Calibri

di lar185
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Principe ***
Capitolo 2: *** Folle quotidianità - ben nascosta ***
Capitolo 3: *** La possibilità di scelta, - prove di maturità ***
Capitolo 4: *** Mai sul serio, - mai profondamente ***
Capitolo 5: *** Dopo un attimo, tutto era finito ***
Capitolo 6: *** Ricerche ***
Capitolo 7: *** Ricordami sempre come il tuo unico amore ***
Capitolo 8: *** Con l'amore che non immagini ***
Capitolo 9: *** Credendo che tu sia solo mia ***
Capitolo 10: *** Tuo - non più per sempre ***
Capitolo 11: *** Cosa hai fatto, amore? ***
Capitolo 12: *** Calibri ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Principe ***


  • Un caffè per favore-
Bianca non prendeva mai il caffè, ma questa era una situazione di emergenza. Tutti prendono il caffè quando si tratta di iniziare una giornata importante, lo aveva visto anche nei film. E poi faceva uno strano effetto dire al cameriere del bar “un caffè per favore”. Sembrava di essere una donna in carriera.
Il cameriere le lanciò un’occhiata furtiva, Bianca si chiese se l’ansia che aveva addosso stesse trapelando attraverso i suoi occhi o le sue parole. Rimase in silenzio e ferma mentre le mani iniziavano a sudarle, seduta sullo sgabello del bar a fissare il vuoto.
Stava per prendere un caffè senza un motivo valido, questo la faceva sentire un po’ idiota. Si passò le mani sulle cosce per pulirsele dal sudore e si portò una cicca di capelli biondi dietro l’orecchio. Non bastava il fatto che tra meno di un’ora sarebbe entrata a scuola per sostenere l’esame di stato, ci si metteva anche il caldo. Se c’era una cosa che Bianca non sopportava, era il caldo: quello di quel giorno, per essere sinceri, era pura afa. Un’afosa giornata di luglio in una delle città più calde della zona Sud, Napoli.
E un esame di stato che le saliva attraverso la schiena, chiedendo un caffè.
Bianca immaginò un triangolino viola che si arrampicava sui suoi riccioli, si sedeva sulla sua testa e beveva il suo caffè.
Rise di se stessa, poi pensò che l’ansia la stava conducendo alla follia.

  • Ecco a lei-
La voce grave del giovane cameriere irruppe nei suoi pensieri anomali. Bianca alzò gli occhi spaesata e vide il viso del giovane che sorridendo le poggiava dinanzi la tazzina di caffè. Aveva i capelli scuri e un paio di occhi verde smeraldo.
  • Gradisce un bicchiere d’acqua?- chiese dopo un attimo, gentilmente.
Questo accadeva spesso, Bianca lo sapeva. Nei bar, insieme al caffè, si offriva anche un bicchiere d’acqua. Anche se sinceramente non aveva mai capito perché dopo il caffè uno dovrebbe avere sete di acqua. Il caffè e l’acqua sono due cose diverse, separate, semplicemente distanti. E’ come voler bere un bicchiere di latte dopo il pollo con le patatine. Non ha senso.
Ma in quel momento non doveva dare ascolto ai suoi pensieri, doveva rispettare una routine, quella degli adulti, che prima di andare al lavoro entrano in un bar, prendono un caffè e un bicchiere d’acqua. Dunque doveva accettare.

  • Si, grazie- rispose con un mezzo sorriso.
Il cameriere sorrise a sua volta e con un movimento veloce le offrì un bicchiere di plastica colmo d’acqua.
Bianca sorrise, poi prese in mano la tazzina di caffè. Sentiva l’odore inebriarla mano mano che avvicinava la tazza alla bocca. Bevve tutto d’un sorso, come aveva visto fare molte volte.  Un sapore amarognolo le riempì la bocca e la gola, e non poté fare a meno di fare una smorfia.
Aveva dimenticato di zuccherarlo.
Riportò la tazza sul piattino, e mentre stava ancora ingoiando quella brodaglia amara, la sua attenzione fu attratta da una strana creatura che aveva appena fatto il suo ingresso nel bar.
Bianca non aveva mai visto una persona più stravagante.
La ragazza che aveva illuminato con il suo avvento l’intero locale aveva un corpo sinuoso e leggiadro; era alta e slanciata, la sua pelle era bianca come il latte e lunghi e mossi capelli rossi le scendevano lungo il corpo fino alla vita. La luce del sole faceva brillare quei capelli come se fossero stati d’oro, e anche la sua pelle sembrava emanare una strana luce. Bianca si chiese come mai, in pieno luglio, quella giovane non fosse abbronzata neanche un po’.
Quando si voltò nella sua direzione, Bianca osservò anche il suo viso: aveva un naso piccolo, sottile e ricoperto di lentiggini chiare, gli occhi erano grandi e azzurri, contornati da ciglia bionde, le labbra erano sottili e rosee. Aveva una t-shirt gialla e verde che lasciava le braccia e le spalle scoperte, una gonna di jeans corta sulle ginocchia e un paio di sandali marroni, che si abbinavano perfettamente con la borsa dello stesso colore, a frange.
Con un sorriso radioso si sedette accanto a Bianca e con voce smielata disse:

  • Buongiorno! Ehm, potrei avere un cappuccino? Non molto caldo per favore. E una brioche alla marmellata. Solo all’albicocca, però. Ce l’avete di ciliegia? Oh, va bene, per questa volta fa lo stesso. Infondo, col cappuccino non ci sta tanto male!-
Bianca non poté fare a meno di restare a fissarla per qualche momento a bocca aperta. Di sicuro non era del luogo. Eh no, molte cose lo indicavano: come prima cosa, la carnagione eccessivamente chiara. Anche il napoletano più cadaverico sarebbe stato più scuro di lei. Poi c’era l’accento: quello di sicuro non era napoletano. Non lasciava cadere le parole e non ne appesantiva nessuna: era certa che non fosse di Napoli, eppure non riusciva a individuare se la parlata le ricordava qualche altro dialetto.
Lo stesso cameriere che aveva servito Bianca servì anche la nuova arrivata, che sorrideva beatamente come se si trovasse dinanzi alla cosa più bella del mondo. Bianca pensò che aver incontrato una persona tanto stramba fosse di buon augurio per il suo esame di stato.
Una speranza.
Un auto convincimento.
Oh già, doveva essere un auto convincimento, perché di sicuro non poteva essere la realtà.
Bianca afferrò il bicchiere d’acqua che aveva davanti e se lo portò alle labbra. Aveva intenzione di berlo velocemente ed andare via,  quando la ragazza parlò di nuovo.

  • Mi scusi…?- disse, alzando il dito rivolta al cameriere.
  • Mi dica signorina- rispose quello, sorridendole.
La giovane fu imbarazzata dal suo sorriso come una bambina alla quale viene fatto un complimento, abbassò lo sguardo per un frazione di secondo e poi riprese dicendo:
  • E’ passato di qui per caso un principe?-
Il cameriere la guardò stralunato, Bianca evitò per un pelo di strozzarsi con l’acqua.
  • Come dice?-
Il giovane cameriere aveva un’espressione contesa tra il divertito e il perplesso.
  • Un principe- ripeté lei, e poi, scandendo le sillabe: - prin-ci-pe-
Bianca si diede un colpo sul petto e iniziò a tossire.
La ragazza e il cameriere la guardarono, Bianca avrebbe voluto dir loro che non si stava affogando, era solo un po’ d’acqua di traverso, ma non riusciva a parlare.
La ragazza le diede un leggerissimo colpetto sulla schiena e d’un tratto Bianca smise di tossire.

  • Stai bene, cara?- le domandò poi, dimenticando per un attimo la questione del principe.
Bianca arrossì.
  • Ehm, si, grazie- rispose in un sussurro.
La fanciulla le rivolse un altro sorriso e tornò a guardare il cameriere, che sembrava sempre più perplesso ad ogni momento che passava.
  • Allora?- chiese di nuovo la giovane.
  • Cosa?- chiese il giovane cameriere, fingendo di aver dimenticato la sua precedente domanda.
  • Le chiedevo del principe,- ripeté in assoluta tranquillità la ragazza, - se ha visto per caso un principe-
Bianca evitò di bere altra acqua, il cameriere trattenne una risata.
  • Principe ha detto?-
  • Già. Un principe. Non mi dica che non ne ha mai visto uno-
Il cameriere alzò le spalle.
  • Beh, solo in televisione, e di solito non c’è mai tanto da dire su di loro. Principe William, principe Henry… non molto utili alla società-
La giovane sembrava sconcertata.
  • Oh- sospirò, portandosi una mano alla bocca, - ma a parte la televisione, non ne ha visto uno qui dentro, vero?-
Il cameriere scosse la testa.
  • Credo che lei si stia sbagliando, signorina. Non ci sono principi da queste parti-
La ragazza scoppiò a ridere.
  • Oh, no, c’è n’è uno, glie lo posso garantire. E’ venuto in città con me. Solo che ora non so dove sia-
Il cameriere guardò Bianca quasi come per chiederle aiuto.
Bianca era sconvolta e divertita.

  • Beh, in questo caso mi dispiace, signorina, non so come aiutarla. Qui non se ne vedono di principi… ma se posso domandare, di quale paese è principe il vostro amico? Siete turisti a quanto ho capito. State visitando Napoli?-
La fanciulla sorrise imbarazzata.
  • Beh, si, diciamo anche che siamo dei turisti. E lui è beh… un principe, non c’è molto da dire. Viene da un paese molto lontano-
  • Medio- Oriente?-
  • Uhm, no-
  • Qualcuno dei paesi balcanici?-
  • Neanche-
  • Okay, ho capito. Segreto di Stato-
La ragazza rise di nuovo, ma non aggiunse altro.
Bianca stava per chiedere il conto, quando si rese conto che la ragazza si era voltata verso di lei e la stava fissando.

  • E tu, l’hai per caso visto?-
Bianca la guardò negli occhi senza comprendere se stesse davvero parlando con lei. Ma poi, ricordando che non c’erano altre persone nel bar, ne dedusse che era davvero lei la destinataria della domanda.
Arrossì, poi rise abbassando lo sguardo.

  • No, mi dispiace. Non ho mai visto un principe in vita mia-
La fanciulla inarcò le sopracciglia, sembrava dispiaciuta.
  • Davvero? Oh, mi dispiace molto-
Bianca non capì la sua delusione. Era dispiaciuta perché le aveva detto che non aveva mai visto un principe in vita sua, oppure semplicemente perché non aveva visto il suo di principe?
La ragazza sembrò assorta nei suoi pensieri, poi rise sotto i baffi.

  • Com’è strano che voi non abbiate mai visto un principe- commentò poi, passando gli occhi dal cameriere a Bianca.
  • A me sembra strano il contrario- commentò Bianca sotto voce, non riuscendo a resistere alla tentazione di rispondere.
Il cameriere si trattenne dal ridere, la fanciulla guardò Bianca con un sorriso sincero.
  • Oh, ma dovevo aspettarmelo. Da quanto ho capito, qui non sono di casa i principi-
Bianca annuì, il cameriere sorrise mentre osservava la giovane strana che dalla borsa estraeva uno stravagante borsellino fuxia e tirava fuori da esso alcune monetine.
Bianca si ricordò improvvisamente dell’esame di stato.

  • Posso avere il conto?- chiese poi, come rinsavita, mentre la ragazza ancora giocava con i soldi.
  • Ma certo- rispose il cameriere con prontezza.
Velocemente Bianca pagò la sua ordinazione e raccolse le sue cose.
  • Arrivederci!- salutò poi, rivolgendosi anche alla fanciulla che stava adesso riponendo nella borsa il portamonete.
  • Arrivederci!- salutò il cameriere con un gesto della mano.
  • Ciao cara, - rispose la ragazza alzando appena lo sguardo, - e in bocca al lupo!-
  • Crepi!-
Bianca sorrise e uscì dal bar venendo invasa dal caldo della strada.
Il sole brillava nel cielo e l’aria era pesante, ma se c’era qualcosa di ancora più pesante era la testa di Bianca.
Non aveva mai passato un quarto d’ora più insolito: aveva bevuto il caffè amaro, conosciuto una giovane folle e adesso andava a fare l’esame di stato come se niente fosse.
Stava quasi per convincersi che dopotutto niente di quanto era accaduto poteva ritenersi anormale quando le risuonarono nella mente le ultime parole della giovane.
In bocca al lupo!”
Il sangue le si gelò nelle vene e si fermò per un attimo.
Come faceva la ragazza a sapere del suo esame di stato?
No, evidentemente non lo sapeva. Non avrebbe potuto saperlo, non la conosceva, non l’aveva mai vista prima! Era stata forse assalita da una strana ansia-pre-esame riconoscibile da soggetti difficilmente classificabili? Questa era pura fantasia.
Sorrise, non sapendo neanche perché.
Era di nuovo convinta che tutto quell’accaduto sarebbe stato di buon auspicio.

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Capitolo 2
*** Folle quotidianità - ben nascosta ***


Eva si alzò dal letto e diede un’occhiata fuori dalle vetrate della sua camera: era una giornata di sole, il giardino era illuminato in ogni suo angolo e i zampilli d’acqua della fontana sembravano coriandoli di luce. Una lustra macchina nera era ferma sulla ghiaia, proprio dinanzi all’entrata principale della villa.
Eva storse il naso, con un movimento del capo spinse indietro i lunghi capelli castani.
Era arrivata. Era di nuovo lì.
La portiera della macchina si aprì e ne uscì una giovane ragazza elegantemente vestita, con i capelli lisci e lucidi sotto il sole.
La sua sola vista l’aveva turbata.
Eva si ritirò dalla vetrata con un sospiro insofferente e si sedette sul letto a braccia incrociate.
Era stato un periodo troppo breve e felice, quello durante il quale lei non era stata presente in casa sua: per qualche anno aveva avuto l’illusione che la sua vita potesse essere tornata alla normalità, ma questo era semplicemente troppo bello per essere vero. Lei, con tutto il suo bagaglio di stranezze, era tornata. E chissà quale altro guaio avrebbe combinato stavolta.
Se ci fosse stata ancora sua madre, forse tutto questo non sarebbe mai accaduto. Eva avrebbe avuto la vita che le era da sempre stata destinata, quella della ragazza ricca e viziata che ottiene tutto semplicemente schioccando le dita. Già, era quella la vita che avrebbe dovuto vivere: e invece, era una ragazza ricca e viziata soltanto all’apparenza. Le cose che accadevano dentro casa sua da quando dopo la morte di sua madrezia Clarissa aveva deciso di prendersi cura di lei, erano tutto tranne che normali.
La madre di Eva, Amalia, era morta quando Eva aveva dieci anni. La mamma era sempre stata una donna distinta ed elegante, una principessa: l’aveva abituata sin da piccola a tutti gli agi e i lussi che la loro condizione economica permettevaed Eva aveva avuto un’infanzia oltremodo perfetta. Suo padre era diverso da sua madre: un uomo mite, non eccessivamente attaccato al denaro, per niente snob, eppure con un’eredità enorme. La famiglia di suo padre era sempre stata tra le più ricche delle cittàe alla prematura morte del nonno, suo padre aveva ereditato aziende, cantieri e chi più ne hapiù ne metta. Vivevano in una sontuosa villa  situata a Corso Vittorio Emanuele, la più grande del quartiere, e mentre suo padre cercava di destreggiarsi tra gli impegni lavorativi che gli erano piombati addosso, lei e sua madre vivevano nel lusso più assoluto.
La morte di Amalia era giunta all’improvviso, con un infarto fulminante. Suo padre, che l’aveva amata moltissimo, delegò ai propri fratelli i pesi di lavoro e si rinchiuse in casa con sua figlia, in una bolla di dolore. Suo padre era sempre stato un uomo fragile e di grande sensibilità: Eva, seppure fosse ancora una bambina, iniziava a preoccuparsi e a credere che suo padre non si sarebbe mai più ripreso. Questo l’avrebbe inevitabilmente portata ad una devastante solitudine.
Dopo due mesi dalla morte della madre, però, arrivò a casa loro la zia Clarissa.
Eva l’aveva vista forse due o tre voltenelle grandi feste di famigliae non le era mai stata molto simpatica, forse per colpa della determinante incompatibilità dei loro caratteri. La zia Clarissa era la sorella minore della sua defunta madre, era una donna energica, simpatica, allegra, in una sola parola, folle. Eva al contrario era chiusa, introversa, scontrosa, per niente amichevole, e come tale odiava tutte le persone che sprizzavano allegria da tutti i pori. La zia Clarissa arrivò il 21 marzo, al posto della primavera: era un marzo freddo e piovoso, ed Eva ricordava ancora il ticchettio dei suoi passi nell’androne di casae la sua voce squillante che riempiva l’ambiante. Aveva un vestito verde, elegante e sontuoso, e un’altrettanto elegante acconciatura ornava i suoi ricci biondi. La zia Clarissa non era sposata, a detta sua per scelta: diceva che il matrimonio vincolava l’animo dalla sua libertà di espandersi da un lato all’altro della propria immensità, e che il vero amore non aveva mai bussato alla sua porta. La zia Clarissa, sebbene sembrava sempre essere uscita da un uovo di Pasqua, era realista: non credeva che il vero amore fosse destinato a tutti. Di certo, questo esisteva: aveva avuto modo di constatarlo osservando i propri genitori ( i nonni materni di Eva), che sebbene molto anziani erano ancora innamorati come il primo giorno, e con la propria sorella, che anche se morta, aveva vissuto un lungo e gioioso amore.
Ma a lei, proprio non era accaduto: questo però non la faceva soffrire, in quanto riteneva la sua vita comunque piena di amore e di impegno verso il prossimo.
Clarissa disse che non aveva intenzione di andare via almeno fin quandole cose non le sarebbero sembrate abbastanza solide da andare avanti da sole. In quel momento Eva non capì quelle parole, ma ci sarebbe stato tempo per poter riflettere su esse. Clarissa si presentò come la salvatrice della famiglia: era giunta per far riprendere il cognato dalla sua depressione e per accudire la sua adorata nipotina. Eva dovette lentamente farsi diventare simpatica la zia Clarissa, anche se sembrava vivere in un universo parallelo: le raccontava continuamente fiabe fantastiche e surreali, vestiva in modo stravagante e con lei non c’era mai la quiete.
Per i primi mesi, però, suo padre non mostrò segni di ripresa: ogni giorno la zia Clarissa passava qualche ora con lui, cercando di psicanalizzarlo e di rendergli il fardello meno pesante. La zia era laureata in psicologia, ma non lavorava: anche questa era una scelta. Provenendo da una famiglia molto ricca, non aveva bisogno di lavorare per vivere e aveva scelto di tenere per se quella sua innata facoltà di allietare la vita delle persone con l’arte della parola e di usarla solo con chi le faceva più comodo. Come ad esempio, suo padre.
Un giorno, dopo che furono passati cinque mesi, suo padre uscì di casa insieme alla zia Clarissae quando ritornò era un altro uomo: di nuovo allegro, di nuovo poetico, di nuovo suo padre.
Eva non riuscì a capire cosa fosse accaduto. Chiese spiegazioni alla zia Clarissa, la quale le disse che suo padre aveva finalmente trovato la vocazione della sua vita e che adesso non l’avrebbe più visto né depresso e né tanto meno chiuso in un ufficio a trafficare con le inutili imprese di famiglia. Eva non seppe decidere se la zia Clarissa aveva fatto un miracolo o un disastro.
“Hai cambiato lavoro, papà?” chiese, dopo il discorso con la zia. Lui la prese tra le braccia, le baciò le guance e sorridendo rispose: “Beh, diciamo di si. E adesso molte cose cambieranno, piccola mia”.
E le cose cambiarono sul serio.
Da quel giorno, tutte le mattine suo padre e la zia Clarissa uscivano di casa alle nove e ritornavano alle cinque in punto, sempre allegri e pimpanti, e nessuno spiegò mai ad Eva per i successivi sei anni quanto stava succedendo. Per i primi mesi Eva pensò che la zia Clarissa avesse seriamente fatto del bene a suo padre, in quanto lo vedeva non solo felice, ma anche molto più contento di uscire al mattino per andare a lavoro: mai negli anni precedenti l’aveva visto più entusiasta. La vita di Eva nonostante ciò non aveva subito drastici cambiamenti: poteva sempre avere tutto quello che voleva, vivere con le sue solite abitudini e invitare le amiche a casa. Rispetto a prima, passava meno tempo con la zia Clarissa, ma questo le parve un bene: liberarsi di quella vocina fastidiosa che le raccontava in continuazione storielle e fiabe era stato un bene per la sua emicrania.
Poi iniziò a chiedersi di cosa trattasse quel famoso nuovo lavoro di suo padre.
Iniziava a crescere, e nei discorsi con le sue amiche spesso capitava al centro la domanda sul lavoro dei propri genitori. Poiché tutti sapevano che Eva aveva perso la madre, cercavano di evitare discorsi in cui c’entrasse la figura materna e si concentravano dunque su quella paterna. Eva mentiva, dicendo che suo padre era il capo dell’azienda di famiglia, come era stato per dieci anni. In realtà, a quella domanda Eva non conosceva risposta.
Di che cosa si occupava adesso suo padre?
Fu ben sei anni dopo che scoprì la risposta. E quando la conobbe, rimpianse i tempi della sua curiosità, desiderò non aver saputo mai niente, di esserne sempre rimasta all’oscurocosì da vivere la sua vita normalmente.
Se non fosse venuta al corrente della situazione, lei ora non starebbe salendo le scale della sua casa per andare ad occupare una delle sue camere.
Si era ripetuta mille volte che era tutta una follia, tutto un sogno, tutto uno stupido scherzo di quella folle della zia Clarissa, eppure era un incubo che non aveva mai termine. Aveva tentato di parlare con suo padre, di dirgli di tirarsi fuori da quel mondo di svitati, ma lui non l’aveva ascoltata. Anzi, le aveva detto che avrebbe dovuto aprire la sua anima e non richiudersi in un ordine e in una realtà che non significavano niente.
Questa era adesso la vita di Eva.
Una folle quotidianità ben nascosta.
 
 

 
 
Bianca si specchiò sorridendo, si passò una mano fra i capelli e poi tornò a guardare fuori dal finestrino con aria eccitata, fin quando, qualche secondo dopo, era di nuovo a specchiarsi.

  • Vuoi smetterla? Sei bellissima- buttò fuori Stefano, al suo fianco.
  • Non essere ridicolo. Questa è la mia serata, ed io non devo solo essere bellissima. Devo essere unica-
Bianca ammonì il fratello maggiore con un’occhiata truce, Stefano rispose sorridendo.
  • “La tua serata”… come se tutte le serate non fossero le tue!- disse alzando le spalle.
Bianca lo guardò un po’ interdetta, con un’espressione quasi delusa.
  • Che vuoi dire?- gli chiese.
Stefano si stupì così tanto del tono della sorella che la guardò per un attimo con occhio smarrito per poi ritornare a fissare la strada dinanzi a se inespressivo.
  • Beh, voglio dire che, insomma, hai sempre avuto tutto quello che volevi, e invece ti comporti come se questa fosse l’unica volta che diamo una festa in tuo onore, l’unica in cui ti vesti così elegante, insomma, capisci cosa intendo?-
  • Ma oggi mi sono diplomata!- esclamò Bianca portandosi una mano al petto, quasi offesa.
  • Si, lo so. Ma la festa per il tuo diciottesimo compleanno non è stata forse molto più stratosferica di questa? Non sei sempre stata riempita di attenzioni?-
Bianca si sentì in colpa per le parole del fratello. Non c’aveva mai pensato fino a quel momento, ma era inevitabilmente vero. Sebbene non fossero miliardari, mamma e papà non le avevano mai fatto mancare niente e l’avevano sempre trattata come la principessa della casa. A differenza di Stefano, che chissà per quale miracolo della natura, raggiunta una certa età dell’adolescenza aveva iniziato ad essere talmente maturo da iniziare a pensare con la sua testa, lei aveva seguito la scia lasciata dalla sua infanzia riuscendo a diventare con gli anni sempre più viziata. La festa che aveva organizzato quella sera, per festeggiare il suo diploma, era solo una delle miriadi di feste che i suoi le avevano permesso di organizzare. Quello che aveva indosso era forse il ventesimo abito che la mamma le aveva permesso di comprare nonostante nel suo armadio ci fossero abiti ugualmente belli e mai indossati.
In un secondo la maturità le crollò addosso.
Si sentì una bambina viziata da assecondare, un peso da sostenere. E la cosa più bella era che mamma e papà non si erano mai lamentati delle sue richieste, sebbene alcune – ora lo riconosceva- fossero davvero assurde. Come aveva potuto pensare, quella mattina davanti al suo caffè, di aver raggiunto davvero la maturità? Il percorso era appena cominciato, nato da quella consapevolezza che Stefano aveva destato in lei.

  • Tu pensi che io sia stupida?- chiese poi, con un’espressione nella voce del tutto nuova.
Stefano, colpito da quel tono, le rivolse un altro sguardo colpito, poi alzò le spalle.
  • Certo che no. Non sei stupida-
  • E perché mi comporto così? Santo Cielo, non riesco a crederci-
Bianca si portò una mano alla fronte, si lasciò cadere all’indietro sul sediolino dell’auto scuotendo la testa.
  • Ehi, Bianca, ma che ti prende? Suvvia, smettila-
Smetterla? Oh no, aveva appena cominciato. Tutto era appena cominciato. Eppure lei non si era mai ritenuta una stupida, una frivola, una sciocca. Lei non lo era. Faceva molti ragionamenti, si interessava di letteratura, di arte, di fisica. Non era una stupida. Non lo era, vero?
L’incubo di poter essere quello che lei aveva sempre odiato la mandava fuori di testa. Si osservò da capo a piedi riuscendo solo a provare disgusto per se stessa. Indossava un costosissimo vestito in raso nero, arricciato sul petto e liscio e sinuoso sui fianchi e sulle gambe; un paio di scarpe nere e scintillanti che completavano l’opera. I capelli, ricci e biondi, scendevano inanellandosi tra loro sulle spalle mentre il viso era artisticamente truccato.
Solo qualche minuto prima, quando si guardava allo specchio, si piaceva un sacco. Adesso sentiva di aver esagerato, aveva esagerato nella sua vita, nella sua festa, nel suo trucco. Avrebbe dovuto essere più parsimoniosa, come lo era Stefano. Lui si che si era reso conto di doversi prendere le sue responsabilità, lui si che era cresciuto.
Lei invece credeva di aver raggiunto la maturità dinanzi ad un caffè.
Oh, era davvero una stupida, ora se ne rendeva conto. Ma se la consapevolezza in situazioni come queste poteva condurre davvero alla follia, Bianca non si lasciò andare fuori di testa. Capì che la consapevolezza era il punto di partenza per una nuova vita.
La sua nuova vita.
Adesso non era più una liceale, e questo era quanto di più importante le fosse successo negli ultimi giorni e quanto di più utile le si proponeva per il raggiungimento del suo scopo. Avrebbe imparato a non chiedere troppo ai suoi, a prendersi cura meglio delle sue cose, a crearsi una vera personalità. Avrebbe smesso di essere la solita svampita, avrebbe smesso di fare una marea di cose che prima credeva fondamentali.

  • Non fare quella faccia- mormorò dopo un attimo Stefano, preoccupato dall’espressione di Bianca, - c’è tempo per crescere nella vita, e sei ancora molto giovane. Per stasera goditi la tua festa, poi si vedrà-
Stefano parcheggiò la macchina dinanzi al ristorante.
Poi si vedrà? Le aveva appena fatto sorgere dai meandri dell’inconscio la consapevolezza che era una viziata ed irresponsabile adolescente e tutto quello che sapeva dire adesso era “poi si vedrà”? No, non c’era niente da vedere in seguito. Sarebbe iniziato tutto quella sera, quella sera stessa.
Stefano scese dalla macchina e si avviò verso la sua portiera per aiutarla a scendere, ma Bianca fu più svelta di lui: in batter d’occhio fu fuori dall’auto e fissava con occhi malinconici l’entrata della lussuosa villa che aveva scelto per quell’occasione.
Tra pochi secondi avrebbe fatto il suo ingresso nella Bertolini’s Hall e si sarebbe trovata davanti tutta la sua famiglia e i più stretti amici che sorridenti le avrebbero augurato un futuro luminoso. Ma come avrebbe potuto lei divertirsi tra tutto quel lusso quando si sentiva tremendamente vuota? Se pensava ai giorni precedenti le veniva in mente con quanto fervore tra una pagina di latino ed una di greco aveva immaginato l’ingresso alla sua festa. Nella sua mente quell’entrata avrebbe rappresentato, insieme al caffè amaro di quella mattina, la vera entrata in società, il vero inizio della sua vita.
In realtà stava solo riempiendo la sua esistenza di fronzoli senza riuscire più a trovare se stessa.
Sentì quasi un colpo al cuore quando quei pensieri le attanagliarono il cervello.

  • Ehi, vogliamo andare?-
Stefano la riportò con i piedi per terra, dandole un leggero buffetto sul braccio.
Bianca si ridestò, finse un sorriso.

  • Si, certamente-
Così, accompagnata dal fratello, fece il suo ingresso nel lussuoso ristorante, respirando sempre più a fondo ad ogni passo che faceva.
  • Sai, credo che tu abbia ragione su di me- disse a Stefano un attimo prima di entrare in sala.
  • Ci stai ancora pensando? Dai, non farne un dramma!-
  • Invece lo è, è un vero dramma. Hai ragione a dire che ottengo sempre tutto quello che voglio senza rendermi conto che le cose che voglio sono davvero futili. È l’ennesima festa che do in mio onore, mi sento davvero egocentrica…-
  • Ma tu sei egocentrica, tesoro- la prese in giro il fratello, sorridendo.
Bianca lo guardò supplichevole.
  • Credevo che oggi sarebbe iniziata la mia maturità, ma in realtà non so più chi sono. Mi nascondo tra le feste, i vestiti, gli amici, i sogni che ho per una vita di gloria. Ma non so nemmeno chi sono io e cosa voglio davvero-
Gli occhi le si fecero lucidi, Stefano la prese per le spalle.
  • Ma che fai, piangi? Santo Cielo, piange! Ti è dato di volta il cervello per caso? Sei una persona molto positiva, Bianca, e forse si, un po’ egocentrica, ma sei lo stesso una ragazza fantastica. Avanti, smettila di piangere ed entriamo, ti stanno aspettando tutti!-
Stefano le passò le dita sul viso per asciugare le poche lacrime cadute, Bianca abbozzò un sorriso.
  • Okay, va bene-
  • Ecco, così mi piaci. E adesso entriamo-
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
La sensazione che provò fu quella di affogare in un melmoso lago dimenticato da Dio e dall’uomo mentre un mostro a tre teste ti prende per le braccia e per i fianchi e inizia a morderti.
La gola le bruciava per quanti “grazie” aveva detto e lo stomaco si chiudeva sempre di più ad ogni pietanza che veniva portata. E pensare che era stata lei stessa a scegliere il menù. La sua migliore amica Cleo aveva organizzato un regalo fantastico che sarebbe entrato in sala a mezzanotte spaccata, ma Bianca iniziò a pensare di non voler nessun regalo.
Quando iniziò a temere di soffocare sul serio, si alzò dal tavolo scusandosi, dicendo di essere diretta in bagno, e uscì in punta di piedi dal ristorante.
Appena si fu allontanata dalla musica e dal rumore di quella sala, iniziò a sentire di nuovo i polmoni pieni di ossigeno e sentì il sangue affluire di nuovo al viso e alle mani, che fino ad un secondo prima erano state pallide.
L’aria fresca ed umida che le arrivò in faccia contribuì a farla sentire meglio.
Il panorama del corso Vittorio Emanuele catturò gli occhi di Bianca, che fissò il Vesuvio e poi il mare, dentro il quale si specchiava tutta la città. Le miriadi di luci che vedeva luminose dai pendii del vulcano erano di tutti i colori, - rosse, gialle, verdi,- e vedeva, in lontananza, le autovetture che si muovevano sulle strade distanti. Si spostò a fissare il mare ammirando i riflessi bianchi della luna e una nave in lontananza, diretta chissà dove. Era incredibile vedere la città immersa in una luminaria così viva e non riuscire a scorgere neanche un rumore.
Bianca incrociò le braccia e fece qualche passo verso il ciglio per marciapiede. Era un sollievo essere lontana da quel caos che lei stessa aveva creato, eppure le dispiaceva non poter essere felice come sua madre, suo padre, Cleo e tutti gli altri amici che erano venuti per festeggiare. Non avrebbe mai creduto di poter andare incontro a tanti ragionamenti e tante convinzioni nella stessa giornata. Stava succedendo tutto troppo in fretta.
Mentre ancora pensava a queste cose, una lunga e lussuosa macchina nera si fermò a qualche metro da lei, facendo rombare il motore. Bianca non poté fare a meno che voltarsi in direzione della portiera che si stava aprendo, e non poté fare a meno di meravigliarsi.
La fanciulla che quella stessa mattina al bar l’aveva fatta ridere con l’assurda storia del principe scese elegantemente dall’auto indossando un vestito nero e lucente. Aveva i lunghi capelli rossi raccolti sulla nuca lasciando cadere sul viso alcuni boccoli, sorrideva beata come quella mattina e teneva sull’avambraccio destro lo strascico del lungo vestito. Chiuse con un gesto deciso la portiera dell’auto e questa ripartì senza esitazione lasciando la ragazza lì davanti.
Bastò un’occhiata, una semplice occhiata, e la ragazza esclamò:

  • Ciao! Oh ciao, ti ricordi di me?-
Bianca fu invasa da un’incrollabile sentimento di allegria.
  • Oh si, certo. Eri al bar questa mattina, su al Vomero-
  • Si, esatto! Che bel vestito che hai! Vai ad una festa? Oh, scusami, che sciocca: la festa è la tua-
La ragazza rise sotto i baffi, Bianca la guardò incuriosita.
Tutto il discorso di quella mattina, compreso il suo augurio, le ritornò alla mente come un flash.

  • Oh si, ma… come fai a saperlo?-
  • Sapere cosa?-
  • Che la festa è la mia, cioè, che do una festa. E che stamattina avevo l’esame di stato. Tu mi hai augurato in bocca al lupo quando sono uscita dal bar, ma non potevi sapere che avevo un esame. O forse lo sapevi? Ci siamo già incontrate forse?-
Era partita in quarta, domandava cose una dopo l’altra senza riuscire a fermarsi.
La giovane rise.

  • Beh, ho notato la tua borsa con i libri e la tua espressione ansiosa. Siamo a luglio ed è impossibile che stessi frequentando ancora la scuola, dunque avevi un esame. Mi sembravi tanto preoccupata! È andato tutto bene, vero? Oh certo, ma che domande: non staresti festeggiando se non fosse così-
Bianca osservò il suo sorriso luminoso ed allegro, i suoi occhi vispi guardarla con dolcezza e curiosità.
  • Si, è andato tutto bene, - rispose, stranamente imbarazzata, - per fortuna è andato tutto bene. Ma come sai che sto dando una festa?-
  • Non la stai forse dando?-
  • Si ma…-
  • Hai un fantastico vestito-
  • Grazie, anche tu. Dov’è che vai?-
  • Oh, anche io ho una sottospecie di feste. Ma non una festa per il diploma-
  • Una festa di compleanno?-
  • Mmh, una specie. Sono molto emozionata! Non partecipo a molte feste-
Bianca avrebbe voluto dire lo stesso, ma avrebbe mentito. La ragazza le si avvicinò di qualche passo porgendole la mano.
  • Io mi chiamo Lara -  disse, ammorbidendo ancora di più la voce.
Bianca guardò la bianca mano che Lara le porgeva, poi decisa la strinse.
  • E io Bianca. Piacere di conoscerti-
  • Il piacere è tutto mio-
Lara abbozzò un inchino, poi rise.
  • L’hai trovato poi il tuo principe?- chiese dopo un attimo.
Lara parve pensarci un secondo su, poi sorrise.
  • Oh si, certo. Era andato a fare semplicemente una passeggiata, ma aveva dimenticato di avvertirmi. E’ un po’ sbadato!-
Bianca sorrise, poi riprese:
  • È il tuo ragazzo?-
  • Chi?-
  • Questo… principe-
  • Oh no, no. No, lui non è il mio ragazzo. Ma siamo amici-
A Bianca veniva da ridere. Aveva l’impressione che qualsiasi cosa dicesse fosse divertente, surreale, impossibile.
  • Oh, capisco. Quanto tempo restate a Napoli?-
Lara sorrise.
  • Un bel po’-
  • Siete in vacanza?-
  • Mmh, non proprio-
  • A casa di amici?-
  • Parenti-
Lara rise, poi abbassò lo sguardo.
  • Adesso devo andare o farò tardi. Ci rivediamo, Bianca-
  • Già, si. Perché no-
  • È stato un piacere incontrarti-
  • Anche per me-
Lara le si avvicinò e le tese la mano. Bianca la strinse sorridendo, poi guardò Lara allontanarsi sul marciapiede lentamente.
Sospirò mentre osservava la sua figura allontanarsi, rimase a fissarla per qualche secondo sentendo la gioia scivolarle attraverso il vestito.
Abbassò lo sguardo e poi diede un’occhiata dietro di se, come se avesse paura che sopraggiungesse qualcuno a chiamarla.
Quando si voltò di nuovo verso Lara, lei non c’era più.

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Capitolo 3
*** La possibilità di scelta, - prove di maturità ***


Eva scese le scale goffamente, si stropicciò gli occhi e fece il suo ingresso in cucina. La luce del sole entrava dalle finestre spalancate, l’aria era stranamente fresca.
  • Buongiorno!-
Amanda sorrideva in maniera snervante.
Era in piedi di fianco al tavolo, indossava un abito verde e giallo scollato sul petto e lungo fino alle ginocchia ed aveva tra le mani un grande piatto con su qualcosa che sembrava una torta.
Eva storse il naso senza rispondere al saluto.

  • Dov’è mio padre?- chiese acida.
  • È andato a fare delle commissioni. Mi ha detto che potevo prepararti la colazione-
  • Colazione? Sto ancora digerendo la cena-
Eva si sedette al tavolo e si stropicciò di nuovo gli occhi sospirando rumorosamente.
  • Non vuoi una fetta di torta?-
Amanda si chinò verso di lei sbattendo le palpebre con fare civettuolo, Eva le lanciò uno sguardo talmente antipatico che la ragazza quasi si spaventò.
  • Okay, va bene. La mangerò io- disse poi, quasi a se stessa.
Eva aspettò che la ragazza si fosse girata verso il bancone della cucina per farle il verso.
Era lei quella che era scesa dalla macchina il giorno prima, con i capelli lisci e lucenti sotto il sole. Era lei quella che era tornata dopo due anni, lei, quella che era andata via lasciandola nei guai.
Amanda si tagliò una fettina di dolce, la mise in un piattino e si sedette di fronte ad Eva.

  • Come fai ad avere fame dopo tutto quello che abbiamo mangiato ieri?- le chiese dopo un momento.
Amanda alzò lo sguardo dal dolce con aria interrogativa.
  • Io non ho mangiato quasi niente ieri- mormorò.
Il suo sguardo tradiva qualcosa, Eva capì al volo. Questa volta non doveva essere stato molto piacevole per Amanda fare il suo ritorno in quella casa, Eva era quasi tentata di capirla, comprenderla. Dentro di se faceva fatica ad ammettere che le voleva bene, forse un po’ - si, solo un po’- e adesso le dispiaceva per lei, adesso che la poverina si ritrovava faccia a faccia con la realtà dalla quale era dovuta fuggire.
  • Sei stata una maleducata. Papà aveva fatto preparare tutti i tuoi piatti preferiti- disse con fare accusatorio.
Amanda non fece caso al suo tono e tantomeno alla portata della frase. Si limitò al alzare le spalle, Eva aggrottò le sopracciglia e distolse lo sguardo da lei. Aveva paura che nei suoi occhi Amanda leggesse quanto in realtà era dispiaciuta. Era difficile da spiegare, eppure il suo odio per Amanda nascondeva qualche falla.
  • Mi è dispiaciuto molto per tuo padre, - mormorò Amanda, - spero non se la sia presa troppo-
Gli occhi verdi di Amanda incrociarono quelli bruni di Eva.
  • Lascia perdere- buttò lì Eva, allontanando di nuovo la vista da lei. Amanda fissò la sua torta con l’espressione di chi ha perso completamente l’appetito, Eva si coprì il viso con i capelli corvini quasi a nascondersi.
Amanda la guardò con la coda dell’occhio e sospirò intuendo i suoi pensieri. Si passò una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio e si schiarì la voce.
  • Ascolta Eva, io lo so che…-
  • Hai combinato un gran casino? Dubito che tu possa capirlo-
  • Non volevo che succedesse-
  • Eppure è successo. Non era questo che eri venuta a fare qui, Amanda -
  • Ho commesso un errore, lo so, e sono andata via perché era la cosa migliore che potessi fare in quel momento-
  • Eppure ora sei di nuovo qui-
  • Ma adesso spero che…-
  • Perché sei tornata, Amanda?-
La domanda era cruda, quasi cattiva, ma Amanda non si fece intimidire dal tono di Eva. Dal canto suo, la ragazza era contenta che il suo tono fosse apparso tanto aggressivo. In quel modo avrebbe mascherato le sue vere emozioni.
Gli occhi di Amanda tradirono un sentimento che Eva non poté fraintendere.

  • Perché sono andata via prima del tempo- rispose poi Amanda, stando bene attenta a non guardare negli occhi l’altra.
  • Oh, certo. E aspetti che io ci creda?- sbottò fuori Eva.
  • Devi crederci-
  • Perché?-
  • Perché è la verità-
  • No, Amanda, non è la verità. Tu sai qual è la verità-
  • Non è quello che pensi tu -
  • Mi hai messa nei guai quando sei andata via Amanda, e io…-
  • Vorrei che tu mi raccontassi come…-
  • Non ora,- Eva abbassò lo sguardo, - adesso non ho più voglia di parlarti-
  • Non dire così-
La voce di Amanda mutò, Eva si sentì in colpa.
Il silenzio le avvolse per qualche momento, Eva sospirò quasi per attirare l’attenzione dell’altra.

  • Hai detto qualcosa a tuo padre quando sono andata via?- chiese poi Amanda, abbassando il volume della voce.
  • No. Ma aveva già capito tutto da solo-
Amanda sospirò, abbassò lo sguardo.
  • Tuo padre è un santo-
  • Già, lo so. E ti vuole bene, Amanda. Adesso sta’ attenta a non fare sciocchezze-
Eva si alzò dalla sedia e lasciò la stanza.
Amanda la guardò uscire velocemente mentre dentro le cresceva una strana malinconia e un grande senso di colpa. Si sentiva rimproverata da Eva come se fosse stata una sorella minore e avrebbe tanto desiderato poterlo essere. Anche se non era mai stata molto gentile, Amanda sapeva che Eva non sarebbe stata capace di fare del male ad una mosca e che tutte le sue reazioni erano perfettamente ragionevoli: lei era un elemento del tutto inatteso nella vita sua e di suo padre, e in più totalmente fuori dal comune. Senza volerlo Eva era rimasta coinvolta in qualcosa che non aveva scelto e che non sapeva gestire, ma non per questo non aveva imparato a volerle bene.
Avrebbe voluto avere una vita diversa, e in quel momento poteva capirla. Anche lei avrebbe tanto voluto avere un destino diverso, avere la possibilità di poter fare scelte diverse nella vita.
Ma alcune volte purtroppo di scelta non ce n’è.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’aria fresca di quel giorno aveva permesso a Bianca di poter tenere i capelli sciolti. Camminava con fare malinconico per via Scarlatti guardandosi intorno come se stesse osservando vetrine e negozi per la prima volta, come se non fosse mai entrata in nessuno di essi, come se quella non fosse la sua città.
Quella mattina si era svegliata molto presto anche se la festa della sera prima si era protratta fino a tardi e aveva deciso di andare a prendere un po’ d’aria per schiarirsi le idee. Ne aveva proprio bisogno, adesso che sentiva essere arrivata la tanto attesa maturità. Cosa fa una ragazza matura quando scopre di esserlo? Beh, tanto per iniziare, cerca un progetto per la sua vita. Bianca studiava già da svariati mesi per poter entrare nella facoltà di medicina, era sempre stato il suo sogno sin dall’infanzia ed era sempre stata molto determinata a raggiungere il suo scopo. Ragionandoci adesso, si rendeva conto che la scelta di quella facoltà poteva pure restare invariata: una ragazza matura sceglie una facoltà impegnativa e seria, quale quella di medicina. Poco importava se qualche mese prima era attratta fanaticamente dal suo probabile futuro stipendio da dottoressa in carriera, adesso si rendeva perfettamente conto che stava per scegliere quel mestiere per mettersi a servizio degli altri ed essere utile alla società. Proprio come una ragazza matura.
E poi avrebbe dovuto smetterla di chiedere soldi ai suoi genitori per ogni capriccio. Si rendeva perfettamente conto che sebbene mamma e papà le avrebbero sempre volentieri elargito liquidi, non poteva certo chiederne per tutta la vita. Non poteva certo dipendere da loro ancora per molto! Avrebbe avuto bisogno di un lavoro. Ma ammesso e non concesso che fosse riuscire ad entrare a medicina, sarebbero passati almeno dieci anni prima che riuscisse a lavorare stabilmente. E fino a quel momento cosa avrebbe fatto? Come avrebbe vissuto? Doveva prendere esempio da Stefano. Lui aveva un lavoro. Certo, non lo impegnava moltissimo, ma comunque lo aveva. Fino a qualche mese prima aveva snobbato la scelta del fratello di lavorare in un negozio di cd, mentre adesso capiva quanto questa scelta fosse stata presa alla sacrosanta luce della maturità. Anche lei aveva bisogno di un lavoro, anche un semplice lavoretto estivo.
Quella nuova consapevolezza la rendeva allo stesso tempo felice e triste.
Se era pur vero che era giunta a questa lodevole conclusione, doveva riconoscere di non sapere da dove cominciare per trovare un lavoro. Cos’è che sapeva fare bene?
Standoci a pensare un po’, si rese conto che non c’era niente in cui ella eccellesse. Avrebbe dovuto, almeno per il momento, cercare un lavoro di convenienza, uno per il quale non si richiedeva una certa competenza.
Si sentiva in seria difficoltà.
Si passò una mano tra i capelli, diede un’occhiata alla strada prima di attraversare via Morghen e salire le scale mobili fino a raggiungere il bar Mexico, lo stesso nel quale la mattina precedente aveva preso il caffè. Passò lentamente dinanzi ad esso e proprio quando stava per dare un’occhiata al suo interno, sentì una mano toccarle la spalla.

  • Bianca!-
Si voltò di scatto quando sentì la squillante voce di Lara penetrarle i timpani.
Non riusciva a crederci. Di nuovo lei.

  • Ciao Lara -
Bianca la salutò con un enorme sorriso, fingendo di essere allegra.
Lara le sorrideva gioiosamente come il giorno prima. Aveva i capelli rossi legati un una treccia e indossava un paio di pantaloncini verde militare su una graziosa camicetta giallina. Ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica di tela gialla e portava una borsa color paglia a tracolla. Accanto a lei c’era un ragazzo alto ed atletico che sorrideva impacciato. Aveva i riccioli color dell’oro e vispi occhi celesti.
Santo Cielo, quello doveva essere lui, - si, il principe.

  • Oh, Bianca! Che piacere vederti! Questo è un segno, è davvero un segno! È la terza volta in due giorni che ci incontriamo!-
Lara parlava e gesticolava agitandosi tutta mentre il ragazzo al suo fianco arrossiva.
Bianca sorrise timidamente.

  • Anche per me è bello vederti - disse, tentando di farla smettere con quel teatrino ridicolo.
Lara rise, la sua risata cristallina le fece venire la pelle d’oca.
Quanto era strana quella ragazza.

  • Oh, oh, ma non vi ho presentati! Che sbadata! Bianca, lui è Ariel! Lui è, ehm…- Lara si chinò verso Bianca abbassando la voce, - lui è il principe!-
Bianca sgranò tanto d’occhi fingendosi sorpresa.
  • Oh, è lui?-
  • Già! Come sono felice di potertelo presentare!-
Bianca sorrise e guardò Ariel.
  • Piacere di conoscerti, io mi chiamo Bianca- disse porgendogli la mano. Stette molto attenta a parlare lentamente e a pronunciare bene le parole, aveva l’impressione che non fosse molto pratico con l’italiano. Chissà di quale Paese era il principe. Oh Dio, principe! No, no, stava perdendo tutta la sua maturità: lui non poteva essere un principe, e pure se lo fosse stato, non vedeva il motivo per cui dovesse farsi portare in gita turistica da una svampita come Lara.
  • Il piacere è mio- rispose Ariel stringendole la mano. Il suo italiano era perfetto.
Lara sorrise.
  • Ariel, Bianca è la mia nuova amica. Non c’è passo che faccia in questa città senza incontrarla! Non credi che sia un segno?-
Ariel sorrise a sua volta guardando Bianca.
Il principe indossava un paio di jeans scuri e una maglietta a mezze maniche azzurra, con una simpatica corona dipinta sopra.

  • Di certo lo è!- rispose Ariel.
  • Che segno?- chiese Bianca istintivamente.
Lara rise poggiando una mano sul braccio di Ariel.
  • Beh, te lo spiegherò poi. Ma perché non vieni con noi? Ci farebbe incredibilmente piacere, non è vero Ariel?-
  • Certamente. Sarebbe un vero piacere, Bianca. Ti va di venire con noi?-
Bianca distolse lo sguardo dai quattro occhi scintillanti ed azzurri che la fissavano cercando una risposta adatta, quando lo sguardo le cadde d’improvviso su un cartello bianco esposto alla vetrina del bar.
“Cercasi cameriere”
Oh! Quella era la sua grande occasione! Un lavoro! Quello poteva essere il suo lavoro!
Istintivamente sorrise dimenticando la domanda dei due, stava quasi per entrare nel bar e piantarli lì quando il cameriere che il giorno prima le aveva servite comparve sull’uscio.

  • Ehi!- salutò allegro.
Bianca e Lara lo guardarono in contemporanea, Ariel si limitò ad un sorriso timido.
  • Ciao- salutò Bianca.
  • Ciao- salutò il ragazzo, prima di spostare lo sguardo su Lara e su Ariel.
  • Buongiorno! È un piacere rivedere anche lei!- esclamò zuccherosa Lara.
Il giovane sorrise e prima che potesse aggiungere altro Lara partì di nuovo in quarta:
  • Lui è il ragazzo che cercavo ieri mattina!-
  • Oh!-
Il ragazzo parve sorpreso, guardò Bianca divertito per poi accennare un inchino.
  • Piacere di conoscerla, sua maestà!-
Ariel e Lara risero di gusto, Bianca arrossiva anche se non ce n’era motivo.
  • Oh, non è necessario!- sbottò fuori Ariel.
  • Già, lui è in vacanza!- aggiunse Lara.
Il ragazzo rise, Lara afferrò Bianca per un braccio.
  • Ad ogni modo, stavamo giusto per andare! Le va di unirsi a noi?- chiese al giovane cameriere.
Lui scosse la testa divertito.
  • Mi piacerebbe signorina, mi creda, ma ho ancora da lavorare!-
  • Ehi, aspettate un attimo, ho visto che cercate personale, e io cerco un lavoro…-
Bianca tentò di divincolarsi da Lara per avvicinarsi al cameriere.
  • Oh si! Ti interessa?-
  • Si, molto!-
  • Se ritorni nel pomeriggio trovi il proprietario del locale, potrai parlare con lui-
Bianca sorrise, Lara si fermò per attenderla.
  • Si, mi farebbe enormemente piacere!-
  • Posso aspettarti questo pomeriggio?-
  • Ehm, io, si, credo che…-
  • Mi chiamo Sergio -
Il ragazzo le porse la mano, Bianca la strinse timidamente.
  • Ed io Bianca-
Lara intervenne:
  • Oh, Sergio, non ve ne pentirete di assumere Bianca. Non è davvero adorabile? Si, pensi che è la terza volta che l’incontro in due giorni, è davvero un segno…!-
Ci risiamo con la storia del segno, pensò Bianca.
Sergio sorrise divertito, poi disse a Bianca:

  • Ci rivediamo nel pomeriggio. Tratterrò il proprietario fin quando non arrivi-
  • Non ritarderò. Ti ringrazio Sergio -
  • Non c’è di che-
Lara prese Bianca sottobraccio e salutò con la mano dicendo:
  • Arrivederci signor Sergio! E a proposito, io mi chiamo Lara!-
  • È stato un piacere signorina Lara! Arrivederci altezza!-
Ariel lo salutò sorridendo prima di affiancare Lara che iniziava già a parlare di nuovo:
  • Non sapevo cercassi un lavoro, Bianca, ma è una scelta davvero nobile da parte tua, oh si, sii certa che ti assumeranno, Sergio è simpatico non trovi? Metterà una buona parola per te, ne sono certa! E io ed Ariel verremo a trovarti durante i turni, ovviamente non ti disturberemo, ma sarà una cosa tanto carina! Non trovi Ariel? Oh Bianca, che bello passeggiare tutti insieme! Ti racconterò di quella volta che…-
Bianca si lasciava trascinare da Lara di nuovo verso via Morghen mentre con la coda dell’occhio quasi riusciva a scorgere lo sguardo di Sergio che ancora la guardava dai vetri del bar.
 
 
 
 

 
 
Eva afferrò le lenzuola che stava per portare nella camera di Amanda quando sentì la porta di casa aprirsi.

  • Ragazze, sono a casa!-
Eva posò le lenzuola sul mobile del corridoio e scese le scale velocemente e si diresse verso la porta.
  • Ciao papà! - salutò sorridendo, andandogli incontro.
  • Ciao tesoro. Com’è andata la mattinata?-
  • Bene, grazie-
  • E dov’è Amanda?-
  • Nella sua stanza a sistemare le sue cose-
La voce di Eva si colorò di uno strano tono quando suo padre menzionò Amanda, tanto che questa, che era appena comparsa sulle scale, esitò prima di dire:
  • Sono qui. Ciao Francesco -
Eva e Francesco si girarono verso lo scalone ed osservarono la ragazza scendere lentamente.
  • Ciao Amanda. Come stai?- le chiese Francesco mentre finalmente posava in un angolo la ventiquattrore e abbracciava anche lei.
  • Bene- rispose lei, felice di quell’abbraccio.
Eva storse il naso.
Suo padre trattava Amanda come se fosse sua figlia anche se non erano neanche lontanamente parenti.

  • Che ne dite se stasera vi porto a cena fuori? Dobbiamo festeggiare il ritorno di Amanda tra di noi!- disse poi Francesco passando gli occhi da una ragazza all’altra.
  • E c’è da festeggiare?- chiese acida Eva.
  • Eva, per favore…-
Francesco accompagnò le sue parole severe con un’occhiataccia che però Eva riuscì ad evitare.
Amanda alzò le spalle sorridendo.

  • Sarebbe molto carino, non credi Amanda?- riprese Francesco, mantenendo il suo tono entusiasta.
  • Non voglio costringere Eva – mormorò Amanda, stringendosi nelle spalle.
  • Non la costringi, Amanda. Eva ne è contenta, è solo che non può fare a meno di essere antipatica-
Francesco diede una gomitata alla figlia sorridendole.
  • Non abbiamo già festeggiato ieri?- chiese seccata Eva.
  • Si, ma stasera saremo solo noi tre. È qualcosa di più intimo- insistette Francesco.
Eva storse la bocca sospirando rumorosamente, Amanda rise.
  • Cosa c’è da ridere?- chiese poi Eva lanciandole un’occhiata di fuoco.
  • Non so,- confessò Amanda, - mi rendi allegra, Eva –
Amanda sostenne l’occhiataccia di Eva fino a quando quest’ultima si stancò di sentirsi ripagata con quella gentilezza non richiesta e infine sbuffò:
  • Vada per la cena. Ma non prendeteci l’abitudine!-
Così dicendo risalì le scale irritata mentre alle sue spalle sia Francesco che Amanda ridevano sotto i baffi.
  • Devi scusare Eva, è il suo caratteraccio. Ma sono certa che ti vuole bene ed è contenta quanto me di riaverti qui-
Francesco sorrise ad un’Amanda sconsolata, quest’ultima sospirò.
  • Eva non può essere biasimata. Sono andata via lasciando voi due nei guai e non ho potuto fare niente per aiutarvi. E ti ringrazio per non avermi fatto pesare la cosa, Francesco. E ti chiedo scusa se non ti ho raccontato niente, è solo che io ero…-
  • Impaurita?-
Francesco si sedette sulla poltrona dell’atrio invitando Amanda ad occupare quella accanto a lui.
  • Già, - rispose la ragazza sedendosi, - e anche imbarazzata. E inoltre pensavo che non sarebbe successo niente di grave, e invece…-
  • E infatti non è successo niente di grave-
  • Ma è stato solamente un caso. Capisci cosa sarebbe potuto succedere se…?-
  • Lascia perdere, Amanda, non pensarci. Adesso sono passati due anni e in due anni la vita delle persone cambia. Non devi preoccuparti, okay?-
Amanda sorrise di fronte allo sguardo incoraggiante di quell’uomo che amava come fosse suo padre.
  • Ti ringrazio Francesco -
  • Non devi. Noi siamo la tua famiglia, non scordarlo-
  • Non ho avuto ancora occasione di chiedere ad Eva come effettivamente siano andate le cose dopo la mia partenza-
Amanda abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per esser fuggita come una ladra.
  • Ne avrete di tempo per parlare. Per stasera pensa solo a rilassarti-
Amanda sorrise di nuovo, poi abbracciò Francesco.
Chissà se era vero che il tempo è capace di cancellare qualsiasi cosa.
 
 
 
 
 
Bianca si era ritrovata a fare da guida turistica a Lara ed Ariel senza averlo chiesto né tantomeno voluto. Le era venuto un gran mal di testa a star dietro tutta la mattinata alla risata cristallina di Lara. Più passava del tempo con lei più si rendeva conto di quanto fosse effettivamente strana: c’erano stati momenti in cui si era persino chiesta se fosse di questo mondo. Impossibile che una ragazza rimanesse letteralmente a bocca aperta davanti all’orologio della funicolare di Chiaia come se fosse la cosa più incredibile che abbia mai visto nella sua vita. Dov’è che viveva, in un paesino talmente dimenticato dal mondo e da Dio da non aver mai visto una funicolare? Ariel non sembrava meravigliato come lei: era più timido e meno estroverso di Lara. Teneva le mani in tasca e osservava le cose che Bianca aveva mostrato loro con un sorriso che a volte rasentava il malinconico. Ariel era bello come Lara: sembravano essere quasi fratelli anche se i tratti dei loro visi erano palesemente diversi, ma c’era un qualcosa che inspiegabilmente li accomunava. Avevano camminato per il Vomero per quasi due ore fino a quando non era arrivata l’ora del pranzo e Bianca aveva dovuto ritornare a casa. Congedarsi da Lara ed Ariel era stato alquanto difficile nonostante una parte del suo cervello era così intontito da voler andare via al più presto. Se da un lato l’atteggiamento estremamente espansivo di Lara le faceva venir voglia di mettersi ad urlare, era intenerita dalla timidezza di Ariel e dal sorriso di entrambi, che parevano essere dei bambini inesperti del mondo. Iniziò a credere che l’avvento della maturità l’avesse trasformata in una calamita per persone strane: con la luce della serietà avrebbe dovuto illuminare quelle anime vaganti per indirizzarle verso la retta via. In realtà la questione era molto più semplice di quanto appariva: aveva semplicemente passato la giornata con due turisti provenienti da chissà dove. Questo particolare tormentò il suo cervello per ore. Quando aveva chiesto loro la città di provenienza, si erano limitati a dire che provenivano dal Nord Europa e che nonostante questo sapessero entrambi parlare bene l’italiano in quanto Ariel aveva studiato lingue e i genitori di Lara erano originari di Firenze. Com’è che due fiorentini s’erano trasferiti nella monarchia di chissà cosa e che la loro figlia fosse diventata tanto amica del principe? Ammesso che Ariel fosse davvero un principe. Era una cosa davvero assurda detta così, eppure Ariel aveva tutta l’aria del principe fiabesco, non soltanto per la sua bellezza non invasiva, ma anche per il suo temperamento e le sue maniere. Le notizie che Bianca aveva ricevuto da loro erano esigue: da quello che poté dedurre dalle parole confuse della ragazza, ella ed Ariel erano praticamente cresciuti insieme poiché suo padre svolgeva un lavoro molto importante a corte. Anche l’identità di questo lavoro non fu specificata, ma si trattava probabilmente di qualcosa riguardante la sicurezza. Di quale paese era il principe Ariel? Questo Bianca non era riuscita a capirlo, eppure non aveva mai sentito parlare di un principe Ariel prima. Avrebbe dovuto documentarsi su Internet, sfogliare le monarchie europee per compilare una lista. Dall’atteggiamento dei due però era riuscita a capire che a loro non andava di parlare del loro paese di provenienza. Era come se fossero giunti lì in incognito o peggio, di nascosto. Già, di nascosto: se un principe decide di andare in vacanza, come minimo prenota un lussuoso albergo e si porta dietro i suoi maggiordomi. Lara ed Ariel soggiornavano invece dai cugini di Lara, che abitavano a Napoli. La cosa non era per niente chiara. E di chi era la festa alla quale Lara stava andando la sera precedente? Amici dei cugini? Altri parenti? E perché Ariel non era con lei?
Una delle mille ipotesi che Bianca formulò fu quella che i due fossero fuggiti da qualche manicomio, ma chissà perché, scartò quasi subito quell’opportunità. Sebbene Lara aveva tutta l’aria d’essere folle, non lo sembrava così tanto da dare l’impressione di essere uscita dal manicomio.
Prima di congedarsi Lara le aveva chiesto se avessero potuto incontrarsi di nuovo. Anche ad Ariel era piaciuta l’idea, e Lara aggiunse anche che avrebbe tanto voluto il suo aiuto per scegliere dei vestiti da comprare per la festa di fine estate alla quale avrebbe dovuto partecipare prima di ripartire. In quel momento a Bianca non venne in mente di chiedere chi è che dava una festa di fine estate, così semplicemente accettò. Era strano come stando insieme a loro il suo animo paresse calmo e rilassato e come si sentisse stranamente a suo agio. Una volta rimasta sola però, cominciavano le domande e i dubbi sulla loro identità. Si stava cacciando in un guaio? Era pericoloso frequentarli? Sebbene da ragazza matura doveva porsi certi quesiti, Bianca si rifiutò di credere che in Lara ci fosse qualcosa di minaccioso.
I pensieri avrebbero continuato per un bel po’ a riempirle la testa se non avesse dovuto fermarsi dinanzi all’entrata del Bar Mexico, dove aveva il fatidico incontro con il proprietario per avere con lui il colloquio che Sergio quella mattina le aveva assicurato.
Sospirò prima di entrare come se si stesse accingendo a fare un importante colloqui con chissà quale notevole agenzia, poi a piccoli passi fece il suo ingresso nel bar.
Non ebbe  neanche il tempo di avvicinarsi al bancone che Sergio la chiamò dall’altro lato del locale.

  • Bianca!-
La sua voce era possente e calda, Bianca si voltò verso di lui con un timido sorriso e si avvicinò velocemente.
  • Ciao- salutò tentando di apparire in qualche modo riconoscente, ma il sorriso disarmante di Sergio mise a tacere qualsiasi sua intenzione. Il ragazzo si era appoggiato con i gomiti sul bancone e la fissava dritto negli occhi con quel suo strano sorriso tanto bello.
  • Il proprietario è qui, gli ho già parlato di te-
Il cuore iniziò a batterle dinanzi a quelle parole, sorrise mentre sentiva di star arrossendo. Strano, Bianca non era mai stata una ragazza timida.
  • Ti ringrazio molto- disse solamente, incespicando con le parole e tenendo lo sguardo basso.
Sentì che Sergio rideva sotto i baffi prima di allontanarsi verso il retro del locale da dove poi ne uscì qualche minuto dopo accompagnato da un omaccione alto e grasso con un berretto in testa e simpatici baffetti bianchi. Nonostante quella figura potesse sembrare inquietante, i suoi occhietti piccoli e vispi donavano ilarità alla sua persona tanto da farlo sembrare un nonnetto divertente.
  • Oh! Tu devi essere Bianca- disse, avvicinandosi a lei e porgendole la mano.
Bianca sorrise stringendo la mano dell’uomo.
  • Si, sono io. La ringrazio per il tempo che mi dedica- mormorò, di nuovo nella sua strana timidezza.
Sergio era accanto al proprietario con le mani dietro la schiena e il suo sorriso fiero.
  • Oh, non devi ringraziarmi! Piuttosto, andiamo a sederci, così possiamo parlare con calma. Oh, Sergio, portaci qualcosa da bere!-
  • Ai suoi ordini!-
Sergio simulò un inchino e poi si ritirò di nuovo dietro il bancone.
  • Suvvia, andiamo a sederci!-
Bianca non se lo fece ripetere due volte e qualche secondo dopo era seduta di fronte al signor Enrico (così si chiamava) e iniziò ufficialmente il suo primo colloquio di lavoro.
Il signor Enrico le chiese quanti anni avesse e se avesse già esperienza nel settore, e Bianca dovette confessare di non aver mai lavorato in un bar, ma disse di essere una ragazza sveglia ed attiva e che imparava in fretta. Il signor Enrico restò colpito positivamente da quella giovinetta che pensò di metterla in prova per una settimana. Quando Sergio giunse al tavolo con due bicchieri di succo di frutta, Enrico gli diede una pacca sulla spalla amichevolmente e disse:

  • Te la affido! Insegnale tutto quello che c’è da sapere sul bar e la sua settimana di prova andrà splendidamente. Puoi iniziare domani, Bianca, ti darò una tabella con i tuoi orari-
Bianca sfoderò un sorriso a trentadue denti, stava per saltare al collo di Enrico e abbracciarlo così forte da stritolarlo, avrebbe voluto urlare e piangere al contempo, ma, con la voce rotta dall’emozione disse solamente:
  • Oh Dio, signor Enrico la ringrazio di tutto cuore! Non la deluderò, farò del mio meglio e…-
Enrico si alzò e rise sotto i baffi.
  • Tranquilla, tranquilla. Ci vediamo domani mattina, alle sei e mezza!-
  • Non tarderò!-
Il signor Enrico si allontanò dal tavolo ridendo sotto i baffi e ritornò nel retro del locale, sparendo così come pochi minuti prima era comparso.
Quello era stato il colloquio di lavoro più breve che Bianca avrebbe mai potuto fare nella vita.

  • Complimenti!- esclamò Sergio risvegliandola dall’estasi.
Bianca gli rivolse un sorriso esagerato.
  • È tutto merito tuo, Sergio! Non so come ringraziarti, davvero, tu sei…-
Sergio rise, poi si sedette al posto occupato poco prima da Enrico.
  • Non devi ringraziarmi. Devi avergli fatto una buona impressione, lui è molto severo riguardo il personale-
Bianca restò sorpresa da quell’affermazione. Eppure non pareva per niente severo.
  • E la tua amica principessa?- scherzò subito dopo Sergio, senza dare a Bianca il tempo di ringraziarlo di nuovo.
  • Oh, Lara? No, lei non è mica mia amica, l’ho solo incontrata qui l’altra mattina e da allora pare che mi perseguiti, me la ritrovo ovunque, non so davvero, non mi è mai capitata una cosa del genere, e poi d’altronde…-
Bianca era partita in quarta, il solo sentir nominare Lara le dava una loquacità inaspettata e irrefrenabile. Sergio osservava le sue labbra muoversi velocemente, sorrideva mentre gli occhi brillavano.
  • È una ragazza davvero dolce. Peccato che sia un po’ fuori di testa- commentò alla fine Sergio, ridendo insieme a Bianca.
  • Mi dispiace molto per stamattina, sai, Lara tende ad essere un tantinello festosa. Esagerata. Ecco, si, esagerata. Mi ha praticamente costretta a farle da guida della città, l’ho avuta nelle orecchie per ore, santoddio, è una cara ragazza, non lo metto certo in dubbio, la come fa Ariel a starle dietro? Lui è tranquillo. Un bel po’ tranquillo-
  • Chi, il principe?-
Il tono di Sergio si fece un pochino più serio.
  • Già, proprio lui. A quanto pare il padre di Lara fa qualcosa come il diplomatico o che so io, e lei è diventata amica di questo principe-
  • L’hai saputo da dove viene, questo qui?-
Bianca scosse la testa.
  • Io non credo sia un principe. Al massimo è qualche cugino di corte-
Sergio rise alle sue parole, Bianca abbassò lo sguardo chiedendosi se doveva ella stessa ridere o meno.
  • Ascolta Bianca, so che forse è prematuro da parte mia, però mi chiedevo se ti andasse, beh, - Sergio arrossì, si confuse, - se ti andasse di uscire con me questa sera. Come amici, s’intende. Mi piacerebbe conoscerti, potrei spiegarti qualcosa del tuo nuovo lavoro e ti prometto che non faremo tardi visto che domani è il tuo primo giorno di lavoro-
Bianca sorrise, abbassò per un attimo gli occhi impicciata, poi guardò di nuovo Sergio, i suoi occhi smeraldo. Era davvero carino, e in quel momento anche tremendamente in imbarazzo. Si chiedeva se fosse conveniente che una ragazza matura accettasse l’invito ad uscire sebbene non conoscesse per niente il ragazzo in questione. Avrebbe dovuto rifiutare, conoscerlo meglio sul posto di lavoro e poi, forse, accettare il suo invito. E se lui non glie l’avesse più richiesto? Avrebbe perso l’occasione di frequentare un ragazzo davvero carino e che sembrava anche un tipo a posto. Se non altro era bello, questo era un punto a suo favore. Non voleva accettare ma nemmeno rifiutare.
Sorrise di nuovo.

  • Sei davvero molto carino con me, - mormorò, un po’ civettuola, Sergio iniziò ad arrossire ancora di più, cercava di evitare lo sguardo di Bianca.
  • Scusami, - iniziò a dire, - forse ti sembrerò sfacciato. Lascia stare, non pensarci… mi sento un po’ stupido!-
Sergio iniziò a ridere, forse per allentare la tensione che provava.
  • No, non mi sembri sfacciato, tutt’altro- rispose Bianca, intenerita dal suo comportamento, - una pizza insieme mi farebbe piacere- concluse poi.
Sergio parve illuminarsi.
  • Davvero?- balbettò.
  • Si, davvero- rispose Bianca.
  • Va bene, allora ci incontriamo qui alle otto, d’accordo? Porto il mio scooter-
Bianca sorrise.
  • Va bene. A stasera allora-
  • A stasera-



Note:
Salve a tutti e grazie per recensire e seguire questo racconto. Ci tengo a precisare che tutti i luoghi, ristoranti, vie e bar sono reali. E' la prima volta che in un racconto sono così precisa sui luoghi, ma narrando della mia città, lo trovo necessario.
Grazie a tutti ed a presto,
Lara.

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Capitolo 4
*** Mai sul serio, - mai profondamente ***


 

-  Non è che devi andare ad un matrimonio. Andiamo soltanto a mangiare la pizza-
Eva si poggiò con le spalle alla porta della camera di Amanda. Sentì dall’interno le risa della ragazza.
- Non restare fuori. Entra- la invitò poi.
Eva non se  lo fece ripetere due volte, aprì la porta della camera ed entrò. Amanda era seduta dinanzi allo specchio che si dava un’ultima spazzolata ai lunghi capelli ramati. Appena Eva entrò, Amanda si alzò e volteggiò su se stessa, mostrandole un abito in seta viola, che faceva risaltare la lucentezza del suo viso. Era un abitino semplice, stretto in vita e lungo fino alle ginocchia, Eva l’avrebbe definito “da passeggiata”.
-  Come ti sembro?- domandò Amanda.
Era davvero carina, ma Eva non l’avrebbe mai ammesso.
-  Sembri una caramella – commentò.
Amanda rise di nuovo, poi afferrò la borsa lasciata sul letto.
- Ecco, possiamo andare- disse infine.
Eva abbozzò un sorrisetto contrariato, poi uscì dalla stanza seguita da Amanda. Scesero velocemente le scale, Francesco le aspettava nell’atrio.
- Bambine, finalmente!- esclamò allargando le braccia.
- Come hai detto, scusa?- lo rimproverò Eva.
Francesco rise.
- Cosa c’è? –
Eva scosse la testa, Amanda aprì la porta di casa. Dopo qualche minuto erano tutti e tre in macchina, Eva aveva chiesto di poter guidare, ma Francesco non glie lo concesse.
- Le bambine non guidano-
-  Io non sono una bambina, papà-
-  Per stasera lasciami giocare al padre premuroso che porta le sue figlie a cena fuori!-
Papà era d’ottimo umore, Eva decise di temperare le sue frecciatine e di ritirare il veleno dalla lingua.
Amanda si sedette sul sedile posteriore, Eva occupò quello accanto a suo padre e partirono.
 

 
 
Bianca si aggiustò il casco in modo che scombinasse il meno possibile i capelli e salì dietro Sergio sul suo scooter rosso.
- Hai paura?- chiese Sergio.
Bianca alzò le spalle.
-  No, per niente. Perché dovrei aver paura di uno scooter?-
-  Non lo so. Alcune ragazze hanno paura-
“Sfigate” pensò Bianca.
-  Quante ragazze sono salite su questo scooter?- chiese.
-  Meno di quelle che pensi-
Sergio mise in moto e partirono. Il vento fresco sulle gote di Bianca e sulle sue braccia era come un leggerissimo solletico, si strinse a Sergio e chiuse gli occhi per un attimo. Non conversarono molto lungo il tragitto, ma forse era meglio così. Era meglio parlare a quattr’occhi, come di sicuro una ragazza matura avrebbe fatto. Ora che ci pensava, era la prima volta che usciva con un ragazzo, adesso che era “matura”. Il suo ultimo fidanzato era stato un vero disastro, ma adesso le cottarelle adolescenziali erano finite.
Sergio parcheggiò il motorino a piazza Dante ed insieme si misero in cammino.
- Scommetto che sei andata mille volte da Sorbillo e che decidere di portarti lì è una scelta scontata- disse Sergio.
Bianca si chiedeva perché fosse così agitato.
- No, in realtà non ci sono andata poi moltissime volte. E poi è la pizzeria più buona della città. Sei un vero galantuomo-
Sergio sorrise, si incamminarono.
- Perché non mi racconti qualcosa di te?- lo spronò Bianca. Già, se dovevano uscire insieme era bene che Sergio si facesse conoscere.
Lui alzò le spalle imbarazzato.
- Beh, non so cosa dirti, ehm, studio alla facoltà di Storia, sono al terzo anno. Lavoro per mantenermi gli studi, è molto pesante per me poiché spesso devo rimanere sveglio tutta la notte per studiare, ma è un sacrificio che sono disposto a fare per la laurea-
Bianca lo guardò ammirata. Era perfetto, già, perfetto: una donna matura come lei aveva bisogno di un uomo colto ed intelligente al suo fianco. Appassionato. Sergio le pareva appassionato.
- Oh- riuscì soltanto a dire.
Sergio le sorrise.
- Tu cosa fai invece?-
-  Mi sono diplomata ieri-
-  Auguri!-
-  Grazie,- abbassò gli occhi sorridendo, - ho frequentato il liceo classico. Sto studiando per entrare a medicina-
Parlò spedita senza mangiarsi le sillabe come era abituata a fare quando si trovava in una situazione nuova.
Continuarono a parlare di scuola ed università fino a quando non giunsero dinanzi al ristorante. Erano fortunati, di mercoledì non c’era quasi nessuno.
- Un tavolo per due- chiese gentilmente Sergio. Il giovane cameriere sorrise indicandogli di salire al piano di sopra. Bianca sorrise a sua volta, Sergio la prese inaspettatamente per mano.
 
 

 
 
 
- E’ così tanto tempo che non mangio la pizza!- esclamò Amanda piena di gioia.
Eva, con le braccia incrociate sul petto, guardò in alto come per chiede pietà a Dio, supplicandolo di riprendersi quella sciagura. Non c’era minuto che Eva non pensasse agli enormi guai nei quali Amanda l’aveva cacciata.
- Sono davvero felice- disse Francesco, - ora conoscerai la pizza più buona della città!-
Amanda sorrise, Eva lesse nel suo sguardo una punta di perplessità.
Scesero dalla macchina ed entrarono da Sorbillo.
Per fortuna che non era sabato, o ci sarebbe stato da aspettare ore ed ore.
Eva entrò per prima, chiese un tavolo per tre mentre Amanda e suo padre conversavamo amabilmente. Il giovanotto guardò Eva con ammirazione, come se si stesse chiedendo contemporaneamente da dove fosse spuntata fuori una ragazza tanto carina e quanto dovesse essere ricca, visto il modo in cui vestiva. Eva se ne accorse, ma non ne fece un dramma. Il ragazzo gli indicò il piano superiore, e i tre salirono velocemente le scale.
Eva vide lo sguardo di Amanda incupirsi, sembrava non ascoltare le parole di suo padre. Lo guardava con occhi vuoti, annuendo ai suoi discorsi. Suo padre però non si accorgeva di niente. In realtà era così contento che Amanda fosse tornata che si sarebbe messo a parlare con lei anche nel sonno. Eva sospirò, poi sorrise amabilmente al cameriere che li accompagnò al tavolo. Sedettero all’angolo destro della sala, a ridosso della finestra. Amanda e suo padre si posizionarono vicini, con i volti rivolti verso la finestra, Eva invece con le spalle ad essa.
 
 

 
 
Sergio si lasciò andare ad uno sguardo malinconico che a Bianca non sfuggì. Aveva abbassato gli occhi come per evitare di guardarsi intorno, quasi come se avesse paura. Gli occhi di Bianca erano attenti, non le sfuggiva mai niente. Evitò di parlare per un minuto o due, e quando Sergio la guardò ebbe quasi l’impressione che avesse capito. Lo sguardo di Bianca era talmente intenso da non lasciare spazio a ipotesi. Si, se n’era senz’altro accorta.
- Sei mai stata innamorata?- le chiese.
Bianca alzò le spalle.
- Credo di no- rispose decisa, mentre continuava a fissarlo.
Sergio aveva sorriso, adesso la malinconia non c’era più.
-  Perché mi chiedi una cosa del genere?- chiese poi, mentre si versava un po’ di Coca.
-  Non lo so, - rispose confuso il ragazzo, - era tanto per sapere-
-  E tu sei mai stato innamorato?-
Sergio restò in silenzio per qualche momento.
- No- rispose poi.
Bianca rise.
-  Non ci credo-
-  Come?-
-  Non ci credo-
-  E perché mai?-
-  Non sei più un ragazzino. Ti sarà capitato qualche volta di innamorarti-
Sergio sorrise, gli occhi gli si illuminarono.
-  Beh, no. Mai sul serio, mai profondamente. Ho voluto bene alle ragazze che ho frequentato, ma non avrei sposato nessuna di esse-
-  Io non ho voglia di sposarmi, ma questo non significa che non voglia innamorarmi-
Bianca aveva assunto un tono serio, quasi distaccato. Sergio smise di sorridere, la guardò intensamente.
-          Questa è una frase molto saggia-
 
 
 

 
 
Non avevano ancora iniziato a mangiare che Eva sentì il cuore cominciarle a battere all’impazzata. Nascose il rossore delle sue gote soffiandosi il naso, abbassò gli occhi e tentò di nascondere la sua immagine dietro quella del padre.
Non riusciva a crederci.
Sbirciò un altro po’ sporgendosi verso sinistra, tra suo padre ed Amanda, e bastò un’occhiata perché capisse di non essersi sbagliata. Iniziò a fare un calcolo delle probabilità, ragionando sulla sfortuna che le stava ripiombando addosso: tra tutti i ristoranti che ci sono a Napoli, quante possibilità c’erano  di dare inizio ad una nuova sciagura? Non poteva essere vero! Dovevano andarsene. E in fretta.
- Eva, tutto bene?- chiese suo padre.
-  Ssh!- lo zittì Eva, abbassando la testa quasi a poggiarla nel piatto.
- Ma cosa ti succede?- chiese a sua volta Amanda, modulando il tono della voce.
Eva le lanciò un’occhiata fulminante.
-  Dobbiamo andarcene- bisbigliò.
- Ma perché?-
Amanda fece per voltarsi verso l’altra parte della sala ma Eva la tirò per la maniche sotto il tavolo.
-  Bambine!- le richiamò Francesco, ma ormai entrambe erano accovacciate sotto il tavolo.
-  Si può sapere cosa ti prende?- chiese ancora Amanda.
-  Ma non capisci? È qui! Dobbiamo andarcene! È un incubo, questo è un incubo…-
Amanda sbiancò, gli occhi le si fecero lucidi, la voce spezzata.
-  Cosa? È qui? Ne sei… sicura?- farfugliò con un filo di voce.
-  Già! È sempre colpa tua, lo sapevo! Mi porti sfortuna! Adesso alziamoci e scappiamo!-
-  Ma se passiamo per di la ci vedrà…-
-  Ma non capisci allora? Dobbiamo correre! Scappare! Evaporare!-
Amanda riemerse dal pavimento e si chinò verso Francesco per bisbigliargli qualcosa in un orecchio. Anche lui cambiò espressione.
-  Dobbiamo andare via!-
Eva era sempre più spaventata.
 
 
 
 

 
 
 
Bianca fissava il tavolo, la tovaglia gialla e i tovaglioli. Aveva fatto bene ad uscire con Sergio? Se lo stava chiedendo, adesso che lui era andato in bagno. Si chiedeva se non era stata un po’ troppo avventata. No, di sicuro non lo era stata, lui era un tipo simpatico e si stava comportando bene. Eppure pareva quasi che si vergognasse o si sentisse a disagio, Bianca non avrebbe saputo dirlo. Si guardò intorno, nell’angolo opposto al suo vide tre persone che discutevano animatamente, parevano spaventati, o almeno così sembrava la ragazza che le era di fronte, dai lunghi capelli corvini. In un batter d’occhio, come se non stessero aspettando altro, si alzarono e velocemente attraversarono la sala e scesero le scale. Bianca non poté fare a meno di lanciar loro un’occhiata curiosa, ma dopo un attimo se ne dimenticò totalmente. Ecco Sergio che ritornava, sorridente e magnifico. Forse stava iniziando davvero una nuova vita, e per quanto questa cosa le sembrasse ancora assurda e senza senso, sapeva che era davvero così e che Sergio avrebbe potuto far parte della sua nuova, stupenda e matura vita.

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Capitolo 5
*** Dopo un attimo, tutto era finito ***


Eva non aveva tanti amici, e neppure un fidanzato. Tutti la ritenevano un po’ troppo scorbutica, troppo altezzosa. In realtà Eva era soltanto un po’ irritabile, ma questo non era da considerarsi un difetto, era piuttosto una caratteristica. Ma a lei non importava molto, ormai il tempo in cui la sua preoccupazione fondamentale era piacere ai ragazzi era passata, adesso era arrivata l’epoca del “come fare per liberarsi di Amanda”.
Dopo quanto era successo in pizzeria, Amanda era diventata paranoica: se ne stava tutto il giorno chiusa in casa, camminando nervosamente avanti e indietro con gli occhi spiritati e le gote bianche, di tanto in tanto lanciava sguardi preoccupati alle finestre per poi ritirarsi, impaurita. Era convinta che quello che era accaduto non era un caso.
-  Smettila adesso. Non puoi continuare così- la rimproverò Eva il terzo giorno.
Amanda scattò in piedi appena sentì la sua voce.
-  Non entrare così all’improvviso senza avvisare. Mi metti paura-
Amanda si lasciò cadere sul divano.
-  Tu sei pazza-
Eva si sedette accanto a lei, Amanda le lanciò uno sguardo fulmineo.
-  Hai voglia di uscire un po’?- le domandò.
-  Ma che sei impazzita? No, no! Non posso uscire!-
Eva sospirò stizzita.
-  E hai intenzione di rimanere rinchiusa qui fino a quando, precisamente?-
-  Per tutto il tempo necessario-
Il tempo necessario, aveva detto. Cosa intendesse Amanda per “tempo necessario” ne aveva una vaga idea. Per quanto poco poteva conoscere Amanda, sapeva che i suoi stati di agitazione erano difficilmente domabili, e poiché suo padre glie l’aveva affidata, questo significava che fino a quando Amanda non si sarebbe decisa a smetterla con la vita della monaca di clausura, neanche lei poteva fare nient’altro. Questo era ingiusto, oltre che incredibilmente odioso. Eva non era la baby sitter di Amanda, questo suo padre lo sapeva bene, eppure continuava a convincersi del fatto che Eva avrebbe imparato ad accettarla, se lui glie l’avesse in qualche modo imposta.
-  Ascolta, principessina, non ho intenzione di restare rinchiusa qui perché devo farti da balia!-
-  Non devi farmi da balia. Se vuoi, esci pure-
Esci pure? Si, era facile per lei: se papà l’avesse scoperto l’avrebbe uccisa.
-  Lo sai che non posso lasciarti da sola-
-  Parlerò io con tuo padre-
-  Non ti ascolterà. Andiamo Amanda, ragiona: finalmente sei tornata ad invadere la mia casa, la mia città e tutto il mio mondo, e cosa decidi di fare? Restare chiusa in casa? Si muore di caldo. Andiamo al mare!-
-  Non mi va-
Eva si alzò dal divano più stizzita di prima.
-  Sei una piaga-
-  Mi dispiace, Eva –
-  Ti ammazzo-
Eva lasciò la stanza,  Amanda continuò il suo giro di perlustrazione avvicinandosi di soppiatto a tutte le finestre della casa.
Bene, Maometto non va alla montagna? La montagna andrà da Maometto.
Salì velocemente le scale e si chiuse la porta della sua camera alle spalle, dopo di che afferrò il cellulare e compose frettolosa un numero.
Dopo due squilli una calda voce maschile rispose:
-  Ciao, bellezza! Credevo non m’avessi più richiamato!-
Dall’altro capo del filo era Riccardo, un giovane con il quale Eva era uscita una volta o due. Era simpatico, un po’ ingenuo, ma molto carino. Frequentava la stessa facoltà di Eva, quella di Architettura, e conosceva più persone lui che quante Eva avesse speranza di conoscere in tutta la vita.
-  Ciao Ricky, - rispose lei, civettuola, - senti, stasera do una festa. Ti va di venire? Porta tutti gli amici che hai, non importa quanti sono-
-  Mi sembra una fantastica idea-
Eva rise di nuovo, gli diede qualche altra indicazione e poi agganciò il telefono, pronta a fare qualche altra telefonata.
-  Ora glie la faccio vedere io alla principessina…-
 
 
 

 
 
 
Bianca non era solita far cose del genere, ma era come se Lara avesse un chissà quale ascendente su di lei. Dopo essersi fatta convincere a fare un giro per negozi (già in cerca del famoso abito per la famosa festa di chissà quando) subito dopo aver concluso il suo turno di lavoro, adesso aveva invitato Lara a casa sua per mangiare una fetta di torta alle mele preparata da sua madre. Lara aveva saltellato dalla gioia, Bianca l’aveva guardata stranita. Le faceva tenerezza questa Lara, le sembrava un’orfanella, un’inesperta del mondo, come se non sapesse neanche camminare. Era entrata in ogni negozio propostole da Bianca con tanto di occhi spalancati, sconvolta, come se non avesse mai visto niente di simile. Eppure Bianca c’avrebbe giurato, Lara ne sapeva qualcosa in fatto di moda, si vestiva davvero bene. Quel giorno aveva un grazioso abito rosso, stretto in vita, la borsa di paglia del giorno dell’esame di stato e un paio di sandali rossi. Eppure, Lara sembrava non dare per niente importanza agli abiti che indossava, sembrava non avesse scelto lei di indossarli. Guardava ammirata le vetrine, le sete, i fiocchi e quant’altro capitasse sotto tiro. Quando finalmente ebbero perlustrato Via Scarlatti, Bianca era esausta, così, per non lasciare l’orfanella in strada da sola, le aveva proposto di sedersi alla sua tavola per una fetta di torta.
Bianca abbozzò un sorrisetto mentre infilava le chiavi nella toppa ed apriva la porta.
Lara seguì Bianca come un cagnolino, silenziosa e stranamente a disagio. La casa era silenziosa, il lungo corridoio era illuminato dalla luce della finestra che proveniva dalla cucina, sulla destra, mentre sulla sinistra si apriva il salone.
-  Sono a casa!- gridò.
Dalla stanza infondo al corridoio si aprì una porta e Stefano le corse praticamente incontro.
-  Ma a che ora hai finito ‘sto turno di lavoro? – esclamò, quasi ridendo. Si bloccò però alla vista di Lara, che lo lasciò confuso ed esterrefatto.
-  Ciao- disse poi, alzando la mano in segno di saluto.
Stefano era imbarazzato, Bianca non ricordava di averlo mai visto in una situazione del genere. Lara sorrise, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-  Ciao- mormorò a sua volta.
Bianca posò la borsa sull’appendi abiti e mi portò le mani ai fianchi sospirando.
-  Non m’avevano sequestrata, è che sono andata a fare un giro con Lara - disse, indicandola.
-  Piacere, io sono Stefano. Il fratello di Bianca-
Lara sorrise, Bianca non poteva credere ai suoi occhi. Magicamente, Lara non stava dando spettacolo di se.
-  Ciao, io sono Lara - disse, stringendo la mano che Stefano le porgeva.
-  Ho pensato di invitarla per una fetta di torta. Lara è straniera, sai?-
Bianca aveva dato le spalle ai due per dirigersi in cucina, dove ora apriva il forno e tirava fuori la torta.
-  Oh. Da dove vieni?-
-  Dal Nord-
Stefano fissava Lara con curiosità, come se si aspettasse che continuasse a parlare.
Bianca rise.
-  Non fissarla, non ti dirà di più. Diciamo che è timida. Avanti, cosa fate sull’uscio della porta? Lara, vieni dentro. Ste, vuoi un po’ di torta anche tu?-
Lara passò gli occhi smarriti prima su Stefano, poi su Bianca, che le porgeva un piattino con la torta. Stefano con un sorriso le indicò la cucina, Lara si fece coraggio ed entrò. Sembrava un gattino allontanato dalla madre che faceva di tutto per ambientarsi in un nuovo ambiente. Lara si sedette alla sinistra di Bianca, Stefano si posizionò proprio di fronte alla nuova arrivata.
-  Come vi siete conosciute?- iniziò Stefano.
Bianca offrì una forchettina a Stefano ed una a  Lara, che la prese con un sorriso.
-  Ci siamo incontrate il giorno del mio esame di stato. Lara è stata una specie di portafortuna, o almeno io la considero tale-
Bianca si infilò un pezzetto di torta in bocca, osservò Lara che giocherellava con la forchetta.
-  Io credo piuttosto che sia stato un segno- mormorò poi, spezzando la torta nel piattino.
-  Segno?- chiese Stefano, cortese ed incuriosito.
-  Beh, si, - Lara masticò velocemente la torta, - quando si è destinati ad incontrare una persona. Una guida. Io non credevo potesse succedermi!-
Si stava liberando dalla corazza della timidezza, eppure sembrava in soggezione davanti a Stefano. Lui sembrava stregato, ma Bianca non lo biasimava. Lara era strana e anche molto carina.
-  Credi che Bianca sia la tua guida?-
Stefano le lanciò un’occhiatina, Bianca alzò le spalle con un sorriso.
-  Una cosa del genere- rispose Lara.
-  Quanto resterai a Napoli?- incalzò Stefano.
-  Un bel po’- rispose lei, come se questa fosse proprio la risposta che lui volesse sentire.
-  Sai che lei conosce un principe?- ricominciò Bianca.
Lara abbassò gli occhi sorridendo imbarazzata.
-  Principe?-
Stefano sembrava avere la stessa reazione di Sergio.
-  Oh, è una lunga storia, e anche questa “segreta”-
Bianca rise, poi mangiò un altro pezzetto di torta. Stefano non chiese nulla circa la segreta identità di Ariel, piuttosto sorrise a Lara. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, e lei sembrava essersene accorta.
-  Un altro po’ di torta?- chiese poi Bianca, vedendo che nessuno parlava.
-  No, grazie. Ma era davvero buona, fai i complimenti a tua madre- disse Lara, mentre posava educatamente la forchetta nel piatto.
Quando Bianca si alzò per riprendere i piattini, Stefano sembrò risvegliarsi da un sonno.
-  Sono stato invitato ad una festa, questa sera. Vi va di venire con me?- chiese.
Bianca si voltò sconvolta. Era la prima volta che Stefano diceva una cosa del genere.
-  Festa?- chiese, quasi balbettando.
-  Già. Riccardo mi ha detto che posso portare chi voglio-
-  Oh, ma io non sono stata invitata- disse subito Lara, come se volesse scrollarsi quel fardello di dosso.
-  Non preoccuparti, è come se lo fossi stata-
-  Chi da questa festa?- intervenne Bianca, tornando al tavolo.
-  Un’amica di Riccardo – rispose Stefano, dandole appena un’occhiata.
Bianca se le immaginava, le amiche di Riccardo. Donnette senza cervello, oche civettuole con il cervello grande quanto una nocciolina. Riccardo era da sempre uno dei migliori amici di Stefano sebbene non avessero granchè in comune. Stefano era introverso, intellettualoide, con “pochi amici ma sinceri”, mentre Riccardo aveva tutta l’aria del playboy, con il fisico scolpito e i capelli biondi al vento. Riccardo non era però un ottuso latin lover, era piuttosto un, ehm, come definirlo, un errore genetico: simpatico, bello ed intelligente. Tre aggettivi difficile da trovare nello stesso uomo.
-   Non sarà una di quelle ochette che sbavano dietro Riccardo?- chiese Bianca disgustata.
-   No, questa è una con cui è uscito qualche volta- spiegò Stefano, - e a quanto pare ha deciso di dare una festa nella sua mega villa-
-   È pure una figlia di papà…-
Stefano alzò le spalle, Lara li guardava come se stessero parlando in turco.
-  Vuoi venirci?- le chiese Stefano, rivolgendole uno sguardo affettuoso.
-  Io…- Lara arrossì, - non credo di poter venire-
- Ma perché no?- chiese Bianca, - quasi quasi ci vado anche io!-
Lara scosse la testa.
-  Mi fa davvero piacere che tu m’abbia invitato, - disse rivolta a Stefano, - ma sai, non posso muovermi molto senza Ariel, e poi…-
-  Porta anche lui. Non c’è nessun problema- intervenne Bianca.
-  Oh, ma io, davvero, cioè…-
-  Ho capito, ho capito,- intervenne Stefano, - non vuoi venire-
-  Oh no, non è questo! Però, forse, ehm, se l’avessi saputo con un po’ di anticipo io…-
Bianca rise, Stefano la guardava deluso.
-  Dai, non fa niente. Se non ti va lascia stare. Possiamo sempre vederci in un’altra occasione-
Lara abbozzò un sorriso, Bianca rimase colpita da quella frase. Suo fratello ci stava provando con Lara.
-  Senza dubbio!-
Lara si alzò improvvisamente dal tavolo.
- Devi andare via?- chiese Bianca, intuendo i pensieri della ragazza.
- Oh, si, si è fatto un po’ tardi adesso, e devo andare a recuperare Ariel. Sono contenta di averti conosciuto, Stefano-
Stefano si alzò, l’accompagnò alla porta senza lasciare a Bianca il tempo di intervenire.
-  Anche per me, Lara. Conto di rivederti presto-
-  Oh, anche io. A presto. Ciao Bianca!-
-  Ciao tesoro- rispose con un battito di ciglia Bianca, poggiandosi all’uscio della cucina.
Lara uscì dalla porta di casa, Bianca la sentì scendere le scale. Poi finalmente scoppiò a ridere.
-  Ma che ti prende?- le chiese Stefano con un filo di voce.
-  Stai facendo la corte a Lara!- esclamò Bianca.
Stefano incrociò le braccia.
-          Sei impazzita? È una turista, cercavo di essere gentile-
-    Si, certo. A me non dai a berla-
-   Pensala come vuoi-
-  Già, la penso come voglio, e cioè nel modo giusto! È strana, non è vero? Eppure affascinante, già, capisco che possa piacerti!-
-  Ma non mi piace!-
Stefano si avviava verso la sua stanza.
-  Senti, c’è davvero questa festa stasera o l’hai detto solo per avere un’occasione con Lara?-
-  Certo che c’è la festa. Non m’invento bugie per fare colpo sulle turiste-
-  E allora mi porterai davvero con te?-
-  Fa’ un po’ come ti pare-
E così dicendo, Stefano chiuse la porta della sua camera lasciando Bianca appena un pelo fuori da essa.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
Bianca iniziava a credere di non aver mai visto così tanta gente in vita sua. Entrando dalla porta c’era un enorme atrio, sulla destra un altrettanto enorme salone gremito di persone, mentre sulla sinistra c’era una grande porta a vetri, chiusa. Forse si trattava della cucina, alla quale la proprietaria di casa non voleva lasciare l’accesso. Di fronte alla porta di casa c’era un enorme scalone in marmo. Bianca pensava che ormai non esistessero più scaloni così, credeva che non le costruissero più delle ville di quel genere! Era piena d’entusiasmo fino ai capelli anche se non conosceva nessun altro se non Stefano e Riccardo.
Sebbene era dispiaciuta che Lara non fosse venuta (ci sarebbe stato da ridere a vedere Lara in una situazione del genere) Bianca non aveva rinunciato all’occasione di andare ad una festa. Vero, non era stata personalmente invitata e non conosceva nessuno, ma le pareva un ottimo modo di festeggiare la sua prima giornata di lavoro come donna matura. Forse andare alla festa di una riccastra non era proprio da donna matura, ma non le importava. Ad aprirle le porte di casa era stata una ragazza che a giudicare dall’aspetto, doveva essere ubriaca fradicia. Stefano la salutò alzando le spalle, Riccardo le posò una mano sulla spalla, poi si voltò per dire ai due che non si trattava della padrona di casa. Oh bene, pensò Bianca, se era lei la prima ad essere ridotta in quello stato, c’era da preoccuparsi. Stefano le aveva chiesto perché non avesse deciso di invitare Sergio, ma Bianca non aveva risposto. Non che non le andasse di vederlo, ma non sarebbe sembrata sfacciata ad uscire con lui per ben due sere di fila? E poi era meglio andarci piano. Si, certo, era carino, ma questo non significava ancora niente. E poi cosa avrebbe pensato di lei, se l’avesse chiamato chiedendogli di accompagnarla ad una festa alla quale non era stata neanche invitata? Lui avrebbe pensato che era una stupida ochetta, dunque era stato meglio lasciar perdere.
La musica era assordate e dopo qualche minuto, Bianca non si ritrovò più al fianco di suo fratello.
 
 

 
Eva chiuse a chiave la porta della sua stanza. Non le andava che qualcuno decidesse di chiudersi al piano di sopra, che era assolutamente off limits. Se soltanto papà avesse scoperto di quella festa, sarebbe stato un disastro. Si mise in tasca la chiave e fece per scendere le scale, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.
L’avrebbe riconosciuta tra mille.
-  Cosa sta succedendo?- domandò Amanda, con un filo di voce. Eva si voltò verso di lei, i suoi occhi lucidi modellavano un’espressione tra l’impaurita e l’irritata.
Eva alzò le spalle con un sorriso.
-   Ho dato una festa- rispose tranquilla.
-   Una festa?-
-  Già. Sai cos’è una festa?-
-  Beh, io…- Amanda sembrava confusa, - certo che lo so. Ma c’è un rumore assurdo!-
-  Mettiti un bel vestito e vieni giù. Ti divertirai un mondo-
-  Quante persone hai invitato?-
-  Non lo so. Saranno una cinquantina-
-  Cinquanta?-
Amanda sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
-   Dovresti rilassarti, e una festa è proprio quello che ti ci vuole. Vieni giù!-
-   No-
-  Avanti Amandina. Nessuno ti mangerà-
Amanda aggrottò le sopracciglia, Eva scese qualche scalino, pavoneggiandosi nel suo tubino nero.
-  Sei cattiva con me-
Eva sorrise.
-  Non sono cattiva. Voglio solo divertirmi un po’-
-  Invece l’hai fatto soltanto per mettermi in difficoltà-
-  Non essere egocentrica-
-  Perché cerchi di vendicarti?-
-  Non voglio vendicarmi-
-  Fai di tutto per rendermi la vita impossibile-
-  Se avessi voluto farlo, saresti già morta-
Eva si allontanò velocemente, con le guance arrossate e la rabbia che le cresceva dentro.
 
 

 
 
Bianca avrebbe voluto prendere qualcosa da bere, ma chissà perché, non lo fece. Il tavolo sistemato di fronte alla vetrata che dava sul giardino era colmo di bevande, ma non osava avvicinarsi. I due divani in pelle bianca, sistemati perpendicolarmente alla vetrata, erano colmi di giovani ubriachi o semplicemente brilli, gettati l’uno sull’altro.
Bianca avrebbe tanto voluto sapere chi era la proprietaria di quella casa e perché aveva deciso di dare una festa tanto orribile. Quasi si pentì di esserci andata, ma subito dopo fu presa da un moto di orgoglio. Doveva soltanto trovare un modo per divertirsi e quella festa sarebbe stata fantastica. Si incamminò verso la porta a vetri situata alla sinistra dell’ingresso, si specchiò sulle ante di un lucidissimo mobile, osservò la sua figura snella e slanciata, l’attillata gonna nera e la camicetta bianca ricca di volant. Era elegante, non c’è che dire.
Anche se la porta vetrata era chiusa, Bianca decise di aprirla, e così, con un gesto veloce, si ritrovò in cucina. Era stranamente tutto in ordine, miracolosamente una stanza salva dal disastro. Si avvicinò al lavello, afferrò un bicchiere di vetro e bevve un po’ d’acqua. Si sentì sollevata, si poggiò con le mani al lavabo e attese qualche momento, come se volesse riprendersi dalla musica assordante che continuava a pulsarle nelle tempie. Bevve un altro sorso d’acqua, quasi quasi le sarebbe piaciuto restare lì, in quella stanza, fino alla fine della festa, ma poi non avrebbe avuto niente da raccontare e si sarebbe sentita una perfetta idiota. Stava quasi per andarsene via, quando vide un’ombra avvicinasi alla porta, poi una mano che la apriva. Bianca non ebbe tempo di aprire bocca che si trovò davanti un giovane, poco più grande di lei, dagli intensi occhi neri. Pareva inespressivo, era fermo sull’uscio e la fissava. Bianca sentì un tuffo allo stomaco, la testa girarle, la vista appannarle, non capiva cosa stava succedendo. Il giovane aveva lunghi capelli castani, una muscolatura scolpita, vestito in modo semplice, non adatto ad una festa. Bianca pensò per un attimo che fosse ubriaco, in quanto continuava a fissarla senza parlare, eppure non le pareva tale. Gli occhi pungenti stavano scavando dentro i suoi, vedeva il petto gonfiarsi per i suoi respiri, quasi percepiva la sua pelle.
Con movimenti veloci, il giovane avanzò verso Bianca fino a quando non si trovò ad un passo da lei.
Gli occhi divennero dolci, la sua presenza non più invasiva. Se Bianca si era sentita minacciata dalla sua comparsa sull’uscio, adesso se ne sentiva rassicurata.
Avrebbe voluto parlare, ma non ci riusciva.
Il giovane che le era ad un passo dal viso era di straordinaria bellezza.
Bianca non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, il ragazzo mosse impercettibilmente il capo.
Poi la baciò.
Fu tutto così veloce che Bianca non se ne avvide. Sentì le sue mani stringerle i fianchi, le sue labbra assaggiarla, la sua lingua scontrarsi con la sua, il suo respiro, la sua pelle.
Dopo un attimo, tutto era finito.

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Capitolo 6
*** Ricerche ***


Eva passò gli occhi attenti su ogni angolo del salotto.

La luce del sole filtrava dalla vetrata, tutto era in perfetto ordine. Suo padre, al rientro, non si sarebbe accorto di niente. Sorrise soddisfatta, ma solo un secondo dopo un sentimento molto simile al senso di colpa la attanagliò. Le parole di Amanda le risuonavano nel cervello, la sua ostinazione a restare chiusa nella sua stanza per tutta la durata della festa, i suoi occhi fiammeggianti che quella mattina l’avevano guardata. Era incredibile come pure col silenzio Amanda riuscisse sempre a farla sentire in colpa.

Eva non si sentiva cattiva, non aveva organizzato quella festa per fare un torto ad Amanda, anche se il fatto che poi questo fosse inevitabilmente accaduto la rendeva un tantinello soddisfatta, una soddisfazione quasi sadica. Il sadismo scemava però quando incontrava gli occhi accusatori di lei. Quella mattina papà sarebbe tornato, e sebbene era certa che Amanda non avrebbe fatto la spia, avrebbe dovuto sopportare il suo malumore.

Stava dando un ultimo sguardo al grande mobile di fronte alla vetrata e si accorse che c’era un piccolo amuleto poggiato su di esso.

Eva sospirò insofferente avvicinandosi all’oggettino. Qualcuno, in preda all’alcool, aveva dimenticato il proprio monile. E adesso come avrebbe fatto a capire di chi fosse? Non conosceva almeno la metà della persone che erano state presenti la sera prima!

Con fare annoiato prese l’amuleto e bastò un attimo affinché fosse pervasa da un forte sentimento di ansia e panico insieme.

L’amuleto era rotondo, d’argento, e sopra c’era rappresentata una strana foglia. Quella foglia, apparentemente normale, era un chiaro simbolo.

Uno di loro era stato lì la sera prima e aveva perso quell’amuleto. O l’avevano fatto apposta? L’avevano poggiato lì ed erano andati via?

Con gli occhi pieni di rabbia corse verso la cucina gridando il nome di Amanda.

Amanda la guardava con occhi interrogativi e contemporaneamente freddi mentre si dirigeva verso di lei, non riuscendo a comprendere la sua ira. Fino a pochi minuti prima, Eva rimaneva rintanata in un silenzioso senso di colpa, adesso, improvvisamente, la vedeva accendersi d’ira.

-          Cosa è successo?- chiese, non rivolgendole nemmeno uno sguardo.

-          Guarda cosa ho trovato! Erano qui! Qualcuno era qui!-

Amanda si voltò verso Eva, osservò il ciondolo che la giovane faceva pendere dinanzi ai suoi occhi.

Sentì un fremito nello stomaco.                                                                  

-          Fammi vedere!-

Con foga afferrò l’oggetto, se lo rigirò tra le mani come se non volesse credere che fosse vero.

-          Wow!- commentò, allibita.

Eva iniziò a camminare irrequieta avanti e indietro.

-          Non voglio altri guai, capito? Quando viene mio padre mi sente…-

-          Cerca di calmarti, Eva…-

-          Calmarmi? Non ci penso neanche! -

Amanda sospirò infastidita, sapeva che Eva stava come sempre esagerando.

-          Non succederà niente di male- mormorò Amanda, del tutto tranquilla.

-          Si, certo, come no! Me lo sento nel sangue, nelle ossa! Tu porti solo guai nella nostra famiglia!-

Eva gridava, Amanda la guardava inespressiva.

-          Ce ne sono altri come me. Può darsi che siano capitati alla tua festa. Dopotutto, conoscevano già il luogo-

-          Avevano avuto indicazioni precise! Non dovevano presentarsi qui fino alla fine dell’estate!-

Eva sbraitava sempre di più. Amanda rivolse di nuovo gli occhi all’amuleto. Eva aveva ragione, tutti sapevano di non dover frequentare quella casa, era stato un categorico desiderio di Eva. Eppure, poteva anche darsi che non l’avessero ascoltata.

-          Saranno di sicuro loro- concluse, con un sorriso.

-          E se non lo fossero? Se fosse quel, come si chiama…-

-          Calibri?-

La voce di Amanda si destò, Eva la guardò in cagnesco.

-          Già-

Amanda sorrise.

-          E allora non c’è di che preoccuparsi-

-          Non è vero. Non mi piacciono le storie su di lui-

Eva aveva abbassato il tono della voce, lanciò uno sguardo fulminante ad Amanda.

-          Non succederà niente. Stai tranquilla-

Amanda accarezzò la testa di Eva mentre si allontanava dalla cucina, lasciando la ragazza a blaterare da sola sulle sue paranoie.

Era vero, poteva darsi che qualche altro come lei fosse venuto alla festa, o ancora, che fosse venuto proprio Calibri. Ma c’era un’altra persona che possedeva quell’amuleto, una persona che non avrebbe dovuto averlo e che probabilmente lo conservava nonostante il passare del tempo. Se fosse stato lui? Se l’avesse lasciato apposta perché lei lo trovasse?

Sentì una stretta al cuore, le lacrime affiorarono agli occhi. Non poteva permettersi di piangere, né di ricordare.

 

 

 

 

Lavava tazzine di caffè, offriva cappuccini, cornetti. Bianca, con un automatismo degno di un robot, lavorava instancabilmente dietro il bancone del bar. Dopo aver superato con successo la settimana di prova, era stata assunta.  Sorrideva ai clienti come se la loro sola vista attivasse un meccanismo nel suo cervello, li salutava tutti con la stessa formula e così andava avanti da ore. Aveva rivolto poche parole a Sergio, che lavorava accanto a lei senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Aveva tentavo di strapparle un sorrisino o una risata, tra un caffè ed un altro, ma era come se Bianca fosse inglobata all’interno di un iceberg. Sorrideva per convenienza, rispondeva con fredda gentilezza.

Il vero problema era che Bianca non riusciva a capacitarsi di quanto successo la sera della festa. Erano passati due giorni, eppure continuava a sognare quel bacio tutte le notti, continuava ad avere il viso di quel ragazzo stampato nel cervello. Chi era?, si chiedeva. Perché non l’aveva mai visto prima? Perché non aveva avuto il coraggio di dire neanche una parola? Era come se la lingua le si fosse bloccata, attorcigliata. Nella sua fantasia, Bianca aveva immaginato che fosse un principe di un paese lontano, un angelo esiliato, un miracolo mandato da Dio, una qualsiasi cosa mandatale per bloccare le sue facoltà fisiche e mentali. Non riusciva a spiegarsi come potesse essere successo, poiché razionalmente non aveva nessuna spiegazione. Dunque, aveva provveduto ad usare la fantasia. Sapeva che non era degno di una ragazza matura perdersi nell’immaginazione, ma non riusciva a farne a meno. E poi, modestamente, la fantasia non le era mai mancata.

Il locale si sfollò velocemente ed improvvisamente, come se in città non fosse rimasto più nessuno a voler fare colazione. Bianca sospirò, si asciugò la fronte sudata.

-          Tutto bene?-

La voce suadente di Sergio le solleticò le orecchie, Bianca sorrise.

-  Si, tutto bene-

-  Sei un po’...strana-

Bianca alzò le spalle.

- No, cosa dici?- gli sfiorò una spalla con la mano.

Si sentiva in colpa nei confronti di Sergio, infondo era come se lo avesse tradito. E’ vero, erano usciti solo una volta insieme e non era successo niente di compromettente, ma lavoravano insieme tutti i giorni e i segnali da parte di lui erano chiari. Bianca gli piaceva un sacco. E come avrebbe dovuto comportarsi lei? Fino a qualche giorno prima, anche lei pensava che Sergio fosse perfetto. Certo, prima che un misterioso uomo sconosciuto venisse fuori dal nulla a sconvolgere la sua quotidianità. Nei momenti di maggiore sconforto, Bianca aveva pensato che forse non l’avrebbe più rivisto e che forse doveva mettere da parte l’accaduto. Dopo il bacio, il ragazzo misterioso era letteralmente scomparso. Bianca l’aveva cercato per tutto il resto della serata, ma senza risultato. Ad un certo punto aveva anche ipotizzato di essersi immaginata tutto, ma un momento dopo si era ricreduta. Non era possibile ricordare alla perfezione un viso solo sognato, e poi Bianca non aveva bevuto neanche una goccia. Impossibile che avesse avuto un’allucinazione, lui era vero, e adesso non riusciva a toglierselo dalla testa.

- E’ come se mi stessi evitando- mormorò Sergio, risvegliandola dai pensieri.

Bianca rise.

- Io? Evitando? No, ti stai sbagliando... sai, è solo che questo lavoro è molto stancante, sono molto stressata-

Bianca sospirò come per simulare la stanchezza.

Sergio abbozzò un sorriso, le accarezzò il volto con la punta delle dita.

- Beh, allora dobbiamo rimediare a tutto questo stress!-

Bianca gli lanciò un’occhiata dolce, ma quel momento fu interrotto bruscamente da una voce squillante.

- Buongiorno! Salve, salve a tutti! Sergio, Bianca, ciao! Santo Cielo, che cera che hai, Bianca!-

Lara aveva spalancato la porta seguita da Ariel e ora poggiava le braccia sul bancone, fissandoli con un sorriso a trentadue denti.

- Buongiorno, signorina!- esclamò Sergio sorridendo, - e buongiorno sua maestà!-

Ariel rise imbarazzato.

- No, per fare, signor Sergio. Mi chiami solo Ariel!-

Sergio sfoderò un luminoso sorriso.

- Va bene, Ariel, a patto che tu non mi dia del lei-

Ariel rise di nuovo, annuendo.

- Come stai, Bianca?- chiese poi Lara ad una pallida Bianca.

- Sto bene, grazie- rispose Bianca con uno scialbo sorriso.

- Mmh, non si direbbe. Ti sei stancata troppo alla festa?-

Bianca sussultò.

- Quale festa?- chiese Sergio, spostando gli occhi su Bianca.

- Oh, niente, -  iniziò Bianca, ridendo, - solo una festa di qualche giorno fa, sai, mio fratello mi ha portata con se!-

- Ah –

Sergio aveva perso un po’ d’entusiasmo, Bianca avrebbe voluto strangolare Lara per la sua loquacità.

- E dunque, com’è andata questa festa?- riprese Lara.

- Già, com’è andata?- le fece eco Sergio.

Bianca passò gli occhi sui due, deglutì a vuoto.

- Era una noia, - sbottò fuori, - ed erano tutti ubriachi. Non vedevo l’ora di andarmene-

Sergio annuì interessato, Lara sorrideva.

Bianca lanciò uno sguardo disperato ad Ariel, che la capì al volo.

Bianca non capì mai come fece.

- Quand’è che finite il turno? Mi piacerebbe fare una passeggiata con voi. Lara parla in continuazione di quanto Bianca sia esperta della città!-

Come se fossero stati catturati dal suono della sua voce, Lara e Sergio si voltarono verso di lui. Dimenticarono completamente la faccenda e iniziarono a chiacchierare amabilmente con Ariel.

In quel momento Bianca ebbe per la prima volta l’impressione che Ariel avesse una qualche speciale capacità.

 

 

 

...

 

 

 

- Francesco, credo che tua figlia sia seriamente paranoica-

Amanda aveva sussurrato quelle parole protendendosi verso il suo interlocutore, dall’altra parte del tavolo della cucina.

- Eva è solo facilmente impressionabile-

- Mi sta mandando fuori di testa. E tutto per quello stupido amuleto-

Francesco sorrise.

- Sai, Eva si è sempre ostinata a fare tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno. Da quando sua madre è morta, si è barricata dietro questo suo carattere forte, il coraggio, la temperanza. Credeva di avere tutto sotto controllo, ma quando sei arrivata tu nelle nostre vite, - qui Francesco fece una pausa, - è come se tutte le sue certezze fossero cadute. Si è ritrovata all’interno di un mondo diverso, e lei non conosce altri modi di reagire se non questo-

- La paranoia?-

- Devi comprenderla. Dovete comprendervi a vicenda. Anche tu sei piuttosto paranoica, Amanda, soprattutto riguardo certe questioni

Francesco aveva cambiato tono sulle ultime due parole, Amanda arrossì.

- Eva mi ha raccontato della tua ostinazione a restare chiusa in casa. Ha detto che è stato questo a spingerla ad organizzare quella festa... certo, avrà una punizione per non avermi chiesto il permesso, ma non credi che anche tu, Amanda, sia stata un pochino, beh, come dire, esagerata?-

Francesco era ritornato dal suo viaggio d’affari quella stessa mattina, e dopo aver assistito all’ennesimo litigio tra Eva ed Amanda, la prima le aveva confessato di aver dato una festa dove, citando le sue parole, “una orribile creatura si è introdotta lasciando questo amuleto”.

In effetti, Eva esagerava: quella di Amanda era tutta gente pacifica, ma lei proprio non voleva metterselo in testa.

- Eva non ha niente da temere. Io si- rispose decisa Amanda.

- Questo non è vero, sai di non aver niente da temere-

- Non è così semplice come credi. Io sento che succederà qualcosa!-

- Avanti, Amanda. Cerca di tranquillizzarti, okay? Bevi un po’ d’acqua, prepara uno dei tuoi manicaretti!-

Francesco si alzò ridendo, Amanda lo seguì con lo sguardo.

- E ora dove vai?-

- A parlare con mia figlia. Cercherò di farle tornare il senno-

Così dicendo, Francesco uscì dalla cucina lasciando Amanda in preda alle sue tremende sensazioni.

 

 

 

 

 

 

-          Grazie mille per la passeggiata, ma adesso devo proprio andare. Mio fratello si starà chiedendo che fine ho fatto!-

Bianca finse un sorriso, Sergio, Ariel e Lara la guardarono un po’ delusi.

-          Devi già andare via? Mi dispiace un sacco!- esclamò Lara, gettandole le braccia al collo.

Dopo la frase ad effetto di Ariel e dopo la conclusione del loro turno di lavoro, Bianca e Sergio avevano deciso di portare Lara ed Ariel a Mergellina. Il vento fresco ed inusuale aveva reso la passeggiata perfetta, Lara aveva fatto milioni di foto al mare, ai monumenti, ai loro sorrisi. Bianca non aveva fatto altro che chiedersi come Ariel avesse potuto catturare la loro attenzione con una banale frase, e quando si rese conto che non sarebbe mai arrivata a spiegarsi quel mistero, decise di sostituirlo con quello del ragazzo della festa. Certo, doveva sembrare davvero assurdo visto che rideva e scherzava con Sergio come se fosse il suo ragazzo, ma sembravano convivere in Bianca per la prima volta due personalità completamente diverse. Riusciva a simulare normalità e si convinse che era la presenza di Ariel a permetterglielo. Di solito Bianca non era capace di simulare un bel niente.

-          Ci rivediamo presto- disse Ariel, lanciandole uno sguardo significativo.

-          Ciao Bianca, ci vediamo domani a lavoro- disse a sua volta Sergio, cingendole i fianchi con le mani e stampandole un bacio sulla guancia.

Bianca sorrise civettuola.

-          Grazie del pomeriggio ragazzi. A presto!-

Così dicendo si allontanò dal bar Mexico, dove erano tornati dopo il giro turistico. In realtà, non appena ebbe sceso le scale e attraversato via Morghen, Bianca cambiò totalmente espressione, confessando a se stessa di non avere intenzione di tornare a casa.

Quello che stava per fare l’avrebbe forse bollata per sempre come maniaca compulsiva-ossessiva, ma non poteva farla finire così. Non poteva rinunciare a quello che avrebbe potuto essere il suo principe azzurro, cavaliere mascherato o che so io soltanto per degli stupidi ragionamenti che la sua mente chiamava “logici”. E pensandoci bene, si era convinta di non dover avere nemmeno sensi di colpa nei confronti di Sergio. D’altronde, loro due non stavano insieme e non c’era stato tra di loro nessun discorso di chissà quale profondità. Lui non l’aveva mai baciata. Chissà, forse un bacio di Sergio avrebbe potuto farle cambiare idea, dissuaderla dall’intento assurdo di trovare un ragazzo che sembrava introvabile. Ma fino a quel momento lui non l’aveva mai baciata, dunque Bianca si sentiva in pieno di diritto di dare inizio alle ricerche. Sebbene non fosse stato mai nel suo carattere fare follie, adesso avrebbe iniziato a farne qualcuna. Quella che aveva in mente, la prima, era di tornare alla casa della festa, bussare, e chiedere alla giovane proprietaria notizie su quel misterioso ragazzo. Certo, probabilmente c’avrebbe messo un buon quarto d’ora per convincerla di non essere pazza, ma subito dopo, forse, avrebbero potuto instaurare un rapporto. Chissà com’era, questa padrona di casa, Bianca non l’aveva vista alla festa, o forse l’aveva vista, mischiata tra quegli ubriachi. Chissà se era una figlia di papà, come la maggior parte delle amiche di Riccardo. Oh, ma che domande! Certo che lo era. Abitava praticamente in una reggia! Chissà quanti agi aveva che Bianca non avrebbe avuto mai.

L’imbarazzo  prematuro che sentiva non poteva bloccarla. Con decisione obliterò il biglietto della funicolare e attese che questa arrivasse per poi condurla al Corso Vittorio Emanuele, dove si trovava la super villa.

Si mordeva la lingua dal nervosismo, non sapeva cosa dire. Ma se c’era un’unica possibilità di poter incontrare quel ragazzo, Bianca doveva giocarsela.

A tutti i costi.

 

 

 

 

 

 

Eva si chiedeva se potesse mai esistere pomeriggio più noioso di quello.

Certo, lei non avrebbe mai confessato a suo padre della festa se non si fosse trovata in uno stato di panico avanzato, ma lui avrebbe anche potuto risparmiarle la punizione dato che l’aveva vista con i suoi occhi mentre sbraitava con il sangue che le stava per far scoppiare gli organi. “Questo pomeriggio porterò Amanda a fare shopping, ma tu non verrai!” aveva detto subito dopo un amorevole discorso sui suoi stati di panico. Eva era arrabbiata. Adesso, a causa della stupida punizione di suo padre, era costretta a rimanere in casa mentre lui aveva portato Amanda a spasso. Se dovevano giocare alla figlia e alla figliastra, che lei fosse almeno la figlia, come infatti lo era. Perché Amanda, anche se le aveva rovinato la vita, doveva essere sempre premiata?

Eva si sentiva una bambina gelosa dei suoi giocattoli, ed in effetti sapeva di comportarsi così. Ma cosa poteva farci? Continuava ad essere biasimata a causa della sua paranoia, come piaceva chiamarla ad Amanda, ma era chiaramente una situazione ribaltata. Eva era una ragazza normale, e in quanto tale era del tutto ordinario il fatto che rimanesse sbigottita da certi eventi. Ciò che non era normale erano le reazioni di Amanda, le sue manie, o pensandoci, la sua stessa esistenza.

La casa era grande e silenziosa. Eva uscì dalla sua camera decisa a scovare nel frigo qualcosa da bere mentre attendeva il ritorno dell’odiata, ma non fece nemmeno in tempo a scendere uno scalino che sentì il campanello della porta suonare.

Che fossero già di ritorno? Nessun altro se non loro avrebbe potuto bussare direttamente al portone senza passare prima per il citofono appena fuori dalla villa, a meno che la svampita non avesse lasciato il cancello aperto, come sospettava. Eva sbuffò. Cos’è, i negozi erano chiusi? Erano finiti i saldi?

Con aria annoiata scese le scale e si diresse verso la porta, la spalancò con fare altezzoso. Stava quasi per sputare fuori una delle sue frasi velenose, quando si accorse che dinanzi a lei non c’era suo padre e né tantomeno Amanda.

Divenne improvvisamente seria.

La giovane ragazza che le era davanti doveva avere diciotto o diciannove anni, non di più. Aveva ricci capelli biondi e occhi scuri, profondi ed intelligenti. Era imbarazzata, Eva lo notava, ma non era per quello che sussultò.

Non era la prima volta che Eva vedeva quella giovane.

-          Ehm, ciao, scusami- iniziò la ragazza, - so che non mi conosci, e in realtà neanche io ti conosco, però…-

Era la ragazza di quella sera in pizzeria, ne era sicura. Spalancò tanto d’occhi.

Poi si mise a gridare.

 

**

 

Bianca avrebbe voluto tapparsi le orecchie, ma non sarebbe stata la mossa giusta da fare.

-          Ehi, ehi, non gridare! Non sono una ladra, io voglio soltanto…-

-          Stai lontana!- gridò la giovane dai lunghi capelli corvini che le aveva aperto la porta.

Bianca fece un passo indietro alzando le mani in segno di innocenza, vide la ragazza afferrare una scopa da dietro la porta.

-          Ma sei matta?- domandò, allibita.

-          Perché sei qui? Ti ha mandato lui?-

-          Eh? Lui chi?-

-          Non fare finta di niente!-

-          Cioè ma, dico, stai bene? Sei malata?-

-          Non fingere ho detto!-

La ragazza le puntò minacciosamente la scopa contro, Bianca stava per cadere dagli scalini.

-          Ehi ascolta, non so per chi tu mi abbia scambiata, ma ti assicuro che io…-

-          Eri con lui, ti ho vista! Non fare l’innocente!-

-          Ti droghi?-

-          Cosa?-

-          Ti sei fatta? Dì la verità, a questo punto l’ho capito!-

Bianca incrociò le braccia nervosa, la ragazza tirò indietro la scopa.

-          Non dire assurdità, - rispose, abbassando il tono, - non mi drogo. E tu non cercare di cambiare argomento. Sei una di loro forse? Sei venuta a riprenderti il ciondolo? Sei venuta alla mia festa?-

Ciondolo? Una di loro? Ma di cosa diavolo stava parlando? Bianca iniziò a pensare che quella giovane fosse fuori di testa e che non fosse lei la vera padrona di casa.

-          Non ho perso nessun ciondolo, - esordì, - e si, sono venuta alla tua festa. Sempre che sia stata tu a darla-

La giovane la guardò con aria confusa e interrogativa, mise via definitivamente la scopa.

-          Non sei una di loro?- domandò, quasi in un sussurro.

-          Una di cosa?- gridò spazientita Bianca.

-          Ssh!-

La fanciulla le mise una mano sulla bocca, poi la tirò dentro per un braccio, chiudendo con un tonfo la porta.

-          E allora si può sapere chi diavolo sei?-

 

 

**

 

Eva avrebbe voluto credere a quegli occhi innocenti, ma la sua paranoia aveva preso di nuovo il sopravvento. Quella giovane era in pizzeria la sera che erano stati costretti a scappare, e adesso magicamente si trovava a casa sua. Che fosse solo una coincidenza? Erano forse stati visti?-

-          Mi chiamo Bianca, - iniziò la ragazza, - e tu devi essere la ragazza che ha dato la festa-

Il tono di Bianca era amichevole, Eva alzò le spalle altezzosa.

-          Si, sono io- rispose, in un sussurro appena udibile.

-          Oh, meno male! Era proprio te che cercavo!-

Eva la squadrò da capo a piedi.

-          Non sei autorizzata a parlare. Le domande qui le faccio io-

Bianca sembrava confusa.

-          Credo tu stia sbagliando persona- disse, con il tono tranquillo con cui ci si rivolge a qualcuno che sta per avere una crisi di nervi.

-          Io invece credo di no, - ribatté Eva, trascinandola con se in salotto. La fece sedere sul lungo divano bianco di pelle e si sedette accanto a lei.

-          Okay, partiamo da una domanda semplice, - iniziò Eva, - conosci un certo Sergio?-

-          Si-

-          Bene. Questo spiega molte cose-

-          Ma quali cose? Anche tu conosci Sergio?-

La domanda fece sussultare Eva.

-          Tu devi solo rispondere, non fare domande-

-          Non sono in una caserma di polizia. E potresti anche dirmi come ti chiami e ascoltare il motivo per cui sono venuta qui, invece di farmi stupide domande. E potresti, inoltre, chiedermi scusa per come mi hai accolta!-

Le guance della giovane bionda si erano arrossate, Eva si sentì profondamente in colpa. Evidentemente, quella ragazza non sapeva niente, né il passato di Sergio e né tantomeno la storia dell’amuleto perduto. E non era nemmeno una di loro.

Stava combinando un gran casino. E ora doveva rimediare.

-          Mi chiamo Eva – disse, sorridendo, - e si, hai ragione, sono stata davvero scortese. Ma non devi darmi troppo peso, io, sai io… soffro di paranoia. Non dovrebbero lasciarmi a casa da sola!-

Eva si morse la lingua, sapeva che inventandosi quella scenetta non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, ma doveva tentare.

-          Come lo conosci Sergio?-

-          Sergio? Quale Sergio?-

-          Quello che era con me in pizzeria. L’hai detto tu-

-          Oh! Vecchia conoscenza!-

-          Come hai fatto a ricordarti che c’ero proprio io con lui?-

-          Lascia perdere! Cos’è che mi dovevi chiedere?-

-          È per caso il tuo ex fidanzato? Sei ancora innamorata di lui? In questo caso, mi dispiace molto, ma io non lo sapevo. E comunque non credo di essere più tanto interessata a lui-

Eva finse di pensarci su.

-          Già! Ex fidanzato! È proprio così… la nostra rottura mi ha distrutto, sai, adesso ho difficoltà a relazionarmi con le persone e così…!- Eva si lasciò cadere con le spalle sui morbidi cuscini fingendo disperazione, - così adesso sono caduta in paranoia!- guardò Bianca, parve riaversi per un momento, - ma non ce l’ho con te perché sei uscita con lui! Non preoccuparti, prenditelo, sposatelo, scappate insieme! Magari lontano da qui milioni di anni luce!- Eva sfoderò un sorriso a trentadue denti, si accorse di incutere timore a Bianca.

-          Non… non voglio scappare con lui- biascicò lei.

-          Ah no?- Eva saltò su, - ma ad ogni modo, non è di lui che dobbiamo parlare! Perdona la mia accoglienza, dimentica tutto quello che ho detto, okay?-

-          Beh io in realtà…-

-          Lo so, lo so: non è usuale che una persona si presenti sull’uscio di casa con una scopa, pronta a malmenarti. È che pensavi tu fossi una di loro!- Eva tossì, - … una delle sue mille ragazze! Mi fa tanto soffrire questa situazione!-

Eva tirò su col naso, abbassò lo sguardo, Bianca rimaneva in silenzio.

-          Ma, dimmi tesoro, come mai sei qui?-

 

 

 

**

 

Bianca pensava che incontrando Lara aveva incontrato l’apogeo della follia, ma si sbagliava. Eva, l’affascinante e sensuale riccastra amica di Riccardo, era un concentrato di follia molto più pericoloso di quanto Lara avrebbe mai potuto essere nell’intero corso della sua vita. Lara non le avrebbe mai puntato una scopa contro, al massimo l’avrebbe ricoperta di zucchero e caramelle gommose. Eva era un’anti-Lara o giù di lì, se ne stava convincendo osservandola mentre smaniosamente parlava. Aveva cambiato umore nel giro di venti secondi, prima sembrava una serial killer lucida e calcolatrice, solo pochi minuti dopo una pazza disperata. Le ipotesi qui erano tre: o era pazza, o era drogata, o… nascondeva qualcosa.

Sebbene credere che l’ultima ipotesi fosse vera l’avrebbe messa in ulteriori casini, Bianca era protesa verso quella. Eva nascondeva qualcosa, oltre ad essere irrimediabilmente matta.

-          Beh, come avrai capito, sono stata alla tua festa l’altra sera- iniziò Bianca.

-          Oh, gran bella festa, non ti pare?-

-          Si, davvero inusuale- Bianca si schiarì la voce, iniziava a sentirsi tremendamente in imbarazzo, - e volevo chiederti se, insomma… ho incontrato una persona-

Eva sorrise accompagnandosi con un movimento del capo.

-          Una persona? Un ragazzo, immagino-

-          Già-

-          Ed era carino?-

-          Molto-

-          Che cosa meravigliosa! Ti ha dato il suo numero di telefono?-

-          Ecco, il fatto è proprio questo. Non mi ha detto nemmeno il suo nome-

Eva scoppiò a ridere, Bianca la guardò di sbieco.

-          Tesoro!- esclamò poi, - spero tu non glie l’abbia data-

-          Cosa? No, no!- Bianca arrossì, - non è successo niente. Volevo soltanto chiederti, ecco, se per caso, ascoltando la mia descrizione, sapresti dirmi chi è-

Eva rise di nuovo, Bianca si sentì una stupida ingenua.

-          Ascolta, dolcezza, - iniziò Eva poggiandole amichevolmente una mano sulla spalla, - questo ragazzo, chiunque egli sia, ti ha evidentemente preso in giro. Com’è possibile che passi una serata indimenticabile con te senza neanche dirti il suo nome? E’ chiaro che non vuole essere rintracciato. Sai, i ragazzi sono così… oggi qui, domani lì. Non sai mai come prenderli, e non è consigliato innamorarsi!-

Eva continuava a sorridere, Bianca scosse la testa.

-          No, non è così. Lui non era come gli altri ragazzi-

-          Parli già da innamorata…-

-          No, Eva, ascoltami. Lui era strano, era diverso. Io ero sola in cucina a bere un bicchiere d’acqua, e lui d’un tratto entra, come un miracolo! Fa scorrere la porta ed entra, okay? Ci sei fin qui? Bene. Poi mi arriva vicino, io non riesco a parlare e nemmeno a respirare, lui è troppo bello per poter fare qualsiasi cosa, il tempo si ferma e… mi bacia. E poi va via. Capisci? È stata una magia!-

Bianca non riusciva a credere di aver parlato in modo così enfatico con una perfetta sconosciuta. Eva sorrise, un sorrisetto indagatore.

-          Ascolta, Bianca, sono sicura che quello che tu mi racconti sia vero, - iniziò, con voce smielata, - ma non credo di poterti aiutare -

Bianca curvò gli angoli della bocca in una smorfia che voleva essere un sorriso o forse un’espressione delusa.

-          Speravo che, se te l’avessi descritto fisicamente, forse tu avresti potuto aiutarmi-

Gli occhi di Eva si ridussero a due fessure.

-          D’accordo, tesoro, potremmo provarci. Ma non ti prometto niente… sai, c’era così tanta gente che metà degli invitati non l’ho neanche incontrata!-

Eva si poggiò con le spalle ai morbidi cuscini, i capelli si sistemarono sulle spalle in maniera ordinata. Eva guardò Bianca con fare ammaliante.

-          Avanti, avanti. Dimmi com’è fatto il nostro principe azzurro-

La parola principe fece sussultare Bianca, la quale ricordò, come un flash, il primo incontro con Lara.

-          Beh, allora vediamo, era alto forse un metro e ottanta, era possente, muscoloso…già, si, lo era, aveva lunghi capelli scuri e magnetici occhi verdi… o castani? Penso siano stati castani. Era di indescrivibile bellezza, le mani lisce, la pelle lucida, labbra carnose…-

Eva rise sotto i baffi, Bianca smise di parlare e iniziò ad arrossire.

-          Mi dispiace, tesoro, - disse Eva, trattenendosi dal ridere, - sai, mi sa di non conoscere il tuo misterioso amante. Non ho mai incontrato nessuno di indescrivibile bellezza!-

Bianca si sentì una perfetta idiota. Non soltanto si era introdotta a casa di una pazza paranoica che di sicuro usava sedativi, ma non aveva risolto un bel niente. Si alzò dal divano con un gesto improvviso che fece sussultare Eva.

 

 

**

 

 

-          Oh. Cosa succede tesoro?-

Eva odiava la commedia che stava recitando, ma preferiva passare per pazza davanti alla sconosciuta che rischiare che lei iniziasse ad avere dei sospetti.

-          Ti ho rubato troppo tempo, e… beh, devo andare adesso. Non fa niente per il ragazzo, me ne farò una ragione-

Bianca sembrava delusa e parecchio imbarazzata. Adesso si stava dando una sistemata alla gonna bianca, fissava il pavimento in preda alla vergogna. Eva aveva fatto centro: la bambolina di porcellana sarebbe rimasta in silenzio a rimurginare sulla perdita del bambolotto dei suoi sogni e avrebbe dimenticato la sua accoglienza e la loro strana conversazione.

-          Mi dispiace così tanto!- Eva si alzò, fece per abbracciare Bianca, - lo sai, le delusioni d’amore sono le peggiori. Ma cosa vuoi farci! Una ragazzina simpatica e ingenua come te… è così semplice che venga ingannata! Ma c’è tempo affinché tu possa imparare come sono fatti gli uomini, tutti approfittatori!-

Eva si accorse che Bianca non la seguiva più, era come persa nei suoi pensieri. Gli occhi erano accesi di una strana luce, il passo deciso mentre camminava verso la porta d’ingresso.

-          Grazie del tempo che mi hai dedicato, Eva. Mi ha fatto piacere conoscerti-

Eva aprì la porta, Bianca fece un passo fuori, poi le tese la mano.

Eva la guardò per qualche secondo, poi glie la afferrò con sicurezza.

-          Anche per me è stato un vero piacere. Torna a trovarmi quando vuoi! E… Bianca!-

-          Si?- Bianca si stava già allontanando lungo il vialetto di ghiaia, - dimmi pure-

Eva si schiarì la voce.

-          Non dire a Sergio di avermi conosciuto-

-          Perché?-

-          Non mi va. Sai, è meglio per entrambi se le nostre vite rimangano separate in tutto e per tutto-

-          Come vuoi-

-          Grazie mille-

-          Grazie a te. Ciao!-

-          Ciao tesoro!-

Eva vide Bianca uscire dal grande cancello lasciato aperto, poi richiuse velocemente la porta e si poggiò ad essa, incredibilmente sconsolata. Non si credeva capace di recitare una simile commedia, passare da una stato di euforia omicida a quella di povera psicopatica agli arresti domiciliari. Di sicuro Bianca aveva pensato di avere a che fare con una poco di buono, ma non le importava. Le cose fondamentali erano due, in primis, Bianca non sapeva niente del passato di Sergio e non era una spia, e poi, Sergio si era rifatto una vita.

Girò la chiave nella toppa e risalì le scale verso la sua camera.

 

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Capitolo 7
*** Ricordami sempre come il tuo unico amore ***


calibri cap 7

Bianca camminava lentamente, si godeva la luce del crepuscolo. Il caldo era scemato, ed anche il suo entusiasmo. Dopo il suo incontro con Eva, tutto le pareva più assurdo di prima. Com’è che Sergio aveva frequentato una psicopatica del genere? Bianca si stava abituando ad avere a che fare con le persone folli, ma mentre con Lara ed Ariel era sempre avvolta in un mistico velo di felicità surreale, con Eva non era stato così. Eva le pareva un normale essere umano con gravi disturbi psicologici, non un folletto canterino o che so io proveniente da una terra lontana. Ripercorse velocemente il loro dialogo: dapprima stava per colpirla con la scopa incolpandola di chissà che cosa, poi si era improvvisamente calmata mascherando il tutto con l’idea della paranoia da ragazza mollata. Non che non potesse essere vero, ma la lucidità con la quale l’aveva accolta le pareva improbabile se paragonata al resto dell’incontro. Quando le aveva aperto la porta, Eva era normale. Solo dopo un attimo, quando si era accorta di averla già vista in quel ristorante con Sergio, era impazzita. Bianca si chiedeva ancora come avesse potuto riconoscerla! Aveva fatto così tanta attenzione a lei? Bianca non ricordava affatto di aver visto Eva quella sera in pizzeria.

Era davvero come le aveva detto? Era impazzita dopo che Sergio l’aveva mollata? In definitiva, sebbene la storia sembrasse un tantinello assurda, sarebbe potuta essere vera. Aveva già sentito di certe ragazze che avevano completamente cambiato modo di fare dopo una rottura. Certo, a suo giudizio erano davvero delle stupide, ma poteva capitare. Forse Eva era davvero innamorata di Sergio. Un altro particolare le tornò alla mente. Eva aveva fatto riferimento alle mille ragazze di Sergio, accusandola di essere una di loro. Che Sergio fosse una persona del genere? Un latin lover? Che la stesse soltanto usando? Bianca non riusciva a conciliare l’idea che aveva di Sergio con il breve schizzo offertole dalle poche parole di Eva. Non poteva essere così, Sergio era senza dubbio un ragazzo serio: studiava, aveva un lavoro, si occupava responsabilmente di se. E se le avesse mentito? Se lavorava per pagarsi l’affitto e non studiava un bel niente? No, era impossibile. Bianca si rifiutava di credere che un ragazzo tanto carino fosse capace di dire queste bugie, e poi che motivo ne avrebbe avuto? Non poteva fare colpo sulle ragazze anche dicendo la verità? Considerando quant’era carino, non l’avrebbero di sicuro lasciato andare solo perché non studiava. No, Sergio non poteva mentire. Dunque era stata la follia di Eva a parlare, e non la realtà dei fatti. Essendo stata mollata, evidentemente Eva non riusciva ad immaginare che Sergio avesse potuto avere, in futuro, relazioni con altre ragazze. Quindi, per difendersi, aveva elaborato di lui una contorta immagine solo per convincersi di essersi liberata di uno schifoso dongiovanni e non di un romantico giovane. Se ammetteva per un secondo che Eva fosse folle, allora questo era sicuramente vero. Ma sebbene Bianca stesse tentando di convincersi in tutti i modi della follia di Eva, c’era sempre qualcosa che non quadrava, anche se non riusciva a capire cosa. Era come se Eva avesse tremendamente paura, come se qualcosa di terribile le stesse succedendo.

Scosse la testa liberandosi da quei pensieri quando giunse dinanzi al cancello di casa sua. Aprì la cassetta della posta con fare annoiato e ci trovò una lettera. Sopra non c’era scritto niente, né mittente né destinatario. Bianca si guardò intorno, tenne in mano per qualche momento la candida busta senza riuscire a capire. Avevano sbagliato cassetta? Non le pareva una cosa possibile, in quanto se ci fosse stato sopra almeno un nome, non ci sarebbe stata possibilità di errore. Non c’era sopra nemmeno in francobollo, questo significava che la lettera non era stata spedita, ma infilata direttamente nella buca delle lettere. Che fosse un qualche messaggio per Stefano? Curiosa, Bianca tirò fuori le chiavi e dopo aver attraversato il cortile, aprì la porta del palazzo e salì le scale fino a raggiungere il proprio appartamento. Aprì la porta, annunciò alla famiglia di essere tornata e poi si rinchiuse nella sua camera. Si guardò intorno come se temesse di essere spiata, poi aprì la busta e ne estrasse un foglio di carta, piegato in quattro. Era alquanto stropicciato, come se la lettera fosse stata rimaneggiata varie volte prima di essere messa in quella busta. Poi si decise a leggerla.

 

Caro amore,

non conosco niente della tua vita. Hai ragione tu. Mi sono comportato da smidollato, da sconsiderato, da folle. Ma come puoi biasimarmi? All’improvviso mi hai detto di non cercarti più, di sparire dalla tua vita e non mi hai neanche detto il perché. Cosa sta succedendo, amore? E’ stata forse colpa mia? C’è qualcosa che ti fa paura?

Io non ti conosco, hai ragione tu.

Già, hai proprio ragione, amore. Ma forse non è necessario conoscere una persona per innamorarsi. Non è necessario che io ti conosca, io già ti amo. Ho amato l’aria che respiravi dalla prima volta che ti ho visto. Mi hai detto che ho sbagliato, che ho sbagliato tutto, che ho sbagliato a venire a quella festa. E se ti dico che mi sono ritrovato lì per caso, tu non mi credi. Già, perché dovresti credere alla storia di un folle innamorato che racconta di essersi ritrovato di notte per caso ad una festa in maschera in grande stile, e di aver visto lì la donna dei suoi sogni? Oh, sei una bugiarda. Hai il coraggio di dirmi che sono un pazzo quando a quella festa c’eri anche tu. Ricordo il tuo vestito d’avorio, i tuoi capelli, il tuo odore, la tua maschera argentea luccicante. Eri una regina vestita da stella. Eri la più bella del mondo, eri la più bella cosa che io abbia mai visto nella mia intera vita. Mi hai detto che nella mia vita vedrò molte cose più belle di te, ma non ci credo. No, non può essere, non può essere! Non riesco ad immaginare un secondo della mia vita senza di te, non riesco ad immaginare un discorso senza il tuo nome. Non riesco più a percorrere le strade che abbiamo percorso insieme, perché ogni passo non fa altro che aumentare la mia follia, la mia innaturale voglia di rivederti. Inizio ad avere l’insonnia. Non dormo di notte, non dormo di giorno, non dormo mai. Ho le occhiaie fino alle labbra, non studio più. Ho saltato due esami nell’ultimo mese. I miei amici non mi riconoscono più, vogliono che vada da un medico. Ma c’è una sola persona in grado di salvarmi, e quella sei tu. Dov’è che sei scappata? Perché non torni da me?

Aspetterò tutta la vita se necessario. Ma non ti aspettare che io mi arrenda,  non posso. Mi lascerò morire.

Ti amo.

 

Tuo,

Càlibri.

 

 

Bianca accarezzò con la punta delle dita quelle parole come se fossero rivolte a lei. Gli occhi le si fecero lucidi per un attimo, poggiò la lettera sulla scrivania e la osservò da lontano inerme, con le mani poggiate sul grembo.

Non aveva mai letto una cosa del genere prima d’allora.

Iniziò a chiedersi chi fosse questa Amore e chi fosse Calibri. A pensarci bene, non aveva mai conosciuto una persona di nome Calibri. Ma forse era uno pseudonimo, un nomignolo che aveva utilizzato il ragazzo come segno di riconoscimento. Rise per un attimo, immaginando Amore e Calibri vestiti con abiti ottocenteschi, lei alla finestra di un grande palazzo nobiliare e lui nel cortile di questo, inginocchiato dinanzi alla finestra con in mano la busta della lettera.

Se non avesse parlato di esami, Bianca avrebbe sospettato che si trattasse davvero di una lettera vecchio stile. Insomma, oggi giorno chi scriverebbe una lettera tanto appassionata con tanto di pseudonimo?

Bianca si accostò di nuovo alla lettera, lesse qualche rigo alla rinfusa e sorrise dolcemente.

Chissà perché Amore l’aveva lasciato all’improvviso. Se si fosse trattato di un film o di un romanzo, probabilmente la giovane ragazza era stata scoperta dal padre che la voleva sposata con un ricco e anziano gentiluomo e l’aveva costretta ad andare via dal paese. Così lei, per non mettere in pericolo la vita del suo uomo, il quale sapendo la verità si sarebbe battuto per sposarla e per farla rimanere in città, gli aveva mentito dicendole di dimenticarla per sempre.

Tipica scena da commedia romantica.

Ma oggi giorno, nessuno mente al proprio amato solo per proteggerlo. Non esistono queste cose: si mente al proprio amato solo per fargli del male, d’altronde le bugie in amore non hanno mai portato a niente di buono.

Dunque, perché Amore l’aveva lasciato?

Forse era una pazza psicopatica dalla personalità multipla, una specie di Eva. Un giorno lo amava e un altro giorno no. E dunque, in preda a queste crisi di follia, gli aveva detto di non amarlo e di lasciarla in pace per sempre. Se Calibri avesse saputo della sua follia, non si sarebbe innamorato di lei e l’avrebbe guardata da lontano compatendola, ripetendo nel cervello “povera matta, è bella ma matta!”. Che poi, per quale assurdo motivo Calibri non sapeva come era giunto alla festa in maschera dove aveva incontrato per la prima volta Amore? Forse era ubriaco. Già, forse era arrivato ubriaco in una delle discoteche del quartiere credendo di essere in un castello incantato, ad una festa in maschera. Se pur fosse andata così, smaltita la sbornia non avrebbe dovuto ricordare niente di tutto quello che aveva fatto la sera precedente, o comunque avrebbe dovuto rendersi conto che non si trovava ad una festa in maschera ma semplicemente in discoteca. Oppure era lui il matto. Uno di quegli psicopatici che perseguitano le ragazze.

Avrebbe voluto sapere se Calibri era davvero il nome del ragazzo o se era solo uno pseudonimo, come lei credeva. Doveva essere un ragazzo davvero romantico per usare uno pseudonimo in una lettera d’amore. Faceva tanto amor cortese, letteratura bretone…

Bianca prese tra le mani la busta dentro la quale aveva trovato la lettera. Il fatto che non c’era il francobollo iniziò a farla insospettire.

Calibri aveva sbagliato indirizzo. Credeva che Amore abitasse lì, in casa sua, ma aveva sbagliato.

Le si strinse il cuore, avrebbe tanto voluto incontrare Calibri per dirle che aveva sbagliato casa. Forse Amore abitava nel suo stesso palazzo e Calibri aveva sbagliato solo ad imbucarla. Si, poteva essere così. Cosa avrebbe dovuto fare? Bussare a tutte le porte e chiedere se conoscevano un certo Calibri? Sarebbe stata una cosa ridicola, e se pure fosse riuscita ad incontrare Amore, dal momento che lei aveva lasciato Calibri, di sicuro non avrebbe ammesso di conoscerlo e non avrebbe preso la lettera. Si trovava in un cunicolo ceco, senza via d’uscita.

Piegò la lettera, la ripose nella busta e la conservò nel cassetto della sua scrivania. Immaginava che un giorno Calibri avrebbe bussato alla sua porta chiedendole di restituirgli la sua lettera, e di certo sarebbe stato un bell’incontro. Ma cosa poteva fare lei, adesso? Non poteva recapitare la lettera alla reale destinataria, non poteva rintracciare Calibri. Non c’era un bel niente che lei potesse fare.

-          Bianca! Vieni a darmi una mano!-

La voce della mamma risuonava dal fondo del corridoio, Bianca chiuse il cassetto della scrivania.

-          Arrivo!-

 

 

 

 

 

 

 

Eva passò lo sguardo dal bicchiere di aranciata al cameriere che la poggiava sul tavolino davanti a se. Lo guardò più volte, in religioso silenzio, e nello stesso silenzio esaminò il bicchiere di aranciata. Stava controllando che tutto fosse perfettamente in ordine, come le piaceva. Amanda, seduta di fronte a lei, pareva indifferente. Sorrise al giovane cameriere prima di ringraziarlo, poi prese il bicchiere di aranciata e bevve un lungo sorso.

Il caldo si faceva finalmente sentire. Il pomeriggio volgeva al termine e finalmente Amanda si era fatta coraggio ed era uscita di casa, sfuggendo alla sua segregazione forzata. Eva aveva il viso rilassato, pareva essersi liberata della sua paranoia. Erano passate ventiquattro ore dal suo strambo incontro con Bianca e le cose procedevano normalmente. Ovviamente, non aveva fatto parola né con Amanda e né con suo padre di quanto accaduto. L’avrebbero sicuramente accusata di essere stata troppo impulsiva.

-          Ti vedo tranquilla- esordì Amanda, poggiando il bicchiere sul tavolino.

Eva sospirò, rivolse ad Amanda un sorriso sincero.

-          Non sono pazza come voi credete, - iniziò Eva, modulando il tono della voce, - e per una volta ho deciso di darvi ascolto. Non mi preoccuperò. Ma nel caso dovesse succedere qualcosa di spiacevole, allora non potrete rimproverarmi come tanto vi piace fare. Vi avevo avvertiti-

Agli occhi di Amanda, Eva pareva rassegnatasi nel ruolo che le era capitato, quello della povera pazza incompresa. Dal canto suo, Eva sapeva che la sua reale tranquillità scaturiva dal fatto che Bianca non si fosse più fatta viva e che quindi non aveva messo in pericolo nessuno.

-          Non devi preoccuparti, Eva. Tutto è perfettamente normale-

-          Non sembrava la pensassi così, qualche giorno fa-

Eva bevve un lungo sorso di aranciata senza staccare gli occhi da Amanda, la quale sembrò imbarazzata. Non le piaceva che Eva facesse riferimento alle sue fissazioni.

-          Le mie, a differenza delle tue, sono delle paure reali- rispose pacata Amanda.

-          A me non sembra-

-          Lasciamo perdere. Non voglio litigare con te-

Amanda rivolse gli occhi alla statua di Piazza Bellini, alla sua destra. Una leggera folata di vento fece danzare i fiori, vedeva i turisti attraversare la piazza. Molti di questi si fermavano nel loro stesso bar, prendevano un tavolo non molto distante dal loro e si godevano la serata.

Eva rise sotto i baffi.

-          Hai ragione, neanche io voglio litigare con te-

La frase della giovane colpì Amanda, che ridestandosi la guardò interrogativa. Era la prima volta da quando era tornata che Eva non le pareva sulla difensiva. Forse questo era il momento adatto per chiedere, per sapere finalmente cosa era successo quando due anni prima aveva lasciato la città. Si fece coraggio, sapeva che l’argomento avrebbe potuto aizzare la belva che dormiva dentro Eva.

Si schiarì le voce.

-          Eva, ascolta…-

-          Si?-

-          C’è una cosa di cui avrei tanto voluto parlarti-

Eva non si scompose, posò il bicchiere davanti a se, poggiò il mento in una mano e la fissò.

-          Dimmi pure-

Amanda abbozzò un sorriso.

-          Sai, non abbiamo mai, ehm, parlato di quando io, cioè…-

-          Di quando sei andata via?-

-          Già-

-          Penso tu sappia già tutto-

Amanda sospirò, il tono di Eva si era indurito.

Come non detto.

-          Beh, si, ma solo sommariamente- mormorò, cercando di intenerirla, - lo so che non ti piace parlarne-

-          No, infatti-

-          Ma non credi che io abbia il diritto di sapere?-

Il silenzio calò tra loro, Eva si leccò le labbra, si poggiò allo schienale, incatenò Amanda a se con uno sguardo fulminante.

-          No, Amanda. Non hai nessun diritto nei miei confronti-

Amanda sentì il suo cuore rompersi come uno specchio. Mille pezzi affilati cadevano ovunque, lacerandola.

-          L’unica cosa che ti è data sapere, - continuò fredda Eva, - è che ti ho liberato dal più grosso guaio della tua vita. E credo tu debba essermi riconoscente-

-          E lo sono, - rispose pronta Amanda, - ma il fatto che è io non so se…-

Eva scosse la testa.

-          Lascia perdere, okay? Sei stata tu a dirmi di voler dimenticare tutto-

-          Lo so, però…-

-          Dimmi la verità, Amanda. Tu non ci riesci-

-          Come, scusa?-

-          Non riesci a dimenticare. E vuoi che io ti parli del passato così da assaporare quei momenti. È tutto finito, non lo capisci? È finito-

Amanda sentì le lacrime fare capolino nei suoi occhi.

Eva allungò la mano sul tavolino fino a sfiorare la sua. Amanda alzò gli occhi lucidi verso di lei.

-          Ascoltami, Amanda, questa è la cosa migliore. È la cosa migliore per tutti-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era stata una pessima idea chiedere a Stefano di unirsi a loro: adesso Bianca si ritrovava al centro tra discorsi che non le interessavano neanche un po’, e come se non bastasse, il flirt tra suo fratello e Lara sembrava inarrestabile. Ma dov’era Ariel quando serviva? Se ci fosse stato, probabilmente ad un’occhiata ammiccante di Bianca avrebbe sfoderato una di quelle sue frasi perfette, di quelle che distolgono l’attenzione e cambiano le carte in tavola. A detta di Lara, però, Ariel quel giorno era impegnato con chissà chi. Ma quanta gente conoscono, questi qui?, si chiedeva Bianca. Lara aveva detto che soggiornavano da alcuni suoi cugini, mentre altri parenti di Ariel che vivevano in città facevano di tutto per passare un po’ di tempo con lui. Che strana coincidenza, sia i parenti di Ariel che quelli di Lara abitavano a Napoli. La cosa la incuriosiva, e non poco. Com’è che dei parenti di un lontano principe vivessero qui in incognito? O non erano parenti poi così prossimi, o non vivevano in incognito. Erano soltanto, beh, sconosciuti. In definitiva, Bianca non aveva mai sentito parlare di Ariel, e non sapeva da quale paese provenisse.

Scosse la testa. Nel momento stesso in cui le venivano in mente quei pensieri, rifletteva sulla loro assurdità. A volte si svegliava al mattino pensando che li avesse solo sognati, che non fossero mai esistiti nella realtà. Poi però in fretta e furia si alzava e si preparava per il lavoro, e così veniva travolta dal mondo reale e non aveva più tempo di riflettere sui frutti della sua fantasia.

Per fortuna via Roma era terminata e davanti a loro si apriva Piazza Dante, da cui erano partiti quel pomeriggio. Stefano sorrise a Lara, stavano ancora blaterando di chissà che cosa. Bianca diede un’occhiata distratta all’orologio.

-          Spero io sia stato esaustivo nelle spiegazioni!- esclamò Stefano, Lara piegò la testa da un lato sorridendo, come una bambina alla quale si regala una caramella.

-          Sei stato bravissimo, e conosci un sacco di cose! È stato un pomeriggio molto interessante, grazie Stefano!-

Bianca rimaneva in silenzio a guardare quei saluti smielati, si sedette ai piedi della statua di Dante Alighieri con il viso tra le mani, Stefano le lanciò un’occhiata ambigua.

-          Ehi, adesso devo proprio andare, ma tu perché non rimani un altro po’ con Bianca? Sono sicura che le farebbe piacere portarti a vedere il Conservatorio-

-          Eh?-

Bianca si ridestò non appena sentì le parole del fratello. Lara guardò Bianca come se fino a quel momento non si fosse accorta della sua presenza.

-          Oh, sarebbe meraviglioso!- commentò poi, saltellando felice. Bianca lanciò un’occhiata fulminante a Stefano. Di certo quello che aveva voglia di fare in quel momento non era restare ancora in giro per la città dopo un’asfissiante pomeriggio.

-          Cosa ne dici, Bianca?- la punzecchiò Stefano.

Bianca sospirò.

-          Va bene. Insomma si, okay, andiamo a vedere il Conservatorio-

La sua voce tradiva qualcosa, ma Lara sembrò non accorgersene affatto.

-          D’accordo sorellina, allora ci vediamo più tardi-

-          Ciao Stefano-

Lara salutò Stefano con un abbraccio caloroso che lo fece arrossire. Bianca avrebbe voluto ridere, ma si trattenne. Quando finalmente Stefano fu abbastanza lontano, anche loro ripresero a camminare. Lara pareva al settimo cielo, Bianca dimenticò il suo malumore. Lara le faceva sempre lo stesso effetto.

Si incamminarono verso Port’Alba, Lara si fermava ogni due secondi per ammirare le bancarelle, i libri, la strada.

-          Come mi piacerebbe vivere qui- commentò, quasi come se stesse parlando con se stessa. Bianca rimase colpita dalla sua voce per niente smielata.

-          Non vorresti tornare a casa tua?- chiese istintivamente.

Lara parve riflettere.

-          Sai Bianca, dove vivo io la vita è tutta diversa. È come se fosse sfocata, mi capisci? Da quando sono venuta qui, è come se stessi vivendo davvero-

-          Vivi alla corte di Ariel?-

Lara alzò le spalle con un sorriso.

-          Si, per alcuni periodi vivo con lui. Ma cambio spesso casa-

-          Come mai?-

-          I miei genitori si spostano molto, a loro piace viaggiare. Ma questo viaggio, questo è stato necessario che io lo facessi da sola. Cioè, con Ariel –

-          I tuoi sono dei tipi severi?-

-          Non li definirei severi. Nessuno da noi è severo-

“Da noi”. Ma dov’era che viveva, questa Lara? Dalle sue parole spesso traspariva una saggezza che Bianca non avrebbe immaginato. Dietro quella sua enorme voglia di vivere si nascondeva forse la sua reale personalità, la sua temperanza, la sua ragionevolezza. Tutti i ricordi di una vita che Bianca non riusciva, nonostante gli sforzi, ad immaginare. Lara era vissuta come una principessa alla corte di Ariel? Tra di loro c’era mai stato qualcosa?

-          Lara, ascolta-

-          Si?-

La giovane si voltò, guardo Bianca interrogativa e tranquilla.

-          Tu ci credi alle lettere d’amore?-

Bianca si stupì della sua stessa domanda. Era stato come se le parole fossero venute fuori da sole. Ripensò con fulminea velocità alla lettera di Calibri, quasi come se Lara potesse darle delle risposte.

-          Certo che ci credo- rispose Lara, - l’amore è una cosa importante-

-          Tu credi?-

-          Certo. Tu non ci credi nell’amore?-

Bianca ebbe qualche momento di esitazione.

-          Beh, vorrei crederci. Ma sai come va il mondo, no? E’ come se ti spingesse a non crederci più-

Lara sorrise, un sorriso nostalgico. Sembrava stesse riflettendo su qualcosa di lontano e invisibile.

-          Non tutte le storie possono essere felici, Bianca. Ma questo non significa che l’amore non esista-

Bianca guardò Lara negli occhi, lei sorrise.

-          Ti va se ti racconto una storia?- propose poi. Bianca sembrò colpita dalla sua domanda, ma con un cenno del capo acconsentì.

-          C’era una volta una fata. Una fata vera, di quelle con le ali e la bacchetta magica. Un giorno, scese sulla Terra per esplorare il mondo e si innamorò di un giovane mortale. Tutti sanno che le fate non possono intrattenere rapporti con i mortali, ma alla nostra fatina non importava. Si era talmente innamorata che avrebbe volentieri rinunciato alle sue ali e alla sua magia, se questo significava restare con il suo amato. Ovviamente, non gli aveva confessato nulla sulla sua vera identità. Nel mondo delle fate vigevano regole severe: non era possibile per nessun motivo al mondo, neanche per amore, confessare ai mortali una cosa del genere. La fata pensò che fino a quando riusciva a mantenere il segreto, sarebbe rimasta sulla Terra con lui, ma poi si rese conto di non poter continuare così. Un rapporto d’amore è basato innanzitutto sulla fiducia, e non poteva mentire al suo amato. D’altro canto però, non poteva nemmeno rivelargli la verità: questo avrebbe significato mettere in pericolo la vita di tutte le altre fate. Così, un giorno, sebbene il cuore le si spezzasse, decise di abbandonarlo. Gli fece un lungo discorso dove gli spiegava stava per partire per un paese lontano e non sarebbe più tornata, dunque lui avrebbe fatto bene a dimenticarla. Il ragazzo uscì fuori di senno, iniziò a tormentarla chiedendole di restare o almeno di portarlo con se. Ma lei non poteva portare il suo amato nel mondo delle fate, dove stava per fare ritorno. Così un giorno, lasciò la casa nella quale aveva vissuto quel poco tempo sulla Terra, e volò via. Sebbene lui sapesse che lei se n’era andata, ogni giorno si recava davanti a quella casa e lasciava una lettera d’amore nella cassetta della posta. Sapeva che lei non avrebbe mai letto quelle lettere perché ormai era andata via, ma nel suo cuore non morì mai la speranza di poterla rivedere, un giorno lontano. La fata non seppe mai di quelle lettere, e sebbene soffrisse molto, si convinse di aver fatto la scelta giusta. Continuò a sperare che lui potesse trovare una ragazza che lo meritasse, che non avesse da nascondergli niente e che poteva in tutto e per tutto amarlo. Passarono più di otto mesi da quando lei se n’era andata, e il ragazzo si rassegnò. Non scrisse più lettere e né si recò più in quella casa-

Bianca sentì una stretta al cuore, immaginò la cassetta della posta piena di lettere che nessuno aveva letto. Immaginò Amore, che non aveva letto la lettera di Calibri e probabilmente non l’avrebbe mai fatto, e tutto solo per uno stupido errore. Una inspiegabile tristezza le cadde addosso.

-          E lei non è più tornata?- domandò con un filo di voce.

Lara scosse la testa.

-          No, mai più-

-          E lui ha trovato un’altra ragazza?-

-          Non lo so-

Bianca sospirò, Lara le poggiò una mano sulla spalla.

-          Vedi, Bianca, spesso l’amore è così. Imprevedibile e folle. Ma te la sentiresti di dire che l’amore tra il ragazzo mortale e la fata non fosse vero? Di sicuro lo era. E forse, se avesse potuto funzionare, sarebbe diventata una delle più belle storie d’amore di sempre. Ma a volte l’amore è così. Ma non bisogna smettere di crederci-

Bianca parve riflettere per qualche momento.

-          Come facciamo a credere all’amore se tutte le storie che ci raccontano finiscono male?-

-          Come dici?-

-          Ogni storia d’amore che si rispetti ha un finale tragico, anche la tua. Pensa a Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca. Di certo rimani affascinato dalla loro passione, ma che conclusione hanno? La morte-

Lara non si scompose.

-          Se non avessero questi finali probabilmente non sarebbero nemmeno diventate storie famose-

Bianca si voltò si scatto verso di lei, la guardò con aria interrogativa.

-          Perché?- domandò.

-          Pensa se Romeo fosse arrivato al capezzale di Giulietta solo qualche minuto dopo. L’avrebbe trovata sveglia, e insieme sarebbero scappati. Non ci sarebbe stato niente da raccontare, avrebbero vissuto una vita normalissima e la loro avventura giovanile sarebbe stata velocemente dimenticata-

-          Ma non si possono preferire per questo i finali tragici-

-          Non tutti i racconti d’amore finiscono male. Cenerentola sposa il principe-

-          Ma quella è una favola-

-          E dunque?-

-          Non si possono far piangere i bambini, e dunque deve finire bene per forza-

-          Non è vero. Conosci la vera storia della Sirenetta? Il principe si innamora di un’altra fanciulla e lei si pugnala e diviene spuma del mare. Anche questa è una favola-

-          Questa è la cosa più triste che io abbia mai sentito-

Si fermarono, canti melodiosi provenivano dalle alte mura del Conservatorio. Lara alzò lo sguardo verso la grande struttura, la osservò ammirata.

-     Perché mi fai queste domande sull’amore?- chiese d’un tratto.

       Bianca alzò le spalle.

-     Non lo so. Ma tu sembri una che ne capisce-

      Lara rise divertita, per la prima volta Bianca la vide sotto una luce diversa, come

      se non sembrasse poi tanto infantile.

-     Beh, invece io non ne capisco proprio niente-

-     Non sembrerebbe da come ne parli-

-   Mia madre mi ha raccontato molte storie, ho letto molti libri. Ma non ho mai vissuto l’amore. Per questo sono venuta fin qui, sai? –

-     Per vivere l’amore?-

-     Per vivere. Vivere finalmente-

      Bianca meditò sulle parole di Lara, sul suo finalmente. Cosa era successo nel suo passato?

       Voltò la testa, vide due giovani ragazze allontanarsi dal bar di Piazza Bellini, alle sue spalle. Riconobbe in una di loro Eva.

-     Bianca? Dove vai?-

-     Vieni con me, Lara. Ti presento una persona-

 

 

 

 

...

 

 

Eva tirò Amanda per un braccio, sentiva il sangue ribollire nelle vene. Eccola. Era lei. No, aspetta un momento, non poteva essere lei. Di sicuro si stava impressionando, era un brutto turco della sua mente. Si stava dirigendo verso di loro, ma era una stupida coincidenza. C’era un’altra ragazza che le camminava accanto, una giovane dai capelli rossi e l’aria infantile. Per un attimo le venne da ridere. Da dove diamine l’aveva pescata? Amanda voltò gli occhi verso ciò che Eva stava guardando. La riconobbe in un istante, come era successo anche ad Eva il giorno prima. Era impressionante come le cose che ci colpiscono rimangono intatte nella nostra memoria.

Bianca si fermò la pochi passi da loro, Amanda sbiancò.

-          Eva...- sussurrò tra i denti.

-          Tranquilla, la conosco-  fu costretta a confessare la giovane, in un mormorio poco chiaro.

-          Che cosa?-

Amanda avrebbe voluto gridare, ma ormai Eva era ad un palmo dalla giovane biondina.

-          Ciao, Eva – salutò Bianca, con un luminoso sorriso.

Eva sorrise a sua volta, si chinò verso Bianca per baciarle le guance.

-          Bianca! Ciao, come stai?-

Amanda fissò Lara per un secondo che parve interminabile, sembrò annegare dentro i suoi occhi celesti. Eva si accorse a malapena di quell’occhiata, era ancora impegnata nei convenevoli.

- Cosa ci fai da queste parti?- chiese poi Eva, portandosi le mani sui fianchi.

- Oh, sono in giro con la mia amica Lara. È straniera, ed è la prima volta che viene in città. La porto a fare un giro turistico. Lara, ti presento Eva, la ragazza della festa. Eva, questa e Lara -

 

 

**

 

 

Bianca s’aspettava che Lara iniziasse a fare la caramellosa come ben sapeva fare, invece arrossì tutta, e senza staccare gli occhi dalla ragazza dai capelli ramati strinse timidamente la mano di Eva. Bianca si chiedeva cosa le stesse succedendo, sembrava stregata dalla giovane che accompagnava Eva.

- Piacere, Lara!-

- Molto piacere-

La voce di Lara era un sibilo confuso, Bianca era confusa.

Eva fece ondeggiare la lunga chioma, sorrise di nuovo.

- E tu cosa ci fai in giro?- chiese Bianca.

Eva strinse il braccio della ragazza dai capelli ramati.

- Oh, solo una passeggiata! Non sopporto di restare troppo tempo in casa-

- Capisco. E’ tua sorella?-

La domanda fu spontanea, Bianca non seppe trattenerla.

- Si- si affrettò a rispondere Eva, - lei è mia sorella, Amanda. Amanda, lei è Bianca. Te ne ho parlato, ricordi?-

Amanda sorrise appena, strinse la mano di Bianca.

- Certo che ricordo. Piacere di conoscerti, Bianca-

- Il piacere è mio-

 

**

 

Amanda strinse la mano di Bianca, si chiese dov’è che Eva l’avesse conosciuta e perché non glie ne avesse parlato subito.

Eva e Bianca chiacchierarono per qualche altro momento, lei continuava a fissare la giovane che si chiamava Lara, che imitava il suo silenzio.

- Mi piacerebbe se ci incontrassimo qualche volta- disse Bianca, amichevole verso Eva.

Amanda sussultò, sentì che Eva aveva fatto lo stesso. Aveva assunto la sua tipica espressione non entusiasta, ma Bianca non poteva accorgersene.

- Ci mancherebbe altro, tesoro. Buona passeggiata, e buona vacanza, Lara!-

Lara salutò con la mano senza aprire bocca, Bianca abbracciò calorosamente Eva.

Eva le guardò allontanarsi verso Piazza Dante, tirò un sospiro di sollievo. Dovevano capitare tutte a lei. Si detestava in quel momento per non aver detto niente ad Amanda, ma l’aveva fatto esclusivamente per il suo bene. Se l’avesse fatto, non solo sarebbe stata rimproverata, ma Amanda avrebbe passato un’altra settimana chiusa in casa ciondolandosi nei suoi invisibili problemi. Aveva cercato solo di fare la cosa giusta. C’era forse qualcosa di male nel cercare di preservare le persone che si amano? Certo, non è che per Amanda provasse questo fortissimo sentimento, ma non poteva mentire a se stessa e chiudersi nei cinismo: Amanda la influenzava, e se due anni prima aveva affrontato guai fino al collo, era stato solo per proteggerla.

Amanda le lanciò un’occhiata fulminante, Eva sospirò.

- Lo so, lo so. Scusami. Ti prometto che ti racconterò tutto okay? Basta che non vai in escandescenza. Non ti sopporto quando fai così. Ehi ma che hai? Stai bene? –

- Si si, sto bene, non preoccuparti-

Amanda non sembrava interessata alle scuse e alle spiegazioni di Eva, sembrava avere i pensieri tutti da un’altra parte.

- Perché non mi stai sgridando? Ti senti bene? Oh, ecco, ho capito, stai pensando a quella ragazza. Lara. Che c’è? Che ha che non va?-

Amanda lanciò un’occhiata infuocata ad Eva, sorrise debolmente.

-          Niente- rispose, in un sussurro sdolcinato.

Eva la strinse per un braccio.

-          Amanda, - e chiamandola per nome si fermò, guardandola dritto negli occhi, - dimmi la verità-

Amanda alzò le spalle con un sorriso innocente.

-          E’ una di noi-

 

 

 

 

 

 

Stanca come non mai, Bianca si diresse verso casa dopo aver lasciato Lara alla fermata della metropolitana. Avrebbe voluto accompagnarla a casa, ma lei glie lo aveva impedito. Aveva detto che non c’era nessun problema se andava a casa da sola, dopotutto stava imparando a conoscere la città. Bianca in realtà era solo curiosa di sapere dove alloggiava e chi erano questi tanto famigerati parenti. Per la prima volta nella sua vita Bianca si trovava dinanzi ad un mistero bello e buono e sembrava non avere nessuna voglia di risolverlo. Si avvicinò al cancello, tirò fuori le chiavi e lo aprì. Stava quasi per richiuderselo alle spalle quando notò che la cassetta delle lettere non era completamente chiusa. Lo sportellino penzolava, come se qualcuno l’avesse aperta e poi non richiusa. Fece una strana smorfia con la bocca, non avrebbe voluto controllare ma la curiosità vinse. Infilò la mano nella cassetta e ne estrasse una busta identica a quella del giorno prima. Il cuore le saltò in gola, le guance le pizzicavano. Come una ladra, corse per le scale e quando entrò in casa non si curò affatto della tavola apparecchiata e della mamma che le chiedeva di darle una mano, si chiuse nella sua stanza con tanto di chiave e scartò velocemente la busta.

 

 

 

 

 

Caro Amore,

è la seconda lettera che ti scrivo eppure mi pare di avertene scritte trecento. Arrivo fuori casa tua e la appoggio nella cassetta delle lettere con una tale speranza, che quasi vorrei restare lì fermo fino a quando non uscirai dalla porta e verrai a controllare la cassetta delle lettere. Mi dicono che tu sei partita, ma io non ci credo. Sei barricata in casa. Stai riflettendo sulla tua crudeltà nei miei confronti.

Perché mi fai questo? Resterei ore fuori dalla tua finestra, ricordo quando ci siamo conosciuti, quando io ti riaccompagnavo a casa e poi non riuscivo ad andarmene perché ero incollato con gli occhi a quella finestra. Guardavo la luce accendersi, poi vedevo la tua ombra che svolazzava avanti e indietro. In quella enorme casa, la luce della tua finestra sembrava un’unica lucciola in tutta la notte buia. Adesso, quando resto durante la notte fuori dalla tua finestra, non la vedo mai accendersi. Le tendine sono chiuse e non sento nessun rumore, nemmeno quello della tua ombra. Dove ti nascondi, amore? Ti nascondi da me? Non riesco più a vivere da quando sei andata via. Non riesco a dormire senza la tua voce, non riesco ad immaginare senza i tuoi racconti. Ricordi quando ci sedevamo insieme davanti al mare e mi raccontavi mille storie? Il nostro amore era così simile a quelle storie, così etereo. Sai amore, a volte quando chiudo gli occhi ancora ti vedo, qui accanto a me. I miei genitori mi danno del pazzo, i miei amici vogliono che vada da uno psicologico. Tua cugina minaccia di chiamare la polizia se mi scopre di nuovo appostato fuori dalla vostra casa. Ma cosa posso farci? Un ragazzo innamorato è forse da incolpare? Voglio sapere la verità, e non mi arrenderò fino a quando non la scoprirò.

Nonostante il nostro tempo è stato breve, so che dentro di te è nata la stessa scintilla. So che mi pensi, che mi sogni, che mi ami esattamente che io penso, sogno ed amo te. Resterò fuori dalla tua finestra sperando in un tuo ritorno, intanto ricordami sempre come il tuo unico amore,

 

Càlibri.

 

 

 

Bianca piegò velocemente il foglio di carta, scostò le tende della sua finestra e scrutò la strada. Non c’era nessuno. E a pensarci bene, non c’era mai stato nessuno appostato fuori dal loro palazzo. Enorme casa, l’aveva chiamata Calibri. Si trattava di un’altra casa? Non era possibile, Calibri aveva detto espressamente di conoscere la casa dove Amore abitava. E allora perché Bianca non aveva mai visto nessuno? Forse quella sera non c’era andato, spaventato dalla minaccia della cugina di Amore. Già, a detta di Calibri Amore viveva in casa con sua cugina. Che Bianca sapesse, nel suo palazzo non c’erano ragazze che abitavano con le cugine, ma poteva benissimo sbagliarsi. Già, forse si sbagliava. La cosa certa era che Amore abitava in quel palazzo, Calibri lo conosceva bene, tanto bene da restare fisso con gli occhi sulla finestra di Amore. Bianca si sentiva sempre più in colpa. Calibri stava sbagliando a recapitare le sue lettere e Amore non le aveva ricevute. E se Amore fosse davvero partita, come Calibri aveva accennato? Non ci sarebbe stato niente di strano, dato che erano in periodo di vacanze.

Passò le dita sulle parole, rifletteva senza trovare una soluzione. Se Calibri conosceva la casa di Amore, perché continuava a sbagliare ad imbucare quelle lettere? Su ogni cassetta della posta c’era il nome della famiglia, quindi Calibri non avrebbe potuto sbagliarsi, e inoltre, nella lettera c’era scritto che era proprio lui a recapitare quei messaggi, non c’era nessuno che lo faceva al posto suo, che so, un amico o un parente. In quel caso, il mandante avrebbe potuto confondersi. Ma non Calibri, Calibri non avrebbe mai potuto. Sembrava ossessionato dal pensiero di Amore, Bianca ne era quasi spaventata. Una passione violenta lo divorava, un’ossessione senza precedenti. Cosa sarebbe successo se Amore fosse uscita allo scoperto accettando di incontrarlo?

Le venne in mente la storia che Lara le aveva raccontato quel pomeriggio, delle lettere lasciate alla fata. Sorrise a se stessa, immaginò che anche Amore fosse una fata e che Calibri fosse il ragazzo che lei aveva amato. Ma quella storia era diversa: il ragazzo sapeva che la fata se n’era andata per sempre, Calibri invece era follemente innamorato, Calibri la aspettava, la cugina di Amore lo minacciava. Se anche Amore fosse stata una fata, avrebbe di sicuro fatto una magia a Calibri per farsi dimenticare. O forse se l’avesse amato davvero, gli avrebbe confessato il suo segreto. Nonostante il suo pragmatismo, Bianca si riconosceva una romantica senza precedenti. Il pensiero volò fino a quel ragazzo che l’aveva baciata alla festa di Eva, sentì un tuffo dentro lo stomaco. Il solo ricordare quel momento le scatenava dentro una confusione difficile da gestire. Possibile che dovesse rassegnarsi? Gli eventi successi l’avevano distratta da quel pensiero, eppure sottilmente Bianca continuava a pensarci.

Piegò la lettera di Calibri e la ripose nel cassetto della scrivania insieme alla precedente.

Da quel giorno, le lettere iniziarono ad arrivare con regolarità, e Bianca le conservò tutte.

 

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Capitolo 8
*** Con l'amore che non immagini ***


calibri cap 8

La casa in cui Lara alloggiava era una villetta a via Aniello Falcone, a due piani. Bianca la fissava sbigottita, si era immaginata Lara seduta sul letto di uno squallido alberghetto anche se sapeva che non era così. Adesso la aspettava, dovevano di nuovo andare in giro per la città. Si aprì una finestra al secondo piano, ma Bianca non vide nessuno. Sospirò, guardò l’orologio. Erano le dieci e un quarto. Quel giorno aveva il turno pomeridiano al bar, così aveva deciso di passare la mattinata con Lara. Era una specie di droga, questa Lara, e di tanto in tanto bisognava aumentare la dose. Era strano come Bianca sentisse il bisogno di telefonarla, di raccontarle di se e di come Lara facesse altrettanto. Certo, Bianca non era ancora riuscita a scoprire da dove venisse e che tipo di rapporto ci fosse tra lei ed Ariel, ma era convinta che informazioni del genere sarebbero arrivate col tempo. Intanto, quell’alone di mistero che la contornava la faceva sembrare ancora più interessante, come se non lo fosse già il suo modo di porsi e di presentarsi in pubblico. Il suo rapporto con Lara era estremamente sincero: alcune volte Bianca si imbarazzava tremendamente per il suo comportamento caramelloso e Lara se ne accorgeva, e altre volte Bianca sospirava così tanto che Lara capiva di essere incappata in uno di quei discorsi senza fine e che la stava annoiando.

Bianca stava per farle un colpo di telefono quando sentì il cancelletto della villa aprirsi. Si aspettava di vedere Lara uscire, sorridente come sempre, ma non fu così. Sentì il respiro mancarle e la pelle illividire quando mise a fuoco la persona che era uscita dalla porta candida e che ora attraversava il piccolo vialetto di ghiaia diretto proprio verso di lei.

Si trattava del ragazzo di quella sera.

Bianca pensò di stare avendo le allucinazioni, ma non appena il giovane spinse con mano decisa il cancelletto e fu ad un solo centimetro da lei, non ebbe nessun tipo di esitazione.

Era proprio lui.

Il ragazzo misterioso portava i suoi lunghi capelli castani sciolti sulla schiena, vestiva in maniera normale, sembrava non soffrire nemmeno un po’ il caldo. Aveva uno sguardo fiero e dolce al contempo, gli occhi grandi ed espressivi, le gote alte ed il mento non troppo pronunciato. Il naso era dritto e lungo, ma armonizzava perfettamente con il suo viso. Era bello da morire, come una scultura di Michelangelo. Aveva la pelle abbronzata come Bianca la ricordava.

Lo fissava senza nessun tipo di pudore, lui inizialmente parve non accorgersene, ma appena si tirò dietro il cancelletto e alzò gli occhi, la vide.

Si fermò, restarono a fissarsi per qualche momento.

-          Ciao-

Bianca non poté credere di aver sentito la sua voce. Restò in silenzio a fissarlo ancora per qualche momento, lui sorrideva ancora, non sembrava imbarazzato, anzi, sembrava si ricordasse perfettamente del loro incontro alla festa.

-          Ciao- biascicò, confusa. Non riusciva a connettere i pensieri e non riusciva a capacitarsi che il suo principe azzurro fosse davvero lì.

Il giovane sorrise di nuovo, un sorriso disarmante.

-          Aspetti qualcuno?-

La sua domanda la sorprese, Bianca immaginava che potesse perdersi in frasi sconnesse come spesso fanno i ragazzi della sua età, ma lui era perfettamente a suo agio.

-          Si- rispose Bianca, senza riuscire ad articolare parole diverse da monosillabi.

Il ragazzo lanciò a Bianca uno sguardo sorridente, stava per andare via ma Bianca gli poggiò delicatamente una mano su un braccio.

-          Aspetta…-

Lui si voltò.

-          Si?-

Aveva il tono di voce più dolce che Bianca avesse mai sentito.

-          Ti ricordi… ancora… di me?-

La domanda suonava assurda alle orecchie di Bianca. Certo che si ricordava, o non l’avrebbe salutata. O era abituato a fare così con chiunque incontrasse? Le pareva improbabile.

Il giovane sorrise di nuovo.

-          Certo che mi ricordo, - disse, con una strana voce suadente, - ci siamo incontrati alla festa-

Bianca avrebbe voluto sorridere ma qualcosa glie lo impediva, probabilmente la follia della situazione. Non riusciva a controllarsi e neppure a staccare la mano dal braccio di lui.

-          Già, ecco, per l’appunto…- inizio a farfugliare senza riuscire ad arrivare ad una conclusione.

Il ragazzo si avvicinò di un passo a lei, aveva un’espressione divertita e un po’ mortificata.

-          Scusami, devo esserti sembrato un po’… maleducato. Ma non è nel mio costume agire così, quello è stato un unicum, - parlava lentamente, eppure a Bianca sembrava che le parole uscissero fuori ad una velocità impressionante, - mi dispiace molto. Mi chiamo Christian –

Le teste la mano, Bianca la fissò inerme.

Alzò gli occhi verso di lui, un moto d’agitazione la pervase.

-          Perché sei entrato in quella cucina e mi hai baciata?-

Le parole uscirono fuori da sole, Christian ritrasse colpito la mano. La guardò quasi sconvolto dal suo tono un tantino più coraggioso, ma un attimo dopo sorrideva di nuovo.

-          Eri molto bella-

Bianca alzò le spalle imbarazzata.

-          Grazie. Ma sai, è stata una cosa non molto normale. Non che tu non sia normale, io mi auguro tu lo sia, però non è una cosa normale quella che hai fatto. Avresti potuto almeno parlarmi -

-          Potevi parlarmi tu-

Il tono di lui era divertito, Bianca scosse la testa.

-          Non potevo-

-          E perché?-

Già, perché? Non poteva certo dirgli di essere rimasta folgorata dalla sua bellezza e dal suo gesto.

-          Beh, perché non sono stata io a baciarti, ma tu-

-          Mi dispiace-

-          Ti comporti sempre in maniera così strana?-

-          Non proprio-

-          Sei fidanzato?-

-          No-

-          Sposato?-

-          Eh?-

-          Scusa. Okay, insomma, piacere. Io sono Bianca-

Stavolta fu lei a tendere la mano, Christian la afferrò prontamente, poi rise divertito, Bianca invece era compiaciuta.

-          Ricominciamo daccapo, ti va?- iniziò nuovamente lui, con una strana sicurezza nella voce.

Bianca assentì, i riccioli le caddero sugli occhi.

-          D’accordo, va bene-

Christian sorrise, poi guardò l’orologio che aveva al polso.

-          Oh, devo andare. Si è fatto davvero tardi, ma… è stato bello rincontrarti, Bianca-

-          Anche per me-

-          Ci rivediamo-

-          Okay. Ciao Christian -

-          Ciao Bianca-

Christian si allontanò sul marciapiede, Bianca non riusciva a rendersi conto di quanto era appena successo. Restò immobile a fissare la sua immagine fino a quando non scomparve all’orizzonte, gli occhi le pizzicavano e si sentiva tutta accaldata. Era evidentemente andata in subbuglio, la cosa la rendeva felice e la preoccupava al contempo. C’aveva quasi perso le speranze di rivederlo, e invece all’improvviso eccolo comparire, uscire dalla casa di Lara come se…

… aspetta un attimo, casa di Lara?

 

 

 

 

 

Terza lettera, arrivata di giovedì sera.

 

Caro Amore,

è così che funziona, ogni volta. Cerco di dormire e quando chiudo gli occhi ci sei sempre tu, sembra quasi che possa allungare le braccia verso di te, stringerti, amarti come una volta. Mi sento vecchio dentro, come se il tempo passato con te fosse stata la mia giovinezza, e adesso, senza di te, mi sento solo come un vedovo, come se fossi stato rinchiuso nella bolla dei ricordi, destinato a guardare tutto da lontano, senza poterlo raggiungere.

Quando riapro gli occhi, tendo le braccia per toccarti ma tu non ci sei. E ogni volta è sempre la stessa cosa, sempre gli stessi pensieri. Ma non era qui un attimo fa?, mi chiedo, smarrito, come se stessi per diventare pazzo. E poi mi rendo conto che ti stavo sognando, o forse no, eri tu che mi venivi in sogno, come se ti fosse concesso starmi accanto solo per brevi istanti, e tutti eterei. Quando mi rendo conto che il sogno ha preso il sopravvento sulla realtà, mi alzo e mi dirigo in cucina, mi preparo un caffè e fumo una sigaretta, quelle che mio padre lascia sul tavolo della cucina. Non dovrei fumare, ma il fumo mi calma, lo vedo salire verso la luce al neon della nostra cucina, creare dei grossi buchi dentro i quali affogo. Fumare una sigaretta è come andare in trance per una manciata di minuti, e a volte, come se volessi allungare l’agonia, fumo pianissimo, faccio dei tiri non profondi e vedo la cenere farsi sempre più consistente e alla fine, irrimediabilmente, cade sul tavolo e sono costretto a pulirla via.

Succede sempre così, è come un appuntamento con i ricordi. Forse mi sto conducendo lentamente verso la follia, ma cosa c’è di più dolce se so che quando l’avrò raggiunta, vivrò nel delirio di te?

Con l’amore che non immagini, tuo

 

Càlibri.

 

 

 

 

 

 

Eva rassettò velocemente la sua scrivania, stava per chiudere anche l’ultimo cassetto quando scorse una scatola rosa con sopra un fiocco. Diamine, si era dimenticata di metterla in un luogo sicuro! Per tutto quel tempo non aveva avuto di che temere, ma adesso Amanda era tornata, quindi era molto meglio nascondere quella scatola. Sollevò il materasso e poggiò la scatola lì sotto, in un buco che lei aveva trasformato in un cassetto segreto tra il materasso ed il legno. Ripose il materasso e ci si sedette sopra, sospirò sentendosi un tantinello cattiva. Forse avrebbe dovuto smettere di tenere nascoste ad Amanda delle cose che dopotutto appartenevano più a lei che a se stessa, ma qualcosa glie lo impediva. Il solo pensare di restituire ad Amanda delle cose che lei non sapeva neanche le appartenessero la faceva sentire tremendamente tagliata fuori. In effetti, quando Amanda era andata via, era stata Eva a prendere le redini di quella che era stata lì la sua vita e in un certo senso se n’era appropriata. Aveva passato lunghe nottate senza chiudere occhio, immergendosi in pensieri proibiti dove la protagonista era proprio Amanda. Dopotutto, Eva cosa poteva saperne di quello che aveva passato e stava passando? Scosse la testa rendendosi conto di quanto a volte riusciva ad essere contraddittoria. Non la sopportava eppure talvolta la compiangeva, le veniva voglia di difenderla. Quando avrebbe potuto una volta e per tutte farla finita con lei, non l’aveva fatto. Ci pensava spesso: quando Eva era stata costretta dagli eventi a gestire la vita di Amanda quando era scappata, avrebbe potuto dire tutta la verità e togliersi dagli impicci. Ma non l’aveva fatto, l’aveva protetta. Non sapeva neppure come ci fosse riuscita, a diciotto anni una ragazza normale avrebbe dovuto pensare all’Università, alla nuova vita che le si presentava, mentre Eva si era dedicata anima e corpo a insabbiare l’esistenza di una persona che era dovuta, da un momento all’altro, scomparire. Si era resa una sorta di detective, e sapeva che per questo Amanda le era molto grata. Eva si sentiva in diritto di possedere una parte della vita di Amanda, anche se sapeva che il suo segreto non sarebbe durato per sempre.

Quasi come se l’avesse chiamata, Amanda si affacciò alla porta socchiusa. I capelli erano legati in una treccia, gli occhi erano ingenui e freddi.

-          Posso entrare?- domandò.

-          Si, entra- rispose Eva, in un sussurro.

Amanda si sedette sulla sedia da scrivania di Eva, la guardò come se volesse leggerle dentro.

-          Se ti faccio una domanda, mi prometti di non metterti a fare la psicologa dei miei sentimenti?- buttò fuori Amanda, tanto velocemente che Eva alzò gli occhi indagatori su di lei. Non aveva voglia di mettersi a battibeccare, quindi fece una strana smorfia di assenso e si stese sul letto di un fianco, con il gomito sul materasso e la guancia poggiata sul palmo della mano.

Amanda abbozzò un sorriso, i suoi occhi si accesero.

-          L’hai più rivisto in questi anni?-

-          Chi?-

-          Avanti, Eva…-

-          Sergio?-

Amanda zittì, Eva roteò gli occhi per la stanza.

-          Mmh, no. Non mi pare-

-          Oh-

Eva si accorse che Amanda voleva sapere di più ma non osava chiedere. Sospirò quasi di insofferenza, si mise seduta con le spalle al muro.

-          Io e Sergio non frequentiamo gli stessi ambienti, dovresti saperlo. Non siamo nemmeno iscritti alla stessa facoltà!, - Eva alzò le spalle, tentava di mantenere un tono neutrale, - e a parte quel breve periodo, no, non mi pare di averlo rivisto-

-          Adesso è fidanzato con Bianca?-

Amanda non aveva alzato gli occhi, forse timorosa dello sguardo di Eva.

-          Mmh, non lo so. Può darsi-

Amanda annuì con un sorrisino, Eva sentì una fitta allo stomaco. Era da tanto che non parlava di Sergio in maniera così seria.

-          Tu pensi che lui abbia… capito qualcosa?- domandò di nuovo Amanda.

Eva scosse la testa.

-          No. Assolutamente. Non aveva una grande fantasia-

Il commento lasciò Amanda interdetta, si lasciò cadere sullo schienale della sedia.

-          Io penso che ce l’avesse- commentò a sua volta, con un sorriso sbarazzino.

Eva scoppiò a ridere.

-          Era un tipo strano, su questo non c’è dubbio. Ma non mi sembrava granchè intelligente-

-          Oh, lo era-

-          Non che fosse stupido, però…-

-          Mi ricordava Calibri in certi suoi atteggiamenti-

Eva alzò le braccia.

-          Non ricominciare con questo Calibri…-

Amanda scoppiò a ridere.

-          Tu non lo conosci nemmeno! Come fa a starti antipatico?-

-          Non mi è antipatico, - sibilò Eva, - è soltanto che è inquietante il modo in cui parli di lui-

Eva voltò lo sguardo verso la finestra per non sostenere lo sguardo di Amanda.

-          Calibri è una persona speciale, - iniziò Amanda, con tono rassicurante, - lui è capace di connettersi con le persone, di farle vivere. Sa guarirti con uno sguardo, essere presente per te ogni volta che vuoi-

-          È repellente, - commentò Eva scuotendo la testa, - sembra quasi un fantasma, uno che ti entra nel cervello!-

Amanda rise di nuovo, Eva era contrariata.

-          Sei facilmente impressionabile, Eva. E sei paranoica-

-          Paranoica ci sarai tu, con i tuoi racconti fiabeschi-

-          No, lo sei tu-

-          Tu!

-          Tu ho detto!-

 

 

 

 

 

 

-          Era lui! È uscito da quella porta ed era proprio lui!-

Bianca strattonava Lara per le spalle, che la guardava interrogativa.

-          Chi?-

-          Il tipo della festa, quello che mi ha baciata all’improvviso! Era lui, è uscito da casa tua qualche momento fa!-

Lara la fissava interrogativa.

-          Ne sei sicura?-

-          Altroché! Ci ho anche parlato!-

Lara si portò una mano al mento.

-          Uscito da casa mia, dici?-

-          Si! Si chiama Christian!-

Lara parve riaversi, annuì, ma con poca convinzione.

-          Christian! – esclamò.

-          Vive in casa tua? È un tuo parente?-

-          È mio cugino-

Una frase senza effetto, insolita per Lara. Bianca saltellò felice, sorrideva come non mai.

Certo, avrebbe dovuto aspettarselo: con chi altri se non con Lara poteva essere imparentato un tipo così strano? Stava succedendo qualcosa di strano nella sua vita, ma nemmeno voleva sapere cosa. Si sentiva incatenata al presente come mai prima era successo, e mai si era sentita così viva e coinvolta come quel momento.

-          È meraviglioso! Che tipo è? Cosa fa nella vita? Va all’Università?-

Lara si scrollò Bianca di dosso, si aggiustò la borsa sulla spalla e abbozzò un sorriso.

-          Mmh, si, studia, penso… qualcosa come… conservazione dei beni culturali… non ne sono sicura-

Bianca era piena di entusiasmo, Lara sembrava voler cambiare discorso ad ogni costo.

-          Ed è simpatico? Mi è parso molto affascinante!-

-          Si, ehm, è un bravo ragazzo- si limitò a rispondere Lara, mentre si avviavano nella direzione opposta alla quale si era avviato Christian poco prima.

Bianca guardò Lara con fare sospettoso, ma lei non parve accorgersene.

- C’è qualcosa che non va?-

- Eh? No-

- Mi sembra che questo argomento ti metta a disagio-

Lara squadrò Bianca, sorrise.

- E’ solo che, beh sai, io e Christian non ci conosciamo molto bene-

Il suo tono era mutato, Bianca mugugnò qualcosa di incomprensibile, Lara continuò:

-  Non ci vediamo molto spesso, sai com’è... abbiamo delle vite molto diverse-

-  Che tipo di vita fa lui?- chiese interessata Bianca.

-  Non lo so...-

Lara era confusa ed imbarazzata, Bianca ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa che Lara non volesse confessarle.

-  Sicura che non ci sia dell’altro?-

Lara alzò le spalle e scosse la testa.

- Assolutamente no- rispose, risoluta.

Bianca si voltò dall’altra parte, quell’atteggiamento non faceva altro che aumentare la sua curiosità ed alimentare il fuoco della stravaganza di Lara.

- Scommetto tu non sappia come faceva a trovarsi alla festa di Eva –

Lara scosse la testa.

- Non ne ho idea-

Bianca sospirò, aveva la netta sensazione che non sarebbe riuscita a ricavare niente da quella che sembrava la sua unica speranza.

- Tu non m’avevi detto niente di questa avventura- buttò lì Lara, quasi per stuzzicarla. Bianca alzò le spalle imbarazzata.

- Credevo non fosse importante- mentì, abbassando il volume della voce.

- A quanto pare invece lo è- commentò Lara, lasciandosi scappare una risata.

- E’ molto strano, Lara. Da quando ti conosco continuano a capitarmi cose molto strane-

Lara si fermò, sembrò colpita.

- In che senso?- chiese, quasi preoccupata.

Bianca sorrise, era sorpresa e divertita.

- Nel senso che... beh, non lo so. Sto conoscendo tanta gente nuova, è come se mi trovassi in un turbine di emozioni vissute tutte allo stesso momento...-

- Cosa dirai a Sergio adesso?-

Bianca trasalì. Non c’aveva ancora pensato. Guardò Lara come per chiederle aiuto, la giovane le poggiò una mano sulla spalla rassicurante.

- Non preoccuparti. Sergio capirà-

- Non posso dirgli la verità-

- Come?-

Lara sembrava di nuovo colpita.

- Non posso. Penserebbe che sono pazza-

- Infondo, un po’ lo sei-

Bianca rise.

- Non sono pazza. È che quel ragazzo ha risvegliato qualcosa in me, Lara, qualcosa che forse non avevo mai provato prima d’allora-

Lara abbassò gli occhi con un sorriso amaro.

- Che c’è?- chiese Bianca, accorgendosi dell’espressione dell’amica.

- Niente-

 

 

 

 

...

 

 

Quarta lettera di Càlibri, del venerdì sera.

 

Caro Amore,

stavolta è stato più difficile delle altre volte. Di solito quando arrivo sotto la tua casa, vedo delle luci accese, sento dei rumori in lontananza, e allora mi sembra di vederti, che scendi e sali le scale, che ridi, cucini, apparecchi la tavola. Mi sembra di vederti e allora sorrido, mi sento invaso da una forza sovrumana e metto la lettera al suo posto. A volte controllo persino che sia stata ritirata la posta, e fino ad oggi è sempre successo. Le lettere sono arrivate in casa, nelle tue mani, e a volte mi immagino persino che le leggi, le annusi e le stringi al petto.

Ieri sera invece è stato tutto diverso, le luci erano tutte spente, come se foste già tutti a dormire. Tutti giaceva nel silenzio, e mi sono sentito un peccatore che infrange il più grande sacrilegio a poggiare la lettera nella cassetta vuota. È come se avessi rotto un incantesimo, un silenzio, svelato un segreto dimenticato e custodito per migliaia di anni. Ma tu eri lì dentro che dormivi, non è vero? I tuoi occhi chiusi, poggiati sul cuscino, come piace a te, con la testa affondata chissà dove, forse stai sognando.

Ho fissato la tua casa con occhi tristi ed innamorati. Mi sono sentito per la prima volta come un peso. Un qualcosa di non desiderato, lasciato senza una motivazione a vegetare fuori dalla porta. O meglio: come un bambino abbandonato, in fasce, sul ciglio della strada. Ma tu non saresti mai capace di abbandonarmi, lo so. Non lo faresti mai, è solo che adesso non ci sei, ma tornerai. Mi sento in balia della pazzia, un delirio assurdo e disumano mi prende e mi lascia scivolare in pensieri ridicoli e senza senso, a volte guardo un punto fisso nel vuoto fino a quando non sento gli occhi che lacrimano, così mi prendo la testa tra le mani e mi interrogo su quanto è successo, e non trovo una motivazione valida ai tuoi gesti.

Cosa è successo, Amore? È davvero finita come mi hai detto?

Con la speranza di ritrovarti, tuo

 

Càlibri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Credendo che tu sia solo mia ***


calivri cap 9

Un sospiro, Eva si fermò davanti alla porta di vetro del bar, incrociò le braccia. Non riusciva a credere di essere lì, dopo tutto quello che aveva fatto per evitarlo durante tutto quel tempo. Si portò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio, diede un’occhiata all’interno.

Sergio sorrideva, si muoveva da una parte all’altra del bancone offrendo aperitivi, caffè, pasticcini.

Non aveva fatto altro che cercare di dimenticare i suoi occhi smarriti nella notte, la sua paura, le sue mani che la prendevano per i polsi e la supplicavano. Aveva chiuso la finestra di fronte al suo viso, tirato via le tende e poi era scoppiata a piangere. Dov’era Amanda, quando avrebbe dovuto salvarla dal delirio?

Ma adesso non avevano più senso quei ricordi, quasi non esistevano più. Aspettò qualche secondo, poi Sergio alzò lo sguardo e la vide. Eccola, finalmente aveva smesso di nascondersi. Smise di fare quello che stava facendo, impallidì, sentì il sangue raggelarsi. Gli occhi la fissavano come se fosse un miraggio.

Eva si sedette ad uno dei tavoli, Sergio fu una scheggia. Uscì fuori col blocchetto delle ordinazioni, attraversò i tavolini che lo separavano da lei.

Eva indossava dei jeans scuri e stretti, un’elegante top nero ricco di ricami e delle alte scarpe lucide e nere. I capelli corvini, raccolti in una scialba treccia, cadevano sulla sua schiena, il viso era altezzoso e fiero come sempre, gli occhi piccoli e intrusivi. Le labbra tese, chiuse, le mani incrociate sul grembo.

Ora Sergio le era davanti e quasi non le pareva vero.

- Ciao- mormorò lui, in un sussurro emozionato.

Sergio non sapeva se quella di Eva fosse una visita di cortesia o una semplice coincidenza, anche se aveva imparato che nella vita di Eva esistevano ben poche coincidenze.

- Ciao Sergio –

La voce di Eva era fredda, suadente, un po’ roca. Lo guardava fisso negli occhi, senza perdere un attimo delle emozioni che trasudavano dai suoi occhi.

- Cosa... cosa ci fai qui?- domandò stranito Sergio, senza riuscire a stringere il blocchetto delle ordinazioni.

Eva abbassò lo sguardo.

- La città non è di tua proprietà- lo provocò, con un sorriso beffardo.

Sergio scosse la testa con un sospiro di insofferenza.

- Non ci vediamo da due anni-

- Lo so-

- Perché sei qui?-

- Sei diverso, Sergio -

- Me lo dicono tutti-

- Ma ti trovo in gran forma-

- Non cambiare argomento-

- Conosci una certa Bianca?-

La domanda lo spiazzò. Sergio sgranò gli occhi, strinse le labbra.

- Si. E con questo?-

- Curiosità-

- La conosci?-

- Potrei-

- Non la infastidire-

Eva scoppiò a ridere.

- Potrei chiederti la stessa cosa-

- Non c’entra...-

- Non ero certo io a braccare casa tua, darti il tormento e a gridare fino a notte fonda-

Sergio aveva gli occhi pieni di rabbia, Eva era rilassata.

- Perché sei venuta a cercarmi, Eva?-

- Sei innamorato di Bianca?-

- Questi non sono affari tuoi-

- Qui tutto è affar mio,- Eva si alzò, prese la borsa, lo fissò dritto negli occhi, - mi è passata la voglia del caffè. Ci rivediamo-

Stava per fare un passo, ma Sergio la prese per un braccio, Eva fremette.

- Sarà passato anche del tempo, Eva, ma io non sono solito dimenticare. Scoprirò tutti i tuoi segreti, uno ad uno, e poi non potrai più nasconderti-

- Non mi fai paura, Sergio -

- Questo si vedrà-

Sergio lasciò la presa, Eva gli lanciò uno sguardo significativo e andò via.

 

 

 

...

 

 

Quinta lettera di Calibri, domenica.

 

Caro amore,

mi sento come un bambino chiuso in una gabbia. Sono troppo basso per riuscire a raggiungere il catenaccio, cercare di aprirlo e correre via. Mi hai chiuso in una gabbia amore, e hai chiuso il mio cuore dentro un cassetto segreto che porti con te. Dove te ne vai amore, perché non t’incontro più? Te ne sei andata sul serio? Non t’ho scritto più per qualche giorno, sperando in una tua riposta. Ma non è arrivata nessuna lettera, nessuna telefonata, nessuna notizia. Sono sempre più convinto che l’amore sia una malattia e che io ne sia gravemente ammalato. La cosa più grave è che io non voglio guarire, non ho intenzione di smettere di scrivere queste lettere, smettere di sperare, smettere di sognarti. Mi raccontavi tante belle storie amore, e io mi sedevo accanto a te e ti ascoltavo come se non sapessi fare altro, come se fossi nato solo per ascoltare la tua voce, comprendere le tue parole. T’ho amato troppo poco e troppo intensamente e tu sei sparita, velocemente.

Le lacrime cadono calde sulle mie guance. Sono distante, ma i ricordi mi attanagliano il cervello. Passerà l’estate ed io non saprò più nulla di te? Abbi pietà di me, delle tue storie, delle mie lacrime, del nostro amore. Abbi pietà del mio tempo, di quello che abbiamo condiviso, di quello che vivrò senza di te. Senza paura dimmi la verità ed accettala anche tu amore, non restare ferma. Apri gli occhi amore, lo so che sei combattuta, lo so che hai dei segreti. Di cosa hai paura, amore? Hai paura di me?

Credendo che tu sia solo mia, ti amo ora e per sempre, tuo

 

Calibri

 

 

 

Bianca sedeva sotto un ombrellone da giardino, su una sedia morbida, rosata, Ariel le sorrideva.

Lara ed Ariel l’avevano convinta a pranzare in giardino con loro visto che gli zii erano a lavoro, e lei aveva timidamente accettato. Il fatto di entrare in quella casa la rendeva nervosa, si chiedeva se Christian fosse in camera sua, con la porta chiusa ad ascoltare la musica, o fosse ancora fuori casa.

Il pranzo che Lara aveva allestito in giardino era soltanto per tre, e Bianca era rimasta un tantinello delusa. Le sarebbe piaciuto che ci fosse anche Christian, avrebbero potuto parlare, conoscersi meglio, vedere come si comportava Lara in sua presenza.

Ma Christian non c’era, e lei non fece nessuna domanda.

Lara aveva preparato un piatto nordico, con patate e pesce, e avevano amabilmente conversato.

A volte pareva che si conoscessero da anni.

Adesso Lara era entrata in casa per mettere in ordine, Ariel invece rimaneva seduto di fronte a Bianca con il sorriso stampato sulla faccia.

-          E’ molto bella questa casa – commentò imbarazzata Bianca, arrossendo sotto lo sguardo di Ariel.

Lui sorrise.

-          È degli zii di Lara, loro le vogliono un gran bene-

Bianca alzò le spalle con un sorrisino.

-          Lo conosci Christian?- domandò poi, d’un tratto, vincendo la sua improvvisa timidezza.

Ariel cambiò espressione per qualche momento, poi tornò a sorridere.

-          Si, certo. È un ragazzo molto complesso, ma gentilissimo, - Ariel ridusse gli occhi a due fessure, intrecciò le mani sul grembo e assunse quell’espressione enigmatica che Bianca non riusciva mai a decifrare, - e tu hai una bella cotta per lui-

-          Cosa?, - sbottò fuori Bianca, prendendo colore, - no, sei sulla cattiva strada, io lo conosco appena, noi si, insomma…-

-          Lo so, lo so-

Bianca zittì, guardò interrogativa Ariel che adesso sorrideva compiaciuto.

-          Cosa sai?- domandò incerta.

-          Quello che è successo a quella festa-

-          E come fai a saperlo?-

-          Me lo ha detto lui-

-          Siete amici?-

-          Una specie-

-          Ma come, cioè…-

Ariel scoppiò a ridere, Bianca era sempre più imbarazzata.

-          Christian si confida spesso con me. Certo, non ci vediamo molto spesso, ma tra di noi c’è un bel rapporto. Se posso darti un consiglio, vacci piano con lui. È un po’ incostante, ma molto fascinoso. Credo tu te ne sia accorta-

Bianca ascoltò senza fiatare, le parole di Ariel erano chiare e concise, rifinite dentro i limiti del ragionevole, cosa che accadeva di rado quando si trovava con loro.

-          È strano, - iniziò poi, con l’emozione nella voce, - non mi era mai successa una cosa del genere prima d’allora, e non pensavo potesse mai succedermi, cioè, insomma, è una cosa impensabile. Lara è stata molto vaga sul suo conto, io non so come comportarmi, noi non ci conosciamo affatto, eppure non so, io sento che…-

Il sorriso improvviso e rassicurante di Ariel la fece ammutolire.

-          Credo che anche lui abbia una cotta per te-

 

 

 

 

 

 

 

Bianca continuava a ricevere le lettere di Calibri, sempre di sera, sempre scritte sulla stessa carta che pareva un po’ ingiallita, con la stessa grafia elegante. Le conservava tutte gelosamente, alcune volte le rileggeva come se fossero delle ninna nanne, i pensieri dolci di Calibri e il suo innato talento nel descrivere i sentimenti la faceva sentire meglio, la mente era come invasa da un dolce profumo e così si addormentava, cullata da quella che ormai definiva la sua storia d’amore personale, una favola inventata apposta per lei.

Sorrise tra se e se mentre chiudeva il libro di biologia e si legava con un movimento veloce i capelli. Si era divertita parecchio dalla fine degli esami di stato, ma adesso era arrivata l’ora di rimettersi sotto con lo studio se voleva passare i test di medicina. Sospirò, il sole stava tramontando, si affacciò alla finestra, osservò il vialetto vuoto. Le sarebbe piaciuto vedere Calibri arrivare, poggiare delicatamente la lettera nella sua cassetta, così che lei avrebbe potuto chiamarlo e dirgli finalmente la verità, una verità di cui lui non era a conoscenza. Avrebbe voluto conoscerlo, guardare negli occhi un ragazzo innamorato. Non le era mai capitato.

Stava per rientrare, quando vide una figura camminare lentamente, con le mani in tasca, assaporare il vento della sera. Ci mise qualche minuto a riconoscerlo, poi sorrise a agitò la mano in segno di saluto.

-          Christian!- chiamò.

Lui parve sorpreso, si voltò e la vide, la salutò anche lui prima di avvicinarsi alla sua finestra.

-          Ciao, Bianca! Che piacere rivederti!-

Le sue parole erano calde e morbide, Bianca le vedeva quasi salire verso di lei. Sorrise come una bambina imbarazzata.

-          Cosa ci fai da queste parti?- domandò.

-          Oh, sono andato a trovare un amico, adesso sto tornando a casa- spiegò lui con un raggiante sorriso.

Bianca annuì, si protese dalla finestra per poterlo vedere meglio. Con le luci della sera pareva ancora più bello.

Bianca non l’aveva più incontrato da quella mattina fuori dalla villa di Lara, e un po’ per timore e un po’ per mancanza di occasione, non aveva più fatto ritorno a casa dell’amica. Le parole di Ariel però non le aveva dimenticate: Christian aveva un interesse per lei. Strano, poiché non aveva fatto in modo di vederla, né aveva chiesto a Lara di poter combinare un incontro. Forse era colpa di quella strana tensione che c’era fra loro, colpa dell’ammutolirsi di Lara ogni volta che lui veniva nominato, colpa delle sue risposte monosillabiche sull’argomento. Beh, non avrebbe potuto chiedere ad Ariel? Loro erano pur sempre grandi amici, stando alle parole che lui le aveva rivolto la settimana precedente. O forse non era vero, lui non aveva un interesse per Bianca e Ariel si era solamente confuso.

-          Tu cosa fai chiusa in casa in una serata bella come questa?-

Christina allargò le braccia sorridendo, Bianca sentì un groppo allo stomaco.

-          Ho appena finito di studiare. Mi preparo per i test di medicina- spiegò, con un sorriso da ebete stampato sul volto.

-          Hai da fare?-

-          Come?-

-          Stasera, intendo. Hai da fare?-

Bianca non riusciva a credere alle sue parole. Christian la stava invitando ad uscire, ad uscire con lui. Questo non poteva essere che un sogno. Pensò velocemente a Sergio, a come durante quella settimana l’avesse visto nervoso e a come nemmeno lui aveva mai fatto parola sulla loro strana amicizia. Di certo lui le rivolgeva delle particolari attenzioni, ma non le aveva più chiesto di uscire con lui- forse si era accorto che qualcosa era cambiato, oppure boh, forse era colpa di quegli strani sbalzi d’umore che aveva. Bastava che restasse solo un minuto da solo, e Sergio si rabbuiava. A lavoro parlava poco, si limitava  fare il suo dovere senza rivolgere a Bianca neanche uno sguardo. Bianca temeva che fosse preoccupato per qualcosa, non l’aveva mai visto così strano. Eppure non desiderava saperne di più: l’importante era che Sergio non si stesse innamorando di lei.

-          No, niente- si affrettò a rispondere, guardandolo fissa.

Christian sfoderò un luminoso sorriso.

-          Ti va di fare due passi?- domandò lui, per niente impacciato o imbarazzato. Bianca annuì, gli disse di aspettare e chiuse la finestra. Si diede uno sguardo allo specchio, si accorse di essere vestita in maniera davvero indecente per uscire con Christian e fece più velocemente possibile per indossare qualcosa di seducente ma semplice al contempo. Quella sera i suoi genitori avevano entrambi il turno di notte all’ospedale, dunque non erano in casa, quindi si limitò ad avvisare Stefano e uscì di corsa, cercando di controllare i battiti del suo cuore.

Appena gli fu di fronte, si sentì perfettamente tranquilla. Non capì come questo poteva star succedendo, solo pochi momenti prima stava per avere un infarto mentre adesso si sentiva perfettamente a suo agio.

-          Sei molto bella- commentò Christian, la sua voce calda e vellutata la invase. Bianca abbassò lo sguardo imbarazzata, sorrise.

-          Anche tu non sei male –

-          Andiamo?-

-          Andiamo-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amanda era andata a dormire presto, così Eva aveva riposto velocemente le scodelle della cena e si era ritirata in camera sua, ad ascoltare un po’ di musica. Si era domandata per tutta la durata della cena cosa avesse Amanda senza riuscire a capirlo. Pareva preoccupata, triste, sconsolata. Eva aveva provato a far finta di niente, ma alla fine non ci era riuscita e aveva provato ad essere gentile e dolce con lei, sperando che le confessasse cos’era che non andava. Ma non c’era niente da fare, era una ragazza piuttosto chiusa. Anche suo padre aveva notato quella sua strana gentilezza, tanto che le aveva lanciato uno sguardo interrogativo. Papà capiva sempre quando c’era qualcosa che non andava, bastava uno sguardo: con gli anni avevano imparato a capirsi, cercando di riempire il vuoto che la mamma aveva lasciato quando era morta. Forse era per questo che Eva era sempre tanto scontrosa: chiusa nella sua bolla, nel suo mondo impenetrabile.

Stava quasi per stendersi, quando sentì uno strano rumore alla finestra. Si alzò piena di sospetto e di paura, credendo di essersi impressionata. Poggiò le spalle al muro, in attesa. Dopo qualche momento, un nuovo rumore, come se qualcuno stesse lanciando sassi al vetro.

Il cuore iniziò a batterle a mille. Si avvicinò guardinga alla finestra, con un gesto veloce l’aprì, guardò in basso.

- Sei pazzo?- domandò soffocando le parole ad un Sergio che la fissava con gli occhi che brillavano.

- Perché, non lo sai?- scherzò lui, tenendo tra le mani un altro sasso.

- Che ci fai qui? Come hai fatto ad entrare?-

- Come se non lo sapessi… ho scavalcato il cancello del giardino. Non ci vuole molto, sai-

- Davvero? Allora scavalcalo di nuovo e vattene!-

Aveva la pelle in fiamme, gli occhi di Sergio cercavano avidamente i suoi.

Aveva mentito quando aveva detto a Bianca che Sergio era stato il suo ragazzo, perché Sergio era di quanto più lontano ci potesse essere da un fidanzato e quanto più vicino esistesse ad un’ossessione.

- Non ci penso neanche. Fammi salire-

Eva scosse la testa.

- Scordatelo-

Sergio non rispose, iniziò ad arrampicarsi sul muro infilando mani e piedi nelle crepe. Era agile e veloce, ma d’altronde non era la prima volta che lo faceva.

- Sei matto? Smettila! Se non scendi subito mi metto ad urlare, sveglio mio padre e chiamo la polizia!-

Sergio balzò dentro, si trovò ad un palmo dal viso di Eva, lei sentiva l’adrenalina salire. Sergio la guardò con aria di sfida.

- Che c’è, non urli più?- domandò beffardo.

Eva fece per spalancare la bocca ed emettere un grido, ma Sergio glie la tappò prontamente e la spinse contro il letto. Eva cadde sul morbido materasso, una mano di Sergio ancora sulla sua bocca, un’altra tra i capelli. I suoi occhi la raggelavano.

- Non mi provocare- sibilò poi, scostando la mano di Sergio dalle sue labbra. Lui sorrise, derisorio.

Solo in quel momento Eva realizzò che Amanda dormiva a sole poche camere di distanza dalla sua, la paura crebbe, fece per alzarsi e lui la trattenne.

- Cosa vuoi, Sergio?-

La domanda era cruda, fredda e ricca di tensione.

- Te-

La baciò, un bacio avido, passionale, completo.

 

 

 

...

 

 

Non era molto tardi, ma a Bianca sembrò essere passata tutta la notte. Christian la riaccompagnò davanti casa, Bianca poggiò sconsolata la mano al cancelletto e piegò la testa da un lato.

- Grazie Christian, è stata una bella passeggiata-

- Anche per me. E tu sei davvero simpatica oltre ad essere molto bella-

Bianca rise, socchiuse gli occhi e si protese verso di lui, sfiorandogli il collo con le dita. Lo sentì sospirare, il buio cadeva su di loro e nessuno poteva vederli.

- Bianca...- sospirò lui, portandole le mani sui fianchi. Lei rise, alzò lo sguardo per scorgere i suoi occhi magnetici.

- Si?- domandò, con un mormorio roco.

Christian si avventò sulle sue labbra, la strinse forte, preda di una strana passione. Lei ricambiò convinta il bacio, chiedendosi quante volte l’avesse desiderato.

Lui si staccò con remissività, le sue mani cercarono il suo volto.

- Mi piace tanto baciarti- confessò, ansante. Lei gli accarezzò le guance, scendendo verso il collo ed il petto.

- Sei una specie di uomo misterioso o di principe azzurro, non è vero?- domandò giocosa Bianca, dando sfogo finalmente alle sue fantasie.

Lui rise.

- Può darsi-

- Non è vero che studi in questa città. Tu non abiti a Napoli, sei venuti qui con Lara ed Ariel -

Non era una domanda, era piuttosto una convinzione.

- Queste sono informazioni personali- mormorò lui, passando le mani sulla sua schiena. Bianca sospirò.

- Potresti sparire da un momento all’altro? Dimmi la verità, Christian, un giorno potrei non trovarti più, come la storia della fata costretta a tornare nel suo mondo d’origine?-

Christian le sfiorò il collo con le labbra.

- Non so per quanto resterò- confessò infine, con una pacata tranquillità. Bianca ingoiò il groppo che aveva in gola, lo strinse più forte.

- Non mi dirai mai dove andrete, vero?-

- Non posso-

Bianca sorrise, si staccò da lui.

- Adesso è meglio che io vada a letto. Non fuggire durante la notte- lo ammonì, chiudendo il cancello. Christian poggiò le mani su quelle di lei, stringendo il ferro.

- Ci credi nelle maledizioni, Bianca?-

La giovane scosse la testa.

- No-

- Io inizio oggi-

Bianca non comprese le sue parole, ma non ebbe il tempo di chiedere niente. Christian si allontanò velocemente, tanto che non riuscì nemmeno a scorgere la sua ombra buia che spariva.

Spaesata e confusa, si staccò violentemente dal cancello, tanto che lo fece ondeggiare, e con esso la cassetta delle lettere. Sentì un lieve rumore sordo provenire da essa, con un movimento veloce infilò la mano e riconobbe la carta al tatto.

Calibri.

 

 

 

Note:

- La pasta con patate e pesce che cucina Lara è un piatto che io e mia madre abbiamo visto cucinare in Norvegia da una coppia nordica, si prepara con i gamberetti ed è piuttosto buono!

Grazie a chi mi segue con assiduità

Lara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Tuo - non più per sempre ***


calibri10

I suoi baci erano una droga, le sue mani che esploravano ogni angolo della sua pelle come segni indelebili della vita che non le apparteneva.

Sergio le sfilò la maglietta, trastullò con i gancetti del reggiseno e giocò con la lingua ad accarezzarle i lobi, poi scese verso il collo. In ginocchio sul letto Eva sentì le lacrime salire fino agli occhi, inumidirli.

-          Basta…- mormorò, mentre lui continuava a baciarla con passione e trasporto, - Sergio, santo cielo smettila…-

Era un bisbiglio categorico, lui smise per un attimo di baciarla, la guardò negli occhi.

-          Perché?- domandò, mentre non cessava di tenerla stretta.

Eva ansimava, si portò una mano al petto e poi tornò ad alzare gli occhi su Sergio, trattenendo le lacrime.

-          Hai sbagliato a venire. E io sto sbagliando tutto-

Con un gesto veloce si infilò di nuovo la maglietta, si alzò dal letto e diede le spalle a Sergio, che la guardava, ferito e confuso.

-          Perché sei venuta da me l’altro giorno?- domandò con la voce spezzata, mentre si alzava e la raggiungeva, cingendole i fianchi con le braccia.

-          Ho sbagliato a venire da te- sbottò Eva in tutta risposta, cercando di ignorare i fremiti che sentiva invaderle l’anima quando le sue mani entravano a contatto con la sua pelle nuda.

-          Scusami Eva, io…-

-          Cosa? Ad essere stato il solito scortese?-

-          Non ero dell’umore-

Le baciò il collo, il lobo dell’orecchio destro. Eva sospirò, fece per allontanarsi ma lui la strinse di più.

-          Sergio…- sibilò, districandosi.

-          Mi sei mancata. Mi sei mancata da morire-

-          Non è vero. Non dirmi bugie-

Sergio smise di baciarla, si staccò da lei e si mise a sedere sul bordo del letto, finalmente Eva si voltò per affrontare i suoi occhi. Ma erano diversi da quello che si aspettava, Sergio era sofferente, i suoi occhi pieni di malinconia.

-          Pensi che io menta, non è vero?- chiese, in un sussurro poco chiaro.

-          Certo che lo penso, - rispose Eva, mentre perdeva convinzione, - anzi, se ne sono certa. Tu amavi lei. Non me-

Sergio si alzò, Eva iniziò a piangere.

I suoi occhi erano profondi, neri, freddi.

-          Hai ragione, si, io la amavo, - mormorò Sergio ad un passo delle sue labbra, - ero innamorato di lei. Ma sono pazzo di te. Innamorato pazzo. Sai cosa significa?, - le passò una mano sulla nuca, con l’altra iniziò a asciugare le lacrime sul suo viso, - sono pazzo di te. Farei qualsiasi cosa per te, qualsiasi. Se mi chiedi di buttarmi da quella finestra lo faccio, e sai che lo faccio. Chiedimi qualsiasi cosa e lo farò. Ti prego Eva. Dimentica il passato-

 

 

 

 

 

 

 

 

Ultima lettera di Calibri.

 

Caro amore,

mi hanno detto che hai strappato le mie lettere, ferocemente, con gli occhi crudi di rabbia, affamati di novità.

Immagino i pezzetti di carta che cadono svolazzando sul pavimento, si ammucchiano ai tuoi piedi e tu nemmeno li guardi, non li raccogli, vai avanti. Ma non riesco a credere che tutto questo possa essere vero. Se non mi ami più. Devi avere il coraggio di dirmelo in faccia, guardarmi negli occhi, vigliacca, guardami negli occhi e lasciati andare, annega, affoga, cadi per sempre.

Cosa ti è successo, amore? Perché ancora ti chiamo amore? Cos’è che mi impedisce di andare via da questa sofferenza, da questa casa, da questo mondo? Cosa mi impedisce di allontanare i tuoi ricordi davanti al dubbio che ora mi tormenta? Te lo dico io, è l’amore. L’amore incondizionato che provo, che mi farebbe rimanere in piedi tutta la notte aspettandoti arrivare, aspettando di sentire la tua voce.

Piango mentre stendo le mie ultime parole. Te ne vai senza cuore dopo aver mangiato il mio, rapito le mie emozioni, distrutto il mio mondo, il mio futuro, la mia fiducia, tutto quello in cui credevo. Cosa cerco in te, che sei il senso persino della mia ultima sofferenza, del dolore che mi logora?

È che forse sei una vigliacca, o forse io troppo ingenuo che credo che tu possa fare un gesto del genere, strappare i segni del mio amore. Ma non posso negarti anche l’ultimo mio respiro, l’ultima mia esalazione, l’ultimo spirito di sentimento che mi ritrovo, ah, tu, cosa sei, tu! Piango e ti vorrei cancellare dagli occhi e dalle mani, ma poi il dolore mi droga e mi fa assopire, mi fa cadere la penna dalle mani dolcemente. Sei come una dolce droga per me, il solo parlarti mi fa desiderare di pronunciare ancora più parole, il solo pensarti mi fa venire in mente possibili situazioni future, le tue parole e le tue dannate mani sul mio viso!

Sei l’amore più dolce che ho avuto, e sento che per quanto tu mi stia distruggendo, per me non sarai eterna. Oh no, amore, per quanto tu possa essere dolce, nelle mie notti insonni io sono giunto alla conclusione che tu non sarai eterna, mia bella, sarai come un quadro attaccato alle pareti di una casa dimenticata, uno di quei quadri ai quali uno lancia uno sguardo distratto passando per caso, e poi si dimentica all’istante di quello che ha visto. La ro vinosità a cui mi hai condotto non è eterna, amore mio, niente è eterno a questo mondo, se non la luce del sol,e e tu non sei un sole, vorrei che lo fossi, che tu fossi per me tutto il sole del mondo, ma cosa sei se non un inganno? Un sogno, un inganno dei sensi e l’amore che non avrò mai, l’insistenza febbrile della mia gioventù sprecata, mandata al diavolo. Ma ti prometto che io amerò ancora, amore, amerò dopo di te e sarà tutto diverso, finito, diverso. Ma tu, invece, tu non sarai così. per te non sarà così. Credi di ridere sadicamente mentre strappi le mie parole, ma queste ti tormenteranno fino alla fine dei tempi, fino a quando il tuo corpo non cadrà supino abbandonandosi alle sofferenze più eterne, fino a quando i tuoi occhi avranno consumato tutte le lacrime, e allora volerai per il mondo, cercando i frammenti di queste lettere, ormai mangiate dalle sabbie. Non ci sarò più per te, e non ci sarà spazio nemmeno trai miei ricordi, nelle pagliuzze che scorgevi nei miei occhi, nei tuoi racconti.

Oh, i tuoi racconti, i tuoi racconti non posso dimenticarli. Forse quelli, si, li scriverò da qualche parte eludendoli da te, trascinandoli via. Saranno incredibilmente lontani da te, come se non me li avessi raccontati.

Disperato e folle del futuro, tuo – non più per sempre

 

Calibri

 

 Era notte fonda quando Bianca lesse per la terza volta la lettera di Calibri. Era decisamente una lettera diversa dalle altre. Che cosa era successo? Chi aveva dato quella terribile notizia a Calibri, tanto da fargli rivalutare il suo amore, tutte le cose scritte nelle lettere precedenti? Le parole di quella lettera sembravano essere state concepite da un dolore sovrumano, potente e poetico al contempo. Bianca non aveva mai visto niente del genere.

Nel buio della sua stanza, Bianca posò la lettera sul lenzuolo e diede uno sguardo fuori dalla finestra, si perse nel blu del cielo. Com’è che Amore non si era mai lasciata impietosire? Se lo chiedeva ormai da un bel po’, dato che non riusciva a dormire.

Perché quelle lettere continuavano ad arrivare all’indirizzo sbagliato? Cosa stava succedendo, e come fare a scoprire chi era Calibri? Come fare a scorgerlo mentre infilava le sue lettere? E perché diamine continuava ad infilarle nella cassetta sbagliata?

Non c’erano più scuse plausibili, non era Calibri ad portare quelle lettere, ma qualcuno che volutamente sbagliava a riporle e che molto probabilmente voleva che Bianca le leggesse.

Rise di se stessa, pensò a se stessa con un lungo impermeabile beige, in un film giallo in bianco e nero. Si sentiva talmente egocentrica alcune volte…

Beh, c’era poco da immaginare, la situazione era chiara: dietro quelle lettere misteriose c’era qualcuno che per chissà quale assurdo motivo, voleva che Bianca ricevesse quelle lettere che erano palesemente non indirizzate a lei. La domanda ora era semplice. Chi?

 

 

 

 

Lunedì mattina, il bar era meno pieno del solito. Stavano iniziando per tutti le vacanze estive e la città si stava svuotando. Bianca era silenziosa, Sergio di pessimo umore. Un clima freddo e pesante regnava nel locale, e solo all’entrata di qualche cliente i due giovani sorridevano a denti stretti e con voce mielosa chiedevano cosa potevano offrire loro.

Bianca lanciò un’occhiata interrogativa a Sergio, che si nascondeva dietro la macchina dei caffè con il viso a pezzi e due occhiaie grandi quanto borse dell’acqua calda.

-          Non hai dormito?- esordì Bianca, con un sussurro appena udibile.

Sergio alzò lo sguardo verso di lei, che riponeva i bicchieri puliti davanti a se.

-          Mmh, non molto- rispose, cercando di sembrare convincente.

Bianca lo incatenò con lo sguardo, lui si lasciò andare ad un sospiro sofferente, Bianca si avvicinò.

-          C’è qualcosa che non va?- sussurrò poi, calando la testa verso di lui.

Sergio sciolse le braccia dal petto, incontrò gli occhi di Bianca.

-          Ti ricordi quando mi hai chiesto se sono mai stato innamorato?-

Bianca annuì curiosa mentre scrutava il suo sguardo, Sergio sospirò.

-          Ti ho mentito, - sentenziò, catturando il suo sguardo, - sono stato innamorato. Due volte-

Bianca piegò la testa da un lato con un sorrisino, Sergio abbassò gli occhi.

-          Non avevo intenzione di mentirti, - iniziò, quasi per scusarsi, - è che sai, volevo dimenticare-

Bianca lo guardava rassicurante.

-          È lecito- disse, mentre tirava fuori le tazzine ed i bicchieri dalla lavastoviglie.

Sergio smise di nascondersi dietro la macchinetta del caffè, si avvicinò a lei confondendo il viso nel fumo che usciva dall’apparecchio.

-          Non… dici niente?-

Bianca sorrise, la domanda di Sergio era stentata.

-          Non conosco molto dell’amore, - iniziò, poggiandosi con le mani al banco, - perciò non credi che dovresti essere tu a parlarmene?-

Sergio era imbarazzato, si accostò a Bianca e sussurrò:

-          L’amore è un problema, - la voce era soffice e leggera, - e lo è ancora di più quando sai di non poterne parlare con nessuno-

Bianca ridusse gli occhi a due fessure.

-          Perché non puoi parlarne con nessuno?-

-          Perché è complicato-

-          Parlane con me-

L’invito di Bianca perforò le orecchie di Sergio fino a colpirgli l’anima.

-          Non sono bravo a parlare d’amore-

-          Senz’altro sei innamorato, - commentò Bianca, - e io ho molto da imparare-

Lei sorrideva, un sorriso sincero e senza macchie. Gli tese la mano.

-          Amici?-

Sergio sorrise confuso.

-          Amici-

 

 

 

 

 

 

Impegnati a guardare il panorama della città dalla Villa Floridiana, Sergio e Bianca rimasero in silenzio per qualche minuto, come se avessero dimenticato il motivo di quella passeggiata. Si vedeva in lontananza via Caracciolo ed il mare, e giù all’orizzonte le isole. Bianca guardò Sergio, i suoi occhi verdi puntati all’orizzonte, uno sguardo laconico, triste, perso, i lineamenti rilassati ma la bocca serrata, come se fosse nervoso. Aveva la mano stretta a pugno, posta sul muretto sul quale si stavano appoggiando. Non si accorse subito dell’occhiata di Bianca, attese un po’ prima di voltarsi e sorriderle.

- Starei affacciato qui per ore – mormorò, passando gli occhi dal mare a Bianca. Lei sorrise di nuovo, ma non parlò. Aspettava che fosse lui a parlare, lui a raccontare. Chissà perché, Bianca sentiva che i racconti delle persone l’avrebbero aiutata risolvere il mistero di Calibri, come se la storia di quel ragazzo fosse legata alle vite di tutti gli abitanti della città, come se ognuno conservasse di lui una piccola parte.

Sergio abbassò lo sguardo con un sospiro.

- Sono innamorato, si- confessò, quasi come se Bianca non fosse un’amica ma un giudice pronto a condannarlo, - sono innamorato da un po’ di tempo, forse beh, non proprio poco, però... me n’ero quasi dimenticato. L’avevo come seppellito, ecco. Questa persona, questa... ragazza, ecco, non è mai stata la mia fidanzata. E questa storia io non potrei raccontarla a nessuno perché glie l’ho promesso-

- Cos’è, una specie di giuramento?- chiese Bianca. Sergio tentò un sorriso.

- Si, diciamo che è un giuramento. La nostra relazione non doveva trapelare in nessun modo, nessuno doveva sapere, ed in effetti nessuno sa-

- Perché lei ti ha chiesto questo?-

- Non lo so-

Sergio fece una pausa, Bianca aggrottò le sopracciglia.

- Non le hai mai chiesto il perché?-

- Era spaventata, tormentata. Ed anche il nostro amore era tormentoso. Ci vedevamo di nascosto, perché era come se fossimo inseguiti da qualcosa, come se potessimo essere scoperti. Non c’era niente da scoprire, Bianca, perché io penso che l’amore è così, è incasinato e basta-

- Da quanto tempo sei innamorato di lei?-

Sergio sembrò riflettere per un po’.

- Due anni- rispose poi, in un sussurro. Bianca annuì.

- Un giorno lei mi disse che dovevamo smetterla di vederci, smetterla con tutta quella storia. Ho cercato di fare qualcosa, ma non c’è stato niente da fare, e allora ho pensato di arrendermi e di riprendere in mano la mia vita. È stato difficile e pensavo di esserne uscito, poi lei è ricomparsa, all’improvviso, e tutto è tornato a galla-

Sergio fece una pausa, sospirò come per cercare di seppellire un antico dolore.

- Mi dispiace molto, Sergio – mormorò Bianca, poggiandogli una mano sulla spalla. Lui abbozzò un sorriso.

- Scusami Bianca, non sono stato sincero con te- disse, guardandola finalmente negli occhi. Lei sorrise, un sorriso affettuoso.

- Non è vero Sergio, non devi scusarti con me. A volte sai, il dolore porta a fare delle cose di cui non siamo fino in fondo consapevoli, altre volte, inaspettatamente, facciamo la cosa giusta-

Sergio l’abbracciò, un gesto che lei non si aspettava perché sussultò. Lui affondò la testa tra i suoi capelli e restarono così per un po’, fino a quando Sergio fu preso come da uno spasmo e si sciolse dall’abbraccio.

- Vorrei raccontarti delle storie- disse, con gli occhi luminosi.

- Storie?- chiese colpita Bianca, senza capire.

- Già. Me le hanno raccontate tempo fa ed è come un patrimonio che mi porto dentro, delle fantasie travolgenti che non ho mai condiviso con nessuno. Ma adesso mi piacerebbe che tu le ascoltassi. Sei la prima persona che incontro da anni che merita di conoscerle-

- Che tipo di storie sono?- chiese Bianca, curiosa.

- Su Calibri-

Bianca ebbe un sussulto, si fece pallida, serrò le labbra e sgranò gli occhi.

- Come hai detto?-

 

 

 

Note:

Inizio con il ringraziare chi sempre legge i miei capitoli, li segue e li commenta. Come avrete capito, stiamo per arrivare alla resa dei conti e spero che il racconto continui ad entusiasmarvi, e soprattutto, spero di essere riuscita a creare "suspance". Se vi piace questa storia, seguitemi anche in "Tutte le bugie di Lena" e "Bosikom Luybov'- Il beneficio del buio"

Grazie a tutti,

Lara

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Capitolo 11
*** Cosa hai fatto, amore? ***


calibri11

Ore 19.15

 

 

Le storie che narravano di Calibri erano di quanto più assurdo Bianca avesse mai ascoltato. Gli occhi di Sergio si illuminavano quando parlava di questo essere leggendario, principe di un paese lontano, che faceva del bene a tutti e riusciva a guarire con il solo pensiero, con il solo sorriso. Calibri non era come tutti gli altri, e Sergio pareva saperlo bene. Mentre Sergio parlava, ebbe l’impressione che il Calibri di cui stesse parlando non era lo stesso che le spediva quelle strane lettere. Dai racconti di Sergio Calibri era audace, coraggioso, deciso. Quelle lettere invece mostravano solamente un ragazzo debole, malato d’amore. Cosa stava succedendo? Qual’era la verità?

- Chi ti ha raccontato tutte queste storie?-chiese d’un tratto Bianca, con un cipiglio quasi nervoso. Sergio alzò le spalle sorridendo, lasciandosi andare con la schiena sull’erba del parco.

- Una persona. Una persona che amavo- disse, con l’aria sognante. Eppure non era la stessa espressione che aveva avuto quando avevano parlato della persona di cui era innamorato attualmente, ora aveva detto “persona che amavo” e quasi pareva pensarci con una relativa serenità.

Bianca non parlò, quasi aspettasse che lui aggiungesse qualcosa, ma per un minuto scarso Sergio rimase muto. Poi, guardando le nuvole diradarsi nel cielo cristallino, aggiunse quasi in un sussurro proibito:

- Era una persona molto strana, ed io l’amavo con la tenerezza di un ragazzino. Come il primo amore, quello che ti distrugge tutte le membra. Non respiravo quando lei era con me, il cuore mi batteva talmente forte che un giorno o l’altro sarebbe scoppiato!, - rise, sembrava che i ricordi affiorassero, Bianca abbassò d’istinto gli occhi, - non sapevo molto di lei, né da dove venisse né cosa facesse. Sapevo solo che mi aveva rapito il cuore. Passavo con lei ogni momento disponibile, per me era come una droga. Lei si sedeva accanto a me e iniziava a raccontare queste storie assurde su  Calibri. A volte era come se io non avessi aspettato altro che lei dalla vita, e alcune volte penso che se non se ne fosse andata...-

Si fermò, era come se stesse confessando troppo.

- Dove se n’è andata?- chiese Bianca.

- Non l’ho mai saputo. Un bel giorno mi ha detto che sarebbe partita e che non dovevo più cercarla-

Bianca abbassò lo sguardo tristemente.

- Mi dispiace- farfugliò. Sergio si voltò verso di lei con un sorriso dolce.

- No, non dispiacerti. È stato molto tempo fa, e anche se avrei voluto soltanto sapere che fine aveva fatto... non fa niente, è tutto finito ormai-

Sergio tornò a guardare il cielo, Bianca fu scossa da un fremito. Di chi erano quelle lettere? Sergio avrebbe potuto aiutarla? Era contesa, non sapeva se rivelargli tutto sarebbe stata la cosa giusta, ma forse ne valeva la pena tentare. Cosa aveva da perdere, dopotutto?

- Sergio...- balbettò, imbarazzata.

- Si?-

- Ascolta, devo dirti una cosa, cioè, voglio chiederti aiuto per una questione-

- Cosa è successo?-

Sergio era preoccupato dal tono di Bianca, si mise a sedere di fronte a lei, piantandole gli occhi verdi sul viso.

Bianca ingoiò saliva a vuoto mentre per il nervosismo non riusciva a stare ferma.

- Da un po’ di tempo mi arrivano a casa delle lettere. Cioè, non è che vengono spedite, c’è qualcuno che le mette nella mia cassetta della posta e va via. Non c’è una frequenza precisa, a volte anche una dopo l’altra. Sono tutte firmate col nome di Calibri-

Sergio impallidì, l’espressione del suo volto mutò.

- E’ impossibile... – mormorò, mentre non riusciva a muoversi.

- Lo so, sembra una cosa assurda ma è vero, non so cosa fare, non so a chi appartengono e soprattutto, non so chi è la persona che le porta da me!-

Sergio si alzò di scatto come invasato.

- Dove sono queste lettere?-

Sembrava allarmato, Bianca si alzò subito con un’aria spaventata. Lo fissava con tanto d’occhi aperti.

- A casa mia- mormorò,- le ho conservate-

Sergio non parlava, sembrava stesse riflettendo su qualcosa di fondamentale importanza, era al contempo sconvolto e stranamente lucido, come se gli si fosse aperto uno squarcio nella mente.

Bianca iniziava ad avere paura di quella reazione, forse non avrebbe dovuto dirglielo! Dopotutto, che ne sapeva lei di quello che Sergio aveva passato? Iniziò a pentirsi, il suo volto divenne l’espressione della paura.

Strattonò Sergio per un braccio.

- Sergio! Stai bene? Che succede, Sergio?-

Lui finalmente parve riaversi, si accorse che Bianca era impaurita e si impose di calmarsi. Sospirò, addolcì la sua espressione ed accarezzò un braccio di Bianca.

- Potrei vederle?-

 

 

...

 

ore 19.47

 

-          Eva? Eva, è pronta la cena! Non scendi?-

Amanda bussava con insistenza, ma Eva non rispondeva.

-          Tesoro, stai bene? Sicura che è tutto apposto?-

Continuava a battere le nocche della mano sul legno bianco della porta, tendendo l’orecchio. Eva fissò la porta, aveva un grosso groppo in gola ma si sforzò di rispondere.

-          Cenate pure senza di me. Non mi sento tanto bene- riuscì a dire.

La sua voce sembrava convincente, infatti Amanda le lasciò qualche sdolcineria e poi scese di sotto, Eva riusciva a sentire i suoi passi per le scale. I passi di Amanda, la voce di Amanda, persino il sentirla nominare la mandava in paranoia. Era assalita da qualcosa come i sensi di colpa senza esserne perfettamente consapevole, si teneva la testa tra le mani cercando di dimenticare il suo incontro con Sergio, cercando di perdonarsi.

Non doveva succedere, non sarebbe dovuto succedere niente del genere.

Come diavolo glie era venuto in mente di recarsi lì? Cosa sperava di ottenere?

Sospirò rumorosamente sentendosi ipocrita e vigliacca. Anche se Sergio non l’aveva dimenticata, le cose non erano semplici. Si alzò, camminò per la stanza come per calmarsi, poi fu assalita nuovamente dai sensi di colpa. Alzò il materasso, tirò fuori dall’incavo la busta che aveva nascosto. La tenne tra le mani respirandoci sopra, gli occhi le si riempirono di lacrime. L’aprì con foga e velocità, poi una paura strisciante l’avvolse.

Era vuota.

Le lettere erano sparite.

Guardò meglio nell’incavo per vedere se fossero cadute, ma non c’era niente. In panico, buttò per l’aria il materasso, le lacrime iniziavano a scorrerle sul volto veloci, erano grandi lacrime che le appannavano la vista rendendo tutto ancora più difficile. Non c’era niente, nessuna traccia delle lettere.

Si alzò con uno scatto deciso, aprì tutti i cassetti della scrivania e gettò per terra quanto c’era dentro, incurante. I suoi occhi erano fissi sulle sue mani che scavavano, senza risultato. Passò alle mensole dei libri dell’università, li gettò a terra uno dopo l’altro, producendo un tonfo sordo. Si portò disperata le mani ai capelli quando realizzò che non erano neanche lì. Piangeva come una fontana, cercava di liberarsi il viso ma non ci riusciva. Si accasciò a terra, tra fogli e libri, e diede sfogo a quanto aveva nell’anima.

La disperazione saliva attraverso quelle lacrime.

Le lettere non c’erano più.

 

 

 

 

 

Ore 20.05

 

 

Bianca infilò la chiave nella toppa, sapendo che a quell’ora casa sua era vuota. Con un gesto fulmineo fece entrare Sergio, che era rimasto in silenzio durante tutto il tragitto. Bianca sentiva che stava per cacciarsi in un mare di guai, ma evitò di parlare per peggiorare la situazione. Guidò Sergio in camera sua, aprì il cassetto della scrivania dove aveva conservato le lettere e le porse a Sergio, che le guardò con aria sconvolta. Una dopo l’altra Sergio le sfogliava, sembrava leggere di sfuggita qualche rigo e poi passare a quella successiva, continuava a fissarle mentre le mani gli tremavano. Bianca non capiva. Cosa avevano a che fare quelle lettere con Sergio?

Poi gli occhi del giovane di riempirono di lacrime, lacrime che lui abilmente represse. Si accasciò senza forze sul letto di Bianca tenendo ancora in grembo le lettere, le sue mani le stringevano come un tesoro.

-          Sergio? Sergio, devi dirmi cosa sta succedendo e devi dirmelo adesso-

La risolutezza in quel momento le pareva la cosa migliore. Sergio alzò gli occhi verso di lei, la vedeva, impaurita e decisa dinanzi a lui.

-          Chi ti ha dato queste lettere?- sibilò, con tono serio e freddo.

Bianca sentì un fremito nel petto.

-          Nessuno. Mi sono state recapitate, te l’ho già detto-

-          Bianca, per favore, devi dirmi la verità!-

-          Questa è la verità-

Sergio si alzò, sembrava in preda ad uno spasmo.

-          Te le ha date Eva?- gridò, fuori di se.

Bianca lo guardava allibita, istintivamente fece un passo indietro come per allontanarsi. Non rispondeva, non riusciva più a muoversi né a parlare. Non aveva mai visto questa versione di Sergio. Il ragazzo sventolò le lettere in aria mentre il suo petto si gonfiava per i respiri pesanti.

-          No, non me le ha date nessuno! E tu come sai che conosco Eva?-

Sergio rimase interdetto. Ecco, questo non doveva dirlo. I suoi occhi parevano cercare una risposta, ma invano.

Fece per uscire dalla stanza di Bianca, ma lei lo fermò chiudendo la porta con un movimento fulmineo e parandosi davanti a lui.

-          Tu non esci di qui fino a quando non mi dici tutto quello che sai di questa storia!- sputò fuori, con tono velenoso.

Sergio aveva gli occhi lucidi, la mano con la quale teneva le lettere tremava.

-          Devo andare da Eva – disse, in un sussurro poco chiaro.

-          Cosa?-

-          Devo andare da lei. Bianca, tu non capisci-

-          Già, non capisco, ma adesso tu mi spiegherai ogni cosa-

-          Non posso. Non c’è tempo-

-          Tempo? Per cosa? Basta adesso, Sergio. Tu sai qualcosa che io non so, è evidente-

Sergio sospirò spazientito.

-          Devo andare-

Con un gesto veloce riuscì ad aprire la porta e a sgattaiolare fuori prima che Bianca potesse fare altro.

-          Ehi! Sergio, Sergio!-

Ma lui non l’ascoltava, aveva aperto la porta e stava correndo per le scale, Bianca poteva sentire dei singhiozzi, forse erano lacrime.

Sconvolta ed impaurita, ma ad un passo dalla verità, afferrò le chiavi della macchina di Stefano e si gettò all’inseguimento di Sergio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 20. 32

 

 

 

 

 

Christian sorrideva ad una contrariata Lara, che lo seguiva poco distante mentre camminavano lungo il Corso Vittorio Emanuele.

-          M’hanno detto che è un po’ psicopatica- azzardò, con voce abbastanza alta da far voltare Christian e ridere Ariel.

-          Oh, avanti. Vedrai che non sarà così male. E poi non facciamo mica paura-

Christian sorrise, Ariel alzò le spalle imitandolo, mentre Lara continuava tenere in broncio.

-          Potevate anche andarci voi due da soli, visto che vi divertite così tanto- continuò, con tono pungente. Ariel le poggiò una mano sulla spalla.

-          Lara, non sentirti discriminata- disse, con quel suo strano tono che sorprendeva Bianca, - lo sai come sono fatti questi signorini ricchi. Sono un po’ schizzinosi-

Lara si scrollò la mano di Ariel di dosso, arrossendo dall’ira.

-          Non provare ad usare i tuoi giochetti con me. E lo sai che non sopporto di essere trattata in quel modo-

Christian rise di Lara sotto i baffi, la tirò per un braccio facendola avvicinare a se.

-          Avanti, non la vedrai neppure. Dobbiamo solo riprenderci il mio amuleto e andare via!-

-          Non potevi stare un po’ più attento? E tra l’altro sai che la smorfiosa ci aveva impedito di avvicinarci a casa sua fino alla fine dell’estate!-

Christian rise di nuovo, sembrava estremamente tranquillo.

-          Avevo solo voglia di divertirmi un po’!-

-          Certo, certo. Poi hai incontrato Bianca e…-

Ariel lasciò la frase a metà, provocando in Christian una reazione inaspettata. Si rabbuiò, abbassò lo sguardo. Anche Lara cambiò espressione, adesso divenne seria e quasi fredda. Alzò le spalle con fare nervoso.

-          Non fare quella faccia, adesso. Te l’avevo detto di non metterti nei guai con Bianca. È una brava ragazza- lo ammonì, quasi sottovoce.

-          Lo so-  rispose Christian con tono duro, - non credere che non sappia a cosa sto andando incontro-

-          Sei un’irresponsabile, ecco cosa sei-

-          Lara, ti prego, - intervenne Ariel, con un’occhiata eloquente, - non mi sembra il caso di inveire contro di lui-

-          Ah no? Ci sono state date indicazioni precise quando siamo venuti qui. E tu non sei certo diverso dagli altri, nonostante ti piaccia crederlo!-

Christian non rispose alla provocazione di Lara, sapeva che lei teneva molto a Bianca. Non riusciva a sentirsi in colpa sebbene sapeva che non avrebbe dovuto iniziare quella relazione con lei. Avrebbe portato soltanto sofferenza, per entrambi.

-          Hai ragione, Lara. Non avrei dovuto- mormorò infine.

-          Beh, almeno lo capisci. Ma ormai è troppo tardi-

Lara aveva un tono rassegnato ma nervoso, incrociò le braccia al petto.

Ormai erano arrivati dinanzi alla villa, Lara alzò la testa riconoscendo l’edificio.

-          Allora, bussiamo?- chiese Ariel, con tono abbastanza allegro da smontare quell’atmosfera tesa.

-          Okay. Ma se ci apre quella io non parlo, sia chiaro. Se esce Amanda è un altro paio di maniche. O il signor Francesco, s’intende. Che brav’uomo. Come può avere una figlia del genere? In cosa gli somiglia? Che facciamo, noi? Paura? Facciamo paura? E io sono molto più carina di lei. Ma come fa Amanda a sopportarla? Io l’avrei disintegrata. Ehi ehi, scherzavo. Non guardatemi così-

 

 

 

 

 

Ore 20. 43

 

 

Sergio aveva parcheggiato il suo scooter appena fuori dalla villa, Bianca fermò l’auto poco distante e scese, seguendolo. Si aspettava che bussasse, ma non lo fece. Lo vide  correre lungo il muro ricoperto dai rampicanti, tastare con le mani come se cercasse qualcosa, poi all'improvviso sparire tra le foglie, arrampicarsi sul muretto, arrivare in cima  e confondersi tra gli alberi.

Sergio si stava introducendo furtivamente a casa di Eva.

Sempre più sconvolta ma decisa più che mai ad andare infondo a quella faccenda, si tolse le scarpe con il basso tacco che non le avrebbero concesso l’arrampicata, e facendosi coraggio infilò le mani nelle crepe del muro, come aveva visto fare a Sergio poco prima. Con i piedi nudi era difficile arrampicarsi, ma la sua determinatezza vinceva l’inesperienza.

Sto violando una proprietà privata, si ripeteva in preda ad uno strano senso di colpa. Ma non poteva trovare il cancello aperto, come la volta precedente? Eh no, sarebbe stato tutto troppo facile. E Sergio, perché non aveva bussato?

Troppe domande le affollavano la testa, ma a breve avrebbero trovato risposta.

 

 

 

**

 

Sentirono il citofono suonare, Francesco si pulì le labbra con un tovagliolo e osservò l’orologio.

-          Ma chi sarà a quest’ora?- chiese, rivolgendosi ad una interrogativa Amanda.

La cena, preparata solo per loro due, pareva un po’ triste senza Eva, che quella sera non aveva voluto partecipare. Era da un po’ che Francesco la vedeva assente e poco partecipe, e aveva provato a spiegarselo con la presenza di Amanda, che sapeva disordinare la vita della figlia, ma Eva non si era mai chiusa in una così strana solitudine.

-          Vuoi che vada io?- chiese Amanda, alzandosi già dalla tavola. Francesco stava per rispondere, ma Amanda era già al citofono.

-          Chi è?- domandò.

Christian, dall’altra parte, si annunciò. Gli occhi di Amanda si illuminarono, sorrise, allontanò un po’ il ricevitore dalla bocca e disse rivolta a Francesco:

-          Sono loro! Ti dispiace se entrano, Francesco?-

Francesco si alzò sorridente.

-          Ma no, sei impazzita! È un piacere per me. Potrebbero fermarsi a cena, hai cucinato così tanto!-

Amanda sorrise raggiante, invitò i ragazzi ad entrare ed aprì loro il cancello, poi corse alla porta. Francesco la affiancava, e quando i tre furono arrivati sull’uscio, si abbracciarono contenti.

-          Che bello vederti! Oh Dio, sembra un secolo! Ariel! Sei così diverso, santo Cielo! Lara, tesoro!-

Amanda era al settimo cielo, Lara sorrideva intimidita, così diversa da come Bianca l’aveva sempre conosciuta. Christian era il più spigliato, aveva salutato Francesco e dato due schioccanti baci sulle guance di Amanda.

-          Mi dispiace essere piombati qui così, all’improvviso, ma sai, mi sono accorto di una cosa, - disse Christian, senza far troppi giri di parole, - credo di aver dimenticato qui il mio amuleto-

Amanda sorrise mentre Lara si stringeva nelle spalle. Si guardava intorno chiedendosi dove fosse la pazza isterica, ma la casa era immersa nella pace e nel silenzio.

-          Oh, allora eri tu! Eva per poco non sveniva. Le avevo detto che potevi esser stato tu, ma lei non ha voluto sentire neanche una parola su di te. Sai com’è fatta, ma infondo è una brava ragazza-

Amanda parlava gesticolando molto, mentre le gote erano arrossate dall’emozione.

-          Mi dispiace molto di averla spaventata, non era mia intenzione. Porgile le mie scuse- disse Christian, misurando le parole ed il tono della voce.

-          Ragazzi, non restate sull’uscio, venite pure dentro! Amanda ha appena preparato una bella cenetta, e mia figlia non è dei nostri stasera. Vi va di fermarvi con noi?-

Il tono di Francesco era simpatico e galante, Ariel piegò la testa da un lato con un sorriso sincero.

-          Non vorremmo disturbare…- mormorò.

-          Disturbare? Ma no, cosa dite! Avanti, Amanda, fai strada ai tuoi amici-

Amanda si diresse verso la cucina, Francesco chiuse la porta di casa e poi seguì i ragazzi.

 

 

**

 

 

Sergio correva per il giardino con i capelli al vento, il viso rigato di lacrime e il respiro corto. Non si era accorto che Bianca l’aveva seguito, non aveva fatto abbastanza attenzione. Non c’era molto tempo da perdere, non c’era nemmeno tempo per pensare. Arrivò sotto la finestra di Eva, vide che c’era la luce accesa.

Era fortunato, Eva era in camera sua.

Infilò le lettere nella tasca dal pantalone e con grande agilità prese ad arrampicarsi, come ormai sapeva fare bene.

Arrivò fino al vetro, si poggiò con i gomiti sul davanzale, la finestra era aperta.

Eva, in lacrime, sedeva al centro di un’enorme confusione.

Come risvegliato da una luce che mette in mostra il giusto ordine dei pezzi di un puzzle, Sergio comprese il motivo della disperazione di Eva.

-          Cerchi queste?-

Le lacrime avevano fatto spazio ad una roca voce spezzata, con un balzo Sergio era dentro la stanza, stringendo tra le mani le lettere.

Eva si alzò colpevole, allarmata, ansimante, con gli occhi arrossati e la paura disegnata abilmente sul suo bellissimo e vitreo viso.

Con una strana luce negli occhi, Eva smise di singhiozzare e si lanciò verso Sergio, tendendo le mani verso le lettere, che lui prontamente tirò via prima che potesse afferrarle.

Sergio ricominciò silenziosamente a piangere, lasciando che le lacrime scendessero lungo le guance ed il collo. Con gli occhi, si parlavano.

Eva si coprì il volto con le mani, incapace di proferire parola.

-          Cosa hai fatto, Eva? Cosa hai fatto?- domandava Sergio a bassa voce, mentre si avvicinava a lei, poggiando le mani sui suoi capelli, - cosa hai fatto, eh? Eh, amore? Cosa hai fatto? Come hai potuto?-

 

 

**

 

 

Bianca aveva visto la luce accesa in quella che sospettava essere la camera di Eva, aveva visto Sergio arrampicarsi, ma sapeva che non sarebbe riuscita a salire anche lungo il palazzo fino alla finestra. Aveva il fiatone, graffi sulle gambe e sui piedi.

Era ora di mettere fine a quella storia.

Corse per il giardino fino a quando non giunse davanti alla porta di casa. Aveva paura, ma non importava. Bussò il campanello, come già aveva fatto una volta, non molti giorni prima. Attese, prima che Amanda aprisse la porta.

La guardò interrogativa, sconvolta, la osservò da capo a piedi mentre le si facevano strada pensieri oscuri nella mente.

Nessuna delle due parlava, si guardavano fisse negli occhi, Bianca era stremata.

-          Amanda? Amanda, chi è?-

La voce di Francesco risuonava nel grande atrio, ma non compariva nessuno.

-          Che ci fai qui? Come hai fatto ad entrare? Cosa è successo?-

Le domande di Amanda erano veloci e fredde, aveva una mano ancora sul pomello della porta mentre tentava di dare un senso a quella scena.

-          Sta… sta succedendo qualcosa…- balbettò Bianca a mezza voce, mentre sentiva le lacrime farsi strada nei suoi occhi.

Ci mancava solo che si mettesse a piangere.

Si sentì un rumore di sedie che si strisciavano sul pavimento, poi Francesco comparve dietro Amanda.

-          Amanda, che succede? Chi è questa giovane? Posso esserti utile?-

Dopo un attimo, Christian spuntò dalla porta a vetri dietro la quale lui e Bianca avevano avuto il loro fatidico primo incontro.

Bianca sgranò tanto d’occhi.

-          Christian!-

-          Bianca!-

-          Bianca?- risuonò la voce di Lara, che si catapultò sull’uscio, affiancando Amanda e coprendo quasi completamente Francesco.

Bianca non l’aveva mai vista così, con quell’aria finalmente da adulta, con gli occhi accesi e con quel tono di voce così serioso, che non le si addiceva.

Calde lacrime scesero sulle sue guance, mentre il respiro le si era bloccato in gola.

Christian si fece largo tra le ragazze mentre anche Ariel finalmente compariva, a completare quell’assurdo quadretto.

Bianca sentì un fremito allo stomaco quando Christian la afferrò per le spalle e la strattonò come per risvegliarla. Sembrava preoccupato, Bianca tentava di leggere i suoi occhi.

-          Bianca, Bianca, che succede? Che ti succede?-

Bianca non rispondeva, Christian la strinse al petto, poi Lara si avvicinò e tirando via Christian, guardando Bianca tra le lacrime che coprivano i giovani occhi dell’amica.

-          Bianca… cosa sta succedendo? Come sai che eravamo qui?-

-          Non… non lo sapevo- biascicò lei, tra i singhiozzi.

Amanda si morse le labbra, Lara le lanciò un’occhiata significativa.

-          Sergio è qui. È di sopra, da Eva. È salito dalla finestra- mormorò poi, vincendo la confusione.

Tutti si voltarono verso Amanda, che non riusciva a credere alle sue orecchie. In un secondo gli occhi le si riempirono di lacrime, si allontanò fulmineamente dalla porta, Francesco tentò di fermarla.

-          Amanda, aspetta, ragiona, noi adesso non…-

-          Lasciami, lasciami!- gridava, in preda ad una strana e spasmodica disperazione. Bianca guardava allibita la scena, Ariel e Lara tentavano di aiutare Francesco, Christian si rivolse a lei con un tenue sorriso, che appariva come un raggio di sole durante una tempesta.

-          Bianca, io non…-

-          Voglio sapere la verità, Christian, adesso non voglio più le bugie di nessuno di voi-

Amanda riuscì a liberarsi dalla stretta dei tre, corse per le scale.

 

 

**

 

 

Amanda aprì la porta con un tonfo, le lacrime rigavano le sue guance e la rendevano diversa. Amanda non era così, Amanda non piangeva.

Adesso Amanda era senza paura, senza domande, solo con un’enorme dolore dipinto sul suo volto.

Sergio era sconvolto.

Lasciò cadere le lettere a terra, spalancò la bocca per la sorpresa.

Eva era statuaria, pareva che si fosse congelata nel momento in cui Amanda aveva aperto la porta. Eppure se qualcuno avesse potuto guardare nella sua anima, avrebbe visto ardere un fuoco difficile, un fuoco che le stava consumando le membra. Si sentì sprofondare in quei pensieri proibiti, si sentì scoperta, come una ladra. Si accasciò a terra chiudendosi il viso tra le gambe.

-          Amanda…-

Sergio era come tornato indietro nel tempo.

Indietro di due anni.

Amanda non parlava, lo fissava e desiderava correre ad abbracciarlo, fingere che il tempo non fosse mai passato e che quelle braccia fossero sempre le stesse, che il suo sorriso fosse sempre lo stesso e soprattutto, che il suo cuore fosse sempre lo stesso.

 

 

 

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Capitolo 12
*** Calibri ***


calibri 12

Festa dell’Incoronazione, due anni prima

 

 

Sergio non aveva voglia di uscire di casa, ma l’avevano trascinato quasi con la forza. “Non ti sai divertire”, gli ripetevano gli amici, mentre lui chiudeva annoiato il libro sul quale preparava il prossimo esame. Non era stato mai un grande festaiolo, Sergio: gli piaceva studiare, leggere, raccontare. Aveva molti amici perché era un ragazzo socievole, disponibile e gentile, ma era da tutti loro estremamente diverso.

Quella sera però, pareva non esserci scampo.

Lo tirarono via dallo studio in una calda serata di luglio e lo trasportarono con loro in giro per la città. Le stelle si vedevano sempre di meno, il cielo pieni di luminarie, grandi fasci di luce bianca provenivano da ogni dove.

Distratto, con la testa poggiata pesantemente sul sedile posteriore dell’auto di uno dei suoi migliori amici, Gabriele, ascoltava i loro discorsi.

Fermarono la macchina al Corso Vittorio Emanuele, quella sera stranamente non c’era quasi nessuno. Certo, iniziano le vacanze, pensava Sergio. Le persone non sono mica qui, in giro per la città, sono tutte ai falò sulla spiaggia, a quelle noiosissime feste in discoteca. Non è nemmeno sabato! E io non dovrei essere qui.

Pensieri leciti, ma segreti. Camminavano guardando il mare dall’alto, discutevano, qualcuno aveva preso una birra. Poi, dall’altro lato della strada, ecco ergersi un’enorme villa, tutta illuminata, ed ecco il cancello appena aperto, e ragazzi e ragazze in abito da sera fare il loro ingresso.

I ragazzi si guardano tra loro, vogliosi di entrare. Sergio sghignazzò, non potranno mai essere invitati ad una festa del genere, pensava. E nemmeno io.

Poi, Corrado, il più coraggioso, con una strana luce negli occhi tirò via Gabriele e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, Gabriele all’inizio non voleva, si sentiva un po’ in colpa, ma alla fine tutti furono d’accordo.

Bisognava imbucarsi. Per una volta non sarebbe successo niente. E se c’era il buttafuori all’ingresso, poco male, se la sarebbero svignata nel giardino.

Sergio scosse la testa deciso. Non era il caso di fare una cosa del genere, ma non lo stettero a sentire. Attraversarono la strada in un lampo e si unirono al fluire di persone che entrava in quella villa.

 

 

 

 

Eva avrebbe preferito non essere in casa, ma suo padre l’aveva costretta. Adesso che anche lei conosceva il suo segreto, il suo nuovo “lavoro”, doveva essere partecipe della grande Festa dell’Incoronazione.

Eva non credeva al paranormale e non c’aveva mai creduto, ma aveva dovuto mettere in discussione tutte le sue certezze quando suo padre le aveva narrato la storia del Lago Incantato e di quello che c’era nascosto sotto di esso.

Il Lago Incantato non si trovava in un luogo preciso, era qui e lì, a comodità delle persone. Non era d’acqua, ma sembrava che lo fosse. O meglio, era acqua se credevi che lo fosse, se non lo credevi, lei non lo era. Coperto da salici e muschio, Eva non sapeva come si facesse a vederlo, sapeva solo che quando lo si vedeva, al di sotto di esso, si potevano scorgere dei visi, come di persone che dormivano sotto il Lago, con i capelli fluttuanti in un mare di luce bianca, e gli occhi chiusi. Erano come dei morti, degli annegati di chissà quale epoca storica che chissà per quale motivo, nel Lago Incantato avevano la loro seconda possibilità, la possibilità di vivere di nuovo. Chiusi sotto il Lago, avevano una nuova vita.

Di tanto in tanto però, era loro concesso di venire sulla terra per dei periodi ben scanditi, non un giorno di più né un giorno di meno. Venivano fuori dal Lago asciutti, emergevano e risplendevano tutti di una rara bellezza. Cosa venissero a fare sulla terra? Ignoto. Si diceva che avessero un compito, che ognuno di loro avesse speciali facoltà e che sapessero più di quanto si potesse mai immaginare. Erano arguti, intelligenti, attivi.

Il compito di suo padre era quello di andare a pescare ogni anno dei novellini e di custodirli fino a quando non avessero fatto ritorto sotto il Lago. Qual’era il frutto di questo lavoro? Non c’era.

Suo padre non veniva in nessun modo pagato, ma continuava a gestire le aziende della loro famiglia, anche se lei credeva che ormai avesse delegato tutto agli zii. Era impossibile privarla del tenore di vita che aveva sempre condotto, dunque suo padre alternava il deprimente lavoro che gli spettava con questa brillante attività. Ad iniziarlo era stata la zia Clarissa, durante la sua permanenza.

Eva non sapeva come la zia Clarissa fosse venuta a conoscenza del Lago Incantato e qual’era il suo compito, ma sapeva che era lei la responsabile di tutto. All’inizio, Eva tentava di farsene una ragione: poteva benissimo dimenticare tutte quelle frottole, d’altronde suo padre non si sarebbe mai permesso di portarla a vedere questo fantomatico Lago, e lei non sarebbe mai venuta in contatto con questi essere fantastici. Doveva soltanto vivere la sua vita in maniera del tutto normale, come aveva sempre fatto, convivendo con quel segreto che per niente al mondo avrebbe dovuto rivelare. Il segreto del Lago Incantato era custodito da pochi, e nessuno doveva venire a conoscenza della sua esistenza e dell’esistenza del suo popolo, date le loro speciali capacità.

La vita di Eva continuava, nonostante gli incubi, fino a quando suo padre non le aveva felicemente comunicato che quell’anno la Festa dell’Incoronazione si sarebbe tenuta lì, a casa loro. Eva aveva tentato di opporsi, ma suo padre non aveva desistito. Ormai, Eva era a conoscenza del segreto e la loro casa era la più grande e la più adatta per ospitare un evento del genere.

La Festa Dell’Incoronazione avveniva pochi giorno dopo l’arrivo del popolo del Lago sulla terra. Era come una festa d’iniziazione o un che di simile, dove avveniva l’incoronazione della loro Regina, che si ripeteva ogni anno.

Ma non era questa, la cosa più grave. La cosa più grave era che suo padre aveva deciso di far alloggiare nella loro casa una delle novelline, con la quale aveva fatto particolare amicizia.

E quella sera, Eva avrebbe dovuto incontrarla per la prima volta.

 

 

 

Amanda non aveva mai visto niente di simile. Nascondeva gli occhi dietro una maschera argentea, i capelli raccolti in una strana acconciatura dietro la nuca, con delle piume grigie come ornamento, alle mani dei guanti bianchi e un lungo abito di colore simile alla maschera, che scendeva sinuoso lungo il suo corpo. Era la prima volta che Amanda veniva sulla Terra, la prima volta che vedeva così tante persone. La sua vita, sotto il Lago, non era niente di entusiasmante: bibliotecaria di corte, rinchiusa dalla mattina alla sera tra i libri. Certo, non le dispiaceva occuparsi di una così nobile arte come la scrittura, ma aveva così tanto sentito parlare delle meraviglie della Terra che non vedeva l’ora che venisse il suo turno, finalmente il suo momento. Sarebbe emersa dal Lago e avrebbe passato tre lunghi mesi sulla Terra, e non chiusa in biblioteca.

Aveva la testa piena di idee, Amanda: fantasie, immaginazioni, una miriade di frottole bambinesche. Le aveva tutte prese dai libri, quelli che era destinata a custodire gelosamente. C’erano giornate, lì a corte, dove non succedeva un bel niente, e dunque lei si sedeva sugli scaffali più alti e leggeva storie su storie. La maggior parte erano storie d’amore: narravano quasi sempre di principesse in pericolo salvate da audaci principi, e qualche altra di tenere storie d’amore tra amanti sfortunati. Ma nessuna di quelle storie aveva il sapore della vera favola, della vera meraviglia. Nessuna di loro infatti parlava di Calibri.

Calibri era il suo principe, il principe del regno, delle emozioni, dei sogni.

Tra le persone che abitavano la corte, Calibri era quello che più spesso le faceva visita, accompagnato dal fratello minore Ariel.

Calibri ed Ariel avevano capacità diverse, entrambi meravigliosi, ma diversi. Calibri, tra i due, era di sicuro quello che si faceva notare di più: gagliardo, coraggioso, abile in ogni sport e in ogni arte, generoso, capace di vivere in simbiosi con gli altri, accarezzare i loro pensieri. Ariel, diversamente dal fratello maggiore, era più timido ed introverso, e anche le sue capacità erano decisamente più nascoste. Per niente esibizionista, Ariel riusciva a deviare l’attenzione delle persone, incantare con i suoi discorsi, incatenare le persone all’istante.

Ma adesso era distante da loro: né Calibri né Ariel erano venuti sulla Terra con lei, il primo per chissà quali impegni, il secondo perché non era ancora giunto per lui il momento. Quando li aveva salutati, entrambi non sembravano gelosi del suo viaggio. Calibri sorrideva con dolcezza, Ariel era impegnato con la sua dama di compagnia, Lara.

Lara era una fata diversa dalle altre, per questo Ariel l’aveva scelta come sua dama e consigliera. Dolce, ribelle, incredibilmente fantasiosa, Lara viveva in un mondo tutto suo, dal quale emergeva raramente. La sua presenza a corte era come un getto di acqua fresca, una ventata di gioia e di continua novità.

Con lei però era giunta la madre dei due ragazzi, Europa. Lei era la Regina, e come ogni anno, era tradizione che venisse incoronata davanti a tutti i partecipanti alla festa.

La casa nella quale era stata condotta da Francesco era quella nella quale avrebbe dovuto alloggiare. Francesco era il primo essere umano che Amanda aveva visto, e con il quale aveva avuto subito una grande intesa. Francesco le ricordava tanto suo padre, quando da piccola la portava in giro per i boschi e le sorrideva così dolcemente. Anche Francesco era padre, Amanda l’aveva capito subito dai suoi occhi. Il feeling che si era creato tra loro aveva spinto Francesco ad invitarla a stare a casa sua. Solitamente, erano messe a disposizione del popolo del Lago alcune case, ma Francesco aveva fatto per lei un’eccezione. Sapeva anche che Francesco aveva perso la moglie e che aveva una figlia, Eva. Era tanto curiosa di conoscerla.

 

 

 

Nessuno aveva chiesto loro chi fossero, nessuno si era preoccupato della loro identità. Così, Sergio ed i suoi amici stavano partecipando alla più strana festa in maschera di tutti i tempi. Si procurarono qualcosa da mettere sul volto scavando in uno strano recipiente che c’era all’entrata, colmo di mascherine, e avevano tentato di mischiarsi alla folla.

Sergio non si sentiva a suo agio. Aveva paura di essere scoperto, paura persino che qualcuno potesse parlare con lui. La grande sala era piena di eleganti signore in abito da sera e altrettanti eleganti signori in giacca e cravatta. Una di loro lo colpì particolarmente, era seduta dall’altra parte della sala, aveva una maschera argentea sul volto e pareva imbarazzata, proprio come lui.

 

 

Eva scese le scale di fretta, si strinse nell’abito nero, lungo e stretto ad accarezzare le curve del suo corpo. Una ragazza di diciannove anni avrebbe dovuto pensare all’Università imminente, non ad una stupida festa di esseri immondi.

C’erano mille persone, tutte mascherate. Quale di queste era Amanda? Non lo sapeva, quasi non voleva saperlo.

 

 

Un ragazzo le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Chissà chi era, Amanda non l’aveva visto. Non era uno appartenente al suo mondo, se n’era accorta dal semplice tocco della sua mano. Le sorrideva, aveva un sorriso smagliante e coraggioso. Pareva Calibri, ma non era lui. Aveva occhi verdi e brillanti che brillavano dalla maschera, e capelli ricci e neri, luminosi. Le aveva chiesto di ballare! Oh, ballare! Era così tanto tempo che non ballava! Come? Oh già, tra poco c’è l’Incoronazione, questo è l’ultimo ballo. Allora sarà meglio accettare, prima che il ragazzo vada via. Amanda afferrò la mano di Sergio, si fece condurre in pista e ballarono in silenzio, guardandosi negli occhi come se in quegli occhi ci fosse già scritto tutto.

Era una situazione incredibile, da favola. Amanda non riusciva a credere a quanto le stava succedendo, lei, la bibliotecaria dimenticata, lei, la fantasiosa!, stava ballando con un ragazzo, un essere umano, un bellissimo essere umano.

La musica sfumò, tutti applaudirono, poi le luci divennero soffuse e al centro della sala apparve Europa. Il suo lungo vestito dorato brillava nella sala, il suo sorriso era serio e autoritario. Si fece avanti un giovane ragazzo che faceva parte del suo mondo, portando su un cuscino ricamato d’oro una grande corona. Il ragazzo che le era accanto le strinse leggermente la mano e le chiese sussurrando delle spiegazioni. Oh, lui non sapeva cosa stava succedendo. Come mai non lo sapeva? Eppure in quella festa tutti avrebbero dovuto sapere. Amanda si limitò a dire che quella era l’Incoronazione, e lui assentì. Poi le chiese se era una festa a tema, e Amanda, senza sapere cosa significasse, gli rispose di si.

Europa fu incoronata, e senza dire una parola, sorrise dolcemente prima di battere le mani e dare inizio così nuovamente alle danze.

Amanda ballò con Sergio fino alla fine della serata.

 

 

 

 

Eva non era contenta.

Erano passate due settimane dalla festa, e lei si stava rovinando l’estate e la vita. Amanda aveva occupato la stanza infondo al corridoio, era ordinata, pulita, simpatica, dolce, accomodante. Sapeva cucinare, curare la piante, cantare. Ogni sera a cena non la smetteva di ringraziare per l’ospitalità e cercava in ogni modo di creare un rapporto con lei. Eva non lo voleva, quel rapporto con lei. La reputava un’infiltrata, una specie di aliena che aveva ridotto in poltiglia la mente di suo padre e che voleva prendere il controllo sulla sua famiglia!

Suo padre la trattava come una seconda figlia: quando tornava a casa la sera le chiamava “bambine”, e le portava spesso fuori a fare gite o a cena. Eva non sopportava tutto quel trambusto e spesso era scortese con Amanda. Lei non pareva curarsene, Eva aveva iniziato a sospettare che potesse leggere nel pensiero o che di simile, perché sorrideva sempre come per compartirla.

E poi, stava violando le regole: si era messa in testa di diventare amica di quel Sergio, uno che si era infiltrato alla Festa dell’Incoronazione. Per fortuna non aveva capito niente, se no sarebbero stati in un mare di guai. Eva aveva evitato di dire a suo padre delle tresca tra Sergio ed Amanda, sia perché non era suo costume fare la spia nonostante odiasse la fatina, e sia perché si augurava che Amanda la smettesse. Infatti le fatine non potevano avere nessun tipo di rapporto sentimentale con gli esseri umani, e a lei pareva proprio che le cose si stessero dirigendo verso quell’inevitabile buco nero della vita, l’amore.

Lo capì subito, dagli sguardi trasognati di Amanda quando rientrava, dai regali che ogni tanto portava con se e dai fiori che arrivavano, con bigliettini romantici. Le cose si stavano mettendo male, Amanda e Sergio si stavano innamorando.

 

 

 

Già, si stava innamorando: viveva in una casa che non era la sua, con una sottospecie di sorellastra che l’odiava, ma si stava innamorando. Non credeva possibile una cosa del genere, ma si stava innamorando, e per giunta di Sergio, un essere umano.

L’aveva perdonato per essersi infiltrato alla loro festa, come lui stesso aveva confessato, e si era scusato fino all’inverosimile. Amanda aveva dovuto ovviamente inventare molte cose su di se: aveva detto di essere venuta a trovare sua cugina e suo zio, e che avrebbe alloggiato da loro per un po’. Sergio c’aveva creduto, e all’inizio tutto era magnifico. Lui la portava a visitare la città, a mangiare la pizza ed il gelato, in giro con il suo scooter, al mare. Amanda amava stare con lui, sedersi sull’erba fresca sotto gli alberi del bosco di Capodimonte a raccontare ciò che sapeva meglio: la vita di Calibri. Sulla Terra non era come nel suo mondo: lì nessuno sapeva di Calibri e avrebbe potuto narrare di lui come di un eroico personaggio delle fiabe.

Sergio ascoltava estasiato, pendente dalle sue labbra. Si rendeva conto che il sentimento che stava crescendo tra loro era pericoloso, ma non le importava. Adesso, le importava solo di stare con lui, godersi la vacanza, godersi finalmente l’amore, la vita che aveva sempre desiderato.

 

 

 

Poi Sergio si innamorò perdutamente di lei e le chiese di rimanere a Napoli con lui, di venire in vacanza con lui, di non partire più. Ma Amanda si rendeva conto di non poter fare niente del genere. Era innamorata di lui fino al midollo, ma sapeva, in cuor suo, di aver mentito a Sergio sulle cose più importanti, le sue origini e la sua identità. Su cosa si basa un rapporto d’amore se non sulla fiducia? Amanda aveva soltanto ingannato Sergio, facendogli credere di essere quella che non era. Solo in una cosa non aveva mentito, e cioè il suo amore.

In preda alla disperazione, non le restava altro che chiedere aiuto ad Eva. Era la sola persona che potesse realmente aiutarla ad uscire da quel guaio.

Quando Eva seppe che Amanda non aveva ancora interrotto i rapporti con Sergio e che anzi, aveva continuato a vederlo e che ormai erano arrivati al punto di non ritorno, andò su tutte le furie. Iniziò a sbraitare cose sconnesse sulle regole, i segreti e la vita ormai rovinata per sempre.

C’era una sola cosa da fare, ed in fretta: Amanda doveva andare via.

Era difficile, ma Amanda si caricò del coraggio necessario e disse a Sergio che non l’amava più. Non sapeva da dove avesse preso quel coraggio, né se l’avesse realmente avuto o era l’amore per lui, la vergogna per avergli mentito a fare le sue veci. Sergio scoppiò in lacrime, supplicò Amanda si spiegarsi, di dargli delle risposte, di dirgli di più. Ma non ci fu niente da fare, Amanda aveva ormai fissato la data della partenza una settimana dopo, con il cuore ormai morto.

 

 

 

Il controllo della situazione era tutto nelle mani di Eva. Suo padre stava preparando l’occorrente per la partenza anticipata di Amanda mentre quest’ultima era chiusa nella sua camera, in lacrime di dolore.

Sergio non si arrendeva.

Ogni giorno bussava alle loro porte, gridava, si disperava, cercava di entrare in casa chiedendo di Amanda. Eva non lo sopportava. Gli gridava dalla finestra di andarsene, dicendo che Amanda ormai se n’era andata. Ma lui non ci credeva, e stava giorno e notte appostato là, dietro il muretto, e aspettava che lei uscisse.

Ma lei non usciva, e quando lo sentiva gridare piangeva ancora di più, nascondendo la testa sotto il cuscino.

Poi iniziò a scrivere delle lettere.

Le infilava ogni sera nella cassetta della posta e poi aspettava che qualcuno venisse a prenderle. Quel qualcuno era sempre Eva.

Sapeva che non avrebbe dovuto leggerle, ma la tentazione era troppo forte. Amanda aveva ancora alcuni giorni da passare in casa sua, avrebbe potuto bussare alla sua porta e consegnarle quelle lettere. Le avrebbe conservate in ricordo di Sergio, là dove sarebbe andata.

E invece Eva non lo fece.

Lesse la prima lettera, la seconda, la terza. Erano appassionate lettere d’amore che imploravano Amanda di tornare, dove raccontava il suo dolore e il suo tormento.

Eva sapeva di fare una cosa sbagliata non consegnando le lettere alla destinataria, ma si nascondeva dietro un brutto alibi, quello della protezione. Doveva proteggere Amanda da quel malsano amore, dunque era meglio se quelle lettere lei non le avesse mai lette.

Erano tutte firmate “Calibri”, come il nome del principe del regno di Amanda, sul quale lei raccontava molte storie. Eva era commossa da tutto quell’amore, ma più si commuoveva e più si convinceva che quelle lettere dovevano essere conservate lontano da Amanda.

Le chiuse così nel cassetto della sua scrivania e disse a Sergio che Amanda le aveva strappate tutte senza neanche leggerle, indignata.

Il tono di Eva era così serio che lui ci credette.

Qualche giorno dopo, Amanda partì.

 

 

 

 

Anche dopo la partenza di Amanda, Sergio continuava a gironzolare per quei posti, chiedendosi dove fosse, con il cuore spezzato dopo aver saputo la fine che quelle lettere avevano fatto, ma chissà perché, non riusciva ad allontanarsi da quella casa.

Tutto cominciò un giorno che Eva era sola in casa e lui entrò di nascosto, si arrampicò sul muro e balzò in camera sua. Lei era lì, che dormiva.

Gli prese una stretta al cuore per quanto le pareva dolce, ma bastò che spostasse la sedia per sedersi che lei si svegliò, urlò, lo minacciò di chiamare la polizia, ma alla fine non fece niente del genere. Si misero a parlare di Amanda, Eva gli diceva di dimenticarla, perché ormai se n’era andata via per sempre.

Sergio le chiese se poteva tornare, ma lei gli disse di no.

Lui non l’ascoltò, e tornò lo stesso, tornava la sera, quando Eva era sola nella sua camera e suo padre chissà dove, nella grande casa.

All’inizio era tutto difficile perché loro erano diversi, lei era ricca e viziata, frequentava persone altolocate e snob, mentre lui era povero, lavorava per pagarsi gli studi e non aveva mai un soldo.

Era difficile perché finivano quasi sempre a parlare di Amanda, era difficile perché inspiegabilmente si capivano, perché Sergio pensava che Eva fosse bellissima, difficile perché stava dimenticando il passato, stava guarendo dalla follia d’amore che l’aveva preso durante l’estate.

Se con Amanda si sentiva come trasportato in un mondo favoloso ed impossibile, con Eva si sentiva fin troppo reale, i suoi occhi erano reali e lo tenevano inchiodato alla realtà, il suo tono duro che lo colpiva, le sue mani che lo indagavano, i suoi baci che lo mandavano fuori di testa.

Era successo che s’erano innamorati, così, come la mattina il sole sorge, come l’acqua che scorre nei fiumi, con la naturalità dell’universo. Come la promessa di Sergio fatta in un momento di rabbia e dolore, la promessa di innamorarsi di nuovo, la promessa di un amore vero.

 

 

 

 

Eva non si era mai innamorata prima d’allora, né credeva che avrebbe mai potuto innamorarsi proprio di lui. Cosa fare adesso? Lasciare che le cose andassero avanti, provare ad essere felice, dimenticare quello che aveva fatto, fingendo che lei potesse essere per Sergio tutto quanto Amanda non era mai stata e non avrebbe mai potuto essere? Forse avrebbe dovuto farlo, provare ad essere felice con Sergio dicendogli tutta la verità, sperando che lui la perdonasse? No, era impossibile. Non poteva mentire al ragazzo che amava, ma non poteva dirgli la verità. Così, nonostante la loro storia clandestina andasse avanti già da alcuni mesi, tra lunghe chiacchierate notturne, lettere e messaggi nascosti, Eva decise di darci un taglio. Non avrebbe mai voluto dire addio all’unica persona con quale si sentiva se stessa, l’unica alla quale aveva raccontato del dolore dopo la morte di sua madre, l’unica che la faceva sentire viva, ma doveva farlo. Era necessario che lo facesse. Così si riappropriò della freddezza e della scontrosità e chiuse la finestra a Sergio, che ci mise molto poco a recepire il messaggio.

Non le chiese spiegazioni e non si fece più vedere.

 

 

 

 

 

Due anni dopo

 

Erano passati ormai due anni e Amanda li aveva passati nella sua biblioteca, mentre il cuore e la mente erano fissi ad un lontano momento del passato, quando aveva incontrato quello che era stato il breve amore della sua vita. Non le importava più di leggere storie, di sedersi sugli alti scaffali, nemmeno di parlare con Calibri gl’importava. Aveva passato tutto quel tempo in solitudine, fingendo di essere tornata ad essere la stessa di sempre, con le solite occupazioni e i soliti pensieri, ma non era così. Quando era notte, ripensava a Sergio e a tutto quello che avevano passato insieme, a quanto era stato intenso e breve il loro amore.

Si odiava per averlo lasciato senza una motivazione, senza nemmeno convincere se stessa, ma sapeva che era quello il suo bene, adesso. Chissà, forse si era rifatto una vita, aveva incontrato nuove persone, aveva dei nuovi amori. Molto probabilmente l’aveva dimenticata, e con lei tutte le loro passeggiate, i loro baci, i racconti su Calibri.

Tutto.

E adesso che si avvicinava il momento per Calibri, Ariel e Lara di andare sulla Terra, i pensieri su Sergio erano sempre più frequenti, così come la sua gelosia. Lara non faceva altro che blaterare su quanto si sarebbe divertita, mentre Ariel le lanciava sguardi significativi, come se le chiedesse di smetterla, di non parlare davanti a lei. Ariel si accorgeva che Amanda soffriva a sentire quei discorsi. Amanda aveva tentato di stroncare l’entusiasmo di Lara sulle bellezze della Terra, ricordandole la regola più importante, ovvero non innamorarsi di nessuno. Per spingere Lara a pensarci su, le raccontò la storia di una fata che fu costretta ad abbandonare il suo amore per aver infranto le regole.

Ma ad ogni modo, si era già arresa all’evidenza, i suoi amici sarebbero partiti mentre lei sarebbe rimasta lì, nella biblioteca, a vegetare.

Solo all’ultimo momento, Calibri le disse che avrebbe intercesso per lei permettendole di fare un secondo viaggio. Non era una cosa concessa a tutti, per questo Amanda si sentì molto fortunata quando la risposta fu affermativa.

Sarebbe tornata.

Avrebbe rivisto Napoli, Francesco, Eva… ma non Sergio. Oh no, lui non poteva rivederlo, non poteva nemmeno sapere che era tornata. Se gli fosse venuto in mente di parlarle, di cercarla, cosa sarebbe successo? Avrebbe nuovamente messo a repentaglio la vita di Eva, che l’aveva protetta quando Sergio assaliva la sua casa, chiedendo di lei. Già, se non fosse stato per Eva Sergio avrebbe scoperto il suo segreto e nessun abitante del Lago avrebbe potuto più andare sulla Terra. Infondo, anche se Eva si era sempre comportata in modo scontroso, sapeva che aveva un grande cuore e che forse le voleva anche un po’ di bene.

Con il cuore colmo di speranza, Amanda si apprestava a ritornare sulla Terra.

 

 

 

--

 

Calibri non poteva mantenere il suo vero nome, in quanto sulla Terra era inesistente. Per questo, prese il nome di Christian.

 

--

 

La sera della festa del diploma di Bianca, Lara si stava recando alla Festa dell’Incoronazione.

 

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La storia che Amanda ha raccontato a Lara è quella che Lara ha raccontato a Bianca dinanzi al Conservatorio.

 

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E’ stato Ariel a far si che Bianca ricevesse le lettere di Sergio, nel momento in cui capì che suo fratello si era innamorato di lei. Memore della brutta avventura che Amanda aveva vissuto anni prima e convinto che l’amore, quello vero, esige rispetto, Ariel aveva studiato un piano infallibile per cui Bianca, senza volerlo, si sarebbe messa alla ricerca del mittente di quelle lettere fino a quando non avrebbe scoperto tutta la verità. Quando Calibri lo venne a sapere, non si arrabbiò, ma lo ringraziò perché sapeva che non sarebbe stato giusto abbandonare Bianca allo stesso modo in cui Amanda aveva abbandonato Sergio due anni prima.

 

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Amanda ha perdonato Eva.

 

--

 

Eva è ancora innamorata di Sergio, e Sergio lo è ancora di Eva.

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo dunque giunti quasi alla fine, il prossimo capitolo sarà l'epilogo di questa storia. Ringrazio le 11 persone che la seguono e le invito a commentare per esprimere le loro opinioni, per me importantissime.

A presto,

Lara

 

 

 

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


calibri epilogo

Epilogo – Un mese e mezzo dopo

 

Bianca inserì titubante i suoi dati, con le dita che tremavano. Bastava cliccare su “Invio” e sarebbe comparsa davanti ai suoi occhi la graduatoria. Chiuse gli occhi e fece un lungo sospiro, dopo di che si decise a premere il tasto.

Aprì gli occhi solo qualche secondo dopo, per poi accorgersi che aveva guadagnato un’ottima posizione e che era entrata alla facoltà di Medicina.

Saltò dalla gioia, gridò di vittoria mentre le guance le si arrossavano. Non fece nemmeno in tempo a telefonare alla mamma che il telefono squillò.

Sorrise leggendo il numero sul display.

-          Pronto?- rispose, emozionata.

-          Allora, campionessa? Com’è andata?-

La voce metallica di Sergio era coperta dai clacson delle auto. Era probabilmente in strada.

-          Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta! Ho superato i test!- esclamò Bianca, saltellando felice per la stanza. Non poteva vedere Sergio, ma scommise che stava sorridendo.

-          Questa si che è una grande notizia! Ma non avevo dubbi, campionessa. Beh, adesso non ci resta che festeggiare! Ti va un aperitivo? Passo a prenderti tra un’ora!-

Bianca sorrise raggiante.

-          D’accordo, ti aspetto-

 

 

Settembre era arrivato troppo in fretta, ma Bianca sembrava per la prima volta aver chiara davanti a se tutta la sua vita, i suoi obbiettivi, i suoi progetti. Si strinse a Sergio mentre lui metteva in moto lo scooter, viaggiarono contenti fino a quando non giunsero a San Martino, dove Sergio parcheggiò lo scooter e fece accomodare Bianca ad uno dei tavolini esterni del bar. Ordinò due aperitivi e finalmente si rivolse a Bianca con un sorriso raggiante.

-          Sapevo che ce l’avresti fatta- commentò, contento.

Bianca osservò il suo sorriso, notò una punta di malinconia in quegli occhi che ormai conosceva così bene.

-          Grazie. Sai, avrei in mente tante cose da fare, ho desiderato così tanto superare questo test, vorrei tanto che i ragazzi…- si bloccò, Sergio la fissò perdendo ogni gioia.

Amanda, Calibri, Lara ed Ariel erano andati via qualche settimana prima, e nessuno sapeva se sarebbero mai ritornati. Da quella famosa sera, quando finalmente aveva scoperto la verità sia sulla loro identità che sulle bugie di Eva, tutto era radicalmente cambiato. Innanzitutto, si era trovato di fronte ad una realtà difficile da accettare, pensare che Calibri esisteva davvero, recuperare Amanda da un passato tormentoso, rivedersela davanti agli occhi, bella come non mai.

C’era stato tanto da spiegare, tanto da comprendere, ma Sergio non riusciva ad odiare Eva per quanto aveva fatto. Aveva privato Amanda dei suoi ricordi, del suo amore, quasi rubandoglielo. Ma se la guardava negli occhi non riusciva a non perdonarla, a non pensare al suo dolce bisogno d’affetto, all’amore che dichiarava, al perdono che implorava.

Bianca, dal canto suo, aveva dato finalmente un senso a molte cose: le stranezze di Lara ed Ariel, le lettere, il bacio di Calibri. Era stato incredibile anche per lei scoprire che un Calibri esisteva davvero e che in realtà, quello che aveva scritto quelle lettere non era altri che Sergio. Si sentiva spaesata dinanzi a quella realtà, dinanzi ad un giovane uomo, principe di un altro regno, che l’amava e che non poteva però starle accanto. Sentiva divampare dentro la passione per lui, senza sapere niente della sua vita, dubitando persino della sua esistenza. Ma erano arrivati ai limiti dell’assurdo, e ora sia lei che Sergio erano persone diverse.

Si guardarono per un attimo scambiandosi sentimenti proibiti.

-          Vorresti che fossero qui?- concluse la frase Sergio, con una nota di sarcasmo e tristezza.

-          Si, lo vorrei- mormorò in risposta Bianca.

Sergio alzò le spalle.

-          Tu non sai quello che dici, - abbassò gli occhi, - questa storia ci ha distrutto, e tutto senza una motivazione-

-          Non dire così, Sergio. È vero, siamo stati coinvolti senza volerlo, ma ormai tutto è finito. E tu dovresti perdonare Eva e tornare con lei-

Le parole di Bianca lo colpirono, alzò gli occhi per fissarla. Sapeva che Bianca aveva stretto con Eva una sincera amicizia, e che le parole che diceva fluivano dalla consapevolezza che anche Eva l’amava ancora. A differenza sua però, Eva lo ammetteva. Lui invece, si chiudeva nel dolore delle sue menzogne cercando, per l’ennesima volta, di dimenticare.

-          Bianca, io…-

-          Ne sei innamorato. Ne sei profondamente innamorato. Eva ha sbagliato, ma si è pentita. Sbagliare è umano, e tu devi perdonarla. Promettimi che la chiamerai-

Bianca stese la mano sul tavolino fino a sfiorare quella di Sergio. Lui sorrise confuso, negli occhi Bianca leggeva gratitudine e volontà.

-          Grazie, Bianca. Non so perché stai facendo tutto questo per me-

-          Perché sei mio amico, e in questa storia ci siamo finiti insieme-

-          Avrei voluto che ci conoscessimo in modo diverso, in un momento diverso,- gli occhi di Sergio scrutavano il panorama, implacabili, - avrei voluto conoscerti quando ero me stesso. O quando ritornerò ad esserlo, non so-

-          Adesso sei te stesso-

Bianca sorrideva contenta.

-          E adesso puoi ritornare a vivere- aggiunse, scuotendolo.

Sergio sorrise commosso, tese la mano verso Bianca.

-          Allora ricominciamo da adesso, ti va?-

Bianca annuì, contenta e confusa.

-          Piacere, Sergio -

-          Piacere, Bianca-

 

 

 

Fine.

 

Eccoci giunti alla fine di questo racconto, ringrazio le dodici persone che l'hanno aggiunta tra le seguite e le invito nuovamente a commentare. Un ringraziamento speciale va a Beatrix con le sue preziose recensioni ricche di consigli. Vi ringrazio per al'ttenzione e spero la storia sia stata di vostro gradimento, vi invito a seguirmi dunque in "Bosikom Lyubov'- Il beneficio del buio" - "L'impero dei Fiori" e "Tutte le bugie di Lena".

Grazie e a presto

Lara

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