuo padre” chiosò diplomaticamente
lei.
Ruak rise con sarcasmo,
levando una mano come per chiudere l’argomento. “Eri venuta qui per un motivo,
Eikhe?”
Allungatagli la missiva,
dichiarò: “Ho con me una lettera per tuo padre. Le tribù accettano di
aiutarvi.”
“Benissimo. Invierò oggi
stesso un corriere a Rajana” annuì Ruak, prima di guardarla con intensità, e
dire con un leggero imbarazzo: “Vuoi mandare un messaggio anche a mio fratello?”
Guardandolo con estrema
serietà da sopra l’orlo della tazza di ceramica bianca, Eikhe domandò cauta: “Lui
sta bene?”
“Fisicamente, direi di sì,
ma credo senta la tua mancanza. Non me la raccontate giusta, voi due e credimi,
conosco mio fratello meglio di chiunque altro. I suoi sospiri non sono dovuti a
stanchezza fisica” dichiarò Ruak, appoggiando un braccio sullo schienale della
poltrona dov’era accomodato.
“Che vuoi che ti dica,
principe…” scrollò le spalle Eikhe, finendo il suo the. “…qualsiasi cosa tu
immagini, gradirei rimanesse per te.”
“Gli dirò che lo saluti, va
bene?” le propose allora Ruak.
Sorridendo per quella
gentilezza, lei assentì.
Trovava assurdo mentire
proprio a Ruak. Inoltre, desiderava che Aken sapesse quanto ancora lei tenesse
a lui.
“Può andare” lo rassicurò
Eikhe, estraendo poi un paio di sacchetti dalla sua scarsella da cintura. “Ah,
principe, una cosa.”
“Sì?” disse lui, un po’
teso.
“Avevo pensato di inviarli
in buste separate, assieme alla missiva, ma visto che sei qui…”
Mostrandogli la mano aperta,
aggiunse: “Sono portafortuna. Mentre ero a Rajana, non avevo nulla con cui
confezionarli e, visto che ho regalato l’occhio di lupo a vostra sorella…”
A quell’accenno, Ruak
sorrise divertito.
“Da quando glielo regalasti,
non fa che rigirarselo tra le dita. Lo ha fatto inserire in un sottile
bracciale d’argento che le piace molto, e quando è nervosa ci gioca.”
“Bene. Sono lieta che lo
abbia tenuto” assentì Eikhe, suo malgrado felice di saperlo.
Addolcendo lo sguardo, il
principe disse: “Melantha può esserti sembrata scorbutica e fredda, ma non lo
è. Non del tutto, almeno. Purtroppo, è succube delle giovani dame che
frequenta, e bada molto alla loro opinione. Fare amicizia con te sarebbe stato…”
“… inaccettabile?” gli venne
incontro lei, ammiccando.
“Esatto. Due rozzi principi
come me e Aken potevano permetterselo…” ironizzò Ruak, strizzandole l’occhio. “…
ma non certo lei. Così, per evitare critiche, ha preferito rimanere defilata. Ma
il dono le è molto caro, credimi.”
“Ti credo. E ne sono felice”
annuì Eikhe.
Nel rigirarsi i sacchetti di
pelle, ricamati con fili d’oro e d’argento, Ruak mormorò sentitamente: “Ti
ringrazio per questo delicato pensiero, Eikhe. Sono sicuro di parlare per
entrambi, dicendoti che li porteremo con orgoglio.”
“Per quello che può valere,
sono fatti col cuore” mormorò lei, accennando un sorriso un po’ triste.
Se fosse rimasta lì ancora
per qualche minuto, sarebbe certamente scoppiata in lacrime, e l’ultima cosa
che voleva era turbare Ruak.
Levandosi perciò in piedi,
lo fissò con affetto e disse: “Ora vado,
non voglio rubarti altro tempo, principe.”
“Il tempo passato con te non
è mai rubato” disse sinceramente Ruak, levandosi in piedi a sua volta. “Non so
come la pensi tu, ma io sto bene in tua compagnia, e sono stato felice di
conoscerti, e di rivederti qui, oggi.”
Eikhe lo guardò con occhi al
limite delle lacrime e, con un sospiro strozzato, mormorò: “Devo andare.”
Già sulla porta, Eikhe si
sentì trattenere per un braccio e, voltandosi a mezzo, scorse il viso di Ruak
percorso da una profonda preoccupazione, rivolta unicamente a lei.
Non resistendo più, Eikhe
prese un gran respiro e sussurrò con voce roca: “Di’ ad Aken che non l’ho
dimenticato; capirà.”
“Va bene” annuì mesto Ruak,
sfiorandole una guancia con la mano. “Soffrite entrambi così tanto!”
“Si vede molto, eh?” sospirò
ancora lei, cercando di sorridere.
Lui annuì senza dire nulla
e, piano, si chinò verso di lei per baciarla su una guancia, prima di sussurrarle:
“Sii prudente, Eikhe, e abbi cura di te.”
“Lo farò” annuì lei, uscendo
di gran carriera per non essere costretta a crollare a piangere proprio di
fronte al fratello di Aken.
Sapeva che, di lui, si
poteva fidare.
Non avrebbe messo in
pericolo il loro segreto, e avrebbe portato il messaggio di persona, perché suo
fratello capisse che diceva la verità.
Era il minimo, e glielo
doveva.
Aver affidato il suo cuore e
le sue speranze a Ruak, era l’unica cosa che potesse fare in quel momento e,
probabilmente, l’unica cosa che avrebbe mai potuto fare.
Null’altro poteva dare ad
Aken, se non qualche parola sgorgata dal suo cuore in fiamme, e la promessa di
un legame che sarebbe andato oltre la vita.
Dopo aver sommariamente
salutato i soldati della guarnigione, Eikhe riprese Leance per le briglie e si
diresse verso la casa di suo padre.
Sperò ardentemente che Ildera,
quel giorno, non fosse di cattivo umore.
Era ancora troppo scossa
dall’incontro con Ruak, per poter sopportare anche soltanto un’occhiata strana.
Non aveva voglia di litigare
con lei e, forse, grazie alla borsetta che le aveva confezionato, avrebbe
evitato una lite.
Lo sperava davvero, o non
avrebbe saputo come comportarsi.
Raggiunta che ebbe la casa
del padre, disse a Liar di aspettarla fuori insieme a Leance.
Attraversato infine il
piccolo giardinetto, ora coperto di neve, bussò alla porta e si vide aprire subito
dopo dalla donna che, dubbiosa, la squadrò da capo a piedi prima di chiederle:
“Eikhe? Cosa ci fai qui?”
“Buongiorno, Ildera, c’è mio
padre?” le chiese il più cortesemente possibile.
“Sì, è in casa” annuì la
donna, prima di guardare confusa al suo fianco. “Dov’è il tuo lupo?”
“Nys è morto, e Liar mi
aspetterà con il cavallo. Non è ancora abituato a stare con le persone, e non voglio
che sporchi in casa” dichiarò in fretta Eikhe, e con fare conciliante.
Nominare Nys le faceva
ancora male, ma prima o poi si sarebbe abituata. O almeno, così sperava.
La notizia della morte del
suo lupo parve sorprendere Ildera, e le addolcì un poco i tratti del volto,
tanto da sorprendere la stessa Eikhe.
Possibile che provasse
compassione per lei?
Invitatala ad entrare,
Ildera la accompagnò in salotto dopo averle fatto appendere il mantello nel
corridoio d’entrata.
Preferendo usare con lei
tutta la cautela possibile, si sentì in dovere di dire: “Non sarei venuta a
disturbare qui, se l’avessi trovato al laboratorio.”
“Dubito l’avresti trovato,
visto che ha un’infreddatura” celiò Ildera, entrando nel salotto con lei. “Harm,
c’è tua figlia.”
Sollevando il viso dal
piccolo ciocco di legno che stava scalfendo con un coltellino, Harm le sorrise
ed esclamò: “Eikhe, ciao! Vieni avanti.”
Annuendo, Eikhe fece per
muoversi verso di lui ma, ripensandoci all’ultimo momento, preferì pensare
prima di tutto a Ildera.
Controllando all’interno
della sacca che portava a tracolla, ne estrasse il dono per lei e mormorò:
“L’avevo fatta per la festa di Inizio Anno,
ma… beh, non sono riuscita a venire prima, a Marhna.”
“E’ molto bella, come
sempre” annuì Ildera, scrutando la borsetta con apprezzamento. “Siediti, Eikhe,
mentre vi preparo qualcosa di caldo.”
“Oh, no, grazie, Ildera. Non
ti disturbare. Sono stata alla Casa del Borgomastro, e mi hanno già offerto tè
e pasticcini” scosse il capo Eikhe, ringraziandola con un sorriso.
“E sei riuscita a entrare?”
disse sorpresa Ildera.
“Portavo un messaggio per Sua
Maestà. Inoltre, conosco il principe Ruak, perciò è stato semplice chiedere
udienza” scrollò le spalle lei, come se nulla fosse.
Un po’ sorpresa, Ildera se
ne andò senza più dire nulla e Harm, sorridendo alla figlia, disse: “Mi sei
mancata, in questi mesi; cosa ti è successo?”
“Un po’ di tutto, padre. Sai
che ci sarà la guerra contro Vartas, vero?”
Annuendo, lui tornò serio e
disse: “Se ne sente parlare dai soldati. C’è un gran subbuglio, a Marhna, e la
gente comincia a preoccuparsi.”
“Beh, io e il principe Aken
abbiamo scoperto le mosse di Vartas, durante un giro di perlustrazione sui
confini del Regno, e siamo andati a Rajana per dirlo al re ma, nel frattempo,
ne sono successe di tutti i colori, e Kalkos e Nys sono morti” sospirò Eikhe,
accomodandosi vicino al padre sul divano.
“Mi dispiace tanto, figliola.
So quanto eri loro affezionata” mormorò il padre, sfiorandole il capo
biondo-ramato con una mano.
“E’ così difficile pensare
che non sono più con me… Leance e Liar sono buoni compagni, ma…”
“Non sono cresciuti con te,
vero?” terminò per lei il padre, sorridendole comprensivo.
Eikhe annuì, prima di veder
entrare il fratellastro nel salotto, trafelato in viso e con gli occhi
sgranati.
Scorgendola, la fissò
sorpreso prima di chiederle: “Di’ un po’, Eikhe. E’ vero quel che dicono i
soldati? Che una donna-lupo avrebbe salvato il principe Aken?”
“Direi di sì. E non è stato
affatto facile, credimi” ammise lei, vedendolo spalancare la bocca per la
sorpresa.
“Tu?!” sbottò lui, a occhi ancor
più sgranati.
“Esatto, ma preferisco non
parlarne ora. Sono morte troppe persone, in quel maledetto viaggio” sospirò
Eikhe, scuotendo il capo. “Un’altra volta, forse, te lo racconterò.”
Pensare a Lenar e gli altri,
era quasi altrettanto doloroso che pensare a Nys e Kalkos.
Erano stati i suoi compagni
di viaggio, per un po’, e non avrebbe mai potuto dimenticarli.
“E non hai chiesto neppure
una ricompensa?” gracchiò il fratello, fissandola scioccato.
“Portare a casa il principe
sano e salvo, è stata la mia ricompensa” dichiarò Eikhe prima di aggiungere:
“Comunque, il re mi ha regalato lo stallone che c’è qui fuori, la daga che è
legata alla sella è dono di suo figlio Aken, e il mantello di volpe che c’è
nell’atrio me l’ha donato la regina.”
“Posso andare a vedere il
cavallo?” chiese allora Konis, sfregando uno stivale sul pavimento di sasso con
fare contrito.
Un po’ sorpresa da
quell’atteggiamento stranamente remissivo, Eikhe disse guardinga: “Sì, certo.
Leance non ti morderà, e neppure il mio lupo. Ricordi cosa ti ho detto? Fai loro
annusare la tua mano e muoviti con cautela. Soprattutto, non estrarre la daga.
E’ molto tagliente, e potresti ferirti. Se vuoi vederla, portamela nel suo
fodero, e io te la mostrerò.”
Konis annuì prima di fuggire
letteralmente dalla stanza ed Eikhe, curiosa, si rivolse al padre per
chiedergli: “Cos’è questa storia?”
“Va in giro vantandosi con
gli amici di avere come sorella una ragazza-lupo, da quando si è saputo ciò che
hai fatto per il principe” ridacchiò Harm.
“Oh” esalò sorpresa Eikhe.
Tutto si sarebbe aspettato tranne questo, dal fratellino. “Beh, è un inizio
come un altro, per iniziare ad andare d’accordo.”
Sorridendo indulgente, Harm
disse: “Siete sempre stati come cane e gatto.”
“Più o meno, ma è ovvio.
Veniamo da due mondi troppo diversi. Chissà che adesso non vada meglio, però?”
ammiccò Eikhe prima di domandargli: “Tu, come stai?”
“Miglioro in fretta. Era una
cosa banale, niente di che. E tu? Ti vedo un po’ pallida” scrollò le spalle
lui, prima di guardarla con intensità.
“Sono solo un po’
indaffarata al villaggio, tutto qui. Sai, con il Consiglio delle Anziane e
tutto il resto, siamo piuttosto indaffarate” replicò frettolosa lei, preferendo
non dirgli che aveva le vertigini, in quel momento.
Quella era una pecca della
gravidanza che proprio non le andava a genio.
Alzandosi con calma misurata,
Eikhe gli sorrise contrita e ammise: “Purtroppo, non posso restare quanto
vorrei. Devo aiutare mamma con i preparativi per la guerra, perciò ho l’obbligo
di non assentarmi troppo dal villaggio.”
“Parteciperai anche tu?”
domandò turbato Harm.
“Se me lo consentiranno”
annuì Eikhe, pur dubitandone fortemente.
Con un figlio in arrivo, non
sarebbe servita all’esercito.
“Ti manderò delle erbe
medicinali, caso mai non passasse” gli promise, avviandosi verso la porta del
salotto.
“Allora, grazie per la
visita, e torna presto” le sorrise lui.
“Di nulla. Sei mio padre,
no?” scrollò le spalle Eikhe prima di uscire nel corridoio, dove incrociò
Ildera.
“Vai di già?” le disse
sorpresa Ildera.
“Ho molte commissioni da
fare e …” cominciò col dire lei, prima di doversi aggrappare alla donna per non
cadere.
Sempre più sorpresa, Ildera
la sorresse e, sgomenta, notò il suo pallore sospetto e l’aria emaciata.
Facendo tanto d’occhi, esalò:
“Non sarai…?”
Fissandola ai limiti del
panico, Eikhe si lasciò praticamente trascinare da Ildera fino alla cassapanca
che si trovava nell’entrata.
Lasciandosi cadere sopra di
essa come un sacco di patate, prese dei gran respiri prima di annuire e dire
sconsolata: “Non dirlo a mio padre, ti prego.”
“Non sei venuta a Marhna
dall’anno precedente. Come diavolo…” cominciò col dire Ildera, aggrottando poi
la fronte con aria confusa.
Mordendosi un labbro, Eikhe
scoppiò in un pianto silenzioso quanto dolente, sorprendendo non poco Ildera
che mai, in quegli anni, l’aveva vista crollare a quel modo.
Con un piccolo sospiro, la
donna la aiutò ad alzarsi e disse: “Coraggio, vieni in cucina. Hai bisogno di
una tisana calda e di parlare, vero?”
Eikhe la guardò più confusa
che mai e, senza dire nulla, la seguì docile attraverso una piccola porta di
legno, raggiungendo una calda e accogliente cucina.
Le credenze erano ricolme di
composte di frutta, pasta secca contenuta in bei vasi di vetro, pane infilato
nelle rastrelliere a seccare e, cosa che la sorprese, i suoi sacchetti di pelle
appesi al muro e colmi di spezie.
“Pensavi non li avessi
usati?” la irrise bonariamente Ildera, facendola sedere su un alto scranno
senza schienale.
Arrossendo suo malgrado,
Eikhe annuì e la donna, scrollando le spalle nel prendere un bricco dal fuoco,
versò un po’ dell’acqua in esso contenuta in una ciotola.
Spruzzatovi dentro un miscuglio
di erbe profumate, asserì: “Il fatto che abbiamo divergenze di opinione su
molte cose, non vuol dire che non riconosca la tua bravura nel cucire. Nessuna
donna, a Marhna, è brava quanto te nel confezionare oggetti di pelle.”
“Grazie” sussurrò Eikhe,
stringendosi le mani in grembo.
Porgendole la ciotola
fumante, la invogliò a berla e la ragazza, ubbidendo, la sorseggiò con calma.
Le membra si rilassarono
subito, al passaggio caldo della bevanda nel suo corpo.
Dopo un minuto buono passato
nel più assoluto silenzio, Eikhe disse: “Non voglio che mio padre, né nessun
altro, sappia che sono incinta.”
“Non lo sa neppure tua madre,
vero?” intuì Ildera.
“No, meno che meno lei. Non
capirebbe” sospirò Eikhe, reclinando il viso.
Un po’ sorpresa, Ildera le
chiese: “Non capirebbe cosa?”
“Il perché del bambino che
porto in grembo” ammise la ragazza-lupo, sfiorandosi il ventre ancora piatto.
“Non capirebbe che io amo l’uomo che l’ha generato.”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa, la donna mormorò sconcertata: “Lo ami?”
“Sai che non ci è permesso
provare simili sentimenti nei confronti degli uomini. La legge ci vieta di
legarci sentimentalmente a loro.”
“Cosa che, sinceramente, non
capisco” brontolò Ildera, vedendola ridacchiare tristemente in risposta.
“Neppure io, ora come ora.
Per questo non voglio che lo sappia, almeno non ora, quando sarebbe ancora in
grado di… di fargli del male” mormorò Eikhe, notando un pallore spettrale
salire alle gote della donna.
“Metterebbe davvero a repentaglio la vita di tuo
figlio, e la tua, solo perché ami il padre del bambino?” esalò Ildera, passando
dallo stupore all’indignazione.
Annuendo grave, Eikhe disse:
“La legge va rispettata da tutte, a maggior ragione dalla figlia della
capo-tribù. Io ho contravvenuto alle leggi, unendomi con quest’uomo senza il
benestare di mia madre e, per legge, loro dovrebbero… beh, hai capito.”
Sbuffando contrariata,
Ildera incrociò le braccia al petto con fare bellicoso.
“Queste sono davvero
sciocchezze senza fondamento. Non vedo come, l’amore per quell’uomo, possa
nuocere a te, o alla vita che conduci.”
“Mi renderebbe debole e sua
schiava, o meglio, secondo loro mi
renderebbe debole e schiava di lui” precisò Eikhe. “Anche se so di essere nel
giusto, le altre non capirebbero.”
La strana espressione sul
viso di Eikhe, portò Ildera a chiederle: “Che intendi dire?”
Con un mesto sorriso, replicò
alla sua domanda con un’altra.
“Avete udito l’ululato di un
lupo, pochi mesi addietro, come se provenisse da ogni direzione e, al tempo
stesso, da nessun luogo in particolare?”
Ildera assentì, vagamente
ansiosa, ed Eikhe aggiunse: “Era Lui. Il dio-lupo Hevos, giunto tra noi per
metterci in guardia contro il prossimo pericolo rappresentato da Vartas.”
La donna si portò
istintivamente una mano al petto dove portava, come ogni donna delle montagne,
un sacchetto con la propria pietra di occhio
di lupo.
Una delle rare usanze che,
donne comuni e figlie del branco, avevano in comune, e per una comune ragione.
Tra i monti, il dio-lupo non
era venerato solo dalle tribù delle sue figlie, ma anche dai cittadini
qualunque.
“So da fonte più che certa di non aver sbagliato a
innamorarmi del padre del mio bambino” sorrise misteriosa Eikhe, passandosi una
mano sul ventre.
Ildera mormorò una
silenziosa preghiera, prima di annuire.
“Mettiamo pure che tua madre
ti lasci portare avanti la gravidanza… e se nascesse un maschio?” dichiarò a
quel punto Ildera, ancora piuttosto infuriata.
“Lo terrò con me, a costo di
isolarmi dalla tribù” asserì torva Eikhe, poggiando ora entrambe le mani sul
grembo.
“Ti ammazzerebbero, e lo
sai” precisò Ildera, torva.
“Non oseranno
mettersi contro di me e mio figlio” sibilò la ragazza, assottigliando le iridi
dorate.
Sospirando, Ildera scosse il
capo e replicò: “Sarai anche più forte delle tue compagne, come tutti
sostengono quando parlano di voi ragazze
con gli occhi gialli, ma una donna che ha appena partorito è piuttosto
debole e, a conti fatti, indifesa come il bambino che ha dato alla luce.”
Spalancando gli occhi di
fronte a quell’eventualità, Eikhe esalò: “Pensi che… che lo ucciderebbe in quel
momento?”
Annuendo preoccupata, Ildera
disse: “Fossi in te, se davvero pensi che tua madre possa essere un pericolo
per voi, mi farei assistere da una persona più che fidata e, forse, anche dal
tuo lupo. Non mi stupirebbe, se facesse la differenza tra la vostra morte e la
vostra salvezza.”
Assentendo a sua volta,
spaventata suo malgrado dalle parole di Ildera, le chiese confusa: “Perché sei
così disponibile con me?”
Abbozzando un sorriso,
Ildera ammise senza problemi: “Perché, divergenze o meno, sei una bambina che
sta per diventare mamma, e non hai nessuno con cui parlare. Non potrei certo lasciarti
in balia di una cosa che non conosci. Che donna sarei?”
Sorridendole grata, Eikhe
disse con voce commossa: “Ti ringrazio davvero tanto.”
“Se dovessi sentirti di
nuovo debole, usa delle erbe di girfolio per prepararti delle tisane.
Servono più che altro per stimolare il cuore, ma potrai farle passare come
lenitivo contro il raffreddore” scrollò le spalle Ildera.
Annuendo, la ragazza si levò
in piedi e, sorprendendo un poco Ildera, la abbracciò baciandola sulle guance.
“Ti sono grata per quello
che hai detto.”
Battendole goffamente le
mani sulle spalle, Ildera la scrollò un poco, replicando: “Coraggio, non
abbatterti a questo modo. Pensi davvero che, se anche rimanessi senza le tue
compagne, tuo padre ti lascerebbe in mezzo alla strada?”
“No” ammise Eikhe.
“Bene, allora pensa a questo
e non preoccuparti. Più sarai calma, meno problemi ti darà il bambino” la
rassicurò Ildera.
“Va bene” annuì la giovane,
prima di veder entrare il padre in cucina. Sorpreso, le fissò confuso,
chiedendosi il perché si trovassero lì, e assieme.
“Coraggio, bambina, corri a
casa prima che si scateni una bufera, lì fuori” disse a quel punto Ildera,
senza badare al marito.
“Lo farò, grazie” le sorrise
Eikhe, prima di passare accanto al padre, baciarlo su una guancia e sparire
oltre la porta.
“E da quando, voi due,
andate d’accordo?” celiò Harm, divertito suo malgrado da quella situazione.
“Oh, piantala, Harm. Non ho
mai odiato tua figlia, e lo sai bene” brontolò Ildera, scuotendo negligente una
mano. “E’ solo sua madre che mi fa venire un diavolo per capello.”
Ridendo, raggiunse la moglie
e le avvolse la vita prima di domandarle: “Non vuoi dirmi di cosa parlavate?”
“No. Sono cose da donne” brontolò
Ildera, prima di sospirare e dire: “Se venisse a trovarti, mandala da me. Devo
darle una cosa.”
Un po’ sorpreso, Harm si
limitò ad annuire mentre la moglie, ripensando alle parole di Eikhe, si
preoccupò non poco.
Non poteva credere che una
donna, per quanto ligia alle leggi, potesse arrivare a uccidere il proprio
nipote.
Eppure, Eikhe ne sembrava
convinta, e questo non la confortava di certo.
Le sue non erano le paure di
una giovane madre alla prima esperienza, ma sembravano fondate su timori reali,
e questo non poteva che metterla in allarme.
Non le erano mai piaciute le
regole cui sottostava la figlia del marito, ma non erano mai stati affari suoi,
visto che non la toccavano in prima persona.
Ora, però, con Eikhe
incinta, si sentiva spinta a difenderla.
In quel momento, vedeva solo
una madre in pericolo e lei, come donna e madre, non se la sentiva di
abbandonarla a se stessa.
Inoltre, quel bambino, o
quella bambina, sarebbe stato il nipote, o la nipote di suo marito, e non
poteva passarci sopra come se niente fosse.
No, per amore di suo marito,
l’avrebbe aiutata.
************
Finalmente qualche spiegazione sul perché le figlie sacre sono tanto bistrattate, voi direte! (se ve lo siete chiesto XD) Ho pensato che Ildera fosse la persona più giusta, in questo momento particolare per Eikhe, per darle una mano. Perché ne avrà davvero bisogno! |
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Capitolo 14 *** cap. 14 ***
14.
Con l’avvicinarsi della
primavera le giornate, si allungarono progressivamente.
Sempre più spesso, dai Monti
Urlanti, piccole slavine scivolarono pericolosamente dai pendii e dalle guglie
minacciose, giungendo fino ai frangi valanga che riparavano il villaggio di
Nestar.
I danni, per lo più, si ridussero
a qualche pino sradicato dal terreno, o alla distruzione delle strutture di
protezione, erette a difesa del centro abitato.
Con le loro grida
raggelanti, le valanghe ricordarono a ogni abitante della montagna che, ben
presto, i cori della guerra sarebbero giunti ai confini del Regno.
La fucina lavorò a pieno
ritmo per tutto l’inverno, senza mai essere spenta, mentre artigiane dalle
abili mani forgiarono archi da guerra e frecce in quantità mai prodotte in
precedenza.
Le più giovani tra le
donne-lupo, designate al controllo delle infanti e dei lupi da svezzare,
si alternarono nei loro compiti senza
attendere gli ordini delle adulte.
Troppo impegnate ad
allenarsi, o a preparare le armature per le battaglie che le avrebbero viste
protagoniste, non avevano tempo di occuparsi di cose simili.
In tutto quel via vai di
persone e animali, Eikhe fece la sua parte, nascondendo la gravidanza all’intero
villaggio ma non a Sendala che, più di chiunque altra, la conosceva a fondo.
Sapeva comunque che, non
appena gli abiti pesanti fossero stati smessi per indossare le più leggere
tuniche primaverili, il suo segreto sarebbe venuto alla luce.
Una calda mattina di inizio
primavera la sua preoccupazione divenne sgomento quando, osservandosi allo specchio,
notò ansiosa la curva del suo ventre.
Essendo alta e dalla
struttura longilinea, la sua rotondità appariva più che evidente, alla se
stessa riflessa sulla superficie di lucido piombo.
Si era fatta così evidente che,
anche indossando la lunga tunica di pelle di daino, non avrebbe più potuto
celarla.
Sospirando, Eikhe scrollò
coraggiosamente le spalle e lasciò perdere ogni precauzione.
A quel punto, al quinto mese
di gravidanza, la madre non avrebbe più potuto nuocerle né, tanto meno, far del
male al bambino.
Sapeva che avrebbe subito la
sferza della sua ira, ma era pronta a tutto pur di difendere la sua creatura.
Che la ingiuriasse pure. Che
la punisse. Lei non aveva nulla di cui vergognarsi.
Sendala le aveva fatto una
predica quasi infinita circa la sua pazzia.
Eikhe, però, aveva insistito
a tal punto sulla purezza dei suoi sentimenti, e di quelli di Aken che, alla
fine, anche la sua recalcitrante amica aveva ceduto e le aveva creduto.
Non era del tutto sicura
che, con la madre, sarebbe avvenuta la stessa cosa.
Sapeva quanto radicate
fossero le sue idee, e quanto il credo delle loro progenitrici fosse ben
impresso nella sua mente severa.
Nulla, neppure le sue
accorate preghiere, avrebbero fatto cedere Kaihle.
Un bussare discreto alla
porta la portò a coprirsi con la tunica, che aveva lasciato aperta sul ventre.
Avviandosi per vedere chi
fosse, sbuffò contrariata quando si ritrovò dinanzi la sorella maggiore.
Vedendola, Tyura la squadrò
confusa prima di portarsi le mani alla bocca per reprimere uno strillo di
sorpresa.
Entrando in fretta e
chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo e violento, la sorella la
fissò inorridita ed esalò: “Che diavolo hai combinato?!”
“Secondo te?” celiò Eikhe,
poggiando una mano su un fianco e fissandola con aria di sfida.
“Per tutti i demoni delle
montagne, Eikhe, non scherzare!” la rimproverò Tyura, squadrandola male.
Sbuffando, la sorella minore
reclinò il capo e mormorò: “E’ del principe, se vuoi saperlo.”
“Che cosa?!” ansò l’altra,
impallidendo. “Ti sei lasciata abbindolare da…”
“… abbindolare, un corno! Io
amo Aken!” ringhiò Eikhe, avanzando minacciosa verso di lei.
Intimorita suo malgrado
dallo sguardo furente della sorella, che voleva solo dire guai, Tyura sollevò
le mani in segno di resa, sperando che si calmasse.
Eikhe, sospirando, si bloccò
subito.
“Scusami, non ha senso
aggredirti verbalmente, e per una cosa di cui non sai nulla.”
“Davvero… tu e lui…?”
tentennò Tyura, continuando a osservare il suo ventre rotondo con occhi
leggermente sgranati.
La ragazza annuì in silenzio,
prima di attirarla verso una delle poltrone del suo salottino perché si
accomodasse.
Non appena la vide seduta, Eikhe
si appoggiò alla parete accanto al camino e disse: “Non è stato fatto per
divertimento, Tyura, e stiamo entrambi patendo le pene dell’inferno, a stare
separati. Ma la legge è legge, e io non posso vivere con lui, né lui con me,
visto che è un principe ereditario.”
Sospirando, la sorella
maggiore si afflosciò contro lo schienale della poltrona, osservando Eikhe con
espressione combattuta.
“Devi dirlo alla mamma; ormai
non puoi più nasconderti. E poi, non appena metterai piede fuori, se ne
accorgeranno tutte comunque, quindi è meglio che, per prima, lo sappia lei.”
“Lo so, ma…” tentennò la ragazza,
portando istintivamente una mano sul ventre.
“Hai taciuto perché avevi
paura per lei?” mormorò Tyura, alzandosi
per sfiorarle il ventre prominente, sorridendo spontaneamente quando sentì
scalciare.
“Sei una veggente, per
sapere che sarà femmina?” sbuffò Eikhe, sogghignando aspramente.
“Lo spero per te,
altrimenti…” ansò ombrosa la sorella maggiore, lasciando a metà la frase.
Sapeva bene che Eikhe avrebbe
compreso ciò che non aveva il coraggio di dire ad alta voce.
Esposizione. Morte.
“Nessuna di voi toccherà il
mio bambino, sia esso maschio o femmina” decretò la sorella minore prima di
richiamare al suo fianco Liar che, fino a quel momento, era rimasto accucciato
vicino al fuoco. “Lui e gli altri lupi mi difenderanno.”
“E come lo sai?” le chiese
Tyura, scrutando scettica il piccolo lupo grigio che, per diretta conseguenza,
le ringhiò contro.
“Perché me lo ha detto lui” le
spiegò con semplicità, guardando Liar con un sorriso.
Liar si limitò a
scodinzolare e Tyura, sospirando, scosse il capo e replicò: “Sarà meglio che
non lo diciamo alla mamma, questo, o potrebbe decidere di decimare il branco,
piuttosto che dartela vinta.”
“Temo anch’io” sospirò Eikhe.
“Si infurierà molto?”
“Io direi di sì. Neppure io
ho il permesso di andarmi a cercare un uomo per avere un figlio, figurarsi tu!”
esalò la sorella maggiore, storcendo il naso.
“Tyura, tu gli uomini li hai
già avuti, e non certo per avere un figlio” tenne a precisare la ragazza,
sollevando un sopracciglio con ironia.
“Questo non c’entra. E’ del
tuo bambino, che stiamo parlando” scrollò le spalle Tyura con fare indifferente,
pur sorridendole. “Verrò con te, non si sa mai. Non vorrei mai che pensasse di
fare di te uno sfilatino.”
“Grazie” ammiccò Eikhe,
uscendo con lei e Liar dalla capanna.
Attraversando il villaggio,
dove ancora poche donne si trovavano lungo la strada, vista l’ora, Eikhe notò
subito i loro sguardi più che sorpresi e sì, la loro aperta condanna.
Con duro cipiglio, Tyura le
rimise al loro posto guardandole malamente e, per un attimo, la sorella gliene
fu grata.
Sì, Tyura poteva essere
scorbutica, ma aveva il piglio del comando, e sarebbe stata un’ottima
capo-tribù, a tempo debito.
Non appena ebbero raggiunto
la casa matronale entrarono insieme a Liar e, nell’attendere che anche quello
di Tyura si unisse a loro, si diressero verso lo studio della madre.
Nel sentire bussare, Kaihle
levò gli occhi d’acciaio dallo scritto per poi fissarli sulle due figlie e, in
particolare, sul ventre di Eikhe.
Aggrottando pericolosamente
la fronte, la donna si levò dallo scranno con calma misurata, ma bruciando
d’ira dentro l’animo e, affrontandole con cupo cipiglio, chiese aspramente:
“Cosa sta succedendo, qui?!”
“Madre, lascia che ti
spieghi…” cominciò col dire la figlia minore, prima di vederla aggirare la
scrivania in pochi, rapidi passi.
“C’è poco da spiegare! Chi
ti ha dato il permesso di scendere a valle per…”
Bloccandosi, scrutò il viso
abbattuto della figlia minore, assottigliò le iridi di perla e sibilò: “Chi è
stato, degli uomini del principe? Chi?!”
“Madre, ti prego!” esclamò
Eikhe. “Pensi davvero che anche solo uno di loro avrebbe potuto stuprarmi!?”
Ringhiando nervosamente,
Kaihle assottigliò le iridi che, in quel momento sprizzavano scintille di fuoco
gelido.
“A chi ti sei concessa,
allora, sciocca ragazzina? Con chi hai perso il tuo onore?!”
Aggrottando la fronte, la
ragazza mormorò con voce il più calma possibile: “Con nessuno ho perso il mio
onore, e non ho bisogno della tua benedizione, visto che ho quella di Hevos.”
Un ceffone violento seguì le
sue parole ed Eikhe, fissando inorridita la madre che, con occhi spiritati, la stava
osservando in preda all’ira, le sentì dire: “Non nominare il Suo Nome come se
niente fosse, blasfema!”
“Tu non sai, e non vuoi
sapere la verità! Ma io dico il vero, e difenderò mio figlio da tutte voi!” esclamò
allora lei, coprendosi il ventre con le mani.
“Hai tradito la mia fiducia,
le tue compagne, tutta la tua gente! Non hai niente da dire, a tua discolpa?!”
ringhiò furiosa Kaihle.
“Non ho colpe, visto che il
mio bambino è stato concepito dall’amore!” sibilò a quel punto Eikhe.
Spalancando gli occhi per il
furore, Kaihle fece per schiaffeggiarla nuovamente ma la figlia, fulminea, le
bloccò il polso.
Assottigliando le iridi
dorate, ora liquide gocce d’ambra infuocata, la figlia minore sibilò tra i
denti con voce gutturale: “Non dimenticare chi sono.”
Bloccata dalla forza
disumana della figlia, mentre il suo viso si imperlava di sudore e i lupi
cominciavano a ringhiare furiosi, la Signora del Villaggio fissò Eikhe con
astio e dichiarò: “Quando vidi i tuoi occhi, avrei dovuto gettarti da una rupe.
Sapevo che avresti portato solo sventura!”
Rimasta in religioso silenzio
durante tutto il loro battibecco, Tyura sobbalzò sconvolta di fronte alle
parole velenose della madre e asserì: “Madre, non puoi dire una cosa simile. E’
pur sempre tua figlia, fa parte del branco e…”
“Non del mio!” esclamò implacabile Kaihle, fissando
i due lupi dai denti snudati per poi ringhiare astiosa: “A quanto pare, fa
parte del branco dei lupi, non di quello delle sue sorelle!”
“Non mi spaventi con le tue
parole, madre. Di’ pure quel che vuoi, ma non potrai fare nulla contro di me”
decretò allora Eikhe, pur sentendosi morire dentro.
Sua madre la odiava, ora ne
aveva la riprova.
Aveva sempre avuto paura di
lei, di ciò che era, di ciò che rappresentava, e ora che si rendeva conto di
non poterla controllare, sorgeva il suo vero Io a smascherarla.
“Esci da questa casa, e non
metterci più piede. Non posso scacciarti, visto che potrebbe nascere una bambina,
e lei meriterebbe a pieno titolo la mia protezione, ma non azzardarti a
rivolgermi più la parola, è chiaro?!” esclamò Kaihle respirando a fatica, il
viso cinereo ove splendevano, ferali, i suoi occhi adamantini.
Senza dire nulla, Eikhe uscì
dalla stanza a passo di carica, seguita dopo un momento dalla sorella che,
sfiorandole una spalla con la mano, sussurrò accorata: “Cercherò di parlarle. Ora,
tu vai subito a casa a riposare. Sei pallida come un morto.”
“Devo fare il mio turno alla
stalla” brontolò la giovane, lo sguardo fisso sul suo ventre.
“Sì, figuriamoci!” ritorse
Tyura, sprezzante. “Non appena sentirai l’odore dello sterco di cavallo,
sverrai come una pera cotta. Vai a riposare, mentre io cerco di calmare la
mamma. Poi, vedrò di cambiarti le mansioni con qualcosa di più leggero e meno… profumato.”
Eikhe la fissò senza capire
e la sorella, con un sorrisino, si limitò a dire: “So che non potresti mentire,
su ciò che hai detto di Hevos, visto ciò
che sei, e io ho fede in
Lui, prima di tutto.”
“Grazie, Tyura” sorrise a
quel punto Eikhe.
“Coraggio, vai, hai già
fatto abbastanza danni, per oggi” la sospinse fuori la sorella, ridacchiando.
Annuendo, la ragazza si
defilò alla svelta e una volta fuori, si ritrovò ad affrontare la sua amica
Sendala che, turbata, la prese sottobraccio per accompagnarla a casa.
“E’ scoppiato il finimondo?”
“Quasi” annuì Eikhe,
lanciando occhiate dubbiose in direzione delle donne che la stavano osservando.
“L’hai detto a tua madre?”
“Era fuori di casa, e ti ha
vista. E’ stata lei a venire a chiamarmi. Kaihle ti ha picchiata?” la informò
Sendala, notando poi la sua guancia arrossata e gonfia.
“C’è riuscita solo una
volta” precisò lei, ghignando tristemente. “Sanno chi è il padre?”
“Non l’ho detto a nessuno,
come ti avevo promesso” scosse il capo l’amica. “Molte anziane pensano che
dovresti essere punita, ma le ragazze sono tutte dalla tua parte.”
“Bene, perché nei prossimi
mesi ci sarà da discutere” sospirò Eikhe, scuotendo il capo per la stanchezza.
“Temi possa nascere
maschio?” si preoccupò di chiedere Sendala, sorreggendola.
“E’ una possibilità e, se
dovesse succedere, avrò bisogno di tutto l’appoggio possibile, visto che non potrei
in ogni caso mandare mio figlio dal padre” ammise la ragazza, raggiungendo casa
sua con l’amica.
Annuendo, Sendala la bloccò
sull’entrata prima di dirle: “Sei mia amica, e il neonato sarà mio figlioccio in ogni caso. E’ quanto di meglio possa
fare per te, Eikhe. E sono più che sicura che altre ragazze si proporranno per
fare da madrina al frutto della tua gravidanza. La legge sta diventando stretta
a molte, ormai.”
“Non ti chiederei di più,
visto che significherebbe mettersi contro mia madre e le altre” sorrise Eikhe, prima
di vedersi raggiungere da altre sue amiche che, preoccupate, la attorniarono
curiose. “In quanto alla legge, Hevos è stato chiaro. Siamo vicini alla
svolta.”
Sendala annuì, lasciando che
le altre ragazze si avvicinassero alla figlia sacra per conoscere le sue
condizioni di salute.
Sospirando, Eikhe sorrise
loro e le invitò a entrare in casa sua per spiegare loro la situazione.
Se, da quel che pareva, le
Anziane erano contrarie alla sua gravidanza, avere l’appoggio delle figlie
sarebbe stato già qualcosa.
Non voleva pensare che una
delle matrone potesse farle del male di proposito, ma i pregiudizi radicati fin
nel profondo potevano cambiare l’animo di molte.
Avere al suo fianco qualche
buona amica, oltre ai lupi, non avrebbe fatto male.
***
Sistemando l’ultima
camiciola nella sacca da viaggio, che avrebbe caricato sul suo cavallo prima
della partenza verso il fronte, Aken lanciò uno sguardo al sacchetto di pelle
ricamata che Ruak gli aveva consegnato al suo ritorno da Marhna.
Non aveva voluto partecipare
alla missione che sarebbe tornata tra le montagne.
Se mai avesse incontrato
Eikhe, avrebbe mollato tutto e l’avrebbe rapita, scomparendo con lei tra le
montagne per vivere per sempre al suo fianco.
Con quel folle gesto, però,
avrebbe condannato entrambi a una vita solitaria, braccati dai soldati del
Regno e, con tutta probabilità, anche dalle figlie del branco.
Inoltre, Eikhe non gli
avrebbe mai e poi mai permesso di comportarsi in maniera egoista, nei confronti
delle persone che lui era deputato a proteggere.
Era generosa fino allo
sfinimento e pensarci, a volte, lo uccideva.
Avrebbe tanto voluto che lei
fosse stata meno ligia al dovere. O anche lui.
“Come se tu fossi veramente
capace di abbandonare tutto, come se nulla fosse sussurrò tra sé Aken, levando
di colpo il capo quando udì la porta della sua stanza aprirsi.
Bloccandosi a metà di un
passo, le braccia ingombre di lenzuola pulite e gli occhi sgranati per la
sorpresa, la governante fissò il principe per alcuni attimi prima di esalare:
“Vostra Altezza! Perdonatemi, pensavo che…”
Fermandola sul nascere con
un gesto della mano, Aken le sorrise bonariamente prima di avviarsi verso di
lei, toglierle di mano il pesante fagotto che portava e poggiarlo sulla scrivania.
“Nessun disturbo, Iruna.
Stavo per andarmene.”
Scrutando le sacche da
viaggio del principe, la giovane donna annuì e, sorridendo, disse: “Sarete il
vanto del Regno, sul campo di battaglia. Noi tutti ne siamo sicuri.”
“Grazie della fiducia” ghignò
Aken prima di perdere il sorriso e osservarla con occhi profondamente turbati.
Vagamente sorpresa da quel
cambio repentino d’umore, Iruna si arrischiò ad avvicinarsi al principe e lui,
afferrandole le mani con una presa gentile, la fece accomodare sul letto.
Dubbioso, le domandò: “Pensi
io sia stato un uomo insensibile, Iruna? Con te, intendo.”
Sbarrando le palpebre per un
momento e fissando in viso l’uomo che aveva di fronte, Iruna non poté esimersi
dal sorridere comprensiva.
Scuotendo il capo, quindi,
replicò: “Voi siete molte cose, principe, ma di certo non un uomo insensibile.”
“Ma ho approfittato della
tua solitudine, del tuo dolore, per un mio piacere personale” precisò Aken,
arrossendo leggermente suo malgrado.
La visione di quel tenue
rossore sulle gote dell’uomo dissero a Iruna che qualcosa di molto profondo era
accaduto al principe, in quei mesi.
Arrischiandosi a carezzargli
una guancia sbarbata di fresco, mormorò: “Ci siamo approfittati della
vicendevole solitudine, allora, principe. Mio marito era scappato con una donna
dalla dote più cospicua della mia, lasciandomi sola con i suoi debiti. Voi
eravate tutto solo di fronte a quel boccale di birra, perso in mille e più
pensieri, niente più che un ragazzo dinanzi a un evento troppo grande per il
vostro giovane cuore. Abbiamo cercato solo di guarire per qualche istante le
rispettive ferite.”
Storcendo la bella bocca,
Aken replicò: “Non era la prima volta che perdevo uomini in battaglia, e non
avrei dovuto crollare a quel modo. O chiederti di salire nelle mie stanze.”
“Avevate vent’anni, e non
perdeste solo degli uomini, ma degli amici. Foste voi stesso a dirmelo”
precisò Iruna, sorridendo indulgente. “Voi mi conduceste via dallo squallido
locale in cui lavoravo per colpa del mio ex marito, e mi assumeste qui a
palazzo, dandomi questo lavoro profumatamente pagato. Quindi, non mi venite a
dire che siete un uomo insensibile.”
Aken sospirò afflitto, ma la
governante scosse nuovamente il capo, aggiungendo con enfasi: “Se foste stato
crudele e freddo, vi sareste preso il vostro piacere con la sguattera di turno,
e mi avreste lasciato due monete di rame sul comodino prima di andarvene,
infischiandovene del mio futuro. Invece, avete cercato in tutti i modi di
aiutarmi. Avete pagato il mio debito, liberandomi da quell’aguzzino e ora, a
distanza di anni, ho un marito e un figlio amorevoli, che io amo e apprezzo, e
da cui sono amata e apprezzata.”
“A ogni modo, ho cercato il
piacere senza mai amare le donne con cui sono andato a letto” precisò lui,
reclinando il capo con afflizione.
“Eravate giovane, colmo di
sogni e speranze, ma anche pieno di dubbi e paure. Ma, da quel che so, nessuna
delle donne che avete visitato, si è mai lamentata di voi, o sbaglio? Le
ragazze che ho potuto conoscere io, concordano nel dire che siete un giovane
gentile e altruista” sottolineò Iruna, trovando abbastanza ironico trovarsi
nella stanza del principe per rincuorarlo su faccende così delicate.
Sbuffando, Aken replicò con
voce roca: “Mi sembra di non averle apprezzate come meritavano,… come meritavi.”
Sorridendo spontaneamente,
Iruna gli chiese: “Avete… conosciuto
solo alcune delle ragazze pagate dall’esercito per seguirvi in guerra, vero?”
Annuendo dubbioso, Aken
attese che lei continuasse e la governante, dandogli una pacca su un braccio, aggiunse:
“Non ho mai capito perché voleste dirmi di loro, ma forse ora vedo più chiaro.
Volevate la mia approvazione, volevate dimostrarmi che, nonostante voi non le
amaste, vi eravate preso cura di loro come avevate fatto con me. Portarle via
dai bordelli destinati ai soldati è stato un gesto coraggioso… se vostro padre
avesse scoperto che, dietro a quelle fughe improvvise, c’eravate voi, non credo
avrebbe gradito.”
“Dovevo loro più di due
monete sul comodino” ironizzò tristemente Aken.
“Solo perché avete un cuore
nobile… altri uomini non l’avrebbero mai
fatto.”
Nel dirlo, gli sorrise
benevola.
“Forse, parlartene fu un po’
troppo…” ridacchiò imbarazzato il principe.
“Sulle prime, mi imbarazzaste
un po’, ma fu in qualche modo piacevole sapere che vi fidavate al punto tale di
parlarmi di cose così intime. Non potendone parlare con la regina, né tanto
meno con il re, volevate avere il parere di qualcuno che vi conosceva e vi
desse una risposta sincera” scrollò le spalle Iruna, vedendolo annuire.
“Dunque, ho commesso qualche
errore, secondo te?” chiese a quel punto Aken.
“No, mio principe. Nessuno.
Ma dubito voi me l’abbiate chiesto esplicitamente, adesso, perché siete
preoccupato di un mio eventuale diniego” notò gentilmente la governante,
levandosi in piedi per prendere tra le mani il sacchetto di pelle confezionato
da Eikhe.
Aken la scrutò dubbioso, gli
occhi che indugiavano sulle sue mani giunte.
Scrutandolo in viso con un
mesto sorriso, Iruna mormorò: “La ragazza che giunse qui all’inizio
dell’inverno… Eikhe di Nestar. E’ lei che portate nel cuore con così tanta
infelicità a tingervi lo sguardo?”
“E’ così evidente?” chiese
allora l’uomo, distogliendo lo sguardo per fissarlo sulla balconata, dove
poteva scorgere il contorno lontano delle montagne.
Imitandolo, la donna annuì.
“Non avete mai avuto quello
sguardo perso e sofferente, se non dopo la sua partenza. Da quando lei non è
più qui, voi non sembrate più lo stesso. Inoltre, il suo profumo permeava le
vostre lenzuola, in quei giorni e, anche non volendo ficcare il naso, me n’ero
accorta.”
Tornando a guardarla con una
domanda silenziosa nello sguardo, Aken le sentì dire: “E’ la persona migliore
che avreste mai potuto scegliere, pur se ogni cosa vi divide. Lei comprende voi, chi siete veramente. E questo è
l’essenziale.”
“Anche se non potrò
rivederla mai più?” sospirò Aken, levandosi in piedi e ricevendo il
portafortuna di Eikhe dalle mani di Iruna.
“Siete il principe
ereditario e, per onorare la Corona, dovrete sposarvi e dare degli eredi al
reame che vi succedano, ma il vostro cuore ha conosciuto l’amore vero e non
potrà mai essere di nessun altro, se non di quella fanciulla” sospirò la
governante, dando delle pacche leggere sulla spalla di Aken.
Il principe assentì, pur
odiando ogni sua parola.
“Non vi invidio per il peso
che dovete portare, giovane principe ma, per quello che vale, conoscere un
amore così vale sempre la pena, anche se lo si può stringere tra le mani solo per
breve tempo.”
Sospirando tremulo, Aken
annuì dopo un attimo e, sorridendole calorosamente, disse: “Grazie, Iruna, di
tutto. Parlare con te mi ha fatto bene. Mi ha sempre fatto bene.”
“Ci sarò ogni volta che
vorrete, principe” gli promise Iruna, prima di accennare un sorriso e
aggiungere: “Lottate con valore, e tornate da noi vivo.”
“Lo farò” annuì lui,
raccogliendo le sue sacche per poi uscire dalla stanza.
***
Avanzando con il grosso
dell’esercito lungo la piccola carovaniera che conduceva a Royconea, poco a
nord-ovest delle Cascate del Cielo, Aken sospirò pesantemente.
Il pensiero di incontrare
Eikhe, dopo quasi cinque mesi dalla loro separazione, lo metteva a disagio.
Certo, aveva saputo da Ruak
che lei stava bene, e che lo salutava con affetto, ma non gli bastava.
Neppure avere al collo il
suo portafortuna lo faceva sentire meglio e, in qualche modo, era geloso del
fatto che Eikhe ne avesse confezionato uno anche per il fratello.
Sapeva che era stato solo un
gesto d’amicizia.
Eikhe stessa aveva ammesso,
prima di partire, di trovare molto simpatico suo fratello, ma non gli andava
giù lo stesso.
Dividere qualcosa di Eikhe
con Ruak, fosse anche un innocente portafortuna, non gli garbava.
Era come strapparsi di dosso
un pezzo di cuore. E del suo ne era rimasto ben poco, dalla sua partenza.
Sollevando un momento il capo
per osservare le rade nubi che tingevano un bel cielo terso di inizio
primavera, Aken si chiese quando avrebbero avuto notizie delle donne-lupo.
Il confine non distava
molto, e di loro non v’era ancora traccia.
“Pensieri profondi,
fratello?” gli chiese Ruak, interrompendo il suo divagare silenzioso tra le
nubi.
Volgendo lo sguardo per
osservarlo, fiero e diritto sulla sella nonostante i molti giorni di marcia che
avevano sulle spalle, Aken scosse il capo e disse: “Mi chiedevo quando avremmo
incrociato il contingente di donne-lupo, tutto qui.”
“Sono sicuro che le
incontreremo quanto prima” dichiarò sicuro il giovane principe cadetto.
“Preoccupato per Eikhe?”
“Per una miriade di cose, in
verità” sospirò lui. “Non so come dovrei comportarmi, con lei, ed è una cosa
che mi irrita non poco.”
“Vedi di non farlo diventare
un annoso problema perché, sul campo di battaglia, potrebbe costarti la vita”
precisò Ruak, facendosi serio prima di allungare una mano e stringere la sua, poggiata sul
pomo della sella. “Non voglio perdere un fratello per colpa delle sue pene
amorose.”
“Ne riparleremo quando sarai
tu a sanguinare dal cuore” precisò Aken. “Ma no, lascerò fuori Eikhe e tutto il
resto, una volta che saremo al dunque. E’ solo il viaggio a rendermi un po’
musone.”
“Alla nostra partenza da
Rajana, sembravi più sereno” gli rammentò il fratello minore, sollevando
dubbioso un sopracciglio.
Aken allora si esibì in un
sorriso tutto denti e il fratello, scoppiando a ridere, esalò: “Non sei
normale, fratello mio!”
“Mai detto di esserlo”
replicò il principe ereditario prima di volgere lo sguardo verso ovest, non
appena l’ululato di un lupo si espanse nella vallata.
“Eccole!” sussurrò,
sorridendo a Ruak.
Alcune ore dopo quel primo
ululato, Aken vide il primo lupo uscire in avanscoperta dal bosco vicino.
Levato il pugno in alto per
bloccare la colonna di uomini e mezzi che guidava, attese paziente che le donne
uscissero allo scoperto con il resto dei loro animali.
Dietro di lui, l’esercito
interruppe la marcia con efficienza e velocità e, sotto gli occhi sorpresi di
tutti, un fiume incessante di donne-lupo si allargò intorno a loro come un
gigantesco ventaglio vivente.
Lupi di tutte le dimensioni
e colori si unirono a loro mentre, dal grosso dell’esercito, cori soffusi di
sorpresa si intervallavano al nitrito di alcuni cavalli e al muggire dei buoi
che trasportavano le vettovaglie.
Di fronte a un simile
spettacolo – non potevano esserci meno di cinquemila donne-lupo, innanzi a loro
– Aken non poté che sbattere meravigliato le ciglia.
Ruak, al suo fianco, osservò
tutte loro a occhi sgranati e bocca spalancata.
I loro pesanti mantelli di
pelle, le maschere di terracotta che ne deformavano i lineamenti e le lunghe
lance che portavano con fierezza, gridavano ai quattro venti quanto fossero
pericolose, pur se donne.
Sia Aken che Ruak non si
sognarono neppure per un istante di sottovalutarle.
Dopo quel breve momento di
sgomento, il principe ereditario scese da cavallo per andare loro incontro e attese
che una di lro si avvicinasse per presentarsi al suo cospetto.
Quando scorse infine una
figura alta e aggraziata muoversi verso di lui, riconobbe in quei movimenti la
persona di Kaihle, nonostante la maschera di terracotta dal profilo bizzarro ne
confondesse i lineamenti.
Scostando la maschera dal
volto quando fu abbastanza vicina a lui, la donna lo fissò con cupo cipiglio prima
di sospirare e dire: “Come promesso al re, le donne-lupo sono giunte per
appoggiarvi durante la battaglia.”
Allungando una mano per
stringere quella di Kaihle, Aken le sorrise cordiale e replicare: “Vi sono
grato per aver accettato la nostra richiesta. Sono sicuro che sarete un aiuto
più che valido per il mio esercito e, fin d’ora, la Corona vi ringrazia per
tutto ciò che potrete fare per la causa.”
Guardandosi intorno con
brevi cenni del capo, Kaihle schioccò le dita una volta sola e, dal gruppo di
donne alle sue spalle, i lupi si mossero in formazione per avvicinarsi
all’esercito.
“Devono imparare a
riconoscere i loro odori. Dite agli uomini di non muoversi, se non vogliono
essere morsi” spiegò poi Kaihle, lo sguardo adamantino fisso su di lui.
Annuendo, il principe riferì
il messaggio ai suoi luogotenenti e al fratello, prima di sorridere nel vedere
avvicinarsi un bel lupo dal manto dorato.
Allungando una mano, gliela avvicinò
al naso sorridendo tranquillo e, con voce soffusa, mormorò: “Ciao.”
Il lupo lo annusò per un
momento prima di scodinzolare e Aken, piegandosi su un ginocchio, lo grattò
dietro le orecchie, sorridendo soddisfatto quando lo vide ciondolare la lingua
con aria appagata.
Aggrottando leggermente la
fronte di fronte al suo lupo, e a quello scambio di confidenze inaspettate, la
donna disse atona: “Pare tu non ne abbia paura.”
“A Nys piaceva che lo grattassi
dietro le orecchie” spiegò Aken, prima di sospirare e mormorare mestamente: “Mi
è spiaciuto vederlo morire. Era un bravo lupo, e un ottimo compagno di viaggio.”
“Ehi, fratello, dici che
posso farlo anch’io?” intervenne Ruak, sorridendo incerto al lupo che, alla
stessa maniera, lo stava guardando con il muso piegato su un lato.
“Prima lascia che senta il
tuo odore, e non mostrare mai i denti, perché potrebbe interpretarlo come una
sfida” gli spiegò Aken, senza accorgersi dello strano cipiglio sul volto di
Kaihle.
Ubbidendo, Ruak si piegò in
ginocchio vicino al lupo come suggeritogli dal fratello e, ridacchiando, esalò:
“Ha un pelo morbidissimo, e un gran bel colore.”
“Avy è uno dei pochi lupi
della nostra tribù ad avere questo tipo di pelo” spiegò loro Kaihle,
richiamando a sé il suo lupo con uno schiocco secco della lingua contro il
palato.
“Eikhe ne ha uno grigio. Gliel’ho
visto quando è venuta alla guarnigione, a Marnha” asserì pensieroso Ruak,
grattandosi il mento ricoperto da leggera barba chiara. “Lei c’è? Mi piacerebbe
salutarla.”
“Eikhe è rimasta a Nestar.
Si deve occupare delle difese del villaggio in mia assenza” dichiarò la donna,
con gelo nella voce.
“Oh, che peccato! Mi sarebbe
piaciuto parlare ancora con lei” sospirò allora il giovane principe, guardando di
soppiatto il fratello, che era impallidito a quella notizia. “Posso mandarle un
messaggio con i miei saluti, Signora?”
“Vi informerò quando
spediremo le nostre missive al villaggio” replicò succinta Kaihle,
allontanandosi subito dopo con il suo lupo per tornare dalle altre donne.
“E così, non c’è” commentò
Ruak, guardando di straforo Aken.
“Parrebbe di no” disse cauto il guerriero.
“Forse, la madre ha
preferito tenerla al sicuro dai combattimenti” ipotizzò allora il fratello
minore, scrollando le spalle.
“Eikhe può tener testa a
venti donne normali” dichiarò per contro Aken, storcendo il naso. “E a una
decina di uomini, se è per questo. Non penso proprio che la battaglia c’entri
con la sua mancanza dal fronte.”
“Credi non sia voluta
venire?” borbottò il giovane, un po’ sorpreso.
“Tu che dici? Sei tu ad
averla vista per ultimo” ringhiò Aken, fissandolo con cupo cipiglio.
Sostenendo il suo sguardo
d’acciaio, Ruak replicò piccato: “E’ inutile che mi guardi come se ti avessi
fatto il più grande torto del mondo. Eikhe mi piace, ma non quanto piace a te,
questo è sicuro. Io e lei siamo amici, ma era più che evidente che lei avrebbe
visto dieci volte più volentieri te, quel giorno, a Marnha.”
Sospirando, Aken reclinò il
capo e gli domandò: “Sei sicuro che stesse bene, vero?”
“Sì, era un po’ pallida, ma
forse era dovuto al freddo. Quello che sicuramente le faceva male, era saperti
lontano” gli spiegò Ruak, calmandosi immediatamente e dando una pacca
consolatoria al fratello.
Lo faceva soffrire vedere Aken
così abbattuto e, per un momento, se la prese con Eikhe; perché non era venuta?!
“Esattamente come fa male a
me” ammise il guerriero, appoggiando una mano alla sella del suo stallone. “Non
chiedo molto, solo di rivedere ancora una volta i suoi occhi.”
“E pensi che basterebbe?
Andiamo, Aken! Si vede benissimo che l’ami, e credo che la cosa sia più che
ricambiata” sbottò Ruak, con veemenza. “Perché non ne parli con nostro padre?
Se gli spiegassi la cosa, sono sicuro che si troverebbe una soluzione.”
“E cosa dovrei fare? Farla
diventare la mia amante?” ritorse Aken, aspro. “Non la accetterebbero mai come regina,
e lei non vivrebbe mai in un castello per tutta la vita, come semplice
concubina, sapendo bene di non potermi avere tutto per sé. Maledizione, Ruak,
non posso certo farle uno sgarbo simile!”
Annuendo grave, Ruak gli
chiese con delicatezza: “Sei stato insieme a lei?”
“Sì” disse solo Aken,
passandosi una mano sul torace coperto dalla cotta di maglie di ferro
dell’armatura.
“Se io… se io prendessi il
tuo posto, non avresti più il peso della corona sulle spalle e…” tentennò Ruak,
guardandolo con aria dubbiosa da sotto le lunghe ciglia.
Sinceramente sorpreso, il
guerriero esalò a occhi sgranati: “Ti sobbarcheresti un peso simile… per me?”
“Sei mio fratello. E poi,
per me non sarebbe un peso come lo è per te. Sono più propenso di te ad
ascoltare i ministri e i prelati” scrollò le spalle il giovane principe.
Il principe ereditario
sospirò, così il fratello tornò alla carica.
“Andiamo, Aken, credi non mi
sia accorto che non sei felice neppure tu, a palazzo? Sembri schiacciato dalle
pareti del castello, come se ti soffocassero. In questo, credo tu sia molto
simile a Eikhe. Amate entrambi la libertà, e penso sia stato questo ad
avvicinarvi così tanto, in primo luogo. Già da prima di scoprire di amarla, tu
potevi benissimo comprendere i suoi sentimenti.”
Sorridendo con autentico
affetto al fratello, Aken gli strinse una mano sulla spalla e disse: “Dammi uno
ceffone, la prossima volta che ti dirò che non sei abbastanza adulto per darmi
consigli.”
Ridacchiando, Ruak replicò:
“E rischiare di prenderlo indietro? Neanche per sogno!”
***
Seduto accanto a uno dei
tanti fuochi accesi nel campo allestito dall’esercito, Aken osservava
pensieroso le fiamme danzanti che ardevano di fronte a lui.
Una lieve brezza profumava
l’aria dell’odore caratteristico dei pini da resina, che circondavano la radura
dove si erano fermati.
In lontananza, nel fitto dei
boschi, alcuni cervi stavano dichiarando al mondo a chi appartenevano quei
luoghi.
I molti lupi presenti,
frementi all’idea di cacciare, uggiolavano infastiditi dall’intraprendenza di
quelle prede, che li stavano apertamente sbeffeggiando.
Il loro compito non era
cacciare, per quella notte, ma il loro istinto di predatori cozzava con gli
ordini ricevuti e, di sicuro, più di un lupo avrebbe sofferto le pene
dell’inferno, quella notte.
I cori degli uomini intorno
ai fuochi si inframmezzavano alle chiacchiere allegre delle donne, poco
distanti dal loro accampamento.
Il nitrito dei cavalli,
invece, si accompagnava al muggito sommesso dei buoi, pronti per il riposo
notturno.
Alta in cielo, la luna
disegnava uno spicchio candido e freddo come le stelle sue compagne.
Sorridendo al ricordo di una
lontana notte in cui, con un cielo come quello, aveva spiegato il corso delle
stelle a Eikhe, Aken si chiese cosa stesse facendo in quel momento la ragazza.
Sdraiandosi a mani conserte
dietro al nuca, il lungo corpo disteso su un telo di pelle, il principe rimase
in silenziosa ammirazione del manto celeste.
Questo fin quando,
all’improvviso, di fronte al suo viso si allargò il muso affilato di un lupo maculato
grigio e nero.
Sollevandosi a mezzo, il
giovane principe lo fissò confuso per un momento prima di chiedere: “Cosa
c’è’?”
Il lupo lo tirò debolmente
per la tunica, come a volergli dire di seguirlo e lui, dopo un attimo di
sconcerto, si levò in piedi e seguì il lupo dal pelo maculato, dirigendosi
verso il fitto del bosco.
Non appena oltrepassarono
alcuni cespugli, l’oscurità si fece quasi totale e il lupo si fermò, scrutando
Aken dietro di sé.
Fermo a pochi passi dall’animale,
il principe aggrottò la fronte per un attimo prima di scorgere, vicino a un
abete sottile, la figura ammantata di una donna.
Intenta a osservarlo da
dietro la maschera che indossava, la figlia del branco esordì dicendo: “Eccoti,
finalmente.”
La sua voce era esile e aggraziata
e denotava la sua giovane età per cui Aken, con un sorriso sghembo, si esibì in
un frivolo inchino prima di chiedere: “Posso esserti utile in qualcosa, figlia
del branco?”
Sobbalzando leggermente per
la sorpresa, la ragazza si tolse la maschera dal viso mostrando un incarnato
d’alabastro, neri capelli legati in una treccia e occhi nocciola.
Avanzando di un passo, gli chiese
dubbiosa: “Come sapevi che non ero una Madre?”
“La voce tradisce la tua
età…” le spiegò Aken. “…quindi torno a chiederti; in cosa posso esserti utile?”
“Volevo solo conoscerti…”
scrollò le spalle la ragazza, prima di aggiungere: “… sono un’amica di Eikhe.”
Accigliandosi subito, Aken le
chiese preoccupato: “Lei, come sta?”
“Bene, direi. Volevo solo capire
cosa ci trovasse di così interessante, in te” ammise con sincerità la ragazza,
girandogli intorno con aria meditabonda, studiandone le forme come se dovesse
scegliere un capo di bestiame.
Un po’ teso di fronte a
quell’esame non previsto, lui le chiese vagamente nervoso: “Posso sapere il tuo
nome?”
“Sendala, principe” mormorò
la giovane, ancora intenta a guardarlo.
“Bene, Sendala, vedi di
piantarla. Non sono un toro in vendita alla fiera, pronto solo per essere
macellato” sbottò Aken, facendola scoppiare a ridere.
“Sì, scusami” annuì lei,
tornando dinanzi all’uomo e intrecciando le mani dietro la schiena.
“Cosa ti ha detto, Eikhe?”
si informò allora lui, scrutandola in quegli occhi limpidi e attenti.
“Ogni cosa. Per questo, ho insistito per venire qui. Per vederti” lo
informò Sendala. “Non ho mai fatto mistero di non fidarmi degli uomini, ed
Eikhe è la mia migliore amica, quindi volevo essere sicura che avesse perso la
testa per un uomo degno di lei. Non che la cosa mi riempia di gioia ma, se è
contenta lei...”
Poggiando le mani sui
fianchi, Aken borbottò piuttosto scocciato: “E pensi che, soltanto guardandomi,
riusciresti a capire tutto, di me?”
“Non sarei mai così
superficiale…” precisò Sendala, assottigliando le iridi nocciola. “…ma, dal tuo
portamento, capisco che sei un uomo fiero e valoroso. Nei tuoi occhi posso
scorgere un cuore nobile e puro, e dalla piega amara della tua bocca so che un
dolore profondo ti squarcia l’animo.”
Sorpreso da quella
dichiarazione, espressa senza alcuna accusa nella voce, né condanna, il
principe sospirò e ammise: “Siete davvero creature speciali, voi ragazze-lupo.
Pensavo che Eikhe, per quello che è, fosse un caso a sé, ma ora scopro
che lo siete tutte, a vostro modo.”
“Non hai paura di lei?”
chiese allora Sendala, inclinando il capo per scrutarlo con espressione
guardinga.
“Perché dovrei?” mormorò semplicemente
Aken, allargando un poco le braccia come se la sua fosse stata una domanda
inutile. “Lei è Eikhe. Punto. Non mi interessa un accidente se è capace di
stendermi con un pugno, …anche se spero non lo faccia mai.”
A quel punto, Sendala
sorrise comprensiva e disse: “Bene, credo di poter stare tranquilla, allora.”
Scrutandola con attenzione, lui
decise di essere non meno diretto della ragazza e le chiese senza mezzi termini:
“Tu l’ami, vero?”
Imperturbabile, la giovane
annuì e rispose con veemenza: “Certo che l’amo. Credevi di avere l’esclusiva?
Ma Eikhe non mi ama nello stesso modo in cui l’amo io, visto e considerato che,
quel tipo di amore, lo ha concesso a te.”
“E non sei gelosa?” le chiese
allora Aken.
“No. Perché, innanzitutto,
io voglio il suo bene e, se può essere felice con te, io non dirò nulla”
scrollò le spalle Sendala.
“Sai bene che non potremo
mai vivere insieme. Nessuno dei due può soverchiare le leggi che ci guidano”
precisò il principe, aggrottando la fronte.
“Lo so, ma spero sempre che
qualcosa cambi, per lei e, a questo punto, per te” sospirò Sendala, prima di
chiedere: “Kaihle ti ha detto nulla di Eikhe?”
“No, perché?” volle sapere lui,
curioso.
Mordendosi un labbro,
Sendala scosse il capo e mormorò: “No, nulla, allora.”
“Cosa succede, Sendala? Cosa
dovrei sapere?” aggrottò la fronte Aken.
Che succedeva?
“Come hai detto tu, ci sono
leggi che non si possono soverchiare. Io sono legata a esse non meno di te, per
cui…” scrollò le spalle la figlia del branco, allontanandosi di un passo da
lui. “Non avrei neppure dovuto parlare con te, visto che Kaihle lo ha proibito,
ma dovevo essere sicura che tu… beh, che tu amassi Eikhe di amore sincero.”
“Capisco” annuì Aken,
sorridendole mestamente. “Quando tornerai al tuo villaggio, le porterai un mio
messaggio?”
Annuendo, Sendala disse:
“Dimmi pure.”
“Dille che non smetterò mai
di amarla e che, se non ci consentiranno di vivere insieme, io non sposerò mai
nessuna donna” mormorò il principe, un sorriso triste a tingergli il viso.
“Ma tu… sei il principe
ereditario. Non puoi rimanere senza moglie!” esalò la ragazza, sgranando gli
occhi per la sorpresa.
“Ci penserà mio fratello, se
mai vorrà, a dare un erede alla Corona, ma non certo io.”
Poi, con un sospiro, aggiunse:
“I lupi non rimangono con il proprio compagno per tutta la vita?”
Sendala annuì infelice e,
guardandolo con comprensione, mormorò: “Riferirò il tuo messaggio, principe.”
Senza dire altro, sgattaiolò
via nell’oscurità del bosco, seguita in silenzio dal suo lupo.
Dopo aver scrutato quell’ombra
lesta muoversi e svanire tra gli abeti, scrollò le spalle e se ne tornò al
campo.
Presto ci sarebbe stata
battaglia, e lui doveva concentrarsi solo su quella, altrimenti sarebbe morto.
Crogiolarsi col pensiero dei
bei capelli di Eikhe tra le mani, o del suo viso acceso dalla passione, lo
avrebbero deconcentrato al punto tale che chiunque avrebbe potuto conficcargli
una spada nel ventre.
No, meglio non pensare a
lei, almeno per un po’. Anche se era decisamente difficile non farlo.
Tornando a sedersi dinanzi
alla sua tenda, dove splendeva un allegro fuocherello, ne vide uscire Ruak.
“Si sente tensione
nell’aria.”
“A me viene la pelle d’oca”
celiò Aken, con un sogghigno.
“Allora, siamo a posto. Vuol
dire che sono vicini” dichiarò il giovane, sedendosi accanto al fratello.
Estraendo il portafortuna di
Eikhe, nascosto dalla casacca che indossava, Aken lo guardò a lungo senza dire
nulla, immaginandosi le dita abili della ragazza mentre cucivano quel sacchetto
colmo di erbe profumate.
Sorridendo mesto, mormorò:
“Eikhe mi ha insegnato a muovermi per i boschi, ad ascoltare il respiro delle
piante. Dopo un po’, diventa piuttosto facile, anche senza avere le sue doti.”
“E’ questo che stai facendo,
ora?” gli chiese Ruak, scrutandolo curiosamente.
Annuendo, Aken asserì:
“Sento i lupi che vorrebbero muoversi dal campo per andare a caccia, e il
chiacchiericcio delle donne, poco lontane dai qui, che discutono di tattiche di
guerra, mentre nel bosco i cervi passeggiano placidamente.”
Guardando ammirato il
fratello, Ruak asserì con un sorriso: “Stare con Eikhe ti ha reso estremamente
riflessivo, sai?”
“Dici?” ridacchiò Aken.
“Ammetto tranquillamente che, prima, non brillavo per pazienza o attenzione per
i particolari.”
“Per niente. Eri più un
bufalo che attaccava a testa bassa” annuì sogghignando Ruak. “Ma ora sei
diverso. Il tuo viso è più posato, e sembri più controllato, meno propenso a
perdere la calma.”
“Perdere il controllo ti
rende debole, l’ho imparato piuttosto bene” ammise Aken, rigirandosi il
portafortuna in una mano.
“Vuoi dire che non salterai
sul tuo cavallo per buttarti in mezzo alla mischia come un folle sanguinario?” ghignò
Ruak, ridacchiando.
“No, penso proprio che non
lo farò” decretò Aken con aria saccente.
Dandogli una pacca sulla
spalla, Ruak celiò divertito: “Beh, ti voglio proprio vedere!”
Aken lo fissò con aria
pensierosa, ripensando alle parole del fratello.
Sì, stare con Eikhe lo aveva
cambiato per sempre, ormai se ne rendeva conto anche da solo, così come si
rendeva conto che Ruak aveva visto giusto anche su un altro punto.
Il castello era sempre stato
una gabbia, per lui, non lo aveva mai amato come, invece, lo amava il fratello,
o il padre.
Per lui, era solo un luogo
in cui tornare e ritrovare i suoi affetti ma, non appena quelle pareti di
roccia gli si chiudevano intorno, un senso di soffocamento lo prendeva ogni
volta.
Senso di soffocamento che si
annullava ogni qual volta sgusciava dall’abbraccio di Rajana, per gettarsi in
mezzo alla mischia.
Non era un uomo fatto per
starsene seduto entro quattro mura a discutere di politica, ma un uomo
d’azione, un uomo che amava il respiro della terra, l’urlo del vento e il grido
possente delle acque vorticose.
In questo, era uguale a
Eikhe, e questo li aveva avvicinati come i due pezzi separati alla nascita di
un’unica medaglia.
Saperlo non lo rincuorava,
anzi, il peso sul suo cuore era ancora più schiacciante.
Per amore del suo Regno e di
Eikhe, avrebbe fatto di tutto per proteggere quelle terre che lui tanto amava,
anche stare lontano da lei per tutto il resto della sua vita. |
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Capitolo 15 *** cap.15 ***
Per questo capitolo mi sono in parte ispirata alla battaglia di Austerlitz. Non sempre, avere una posizione elevata durante la battaglia, è sinonimo di vittoria. Buona lettura!
********************
15.
Le prime avvisaglie della
tempesta in arrivo, si ebbero in una uggiosa mattina di primavera inoltrata.
L’esercito di Aken
presidiava la spianata nei pressi di Royconea da più di un mese, preparandosi alla
lotta e attendendo impaziente che il pericolo giungesse da Anarsis.
Sapevano per mezzo di
pattuglie in avanscoperta, del lauto banchetto che stavano portando avanti
nelle terre sguarnite di protezione che si estendevano oltreconfine.
Aken, però, aveva intenzione
di interrompere alla prima portata quel luculliano pasto e, con i suoi uomini,
avrebbe spezzato quelle fauci spalancate e pronte a divorarli.
Avrebbe ridotto il nemico in
condizioni tali da ritornare sui propri passi, o morire tra quelle lande per
loro straniere.
O, per lo meno, questi erano
i suoi piani.
Scrutando pensieroso le nere
colonne di fumo che si levarono poco oltre il confine, Aken aggrottò la fronte nell’indicarle
al fratello e ai suoi ufficiali, chiosando torvo: “Eccoli che arrivano.”
“Avranno una bella sorpresa,
quando passeranno il fiume” dichiarò uno dei comandanti, sogghignando al suo
fianco. “Non si aspettano che ci sia un intero esercito, nascosto nei boschi.
E, di sicuro, non uno di una simile portata. L’idea di nascondere il grosso
degli uomini tra la boscaglia potrebbe rivelarsi decisiva, in caso di scontro
diretto con il nemico.”
“Lo spero” sospirò Aken,
prima di guardare Kaihle, a pochi passi
da lui, e chiederle: “Ci sono stati avvistamenti di lupi?”
“Sono stati prontamente
uccisi, quindi sanno che qualcosa si nasconde qui, ma non ne conoscono le
dimensioni” spiegò Kaihle tranquillamente, le braccia intrecciate sotto il seno.
“Molto bene” annuì il
principe, tornando a guardare il fumo denso e scuro che si levava dalle colline
oltreconfine.
“Noi ci sposteremo verso
nord per attaccare la colonna dei cavalieri che si trova sul fianco sinistro
dell’esercito di Vartas” dichiarò Kaihle, sempre in tono pacato. “I lupi hanno
già fiutato i cavalli, e ci hanno riferito che la loro posizione non è mutata
nelle ultime miglia, quindi non possiamo sbagliare.”
“Ottimo, procedete come
stabilito. Mi fido del vostro buon senso. Noi penseremo alla fanteria di terra,
mentre le figlie sacre baderanno agli arcieri”
acconsentì Aken, prima di volgersi verso il sergente Kerada per dargli
rapide istruzioni.
Annuendo a più riprese
nell’ascoltare gli ordini dettagliati del principe, il soldato si allontanò in
fretta per riferire il piano di azione agli altri ufficiali presenti sul campo.
Rimasto solo con Kaihle e il
fratello, il principe chiese cautamente: “Posso chiederti una cosa, mia Signora
Kaihle?”
“Dimmi, principe” replicò serafica
lei.
“Una volta finita la guerra,
vorrei venire al villaggio per salutare Eikhe. In fondo, è per merito suo se io
posso combattere per difendere il mio popolo, e volevo ringraziarla” le spiegò
Aken, cercando di non mostrarsi troppo interessato.
“Lei non ti vuole più
vedere” rispose seccamente Kaihle, volgendo lo sguardo per fulminarlo con gli
occhi.
Cercando di non sobbalzare
dalla sorpresa di fronte a parole così dure, Aken la fissò confuso, esalando:
“Come mai, se è lecito chiedere?”
Fissandolo con astio, Kaihle
asserì rigida: “Mi chiedi perché?! Dovresti saperlo! L’hai portata su una via
sbagliata e ora si vuole redimere e, per farlo, non ti deve più vedere. Quindi
ti avverto, non mettere piede nei miei territori o, principe o meno, ti farò
attaccare dai miei lupi.”
Cercando di non risponderle
a tono, Aken dichiarò torvo: “Preferirei sentirlo dalla sua bocca.”
“Allora, preparati a morire.
Non ti permetterò di rovinare ulteriormente mia figlia. Lei vuole dimenticarti,
e io la aiuterò a farlo, perciò stai alla larga da noi, quando tutta questa
follia sarà conclusa” sibilò Kaihle, calando sul viso la sua maschera di
terracotta prima di abbandonare un attonito Aken.
Osservandola allontanarsi
con passo deciso, il principe avvertì una morsa stringergli il petto e,
cercando di riprendere fiato, imprecò sottilmente prima di sentire sulla spalla
la mano comprensiva del fratello.
“Credo sia solo furiosa con
te, ma non penso proprio che Eikhe abbia detto una cosa simile” sussurrò Ruak, sorridendo
timidamente.
“Eikhe non vuole rivedermi” ripeté
ad alta voce Aken, posando una mano sul pomo della spada.
“Non lo credo possibile. La
ragazza che ho visto a Marhna non può aver detto una cosa del genere” ripeté
Ruak con veemenza.
“Allora come te la spieghi, questa uscita?!”
ringhiò il fratello, fissandolo con astio malcelato.
“L’hai detto tu che le loro
leggi non prevedono che si possano innamorare di un uomo, perciò sua madre ha
semplicemente cercato di tenerti alla larga da lei, ma questo non vuol dire che
Eikhe la pensi alla stessa maniera” replicò con logica ferrea Ruak,
accigliandosi a sua volta.
“A ogni modo, la sostanza
non cambia. Non posso andare da lei” sospirò Aken, scrollando il capo,
incredulo.
Possibile che fosse tutto
davvero finito? Che, in tutta la sua vita, non avrebbe mai più incrociato lo
sguardo con le sue calde profondità ambrate?
“Cosa vorresti fare? Mollare
tutto? Solo perché lei ti ha detto di non andare?!” replicò scettico Ruak.
“Che altro posso fare?
Rompere il trattato e scatenare una guerra? Potranno anche essere inferiori
numericamente, rispetto a noi, ma combatterebbero su terreno a loro favorevole,
e sarebbe un bagno di sangue. No, non voglio scatenare una seconda guerra, e
solo per il mio amore per Eikhe. Se Kaihle dice così, sono costretto a cedere e
rimanere in silenzio” gli spiegò suo malgrado Aken, un groppo in gola a rendere
mozza la sua voce.
“Ma… e la tua felicità? Non
vorresti stare con lei?” tentennò Ruak.
“Certo che lo vorrei!”
esclamò Aken. “Cosa credi?!”
Sospirando, il fratello scosse
il capo e asserì: “Sì, lo so, scusami. Rischieresti davvero di far scatenare
una guerra intestina, e non è il caso. Vartas ne approfitterebbe subito.”
“Appunto” commentò aspro
Aken, aggrottando la fronte.
“Pensiamo alla battaglia,
Aken. Se anche non puoi vederla, puoi sempre scriverle, no?” abbozzò un sorriso
Ruak, sfiorandogli un braccio con la mano inguantata.
“Già” sospirò a quel punto
il fratello maggiore, annuendo e cercando di concentrarsi sulla battaglia
imminente.
Entro il giorno successivo,
avrebbero sicuramente cozzato contro la fanteria nemica.
Se le rilevazioni delle
donne-lupo erano esatte, si sarebbero ritrovati le cavallerie reali di Vartas
sul lato nord del loro schieramento.
Un’autentica spina nel
fianco.
Non era piacevole ammettere
che i cavalieri di Vartas rappresentavano la loro maggiore preoccupazione,
perché voleva anche dire che il loro braccio armato a cavallo, al confronto,
aveva ben poche speranze di prevalere.
Per annullare il divario di
forze che esisteva tra di loro, si sarebbero affidati agli attacchi fulminei
delle donne-lupo.
Forti dei loro animali e
della loro capacità di muoversi tra i boschi, avrebbero creato scompiglio nelle
formazioni a V dei possenti cavalieri vartassyan.
Questo avrebbe permesso agli
uomini di Enerios di attaccare più efficacemente quell’imponente, quanto
pericolosa, armata nemica.
La fanteria sarebbe stata
più facile da controbattere, essendo l’esercito di Aken più preparato alla
battaglia a viso aperto, nel corpo a corpo mortale.
Quello era pane per i loro
denti, e di questo nessuno di loro aveva paura.
Enerios poteva contare su
picchieri possenti e dalla resistenza quasi illimitata, che bene si sarebbero
trovati su un campo di battaglia del genere.
Agli arcieri, infine,
avrebbero pensato le figlie sacre.
Una sola volta, in quelle
lunghe settimane di attesa, Aken aveva parlato con la loro comandante in capo,
una donna di nome Kreathe.
Da quell’unico colloquio,
però, il principe era tornato tra i suoi compagni rinfrancato e rassicurato.
Sapeva di avere le spalle
ben coperte, nonostante non avesse mai conosciuto prima quella donna.
Aveva lo stesso spirito di
Eikhe e, anche solo per questo, lui si sarebbe fidato a occhi bendati della sua
mano in battaglia.
Paradossalmente, molto più
di Kaihle, che conosceva da maggior tempo.
Sapeva benissimo che
eliminare gli arcieri era il compito più pericoloso – notoriamente protetti
dalla fanteria e dai picchieri – ma, data la forza e la velocità delle figlie
sacre, avevano speranza di vittoria.
Non si sbagliava, confidando
in loro. Avrebbero prevalso.
***
Appostati nelle loro
posizioni, e nascosti agli occhi del nemico dal fitto bosco, i soldati di Aken
non si meravigliarono più di tanto quando udirono, in lontananza, l’eco delle
urla dei cavalieri di Vartas.
Furono quei suoni a dire
loro che l’attacco delle donne-lupo, e dei loro compagni, era avvenuto.
Nel giro di pochi attimi,
grida di lotta e clangore di spade si levarono tra gli alti pini da resina
mentre il fronte principale dell’esercito di Vartas compariva dall’alto della
collina.
Aken, annuendo al
trombettiere, ascoltò la nota squillante che scaturì dall’ottonato strumento
levarsi verso il cielo ed estendersi per tutta la piana.
Questo, avvertì l’esercito
dell’arrivo della fanteria nemica che, nell’udire i suoni di lotta provenienti
dal vicino bosco, si bloccò e serrò le fila in attesa di ordini.
Soddisfatto dell’attacco a
sorpresa sferrato dalle donne-lupo, il giovane principe scorse con la coda
dell’occhio i movimenti furtivi delle figlie sacre, già pronte a muoversi sui
lati delle coorti di Aken.
Levando un braccio per dare
il via all’attacco, il principe di Enerios lanciò un grido spaventoso, che
riverberò sinistro tra le pareti naturali che circondavano la piana.
Come un sol uomo, la
fanteria si mosse per fronteggiare quella di Vartas mentre i cavalieri,
schierati ai due lati dei picchieri – che circondavano i fanti di battaglia – ,
presero la via dei boschi per dare man forte alle donne-lupo.
Ben presto vi furono solo il
caos, le grida, il sangue, la morte.
Fendenti di spade si
mescolavano a sibili di frecce e colpi di lance, mentre le urla degli uomini si
confondevano con le grida delle donne e gli ululati dei lupi.
Spezzando il fronte nemico
con l’attacco a sorpresa delle donne-lupo, Aken aveva reso quasi del tutto
inutile la presenza della cavalleria di Vartas.
Vistasi accerchiata in più
punti dai lupi e dai cavalieri di Enerios, aveva dovuto retrocedere per unirsi
al grosso dell’esercito di fanteria.
Esercito che, in quel momento,
stava tentando di forzare le linee anche grazie agli arcieri presenti sul colle
da cui provenivano.
Serrando man mano le fila
per avere così un esercito più compatto, e utilizzando gli ampi scudi per
proteggersi dalle frecce, Aken riuscì finalmente a vedere all’opera la maestria
nel combattimento delle donne-lupo.
Armate delle loro corte spade
e aiutate dai loro lupi, cominciarono a colpire sul fianco nord la fanteria di
Vartas.
Quando, però, entrarono in
azione le figlie sacre per respingere l’azione degli arcieri, tutti trattennero
per un attimo il fiato, nonostante la battaglia fosse serrata e il tempo per
crogiolarsi fosse davvero esiguo.
La loro agilità nel muoversi,
e la velocità disumana di cui disponevano per natura, permisero alle figlie sacre
di scavalcare di peso la prima difesa formata dalla fanteria.
Questo, concesse al gruppo
di donne di puntare direttamente alla fonte principale del problema.
E lì fu il massacro.
Le figlie sacre dello
schieramento di Vartas - presenti in numero inferiore rispetto al previsto - si
lanciarono contro quelle capitanate da Kreathe, scatenando un autentico
putiferio in mezzo lo schieramento nemico.
Cozzando tra di loro come
tori alla carica, le figlie sacre iniziarono a menar fendenti con la stessa
velocità con cui i lupi azzannavano le prede per ucciderle.
Nel giro di pochissimi
secondi, il sangue cominciò a scivolare a fiotti dai corpi di coloro che
crollarono sotto i colpi delle nemiche.
Superiori per numero, le
figlie sacre devote a Enerios, e non impegnate in combattimento, si occuparono
degli arcieri prima dell’arrivo dei rinforzi da parte di Vartas.
Nel frattempo, le loro
sorelle impegnate nella lotta diedero fondo a ogni più piccola stilla di energia,
per avere il sopravvento sulle nemiche e permettere loro di avere campo libero.
Pur desiderando con tutto se
stesso sincerarsi delle condizioni delle sue alleate, che combattevano nei
pressi del colle, Aken non ebbe la possibilità di controllare come stessero
svolgendosi i fatti.
Quando, però, le frecce smisero
di piovere su di loro come fitta pioggia, seppe che il loro gruppo di figlie
sacre aveva avuto il sopravvento sul nemico.
I pochi soldati che furono
in grado di scorgere l’intera scena dell’assalto agli arcieri, rimasero basiti
di fronte a quello spettacolo e non seppero se gioire della loro presenza, o
esserne spaventati.
Quei dubbi, in ogni caso,
dovettero essere ben presto lasciati in secondo piano quando l’esercito di
Vartas, capitanato da un furioso quanto sconvolto Nargan, portò in campo le catapulte.
Facendo un cenno al fratello,
non appena si avvide di quelle armi sul campo di battaglia, Aken lo vide
scartare immediatamente con il cavallo per raggiungere la sinistra del loro
compatto schieramento di forze.
Con brevi, rapide parole,
inviò uno dei comandanti delle coorti a predisporre le armi per il
contrattacco.
Con un ampio gesto del
braccio, Aken fece disserrare le formazioni per creare svariati e più piccoli
gruppi di uomini.
Questo avrebbe reso più
difficile al nemico concentrare l’attacco su un’unica porzione di campo.
Nel frattempo, lanciando un
fischio alla donna-lupo che, dall’inizio della battaglia, era rimasta al suo
fianco come portavoce, esclamò a gran voce: “Tocca alle vostre arciere! Devono
bruciare le catapulte!”
“Subito!” gridò la donna,
dando un semplice colpo di tacco sul fianco del suo cavallo, prima di galoppare
velocemente sulla destra del corpo dell’esercito.
Dinanzi a lui, mentre il
contrattacco veniva predisposto il più velocemente possibile, i primi colpi di
catapulta cominciarono a piovere con violenza.
Rinfoderando la spada, Aken
fece scartare il cavallo sulla sinistra mentre teneva d’occhio la fanteria
nemica, che si stava allineando sui fianchi della pianura, ben lontana dai
colpi delle loro catapulte.
Nel giro di pochi minuti,
anche le loro catapulte cominciarono a rispondere al fuoco, cercando con ogni
mezzo di disperdere il nemico e rendere inefficaci i suoi affondi lungo il
fronte collinare.
Neppure un lancio venne
sprecato per distruggere l’arsenale nemico; non era questo lo scopo.
A quello, avrebbero pensato
le figlie sacre.
Sguarniti di arcieri che
potessero scagliarsi contro le catapulte di Enerios, la fanteria di Vartas
dovette correre in ritirata, quando le frecce incendiarie delle figlie sacre cominciarono
a bersagliare lo schieramento nemico.
Aiutate dalla loro forza
spinta ai massimi regimi, le figlie sacre utilizzarono archi lunghi
dall’ampiezza quasi sovrumana, capaci di coprire distanze che, in casi normali,
nessun uomo sarebbe stato in grado di eguagliare.
Con micidiale precisione, le
frecce raggiunsero una dopo l’altra le piattaforme mobili delle catapulte.
Nel giro di pochissimi
minuti, queste presero fuoco, costringendo non pochi uomini a correre ai ripari
per non venire a loro volta colpiti dai ferali dardi infuocati.
Di fronte a una simile
disfatta, e non sapendo come altro ribattere a quell’attacco sferrato a
sorpresa, re Nargan dovette chiamare la ritirata con un grande stridore di
trombe.
Mentre le prime nubi si
chiudevano sul cielo inaspettatamente tinto di rosso e amaranto, gli eserciti
si mossero per terminare le ostilità di quel primo giorno di lotte.
Affannato e stanco, Aken si
guardò intorno con aria vagamente confusa, incredulo che le forze in campo si
fossero fronteggiate per quasi mezza giornata senza che lui se ne fosse reso
conto.
Nel raggiungere Ruak al
trotto leggero, si passò una mano sulla fronte madida prima di chiedere con
voce roca: “Tutto bene?”
“Sì, sto benissimo. E tu?”
annuì Ruak, stiracchiandosi le braccia prima di levare il capo verso l’alto e
sospirare strabiliato.
Sogghignando all’indirizzo
del fratello minore, Aken chiosò: “Tutto a posto. E neppure io mi sono accorto
del passare del tempo.”
“Mi è parso che tutto stesse
succedendo in un lampo” esalò eccitato Ruak, prima di aggiungere: “E’ stato
qualcosa di strabiliante.”
Osservando il campo di
battaglia, dove i chiari segni della lotta erano mescolati al sangue e ai corpi
dei caduti, Aken sospirò e replicò mestamente: “Terrificante, direi.”
Seguendone lo sguardo, Ruak
tornò immediatamente serio e mormorò: “Dico agli uomini di raccogliere i morti
e i feriti.”
“Sì, vai pure. E manda un
messaggero a Vartas. Permetto anche a loro di raccogliere i morti. Non voglio
ritrovarmi un campo di battaglia assediato dal Bacio di Rostor” annuì torvo
Aken, continuando a osservare la piana di Royconea, ormai irriconoscibile ai
suoi occhi.
Rabbrividendo, Ruak annuì con
fare deciso.
“Non sia mai! Preferirei
combattere mille anni, che morire per colpa di quell’orrenda malattia.”
Aken accennò solo un
sorriso, ripensando alle volte in cui aveva visto il pallore spettrale prendere
possesso dei corpi di coloro che erano stati colpiti dal Bacio di Rostor.
Nessuna cura, nessuna salvezza.
Solo una morte indicibile, dolorosa, e per nulla rapida.
I dottori non avevano mai
trovato una cura per quel morbo, ma tutti sapevano che cresceva e prosperava
sui campi di battaglia, ove i morti erano lasciati a imputridire.
Per nessun motivo avrebbe
corso un simile rischio, e sapeva bene che neppure Nargan, per quanto suo
nemico, si sarebbe permesso di commettere un simile errore.
La notte era per i morti, e
a essi loro si sarebbero dedicati. Non era fatta per le lotte, ma per lo
sfrigolare del fuoco e i sussurri delle preghiere.
Sospirando stancamente nel
tornare a osservare la piana, Aken scrutò ciò che un tempo non era stato che prato incolto e fiorito.
Ora, era solo terra divelta
in zolle, ricoperta di sangue e morte e totalmente distrutta dal passaggio di
cavalli e uomini in armi.
Ogni dove si poteva
percepire l’odore metallico della mano della morte.
I suoi figli prediletti,
volteggiando sulla spianata all’imbrunire, non attendevano altro che di poter
fare fiero pasto di ciò che gli uomini, nel loro sciocco guerreggiare, avevano
offerto loro in dono.
Scuotendo il capo, Aken
ricondusse il suo stallone in direzione del loro campo, ben lontano dalla zona
della battaglia e libero dal fetore mortale che aleggiava su quei terreni.
Quando finalmente raggiunse
l’accampamento, nascosto tra il fitto bosco, le tende dei dottori dell’esercito
brulicavano già di feriti più o meno gravi.
Così pure avveniva nell’accampamento
di Kaihle dove, con sua somma sorpresa, le figlie sacre non erano presenti.
Esse si erano ritagliate un
angolo di bosco ben lontane dalle loro sorelle, e stavano occupandosi di ferite
più o meno importanti senza essere in alcun modo aiutate dalle compagne di
Kaihle.
Fermo sulla propria
cavalcatura in contemplazione di quella strana divisione, Aken si volse a mezzo
non appena udì la voce del fratello richiamare la sua attenzione.
Atteso che lui gli fosse
accanto, gli domandò: “Le hai viste combattere, oggi?”
Ruak annuì, gli occhi
leggermente sgranati nell’osservare le figlie sacre.
Con reverenziale timore,
asserì: “Non avrei mai immaginato che fossero così forti. Ero in buona
posizione per osservarle, quando hanno puntato gli arcieri e, dèi, è stato come
veder infrangersi un uragano contro la costa!”
“Capisci cosa intendeva dire
Eikhe, mettendoci in guardia?” chiese
allora Aken, continuando a osservare il piccolo accampamento di figlie sacre
poco lontano da loro.
“Hai mai visto combattere
Eikhe a quel modo?” chiese per contro Ruak, curioso.
“Due volte” annuì Aken,
senza scomporsi. “E sono felice che non sia qui, ora.”
“Lo immagino” annuì torvo
Ruak, prima di scorgere Aken avviarsi con il suo cavallo in direzione
dell’accampamento delle figlie sacre.
Seguendolo dopo un istante
di titubanza, Ruak lanciò un breve sguardo in direzione del campo delle
donne-lupo, che risposero alla sua occhiata con occhi feroci e sdegnosi.
Nell’accampamento delle
figlie sacre, invece, ebbero tutt’altro genere di accoglienza.
Lì, il giovane principe
scorse solo stanchezza, curiosità e gentili sorrisi di benvenuto, di certo non
astio o disprezzo.
Un clima decisamente più
benevolo, si disse Ruak fermando il cavallo accanto a quello del fratello.
Imitatolo, Ruak scese dalla
cavalcatura e, assieme a lui, attese che una delle figlie sacre si avvicinasse
per parlare, lasciando nel frattempo vagare lo sguardo tra le tante figure
presenti nel campo.
Nessuna di loro sembrava
essere particolarmente disturbata dalla loro presenza, alcune erano addirittura
incuriosite.
Non potendo trattenersi, Ruak
si dipinse un sorriso spontaneo sul viso, e ammiccò simpaticamente a coloro che
incrociarono il suo sguardo.
A sorpresa, le donne che lo
scrutarono di rimando ridacchiarono divertite prima di rimettersi, chi a curar
ferite, chi a farsi curare.
Lanciata un’occhiata curiosa
in direzione del fratello, Aken sussurrò: “Che stai combinando?”
“Faccio amicizia” chiosò
piano lui, prima di zittirsi nel momento in cui vide avvicinarsi una donna
dall’aria seria e posata.
Alta di statura e dalle
spalle robuste, la figlia sacra che si presentò al loro cospetto li studiò con
attenti occhi ambrati, prima di accennare un sorriso e domandare: “Cosa vi
porta qui, cavalieri?”
Sorridendo spontaneamente e
accennando un breve inchino di saluto, Aken esordì dicendo: “Sono il principe
Aken, figlia sacra. Posso esservi di aiuto in qualche modo?”
La donna, dai capelli striati
di grigio e la bocca a forma di cuore, lo fissò per un momento con aria
sorpresa prima di ridacchiare, abbozzare un inchino e dire: “Non abbiamo
bisogno di nulla, principe, ma grazie. Le ferite delle mie compagne non hanno necessità
dell’intervento dei tuoi cerusici.”
“Ci sono state perdite?”
volle sapere Aken, osservando con quanta calma una donna si stesse facendo
sistemare un taglio di una ventina di centimetri su un braccio.
“Quattro, ma era
prevedibile, visto con chi ci siamo battute” scrollò le spalle la donna, come
se niente fosse. “Mi hanno detto che hai saputo della loro presenza
nell’esercito grazie a una nostra compagna; è vero?”
Annuendo, Aken le disse a
mo’ di spiegazione: “E’ stato grazie a lei se mi sono salvato, e ho potuto
avvisare il mio popolo. Forse la conosci. Si chiama Eikhe, del villaggio di
Nestar.”
“La tribù di Kaihle?” esalò
la donna, sorpresa.
“Esatto, è la sua figlia
minore” annuì Aken.
“Non l’ho mai vista. Ma dici
che è come noi, eh?” disse curiosamente la donna.
Ridacchiando, Aken annuì e
dichiarò: “Decisamente come voi.”
Scrutando Kaihle, che se ne
stava a qualche centinaio di iarde da loro, la donna aggrottò la fronte e borbottò:
“Non mi piace scoprire le cose a questo modo. Sei certo che Eikhe sia una
figlia sacra?”
“Occhi e pelle dorati,
capelli biondo-ramati, forza pari a quella di tre uomini, movenze simili a
quelle dei lupi…” la descrisse Aken, annuendo più volte. “… direi che non posso
sbagliarmi.”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa, la donna sorrise divertita.
“Hai fatto una descrizione
piuttosto particolareggiata. Eikhe ti ha dunque parlato di noi?”
“Sì. Le ho chiesto come mai
fosse così rassomigliante a Hyo e al vostro dio, e…”
Interrompendolo con un gesto
della mano, la donna chiese con una certa enfasi: “Come sa, un uomo delle
pianure, di Hyo e di Hevos? Voi adorate altri dèi.”
“Durante il nostro viaggio,
ci siamo recati in un piccolo tempio del dio. Eikhe mi disse che doveva una
visita a Hevos, così ho visto i dipinti e la statua” le spiegò Aken, scrollando
le spalle con fare noncurante.
Annuendo pensierosa, la
donna sospirò un attimo dopo e mormorò
contrita: “Perdonami la scortesia, principe, non mi sono presentata. Mi chiamo
Esteria. Mi hai stupito, principe Aken, e in positivo. Il che non avviene molto
spesso. Ti devo ringraziare per le informazioni che mi hai dato. Solitamente,
vengo sempre informata della presenza di figlie sacre nelle tribù ma,
evidentemente, Kaihle non ha ritenuto opportuno avvertirmi.”
Nel dirlo, assottigliò
pericolosamente gli occhi ambrati.
“Mi chiedevo cosa avesse
spinto il nostro dio a darti manforte, ma ora so il perché. Fin d’ora, ti do la
mia parola che, se mai avrai bisogno del mio aiuto, io ti sosterrò.”
Un po’ sorpreso, Aken la
ringraziò con un sorriso e disse: “Spero valga anche per mio fratello.”
Sorridendo all’alto giovane
al fianco di Aken, Esteria asserì: “Si vede che avete lo stesso spirito. Sì,
guarderò anche le sue spalle, se un giorno lo ritenesse necessario.”
“Grazie infinite” sorrise
Ruak, permettendosi di prenderle una mano per baciarne il dorso con eleganza.
A quel punto, Esteria
scoppiò a ridere e esclamò: “Cielo! Una simile smanceria per un vecchio orso
come me!”
Ruak ammiccò e mormorò
malizioso: “Non vedo orsi, in giro.”
Anche altre ragazze
ridacchiarono e Ruak, con un esagerato inchino, dichiarò: “Sempre pronto a dir
fesserie per far sorridere ragazze così belle e coraggiose.”
“Porta via tuo fratello, principe
Aken, prima che istupidisca le mie sorelle più giovani!” rise Esteria,
sorridendo benevola ad entrambi.
“Credo ti prenderò in parola.
Andiamo, Ruak. E smettila di fare il cascamorto” esalò Aken, prendendolo
sottobraccio.
“Non stavo facendo niente
del genere…” precisò Ruak “… le ringraziavo solamente per il loro importante
aiuto.”
“Non lo metto in dubbio, ma
ora andiamo” rise Aken, allontanandosi dal campo dopo aver salutato Esteria.
Rimasta sola, Esteria si
volse a mezzo non appena udì dei passi avvicinarsi a lei.
Scorgendo la figura
leggermente ricurva di Kreathe, la salutò con un leggero cenno del capo prima
di dire: “Non mi avevi parlato di questa Eikhe di Nestar.”
“Ammetto la mia colpa,
sorella. Nella concitazione di questi tempi, ho dimenticato di fartene cenno”
ammise candidamente Kreathe, sorridendole.
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Esteria celiò: “Kreathe, la tua testa ha più buchi di un formaggio
di mucca stagionato. Dimmi, quanti anni ha la fanciulla? O hai dimenticato
anche questo?”
Ridendo sommessamente, la
donna dichiarò: “Diciassette, forse diciotto. Mi è parsa molto matura, per la
sua età.”
L’attimo seguente, scrutò in
lontananza la figura dei due principi a cavallo.
“Cosa volevano?”
“Sapere se avevamo bisogno
di aiuto” sorrise divertita Esteria, prima di tornare seria e aggiungere: “I
giovani principi mi piacciono molto, Kreathe. Sono nobili d’animo, e rispettosi
di tutte noi.”
“Ne avevo avuto
l’impressione, l’unica volta in cui ho parlato con il principe Aken” annuì
soddisfatta Kreathe. “Mi fa piacere sapere che la pensi come me.”
“So riconoscere gli uomini
di valore, quando li vedo” ammiccò la donna, prima di chiederle: “Sai come mai
Eikhe non sia giunta qui con sua madre? Sarebbe stata un’ottima risorsa in più
per la battaglia.”
Kreathe aggrottò la fronte, scuotendo
il capo.
“Quando ho chiesto lumi a
Kaihle, mi ha cacciata via a male parole.”
Sbuffando infastidita,
Esteria commentò aspra: “Prima mi tiene nascosta la nascita di una figlia
sacra, poi ti tratta a questo modo. Non la sopporto davvero.”
“Non sei l’unica” brontolò
Kreathe. “Un po’ di sidro, amica mia?”
“Volentieri” annuì Esteria,
lanciando un ultimo sguardo ai due principi, ormai giunti al loro campo.
***
Dissellati i cavalli e
lavato via fango, terriccio e polvere, Ruak e il fratello si sedettero
finalmente accanto a un bel fuoco scoppiettante.
Allungato un boccale ad Aken
perché glielo riempisse di idromele, il giovane principe gli domandò: “Fratello,
non ti è parso che avessero la stessa aura di potere di Eikhe?”
“L’hai notato, eh?” chiosò
Aken, ammiccando al suo indirizzo.
“Sono diverse, non c’è che dire, ma mi farei difendere mille volte
da loro, piuttosto che una volta sola da Kaihle” dichiarò Ruak, rabbrividendo
suo malgrado.
“Anch’io, anche perché credo
che Kaihle, se potesse, mi pianterebbe un coltello nelle costole” brontolò Aken,
sorseggiando pensieroso l’idromele.
“Beh, Esteria ti ha dato il
suo appoggio, quindi sei a posto” sorrise Ruak, dandogli una pacca sulla
spalla.
“Già” sorrise Aken,
sollevato.
“A ogni modo, non pensavo
che il corpo di una donna potesse sopportare simili stress fisici. Hai visto
quanto erano grossi, gli archi lunghi che hanno usato oggi? Ci dovremmo mettere
io e te assieme, per riuscire a incoccare una freccia!” sbuffò Ruak, prima di
rabbrividire.
“C’è sangue divino, nelle
loro vene” mormorò sommessamente Aken, masticando un pezzo di carne secca,
mentre osservava distrattamente l’altalenante danza sinuosa delle fiamme.
Scettico, Ruak sollevò un
sopracciglio al suo indirizzo e replicò: “Ma che dici? Non vorrai farmi credere
che pensi una cosa simile!?”
Accennando un sorrisino,
Aken allungò il piatto con la carne secca al fratello e, dopo averlo servito,
tornò a posarlo sull’erba calpestata.
“L’ho visto, Ruak. Hevos,
intendo.”
Strabuzzando gli occhi e
sobbalzando sulla stuoia di cuoio su cui era seduto, Ruak impallidì leggermente
di fronte all’uscita del fratello e, con voce vagamente strozzata, esalò:
“Dici… sul serio?”
Annuendo nel grattarsi
pensosamente una tempia, Aken mormorò: “Lo incontrammo una notte, nel bel mezzo
di un bosco, poco lontano dal confine tra Anarsis ed Enerios. Era un enorme
lupo bianco, e scintillava come un fuoco vivo. E parlava.”
“Non ti stai prendendo gioco
di me, vero?” sussurrò esterrefatto Ruak, continuando a fissarlo con occhi
spalancati e sconcertati.
“No, affatto” scosse il capo
il fratello, sorridendogli mestamente. “Mi disse di amare e proteggere Eikhe,
perché aveva riconosciuto in me un cuore impavido e puro, degno di rimanere al
fianco di sua figlia. Ti pare possibile?”
“Beh, di doti ne hai,
fratello ma… cavoli!” esclamò Ruak, decisamente impressionato. “Ribadisco, non
mi stai pigliando per i fondelli, vero?”
“Pensi che mi inventerei una
cosa del genere? Non credi che la cosa non faccia venire i brividi anche a me,
tutte le volte che ci penso?” replicò Aken, adombrandosi. “Ruak, pensa solo a
questo. Se esiste lui, significa con tutta probabilità che anche Haaron il
dio-corvo, esiste. E se esistono i loro dèi, possono esistere anche i nostri?
Può esistere la Vergine Iralva, Colei-Che-Tutto-Creò? O Rostor lo Sfregiato, il
Padrone della Notte Eterna? O sono tutti le diverse manifestazioni di un’unica
entità divina? Chi può dirlo?”
“Davvero non so risponderti,
Aken” sussurrò Ruak, gettando un ciocco di legno nel fuoco.
Lamelle di fiamma
sfrigolarono sopra le loro teste, mentre una miriade di scintille scarlatte
galleggiavano nell’aria prima di svanire nella notte fosca.
Levando lo sguardo per
osservare il viso del fratello maggiore, ripeté: “Non so risponderti. Davvero.” |
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Capitolo 16 *** cap.16 ***
16.
Il secondo giorno di lotta
non fu differente dal precedente, e fiumi di sangue si mescolarono alla terra e
all’erba schiacciata dal passaggio dei soldati, o falciata dai colpi degli
zoccoli dei cavalli.
Le fauci dei lupi giungevano
laddove il braccio delle donne-lupo non poteva, mentre le spade di Enerios
fendevano l’aria ricca dei profumi del bosco in fioritura.
Nargan, racchiuso da una
bolla protettiva offertagli dai suoi migliori soldati, osservava inquieto e
nervoso l’evolversi della battaglia.
Nella sua mente non aveva
ancora chiaro come procedere di fronte a quello schieramento così eterogeneo di
forze ma che, a conti fatti, lo stava tenendo sotto scacco con indubbia
bravura.
Con il duplice apporto delle
donne-lupo e delle figlie sacre, Aken aveva annullato il vantaggio di Nargan,
offertogli dai suoi cavalieri e dalla sacra stirpe di Hevos, su cui lui aveva contato
per eliminare alla radice qualsiasi resistenza da parte di coloro che aveva
deciso di conquistare.
Per colpa di Aken, invece,
ora doveva fronteggiare un esercito esperto e agguerrito, non sparute squadre
di guardie forestali di confine.
Scioccamente, il Re di
Vartas lo aveva creduto morto tra le acque del Fenar, invece la piccola lupa
dai capelli d’oro che viaggiava con lui era riuscita in qualche modo a
salvarlo, consentendogli di predisporre quel nutrito esercito per fermarlo, ed
ora non sapeva come procedere.
Invece di una guerra-lampo,
vinta con facilità e pochissimo dispendio di energia, ora si prospettava una
snervante quanto incerta lotta senza esclusione di colpi, di cui non poteva
prevedere l’esito finale.
Avrebbe dovuto eliminarlo di
persona a suo tempo, nel Cono del Silenzio, invece di giocare al gatto col topo
contro il nemico sbagliato.
Irritato, Nargan fissò il
campo di battaglia gremito di soldati mescolati tra loro in un miasma purulento
di corpi aggrovigliati tra loro e, parlando al suo aiutante di campo senza mai
distogliere lo sguardo dalla lotta, disse: “Dovete uccidere il principe Aken a
tutti i costi. Ucciso lui, l’esercito si sfalderà come un castello di carte.”
“Non è facile, sire. Due
figlie sacre sono sempre accanto a lui e, anche se così non fosse, il principe
è abile, con la spada” replicò l’ufficiale, timoroso di incorrere nelle ire del
proprio re.
Digrignando i denti, Nargan
ringhiò: “Quel maledetto ha stretto patti con tutte le figlie sacre della
montagna, forse?! Uccidetelo! Non mi interessa come, ma voglio il suo sangue su
quella radura!”
“Parlerò coi comandanti
delle coorti” annuì l’uomo, allontanandosi da Nargan con passo lesto e a testa
bassa.
Stringendo le redini del
cavallo su cui sedeva con piglio rigido, Nargan sibilò tra i denti: “Avrò il
tuo sangue, in un modo o nell’altro, Aken. Non ti permetterò di vanificare così
i miei sforzi!”
***
Accorrendo nella strada
principale del villaggio, quando videro arrivare un paio di carri su cui si
trovavano le donne di ritorno dal fronte, Eikhe e le sue compagne osservarono
sgomente le pesanti ferite delle loro sorelle.
Avanzando velocemente – per
quanto glielo consentisse la gravidanza – si affiancò al carro ed esalò
sgomenta: “Cos’è successo?”
La donna che guidava il
carro, una guerriera di circa cinquant’anni, le disse stancamente: “Ci hanno
attaccate sul fianco sinistro dell’esercito con frecce incendiarie. Sono stati
dei veri pazzi, a usarle in mezzo a un bosco. Ne hanno bruciato diversi acri.”
“Che idioti” esalò Eikhe,
aiutando a scendere dal carro una donna ferita a una gamba. “Le fasciature
vanno cambiate. Sono zuppe di sangue.”
“Beh, di certo non me le
cambierai tu, razza di animale!” le ringhiò contro la donna, scostandola di
malagrazia.
Impreparata a quella spinta,
Eikhe caracollò all’indietro fino ad aggrapparsi al carro con espressione
turbata e sgomenta insieme e, senza capire, esalò: “Ma cosa ti ho fatto?”
“Sei una bestia come le altre, e io non voglio avere
niente a che fare con te!” esclamò la figlia del branco, andandosene
claudicante insieme a una sua compagna.
Fissando senza capire la
guidatrice del carro, la sentì dire a mo’ di spiegazione: “E’ stata ferita da
una delle figlie sacre che combattono per Vartas.”
“Figlie sacre!” le ritorse
contro la donna in questione, voltandosi a mezzo per fissare Eikhe con
disprezzo. “E’ uno spregio, degnarle di un titolo simile! Sono solo belve
sanguinarie! Le Guardiane dovrebbero avere il potere di ucciderle appena nate,
come era stato proposto ai tempi del Massacro di Eskit!”
“Smettila, Evena! Non devi
permetterti di parlare a questo modo! Sai benissimo che la legge parla chiaro!”
le ritorse contro la conduttrice del carro.
“Kilana, non venirmi a dire
cosa dice la legge, perché lo so benissimo!” sbuffò Evena, accigliandosi
ulteriormente. “Quel che non concepisco è che quella ragazzina se ne stia lì,
col suo pancione in bella vista, senza aver ricevuto la punizione dovuta a chi
infrange le regole!”
Reclinando il capo, Eikhe
cercò di non dire nulla ma Evena, di tutt’altro avviso, le si avvicinò rabbiosa
e le sputò in faccia con rabbia: “Perché nessuna di noi sa chi è il padre del
tuo bastardo?! Cos’hai da nascondere?!”
Spalancando gli occhi a
quelle parole, Eikhe assottigliò le iridi dorate e, puntandole sul volto aggrottato
di Evena, sibilò: “Non ti permetto di parlare a questo modo della mia creatura,
né di offendere suo padre. Le ragioni per cui taccio devono interessare solo a
me e, quanto alla punizione di cui vai blaterando, penso che queste siano più
che sufficienti a placare il tuo bisogno di sangue!”
Detto ciò, mise mano agli
alamari della tunica che indossava e, dopo averla fatta scivolare dalle spalle,
si volse per mostrare la sua schiena alla donna.
Sollevato l’orlo della
camiciola di lino, mostrò con orgoglio ciò che essa nascondeva.
Rosse striature rigonfie e grandi
come un dito segnavano la pelle come corde sigillate nella carne, dodici
nerbate fresche e pulsanti che dichiaravano senza bisogno di parole quanto la legge fosse stata rispettata.
Con voce resa tesa dall’odio
malcelato che provava, Eikhe sbottò aspra: “Ti sembrano abbastanza, o devono
farmene delle altre?”
Evena non parlò, fissando
con mani tremanti quei segni scarlatti sulla sua giovane pelle.
Scendendo d’un balzo dal
carro, Kilana sistemò in silenzio la camiciola di Eikhe, mentre lei aggrottava
la fronte al passaggio del lino sulle ferite ancora fresche e doloranti.
Guardando con cupo cipiglio
le donne presenti, Kilana dichiarò a gran voce: “Chi di voi vuole infierire
ancora sulla figlia sacra, sappia che avrà da ridire con me. A voi, forse, non
interessa che Eikhe sia innanzitutto una ragazza in procinto di diventare
madre, ma a me sì. E la prima che troverò a ingiuriarla, assaggerà la mia spada!”
“Kilana!” ansò sorpresa
Eikhe, fissandola a occhi sgranati.
Sfiorandole una guancia con la
mano irruvidita da anni di lavoro con la spada, la donna si limitò a chiederle:
“Chi te le ha fatte, Eikhe? Non può essere stata Kaihle. Sono troppo recenti, e
lei manca da casa da più di un mese e mezzo.”
Scuotendo il capo, Eikhe replicò
mesta: “Non importa, Kilana. Se è il prezzo da pagare per non perdere il
bambino, lo accetto volentieri.”
Arcuando un sopracciglio,
Kilana borbottò contrariata: “Avrebbe voluto farti abortire… così avanti con la gravidanza?”
Sospirando, Eikhe scosse nuovamente
il capo, preferendo non parlarne in mezzo alla strada, sotto lo sguardo di
tutte.
“Non ne parliamo, ti prego.”
Aggrottando pericolosamente
la fronte, Kilana la rispedì a casa con la promessa che avrebbero parlato in
privato.
A quel punto, si volse per
occuparsi delle donne ferite e disse aspramente: “Ora vediamo di sistemarvi, e
non una parola su Eikhe, o finirò il lavoro dell’esercito di Vartas.”
Nessuna ebbe il coraggio di
contraddirla.
Kilana impiegò più di tre
ore per curare tutte le donne di ritorno dal fronte, prima di poter uscire
dall’ultima casa dove aveva prestato il suo servizio di medico.
A passo lento, quindi, si
diresse verso la capanna di Eikhe con il chiaro intento di parlarle.
Non le era affatto piaciuto quello
che era venuta a sapere, e doveva andare a fondo della questione per poter
avvisare chi di dovere.
Dopo aver bussato, Kilana
trovò Eikhe semidistesa su un divano coperto di pellicce, il ventre reso evidente
dalla tunica aperta sul davanti.
Sorridendo, le disse con un
risolino: “Sembri una palla.”
Ridacchiando, Eikhe smise un
momento di passare un unguento ammorbidente sulla pelle tesa del ventre.
“Accomodati pure, Kilana. Finisco
e sono da te.”
“Fai pure con comodo. Non mi
disturba vederti mentre ti prendi cura del tuo corpo” dichiarò Kilana,
sedendosi su una poltrona accanto al divano.
Ammiccando, Eikhe proseguì
passando l’unguento sulla pancia con mano gentile, prima di interrompersi
quando il bambino le calciò in corrispondenza dell’ombelico.
Ridendo sommessamente, la
ragazza fece cenno a Kilana di avvicinarsi e, piano, disse: “Senti come tira
calci.”
Sfiorando il ventre caldo
della ragazza, Kilana ridacchiò all’ennesimo colpetto sottopelle.
“Potrebbe sfondarti la
pancia, di questo passo.”
“Spero di no!” esalò Eikhe,
canticchiando piano e avvicinando il viso al suo ventre prominente.
Subito, il bambino smise di
calciare ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Ama questa canzone. Si calma sempre,
quando la canto, anche se parla di guerre e di uccisioni. Valli a capire, i
bambini.”
“Dalla sua forza, e dalla
forma della pancia, direi che è un maschio” mormorò Kilana, aggrottando la
fonte preoccupata. “E anche bello grosso. Tu, invece, hai fianchi così snelli
che...”
“Non mi interessa” sbottò
bonariamente Eikhe, bloccando le sue preoccupazioni con un gesto della mano. “E’
mio figlio, non devo sapere nient’altro. Vedrai che in qualche modo faremo, io
e lui. E, visto che non posso mandarlo dal padre, lo crescerò io. Anche senza
il consenso di mia madre, o della tribù. Ho la benedizione di Hevos, e non mi
interessa altro.”
Impallidendo, Kilana esalò:
“L’hai … incontrato?”
Annuendo, Eikhe ripensò a
quei momenti nella foresta, quando le era sembrato possibile persino rimanere
per sempre al fianco di Aken.
“Sì, e ha visto il padre di
mio figlio, benedicendo anche lui. A me non occorre sapere altro.”
Sospirando, Kilana tornò a
chiederle: “Chi ti ha fatto quelle ferite? Spero non Tyura.”
“No, lei non ne sapeva
niente. Me le ha fatte Narhu, quando mia sorella si è recata a Marnha per alcune
commissioni. Mia madre le disse di occuparsene, mentre lei era impegnata al
fronte” spiegò Eikhe, tranquilla, le dita che tamburellavano ritmicamente sulla
pelle tirata dell’addome rotondo.
“E tu non ti sei rifiutata?”
esalò Kilana, vagamente sorpresa.
“Che dovevo fare? Mettere
nei guai Narhu, e solo perché eseguiva un ordine?” replicò Eikhe, scuotendo il
capo. “Kilana, posso sopportare più dolore di quanto voi tutte non crediate,
quando ho qualcosa da difendere. Certo, dopo ho pianto per ore, quando
l’effetto dei poteri di Hevos è svanito, e Tyura ha piagnucolato come una
fontana, quando mi ha dovuto curare le ferite, ma ho ancora mio figlio, e tanto
mi basta.”
Sospirando, Kilana scosse il
capo, dispiaciuta e irritata.
“Un episodio isolato non può
costarvi così tanto. Meritate a pieno titolo la nomea di figlie sacre, anche
solo per il dono che portate nel vostro sangue. Ciò che successe a Eskit fu una
disgrazia, ma la colpa non avrebbe dovuto ricadere unicamente su Luesrea.
Uccidere il suo bambino fu un errore delle sue sorelle.”
“Kilana, la maggior parte
delle donne ha paura di noi. E la paura genera odio. Loro ricordano solo la
furia di Luesrea, non ciò che la generò, quindi io e le altre rimaniamo, e
rimarremo, solo bestie, ai loro occhi” replicò fatalista Eikhe, sorridendo un
attimo dopo, quando Liar si mise a strusciare il muso contro la sua pancia.
“Pare gli piaccia” sorrise
Kilana, osservando il lupo mentre, con gesti teneri, accarezzava il ventre della
padrona con il musetto morbido.
“Piace a tutto il branco. Se
non avessi il loro appoggio e quello delle mie amiche, non so come farei ad
arrivare alla fine della gravidanza” sospirò Eikhe. “Ormai ho la schiena a
pezzi, e non sono ancora entrata nel settimo mese di gravidanza. Non fosse per
le ragazze, che mi danno una mano in tutto, a quest’ora avrei già abortito
spontaneamente, temo.”
“Beh, io ora sono qui, e
avrai anche me, al fianco” asserì con veemenza Kilana. “Per almeno un mese non
dovrò più presentarmi sul fronte, perciò mi avrai a tua completa disposizione.”
“Come procede la battaglia?”
chiese a quel punto Eikhe, fissandola turbata.
“Direi bene. Sono settimane che
continuiamo a rintuzzare gli attacchi di Vartas e, tra le loro fila, serpeggia
già il malumore. Nessuno di loro si aspettava che fossimo così preparati a
combatterli, e Nargan pare alquanto disgustato dalla faccenda” spiegò Kilana,
con un sogghigno.
Liar abbaiò soddisfatto,
scodinzolando giulivo mentre osservava Kilana con interesse.
“I principi stanno bene?” si
informò Eikhe, tentando di non mettere troppa enfasi nella sua voce.
Era più che sicura che
avrebbe avvertito un dolore al cuore, se ad Aken fosse accaduto qualcosa, ma
preferiva saperlo dalla bocca di una persona fidata.
L’intuito, spesso, poteva
essere foriero di falsi presagi di sventura.
“Sì, sono entrambi in salute”
annuì Kilana. “Combattono sempre uno a fianco dell’altro, e non si mollano un
secondo. Una decina di giorni fa, quando siamo partite per venire qui, avevano
quasi accerchiato la guardia privata di Nargan.”
“Non mi stupirebbe se il
principe Aken volesse tagliargli la testa personalmente. L’ultima volta che lo
abbiamo incontrato, non è stato la quintessenza della cortesia” dichiarò Eikhe,
con un sogghigno.
Si immaginò Aken in sella al
suo stallone da guerra, la spada levata sopra il capo fiero, e il suo urlo
possente librarsi nell’aria a dichiarare i suoi intenti bellicosi.
“Posso crederci! E, forse, è
proprio per questo che il principe sembra così determinato ad ammazzarlo di sua
mano” commentò Kilana, ridacchiando.
“Ha visto i suoi uomini
venire massacrati sotto gli occhi, senza poter far nulla per salvarli…” mormorò
Eikhe, rammentando con l’amaro in bocca quella battaglia impari. “… lo farei
anch’io, onestamente.”
Aggrottando la fronte,
Kilana le chiese: “Cos’è successo, quella volta?”
“Fui costretta a trascinarlo
via a forza, per salvarlo, e ci gettammo nel fiume per sfuggire a Nargan. Non
fu davvero un bel momento” spiegò succintamente Eikhe, reclinando il capo a
fissare il suo ventre prominente.
Immediatamente, il suo cuore
si chetò, liberando in tutto il suo corpo pace e tranquillità. Ne aveva così
bisogno!
“Immagino…” annuì torva
Kilana, prima di aggiungere: “… se continuano così, riusciranno a sconfiggere
Vartas prima della nascita del bambino.”
Impallidendo leggermente,
Eikhe asserì: “Da un certo punto di vista, preferirei di no. Se mia madre non
ci fosse, sarei più tranquilla.”
“In ogni caso, lei tornerà. Ha
già dato disposizioni in merito, qualora le cose si prolungassero più del
dovuto” la avvertì Kilana, accigliandosi.
“Lo temevo…” sospirò Eikhe.
“… mi assisterai, durante il parto?”
“Sì, figlia sacra. Sarò la
tua spalla” annuì Kilana, con un elegante gesto del capo.
“Grazie” sussurrò la ragazza,
allungando una mano per stringerla nella propria.
Sperava davvero di non
averne bisogno ma, con sua madre, non poteva davvero sapere.
L’importante, per il
momento, era avere la certezza che sia Aken che Ruak stavano bene. Null’altro
le interessava.
***
Una pioggia scrosciante si
era abbattuta sulla piana dei combattimenti, e il fango ora ricopriva i prati
calpestati dai soldati, insieme al sangue mescolato con l’acqua melmosa.
Tuoni fragorosi rimbombavano
funesti sulle loro teste mentre, a fasi alterne, scoppi di grandine crollavano
su di loro costringendoli a ritirarsi tra il fitto del bosco.
Anche il tempo infernale ci
si metteva a complicare, e allungare, quella maledetta guerra!
Combattere con simili
condizioni meteorologiche era pressoché impossibile, sia per loro che per
Vartas.
Fermo accanto al fratello,
al riparo degli abeti della foresta, in trepidante attesa che quel maledetto
temporale scemasse a sufficienza per far riprendere i combattimenti, Aken mormorò
fosco: “Ci mancava solo questo tempo allucinante. Quando smetterà, sarà come
cercare di camminare nella melassa.”
“Non ci tengo proprio a
ricominciare in quel macello” storse il naso Ruak, dondolando le braccia con
aria indolente mentre, con lo sguardo, osservava irritato il campo di battaglia.
Il tutto era ormai ridotto a
uno sfacelo indistinguibile di terra, fango, pietre e corpi martoriati.
Guardandolo curiosamente, e
cercando nel contempo di non pensare a ciò che li avrebbe aspettati una volta
terminato quel fortunale, Aken abbozzò un sorrisino prima di dire: “Sembri
annoiato.”
“Non proprio; sono stanco di
ruzzolarmi nel fango, nella polvere, nella melma, in mezzo ai cadaveri, e solo
perché quell’idiota di Nargan non si rende ancora conto di avere già perso. Le
sue forze sono ormai decimate, gli uomini demoralizzati, eppure lui non vuole
cedere” sbottò Ruak, disgustato.
“Che vuoi che ti dica?
Nargan non ha mai brillato per intelligenza” replicò il fratello maggiore,
prima di scrutare le nuvole in cielo.
Ribollendo nel cielo, come
smosse da enormi mani demoniache, si stavano allontanando da loro, spostandosi
verso sud.
Nel giro di poche ore, forse
già nel primo pomeriggio, avrebbero potuto riprendere i combattimenti, ma non
sapeva se gioirne o meno.
Anche lui era stanco di
quella guerra assurda, stanco di veder morire compagni e animali, stanco di
sentire il cozzare delle spade e lo sfrigolare dei fuochi delle frecce
incendiarie, stanco di non poter dire la parola ‘fine’ a quel delirio.
Sospirando, Aken si volse a
mezzo per richiamare l’attenzione delle due figlie sacre che, come ombre, li
avevano seguiti fin da quando avevano stretto un patto con Kreathe ed Esteria.
Non appena Liase e Vesthe
furono accanto a loro, disse: “Dite alle vostre compagne di tenersi pronte. Nel
giro di poche ore, il fronte della tempesta si sarà spostato a sufficienza
perché quelli di Vartas ricomincino a menar le mani, perciò vi voglio già
pronte e inferocite.”
Vesthe ridacchiò e dichiarò
divertita: “Oh, non abbiamo bisogno che tu ce lo dica, principe. Siamo
inferocite a priori. Per colpa di quel folle di Nargan, abbiamo perso un sacco di tempo, e di
compagne. Non passerà di qui neppure tra un secolo.”
Abbozzando una risatina,
Aken commentò: “Lieta di sentirtelo dire, Vesthe.”
Ammiccando, la donna scrutò
il cielo e disse: “Hai letto bene il cielo, principe. Chi ti ha insegnato così
bene?”
“Una tua sorella” sorrise il
principe.
“Oh, allora è per questo che
sei così esperto! Le farò i miei complimenti, quando la vedrò. Il suo nome?”
chiese allora Vesthe, curiosa.
“Si chiama Eikhe, ed è del
villaggio di Nestar” le spiegò Aken, prima di aggiungere: “Qualora dovessi
incontrarla, le daresti un messaggio da parte mia?”
“Quel che vuoi, principe”
scrollò le spalle Vesthe.
“Dille che le auguro ogni
bene, e la ringrazio per ciò che ha fatto per Enerios” si limitò a dire Aken,
sperando che Eikhe potesse capire quanto
non poteva dirle.
Annuendo, la donna si mise
sull’attenti e dichiarò: “Ricevuto, principe. Fai conto io gliel’abbia già
detto. Ora, andiamo dalle nostre compagne a riferire il messaggio. Voi due non
muovetevi da qui.”
Ruak non poté che scoppiare
a ridere.
“Adoro farmi dare degli
ordini da una donna così affascinante!”
A quel punto intervenne
Liase, rimasta in silenzio fino a quel momento, e celiò ilare: “E io adoro gli
uomini che si fanno comandare a bacchetta!”
Aken scoppiò a ridere
assieme al fratello, mentre le due figlie sacre si allontanavano di corsa,
quasi galleggiando sull’erba bagnata.
Era impossibile non notare
la loro leggiadria, davvero impossibile.
Ammiccando al fratello, Ruak
domandò: “Chi l’avrebbe mai detto che mi sarebbe piaciuto avere le spalle
coperte da una donna?”
“E’ più piacevole di quanto
tu non immaginassi, eh?” chiosò Aken, osservando le loro due guardie del corpo
mentre, con ampi gesti e gran parlare, spargevano la voce tra le sorelle del
loro esercito.
Tornando serio, Ruak si
guardò intorno, scrutando i soldati, l’accampamento, gli animali da tiro e i
cavalli da guerra.
“Mi sono fatto un’idea molto
romantica della guerra, negli anni e, quando ho saputo che avrei potuto
partecipare alla campagna contro Vartas, ne ero felice, in fondo al cuore.”
Aken si volse a guardarlo, cercando
di comprendere dove volesse andare a parare il fratello.
“Ora, so di aver non solo
sbagliato, ma di essere stato superficiale. Non c’è nulla di poetico nello
stroncare una vita, né niente di appassionante nel partecipare a una battaglia.
I cantori ne decantano le bellezze eroiche solo perché non l’hanno mai vissuta
sulla pelle, ma ora ho compreso quello che le canzoni non dicono mai.”
Scrutando le sue mani libere
dai guanti, Ruak scorse solo piaghe, vesciche da poco guarite, tagli e lividi
violacei, davvero nulla di poetico.
Battendogli una mano sulla
spalla, Aken gli sorrise orgoglioso e disse: “Pensavo fosse troppo presto, per
te, partecipare a una guerra, ma sbagliavo. Sei maturato tantissimo, e in breve
tempo, e io sono fiero di averti al mio fianco, fratello mio.”
Aprendosi in un sorriso,
Ruak si limitò ad annuire, forse troppo imbarazzato per mettere a parole
quanto, ciò che il fratello maggiore gli aveva appena detto, lo rendesse
felice.
Lui era sempre stato il suo
modello da imitare, molto più del padre, che gli aveva dispensato ben poco
affetto, e molti più ordini di quanti avesse mai amato seguire.
Non che re Arkan non amasse
i suoi figli, Ruak non lo aveva mai pensato ma, semplicemente, non era mai
stato un uomo amorevole, o una persona cui piacesse esternare i propri
sentimenti.
Il governo del Regno aveva
la sua piena attenzione, tutto il resto veniva sempre e comunque dopo, sua moglie
e i figli compresi.
Non era del tutto sicuro che
sua madre Anladi fosse lieta di quell’unione, giunta in fretta e furia subito
dopo la morte della precedente regina e madre di Aken.
Il suo corpo non era stato
tumulato, e le esequie terminate, che la madre era stata data in moglie ad
Arkan.
La discendenza del Regno non
poteva contare su un unico erede di poco meno di otto anni, avevano detto all’epoca.
Questo aveva condotto la sua
giovane madre, poco più che sedicenne, a sposare un uomo già maturo e duro di
carattere.
Loro erano nati a distanza
di un anno l’uno dall’altra. Ruak il primo, Melantha la seconda.
La discendenza era salva, la
speranza di alleanze future rese più sicure dalla presenza di una fanciulla di
nobile lignaggio da dare in sposa a un principe straniero.
Non faceva mistero di mal
sopportare la petulante sorella, ma non le invidiava il ruolo di pedina che, in
quanto principessa, le spettava.
Era ingiusto e crudele ma,
in quanto figlia di Re, questo le spettava per ‘diritto di nascita’.
Sospirando, Ruak si passò
una mano tra i capelli umidi per scrollare via le goccioline d’acqua che li
inzuppavano.
“A volte, vorrei tanto
essere nato in mezzo ai boschi.”
Aken si limitò ad annuire,
preferendo non mettere a voce i suoi desideri, ma comprendendo ampiamente
quelli del fratello.
Portare il peso della corona
potenziale che gli spettava di diritto, era un lusso a cui avrebbe volentieri rinunciato,
anche se in cambio gli avessero dato una vanga o un badile.
Si doveva essere portati per
ogni cosa, anche per fare il principe ereditario e lui, evidentemente, era
negato.
Certo, amava il suo popolo
più di se stesso, questo era evidente – non si sarebbe trovato lì, altrimenti –
ma non desiderava vivere tra le mura di Rajana a sfornare figli da una perfetta
sconosciuta, e solo ‘per il bene della
corona’.
Lui voleva Eikhe, punto e
basta. Ma era esattamente l’unica cosa che non avrebbe mai potuto avere.
Quando Vesthe e Liase
tornarono di corsa, le belle chiome bionde e intrecciate sul capo, Aken sospirò
e disse: “Manca poco.”
Ruak annuì e, non appena la
corsa delle due giovani donne terminò loro accanto, domandò: “Avete avvisato
tutte?”
“Come ordinato” annuirono in
coppia le due ragazze.
“Bene” annuì Aken, lanciando
uno sguardo a uno dei suoi ufficiali che, con un inchino, si avviò verso le
coorti per rendere noto agli uomini di prepararsi per la ripresa delle
ostilità.
“Kreathe vi manda a dire
che, dal colle a nord-ovest, uno dei lupi ha visto sopraggiungere un nuovo
contingente di fanteria da Anarsis. Forse, lo avevano tenuto oltreconfine per
ogni evenienza, per tenere uomini freschi per la battaglia” asserì Liase,
accigliata.
Imprecando senza tanti
complimenti – aveva sentito dire ben altre oscenità dalle donne, per sapere che
la sua non avrebbe sortito alcun effetto sulle figlie sacre – Aken ringhiò:
“Quel maledetto bastardo! Ma di quanti uomini dispone?”
“Figliano come conigli, per
caso, a Vartas?” brontolò Vesthe, cupa in viso.
Ridendo nervosamente, Ruak
lanciò un’occhiata alla collina, dove erano appostate le forze di Vartas, e borbottò:
“Magari fossero anche conigli.”
“No, sono muli. Muli duri
come macigni” sbuffò Aken, prima di guardare le due donne e chiedere: “Qualche
idea?”
Le due ragazze si guardarono
sorprese per un attimo e il principe, abbozzando una risatina, celiò: “Ehi, più
consigli mi giungono, meglio è.”
“Beh, principe, non siamo
abituate ad avere un rapporto così paritario
con gli uomini, come tu ben potrai immaginare…” replicò Liase, fissandolo con
aperta ironia. “… ma la cosa mi piace alquanto. Non è che, finita questa
pazzia, ti andrebbe di passare un po’ di tempo con me? Non mi spiacerebbe avere
un figlio con la tua testa.”
Aken strabuzzò gli occhi,
sconvolto da quella proposta, mentre Ruak scoppiava in una frenetica risata e
Vesthe scuoteva il capo con aria divertita.
“Beh, che ho detto? Mica
voglio diventare Regina. Mi serve solo il suo seme!” protestò Liase, prima di
scoppiare a ridere con loro.
Passandosi una mano sul
viso, su cui spiccava la sua bocca spalancata per il gran ridere, Aken esalò a
un passo dalle lacrime: “Oh, cielo! Di tutte le cose che potevo aspettarmi… giuro,
questa proprio mi ha sconvolto a morte!”
“Hai sentito, Aken? E’ forse
la prima donna che non ti vuole per la corona che porterai. Perché non ne approfitti?”
rise ancora più forte Ruak, dandogli sonore pacche sulle spalle.
Vesthe, che aveva ascoltato
le loro battute a metà tra il risolino e disappunto, sollevò interessata un
sopracciglio e chiosò: “Dopotutto, Liase non ha avuto una cattiva idea. Sei un po’ giovane, per i
miei gusti, ma anche la tua testa è buona, principe Ruak, perciò non avrei
problemi ad aggirare il piccolo particolare dell’età, per una volta.”
A quel punto fu Ruak a
sgranare gli occhi, fissando poi la figlia sacra con aria smarrita e un copioso
rossore a incipriargli le gote e le orecchie, ora scarlatte come rubini.
Aken lo fissò solo per un
attimo, e fu sufficiente per farlo tornare a ridere di gusto, mentre
tutt’intorno a loro il campo riprendeva vita in attesa del proseguo della battaglia.
Quella dorata spontaneità
gli era sempre piaciuta, e Aken non poté che trovare idilliaco quel breve
momento di ilarità, strappato alle maglie di una guerra che sembrava non volere
dare loro tregua.
Eikhe lo aveva sconvolto in
tutti i sensi, con il suo modo di fare, facendo sì che lui si innamorasse
perdutamente di lei e del suo spirito libero e privo di freni inibitori.
Ora, quelle due fanciulle
che, come Eikhe, condividevano il dono di Hevos, gli avevano restituito un
attimo di pace, di serenità, di libertà.
Allungandosi per abbracciare
entrambe le ragazze, che sobbalzarono sorprese, Aken baciò entrambe sulle
guance prima di dire: “Guai a voi se vi farete male, durante la lotta. Non mi
interessa un accidente se Kreathe vi ha detto diversamente. Io vi ordino di
vivere, qualora io mi trovassi in un pericolo tale da non poter essere salvato.
E’ chiaro?”
Ruak fu lesto a aggiungere:
“E lo stesso vale per me.”
Liase e Vesthe si guardarono
in viso dubbiose, prima di annuire e dichiarare: “Ve lo promettiamo.”
“Allora, andate. E
preparatevi a dar battaglia. Ci fidiamo di voi, e combatteremo più tranquilli,
sapendovi al nostro fianco” decretò Aken, sorridendo loro con orgoglio.
Le due ragazze si aprirono
in larghi sorrisi e, annuendo, corsero via mentre Ruak, tornato serio, fissò il
fratello e mormorò mesto: “Pensavi a Eikhe?”
“Già” annuì lui, prima di
dargli una pacca sulla spalla. “Andiamo a prepararci anche noi, fratellino.
Oggi ho davvero voglia di menar le mani.”
“Ottimo. Ti seguo a ruota!”
esclamò il fratello, lanciando un ultimo sguardo al cielo.
I primi lembi di azzurro
cominciavano a intravedersi, tra il nero delle nubi temporalesche.
Sì, mancava davvero poco,
alla ripresa della lotta. Ma loro erano pronti.
“Va bene… ricominciamo”
sbuffò Ruak, sguainando la spada.
“Calmati, testa calda…
passerà ancora un po’, prima che qualcuno si muova in quel guazzabuglio”
ridacchiò Aken, sorpreso dalla veemenza del fratello.
“Voglio finire questa cosa
il prima possibile… sono stufo marcio di starmene qui a fare i comodi di quel
pazzo” borbottò il fratello minore, aggrottando la fronte.
“Hai ragione… gli abbiamo
concesso fin troppo, del nostro tempo” annuì ombroso Aken, sfoderando
lentamente la spada, con aria sinistra.
Sogghignando, Ruak gli diede
una pacca sulla spalla e assentì convinto.
“Finiamola oggi.”
Annuendo, Aken guardò per un
momento i suoi uomini, sparsi per tutto il bosco e in attesa come loro che
quella pioggia cessasse.
Nessuno di loro voleva
protrarre quella guerra più del necessario, e avrebbe fatto il tutto e per
tutto perché quella follia avesse termine quel giorno stesso.
Nargan sarebbe penzolato da
una picca entro sera.
Lanciato uno sguardo al
campo delle donne-lupo, Aken si chiese per l’ennesima volta perché Kaihle se ne
fosse andata prima della fine della guerra.
Si impose comunque di non
dare spazio alle sue paure, per non perdere la concentrazione.
Chiedendo a Esteria, aveva
solo saputo che aveva passato il comando a un’altra capo-tribù ma, sul motivo
del suo allontanamento, nessuno sapeva nulla.
A peggiorare il tutto, anche
Sendala era andata via con lei, quindi non aveva potuto domandare neppure
all’unica altra donna-lupo che conosceva.
Non gradiva l’idea che se ne
fosse andata via su due piedi, tirandosi dietro l’amica del cuore di Eikhe.
Doveva credere che Eikhe
stesse bene, e che quell’allontanamento improvviso non avesse nulla a che fare
con la donna del suo cuore.
Non doveva deconcentrarsi
proprio in quel momento. Eikhe doveva
stare bene.
Scuotendo il capo per il
fastidio, Aken cercò di non perdersi in quei lugubri pensieri per non essere
distratto in battaglia e, quando finalmente vide muoversi i primi soldati nel
campo nemico, disse: “Bene… si comincia.”
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Capitolo 17 *** cap.17 ***
Un po’ di risposte e una verità davvero scomoda, per il nostro eroe dal cuore impavido. Ma che ci volete fare, almeno per un po’, deve andare così. Spero non mi odierete. Buona lettura!
17.
Il fatto di non dover più
preoccuparsi di faccende pesanti, come dar da mangiare agli animali o pulire le
stalle, non voleva certo dire che Eikhe non si rendesse utile al villaggio.
Sorda a tutte le
raccomandazioni di amiche e sorella, Eikhe aveva continuato imperterrita a
prendersi cura dei lupacchiotti nella stalla.
Insegnava a tutti loro ciò
che c’era da imparare per vivere nel villaggio e, soprattutto, assieme alle
donne-lupo.
Il bimbo che cresceva a
vista d’occhio dentro di lei, a ogni modo, non sempre era stato d’accordo con
la sua scelta di vita.
Ben più di una volta era
dovuta rimanere a letto, percorsa da dolori tremendi al ventre, o trafitta da
atroci tormenti provocati da lancinanti mal di schiena.
In non poche occasioni, si
era ritrovata a imprecare all’indirizzo di Aken, per poi pentirsene amaramente
un attimo dopo che il male era svanito.
Quella mattina, però, la
fitta di dolore che la colpì fu molto
diversa dal solito.
Ansando quando,
nell’attraversare la via principale del villaggio, avvertì un dolore lancinante
al basso ventre, Eikhe si portò le mani in grembo, sconvolta.
Guardando Sendala al suo
fianco – e che teneva tra le braccia un cucciolotto di pochi mesi – esalò con
voce tremula: “Credo che ci siamo.”
Impallidendo visibilmente, l’amica
lanciò un fischio a una bambina perché prendesse il lupetto e lo conducesse
dagli altri, dopodiché si volse verso Eikhe, che se ne stava con le mani
serrate sotto il pancione.
Rapida, Sendala la afferrò
saldamente a un braccio ed esclamò: “Torniamo subito a casa, Eikhe! Non vorrai
partorire in mezzo alla strada, spero!”
“Non ci penso neanche!”
esalò lei, prima di bloccarsi quando una contrazione le fece perdere le forze,
costringendola ad addossarsi completamente a Sendala.
“Oh, cielo!”
“Ti prego, non svenirmi
qui!” esalò la ragazza-lupo, spaventata a morte. “Kilana, presto, vieni!”
Kilana, a quel richiamo,
osservò le due ragazze e, intuendo al volo cosa stesse succedendo, corse da
loro.
Nell’uscire sul pianerottolo
di casa, richiamata dalle urla di Sendala, Kaihle assistette alla scena con
occhi torvi e la mente pronta.
Finalmente, era giunto il
giorno.
Accompagnata Eikhe nella sua
capanna sotto lo sguardo curioso di molte donne, Kilana lasciò la ragazza nelle
mani dell’amica e si affrettò a stendere sul letto un telo pulito.
Ordinato a Sendala di far
bollire dell’acqua, prese poi per la vita la partoriente e la invitò a
camminare.
“Ora devi camminare, Eikhe. Accompagna
il tuo bambino verso la giusta via.”
“Credo lo stia già facendo
più che bene da solo” riuscì a ironizzare la figlia sacra, stringendo i denti all’arrivo
di una contrazione.
Senza accorgersene, quasi stritolò
la mano di Kilana, che teneva saldamente nella sua.
Sorridendole comprensiva,
nonostante il male provato a causa della stretta convulsa di Eikhe, la donna le
disse incoraggiante: “Te la stai cavando benissimo, figlia sacra, credimi.”
“Se lo dici tu…” esalò
Eikhe, osservando turbata Liar che, spaventato, le saltellava al fianco non
sapendo bene cosa fare. “Povero amico mio! Stai tranquillo, non mi succederà
niente.”
“Quel lupacchiotto sverrà
prima del tempo, se non si darà una calmata…” ridacchiò Kilana, prima di veder
entrare Kaihle nella capanna. “… Signora…”
Eikhe squadrò la madre senza
dire nulla.
La Signora del Villaggio si
limitò a poggiarsi a braccia conserte contro la prima parete utile, mantenendo
un silenzio di tomba mentre osservava la figlia minore, come a voler decidere
della sua sorte.
A pochi attimi di distanza
sopraggiunse anche Tyura.
Nel vedere la madre
perfettamente immobile mentre Eikhe camminava a fatica, sorretta da Kilana,
sbuffò contrariata e andò ad affiancarsi alla sorella.
Ringraziata Tyura con un
sorriso, la ragazza strillò non appena una contrazione le fece cedere del tutto
le gambe.
Sotto i suoi occhi sorpresi
e sgomenti, una chiazza d’acqua e sangue si formò ai suoi piedi, imbrattando il
pavimento di legno e la sua tunica di pelle.
“Direi che è cominciato” chiosò
Kilana, sciogliendosi dalla sua stretta.
“Tyura, sostienila tu, mentre
io pulisco qui.”
Annuendo, la giovane fece
scostare una pallidissima Eikhe che, ancora sgomenta e con gli occhi sgranati,
osservava il disastro che aveva appena combinato.
Ridendo suo malgrado, esalò
con voce roca: “Guarda che casino!”
Scostandole una ciocca di
capelli umidi dal viso mentre percorrevano lentamente, un passo alla volta, il
perimetro dell’ampia camera da letto, Tyura aggiunse: “Sei sempre stata una
combina guai.”
Eikhe cercò di sorriderle,
come per ringraziarla, ma le contrazioni la costrinsero a mordersi un labbro
per il gran male.
Non avendo coraggio
sufficiente per spingere fuori dalla gola altre battute di spirito, Tyura si
limitò a sorreggerla, aiutandola a camminare poco alla volta.
A ogni passo, però,
avvertiva sempre lo sguardo da falco della madre.
Aggrappandosi completamente
alla sorella quando un’altra contrazione la prese, Eikhe cominciò a piangere
dal dolore e Kilana, annuendo a Tyura, le concesse di portarla a letto.
“Falla sdraiare, ormai non
ne può più.”
Affrettandosi a fare quanto
ordinatole, la giovane fece stendere sul letto la sorella.
Strette convulsamente le
mani al lenzuolo, Eikhe gridò a una nuova contrazione, maledicendo tutto quello
che le venne in mente in quel momento.
Ridendo nonostante tutto,
Sendala le arrivò al fianco e, presale una mano, le disse: “Devi avere ancora
forza da vendere, se riesci a strillare a quel modo.”
“Piantala di fare la
spiritosa…” brontolò lei. “… vorrei vedere te, al mio posto!”
“Questo, scordatelo!” rise l’amica,
asciugandole il viso con un pannetto.
“Ne riparleremo a tempo
debito, io e te.”
Eikhe sbuffò, cercando di
mantenere un ritmo respiratorio il più regolare possibile, ma fu molto, davvero
molto difficile.
Sorridendo alle due ragazze,
Kilana sollevò la veste della partoriente e le poggiò un telo sulle gambe dopodiché,
controllatane attentamente la dilatazione, mormorò: “Siamo ancora indietro,
Eikhe. Mi sa che ne avremo per un po’.”
“Ci avrei giurato.”
Un attimo dopo, urlò.
***
Aken affondò la lama nel
petto di un nemico prima di levare il capo di scatto e, turbato, guardarsi
intorno. Gli era sembrato di udire un grido di donna.
Il grido di Eikhe.
Sapeva che era impossibile,
visto che lei era lontana giorni di viaggio dal luogo della battaglia, eppure
gli era sembrata proprio la sua voce.
E stava male.
Sperò ardentemente di
sbagliarsi.
***
Ansando all’ennesima
contrazione, Eikhe guardò fuori dalla finestra e, notando la colorazione
violacea del cielo sopra la cresta frastagliata dei monti, imprecò.
“Ma quanto tempo è
passato?!”
“Diverse ore, in effetti” ammise
Kilana, tergendosi la fronte con il dorso della mano prima di tornare a fissare lo sguardo su Eikhe.
“Ma siamo a buon punto,
ormai. Sei dilatata a sufficienza. Alla prossima contrazione, spingi.”
“Non ci penserò due volte”
sibilò furente la ragazza, stringendo le mani di Sendala e di Tyura.
“Possibilmente, senza
spezzarci le dita” sottolineò la sorella, sorridendole nonostante si sentisse a
sua volta ormai allo stremo.
“Vedrò di conte…” cercò di
dire lei, prima di urlare dal male. “… maledizione!”
“Spingi, Eikhe, spingi!” le
ordinò subito Kilana, accigliandosi.
Stringendo i denti, la
ragazza gridò nuovamente nel mettere tutte le sue forze residue in quella
spinta.
Sorridendo soddisfatta,
Kilana esclamò: “Vedo la testa… una bella testolina nera!”
Subito, Kaihle si staccò dal
muro ove, per tutto il tempo, era rimasta in silenziosa osservazione dell’esito
finale di quello che, per mesi, aveva reputato un autentico abominio.
Uccidere madre e creatura
sarebbe stato un errore; solo per questo si era impedita di farlo a suo tempo.
Non le era servito sapere
dalle labbra della figlia il nome del miscredente padre, poiché aveva letto la
verità sul volto preoccupato del principe Aken, la prima volta che si erano
rivisti sulla piana di Royconea.
Quegli occhi smeraldini così
pieni di amore, amore verso sua figlia,
l’avevano mandata in bestia, ma non aveva potuto fare nulla per sfogare l’ira
che aveva sentito montare in lei.
Non si poteva levare la mano
su un principe, lo sapeva bene anche lei.
Ma non tollerava che lui
avesse insozzato con il suo seme una delle sue figlie, e che quella stessa
figlia si fosse fatta abbindolare al punto di innamorarsi del padre del nascituro.
No, era inconcepibile!
La legge lo vietava!
Nessuna donna-lupo poteva
permettersi di amare un uomo, soprattutto colui – o coloro – con cui aveva
deciso di avere una figlia per la loro stirpe.
Questo avrebbe voluto dire
diventarne schiave, non più padrone dei propri sentimenti, non più indipendenti
nelle decisioni, ma deboli e indifese di fronte a un sentimento schiacciante e
prevaricatore!
No, non avrebbe mai permesso
al frutto di quell’unione di rimanere con la propria madre.
Sua figlia avrebbe imparato
la lezione, perdendo ciò che la sua carne impura aveva generato, e tutto
sarebbe tornato a posto.
L’equilibrio sarebbe stato
ripristinato, e nulla sarebbe cambiato.
Se fosse stato un maschio,
lo avrebbe consegnato nelle mani delle genti di Marhna, forse allo stesso Harm,
perché vivesse tra loro come uomo.
Se Hevos, invece, avesse
deciso per una figlia, sarebbe stata lei,
ad allevarla, non Eikhe e, per lei, avrebbe disposto l’esilio.
Nessuno sarebbe stato
ucciso, e la frehoa non si sarebbe
risvegliata. Nessuno avrebbe macchiato col sangue il suo governo su Nestar.
Ma, più di ogni altra cosa,
non avrebbe mai permesso Eikhe potesse ottenere ciò che lei si era vietata per una vita intera!
Avvicinandosi silenziosa
alla stanza da letto di Eikhe, ristette sulla porta osservandone il viso
contratto dal dolore, rammentando il proprio quando l’aveva messa al mondo,
rischiando di perdere la vita.
Solo a cose fatte, aveva
scoperto con rammarico di avere dato alla luce una di quelle. Una figlia sacra.
Si era sempre rifiutata di
dire a Esteria, che guidava super partes
le Marchiate di Hevos, della sua esistenza, come invece era previsto dalla
legge del branco.
Aveva sempre ritenuto la sua
nascita uno spregio, un insulto.
Ma anche, e più di tutto, il
chiaro segno che l’amore che si era concessa di provare per l’uomo con cui
l’aveva generata era sbagliato, impuro!
Questa era l’ennesima
punizione che lei doveva pagare, per ciò che si era concessa in un momento di
cedimento.
Quella figlia, nata da un
amore che non avrebbe dovuto provare per alcun motivo, ora partoriva un figlio
senza il suo consenso, senza il consenso della legge, amando l’uomo con cui aveva generato quella creatura.
Ma lei avrebbe spezzato
quella catena di sventure!
Non avrebbe più pagato per i
suoi errori di gioventù!
Del tutto ignara dei
pensieri torvi della madre, Eikhe diede un’altra spinta, ormai allo stremo
delle forze.
Intuendo dalla larghezza
delle spalle il sesso del nascituro, Kilana rimase in silenzio finché il bimbo
non uscì con uno strillo poderoso, dichiarando al mondo intero la sua nascita.
Una risatina collettiva si
levò tra le tre ragazze mentre Kilana, dopo aver clampato e tagliato il cordone
ombelicale, avvolse in un telo il frugoletto urlante.
Un attimo dopo, lo depositò
sul fasciatoio per pensare alla madre del bimbo.
Dopo averla sollecitata a
espellere la placenta con massaggi delicati sull’addome, ripulì Eikhe con
delicatezza, mentre il bimbo continuava a strillare alle loro spalle, desideroso
di attenzioni.
Stremata ma sorridente, la
ragazza sollevò le braccia verso la donna che la stava curando con gentilezza
materna e mormorò: “Ti prego, Kilana, dammelo.”
Già sul punto di voltarsi
per prendere il bimbo, Kilana lo vide tra le braccia di Kaihle che, furtiva, si
era avvicinata a loro proprio nel momento in cui, le maggiori cure, erano
spettate alla partoriente.
Rabbiosa e con il volto
percorso dall’ira, Kaihle tolse la copertina, esclamando a gran voce: “Un
maschio!”
Sgomente, Sendala e Tyura si
levarono in piedi lasciando le mani di Eikhe che, senza forze, osservò la madre
con il suo bambino in braccio.
“Dammelo… è mio…”
“Non ti permetterò di
tenerlo! Sarebbe un sacrilegio! Se ne andrà immediatamente, come è giusto che sia!”
ringhiò Kaihle, fissando con occhi spiritati il bimbo che ancora teneva in
braccio e che, furioso, strepitava come un’aquila, quasi avesse compreso il
pericolo che stava correndo.
“Kaihle, Signora, non
costringermi a muovere contro di te” la minacciò Kilana, avanzando di un passo.
Sendala e Tyura imitarono la
possente guerriera, sbarrando di fatto qualsiasi fuga a Kaihle.
La Signora del Villaggio le fissò
rabbiosa e si strinse il frugoletto tra le braccia, non tanto per proteggerlo,
quanto per impedire alle tre donne di toglierglielo dalle mani.
Già sul punto di intimare
loro di stare indietro, la donna si volse verso la porta quando udì
distintamente il ringhio chiaro e sibilante di un lupo.
Sgomenta, vide Liar puntarla
con sguardo rabbioso mentre, sulla porta di casa, altri lupi la scrutavano allo
stesso modo.
“Il branco lo protegge. Non
puoi decidere per lui, Signora.”
Sendala si avvicinò a lei in
fretta e le strappò il bimbo dalle braccia, prima che potesse recuperare la
lucidità necessaria per tenerle lontane.
Osservando poi il piccolo con
un sorriso stampato sul volto, non trovò nulla di strano nello scorgere i suoi
occhi dorati ben spalancati sul viso grinzoso e, con voce limpida, disse:
“Benvenuto, figlio sacro.”
“Lui è…?” esalò Eikhe,
vedendoselo consegnare dall’amica.
Annuendo, Sendala mormorò:
“E’ come te, amica mia. Per questo, il branco gli è fedele. Nessuna di noi
potrà toccarlo.”
Stringendoselo al petto con
le lacrime agli occhi, Eikhe sussurrò: “Saresti orgoglioso di lui, Aken.”
Il bambino si esibì in un ciangottio
allegro che stregò subito la madre.
Ridacchiando, lo baciò sulla
fronte sistemandogli i fini capelli neri ma Kaihle, di tutt’altro umore,
sibilò: “Sia come vuole il branco, ma non rimarrai al villaggio. Qui governo
io, non loro, e non vi ci voglio!”
“Non sarà un problema. Costruirò
una nuova casa fuori dal villaggio, se così ordini, madre, ma non osare mai più
cercare di separarmi da mio figlio, o te la vedrai con la mia ira” sentenziò
lapidaria Eikhe, stringendosi al petto il figlio. “Io e Antalion vivremo per
conto nostro, non più sotto il tuo giogo oppressore.”
“Davvero un bel nome” dichiarò
Tyura, lanciando uno sguardo spiacente alla madre quando la vide uscire a passo
di carica, il viso oscurato da un’ira più che profonda. “Sarà meglio vada da
lei, o potrei rischiare di essere bandita
a mia volta. Verrò a trovarti appena la tempesta sarà passata, piccola.”
“Grazie, Tyura, di tutto” le
sorrise Eikhe, stringendo calorosamente una sua mano
Strizzandole l’occhio, Tyura
celiò: “Sei o no, mia sorella?”
***
Sollevando la testa di
Nargan perché tutti la vedessero, Aken lanciò un grido di guerra tale da far
tremare coloro che gli erano vicini.
Gridando con lui per
l’esultanza assieme a Vesthe e Liase, Ruak esclamò a gran voce, levando alta la
spada grondante di sangue: “Gloria al principe di Enerios! Siamo vittoriosi!”
Ora tutto era finito e,
finalmente, Aken avrebbe potuto tornare a casa e parlare col padre.
Certo, non sarebbe stato
facile fargli comprendere il suo amore per Eikhe e il suo desiderio di non
salire al trono dopo di lui.
Il suo unico pensiero, al
momento, era abbandonare per sempre Rajana per avvicinarsi il più possibile all’unica
donna da lui mai amata.
Sì, Kaihle gli aveva vietato
di avvicinarsi a Nestar.
Ma il padre di Eikhe si
trovava a Marhna, e a lui sarebbe bastato soggiornare lì per poterla vedere.
A quel modo, avrebbe potuto
parlare nuovamente con lei, convincerla a intraprendere una via comune, in cui
avrebbero potuto finalmente vivere insieme.
La sola idea gli fece
sorgere un sorriso in viso.
Nel tornare vittorioso dai
suoi uomini, con la testa di Nargan ben levata verso il cielo, osservò
soddisfatto l’esercito nemico che, ormai senza un capo, stava sparpagliandosi per
tornarsene da dove era venuto.
A nessuno di loro importava
proseguire nella conquista di Enerios, visto che non avevano più nessuno a dar
loro ordini.
Tagliata la testa dell’Idra,
il corpo del mostro di nome Vartas era morto sul colpo.
Sorridendo al fratello
mentre, acclamati dai loro uomini, rientravano tra le loro fila di soldati,
disse sollevato: “Ora è tutto compiuto.”
“Sì, fratello mio” sospirò
soddisfatto Ruak, sorridendogli.
Il sole illuminò il campo di
battaglia, ricoperto di ciò che restava della lunga guerra appena terminata.
Osservando quei corpi
distesi e già prede dei corvi, pronti per il banchetto, danzavano sulle loro
zampette per avvicinarsi alla carne sanguinolenta, Aken mormorò mesto: “A cosa
è servita la sua follia? Solo a ingrossare lo stomaco del vostro dio Haaron.”
Vesthe, al suo fianco,
sorrise indulgente.
“Haaron ha banchettato per
mesi, grazie alla stupidità di Nargan, ma ora tocca a Hevos dare nuova vita a
questi luoghi. E’ un cerchio eterno di nascita e morte, principe. Non dovresti
stupirtene. Come non devi pensare che Haaron sia il male incarnato. Deve essere
ciò che è, o il ciclo non si chiuderebbe.”
“Parli con saggezza, Vesthe,
ma ugualmente piango per tante vite spezzate. E mi chiedo solo quanto ancora andranno
avanti queste guerre, prima che l’uomo capisca quanto siano inutili” sospirò
Aken, rinfoderando la spada.
Ora che aveva sconfitto
Nargan, ogni forza gli era venuta meno, e il suo unico desiderio era quello di
trovare la pace.
Per il suo popolo e per se
stesso.
“Ti poni una domanda senza
risposta, principe. L’uomo, come la donna, sono fatti per combattere, per dare
vita e per toglierla... è nella loro natura. In tutti noi, Haaron ed Hevos
albergano in egual misura” dichiarò Liase, lanciandogli un’occhiata comprensiva.
“Che parla, ora, è la stanchezza, più che lecita dopo tanti mesi di sangue e
morte. Non appena rimetterai piede nella tua amata città, tutto andrà a posto.”
“Lo spero, Liase” asserì
Aken, trovando la forza per sorriderle.
“Ne sono più che convinta”
annuì con vigore la donna.
“E’ giunto il momento di
separare le nostre strade, principi. E’ stato un onore e un piacere lottare al
fianco di uomini coraggiosi e leali come voi. Io e mia sorella decanteremo le
vostre doti alle figlie del branco che non hanno potuto unirsi a noi, perché la
vostra gloria non abbia fine, e l’amore verso la Corona sia ancora più saldo di
oggi.”
“Grazie a entrambe. Non solo
il vostro aiuto è stato prezioso, ma ci ha regalato due nuove amiche che…” e
nel dirlo, guardò il fratello Ruak, che sorrise annuendo: “…spero vorranno
farci l’onore di rimanere tali per sempre.”
Le due ragazze ridacchiarono
imbarazzate prima di annuire e Vesthe, dando una pacca sul braccio ad Aken, celiò:
“Ora non cominciare a fare lo sdolcinato, principe, o potremmo sorprenderti,
mettendoci a piangere come due viti tagliate.”
Ridendo, Aken la strinse in
un rapido abbraccio, allungandosi sulla sella al pari di Ruak, che strinse
gentilmente a sé Liase.
Dopo averle osservate ancora
un momento in viso per imprimere nelle loro menti quegli ormai familiari lineamenti, si allontanarono per radunare
l’esercito e tornare a Rajana.
Era infine giunto il tempo di
rimettere piede nella capitale del Regno.
L’esercito decimato di
Nargan era in fuga, ogni velleità di lotta scomparsa nel mare di sangue sparso tra quei colli ora
desolati che, per molto tempo ancora, avrebbero recato sui loro profili il
segno tragico di quella guerra insana e folle.
A ogni buon conto, fidarsi
di Vartas non era la mossa più sensata da fare, nonostante l’esercito in rotta
e la fuga dei comandanti.
Per evitare eventuali
recrudescenze, Aken decise di lasciare una compagnia di fanteria sul crinale,
con la promessa di un nuovo invio di truppe non appena avessero raggiunto la
capitale.
Dopo aver sistemato anche
quel problema, con il sole ormai prossimo al crepuscolo, si mise alla testa
dell’esercito assieme al fratello e puntò verso sud-ovest, verso casa.
A ogni passo percorso lungo
la piccola carovaniera che li aveva condotti in quelle lande, cori di bimbi e
acclamazioni di uomini e donne si sommavano a offerte di cibo e di bevande
fresche.
Qualsiasi cosa per celebrare
semplicemente, ma con grande cuore, la vittoria del loro regno nei confronti
dell’odiato Vartas.
Un falco fu fatto levare in
direzione di casa, perché il re fosse avvisato del buon esito della spedizione.
Mentre i giorni si
affastellavano gli uni sugli altri, i festeggiamenti non vennero mai
interrotti, sulla via del ritorno.
Per ogni villaggio
attraversato, le stesse scene si ripeterono all’infinito, mentre la voce della
vittoria della guerra si espandeva per il reame come un fuoco tra gli sterpi.
Di pari passo con
l’avvicinarsi della città, molte coorti si staccarono dal corteo principale per
tornare alle rispettive guarnigioni, non senza prima aver ricevuto le lodi dei
due principi.
Un premio sarebbe spettato a
tutti coloro che coraggiosamente avevano combattuto con valore per le sorti di
tutto il regno, così come alle famiglie di coloro che avevano perso la vita tra
quelle lande insanguinate.
Quando infine, con
l’approssimarsi del ventesimo giorno di viaggio, l’esercito scorse le amene
mura di Rajana, i due principi non poterono esimersi dal sorridere lieti, ben
felici di essere infine giunti a destinazione.
Grande fu la festa e la
pompa, quando varcarono il portone principale della capitale, e infinite furono
le libagioni offerte al popolo per rendere onore ai guerrieri tornati dal
fronte.
Ogni volto era percorso da
un sorriso, e i bambini saltellavano allegri nel veder tornare il proprio padre
dal fronte.
Contro ogni aspettativa, le
perdite erano state minime, nonostante i lunghi mesi di lotta, e furono poche
le famiglie cui Aken dovette portare la triste notizia della dipartita di un
padre, di un fratello, di un figlio o di un marito.
Quando finalmente fu il
turno per Aken e Ruak di riabbracciare la famiglia, il sole era già reclinato
verso occidente, tingendo il cielo dei cupi colori della sera.
I due giovani, scendendo
ormai stremati dalle proprie cavalcature, si lasciarono abbracciare dai propri
cari, dispensando strette vigorose e baci sentiti e amorevoli.
Ruak stentò a non piangere,
stretto tra le braccia tremanti di Anladi e Aken, sorridendo nell’osservarli,
si unì a loro stringendo entrambi in un abbraccio stritolante che li fece
entrambi scoppiare a ridere.
Melantha trovò parole di
lode persino per Aken – cosa alquanto strana, visto che non si sopportavano –
ma, visto cosa le era stato risparmiato, il fratello maggiore non trovò
difficile comprendere il perché di quei complimenti.
Anladi, dopo aver
scrupolosamente controllato che ai due figli non fosse successo niente, si
ritirò assieme alla figlia con il cuore più leggero.
Aken, perciò, scelse quel
momento per parlare con il padre; la fresca vittoria lo avrebbe reso più
disponibile alle sue richieste.
Lanciata un’occhiata furtiva
a Ruak, Aken entrò infine all’interno del palazzo assieme al resto della
famiglia.
Dopo aver promesso al
fratello che avrebbero giocato assieme a wisth,
seguì con passo tranquillo il padre, diretti verso il suo studio nel mastio
del castello.
Percorse in relativo
silenzio le tre rampe di scale necessarie per raggiungere il mastio – non senza
aver ricevuto lodi e congratulazioni da tutti coloro che incrociarono nel loro
cammino – Aken aprì per il padre la pesante porta di legno.
Osservatolo entrare con sguardo pensieroso, lo
seguì all’interno dell’enorme stanza circolare prima di chiudersi il battente
alle spalle.
Dopo essersi accomodato sul
suo scranno ricoperto di pelli di lupo, re Arkan fece segno al figlio maggiore
di accomodarsi di fronte alla scrivania del suo studio e, orgoglioso, fissò
l’uomo che aveva di fronte.
“Come si è comportato, Ruak?”
“Molto bene, padre. E’ un
ottimo combattente, e un buon stratega. Ancora un po’ irruente, ma è dovuto
all’età. Credo sia pronto per il suo apprendistato all’estero” dichiarò Aken,
sorridendo.
“Ottimo. Scriverò a re
Ordang domani stesso” annuì più volte Arkan. “Ebbene, figlio, cosa volevi dirmi
di così importante da non poter attendere neppure un minuto?”
Sospirando, il figlio poggiò
gli avambracci sulle cosce e, allungandosi verso il padre, ammise con voce roca:
“Riguarda me, padre. Mi sono reso conto di non volere ciò che la Corona ha da
offrirmi e…”
“Cosa stai dicendo, Aken?”
lo interruppe subito il padre, fissandolo accigliato.
“Padre, lasciatemi finire,
vi prego. Sapevo già di non volere questa vita e, trovandomi con Eikhe in mezzo
a quel ginepraio in cui siamo finiti, ne ho avuto la conferma. Io non sono
fatto per starmene rinchiuso in questo palazzo, a parlar di politica. Io sono
un uomo d’azione, amo la libertà, l’aria aperta, il…” proseguì Aken con veemenza.
Sbattendo una mano sulla scrivania,
Arkan lo interruppe furioso e, levandosi in piedi con ferocia, ringhiò: “Non
una parola di più, figlio!”
“Padre, ma…” esalò il
giovane, sorpreso dalla sua reazione, fissandolo a occhi sgranati.
“Tu sei mio figlio, l’erede
al trono, non un qualsiasi contadino di paese!” sbottò Arkan con tono sempre
più rabbioso. “Non voglio sentire da te parole simili, è chiaro?! Tu mi
succederai, e questo è quanto!”
“Non è mio desiderio” replicò
Aken, cercando di mantenersi calmo.
Aggredire a male parole il
padre sarebbe stato oltremodo controproducente.
“Tu ti sposerai, avrai un
figlio che erediterà il tuo titolo, e mi succederai al trono!” gli ordinò
ancora Arkan, fissandolo con occhi lividi.
“Non farò nulla di tutto
ciò. C’è già un’altra donna nella mia vita, perciò non potrei mai prendere in
moglie alcun’altra per soddisfare i vostri desiderio. Io desidero vivere con
lei, se mi sarà possibile. Ma non qui” ammise allora Aken, sfidandolo a
replicare.
Aggrottando pericolosamente
la fronte, Arkan oltrepassò la scrivania reggendosi al bastone e, sempre più
furioso, esclamò: “Quella puttana di una selvaggia! Lei! E’ stata lei a farti
uscire di senno!”
Alzatosi come una furia,
Aken fece cadere a terra la poltrona su cui si era accomodato – tanta fu la
veemenza del suo gesto – e replicò furente: “Non osate parlare di Eikhe a
questo modo! Non merita le vostre parole rabbiose!”
“Non lascerò che mio figlio
vada a stare con una pezzente suo pari. Sei il figlio del re, l’erede al trono,
ricordalo sempre!”
“E a me non interessa!
L’unica cosa che voglio, è lei!” urlò a quel punto anche Aken, picchiando i
pugni sulla scrivania.
“Tu obbedirai ai miei
ordini, o io la farò uccidere, ti è chiaro?!” sibilò Arkan, facendolo
impallidire.
“Non potete far questo. C’è
un trattato, con le donne-lupo. Voi non potete!” tentennò Aken, non essendosi aspettato una
simile reazione dal padre. “Vi volete rimangiare tutte le parole di lode che le
avete tributato, padre?”
“Non metto in dubbio ciò che
a fatto per noi, e tutto quello che le dissi a quel tempo, rispondeva al vero, ma
non la accetterò mai come tua moglie. Inoltre, passerò sopra senza problemi al
trattato, se potrò evitarti di screditare il buon nome della nostra famiglia.
Pensaci bene, Aken, prima di scatenare un’altra guerra, e solo per sfogare i
tuoi più bassi istinti.”
Arkan lo fissò furibondo, gesticolando
ampiamente con la mano libera dal bastone.
“E voi pensateci bene, prima
di mettere a repentaglio la vita di Eikhe. Se solo vengo a sapere che le avete
torto un capello, porrò fine di mia mano alla mia esistenza, così potrete
piangere sulla mia tomba e chiedervi se sia valsa la pena impormi simili
restrizioni” replicò Aken, con sguardo adamantino quanto fermo.
“Rinunceresti a vivere… per
lei?” sibilò Arkan, adombrandosi ulteriormente in viso.
“In qualsiasi momento” annuì
il figlio, ergendosi in tutta la sua statura e fissando il padre con fredda
determinazione. “E vi dirò di più. Non pensate che io mi sposi perché, se non
potrò avere Eikhe, voi non avrete un mio erede. Ci penserà Ruak, se mai vorrà
sposarsi, a proseguire la vostra stirpe, ma non certo io. In cambio, vi
prometto che rimarrò a Rajana. Ma solo a queste condizioni.”
Arkan lo fissò negli occhi
per diversi minuti, troppo furioso per aprire bocca anche solo per ingiuriarlo.
Alla fine, preso un gran
respiro, il re annuì e dichiarò: “Sia come vuoi. Non la toccherò, né pretenderò
da te che ti sposi, ma non uscirai mai più da Rajana. Non posso rischiare che
tu fugga per seguire questa follia, gettando fango sulla nostra casata e sul
suo buon nome secolare.”
“E sia” sospirò Aken,
reclinando il capo senza più avere la forza di guardare il padre negli occhi. “Preferisco
sapere Eikhe libera e viva, che braccata da voi perché io non ho voluto cedere
alle vostre minacce.”
“Tu sei folle” scosse il
capo Arkan, disgustato.
“Forse, ma non più di voi. Con
permesso, padre” disse a quel punto Aken, uscendo dallo studio con passo
fiacco.
Non appena si ritrovò nel
corridoio, il giovane sobbalzò nel trovare sua madre Anladi a pochi passi da
lui e che, con occhi leggermente sgranati, lo fissò turbata.
“Perché urlavate? Cos’è
successo?”
“Nulla, madre, non
preoccuparti. Va tutto bene” le sorrise mesto lui, stringendola in un abbraccio
tremante.
“Aken, tesoro, cos’hai?” gli
sussurrò la donna contro il torace ampio e tremante, carezzandogli
sommessamente la schiena.
“Permettimi solo di
abbracciarti un momento, madre,… ora mi passa” mormorò soltanto lui, sentendosi
prossimo alle lacrime.
Non avrebbe più rivisto
Eikhe, non avrebbe più scorto i contorni burrascosi dei Monti Urlanti, o le
placide colline dei Rinnail, o la cascata di Atrohos.
Nulla, solo le pareti del
castello e i tetti delle case di Rajana. Solo fredda, inospitale roccia, fino
alla fine dei suoi giorni.
Ma non poteva rischiare che
suo padre mettesse a rischio la vita di Eikhe, o il trattato con le donne-lupo.
No, lui avrebbe rinunciato
alla sua libertà per lei e, se un giorno gli dèi avessero avuto pietà di lui,
avrebbe rivisto i suoi occhi dorati e il suo sorriso sincero. |
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Capitolo 18 *** cap.18 ***
18.
Le rimostranze di molte
donne della tribù si unirono allo sguardo feroce di Kaihle che, incessante,
seguì i movimenti di Eikhe attraverso la via principale del villaggio.
Con Antalion in braccio e le
sue amiche al fianco, si diresse verso il piccolo tempio di Hevos per pregare
in onore del nuovo nato.
La notte che aveva seguito
la nascita di Antalion si era trascinata lenta e tesa come la corda di un
liuto, mentre la notizia si spargeva come fuoco tra le donne-lupo.
Nonostante quel clima di
fiele, Eikhe aveva pensato unicamente al suo bimbo, attaccandolo al seno per la
prima volta sotto gli occhi vigili e gentili di Sendala e di Kilana.
Per l’intera nottata, entrambe erano rimaste
al suo fianco, mentre Tyura era rimasta fuori dalla porta della casa della
sorella per vigilare in compagnia dei lupi.
La mattina seguente, Eikhe aveva
almeno in parte recuperato le forze.
Seguita da coloro che più l’avevano
spalleggiata, assieme ai lupi del branco di Nestar, la giovane aprì la porta
del piccolo tempio votivo dedicato a Hevos.
Lì, una miriade di candele
splendevano altalenanti, illuminando le mura dipinte e l’altare di pietra in
fondo alla navata, dove si ergeva una statua del dio a grandezza umana.
Il fruscio dei mocassini delle
donne-lupo si mescolò al tintinnio delle unghie dei lupi che, senza emettere
fiato, si posizionarono ai lati della stretta navata centrale.
La giovane madre invece, con
il bimbo perfettamente sveglio e stretto tra le braccia, si avvicinò all’altare
e si inginocchiò reclinando ossequiosa il capo.
Dietro di lei, le altre donne
presenti la imitarono mentre i lupi, levando i loro musi, si esibirono in un
breve ululato collettivo prima di tornare in religioso silenzio.
Quando anche l’ultimo eco fu
scomparso tra le quattro mura del tempio, Eikhe tornò a levare il capo.
Scrutando con un sorriso
fiducioso il rosone decorato che si trovava alle spalle della statua del dio,
esordì dicendo: “Oggi porto al tuo cospetto tuo figlio, Hevos. Egli reca il
Marchio, egli porta con sé il mio sangue e il tuo sangue, oh, grande dio-lupo.
Egli oggi rivendica la tua benevolenza, in quanto discendente del branco e
figlio sacro, depositario della tua nobile stirpe.”
In coro, le donne ripeterono
la litania appena cantata da Eikhe, perché vibrasse all’interno delle sacre
mura del tempio.
La figlia sacra, nel
frattempo, tolse dall’altare una candela
per continuare il rito di benedizione del bambino.
Piegando la candela su un
lato, alcune gocce di cera bollente caddero sul suo palmo aperto e, con voce
forte e limpida, esclamò: “Sia salda la mia mano nel difenderlo, anche quando
il dolore è forte!”
Dietro di lei, le donne
ripeterono la stessa frase, mentre i lupi si univano a loro con bassi ululati
di gola.
Baciando il figlio sulla
fronte liscia e rosea e sulle mani paffute, Eikhe continuò l’omelia.
“Sia gentile la mia mano nel
crescerlo, anche se le difficoltà saranno immani.”
Ancora, le donne si unirono
alla sua supplica e la ragazza, ergendosi in piedi con grazia, sollevò sopra la
sua testa il bimbo perché la luce che attraversava il rosone lo colpisse in
pieno.
“Sia sicura la mia mano nel
dargli conforto e certezze, anche quando tutto sembrerà insormontabile!”
Detto ciò, si volse verso le
sue amiche mentre le ultime frasi del rito venivano cantate con vigore e
coraggio.
Con un sorriso, Eikhe
sussurrò: “Sia il mio cuore esultante e lieto, poiché oggi è nato un figlio di
Hevos.”
In coro, le donne urlarono:
“Un figlio di Hevos!”
I lupi tornarono a ululare
festanti mentre, all’esterno del tempio, Kaihle passeggiava nervosamente avanti
e indietro, lappandosi le labbra secche nel vano tentativo di calmarsi.
Fin da quando quel bambino
era nato, il malcontento era sceso su Nestar.
Molte anziane si erano rivolte alla loro Signora
perché Eikhe avesse la sua giusta punizione, assieme al frutto peccaminoso cui
lei aveva dato vita.
Kaihle aveva promesso un fio
degno di tale nome da comminare alla figlia degenere, ma non poteva in alcun
modo mettersi contro un intero branco di lupi, schierato come un fronte
compatto in difesa di quel piccolo abominio.
Inoltre, non voleva ripetere
il Massacro di Eskit proprio a casa propria.
Non faticava a comprendere cosa fosse andato storto quella volta,
sebbene non approvasse la condotta della figlia.
Uccidere il neonato – anche
se maschio – era stato un errore che le sue sorelle avevano commesso senza
pensare alle conseguenze.
Togliendo la vita al
bambino, le donne-lupo di Eskit avevano attirato la sventura su tutte loro,
scatenando la freoha di Luesrea che,
come un animale assetato di sangue, si era accanita su di loro, uccidendole
tutte.
Quando infine erano giunte
le Guardiane di Hevos – allertate da una donna scampata al massacro – tutto si
era ormai compiuto.
Le possenti guerriere avevano
perciò avuto gioco facile con Luesrea, ormai prosciugata di ogni forza e
ridotta a una misera creatura senza più un’anima.
Non era stata promulgata una
legge contro le figlie sacre solo perché alcune Anziane dell’Antico Consiglio
si erano dimostrate, se non d’accordo, ma disposte a comprendere le azioni di
Luesrea.
Ma ora, a distanza di un
secolo, si ripeteva il misfatto.
Un altro figlio sacro era
nato nelle loro terre e, in un modo o nell’altro, lei avrebbe dovuto
liberarsene, evitando così che tutto il villaggio di Nestar venisse colpito
dalla sventura.
Tenere lì Eikhe e il suo
cucciolo sarebbe stato impensabile, un abominio! La figlia minore non avrebbe
passato un solo momento di più in quel villaggio.
Non l’avrebbe permesso, per
nessuna ragione al mondo, così come non l’avrebbe più ripresa in seno alla
famiglia.
Era morta, per lei.
E, lupi o meno, l’avrebbe
sbattuta fuori con le sue stesse mani, quant’era vero Iddio!
Narhu, ferma a pochi passi
da Kaihle, interruppe il suo incessante peregrinare sussurrandole: “Hanno
terminato, mia Signora.”
La Signora del Villaggio
bloccò immediatamente i suoi passi, fissando biecamente la porta del tempietto.
Il branco di lupi uscì assieme
alle donne che si erano assiepate all’interno per la benedizione di rito ai
nuovi nati e, senza più attendere oltre, esclamò a gran voce: “Non un solo
passo di più su questo suolo, za’hrin!
Non ti permetterò di insudiciare oltre il mio
villaggio!”
Accigliandosi nel sentirsi
chiamare ‘traditrice’ con quel tono sprezzante
e privo d’amore, Eikhe strinse impercettibilmente al petto il piccolo Antalion
e si bloccò a un passo dai gradini.
“Non esistono altre vie per
uscire da Nestar, Signora del Villaggio perciò, a meno che io non impari testé
a volare, dovrò passare innanzi a te e a tutte coloro che così malignamente mi
stanno osservando.”
Facendo un cenno a Narhu perché andasse a recuperare
Leance dalla stalla, Kaihle replicò con stizza a stento controllata:
“Procederai in sella al tuo cavallo, e te ne andrai immediatamente da qui! Nessuna delle donne che così ingenuamente ti
hanno seguita in questa folle impresa potrà concederti asilo e, per nessun motivo, dovrai ricevere da
loro sostentamento, o aiuto! Tu non sei più una figlia di questo villaggio, o
mia! Io ti bandisco, Eikhe!”
Un soffuso coro di sgomento
si levò tra le donne alle sue spalle mentre la figlia sacra, lo sguardo ancora
fisso sul volto pallido della madre, ascoltava quelle parole senza colpo ferire.
Era già pronta a una simile
punizione, ed era ben disposta ad accettarla.
Sendala mosse un passo verso
di lei, le iridi nocciola percorse da un’agonia così profonda da farle male e,
nonostante sapesse di darle un ulteriore dolore, scosse il capo per bloccarla.
“Non un passo di più,
Sendala. Hai sentito la Signora del Villaggio.”
“Ma Eikhe…” ansò lei,
scuotendo freneticamente il capo. “Hai partorito solo ieri sera! Sei ancora
stanca, nonostante tutto. Non puoi metterti in viaggio proprio ora!”
La ragazza le sorrise
gentilmente, replicando: “E’ mattina presto, mia gentile amica, e ho tutto il
tempo di trovare un luogo ove rifugiarmi assieme ad Antalion.”
Quando, però, vide giungere
Leance senza sacche da viaggio, armato solo di sella, Eikhe aggrottò la fronte
e domandò: “Posso recuperare le mie cose da casa, oppure devo lasciare tutto
qui, Signora del Villaggio?”
“Tutto ciò che è qui ci
appartiene di diritto” decretò gelida Kaihle. “Non posso tenere il tuo lupo e
il tuo cavallo perché sono legati al tuo spirito, e morirebbero a essere
separati da te. Io non li voglio sulla mia coscienza, pur se lo meriterebbero,
dopo questo voltafaccia. Ma, tutto il resto, lo terrò come degno risarcimento
per il disonore che hai riversato su tutte noi senza minimamente pensare a ciò
che facevi.”
Accigliandosi, Eikhe replicò
con altrettanta freddezza: “Ho rispettato la legge di Hevos, e questo mi basta.
La legge delle donne-lupo non mi appartiene più, e neppure la vorrei, ora che
conosco la verità. Vi ritenete sagge a sufficienza per dire a tutte noi quando,
e con chi, avere figli, così da
poterci tenere sotto controllo e impedirci di vivere la nostra vita pienamente,
ma questo non è ciò che voleva Hevos
per noi! Non ci ha mai negato l’amore!”
Un brusio nervoso si levò
tra la folla di donne assiepate attorno a Kaihle, mentre le ragazze al fianco
di Eikhe le sorridevano coraggiose, infondendole forza e sicurezza.
Ugualmente, la giovane
lanciò un breve fischio per chiamare accanto a sé Leance e terminò dicendo:
“Non discuterò oltre con te, Signora del Villaggio, perché so che non credi a
una sola parola di ciò che ti ho detto. Ma basta mio figlio a dire a tutte che
io dico il vero. I lupi erano, e sono, con
me, mehem Kaihle. Ti serve sapere
altro?”
Con un ringhio, la Signora
del Villaggio sollevò un braccio per spazzare l’aria attorno a sé.
“Vattene di qui! Non una
sola parola in più, maledetta! Vai via! Io non sono più tua madre, quindi non
usare con me quello sdolcinato mehem.”
Reclinando il capo per
baciare la fronte del suo Antalion che, fino a quel momento, se n’era stato in
silenzio contro il suo seno, Eikhe sussurrò: “Andiamo a fare un giro per i
boschi, mio bel bambino.”
“Eikhe!” esclamò Sendala,
afferrandola a un braccio con occhi lucidi di lacrime. “Non andare, ti prego.”
Avvicinandola a sé con un
tocco gentile della mano, Eikhe le sorrise tristemente prima di darle un casto
bacio sulle labbra.
“Sarai sempre la mia amica
più cara, Sendala, ma ora devo andare. Non voglio che voi abbiate a soffrire
per causa mia.”
Detto ciò, se la strinse al
petto e, perché nessun altro potesse sentirla, sussurrò al suo orecchio:
“Cercami da mio padre, quando le acque si saranno calmate.”
“Sì” alitò debolmente
Sendala, scostandosi da lei prima di scappare via di corsa, intenzionata a non
farsi vedere in lacrime dall’amica.
Un coro silenzioso di
sguardi comprensivi e sorrisi commossi la accompagnò, mentre si ergeva sulla
sella di Leance.
Dopo aver scrutato le amiche
con occhi gentili, si volse verso la madre e il suo comitato di commiato prima di dare un piccolo colpo di tacchi ai
fianchi del cavallo.
Subito, l’animale si mosse
al passo e, lentamente, attraversò la via principale del villaggio, sotto gli
sguardi furiosi delle donne-lupo che avevano seguito Kaihle in quella guerra
intestina tra figlie del branco.
Ritta sulla sella e fiera di
ciò che teneva teneramente tra le braccia, Eikhe non si volse più indietro per
osservare un’ultima volta la sua casa natia.
Poco prima di uscire dal
villaggio, trovò però la forza di sorridere alla sorella Tyura che, sola e
poggiata mollemente contro un grosso abete, la scrutò da sotto le ciglia scure.
“Dirai a tuo figlio che la zia
gli vuole già tanto bene?”
“Lo farò. Ma ora torna dalla
mamma, se non vuoi passare un guaio” le sussurrò Eikhe, dando un colpetto a
Leance perché accelerasse il passo. “Mi troverai da mio padre.”
La sorella non disse altro,
limitandosi ad ammiccare al suo indirizzo prima di rientrare al villaggio con
passo strascicato.
Eikhe, ora veramente sola di
fronte al sentiero boschivo che si allontanava da Nestar, sospirò e disse:
“Andiamo, mio bel stallone. Abbiamo un bel po’ di miglia tra noi e un nuovo
tetto sulla testa.”
Leance non si fece pregare
e, al trotto leggero, percorse buona parte del tratturo che conduceva a Marhna
senza mai fermarsi, ormai pratico di quelle foreste.
Non potendo resistere oltre,
la giovane pianse per gran parte del tracciato mentre Antalion, tra le sue
braccia, ascoltava muto i suoi esili singhiozzi.
Fermatisi solo per il tempo
di dare la poppata al piccolo, che fortunatamente digerì senza problemi e,
soprattutto, senza far preoccupare una già tesa Eikhe, lo sparuto gruppetto
giunse infine alla cittadina di montagna col fare della notte.
Ormai infreddolita e stanca,
la ragazza diresse il cavallo verso la casa del padre, sperando di trovarlo
senza dover prima passare dal laboratorio.
Smontando a fatica dalla
sella, Eikhe si morse un labbro quando si rese conto di avere la tunica
macchiata di sangue.
Non potendo fare altro per
se stessa se non bussare alla porta del padre, ordinò a Liar di fermarsi in
giardino prima di legare Leance alla staccionata che delimitava la proprietà.
Cominciando a sentire i
morsi della fame e la stanchezza per il viaggio, la giovane raggiunse infine
l’entrata dell’abitazione del padre.
Lì, dopo aver bussato alla
porta, attese alcuni attimi prima di udire dei passi tranquilli raggiungere il
battente e aprirlo a metà.
Illuminata dal chiarore
delle lanterne accese nell’atrio, Ildera la osservò sorpresa per alcuni attimi
prima di sgranare gli occhi alla vista del bimbo tra le sue braccia.
Ma fu soprattutto la macchia
scura sulla tunica della ragazza, a spaventarla.
Affrettandosi ad attirarla
in casa, Ildera esclamò subito concitata: “Per tutti gli dèi, ragazza, ma cosa
ci fai qui?!”
Allungando il bimbo verso la
donna, Eikhe riuscì a dire a stento: “Tienilo tu, io…”
Ildera non fece in tempo a
prendere quel tenero frugoletto tra le braccia che Eikhe crollò in ginocchio
proprio innanzi a lei, stremata e ansante per le troppe emozioni e le troppe
fatiche cui era stata sottoposta.
Impallidendo spaventata, la
matrona si volse a mezzo verso la porta della cucina e, a gran voce, urlò:
“Harm, presto! Vieni qui!”
Giungendo a rapidi passi a
seguito di quell’accorato richiamo, l’uomo si affacciò sul piccolo atrio
d’entrata e disse: “Ildera, cosa sta…Eikhe! Oh, dèi!”
“Presto, portala in camera!”
Ildera non badò a spiegare
nulla al marito, cullando il bimbo tra le sue braccia che, nel frattempo, si era
messo a piagnucolare.
“Ti dirò tutto dopo. Ora
devo prendermi cura di lei!”
Annuendo senza dire una
parola, Harm sollevò tra le braccia la figlia che, poggiando stancamente il
capo sulla sua spalla, riuscì a sussurrare spiacente: “Non sapevo dove altro
andare… scusatemi.”
“Non devi scusarti di nulla,
bimba mia” scrollò la testa Harm, correndo a grandi passi su per la scala di
legno per portare la figlia al piano superiore.
Dietro di loro si infilò Ildera
e, a pochi passi, il curioso Konis che, sgambettando sulle sue gambe ossute e
lunghe, esclamò: “Mamma, che succede?!”
“Konis, vai subito a
prendere delle pezzuole pulite e un secchio di acqua calda. Corri!” esclamò la
madre, aprendo la porta della stanza matrimoniale con un colpo di spalle mentre
Harm vi si infilava in fretta.
Richiamato all’ordine dal
monito imperioso della mamma, Konis tornò di sotto di corsa e raccattò tutto il
necessario alla svelta.
Fatto ciò, sollevò uno dei
secchi poggiati sulla stufa in cucina e lo portò al piano superiore, tra
brontolii sommessi e imprecazioni soffocate.
Quando però mise piede nella
camera padronale per consegnare il tutto alla madre, sgranò gli occhi nel
vedere la sorellastra – pallida come un cencio e sudata in viso – e un neonato
poggiato sul suo ventre leggermente arrotondato.
Posato il secchio a terra,
gli occhi ancora sgranati per la sorpresa, Konis esalò: “Mamma… ho il secchio
e…”
Voltandosi immediatamente
verso il figlio, Ildera annuì in fretta e, preso tutto il necessario per curare
Eikhe, disse torva: “Ora, voi uomini andate fuori di qui. Immediatamente!”
“Ma Ildera…” brontolò Harm,
accigliandosi. “…preferirei rimanere al fianco di mia figlia…”
“Vola subito fuori di qui,
Harm. E anche tu, Konis! Rendetevi utili e preparatemi un infuso di kellara, poi tagliate una delle lenzuola
per farne delle fasce per il bimbo. Sbrigatevi!”
Ildera non li degnò di una
sola occhiata, cominciando a slacciare gli alamari della lunga tunica di Eikhe.
Vistosi letteralmente
cacciato via dalla stanza assieme al figlio minore, Harm sorrise un momento a
Eikhe – che ricambiò – prima di chiudersi la porta alle spalle e dire a Konis:
“Sentito la signora? Andiamo.”
“Papà, ma… cos’aveva Eikhe?”
chiese a quel punto Konis, confuso.
Scrutando dubbioso la porta
chiusa della sua stanza, scosse il capo e dichiarò: “Non vorrei dire
stupidaggini, Konis, ma credo tu sia appena diventato zio, e io nonno.”
Il ragazzino sgranò gli
occhi per l’ennesima volta mentre Harm, avvolte le spalle del figlio con un
braccio, cominciò a scendere lentamente le scale per eseguire gli ordini della
moglie.
Per le domande avrebbe avuto
tempo in seguito.
***
Ansante e dolorante da capo
a piedi, Eikhe osservò grata Ildera mentre, con competenza e gentilezza
assieme, la ripuliva dal sudore e dal sangue prima di farle indossare una
camicia da notte.
“Non temere, era solo una
lieve perdita dovuta alle tante ore passate a cavallo. Un po’ di riposo, e
sarai come nuova.”
“Grazie, Ildera, e scusami
se sono piombata qui a questo modo, ma non sapevo proprio dove andare” sospirò
Eikeh, piegando il capo di lato sul morbido cuscino di piume.
Dandole una goffa pacca
sulla spalla, la donna replicò: “Te l’avevo detto io, no, di venire qui,
qualora avessi bisogno di aiuto? Hai fatto bene.”
Poi, sorridendo maggiormente
nell’osservare il piccolo addormentato al fianco della madre, aggiunse: “Hai
davvero un bel bambino.”
Eikhe annuì, allungando una
mano per sfiorare la zazzera di scuri capelli che gli cresceva sul capo.
“Peccato che sua nonna non la
pensi così.”
“Vi ha cacciati dal
villaggio?” chiese torva Ildera, prima di sentire bussare alla porta.
Volgendosi a mezzo, la donna
vide entrare un attimo dopo sia Harm che Konis che, dubbiosi e in attesa di un
assenso, ristettero sulla porta con l’aria di non sapere bene cosa fare.
Eikhe rise divertita nel
vederli così sull’attenti e, alzandosi a sedere sul letto, si posizionò dietro
la schiena un altro guanciale per poi celiare: “Avete paura di due donnicciole
e di un neonato, forse?”
Harm ridacchiò
nell’avvicinarsi, subito seguito da Konis.
“Sbaglierò, ma una sa usare
più armi di me, mentre l’altra brandisce il mattarello come un guerriero. Sì,
che ho paura!”
Ildera arrossì a quel commento
ma sorrise mentre la ragazza, ridacchiando sommessamente, sollevò un
sopracciglio con aria divertita.
“Non ti facevo così
guardingo, padre.”
Allungandole una tazza di
infuso, Harm fissò il bimbo steso accanto alla figlia e, sorridendo
spontaneamente, celiò: “E io non sapevo che sarei diventato nonno. Che novità è
questa, Eikhe?”
Sorseggiando lentamente
l’infuso caldo e profumato, la giovane sospirò labilmente prima di ammettere:
“Mi hanno cacciata dal villaggio perché ho voluto tenere lui, rifiutandomi di dire chi è il padre e, più di ogni altra cosa,
asserendo che Hevos è dalla mia parte.”
Accigliandosi
immediatamente, Harm si accomodò sul ciglio del letto mentre Konis scrutava
curioso il neonato addormentato.
“Da quanto tempo hai il bambino?”
“Da ieri sera” ammiccò
tristemente Eikhe, ben sapendo quale sarebbe stata la reazione del padre a
quella notizia.
Come previsto, si adombrò in
viso digrignando i denti.
Ildera, più tranquilla e
prosaica, gli batté una mano sulla spalla per calmarlo, ben sapendo quanto
fosse inutile irritarsi.
“Non innervosirti per
niente, Harm.”
“Strangolerei volentieri tua
madre, ora come ora, Eikhe” ringhiò l’uomo, furente come poche altre volte era
stato in vita sua. “Come le è saltato in mente di metterti su un cavallo, a
così poche ore dal parto?!”
“La legge va rispettata,
no?” sentenziò ironica Eikhe. “Forse, non voleva un secondo Massacro di Eskit
in casa propria.”
Sia Harm che Ildera
impallidirono nell’udire quel nome poiché, di quella vicenda, si era narrato
per anni e anni anche al di fuori dei villaggi di donne-lupo.
Da racconto sussurrato con
timore, era diventato nefasto mito tramandato tra le genti delle montagne.
Konis, curioso come ogni
bambino di dieci anni, levò il capo in direzione della sorellastra e chiese:
“Che intendi dire, Eikhe?”
Sorridendo debolmente al
ragazzino, Eikhe scosse il capo e disse: “Una gran brutta vicenda, Konis. Molto
brutta.”
“Con dei morti?” chiese
allora Konis, con il candore dei bambini.
“Parecchi” annuì la sorella,
prima di rivolgersi ai due coniugi. “Posso rimanere qui, finché non avrò
costruito una casa per me e il piccolo Antalion?”
“Potrai restare tutto il
tempo che vorrai, anche per sempre, se lo desideri” disse subito Harm, prima di
veder annuire la moglie.
Scuotendo il capo, Eikhe
replicò gentilmente alla sua offerta.
“Non sono fatta per abitare
in città, neppure una carina come Marhna, perciò mi costruirò una casa nel
bosco, anche se non troppo lontana dal paese, così sarà facile per me e per voi
restare in contatto. Voglio crescere il mio bimbo seguendo le leggi di Hevos.”
Annuendo suo malgrado, Harm asserì:
“Se questo può renderti felice, ti aiuterò a costruirla dove vorrai, ma
rammenta che qui sarai sempre la benvenuta.”
“Grazie” sussurrò Eikhe.
Un attimo dopo, scoppiò in
una risatina nell’udire le proteste del figlio e, dopo averlo preso tra le
braccia, mormorò: “Credo abbia fame.”
Tutti risero con lei.
Konis, invece, arrossì
leggermente e le chiese: “Posso restare mentre lo allatti?”
“Ma certo, Konis” annuì
Eikhe, slacciandosi la camicia da notte per permettere ad Antalion di
attaccarsi al seno.
Battendo una mano sul
materasso, sorrise al fratello per invitarlo ad avvicinarsi.
“Vieni a sederti qui accanto
a me, cucciolo di lupo.”
Ridacchiando nel sentirsi
chiamare a quel modo, Konis si arrampicò sul letto per mettersi al fianco della
sorella e, ammirando in silenzio il nipotino mentre mangiava, non si accorse
dell’occhiata amorevole dei suoi genitori.
Senza alcun rumore, si
allontanarono dalla stanza per scendere dabbasso.
“Farà bene a entrambi stare
un po’ da soli” disse quasi tra sé Harm, prima di scrutare il giardino e notare
la presenza del lupo della figlia e del suo cavallo, legato alla staccionata.
“Mi sa che avranno fame
anche loro. Li porto nella stalla, va bene?”
“D’accordo. Io, nel
frattempo, preparo una camera per Eikhe e il suo bimbo” annuì Ildera.
Già sul punto di
allontanarsi, si bloccò a mani serrate e sbottò per l’irritazione fin lì
trattenuta.
“Mi spieghi perché diamine
sei stato a letto con una donna capace di cacciare sua figlia a quel modo? Che
ti diceva la testa?”
Con un mesto sorriso, Harm
scrollò le spalle e disse per contro: “Non riconosco Kaihle in ciò che ha
fatto, Ildera, lo ammetto. Non era così, da giovane. Per nulla.”
“Mah! Meglio che vada a dare
una ripulita alla camera degli ospiti. Tanto, non la capirò mai quella donna!”
sbottò Ildera, andandosene a grandi passi e con le mani piantate sui fianchi.
Tristemente, Harm uscì fuori
di casa e, scrutando la luna alta in cielo, cercò in essa risposte che già
sapeva non sarebbero venute.
“Cosa ti ha cambiato tanto,
Kaihle? Cosa?”
***
“Ecco, vedi come si fa,
Konis? Prima pieghi questo angolo poi…” cominciò col dire Eikhe, prima di
interrompere la sua lezione nell’udire un ululato fuori casa.
E non si trattava di Liar.
Levato a sua volta il capo, Konis
corse in fretta alla finestra per curiosare all’esterno e, con una risatina,
richiamò l’attenzione della sorellastra.
“C’è una ragazza-lupo, qui
fuori, e sta facendo le coccole a Liar.”
Avvolgendo tra le braccia
Antalion, Eikhe raggiunse la finestra in pochi, rapidi passi e, con un sorriso
spontaneo, sussurrò: “Sendala.”
“E’ amica tua?” chiese
allora il fratellino mentre, insieme, si dirigevano dabbasso.
“Sì, è la mia migliore
amica” annuì lei, aprendo la porta d’ingresso prima di dire a gran voce:
“Sendala! Ciao!”
Il capo bruno della ragazza
si levò di scatto, mostrando i suoi limpidi occhi accendersi di gioia.
Con un rapido scatto di
gambe, la giovane fu da lei sulla porta di casa per abbracciarla con calore,
stando ben attenta a non fare in alcun modo del male al piccolo Antalion.
“Oh, amica mia… che bello
vederti in salute!” ansò Sendala, baciandola sulle guance.
Un attimo dopo, si scostò
per sorridere al piccolo Antalion, che la scrutava con i suoi enormi occhi
giallo paglierino.
“E tu, An, come stai?”
Il bimbo si esibì in un
piccolo strillo acuto prima di allargare le labbra in quello che avrebbe dovuto
essere un sorrisone, se solo vi fossero stati i denti a rendergli giustizia.
“Gli stai simpatica” commentò
Konis con aria saputa, intrecciando le braccia sullo striminzito petto. “Fa
sempre così, con chi trova carino.”
“Buono a sapersi, visto che
è un mese che non mi vede” ammiccò Sendala, allungando verso di lui una mano inguantata.
“Io sono Sendala, e tu devi essere Konis, il fratellastro della mia amica,
giusto?”
“Esatto” annuì lui,
stringendo la mano protesa con una stretta decisa.
Sorridendo soddisfatta, la
ragazza-lupo tornò a osservare l’amica, dicendo: “Il piccoletto, qui, ha una
stretta tenace. Sarà uno zio valido per il bimbo, casomai dovesse servirgli
protezione.”
Gonfiandosi come un pavone,
Konis annuì con vigore e sorrise tutto soddisfatto.
“Ci penso io a difenderlo!”
Ridendo, Eikhe annuì
divertita, passando una mano tra i folti riccioli scuri del fratello.
“Mi affido a te, allora,
Konis.”
“Sì, sorella” annuì lui,
prima di aggiungere: “Vado a chiamare la mamma nell’orto. Magari si ferma per
due chiacchiere anche lei.”
Arrossendo debolmente,
Sendala reclinò il viso imbarazzata e replicò stentata: “Oh,… no, non posso
fermarmi tanto. Ho usato una scusa per scendere a Marhna ma non posso tardare
molto, o capiranno che sono venuta a cercarti. Mi spiace.”
Annuendo, pur dispiacendosi
non poco della notizia, Eikhe batté una mano sulla spalla dell’amica.
“Ti capisco. E’ già molto
averti rivisto. Di’ a mia sorella che sto bene, Sendala. Di lei ci si può
fidare.”
“Va bene” assentì Sendala
prima di scrutare Antalion e chiedere: “E… beh, hai avvertito il padre della
sua nascita?”
“No” sospirò Eikhe scuotendo
il capo. “Né mai dovrà saperlo. Lo affliggono già troppi problemi, e noi non
saremmo che uno in più. Va bene così.”
“Mi rimetto al tuo giudizio,
ma credo che meriti più di semplice silenzio” brontolò Sendala, facendola
sorridere divertita.
“Ma come? Non eri tu che,
neppure un anno fa, mi hai quasi malmenato per aver dormito assieme a lui, e
averci pure fatto un figlio?” replicò ironica Eikhe.
“Dimentichi che l’ho visto
sul campo di battaglia. Ho molto rispetto per lui, Eikhe, e credo debba sapere
ma, se tu ritieni diversamente, tant’è. A me sta bene. Ma un giorno lui…” e nel dirlo, indicò Antalion. “…
vorrà sapere. E allora, cosa gli dirai?”
“Lo saprò a tempo debito.
Non voglio pensarci ora” dichiarò soltanto la figlia sacra, con un leggero
sospiro ad accompagnare le sue parole.
Mordendosi un labbro,
Sendala la abbracciò dolcemente, non sapendo in quale altro modo perorare la
causa di Aken.
“Non voglio litigare con te
la prima volta che ti vedo dopo tanto tempo, amica mia. Mi lascerai con un
sorriso, vero?”
“Ma certo” annuì Eikhe,
dandole un bacio sulla guancia prima di sorriderle con sincero affetto. “Possa
Hevos guidare i tuoi passi, Sendala.”
“E l’ululato del lupo
guidare il tuo cammino, figlia sacra” replicò la ragazza-lupo, chinandosi poi a
baciare Antalion e ripetere la benedizione anche per lui.
Nel vederla allontanarsi in
groppa al suo cavallo e con il suo lupo al fianco, Eikhe sussurrò: “Non è
ancora il tempo, ma verrà il giorno.”
“Cosa vuoi dire, sorella?”
chiese Konis, fissandola curioso.
Liar scelse quel momento per
giungere loro a fianco, tutto felice e scodinzolante ed Eikhe, chinandosi per
togliergli dal pelo un filo d’erba solitario, sorrise al lupo per un attimo.
“E’ ancora presto per un
cambiamento tra noi donne-lupo, Konis, ma presto o tardi avverrà. E Antalion è
la prima pietra del nuovo tempio che sorgerà in onore di Hevos.”
“Parli strano, a volte,
Eikhe” commentò confuso Konis, prima di avvicinarsi a Liar e chiederle: “Posso
giocare un po’ con lui?”
“Prima cambiati, o Ildera ti
batterà di sicuro, se sporchi quella tunica nuova. Solo in seguito, potrai
giocare con lui” acconsentì Eikhe con indulgenza.
“Vaaa beeeneee” disse a gran
voce Konis dando una grattatina dietro le orecchie al lupo. Un attimo dopo, già
correva a gambe levate in casa per cambiarsi.
“Grazie” disse alle sue
spalle Ildera, giungendo dall’attiguo orto. “Se l’avesse sporcata, mi sarei arrabbiata
davvero.”
Volgendosi a mezzo, Eikhe le
sorrise.
“Mi arrabbierei anch’io,
credimi. Vuoi una mano con le erbe aromatiche?”
“No, grazie. Piuttosto,
volevo sapere se potevi rammendare alcune camicie di Harm. Hai una mano
migliore della mia, e lui è così pignolo!” esclamò Ildera, scrollando le spalle
con enfasi.
Ammiccando, Eikhe annuì
dicendo: “Oh, lo so che è pignolo.”
Detto ciò, lanciò uno
sguardo alla foresta che si ergeva imponente a poche centinaia di iarde dal
confine orientale del paese, dove loro si trovavano.
Con un sospiro, ne osservò
le piante sospinte dal vento e ne ascoltò il leggero stormire, provando la
consueta nostalgia per quei luoghi a lei così cari.
Affiancandola, Ildera le
diede una pacca sulla spalla, mormorando confortante: “Sarà solo questione di
qualche mese, Eikhe, e poi sarà pronta.”
“Lo so. E io qui mi trovo
bene, ma…” tentennò Eikhe, sorridendole spiacente.
“La foresta è come casa tua,
per te. L’ho capito” annuì Ildera, prima di dare un buffetto ad Antalion sul
mento, e dire in falsetto: “E tu, bell’ometto? Cosa dici?”
Il bimbo si esibì nel suo
solito sorrisone sdentato e la donna, scoppiando a ridere, gli arruffò i corti
e sottili capelli.
“La nonna va a prepararti
subito il bagnetto, tesorino.”
Sorridendo nel vederla
entrare in casa, Eikhe ringraziò silenziosamente Hevos per l’aiuto che Ildera,
in quel primo mese passato a casa del padre, le aveva dato per imparare il
difficile mestiere di madre.
Non rimpiangeva di aver
avuto Antalion, neppure per un momento ma, durante certe notti passate sola nel
buio nella sua stanza, ascoltando solo il respiro del figlio al suo fianco,
aveva pianto infelice.
Aveva sentito tremendamente
la mancanza di Aken e sì, della madre.
Per quanto lei potesse
odiarla, o disprezzare ciò che le aveva fatto, rimaneva pur sempre la donna che
l’aveva messa al mondo, che l’aveva allattata e curata perché diventasse
grande.
Tornando a scrutare il folto
della foresta, Eikhe sussurrò: “Spero che un giorno capirai, mamma. E smetterai
di odiarmi.”
Per un po’ avremo a che fare con Antalion e la sua nuova famiglia, mentre ritroveremo Aken un po’ più avanti. Portate pazienza, e tornerà anche lui! Per ora vi saluto e passo a produrre il prossimo capitolo! Ciao! |
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Capitolo 19 *** cap. 19 ***
19.
Passandosi una mano sul
volto madido di sudore, ma che tradiva un’indubbia soddisfazione, Eikhe scrutò
con occhi scintillanti gli uomini seduti a cavalcioni sul tetto della sua nuova
casa.
Tra risate e imprecazioni,
stavano terminando di fissare le lastre di pietra, che fungevano da copertura,
mediante l’utilizzo di ramponi metallici.
Grazie al passaparola di
Harm tra colleghi e amici, Eikhe si era ritrovata a fare da capocantiere a una
squadra di almeno venti uomini giovani e in salute che, ben volentieri, si
erano messi al suo servizio.
Da principio, Eikhe non si
era sentita per nulla tranquilla all’idea di dover aver a che fare con così
tante persone, ma Harm l’aveva rassicurata.
Non solo erano tutte degne
di fiducia, ma anche giovani devoti alla Corona, desiderosi di ringraziarla per
ciò che lei aveva fatto per il regno.
Certo, aver salvato il
principe aveva contato di sicuro, ma Eikhe aveva faticato non poco a venire a
patti con la loro gratitudine, almeno i primi mesi.
Con l’approssimarsi
dell’inverno e della fine dei lavori, però, ormai la giovane aveva fatto
amicizia con tutti loro.
E, non pochi tra essi, si
erano accollati diversi turni accanto alla culla di Antalion che, per espresso
volere della giovane madre, non era mai rimasto lontano da lei.
Ildera e Konis si erano
fatti carico di portare loro i viveri, durante quei lunghi mesi di lavoro,
nonostante Eikhe si fosse più volte impuntata per il contrario, a tal
proposito.
Entrambi, però, l’avevano
azzittita adducendo come scusa il desiderio di vedere il nipote, che si trovava
sempre al cantiere con lei.
In realtà, e con grande
piacere della giovane, aveva ormai compreso che non solo il piccolo Antalion
era al centro dei loro pensieri, ma anche lei, nonostante tutto ciò che, fino a
un anno prima, li aveva divisi e resi quasi degli estranei.
Quella forzata vicinanza
aveva creato un legame duraturo che nulla, neppure la distanza, avrebbe più
spezzato, ed Eikhe ne era felice perché, a conti fatti, lei e Antalion potevano
contare solo su di loro.
Il luogo in cui era nata e
cresciuta, purtroppo per lei, le era ormai ostile.
Nonostante Sendala e Tyura
fossero riuscite, in quei mesi, a raggiungerla in diverse occasioni, sapeva che
Nestar sarebbe stato per sempre un posto off-limits.
Ma le stava bene anche così.
Aveva Antalion, l’amore del
padre e l’affetto della matrigna e del fratellastro, oltre all’amicizia di
tutte quelle persone che, nel corso di quei mesi, le si erano avvicinati per
dimostrarle appoggio.
Certo, ricominciare da sola
sarebbe stato complesso, ma non impossibile.
Inoltre, si trovava solo a mezz’ora
di cavallo da Marhna, dalla sua famiglia acquisita. Non era un’eternità.
E lì dove aveva scelto di
vivere, nei pressi di un ruscello e nel bel mezzo di un’ampia radura riparata
da alti pini da resina, c’era abbondanza di selvaggina.
Ben presto, avrebbe potuto
ricominciare a cacciare e preparare nuovi pellami lavorati.
Con i soldi che avrebbe
guadagnato, vendendo i suoi articoli d’artigianato, avrebbe acquistato quel
poco che la foresta non poteva offrirle e, nel contempo, avrebbe cresciuto il
figlio nel rispetto delle leggi di Hevos.
Di tutto il resto, del
proprio amore per Aken e della possibilità di rivederlo, non poteva
occuparsene, non in quel momento, e neppure nel breve periodo.
Se avesse pensato troppo ad
Aken, si sarebbe intristita al punto tale da perdere di vista il suo compito
principale, e cioè fare da madre ad Antalion.
E quello era un compito che
voleva assolvere nel migliore dei modi.
“Ehi, Eikhe! Vuoi anche un
gallo segnavento, sul camino?” le urlò Sebatt, dall’alto del tetto di casa.
Osservando l’imponente
falegname, e amico di vecchia data del padre, Eikhe annuì.
“Te ne sarei grata! Fa
sempre piacere vederlo puntare il becco a destra e a manca!”
“Come ordina sua signoria!”
gridò allora l’uomo, con una gran risata di gola.
Lei rise a sua volta, più composta
e Antalion, dalla sua culla, se ne uscì con quello che avrebbe dovuto essere
una risata, ma che risultò essere più uno sbuffo confuso.
Sorridendogli, la giovane lo
prese in braccio dicendo divertita: “E’ buffo, vero, Sebatt?”
Il bimbo le sorrise,
afferrandole una delle trecce che portava poggiate sulle spalle.
Trattenendo un ‘ahia’ non appena il figlio gliela
strinse con forza, Eikhe esalò con esasperazione: “Dèi, sei già forte come tuo
padre! Figurarsi quando sarai grande!”
Affiancandosi ad Eikhe con
una cesta ricolma di legna, il giovane figlio ventenne di Sebatt le sorrise, celiando:
“Non potrebbe che esserne orgoglioso, secondo me. E’ davvero bello.”
Volgendosi a mezzo per
sorridere all’alto e prestante spaccalegna che, dal padre, aveva preso in tutto
e per tutto il sorriso ammaliante, Eikhe replicò: “Può darsi. Peccato che non
lo sapremo mai.”
Poggiando la gerla a terra,
Enok intrecciò le possenti braccia al petto, dubbioso.
“Un così grande mistero può
voler dire solo due cose, Eikhe. E di una, dubito fortemente.”
Sollevando un chiaro
sopracciglio sottile, la figlia sacra lo fissò con autentica curiosità prima di
chiedere: “Cosa vorresti dire?”
Allungandosi per prendere
Antalion in braccio, il quale accettò di buon grado, Enok lo fece ballonzolare
per un po’ prima di fissare la donna al suo fianco.
“O si tratta di un
delinquente, e perciò non ne vuoi fare menzione… ma dubito sia questa
l’ipotesi, perché sei troppo intelligente per farti abbindolare…”
“Oppure?” chiese allora lei,
sul chi vive.
“Oppure, il padre di An è di
così alto lignaggio che la sua famiglia rifiuterebbe persino di farvi entrare
dalla porta d’ingresso” asserì Enok, prima di aprire la bocca per fare una
smorfia ad Antalion.
Il bimbo rise di gusto e il
giovane, non contento, poggiò le labbra sul pancino del bambino e soffiò forte,
producendo assurdi suoni che divertirono un mondo Antalion.
Eikhe sorrise di fronte alle
gentilezze di Enok nei confronti di suo figlio, e immaginò Aken fare le stesse cose, forse in maniera
ancor più estremizzata.
Era più che sicura che, con
il figlio, sarebbe stato un’autentica calamità, sempre pronto a scherzare,
vezzeggiarlo e viziarlo all’inverosimile.
Ma non l’avrebbe mai scoperto,
perché non poteva presentarsi a Rajana con Antalion in braccio, e accampare
alcun diritto sul principe ereditario del Regno.
Era pur vero che, in quei
mesi, nessuna nuova era giunta dalla Capitale del Regno.
Aken non si era ancora
formalmente fidanzato con nessuna donna, ma non poteva certo pretendere che
questo continuasse in eterno.
Presto o tardi, un messo
sarebbe giunto alle porte di Marhna per portare la lieta novella del prossimo
matrimonio di Aken di Rajana con la nobile di turno, e lei avrebbe dovuto
accettarlo.
Indipendentemente dalle
parole confortanti che il suo unico amore le aveva sussurrato il giorno della
sua partenza.
Sarò tuo per sempre.
Già, nel suo cuore lo
sarebbe stato di sicuro ma, a conti fatti, il re non glielo avrebbe mai
permesso.
Inoltre, nessun uomo era
giunto a cercarla tra quelle lande a suo nome, perciò anche a lui stava bene mantenere
le distanze da lei.
Forse, per la sanità mentale
di entrambi.
Era giusto così. Si erano
promessi amore eterno, ed era tutto ciò che avrebbero entrambi ottenuto dalla
loro breve relazione.
Un sacco di ricordi e lui,
il piccolo Antalion, a ricordarle ogni giorno e ogni notte quanto avesse amato
colui con cui si era unita per farlo nascere.
Scompigliando la chioma
corvina del bimbo, Enok la riportò alla realtà, dicendole seriamente: “Sai bene
che non tradirei mai la tua fiducia, Eikhe.”
Sorridendogli mestamente, la
giovane replicò: “Sapere il suo nome cambierebbe molto?”
Stringendo il bimbo contro
il torace con un braccio solo, il giovane allungò la mano libera per carezzarle
la guancia e, con voce resa roca dall’emozione, sussurrò: “Vorrei solo sapere
chi sa renderti così triste e così felice al tempo stesso. Vorrei sapere se
merita davvero le lacrime che versi, quando guardi dormire tuo figlio.”
Mordendosi un labbro per
contenere il flusso di emozioni che quelle parole scatenarono in lei, Eikhe
poggiò una mano su quella di Enok, che ancora sfiorava il suo viso.
“Come puoi pretendere di
giudicare una persona da un nome, Enok?”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa, lui esalò: “Non è… un uomo di queste parti? Un nobile
della montagna che io posso conoscere in qualche modo?”
Scuotendo il capo per negare
le sue supposizioni, Eikhe scostò la mano del giovane con gentilezza, pur
tenendola stretta tra le sue dita fredde.
Intrecciandole a quelle di
Enok, la ragazza mormorò: “Se io ti dico il nome di suo padre, voglio la tua
promessa che esso morirà con te.”
Dando una stretta
significativa alla mano di Eikhe, lui annuì con veemenza.
“Te l’ho detto. Di me ti
puoi fidare!”
“E’ il principe Aken” disse
allora la giovane, con semplicità.
Gli occhi azzurri di Enok si
sgranarono per la sorpresa mentre, con lentezza, lo sguardo si spostava dal
volto sereno di Eikhe al visino paffuto di Antalion, ignaro di tutta la loro
discussione.
“Lui ti ha…” tentennò Enok,
continuando a fissare Antalion come se non lo avesse mai visto prima.
“Lui mi ha amata fino al
giorno in cui ci siamo dovuti dividere, e ha ricevuto la benedizione di Hevos,
e ciò mi basta” gli spiegò, scrollando le spalle. “Capisci perché non ne posso
parlare, e perché non posso presentarmi al suo cospetto?”
“Il re ti farebbe uccidere
all’istante, e così pure tuo figlio” assentì il giovane, adombrandosi. “Per re
Arkan, conta solo il sangue di stirpe reale, temo.”
“E’ probabile” ammise Eikhe,
prima di aggiungere: “Ora sei più tranquillo, sapendolo?”
Scoppiando in un’aspra
risata, Enok scosse il capo e replicò: “Oh, no! Non sono affatto più
tranquillo, tutt’altro. So che, grazie a lui, con te non avrò mai speranze.”
Sbattendo le palpebre più
volte, del tutto disorientata dal suo dire, Eikhe esalò: “Cosa stai dicendo,
Enok?”
Guardandola con disarmante
sincerità, ammise: “Pensi che non avrei fatto volentieri da padre a questo
frugoletto, se tu mi avessi accettato al tuo fianco? Diamine, An è adorabile, e
io lo avrei amato come se ne fossi stato veramente il padre. Ma ora che so chi
è il suo vero genitore, dubito che
potrò mai chiederti di essere la mia compagna.”
Osservandolo con affetto e
comprensione al tempo stesso, la giovane gli carezzò un braccio, asserendo
divertita: “Non crederai che il fatto che lui sia un principe sminuisca ciò che
tu sei, spero?”
“Forse no, ma… andiamo! E’
di tutt’altra pasta!” celiò lui, ridacchiando imbarazzato. “Vuoi mettere la
differenza di educazione?”
Scoppiando in una risatina
argentina, rara ormai per lei, la giovane si asciugò una lacrima di ilarità e
dichiarò: “Allora, cosa penseresti se sapessi che Aken voleva sculacciarmi, la
prima volta che ci siamo conosciuti?”
Il giovane strabuzzò gli
occhi per la sorpresa ed Eikhe, tornando seria, disse: “Con me, Aken non ha
usato né poesie, né astuzie da damerino, Enok. Anzi, a dire la verità, odia
quel genere di cose! Con me è stato semplicemente… Aken. Non il principe, non
il guerriero. Solo l’uomo.”
“Allora, deve essere davvero
una persona degna di nota, e non solo un grande stratega militare” esalò con
sincera ammirazione Enok, sorridendole comprensivo. “Motivo di più per non
credere che tu potrai mai volermi come compagno.”
“Se avessi il cuore libero
dall’amore che provo per lui, tu saresti un compagno ideale, Enok. Inoltre, a
tuo favore va detto che ami davvero mio figlio. Ma per me c’è, e ci sarà, sempre solo lui, mi spiace. Sarebbe
sbagliato illuderti e prenderti al mio fianco, sapendo che non potrei amarti
come merita una persona in gamba e buona come te” gli disse sinceramente Eikhe,
appoggiandosi un momento a lui prima di scostarsi e sorridergli.
Ammiccando, lui replicò: “Io
ti amerei per tutti e due, sai?”
Ridendo suo malgrado, lei
scosse il capo e disse semplicemente: “Non funzionerebbe, e finiresti con
l’odiarmi. Cosa che, di certo, non voglio.”
“Non potrei mai odiarti, ma
ti capisco. E ti sono grato per le premure che nutri nei confronti del mio
cuore. Io e lui ti ringraziamo” disse a quel punto lui, sorridendole.
“La donna che sposerai sarà
fortunata ad avere un uomo come te al suo fianco” asserì a quel punto Eikhe,
dandogli di gomito.
Sentendo uggiolare Liar al
suo fianco, tutto allegro e scodinzolante, la sua padrona lo guardò divertita
ed Enok, ridacchiando, disse: “Al piccolo, qui, penso io. Tanto, ha mangiato da
poco e non avrà bisogno di te che tra qualche ora. Se vuoi portare fuori Liar,
fa pure. Ormai, sono settimane che rimandi perché salta sempre fuori qualcosa a
bloccarti.”
Sospirando, Eikhe annuì.
“In effetti, questa parte
del suo addestramento è stata rimandata anche troppo a lungo. Sicuro di voler
tenere An? Posso portarlo da Ildera, se preferisci.”
Scuotendo il capo, il
giovane ammiccò all’indirizzo degli uomini sul tetto e disse a bassa voce:
“Preferisco rimanere qui a giocare con il tuo bambino, che starmene a
cavalcioni su quelle pietre taglienti, con il rischio di danneggiare i sacri
gingilli di famiglia.”
Eikhe lo fissò per alcuni
attimi, allibita, prima di scoppiare a ridere di gusto.
“Hai perfettamente ragione.
Allora, prendo le armi e vado.”
“Fai con comodo. Noi resteremo
qui ad aspettarti” dichiarò tranquillo Enok, sistemandosi meglio An contro una
spalla.
Il bimbo osservò curioso la
madre mentre, con calma, si avvicinava a Leance per preparare il necessario per
la caccia e, di colpo, Eikhe tornò a essere una qualunque donna-lupo, e non più
soltanto la madre di Antalion.
Con attenzione meticolosa
allacciò il fodero della daga alla cintola e, dopo averlo assicurato al cuoio,
afferrò un corto pugnale e lo inserì all’interno di uno degli stivali di pelle.
Saggiatane la comodità
contro il polpaccio, Eikhe prelevò l’arco, che si mise a tracolla, e la faretra
con le frecce, che si sistemò su una spalla con fare professionale.
Armata di tutto punto, Eikhe
lanciò un fischio all’indirizzo del padre che, vedendola in armi, le chiese:
“Vai a caccia, allora?”
“Sì! Vi porteremo un daino
per cena, va bene?” rispose lei, ammiccando tranquilla.
“Sarà un piacere mangiarlo,
allora!” commentò Harm, prima di aggiungere: “Fai attenzione, nella foresta!”
“Non sono sempre stata
attenta?” replicò lei sorridendo, prima di fare un cenno a Liar perché si tenesse
pronto a partire.
Avvicinandosi a grandi passi
a Enok, Eikhe tornò per un attimo al suo consueto sguardo dolce e tenero e,
baciando Antalion su una guancia, mormorò: “La mamma starà via per poco. Per un
po’ starai con zio Enok, va bene?”
Il bimbo lanciò uno strillo
prima di aggrapparsi con forza ai capelli del giovane che, trattenendo a stento
un ‘ahi’, ridacchiò e disse: “Credo
fosse un sì.”
“Ottimo. Ci vediamo dopo,
allora” dichiarò a quel punto Eikhe.
“Vai e stendili tutti,
Eikhe” la incoraggiò lui, sogghignando.
“Mi basterà stenderne uno”
scrollò le spalle lei prima di guardare Liar. “Andiamo, bello mio. Comincia la
festa.”
In un attimo, gli occhi di
Eikhe tornarono a essere attenti e sicuri, non più lo sguardo della madre
amorevole, ma della guerriera tenace e fiera.
Muovendosi al fianco del suo
lupo come se fossero stati un’unica entità, sparirono tra gli alberi in un
fruscio di pelle e di zampe, scalciate sul terreno morbido della radura.
Sospirando leggermente, Enok
mormorò: “Tua madre è davvero splendida, lo sai?”
***
Macchie di viola e di rosso
si confondevano con l’azzurro cupo e il blu, annunciando il crepuscolo e il
sopraggiungere della sera.
Proprio mentre Enok e gli
altri cominciavano a dare i primi segni di ansia di fronte al copioso ritardo
di Eikhe, ella comparve dai margini del bosco assieme a Liar.
Insieme, stavano trascinando
con fare alquanto scocciato una pesante carcassa di daino, grande almeno il
doppio della ragazza.
Subito, Harm e un altro paio
di uomini accorsero a darle una mano e lei, sospirando per la gran fatica,
esclamò: “Si vede che sono fuori forma! Ci abbiamo messo quasi mezz’ora, per
beccarlo.”
“Beh, però mi sembra ne sia
valsa la pena” commentò Orgoth, ammiccando all’indirizzo della ragazza.
Sogghignando, lei annuì al
mastro ferraio che, assieme agli altri, aveva dato una mano nella costruzione
della sua casa.
“Con questo daino, ricaverò
una bellissima borsetta per tua moglie, Orgoth, e una cintura per i tuoi
utensili. Così, comincerò in qualche modo a ripagarti per il lavoro che hai
svolto qui.”
Scoppiando in una grassa
risata di gola nel portare la carcassa verso la nuova casa di Eikhe, l’uomo
replicò: “Andiamo, bambina, pensi davvero che io sia venuto qui per farmi
pagare? L’ho già detto a tuo padre. Era un favore personale, tutto qui.”
“Ugualmente, farò ciò che ho
detto” ribatté tranquillamente lei. “Non vorrai davvero offendermi rifiutando i
miei doni, vero?”
“Non sia mai!” ridacchiò
Orgoth prima di scrutare Enok, che li attendeva sulla porta della baita. “Certo
che lo hai ammaestrato bene, il ragazzo.”
Sebatt sghignazzò,
strizzando l’occhio a Eikhe, che era lievemente arrossita a quel commento.
“Non prendere in giro la
signorina! E poi, come si fa a dirle di no?”
“Siete impossibili” brontolò
la giovane, correndo via per raggiungere il figlio.
Con poche, rapide falcate,
la giovane raggiunse Antalion che, a braccia spalancate e tese verso di lei,
strillò felice quando lei lo accolse nel suo abbraccio.
Baciandolo in viso più
volte, sussurrò: “Non vedo l’ora di darti da mangiare. Ho il seno che mi sta
scoppiando.”
“Non sono cose da dire
davanti a un uomo che vorrebbe essere al posto di tuo figlio” ridacchiò Enok,
facendola scoppiare in una bella risata di gola.
“Oh, cielo, scusami! Pensate
voi alla carne, mentre io lo allatto?” chiese a quel punto Eikhe, accarezzando
distrattamente Liar che, nel frattempo, l’aveva raggiunta e stava tentando di
arrampicarsi su una sua gamba per leccare Antalion.
“Penseremo noi a tutto.
Dobbiamo stare attenti a non rovinare le pelli, giusto?” si informò Enok,
tornando serio.
“Sì, grazie” annuì lei,
prima di ridere, scacciare a terra Liar e ordinare: “Basta, Liar! Giocherai con
lui dopo che ti sarai lavato il muso dal sangue.”
Con un uggiolio spazientito,
il giovane lupo se ne andò via a testa bassa verso il ruscello ed Enok,
poggiando le mani sui fianchi con aria divertita, celiò: “Sì, sì,… come si fa a
dirti di no?”
“Non ti ci mettere anche tu,
Enok” brontolò lei, andandosene in casa con il volto in fiamme.
Lui scoppiò a ridere prima
di andare ad aiutare gli altri uomini con il daino.
Quell’animale sarebbe stato
il piatto forte della loro prima cena all’interno della nuova casa di Eikhe,
finalmente ultimata.
Potevano ritenersi
soddisfatti del lavoro svolto in quei mesi, perché ora la ragazza poteva
contare su una baita dotata di ogni servizio possibile.
Alle finestre – dotate di
piccole pannellature di vetro molato a mano – erano state montate pesanti
inferriate per proteggerla dall’eventuale attacco di qualche orso troppo
zelante.
La porta d’ingresso,
composta da due pannelli di quercia sovrapposti, era stata rinforzata con
un’intelaiatura di ferro temprato.
L’interno era composto di
tre camere, una cucina dotata di stufa in ghisa e un ampio soggiorno, dove
sorgeva un enorme camino in pietra.
All’esterno, gli uomini
avevano inoltre costruito una piccola stalla rinforzata, sempre a prova di
orso, e un recinto per il cavallo.
Il tetto, interamente
ricoperto di pietra e fissato con possenti chiodi di ferro, avrebbe retto anche
le nevicate più forti e, grazie al forte angolo spiovente, non avrebbe
rischiato di trattenere troppa neve.
“Cosa guardi, ragazzo?”
chiese a un certo punto Harm, interrompendo le divagazioni di Enok.
Sobbalzando leggermente, il
giovane disse: “Oh, nulla. Stavo solo pensando che la casa è venuta bene.”
“Direi di sì. Abbiamo
cercato di renderla il più sicura possibile, e penso ci siamo riusciti” annuì l’uomo,
afferrando un coltello per eviscerare il daino.
“Credo che Antalion crescerà
bene, qui” ammiccò Enok, prima di chiedere: “Penso io a spellarlo?”
“Tu tira, noi teniamo questo
bestione” annuì il padre, afferrando una delle zampe dell’animale.
In breve, l’animale fu
spellato, eviscerato, infilato su un enorme spiedo, e infine condotto su un
trespolo preparato appositamente per la sua cottura sul fuoco.
All’interno della casa, nel
frattempo, Eikhe terminò di allattare An prima di metterlo a riposare nella sua
cesta di vimini.
Ildera si era premurata di
prepararle una piccola scorta di emergenza, per i primi giorni in cui avrebbe
abitato nella baita tutta da sola e, tra sé, la ringraziò calorosamente.
Quello che la madre non le
aveva offerto, lei glielo aveva donato a braccia aperte.
Pur se non avrebbero mai
avuto la stessa opinione sul suo personale stile di vita, ormai avevano
imparato ad apprezzarsi vicendevolmente, e questo non sarebbe mai più mutato.
Avrebbe sempre avuto un
pensiero gentile per Ildera, anche a distanza di anni.
***
Battendosi una mano
sull’ampia pancia, ora rigonfia di cibo e di birra speziata, Nedor sospirò
soddisfatto, esalando: “Mai mangiato così tanto in vita mia.”
Dandogli una pacca sul
braccio, Harm replicò: “Dubito fortemente che, avendo per moglie la cuoca di
un’osteria, tu non abbia mangiato così altre volte.”
Eikhe passò attorno al
tavolo versando loro un altro giro di birra, prima di dire a difesa del vecchio
amico del padre: “A onor del vero, Lenoria è sempre stata molto attenta a ciò
che mangia il marito.”
“Vedi? Ascolta la tua
figliola. Lei sì che ha sale in zucca” commentò Nedor, sghignazzando.
“Solo perché ti sta
difendendo?” replicò Harm, prima di scoppiare a ridere con il resto del gruppo.
Eikhe sorrise divertita di
fronte alla tavola imbandita, e circondata da cinque uomini gaudenti e sfamati
appieno.
Con una leggera smorfia
ironica, si chiese cos’avrebbe pensato la madre.
Penserebbe che mi sono rammollita, visto che ho
chiesto aiuto a degli uomini, pensò
tra sé la ragazza, sghignazzando.
Levando il capo a scrutarla
curioso, Enok si levò in piedi, cominciando a raccogliere i piatti.
Dandole un colpetto con la
spalla, sussurrò: “Come mai quella faccia?”
“Pensieri profondi” replicò
lei, facendo spallucce, prima di udire a sorpresa lo scalpiccio di un cavallo
nella radura antistante la baita.
Tutti i presenti si
azzittirono di colpo ed Enok, lasciati da parte i piatti, si affrettò ad andare
alla finestra, subito seguito a ruota da Eikhe.
Al colmo dello stupore, e
vagamente preoccupata per l’ora tarda – la notte era scesa ormai da tempo –
uscì di gran fretta dalla baita per raggiungere cavallo e cavallerizza, esalando
sgomenta: “Sendala, per tutti gli dèi, che ci fai qui?!”
Smontata dalla sella con un
volteggio elegante e fluido, la giovane si sistemò la treccia dietro la schiena
e, con un gran sorriso, esclamò: “E’ questo il benvenuto che dai alla tua nuova
coinquilina?”
Gli uomini, che erano usciti
fuori da casa quasi calpestandosi l’uno con l’altro per la fretta, osservarono
confusi le due giovani accanto al cavallo mentre Eikhe, a occhi sgranati,
esalava al colmo della sorpresa: “Ma che stai blaterando?”
Con una scrollata di spalle,
e indicando con il pollice la sella del cavallo – completamente sguarnita di
sacche da viaggio – Sendala si limitò a
dire: “Mi sono fatta sbattere fuori dal villaggio, esattamente come te.”
La figlia sacra sollevò
ironica un sopracciglio e, indicandole la pancia piatta e abbracciata da una
pesante cintura di cuoio scuro, replicò serafica: “Dubito che sia esattamente
come me.”
Seguendo il suo dito,
Sendala ridacchiò imbarazzata.
“Beh, insomma, non proprio per
lo stesso motivo, ma quasi.”
Nello scuotere il capo con
espressione esasperata e affettuosa assieme, Eikhe poggiò le mani sui fianchi e
borbottò: “Cosa devo fare, con te? Non volevo che ti cacciassi nei guai per
me.”
“Non l’ho fatto solo per te,
ma anche per me stessa” replicò Sendala tornando seria. “Sono stanca di regole
a cui non credo più. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che sta
accadendo nei villaggi di donne-lupo, ma le Anziane non vogliono capirlo. Beh,
io non rimarrò là ad aspettare che aprano gli occhi, perciò ho deciso di venire
via, mandando alla malora tutto e tutte.”
“E tua madre?” le chiese
gentilmente l’amica, mentre gli uomini alle loro spalle ascoltavano curiosi la
storia della ragazza.
Ridacchiando con fare da
cospiratore, Sendala ammise: “Questa è la parte più divertente. Mamma era
d’accordo con me, ma non poteva mandarmi via così semplicemente, così mi ha
presa per un orecchio nel bel mezzo della via, mi ha praticamente sbattuta
dentro casa urlandomi dietro di tutto e poi, una volta al riparo dagli sguardi
di tutte, ha preso la sferza e ha cominciato a picchiare il letto, mentre io mi
lamentavo e imprecavo al suo indirizzo.”
Concedendosi un risolino,
Eikhe chiosò: “Riana è sempre stata mitica.”
“Eh, già. A mamma è
spiaciuto vedermi andare via, ma sapeva che venivo da te, quindi era
tranquilla” scrollò le spalle Sendala, prima di guardare oltre la figura di
Eikhe e ironizzare: “Ti sei data alla pazza gioia, tesoro?”
Gli uomini al gran completo
scoppiarono a ridere mentre la figlia sacra, arrossendo leggermente, replicava:
“Ma dai, che vai a pensare?! Mio padre te lo ricordi, no? Gli altri sono suoi
amici, e mi hanno aiutato con la costruzione della baita.”
Accigliandosi leggermente,
Sendala li squadrò bene uno per uno, prima di aprirsi in un sorriso di riconoscimento.
“Ah, ora ricordo un paio di
loro! Scusa, sono venuta così poco, qui, che alcuni non li ho proprio visti.”
Avvolgendole la vita con un
braccio, Eikhe la scrollò leggermente, dicendo: “Beh, allora, benvenuta a casa,
amica mia.”
“Grazie” le sorrise lei,
prima di indicare col capo il suo cavallo e chiedere: “Dove posso infilare
Kray?”
“Nella stalla c’è posto
anche per lui” le spiegò l’amica, indicandogliela.
Rivoltasi poi al lupo di
Sendala, aggiunse: “Epos, vai dentro a giocare un po’ con Liar. Si sente solo.”
Il lupo in questione,
annuendo con il bel muso grigio, trotterellò in casa oltrepassando lo
schieramento di uomini senza neppure fare loro caso.
Abbracciando infine di
slancio l’amica, Eikhe esclamò: “Sono così felice di saperti qui, Sendala!”
“E io di essere venuta” le
sussurrò lei, stringendola con calore.
***
Dopo le presentazioni di
rito e i commenti più o meno spiritosi sull’arrivo a sorpresa di Sendala, gli
uomini si avviarono verso l’uscita della baita con il chiaro intento di
tornarsene a casa.
Sulla porta, Enok si volse a
sorridere ad Eikhe, dicendo: “Sono contento che tu non sia da sola, qui nel
bosco.”
Dandogli una spintarella nel
sorridergli benevola, lei replicò: “Dimentichi spesso che, assieme a me, avrei
sempre avuto Liar e la mia fida daga da guerra.”
Con una scrollatina di
spalle, lui si limitò a dire: “Due daghe e due lupi, sono meglio di uno.”
“Vero. Ora vai, però. E’
tardi” dichiarò Eikhe, tornando seria.
“Potrò venire a trovarti
ugualmente, anche se la casa è finita, e tu mi hai rifiutato il più grande dei
regali?” ammiccò a quel punto Enok, sollevando le belle sopracciglia arcuate.
Ridacchiando, lei lo spinse
fuori di casa.
“Potrai venire tutte le
volte che vorrai, basta che la pianti con questa storia.”
“Come vuole lei” scherzò il
giovane, esibendosi in un frivolo inchino. “E’ stato un piacere conoscerti,
Sendala. Buonanotte a entrambe voi.”
“Buonanotte a te, Enok” mormorò
Sendala, salutandolo con un cenno della mano mentre lui balzava sul cavallo
prima di lanciarlo al trotto per raggiungere il resto del gruppo, già avviatosi
verso Marhna.
Dopo aver atteso che anche
l’ultima ombra dei loro cavalli fosse scomparsa nel bosco, Eikhe chiuse la
porta, sprangandola.
A quel punto, volgendosi in
direzione di Sendala, intrecciò le braccia sotto il seno e disse: “Ebbene?
Dimmi quello che ti frulla nella mente.”
“E’ carino” commentò solo
lei, sbuffando comicamente.
“Non è Aken, e lui lo sa”
replicò l’amica. “Ma mi fa piacere avere la sua amicizia. Pensi sia sbagliato?”
“Affatto. Mi è sembrato un
bravo giovane e, quando è andato a dare un bacio ad Antalion prima di
andarsene, l’ho guardato ben bene. Adora tuo figlio, e questo non può che
deporre a suo favore” scrollò le spalle Sendala, seria in viso.
Senza dire nulla, Eikhe si
recò al camino per buttare alcuni ceppi di legno nel fuoco.
Direttasi poi verso la
stanza che avrebbe diviso con Sendala, almeno fino all’arrivo di un nuovo letto
per lei, si tolse la tunica e mormorò: “Non posso farci niente se il mio amore
per Aken è così forte, ma quasi mi sembra di fargli un torto.”
“Sei stata onesta con lui”
ribatté Sendala, imitando l’amica. “Se gli avessi mentito, quello sì che sarebbe stato un torto vero e
proprio.”
Eikhe le sorrise grata,
lieta che l’amica fosse lì a consolarla con le sue parole.
Ammiccando al suo indirizzo,
disse: “Sarò egoista, ma sono contenta che tu ti sia fatta sbattere fuori dal
villaggio.”
Ridendo sommessamente per
non svegliare Antalion, che dormiva saporitamente nella culla, Sendala si
infilò sotto le pesanti coltri di pelliccia e celiò: “L’ho sempre detto che sei
matta, tu.”
“Allora, siamo un’accoppiata
vincente, perché neppure tu scherzi” replicò la figlia sacra, scivolando sotto
le coperte pesanti prima di poggiare il capo sul guanciale.
“Buonanotte, coinquilina.”
“Buonanotte a te, figlia
sacra” disse sommessamente Sendala, sorridendole dall’altra parte dell’enorme
letto a due piazze.
Con un sorriso, Eikhe chiuse
gli occhi e si assopì e, per la prima volta da mesi, non sognò. E di questo fu
molto grata.
_______________________
N.d.A.: Piccolo spaccato della vita di Eikhe. Dal prossimo capitolo, comunque, tornerà anche Aken.
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Capitolo 20 *** cap. 20 ***
20.
Se Aken aveva pensato di
poter portare avanti con cuor leggero la promessa strappata al padre, dovette
ricredersi quasi subito.
Impedire a se stesso di
uscire dalle mura di Rajana, fu più penoso e difficile di quanto lui stesso non
avesse in un primo momento pensato, o sperato.
Per salvare Eikhe dalla lama
di un coltello, o dalla freccia di un franco tiratore, Aken avrebbe pagato
anche mille volte lo stesso prezzo, ma il suo cuore dovette fare ben presto i
conti con l’inedia e lo sconforto.
Il respiro delle montagne
innevate, che racchiudevano come uno scrigno metà del suo animo, gli mancava
con la stessa intensità con cui percepiva la mancanza fisica di Eikhe.
Il ricordo del fruscio del
vento fra le fronde dei faggi, o tra i rami secolari dei pini da resina, lo
risvegliavano di soprassalto la mattina, pieno di un desiderio che non avrebbe
mai più potuto soddisfare.
Neppure le intense ore di
lettura, contrapposte a estenuanti allenamenti con la spada, lenirono la sua
fame di Eikhe, il suo bisogno fisiologico di vederla, di toccarla, di odorarla.
Di avere tutto, di lei.
Ma oltre a lei, avvertiva la
mancanza delle montagne, degli odori penetranti che scivolavano tra le piante,
la mattina, quando il sole bagnava coi suoi raggi la rugiada sulle foglie e il
terreno umido.
Cuore e anima erano tra i
monti impervi che scorgeva all’orizzonte e che, con le loro cime seghettate,
coloravano di bianco e nero l’orizzonte terso di quei mesi estivi e caldi.
Silenzioso spettatore del
suo lento ma inesorabile declino, Ruak chiese più volte al fratello, almeno nei
primi mesi di quella autoimposta prigionia, perché avesse deciso di non
andarsene.
Mai, una sola volta, Aken
rispose alle domande del fratello.
Il giovane erede, che pure
giunse a odiare il padre per le imposizioni cui l’aveva costretto, non disse
mai al fratello la causa prima di quel volontario esilio.
Non avrebbe mai permesso che
i suoi sentimenti personali influenzassero la stima, e l’affetto, che Ruak provava
per il loro comune genitore.
Non potendo fare altro, fece
di un’arma il silenzio e di uno scudo il suo malumore, costringendo ben presto il
fratello minore a desistere dall’impresa di scoprire la verità.
Ruak non avrebbe mai dovuto
scoprire cosa lo spingesse a rinchiudersi all’interno della sua stessa casa,
impedendosi di respirare, di vivere, di amare colei che lo aveva conquistato.
Sua unica consolazione in
quel mare di inedia in cui aveva voluto, e dovuto, sprofondare per salvare
Eikhe, fu il giovane figlio di Iruna.
Sin dall’inizio di quella
sua reclusione forzata, la sua domestica personale aveva notato il malumore del
proprio principe, e il suo sguardo sempre puntato a nord, verso i monti impervi
e canuti.
Nulla era valso allo scopo
di scoprire la verità. Domandare, sussurrare gentilmente spiegazioni,
impuntarsi con cipiglio militaresco.
Aken si era trincerato
dietro un secco ‘non ho nulla’, ogni
qual volta Iruna gli aveva chiesto i motivi dei suoi lunghi silenzi e dei più
cupi pensieri.
Le sue interminabili
occhiate perse verso l’orizzonte, i suoi infervorati studi – cui mai si era
sottoposto con così tanta assiduità – e le sue sfiancanti lezioni di scherma, erano
rimasti un mistero per tutti.
Agli albori dell’autunno,
però, Iruna si stancò di vedere il suo principe ridotto all’ombra di se stesso.
Dopo aver ragionato non
poche ore sulla sua idea – e averne menzionato a Kannor, l’attendente di Aken –
la donna decise di condurre a palazzo il figlio di soli quattro anni.
Non appena Aken lo vide
accanto a Iruna, piccolo e timido e aggrappato alle lunghe gonne di panno della
madre, il principe si aprì in un sorriso spontaneo.
Piegatosi su un ginocchio
per guardarlo meglio negli occhi, esordì dicendo: “Ciao, Meyor. La mamma mi ha
tanto parlato di te. Io sono Aken.”
Il bimbo, dai folti riccioli
biondo cenere e gli occhi nocciola, lo fissò con autentica sorpresa, non
aspettandosi di certo che il potente principe di Rajana conoscesse il suo nome.
Mordendosi timoroso il
labbro inferiore, sussurrò: “Ciao.”
Il sorriso del principe si
allargò e, dopo aver lanciato uno sguardo a Iruna, che assentì, allungò le
braccia in direzione del bambino per prenderlo in braccio.
“Che ne dici se io e te
andiamo a fare un giro per il palazzo, così lasciamo lavorare in pace la mamma?
Temo che le saremmo solo d’intralcio, se restassimo nella mia stanza a
gironzolare senza fare nulla.”
Il bambino fissò la madre da
sopra la spalla del principe e Iruna, annuendo gradevolmente, disse: “Resta
pure con il principe, Meyor. E’ un uomo buono, e ti tratterà bene.”
Meyor allora annuì fiducioso
e, tornando a guardare il volto del principe, intenerito dal suo sguardo
innocente, domandò: “Hai una spada?”
Iruna se ne uscì con
un’esclamazione esasperata mentre Aken, scoppiando a ridere, annuiva al
ragazzino, incamminandosi lungo le scale per raggiungere la sala d’armi della
sua famiglia.
Osservandoli compiaciuta
mentre scendevano le scale, parlottando tra di loro con il cameratismo tipico dei
maschi – anche se capire gli strafalcioni di Meyor doveva essere un dramma –
Iruna sorrise più serena.
Già sul punto di entrare
nelle stanze del principe, sobbalzò per la sorpresa quando vide comparire da
una porticina laterale la figura nivea della regina Anladi.
Sin da quando i principi
erano tornati dalla guerra, l’estate appena conclusasi, Anladi aveva deciso di
utilizzare il colore bianco, solitamente usato per celebrare eventi di somma
importanza, per ogni suo abito.
Allo stesso modo, e con una
certa dose di divertimento, aveva ‘imposto’
la stessa cosa anche alla figlia Melantha.
Per quanto belli fossero i
suoi vestiti, però, il sorriso spento che, ormai da mesi, si apriva come un
fiore morente sul viso infinitamente elegante della regina, rendeva il
tentativo di festeggiare la vittoria una mera utopia.
La regina era triste, molto
probabilmente per il figliastro, ma a nessuno era dato sapere perché il
principe Aken fosse di umore così nero, o perché la consorte di re Arkan fosse
così sofferente.
Inchinandosi in fretta non
appena si riprese dallo shock, Iruna esalò compitamente: “Mia regina,
buongiorno. Non immaginavo voi foste qui.”
Allargando leggermente il
sorriso, che non raggiunse mai gli occhi cerulei, Anladi le afferrò gentilmente
le mani per farla risollevare.
Gentilmente, poi, le disse:
“Dubito vi sareste mai aspettata che la vostra regina comparisse dal corridoio
solitamente usato dalla servitù.”
Arrossendo suo malgrado di
fronte a quello sguardo così tenero – e, soprattutto, per le loro mani ancora
giunte – Iruna sorrise appena, replicando: “No, non me lo sarei mai aspettata,
lo ammetto. Avevate bisogno dei miei servigi, mia Signora?”
Volgendo lo sguardo verso la
scala ora sgombra e silenziosa, Anladi scosse il capo, pensierosa.
“E’ vostro figlio, il bimbo
che Aken aveva in braccio, vero?”
“Sì, mia regina” arrossì
copiosamente Iruna prima di aggiungere: “Vedete, pensavo che…”
Interrompendola con un
sorriso disarmante e ferocemente triste, Anladi sussurrò: “Pensavate di
distrarlo dalla sua tristezza, dico bene?”
Annuendo suo malgrado – non
sapendo davvero come la regina avrebbe interpretato il suo gesto – Iruna
sospirò e ammise: “Mi è parsa una buona idea. Mi si straziava il cuore a vedere
vostro figlio così triste, così ho pensato che la vista di un bambino potesse,
come dire, rallegrarlo un po’. Ho chiesto anche il parere di Mastro Kannor,
prima di portarlo, e anche lui mi era d’accordo con me.”
“Kannor è un buon amico, per
mio figlio, e credo anche voi, Iruna” assentì Anladi, inclinando leggermente il
capo a osservarla con attenzione. “Non posso che ringraziarvi per la vostra
gentilezza e, se mai questo esperimento dovesse funzionare, vi prego, conducete
ancora vostro figlio qui a palazzo.”
“Sarò lieta di ripetere la
visita, se scoprirò che il mio intento ha dato dei frutti” annuì Iruna,
sorridendo gentilmente ed esibendosi in un elegante cenno del capo. “Devo
troppo, a vostro figlio, per non tentare il tutto e per tutto perché si
rassereni almeno un poco.”
Stringendo con più forza le
mani di Iruna, che non aveva mai lasciato andare, Anladi esalò un sospiro affranto e abbandonò infine la presa.
“Se dovesse in un qualsiasi
modo aprirsi con voi, per favore, ditemelo. Vorrei tanto saperlo in grado di
aprirsi con qualcuno, visto che pare non voler parlare neppure con il
fratello.”
“Ci sarò sempre, per il
principe. Anche se vorrà parlarmi dei suoi problemi” annuì Iruna prima di
sgranare gli occhi di fronte alle lacrime a stento trattenute di Anladi.
Dopo un attimo di
tentennamento, la regina lasciò andare le mani della domestica per scivolare
silenziosamente dietro la porta che conduceva ai corridoi della servitù.
Stringendosi le mani al
petto, Iruna sussurrò tra sé: “Cos’è mai successo, a questa famiglia?”
***
“Ma è grossa. Si usa davvero
davvero?” esalò sorpreso Meyor, fissando a occhi sgranati Aken che, con un
sorriso divertito, gli stava mostrando la sua enorme spada da guerra.
Ben più alto del bambino, il
grande spadone di Aken era saldamente nella mano del possente guerriero quando,
sulla porta della sala d’armi, comparve la figura della regina.
Fissandola vagamente
sorpreso, mentre Meyor si incuneava tra le sue gambe per la timidezza, il
principe sorrise in segno di benvenuto alla madre.
Con un leggero cenno del
capo, la invitò silenziosamente a entrare.
“Buongiorno, madre. Avevi
bisogno di me?”
“No, mio caro” scosse il
capo la donna, avvicinandosi alla coppia prima di sorridere al bimbo, ancora
nascosto dietro le possenti gambe del figliastro. “E tu, bel bambino, chi sei?”
Ridacchiando del profuso
rossore che salì alle gote di Meyor, Aken ripose in fretta la spada con un
agile movimento del polso e, dopo un attimo, accolse tra le sue braccia il
bambino.
“E’ il figlio di Iruna, la
mia governante personale. Ha pensato di portarlo a palazzo per farmelo
conoscere. Era già da qualche tempo che me ne parlava.”
Addolcendo ulteriormente i
tratti del volto, Anladi carezzò con un dito il mento del bambino, mormorando:
“Sei un bimbo davvero molto carino. Mio figlio ti sta facendo fare un giro del
castello?”
Meyor si limitò ad annuire e
la donna, scrutando da sotto le ciglia folte il sorriso benevolo di Aken,
rivolto unicamente al bambino, sospirò impercettibilmente prima di chiedere:
“Pensate che potrei unirmi a voi? Non ho nulla da fare, e mi sto annoiando
molto.”
Sollevando con non poca
sorpresa un sopracciglio nell’osservare il volto apparentemente tranquillo
della madre, Aken asserì: “Ci onoreresti, madre. Tu che ne dici? La prendiamo
con noi?”
Meyor annuì ancora,
stringendosi al collo di Aken prima di sussurrare: “E’ bella!”
Ridacchiando, il principe
annuì.
“Sì, lo so, ho una bella
mamma. Come te, del resto. Siamo fortunati, non ti pare?”
Che padre magnifico saresti, figlio mio!, pensò tristemente Anladi, affiancando il figliastro
nell’uscire dalla sala d’armi.
Sapeva fin troppo bene cosa
lo costringesse a palazzo, e a cosa avesse rinunciato pur di ottenere dal re la
promessa di non essere obbligato a sposarsi, e dare così un erede a Enerios.
Conosceva ogni parola di
quel maledetto accordo, e le si spezzava il cuore al pensiero di non poter far
nulla per dare una mano ad Aken per liberarsi di un simile fardello.
Purtroppo per lei e per il
figlio maggiore, non aveva alcun potere decisionale.
Da sempre, fin da quando era
stata condotta da Arkan all’età di sedici anni, Anladi non aveva mai avuto voce
in capitolo su nessuna decisione.
Era stata scelta per la sua
avvenenza e per il suo alto lignaggio, pochissimo tempo dopo la morte della
prima moglie del re e madre del principe ereditario.
Come un prezioso animale da
fiera, era stata esposta su un palco e comprata dal miglior offerente.
Era a conoscenza del fatto
che sua figlia Melantha avrebbe subito la stessa sorte e, forse anche per
questo, l’aveva cresciuta piena di vizi.
Era straziata all’idea che,
per la maggior parte della sua vita, sarebbe stata null’altro che un trofeo
nelle mani del nobile di turno che l’avesse presa in sposa.
Certo, spesso era
intrattabile e superficiale, ma non se la sentiva di rimproverarla, soprattutto
sapendo cosa covava in sé in realtà.
Melantha era tutt’altro che
una sciocca ma, per sopravvivere in quella Corte piena di veleni, aveva dovuto
impersonarla spesso e volentieri.
Allo stesso modo, non se la
sentiva di rimproverare Aken per la sua decisione di voltare le spalle alla
famiglia per vivere isolato da tutti, pur se accanto a loro.
Come poteva rifiutargli un
simile sfogo, dopo quello a cui aveva dovuto rinunciare?
Perché chiedere al padre di
raggiungere Eikhe di Nestar, se non per un solo motivo?
La parola amore non era mai
stata detta in sua presenza, ma aveva aleggiato per ore nello studio di suo
marito quando, dopo il furioso litigio tra lui e il figlio, lei era entrata per
sapere cosa fosse successo.
Arkan si era rivolto a lei
con parole di fiele, accusandola di non averlo educato nel modo giusto, di non
aver badato a imprimere nella mente di Aken il rispetto per il suo lignaggio e
per il nome che portava.
Anladi, sempre più confusa,
aveva chiesto spiegazioni in merito, venendo così a scoprire dello scellerato
patto stretto dai due uomini.
Nulla era valso, né le sue
accorate preghiere, né il suo fiero cipiglio di fronte allo sguardo adamantino
del marito.
Si era presa uno schiaffo in
difesa del figlio, e questo era stato l’unico risultato ottenuto.
Da quel giorno, aveva
osservato con timore sempre crescere il lento ma inesorabile declino del
figlio, senza poter fare nulla per alleviarlo.
Neppure Ruak era riuscito
nell’intento di sradicarlo da quell’inedia tremenda, di cui però non conosceva
le cause, se non in parte.
Lasciando perdere quei
pensieri quando raggiunsero le scale, Anladi si lasciò aiutare dal figliastro a
discendere, finché non raggiunsero il cortile interno di palazzo.
Da lì, lo strano trio
percorse la sua ampiezza con passo tranquillo, dirigendosi verso le stalle
reali.
Sotto gli occhi sgranati
dalla sorpresa di Meyor, il principe presentò quindi al bambino il suo enorme
stallone da guerra, Eskatt.
Poggiatolo delicatamente
sulla sua imponente schiena, Aken lo tenne per una mano, domandandogli: “Non
credi sia un bellissimo animale?”
“Bello! Sì!” esclamò Meyor,
aprendosi in un sorriso radioso.
Il principe vi rispose con
trasporto e Anladi, mordendosi un labbro per non scoppiare in lacrime proprio
dinanzi a loro, se ne uscì dicendo: “Vorresti imparare a cavalcare, piccolo
Meyor?”
Il bambino la fissò sorpreso
per alcuni attimi prima di annuire e Aken, scrutando la madre con fare
dubbioso, disse: “Potrei insegnargli io. Tanto, di tempo ne ho in quantità.”
“Proprio quello che speravo”
sussurrò la regina, prima di raccogliere le gonne e aggiungere: “Vado a
parlarne con Iruna per essere certa che vada bene anche a lei, poi faremo
portare qui uno dei pony che abbiamo nella nostra tenuta di campagna. Penso che
per lui andrà benissimo.”
“Sì… madre” acconsentì Aken,
assottigliando le iridi smeraldine nello studiare il suo viso leggermente
pallido.
Affrettandosi a distogliere
lo sguardo da quello fin troppo acuto del figlio, Anladi si scusò con entrambi,
ritirandosi in grande stile e uscendo dalla stalla a passo veloce.
Era certa che, se fosse
rimasta un solo attimo di più assieme a loro, sarebbe crollata.
Non appena fu al riparo
dalla vista del figlio, la donna si appoggiò stancamente contro la parete della
stalla.
Con un singhiozzo strozzato,
si coprì la bocca con la mano per soffocare qualsiasi ansito la sua gola avesse
deciso di lasciarsi sfuggire per la troppa debolezza.
Era solo questo che poteva
fare per il figlio? Acconsentire a che divenisse l’allenatore di un bambino?
A quanto pareva, sì.
Sperava solo che Iruna fosse
d’accordo con l’idea che le era balzata in mente in un momento di follia, e la
aiutasse a trasformare quella prigione dorata che era divenuta il palazzo, in
qualcosa di più sopportabile, di più umano.
***
Sorseggiando del buon vino
mentre, con fare noncurante, piluccava dal proprio piatto alcuni acini d’uva
dall’aspetto invitante, Ruak se ne uscì dicendo: “Allora, è vero che darai
lezioni d’equitazione al figlio della tua governante?”
Levando lo sguardo dal
proprio piatto per scrutare il viso ora arrossito di sua madre, Aken ammiccò
all’indirizzo della donna, celiando: “La nostra illustre genitrice pensa sia
una buona idea, forse per non farmi diventare un vecchio irascibile e dalla
parlata volgare.”
Ridacchiando nel poggiare il
bicchiere di peltro sul piccolo tavolo di legno dove si erano raccolti per un
frugale pasto – il re era impegnato alla Tavola Grande con alcuni emissari del
Reame di Karton – Ruak ghignò: “Sei già un
vecchio irascibile, quindi non credo tu abbia speranze.”
“E’ il bimbo con cui stavi
passeggiando nei giardini oggi pomeriggio?” si informò Melantha, spezzando una
pagnottella di pane sul suo piatto.
Scrutandola curioso – era
raro che gli rivolgesse domande senza il suo consueto tono puntiglioso – il
fratellastro annuì, asserendo atono: “Sì, era lui.”
“E’ carino” replicò la
principessa, scrollando leggermente le spalle.
Aken assottigliò le iridi di
smeraldo, fissandola da sotto il pesante mantello di ciglia scure.
Notando il suo pallore e le
mani leggermente tremanti, le chiese con tono insolitamente premuroso: “Non ti
senti bene, sorella?”
“Come?” esalò lei,
sobbalzando leggermente a quelle parole.
Il suo cipiglio mutò in
sospetto e, scrutando un momento la madre con aria pensierosa, chiese torvo:
“Si parla di un eventuale matrimonio di Melantha, nella sala accanto, madre?”
Annuendo debolmente, Anladi
sorrise comprensiva alla figlia, che reclinò il capo a scrutare il piatto,
praticamente intonso, come se vi fossero nascosti i segreti del mondo.
“Il re di Karton desidera
una moglie di nobile lignaggio per suo figlio Mynias, così hanno mandato un rappresentante
del sovrano perché si discutesse di un’eventuale unione” mormorò spiacente Anladi,
non sapendo come affrontare lo sguardo adamantino del figliastro.
“E io non ne sono stato
informato” commentò asciutto Aken, aggrottando la fronte.
Da tempo si occupava
soltanto del commercio interno di merci e servizi, preferendo non avere a che
fare con il Concilio della Corona e la gilda del Ministero degli Esteri che, di fatto, si occupavano di tutt’altro.
Aver lasciato fuori dalla
porta gli Affari Esteri e Interni, però, gli aveva negato la possibilità di
venire a conoscenza di quella notizia, che suo padre si era ben guardato dal
comunicargli.
E così volevano maritare
Melantha.
Non che la cosa lo
sorprendesse, ma gli sembrava maledettamente presto.
Aveva diciassette anni
appena compiuti, ed era ancora troppo infantile per essere messa al fianco di
un uomo per divenirne la moglie.
A onor del vero, però, il
principe Mynias era persona degna di nota, oltre che gentile con il prossimo.
Lui stesso ne era stato
amico e compagno, durante il suo apprendistato presso la corte di Karton, ove regnava suo padre.
Allungando una mano in
direzione di quella della sorella, ne sfiorò il dorso con dita leggere e, nel vederla
sobbalzare per la sorpresa, le sorrise benevolo.
“Conosco Mynias da tempo,
Melantha, ed è un uomo buono e cortese. Se nostro padre accetterà di darti in
moglie a lui, sarà una buona unione. Non finirai in mano a un orco.”
Mordendosi un labbro per non
piangere – dopotutto, era una principessa fin nel midollo, e certe debolezze
erano bandite, in pubblico – Melantha annuì e disse con voce flebile: “Com…
com’è, lui?”
Maledetta legge!, pensò tra sé il principe, imprecando all’indirizzo di suo padre e di
tutti i suoi predecessori.
Era una crudeltà costringere
a simili matrimoni giovani donne come la sorella, senza la benché minima
conoscenza di ciò che le attendeva!
Imponendosi la calma, Aken
accostò la propria sedia a quella della sorella.
Volgendosi completamente
verso di lei, le disse con la massima onestà: “Mynias è un guerriero e perciò,
come me, ha subito diverse ferite, in passato. Una lo ha sfregiato su una
guancia, ma i dottori sono stati molto bravi a ridurre al minimo il danno. In
ogni caso, la ferita è visibile e, forse, potrebbe urtare un po’ la tua
sensibilità di fanciulla.”
Nell’annuire compita,
Melantha si lappò nervosamente le labbra, sussurrando: “Non è… non è un
problema.”
Ammirando i suoi tentativi
di apparire tranquilla, il fratellastro le afferrò quindi la mano per
stringerla nella propria e, accarezzandola con lenti passaggi delle dita nel
tentativo di calmarla progressivamente, continuò dicendo: “Naturalmente, come
qualsiasi altro principe, è stato educato al rispetto del gentil sesso, ma si
aspetta anche la più totale sottomissione da parte della sua futura moglie.”
“Aken…” sussurrò leggermente
contrariata Anladi, senza però avere il coraggio di levare il capo per
guardarlo.
“Sbaglio, madre?” replicò
scettico lui. “Ricorderò male, ma il mio precettore mi disse più volte che una
moglie irrispettosa andrebbe battuta. Cosa che trovo del tutto assurda, ma
questo si insegna, nei grandi regni.”
Anladi preferì non dire
nulla e Melantha, impallidendo leggermente, gli chiese: “Credi… mi batterebbe?”
Ridacchiando senza allegria,
Aken scrollò le spalle e celiò: “Melly, certe volte dovresti essere battuta davvero, ma solo per la tua totale mancanza
di assennatezza. Devi ricordare di pensare,
prima di parlare. L’essere una principessa non ti dispensa dall’usare il
cervello e, visto che so che tu ne hai uno ben sviluppato, usalo.”
Non sapendo se essere più
stupita dall’uso di quel nomignolo, che Aken non utilizzava mai, o furiosa per quello che aveva
detto subito dopo, Melantha fissò il fratellastro senza riuscire ad aprire
bocca.
Il giovane ne approfittò per
aggiungere: “Mynias non sarà mai crudele con te, se è questo che temi, ma ha
ricevuto la mia stessa educazione, e sai cosa ci si aspetta dai principi come
me, giusto?”
Reclinando il capo, Melantha
annuì mogia e ripeté a memoria ciò che le era stato insegnato fin da piccola.
“Che siano inflessibili
quando non vengono rispettate le regole, anche se a trasgredirle fosse la
stessa moglie.”
Con un lieve sospiro, Aken
si avvicinò a lei e, poggiando la fronte contro quella di Melantha, che sospirò
per la sorpresa, le disse sommessamente: “Parlerò io stesso con Mynias e gli
dirò di trattarti bene, pena un mio castigo severissimo, ma anche tu devi fare
la tua parte, e non lasciarti andare a inutili infantilismi, d’accordo?”
“Cosa dovrei fare?” sussurrò
lei, afferrando la mano libera del fratellastro prima di chiudere gli occhi,
quasi avesse paura di ascoltare le sue parole.
“Sii la donna che so
albergare dentro di te. Rendi fiera te stessa, prima di noi tutti, e diventa la
principessa reale che sei” disse con orgoglio Aken, staccandosi da lei e sfiorando
il bracciale su cui brillava l’occhio di lupo che le aveva regalato Eikhe.
Anche la sorellastra lo
guardò e, annuendo con forza, lo coprì con la propria mano, stringendo fin
quasi a sbiancare le nocche.
Sbattendo poi furiosamente
le ciglia, ora inumidite di lacrime che non avrebbe mai versato in loro
presenza, mormorò roca: “Una… principessa reale. Tutto qui?”
Abbozzando una risatina,
Aken replicò: “Già, tutto qui. Una sciocchezza, no?”
“Sì, una sciocchezza” annuì
lei, levandosi poi dallo scranno con grazia contegnosa.
Imponendosi poi una
riverenza degna di tale nome, sussurrò: “Con il vostro permesso, mi ritiro.”
“Permesso accordato” annuì il
fratello maggiore, levandosi in piedi e prendendole una mano per baciargliela
con galanteria.
Melantha non ebbe il
coraggio di guardarlo e, con un fruscio di stoffe, uscì dalla stanzetta
lasciando dietro di sé il suo dolce profumo e l’amaro delle lacrime che avevano
cominciato a scorrere sulle sue gote.
Tornando a sedersi, il
giovane si versò una dose generosa di vino, che bevve in un sol sorso e, dopo
un momento di imbarazzato silenzio, disse atono: “Sarà una brava moglie, per
Mynias.”
“Grazie, Aken” sussurrò
Anladi, abbozzando un sorriso al figlio.
Non riuscendo in alcun modo
a rispondere a quello sguardo, lui si limitò a mormorare: “Se potrò evitarle
una sofferenza, lo farò. Non è giusto che soffra anche lei.”
A questo, Anladi non seppe
replicare.
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Capitolo 21 *** cap.21 ***
21.
Cinque anni erano passati dalla
grande battaglia di Roiconea, che aveva visto vittorioso il regno di Enerios,
contrapposto a quello di Vartas.
In una fresca mattina
d’autunno, giunse a palazzo una giovane che avrebbe scardinato completamente la
vita di Ruak e, in qualche modo, alleviato le sofferenze di Aken.
Finalmente di ritorno dopo
quattro anni di apprendistato militare passati a Kantor, presso la corte del
marito di Melanth, Ruak aveva appena fatto in tempo a rientrare, quando la
notizia gli era giunta tra capo e collo.
I colloqui con la nobile
famiglia di Renke si erano tenuti in sua assenza e, grazie soprattutto alla
grande amicizia tra il re e il padre della ragazza, tutto si era svolto senza
problemi.
Non che la presenza di Ruak,
o le rimostranze di Renke, figlia di Lothar di Elcantas, avrebbero contato
qualcosa, per re Arkan.
Il rapporto ormai
sfilacciato tra il sovrano e suo figlio minore era cosa nota ai più, ormai, così
come la decisione di Aken di non prendere moglie.
Il fatto che Ruak fosse
stato avvisato solo al suo ritorno, quindi, non aveva stupito nessuno, neppure
il diretto interessato.
Aken non aveva neppure
mettere voce in merito, visto il suo rifiuto tassativo di partecipare
attivamente alla discendenza della loro famiglia.
Famiglia che, invece, Melantha
aveva già provveduto ad allargare.
Quanto meno, nel regno di
Karton.
Dopo poco meno di un anno
dal suo matrimonio, aveva dato due gemelli al principe Mynias.
Nelle sue lettere ai
fratelli, teneva sempre a sottolineare quanto, la sua nuova vita, fosse assai
più lieta di quanto, in un primo momento, avesse anche solo osato sperare.
Nel vedere come Melantha si
fosse prodigata per il suo nuovo reame, si era quindi spazientito con i due
figli, iniziando così a cercare una moglie per Ruak.
Il sovrano desiderava a sua
volta che un pargolo lanciasse il suo vagito all’interno delle mura di palazzo
ma, contrariamente a quanto aveva sperato, la scelta si era rivelata difficile.
Erano occorsi anni per
trovare una donna che incontrasse il suo favore ma ora, grazie a Renke, sperava
di poter controllare almeno le sorti di uno dei due figli.
Poiché con Aken tutto era
ormai perso, Arkan puntava su Ruak per una discendenza sana e forte.
Un evento inaspettato, però,
intrecciò i cammini dei futuri sposi prima che la mano dei potenti potesse
unirli.
La mattina del giorno d’autunno
in cui Ruak avrebbe incontrato, come da accordi, la sua futura sposa, il
principe scese prima del solito nella stalla per occuparsi del proprio stallone.
Sperava di trovare, in quei
gesti così naturali e rilassanti, un balsamo per il nervosismo che lo aveva
attanagliato durante tutta la notte precedente.
L’intera corte sarebbe stata
presente, lieta di officiare tali nozze e pronta a sparlare alle spalle di
entrambi i giovani eredi al trono.
Non dubitava di questo;
sarebbe stato come dubitare della vita stessa, o dell’aria che respirava.
Era quasi certo che, come
era stato per Melantha a suo tempo, le dame di corte si sarebbero spartite la
compagnia della futura regina per ottenere favori e concessioni.
Pur sapendo di non poter
fare diversamente, la notizia del fidanzamento ufficiale con una donna mai incontrata
neppure una volta, lo aveva lasciato esterrefatto, se non addirittura basito.
Aveva sempre sperato di
poter incontrare una fanciulla da amare almeno la metà di quanto il fratello
Aken amava la sua Eikhe.
Invece, veniva proposta per
lui la grande unione con una casata nobiliare dalla superba nomea.
Un’unione con una donna di
cui conosceva solo il nome, e null’altro.
Cos’avrebbe mai potuto
sperare, da un matrimonio simile? Nulla.
In quegli anni di separazione,
Aken non aveva mai smesso di pensare a Eikhe, nonostante non avesse più avuto
da lei alcuna notizia, nonostante di lei non si sapesse più nulla.
In barba a tutto, il
fratello continuava ad amarla, soffrendo incessantemente, ma rimanendo
dolcemente fedele a quel sentimento così profondo.
Quanto avrebbe dato, lui
stesso, per un amore simile? Tutto.
Ma, avendo concesso la sua
parola al padre, giurando che avrebbe pensato in prima persona al proseguo del
loro lignaggio, Ruak doveva accettare a bocca chiusa le scelte del re.
E farsi perciò andare bene
la donna che lui, e il Concilio, avevano scelto dopo attenta e approfondita
analisi.
Un vero strazio, insomma.
Fu con passo strascicato e
un pesante sospiro che entrò nella stalla, illuminata dal sole che penetrava
dalle finestre socchiuse.
Data una pacca sul fianco al
suo stallone Enki, Ruak mormorò sommessamente: “Quanto vorrei essere al tuo
posto, amico mio.”
Lo stallone nitrì scrollando
la testa, come se avesse compreso le parole del padrone.
Il principe, con un
risolino, prese il necessario per strigliarlo ed entrò nel box armato di
spazzola e di un secchio di legno ricolmo d’acqua fresca.
Nulla lo tranquillizzava più
dello stare con i suoi amati e fidati compagni a quattro zampe e quel giorno,
di tranquillità, ne aveva bisogno più che mai.
Conoscere una donna con cui,
nel giro di poche settimane, sarebbe finito a letto con l’unico scopo di
generare un figlio, gli sembrava non solo un’idea ignobile, ma davvero
disgustosa.
E decisamente capace di
stroncare sul nascere qualsiasi tipo di pulsione sessuale.
Dèi! Quella donna avrebbe
potuto essere anche un’autentica ninfa dei boschi dallo sguardo ammaliante, e
forse non sarebbe riuscito a combinare niente lo stesso, tanta era la tensione
che provava in quel momento!
Sarebbe stato tutto molto
più facile se non avesse badato ai sentimenti di entrambi, e avesse guardato
all’atto puramente fisico, ma gli era davvero impossibile.
Non era un troglodita, né un
uomo delle caverne.
Era più che sicuro che la
misteriosa donna in questione non si sentisse più tranquilla di lui.
Inoltre, per una fanciulla
illibata, il sesso doveva apparire come un autentico incubo a occhi aperti!
E lui doveva iniziarla. Oh,
cielo! Il solo pensiero lo atterriva!
“Più ci penso, e peggio mi
sembra l’intera faccenda” brontolò tra sé Ruak, spazzolando con energia il
manto sericeo del cavallo, mentre quest’ultimo scodinzolava tranquillo sotto il
suo tocco esperto.
Del tutto preso da quei
gesti ritmici, e dall’effetto terapeutico e calmante che il suo stallone Enki
aveva su di lui, il giovane si sorprese non poco quando, da uno dei box, giunse
un rumore soffuso e un bisbiglio flebile.
Più che convinto che, a
quell’ora antelucana, nessuno degli stallieri fosse già al lavoro, Ruak si levò
lesto per controllare chi fosse dunque presente nella stalla.
Uscito che fu dal suo box,
seguì la traccia sonora che l’aveva incuriosito, udibile ora in maniera più
chiara, e si affacciò oltre una spalliera di legno per controllare la fonte di
quel brusio.
Tale fu la sua sorpresa
nello scorgere una ragazza impegnata a ripulire lo zoccolo di una giumenta che,
a bocca aperta, fissò basito la giovane amazzone.
Fu con quell’espressione di
totale sconcerto che la giovane lo trovò, i suoi occhi di giada screziati d’oro
puntati su di lui e vagamente incuriositi.
Un lento sorriso sorse a
piegare all’insù le belle labbra carnose mentre la voce, bassa e suadente,
esordì dicendo: “Non avete mai visto una donna prendersi cura della propria
cavalcatura?”
Riscuotendosi da quel
momentaneo stato di shock, Ruak si aggrappò al box e replicò per contro:
“Nessuna che io conosca, in tutta onestà, mia Signora. Mia sorella non si
avvicinerebbe neppure lontanamente agli zoccoli di un cavallo.”
“Allora la compiango”
scrollò le spalle la fanciulla dall’aspetto esotico e i bei capelli bruni
legati in una trina di trecce.
Tornando a occuparsi dello
zoccolo con attenti movimenti dello scalpello, la giovane mormorò atona: “Permettetemi
di finire, poi mi offrirò volentieri alle mille domande che vi stanno passando
per la mente e sul volto, messere.”
Ruak rise del suo dire e,
intrecciate le braccia al petto, si appoggiò a una delle pareti dei box in
quieta attesa della giovane fanciulla che, così sfrontatamente, gli aveva
parlato.
Doveva esserle parso più che
evidente quanto la sua presenza lo avesse sorpreso, se gli aveva offerto una
simile risposta.
Solitamente, era più bravo a
schermare i suoi pensieri ma, in tutta onestà, non si era aspettato di trovare
una fanciulla infilata in box a quell’ora del mattino e, a quanto pareva, una nobile fanciulla.
Chi poteva mai essere? Di
certo, non l’aveva mai incontrata prima di allora.
Forse, era la figlia di
qualche nobilotto di provincia, giunto in città per il suo imminente
matrimonio.
Il solo pensiero lo fece rabbrividire.
La ragazza rimase in
ginocchio nella paglia per almeno un’altra decina di minuti, senza mai
rivolgergli una seconda occhiata.
La sua attenzione era
massima, e interamente rivolta alla bella giumenta dal manto grigio.
Quando infine annunciò di
aver terminato il suo lavoro, e ripose diligente scalpello e lima in un secchio,
sorrise a Ruak da sopra la spalliera e dichiarò: “Ora, mi potrete martellare
con le vostre domande.”
Non appena la vide uscire e
chiudersi la porta dello stallaggio alle spalle, Ruak si sorprese
ulteriormente.
Indossava solo una camiciola
di lino, un paio di calzoni da equitazione e alti stivali al ginocchio, il
tutto interamente cosparso da un leggero strato di polvere.
Ruak rimase incantato da
tale semplice, disarmante candore.
Con un movimento fluido,
crollò ai suoi piedi poggiando un ginocchio a terra e, teatrale, le afferrò una
mano ancora sporca di terriccio, chiedendole ironicamente di sposarla.
Non che non ci avesse
pensato sul serio, vedendo quella splendida amazzone comparire davanti ai suoi
occhi a quel modo, ma dubitava fortemente che suo padre glielo avrebbe permesso.
Anche se avesse tessuto le
lodi della sua famiglia di nobili natali, qualunque essa fosse.
Nessuna donna di umile
discendenza avrebbe potuto permettersi quegli stivali borchiati d’oro, o il
bracciale che le solleticava l’esile polso.
Inoltre, lui aveva già il
nome di una donna, nel suo futuro.
Sognare per qualche minuto,
però, non lo avrebbe certo fatto morire, no?
La fanciulla, presa alla
sprovvista da quella dichiarazione capitata all’improvviso, fu così sorpresa
dal suo dire che sorrise deliziata, e disse per contro: “Temo dovrete battervi
con il principe per ottenere la mia mano, mio buon stalliere, poiché mio padre ha
preso accordi per offrirmi in sposa a lui.”
La notizia lo lasciò basito
per un minuto buono, minuto in cui temette che la splendida ragazza che lo
stava osservando con espressione divertita, si stesse riferendo al fratello
Aken.
Quando lei si decise a
correre in suo soccorso, aggiunse: “Mio padre si è accordato con re Arkan
perché io sposi il principe Ruak, visto che il fratello maggiore sembra
destinato a condurre vita monacale a tempo indeterminato.”
Quella notizia lo rincuorò
non poco ma, ben deciso a non scoprire ancora le sue carte, mormorò educato: “Suppongo
che voi non conosciate neppure di vista il principe Ruak.”
“No, purtroppo, visto che
non abito a Rajana, né vi sono mai stata prima di oggi. Oh, mio padre è stato
fin troppo prodigo di complimenti, tanto che mi chiedo se un giovane così
perfetto possa esistere” disse a quel punto la ragazza, guardando a momenti
alterni la mano ancora stretta in quella di Ruak.
Il principe gliela lasciò
andare solo a fatica e, per un attimo, la ragazza rimase con la mano distesa
verso di lui, prima di ritirarla verso i seni, quasi spiacente.
“Io mi chiedo, piuttosto,
come possa pretendere che rispetti un uomo che accetta una donna offertagli
solo per il buon nome che essa porta” aggiunse infine lei, sospirando
leggermente.
“Lo riterreste un debole?”
chiese allora lui, sogghignando nel rialzarsi da terra per poi spazzolarsi il
calzoni con piccoli gesti delle mani.
Renke. Quella ragazza
meravigliosa era destinata a lui e, a quanto pareva, lei non aveva una grande
opinione del principe che lui era.
“Questo è dire poco!” annuì fermamente lei,
prima di cambiare argomento, ben decisa a non irritarsi ulteriormente. “Lo
stallone di cui vi stavate prendendo cura… di chi è?”
“Del principe Ruak, mia
Signora” disse il principe, con un mezzo sorriso.
“Sono Dama Renke. O
semplicemente Renke, messere” replicò la ragazza con un risolino. “Posso
vederlo?”
“Sarà un vero onore
mostrarvelo, Dama Renke” annuì Ruak, profondendosi in un inchino che la fece
sorridere deliziata.
“Sicuro di essere un
semplice stalliere, messere? O forse, qui a Rajana, insegnano l’etichetta di
corte a tutta la servitù?” ridacchiò Renke, seguendolo lungo la stalla.
“Una cosa o due le ho
imparate anch’io. E poi, avendo a che fare con un sacco di amazzoni, qualche
finezza bisogna pure elargirla” commentò lui, scrollando le spalle, indicandole
poi il box di Enki.
Il principe la fece
avvicinare all’animale subito dopo essersi esibito in un’atra stupida riverenza
– che la fece ridere deliziata – e, carezzata la fronte di Enki, Ruak sussurrò
all’amico dolci parole perché non si imbizzarrisse.
Lo stallone sbuffò una sola
volta prima di calmarsi, non appena Renke gli carezzò la serica criniera.
Con voce soffusa, la giovane
mormorò al cavallo: “Sei un magnifico animale, amico mio, l’emblema stesso
della regalità. Almeno nei cavalli, il principe ha buon gusto. Potremmo andare
d’accordo, su questo punto.”
“Vi piace cavalcare, mia Signora?”
chiese Ruak, attirando di nuovo la sua attenzione e rivolgendole un sorriso
cordiale.
Renke lo fissò per un
momento a occhi socchiusi, lasciando scivolare la mano dalla fronte del cavallo
fino alla sua spalla.
Con un gesto aggraziato
quanto improvviso, poi, montò in groppa allo stallone, che rimase immobile
sotto il suo delicato peso, in attesa di una sua mossa.
Sorpreso e ammirato da quel
gesto impavido quanto inaspettato, il principe ne osservò la postura perfetta e
lo sguardo sicuro e, accentuando il suo sorriso, dichiarò: “Se anche mio padre non
avesse accettato le richieste del vostro, penso proprio che avrei usato la mia
spada e il mio pugno, pur di avervi.”
A quel punto Renke fece
tanto d’occhi e, a bocca aperta e con un delicato rossore a imporporarle le
gote, esalò sgomenta: “Il principe?”
“In carne e ossa, mia Signora.
Al vostro servizio per qualunque cosa vi potesse servire” asserì Ruak,
inchinandosi nuovamente con fare scherzoso.
La giovane rise imbarazzata nello
scendere dal cavallo e, dandogli uno scherzoso schiaffo sulla spalla, esclamò:
“Mi avete presa in giro! Non è giusto! Vi siete burlato di me fino a questo
momento!”
“Solo in parte” precisò lui,
tornando serio. “Non mentivo, prima, quando vi ho chiesto di sposarmi.”
“Non siamo destinati in ogni
caso a questo grandioso evento?” replicò Renke, divenendo seria al pari suo.
“Non desidero ascoltare quel
che dirà mio padre, o il vostro, né interessarmi di quanto questa unione
porterà all’una o all’altra casata. Voglio una risposta onesta da parte vostra.
Solo questo conterà, per me. Non i vaneggiamenti della corte, o di qualche
togato di parte” replicò con veemenza, fissandola con intensità senza mai
abbandonare la presa dal suo sguardo acceso di interesse.
“Se la mettete così, allora,
risponderò a voi come ho risposto a mia madre prima di partire per giungere
qui. Avrei amato e onorato il principe solo se si fosse dimostrato un uomo, e
non un fantoccio guidato dagli interessi del padre. L’uomo che ho di fronte a
me, potrei amarlo e onorarlo” dichiarò Renke, sorridendo leggermente.
“Perché?” chiese allora
Ruak, inclinando il capo a scrutarla curioso.
“Perché vi siete sporcato le
mani per pulire gli zoccoli del vostro cavallo, e avete preso la mia mano tra
le vostre senza curarvi del fatto che fossero impolverate e macchiate di terra.”
Nel dirlo, si scrutò le mani
impolverate e sorrise imbarazza, prima di proseguire nel suo dire.
“Mi avete guardata con
interesse nonostante avessi i capelli in disordine, gli abiti sporchi e
null’altro a rendermi donna se non le forme del mio corpo. Insomma, è stato
abbastanza lusinghiero, secondo me.”
“Neppure con vesti d’oro, potreste
apparirmi più bella di quanto non siate già ora” ammise onestamente Ruak,
scrollando le spalle.
Renke allora rise di gusto
e, arrischiandosi a baciare Ruak su una guancia, mormorò: “Manterremo per noi
questo entusiasmo reciproco. Non sia mai che i nobili della vostra corte non
pensino di poterci controllare. Non vorrei rovinare loro la festa prima ancora
che inizi.”
“Mi trovate d’accordo, mia Signora”
annuì il principe, ridendo di cuore assieme a lei.
Adorava già il modo in cui
la sua voce trillante gli solleticava le orecchie.
“Di questa conversazione non
parleremo con nessuno, e io mi mostrerò solo pacatamente soddisfatto di voi,
una volta nella Sala del Trono.”
“Mentre io farò finta di essere
terrorizzata da voi, e rassegnata all’inevitabile” commentò ironica Renke,
fissandolo con aria da cospiratore.
Risero ancora, le mani che
si sfioravano come in una muta promessa e, con un ultimo sorriso complice, si
accomiatarono.
Il proseguo della giornata
fu, per entrambi, fonte di ansia e aspettativa, anche se non per i motivi che i
più pensarono nel vederli così carichi di nervosismo.
Contare le ore che li
separavano dal loro incontro ufficiale, fu la cosa più snervante che i due
giovani dovettero sopportare.
Quando, finalmente, trombe
dai suoni squillanti annunciarono l’arrivo della futura sposa, il diretto
interessato si passò una mano sul cuore per il terrore che esso scoppiasse per
la troppa agitazione.
Era sciocco comportarsi a
questo modo – dopotutto, aveva visto Renke quella stessa mattina – eppure, non
riusciva a trovare il modo di calmare il proprio respiro e il proprio cuore
fuori controllo.
Aken, al suo fianco, si
piegò verso di lui per sussurrargli: “Guarda che dovresti arrivare al ‘sì’ da vivo, e non da morto. Pensi di
farcela?”
“Cercherò di non restarci
secco, ma è dura” celiò roco Ruak prima di sgranare leggermente gli occhi non
appena la giovane entrò nel suo campo visivo.
Come un’autentica visione
idilliaca, Renke avanzò al fianco del padre indossando un sontuoso abito di
seta blu scuro a balze, stretta in un corpetto nero come la notte che non faceva
che evidenziarne le forme flessuose e sensuali.
Nonostante la bellezza
dell’abito, la prima cosa che balzò alla mente del principe non fu quanto fosse
bella, ma la sensazione delle sue labbra sulla guancia.
Era davvero fregato. E ne
era ben felice.
Cercando comunque di darsi
un contegno per non attirare troppo l’attenzione su di sé, Ruak si impose di
fissarla con quieto favore.
Mentre ella avanzava con
passo leggero lungo la navata, ricoperta di pesanti panneggi color rosso fuoco
recanti lo stemma del lupo, lui non poté evitare di scorgere il luccichio
vittorioso nei suoi occhi di giada screziata d’oro.
Era divertita e questo,
invece di farlo scoppiare a ridere, gli diede la forza per mantenere il suo
contegno impeccabile.
Arkan, alla destra di Ruak,
osservò a sua volta la futura sposa del figlio avanzare con grazia e regalità
assieme e, annuendo con vigore e soddisfazione, disse al secondogenito: “Questa
donna sarà l’orgoglio della nostra corona.”
“Sì, padre” annuì
semplicemente lui, imponendosi di non dire altro.
Era ovvio quanto quelle
parole fossero, al tempo stesso, rivolte sia a lui che al fratello maggiore.
Per quanto fosse d’accordo
sul fatto che Renke sarebbe stata una regina stupenda, mal sopportò l’implicito
rifiuto ad accordare un simile tributo anche a Eikhe.
La figlia sacra era donna di
valore, indipendentemente dal suo sangue non nobile, ma questo non avrebbe mai
potuto dirlo ad alta voce.
E non a suo padre.
Quando, però, Renke
raggiunse il palco dove si trovava Ruak, lasciò da parte qualsiasi altro
pensiero e, allungando una mano in direzione della giovane genuflessa, disse:
“La Corona di Enerios è lieta di accogliere tra le sue forti braccia un simile
fiore di perfezione.”
A quelle parole, lei sollevò
i suoi occhi screziati a scrutare il viso luminoso del principe e, accennando
un sorriso compito, la fanciulla replicò soave: “E’ un onore e un piacere
essere accettata in una così grande e potente casata.”
Null’altro udirono le loro
orecchie, da quel momento in poi.
Né le promesse
reciprocamente scambiate dai genitori, né il contratto prematrimoniale letto
con voce stentorea da un messo reale a tutta la corte.
Il banchetto in loro onore
si svolse senza che nessuno dei due fosse attivamente partecipe alla serata, ma
nessuno se ne curò.
Seppur dando risposte argute
ogni qualvolta uno dei due giovani venne interpellato, a Ruak e Renke non
interessò minimamente ciò che avvenne quella sera.
La cerimonia matrimoniale si
sarebbe svolta da lì a due settimane ma, per i due ragazzi, questo non contava
affatto.
Per quel che li riguardava,
i voti erano già stati scambiati quella mattina, tra la paglia profumata della
stalla, sotto lo sguardo curioso dei cavalli e il bacio leggero del sole
mattutino.
***
Autoproclamatosi accompagnatore
dei due giovani, Aken si ritrovò a sorseggiare del buon vino aromatizzato,
spaparanzato su un divano di uno dei tanti salottini di palazzo.
Sogghignando all’indirizzo
del fratello, celiò: “Avete ben giocato il vostro ruolo di compiti promessi
sposi, ragazzi, ma con me non funziona.”
Le scuse accampate dai due
giovani, in quei giorni, erano state molteplici e molto fantasiose, e tutte
mirate a un unico scopo; restare un po’ di tempo da soli.
Rinchiusisi in quel
salottino del terzo piano per essere al sicuro dalle occhiate dei cortigiani,
la futura coppia di sposi fissò con un mezzo sorriso Aken, prima di scoppiare a
ridere di fronte al suo sguardo indagatore.
Fu così che, entrambi gaudenti,
spiegarono al giovane del loro primo, folgorante incontro nelle stalle, e della
decisione di nascondere alla corte quel particolare, quanto il subitaneo
affiatamento nato tra loro.
Annuendo compiaciuto e
soddisfatto, Aken abbracciò entrambi e disse con voce stentorea, colma di
affetto incondizionato: “La sorte vi ha fatto un dono prezioso quanto raro. Stringetelo
a voi con tutte le vostre forze, e non permettete a nessuno di incrinarlo.”
Percettiva come pochi, Renke
sorrise al suo futuro cognato e, in un abbraccio consolatorio, gli disse: “Non
lascerò mai che qualcuno spezzi il mio legame con Ruak. Ve lo prometto, Aken.”
E fu così che Renke si unì
alla loro famiglia, dando alla corona un figlio dopo neppure un anno dal suo
matrimonio con Ruak.
Il bimbo venne ufficialmente
adottato da Aken, perché diventasse suo erede designato, mettendo così
finalmente a tacere il padre e le sue continue, incessanti richieste di mantenere
al sicuro il trono.
Renke non chiese mai al
cognato il perché della sua scelta di restare solo, né domandò mai a Ruak
spiegazioni in tal senso.
Cercò, però, in tutti i modi
di spezzare il velo di apatia che, anno dopo anno, vide calare sul volto a lei
caro dell’uomo che, più di tutti, giunse a considerare come un fratello.
***
Intenta a
sistemare il filo della sua daga, mentre Antalion scrutava la madre con
attenzione quasi maniacale, Sendala giunse a cavallo in compagnia di Enok.
Scesa dalla
sella quando ancora la cavalcatura non si era fermata, corse dall’amica e disse
a gran voce, con il fiato corto: “E’ il principe! E il principe Ruak a essersi sposato!”
Lasciando quasi cadere
la daga a terra, Eikhe si levò lesta dal treppiede su cui era seduta e, fissando
l’amica con la paura nel cuore, esalò: “Sei sicura, vero?”
Annuendo più
volte, Sendala la afferrò per le spalle mentre Enok si avvicinava a loro con un
mezzo sorriso sulle labbra.
Con voce a
stento controllata, la giovane ripeté ancora: “E’ Ruak a essersi sposato. Ruak!”
Eikhe abbracciò
con forza la ragazza mentre Antalion, fissando la madre e la zia acquisita,
chiedeva a Enok: “Che c’è?”
Preso in braccio
il bimbo di quasi sei anni, il giovane si diresse verso il torrente che
scorreva nei pressi della baita e, afferrati un paio di secchi con la mano
libera, mormorò: “Prendiamo un po’ d’acqua per la mamma e Sendala, mentre loro
chiacchierano.”
“Cose da donne?”
storse il naso il bambino con un sorriso sbieco.
“Già” ammiccò il
giovane con un risolino.
Scostandosi da
Sendala quando sentì il sangue tornare a fluire nel corpo, Eikhe si sedette sul
treppiede, incerta se essere o meno capace di restare in piedi.
L’amica si
accoccolò a terra, dinanzi a lei, e sorrise lieta.
“Beh, dopotutto
ha mantenuto la promessa.”
Quando erano
giunte voci di un prossimo matrimonio per il principe della casa regnante,
Eikhe era sprofondata nella più nera disperazione, pur sapendo che presto o
tardi avrebbe dovuto accadere.
Vedere Antalion
crescere, e divenire sempre più simile al padre, era già un tormento enorme, ma
scoprire che la promessa del suo unico amore sarebbe stata presto infranta,
l’aveva quasi uccisa.
Sendala aveva praticamente
malmenato Konis, reo di essere piombato alla baita tutto allegro, portando
quella notizia smozzicata e priva di certezze.
Fin da quel
primo momento di sconcerto totale, la donna-lupo si era messa alla ricerca di
qualche commerciante proveniente da Rajana, con la speranza che sapesse
qualcosa di più sul grande matrimonio previsto per uno dei principi di Rajana.
Chiedere al
borgomastro sarebbe stato impossibile, del resto.
Nessuna
donna-lupo era ben accetta alla sua porta, e di questo non poteva che esserne
lieta.
Avere a che fare
con gli uomini della corona non era certo uno dei suoi sogni nascosti, questo
era poco ma sicuro!
Dopo settimane
di andirivieni tra Marhna e la baita, settimane in cui Eikhe aveva fatto di
tutto per non mostrare la propria tristezza al figlio ignaro, Sendala era
infine riuscita ad avere la meglio.
Trovato un
commerciante appena giunto dalla pianura, si era fatta descrivere con dovizia
di particolari la giovane coppia di sposi.
Felice come
poche altre volte era stata, Sendala era corsa da Enok per dargli la bella
notizia – anche lui aveva mostrato preoccupazione nel vedere Eikhe così abbattuta
– e, insieme, si erano diretti a spron battuto verso la baita.
Esalando un
profondo respiro, Eikhe sorrise all’amica, dicendo: “Dopo tanti anni di
silenzio da parte sua, pensavo di fosse dimenticato di me. Eppure, questo
matrimonio vuole dire l’esatto contrario.”
“D’altra parte, tesoro,
come pretendi che lui possa scriverti, o anche solo contattarti, se tu non ti
fai sentire? Come potrebbe mai trovarti, qui?” precisò Sendala, accigliandosi.
“Lui ti crede ancora a Nestar e stai pur certa che, se ha provato a contattarti
là, tua madre avrà sicuramente bruciato ogni lettera del tuo bello.”
Accigliandosi
leggermente, Eikhe le chiese: “Hai saputo come sta?”
Scrollando le
spalle con fare noncurante, Sendala borbottò: “Tua sorella mi ha detto che si è
ripresa un po’, ma non parla più. La Falce
di Haaron* ha minato il suo corpo e il suo spirito, e più di quanto il medico
chiamato da Marhna avesse diagnosticato in un primo momento.”
Reclinando
leggermente il capo, Eikhe sospirò mestamente, ripensando a quando Tyura le
aveva portato la notizia della malattia improvvisa della madre, e delle
condizioni disperate in cui versava.
La Falce di Haaron colpiva pesantemente
colui che era sottoposto a simile travaglio, privando il più delle volte il
malato della capacità di muoversi e, in alcuni casi, strappandogli via la vita
stessa.
Kaihle, per
certi versi, era stata fortunata, sopravvivendo al peggio grazie alla sua
tempra di guerriera ma, della donna di un tempo, era rimasto ben poco.
Costretta a
letto per la maggior parte del tempo, troppo debole per rimanere in piedi per
più di qualche ora, la donna non aveva più aperto bocca dal primo giorno della
malattia.
Secondo il medico,
il tutto era dovuto ai danni che la Falce aveva prodotto nel suo corpo.
Pur sapendo
quanto fosse sbagliato, Eikhe non era riuscita a trovare nel suo cuore il
perdono e, solo per quello, si sentiva un’ingrata.
Avrebbe dovuto
essere migliore di così, eppure non ci riusciva.
Poggiando una
mano su quella dell’amica, Sendala le sorrise benevola.
“Dai tempo al
tempo, Eikhe. Per ogni cosa.”
Con un mezzo
sorriso, l’amica mormorò mesta: “Il tempo non mi manca, e so di certo come
riempirlo.”
Entrambe le
donne volsero lo sguardo verso il torrente, dove Enok stava aiutando Antalion a
riempire uno dei due secchi con l’acqua zampillante.
Ammiccando
all’amica, Sendala ammise: “Era davvero in ansia per te.”
“Come sempre”
scrollò le spalle Eikhe, prima di aggiungere: “Mi sembra di avere un fratello
maggiore sempre alle calcagna.”
“Fratello…
maggiore?” esalò la donna-lupo, sollevando dubbiosa un sopracciglio.
Annuendo a più
riprese, la figlia sacra asserì: “Enok si comporta così, con me. E dovresti
sentire le paternali che mi fa!”
“Oh. Mi sono
persa questo spettacolo!” esclamò lei, divertita.
Storcendo il
naso, Eikhe replicò: “Fossi in te, non spererei di esserne la protagonista. Neppure
mio padre è così puntiglioso, quando vuole farmi qualche reprimenda. Cosa rara,
tra l’altro.”
“E tu dici che non sono le attenzioni di un innamorato”
si interessò Sendala, scrutandola con aria indagatrice.
“Riconosco gli
sguardi di una persona innamorata, e lui non lo è più, te lo posso assicurare”
ammiccò Eikhe, tornando a osservare Enok che, con fare premuroso, stava
osservando Antalion, tutto impegnato a riportare indietro il suo secchio colmo
a metà di acqua cristallina. “Adora An, e vuol bene a me, ma non più come
prima. Il suo sguardo non è percorso né dal rammarico, né dal desiderio.”
“Ah” sbatté le
palpebre, Sendala, vagamente sorpresa. “Beh, sono passati anni dal tuo rifiuto.
Può darsi gli sia passata davvero.”
“Io ne sono
convinta” annuì l’amica, rialzandosi per raggiungere figlio e amico. “Ma come
sei stato bravo, An! Guarda quant’acqua!”
Aprendosi in un
sorriso mezzo sdentato, Antalion le mostrò orgoglioso il secchio.
“Zio Enok dice
che va bene!”
Eikhe lanciò un
sorriso grato all’uomo prima di annuire e dire al figlioletto: “E ha ragione.
Hai fatto un ottimo lavoro. Ora, lo verso nella botte, così avremo acqua a
sufficienza per un po’.”
“Tutto bene?” le
sussurrò Enok, vedendosela passare accanto.
“Ottimamente,
grazie” replicò lei, infilandosi in casa sotto il suo sguardo soddisfatto.
Avvicinandosi ai
due, Sendala sorrise al figlioccio e dichiarò soddisfatta: “Stai diventando
davvero un ometto forte, eh, An?”
Mostrando i
muscoli, Antalion esclamò: “Forte, io!”
“Molto” annuì lei,
mostrandosi impressionata.
Enok ridacchiò
dell’espressione buffa di Sendala prima di dire a gran voce, all’indirizzo di
Eikhe – che ancora si trovava in casa: “Io vado! Tornerò dopodomani con le
nuove ordinazioni dall’emporio!”
“Va bene!” urlò
di rimando lei, dall’interno della baita.
“Vai già, zio?”
chiese a quel punto Antalion, mettendo il broncio.
“Sarà per poco,
cucciolotto. Tornerò presto, vedrai” gli promise Enok, scompigliandogli i
capelli prima di rivolgersi a Sendala con un sorriso.
Chinatosi verso
di lei, le sussurrò all’orecchio: “Ci vediamo, Sendy.”
Detto ciò, le
sfiorò la guancia con un bacio prima di avviarsi tranquillo verso il suo
cavallo, consapevole degli occhi puntati su di sé, e quasi certo
dell’espressione basita della donna-lupo.
Senza voltarsi
indietro, balzò in sella e si allontanò al trotto dalla baita.
Sul suo viso
brillava un bel sorriso soddisfatto mentre la depositaria del suo bacio, ancora
a occhi spalancati e bocca socchiusa, lo fissava senza avere il coraggio di
parlare.
Antalion, di
tutt’altro avviso, ridacchiò ghignante prima di indicarla e urlare: “Zio Enok
ha baciato zia Sendy… l’ha baciata, l’ha baciata!”
Sulla porta,
poggiata contro lo stipite e l’aria divertita come poche altre volte le era
capitato in quegli anni, Eikhe commentò: “Ma tu guarda…”
Volgendosi di
scatto come se l’avesse punta una vespa, Sendala avvampò in viso e fissò
l’amica in cerca di una qualsiasi banalità da dire, ma Eikhe la precedette.
“Qui, qualcuno
mi nasconde qualcosa.”
“Non. Osare.
Dire. Niente” sbottò Sendala, arrossendo, se possibile, ancor più di prima.
Scoppiando a
ridere assieme al figlio, Eikhe esalò senza fiato: “Oh, dèi, dovresti vedere la
tua faccia, Sendala.”
Sbuffando a più
riprese, la giovane donna-lupo la spinse da parte per entrare in casa e,
bofonchiando tra sé, ringhiò: “Uomini! Ah!”
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*Falce di Haaron: E’ l’equivalente del nostro ictus.
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Capitolo 22 *** cap. 22 ***
22.
Dopo aver
sistemato attorno alla vita del figlio una pesante cintura di cuoio dalla
fibbia di ottone a forma di testa di lupo, Eikhe sorrise soddisfatta e annuì.
Con calma,
allacciò il fodero della piccola daga che Harm le aveva donato per An e disse:
“Stai davvero benissimo, tesoro.”
Ammirandosi con
aria eccitata, le braccia che si muovevano avanti e indietro veloci, mentre il
capo si voltava da parte a parte per scrutare la sua nuova, primissima arma da
taglio, Antalion esclamò: “Wow, ma è bellissima, ma’! Il nonno è un mito!”
Ridendo nel
vederlo così eccitato, nonostante sapesse che era infine giunto il tempo di
insegnargli a usare l’arma che aveva accettato di porre nella sua mano, Eikhe
si rialzò con un sorriso orgoglioso.
Poggiate le mani
sui fianchi, fissò quegli occhi in tutto simili ai suoi e disse con un sospiro:
“Sei proprio tutto tuo padre.”
Come sempre,
Antalion fu ben attento a non pronunciare la fatidica domanda che, ormai da
dieci anni, gli frullava nella testa.
L’unica volta
che aveva osato pronunciarla, aveva scatenato il pianto della madre, le ire di
zia Sendala e lo sguardo triste di zio Enok.
Era evidente dai
discorsi dei nonni e di zio Konis che loro, invece, di suo padre non sapevano
assolutamente nulla.
Chiedere di
nascosto a loro sarebbe stato perfettamente inutile, ma ormai gli sembrava di
essere abbastanza grande per sapere qualcosa del misterioso uomo che, a quanto
pareva, la mamma non aveva mai dimenticato.
E che, nelle
notti più fredde d’inverno, lei piangeva in silenzio nella sua stanza.
Mordendosi un
labbro con fare titubante, una mano leggermente tremante mentre si posava sul
gomito della madre, Antalion la fissò serio nei suoi occhi ambrati e chiese con
un filo di voce: “Mamma, posso sapere chi è mio padre?”
La sentì
immediatamente irrigidirsi, mentre gli occhi venivano momentaneamente oscurati
dalle palpebre, e un pallore evidente si manifestava sul suo viso perfetto e
bellissimo.
Subito, Antalion
si pentì di aver proferito parola ma Eikhe, prendendo un gran respiro nel
tentativo di prendere coraggio, sospirò e prese sottobraccio il figlio, che
ormai le giungeva quasi alla spalla.
“Andiamo a
sederci in casa, An.”
Storcendo il
naso nel sentire quel nomignolo che trovava assai infantile, Antalion preferì
non rimbeccare la madre per paura che perdesse la voglia di parlargli.
In silenzio,
entrarono nella baita, dove una pentola di minestrone stava ribollendo
tranquilla sulla stufa accesa.
Sul tavolo in
legno, un bel centrotavola di vimini era ricolmo di frutta fresca mentre, sul
camino, il palco dell’ultimo cervo catturato dalla madre faceva bella mostra di
sé con la sua imponente e ramificata struttura.
Negli anni, quel
rifugio era divenuto un’autentica casa per tutti loro.
Dopo tanti
sacrifici, ora potevano tranquillamente vivere senza il pensiero fisso sul
denaro utile per la loro sopravvivenza.
I lavori della
madre erano più che degnamente venduti nell’emporio locale di Marhna, mentre la
selvaggina che Sendala catturava, andava a rimpinguare la locanda della
cittadina, e alcune ville di nobili signori delle montagne.
Nel complesso,
vivevano più che dignitosamente.
Inoltre, nonna
Ildera, nonno Harm, zio Konis e zia Tyura non mancavano di mandare loro dei
regali, anche senza badare ai loro onomastici.
Quando Antalion
vide la madre accomodarsi sulla sedia a dondolo, che il nonno le aveva regalato
l’anno precedente, lui si sedette ai suoi piedi e la guardò pensieroso.
Non sapeva bene
se parlare o rimanere zitto, in attesa che fosse lei a riprendere le redini del
discorso.
Osservato il
figlio per un tempo che le parve interminabile, Eikhe gli sorrise leggermente prima
di dire: “Tuo padre è un guerriero. Un uomo delle pianure che conobbi tanto
tempo fa, ai tempi della grande guerra che venne combattuta contro Vartas.”
Spalancando gli
occhi per la sorpresa, Antalion si protese verso di lei come a cercare di farle
comprendere quanto ancora volesse sapere di lui ma lei, scrollando il capo, aggiunse
soltanto: “Non posso dirti chi è, poiché è di vitale importanza che la sua famiglia non sappia mai della tua
esistenza. Una sola parola sfuggita dalle tue labbra, potrebbe metterci in
pericolo. In un pericolo più serio di quanto tu possa soltanto immaginare.”
Sconcertato da
quelle parole, Antalion esalò: “Non mi vorrebbe?”
“Non pensarlo
mai!” esclamò Eikhe, sorprendendolo per la veemenza delle sue parole. “Lui ti
amerebbe con tutto se stesso, lo so, ma è la sua famiglia che potrebbe mettere
a rischio la tua stessa vita, oltre che la mia.”
Storcendo il
naso, Antalion replicò scocciato: “Come puoi saperlo, visto che non è mai
venuto a cercarti, da quando sono nato?”
“Lui non sa di
te, non gliel’ho mai detto” gli sorrise tristemente lei. “Per ragioni che non
posso spiegarti, non ho potuto menzionare nulla di te a tuo padre, perché non
potrebbe fare nulla per raggiungerci. Occupa un ruolo troppo importante,
all’interno della sua famiglia, perché gli possa essere permesso di averci al
suo fianco, così ho preferito non angustiarlo ulteriormente, facendogli sapere
di avere anche un figlio.”
“Come sai che ti
ama ancora?” chiese allora il figlio, non del tutto convinto.
“Ha mantenuto
una promessa che ci facemmo anni fa, quando dovemmo dividerci” sorrise
debolmente Eikhe, allungando una mano per carezzargli i morbidi e lunghi
capelli neri, che Antalion portava stretti in una coda di cavallo.
Proprio come il
padre.
“Gli somigli
davvero tantissimo.”
Abbozzando un
sorrisino timido, Antalion mormorò: “Allora, era molto bello.”
Scoppiando a
ridere, Eikhe annuì e disse: “Sì, tesoro mio, era molto bello. Ma non l’ho
amato per questo. Erano soprattutto il suo cuore e il suo animo, a essere
belli. Come il suo coraggio e il suo amore incondizionato verso coloro che
doveva difendere.”
“E non avrebbe
dovuto difendere anche noi?” chiese a quel punto Antalion, alzandosi in piedi
per fronteggiarla.
Lei lo imitò e,
stringendolo a sé in un abbraccio caloroso, gli sussurrò: “Gli dissi io di non
anteporre il nostro amore a ciò che doveva compiere. Prima di tutto, doveva
pensare a chi dipendeva da lui. Io sapevo difendermi benissimo da sola e,
all’epoca, non sapevo ancora di te. Una volta nato, sarebbe stato impossibile
fargli sapere di te, proprio a causa del suo ruolo, e della sua famiglia.”
“Ma… non è
cattivo, vero?” mormorò lui, cercando di non far tremare la propria voce.
“No. Spero
sempre che un giorno voi due vi possiate incontrare, perché so che lo ameresti
come l’ho amato io” ammise Eikhe prima di scostarlo da sé, sorridergli e
aggiungere: “Non odiarlo, se puoi.”
“Non lo odierò,
perché so che tu lo ami ancora. E so che non potresti amare una persona, se non
ne fosse meritevole. Ma è tanto difficile, mamma” sospirò Antalion, reclinando
il viso.
Dandogli un
buffetto sulla guancia, Eikhe gli sorrise benevola.
“Hevos lo
conobbe, e accettò ciò che ci univa. Puoi credere a un dio, se non a tua madre?”
gli svelò a quel punto lei, vedendolo sgranare gli occhi per la sorpresa.
Ammiccando,
preferì non proseguire oltre e, nel dargli una pacca sulla spalla, disse: “Torniamo
fuori. Voglio insegnarti a usare quel ferro che ti ho appeso addosso.”
Sempre serio in
viso, Antalion le gettò le braccia al collo e, stringendola con foga, esclamò:
“Ti voglio bene, mamma! Scusami se ti faccio soffrire, e se ti ho fatto soffrire. Per causa mia, non
puoi vivere con le tue sorelle e, forse, neppure con l’uomo che ami. Ma mi farò
perdonare, mamma, te lo giuro!”
“Non c’è nulla
da perdonare, tesoro. Sono orgogliosa di te, e non mi importa di crescerti
lontano da Nestar. Ti sto crescendo come io
ritengo giusto, e tanto mi basta. E ora fuori, guerriero. Ad allenarsi!”
esclamò la madre, scostandosi nuovamente da lui prima di puntare la porta con
un dito.
Lui le sorrise
con amore prima di correre fuori sulle sue gambette già muscolose ed Eikhe, annuendo
fiera, disse tra sé: “Sta crescendo forte e generoso come te, Aken.”
***
Stentoreo come
suo solito, Aken esclamò: “Meyor, per tutti gli dèi, vedi di non ammazzarti,
con quel cavallo!”
Ridendo
divertito dal tono severo del suo maestro di equitazione, e principe di Rajana
nei tempi morti, il ragazzino si fermò a pochi passi da lui ed esclamò: “Avevo
la situazione perfettamente sotto controllo!”
Storcendo il
naso, e nascondendo un sorriso dietro un’occhiata burbera, Aken replicò secco:
“Lo dirò io quando avrai la situazione sotto controllo, non certo tu,
sbarbatello.”
Meyor si limitò
a ghignare spudoratamente prima di fare un cenno di saluto a Kannor,
l’attendente del principe.
“Puoi calmare tu
il principe, Kannor, e dirgli che non volevo ammazzarmi, su quell’ostacolo?”
Sogghignando, l’uomo
fiancheggiò il suo principe e, nello strizzare l’occhio al ragazzino, chiosò a
suo beneficio: “In effetti, se la stava cavando bene.”
“Non ti ci
mettere pure tu, amico!” sbottò a quel punto Aken, intrecciando le braccia sul
petto con fare offeso. “Se il ragazzo si fa male, primo, me la vedrò con sua
madre, secondo, con suo padre. Ti pare poco? E, probabilmente, riceverei sonori
sganassoni anche da parte di mia madre, oltre che da quella fuori di testa di
mia cognata.”
“Parlavi di me,
cognatuccio?” esordì una voce squillante alle loro spalle.
Rabbrividendo in
maniera più che evidente, Aken si volse a mezzo e impallidì leggermente alla
vista della donna.
“Cara, carissima Renke. Dove te ne vai con quel
pancione enorme a farti da apripista?” esalò a quel punto, aprendosi in un
ghigno, seminascosto dalla barba di due settimane che ne copriva il viso.
Incinta del
terzogenito, e già all’ottavo mese di gravidanza, Renke non ne voleva sapere di
starsene tranquilla a palazzo, prediligendo le passeggiate nei giardini privati
della reggia.
O, come in quel
caso, le visite al campo di addestramento dei cavalieri del regno.
Da anni, ormai,
Aken si era preso il personale impegno di addestrare Meyor perché diventasse un
cavaliere degno di tale nome.
Con il consenso
di entrambi i genitori, lo aveva anche fatto iscrivere all’accademia militare
di Rajana.
Desiderando
essere pienamente partecipe della crescita culturale del ragazzino, che ormai aveva
preso sotto la propria ala, si era impuntato
fino a divenire l’insegnante di equitazione dei giovani virgulti della scuola.
Dopotutto, la
parte amministrativa del suo lavoro a palazzo lo impegnava talmente poco che insegnare
a così tanti giovani l’arte della cavalleria, gli era sembrato un ottimo modo
per non impazzire del tutto.
Sua madre si era
dichiarata pienamente d’accordo con lui.
Suo padre Arkan,
al contrario, aveva storto il naso, ma a lui era importato ben poco.
Se avesse anche
solo provato a proferire qualcosa di traverso, avrebbe messo subito in pratica
le sue minacce.
A onor del vero,
comunque, quel suo nuovo compito lo aveva riempito di insperata soddisfazione,
cancellando almeno in parte il senso di vuoto perenne che provava nei momenti
di solitudine.
Inoltre, Meyor
si era dimostrato non solo un bravo studente, ma anche un autentico asso nello
stare in sella.
Anche se non lo
avrebbe mai ammesso apertamente con il ragazzino, vederlo in sella lo rendeva
assai orgoglioso.
“Il nostro caro
Meyor sta diventando davvero bravissimo, da quanto ho visto dalla finestra”
commentò Renke non appena ebbe raggiunto i due uomini e il giovane cavaliere.
“Principessa
Renke, come sempre siete gentilissima” asserì il giovane cavaliere,
profondendosi in un inchino dalla sella.
Ridendo, la
donna assottigliò maliziosa le iridi di giada screziata d’oro e fissò Aken, celiando:
“Gli hai anche insegnato a essere un adulatore, mio caro?”
“Meyor è educato
di suo” replicò il principe, prima di aggiungere: “Non dicevo sul serio,
prima.”
Battendogli
affettuosamente una mano sul braccio, Renke tornò seria e gli disse: “So sempre
quando la gente mi vuole offendere, e tu non sei tra quelli. Ma hai ragione; se
Meyor si facesse male, ti ridurrei in poltiglia.”
“Buono a
sapersi” scrollò le spalle Aken, prima di rivolgersi all’allievo. “Hai sentito,
ragazzo? La mia vita dipende da te.”
“Starò attento,
promesso” annuì Meyor, dando un colpetto leggero ai fianchi dello stallone per
riprendere gli allenamenti sul campo.
Avvolgendo le
braccia attorno a quello possente del cognato, Renke mormorò con un sorriso:
“Quel ragazzino è un autentico toccasana, per te, Aken, te ne sei reso conto? E
non solo lui! Il lavoro che svolgi in Accademia è davvero un balsamo, per il
tuo umore altrimenti nero.”
Annuendo
gravemente, Aken disse: “Se non ci fossero loro, sarebbe davvero dura…
rimanere.”
Kannor sospirò
pesantemente, scrutando spiacente il principe senza avere il coraggio di
mettere a parole il proprio disappunto.
Conoscere i
motivi del suo dolore e non poter far nulla per alleviarlo, per un amico di
vecchia data come lui era, gli pesava come un macigno ben piantato sul cuore.
D’altra parte,
cos’avrebbe potuto fare?
Spingerlo a
cercare Eikhe per i monti, quando per anni la stessa figlia sacra non lo aveva
mai cercato?
Sapeva
perfettamente che le spie di re Arkan controllavano la posta in arrivo al
principe, così come quella in partenza, perciò era più che certo che nulla, di
lei, fosse giunto da Marhna.
Chissà cosa le
era successo, e cosa l’avesse spinta a un tale e lapidario silenzio?
Che sospettasse
un possibile pericolo? Era probabile. Eikhe, dopotutto, non era una
sprovveduta.
Conosceva i
doveri del principe, ma non era così ferrato su quelli di una donna-lupo,
perciò poteva solo fare delle vaghe ipotesi su ciò che l’aveva condotta a
questo assordante silenzio.
Ugualmente, Kannor
imprecò tra sé.
Se anche solo
uno dei due fosse stato meno ligio ai rispettivi doveri, a quest’ora non
avrebbe dovuto essere il muto spettatore del declino di un amico.
Per distogliere
l’attenzione di Renke dallo sguardo turbato di Aken, Kannor disse con
causalità: “Magari, se ci aggregassimo alla prossima missione che deve recarsi
ad Anok Fort, non sarebbe male. Comincio ad avere il disgusto di Rajana.”
Abbozzando una
risatina cattiva, il principe fissò l’amico con aria scocciata.
“Se tu provi
disgusto, io allora dovrei mettermi una corda al collo e tirare forte,
credimi.”
“Aken!” esclamò
Renke, impallidendo visibilmente a quelle crude parole.
“Perdonami,
cognata” mormorò subito lui, battendole una mano sulle quelle intrecciate di
lei. “Non dicevo sul serio.”
“Ma non
prenderai in considerazione l’offerta di Kannor, vero?” brontolò la principessa,
scrollando leggermente il suo braccio.
“No” asserì
lapidario, chiudendo una porta in faccia a entrambi gli amici con quella secca
risposta.
Sbuffando, Renke
scostò lo sguardo dal suo viso corrucciato al giovane Meyor che, abilmente,
stava balzando con il suo stallone oltre una staccionata.
Con voce resa
roca dalla rabbia, sibilò piano: “Sai essere più testardo di un mulo, quando ti
ci metti. Perché tanta ostinazione?!”
“Perché così
dev’essere” replicò semplicemente lui prima di scostarsi da lei e baciarle una
mano. “Con permesso, mia cara. Vado a insegnare qualche trucchetto ai nostri
giovani stambecchi.”
Imponendosi di
non sorridergli per pura ripicca, Renke non poté che scoppiare a ridere quando
Aken posò un bacio anche sulla sua enorme pancia, mormorando all’indirizzo del
bambino: “Preparati a quando uscirai. Tua madre è una vera strega.”
“Vattene,
malefico fratello!” sbottò lei, ridacchiando e scacciandolo via con ampi gesti
delle mani.
Lui ammiccò prima
di tornare al suo solito sguardo chiuso in se stesso e, nell’osservarlo
allontanarsi in direzione delle stalle, Renke sospirò e chiese: “Un’amante, o
un figlio?”
Kannor la guardò
con un sorriso ammirato, lodando silenzioso la sua perspicacia.
“Lo strazio che
prova è per un amore che ha dovuto abbandonare. Ma la sua volontà di
rinchiudersi qui per sempre, non oso dire da dove provenga.”
“Quale strega lo
ha lasciato a se stesso senza alcun ritegno?” protestò veemente Renke,
aggrottando le sopracciglia.
“Si sono
lasciati perché le esigenze lo imponevano, non perché ne avessero reale
desiderio” precisò l’attendente, osservando il principe uscire dalla stalla al
trotto leggero, fiero e imponente sulla sella e lo sguardo ombroso fisso sul
campo di addestramento.
“Una donna non
di nobile lignaggio, allora?” chiese la principessa, ora vagamente sorpresa.
Annuendo, Kannor
asserì: “Preferirei ne parlaste con lui, mia Signora. Sono affari suoi,
dopotutto.”
Con un modesto
sorriso, Renke annuì all’uomo e disse: “Hai ragione, Kannor, perdonami.
Ficcanaso perché non posso fare a meno di chiedermi da dove venga tutta la
tristezza che alberga nei suoi occhi.”
“Posso solo
dirvi che la donna che ama è degna di grande rispetto” mormorò l’uomo,
affondando la sua unica mano nella tasca del giustacuore che indossava.
“Non mi sarei
aspettata nulla di meno, da Aken” sorrise lei, prima di esclamare eccitata
quando lo vide balzare oltre una serie di doppi ostacoli, come se nulla fosse.
C’era ancora un
grande guerriero, sotto quella scorza apparentemente infrangibile di dolore e
orgoglio.
“Voglio il tuo
bacio in pegno, bel cavaliere!” esclamò a quel punto, salutandolo con ampi
gesti del braccio.
Aken scoppiò a
ridere sulla sella mentre, scartando con il cavallo per raggiungere una nuova
serie di ostacoli, lasciava andare le briglie sotto gli occhi sgomenti della
principessa.
“Dèi, ma che
fai?!”
Incurante del
suo grido, il principe si piegò in avanti per assecondare i movimenti
dell’animale e, dopo aver stretto maggiormente le gambe attorno alla cassa
toracica del cavallo, gli sussurrò all’orecchio: “Mi fido di te.”
Come una sola
creatura pulsante, animale e cavallo si librarono sopra due serie di ostacoli
prima di atterrare indenni sulla spianata di terriccio, acclamati dagli
applausi degli allievi e scrutati con autentico stupore da Renke.
Oltrepassato lo
steccato che delimitava l’area di allenamento, la principessa si avvicinò al
cognato e ringhiò furente: “Che ti è saltato in mente?! Vuoi farmi partorire
prima del tempo!?”
Smontando di
sella con un fluido movimento di gambe, Aken la ignorò per un momento per parlare
a Meyor, fermo a pochi passi da lui con la bocca ancora spalancata dalla
sorpresa.
“Devi fidarti
del tuo cavallo, e devi fare in modo che lui si fidi di te. Non è diverso da un
tuo compagno d’armi, ricordalo. Ti servirà bene, se tu servirai bene lui. Più
intenso sarà il vostro rapporto, maggiore sarà ciò che ne ritornerà a tempo
debito.”
“Sì, Aken” annuì
tutto sorridente Meyor prima di riprendere gli allenamenti.
Ancora ferma
accanto a lui, Renke lo schiaffeggiò su un braccio, strillando: “Mi hai fatto
prendere paura!”
Abbozzando una
risatina, Aken diede una pacca sul fianco del cavallo, che si incamminò accanto
a loro e, presa sottobraccio la cognata, lui le disse tranquillamente: “Non
ricordavo non mi avessi mai visto fare una cosa simile. Perdonami. Ma non
rischiavo nulla, davvero.”
“Come puoi
dirlo? Hai abbandonato le redini come se
nulla fosse!” sbottò Renke, ancora piccata.
Con una
scrollatina di spalle, lui replicò: “Non c’è bisogno delle redini per guidare
un cavallo. Basta che lui si fidi di te, e il resto non conta.”
“E da dove viene
fuori tutto questo grande sapere?” brontolò lei, ancora poco convinta.
Il suo sorriso
divenne misterioso e, mentre i suoi occhi tornavano a posarsi sul cavallo al
suo fianco, la voce di Aken si fece calda, persa nei ricordi.
“Una cara,
vecchia amica me lo insegnò, tanto tempo fa.”
“Doveva essere
un genio dell’equitazione, allora” commentò Renke, vagamente sorpresa da quella
confessione.
Una breve risata
lo accompagnò per alcuni attimi prima di dire: “Oh, direi proprio di sì.”
***
Rimboccate le
coperte ad Antalion, che stava dormendo della grossa dopo un giorno intero di
allenamenti con la daga, Eikhe chiuse alle sue spalle la porta della stanza.
Raggiunta
Sendala al tavolo del soggiorno, dove la donna aveva preparato le carte per
giocare a whist, le sorrise complice,
pronta a giovare.
Non ve ne fu il
tempo, però.
Eikhe sobbalzò
sorpresa al pari di Sendala, quando udì bussare alla porta di casa, in piena
notte, e senza che loro aspettassero alcuna visita.
Balzando in
piedi fulminea, Sendala afferrò la sua daga, poggiata contro un muro, mentre
Eikhe si avvicinava guardinga alla porta per chiedere: “Chi è?”
“Sono Kreathe di
Norfol. Spero ti ricorderai di me, giovane figlia sacra” esordì una voce oltre
la porta.
Sgranando gli
occhi per la sorpresa, Eikhe si affrettò a togliere la sbarra di ferro che
serrava il battente.
Aperta che ebbe
la porta, fissò basita la donna che, dieci anni addietro, aveva conosciuto
durante la seduta del Consiglio delle Anziane a Nestar.
Non l’aveva più
rivista, da quel giorno, ma rammentava perfettamente i suoi lineamenti
taglienti, da falco, e la sua voce possente e forte.
“Prego, entrate,
Madre. Siete la benvenuta” mormorò la padrona di casa, reclinando rispettosa il
capo mentre Sendala tornava a poggiare la daga contro la parete.
Osservando
l’interno della baita con ampi cenni del capo, la donna si accomodò al tavolo a
un cenno della sua ospite e disse: “Vi siete sistemate bene, a quanto pare.”
“Siamo state
aiutate” disse sinceramente Eikhe, chiedendosi nel contempo il perché di quella
visita a sorpresa.
“Non è stato
facile rintracciarti, figlia sacra” le confidò Kreathe, fissandola
curiosamente. “Ma possiamo anche dare la colpa al fatto che, in questi anni, ho
avuto un po’ troppe cose a cui pensare, per riuscire anche a scovarti in mezzo
alla foresta.”
“Perché mi
cercavate, Madre?” chiese cortesemente Eikhe, prima di aggiungere: “Posso
offrirvi qualcosa?”
Scuotendo il
capo con un gentile sorriso, Kreathe andò subito al punto.
“In questi anni,
io e altre figlie sacre abbiamo deciso di sganciarci completamente dalle nostre
tribù di appartenenza per creare un nuovo ordine, una nuova via, un nuovo
inizio. Poco alla volta, roccia dopo roccia, tronco dopo tronco, abbiamo
innalzato un nuovo villaggio, a due giorni di cammino da Marhna, che abbiamo
chiamato Hyo-den, la casa di Hyo, in
onore della nostra capostipite. Lì, la vita
scorre diversamente rispetto agli altri villaggi di donne-lupo. Abbiamo
ritenuto saggio seguire ciò che tu e poche altre figlie sacre avete fatto, e
cioè abbandonare l’odio per seguire solo il nostro cuore.”
“Parli di
Seletta?” chiese Eikhe, aggrottando la fronte.
Rammentava di
averne parlato a Kreathe poco prima della sua partenza ma, da quel lontano
giorno, non aveva più saputo nulla dell’amica e dei suoi figli.
Annuendo,
Kreathe la mise al corrente del suo destino.
“Siamo riuscite
a raggiungerla seguendo le tue indicazioni, e ora vive nel villaggio di Hyo-den
assieme a noi e i suoi figli.”
Timorosa di
stare solo sognando – davvero esisteva un luogo simile, per loro? – , Eikhe esalò:
“Ma… come avete potuto farlo? Le altre avranno sicuramente protestato!”
Scoppiando in
una risatina leggera, Kreathe replicò con malizia: “Pensi davvero che si
sarebbero messe contro quasi mille figlie sacre contemporaneamente?”
“Mille?!”
esclamò Eikhe prima di veder strabuzzare gli occhi di Sendala.
“Come si può
dire? Negli ultimi anni, c’è stata un’autentica fioritura, a quanto pare, e
molte figlie sacre di Vartas si sono unite a noi, una volta che la voce ha
raggiunto anche i loro villaggi” ridacchiò Kreathe, prima di aggiungere più
seriamente: “E’ un segno. Il segno
che stavamo aspettando. La nostra personale rivoluzione è iniziata e io,
assieme alle altre donne che compongono il Consiglio di Hyo-den, siamo partite
alla ricerca di coloro che ancora non avevano saputo di noi.”
“Incredibile”
sussurrò Eikhe, passandosi una mano sul volto, ancora basita di fronte a quella
notizia sconvolgente.
Aggrappata alla
tavola fino a farsi sbiancare le nocche, Sendala esclamò: “E’ una roba
portentosa!”
Con un risolino,
Kreathe proseguì nel racconto.
“Naturalmente,
l’accesso è libero anche alle normali donne-lupo. Non si vuole escludere
nessuna, ma le regole sono decisamente diverse, rispetto a un comune villaggio
di figlie del branco.”
“Oh” esalò
sorpresa Sendala, colta alla sprovvista dalla sua affermazione.
“Cosa vi ha
spinte a questa decisione, Kreathe?” chiese a quel punto Eikhe, turbata da un
dubbio che le faceva formicolare le mani.
Fattasi di colpo
ombrosa, la donna esalò un sospiro affranto, colmo di rabbia inespressa.
“Non ho potuto
impedire la morte di un figlio sacro, e questo mi ha spinta a muovermi una
volta per tutte.”
“Che intendi
dire?” sussurrò Eikhe, accigliandosi.
“La tragedia si
è ripetuta. Un altro figlio sacro è morto per la cecità delle donne-lupo. Non
si è ripetuto il Massacro di Eskit solo perché la madre è morta durante il
parto, non accudita e lasciata sola a morire nel suo stesso sangue” spiegò loro
Kreathe, stringendo i denti per la rabbia.
Un sospiro, e
proseguì nel suo tetro racconto.
“Niandre di
Margoth mi aveva mandata a cercare, avvisandomi che il parto sarebbe stato
imminente, ma giunsi con un giorno di ritardo al suo villaggio, troppo tardi
per lei e per il suo bambino. Mi dissi che non avrebbe mai dovuto ripetersi un
simile scempio, e così raccolsi attorno a me le donne che meglio conoscevo e
iniziammo la nostra opera di costruzione. Naturalmente, ho dovuto digerire
parecchi insulti ma, a conti fatti, nessuna ha mai realmente voluto mettersi
contro me e le altre, perché sapevano bene come sarebbe finita.”
Sbuffando, Eikhe
emise una risata altrettanto ruvida e commentò: “Certo! Non avrebbero mai
permesso che la freoha si
scatenasse.”
“Esatto” annuì
Kreathe, gelida.
“Quindi, ora
avete creato di sana pianta un villaggio dove portare avanti la vostra legge” riassunse Sendala,
annuendo lieta. “Beh, i miei complimenti.”
“Lo dirà il
tempo, se abbiamo fatto bene o male, ma per ora viviamo meglio così” asserì la
figlia sacra. “Unisciti a noi, Eikhe, assieme a tuo figlio e alla tua fidata
amica. Ne saremmo liete. Lietissime.”
“Anche se
Antalion è un maschio?” chiese titubante la giovane, indecisa se credere a quel
miracolo o meno.
Annuendo più
volte, Kreathe disse con orgoglio: “Mia figlia ha appena partorito un
maschietto, e anche lui è un figlio sacro. E il suo compagno ha deciso di
rimanere assieme a noi per vivere al villaggio. Inoltre, non dimenticarti i
maschietti di Seletta.”
Più che mai
sorpresa, non tanto dalla possibilità di tenere i figli maschi, ma di poter
vivere con gli uomini amati, Eikhe esalò: “Possono… gli uomini possono
realmente farlo? Rimanere accanto alle loro compagne?”
“Chi lo
desidera, può farlo, ma tutti sono perfettamente consapevoli che, al villaggio,
le regole sono diverse. Nessun uomo regnerà mai su noi donne-lupo. Potranno
vivere con noi, ma non elevarsi sopra di noi” dichiarò Kreathe con
orgoglio.
Levandosi in
piedi con un sorriso sulle labbra, Eikhe disse: “Allora, lo chiederò a mio
figlio.”
“Saggia
decisione, figlia sacra” annuì la donna, seguendola nella stanza del ragazzo
assieme a Sendala.
Armata di una
lanterna, Eikhe entrò nella stanza buia del figlio, illuminando dinanzi a sé
per non inciampare nei suoi giocattoli, sparsi disordinatamente a terra.
Accostandosi a
lui con un sorriso sulle labbra, sussurrò: “An, tesoro, svegliati.”
Occorsero due
richiami perché il bambino si svegliasse sonnacchioso, e fissasse i suoi occhi
velati sulle tre donne che, gaudenti, lo stavano osservando.
Passandosi
svogliatamente una mano dinanzi al viso per cancellare come un colpo di spugna
i segni del sonno, Antalion biascicò: “Che c’è, mamma? Va a fuoco la casa?”
Ridacchiando,
Eikhe si accomodò su un lato del letto, poggiando poi la lanterna sul comodino.
Scrutato il
figlio negli occhi con una nuova speranza nel cuore, disse: “La signora che
vedi si chiama Kreathe e sarebbe tanto felice se io, tu e Sendala andassimo ad
abitare nel suo villaggio.”
Accigliandosi
immediatamente, le residue tracce di sonno ora del tutto svanite, Antalion
fissò torvo Kreathe prima di borbottare: “Io sono un maschio. Nessun maschio
può vivere tra le donne-lupo, lo so fin troppo bene! Persino la zia Tyura non è
riuscita a convincere le sue compaesane a riammetterci a Nestar, sebbene ora
lei sia la loro Signora!”
Kreathe sorrise
comprensiva, di fronte al giusto nervosismo del ragazzino.
“Lo so,
figliolo. Certe volontà non si possono cancellare semplicemente volendolo. Ma
noi abbiamo costruito un villaggio dove le vecchie regole non valgono più. Saresti
ben accetto tra di noi, esattamente come tua madre e la tua madrina. Sei figlio
di Hevos, e a noi basta. Inoltre, avresti già compagnia maschile, visto che ho
un nipotino maschio.”
“Davvero,
mamma?” chiese dubbioso Antalion, fissandola ai limiti del terrore prima di
tornare a scrutare dubbioso la donna sconosciuta.
La speranza
galleggiava attorno a lui, ma era restio ad afferrarla, ed Eikhe ne comprendeva
benissimo i motivi.
In quegli anni
era cresciuto solo, lontano dai suoi coetanei, malvisto dalle donne-lupo e abituato
a vedere solo e unicamente adulti, che ben poco avevano a che fare con il suo
stile di vita.
Persino gli zii
Konis ed Enok, per quanto gli volessero bene, vivevano diversamente da lui, e
non potevano comprendere appieno cosa volesse dire essere un figlio sacro.
Lui era un’autentica
rarità, anche nel mondo delle figlie di Hevos.
Vivere in un
luogo in cui tutti e tutte avrebbero potuto comprenderlo, aiutarlo, amarlo, in cui altri bambini e bambine
avrebbero giocato con lui senza deriderlo, crescendo assieme a lui, sarebbe
stato stupendo.
Ma poteva cedere
al sogno, abbracciare quel sordo desiderio?
Abbracciando il
figlio, Eikhe diede voce alle sue speranze, dicendo: “Se tu sei d’accordo,
allora andremo.”
“Sì” sussurrò
lui, contro il suo petto. “Sì.”
***
Bloccandosi a
metà di un passo quando Sendala aprì bocca, Eikhe fissò l’amica a occhi
sgranati ed esalò: “Ho capito bene? Tu non verrai con noi?”
Arrossendo suo
malgrado, Sendala si morse imbarazzata un labbro prima di dire: “Beh, ecco,
vedi… mi piacerebbe, credimi. Ma insomma, io…”
Accigliandosi
leggermente, Eikhe strinse le braccia al petto e domandò severa: “Cosa non mi stai dicendo, Sendala?”
Reclinando il
capo perché l’amica non la fissasse con i suoi occhi inquisitori, Sendala disse
in un soffio: “Resto per Enok, ecco! L’ho detto!”
Spalancando
occhi e bocca in egual misura, Eikhe reclinò lentamente le braccia, basita suo
malgrado da quella notizia, prima di riuscire a dire: “Sii più chiara, per
favore.”
Ormai rossa in
volto oltre ogni ragionevole dubbio, Sendala parlò in fretta, gli occhi serrati
per l’imbarazzo.
“Per farla
breve, Enok mi piace, io piaccio a lui e alla sua famiglia e, visto che la sua
attività è qui a Marhna, sarebbe sciocco spostarci così tanto. Avevo già
pensato da tempo di chiederti il permesso di ampliare la baita, visto che è
tua, perché vorremo tanto…”
Sendala non fece
in tempo a terminare la frase che Eikhe, come un piccolo tornado, le si fiondò
addosso per abbracciarla con foga.
“Oh, dèi, non ci
posso credere! Oh, grazie, grazie!”
“Grazie, cosa?!”
esalò Sendala, cercando in qualche modo di respirare. “Eikhe, mi stai
strozzando…”
“Oh, scusa,
scusa!” esclamò l’amica, ridacchiando e lasciandola andare per guardarla in
viso. “Pensavo di essermi sbagliata, di aver interpretato male i vostri
sguardi, invece… oh, dèi, mi rendi così felice!”
“Ribadisco; felice
per cosa?! Perché non verrò con voi?” sbottò a quel punto Sendala, adombrandosi
in viso.
“Felice che due
delle persone che più amo al mondo si amino a loro volta” replicò Eikhe con
semplicità. “E ti capisco, non temere. Ha più senso rimanere qui, per voi due.
Ma tu che farai, a questo punto?”
Accigliandosi,
Sendala sbottò piccata: “Non penserai davvero che mi metterò dei vestiti come
quelli che porta Ildera o robe simili, spero?! Non se ne parla! Sono, e resto, una donna-lupo, e questo lui lo
sa benissimo. Lo accetta senza problemi. Persino sua madre è affascinata dalla
cosa, e suo padre è affascinato, quando mi vede maneggiare la daga come un
guerriero. No, non ci saranno problemi, da quel
punto di vista.”
“E da quale
punto di vista ci saranno dei problemi, allora?” chiese Eikhe, ora incuriosita.
Sospirando
afflitta, l’amica borbottò: “E’ dura ammettere che mi piaccia così tanto…”
Allo sguardo
accigliato di Eikhe, si corresse in fretta dicendo: “… d’accordo, che io ami così tanto un uomo quando, per anni,
li ho odiati, ma so che quel che sento per Enok non è semplice attrazione
fisica. Ne sono convinta.”
Sorridendo
all’amica, Eikhe annuì battendole una mano sulla spalla.
“Lo leggo nei
tuoi occhi. Stai facendo la cosa giusta. Unirete due culture, e questo non
potrà che essere un bene.”
“Oh, di certo i
suoi amici avranno da ridire, visto che non avrà una moglie convenzionale sotto
il tetto, o dentro il letto, ma lui ha detto che non
gliene importa nulla. Gli basta avere me” celiò Sendala, scrollando le spalle
prima di chiederle: “Pensi sia pazzo?”
“Enok? Forse, o
forse è solo uno spirito illuminato” asserì Eikhe prima di avvertire, assieme
all’amica, l’ululato solitario di un lupo tra le montagne.
Subito, Liar ed
Epos corsero come due forsennati fuori dalla baita, subito seguiti da Antalion
che, scrutando gli alti monti visibili dalla radura, esclamò: “Accidenti, che
ululato possente!”
Sia Eikhe che
Sendala sorrisero liete nell’udire quel suono struggente, e che portava con sé
un muto messaggio.
La giovane
figlia sacra, stringendo la mano dell’amica, chiosò: “Beh, direi che questo
chiude il cerchio.”
“E’ bello sapere
che Lui è d’accordo” esalò Sendala con reverenziale timore.
Eikhe assentì e,
nel darle una pacca sul braccio, corse fuori con lei ed esclamò al figlio e ai
lupi: “A chi arriva prima al ceppo?”
“Sììì” urlò
Antalion, mettendosi a correre verso la parte opposta della radura, dove si
trovava lo scheletro rinsecchito di un abete morto ormai da anni.
Eikhe restò nei
pressi della casa in silenzioso e assorto ascolto dell’ululato di Hevos,
sorridendo fiera e sentendosi libera di sperare, per la prima volta, dopo anni.
Certo, le
mancava ancora un pezzo importante del suo cuore, ma ora poteva scorgere un
avvenire migliore, per sé e il figlio. Sarebbero stati bene.
Hevos lo voleva. |
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Capitolo 23 *** cap. 23 ***
23.
Seduto comodamente alla
scrivania del suo studio, Aken sollevò lo sguardo non appena udì bussare alla
sua porta.
A mezza voce, lasciò entrare
Kannor che, con un sorriso e un saluto, gli consegnò un paio di missive,
entrambe sigillate con ceralacca e marchiate con il simbolo del cervo bianco di
Karton.
Dubbioso, Aken sollevò un
sopracciglio nello spezzare il sigillo della prima lettera, domandando
all’amico: “Cosa fanno? Spediscono in duplice copia, ora?”
“Chissà” scrollò le spalle l’attendente,
accomodandosi sulla poltrona di cuoio che si trovava dinanzi alla scrivania del
principe.
Dopo aver dispiegato il
foglio pergamenato, Aken sgranò leggermente gli occhi nello scorrere con lo
sguardo sulla scrittura fluente dell’amico e principe Mynias.
“Che mi venga…” sbottò, ridacchiando
un attimo dopo. “Senti un po’ qui!”
Mio carissimo e fedele amico, da decenni il nostro
legame è saldo e duraturo
ma devo
ammettere che, ultimamente, mi sento quasi di odiarti. Non so cosa
sia preso alla dolce, tenera e a volte un po’
permalosa Melantha. Da quando ha
avuto il nostro quarto figlio, che lei – come pure io,
ovviamente – ha voluto
chiamare Aken in tuo onore, si è messa in testa di non
volermi più nel suo letto. Ora, con
tutto il rispetto parlando… non mi avevi detto, ai tempi del nostro matrimonio,
che tua sorella aveva problemi di follia a lungo termine! Avresti
dovuto farmene cenno perché, per lo meno, mi sarei
preparato. Continua a dirmi
che non vuole farsi toccare da me, e la cosa sta
prendendo i contorni dell’assurdo. Ti avverto che ho scritto anche a tuo
fratello Ruak per avere conforto anche da lui, perché ormai non so più che
pesci prendere. Aiutami a recuperare mia moglie o, per quanto ho di più sacro,
verrò lì e ti riempirò di pugni per non avermi preparato a un simile
avvenimento! Tuo fedele amico (con
riserva)
Mynias
Scoppiando a ridere assieme
a Kannor, che si batté la mano sulla coscia abbracciata da comodi pantaloni di
lana leggera, Aken si asciugò una lacrima di ilarità, sconcertato da quella
missiva.
Aperta poi la seconda lettera,
chiaramente scritta da Melantha, mormorò: “Non oso immaginare cosa ci sarà
scritto in questa.”
Stimato fratello e primogenito del Regno, mi rivolgo a
te sperando
in una tua buona parola e in un consiglio. Dopo la
nascita del tuo
omonimo, il tuo stimatissimo amico (quanto mio
stimatissimo marito)
Mynias vorrebbe nuovamente dividere con me il letto, ma
io non riesco
in alcun modo a fargli capire, o meglio, a dirgli, che
mi imbarazza
fargli vedere cosa, la nascita del bimbo, abbia lasciato sul
mio corpo.
Vorrei per lo meno avere il tempo di ritrovare la
linea, prima di concedermi
a lui ma, quando veniamo al dunque, divento rossa e mi
arrabbio,
riuscendo solo a farlo innervosire e fuggire dalla
stanza con la rabbia
come compagna. Non puoi dirglielo tu, per me? A te
darà ascolto, e tu
salverai tua sorella minore da un guaio enorme. Lo amo
così tanto
che non vorrei mai essere deludente, ai suoi occhi, ma
quando provo
a dirglielo, ricado nei miei vecchi difetti e divento
petulante. Con anni di
ritardo, mi scuso per essermi comportata come una
sciocca bambina
e un’ingrata, ma spero saprai trovare nel tuo cuore il
perdono per tua
sorella minore. Ti ringrazio fin d’ora per ciò che
potrai fare per me, e ti
mando un bacio
e un abbraccio. La tua leale e devota
sorella
Melantha
“Oh, vi prego… ditemi che
non è vero!” ridacchiò Aken, passandosi una mano sul volto prima di esalare:
“Come fanno due persone a cacciarsi in guai simili!?”
“Perché si amano troppo?”
ironizzò Kannor, ammiccando.
“Non fare dell’ironia su
quest’argomento” brontolò lui, sospirando nel prendere in mano carta, penna e
calamaio. “Ma tu guarda se devo mettermi a spiegare a un uomo fatto e finito
come trattare la moglie, e viceversa.”
“Si fidano di te” precisò l’attendente
con un sorrisino.
“Mi hanno preso per Madama
Sputaconsigli?” sbuffò Aken, intingendo la punta di metallo della penna nel
calamaio di marmo nero.
Scribacchiando in fretta una
risposta a entrambi sotto lo sguardo divertito di Kannor, il principe si
informò infine su una questione a lui cara.
“Hai avuto notizie degli
esami all’Accademia? Come stanno andando, i ragazzi?”
“Da quanto mi hanno detto,
finora se la stanno cavando tutti egregiamente. Per stasera, dovremmo già avere
i risultati finali” gli spiegò l’attendente, osservando, oltre la finestra
spalancata sul giardino, il lontano profilo fumoso dei Monti Urlanti.
Certo, viste da lì, quelle
montagne sembravano solo fragili agnellini, ma sapeva bene quanto fosse un
sentimento ingannevole, il suo.
Pur non essendoci mai stato,
conosceva bene la loro nomea, e sapeva per bocca dello stesso Aken quanto il
loro nome fosse ben più che meritato.
Ora, agli albori
dell’inverno, con l’autunno inoltrato a tingere di giallo e di rosso le colline
circostanti, mentre le vigne venivano prese d’assalto dai lavoranti per la
vendemmia annuale, sembravano ancor più innocui.
Velati com’erano dalle
nebbioline mattutine che, dal mare, giungevano silenti fino alla capitale,
sembravano solo evanescenti presenze lontane e insignificanti.
Portando con sé un vago
profumo salmastro, la nebbia in quel momento avvolgeva le campagne circostanti,
conferendo al paesaggio un che di mistico, di soprannaturale.
Folletti e streghe avrebbero
potuto spuntare fuori dal nulla, e Kannor non se ne sarebbe stupito più di
tanto.
Adorava quel periodo
dell’anno, perché tutto appariva calmo e pacifico, con la natura ormai pronta
per il suo annuale riposo, e le genti pronte per fare altrettanto.
Quando udì la penna di Aken
tintinnare all’interno del suo piedistallo di cristallo opaco, Kantor tornò a
fissare il principe.
“Le porto subito al messo
postale.”
“O a mio padre?” ironizzò il
principe, prima di scusarsi con un gesto della mano. “Perdonami. E dire che
sono anni, ormai, che sono abituato a essere tenuto sotto controllo, neanche
fossi una pestilenza incarnata.”
“Non credo che tuo padre ti
veda come una pestilenza” precisò per dovere di cronaca Kannor, levandosi in
piedi e prendendo le due missive che Aken gli consegnò.
“No? Io credo il contrario”
ironizzò il principe, scacciandolo poi via con un gesto comico della mano.
L’attendente ridacchiò nel
vederlo così stranamente allegro, quella mattina, ma ipotizzò fosse l’idea di
sapere Meyor finalmente diplomato, a renderlo tanto ilare.
Il ragazzo, ormai
ventunenne, sarebbe uscito dall’Accademia giusto quel giorno, e Aken era sempre
andato fiero di lui e dei suoi risultati scolastici.
Dubitava fortemente che le
cose fossero cambiate nell’ultimo mese in cui non si erano più visti, dacché il
ragazzo si era messo sotto con gli ultimi preparativi per gli esami, non
uscendo praticamente più di casa.
Lasciando il principe solo
nel suo studio, sapendolo così su di morale, Kannor si diresse dabbasso.
In quel mentre le trombe
delle vedette, suonate a perdifiato da ogni angolo della città, dichiararono a
chiare lettere il ritorno del principe Ruak nella capitale.
Dopo più due mesi di
assenza, era tornato dal suo viaggio nelle lande del nord.
Nell’udire a sua volta quel
suono così struggente, Aken sorrise deliziato e disse piano tra sé:
“Bentornato, fratello.”
Non sarebbe corso incontro a
Ruak, preferendo che Renke e i loro figli lo vedessero in santa pace e in
privato.
Avrebbe parlato con lui
degli aspetti prettamente ‘tecnici’ di
quel viaggio esplorativo più tardi, a tu per tu di fronte a un buon vino invecchiato.
Ci sarebbe stato tempo, per
chiacchierare. Di tempo, ne aveva sempre avuto fin troppo.
***
Impegnato nella rilettura di
una pergamena, che riassumeva in maniera piuttosto stringata entrate e uscite
dei primi sei mesi dell’anno sul commercio di pellame, Aken levò lo sguardo non
appena vide entrare il fratello.
All’esterno, una lieve
brezza portava con sé il profumo dei camini accesi e delle spezie utilizzate
nelle cucine, il tutto mescolato al chiacchiericcio della gente nelle strade, e
allo sferragliare dei carri dei commercianti.
Rajana, come sempre,
splendeva per ricchezza e beltà, ma ormai da tempo la sua visione non interessava
al suo principe primogenito.
Sconsolato, egli osservava sempre
oltre le sue mura, perdendosi in contemplazione del profilo seghettato dei
monti, che circondavano e proteggevano il regno con la loro imponenza.
Anche questa volta, non fu
diversa dalle altre.
Uno sguardo sconsolato alle
montagne visibili oltre le finestre aperte e un’occhiata al fratello, fermo
dinanzi a lui in attesa di un suo sorriso di benvenuto.
Poggiato il rotolo di
pergamena che stava leggendo, Aken disse con un mezzo sorriso: “Bene, vedo che
sei tornato incolume. Com’è stato, il viaggio?”
Sedendosi e accavallando le
lunghe gambe, ancora abbracciate dalle brache di pelle della tenuta da viaggio,
Ruak sospirò sollevato e ammise: “Ottimo, direi! Marhna diventa sempre più
bella, a mio dire. Ho anche provato ad avvicinarmi al villaggio di Nestar come
mi avevi chiesto, ma mi hanno detto che Eikhe non abita più lì. Purtroppo, non
ho potuto parlare con la nuova Signora del Villaggio, perché era fuori per un
viaggio e le sue compaesane, come immaginerai, non sono state per nulla felici
di vedere un uomo alla loro porta.”
“Nuova… Signora? E chi è?”
esalò sorpreso Aken, irrigidendosi sulla poltrona.
“A quanto pare, si chiama
Tyura. Ti dice nulla?” scrollò le spalle Ruak, massaggiandosi il pizzetto che si
era fatto crescere sul mento.
Annuendo, il principe ammise
pensieroso: “E’ la sorella maggiore di Eikhe. E così, lei non è più lì.”
“Già. E le poche persone con
cui ho potuto parlare, non la conoscevano” asserì spiacente Ruak.
Sospirando, Aken annuì lentamente.
“E’ uno strazio non sapere
nulla di lei da più di sedici anni. D’altra parte, non è che possa farci granché.
Se anche avesse tentato di scrivermi…”
“Cosa?” borbottò Ruak, accigliandosi
leggermente di fronte a quella frase lasciata in sospeso.
Il fratello lo fissò
lungamente, restio se parlare o meno mentre Ruak, fissandolo dubbioso, dichiarava
aspramente: “Tieniti pure i tuoi segreti, visto che sembri esserne così geloso.
Ormai, sono anni che ho perso la speranza di sentirti ammettere i motivi di
questo tuo volontario esilio.”
Sospirando, il principe
primogenito scosse il capo, replicando stizzito: “Pensi sia divertente starsene
qui, mentre vorrei essere da tutt’altra parte?!”
“Non lo so proprio, visto
che ti ostini a fare il monaco muto!” sbottò il fratello minore, assottigliando
le iridi cerulee. “O forse, monaco non tanto?”
“Che intendi dire?” ritorse
Aken, accigliandosi subito alle sue parole.
Scrollando le spalle, Ruak
sollevò una mano, ciondolandola da una parte all’altra con fare svogliato, ben
intenzionato a far infuriare il fratello.
“Mentre ero a Marhna, ho
visto una cosa parecchio strana.”
“Che cosa?” insistette il fratello maggiore, fissandolo
con attenzione.
Sbirciando in viso il
fratello, Ruak gli domandò turbato: “E’ possibile che Eikhe ti abbia tenuto volutamente nascosto qualcosa?”
“Perché?” esalò Aken, ora più
che mai sorpreso.
“Forse è stata solo la mia
immaginazione ma, quando siamo passati da Marhna per fare visita al borgomastro,
abbiamo incontrato alcune figlie sacre in città e, tra loro, c’era un ragazzo” ammise
il principe, la voce pensierosa e confusa.
“Come? Ma… la loro legge…”
esalò Aken, ora sgomento. E anche vagamente pallido.
“Lo so, lo so, me l’hai sempre detto. Ma quel giovane era abbigliato di
pelli come loro, sedeva su un cavallo senza briglie e aveva un lupo al suo
fianco. Ma quello che mi ha stupito maggiormente, oltre ad averlo visto con
loro, è stata la somiglianza che aveva con te” asserì infine il fratello minore,
vedendo impallidire ulteriormente Aken.
“Non… non è possibile…”
esalò quest’ultimo, crollando contro lo schienale della sedia, le mani serrate
sui braccioli ricoperti di velluto color amaranto.
“Ora, dando per scontato che
tu sia stato solo con lei…” e nel dirlo, ricevette per diretta conseguenza
un’occhiata ferale da parte del fratello. “…mi viene un dubbio atroce, a cui
solo tu puoi darmi risposta. Quando sei stato con lei, non hai badato a certe
cose, vero?”
“Non ho nessunissima
intenzione di entrare in argomento con te, né con nessun altro” grugnì Aken,
passandosi nervosamente una mano sul viso.
“Pensi che io mi diverta a
chiedertelo? Non sono un ficcanaso e, di certo, non voglio sapere cosa combinavi di preciso con Eikhe. Ma esistono diversi modi per non far rimanere
incinta una donna” replicò il giovane principe, tossicchiando imbarazzato. “Sei
stato attento o no, in definitiva?”
“No” ammise alla fine Aken,
arrossendo suo malgrado sotto lo sguardo attento di suo fratello.
“Questo spiegherebbe un po’ di cose, ma di certo non tutte” commentò Ruak con tono leggermente
aspro.
Passandosi le mani sul viso
pallido e ricoperto da una lieve patina di sudore, il fratello maggiore esalò
sgomento: “Non posso credere che… che non mi abbia detto nulla. Dèi, non può
avermi tenuto nascosto una cosa simile!”
“Aken, può darsi che mi sia
sbagliato. Esistono tanti giovani dai capelli neri” sottolineò a quel punto
Ruak, conciliante.
“Ma non penso ce ne siano
molti, in una tribù di donne-lupo, che mi assomiglino come tu sostieni!”
esclamò il fratello, furioso, levando il capo a guardarlo con espressione
rabbiosa.
Accigliandosi, Ruak
intrecciò le mani dietro la schiena e disse senza mezzi termini: “Anche quanto,
di cosa vorresti incolparla? Pensi che avrebbe potuto tranquillamente
presentarsi qui con un pargolo tra le braccia, piazzartelo in grembo e dirti
che era tuo?!”
“Avrei preferito sapere!”
sbottò Aken, pur sapendo che sarebbe stato impossibile.
Se anche Eikhe avesse
tentato di farglielo sapere, in quegli anni, suo padre avrebbe certamente
intercettato la sua lettera.
E forse, era meglio così.
Dubitava seriamente che, a
conoscenza di un simile segreto, suo padre avrebbe semplicemente taciuto tutto.
Si sarebbe preso il
personale incarico di far fuori anche il neonato, oltre alla madre impura e
indegna di partorire il figlio di un principe.
“E a me piacerebbe sapere
perché tu non hai provato a
rintracciarla di persona! Spiegami perché ti sei segregato qui quando, alla
nascita del mio primogenito, avresti potuto prendere armi e bagagli e andartene!”
sbottò Ruak, adombrandosi in viso.
Reclinando il capo, preferendo
non mostrare al fratello l’odio repentino che era sorto nei suoi occhi, Aken si
limitò a dire: “Ho un compito, qui a palazzo. Eikhe lo sapeva meglio di me.”
Preferiva non pensare a
quanto, quei sedici anni trascorsi tra le mura di quel palazzo, gli fossero
parsi come una condanna a morte procrastinata all’infinito.
“Storie!” sbottò il fratello
minore, piantando un pugno sulla scrivania.
Il calamaio tremò sotto quel
colpo violento, mentre alcuni fogli di pergamena scivolarono dal ripiano,
finendo sulle punte degli stivali di pelle di Aken.
Nell’osservarle
distrattamente, il principe ereditario dichiarò pacato: “Se anche non mi
distruggi la scrivania, io sarei contento lo stesso.”
Percorrendo in pochi, rapidi
passi la distanza che li separava, Ruak afferrò il fratello per il colletto
della tunica e, scrollandolo con forza per fargli sollevare il mento, gli
ringhiò contro: “Voglio la verità, una volta per tutte! Cosa. Ti. Ha. Trattenuto.
Qui?!”
Spingendolo via con un
impeto d’ira, Aken sibilò tra i denti: “Pensi mi sia piaciuto restare qui a
respirare l’aria fetida di questo schifoso palazzo? No, per niente! Ma avrei
dovuto condannare a morte Eikhe?!”
Sobbalzando a quelle parole,
il giovane principe perse qualsiasi animosità, limitandosi a fissare basito il
fratello che, con un pesante sospiro, scosse il capo, sconsolato.
“Pensi che volessi
sobbarcarti del peso di questo segreto? No, per nulla.”
“Aken, ti prego, fidati. Non
hai il minimo rispetto per me?” esalò a quel punto Ruak, sinceramente
dispiaciuto.
Passandogli accanto per
raggiungere la finestra, Aken lanciò uno sguardo alle colline vicine, dove
qualche leggero filamento di nebbia pallida persisteva tra i filari.
Con voce piana, mormorò:
“Rispetto per te, fratello? Ne ho più di quanto tu non creda, ma non volevo
rovinare per sempre la reputazione di nostro padre ai tuoi occhi.”
“Non dirmi che…” ansò Ruak,
non riuscendo neppure a terminare la frase che aveva iniziato.
Volgendosi per scrutarlo in
viso, il fratello si appoggiò al muro perimetrale e annuì.
“La decisione da prendere era
semplice quanto definitiva. O io sceglievo di rimanere a palazzo, salvando
Eikhe dalla forca e le figlie del branco da morte certa, oppure nostro padre
avrebbe inviato un assassino a ucciderla prima ancora che io avessi messo piede
fuori da Rajana per raggiungerla.”
“Oh, dèi, no! Non può averlo
veramente fatto!” esclamò Ruak, cercando a tentoni la poltrona di Aken per
potersi sedere.
La sola idea di un simile
quanto scellerato patto fece impallidire il giovane principe che, scrutando il
fratello, esalò con voce flebile: “Neppure la nascita di Meriton è servita a…”
Scuotendo il capo, Aken mormorò:
“Non gli interessava sapere che la dinastia fosse salva, quanto piuttosto che il
mio sangue non venisse mescolato con qualcuno di impuro. Così, per salvare
Eikhe, accettai di rimanere qui, a patto che lui non la toccasse, altrimenti io
mi sarei ucciso nel momento stesso in cui avessi scoperto che le era successo
qualcosa. E credimi, l’avrei saputo. Non solo nostro padre utilizza delle spie
per tenermi sott’occhio, ma anche io per tenere sotto controllo lui e i suoi
sgherri.”
Passandosi le mani tra i
corti e chiari capelli, Ruak imprecò vistosamente prima di esclamare: “E non
potevi rivolgerti a me, maledizione?!”
Fissandolo sinceramente
stupito, Aken esalò: “Che vuoi dire?”
Imprecando nuovamente, il
fratello minore si levò in piedi in modo così violento da far barcollare lo
scranno su cui si era accomodato e, raggiunto il fratello, poggiò pesantemente
le mani sulle sue spalle.
“Avremmo potuto aiutarti!
Sciocco presuntuoso che non sei altro! Hai perso sedici anni solo per il tuo
stupido orgoglio?!”
“Non volevo rovinare la
stima che tu hai di lui” disse semplicemente Aken, sorridendo a mezzo. “Sei mio
fratello, Ruak. Prima di tutto, viene il tuo bene. Inoltre, come avresti
fermato gli assassini di nostro padre? Ponendoti semplicemente dinanzi a loro?”
“Aken…” esalò il giovane,
sgranando lentamente gli occhi prima di assottigliarli pericolosamente e
scostarsi dal fratello.
Senza nessun preavviso,
scaricò un destro sul mento di Aken che, completamente colto di sorpresa,
incassò senza difendersi e finì contro il muro, sbattendo rumorosamente il
capo.
Imprecando per il male e per
quel colpo proditorio, il fratello maggiore digrignò i denti e lo afferrò per
la collottola, sollevandolo di peso prima di sbatterlo con forza contro la
parete.
“Che accidenti fai,
idiota?!”
“Allora, hai ancora le palle
per reagire!” sogghignò Ruak, cercando di fare forza sulla mano del fratello,
che ancora lo teneva strettamente al collo.
“Deficiente che non sei
altro! Volevi che ti spaccassi la testa, per provartelo?” sibilò Aken, mollando
la presa prima di restituirgli la pariglia e tirargli un destro in faccia.
“Ahia!” esclamò il
secondogenito, tenendosi il naso dolorante.
Un attimo dopo, una scia di
sangue percorse il suo viso, macchiandogli le mani e il colletto inamidato
della tunica. “Ottimo davvero.”
“Te la sei cercata” sbottò
Aken, accennando un sorrisino prima di dire, più seriamente. “Grazie, Ruak. E
scusami.”
“Per cosa? Per il pugno?”
gli replicò lui, estraendo in fretta un fazzoletto dalla tasca dei calzoni per
tamponarsi il naso dolorante e già gonfio.
Scrollando le spalle, come
se del pugno non volesse affatto scusarsi,
Aken si limitò a dire: “Mi scuso per non aver confidato di più in te. Ho voluto
fare tutto dannatamente da solo, e ho finito con il rinchiudermi in un circolo
vizioso che non mi portava da nessuna parte. Nel farlo, ho ferito te, la mamma,
Kannor, Renke… tutti voi. Ma onestamente, cosa avreste potuto fare? Abbiamo
comunque le mani legate.”
Annuendo lentamente, Ruak lo
squadrò accigliato dicendo: “Meno male che lo ammetti. Meglio tardi che mai,
dicono.”
“Quindi, ora che sembro
essere rinsavito, cosa dovrei fare?” ironizzò il fratello maggiore,
massaggiandosi la mandibola. “Maledizione, Ruak, ma tirare più piano, no?”
Indicandosi il naso
malconcio, Ruak replicò caustico: “Mi sembra di aver pagato con gli interessi.”
“Forse” ammise l’altro,
lanciando nuovamente uno sguardo al panorama fuori dalle finestre. “Pensi che,
se anche li trovassi e scoprissi che, effettivamente, quello è mio figlio, mi
vorrebbero con loro? E rimane comunque nostro padre, e la minaccia di uccidere
Eikhe e fare del male alle figlie del branco.”
“Ti farai fermare dal
dubbio?” lo irrise bonariamente Ruak. “Aken, a ogni modo, qui sei infelice, e
non penso tu vorrai passare più della metà della tua esistenza ancora qui.
Ricorda che abbiamo un’aspettativa di vita maledettamente lunga, nella nostra
famiglia. Hai quarantun anni, e passarne altri quaranta, come minimo, a
struggerti per un amore lontano, è un’idea molto più che orrenda. E’ stupida.”
Il fratello aveva ragione.
Per quanto il padre avesse
già settant’anni, era ancora forte come un toro, e non sembrava affatto
intenzionato a mollare le redini del comando.
Aken sarebbe morto di
inedia, prima di vedere il padre prendere la via dei Cieli Azzurri.
Pensiero davvero crudele, ma
del tutto veritiero.
Non poteva aspettare ancora.
Di certo, comunque, non ora
che aveva scoperto che, molto probabilmente, aveva lasciato sola la sua
famiglia per più di sedici anni.
“Dèi, avrebbe tutto il
diritto di uccidermi! Non ho minimamente pensato al fatto che avrei potuto
lasciare molto più del mio seme, dentro di lei” sbottò Aken, dandosi uno
schiaffo in fronte per la stupidità dimostrata.
Abbozzando un sorrisino,
Ruak celiò: “Mi sa che eri troppo preso da lei, per pensare a questo o forse,
inconsciamente, speravi che il tuo
seme attecchisse. Chissà.”
“A ogni buon conto, devo
scoprire la verità. Ho lasciato che la situazione mi sfuggisse di mano,
lasciando che nostro padre potesse minacciare di attentare alla vita di Eikhe,
ma ora cercherò di fare ammenda… se tu mi aiuterai” stabilì Aken, sorridendo
speranzoso all’indirizzo del fratello.
“Ora non darti tutte le
colpe. Anche nostro padre ci ha messo del suo, imponendoti quell’assurdo
accordo. E io ci ho messo del mio non arrivando a capire che non tu, ma qualcun altro, ti tratteneva qui a
palazzo” replicò Ruak, scrollando il capo quando vide Aken tentare di negare il
suo dire. “Ti aiuterò a recuperare ciò che hai perso, fratello. Fosse anche
l’ultima cosa che faccio.”
“Grazie, Ruak” mormorò il
fratello maggiore, avvicinandosi per stringergli il braccio con affetto.
Ruak, allora, lo abbracciò
strettamente e mormorò: “Per te, questo e altro. E’ giunto il tempo che io
aiuti te, e protegga te.”
***
Disporre che, il mattino
seguente, lui e la sua scorta personale partissero per un viaggio in direzione
dei Monti Urlanti, avrebbe sicuramente attirato le attenzioni del re.
Il padre si sarebbe sentito
in dovere di conoscere tutti i particolari dei loro spostamenti e, come da sua
abitudine, avrebbe interrogato in prima persona ogni componente della
compagnia.
Per sua sfortuna, però, essa
contava trentacinque uomini, quindi avrebbe avuto il suo bel daffare per
terminare gli interrogatori prima dell’avvento della sera.
Per quell’ora, Aken sarebbe
stato ben lontano, mentre suo padre si sarebbe ritrovato con un mucchio di
deposizioni inutile, in cui nessuno
era al corrente di nulla.
Ammetteva candidamente che
avrebbe voluto tanto essere una mosca, ed essere presente nel momento in cui
avesse scoperto la verità.
Certo, sarebbe stato subito
ovvio quale fosse la sua destinazione, una volta scoperta la realtà dei fatti.
Contava comunque di ottenere
un discreto vantaggio sulla squadra che, sicuramente, il re avrebbe inviato a
cercarlo per i monti.
Per una volta, sarebbe stato
costretto a delegare il comando a qualcuno che non fossero i figli, e questo
gli avrebbe rubato tempo ulteriore.
Partire all’ora undicesima,
con il favore della notte e quando solo i mercanti si muovevano da Rajana per
raggiungere le Carovaniere, era il sistema migliore per uscire in incognito
dalla capitale.
Indaffarato com’era nel
preparare i bagagli che, a breve, avrebbe caricato sul cavallo, Aken sobbalzò
di sorpresa e si lasciò andare a un ben poco mascolino urlo di sgomento quando,
di colpo, qualcuno bussò alla porta.
Preso fiato e nascoste in
fretta le sacche sotto il letto, Aken domandò: “Chi è?”
“Sono tua madre. Posso
entrare?” chiese Anladi, con voce soffusa.
Sospirando di sollievo, l’uomo
le concesse di entrare dopo un attimo e, mentre la donna emergeva nella stanza
come un’evanescente figura, lui le chiese: “Avevi bisogno di me, madre?”
Lei si limitò a oltrepassare
la distanza che li separava e, dopo aver sfiorato il livido che dipingeva la
mandibola del figlio, sorrise divertita.
“Certo che ve le siete date
di santa ragione.”
“Già. Ed è andata anche bene
che Renke non si è voluta rivalere su di me, per aver malmenato il suo
maritino” ridacchiò Aken, prima di notare lo sguardo serio della madre. “Che
succede, madre?”
Scuotendo il capo, Anladi
infilò una mano tra le falde della gonna e, estratto da una tasca un piccolo
pugnale ingioiellato, afferrò una mano del figlio e ve lo pose sopra.
“Non è che un misero pegno,
rispetto a ciò che ha dovuto pagare Eikhe in questi anni a causa nostra, ma
vorrei che tu glielo donassi da parte mia.”
Accigliandosi leggermente, il
figliastro strinse il pugnale tra le dita, mormorando: “Ruak ti ha detto che…”
Lei annuì, un gesto secco e
dignitoso.
“Non ho fatto a sufficienza
per te, figlio mio, ma ora che hai deciso di ribellarti allo sciocco patto che
hai stretto con tuo padre, voglio essere con te fino in fondo” dichiarò Anladi,
salda nelle sue convinzioni. “Insieme, riusciremo a battere sul tempo tuo
padre, ed Eikhe non verrà mai raggiunta dal lungo braccio della corona.”
“Madre, ma tu non…” tentò di
replicare Aken, subito azzittito da Anladi.
Poggiato un dito sulle
labbra del figlio, la donna sorrise tristemente e mormorò: “Non ho la forza di
Eikhe, né il suo coraggio. Ma posso fare qualcosa per te, anche se non quanto
vorrei.”
“Che intendi dire?” volle
sapere lui, aggrottando leggermente la fronte.
“Darò un sonnifero a tuo
padre perché si svegli più tardi del solito, così avrai qualche ora in più per
renderti irrintracciabile e, se gli dèi lo vorranno, le nevi dell’inverno
cancelleranno il tuo passaggio, impedendo di fatto ad Arkan di preparare una
spedizione da inviare al nord perché trovi te ed Eikhe” gli spiegò Anladi,
sorridendo mesta.
“Madre, sei certa di volerlo
fare?” le chiese allora Aken, stringendole delicatamente le spalle con le mani.
Annuendo con orgoglio,
Anladi dichiarò: “Non sarò una guerriera, ma sono una madre. Perciò, sì, sono
certa di volerlo fare.”
Abbracciandola con
tenerezza, lui le sussurrò tra i folti capelli: “Non sarò tuo figlio di sangue,
ma sono tuo figlio col cuore.”
“Ti ho sempre voluto bene
come se fossi nato dal mio grembo” sussurrò Anladi prima di scostarsi da lui e chiedergli:
“A che punto sei con i preparativi?”
“Ho quasi finito. Contavo di
partire tra mezz’ora” le spiegò Aken, vedendola annuire.
“Andrò a preparare la tisana
per tuo padre come al solito, e aggiungerò della radice di elanna per farlo riposare lungamente. Prima delle undici di
domattina, non riuscirà ad aprire occhio” gli spiegò a quel punto Anladi,
fissandolo con sguardo determinato.
“Grazie” sussurrò Aken.
“Visto che già sai, posso chiederti un favore personale?”
“Tutto ciò che vuoi, figlio
mio” annuì la donna, ben lieta di rendersi utile.
Consegnandole alcune
lettere, le spiegò a chi fossero
indirizzate.
“Sono per Renke, Kannor, Iruna
e Meyor. Non ho materialmente il tempo di spiegare loro cosa stia per
succedere, ma non voglio lasciarli senza neppure una spiegazione. Penserai tu a
che vengano consegnate loro?”
“Le porterò di persona, e
Iruna verrà a lavorare con me, cosicché il suo posto di lavoro sia salvo. E io,
in cambio, avrò un’amica davvero fidata tra le mie fila. Kannor lavora già
spesso con tuo fratello, quindi anche lui non avrà problemi” sorrise Anladi
prima di stringere al petto le missive, protettiva. “Mi farai sapere in qualche
modo che stai bene?”
“Se gli dèi me lo
concederanno, lo farò, madre” la rassicurò Aken, baciandola sulle guance.
La donna allora annuì in
silenzio, non fidandosi a parlare e, con passo silenzioso, uscì dalla stanza
del figlio per recarsi, come ogni sera, nelle cucine del palazzo per preparare
la tisana al suo consorte.
In tanti anni, Arkan aveva
sempre voluto che quel particolare compito spettasse a lei, e lei sola, anche
se non aveva mai compreso i reali motivi di quella richiesta.
Forse, come nel caso dei
figli, per certe questioni si fidava unicamente della propria famiglia.
Alle cuoche era sempre parso
normale, quindi ne aveva dedotto che anche la madre di Aken, a suo tempo,
avesse fatto la stessa cosa.
A onor del vero, comunque,
mai vizio le era parso più propizio e utile di questo, in quel preciso momento.
Con un sorriso che rasentava
la soddisfazione, entrò perciò nell’enorme salone delle cucine, dove quasi
tutti i fuochi erano stati spenti, e solo alcune sguattere erano presenti.
Erano così indaffarate a
strofinare pentolame, da non rendersi neppure conto della presenza della loro regina.
Solo la capocuoca, ancora
presente sul posto come suo solito, le tributò il saluto a lei dovuto.
Dopo averle consegnato la
busta di pelle contenente le foglie per la tisana, si inchinò e si allontanò
per lasciarla ai suoi doveri.
Quando fu certa che nessuno
la osservasse, Anladi fece scaldare l’acqua assieme alla radice di elanna, che aveva tenuto nascosta nella
tasca della gonna fino a quel momento.
Non appena vide bollire
l’infuso, vi aggiunse le solite foglie di uwera
azzurra per facilitare il riposo del suo consorte.
Così facendo, il sapore
amaro della radice non si sarebbe percepito in alcun modo, e Arkan non avrebbe
sospettato nulla nel berlo.
Non le piaceva agire a quel
modo, specialmente nei confronti del marito ma, per aiutare suo figlio, avrebbe
commesso ben altri misfatti.
Mescolando con cura l’infuso
fin quando non prese la sua consueta colorazione verdognola, Anladi poggiò la
tazza su un vassoio d’argento e, in silenzio come era giunta, uscì dalle cucine
per recarsi ai piani superiori.
Da lì, raggiunse la camera
padronale dove, entro breve, sarebbe giunto Arkan di ritorno dalla Sala del
Fumo.
L’odore rancido dei suoi
abiti, quella sera, le sarebbe apparso dolce, visto che quell’assidua abitudine
le aveva permesso di muoversi in tutta calma.
Avrebbe addirittura acceso
lei stessa una delle corte sigarette fumate dalle nobildonne per regalarsi un
attimo di evasione, se non le avesse trovate a dir poco disgustose.
No, meglio pensare alla
buona riuscita del piano.
Le sarebbe bastato veder
dormire Arkan fino a tardi, per avere il suo momento di compiacimento.
Fu perciò con un sorriso e
un saluto che Anladi accolse il marito quando, una decina di minuti dopo, varcò
la soglia con il suo passo claudicante e, al tempo stesso, possente.
La bianca criniera che ne
incorniciava il viso, non faceva che mettere in risalto i suoi tratti scolpiti.
Odiandolo per ciò che aveva
fatto al figlio primogenito in quegli anni, non riuscì a provare un briciolo di
compassione per lui, che non era stato in grado di comprendere Aken come,
invece, Eikhe era riuscita con così tanta chiarezza.
Prenditi cura di lui, e abbi pietà di tutti noi, pensò tra sé Anladi prima di indicare la tisana al
marito e dire: “Il tuo tonico, caro, come sempre.”
“Grazie, moglie” borbottò al
solito Arkan, sedendosi sul bordo del letto prima di prendere in mano la tazza.
Scrutandolo dalla parte
opposta del talamo, lo sguardo fisso sulle labbra del marito dischiuse sulla
ceramica bianca, si lasciò andare a un sorriso di autentico trionfo quando
scorse il liquido scivolare nella sua bocca.
Al movimento della sua gola
nel deglutire, la donna esultò tra sé: “E’
fatta, Aken! E’ fatta!”
***
L’aria mattutina era
frizzante sulla sua pelle e, oltre le mura di Rajana, il paesaggio era bello
come pochi.
Ora che poteva vederlo senza
sognarlo a occhi aperti come aveva fatto in quegli interminabili sedici anni,
non gli sembrava vero poter riprendere la via dei monti e visitare nuovamente
il suo regno.
Spronando il suo cavallo a
proseguire lungo la Carovaniera Settentrionale in direzione di Marhna, Aken
sorrise nel pensare al putiferio che, la sua mancanza, avrebbe prodotto a
palazzo.
Alla fin fine, però, poco
gli importava.
Doveva trovare Eikhe e
sapere se, realmente, avevano avuto un figlio insieme.
Stavolta, corona o non
corona, sarebbe arrivato in fondo alla cosa e non l’avrebbe abbandonata mai più.
***
“Come sarebbe a dire che nessuno sa dove sia andato mio figlio?!
Non può essere svanito nel nulla!” sbraitò re Arkan, dopo aver interrogato uno
a uno la scorta privata di Aken.
Non solo quella mattina si
era alzato più tardi del solito, provando oltretutto un insolito quanto
fastidioso mal di capo, ma aveva scoperto con orrore della decisione del figlio
di abbandonare Rajana.
Naturalmente, si era mosso
lesto per raggiungere le stanze di Aken, e solo per scoprire che lui era
svanito nel nulla.
La sua scorta di soldati,
invece, era ferma da ore nel cortile del palazzo, in attesa di ordini che non
erano mai giunti.
Interrogati gli uomini uno a
uno, per essere certo che nessuno di loro volesse coprire il loro principe
mentendo spudoratamente, Arkan si era ben presto ritrovato davanti a un
autentico rompicapo.
Neppure un soldato era stato
in grado di riferirgli alcunché. Avevano tutti trovato l’avviso, la sera
antecedente, di prepararsi per la partenza il mattino seguente.
Null’altro. Né la
destinazione del viaggio, né tanto meno la durata.
In piedi alle spalle del
pare, Ruak rimase impassibile per ore a osservare gli interrogatori portati
avanti dal sovrano con sempre crescente irritazione.
Il comandante della
guarnigione, a sua volta presente, non seppe che dire, di fronte a un simile mistero
e, contrito, mormorò spiacente: “Abbiamo ricevuto ordine di tenerci pronti per
stamani, Sire, ma il principe non si è mai presentato, né ci ha mai fatto
sapere la destinazione del suo viaggio.”
“Maledizione! E le guardie
di vedetta, …non hanno visto nessuno?!” esclamò il re, battendo a terra il suo
bastone quand’anche l’ultimo soldato, all’imbrunire, fu mandato via
dall’ufficio del comandante.
Incassando il capo tra le
spalle, il comandante mormorò contrito: “Escono molti commercianti, la notte, mio
Signore e, se il principe si fosse
accodato a loro, nessuno avrebbe potuto riconoscerlo, né tanto meno notarlo.”
“Siete degli incompetenti!
Tutti quanti! Vi siete fatti sfuggire un uomo da sotto il naso!” ringhiò Arkan,
fuori di sé dalla rabbia. “Non è un caso se i miei ordini vengono sempre
eseguiti dai miei figli! Siete del tutto inutili!”
“Padre, Aken è abbastanza
bravo, in questo. Non puoi dare loro la colpa per non averlo notato” commentò
Ruak, conciliante.
“E tu… ha parlato con te,
prima di questa follia! Cosa gli hai detto?!” sbottò per contro l’uomo,
fissando il figlio minore con espressione torva.
“Nulla di così eclatante. Gli
ho solo fatto un resoconto del mio viaggio, com’era mio dovere fare” dichiarò
il figlio, imperturbabile.
“Vieni con me, Ruak. Io e te
dobbiamo parlare” gli ordinò il re, avviandosi con passo claudicante fuori
dall’ufficio del capo guarnigione.
Lasciando che suo padre
rientrasse a palazzo per i fatti suoi, Ruak fece cenno al comandante di non
preoccuparsi di nulla dopodiché, raggiunto il padre dopo una breve corsetta, lo
affiancò e disse: “Secondo me, non c’è di che preoccuparsi, padre. Sono sicuro
che tornerà presto. Inoltre, trattare i soldati a questo modo, è tutt’altro che
utile alla corona.”
“Oh, lo farà di certo,
perché scandaglierò ogni centimetro del regno, per riportarlo indietro. Quanto
ai soldati, meritano le reprimende che ho rifilato loro, poiché non sono in
grado di fare quanto assegnatogli” sentenziò Arkan, sorprendendo il figlio col
suo dire. “Gli era vietato uscire da Rajana, e lui lo sapeva, e posso solo
pensare a un’unica cosa, o meglio, a un’unica
persona che lo abbia spinto a un simile gesto.”
Aggrottando la fronte, Ruak
aprì per il padre un portoncino di legno per rientrare all’interno del palazzo
ma, prima di lasciargli libero accesso, si volse verso di lui tenendo il
braccio teso contro lo stipite della porta.
“Tu hai tenuto rinchiuso tuo
figlio per sedici anni, e solo perché non si è voluto piegare ai tuoi voleri?!”
“Rinchiuso! Rajana non è una
prigione!” replicò il re, furibondo, dando una spinta al braccio del figlio, ma
senza ottenere grossi risultati.
Accigliato, lo fissò con
sguardo sempre più ombroso ma Ruak, incurante del suo fiero cipiglio e del suo
orgoglio ferito, replicò con ferocia: “Per una persona con il cuore di Aken, la
è eccome! Per questo si è fatto più ombroso e cupo, anno dopo anno, impedendosi
di vivere come avrebbe voluto!”
“Tuo fratello ha accettato
il patto, quindi era consapevole di ciò che lo avrebbe aspettato!” replicò
Arkan, testardamente. “Tu non sai cosa avrebbe voluto fare!”
“Oh, se lo so! E mi chiedo
con che coraggio tu gliel’abbia vietato, però!” sbuffò il figlio, disgustato.
“Maledizione, Ruak! Mi ha
chiesto di lasciare Rajana per… per una semplice donna-lupo!” esclamò il re, ora
sconvolto di fronte alle esternazioni del figlio.
“Quella stessa donna-lupo
che ha salvato Aken e il regno, con le sue informazioni, e che tu hai tanto
elogiato al suo arrivo qui a palazzo! O l’hai dimenticato? Spiegami perché
Eikhe non meritava l’amore di mio fratello e, forse, ti concederò di comprendere
anche il tuo punto di vista” sibilò
Ruak al colmo della rabbia, gli occhi azzurri freddi come lame di ghiaccio.
“Non puoi capire. Tu ti sei
sposato con Renke perché io l’ho deciso, ma solo per vostra fortuna siete uniti
anche dall’amore. Ma le cose non funzionano quasi mai così, nella vita. Aken ha
dei doveri, e deve assolverli!” ringhiò Arkan, diventando scarlatto in viso per
l’ira.
“Ma ha anche un cuore, e io
reputo sia più importante questo, piuttosto che gli stupidi doveri cui è
sottoposto! Non ti sei mai reso conto che Aken, qui a corte, non si è mai
trovato bene, anche prima di conoscere Eikhe?” replicò Ruak, ormai livido.
Sbatté le braccia, furente
come mai prima, e tornò ad affrontarlo.
“Lui si sentiva appagato
solo quando era fuori da palazzo, in aperta campagna, con i suoi uomini, ma non
qui, non in questo suppurato di veleni che è la corte!”
“Che vuoi dire, Ruak!?”
ringhiò il padre, aggrappandosi con forza al suo braccio teso per scostarlo.
Nulla da fare, il figlio era
irremovibile.
“Che stavi uccidendo tuo
figlio, padre, e solo perché non sei riuscito a vedere oltre il tuo naso!”
disse Ruak, spietato. “E io non ti aiuterò a perpetrare questa immonda opera!
Se realmente lo vuoi riportare qui, dovrai fare da solo. Da me non uscirà una
sola parola.”
Detto ciò, Ruak abbassò
finalmente il braccio per lasciarlo passare e il padre, sbuffando sprezzante,
esclamò: “Lo troverò senza il tuo aiuto, stanne certo! E farò ciò che avrei
dovuto fare tanti anni addietro, indipendentemente dalle parole di mio figlio. Uccidere quella donna.”
Accigliandosi mentre, con
passo claudicante quanto fiero, il padre si allontanava da lui per dirigersi
verso il suo studio, Ruak si volse per tornare alla guarnigione.
Lì, parlò direttamente a uno
dei suoi uomini più fidati e, dopo essersi assicurato di venire avvisato di
qualsiasi mossa del padre, tornò a palazzo, da sua moglie.
Fu sul mezzanino delle scale,
che portavano all’ala del palazzo che divideva con Renke, che si vide sbarrare
la strada dalla madre.
Il suo sguardo preoccupato
le fece capire quanto fosse in ansia – per il marito o Aken, non avrebbe saputo
dire – e, torvo, si limitò a chiederle: “Perché non capisce?”
Anladi non disse nulla, limitandosi
ad abbracciarlo con delicatezza e Ruak, stringendola a sé, sospirò tra i suoi
capelli striati di bianco sulle tempie.
“Se riesce a riportarlo qui,
ne morirà. Non ci sarà speranza, per lui.”
“Eikhe riuscirà a salvarlo,
ne sono sicura” mormorò la madre, sorridendo mesta al figlio nello scostarsi da
lui. “Insieme riusciranno laddove, da soli, avrebbero avuto pochissime
possibilità.”
“Lo spero. Non ho intenzione
di vedere ancora mio fratello nello
stato in cui versava quando era qui” sospirò Ruak, prima di aggiungere: “Vado
dai miei figli, madre. Se avessi bisogno di me, sai dove trovarmi.”
“Sì, Ruak, pensa a loro. Io
me la caverò. L’ho fatto per così tanti anni” annuì Anladi, con un lieve
sospiro.
“Se dovesse toccarti anche
solo con dito, io…” iniziò col dire Ruak, prima di venire azzittito dalla madre
che, con un dito, sfiorò le sue labbra tese in una smorfia.
“Starò alla larga da lui
finché non avrà ripreso il controllo di sé e, a quel punto, non rischierò più
nulla. Ormai, penso di aver imparato bene a capire come prendere tuo padre”
replicò la donna, abbozzando un sorriso.
Dandole un bacio sulla
fronte, Ruak si allontanò dopo averle sussurrato torvo: “Imparato o meno, se ti
tocca, lo ammazzo.”
***
Seduto di fronte al letto
della sua terzogenita, Naell, Ruak levò lo sguardo quando udì i passi a lui
familiari della moglie e, sorridendole, la accolse vicino a sé.
“La febbre mi sembra sia
calata.”
“Sì, caro” annuì Renke,
sorridendogli. “Ho controllato anche prima, e pare stia procedendo tutto bene.
Per domani, comincerà a fare di nuovo i capricci.”
“Ottimo” ridacchiò lui,
stringendole una mano prima di portarsela alle labbra per un casto bacio.
“Tra la servitù, si fa un
gran parlare della lite con tuo padre, oltre che della fuga di Aken. Cos’è
successo?” chiese a quel punto Renke, fissando curiosa il marito.
“Aken ha scoperto di non
poter più vivere qui, punto” riassunse il marito, glaciale. “Se mio padre non
lo capisce, tanto peggio per lui. Io non lo aiuterò a trovarlo.”
“Tu sai dov’è?” gli chiese allora
la moglie, carezzandogli il collo con un dito in lente, dolci carezze.
“A grandi linee, ma non te
lo dirò, così potrai dire in tutta sincerità di non saperlo, se mai un giorno
oseranno chiedertelo” le sorrise Ruak, prendendola con calma sulle sue
ginocchia.
Affondando poi il viso tra i
suoi capelli, rilasciati mollemente sulle spalle, l’uomo aggiunse: “Ho visto
mio fratello farsi sempre più cupo, anno dopo anno, senza saperne i motivi, ma
ora che so farò il possibile perché non lo riportino indietro.”
“Tuo fratello sarebbe
orgoglioso di te” sorrise Renke, baciandolo sulle guance con tenerezza. “E’
andato dal suo amore perduto?”
“Come lo sai?” esalò Ruak,
sorpreso, fissandola con estrema curiosità.
Ridacchiando, la moglie
disse: “Voi uomini siete trasparenti come il vetro, per certe cose. Si vedeva
bene che il cuore di Aken era lacerato da un amore che non poteva vivere
pienamente, quindi ho dedotto che la sua fuga fosse dovuta a quello.”
“Sei una miniera
inesauribile di sorprese, mio amore…” sorrise Ruak. “… sì, sta andando da lei.”
“Sono sicuro che saprà
trovarla. Quando si mette in testa una cosa, tuo fratello fa di tutto per
portarla a termine. Nel bene e nel male, almeno da quanto abbiamo visto, ti
pare?” sorrise Renke.
“Già, hai ragione” annuì
Ruak.
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Capitolo 24 *** cap. 24 ***
24.
L’imbrunire stava scivolando
lentamente attorno ad Aken, con i suoi colori cupi e l’aria sempre più fredda.
Cercando con lo sguardo un
luogo per nascondersi per la notte, il principe desiderò trovare quanto prima
un rifugio adatto allo scopo.
Era impensabile fermarsi in
un villaggio – era possibile che qualcuno lo riconoscesse, nonostante gli anni
passati chiuso al castello.
Ancora di più, era rischiosa
la sola idea di utilizzare una delle capanne che sorgevano sul ciglio della
Carovaniera.
Pur se adibite appositamente
allo scopo di ospitare i viandanti, sempre in transito lungo la via del nord, non
erano adatte a lui, che era un fuggiasco ricercato.
Sarebbe stato il primo luogo
in cui gli armigeri di suo padre – e un tempo suoi uomini – lo avrebbero
cercato.
Alla capitale, ormai, il
padre doveva aver compreso le sue intenzioni e, se lo conosceva bene, stava già
predisponendo una squadra di ricerche.
E una pronta a riversarsi su
Nestar per uccidere Eikhe, pur se ora sapeva che lei non si trovava più lì.
Questo, però, i soldati non
lo sapevano e, per evitare che innocenti donne-lupo pagassero per loro, avrebbe
dovuto raggiungere Marnha per primo, e alla svelta.
Per questo, era
consigliabile non lasciare in giro neppure il più piccolo brandello di prova
della sua presenza.
Il bosco era l’unica
soluzione.
Oltre a un aiuto insperato,
pensò un secondo dopo, sorpreso.
Aken levò il capo con
sguardo colmo di stupore quando, alle sue orecchie, giunse il familiare ululato
di un lupo. Un lupo molto particolare.
Si volse a destra e a
sinistra, ben deciso a comprendere da dove provenisse quel suono ancestrale.
Solo una volta nella vita
aveva udito quel particolare suono, e
non era più riuscito a dimenticarlo.
Sapeva fin troppo bene chi era.
Evanescente come
un’apparizione spettrale, una bianca figura ammantata da un alone di luce
spuntò come dal nulla dal bordo della foresta.
Mentre il cavallo scartava
nervosamente sotto di lui, Aken fissò a lungo quella divina emanazione, senza peraltro
riuscire ad aprire bocca ed esternare in qualche modo la sua sorpresa.
Mai, nella vita, si sarebbe
aspettato di veder comparire nuovamente dinanzi a lui la figura immortale di
Hevos.
A quanto pareva, però, il
dio-lupo lo stava onorando della sua presenza per motivi che ignorava
completamente.
Il principe diede delle
pacche leggere sul collo del cavallo per calmarlo mentre, con lievi sussurri
all’orecchio, lo pregava di non spaventarsi.
Allo stesso tempo, la voce
stentorea del dio-lupo gli giunse alle orecchie come una musica magistralmente
eseguita.
“Vieni a me, figlio del
branco, e ripara il tuo corpo mortale dalla notte!”
Smontando da cavallo con
un’espressione sul volto che rasentava lo sconcerto, Aken attirò il cavallo verso
il bosco, strattonandolo gentilmente per le briglie.
Hevos, imperturbabile, si
sedette sulle zampe posteriori, attendendo paziente il suo arrivo.
Quando fu abbastanza vicino
per scorgere bene la sua figura, il principe notò un particolare curioso e che,
la prima volta che si erano incontrati, non aveva scorto.
Attorno al lupo, un lieve
strato di brina ricopriva le foglie secche del prato ove era assiso.
Come se Hevos avesse
compreso il motivo di tanta curiosità, dipinta nei suoi occhi di smeraldo,
disse a mo’ di spiegazione: “Io e la neve siamo eterni compagni. In nessun
altro modo avrei potuto chiamare a Rajana la tempesta, tanti anni addietro.”
Rammentando il tempo in cui
Eikhe era rimasta a palazzo proprio
grazie ai buoni uffici di Hevos, Aken sorrise leggermente.
“Ti ringrazio, per quella
volta. Non ho mai avuto occasione di dirtelo.”
Il lupo si levò sulle zampe,
incamminandosi silenzioso verso la foresta mentre, a ogni suo passo, l’erba si
ricopriva di brina frastagliata e dall’aspetto di fragile cristallo.
Lesto, il principe lo
affiancò silenzioso e Hevos, lanciatagli un’occhiata veloce con gli occhi
ambrati, tornò poi a osservare il contorno oscuro del bosco nel quale si
sarebbero presto inoltrati.
Triste, il dio mormorò: “Mi
spiace che abbiate dovuto soffrire entrambi così tanto ma, ciò che doveva
essere fatto, è stato compiuto. Il tempo è giunto.”
“Cosa intendi dire?” volle
sapere Aken, continuando ad accarezzare il collo del cavallo a momenti alterni,
mentre il suo sguardo era tutto per il dio-lupo.
Quando raggiunsero il
limitare della foresta, Hevos scartò verso sinistra e domandò con voce piana:
“Cos’hai compiuto, in questi anni, a Rajana?”
“Un bel nulla, direi” sbottò
lui, sentendo il lupo ridacchiare sommessamente per diretta conseguenza.
Accigliandosi, Aken si
chiese se il dio si stesse per caso prendendo gioco di lui ma Hevos, prevenendo
qualsiasi sua risposta sdegnata, si spiegò meglio.
“Davvero definisci ‘nulla’ ciò che hai fatto all’Accademia,
in questi anni?”
Sobbalzando per la sorpresa,
il principe esalò costernato: “Come fai a sapere che…?”
Se il lupo avesse potuto
sorridere, probabilmente l’avrebbe fatto.
I suoi occhi, comunque, gli comunicarono
un certo divertimento e Aken, storcendo il naso, si rispose da solo.
“Sei un dio. Ovvio che tu lo
sappia.”
“Per l’appunto. Ciò che
serviva per il cambiamento, è stato fatto da ambo le parti. Eikhe ha portato
avanti la sua personale battaglia, e
tu la tua. Hai fatto germogliare
nuove idee, nelle menti dei giovani soldati che sono usciti dall’Accademia
militare ove tu ti sei prodigato nell’insegnare e, a loro volta, essi insegneranno
ad altri giovani come loro, e tutto per merito tuo.”
“Non mi sembra di aver fatto
granché” precisò Aken, storcendo la bocca in una smorfia di disappunto.
“Hai cambiato il loro modo
di rapportarsi alle donne, fin da quando conducesti Eikhe a palazzo,
dimostrando ai tuoi soldati quanto esse
valgano. Hai poi proseguito su questa linea, insegnando ai tuoi giovani
cavalieri come essere dei buoni soldati… e
dei buoni uomini. Hai dato la forza a tua madre di essere più di una
semplice moglie e madre. Tua sorella ha imparato l’umiltà e il coraggio di
chiedere consiglio. Tuo fratello è maturato seguendo il tuo esempio, Renke ti
ha sempre tenuto in grande stima, desiderando sempre il tuo beneplacito. Ti
sembra poco?” replicò Hevos con tono leggermente divertito.
“Se così credi…” borbottò
lui, ancora poco convinto.
Ridacchiando, il dio esalò:
“Così modesti! Tu e lei vi somigliate talmente
tanto!”
“Parli di Eikhe? Lei come
sta?” chiese subito Aken, sperando che lui sapesse qualcosa sull’amata.
“Ella vive in un luogo
adatto a lei e al figlio, ora” poi, notando l’irrigidimento delle spalle
dell’uomo, aggiunse comprensivo: “Sì, vostro
figlio, Aken di Rajana.”
“Oh, dèi!” esalò a quel
punto lui, aggrappandosi alla sella per non correre il rischio di crollare a
terra.
Hevos si fermò, attendendo
paziente che il principe si riprendesse e, nel notare un bagliore di rabbia
negli occhi dell’uomo, asserì con tono fermo: “Non era il tempo, all’epoca.
Nessuno di voi due aveva compiuto i passi che dovevano essere fatti per
raggiungere lo scopo finale.”
“E quale sarebbe, questo scopo finale?!” sibilò allora Aken,
accigliandosi non poco.
Di cosa mai stava
blaterando?
“Una nuova Via. Non solo le
donne-lupo dovevano prendere nuovamente coscienza di sé, ma anche gli uomini.
Voi avete dato inizio a una nuova Era, avete concesso alle future generazioni
la possibilità di scegliere ma, per farlo, è stato necessario un sacrificio,
cui vi siete prestati volontariamente e con grande coraggio” gli spiegò Hevos,
scodinzolando orgoglioso.
Passandosi una mano tra i
folti capelli, lui replicò vagamente stizzito: “E naturalmente, nessuno di noi
doveva sapere un bel niente, vero?! E parli di prestazione volontaria? Col
cavolo!”
Per nulla sconvolto dal suo
sfogo, Hevos si limitò a scodinzolare tranquillo.
“Esiste il libero arbitrio,
principe. Il Fato non è scritto, è solo una luce che vi guida nell’oscurità, ma
avete sempre la possibilità di non seguirla, e vagare nel buio alla ricerca di
strade alternative. Io non avrei mai potuto obbligarvi a seguire la strada
scritta per voi. Avreste potuto dimenticare tutto e tutti e restare assieme, ma
sareste stati braccati a vita come animali e, alla fine, non avreste vissuto
felici.”
Aken non poté replicare.
Anche lui era giunto più e più volte a quella conclusione, pur non trovandola
affatto giusta.
“Ligi al vostro dovere,
avete scelto la strada più difficoltosa, ma più giusta per un fine superiore, e
vi siete sacrificati per il bene delle persone che volevate proteggere, dando
così il via a un nuovo corso. Ora, però,
avete la possibilità di godere di questi frutti, perché avete creato
attorno a voi un nuovo mondo in cui poter vivere, e persone abbastanza forti da
sostenere il vostro desiderio, non
più quello del Fato” decretò infine il dio, fissandolo con estrema serietà.
Sospirando afflitto, Aken si
appoggiò al cavallo mentre osservava indeciso il dio-lupo, a metà tra la rabbia
e l’orgoglio dolente.
Con voce resa roca dalle
emozioni contrastanti che provava, esclamò torvo: “Ma ho sacrificato mio figlio!”
Scuotendo il muso, Hevos
replicò: “Tuo figlio è cresciuto amato e vezzeggiato, fortificato nello spirito
e nel corpo dalla madre, e da tutti coloro che gli sono stati vicino in questi
anni.”
“Sa di me?” chiese allora
Aken, con un groppo in gola.
Sarebbe soffocato entro
breve, se non avesse saputo qualcosa in più su di lui.
“No. Eikhe ha preferito non
dirgli nulla per non farlo soffrire. Ti pensa molto e prova sentimenti contrastanti
per te, e ha un sacco di domande che non ha mai osato fare alla madre, ma penso
potrai rispondervi tu stesso quando vi incontrerete” gli spiegò il dio-lupo,
riprendendo a camminare speditamente nella foresta, silenzioso nel suo cammino
come un fiocco di neve nel suo lento discendere dal cielo.
Seguendolo a distanza di
qualche passo, Aken allora chiese: “Quindi, non mi odia?”
“Si odia profondamente solo
chi si ama profondamente” disse laconicamente Hevos. “E’ un ragazzo, ed è
confuso. Dovrai essere tu a instillargli la fiducia di cui ha bisogno perché ti
ami senza condizionamenti.”
Annuendo con veemenza, Aken
sussurrò: “Lo farò. Anche a costo di impiegare una vita intera per farlo.”
“Sono lieto tu lo dica. Sono
orgoglioso del ragazzo, e così pure Eikhe” assentì Hevos, prima di indicare con
il muso una protuberanza rocciosa. “Lì c’è una piccola grotta. Ti servirà per
la notte.”
“Grazie” annuì il principe,
dirigendosi verso l’oscura apertura assieme a Hevos. “Posso sapere il suo
nome?”
“Antalion. Il nome di tuo figlio
è Antalion.”
Hevos entrò per primo nella
grotta e continuò nel dire: “Ti accompagnerò fino a Marhna ma, da lì in poi,
dovrai proseguire da solo.”
“Come mai fino a Marhna?”
chiese sorpreso Aken.
Aveva pensato che, dopo
quella visita estemporanea, se ne sarebbe andato come un fantasma nella notte.
“L’unico modo per fermare
tuo padre è mettere di fronte a lui una barriera che non potrà superare in
alcun modo” gli spiegò il dio, accucciandosi a terra prima di poggiare il muso
sulle zampe anteriori. “Sta già radunando uomini a sufficienza per scandagliare
le montagne nella tua ricerca, e in quella di Eikhe.”
Aken imprecò, ma il dio non
vi badò.
Un attimo dopo, proseguì
dicendo: “Porterò sulla Carovaniera del Nord una tempesta di neve come mai si è
vista prima, ed essa bloccherà gli uomini di tuo padre per tutto l’inverno. Di
più non posso fare, per voi. Non posso permettermi di interferire più di quel
tanto con il clima. Anticiperò solo di poco l’inverno vero e proprio, ma non
posso stravolgere l’ordine delle cose.”
“Te ne sono grato. Non
speravo in niente del genere” mormorò Aken, un caloroso sorriso dipinto sul
viso stanco.
Chiudendo gli occhi, Hevos
sussurrò: “Devo pur ripagarti in qualche modo, per il tempo speso per una causa
superiore, no?”
“Non saprei. Sei un dio,
perciò non so come puoi pensarla” precisò l’uomo, posando a terra la sella del
cavallo prima di accomodarsi su un masso.
Pensieroso, scrutò il grande
lupo bianco ammantato di candida brina.
“Penso al bene superiore, è
ovvio, ma penso anche a coloro che mi hanno aiutato a portare avanti i miei
intenti, perciò ho a cuore sia te che Eikhe. Come tutti coloro che vi hanno
dato una mano a creare ciò che sta ormai camminando sulle proprie gambe. Non
c’è più bisogno della vostra guida, poiché il processo è irreversibile”
sussurrò Hevos con voce tenue, apparentemente non meno stanca di quella del
principe.
“E se perdessero di nuovo la
via?” chiese a quel punto Aken, intrecciando le braccia sul torace.
“Confiderò nella nascita di
due spiriti affini che possano nuovamente trovare il giusto cammino” mormorò il
dio. “Anche perché è sempre più difficile, per me, camminare su questo mondo e,
ormai, le mie creature sono abbastanza grandi per poter procedere sulle proprie
gambe senza il mio aiuto.”
“Un immortale può morire?”
chiese Aken, leggermente turbato dal tono di voce mesto del dio-lupo.
“Se rimanessi troppo tempo
tra di voi, sì. Il mio mondo non è questo. Per questo non potei rimanere con
Hyo quanto avrei voluto, né lei poté restare nel mio come era mio desiderio. Fu
a causa di ciò, che dovetti trascorrere secoli nel mio universo, dopo la nostra separazione, senza poter tornare qui e dare una mano alle mie
figlie e ai miei figli” disse Hevos, tristemente. “Dovetti rigenerarmi.”
“E quanto ti costerà il
tempo che passerai con me?” si informò Aken, sentendosi in colpa per averlo mal
giudicato in precedenza.
“Dovrò abbandonarvi per diversi
anni, ma penso ne sarà valsa la pena” asserì Hevos, prima di esalare stancamente:
“Ora riposa, Aken di Rajana. Ne abbiamo entrambi bisogno.”
“Sì” sussurrò il principe,
chiudendo a sua volta gli occhi prima di lasciarsi trasportare in un sonno
privo di sogni e, per una volta, piacevole.
***
Spinto dal desiderio e
dall’aspettativa, Aken percorse le miglia che lo separavano da Marhna in un
tempo insolitamente breve.
A valle, nel frattempo, nere
e dense nubi temporalesche si chiusero come un coperchio sulla pianura che
circondava Rajana, senza più muoversi da lì.
Hevos, per tutto il tempo,
camminò al suo fianco lungo il sentiero boschivo che scelsero di percorrere e,
incessante, il suo potere dilagò attorno a lui come brina argentata.
Fu al calar del sole del
loro decimo giorno di viaggio che Hevos, ormai fiaccato dall’uso continuo dei
suoi poteri, bloccò di colpo le sue emanazioni.
Fissando il suo compagno di
viaggio con aria stanca e provata, disse con voce piana: “La via del nord è
preclusa fino al disgelo, ora. Vai, figlio del branco, e trova l’altra metà del
tuo cuore che, per tanto tempo, ho tenuto separato da te.”
“Grazie per l’aiuto che mi
hai dato, e per ciò che mi hai detto. Terrò a mente ogni tua parola, e onorerò
il tuo nome e le tue imprese” asserì Aken, con un cenno ossequioso del capo.
Hevos si limitò ad annuire
prima di trotterellare via nel bosco, pallido come uno spettro e luminescente
come una stella.
In breve, la sua figura
galleggiò nell’aria fino a svanire e, in quel momento, Aken comprese di essere
nuovamente solo.
Dinanzi a lui, Marhna.
Ammirato e lieto, entrò a
cavallo percorrendo la via principale, osservando con meraviglia ciò che il
tempo aveva saputo creare in quel paese di montagna tanto amato.
Ora, splendeva come fulgida
perla per bellezza ed eleganza.
Molto più imponente rispetto
a quanto non ricordasse, Marhna era diventata un’autentica cittadina, con le
sue alte mura di cinta, le torri di guardia e le porte di ferro a delimitarne
le strade di accesso.
In quella giornata di sole,
alle soglie di un inverno che, per bocca di Hevos, sarebbe stato più rigido dei
precedenti, Aken proseguì lungo la via, ben deciso a dirigersi verso l’unico
luogo in cui avrebbe potuto chiedere di Eikhe.
La locanda ove l’aveva vista
per la prima volta non era cambiata molto, nel corso di quegli anni.
L’insegna era stata
ammodernata, ma l’interno del locale era sempre profumato di carne speziata e
legno aromatizzato.
I tavoli, come ben
rammentava, erano disposti per il lungo nell’enorme sala da pranzo, dove
l’imponente camino bruciava allegro.
In quel momento, un enorme
cervo stava cocendo per la cena di quella sera.
Al bancone del bar, però,
non vide il vecchio locandiere di un tempo, ma un giovane imberbe e dall’aria
solare che, vedendolo entrare, si aprì in un largo sorriso di benvenuto.
“Buongiorno, messere. In
cosa posso esserle utile?”
Poggiate le sacche da
viaggio accanto a un alto sgabello di legno, ricoperto da uno scuro cuscino imbottito,
Aken vi si accomodò ordinando una birra alle spezie.
Poggiata poi una moneta di
rame sul bancone, chiese gentilmente: “Cerco una donna-lupo di nome Eikhe. La
conosci?”
Versando la birra in un
grosso boccale di legno, il giovane accompagnò la bibita da una fresca pagnotta
di pane alla crusca dopodiché, con aria pensierosa, porse il tutto ad Aken.
“E’ un nome che non mi è
nuovo, ma direi un’eresia ammettendo di sapere di chi parla. Ma posso chiedere
al mio titolare, se è una cosa importante.”
“Lo è, in effetti” annuì il
principe, afferrando il boccale prima di portarsi la birra profumata alla
bocca. “Ahhh, è sempre buonissima.”
“E’ già stato nostro
cliente?” chiese allora il giovane, incuriosito.
“Tanto tempo fa” annuì lui,
strappando dalla pagnotta un pezzo da portare alle labbra. “Sì, la mano della
cuoca la riconoscerei ovunque.”
Ridacchiando, il giovane sorrise
compiaciuto.
“Laranna sarà contenta di
sapere che, dopo tanti anni, ci si ricorda ancora del suo pane. Vado a chiedere
al mio padrone, mentre lei beve la birra.”
“Grazie” asserì Aken,
continuando a servirsi.
Da quando aveva lasciato
Rajana, tutto era tornato a piacergli, ogni cosa aveva ripreso ad avere il
sapore giusto, persino gli odori forti degli animali, o quello dei suoi abiti
non più tanto puliti.
Pareva che persino i suoi
sensi, in quegli anni, si fossero assopiti assieme al suo spirito ma che, con
il ritorno a luoghi da lui così amati, ogni cosa avesse preso la giusta
direzione.
Non poteva che esserne
felice. Era stanco di non essere più in grado di assaporare nulla, di non
godere più di nulla.
Quando, infine, il giovane tornò,
la birra era già terminata e così pure la pagnotta.
A un cenno di Aken, il
ragazzo gliene servì una seconda dose e, nel farlo, disse: “Il mio capo ha
detto che lui conosce una sola donna-lupo di nome Eikhe, ed è la figlia del
mercante di pellami che c’è in fondo alla via, ma non abita più nei pressi di
Marhna da anni. Dice che si è trasferita in un paesino di donne-lupo a due
giorni da qui, verso nord-ovest.”
“Molto bene. Non speravo in
niente di meglio” annuì soddisfatto, sorseggiando la buona e fresca birra. “Mi
puoi far preparare un cestino con la cena? Dovrei rimettermi in viaggio quanto
prima.”
“Naturalmente. Torno subito”
annuì il ragazzo, quando vide posare sul bancone una moneta d’argento per il
servizio.
Rimasto solo, Aken lanciò
uno sguardo verso le finestre che davano sulla strada e, sorriso che ebbe,
disse tra sé: “Manca ancora poco, Eikhe, e sarò da te.”
Dopo aver atteso per una
ventina di minuti il suo cestino per il pranzo, ringraziò il giovane per i
servizi resi, dopodiché tornò dal suo cavallo e salì in groppa.
Era ben deciso a non rimanere
un secondo di più nell’accogliente cittadina; per quanto amena, non era la sua
destinazione finale.
Rivedere Marhna lo aveva
riempito di gioia e soddisfazione, ma non voleva più sprecare un solo attimo,
lontano da Eikhe.
Ogni respiro lo stava conducendo
da lei, perciò, perché trastullarsi?
Imboccata la mulattiera che
conduceva al sentiero per Anok Fort – ora più ampia e battuta – Aken osservò
meditabondo le alte montagne che circondavano imponenti il regno.
Con un sospiro, si chiese se
avrebbe trovato facilmente il villaggio in cui dimoravano Eikhe e il figlio, o
se avrebbe passato giorni interi tra i boschi alla loro ricerca.
Avvicinarsi alle tribù delle
donne-lupo, se non invitati, poteva risultare veramente difficile, e lui non
aveva idea dell’accoglienza che avrebbero potuto riservargli.
Deciso comunque a non
arrendersi, proseguì verso ovest finché il sole non scomparve alla vista.
Dopo aver trovato un riparo
per la notte, tolse la sella al suo cavallo, si preparò un giaciglio ai piedi
di un enorme abete e si concesse il lusso di mangiare la saporita cena
preparata dalle abili mani di Laranna.
Meno di mezz’ora dopo aver
terminato il lauto pasto, si assopì contro il tronco ruvido di un’enorme conifera,
che gli avrebbe dato riparo per quella notte.
Ormai a briglia sciolta, lasciò
i suoi pensieri liberi di vagare senza meta.
Non più condizionata dal
pesante fardello che, per sedici anni, avevano reso orrende e interminabili le
sue solitarie notti insonni, la sua mente si librò leggera, libera.
E finalmente, dopo sedici anni,
riuscì a dormire un sonno sereno.
La mattina seguente, fresco
e riposato, venne però svegliato da uno strano umidore al volto.
Aperti di colpo gli occhi,
chiedendosi se per caso non stesse nevicandogli in testa, si ritrovò a fissare
due profondità dorate e, cosa un po’ inquietante, un sogghigno lupesco ben poco
confortante.
Rimanendo fermo per non
spaventare il lupo o peggio, irritarlo, Aken avvertì dei passi leggeri sopraggiungere
dalla foresta in cui si era inoltrato la sera prima.
Subito, volse lo sguardo in
quella direzione.
Come se il tempo fosse tornato
indietro solo per stuzzicarlo un po’, fissò a occhi sgranati una ragazzina dai
capelli dorati e gli occhi d’ambra che, lancia alla mano, gli si parò innanzi.
“Sei nel nostro territorio,
viandante. Cosa ti porta qui?”
“Eikhe?” esalò lui, prima di
scuotere il capo, confuso.
Ovvio che non poteva essere
lei ma… le somigliava così tanto!
Anche la ragazza parve
sorpresa dalla sua esternazione perché, abbassando un poco l’arma e puntando la
punta di pietra verso terra, esalò confusa: “No, non sono Eikhe, ma… come
conosci questo nome?”
Speranzoso, Aken fece per mettersi
a sedere ma il lupo, lesto, cominciò a ringhiare, impedendogli di fatto di
muoversi.
Restando perciò sdraiato,
sebbene la cosa non gli piacesse neanche un po’, chiese: “Conosci una donna di
nome Eikhe?”
Aggrottando la fronte
nell’osservare l’uomo bruno, e dalla barba incolta, che la stava osservando con
un sorriso tranquillizzante stampato in viso, la ragazza mugugnò: “Forse. Perché
la cerchi?”
“Sono un suo vecchio amico. E’
da tanto che la cerco, e vorrei poterle parlare” asserì Aken, rimanendo sul
vago.
Non era il caso di dire chi
fosse.
Storcendo il naso, la
ragazza conficcò la lancia a terra e, dopo aver lanciato un fischio acuto in
direzione del bosco alle sue spalle, richiamò al suo fianco il lupo dal pelo
grigio.
“Una donna di nome Eikhe abita
nel mio villaggio, ma non so se è la stessa donna di cui tu parli. Puoi
descrivermela?”
“Oltre al fatto che ti
somiglia molto, dovrebbe avere trentatré anni. Se ve lo ha raccontato, partecipò a una
missione per conto della corona, circa diciassette anni fa” spiegò
sommariamente Aken, mettendosi a sedere, finalmente libero dalla minaccia delle
zanne del lupo.
Accigliandosi, la ragazza annuì
grave.
“E’ sicuramente lei ma,
prima di poterla vedere, dovrai parlare con qualcun altro, per sapere se puoi venire
al villaggio o meno. Devo troppo, a Eikhe, per portargli sotto casa uno
scocciatore.”
Sorridendo suo malgrado,
Aken si limitò ad annuire e domandò: “A chi devi domandare?”
La ragazza si fece evasiva e
non rispose.
Lanciò solo uno sguardo
ansioso in direzione del bosco da cui, alcuni minuti più tardi, Aken vide
comparire la sagoma di quello che non poteva essere altro che un giovane a
cavallo.
Sgomento, spalancò gli occhi
fin quasi a farsi male quando il sole - che penetrava tra le fitte fronde - gli
permise di scorgere il viso del ragazzo.
Aken vide un volto serio e
posato, incorniciato da una cascata di neri capelli e lisci.
Essi erano trattenuti sulla
fronte da una fascia ricamata di pelle, e due occhi dorati lo fissavano
attentamente, come per valutarlo.
Il suo portamento a cavallo
era elegante e fiero e, quando scese dalla sella con un fluido movimento di
gambe, Aken poté notare quanto fosse alto nonostante la giovane età.
Ancora in pieno sviluppo, il
ragazzo poteva contare su un fisico già discretamente sviluppato, messo in
evidenza dalla tunica cucita su misura e dai calzoni stretti e lunghi fino alle
caviglie.
La sua andatura era flessuosa
e morbida, tipica di una persona abituata a vivere a cavallo e nei boschi.
Il suo incedere, poi, così
sicuro e fiero, gli fece comprendere quanto fosse coraggioso, e questo gli fece
perdere un battito.
Questo era suo figlio, la
sua eredità, sangue del suo sangue.
Avvicinandosi alla
ragazza-lupo senza mai staccare lo sguardo curioso dal volto di Aken, il
giovane esordì dicendo: “Avevi bisogno, Liana?”
Aken sorrise a mezzo, nel
sentire la sua voce.
Il timbro non era certo
infantile, anzi, tutt’altro.
Prometteva di trasformarsi
in un tono profondo e sonoro, nel giro di qualche anno al massimo.
“Quest’uomo vuole vedere tua
madre, Antalion” dichiarò subito la ragazza, indicando Aken con un cenno della
mano.
Il principe dovette fare
appello a tutte le sue forze per non svenire, a quelle parole, pur conoscendo
già l’identità del ragazzo.
Senza riuscire ad aprire
bocca, rimase in contemplazione del figlio per un tempo che a lui parve eterno.
Antalion, da par suo, studiò
il nuovo venuto con attenzione, cercando di comprendere se, da esso, potessero
venire potenziali pericoli.
Nulla avvertendo in
proposito, scrollò impercettibilmente le spalle e disse: “Lo scorteremo al
villaggio, così potremo chiedere direttamente a mia madre.”
“Istrea non sarà felice di
sapere che abbiamo un ospite improvvisato” brontolò Liana, lanciando uno
sguardo dubbioso in direzione di Aken, che accennò un sorriso di circostanza.
“Sai quanto le piaccia essere informata su tutto.”
Sogghignando, Antalion replicò
con una scrollatina di spalle.
“A Istrea parlerò io.”
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Liana sbuffò, ma rise.
“Quando parli tu, la tribù
cade ai tuoi piedi. Dovresti fare lo sciamano, tanto sei bravo a incantare la
folla.”
Ridacchiando, il ragazzo
diede un buffetto sulla guancia all’amica e replicò: “Molto spiritosa.”
“Realista” ribatté Liana,
sorridendogli comicamente.
Tornando a scrutare Aken con
quieta cortesia, Antalion dichiarò:
“Dovrai consegnarmi la tua spada e la tua daga, straniero, se non ti dispiace. Non
puoi entrare armato all’interno del villaggio, se non sei stato precedentemente
invitato.”
Affrettandosi ad alzarsi per
toglierle dalla sella, Aken le consegnò subito al figlio. Dèi, suo figlio!
“Non ho alcun bisogno di
entrare armato. Non vengo con cattive intenzioni” dichiarò con voce roca, quasi
cedendo all’istinto di abbracciarlo.
Del tutto ignaro dei
desideri di Aken, Antalion sistemò le sue armi accanto alla sella del suo
cavallo, dopodiché indicò all’uomo dinanzi a sé di salire sul proprio.
“Bene, ora possiamo andare.
Il villaggio non dista molto, da qui, e non impiegheremo molto.”
Appollaiata dinanzi all’amico
sulla grande sella del suo stallone nero, Liana asserì: “Io devo recuperare le
trappole, prima di tornare al villaggio. Pensi tu ad accompagnarlo?”
“Sì. Ti lascerò dal tuo
cavallo, poi procederò verso Hyo-den” poi, sorridendole generosamente,
aggiunse: “Ma prometti di tornare per l’imbrunire. Non mi piace saperti sola
per il bosco.”
Lei ridacchiò e replicò
divertita: “Sola! C’è Nak, con me!”
Osservando i due lupi che li
seguivano trotterellando ai fianchi del cavallo, Antalion sorrise ma replicò
perentorio: “Per quanto mi riguarda, non basta. Presta attenzione.”
“Lo farò” gli promise Liana,
dandogli un bacio sulla guancia prima di scendere al volo dalla cavalcatura
quando raggiunsero la sua giumenta, ferma vicino a una pianta. “A dopo!”
“A presto, Liana!” sorrise il
ragazzo-lupo, prima di voltarsi verso Aken e dire: “Seguimi, viandante. Da
questa parte.”
“Certo” annuì l’uomo,
sorridendo impercettibilmente.
A quanto pareva, il giovane
aveva una simpatia speciale per quella ragazza.
Avanzarono lungo un sentiero
che affondava nel bosco di abeti, entro il quale stavano procedendo con passo
tranquillo.
Aken si guardò intorno
curioso, rammentando un viaggio simile che lo aveva condotto, anni prima, fino
al villaggio di Nestar.
Sorridendo ad Antalion, disse
con casualità: “Vivete lontani dagli altri villaggi.”
Sbirciandolo, il giovane
annuì e ammise: “Siamo una tribù particolare, e non siamo ben visti da molte figlie
del branco. E’ nell’interesse di tutti, se stiamo un po’ isolati da loro. Quanto agli altri, siamo vicini
alla strada per Anok Fort, e forniamo spesso appoggio logistico alle carovane
che procedono verso il forte, e loro gradiscono la nostra presenza.”
“Posso immaginare. Ma come
mai tanta animosità nei confronti delle vostre sorelle?” volle sapere Aken,
curioso.
Sollevando un sopracciglio
con ironia, il giovane ignorò completamente la sua domanda e chiese per contro:
“Cosa ci fa un ricco uomo delle pianure, qui tra queste lande? E quest’uomo,
come fa a conoscere mia madre?”
“Come sai che sono un ricco
uomo delle pianure?” replicò Aken, fissandolo con curiosità.
“I tuoi abiti, così come i
finimenti del tuo cavallo, sono di alta qualità, e prodotti con materiali
pregiati. E così pure la tua parlata, mi dice da dove provieni. Il tuo accento è
tipico delle genti delle pianure, ma il tuo conversare è dotto ed elegante,
quindi ne deduco che non sei un contadino, o un falegname” gli spiegò Antalion,
affascinando il padre con il suo parlare.
Quel ragazzo aveva spirito
d’osservazione e, sebbene fosse cresciuto nelle foreste del nord, lontano dai
centri abitati, il suo colloquiare era cortese ed erudito.
Segno inequivocabile che
Eikhe si era impegnata al meglio, per fornirgli una buona educazione.
“Ti ripeto la domanda; come
fai a conoscere mia madre?” chiese ancora il giovane, accigliandosi.
“La conobbi anni fa, al
tempo delle guerra contro Vartas. Tu non eri ancora nato, se non erro” ammise
alla fine Aken. In fondo, non era una bugia.
“Ah! Quindi la conoscesti
quando ricondusse il principe a Rajana. Sei un nobile della Capitale? Un
soldato?” gli domandò allora Antalion, facendosi di colpo più interessato.
“Tua madre ti ha raccontato
quella storia?” si informò lui, non sapendo bene quanto dirgli.
“A grandi linee. So della
loro missione, e dei pericoli che corsero per tornare alla capitale” gli spiegò
Antalion, scrollando le spalle. Ora aleggiava un sorriso sul suo volto.
“Capisco. Beh, io conobbi
tua madre quando rientrò a Rajana col principe, e divenni suo amico” asserì
vago il principe, facendo spallucce. “Imparai molto, da lei, nel breve periodo
che passò a palazzo.”
“E ti rifai vivo dopo sedici
anni. Perché?” volle sapere il ragazzo, facendosi di colpo sospettoso.
“Non sapevo dove fosse, fino
a questo momento, finché non ho avuto sue notizie per puro caso. Quando se ne
andò, non potei chiederle se, un giorno, avremmo potuto rivederci così, una
volta saputo dove si trovava, ho deciso di venire a farle visita per rinsaldare
una vecchia amicizia” buttò lì Aken, sperando che, per il momento, potesse
bastargli.
Se prima non parlava con
Eikhe, non poteva certo buttare in faccia al ragazzo la sua paternità! Sarebbe
stato tremendamente indelicato, da parte sua.
Pur storcendo il naso,
Antalion preferì non proseguire oltre con le domande.
Lasciando che il suo lupo Mykos
proseguisse dinanzi a loro, rimase in assorto silenzio per quasi tutta la
durata del viaggio.
Approfittando di quel
silenzio, Aken si perse in contemplazione del figlio, trovando in lui i tratti
della sua giovinezza.
La mascella volitiva, il
mento marcato, il naso diritto, le sopracciglia arcuate e le labbra carnose,
erano eredità del suo retaggio.
A differenza di lui, però,
gli occhi erano color dell’ambra fusa, esattamente come li aveva la madre.
Osservando gli abiti di
pelle che indossava, riconobbe la mano di Eikhe nelle elaborate decorazioni che
abbellivano la casacca frangiata e i pantaloni.
Con un sorriso, studiò il
fodero dello spadone del ragazzo, notando come la donna vi avesse ricamato l’anagramma
del figlio con bei caratteri in rosso e blu.
Devi amarlo alla follia, Eikhe, pensò Aken, sospirando impercettibilmente.
Sperava davvero che quegli
anni non avessero minato, in lei, la fiducia provata nei suoi confronti, perché
aveva tutta l’intenzione di recuperare il tempo perso, se mai fosse stato
possibile.
Per il momento, a ogni modo,
dovevano prima di tutto raggiungere il villaggio. Da lì in poi, sarebbe stata
un’incognita.
Fu agli albori della sera
che raggiunsero le porte di un ampio paesino, costruito in una larga spianata
alle pendici dei monti circostanti.
Osservando gli enormi
sbarramenti frangi valanghe che sorgevano lungo le coste frastagliate della
montagna, Aken mormorò assorto: “Sono ancora più imponenti di quelli di
Nestar.”
Fissandolo sorpreso,
Antalion si chiese come, e soprattutto perché,
quello straniero potesse aver visto il suo villaggio natio.
Prima ancora di poterglielo
chiedere, però, scorse la figura della madre in fondo alla via principale,
impegnata a portare un sacco sulle spalle.
Facendole un cenno con una
mano, le urlò a gran voce: “Madre, sono tornato!”
Eikhe sollevò lo sguardo e ricambiò
il saluto, prima di fissare con aria curiosa la figura sconosciuta che Antalion
aveva al fianco.
Di certo, non si trattava di
Liana, ma non attendevano nessun altro, a Hyo-den, a parte loro due. Quindi, di
chi si trattava?
Avvicinandosi a loro con
passo tranquillo per avere lumi sul viandante al fianco del figlio, cominciò a
dire: “Antalion, chi c’è lì con…”
Bloccandosi non appena i
suoi occhi scorsero un viso a lei familiare ma che mai, nella vita, avrebbero
sognato di rivedere, Eikhe lasciò cadere a terra il sacco, inebetita dalla
vista di Aken.
L’uomo, fissandola a sua
volta con occhi lucidi e che, fin dal momento in cui l’aveva scorta, non
l’avevano mai abbandonata, sussurrò: “Eikhe…ciao.”
Portandosi una mano alla
bocca per reprimere un singhiozzo, lei corse verso Aken, che stava scendendo da
cavallo sotto gli occhi confusi di Antalion.
Senza dire nulla, si gettò
tra le sue braccia baciandolo in viso e ridendo, mentre calde lacrime le
bagnavano le gote arrossate.
Sconvolto da quella vista, il
ragazzo fissò i due scambiarsi tenere occhiate e dolci effusioni.
Sceso a sua volta da cavallo,
sbraitò confuso: “Madre, ma chi è quest’uomo?!”
Accorgendosi solo in quel
momento di dove si trovava, e della curiosità che inevitabilmente stavano
sollevando tra le poche persone presenti, Eikhe disse in fretta: “In casa,
andiamo in casa, Antalion.”
“Madre!” esalò lui,
chiedendo spiegazioni immediate mentre fulminava con lo sguardo Aken, ancora
stretto a Eikhe.
Trascinando quasi Aken per
la mano, la donna sbottò perentoria: “Dopo, An, dopo!”
“Ahhh! Ancora quel nome!”
esclamò il figlio, fissando malamente con lo sguardo entrambi gli adulti
davanti a lui.
Legati i cavalli di fronte
alla loro abitazione di tronchi, Antalion li scrutò entrare in tutta fretta e,
non volendo lasciarli soli neppure per un attimo, si affrettò a seguirli.
Era più che desideroso di
ricevere spiegazioni, che sentiva di dover ricevere assolutamente.
Quando, però, aprì il
battente per catapultarsi all’interno, si bloccò di colpo, al colmo dell’imbarazzo,
ritrovandoli abbracciati e in lacrime nel bel mezzo dell’ingresso.
Furioso e col volto rosso
come un peperone, Antalion sbroccò.
“Allora, mi vuoi spiegare
chi è?!”
Non sapendo bene se
scoppiare o meno a ridere, Eikhe mormorò: “Lui è il principe Aken di Rajana,
Antalion.”
“Che cosa?!” esalò il
giovane, fissando sbalordito il viandante che aveva accompagnato al villaggio.
“E perché non me l’ha detto subito?! Non gli avrei fatto il terzo grado!”
“Non sapevo quanto tua madre
ti avesse raccontato di me” sorrise l’uomo, spiacente.
Confuso, il giovane allora scosse
il capo e ringhiò: “Vorreste spiegarmi il perché della vostra… intimità? Anche se è il principe, non
penso sia prassi salutarlo a questo modo!”
Ridendo suo malgrado, la
donna passò distrattamente le mani sul torace di Aken, come a voler essere
sicura che lui fosse realmente lì accanto a lei.
Con voce resa insicura dalla
gioia che stava provando in quel momento, disse al figlio: “Devi scusarmi,
tesoro, ma pensavo non l’avrei più incontrato e, quando l’ho visto… perché non
hai mai tentato di contattarmi, in questi anni?”
“Tua madre mi fece
chiaramente capire che non volevi vedermi, che volevi ritrovare i tuoi
equilibri all’interno della tribù” le spiegò Aken, adombrandosi un poco.
“Inoltre, ci furono motivi ben più gravi che mi spinsero al silenzio.”
Indispettita, Eikhe esclamò:
“Non è affatto vero! Non dissi mai niente del genere, a mia madre!”
Sorridendo un momento ad
Antalion, Aken tornò a guardare il suo unico amore, dicendole a mezza voce:
“Credo che il modo in cui mi fulminò quel giorno, sul campo di battaglia,
avrebbe dovuto farmi capire ogni cosa, ma all’epoca ero solo distrutto all’idea
di non poterti più parlare, o rivederti. Dovevo capire che la sua rabbia poteva
solo significare una cosa.”
“Mamma è sempre stata
percettiva, in questo, ma non pensavo che arrivasse ad aggredirti verbalmente
per via… della mia gravidanza” asserì Eikhe, prima di guardare il figlio, ormai
al colmo dello sbigottimento. “Aken è tuo padre, Antalion.”
Il giovane, che aveva
subodorato la cosa fin dalle loro prime parole, fece tanto d’occhi di fronte
alla conferma circa i suoi dubbi.
Puntato lo sguardo sul
principe, riuscì solo a balbettare: “Mio… padre?”
Sorridendo con fare contrito,
Aken mormorò: “Quando mio fratello Ruak mi disse di aver visto un giovane che
mi somigliava, e insieme a un gruppo di donne-lupo, ammetto di essere stato
geloso, per un momento.”
Sorridendo spiacente, Eikhe gli
carezzò un braccio, consolatoria.
“Dopo quello che mi disse
mia madre, e cioè che tu preferivi lasciarmi vivere la mia vita tra le sorelle
del branco, non potevo certo mandarti a dire di Antalion. Inoltre, preferivo
non sobbarcarti anche di questo peso, soprattutto considerando il tuo ruolo di
principe ereditario. Sapevo già che non avresti potuto occuparti di lui. O di
noi.”
“Ma io non ho mai detto di…”
cercò di discolparsi Aken, bloccandosi a metà della frase quando comprese cosa
aveva fatto Kaihle.
Sbuffò contrariato, e
sorrise spiacente a Eikhe.
“Aspettate un momento, voi
due!” esclamò Antalion, bloccando sul nascere qualsiasi loro ulteriore battuta.
“Vuoi dirmi che lui è veramente mio
padre?!”
“Esatto, tesoro. Capisci
perché non ho mai potuto parlartene? Dovevo proteggere l’anonimato di tuo padre.
Non sapevo se, parlando, avrei potuto scatenare problemi più grandi di me” ammise
la madre, andandogli incontro per abbracciarlo.
Sconvolto, il figlio la
strinse a sé, mormorando con voce rotta: “Per anni ho pensato che stessi
mentendo, su mio padre, decantandomi le sue doti. Pensavo volessi solo darmi
un’immagine perfetta di lui, e ora scopro che è il principe ereditario del regno.”
“Non ha molta importanza chi
sono, figlio mio” replicò Aken, avvertendo un groppo in gola nel proferire
quelle parole per la prima volta.
Figlio. Lui aveva un figlio!
Sentendo le lacrime fare
capolino, Antalion sbottò amaramente: “Sì che ne ha, perché ti ha tenuto
lontano da noi per così tanti anni!”
Sospirando a quelle parole
cariche di risentimento, il principe non poté che assentire.
“Hai ragione, ma non avrei
potuto fare altrimenti. Non sapevo di te e…”
“Ma sapevi della mamma!
Dovevi rimanere con lei!” esclamò il figlio, tenendo stretta a sé la madre.
“An, non dire così. Non
avrei mai accettato che Aken rinunciasse ai suoi doveri per seguire me” disse per
contro Eikhe, scostandosi dal figlio per guardarlo in viso con estrema serietà.
“Ma, mamma…” esalò lui,
sorpreso.
Sorridendogli comprensiva, gli
disse: “Io e Aken discutemmo a lungo su come comportarci, visto ciò che
provavamo l’uno per l’altra. Nessuno dei due poteva abbandonare il proprio
mondo, in favore di quello dell’altro. Per lo meno, non in quel preciso momento
storico.”
Sorrise un istante ad Aken,
prima di tornare a scrutare il figlio e carezzargli amorevole una guancia.
“Io non potevo vivere a
Rajana, e neppure me lo avrebbero permesso, temo, e Aken aveva dei doveri da
assolvere come figlio primogenito della corona di Enerios. Doveri che non gli
avrei mai permesso di non adempiere, neppure per averlo al mio fianco. Per
questo, nessuno dei due si è mai unito ad alcun altro. Indipendentemente dalle
bugie che ci vennero dette, nulla sarebbe comunque cambiato, tra noi. Anche se questo
volle dire non rimanere assieme.”
Ancora confuso, Antalion fu
costretto a sedersi su una sedia, sentendo le gambe ormai prossime a cedergli.
Tenendosi il capo corvino
tra le mani, si piegò in avanti e gracchiò roco: “Ho un padre… è qui… e non so
che fare…”
Sorridendo a quelle parole,
Aken gli si inginocchiò innanzi e, prese le mani del figlio tra le proprie, gli
domandò: “Possiamo imparare insieme, non credi? Neppure io ne so molto, di come
si fa il padre. Perciò tu sei ampiamente scusato, se non sai di cosa fartene,
di me.”
Il ragazzo lo fissò nelle
iridi smeraldine che, in quel momento, lo stavano guardando con un orgoglio e
un amore che non comprendeva appieno.
Era così strano, per lui,
pensare di avere suo padre lì, in quella casa, quando per anni aveva dato per
scontato di non poterlo mai conoscere.
Non sapendo bene come
esprimersi, sorrise appena e mormorò: “Posso abbracciarti?”
“Mi offenderei, se non lo
facessi” sorrise allora il principe, alzandosi per prenderlo tra le braccia.
Osservandoli con un rimestio
di sentimenti contrastanti che le rombavano nel cuore, Eikhe sentì un enorme
peso scivolarle dalle spalle, finalmente libere.
“Non avrei mai sperato di
vedervi insieme.”
“Ma ora lo siamo, Eikhe” le sorrise
Aken, scostando un braccio per accoglierla vicino a loro. “Lo siamo.”
***
Seduti a terra, di fronte
alle alte fiamme del camino, Aken, Eikhe e Antalion osservavano pacifici
l’altalenante dondolio del fuoco.
Era difficile comprendere da
dove iniziare, per colmare l’enorme spazio vuoto che riempiva i loro animi.
Tra loro, poggiati a terra e
racchiusi in una sacca di pelle, c’erano i doni che Aken aveva portato con sé
da Rajana.
Fino a quel momento, però,
il principe non aveva avuto il coraggio di mostrare nulla alla sua nuova
famiglia.
A spezzare quel silenzio
imbarazzato pensò Eikhe che, sorridendo all’uomo – ora sbarbato e molto più
simile ad Antalion di quanto lo stesso giovane non avesse immaginato – domandò
curiosa: “Posso sapere cosa nascondi in quella scarsella, visto che ti ostini a
tirartela dietro fin da quando abbiamo messo piede in casa?”
Ridacchiando, l’uomo la
prese tra le mani con dita leggermente tremanti e, dopo averne tirato il
cordello di cuoio, la aprì.
Con attenzione, ne estrasse
un corto coltello ricurvo dal fodero metallico, ricoperto da un intricato
disegno a rilievo e dall’elsa a forma di testa d’orso.
Completamente frastornata di
fronte alla bellezza dell’arma, Eikhe la prese dalla mano protesa di Aken e,
con un sussurro ammirato, esalò: “Cos’è?”
“Un dono di mia madre a te,
Eikhe” le spiegò lui, sorridendole sghembo. “E’ interamente in argento, e la
lama è in acciaio temprato akantaryan.”
Sobbalzando sorpresa mentre
Antalion sfiorava con reverenziale timore il fodero del pugnale, la donna
chiese turbata: “Perché, Aken?”
Con una scrollata di spalle,
lui disse a mo’ di spiegazione: “In qualche modo, ha sempre saputo dei
sentimenti che ci legavano, e ha pensato che questo fosse un pegno che ti
spettava per gli anni che ci hanno visti divisi. Mi ha pregato di chiedere il tuo
perdono, prima che abbandonassi il palazzo.”
Sorridendo commossa nello
sfoderare lentamente l’arma, ammirandone poi i riflessi del fuoco sulla lama di
acciaio temperato, Eikhe sussurrò: “E’ un dono davvero importante. Come è
importante sapere che ha accettato il nostro sentimento.”
“Penso che abbia sofferto
quanto me, in questi anni, sapendoci separati” le confidò l’uomo, poggiando i
gomiti all’indietro per poi scrutare pensieroso il soffitto di travi. “Non l’ho
mai vista sorridere veramente, con me, se non quando mi ha visto partire per
venire da te.”
Porgendo il pugnale ad
Antalion perché lo guardasse con maggiore attenzione, Eikhe gli domandò: “Devo
supporre che la stessa cosa non si possa dire di tuo padre, vero?”
Annuendo con un sorriso
forzato, Aken borbottò: “Fu un bene, da parte tua, non cercare di metterti in
contatto con me perché, con tutta probabilità, a quest’ora tu e Antalion
sareste morti. E anche io.”
Il figlio per poco non
lasciò cadere il pugnale a terra mentre la donna, aggrottando la fronte, esalava:
“Sei rimasto a causa sua, quindi?”
Con una scrollata di spalle,
Aken asserì torvo: “Il patto era semplice. La mia vita in cambio della tua. Io
avrei dovuto rimanere a palazzo fino alla sua morte, pena la tua morte, in caso di una mia fuga. Lui,
in cambio, non avrebbe ucciso te e le tue sorelle scatenando, molto
probabilmente, una guerra intestina nel regno.”
Imprecando tra i denti,
Antalion rinfoderò stizzito il coltello mentre Eikhe, sorridendogli benevola, tentava
di chetarlo.
“Non potevo aspettarmi
nient’altro dal re, tesoro, perciò non irritarti per nulla. Sapevo che non
avrebbe mai voluto una come me, al fianco di suo figlio.”
“Una come te! Lo dici come se non fossi degna di lui!” protestò con
veemenza il figlio, gli occhi che sprizzavano scintille di orgoglio ferito.
Ridendo senza provare alcun
divertimento, Aken fissò comprensivo il figlio, asserendo: “Furono le stesse
parole che usai rivolgendomi a mio padre, e ciò che è successo in questi anni, è
il risultato del mio scontro con lui.”
“Ma ora sei qui” precisò
Antalion, fissandolo dubbioso.
“Già” annuì lui, prima di
arrossire leggermente nell’estrarre un secondo oggetto dalla scarsella.
Lappandosi nervosamente le
labbra, Aken mormorò: “Grazie a Hevos, ho potuto giungere qui senza pericoli e,
grazie a Lui, ho saputo di te e del tuo nome, figlio mio.”
A occhi sgranati e con il
viso abbronzato ricoperto da lieve rossore, al pari del padre, Antalion fissò i
suoi occhi dorati su quel viso a lui così familiare ed estraneo assieme.
Con un certo imbarazzo, il
padre gli allungò un bracciale di pelle, spiegandogli: “Non sapendo cosa
potesse piacerti, ho pensato che un braccialetto di pelle, con il tuo nome
inciso sopra, potesse andare bene. Nella capitale, di solito, lo si regala ai
propri figli, e così…”
Afferrando con dita esitanti
il bel bracciale di cuoio conciato su cui, in bella grafia, era stato inciso a
fuoco il suo nome, Antalion lo indossò con un sorriso impacciato.
“Grazie… è bellissimo.”
Ridacchiando, Aken si schernì subito di fronte a quel
complimento.
“Non so quanto possa essere
venuto bene, visto che le incisioni le ho fatte a mano, con un pugnale, e non
con una pressa, comunque non mi sembra sia venuto così male.”
Scuotendo il capo con
veemenza, il figlio sussurrò roco: “E’ perfetto…”
Notando il suo imbarazzo,
oltre alla frase lasciata in sospeso, Aken asserì: “Puoi chiamarmi per nome.
Non pretendo tu mi chiami ‘padre’ da
un giorno all’altro. Né che tu lo faccia in ogni caso.”
Mentre Eikhe sorrideva di
fronte all’espressione grata e impacciata del figlio, chiese ad Aken: “Hai
parlato di Hevos, prima. Che intendevi dire?”
A quel punto, e sotto gli
sguardi sempre più sorpresi della sua famiglia, l’uomo raccontò del suo viaggio
e delle parole del dio-lupo.
Fu così che vennero a
conoscenza della missione cui, inconsapevolmente, Eikhe e lui stesso erano
stati gli ignari protagonisti.
Ridacchiando a metà tra
l’irritato e il divertito, alla fine la donna celiò: “Beh, di sicuro, averlo
saputo mi avrebbe facilitato le cose.”
“Gliel’ho fatto notare
anch’io, ma lui ha replicato che esiste il libero arbitrio, e lui non può
andare contro di esso” chiosò Aken, prima di sbadigliare sonoramente. “Dèi,
credo mi stiano per crollare addosso tutti i giorni di viaggio da Rajana a qui,
e in un colpo solo.”
Con un mezzo sorriso, Eikhe
si levò da terra e, allungata una mano ad Aken, disse: “Andiamo a riposare un
po’, ti va?”
“Credo di averne davvero
bisogno” annuì lui.
Un attimo dopo, però, scrutò
in viso il figlio, che li stava osservando a metà tra l’impacciato e il geloso,
e disse: “Ma penso che, per stanotte, dormirò sul divano.”
“Eh? Oh… no, no, non è
necessario!” esclamò a quel punto Antalion, come riscuotendosi dalla trance in
cui era caduto. “Insomma, lo so cosa fanno maschio e femmina, assieme e… che,
beh…”
Scoppiando a ridere di
fronte al volto sempre più paonazzo del figlio, Eikhe lo abbracciò dolcemente
prima di baciarlo sulle guance.
“Aken può dormire in camera
tua, se preferisci così. E, quando ti sentirai pronto, verrà da me.”
Accigliandosi di colpo, il
figlio brontolò: “Ora mi fai apparire come un bambino piccolo e capriccioso.
Insomma, ho capito che volete stare da soli e che…”
Bloccando sul nascere il
discorso del figlio, Aken gli batté una mano sulla spalla e disse per contro:
“Mi piacerebbe passare la notte accanto a mio figlio, per una volta, visto che
per sedici anni non ho mai potuto farlo.”
Con aria leggermente dubbiosa,
Antalion gli chiese: “Sei sicuro?”
“Più che sì” annuì il padre.
“Tanto ci sono due letti,
nella stanza. Non ti disturberò” borbottò allora il ragazzo, andandosene dal
salottino con le spalle contratte e il volto rivolto verso il basso.
Ridendo sommessamente, Eikhe
sussurrò ad Aken: “Hai fatto una cosa davvero carina, per lui.”
“L’ho fatto perché lo
volevo” precisò lui, prima di piegarsi verso le sue labbra e sussurrare: “Sono qui solo perché lo volevo.”
“E io ne sono immensamente
felice” asserì lei, accettando il suo dolce bacio. “Ora vai da lui. Conosci tuo
figlio, fai amicizia con lui.”
“E’ nelle mie intenzioni”
ammiccò lui, prima di stringerla in un frettoloso quanto stritolante abbraccio.
Sorridendo, Eikhe lo vide
sgattaiolare fuori dalla stanza con passo allegro e, con un quieto sospiro,
anche lei abbandonò il salotto.
Quasi senza crederci, si beò
delle chiacchiere impacciate dei due uomini più importanti della sua vita e
che, per la prima volta, potevano stare assieme sotto lo stesso tetto.
Ci sarebbe stato tempo per
riavvicinarsi ad Aken in tutti i sensi. Così come lo scoprire come, solo ora,
fosse riuscivo a sfuggire alle maglie del re.
Ora, l’importante era
Antalion.
Lui non conosceva affatto
suo padre, ed era giusto che imparassero a prendere confidenza l’uno con
l’altro.
Lei si sarebbe abbeverata di
quella vista finché le fosse stato permesso di farlo.
Perché sapeva che, per
quanto lontana, la corona non era mai troppo distante da Aken e che, prima o
poi, sarebbero venuti a cercarlo.
A cercarli.
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Capitolo 25 *** cap. 25 ***
25.
Aprendo gli occhi dopo un
lungo e piacevole sonno ristoratore, Aken li sgranò di colpo quando, a sorpresa
e con una certa apprensione, si ritrovò a fissare da vicino gli occhi ambrati
del figlio.
Accomodato su una sedia
accanto al suo letto, il mento poggiato sulle mani, era tutto intento a
guardarlo con aria pensierosa.
La sera precedente, tra frasi
imbarazzate e risolini sciocchi, i due si erano augurati la buona notte,
rimanendo al buio di quell’ampia stanza che, solitamente, Antalion non divideva
con nessuno.
Almeno per quanto lo aveva
riguardato, Aken aveva passato ore senza riuscire a dormire, godendosi
unicamente il rumore ritmato del respiro del figlio, a pochi passi da lui e
disteso sul letto.
Doveva essersi addormentato
solo a notte tarda ma, di sicuro, non si era aspettato, il mattino seguente, di
ritrovarselo così vicino, e con gli occhi puntati addosso da distanza
ravvicinata.
Sobbalzando leggermente
sulla sedia come il padre nel letto, Antalion si ricoprì di purpureo imbarazzo
prima di alzarsi frettolosamente – rischiando di ribaltare la sedia, nel farlo
– e biascicare stentate scuse e un mezzo ‘buongiorno’.
Passandosi una mano tra il
folto dei capelli neri, e striati sulle tempie da qualche filo argenteo, Aken
abbozzò un risolino.
“Come mai tanto interesse
per il mio sonno? Russavo?”
“Eh? No, no” scosse il capo il
figlio, volgendogli le spalle per raggiungere la sua cassapanca ed estrarre una
casacca pulita, che indossò con movimenti nervosi e insicuri.
Levatosi da letto con un
sorrisino divertito dipinto sul volto, l’uomo si tolse la camiciola che aveva
usato per dormire.
Dopo aver sollevato una
delle sacche da viaggio sul letto, ne estrasse una pulita e fresca prima di
indossare un paio di brache e le calze.
Nel farlo, però, mise in
mostra il torace nudo al figlio che, sgranando leggermente gli occhi alla vista
delle sue molteplici cicatrici, gli domandò: “E quelle? Te le sei fatte in
battaglia?”
Allacciandosi lentamente la
camiciola di lino, Aken annuì.
“Tutte rimediate in
battaglia, sì, ... quando avevo qualche anno più di te.”
Con passo incerto, Antalion
si avvicinò al padre, continuando a osservarlo da sotto le lunghe ciglia scure
e, morsosi pensoso un labbro, chiese ancora: “E’ stato… beh, la guerra, è stata
dura?”
“Intendi quella contro
Vartas?” chiese a sua volta Aken, infilando i lembi della camicia nelle brache
di pelle conciata.
Annuendo, Antalion si guardò
intorno con aria persa, prima di chiedergli di getto: “Hai avuto paura di
morire?”
Sorridendogli, l’uomo si
sedette sul letto per infilare le calze di lana e i bassi stivaletti di cuoio, dopodiché
tornò a fissarlo per dirgli onestamente: “Paura? L’avevo ogni giorno, ma non
tanto per me, quanto per mio fratello. Mi sentivo responsabile per lui, e non
volevo si facesse male. Inoltre, dovevo pensare a tutti i miei soldati, alle figlie
sacre, alle donne-lupo,… a tutti coloro che erano giunti lì a combattere per un
mio ordine. Non avevo tempo per avere
paura solo per me stesso.”
“E pensavi mai alla mamma?”
chiese allora Antalion, tornando ad arrossire.
Con un risolino, Aken celiò:
“Anche troppo. Mio fratello, una volta, mi rimbrottò dicendomi che mi sarei
fatto ammazzare, se non avessi smesso di pensare così tanto a lei. E ci andai
vicino, una volta.”
“In che senso?” esalò il
figlio, impallidendo.
Scrutando il ragazzo con
fare pensieroso, poggiò il mento su una mano prima di chiedergli: “Sei nato il
giorno della vittoria contro Vartas, vero?”
Con evidente sgomento
dipinto nei chiari occhi d’ambra, Antalion esalò sorpreso: “Come fai a saperlo?
Te l’ha detto Hevos?”
Scuotendo il capo in segno
di diniego, Aken replicò: “Ti sembrerà folle, ma quel giorno udii tua madre
urlare di dolore e, subito dopo, gridare il mio nome.”
“Davvero?” sussurrò
Antalion, a occhi sgranati.
“Ho ricollegato la tua età e
quell’episodio solo quando ho saputo di te e, visto che le cose sembravano
coincidere, ho pensato che, in qualche modo, io e tua madre fossimo collegati
nonostante la distanza” gli spiegò il padre, pur trovando assurdo ciò che stava
dicendo. “Magari è sciocco pensarlo, però, mi piace come idea.”
Non vista né udita dai due
uomini, Eikhe se stava in assorta contemplazione sulla porta della stanza del
figlio e, dopo aver udito le parole di Aken, avanzò con un sorriso verso di
loro e disse: “Non è poi tanto strano.”
“Eikhe! Buongiorno!” sorrise
l’uomo, levandosi subito in piedi per abbracciarla e darle un casto bacio sulla
fronte. “Cosa dicevi, scusa?”
“Mi riferivo a ciò che hai
detto prima” gli spiegò Eikhe, sorridendo al figlio prima di aggiungere: “E’
possibile che la mia particolare condizione di partoriente abbia acuito i
poteri del Marchio di Hevos, permettendomi di contattarti in qualche modo.
Avrei tanto voluto averti al mio fianco, quel giorno.”
“Lo immagino” sussurrò lui,
spiacente. “Ma ora, difficilmente ti libererai di me.”
“Ma il re non cercherà di
riportarti a casa, al disgelo? Hevos non potrà tenere chiusa la Carovaniera in eterno”
disse per contro Antalion, adombrandosi in viso.
Scrutando il figlio con
cieca convinzione, Aken disse perentorio: “Niente
e nessuno mi strapperà a voi. Affronteremo i guai quando busseranno alla
nostra porta. Per il momento, abbiamo tutto l’inverno davanti da passare
assieme senza problemi. Al resto, penseremo dopo.”
“Sarà il caso che vada a
scaldare l’acqua per la colazione” borbottò a quel punto Antalion, dirigendosi
a grandi passi verso la porta della sua stanza.
Prima di svoltare l’angolo,
però, si volse a mezzo e, impacciato, chiese: “Ehm, senti… vuoi il caffè, per
caso,… A-Aken?”
“Andrà benissimo quel che
prendete voi” gli sorrise lui, prima di veder letteralmente fuggire il figlio
con il viso in fiamme.
Ridendo sommessamente, Eikhe
si strinse all’uomo, dicendo: “Ci vorrà un po’ di pazienza… scusalo.”
“E di cosa? Ha preso tutta
la faccenda fin troppo bene” sorrise Aken, stringendola con forza a sé prima di
schiacciarle le labbra in un bacio possessivo e carico di promesse. “Non mi
aspettavo niente di più. Anzi, qualche insulto, sì.”
Intrecciando le mani dietro
il suo collo taurino, Eikhe socchiuse gli occhi e gli sussurrò: “Ho educato
bene nostro figlio. Non dice parolacce se non è strettamente necessario.”
“Meglio” le sussurrò sulle
labbra. “Pensi se la prenderebbe se io e te arrivassimo in ritardo per la
colazione?”
Scoppiando a ridere di
gusto, lei annullò le distanze che li separavano per dargli un bacio divorante,
con cui riassaporò la sua bocca dopo lunghi anni di separazione.
Solo dopo essersi ritenuta
soddisfatta, si staccò da lui, e unicamente per sussurrargli: “Stanotte
recupereremo gli anni che abbiamo passato separati, ma adesso devo davvero
muovermi, e anche tu. Devi presentarti da Istrea per dirle che sei giunto qui e
che abiterai con noi, d’ora in poi.”
“Si può davvero?” le domandò,
ancora incredulo.
“Vedrai con i tuoi occhi quanto è diversa questa tribù. E
incontrerai anche due nostri vecchi amici” gli sorrise, notando il suo stupore
farsi più ampio.
“Chi intendi?” esalò l’uomo,
fissandola a occhi sgranati.
“Seletta e i suoi figli sono
qui. Vedessi come si sono fatti grandi!” trillò Eikhe, prima di avvolgere con
un braccio quello di Aken e aggiungere: “Vieni, andiamo a vedere cosa combina
nostro figlio in cucina.”
“Sì, andiamo” assentì il
principe, ancora frastornato ma molto, molto felice.
***
Fu con un sorriso a stento
trattenuto che Aken scoprì cosa, il figlio, aveva fatto nei dieci minuti
passati da lui ed Eikhe a sbaciucchiarsi prima di raggiungere la cucina.
In pratica, aveva svuotato
la dispensa per preparargli una colazione coi fiocchi.
Il principe fu quindi ben
lieto di assaggiare le uova strapazzate, insaporite con la pancetta fresca e,
in brevissimo tempo, si scolò ben tre bicchieri di latte, oltre al caffè
fumante e aromatizzato.
Il tutto sotto lo sguardo
vagamente sorpreso di Antalion.
“Devi sapere che adoro il
latte” gli spiegò Aken, prima di picchiettare con un dito il piatto ormai vuoto.
“E ora che so che sai cucinare così bene, ne approfitterò più spesso.”
Il figlio ridacchiò
imbarazzato prima di guardare la madre, che stava sorridendo fiera.
“Mi ha insegnato mamma. Mi
ha detto che gli uomini, come le donne, devono essere in grado di badare a loro
stessi… e cucinare fa parte del pacchetto.”
“Sempre sostenuto che tua
madre fosse una donna molto intelligente” chiosò l’uomo, allungandosi per
stampare un bacio sulle labbra a Eikhe. “Mi accompagnerai tu dalla capo-tribù,
Antalion?”
“Eh? Sì, va… va bene” balbettò
lui, prima di diventare paonazzo in viso e, più deciso, aggiungere: “Sarà un
onore presentarti alla Signora del Villaggio.”
Ridendo sommessamente – era
ovvio quanto il figlio si sentisse ancora a disagio, all’idea di avere
finalmente il padre lì con lui – Aken gli batté una mano sul braccio,
consolatorio.
“Se hai altro da fare, andrò
da solo. Di certo non mi morderanno, ti pare?”
Sgranando gli occhi, il
figlio scosse con veemenza il capo di capelli lisci e corvini, replicando
subito: “No, no! Ci tengo, davvero!”
“Faremo solo quello che
vorrai tu” ci tenne a precisare il padre, sorridendogli generosamente.
Imprecando tra i denti,
Antalion distolse lo sguardo sotto gli occhi sorpresi di Aken e quelli
generosamente comprensivi di Eikhe che, terminata in silenzio la sua colazione,
si levò in piedi per raggiungere la porta.
Il figlio la seguì con lo
sguardo, come se non sapesse bene come comportarsi e lei, lanciandogli un
sorriso da sopra la spalla, si limitò a dire: “Sii te stesso.”
Detto ciò, uscì dopo aver
strizzato l’occhio ad Aken che, tornato a fissare il figlio, intrecciò le
braccia sul petto prima di chiedere: “Cosa ti turba, ragazzo? Puoi dirmelo. Ho
le spalle larghe, e reggo praticamente tutto. Insulti compresi.”
Mordendosi un labbro per il
profondo imbarazzo che stava provando in quel momento, Antalion si levò dalla
sedia per avvicinarsi al padre.
A testa bassa e con le
spalle contratte, sussurrò debolmente: “Posso… posso abbracciarti ancora?”
Senza dire nulla, Aken si
alzò in silenzio e, allargate le braccia muscolose, avvolse in un caloroso
abbraccio il figlio.
Gentilmente, poggiò una mano
sul suo capo per spingerlo gentilmente a poggiare la testa contro la sua
spalla, cosa che Antalion fece dopo un attimo di smarrimento.
Senza neppure accorgersene,
il giovane abbracciò con forza il padre e, cominciando a singhiozzare pur
riuscendo a trattenere le lacrime, mormorò contro il suo torace muscoloso: “Non
sapevo cosa provare, quando pensavo a te. La mamma continuava a dirmi che eri
una persona buona e valorosa, ma io non riuscivo a crederle, visto che ci avevi
abbandonati. Ti ho odiato, alcune volte, mentre altre avrei tanto voluto averti
vicino.”
Continuando a carezzargli il
capo con lenti e continui movimenti della mano, Aken chiuse gli occhi e poggiò
la guancia contro i suoi capelli soffici.
“Mi sono sentito spezzato a
metà per anni, laggiù a Rajana, sapendo Eikhe lontana e per sempre persa, per
me. Se anche avessi saputo di te, ben poco avrei potuto fare, perché
scioccamente avevo deciso di vivere nel mio dolore tenendo tutti fuori dalla
mia vita. E’ stato tuo zio Ruak ha darmi una sonora lezione di vita.”
“In che senso?” volle sapere
Antalion, scostandosi dal padre per scrutarlo in viso.
“Ti dissi che ti vide a
Marhna, ricordi?”
Al suo assenso, il principe
proseguì nel racconto.
“Pensò che Eikhe mi avesse
tenuto nascosta la sua gravidanza, visto che io mi trovavo ancora a palazzo, e
non qui con voi. Mi aggredì verbalmente chiedendomi perché, per tanti anni, mi
fossi rinchiuso spontaneamente a Rajana, rinunciando alla felicità.”
“Lui non sapeva!” esalò il
figlio, sgranando leggermente gli occhi per la sorpresa.
Annuendo, Aken ammise:
“Avrei dovuto spezzare l’immagine di nostro padre ai suoi occhi? No, non
l’avrei mai fatto, neppure per essere felice. Così, quando scoprì ogni cosa, mi
diede un bel pugno in faccia e litigammo della grossa, prima di chiarire un
punto fondamentale del nostro rapporto.”
“E cioè?” chiese allora
Antalion.
“Che, in quanto fratelli,
dovevamo spalleggiarci a vicenda e che, tenerlo all’oscuro di tutto, era stato
un errore. Anche se, a detta di Hevos, la mia reclusione forzata è comunque
servita ai suoi scopi” scrollò le spalle Aken, con un mezzo sorriso.
Storcendo la bocca, il
ragazzo replicò torvo: “Avrei preferito avere un padre i miei primi sedici anni
di vita, e litigare con la corona.”
“Che ci vuoi fare? E’ andata
così, ed Eikhe e io eravamo abbastanza testardi e ligi al dovere da sacrificare
tutto, per gli altri” commentò aspro Aken, prima di aggiungere: “A volte mi
chiedo se, invece, non siamo stati solo dei grandi stupidi.”
“Mi asterrò dal rispondere” asserì
diplomaticamente Antalion, guadagnandosi per diretta conseguenza
un’occhiataccia dal padre.
“Fatto sta che, dopo aver
saputo della mia probabile paternità, ci siamo mobilitati in gran segreto per
permettermi di fuggire da palazzo e, dal quel che posso immaginare conoscendo
mio padre, a quest’ora gli saranno venuti così tanti travasi di bile da averlo
reso praticamente intrattabile” chiosò l’uomo, poggiando le mani sui fianchi
con aria vagamente soddisfatta.
“Mi sarebbe piaciuto vedere
mio zio. Peccato non abbia fatto caso alla presenza dei soldati in missione,
provenienti da Rajana” mormorò sconsolato Antalion, reclinando il capo.
“Faremo in modo che, prima o
poi, questo tuo desiderio possa avverarsi” gli promise Aken, dandogli una pacca
sulla spalla. “Allora, andiamo dalla Signora del Villaggio?”
“Sì, andiamo pure” annuì con
vigore Antalion, prima di chiedere imbarazzato: “Potresti evitare di dire alla
mamma che, per poco, non mi sono messo a piangere come un lattante?”
“Niente uscirà dalle mie
labbra” gli promise il padre, avvolgendogli con una certa titubanza le spalle
con un braccio.
Antalion si irrigidì per un
istante, di certo ben poco abituato a un simile gesto, prima di sorridere
impacciato.
“E’ piacevole.”
“Non puoi sapere quanto”
annuì Aken, avviandosi verso la porta assieme a lui.
***
La vista di un uomo a
passeggio per la via principale del villaggio, a quanto pareva, doveva essere
una cosa abbastanza comune, da quelle parti.
A parte poche rapide occhiate
da parte di alcune donne, al lavoro fuori dalle loro case, Aken non vide alcun
altro tipo di reazione al suo passaggio assieme ad Antalion.
Quando poi, a sorpresa, scorse
un uomo ben piantato, e armato di ascia, uscire da una casetta a due piani, il
principe si stupì ancora di più.
Lo spaccalegna in questione,
dopo aver dato un bacio a una altissima quanto giovane figlia sacra, scese i
due gradini che conducevano in strada prima di salutare con un gesto Antalion.
Rivolgendo poi uno sguardo
curioso ad Aken, domandò: “Ehi, salve, ragazzo. E questo giovanottone al tuo
fianco, chi sarebbe?”
Sogghignando, Aken guardò il
figlio con ironia e lui, ridacchiando, disse: “Beh, buondì, Yvok. Lui è mio
padre. Aken.”
Facendo tanto d’occhi, lo
spaccalegna riuscì a riprendere il controllo di se stesso dopo alcuni attimi di
meravigliato stupore e, allungata subito la mano all’indirizzo di Aken, esclamò:
“Per Hevos! E chi l’avrebbe mai detto che avremmo mai visto in faccia il
compagno di Eikhe. Tanto piacere, Aken!”
“Piacere mio, Yvok” disse a
sua volta il principe, stringendo quella forte mano con una stretta altrettanto
poderosa.
Con un gran sorriso, Yvok
diede una pacca sulla spalla ad Antalion, annuendo più e più volta.
“Buona stretta, la sua. Mi
piace già, tuo padre. Mi fermerei a farvi il terzo grado, ma le piante non
aspettano. O meglio, loro sì, ma il commerciante che le vuole, no. A presto!”
Salutandolo nel vederlo allontanarsi
a grandi passi, Aken commentò sorpreso: “Beh, che diamine!”
“Ti fa strano, eh?” ammiccò
Antalion, fissando il padre con un risolino.
“Eccome! Abituato com’ero
alle regole di Kaihle…” assentì Aken, prima di notare lo sguardo accigliato del
figlio. “Che succede?”
Ombroso in viso, Antalion
gli chiese: “Sai che cercò di uccidermi appena nato?”
Accigliandosi immediatamente
a quelle parole, Aken ringhiò aspramente: “Non mi stupisce, visto come la
pensava degli uomini e delle figlie sacre.”
“Il branco mi salvò la vita.
E anche mia zia Tyura” gli spiegò Antalion, rasserenandosi un poco. “Ma, anche
se ora lei è la Signora di Nestar, visto che Kaihle è malata, le donne del
villaggio non vogliono ancora che io o mamma ci avviciniamo a loro. Zia Tyura,
giustamente, deve fare il bene di tutte, e così ci incontriamo spesso a Marhna,
dai nonni, oppure a casa di Sendala, nel boschetto nei pressi della città.”
Nell’udire quel nome
familiare, Aken sollevò un sopracciglio con aria curiosa e gli domandò: “A
proposito di Sendala. Come mai non è qui? Quando la conobbi io, era come
l’ombra di tua madre.”
Ridacchiando, Antalion perse
del tutto il suo umor nero e disse: “Si è sposata, quando io avevo all’incirca
dieci anni, con uno spaccalegna di Marhna di nome Enok. Hanno una figlia di
quattro anni di nome Amill, e io sono il suo padrino.”
“Beh, accidenti a lei!”
esclamò Aken, passandosi una mano tra i capelli con fare sorpreso. “Tutto mi
aspettavo tranne che si sarebbe sposata. Quindi… ha ripudiato le sue sorelle?”
“E’ il contrario. L’hanno
sbattuta fuori, quando lei ha voluto venire ad abitare con me e mamma, quando
ancora abitavamo nei pressi di Marhna. Mi ha fatto da zia assieme a Enok, che è
stato tra quelli che hanno costruito la nostra baita nei boschi” gli spiegò
Antalion. “Enok mi ha insegnato a camminare, sai?”
“Mi sono perso un sacco di
grandi eventi, eh, in questi anni?” mormorò spiacente Aken.
Con un gran respiro, Antalion
disse per contro: “Però ci sono ancora tante cose che possiamo fare assieme,
no?”
Tantissime” annuì il padre,
sorridendogli orgoglioso prima di udire, in lontananza, la voce squillante, e
familiare, di una ragazza.
Sorridendo quando vide
giungere di corsa la figura slanciata e sottile di Liana, la ragazza che aveva
visto nel bosco, Aken la salutò al pari di Antalion con un gesto educato della
mano.
Quando lei si fermò loro
innanzi, non poté esimersi dallo scoppiare a ridere di gusto.
Trafelata per la corsa e con
gli occhi ambrati spalancati fino al limite, Liana li fissò sbalordita per
alcuni interminabili secondi prima di esclamare: “Cielo! Senza barba, vi
assomigliate come due gocce d’acqua!”
Antalion, sorridendo all’amica,
indicò il padre con aria vagamente tronfia.
“Liana, posso presentarti
mio padre?”
“Tuo … padre?” esalò l’amica,
levando lo sguardo a fissare ben bene Aken in viso.
“Il mio nome è Aken, tanto
piacere” disse a quel punto il principe, chinandosi elegantemente per farle un
baciamano di tutto rispetto.
Ridacchiando, del tutto
impreparata a quel gesto, Liana esclamò: “Oh, mamma! Hai un papà molto bello,
Antalion! E molto galante!”
“Grazie” replicò il ragazzo,
prima di aggrottare la fronte e chiedere: “E’ più bello di me?”
Dandogli di gomito, l’amica replicò
maliziosa: “Lui è l’uomo di tua mamma, sciocchino.”
“Ah, ecco” mormorò Antalion,
ritenendosi soddisfatto.
Aken li squadrò curiosamente
per qualche secondo, incuriosito dal loro rapporto.
“Mi spiace dover fare il
guastafeste, ma dovremmo andare da Istrea.”
“Oh, hai ragione!” esclamò il
ragazzo, ridacchiando. “Vieni con noi?”
Scuotendo il capo spiacente,
Liana replicò: “Non posso. Sono di turno nella stalla dei puledri ma, se
volete, dopo potete raggiungermi lì e raccontarmi com’è andata.”
“Non mancheremo” le promise
Aken, sorridendole generosamente prima di vederla correre via con la stessa
leggiadria di un lupo.
Guardandola percorrere la
via con passo veloce e ferino, Aken venne inondato da vecchi e piacevoli
ricordi riguardanti Eikhe e, guardando il figlio, commentò: “Ha la stessa eleganza
di Eikhe.”
“Ed è altrettanto bella. Tu
che ne dici, padre?” asserì Antalion, sorridendo.
“Dico che la ragazza
stravede per te. E’ la tua fidanzata?” gli domandò a quel punto il padre,
curioso.
Storcendo il naso, Antalion ci
pensò su un attimo prima di rispondere.
“Non esiste una definizione
simile, tra noi. Siamo solo ottimi amici e, beh, ci siamo baciati un paio di
volte, ma la cosa finisce lì.”
“Capisco… ma tu le vuoi bene,
no?” insisté l’altro, sempre più interessato.
“Ma certo!” esclamò lui, con
veemenza. “Ma ne voglio anche alle altre ragazze del villaggio. Come ai
ragazzi, del resto. Sono tutti mie sorelline e miei fratellini, in qualche modo.”
“Ma con lei è diverso”
precisò Aken, sogghignando divertito.
“Credo di sì” ammise
Antalion, arrossendo un poco.
Ridacchiando, il padre gli
batté una mano sulla spalla dicendo: “Tranquillo, quando diventerà qualcosa di
più, te ne accorgerai.”
“Se lo dici tu…” borbottò il
figlio, tornando a incamminarsi con lui.
Non occorse loro molto per
raggiungere la casa della Signora del Villaggio, posta nel mezzo di Hyo-den.
Disposta su tre piani e
costruita, come le altre, in roccia e tronchi d’albero levigati, la casa
disponeva di un’ampia veranda d’ingresso, raggiungibile grazie a due scalini di
pietra grigia.
Sulla porta, una testa di
lupo intagliata in bassorilievo sovrastava un piccolo rosone, incastonato nel
pannello di quercia con cui era stato costruito il battente d’ingresso.
Una piccola campanella di
metallo, appesa a fianco alla porta, lasciava penzolare un batacchio a forma di
artiglio.
Rammentando bene
l’etichetta, Aken si tolse gli stivali al pari di Antalion.
Dopo aver preso due paia di
pianelle di pelo di coniglio da una scarpiera che si trovava sulla veranda – a
uso esclusivo degli ospiti in visita – , fecero tintinnare la campana.
Da una finestra vicino
all’entrata apparve per un momento un giovane volto di donna che, un attimo
dopo, comparve sull’entrata con un gentile sorriso e una domanda inespressa sul
bel volto dorato.
“Benvenuto, Antalion, e
benvenuto a te, straniero. La Casa della Signora è sempre aperta per chi giunge
con cuore sincero. In cosa posso esservi utile?”
“Ciao, Selden. Tua madre è libera?
Mio padre vorrebbe parlarle per presentarsi degnamente a lei” esordì Antalion,
sorridendo alla giovane donna.
Aprendosi in un sorriso
estasiato, che letteralmente le illuminò il viso, Selden esclamò: “Oh, quindi
lo straniero di ieri era tuo padre! Sono lieta per te, Antalion. Mia madre vi
riceverà subito.”
Notando solo in un secondo
momento le pianelle ai piedi di Aken, accentuò il suo sorriso e chiosò: “Conosci
il protocollo, padre di Antalion. Bene; mia madre ne sarà favorevolmente
compiaciuta.”
“Ne sono lieto” mormorò
Aken, entrando con il figlio all’interno dell’enorme casa.
La prima volta che aveva
incontrato Kaihle nel suo ambiente naturale, Aken si era trovato in
un’abitazione in tutto simile a quella.
Con ammirazione, osservò i
bei palchi di cervi appesi ai muri, gli arazzi finemente ricamati che
abbellivano il corridoio e, enorme quanto ben fatto, l’imponente camino che
giganteggiava nel salone.
Dopo averli condotti lì,
Selden si scusò con loro, lasciando la stanza per andare in cerca della madre.
Nella sala delle visite,
illuminata da grandi vetrate, si trovavano tre bei divani dal telaio di legno e
i morbidi cuscini color cannella.
Fu lì che Istrea li trovò,
accomodati su uno di essi in quieta attesa del suo arrivo.
Aken levò subito lo sguardo
e, in fretta, si alzò in piedi per rendere omaggio alla Signora del Villaggio.
Lo sguardo di lupo della
donna lo studiò per un attimo, divenendo subito docile e mansueto non appena si
posò sul viso di Antalion.
Con un sorriso, il giovane
disse: “Ben trovata, Istrea. Sono giunto qui stamani per presentarti mio padre,
com’è mio dovere secondo la legge.”
Rivolto un cenno alla
figlia, che si dileguò silente lasciandoli soli, Istrea invitò i nuovi venuti
ad accomodarsi nuovamente,
Sorridendo poi ad Aken con
autentico interesse, dichiarò: “Anche se non avessi udito le parole di
Antalion, il tuo viso parlerebbe da solo. Siete due gocce d’acqua, uomo del sud.”
Reclinando graziosamente il
capo per omaggiare, Istrea, Aken asserì: “Non so se ti ricordi personalmente di
me, ma sono lieto di poterti rivedere dopo tutti questi anni, Signora del
Villaggio, e sono altrettanto lieto di poter essere annoverato tra i tuoi
concittadini.”
Ridacchiando, Istrea si
sedette sul divano dinanzi a loro.
“Mio caro, dovrei essere
folle a rifiutare qualcosa a Eikhe e Antalion. Inoltre, la nostra legge prevede
senza alcun problema la presenza dei compagni delle mie care figlie qui al
villaggio, sempre che tu sia disposto a lasciare da parte il credo secondo cui
gli uomini sono superiori alle donne.”
“Sono decenni che so quanto
sia sciocco crederlo. Siamo diversi, e come tali abbiamo pregi e difetti, punti
di forza e punti deboli. Ma siamo complementari, e perciò paritari” chiosò
Aken, vedendo Istrea annuire più e più volte nell’udire le sue parole.
Antalion si gonfiò come un
pavone, fiero del dire del padre e Istrea, notandolo subito, ridacchiò.
“Per anni ho sperato che
questo baldo giovane, che io amo e apprezzo come un figlio mio, incontrasse suo
padre, e ora è successo. Ma ciò che mi chiedo è questo; può il principe di
Rajana restare impunemente entro i nostri confini, senza che la corona lo
reclami per sé?”
Se Antalion si mostrò
stupito nell’apprendere che la Signora del Villaggio era a conoscenza della sua
reale identità, non lo fu per Aken che, sorridendo malizioso, celiò: “Bene. Sono
lieto di essere rimasto nella tua memoria, figlia sacra. Quanto alla tua
domanda, è difficile a dirsi.”
Annuendo, Istrea asserì con
tono divertito: “Scioccamente, non ho mai collegato il viso di Antalion al tuo,
principe, ma avrei dovuto capirlo molto prima. A volte, non sono così veloce di
pensiero come voglio far sembrare.”
“A onor del vero, sono anni
che non mi vedi” precisò l’uomo, sorridendo. “A ogni modo, rimarrò qui finché
sarà sicuro per voi. Se dovessi anche solo sospettare che mio padre intende
muovere guerra contro di voi, me ne andrò.”
“Se, e quando, la corona si
muoverà, noi agiremo di conseguenza come un branco coeso. Non hai nulla da
temere, Aken, figlio di Arkan e di Lioanna” dichiarò Istrea, sorridendo con
aria comprensiva.
Alzandosi in piedi con fare
solenne, il principe si inchinò formalmente dinanzi a lei.
“Sono onorato di fare parte
del tuo branco, Signora di Hyo-den, e ti prometto fin d’ora che, tutto ciò che
potrò fare per te e per tutti coloro che abitano nel villaggio, io lo farò.”
“Sei figlio di nobile
lignaggio, ma più nobile ancora è il tuo spirito, figlio del branco…” cominciò
col dire Istrea, levandosi in piedi a sua volta prima di posare una mano sul
capo chino di Aken. “…perciò, io ti accolgo a braccia aperte e con il cuore
libero. Sii figlio, padre e amico di tutti coloro che ivi risiedono. Sii lupo,
come tutti noi.”
“Lo farò” annuì debolmente
Aken.
Guardando il giovane
Antalion che, in silenzio, stava osservando l’intera scena con occhi lucidi, Istrea
aggiunse: “Tuo figlio ha bramato per anni la tua comparsa, principe Aken e, ora
che sei qui, una nuova luce brilla nei suoi occhi, e io ne sono felice e fiera
al tempo stesso. Imparate a conoscervi, poiché è ormai tempo. Sei dispensato
dai tuoi obblighi per tutta la settimana, Antalion. Passa più tempo che puoi
con tuo padre e impara a conoscere l’uomo che è, mentre lui imparerà a
conoscere il giovane che sei.”
“Grazie, Istrea” mormorò
Antalion, sorpreso dalle sue parole.
Sorridendo a entrambi, la
donna aggiunse calorosamente: “Ora andate da Eikhe; anche lei ha bisogno di
vedervi insieme. Il suo cuore, come il vostro, ha bisogno di risanare tante
piccole ferite, e solo stando uniti, potrete guarire.”
“Faremo così… e grazie”
annuì Aken, con un altro piccolo inchino. |
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Capitolo 26 *** cap. 26 ***
N.d.A: Un capitolo avventuroso, per i nostri eroi....
26.
Aken aprì svogliatamente gli
occhi, al suono melodioso degli uccelli boschivi.
Sorridendo nell’osservare il
viso addormentato dell’amata, stiracchiò le braccia fino a sfiorare il muro di
tronchi, prima di chinarsi a baciare Eikhe.
“Sveglia, dormigliona.”
Lei, dopo un momentaneo
stordimento, sollevò sonnacchiosa le palpebre pallide.
Sorridendo serena non appena
rammentò chi stesse dormendo al suo
fianco, si arrampicò su di lui e mormorò: “Non sei un sogno, allora,… sei
veramente qui.”
“Sì, e ci resterò” sorrise
lui, facendola sorridere piacevolmente.
Le mani, guidate
dall’istinto e da vecchi ricordi, scivolarono lente dall’attaccatura delle
natiche lungo la spina dorsale di Eikhe.
Quando, però, sfiorarono i
residui di cicatrici ormai vecchie, i suoi occhi ebbero un guizzo leggero,
prima di mascherare il proprio disappunto dietro un sorriso.
Senza lasciarsi ingannare,
la donna baciò delicatamente le labbra di Aken, sussurrando: “Non farci caso.”
“Sapere che te le hanno
fatte per causa mia, non mi aiuta a non
farci caso” replicò gentilmente lui, continuando a esplorare la sua schiena
nuda, tracciando con le dita i contorni di ogni cicatrice come a volersele
imprimere nella mente.
Socchiudendo gli occhi,
Eikhe calò la bocca sul suo mento, leggermente punteggiato di barba, e alitò
sulla sua pelle calda: “Ogni cicatrice, io la porto con orgoglio.”
“Non avevo alcun dubbio”
ridacchiò lui, prima di scostarla gentilmente da sé per scavalcarla e mettersi
sopra di lei.
Ancora prona, la donna volse
il capo sul cuscino per scrutarlo con la coda dell’occhio e Aken, sogghignando
furbamente, si chinò su di lei e iniziò a percorrerle la schiena con lenti,
caldi baci a fior di pelle.
Quel ritmo blando e sensuale
scatenò in Eikhe una lunga, interminabile serie di piccoli brividi bollenti.
Mordendosi un labbro per
trattenersi dall’ansimare al suo tocco così delicato ed esperto, affondò le
unghie nelle lenzuola.
Aken, implacabile e
apparentemente mai sazio, continuò a baciarla con straziante lentezza, godendo
di ogni centimetro della sua pelle calda.
Scendendo sempre di più,
poco alla volta.
Le sue mani, complici
maliziose della bocca, percorsero viziosamente i suoi fianchi – ormai liberi
dalle lenzuola – lasciando dietro di sé scie infuocate sulla carne morbida e
profumata.
Sotto quella piacevole
tortura, Eikhe si dimenò nel vano tentativo di voltarsi per dare sfogo anche ai
propri desideri.
A ogni suo tentativo, però, lui
la bloccò con decisione ai fianchi, affondando le forti mani nella sua pelle
dorata.
“Non ancora.”
Fu solo un sussurro, ma
bruciò nelle orecchie di Eikhe come fuoco.
Non potendo più resistere, la
donna si lasciò sfuggire un ansito di piacere, subito soffocato contro i
cuscini.
Ridendo roco, Aken si scostò
un momento dalla schiena dell’amata per alitarle all’orecchio: “Pensi che
Antalion si scandalizzerebbe, sentendoti urlare?”
“Aken! Non vorrai…” esalò
lei, sgranando gli occhi prima di avvertire, all’improvviso, la spinta
possessiva e vogliosa del suo membro.
Con un unico, fluido
movimento, fu dentro di lei ed Eikhe, impreparata a quell’assalto, si lasciò
sfuggire un gridolino di piacere.
Il principe, con un sorriso
tronfio, tornò a muoversi con straziante lentezza, facendola sua ancora una
volta.
Ritrovarsi, dopo anni e anni
passati a sognare un incontro in cui, nessuno dei due, aveva mai creduto
veramente, aveva spalancato le porte dei loro desideri, soppressi con la sola
forza di volontà.
Durante l’intera notte
passata assieme, entrambi avevano ripreso confidenza con i rispettivi corpi,
ridendo dei cambiamenti che il tempo aveva portato su ciascuno di loro.
E sgomentandosi, dinanzi
alla sciocca ignoranza di coloro che non li avevano compresi.
Le cicatrici di Eikhe erano
state, per Aken, il punto più dolente da sopportare.
La donna aveva impiegato ore
a calmare la sua giusta rabbia, rabbia che il principe avrebbe voluto sfogare
su coloro che l’avevano fatta soffrire negli anni.
Sapere della grave malattia
di Kaihle, e della morte di colei che le aveva inferto le frustate, non era
servito a chetare il malumore del principe.
Ma, di fronte alla richiesta
accorata dell’amata, lui non aveva potuto che accontentarla.
A quel punto, però, l’aveva
cullata tra le braccia, baciandola teneramente sul viso e sull’attaccatura dei
seni ed Eikhe, non riuscendo a trattenersi, si era stretta a lui e aveva pianto.
Lacrima dopo lacrima, gli
aveva raccontato quanto avesse sofferto e quanto, avere accanto sua sorella e i
lupi, l’avesse aiutata in quei momenti drammatici.
Si erano addormentati l’uno
tra le braccia dell’altra e, quando il sole aveva fatto capolino oltre il muro
di montagne che sovrastavano il villaggio, Aken aveva avvertito dentro di sé il
desiderio di darle nuovamente piacere.
Sentirla venire sotto di sé,
appagata e con gli occhi velati dalla passione appena risvegliata, fece
sorridere soddisfatto l’uomo.
Chinandosi per baciarla su
una guancia, le sussurrò roco: “Ti amo.”
Eikhe si limitò a sospirare
appagata, ascoltando gli ansiti di Aken come se fossero musica per le sue
orecchie, lieta di poter finalmente assaporare il suo tocco, la sua presenza,
il suo amore.
Molto tempo dopo, sdraiati
supini sul letto e nuovamente coperti dalle lenzuola e dalla pesante coperta di
pelliccia, la donna si volse a mezzo per scrutare il profilo regale di Aken.
“Cosa provasti, quando Ruak
ebbe il suo primo figlio?”
Sorpreso, Aken la guardò
curioso prima di chiederle: “Come mai questa domanda?”
Poggiandosi su un gomito per
sollevarsi e avere una migliore visuale del suo viso, lei gli chiese ancora:
“Ti sentisti tradito da me? O dal Fato?”
“Da te, mai, Eikhe” scosse
il capo lui, carezzandole il contorno del viso con un dito. “Con il Fato, ho
avuto prolungate discussioni, ma ero più impegnato a piangermi addosso e
rendere nervosi tutti, che altro. Ci è mancato poco che mia cognata mi
uccidesse, un giorno, ma per fortuna ha avuto pietà di me.”
Ridendo divertita e sorpresa,
Eikhe sollevò ironica un sopracciglio e dichiarò: “Mi piacerebbe tanto
conoscere la principessa Renke. Deve essere davvero un tipo interessante.”
“La adoreresti. E’ uno
spirito libero, anche se non come te, e Ruak ne è follemente innamorato. E io,
ovviamente, la amo da impazzire” le spiegò Aken, sollevandosi a sedere.
Acuendo il sorriso, la
compagna lo imitò prima di raccogliere le ginocchia contro il petto, avvolgerle
con le braccia e chiosare: “I due principi di Enerios messi in ginocchio da una
donna che, con tutta probabilità, pesa la metà di loro. Sì, mi piacerebbe di
sicuro.”
Perdendo parte della propria
allegria, lui sussurrò spiacente: “Mi dispiace tantissimo che non si possa
contattarli in nessun modo ma, finché mio padre non cambierà idea su te e me,
sarà impossibile avere alcun rapporto con la corona. Eppure, mi sarebbe
piaciuto tanto che voi vi conosceste.”
Dandogli una pacca su un
braccio con fare comprensivo, Eikhe fece spallucce.
“Sarà quel che Hevos vorrà.
Io ho te, e tanto mi basta. Neppure in questo, ormai, speravo più, perciò
averti qui è il più grande dono che mi sia mai capitato, dopo la nascita di
Antalion.”
“Grazie” sussurrò il
compagno, allungandosi verso di lei per baciarla sulle labbra tumide.
“Ci alziamo? Sicuramente, An
piomberà qui da un momento all’altro, se non ci vede arrivare in cucina nei
prossimi minuti. Ormai il sole è alto da un po’, e non è mia abitudine
gingillarmi a letto” dichiarò allegramente Eikhe, levandosi in piedi con un
agile movimento di gambe.
Scrutandola con malcelato
desiderio mentre, completamente nuda, si avventurava tra un tappeto di
pelliccia e l’altro, fino a raggiungere il mobile a cassettoni, Aken la imitò un
attimo dopo.
Messosi accanto a lei
dinanzi allo specchio, ridacchiò e mormorò divertito: “Venire qui è stato un
toccasana per più di un motivo. Stavo mettendo su pancia.”
Dando uno schiaffetto agli
addominali piatti e muscolosi dell’uomo, la figlia sacra replicò maliziosa: “Io
non ne ho trovata, ieri notte, né ne vedo ora. Stai vaneggiando, uomo?”
“E’ calata grazie alle tappe
serrate che mi hanno condotto qui, e alla dieta frugale che ho tenuto. Hevos
non mangiava mai, perciò le fermate erano veramente poche” sghignazzò Aken,
prima di allungare una mano ad afferrare una camiciola.
“Mi pare ancora così strano
che tu abbia passato così tanto tempo con lui” sussurrò lei, con occhi colmi di
reverenziale timore.
“Dillo a me! La prima volta
che lo vidi sbucare dalla foresta, per poco non ebbi un infarto!” esclamò
divertito lui. “E’ stato di enorme aiuto, perché mi ha permesso di venire a
patti con ciò che ci è successo e di apprezzare, nonostante tutto, ciò che
entrambi avevamo creato, stando separati. Anche se è stato per assecondare un
suo desiderio, sono felice del lavoro che ho svolto a Rajana e, da quel che ho
visto qui, anche tu e le tue compagne avete dato vita a una cosa grandiosa.”
Eikhe annuì, sistemandogli
con gesti premurosi il laccio della camiciola.
“Le figlie sacre stanno
aumentando esponenzialmente di numero, e credo che questo sia il segno che
tutte noi aspettavamo. La nuova Via è stata ormai imboccata e, dopo aver saputo
ciò che hai compiuto all’Accademia Militare di Rajana, sono pronta a
scommettere che il futuro sarà un po’ diverso,
per noi tutti.”
“E’ quello che spero. Certo,
ci saranno sempre incomprensioni ma penso che, tra tutti e due, abbiamo gettato
delle buone basi per un futuro più roseo” asserì soddisfatto Aken,
allacciandosi i pantaloni di pelle prima di raccogliere calze e stivali alti di
cuoio per dirigersi verso il letto.
“Io ne sono più che
convinta” dichiarò lei, infilandosi una tunica imbottita di pelo di coniglio
prima di allacciare gli alamari in corno di cervo.
Quando entrambi furono
pronti, uscirono assieme dalla camera da letto e, percorso che ebbero il breve
corridoio che conduceva alla cucina, incontrarono Antalion, già impegnato a preparare
la colazione.
Eikhe lo salutò con una
carezza su un braccio e un sorriso – subito ricambiato dal figlio – mentre
Aken, datagli una pacca sulla spalla, esordì dicendo: “Dormito bene, figliolo?”
“Insomma” buttò lì il figlio,
aprendosi subito dopo in un sorrisone falsamente innocente.
Sollevando un sopracciglio
con evidente perplessità, il padre replicò: “Perché ho l’impressione che tu
muoia dalla voglia di dirmi qualcosa?”
“Io? Nooo” scosse il capo
Antalion, le labbra tremolanti e pronte al riso.
Accigliandosi leggermente,
Aken scosse il capo – preferendo lasciar perdere – prima di dire a Eikhe:
“Penso che il ragazzo mi stia bonariamente prendendo in giro.”
“Credo sia così, caro” annuì
la donna, mettendo in tavola le ciotole e le posate prima di uscire per andare
a mungere la mucca, che tenevano nella stalla dietro casa.
Rimasti soli, i due uomini
si studiarono per lunghi momenti senza aprire bocca quando infine, con un
lungo, imbarazzato sospiro, Antalion si sedette a tavola.
Fissando ostinatamente le
proprie mani, alitò nervosamente: “Tu e mamma… beh…insomma… siete stati
assieme?”
“Intendi dire se abbiamo
fatto l’amore, Antalion?” chiosò Aken, senza tanti giri di parole.
La pelle dorata del figlio
mutò in un caldo color ciliegia e, mentre il suo capo bruno annuiva nervoso, il
padre sorrise placidamente. “Sì, figliolo. Abbiamo fatto l’amore. La cosa ti
turba? Ti crea noie di qualche genere?”
“No, però…” tentennò il
giovane, prima di trovare la forza di guardarlo e chiedergli titubante: “… non
è che mi spiegheresti com’è?”
“Oh. Credo di aver capito il
problema” esalò Aken, azzittendosi nel momento stesso in cui udirono i passi di
Eikhe, di ritorno dalla stalla.
Strizzando l’occhio al
figlio, l’uomo fece finta di niente e si limitò a sorridere alla compagna che,
del tutto ignara del loro scambio di battute, mise a scaldare il latte.
La polvere di caffè, nel
frattempo, venne mescolata all’acqua, e
pagnotte di pane di segale vennero posate sul tavolo assieme a marmellata e
miele.
Era meglio parlare in
separata sede, di certi argomenti.
***
Seguendo Antalion lungo un
sentiero boschivo, in groppa al suo cavallo, Aken sorrise nel ripensare alla
strana conversazione di quel mattino, interrotta dal ritorno di Eikhe.
Mentre attraversavano il
fitto bosco, desiderosi di raggiungere una polla d’acqua non ancora congelata per
dedicarsi alla pesca, il principe si chiese se il figlio avrebbe ripreso
spontaneamente il discorso.
Era più che ovvio che, pur
non volendolo turbare, qualcosa doveva aver sentito, la notte precedente.
Da quel poco che aveva
compreso, non era un argomento di cui aveva trattato con la madre e, di sicuro,
non ne avrebbe parlato per nulla neppure
in futuro.
Fuggevolmente, si chiese se si
fosse in qualche modo confidato con lo zio o il nonno, o forse con il marito di
Sendala, visto quanto forti erano i loro legami.
Ancora una volta – come
spesso gli capitava in quei giorni – percepì prepotente una fitta allo sterno,
dovuta a un mero attacco di gelosia.
Era deprimente rendersi
conto di quanto avesse perso, in quegli anni, della crescita del figlio, ma lo
rincuorava il fatto che avesse avuto il desiderio di parlare con lui.
Lo faceva ben sperare, gli
dava l’ottimismo sufficiente per credere che un giorno – e Aken sperava non
fosse lontano – suo figlio non avrebbe avuto più segreti, per lui, e il
contrario.
Oltrepassato uno spuntone di
roccia, Aken non poté esimersi dal sospirare di meraviglia quando, di fronte ai
suoi occhi, comparve una piccola cascata ancora libera dai ghiacci.
Protuberanze rocciose,
levigate dall’incessante passaggio del torrente, si estendevano come lunghe
dita a spezzare la possente caduta d’acqua.
Tutt’intorno, una piccola
radura – quasi interamente ricoperta di neve – era baciata da delicati raggi di
sole che, a fatica, riuscivano a penetrare lo scudo naturale fornito dagli
abeti.
Grazie a Hevos, la neve
caduta tra quelle lande era ben poca, rispetto a quella che aveva bloccato la
pianura e la collina.
Ben presto, però, anche quel
microscopico paradiso sarebbe stato reso inavvicinabile dalle abbondanti
nevicate.
Bloccata la propria
cavalcatura, Aken si guardò intorno affascinato, scrutando il contorno
seghettato delle alte vette imbiancate, che vegliavano su di loro grazie alla
loro imponenza.
Ammirato, sussurrò: “E’
davvero un posto magnifico. Non avrei mai immaginato di poter vedere un luogo
simile.”
“La mamma pensava ti sarebbe
piaciuto” disse soddisfatto Antalion, smontando a sua volta da cavallo. “E poi,
è il posto migliore per pescare, da queste parti. E’ l’ultimo luogo a cedere ai
ghiacci, qui nei dintorni.”
“Ottimo! Sono secoli che non
mangio più del buon pesce di montagna” sorrise soddisfatto Aken, sollevando
fino ai gomiti le maniche di tunica e camicia. “Cominciamo?”
Ridacchiando, il figlio
fissò il padre, in quel momento illuminato dal sole che, libero dalla presenza
di nubi in cielo, li riscaldava con i suoi benefici raggi.
Grattandosi una guancia con
aria divertita, disse: “Ancora fatico a credere che tu sia qui, eppure dovrei averci
fatto il callo, dopo due giorni.”
“Credimi, fatico anch’io a
credere di non stare sognando, Antalion. Per anni ho creduto di dover morire da
solo, senza poter rivedere Eikhe, mentre ora sono qui, con mio figlio, e posso
stare con la donna che amo ogni minuto della giornata” replicò con sentimento l’uomo,
prendendo la sua canna da pesca dalla sacca appesa alla sella. “E’ più di
quanto avessi sognato, quando partii da Rajana per venirvi a cercare.”
“E’ stato difficile abbandonare
la mamma?” gli chiese allora il ragazzo, issandosi su una roccia e fissando il
padre con aria curiosa, gli occhi ambrati che esprimevano tutto il suo garbato
interesse.
“La cosa più difficoltosa
che mi capitò di fare, ma credo che la parte più dura sia spettata a lei. La
tribù non fu certo gentile, con tua madre, e dovette affrontare la gravidanza
sapendo di essere odiata da colei che la generò. Credo che nessuna donna possa
sopportare questo, senza soffrire tremendamente” ammise roco Aken, lanciando
l’amo in acqua.
Scuotendo il capo con
espressione affranta, Antalion assentì amaramente.
“Kaihle non gliel’ha mai
perdonato. E mia madre è viva solo perché alcune delle sue amiche, insieme al
branco, si schierarono dalla sua parte. Altrimenti, credo l’avrebbero ammazzata
senza pietà. E me con lei.”
“Non sai quanto mi spiaccia
che anche tu abbia dovuto affrontare un simile dolore…” sospirò Aken,
fissandolo con occhi colmi di comprensione. “…ma dimmi di te, figliolo. Mi hai
parlato di Sendala e di suo marito, e della famiglia di Eikhe. Sono stati
gentili, con te?”
Annuendo, e lasciando che un
sorriso carico di amore incondizionato sbocciasse sul suo viso imberbe,
Antalion disse sommessamente: “Enok, zio Konis e nonno Harm sono stati degne
figure paterne, per me. E’ stata una fortuna poter contare su di loro. E zia
Tyura, Sendala e nonna Ildera mi hanno sempre fatto sentire protetto e amato. La
mamma si è sempre sentita al sicuro, con loro, e anch’io. Anche adesso, quando
vado a trovare lo zio o il nonno, a Marhna, sento che mi vogliono bene e che
vorrebbero vedermi più spesso. Nulla è cambiato, nonostante la distanza, e io
ne sono felice.”
Muovendo la lenza, e
osservando distrattamente la mosca galleggiare altalenante sulla corrente
feroce del torrente rigonfio di acqua gelida, Aken annuì pensieroso.
“Quando nacque il
primogenito di tuo zio Ruak, tuo cugino, mi chiesi cosa avrebbe voluto dire
avere un figlio mio, accudirlo, cullarlo, coccolarlo… sgridarlo, anche!”
Antalion emise un risolino e
il padre, ammiccando al suo indirizzo, continuò nel suo discorso.
“Sono felice che qualcuno
abbia fatto queste cose per te, e che tua madre non sia stata sola ad
affrontare tutto questo, anche se avrei preferito essere io ad affiancarti
nella crescita.”
“Non l’ho mai detto a
nessuno” biascicò Antalion, tenendo la testa bassa per osservare unicamente la
propria canna da pesca.
Vagamente sorpreso, Aken
esalò: “Che cosa, figliolo?”
“Papà” sussurrò lui,
mordendosi nervosamente un labbro. “Anche quando Enok si prendeva tanto spesso
cura di me, non l’ho mai associato a… a un papà. E dire che lui avrebbe anche
voluto!”
Sobbalzando leggermente
sullo spuntone di roccia, su cui era seduto a gambe ripiegate, Aken sollevò
accigliato un sopracciglio prima di bofonchiare: “Scusa, che hai detto?”
Ridacchiando, il figlio fece
spallucce, ammettendo candidamente: “Me l’ha detto mamma. Enok le chiese di
sposarlo, ma lei rifiutò perché amava ancora te, così lui le rimase amico e, in
quegli anni passati al fianco suo e di Sendala, cambiò rotta, per così dire.”
“Meglio” brontolò Aken,
prima di ritirare l’amo e rilanciare l’esca nella corrente tumultuosa.
Lo stridio di un falco, in
lontananza, disse loro che una preda del bosco, in breve tempo, sarebbe stata
catturata e divorata.
Loro, per contro, erano
ancora a secco e, se così fosse stato ancora per un po’ di tempo, avrebbero
fatto una magra figura con Eikhe.
Antalion sorrise di fronte
alla gelosia piuttosto evidente del padre, e chiosò: “Un uomo dovrebbe tenere
sempre d’occhio le proprie cose, no?”
“Diciamo che ero liberamente
costretto in altro loco” borbottò il padre. “A te sarebbe andato che Enok
diventasse tuo padre?”
Ben sapendo che non era una
domanda fatta per caso, ma che implicava ben più di una lettura, Antalion
rimase in silenzio per diverso tempo, tempo in cui Aken dubitò seriamente
avrebbe risposto.
Quando fu quasi del tutto
certo che il figlio avrebbe glissato sulla domanda, il giovane se ne uscì
dicendo: “Per la mamma, non per me.”
“In che senso?” volle sapere
l’uomo, davvero curioso di comprendere appieno la sua risposta.
“Volevo che non piangesse
più di notte e pensavo che, se Enok fosse stato sempre con lei, non sarebbe più
stata triste. Io non riuscivo a colmare il vuoto nel suo cuore, e neppure
Sendala, così pensai che, se avesse avuto un uomo nella sua vita, avrebbe
sorriso sempre” scrollò le spalle Antalion, ritirando a sua volta l’amo prima
di rilanciare più in lontananza. “Sciocco, vero?”
“Affatto. Pensavi al suo
benessere, ed è lodevole” precisò Aken, sorridendogli comprensivo. “Anche se
sono lieto che lei abbia rifiutato.”
“Vedendo come è felice con
te, anch’io ne sono contento” assentì il figlio, abbozzando un sorriso.
“E tu? Tu sei felice?” gli
chiese a quel punto il padre, deglutendo a fatica.
Distogliendo in fretta lo
sguardo, Antalion lo puntò sul volo solitario del falco che in precedenza
avevano udito stridere nel cielo e, ammirandone il volo lineare e perfetto,
sussurrò: “Sì.”
Non disse altro, ma ad Aken
bastò.
Sempre sorridendo, si
concentrò sulla pesca mentre il lupo di Antalion, Mykos, se ne stava
placidamente abbarbicato su un masso a godersi il tepore del sole di quella
giornata di inizio inverno.
I pesci non sembravano
essere disposti a farsi prendere, quel giorno, ma ad Aken importava ben poco.
Antalion era lieto che lui
fosse lì, e nulla avrebbe potuto renderlo più felice. Aveva l’approvazione del
figlio, che altro gli serviva?
Il cinguettio di alcune
allodole di bosco parvero inneggiare alla sua gioia, ma Mykos e Antalion non
parvero d’accordo con la loro allegria.
Notando la loro subitanea
ansia, Aken mise subito a terra la canna da pesca e li osservò, turbato.
Accigliandosi, si guardò
attorno con occhio attento, chiedendo a bassa voce: “Problemi?”
“Ascolta” sussurrò il figlio,
sollevando un dito come a voler indicare il bosco.
Chiusi un momento gli occhi
per meglio concentrarsi, udì non soltanto il canto degli uccelli, ora colmi di
ansia, ma percepì anche dei fruscii crepitanti e il correre frettoloso di
alcuni ungulati.
Niente di buono.
Sollevate le palpebre, si
allontanò dal torrente per avvicinarsi alla sua cavalcatura che, al pari di
quella di Antalion, appariva spaesata e in ansia.
Estratta la spada dal fodero
con un sordo sibilo di metallo, domandò lesto: “Cosa mi devo aspettare?”
“Orsi, forse” ringhiò
Antalion, imitandolo, mentre Mykos li sopravanzava, puntando il muso verso un
punto preciso del bosco, che li circondava come una morsa.
Accigliandosi immediatamente
alle parole del figlio, Aken si mise in posizione di attesa, la spada ben
stretta nella mano destra mentre la sinistra accarezzava il pugnale nel suo
fodero.
Ombroso, esalò: “Ma non
dovrebbero essere già in letargo?”
“Se si tratta di un orso schiena
grigia, no. Loro non vanno in
letargo” brontolò il ragazzo, assottigliando le iridi ambrate prima di lanciare
a destra e a manca rapidi sguardi esplorativi.
“Dimmi una cosa, figliolo…”
cominciò col dire Aken, stando ben attento alle mosse di Mykos, fermo e
ringhiante dinanzi a loro, il pelo ritto sulla schiena e i denti snudati al
loro massimo.
“Cosa, Aken?”
“Sei come tua madre?” chiese
a quel punto il padre, prima di sobbalzare non appena un ringhio furibondo si
levò dall’oscurità del bosco, diffondendosi come un’inondazione tutt’intorno a
loro.
Senza avere il tempo di
rispondere alla domanda sibillina del padre, Antalion sollevò la spada in
direzione del punto da cui era giunto quell’infernale suono.
Un attimo dopo, un’enorme
creatura argentea spuntò come un incubo a occhi aperti dal fitto del bosco.
Senza avere il tempo di
reagire, Antalion sgranò gli occhi nel vedere levarsi la zampa poderosa della
bestia, subito intercettata dal fendente di Aken che, assieme a Mykos,
attaccarono l’orso distogliendolo dai suoi intenti.
Il colpo di spada del
principe andò a segno, ferendo l’animale che, irritato da quell’intervento
indesiderato, scartò verso di lui con il chiaro intento di colpirlo.
Il lupo, pur con tutto il
suo impegno, non riuscì a scalfire la pesante pelliccia e la pelle coriacea
della caviglia della belva che, incurante del suo attacco, levò una zampa per
colpire Aken.
Per nulla scosso, l’uomo si
preparò a ricevere il suo avversario.
Antalion, nel frattempo,
recuperò il controllo di sé dopo quel momentaneo stallo, e volse in fretta lo
sguardo in direzione del padre.
Questo gli permise di
scorgere sul quel volto volitivo la totale mancanza di paura e, sì, la
determinazione a vincere sul suo nemico.
Con una destrezza che non si
era aspettato da lui, lo vide parare la zampata dell’orso con il piatto della
spada mentre, con un movimento rapido di gambe, si spostava per predisporre il
contrattacco.
Mykos, al tempo stesso,
saltellava nei suoi dintorni, indeciso su come attaccare l’animale, consapevole
di essere ancora troppo giovane per poter riuscire nei suoi intenti bellicosi.
Esattamente come Antalion.
Già pronto a dar battaglia
assieme al padre, si bloccò per la sorpresa quando lo vide attaccare il fianco
dell’orso, urlando con le fiamme negli occhi: “Non farai del male a mio
figlio!”
Il colpo andò a segno,
facendo ringhiare di dolore l’orso che, spalancando le zampe in tutta la loro
ampiezza, scaraventò a terra Aken.
La caduta gli procurò un
sordo dolore alla gamba, che andò a urtare contro un masso sporgente.
A quel punto, lo sguardo di
Antalion si fece rosso, segno che la freoha
stava affiorando dentro di sé con forza.
Quando vide l’orso puntare
verso il padre con il chiaro intento di finirlo, il giovane perse del tutto il
controllo e, a testa bassa, si avventò contro l’animale.
Ringhiando come un lupo
famelico, lo atterrò a pochi passi di distanza da Aken che, affrettatosi a
strisciare via nonostante il dolore lancinante alla gamba, fissò lo sguardo sul
figlio impegnato in combattimento.
Esattamente come Eikhe aveva
fatto tanti anni addietro sul Valico di Kortoss, anche Antalion si abbatté con
ferocia animale contro l’orso.
Ormai succube della
superiore potenza del giovane guerriero, l’animale crollò a terra sotto i suoi
colpi senza più riuscire a reagire.
A quel punto, Aken,
risollevandosi a fatica con l’ausilio della sua spada, gridò: “Antalion, la
spada! Usa la spada per finirlo!”
Il figlio si volse a mezzo
per guardarlo, forse per sincerarsi che stesse bene, o sorpreso dal suo dire.
A ogni buon conto, un attimo
dopo sollevò la mano in direzione di Aken per ricevere un’arma.
L’uomo, affrettandosi a
lanciargli la propria, urlò: “La giugulare! Presto!”
Mortale e lucido, il figlio
sacro affondò la lama d’acciaio nella carne dell’animale che, esalando un
ultimo respiro, scivolò esanime a terra senza più dibattersi.
Sollevandosi lentamente tra
le sue zampe spalancate, ringhiò poi furente: “Non avresti dovuto toccare mio
padre!”
“Antalion” sussurrò a quel
punto Aken, avvicinandosi lentamente a lui mentre, guardingo, osservava il
corpo del figlio ancora teso per la battaglia appena sostenuta.
Pareva ai limiti dello
svenimento.
Nell’udire il suo nome, il
giovane si volse a mezzo e fissò il padre per alcuni attimi, senza comprendere
cosa stesse succedendo.
Come se al suo interno
avessero interrotto un flusso di energia, che dava a ogni figlio sacro la forza
di combattere come un lupo, si accasciò accanto all’animale e iniziò a tremare.
Stringendo le braccia
attorno alle gambe come se avesse paura di spezzarsi, piegò in avanti il capo e
iniziò a piangere silenzioso.
Subito, Aken accorse
claudicante al suo fianco e, inginocchiatosi a fatica accanto a lui, lo strinse
a sé carezzandogli i lunghi capelli che gli solleticavano le spalle.
Confortante, gli mormorò
all’orecchio: “E’ tutto finito, figliolo. E’ tutto finito. L’orso è morto.”
“Stava… ti stava…”
singhiozzò Antalion, non riuscendo a parlare con chiarezza. “Eri… in pericolo,
ma…”
“Ssst. Non devi spiegarmi
nulla, Antalion. So cosa vi succede,
non temere” gli sussurrò il padre, baciandolo sulla fronte prima di stringerlo
maggiormente a sé. “Non aver paura che io non capisca. Non ho paura di te,
Antalion.”
Avvolgendolo dapprima con
una certa timidezza e poi con sempre maggiore forza, il figlio scoppiò in un
pianto dirotto.
Tra singhiozzi sempre più
forti, esalò: “Non mi era mai successo… sapevo che avrebbe potuto ma… è così…
così forte… e fa male!”
“Oh, dèi, Antalion” gracchiò
Aken, cullandolo contro di sé e continuando ad accarezzargli lentamente la
schiena, con la speranza che questo lo aiutasse a calmarsi. “E’ colpa mia se è
successo.”
“Non volevo… ti facesse…
male…” ansò il figlio, affondando il viso nella spalla del padre. “Sei mio
padre. Non volevo perderti.”
“Non sarebbe successo, tra
te e Mykos ad aiutarmi” ridacchiò a quel punto Aken, sperando con tutto se
stesso che il figlio si calmasse.
Gli si spezzava il cuore, a
vederlo così sconvolto. “Siete stati bravissimi.”
“Mi sono lasciato cogliere
impreparato” replicò Antalion, calmandosi leggermente. “Tu, invece, hai agito
subito e… eri una furia…”
“Stava cercando di farti del
male. Pensavi sarei rimasto fermo ad aspettare?” lo irrise bonariamente il
padre, scostandosi un poco da lui per guardarlo negli occhi umidi. “Che padre
sarei, scusa?”
“Giusto” annuì debolmente il
figlio, prima di socchiudere gli occhi e sorridere quando la mano ruvida di
Aken scivolò sulla sua guancia ad asciugargli le lacrime. “Scusa se ho pianto.”
“Non devi scusarti di nulla.
Sei stato bravissimo, e mi hai salvato” scosse il capo il padre, terminando di
tergergli il viso. “Non sarà un pesce, ma che dici? Andrà bene alla mamma?”
Scoppiando a ridere
nervosamente, Antalion annuì e, con l’aiuto di Aken si rimise in piedi. “Credo
le piacerà avere un altro mantello d’orso.”
“Penso anch’io” sogghignò l’uomo,
poggiando le mani sui fianchi con espressione pensierosa. “Il punto è un altro;
come lo portiamo a casa?”
Antalion a quel punto
ridacchiò e gli propose una soluzione.
“Lo leghiamo ai cavalli con
le corde e glielo facciamo trascinare fino a casa, che dici?”
“Ottima pensata, figliolo”
annuì Aken, sorridendogli.
“Grazie… papà” sussurrò
Antalion, abbozzando un sorriso timido.
L’uomo si limitò a
scompigliargli i capelli con una mano, prima di dire: “Recuperiamo armi e
bagagli e torniamo casa. Voglio vedere che faccia farà tua mamma.”
“Beh, quando ti vedrà
zoppicare, non sarà felicissima” sottolineò il figlio, guardandolo preoccupato.
“Sarà più felice quando
dovrà curarmi, così avrà una buona scusa per mettermi le mani addosso”
ridacchiò Aken, afferrando la spada di Antalion prima di porgergliela.
Con un risolino, il giovane
la rinfoderò.
“Come hai fatto a capire che
era il momento giusto per… per fare l’amore con lei?”
“Quando ogni particella del
mio animo desiderò ardentemente farlo, quando ogni suo respiro divenne per me
la vita, quando ogni suo sorriso e ogni suo pianto si trasformarono in gioia, o
sgomento, per me, quando anche le ragioni più ovvie al mondo non bastarono a
tenermi lontano da lei” disse semplicemente il padre, fissandolo con estrema
serietà.
Attese un attimo, poi aggiunse:
“Ma, soprattutto, quando lei volle
questo da me. Perché, per quanto forte possa essere il tuo desiderio, se esso
non è ricambiato, allora deve essere tenuto fortemente sottochiave e ammansito.
Mai, mai dovrai obbligare una donna a
sottostare a un tuo desiderio. Se esso non è reciproco, allora non potrà mai
essere un piacere, ma sarà solo un abuso.”
Annuendo, Antalion gli
sorrise grato e disse: “Grazie, papà.”
“Di nulla, figliolo” replicò
l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla. “E ora, torniamo a casa.”
“Sì, torniamo a casa”
sussurrò il giovane, volgendosi per iniziare a legare l’orso.
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Capitolo 27 *** cap. 27 ***
27.
Di certo, il rientro di Aken
e Antalion al villaggio suscitò scalpore.
E anche un po’ di ansia.
Il successo per quella
caccia proficua passò presto in secondo piano, tra le genti del villaggio,
quando i presenti si resero conto delle condizioni di salute del principe.
Dopo aver passato più di due
ore a cavallo per raggiungere il villaggio, il dolore alla gamba di Aken era
decuplicato e, a quel punto, persino scendere di sella avrebbe potuto essere un
problema.
Fu ben accetto, quindi,
l’arrivo di Kalon e Raltan, i figli di Seletta che, avvisati da alcune donne-lupo
della situazione, accorsero subito in aiuto del loro vecchio amico.
Non appena lo videro
appollaiato sulla sella del potente stallone, il viso sorridente ma segnato dal
dolore - che sembrava voler nascondere a tutti i costi - , i due giovani
sorrisero benevolmente.
Ridendo sommessamente, Kalon
esordì dicendo: “Beh, tutto mi sarei aspettato tranne che di rivederti qui,
principe!”
“Che mi venga un colpo!”
esclamò Aken, scoppiando in una grassa risata di cuore. “Vuoi due giganti non
potete essere Kalon e Raltan!”
“Eccome se li siamo!” rise a
sua volta Raltan, allungando una mano per stringere con calore quella dell’uomo.
“Non avrei mai pensato di rincontrarti, principe.”
“Solo Aken, ragazzi” scosse
il capo lui, continuando a sorridere ai due giovani che sembravano eguagliarlo
in altezza, almeno a un primo esame.
Indicandosi comicamente,
domandò loro: “Siete venuti per tirarmi giù di peso?”
“A quanto pare, hai bisogno
di questo” dissero quasi in coro i gemelli, posando le robuste mani sui
fianchi.
Antalion, nel frattempo, era
sceso da cavallo e aveva osservato incuriosito il loro scambio di battute.
“Davvero, li hai conosciuti
quando erano piccoli?”
Annuendo, il padre allungò
le mani in direzione di Raltan, che lo afferrò saldamente sotto i gomiti.
Kalon, nel frattempo, passò
sul lato opposto della cavalcatura per aiutarlo a scavalcare la sella con la
gamba malandata.
“Quanto tua madre e io
eravamo di ritorno dal nostro tragico viaggio in direzione di Anok Fort, incontrammo
Seletta e questi due bricconi. Ci fermammo da loro per una notte, prima di
ripartire per Rajana. Ahia! Vacci piano, Kalon! La gamba la rivorrei intera!”
“E’ di un’altra gamba che ti
devi preoccupare, e quella non mi sembra abbia subito danni!” rise per contro il
giovane, facendo esplodere in una risata collettiva le poche donne ancora
presenti a capannello attorno a loro.
“Dèi, per favore! Usa un
linguaggio più consono!” rise suo malgrado il principe, riuscendo in qualche
modo a scavalcare la sella prima di crollare quasi di peso contro Raltan. “Ahia…
scusa, ragazzo.”
“Nessun problema, Aken”
scosse il capo il giovane, avvolgendogli la vita con un braccio, prima di
sussurrare: “Oh, oh. Arriva la consorte.”
Impallidendo leggermente non
appena vide giungere Eikhe di corsa, lo sguardo accigliato e le sopracciglia
arricciate come solo lei sapeva fare, Aken si esibì in un sorriso stentato, mormorando:
“Ehm, …ciao.”
La donna lanciò solo un
breve, fuggevole sguardo all’orso morto e al figlio, prima di puntare i pugni
sui fianchi, fissare malamente Aken e ringhiare: “Ti lascio uscire mezza
giornata con nostro figlio, e tu riesci a tornare con le ossa rotte?”
“Non è detto che siano
rotte” sottolineò l’uomo, pur non volendo sperimentare davanti a tutti la
solidità della sua gamba dolorante.
Kalon e Raltan fecero di
tutto per non ridere, mentre le donne si allontanavano più tranquille, sapendo
che Eikhe era al corrente di ogni cosa.
Avrebbe pensato lei al suo
uomo, a quel punto.
Mordendosi titubante un
labbro, Antalion si intromise con voce leggermente tesa e preoccupata. “Mamma,
senti,… non è colpa di papà.”
Sobbalzando nel sentirlo
parlare a quel modo, Eikhe gli sorrise per un momento – lieta per quel
cambiamento apparentemente sentito e voluto
– prima di tornare seria e chiedere: “E come dovrebbe essere, caro?”
“Vedi, l’orso mi ha colto di
sorpresa e…”
Bloccandosi per un istante
in preda all’imbarazzo, il ragazzo si passò una mano tra i capelli, prima di
aggiungere: “…insomma, papà lo ha attaccato per difendermi. Solo che, come
avrai potuto notare, è un tantino più grosso di noi e…”
Cominciando a comprendere
dove volesse andare a parare il discorso balbettante del figlio, Eikhe si
avvicinò lesta a lui e poggiò delicatamente le mani sulle guance di Antalion.
Abbozzando un sorriso, il
figlio esalò: “E’ successo.”
“Oh, tesoro mio” sussurrò la
madre, avvolgendolo in un abbraccio consolatorio.
“Finché papà stava
combattendo non è successo nulla, perché sapevo che non era in relativo
pericolo ma, quando l’orso l’ha gettato a terra, io… ho visto tutto rosso e…”
ansò Antalion, stringendosi alla madre prima di sussurrare tra i suoi capelli:
“… non volevo che lo uccidesse, mamma. Non volevo perdere mio padre.”
“Lo, so, tesoro, lo so.
Succede a tutti coloro che hanno il Marchio di Hevos. Solo, speravo di essere
presente per assisterti, quando fosse avvenuto” gli spiegò gentilmente lei,
baciandolo sulle guance prima di sorridergli orgogliosa.
Volgendo lo sguardo a
scrutare il padre, ancora sorretto dall’amico Raltan, Antalion ritrovò il
sorriso replicando: “Papà è stato bravo. Sapeva cosa mi stava succedendo, e mi
è stato vicino.”
“Vorrà dire che lo scuserò,
se si è rotto la gamba” commentò a quel punto Eikhe, sorridendogli fiera.
Con aria complice, Kalon si
piegò nella sua direzione per sussurrare: “Ti sei salvato il tuo posto nel
letto, amico.”
“E tu devi darti una
regolata nel parlare. Ma sei sempre così a senso unico, tu?” esalò Aken,
ridacchiando nell’osservare l’aria comica stampata sul volto del giovane al suo
fianco.
Sospirando nello scuotere il
capo con aria falsamente afflitta, Raltan chiosò: “Di certo, in questo
villaggio non mancheranno mai figli.”
“Che intendi dire?” chiese
vagamente sconvolto l’uomo, fissando a occhi sgranati Kalon che, nel frattempo,
stava ridacchiando divertito.
Eikhe gli si avvicinò con un
sorrisino sulle labbra e, baciato Aken sulle labbra, asserì: “Il nostro caro Kalon ha già tre figli, qui nel
villaggio, e da tre madri diverse. Si è reso più che disponibile per tutte
coloro che non volevano un compagno fisso, ma solo un pargolo da crescere,
esattamente come prevede la vecchia legge delle donne-lupo.”
“Oh. Santo. Cielo” sillabò
Aken, molto più che sorpreso.
“Andiamo, amico… non ti
sembra ingiusto che il mio indubbio fascino sia esclusività di una sola donna,
quando posso accontentarne tante, avendo pure la certezza che non sono neppure
gelose le une delle altre?” gli fece notare Kalon, strizzandogli l’occhio. “Inoltre,
adoro i miei figli, e mi prodigo allo spasimo per loro. Sono un papà
eccezionale.”
“E un montato pieno di sé,
ma questo lasciamolo da parte” aggiunse con ironia Raltan, sorridendo divertito
al fratello.
“Tu, invece, Rally, sei
anche troppo modesto. Ci sono un sacco di ragazze che farebbero carte false,
per te, e tu non ci senti neppure, da quell’orecchio” brontolò bonariamente
Kalon, sussurrando poi cospiratorio con Aken. “Il ragazzo si vuole mantenere
puro per una sola donna, pare.”
“Non fa male” asserì l’uomo,
scrollando le spalle.
“Già, ma…”
Interrompendo sul nascere la
discussione, Eikhe dichiarò perentoria: “Continuerete questa interessante
conversazione dentro casa. Io, nel frattempo, andrò a cercare Vesthe perché gli
controlli la ferita.”
“Come? Vesthe?” esalò Aken,
sobbalzando per la sorpresa. “Vesthe è qui?”
“Sì” assentì la compagna,
prima di ricordare un particolare e sorridere. “Mi portò i tuoi ringraziamenti
per ciò che avevo fatto per il regno, se può farti piacere saperlo.”
“Ehm… sì. Certo che ne sono
felice” assentì lui, accennando un sorrisino.
Accigliandosi appena, Eikhe
domandò: “C’è altro che devo sapere, riguardo alla vostra conoscenza durante la
guerra?”
“Diciamo che è stata la mia
ombra durante tutto il periodo e…” tentennò Aken, lappandosi nervosamente le
labbra, non sapendo esattamente cosa dire.
“E…” lo incitò Eikhe con un
gesto voluttuoso della mano.
“Beh, ecco, possiamo dire
che, finalmente, potrà vedermi una buona porzione di pelle, come voleva lei”
sospirò l’uomo, facendo sorridere la compagna. “Portatemi dentro, prima di ammettere
altre cose imbarazzanti.”
Facendo tanto d’occhi, Eikhe
scoppiò a ridere subito dopo, incamminandosi divertita lungo la via e
sussurrando tra sé: “Questa voglio proprio saperla.”
“Sei nei guai, amico” chiosò
Kalon, sogghignando.
Aken preferì non dire nulla.
E sperò che anche Vesthe fosse di quell’avviso.
***
Quando mai le donne stanno
zitte? Non in quell’universo, di sicuro.
Vesthe non solo raccontò a
Eikhe della loro amicizia, nata e cresciuta durante la guerra – tristemente
interrotta una volta terminato il conflitto – ma anche della sua interessante quanto imbarazzante richiesta.
Eikhe non parve esserne
particolarmente colpita, o quanto meno, non le parve offesa, quando rientrò a casa assieme alla donna che, a
quanto pareva, era anche il medico del villaggio.
Osservandola con attenzione,
mentre Vesthe gli controllava scrupolosamente il ginocchio gonfio e il fianco
ammaccato e ormai violaceo, Aken le sfiorò una mano con la propria, sussurrando:
“Tutto bene?”
“Ma certo, perché?” gli
chiese lei, scrutando a momenti alterni il viso di Aken e quello concentrato di
Vesthe.
Antalion e i figli di
Seletta stavano attendendo in salotto di avere notizie mentre, fuori dalla
casa, un piccolo capannello di gente si era riunito spontaneamente per sapere
delle condizioni del compagno di Eikhe.
Indicando con un cenno del
capo la donna che lo stava visitando, Aken sussurrò: “Sì, insomma, per quello
che ti ha detto.”
La compagna si limitò a
sorridere benevola.
“Non mi turba affatto, Aken,
anzi, mi lusinga che un’altra donna ti abbia guardato con interesse. E mi
lusinga ancora di più il fatto che tu abbia rifiutato la sua richiesta.
Significa che mi sei stato fedele sempre, anche di fronte a un invito del tutto
privo di controindicazioni.”
Voltandosi un momento per
sorridere al suo paziente, Vesthe disse divertita: “Era così imbarazzato,
quando gliel’ho chiesto! E si vedeva lontano un miglio che, nella sua testa,
c’era solo una donna a cui avrebbe concesso volentieri quel favore.”
“Hai sempre dimostrato buon
gusto, Vesthe” ridacchiò Eikhe, carezzando gentilmente la chioma corvina del
compagno.
“Farò sempre un po’ fatica a
capirvi ma, se non sei offesa, va bene” si rassegnò a quel punto Aken,
sorridendole più tranquillo.
Un attimo dopo, lanciò
un’imprecazione degna di uno scaricatore di porto, subito seguita dalla
risatina di Vesthe e lo sguardo preoccupato della compagna che, turbata, esalò:
“Che succede?”
“Qui, abbiamo una contusione
al ginocchio, mio caro principe” sentenziò il medico, piegandosi sulla borsa
dei medicinali per estrarne un sacchetto di pelle nera. “Dovrai tenere la gamba
sollevata per almeno due settimane, e fare degli impacchi di ghiaccio alternandoli
a spugnature con foglie di elegor
imbevute nell’olio. Il fianco è a posto, dovrai solo massaggiarlo con un
composto antidolorifico. E la caviglia è solo un po’ gonfia, ma non c’è niente
di rotto. Spunterà sicuramente un livido anche lì, ma non c’è da preoccuparsi.”
“Ottimo” brontolò Aken,
guardando la propria gamba nuda, e ricoperta da lieve peluria nera, con il
desiderio pressante di prenderla a sprangate.
Non che avrebbe risolto
molto, ma si sentiva vagamente idiota, in quel momento.
Comprensiva, Eikhe gli
disse: “Non devi arrabbiarti, Aken. Poteva capitare a chiunque. Inoltre, per
difendere tuo figlio, non ti saresti anche tagliato un braccio?”
“Ovvio!” esclamò l’uomo,
prima di aprirsi in un sorriso tronfio e aggiungere: “Hai sentito, il ragazzo?”
“Sì, ho sentito. E’ molto
orgoglioso del suo papà” rise la compagna, chinandosi a baciarlo su una guancia.
“Vado a dire ai ragazzi che possono entrare. Io, intanto, mi prenderò un caffè
con la nostra dottoressa e mi farò raccontare tutte le tue prodezze di guerra.”
“Sii brava, Vesthe, mi
raccomando!” la pregò gentilmente Aken, vedendola sghignazzare.
“Ovviamente, principe”
promise lei, ammiccando divertita.
L’uomo non si sentì per
nulla confortato da quella promessa.
Un attimo dopo l’uscita
delle due donne, entrarono di corsa il figlio e i ragazzi di Seletta e, della
parola data da Vesthe, Aken non si preoccupò più.
Dopotutto, se Eikhe non si
era arrabbiata per la proposta di Vesthe, non si sarebbe neppure infuriata per
il suo modo, a volte un po’ troppo avventuriero,
di combattere.
***
Quasi mezzo villaggio si presentò
alle porte della casa di Eikhe per sapere di Aken, e augurargli una pronta
guarigione.
Fu solo verso sera che
l’abitazione tornò finalmente quieta e tranquilla, e il principe poté dedicarsi
a una cosa che gli stava decisamente a cuore.
Sorridendo soddisfatto nel
saggiare sulle mani la spada del figlio, poggiò il piatto della lama su un dito
e la guardò bilanciarsi perfettamente.
L’artigiano che l’aveva
forgiata aveva dato il massimo, con quell’arma.
Pomolo e lama erano perfette
mentre l’elsa, ricavata da un unico blocco di osso sapientemente lavorato, era
stata intagliata per l’uso esclusivo della mano del figlio.
Sulla guardia di acciaio
temprato, invece, era stato inciso in negativo il suo nome con caratteri
eleganti e rotondeggianti.
Passando con attenzione un
dito sul piatto della lama a doppio filo, ne saggiò la superficie perfettamente
liscia e lavorata con sapiente cura.
Sfiorò con un mezzo sorriso
la rotondeggiante ambra incastonata proprio accanto alla guardia della spada,
simbolo sicuramente dei Marchiati da Hevos.
“E’ un oggetto davvero
prezioso. Te l’ha presa la mamma?” chiese a quel punto Aken, restituendola al
figlio perché la riponesse nel fodero di cuoio.
“Il nonno. La comprò da un
armaiolo di Marhna per il mio quattordicesimo compleanno” gli spiegò
succintamente Antalion.
“Sei anche capace di usarla come merita?” lo
irrise bonariamente il padre, strizzandogli l’occhio.
“Spero di sì!” ridacchiò il
figlio. “Istrea e mamma mi hanno insegnato tutto ciò che sanno ma, visto che tu
sei qui e sei bravo a tirar di spada, potresti darmi qualche ripetizione,
quando starai meglio.”
“Lo farò volentieri. Mi fa
piacere sapere che si siano presi cura del tuo addestramento. Non mi sarebbe
piaciuta l’idea di saperti in giro con un ferro del genere, ma senza alcuna
conoscenza base della scherma.”
“Mamma mi avrebbe legato al
letto, piuttosto” ghignò Antalion, figurandosi la scena. “E’ sempre stata
protettiva, specie nei primi anni.”
“Posso immaginarlo” annuì
Aken, meditabondo. “Ricordo Seletta molto bene, e anche lei era molto
protettiva coi suoi ragazzi. Dopotutto, ha dovuto crescerli da sola, e lontano
da tutti.”
Sbirciandolo curioso in
volto, Antalion gli chiese: “Kal e Rally mi hanno detto che li portasti in giro
sulle spalle e giocasti con loro, quando erano piccoli. E’ vero?”
“Sì. Mi piacquero subito, e
mi parve naturale stare con loro mentre la mamma e Seletta chiacchieravano tra
loro. Penso ne avessero entrambe bisogno, come i ragazzi avevano bisogno di passare
qualche tempo con una figura maschile. Se avessimo potuto, saremmo rimasti
maggiormente da loro, ma purtroppo la nostra missione era troppo urgente” gli
spiegò il padre, notando un accenno di gelosia negli occhi del figlio, subito
mitigata da un sorriso.
“Ti ricordano con affetto,
quindi penso che il piacere di conoscerli sia stato reciproco.”
“Mi sarebbe piaciuto fare lo
stesso con te, credimi” sussurrò Aken, allungando una mano per stringergliela.
Antalion restituì la
stretta, sorridendo sghembo. “Devo metterti l’impacco sul ginocchio.”
“Che schifo!” sbottò il
padre, lanciando un’occhiata disgustata alla brocca di legno che conteneva
l’unguento.
“Pensa a me che lo devo spalmare!” sottolineò il
figlio, sogghignando nell’infilare due dita nel contenitore ripieno di
poltiglia nerastra. “Bleah!”
***
Sospirando deliziato, quando la mano di Eikhe risalì
lentamente lungo tutto il suo torace fino a fermarsi, quasi esitante, nei
pressi di un capezzolo, Aken volse il capo sul cuscino e le sorrise malizioso.
“Non sai dove andare, ora?”
“Oh, lo so dove andare, ma non vorrei che ti venisse
voglia di qualcosa che, al momento, non puoi avere” precisò lei, sorridendo
sorniona.
“E perché mai non dovrei averlo? Puoi cavalcarmi
finché vuoi, donna, e io non avrò nulla da ridire” ribatté lui, sollevando
malignamente le sopracciglia mentre un lento sogghigno si dipingeva sul suo
viso.
“Ehm,… Aken, anche volendo, dovresti far forza sulle
gambe e, se non erro, una è piuttosto ammaccata” gli fece notare lei,
giocherellando con i peli del suo petto.
“Tu non mi dai credito, ragazza mia. Pensi che una
semplice gamba ferita possa bloccarmi?” sospirò l’uomo, scuotendo con falsa
mestizia la testa.
A quel punto Eikhe si sollevò su un gomito per
scrutarlo per bene in viso e, notando il suo sguardo più che divertito, storse
la bocca in un ghigno diabolico.
“Vuoi che ti metta alla prova, vero?”
Senza dire nulla, l’uomo la afferrò alla vita,
caricandosela sopra il corpo come se non pesasse nulla.
Sorridendo al suo indirizzo, sentenziò: “Ti sfido a
sfiancarmi, Eikhe.”
“Aken, non hai bisogno di dimostrarmi niente, sai?”
sorrise divertita lei. “So che non hai novant’anni, credimi. Anzi, sono sicura
che mi hai mentito, anni fa, dicendomi di avere venticinque anni. Ora non ne
dimostri affatto quarantuno, ma trenta, giuro. Non uno di più.”
“Non siamo longevi solo nell’età, nella mia famiglia,
sai, piccola?” ridacchiò lui, muovendosi a fatica per districarsi con i lacci
dei pantaloni.
Eikhe rise, divertita dai suoi goffi tentativi di
liberarsi dei calzoni e, messasi in ginocchio per dargli una mano, sgranò
leggermente gli occhi nel vederlo già pronto per lei.
“Beh, mio buon principe, di certo non perdi tempo”
commentò a quel punto, sfiorandolo con una mano.
Sospirando, Aken chiuse gli occhi e sussurrò:
“Cavalcami, mia bella lupa, e rendimi felice.”
“Se domani sarai tutto acciaccato, non dare la colpa a
me. Dopo un simile spettacolo, non mi terrai lontano dal tuo corpo neppure se
tu lo volessi” precisò la compagna, sistemandosi sopra di lui fino ad averlo
dentro di sé.
Con un unico, simultaneo sospiro, chiusero gli occhi
per il piacere e a quel punto Aken, sussurrò roco: “Non ti riterrò
personalmente responsabile della mia salute, domattina.”
“Tienilo bene a mente” ansò lei, iniziando a muoversi.
***
Non fu
esattamente una brillante idea, dare libero sfogo ai suoi desideri.
Quando Eikhe
glielo fece notare, il mattino seguente, sentendolo lamentarsi come un uomo in
punto di morte, Aken non poté prendersela con la sua focosa compagna di letto,
visto quanto promesso solo la notte precedente.
Il fisico, già
provato dal combattimento contro l’orso, non resse bene alla loro notte d’amore
piuttosto movimentata.
Al risveglio, quando
si ritrovò con più dolori che muscoli e ossa disponibili ad accoglierli, Aken
dovette ammettere che, forse, avevano un po’ esagerato.
Naturalmente,
Antalion cercò di non ridere di fronte alla faccia pesta del padre e a quella
rosso fuoco di sua madre.
Per nessun
motivo, nessuno dei due volle scendere in particolari con lui, circa il
peggioramento delle condizioni di salute del padre.
Non che i rumori
della notte precedente lasciassero adito a dubbi.
Erano arrivati
fino all’altro capo della casa, dove si trovava la sua stanza, facendolo
sogghignare contro il cuscino prima di addormentarsi.
In un certo qual
modo, l’idea di sapere i genitori ancora così affiatati, dopo i molti anni di
separazione, gli faceva piacere.
Anche se non lo
rendeva felice vedere il padre così malconcio da non volersi alzare da letto,
se non per espletare i suoi bisogni fisiologici.
L’essere a
conoscenza dei motivi che l’avevano ridotto così, comunque, non poteva che
farlo sorridere.
Di certo, non ne
avrebbe fatto parola con nessuno dei due – non gli erano parsi vogliosi di
parlarne.
Limitandosi,
perciò, a prendersi cura del padre senza aprire bocca in merito, Antalion portò
la colazione ad Aken subito dopo le abluzioni mattutine.
“Quando starai
bene, verrai con me a conoscere i nonni, lo zio e la famiglia di Sendala? Di
solito, durante l’inverno faccio loro visita almeno una volta, assieme a mamma,
e sarebbe carino se venissi anche tu.”
“Sicuro che non
vorranno ammazzarmi, visto che non sono mai stato con voi in questi anni?” sottolineò
Aken, sogghignando all’indirizzo del figlio.
“Mamma ha sempre
detto loro, come a me, che non potevi stare con noi per gravi motivi quindi,
vedendoti e sapendo chi sei, capiranno immediatamente” lo tranquillizzò Antalion,
facendo nel frattempo spallucce come se il problema non esistesse affatto.
“Oppure, mi
ammazzeranno pensando che, in quanto principe, io mi sia semplicemente
approfittato di Eikhe” ipotizzò per contro Aken, sorseggiando un po’ di caffè
bollente.
“Approfittare
della mamma?” lo irrise il figlio, davvero scettico in proposito.
Il padre ci
rimuginò sopra un istante, prima di ridacchiare e convenire con il figlio.
Sì, sarebbe
stato impossibile avere la meglio su Eikhe in quel particolare frangente, a
meno che lei stessa non volesse la stessa cosa.
Una figlia
sacra, a meno di un agguato in grande stile, tale da bloccarla su ogni fronte,
non avrebbe mai potuto essere presa con la forza.
E lui, di certo,
non aveva usato la forza, per farla sua. O lei per farlo suo.
Con una
scrollatina di spalle, Aken acconsentì alla proposta del figlio.
“Quando starò
meglio, e se il tempo lo permetterà, andremo a trovare i nonni e gli zii, va
bene?”
“Grazie” sorrise
lieto Antalion prima di ridacchiare e aggiungere: “Ammesso che tu sopravviva, è
ovvio.”
Sollevando un
sopracciglio con evidente sarcasmo, il padre borbottò: “Non credo siano
affaracci tuoi, figliolo.”
“Se rimango
orfano, sì” ridacchiò lui, schivando di un soffio uno scappellotto giocoso di
Aken. “La parte più divertente, però, sarebbe spiegare i motivi della tua morte!”
“Dovrei pulirti
la bocca col sapone! Tua madre l’ha mai fatto? Dubito” brontolò il padre, ridacchiando
suo malgrado di fronte all’evidente divertimento del figlio. “Ammettilo, che ti
piace avere una famiglia al gran completo.”
Tornando serio, il
ragazzo annuì ed esclamò: “Certo che mi piace! Ma, soprattutto, adoro vedere la
mamma sempre sorridente. E questo è tutto merito tuo.”
Abbozzando un
sorriso, Aken replicò: “Non ti sei accorto che ci somigliamo come due gocce
d’acqua, Antalion? Pensi che fosse facile, per lei, averti accanto ogni momento
della giornata?”
Mordendosi un
labbro con fare pensoso, il ragazzo assentì torvo.
“Le ricordavo te
ogni secondo, eh?”
“Esatto. E visto
che, con mio sommo piacere, tua madre mi ama tanto quanto la amo io, pensi sia
stato facile guardarti tutti i giorni e sapere che non avremmo mai potuto
rincontrarci?”
“No” ammise
Antalion.
“Inoltre,
amandoti come ti ama, per lei era ancora più difficile. Mescolava rimpianto e amore,
ogni qual volta posava lo sguardo su di te” disse sommessamente Aken,
carezzando una guancia del figlio con il dolore negli occhi.
Quanta
sofferenza aveva dovuto patire in silenzio, in quegli anni! Era un autentico
miracolo che Eikhe non avesse finito con l’odiarlo.
“Ma ora che sei
cui, è tutto più facile” asserì speranzoso il ragazzo. “Almeno, fin quando ti
permetteranno di rimanere.”
“Te l’ho detto;
anche se venissero a cercarmi, troveremo il modo di rimanere insieme. Non sono
più disposto ad accettare compromessi, quando si tratta di voi” gli rammentò il
padre, con un tono che non ammetteva repliche. “Ho sacrificato abbastanza della
mia vita, per la corona e per Hevos.”
“Già” ammiccò
Antalion, volgendosi a mezzo nel sentire bussare alla porta della stanza. “Sì?”
“Sono Seletta.
Posso entrare?”
Aprendosi in un
sorriso, Aken la invitò ad entrare e il figlio, immaginando volessero parlare
da soli di vecchi ricordi, li lasciò alle loro chiacchiere portando via gli
unguenti e le fasciature da pulire.
In cucina,
intenta a sistemare un cesto di biscotti sicuramente portato da Seletta,
Antalion si rivolse alla madre.
“Papà è a posto.
C’è altro che posso fare?”
“Fai già anche
troppo” scrollò le spalle Eikhe, sorridendogli. “Perché non vai fuori a
divertirti con i tuoi amici? Tanto, qui in casa è tutto in ordine e papà, di
sicuro, non scapperà da letto molto presto.”
Indeciso sul da
farsi, il ragazzo tornò con lo sguardo al corridoio, che conduceva alle stanze
da letto, restio ad abbandonare casa.
Raggiuntolo con
un sorrisino comprensivo stampato in viso, la madre gli diede una pacca sulla
spalla e disse: “Non se ne andrà, davvero. Non aver paura di lasciarlo per
qualche ora.”
“Ho il terrore
di svegliarmi da un bel sogno, e di non trovarlo più qui” ammise Antalion,
ridacchiando imbarazzato.
“Ci sarà ancora,
quando tornerai, promesso” annuì con convinzione lei, dandogli un buffetto
sulla guancia prima di sospingerlo verso la porta.
Il figlio allora
le sorrise grato e corse via, sbattendo la porta dietro le spalle dopo aver
infilato un pesante giaccone di pelo di bufalo.
Poteva capire
benissimo le paure del figlio, perché erano anche le sue.
Non si illudeva
davvero che la corona lo avrebbe lasciato al suo destino, senza nemmeno provare
a ricondurlo a Rajana, ma sapeva che, almeno per quell’inverno, non avrebbero
corso rischio alcuno.
In primavera,
sarebbe stata tutta un’altra storia.
Istrea,
comunque, le aveva detto che le tribù più a sud, allertate, avevano dato la
loro disponibilità per avvertire Hyo-den, qualora vi fosse stato pericolo.
Questo avrebbe
concesso loro il tempo necessario per approntare un piano di fuga o, quanto
meno, per evitare di essere trovati al villaggio, in modo tale da non mettere a
rischio l’incolumità delle persone presenti.
Certo, non le
piaceva affatto l’idea di scappare come una ladra nella notte, ma non era più
disposta a farsi strappare dalle mani l’amore della sua vita.
Con le unghie e
con i denti, avrebbe lottato per tenersi Aken, anche a costo di sfoderare veramente gli artigli.
Non le piaceva
richiamare la freoha ma, per Aken,
l’avrebbe fatto mille e mille volte.
Lo aveva fatto
un tempo, nel loro viaggio verso Rajana. Lo avrebbe fatto ancora, per scappare
da essa, stavolta.
********************
Ancora un po’ di focolare domestico, per la famiglia di Aken. Ma non dubitate, Arkan non si è dato per vinto. L’inverno, però, è ancora lungo, e lui dovrà pazientare, cosa che però non gli viene molto bene…ihihih |
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Capitolo 28 *** cap. 28 ***
28.
Occorsero quasi
tre giorni per giungere a Marhna.
La tanto attesa
neve era infine giunta a imbiancare anche le vallate montane, bloccando non
poche vie e rendendo impervie le restanti.
Raggiungere la
cittadina montana seguendo la carovaniera di Anok Fort, però, aveva facilitato
– e di molto – il viaggio della famiglia di Eikhe.
Quella strada
era forse l’unica, in quella zona, a rimanere sempre sgombra.
Agli albori
della sera del terzo giorno, con i ghiacciai simili a laghi di fuoco e il cielo
di un caldo color lilla e arancione, entrarono infine in una delle vie laterali
di Marhna.
Diretti a passo tranquillo
verso la parte nord del paese, dove si trovava la casa del padre di Eikhe,
parvero non destare alcun interesse nei pochi valligiani presenti.
Segno di come i
tempi fossero cambiati anche lì.
Avvisati tramite
l’ausilio di un falco della loro prossima visita, Eikhe era quasi certa
avrebbero trovato ad attenderli non solo Konis e la sua futura moglie, ma anche
Sendala, Enok e la piccola Amill.
Erano soliti
riunirsi tutti, in occasione delle loro fugaci visite invernali.
Perciò,
prevedeva che, anche questa volta, non sarebbe stata dissimile dalle altre se
non per un unico, insignificante particolare.
Di proposito,
aveva evitato di dire a Harm che, con loro, sarebbe stato presente anche il
padre di Antalion.
Durante quei tre
giorni di viaggio per i boschi, Eikhe si era chiesta come la sua famiglia lo
avrebbe accolto e, soprattutto, se lo avrebbero accettato come aveva fatto suo
figlio.
Aken e Antalion
erano diventati praticamente inseparabili, in quel breve periodo passati
assieme, e sembravano l’uno l’ombra dell’altro.
Con la gioia nel
cuore, aveva assistito giorno dopo giorno alla rinascita di entrambi i suoi due
uomini più importanti.
Se le paure del
figlio erano scomparse, man mano che i giorni e le notti si susseguivano
regolarmente, le ansie del compagno erano via via scemate fino a divenire solo
un pallido ricordo.
Anche le sue, di
insicurezze, erano svanite come neve al sole, e ora si sentiva rafforzata nel
fisico e nello spirito dalla presenza di entrambi loro.
Era finalmente
libera di amare ed essere riamata, senza rimpianti o ferite sanguinanti a
guastare le sue giornate.
Sorridendo ai
suoi uomini, che le viaggiavano al fianco assieme ai loro due lupi, Eikhe si
sentì più forte di mille uomini, pronta a dar battaglia contro chiunque avesse
tentato di dividerli.
Era però
terrorizzata da ciò che avrebbe trovato al loro arrivo.
L’idea che la
sua famiglia non comprendesse le motivazioni di Aken, era un pensiero fisso
nella sua mente.
Sarebbe stato
difficile far capire loro quanto, l’intera situazione, fosse stata complessa e
pericolosa per entrambi.
Quando infine
raggiunsero la casa del padre, Eikhe fermò la propria cavalcatura – subito
imitata da Aken e Antalion – e, scrutate le luci accese al pian terreno,
sospirò e disse: “Bene, ci siamo.”
“Vuoi che vada
io per primo, mamma?” ironizzò Antalion, dando un colpetto di gomito al padre
prima di fargli l’occhiolino.
“Io mi
nasconderò dietro di te per sicurezza, An” precisò Aken.
Era l’unico a
poterlo chiamare così.
Persino a Eikhe,
ormai, era vietato usare quel nomignolo, mentre al padre, forse per sopperire
agli anni in cui non aveva potuto farlo, Antalion lo permetteva senza battere
ciglio.
“Non dovrebbe
succedere nulla, in teoria, però…” tentennò la donna, voltandosi quando sentì
la porta di casa aprirsi, con un lieve fruscio di legno e ferro sfregati tra
loro.
Sobbalzando
leggermente, il viso imporporato dall’imbarazzo, Eikhe scrutò il padre che,
sull’entrata, li stava guardando con
aria confusa.
“Beh, che ci
fate lì fuori al…”
Con occhi sgranati
e bocca leggermente aperta per lo sconcerto, Harm fece un passo all’esterno,
chiudendosi lentamente la porta alle spalle.
Avanzando poi
lungo il vialetto, lo sguardo incollato al nipote e all’uomo al suo fianco,
riuscì in qualche modo a dire: “O io ci
vedo doppio, oppure…”
“Lui è il padre
di Antalion, papà” emise in un soffio la figlia, cercando in qualche modo di
ricamare un sorriso sul suo volto teso all’estremo. “E’ il principe Aken di
Rajana.”
Lanciata
un’occhiata veloce al viso ora pallidissimo della figlia, che storpiò la bocca
in una lieve smorfia – ben poco rassomigliante a un sorriso – Harm esclamò: “Mi
prendi in giro, ragazza?!”
“Ehm, …no”
precisò lei, prima di allungare una mano in direzione di Aken, che subito le si
portò accanto, fissando dubbioso l’uomo ancora accigliato. “Come potrai capire,
non potevo dire a nessuno la sua reale identità.”
“Questo è poco
ma sicuro!” chiosò seccamente Harm, intrecciando le braccia sul petto, ancora
intento a fissare con fiero cipiglio il viso contratto e preoccupato del
principe.
“Nonno, dai, non
prendertela con lui!” intervenne allora Antalion, avvicinandosi al padre per avvolgere,
con la propria, la mano libera dell’uomo. “Lo hanno obbligato a rimanere a
Rajana per tutto questo tempo! Avrebbero ucciso me e la mamma, se fosse venuto
da noi!”
Quella notizia
fece sobbalzare di sorpresa Harm che, scrutando i tre a momenti alterni,
sospirò lungamente e infine dichiarò: “A ogni modo, il vialetto d’ingresso non
mi sembra il luogo più adatto per parlare di una cosa così delicata. Venite
dentro, così potrete spiegare a tutti
che diamine sta succedendo.”
Aken impallidì
un tantino a quelle parole ma Eikhe, stringendo con forza la sua mano,
sussurrò: “Io e Antalion ti difenderemo, vedrai.”
“Saremmo in tre
contro… quanti? Perché ho la netta
impressione che avrei dovuto venire armato?” si lagnò il compagno, seguendoli
all’interno della casa con passo strascicato, tallonato d’appresso dai due lupi.
“Meno male che abbiamo la cavalleria, con noi.”
“Non avrai paura
della mia famiglia, spero!” esalò Eikhe, ridacchiando di fronte alla sua aria
aggrottata.
Arcigno, Aken
replicò: “Ti devo ricordare che io sono scappato dalla mia?”
“Solo da tuo
padre, ricordalo bene” ribatté la donna, dandogli una consolatoria pacca sul
braccio, prima di sentire Antalion chiudere la porta alle loro spalle.
Fermo sulla
soglia del corridoio, Harm indicò loro di seguirli nel salotto e lì, la
famiglia di Eikhe si esibì in larghi sorrisi di benvenuto prima di sgranare gli
occhi di fronte al nuovo venuto.
Ridendo
divertita, Sendala lasciò il fianco del marito, che nel frattempo stava
osservando Aken come se avesse di fronte un fantasma, e allungò una mano in
direzione del principe.
“Beh, tutto mi
sarei aspettata tranne questa tua entrata in grande stile.”
“Sendala! E’ un
vero piacere rivederti!” esclamò per contro Aken, stringendo affettuosamente la
sua mano prima di attirarla in abbraccio amichevole e baciarla sulle guance.
Più che mai
sorpresa, la donna rispose però all’abbraccio con uno altrettanto caloroso.
“Non avresti
potuto fare scelta migliore, anche se mi chiedo perché tu l’abbia fatta solo
ora.”
“E’ proprio
quello che vorrei sapere” brontolò Harm, prendendo la parola dopo quel breve
scambio di saluti.
Mentre Eikhe
scrutava la sua famiglia, ancora basita di fronte a quella situazione davvero
imprevista, Enok guardò confuso la moglie e gracchiò: “E’ veramente il
principe?”
“Eccome se lo
è!” esclamò Sendala, prima di guardare Aken con un ghigno beffardo. “Mio marito
Enok. E la piccola lì sul divano è mia figlia Amill.”
“Enok, eh?”
commentò divertito Aken, avvicinandosi a lui per stringergli la mano.
Accigliandosi
leggermente, l’uomo in questione strinse la mano del principe e, dubbioso,
domandò: “Perché ho la netta sensazione che dovrei preoccuparmi di qualcosa?”
Scoppiando a
ridere, Antalion disse: “Gli ho raccontato un po’ di cose su di te, Enok,
scusa.”
Facendo tanto
d’occhi, Enok arrossì imbarazzato di fronte ad Aken, che gli stava sorridendo
piacevolmente.
Ridacchiando,
commentò: “Cose di gioventù, niente di cui preoccuparsi.”
“Oh, lo so”
ammiccò lui, lanciando un sorriso a Eikhe, che ricambiò.
“Possiamo sapere
qualcosa di più, ora?” borbottò nuovamente Harm, che non aveva smesso un
secondo di guardare male Aken.
Fattosi serio, il
principe quindi raccontò per filo e per segno gli avvenimenti che seguirono il
suo ritorno dalla guerra.
Parlò loro dalle
minacce del padre, così come della sua promessa di non partire alla volta delle
montagne, in cambio della salvezza di Eikhe.
Il cipiglio di
Harm scemò leggermente, ascoltando le parole di Aken e ciò che in esse era
contenuto.
Di fronte al suo
autentico dolore, e all’afflizione che il principe aveva patito in quegli anni
passati lontano da Eikhe, Harm dovette abbandonare del tutto la rabbia per
lasciar spazio alla comprensione.
Quando Aken ebbe
terminato di raccontare ciò che Hevos stesso gli aveva riferito, Harm non poté
che dire: “Non hai certo vissuto meglio di mia figlia, a quanto pare.”
“No davvero ma,
quando mio fratello mi riferì di aver visto un ragazzo che mi somigliava molto e
che, tra le altre cose, sembrava avere stretti legami con le figlie sacre,
decisi di volerne sapere di più.”
Sorrise
tristemente, ma aggiunse: “Compresi di essere stato sciocco a non fidarmi della
mia famiglia e, grazie al loro aiuto, uscii di nascosto da Rajana per giungere
qui, supportato anche dall’inatteso intervento di Hevos. Speravo che Eikhe mi
rivolesse al suo fianco, nonostante gli anni passati lontani.”
“Tuo padre,
quindi, verrà a riprenderti. Se non ti ha dato il permesso allora, dubito che
abbia cambiato idea adesso” esternò a quel punto Konis, fissandolo a metà tra
il meravigliato e il preoccupato.
“E’ probabile,
ma stiamo già programmando un’eventuale contromossa” disse per contro Aken,
prima di sorridere e aggiungere: “Altre domande?”
“Direi che ti
abbiamo tartassato fin troppo” sorrise generosamente Ildera. “Visto che non ho
ancora messo in tavola la cena… ti piace lo stufato di cervo?”
“Più che sì”
annuì il principe, prima di prendere in braccio la piccola Amill, che già da un
po’ gli stava gironzolando attorno. “Posso fare qualcosa per te?”
“Sei davvelo un
plincipe?” chiese la bimba, tutta sorridente.
“Direi di sì”
abbozzò un sorrisone lui.
“E la tua colona
dov’è?” domandò allora Amill.
Ridacchiando,
Aken la poggiò su un ginocchio e replicò candidamente: “L’ho lasciata a casa. Volevi
vederla?”
“Sì” annuì con
veemenza la bambina, facendo sorridere tutti.
“Prometto che,
la prossima volta che verrò, te la porterò” disse solennemente Aken,
poggiandosi una mano sul cuore.
“Glazie” rispose
Amill, con altrettanta solennità.
Sendala, con una
calda risata di gola, recuperò la bimba dalle braccia del principe e,
carezzandole gentilmente i capelli, disse: “Non disturbare Aken con le tue
sciocchezze.”
“Ma, se è un
plincipe, deve avele la colona!”
sbottò la bimba, mettendo il broncio e puntando i pugni sulle cosce.
Tutti risero di
gusto e Aken, guardando Eikhe sorridente e felice, fu più che lieto di aver
rischiato il tutto e per tutto per raggiungerla.
Avrebbe anche
dato la vita, pur di saperla per sempre così serena.
***
Accomodato di
fronte al camino, il fuoco ancora scoppiettante e le calde fiamme sfrigolanti
nella bocca rocciosa che le conteneva con fare protettivo, Aken sorrise
cordiale a Enok.
Dopo aver messo
a letto figlia e moglie, era sceso per dormire in salotto, sul pagliericcio
messo a disposizione per lui da Harm e Ildera.
Aken si era
rifiutato profusamente di utilizzare la camera di Konis, lasciando che Eikhe e
Antalion dividessero il letto di una delle camere degli ospiti, mentre l’altra
era occupata da Sendala e Amill.
“Di sicuro, hai
fatto un’entrata degna di nota. Eikhe non ci aveva avvisati del tuo arrivo”
esordì Enok, passandogli un boccale colmo di birra leggera alle erbe.
“E’ un’amante
delle sorprese” ridacchiò lui, poggiandosi sui gomiti e continuando a osservare
le lingue di fuoco danzare sinuose.
Accomodatosi sul
pagliericcio, Enok allungò gli avambracci sulle cosce e, scrutando a sua volta
il fuoco, disse sommessamente: “Per un po’ ti ho odiato, sai?”
“Per tanto tempo
mi sono odiato da solo, quindi non c’è problema” rise Aken, ammiccando al suo
indirizzo.
“Era per
Antalion, più che altro” si spiegò meglio Enok, abbozzando un sorriso sghembo.
“Uhm?” fece il
principe, fissandolo curiosamente.
“Certo, avevo
anche un’infatuazione per Eikhe…” precisò Enok, sorridendo. “… ma amavo alla
follia soprattutto Antalion. L’ho amato fin da quando l’ho conosciuto, e mi
sembrava spaventoso che tu non fossi lì con lui a vederlo crescere.”
“Non hai idea di
quanto la cosa mi pesi tutt’ora, sebbene adesso io e lui andiamo d’accordo”
sospirò il principe, fissando in viso Enok per un lungo momento prima di dire:
“Ti ho odiato anch’io, quando ho saputo di te. Per l’amore che tu hai potuto
dargli, mentre io non ero presente.”
“Beh, siamo
pari, allora” sorrise benevolmente lo spaccalegna, accennando un brindisi con
lui.
Accettandolo,
Aken ascoltò il sordo toc dei boccali
di legno mentre cozzavano tra loro prima di dire: “Amill è davvero bellissima.”
“Ed è
scapestrata come la madre” ridacchiò Enok, con un dolce tono di voce.
“E’ stata dura
venire a patti con la sua natura di donna-lupo?” gli chiese il principe,
curioso.
“No. Ho sempre
ammirato sia lei che Eikhe, fin dal primo giorno in cui le ho conosciute, e non
ho mai trovato nulla da ridire sulla loro libertà, o sul loro modo di vedere le
cose. Mi piace come ragionano.”
Scosse il capo e
sorrise.
“Non ho mai
voluto una donna sottomessa, o troppo timorosa di parlare con me. Sendala mi da
tutto ciò che io voglio. E’ spigliata, generosa, testarda, coraggiosa…
bellissima.”
“Quello non
guasta mai!” ammiccò Aken, sorridendo. “L’ho vista serena e appagata, il che
direi che è la summa di tutto. Non potrebbe esserlo, se non avesse da te ciò
che anche lei vuole.”
“E’ quello che
spero, ma fa piacere sentirtelo dire…” sorrise Enok “… come mi fa piacere
vedere Eikhe priva di ombre negli occhi. E’ felice come mai l’ho vista prima,
ed è bello vederla così. Ti spiace se mi preoccupo ancora per lei?”
“Affatto. Eikhe
ha vissuto per anni, sapendo di non essere amata dalla madre e di essere invisa
a molte sue sorelle. Avere una famiglia unita, e amici che le vogliono bene,
non può che essere positivo, e io non posso che esserne felice per lei” replicò
Aken, scuotendo il capo. “Inoltre, sapere che c’eri tu a tirar su mio figlio,
nonostante tutto, mi ha tranquillizzato. E’ stato un bene che abbia avuto una
figura maschile al suo fianco, anche se non ho potuto essere io.”
“Non mi ha mai
chiamato ‘papà’ come fa con te, però”
tenne a precisare Enok.
“Me l’ha detto”
annuì il principe, con un piccolo sorriso.
“Bene” sospirò allora
l’altro, sdraiandosi su un fianco dopo aver poggiato a terra il boccale. “Avete
davvero un piano pronto, casomai il re venisse a cercarvi?”
“Sì. E, se
dovremo allontanarci, faremo in modo di farvi sapere dove ci troviamo” gli
promise Aken, serio in viso non meno di Enok.
“Non avete avuto
una vita facile, eh?”
“Ogni attimo
passato con Eikhe e An, vale il prezzo pagato” sospirò il principe, sdraiandosi
a sua volta prima di coprirsi il volto con un braccio. “Sono pronto a pagarlo
altre mille volte, pur di stare con loro.”
“Se avrete
bisogno di aiuto, io ci sarò, ricordalo” si sentì di dire Enok, con un tono di
voce che non ammetteva replica alcuna.
“Non rifiuterò
mai più l’aiuto di qualcuno perciò ti dico grazie, Enok e, se dovessimo aver
bisogno di una mano, te lo farò sapere” gli promise Aken, prima di sbadigliare
e ammettere: “Quel terzo grado mi ha quasi ucciso!”
Ridacchiando, l’altro
assentì comprensivo.
“Non è da tutti scoprire
di avere come parente il principe di Rajana.”
“Vorrei tanto
non esserlo mai stato. Non avrei avuto tutti questi problemi” sbuffò Aken,
grattandosi nervosamente la guancia con un dito.
“Questo è vero.
Ma su cose come queste non si ha controllo” chiosò Enok.
“Non fare della
filosofia a quest’ora, perché non la capirei” ghignò il principe.
Un attimo dopo,
però, non poté esimersi dal chiedergli: “Hai mai baciato Eikhe?”
“No” replicò
concisamente Enok.
“Bravo” si
limitò a dire Aken prima di augurargli la buonanotte.
***
“Come sarebbe a
dire che non riuscite a proseguire oltre Medrasta?!” ringhiò re Arkan, battendo
furiosamente il bastone sul pavimento di pietra della Sala del Trono.
Reclinando
maggiormente il capo di fronte all’ira funesta del sovrano, il comandante della
quinta spedizione inviata verso il nord alla ricerca del principe Aken,
sussurrò spiacente: “Sono dolente ma, come hanno riferito gli altri ufficiali
di ritorno dalle precedenti spedizioni, non è possibile proseguire oltre quella
città, poiché la neve è troppo alta e i cavalli non riescono ad averne ragione.”
Lanciando in
malo modo il bastone, che finì lungo riverso sul tappeto color ocra dinanzi a
sé, Arkan si levò rabbiosamente dallo scranno di legno e urlò: “Non ho dei
soldati, ma delle mezze tacche! Esci subito di qui e sparisci dalla mia vista!”
Inchinandosi
frettolosamente, il comandante si affrettò a eseguire l’ordine, lasciando che
il re sfogasse le sue ire su qualcuno che non fosse lui.
Sulla porta, però,
venne fermato dal principe Ruak che, con uno sguardo comprensivo, mormorò a
bassa voce: “Non vi preoccupate. Non succederà nulla neppure a voi. So
benissimo che vi è impossibile eseguire i suoi ordini.”
“Vi ringrazio,
Altezza” esalò l’ufficiale prima di andarsene per lasciare la Sala del Trono.
Fatto un cenno
ai paggi perché chiudessero le porte dietro di lui, Ruak avanzò lungo il
tappeto di fine lana ricamata e, con un gesto di mano, raccolse il bastone del
padre.
“Non vi sembra
di stare esagerando, padre?”
Voltandosi
nervosamente in direzione del figlio minore, ed erede al trono di Rajana, Arkan
si accigliò subito, adombrandosi in viso.
Con voce resa
dura dalla rabbia che serpeggiava in lui con la forza di una marea, tuonò: “Non
osare dirmi come debbo comportarmi con i miei sottoposti! Se non siete tuo o
tuo fratello a guidare l’esercito, nessuno è in grado di fare nulla! Sono tutti
incompetenti!”
“State chiedendo
loro l’impossibile, e lo sapete” precisò Ruak, imperturbabile di fronte alla
sua ira.
Dalla fuga di
Aken, che ormai mancava dalla capitale da più di tre mesi, Ruak e il padre non
si erano più rivolti la parola con tono pacato, alternando sonore discussioni a
lunghi periodi di silenzi assordanti.
Questo, non solo
aveva preoccupato la regina, ma aveva portato a far nascere chiacchiere su
chiacchiere all’interno della venefica corte di palazzo.
“Sono soldati,
non donnette! Non dovrebbero uscirsene con scuse così risibili!” protestò
Arkan, zoppicando nervosamente avanti e indietro per il palco.
Tutt’attorno, le
guardie nascoste nelle alcove del salone si attenevano al più rigoroso
silenzio, ma i loro sguardi parlavano molto più di un’intera folla urlante.
Cominciavano
a dubitare del re, e Ruak non faceva
fatica a comprenderli.
Non solo,
inviare così tanti uomini verso il nord, e distribuiti su così tante spedizioni,
era stato un gesto folle, ma anche inveire sui loro comandanti, minacciando le
loro carriere, era stato assurdo.
La corte, ben
presto, avrebbe iniziato a screditare la figura del re, tacciandolo di non
essere più in grado di governare su tutti loro con saggezza.
Anche se Ruak
era ancora adirato con lui, non voleva che venisse obbligato a deporre lo
scettro a causa dei suoi colpi di testa.
Questo, lo
avrebbe ucciso.
Come fermarlo
dalla sua stessa follia, però? Davvero non lo sapeva.
Consegnatogli il
bastone con un gesto secco del braccio, Ruak intrecciò le mani dietro la
schiena e, camminando lentamente per il palco come, in precedenza, aveva fatto
il padre, disse conciliante: “Lasciate Aken al suo destino, e occupatevi degli
affari di Rajana. Rischiate di rendervi ridicolo e ossessivo, con questa vostra
fissazione nei suoi confronti.”
“Non si tratta
di fissazione! Lui è figlio di re, e non può mescolare il suo sangue con una …
una barbara come quella donna! Non mi
interessa nulla se ha salvato tuo fratello e il regno, a suo tempo. Era suo
dovere di suddita, comportarsi a quel modo. Ma non lo era di certo quello di irretire
mio figlio con le sue grazie!” sbottò Arkan dal suo trono, ove si era
accomodato nuovamente, ormai stanco e provato.
Cercando di
trattenere un’imprecazione, Ruak replicò rigidamente: “Vi ostinate a non voler
leggere la verità per quella che è, padre, ma io non ve la ripeterò più, poiché
sono stanco di parlare con un muro. Sappiate solo una cosa; non potrò difendervi
ancora per molto da voi stesso. O cambiate idea ora, oppure non avrete più
nessuno a sostenervi!”
“Tu, difendere me? Follie, dici! Tutte follie!” inveì il padre, brandendo il bastone
come una spada. “Non sei mai stato all’altezza di tuo fratello, e decidendo di
approvare la sua scelta, non fai che darmene atto!”
Tentando in ogni
modo di non rimanere ferito dalle sue parole piene di fiele, il figlio rimase
impassibile di fronte a lui e, serafico, replicò: “Vedetela come volete. Io vi ho
avvertito.”
“Non lascerò mai
che lui faccia ciò che vuole! Lui è la
Corona, e la Corona deve restare qui a Rajana!” sbraitò il re, ormai paonazzo
in viso. “Vattene da qui, ora! La tua vista mi disgusta.”
“Non avevo
comunque intenzione di rimanere oltre, padre” sussurrò Ruak, defilando dal
palco per passare da una stretta porta, solitamente usata dalla regina per
entrare e uscire dalla Sala del Trono.
Come sempre,
anche quella volta trovò nell’ombra sua madre Anladi.
Il viso era stravolto
dal dispiacere e gli occhi che, solo a stento, trattenevano le lacrime, lo fissarono
senza riuscire a parlare.
Le labbra erano
tese in una smorfia dolente.
Scuotendo il
capo al suo indirizzo, Ruak le sfiorò la guancia con un bacio leggero prima di
uscire dal salone e dirigersi senza alcuni indugio verso le sue stanze.
Era ben deciso a
non lasciarsi rovinare la giornata dalle bizze del padre.
Per quanto
continuasse ad amarlo, non poteva permettergli di rovinare la sua vita come
aveva fatto, per sedici anni, con quella di Aken.
Per questo,
avrebbe combattuto strenuamente.
Risalendo
lentamente le scale, dove alcune domestiche stavano ripulendo gli elaborati
mancorrenti di metallo, Ruak sorrise brevemente loro nel salutarle con
educazione.
A capo chino, poi,
raggiunse il terzo piano del maniero, svoltando lungo un corridoio ricoperto di
tappeti color amaranto a fantasie geometriche.
Renke li aveva
fatti sostituire tutti, nella loro ala del castello, trovando che il classico
color ocra non si intonasse con i suoi gusti più allegri.
Ruak, tra un
risolino e una spallucciata, aveva acconsentito nonostante i brontolii del
padre.
Una volta
raggiunta la stanza dei bambini, che volgeva verso nord le sue ampie vetrate, e
da cui proveniva il chiassoso risolino dei figli, Ruak aprì la porta solo per
trovarsi davanti un’autentica scena di devastazione.
E la vittima
designata, questa volta, era niente meno che la bambinaia.
Circondata da
una montagna di morbidi cuscini a mo’ di mura di un castello, la donna non
sapeva se mettersi a urlare o scoppiare a ridere.
I tre figli del
principe, di tutt’altro avviso, la stavano bombardavano con i loro peluche,
negli occhi la scintilla della vittoria.
Renke, seduta
accanto a una delle ampie porte-finestre che conducevano ai balconi, stava
placidamente ricamando una blusa, un sorriso beffardo dipinto sul volto pacato.
Gli occhi vispi,
a momenti alterni, passavano dal suo lavoro di cucito alla scena di lotta nel
mezzo della stanza, giusto per sincerarsi che i figli non esagerassero.
Poggiato contro
lo stipite della porta, Ruak non riuscì a nascondere il sorriso che, spontaneo,
sorse sul volto alla vista della sua famiglia così allegramente giocosa.
Intrecciate le
braccia sul petto, esordì dicendo: “Vedo che avete cinto d’assedio la povera
Nivela.”
“Padre!”
esclamarono in coro i figli, lasciando subito da parte i giocattoli per
corrergli incontro a braccia spalancate.
La bambinaia,
vista finalmente una via d’uscita, distrusse con un colpo di mani le mura di
cuscini.
Con un sorriso
di ringraziamento al principe, si rifugiò vicino a Renke che, ammiccando al suo
indirizzo, le sussurrò: “Grazie per la pazienza.”
“Si stavano
divertendo tutti assieme… ne è valsa la pena” commentò la donna, con una
scrollata di spalle.
Presa in braccio
la più piccola, Naell, Ruak entrò nella saletta lasciando che fosse Meriton, il
primogenito del regno, a chiudere la porta.
Divertito, il
principe ed erede si rivolse alle due donne accanto alla porta-finestra per
commentare quanto appena visto.
“Dovrò assoldare
questi bricconi, per la prossima guerra. Sanno cingere d’assedio un castello
che è una bellezza.”
Sollevando un
sopracciglio con evidente ironia, Renke replicò candida: “Dubito fortemente che
Naell voglia diventare una guerriera.”
“Sì, invece,
mamma!” protestò la bimba, lanciando uno strillo disumano prima di scivolare
via dalle braccia del padre per tornare a giocare con i fratelli maggiori.
“Ti ha smentito
subito” ridacchiò Ruak, lasciandola andare, non senza prima guardare Meriton
per alcuni istanti perché fossero chiari un paio di punti; d’accordo giocare,
ma senza farsi male.
All’assenso
veloce del primogenito, il padre li lasciò correre per la stanza senza dire più
nulla e, rivolto uno sguardo d’intesa con la moglie, le chiese: “Posso rubare
un minuto al tuo ricamo?”
Poggiata la
tunica sul cesto delle spolette di colore, Renke lasciò la stanza in silenzio
dopo aver sorriso brevemente a Nivela, che prese posto più vicino ai bambini,
giusto per stare più tranquilla.
Una volta
affiancato il marito, entrambi oltrepassarono una porta ad arco per ritrovarsi
nell’adiacente salottino da tè dove, solitamente, la principessa era a uso
intrattenersi con le amiche.
Ascoltando solo
fuggevolmente il baccano proveniente dalla stanza accanto, Renke fissò il
marito in viso, non appena egli si sedette su una poltrona di velluto color
amaranto.
Accigliandosi
immediatamente quando vide la stanchezza balenare come un velo ad adombrargli
il viso, domandò duramente: “Cos’ha combinato, stavolta, tuo padre?”
Con una risatina
aspra, Ruak si passò una mano tra i folti capelli biondi e sospirò.
“Come sai che si
tratta di mio padre?”
“Solo lui riesce
a farti infuriare a questo modo” brontolò lei, accomodandosi a sua volta.
“Un’altra sfuriata?”
“Sì, e stavolta
peggiore delle altre” annuì lui, la voce percorsa da una stanchezza più grave
del solito. “Il Concilio della Corona chiederà ben presto la sua abdicazione,
se non la smette di comportarsi così. Lui è il re, ma non è padrone di fare tutto quello che vuole. Secoli fa, i
miei antenati crearono il Concilio proprio per evitare che il sovrano
diventasse un despota e tiranno, e mio padre si sta pericolosamente avvicinando
al bivio per il non ritorno.”
Allungando una
mano per afferrare quella del marito, Renke gli sorrise benevolmente.
“E’ possibile
che non vi sia altra soluzione, Ruak.”
“Ma perché è
così cieco?!” sbottò il marito, stringendo con forza la mano della moglie,
prima di portarsela alle labbra per un bacio lievissimo. “Possibile che non
veda il baratro che si avvicina?”
“E’ così
abbarbicato nelle sue convinzioni che niente e nessuno può sfiorarlo, nemmeno
le tue sagge parole” sospirò Renke, scuotendo mesta il capo.
“Non potrò
nulla, se il Concilio deciderà di farlo abdicare in mio favore. La mia unica
paura è che una notizia simile possa ucciderlo” le confessò lui, con occhi ora
colmi di timore.
Fattasi di
ghiaccio, la moglie replicò secca: “Non mi sembra che abbia fatto nulla per
evitare questo dramma, anzi, ha dato vigore alle fiamme che lo circondano già
da tempo. Trattare Aken a quel modo, non ha fatto che peggiorare la situazione.
Tuo fratello è sempre stato amato, specialmente dall’esercito e, negli ultimi
anni, ha svezzato un’intera generazione di soldati che, semplicemente, lo
venerano.”
Ruak non poté
che annuire, e Renke proseguì nella sua filippica.
“Il re pensa
davvero di poter ordinare a tempo indeterminato a questi uomini di cercarlo, neanche
fosse un ladro della peggior risma? Se non sarà il Concilio, saranno i militari
stessi a chiedere che venga deposto.”
“Purtroppo hai
ragione” ammise Ruak, carezzando distrattamente il dorso della mano della
moglie mentre, nella stanza accanto, la guerra messa in piedi dai figli
continuava senza esclusione di colpi.
Naell sembrava
aver avuto la meglio su Staryn, il secondogenito, e immaginava soltanto quando
il fratellino fosse indispettito dalla cosa.
Preso un gran
respiro, Renke cercò in qualche modo di calmarsi e, con voce più tranquilla,
disse: “Se vuoi, posso provare a parlare con tuo padre a mia volta. Non
prometto nulla, ma almeno potrò dire di aver tentato.”
“Non credo che
avere intorno una donna che parla di politica possa fargli piacere, ora come
ora. E’ già piuttosto nervoso quando mia madre è nei paraggi della Sala del
Trono, figurarsi se fosse la nuora a prendere un’iniziativa simile” ridacchiò
senza alcuna allegria Ruak.
“Vecchio
testardo e retrogrado” borbottò la donna, mettendo un adorabile broncio che
fece sorridere di piacere il marito.
Lasciata con un
gesto repentino la poltrona dov’era accomodato, Ruak raggiunse la moglie con
una rapida falcata e, sollevatala di peso, se la pose sulle ginocchia.
Preso il suo
posto sul morbido velluto dello scranno, le carezzò il viso con il dorso di una
mano e le sussurrò sulle labbra: “Prometto di non diventare mai come lui.”
“Vorrei vedere!”
rise Renke, dandogli un bacio a schiocco sulla bocca, prima di aggiungere
maliziosa: “Moriresti per mia mano, se solo ci provassi.”
Ruak allora esalò:
“Ho sposato una nobildonna, o un’assassina?”
“Una donna
inferocita, e con ottime ragioni a farle da compagna, può essere più pericolosa
di un mercenario prezzolato” chiosò la donna con un sorrisino presuntuoso.
Afferrandola
alla vita con un braccio, se la strinse forte contro il petto e, in un sussurro
di fuoco contro il suo orecchio morbido, mormorò roco: “Mia bella assassina,
non avrai modo di dar voce alla tua vena violenta, perché non te ne darò mai
motivo.”
“Sarà meglio”
alitò lei contro il suo collo prima di sussurrare: “E’ proprio necessario
andare alla festa di stasera?”
Scoppiando in
un’allegra risata, Ruak la lasciò lentamente andare.
Annuendo con
aria falsamente affranta, disse mesto: “Non vorrai davvero fare un torto a così
tanti dignitari terrieri, giunti a Rajana solo per vedere te!”
“Puah! Vedere
me!” brontolò lei, scrollando negligente una mano. “Sono qui solo per strappare
i migliori affari possibili con la corona e, ora che tuo fratello non è più qui
a occuparsene, sperano di fregarti per il meglio, credendoti a torto meno
preparato di lui.”
“Peccato che non
sappiano quanto mi sia di aiuto Kannor” ammiccò lui, prima di sollevarsi con
lei in braccio e dire: “E a proposito del mio caro amico; sarà meglio mi faccia
dare qualche dritta, così che stasera io non commetta fesserie.”
Scivolando via
dalle braccia del marito, Renke gli sfiorò il torace ricoperto di elegante
velluto ricamato e, come una bimba petulante, chiese: “Potrò averti tutto per
me, più tardi, nella sala da bagno?”
“Starò via solo
lo stretto necessario” promise sulle sue labbra Ruak, rubandole un bacetto per
poi correre via di filata.
Sospirando, la moglie
lo guardò sgattaiolare fuori da una porta di servizio prima di udire gli
strilli inferociti di Naell.
Con una forza di
volontà che proprio non provava, poggiò le mani sui fianchi e tornò nella
saletta accanto, esclamando: “Il primo che trovo con le mani addosso al proprio
fratello, o sorella, lo scotenno!”
Con uno
scalpiccio di piedi e un ‘togliti’
affrettato e detto a mezza bocca, Renke entrò a passo di carica nella stanza
dove si trovavano i figli.
Non certo senza
divertimento, si ritrovò a fissare i tre bambini con i vestiti tutti scomposti,
le chiome in disordine e i colletti delle camiciole ben più che allentati.
Sollevando le
mani verso l’alto con espressione impotente, Nivela disse: “Tecnicamente, non
si sono fatti male.”
“Si sono strattonati,
eh?” esalò la principessa, fissando a turno i figli, ora testardamente con lo
sguardo fisso verso il pavimento, ricoperto di tappeti fiorati.
“Già” confermò
la bambinaia.
Sogghignando,
Renke si sollevò le maniche del raffinato abito di lana secca color cannella e,
dopo aver controllato per bene cosa vi fosse nei paraggi, prese in mano tre
peluche e li tirò.
A turno, colpì
con precisione i figli che, sorpresi da quell’attacco, fissarono la madre senza
parole per alcuni attimi prima di gettarsi contro di lei e buttarla a terra
senza troppi complimenti.
Subito
preoccupata per la sua padrona, Nivela sorrise più tranquilla quando la vide
sorridente e divertita, intenta a fare il solletico ai suoi figli che,
impotenti, subivano i suoi attacchi senza riuscire a replicare.
“Me lo direte
voi, quando intervenire?” chiese per cortesia la bambinaia.
“Sì, certo!”
esclamò Renke, afferrando per la vita Staryn, prima di gettarlo su un cuscino a
pancia in giù e fargli il solletico sotto le ascelle.
Con un risolino
sulle labbra, Nivela allora si sedette su una sedia e, preso il lavoro di
cucito della principessa, afferrò ago e filo e proseguì imperturbabile il ricamo.
Le grida allegre
dei bambini si confusero con la voce stentorea e divertita della madre, in un crescendo
di gioia e di serenità.
Ignari, o
volutamente distanti, dalla cappa di oscurità che cingeva il castello.
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Capitolo 29 *** cap. 29 ***
29.
Il boato che li svegliò di soprassalto nel cuore della notte, non fu spaventoso a causa di ciò che lo aveva provocato, ma quanto piuttosto per l’oscuro presagio che portava con sé.
Sobbalzando nel letto che ormai da mesi divideva con Eikhe, Aken si levò a sedere di scatto, le orecchie vigili in cerca di ulteriori rumori chiarificatori.
Le mani della compagna, nel frattempo, corsero all’acciarino nel tentativo di accendere la candela sul comodino il più in fretta possibile.
Bussando alla loro porta con fare concitato, nemmeno un minuto dopo quel suono disumano, Antalion esalò con voce ancora impastata dal sonno, ma già allerta: “Posso entrare?”
“Vieni pure, An” disse lesto Aken, levandosi da letto mentre una fiammella purpurea prendeva vita sulla candela.
Armato della propria, che gli illuminava il viso tirato e i capelli scompigliati dal sonno, Antalion entrò a grandi passi nella camera padronale.
Fissati alternativamente i genitori, domandò torvo: “Una slavina?”
“A giudicare dal rumore, o era bella grossa, o si è trattato di una valanga in piena regola” brontolò il padre, indossando alla svelta camiciola, pantaloni e una pesante casacca di pelle di bufalo, che Eikhe aveva confezionato per lui come regalo per la sua venuta.
Storcendo la bocca carnosa, il figlio annuì mentre la donna, imitando il compagno, indossava i suoi abiti più pesanti assieme ad alti stivali di cuoio nero, che usava per i lavori di fatica.
Quando furono entrambi pronti, si volsero a guardare il figlio, già abbigliato per uscire e, senza una parola, imboccarono il corridoio per raggiungere l’ingresso della casa e, da lì, la via principale di Hyo-den.
Era necessario scoprire se i frangi valanga avevano retto, o se le parti più esterne del paese fossero state colpite dal fronte nevoso.
Diverse donne, e non pochi uomini, si riversarono a loro volta sulla via mentre Istrea e la figlia, uscendo di gran carriera dalla loro abitazione, si univano al gruppo via via più folto di persone.
Salutandole con sorriso di circostanza prima di affiancarle, Aken chiosò: “Risveglio sonoro, eh?”
“Avrei preferito non doverlo mai sentire, ma dopotutto non mi stupisce. Siamo in primavera, ormai” brontolò Istrea, prima di accorgersi del cipiglio cupo dell’uomo al suo fianco.
Una valanga agli albori dell’alba poteva voler dire solo una cosa; le temperature si erano irrimediabilmente alzate.
Se già non lo era in quel momento, la Carovaniera del Nord sarebbe stata ben presto percorribile.
Questo significava anche che, da quel momento in poi, re Arkan avrebbe inviato i soldati alla ricerca del figlio, rivoltando quelle lande così isolate e lontane dalla Capitale del Regno.
Aken vi aveva pensato nell’istante stesso in cui, quel sordo tuono mortale, si era allargato nella valle con le sue vibrazioni raggelanti.
Pur avendo a cuore le sorti di coloro che, per disgrazia, si fossero trovati in mezzo a quella furia di neve e ghiaccio, non aveva potuto esimersi dal chiedersi quanto tempo sarebbe passato prima di ricevere notizie dai clan del sud.
Non voleva andarsene da lì, e neppure voleva costringere la famiglia all’ennesimo sacrificio per causa sua, ma cos’altro gli rimaneva da fare?
Non avrebbe mai rimesso piede a Rajana alle condizioni del padre, e non voleva che l’esercito se la prendesse con le figlie sacre che, così gentilmente, lo avevano accolto nel loro abbraccio.
Certo, si era guadagnato il suo posto all’interno del clan, lavorando operosamente e prendendosi cura dell’educazione militare di tutti i giovani del villaggio, comprese alcune figlie sacre già avanti con l’età.
Oltre a ciò, aveva dato una mano alla sistemazione di alcune case, al consolidamento di diversi tetti e alla fortificazione dei frangi valanghe.
Non si poteva certo dire che si fosse tenuto in disparte.
In ogni caso, non voleva ripagare con l’esercito e la morte la loro calda ospitalità.
Se fosse stato necessario, avrebbero fatto i bagagli e se ne sarebbero andati.
Avevano già l’appoggio di Enok, nel caso si fossero diretti a nord, così come avevano da tempo diversi contatti con alcune tribù di donne-lupo nel reame di Karton.
Quest’ultime si erano rese disponibili ad accoglierli nella malaugurata ipotesi che, restare a Enerios, fosse risultato per loro troppo pericoloso.
Per il momento, in ogni caso, dovevano occuparsi di ciò che era successo al villaggio.
Solo se avessero ricevuto notizie negative, si sarebbero mossi, non un minuto prima.
Aken teneva troppo a quel luogo e ai legami che Eikhe, Antalion e lui stesso avevano creato a Hyo-den.
Non vi avrebbe rinunciato se non tassativamente costretto.
“Tutto bene, papà?” sussurrò al suo fianco Antalion, strappandolo a quei lugubri pensieri.
Cercando di abbozzare un sorriso, lui annuì dicendo soltanto: “Tutto a posto, An. Tutto a posto.”
***
“Non siamo più disposti ad accettare le intemperanze di Sua Maestà” precisò, alla fine di un lungo discorso, il comandante della guarnigione di Rajana, osservando spiacente il principe Ruak.
Ruak aveva ipotizzato senza problemi i motivi di quell’incontro segreto, fin da quando aveva ricevuto quell’invito tramite missiva vergata a mano.
Era raro che un membro dell’Alta Aristocrazia di Rajana venisse chiamato al cospetto di un ufficiale militare.
Ma il principe non aveva faticato a comprendere a cosa fosse dovuta quell’infrazione alle regole.
Senza dire nulla alla moglie, che si stava occupando dei figli assieme alla bambinaia, aveva disceso perciò le scale che, dalla torre nord del palazzo, conducevano fino all’atrio del maniero.
Da lì, era uscito in silenzio pur mantenendo un contegno regale come il suo ruolo gli imponeva.
Distante poco più di un isolato dal palazzo, la Caserma Ufficiali di Rajana era un’imponente struttura di pietra grigia, a forma di ferro di cavallo.
Posta sulla via principale, che costeggiava il castello reale, era dotata di ampi portoni di ferro, da cui due o più carri potevano passare agevolmente senza intralciare il passaggio di eventuali pedoni.
Due piccoli gabbiotti di legno, in cui stazionavano giorno e notte un paio di soldati di guardia, delimitavano le estremità dell’entrata.
Quando gli uomini al loro interno avevano scorto la figura del principe, si erano messi immediatamente sull’attenti, salutandolo con voce stentorea.
Ruak aveva risposto con cortesia a quel saluto così altisonante – e di cui non sentiva necessariamente il bisogno – , prima di fermarsi in prossimità della guardiola e attendere che il secondino al suo interno aprisse.
Un attimo dopo, la porticina a lato dell’entrata carrabile era stata aperta per permettere loro di oltrepassare le mura di cinta della caserma.
Una volta all’interno dell’ampio cortile lastricato, il soldato si era voltato verso il principe, dicendo: “Prego, Vostra Altezza, da questa parte.”
Ruak lo aveva seguito lungo un interminabile porticato ad arco, dove spuntavano come bocche da fuoco una miriade di porte, sui cui battenti erano scritti i nomi di altrettanti ufficiali della guardia cittadina.
Giunti infine all’ultimo ufficio, il soldato aveva bussato prima di inchinarsi al principe e andarsene in silenzio, lasciando che Ruak entrasse da solo all’interno della stanza.
Era chiaro che quel colloquio sarebbe stato privato.
Il generale Sedarr non aveva perso tempo, esponendogli le sue lagnanze con profonda dignità, ma anche con il viso percorso da un profondo dissenso.
Era forse la prima volta in vita sua che scorgeva sul suo volto abbronzato, e solcato da rughe profonde, una simile indisposizione nei confronti dell’autorità costituita.
E ora, al termine delle infinite accuse sottolineate dal comandante, Ruak non poté che annuire.
Le intemperanze del sovrano avevano ormai superato ogni limite.
Accomodatosi stancamente quando, fino a quel momento, era riuscito a sopportare in piedi il monologo del generale, Ruak piegò in avanti il capo e lo poggiò sulla mano destra spalancata a sorreggerlo.
Spiacente, sussurrò: “Non avremmo mai dovuto raggiungere questo punto.”
Sedendosi sul suo scranno e poggiando gli avambracci sui braccioli, ricoperti di fine velluto blu mare, il generale Sedarr annuì a sua volta, scuotendo il capo con espressione afflitta.
“Non avrei mai voluto proferire simili parole, Vostra Altezza, ma punire uno dei miei ufficiali, a mia insaputa, e per una cosa al di sopra delle possibilità di chiunque, forse persino di un dio, non può essere tollerato!”
Avrebbe dovuto rimanere a palazzo e vigilare sui movimenti del padre, ma la sua decisione di avvisare Aken dei prossimi spostamenti delle truppe, lo aveva distratto.
Questo aveva permesso ad Arkan di muoversi indisturbato, data la sua assenza.
Dopo l’ennesima quanto infruttuosa missione inviata verso il nord, il sovrano si era sfogato sul comandante di turno, facendolo fustigare dalla sua guardia privata nel bel mezzo del cortile di palazzo.
Il tutto, senza avvisare né i comandi militari, né tanto meno il Concilio della Corona, in spregio a tutte le consuetudini e le regole che anche il re doveva seguire.
Naturalmente, non appena Ruak aveva saputo della notizia, era andato su tutte le furie.
Dopo aver parlato brevemente con il padre – senza peraltro ottenere alcunché – aveva incontrato la madre e alcuni membri del Concilio, che avevano espresso il loro dissenso.
Gli era spiaciuto vedere sul volto della madre la rassegnazione e, sì, la ferrea volontà di andare contro le decisioni del marito ma, in fondo, non avrebbe potuto aspettarsi null’altro, dopo ciò che era accaduto.
Per quanto legata al padre, Anladi non lo aveva mai amato veramente, non quanto amava il suo popolo, per lo meno.
La donna sapeva benissimo che dare ancora corda al marito avrebbe potuto causare ben più di un danno, alla gente di Rajana e a Enerios.
Arkan non era più in grado di controllarsi, ormai troppo simile a un despota e perciò non più degno del trono del Regno.
Certo, la fuga di Aken aveva segnato la svolta, ma già da anni il suo comportamento si era fatto pericolosamente simile a quello dei regnanti di Vartas.
La Corona non era più stata, per lui, un onore da portare avanti con dignità e coraggio, ma un mezzo per soggiogare tutti al suo volere, cosa che un re di Enerios non poteva permettersi.
Era giunto infine il momento di fermarlo.
“Comprendo benissimo cosa volete dire, Generale, e io stesso ho parlato con alcuni membri del Concilio non appena sono tornato da Elior. So cosa vuole la Corte come so cosa volete voi, e non mi trovate impreparato” sospirò Ruak, raddrizzandosi prima di imporsi un controllo marziale.
Era l’erede al trono, il Re dopo suo padre, e non poteva mostrarsi debole proprio in quel momento, quando tutti cercavano in lui un’ancora a cui aggrapparsi nel momento del bisogno.
Doveva dimostrare di avere non solo sangue nobile e puro nelle vene ma, soprattutto, il coraggio di ergersi sopra gli altri e comandare, duramente se necessario.
Il suo compito era portare giustizia e senso di equità, cosa che il padre aveva dimenticato nell’attimo stesso in cui aveva rinchiuso entro quattro mura il figlio primogenito.
Castigando le ambizioni più che giuste di Aken, aveva anteposto il sangue e il nome della sua famiglia all’onore e alla giustizia, condannandosi con le sue stesse mani.
Aveva posto la prima pietra per la costruzione dell’altare su cui, ora, Concilio e Casta Militare, volevano immolarlo per le sue colpe.
A quel punto, non c’era nulla che Ruak potesse fare per salvarlo da se stesso, poiché già troppe parole erano state spese in tal senso.
Ora, era giunto il momento di agire.
Levandosi in piedi con grazia e forza assieme, Ruak si fece marmoreo in viso e, con un tono di voce che mai, in precedenza, aveva usato, disse al generale: “Indirò un Concilio della Corona, ove saranno presenti i più alti in grado della Casta Militare, e proporrò l’abdicazione del re come è in mio potere in quanto erede al trono.”
Scattando sull’attenti, il generale piegò rispettosamente il capo in avanti e, portando il pugno in corrispondenza del cuore disse con voce stentorea e piena di ammirazione: “Ve ne sono grato, Vostra Maestà.”
Già. Vostra Maestà.
Ben presto, quel titolo altisonante e di cui, per motivi vari, aveva sempre avuto timore, gli sarebbe crollato sulle spalle prima di quanto avrebbe immaginato.
D’altra parte, non si poteva fare altrimenti, e non solo per salvare Aken dalle grinfie degli uomini del padre, ma anche per Rajana ed Enerios.
Tutto il popolo meritava un re equo, e Arkan non lo era più ormai da tempo.
“Ora è il mio turno” sussurrò tra sé Ruak.
***
“Certo che ha schivato le case di un soffio!” commentò Kalon, osservando a braccia intrecciate il fronte nevoso disceso dal monte solo poche ore prima.
Sotto il sole di quella frizzante mattina di inizio primavera, Aken e altri uomini del paese stavano osservando ciò che la valanga non aveva danneggiato grazie ai frangi valanga che avevano rinforzato l’inverno precedente.
Le travi che il fronte nevoso aveva divelto come fossero stati stuzzicadenti, facevano comunque impressione.
Avrebbero dovuto lavorare per settimane, per sistemare tutti i frangi valanga distrutti dal passaggio della neve ma, poiché servivano a proteggerli, erano ben visti i danni a loro, piuttosto che alle case di Hyo-den.
Non che questo compensasse il fatto che una simile distruzione voleva significare.
Giorni e giorni nei boschi ad abbattere nuovi alberi, e ore e ore di estenuante lavoro di piallatura, incasso e lavoro di martello e chiodo.
Guardandosi vicendevolmente in faccia, non del tutto certi da dove poter cominciare con i lavori, Yvok intervenne per primo dicendo: “Allora, direi che io e questi robusti gemelli potremmo andare a fare legna, mentre voi liberate le buche dai tronchi distrutti e controllate quelli che sono stati solo divelti.”
Annuendo, Aken guardò Antalion, che sorrise compiaciuto, prima di ammiccare all’indirizzo di Kersten e Siak – compagni di un paio di donne-lupo del villaggio – e dichiarare: “Qui ci penseremo noi. Se vi servono dei cavalli per trainarli, sentite Eikhe. Oggi è di turno lei, nel maneggio.”
“A dopo, allora” chiuse il discorso Yvok con un gran sorriso, tornando verso valle assieme ai due gemelli, mentre il resto del gruppo restava in prossimità dei frangi valanghe distrutti.
Il resto degli uomini teoricamente presenti al villaggio erano, o impegnati a Marhna per lavoro – e risiedevano lì solo nei fine settimana – , oppure alle prese con i malanni di stagione.
Quei pochi che restavano fuori da quelle categorie, erano davvero troppo piccoli per poter partecipare a simili lavori di ristrutturazione.
Visto che, per almeno un paio di giorni, non ci sarebbe stata altra manovalanza se non la loro, dovevano darsi da fare per iniziare almeno i lavori.
Tirandosi su le maniche, Aken e gli altri si avviarono perciò verso i tronchi divelti, iniziando a controllarli uno per uno per essere certi che non avessero danni.
Dopo averne salvati almeno una decina, accatastarono quelli irrimediabilmente distrutti su una slitta, e inviarono il cavallo che la guidava direttamente al villaggio.
Fu solo verso sera inoltrata che, stanchi e affamati, tornarono a Hyo-den, più che desiderosi di una cena e di un bagno caldi.
Dopo essersi salutati e dati appuntamento per il giorno seguente per proseguire i lavori ai frangi valanghe, Antalion e Aken salirono lentamente i gradini che conducevano alla veranda di casa.
Con un saluto stentato e fiacco, Aken fu il primo a entrare, già pronto ad avventarsi sulla cena come un orso affamato.
Quando però vide Eikhe seduta al tavolo della cucina, lo sguardo perso nel vuoto e il suo cucciolo di lupo poggiato in grembo e tutto preso a leccarle il viso, si bloccò a metà di un passo ed esalò: “Tesoro… che c’è?”
Antalion, dietro di lui, lo oltrepassò preoccupato non appena sentì quel tono di voce ansioso.
Squadrando la madre con il cuore in gola e il viso percorso da mille e più paure, corse subito dopo verso di lei, esclamando: “Mamma, cos’hai?!”
Scuotendosi non appena Antalion le scrollò le spalle con una certa violenza, Eikhe fissò il volto innaturalmente pallido del figlio prima di sorridere leggermente e dire: “Oh… siete già tornati?”
Avvicinatosi a sua volta con passo solo apparentemente più tranquillo, Aken le si sedette accanto e, afferrata una sua mano, se la poggiò sul petto, mormorando: “Amore, non stai bene?”
“No, tutt’altro” asserì lei, prima di aprirsi in un sorriso vero e proprio e aggiungere: “Oh, cielo, scusate! Ero un po’ stralunata, e voi mi avete vista così, pensando non stessi bene.”
Scansando gentilmente il suo lupo, Luak, che atterrò sulle zampette morbide prima di accoccolarsi sotto la sua sedia e sbadigliare felice, Eikhe guardò dapprima il compagno prima di volgere gli occhi verso il figlio e chiedergli: “Te la senti di fare il fratello maggiore?”
“Oh. Cacchio!” se ne uscì Antalion, crollando scompostamente su una sedia prima di guardare il padre che, letteralmente, si era fatto di marmo.
Bianco come un cencio e del tutto privo di espressione, Aken si limitò a sbattere furiosamente le ciglia senza avere la forza di parlare.
Comprendendo il suo ovvio sconcerto, Eikhe gli carezzò una guancia con la mano libera, sussurrando: “Non sei dispiaciuto, vero?”
“No, affatto, ma… sei sicura che…” tentennò lui, riprendendo solo in parte il controllo di sé.
Lei annuì una sola volta e Aken, non sapendo che altro fare, si inginocchiò accanto alla sua sedia e, sfiorandole il ventre ancora piatto con una mano, sussurrò: “Crescerai amato e protetto. Io, tuo fratello e tua madre non ti faremo mai mancare nulla.”
Levando poi lo sguardo a cercare quello del figlio, ancora piuttosto confuso di fronte a quella notizia inaspettata, Aken gli sorrise prima di dirgli: “Vieni qui con me a dare il benvenuto a tuo fratello… o a tua sorella, vedremo.”
Antalion annuì come in trance e, inginocchiatosi all’altro lato della madre, la baciò su una guancia prima di dire: “Sarò un bravo fratello maggiore, vedrai.”
“Ne sono sicura, tesoro mio” annuì Eikhe, sorridendo poi divertita al compagno. “Stavolta, potrò insultarti senza ritegno.”
“Non avevo alcun dubbio” ridacchiò Aken, scrutando pieno d’amore la compagna e il figlio. “Sarà bellissimo affrontare tutto questo con voi due al fianco. Sarà un po’ come ripagarvi degli anni in cui non ho potuto esserci.”
“Sei già stato ampiamente scusato, per quello” bofonchiò Antalion, levandosi in piedi in fretta. “Vado a farmi il bagno, visto che la cena ancora non è in tavola.”
Osservandolo mentre, con passo stanco e strascicato, Antalion si allontanava da loro per prendere la via delle camere, Eikhe sorrise benevola al compagno.
“Vai da lui, prima che si metta in testa strane idee.”
“Sarà meglio” annuì Aken, levandosi da terra prima di darle un bacio maritale sulla fronte e correre dietro al figlio.
Raggiuntolo nella stanza da bagno, dove una stufetta di ghisa serviva non solo a riscaldare l’ambiente ma anche i secchi d’acqua, Aken lo osservò in silenzio per alcuni attimi, indeciso su cosa dire.
“Temi possa amarlo di più perché potrò vederlo nascere e crescere?” chiese d’improvviso Aken, facendo sobbalzare il figlio per lo spavento.
Rovesciando a terra parte dell’acqua, Antalion trattenne a stento un’imprecazione prima di sospirare e bofonchiare a mezza voce: “Ma che razza di idee ti vengono in mente?”
Non del tutto convinto, Aken si avvicinò al figlio e, precedendolo, prese un canovaccio per asciugare il pavimento di legno.
“Non è questa la tua più grande paura, ragazzo?”
“Perché dovrei avere paura di un nanerottolo non ancora nato?” sbuffò Antalion, prima di posare con una certa malagrazia il secchio vuoto a terra per prenderne un altro.
Bloccando la mano del figlio prima che versasse nella tinozza il secondo secchio, Aken gli sorrise comprensivo e disse: “Perché saresti umano, a pensarlo, tutto qui. Credi che non avessi le tue stesse paure, quando mia madre morì e Anladi prese il suo posto, dando a mio padre altri due figli? Pensavo mi avrebbero messo da parte, dimenticato, relegato in un angolo.”
“Invece?” chiese in un sussurro Antalion, posando a terra il secchio ancora pieno.
Con una scrollatina di spalle, Aken si sostituì al figlio nel riempire la tinozza e, mentre il fruscio dell’acqua scivolava dal secchio in metallo, disse tranquillo: “Anladi mi prese sotto la sua ala, nonostante fosse poco più che una bambina ella stessa e, insieme, diventammo adulti, crescendo il piccolo Ruak e la sdolcinata Melantha. E credimi, avere a che fare con mia sorella, finché è rimasta a palazzo, è stato un inferno. Abbiamo faticato molto ad andare d’accordo, ma alla fine siamo riusciti a trovare una via di mezzo.”
Abbozzando un sorriso, Antalion allora disse: “Quindi, anche se lo vedrai nascere e crescere, per te non farà differenza?”
“Sarà differente perché ci sarai anche tu al mio fianco. Non potrò mai dimenticare che tu sei stato il mio primo figlio, mai!” esclamò con enfasi Aken, prima di indicare la tinozza e aggiungere: “Ma se starai qui a crogiolarti al caldo per più di venti minuti, giuro che ti preleverò di peso e ti scaricherò in mezzo alla neve per avermi fatto aspettare.”
Scoppiando a ridere, Antalion annuì più tranquillo.
“Ti voglio bene, sai, papà?”
“Anch’io, An” disse Aken, allargando il suo sorriso.
Storcendo appena il naso, il ragazzo si sfilò la tunica e borbottò: “Mi sa che non permetterò più neanche a te di chiamarmi così, quando sarà nato il piccolo. Sai, devo mostrarmi adulto per lui o lei, dopotutto.”
Ridacchiando, Aken andò verso la porta per uscire dal bagno e disse: “Come vuoi tu, figliolo. A tra poco, allora.”
“Sì, papà. A tra poco” sussurrò Antalion terminando di svestirsi mentre il padre usciva dal bagno.
***
La Sala del Concilio era una lunga stanza rettangolare, posta a fianco della più imponente Sala del Trono dove, solitamente, si svolgevano le adunanze pubbliche e le celebrazioni più importanti.
Interamente rivestita di pannellature di legno per attutire i rumori e le voci, la stanza aveva nel mezzo un lungo e tavolo di legno scuro.
Attorno a esso erano posizionati gli scranni perfettamente uguali designanti a ciascun componente del Concilio della Corona.
Nato alcune centinaia di anni prima, così da mettere un freno alle mire dittatoriali del Sovrano dell’epoca, era composto da ventisette membri.
Il Concilio poteva vantare la presenza di ventitré nobili di alto lignaggio, scelti in ogni contea del regno mediante elezioni decennali.
I restanti quattro membri facevano parte della Casta Militare e, contrariamente ai nobili, erano scelti in base al grado e all’anzianità di servizio, e restavano in carica fino alla morte, o per abbandono del seggio.
Quel giorno di inizio primavera, chi in alta uniforme, chi sfoggiando vesti pregiate quanto apparentemente dimesse – nel Concilio era vietata l’ostentazione dei propri mezzi– l’assemblea si riunì.
Accanto all’unico scranno più altro degli altri, ove solitamente sedeva il Re, si trovava la figura ritta e fiera di Ruak.
Interamente vestito di nero, con l’unico plastron bianco a recare un qualche stacco di colore in quell’uniforme tenuta oscura, Ruak appariva rigido e statuario.
Lo sguardo era come di ghiaccio e la bocca, solitamente piegata in un sorriso, quel giorno disegnava un’unica linea sottile e pallida sul suo volto.
Era ben chiaro a tutti il motivo di quel suo atteggiamento così inconsueto, e nessuno dei membri del Concilio si sorprese nel vederlo così accigliato, visti i motivi che li avevano spinti a riunirsi quel giorno.
All’esterno, le piante da frutto del giardino di palazzo avevano messo le prime foglie smeraldine, mentre il cinguettio delle allodole e dei passerotti scandivano le note allegre della primavera ormai giunta.
Il tutto era in netto stridore con il silenzio tombale di quella stanza, dove la morte – e non la vita – sembrava aleggiare come una cupa minaccia.
Ruak si volse in direzione della porta a due battenti non appena udì, all’esterno, i due battiti sordi del bastone del cerimoniere, segno distintivo che il padre era giunto al loro cospetto.
La mano che teneva sullo schienale dello scranno, tamburellò nervosa.
Un attimo dopo, mentre i membri del Concilio si levavano per salutare il re, e Ruak si allontanava dal seggio di un paio di passi, le porte vennero aperte e sull’entrata comparve Arkan.
Armato come suo solito del bastone e di tutta la sua fiera spavalderia, era ritto di spalle e con la bocca piegata in una lieve smorfia di disappunto.
Seguito in silenzio dalla moglie, che si accomodò su un basso scranno posizionato poco a destra rispetto alla porta d’entrata della sala, Arkan raggiunse con passo claudicante ma svelto il suo scranno.
Dopo aver lanciato un’occhiata venefica in direzione del figlio – che lo aiutò a sistemarsi più accanto alla tavola – esordì dicendo: “Accomodatevi e spiegatemi a cosa dobbiamo questa riunione straordinaria. Sono curioso!”
Lo sguardo serio e compassato, Anladi osservò un attimo il figlio prima di annuire lievemente e lui, abbozzando un sorriso nella sua direzione, prese un gran respiro e disse: “La riunione si è resa necessaria a causa del vostre scelte dissennate e dispotiche.”
Volgendo lentamente lo sguardo su tutti i membri del Concilio, che in silenzio osservavano Ruak con fiducia, Arkan terminò il suo studio sul viso del figlio prima di dire arcigno: “Vuoi togliermi la corona, figlio? E’ questo?!”
“Mi ci avete costretto” precisò Ruak, abbassando finalmente lo sguardo a osservare gli occhi adamantini del padre.
No, non lo riconosceva davvero più.
Non c’era che gelo, in quelle iridi che, un tempo, aveva amato.
“Avete usato il vostro potere per agire in maniera ossessiva, sprezzante della sicurezza delle genti, che avete mosso per il vostro solo diletto, e avete punito un uomo solo per il gusto di farlo, poiché nulla avrebbe potuto per accontentarvi, e voi lo sapevate benissimo!”
“I miei soldati sono dei rammolliti, se basta della semplice neve a fermarli” sbottò il re, tornando a guardare il Concilio con aria di sufficienza. “Basi davvero su queste misere accuse, la tua richiesta di abdicazione? Neppure uno sciocco accetterebbe.”
Cercando di mantenere la calma, Ruak continuò imperturbabile.
“Sono mesi, per non dire anni, che le vostre scelte ipocrite hanno minato la fiducia di noi tutti nei vostri confronti. Senza toccare i motivi veri che hanno costretto mio fratello a rimanere praticamente prigioniero in questo castello per sedici anni, sono anche altri, e non meno gravi, i motivi che mi spingono a parlare qui, oggi.”
Ciò detto, lanciò un’occhiata in direzione Consiglio, come a sincerarsi di avere ancora il loro appoggio, e proseguì.
“I vostri colpi di testa hanno messo a rischio la vita dei soldati preposti alla difesa del regno, quest’inverno e, quando li avete tacciati di codardia, non vi siete neppure premurato di conoscere il loro parere. Avete mandato alla morte dodici dei nostri migliori cavalli, sei cavalieri hanno dovuto vedersi amputare almeno un dito di un piede, o di una mano, a causa dei geloni e, come spregio ultimo, avete fatto fustigare un ufficiale senza il benestare del suo comandante. Questi mi sembrano ottimi motivi per chiedervi, anzi, ordinarvi di abdicare in mio favore.”
Sordo alle parole del figlio, Arkan gli sorrise beffardo, replicando: “Se tuo fratello fosse stato alla guida di una sola di quelle spedizioni, sarebbe giunto a Marhna senza problemi!”
Chiusi un momento gli occhi per ingoiare la bile che, feroce, era risalita fino alla bocca, Ruak li riaprì subito dopo e solo per dire: “Mio fratello non si sarebbe mai mosso da Rajana con simili condizioni di tempo ma, cosa ancora più importante, non avrebbe permesso a nessuno dei suoi uomini di farlo! Non parlate di mio fratello come se lo conosceste, perché così non è! Voi non sapete chi è Aken di Rajana!”
Assottigliando le iridi perlacee a fissare malamente il figlio, Arkan si levò dallo scranno per affrontarlo direttamente e, postosi di fronte a lui con sguardo becero, sibilò: “Prendi le distanze, eh? Molto bene, figlio, farò lo stesso. Visto e considerato che siamo qui riuniti, ti butterò ufficialmente fuori da questo Concilio!”
“Negato” intervenne con voce piana il generale Sedarr.
Voltandosi di scatto non appena la sua voce stentorea si dissolse tra le mura lignee della stanza, Arkan lo fissò con autentico stupore prima di irritarsi e ringhiare: “Come vi permettete?!”
“In quanto membro del Concilio a tutti gli effetti, ho il diritto di votare come meglio credo, e il mio voto è no” ingiunse con aria serafica Sedarr, intrecciando le braccia nerborute sul petto.
“Negato” disse a quel punto il Conte Visteritz, volgendo a mezzo il capo per fissare in viso il re, per nulla intimorito dal suo fiero cipiglio.
Uno dopo l’altro, i membri del Concilio votarono contro Arkan che, sempre più paonazzo in viso per la rabbia, li squadrò a turno con furore cieco.
Man mano che i voti aumentavano, dichiarando a chiare lettere su chi fosse riposta la loro fiducia, l’atmosfera nella sala cambiò.
Quando anche il Colonnello Yriacon votò a favore di Ruak, Arkan si mosse con insospettata velocità sui piedi.
Levato alto il bastone fin sopra la testa, si scagliò furente contro il figlio, urlando: “Tu sia maledetto!”
Lesto, Ruak si scansò in tempo utile per evitare di essere colpito mentre il Sergente Kirua – il più vicino di tutti al Re – si levava dal suo scranno per bloccarlo alla vita e impedirgli di andare oltre con l’attacco.
Anladi, a sua volta alzatasi in gran fretta quando vide il marito attaccare il figlio, avanzò veloce verso la porta e, apertala senza esitazione, ordinò con voce secca e dura: “Guardie, presto, entrate!”
Trattenuto dal Sergente Kirua e il Colonnello Yriacon per le braccia, mentre la sua bocca sputava insulti a tutti i membri del Concilio e maledizioni al figlio, Arkan fissò i soldati appena entrati nella sala ed esclamò: “Presto! Toglietemeli di torno!”
Ignorato completamente dai due alabardieri – che fissarono la loro regina in attesa di ordini – Arkan iniziò a strillare con sempre maggiore rabbia.
Gli occhi fuori dalle orbite, e l’aspetto di un vecchio folle scriteriato, il re continuò a urlare e dimenarsi, distruggendo un pezzo alla volta la figura che era stata un tempo.
Un re valido e capace, in grado di guidare un intero regno.
Pur sentendosi morire dentro, Anladi strinse le mani a pugno sul ventre e disse, stentorea: “Prendetelo e rinchiudetelo nelle sue stanze. Io giungerò a breve.”
“Sì, Vostra Maestà” dissero in coro i due alabardieri, muovendosi verso il loro Re senza tema alcuna.
Lasciatolo alle cure dei due soldati, gli ufficiali lo lasciarono andare non senza qualche difficoltà.
Mentre altri uomini giungevano in aiuto dei due già presenti nella sala, Ruak sospirò affranto prima di allungare una mano verso la madre per averla vicino a sé.
Le urla si intensificarono, quando Arkan venne condotto fuori a forza dai soldati, e solo quando le porte della sala vennero chiuse, Ruak ebbe il coraggio di tornare a parlare.
Lappandosi nervosamente le labbra, il viso pallido e le mani leggermente tremanti, dichiarò con voce il più possibile controllata: “Voto per l’abdicazione di Arkan di Rajana, figlio di Erecton di Midana e di Yulea di Seriken, a favore dell’Erede al trono.”
“Approvato” esclamò stentoreo il Concilio, senza alcuna inflessione nella voce.
Reclinando infine il capo, mentre col braccio destro cingeva la vita sottile della madre per sostenerla, e sostenersi, Ruak mormorò con voce ora sommessa: “Vi chiedo una cortesia. Non facciamo parola con il popolo di ciò che è successo qui. Che non si sappia che il loro buon re ha perso il senno; lasciamo che lo vedano ancora come il sovrano buono che ha a cuore la sua gente.”
Avvicinandosi allo scranno reale, il generale Sedarr gli batté calorosamente una mano sulla spalla, asserendo con un mesto sorriso: “Così sarà fatto, Vostra Maestà. Non ha senso turbare le genti con argomenti simili. Chiederemo alla Maestà Vostra di consigliare a vostro padre di ritirarsi nel palazzo estivo di Elion, cosicché possa curarsi e vivere in pace il tempo che gli resta.”
“Saggio consiglio” annuì Ruak, cercando di abbozzare un sorriso in risposta.
“Non è necessario apparire lieto, mio re, perché sappiamo quanto questo vi sia costato” replicò gentilmente Sedarr prima di osservare la regina e aggiungere: “Così come deve essere costato a voi, mia Signora. Avete tutto il mio rispetto e la mia comprensione.”
Annuendo garbata, Anladi disse sommessamente: “Me ne compiaccio, Generale. Un simile complimento, detto da un uomo così coraggioso, non può che suonare doppiamente gradito.”
“Esistono molti tipi di coraggio, Regina Madre, e voi avete dimostrato a noi tutti quanto voi ne possediate” asserì sinceramente Sedarr, chinandosi a baciarle la mano, ossequioso.
“Potete pensare voi a tutto?” chiese a quel punto Ruak, cominciando a sentirsi vagamente fuori fase. “Desidero sapere come sta mio padre, ora. Mi recherò nel mio studio più tardi per firmare tutte le carte del caso. So che posso fidarmi di voi, per tutto.”
Il nobile Gavin, sorridendogli benevolo, disse: “Vai, ragazzo, e riposati. Occupati di tua madre e di tuo padre. Alle scartoffie penseremo noi.”
“Grazie, zio” sussurrò Ruak, annuendo debolmente prima di uscire dalla Sala del Concilio assieme alla madre.
Non appena le porte del salone vennero chiuse alle loro spalle, il principe sospirò affranto e sussurrò: “Cos’ho fatto, madre? Cosa? L’ho ucciso!”
Scostandosi da lui per afferrarlo alle spalle, Anladi lo scrollò con forza e dichiarò perentoria: “Hai salvato il regno, tuo fratello e tuo padre. Se fosse andato avanti così, qualcuno avrebbe potuto decidere di ucciderlo, figliolo, mentre ora può uscire a testa alta da Rajana senza che nessuno sappia il reale motivo della sua abdicazione. Gli hai fornito un lascia condotto che non meritava, ed è più di quanto avrei fatto io, se fossi stata al tuo posto. Non biasimarti di nulla, mai!”
Ruak trovò la forza di sorridere e, fissando con nuovo rispetto la madre, piccola in confronto a lui ma forte al pari di un soldato, disse: “Sedarr ha ragione, esistono molti tipi di coraggio. E tu ne hai più di tanti uomini di mia conoscenza.”
Con un mesto sorriso, Anladi commentò: “Ci costringete a essere coraggiose, visto che sapete perdervi anche sul più semplice dei sentieri.”
“Come darti torto?” chiosò Ruak, prima di abbracciarla e sussurrare: “Andiamo da lui.”
“Sì” annuì lei, prendendolo sottobraccio prima di incamminarsi silenziosi lungo la scalinata di pietra che conduceva ai piani superiori.
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Capitolo 30 *** cap. 30 ***
30. Aggiustandosi forse per la
ventesima volta il colletto della camicia che indossava sotto una tunica scura
lunga al fino al ginocchio, Konis fissò con un mezzo sorriso il cognato e il
padre prima di ridacchiare. “Non sembro un completo
idiota, vero?” Aken scosse il capo e,
poggiate le mani sui fianchi, chiosò: “L’uomo che non si dimostra nel panico
totale prima del matrimonio, non è un vero uomo.” “Tu non ti sei sposato con
mia sorella, quindi come puoi dirlo?” replicò bonariamente Konis, guardandosi
nell’alto specchio che aveva in camera sua. La tunica che la sorella le
aveva cucito durante l’inverno, gli stava a pennello. I neri pantaloni erano
perfettamente infilati in alti stivali di cuoio lucido mentre il rubino che
brillava nel bel mezzo del plastron – dono di Aken – non si era mosso di un
millimetro, nonostante i suoi ripetuti ritocchi. Da quel poco che aveva
capito della storia di quella spilla, il principe l’aveva condotta con sé come
regalo per Eikhe. Una volta raggiunto il
villaggio di Hyo-den, aveva però compreso quanto inutile sarebbe stato, come
dono per lei, e così l’aveva semplicemente conservata in attesa di uno scopo
più elevato. Non appena aveva saputo del
matrimonio suo e di Ylliana, aveva compreso come usarla, e gliene aveva fatto
dono con la più calda approvazione di Eikhe stessa. Sfiorando quel prezioso per
l’ennesima volta con reverenziale timore, Konis tornò a voltarsi in direzione
di Aken e chiese: “Sicuro che vuoi regalarmela?” Ridacchiando, Aken gli diede
una fraterna pacca sulla spalla e disse sinceramente: “Se potessi, te ne
regalerei anche altre, ma sfortunatamente le ho lasciate a Rajana. Credimi, è
tua.” “Beh, grazie” sorrise allora
Konis prima di guardare il padre e chiedere: “Sai a che punto sono messe, di
sotto?” Con un sogghigno che sapeva
di consapevolezza ed esasperazione assieme, Harm scrollò le spalle e dichiarò:
“Mykos e Luak stanno piantonando le scale e, al minimo cenno di intrusione,
ringhiano come forsennati. Non ci penso proprio a scendere per dare
un’occhiata!” “Vedrai che, quando le
signore saranno pronte e il Sacerdote di Iralva arriverà per la benedizione, ci
chiameranno” sentenziò Aken, saggiamente. Anche se, in principio, gli
era parso praticamente scontato chiedere in moglie Eikhe, dopo averla trovata,
Aken aveva presto compreso quanto, quel sacramento, fosse nel loro caso del
tutto inutile. Hevos lo trovava superfluo,
poiché la semplice promessa dell’amore imperituro bastava a rendere grazie al
suo nome. Poiché Aken era entrato a
pieno titolo nella tribù, ed era da tutti considerato un figlio del branco, non
aveva senso perdersi in simili, vecchie abitudini. Inoltre, visto che lui aveva
avuto l’indubbio onore di conoscere e parlare con Hevos stesso per quasi due
settimane, e aveva compreso il suo pensiero meglio di chiunque altro, sapeva di
non aver sbagliato a non chiedere la mano di Eikhe. Erano compagni, di nome e
nello spirito, e tanto bastava, sia a loro che alla famiglia di Eikhe, che
aveva compreso senza bisogno di tante spiegazioni le motivazioni di entrambi. Un rumore di passi,
dabbasso, richiamò la loro attenzione e, pochi attimi dopo, con un paio di
colpetti alla porta, entrò Antalion. Unico a essere stato ammesso
al piano inferiore, sorrise agli uomini presenti e disse: “Enok è arrivato
assieme al Sacerdote, e ora sta parlando con la futura sposa. Dice di tenersi
pronti.” Konis impallidì visibilmente
e Harm, affrettandosi ad affiancarlo, lo sorresse per un gomito, mormorando:
“Su, ragazzo, va tutto bene. Non vorrai svenire al posto di Ylliana, vero?” “No, però…” tentennò lui,
prima di tirare un sospiro e aggiungere: “D’accordo, ci sono!” “Sia lodato Hevos” sussurrò
Aken, prima di affacciarsi oltre la porta della stanza. Mykos e Luak erano spariti,
segno che ormai il loro compito di guardiani si era esaurito. Da pian terreno, proprio in
quel momento, spuntò il viso di Eikhe che, sorridendogli complice, disse:
“Potete venire.” “Va bene” annuì lui,
rientrando in fretta. “Si può.” Harm sorrise al figlio, che
accennò un ghigno stentato prima di ridere del suo terrore e fare il primo
passo verso la porta che lo avrebbe condotto al piano inferiore e, da lì, al
salotto riccamente decorato per quell’evento. La dea Iralva, oltre a
essere la divinità creatrice di ogni cosa – secondo il mito seguito per la
maggiore, nei regni di Enerios e Karton – era anche la protettrice del focolare. Per questo motivo, ogni
matrimonio veniva celebrato in casa di uno degli sposi. I templi eretti in suo nome
erano usati solo per le funzioni dedicate al suo giorno sacro, o per le
preghiere personali. Per ciò che riguardava
sacramenti come il matrimonio, o la benedizione di nascituri e defunti,
avvenivano sempre nelle abitazioni. Mentre Konis discendeva le
scale – al cui mancorrente era stato intrecciato un nastro di seta candido come
neve – dabbasso, un tenue suono di flauto si librò nell’aria e la voce di
Ildera si levò sommessa a intonare il Cantico
di Gioia della dea. Benedetta sia l’acqua che scorre dal ghiacciaio, che con la sua
dolcezza terge i peccati e purifica l’animo. Benedetta sia l’aria che galleggia ogni dove, che con la sua
purezza dilava le anime e purifica le menti. Benedetto sia il fuoco che illumina il tuo cammino, che con il suo
calore riscalda il cuore di ogni creatura. Benedetta sia la terra che calpesti con i tuoi piedi, che con la sua
forza da’ frutti per il sostentamento di tutti. Al suono dell’ultimo verso
intonato dalla madre, Konis fece il suo ingresso nel salotto. Il tutto era addobbato con
sete multicolori, fiori secchi appesi alle finestre e alle pareti, oltre a
belle candele dalle cere profumate. Il giovane sorrise
spontaneamente alla fidanzata che, dalla parte opposta della stanza, stava a
sua volta entrando per raggiungere il Sacerdote. Sito nel mezzo della stanza,
e abbigliato con una lunga tunica argentea e ricamata con motivi a tralci
d’uva, il rappresentante di Iralva sollevò le mani per indicare entrambi i
giovani. Con voce limpida e ben
impostata, esordì dicendo: “Sia reso grazie a queste due giovani creature che,
in questo giorno, hanno deciso di unire le loro vite sotto lo sguardo benevolo
di Colei-Che-Tutto-Creò.” Lentamente, passo dopo
passo, i due giovani si avvicinarono al Sacerdote e, in quella lunga
processione, Konis ebbe tutto il tempo di ammirare la sua sposa. Come da tradizione,
indossava una lunga veste argentata, lunga fino ai piedi, e un sopra-tunica blu
scuro a ricami dorati. Al pari delle vesti del
rappresentante di Iralva, i ricami ricreavano un tralcio di vite infinito e
ricco di fogliame. Sul capo di biondi capelli,
raccolti in una trina di trecce perfette, portava un singolo fiore bianco,
simbolo della dea. In mano, invece, tratteneva
una fascia di raso blu dalle lunghe frange argentee, che il Sacerdote avrebbe
utilizzato per legare le loro mani durante la cerimonia. Quando infine entrambi
raggiunsero l’uomo canuto nel mezzo della sala – circondati dai i loro cari e
gli amici più stretti – la cerimonia vera e propria ebbe inizio. Chinandosi verso Ylliana, Konis
le sussurrò all’orecchio: “Ti amo.” Lei si limitò a sorridere,
sbattendo le lunghe ciglia chiare e fissandolo per alcuni attimi con i profondi
occhi nocciola, prima di tornare a guardare il Sacerdote che, bonario, disse: “Un
bravo giovane davvero.” “Sì” sussurrò lei,
reclinando modesta il capo, subito imitata da Konis. *** Sorseggiando del buon succo
di frutta da un calice, Eikhe sorrise divertita nel vedere Amill rincorrere
Luak per tirargli la coda. Dando di gomito a Enok,
commentò: “Sei sicuro di non voler fermare Amill? Non hai paura che si faccia
male?” “Brye ha imparato mesi e
mesi fa, a stare lontana dalle sue manine stritolatrici e infatti, se hai
notato, è voluta rimanere fuori casa” le spiegò divertito Enok, parlando del
lupo di Sendala che, da quando erano giunti a casa di Harm per preparare la
sala per il matrimonio, non era mai voluta entrare all’interno dell’abitazione. “Oh, azione preventiva!”
esclamò Eikhe, sorridendo. “Quindi, non devo preoccuparmi che si faccia male?” “Piuttosto, il contrario”
precisò Enok, prima di levare il suo calice non appena vide giungere Aken. Sendala stava chiacchierando
amabilmente con Ylliana che, liberatasi della scomoda sopra-tunica, ora stava
parlando un po’ con tutti gli invitati alla festa. Brindando con l’amico, Aken
affiancò la compagna e disse: “I genitori di Ylliana sono davvero simpatici.
Naturalmente, non ho detto loro chi sono per non attirare l’attenzione su di
me, visto che è il matrimonio della figlia e di Konis, ma temo che prima o poi
dovrò pur dirglielo.” “Avremo tutto il tempo di
farlo, tranquillo” scrollò le spalle Eikhe, sistemandosi distrattamente un
laccio della lunga tunica che indossava quel giorno. Al pari del compagno e del
figlio, Eikhe aveva preferito partecipare al matrimonio con abiti consoni al
loro status di figli del branco. Tutti loro, infatti,
portavano lunghe tuniche ricamate e brache frangiate della foggia più elegante.
Per quei vestiti, Eikhe,
Istrea e Liana avevano quasi perso la vista, ma il risultato era davvero
superlativo. Alamari di osso erano
trattenuti da sottili nastri di pelle di cuoio conciato mentre, lungo le
maniche e sull’orlo della tunica, applicazioni di pelliccia di coniglio bianco
abbellivano il già ricercato taglio dell’abito. Sulle brache di pelle di
daino, esili frange si allungavano lungo tutta la lunghezza della gamba, così
come elaborati ricami che ricalcavano quelli della tunica. Gli stivali di cuoio scuro,
infine, erano abbelliti da placche metalliche bulinate a fantasie di fiori e
applicate sui calcagni. “Con il bambino, tutto
bene?” si informò Enok, premuroso. Sorridendogli generosamente,
Eikhe annuì – aveva mandato loro una lettera il giorno stesso in cui l’aveva
scoperto – e disse: “Ancora non si vede, ma dovrei essere di circa tre mesi.” Ammiccando ad Aken, che
stava scrutando distrattamente il figlio in compagnia dei nonni, l’amico
domandò: “An come l’ha presa?” “Va a giorni” ammise lui, facendo
spallucce. “A volte, ne è felice e non lascia quasi niente da fare alla madre,
altre volte, se ne sta ore e ore a fissare il cielo o la foresta, come se
qualcosa lo turbasse ma, quando gli chiedo cos’abbia, nicchia e cambia
argomento. Non so se sia in ansia per il bambino o meno, ma qualcosa lo
preoccupa.” Tornando serio, Enok asserì:
“Può darsi che, più che per il bambino, sia in ansia per l’avvento del bel
tempo.” Storcendo il naso, Aken
annuì turbato. “Forse, teme che anche
questo figlio cresca senza il padre, …chissà.” “Faremo in modo che non
succeda” gli promise Eikhe, stringendogli una mano prima di sentire bussare
febbrilmente alla porta d’entrata della casa del padre. Subito, si irrigidì al pari
di Aken ed Enok, muovendosi prima di loro, ordinò pressante: “Nel dubbio,
nascondetevi.” Annuendo, Eikhe attirò
vicino a sé Aken, mentre Antalion li raggiungeva in pochi rapidi passi. Quando dall’entrata giunse
solo la voce di Liana, però, tutti si bloccarono a metà della porta che dava
sul retro e attesero impazienti che entrasse. Apparentemente trafelata e
con gli occhi ambrati dilatati, si affrettò a salutare tutti con un cenno
rispettoso del capo prima di avvicinarsi ad Antalion, afferrarlo a un braccio e
mormorare: “Ho fatto prima che ho potuto. Giungono notizie dai clan del sud.” Sgranando gli occhi per
l’impazienza e l’ansia, Antalion le strinse con forza le spalle, esalando:
“Dicci tutto!” Sentendo su di sé gli
sguardi di tutti i presenti, Liana domandò pensierosa: “Non è meglio parlarne
fuori?” Lesta, Eikhe si scusò con
gli invitati al matrimonio e, procedendo verso l’esterno assieme alla sua
famiglia, si chiuse la porta alle spalle non appena furono tutti usciti e mormorò:
“Ebbene?” “Beh, non ci crederete, ma
deve essere successo qualcosa di veramente strano, a Rajana” esordì Liana,
scrollando le braccia con fare ancora confuso. “Insomma, in pratica, c’è un
contingente di giovani guerrieri che, guidati da un uomo con una mano sola, sta
girando di tribù in tribù chiedendo del principe Aken… per conto di re Ruak di Rajana.” “Re… Ruak?!” esclamò Aken,
sobbalzando e impallidendo al tempo stesso. “Aken” sussurrò Eikhe,
stringendogli comprensiva una mano. Antalion osservò a sua volta
il padre e, preoccupato per lui, gli poggiò una mano sulla spalla per fargli
percepire anche il suo appoggio. Serio in viso, poi, chiese
all’amica: “Non sai altro?” “Solo che erano diretti qui
a Marhna e che, se non ho fatto male i conti, dovrebbero già essere arrivati, o
in procinto di mettere piede in città” brontolò Liana, guardandoli spiacente a
momenti alterni. “Non sono passata dinanzi alla casa del Borgomastro per
arrivare più in fretta qui… forse, avrei dovuto.” “Sei stata bravissima,
Liana, non preoccuparti” la tranquillizzò Aken, dandole un buffetto sulla
guancia. Lei sorrise spontaneamente,
e aggiunse: “Il messaggio giunto tramite falco specificava che gli uomini non
sembravano affatto minacciosi e anzi, erano in ansia per le condizioni del
principe e desideravano solo consegnargli una lettera da parte del fratello.” Guardando a turno la sua
famiglia senza sapere bene cosa dire, Aken sussurrò: “Davvero non capisco.
L’uomo senza una mano è sicuramente Kannor, ma non comprendo il perché della
sua presenza fuori dal palazzo. E … re Ruak? Che è successo a mio padre, per
tutti i demoni delle montagne?!” “Il messaggio dice solo che
re Arkan si trova al palazzo di Elior, a causa di una grave malattia” spiegò
succintamente Liana. Accigliandosi, Aken
intrecciò le braccia al petto e disse: “Kannor non mi tradirebbe mai, questo è
sicuro. Preferirebbe perdere anche l’altra mano, piuttosto che eseguire un
ordine di mio padre che potrebbe ledermi in qualche modo.” “Ne sei sicuro, padre?”
chiese timoroso Antalion, accentuando la stretta sulla sua spalla. “Più che sicuro, figliolo.
Lascerei volentieri la mia vita nella sua unica mano, perché so che sarebbe al
sicuro” gli sorrise benevolo prima di guardare Eikhe e chiederle: “Tu che ne
dici?” “Dico che andrò a curiosare
vicino alla casa del Borgomastro, mentre tu e Antalion vi andrete a nascondere
nella foresta” dichiarò lei con aria torva. Accigliandosi, Aken scosse
il capo e disse per contro: “Non se ne parla. Non mi nascondo come un codardo.” “Io sono l’unica, qui, a conoscere Kannor e, se
lo vedrò, saprò che nessuno vuole farci del male” precisò Eikhe, fissandolo
uguale cipiglio. “Oh, no… è una di quelle
volte” sospirò Antalion, scuotendo il capo. “Che intendi dire?” sussurrò
Liana, avvicinandolo e fissando i due compagni fissarsi in cagnesco. “Quando entrambi vogliono
imporre la propria volontà sull’altro, scatta la battaglia di sguardi” le
spiegò Antalion, prima di stringere un braccio al padre e suggerire: “Senti,
per quanto mi dia fastidio ammetterlo, la mamma stavolta ha ragione. Tu saresti
in pericolo, se ti avvicinassi a loro, mentre lei è più al sicuro.” “Ma è…” tentennò lui,
indicando la sua pancia ancora piatta con lo sguardo. “Incinta? Ma va?” sbuffò
Eikhe, irrigidendosi. “Mio caro, se proprio lo vuoi sapere, ho lavorato fino al
giorno del parto, quindi non venirmi a dire quello che posso, o non posso
fare!” “Ahia” sussurrò Aken, prima
di levare le mani in segno di resa e dire: “D’accordo, tesoro, faremo come dici
tu, ma non ti scaldare. Fa male al bambino.” Fissandolo con occhi biechi,
Eikhe soffiò tra i denti prima di calmarsi e Antalion, guardandola vagamente
sorpreso, esalò: “E’ la gravidanza che la rende così… acida?” “A me, lo chiedi? Non c’ero,
l’altra volta, ma mia cognata si è comportata come una vipera per tutte e tre
le gravidanze, quindi posso solo ipotizzare di sì” sentenziò Aken prima di
sorridere alla compagna, baciarla sulla fronte e aggiungere: “E’ inutile che mi
guardi così. Faremo quello che hai detto, ma non puoi impedirmi di essere in
ansia per entrambi voi.” Rilassandosi gradatamente,
Eikhe tornò a sorridergli debolmente, asserendo: “E’ reciproco, Aken. Io mi
preoccuperò sempre per voi due. Ma ora andate. Spiegherò tutto io, a mio padre
e a Konis. Prendete i cavalli nella stalla e i lupi. Sarà più sicuro.” “Solo Mikos. Voglio che Luak
resti con te. E’ piccolo, ma è già molto legato a te” si rifiutò Aken,
scuotendo il capo. “E va bene” concesse Eikhe. “Io resterò con lei, e la
accompagnerò alla casa del Borgomastro” intervenne Liana, sorridendo a Eikhe
con aria fiduciosa. “Non è necessario, tesoro”
precisò la donna. Scuotendo il capo, Liana
replicò: “Non solo loro ti hanno a cuore, Eikhe.” “Grazie” le sorrise
Antalion, chinandosi per darle un bacio sulla guancia. “Stai attenta anche tu,
allora.” “Come sempre” ridacchiò la
ragazza, dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia prima di guardare
nuovamente Eikhe e domandare: “Andiamo?” “Sì, è meglio” annuì lesta
Eikhe dopo aver lanciato un ultimo sguardo a compagno e figlio. In fretta, le due donne
tornarono in casa per ragguagliare sommariamente Harm e Ildera di ciò che stava
accadendo, mentre Konis e Ylliana
intrattenevano gli ospiti per non dare l’impressione che stesse succedendo
qualcosa di grave. Sendala ed Enok,
avvicinatisi a loro, ascoltarono le ultime parole di Eikhe e subito, il giovane
disse caparbio: “Vi accompagno anch’io!” “Non se ne parla! Pensa a
tua figlia e tua moglie. Ce la caviamo benissimo da sole” sbottò Eikhe,
accigliandosi. “Non ho bisogno di litigare anche con te, Enok!” “Che male c’è ad avere una
persona in più al fianco, Eikhe?” replicò il giovane, storcendo il naso per il
disappunto. “C’è che tua figlia si
preoccuperà se sparisci anche tu, Sendala starà in ansia per tutto il tempo e
anche gli altri ospiti si insospettiranno. Non voglio rovinare il matrimonio di
mio fratello più del necessario. Rimarrai qui anche tu. Punto e basta!” dichiarò
perentoria Eikhe, puntando le mani sui fianchi. Harm sospirò, annuendo
lentamente prima di borbottare: “Coraggio, facciamo come vuole lei, o non ne
verremo più a capo. Prometti solo che starete attente, va bene?” “Questo è scontato” annuì Eikhe,
prima di levarsi sulle punte dei piedi per baciare il padre su una guancia.
“Non preoccupatevi per noi, andrà tutto bene.” “Lo spero. O Aken taglierà
la testa a tutti noi” ridacchiò senza allegria Harm. “Non lo farà” lo rassicurò
bonariamente Eikhe, prima di afferrare il braccio di Liana e uscire con lei da
casa. Luak, al loro fianco,
raggiunse Nak nel cortile antistante la casa di Harm e, assieme alle loro due
padrone, si avviarono a piedi lungo la via. Camminarono poi con passo
spedito sul marciapiede, mentre carri con mercanzie varie o semplici cittadini
a cavallo percorrevano la strada di acciottolato senza badare alle due
donne-lupo. Spronate dall’ansia e dal
desiderio di scoprire la verità, le due donne percorsero la breve distanza che
le separava dalla casa del Borgomastro nel minor tempo possibile. Bloccatesi solo quando
raggiunsero l’incrocio che le avrebbe condotte sulla via principale di Marhna,
fissarono costernate lo spiegamento di uomini e mezzi presenti sulla strada. Ma quello che stupì
maggiormente Eikhe non fu la quantità di soldati, quanto la loro giovane età e,
soprattutto, il fatto che stessero aiutando i domestici del Borgomastro a
caricare su un carro tutti i suoi averi personali. Guardando confusamente
Liana, che stava osservando l’intera scena con altrettanto stupore, esalò: “Ma
che sta succedendo?” “Un cambio della guardia?”
ipotizzò la ragazza, facendo spallucce. Sulla porta della villa a
due piani, intento a stringere la mano del Borgomastro, si trovava la figura di
un uomo imponente e scuro di capelli, coperto da un leggero mantello di lana
ricamata. Potendolo vedere solo di
spalle, Eikhe non fu sicura di chi potesse trattarsi ma, quando l’uomo si volse
per osservare il Borgomastro raggiungere la propria cavalcatura, sorrise
spontaneamente ed esalò: “E’ Kannor! E’ davvero lui!” “Dici che possiamo fidarci,
allora?” chiese Liana, ancora scettica. “Se c’è un uomo di cui
fidarsi, è proprio lui” annuì più volte Eikhe
prima di aggiungere: “A ogni buon contro… Luak, Nak, non schiodatevi da
noi, chiaro?” I due lupi annuirono con i
loro musi affilati e le due donne, guardatesi per un momento come per farsi
coraggio a vicenda, ripresero il cammino verso la casa del Borgomastro. Era il momento di mettere la
parola ‘fine’ a tutta quella
faccenda. Mentre il carro con le vettovaglie
del Borgomastro iniziava ad avanzare lungo la via assieme al loro proprietario,
Eikhe e Liana attraversarono la strada e fiancheggiarono silenziose il gruppo
di soldati. Molti sguardi le seguirono,
voci soffuse sfiorarono le loro orecchie, ma nessun commento sgarbato venne
loro addebitato. Fissandoli curiosamente da
sotto le lunghe ciglia non meno di Liana, Eikhe si chiese da dove venissero
quei giovani guerrieri dall’aria educata e sorridente. Certo, non pensava che tutti
gli uomini delle pianure fossero sgarbati e offensivi con il genere femminile,
ma le donne-lupo erano viste con sospetto persino dagli uomini di montagna, ben
più abituati alla loro vista. Quei baldi soldati
sembravano sicuri di sé, ma non strafottenti, e gli sguardi discreti che
lanciarono loro non furono mai offensivi o lascivi, quanto piuttosto curiosi. Kannor, ancora fermo
sull’entrata della villa e intento a scrutare la figura sempre più distante del
Borgomastro, si accorse a un certo punto della disattenzione di parecchi dei
suoi. Curioso, si volse in
direzione della strada per capire cosa stesse succedendo e, a gran voce,
esclamò ai suoi uomini: “Ehi, giovinastri, che diamine state…” Le parole gli morirono in
gola, non appena Eikhe e Liana oltrepassarono lo sbarramento naturale creato
dai corpi enormi dei giovani guerrieri presenti in strada. Scendendo i due gradini che
lo separavano dallo stradello che conduceva alla via principale, Kannor esalò a
occhi sgranati: “Eikhe? Sei tu? Sei davvero
tu?” Un sorriso spontaneo salì
alle labbra della donna che, accorrendogli incontro sotto gli occhi sorpresi di
tutti gli armigeri, lo abbracciò con calore ed esalò: “Speravo di rivederti,
Kannor. Non sai quanto io sia felice!” “E io sono felice di vedere
te, Eikhe!” rise lui, dandole una rapida stretta con il braccio sano prima di
scostarla da sé, scrutarla in viso con una sorta di orgoglio amichevole e dire:
“Sei bella come ti ricordavo.” Lei rise grata mentre Liana,
ferma a pochi passi da loro, li scrutava curiosa. Fissandola benevolmente per
alcuni attimi, Kannor si rivolse alla vecchia amica, chiedendole: “E’ tua
figlia, per caso?” Comprendendo al volo
l’equivoco – tutte le figlie sacre si somigliavano tra loro – Eikhe scosse il
capo e replicò: “E’ una mia amica, e si chiama Liana.” Con un inchino frivolo
quanto formale, Kannor si piegò in avanti con grazia e le disse: “Beh, tanto
piacere di conoscervi, signorina Liana.” Ridendo di gusto, Liana
rispose al suo inchino con il classico saluto delle figlie del branco – una
mano poggiata sul cuore – replicando sommessamente: “L’onore è mio, signor Kannor.” “Le hai parlato di me?”
sogghignò l’uomo, ammiccando a Eikhe, che annuì. “Le ho detto di starti alla
larga perché sei uno sciupa femmine” commentò maliziosa Eikhe, facendo
scatenare dei risolini tra i soldati. Kannor li fulminò
immediatamente con lo sguardo, prima di fissarne uno in particolare e borbottare:
“Meyor, vieni qui e accompagna le signore nel salottino al pian terreno. Io,
intanto, sistemo i tuoi compagni.” “Subito, mastro Kantor!”
annuì lesto il giovane bruno che Kannor aveva interpellato. Affiancando Eikhe con un
sorriso smagliante, le offrì il braccio dicendo: “Siamo a uso accompagnare le
signore porgendo loro il braccio, ma non vi dovete ritenere in obbligo di
accettare.” Sollevando un sopracciglio
con evidente curiosità, Eikhe accettò l’offerta prima di guardare Kannor e
chiedere: “Questi giovani li ha addestrati Aken, vero?” “Si vede?” le strizzò
l’occhio lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Ragguaglia le signore
mentre io sono impegnato. Tu sei il più adatto, ragazzo.” “Sarà un onore” annuì Meyor,
offrendo il braccio libero a Liana, che accettò con un sorrisino divertito. Avviandosi verso la porta –
che venne aperta dall’interno da un paggio in livrea grigia e bianca – Meyor si
rivolse timidamente a Eikhe, chiedendole: “Posso avere l’ardire di chiedere una
cosa, madama?” Sorridendogli con
spontaneità, Eikhe si limitò a dire: “Chiamami Eikhe, e dammi del tu. E sì,
chiedi pure quello che vuoi sapere.” Un volta all’interno della
villa, Meyor le accompagnò all’interno di un salottino che Eikhe riconobbe
immediatamente per esservi stata molti anni addietro. Con un tuffo al cuore,
ripensò all’abbraccio mesto che aveva scambiato con Ruak, prima di abbandonare
per sempre l’idea di rivedere Aken. Era successo di tutto, nel
frattempo, ma le sembrava giusto che la fine di quelle peripezie avessero un
termine proprio lì. Scostandosi dal giovane e
accomodandosi a un suo cenno assieme a Liana, Eikhe si sentì chiedere con
cortesia: “Prima di partire, il principe Aken mi lasciò una lettera in cui mi
spiegò i motivi della sua fuga. Vedete…” Bloccandosi e ridacchiando
di fronte all’ironico cipiglio di Eikhe, Meyor tossicchiò e continuò dicendo: “Vedi, mi disse che partiva per
raggiungere il suo unico amore, e mi pregava di capire perché non potesse più
rimanere alla capitale, così da continuare l’addestramento degli allievi più
giovani dell’Accademia. Incuriosito, chiesi lumi a mia madre, che a sua volta
aveva ricevuto una missiva a suo nome, e lei mi parlò di te, di ciò che facesti
per il principe e di quanto foste innamorati.” Meyor si passò una mano tra
i corti capelli bruni, imbarazzato, prima di proseguire. “Sono molto affezionato al
principe Aken e, per anni, lui ha vegliato su di me come un fratello maggiore,
perciò sono stato contento di sapere che, finalmente, avrebbe potuto essere
felice, dopo un periodo troppo lungo di dolore.” Intrecciando le mani in
grembo, Eikhe inclinò un po’ il capo a scrutare quel giovane viso, solcato da
un leggero strato di barba, e chiese ironica: “E cosa ti fa pensare che io sia
io la stessa donna di cui ti ha narrato tua madre?” Sorridendo, Meyor disse
soltanto: “Non so di nessun’altra figlia sacra che abbia conosciuto Kannor, e
di nessuna in particolare che si sarebbe presa la briga di ficcare il naso
negli affari della corona, specialmente viste le norme che, fino a poco tempo
fa, vigevano in merito.” “Bravo” sussurrò Eikhe. “La
donna sono io, e Aken sta bene. Abbiamo preferito venire noi in avanscoperta,
visto che…” Risate allegre e cori di
felicitazioni si levarono dall’esterno ed Eikhe, bloccandosi a metà della frase
senza capire bene cosa stesse succedendo, si levò dal divano assieme a Liana. Con Meyor che si volgeva a
mezzo dalla poltrona, fissarono tutti l’esterno attraverso la larga porta
finestra che dava sul giardino. Esasperata, Eikhe sbuffò
intrecciando le braccia sotto il seno e, assottigliando le iridi d’ambra,
commentò burbera: “Che diamine è servito dirgli di stare al sicuro, se poi ci
ha seguite lo stesso?!” Scoppiando a ridere
bonariamente, Meyor si levò in piedi a sua volta e, osservando i suoi compagni
e Kannor che, tra pacche sulle spalle e grandi abbracci, stavano salutando il
loro principe, chiosò: “Di sicuro, è uno che ama stupire.” “E’ un idiota, ma già lo
sapevo” brontolò Eikhe, mentre Liana ridacchiava sommessamente. Un attimo dopo, la porta
d’ingresso venne aperta e rapidi passi si affaccendarono l’uno sull’altro prima
di raggiungere il salottino, dove Aken fece il suo ingresso assieme ad Antalion
e Kannor. Il braccio sano drappeggiato
sulle spalle del vecchio amico, Kannor disse allegramente: “Non ho fatto in
tempo ad abbracciare Eikhe, che tu salti fuori dal nulla! E con tuo figlio, per
di più! Dèi, siete davvero due gocce d’acqua!” Antalion sorrise timidamente
all’uomo che, per tutta risposta, rise e asserì: “Coraggio, ragazzo, non siamo
qui per combinare guai, quanto piuttosto per disfarli.” “Quindi, non porterete via
mio padre, vero?” chiese a quel punto Antalion, speranzoso. “Tutt’altro. Al momento,
stai parlando con il nuovo Borgomastro di Marhna” dichiarò tronfio Kannor,
sorprendendo tutti i presenti a parte Meyor, già al corrente della qualifica. “Che mi venisse un colpo!
Anzi no!” esclamò Aken, sorridendo raggiante prima di abbracciare l’amico. “Non
sai quanto la notizia mi renda felice!” “Re Ruak pensava che fosse
la persona migliore da inviare qui tra le montagne” spiegò loro Meyor,
attirando l’attenzione di Aken che, con un sorriso, si avvicinò a lui per
abbracciarlo e dargli due baci sulle guance. “Sono pochi mesi che non ti
vedo, ragazzo, ma mi sembra passato un secolo. I tuoi genitori stanno bene?”
gli chiese Aken, sorridendogli affettuosamente. “La mamma vi saluta,
principe, e sarà lieta di sapere che finalmente siete felice” sorrise Meyor
prima di guardare curiosamente il figlio di Aken e dire: “Avevate davvero
ottime motivazioni per fuggire da Rajana.” Eikhe sorrise bonaria al
compagno, prima di esalare: “E meno male che dovevate stare al sicuro.” “Dovresti saperlo che faccio
a modo mio, quando si tratta della tua sicurezza”
replicò ghignante Aken. “Ora, però, qualcuno di voi mi vuole spiegare cos’è
questa faccenda di mio fratello che è divenuto re?” Fattosi serio, Kannor li
invitò a sedersi e, quando tutti si furono accomodati sui morbidi divanetti di
velluto chiaro, disse: “Ruak ha ritenuto necessario far abdicare tuo padre in
modo coatto, dopo tutto ciò che ha fatto quest’inverno nel tentativo di
raggiungerti qui tra le montagne. Il Concilio della Corona non era comunque contento
di Arkan già da tempo. La Corte Militare ti è sempre stata fedele e aveva
compreso da anni che qualcosa ti turbava, e che quel turbamento era legato
indissolubilmente al re. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, è
stata la fustigazione senza giusta causa di un ufficiale.” Inspirando rumorosamente
dalle narici per la gran rabbia, mentre le iridi si assottigliavano
pericolosamente, Aken ringhiò: “Non può averlo fatto davvero!” Sospirando, Kannor annuì spiacente. “Già da tempo, Aken, era
diventato un despota e tiranno solo che, fino a quel momento, si era accanito
soprattutto su di te. Non che la cosa fosse giusta, intendiamoci ma era, come
dire, circoscritta. Da quando te ne sei andato, la sua follia si è estesa come
una piaga ogni dove.” “Dèi…” esalò Aken,
passandosi una mano sul viso mentre Antalion gli posava una mano sulla spalla,
confortante. Fissando spiacente Eikhe,
Kannor proseguì dicendo: “Aken può aver sbagliato, non parlandoci subito dello
scellerato patto stretto con il padre, ma anche noi non abbiamo scusanti. Avremmo
dovuto capire prima, quanto bisogno avesse del nostro aiuto, e invece ci siamo
limitati ad assecondare il suo umor nero e il suo desiderio di isolamento.
Potrai mai perdonarci, Eikhe?” Sorridendo comprensiva
all’amico, la donna replicò: “Abbiamo avuto rassicurazioni in merito, Kannor, e
sappiamo che ciò che è avvenuto aveva uno scopo preciso e, ora che ho visto
Meyor e gli altri soldati, so che Aken ha fatto più che bene a rimanere a
Rajana per così tanto tempo.” Pacificato solo in parte,
Kannor asserì con tono formale: “A ogni modo, reco con me anche una richiesta ufficiale
del re. Desidera invitare te e la tua famiglia a palazzo per scusarsi
formalmente con te, per tutto il dolore arrecatoti negli anni.” “Non ce n’è davvero
bisogno!” esalò Eikhe, sgomenta. Abbozzando un sorrisino, Kannor
aggiunse: “La Regina Madre vi supplica di accettare, e Sua Maestà la Regina
Renke è ansiosa di conoscervi.” Lanciando uno sguardo ad
Aken, ancora turbato per i fatti testé raccontati da Kannor e riguardanti la
follia del padre, Eikhe domandò sommessamente: “Tu cosa desideri fare?” “Non abbiamo nulla da
temere, da loro” scrollò le spalle Aken, prima di chiedere: “Dov’è, ora, mio
padre? E il popolo sa?” “Tutti hanno ritenuto saggio
far sapere solo l’indispensabile, e cioè che il re era stanco e riteneva più
giusto abdicare in favore del figlio. Ora risiede nel palazzo estivo di Elior,
circondato da guardie armate e da dottori che si stanno prendendo cura di lui.” “Guardie… armate?” esalò
Aken, sempre più strabiliato da quel fiume di notizie. “E’ stato necessario, visto
quel che è successo durante la sessione di Concilio che ne ha deciso le sorti”
fu costretto a dire Kantor, tossicchiando imbarazzato. “Capisco” sussurrò Aken,
reclinando il capo tristemente. Eikhe comprendeva bene come
potesse sentirsi il compagno. Il senso di colpa era un
mostro dalle unghie e i denti poderosi, che non guardava in faccia a nessuno e
che scorticava l’animo delle persone, anche coloro che erano a pieno titolo
dalla parte del giusto. Non si era mai sentita in
obbligo nei confronti della madre che, fin da quando era tornata da Rajana
incinta, l’aveva apertamente odiata e poi ripudiata dal villaggio, eppure le
spiaceva tuttora che fosse malata. Non era mai andata a
trovarla perché, nonostante Tyura fosse divenuta la nuova Signora del Villaggio,
ancora troppe donne-lupo la odiavano. Non voleva creare inutili
tensioni laddove non ve n’era bisogno, perciò sapeva di lei solo ciò che la
sorella le riferiva. D’altra parte, non era certa
che una sua visita le avrebbe fatto bene, visto in che modo si erano separate
e, per quanto le paresse sciocco, si sentiva in colpa per il solco ormai enorme
che si era creato tra loro due. Immaginava che, per Aken,
fosse lo stesso con suo padre. Era difficile amare una
persona e non essere ricambiati come si vorrebbe, e a loro era successo in
maniera davvero traumatica. Levandosi in piedi per
raggiungerlo, si inginocchiò dinanzi a lui e, stringendogli le mani, gli
sorrise comprensiva. “Andremo a Rajana e, se i
dottori lo riterranno opportuno, andremo a trovarlo, va bene?” “D’accordo” annuì lentamente
Aken prima di levare il capo per scrutare le persone attorno a lui. “Come
facevo a lasciarla tutta sola tra le montagne, una donna così?” *** Annuendo a più riprese,
Konis e Ylliana sorrisero ad Aken che, dopo averli ragguagliati su quanto
successo, li aveva pregati di scusarli per quell’inconveniente avvenuto proprio
durante i festeggiamenti per il loro matrimonio. Stringendogli una mano con
affetto, Ylliana replicò comprensiva: “Tutt’altro. Ricorderemo questo giorno
per due motivi gioiosi; il nostro matrimonio e la tua libertà. Non mi sembra
poco.” “Mia moglie ha ragione,
Aken. Siamo felici per voi” assentì Konis, sorridendo ad Aken, Antalion ed
Eikhe. “Sei felice, ora, sorella?” “Come poche altre volte”
annuì Eikhe, prima di guardare il padre, visibilmente più sollevato e
aggiungere: “Possiamo lasciare i lupi qui da voi? Portarli fino a Rajana mi
sembra troppo, e Luak è ancora un cucciolo.” Il lupo in questione uggiolò
infelice, saltando sulle zampe attorno alle gambe della padrona per attirare la
sua attenzione. Chinandosi per prenderlo tra
le braccia, lo baciò sul musetto peloso dicendo: “Sarà solo per poco, davvero.” Anche Mykos parve in
disaccordo con le sue parole e Sendala, ridacchiando dal divano in cui era
seduta assieme ad Amill ed Enok, commentò: “Mi sa che te li dovrai sorbire
entrambi, sorella, perché non paiono ben disposti a rimanere.” Harm sorrise generosamente,
dando una pacca sulla schiena nerboruta di Mykos. “Decideranno loro se restare
o meno. Io e Ildera non abbiamo problemi.” Luak poggiò uggioso il
musetto sulla spalla di Eikhe, alternando quella posa drammatica a brevi
leccate sulla sua guancia. A quel punto, la figlia
sacra non poté che sentenziare: “Mi sa che Sendala ha ragione. Non ne vogliono
sapere di rimanere.” Guardando il padre con aria
interrogativa, Antalion accarezzò distrattamente un orecchio di Mykos prima di
chiedere: “Pensi che tuo fratello avrà qualche problema ad accettarci a palazzo
con i nostri lupi?” “Dubito fortemente, visto
come si è comportato l’ultima volta che ne ha visto uno. Di ritorno dalla
guerra, voleva portarsi a casa il lupo di Vesthe” ridacchiò Aken, facendo
sorridere spontaneamente il figlio. Guardando i suoi due uomini
per alcuni attimi, Eikhe scrollò le spalle e sentenziò: “D’accordo, si va a
Rajana con i lupi.” Mykos abbaiò soddisfatto
mentre Luak riempì letteralmente la faccia di Eikhe di bava prima che lei,
indispettita e divertita insieme, lo mollasse a terra per poi borbottare
disgustata: “Ma dai, Luak!” Tutti risero mentre lei, con
un passaggio veloce del fazzoletto, si ripuliva la faccia prima di dire
scocciata: “Ildera, uso l’acqua in cucina.” Ridendo, la donna annuì.
“Vai pure, Eikhe.” “Grazie” bofonchiò lei,
prima di fissare male il suo lupo e grugnire: “Con te me la vedrò dopo.” Uggiolando, Luak si nascose
dietro le gambe di Aken che, ridacchiando comprensivo, lo prese in braccio e,
carezzandolo dolcemente, gli sussurrò: “Ti difenderò io, tranquillo.”
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Capitolo 31 *** cap. 31 ***
31.
Costretto dal suo nuovo ruolo di
Borgomastro entro i confini di Marhna, Kannor salutò Aken e famiglia con un
abbraccio e con la promessa di rivedersi a breve.
La mattina seguente il matrimonio di
Konis e Ylliana, un gruppo di dieci soldati – capitanati da Meyor – partì alla
volta della capitale scortando la famiglia di Eikhe con la stessa pompa magna
tributata a una famiglia reale.
Sulle prime, Eikhe aveva protestato
vibratamente, ritenendo la cosa del tutto inutile e superflua.
Aken, ben più abituato di lei a simili
comportamenti, aveva nicchiato e lasciato fare il suo mestiere a Meyor che, con
blandi sorrisi e svenevoli complimenti, aveva infine raggiunto lo scopo di pacificare
l’animo della figlia sacra.
Liana, che si era unita a loro perché
desiderosa di vedere per la prima volta la pianura e la capitale, si era
ritrovata spesse volte a guardarsi intorno con aria smarrita, quasi
terrorizzata all’idea di non avere più le sue fide montagne a proteggerle le
spalle.
Antalion, non meno in ansia di lei, le
era stato vicino durante tutto il viaggio.
Accoccolati vicini la notte e stretti ai
loro lupi, erano riusciti in qualche modo a superare lo shock di lasciare
dietro di loro luoghi ameni e conosciuti per andare incontro all’ignoto.
Con un sorriso sulle labbra e uno
sguardo comprensivo, ogni notte Eikhe aveva sistemato loro le coperte prima di
dare a entrambi un bacio e tornare al falò con i soldati.
Grazie a ciò, aveva scoperto il lavoro
portato avanti da Aken, e saputo ciò che avevano imparato, nel corso degli
anni, grazie agli insegnamenti del principe.
Era anche venuta a sapere, con sua somma
sorpresa, che Aken aveva insegnato a tutti loro l’arte di cavalcare senza
briglie, oltre alla benevolenza necessaria per avere un rapporto simbiotico con
il proprio cavallo.
Meyor le aveva poi accennato agli anni
passati a palazzo sotto la sua guida.
Pur preferendo non essere additato come
una specie di mentore illuminato, Aken aveva ascoltato in silenzio i
complimenti proferiti dai suoi allievi, sentendosi scaldare il cuore di
soddisfazione.
Man mano che i giorni passavano e il
cameratismo tra loro aumentava, Eikhe notò con apprezzamento che anche il
giovane figlio pareva interessato alle esperienze di vita dei soldati che li
stavano accompagnando.
Preferendo non disturbarlo durante le
sue caute domande, passò gran parte del tempo in compagnia di Liana, unica
donna a parte lei in quell’omogeneo mare di uomini in armi.
Dopo averle più volte chiesto se andasse
tutto bene e se sentisse nostalgia di casa,
aveva iniziato a domandarle dei motivi che l’avevano spinta a seguirli
fino a Rajana.
Sulle prime, Liana era stata sul vago,
lanciando di tanto in tanto brevi sguardi in direzione di Antalion per poi
tornare in fretta a scrutare nervosamente la sua ascoltatrice.
Messa alle strette dalle domande
sibilline di Eikhe, però, si era presto smascherata e, con un pesante sospiro
di sconfitta, le aveva confessato: “Dopotutto, Antalion non è solo figlio tuo,
ma anche di Aken… e Aken è un principe. Quindi, se tanto mi da tanto, anche
Antalion è nobile.”
“Parlando in linea di principio, sì”
aveva ammesso cautamente Eikhe, cercando di seguire il filo dei suoi pensieri.
“Bene, chi mi dice che la vita di corte
non gli piaccia più di quella che facciamo tra le montagne? Cosa ne so che non
decida di rimanere con lo zio, e cambiare strada?” brontolò Liana, nervosa come
poche altre volte l’aveva vista.
“Hai paura non torni con noi? Che ti
dica addio?” le aveva chiesto gentilmente Eikhe, con un delicato sorriso.
Dopo aver annuito, aveva reclinato il
viso in avanti sussurrando: “E se trovasse una nobildonna che gli piace, e si
innamorasse di lei? Io cosa farei?”
Eikhe le aveva dato una pacca
confortante sulla spalla prima di lanciare uno sguardo pensieroso in direzione
del figlio e dire sommessamente: “Sarà quel che gli dèi vorranno, ma credo che
questo pericolo non sussista.”
“Tu dici?” aveva esalato Liana,
sollevando due iridi d’ambra colme di dubbi.
“Perché non glielo chiedi tu stessa? An
è sempre stato sincero, con te, per cui lo sarà anche stavolta” le aveva
proposto Eikhe prima di sollevare lo sguardo, allungare un braccio e dirle:
“Guarda, Liana. E’ Rajana.”
“Niente può essere tanto grande!” aveva
esclamato lei, sgranando gli occhi per lo sgomento.
Tutti loro si erano fermati ad ammirarla
dal basso colle che avevano raggiunto a cavallo e, mentre i lupi erano rimasti
diligenti al fianco dei cavalli, Antalion si era avvicinato alla madre e le
aveva chiesto: “E’ come te la ricordavi?”
“Molto più imponente, non c’è che dire”
aveva sospirato Eikhe, leggermente turbata.
“E’ splendida” aveva sussurrato Antalion
al suo fianco, prima di sorridere al padre.
Eikhe lo aveva guardato per un istante,
dubbiosa, prima di chiedersi se le paure di Liana fossero veritiere.
L’avrebbe perso per quel mostro colmo di
palazzi e di agi?
***
Oltrepassate che ebbero le porte di
Nord-Est e avventuratisi lungo una delle vie principali di Rajana, il gruppo di
soldati si diresse al passo in direzione del castello.
Dietro richiesta di Aken, era stato
vietato di suonare le trombe per avvisare del loro arrivo.
Il principe era infatti deciso a fare
una sorpresa alla coppia reale.
Senza fanfare di alcun tipo, e passando
attraverso la città come un semplice drappello di cavalieri, il gruppo si diresse
verso il palazzo reale.
Guardandosi intorno con espressione a
metà tra il sorpreso e lo sconcertato, Antalion ammirò le grandi botteghe
artigiane e le enormi case dei nobili che si affacciavano sulla via.
Liana, al suo fianco, squadrò il tutto
con aria a dir poco disgustata, infastidita da quell’agglomerato di case che
impediva di scorgere con chiarezza l’orizzonte e le montagne, ormai lontane e
pallide.
Di comune accordo con Aken, cui aveva
espresso i suoi dubbi circa Antalion, Eikhe non disse nulla in merito alla
città che, per quanto bella, ella non apprezzava al pari di Liana.
Non voleva che il suo giudizio in parte
negativo rovinasse la gita del figlio che, invece, sembrava apprezzare tutto
ciò che li circondava.
La gente presente per le vie lanciò loro
solo brevi occhiate, troppo impegnata nelle rispettive attività commerciali per
badare veramente a loro.
Ridendo di quel comportamento così
differente rispetto agli abitanti di Marhna, Antalion si rivolse a Meyor e dichiarò:
“Sembra che vedano tutti i giorni delle donne-lupo… non sembrano minimamente
sconvolti.”
“E’ che, più semplicemente, non vi
vedono realmente” scrollò le spalle Meyor con una risatina contrita. “Solo se
avessimo uno stendardo al seguito e una carrozza con le insegne, attireremmo la
loro attenzione. Così, siamo solo un branco di soldati con quattro originali
cavalieri al seguito.”
“E i lupi?” indicò Antalion, notando
quanto il naso di Mykos vibrasse nervosamente.
Era indubbio che tutti gli odori
presenti in città rappresentassero un’autentica aggressione per il suo olfatto
e, di questo, se ne spiacque.
“Credo immaginino siano cani” ipotizzò
Meyor, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Mykos che, levato il muso
verso di lui, ringhiò a denti snudati prima di tornare a guardare dinanzi a sé
con le orecchie calate all’indietro.
Ridacchiando, il giovane soldato esalò:
“Fatico ancora a capacitarmi del fatto che capiscano tutto ciò che diciamo.”
“Oh, capiscono tutto e sentono anche di
più” ammiccò Antalion, prima di tornare a guardare davanti a sé e ammirare il profilo
merlato delle mura di cinta del palazzo ormai prossimo. “Più ci avviciniamo e
più diventa imponente. Quando ci troveremo entro le sue mura, mi sentirò un
moscerino.”
“Può fare quest’effetto, le prime volte”
ammise Meyor prima di indicare Liana, che procedeva al fianco di Eikhe, in quel
momento, e chiedere: “E’ la tua fidanzata, per caso, Antalion?”
“Non ci ‘fidanziamo’, nella tribù” precisò Antalion, sollevando le mani per
fare il gesto delle virgolette. “Però, andiamo molto d’accordo e, beh, mi
piace, ecco.”
Annuendo con un sorriso furbo, Meyor si
piegò verso di lui con fare complice e sussurrò: “Fossi in te, starei attento,
perché alcuni miei amici la trovano davvero molto affascinante.”
“In che senso?” si accigliò
immediatamente il giovane, voltandosi indietro per scrutare pensieroso i loro
compagni di viaggio.
“Nell’unico senso possibile, Antalion.
Non si sono fatti avanti con lei perché non hanno ancora ben capito come funzioni
la dialettica, con le donne-lupo, ma non giurerei sul fatto che, ora che siete
qui e che, per un po’, resterete a palazzo, non possano provare ad avvicinarla”
gli spiegò Meyor, strizzandogli l’occhio.
Storcendo la bocca carnosa, Antalion
bofonchiò: “Si ritroveranno a mordere la polvere, se provano anche soltanto a
darle fastidio.”
“Fossi in te, chiarirei le cose con i
ragazzi, visto che loro immaginano che sia libera” ci tenne a precisare Meyor,
serafico.
“Grazie per la dritta, Meyor” disse a
quel punto Antalion, fissando la schiena diritta dell’amica con una nuova, più
forte sensazione di possesso.
“Di nulla” si limitò a dire il soldato,
dando poi un colpetto ai fianchi del cavallo per portarsi in testa al gruppo e
dirigersi verso le porte del maniero.
Affiancato Aken, il giovane soldato
sollevò una mano in direzione di uno dei guerrieri di guardia alle porte
secondarie del palazzo reale.
Dopo essersi fatto riconoscere – e aver
visto lo stupore dipingersi sul viso dell’alabardiere al solo vedere Aken – dichiarò
a mezza voce: “Fai aprire le porte, cosicché si possa entrare.”
“Subito, caporale” annuì lesto il
soldato prima di inchinarsi ad Aken e dire lieto: “E’ un piacere rivedervi,
Vostra Altezza.”
“Il piacere è mio, Sanast” replicò
bonario Aken, notando il sorriso dell’armigero farsi ancora più ampio.
In breve, i portoni di legno e ferro
vennero aperti per loro e, in gruppo, entrarono all’interno delle mura di
pietra grigia per ritrovarsi nell’ampio cortile retrostante il palazzo.
Come Aken sospettava, era già ingombro
di stallieri pronti a offrire i loro servigi.
Antalion e Liana, del tutto estranei a
una simile operatività, si guardarono intorno disorientati.
Nello scendere dalle loro cavalcature,
non riuscirono che a bofonchiare stentati ringraziamenti, quando giovani
garzoni presero in consegna i cavalli per condurli docilmente nelle stalle
reali.
Subito, i soldati salutarono Aken e
famiglia per poi disporsi in file ordinate di due e proseguire in direzione
dell’Accademia.
Meyor, rimasto con loro, sorrise di
fronte ai volti ancora pallidi dei membri più giovani della spedizione,
dicendo: “Siamo un po’ marziali, per certe cose, scusate.”
Afferrando saldamente la mano di
Antalion, fredda e tremante al pari della sua, Liana esalò: “Credo che morirò
di paura, prima della fine della giornata.”
“Comincio a pensarlo anch’io” sussurrò
Antalion, fissando con una certa ansia il padre che, invece, appariva
tranquillo e per nulla preoccupato.
Persino sua madre, nonostante avesse
pensato il contrario, non sembrava particolarmente ansiosa e, nonostante tutto,
la cosa gli diede un po’ fastidio.
Non voleva apparire come un bamboccio,
ai loro occhi!
Fattosi perciò coraggio, si volse a
sorridere a Liana e disse: “Vedrai che andrà tutto bene.”
“Lo dici solo per non fare una figuraccia
coi tuoi genitori” sbuffò lei, accigliandosi.
Ridacchiando, Aken si rivolse a Meyor e
disse: “Sarà meglio che ci avviamo.”
“Subito, Aken” annuì il giovane,
allungando un braccio per indicare loro di seguirlo verso una porticina di
legno, che si apriva sull’immenso contrafforte che si parava loro innanzi.
Scrutando verso l’alto per scorgere la
fine di quella immensa parete di pietra, Antalion deglutì a fatica quando
scorse l’imponente dispiegamento di alabardieri di ronda sui camminamenti.
Fissando turbato il padre, gli chiese:
“Temete attacchi, per caso?”
“Affatto. E’ il normale schieramento di
soldati, qui a Rajana” gli spiegò lui, mentre Meyor apriva loro la porta di
servizio per entrare all’interno del palazzo.
“Ah” esalò lui, sgranando leggermente
gli occhi e tornando a stringere con forza la mano di Liana.
I loro lupi, invece, li seguirono con le
orecchie basse e gli occhi stralunati.
Voltandosi per controllare che Luak
fosse lì con loro, Eikhe lo prese in braccio e mormorò: “Povero tesoro, sei
terrorizzato, vero?”
Il lupetto guaì e infilò il musetto
peloso sotto l’incavo del braccio della padrona, tremando come una foglia
sospinta dal vento.
Carezzandolo gentilmente sulla schiena, Aken
gli disse sommessamente: “Stai tranquillo, piccolo. Ti prometto che non ti
succederà nulla, qui. Siamo tra amici.”
Mykos e Nak non sembravano essere
d’accordo con lui, e cominciarono a girare attorno alle gambe dei loro padroni.
I due giovani, ansiosi e con i nervi a
fior di pelle non meno dei loro lupi, si accosciarono per stringerli con forza
nel tentativo di chetare le loro paure e le proprie.
Guardandoli spiacente, Meyor sospirò.
“Non immaginavo che per i lupi sarebbe
stato così traumatico trovarsi all’interno del palazzo, ma immagino che questi
luoghi chiusi e tutti gli odori presenti, che di sicuro sentono meglio di noi,
li mettano un po’ a disagio.”
“Dobbiamo dare loro il tempo di
abituarsi” sussurrò gentilmente Eikhe, continuando a tenere in braccio Luak e
cullarlo come se fosse stato un bambino.
Occorsero quasi dieci minuti, prima che
i tre lupi riuscissero in qualche modo a chetare le loro ansie.
In quel breve periodo di tempo, uno dei
paggi di palazzo si avvicinò al gruppo con non poca sorpresa prima di sorridere
nel riconoscere Aken, nonostante i suoi strani abiti di pelle.
Preferendo evitare un mare di domande,
Meyor decise di intervenire subito e ordinò perentorio: “Avvisate Sua Maestà
che dei visitatori del nord desiderano chiedere udienza, ma non dite che si
tratta del principe. Vorremmo fosse una sorpresa.”
Annuendo formale, ma con un sorriso
dipinto sul volto imberbe, il paggio si inchinò a tutti loro e scivolò via
veloce lungo il corridoio, svanendo oltre una porta di servizio senza quasi
fare rumore.
Con un risolino, Aken celiò: “Sono
proprio curioso di vedere che faccia farà Ruak.”
“Di sicuro, sarà felicissimo di vederti”
sorrise Meyor, scrutandolo divertito. “E di certo, troverà i tuoi abiti davvero
inconsueti.”
Partiti da Marhna con ciò che avevano
portato con loro prima dell’arrivo di Kannor, Aken e la sua famiglia
indossavano dei comodi e morbidi abiti da viaggio tipici delle tribù delle
donne-lupo.
I loro abiti da cerimonia, invece, se ne
stavano ben ripiegati nelle sacche ancora appese alle selle.
“Ora sono un figlio del branco, e come
tale mi vedranno” dichiarò tronfio Aken, prima di guardare i due giovani ancora
in ginocchio accanto ai loro lupi e chiedere: “Tutto bene, lì?”
“Sì, sono più tranquilli” annuì
Antalion, prima di risollevarsi e, guardandosi intorno, domandare: “Tu vivevi
qui, dunque. Non è un tantino… dispersivo?”
Scoppiando a ridere, Aken poggiò le mani
sui fianchi e disse per contro: “Non se pensi che a palazzo vivono
stabilmente non meno di cento nobili, la famiglia reale, i domestici e parte
degli ufficiali più alti in grado.”
“Ah” sussurrò basito Antalion.
Avvicinatosi a lui, gli circondò le
spalle con un braccio e disse comprensivo: “Vieni, lascia che ti mostri casa
mia.”
“Ci vorrà una settimana, allora”
bofonchiò Antalion, facendolo sorridere.
Eikhe si occupò di Liana dopo aver
posato a terra un più sereno Luak che, a ogni modo, le rimase incollato alle
gambe mentre la padrona prendeva sottobraccio l’amica.
“Vedrai che, dopo un paio di giorni, ci
si fa l’abitudine” asserì la figlia sacra alla sua giovane amica.
“Ma mi mancano le montagne” alitò lei,
mettendo il broncio.
“Lo so, mancano anche a me” ammise
Eikhe.
Nulla era cambiato, per quanto
riguardava quel particolare aspetto di lei.
Le montagne erano il suo ambiente, non
certo quel palazzo ricco di splendori e di agi.
Non poteva farci nulla.
Procedendo in testa al gruppo mentre
percorrevano una larga scalinata di arenaria grigio scuro, Meyor indicò loro di
svoltare a sinistra non appena raggiunsero il soppalco del primo piano.
Poiché Aken parve sorpreso, l’amico gli
disse: “La Sala delle Udienze si trova in fondo a questo corridoio, ora.”
Un po’ sorpreso, Aken replicò: “Ruak non
accoglie più i visitatori nella Sala del Trono?”
“Gli sembrava troppo pomposa, e così ha
preferito adibire a sala udienze la saletta del primo piano che, un tempo, era
usata per la musica. Inoltre, lì l’acustica è migliore, e non c’è bisogno
di urlare le proprie richieste come nella Sala del Trono” spiegò succintamente
Meyor, con un sorrisino.
“Ottima scelta” annuì orgoglioso Aken,
prima di fermarsi un momento di fronte a un quadro in particolare, e
raffigurante una donna incinta e dai capelli castano scuri.
Osservandola con occhi attenti e
studiando i caldi occhi smeraldini ben riprodotti dall’artista, Antalion chiese
al padre: “E’ tua madre?”
“Sì, lei è una delle tue nonne. Morì
quando io avevo sette anni, per una brutta infreddatura” gli spiegò Aken,
sfiorando con lo sguardo il viso sereno della madre per un altro attimo prima
di riprendere il cammino.
“E la Regina Madre com’è?” chiese a quel
punto Antalion, curioso, mentre gli occhi scivolavano a destra e a sinistra per
studiare la galleria di quadri appesi alle pareti di nuda pietra scura.
“Lo vedrai presto” ammiccò il padre,
dandogli una pacca sulla spalla.
“Tua madre era una donna davvero
bellissima, Aken” intervenne Liana, sorridendogli benevola.
“Grazie, tesoro, l’ho sempre pensato
anch’io” assentì, dandole un buffetto sulla guancia.
Quando infine raggiunsero le porte della
Sala delle Udienze, un paggio in livrea si inchinò loro innanzi prima di
stringere con maggiore forza il bastone che teneva in mano.
“E’ un vero onore riavervi qui tra noi,
Altezza. Siamo felici che mastro Meyor vi abbia ricondotto a casa.”
“In
visita” precisò Aken, pur sorridendogli.
“Oh, sì, certo, in visita” si corresse
subito il paggio, ridacchiando, prima di ammirare curioso gli sconosciuti
presenti. “Posso osare chiedere se il giovane con voi è vostro figlio, Altezza?
La somiglianza è davvero impressionante.”
Voltandosi per sorridere orgogliosamente
in direzione del figlio, Aken annuì e disse: “Sì, è mio figlio Antalion, la
signorina al suo fianco è una nostra amica e si chiama Liana. E la donna qui
con me è Eikhe,… forse ti ricorderai di lei.”
Facendo tanto d’occhi, il paggio si
affrettò a inchinarsi anche dinanzi a Eikhe - che lo fissò al colmo dello
stupore - prima di dire: “L’Eroina del Regno! E’ un vero onore rivedervi.”
A quel punto, tutti i presenti fissarono
lo sguardo su Meyor in cerca di spiegazioni e lui, sorridendo tronfio,
commentò: “Non solo tu, Aken, volevi fare una sorpresa a tuo fratello.”
Sollevando con ironia un sopracciglio,
Aken poggiò una mano sul fianco con aria curiosa e disse: “E tu sapevi tutto
fin dall’inizio.”
“Ovviamente” annuì Meyor prima di
fissare spiacente una sconvolta Eikhe. “Le mie scuse, ma Sua Maestà era stato
categorico.”
“Va bene… nessun … problema” annuì
stentatamente Eikhe, prima di ridacchiare quando il figlio le diede una gentile
pacca sulla spalla.
“La mia mamma è un’eroina del regno,
adesso” le disse orgogliosamente.
“Sono solo parole, figliolo” replicò
lei, pur arrossendo un poco.
“Beh, mia cara Eroina del Regno…”
sogghignò Aken, offrendole galantemente il braccio. “… vogliamo porgere i
nostri omaggi al re?”
“Molto volentieri” annuì lei, accettando
il braccio prima di sentire il paggio battere un paio di volte il bastone
cerimoniale a terra.
“Io aspetterò fuori” dichiarò Meyor
sorridendo loro. “E’ giusto che questo momento appartenga solo alla vostra famiglia.”
“Avremo altro tempo da passare assieme”
gli promise Aken prima di guardare le porte della sala aprirsi.
Mentre le porte venivano aperte dinanzi
a loro a seguito di quel suono ridondante, la voce limpida e stentorea del
paggio si librò alta tra le pareti a volta del corridoio dove si trovavano.
“Sua Altezza Reale, il principe Aken di
Rajana e madama Eikhe, Eroina del Regno di Enerios!”
Assiso su un trono dall’apparenza
modesta, pur se riccamente decorato da fregi lignei, Ruak sobbalzò per la
sorpresa al pari di Renke, in piedi al suo fianco assieme alla Regina
Madre.
Fissando entrambi i giovani regnanti per
un attimo, Anladi corse subito con lo sguardo allo specchio della porta dove,
ritti e fieri, Aken ed Eikhe stavano avanzando lungo il tappeto.
Nuovamente, la voce del paggio si elevò,
rimbombando tra le pareti ed esclamando con vigore: “Sua Altezza Serenissima,
il principe Antalion, figlio di Aken di Rajana e di Eikhe di Nestar!”
A quel punto, Ruak si levò in piedi, il
viso pallido al pari di quello di Renke che, afferratagli una mano, esalò
sconvolta: “Figlio? Ha un figlio?”
“Era quello che pensavamo…” riuscì a
dire Ruak, mentre un sorriso si dipingeva sul suo viso e la madre si lasciava
sfuggire un singulto di gioia dalle labbra tremolanti.
Per la terza volta, la voce del paggio
si levò attorno a tutti loro, declamando: “Madamigella Liana, figlia sacra del
villaggio di Hyo-den, accompagnata dai lupi Mykos, Nak e Luak!”
Rossa in viso per quella stentorea
presentazione, Liana si affrettò a raggiungere Antalion.
Non meno imbarazzato di lei, le afferrò
una mano per dare forza all’amica e, al tempo stesso, trarne a sua volta.
Al loro fianco, camminando lentamente
sulla pietra nera del pavimento, il ticchettio delle unghie dei lupi faceva da
contrasto all’insolito silenzio della sala.
Sorridendo al colmo della felicità
mentre Ruak, ancora fermo dinanzi al suo scranno, li osservava senza sapere
bene se ridere o piangere, Aken sussurrò alla compagna: “Te l’immaginavi
un’entrata in grande stile come questa?”
“No di certo. E mi tremano le gambe, per
la cronaca” precisò lei, fissando curiosamente la donna alta e sottile al
fianco di Ruak che, a sua volta, la stava studiando con stupore e interesse
assieme.
“E’ Renke?” chiese poi al compagno.
“Sì, è lei” annuì Aken, prima di
rimanere del tutto sbalordito di fronte alla reazione improvvisa della madre.
Senza che fosse possibile fermarla, Anladi
accorse in direzione di Eikhe e, con le lacrime agli occhi, crollò in ginocchio
di fronte a lei piangendo a dirotto.
Tutti si fermarono di botto, e un
silenzio tombale cadde come un velo sulle persone presenti, infranto solo dai
singhiozzi della Regina Madre.
Affrettandosi a sciogliere lo stupore
che l’aveva raggelata sul posto, di fronte a quella scena imprevista, Eikhe si
inginocchiò accanto alla Regina Madre.
Sfiorandole le spalle con delicatezza,
le chiese: “Mia Regina, cosa ti succede?”
Tra i singhiozzi convulsi, Anladi riuscì
a dirle: “Ho tante colpe da espiare, Eikhe, prima tra tutte non aver avuto
abbastanza forza per liberare mio figlio. E’ anche colpa mia, se non avete
potuto vivere assieme per così tanti anni!”
Sgranando gli occhi per la sorpresa,
Eikhe la strinse in un abbraccio consolatorio mentre anche Aken si
inginocchiava accanto a loro per avvolgerle entrambe tra le sue braccia.
“Madre, non fare così. Eikhe non ce l’ha
mai avuta con te.”
“Ma avrebbe dovuto!” sbottò nervosamente
Anladi, affondando il viso nella spalla di Eikhe prima di aggiungere: “Potrai
mai perdonarmi?”
Sorridendo comprensiva mentre, con lo
sguardo, scorse Ruak e Renke avvicinarsi a loro, Eikhe si limitò a dire: “Non
c’è nulla da perdonare, Mia Signora. Ma mi renderesti molto felice se tramutassi
le lacrime in un sorriso per mio figlio, se tu volessi.”
Levando il capo dalla sua spalla e
asciugandosi con il dorso della mano il viso, Anladi fissò i suoi grandi occhi
azzurro cielo sul volto preoccupato del giovane che si trovava alle spalle di
Eikhe.
Abbozzando un sorriso, esalò: “Sei mio
nipote, caro?”
Con un timido sorriso di risposta,
Antalion annuì e, offrendole una mano per rialzarsi, chinò rispettoso il capo e
disse: “Sono figlio di Eikhe e di Aken, Mia Signora, ma non pretendo che tu mi
veda come…”
Prima ancora di poter terminare la
frase, Anladi lo aveva già abbracciato strettamente.
Sobbalzando per la sorpresa, Antalion si
ritrovò a sostenere il dolce peso della donna che, con insospettata forza, lo
avvolse ancor più forte, esclamando: “Certo che sei mio nipote!”
Una risata di sollievo collettivo prese
tutti i presenti e Anladi, sciogliendo dall’abbraccio un Antalion confuso
quanto profusamente arrossito, sorrise impacciata e disse: “Allora ti chiami
Antalion, se ho ben capito.”
“Sì, Mia Signora” annuì impacciato lui,
sorridendole goffamente.
“Se non mi chiamerai nonna, mi sentirò
mortalmente offesa” precisò con fiero cipiglio la donna, prima di ridacchiare.
“Come desideri,… nonna” acconsentì
allora Antalion, prima di volgersi a mezzo e far avvicinare Liana al gruppo.
“Lei è una nostra amica. Si chiama Liana.”
Inchinandosi subito, la ragazza mormorò
con voce limpida e priva di tentennamenti: “E’ un vero onore fare la tua
conoscenza, Regina Madre.”
Sollevandole con delicatezza il viso con
un dito, Anladi la scrutò negli occhi biondo miele e sorrise benevola.
“La tua bellezza è sopraffina, figlia
sacra, così come le tue maniere. Sei la benvenuta a palazzo, mia cara, e spero
che la tua permanenza qui possa essere piacevole.”
“Grazie” disse semplicemente lei,
aprendosi in un largo sorriso.
Prendendo finalmente la parola, Ruak si
rivolse al fratello ed esclamò: “Non avresti potuto farci sorpresa più
gradita!”
Abbracciandolo con gioia e dandogli
sonore pacche sulla schiena, Aken replicò: “E tu a noi. Quando abbiamo saputo
del titolo di Eikhe, per poco non siamo svenuti di fronte alla porta della
sala.”
Ridendo all’indirizzo di Eikhe, che lo
abbracciò subito dopo, Ruak dichiarò: “Non potevo non conferirglielo, visto ciò
che ha rappresentato per il Regno. Mi spiace solo che il titolo sia arrivato
così in ritardo.”
Sciogliendosi dall’abbraccio, Eikhe si
limitò a dire: “Non era necessario, davvero.”
“Più che sì” replicò Ruak prima di
volgere lo sguardo verso la moglie e dire: “La mia amata Renke.”
Messe finalmente faccia a faccia, le due
donne si studiarono con reciproco interesse e alla fine Renke, fissando
maliziosa il cognato, commentò: “E tu sei riuscito a rimanere lontano da una
donna simile per così tanto tempo? I miei complimenti, caro. Non ti facevo così
tenace.”
“Mi è mancato il tuo spirito, tesoro”
ridacchiò Aken, dandole un bacio sulla guancia.
Ammiccando divertita, Renke si rivolse a
Eikhe, asserendo: “Lo hai messo a bacchetta subito, per tutto il tempo che non ti
ha dedicato attenzioni? Spero di sì!”
Con un risolino, Eikhe scrutò il viso
raggiante di Aken e disse: “Per la verità, ha pensato bene di rompersi una
caviglia al secondo giorno di permanenza al villaggio, così ha passato un mese
a letto, circondato dalle attenzioni di mezzo paese.”
Scoppiando a ridere di gusto, Ruak diede
una pacca sulla spalla del fratello.
“E bravo Aken. E dire che ti facevo più
furbo!”
“A onor del vero, va detto che
l’incidente è occorso perché stava salvando suo figlio dall’attacco di un orso”
precisò Eikhe, sorridendo ad Antalion prima di allungare una mano verso di lui
perché si avvicinasse a loro.
“Oh, un orso, mio caro? Non un po’
troppo sopra le tue possibilità?” ironizzò caldamente Renke, strizzando
l’occhio ad Aken, che ghignò nella sua direzione.
Avvolgendo le spalle del figlio, che
aveva ancora un tiepido rossore sulle gote, Aken replicò: “Forse per me, sì, ma
non per Antalion. Lo ha steso senza problemi, quando mi ha visto in pericolo.
E’ stato bravissimo.”
“Papà, ti prego…” esalò lui, sgranando
gli occhi per lo sconcerto quando lo sentì accennare a quel particolare
incidente.
Battendo le mani per l’entusiasmo, Renke
non badò al suo sconcerto ed esclamò: “Ho un nipote così coraggioso e forte? E’
strepitoso!”
“Beh, no, ecco, veramente…” tentennò
Antalion, sempre più in imbarazzo.
Scambiato uno sguardo d’intesa con Eikhe
– che annuì alla sua muta domanda – Ruak sorrise benevolmente al nipote e mormorò
comprensivo: “Conosco bene cosa può fare una figlia sacra, quindi immagino che,
quel che va decantando tuo padre, sia lo stesso tipo di dono, giusto?”
“Sì, Mio Signore” annuì imbarazzato
Antalion.
“Zio” precisò con un risolino Ruak. “Non
temere, non hai di che sentirti in imbarazzo, con noi, davvero. E neppure la
tua attraente amica. Ma potresti fare una cosa per me, se tu volessi, nipote.”
“Dimmi” annuì lesto Antalion, facendosi
subito attento.
“Presentami ai tuoi amici lupi, per
favore” lo pregò con un sorriso.
Antalion allargò il suo sorriso a quella
richiesta e, con un fischio sommesso, chiamò a sé i tre lupi per presentarli
formalmente al re.
Inginocchiatosi dinanzi a loro, Ruak
accarezzò le loro teste con mano esperta e asserì: “Ne ho sempre voluto uno,
sai?”
“Papà sta imparando il loro gergo.
Quando avrà compreso correttamente come parlano, potrà averne uno anche lui” spiegò
Antalion, sorridendo al padre con orgoglio.
“Cosa che io non potrò mai fare” sospirò
afflitto Ruak. “I lupi non sono adatti a vivere in un ambiente chiuso come un
castello.”
“Temo di no… zio” tentennò un attimo
Antalion, prima di sorridergli timidamente.
Rivolgendosi a Liana, che se ne stava
ritta accanto ad Antalion, Renke sorrise e chiese: “Pensi che possa toccare il
tuo lupo?”
“Sì, Mia Regina. Nak è docile come un
agnellino, quando vuole” poi, rivoltasi al suo lupo, aggiunse: “Sii bravo e
fatti toccare dalla signora, va bene?”
Il lupo, per diretta conseguenza, si
mise seduto sulle zampe posteriori e lasciò scivolare fuori a penzoloni la
lingua, in quella che secondo lui avrebbe dovuto essere un’espressione pacata e
tranquilla.
La vista dei canini prominenti fece
sollevare un sopracciglio a Renke che, sistematasi la gonna attorno alle gambe
nell’accosciarsi accanto al lupo, chiosò ironica: “Se volevi mettermi in ansia,
ci sei riuscito.”
Il lupo inclinò il capo con fare
interessato, scrutandola con i suoi penetranti occhi mielati e Renke,
conquistata suo malgrado da quel faccino peloso color ghiaccio, allungò fiduciosa
una mano e accarezzò la testa di Nak.
Sorridendo sorpresa e deliziata quando
affondò le dita nella gorgiera morbida, esalò:
“E’… strabiliante! Ruvido all’esterno,
quando morbido all’interno. Ed è così caldo!”
Ruak le sorrise eccitato mentre Mykos gli
leccava una mano e, ridacchiando, disse: “Sono magnifici, eh?”
“Quello che so è che, quando li vedranno
i nostri figli, li vorranno a tutti i costi, e spiegare loro perché non
potranno averli, sarà un dramma” sospirò con falsa afflizione Renke, puntando
poi lo sguardo verso Luak che, scodinzolante e tutto zampe e testa, stava
giocherellando con l’orlo della sua gonna.
“E tu, bellissimo, come ti chiami?”
ridacchiò Renke, facendogli un grattino sotto il mento.
Subito, il lupetto fece scivolare fuori
la lingua, soddisfatto e, sotto gli occhi ridenti della regina, si rotolò a
terra a zampe all’aria.
Scoppiando a ridere, Eikhe si accosciò
accanto al suo lupo e disse: “Lui è Luak, ed è il mio nuovo lupo. E’ ancora un
cucciolotto, come vedi, e gli piace molto ricevere attenzioni.”
Con un gran sorriso a Eikhe, Renke
disse: “Dimmi che posso prenderlo in braccio. E’ davvero adorabile.”
Accentuando il suo sorriso, Eikhe annuì
dicendo: “Adora essere preso in braccio, ma ti avverto. Ama anche leccare la
faccia.”
“Nessun problema” scosse le spalle
Renke, prima di allungarsi verso Luak e sussurrare dolcemente: “Vieni qui, bel
cucciolone! La zia Renke ti vuole assolutamente abbracciare!”
Con una torsione fulminea della schiena,
Luak si mise ritto sulle zampette e, tutto contento, si fece prendere in
braccio da Renke.
La regina sospirò di sorpresa, nel
rendersi conto del suo effettivo peso, ed esalò: “Sei un falso magro, mio caro,
ma ti voglio bene lo stesso.”
***
Seduta comodamente su un divanetto in
uno dei piccoli salottini del secondo piano di palazzo, Eikhe sorseggiò del
buon vino speziato da un calice a forma di corolla.
Sorridendo gentilmente al cognato, dichiarò:
“Un benvenuto migliore non ce lo saremmo aspettati. Come non mi sarei mai
aspettata che i tuoi figli non avessero alcun problema nel vedere Antalion.
Temevo potessero sentirsi minacciati da lui.”
Scuotendo il capo, Ruak passò
distrattamente un braccio attorno alle spalle di Renke che, con movimenti lenti
e sinuosi, stava accarezzando la schiena di Luak – seduto sul divano con loro e
con il muso poggiato sulle sue gambe.
“Ho cercato di insegnare loro l’umiltà e
il rispetto altrui, oltre che un po’ di sana educazione.”
Renke annuì, aggiungendo: “Non ho mai
voluto che i nostri bambini fossero dei boriosi figli di papà.”
“E non li sono davvero” annuì con
convinzione Aken, prima di sbirciare oltre la porta-finestra e curiosare verso
il basso, in direzione del cortile.
Dabbasso, nonostante fosse già sera
inoltrata, Antalion, Liana e i figli di Ruak e Renke stavano allegramente
giocando a rincorrere Mykos e Nak.
Per nulla impressionati dalle urla dei
più piccoli, i lupi saltellavano da un angolo all’altro del cortile con il
chiaro intento di non farsi acchiappare.
Le guardie di ronda, tra un controllo e
l’altro ai bastioni, assistevano a quell’allegro vociare con dei sorrisi
divertiti sul volto.
La bambinaia, invece, se ne stava al
limitare del perimetro fortilizio con lo sguardo accigliato e le mani strette
dietro la schiena, pronta a intervenire qualora ve ne fosse stato bisogno.
“Stanno ancora inseguendo quei poveri
lupi?” esalò Ruak, passandosi una mano sul viso con aria sconcertata.
Ridendo, Aken annuì.
“Dubito che si stancheranno tanto
facilmente. I lupi possono andare avanti a correre per ore e ore. Si
stancheranno prima i tuoi figli, o i miei.”
“Miei?” ripeté curiosamente Renke,
sollevando un sopracciglio con evidente interesse. “Mi era parso di capire che
Liana non fosse tua figlia.”
Con un sorrisino, Eikhe intervenne per
spiegare ogni cosa.
“Quando i giovani figli del branco
lasciano il villaggio senza la presenza dei genitori, ma accompagnati da altri
adulti, questi ultimi prendono sotto la loro ala i figli degli amici, considerandoli
come dei figli. Per questo, Liana è come se fosse nostra figlia, al momento. Lo
sarebbe in ogni caso, ma Aken voleva dire questo.”
“Oh, capisco” annuì Renke, ammiccando
all’indirizzo del cognato. “Ti piace fare il papà, allora?”
“Molto. E, tra qualche mese, Antalion
avrà veramente un fratello, o una sorella” sorrise orgoglioso Aken, sfiorando
il ventre ancora piatto di Eikhe.
Renke fece tanto d’occhi, e così pure
Ruak che, preoccupato a morte, esalò: “E tu… tu l’hai fatta viaggiare
nonostante tutto? Avresti potuto mandarmi un messaggio in cui mi spiegavi ogni
cosa. Avrei capito!”
“Aken, davvero, non pensavo che fossi
così sconsiderato!” rincarò la dose Renke, accigliata non meno del marito.
Ridendo suo malgrado, Eikhe corse in
soccorso del compagno, replicando bonariamente: “Io sto benissimo, e qualunque
donna-lupo può affrontare viaggi simili, anche all’inizio della gravidanza. A
maggior ragione una figlia sacra, che ha il Marchio di Hevos a proteggere il
bambino.”
Con aria serafica e quasi tronfia, Aken aggiunse:
“Le donne-lupo sono più robuste per costituzione, essendo abituate fin da
piccole a prendersi cura di loro stesse. Inoltre, crescendo in un luogo più
spartano e più pericoloso di questo, si fortificano nel corpo e nello spirito.”
“Vorresti dire che io sono una
mammoletta, mio caro?” brontolò Renke, storcendo la bella bocca.
Scoppiando a ridere sommessamente, Aken
scosse il capo e si spiegò meglio.
“Non voglio dire questo, carissima, ma
Eikhe sarebbe più forte di te anche senza essere una figlia sacra. Lei è stata
cresciuta per difendersi da sola, per vivere unicamente con le proprie forze e
quelle del suo lupo e, per quanto tu sia una donna eccezionale e sopra le
righe, non hai ricevuto questo tipo di addestramento.”
“Vero” si imbronciò Renke. “Ma non pensi
che io sia una mammoletta, giusto?”
“No, cara, per nulla” scosse il capo
Aken, con un risolino.
Strizzando l’occhio a Eikhe, che aveva
seguito il loro battibecco con interesse e un sorriso stampato in viso, Ruak le
disse: “Hanno sempre fatto così.”
“Sono felice di saperlo” ridacchiò Eikhe,
fissando ironica il compagno. “Almeno, so che non passavi tutto il tempo a compiangermi.”
“Non tutto, lo ammetto, ma parecchio,
sì” precisò Aken, con un mesto sorriso.
“Ora non succederà più che tu debba
sentirti così” gli rammentò lei, stringendogli con forza la mano.
Sbuffando, Aken restituì la stretta ma
disse: “Ma a che prezzo?”
Accigliandosi immediatamente, Ruak
allungò gli avambracci sulle cosce per sporgersi verso il fratello.
“Non osare neppure prenderti la
responsabilità di ciò che è successo a nostro padre! Non te lo permetto!”
“Non si troverebbe nel palazzo estivo,
se io non avessi voluto seguire i miei desideri” precisò Aken, adombrandosi in
viso. “Per quanto io sappia di non aver fatto nulla di male, l’idea di averlo
fatto impazzire non può riempirmi di gioia.”
“Non è certo colpa tua!” brontolò Ruak,
con uno sbuffo infastidito. “Sono anni che non aveva più una visione reale del
suo ruolo, e il modo in cui si è comportato con te, da quando siamo tornati
dalla guerra, ne è il più chiaro esempio! Un re saggio non si sarebbe mai
imposto a questo modo su nessuno, figurarsi il proprio figlio!”
“Ero l’erede al trono, dopotutto. In
fondo, l’ho deluso” precisò Aken, sollevando con acida ironia un sopracciglio.
“Puah! Deluso!” ringhiò Ruak, scuotendo
nervosamente una mano. “Lui ha deluso noi! E la mamma! Pensi le facesse piacere
vedere come si comportava con te? O con i suoi sottoposti? Era diventato un
tiranno, ma gli occhi dei figli sono spesso ciechi, anche di fronte alle
evidenze, e ci abbiamo messo anni a comprenderlo. Credimi, non sei tu la causa
del suo malessere interiore, ma lui stesso e la sua sete di potere.”
Annuendo all’indirizzo del marito, Renke
rincarò la dose con un sorriso comprensivo e aggiunse: “Ruak ha ragione. Da
osservatrice esterna, posso parlare con cognizione di causa, e non posso che
essere d’accordo con mio marito. Non sei tu il colpevole, Aken.”
“Mi crogiolerò ugualmente nel mio
malumore, se permettete. Con discrezione, naturalmente” precisò lui, non appena
vide Renke accigliarsi.
Sbuffando contrariata, la regina fissò
una divertita Eikhe ed esalò: “Pensavo che, trovandoti, la sua testardaggine
sarebbe scemata, ma a quanto vedo è congenita!”
“Decisamente” annuì bonariamente la
figlia sacra, fissando poi curiosa la porta del salottino.
Proveniente dal corridoio, una serie di
pesanti passi dichiarò a chiare lettere il ritorno dei ragazzi dal cortile.
Pochi attimi dopo, la porta del salotto
venne aperta da Meriton – che guidava la lunga carovana di giovani – mentre
Naell, sulle spalle di Antalion, esclamava: “Battaglione, alt! Rompete le
righe!”
Ruak scoppiò a ridere di fronte ai suoi
modi da generale mentre Renke, inorridita dal comportamento ben poco femminile
della figlia, esalò sconcertata: “Oh, cielo, Naell! Ma è il modo di trattare
tuo cugino?”
Ridacchiando, Antalion afferrò la cugina
alla vita e, con un abile movimento di braccia, la fece scendere con facilità.
“Non è pesante, zia. E mi ha fatto
piacere farla giocare.”
Tutta contenta, Naell si strinse al
cugino ed esclamò: “Grazie, cugino An!”
“Pare vi siate divertiti” commentò Aken,
facendo un cenno al figlio di sedersi al suo fianco.
“Molto” ammise Antalion prima di
guardare la madre e chiedere: “Tutto bene?”
“Tutto regolare, grazie” annuì lei,
prima di spiegare alla coppia reale: “Me lo chiede tutte le sere, per via del
bambino in arrivo. Sa essere molto premuroso, quando vuole.”
“Un fratello maggiore davvero degno di
nota” annuì compiaciuto Ruak.
Arrossendo copiosamente, Antalion
reclinò il capo per l’imbarazzo e sussurrò: “Mi tengo solo informato, tutto
qui. Non so davvero se sarò bravo, o meno.”
Avvolgendo le spalle del figlio per
dargli coraggio, Aken gli sorrise comprensivo.
“Sarai davvero bravo, ne sono sicuro. E
farai in modo che io sia un bravo padre, va bene?”
“Oh, non dubito che lo sarai” commentò
Antalion, prima di ammiccare all’indirizzo dei cugini. “Non hanno fatto altro
che parlare bene di te.”
“Grazie, ragazzi” ghignò Aken,
strizzando l’occhio ai nipoti.
Sedendosi su una poltrona libera e
prendendo sulle ginocchia Naell – che la fissava con autentica venerazione –
Liana sorrise all’amico e disse: “Ora che sai che non perderai tuo padre,
potrai respirare tranquillamente.”
“Liana!” esclamò Antalion, diventando
paonazzo.
La famiglia rise sommessamente mentre
Aken, stringendo maggiormente le spalle del figlio, si limitò a sorridergli con
maggiore enfasi.
“Questo non potrà più succedere,
Antalion. Te lo posso giurare su quanto ho di più sacro, nipote.”
“Lo so, zio” annuì il giovane in un
sussurro imbarazzatissimo.
“Maschi! Sembra che sia un delitto,
ammettere di voler bene a qualcuno!” ridacchiò Liana, strizzando l’occhio a
Naell, che annuì con vigore.
“E’ vero! Io voglio bene a Meriton e
Staryn, ma loro non me lo dicono mai, se mi vogliono bene!” disse
simpaticamente la bambina, mentre i due fratelli la fissavano disgustati.
“Come volevasi dimostrare” chiosò Liana,
guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia da Antalion.
Con un sorrisino saputo, Renke le disse:
“Il bello di questi uomini, mia cara, è che è più divertente cavargli fuori i
loro sentimenti più intimi. Pensa se fossero tutti lacrime e fazzoletti?”
“Per Hevos, no!” esalò lei, prima di
scoppiare a ridere con Renke ed Eikhe.
“Perché ho la netta impressione che ci
stiano prendendo in giro?” chiese furbamente Ruak, ammiccando al fratello e al
nipote.
“Forse perché sono donne?” ipotizzò
Aken, sogghignando.
Serafica, Eikhe sentenziò con ironia:
“Sia quel che sia, io ho sonno e desidero andare a dormire. Parleremo domani
con più calma, e io potrò conoscere meglio i miei nipoti, ma stasera ho davvero
bisogno di un cuscino su cui appoggiare la testa.”
Renke le sorrise comprensiva e annuì.
“Sì, sarà il caso che ci ritiriamo tutti
per la notte…” poi, prevenendo le proteste dei figli, aggiunse: “… così, domani,
zia Eikhe sarà fresca e riposata come una rosa e potrete stressarla a morte
finché volete.”
“Vaaa beeeneee!” esclamarono in coro i
tre principi, mentre Liana sorrideva divertita.
Messisi in fila indiana, i bambini
attesero frementi che i genitori si mettessero in cima al piccolo drappello e
Ruak, sorridendo al fratello nel mettersi alla testa della sua famiglia, disse:
“Vi ho fatto preparare le stanze nella torre nord,… spero vadano bene.”
“Saranno perfette” annuì Aken, alzandosi
in piedi a sua volta.
Nello scrutare Eikhe, il principe
rammentò un’altra sera, in un altro tempo, in cui per la prima volta aveva
diviso la sua stanza con la donna amata, passando ogni notte con lei senza
sapere per quanto ancora avrebbero potuto rimanere insieme.
Ora, quel pericolo non aleggiava più
sulle loro teste.
Ora, erano insieme e insieme sarebbero
rimasti. |
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Capitolo 32 *** cap. 32 ***
32.
La notte era fresca e umida,
fuori dalle mura del castello, e il pavimento di pietra ove Liana stava
camminando silenziosamente, era freddo sotto le piante dei suoi piedi nudi.
Con passo lesto, si avvicinò
alla stanza di Antalion, proprio accanto alla sua e facente parte dei tre
appartamenti che si trovavano nell’enorme maschio a nord del palazzo.
Certo, tutto ciò che aveva
trovato all’interno della raffinata stanza, le era parso bellissimo ma alla
fine, non era neppure riuscita a trovare il coraggio di scostare le preziose
coperte ricamate.
Spazientita da tutta
l’opulenza che la circondava come un guanto di velluto soffocante, era infine
giunta alla decisione di raggiungere Antalion.
Sperava davvero che, per
quella notte, avrebbe potuto dormire assieme a lui o, per lo meno, sul
pavimento della sua stanza.
La sola idea di starsene da
sola in quel luogo sconosciuto, tra oggetti a lei così alieni, le era del tutto
insopportabile.
Grazie alla luce offerta
dalle rade torce appese ai muri, Liana riuscì infine a raggiungere la porta
della stanza di Antalion e lì, dopo aver bussato, attese che lui venisse ad
aprire o, per lo meno, che le desse il permesso di entrare.
Neppure tre secondi dopo la
porta si aprì e, dinanzi a lei, Antalion comparve con la sorpresa dipinta in
viso e una chiara domanda negli occhi.
Sorridendo imbarazzata, gli
chiese: “Posso entrare? Il pavimento è freddo, e non ho pensato di mettermi i
mocassini.”
“Vieni” si affrettò a dire
Antalion, aprendo completamente il battente per farla entrare.
Quando Liana si infilò nella
stanza, notò che neppure il giovane era riuscito a prendere sonno.
Ancora vestito e con il
letto integro, a muta testimonianza della sua reticenza a utilizzare alcunché
di ciò che era stato offerto loro, Antalion la accompagnò fin davanti al camino
acceso.
Lì, fattala accomodare su
una poltrona, le drappeggiò una calda coperta di lana sulle spalle prima di
chiederle: “Come mai ancora in piedi? Credo sia passata da poco la mezzanotte.”
Stringendosi la coperta
addosso e inspirando il buon profumo di lavanda che emanava, Liana intrecciò le
gambe sul morbido cuscino della poltrona.
Antalion, nel frattempo, si
accomodò sul tappeto, a poca distanza dal fuoco sfrigolante.
Scrollando le spalle, alla
fine la ragazza ammise: “Non mi sentivo a mio agio.”
Sorridendole comprensivo,
Antalion annuì e, scrutando dubbioso l’enorme letto a baldacchino che lo
aspettava già da ore, asserì sommessamente: “Neppure io ho avuto il coraggio di
usarlo.”
“E’ solo un letto, però…”
tentennò Liana, prima di ridacchiare imbarazzata e aggiungere: “… non so, mi
sembrava assurdo sciuparlo.”
“Ti capisco più di quanto tu
non creda” ammise Antalion.
“Posso rimanere qui con te?
Non me la sento di tornare in camera” gli chiese a quel punto Liana, senza
remora alcuna.
Con una spallucciata,
Antalion annuì.
“Per me puoi rimanere, non
ci sono problemi. Non sarebbe la prima volta che dormiamo assieme, dopotutto.”
“Beh, abbiamo sempre dormito
nei boschi” precisò lei, arrossendo e guardandosi intorno con espressione
accigliata. “Qui è diverso.”
Mordendosi un labbro,
Antalion assentì suo malgrado e, sbirciando il viso di Liana, illuminato dalle
fiamme altalenanti del camino, la trovò più bella che mai.
Certo, aveva sempre saputo
quanto fosse bella e intelligente, ma venire pungolato dalle parole di Meyor,
lo aveva messo di fronte a un fatto ormai chiaro.
Teneva a lei, e non solo
come amico, e l’idea che qualche altro uomo le avesse messo gli occhi addosso
gli aveva dato fastidio.
D’altra parte, non aveva la
minima idea di come la pensasse Liana in tal senso, soprattutto in
considerazione del fatto che aveva solo quindici anni, e perciò era ancora
giovane, troppo giovane per pensare a un legame duraturo.
Non che lui fosse molto più
vecchio di lei, visto che ne aveva appena sedici, ma gli sembrava di averne
molti di più, quella notte.
Le parole di Meyor gli
avevano ronzato nella mente per tutto il giorno e, nel guardarla giocare con i
suoi cugini, si era sentito ribollire il sangue all’idea di vederla con qualcuno
che non fosse lui.
Aveva dato la colpa di tutto
agli immensi cambiamenti di quei giorni, ma non era sicuro che dipendesse solo
da questo.
“Antalion?” sussurrò Liana,
strappandolo alle sue peregrinazioni mentali.
“Sì?” esalò lui, sperando di
non essere arrossito.
“Ti piace questo posto?”
Sorpreso dalla domanda,
Antalion si guardò intorno per ammirare la controsoffittatura a cassettoni del
soffitto, gli arazzi appesi alle pareti e i mobili di legno scuro riccamente
decorati.
Alla fine di quell’esame
fatto alla luce altalenante del fuoco, disse sinceramente: “Beh, il palazzo è
bello, ma… non credo tu voglia sapere questo, vero?”
Liana si limitò a scuotere
il capo e il giovane, raggruppando le gambe per poggiare il mento sulle
ginocchia, disse pensieroso: “Non sono sicuro che riuscirei a resistere a
lungo, qui. Certo, mi interessa sapere dove è nato e cresciuto papà, e voglio
conoscere la sua famiglia, ma il mio posto è tra i monti, indipendentemente dal
sangue che scorre nelle mie vene. Mi ha fatto uno strano effetto sentirmi
chiamare ‘Sua Altezza Serenissima’,
lo ammetto, e per un momento mi è piaciuto, ma poi ne sono rimasto atterrito.
Questo posto non è per me.”
“Ne sono felice” gli sorrise
lei, scrutandolo con i profondi occhi d’ambra liquida.
Lui rispose al sorriso e
replicò: “E tu? Vorresti vivere qui, se ti innamorassi di uno dei soldati?”
Sobbalzando sulla poltrona
come se le avessero dato un pizzicotto, Liana lo fissò con tanto d’occhi prima
di esalare: “Chi ti ha messo in testa una scemenza simile?!”
Con un risolino, Antalion levò
le mani in segno di resa e disse lesto: “Non ho detto che ti sei innamorata di
un soldato, Liana. Ti chiedevo se mai ti saresti fermata qui a Rajana, se fosse
successo.”
“Assolutamente no! E poi,
non mi piace nessun soldato” precisò la ragazza, scuotendo furiosamente il
capo.
“D’accordo, ho capito”
ridacchiò lui, levandosi in piedi prima di offrirle una mano e dire: “Andiamo a
dormire, è meglio.”
Lei si levò dalla poltrona
senza accettare la sua mano e, sporgendosi in avanti, lo abbracciò strettamente,
mormorando contro il suo petto: “Non farti venire mai più in mente che io possa
innamorarmi di qualcuno che non sia tu.”
“Liana” esalò Antalion,
sobbalzando leggermente di fronte alle sue parole così spontanee e sicure.
Accentuando la stretta,
Liana continuò dicendo: “Sei sempre stato tu, e solo tu, fin dal primo giorno
che ci siamo conosciuti. Sapevo che saresti stato tu, e nessun altro.”
Carezzandole gentilmente la
lunga treccia che le pendeva sulla schiena, Antalion la strinse delicatamente
tra le braccia, sussurrando tra i suoi capelli: “Eri una bambina, quando ci
conoscemmo.”
“Certe cose si sanno e basta
e, su di te, sono sempre stata sicura” precisò Liana, prima di levare il capo e
aggiungere: “Ma, se mai ti innamorerai di una donna che non sarò io, voglio tu
sia sincero con me e tu lo dica a me, prima di tutti gli altri. Innanzitutto,
io sono tua amica, e voglio saperle certe cose.”
Sorridendole generosamente,
le carezzò il viso con il dorso della mano e sussurrò: “Non penso di dover dire
altro nome che il tuo.”
Sgranando leggermente gli
occhi mentre Antalion calava la bocca sulla sua, Liana si ritrovò a sfiorare
quelle labbra che altre volte aveva assaggiato, ma mai con il calore e il
trasporto di quella notte.
Non era il solito bacio che
lei e Antalion si erano scambiati in quegli anni. No, era molto diverso.
Intenso e struggente, quanto
passionale e coinvolgente.
Lentamente quanto
inesorabilmente, Antalion le divorò la bocca prima di schiuderla come un fiore
al risveglio mattutino.
Preda e predatrice, Liana si
lasciò consumare e consumò lui, afferrando i suoi capelli sciolti sulle spalle
e trascinando maggiormente verso di sé il viso del giovane, perché il contatto
fosse ancor più intenso.
Possessiva, la mano di
Antalion risalì lungo la schiena fino a fermarsi sul suo collo e, con un ansito
strozzato, approfondì il bacio fin quasi a farle male.
Incurante di tutto, Liana lo
afferrò alla tunica con la mano libera prima di scostarsi da lui, prendere
fiato ed esalare: “An, un attimo!”
Affondando il viso nell’incavo
del suo collo profumato di miele e rosa, Antalion inspirò con forza per un
momento, prima di sussurrare contro la sua pelle rovente: “Non andrò oltre, non
temere. Non è né il luogo, né il momento adatto.”
Abbozzando una risatina, lei
si schiacciò contro il suo torace, sussurrando: “Non intendevo quello… volevo
solo dirti che stavo per cadere sulla poltrona.”
Con una gran risata, subito
soffocata con una mano per non svegliare i genitori - che dormivano nella
stanza accanto - Antalion le sorrise subito dopo.
“A questo punto, però,
dubito che riusciremo a dormire nella stessa stanza senza lasciarci andare.”
Liana guardò il muro che li
separava dalla camera padronale e Antalion, annuendo, disse: “Credo sia il
sistema migliore.”
“Prendo un po’ di coperte”
sogghignò Liana prima di voltarsi verso Antalion, sorridere e mormorare:
“Grazie.”
“E di che?” ammiccò lui,
raggiungendola in prossimità del letto. “Non l’ho fatto per farti un favore, ma
perché lo volevo. Solo che non l’avrei mai fatto se tu non fossi stata
d’accordo.”
“Sono felice di avertelo
detto, allora” sentenziò lei, afferrando un largo cuscino ricamato per
lanciarlo tra le braccia di Antalion. “Questo andrà benissimo per stanotte.”
“Sicuro” annuì lui,
afferrando una stola di pelliccia dal
copriletto.
***
Con lente carezze circolari
sui capelli d’oro di Eikhe, Aken osservava pensieroso il viso addormentato
della moglie mentre, in lontananza, una campana suonava il rintocco della prima
mezz’ora dopo la mezzanotte.
Erano davvero successe un
sacco di cose, in poche ore e, per quanto forte, Eikhe alla fine era crollata.
Certo, Aken sapeva bene che,
se lei fosse stata male, non avrebbe esitato a dirglielo, ma vederla così
pallida, alla fine del giorno - nonostante lei lo avesse più volte rassicurato
- non gli era affatto piaciuto.
Non voleva mettere in dubbio
le capacità decisionali di Eikhe, visto che già ci era passata.
Quello che lo assillava era
il pensiero che, nel caso specifico, la sua compagna era stata costretta a fare
un lungo viaggio a cavallo e che, in quel momento, si trovava in un luogo che
lei non amava.
A dirla tutta, sebbene gli
fosse piaciuto tornare a casa e riabbracciare i suoi cari, quelle pareti di
roccia fredda e l’altisonante agiatezza in cui erano stati immersi fin dal loro
arrivo, lo aveva lasciato vagamente stordito.
Possibile che fossero
bastati pochi mesi, per cancellare anni di vita passati a palazzo?
A quanto pareva, sì.
Questo la diceva lunga su
quanto, anche prima di conoscere Eikhe, si fosse mal trovato nella sua stessa
casa.
Quel luogo non gli diceva
più nulla e, anche se lì risiedevano persone a lui care, la sua casa era in
mezzo alle montagne impervie, nella stretta vallata dove si trovava Hyo-Den,
tra le braccia dei suoi amici.
No, il palazzo non era più
la sua casa, e forse non lo era mai stata.
Un quieto bussare fece
sobbalzare Aken nel letto ed Eikhe, aprendo debolmente gli occhi prima di
stropicciarseli con una mano, chiese sonnolenta: “Cosa c’è?”
“Scusa, amore. Vado subito a
vedere chi bussa a quest’ora” le sussurrò lui, dandole un bacio sulla guancia
rosea, mentre lei gli sorrideva insonnolita.
Scivolato in fretta fuori
dalla coltre di lenzuola e pellicce, Aken indossò la sua veste da camera –
nella sua stanza erano rimasti molti dei suoi abiti, e della vestaglia si era
rimpossessato non appena vi aveva messo piede – prima di raggiungere il
battente di quercia in poche, rapide falcate e dire: “Chi è?”
“Papà, sono Antalion. Qui
con me c’è anche Liana. Possiamo entrare?” esordì a sorpresa il figlio,
sorprendendolo.
Più che mai confuso da
quella visita in un orario così antelucano, Aken si affrettò ad aprire la porta
solo per trovarsi davanti i due giovani con le braccia ricolme di coperte e
cuscini.
Apparivano più che mai
imbarazzati e, sui loro volti, era evidente una muta richiesta di soccorso.
“Avanti, entrate e spiegatemi che ci fate qui
fuori, a quest’ora di notte” disse a mezza voce Aken, prima di volgersi verso
la moglie e aggiungere: “Abbiamo due profughi alla porta.”
“Come?” esalò Eikhe,
sollevandosi a mezzo sul letto per fissare vagamente confusa il figlio e
l’amica. “Che succede?”
“Non riuscivamo a dormire
nelle nostre stanze” dissero praticamente in coro i due giovani.
Con un risolino, Aken andò a
riattizzare il fuoco nel camino e, scostando un paio di poltrone per far loro
spazio sul pesante tappeto di pelliccia di orso bianco, propose loro: “Venite
ad accucciarvi qui, briganti, e spiegatemi cosa c’era che non andava, nelle
vostre camere.”
Accosciatisi a terra quasi
all’unisono, i due giovani si avvolsero le spalle con le pesanti coperte e
Antalion, presa la parola, ammise: “Beh, le camere erano perfette… ma non ci
trovavamo a nostro agio.”
Liana annuì con vigore per
confermare le parole dell’amico e Aken, accomodandosi sul bordo del letto con
un sorrisino accondiscendente dipinto sul volto, chiosò: “Mi sa che soffriamo
tutti dello stesso male.”
“Anche tu?” esalò Liana,
sorpresa.
Con un cenno d’assenso, Aken
si limitò a dire: “Non sento più mia, questa casa, come voi non sentite vostre
le camere che vi sono state assegnate. Per stanotte, potrete dormire qui, ma
vorrei un favore da voi.”
“Dicci” annuì Antalion dopo
un cenno di assenso da parte di Liana.
“Visto che resteremo qui per
un po’, potreste farmi il favore di farvele piacere? Non vorrei che Ruak ci rimanesse
male” chiese loro Aken, togliendosi la vestaglia prima di infilarsi a letto.
“Vedremo di abituarci” gli
promise Antalion, prima di notare lo sguardo del padre fisso su di lui. “Che
c’è?”
Lanciando dubbiose occhiate
anche in direzione di Liana, Aken socchiuse leggermente gli occhi prima di
sogghignare e celiare: “Dateci un po’ meno dentro con i baci, voi due, oppure
aspettate un po’ prima di presentarvi davanti a me, se non volete farvi
beccare.”
I due giovani avvamparono in
viso mentre Eikhe, poggiandosi su un gomito, fissava i due ragazzi con un ilare
sorriso stampato in viso.
“Avete le labbra tumide, e
si vede abbastanza bene.”
“Oh, dèi” ansò Liana,
coprendosi il viso per la vergogna mentre Antalion scoppiava a ridere di gusto.
Sdraiatasi a sua volta dopo
un ultimo sguardo al figlio, Eikhe mormorò sommessamente: “Buonanotte,
ragazzi.”
“Buonanotte mamma… papà” sussurrò
Antalion, buttandosi a terra per poi coprirsi con la coperta sequestrata dalla
sua stanza.
“Buonanotte” mormorò Liana,
coprendosi fino alla testa con la pelliccia, troppo imbarazzata per dire altro.
***
Seduta a gambe incrociate
sul muricciolo di cinta che divideva il cortile interno di palazzo
dall’adiacente campo di addestramento, Eikhe indicò con una mano un roano dalla
coda intrecciata e disse: “Ecco, quel cavallo è davvero molto bello, così
bardato, ma credete che quell’acconciatura sia utile, per lui?”
I tre figli del re la
fissarono attentamente in volto, mentre Renke sorrideva alla cognata.
Ammiccando all’indirizzo dei
suoi attenti allievi, continuò nella sua breve lezione.
“A cosa serve la coda?”
“Per l’equilibrio?” provò a
dire Meriton, l’aria accigliata e l’indice della mano destra che picchiettava
pensieroso sul mento.
“Nient’altro? Pensate a cosa
è solito fare, con la coda” li spronò Eikhe, con un sorrisino.
“Le mosche?” tentò allora
Naell, la faccia aggrottata e seria.
“Con la coda intrecciata,
non potrebbe scacciare le mosche” aggiunse Staryn, sorridendo alla sorellina
minore.
“Bene. Siete attenti
osservatori” annuì compiaciuta la figlia sacra prima di veder comparire
Antalion e Liana sul campo di addestramento. “Ora, invece, guardate come stanno
a cavallo dei figli del branco, e noterete subito una differenza sostanziale.”
“Perché vi chiamate figli
del branco, zia Eikhe?” chiese Naell, avvicinandola per salirle in braccio.
Sciolte le gambe per
prendere in spalla la nipote più piccola, Eikhe osservò il figlio e l’amica
esibirsi in un giro di pista al trotto, prima di passare al galoppo sostenuto,
mantenendo le mani saldamente attaccate al collo dell’animale tramite la
criniera.
Il sole splendeva gagliardo
sulla città, quel giorno e, dopo una buona notte di riposo, Eikhe non si
sentiva più così oppressa da Rajana e dalle sue costruzioni come le era
successo il giorno precedente.
Certo, essere tra quattro
mura ancora non le piaceva, ma il senso di soffocamento era decisamente
diminuito, anche grazie ai bambini di Ruak e Renke.
Fin dalla prima colazione,
si erano dimostrati interessati a lei e al suo stile di vita e, letteralmente,
Naell le era parsa affascinata dal modo in cui lei e Liana indossavano i loro
abiti di pelle.
Renke aveva sorriso con
condiscendenza alla figlia che, per tutta la durata del pasto, l’aveva
bombardata di richieste più o meno impossibili.
Alla fine, sospirando, la regina
aveva pregato la figlia di smetterla con i desideri irrealizzabili e la bimba,
messo il broncio, si era rifugiata dalla zia, chiedendole il permesso di
vestire come lei.
A quella richiesta, il re
era scoppiato a ridere di gusto mentre Renke, accigliandosi, l’aveva pregato di
contenersi nelle uscite e spiegare alla figlia i vari perché che le
impedivano di utilizzare un tale vestiario.
Eikhe non sapeva bene se
quella di Naell fosse una semplice presa di posizione data dalla novità, o un sincero desiderio – avendo solo sei anni,
era troppo piccola per comprendere appieno il ruolo di una donna-lupo.
Per venire incontro alle
preoccupazioni della regina, aveva spiegato alla bambina che, per potersi
abbigliare a quel modo, si dovevano superare diverse prove molto difficili.
Non convinta, Naell aveva
chiesto quali fossero ed Eikhe, con un risolino, le aveva detto che, prima di
ogni altra cosa, avrebbe dovuto saper vivere all’aperto, senza servitù e senza
guardie a proteggerla.
La cosa l’aveva raffreddata
subito e, mogia, era tornata al suo posto, pur con la fronte aggrottata e
l’aria pensierosa.
Ora, ferme in contemplazione
delle esibizioni ippiche del cugino e della sua amica, Naell era tornata
all’attacco.
Con un dolce sorriso, Eikhe
le carezzò i capelli sericei e sciolti sulle spalle prima di dirle: “Noi ci
consideriamo figli e figlie del branco perché viviamo come i nostri lupi.
Ognuno di noi aiuta l’altro, e tutti e tutte seguiamo il nostro capo, il nostro
lupo alfa, per così dire.”
Annuendo, Naell le chiese
ancora: “Ma voi siete sudditi di mio papà, vero?”
“Certo, sudditi fedeli,
direi” le sorrise la donna. “Ma, nel nostro villaggio, siamo agli ordini della
nostra Signora.”
“Ed è buona come papà?”
Con un risolino, Eikhe asserì:
“Direi di sì. E’ incisiva quando serve, ma generosa di cuore come di spirito.
Conobbe tuo padre quando era ancora giovane,… all’epoca, aveva solo qualche
anno più di mio figlio.”
“Davvero?” esalò Naell
facendo tanto d’occhi.
Meriton e Staryn si
avvicinarono ulteriormente alla zia e Renke, accomodandosi al suo fianco, le
domandò: “Raccontaci un po’ di questo giovane Ruak. Sono curiosa di sentire la
sua storia.”
“Vi racconterò del mio primo
incontro con Ruak, e di come le mie sorelle combatterono al suo fianco e a
quello di Aken” spiegò allora Eikhe, prima di sollevare una mano a salutare il
compagno che, affacciato alla finestra dello studio del fratello, li stava
osservando pensieroso.
Subito dopo averlo salutato,
Eikhe iniziò il suo racconto e Aken, richiusasi la finestra alle spalle, tornò
a volgere lo sguardo in direzione del fratello.
“C’è qualcos’altro che devo
firmare?”
“Direi di no, anche se non
sono del tutto sicuro che sia giusto ciò che hai fatto” precisò Ruak,
accomodandosi dietro il suo scrittoio di legno scuro.
Con un leggero sospiro, Aken
si sedette su una larga poltrona ricoperta di candido velluto color panna e
disse serio: “Non penso proprio che mi occorra un palazzo di campagna, e
neppure la mia scuderia di stalloni. Come sono più che sicuro che non mi
interessino i vari possedimenti terrieri intestati a me, o le mie vigne.
Viviamo una vita semplice, su al nord, Ruak, e tutte queste cose non hanno
alcuna importanza, per noi.”
“Non credi che quest’eredità
andrebbe lasciata ai tuoi figli?” ci tenne a dire Ruak, tamburellando le dita
sul foglio pergamenato che Aken aveva appena firmato in calce.
“Gliene ho parlato
stamattina, poco prima di scendere a fare colazione” gli spiegò Aken. “Sapevo
già che mi avresti chiesto di sistemare l’aspetto burocratico della mia fuga da
palazzo, e così mi sono informato sulle intenzioni di Antalion.”
“E lui ha deciso così, su
due piedi!?” esalò Ruak, vagamente sorpreso.
Aken abbozzò un sorrisino e asserì:
“I beni di cui abbiamo bisogno, li possediamo già. Non abbiamo bisogno di oro o
di terre, né di tutto ciò che essi comportano.”
“Ho comunque predisposto che
una parte del tesoro reale sia destinata a lui e a tutti i tuoi futuri figli…” lo
informò Ruak, sorprendendo non poco il fratello. “…perché, checché tu ne dica,
loro sono e rimangono dei principi, e io mi sentirei un mostro a non trattarli
al pari dei miei. Me lo concederai, come zio?”
Abbozzando una risatina,
Aken assentì: “Se ti fa sentire meglio, fai pure.”
“Molto bene, allora. Manterranno
il titolo di Altezze Reali, ma senza terreni annessi e patrimoni immobiliari” decretò
Ruak prima di arrotolare la pergamena e chiuderla con alcune gocce di
ceralacca, che sigillò con il suo anello reale.
Fatto ciò, suonò la
campanellina d’argento che si trovava sul sottobraccio in cuoio della sua
scrivania, per chiamare il suo paggio personale.
Dopo alcuni attimi, si
presentò nello studio oltrepassando in silenzio la porta d’entrata prima
d’inchinarsi e chiedere: “Desiderate, Vostra Maestà?”
“Consegna questo all’Ufficio
del Registro e di’ a Mastro Kaitel di riporlo nella documentazione riguardante
mio fratello” gli spiegò Ruak, consegnandoglielo.
“Sarà fatto, Vostra Maestà…”
sussurrò il giovane prima di inchinarsi anche di fronte ad Aken e aggiungere:
“Vostra Altezza…”
In silenzio com’era venuto,
il paggio se ne andò e Aken, sospirando lievemente, esalò: “Dèi, pochi mesi di
mancanza da palazzo, e già certe smancerie mi mettono a disagio.”
Ridendo suo malgrado, Ruak
poggiò un gomito sulla scrivania e chiosò: “Ti hanno sempre messo a disagio, se
ben ricordi. Ora, la faccenda si è solo acuita.”
“Già” annuì lui, lanciando
uno sguardo in direzione dell’orizzonte sereno e delle lontane montagne.
Un lievissimo velo di nebbia
adombrava le vette e, mentre un falco si librava libero nel cielo, in
corrispondenza del giardino pubblico di Rajana, Aken disse sommessamente: “Non
ho mai fatto veramente parte di tutto questo.”
“In effetti, no” ammise
Ruak, fissando intensamente il fratello. “Ve ne andrete presto.”
“Non me lo stai domandando”
sogghignò Aken.
“Te lo leggo in faccia, come
lo leggo sul viso di Eikhe e dei ragazzi. Vi manca da impazzire casa vostra, e
stare qui vi sta stretto. Ma vi ringrazio per aver detto ai miei figli che
sareste rimasti per un mese. Penso gli farà bene stare in vostra compagnia” dichiarò
Ruak, con sincero affetto.
Passandosi le mani tra i
folti capelli sciolti sulle spalle, Aken esalò: “La cosa che mi mette più in
ansia di questo mese qui, onestamente, è l’idea di rivedere Melantha, visto
soprattutto come aveva trattato a suo tempo Eikhe.”
“E’ cambiata, e tu lo sai”
precisò Ruak, prima di volgere lo sguardo in direzione della porta non appena
sentì bussare. “Sì, chi è?”
“Tua madre, caro” esordì Anladi, aprendo lentamente la porta per
entrare.
Pur apparendo stanca e con
il viso segnato da una precoce vecchiaia che non combaciava con la sua età,
Anladi mostrava ancora un riflesso della bellezza di un tempo.
Purtroppo, essa era velata
dai troppi dolori e dal ruolo che essa stessa aveva avuto nel crollo del suo
matrimonio, e del rapporto con il marito.
Confinato nel palazzo estivo
di Elion, Arkan non l’aveva più voluta vedere.
Fin da quando era stato
condotto via dalla Sala del Concilio per mano degli stessi armigeri che, fino
al giorno precedente, lui aveva guidato con mano fin troppo ferma, Anladi era
stata rifiutata ogni volta.
Non volendo esacerbare più
del dovuto il marito, si era attenuta alle sue richieste, lasciando che a
badare a lui pensassero i medici di corte.
Non v’era mai stato amore
profondo, tra loro, ma la sua mancanza da palazzo le pesava non poco, e
ricominciare una vita da sola le sembrava quasi assurdo.
Non era vedova, ma era come
se lo fosse.
Davvero un assurdo
paradosso.
Aken e Ruak si levarono dalle poltrone in cui erano
accomodati per inchinarsi formalmente a lei, prima di baciarla a turno sulle
guance.
Sorridendo loro nel sedersi
sul divanetto vicino alle larghe finestre dell’ufficio, Anladi scrutò dabbasso
prima di dire: “Eikhe ha conquistato i suoi nipoti, a quanto vedo.”
“E’ una piacevole novità,
per loro” ammise Ruak, con un risolino. “Sono soliti vedere sempre le stesse
persone e, di sicuro, questa è una ventata d’aria fresca nelle loro vite. E
anche nella mia e di Renke.”
Con un cenno d’assenso,
Anladi sorrise ad Aken, dicendogli: “Mi ha fatto piacere vedere che Eikhe
indossava il mio regalo. Dimmi, le camere andavano bene per tutta la tua
famiglia?”
Aken ridacchiò per un
momento prima di dirle: “Abbiamo avuto una piccola defezione, ieri notte, ma
penso che i problemi siano più o meno risolti. Si sentivano un po’ a disagio,
in tutto quel lusso.”
Sinceramente sorpresa,
Anladi si aprì in un sorriso divertito, esalando: “Oh, cielo! Dici che ho
esagerato? Forse dovrei togliere qualcosa dalle loro stanze?”
“Tranquilla. Ho parlato sia
con An che con Liana, e ora sono più tranquilli, ma li capisco. Ero a disagio
anch’io, lo ammetto” scrollò le spalle Aken, con un ghigno stampato in viso.
Guardandolo con amorevole
comprensione, Anladi annuì e disse sommessamente: “Questo palazzo ti è sempre
stato stretto, fin da quando eri giovane, per cui non mi stupisce che, pochi
mesi di libertà, ti abbiano cambiato tanto” poi, indicando l’abito di pelle del
figlio, aggiunse: “Lo ha fatto Eikhe?”
“Sì. Quando Kannor è
arrivato a Marhna, stavamo festeggiando il matrimonio del fratellastro di Eikhe,
e così ci siamo tirati dietro gli abiti da cerimonia” le spiegò Aken, tirando
una delle frange dei pantaloni con aria distratta. “Ho pensato che indossarlo
mentre eravamo a palazzo, fosse carino. Faccio la mia figura, dopotutto.”
Ruak ridacchiò, annuendo.
“Di sicuro, non appena le
damigelle di corte ti vedranno, cadranno ai tuoi piedi ancor più di prima.”
“Dubito che Eikhe glielo
permetterà” replicò Aken, ghignando. “Da quando è incinta, è ancora più nervosa
del solito, e se solo qualcuna si azzarderà ad avvicinarsi a me, tirerà fuori
gli artigli senza permetterle di dire ‘bah’,
puoi scommetterci.”
I due fratelli esplosero in
una calda risata mentre Anladi, sorpresa da quella notizia, si volse a fissare
il figlio adottivo, esalando: “Eikhe è incinta? Oh, dèi! E tu l’hai portata
fino a qui da Marhna?!”
Affabile, il figlio maggiore
le spiegò: “Come ho detto a Ruak, lei è una donna robusta, anche se la
struttura fisica così slanciata potrebbe smentire le mie parole. Inoltre, il
Marchio di Hevos protegge il bambino, per cui Eikhe non ha avuto alcun problema
ad affrontare questo viaggio. Certo, si stanca prima ed è più irritabile, ma
sta bene.”
“Lo spero per te, figliolo,
o potrei decidere di sculacciarti anche se hai più di quarant’anni” brontolò
Anladi con fiero cipiglio.
“Se non mi credi, chiedi a
lei” replicò Aken, con un’alzata di spalle prima di alzarsi dalla poltrona e
dirle: “Stai tranquilla, madre, Eikhe sta bene e, se ne avremo la possibilità,
torneremo qui per farti conoscere il tuo ennesimo nipote.”
“Ne sarei lieta” annuì a
quel punto Anladi, salutandolo quando lo
vide procedere verso la porta per uscire.
Rimasta sola con Ruak,
Anladi lo fissò in silenzio per un attimo prima di chiedergli: “Ha rinunciato a
tutto, vero?”
“Alle terre, ai
possedimenti… tutto. Ha mantenuto il titolo di Altezza Reale, soprattutto per i
figli, ma non ha più possedimenti o appannaggi di alcun genere” annuì torvo
Ruak, intrecciando le dita sul sottobraccio ci pelle della scrivania. “E’ un
figlio del branco del villaggio di Hyo-Den, tutto qui.”
“Se per lui è sufficiente,
lo sarà anche per noi. Nel nostro cuore, le cose non sono cambiate affatto” si
limitò a dire Anladi, con quieta sicurezza.
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Capitolo 33 *** cap. 33 ***
33.
Il suono delle trombe delle
porte a ovest della città di Rajana, furono il primo segnale dell’arrivo della
famiglia reale di Karton.
Il veloce formicolare di
paggi, domestici e guardie, fu il secondo.
Seduto comodamente su uno
dei merli del muro di cinta di palazzo, lo sguardo perso sull’orizzonte
leggermente velato di nebbia, Aken lanciò uno sguardo al soldato di ronda che
gli stava al fianco e, ammiccando, sentenziò: “La mia regale sorella è infine
giunta, a quanto pare.”
“Così sembrerebbe, Vostra
Altezza” annuì l’alabardiere prima di allungargli una mano per aiutarlo a
scendere dalla merlatura, così da rimettere i piedi sul più sicuro ponte di
pietra su cui lui si trovava.
Atterrando sulle pietre
scure con un lieve fruscio di pelli, Aken ringraziò il soldato per l’aiuto
prima di ripercorrere il camminamento verso la porta in legno che conduceva
all’interno del maschio occidentale del maniero.
Da lì, imboccò le scale che
lo avrebbero portato fino al corpo principale del castello.
Discesi i gradini di roccia
a due a due, Aken si ritrovò ben presto al quarto piano del maniero, dove si
trovavano le camere della famiglia reale.
Fermo sul ballatoio da cui
si poteva scorgere l’ampio ingresso dabbasso, trovò il fratello Ruak, intento a
scrutare la servitù mentre deponeva i tappeti rossi all’entrata e drappeggiava
le bandiere dello Stato di Karton accanto ai portoni d’entrata.
Messosi al suo fianco per
ammirare quello spettacolo di efficienza e perfetta sincronizzazione, Aken
disse al fratello: “Spiegami ancora una volta perché si ostinano a farlo
all’ultimo minuto.”
“Perché dicono che,
altrimenti, il tappeto si ricoprirebbe della sottile patina di polvere che
proviene dal cortile, e questo inficerebbe sul bel color amaranto di cui è
composto quel mostruoso serpentone che stanno distendendo con tanta facilità”
gli spiegò Ruak con un mezzo sorriso divertito.
“Oh, dèi! Non sia mai che
succeda!” esclamò Aken, fingendosi inorridito prima di scoppiare a ridere e
chiedergli: “Ma hai detto loro che non farebbe alcuna differenza? Si sporcherà
in ogni caso.”
Con una spallucciata, il
sovrano si limitò a dirgli: “Non mi hanno ascoltato. Pretendono che tutto sia perfetto, e chi sono io per dire loro di
no?”
Aken si liberò in una risata
che coinvolse anche il fratello, abbigliato quel giorno con un semplice
completo tunica e pantaloni nero e oro.
I sottili ricami dorati che
impreziosivano il colletto e le maniche della severa e lunga tunica al
ginocchio, brillavano timidi alla luce delle lanterne appese alle pareti.
“Come mai così informale,
fratello?” gli chiese con un mezzo sorriso Aken, mentre iniziavano a discendere
le scale per raggiungere l’atrio di palazzo.
“Era nostro padre ad amare
le frivolezze. Io preferisco i vestiti più sobri” spiegò succintamente Ruak,
lasciando che la mano scivolasse leggera sul mancorrente in ferro brunito.
Quando raggiunsero infine il
pian terreno, l’orda perfettamente coordinata della servitù era ormai rientrata
nelle rispettive stanze di competenza.
Nell’enorme atrio così
allestito, restarono soltanto gli alabardieri in alta uniforme, oltra al paggio
che avrebbe presentato l’entrata dei reali di Karton.
Renke e i bambini erano
fuori nel cortile, in quel momento, mentre Eikhe, Antalion e Liana, silenziosi
come ombre, attendevano nell’atrio l’arrivo dei parenti di Aken.
Scusandosi con Ruak, che si
avviò all’esterno per andare a controllare che i figli non finissero con lo
sporcarsi prima dell’arrivo degli zii, Aken raggiunse la sua famiglia.
“Come mai vi siete nascosti
qui?”
“Non ci siamo nascosti.
Abbiamo evitato di venire travolti dalla servitù” precisò Eikhe, sorridendogli nell’afferrare
la sua mano protesa. “Se avessimo anche solo tentato un qualsiasi movimento, ci
avrebbero sicuramente steso assieme a questo gigantesco tappeto.”
Come darle torto?
Aveva ben visto anche lui
con quanta maniacale - e militare - precisione si fossero mossi i domestici.
Qualunque cosa si fosse
trovata sulla loro strada in quel momento, loro l’avrebbero travolta senza tanti
complimenti, fosse anche la nuova Eroina del Regno.
Appoggiato alla colonna e
con le gambe intrecciate al pari delle braccia, Antalion chiese al padre: “Come
dovremo comportarci, in questo caso?”
“Sono d’accordo con Ruak di
incontrare Melantha e la sua famiglia nel Salottino Azzurro. Preferisco evitare
questo genere di eventi non meno di voi” riferì Aken, guardandosi intorno prima
di individuare un lacchè.
Fattogli segno di
avvicinarsi, gli disse: “Riferisci a Sua Maestà che lo attenderemo nel
Salottino Azzurro, come da accordi.”
“Sarà fatto, Vostra Altezza”
annuì compito il giovane prima di sgattaiolare via a un’andatura a metà strada tra
il passo veloce e la corsa, pur senza apparire trasandato o scomposto.
“Ma come fanno?” esalò
Liana, facendo tanto d’occhi. “Glielo insegnano a scuola, per caso? Non uno che
abbia una cadenza di corsa diversa dall’altro. Vanno tutti a quella velocità.”
“Si chiama efficienza sul
lavoro, Liana, e qui a palazzo è, o meglio, era
vitale, se non volevi incorrere in una tirata d’orecchi da parte di mio
padre” ghignò Aken con una certa acredine nel tono di voce. “Ora che c’è mio
fratello al governo, le cose cambieranno, ma è dura togliere un’abitudine
quando è molto radicata.”
“Ah” borbottò la ragazza,
continuando a osservare perplessa la figura ormai lontana del lacchè.
“Vogliamo andare?” propose a
quel punto il principe, non avendo altro da fare in quel posto in particolare,
se non continuare a osservare l’atrio tirato a lucido.
All’unisono, annuirono e lo
seguirono in fila indiana per raggiungere il salotto al primo piano, ove
avrebbero incontrato in separata sede la famiglia reale di Karton.
Aken non sapeva davvero cosa
aspettarsi né, tantomeno, quali sarebbero state le reazioni delle due donne che
maggiormente lo preoccupavano; Eikhe e Melantha.
Di certo, il loro primo
incontro non era stato dei più idilliaci e, il proseguo della loro ‘relazione’, non era stato meraviglioso.
Dire che si erano guardate
in cagnesco per la maggior parte del tempo, era un eufemismo.
Sì, Eikhe le aveva regalato
quell’occhio di lupo, prima di
partire, e Melantha l’aveva tenuto al pari di una reliquia, ma trovarsele
entrambe in una stanza, era altro affare.
Sperava soltanto che, con la
maturità, Melantha si fosse ammorbidita, e che Eikhe non avesse intenzione di
fargliela pagare per gli sgarri subiti in passato.
Quando aprì la porta del
salotto, vi trovò ad attenderli la regina, come sempre vestita di scuro e con
il viso oscurato da una veletta color
blu notte.
Non era un abito da lutto,
ma ci si avvicinava davvero molto.
Salutatala con un bacio e
una stretta gentile alla spalla, Aken le sedette al fianco sul divanetto color
cielo mentre la sua famiglia si accomodava sulle poltroncine nei pressi
dell’enorme porta finestra che dava sul cortile.
Preoccupato, il principe chiese:
“Madre, non ti senti bene? Ti vedo più pallida del solito.”
Un esile sorriso tese le sue
labbra esangui e Anladi, scuotendo debolmente il capo, si limitò a dire: “Non
preoccuparti per me, tesoro. Va tutto bene.”
Non del tutto convinto, Aken
le strinse con forza una mano ricoperta di fine pizzo scuro e domandò
nuovamente: “Non me la dai a bere così facilmente. Ti ripeto; cosa succede?”
Anladi sospirò pesantemente
mentre le sue dita stringevano convulsamente quelle del figlio e, flebili, le
parole scivolarono dalla sua bocca formando una frase che sconcertò
all’inverosimile Aken.
“Tuo padre è entrato in coma
questa notte. Stamani, ho ricevuto un messaggio dal falconiere reale di stanza
a Elion, che mi informava delle sue condizioni di salute. Il medico ha indetto
le quaranta ore di preghiera per il deposto regnante, ma ho preferito non dire
nulla a Ruak, né desidero che tu gli dica alcunché, almeno finché Melantha non
sarà qui.”
Se Antalion e Liana
mostrarono il loro dispiacere con il pallore dei loro volti e le bocche
atteggiate a un mesto broncio, Eikhe si affrettò ad alzarsi per raggiungere
Aken.
Avvertendo la mano
dell’amata sulla sua spalla, si volse a mezzo per sorriderle.
“Sto bene, tranquilla.”
Eike accennò un sorriso
prima di inginocchiarsi accanto a lui, poggiare il capo sulle sue ginocchia e,
in un sussurro, dire: “Se tu lo vorrai, intoneremo il canto delle donne-lupo
per le anime in transito.”
La carezza che scivolò sui
suoi capelli stretti in una treccia fu leggera come le ali di una farfalla,
quasi come la voce che uscì dalla bocca di Aken.
“Grazie.”
Non disse altro, e a Eikhe
non servì udire altro.
Con un bacio leggero al
ginocchio di Aken, Eikhe si risollevò prima di fare un cenno ai due giovani,
già pronti a seguirla.
In fretta, presero uno dei
candelabri poggiati sopra il camino e lo posizionarono verso est, dove il sole
reclina ogni sera dietro i monti.
Inginocchiatisi l’uno
accanto all’altro, inclinarono verso terra i loro volti e cominciarono a
cantare sommessamente.
Anladi e Aken si alzarono
per raggiungerli mentre Eikhe, preso un bastoncino dal fuoco sfrigolante nel
camino, iniziò a dire con la sua brillante voce di contralto:
“L’alba è ormai lontana, dispersa oltre le nubi che si
addensano
nel cielo all’imbrunire.”
Con uno svolazzo compiuto
con mano abile, Eikhe accese la prima delle tre candele del candelabro,
dopodiché si piegò su se stessa fino a poggiare il capo sulle ginocchia, in
posa penitente e sottomessa.
Liana fu la seconda a
intonare il canto e, preso esempio da Eikhe, afferrò un secondo stoppino e
disse con voce sottile e leggermente tremante:
“L’imbrunire avvolge ogni cosa, dal palazzo del ricco
signore al misero
tugurio del povero contadino.”
Come in precedenza, anche
Liana accese con gesto elegante la seconda candela, prima di sistemarsi in posa
postulante non meno di Eikhe.
Dopo un momento passato a
osservare le figure ricurve e immobili delle due donne, prese il suo stoppino e
recitò con voce baritonale e magistralmente intonata:
“Contadino o ricco signore, l’ala di Haaron scenda su
di te con clemenza
e sia aperto per te un regno di luce, ove la tenebra
non possa mai
mettere piede. Sia questo il mio augurio per te, anima
che ti
accingi a seguire la via ultima e più difficile tra
tutte.”
Dopo aver recitato la frase
di rito, anche Antalion accese la candela e si piegò in avanti, prostrandosi
dinanzi al candelabro acceso e alle fiamme ardenti del camino.
Silenzioso spettatore
assieme alla madre, Aken tratteneva a stento lacrime che si era ripromesso non
avrebbe mai e poi mai versato per il padre.
Non perché non l’avesse
amato, ma perché l’Arkan che lui conservava nel cuore non era lo stesso uomo
che stava rendendo l’anima agli dèi in quelle ore.
Quell’uomo tanto adorato,
lui lo aveva perso anni addietro, forse nel momento stesso in cui la sua vera
madre era morta, e Arkan lo aveva definitivamente chiuso fuori dalla sua vita.
Lui era stato niente più che
un oggetto per perpetrare il suo dominio, per il padre, da quel giorno in poi.
Le lacrime per quel vecchio
Arkan, che lo prendeva in braccio e lo coccolava durante le infreddature, o
dopo un brutto sogno, le aveva già piante a suo tempo.
Per questo Arkan, non ve n’erano più, anche se si sentiva male al solo
pensarlo.
Dopo un minuto circa dal
momento in cui anche Antalion si era piegato in avanti per prostrarsi di fronte
al Signore dei Morti, i tre figli del branco si levarono in ginocchio.
All’unisono, soffiarono
sulle tre candele, lasciando che il fumo scuro e lieve si innalzasse sopra di
loro, formando una leggera nuvoletta opaca.
In quel mentre, le trombe
suonarono a festa nel cortile di palazzo e Aken, aiutando Eikhe a rimettersi in
piedi, sussurrò: “Sono giunti.”
***
Quando la porta del
salottino si aprì, un bambino sui sette anni entrò trotterellando prima di
fermarsi di botto nel notare persone che non conosceva assieme alla nonna e
allo zio.
Bloccato a metà
dell’entrata, il bimbo si volse per guardarsi alle spalle, dove lo attendeva
paziente il padre, il principe Mynias che, sorridendogli beffardo, gli chiese:
“Cosa ha frenato la tua baldanza, Kregan?”
Sollevato il mento con
fierezza, Kregan dichiarò impettito: “Nulla, padre. Ma si conviene che un
principe, quando entra in una stanza già occupata, saluti i suoi ospiti, prima
di proseguire.”
Cercando di trattenere un
risolino, il principe annuì con enfasi e, con un gesto elegante della mano,
indicò i presenti strizzando l’occhio ad Aken.
“Ebbene? Saluta i nostri
gentili ospiti.”
Raddrizzatosi e sistematosi
la corta tunica blu scuro a ricami argentati che indossava, il principe Kregan,
terzogenito del regno di Karton, disse con voce ben impostata: “Ben trovata,
nonna Anladi e zio Aken. Sono lieto di vedervi e di salutare i vostri ospiti.”
Con una calda risata di
gola, Mynias si decise a entrare, dando una pacca sulla spalla al figlioletto.
Allungata poi una mano in
direzione del vecchio amico che, nel frattempo, si era levato dal divano,
esordì dicendo: “E’ un piacere rivederti, Aken, e devo supporre dal tuo
vestiario, e dalla gentile signora che vedo accanto alla finestra, che la tua
Cerca abbia avuto buon fine.”
“Direi di sì” ammiccò Aken,
prima di veder entrare nel salotto i due gemelli, Berhen ed Elren, e Melantha,
che teneva in braccio il piccolo Aken.
Dietro di loro, si trovavano
Ruak e la sua famiglia, che pensarono a chiudere la porta alle loro spalle.
Con una breve riverenza,
Melantha sorrise al fratellastro prima di dire: “Ben trovato, fratello. Sono
lieta di rivederti dopo tanto tempo e…”
Interrompendosi non appena
lo sguardo le cadde su Eikhe e due giovani che non conosceva, accentuò il suo
sorriso mescolandolo con l’aperta sorpresa. “… e sono affascinata nello
scoprire che ho un nipote già così grande e così affascinante. O sono due?”
Antalion si limitò a
sorridere impacciato prima di reclinare il capo ossequioso mentre Eikhe, muta,
la scrutava dubbiosa, indecisa sul da farsi.
Pensò Melantha a riempire
quel vuoto imbarazzato.
Lasciato al marito il
piccolo Aken, si avventurò oltre la selva di persone che le dividevano e, una
volta di fronte a lei, allungò una mano
– cosa più che mai inusitata, tra la nobiltà – e disse sommessamente: “Sono
Melantha, figlia di Arkan di Rajana. Non ci hanno mai presentate formalmente.”
Vagamente sorpresa da quel
gesto davvero inaspettato, Eikhe tentennò solo un attimo prima di riscuotersi e
allungare una mano verso di lei per stringere quella della donna. “Io sono
Eikhe di Nestar, molto piacere, Altezza.”
Quando le loro mani si
incontrarono, Eikhe trovò ad attenderla
una stretta vigorosa, sicura di sé e, a sorpresa, gli occhi si posarono
su un oggetto che mai si sarebbe aspettata di vedere.
Piccolo e solitario, l’occhio di lupo che, tanti anni addietro,
Eikhe aveva donato a Melantha, pencolava da un bracciale in argento intrecciato
e di mirabile fattura.
“Lo hai tenuto?” mormorò
sorpresa la figlia sacra, vedendo annuire la principessa.
“Non l’ho mai tolto, e
Mynias può esserne testimone” le sorrise appena la donna, ammiccando
all’indirizzo del marito, che assentì.
L’attimo dopo, Melantha si
aprì in un sospiro di sollievo, esalando: “Dèi, ero terrorizzata da questo
momento! Non sapevo come l’avresti presa, se mi avresti insultato – come
meritavo, aggiungo – o se mi avresti mandato contro uno dei lupi che ho visto
nel cortile di addestramento dei cavalieri!”
Un coro generale di risate
scaturì dopo l’uscita a sorpresa di Melantha mentre Eikhe, sempre più sgomenta,
esalò: “Oh… cielo… no, non l’avrei mai fatto!”
“Meno male!” sospirò
Melantha, prima di tornare seria e voltarsi in direzione del nipote per dire:
“Assomigli davvero molto a tuo padre, ma gli occhi sono tutti di tua madre.
Qual è dunque il tuo nome, giovane figlio del branco?”
Vagamente sorpreso, il
ragazzo disse: “Il mio nome è Antalion, Altezza.”
Un ‘ma che le è successo?’ comparve a caratteri cubitali sul viso di
Eikhe mentre osservava il suo compagno e Aken, facendo spallucce, non seppe che
rispondere.
Avvicinandosi alla moglie
con un gran sorrisone sulle labbra, Mynias avvolse con un braccio la vita
sottile di Melantha e, rivolgendosi a Eikhe, asserì: “Finalmente posso
conoscere la donna che ha stregato il mio vecchio amico, e posso dire che ha
davvero buon gusto. E’ un onore conoscerti, Eikhe. O dovrei chiamarti Eroina
del Regno?”
“Eikhe basta e avanza,
Altezza” replicò con un sorriso la donna.
“Cognato, mia cara. E la
splendida fanciulla con voi, chi è? La sorellina di Antalion, forse?” chiese
Mynias, strizzando l’occhio ad Aken.
“Una nostra amica di nome
Liana” spiegò la figlia sacra, mentre la ragazza si inchinava compita.
“I tuoi sudditi nascondono
bellezze sopraffine, mio caro Ruak. Sono un po’ invidioso” commentò a quel
punto Mynias, facendo sorgere un nuovo accesso di risa tra i presenti.
Dopo quell’inizio davvero
insolito, la famiglia si accomodò, chi sui divani, chi sulle sedie presenti nel
salotto.
Mentre tè e pasticcini
venivano serviti, un pacco venne consegnato alla coppia reale di Karton da un
valletto in livrea, che si dileguò un secondo dopo senza il minimo rumore.
Melantha e Mynias si
scambiarono un’occhiata d’intesa, prima di ricominciare a parlare del più e del
meno con la famiglia.
Berhen, l’erede dei reali di
Karton e sua sorella gemella Elren, invece, dialogavano con interesse assieme
al cugino e a Liana.
Spostatisi sul balcone
assieme ai cugini più piccoli – con l’eccezione di Aken, rimasto in braccio
alla madre – Berhen si chiuse le porte finestre alle spalle e disse: “Lasciamo alle
loro chiacchiere gli adulti.”
“Come preferisci, Altezza”
concesse Antalion, con una scrollata di spalle.
“Dovrei chiamarti anch’io Altezza, visto che sei figlio di Aken,
ma credo che non te ne importi un accidente di quel titolo, o sbaglio?” chiosò
furbamente Berhen, ammiccando al cugino con aria saputa.
Trovandosi al volo con quel
giovane dai capelli color cannella - stretti in una coda di cavallo - e gli
occhi attenti di un falco, Antalion annuì complice e dichiarò: “Da cosa si
capisce?”
“Dal fatto che, nonostante tu
ti trovi a palazzo da un po’, almeno da quel che mi è dato sapere, non indossi
abiti come i nostri ma quelli che, sicuramente, usi alla tribù dove vivi”
rispose flemmatico Berhen.
Elren sorrise al cugino come
per scusarsi dei modi del gemello, e soggiunse: “Non badare alle parole di mio
fratello, cugino Antalion. Da grande, vorrebbe fare il Capo Coordinatore del
Servizio di Spionaggio di Karton, e non il principe regnante, perciò non fa
altro che ficcare il naso dove non dovrebbe.”
Facendo tanto d’occhi, Antalion
esalò: “Capo… cosa?”
Scoppiando a ridere, Berhen
fissò con autentico affetto la sorella gemella prima di spiegare al cugino:
“Devi sapere che Karton ha uno dei servizi di spionaggio più sviluppati di
tutti i regni del nord del continente di Medrasta. Io vorrei solo occuparmi di
una cosa che mi riesce bene, dopotutto. Non mi sembra una grande pretesa,
dopotutto.”
“Peccato che papà non lo
sappia ancora” ci tenne a precisare Elren, mentre Kregan, il terzogenito,
ridacchiava divertito.
Meriton e Staryn fissarono
dubbiosi il cugino Berhen che, spallucciando, chiosò: “E dai, non sarà mica la
fine del mondo, no? Di altri eredi, papà ne ha finché vuole!”
Liana inclinò il capo con
aria divertita a fissarli tutti e, poggiandosi contro il parapetto del balcone,
asserì ironicamente: “A quanto pare, il trono sta scomodo a molti, nonostante
siate nati in diverse famiglie reali.”
Berhen ammiccò
maliziosamente al suo indirizzo e replicò sommessamente: “Che attrattiva può
avere, un misero trono se, stando sul campo, potrei incontrare bellezze come
te, gentile Liana?”
Antalion mosse un passo con
fare piuttosto incisivo e, guardando dall’alto al basso il cugino, che superava
di mezza testa, dichiarò serafico: “La bellezza in questione è già impegnata,
grazie.”
“Ho capito l’antifona,
cugino” ridacchiò Berhen, prima di dargli una pacca sul braccio ed esalare
subito dopo: “Dèi, con un braccio simile potresti ridurmi la testa a un
colabrodo!”
Arrossendo leggermente,
Antalion ridacchiò del suo commento mentre Liana, avvolgendo la vita dell’amico
con un braccio, si limitava a dire: “La vita nei boschi fortifica, principe.”
Elren la fissò con autentica
curiosità prima di dirle: “Nostro padre ha spesso dei contatti con alcune
Signore di diversi villaggi di donne-lupo che si trovano nei nostri territori,
e io ho potuto imparare da una di loro le arti della guarigione. Ho studiato l’uso
delle erbe medicinali che si possono trovare nella foresta, oltre all’erboristeria
pura e semplice.”
Sinceramente sorpresa, Liana
esalò: “Mia madre è una guaritrice, e anch’io so un po’ di erboristeria e di
medicina.”
“Allora, se tu fossi così
gentile da acconsentirlo, vorrei che tu mi spiegassi l’utilizzo della radice di
edherna. Non ho avuto molto tempo per
studiarla, e il suo uso mi rimane in parte oscuro” si eccitò subito Elren,
afferrandole con foga una mano e guardandola con eccitati occhi azzurro cielo.
“Oh, dèi, salvateci da una
lezione di erboristeria, vi prego!” esalò falsamente disperato Berhen,
passandosi una mano sul volto abbronzato.
“Possiamo andare a giocare
coi lupi, mentre loro chiacchierano” propose speranzoso Meriton, fissando il
cugino Antalion con occhi sgranati e sorriso ammirato.
Ridendo, Antalion annuì e,
dopo aver lanciato uno sguardo a Liana per capire se a lei andasse bene restare
sola con la principessa Elren, rientrò insieme ai suoi numerosi cugini.
Dopo aver salutato le
rispettive famiglie, se ne andarono al campo di addestramento, dove i loro lupi
erano rimasti per non intralciare i lavori dei domestici.
Mentre Liana ed Elren
parlavano fittamente sulla balconata e gli altri ragazzi, seguiti da una Naell
eccitata, si dirigevano verso il cortile, Melantha sorrise a Eikhe e disse: “Ho
imparato a mie spese che la superbia non porta a nulla, e Mynias mi ha fatto
capire che valevo come persona, e non solo come principessa. Sono contenta che
anche i miei figli l’abbiano compreso.”
Con un sorriso comprensivo,
Eikhe guardò i due reali e dichiarò: “Hanno avuto dei bravi insegnanti,
evidentemente.”
“Era una nostra speranza”
ammise Mynias, prendendo in braccio il pacco precedentemente portato dal paggio.
“Un dono da parte nostra, con la speranza che possa essere ben accetto.”
Aken aiutò Eikhe a prendere
il pesante involto, dicendo all’amico: “Non c’era bisogno di nessun dono.”
Rivolto un sorriso a Ruak,
che se ne stava in piedi alle spalle del divano ove erano accomodati Aken,
Eikhe e Anladi, Mynias ribatté: “C’era, invece. Quando ho saputo che avevi un
figlio già adulto, tramite i buoni uffici di tuo fratello - che ci ha anche
avvisati della tua presenza qui - abbiamo pensato di portarvi qualcosa, visti
tutti i regali che tu, a tua volta, avevi fatto ai miei alla loro nascita.”
“Sciocchezze” ridacchiò
Aken, scartando l’involto con un po’ di curiosità.
Dinanzi agli occhi sorpresi
e confusi di Eikhe, pezze su pezze di pelli diverse, e tra le più pregiate che
avesse mai visto, scivolarono tra le sue mani.
Con voce resa incerta
dall’imbarazzo, esalò: “Ma… sono stupende… e sono davvero troppe! E
costosissime!”
Teli di pelli di daino
bianco si inframmezzavano a stole di volpe grigia e cervo maculato e, mentre la
donna continuava a osservarli con reverenziale ammirazione, Melantha intervenne
imbarazzata: “Beh, mi sono ricordata della volta in cui mamma mi disse che i
tuoi abiti, e la tunica che Aken indossava al suo ritorno dalla missione, li
avevi confezionati tu, così ho pensato che un dono del genere avrebbe potuto
andare bene. Spero di non essermi sbagliata.”
Il viso di Eikhe si aprì in
un largo sorriso mentre si sollevava per scrutare Melantha e, allungata una
mano nella sua direzione, le disse: “Possiamo anche non esserci comprese
all’inizio, ma so che ora sei cambiata, come anche io, del resto. Hai scelto in
maniera oculata, e apprezzo moltissimo questo dono. Grazie.”
“Grazie a te” replicò
Melantha stringendo la mano di Eikhe.
“Continuo a credere che
Mynias abbia nascosto nelle segrete del castello la vera Melly, e che qui abbia
portato una concubina molto somigliante a mia sorella” sogghignò Aken,
guadagnandosi uno schiaffetto sul braccio dalla madre, e un’occhiataccia da
parte di Melantha.
Ghignando, Mynias si servì
un pasticcino e brontolò: “Concubine? Vorrai scherzare, spero! Melly mi ha
fatto togliere quella legge dopo solo sei mesi dal nostro matrimonio. Non
potrei averne neppure se volessi.”
“Prevenuta, la sorellina”
ridacchiò Aken.
Melantha mise un adorabile
broncio mentre Renke, scrutando curiosamente il marito, chiedeva: “Non ho
controllato ma… c’è qualcosa del genere nel nostro
statuto?”
Ruak si limitò a ridere,
coinvolgendo tutti gli altri. Tranne Renke.
***
“Come avranno preso la
notizia?” sussurrò Eikhe all’orecchio di Aken, mentre gli massaggiava la
schiena con movimenti circolari delle mani.
“Non saprei. Mamma ha voluto
parlare loro in privato, perché non se la sentiva di parlarne ancora davanti a
me. Forse, temeva di fare riaffiorare il dolore” fece spallucce Aken,
afferrandole una mano per baciargliela.
“E che tipo di dolore è?”
“E’ mancanza di dolore, credo. Mi sento un po’ ipocrita, onestamente,
ma non so cosa farci. Lui non è più il padre che ho conosciuto e amato” sospirò
Aken, reclinando indietro il capo fino a scivolare sui seni nudi e bagnati
della compagna.
L’acqua nella vasca dove si
trovavano fluttuò leggera attorno a loro, al movimento del suo imponente corpo.
Avvolgendogli il collo con
le braccia, Eikhe allora lo baciò teneramente su una guancia punteggiata di
barba, prima di dirgli: “Il tuo cuore ha subito molti lutti, Aken, ed è stanco
di soffrire. Non fargliene una colpa, se ora non vuole piangere per un uomo
che, come dici tu, hai perso ormai da tempo. Ciò che ora si trova a Elion è un
corpo vuoto, non contiene più lo spirito che instillò in te l’amore.”
“Da dove ti viene tanta
saggezza?” cercò di ironizzare Aken, pur non avendone voglia.
“Dai miei molti lutti” fece spallucce lei, aprendosi in un sorriso.
“Tutto quel dolore, però, non potrà mai annullare la gioia che provo avendoti
al mio fianco.”
“E’ così anche per me” annuì
lui, voltandosi per averla di fronte, mentre lo sciabordio dell’acqua si
schiantava contro i fianchi della vasca e i loro corpi caldi e umidi. “Ti amo,
e non smetterò mai di amarti.”
Socchiudendo gli occhi a
fissarlo con tutto l’amore che aveva dentro, Eikhe gli prese il viso tra le
mani per avvicinarlo al proprio e, sulle sue labbra tumide, sussurrò: “Finché
il sole sorgerà e calerà oltre le montagne, finché l’inverno tornerà a lambire
le nostre terre, finché il vento soffierà nella valle che ci ha ospitati, io ti
amerò.”
Baciatolo con tenerezza,
Eikhe lo attirò a sé con la fermezza di ogni donna innamorata e Aken,
portandola con un gesto veloce sopra di sé, la fece sedere in grembo e le
sussurrò tra un bacio e l’altro: “Sei sicura che si possa?”
“Non sono così avanti con la gravidanza” emise un
risolino lei prima di cercare la sua erezione nel rimestio d’acqua che
galleggiava attorno a loro, e accompagnarlo dove desiderava tanto andare.
“Mooolto bene” ansò lui, baciandola
sul collo per poi iniziare a muoversi dentro di lei con spinte lente e
penetranti.
Chiusi gli occhi lentamente,
Eikhe si lasciò andare alle carezze leggere del compagno, mentre il dondolio
sonoro dell’acqua si alternava ai suoi mugolii di piacere e a quelli di Aken.
Il suo respiro si fece
sempre più accelerato, all’unisono con gli affondi del compagno che,
deliziandosi con il sapore mielato della pelle di Eike, alternava lunghe spinte
a baci infuocati.
Sussurrando più e più volte
il nome di Aken, Eikhe affondò le unghie nelle sue spalle, quando sentì ormai
prossimo il momento in cui avrebbe ceduto alla passione più accecante.
Prese con foga le sue
labbra, soffocò nella sua bocca l’urlo di piacere che le eruppe dalla gola
quando raggiunse l’acme assieme a lui e infine si accasciò contro di lui.
Mentre il rollio dell’acqua
andava rallentando attorno a loro, Aken continuò a massaggiarle la schiena e le
braccia, scivolando piano fuori da lei per riprendere a baciarle i seni.
Eikhe lo lasciò fare,
sfiorando i suoi capelli bagnati e le poderose spalle muscolose e segnate dal
pesante lavoro invernale che aveva svolto al villaggio.
“C’è così tanto ardore, in
te, mio caro, che dubito fortemente potrai mai invecchiare” sussurrò la figlia
sacra, inarcandosi verso di lui quando le carezze si fecero più audaci.
“Sei tu a mantenermi
giovane, tesoro” ridacchiò Aken prima di guardarsi intorno, scrutare la selva
di candele che avevano acceso nel bagno e aggiungere: “Sai una cosa, però?”
“No, dimmi” si interessò lei,
abbracciandolo prima di guardarsi a sua volta intorno per comprendere cosa lo
avesse bloccato.
Scostandola da sé, Aken le
stampò un bacio sulle labbra e dichiarò: “Voglio tornare a casa.”
“Non avrei saputo esprimermi
meglio, sai?” ridacchiò lei, tornando ad abbracciarlo strettamente. “E sei
giunto a questa conclusione facendo l’amore con me in questa vasca enorme?”
“Qualcosa del genere” ammise
lui, sollevandosi scrosciante dalla vasca e attirandola in piedi a sua volta.
Divorandola con lo sguardo
alla luce altalenante delle candele, dorata e perfetta ai suoi occhi, identica
a come l’aveva vista quella volta nella casamatta, tanti anni prima, sussurrò:
“Il nostro amore è nato e cresciuto nelle avversità. Non è fatto per gli agi di
un castello.”
“Come ho detto prima, non
avrei saputo esprimermi meglio” sussurrò lei, avvolgendogli il collo con le
braccia per poi levarsi in punta di piedi. “Pensi che Ruak se la prenderà?”
“Il mese è quasi passato.
Non siamo venuti meno alla nostra parola, e Hyo-Den ci aspetta” replicò Aken,
stringendola a sé prima di portarla fuori dalla vasca per avvolgerla in un
pesante asciugamano profumato.
Eikhe si limitò ad annuire
e, lasciando cadere l’asciugamano, se ne tornò in camera sotto lo sguardo
famelico di Aken.
Dopo aver spento le candele
nel bagno, decise che, quella sera, si sarebbe concesso una doppia porzione di
dolce, visto quant’era buono quel dolce. |
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Capitolo 34 *** Epilogo ***
Epilogo.
Un rintocco di campana riverberò nel suo
subconscio, sorprendendola.
Il suono era cupo, prolungato, lugubre,
si estendeva all’infinito nella sua mente, come se quel rumore così strano e
improvviso non volesse avere un termine, come se la gabbia del suo cervello lo
rendesse eterno.
Insonnolita e stranamente tesa, Eikhe
allungò a tentoni la mano al suo fianco, alla ricerca del corpo caldo del
compagno ma, nulla trovando, spalancò gli occhi solo per trovarsi avvolta dalla
quasi totale oscurità.
Le esili fiamme rimaste a sfrigolare nel
camino, ove gli ultimi ciocchi si stavano velocemente trasformando in carbone,
si univano al baluginare candido della luna piena.
Ben visibile dalla porta-finestra
spalancata sul balcone, penetrava nella stanza di Aken con un chiarore debole,
permettendole di vedere almeno in parte ciò che la circondava.
Lunghe e cupe ombre si estendevano sopra
i pesanti tappeti e una figura scura, in piedi sulla balconata, creava dietro
di sé quella più oscura tra tutte.
Dopo essersi stropicciata gli occhi nel
tentativo di cancellare le ultime tracce di sonno, Eikhe si rese conto che il
suono da lei udito nella mente non era solo frutto della sua fantasia, ma
qualcosa di reale.
Proveniente dalla città, il rintocco
lontano di una campana rimbombava tutt’intorno, scivolando sopra i tetti e
contro i muri di Rajana, portando con sé un sinistro messaggio.
Lasciate scivolare a terra le gambe in
un fruscio di stoffe e pellami, Eikhe afferrò la vestaglia da camera di Aken
che si trovava appoggiata su una sedia.
Dopo essersi avvolta nel leggero tessuto
di raso scuro, si avviò a piedi nudi verso l’imponente e oscura figura sul
balcone, ascoltando distrattamente il sibilo sordo della stoffa sulle pelli su
cui stava camminando.
Quell’esile rumore fece volgere a mezzo
la figura e il viso di Aken, ora in ombra, fissò quello preoccupato della compagna prima
di esalare: “Come mai sei sveglia?”
“La campana” si limitò a dire lei, prima
di raggiungerlo e avvolgergli la vita con un braccio.
A torso nudo e con indosso solo le
brache di pelle, Aken le avvolse teneramente le esili spalle.
“Suona a lutto.”
Il corpo di Eikhe si irrigidì
immediatamente mentre gli occhi correvano al viso del compagno, scolpito nella
luce diafana della luna come una statua di marmo.
I suoi occhi, quasi trasparenti sotto
quel candido bagliore, non riflettevano alcun tipo di emozione, quasi fossero
stati congelati in quell’istante eterno.
Stringendosi a lui, Eikhe gli posò il
viso contro il torace, sussurrando: “Tuo padre?”
Lui si limitò ad annuire mentre, alla
porta della loro stanza, un quieto bussare si accompagnò alla richiesta di
Antalion di poter entrare.
Aken borbottò un assenso sforzato e,
mentre il figlio si avventurava nella stanza con aria accigliata e preoccupata
assieme, Eikhe si scostò dal compagno per accoglierlo e chiedergli: “Cosa c’è,
Antalion? Qualche problema?”
“No, mamma, ma… è quello che penso?” le
chiese, indicando poi con un cenno del capo il padre, che non si era ancora
voltato a guardarlo.
La madre annuì una sola volta e il
figlio, senza dire nulla, raggiunse il padre accanto alla finestra e gli
avvolse la vita con un braccio prima di appoggiarsi a lui.
Aken non aprì bocca, né ve ne fu alcun
bisogno e, strettosi il figlio al fianco, gli avvolse le spalle con il braccio
prima di baciarlo silenziosamente sul capo.
Gli occhi erano serrati, e le labbra
tese in una linea sottile e pallida.
Non c’era molto da dire, in quel
momento, né Eikhe aveva la minima idea di come si sentisse Aken in quel
particolare frangente, visto quando il suo rapporto con il deposto re fosse
stato complicato, in quegli anni.
“Eikhe?”
Volgendosi a mezzo verso la porta, rimasta
socchiusa, la donna scorse il viso pallido e insonnolito di Liana spuntare
oltre il battente di quercia.
Sorridendole, le andò incontro e chiosò:
“Non dorme nessuno, stanotte?”
Con l’abbozzo di un sorriso a
illuminarle il viso, Liana entrò, sistemandosi sulle spalle il panno di lana
che si era portata dalla camera.
Fissando le due alte figure silenziose
alla finestra, sussurrò: “E’ morto il padre di Aken, vero?”
“Già” annuì Eikhe, portando a sua volta
lo sguardo su compagno e figlio.
“L’ho immaginato, quando ho sentito il
suono di quella campana” sospirò Liana, mordendosi un labbro. “Posso fare
qualcosa?”
“Vai da lui. Sono sicuro che apprezzerà
anche la tua presenza” le consigliò Eikhe, sorridendole benevolmente.
Senza lasciarselo ripetere, Liana
trotterellò verso l’imponente figura di Aken e, incuneandosi con delicatezza
sotto il suo braccio libero, lo strinse con tutta la forza di cui era capace
prima di sussurrargli: “Mi spiace tanto, Aken!”
“Liana!” esalò lui, sorridendole
spontaneamente. “Tesoro, che ci fai in piedi a quest’ora?”
“Ho sentito la campana, e ho pensato
potesse essere successo il peggio” gli spiegò lei, mettendo il broncio.
Piegatosi per darle un bacio sulla
fronte, Aken se la strinse al petto e disse: “Grazie, bambina. Mi fa piacere
che sia qui anche tu.”
Eikhe li ammirò ancora per qualche
attimo prima di avvicinarsi a sua volta, poggiarsi contro la schiena del
compagno e mormorare sommessamente: “Siamo tutti qui per te, amore mio. Saremo
il tuo sostegno.”
Aken annuì un paio di volte, in
silenzio, non sapendo bene come esprimere a parole tutto ciò che stava provando
in quel momento.
Era soffocato da contrastanti emozioni,
tutte troppo violente per poter essere controllate da un semplice strumento
come la voce.
Ristette perciò in piedi a contemplare
quella che un tempo era stata la sua città, senza più conoscerla veramente,
sentendosi estraneo tra estranei, mentre il suo mondo, il suo vero mondo, lo
avvolgeva protettivo.
Sì, quel luogo non era più suo, ormai,
né lui ne era più parte.
Era tempo di andarsene, di tornare alla
sua vera casa.
Avrebbe reso onore al padre e alla sua
vecchia famiglia, ma non se la sentiva più di rimanere.
Questo non era più il suo posto.
“Andiamo a letto a cercare di riposare.
Non ha senso restare qui in piedi a prendere freddo” disse a un certo punto,
tirandosi dietro Antalion e Liana, mentre Eikhe si scostava per lasciarlo
indietreggiare.
Chiuse le imposte, e tirati i pesanti
tendaggi di panno scuro solo dopo aver dato il tempo ad Aken di accendere una
candela, Eikhe guardò i due giovani con loro e disse: “Rimanete qui, per
favore.”
Antalion e Liana annuirono e, mentre
Aken si sistemava nell’enorme letto a baldacchino, i due ragazzi si sistemarono
al suo fianco, abbracciandolo stretto e stringendosi a lui per non fargli
mancare il loro calore umano.
Eikhe, da ultima, si issò sul letto e
abbracciò Liana, allungandosi poi ad accarezzare il capo di Aken, dicendo con
un sussurro debolissimo: “Così il branco cura il dolore.”
“E’ un buon metodo” esalò Aken,
poggiando la fronte contro quella del figlio.
“Condivideremo il tuo dolore finché lo
vorrai” gli promise Antalion con voce leggermente incrinata dall’emozione.
“Grazie. A tutti voi” sussurrò l’uomo,
chiudendo finalmente gli occhi mentre la candela da lui accesa, solitaria,
brillava sul comodino lanciando ombre tremolanti per tutta la camera.
***
Un cielo plumbeo ricopriva la città di
Rajana, stranamente silenziosa, quella mattina.
La campana fatta suonare
a lutto era stata sentita – e ascoltata – da ogni abitante della capitale e,
come da prassi, qualsiasi attività commerciale sarebbe rimasta chiusa per l’intera
giornata.
Ciò avrebbe permesso ai
cittadini di rendere omaggio al ricordo del defunto re di Enerios.
Nessuno di loro sapeva cosa lo
avesse portato a quella fine prematura, e così avrebbe dovuto essere fino alla
fine dei tempi.
Né Aken, né tanto meno Ruak, avevano
intenzione di rimuginare troppo su ciò che erano stati costretti a fare, per
difendersi dalle azioni sempre più sconsiderate di un uomo che aveva perso,
molto tempo prima della morte, il lume
della ragione.
Il popolo sarebbe stato tenuto all’oscuro
di ogni cosa, e ricchi festeggiamenti sarebbero stati celebrati per
accompagnarne la sua anima nel regno dei morti.
Per i figli del deposto re, però, non vi
sarebbe stata soddisfazione alcuna, né pace dell’animo.
Chi per un verso, chi per un altro,
tutti loro avevano sofferto dei suoi capricci, e nessuno aveva la forza di
ricordarlo con l’affetto che ci si potrebbe aspettare da dei figli devoti.
Aken era stato recluso nella sua stessa
città per sedici, lunghi anni, a causa dello sciagurato patto sottoscritto con
il genitore.
Melantha era stata costretta a sposarsi
pur quindicenne, pur senza conoscere minimamente il suo futuro marito.
Per quasi un anno, inoltre, aveva
ricevuto lettere dal padre che le intimava di rimanere incinta, se non voleva
essere pubblicamente disconosciuta come figlia.
Quando Mynias aveva scoperto il
contenuto delle missive, le aveva fatte bruciare tutte e, da quel giorno in
poi, non una sola lettera inviata dal re di Enerios era più stata aperta nel
palazzo reale di Karton.
Finalmente, Melantha si era potuta
sentire libera dall’opprimente ombra del padre.
Ruak, da ultimo, si era caricato sulle
spalle non solo il dolore di vedere la sofferenza del fratello – senza
conoscere anche quella della sorella – ma aveva dovuto prendere l’annosa
decisione di destituire il proprio padre dal trono.
Segregarlo perché non potesse più fare
del male a nessuno, era stato poi l’ultimo peso da sobbarcarsi sulle spalle.
Nessuno di loro, in quella fredda
mattina solcata da gelidi venti provenienti da nord, aveva voglia di pregare
per l’anima del loro defunto padre.
La regina madre non se la sentì di
criticare, né di replicare alcunché di fronte alle loro facce pietrificate.
I figli dei principi erano chiusi in uno
dei salottini del primo piano, intenti a raccontarsi vicendevolmente aneddoti
sul loro nonno ormai trapassato.
Antalion e Liana li ascoltavano assorti,
cercando di dare un volto a un uomo di cui avevano solo sentito parlare, e non
certo in maniera positiva.
A ben vedere, nessuno di loro sembrò
discostarsi molto dall’immagine che il giovane figlio sacro si era fatto del
nonno, e cioè di una persona fredda, poco propensa al riso e alle dimostrazioni
di affetto.
Stentava sempre di più a comprendere da
chi avesse preso suo padre che, al contrario, era prodigo di attenzioni e di
certo non lesinava con i sorrisi e le risate.
Forse, la nonna che nessuno di loro
aveva conosciuto, doveva essere la causa prima del buon carattere di Aken, ma
non avrebbe mai potuto saperlo con certezza.
Eikhe raggiunse i ragazzi verso metà
mattina e, con un mesto sorriso rivolto a tutti quei giovani virgulti dell’alta
società, si accomodò al fianco del figlio e disse: “Nel pomeriggio, si terrà la
processione fino al tempio. Mangeremo leggero e subito dopo indosseremo i
mantelli neri per raggiungere il Prelato di Rostor, e lì pregheremo perché
l’anima di vostro nonno raggiunga il Nulla assieme alla Luce di Iralva.”
“Voi figli del branco non credete nei
nostri stessi dèi, vero, zia Eikhe?” gli chiese con sincera curiosità Berhen.
“Infatti, Berhen. Sei ben informato. Noi
crediamo nel dio-lupo Hevos e nel dio-corvo Haaron. Sono i detentori della vita
e della morte e di tutte le loro declinazioni” gli spiegò succintamente Eikhe,
sorridendogli.
“Ho studiato qualcosa in merito, grazie
alla figlia del branco che ha conosciuto mia sorella Elren…” assentì pensieroso
Berhen, massaggiandosi distrattamente il mento imberbe. “… ma mi è parso di
capire che voi li consideriate qualcosa di più, di semplici emanazioni
spirituali.”
Il sorriso sornione che sorse sul viso
di Eikhe disse molto al giovane che, impallidendo leggermente, esalò: “Ci
credete sul serio!”
“Posso dirti questo, giovane principe e
nipote…” esordì Eikhe, prima di sorridere al figlio per un momento, e
aggiungere: “…io incontrai Hevos, durante il mio viaggio di ritorno verso
Rajana e, con me, c’era anche tuo zio. Lui, invece, passò più di dieci giorni
assieme al dio-lupo, quando venne da me per ritrovarmi. Chiedi a tuo zio Aken,
se non vuoi credere alle mie parole.”
Deglutendo a fatica, mentre tutti gli
altri ragazzi fissavano la zia con aperta sorpresa e reverenziale timore,
Berhen scosse debolmente il capo e mormorò con voce insicura: “No…no, ti credo,
zia. Non avresti motivo di mentire. So che non vuoi impressionarci.”
“Molto bene, nipote. Sono lieta di
sapere che sai riconoscere la verità, quando la senti” sorrise bonariamente
Eikhe prima di dargli un buffetto sulla guancia e aggiungere: “Hevos è un dio
generoso, ma sa anche essere implacabile, quando vuole. E’ un dio giusto e,
come tale, non concede sconti a nessuno, anche se a volte agisce in modo per
noi incomprensibile.”
“E’ stato giusto anche quando non ha
fatto nulla per riavvicinarti ad Aken prima di qualche mese fa?” si arrischiò a
chiedergli Berhen, sorprendendola leggermente.
“Come sai che…” tentennò Eikhe.
Arrossendo leggermente, Berhen le
spiegò: “Mamma mi disse di averti fatto un grave torto, in gioventù, e si
raccomandava spesso che io e i miei fratelli non commettessimo i suoi stessi
errori. Mi disse di te, di come salvasti suo fratello senza paura del pericolo,
e di come ti avesse mal giudicata solo perché non conosceva il tuo stile di
vita, così diverso da quello cui lei era abituata. Quando si sposò con papà,
vide quelle vicende con occhio diverso, e comprese cosa legasse te e lo zio.”
“E da dove le è venuto questo pensiero?”
“Da papà. Almeno, stando a quel che mi
ha detto lei. Era terrorizzata all’idea di non aver compiuto abbastanza passi
avanti, di non essere degna del tuo perdono” sorrise imbarazzato Berhen,
passandosi una mano sui morbidi capelli castani.
“Anch’io non fui cordiale con lei,
all’epoca, e temo per lo stesso motivo” ridacchiò Eikhe. “Venivamo da due mondi
differenti, ed eravamo in un’età in cui non si è molto altruisti, tutt’altro. Per
questo, prima di partire, le feci dono dell’occhio
di lupo. Fu il mio modo di chiedere scusa per non aver neppure tentato di
capirla.”
Berhen assentì, e la zia proseguì nel
dire: “Avere al fianco persone generose, e in grado di aprirci gli occhi, può
servire a smussare certi difetti, e tua madre è una donna molto diversa, oggi.
Migliore. E, per rispondere alla tua domanda, Berhen, Hevos aveva altri
progetti, per me e Aken.”
“In che senso?” volle sapere lui,
piegandosi per poggiare un gomito sul ginocchio.
“Sai quello che Aken ha fatto qui a
palazzo, vero?”
Al suo assenso, proseguì dicendo:
“Mentre lui compiva un cambiamento qui, io lo facevo lassù, tra le mie sorelle.
Neppure noi eravamo esenti da difetti e, in questi anni, abbiamo entrambi
compiuto ciò che era necessario fare. Nulla poteva rimanere come un tempo,
c’era bisogno di una svolta.”
“Quindi Hevos vi ha… usati? Si può
dire?”
“Ci ha ritenuti idonei a compiere il
primo passo lungo una nuova via” precisò Eikhe, sorridendogli generosamente.
“Voi siete il frutto di quel cambiamento. Siete di mentalità aperta, non vi
fate fuorviare dall’aspetto, o dall’ipotetica importanza di coloro che vi
trovate davanti, e trattate le persone con equità e rispetto. Questo è
ciò che Hevos voleva.”
Berhen si limitò a emettere un basso
fischio prolungato, fissando con ammirazione la zia e Naell, seduta accanto ad
Antalion, chiese ad Eikhe: “Posso venire al villaggio con te, zia?”
La donna scoppiò a ridere assieme a
tutti i suoi nipoti mentre Naell, non comprendendo appieno i motivi di
quell’ilarità, si limitò a fare spallucce prima di bofonchiare: “Prima o poi
verrò.”
Sulla porta del salottino, abbigliata
con un vestito di seta e velluto neri, Renke sorrise per un breve momento a
quel quadretto rilassato.
“Quando sarai più grande, se ancora lo
vorrai, chiederemo alla zia di accoglierti per qualche settimana. Va bene,
Naell?”
Tutti si volsero sorpresi in direzione
della regina ed Eikhe, fissandola a occhi sgranati, si alzò in fretta,
chiedendole: “Ma… ne sei sicura?”
Reclinando il viso a scrutare quello
speranzoso e pieno di aspettative della figlia minore, Renke chiosò: “Come hai
detto tu, loro sono il cambiamento. E chi sono io per bloccarlo? Mi spiacerà
vederla partire ma se, quando avrà compiuto dodici anni, vorrà ancora venire da
te per conoscere come vivono le figlie del branco, non glielo impedirò. E’
sbagliato compiere scelte per loro, che condizioneranno la loro vita per
sempre. Nei limiti del possibile, permetterò sempre loro di fare quel che
vogliono. Mi accontenterò di consigliare, se mai vorranno darmi ascolto.”
Meriton, Staryn e Naell raggiunsero la
madre per abbracciarla e Renke, sorridendo loro con amore, ridacchiò mentre Eikhe
commentava: “Direi che questa è un’ottima risposta.”
***
Il cappuccio di velluto
scese a coprire parte del suo volto, un’ombra scura e morbida che le fasciava
il viso e il corpo, rendendola in tutto e per tutto simile a coloro che aveva
al fianco.
Non v’erano gradi, corone o stemmi che
tenessero.
Di fronte a Rostor, si era sullo stesso
piano, e i mantelli servivano ad annullare la bellezza degli abiti, quanto
l’identità dei partecipati al rito funebre.
Il cielo si era rischiarato leggermente,
lasciando che tra le nubi si incuneassero sprazzi di azzurro e qualche lama di
sole, che illuminava tratti di strada e tetti di case.
L’aria continuava a essere fredda e i
mantelli, di certo, erano un conforto, ma Eikhe dubitava fortemente che i figli
e la moglie del defunto re ne avrebbero tratto giovamento alcuno.
A pranzo, non avevano mangiato nulla e,
sui loro volti smunti, non si era mai palesato neppure un sorriso di
circostanza.
La figlia sacra, però, non sapeva dire
se fosse per il troppo dolore, o per la totale mancanza di esso.
Parevano frizzati nel tempo, come se non
fossero realmente lì e, quando Eikhe prese per mano il suo compagno, sentì solo
il gelo, ad accoglierla.
Come un lento fiume d’inchiostro, la
famiglia reale e la corte tutta si incamminò mestamente, oltrepassando i
portoni aperti del castello e riversandosi sulla via principale.
A muta testimonianza del lutto, i
cittadini attendevano il loro passaggio, tenendosi alle spalle di due cordoni
di soldati preposti al mantenimento dell’ordine.
Qualche fiore venne gettato sul selciato
della strada, prima del passaggio di re Ruak che, a capo chino e completamente
velato in viso dal pesante cappuccio di velluto, non salutò né indirizzò
sorrisi di ringraziamento alla folla.
Renke, al suo fianco, pensò a
sostituirlo, sorridendo alle persone presenti e ringraziandoli con brevi cenni
della mano o del capo.
Poco addietro, assieme a suo marito e ai
figli, Melantha tenne un comportamento non dissimile dal fratello maggiore, le
braccia strette intorno al piccolo Aken e il viso poggiato sui suoi capelli profumati.
Non una mosca si udiva tutt’intorno,
solo il fruscio dei mantelli e lo scalpiccio delle scarpe sulla pietra della
strada.
Eikhe non seppe mai quanto tempo
impiegarono per raggiungere il tempio.
Né, di certo, quanto tempo passarono
all’interno delle mura della casa di Rostor, costruzione dalle pareti dipinte
di nero e abbellite solo da alcuni rosoni colorati.
Solo una cosa le fu chiara; non vi
sarebbero state lacrime, da parte di nessuno di loro.
Arkan non poteva più essere pianto,
ormai, perché egli non dimorava più tra loro da molto, moltissimo tempo.
Quando infine, verso sera, il corteo
tornò entrò i confini del palazzo reale, e le rispettive famiglie si riunirono in
uno dei salottini, Aken prese da parte Ruak e, con un sospiro, disse: “Intendo
andarmene domani stesso.”
“Mi sorprende che tu abbia voluto
partecipare alla commemorazione di oggi” replicò Ruak senza alcuna sorpresa
nella voce.
“L’ho fatto solo per nostra madre, ma
non credo che neppure a lei sia interessato granché, quel che abbiamo celebrato
oggi” sbuffò Aken, lanciando uno sguardo verso l’esterno.
Il sole aveva ormai lasciato il posto al
crepuscolo, e i tetti delle case erano illuminati da lame di luce rosso fuoco,
sempre più deboli e solitarie.
Ben presto, i lampioni a olio sarebbero
stati accesi per le vie, e le ronde notturne avrebbero iniziato i loro giri di
controllo per la città.
I bambini sarebbero stati ben presto
messi a dormire, e i genitori si sarebbero ritagliati del tempo per riposare le
membra e passare qualche minuto con l’amato o l’amata.
Il ciclo della vita non aveva subito
mutazioni, tutto era rimasto intatto e, pur se tutto ciò era vero come il
sorgere e il calar del sole, nessuno di loro era più lo stesso.
Aken sentiva ormai il bisogno di ritrovare
se stesso.
“Hai perso la luce nello sguardo, stando
qui. Pensi non me ne sia accorto?” continuò a dire Ruak, dandogli una pacca
sulla spalla. “Sono stato felicissimo di vedervi tutti, ma diamine, non voglio
distruggerti quando, per tanto tempo, ho agognato solo che di salvarti!”
“Mi sento soffocare, ma non è colpa
vostra. Vorrei che fosse chiaro…” tenne a precisare Aken, tornando con sempre
maggiore frequenza a scrutare l’orizzonte ormai buio. “… ma questo non è più il
mio posto, e ho bisogno di tornare a casa. Alla mia vera casa.”
“Lo so” sospirò il re, seguendo lo
sguardo del fratello oltre il pannello di vetro della finestra. “Mi mancherai
tremendamente, ma so che qui non ti trovi bene… indipendentemente da tutti
noi.”
“Scusami” abbozzò un sorriso Aken,
aggiungendo: “Mi sento tremendamente egoista, ma proprio non ci riesco.”
“Hai tutto il diritto di essere egoista,
visto quello che hai passato qui in questi anni” replicò gentilmente Ruak,
prima di voltarsi a fissare il profilo serio e pacifico della madre e dire:
“Penso che ora si sentirà in qualche modo più leggera. Dopotutto, neppure la
sua vita è stata immune da sofferenze.”
“Già” annuì Aken, senza aggiungere
altro.
“Desideri salutarci in pompa magna,
domattina, o andrai via al sorgere del sole?” gli chiese a quel punto il
fratello.
“Vale la seconda.”
Si volse per abbracciarlo strettamente e
aggiunse: “Vi saluterò tutti stasera e poi, col fare dell’alba, ripartiremo.”
“Hai la mia benedizione, fratello, e
tutto il mio amore” gli sussurrò contro la spalla Ruak, accentuando la stretta
per un attimo. “Manderò le mie lettere a Kannor perché le giri a te, va bene?”
“Scendiamo a Marhna almeno una volta al
mese, quindi non ci saranno problemi. Io, Eikhe o An passeremo da lui per avere
notizie, o per inviartene. Non sarà come bussare alla porta del tuo studio
tutte le mattine ma… beh, potrà funzionare anche così.”
“Funzionerà, ne sono sicuro” annuì certo
Ruak prima di sorridere alla madre e alla sorella, che si stavano avvicinando a
loro con passo tranquillo.
“Quell’abbraccio sapeva tanto di addio”
esordì Melantha, scrutando i due fratelli con occhi lucidi.
“Sei diventata sensitiva, sorella?”
ridacchiò Aken, chinandosi a darle un bacetto sulla guancia prima di stringerla
in un tenero abbraccio.
“Anni di pratica passati a imparare come
si stava al mondo” brontolò Melantha, dandogli una pacca sul torace prima di
aggiungere: “Ma posso sempre tornare al mio vecchio Io, se vuoi assaggiare la
sferza della mia lingua per l’ultima volta.”
Scoppiando a ridere sommessamente, il
fratello maggiore declinò gentilmente l’invito e asserì: “Come ho detto a Ruak,
potremo sempre tenerci in contatto tramite lettera. Non sarà lo stesso ma…”
“…è sempre meglio di niente. Ma desidero
conoscere il mio futuro, o la mia futura nipote. Quindi, vedi di escogitare
qualcosa, fratello, perché non accetterò un ‘no’
come risposta” tenne a puntualizzare Melantha prima di lasciarsi sfuggire una
lacrima ribelle.
Aken la raccolse con il pollice,
cancellandone la vista con una carezza. “Troverò il modo, promesso.”
“Bene” ansò lei, ormai senza voce e con
un groppo in gola più che mai doloroso.
Sorridendo alla madre, Aken abbracciò
anche lei e le chiese: “Non sei arrabbiata con me, vero?”
“Perché vuoi continuare a vivere la tua
vita? Direi piuttosto; finalmente!” disse Anladi, cercando di fare dell’ironia.
“Tu e la tua famiglia avete bisogno di tornare a casa, ed è giusto che sia
così. Aspetterò notizie da parte tua e di tutti i tuoi cari, ma non sarò mai
così egoista da tenerti qui, perché desidero vederti tutti i giorni. Sei
libero, Aken, e il nostro amore ti seguirà in ogni momento.”
“Lo so, mamma. Lo so” annuì lui,
baciandola sulla fronte.
***
“Come ti senti?”
Aken volse il viso per puntarlo su
quello tanto amato di Eikhe, che cavalcava al suo fianco lungo la Carovaniera
Settentrionale.
“Come se mi avessero tolto un peso dalle
spalle.”
Quella mattina, al sorgere del sole,
come promesso alla sua famiglia, avevano fatto armi e bagagli ed erano scesi
alle scuderie per prendere i cavalli e prepararli per il viaggio.
Lì, ad attenderli, avevano trovato Meyor
e un cesto di vimini ricolmo di cibo fresco.
Da quello che aveva spiegato loro il
ragazzo, sua madre aveva voluto prepararlo per tutti loro, per il viaggio che
li avrebbe condotti fino a Marhna, e oltre.
Aken l’aveva ringraziato al pari della
sua famiglia, raccomandandosi di salutare calorosamente sua madre.
Mentre Meyor li aiutava a legare sacche
e mantelli alle selle dei cavalli, il principe gli aveva infine detto:
“Diventerai un grande cavaliere.”
“Perché ho avuto un grande insegnante”
gli aveva replicato Meyor con un gran sorriso.
Ora Rajana occupava solo un piccolo posto
nello sconfinato orizzonte alle loro spalle, e le creste innevate dei monti si
facevano di momento in momento più vicine.
Ci sarebbe stato da sfacchinare, da
costruire una culla per il piccolo in arrivo, sicuramente da aggiustare qualche
finestra rotta o da sistemare le tegole sul tetto, ma andava bene così.
Era la vita che si era scelto, non che
gli avevano imposto.
E lui voleva quella vita, con tutto se
stesso.
Lasciando vagare lo sguardo sul volto
del figlio, che gli stava sorridendo raggiante, e su quello di Liana, che non
sapeva se rallegrarsi del loro ritorno a casa, o preoccuparsi a morte per come
l’avrebbe accolta la madre, Aken seppe di essere nel luogo in cui voleva stare.
“Parleremo noi a Fyona, stai tranquilla,
Liana” la rassicurò Aken, dandole una pacca sulla spalla.
Lei lo ringraziò con un sorriso
dolcissimo, e Aken si sentì più sollevato.
Tornando sul viso di Eikhe, illuminato
dal sole e brillante come l’oro dei suoi occhi, annuì al suo sguardo e aggiunse
alla sua precedente affermazione: “Mi sento bene. Mi sento vivo.”
Noi due, quanto
a lungo fummo ingannati,
ora metamorfosati fuggiamo veloci come fa la Natura,
noi siamo Natura, a lungo siamo mancati, ma ora torniamo,
diventiamo piante, tronchi, fogliame, radici, corteccia,
siamo incassati nel terreno, siamo rocce,
siamo querce, cresciamo fianco a fianco nelle radure,
bruchiamo, due tra la mandria selvaggia, spontanei come chiunque,
siamo due pesci che nuotano insieme nel mare,
siamo ciò che i fiori di robinia sono, spandiamo profumi nei sentieri
intorno le
mattine e le sere,
siamo anche sterco di bestie, vegetali, minerali,
siamo due falchi, due predatori, ci libriamo in alto nell’aria e guardiamo
sotto,
siamo due soli splendenti, siamo noi due che ci bilanciamo
sferici, stellari, siamo come due comete,
vaghiamo con due zanne e quattro zampe nei boschi, ci lanciamo sulla preda,
siamo due nuvole che mattina e pomeriggio avanzano in alto,
siamo mari che si mescolano, siamo due di quelle felici
onde che rotolano l’una sull’altra e si spruzzano l’un l’altra,
siamo ciò che l’atmosfera è, trasparente, ricettiva, pervia, impervia,
siamo neve, pioggia, freddo, buio, siamo ogni prodotto, ogni influenza del
globo,
abbiamo ruotato e ruotato finché siamo arrivati di nuovo a casa, noi due,
abbiamo abrogato tutto fuorché la libertà, tutto fuorché la gioia.
Walt
Whitman
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Spero che la storia vi sia piaciuta. Grazie a tutti coloro che mi hanno seguita, hanno commentato e hanno condiviso con me quest’avventura! La prossima avventura dei nostri eroi si intitola 'L'eredità del lupo'! Vi aspetto! ^_^
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