Trentotto scalini

di aki_penn
(/viewuser.php?uid=39511)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La dittatura delle portinaie ***
Capitolo 3: *** In vino veritas ***
Capitolo 4: *** L'immancabile festa d'estate ***
Capitolo 5: *** Il nome banale che hanno le stelle ***
Capitolo 6: *** Trentotto scalini ***
Capitolo 7: *** L'idiozia del vischio ***
Capitolo 8: *** Principi d'incendio ***
Capitolo 9: *** Il maestro dilettante ***
Capitolo 10: *** Pettegolezzi, popcorn e telefilm di quart'ordine ***
Capitolo 11: *** Una parentesi di una mezz'ora ***
Capitolo 12: *** La diatriba della lavanda ***
Capitolo 13: *** La strategia del lenzuolo ***
Capitolo 14: *** Il rapimento di Wilma Ventola ***
Capitolo 15: *** Il Re della bistecca incontra gli autogrill ***
Capitolo 16: *** E' lo spirito, che conta ***
Capitolo 17: *** La dialettica dei film di karate ***
Capitolo 18: *** Gender Bender ***
Capitolo 19: *** Il maschio Alpha ***
Capitolo 20: *** Le Olimpiadi del Chupa Cabras ***
Capitolo 21: *** Attraverso il vetro ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


All’inizio questa doveva essere una one-shot per partecipare al concorso estivo, ma come si può dedurre mi sono lasciata prendere un po’ la mano…spero di poterci fare qualche cosa di carino ^.^

Nonostante in questo prologo ci siano solo i personaggi più attempati , i protagonisti dal prossimo capitolo in poi dovrebbero essere Maka e co. ^.^

Spero che questa introduzione possa divertire e grazie mille per essere passati di qua!

 

Trentotto scalini

Prologo

 

A settembre il caldo torrido, che tanto aveva imperversato nei mesi estivi, se ne era ormai quasi completamente andato, lasciando il posto a una temperatura abbastanza piacevole. Quale momento migliore, quindi, per organizzare un’assemblea condominiale?

Sul verbale, il signor Sid, aveva segnato la totalità dei presenti, compreso il signor J.B. che  abitava dall’altra parte della città, ma che superata la naturale diffidenza per i condomini di un posto chiamato Chupa Cabras aveva iniziato a prenderli tutti in simpatia, tanto da essere sempre in mezzo ai piedi. C’era anche il giardiniere, convocato perché si diceva in giro che la cura del verde nell’ultimo periodo languiva. Blair sosteneva di aver visto una tigre azzurra nell’erba alta. In realtà si trattava solo di Black*Star che cercava di mimetizzarsi con scarso successo.

“E quindi anche quest’anno il primo premio per la maratona condominiale va a Spirit Albarn!” proferì con entusiasmo l’amministratore di condominio.

“Sono sempre il migliore quando c’è da correre dietro al sedere di una bella donna!” esclamò  l’interessato mostrando il pollice.

Medusa Gordon, che in quell’occasione era stata messa, suo malgrado, a reggere lo striscione d’arrivo insieme al signor Sid, sospirò capendo che il sedere di cui si discuteva era il suo.

“Bene, dato che tutti punti importanti dell’assemblea sono stati discussi, se non ci sono problemi d’altro genere io andrei a chiudere la serata al bar qua di fronte” esclamò gioviale il signor Shinigami ignorando il suo assistente, Sid, che gli faceva notare che c’era da discutere della messa a norma dell’impianto elettrico, l’ascensore rotto da sei mesi e del tetto fatiscente.

E l’assemblea stava per dirsi conclusa, quando una mano di donna si alzò dal mucchio di teste chiedendo la parola.

“Sì?” fece l’amministratore cantilenante. Arisa, una delle due portinaie, si schiarì la voce per poi alzare in aria un oggetto scuro “Ho trovato questa vicino alla portineria” disse. L’attenzione di tutti i presenti andò all’oggetto incriminato, che ad un’attenta analisi si dimostrò essere una telecamera.

“E di chi è?” sbottò Spirit.

“Ne ho trovata una anche nel mio bagno” proferì Blair allegra, come se il fatto che qualcuno la spiasse durante le sue abluzioni fosse una cosa spassosa.

“Io ne ho trovata una in un nido d’uccelli sull’albero che c’è di fronte al nostro appartamento!” aggiunse infastidito il signor Nakatsukasa.

“Ci stanno spiando!” esclamò preoccupata Marie.

Ci volle un altro po’ di tempo, urli, imprecazioni e schiamazzi perché si facesse silenzio al grido “Cretini!” corredato da parecchi colpi di bastone dati a caso sulle teste degli astanti.

“Sopra c’è scritto Arachnophobia” aggiunse il professor Excalibur, docente di storia del dodicesimo secolo all’università locale. L’omino dalla discutibile anatomia fu quindi zittito rifilandogli tra capo e collo Justin Law, ex seminarista, che nonostante non lo ascoltasse continuava ad annuire assorto dando l’impressione di essere un grande ascoltatore. 

Sistemato il problema Excalibur tutti si voltarono a guardare Arachne che se ne stava in disparte fingendo di non aver fatto nulla di male e continuava a farsi vento con un ventaglio piuttosto vistoso.

Arachne!” disse qualcuno “Ci stavi spiando!”

La colpevole rimase composta sulla sua sedia traballante a guardare il resto del condominio che la guardava inferocito.

La donna, dopo un attimo di silenzio, sbuffò “E va bene. E’ da un secolo che non lavoro, e durante tutta questa estate ho raccolto un sacco di materiale interessante per fare l’analisi sociologica della vita di un condominio tipo” spiegò stizzita per poi aggiungere a bassa voce “Con questo documentario ci farò dei soldi. Oppure potrei farci un reality…”

“E cosa avresti filmato scusa?” chiese l’amministratore più curioso che arrabbiato.

Arachne, che in fin dei conti non si aspettava quella domanda, lo guardò presa per un attimo alla sprovvista, per poi rabbuiarsi.

“Un sacco di cose” disse truce prima di iniziare a snocciolare “Nudisti nel giardino, mutande nel frigo, furti di ventilatori, tea caldo, birra calda, saliva, sudore, uso improprio delle grondaie, uso improprio delle cantine, una piantagione di marijuana, pesca abusiva nella fontana condominiale, patetici filtre d’amore mal riusciti, movimenti sospetti sugli alberi, danneggiamento di opere d’arte, giraffe con gli occhi di cristallo, campeggio abusivo, pessima cura del verde, cartoline, grappa e frottole. Un mare di frottole!” concluse vagamente disgustata.

Ci fu di nuovo qualche secondo di silenzio durante i quali a nessuno venne in mente di denunciarla per violazione della privacy, finché Spirit non lo ruppe chiedendo “Un attimo, chi è che mette le mutande nel frigo?”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La dittatura delle portinaie ***


Aggiornamento veloce, questo solo perché l’avevo scritto prima di scrivere il prologo… sono notoriamente un tipo lento nell’aggiornare, non odiatemi vi prego!

Spero possa piacervi, e grazie mille a tutti quelli che hanno letto il prologo!! J

 

 

Trentotto scalini

Capitolo Primo

La dittatura delle portinaie

 

Maka scendeva le scale ogni giorno verso le undici e mezza per andare a recuperare la posta nella buchetta. Il condominio dove abitava dava lavoro a due portinaie, ma nonostante questo le lettere venivano sempre messe nell’apposita casella e non consegnata porta a porta. Infondo era una routine che non le spiaceva, anche perché durante le vacanze estive non aveva molto da fare.

Certo, Maka Albern non era tipo da lasciarsi andare all’ozio, infatti aveva finito tutti i compiti delle vacanze la prima settimana dopo la fine della scuola, e il resto del tempo l’aveva impiegato a tenere in ordine la casa di cui suo padre non si occupava che raramente e a leggere libri di varia origine. Saggi di architettura, ricette di cucina, letteratura russa. Aveva provato anche a imparare una nuova lingua come autodidatta, ma quella si era dimostrata davvero un’impresa oltre la sua portata. Il giapponese era un idioma piuttosto complesso.

Sta di fatto che un’occupazione inutile come quella di andare a recuperare la posta, soprattutto bollette e multe per eccesso di velocità, le diversificava la giornata.

Più passava il tempo più faceva caldo. Aveva ormai preso l’abitudine di uscire a piedi nudi per le scale con quello che aveva addosso, che di solito era un pigiama estivo, la tipica tenuta di chi vive rinchiuso in casa propria.

Quel giorno si fermò a metà strada incrociando un paio d’occhi cremisi che la guardavano da qualche gradino più in basso.

“Per te” esclamò Soul allungandole un pezzo di cartoncino colorato, tenendolo tra l’indice e il medio.

Maka afferrò la cartolina con uno strattone.

“Non dovresti mettere le mani nella mia posta!” sbottò. Soul alzò le spalle “Ti ho risparmiato la fatica di usare le chiavi”ribatté in tono piatto.

Soul Eater viveva al quinto piano ed aveva l’aria di chi non si fa sconvolgere da nulla.

Maka gli sventolò le chiavi in questione davanti alla faccia come per dire chissà che fatica. Soul fece finta di nulla e s’infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini da basket per poi chiedere “Allora, da dove ti scrive questa volta?”

Maka studiò la cartolina che aveva in mano che fino ad allora non aveva osservato perché troppo impegnata nel battibecco con l’albino in tenuta da pallacanestro.

“Maldive” rispose lei con un sorriso per poi girare la foto verso il suo interlocutore perché anche lui potesse vedere la spiaggia candida che vi era raffigurata.

“Cos’è… vuole farci invidia la tua vecchia?” domandò subito prima di prendersi un pugno, deciso anche se non particolarmente potente, in pieno petto.

“Attento a come parli!” esclamò lei indispettita.

“Beh, qui non abbiamo mica il mare delle Maldive!” ribatté lui convinto “Piuttosto, ci vieni domani?” chiese piegando la testa da una parte. Maka notò solo in quel momento quanto fosse sudato. Nell’androne era caldo, ma fuori doveva essere molto peggio, lo stato di Soul lo confermava.

“Ehm…” tentennò. In realtà non ci aveva ancora pensato per davvero. Aveva poca voglia di vedere suo padre fare il marpione con Lisa e Arisa, le due portinaie.

Il ragazzo alzò le spalle e salì un gradino avvicinandosi di più a lei “L’amministratore ha prenotato un pulmino, il suo assistente, quel tizio un po’ cadaverico si porta anche la fidanzata e poi Tsubaki vuole anche portarsi dietro il suo ragazzo. Ci saranno anche i vecchi, ma almeno andremo in spiaggia” spiegò. Soul era evidentemente una comare che amava travestirsi da ragazzino musone, ma Maka non ci aveva fatto caso, era stata una cosa in particolare ad attirare la sua attenzione “Hai detto il ragazzo di Tsubaki?” chiese avvicinando il viso a quello di Soul con fare inquisitorio. Lui sorrise beffardo “Tu non hai ancora avuto il piacere di conoscerlo, deduco…” ghignò.

“No” ammise lei raddrizzando di nuovo la schiena per darsi un tono “ma Tsubaki me ne ha parlato molto. Sono un po’ preoccupata per lei in realtà. Pare che sia un teppista che si è fatto sbattere fuori dalla palestra del signor Mifune. Quello che abita al sesto piano e regala a tutti le caramelle

“Sì, lo so chi è” sbuffò Soul indispettito, non era necessario che gli si descrivessero le abitudini di tutti i condomini ogni cinque minuti, li conosceva senza bisogno d’aiuto.

Maka stava giusto per chiedere se per caso questo Black*Star, per il quale Tsubaki si era presa una cotta, non fosse un acchiappa minorenni o qualche cosa del genere, quando dal piano di sopra, sporgendosi per la tromba delle scale brandendo una scopa, spuntò Arisa.

“Bella giornata eh, ragazzi?” esclamò contenta.

Entrambi alzarono la testa allarmati a guardarla. Farsi beccare da soli per le scale a parlare da una delle due portinaie era decisamente di cattivo auspicio. Non solo entro un’ora tutto il palazzo sarebbe stato a conoscenza delle loro chiacchiere, ma l’avvenimento sarebbe stato arricchito da particolari improbabili scaturiti dalla fantasiosa mente della narratrice. Fu così che decretarono fosse meglio filarsela il prima possibile.

“Ti eserciti col piano oggi pomeriggio Soul?” chiese Arisa mentre il ragazzo saliva l’ultima rampa di scale che l’avrebbe portato al piano dove abitava. Maka rimase ferma con la chiave nella toppa due piani più sotto aspettando la risposta. Da lì non poteva né essere vista, né vedere cosa succedeva poco più in alto, ma poteva sentire i loro discorsi.

“Sì, se il signor Albarn non si mette a battere la scopa sul soffitto come al solito” fu la risposta.

Maka ridacchiò prima di aprire definitivamente la porta del suo appartamento. Sapeva che quel commento finale era indirizzato a lei. Sapeva che lo stava ascoltando. Era carino, ma allo stesso imbarazzante, essere così prevedibile.

 

Tsubaki appoggiò i gomiti sulle ginocchia, e il viso sulle mani messe a conca, determinata ad aspettare.

Maka aveva deciso di venire al mare, lei era convinta che alla fine non ci sarebbe venuta e si sarebbe chiusa in casa a leggere qualche cosa d’impegnato, ma quel pomeriggio, quando era scesa al terzo piano per fare due chiacchiere, l’aveva trovata a lambiccare tra i secchielli e le palette che usava quando era piccola e andava al mare con i suoi genitori.

“Mi ricordano un po’ la mamma” aveva detto prima di rimettersi a cercare gli asciugamani da spiaggia.

“Vieni anche tu?” aveva poi chiesto contenta. L’amica aveva annuito “Sì, sono stufa di marcire in casa, è umido qui” aveva sbottato un po’ brusca. Tsubaki era sicura di non averla mai vista così, ma probabilmente quello era uno dei suoi giorni no.

Per qualche istante temette che fosse una sorta di risposta seccata nei suoi confronti perché nell’ultimo periodo si faceva vedere poco da quelle parti. Stava sempre con Black*Star e la lasciava spesso da sola. Si coprì la faccia con le mani. Era un’amica degenere davvero, tra le altre cose non glielo aveva ancora presentato e Maka pensava che fosse un poco di buono. Certo, era un ragazzo un po’ particolare ecco, ma di sicuro non era una cattiva persona.

“Stai bene?” chiede Maka interrompendo il flusso caotico dei suoi pensieri.

Tsubaki annuì presa alla sprovvista “Sì, sì, certo è tutto a posto!” rispose raddrizzando la schiena, mentre l’altra metteva un piede su una sedia per arrivare agli scaffali più alti dell’armadio. Non pareva affatto che se le prendesse con lei per la sua solitudine. Tsubaki gliene fu grata.

La seguì con lo sguardo mentre stendeva tutti i costumi da bagno che possedeva sul letto, in modo da poter scegliere il migliore.

“Secondo te è meglio mettere il costume intero o quello a due pezzi? Se metto il bikini con le frappe magari non si nota che ho poco seno” disse mogia.

L’amica sbatté qualche volta le palpebre, non troppo sicura di aver capito del tutto quello che Maka le stava dicendo. Se c’era qualcuno che non badava troppo all’aspetto fisico quella era di certo la sua migliore amica, eppure in quel momento si stava davvero preoccupando del suo seno.

Tsubaki si allacciò, non vista, un bottone della camicetta che aveva indosso, che teneva un po’ aperta per via del caldo. Se era colpa sua se Maka aveva dei complessi, allora avrebbe fatto del suo meglio per non farle venire strani pensieri.

Ma la ragazza sembrava proprio convinta di quello che diceva e non pareva degnarla di uno sguardo, probabilmente non erano le virtù di Tsubaki a farla vacillare. Ci pensò un po’ su appoggiando di nuovo il viso sulla mano a conca per poi dire sovrappensiero “E’ per Soul?”

“No” fu la risposta un po’ strascicata che lasciava intuire esattamente il contrario. Tsubaki sospirò, alla fin fine anche Maka era una ragazzina come le altre.

“Be, lui ha detto che ci sarà anche Black*Star… tu non sei un po’ imbarazzata all’idea che ti veda in costume da bagno?” chiese a voce bassa come per non far pensare che lei lo fosse invece per via della presenza del minore degli Evans. Tsubaki alzò le spalle, avrebbe voluto dire che in realtà girare con Black*Star era un’esperienza talmente imbarazzante che al costume non ci si pensava neanche lontanamente, così finì per alzare le spalle incurante.

Maka ci mise solo un secondo a piombarle davanti, saltando sul letto con un balzo felino che fece spaventare a morte Tsubaki, la quale si trovò il naso dell’amica a meno di un centimetro dal proprio.

“C’è qualche cosa che è successo e che non mi hai raccontato?” domandò con un volto scuro che avrebbe costretto chiunque ad ammettere qualsiasi misfatto, anche non commesso.

Tsubaki deglutì “Ehm… no… è che siamo andati in piscina” spiegò temendo di poter commettere qualche altro passo falso “Non è successo nulla d’altro. Lo giuro”

Maka si allontano contenta della risposta “Ah, bene. Questo tipo lo devo proprio conoscere, perché fino ad adesso le premesse non sono un granché” fece scendendo dal letto con un altro balzo.

“Il fatto che si sia fatto sbattere fuori dalla palestra del signor Mifune mi preoccupa un po’” spiegò.

Tsubaki alzò le spalle “E’ un tipo un po’ esuberante,ecco…” cercò di scusarlo.

“Sarà…comunque se l’hai scelto tu non deve di certo essere una cattiva persona” aveva aggiunto con un sorriso.

Le adesioni alla gita condominiale erano state stilate, il costume era stato scelto, il Chupa Cabras era pronto per partire per la spiaggia!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** In vino veritas ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Secondo

In vino veritas

 

Il mattino seguente Arisa era troppo occupata a scegliere la grappa da portare in spiaggia, per accorgersi che di fronte alla portineria due affaticati Arachne e Giriko, una in spalla all’altro, stavano sfacciatamente montando una telecamera per il documentario da vendere all’Arachnophobia TV. Non se ne accorse nemmeno Blair che usciva, vestita succinta con la scusa del caldo, per andare a fare jogging. Fu così che i due, sbuffando e imprecando, montarono l’ennesima telecamera, filmando indisturbati la partenza dell’intero Chupa Cabras per i bianchi lidi.

Quella stessa mattina, qualche piano più in alto, Death the Kid aveva puntato la sveglia alle cinque, diversamente dalla sua abitudine che gli imponeva di svegliarsi alle otto in punto, tutto questo per portare al quarto piano una cassettiera con cui bloccare la porta del professor Excalibur.

Kid era un tipo tranquillo, un po’ fissato con l’ordine, ma comunque di buon carattere. Ma se c’era qualcuno che proprio non poteva soffrire, quello era il signor Excalibur. Il docente era rimasto così chiuso in casa per tre giorni, e lo sarebbe rimasto per sempre se i signori Evans, che stavano al quinto piano, non si fossero stufati dei suoi schiamazzi e non avessero telefonato al signor Sid che, aiutato da Justin Law e Spirit Albarn aveva rimosso il mobile.

C’era da chiedersi come fosse possibile che Kid da solo avesse potuto portare la cassettiera dal terzo piano, dove alloggiava, fino al quarto, dove invece abitava il suo acerrimo nemico.

Probabilmente la paura di trovarselo in spiaggia e di vederlo distruggere i castelli di sabbia perfettamente simmetrici, che aveva intenzione di costruire, a suon di bastonate, era stata più forte dell’incapacità fisica.

Cassettiere, grappe e telecamere a parte alle nove in punto, Maka Albarn, era in piedi davanti a un pulmino giallo con sopra scritto a caratteri cubitali Shibusen Scuolabus.  Fu in quell’occasione che ebbe il piacere di conoscere B.J..

Per risparmiare sul pullman il signor Shinigami aveva interpellato l’autista dello scuolabus. Inizialmente l’uomo non era molto sicuro di voler lavorare per un posto chiamato Chupa Cabras. Insomma era normale sospettare di un condominio che portava il nome di un animale mitologico che succhia il sangue alle capre, ma poi si era detto che un lavoretto estivo non avrebbe certo fatto male, e poi il signor Sid l’aveva corrotto con sei taniche di caffè, che quella mattina occupavano buona parte del portabagagli.

Justin Law, appena era apparso lo scuolabus, si era industriato perché l’impianto stereo fosse adatto all’occasione mettendo così in allarme il già piuttosto sospettoso B.J. che non permetteva a nessuno di mettere le mani sul suo cucciolo a ruote.

Così, con l’autista impegnato in altro, Maka si era trovata sconsolata con un vestitino a fiori, un cappello di paglia in testa e una borsa da mare infinitamente pesante nel bel mezzo del cortile.

Sospirò ed estrasse da una tasca della borsa l’elenco delle cose da portarsi dietro per essere sicura di aver preso tutto.

“L’ombrellone, il telo, gli occhiali da sole, il cappello” se lo tastò per sicurezza “le infradito, il sudoku, gli occhialini, la stuoia…” fece una smorfia, le sembrava di essersi scordata qualche cosa, ma non ebbe tempo di pensarci oltre perché Tsubaki entrò di prepotenza nel suo campo visivo trasportando quello che poteva sembrare un trolley, ma che in seguito a un attento esame sarebbe risultato essere privo di  ruotine. Insomma, si trattava di una borsa frigo troppo pesante per essere trasportata in spalla.

Per un secondo Maka temette che dentro ci fosse nascosto Black*Star, ma per fortuna Tsubaki si affrettò a dire gioviale “Ho preparato il pranzo per tutti!”

“Oh, e Black*Star? Lo aspettiamo qui?” chiese poi. L’amica si fece seria “No, ci raggiunge in spiaggia” fu la risposta, poi aggiunse cospiratoria “Non dirlo ai miei” e si avviò in direzione dell’autista “Signor B.J. dovrei mettere questa nel portabagagli!”

Maka la seguì con lo sguardo finché una voce non la fece sobbalzare di nuovo “Allora sei già pronta. Sei sempre in anticipo. Qui ce ne vorrà ancora per un po’” ghignò Soul strafottente col suo solito sorriso sbilenco.

 Per dar prova della sua tesi indicò con un cenno del capo B.J. che urlava a Justin di tenere lontani quegli spinotti infernali dal suo bambino e Kid, dietro, che strillava all’autista che le borse non erano messe per bene.

Maka però finì per fissare gli occhi su Soul, invece che su quello che le era stato indicato. Era spettinato come al solito e aveva messo un’altra canottiera da basket, simile a quella che aveva il giorno prima.

“I tuoi non vengono?” chiese lei. Soul fece una smorfia tra l’amaro e lo strafottente “Ma figurati. Saliamo?” chiese mettendo un piede sul primo gradino dello scuolabus. Maka lo seguì togliendosi il cappello mentre Blair, appena arrivata, chiedeva se per caso non sarebbero potuti andare in una spiaggia di nudisti, perché il costume faceva caldo.

Maka notò, con un filo di fastidio, che Soul la stava guardando con la coda dell’occhio. Si lasciò cadere stancamente su uno dei sedili iniziando a pentirsi di aver deciso di venire. Soul si sedette davanti senza più guardarla.

Fu più o meno in quel momento che si presentò Kim, seguita da un ansimante Hero che trasportava una carriola piena di angurie.

“Allora signor Shinigami, chi è che lo paga questo conto, eh?” fece la ragazzina rivolta all’amministratore.

“Ma non ce l’hai portato un gingerino?” chiese a quel punto il signor Shinigami con il suo solito tono cantilenante. Kim fece una smorfia “Ci sarà un sovrapprezzo per il doppio viaggio” avvisò lei mandando Hero, morente, di nuovo al bar a prendere ciò che era stato ordinato.

Ci volle ancora un po’ prima che tutti riuscissero a prendere posto. Blair era stata convinta a tenersi addosso il costume, il signor Albarn si sfregava le mani al pensiero di poter vedere finalmente dei bikini, Arisa aveva iniziato a distribuire bicchieri di grappa, Elka Frog, la ragazza alla pari che vive dai Gordon, era stata ricoperta di borse perché per colpa delle taniche di caffè nel bagagliaio non ci stava più nulla, Justin Law era stato isolato con le cuffie nelle orecchie, Arachne se ne stava in un angolo indossando occhiali scuri con aria cospiratoria, Crona stava seduto sulle angurie, il professor Stein fumava in barba al divieto e i signori Nakatsukasa erano gli unici a mantenere un certo decoro. 

Tralasciando il fatto che appena usciti dal cancello si era dovuti tornare indietro perché Arisa si era scordata la borsa e che durante il tragitto ci si era dovuti fermare cinque volte perché Crona doveva fare la pipì, il viaggio andò tutto sommato secondo i piani.

 

La spiaggia era bella. Maka pensò che probabilmente se non ci fosse stata tutta quella gente chiassosa sarebbe stata ancora più bella. Tsubaki aveva aiutato i suoi a piantare l’ombrellone nella sabbia e poi se ne era andata via da sola dicendo di voler fare una passeggiata.

Maka però sapeva che stava andando a incontrare il fantomatico Black*Star. Si domandò se per caso l’avrebbe mai incontrato, ormai era un uomo del mistero. Ne aveva sentito parlare così tanto che era come se lo conoscesse da sempre, ma allo stesso tempo era convinta che anche conoscendolo non l’avrebbe mai capito. Si morse la lingua un po’ scocciata, non è che fosse arrabbiata con Tsubaki perché si era trovata un ragazzo, ma si sentiva un po’ sola. Patty si era messa di buona lena a costruire una giraffa di sabbia gigante, se non fosse stato per la monotematicità l’avrebbe considerata un’artista vera e propria, era incredibile come riuscisse a costruire giraffe in ogni situazione, anche in quelle più estreme. Kid, con la stessa determinazione, stava invece costruendo una chiesa gotica di sabbia incredibilmente simmetrica, Liz invece, arresa a quegli infantilismi si era messa sulla sua sdraio a leggere giornaletti scandalistici come suo solito e Soul, del canto suo, se ne stava sdraiato apatico all’ombra di uno degli otto ombrelloni portati da Kid.

Maka sospirò, nessuna di quelle attività la interessava, la giornata al mare che doveva essere diversa dalle altre che aveva passato quell’estate si stava dimostrando la più noiosa di tutte.

Soul, qualche metro più in là, non visto dall’amica, stava sbirciando le tette di Blair. Sospirò e rivolse lo sguardo a Maka, che gli dava la schiena e il suo sguardo scivolò a notare l’etichetta degli slip che usciva dal costume.

Una volta l’aveva vista nuda. Non l’aveva fatto apposta. Era quel periodo in cui si metteva in giardino fingendo di leggere fumetti e invece stava lì appostato in attesa che Blair passasse nuda davanti alla finestra, cosa che succedeva abbastanza spesso. Poi però una volta invece di Blair, che si aggirava felina e svestita per casa, si era ritrovato a fissare Maka sgusciare fuori da un vestito scozzese decisa ad andare a farsi il bagno.

Maka aveva il corpo di una bambina, non c’era nessuna attrattiva in lei, petto piatto e sedere piatto, una noia infinita. Però quella sera non aveva potuto fare a meno di ripensarci e da allora aveva smesso di appostarsi in giardino per spiare chicchessia, per paura di intravedere di nuovo Maka intenta a farsi la doccia.

Inutile dire che la cosa gli veniva in mente più spesso di quanto lui avrebbe desiderato, come in quel momento ad esempio, mentre il suo sguardo scivolava sulla spina dorsale e le fossette di venere dell’amica. Era estremamente deprimente emozionarsi per una così, cos’era Maka infondo? Uno stuzzicadenti con la parrucca.

Si alzò vagamente scocciato, era meglio andare a parlarle invece di continuare a pensare certe cose, fu così che in un attimo era in piedi affianco a una Maka che si stringeva le ginocchia al petto. Alzò la testa per guardarlo con aria stupita, stringendo gli occhi infastidita dal sole.

“Andiamo anche noi a fare un giro? Lo vuoi conoscere anche tu questo Black*Star, non è vero?” fece allungando la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei non l’afferrò e si mise in piedi senza sforzo pulendosi poi dalla sabbia con le mani.

“Sì, andiamo” disse avviandosi dove aveva visto sparire Tsubaki tempo prima. Soul alzò le spalle e la seguì.

Non erano spariti da molto che Arisa si sistemò sul telo da bagno del signor Albarn stappando l’ennesima grappa. Fino ad allora non aveva bevuto un solo goccio d’alcol, perciò le speranze che riponeva nel detto In vino Veritas erano più che palesi, non che per spettegolare avesse bisogno di grandi verità, dato che la maggior parte se li inventava, ma comunque un po’ di sana informazione non faceva male.

“Signor Albarn, prenda un goccio!” esclamò gioviale servendogliene un bicchiere stracolmo che l’uomo si affrettò a tracannare con ingordigia.

“Che bella l’estate, eh?” buttò lì come per caso “La stagione dell’amore” continuò allegra attirando così l’attenzione del suo interlocutore più di quanto non avesse fatto col bicchiere alcolico che gli aveva offerto.

“E si sa… i ragazzini in estate…” aggiunse vaga. Gli occhi appannati del signor Albarn setacciarono la spiaggia alla ricerca della figlia, che pareva sparita nel nulla.

“Sa, ieri ho visto Maka in compagnia del minore degli Evans…sa, mi pare che ci sia un certo feeling tra quei due” decretò sgomitando giuliva nelle costole del signor Albarn, che aveva tutta l’aria di chi deve vomitare. Era incredibile come due innocenti chiacchiere sulle scale potessero essere tramutate in una lap dance in orizzontale sul corrimano, se il narratore aveva voglia di spargere qualche pettegolezzo. E Arisa ne aveva sempre voglia.

“Ah, se quello non ha già concluso con Maka lo farà a breve, non pensa anche lei signor Spirit?” esclamò allegra per poi aggiungere “…e poi non sa cosa combina la figlia dei Nakatsukasa…” ma Spirit non sentì mai la fine della frase perché si era messo a correre urlando come un matto alla ricerca della figlia “Giù le mani dalla mia bambina, maledetto pervertito canuto! Makina, torna dal papà!!”

 

Fortunatamente in mezzo alla pineta, dove camminava lenta Tsubaki, gli urli del signor Albarn non erano udibili. In compenso però Black*Star non stava zitto un attimo.

Tsubaki amava il silenzio, ma quel genere di confusione allegra non le detestava, anzi. Da un po’ di tempo a quella parte non poteva farne a meno. Le mancava quando non c’era. Si sentiva oppressa stando in casa coi genitori, e non sentiva nemmeno più tanto la mancanza di Masamune che era partito per la leva.

Black*Star era come nessun altro che avesse conosciuto fino ad allora. Non era cupo come Soul, fissato come Kid, rigido come Ox, taciturno come Harvard e non era nemmeno come Masamune.

Lui si comportava come gli andava. Era libero.

“…e non mi ha fatto male per niente, mica come aveva detto Soul!” stava dicendo Black*Star proprio in quel momento, mentre le camminava accanto tenendole la mano.

“Dicono che i tatuaggi fanno più male se hai la pelle scura” proferì Tsubaki tranquilla, sporgendosi un poco per vedere la stella nera che si delineava sulla spalla del ragazzo al di sotto di uno strato di nylon da cucina e scotch.

“Piuttosto, non credo sia saggio venire in spiaggia con un tatuaggio fatto da poche ore Black*Star, al sole si sbiadiscono…” aggiunse.

“Ma figurati, se il MIO tatuaggio sbiadisce! Sta sera vado anche a caccia di cinghiali!” esclamò come per dire che non c’era nulla che poteva fermarlo, ma comunque senza un vero senso logico. Tsubaki fece una smorfia.

“Uccidere gli animali non è una cosa carina…” disse mesta abbassando la testa, ma continuando a tenere stretta la mano del ragazzo. Black*Star la precedette di qualche passo, anche lui senza allentare la presa, così che si ritrovarono uno davanti all’altra con le braccia tese per tenersi per mano.

“Tu la mangi la carne?” era una domanda retorica, lui non faceva molto caso alle persone che gli stavano intorno, era troppo concentrato su sé stesso, ma si ricordava perfettamente di averla vista mentre mangiava degli spiedini. Se lo ricordava perché aveva pensato che fosse carina anche mentre si dannava per non sporcarsi con grasso che colava dalla salsiccia.

Tsubaki annuì incerta. “E’ sbagliato” decretò lui “Se non ti prendi la responsabilità di farlo personalmente è molto peggio. Alla fine se mangi gli animali è come se li uccidessi tu, ma è da vigliacchi perché non hai il coraggio di farlo personalmente e lasci l’incombenza ad altri” spiegò serio. Tsubaki deglutì a disagio. La stava sgridando? No, però si sentiva comunque in imbarazzo.

L’ombra scura dipinta sul volto di Black*Star sparì subito quando si accorse che in riva al mare stavano sedute due figure.

“Ah, ma quello è Soul!” sbraitò allegro “Con una ragazza. Dici che ha rimorchiato?” esclamò euforico prima di lanciarsi incontro ai nuovi venuti che gli davano la schiena e non davano segno di averli notati.

“No, quella è Maka e…non andare al sole! La sabbia, il tatuaggio! Ti si infetta, è una ferita…Black*Star!”chiamò sconsolata mentre lui correva incontro all’amico senza più ascoltarla.

Maka in quel preciso momento stava seduta sulla battigia, coi piedi a mollo nell’acqua che andava e veniva. Soul era nella stessa posizione e il vento gli scompigliava i capelli. Se ne stavano zitti. Maka era indispettita, stare in costume da bagno la metteva un po’ a disagio. Non era da lei, ma di fronte a Blair, Tsubaki, Liz e Patty non poteva fare altro che sentirsi un po’ sminuita. Era assorta nei suoi pensieri quando un tornado azzurro planò su Soul trascinandolo in acqua a forza. Maka sobbalzò e non ebbe il tempo di capire che stava succedendo, fu inondata di schizzi d’acqua salata e si coprì il viso perché non le andassero negli occhi.

“Black*Star, fai piano!!” strillò Tsubaki giungendo affianco all’amica col fiatone, la velocità di corsa di quel ragazzo era davvero incredibile.

Maka alzò la testa per guardarla. Aveva un’espressione un po’ perplessa e Tsubaki finì per arrossire.

“Oh, lui è Black*Star” disse infine scuotendosi un po’ a disagio.

Anche impegnandosi, Maka, non sarebbe riuscita a dare un giudizio su quell’apparizione, dato che lui e Soul stavano combattendo in acqua come due trichechi nella stagione degli amori, schizzando ovunque.

“Oh, bene” fu il commento un po’ sbalordito. Tsubaki fece un sorrisetto un po’ tirato per poi sedersi a sua volta sulla sabbia.

Rimasero per un po’ a guardarli mentre si malmenavano. Non era vera rivalità, ma i ragazzi di una certa età si sentono più fighi a prendersi a ceffoni ogni tanto, perciò nessuna delle due era particolarmente preoccupata, anche se entrambe si trattenevano a stento dal dire quello che pensavano riguardo a una simile abitudine. E non erano commenti carini. Per nulla.

“Si è fatto un tatuaggio…” disse a un certo punto Tsubaki accorgendosi che il silenzio era durato fin troppo.

“Oh…sì?” rispose l’amica che allo stesso modo non sapeva cosa dire “Ha fatto male?”

“lui dice di no… credo che non gli faccia male nulla…” fece un’altra risatina un po’ impacciata. Con la sua migliore amica era tutto a posto, era solo preoccupata di sapere quale sarebbe stata la sua opinione sul suo ragazzo. Era davvero preoccupata.

Maka, allo stesso tempo, era in apprensione per lei, chi cavolo era quel tipo?

Non ci volle molto perché potesse vederlo da vicino, infatti Black*Star rispuntò dalla spuma come una venere un po’ mascolina.

“E tu chi sei?” chiese avvicinando il viso a quello di Maka, la quale si fece indietro allarmata.

“Sono Maka, la migliore amica di Tsubaki” rispose truce senza abbassare lo sguardo. Black*Star s’accigliò.

“Sì, forse il grande me ha sentito parlare di te…” disse con un sufficienza che indispettì parecchio la sua interlocutrice.

“Allora Makkia, vieni a fare il bagno” propose voltandosi verso Soul che stava raggiungendo stancamente la riva.

“Mi chiamo M-A-K-A!” scandì irritata. Black*Star alzò le spalle mentre le guance della sua ragazza s’imporporavano. Non stava andando bene. Non stava andando bene per nulla, Maka si stava arrabbiando e questo era proprio quello che non doveva accadere.

“Ah, è uguale, l’importante è che tu ricordi il mio! Vai a fare il bagno!” ribatté lanciandola letteralmente in mare, addosso a Soul che finì nuovamente sott’acqua.

Maka riemerse dal mare con l’espressione di chi avrebbe affrontato un caimano a mani nude e magari avrebbe anche potuto ridurlo a una borsetta di pelle di coccodrillo.

Black*Star non fece neanche in tempo a rendersene conto che fu colpito da una sonora sberla “Razza di cafone!” sbraitò tutta bagnata. Per qualche secondo la vittima del ceffone rimase assorta nei suoi pensieri. Per un attimo pensò davvero di restituirle il colpo con gli interessi, con la storia che le donne non si possono toccare neanche con un fiore quelle se ne approfittavano e dispensavano ceffoni a destra e a manca.

Ma prima che Black*Star si decidesse a rispondere allo screzio in ugual maniera intervenne Soul che afferrò Maka per un polso dicendo “E’ meglio se torniamo all’altra spiaggia. Il vecchio porco impazzirà a saperti sola con me”. E in effetti in quel momento il signor Albarn stava vomitando sopra gli scogli, un po’ per la disperazione un po’ per il troppo alcol.

“Ci vediamo” salutò poi il ragazzo mentre Maka lo distanziava sfoggiando l’andatura marziale che le veniva spontanea quando era arrabbiata.

Black*Star grugnì e incrociò le braccia guardando i due che si allontanavano, Maka indispettita che camminava avanti muovendo il sedere più del solito per la fretta e Soul più indietro che la seguiva a passo stanco con le mani in tasca. Fu in quel momento che fu colpito da un poderoso colpo sulla nuca.

Alzò lentamente la testa per guardare la ragazza che stava al suo fianco. “Ho esagerato?” domandò. Tsubaki annuì grave prima di lasciarsi cadere di nuovo per terra sulla sabbia.

“Speravo che vi sareste piaciuti…” sospirò. Non fece in tempo a dire altro perché sentì la mano bagnata e insabbiata di Black*Star appoggiarsi di prepotenza sul suo collo per poi schiacciare le labbra sulle sue.

Non era delicato, non era romantico, non era accorto, ma non riusciva a rimanere arrabbiata con lui, qualsiasi  cosa facesse.

Del canto suo Maka tenne il broncio per il resto della giornata, finché Spirit non smise di vomitare e tutti salirono di nuovo sul pullman. Fu allora che ebbe l’illuminazione, vedendo il viso di Soul di un fucsia acceso.

“Ho dimenticato la crema” annunciò.

 

 

Ecco il secondo capitolo *.* Spero che vi possa piacere. Non so perché ma mi sono venuti tutti un po’ taciturni qui. Spero comunque che il capitolo non vi abbia annoiato troppo…finalmente appare Black*Star, lo stavo aspettando. E’ venuto un po’ lunghetto, ma se siete arrivati fino a qui vi ringrazio davvero.

Ho riletto tutto ma data l’ora potrebbe essermi sfuggito qualche cosa, se notate degli orrori grammaticali fatemelo sapere!! Grazie mille ancora!! <3

A presto

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'immancabile festa d'estate ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Terzo

L’immancabile festa d’estate

 

Blair era un ingegnere aeronautico.

Sul serio.

Non ci credeva mai nessuno quando lei lo diceva, ma era la pura verità.

Si era laureata col massimo dei voti e assolutamente senza fare certi tipi di favori ai professori. O magari li aveva fatti ma per puro divertimento personale, questo non era dato saperlo nemmeno a Lisa e Arisa seppur si ostinassero ad allungare lo orecchie tutte le volte che la loro preda cominciava a parlare della sua passata vita universitaria.

Non ci aveva messo poi molto a trovarsi un lavoro, ma ben presto la società per la quale lavorava era fallita, a seguito di scandali, processi e vari riciclaggi di soldi, o almeno questo era ciò che era riuscita a capire Lisa origliando le conversazioni dei signori Evans, entrambi facenti parte della stessa società.

Il signor Evans all’epoca era dirigente, ma col crollo si era trovato senza soldi e con un lavoretto da umile impiegato recuperato per caso all’ufficio postale cittadino, perciò l’unico appartamento che era riuscito ad affittare era quello al quinto piano di un condominio dal nome stupido e dall’intonaco scrostato.

Gli Evans erano al Chupa Cabras da tre o quattro anni, e quando si erano trasferiti gli occhi erano tutti su di loro. Non si erano mai adattati a quella vita e non si erano ancora arresi, il signor Evans contava di riuscire a tornare a vivere, prima o poi, nella propria lussuosa residenza in campagna, che in quel momento era in possesso della banca, invece a Soul tutto sommato non dispiaceva quella nuova abitazione, e probabilmente se glielo avessero chiesto avrebbe preferito il Chupa Cabras a qualsiasi villa con piscina. Per via del silenzio. In quel posto non ce n’era mai. Che fosse il signor Albarn che sbatteva la scopa sul soffitto, Lisa e Arisa ubriache o il professor Excalibur che distribuiva epiteti poco lusinghieri agli astanti, si era sempre certi di non essere soli.

A Blair era andata diversamente però, dopo aver perso il lavoro non era più riuscita a pagare l’affitto nell’appartamento che occupava al condominio e il signor Shinigami, per bontà sua, le aveva proposto di condividere l’appartamento con suo figlio Kid in cambio di qualche aiuto domestico.

La ragazza si era presto dimostrata decisamente inadatta al compito, Kid aveva avuto una crisi di nervi e l’aveva sbattuta fuori di casa vedendo il disordine che regnava nel suo ormai non più armonico e simmetrico appartamento.

Il signor Albarn l’aveva trovata in mutande con tutti i suoi vestiti alla rinfusa lanciati qua e là nel bel mezzo del pianerottolo del terzo piano e l’aveva accolta in casa sua.

Maka era più che mai perplessa, per quanto da quando la mamma se ne era andata, suo padre si desse alla pazza gioia con altre donne continuando a dire imperterrito e poco credibilmente di amare ancora la sua ex moglie, la ragazza non si era certo aspettata di trovarsi una donna discinta girare per casa con tanta sfacciataggine.

Aveva finito per telefonare a sua madre, che all’epoca si trovava a Nizza, e raccontarle la vicenda. La mamma le aveva domandato se per caso questa Blair, ingegnere discinto, le desse noia, Maka ci aveva pensato ed era giunta alla conclusione che Blair non le dava fastidio, per niente, anzi forse le stava quasi simpatica. La signora Albarn, dalla Francia, aveva alzato le spalle e aveva detto che se a Maka andava bene, andava bene anche per lei e nessuno ne aveva più parlato. Così Blair viveva a casa solo in veste di donna delle pulizie, anche se in realtà di tenere in ordine la casa se ne occupava sempre Maka, dato che Blair ne era assolutamente incapace.

Comunque sia, in quel momento la ragazza le stava porgendo un piatto dall’aspetto delizioso.

L’aveva cucinato Maka, ma era carino da parte di Blair portare i piatti in tavola, dato che mangiava e dormiva a scrocco in casa loro.

“Davvero buono” commentò Tsubaki che era venuta a cena da loro. Sospirò guardando la bistecca che stava accanto al purè che aveva appena assaggiato.

Continuava a pensare a quello che gli aveva detto Black*Star qualche giorno prima. Non è che pensasse che fosse stupido, anzi le piaceva molto, ma era abbastanza certa che fosse un po’ uno sciocchino per certi versi. Di sicuro non aveva mai pensato si sarebbe fatta mettere nel sacco da un discorso del genere sull’immoralità di mangiare carne.

Stava fissando il lampadario con aria sofferente da un po’ quando Maka le chiese se andava tutto bene.

Tsubaki sobbalzò, doveva smetterla di imbambolarsi mentre pensava agli affari suoi.

“Oh, sì… è tutto a posto…però…” sentì una stretta allo stomaco, era piuttosto maleducato andare a casa d’altri e lamentarsi per la cena, ma proprio non se la sentiva di mangiare quella bistecca “non mi va molto la carne, ecco…” si decise a dire un po’ imbarazzata. Maka alzò le spalle “Non preoccuparti, la mangia papà, dimmelo se c’è qualche cosa che non ti va di mangiare non lo cucino più!” disse l’amica tranquillamente. Tsubaki si rese conto di essere davvero fortunata ad aveva un’amica così disponibile.

“Maka è molto gentile, a me non piacciono le verdure e lei non me le fa mangiare” esclamò allegra Blair.

“Il fatto che finga di non vederti quando le butti nel bidone non significa che non te le cucini, e poi dovresti mangiarle perché fanno bene alla salute. Se fosse per te mangeresti solo sardine” commentò Maka che proprio non capiva questo entusiasmo spropositato per il pesce.

“Sei sicura di non voler venire alla festa d’estate?” chiese poi Tsubaki mentre Blair sparecchiava e Spirit si metteva a leggere il giornale sulla sedia a dondolo dandosi arie da padre di famiglia.

“Sì” rispose distrattamente Maka sistemando il cuscino sulla sedia. “Devo finire di leggere il giallo che ho comprato sta mattina, certe volte i romanzi sono migliori della vita reale” aggiunse citando inconsciamente qualcuno di cui Tsubaki non ricordava il nome.

“Se fossi sola ti accompagnerei, ma tanto ci vai per incontrare di nascosto quello…” continuò con una evidentissima nota di disapprovazione.

Tsubaki fece un sorrisino un po’ tirato “Non dovresti prenderla così, sono sicura che non vi siate capiti”

Maka la guardò sottecchi e l’amica sentì un brivido, quello era lo sguardo che riservava a Soul quando stava per riempirlo di botte. Non si conoscevano da tanti anni, ma se si parlava di legnate, calci e sberle erano ormai intimi. Tsubaki era abbastanza convinta che la sua interlocutrice non sarebbe ricorsa alle percosse nei suoi confronti ma quello sguardo era comunque un po’ inquietante.

“Non mi piace neanche un po’. Mi fido sempre della tua opinione, ma lui proprio non mi convince. E tra l’altro credo che non convinca nemmeno te, perché lo nascondi anche ai tuoi genitori!” ribatté Maka imperterrita. Tsubaki sospirò, un po’ aveva ragione, ma per quanto si insistesse era impossibile dissuaderla dal pensare che Black*Star fosse una persona piacevole.

“E’ perché non corre buon sangue tra lui e il signor Mifune. I miei – e anche io –  lo considerano una brava persona non voglio che si facciano fuorviare da questa storia. Black*Star è un ragazzo  carino” sentenziò decise e poi aggiunse arrossendo come un peperone “E a me piace molto”.

Maka sospirò.

“Allora sei proprio sicura di non voler venire? Rimarrete solo tu e Soul al Chupa Cabras sta sera” aggiunse poi Tsubaki. Forse ci sarebbe rimasti anche Elka Frog e il professor Excalibur, ma non aveva importanza in quel momento.

La ragazza sbuffò prima di dire irritata“Lo so, quell’idiota si è ustionato così tanto che gli è venuta la febbre e rantola a letto. Dovrebbe imparare a badare a sé stesso, se ha la pelle delicata non può scordarsi di mettere la crema!”

Tsubaki alzò gli occhi al cielo, nominare Soul era stata solo una pessima mossa, proprio non riusciva a capire che razza di rapporto ci fosse tra quei due.

“Allora rimani a casa?”

“Sì” rispose lei per la terza volta “Voglio riuscire a capire chi è l’assassino prima che lo faccia l’investigatore” spiegò indicando di nuovo il giallo che stava leggendo.

L’amica sospirò “Come vuoi” concluse vinta dalla decisione dell’amica. Sarebbe andata alla festa d’estate con i suoi e poi con la scusa di andare a passare la serata allo stand di Kim con Kid, Liz e Patty avrebbe incontrato Black*Star.

Arrossì, detta così sembrava proprio una cosa losca.

 

 

 

 

“Voi uomini siete tutti uguali” sentenziò Medusa divertita accavallando le gambe e mostrando un lembo di coscia al quale Stein non fece caso.

“Perché dici questo?” domandò lui strafottente. Le loro conversazioni erano sempre e comunque un punzecchiarsi, tanto che Crona, seduto sul sedile posteriore dell’auto del signor Stein, non li ascoltava nemmeno più.

“La prima volta che sono salita in auto con Spirit, prima che arrivasse Blair s’intende, è partito sgasando e facendo lo sbruffone, con tanto di curve con freno a mano. Proprio come te. Noi donne non siamo particolarmente colpite da questo vostro modo sportivo di guidare, abbiamo solo paura di schiantarci da qualche parte per la vostra incompetenza” lo pizzicò già divertita da quella che poteva essere la sua reazione nel sentirsi paragonato al signor Albarn.

“Io non guido così per farmi bello davanti a te, già mi da fastidio averti in automobile, secondo me porti anche sfortuna. Per quanto riguarda il freno a mano, in quel caso era assolutamente indispensabile!” ribatté lui con voce tranquilla.

“Certo, certo…” rispose Medusa muovendo impaziente il piedino e mostrando un’inaudita tranquillità nonostante gli scossoni e le curve a gomito imboccate a velocità folle. Crona stava per vomitare. Pensò che la prossima volta che sua madre avesse proposto di andare alla festa di paese approfittando del passaggio di qualcuno avrebbe finto un malore per rimanere a casa in santa pace.

“Elka dov’è?” chiese poi Stein quando ebbero finito di disquisire a proposito di automobili e guide spericolate.

“Oh…Elka, è rimasta a casa a impostare gli esami dell’anno prossimo per i miei studenti” spiegò con un sorriso spietato.

L’uomo alzò le sopracciglia accendendosi una sigaretta. “Con che mano stai guidando?” domandò Medusa vedendo che aveva lasciato il volante.

“Non lo vuoi sapere” fu la semplice risposta, subito prima di riafferrarlo. Per poco non finirono nel fosso, ma entrambi ignorarono il grido di terrore proveniente dal sedile posteriore.

“In teoria dovresti farli tu, no? e poi l’anno accademico non è ancora iniziato.” Ricominciò Stein. Medusa alzò le spalle “E’ una ragazza così volenterosa e ha insistito così tanto per farli al posto mio che non ho potuto negarglielo” mentì palesemente lei con un sorriso.

“Come sei magnanima” commentò l’uomo fintamente ammirato.

“Vuoi vedere che so guidare anche senza occhiali?” chiese in tono di sfida.

“Non vedo l’ora” stette al gioco lei. Crona del canto suo stava per morire di crepacuore.

 

 

 

 

 

Ecco il terzo capitolo! Doveva essere molto più lungo e dovevo parlare di tante cose, ma avevo paura che qualcuno si addormentasse sulla tastiera nel tentativo di leggerlo, perciò l’ho diviso in tre parti. In questa in definitiva non succede praticamente un tubo, ma ho avuto modo di spiegare un po’ il background dei personaggi.

Poi inaspettatamente ho finito per infilarci anche un siparietto di Stein e Medusa. Questi due mi piacciono molto ma non ero sicura di sapere come utilizzarli in questa fic, quindi il fatto che si siano ritagliati autonomamente un posticino in questo capitolo mi rende felice (sì, me lo dico da sola).

Spero di non avervi annoiato con tutte queste parole che non arrivano a nulla e grazie davvero per aver letto fino alla fine!

A presto

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il nome banale che hanno le stelle ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Quarto

Il nome banale che hanno le stelle

 

Tsubaki aveva fatto solo cinque passi dopo essere scesa dall’automobile dei suoi genitori, ma la consapevolezza che le sue nuove infradito con le perline le avrebbero fatto venire delle vesciche infernali nei piedi.

Vari metri dopo la consapevolezza si era tramutata in una terribile realtà. Strinse i denti e proseguì maledicendosi per non essersi portata dietro dei cerotti.

Aveva liquidato i suoi genitori dicendo che avrebbe passato la serata con Kid, Liz e Patty, cosa non del tutto sbagliata tra l’altro. Per di più loro avevano deciso di partecipare alla festa di paese con la ferma intenzione di passare tutto il tempo allo stand dei Ford, i quali si erano autoproclamati Re della bistecca.

Non aveva dubbi su dove poteva essere il trio che stava cercando, Liz glielo aveva detto quel pomeriggio, ma anche se non ne fosse stata preventivamente informata non avrebbe avuto problemi ad intuirlo. Alle feste di paese Kid insisteva per andare sempre nello stesso posto.

“Non ha importanza se non colpisci il centro, Kid. Non morirà nessuno, non potresti accontentarti del terzo cerchio?” stava dicendo infatti Liz in tono esasperato mentre Patty rideva a crepapelle. Tsubaki si avvicinò a passo svelto nonostante il male ai piedi e salutò allegramente il gruppo mentre Azusa si sistemava gli occhiali da dietro al banco. Liz le fece un rapido cenno con la mano.

“Assolutamente no! La mia camera è disposta in modo assolutamente simmetrico. Perché credi che abbia due comodini? Con uno solo di quei pupazzi la mia stanza perderebbe tutta la sua armonia…devo assolutamente vincerne uno uguale” rispose Kid con un tono che non ammetteva repliche. Liz alzò gli occhi al cielo tenendo stretto al petto l’orrido pupazzo che il suo coinquilino aveva appena vinto.

“Potresti tenerlo dentro l’armadio, così non si vedrebbe” suggerì vagamente esasperata.

“Ma io saprei che è lì!” sbottò Kid in preda alla disperazione. Liz sbuffò cominciando davvero a perdere la pazienza. “Beh, dato che io e Patty non facciamo discriminazioni con i pupazzi spaiati potremmo tenerlo nella nostra stanza” suggerì infine.

“Non ci voglio nemmeno pensare alla vostra stanza…c’è un casino infernale!” piagnucolò lui disperato.

Vedendo che quello era davvero un momento pessimo, Tsubaki, decretò che fosse meglio andare. Se la sarebbero cavata molto meglio da soli, ne era certa, e poi li avrebbe rincontrati più tardi.

Fu così che silenziosamente si diresse lontano dallo stand del tiro a segno di Azusa per avanzare silente verso quello del pesce, sempre deserto, di un tipo strano che si faceva chiamare Fisher King, che si trovava nella posizione diametralmente opposta a quello dei Ford.

Lanciò un’occhiata furtiva a Fisher King, che ricambiò incuriosito lo sguardo, per poi infilarsi dietro alla sua bancarella.

Sul retro vi era uno spazio non troppo ampio, tra il telo dello stand di Fisher King e un altro che Tsubaki non sapeva a chi appartenesse. Lo spazio era solitamente usato per far passare i fili della corrente elettrica e accumularci casse vuote, ma all’occorrenza anche una persona poteva passarci comodamente.

Nella penombra non riusciva a vedere bene il suo viso, ma la chioma azzurra di Black*Star l’avrebbe riconosciuta tra mille. Gli sorrise nonostante fosse infine riuscita a vedere un’espressione scura sul volto del ragazzo. Era una cosa automatica, non poteva fare a meno di sorridere.

“Ciao Bl…” iniziò a dire velocizzando il passo nonostante il male ai piedi, ma la frase si concluse anticipatamente con il rumore umido delle loro labbra che si toccavano. Black*Star non era un tipo che ammetteva repliche, l’aveva presa con decisione e attirata a sé tenendole una mano dietro al collo e una sulle costole, di poco sotto al seno. Non avrebbe potuto sciogliersi dalla stretta, ma lei non chiedeva di meglio che stare lì accanto a lui. Non le importava quello che il signor Mifune aveva detto ai suoi genitori. Non le importava che se l’avessero scoperta si sarebbero arrabbiati, voleva solo che la stringesse come già stava facendo.

Si sentì tirare in basso e finì per piegare un po’ le ginocchia mentre lui  le spingeva, senza tante cerimonie, la lingua tra le labbra. Lei gli infilò le dita tra i capelli per poi tirarglieli come se volesse strapparglieli e rispondendo al bacio con insospettabile foga.

Black*Star non si scompose aprendo la bocca per mordicchiarle, tutt’altro che dolcemente, il labbro inferiore, subito prima che Tsubaki forzasse per lasciar scivolate di nuovo la sua lingua nella bocca dell’altro e lasciarla passare su quella del ragazzo.

Lui la strinse ancora di più, tanto che per poco la presa sul collo non le fece male, ma lei non ci fece granché caso.

Quando era arrivata nello stretto passaggio aveva pensato a tutte le cose che voleva raccontargli, ma in quel momento non le sarebbe venuto in mente nulla. L’unica cosa che sarebbe stata in grado di dirgli probabilmente sarebbe stato un ordine perentorio di non allontanarsi da lei.

Black*Star le appoggiò la mano, che prima stava a pochi centimetri dal seno, sulla schiena per spingerla ancora di più contro di sé mentre lei gli mordeva furiosamente le labbra. Una qualsiasi altra persona si sarebbe stupita di un tale entusiasmo da parte di una ragazza posata come Tsubaki, ma Black*Star aveva saputo fin dal primo momento che l’aveva vista che era una ragazza estremamente passionale.

 

Dall’altra parte della fiera, il signor Nakatsukasa sbatteva allegro il pugno sul tavolone di legno.

“Ox, anche se tuo padre è in realtà è insegnante di educazione fisica al liceo non ho mai mangiato bistecche migliori delle sue!!” esclamò l’uomo assaggiando il piatto che gli era stato appena messo davanti.

Ox fece un sorriso tutto denti piuttosto onorato, nonostante i complimenti non fossero diretti proprio a lui.

“Oh, ma il signor Ford può vantare anche un figlio davvero bravo a scuola. Pare che Ox contenda il titolo di miglior studente del liceo con la piccola Albarn” commentò Medusa Gordon da un tavolo poco distante sorseggiando del vino rosso.

“Beh, modestamente…” iniziò tronfio Ox, ma venne interrotto dalla donna che aggiunse “Dì un po’ Ox, i cervelloni attirano ancora le ragazze come facevano ai miei tempi?” ridacchiò conscia di aver deliberatamente messo il dito nella piaga.

“Io non sono più un’adolescente” aggiunse con un sorriso cristallino mentre Stein seduto accanto a lei si accendeva una sigaretta incurante di ciò che stava succedendo.

Ox s’incupì un po’ dietro i suoi improbabili occhiali con l’elastico “Beh, questo non lo saprei dire…” cercò di svicolare imbarazzato.

“Ma dai, non dire così, non c’è neanche una ragazza che ti piace?” domandò civettuola lei con l’aria di chi aveva già bevuto troppo prima di cominciare a cenare anche se, Stein lo sapeva, faceva solo finta.

“Oh, beh…” incespicò il ragazzino imbarazzato grattandosi la testa quasi pelata con una mano e sorreggendo il vassoio vuoto con l’altra.

“Kim, quella che lavora al bar di Marie Mjolnir, è molto carina…” ammise. Medusa gli sorrise affabile.

“Oh, me la ricordo, è la ragazza che alla gita in spiaggia ci ha portato tutti quei cocomeri…è molto carina…dovresti provarci con lei, sono sicura che le piaceresti” disse lei con un altro sorrisetto e Ox se ne andò tronfio verso il tavolo dove il signor Albarn, che a distanza non aveva potuto ascoltare la conversazione, che lo chiamava dicendo “Ox, purtroppo ho già cenato a casa, ma mi dicono che la vostra birra artigianale è fantastica. Sarei davvero contento di assaggiarla!”

“Signor Albarn, ma lei non deve guidare per tornare a casa?” ribatté lui e il discorso si perse tra le risatine civettuole di Blair e il professor Excalibur che diceva che la carne non era cucinata come nel dodicesimo secolo.

“Credo che tu sia una stronza” fu il commento piatto di Stein rivolto a Medusa.

“Che c’è di male a divertirsi un po’?” ridacchiò bevendo altro vino spensierata. “E poi credo che sia molto più cattivo da parte mia chiedere a Crona quando ci decidiamo a stufare i suoi coniglietti domestici” aggiunse corredando il tutto con una risatina molto meno civettuola del solito.

Stein incrociò le braccia sullo schienale della sedia che teneva al contrario in modo poco consono per un quasi ristorante “Non sei stronza in questo caso. Sei una stupida. Sprecare un coniglio stufandolo. Non so cosa dicano i grandi scienziati, ma secondo me ci sono ancora molte cose da scoprire su questi animali. Se devi stufarli vorrei prima vivisezionarli” fu il pronto, quanto sprezzante, commento.

Poco più in là un insofferente Giriko si aggirava per la fiera come un’anima in pena.

“Devo proprio tenerlo questo stupido papillon?” domandò brusco ad Arachne che camminava tranquilla al suo fianco con un’aria molto più regale.

“Certo che lo devi tenere, dentro c’è una micro telecamera. Sono sicura che a questa festa troveremo un sacco di cosse interessanti. E poi ce ne ho una anche io, nel bastoncino che tiene ferma la mia capigliatura. Sempre che tu l’abbia montato a dovere” disse alzando di poco il tono nel dire l’ultima frase.

“Certo che l’ho montato bene, cosa credi?” aveva sbottato lui piccato dall’insinuazione.

Quando, quella sera, i due andarono a riguardare i video fu chiaro che la telecamera che Arachne aveva nei capelli aveva filmato tutto il tempo il cielo scuro della sera.

 

Tsubaki era convinta che Black*Star fosse un tipo più che altro fisico. Non che non parlasse anzi, non stava mai zitto, ma nonostante non avesse chiuso la bocca neanche per un secondo nell’ultima mezz’ora lei riusciva a sentire solo la sua mano appoggiata sul fianco, il medio appoggiava sulla pelle nuda tra la canottiera e la gonna lunga che indossava.

Si erano seduti per terra e lei aveva finito per usarlo come schienale scivolando un po’ in avanti, perché se no non sarebbe riuscita a vederlo bene voltando la testa, dato che era decisamente più alta di lui.

“Quella stella si chiama come me” aveva annunciato a un certo punto lui, distogliendo l’attenzione della ragazza dal suo dito medio che appoggiava sfacciatamente sulla propria pancia.

Tsubaki alzò la testa per guardare che cosa stesse indicando il ragazzo e si accigliò “Black*Star, quella è la stella polare…” lo redarguì. Fu a quel punto il turno di lui per accigliarsi “Polare? È un nome banale. Prima o poi quella stella avrà il mio nome. Quando sarò il re del mondo” esclamò esaltato.

Tsubaki si mise un dito sulle labbra intimandogli di fare silenzio. Che senso aveva nascondersi se lui urlava come un pazzo?

“Al massimo potresti ambire a un titolo simile al re della bistecca, come il signor Ford. E poi un re del mondo non c’è mai stato. Sarebbe una dittatura tremenda! Tutto il mondo sotto il regno di una sola persona. E comunque sarebbe impossibile…” fece lei un po’ sprezzante. Black*Star sbuffò, non si sarebbe arreso così facilmente e quindi continuò “Vuoi vedere come sono bravo al gioco del martello? Dopo che mi avrai visto non dirai più che non potrei mai essere il re del mondo!!” esclamò alzandosi di scatto e afferrando Tsubaki per la vita prima che cadesse a terra sbucciandosi le ginocchia. Lei gli strinse la mano per tenersi più salda e non perdere l’equilibrio. Poi sospirò ancora con il cuore in gola per lo spavento.

“Non credo che il gioco del martello sia il modo più adatto di conquistare il mondo…” proferì infine un po’ arresa.

“E cosa ci vorrebbe? Una strategia? Tipo il Risiko? È un gioco noiosissimo. Non mi piace!” aveva risposto con grande serietà lui.

“Beh, diciamo che come idea il Risiko forse sarebbe meglio ma…” come di consueto Tsubaki non riuscì a concludere la frase perché lui l’afferrò per un polso trascinandola allo scoperto.

“Chi se ne frega. A me piace il martello!” aveva sbottato per concludere il discorso.

“Black*Star, non ci possiamo far notare, non voglio che i miei genitori ci vedano!” pregò lei con la voce più stridula del solito, tenendosi alzata di poco la gonna lunga con la mano per non inciamparci.

“Sarò silenziosissimo, lo giuro!” urlò lui trascinadosela dietro.

“Tu non sei mai silenzioso!” protestò lei in preda al panico.

 

Ci volle ancora un’ora buona prima che Tsubaki apparisse allo stand allestito da Marie, come filiale del bar da lei gestito. Al bancone stavano seduti un disperato Kid, una compassionevole Liz e una ridanciana Patty. Dietro al bancone stavano in piedi una sognante Marie, una apatica Kim, un’annoiata Jaqueline e uno stanchissimo Hero.

“Oh, finalmente ci si rivede” la salutò Liz con un sorriso stanco mentre passava le dita tra i capelli corvini di Kid che aveva appoggiato la fronte al banco.

“Eh, sì…” fece lei con un sorriso gentile prima di accorgersi della reale disperazione di Kid. Stava per chiedere cosa fosse successo ma si accorse subito che il pupazzo che aveva visto a inizio serata non aveva trovato il suo gemello.

Kim gli riempì l’ennesimo bicchierino della serata con fare annoiato, mentre Jaqueline ripuliva il bancone da uno sporco inesistente, più per fare qualche cosa che per reale bisogno di pulizia.

Kid lo tracannò e ripiombò in un pianto disperato con la fronte appoggiata al tavolo. Liz sospirò disarmata “Su, su…non è così terribile, lo terremo noi quel pupazzo…” cercò di consolarlo accarezzandogli la testa.

Kid scosse la testa “Sono un mentecatto…un fallimento totale…spazzatura…dammene altri otto bicchieri” pianse allungando la mano verso Kim.

“Certo. Paghi con la carta di credito dello studio amministrativo di tuo padre?” domandò per nulla scossa, lei.

“Almeno ordinane uno alla volta!” strillò Liz in preda a una tale esasperazione che non poteva più essere controllata. Poi si voltò verso Tsubaki decisa a ignorarlo, che facesse quello che gli pareva.

“Sei andata da…” cominciò per poi guardarsi in giro con aria cospiratoria, anche se tutti i presenti erano al corrente della sua storia con il ragazzo che era stato sbattuto fuori dalla palestra del signor Mifune, Kid l’aveva pure conosciuto, e Liz l’aveva visto da lontano.

Tsubaki mosse un po’ il piedino nella terra e arrossì senza guardarla “Beh, sì… eravamo dietro allo stand di Fisher King…”cominciò a dire, ma Liz gli si parò davanti con un sorriso mefistofelico.

“E vi siete baciati?” chiese alzando le sopracciglia in modo eloquente del tutto dimentica dei drammi di Kid. Tsubaki fece un salto all’indietro “Liz!” strillò. “Non sono cose da chiedere!” aggiunse a voce più bassa mentre il suo viso assumeva una sfumatura color pomodoro.

“Beh, sì o no?”chiese ancora, per nulla scossa dalla reazione dell’amica. “Sì, ma non sono affari tuoi…” aggiunse strizzando gli occhi imbarazzata e non veramente arrabbiata.

“E basta?” continuò imperterrita Liz che era pettegola quasi quanto Liza e Arisa.

“Sì, per la miseria!” esclamò Tsubaki che non aveva mai desiderato tanto sprofondare in un buco.

“Non dirlo così, non ci sarebbe stato nulla di male e poi…” la rimbeccò Liz prima che Tsubaki non la fermasse mettendole una mano sulla bocca. “Liz ti prego…” invocò sull’orlo delle lacrime “parliamo d’altro…”

Liz si mise a ridere. “Scusa, è che a stare tutta la sera dietro a Kid che si dispera avevo bisogno di un po’ di pettegolezzi!”

Da dietro una voce conosciuta ordinò “Altri otto”.

“Basta Kid, stai puntando al coma etilico? E tu, Kim, non lo assecondare!” strillò Liz ritrovando tutto il suo isterismo. Tsubaki si grattò la testa, doveva essere difficile tener dietro a uno così.

Liz si voltò verso l’amica con aria abbacchiata “Non ne posso più” ammise mentre lei le dava qualche pacca paterna sulla spalla “Ognuno ha i suoi problemi. Sta sera Black*Star mi ha costretto ad assisterlo mentre giocava al gioco del martello… è stata la cosa più imbarazzante della mia vita…”

Liz annuì come chi capiva perfettamente e in quel momento l’attenzione di Tsubaki venne attirata dai sospiri sognanti di Marie che, appoggiata al bancone,  guardava le stelle e da quando lei era arrivata non si era ancora mossa.

“Che le è successo?” domandò a Kim mentre Patty, accanto a lei, faceva castelli coi bicchierini.  Kim alzò le spalle “Pare si sia innamorata. Del signor B.J., il tipo che guida lo scuolabus…l’ho sentita parlare con Azusa di un certo filtro d’amore…” spiegò la ragazza dai capelli rosa con una mano a conca sulla bocca in modo che Marie non potesse sentirla.

“Un filtro d’amore?” ripeté Tsubaki incredula. Kim annuì “A base di caffè”

 

 

 

 

Eccomi di nuovo con il quarto capitolo. Avevo promesso che avrei aggiornato prima Almost Alice, ma avevo troppa voglia di andare avanti con questa storia, quindi eccomi qui.

All’inizio, lo scorso capitolo, questo e il prossimo, dovevano essere uno unico, ma ho deciso di spezzarlo in tre parti perché sarebbe diventato decisamente infinito. Credo che così sia tutto molto più facile da leggere, quindi se non vedete Maka non preoccupatevi, non mi sono scordata di lei, sto solo cercando di andare per ordine! Il prossimo capitolo sarà quasi tutto per lei.

Anche questa volta non ho potuto resistere e ho ritagliato un po’ di posto per Stein e Medusa, credo che si prenderanno sempre più spazio. Ho cercato di renderli più IC che potevo, spero di esserci riuscita. Parlando dei conigli mi riferivo al fatto che Medusa, nel manga, costringe Crona a ucciderne uno, ho quindi deciso di regalargli due conigli domestici.

Sinceramente non mi ricordo se nel primo capitolo dove appare ho dato a Crona del lui o del lei, ma d’ora in poi, come nello scorso capitolo, vorrei provare a parlare di questo personaggio in modo neutro. Dato che Ohkubo non si sbilancia non lo voglio fare nemmeno io! è.é

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se del bacio tra Tsubaki e Black*star non sono convintissima…ù.ù, comunque sia grazie davvero per aver letto fino a qui!

A presto

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Trentotto scalini ***


 

Avevo detto che ci sarebbero stati Soul e Maka ed eccovi Soul e Maka! Però non ho potuto resistere e nell’intro ho messo anche  altri due personaggi. Sono vittima di me stessa!

 

 

Trentotto scalini

Capitolo Quinto

Trentotto scalini

 

“Triii-foglio…triiiii-foglio!” diceva infilando un trifoglio nella gabbia dei conigli e poi estraendolo per farli arrabbiare.

Il giardiniere sorrise compiaciuto vedendo il coniglietto che adirato raspava sulla gabbia in metallo “Perché ti arrabbi con me? Pensa che la Gordon vi vuole stufare!” sbuffò lanciandoglielo e alzandosi per andare a compiere il suo dovere.

Free, giardiniere per caso, si stiracchiò e si avviò nel buio del giardino. Il gabbiotto dove teneva i suoi attrezzi si trovava sul retro della casa, vicino alla serra del signor Stein. Conosceva quel giardino come le sue tasche, ma ciò non gli impediva di andare sempre a sbattere contro la fontana dei pesci rossi quando il lampione che illuminava quella zona di cortile si fulminava.  E per qualche motivo il maledetto era sempre fulminato, perciò doveva accontentarsi della luna o della luce dei lampioni della strada che a stento mettevano in risalto la gabbietta dei coniglietti Gordon.

Free però non si fece intimidire, era un giardiniere e avrebbe compiuto il suo lavoro anche a costo della vita.

“Che stai facendo a quest’ora di notte?” gridarono da una finestra senza paura di svegliare qualcuno, tanto il condominio era praticamente deserto.

Free alzò la testa, e per sua fortuna la luna illuminava abbastanza perché lui potesse vedere la figura che si affacciava da una finestra del piano rialzato.

Elka Frog, la ragazza alla pari che viveva con Medusa e Crona Gordon, lo stava guardando con aria scusa dalla sua posizione coi gomiti appoggiati al davanzale.

“Sto andando a piantare le rose. Lo sanno tutti che per farle crescere bene bisogna interrarle di notte! L’ho visto in un film” esclamò lui piccato, con l’erba incolta che gli arrivava alle ginocchia nonostante fosse un uomo gigantesco.

Elka alzò un sopracciglio “L’hai visto in un film? Probabilmente era la scusa di qualcuno che si affaccendava in giardino deciso a compiere qualche cosa di losco…” fece lei vagamente sprezzante.

“Dici?” chiese lui dubbioso. Elka fece una smorfia “Eh, sì… ma sei tu il giardiniere mi sa…”

“Già” confermò Free pensoso incrociando le braccia.

“Quindi sono venuto qui per niente?”domandò a Elka come se lei potesse saperlo. Elka alzò di nuovo le spalle con disinteresse. Era venuta in quel paese sperando di trovare un uomo e invece si trovava a farsi sfruttare da una stronza con tanto di stramba prole e a chiacchierare con un giardiniere incompetente mentre tutto il condominio dove abitava andava a fare baldoria a una stupida fiera di paese.

“Tu perché sei a casa?” domandò poi a sorpresa Free guardando in alto. Elka sbuffò per l’ennesima volta “Stavo lavorando al posto di Medusa. Adesso ho finito, ma in televisione a quest’ora ci sono solo le repliche dei documentari sugli animali della savana” spiegò abbacchiata.

Free annuì “Brutta storia i documentari. A me piacciono i lupi però” affermò senza un vero senso logico per poi aggiungere “Anzi, credo proprio che me ne procurerò uno che faccia la guardia al Chupa Cabras!”

Elka arcuò le sopracciglia sbalordita da quello che il suo interlocutore proferiva con tanta veemenza “Non vedo perché questo condominio scrostato dovrebbe avere bisogno di un cane da guardia. Nessun ladro sano di mente verrebbe a rubare in un posto simile!” commentò.

“A me comunque i lupi piacciono. Sono convinto che ci siano degli ottimi animali domestici…” continuò imperterrito. Elka alzò le spalle “Io preferisco le rane. Ma ho sempre paura che Medusa metta del veleno nel loro acquario…sono tranquilla solo quando sono in casa da sola” spiegò con un po’ di tristezza.

“Sono andati tutti via?” chiese poi lui. Elka annuì per poi illustrare“Non solo dal mio appartamento, ma da tutto il condominio. C’è stata una migrazione di massa verso la fiera di paese. Ho sentito dire da Liza e Arisa che gli unici rimasti al Chupa Cabras siamo noi, Justin Law che si sta preparando per il suo concerto di canti liturgici in versione metal, il minore degli Evans e Maka Albarn”

 

 

 

Maka Albarn, qualche piano più in alto, proprio in quel momento veniva disturbata da una zanzara che si era andata a suicidare dentro la lampada alogena, emanando una gran puzza di bruciato. In realtà la sua lettura non era stata davvero interrotta perché era da più o meno dieci minuti che fissava con stizza una sola parola: epilogo.

Era arrivata all’epilogo e non aveva la più pallida idea di chi potesse essere l’assassino. La cosa la innervosiva all’inverosimile. Diede un’occhiata bieca alla lampada alogena che mieteva vittime e chiuse il libro con stizza.

Faceva un caldo infernale, si sudava a star fermi nonostante fosse ormai sera. Alzò gli occhi e fissò il soffitto, sapeva per certo che al Chupa Cabras non era rimasto quasi nessuno, anche i signori Evans erano usciti. Li aveva visti uscire vestiti da cerimonia e salire sopra un’utilitaria scassata e senza aria condizionata. Soul le aveva raccontato che, prima di venire ad abitare lì, suo padre possedeva cinque automobili, e nessuna di queste era un’utilitaria senza aria condizionata. Maka non aveva capito se era divertito o amareggiato da quella cosa.

A quanto aveva capito non è che non gli dispiacesse la sua vecchia sistemazione, ma pareva essere, tra gli Evans, quello che si era abituato meglio alla nuova casa.

La ragazza si grattò la testa, le pareva che Wes fosse invece via di casa da qualche giorno. Soul era a casa da solo, con la febbre, chissà se aveva qualche cosa da mangiare o se non aveva voglia di inghiottire niente. Forse stava dormendo. Alzò le spalle, si disse che non le interessava e riaprì il libro dove l’aveva chiuso.

Dieci minuti dopo era in piedi sul proprio zerbino e teneva in mano un piatto stracolmo di pesche fresche di frigo.

Il Chupa Cabras aveva sei piani, più il piano terra, due rampe di scale e diciannove scalini per salire da un piano all’altro. Centoquattordici scalini in tutto, più i diciannove per arrivare al tetto dove qualche volta Liz andava a prendere il sole, centotrentatre.

Soul Eater Evans abitava al quinto piano del fabbricato, due sopra di lei. Trentotto scalini di distanza.

Maka si affacciò per la tromba delle scale e guardò in alto. Non ci si metteva nulla a salire due piani di scale.

In un attimo era davanti alla porta di casa Evans. Rimase qualche secondo a fissarla indecisa.

Magari i signori Evans erano tornati e lei non se ne era accorta, e sapeva che non la vedevano di buon occhio. Anzi, in realtà non vedevano di buon occhio nessuno.

Oppure Soul stava già dormendo, oppure non aveva voglia di vederla. Strinse i denti. Quella era un’opzione alla quale non aveva proprio pensato.

Sospirò e si disse che se Soul non avesse avuto voglia di vederla si sarebbe mangiata da sola le pesche e per combattere il caldo si sarebbe fatta un tea bollente, come le aveva spiegato la mamma, che era stata nel deserto.

Allungò il dito e toccò il nome degli Evans, scritto in corsivo e lettere oro. Sentì il campanello suonare all’interno. Non era come il suo, sembrava quasi che quel campanello gracchiasse. Si sarebbe aspettata qualche cosa di più melodioso da parte di una famiglia di musicisti.

Dapprima non sentì nulla, e rimase in dubbio se riprovare o lasciar perdere, se stava dormendo era meglio lasciarlo riposare.

Stava quasi per desistere quando sentì una voce flebile arrivare da dietro la porta accompagnata da passi pesanti “Arrivo…”

Maka si mise in allerta ad aspettare che le aprissero, ma questo non accadde, in compenso ci fu un botto, un’imprecazione e uno scalpitio sul pavimento di legno.

“Soul?” chiamò Maka preoccupata appoggiando la mano alla porta. Era caduto?

Si mise sulle ginocchia, appoggiò il piatto sullo zerbino e alzò con la mano lo sportellino che il gatto di famiglia usava per entrare in casa.

“Soul?” ripeté preoccupata a voce più alta. La risposta fu una mano che, uscendo dalla stessa porticina, le afferrò una delle codine.

“Maka” dissero stancamente dall’altra parte.

“Stai bene, sei caduto?” chiese preoccupata rimanendo carponi sullo zerbino. Soul grugnì “Quando ho la febbre il mio equilibrio deficita un po’” spiegò.

“Ti sei fatto male?” chiese ancora mentre lui lasciava andare la codina e ritirava la mano. Altro grugnito.

“Ho solo sbattuto il sedere. Ci vuole ben altro per far male a un uomo cool come me!” fece tronfio, ma con la voce piuttosto strascicata. Maka alzò gli occhi al cielo e si mise a sedere sui talloni, se aveva il fiato per chiacchierare dell’essere cool o meno voleva dire che non stava poi così male.

“Allora apri la porta”ordinò. Soul, che si era portato dietro la coperta nonostante facesse un caldo infernale, si passò stancamente la mano tra i capelli.

“Non posso, ci sono seduto davanti” spiegò strascicando le parole.

“E alzati” propose Maka con la voce più stridula di quanto avrebbe voluto. Il ragazzo dall’altra parte della porta fece una smorfia e appoggiò pesantemente la nuca all’uscio dietro di sé.

“Non ce la faccio, sono stanco” esalò.

“Aaah” ringhiò Maka finendo per mettersi nella stessa posizione dell’amico, ma dall’altra parte della porta. “Ma tu guarda!”

Soul rimase in silenzio, non perché non avesse voglia di parlare con lei, ma perché si sentiva la testa vuota, era come se i suoi pensieri, tra l’altro confusi, galleggiassero.

“Hai mangiato?” chiese poi lei abbastanza piano perché la sua voce non rimbombasse nell’androne delle scale.

Soul fece una smorfia che l’amica non vide “No. Non mi andava di andare fino al frigo. Sono stato tutta la sera a guardare il soffitto. Mi manca non avere la televisione in camera” spiegò lui con la voce un poco meno strascicata.

“Però sei venuto ad aprire la porta” ribatté Maka incrociando le braccia. Che idiota!

“Primo, non l’ho aperta, dato che tu sei ancora fuori. Secondo, la cucina è più lontana dell’ingresso” spiegò saccente alzando l’indice con fare da professorino, felice di poter rimbeccare la sua vicina di casa una volta nella vita.

“Bah” sbuffò lei “Allora diciamo che ti ho portato da mangiare!” disse in tono poco gentile spingendo però il piatto attraverso lo sportellino del gatto.

“Che è?” domandò lui con quel suo solito fare un po’ strafottente.

“Pesche” spiegò lei rigida, rimanendo appoggiata alla porta come se fosse stata uno schienale.

“Ma a me piacciono le fragole!” si lamentò Soul subito prima che la sua mano venisse infilzata da una forchetta.

“Mangia e stai zitto screanzato!” urlò lei riuscendo perfino a sovrastare il grido di dolore del povero malcapitato.

Le sue parole rimbombarono lungo le scale, ma lei non ci fece caso. “La prossima volta ti faccio morire di fame, brutto deficiente!”  borbottò ritirando l’arma impropria. Nel frattempo dall’altra parte della porta Soul infilato nella coperta si accasciava dolorante sul pavimento con la mano ferita stretta nell’altra.

Non devo piangere, non devo piangere, non devo piangere… piangere non è cool…

Maka rimase un po’ ad aspettare, in quel momento dalla porticina del gatto si vedevano solo il piedi del ragazzo, che aveva finito per sdraiarsi per terra in posizione fetale. Li studiò per poi sospirare e dire “Lo so che ti piacciono le fragole, ma non è stagione. Le pesche sono buone secondo me. Vuoi metterci anche la panna?”

Dall’altra parte giunse un mormorio sommesso e poi i piedi sparirono. Non ci volle molto perché accanto al piatto di pesche apparisse di nuovo la mano martoriata di Soul.

“Vanno bene anche queste…mi dai la forchetta però? La cucina è troppo lontana…” fece con voce piatta e Maka rendendosi conto di impugnare ancora, con una certa enfasi tra l’altro, la posata, gliela consegnò senza tante storie.

“Grazie” rispose lui semplicemente. E poi ci fu di nuovo silenzio. Maka si rimise con la schiena contro la porta ad ascoltare la forchetta battere contro al piatto.

“Sono fredde” fu il commento non troppo intelligente che arrivò dall’altra parte.

“Per forza! Stavano in frigo! In questo periodo metto tutto in frigo, anche le mutande” spiegò con semplicità.

Il ragazzo per poco non si affogò con la pesca che aveva in bocca.

“Come anche le mutande?” strillò Soul sputacchiando pesca in modo davvero poco educato. Fortunatamente nessuno poteva vederlo.

Maka alzò le spalle.

“E una cosa da film erotico…” sbottò lui vagamente indispettito.

“L’ho visto fare da Marylin Monroe” si spiegò Maka un po’ stizzita. Soul riappoggiò la schiena alla porta. Perché mai doveva sentir dire certe cose? Avrebbe continuato a mangiare le pesche e non avrebbe pensato che erano state in frigo di fianco alla biancheria intima di Maka.

Ma si poteva avere certe idee?

“L’importante è stare freschi!” continuò Maka sentendolo silenzioso.

“Sì” acconsentì lui senza ascoltarla davvero.

La ragazza si era di nuovo distratta e guardava verso l’alto. La lampadina dentro la plafoniera, che doveva illuminare quel piano, si era rotta. Fu in quel momento che sentì qualche cosa di estremamente morbido ed estremamente veloce passarle tra le gambe per poi infilansi come un fulmine nella porticina aperta di casa Evans.

“Jack the Ripper!” esclamò Soul afferrando il fulmine felino per la collottola. “Sei andato a caccia di topi e cavallette?” chiese tenendolo sospeso in aria mentre il povero gatto si dimenava come un pazzo. Lo liberò quando il povero felino, dondolandosi, riuscì a graffiargli la mano già ferita in precedenza dalla forchettata di Maka.

“Bah…gatti” commentò il ragazzo scuotendo la mano, come se potesse alleviare il dolore. “Che carattere poco amichevole…”

Maka sbuffò, mentre accavallava le gambe, tenendole comunque dritte, distese in avanti.

“Pensa se tua madre sapesse che all’inizio volevi chiamare il tuo gatto Blair…” disse con voce malinconica.  

Soul fece un sorrisetto “Oh, a mia madre non è mai piaciuta. Neanche quando lavoravano nella stessa società. Però assomiglia a un gatto vero?” domandò mentre la sua voce ritrovava un po’ del calore che all’inizio non aveva.

“Un po’” ammise Maka stancamente, arresa contro la porta, le mani appoggiate alle ginocchia.

Rimasero di nuovo in silenzio e Maka stava per alzarsi e tornare a casa sua, lasciando che Soul le riportasse il piatto alla prima occasione, ma poi lui chiese “Come mai non sei andata alla festa, tu che non hai la febbre?”

Maka sbuffò cercando una posizione più comoda, per quanto comodo potesse essere il pavimento del vano scala “Volevo finire di leggere un libro” spiegò.

“Non ha nulla a che fare col fatto che Tsubaki ci andasse per vedere Black*Star?” aggiunse malizioso lui arrotolandosi al meglio nella coperta.

Ci fu un nuovo sonoro sbuffo “Ma figurati, cosa me ne frega di quello! Me lo sono già dimenticata! Quell’imbecille!” sbottò piuttosto indispettita. Soul ridacchiò non visto dall’altra parte della porta.

“Sì, si vede che non te ne frega proprio niente” commentò divertito.

“Infatti non riesco proprio a capire cosa ci trovi in lui Tsubaki! È un cavolo di idiota!” continuò lei imperterrita non afferrando, per fortuna del suo interlocutore, il sarcasmo.

“Non capisco come una ragazza possa desiderare stare con lui!” esclamò infervorata.

“Guarda che qualche ragazza, prima di Tsubaki, l’ha avuta anche lui” ci tenne a precisare Soul, che si stava divertendo a veder Maka così arrabbiata ma che infondo non voleva che odiasse troppo Black*Star.

“Bisogna vedere che tipo di ragazza e di che taratura morale!” ribatté aspra lei voltandosi verso il legno della porta come se potesse vederci attraverso.

“Questo è vero. In effetti Tsubaki è più o meno una manna dal cielo anche per lui…” si decise ad ammettere Soul.

“Ma non devi odiarlo così tanto” aggiunse. Maka grugnì in un modo davvero poco adatto a quella che era la sua personalità educata e perfezionista.

Ci fu l’ennesimo momento di silenzio ed entrambi si adagiarono sulla porta stancamente. Non erano a disagio, c’era solo un caldo infernale che distruggeva ogni residuo di forza nei muscoli. Anche quello della lingua.

“I tuoi sono andati alla festa del paese e ti hanno lasciato solo?” chiese poi Maka giocando con le doppie punte dei suoi codini.

Dall’altra parte venne una specie di risatina “Macché! Sono andati a una festa, ma non a quella di paese. Una con della gente importante… e che ne so, non me l’hanno detto e io non l’ho chiesto. Avranno parcheggiato lontano per non far vedere con che automobile arrivavano!” ridacchiò ma non era contento davvero.

“Ti manca la tua vecchia vita?” chiese poi Maka a bruciapelo. Non glielo aveva mai domandato, ma se lo era sempre chiesto.

Soul alzò le spalle non visto “Non è che mi manchi la mia vecchia vita. Mi mancano certe cose delle mia vecchia vita. La collezione di videogiochi, la piscina, la camera singola” cominciò a elencare per poi spiegare “anche se Wes non c’è quasi mai mi scoccia dover condividere la camera con lui, poi beh, mi manca il pianoforte, ne avevo uno a coda, lucido, molto più bello di quello a parete che abbiamo adesso. Ah, e poi anche il biliardo!”

“Il biliardo?”

“Sì, mi piace giocare a biliardo. Black*Star ne ha uno. Ha venduto il letto per comprarselo, ma è imbarcato, quindi non ci si gioca molto bene…” spiegò con voce annoiata. Era proprio una gran fregatura quella del biliardo imbarcato.

“Come ha venduto il letto? E dove dorme?” strillò Maka mettendosi in ginocchio come se dovesse alzarsi per correre chissà dove.

“Sul materasso che tiene per terra. Oppure sul biliardo, per l’appunto…”

“Non voglio che Tsubaki stia con un idiota simile!” sbraitò Maka.

“Ah, ancora questa storia. Ti ho detto che non è tanto male… perché non ti fidi mai di nessuno!” sbuffò Soul esasperato.

Maka si lasciò cadere nuovamente per terra strisciando la schiena sulla porta, imbronciata.

Dalla porticina del gatto Jack si poteva intravedere la mano di Soul, Maka la coprì con la sua.

“Ti fa ancora male?”domandò piano.

“Un po’” rispose lui come se non volesse svegliare qualcuno.

Maka non si era mai addormentata seduta per terra nel vano scale con una mano infilata nella porticina del gatto. Ma c’è sempre una prima volta.

 

 

 

 

 

Prima di tutto credo di dover ringraziare tutti quelli che seguono questa storia, davvero non mi aspettavo così tanti commenti, mi hanno fatto davvero piacere!

Poi, beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Forse la serata di Soul e Maka non ve l’aspettavate così, ma io sono una a cui piace soffrire e sono della scuola del più si picchiano,  più si amano. Le abitudini sono dure a morire…ù.ù cosa volete che vi dica!

Devo ammettere che il fatto che questi due si parlino attraverso la porta del gatto non è tutta farina del mio sacco, ho visto una scena simile in Skins tempo fa e mi è piaciuta molto. In realtà la situazione era piuttosto diversa, ma comunque mi sembra doveroso dire da dove ho preso spunto.

Il gatto di Soul si chiama Jack the Ripper perché non avevo idea di chi potesse somigliare a un micio in Soul Eater, a perte Blair, e quindi ho scelto un uovo di Kishin a caso.

Spero che Elka e Free, all’inizio, non vi abbiano annoiato, loro mi piacciono molto, contavo di tirarli fuori anche in futuro…

Comunque sia grazie mille per essere arrivati fin qui! 

A presto

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'idiozia del vischio ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Sesto

L’idiozia del vischio

 

Soul era abbastanza convinto di essersi incastrato. Ed era davvero una cosa poco figa. Tra le altre cose gli sembrava che dentro a quell’antro facesse più caldo che fuori. La mano gli sudava e il legno stringeva vicino al suo polso.

Rimanere incastrato nella buchetta della posta era, in effetti, davvero poco cool. Per di più, prima o poi, Liza e Arisa si sarebbero accorte della sua presenza e sarebbe stato complicato spiegare perché la sua mano era incastrata nella casella di posta degli Albarn.

La spinse ancora un po’ giù, sperando di non incastrarsi ulteriormente, mentre malediceva la signora Albarn per aver scelto una cartolina con un formato così minuscolo. Se la immaginava, quella stronza, a decidere dentro a un negozio di souvenir di mandare quella più piccola di tutto il creato. E perché poi? Per far dispetto a lui probabilmente!

Stringendo le palpebre e i denti riuscì, finalmente, ad afferrare con la punta dell’indice e quella del medio la maledetta missiva. La estrasse quasi con rabbia per poi guardarla sbuffando.

Il polso gli si era arrossato a forza di sfregare contro il legno.

Fissò con astio l’immagine rappresentata sulla cartolina: il Taj Mahal. Maldive, India…quella donna non pareva intenzionata a fermarsi neanche per un attimo.

Fu scosso da quei pensieri dal rumore di passi lungo la scala, si voltò a guardare Maka che lo fissava con sguardo truce.

“India!” disse lui piatto. Maka gli strappò la cartolina di mano con stizza.

“Hai idea di quanto sia stato imbarazzante? Il momento più imbarazzante della mia vita!” ringhiò lei avvicinando il viso a quello del suo interlocutore.

“Senti, non è colpa mia se ti sei addormentata. Mi ero addormentato anche io!” fece lui con il suo solito e naturale modo di rispondere, piuttosto strafottente.

“Già i tuoi mi odiano, poi mi trovano addormentata per terra con una mano nello sportellino di casa loro! Cosa avranno pensato!?”

Soul alzò le spalle evidentemente disinteressato, non ci poteva fare niente, non gliene importava niente di quello che i suoi pensavano di Maka. A lui lei non dispiaceva.

La ragazza sbuffò stizzita prima di aggiungere “Comunque stai lontano da mio padre se non vuoi che ti tiri il collo come se fossi una gallina. Sta mattina è sceso a prendere il caffè in portineria e gli è stato raccontato nei dettagli come i tuoi mi abbiano ritrovato addormentata davanti a casa tua aggiungendo che c’erano stati strani schiamazzi notturni!” spiegò febbrile lei.

“Ma erano le mie urla di dolore. Mi hai infilzato con la forchetta!” esclamò lui perdendo il controllo.

“Io lo so, ma loro no. Anzi, loro non vogliono saperlo!” ribatté Maka stringendo i pugni e avvicinandosi al viso di Soul per guardarlo negli occhi con fare inquietante.

La conversazione sarebbe andata avanti per secoli se una creatura dotata di un’appariscente chioma viola non fosse saltata addosso a Soul soffocandolo.

“Soul, allora sei guarito! Io e il signor papà eravamo preoccupati per te!” strillò Blair. La ragazza probabilmente non aveva proprio capito quali erano le reali idee del signor Albarn, che più che preoccuparsi voleva vederlo morto, soprattutto dopo essere passato quella mattina a prendere il caffè in portineria.

Maka emise quello che poteva sembrare quasi un ringhio mentre Tsubaki la raggiungeva scendendo gli ultimi gradini che la separavano dall’atrio.

“Buongiorno!” salutò dolce.

“Buongiorno” rispose l’amica imbronciata. Tsubaki diede un’occhiata a Blair che stava soffocando Soul lì accanto, capendo subito il motivo di tanto malumore, si affrettò quindi a distogliere l’attenzione della sua interlocutrice da quella spiacevole visione.

“Sai che il signor Free si è comprato un cane da guardia?” domandò indicando un cartello che era appeso alla bacheca di sughero del condominio.

Attenti al cane. Lecca e sbava.

 

Maka grugnì di nuovo prima di commentare “Dovrebbero attaccarlo al collo di Soul quando passa Blair” e così dicendo  uscì a passo di marcia. Tsubaki sospirò abbattuta. Tutti i suoi buoni propositi erano andati a farsi benedire. O meglio, Maka li aveva mandati a farsi benedire.

“Ehi, chi è che sbava e lecca?” sbottò Soul subito dopo essere riuscito a liberarsi dalla presa dell’ingegnere.

Maka sbuffò sprezzante. “Sei invidiosa solo perché io ho successo con le ragazze!” esclamò lui.

“Puà! Come se fosse vero!” ribatté lei sdegnosa. In quel momento il cellulare del ragazzo squillò, lui lo estrasse con snervante lentezza dalla tasca e guardò il display per poi dire vittorioso “Parli del diavolo…” poi si voltò per rispondere “Sì, Jaqueline?”

Maka alzò le spalle smuovendo i codini furiosa e si allontanò il più veloce che poté.

Tsubaki, senza rammaricarsi oltre, la seguì in giardino dove era stato messo un tavolinetto di legno un po’ traballante dove Liz era intenta a farsi le unghie.

Sperò che un po’ di chiacchiere le avrebbero tirato su il morale.

Nel frattempo una voce maschile rispondeva dall’altra parte del telefono di Soul “Guarda che è molto triste cercare di far ingelosire Maka in questo modo”

“Stai zitto Ox, tu non ce l’hai neanche una ragazza da far ingelosire!” rispose Soul piccato tenendo la voce il più bassa possibile.

Nel frattempo le ragazze avevano raggiunto le amiche in mezzo al cortile e Maka si era accomodata affianco a Kim.

“Come va stamattina?” domandò dolce Tsubaki prima di mettersi a sedere tra Liz ed Elka.

“Non me ne parlare, Kid ha un tremendo dopo sbornia. Non vi dico i discorsi sul vomito che mi ha fatto sta notte” sbottò esasperata la ragazza mettendosi uno strato di smalto arancione fosforescente sulle unghie.

“Lo vuoi anche tu Elka?”domandò allungando il collo per guardare la ragazza che stava seduta coi piedi sul tavolo leggendo un  giornale e sgranocchiando una carota.

“No, grazie. Medusa e Stein stanno montando uno di quei letti svedesi componibili, finché c’è lui non credo che lei troverà il tempo per avvelenare le mie rane, ma non ci metteranno tanto a sistemare quell’affare. Devo stare sempre allerta” spiegò annoiata continuando a guardare il suo giornale.

Liz alzò le spalle “Come vuoi. Kim?” chiese poi rivolta alla ragazza che le stava di fronte.

“Preferisco il rosa”

“Ho anche il rosa!” fu la prontissima risposta. Un secondo dopo il tavolo era cosparso di boccette di ogni genere.

“Potresti aprire una boutique, Liz” ridacchiò Tsubaki un po’ tesa.

“Tu scherzi, ma ne avrei bisogno… ultimamente a soldi non andiamo tanto bene…e per di più Kid spende i suoi al tiro a segno” spiegò. Tsubaki annuì grave.

“Come va con lui a proposito? Vomito a parte ovviamente” domandò Kim fingendosi disinteressata quando invece era curiosissima di sapere i risvolti più torbidi di quella convivenza.

Liz sospirò “Come al solito… non ci siamo più baciati da quella volta” ammise tristemente ma le amiche non erano dello stesso umore.

L’attenzione fu tutta su di lei e la domanda fu unanime “Quale volta?!”

Tsubaki aveva gli occhi spiritati, Kim era salita sul tavolo con un ginocchio, Maka si era protesa in avanti per guardarla negli occhi col suo famoso sguardo inquisitore, Elka aveva alzato gli occhi dalla sua rivista e Patty…Patty disegnava giraffe.

Liz sobbalzò sulla sua seggiolina traballante, non si aspettava un tale entusiasmo.

“Oh, quello di Natale!” spiegò un po’ imbarazzata.

“Ah…” fu il coro molto più deluso del precedente col quale venne accolta la sua risposta. Liz alzò le spalle e guardò il cielo come per dire scusatemi.

 

 

f

 

 

Se c’era una cosa che rendeva sempre contento l’intero Chupa Cabras d’inverno era sicuramente la neve.

Meno contenti erano il signor Sid e il giardiniere che tutta quella neve erano costretti a spalarla.

L’amministratore aveva convinto Spirit a giocare a volano nel bel mezzo della tormenta, cosa che si era rivelata a dir poco impossibile, infatti avevano passato tutto il pomeriggio a perdere la pallina piumata.

Patty, neanche a dirlo, faceva giraffe di neve. “Dovresti partecipare a qualche concorso di scultura del ghiaccio” aveva detto la signorina Nygus. Peccato solo che il tema delle sue opere d’arte fosse sempre lo stesso.

Per il resto tutti i condomini erano intenti nelle loro solite attività invernali, Maka e Tsubaki sedevano sul divano a leggere, Soul si esercitava col piano, Arachne girava con addosso una pesantissima pelliccia di ermellino, Blair si ostinava a correre nuda inseguita dalla premurosa signora Nakatsukasa che le urlava di rivestirsi e Medusa e Stein stavano in portineria a sorseggiare cioccolata calda e bisticciare.

“Al prossimo esame si è iscritta un sacco di gente. Ci sono studenti di economia, di medicina, dell’accademia d’arte, tre studenti cinesi e anche il signor Sid. Un gran casino, farò correggere i loro compiti a Elka” fece Medusa ridanciana in equilibrio precario su uno sgabello.

“Ah sì? Io farò di meglio, i miei studenti li boccerò tutti!” ribatté Stein in tono di sfida.

“Ah sì?” continuò Medusa iniziando a sentire gli effetti dell’alcol che Arisa aveva fatto accidentalmente cadere nella sua cioccolata. Entrambi se ne erano accorti, ma si divertivano lo stesso.

“Allora io non solo boccerò gli iscritti al mio esame, ma anche gli iscritti all’esame del professor Excalibur!”. Per la cronaca: furono tutti promossi tranne il signor Sid che era risultato non iscritto all’università.

Il professor Excalibur, in particolare, in quel momento stava alla finestra roteando il bastone e dicendo che se fossero stati nel dodicesimo secolo Blair sarebbe stata additata come eretica e quindi bruciata. Poi aveva iniziato una dissertazione sugli usi e i costumi che nessuno si era più degnato di ascoltare.

Kid era arrivato stancamente al terzo piano, dove abitava, e aveva suonato il campanello sbattendo i piedi sporchi di neve sullo zerbino. Ci avevano messo cinque ore per sceglierne uno che gli piacesse, Liz aveva rischiato la crisi di nervi ma almeno Kid era contento.

La sua coinquilina andò ad aprire e nello stesso istante, come se una forza sovrumana li avesse chiamati, guardarono in alto.

“Vischio” commentarono in coro.

“Mi sa che dobbiamo baciarci” aggiunse Liz con aria pratica. Kid annuì serio “Per fortuna” fece lui contento ma mantenendo il suo solito aspetto tranquillo. Lei lo guardò con aria interrogativa e lui si accise a spiegare “Ho già baciato sei persone oggi. Me ne mancano due per arrivate a otto. Maka, Blair, Arisa, Liza, Kim e …” fece una smorfia “…il professor Excalibur”

“Oh, lui l’ho baciato anche io!” esclamò allegra Liz come per consolarlo. Mal comune mezzo gaudio.

“Se vuoi, i due baci che ti mancano per arrivare a otto te li do entrambi io” propose con aria gentile.

“Grazie. È carino da parte tua”

 

e

 

“Scordatelo Liz, quello non vale” sbottò Kim passandole la mano sulla faccia per toglierle dal viso l’espressione sognante e idiota che vi stava dipinta.

“Io ho baciato Soul, Stein…” iniziò a elencare Kim.

“Anche io ho baciato Stein. E Ox” ci tenne a precisare Maka dal suo angolo.

“E la fidanzata del signor Sid” concluse Kim esasperata.

“Beh, la signorina Nygus è carina” commentò Tsubaki cercando di essere discreta.

“E’ una donna” fece notare la sua interlocutrice dai capelli rosa lanciandole uno sguardo assassino che la zittì all’istante.

“Quindi Patty il prossimo Natale vacci piano con il vischio per favore!” pregò Liz guardando la sorella.

“Eskiiiusimi… non lo faccio più”

Fu più o meno in quel momento che Kid arrivò non visto e si sedette vicino a Tsubaki appoggiando un termos di caffè sul tavolo.

“Buongiorno ragazze” salutò pacifico.

“Stai meglio?” chiese Tsubaki premurosa e lui annuì. Ci fu un secondo di silenzio durante il quale si sentivano solo gli schiamazzi del signor Sid aggredito e riempito di bava dal cane da guardia.

“Facciamo una festa” esordì Kim a quel punto in modo assolutamente inaspettato. “Non succede mai niente qui. Facciamo una festa sulla spiaggia” ripeté convinta meritandosi l’attenzione di tutto il tavolo.

“Basta che non ci sia un tirassegno!” precisò Liz già esasperata alla sola idea.

“Potremmo fare un falò!” propose Maka allegra.

“Sì e sacrificarci sopra una vergine” ridacchiò Kim sarcastica coprendosi la faccia con una mano.

“Oh, allora tu Liz sei salva” commentò Kid che non capiva sempre l’umorismo volgendosi verso la sua coinquilina.

“Kid per  la miseria!” sbraitò l’interessata. Mentre Tsubaki rideva cercando di essere il più discreta possibile.

 

e

 

Soul si avvicinò lentamente alla figura stesa sugli scogli. Era strano vedere Black*Star così tranquillo, non avrebbe mai detto che fosse un tipo a cui piacesse prendere il sole come una lucertola.

A un’attenta osservazione infatti venne fuori che non stava prendendo il sole ma pescando. In realtà non stava nemmeno pescando perché russava ma accanto a lui, con l’amo lanciato in mare, stava una canna da pesca.

“Ehi, non credo tu sia il tipo, ma ti brucerai se dormi sotto il sole” gli disse scuotendogli la testa subito dopo essersi seduto a gambe incrociate accanto a lui.

Black*Star emise un grugnito, segno che si era svegliato anche se non ne aveva troppa voglia.

“Non pensavo ti piacesse pescare” aggiunse poi il ragazzo con gli occhi rossi.

“Infatti non mi piace” rispose Black*Star muovendo stancamente la lenza col dito “Ma dovrò pur mangiare”

“Potresti andarlo a comprare. Il tuo tutore ti darebbe dei soldi” rispose Soul fermo.

“Non li voglio i soldi di quello!” sbottò Black*Star infervorato e di nuovo completamente sveglio. L’amico sbuffò.

“Se non fossi…se non foste così testardi e andaste un po’ più d’accordo tu potresti smetterla di andare a caccia di animali e di lavoretti saltuari e tornare a scuola” continuò Soul imperterrito guardandolo serio.

“A scuola avevo tutti insufficienti” ammise Black*Star guardando da un’altra parte.

“Perché sei una capra. Se ti iscrivessi alla Shibusen potrei aiutarti in musica e Mak…” si fermò appena in tempo, mentre l’immagine apocalittica di Maka intenta a dare ripetizioni a Black*Star gli si dipingeva nella mente “…e poi sono sicuro che Tsubaki ti aiuterebbe in tutto il resto” concluse.

Black*Star sbuffò con aria di superiorità “Io diventerò il Re del mondo e volendo anche una divinità, cosa mi serve la vostra dannata Shibusen?” disse con enfasi.

Soul alzò gli occhi al cielo, era chiaro che quello era un binario morto, non si sarebbe arrivati a nulla.

“Kid mi ha detto appena telefonato e mi ha detto che vogliono fare una festa sulla spiaggia. Tu ci vieni?” domandò.

“Certo, io sono il RE della festa” esclamò l’amico puntando l’indice al cielo con fare teatrale.

Non avevo dubbi pensò Soul.

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi, scusatemi davvero per il tempo che ci ho messo a scrivere questo capitolo ma il fato era contro di me! So che dopo una lunga attesa vi sareste aspettati qualche cosa di migliore ma purtroppo anche se lo riscrivessi non credo che potrei fare molto meglio!

E’ un capitolo di passaggio e purtroppo deve essere così anche se questo massiccio uso del discorso diretto mi turba un po’! @.@ Spero vi possa piacere comunque. Grazie mille davvero a tutti quelli che seguono questa storia mi fate tanto felice *.*

A presto!

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Principi d'incendio ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Settimo

Principi d’incendio

 

L’attività che Liza e Arisa prediligevano, oltre a starsene in portineria a bere grappa e spiare i passanti senza accorgersi dei loschi movimenti di Arachne e Giriko, era quella di autoinvitarsi a casa di tutti i condomini all’ora dei pasti.

Colazione a casa Gordon con Medusa che cercava di capire in quale modo avrebbe potuto rigirare a suo vantaggio le incursioni di quelle due streghe senza trovarne alcuno, pranzo dagli Evans che tentavano dissuaderle dimostrandosi sempre meno cortesi ma fallendo miseramente e cena dai Nakatsukasa che si impegnavano invece stoicamente a sopportarle.

Questo pellegrinaggio di piano in piano aveva vari vantaggi per le due portinaie, prima di tutto i pasti erano gratis e secondo e non meno importante particolare, a tavola erano tutti più disposti a chiacchierare.

C’era chi lo faceva come se fosse un’arma a doppio taglio e non rispondeva alle provocazioni che riguardavano la propria sorella o pesanti allusioni su una presunta relazione sotto le lenzuola con un certo condomino con gli occhiali, come faceva Medusa, chi teneva i denti serrati per tutto il pasto rispondendo a monosillabi, come gli Evans e chi invece si sforzava di far conversazione cercando di non scivolare in chiacchiere da rivista di gossip come facevano faticosamente i Nakatsukasa. L’unico che non godeva delle visite delle due era il signor Excalibur. La parlantina del professore era eccessiva anche per loro e i gossip risalivano tutti al dodicesimo secolo.

Quella sera nello specifico stavano assaporando il famoso arrosto della signora Nakatsukasa. Tsubaki e sua madre avevano avuto una piccola discussione prima di cena.

“Se fossimo nati per mangiare erba avremmo due stomaci” aveva detto la signora Nakatsukasa, non voleva essere sarcastica, semplicemente non era troppo sicura che una dieta del genere fosse equilibrata. Alla fine, per quella sera, si era arresa e le aveva presentato nel piatto del tofu alla griglia invece che l’arrosto ma la questione non era ancora chiusa.

“…io sono convinta che tra quei due ci sia qualche cosa. Dico la signorina Gordon e il professore. Stamattina sono andati insieme a quel negozio svedese per comprare un letto e si sono messi subito a montarlo come se fossero una coppia di novelli sposini” stava dicendo Liza annuendo per dare più sostanza al suo discorso.

“E poi lei è anche una madre. Che ripercussione può avere una relazione di questo tipo sui figli?” si affrettò ad aggiungere Arisa prima che Liza riprendesse la parola dicendo “Non che sia un male che una donna si possa trovare un nuovo uomo dopo che è finita col primo marito ma…piuttosto si sa qualche cosa del primo marito di Medusa? Lei non è un tipo che si sbottoni facilmente su questo argomento…anche Arachne non dice niente. Un tipo un po’ freddo quella donna. E quel tipo con cui convive…”

“Giriko” precisò Arisa.

“Sì, lui. Fa l’elettricista se non sbaglio”continuò Liza ingollando un boccone di arrosto “Ottimo, signora!” aggiunse con un sorriso. La signora lo ricambiò con uno piuttosto tirato mentre il marito diceva, un po’ a disagio “Il signor Stein e la signorina Medusa sono grandi e vaccinati sono sicuro che sapranno fare al meglio le loro scelte e poi per quanto ne so io sono solo amici”

Tsubaki badava bene a tenere gli occhi bassi per non essere interpellata. Tempo prima aveva per caso incrociato lo sguardo di Arisa ed era stata coinvolta in un interrogatorio da fare invidia a quelli dei polizieschi che si vedono al cinema. Se all’epoca fosse già stata invaghita di Black*Star se ne sarebbero accorte di sicuro.

“E si sa qualche cosa del signor Mifune e del suo teppistello?” chiese poi Liza. Tsubaki ebbe un fremito impercettibile e strinse la forchetta tra le mani. Nessuno fece caso a lei.

Il signor Mifune non era tipo che chiacchierasse volentieri con chi aveva più di dieci anni e nonostante le due portinaie si presentassero a casa sua tutti i venerdì mattina per fare colazione non erano ancora riuscite a cavare un ragno dal buco. Quando si nominava il suo allievo questi si incupiva e si nascondeva dietro la sua tazza di latte mentre Angela diceva semplicemente che a suo padre non piaceva parlare dello spuncione azzurro.

I signori Nakatsukasa erano i più informati sull’argomento. Probabilmente Mifune li aveva reputati, non a torto, le uniche persone affidabili in quel condominio.

“Oh, come al solito. Credo che non si siano ancora riappacificati, ma Mifune non è un tipo a cui piaccia parlare dei fatti propri” aveva detto riluttante il padre di Tsubaki cercando di stroncare la conversazione.

“Credo che abbia fatto bene a mandarlo via dalla sua palestra. Si dice in giro che sia un poco di buono. Abita in una catapecchia ed è il classico tipo che circuisce le ragazzine” 

Tsubaki si morsicò la lingua. Rimase ferma con le mascelle serrate mentre sentiva il sangue caldo scivolarle tra i denti.

“Non c’è niente da fare alle ragazzine piacciono i cattivi ragazzi e lui è sicuramente il tipo giusto. Piuttosto strafottente e pieno di sé. Prima o poi metterà nei guai qualcuna. Credo che non sia il tipo che ci metta tanto a convincere una ragazza ad andare a letto con lui. I suoi genitori sono morti in carcere se non sbaglio. Se non frequenta il Chupa Cabras è sicuramente meglio” diceva Liza infervorata.

Tsubaki si rigirò lentamente la forchetta tra le mani cercando di rimanere calma. Quel discorso la faceva arrabbiare. Quello che Liza aveva detto sui genitori di Black*Star era vero ma lui non si era mai neanche sognato di nasconderglielo. Era un dato di fatto, i suoi avevano sbagliato e lui faceva quello che poteva per sopravvivere, non era un teppistello e non aveva neanche tante ragazze. Aveva solo lei. Punto.

“Oh, non credo che Black*Star sia davvero così  male. Lui e Mifune si vogliono bene ma hanno qualche problema di comunicazione” aveva detto bonario il signor Nakatsukasa.

A Tsubaki sudavano le mani e sussultò quando Arisa si rivolse a lei.

“Allora sta sera uscite voi ragazzi?” domandò ciarliera. Tsubaki annuì incerta ingoiando amaro.

“Abbiamo organizzato un falò sulla spiaggia” spiegò timidamente con un sorriso un po’ teso.

“Oh, ai falò c’è sempre una grande quantità di birra. Non vorrai mica imboscarti con qualcuno eh?” ridacchiò sorniona facendole l’occhiolino. Lei avrebbe voluto morire. O forse avrebbe voluto uccidere le due portinaie.

“Non dire così, Tsubaki è una ragazza così posata!” la zittì Liza. Tsubaki fece un sorrisetto di circostanza e alzò le spalle.

“Il falò sembra un’idea carina” commentò sua madre lanciandole uno sguardo allegro. “Potremmo andarci anche noi!”propose suo padre.

La ragazza sentì il sangue gelargli nelle vene. Non dovevano vedere Black*Star, non dovevano vederlo!

“Oh, sì. Chiediamo anche a Spirit se vuole venire!” flautò la signora Nakatsukasa entusiasta.

 

 

Tsubaki allungò il passo sulla strada sterrata per allontanarsi dalla folla di genitori che la seguiva. Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloncini corti e digitò il numero di Black*Star. Aveva preferito non memorizzarlo nella rubrica, sua madre non era il tipo da sbirciare nella memoria del suo cellulare, ma non si può mai sapere a chi poteva capitare tra le mani abitando in un condominio simile.

Il telefono suonò due volte ci fu un po’ di rumore, segno che Black*Star non aveva capito se era riuscito a far partire la conversazione, ma poi finalmente dall’altra parte si sentì una voce “Risponde il futuro Re del mondo. Chi desidera parlare con sua magnificenza?”.

Lo disse talmente forte che Tsubaki si voltò a guardare il marasma genitoriale per paura che l’avessero sentito.

“Black*Star sono io. Perché non memorizzi il mio numero in rubrica?”domandò tenendo la voce più bassa che poteva.

“Perché non so come si fa” ammise prima che la sua voce scrosciasse in una sonora risata. La ragazza fece un sospiro abbattuto. Cosa si poteva fare con un tipo così?

“Senti, i miei e tutto il Chupa Cabras hanno deciso di unirsi alla festa di sta sera. Non possono vederti devi tornare a cas…”ma non fece in tempo a finire la frase che lui aveva risposto “Non ti preoccupare mi sono già nascosto sotto gli scogli” disse prima di riattaccare senza salutare. Tsubaki rimase immobile e perplessa a fissare il cellulare tanto che i suoi genitori fecero perfino in tempo a raggiungerla.

“Tsubaki quei pantaloncini non sono troppo corti?” chiese sua madre passandole accanto e facendole scivolare una mano sulla vita.

“No, mamma, vanno bene così. Tanto adesso è caldo” aveva detto nascondendo il cellulare in tasca. I pantaloncini erano aderenti e mettersi qualche cosa in tasca richiedeva sempre un certo impegno.

“Sì, ma la sera in spiaggia si alza il vento” aveva continuato sua madre procedendo di qualche passo, sua figlia alzò le spalle.

Maka nel frattempo era già arrivata e con Ox cercava di mantenere vivo il fuoco aggiungendo legna. “Se metti solo la carta fa la fiammata e basta, non crei la brace” spiegò la ragazza a Patty che si divertiva a lanciare pezzi di carta assorbente nel falò.

“Sì, lo so. Fa woooohm cick cick cick !!” esclamò Patty euforica lanciando altra carta. Maka sospirò e si arrese a circondare il fuoco con dei sassi in modo da essere sicuri che non potesse produrre un incendio. Liz alzò gli occhi al cielo.

“Non capisco perché siano dovuti venire anche i nostri genitori, pensavo di divertirmi un po’ sta sera e invece mi tocca vedere mio padre che si ubriaca insieme alle portinaie…” brontolò tra sé e sé.

“Dai non prendertela, sono venuti anche i miei e hanno portato i marshmallow se vuoi arrostirli” disse Ox sistemandosi gli occhiali. Durante l’anno scolastico tra di loro non correva buon sangue per via della rivalità nei compiti scolastici, ma in estate Ox si dimostrava una persona accorta e piacevole anche se a volte un po’ saccente, ma dato il suo disperato amore non corrisposto per Kim non si poteva non averlo in simpatia.

Tsubaki passò accanto a loro con aria preoccupata “Vi spiace se non vi aiuto? Dovrei andare a fare una cosa” fece tesa.

Maka alzò le spalle “Vai pure. Tutto a posto?” domandò poi vedendola poco tranquilla. Tsubaki annuì trasognata avviandosi verso la linea degli scogli che si stagliavano appuntiti sul mare.

Maka si voltò a guardare Ox sapendo già cosa stava pensando. Il ragazzo con gli occhiali diede voce al pensiero di entrambi “Black*Star”. Lei annuì indignata, finché nessuno lo nominava non le dava granché fastidio, ma non poteva fare a meno di pensare che la sua migliore amica si fosse messa insieme a un buzzurro.

Poco distante dal falò Arachne stava facendo finta di sistemare il colletto della camicia a Giriko per potergli stare il più vicina possibile senza dare l’impressione di stare confabulando.

“L’idea di attaccare una telecamera ai granchi è pessima. Se la trascinerebbero in acqua e anche ammettendo di possedere delle telecamere subacquee non ce ne faremmo nulla di riprese sui pesci. Non stiamo facendo un documentario sulla flora marina. Va benissimo quella telecamera a forma di bastoncino che abbiamo piazzato là” spiegò prima che Ox afferrasse il sopracitato bastoncino per poi lanciarlo nel fuoco.

Maka tossicchiò “Ma che cos’è, sembra plastica bruciata!”

Arachne guardò la scena inorridita “E va bene, per sta sera va così a quanto pare. Almeno hai messo le telecamere sull’amplificatore del prete?”

Giriko annuì, e per una volta andò tutto liscio, a parte il fatto che a causa del volume della musica di Justin Law non si sentiva nulla di quello che i presenti dicevano.

“Dobbiamo imparare a leggere le labbra” fu il verdetto.

Tsubaki, mentre Maka e Ox si affumicavano con la plastica bruciata, camminava lenta e incerta sui massi appuntiti. Aveva fatto bene a mettersi le scarpe da ginnastica se no si sarebbe graffiata tutti i piedi.

“Black*Star?” chiamò cercando di farsi sentire ma allo stesso tempo voltandosi indietro circospetta per essere sicura di non poter essere udita dai propri genitori.

Fece un balzo all’indietro spaventata quando un grosso pesce saltò fuori dal basso con un salto incredibile per poi atterrare davanti a lei con un tonfo.

Lo guardò circospetta per poi avvicinarsi e toccarlo con l’indice indecisa. Non si muoveva, era morto stecchito, era quindi piuttosto improbabile che fosse saltato fuori dall’acqua di sua spontanea volontà. Doveva essere lontano dal suo habitat naturale già da diversi minuti ormai.

“Quella è la mia cena!” esclamò una voce gioiosa proveniente dal basso che Tsubaki riconobbe subito come quella di Black*Star. Si mise carponi e si sporse verso il mare.

Il ragazzo coi capelli blu se ne stava in piedi su una fila di scogli più bassa che emergeva dall’acqua di poco più di mezzo metro. Le sorrideva gioioso con le mani sui fianchi e una canna da pesca in mano.

“Ne vuoi un po’?” domandò. Tsubaki scosse la testa. Aveva deciso che non avrebbe mangiato mai più qualche cosa che era stato vivo, e comunque anche se non fosse stata vegetariana avrebbe di certo rifiutato la proposta di azzannare un pesce crudo e appena pescato.

“Vieni giù” disse lui porgendole la mano che lei afferrò per poi scendere con un balzo.

“Sai oggi sono stato tutto il giorno…”iniziò a dire gioviale con uno dei suoi soliti sorrisi a trentadue denti, ma Tsubaki lo afferrò per i capelli costringendolo a baciarla. Gli morsicò le labbra e fece scivolare la lingua nella sua bocca mentre le mani liberavano i capelli e le braccia gli circondavano il collo. Gli succhiò il labbro inferiore e lasciò che lui le appoggiasse le mani sui fianchi, con la stessa violenza e inaspettatezza con cui lui l’aveva accolta alla fiera di paese dietro alla bancarella del pesce di Fisher King.

Si allontanò di poco da lui per prendere fiato e lo guardò intensamente negli occhi. Lui pareva del canto suo piuttosto soddisfatto dell’accoglienza che Tsubaki gli aveva riservato nonostante lo sguardo di lei fosse incredibilmente serio. Gli diede un altro bacio sulle labbra come se fosse un timbro per poi abbandonare il suo collo e allontanarsi di un passo.

Black*Star rimase di sasso quando la vide afferrare i lembi della canottiera che indossava e tirarli verso l’alto incrociando le braccia per togliersela. I seni sobbalzarono ritrovandosi liberi dalla costrizione della canottiera aderente.

Lui non poteva far altro che guardarla con tanto d’occhi. Indossava ancora il reggiseno azzurro, l’aveva già vista in costume da bagno, era una cosa strana, ma vederla in bikini e in reggiseno finiva per sembrare una cosa diversa. Deglutì. Tsubaki era impazzita. Buon per lui!

Inginocchiata sui sassi gli lanciò uno sguardo serio che Black*Star non poté che ricambiare allo stesso modo.

“Toccami” ordinò risoluta. Non l’aveva mai vista così decisa. A Black*Star non piacevano gli ordini, ma data la natura della proposta non si sarebbe tirato indietro.

Nonostante il preambolo non fece in tempo a fare alcunché perché fu Tsubaki a lanciarglisi addosso per la seconda volta con foga. Gli succhiò il labbro superiore mentre gli si strusciava addosso.

Black*Star sentì il sangue ribollirgli nel cervello quando la vide salire a cavalcioni delle sue gambe.

Gli Infilò la mano tra i capelli con foga per tirarglieli come se avesse voluto strapparglieli. Lo voleva. Era lei che lo voleva. Non era Black*Star che amava convincere le ragazze a fare cose che non avevano intenzione fare, era lei che voleva che la toccasse e questo pensiero fisso la stava facendo impazzire. Aveva la pelle d’oca e le ginocchia appoggiate senza riguardo sugli scogli le facevano male ma sentirlo così vicino le dava i brividi.

Sussultò quando Black*Star le spinse il bacino contro il suo. Da quella posizione era difficile non accorgersi di quello che gli stava succedendo, si staccò dalla bocca di lui per respirare. Si sentiva esaltata e spaventata allo stesso tempo, lui aveva uno sguardo con cui sembrava potesse mangiarla. Si sentiva sconfitta dal pensiero di avere le sue braccia solide addosso. Cercò con lo sguardo il tatuaggio che nella penombra si vedeva a malapena. Black*Star approfittò di quell’attimo di incertezza per appoggiarle una mano dietro al collo e attirarla di nuovo a sé.

Le baciò il mento e scese sul collo lasciando dopo il suo passaggio una scia di saliva. Lei non poté far altro che chiudere gli occhi e lasciar cadere la testa all’indietro mentre i capelli raccolti nella coda di cavallo andavano a solleticare la mano di Black*Star ferma sulla parte bassa della sua schiena.

Tsubaki era morbida, dannatamente morbida, ed era l’unica cosa che il quel momento gli importasse. Con la mano sentiva la sua schiena calda, seduta su di lui era inevitabile che si fosse accorta della sua reazione a contatto col suo seno, gliel’aveva schiacciato addosso e lui non aveva potuto far altro che pensare a quanto avrebbe voluto toccarglielo fin dalla prima volta che si erano visti. Non ci poteva fare nulla, aveva avuto altre ragazze ma non ce n’era mai stata nessuna che desiderasse come in quel momento desiderava lei.

Le mordicchiò il collo per poi scendere fino al seno, avrebbe voluto toglierle anche quel maledetto reggiseno azzurro ma sapeva che non avrebbe potuto farlo, quindi si limitò a spostare la coppa di quanto riusciva per baciarglieli. Tsubaki si chinò in avanti come per chiudersi a riccio, iniziava a sentire freddo, come se il vento la stesse pungendo con tanti piccoli aghi, ma allo stesso tempo era in fiamme. Come Black*Star.

 

 

“Allora Medusa, dove hai messo il signor Stein?”chiese Arisa già vistosamente andante verso la strada dell’ubriachezza.

“Oh, perché dovrei saperlo io? Oggi mi ha aiutata a montare il letto svedese e poi è sparito. Avrà avuto altre cose da fare. La sua serra mi sembra un po’ in disordine” fece Medusa con aria fintamente imbarazzata.

“Potremmo fare il bagno nudi!” strillò Blair poco più in là iniziando a togliersi i vestiti mentre la signora Nakatsukasa la bloccava con un placcaggio degno di un giocatore di football americano dicendo che non le sembrava il caso. A Spirit invece sembrava il caso, ma non lo disse. Arachne nel frattempo sembrava essere lì in prestito, se ne stava con le ginocchia al petto e l’aria torva, non era da lei, ma la situazione non le era per nulla familiare. Un branco di ubriachi in spiaggia. Giriko del canto suo invece sembrava divertirsi dato che era già piuttosto brillo e aggrappato come l’edera a Liza. Aveva anche finito per cercare di abbordare Liz, ma questa con una scusa si era spostata vicino a Death the Kid che discuteva di cose noiose con suo padre.

In realtà le risposte del signor amministratore erano un groviglio di idiozie ma Kid le prendeva sul serio e il discorso aveva finito per diventare un mortorio.

La ragazza si alzò spolverandosi le gambe dalla sabbia, aveva portato una felpa ma coi pantaloncini corti come quelli di Tsubaki sentiva un po’ freddo.

“Torno a casa, Kid”disse passandogli una mano sulla spalla. Riporti tu Patty?” chiese accennando con la testa alla propria sorella che dormiva beatamente a bocca aperta vicino al fuoco. Kid annuì distratto gesticolando intento a discutere con suo padre di come sarebbero dovute essere divise le spese di sistemazione dell’ascensore.

La ragazza se ne andò con passo pesante e le mani nelle tasche della felpa dopo essersi messa anche il cappuccio. Era incredibile come di giorno facesse un caldo inusitato e di notte sulla spiaggia si alzasse un vento così pungente. La sabbia le era andata dentro le scarpe da ginnastica, sbatté i piedi sull’asfalto nella speranza di migliorare un poco la situazione ma i passi avanti furono miseri. Smise di battere i piedi con stizza solo quando si sentì chiamare dalla voce del proprio coinquilino.

“Liz”

La ragazza si voltò per vedere Kid che risaliva la salita sterrata che dalla spiaggia portava alla strada sventolando una borsa. “Te la sei dimenticata” spiegò col fiatone allungandogliela.

“Oh, grazie” fece lei atona prendendola in mano. Era una cosa piuttosto semplice e stupida, era già capitato che si scordasse qualche cosa e Kid la rincorresse per dargliela, abitavano insieme, erano amici, era ovvio.

Liz non avrebbe saputo dire perché ma gli avrebbe tirato volentieri un pugno. Un pugno che gli facesse chiudere quei suoi maledetti occhi gialli che la guardavano sempre in modo così carino, come se fosse finito lì per caso. Quella era l’idea che dava Death the Kid, di essere al mondo per sbaglio.

Si chinò in avanti e gli diede un bacio sulle labbra per poi allontanarsi di nuovo. Aveva fatto una cavolata, ne era sicura. Era una cavolata avere una cotta per il proprio coinquilino che pare non avere nessun interesse per te in quel senso, ma baciarlo così in un momento così pessimo era una cavolata ancora peggiore!

Kid la guardò perplesso per poi chiedere “Me ne dai altri sette?”

“NO” grugnì lei voltandosi e andandosene a passo di marcia borbottando qualche cosa che assomigliava tanto alla parola deficiente.

Come aveva pensato che baciare Kid fosse una cosa stupida, Kid era incredibilmente più idiota.

“Quanto mi fai incazzare!” strillò prima di girare l’angolo.

Kid rimase fermo e solo in mezzo alla strada, se fosse passato un autobus l’avrebbe preso in pieno senza esitazioni, e probabilmente lui non avrebbe potuto chiedere di meglio in quel momento.

 

 

“Maka, hai visto Tsubaki?” chiese a un certo punto la signora Nakatsukasa facendola sobbalzare. Lei che annoiata si stava quasi addormentando sulla spalla di Soul si ridestò allarmata a quella domanda. Sapeva dov’era Tsubaki e sapeva anche di non doverlo rivelare a sua madre per quanto non sopportasse Black*Star e pensasse che fosse il peggior ragazzo che la sua migliore amica potesse trovarsi.

Deglutì e diede un’occhiata in giro alla ricerca di una spiegazione plausibile “E’ andata a cercare la legna per il falò insieme a Kim e Ox” spiegò stropicciandosi gli occhi e sperando che quei due non rispuntassero dal nulla mandando in fumo la sua balla.

“Magari potremmo andare a cercarli” propose rivolgendosi a Soul che fissava il fuoco con aria assente.

Lui alzò le spalle apatico, si stava annoiando da morire, perché diamine erano dovuti venire anche i vecchi.

Si sentiva anestetizzato dalla birra che Kim gli aveva passato sottobanco facendogliela pagare a peso d’oro e la testa di Maka era caldissima sulla sua spalla, per non parlare della pelle nuda della coscia che poggiava sulla sua gamba. Si sentiva un maledetto idiota, ma in pensiero di non dover più stare a contatto col suo corpo lo rendeva più leggero.

“Sì, andiamo”disse alzandosi mentre la signora Nakatsukasa sorrideva benevola a entrambi.

Si allontanarono in silenzio, Maka camminava davanti a lui molto più velocemente di quanto lui avesse voglia di fare perciò alla fine fu costretto ad acchiapparla per una manica e costringerla a rallentare “Aspettami cacchio”sbottò infastidito mentre cominciavano ad avventurarsi sulla fila di massi appuntiti sulla quale era passata tempo prima Tsubaki.

“Beh, sbrigati, Kim e Ox spunteranno da un momento all’altro e non voglio mettere nei guai Tsubaki. E poi sono preoccupata per lei!” esclamò indispettita afferrandogli la mano per costringerlo a mantenere il suo stesso passo.

“E’ con Black*Star cosa vuoi che le succeda…” brontolò annoiato Soul facendosi trascinare dalla ragazza. Maka avrebbe ingaggiato una discussione con Soul se la sua attenzione non fosse stata attirata da qualche cosa che si trovava al disotto della linea di scogli dove camminavano loro.

Si sporse per vedere cosa stava succedendo e lo stesso fece Soul.

Entrambi si ritrassero immediatamente. “Stanno…” cominciò Maka con aria indispettita e incredibilmente imbarazzata. Soul scosse la testa “No, ma quasi…”

Maka deglutì “Mi scoccia che quello…” cercò di dire tenendo bassa la voce per non farsi sentire dai due sotto.

“Non mi sembra che a Tsubaki dispiaccia” la rimbeccò Soul con le labbra contratte stringendo ancora di più la mano di Maka.

Si sentiva uno schifo, la birra gli aveva dato alla testa, avrebbe voluto esserci lui al posto di Black*Star, ma con Maka. Sapeva che però non sarebbe successo nulla del genere, tornato a casa si sarebbe dovuto accontentare del sesso-fai-da-te e questo lo faceva arrabbiare da morire. Si sentiva attanagliato dal principio di un incendio.

Strinse i denti e la guardò nel buio. Lei era tremendamente arrabbiata e si vedeva. “Andiamo via” sbottò tirandoselo dietro.

 

 

Nel frattempo il professor Stein, sdraiato al buio sul letto di casa Gordon, si chiedeva come aveva potuto farsi fregare in quel modo da Medusa.

L’aveva aiutata a montare il letto comprato al supermercato svedese e quando si erano accorti che mancava una vite lui aveva detto che se ne sarebbe tornato a casa sua e lei si sarebbe dovuta arrangiare da sola perché non aveva voglia di stare ad aspettare che andasse in ferramenta. E lei cosa aveva fatto?

Anche a distanza di tempo non riusciva a capacitarsene, l’aveva legato alla tastata del letto con una di quelle fascette di plastica che si possono togliere solo tagliandole e poi era uscita lasciandolo al buio.

Come aveva fatto a essere così stupido da farsi fregare in quel modo?

A metà serata Elka Frog gli aveva lanciato degli asparagi dalla finestra, ma questo non gli tirava di certo su il morale.

 

 

 

 

 

 

 

Sono arrivata con un nuovo capitolo anche se mi vergogno un po’ perché temo faccia davvero schifo. Non so perché sia venuto fuori così, Kid sembra un idiota ma…ma…questi maledetti fanno tutto da soli…ma lo fanno male!! T.T

Spero non vi faccia troppo schifo, e spero anche che il prossimo capitolo possa essere un po’ meglio…

Per la cronaca: Medusa e Stein sono andati all’IKEA.

Dal prossimo capitolo forse cambierò il raiting da Arancione a Rosso. Non ho ancora deciso con sicurezza, devo vedere come verrà una delle scene. Comunque sia grazie mille per essere passati qui, e grazie davvero per tutto il sostegno che mi avete dato fino ad adesso, spero continuerete nonostante questo capitolo sia profondamente idiota. Mi è anche venuto un po’ lunghino…T.T

A presto!

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il maestro dilettante ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Ottavo

Il maestro dilettante

 

Non sapeva come avevano fatto, lui e Maka, a finire così vicini, abbracciati, ma di sicuro non avrebbe voluto spostarsi. Lei sembrava non avere peso e lui si sentiva la testa leggera e fluttuante, mentre Maka gli leccava il collo e il raso nero dei suoi guanti gli solleticava le guance, perché non se li toglieva quei guanti?

Era come se fosse ubriaco, ma non si ricordava di aver bevuto, non gli importava nulla di quello che gli stava attorno, non gli importava della stanza scura, delle candele storte e inquietanti e nemmeno del suo pianoforte a coda lucido, proprio il suo pianoforte quello che aveva nella sua vecchia casa.

Nulla di tutto quel buio gli importava di più di vedere Maka che si toglieva i guanti coi denti e lo guardava ridendo.

Lo baciò di nuovo e Soul morsicò famelico le sue labbra toccandole le cosce con le mani.

“Soul” esalò Maka lasciandosi cadere di lato. Lui l’acchiappò come se non pesasse nulla e le sorrise mentre lei ricambiava.

La strinse di nuovo a sé come se stessero ballando e lei riprese a baciargli il collo.

“Sveglia…Soul…” sussurrò languida.

“Eh?”

“Evans?”

“Eh?”

Maka lo guardava con aria stralunata, a differenza di poco prima gli faceva quasi paura “Sveglia Evans” ripeté con una voce da uomo che decisamente non era la sua.

Soul sbatté le palpebre e Maka continuò a guardarlo con quell’aria affamata e sadica. Continuava a tenerla stretta, ma avrebbe voluto lasciarla cadere per terra.

“Evans” ripeté lei, lui sbatté di nuovo le palpebre e si trovò accecato da una luce intensissima. Non era più nella dark room, era in un posto terribilmente luminoso. Forse era morto.

“Evans, sveglia” disse una voce maschile che riconobbe come quella del suo insegnante di piano. Appena riuscì a riaprire gli occhi il suo campo visivo fu completamente occupato dal faccione rubizzo dell’uomo, un nanerottolo che sembrava tanto venuto fuori dall’inferno.

Soul sentì una morsa allo stomaco, non aveva quasi fatto sesso con Maka Albarn, aveva quasi fatto sesso col suo professore di musica…no…

Sbatté qualche altra volta le palpebre guardando il soffitto. Non aveva quasi fatto sesso con nessuno, era a letto, nel suo letto, da solo. L’insegnante era appena arrivato e l’aveva svegliato, con sua somma irritazione.

Ci volle poco perché gli ultimi strascichi del sogno se ne andassero lasciando spazio alla consapevolezza di essere ancora più frustrato di quando era andato a letto.

Si mise a sedere con un moto di stizza guardando davanti a sé, prima di voltarsi e scendere dal letto per poi dirigersi in tutta fretta verso il bagno.

“Buongiorno!” esclamò Wes, che faceva colazione in pigiama con latte e biscotti, quando Soul passò in sala, diretto in bagno.

“Quel pigiama è da donna!” esclamò il minore degli Evans, stizzito, prima di chiudersi a chiave in bagno.

“Però è comodo, è di seta” ribatté lui tranquillo ingoiando un altro biscotto.

“Ha chiamato Ox per dire che sta bene” lo informò, mentre Soul si toglieva i boxer ed entrava in tutta fretta nella doccia.

Soul dal bagno grugnì, non capendo il senso di tale telefonata.

“Ha chiamato per dire che sta notte non è tornato a casa perché lui e Kim si erano persi nella pineta mentre cercavano la legna per il falò. Stamattina con le prime luci dell’alba sono riusciti a trovare la strada di casa. Si erano scaricate le batterie della torcia” spiegò Wes tranquillo, versandosi altro latte nella ciotola.

Soul, sotto il getto gelido della doccia, alzò le spalle “E io che pensavo che finalmente avesse concluso qualche cosa con Kim”

Wes alzò le spalle a sua volta “E invece pare di no. Ah, ha anche detto che ci sono delle belle onde in spiaggia!” aggiunse.

Soul spense l’acqua e fece spuntare la testa dalla doccia “Hai detto onde?”

“Ho detto onde” confermò il fratello.

Si asciugò in fretta e furia per poi andare alla finestra e guardare fuori. A dispetto di quello che gli era sembrato, quando si era svegliato quella mattina, il cielo era coperto e non era caldo come al solito. Guardò il giardino, dal quinto piano le persone in cortile sembravano davvero piccole, ma non ci mise comunque molto a riconoscere la figurina bionda che stendeva le lenzuola.

“Maka!” urlò sporgendosi dalla finestra ancora mezzo nudo.

La ragazza alzò la testa, ci mise un po’ prima di capire da che parte arrivava quel richiamo.

Ancora con una federa umida in mano, lo individuò.

“Oggi pomeriggio ti va di andare in spiaggia?” domandò con il solito fare pacato, solo con voce più forte per farsi sentire anche in giardino.

Maka annuì “Va bene” urlò di rimando.

“Evans, adesso ci sarebbe la tua lezione di piano. Non stare a trastullarti con le ragazzine alla finestra” gracchiò pungente l’insegnante di piano.

“Non mi sto trastullando. E non chiamarmi Evans!” sbottò Soul infastidito stringendosi meglio l’asciugamano in vita.

 

 

“Ah, è davvero un peccato dover dormire sul divano perché al mio letto svedese manca una vite. Mi è venuto un gran mal di schiena” fece Medusa con un sorriso fintissimo mettendosi a sedere al tavolo della cucina intenzionata a mangiarsi un toast al formaggio. Elka glielo servì guardandola con tanto d’occhi.

Il problema era la vite mancante? Il problema non era per caso che ci fosse un uomo chiuso in camera sua dalla sera prima? Chissà se aveva mangiato gli asparagi.

La sera prima preoccupata aveva consultato il signor Free, il quale si ostinava a fare giardinaggio al buio, con scarso successo a giudicare dal fatto che il cortile era ancora pieno di erbacce. Insieme avevano deciso che era meglio controllare che il signor Stein stesse bene, Elka era convinta che da Medusa ci si potesse aspettare di tutto. Il signor Free non l’avrebbe mai detto ad alta voce, perché era convinto di dover molto alla signora Gordon, gli aveva trovato quel lavoro da giardiniere, ma infondo era d’accordo con Elka.

Alla fine avevano deciso di lanciargli qualche cosa da mangiare dalla finestra. Elka era salita sulle spalle del giardiniere e con la coordinazione di due cheerleader statunitensi si erano arrampicati su una macchina parcheggiata sotto la camera da letto di Medusa e ci avevano spiato dentro.

Quella mattina Justin Law aveva trovato due grosse pedate sul tettuccio del suo carro funebre e non era riuscito a capire in quale circostanza qualcuno avrebbe dovuto salire in piedi sulla sua macchina, ma poi aveva alzato le spalle e se ne era andato in paese a recuperare il resto della sua band di metal evangelico.

Elka, intenta a servire i toast, le rivolse un sorriso tirato “Allora forse è il caso di andare in ferramenta a prendere una vite adatta” azzardò. Medusa sorrise magnanima “Già, dopo ci andrai!” esclamò allegra addentando il toast.

Elka si chiese da quanto tempo il dottor Stein non facesse la pipì, magari se l’era fatta addosso, non sarebbe stata una cosa per nulla dignitosa per uno come lui.

 

 

Alle tre in punto Maka era pronta sulla soglia del Chupa Cabras con il prendisole e la borsa da spiaggia a tracolla. Soul arrivò sgasando dal retro, in sella al suo motorino giallo scassato. Al manubrio aveva attaccato dei fili argentati che svolazzavano col vento, neanche fosse stata un’Harley Davidson.

“Esibizionista” fu il commento un po’ acido “Questa ciofeca smarmitta che è una cosa brutta!”

“Zitta, tu vai in giro in bicicletta” ribatté Soul piccato, andava molto fiero del suo ferro vecchio e giallo.

“Le biciclette sono molto più dignitose di questo affare inquinante, non possiamo prendere l’autobus?” chiese imperiosa.

“La smetti di fare la principessa comandona? Se prendiamo l’autobus arriviamo domattina, e lo sai pure tu!” sbottò stancamente. Maka gonfiò le guance e lo guardò con aria offesa.

“Dai, sali!” ordinò, lei eseguì lanciandogli uno sguardo offeso e appena posizionatasi nel sellino posteriore incrociò le braccia con l’intenzione di fare scena muta per tutto il viaggio.

Soul partì sgasando e uscendo dal cancello, sempre aperto, del Chupa Cabras, mentre il cane da guardia, dalla sua cuccia, abbaiava come un dannato.

“Ma a che serve poi, quel maledetto botolo?” chiese lui voltandosi indietro un poco in modo da vederla, ma allo stesso tempo riuscendo a non distrarsi troppo dalla strada.

Maka mugugnò decisa a non rispondergli per tutto il pomeriggio, Soul alzò le spalle e accelerò lungo la stradina stretta che portava al paese e poi alle spiagge.

“Ti insegno a surfare” disse dopo un po’. In realtà non era davvero un asso, ma aveva idea di come fare con le onde piccole, avrebbe potuto insegnarle a fare la tartaruga.

“Non abbiamo portato la tavola da surf” fece notare lei, mantenendo un cipiglio offeso. Una tavola non avrebbero nemmeno potuto caricarla sul cinquantino di Soul.

“E’ già in spiaggia. Una volta il tutore di Black*Star gli ha prestato l’auto e ce l’abbiamo portata, io ho solo il motorino non ce la potrei fare, anche in autobus sarebbe un’odissea” spiegò lui serio.

Maka si chiede chi potesse essere il criminale che aveva dato la patente a uno come Black*Star, non che l’avesse mai visto alla guida di qualche cosa, ma le dava molta poca fiducia.

“Black*Star ha la patente?” chiese quasi perplessa.

Soul alzò le spalle “Non ne ho idea. In realtà non so neanche se il suo tutore fosse al corrente di avergli prestato la macchina quella volta, non escludo abbia fatto tutto autonomamente.”

“Ah, non posso credere che Tsubaki stia con uno che guida senza patente e dorme sui bigliardi!” sbraitò Maka che non vedeva l’ora di tornare alla carica. Soul avrebbe voluto sbattere la testa contro il manubrio del motorino, così forte da svenire e non sentirla più parlare.

“E’ mai possibile che non ti si possa dire niente? Mi sembra che a Tsubaki piaccia, quindi smettila di angustiarti, sembri tuo padre!” esclamò esasperato.

“Non dirmi che sembro mio padre!” strillò Maka in preda a un moto d’ira sbattendo i piedi dove riusciva e tenendosi stretta il più possibile al sellino.

“Sì che lo sembri!” continuò Soul senza pietà e poi aggiunse ridendo “Ti ci vedo proprio a rincorrere Black*Star con una scopa urlando Giù le mani dalla mia Tsubaki!” la risata venne interrotta da una botta tremenda sulla testa del guidatore, il motorino ondeggiò e per poco non finirono fuori strada, addosso al guardrail sullo strapiombo.

Soul si fermò ansante tenendo un equilibrio il cinquantino con un piede mentre Maka rimaneva aggrappata al seggiolino posteriore.

“Ma sei scema?” urlò lui.

“Non mi prendere in giro!” ribatté lei gonfiando le guance e guardando da un’altra parte.

 

 

Quando misero il cavalletto al motorino e i piedi per terra, fu un sollievo per entrambi, quel viaggio era sembrato eterno anche se in realtà non erano davvero così lontani dal Chupa Cabras. Maka si passò le mani sulla gonna per lisciarla e Soul l’aspettò alternando lo sguardo da lei alla casetta fatiscente che si trovava a strapiombo sulla scogliera.

La ragazza sobbalzò quando sentì una voce conosciuta esclamare “Ehilà ragazzi, siete venuti a mangiare il mio pollo al curry?”.

Alzò la testa sbiancando alla vista di un Black*Star in grembiule da cuoco tutto macchiato di pomodoro. Nel pollo al curry non serviva il pomodoro, chissà da quanto tempo non lo lavava.

Si rese conto solo dopo qualche secondo di disgusto verso quel maledetto grembiule del problema ben più grave: perché diamine c’era anche Black*Star con loro?

“Black*Star, non siamo venuti qui per te, ma per le onde, voglio insegnare a Maka a surfare. E poi – che cacchio – sono le tre e mezza del pomeriggio, vuoi darci da mangiare del pollo al curry per merenda?” fece un po’ brusco, aveva tutta l’aria di sapere che Black*Star sarebbe apparso da un momento all’altro, ma di aver sperato fino all’ultimo che non accadesse.

“Vorreste forse perdervi il mio pollo big?” chiese  Black*Star sbraitando e arrampicandosi sulle colonne della veranda.

“Esattamente, magari dopo” rispose Soul un po’ strascicato.

Magari mai commentò tra sé Maka.

“Ah-ha! Allora ce ne sarà di più per me!” esclamò trionfante Black*Star lasciando la veranda per tornare dentro casa.

“E’ una catapecchia” sussurrò Maka all’orecchio di Soul. Per la prima volta non era preoccupata del fatto che la sua migliore amica fosse fidanzata con un tizio che abitava in una catapecchia, ma si dispiaceva davvero un po’ per quel tipo antipatico, che però era costretto ad abitare in un posto simile.

Soul alzò le spalle “Però c’è una bella vista”

Maka lo osservò piegarsi per tirare fuori da sotto la veranda quella che sembrava essere proprio una tavola da surf.

“Non è che mi aiuteresti a portarla giù?” chiese. Maka non aveva mai visto nessuno fare surf dal vivo, nei film c’erano sempre un sacco di surfisti biondi che correvano in acqua tenendo la tavola sottobraccio, ma evidentemente Soul non era capace di portarla in giro in quel modo.

Maka acconsentì con un sorrisino pensando a quanto Soul si sentisse poco cool in quel momento.

“Attenta alla pinna” le raccomandò passando avanti e prendendo l’altra estremità senza guardarla in faccia. Scesero fino alla spiaggetta lentamente per non scivolare, il sentiero era abbastanza ripido e alla fine a Maka facevano male le dita per lo sforzo di reggere la tavola.

“Puoi appoggiarla adesso. In spiaggia non ci sono i sassi, posso anche trascinarla” disse lui appena arrivarono.

Lei lasciò cadere la borsa per terra senza riguardi e con le mani sui fianchi si mise a fissare il mare “Certo che queste sono proprio delle signore onde!” esclamò togliendosi il prendisole e avvicinandosi alla battigia. Chiuse gli occhi sentendo gocce d’acqua bagnarle il volto. Li riaprì solo quando sentì  la lingua di Soul leccarle la guancia.

Sobbalzò e fece un saltello da una parte per allontanarsi da lui e guardarlo con aria schifata “Che diamine fai?” sbottò bagnandosi la mano nell’acqua di mare e pulendosi la gota.

“Eri bagnata d’acqua di mare” spiegò lui ridanciano, che si stesse vendicando per il risolino che gli aveva  fatto quando si era accorta che non riusciva a sollevare la tavola da solo?

“E adesso sono bagnata di saliva, e ti sei anche bevuto quest’acqua schifosa!” esclamò indignata indicando il mare che, essendo mosso, era diventato scuro e pieno di sabbia.

Bevuto è parola grossa. Tu tra un po’ ne berrai molta di più, di quest’acqua!” fece lui saccente.

“Ma cosa dici!” sbottò Maka indignata incrociando le braccia.

“Stiamo a vedere?” fece Soul con un ghigno.

La risposta di Maka fu una specie di ringhio rabbioso. Soul ghignò ancora e andò a recuperare la tavola che afferrò con entrambe le braccia per portarla abbastanza al largo perché potesse galleggiare senza strisciare nella sabbia con la punta.

“Sai come si fa?” chiese con un po’ di malizia, mostrando tutti i denti che possedeva.

Maka alzò le spalle e sbuffò “L’ho visto fare nei film!” fece imperiosa dirigendosi in acqua a passo di marcia.

Ovviamente fu uno sfacelo. Fu respinta da un’onda, tornò verso riva contro la sua volontà, scivolò dalla tavola, ci sbatté la testa, bevve un sacco d’acqua e si mise a sedere faticosamente sulla battigia tossicchiando.

“Cacchio” piagnucolò, l’acqua le era andata anche nel naso e gli occhi le bruciavano. Soul si lasciò cadere accanto a lei sorridente, mentre le onde ormai basse s’insinuavano tra i loro piedi.

“Allora?”

“Allora, ammetto che non è facilissimo” fece lei innervosita dalla domanda, stropicciandosi gli occhi.

Soul ghignò “Vuoi che ci riproviamo?”

Maka non acconsentì, ma allungò la mano per prendere quella che gli stava porgendo il ragazzo.

“Beh, per prima cosa devi riuscire a salire sulle onde prima che facciano la schiuma, capito cosa intendo?”

Maka annuì e insieme si rilanciarono in mare. Poco dopo erano di nuovo sulla battigia, stesi di pancia come due capodogli spiaggiati.

“Il tuo equilibrio sulla tavola fa schifo!” commentò Soul con la testa schiacciata sulla sabbia bagnata.

“Sei tu che sei un pessimo insegnante, bisognerebbe cominciare dalle basi!” ribatté Maka arcigna, anche lei con la faccia schiacciata per terra.

Soul si rimise in piedi con un colpo di reni “Allora adesso vado io!”

Anche Maka si raddrizzò per poi mettersi a sedere e guardarlo mentre correva incontro alle onde. Lo seguì mentre avanzava finché l’acqua non gli fu arrivata alla vita, per poi vederlo sdraiarcisi sopra e iniziare ad andare incontro alle onde.

Lo vide scivolare senza sforzo sopra un’onda senza schiuma e poi sparire dietro di essa e rispuntarvi in cima subito dopo in piedi sulla tavola.

Sgranò gli occhi e aprì la bocca e avrebbe iniziato anche a battere le mani se Soul non avesse perso subito l’equilibrio per cadere così all’indietro come il dilettante quale era. Fu così che Maka intonò la risata più fragorosa che avesse mai fatto per poi fare forza su un braccio, alzarsi e correre in acqua sovraeccitata, a prenderlo in giro appena fosse riemerso dall’acqua.

Lo vide apparire poco dopo, coi capelli chiari sugli occhi e l’aria scura, trascinando la tavola per la corda che aveva attaccato a un’estremità. Maka non badò all’espressione truce dell’amico, era giusto che si prendesse la giusta dose di prese in giro, come era capitato a lei poco prima.

“Ah, allora queste sarebbero le capacità del grande maestro eh!” lo canzonò divertita quando gli fu abbastanza vicino da essere sentita.

“Sta zitta, stronza!” sbottò lui  passandole il braccio dietro al collo e dandole un bacio sulle labbra. Stupido, inaspettato, inopportuno e umido. Non fece neanche in tempo a diventare qualche cosa di più profondo perché entrambi vennero investiti da un’onda imprevista e furiosa, che li scaraventò ansanti sulla battigia.

Maka tossì, era riuscita di nuovo a bere un sacco di acqua di mare, Soul accanto a lei controllava di non aver perso la tavola. Si guardarono per un lungo attimo, a Maka sembrò il periodo di tempo più lungo della sua vita.

Il ragazzo, ancora sdraiato per terra e puntellato sui gomiti, distolse lo sguardo da lei e alzò la testa per poi dire “Sta iniziando a piovere, torniamo a casa?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

So che mi odiate, mi odio un po’ anche io per questo finale del cacchio. Il fatto è che questi due non sanno quello che fanno…e poi – ammetto- è anche un po’ colpa mia che mi diverto a far fare cose idiote come baciarsi in momenti inaspettati senza alcuna conseguenza…per adesso…è.é Maka avrà da ridire…ve lo assicuro!

Mi scuso anche per il pessimo inizio, ma era da un po’ che volevo vedere Soul nel panico e il pensiero che nel dormiveglia potesse credere che tutto quello che era successo con Maka nel sogno fosse invece accaduto col suo professore di pianoforte mi faceva davvero rotolare dalle risate… scusatemi se sono stupida XD

L’insegnante di piano, neanche a dirlo, è il diavoletto della dark room, il sangue nero. Non ha un nome vero? Qui lo chiamerò solo insegnante di musica, e che si accontenti!

Volevo anche scrivere qualche cosa in più su Medusa e Stein, ma il capitolo sarebbe diventato infinito quindi è tutto rimandato al prossimo!!

Spero davvero che Soul non vi sia sembrato OOC…non credo di essere la persona giusta per giudicarlo T.T

Grazie mille per tutto il sostegno che mi avete dato fino ad ora, spero di meritarmelo anche in futuro, siete supercarini!! Y

Mi spiace che alcune persone non abbiano apprezzato lo scorso capitolo, nel caso stiate ancora leggendo spero che questo possa piacervi di più! *.*

A presto!

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Pettegolezzi, popcorn e telefilm di quart'ordine ***


Prima di tutto mi devo scusare, per un sacco di cose. Ci ho messo tantissimo ad aggiornare e ho fatto un gran casino (mail, avvisi, messaggi di fumo, posta via gufo) per dire che non avrei postato prima dei primi di novembre e poi eccomi qui! Questo capitolo è di nuovo di passaggio, lo so che non li so scrivere, infatti non mi convince per nulla. Avrei voluto che fosse incorporato con il prossimo capitolo, ma già così sono quasi sei pagine, se lo avessi sommato al prossimo sarebbe diventato infinito, quindi posso solo scusarmi per essermi ripresentata dopo tanto tempo con questa roba deludente.

Non ci posso fare nulla, mi diverto un sacco a pensare a come dovrebbero essere le confidenze tra ragazze, ma poi non vengono mai come me le immagino, nel prossimo capitolo ci sarà più azione, ma credo ci metterò un po’ a scriverlo, questo arriverà davvero per la prima settimana di novembre!

Un’altra cosa che volevo dire prima di cominciare è che sono consapevole che Medusa e Stein si danno alternativamente del lei e del tu in questo capitolo, l’ho fatto apposta. Crona da qui in poi, credo che sarà una ragazza, ho già cambiato idea tre volte dal primo capitolo, sono un caso disperato!

Per ultima cosa, anche se non meno importante: vi ringrazio davvero di cuore! Per tutti i commenti e il sostegno che mi date!! 

 

 

Trentotto scalini

Capitolo Nono

Pettegolezzi, popcorn e telefilm di quart’ordine

 

Stein guardò fuori dalla finestra aperta, non si poteva alzare per chiuderla e quel violento diluvio, annunciato fin dal mattino, s’insinuava dentro casa bagnando il pavimento  vicino alla finestra.

Era una fortuna che fosse estate, se Medusa l’avesse relegato in camera sua con la finestra aperta in pieno inverno sarebbe morto ibernato. Nonostante avesse scelto la stagione migliore Stein, neanche a dirlo, non le era grato per nulla. Il giorno prima l’aveva attaccato alla testata del letto con una fascetta di plastica, aveva preso le sue sigarette e le aveva accese tutte, poi le aveva appoggiate accese sul comò in modo che bruciassero lontano da lui così che non le potesse fumare. Non pensava che potesse capitargli una cosa del genere, era frustrato, e poi voleva fumare. Le avrebbe volentieri strappato gli occhi, ma prima sarebbe andato volentieri in bagno.

Si voltò a guardare la porta quando sentì la serratura scattare, probabilmente Medusa l’aveva chiusa perché aveva paura che Elka, essendo una persona normale, lo venisse a liberare dalla sua idiotissima prigionia.

La donna entrò con stampato in faccia uno di quei ghigni che la distinguevano e la facevano somigliare tanto a un serpente.

La fissò mentre chiudeva la porta, in mano aveva un coltello. Rimase fermo a fissare il riflesso sulla superficie metallica. Era pomeriggio tardo e il diluvio continuava incessante, la luce non era più forte come nei giorni precedenti.

Per un secondo pensò davvero che lo volesse vivisezionarlo come faceva lui coi topi durante le lezioni all’università.

“Appena si è messo a piovere ho mandato Elka dal ferramenta” spiegò Medusa lasciva sedendosi sul letto accanto a lui.

“E guarda un po’?” esclamò allegra estraendo dalla tasca una vite “Quella che mancava!”

Gli regalò un altro dei suoi sorrisi inquietanti e serpenteschi facendo girare il coltello tra le mani.

Stein sobbalzò quando sentì il metallo a contatto col suo polso, per un secondo ebbe davvero paura che potesse fargli male, invece aveva solo tagliato la fascetta.

Si alzò dal letto, dove stava seduto e la indicò. Era come se la stesse ammonendo per qualche cosa, e dato che era parecchio più alto di lei l’effetto sarebbe stato riuscitissimo se non fosse stato perché lei sorrideva e a lui non venivano fuori parole dalla bocca.

Gli diede un bacio sul polpastrello e poi gli sorrise. Lo stava evidentemente prendendo in giro.

Stein alzò le sopracciglia e sorrise a sua volta prima di dirle “Sono convinto che sarà spassoso finire di montare il letto” e così dicendo tirò un calcio al componibile, tanto forte da far saltare diverse viti, e se ne andò. Attraversò la cucina senza badare a Elka che se ne stava con i piedi in una bacinella d’acqua bollente e con una coperta addosso, come se fosse stata reduce da un naufragio.

Si chiuse la porta alle spalle e si mise a correre su per le scale, finalmente poteva andare alla toilette!

In camera da letto, Medusa, strinse i denti e i pugni, tanto forte che la vite chiusa nella mano sinistra le fece male. Il sorrisetto era sparito per lasciare spazio a una rabbia informe.

Si avvicinò a passo di marcia alla finestra aperta e urlò al giardiniere che, nel bel mezzo del diluvio, innaffiava l’oleandro “Vieni ad aiutarmi con il letto svedese!”

 

 

Il mattino seguente Maka scese le scale a passo deciso, ovviamente l’ascensore era ancora rotto, ma questo non aveva importanza. Il giorno prima era successa una cosa strana. Era un po’ come se nemmeno lei ci credesse.

Erano tornati a casa nel bel mezzo del temporale e appena entrati nell’androne delle scale, bagnati fradici, si erano guardati e Soul aveva detto con un’alzata di spalle “Ci vediamo”. Poi era corso su per le scale, salendo i gradini a due a due fino al quinto piano, dove abitava. Quel cretino, avrebbe voluto tirargli un cazzotto!

“Buongiorno!” esclamò Liz venendole da dietro, con aria allegra.

“Buongiorno” rispose Maka con entusiasmo decisamente minore, dirigendosi alla buchetta della posta, dove stava una cartolina di sua madre.

“Tutto a posto?” domandò preoccupata Liz, notando il cattivo umore dell’amica. Maka scrollò le spalle e fece un sospiro “Sì…ma ieri è successa una cosa strana con Soul…e poi oggi non è venuto a portarmi la posta” spiegò notando che la corrispondenza era esattamente nel posto dove la lasciava il postino.

“Ed è un problema? Le hai le chiavi della buchetta?” chiese. Maka annuì “Sì, sì che le ho” si affrettò a dire tirandole fuori dalla tasca “E’ che comunque è un po’ strano” continuò in un sussurro.

La conversazione confidenziale fu interrotta da un urletto eccitato proveniente dalla portineria “Maka! Tua madre ti ha spedito anche un pacco! Non ti dispiace se ci siamo permesse di aprirlo, vero?” cinguettò Liza.

Maka fece un sorrisetto un po’ forzato “Figurati”

“Credo che ci sia bisogno di una riunione tra donne. Sta sera caccio di casa Kid, facciamo una maratona di L’amore del Kishin e spettegoliamo. Per quanto ne so anche Tsubaki deve dirci parecchie cose!” disse alludendo alla fuga dell’amica in occasione del falò sulla spiaggia.

Maka annuì, non che guardarsi L’amore del Kishin, la peggior soap opera di stampo fantasy mai partorita dall’Arachnophobia TV l’allettasse troppo, ma fare due chiacchiere tra amiche potevano andare bene. E magari sarebbe riuscita a parlare con Tsubaki, dopo che l’aveva vista con Black*Star, due giorni prima, non l’aveva più vista.

Liz uscì dalla porta d’ingresso lasciando Maka sola, ad affrontare le due temibili portinaie.

In giardino, Hero e il signor Free stavano disquisendo su come fosse meglio coltivare i cocomeri, Tsubaki stava stendendo le lenzuola e Soul se ne stava seduto con la sua solita aria strafottente su una panchina, a mangiare un ghiacciolo all’anice. Come se i ghiaccioli a colazione fossero una cosa cool.

“Buongiorno” esclamò Liz allegra, sedendosi accanto a lui.

“ ’giorno” ricambiò il ragazzo con poca voglia, da quando c’era stato il falò sulla spiaggia sembrava davvero che Liz non volesse stare mai a casa, usciva presto la mattina, cosa che non aveva mai fatto, e si affaccendava in  cose che non l’avevano mai interessata – il giorno prima l’aveva vista aiutare il signor Free con delle begonie – pur di non stare nel suo appartamento, del canto suo Kid invece sembrava si fosse volatilizzato, non usciva più dal suo appartamento.

“Hai visto Maka, stamattina?” domandò prendendola alla sprovvista. Liz batté le palpebre “L’ho vista nell’atrio, ha detto che oggi non le hai portato la posta” spiegò. Soul scrollò le spalle infastidito “Cosa sono, un postino?” sbottò.

“Oh, beh, credo l’abbia detto così, tanto per dire” cercò di fare da paciere lei, accorgendosi di aver buttato benzina sul fuoco, evidentemente non era solo un’impressione di Maka, Soul si comportava davvero in modo strano.

“Ti ha detto qualche cosa su di me?” chiese ancora il ragazzo.

“No, perché?” si affrettò a mentire Liz, per come andavano le cose era quasi divisa tra la curiosità di sapere cosa avevano combinato quei due e la volontà di non volersi trovare immischiata in un triangolo di pettegolezzi.

Soul alzò le spalle senza dare alcuna risposta e leccò il suo ghiacciolo poi si accorse che Liz lo stava guardando con aria strana “Che c’è?” sbottò un po’ infastidito, era evidente che fosse davvero nervoso.

“Hai la lingua lunghissima” decretò con una certa ammirazione.

“Non dire stupidaggini!” sbottò smettendo di leccare il ghiacciolo e infilandoselo in bocca.

“Va bene, vecchio brontolone, ti lascio alle tue espressioni corrucciate, sta sera porta fuori Kid che a casa nostra si fa una serata tutta al femminile” esclamò alzandosi da dove era seduta per correre da Tsubaki e invitarla.

“Puà! Telefilm, smalto per le unghie e un mare di pettegolezzi…che schifo!” brontolò tra sé Soul.

 

 

“Dobbiamo proprio raccontarci storie di paura?” gemette Liz, in pigiama, con un cuscino davanti alla faccia.

Patty, con tutta l’intenzione di spaventare i suoi ascoltatori, disse “Preferisci le storie sulle giraffe mannare?”

Fece roteare la luce della torcia nel buio della loro camera, illuminando il soffitto e un paio di volti non particolarmente preoccupati.

“Queste giraffe mannare presentate così sembrano tanto una stupidata, ma non la voglio lo stesso sentire, quella maledetta storia!” piagnucolò “Speravo che sarebbe stata una serata al femminile tutta pettegolezzi, telefilm e smalto per le unghie, non una notte degli orrori!”

“Eskiusimiii!”fece Patty, un po’ di malavoglia ad essere sinceri. Kim, che sedeva vicino all’interruttore, accese il lampadario, ridando alla stanza da letto un’aria accogliente.

“Grazie” proferì Liz riconoscente, sbucando da dietro al cuscino con delle occhiaie davvero evidenti.

“Se volete, posso fare i popcorn!” propose Tsubaki accorgendosi che l’atmosfera era cambiata.

Maka annuì “Dato che non ci raccontiamo le storie di paura mi sembra una buona idea”

“Attenta a rimettere tutte le pentole esattamente dove le hai trovate, se no a Kid vengono le crisi di nervi” l’ammonì Liz prima di afferrarla per un lembo del pigiama con rinnovato entusiasmo “…anzi, no! Cos’è questa? Una strategia di fuga per non raccontarci cosa è successo al falò sulla spiaggia?”

Tsubaki diventò all’istante color pomodoro “Ehm…io…no…mi piacciono i popcorn…”

Raccontaraccontaracconta!” strillò Patty sovraeccitata, non importava il genere, l’importante era che ci fosse qualche cosa da raccontare!

“Ti sei imboscata con Black*Star, eh?” domandò Kim senza mezzi termini, stravaccandosi sul letto di Liz.

“Beh…imboscata mi sembra un po’ brutto, diciamo…” cominciò a dire Tsubaki al culmine dell’imbarazzo.

“Non c’è nulla di male” la rassicurò Liz con aria saputa, battendole la mano sulla spalla per farle coraggio, con scarso successo “…e poi Kim si è imboscata con Ox!” aggiunse allegra sorridendo all’interessata.

La ragazza s’accigliò “Non ci siamo imboscati, ci siamo persi! E io mi sono anche presa il raffr…etciù!” spiegò indignata, mentre Jacqueline le passava un fazzoletto.

“Beh, comunque come è andata?” continuò Liz che non aveva alcuna intenzione di mollare l’osso. Non era come Liza e Arisa, ma certe cose la interessavano proprio.

“Beh…credo bene…” Come doveva dire che era andata?

Liz, vedendo che era arrossita ancora di più, la prese per il mento in modo che fosse costretta a guardarla negli occhi “Non è che ti sei messa nei guai, vero?” chiese d’un tratto, con aria da sorella maggiore apprensiva.

“Nu” cercò di rispondere, non era facile parlare con una che cerca di staccarti la mascella.

“Sicura?” continuò Liz inquisitoria.

Tsubaki annuì cercando di allontanarsi, poi Liz la mollò e la ragazza poté dire “Ci siamo solo baciati” massaggiandosi il mento. Liz annuì a sua volta come per dare il suo benestare.

Del canto suo Maka, prima intenta a fissare con aria truce la sua migliore amica come per rinnegare Black*Star, si era messa a guardare insistentemente Jacqueline.

Tsubaki sbatté un po’ le palpebre, felice che nessuno la stesse più interrogando, era convinta che Maka volesse sapere che razza di rapporto avessero lei e Soul. Si ricordava della telefonata tra lui e lei, Maka c’era rimasta male.

Sapeva che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederlo personalmente quindi decise che ci avrebbe pensato personalmente “Jacqueline, e tu con Soul?”

Sia Jacqueline che Maka sobbalzarono, prese alla sprovvista. Maka, spiazzata, passò lo sguardo da Tsubaki a Jacqueline, era bello che qualcuno la capisse.

“Soul?” ripeté perplessa “Niente, perché? Dovrebbe esserci qualche cosa?” chiese.

Tsubaki si grattò la testa imbarazzata “Oh, niente, credevo che…niente…”balbettò. Maka nel frattempo invece fissava Kim.

 Jacqueline era un tipo riservato, di sicuro non si sarebbe messa a raccontare i fatti suoi in giro, ma sicuramente Kim sapeva tutto, e infatti Kim non aveva fatto una piega.

Fece un sospiro di sollievo, si vergognava un po’ a essere così sollevata, ma era felice che tra Soul e Jacqueline non ci fosse nulla. Proprio mentre si rilassava però, le venne in mente un’altra cosa che doveva chiarire.

“A proposito di Soul, Liz, ho saputo della vostra uscita di ieri mattina!” fece con aria inquisitoria interrompendo le scuse senza fondamento di Tsubaki, che cercava di spiegare perché pensava che ci fosse qualche cosa tra Soul e Jacqueline.

Liz sobbalzò, come diamine aveva fatto a vederli mentre chiacchieravano? Non stava parlando con le portinaie? Quella ragazza aveva occhi ovunque!

“L’unica uscita che vorrei fare sarebbe quella da in mezzo a voi due! Se avete qualche cosa da dirvi citofonatevi!” esclamò un po’ brusca. Maka sgranò gli occhi, ma non fece in tempo a dire nulla perché Liz aggiunse “Comunque mi ha chiesto se ti avevo visto e avevi chiesto di lui”

Maka sbatté un paio di volte le palpebre, mentre tutti gli occhi andavano su di lei.

“Quindi…che cacchio è successo?” chiese rivoltandole contro la domanda.

“Ehm…” Maka si rese conto solo in quel momento che il suo interrogativo le si era ritorto contro.

“Vi siete baciati? Etciù!” domandò Kim senza farsi tanti problemi, subito prima di mettersi alla ricerca di un fazzoletto.

Il silenzio e il rossore di Maka furono un’ottima risposta. Ci fu un po’ di silenzio durante il quale Maka cercò di nascondersi dietro al colletto del pigiama poi Patty esclamò “Era ora!” e Liz, senza un minimo di delicatezza, “Soul ha una lingua lunghissima”

“E questo cosa c’entra? Non ne ho idea!” strillò Maka imbarazzata come non mai, ma il suo strepito passò in secondo piano perché Patty si era messa a chiedere “Più lunga della mia?” spalancando la bocca e indicandosela.

“Certo, molto più lunga” stava dicendo Liz in risposta, con aria saputa.

“Forse gli hanno tagliato il frenulo linguale quando era piccolo, non è colpa di quello?” ipotizzava Jacqueline.

“Non saprei, dovremmo chiederlo a Crona, la signora Gordon è medico se non vado errando…etciù”

Maka osservò la scena con un grugnito allibito.

“Dicevamo” proferì Liz riportando l’ordine. Cosa cacchio era poi, il frenulo linguale?

“Vi siete baciati, eh?”

“Più o meno. Non lo so, forse si è inciampato addosso a me…” brontolò Maka incrociando le braccia “Ma non mi va di parlarne. E tu non hai nulla da raccontarci?”

“Su Soul?” chiese Liz, non capendo. Maka scosse le testa e i codini svolazzarono “No, con Kid!”

La ragazza sospirò e appoggiò il viso sulle mani a coppa, con aria abbacchiata.

“Ci siamo baciati” ammise.

“Guarda che il vischio di Patty non conta” fece presente Kim, prima di starnutire per l’ennesima volta.

“Eskiusimiii” fece eco Patty senza sentirsi granché in colpa.

“No…l’ho baciato io prima di lasciare il falò…” spiegò depressa.

“E lui?” chiesero in coro tutte con un improvviso luccichio pettegolo nei occhi. Liz affondò la testa nel cuscino, dimentica di tutto lo sprint esibito fino a un minuto prima.

“Mi ha chiesto se gliene davo altri sette” piagnucolò.

Le altre si guardarono “Immagino sia stato per amore della simmetria” commentò Maka.

“E’ un idiota” proferì qualcuno, il resto del gruppo annuì silenziosamente. Fu allora che Liz risorse con uno sbuffo e sbottò “Ci ubriachiamo con la birra di Kim e poi andiamo alla fiera?”

 

 

“Perché non abbiamo portato la Playstation?” domandò Soul un po’ indispettito. Kid sbuffò altrettanto infastidito, sapeva che la domanda era rivolta a lui.

“Black*Star mi ha rotto il joystick l’ultima volta!” brontolò. Soul alzò gli occhi al cielo e soffiò “E ora ne hai sette…e noi siamo in tre. Direi che possano bastare”

“Ne ho otto” lo corresse Kid “Quello rotto l’ho ricomprato, anche se dovrei risparmiare”

“L’illustre sottoscritto non ha bisogno di videogiochi per divertirsi!” strillò Black*Star in piedi sul bigliardo.

“Va bene” fece Soul accondiscendente “e allora cosa facciamo?”

Kid sospirò palesemente disinteressato alle pene dell’amico “Secondo voi cosa stanno facendo le ragazze? Mi hanno letteralmente cacciato fuori di casa”

“Cosa vuoi che facciano” cominciò Soul con aria stanca, mentre Black*Star saltava avanti e indietro come un tarantolato “guardano telefilm, si mettono lo smalto e spettegolano peggio delle portinaie…”

Kid si grattò il mento “E’ successo un po’ un casino con Liz, se lo racconteranno dici?”

“Se lo sono già raccontato, è inutile che te ne preoccupi. Anche io ho combinato un po’ di casino con Maka, sono sicuro che abbia frainteso alcune cose” raccontò Soul con aria di superiorità.

“Invece con Tsubaki mi va benissimo” esclamò Black*Star senza un minimo di tatto.

“Grazie Black*Star” fecero in coro gli altri due, sarcastici.

“Prego” esclamò lui non intercettando la nota di ironia.

“Quindi che facciamo?” chiese ancora Kid. Soul sbuffò “Ubriachiamoci e andiamo alla fiera”

“Con cosa dovremmo ubriacarci?” domandò pratico Kid. Il ragazzo coi capelli bianchi alzò le spalle “Black*Star, hai qualche cosa in casa?”

“Del pollo al curry. Di ieri!” rispose pronto il padrone della baracca in cui si trovavano.

“Andiamo a questa cacchio di fiera e facciamola finita, per la miseria!” sbottò Soul esasperato.

“E fiera sia!” lo seguì Kid con fermezza.

 

 

Suonarono al campanello di casa Gordon nel momento più inaspettato. Crona e Elka intente a fare un puzzle alzarono la testa e guardarono la porta, perplesse. Fu Medusa ad andare ad aprire, cosa altrettanto bizzarra.

Tra tutte però, la cosa più inaspettata fu trovare il professor Stein sullo zerbino, con un mano un mazzo di asparagi.

“Questi sono per te!” esclamò lanciandoli ad Elka, che per poco non li fece cadere per la sorpresa.

Poi guardò Medusa, sorridevano entrambi, ma era un po’ come se volessero reciprocamente strapparsi gli occhi dalle orbite.

Lui era arrabbiato perché lei l’aveva chiuso in camera, lei era arrabbiata perché appena l’aveva liberato lui se ne era andato.

Tutto quell’astio però non fuoriuscì quando Medusa lo informò “Ho finito di montare il letto, sai?”

“Oh, sì?” fece Stein come se fosse un argomento di grande interesse.

“Già. Mi ha aiutata il signor Free, è un uomo così disponibile” aggiunse civettuola, con una risatina acuta, che fece tremare di terrore Elka e Crona rimaste al tavolo della cucina a guardare la scena.

“Oh, e l’avete anche provato?” chiese Stein per metterla in imbarazzo, Crona si nascose dentro la vestaglia, ignorando il caldo afoso.

“No, il signor Free si intende di piante, non di letti svedesi” si affretto a rispondere Medusa con una risatina. Elka avrebbe voluto correggerla dicendo che il signor Free non si intendeva nemmeno di piante, ma se ne stette zitta.

“E lei se ne intende di letti svedesi?” chiese poi, e sarebbe potuta sembrare maliziosa se non fosse stato per la luce omicida che aveva negli occhi.

“Mi fanno schifo. Manca sempre qualche vite. Il mio è di ferro battuto” spiegò Stein prima brusco e poi ai limiti del mellifluo.

“Ma come, uno come lei, che ama vivisezionare!” esclamò lei, fingendosi stupita.

“Vuole che le vivisezioni il letto?” domandò come se gli stessero proponendo un intervento chirurgico piuttosto difficile. Medusa alzò le spalle.

“Di solito preferisco gli animali in estinzione ma…”

Elka e Crona, nascoste dietro al tavolo della cucina, li guardarono sparire nella camera di Medusa.  

Era più o meno mezzanotte quando Elka aveva chiamato il signor Free, che innaffiava i gerani, per dirgli che non riusciva a capire se quei due stavano facendo sesso o si stavano ammazzando. Sospettava la seconda ipotesi, a giudicare dagli insulti.

“Ci pensiamo domani, mi sembrerebbe poco carino svegliare i pompieri a quest’ora per portare via dei cadaveri!”

Elka annuì e se ne andò a dormire.

 

 

Arachne estrasse i popcorn dal microonde e si sedette sul divano scozzese dove stava già stravaccato Giriko in mutande, con una birra calda in mano.

“E’ bello prendersi un po’ di riposo. Oggi abbiamo lavorato davvero come dei muli!” fece la donna con un sospiro. Nonostante fosse un tipo piuttosto preciso quella sera afosa si era arresa anche lei al caldo e girava in mutande. Mutande neanche tanto sexy, tra l’altro.

“Hai messo le telecamere alla fiera?” chiese al compagno prima di mettersi a guardare un documentario sulla vita sessuale degli gnu.

“Certo!” la rassicurò Giriki, prima di scolarsi in un sol sorso la sua birra.

Le telecamere erano state effettivamente tutte montate, anche se a un attento controllo la metà risultarono spente.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Una parentesi di una mezz'ora ***


 

Trentotto scalini

Capitolo Dieci

Una parentesi di una mezz’ora

 

Maka decretò che la prima cosa che ti fa capire che sei ubriaca è la vista. È davvero incredibile come l’occhio si muova più lentamente quando si ha bevuto qualche cosa, era un po’ come se la vista arrivasse in ritardo, ma lei se ne rese conto con lucidità solo il giorno seguente.

Quella sera era troppo impegnata a stare dritta e a non accasciarsi al suolo in preda alle risa dovute alle battute di Patty, battute che analizzate la mattina seguente risultarono davvero tutto fuorché esilaranti.

“Su, su ragazze…se andiamo avanti così non arriveremo mai!” fece Liz in un sospiro. Era l’unica che indossava scarpe col tacco, anche perché era l’unica abbastanza sobria da non rischiare di morire precipitando contro l’asfalto.

“Non ce la posso fare, Liz. È troppo lontano!” dichiarò Maka tra le risate. Liz alzò gli occhi al cielo, cosa c’era di così divertente nel sentire Patty dire Cactus?

Fu più o meno in quel momento che si rese conto che farle ubriacare e portarle alla fiera era stata una scelta pessima.

“Perché cavolo, su di me, l’alcol non ha lo stesso effetto?” brontolò tra sé. Kim, accanto a lei, alzò le spalle “Consideriamoci fortunate, se fossimo messe come loro finiremmo tutte nel fosso…etciù”

Liz sbuffò e accelerò il passò “Sbrigatevi, se no facciamo notte per strada!”

Sia lei che Kim esalarono un sospiro di sollievo quando intravidero le prime tende della fiera, non era nemmeno eccessivamente tardi.

“Ragazze, cosa volete fare?” domandò Liz, come se la carovana che la seguiva fosse abbastanza sobria da rispondere in modo intelligente.

“Facciamo il toro!” esclamò Patty estasiata correndo tra le bancarelle.

“Sì, così poi rivedi la cena…” commentò Liz, visibilmente poco allettata dalla proposta.

Torotorotoro!” strillò la ragazzina, sovraeccitata, infilandosi tra la folla che guardava Ox cavalcare il toro del rodeo.  Gli avevano dato un cappello da cowboy, che in teoria avrebbe dovuto aggiungere fascino a chi cavalcava quell’aggeggio scatenato, ma in realtà faceva sembrare tutti degli emeriti idioti, dato che oltre a reggersi alla maniglia del gioco dovevano anche occuparsi di non perdere quel copricapo piuttosto demodé.

“Non c’è niente da fare, amo i cappelli da cowboy” fece Liz con voce piatta avvicinandosi a sua volta, mentre Patty sgomitava per vedere da più vicino.

“Però trovo questo gioco estremamente imbarazzante, da fuori sembra che stai facendo sesso con qualcuno…” commentò con aria pensierosa, tra sé e sé. Kim s’accigliò “Liz, con che razza di mostri hai fatto sesso, fino ad adesso”

La ragazza si strinse nelle spalle e scrollò la testa “Era per dire. Sono sicura che Kid non è così” gemette appoggiando la testa alla spalla dell’amica.

Lei s’irrigidì e strizzò gli occhi “Per favore non dire certe cose, che poi me le immagino. E non voglio immaginarmelo. Soprattutto mentre c’è Ox che si rende ridicolo e…è anche caduto!”

Liz la prese per mano e la trascinò tra al folla “Vieni, devo fermare Patty prima che rimetta sul pubblico” fece, con non troppo entusiasmo.

“Allora, chi è il prossimo sfidante del toro?” esclamò il padrone dell’attrazione urlando nel megafono.

Ioioio!” si sentì strillare Patty che già stava scavalcando la ringhiera gonfiabile.

“La signorina coi capelli biondi deve aver un certo fegato per venire a sfidare il toro meccanico!” continuò l’uomo dandosi arie da presentatore.

“La signorina bionda non viene proprio da nessuna parte!” strillò Liz di rimando con voce acutissima, mentre atterrava sua sorella con una mossa degna di un wrestler.

“Signora, non faccia così, sua figlia mi sembra abbastanza grande da…” cominciò l’uomo con tutta l’intenzione di fare il simpatico, ma un’occhiata infuocata di Liz, che mollò immediatamente la sorella al suo destino, lo fece ammutolire.

“Quanti anni crede che abbia, io?” urlò come un’aquila. E se non avesse incrociato casualmente un paio di occhi gialli, un po’ persi, gli avrebbe fatto una ramanzina.

“Oh, Liz, cosa ci fate qui?” domandò Kid tranquillo.

“E’ un posto pubblico, no? Comunque, sto salvando mia sorella da morte certa!” rispose inacidita dal presentatore e presa alla sprovvista.

“Spostiamoci da questo casino, per carità!” esclamò trascinandosi dietro Patty che si dimenava con tutte le sue forse, intenzionata a raggiungere la sommità del toro meccanico.

Poco più in là, Kim si era ritrovata, suo malgrado, sola davanti a Ox, ancora dentro la staccionata gonfiabile.

“Ti sei fatto male?” chiese un po’ brusca. Ox scosse la testa “No, però gli occhiali mi sono caduti sul cemento e si sono rotti, mi aiuti a uscire che non ci vedo niente?” chiese, e Kim allungò la mano aiutandolo a scavalcare.

“Dove cacchio è finito Harvard?” chiese tanto per fare conversazione, appena riuscirono a uscire dal marasma. Ox alzò le spalle, mentre attorno a loro si accalcavano i nuovi arrivati.

“Perché non possiamo fare il toro?” domandò Maka con una risatina.

“Perché voi siete troppo ubriache e io troppo sobria” commentò Liz un po’ acida, lanciando, nel dubbio, un’occhiataccia immeritata a Kid.

Soul guardò Maka perplesso, lei gli sorrise e strizzò gli occhi come se non riuscisse a tenerli aperti.

“A me però piacerebbe salire sul toro, e a te, Tsubaki?” domandò appoggiandosi all’amica, che per poco non perse l’equilibrio finendo addosso ad Harvard, rispuntato dal nulla.

“Scusami…tantissimo…” fece, con aria piuttosto dispiaciuta. Eccessivamente dispiaciuta. Harvard annuì imbarazzato dandole un colpetto sulla spalla “Tutto okay, Tsubaki…”

Lei gli sorrise contenta.

Soul deglutì a fatica, che cacchio avevano combinato prima di venire alla festa?

“Andiamo sugli autoscontri?” propose. Era la prima cosa che gli era venuta in mente, non erano molto cool, ma non è che si potesse fare poi granché a una festa di paese.

“Il grande Black*Star vi farà vedere chi è il dio degli autoscontri!” urlò Black*Star alzando il dito indice al cielo. Liz si mise una mano davanti alla faccia e sospirò, a quel punto non aveva più a che fare con delle ubriache, ma con gente che sembrava ubriaca pur essendo sobria.

“Su, su andiamo” continuò Soul appoggiando le mani sulle spalle di Maka e spingendola lontano dal toro meccanico. Lei ridacchiò. “Che c’è?” domandò lui un po’ brusco, non voleva che Maka ridesse di lui.

“Ho pensato…”cominciò, prima di cacciarsi a ridere di nuovo, piegandosi in avanti. Soul la prese per la vita e la riportò in posizione eretta, un po’ scocciato a dire il vero.

“Ho pensato che se mi afferrassi per i codini potrei sembrare il tuo scooter giallo” ridacchiò di nuovo girandosi e appoggiando la fronte alla spalla di lui.

Soul fece una smorfia, era la situazione più imbarazzante della sua vita, tutto avrebbe potuto immaginare tranne che avrebbe dovuto affrontare, un giorno, Maka Albarn ubriaca.

“Che avete fatto prima di venire qui?” chiese appoggiandole una mano sulla vita e indirizzandola verso gli autoscontri.

“Kim ha portato la birra, ma a me non piace tanto” fece con un sorrisetto, mentre lo guardava con gli occhi socchiusi e un’espressione furbetta.

“Sì, si vede” commentò sarcastico.

Dieci minuti dopo era intento a guardare la nuca di Maka che ondeggiava a destra e a sinistra come un melone biondo, seguendo i movimenti del volante. Lui si era seduto sullo schienale del sedile e si teneva con la mano sinistra al palo della bandierina.

“Soul” chiamò la ragazza, con quel modo di fare un po’ strascicato tutto dovuto all’alcol.

“Sì?” fu la risposta altrettanto strascicata. Maka si voltò per guardarlo, se fossero stati in una strada vera sarebbero morti entrambi, dato che fecero un frontale con l’auto di Black*Star e Tsubaki. La ragazza ridacchiò, mentre Black*Star, in piedi sul sedile, per essere sicuro di essere notato, strillava “Vinceremo noi! Non riuscirete a mettervi in mostra più del sottoscritto!!” e così dicendo se ne andarono, lei allegra e lui sovraeccitato.

“A forza di prendere tutte queste botte mi è venuto male alle costole” piagnucolò ridendo Maka.

Rise di nuovo e lo guardò “Mi gira la testa”

“Credo che sia normale” commentò apatico lui.

Nel frattempo dall’altra parte della pista Liz guidava con diligenza, come se fosse in suo esame per la patente “…e quindi io avevo voglia di bere per non pensare ai miei problemi e alla fine devo fare da babysitter a un gruppo di ubriache!” si stava lamentando con Kid, che sedeva accanto a lei con Patty in braccio.

“Più veloce, sorellina! Più veloce!” ordinava sgambettando.

Tutti e tre ignorarono il direttore del gioco, che dalla sponda della pista, diceva che non si poteva salire in più di due su un’auto.

“Non dovresti affogare i tuoi dispiaceri nell’alcol” disse Kid come se fosse stato la rettitudine personificata.

“Da che pulpito!” strillò Liz alterata “Il bue che da del cornuto all’asino! Oh mamma mia…” e non finì di lamentarsi perché Tsubaki e Black*Star finirono loro addosso con un gran urlo di quest’ultimo. Liz e Kid si  diedero una capocciata e Patty, per poco, non finì in pista.

“Vinceremo noi!” strillò il ragazzo azzurro, mentre il suo veicolo si allontanava in direzione di Jacqueline e Harvard. Liz ringhiò e sbatté i piedi stizzita “Non ne posso più!”

Kim, seduta fuori, sospirò “Ti gira ancora la testa? Vuoi restare un altro po’ qui o preferisci unirti agli altri?” chiese atona a Ox, seduto accanto a lei. Ox alzò le spalle “Meglio, ma mi da fastidio non vedere niente” si lagnò guardando i suoi occhiali, che risultavano parecchio sfocati.

“Dammi qui” ordinò Kim decisa, strappandoglieli di mano. Ox la guardò, nonostante la vedesse un po’ sfocata, mentre se li appoggiava sulle ginocchia e si metteva a raspare nella propria borsa alla ricerca di qualche cosa.

Indovinò fosse scotch dal rumore che produsse, quando la ragazza lo strappò con i denti, ci fu qualche altro movimento indefinito, poi glieli porse di nuovo, infilandoglieli. Ox sbatté le palpebre, constatando che, effettivamente, ci vedeva di nuovo, e Kim vista così da vicino era molto carina.

“Con le lenti tenute insieme dallo scotch sembri uno dei secchioni che sognano le cheerleader nei telefilm adolescenziali americani o Harry Potter ai tempi d’oro del sottoscala, ma almeno non vai a sbattere da nessuna parte” fece seria. Lui le fece un gran sorriso “Vuoi metterti con me, Kim?” domandò sognante.

“Neanche morta. Al massimo se diventassi molto più ricco” spiegò svogliatamente e senza il minimo imbarazzo. Ox batté il pugno sulla mano aperta ed esclamò “E allora diventerò ricco, sono uno dei Ford, i re della bistecca!”

“Sì, sì…” lo liquidò lei, mettendosi i capelli dietro all’orecchio.

 

§

 

Al Chupa Cabras, Medusa si voltò su un fianco e esalò un sospiro soddisfatto. Era da un secolo che non passava una serata così, era brutto da ammettere, ma un po’ di calore umano di quel tipo le era mancato. E poi non c’era niente di meglio che dormire dopo aver fatto sesso.

L’unica cosa che la infastidiva era non potersi stravaccare al meglio sul suo letto a due piazze, dato che dall’altra parte dormiva Stein, avrebbe voluto cacciarlo via, ma era troppo stanca per alzarsi e condurlo alla porta o anche per intraprendere una di quelle discussioni che di solito la divertivano tanto. Si accoccolò meglio sul cuscino e strinse le cosce, si sarebbe accontentata della bella sensazione che le aveva lasciato addosso, a cacciarlo via ci avrebbe pensato la mattina dopo.

Dall’altra parte del letto, Stein si voltò su un fianco dando la schiena a Medusa, sinceramente non pensava che avrebbe mai avuto il bisogno di autoinvitarsi a casa di qualcuno per dar corda ai suoi istinti primordiali.

In realtà ci aveva pensato, ma la cosa si fermava al fantasticare sull’entrare di soppiatto a casa di Spirit e invertirgli gli alluci, mai avrebbe pensato che i suoi battibecchi con Medusa sarebbero scaturiti in qualche cosa d’altro. Sarebbe volentieri andato via da quel posto. Prima di tutto non gli piaceva l’idea di dormire accanto a quella strega, poi c’era la sua scarsa simpatia per i letti svedesi, in più amava lo spazio. Si disse però che non aveva tanta voglia di farsi cinque piani di scale per andare a dormire nel suo letto. Decise così a rimanere sdraiato lì, con l’intenzione di approfittarne e di scroccare anche la colazione, il mattino dopo.

 

§

 

L’auto si fermò, scivolando piano sulla superfice lucida della pista, mentre Maka spingeva ancora furiosamente il pedale dell’acceleratore.

“E’ finita la corsa” la avvertì Soul, ancora seduto sullo schienale. In lontananza, Black*Star, urlava qualche cosa che somigliava pericolosamente a Vi faremo a pezzi! Questa è la mia epoca! e altre cose apparentemente insensate.

“Hai un altro gettone?” chiese con uno dei suoi soliti sorrisetti. Soul annuì e lei gli diede un bacio con lo schiocco al ginocchio, che stava all’altezza del suo viso.

Soul sobbalzò e rimase per un secondo con il gettone a mezz’aria prima di porgerglielo “Sì, ma a me sta venendo il voltastomaco, vado a fare un giro” disse a voce non troppo alta, per poi scendere e avviarsi verso l’esterno. Maka inserì il gettone nel buco e saltellò entusiasta sul sedile in attesa che partisse l’ennesimo giro.

Soul sorpassò Kim e Ox che sedevano vicini, sulla sponda della pista. Sul momento gli sembrarono due innamorati intenti a farsi le coccole, poi passando loro accanto intercettò Kim dire con fare pratico “Ma quindi quanti decimi ti mancano?”

Passò oltre con andatura pensate, intenzionato ad avvicinarsi alla spiaggia per sentire il vento, era scocciato, scocciato da morire! Non sapeva perché, non la sopportava, a vederla così era proprio insopportabile. Maka.

Kim alzò la testa dagli occhiali di Ox, che stava fissando “Soul, dove vai?”

“A fare un giro” rispose strascicato senza voltarsi. Non si fermò finché non arrivò in prossimità della scogliera, sotto lo strapiombo c’era la spiaggetta.

Il vento era forte, nonostante fosse caldo, in riva al mare faceva davvero fresco. Si lasciò pesantemente cadere per terra a gambe incrociate, gli sarebbe venuto il mal di gola a stare lì.

“In pratica volevi allontanarti da me, eh?” dissero alle sue spalle. Soul sussultò voltandosi verso la terraferma, dove stava Maka con aria indignata.

“Non eri sugli autoscontri?” chiese lui con aria strana, non sapeva se essere stupito o scocciato.

“Sono scesa a metà del giro, perché mi sono resa conto che non volevi stare come me, cosa ti ho fatto?” sbottò irritata. Soul alzò un sopracciglio, vagamente divertito. Maka Albarn, da sobria, non avrebbe mai detto una cosa del genere, ma Maka Albarn, da sobria, non gli avrebbe mai dato neanche un bacio al ginocchio.

Il ragazzo si alzò in piedi e la guardò negli occhi, mettendosi le mani in tasca, prima di dire “Sei ubriaca e mi dai fastidio” sbottò. Era vero, alla fine dei conti.

Maka s’accigliò e gli puntò contro il dito indice, rischiò di ribaltarsi all’indietro e Soul l’afferrò per il braccio ridandole un minimo di equilibrio. La ragazza scosse la testa, come per ridestarsi, e continuò “Ti do fastidio io?” domandò.

“Te l’ho appena detto!” ribatté Soul irritato.

“E’ perché ti ho dato un bacio sul ginocchio?” interrogò Maka. Era un po’ come sognare, quando dormi ogni idea sembra geniale, ma quando ti svegli ti rendi conto che è una gigantesca idiozia. Era come se stesse ancora dormendo.

Soul fece una smorfia e Maka si avvicinò di un passo, aveva ancora gli occhi un po’ luccicanti di chi ha bevuto troppo, ma sembrava piuttosto determinata “Allora te ne do un altro!” sbottò, come se fosse una minaccia.

Così fece, stampandogliene uno sulla guancia con tanto  di schiocco. Soul si ritrasse pulendosi, come faceva da piccolo quando, al suo compleanno, le vecchie zie lo riempivano di abbracci e baci bavosi.

“Maka!” sbraitò. “Ah-ha! È il tuo punto debole!” strillò entusiasta, come se si trattasse di un duello all’ultimo sangue. Era una situazione ai limiti dell’incredibile, Soul fuggiva dalle zie e Maka lottava con coraggio contro i mostri.

Con un salto gliene diedo un altro sulla fronte. Soul, esasperato, rimase impassibile con gli occhi al cielo e le braccia arrese lungo i fianchi.

“Un altro!” esclamò lei, dandogliene uno sulla tempia. Soul mosse gli occhi per seguire i suoi movimenti.

“Un altro” disse a voce più bassa dandogliene uno sul collo.

“…altro” continuò, quasi in un sussurro, appoggiando dolcemente le labbra sul mento di Soul. Erano diventati più lunghi, come se si appoggiasse a lui, mentre lo baciava, si teneva dritta premendo i palmi delle mani sul petto del ragazzo.

Chiuse le labbra e le riaprì per respirare, intenzionata ad appoggiarle di nuovo sulla guancia di lui, quando a metà strada trovò la bocca morbida di Soul.

Premette le labbra su quelle della ragazza e Maka sentì la propria lingua incontrare quella di lui. Fece un mezzo sorriso, inconsciamente, per quanto le fu possibile, perché la lingua di Soul le stava già leccando il labbro superiore.

Sentiva la lingua intrecciarsi con quella del ragazzo, i denti cozzare e i contorni della bocca umidi di saliva. Forse, se fosse stata sobria, le avrebbe dato fastidio, ma in quel momento non poteva fare a meno di pensare che fosse piacevole.

“Non ti approfittare di me…” piagnucolò faticosamente, mordendogli il labbro inferiore. “No, no” rispose lui, senza aver ascoltato quello che aveva detto.

Maka sospirò pesantemente sentendo i denti  di Soul mordicchiarle il collo e il bacino di lui strusciare contro la sua pancia. Si doveva piegare per baciarla, perché non gli era mai stata così vicina da accorgersi di quanto fosse diventato alto? Quando si erano conosciuti era più basso di lei.

Deglutì a fatica e appoggiando una mano alla sua spalla lo allontanò, Soul spostato all’indietro rimase piuttosto perplesso. Maka si passò una mano sulla bocca per asciugare la saliva e deglutì di nuovo, faticosamente “Non voglio…”

“Eh?”

“Non voglio essere una parentesi di una mezz’ora…tra Jacqueline e chissà quale ragazza più carina…e…quindi smettila” piagnucolò, anche se Jacqueline diceva che non c’era niente tra di loro chi le garantiva che a Soul non interessasse lei? Jacqueline era più carina di lei, no?

Soul rimase a guardarla allibito. Si ammazzava di docce fredde e sesso-fai-da-te per  colpa di quella maledetta, che si ostinava a piacergli nonostante non fosse neanche lontanamente sexy, e lei cosa diceva? Non voglio essere una parentesi di una mezz’ora? L’avrebbe volentieri strozzata.

“Ma che cacchio stai dicendo?”

“Ho detto che non voglio che ti approfitti di me!” strillò in preda a una crisi di nervi, battendo i piedi e mettendosi a piangere.

Soul la prese per le spalle e la scosse come se fosse una bambola inanimata, tanto da farle male “Ma che cacchio stai dicendo?”

Non ricordava di essere mai stato così arrabbiato “Perché cavolo non capisci mai niente?”

“Chi è che non capisce niente? Io capisco tutto, sei tu che sei stupido!” sbottò Maka alterata, sputando veleno.

“Cos’è che non avrei capito?” chiese lui urlandole in faccia. La ragazza rimase per un secondo senza fiato, l’alcol stava decisamente offuscando le sue capacità dialettiche.

“Tutto” rispose alla fine non sapendo cosa dire, poi continuò con aria di chi ha messo il topo in trappola “Allora non ti piace Jacqueline?”

Soul contrasse le mascelle e scandì esasperato “N-O” poi la lasciò andare e le diede un colpetto sulla fronte con le nocche della mano, come se bussasse a una porta. Non fu un colpo abbastanza forte da farle male, ma di sicuro fu sufficiente per farla arrabbiare.

“Brutto cretino!” strillò con rinnovato entusiasmo saltandogli addosso con l’intenzione di ucciderlo, o comunque di fargli male.

Maka non avrebbe saputo spiegare bene come avesse fatto Soul, ma si era di nuovo trovata tra le sue braccia con la lingua di lui intenta a esplorare la sua bocca. Avrebbe potuto giurare di non aver mai ricevuto bacio più osceno di quello, se suo padre li avesse visti sarebbe morto di crepacuore. In quel momento però il pensiero di Spirit era incredibilmente lontano.

§

 

“Dove sono finiti gli altri?” domandò Kid ad un tratto. Liz, con la testa appoggiata al bracciolo di plastica dura e luccicante della carrozza di Cenerentola, si ridestò dal suo torpore. Non aveva bevuto abbastanza da essere brilla, ma abbastanza per avere sonno.

La ragazza alzò le spalle “Kim e Ox sono andati a mangiare la bistecca dei Ford, sai I Re della Bistecca e quelle cavolate lì. Tsubaki e Black*Star sono dal toro meccanico, se vomitano sono fatti loro. Soul e Maka non ne ho idea, spero solo che siano insieme, lei non stava abbastanza bene da poter tornare a casa da sola” spiegò con voce assonnata.

Entrambi guardarono davanti a loro, dove si trovavano due cavallucci piuttosto pacchiani, che al posto del corno da unicorno avevano un pennacchio multicolore che somigliava tanto a quelli usati per spolverare.

“Non ti viene da vomitare, girando sempre in torno?” chiese poi Kid. Liz appoggiò la testa, che le sembrava divenuta pesantissima, sulla spalla del ragazzo, per poi rispondere “Un po’, ma tanto la giostra va piano”.

Ci fu qualche altro minuto di silenzio, e fu nuovamente Kid a spezzarlo “Senti Liz, per la notte del falò…”

“Sta zitto” lo interruppe bruscamente lei “Proprio non ho voglia di parlarne. È un momento piacevole”

Kid sorrise “Okay. Non trovi che questa carrozza non sia per nulla simmetrica? Tralci di vite ovunque, e poi non doveva essere una zucca?” cominciò a dire irritato, facendo ridere lei. Solitamente si arrabbiava da morire nel sentirgli dire certe cose, ma in quel momento era quasi piacevole. Andarono avanti per un po’ a disquisire su zucche e scarpette di cristallo, finché non si sentì “Spignuuuu” emesso da Patty che scivolava dolcemente dalla sua cavalcatura e poi un tonfo.

“Sorellina!” strillò Liz saltando giù dalla carrozza per essere sicura che non si fosse rotta l’osso del collo. Col tempo Liz si convinse che sua sorella fosse fatta di gomma.

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Eccomi di nuovo qui. Da quando ho detto che avrei avuto delle difficoltà ad aggiornare in tempi brevi non faccio altro che scrivere, devo fare esami più spesso, forse ^.^

Ebbene sì, questo è IL capitolo, ci ho messo qualche secolo ad arrivarci ma finalmente sono riuscita a scriverlo ( e alleluia, dieci capitoli più un prologo, si faceva in tempo ad arrivare alla pensione!).

Avrei un sacco di cose da dire prima di postare il capitolo, ma sono certa che mi scorderò qualche cosa!

Cosa più importante di tutte, ci tengo a dire che rileggo sempre tutto quello che scrivo, ma sono un po’ cotta di natura, quindi se notate qualche cosa di sbagliato scusatemi tanto e fatemelo presente, sistemerò subito. Mi hanno fatto notare che la mia punteggiatura non è delle migliori, quindi anche in questo caso, se vedete degli orrori fatemelo sapere ^.^

Grammatica a parte, beh, come al solito sono preoccupata (lo dico tutte le volte, non è più una novità). Maka è un po’ OOC, ma credo che sia ragionevole, anche io sono l’OOC di me stessa quando bevo, spero davvero che sia realistica come reazione. Credo che molte cose le volesse fare e dire anche da sobria, ma le inibizioni e il buon senso glielo hanno impedito. La litigata, il bacio e tutto, mi sono divertita a scriverli, ma non credo che il mio giudizio sia lucido. Tra l’altro quando l’ho scritta mi è sembrata una scena interminabile e rileggendola mi sono detta Tutto qui?, spero che non abbia fatto lo stesso effetto anche a voi!

Per quanto riguarda il titolo, non voglio far passare per mie cose parole che non sono farina del mio sacco, l’ho rubato a una canzone di Ligabue. Non sono un tipo a cui piace mettere le canzoni in mezzo a quello che scrive, ma questa espressione si adattava così bene che non ho resistito!

Poi c’è Liz: non voglio assolutamente che vi sembri una ninfomane pazza, per quello che le ho fatto dire nei capitoli scorsi e per il discorso riguardante il toro. Credo che tutti abbiano un’amica così (io ne ho più di una), spero si capisca cosa voglio fare di lei. Non vorrei che i suoi dialoghi risultino forzati, facendo pensare che li ho scritti solo per metterci in mezzo un po’ di roba trash, vorrei che anche Liz scorresse via fluida, spero di esserci riuscita!

C’è sicuramente qualche cosa d’altro che volevo dire, ma probabilmente non ha importanza.

Per finire voglio ringraziarvi di cuore per tutto il vostro sostegno! Graziegraziegrazie!!

Aki_Penn

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** La diatriba della lavanda ***


Trentotto scalini

Undici

La diatriba della lavanda

 

Elka ebbe la conferma che Stein e Medusa non si erano uccisi a vicenda solo la mattina dopo, quando si ritrovò il professore seduto al tavolo della colazione che trangugiava un toast col formaggio.

“Buongiorno Elka” disse tranquillo addentando il suo cibo. La ragazza annuì con l’aria di chi ha visto un fantasma, poi corse alla finestra a fermare il signor Free che era già in contatto con i pompieri.

“Sì, le dico. Ci sono due morti al Chupa Cabras. No, non è uno strip club, è un rispettabilissimo condominio” poi intercettò Elka che faceva segni strani dalla finestra cercando di dirgli qualche cosa “Sì, mi dicono morti decapitati…no, li ha mangiati uno gnu ballerino, no, non ha senso, forse ho capito male…non ballerino…un’orda di zombie…no guardi, falso allarme. Sarà per la prossima volta. Buona giornata!”

 

§

 

Quella stessa mattina, Soul se ne stava, con aria stanca, seduto dentro la doccia e si faceva scrosciare l’acqua gelida addosso.

Aveva baciato Maka, l’aveva baciata sul serio, anche se era ubriaca. Forse se Liz non l’avesse fatta bere non ci sarebbe riuscito così facilmente, ma era più che mai sicuro che lo voleva anche lei. Sospirò.

Tutto ciò non li aveva impedito di stare tutta a la notte sveglio come un cretino, a pensare come sarebbe stato bello avere la mano di Maka nei pantaloni. Quindi, in un certo senso, stava peggio di prima.

La sera prima si erano baciati per così tanto tempo che alla fine aveva male alla mandibola e quando erano tornati  a casa Maka non stava ancora dritta. Si erano baciati appoggiati alla porta di casa sua e se fosse uscito Spirit sarebbe stato un gran casino. L’idea lo fece sorridere.

Sospirò e appoggiò la testa alle piastrelle. La voleva baciare di nuovo.

“Soul, hai fatto? Sei lì da un’ora!” chiese sua madre da fuori. Il ragazzo fece una smorfia “Ho quasi finito, ho un gran caldo” e in effetti era vero.

 

§

 

Liz risistemò le pentole, con le quali aveva preparato la colazione, dentro al mobile. Kid, insospettabilmente occhialuto, studiava con aria grave una pila di scartoffie.

“Abbiamo un problema, Liz” fece con aria contrita. La ragazza si voltò a guardarlo perplessa.

Kid fece un lungo respiro e poi disse “Non abbiamo più un soldo”

Liz increspò le labbra “Mi stai chiedendo di vendere la mia collezione di smalti? Scordatelo! Vendi i tuoi joystick piuttosto, cosa ce ne facciamo di otto?” sbottò.

“Otto è il numero perfetto! Io non vendo niente!” ribatté Kid con enfasi, rischiando di farsi cadere gli occhiali dal naso, poi stringendo i pugni continuò “Non dicevo che dobbiamo vendere qualche cosa per forza, ma dobbiamo trovare una soluzione. Avevo già pensato di trovarmi un lavoretto estivo, tu come vai col tuo lavoro?”

Liz alzò le spalle “Il solito part-time… non c’è niente da fare Kid, dobbiamo tagliare delle spese”

Kid la guardò con aria sofferente, ma poi la sua espressione si fece più decisa quando propose “Tagliamo sul cibo”.

Liz lo guardò come si guarda un pazzo, poi rispose illuminata da qualche cosa “Mi sembra una buona idea. Non vedo perché lo debbano fare le portinaie e non noi!”

Si diedero la mano come due colleghi in affari e Kid aggiunse “Potremmo anche vendere tutte quelle dannate sculture di Patty, le giraffe sono gli animali meno simmetrici sulla faccia della terra!”

Liz annuì senza lasciare la mano del ragazzo “Mi sembra un’ottima idea, occupano un sacco di spazio, potremmo farci una bancarella alla fiera. Sgombera la tavola quando hai finito con quella roba, non voglio che Patty si preoccupi” e si dileguò soddisfatta.

Era difficile che Patty si preoccupasse di qualche cosa, ma questo non impediva a Liz di essere comunque premurosa. 

 

§

 

Maka teneva la mandibola stretta e le gambe rigide, mentre assicurava i calzini bagnati di suo padre sul filo da stendere, con le mollette per il bucato.

Quella mattina c’era una marea di roba da mettere al sole perché si asciugasse e lei aveva la testa da un’altra parte: sugli scogli sopra la spiaggetta.

Sospirò ad occhi chiusi, aveva baciato Soul, aveva baciato Soul e non aveva idea di che cosa fare.

Era palese che volesse farlo già da tempo, ma il fatto che fosse successo davvero la mandava in crisi, cosa doveva fare a quel punto? Che intenzioni aveva lui? Forse era stata davvero una parentesi di una mezz’ora, lei era ubriaca e aveva fatto una scenata. Si vergognava da morire. Si vergognava da morire a ripensare alla lingua di Soul nella sua bocca e sul suo collo. Deglutì attaccandosi al filo con la mano e fissando l’erba senza vederla, non si accorse nemmeno di Tsubaki che le si avvicinava furtiva.

“Maka?” chiamò piano intuendo che non andava tutto liscio. La ragazza sobbalzò presa alla sprovvista.

“Oh, Tsubaki!” esclamò, mentre poco lontano suo padre e il signor amministratore Lord Shinigami giocavano a volano.

“Hai un’espressione un po’ persa” cominciò, poi si avvicinò e continuò abbassando la voce con aria cospiratoria “ieri sera sei scappata dietro a Soul e non ti sei più fatta vedere”

Maka diventò di colpo color pomodoro maturo “Mi sa che ho fatto una figuraccia” piagnucolò stirando le labbra in una smorfia che mostrava i denti bianchi.

Tsubaki rimase ferma a guardarla senza dire niente sapendo che l’amica avrebbe proseguito e detto qualche cosa di più utile alla conversazione.

Maka sospirò “Ho parlato a vanvera ho tirato fuori la storia di Jacqueline e ho davvero fatto la stupida poi ci siamo baciati in un modo che quasi mi vergogno e poi gli ho detto che non doveva approfittarsi di me perché ero ubriaca e poi ho cercato di picchiarlo e poi ci siamo baciati di nuovo e mi ha toccato il sedere e io gliel’ho lasciato fare e siamo arrivati a casa e ci siamo baciati davanti alla porta e se usciva mio padre era un casino e poi non so cosa pensa lui adesso e non so nemmeno cosa voglio io” Raccontò tutto senza respirare e quando finalmente concluse, guardandola negli occhi, Tsubaki si stupì che non fosse morta per asfissia e quasi, la notizia che aveva baciato Soul, era passata inosservata.

“Vi siete baciati quindi?” ricapitolò un po’ stordita.

“Sì” ammise Maka con l’aria di chi non è felice per niente.

“È una buona cosa…dovrebbe esserlo…no? Se vi siete baciati è perché volevi baciarlo, no?” fece Tsubaki come se stesse dicendo una cosa ovvia.

“Credo di sì” gemette Maka aggrappandosi al filo da stendere con entrambe le mani “Ma sono in ansia lo stesso. Credo di essermi davvero resa ridicola, e non lo avrei fatto se Liz non avesse insistito tanto per farmi bere la birra. E a me neanche piace la birra!” iniziò mesta per poi brontolare con più enfasi. Tsubaki fece uno dei suoi sorrisi dolci “Ma alla fine se non fosse stato per Liz non avresti baciato Soul, no? Se ti consola saperlo, io e Black*Star, dopo che tutti se ne sono andati, ci siamo diretti al toro meccanico, ci siamo saliti in due e l’abbiamo rotto. Cioè…Black*Star l’ha rotto, infatti adesso è nei casini perché deve dei soldi al proprietario. Questa credo che sia davvero una figura peggiore” concluse con una risatina. Maka era certa che in realtà non fosse così tranquilla come si mostrava, era decisamente il tipo di persona che avrebbe cercato di salvare Black*Star da sé stesso.

Fece di rimando un sorriso un po’ teso, era carino che Tsubaki cercasse di tirarle su il morale, ma non ci poteva fare nulla, le sue budella erano attorcigliate in un nodo difficile da sciogliere.

“Sono convinta che dovresti aspettare di incontrarlo oggi, senza starti ad arrovellare troppo” aggiunse. Maka annuì e sospirò, probabilmente aveva ragione, ma il dire è diverso dal fare.

“Comunque…” Tsubaki sembrava un po’ imbarazzata, si torceva le mani e guardava da un’altra parte “ero venuta a chiederti un favore…”

Maka sbatté le palpebre, non capiva che favore potesse imbarazzarla tanto.

“Sta sera…ecco…volevo rimanere a dormire da Black*Star, ma non posso dirlo ai miei. Volevo chiederti se…ecco…potevo dire loro che rimanevo a dormire da te per sta notte…a guardare un film e a fare due chiacchiere tra amiche” spiegò infine mordendosi le labbra agitata. L’amica la guardò perplessa per qualche secondo. Quella storia di Tsubaki che si era presa una cotta stratosferica per un matto proprio non le andava giù, adesso voleva anche dire ai propri genitori una bugia mettendo in mezzo lei. Quel Black*Star le faceva fare delle cose sbagliate, l’influenza che aveva su di lei era sbagliata. Non era per nulla contenta però sapeva benissimo che se lei le avesse chiesto una cosa del genere Tsubaki l’avrebbe fatta senza pensarci due volte, quindi disse “Certo, non preoccuparti”

“Grazie mille!” esclamò Tsubaki contenta che Maka non avesse trovato nulla da dire nonostante Black*Star non le piacesse troppo.

La guardò trottare fino in casa per andare a dire ai suoi che sarebbe rimasta a dormire da Maka. La ragazza sospirò di nuovo, in un attimo, non avendo più la minaccia di quell’idiota azzurro a cui pensare, era sprofondata di nuovo nei suoi pensieri e c’era ancora un mucchio di roba da stendere. Afferrò un paio di slip e li attaccò al filo con un’altra molletta.

“Cos’è quella roba?” chiesero alle sue spalle. Sobbalzò, conosceva quella voce, era la voce di chi non la faceva stare tranquilla neanche un attimo.

“Che roba?” chiese Maka con aria poco conciliante, subito sulla difensiva.

“Che razza di mutande sono?” chiese ancora divertito. La stava prendendo in giro? La stava prendendo in giro, il maledetto!

Se ne stava a distanza, come se avesse paura di avvicinarsi.

“Fatti gli affari tuoi!” sbottò lei, voltandogli le spalle. La preoccupazione e l’imbarazzo erano spariti, voleva solo tirargli un pugno, ma era troppo lontano e non aveva tempo per mettersi a rincorrerlo.

“Dai, non sono sexy per niente. Le ragazze dovrebbero avere mutande più carine” continuò con il suo solito sorrisetto strafottente, sedendosi su un vaso di pietra vuoto.

“Cosa ne sai tu di biancheria per ragazze, eh? E poi queste sono un’idea di mio padre per quando lavorava ancora per Lord Shinigami, per pubblicizzare lo studio di amministratori, ma ovviamente mettere il simbolo dello studio su delle mutande è una cosa da maniaci, quindi non le ha mai prese nessuno!” spiegò. Era così arrabbiata che nell’intento di attaccare l’ennesimo paio di slip al filo ruppe la molletta. Strinse i denti stizzita e tirò i resti della pinzetta al suo interlocutore “Guarda cosa mi hai fatto fare, superdeficiente!”

Soul la schivò per un pelo  “Che cacchio fai, stupida tappetta!” urlò lui.

“Tu che cacchio fai!? Cosa diavolo vuoi?” continuò lei. Il ragazzo sbuffò spostando un ciuffo fastidioso che gli era finito sugli occhi, con un soffio.

“Ah, lascia perdere! Comunque quelle mutande non sono per niente sexy e basta!” sbottò andandosene prima che Maka gli lanciasse una seconda molletta colpendolo in pieno.

Fu più o meno in quel momento che, abbandonata la  partita a volano, Spirit Albarn si lanciò nella mischia dicendo che quel maledetto teppista doveva smetterla di importunare la sua Makina, perché se no gli avrebbe strappato gli occhi a morsi.

 

§

 

L’appartamento dove Tsubaki abitava coi suoi genitori si trovava al quinto piano. Trentotto scalini per arrivarci. Di fronte alla porta di casa Evans.

Maka sospirò, non sapeva cosa pensare, era in ansia al sol pensiero di dover passare davanti a quella porta contro la quale si era addormentata tempo prima e dove abitava Soul. Era furiosa e triste allo stesso tempo, e se ne vergognava. Non valeva la pena di perdere tempo con un tipo simile, era davvero un idiota, si era approfittato di lei, lo avrebbe dovuto immaginare. Era un cretino, come suo padre, come tutti gli uomini. Strinse i denti e salì gli scalini che la separavano da casa Nakatsukasa, non si era nemmeno vestita per uscire, indossava una maglietta sbrindellata e troppo larga che tempo prima era appartenuta a Spirit, dei pantaloncini troppo corti per pensare di farli uscire di casa e le ciabatte, oltre ovviamente alla faccia della bugia, preparata apposta per l’occasione, per aiutare Tsubaki. Se fosse stata un’altra persona non avrebbe certo mentito così spudoratamente.

Contò i gradini, ogni tanto le piaceva farlo. Da piccola, mentre sua madre le insegnava a contare, lo faceva sempre. …quindici, sedici, diciassette, diciotto, diciannove, altri diciannove e sono trentotto, venti…

Nonostante guardasse per terra non le sfuggì un movimento nella parte alta della terza rampa. Alzò gli occhi per controllare, non sarebbe stato carino dare una testata in pancia al signor Mifune.

Ma del signor Mifune non ve ne era neanche l’ombra, in compenso si stagliava la figura chiara di Soul Eater Evans, anche lui vestito come di solito si sta in casa.

“Vado da Kid” disse tranquillo scendendo le scale nella sua direzione, mentre la ragazza rimaneva ferma sul primo gradino della rampa. Lo vide allungare la mano per appoggiarla sulla sua spalla e si scansò “Spostati, devo andare da Tsubaki” sbottò poco garbatamente, senza guardarlo negli occhi.

“Che cacchio hai mangiato per cena? Sei acida come un limone!” fece lui di rimando, altrettanto arrabbiato per la reazione della ragazza.

“Stupida idiota” brontolò tra sé, senza che Maka potesse sentirlo.

La ragazza arrivò in un lampo alla porta dell’amica e suonò il campanello sul quale stava scritto Nakatsukasa. Fece un respiro profondo e aspettò che le venissero ad aprire, non voleva che quel cretino di Soul le rovinasse una serata che già di per sé non era un granché.

“Maka, ciao” salutò Tsubaki aprendo la porta ed apprestandosi a uscire. “Fate le brave ragazze. E non fate arrabbiare Spirit!”  dissero dalla cucina pacatamente.

A volte Maka si trovava un po’ ad invidiare Tsubaki, i Nakatsukasa erano persone così sobrie e intelligenti, non come suo padre!

“Non si preoccupi, mio padre non ha problemi di nessun tipo, signora!” rispose Maka richiudendo la porta dietro all’amica. Tsubaki mimò un grazie che lei le lesse sulle labbra. Annuì e le sorrise.

Appena l’uscio si richiuse con uno schiocco entrambe esalarono un respiro di sollievo “Sono terrorizzata” ammise Tsubaki “non ho mai fatto una cosa del genere. Un conto è dire che vado alla festa d’estate con Liz e un conto è rimanere fuori tutta la notte…mi sento un po’ in colpa” spiegò mettendosi una mano sulla faccia, poi diede un’occhiata furtiva all’amica “E tu cos’hai?”

“Niente” mentì Maka abbacchiata. Tsubaki le diede una gomitata “Non è vero” ribatté l’amica. Maka sospirò e appoggiò la testa alla sua spalla “Soul è un cretino. Un maledetto cretino. E non mi va di parlarne” cominciò per poi finire rialzando la testa e guardarla con rinnovato entusiasmo. Appoggiò le mani sulle spalle dell’amica e annuì “Beh… divertiti? Passa una bella serata” si corresse. Divertiti le era sembrato brutto…le venivano in mente cose sbagliate.  

 

§

 

“Sei bollente” disse una voce divertita mentre qualche cosa di gelido si appoggiava alla sua guancia in fiamme.

Tsubaki riaprì gli occhi e sobbalzò, come se qualcuno l’avesse svegliata da una trance, senza il minimo riguardo. Batté le palpebre incerta. Black*Star divertito, seduto a piedi nudi sul divano, teneva in mano un bicchiere di tea freddo appannato dalla temperatura glaciale del liquido.

Lo scrutò con attenzione, aveva addosso una maglietta e dei pantaloni, perché fino a quel momento non se ne era accorta?

“Come fai a profumare sempre di lavanda?” domandò, prima di scolarsi il tea che aveva nel bicchiere, in modo molto poco elegante. Tsubaki deglutì “Il mio bagnoschiuma sa di lavanda” spiegò a bassa voce. Black*Star fece una smorfia “Ma il tuo nome significa camelia, no?” continuò lui come se questa storia della lavanda fosse un’offesa personale.

“La camelia non ha profumo” fece Tsubaki un po’ desolata, finendo per guardarsi i piedi nudi appoggiati al tavolinetto basso davanti al divano. Sospirò concludendo che i piedi non erano l’unica cosa nuda in quel momento, non aveva addosso più nemmeno un centimetro di stoffa, era sudata e probabilmente aveva la faccia color porpora. Strinse le gambe e incrociò le braccia sul seno. A quel punto non c’era più nulla da nascondere, ma non le andava lo stesso di starsene lì sdraiata placidamente.

“Secondo me è una stronzata. Dipende dalle camelie, ci sono anche quelle profumate. Chiedilo al giardiniere!” fece lui saputo, bevendo l’ultima goccia del suo bicchiere, prima di prenderla alla sprovvista, afferrarle il viso con una mano e baciarla con inaudita passione. Tsubaki sentì il sapore del tea freddo sulla lingua e il calore della mano di lui sulla guancia, ma nonostante questo finì per allontanarlo con una pressione gentile sul petto.

“Senti, devo andare. Mi sono…mi sono scordata di una cosa…” disse alzandosi in piedi in una posizione da Venere di Botticelli, molto imbarazzata. Corse a riprendersi i vestiti che erano caduti dal divano senza guardarlo in faccia, cercando di infilarseli al massimo della velocità.

Non si voltò ma sapeva benissimo che lui la stava guardando e la cosa la faceva morire di vergogna.

A quel punto si era alzato anche lui “Ma dopo torni, vero?” chiese per la prima volta un po’ perplesso, mettendosi davanti alla porta di casa sua. Tsubaki gli diede un bacio veloce sulle labbra, come se fosse un timbro, una cosa da dover fare per forza, e sgusciò via come un’anguilla.

“Magari domani” disse col labbro inferiore che le tremava. E in un attimo era scappata via nella notte.

A Maka venne un colpo quando il suo cellulare suonò, sul display c’era il nome di Tsubaki. Il fatto che le stesse chiedendo di farla entrare in casa perché non avrebbe più passato la notte da Black*Star era quanto meno losco.

La ragazza andò ad aprire, la abbigliamento era lo stesso che sfoggiava al suo incontro con Soul, su per le scale.

Tsubaki si infilò in casa Albarn come un tornado, attraversò la cucina di corsa e si chiuse in camera di Maka, chiudendo la porta per giunta. La padrona di casa era rimasta allibita, con ancora il pomello della porta d’ingresso in mano.

Alzò un sopracciglio e assunse un’espressione più che mai scocciata, cosa diamine stava combinando Tsubaki? Si avviò a passo di marcia verso la sua camera e aprì la porta con una gran botta.

L’amica se ne stava sdraiata sul suo letto in posizione fetale. Maka richiuse la porta con una botta altrettanto poderosa, poi chiese a voce un po’ alterata “Che diamine è successo?”

“Niente” pigolò Tsubaki in un sussurro a malapena udibile.

“Non mi prendere in giro! Cosa ti ha fatto quello là! Lo ammazzo io con un Maka-chop!” sbottò Maka saltando sul letto accanto all’amica, facendo cigolare le doghe.

Tsubaki scosse la testa “Non ha fatto nulla…però io mi vergogno…”

“Eh?”

“Ero nuda solo io, mi sa che …” cominciò, per poi soffocare tutto in un cuscino. Maka guardò il soffitto con un po’ d’impazienza misto odio, per Black*Star.

“Vuoi che chiami Liz?” domandò sapendo che quella era l’unica soluzione. Tsubaki scosse di nuovo la testa, nonostante questo Liz, dopo due minuti, era lì.

“Che diavolo hai?” chiese un po’ scorbutica appoggiandole una mano su un fianco.

“Niente” disse di nuovo Tsubaki, rimanendo nella sua posizione fetale.

L’amica le diede altre due pacche non troppo forti sul fianco “Su, su, parla! Ho lasciato la mia casa in balia di Kid, Patty e Soul, fa che sia stato per un giusto motivo” fece più comprensiva.

“Sono andata da Black*Star sta sera” cominciò Tsubaki, fermandosi dopo questa ammissione. Liz fece un sospiro “Questo lo so”

“Ero nuda solo io. Lui era tutto controllato e vestito che beveva il tea. Mi sono vergognata” gemette. Liz si mise una mano in faccia “Ma che cosa stai dicendo?” piagnucolò la stessa Liz, alla quale toccava avere a che fare con persone dalle turbe sempre più bizzarre.

“Quale sarebbe stato il problema se eri nuda solo tu? Vuol dire che ti sei divertita più di lui”

Tsubaki si rannicchiò ancora di più, se possibile “Non dirmi certe cose”

Liz emise un altro sospiro “Cosa devo fare con te?” poi si voltò verso Maka “Dille qualche cosa, su!”

“Ho chiamato te perché non sapevo cosa dirle!” esclamò Maka sulla difensiva.

“Beh, dille che anche secondo te non è così terribile che in ragazzo che ti piace ti faccia contenta!” sbottò Liz come se fosse una cosa ovvia. Maka boccheggio e Tsubaki, dal suo bozzolo, sussurrò “Maka si vergogna di aver baciato Soul”

Liz mise tutta la sua attenzione su Maka, e non era un’attenzione simpatica “Perché diamine ti ci metti anche tu? Che cavolo, anche se sono contenta che vi siate baciati mi fai arrabbiare da morire!” sbottò fulminandola.

“Beh…era un bacio osceno e poi mi ha toccato anche il sedere! Ed è un idiota!” ribatté Maka color peperone. Liz la guardò sottecchi “Non ho davvero nulla da dire dopo aver sentito la tua scioccante confessione” disse con un’aria tra in triste e il sarcastico.

 

§

 

“È incredibile come la gente accorra appena scopre che può avermi tutto per sé. Sono proprio un big!” esclamò Black*Star ciarliero, sdraiato a pancia in giù sul biliardo.

“Siamo accorsi perché abbiamo saputo che Tsubaki è tornata, di corsa, a casa di Maka” specificò Soul, seduto per terra poco composto.

“Che diavolo è successo?” chiese Kid intento a sistemare la cucina che, con tutto quel disordine, proprio non gli andava a genio.

“Niente, a un certo punto è andata via. Però l’ho vista nuda” si affrettò a dire tutto contento.

“Siamo sicuri che a lei andasse bene di essere vista nuda?” domandò Kid dalla sua postazione tra le pentole.

“Certo, guarda che sono bravo io, con le donne” fece Black*Star sornione, distribuendo occhiolini maliziosi ai presenti.

“Così bravo che è scappata, infatti” commentò Soul da sotto, senza che l’amico lo sentisse.

“Mica come te, che ti fai fraintendere. Siete spariti tu e Maka ieri sera” continuò Kid, tra le pentole, come volendo che Soul continuasse la sua frase. Il ragazzo sbuffò “Sì, ieri sera abbiamo chiarito, credo. Sì, abbiamo chiarito le cose in sospeso, ma poi sta mattina sono andato in giardino e c’era suo padre e non mi andava di avvicinarmi e boh…lei si è messa a fare l’offesa”

Kid alzò le sopracciglia tenendo il barattolo del curry stretto in mano “Sei sicuro che si sia offesa così per niente?”

“Certo!” rispose Soul con aria che non ammetteva repliche.

 

 

 

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Tanto per non cambiare, anche questa volta sono preoccupatissima per quello che ho scritto. Ho cercato di sistemare la punteggiatura come meglio potevo, spero di esserci riuscita.

Passando al capitolo in sé per sé, come successo altre volte doveva essere più lungo ma, un po’ perché domani non potrei aggiornare, un po’ perché non voglio fare capitoli chilometrici (anche questo è di cinque pagine), alla fine è stato tagliato. Spero che comunque possa essere una lettura non troppo spiacevole. Il titolo è quello che ho scelto solo perché, da anni, volevo mettere la parola diatriba in un’intestazione, sono una mente semplice, io!

Grazie mille per essere arrivati fino a qui e buon Allouin! ^.^

<

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** La strategia del lenzuolo ***


Trentotto scalini

Capitolo Dodicesimo

La strategia del lenzuolo

 

Soul Eater Evans era una persona di scarsa pazienza. Lo era sempre stato e anche quella mattina non sarebbe stato da meno.

Sua madre aveva fatto dei problemi quando lui aveva tirato fuori dal freezer l’ennesimo ghiacciolo all’anice.

“Non è il tipo di alimento che andrebbe bene per la colazione” aveva brontolato “acqua ghiacciata, aromi e coloranti…” aveva poi continuato a borbottare intenta a pulire il bagno.

Soul a volte la spiava mentre faceva le pulizie. Non c’era abituata e all’inizio era stato traumatico. Non era davvero capace, rimanevano le macchie sul pavimento e i vasi d’arredo franavano al suolo quando cercava di spolverare, ma col tempo era riuscita a raggiungere un suo equilibrio, anche se la cucina non era ancora un granché.

A lui faceva un po’ ridere, ma era la sua parte umana, che di solito non esprimeva al meglio, perciò pensava che fosse carina, che fosse come il resto del Chupa Cabras. Sua madre era proprio come tutti gli altri, nonostante si ostinasse a non ammetterlo.

Uscì di casa, senza farsi sentire, e scese le scale a passo pesante, alzando gli occhi solo quando qualcuno, dal piano di sopra, lo chiamò “Soul, stai attento che ho appena lavato le scale!”

Soul mandò giù un pezzo di ghiaccio e annuì, era piuttosto sicuro che l’attitudine di Arisa alla pulizia delle scale fosse dovuta alla voglia di beccare qualcuno in flagranza di reato o comunque di poter trovare qualche cosa su cui spettegolare.

Al quarto piano incontrò Liz, che usciva dalla porta di casa del professor Excalibur, con aria allucinata. Si appoggiò al corrimano con l’aria di chi deve riprendere fiato dopo una corsa.

“Tutto a posto?” domandò con voce strascicata, ricordandosi di mordere il ghiacciolo invece di leccarlo, per evitare commenti imbarazzanti.

“Non entrare mai in quella casa...” disse col fiatone, fissandolo con aria da martire, prima di scendere di corsa le scale verso il suo appartamento. Soul la seguì a ruota sentendo che la porta dell’appartamento in questione si stava aprendo.

Tempo dopo scoprì che lo stratagemma per risparmiare che avevano ideato Liz e Kid era quello di autoinvitarsi a casa degli altri in corrispondenza dei pasti, come facevano le portinaie, e che quel giorno a Liz era capitato per colazione proprio Excalibur. Da allora sulla tabella di marcia per il risparmio, sulla fotografia del professore di Storia del dodicesimo secolo, fu tirata una croce.

Soul finì di scendere le scale senza altri inconvenienti e senza incontrare anima viva, fatta esclusione di Elka Frog che stava spazzando lo zerbino con un’espressione che pareva dire meno sto in questa casa, meglio sto.

Uscì dando un’occhiata a Liza che sistemava al meglio il calendario della portineria attaccato al chiodo, probabilmente controllava i compleanni, che erano sempre motivo di grandi ubriacature e di conseguenti pettegolezzi.

Faceva ancora un caldo terribile, il nubifragio di qualche giorno prima non si era portato via l’afa anzi, forse era più umido. Finì per lasciarsi cadere su una panca di legno, mentre poco più in là il signor Free cercava di mettere il diserbante contro le erbacce, con risultati a dir poco pessimi.

Fu più o meno in quel momento che spuntò Blair, con indosso degli occhiali da sole giganteschi e un bikini microscopico.

Soul per poco non si strozzò col ghiacciolo. Aveva passato il suo periodo di fissa per Blair, ma questo non voleva dire che fosse immune al suo fascino. Si voltò dall’altra parte per non guardarla.

“Buongiorno Soul!” esclamò allegra, piegandosi pericolosamente su di lui.

“Buongiorno” biascicò lui, scuro in volto, con il ghiacciolo infilato in bocca per tre quarti, neanche fosse stato un iceberg.

“Ti vedo un po’ giù di corda. Cos’è quella faccia scura?” domandò sedendosi di prepotenza accanto a lui e tirandogli le guance. Soul avrebbe voluto sospirare ma, dato che stava soffocando per colpa del ghiacciolo, non lo fece.

Tossicchiò sputacchiando anice glaciale  e strizzò gli occhi prima di guardare Blair che contraccambiava con un’espressione tra il languido e il divertito, tipica di Blair.

Fece una smorfia, come per recuperare il suo solito contegno da maschio cool “Senti Blair, sai per caso quando Maka stende le lenzuola?” domandò.

La ragazza si mise un ditino sulla bocca e guardò in aria con aria pensierosa prima di rispondere dettagliatamente “Le lenzuola del letto di Spirit le ha lavate il giorno dell’acquazzone. Ti ricordi?” disse. Soul annuì, arrossendo un poco, se lo ricordava eccome quel giorno, aveva baciato Maka.

“Quelle del suo letto dovrebbe lavarle oggi invece. Perché?” chiese poi rendendosi conto dell’insensatezza della domanda.

Soul alzò le spalle “Così. Vai a prendere il sole?” sviò il discorso lui. L’ingegnere sorrise allegra “Sì, nella spiaggia nudisti. Vuoi venire anche tu?”

Soul divenne bordeaux “No, grazie. Magari un’altra volta”. Le tette di Blairandavano messe fuorilegge.

“Come vuoi. Buona giornata, Soul” salutò andandosene ancheggiando.

Il ragazzo emise un respiro di sollievo solo quando la vide sparire oltre il cancello del Chupa Cabras. Si chiese, se per caso Maka fosse stata così, non sarebbe stato tutto più semplice? Ma Maka non era come Blair, e forse era per quello che gli piaceva. Ai maschi cool piace intraprendere le imprese più impossibili. E Maka era impossibile.

Come chiamata dalla forza della provvidenza divina, Maka, apparve sulla soglia del condominio.

“Buongiorno” disse brusca voltandosi dall’altra parte, per non guardare Soul, e dirigendosi al filo da stendere, tenendo in mano una pesante catinella piena di lenzuola.

“ ‘giorno” fece lui, un po’ in ritardo rispetto al saluto dell’amica. Poco distante Spirit e l’amministratore si chiedevano come mai le aiuole sembrassero degli acquitrini. Soul avrebbe potuto spiegarglielo con una sola parola, Free, ma lasciò che si divertissero a trovare il colpevole da soli.

Rimase a fissarla, senza degnarsi di distogliere lo sguardo quando lei gliene lanciava di fugaci. Era arrabbiata con lui, si vedeva, eppure non riusciva a non controllare, ogni tanto, che non se ne fosse andato.

Finì il suo ghiacciolo e rientrò solo col busto, per buttare il bastoncino del ghiacciolo nel bidone della portineria. Non poté vedere Maka allungare il collo per vedere se se ne stava andando, ma un attimo dopo era di nuovo sotto il sole del giardino, con le mani in tasca. Si avvicinò con la sua solita andatura lenta, strascicata, come il suo modo di parlare. Un po’ per fare il superiore.

“Niente mutande coi teschi, stamattina?” chiese, tenendosi a distanza.

“No” rispose lei secca, senza guardarlo. L’aveva guardato fino a un secondo prima, sapeva com’era vestito, sapeva come aveva sistemato i capelli quel giorno e conosceva ogni singolo dettaglio del suo viso, non aveva bisogno di guardarlo ancora.

Soul si avvicinò cauto, finendo per stare tra i due lenzuoli stesi, che Maka stava assicurando al filo con le mollette.

“I lenzuoli mi piacciono molto di più delle mutande” continuò Soul, senza che il tuo discorso sembrasse avere un senso logico.

Maka alzò le spalle, che cosa gliene importava a lei se lui preferiva i lenzuoli? E poi che cacchio stava dicendo?

“Blair mi ha detto che oggi avresti steso le lenzuola del tuo letto” continuò tirando un po’ un lembo del lenzuolo fino quasi a fargli toccare terra.

“Così si sporca!” sbottò Maka additandolo. Soul scrollò le spalle superandola e andando a fare la stessa cosa con l’altro lembo “Non tocca per terra, se lo fermi con le mollette va bene così”.

Maka si fermò con la mano a mezz’aria.

“Perché devi stenderlo tutto da una parte? Tua madre non ti ha insegnato come si fa? A che cacchio serve?” sbottò alterata, mentre Soul si asciugava le mani umide sui jeans.

“Così non si vedono neanche le nostre scarpe.” Spiegò Soul pacato, avvicinandosi.

“E quindi?” continuò acida lei. Il ragazzo si fermò davanti a lei mordendosi il labbro inferiore “E quindi tuo padre non ci vede” concluse, prima di appoggiare la bocca su quella della ragazza. Fu un bacio leggero, Maka avrebbe anche potuto non accorgersene se non fosse stato un bacio sulle labbra. Non era stato forte come quello che si erano dati in spiaggia, né irruento e meravigliosamente osceno come quello che si erano dati alla fiera, ciononostante arrossì come se fosse stata un pomodoro maturo e si voltò dall’altra parte appena lui si allontanò di poco.

“Ah” fece semplicemente deglutendo, come per dire che aveva capito lo scopo del lenzuolo.

“Te l’avevo detto che non mi piacevano le mutande” continuò poi lui guardando a sua volta da un’altra parte.

“Era questo che intendevi, ieri?” chiese Maka un po’ vergognosa. Soul annuì serio. In realtà intendeva dire davvero quello che aveva detto, ovvero che la biancheria intima di Maka non era sexy per nulla, ma se l’avesse ribadito si sarebbe beccato un cazzotto incredibile, quindi mentì spudoratamente.

Si guardarono un po’ a disagio. Soul avrebbe voluto baciarla di nuovo ma, svanito l’effetto sorpresa, si imbarazzava troppo. E la cosa era davvero poco cool.

Maka lo guardava come non l’aveva mai guardato, e si sentiva incredibilmente fuori luogo. Fece un passo indietro per togliersi dall’imbarazzo di esserle così vicino.

“Ti va di andare al cinema?” chiese poi. Maka alzò le spalle, sicuramente non si aspettava una proposta del genere.

“Va bene” disse poi. Cosa c’era di male?

Soul annuì di nuovo “Allora oggi pomeriggio alle tre. Scegli tu il film, andiamo alla multisala col mio scooter” fece girandosi, prima di scappare su per le scale del Chupa Cabras. Maka annuì a sua volta e lo guardò sparire dentro l’entrata condominiale.

Soul salì le scale facendo i gradini a due a due. Non aveva avuto molte ragazze in vita sua e non era mai andato con loro al cinema, al massimo in sala giochi, ma era chiaro qual era il fascino di una stanza buia dove nessuno poteva vederli. Sperò davvero che Maka non scegliesse un polpettone per poi vederlo, le aveva lasciato libera scelta perché contava di non guardarlo, ma con Maka Albarn non si poteva mai sapere.

In giardino Maka si leccò le labbra. Anice. Le faceva schifo, ma in quel caso non era poi così male.

 

§

 

“Siamo in ritardo!” fece notare Maka, piuttosto contrariata. Soul alzò le sopracciglia, calmissimo “Non è colpa mia, mia madre si è messa a dirmi un sacco di cose e a rompere le scatole e non ne voleva sapere di farmi uscire!”.

Maka incrociò le braccia sul petto e mise il broncio, mentre lo scooter giallo sfrecciava per le stradine strette di Death City, verso il cinema.

Si appoggiò con impeto alle spalle del ragazzo. “Vai piano, per la miseria! Così ci ammazziamo!” intimò con voce fin troppo acuta.

Soul sbuffò, era piacevole sentirla aderire alla sua schiena, meno sentirla urlare come un’aquila.

“Prima ti lamenti perché siamo in ritardo, poi ti lamenti perché vado troppo veloce. Cosa dovrei fare allora?” ribatté con il solito tono strascicato, voltando a sinistra.

“Mi pare chiaro che sono arrabbiata perché siamo in ritardo, il film sarà già iniziato, ma è anche ovvio che non voglio ammazzarmi!” proferì con aria da maestrina. Soul aggrottò le sopracciglia, grato che fossero arrivati a destinazione.

Maka scese con un salto dalla moto e lo guardò mettere la catena, con impazienza. “Adesso andiamo, Maka. Non voglio che mi rubino lo scooter.”

“Sì” rispose lei secca, non poteva dire di non essere d’accordo, ma era comunque incredibilmente scocciata.

Si alzò e le appoggiò una mano sul gomito per indirizzarla verso l’entrata del cinema, un po’ come aveva fatto quando era ubriaca. Sinceramente, Soul, non avrebbe saputo dire se una ragazza del genere fosse più ingestibile da sobria o da brilla.  Maka, a sua volta, affrettò il passo.

Il cinema era uno dei soliti cinema che ci sono nelle città non troppo grandi, ma neanche troppo piccole, con la moquette rossa e le pareti di legno.

“Li vuoi i popcorn?” chiese lui. Maka sbuffò “Li avrei voluti, ma siamo in ritardo”. Soul le avrebbe volentieri tirato un cazzotto, se lo sarebbe meritato.

Alzò le sopracciglia “Allora prendo i biglietti” annunciò incamminandosi verso la biglietteria dove lavorava una donna occhialuta. “Ehi” richiamò la sua attenzione, la ragazza. Soul si voltò di nuovo a guardarla.

“Tieni, sono i soldi del mio biglietto.” Fece un po’ scontrosa.

Lui fissò la banconota che Maka gli porgeva per qualche secondo, prima di afferrarla. Se fossero stati una coppia, forse, avrebbe dovuto offrire lui, ma quello non era un appuntamento, o almeno, Maka voleva che non lo fosse.

Un minuto dopo brancolavano nel buio della sala, mentre sul grande schermo parlava un attore belloccio, messo lì solo per attirare qualche adolescente dagli ormoni mossi, Soul ne era sicuro. Qualcuno faceva le ombre cinesi, e gli venne quasi da ridere. Tra i sedili ci fu un po’ di tramestio e le ombre cinesi smisero, lasciando tutta l’attenzione al film.

“Vedi la fila H?” chiese Maka, cercando di tenere la voce abbastanza bassa da non disturbare gli altri avventori, ma abbastanza alta da farsi sentire dall’amico.

“E’ questa” sussurrò lui, facendosi luce col cellulare. Si infilarono nella fila giusta e dopo una lunga sequenza di mi scusi, permesso e è suo questo piede? riuscirono finalmente a mettersi a sedere.

Entrambi si sentirono un po’ sollevati quando finalmente sentirono, sotto il sedere, la consistenza della poltrona della sala.

“Siamo arrivati” esordì Maka decisamente più rilassata, Soul annuì al buio.

Alla fine, Maka, aveva scelto una commedia, probabilmente perché aveva pensato a lui, un polpettone da intellettuale, in effetti, non avrebbe mai potuto reggerlo. Soul però, sperò che il fatto che i film di poca sostanza non le interessavano granché, potesse anche permetterle di perderli.

“La bigliettaia ha detto che è iniziato da dieci minuti, ma credo che riusciremo a capire comunque tutto” fece, avvicinandosi un po’ all’orecchio della ragazza, per non dover urlare. Con la luce intermittente, che proveniva dallo schermo, non la vedeva bene in faccia, ma la intravide sobbalzare.

Maka si passò la mano sul viso e annuì in silenzio prima di dire “Sì, e poi ho letto la trama, non è nulla di cervellotico.”

Dopo il primo quarto d’ora, Soul, avrebbe voluto scappare a gambe levate. Non amava le commedie, se non c’era qualche zombie, o almeno un po’ di sangue, non era contento, e per di più pensare a quello che avrebbe dovuto fare non gli permetteva neanche di concentrarsi sul film e capire se effettivamente aveva una trama. Sbuffò. Non che ci volesse molto a capire che i due protagonisti si sarebbero messi insieme, era sempre così.

Si protese un po’ verso al sedile di Maka, in modo da poterle parlare nell’orecchio.

“Ti piace il film?” domandò a bassa voce.

“E’ carino” rispose lei, sobbalzando nel sentirlo così vicino. “Tanto i protagonisti si mettono insieme” continuò lui, guardando di nuovo lo schermo. Il protagonista veniva malmenato da una vecchietta.

“Non mi fa ridere” aggiunse poi, prima di voltarsi verso l’amica. La vide lentamente annuire “Hai ragione” ammise con un sorrisino, illuminato da una luce azzurra dello schermo.

“Avrei dovuto scegliere qualche cosa d’altro, forse” ammise, con una smorfia dispiaciuta, distogliendo lo sguardo.

“Ma le alternative erano: quello stupido splatter con gli zombie” cominciò a elencare. A Soul si illuminarono gli occhi, ma cercò di non darlo a vedere “Il cartone animato con protagonista un koala, ma ho promesso ad Angela, la figlia di Mifune, di andarci con lei, e poi non credo che ti sarebbe piaciuto” fece, arrossendo un poco, nonostante lui non la potesse vedere. Soul annuì compiaciuto, ci mancavano solo i cartoni animati sui koala.

“E poi il filmato dello spettacolo teatrale del professor Excalibur” concluse.

“Quello nella recensione è classificato come horror, immagino” sentenziò Soul ironico, ma serissimo. Maka rise un po’ troppo forte e si mise una mano sulla bocca prima di avvicinarsi un altro po’ a lui e sussurrare “Dovrebbe”.

Soul pensò che non l’aveva mai vista con gli occhi così luminosi, che fosse colpa dei riflessi dello schermo, o forse erano un po’ lucidi, sta di fatto che sembrava davvero che ridessero.

Era convinto che, in quell’avvicinarsi a lui, non ci fosse nulla di malizioso, ciononostante finì per appoggiare le labbra a quelle della ragazza e chiudere gli occhi. Maka li serrò a sua volta, senza pensarci più di un secondo, presa alla sprovvista, lo fece inconsciamente, mentre la mano di Soul le andava dietro la nuca.

L’aveva presa per i capelli, affondandoci dentro le dita, mentre la sua lingua l’accarezzava lenta ed esplorava nuovamente la bocca di lei. Quello era il primo vero bacio. Maka si allontanò di poco per prendere fiato, mentre la mano calda di Soul si appoggiava al suo ginocchio e lo stringeva.

L’altra mano la costrinse a tornare a dare attenzione a lui.

Gli morse il labbro superiore e poi tornò a giocare con la sua lingua, mentre tutto il contorno delle labbra era ormai umido di saliva. Gli circondò il collo con le braccia, dimentica che si trovavano in un cinema, tanto con quel buio non li avrebbe notati nessuno. Non smise di baciarlo nemmeno quando sentì la mano di lui risalire la sua coscia. Contrasse i muscoli, piantano per terra i piedi con più violenza, come per alzarsi, ma rimase immobile a farsi baciare.

Soul sospirò sulla bocca di lei. La sua coscia era incredibilmente calda e ormai lui le si era infilato sotto la gonna. Sentiva il sangue ribollirgli nel cervello, nonostante ormai non ce ne fosse più. Allargò un po’ le gambe con un sospiro, spingendosi ancora oltre, lungo la gamba della ragazza.

La sentì irrigidirsi quando finì per appoggiare la mano sugli slip che indossava, le morse il labbro per distrarla e lei rimase ferma. Fu quando, oltre le palpebre, riconobbe un momento di buio totale, che si immobilizzò preoccupato a sua volta. Si rimise seduto composto, togliendo la mano da sotto la gonna di Maka appena in tempo per vedere le luci della sala accendersi e sullo schermo apparire la scritta Intervallo.

“Maledizione! Proprio adesso!” urlarono da dietro. Sia Soul che Maka potevano giurare di conoscere fin troppo bene quella voce. Black*Star, indignato, stava cercando di scavalcare i sedili per andare incontro allo schermo e Tsubaki lo tratteneva per i vestiti. Poco più in là, Liz tratteneva a stento i lacrimoni, a quanto pareva si erano persi una scena molto romantica, accanto a lei Kid invece piangeva silenziosamente, il protagonista era nato il sette luglio, e gran parte della storia girava intorno a quella funesta data.

Patty rideva sguaiatamente, Kim cercava gli occhiali che Ox aveva fatto cadere all’inizio della proiezione, cosa che l’aveva costretto a guardarsi un’ora di sfocature, Marje offriva a B.J. un termos pieno di caffè bollente, nonostante ci fosse una temperatura tropicale e il signor Free borbottava cose riguardanti un errore secondo il quale quello avrebbe dovuto essere un film sui lupi mannari e il giardinaggio.

“Popcorn?” chiese loro Jacqueline, vedendoli seduti nella fila sottostante alla sua. Entrambi risposero con un sorriso innaturale e un Grazie tremulo, prima di servirsi.

Passarono la seguente ora e mezza di proiezione a studiare i movimenti delle file dietro di loro, vedendo le ombre cinesi di Patty sabotate da sua sorella e le grida isteriche di Black*Star che non era contento dello svolgimento della storia. Tutto questo lo fecero tenendosi il più lontano possibile, se non fosse stato sospetto si sarebbero seduti in due file diverse.

Solo quando il film fu finalmente finito, tirarono un sospiro di sollievo.

“Dici che ci hanno visti?” chiese Maka a bassa voce, ricordandosi di quando avevano scoperto per sbaglio Black*Star e Tsubaki sulla scogliera. Se anche loro fossero apparsi in quel modo, agli occhi di qualcuno, sarebbe potuta morire.

“Credo di no” gemette Soul mettendosi una mano davanti agli occhi.

Poco più in là, Liz spiegava a Jacqueline che non avevano più soldi per mangiare, ma il signor amministratore aveva rimediato dei biglietti gratis per quel film, allora erano andati a vederlo. Peccato solo che si fosse rivelato un film dell’orrore per Kid, e così dicendo indicò il coinquilino che non si era ancora ripreso da quella maledetta sfilza di sette. Accanto a lui, Patty faceva origami con i fazzoletti di carta e poi glieli passava.

Soul prese Maka per un braccio, strattonandola. “Su andiamo” la incoraggiò col suo solito tono di voce un po’ strafottente. Lei, sbilanciata in avanti, perse l’equilibrio e per poco non cadde. Soul la tenne stretta per il gomito, ma la borsa finì inevitabilmente per terra, rovesciando sulla moquette tutto il suo prezioso contenuto.

“Cacchio!” sbottò lei. “Scusa” fece lui di rimando non particolarmente turbato, chinandosi a raccogliere tutto quello che era finito al suolo. Era incredibile quante cose, Maka, tenesse nella borsa. C’era davvero di tutto, dai cerotti al kit del cucito per ogni evenienza, poi  fazzoletti di carta, un cellulare vecchio modello e un libro dalla sovraccoperta rossa.

“Cos’è?” domandò, afferrandolo e leggendo il titolo. Era il giallo che Maka teneva nella borsa senza leggere l’ultimo capitolo, in attesa che un’illuminazione le svelasse chi era il colpevole.

“È una palla, questo libro. L’assassino è il maggiordomo” svelò, senza pensarci. Maka lo guardò gelida “Davvero?”

Soul distolse lo sguardo dal libro per metterlo su Maka, rendendosi conto solo in quel momento di quello che aveva detto.

“Oh…eh…scusa. Mia madre ama quest’autrice e quando mi sono rotto il ginocchio non avevo niente da fare e ho letto tutti i suoi libri e…” cercò di spiegarsi, parlando a una velocità impressionante, alzandosi e allontanandosi un po’.

“Soul” ringhiò Maka. Le aveva svelato il finale! E lei, come una scema che stava aspettando l’illuminazione, voleva strangolarlo. Voleva strangolarlo anche perché prima li stavano per scoprire, come cavolo gli era venuto in mente di metterle una mano sotto la gonna, a quel cretino?

“Già sono arrabbiata con te per quello che è successo dentro al cinema” disse a voce bassa, ma spietata “e poi tu…” non finì la frase perché Soul sbottò, un po’ scocciato “Se non ti andava bene potevi dirlo, non parlare come se le chiavi del paradiso le avessi solo tu!”

Maka lo guardò interdetta, con l’aria di chi non aveva capito. Soul si coprì la faccia con le mani “Mi sa che adesso mi merito un cazzotto” piagnucolò arretrando un altro po’. Maka lo seguì a lunghi passi “Che cosa volevi dire?” domandò, più perplessa che arrabbiata, anche se supponeva che ci fosse qualche cosa che si meritasse la sua ira.

“Le gambe…” biascicò Soul, aprendo l’indice e il medio di uno spazio abbastanza largo da far intravedere un occhio. Maka non disse nulla ma alzò un sopracciglio, con tutta l’aria di chi continua a non capire e si sta alterando.

“In mezzo alle gambe” continuò prima di serrare gli occhi in attesa di un colpo mortale. Gli occhi di Maka, a loro volta, si sgranarono “Brutto porco!” strillò rincorrendolo e lanciandogli il libro giallo del quale non avrebbe mai letto l’ultimo capitolo.

“Chiedo perdono!” implorò Soul scappando.

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Sono tornata col dodicesimo capitolo, ci ho messo un po’ più che con gli ultimi, ma l’ispirazione proprio non veniva. Come sempre ho un po’ di dubbi riguardanti il capitolo, l’IC dei personaggi e un po’ tutto. Spero che la storia quadri, in qualche modo, e che la punteggiatura non sia da galera.

Ho spiegato il motivo delle chiacchiere insensate di Soul, nel capitolo scorso. Non voleva avvicinarsi perché l’aura negativa di Spirit imperversava per il giardino.

Finalmente ho tirato fuori la questione del libro, volevo farlo vario tempo fa, ma poi me ne sono scordata…sì, sono ultrafurba!

Il finale spero non sia stato squallido, per quello che Soul dice a Maka, la sua reazione sulla difensiva non è molto da lui, ma ho pensato che quando si rende conto di aver fatto un’idiozia si sente in colpa (tipo quando le alza la gonna per farla vedere a Sid, nel primo volume) un po’ striscia. Quindi la scena è venuta fuori così.

Se mi state odiando perché anche alla fine di questo capitolo Maka è arrabbiata, non temete, l’arrabbiatura non arriverà al prossimo capitolo!

Mi scuso se, in questa e nella scorsa parte, la maggior parte dei personaggi sono stati messi nel dimenticatoio, ma è evidente come Soul e Maka abbiano bisogno di una spintarella in più!

Ultimo appunto: ho detto che a Maka non piace l’anice, entro dieci minuti me lo scorderò sicuramente, se più avanti dovessi scrivere che Maka ama l’anice e altre idiozie incongruenti con quello che ho scritto in precedenza, vi prego, ditemelo!

Grazie mille per aver letto anche questa mia ennesima idiozia, grazie per i vostri commenti e per il sostegno che mi date!

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il rapimento di Wilma Ventola ***


Trentotto scalini

Capitolo Tredicesimo

Il rapimento di Wilma Ventola

 

Tsubaki stampò un bacio sulle labbra di Black*Star. Maka era arrabbiata e si era chiusa in casa a bere tea bollente e leggere libri di poesie, dove non c’era nessun assassino da smascherare. Soul si stava godendo il film sugli zombie che davano sul secondo canale e probabilmente trangugiava ghiaccioli all’anice.

“Se non la smetti ti verrà una congestione, oppure ti toccherà stare sul gabinetto una settimana!” diceva sua madre , inascoltata, mentre lavava i piatti. Sarebbe stato bello se si fossero potuti permettere almeno una lavastoviglie.

Liz, Patty e Kid erano tornati al tiro a segno della fiera paesana e il professor Excalibur ripassava il suo discorso per il suo prossimo spettacolo teatrale. Lo conosceva già perfettamente, ma amava sentire il suono della sua voce. Free stava, come al solito, annegando chissà quale pianta.

Tsubaki invece si era fatta convincere a scendere le scale del Chupa Cabras con una scusa (“Mamma, vado a fare due chiacchiere con Maka”), sperando che i suoi non scoprissero mai l’inganno, ed era entrata nella tenda da campeggio che Black*Star aveva picchettato appena fuori dalla recinzione sul retro.

La cosa carina del Chupa Cabras stava nel fatto che la recinzione fosse fatta per tre quarti composta da una muratura alta tre metri, così, da fuori, non si poteva vedere cosa stava succedendo in giardino, e viceversa, com’era utile in quel caso.

“Black*Star, e se qualcuno viene da questa parte?” domandò Tsubaki tra un bacio e l’altro, mentre lui, ignorando le sue lamentele, cercava di toglierle la maglietta.

“Perché qualcuno dovrebbe venire qui? Gli unici che si arrampicano sugli alberi siamo io e Soul. Io sono qui e Soul non ha nessun motivo per venire sotto quest’albero” fece lui, piuttosto disinteressato mordicchiandole il collo. Tsubaki era visibilmente insoddisfatta e ancora piuttosto preoccupata.

“Ma perché ti sei messo vicino ai bidoni, così se qualcuno deve buttare la spazzatura ci vede per forza!” piagnucolò.

“Allora spengo la luce. Saremo invisibili” dichiarò senza troppe cerimonie, rimettendosi subito a baciarla senza lasciarle il tempo di lamentarsi ancora.

“Mhhm, Black*Star” cercò di dire, ancora piuttosto contrariata dalla trovata del ragazzo. Non fece in tempo a dire altro che si sentì un terrificante rumore di zip.

Tsubaki si staccò a forza dalle labbra di Black*Star e, quest’ultimo, aprì faticosamente un occhio con aria omicida.

Medusa, con il viso in ombra e i capelli color paglia illuminati dalla luce del lampione, se ne stava in ginocchio davanti alla tenda aperta e li guardava.

Black*Star rimase immobile, con una mano sul seno di Tsubaki e l’altra sulla sua vita, interdetto, per la prima volta nella sua vita. Tsubaki fissava la nuova venuta, con aria terrorizzata.

“Buonasera ragazzi” salutò con voce melliflua. Sembrava tanto un serpente che prima striscia piano, per poi azzannarti all’improvviso.

Tsubaki si sbarazzò, con un gesto brusco, delle mani del ragazzo, che ancora le stavano addosso.

“Buonasera Signorina Medusa” salutò la ragazza, in reggiseno e con la voce rotta. Deglutì a disagio, rendendosi conto solo in quel momento che non aveva idea se Medusa fosse una signora o una signorina. Aveva Crona, ma non c’era traccia di un ipotetico marito/padre. Ma di certo quelli non erano problemi importanti in quel frangente.

“Tsubaki, i tuoi lo sanno che sei qui?” domandò con voce melliflua e un sorriso che, in quella penombra, sembrava spaventoso.

La ragazza deglutì e scosse lentamente la testa. Medusa annuì con aria accomodante “Allora, forse, non è meglio se torni a casa?”

Tsubaki deglutì di nuovo e annuì afferrando in fretta la maglietta che Black*Star le aveva tolto. Gattonò veloce fino all’uscita e Medusa si scostò da una parte per metterle il passaggio, non fece in tempo a fare o dire niente che Black*Star era già sbucato fuori all’inseguimento della ragazza che, rivestendosi, correva verso il cancello d’ingresso del giardino del Chupa Cabras.

“Ehi, Tsubaki!” urlò senza farsi tanti problemi. Tsubaki si fermò, di botto, e si mise un dito sulle labbra in un chiaro invito a fare silenzio.

Aveva gli occhi lucidi e un’espressione contrita. “Non mi seguire” piagnucolò, prima di voltargli di nuovo le spalle e scappare oltre il cancello. Il cane lupo abbaiò un po’ dalla sua cuccia.

Black*Star rimase qualche secondo a guardare la figura delicata di Tsubaki andarsene di corsa e venire ingoiata dalla porta del Chuba Cabras. La luce del vano scala era accesa, come sempre, e dalla portineria veniva un chiacchiericcio piuttosto alto. Probabilmente Liza e Arisa avevano di nuovo dato fondo alle scorte di grappa.

Si morsicò il labbro, piuttosto arrabbiato, la serata non doveva andare così. Proprio no, era la seconda volta che Tsubaki gli scappava in quel modo e, quella volta, sembrava perfino sul punto di piangere. Se andava avanti così avrebbe veramente finito per pensare di non piacerle. E lui mica poteva non piacerle! Per la miseria, lui sarebbe diventato il Re del mondo!

Corse via, passando davanti a Medusa, ancora inginocchiata davanti alla tenda, ignorandola bellamente e facendo il giro della recinzione in muratura.

Medusa si voltò per seguire quella corrente d’aria improvvisa che le aveva scompigliato la pettinatura, ma fece solo in tempo a vedere la gamba di Black*Star sparire dietro l’angolo.

“Perché ti diverti a terrorizzare i ragazzini?” domandò una figura controluce appoggiata a un albero.

Medusa alzò gli occhi su Stein che, qualche metro più in là, la guardava con disapprovazione.

“Perché terrorizzare? Cercavo di fare solo il meglio per loro. I signori Nakatsukasa non sarebbero contenti di sapere che loro figlia si imbosca dentro una tenda insieme a uno scalmanato. E se arrivasse qualcuno? Lo faccio solo per il loro bene” spiegò Medusa con l’aria di chi era stata fraintesa.

“Oh, sì. Come sei magnanima” commentò lui, sarcastico, avvicinandosi di qualche passo a dove stava inginocchiata la donna, sbuffando fumo.

Medusa fece un sorrisetto malizioso, prima di piegarsi in avanti e gattonare dentro la tenda. Stein si avvicinò a passo lento per poi inginocchiarsi a sua volta per terra a guardare dentro. Non c’era nessuna torcia a far luce, ma il chiarore dei lampioni poco distanti gli permisero di distinguere la figura di Medusa, che si stagliava, scura, sul verde mela della tenda.

“Dovresti fumare lontano da qui. La tenda è fatta di nylon, se va a fuoco è un problema” fece lei ridanciana, seduta all’interno, con le gambe tese.

“Io faccio quello che mi pare” rispose sardonico lui, ma spese la cicca per terra ed entrò.

“Hai mai dormito in una tenda?” domandò Medusa mentre si sistemava da una parte, in modo da far sedere comodamente anche lui.

“Dormito, direi di no. L’ultima volta che ci avrei dovuto dormire avevo dodici anni e facevo gli scout. Ho passato tutta la notte a organizzare uno scherzo per Spirit. Ne è valsa la pena” spiegò, poi bussò il pugno sul pavimento della canadese “Quella volta però avevamo il materasso” aggiunse. Medusa ghignò.

 

§

 

Tsubaki fece le scale alla velocità della luce, rischiando di investire Liz che si metteva lo smalto, seduta su un gradino perché a Kid dava fastidio vedere  tutti quei cosmetici in confusione.

“Tutto okay, Tsubaki?” domandò voltandosi, ma l’amica era già sfrecciata verso il quarto piano, l’aveva superato ed era arrivata al quinto, dove abitava. Cercò freneticamente le chiavi in tasca e aprì la porta spingendo.

“Ciao tesoro, sei tornata?” chiese la signora Nakatsukasa, intenta a lavare i piatti. Era incredibile come i genitori facessero sempre domande dalle risposte fin troppo ovvie.

“Sì. Vado in camera mia” disse velocemente, senza fermarsi neanche un attimo in salotto, dove suo padre guardava il telegiornale.

“Tutto a posto, Tsubaki? Maka e Spirit stanno bene?” chiese lui distogliendo l’attenzione da un giornalista in collegamento da New York.

La ragazza, che aveva già messo un piede in camera sua, tornò indietro, giusto tanto da far spuntare la testa da dietro l’angolo. “Tutto a posto, sì” fece un sorriso un po’ tirato e poi ripeté, sbattendosi dietro la porta “Sono in camera mia.”

Si lasciò cadere per terra al buio. Tsubaki non aveva avuto molto a che fare con Medusa, non sembrava fosse tipo da impicciarsi degli affari altrui, come facevano Liza e Arisa, ma gli adulti sono strani. Come faceva a sapere che non sarebbe andata a spifferare tutto ai suoi e magari anche al signor Mifune? Sarebbe successo un bel casino.

Non conosceva bene Medusa, ma a volte i grandi finivano per cercare di fare la cosa giusta, la cosa che loro consideravano giusta, in quel caso parlare di ciò che aveva visto non sarebbe stato giusto per niente. Appoggiò la fronte alle ginocchia piegate e le sarebbe venuto anche da piangere se la sua attenzione non fosse stata catturata da un picchiettio contro il vetro. Alzò la testa e vide Black*Star in ginocchio sul cornicione con la faccia schiacciata contro il vetro.

“Black…” urlò, per poi coprirsi la bocca per non urlare. Corse ad aprire l’infisso.

“Che diamine fai qui?” chiese concitata, cercando di tenere un tono di voce abbastanza basso da non essere sentita. Da fuori si udì dire “Tutto a posto, Tsubaki?”

“Sì, mamma. Ho solo sbattuto l’alluce contro lo spigolo del comò” urlò di rimando la ragazza, visibilmente terrorizzata.

“Va bene. Stai attenta allora”

“Certo” continuò lei andando a chiudere la porta della sua camera a chiave, con un balzo felino.

Si voltò di nuovo verso il ragazzo che le era piombato in casa da un momento all’altro.

“Che cosa stavi cercando di fare? Siamo al quinto piano!” disse con una voce che era un incrocio tra un sussurro, un piagnucolio e una sgridata. Black*Star alzò le spalle, come non capendo quale fosse il problema.

“Mi sono arrampicato per la grondaia” spiegò.

“E…e se si staccava? Le grondaie non sono fatte per arrampicarsi” piagnucolò ancora, lei.

Black*Star alzò di nuovo le spalle, per nulla preoccupato, e si mise le mani in tasca.

“Mi scocciava che mi avessi piantato laggiù, insieme a quella tipa bionda” brontolò lui. Tsubaki deglutì, stringendo i pugni “Quella tipa bionda abita al Chupa Cabras e conosce i miei genitori e conosce il signor Mifune. Cosa succederebbe se il signor Mifune sapesse che giri da queste parti?” chiese agitata.

“Sai cosa me ne frega di quello” sbuffò il ragazzo, alzando gli occhi e fissando un angolo del soffitto con aria fintamente indifferente, per poi tornare a osservare Tsubaki, con aria un po’ circospetta.

Lei sembrava ancora piuttosto angosciata. Black*Star fece una smorfia, poi allungò il braccio e appoggiò la mano sulla nuca di Tsubaki, strascinandola verso di sé e sbattendo le labbra sulle sue, con violenza.

Lei aprì la bocca, le veniva da piangere. Voleva che lui la baciasse, ma non riusciva a non pensare al fatto che erano in camera sua, con suo padre che guardava la televisione in salotto e Medusa li aveva visti in un momento piuttosto intimo.

Gli circondò il collo con le braccia e finì per mettersi a piangere davvero mentre gli mordeva il labbro inferiore.

Sentì le sue mani scivolare sotto la maglietta, si disse che non poteva farsi svestire per l’ennesima volta, ma comunque non lo fermò perché fu lui a staccarsi da lei, costringendola ad aprire gli occhi.

“Che c’è?” piagnucolò lei. Se ne rendeva conto, era tutta la sera che piagnucolava.

“Fa un gran caldo” sbottò infastidito. Tsubaki annuì “È normale, qui non siamo in riva al mare come a casa tua”.

Black*Star grugnì “Non hai un condizionatore, una ventola, un frigorifero, un ventilatore…?”

“Abbiamo solo il frigo ed è in cucina, in compagnia di mia madre”

Black*Star stava già avviandosi a passò di marcia verso l’uscio, quando lei lo trattenne per la manica. “Non ti azzardare” disse arcigna. Lui si immobilizzò, non l’aveva mai vista con quella faccia. Deglutì “Va bene”

Si guardarono per qualche secondo, nella penombra, in silenzio.

“Quindi non c’è niente. Neanche un ventaglio?” continuò Black*Star, che non si era ancora arreso all’evidenza che in quel posto avrebbe sofferto un caldo immane.

Tsubaki scosse la testa “L’anno scorso il signor Albarn aveva comprato un ventilatore, ma si è rotto subito. Anzi, diciamo che è stato il professor Stein a romperlo per fare uno dei suoi esperimenti, però il papà di Maka non l’ha mai saputo. Credo che l’unico a possedere un ventilatore, al momento, sia proprio il signor Mifune” spiegò tranquillamente, ignara di cosa sarebbe successo a quel punto.

Black*Star si guardò in giro e sbatté le palpebre qualche volta, poi esordì “Va bene. Lo vado a prendere in prestito”

“Ehh?” l’esclamazione di Tsubaki fu, ancora una volta, troppo forte, ma fortunatamente anche il volume della televisione era alto. Alto abbastanza da impedire al signor Nakatsukasa di udire la propria figlia.

Non fece in tempo a fermarlo, anche il lembo di stoffa che era riuscita ad afferrare scivolò via dalla sua presa come un fil di vento, quando Black*Star salì in piedi sul davanzale.

In un batter d’occhio acchiappò la grondaia di lamiera e si mise a scalarla.

“Black*Star!” chiamò isterica Tsubaki, vedendolo salire. Lui si fermò solo per un attimo per guardarla dall’alto e mostrarle il pollice in segno di vittoria rimanendo, conseguentemente, appeso con una mano sola. Tsubaki soffocò un altro grido terrorizzato e lui scivolò come uno scoiattolo fin dentro casa del signor Mifune.

Tsubaki, con una mano sulla bocca, si ritirò di nuovo dentro la stanza. Cosa aveva fatto male per avere a che fare con un tipo così?

Il signor Mifune abitava al sesto piano, quindi, d’estate, quando accompagnava la figlia agli autoscontri, alla festa di paese, non si curava di chiudere le finestre. Quale ladro si sarebbe arrampicato fino all’ultimo piano di un condominio del genere?

Probabilmente un ladro di ventilatori.

Tsubaki stava ancora rimuginando sull’infausta situazione quando Black*Star atterrò di nuovo sul suo pavimento, producendo un gran rumore di ferraglia.

“Ecco il super uomo!” esultò. Tsubaki sussultò trattenendo l’ennesimo urlo. Tutta questa accortezza, però, non bastò a tenere lontani i guai.

“Tsubaki, tutto okay? È caduto qualche cosa?” chiesero dalla cucina. La ragazza sbiancò, sentendo i passi avvicinarsi alla sua stanza. Si guardò in giro terrorizzata, cercando una soluzione. Finì per aprire l’armadio e stiparci a forza sia Black*Star che il ventilatore del signor Mifune. Quasi si stupì che l’intero ego di Black*Star ci entrasse nell’armadio, anche se con un po’ di riluttanza.

Sentì sua madre forzare la porta, cercando di aprirla.

“Tsubaki? Perché ti sei chiusa dentro?” chiese la donna, da fuori, con voce un po’ più stridula del solito. Sua figlia era ancora intenta a spingere l’anta del mobile col ginocchio, con un balzo accese la luce e girò la chiave per aprire la porta. “Scusa mamma, volevo cambiarmi d’abito per andare a letto” mentì con la miglior faccia-da-bugia che possedesse, non aveva mai detto tante frottole come da quando stava con Black*Star.

“Tutto a posto? Hai un’aria un po’ sofferente. Sei sicura che da Maka sia andato tutto bene? Avete litigato?” chiese premurosa sua madre. La ragazza scosse la testa “Figurati” e le propinò un sorriso tiratissimo.

“Va bene, se hai bisogno, io e tuo padre, stiamo guardando un documentario sui panda, in salotto”.

La ragazza annuì e richiuse a chiave la porta, prima di correre di nuovo all’armadio e aprirlo. Il mobile vomitò un ragazzo dai capelli azzurri, un gigantesco ventilatore, vari vestiti con tanto di gruccia e un paio di sandali, che colpirono in testa Black*Star.

“Ti prego, vai a casa” implorò la ragazza, con l’aria di chi sta per avere una crisi di nervi. “Ma sono appena arrivato!” cercò di ribattere lui, evidentemente scocciato. Tsubaki gli indicò la finestra, con un sorrisetto piuttosto tirato, che avrebbe dovuto essere accomodante.

Il ragazzo grugnì “E va bene” e se ne andò calandosi nuovamente giù per la grondaia, convinto che Tsubaki lo odiasse. Doveva fare assolutamente qualche cosa, sembrava proprio che Tsubaki fosse arrabbiata con lui, in quel periodo.

 

§

 

A Spirit non capitava spesso di dover fare il bucato, ma quel giorno Maka si era offerta per distribuire i volantini che pubblicizzavano la gita condominiale al mare, così si era ritrovato in giardino a stendere.

A essere sinceri, la prima mezz’ora l’aveva passata a farsi rincorrere dal cane lupo che il signor Free si era dimenticato di legare al palo, il successivo quarto d’ora l’aveva passato,invece, a osservare Blair che si spalmava la crema solare, seduta sulla fontana dei pesci rossi, così era riuscito a mettersi al lavoro che le lenzuola si erano già mezze asciugate, dentro la catinella.

Due fili più indietro, anche Stein stava attaccando con delle mollette un suo camice appena lavato. Viveva da solo, quindi provvedeva a tutte le faccende di casa autonomamente.

Spirit lo guardò, mentre rischiava di sporcare tutto con la cenere della sigaretta che stava fumando.

“Mi hanno detto che hai avuto modo di aiutare la graziosa dottoressa Medusa a montare il letto svedese” esordì Spirit con una nota d’invidia.

Il professore abbassò lo sguardo su di lui e i suoi occhiali mandarono un riflesso che impedì al signor Albarn di guardarlo negli occhi.

“Sì, più o meno” rispose strascicato, come se la cosa non lo riguardasse.

“Non starai mica cercando di conquistare il suo cuore?” domandò ancora l’uomo, senza arrendersi all’evidenza che Stein non era in alcun modo interessato al discorso.

Il dottore lo guardò di nuovo, prima di dire, cristallino “Credo che l’unico cuore che potrebbe interessare a quella donna sarebbe uno da vendere al mercato nero degli organi. Chissà quanto vale un cuore…” continuò come parlando tra sé. Ci mancava solo che si desse al contrabbando di organi. Spirit sembrò infastidito oltre che piuttosto intimorito.

“Non dovresti parlare così di una creatura delicata come la dottoressa Medusa. Non mi dirai che non hai neanche mai provato a rubarle un bacio!” brontolò ancora Spirit, sempre più indispettito, un po’ perché Stein liquidava la bellezza della signorina Gordon, un po’ perché, a quanto pareva, aveva avuto molte più occasioni di lui di rimanere solo in sua compagnia.

Stein scosse la testa “No” rispose sinceramente per poi aggiungere andandosene “però abbiamo fatto sesso tre volte”. In quel momento sentì un po’ la mancanza di mettere le rane nel sacco a pelo di Spirit, come quando avevano dodici anni e andavano in campeggio insieme agli scout. Sì, era proprio divertente, avrebbe dovuto organizzare uno scherzo simile.

 

§

 

Qualche piano più su, Maka, saliva lentamente le scale, era un tipo atletico, ma quel giorno faceva così caldo che le sembrava di avere dei macigni al posto del suo solito paio di gambe. Tsubaki, accanto a lei, sembrava più ansiosa e sudata che mai, oltre ad essere piuttosto pallida.

“È tutto okay?” domandò mentre, giunti al quarto piano, infilavano il volantino pubblicitario della gita condominiale sotto la porta di Exalibur. Kid, che le aveva notate tempo prima, si era premurato di scrivere la data sbagliata sull’invito.

Tsubaki annuì con l’aria di chi stava dicendo una bugia.

“ ‘giorno” salutarono distrattamente, dall’alto della rampa di scale. Sia Maka che Tsubaki alzarono la testa, per vedere Soul che scendeva trotterellando, con le mani in tasca.

Le salutò entrambe, Maka seria e Tsubaki con un sorriso affaticatissimo disegnato in volto. Lui guardava solo la prima, però.

“Che è ‘sta roba?” domandò, prendendo un volantino. “Sotto la tua porta non l’abbiamo ancora messo” si giustificò la ragazza più alta.

“È una gita condominiale alla stazione balneare di Baba Yaga” spiegò Maka, scrupolosa.

Soul sbuffò “Ma è un posto da sfigati, ci saranno solo dei vecchi”. Si beccò un gran scappellotto “E allora non venire, signor sono-troppo-figo-per-voi!” ribatté la sua interlocutrice, mettendo il broncio. Tsubaki fece un risolino imbarazzato. 

Fu più o meno in quel momento che, dalla stessa rampa dalla quale era apparso Soul, spuntò Mifune, che teneva in braccio Angela.

“Buongiorno”

Il battibecco che si era appena acceso terminò per far spazio ai convenevoli.

“Come stanno i tuoi genitori, Tsubaki?” chiese poi l’uomo. Non era certo un chiacchierone ma i signori Nakatsukasa erano persone di prim’ordine e ci teneva a essere gentile anche con loro figlia. Soul e Maka furono messi in disparte, come uno sfondo.

La ragazza sentì qualche cosa di caldo sfiorarle la mano. Si voltò verso l’amico per guardarlo, lui la stava fissando, serio.

“Vieni un attimo giù? Finisci dopo di distribuire i volantini. Se vuoi poi ti aiuto anche” propose.

Maka annuì e lasciò che lui la prendesse per mano e la conducesse per le scale. Rimasero in silenzio per tutto il tragitto e quando furono finalmente al piano terra Maka per poco non tirò dritto inciampandosi per uscire. Soul invece voltò di nuovo “No, di qua” disse, senza dare ulteriori spiegazioni. Maka si lasciò condurre nelle cantine, il ragazzo accese la luce con un pugno e scese quasi di corsa gli ultimi gradini, sempre trascinandosi dietro lei, che stava al passo.

“La mia cantina è di qua” illustrò Soul, in tono piatto, quando la folle discesa si fu esaurita e si trovarono nel sotterraneo. Si sentiva che erano sotto terra, faceva molto più fresco.

Quel difficile intrigo di cunicoli e cantine aveva messo più volte in difficoltà sia Crona che la signorina Marje.

Il ragazzo tirò fuori una chiave dalla tasca e aprì la porta in legno del suo scantinato “Entra” disse senza degnarsi di dare ulteriori chiarimenti.

L’amica eseguì, guardandosi in giro circospetta, era una normale cantina, di un normale condominio. Pompe per biciclette, libri impolverati, un paio di sci, qualche coperta ricoperta di nylon. Soul si affrettò a chiudere di nuovo a chiave, quando furono entrati e poi si voltò verso di lei.

Maka lo guardò con aria interrogativa, finché non se lo ritrovò appiccicato addosso. Gli appoggiò le mani sul petto per allontanarlo, facendo cadete tutti i volantini per terra ma, un secondo dopo, gli stava stringendo la maglietta con enfasi. Soul la sollevò, quasi involontariamente di qualche centimetro, per poi posarla di nuovo a terra, mentre lei si sentiva schiacciare tra il suo petto e il muro gelido e umido del sotterraneo.

La lingua di Soul era calda nella sua bocca, con le mani le accarezzava i fianchi. Maka gli circondò il collo con le braccia, sospirando. Quasi si vergognava di quanto le piacesse quel contatto, di come le piacesse il calore di Soul che le stava addosso, di quanto le piacesse le lui la toccasse e le leccasse il collo. Si allontanarono solo per respirare, entrambi con le lebbra umide e gonfie. Maka lo fissò sentendosi il mento bagnato di saliva e il bassoventre in fiamme. Soul deglutì “Pomiciare in una cantina è molto poco cool. Abbiamo anche pestato i tuoi volantini” fece a bassa voce, tenendosi a pochi centimetri dal viso di lei. Maka annuì, pulendosi la bocca col dorso della mano “Già”.

“Torniamo su?” chiese imbarazzato. Era stata un’idea davvero idiota, quella di portarla lì. Solo perché aveva voglia di baciarla, trascinarla in cantina in quel modo era stata davvero una cosa stupida. Le aveva infilato la lingua in bocca e le mani sotto la maglietta e quando si era calmato le aveva detto Beh, adesso sono a posto, puoi andare. Era un po’ come se l’avesse usata e basta, sentiva tutto il sangue andargli alle guance, imporporandole. Lei si sarebbe arrabbiata, anche se gli aveva dato ragione, sapeva che si sarebbe arrabbiata da morire. La verità era che, da quando si erano baciati al cinema, non faceva altro che pensare a lei, a come sarebbe stato vederla nuda, e non dalla finestra, di nascosto come gli era successo mentre spiava Blair.

Cercò di non guardarla mentre risaliva le scale, ma sentiva gli occhi di lei puntati sulle scapole, come due lame.

“Soul” lo chiamò. Il ragazzo si irrigidì e si voltò, sudando freddo. Cosa aveva intenzione di fare, l’avrebbe picchiato, o peggio, gli avrebbe tirato una grana infinita e si sarebbe rifiutata di farsi baciare per mesi, o addirittura per sempre?

Oltre ogni aspettativa Maka sembrava tranquillissima, solo, piuttosto seria, gli porgeva un libro dalla copertina marrone, che aveva probabilmente estratto dalla propria borsa.

“Cos’è?” domandò lui.

“Dieci persone su un’isola disabitata, un serial killer ha deciso di ucciderli tutti, uno per uno, l’assassino è tra di loro. Chi è il colpevole?” snocciolò la ragazza, guardandolo fisso negli occhi.

Soul sbatté le palpebre qualche volta “E che ne so, mica l’ho letto!” sbottò infine. Maka glielo lanciò e lui lo prese al volo, per un pelo.

“Ne ho due copie, leggilo, chi indovina per primo il colpevole vince” proferì, superandolo nella risalita delle scale.

“Ma che…ma che cacchio dici?” sbottò lui, preso alla sprovvista. Che razza di assurdità venivano in mente a quella scema?

 

§

 

Nello stesso momento, al quarto piano, il signor Mifune si stava informando sugli spostamenti di Masamune.

“Allora tuo fratello non torna a casa per le vacanze estive, eh?” chiese. Tsubaki scosse la testa “Pare proprio di no” spiegò con un sorriso.

“Ah, senti, Tsubaki. Lo dico a te perché mi sembri una ragazza giudiziosa. Sta notte qualcuno si è introdotto in casa nostra e ha rubato il nostro ventilatore. Ne sai qualche cosa?” domandò. Tsubaki sbiancò, mentre Angela aggiungeva “Wilma Ventola! Il nostro ventilatore si chiama così, fa un gran caldo senza di lei”

“Oh…no…non ne so proprio nulla. Avete qualche sospetto?” mentì spudoratamente, per poi informarsi, facendo un po’ di scena.

Mifune sospirò “So esattamente di chi si tratta. Black*Star mi ha imbrattato il muro della cucina per firmarsi. Volevo solo sapere se avevi idea di come poteva aver fatto ad entrare, la porta non è stata forzata”

Tsubaki sbiancò ancora di più. Quel cretino si era firmato. Aveva rubato il ventilatore al signor Mifune e poi si era firmato.

“Va bene. Se per caso lo incontrassi me lo potresti far sapere? Quel ragazzo ha proprio bisogno di una lavata di capo!” fece serio, prima di avviarsi giù per le scale.

“Buona giornata, Tsubaki. Saluta i tuoi genitori”

La ragazza ricambiò il saluto con la mano, prima di lasciarsi cadere a terra in ginocchio, sul pavimento del pianerottolo. Quello era proprio un guaio, dato che Wilma Ventola era proprio nascosta nel suo armadio.

 

 

 

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Mi devo scusare. Sono davvero in un ritardo tremendo, ma purtroppo lo studio, in questo periodo, mi ha creato non pochi problemi. Comunque, nel bene o nel male, eccomi qui.

In teoria, il capitolo doveva essere più lungo, ma ci tenevo ad aggiornare perché non lo facevo davvero da tanto e poi sono lo stesso più di sei pagine! Tra l’altro, dato che casa mia somiglia tanto a un lazzaretto in questi giorni, avevo paura di venire contagiata dalle febbri e di non riuscire a postare nulla ancora per diversi giorni, quindi ho preferito pubblicare questo.

Avevo detto che mi sarebbe piaciuto parlare un po’ di tutti in tutti i capitoli, come si può notare non ci sono riuscita, qui infatti appaiono quasi solo Black*Star e Tsubaki. Cercate di perdonarmi.

Se state pensando: è impossibile arrampicarsi per una grondaia con in braccio un ventilatore ricordatevi che per Black*Star nulla è impossibile. ù.ù

Il libro di cui parlano Maka e Soul è Dieci piccoli indiani, nel caso non lo abbiate letto, non ho in programma di spoilerare il finale, non temete. ^.^

Spero che il capitolo non faccia troppo schifo e spero anche di poter aggiornare in fretta. Grazie mille come al solito per tutto il sostegno che mi date! Grazie grazie grazie!

 

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Il Re della bistecca incontra gli autogrill ***


Trentotto scalini

Capitolo Quattordicesimo

Il Re della bistecca incontra gli autogrill

 

“Tu stai con un deficiente” esordì Liz, senza mezzi termini, mentre Tsubaki apriva la porta di casa propria. “Eh, lo so. Lo so” rispose lei, come se quel casino fosse stata opera sua.

“Posso mettere in ordine la casa?” chiese Kid eccitato, da dietro. Liz si girò con aria rabbiosa “Kid, smettila con queste paturnie. Non siamo a casa nostra! Cerca di contenerti!”

“Oh, beh. Se ti diverti, va bene. A mia madre farebbe anche piacere che qualcuno l’aiutasse coi lavori di casa” rispose invece Tsubaki, un po’ titubante. A quel punto fu Liz a voltarsi verso la ragazza, con gli occhi luminosi “E pagherebbe?”

Tsubaki sobbalzò “Eh…non lo so. Bisognerebbe parlarne con lei” replicò con una risatina imbarazzata.

Infondo alla fila, ancora sul pianerottolo, Maka borbottava “Lo dicevo io, che quello è un idiota”.

Soul, accanto a lei, alzò gli occhi al cielo “Ancora con questa storia? Dai, mica ci devi stare tu, se a lei piace. Poi te l’ho già detto: è un po’ strano, ma le vuole bene”.

Maka sbuffò ed emise una sussurro che somigliava tanto alla parola cretino.

Ci misero un po’ per scastrare il ventilatore dall’armadio nel quale era stato spinto a forza, guardandoci bene si era anche un po’ ammaccato. L’operazione fu abbastanza tranquilla, dato che, fortunatamente, quella mattina i signori Nakatsukasa erano entrambi al lavoro.

Recuperata la refurtiva il vero grande problema fu riuscire a portare via Kid dalla cucina. Pareva divertirsi un mondo a sistemare tutti i barattoli di marmellata secondo il tuo gusto.

“Basta con questa maledetta asymmetrifobia!” sbottò Liz e così dicendo lo strascinò fuori tirandolo per le braccia.

“Ma non è che così rischia di lussarsi qualche cosa?” domandò Tsubaki un po’ preoccupata.

“Non ti preoccupare, questo qui ha la buccia dura!” rispose Liz sovrastando le urla del proprio coinquilino, che la implorava di lasciargli finire di sistemare almeno la credenza.

“Bene ragazzi” cominciò Liz, dopo che Kid si fu calmato, con la minaccia di far entrare Patty in camera sua a fare scompiglio. “Ora dovete portare su il ventilatore”

“Perché noi?” lamentò Soul con le sopracciglia aggrottate. La sua interlocutrice si mise le mani sui fianchi e lo guardò dritto negli occhi “Perché voi siete UOMINI, fate i cavalieri. Non vorrete mica far fare la fatica a noi?”

Soul sbuffò scocciato “Ma perché non lo fate fare a Black*Star? È lui che ha combinato questo casino” aggiunse.

Liz scosse la testa con entusiasmo “Se quello scemo si presenta al Chupa Cabras e incontra Mifune, si scatena un pandemonio!”.

Il ragazzo sospirò, arreso, e si stava per piegare in avanti per sollevare il suo fardello, quando, per le scale, si sentì un distinto rumore di tacchi. Ci fu un po’ di parapiglia e Patty tirò un involontario cazzotto a Maka, ma fortunatamente il ventilatore rientrò in casa Nakatsukasa prima che Arisa apparisse sul pianerottolo.

Wilma Ventola, con un ultimo poderoso sforzo di Liz e Tsubaki, fu lanciata in cucina, ammaccandosi ulteriormente.

“Buongiorno ragazzi! Che fate? Siete emozionati per la gita al mare?” chiese allegra la portinaia.

“Oh, sì. Stavamo giusto chiedendoci cosa portare. Fare la valigia è sempre difficile, dato che questa volta stiamo via anche la notte” rispose Maka sudando freddo, mentre in cucina si sentivano inquietanti rumori di ferraglia.

Soul annuì per dar manforte, nonostante si chiedesse perché diamine le ragazze dovessero farsi tanti problemi per una valigia. La donna, ignara di ciò che stava succedendo, finì di salire le scale fino ad arrivare all’ultimo piano per poi iniziare a lavare le scale.

Tutti rientrarono e Maka si mise di vedetta allo spioncino della porta.

“Per la miseria, proprio adesso doveva venirle voglia di pulire la scala?” rimbrottò Liz, imbronciata, seduta a gambe incrociate sul tappeto.

Tsubaki, con una mano sul petto, sospirò di sollievo “C’è mancato poco.”

“A me sembra una follia” brontolò Soul, accendendo il televisore. Kid era di nuovo sparito in cucina senza che nessuno potesse fermarlo.

Fu dopo che ebbe risistemato tutto il cucinotto e metà dello sgabuzzino che finalmente Arisa si mise a lavare il pianerottolo del quarto piano, levandosi finalmente dai piedi.

Tsubaki si mise di vedetta in cima alle scale, in modo da neutralizzare ogni possibile attacco che venisse dal basso e Soul e Kid si misero di nuovo a sudare e sbuffare per trasportare il mastodontico ventilatore. C’era da chiedersi come diamine avesse fatto Black*Star a portarselo in braccio arrampicandosi sulla grondaia.

Quella volta, però, il pericolo non veniva dal basso, bensì dal loro stesso livello. Quando la porta di casa Evans gracchiò pericolosamente, tutti si immobilizzarono. La serratura scricchiolò di nuovo, chiaro segno che la chiusura stava cedendo e in un attimo, con una retromarcia repentina, erano di nuovo tutti dentro casa Nakatsukasa.

“Per la miseria!” esclamò Liz sempre più frustrata “Kid, non ti azzardare a tornare in quello sgabuzzino!” strillò, individuando l’amico che si stava avviando verso il luogo incriminato.

“Tua madre sta uscendo, Soul” spiegò Maka, rimessasi a guardare dallo spioncino.

Soul stava carponi per terra, col fiatone “Ho perso dieci anni di vita. Cribbio!”

Scampato il pericolo Evans, arrivò Marje, alla ricerca di caffè da offrire al signor B.J..

“Non mi aspettavo che arrivasse così all’improvviso, se no ne avrei sicuramente preparato una tanica!” stava dicendo a Yumi, che la seguiva con la sua solita espressione serissima.

“Questo maledetto palazzo ha sette piani! Perché cavolo è venuta fin qui a cercare il caffè?” brontolò Soul che era stata rispinto a forza in casa ed era finito schiacciato da Kid e Wilma.

Venne poi il turno di Mifune che, accompagnato da Angela, uscì di casa e scese le scale fino ad arrivare in portineria. Tsubaki controllò dalla finestra che uscisse dal giardino, andandosene definitivamente.

“Ora possiamo andare tranquillamente” esordì.

“Sarebbe anche meglio, sembra che lo facciano apposta ‘sti stronzi, a metterci i bastoni tra le ruote!” strillò Liz sull’orlo di una crisi di nervi, mentre Kid sistemava lo zerbino di casa Evans, che gli sembrava un po’ storto.

Bene o male, tra sbuffi, sudore, improperi e anche qualche sputo, non si sa bene di chi, riuscirono a lasciare Wilma davanti a casa di Mifune. Con un sospiro ognuno se ne tornò al proprio appartamento, con il cuore più leggero.

Fu più o meno tre ore dopo che, entrando in cucina, Liz si trovò davanti un gigantesco ventilatore con sopra scritto Wilma Ventola, con un pennarello indelebile rosso e una calligrafia incerta.

“Kid? Che cosa ci fa qui il ventilatore del signor Mifune?” domandò, con gli occhi iniettati di sangue.

Kid s’imbronciò, assumendo un’espressione quasi rugosa. “Gli ho chiesto un riscatto” sbottò, dopo qualche secondo d’incertezza.

La ragazza rimase basita a guardarlo, non sapeva quasi cosa dire, fu così che alla fine esalò solo uno spossato “Perché?”

“Abbiamo bisogno di soldi” rispose lui, serio, per poi deglutire preoccupato. Liz si morse il labbro inferiore, andandosi a sedere lentamente su una delle sedie della cucina “Ma…non avevamo detto che avremmo risparmiato sul cibo?”

A Kid tremarono le labbra, prima che riuscisse a rispondere con voce acuta “Io non ci voglio più andare a mangiare da Stein. C’è troppo caos in quella casa!”

Il ragazzo vide gli occhi di lei aprirsi fino ai limiti umani, prima di sentire l’urlo che scaturì dalle sue labbra “Kid! Tu hai un problema!”

Circa mezz’ora dopo il signor Mifune, aprendo la porta, si trovò davanti un vecchio e grosso ventilatore piuttosto ammaccato, con attaccato un post-it.

 

Ci scusi. :(

 

“È tornata Wilma!” esclamò Angela entusiasta. Mifune alzò le spalle “Bah, e pensare che siamo appena andati a comprarne uno nuovo…”  commentò, rigirandosi in bocca il filo d’erba che teneva sempre con sé.

Fu così che, con l’arrivo di Valdo Ventola, Wilma fu depositata affianco al bidone dell’immondizia. Free la portò in salvo e la riutilizzò per fare vento ai conigli di Crona.

 

§

 

Era quasi mezzanotte e Tsubaki, Maka, Liz e Patty se ne stavano in giardino a prendere del fresco, se così si poteva chiamare.

“Non so come fare con Black*Star, a volte è proprio sciocchino” sospirò desolata Tsubaki, appoggiando la fronte al tavolo di legno, mentre le seggiole pieghevoli, sulle quali sedevano, scricchiolavano pericolosamente.

“A me pare un idiota” commentò Maka che, dopo la storia del ventilatore, aveva ripreso ad odiarlo dopo qualche tempo di ammollimento.

“Ma non lo fa con cattiveria” ribatté Tsubaki con un sorriso stanco, alzando la testa, senza preoccuparsi, però, di smentire le parole dell’amica.

Fu più o meno in quel momento che si sentì un urlo, nel quale si distinse al meglio la parola Tsubaki. Tutti i presenti si voltarono a guardare il muro di recinzione, sopra al quale troneggiava una figura che, se non fosse stata priva di mantello, sarebbe potuta essere scambiata per quella di un supereroe molto egocentrico.

“Black*Star” si strozzò Tsubaki. In un attimo, richiamata come da una forza suprema, Liza si trovò sull’uscio del Chupa Cabras, a controllare la situazione in giardino.

Grazie al cielo Patty, Liz e Maka conoscevano troppo bene i condomini, per lasciarsi cogliere impreparate.

“Salve, avevamo proprio bisogno di lei” esclamò Liz, parandosi davanti alla portinaia.

“Me?” chiese la donna, estasiata. Capitava davvero raramente che qualcuno la cercasse, più che altro perché, sia lei che Arisa, erano ovunque senza bisogno di essere chiamate.

“Certo” continuò Liz, seria, mentre le altre annuivano con aria grave. Liza si ringalluzzì e si schiarì la voce, per darsi un tono.

“Ditemi” concesse. Liz annuì e indicò un punto indefinito del giardino, il più lontano possibile da dove era apparso Black*Star.

“Quell’aiuola, non va bene” proferì poi cupa. Liza sgranò gli occhi e aspettò una spiegazione.

“È allagata. Credo che lei, che ha un ruolo così importante nel condominio, dovrebbe andare a controllare, ormai quella begonia vive in un acquitrino. Venga a vedere, venga a vedere!” illustrò, spingendola dolcemente, ma con decisione, verso la parte più buia del giardino, lasciando Tsubaki alle prese con il suo squinternato supereroe.

La ragazza corse fuori dal cancello  e avanzò fino a trovarsi proprio sotto al punto dove Black*Star stava in piedi, a tre metri d’altezza.

“Black*Star!” chiamò di nuovo, cercando di non urlare, in modo che non la sentisse l’intero Chupa Cabras.

“Tsubaki!” rispose lui, con molte meno preoccupazioni e un tono di voce decisamente più alto.

Lei gli fece, con impazienza, segno di scendere e lui, come se fosse stato uno scoiattolo volante, si lanciò su un ramo lì accanto e scese giù, scivolando sul tronco. A Tsubaki andava sempre il cuore in gola quando faceva quelle cose.

“Che cavolo combini?” domandò poi lei, con un tono che poteva essere un rimprovero, ma anche una supplica.

“Tu mi eviti!” ribatté Black*Star a voce alta, con le sopracciglia aggrottate e un dito che la indicava con aria inquisitoria.

La ragazza alzò gli occhi al cielo con aria esasperata. “Io non ti evito, sei tu che fai cose assurde” sospirò.

Black*Star si imbronciò ancora di più “Non è affatto vero” ribatté piccato.

“Ti sembra normale andare a rubare un ventilatore a casa degli altri?” domandò Tsubaki, retorica. Lui s’incupì “Faceva caldo. Se venissi a casa mia, sarebbe più fresco”

Lei si passò una mano sul viso “Senti, non mi va” ammise.

Black*Star aprì gli occhi a dismisura “Perché non vuoi passare del tempo con la mia personalità così big?” chiese lui, alzando di nuovo la voce. Tsubaki ebbe un tremito, sicuramente li avevano sentiti.

Dall’altra parte, sentì Liz urlare, probabilmente per coprire i loro schiamazzi “Non vede? Questa begonia sta tirando gli ultimi! E di chi è la colpa?”

La ragazza si mise le mani sulla faccia e sospirò. Come faceva a spiegarglielo?

“Senti: mi imbarazzo, okay?” ammise in fine. Black*Star, preso alla sprovvista per la prima volta in vita sua, sbatté le palpebre più volte prima di chiedere “Sono troppo big? La mia presenza, in effetti, intimorisce le masse e…” non fece in tempo a finire la frase perché la ragazza gli aveva chiuso la bocca mettendogli le mani davanti.

“No, Black*Star, non è per quello” lo fermò lei, per poi abbassare le braccia e sospirare tristemente. Lui non poté fare a meno di notare il sussulto del suo seno, a quel gesto.

“È che…quando sono venuta a casa tua…cioè, insomma…”

Se ci fosse stata più luce il colore delle guance di Tsubaki sarebbe stato di un bel porpora acceso.

“Insomma, Black*Star, mi hai vista nuda e …ero nuda solo io insomma, mi sembra così strano. Nessuno mi ha mai vista nuda e…” fece una piccola pausa e poi aggiunse ricordandosi cosa le aveva fatto dire Liz qualche tempo prima “Non che non mi sia piaciuto, intendiamoci…però…”

A quel punto fu Black*Star a interromperla “In pratica vuoi che mi svesta anche io. Guarda che non ho problemi con la nudità, io. Bastava chiedere!” fece serio, con le mani sui fianchi, prima di iniziare a togliersi la maglia.

Tsubaki era allibita. In effetti quello che gli aveva detto era, più o meno, che avrebbe dovuto essere nudo pure lui, ma non era certo quello il succo del discorso. “Black*Star” esalò con voce quasi impercettibile, mentre lui si toglieva anche i pantaloni.

“Black*Star!” strillò dimentica di chi stava dall’altra parte del muro.

“E quei gerani? Vogliamo parlare di quei gerani? Sono uno schifo!” urlò Liz, da un punto imprecisato del giardino.

“Mi devo togliere anche le mutande?” continuò lui, imperterrito.

“Black*Star! Ti prego, ti prego, ti prego! Siamo in un luogo pubblico!” strillò con voce acutissima.

“E il glicine?” urlò Liz esasperata, con i piedi in una pozzanghera.

 

§

 

“Buonasera Kim” salutò Ox, sedendosi su uno degli sgabelli del bancone del bar.

“Ciao Ox” rispose la ragazza di malavoglia, con il viso appoggiato al palmo della mano. In quella posizione faceva quasi fatica ad articolare le parole e la sua espressione tradiva una certa noia. In fondo al bancone, Marje e B.J. stavano discutendo di marche prestigiose di caffè.

“Come va?” chiese poi il ragazzo, vedendo che Kim non accennava a ravvivare la conversazione.

“Come al solito. Ho versato vino a dei vecchi ubriachi, tra i quali spiccava il signor Albarn, fino a due minuti fa. È sempre la solita storia, qui alla fiera d’estate” brontolò.

Ox fece un sorrisetto un po’ amaro “Beh, almeno la signorina Marje ti paga bene, vero? Io lavoro gratis per i miei”

“È per quello che non ti sposerò mai” commentò lei con risolutezza.

“E se iniziassi a guadagnare?” chiese speranzoso, mentre le lenti dei suoi occhiali riflettevano la luce delle lampade.

“In quel caso ci dovrei pensare” aggiunse serissima lei, prima di avvicinargli un bicchiere pieno di un liquido chiaro, che non era acqua.

“È soda. Gli alcolici li passo sottobanco e li faccio pagare a peso d’oro” l’ammonì, prima di bere dal suo bicchiere, pieno della stessa bevanda. Ox sorrise e prese a bere, seguendo l’esempio della ragazza.

“Dov’è Harvar?” domandò poi lei, abituata a vedere quei due sempre insieme. Ox alzò le spalle “è andato a sparare ai pupazzi alla bancarella della signorina Azusa” spiegò.

“Anche Jacqueline c’è andata, proprio dieci minuti fa” aggiunse Kim, distrattamente.

“Oh, sì. Harvar me lo ha detto. Lui odia i pupazzi, sai, da piccolo ne aveva uno che cantava se gli schiacciavi la pancia e ci dormiva abbracciato. Ovviamente almeno una volta a notte lo schiacciava per sbaglio facendolo cantare e svegliandosi di conseguenza. Da allora non li ha molto in simpatia anzi, si diverte a sparargli contro. Quello che vince lo da a Jacqueline che, a quanto ho capito, li apprezza di più!” spiegò tranquillamente Ox.

“Ma dai, non lo sapevo” fece Kim con voce un po’ piatta, ma allo stesso tempo sinceramente stupita.

“Ti ho portato una bistecca di mio padre, hai già cenato?” chiese poi lui, tirando fuori un piattino di carta coperto da un foglio di alluminio.

“Sì, ma…mangio lo stesso” disse, con una piccola esitazione, guardandolo negli occhi. “Tu hai già mangiato?” chiese poi, dopo aver iniziato a tagliare la bistecca. Ox scosse la testa.

“Allora facciamo a metà” decise un po’ brusca, avvicinando un po’ di più il piatto al ragazzo.

Ox sorrise contento “Perché domani non vieni anche tu al mare?” propose, mentre Kim gli porgeva la forchetta, in modo che anche lui potesse prendere la sua parte.

“Bah. Baba Yaga fa schifo e poi non vivo al Chupa Cabras, è una gita condominiale, quella” borbottò lei, con disinteresse.

Ox alzò le spalle “È lo stesso. Io e i miei ci andiamo anche se non siamo del condominio e anche se Baba Yaga non è un granché è sempre una vacanza, dato che quest’anno nessuno va a fare del turismo decente” ribatté lui imperterrito, mettendosi in bocca un pezzo di carne buonissima. Era vero, suo padre era davvero il Re della bistecca.

“Nessuno ha mai fatto delle vacanze decenti qui, se escludiamo Soul” rispose Kim, con un po’ di amarezza. Ox alzò le spalle.

“Però la carne è buona. Dillo a tuo padre.”

 

§

 

Tsubaki si strinse di più nei vestiti, con un sospiro. Stava albeggiando e lei non aveva chiuso occhio. Strinse la mano sulla sua tazza di tea e voltò lo sguardo su Black*Star, che dormiva scomposto sul biliardo, poco più in là.

Fece un sospiro e appoggiò la fronte al tavolo. Non ci poteva davvero credere. Aveva passato la metà della serata a cercare di convincerlo che svestirsi nel bel mezzo di una strada pubblica era reato e poi, arrivati a casa sua, l’aveva svestito lei. Se c’era una cosa della quale era certa era che non aveva alcuna intenzione di fare sesso con Black*Star in quel frangente. Ovviamente, alla fine, avevano fatto sesso e lei si sentiva una cretina. L’aveva interrotto a metà costringendolo a smettere perché le faceva male. Probabilmente Black*Star era stato con un sacco di ragazze migliori di lei in quel senso. Si coprì il viso con le mani.

Se in quel momento ci fosse stata Maka avrebbe detto “Chi vuoi che se lo prenda quello lì, oltre a te?” ma sfortunatamente Maka non c’era.

Praticamente era ancora mezza vergine, ammesso che fosse una cosa possibile.

Non sapeva bene nemmeno lei come fosse accaduto, era stato come la volta prima, tutto assolutamente automatico, come se non avesse fatto altro per tutta la sua vita, poi si era ritrovata Black*Star addosso, che la baciava e la toccava ovunque ci fossero delle curve e le aveva fatto male. Era una maledetta cretina.

“Buongiorno!” esclamarono accanto a lei. Tsubaki alzò la testa di scatto e per poco non cadde giù dalla sedia sulla quale era seduta.

“Buo-buongiorno Black*Star” salutò lei balbettando, con aria di chi ha visto un fantasma.

“Hai dormito bene, di fianco al sottoscritto?” chiese, tronfio. Tsubaki sospirò, un po’ in imbarazzo “In realtà non sono riuscita a dormire” ammise con un velo di tristezza.

“Troppo emozionata per la mia performance?” domandò, alzando il pollice. La ragazza diventò di colpo bordeaux e alzò le mani in segno di resa.

“Sì, cioè…ecco…mi ha fatto un po’ male e …mi dispiace se…se…non…” cercò di dire, visibilmente imbarazzata. Black*Star alzò le sopracciglia, per poi socchiudere gli occhi e guardarla con aria maliziosa “Guarda che la seconda volta è meglio e poi sono le sei e mezza di mattina abbiamo tutto il temp…”

“Le sei e mezza?” strillò Tsubaki, nel panico. Black*star si zittì e ritrasse, perplesso.

“Devo scappare a casa!” urlò, afferrando la propria borsa abbandonata sul pavimento “Ci vediamo quando torno da Baba Yaga!” e così dicendo corse fuori, come se la stessero rincorrendo dei lupi.

Il ragazzo sbatté qualche volta le palpebre, prima di sbottare “Mi sta di nuovo evitando!”

Tsubaki non seppe neanche come fece ad arrivare così presto alle porte del Chupa Cabras, sta di fatto che si affrettò a telefonare a Maka la quale, in un batter d’occhio, venne ad aprirle la porta d’ingresso con gli occhi iniettati di sangue.

“Sbrigati, mio padre viene a svegliarci tra un quarto d’ora!” e così dicendo la spinse nella propria camera senza se e senza ma.

Un’ora dopo erano tutti già posizionati sui sedili del pulmino del signor B.J..

Tsubaki stava riversa con la testa sulle ginocchia di Liz, che le accarezzava i capelli. “Guarda che non c’è nulla di male, eh?” continuava a dire. Stein e Medusa si erano seduti strategicamente l’uno in fondo e l’altra avanti, Maka sedeva accanto a Patty, che chiacchierava a proposito di wrestling, Kid e Soul stavano vicini, entrambi taciturni, mentre Arachne e Giriko cercavano di nascondere, alla meglio, la loro attrezzatura di registrazione. Tutta quella fatica era assolutamente inutile, dato che nessuno badava loro.

“Bene signori” cominciò l’amministratore, appena il mezzo fu partito “Come vi avevo detto alloggeremo nel edificio delle ex-colonie estive. Avevamo organizzato di utilizzare due degli stanzoni comuni e una stanza del custode da due persone, che avevamo deciso di lasciare ai signori Nakatsukasa, ma pare ci siano stati degli errori di calcolo, perché all’ora della partenza ci sono due persone in più, la signorina Kim, che si è aggiunta all’ultimo momento  ed Elka, della quale ci eravamo semplicemente dimenticati.”

“Ehi!” sbottò Elka, offesa, senza che nessuno le desse udienza.

“Quindi potremmo recuperare un altro letto, in una stanzetta dell’ala nord e per il secondo posto saremo obbligati utilizzare il letto matrimoniale come letto da tre” spiegò.

I signori Nakatsukasa spalancarono gli occhi. Volevano infilare qualcuno nel loro letto?

Kid alzò la mano “Forse è meglio se nel letto da tre stiamo io, Liz e Patty, padre. Non è bello disturbare le coppie sposate” propose il ragazzo, con incredibile serietà.

Liz si voltò indietro a cercare lo sguardo dell’amico “Sei sicuro? Guarda che io parlo nel sonno” gli fece sapere.

“Se non dici la parola sette non ho problemi” la tranquillizzò lui. Liz alzò le spalle e si rimise a coccolare Tsubaki. “Allora, Tsubaki, è davvero così big come dice di essere?” chiese a bassa voce. La ragazza si rannicchiò e strinse le gambe più che poteva, coprendosi le orecchie con le mani “Liiiz! Smettila!” esalò con un sussurro acutissimo.

“Allora è deciso!” esclamò allegro lo Shinigami “Già che ci siamo vi informo che l’unico membro del condominio che è rimasto a casa mi ha fatto avere questa mattina una missiva, in cui mi informava del fatto che era impossibilitato a compiere questo viaggio con noi, ci augura buona permanenza a  Baba Yaga.”

Così dicendo andò a sedersi davanti, affianco al signor Sid.

Kid si schiarì la voce e a Soul fu chiaro che era stato lui a mandare quella lettera. Tra le altre cose, qualcuno, durante la notte, aveva sprangato la porta di casa di Excalibur. Alzò le sopracciglia e appoggiò la testa al vetro, chiedendosi quando sarebbero arrivati al primo autogrill, aveva già bisogno di andare in bagno.

 

§

 

“Su, su, smettila di pensarci. Black*Star non ti lascerà solo perché non sei una pantera e poi, scusami, anche lui a la prima volta sarà stato un po’ in imbarazzo?” continuava a dire Liz, mentre rovistavano tra il cioccolato in vendita all’autogrill. Tsubaki la guardò fisso.

“No, in  effetti dubito si sia mai sentito in imbarazzo in vita sua, è troppo scemo, ma comunque piantala di preoccuparti!”

Poco più in là, Kim e Ox, analizzavano i prezzi della merce “L’essenza degli autogrill è far costare tutto in modo assolutamente spropositato” commentò Kim, massaggiandosi il mento con fare pensieroso. “Dovresti aprirne uno, Ox. Così sì, che faresti dei soldi”

Ox annuì “Sarò il re della bistecca dell’autogrill e venderò la carne al triplo del suo prezzo!” esclamò, allegro per aver trovato un modo per compiacere la sua amata. Kim annuì, d’accordo.

Il grosso della spedizione, però, si trovava in fila davanti al gabinetto, se si escludeva B.J. che non voleva lasciare solo il suo bambino, per paura che Justin ci attaccasse qualche strano spinotto per lo stereo.

“Come cavolo ho fatto a finire ultimo nella fila? Devo pisciare da quando siamo partiti!” sbottò Soul, piuttosto di malumore.

“Non ti lamentare, pensa che nel bagno degli uomini bisogna sempre fare meno coda” ribatté Maka, nella stessa situazione.

Soul alzò le spalle “Se quando stiamo per partire sei ancora indietro puoi sempre andare in quello dei maschi, tanto credo che a creare tutta questa fila sia solo il Chupa Cabras” propose Soul, con le migliori intenzioni. Maka annuì. La prese meno bene, però, il signor Spirit, che stava in fila proprio davanti al ragazzo.

“Come ti permetti, maledetto teppistello? Vuoi forse abusare della mia Maka? Tientele in tasca quelle manacce!” strillò l’uomo, facendo girare mezzo autogrill.

Soul s’accigliò “Ma chi la vuole questa senza-tette!” sbottò lui, piccato.

“Non offendere la mia Maka!” urlò Spirit, e gli avrebbe tirato un cazzotto se il signor Shinigami non l’avesse preso per la collottola e allontanato.

Maka, del canto suo, gli tirò una gomitata “Chi è che sarebbe senza tette?” sbottò, prima che Soul, approfittando della distrazione di Spirit, la baciasse.

Durò un secondo, giusto il tempo di veder riapparire Spirit, che pur non avendo visto nulla, tornava alla carica.

“Cretino” sussurrò Maka pulendosi la bocca col dorso della mano. Soul ghignò.

 

 

 

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Mi devo scusare, ci ho messo un sacco e ho aggiornato con un capitolo che è un orrore. L’ho odiato perché è venuto veramente da schifo, oppure è venuto veramente di schifo perché l’ho odiato, sta di fatto che questo è il massimo che sono riuscita a fare, cercate di perdonarmi. :(

Uno dei motivi per cui alla fine sono riuscita ad arrivare in fondo è che non vedo l’ora di scrivere il prossimo, spero sia un buon presagio.

Cosa posso dire, non posso non menzionare Mimi18 che, con i suoi discorsi, mi ha fatto venire una gran voglia di scrivere qualche cosa anche su Harvar e Jacqueline, che hanno una parte piccola, ma in questo capitolo ci sono!

L’altro giorno navigando in internet ho scoperto che esiste una fobia dell’asimmetria, nonostante con la storia non ci stesse benissimo non ho potuto fare meno di inserircela!

Mi scuso anche per la punteggiatura di questo capitolo, ho la brutta impressione che non sia delle migliori, se notate qualche errore in particolare vi prego di farmelo notare! :(

Volevo dire un sacco di altre cose, ma ovviamente non me le ricordo più. Se ho così tante cose da dire dovrei scriverle in concomitanza col capitolo, ma non sono così furba, quindi non vi stordirò di chiacchiere.

Ultimo ma non ultimo: Grazie a tutti di cuore!

Aki_Penn

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** E' lo spirito, che conta ***


Trentotto scalini

Capitolo Quindicesimo

È lo spirito, che conta

 

“Per la miseria, viene giù tanta di quell’acqua!” commentò Marje, con lo spazzolino in bocca, dando un’occhiata al cielo scuro, oltre la finestra.

“Fortunatamente siamo riusciti a stare tutto il pomeriggio in spiaggia, senza che piovesse. Speriamo che domani mattina sia sereno, sarebbe davvero un peccato se piovesse proprio durante l’unico fine settimana di vacanza che facciamo” fece eco Tsubaki, passando il suo spazzolino da denti sotto il getto d’acqua per pulirlo dai residui di dentifricio.

“Già” grugnì Liz, risciacquandosi la bocca. Marje annuì con un sospiro, asciugandosi la faccia con l’asciugamano verde che si era portata.

“Io vado a letto, ragazze. Buonanotte!” salutò la donna, uscendo dal bagno comune.

“Buonanotte” risposero in coro le ragazze.

“Questo posto mi da i brividi” commentò Liz, china sul lavello.

“È una ex casa delle vacanze per bambini, mio padre ha detto che una volta un maniaco è entrato di soppiatto e ne abbia uccisi dieci. Si dice che le loro anime siano rimaste legate a questo luogo di sventura e quando qualcuno vede i loro spiriti sfortunati viene preso a sassate e…”

“Kid!” strillò Liz, nascondendosi sotto il lavabo, cercando di tapparsi le orecchie con le mani. Patty rise a crepapelle.

“Kid, che ci fai qui?” chiese gentilmente e un po’ imbarazzata dall’improvvisa incursione, Tsubaki.

“Nel bagno degli uomini c’è una piastrella sbeccata. Mi turba un po’” spiegò lui, mentre la ragazza lo spingeva fuori dalla porta con vigore.

Kim si chinò per guardare Liz, seduta per terra affianco al sifone. “Liz, su. È una leggenda, non ci sono bambini fantasma che ti lanceranno delle pietre. Alzati”

Liz scosse la testa e non ne volle sapere di alzarsi, finché Patty non la spostò di peso.

Si ritrovarono a finire di lavarsi in silenzio, così il sospiro di Tsubaki fu piuttosto udibile.

Tutte si voltarono verso di lei, chi stava litigando col filo interdentale, chi non riusciva ad aprire la boccetta dello struccante, chi si era accorta che un filo del proprio asciugamano si era tirato e cercava di risistemarlo, chi si lavava i denti e chi usciva dalla doccia tamponandosi i capelli con l’accappatoio.

“Tsubaki” chiamò Liz, con aria un po’ scocciata “Potresti smetterla di pensarci?” chiese, come se fosse un favore personale.

“Non ci riesco” piagnucolò lei, appoggiando la testa al lavello, sconsolata. Kim, che si stava massaggiando i capelli con l’accappatoio, per asciugarli, sospirò.

“Oh, via. Non ti è neanche andata male. Magari è vero quello che si dice, che gli stupidi lo fanno meglio” disse saputa Liz, mettendosi una mano su un fianco.

Fu proprio in quel momento che entrò la signora Nakatsukasa, allegra, chiedendo cos’è che gli stupidi fanno meglio. Sia Liz che Tsubaki persero qualche anno di vita.

“Sto parlando delle telenovele. L’amore del Kishin ha fatto tanto successo perché è veramente stupido. Mai vista soap-opera più banale” affermò Liz con decisione, annuendo per darsi ulteriormente un tono.

La signora Nakatsukasa annuì a sua volta “Hai proprio ragione, sono felice che non guardiate certa tv spazzatura, ragazz” commentò per poi aggiungere “Mi ero dimenticata lo shampoo, torno in camera. Buonanotte!” e così dicendo se ne andò.

Tutte la seguirono con il fiato sospeso e tirarono un sospiro di sollievo solo quando la porta si fu richiusa. Tsubaki si appoggiò alla parete piastrellata e si lasciò scivolare fino a sedersi per terra. “C’è mancato un pelo” pigolò ad occhi chiusi.

Maka guardò Liz, che era più o meno nelle stesse condizioni “Liz, tu ami L’amore del Kishin” puntualizzò.

Liz annuì, con l’aria di chi sta per rimettere “Sì, infatti mi sono sentita malissimo quando ha detto che è tv spazzatura” piagnucolò.

Kim ridacchiò.

 

§

 

“Kid” piagnucolò Liz, aggrappandosi al suo braccio. Era coperta fino al naso dal lenzuolo, era estate ma, per colpa dell’acquazzone, faceva piuttosto fresco. Fuori dalla finestra, l’acqua sbatteva contro gli scuri, rendendo l’atmosfera ancora più inquietante di come sarebbe stata altrimenti.

“Ci sono io di fianco a te” fece notare lui, serissimo. Liz deglutì “Lo so. Grazie. So che arriverà tra poco” piagnucolò ancora lei, inconsolabile, strattonandolo per il pigiama.

Fu in quel momento che, oltre il petto di Kid, apparve una figura illuminata da una torcia.

“Siamo i bambini morti!” si presentò con voce lugubre “E ti prenderemo a sassate!” continuò. Kid sospirò, mentre Liz si nascondeva sotto il suo braccio terrorizzata.

“Patty, perché devi fare questo alla tua sorellina?” pianse con voce acuta, subito prima che Patty si lasciasse cadere sul materasso ridendo come una forsennata.

“Dai, Liz, non ci sono fantasmi in questo posto. Non è niente. Era solo una leggenda metropolitana che mi ha raccontato mio padre” cercò di calmarla Kid, imperturbabile, mentre Patty rideva a crepapelle.

“Senti! Signor non-è-niente, chi è che viene turbato dalle piastrelle sbeccate qui? Io ho tutto il diritto di essere terrorizzata dai fantasmi! Almeno non piango quando vedo un quadro storto!” lo aggredì Liz, recuperata tutta la sua carica, puntellandosi su un gomito e indicandolo.

“Dici che i quadri di casa potrebbero essere storti?” domandò Kid, preso dal panico.

“Potrebbero” ammise la ragazza, più per ripicca che per altro.

“Oddio, no. Dobbiamo tornare a casa a controllare!” strillò.

“Ma sei scemo? Piove e casa nostra è lontana e tu hai bisogno di uno psicologo!” urlò Liz in preda a una crisi di nervi. Patty, accanto a loro, rideva battendo i piedi sul materasso, incapace di contenersi.

La disputa tra i due, con Liz che prima si arrabbiava e poi cercava di consolarlo, andò avanti per un po’, finché non si sentì un tuono particolarmente forte e la ragazza finì per raggomitolarsi accanto a Kid tremando come una foglia.

Patty sbadigliò, a quanto pareva era davvero ora di dormire.

Fortunatamente i tre si erano accaparrati una stanza separata, perché nello stanzone comune molta gente era già tra le braccia di Morfeo. Tra queste persone non c’era però Maka, che continuava a fissare la finestra, rimasta parzialmente aperta. Sospirò, le piaceva guardare la pioggia, il diluvio era affascinante, quelli estivi erano particolarmente belli e furiosi. Faceva fresco però. Si strinse del lenzuolo, per colpa dei lampi, dei tuoni e del russare del signor Ford non riusciva a dormire. Si rigirò nel letto voltandosi verso la porta del bagno, almeno non avrebbe avuto in faccia la luce dei fulmini, che illuminavano a giorno lo stanzone.

Si domandò se Soul fosse ancora sveglio, in mezzo a tutti quei sospiri non riusciva a capire chi fosse desto e chi no. Il signor Ford era sicuramente addormentato e anche suo padre dormiva a bocca aperta nel letto affianco al suo.

Strinse le gambe e le strusciò tra loro, faceva veramente freddo, con la finestra aperta. Si vergognò un po’ nello scorgersi a pensare che, se si fosse intrufolata nel letto di Soul, avrebbe avuto caldo.

Deglutì e si passò le mani sulle braccia, sfregando forte per farsi un po’ di caldo, per poi rendersi conto che non sarebbe riuscita a dormire in ogni modo.

Sospirò e si mise a sedere, per poi appoggiare i piedi nudi per terra e avviarsi verso l’uscita dello stanzone, il letto di Soul era il terz’ultimo infondo.

Spirit aprì un occhio sentendo le doghe del letto di Maka scricchiolare in modo anomalo. Grugnì, ma quel rumore fu coperto da un poderoso tuono che fece sobbalzare la ragazza. Si voltò per guardare fuori, scorgendo un altro luminosissimo lampo, mentre suo padre la scrutava, non visto, da sotto il lenzuolo.

La ragazza sospirò stringendosi nelle spalle, era davvero fresco.

Avanzò per lo stanzone a passo furtivo, ogni contatto col pavimento gelido era come una scarica elettrica che partiva dal piede per arrampicarsi veloce e devastante lungo la spina dorsale. Si morse il labbro, fermandosi a guardare Soul addormentato nel suo letto, mezzo scoperto e con le labbra socchiuse. Si sarebbe ammalato, ma resistette alla tentazione di allungare la mano e rincalzargli la coperta, andando dritta verso il bagno.

Spirit, che si era alzato a sedere, non visto, osservò la scena dalla sua posizione vicino alla finestra con la solita apprensione genitoriale che lo distingueva. Si rilassò quando vide la figlia proseguire verso il bagno, la castità della sua primogenita era salva anche quella volta, e così pensando si accucciò nuovamente sotto il lenzuolo e scivolò tra le braccia di Morfeo per la seconda volta.

Maka si guardò allo specchio, appoggiandosi con le mani al lavandino e sporgendosi in avanti, la luce del neon era fastidiosa e continuava ad avere un gran freddo. Diede un’occhiata furtiva alla sfilza di gabinetti, uno accanto all’altro. Non aveva bisogno di andare alla toilette, si era alzata solo per vedere se Soul era sveglio, come una cretina.

Sospirò, fece dietro front, spense la luce e tornò nello stanzone. Dopo essere stata nel pieno della luce del neon, la stanza le sembrava incredibilmente buia, nonostante fuori i lampi e i lampioni illuminassero più che bene tutto l’ambiente.

Si strinse nelle spalle con l’intenzione di rincantucciarsi sotto il lenzuolo il prima possibile ma si immobilizzò quando sentì il suo nome sussurrato. Si voltò di scatto verso il terzo letto dal bagno.

Era stato solo un fruscio, nessuno l’aveva chiamata, ma Soul se ne stava sdraiato sul suo letto puntellato sui gomiti e la guardava.

Maka lo fissò per qualche secondo, con le braccia conserte, poi con uno scatto si portò accanto al letto del ragazzo e s’infilò sotto le coperte.

“Oh” esalò Soul, sorpreso da tanta grinta.

“Cos’è, hai paura della tribù di bambini fantasma?” sussurrò in tono di scherno, ancora puntellato su un gomito.

Maka si lasciò andare, sdraiata su un fianco, con la testa sul cuscino. “Non dire sciocchezze, è che fa un freddo cane nel mio letto. Sono vicina alla finestra”

Soul ghignò, fissandola per qualche secondo, prima di lasciarsi andare anche lui sul cuscino e tirare il lenzuolo in modo che li coprisse entrambi fin sopra la testa. Da fuori, col buio, non si sarebbe detto che erano in due.

Maka deglutì, si stava abituando all’oscurità e anche sotto il lenzuolo riusciva a intravedere, anche se a fatica, il volto di lui.

“Togliti dalla faccia quel sorriso storto” sbottò Maka, cercando di tenere un tono di voce abbastanza basso da non farsi sentire da nessun altro, se non da lui.

“Hai i piedi freddissimi!” si lamentò lui, perdendo tutta la sua ilarità, quando la ragazza lo sfiorò. “Hai sentito? E tu che mi prendevi in giro!” continuò imbronciata.

Soul pensò che era davvero buffo come facesse l’offesa, ma non avesse la minima intenzione di tornarsene nel suo letto.

Maka lo guardò con aria di sfida e lui chiuse gli occhi annullando la distanza che c’era tra loro e baciandola. La ragazza non si oppose compiacendosi di quel contatto leggero e intimo allo stesso tempo. Non aveva nemmeno cercato di toccarla con la lingua, la sfiorava solo con le labbra, sulle guance, ai lati della bocca, con una lentezza quasi snervante.

Maka afferrò il suo braccio e lo strinse con forza quando lui si decise a forzare la sua bocca per entrare. Lo sentì mentre si muoveva per prenderla per i fianchi e trascinarla accanto a lui, stringerla e averla vicina. Lei sospirò sulla sua bocca, Soul era caldo ma non poteva fare a meno di sentire una marea di brividi mentre lui le esplorava la bocca con la lingua.

Si lasciò circondare dalle sue braccia mentre scendeva con la bocca a baciargli languidamente il collo. Non si sentiva sensuale per niente, era solo quello che voleva fare in quel momento. Era un po’ come essere ubriachi e strusciarsi contro Soul era l’unica cosa che voleva fare in quel momento. Gli mordicchiò il collo mentre lui la stringeva così forte da farle quasi male.

Soul aveva appoggiato la fronte sulla sua spalla, arreso al bacio umido che lei gli stava depositando sul collo. Deglutì, un po’ imbarazzato, sentendosi sempre più caldo, mentre il sangue confluiva tutto verso il basso.

Era diverso da quando erano sulla scogliera, Maka aveva tutte le facoltà di accorgersi perfettamente di cosa stava succedendo.

Si sentiva quasi stordito, gli sembrava irreale rotolarsi tra le coperte insieme a Maka, in una stanza piena di gente che dormiva. Fece scivolare le mani fino all’elastico dei pantaloncini del pigiama, se fosse sceso di qualche centimetro le avrebbe potuto toccare anche il sedere.

Si chiese come Maka potesse intrufolarsi nel suo letto illudendosi che lui non avrebbe tentato di infilarle la mani dentro le mutande. L’unica soluzione plausibile era che non si illudesse affatto.

Fece scivolare la mani sotto la stoffa, non era vero che Maka somigliava a un attaccapanni, il sedere andava benissimo così com’era.

Con le mani sfacciatamente poggiate sulle sue natiche se la spinse ancora più addosso di quanto non fosse già. Trattenne il respiro rendendosi conto che lei stava facendo la stessa cosa. Gli aveva infilato la mano dentro al pigiama.

Sgranò gli occhi e cercò di incontrare il suo sguardo, per quanto nella penombra fosse difficile. Anche lei lo stava guardando, ma la sua espressione era indecifrabile. La vide richiudere gli occhi e riprendere a baciarlo, mordicchiandogli le labbra umide e gonfie.

Ritrasse la mani, dai pantaloni di Maka, dove le aveva messe, per appoggiarle sulla schiena nuda di lei. A forza di muoversi le si era alzata la maglietta del pigiama.

Non riusciva più a tenere gli occhi aperti, si lasciò baciare, respirando pesantemente. Era bello e snervante allo stesso tempo. Probabilmente se avesse fatto da solo avrebbe fatto meglio, ma che cavolo, la mano di Maka era un po’ più piccola, calda e liscia. E lei continuava imperterrita a leccargli le labbra.

“Stai facendo rumore” sussurrò lei, sentendolo ansimare più forte di qualche momento prima. Soul riprese a baciarla con più entusiasmo soffocando i gemiti nella sua bocca.

Maka mugugnò quando lui le morse la lingua “Ti sto facendo male” domandò serrando le labbra. Soul fece una smorfia e scosse la testa, prima di esalare un faticoso no. Sembrava che ci stesse prendendo la mano, andava molto meglio. Probabilmente lui non avrebbe potuto fare di meglio a quel punto. Così pensando, le morse la spalla per soffocare un gemito troppo forte.

Elka Frog, con la mascherina per gli occhi, si voltò dall’altra parte. Era mai possibile che ovunque fosse ci fosse sempre qualcuno pronto a far rumori umidi di notte e non farla dormire?

 

§

 

Tsubaki avanzò per il corridoio, guardinga. Diversamente da Maka, aveva portato un pigiama a maniche lunghe e grazie al cielo non stava morendo di freddo, ma quell’atmosfera da brivido colpiva un po’ anche lei. Probabilmente se a Liz fosse venuta la pipì nel corso della notte avrebbe preferito tenersela piuttosto che dover muoversi da sola in quei corridoi lugubri.

Le finestre dei passaggi erano senza tende né scuri, il diluvio era luminoso e violento. Tsubaki rabbrividì e affrettò il passo, si sentiva quasi osservata.

Sobbalzò sentendo l’ennesimo tuono della nottata e non poté fare a meno di girarsi, come in preda a uno strano presentimento. Soffocò un grido e per poco non cadde a terra per lo spavento, quando una finestra scorrevole si aprì con un gran botto e una figura con un mantello apparve sul davanzale, minacciosa. Il panico si dissolse appena una voce conosciuta tuonò “Mi stai evitando di nuovo!”

“Black*Star!” esclamò lei, più forte di quanto avrebbe voluto. Fortunatamente il rumore della tempesta coprì il suo grido.

Black*Star entrò nell’edificio con un salto, lasciandosi dietro una rilevante pozza d’acqua. Quello che controluce era sembrato un mantello si rivelò essere un comune impermeabile giallo che non avrebbe spaventato nessuno.

Si avvicinò a lei a passo deciso e la guardò piegando la testa da una parte. Tsubaki sospirò “Che ci fai qui? Se ti vede Mifune siamo entrambi nei guai” disse in ansia.

“Non vuoi stare con me?” tradusse, a modo suo, l’altro.

“Non ho detto questo!” esclamò vagamente indispettita lei.

“Allora perché non sei rimasta con me sta mattina. Ti ho detto che la seconda volta è meglio” ribatté lui come se il suo problema fosse di non essere creduto.

“Perché dovevo partire per Baba Yaga coi miei” rispose Tsubaki con il tono di chi dice un’ovvietà. E in effetti quella era un’ovvietà.

Si immobilizzarono entrambi sentendo il cigolio di una porta che veniva aperta. Tsubaki, che lo aveva afferrato per la maglietta, lo guardò con gli occhi sgranati e lo trascinò con sé, dentro un armadio vuoto, lì accanto.

Rimasero fermi immobili. Quel posto era orribile, polveroso al tatto. Chiusi lì dentro non riusciva nemmeno a vedere se c’erano delle ragnatele, probabilmente sì.

Black*Star era bagnato fradicio e le stava addosso completamente. Era pesante, ma allo stesso tempo non poteva non trovarlo, almeno un po’, piacevole.

Un colpo non troppo forte all’armadio di metallo, nel quale si erano nascosti, la riportò alla realtà. Trattenne il respiro e Black*Star, sopra di lei, fece lo stesso.

Era divisa tra il brivido di spavento che le procurava l’idea di essere scoperti e quello di piacere dovuto al sentire il fiato di lui vicino all’orecchio. Aveva la pelle d’oca.

Entrambi rimasero in ascolto, ma non successe più nulla.

 

§

 

La prima cosa che Stein pensò quando sentì che qualche cosa gli si posava addosso fu che fosse arrivato Jack the Ripper. Il gatto degli Evans faceva il giro dei letti di tutto il condominio, non era però chiaro come diamine facesse a entrare a casa di tutti, dato che nessuno, Evans esclusi, possedeva il pratico sportellino per fare entrare gli animali dalla porta d’ingresso.

Non ci mise molto però a capire che non si trattava di Jack. Sicuramente i movimenti erano felini e silenziosi, ma ciò che aveva addosso era decisamente più voluminoso e pesante.

“Cosa ci fai qui?” domandò un po’ intorpidito, intrappolato nella sua posizione fetale con Medusa sdraiata sopra.

“Mi chiedevo se non ti stessi annoiando, qui tutto da solo” soffiò piano nel suo orecchio. Stein fece una smorfia. Quella posizione era scomoda, gli faceva male e basta, schiacciandolo su un fianco, ma pareva che lei ci godesse anche a fargli male fisico.

“Stavo dormendo. Non ci si sente soli mentre si dorme e poi io vivo da solo. Mi piace stare solo”  spiegò con voce ferma, ripetendo più volte la parola solo, come per farle intendere che la sua presenza non era gradita. Medusa Gordon però intendeva solo quello che le faceva piacere intendere, i desideri degli altri erano poco importanti.

“Suvvia, non fare il bacchettone. C’è una tale atmosfera da gita scolastica qui intorno” sentenziò leziosa.

Stein grugnì, ma non rispose. Medusa si morse il labbro inferiore muovendo le gambe, sbarazzina. Lui sentiva le ossa del bacino spinte contro, facevano quasi male.

“Maka Albarn è andata a dormire con il minore degli Evans, Elka, che si è rigirata per un po’ nel letto perché quei due facevano rumore, ha fatto un giro per il corridoio e è finita a giocare a scacchi con Free, sempre che lui sappia le regole, ma non credo, e poi ci sono Black*Star e Tsubaki che si sono nascosti dentro un armadio sentendomi arrivare. Io faccio di tutto per muovermi silenziosamente, ma queste maledette porte cigolano incredibilmente” disse in un tono un po’ abbattuto, per poi aggiungere, pimpante “e ovviamente ho bussato col pugno sull’armadio dove si erano infilati, per farli spaventare”

Con la luce che veniva dal corridoio, Stein, riusciva a intravedere solo il suo sorriso bianco, per il resto c’erano solo bordi e chiaroscuri.

“Dovresti smetterla di molestare i ragazzini” mugugnò cercando di girarsi, per fare in modo che lei non lo potesse vedere bene in faccia.

Medusa ghignò “Preferisci che molesti solo te?” domandò maliziosa.  Stein non ebbe tempo di rispondere perché lei gli si chinò addosso e gli leccò la guancia, stringendo le gambe attorno al suo corpo.

Il ginocchio era maledettamente vicino al suo bassoventre.

“Ho detto che volevo dormire” ribatté voltandosi in una posizione più comoda, con la vaga speranza che Medusa finisse rovinosamente per terra.

“Ma come?” ridacchiò lei, mettendosi a sedere dritta sulla sua pancia, per nulla destabilizzata, né moralmente né fisicamente.

“Sei davvero un bacchettone” continuò, piegandosi di nuovo in avanti e appoggiandosi coi gomiti sul suo petto. Stein sentì il peso alleggerirsi sul suo ventre per poi distribuirsi su tutto il corpo. L’avrebbe creduta un serpente, un animale a sangue freddo, se non fosse stato perché, in quel momento, era tremendamente calda. Gli stava sorridendo, con uno dei suoi soliti sorrisi senza allegria, che sembravano dire ti ho fregato.

“Non ti sei tolto la maglia per andare in spiaggia, vuoi dormire la notte della gita condominiale…” cominciò a elencare fingendosi delusa, giocando con il collo di cotone della maglietta del pigiama di Stein.

“Non mi sono tolto la maglietta perché se i presenti avessero visto la mia schiena avrei dovuto raccontaredi aver avuto un incontro ravvicinato con una tigre del Bengala” spiegò lui, sarcastico.

Medusa fece una risatina cristallina, mostrando le unghie, che scintillarono alla luce del corridoio.

“Oh. Sul momento ti è piaciuto, però” gli fece notare, prima che lui le mordesse un dito, senza farle troppo male.

Medusa sobbalzò strusciandosi su di lui. Era imbarazzante, era venuta lì con l’idea di prenderlo un po’ in  giro, ma alla fine era lei quella che aveva più fretta. Si morse il labbro inferiore, ma non diede a vedere in nessun altro modo la sua impazienza sfociante dal bassoventre in fiamme, mentre guardava il dito scivolare, umido, fuori dalle labbra dell’uomo.

“Voglio dormire” ribadì lui, serissimo. Medusa ghignò, rincuorata, sporgendosi nuovamente in avanti a mordicchiargli il collo.

“La cosa divertente di voi uomini è che se dite una cosa con la lingua poi avete altre parti del corpo a smentirvi”

 

§

 

“Insomma, tu mi eviti” aveva ricominciato a dire a Black*Star. Tsubaki sospirò esasperata “No…è solo un caso” ribatté con poco entusiasmo, sull’orlo di una crisi di nervi.

“Non credo che sia stato per colpa della mia performance. Io sono il dio del sesso! Autoproclamato!” sentenziò ancora, a voce fin troppo alta. Erano ancora chiusi nell’armadio di metallo e la voce del ragazzo rimbombava fastidiosamente.

Tsubaki arrossì e si mise una mano sugli occhi “Questo non lo so. Non mi sento abbastanza esperta da esprimere un giudizio a riguardo e…” s’interruppe mettendo, per sicurezza, anche una mano sulla bocca di lui.

“C’è qualcuno” sussurrò pianissimo. Tesero le orecchie e rimasero in ascolto.

Qualcuno aveva aperto una porta cigolante e si stava aggirando per il corridoio a passo non proprio felino. I passi durarono poco, perché vennero interrotti da un violento botto seguito da un’imprecazione smozzicata, dalla quale nessuno dei due riuscì a identificare il passante.

La persona si rialzò, dato che evidentemente era caduta a terra, e il rumore dei suoi passi si affievolì, segno che si era allontanato.

Kim sentì lo stesso rumore, dal suo letto, e si voltò dall’altra parte. Sdraiata su un fianco dormiva sempre meglio, sarebbe stato bello se gli altri non si fossero messi a fare rumore in quel modo. Fece una smorfia e si tirò il lenzuolo fin sotto il mento.

S’irrigidì sentendo il materasso che si fletteva sotto il peso di qualcuno che non era lei. Soffocò un urlo di sorpresa quando qualcuno sussurrò “Kim!”

“Ox” soffiò lei in tono indispettito, voltando la testa a guardare la figura del ragazzo, che era salito sul letto solo col ginocchio.

“Che cacchio fai?” sussurrò di nuovo, questa volta in tono minaccioso.

“Non mi sono portato gli occhiali. Nel venire qui ho sbattuto la testa contro lo stipite della porta e sono caduto per terra” spiegò a bassa voce.

“Sei un cretino” sbottò lei dura, cercando comunque di non farsi sentire.

“Scusa” fece lui, senza un vero senso logico.

“Perché cavolo sei venuto qui?” chiese poi Kim, mentre lui si sistemava sul letto, infilando i piedi sotto al lenzuolo.

“Sembra una gita scolastica e in gita non si può dormire nel proprio letto” illustrò Ox contento, prima che lei ribattesse fredda “Questa non è una gita e comunque quest’anno, durante l’uscita scolastica, tu hai dormito con Harvar”

“È lo spirito che conta” sentenziò Ox colpito nel vivo e anche un po’ imbarazzato, a dire il vero. Si accoccolò, mogio, più vicino a Kim, tanto che il suo petto aderì alla schiena di lei. 

“Non è che mi vuoi toccare mentre dormo?” s’informò la ragazza, minacciosa.

“No” rispose pronto lui, arrossendo anche se lei non lo poteva vedere “Però posso appoggiare la mano sulla tua pancia? Se no non so come mettermi” chiese mesto. Kim ci mise un po’ a rispondere, come se ci stesse pensando, e Ox trattenne il respiro.

“Va bene” acconsentì. Fu lei a quel punto a trattenere il respiro, mentre la mano di lui scivolava sul suo ventre. Era freddissima. Sospirò.

“ ’notte Ox”

“Buonanotte Kim”

 

§

 

Era notte fonda e il diluvio continuava incessante, Kid fissava il soffitto senza riuscire a dormire. Forse perché, stando tutti così vicini, aveva troppo caldo. Non avrebbe saputo dirlo. Liz, nel sonno, lo stava abbracciando forte, come di solito faceva coi peluche. Era una stretta che quasi mozzava il fiato. Forse quello era un altro motivo per il quale faceva a fatica ad addormentarsi.

“Piove” sussurrò a un certo punto la ragazza. Kid si voltò di scatto a guardarla: dormiva.

Si morse il labbro, pensieroso, era vero che gli aveva detto che parlava nel sonno, gli venne quasi da sorridere.

Quasi si spaventò quando, alla sua sinistra, dissero “Prendi l’ombrello, allora”

Kid si voltò di scatto verso Patty. Lei gli dava le spalle, ma era sicuro stesse dormendo.

“E dov’è?” domandò Liz, continuando a sognare.

“Nella taverna” rispose Patty con un sospiro pesante.

“Noi non abbiamo una taverna. Abitiamo su una palafitta” ribatté Liz serissima, a occhi chiusi.

“No. Solo le mosche abitano sulle palafitte. Le mosche acrobatiche che abbiamo conosciuto quando andavamo a rubare al mercato del pesce” continuò Patty, imperterrita.

“Che schifo. C’era anche Kid al mercato del pesce, Edna?”

Kid sobbalzò, nel sentirsi chiamare per nome. “Mi chiamo Patty” specificò l’interessata.

“Non è possibile. Patty è mia sorella. Chiedilo a Kid” fece Liz, quasi offesa.

“Kid è un fissato” proferì decisa la sorella minore. Liz fece un sorrisetto “Però è carino” disse con una nota dolce nella voce. Il ragazzo sentì la stretta delle braccia farsi ancora più serrata, mentre alzava anche una gamba, come per essere sicura di non farsi scappare la sua preda.

“…anche se mi fa sudare sette camicie” aggiunse.

“OTTO” urlò Kid preso alla sprovvista, svegliando entrambe, ignaro del fatto che Patty si sarebbe rimessa a spaventare la sorella e non si sarebbe più addormentato nessuno per un altro bel po’ di tempo.

 

 

 

 

 

 

 

Bi parla a vanvera:

Ed eccomi col quindicesimo capitolo. È venuto fuori tutto in una volta come non mi capitava da tanto. Non sono sicura che sia magnifico, è un po’ scontato e un po’ monotematico, ma spero vi divertiate a leggerlo come io mi sono divertita a scriverlo!

Non voglio prendermi meriti non miei, perciò ci tengo a precisare che l’accenno all’inizio del capitolo dove si dice che gli stupidi lo fanno meglio è stata malamente rubata al telefilm “Kebab for breakfast” .

Come al solito non so come ringraziare le persone che seguono questa storia, mi fate davvero tantissimo piacere, spero che anche questo capitolo possa piacervi! ^.^

Avevo detto che avrei sistemato il quattordicesimo, ma poi mi sono fatta prendere dalla smania di scrivere questo, che stavo aspettando con ansia da tempo, e non l’ho ancora fatto. Giuro che mi impegnerò a metterlo a posto. Spero che anche la punteggiatura non sia da arresto.

Grazie ancora!

Bi

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La dialettica dei film di karate ***


Trentotto scalini

Capitolo Sedicesimo

La dialettica dei film di karate

 

Liz sbatté le palpebre qualche volta per abituarsi alla luce che proveniva da una fessura tra gli scuri e il davanzale. Non doveva essere tardissimo, ma il sole era sicuramente già caldo. Fece un sospiro, aveva il lenzuolo tirato fin sotto al mento, ne tirò fuori un braccio e si voltò verso la luce. Lo stesso movimento, ma al contrario, lo fece Kid, tanto che si voltarono a guardarsi negli occhi.

È buffo come capita spesso di svegliarsi insieme quando si dorme vicini, senza sapere chi dei due ha svegliato l’altro.

“Buongiorno” sussurrò Kid, con le palpebre a mezz’asta. Liz sorrise e rispose al saluto a voce bassa, per poi aggiungere “Patty è sveglia?”

Kid scosse la testa. Si guardarono per qualche secondo, mentre la luce del sole si allungava sul lenzuolo, come per tagliarli a metà, poi Liz fece la cosa che sul momento le sembrò la più naturale del mondo. Appoggiò le labbra su quelle di Kid che si sporse un poco verso di lei per poi voltarsi completamente su un fianco e lasciare che Liz gli infilasse le dita tra i capelli. Gli si strinse addosso, lentamente, come per non spaventarlo. Kid gliene aveva fatte passare di cotte e di crude nel corso della loro bizzarra, quando asimmetrica, convivenza, ci mancava solo che fuggisse mentre finalmente riusciva a baciarlo.

Quello non era come il bacio sotto il vischio, né come quello che gli aveva rubato sulla scogliera, quello lo voleva anche lui, e Liz fece spazio alla mano del ragazzo perché potesse passare tra il suo fianco e il materasso, abbracciandola.

Forse le sarebbe venuto da piangere per la felicità sentendo le labbra morbide di lui finalmente sulla sua bocca, se una voce non avesse detto “Se volete sapere se qualcuno è sveglio dovreste chiederlo direttamente all’interessato”

 

§

 

Soul fissava la macchia d’umido che stava sul soffitto, con aria ebete. Sospirò pesantemente senza che il sorrisetto compiaciuto gli si levasse dalla faccia.

Maka aveva dormito con la consapevolezza di non essere nel posto giusto e si era svegliata prima di tutti, quando la pioggia aveva smesso di cadere incessante e il sole iniziava a fare capolino. L’aveva vista mettersi a sedere, cercando di non svegliarlo, e tornarsene a passo felino nel suo letto accanto a Spirit.

Solo una volta svegliatosi del tutto era riuscito ad analizzare con lucidità gli eventi della notte appena passata.

Maka gli aveva infilato una mano nei pantaloni. Lo aveva fatto davvero. Non avrebbe potuto dire di non averci mai sperato, ma la cosa era incredibile lo stesso. Maka Albarn, la secchiona, gli aveva proprio infilato la mano nei pantaloni.

Si stiracchiò allungando le braccio sul cuscino e sgambettando, continuando a sorridere, probabilmente quella smorfia compiaciuta non gli sarebbe sparita dalla faccia per tutto il giorno.

“Che cos’hai tanto da sghignazzare, te?” domandarono, poco garbatamente, dal letto affianco al suo. Soul trasalì, voltandosi a guardare il suo interlocutore.

Wes, sdraiato sulla pancia, con il suo pigiama preferito indosso, lo guardava con interesse.

“Fatti i fatti tuoi, tu!” sbottò il fratello minore voltandosi dall’altra parte, offeso. Wes, che non era tipo da farsi abbattere da una rispostaccia, alzò le sopracciglia e si chiese cosa ci sarebbe stato per colazione.

Nello stesso momento, il signor Nakatsukasa aprì gli occhi e sorrise alla moglie, che ricambiò con un sorriso altrettanto amoroso.

Fu quando si voltò dall’altra parte, per dare il buongiorno alla signorina Gordon, che rimase perplesso trovandosi davanti il dottor Stein. Sbatté qualche volta le palpebre per essere sicuro che non si trattasse della signorina Medusa alla quale avevano fatto varie operazioni di chirurgia estetica durante la notte, prima di sorridere incerto e dire “Buongiorno dottor Stein”

“Buongiorno anche a lei” salutò affabile il professore che, nonostante fosse sveglio da un po’, era rimasto a poltrire sul letto.

Quella stronza aveva trovato il modo di sfrattarlo dal suo letto in stanza singola e lui si era dovuto adattare andando a dormire nel letto di lei. Avrebbe dovuto vendicarsi, magari affogandola in mare.

La signora Nakatsukasa invece ebbe modo di constatare che il letto di loro figlia era vuoto.

“La nostra Tsubaki deve essersi davvero svegliata all’alba questa mattina. È una così bella giornata, in fin dei conti. Sarà andata a fare una passeggiata”

Tutti annuirono e nessuno ebbe nulla da ridire in proposito.

Il letto del signor autista era rimasto vuoto perché quest’ultimo aveva passato la notte in pullman a farvi la guardia. In sostanza, tanto casino per un letto in più era stato piuttosto vano. 

Fu per la confusione creatasi che anche Kim si ritrovò ad aprire gli occhi. Qualcuno aveva del tutto aperto la finestra, facendo entrare così tanta luce da rendere impossibile continuare a dormire.

Si sfregò gli occhi con la mano destra, era rimasta tutta la notte nella stessa posizione e sentiva una gamba un po’ intorpidita. Come si poteva decidere arbitrariamente che tutti avevano dormito abbastanza, se fosse stato per lei sarebbe rimasta a letto ancora sei anni.

Identificò, sfocata, l’immagine di Free che cercava di rimettere uno scuro nei cardini e Elka Frog che dava direttive. A quanto pareva la finestra non era stata aperta, ma proprio staccata. Free aveva dato nuovamente prova di essere un tipo sbadato e impetuoso.

Storse il naso e sbadigliò prima di accorgersi della mano che le ricadeva subito sotto al seno, con il pollice lo sfiorava.

“Ox!” urlò voltandosi e scaraventandolo giù dal letto. Lo sfortunato ragazzo cascò per terra sbattendo il sedere. Sveglia davvero pessima.

“Oh” soffiò Ox svegliandosi di soprassalto. “Ma che…” chiese, ancora stordito dal sonno e un po’ anche dal dolore al coccige. 

“Sei ancora qui?” domandò brusca, lui balbettò qualche cosa d’incerto, ma lei non lo degnò di uno sguardo e si diresse verso il bagno, indignata.

Lasciando Ox seduto sul pavimento, si avviò a passo di marcia verso la toilette delle signore, sperando che Kid non vi ci fosse rifugiato di nuovo, ma durante il corto tragitto la sua attenzione fu attirata da un armadio che…russava.

Kim era sicura di aver visto varie cose bizzarre nel corso della propria vita, ma un armadio intento a russare non l’aveva mai incontrato.

Si avvicinò furtiva al mobile di metallo. Dai due stanzoni, che avevano affittato per dormirci, veniva del chiacchiericcio sommesso, ma il corridoio era deserto.

Si avvicinò a passo lento fino a trovarsi a pochi centimetri dalla maniglia, allungò la mano e l’aprì.

“Ma voi siete deficienti?” sbottò a voce fin troppo alta.

Black*Star e Tsubaki, uno sopra all’altro si svegliarono di botto e la guardarono spaesati. Se non fossero stati lei con indosso un pigiama con gli orsetti anti-sesso e lui con un impermeabile giallo sarebbe potuta essere una posa piuttosto compromettente, dato che Black*Star stava usando il seno di Tsubaki come cuscino.

“Kim? Tutto a posto?” urlò Ox preoccupato, che probabilmente si alzava dal pavimento solo in quel momento.

La ragazza richiuse le porte dell’armadio con uno scatto, tanto che Black*Star ci sbatté contro la testa.

“Sì. Tutto a posto. Non mi disturbare!”

E il traumatico risveglio finì così più o meno per tutti.

 

§

 

Dopo un’abbondante colazione, una lunga pausa toilette e una sofferta carica dei bagagli dentro al pulmino del signor B.J., tutti erano finalmente riusciti ad arrivare in spiaggia, piantare gli ombrelloni e mettersi a prendere il sole.

C’era un’atmosfera un po’ strana. Spirit stava raccontando al signor Nakatsukasa di essersi svegliato nel cuore della notte e aver visto Maka alzarsi. Per un secondo aveva pensato che volesse infilarsi nel letto di qualcun altro – in particolare quel teppistello figlio degli Evans non gli piaceva proprio, si vedeva con che occhi guardava la sua bambina – ma per fortuna Maka era una ragazza giudiziosa e si era alzata solo per andare in bagno. Poco più in là Stein si era tolto la maglia, mostrando agli astanti tutti i graffi che aveva sulla schiena, compreso qualche livido fatto di fresco.

Neanche a dirlo Liza e Arisa, con la scusa di essere preoccupate per la sua salute, si erano subito interessate a come se le fosse procurate e Stein, con un sorriso bonario, aveva semplicemente detto che era stato Jack The Ripper che amava intrufolarsi nel suo letto. Immediatamente la signora Evans, che aveva deciso di partecipare alla gita solo perché era chiaro che ormai lei e il marito non si sarebbero potuti permettere vacanze migliori, si voltò preoccupata “Signor Stein, non vorrà mica un risarcimento? Sa…ultimamente abbiamo problemi di liquidi e…appena arrivati a casa porteremo quella tigre al gattile e lei non avrà più problemi e…”

Stein alzò le mani in segno di pace “Signora, non si preoccupi. Il suo gatto mi piace molto”

Liza propose allora di farsi medicare dalla signorina Gordon, era medico, no? L’uomo declinò gentilmente l’offerta dicendo che non c’era bisogno di scomodare la dottoressa, andava benissimo così.

Elka e Free, al sole, giocavano ancora a scacchi “Allora rispiegami, Elka : è l’alfiere che si muove a L?”

Ascoltando la loro conversazione c’era da chiedersi come avessero fatto a giocare tutta la notte.

Patty, del canto suo, stava facendo sculture con la sabbia, Justin faceva da accompagnamento musicale con la chitarra e il signor Mifune, sulla battigia, controllava che Angela, con indosso il salvagente, non si allontanasse troppo dalla riva.

Ox, Tsubaki e Kim, del canto loro, si erano tolti di torno per andare a fare una passeggiata nella spiaggetta lì accanto, separata da quella in cui si erano accampati solo da una fila di scogli.

Insomma, procedeva tutto normalmente, ma c’era comunque qualche cosa di strano.

Kid se ne stava rigido, seduto all’ombra, non si era nemmeno accorto che a una delle giraffe scolpite da Patty era crollato un orecchio. La cosa la rendeva terribilmente asimmetrica. In un’altra situazione un avvenimento del genere avrebbe generato il panico, ma in quel momento i pensieri del ragazzo sembravano presi da tutt’altro.  Liz, accanto a lui, leggeva convulsamente una rivista dove si pubblicizzata una fantomatica intervista al signor Kishin Ashura, protagonista della fortunata soap-opera L’amore del Kishin. A un attento osservatore, però, sarebbe stato chiaro che la ragazza continuava a leggere sempre la stessa pagina, come se non riuscisse a capirla. Patty non fu assolutamente preoccupata da tali comportamenti e continuò allegramente a pasticciare con la sabbia.

Poco più in là Maka e Soul sedevano non troppo vicini, ma neanche troppo lontani, silenziosi, senza guardarsi.

Soul osservava Maka di soppiatto, muovendo solo gli occhi e non la testa, evitando di farsi vedere. Lei se ne stava seduta e guardava davanti, masticando un chewing gum e facendo le bolle, mentre muoveva i piedi nella sabbia bollente.

Soul trovava quella maledetta gomma da masticare vagamente porno, anche se non avrebbe saputo dire il perché. Cambiò idea quando una bolla troppo grande le si infranse in faccia. Il ragazzo si esimette dal ridere giusto per non essere picchiato e poi gli piaceva guardarla senza che lei se ne accorgesse. Anche se non aveva il fisico di Tsubaki o di Blair o di Liz o di chiunque altra, la trovava incredibilmente carina, con le sue gambette magroline e i capelli raccolti in quel modo un po’ infantile.

Si morsicò un labbro facendo scivolare lo sguardo dal fianco, sul quale si intravedevano, le costole fino al laccetto del costume bianco.

“Ti va di fare un giro? Raggiungiamo Kim, Ox e Tsubaki. Qui coi tardoni è noioso” fece con il suo solito tono strascicato.

Maka annuì facendo scoppiare l’ennesima bolla rosa. Lasciarono la compagnia, mentre Crona faceva cerchi sulla sabbia con aria un po’ triste. Non le andava proprio di vedere suo padre fare il cretino con Blair mezza nuda. In quel momento Spirit stava chiacchierando col signor Nakatsukasa, ma la ragazzina era sicura che non ci sarebbe voluto ancora molto prima che la sua attenzione fosse attratta dai seni della loro coinquilina.

“Andiamo a fare un giro” annunciarono nell’indifferenza più totale degli astanti, se si fa eccezione del signor Spirit, che subito si mise a dire col padre di Tsubaki “Lo guardi quello lì? Non è chiaro che pensieri fa con la mia bambina come protagonista? Fortuna che Maka è una ragazza giudiziosa!”

“Su, signor Albarn. Abbiamo avuto tutti quindici anni, non è nulla di così preoccupante” fece accomodante il suo interlocutore.

“È proprio perché li ho avuti e so cosa pensavo che sono preoccupato!” brontolò con fare stizzoso. Nessun ebbe il coraggio di rispondergli.

Maka chiuse gli occhi cercando di ignorare il male ai piedi. La sabbia era davvero ustionante sotto il sole estivo. Soul aveva messo le mani nelle tasche dei bermuda, per darsi quell’aria che lui definiva cool.

“Lo stai leggendo il libro?” domandò, continuando a masticare. Soul grugnì un scocciato.

“Com’è?”

“Non mi piace. Te l’ho detto che i gialli non mi piacciono” sentenziò lui, un po’ infastidito.

“Potresti sforzarti” dichiarò lei stizzita, mettendosi a braccia conserte e gonfiando le guance.

Soul sbuffò “Mi sto sforzando di leggerlo, non posso mica sforzarmi di farmelo piacere” sbottò offeso. Maka sbuffò, l’aveva fatta arrabbiare, ma sapeva che lui aveva ragione e la cosa le dava ancora più fastidio dato che non poteva ribattere in nessun modo.

Grugnì e fece un’altra bolla prima di chiedere ancora “Hai capito chi è l’assassino?”

“No. Sembrano tutti innocenti e tutti colpevoli. Appena mi convinco che l’omicida sia un certo personaggio, questo puntualmente muore due pagine dopo” ammise non troppo contento.

Si infilarono dentro un passaggio roccioso, in mezzo agli scogli vi era uno spazio che permetteva di raggiungere la spiaggia affianco, quella dove erano andati Tsubaki, Kim e Ox. In quel punto c’era ombra e la sabbia bagnata dalla pioggia notturna non si era ancora asciugata nonostante il caldo.

Soul si morsicò l’interno delle guance e strinse i pugni nelle tasche dei bermuda.

“Maka?” chiamò. Lei si voltò a guardarlo, continuando a masticare. Soul ne approfittò per metterle le mani sul viso e darle un bacio soffocando le varie lamentele “Ho la gomma in bocca non mi puoi baciare”

La fece indietreggiare di qualche passo fino ad avere la pelle della schiena a contatto con la superficie fredda e ruvida dello scoglio.

Ma quali Ox, Kim e Tsubaki? A lui non fregava niente di raggiungere quei tre, era solo una scusa per restare da solo con lei, ed era sicuro che Maka infondo lo sapesse.

Si allontanò di poco, tenendola intrappolata con le braccia e, guardandola, fece una smorfia, alla fine la gomma da masticare l’aveva lui.

La sputò e la coprì di sabbia con il piede. “Ehi. Guarda che quella è gomma! Inquini!” iniziò a dire lei irritata. Lui soffocò le sue lagnanze in un secondo bacio.

Maka continuò a parlare mentre Soul la zittiva con le labbra premute sulle sue. Avrebbe voluto lamentarsi, avrebbe voluto picchiarlo, tirargli un cazzotto e anche un calcio, ma alla fine l’unica cosa che fece fu circondargli il collo con le braccia.

Soul a quel punto aderì completamente a lei, schiacciandola ancora di più sullo scoglio e infilando una gamba tra le sue. Lei sospirò sentendo il contatto farsi più profondo, da una parte caldo, dall’altra freddo. Se Soul continuava a spingerla in quel modo si sarebbe riempita la schiena di graffi, ma non le importava poi tanto.

Sentiva il tocco di Soul farsi bollente, prima sulle braccia, dove l’aveva afferrata, poi sui fianchi dove era subito passato ad accarezzarla.

Il respiro caldo di lui sulla bocca le faceva venire i brividi quando si allontanava di poco per prendere fiato e per guardarla ad occhi chiusi. Non li aveva ancora aperti quando scese a baciarle il collo.

Strinse le gambe attorno a quella di Soul. Sentì una scarica elettrica nel momento in cui la stoffa dei bermuda e la coscia di lui si strusciarono tra le sue gambe. Iniziava ad avere un gran caldo.

Gli infilò le dita tra i capelli chiari, mentre respirava forte sul collo di lui e si strusciava con crescente insistenza sulla sua gamba.

Soul, leccando e baciando, si sentiva fin troppo a contatto con le cosce di Maka, indeciso se pressarla ancora di più contro allo scoglio o farla inarcare, mettendole le mani sulla schiena per schiacciarla a sé.

Scelse la seconda opzione, facendo scivolare le mani fin sul sedere di lei e costringendo i loro bacini ad aderire.

La ragazza sospirò più forte, era chiaro che quello che stava succedendo a lei succedeva anche a lui, quindi non disse niente quando sentì la mano del ragazzo infilarsi nei suoi slip.

Deglutì e sgranò gli occhi appoggiando la testa indietro sulla roccia. Soul, con le labbra umide e gonfie, si fermò a guardarla in faccia, cercando di non pensare a come era stato quando la situazione era stata ribaltata, la sera prima.

Lei singhiozzò e puntò i suoi occhi verdi su di lui con un’espressione vagamente infastidita. A Soul si gelò il sangue nelle vene.

“Che c’è? Fa male?” domandò in preda al panico. Maka fece una smorfia e scosse la testa. “No, ma…è un po’ strano”

“Anche e me è sembrato un po’ strano…” fece lui mordendosi l’interno delle guance. Stava facendo schifo e la cosa non era per niente cool.

Maka richiuse gli occhi e Soul vide le sue palpebra tremare un poco mentre un angolo della bocca si stirava da una parte.

Sospirò forte e appoggiò la fronte sulla spalla del ragazzo, cosicché lui non riuscì più a vederla in faccia ma solo a percepirne l’alito caldo sulla clavicola.

La sentì ansimare e afferrargli il braccio con inaudito entusiasmo e lui non poté far altro che appoggiare il capo a quello di lei e aspettare, in preda ai brividi, che rialzasse la testa.

Quando lo guardò di nuovo aveva gli occhi lucidi e le iridi verdi come sempre. Soul non era un tipo sdolcinato, ma gli occhi di Maka erano inequivocabilmente belli.

“Ti va di andare a fare il bagno?” chiese con voce grave, il ragazzo. Maka annuì un po’ affaticata, sempre appoggiata allo scoglio, intrappolata tra le braccia di lui.

Soul sperò che l’acqua fosse davvero gelida, ne aveva un bisogno incredibile.

Ox e Kim erano placidamente seduti sulla battigia quando videro Soul e Maka correre, come rincorsi dalle fiamme, verso il mare, per poi buttarcisi.

Kim, con le gambe allungate e i piedi bagnati e insabbiati allungò un po’ il collo per guardarli e poi fece una smorfia.

“Bah, pensavo che sarebbero venuti a farci compagnia, ma a quanto pare si divertono più da soli” sbuffò, buttandosi all’indietro e appoggiando la chioma rosa sulla sabbia bagnata. Sarebbe stato un delirio lavare i capelli, una volta tornata a casa, ma in quel momento non le importava.

“Mi sto annoiando da morire” continuò, battendo i piedi senza troppo entusiasmo e schizzando conseguentemente il povero Ox, che però non ebbe da lamentarsi.

“Lo sapevo che Tsubaki ci avrebbe mollato qui per andarsene da Black*Star, ma sono lì da soli da un sacco di tempo. Cheppalle!” si lagnò.

Ox si voltò indietro e l’unica cosa che poté scorgere tra gli scogli erano due macchie un po’ rosate. Probabilmente Kim riusciva a vederli meglio, magari riusciva anche a vedere distintamente il tatuaggio di Black*Star. Aveva preferito non portarsi gli occhiali, nel caso avessero voluto fare il bagno, ma Kim non pareva interessata, glielo chiese di nuovo.

“Ti va di fare il bagno?”

“No. Così ne approfitti per palparmi, come hai fatto sta notte” sbottò lei a occhi chiusi, verso il sole.

“Non l’ho fatto apposta!” esclamò arrossendo, ed era sincero. Kim esalò l’ennesimo sbuffo, mentre un po’ più in là Soul e Maka si schizzavano. Se Ox non fosse stato miope avrebbe potuto vedere distintamente Maka che dava un colpo in testa al ragazzo con eccezionale ardore, facendolo cascare in acqua, esanime.

Ciò che invece attirò la sua attenzione fu un forte “E tu cosa ci fai qui?” detto con voce tonante e severa. Kim aprì gli occhi e si girò in direzione della spiaggetta. Anche Maka, che stava recuperando un Soul moribondo dal fondo marino, alzò la testa per guardare cosa stava accadendo. La scena era più che mai apocalittica, una tragedia annunciata, in peggio del peggio, tutto quello che il Chupa Cabras non si era mai augurato.

Mifune, dall’alto di uno scoglio, fissava Black*Star, seduto in spiaggia, con aria omicida.

L’uomo saltò giù dalla fila di scogli muovendosi come uno stambecco nei calanchi, con Angela in braccio, che rideva e strillava “Spuncione!”

Il fatto che, prima di andare incontro a Black*Star, si trovasse sulla fila di massi che divideva una spiaggetta dall’altra diede modo agli altri bagnanti di sentire distintamente il suo urlo.

Tutto il Chupa Cabras in trasferta si girò in direzione degli scogli. Le prime a mettersi a correre  verso del passaggio nella roccia furono, ovviamente, Liza e Arisa, per secondi venivano i signori Nakatsukasa, amici intimi di Mifune e poi tutti gli altri di corsa al seguito.

Giriko non si diede nemmeno la pena di nascondere la telecamera, Arachne era arrabbiata perché durante la notte aveva continuato a dormire invece di andare in giro a filmare i movimenti notturni del Chupa Cabras. Lui aveva ribattuto che le telecamere fisse che aveva installato la sera prima qualche cosa avevano registrato, ma lei non ne aveva voluto sapere niente.

Medusa e Stein, nonostante di solito amassero farsi gli affari propri, si erano messi a correre dietro ai Nakatsukasa.

“Come mai tutto questo interesse? Vuoi mettere un po’ di gramigna tra i litiganti?” domandò Stein, velenoso.

“Perché no?” rispose Medusa allegra, senza rallentare la sua corsa.

Gli unici a rimanere alla spiaggetta, increduli, furono Kid e Liz, ancora seduti per terra.

L’ultimo a sparire dietro agli scogli fu Free, che seguiva Elka Frog come un’ombra.

I due rimasero per qualche secondo a fissare il passaggio che aveva inghiottito l’intero confusionario e schiamazzante Chupa Cabras.

“Cosa è successo?” domandò Kid, un po’ apatico.

“Non ne ho idea” rispose Liz, senza voltarsi verso di lui, ma continuando a guardare gli scogli.

“Non ti interessa?” chiese ancora il ragazzo.

Per tutta risposta, Liz si girò e lo guardò intensamente, prima di buttarsi, letteralmente addosso a lui.

Kid immaginava che sarebbe successa una cosa del genere, ma non aveva intuito di certo che Liz ci avrebbe messo così tanto entusiasmo, così finì per ribaltarsi all’indietro e finire addosso alla scultura di Patty.

Il ragazzo fece una smorfia, non avrebbe saputo dire se fosse più bollente la sabbia che gli stava strinando la schiena o Liz, che gli stava sdraiata addosso leccandogli le labbra.

“Mi sa che abbiamo distrutto qualche cosa” si lagnò Kid, un po’ preoccupato.

“Tanto meglio. Quella giraffa era asimmetrica, non ti sarebbe piaciuta!”

Questione conclusa.

Comunque, era più calda la sabbia. Decisamente.

Nello stesso istante, il Chupa Cabras era arrivato in massa alla spiaggetta accanto. Kim era corsa fino al luogo del fattaccio trascinandosi dietro Ox, praticamente cieco. Anche Soul e Maka erano riemersi dall’acqua. Tsubaki se ne stava all’ombra degli scogli con un’espressione terrorizzata dipinta in volto.

“Te lo richiedo, Black*Star, cosa ci fai qui?” fece ancora Mifune, serio, mentre Angela si era adagiata sulla sabbia a giocare.

“Cosa vuoi da me? Io faccio quello che mi pare. E non sopporto che tu ti metta in mostra in questo modo mentre io mi devo nascondere in modo che i genitori di Tsubaki non scoprano che stiamo insieme!” strillò di rimando il ragazzo, con aria arrabbiatissima.

Tsubaki nascose la faccia tra le mani e Kim si piantò una mano sulla fronte.

Soul aggrottò le sopracciglia e cominciò a dire “Ma è…”

“…scemo?” concluse Maka, arcigna.

“Registra, registra!” esortò Arachne a bassa voce mentre Giriko chiedeva a Free come si toglieva il coperchio dall’obbiettivo. “Questa telecamera è troppo tecnologica per me. Ne abbiamo rotte un bel po’ ultimamente”

La signora Nakatsukasa emise solo un sommesso Oh? di sorpresa.

“E’ per questo tuo atteggiamento che non andiamo d’accordo. Non voglio che una ragazza giudiziosa come Tsubaki frequenti uno come te, lei può avere di meglio” continuò Mifune serio.

“Vuoi sempre decidere tutto tu. Credi di essere più big di me?” continuò Black*Star, che con la dialettica non andava molto forte.

“Sono il tuo tutore! È ovvio che voglia decidere io del tuo futuro!” sbottò Mifune imperioso, facendo un passo in avanti.

Arisa e Liza furono colpite da una scossa elettrica che solo loro sentirono. Forte e precisa, lungo la spina dorsale. Mifune era il tutore di Black*Star e quest’ultimo stava con Tsubaki. In tre minuti avevano scoperto due cose a dir poco strabilianti.

“Mifune è il tutore di Black*Star” ripeté Arisa, come una litania.

“Oh, sì. Non lo sapevate?” chiese stupito il signor Nakatsukasa, che aveva taciuto involontariamente il pettegolezzo più succoso di tutto il Chupa Cabras.

“Ne ho abbastanza delle tue storie. Battiamoci!” concluse Mifune.

“Non vedo l’ora!” esclamò Black*Star facendo un salto in avanti.

Kim sbatté qualche volta le palpebre, prima di chiedere conferma, come in trance “Ha detto davvero battiamoci?”

Ox, cieco, annuì “Ha detto proprio così”. Era miope ma ci sentiva bene.

“Cielo, non lo dicono più neanche nei film di karate di terza categoria!” sbottò acida.

“È un po’ fuori moda in effetti” confermò Ox e per colpa di questa loro piccola discussione sulla dialettica si persero il primo cazzotto della battaglia. Ox se lo sarebbe perso lo stesso, ma non importa.

Black*Star schivò per un pelo il gancio di Mifune, sposandosi da una parte.

Tsubaki si coprì la bocca con le mani, dopo aver fatto un urletto udibilissimo.

Il ragazzo non fece in tempo a contrattaccare perché fu colpito da un calcio in pieno viso, che lo fece volare nella sabbia, alzando una gran polvere.

Tsubaki si fiondò in avanti, ma fu fermata da un gesto deciso e imperioso di Mifune, che la costrinse a stare al suo posto.

“Smettetela!” urlò con voce roca, si era messa a piangere.

“Maledetto bastardo!” urlò Black*Star fuori di sé, pulendosi in sangue dalla bocca, gli aveva spaccato un labbro.

“Ehi!” strillò la signora Nakatsukasa con voce molto più ferma della figlia “Mifune! Sappiamo tutti che tu e Black*Star non andate d’accordo. Anche io a volte non vado d’accordo con Tsubaki, quando si rifiuta di mangiare l’arrosto, ad esempio. Credo che dovresti cercare di capire almeno un po’ di più Black*Star. Capisco che avere a che fare con un egocentrico non sia facile, ma siamo tutti grandi e vaccinati” fece con voce seria, per poi voltarsi verso il ragazzino, ancora piuttosto arrabbiato “E tu, Black*Star, Mifune ti vuole bene e certe cose le fa per il tuo interesse”

Ci fu un attimo di silenzio, quasi spettrale, nonostante il sole accecante. Tsubaki emise un singulto, dalla faccia di Black*Star si deduceva che non aveva alcuna voglia di perdonare a Mifune quel labbro rotto.

“Ehi ragazzi, perché invece di stare qui a picchiarci non ci facciamo tutti un bicchierino?” propose lord Shinigami, approfittando del silenzio e sguainando una bottiglia di grappa.

Fu l’alcol a sistemare tutti gli antichi rancori.

 

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Questo capitolo è stato un parto trigemino, senza epidurale. T.T L’ho davvero odiato, spero che a voi sembri meglio di come è sembrato a me mentre lo scrivevo.

Come al solito ho riletto il capitolo, cercando di intercettare tutti gli errori, ma sono un po’ cotta e avevo fretta di aggiornare perché è da un sacco che non posto e mi sento un po’ in colpa.

Oltre a questo spero davvero che la parte di Maka e Soul in mezzo agli scogli non risulti un po’ squallida e che la “battaglia” tra Mifune e Black*Star vi abbia fatto almeno un po’ ridere, dopo tre righe di tensione lo scopo era proprio quello. XD

Poi, dovrete scusarmi ma probabilmente il prossimo capitolo arriverà con ulteriore ritardo, perché ho in programma di scrivere una one-shot natalizia ambientata nello stesso AU di Trentotto scalini e dato che ormai siamo a dicembre mi sembra il momento più adatto!

Come al solito non posso far altro che ringraziarvi, mi fate davvero felice leggendo questa long! *.*

 

 

Aki_Penn

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Gender Bender ***


Trentotto scalini

Capitolo Diciassettesimo

Gender Bender

 

Tsubaki sospirò di piacere nell’infilarsi nella vasca piena d’acqua bollente. Era estate e faceva caldo, ma un bagno caldo era sempre maledettamente rilassante.

Era stato un fine settimana stancante, erano andati al mare e Black*Star aveva fatto il diavolo a quattro presentandosi nel cuore della notte con indosso un impermeabile giallo e azzuffandosi con Mifune, ma, grazie al cielo, era tutto finito per il meglio. Certo, c’erano ancora un po’ di questioni da risolvere, ad esempio il signor Mifune non aveva accettato di buon grado il tatuaggio del ragazzo. Black*Star aveva ribattuto che quel tatuaggio era una stella nera come lui. Mifune, del canto suo, gli aveva chiesto serio, ma allo stesso tempo sarcastico, se aveva dei problemi a ricordare il suo nome dato che se l’era tatuato addosso. Per poco non era scoppiata di nuovo la una zuffa, ma anche quella seconda volta lord Shinigami aveva avuto la buona creanza di mettersi in mezzo offrendo dell’arrosto. Black*Star ovviamente non aveva resistito e si era servito dimentico del conflitto.

Tsubaki si era chiesta se arrosto e grappa fossero la giusta libagione da portarsi in spiaggia.

Varie questioni erano rimaste irrisolte, ovvero come Black*Star avrebbe dovuto provvedere al proprio sostentamento, ma per lo meno gli era permesso di incontrare Tsubaki quando e come voleva.

Sospirò ancora godendosi l’aroma delle candele profumate alla lavanda. Probabilmente Black*Star avrebbe avuto da ridire a riguardo, si ricordava della loro discussione sulla camelia e la lavanda, ma Black*Star non era lì a importunarla, in quel momento.

Cambiò idea quando sentì picchiettare alla finestra. Alzò lo sguardo e incrociò quello di Black*Star, appollaiato sul davanzale. Era la seconda volta che si presentava a casa sua in quel modo, ma la sorpresa rimaneva sempre la stessa.

Con un rantolo cercò di coprirsi con le mani, mentre lui entrava indisturbato in bagno, saltando dal davanzale al bordo esterno della vasca con l’agilità di un gatto.

“Perché ti copri. Come se non ti avessi mai vista nuda” esclamò lui perplesso.

“Mi vergogno lo stesso!” rispose un po’ stizzita lei, continuando a nascondersi.

“Tsubaki? Tutto a posto?” domandarono dalla cucina.

“Sì, mamma!” strillò la ragazza, cercando di apparire calma. Black*Star aggrottò le sopracciglia “Qual è il problema adesso? I tuoi sanno che stiamo insieme, no?” fece lui, con l’aria di chi ha perso un pezzo del ragionamento.

Tsubaki annuì comprensiva “Sì, che sanno che stiamo insieme, ma non sanno che ho fatto sesso con te e non lo devono sapere. Quindi preferirei che non ci beccassero in questa situazione” spiegò agitata, a bassa voce.

“Ah” esalò lui con l’aria di chi ha avuto un’illuminazione. Alzò le spalle “Vorrà dire che parlerò piano”

Tsubaki non ebbe tempo di ribattere che lui si era già buttato nella vasca, vestito di tutto punto.

“Ma sei vestito!” esclamò cercando di tenere un tono di voce consono alla situazione e dimenticandosi di coprirsi.

Black*Star alzò le sopracciglia come per dire E allora? e le diede un bacio.

Un quarto d’ora dopo, mentre l’acqua della vasca finiva per bagnare il pavimento, Tsubaki, gemendo e tenendosi stretta al bordo della vasca con le unghie e le nocche bianche per lo sforzo, constatò che effettivamente la seconda volta è molto migliore della prima.

 

§

 

Il giorno dopo erano tutti a casa di Black*Star, non c’era mai stato un raduno simile, e Soul se ne stava placidamente sdraiato a pancia in giù sul biliardo.

“Quindi qual è il problema?” chiese Maka, seduta per terra. Era la prima volta che entrava in quella casa, se così si poteva definire, e in fin dei conti non era male come aveva temuto. Se solo fosse stata provvista di letto sarebbe quasi sembrata accogliente.

Tsubaki sospirò, toccava a lei spiegare la situazione, probabilmente Black*Star non ne aveva le facoltà e poi era intento a trangugiare quintali di patatine fritte.

“Alla fine di tutto Black*Star non vuole accettare i soldi di Mifune per mantenersi, anche se ha accettato di nuovo che lui sia il suo tutore” spiegò un po’ imbarazzata.

Liz sbuffò “Ce l’avessi io uno che vuole mantenermi. Non so più che spese tagliare!” brontolò, mentre sua sorella se ne fregava altamente delle condizione finanziarie della famiglia.

“Quindi ha bisogno di una nuova fonte di reddito” concluse, ignorando l’entrata in scena di Liz.

Maka si morse l’interno delle guance, Soul stava giocando con una delle sue codine e le stava facendo venire sonno.

“Potrebbe vendere questo inutile biliardo” propose con aria stanca, appoggiandosi alla gamba di legno del suddetto.

“Giammai! Non sai cosa ci ho fatto lì sopra!” sbottò Black*Star irritato, sputacchiando patatine.  Tsubaki s’irrigidì e arrossì paurosamente ma, grazie al cielo, nessuno afferrò l’allusione. Maka non rispose nemmeno a tono a Black*Star, preferendo lasciarsi accarezzare i capelli. Era così maledettamente rilassante, non si ricordava di essere mai stata così tranquilla in vita sua.

“Potrebbe trovarsi un lavoro. Il cameriere ad esempio” propose Kid che sistemava il pesce e la carne nella ghiacciaia, secondo il proprio gusto.

Tsubaki alzò gli occhi al cielo “Hai visto in che condizione sono i piatti di questa casa?” domandò seria.

Kid s’incupì. “Io l’armadio dei piatti non lo apro. Sono tutti sbeccati, perché me l’hai ricordato?”

“Qualcuno ha qualche altra proposta?” domandò Tsubaki, dato che Black*Star pareva disinteressato al proprio futuro e mangiava patatine senza ascoltarla.

“Il facchino?”

“Scherzi?”

“Beh, con quel ventilatore giù per la grondaia è andato alla grande”

“Credi che ce la potrebbe fare senza combinare qualche casino?”

Ci fu un attimo di silenzio, Maka si era quasi addormentata addosso al biliardo. Kim, che stava parlando con Tsubaki, tentennò “No, in effetti non ce la farebbe”

Tsubaki abbassò la testa depressa “Cosa possiamo fare?” piagnucolò.

“Darsi all’illegalità?” propose ancora Kim, che quel giorno pareva piena di entusiasmo.

“Eh?” sbottò la sua interlocutrice, convinta di aver capito male. “Tipo il ladro?” domandò Patty sibillina intenta a fare la verticale appoggiata al muro.

“Eeh?” strillò Tsubaki in preda al panico.

“Non mi sembra una grande idea. Conoscendolo entrerebbe nelle case altrui urlando guardatemi, sono venuto a derubarvi” commentò Soul con voce piatta. 

Tsubaki sospirò di sollievo, ringraziando Soul per il suo intervento.

“Qualcuno ha mai dato un’occhiata alla serra del signor Stein?” fece Kim con aria cospiratoria. Patty alzò le sopracciglia.

“Non ci tiene il prezzemolo e il rosmarino?” chiese la ragazzina, continuando a stare a testa in giù.

“Può darsi di sì, ma può anche darsi di no” fece sorniona la ragazza.

“Quella ha tutta l’aria di roba che ti sballa. Se la vedesse l’amministr…no, vabbè, probabilmente finanzierebbe la coltivazione.  Diciamo che se invece lo scoprissero Liza e Arisa ci sarebbe davvero da ridere” sentenziò Liz limandosi le unghie.

“Potremmo rubargliela venderla e farci dei soldi!” esclamò Kid rispuntando dalla cucina.

Liz trasalì “Queste cose non le devi neanche dire! Ti ricordo che noi due siamo gli unici maggiorenni in questa stanza! Dovremmo dare il buon esempio!” strillò Liz, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto.

“Sì, è una pessima idea. Credo che dovremo trovare un’altra soluzione” commentò Soul, con un’aria così pacata e distratta che mise fine alla discussione, permettendo a Tsubaki di non morire di crepacuore.

Maka, un po’ intorpidita, alzò la testa a guardare il ragazzo che fino ad allora le aveva accarezzato i capelli. Gli sorrise, le faceva piacere sapere che anche lui la pensava così. Era proprio un bravo ragazzo.

Tutto questo lo pensò ignorando il fatto che neanche dieci ore dopo, col favore delle tenebre, lui e Black*Star si sarebbero mossi nel giardino del Chupa Cabras con aria furtiva.

Poco tempo prima che i due si trovassero tra l’erba incolta, Kid si affaccendava esagitato nella propria camera. Faceva un caldo inusitato, ma lui era vestito di tutto punto. Attaccato in cintura aveva anche un piede di porco, che non si sa mai, e anche una cuffietta nera per camuffare le sue stramaledette strisce bianche. Doveva mimetizzarsi col buio, se questo voleva dire morire di caldo, avrebbe sofferto. Death the Kid era un professionista, non uno stronzo qualunque, ma prima di coricarsi a letto fingendosi dormiente era meglio ricontrollare che, tra i suoi arnesi da scasso, non mancasse nessuno all’appello.

Drizzò le orecchie sentendo un rumore sospetto provenire dal disimpegno, che portava alla sua camera. In un attimo s’infilò sotto alle coperte con addosso anche le scarpe e spense la luce.

Quando la porta si aprì con un flebile cigolio, Kid aveva chiuso gli occhi e recitava la parte del bell’addormentato.

Liz, in camicia da notte, attraversò la stanza a passo felpato. Se Kid non fosse stato in modalità rapina non l’avrebbe nemmeno sentita muoversi.

La ragazza alzò un poco il lenzuolo e si infilò sotto con un balzo, accucciandosi accanto al suo coinquilino.

“Kid, sei sveglio?” chiese in un sussurro dolce. “Nì” rispose lui, fingendosi assonnato “stavo per addormentarmi” mentì sfacciatamente.

“Oh” sospirò lei un po’ delusa. Avrebbe voluto fargli una sorpresa, non disturbarlo mentre dormiva o quasi.

Si coricò al suo fianco appoggiando la mano col palmo aperto al petto del ragazzo. “Posso rimanere?” domandò sottovoce. Kid rimase zitto per qualche secondo prima di rispondere. Doveva scendere ad aiutare gli altri, però allo stesso tempo la mano di Liz era davvero calda e piacevole addosso a lui.

“Sì che puoi rimanere” decretò infine. Chi se ne fregava delle piante del dottor Stein, era pronto a scommettere che in quella serra ci fosse un gran casino e a lui il casino non piaceva. Molto meglio rimanere nella sua cameretta ordinata.

Stava ancora ragionando sui vantaggi di tenere in ordine la propria stanza quando sentì il peso del corpo di Liz su di sé. Non era fastidiosa, era piacevole, come quando si erano sdraiati sulla sabbia. Anzi, volendo era anche più piacevole dato che non si stava strinando la schiena.

La sentì cercare le sue labbra al buio, passando la bocca sul mento e gli zigomi, fino ad arrivare a destinazione. L’alito caldo della ragazza era quanto di meglio potesse desiderare, se lo ricordava dal loro bacio in spiaggia ed era ugualmente piacevole.

La sentì mentre gli passava le braccia attorno al collo e faceva scivolare la lingua tra le sue labbra, languida. Sospirò sulla sua bocca, aprendo la propria e beandosi del contatto delle loro due lingue.

Seguì, con la testa vuota da qualsiasi pensiero, la mano di lei che passava dal petto agli addominali, scendendo sempre più in basso. Sapeva dove stava andando e fece un mezzo sorriso pensando a dove era diretta. La mano di Liz però si fermò.

“Kid, perché dormi con la cintura?” domandò perplessa. Lui non fece in tempo a rispondere che Liz aveva aggiunto, stizzita “E quest’affare cos’è?”

“Il piede di porco!” strillò Kid in preda al panico, ricordandosi solo in quel momento di essere andato a letto completamente vestito.

“Che cavolo ci fai a letto con un piede di porco?” chiese Liz a voce fin troppo alta. Nel buio non si capiva più niente. Ci fu un po’ di trambusto, poi finalmente qualcuno riuscì ad accendere l’abat-jour. I due si guardarono negli occhi.

Kid era completamente vestito con tanto di piede di porco, anfibi e cuffietta per celare le sue tre strisce bianche sui capelli.

“Che cavolo stavi facendo?” sbottò lei, che ancora stava tenendo saldamente in mano l’arnese.

“Beh…” Kid la guardò tentennando. “Io, Black*Star e Soul volevamo andare a rubare le piante di Stein” ammise infine, senza girarci intorno.

“Voi siate scemi!” sbottò Liz arrabbiata.

“Ma se vuoi rimango qui” propose lui di getto. Lei proprio non lo capiva, ma non poteva dire di non approvare l’idea.

“Vuoi fare sesso con me?” chiese per sincerarsene, guardandolo sottecchi.  Ormai l’imbarazzo sembrava passato, ognuno diceva quello che gli veniva in mente e Liz non aveva ancora mollato il piede di porco.

“Ah” esalò Kid preso alla sprovvista. Diversamente dalle aspettative, a quella cosa in particolare non aveva proprio pensato.

“Oh, beh…volendo…” accettò “ma prima, devo fare due calcoli!” esclamò, saltando giù dal letto, afferrando un blocco da disegno appoggiato ordinatamente sulla sua scrivania e scappando in cucina.

Liz lo seguì con lo sguardo finché non sparì oltre la porta. Rimase in ginocchio sul letto sfatto per qualche secondo prima di sbottare “Cretino!”

 

§

 

Soul e Black*Star, vestiti di nero, entrambi con le mani in tasca, stavano fermi in mezzo al giardino.

Soul guardò l’orologio constatando che Kid era in ritardo di ben mezzora.

“Secondo me non viene. Kid non è tipo da arrivare in ritardo. Mi stupisce che non abbia neanche lasciato un biglietto” sentenziò.

“Il sottoscritto non ha bisogno di lui per rubare due piante!” esclamò Black*Star a voce alta, ignorando il chiaro segno di silenzio che gli stava facendo Soul.

“Dove cacchio è questa serra?” domandò. Soul, senza parlare, gliela indicò ed entrambi si avviarono in quella direzione.

La serra non era molto grande e si trovava sul retro del cortile del Chupa Cabras, i due rimasero a guardare la serratura, illuminandola con la torcia di Soul.

“Io ho portato il martello” annunciò Black*Star estraendolo da una tasca capiente dei suoi pantaloni.

“Magari è meglio usare una soluzione meno invasiva” consigliò Soul. Si stupiva quasi di essere lui il ragionevole della situazione. Black*Star lo guardò con sospetto “Non mi vorrai mica rubare la scena?” domandò arcigno.

Soul fece una smorfia “Ho una graffetta, se apriamo il lucchetto con questa darà meno nell’occhio che un colpo di martello. E poi è meno rumoroso”

A quel punto toccò a Black*Star fare una smorfia, avrebbe voluto ribattere, ma il ragionamento filava. Rimase in silenzio a fare luce a Soul con la torcia, mentre quest’ultimo infilava la graffetta nel lucchetto cercando di aprirlo.

Ci volle parecchio tempo, parecchio sudore e parecchie imprecazioni, prima che la chiusura finalmente cedesse.

Rimasero entrambi basiti. Ci era voluto un secolo, ma finalmente ci erano riusciti. Soul, con due dita, aprì la porticina cigolante della serra, trovandosi infine a contatto col tesoro che conteneva.

“Yahuuu! Con questa roba diventeremo ricchi!” urlò Black*Star al culmine della felicità. Soul non fece in tempo a zittire l’amico che una mano  pesante si posò su entrambe le loro spalle.

“Buonasera ragazzi” salutò una voce lugubre che i due riconobbero come quella del dottor Stein. Entrambi si voltarono sudando freddo. Dietro alle lenti degli occhiali non riuscivano a vedergli gli occhi. Soul non ricordava di aver mai avuto così tanta paura in vita sua, le portinaie dicevano che il dottor Stein mangiava i gatti, si dilettava nell’organizzare sacrifici umani e vivisezionava i serpenti. Lui non aveva mai creduto a quelle dicerie, ma vedendo l’espressione dell’uomo non poté far altro che pensare che tutto quello che era uscito dalla bocca di Liza e Arisa fosse vero.

“Allora ragazzi, queste signorine sono tutti maschi e non producono nulla di commerciabile. Sto conducendo uno studio per farle diventare tutte femmine, quindi, se non volete che faccia cambiare sesso anche a voi, state alla larga dalla mia serra”

 

§

 

Un cellulare vibrò nel buio, svegliando la sua padrona, che dormiva beatamente a pancia in giù nel suo letto. Maka aprì un occhio e fissò con astio la luce azzurrina che si era accesa sul comodino. Lo afferrò senza riuscire ad aprire gli occhi abbastanza da riuscire a vedere il nome sul display.

“Chi è?” fece assonnata e astiosa a seguito di uno sbadiglio.

“Maka? Sono Soul. Non è che potresti scendere in giardino?” domandò dall’altra parte il ragazzo. Maka, svegliandosi di colpo, guardò il telefono con un’espressione tra la rabbia e la perplessità.

“Ma sono le tre di notte! Sei scemo?” esclamò a voce più alta di quanto avrebbe voluto. Soul sospirò, consapevole della sua colpa “Lo so. Se non fosse stato importante non ti avrei chiamata. Io e Black*Star abbiamo avuto…ecco…un…inconveniente. Sì, un inconveniente, e dato che ci troviamo in una posizione un po’ scomoda…mi chiedevo per caso non potessi venire a darci una mano, ecco…” spiegò con il terrore che la ragazza buttasse giù il telefono da un momento all’altro.

Strizzò gli occhi e incrociò le dita, terrorizzato all’idea che lei potesse chiudere la chiamata e rimettersi semplicemente a dormire.

Maka strinse il telefono come se volesse romperlo poi alla fine sussurrò un Va bene conciso e non troppo entusiasta, prima di mettersi le scarpe e scendere ancora in pigiama.

Si avviò per il giardino stringendosi nelle spalle, era caldo, ma appena svegliata sentiva sempre freddo. Si guardò in giro stupita, non vedeva Soul da nessuna parte. Perché cavolo l’aveva chiamata? E poi cosa stava facendo, si nascondeva? Era furiosa, stringeva in mano il cellulare quasi convulsamente, vestita soltanto con un paio di pantaloncini troppo corti e una canottiera.

Soul, del canto suo, la vedeva benissimo invece, era proprio sotto la luce della luna, che quella sera era incredibilmente luminosa.

“Maka” chiamò piano, vedendola pigiare sui tasti del telefonino con tutta l’intenzione di chiamarlo, probabilmente.

La ragazza alzò la testa e guardò nella direzione della voce, ma continuò a non vedere nessuno. Sbatté le palpebre, ma individuò due grossi stracci di stoffa appesi alla recinzione del giardino.

Sbatté nuovamente le palpebre e aggrottò le sopracciglia avvicinandosi con fare circospetto. Sembravano quasi dei baccelli.

Si impietrì rimanendo ferma a qualche metro dal cancello rendendosi conto che uno dei due baccelli la stava salutando.

Maka si avvicinò con una smorfia che preannunciava guai “Che cavolo state facendo lì?” sbottò rabbiosa.

“Abbiamo avuto qualche inconveniente…col dottor Stein…ecco…” fece Soul senza guardarla negli occhi, mentre lei si era avvicinata così tanto da guardarli da sotto.

Con le mani sui fianchi arricciò le labbra “Il dottor Stein…non sarete mica andati nella sua…”cominciò senza trovare la forza di finire la frase.

“…serra” concluse Soul mogio.

“Siete due cretini!” urlò lei, guardandoli minacciosa, incurante del fatto che fosse piena notte. Soul distolse lo sguardo, colpevole. Maka si morsicò l’interno delle guance irritata, avrebbe voluto salire le scale e tornarsene a letto lasciandoli appesi come due salami, come si meritavano.

Probabilmente si fece impietosire dal fatto che Soul non la guardasse in faccia, vergognoso. Si morse il labbro, indecisa sul da farsi, e infine andò a recuperare una scala tra gli arnesi da giardinaggio intenzionata a farli scendere. Vedendola tornare con in mano la scala, Black*Star alzò il pollice in segno d’assenso e lei lo guardò male. probabilmente fu in quel momento che il ragazzo iniziò a trovare un po’ più di simpatia per Maka.

Non era nemmeno sceso del tutto che aveva già iniziato a dire “Bene Soul, torniamo alla carica?”

Maka lo incenerì con uno sguardo e Soul fece un salto indietro, non credeva fosse possibile aprire così tanto gli occhi.

“Che cacchio dici!?” sbottò spiritata e Soul non si sarebbe stupito se le codine le si fossero rizzate in testa come due corna.

“Black*Star” cominciò a dire Soul, a voce bassa “forse è meglio lasciar perdere. Non credo che il dottor Stein d’ora in poi starà meno attento alla sua coltivazione”

Black*Star sbuffò, iniziando a borbottare tra sé a braccia conserte. “E poi non sarebbe una buona cosa se Mifune venisse a scoprire che volevamo metterci a rubare roba del genere” aggiunse il ragazzo. Black*Star alzò gli occhi al cielo. Non era nel suo stile arrendersi, ma doveva ammettere che in quel caso c’era ben poco da fare.

“Quindi mi consigli di tornare a casa?” chiese cupo. Soul fece una smorfia che poteva essere un mezzo sorriso ma anche un’espressione di dolore, dalla quale il suo interlocutore dedusse che, in effetti, fosse meglio ritirarsi.

Sospirò rumorosamente, guardando sottecchi Maka. Deduceva che uno dei motivi del passo indietro di Soul fosse dovuto alla presenza di lei. “Per ora vado, ma quando sarò Re, tutte le piante bisessuali del mondo saranno mie”

Soul annuì serio mentre Maka strabuzzava gli occhi nel vedere Black*Star correre via.

“Piante bisessuali?” domandò e per un secondo si dimenticò di essere arrabbiata. Soul scosse la testa.

“Lascia perdere. Il dottor Stein ha detto che se ci trova ancora in mezzo alle sue cose ci fa cambiare sesso. Non mi ha descritto la procedura che intende usare, ma non ci tengo a venirne a conoscenza” spiegò con un sospiro abbacchiato.

Maka gonfiò le guance e incrociò le braccia, ricordandosi perché era tanto arrabbiata.

“Siete due cretini. Tu in particolare sei un cretino” sbottò adirata, dando segno di volersene andare. Lui l’afferrò per un braccio “Maka” chiamò. In realtà non aveva nulla da dire, non sapeva neanche se chiederle scusa, alla fin fine non le aveva fatto direttamente nessun torto.

Lei decise che avevano ancora qualche cosa da dire perché lo guardò masticandosi l’interno delle guance con un’espressione che dava da pensare che stesse trattenendo in bocca un fiume di parole “Cretino!” esclamò ancora. Era l’unica cosa che le veniva da dire e se solo Soul non si fosse sentito così incredibilmente mortificato avrebbe notato come il tono della ragazza fosse simile a quello del signor Excalibur.

“Avevi detto che era meglio lasciar perdere e l’avevi detto solo perché c’ero io e non volevi che mi arrabbiassi, no?” strillò fuori di sé dalla rabbia, stringendo le labbra in attesa di una sua risposta.

Soul distolse lo sguardo e si grattò la testa.

“Vero” ammise faticosamente.

“Cretino!” rincarò la dose lei. “Cosa credevate di fare davvero? Avete i cavolfiori nel cervello?”

Lo guardò in attesa che ribattesse, mentre il suo piedino batteva nervoso nella polvere del cortile. Ci volle un po’ perché sussurrasse “Mi sembrava una buona idea”

“Non è una buona idea” sentenziò lei, che non si era calmata nonostante lui le stesse dando ragione.

“Adesso lo so” fece notare.

“Adesso io, invece, torno a letto” annunciò, sempre piuttosto indignata voltandogli di nuovo le spalle con la ferma intenzione di tornarsene a casa propria.

“Maka” chiamò di nuovo, altrettanto mestamente, il ragazzo.

“Che c’è?” chiese brusca voltandosi a guardarlo.

“Hai sonno? Io adesso non riuscirei a dormire” disse guardandola negli occhi, con le spalle un po’ chine.

“Hai qualche idea migliore?” domandò lei, sempre con poca gentilezza. Non gliela avrebbe fatta passare liscia a quel cretino.

Soul alzò le spalle “Io dopo essere stato appeso alla recinzione non ho per niente sonno. Stiamo un po’ in giardino, tanto adesso Spirit dorme, non si accorgerà che non ci sei”

Maka lo guardò sospettosa. In effetti era una bella serata e adesso che si era svegliata non aveva più freddo. Quella era davvero un’estate torrida.

“Guarda che sono ancora arrabbiata con te” rese noto, dirigendosi nel mezzo di una macchia d’erba relativamente verde. Si lasciò cadere per terra di peso e si mise a guardare le stelle. Soul le si avvicinò e si sdraiò accanto a lei. Rimasero in silenzio per un po’, finché Maka non esordì, scocciata “Per colpa di quel lampione non si vedono le stelle. È un fregatura”

Sembrava che la sua rabbia verso Soul fosse, almeno in parte, evaporata. La terra era fresca e c’era un’atmosfera incredibilmente tranquilla, non lo si sarebbe nemmeno detto che quello era il Chupa Cabras.

“Boh, non lo so. Mi sta vendendo sonno” pigolò Soul, sbadigliando a occhi chiusi.

La ragazza si puntellò sui gomiti “Allora sei scemo!” brontolò anche se non era davvero arrabbiata. Soul aprì gli occhi allarmato. “Non avevi detto che non avevi sonno?” domandò ispida. Lui si mise nella stessa posizione in cui stava lei e la fissò “E’ che non stiamo facendo niente. Mi annoio” lamentò.

Maka soffiò facendo volteggiare la frangia “E cosa vorresti fare? Parlare di come Black*Star potrebbe mantenersi?”

Soul fece spallucce “Perché, hai qualche idea?” la sfidò. Maka aggrottò le sopracciglia “Quello è così scemo che se si trovasse i soldi di Mifune in una busta bianca, nella cassetta delle lettere li accetterebbe senza pensarci” disse tra sé. Soul sbatté le palpebre qualche volta e lei si voltò a guardarlo stupita che non ribattesse, lui la guardava fisso. “Stavo scherzando” spiegò, seria.

“Secondo me potrebbe funzionare” esalò invece lui, prendendola alla sprovvista. Fece una risatina mostrando la sua dentatura da lupo “Credo che dirò a Tsubaki di consigliarlo a Mifune”

“Bah” sbuffò la ragazza gonfiando le guance. Soul le diede un buffetto sulla pancia “Sei un genio!” ridacchiò.

“Ma piantala!” sbottò lei stizzita alzando un braccio, con tutta l’intenzione di colpirlo e fargli del male. il ragazzo fu più veloce ad afferrarle la mano, prima di venir colpito, e a rotolare sopra di lei.

“Soul…”iniziò a dire prima che tutte le possibili lamentele venissero soffocate dalla bocca di lui.

Lei gli prese la faccia tra le mani e lo spostò a forza “Sono ancora arrabbiata con te!” sbottò mordendosi il labbro inferiore.

Soul annuì “Lo so” ammise ridacchiando, prima di mettersi a baciarle il collo. Fu allora che gli arrivò un cazzotto.

“Oh” piagnucolò rotolando via e rimettendosi seduto, tenendosi la testa tra le mani. Maka, in ginocchio, sbuffò sonoramente e incrociò le braccia.

“Cretino” brontolò tra sé, mentre lui la guardava sottecchi con gli occhi lucidi.

Rimasero di nuovo in silenzio per un po’, senza guardarsi negli occhi. Finché Soul non allungò un poco la mano nella sua direzione, tenendola raso terra.

Lei guardò le dita di Soul e le afferrò, mantenendo però un’espressione piuttosto severa.

“Non mi devi zittire quando sono arrabbiata” borbottò stringendo le mano attorno a quella di lui.

Soul non disse niente, ma tirò abbastanza da far spostare Maka dalla sua posizione in ginocchio e mettersela addosso. Chiuse gli occhi quando vide che le labbra di lei si stavano avvicinando alle sue. Sospirò sentendole calde e morbide, anche lei era meravigliosamente calda. Poteva toccarle le gambe nude e bearsi del solletico che i capelli biondi gli facevano sul collo. Ansimò, nel sentirla muoversi, strisciando involontariamente i fianchi contro il suo bassoventre. Le gambe si erano intrecciate, non avrebbe saputo dire come, ma gli sembrava che fosse impossibile poterla allontanare da sé.

Le accarezzò il sedere, la schiena e i fianchi, fino a ritrovarsi con le mai appoggiate sull’elastico dei pantaloncini del pigiama della ragazza. Sospirò sentendo la lingua di Maka lungo il collo e senza altre remore infilò una mano sotto l’orlo degli slip. Le accarezzò il sedere e poi scivolò più in basso. Aprì gli occhi per osservarla mentre si mordeva le labbra e lo guardava con lo sguardo deciso. Si appropriò nuovamente della sua bocca per martoriarla più di quanto già non fosse, mentre lei ansimava sempre più rumorosamente. La sentì inarcarsi sopra di sé e sospirare nel suo orecchio, mentre col le braccia stringeva sempre di più il suo collo, fino a che, strizzò gli occhi così tanto da avere le ciglia umide.

Deglutì e alzò il viso per guardarlo negli occhi. Soul ricambiò lo sguardo e si morsicò le labbra prima di chiedere “Maka…vuoi?”

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Spero che il titolo del capitolo non sia stato fuorviante, anche se credo lo sia stato. Ho odiato da morire questo capitolo, spero davvero che non si veda troppo leggendolo. *-*

Comunque, se la cosa vi interessa, sono molto emozionata al pensiero di dover scrivere il prossimo pezzo. Spero che l’entusiasmo non svanisca. Vi avverto subito che probabilmente sarà quasi tutto incentrato su Soul e Maka. Ci tengo anche a precisare che la fine del capitolo non è una bastardata fatta apposta. Essendoci il rating arancione non avrei comunque potuto descrivere la lemon, quindi ho optato per tagliarla del tutto. ù.ù

Anche se a qualcuno l’ho fatto sapere individualmente, lo scrivo anche qui: ho deciso di non scrivere, per ora, la one-shot di Natale, un po’ perché ho poco tempo, un po’ perché sarebbe stata un po’ spoilerante, in quanto ambientata due anni dopo la fine degli scalini.

Per concludere non posso far altro che ringraziarvi dei commenti e di tutto il sostegno, non immaginate quanto mi faccia piacere sapere che seguite questa storia! Grazie grazie grazie!*-*

 

Aki_Penn

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Il maschio Alpha ***


Trentotto scalini

Capitolo Diciottesimo

Il maschio Alpha

 

Black*Star stava sdraiato sugli scogli bianchi, afflosciato come un capodoglio spiaggiato. Sembrava stesse prendendo il sole, ma a un osservatore attento sarebbe stato chiaro che la sua posizione a stella marina era dovuta a un grande impegno nella pesca. Non avendo nulla su cui appoggiare la canna, per pigrizia l’aveva bloccata sotto la pancia e così stava da due ore almeno, sonnecchiando.

Aprì un occhio, quando sentì i passi pesanti di qualcuno avanzare sugli scogli.

“ ‘giorno” salutò Soul strascicato, con gli occhiali da sole e i bermuda. Lasciò cadere il telo da mare sul grande masso bianco per poi sdraiarcisi. Non aveva dormito praticamente nulla quella notte, era stanchissimo.

Rimasero in silenzio mentre Soul si sistemava a pancia in su, con gli occhi chiusi e le ginocchia piegate.

“Ieri sera, Maka mi sembrava davvero incacchiata, ti ha strappato qualche arto?” chiese con voce sonnacchiosa. Non aveva una gran voglia di parlare, ma gli sembrava sbagliato che Soul stesse accanto a lui senza degnarlo di particolare attenzione.

“Abbiamo fatto sesso” disse Soul, piatto, come se stesse parlando di qualcun altro. Black*Star alzò le sopracciglia e si issò sulle braccia, tanto che per poco la sua canna da pesca non precipitò giù dalla scogliera.

“E com’è stato?”

“Uno schifo” ammise Soul scocciato, da dietro le lenti scure.  “Ha fatto male a lei, ha fatto male a me e credo pure di aver fatto una pessima figura!” continuò esasperato.

Black*Star fece una smorfia con la bocca “E quindi non vuoi riprovarci?” domandò un po’ stupito. Sembrava che tutti in quel posto non gli credessero quando diceva che la seconda volta era meglio. Avrebbe dovuto farlo parlare con Tsubaki, era abbastanza sicuro che si fosse ricreduta dopo la performance nella vasca da bagno.

“Lo rifarei anche adesso” esalò con un sospiro, distendendo le gambe sul telo e mettendo le braccia dietro alla testa.

“Oh, ecco!” si compiacque Black*Star. Finalmente qualcuno che gli desse ascolto, cosa buona e giusta, perché lui aveva sempre ragione.

 

§

 

“Ci sarebbe da sistemare il letto svedese, è saltata una vite” disse Medusa, sorniona, mentre Stein era già sulla porta ed Elka e Crona facevano il sudoku al tavolo della cucina.

“Mi hai preso per un tuttofare? Io odio quel letto svedese. Arrangiati.” rispose con un sorriso. Medusa gli dedicò un altro sorrisetto “Attento, magari la prossima volta nel tuo pasticcio di carne potrebbe cadermi inavvertitamente del cianuro”

Stein annuì “Non è un problema, tanto non l’ho mangiato nemmeno sta sera. È lì che concima la tua pianta” disse allegro indicando il vegetale in questione, che verdeggiava vicino alla finestra spalancata.

La donna alzò le spalle “E va bene. Vorrà dire che dovrò chiedere a Free di aiutarmi” fece con voce maliziosa, mentre Crona sosteneva di non sapere come comportarsi con un sudoku che vantasse la dicitura esperto.

“Però credo che per ringraziarlo dovrò invitare lui a cena” aggiunse guardandolo dal basso. Stein alzò le sopracciglia “Oh, non è cosa che mi preoccupi. Qui dentro ci stiamo comodamente anche in due” le disse con una smorfia. La mandibola di Medusa si contrasse un poco mentre Elka balzava in piedi per andare a chiudere le orecchie di Crona con le mani.

“Scusa Elka, ma non capisco. Nella nostra cucina ci sta un bel po’ di gente. A volte vengono a trovarci in contemporanea sia le portinaie che il dottor Stein che Liz del terzo piano” fece notare ingenuamente, senza aver capito di cosa si stessero parlando veramente.

“Va bene che il signor Free è alto, ma non occupa tutta la stanza e…”

Medusa, che non stava ascoltando quel discorso delirante, si morse l’interno delle guance per poi rispondere “Non devi nascondere le tue mancanze dando la colpa agli altri”.

Fece un passo in avanti, uscendo a pestare lo zerbino, mentre lui arretrava sul pianerottolo. Da dentro, Elka e Crona non potevano più vederli.

Si guardarono per qualche secondo, non era la prima volta che si salutavano insultandosi.

Fu lei a prenderlo per i capelli e a tirarlo giù, alla sua altezza, per appoggiare le labbra sulle sue. Stein la spintonò contro al muro, incurante del fatto che ciò le avrebbe procurato una certa dose di dolore, ma quello un po’ glielo doveva, e fece scivolare la lingua nella bocca di lei. Medusa gli morse il labbro e lo portò sempre più giù, tirandogli i capelli, mentre lui era costretto ad appoggiarsi al muro freddo del vano scala per non cascarle addosso. Si separarono con una spinta di lei, entrambi col fiatone, come se avessero corso.

“Baci come un dodicenne” commentò Medusa pulendosi la bocca. Stein sbuffò “E’ stata un’idea tua, io avrei preferito limonare con il cane del signor Free”

E quest’ultima frase fu l’unica che Tsubaki, che stava salendo le scale, origliò per caso. Medusa e Stein si voltarono verso di lei e sorrisero smaliziati “Buona sera, Tsubaki. C’è un bel caldo, eh?” fece la donna con quel suo solito tono di gentilezza un po’ inquietante.

Tsubaki fece una risatina un po’ a disagio per poi annuire e proseguire la tua risalita per le scale. I due la salutarono con la mano e subito dopo ripresero a bisticciare “Sapevo che ti piaceva vivisezionare le rane, non immaginavo che avessi altri interessi verso le bestie. Devo forse chiamare la protezione animali?”

Arrivata davanti all’appartamento di Liz, Kid e Patty, Tsubaki si fermò. Le avevano detto di avere degli zampironi comprati in più per sbaglio, e lei e la sua famiglia, durante la cena in giardino, rischiavano di essere letteralmente mangiati dalle zanzare.

Spinse un poco la porta, che si rivelò aperta. Fece qualche passo nel disimpegno, prima di chiedere a bassa voce “C’è qualcuno?”

Non ricevette nessuna risposta, ma dal salotto provenivano rumori sommessi e una luce colorata vagamente a intermittenza.

Si affacciò alla porta, cercando di fare il meno rumore possibile e rimanendo piuttosto perplessa per via di ciò che aveva davanti.

Liz, coi popcorn a mezz’aria, guardava lo schermo imbambolata, accanto a lei, Kid aveva la stessa identica espressione, ma allo stesso tempo era impegnato a coprire gli occhi a Patty con una mano.

Quest’ultima un po’ cercava di aprirsi un varco tra le dita di Kid per poter vedere cosa stava succedendo, un po’ cercava di coprire a sua volta gli occhi al suo peluche a forma di giraffa, che essendo inanimato non poteva ribellarsi.

Kid e Liz rimasero impalati, senza nemmeno sbattere le ciglia, per qualche secondo, mentre Patty cercava di liberarsi dall’ingombro che non le permetteva di vedere la televisione come facevano invece gli altri due.

Tsubaki dovette schiarirsi la voce perché la combriccola si accorgesse della sua presenza.

Liz sobbalzò, presa alla sprovvista, e la guardò con aria stralunata, prima di dire “Tsubaki, lo sapevi che Ashura Kishin sarebbe apparso nudo in una scena de L’amore del Kishin? Su Death City Gossip non lo dicevano”

“Nudo integrale” ci tenne a precisare Kid tossicchiando incerto.

Patty si affacciò, da dietro ai più grandi, e con un sorriso fece vedere il pollice in segno di vittoria. Tsubaki immaginò che, alla fine, anche lei fosse riuscita a intravedere le vergogne del Kishin Ashura.

Ripresisi tutti dall’iniziale sconvolgimento, Liz guardò Tsubaki con aria critica “Tu come sei entrata?”

La ragazza si grattò la testa un po’ imbarazzata “Oh, scusatemi…la porta era aperta e nessuno rispondeva e allora…” avrebbe continuato a spiegare se Liz non si fosse girata di scatto verso il suo coinquilino “Avevi detto che l’avevi aggiustata!” strillò come un’aquila.

“Sì che l’ho aggiustata, secondo il mio gusto” si affrettò a rispondere Kid imperturbabile.

“E quale sarebbe il tuo gusto? Un open space?” strillò ancora lei, mentre sua sorella, trascinandosi dietro una giraffa, si avvicinava a Tsubaki.

“Di cosa avevi bisogno? Volevi vedere anche tu il Kishin nudo?” domandò la ragazzina, facendo arrossire violentemente Tsubaki, che alzò le mani in segno di resa.

“No, ecco…io e i miei genitori stavamo mangiando in giardino e ci sono un sacco di zanzare e ci chiedevamo se per caso non avreste da prestarci uno zampirone”

Kid distolse la sua attenzione da Liz per darla tutta alla nuova venuta “Certo che ne abbiamo, ma posso prestarteli solo in confezione da otto. Sono impacchettati e non li voglio sfusi per l’armadio, disturbano la mia quiete”

“Quiete un cacchio! Quando ci deruberanno vedrai la quiete!” sbottò Liz indignata, incrociando le braccia, mentre Kid zampettava in camera sua a prendere gli zampironi.

“Scusa Liz. Non volevo disturbare” tubò Tsubaki, avvicinandosi a passi piccoli e incerti all’amica, che stava seduta sul divano con aria furiosa. Liz sbuffò “Figurati, non è colpa tua. Almeno adesso so che siamo alla mercé di qualsiasi ladro, metterò un comò davanti alla porta. Il mio senso estetico, il mio senso estetico un cacchio, dico io!” brontolò ancora all’indirizzo di Kid.

Tsubaki avrebbe voluto dirle che non era una cosa così terribile, che prima o poi le fisse di Kid sarebbero scomparse, che tanto il Chupa Cabras aveva un cane da guardia e poi quale ladro sano di mente avrebbe cercato di derubare un condominio simile?, ma la sua attenzione fu attratta da altro.

Aprì un poco la bocca, stupefatta.

“E …ehm…questi cosa sono?” domandò indicando un treppiedi sul quale stava appeso un foglio con vari schizzi fatti a matita. Poco distante, con gran cura, qualcuno aveva lasciato un goniometro e un compasso. Tsubaki non era tipo che amasse impicciarsi, ma in quel caso aveva parlato prima ancora di pensare. Certe cose non poteva non volerle sapere.

“Oh, mio dio. È vero” esalò Liz ricordatasi di ciò che faceva bella mostra di sé nel loro salotto. Si coprì la faccia con una mano e sospirò rassegnata.

“Lo…lo ha fatto…” cominciò la ragazza imbarazzata, rendendosi conto che forse avrebbe dovuto farsi gli affari propri.

“Li ha fatti Kid. Ovviamente” spiegò Liz seccata, riprendendo la sua naturale intraprendenza, poi con un sospiro spiegò “Ha detto che vuole fare sesso con me”

“Che è un bene, no?” chiese Tsubaki un po’ imbarazzata.

“Però vuole studiare per bene la dinamica. E quale metodo migliore che fare dei disegni idioti da mostrare a chiunque entri in casa nostra!”

“Sta mattina l’ha visto anche il signor amministratore” esclamò Patty allegra, stringendo al petto la sua giraffa. “E gli è anche piaciuto” commentò Liz molto meno entusiasta.

“Beh…in effetti pare piuttosto portato per questo tipo di opere” disse Tsubaki che non vedeva l’ora che Kid tornasse con gli zampironi, non sapeva cosa dire per allietare l’animo di Liz.

La ragazza sbuffò di nuovo “Sì, certo se avessi la spina dorsale fatta di gomma sarebbero anche cose realizzabili”

“Pornogomma!” esclamò Patty allegra.

Liz chiuse gli occhi e allungò le gambe in avanti per stirarle “Credo mi verrà una crisi”

Tsubaki annuì comprensiva.

 

§

 

Maka, seduta sul sellino della vespa di Soul, non era interessata al fatto che il suo gelato alla fragola, non ancora toccato, le si stesse sciogliendo sulle dita, non era interessata al fatto che il pescivendolo annunciasse sconti fantastici sul pesce persico e nemmeno che i vigili del fuoco stessero bestemmiando per tirare giù la finestra di una tizio che si era chiuso fuori di casa, intasando tutta la strada.

La marmitta della vespa era ancora calda e anche standovi non troppo vicina, con le gambe a penzoloni poteva percepirne il calore. Il sole era cocente nelle prime ore del pomeriggio e in pochi minuti aveva squagliato il suo gelato intonso.

Tutto questo non le interessava, l’unica cosa che attirava la sua attenzione era la lingua di Soul nella sua bocca e le sue mani sui fianchi. Era più probabile che si sciogliesse per quel contatto che per il caldo incredibile che faceva sotto il sole.

Erano parcheggiati sotto il sole, seduti entrambi sul sedile della vespa, uno di fronte all’altro. Maka gli circondava il collo con le braccia, mentre il gelato freddo colava dal cono fino sulle sue dita, diventando appiccicoso.

Soul sospirò sulla bocca di lei mentre i suoi codini gli solleticavano il collo, stavano sudando entrambi e forse sarebbe successo anche se non fossero state le tre del pomeriggio di una giornata di pieno agosto.

Maka se lo avvicinò un poco forzandolo col polso dietro il collo e lui non ebbe niente in contrario.

Un paio di vecchietti, seduti all’ombra della tenda del bar, li guardavano con disapprovazione.

“Ai miei tempi non si facevamo certe cose sconce in pubblico” lamentava uno fumando un sigaro, mentre l’altro gli dava manforte.

Soul fece scivolare poco più su la mano, che strisciò sul vestitino a fiori senza che Maka se ne preoccupasse, troppo occupata a pensare a come la lingua di lui stava accarezzando la sua.

Deglutì e sbarrò gli occhi quasi stupita, sempre circondandolo con le braccia, quando lui si allontanò abbastanza da vederla per bene in faccia. Si leccò le labbra umide e fece un lungo respiro prima di chiedere “Ti va di andare a casa?”

Maka lo fissò, sapeva che quel ti va di andare a casa? non significava propriamente quello che avrebbe inteso in qualsiasi altra situazione.

Lo guardò con gli occhi spalancati, mentre lui incrociava mentalmente le dita, per non beccarsi un cazzotto sdegnoso.

Ci pensò un po’, imbarazzata, era perfino più strano di quando era successo nel cortile del Chupa Cabras, ma alla fine annuì con uno sfarfallio di codini.

Soul si morsicò di nuovo le labbra prima di distogliere lo sguardo e voltarsi verso il manubrio “Okay”

Arrivarono in cortile facendo un gran rumore, neanche fossero a cavallo di un’Harley, il cane da guardia abbaiò, Liz sobbalzò e il signor Free per poco non si segò un braccio con la motosega per lo spavento. L’attrezzo glielo aveva prestato Giriko del secondo piano, sembrava proprio ne avesse una discreta collezione, chissà cosa ci faceva. Elka aveva detto che ci faceva a pezzi i cadaveri, ma Free aveva ribattuto che secondo lui il signor Giriko era un animo tranquillo.

Soul voltò, girando attorno alla casa e parcheggiando accanto all’utilitaria dei suoi genitori, per farlo sfregò anche la copertura di gomma del manubrio sulla carrozzeria dell’auto di famiglia. Ci sarebbero state delle ripercussioni, ma in quel momento gli interessava ben poco.

Maka saltò giù dallo scooter e lo aspettò mentre scendeva a sua volta, si sentiva un po’ strana e la situazione non cambiò neanche quando lui la prese per mano, non si erano mai presi per mano. Camminarono a passo svelto fino alla porta principale. Lì accanto, Liz leggeva una rivista, probabilmente alla ricerca di un articolo che parlasse dello scandaloso nudo del Kishin Ashura.

“Liz” chiamò Maka da poco distante, mentre sia lei che Soul si avvicinavano veloci. La ragazza alzò la testa per guardare la sua interlocutrice, che senza tante cerimonie le mise in mano il gelato e sparì oltre la porta del condominio.

“Ma che…” iniziò a dire Liz.

“Non l’ho neanche toccato” disse Maka in un’eco dell’androne delle scale. Liz si affacciò per guardarla, ma i due erano già spariti al piano di sopra.

Mentre saliva le scale, accaldata, si rese conto che Soul stava quasi correndo. Non sapeva bene cosa pensare, forse il caldo aveva rallentato le sue funzioni cerebrali. Corsero fino al quinto piano, facendo un gran rumore, ma non incontrando nessuno, Soul la tirava per la mano, che teneva sempre più stretta.

La lasciò solo quando arrivarono davanti alla porta di casa Evans. Il braccio di Maka ricadde mollemente al suo fianco, senza che lei opponesse resistenza, mentre lui cercava frettolosamente le chiavi nelle tasche.

Maka contrasse i muscoli delle gambe e strinse i pugni, mentre Soul infilava la chiave nella toppa e finalmente apriva la porta. Entrò con un balzo e si voltò a guardarla nel centro del pianerottolo, un po’ imbambolata. Si guardarono negli occhi per un secondo, poi Soul allungò la mano, afferrò quella di lei e la trascinò dentro.

Finì schiacciata contro la porta con Soul addosso che la baciava come se fosse stata l’ultima cosa possibile da fare in quel momento. Sospirò mentre le baciava il collo e le dita sporche di gelato.

Maka appoggiò ansimante la fronte a quella di lui, si guardarono di nuovo.

“E’ un po’ imbarazzante” ammise con un sorrisetto un po’ tirato, mentre gli occhi rossi di Soul erano più vicini che mai.

“Già” fece eco lui, contraccambiando lo sguardo. Si morse l’interno delle guance, distogliendolo da quello verde di Maka, mentre le loro fronti rimanevano a contatto.

“Andiamo di là?” chiese accennando alla sua stanza.

Maka annuì e lo seguì lentamente oltre la porta di legno e vetro, con la mano stretta in quella di lui. passato l’entusiasmo erano di nuovo imbarazzati. Pensandoci, non si erano mai visti nudi davvero. Soul l’aveva vista dalla finestra mentre si faceva la doccia, ma lei non lo sapeva e comunque non contava.

Uno di fronte all’altro ne troppo vicini ne troppo lontani, Soul aveva mollato la mano di Maka e non sapeva più come riprendere il contatto.

“Comincio io?” chiese, ma non diede a Maka il tempo di rispondere perché piegò le ginocchia e si fece avanti di un passo per afferrare i lembi del vestito leggero di lei e alzarli per toglierlo. Maka, inconsciamente, alzò le braccia per farselo levare, rimanendo in intimo spaiato.

Lui le lanciò uno sguardo fugace mentre si toglieva da solo maglia e pantaloncini. Maka, rossa come un pomodoro, fece lo stesso con le scarpe, rimanere mezza nuda davanti a lui senza fare nulla era la cosa più imbarazzante del mondo.

Non fece in tempo a rimettersi dritta che Soul l’aveva già ripresa tra le braccia e la stringeva. Maka sorrise, vergognandosi un po’ nel ritrovarsi a pensare che se erano appiccicati non c’era nulla di sbagliato o imbarazzante.

 

§

 

Soul, sdraiato sul bordo del letto, con la faccia schiacciata sul materasso con aria depressa, seguiva col dito le fughe tra le piastrelle.

Soffocò, tossicchiò e strizzò gli occhi quando Maka gli atterrò di peso sulla schiena, completamente nuda, ma non particolarmente preoccupata della cosa.

“Che cos’hai?” chiese, mentre il suo petto aderiva alla schiena di lui. Soul mugugnò.

“Niente” esalò poi, sofferente.

“Non ti è piaciuto?” chiese Maka, che fino a due ore prima non avrebbe mai creduto che le sarebbe capitato  di domandare a qualcuno una cosa del genere. Soul mugugnò senza guardarla, prima di rispondere col suo solito tono strascicato “No, mi è piaciuto, è a te che non è piaciuto”

Maka ridacchiò, Soul sentì il suo petto muoversi sulla sua schiena mentre sghignazzava alle sue spalle.

“Non mi dire che ti senti inadeguato al tuo ruolo”

“Non prendermi in giro, da maschio Alpha quale sono dovrei…” cominciò serissimo senza riuscire a completare la frase perché Maka si mise a ridere  sguaiatamente.

“Cosa saresti tu?” chiese canzonatoria. Soul sprofondò con la faccia nel cuscino e disse qualche cosa che lei poté faticosamente tradurre con smettila di prendermi in giro.

Sorrise e appoggiò la testa tra le sue scapole fissando con aria serena il muro davanti a sé, finché la sua attenzione non fu attratta da qualche cosa che stava appoggiato sul comodino del ragazzo.

“L’hai finito?” domandò, riferendosi al libro che lei stessa gli aveva prestato.

Soul alzò la testa dal guanciale e fece una smorfia “Mi manca l’epilogo” spiegò strascicando le parole.

“Hai capito chi è l’assassino?” domandò ancora lei. Soul scosse la testa. Lei si morse il labbro “Neanche io. Lo leggiamo insieme?”

 

 

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Avevo detto che ero super carica per questo capitolo, ma tutto il mio entusiasmo si è sgonfiato strada facendo, perché è venuto fuori proprio uno sgorbio. Mi sembra tutto piuttosto frettoloso, ma allo stesso tempo faccio fatica a capire come potrei sistemarlo. Mi spiace tanto avervi fatto aspettare tanto per poi propinarvi questa…cosa, ma non c’era nulla di meglio.

Per quanto riguarda la scena di Liz, Kid e Patty che guardano la televisione diciamo che è stata deliberatamente rubata da una fanart che ho trovato e che mi ha fatto sbellicare dalle risate. So che non ha molto senso fare questa cosa, ma mi piaceva davvero troppo e ne ho approfittato per imbastire un po’ il capitolo, spero che non sia un problema per nessuno. Come al solito non posso fare altro che ringraziarvi tantissimo per tutto il sostegno che mi date. Grazie davvero! Non sapete quanto mi rendete felice! *-*

 

Aki_Penn

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Le Olimpiadi del Chupa Cabras ***


Trentotto scalini

Capitolo Diciannovesimo

Le Olimpiadi del Chupa Cabras

 

Nygus, la fidanzata del signor Sid, era intenta a disinfettare la ferita sul ginocchio di Crona, che stringeva un pupazzo dall’anatomia discutibile.

“Non so come comportarmi con la corsa a tre gambe” piagnucolò. Nygus annuì “Probabilmente se l’avessi saputo non saresti finita distesa per terra” constatò la donna. La ragazzina annuì a sua volta sconsolata, mentre vicino a loro si banchettava con braciole e salsiccia. I signori Ford facevano affari d’oro, mentre Ox, con l’aiuto di Harver, sfrecciava tra i tavoli con indosso un grembiule bianco.

Dopo le olimpiadi del Chupa Cabras, consistenti in prove che partivano dalla corsa a tre gambe,  e finivano con la temibile maratona, passando per il tiro alla fune e il lancio del panino, l’intero condominio si era riunito per la cena. Nonostante la maggior parte dei condomini pensasse che fare delle olimpiadi in versione condominiale fosse una stronzata, nessuno disdegnava una bella grigliata.

Medusa e Stein sedevano uno di fianco all’altra né troppo vicini né troppo lontani, con davanti il signor Spirit che si beava della sua schiacciante vittoria alla maratona condominiale.

“Davvero un grande successo” commentò Stein, ingoiando una patata al forno, con una vaga vena ironica, che il suo interlocutore non intercettò. Blair, al suo fianco, inguaiata in un vestito leopardato con gli strass, annunciava candidamente di aver dimenticato di mettersi le mutande, facendo andare il vino di traverso al signor Albarn.

I signori Nakatsukasa mangiavano vicini, composti, curandosi di non mettere i gomiti sul tavolo, conversando col signor Mifune, il quale però sembrava piuttosto agitato. Accanto a loro, uno di fronte all’altra, stavano Black*Star e Tsubaki. La ragazza rappresentava tutto ciò che i genitori le avevano tramandato, compostezza, tranquillità, buongusto, Black*Star molto meno: mangiava come se non vedesse cibo da dieci anni. “Spuncione, mi schizzi di sugo” si lamentava Angela, agghindata con un tovagliolino ricamato, seduta accanto a Mifune “Composto, composto” sibilava questo, cercando di farsi sentire solo dal suo disordinato discepolo. Fu fatica ovviamente sprecata e Tsubaki passò la cena guardando il proprio piatto, vergognandosi ad alzare la testa e vedere cosa stava combinando Black*Star con l’arrosto.

Il professor Excalibur, del canto suo, era intento a dire che vincere il gioco delle parole, per lui, era stata una bazzecola, era dal dodicesimo secolo che non esisteva persona più acculturata di lui. In effetti, il vocabolario del signor Excalibur era veramente vasto, peccato che la sua parola preferita rimanesse comunque cretini. Se poi la parola cretini era accompagnata da qualche colpo di bastone, ancora meglio!

Justin Law faceva finta di ascoltarlo e annuiva placidamente, non si poteva dire lo stesso per la sua band, formata da una scimmia, un tipo imbronciato, un tizio con il cappello da baseball che leggeva anche mentre mangiava e un orso di pezza, che a metà della cena presero il professore e lo riempirono di botte dietro lo stand dei dolci, senza che nessuno corresse in suo aiuto.

Angela chiese a suo padre se il tipo con la testa da orsetto lavorasse al circo e lui le spiegò che era un artista e a volte gli artisti si vestivano in modo strano.

“Eh, il metal evangelico è un ramo piuttosto particolare” sospirò il signor Nakatsukasa bonario.

Oltre alla band e al professore erano presenti anche il signor Sid, Marje, il signor B.J. e Azusa, che aveva vinto la prova di tiro con l’arco.

I signori Evans sedevano vicini con l’aria di chi teme un contagio nello stare troppo vicino ai plebei, Wes, il maggiore, invece si era messo a chiacchierare con la scimmia della band metal evangelica di Justin. Non era chiaro come facessero a capirsi, dato che la scimmia emetteva solo suoni gutturali, ma evidentemente l’empatia tra musicisti era più forte del linguaggio verbale.

Soul sedeva dall’altra parte della panca, di fianco a Maka.

Giriko aveva passato tutta la serata in giro per lo stand della carne cercando di trovare i punti migliori per sistemare le sue telecamere, tutto questo senza che nessuno sospettasse niente. Arachne aveva mangiato da sola, in silenzio, e aveva fatto i complimenti al cuoco, per poi andarsene senza pagare.

Free, che era venuto nonostante non fosse stato invitato, aveva passato metà della serata dicendo che dall’altra parte della fiera c’era un ristorantino mobile che faceva le rane fritte, cosa che fece piangere copiosamente Elka, che si dimostrò assolutamente inconsolabile, finché il giardiniere non le promise di comprarle un acquario nuovo per i suoi amici anfibi. Il cane da guardia, invece, sgranocchiava un osso sotto al tavolo, dove la gente si faceva piedino o si tirava i calci, a seconda del rapporto di amicizia. Liza e Arisa, del canto loro, erano già ubriache a inizio serata.

Infondo al tavolo, Liz passò una birra a Maka, che sedeva accanto a lei “E’ calda ed è una marca pessima, ma meglio di niente” proruppe a un certo punto. La ragazza sbatté le palpebre “Oh, guarda, io sono a posto, non mi piace molto la bir…” cominciò, cercando di declinare gentilmente l’invito. Il rifiuto fu vano, perché Liz continuò a spingere la bottiglia di vetro verde verso di lei “Bevi, bevi che ti fa bene. Cerchiamo di dare un po’ di brio a questa serata”

“La mia sorellina è arrabbiata per colpa dei disegni di Kid” spiegò Patty con un sorrisone. Maka alzò le sopracciglia e anche Soul si voltò verso le due sorelle “Che disegni?” domandò.

Liz scosse la testa con l’aria di chi non ha per nulla voglia di parlare di quell’argomento “Lasciamo perdere”

“Pornogomma” rispose invece Patty, che riuscì ad essere meno esplicativa di sua sorella.

Pornoche?” continuò Maka perplessa, arrossendo, un po’ come se fosse un’abitudine. Sobbalzò quando sentì la mano di Soul vicino alle cosce, si voltò di scatto verso il ragazzo con tutta l’intenzione di tirargli una sberla. Ammesso e non concesso che Soul le piacesse, non aveva nessun diritto di permettersi di fare cose del genere nel bel mezzo di una cena condominiale e…

I suoi malumori si placarono appena la mano di Soul si strinse attorno alla sua, poggiata sulla coscia. Le aveva dato la mano sotto il tavolo. Arrossì violentemente, era lei quella peggiore tra i due. Guardò Soul con aria imbarazzata. Il ragazzo la guardò, intento a masticare un boccone di carne “Che c’è?” domandò un po’ brusco. Maka si voltò dall’altra parte, vergognosa “Niente” rispose con voce più stridula di quanto avrebbe voluto. Soul le osservò la nuca, continuando a ruminare, un po’ perplesso, per poi mandare giù il boccone e prendersi la birra che Maka aveva rifiutato.

Proprio in quel momento, Kid tornò a sedersi al suo posto, dopo una buona mezz’ora di assenza. “Finalmente l’ho trovata” annunciò contento, sistemandosi al meglio davanti a Liz, che lo fissava con sguardo omicida.

“Questa salsa barbecue ha un colore molto migliore di quella di prima, non trovi, Liz?” domandò spremendone un po’ nel piatto della sua coinquilina. Lei lo fulminò “Kid, è una salsa, la devi mangiare non ci devi dipingere un quadro, chi se ne frega della tonalità del colore” sbottò serissima, senza distogliere gli occhi dai suoi.

Con un gesto repentino rubò la birra a Soul “Questa la bevo io, che ne ho bisogno!”

Dalla metà della tavolata si alzò una voce “Ragaaaaaziiii…non litigatevi la birra…qui abbiamo della grappa purissima!” esclamò Arisa, prima di cadere dalla panca, ubriaca. Mifune fece del suo meglio per rimetterla a sedere composta, mentre questa rideva a crepapelle.

“Non credo sia saggio dare da bere la grappa ai bambini” fece la signora Nakatsukasa-chioccia, mettendosi un fazzoletto davanti alla bocca. Poco più in là, il signor Albarn cercava di palpare Blair, completamente ignaro di ciò che veniva offerto alla propria progenie. Stein e Medusa si pestavano vicendevolmente i piedi facendo a gara a chi produceva meno smorfie di dolore. Erano entrambi molto abili.

 

§

 

Soul infilò le dita tra i capelli di Maka, mentre lei affondava il viso nel suo petto. “Soul” piagnucolò strascicata, mentre lui faceva due passi indietro per non perdere l’equilibrio.

Il ragazzo spostò gli occhi verso Liz, un po’ stizzito “Che bisogno c’era di far bere di nuovo Maka?”

Liz incrociò le braccia sotto il petto “È che sono di umor pessimo!” disse a mo’ di scusa. Soul era convinto che non valesse come spiegazione, ma non obbiettò oltre, era troppo impegnato a sorreggere una ragazza bionda che non reggeva l’alcol.

“Oh, Liz. Quel festone a forma di fiore di ibisco è stropicciato…” lamentò Kid, allungando il braccio nella direzione del ghirlanda che affrontava i suoi occhi con quello scempio.

“Chi se ne frega, Kid. Prendiamo Patty e andiamo a casa!” decretò la ragazza, sistemandosi il cappello di forma vagamente texana.

“Noooo, sorellina…sono sul toro!” esclamò una voce da poco lontano. Liz emise un sospiro stizzito vedendo la sorella cavalcare con maestria il toro meccanico.

“Signori e signore, la ragazza col cappello da cowboy sta superando tutti i record di resistenza e permanenza sul toro!” schiamazzò un tizio col megafono, probabilmente il proprietario dell’attrazione.

“Non le permetterò di mettersi più in mostra di me!” sbottò Black*Star tentando di scavalcare il bordo gonfiabile.

“Tranquilla, Liz, la porto a casa io tua sorella!” fece Tsubaki, mentre cercava di trattenere Black*Star per la vita. Probabilmente si sentiva in colpa per essersi ubriacata l’ultima volta che erano andate alla fiera, lasciando tutto nelle mani di Kim e Liz, per l’appunto.

La ragazza sospirò “Va bene. Grazie, Tsubaki” poi occhieggiò Black*Star che si agitava come un ossesso e sussurrò un buona fortuna tra sé.

“Su, Kid, andiamo a casa, così quel festone non ti darà più fastidio”

“Non possiamo metterlo a posto e andare a casa dopo?”

“No” fu la risposta categorica. Kid piagnucolò un po’, ma Liz lo trascinò via senza pietà e Soul li guardò rimpicciolirsi per colpa della distanza, mentre camminavano sotto i lampioni.

Sospirò quando Maka mosse la testa sul suo petto sfiorandogli il mento.

“Soul” sussurrò con aria stanca, trusciandosi addosso a lui. Il ragazzo fece una smorfia, era da un po’ che quella storia andava avanti e gli stava dando non pochi problemi, davanti a Liz si era dimostrato imperturbabile, ma a quel punto agire era indispensabile. Tirò Maka per i codini, senza farle male, giusto per farla sembrare indiavolata e farle staccare la testa dal suo petto.

“Maka” chiamò “mi guardi?” fece, con una certa apprensione. Lei sbatté le palpebre qualche volta, mostrandogli un paio di iridi lucide e verdi. Non poté fare a meno di pensare che fosse carina anche così.

“Potresti smetterla di strusciarti? È da quando ci siamo alzati…no, anzi, da prima, che lo fai in continuazione” domandò contrito. La ragazza batté di nuovo le ciglia con aria perplessa, per poi sciogliersi in una risata poco consapevole. Si sbilanciò in avanti e lo legò in un abbraccio soffocante.

“Ti da fastidio?” ridacchiò alticcia, con la faccia affondata di nuovo nel suo petto e la vita che sfregava sul bacino di lui.

“Per la miseria” bofonchiò lui, rassegnato.

Poco distante dal Chupa Cabras intanto, Liz e Kid continuavano a bisticciare. “Potevi almeno farmi sistemare quel festone, quell’unico festone fuori posto!”

“Se te l’avessi lasciato fare ti saresti perfino messo a sistemare in fila la colonna di formiche!” sbottò la ragazza, stizzita.

“Non è vero” ribatté Kid rosso, sapendo di mentire.

“Lasciamo perdere, per favore” supplicò Liz, varcando la soglia del Chupa Cabras. Kid, nel buio, scorse una forma che non aveva mai notato fino ad allora.

“Cos’è?” chiese, bloccandosi a metà del sentierino che dal cancello portava al condominio scrostato. Anche Liz, già sullo zerbino, si fermò a fissarlo. Senza guardare ciò che aveva interessato l’amico, rispose “La nuova scultura di Patty. L’ha fatta con la ferraglia che ha trovato vicino ai bidoni. Vedi, la mia sorellina è anche ecologista, ama il riciclo”. Suonò un po’ come una pacata presa in giro.

Kid storse il naso “E gli occhi come li ha fatti? Sembrano di cristallo, risaltano alla luce dei lampioni”

“Che ne so…chi se ne frega. Dai, Kid andiamo a letto” fece stancamente, iniziando a salire i gradini. Poteva anche lasciarlo lì, tanto la loro porta non si chiudeva e lui non avrebbe avuto problemi a entrare quando si fosse scocciato di studiare l’opera di Patty. Fortunatamente il ragazzo desistette presto e la raggiunse velocemente, facendo i gradini a due a due.

“Era buona la bistecca di sta sera, vero? Anche l’occhio aveva la sua parte. Ho dovuto un po’ sistemare le carote filangè, ma non mi voglio lamentare” cominciò lui, intenzionato a fare conversazione.  

Liz annuì “Sì che era buona e in più era gratis, offerta da tuo padre, l’avrei mangiata anche se fosse stata una scarpa” rispose, decisa a ignorare lo sproloquio sulle carote alla julienne.

Il ragazzo sospirò incrociando le braccia, mentre continuavano a salire le scale diretti al terzo piano “ È un bel problema. Dobbiamo proprio trovare una soluzione per le nostre difficoltà finanziarie”

“Erano proprio necessari quegli otto flaconi di sapone liquido?” chiese Liz con l’intenzione di punzecchiarlo.

“Indispensabili” ribatté lui contrito, senza cogliere la frecciatina.

“Immaginavo” sussurrò sarcastica Liz. Storse la bocca e continuò “Potremmo vendere il lampadario dell’ingresso. È gigantesco, vecchio e pacchiano”

Kid sgranò gli occhi e serrò i pugni “Sei impazzita? Quel lampadario è antico, vale un sacco di soldi e, cosa più importante, è simmetrico” strillò. Fortunatamente il Chupa Cabras era deserto e nessuno poté lamentarsi del fracasso.

“Per l’appunto: vale un sacco di soldi” sottolineò lei, sorvolando sull’ultima dote del lampadario elencata da Kid.

“Non se ne parla” ribatté lui aprendo la porta di casa semplicemente appoggiandosi e spingendola. Accese la luce e alzò gli occhi a guardare i meravigliosi riflessi del lampadario in ferro battuto e gocce di cristallo. Liz entrò a sua volta e chiuse dietro di sé la porta, fissando l’espressione ebete del suo coinquilino che fissava quel lampadario, che a suo dire era pacchianissimo.

“La simmetria ti fa diventare scemo” sussurrò tra sé, senza che lui potesse udirla.

Non ci volle molto però perché la faccia gioiosa di Kid si trasformasse in una maschera di dolore. Liz s’accigliò, era così sconvolto che non riusciva a parlare e indicava convulsamente il soffitto con l’indice. Liz alzò la testa incuriosita.

“Ne…ne mancano d-due” balbettò fuori di sé il ragazzo. Lei ci mise qualche secondo prima di individuare le gocce scomparse. Effettivamente ne mancavano due all’appello: gli occhi della scultura di Patty.

“L’avevo detto che la mia sorellina ama il riciclo” cercò di sdrammatizzare lei, ma Kid sembrava inconsolabile e si stava spalmando, disperato, sul comò.

“Non…non è più sim-simmetrico” piagnucolò. Liz strinse i denti davvero esasperata, non ne poteva più di quella fissa idiotissima della quale LEI, e solo LEI, doveva preoccuparsi.

“Per la miseria Kid, lo sai cosa è simmetrico? Io sono simmetrica!” urlò sporgendosi in avanti, lui distolse lo sguardo dal lampadario, preso di sorpresa.

“Mi sono perfino nascosta il neo che ho qui, col correttore!” sbottò adirata, indicandosi la tempia, dove di solito stava un unico, singolo neo, che le rendeva asimmetrica la faccia. Kid deglutì spaventato.

“Ehm…io…” cercò di dire, impacciato, ma Liz continuò imperterrita “E se non ti basta, anche le mie tette sono simmetriche, cacchio!”

Kid boccheggiò, non aveva mai visto la sua amica così maledettamente arrabbiata “Se non ci credi puoi toccarle!” sbottò.

“Non c’è bisogno” tirò indietro lui, spalmandosi, più di quanto già non fosse, sul comò. “Ci vorrebbe una…procedura” aggiunse poi, timidamente.

Lei lo fulminò con uno sguardo “Te lo dico io cosa devi fare, adesso” sibilò con un tono che poteva essere benissimo una minaccia.

 

§

 

Soul stava davanti, scendendo per la discesa di ciottoli bianchi, non troppo ripida. Maka veniva dopo, tenuta stretta per una mano. Lui era abbastanza sicuro che potesse inciamparsi e cadere da un momento all’altro, stare davanti a lei per attutire ogni possibile crollo era una buona soluzione.

La ragazza, stretta nel suo giubbottino di jeans, si lamentava e trascinava i piedi.

“Soul, dai…non voglio” gemette con gli occhi stralunati. Soul, sempre continuando a scendere in direzione della spiaggetta, si voltò verso di lei per ascoltarla “Hai freddo?” domandò, pur escludendolo dato tutto l’alcol che Liz le aveva fatto ingerire.

Maka scosse la testa e i codini svolazzarono, mentre lei metteva il broncio “Non mi va, c’è il guardiano in spiaggia” brontolò.

Soul roteò gli occhi. Era assolutamente vero, ma lui contava che ci mettesse almeno un’oretta a perlustrare tutto il lungomare, in modo di dare loro il tempo necessario per utilizzare a proprio piacimento i lettini degli stabilimenti balneari. Quello che non aveva calcolato era che a Maka venisse in mente del sopraccitato guardiano, come diamine faceva ad essere così responsabile anche da ubriaca?

Pur lamentandosi, Maka si era fatta condurre fino in spiaggia e in quel momento stava affondando con le ballerine nella sabbia. Le gambe erano nude ed esposte al vento.

Soul le appoggiò una mano sulla schiena e l’attirò a sé, dandole un bacio. Annebbiata, Maka, decretò che un bacio, seppur non particolarmente casto, non poteva essere nulla di male. Si lasciò stringere e baciare, lasciandogli campo libero tra le sue labbra umide. Soul aveva un respiro caldo, in contrasto col vento fresco che veniva dal mare.

Il ragazzo si lasciò cadere all’indietro, atterrando perfettamente su uno dei lettini blu dell’impianto balneare. Lei rimase in piedi, seppur a fatica, piegata in avanti e si ritrovò con le mani di lui sul viso, mentre continuava a esplorare la sua bocca con la lingua, senza staccarsi nemmeno per un attimo.

Non ci volle molto perché riuscisse a farle perdere l’equilibrio tirandola verso di sé mentre si sdraiava.

Gli era finita distesa addosso con le gambe per aria, che sgambettavano. “Soul” si lamentò, riuscendo a fatica a liberarsi dalla presa, per puntellarsi coi gomiti sul petto di lui.

“Il guardiano” biascicò con le sopracciglia aggrottate. Soul fece una smorfia e la ribaltò con uno sfarfallio di codini biondi. Maka non si rese nemmeno conto bene di come successe, la consapevolezza delle cose arrivava in ritardo rispetto al momento in cui accadevano e la cosa dava un certo vantaggio a Soul.

“Macché guardiano e guardiano!” esclamò lui, prima di baciarla di nuovo e passarle le mani sulla gonna scozzese. Le lamentele si spensero così.

Più in alto, ma comunque in balia del vento marino, Stein e Medusa si tenevano stretti a braccetto come una coppia d’altri tempi, facendo a gara a chi stringeva di più facendo male all’altro. Entrambi ovviamente sfoggiando un sorriso smagliante.

“Hai notato che la figlia di Spirit e il minore degli Evans sono scesi in spiaggia?” disse lei, come se fosse solo interessata a fare conversazione.

“Già, saranno scesi a guardare la luna piena” replicò lui, non perché lo pensasse veramente, ma per tentare di sviare il discorso.

“Stasera non c’è la luna piena” considerò Medusa, sfoggiando l’espressione più ingenua del suo repertorio. “Non è che stanno facendo qualche cosa d’altro? Forse bisognerebbe fermarli, prima che il guardiano li trovi, sarebbe imbarazzante” suggerì con la voce più materna che riuscisse ad assumere.

“Io dico che dovremmo farci gli affari nostri. Che si imboschino nelle tende, negli armadi, nei cespugli e pure in spiaggia” disse la sua, tranquillo, lui.

Medusa si finse scandalizzata “Si vede che non hai figli. Se ne avessi ti preoccuperesti anche tu per quei piccolini. Pensa che dispiacere per Spirit trovarli così” chiocciò. Stein si voltò velocemente verso la fiera, dove Spirit, abbracciato a Blair, Arisa e Liza, sbevazzava vino al bancone del bar di Marje, dove lavoravano Kim e Jacqueline. “Non credo che Spirit, al momento, sia in grado di notare granché” decretò il professore.

Medusa fece una smorfia delusa “Allora forse dovremmo occuparcene noi” propose languida. Stein si sistemò gli occhiali “Potremmo farlo, ma potremmo anche non farlo” commentò, trascinandola via dal bordo della scogliera.

“Sai non mi fai per niente male con quel gomito sulle costole, brutta strega”

“Nemmeno tu. Dovresti impegnarti di più, sei un uomo, no?”

“Se vuoi ti spengo la sigaretta nell’occhio” propose lui, magnanimo.

Davanti al bar dove Kim serviva da bere, Arisa notò le due figure a braccetto che si allontanavano “Pare che il professor Stein e la dottoressa Medusa se la intendano proprio” esclamò allegra. Se avesse sentito i discorsi trucidi che erano impegnati a fare, l’avrebbe pensata diversamente.

“Su su, Kim, dammene un altro di quei bicchierini così forti” chiese Spirit, piuttosto alticcio, battendo la mano sul bancone del bar su ruote. La ragazza coi capelli fucsia sospirò e versò un altro po’ di latte di suocera nel bicchierino dell’uomo, per poi girare i tacchi e rimettere a posto la bottiglia.

“Grandi affari ‘sta sera?”

Kim si voltò, ancora intenta a sistemare il liquore dove stava di solito. Aveva riconosciuto la voce “Ox” constatò piatta “Non lo so. Se continua a bere questa roba credo morirà presto. È la cosa più alcolica che il bar possiede. Ne vuoi un po’?”

Ox scosse la testa, un po’ perché non ne voleva, un po’ perché anche se ne avesse voluto Kim glielo avrebbe fatto pagare il triplo del suo vero valore.

“Hai finito di lavorare?” chiese ancora la ragazza, mettendosi a pulire il bancone di legno con uno straccio. Ox annuì “Proprio ora, ho ripiegato le sedie e anche Harver è andato a casa perché era stanco. I miei non so dove siano, forse dalla concorrenza” concluse ridacchiando e indicando l’insegna del bar di Marje. Kim alzò le spalle, la cosa non la toccava, tanto, qualsiasi fossero gli incassi, il prezzo della sua prestazione di barista rimaneva invariato, a meno che non facesse personalmente la cresta sulle ordinazioni, ma quello era un altro discorso.

“Ti ho portato di nuovo la cena. È un po’ fredda perché mio padre ha spento la griglia prima che ci mettessimo a sistemare le sedie e i tavoli, ma è meglio di niente” spiegò, mettendo un piatto coperto da un tovagliolo sul bancone, per poi rivelarne il contenuto. Kim guardò la salsiccia “Non ho ancora mangiato”

Ox sorrise nel vederla mettersi a cena, nonostante fosse tardissimo, e pregò che il signor Albarn non la chiamasse proprio in quel momento, dato che erano metaforicamente soli.

“Tu hai mangiato?” domandò dopo un po’ di silenzio, presa dal dubbio. Ox alzò le sopracciglia “Oh, sì” mentì, per poi essere smentito immediatamente dai rumori del suo stomaco. Kim fece una smorfia, deridendolo, e lui arrossì.

“Kiiiiim…mi dareshti un altro po’ di quel buonissimo latte di shuocera…” biascicò, ubriaco, il signor Albarn, dall’altra parte del bancone.

“Arrivo signor Spirit” rispose Kim senza distogliere gli occhi da quelli di Ox, che si sentiva decisamente in imbarazzo. La ragazza si sporse a dargli un bacio sulla guancia, veloce e non più consistente di quello che si può dare a una vecchia zia, ma lui avvampò comunque.

“Grazie” sospirò un po’ scocciata per il troppo lavoro, avvicinandogli il resto della salsiccia come invito a mangiarla e tornando ai liquori. A Ox si era chiuso lo stomaco.

 

§

 

Kid si teneva stretto con una mano alla gamba del comò, come per paura di volare via, e con l’altra alla gamba di Liz, come per paura che lei potesse volare via. Guardava il soffitto con aria persa e il respiro corto. Liz, seduta su di lui, lo guardava dall’alto mordendosi le labbra.

Kid ansimò e deglutì, non si ricordava di aver mai avuto così tanta saliva in bocca e il lampadario non riusciva nemmeno a vederlo.

“Liz” chiamò a fatica lui, con un rantolo. Lei fece una smorfia “Ti sto facendo male?” chiese preoccupata.

“No…però…è tutto così…poco armonico e il pavimento è freddo e scomodo” enunciò a fatica.

Lui non la vide, ma sulla tempia di Liz apparve una vena pulsante “Se tu la smettessi di tenere stretta la gamba del comò, come se stessi prendendo un tram orizzontale, tutto questo sembrerebbe molto meno idiota! E guarda me, non il soffitto!” sbottò, ritrovando tutta la rabbia che per qualche minuto era sfumata. Era riuscita a fare sesso con Kid, più o meno, ma lui era comunque un immane cretino!

“Liz, non me la sento di lasciar andare la gamba del comò” ammise lui titubante, concludendo con un sospiro.

“Maledetto deficiente!” sbottò lei iraconda, allungandosi in avanti, per quanto la posizione glielo permettesse, nell’intento di staccare Kid dalla mobilia.

“Se sei contento, non vedo perché devi fare tutte queste storie, tu e le tue dannate schiene di gomma!” 

Strisciò le ginocchia sul pavimento facendosi quasi male, mentre Kid annaspava preso da troppe cose con cui non riusciva a destreggiarsi. Fu in quel momento che si udì un “Skiusimiii”. Patty cercò di aprire la porta d’entrata, ma questa finì per sbattere contro i piedi di Kid, sdraiato di traverso nel ben mezzo dell’ingresso.

“Patty” gemette Kid dolorante, piegando un po’ la gamba ferita, ma Liz intervenne immediatamente urlando come un’aquila “Non piegare le ginocchia!”

Fu così che lo spiraglio che si era aperto nella porta d’ingresso venne nuovamente serrato e Patty, cercando nuovamente di aprire, colpì per la seconda volta Kid, che questa volta imprecò malamente.

“Patty! Vai via. Kid e la tua sorellina hanno da fare in questo momento!” strillò Liz, mentre la vena sulla tempia diventava sempre più  visibile.

Sul pianerottolo ci fu un po’ di trambusto e un “Se foste nati nel dodicesimo secolo nessuno vi avrebbe permesso di urlare così a quest’ora di notte” pronunciato da un pomposo professor Excalibur, che per fortuna Liz e Kid non poterono vedere.

Ne seguì una feroce rissa i cui risultati sono incerti, nessuno, oltre a Excalibur e Patty, seppe mai come andarono le cose, ma da allora non si salutarono più.

Nello stesso momento, Soul e Maka erano intenti a tornare a casa a piedi, lei si teneva giù i lembi della gonna e lui le aveva appoggiato una mano sul sedere.

“No, no, non c’è il guardiano, figurati!” lo scimmiottò lei, furiosa. Gli ultimi effetti dell’alcol erano svaniti quando il guardiano della spiaggia li aveva colpiti con un fascio di luce bianca.

“Scusa” disse Soul strascicato, senza sentirsi realmente in colpa. “E poi mi stai palpando il sedere” fece notare, ancora più adirata.

“Non ti sto palpando il sedere: ti sto tenendo giù la gonna, se c’è un po’ di vento ti si alza e si vede che non hai gli slip” spiegò professionale, la verità era che, in effetti, voleva toccarle il sedere.

“E di chi è colpa se non ho più le mutande?” soffiò adirata fulminandolo con un’occhiata smeraldina.

Soul aggrottò le sopracciglia “Non so dove le ho lanciate, era buio” spiegò strascicato.

“Maledetto deficiente!” sbottò strizzando gli occhi e accelerando il passo, lasciandolo indietro. Soul si mise le mani in tasca e varcò la soglia del Chupa Cabras con la sua solita andatura ciondolante.

Maka era arrabbiata, ma non così tanto da preoccuparlo.

“Maka, dai…” la richiamò, strascicando i piedi e la voce, raggiungendola all’altezza del terzo piano, dove ormai sia il professor Excalibur che Patty si erano dileguati.

Maka si voltò verso di lui, facendo rimbalzare i codini, che le si adagiarono sulle spalle. Era ancora imbronciata, ma Soul non vi badò e le diede un bacio leggero sulle labbra. Lei chiuse gli occhi d’istinto per poi riaprirli appena lui si allontanò da lei e ricominciando a guardarlo astiosa.

“Sta sera i miei vecchi e Wes non tornano a casa” la informò, marpione. Maka gli cacciò un’occhiataccia “Direi che per sta sera preferirei andare a letto” rispose, mentre Soul la bloccava tra sé e il muro del vano scala. Il ragazzo increspò le labbra e alzò gli occhi al cielo.

“Come vuoi” acconsentì, prima di darle un bacio sulla guancia che avrebbe potuto essere un timbro.

“Buona notte” disse, mentre già saliva le scale, diretto al quinto piano.

Era indeciso se essere esaltato per il mezzo amplesso o deluso da come erano stati interrotti e dal pessimo umore di Maka. S’infilò le mani in tasca e trotterellò fino alla porta di casa alla ricerca delle chiavi.

Venne sbalzato in avanti e per poco non sbatté il naso contro la porta quando qualcuno lo abbracciò da dietro. Non l’aveva sentita arrivare, ma avrebbe saputo dire anche ad occhi chiusi a chi appartenevano quelle braccia e quel profumo.

“E’ squallido se alla fine ti ho seguito?” domandò con un sussurro Maka, che aveva affondato la testa della sua schiena. Soul si morsicò il labbro inferiore prima di rispondere “Se dormi con me, no”

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Ebbene eccomi qui, anche se un po’ in ritardo. Sono abbastanza agitata all’idea di pubblicare questo capitolo, ho paura che sia un po’ eccessivo, l’argomento è uno solo, ma a fini di trama, in conclusione, era proprio quello di cui avevo bisogno di parlare. Spero che l’effetto non sia così male.

Avevo detto a qualcuno che questo capitolo sarebbe stato un po’ più lungo degli altri e in effetti è una pagina più lungo del solito, se non si conta che ne ho staccato un pezzo per scriverci una one-shot : sì, insomma, sono riuscita a scrivere lo spin-off lemon di Trentotto scalini di cui favoleggiavo da troppo tempo. Per ovvi motivi non ho potuto inserire qui quella parte, ma dato che per un certo periodo avevo pensato di far passare questa long al rating rosso mi sembrava giusto, come minimo, scriverci una lemon. Si sistema temporalmente subito dopo la fine di questo capitolo ed è una scontatissima SoMa, cosa volete farci, mi piacciono tanto questi due. *-*

Oltre a tutto questo volevo informarvi che questo che avete appena letto è il penultimo capitolo, l’ultimo e l’epilogo saranno un po’ più corti della media, credo.

Come sempre vi ringrazio infinitamente per i commenti e per tutto il sostegno, mi rendete davvero felicissima. Spero che non ci siano troppi errori, l’ho ricontrollato, ma non si sa mai. Quindi, Auguri di Buon Anno a tutti e grazie ancora!

Aki_Penn

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Attraverso il vetro ***


Trentotto scalini

Capitolo Ventesimo

Attraverso il vetro

 

Maka poteva immaginare che qualcuno avesse aperto la finestra, nonostante tenesse gli occhi chiusi. La luce filtrava attraverso le palpebre come se fossero fatte di carta velina.

Li aprì piano, prima venne colta da un bagliore fastidioso, il sole che entrava dalla finestra la accecò, potente. Si passò i pugni sugli occhi, increspando le labbra, ancora assonnata, cercando di riottenere di la vista.

Li strizzò ancora, trovandosi a vedere di nuovo, seppur in modo poco nitido. Davanti sé stava qualche cosa di candido che la fissava con due intensi occhi rossi.

“Soul” chiamò in un modo a metà tra la tenerezza e uno sbadiglio. L’immagine si fece più nitida, mostrando a Maka i lineamenti del ragazzo davanti a lei, aveva i capelli chiari e scompiglianti e la stava fissando.

“Buongiorno” salutò Wes Evans, sdraiato sul letto singolo posizionato a circa un metro di distanza da quello del fratello.

Maka sobbalzò facendo un salto indietro nel letto e spodestando Soul, che stava ancora dormendo, e scaraventandolo per terra. Il ragazzo cascò imprecando e blaterando qualche cosa a proposito del proprio osso sacro. Era decisamente sveglio, ma avrebbe preferito che l’abbraccio di Morfeo si sciogliesse in modo meno violento.

“Per la miseria!” sbottò alzandosi, indolenzito, e tornando sul letto faticosamente.

“Buongiorno Soul” esclamò a quel punto Wes, vedendo il fratello riemergere. “Oh” sbottò Soul rimettendosi chinato in modo da nascondere le sue nudità dietro al letto. Maka si copriva convulsamente con quanto più lenzuolo riusciva a trovare.

“Che cavolo ci fai qui, tu?” domandò Soul, scuro in volto. Wes fece finta di accigliarsi “Ci abito. Questo è il mio letto” gli ricordò indicando il proprio giaciglio.

Soul fece una smorfia, mentre Maka arrossiva visibilmente. “Allora ti dispiacerebbe girarti? Maka si deve vestire” chiese brusco, con le braccia conserte.

“Agli ordini” fece canzonatorio suo fratello, che era l’immagine del disinteresse, soddisfando la richiesta.

Maka si vestì a una velocità tale che un secondo dopo era già sulla porta d’ingresso con le scarpe in mano ad aspettare che Soul le aprisse. Lui, che nel frattempo era riuscito a infilarsi giusto i boxer, corse ad aprirle. Si guardarono imbarazzati, Soul distolse lo sguardo, si sentiva in colpa, aveva detto che nessuno li avrebbe visti, Wes non avrebbe dovuto tornare così presto quella mattina.

“Non mi sono mai vergognata tanto. Forse solo col guardiano” ammise a denti stretti, mentre Soul arrossiva colpevole.

Soul, a braccia conserte e piedi nudi, si appoggiò allo stipite della porta d’ingresso “Ci vediamo più tardi?” chiese preoccupato di ricevere un due di picche. Maka si passò la lingua sui denti e lo squadrò con aria omicida, il fatto che le mancassero le mutande di certo non rendeva migliore il suo umore.

“Va bene” acconsentì alla fine, quasi scocciata, prima di prendere la porta e andarsene. Più tardi, a Blair bastò dire che non era rimasta fuori tutta la notte, semplicemente era uscita presto ed era già tornata, nessuno mise in dubbio la sua parola.

Al quinto piano, intanto, Soul tornava al suo letto, piuttosto di cattivo umore.

“Che ci fai qui?” domandò ancora. Wes alzò le spalle “Te l’ho detto, ci abito” ribatté sibillino l’altro.

“Lo so, cacchio, intendo: cosa ci fai qui adesso?” sbottò arrabbiato.

Suo fratello alzò le spalle “Alla fine non sono andato con mamma e papà, ma sono rimasto qui a parlare con Enrique, la scimmia, e sono tornato a casa quasi subito”

Soul impallidì e il suo cuore perse un battito “Eh?” chiese soltanto, incapace di formulare una domanda di senso compiuto.

“Non qui in camera” precisò e Soul tirò un sospiro di sollievo “Stavo dormendo sul divano, perché è più fresco. Mi sono svegliato quando avete pestato la coda al gatto. Chi è stato poi? Comunque avete fatto un gran fracasso e non sono riuscito a venire a letto prima di un bel pezzo. Ti ha anche picchiato?” domandò.

Soul era diventato color peperone “Come…gran fracasso?” domandò. Era imbarazzante, era più imbarazzante del risveglio che aveva appena avuto e del guardiamo, messi insieme.

“Tu in particolare” spiegò tranquillo voltandosi dall’altra parte e proponendo “Perché non dormiamo un altro po’ finché non arriva il tuo insegnante di musica? Quello non mi piace per niente”

Soul si lasciò cadere mollemente sul cuscino pensando solo a quanto desiderasse che un fulmine lo incenerisse in quell’istante.

 

§

 

Liz sospirò nel sonno, non aveva pensato nemmeno una volta alla porta rotta o al lampadario al quale mancavano due gocce di cristallo, si era solo goduta la nottata a dormire addosso a Kid. Entrambi col pigiama, come se non facesse caldo, ma era stato bello così, coi piedi nudi che si toccavano ogni tanto e il fruscio delle lenzuola. Il pigiama di Kid era stato fatto su misura e sopra vi stavano disegnati degli otto, giustamente nessuna grande azienda avrebbe messo in commercio un articolo così idiota.

Si puntellò su un gomito per poterlo osservare mentre sonnecchiava ancora, la finestra era socchiusa e filtrava abbastanza luce da poter osservare con attenzione i lineamenti del ragazzo. Con un sospiro bonario pensò che visto così sembrasse quasi innocuo, niente pericolosa simmetria e altre fisse strane, era solo un ragazzo carino che dormiva.

Il suo sguardo ormai allenato notò una piega particolarmente brutta in un cuscino lì accanto, messo evidentemente per puri motivi estetici, e si affrettò a spiumacciarlo. Era sconsigliabile che Kid si mettesse a delirare appena sveglio, rovinava l’umore anche a lei oltre che a sé stesso.

Sospirò ancora e diede un’ultima occhiata al ragazzo che dormiva scomposto, chissà come avrebbe reagito se l’avesse scoperto, Liz non lo voleva sapere, e si decise ad andare in cucina a preparargli la colazione. Era una cosa carina e le faceva piacere, i toast per Patty non aveva senso prepararli, tanto, conoscendo sua sorella, si sarebbe alzata all’ora di pranzo e a quell’ora sarebbero stati freddi.

Imburrò il pane, tirò fuori la marmellata dalla dispensa, fece una spremuta d’arance e tornò alla camera di Kid. Non c’era più nessuno. Il letto del suo coinquilino era vuoto. Certo, era stato fatto e non mostrava nemmeno una piega, il cuscino era stato spiumacciato meglio, ma di Kid nemmeno l’ombra.

Fece due passi nella stanza, con ancora il vassoio in mano, per poi accorgersi che la finestra era aperta ed entrava tutta la luce che il sole estivo era in grado di produrre. Appoggiò la colazione sulla scrivania ordinata e si affacciò poggiando i gomiti sul davanzale. Molto più in basso, Kid stava in piedi vicino alla fontana. La ragazza strizzò gli occhi per vedere meglio e a quel punto fu chiaro che stava pescando nella fontana condominiale. Kid, il figlio dell’amministratore, pescava i pesci rossi condominiali.

“Kid!” strillò Liz e tutto il malumore che l’aveva pervasa la sera prima le si incollò nuovamente addosso “Che diamine fai?”

“Mi procuro la cena” rispose con semplicità, mettendosi una mano sulla fronte per vederla bene nonostante il riverbero del sole.

Stava per rispondergli male quando un’idea le passò per la mente, se Kid era impegnato a pescare non avrebbe potuto badare ad altre inezie, così rispose “Bravo Kid, fai così” e, con un sorriso bonario, si ritirò chiudendo le imposte della camera da letto.

Qualche piano più su, Blair stava uscendo di casa, inguaiata in un succinto completino da jogging. La corsa faceva bene alla salute, il movimento era importante anche se era estate e faceva caldo, era per quello che per evitare di avere troppa stoffa addosso non si era messa le mutande, che, si sa, fanno caldo.

Dal terzo piano dove abitava col signor Albarn e sua figlia Maka, non fece in tempo ad arrivate alla portineria, che aveva finito per svestirsi strada facendo. Era abbastanza sicura che nei dintorni ci fosse una spiaggia per nudisti, se si fosse presentata nuda là nessuno avrebbe avuto da ridire. Il pensiero che avrebbe dovuto arrivare nuda da lì alla spiaggia non l’aveva minimamente sfiorata. Si sa, gli ingegneri a certe cose non ci pensano.

Fu, appena uscì in giardino, attirando le attenzioni di Arachne, Giriko e Justin Law che giocavano a carte (i primi due bisbigliarono qualche cosa a proposito di filmare tutto, facendo in modo che il terzo membro della comitiva non potesse leggere loro le labbra),  che le sembrò di scorgere una tigre azzurra nell’erba alta. Si disse che quel prato aveva proprio bisogno di essere tagliato, ma uscì senza darsi altre pene. Fu arrestata due isolati dopo e nessuno seppe come fece a farsi ridare la libertà, anche se vennero avanzate varie ipotesi, tutte simili e tutte piuttosto plausibili.

La tigre azzurra, che altri non era che Black Star, uscì dall’erba, nella quale aveva strisciando fino a un secondo prima, con un balzo. Arachne e Giriko filmarono tutto febbrilmente sotto lo sguardo vispo di Justin Law, che non si scompose.

Il ragazzo, sporco di fango dato che probabilmente il signor Free aveva di nuovo annaffiato troppo, sorpassò in un passo la soglia d’ingresso urlando “Sono invisibile!”

Giriko e Arachne alzarono contemporaneamente le sopracciglia, avrebbero avuto qualche cosa da dire a riguardo, ma dato che un uomo invisibile non avrebbero potuto filmarlo non si lamentarono neanche un po’.

Arisa, che stava pulendo le scale con il mocio, fece un salto all’indietro per lo spavento. Black*Star si appiattì in una zona più buia, quella della porta della saletta condominiale, dove la lampadina nella plafoniera si era fulminata cinque anni prima e nessuno si era preso la briga di cambiarla. Era effettivamente più in penombra, ma la sagoma del ragazzo si vedeva benissimo. “Tu non mi puoi vedere” sibilò come se fosse una formula magica. La portinaia si strinse al petto la scopa, spaventata e s’infilò nella portineria chiamando a gran voce l’amica Liza.

Black*Star, da stratega qual era, approfittò di quel momento di calma per mettersi a correre su per le scale, convinto che andando veloce non avrebbe incontrato nessuno. In compenso però fece tremare tutto il palazzo con i suoi passi pensanti, tanto che il professor Excalibur si affacciò alla porta roteando il bastone e dicendo qualche cosa come “Un edificio dei dodicesimo secolo non avrebbe resistito a una tale scossa”. Ovviamente venne ignorato.

In un batter d’occhio arrivò davanti a casa Nakatsukasa e non suonò il campanello per non disturbare, limitandosi a bussare, peccato che l’effetto finale si dimostrò essere quasi peggiore.

Wes, che abitava allo stesso piano dei Nakatsukasa, si affacciò per vedere cosa stava succedendo sul pianerottolo, l’ipotesi più accreditata era l’arrivo degli angeli dell’apocalisse.

Quando vide Black*Star di schiena, infangato fino ai capelli sospirò e richiuse la porta prima di essere visto.

Proprio in quel momento aprì Tsubaki, che era arrivata trafelata fino alla porta, aprendo in tutta fretta per paura che Black*Star si accapigliasse con qualcuno in un momento di sua distrazione. I suoi genitori l’avevano ufficialmente invitato a pranzo, c’era anche Masamune, una presentazione in famiglia di prim’ordine e le possibilità che lui buttasse tutto all’aria erano fin troppo alte.

Il peggio che poteva capitare, però, era già capitato, a giudicare dall’aspetto infangato con il quale si presentò quello che doveva essere il suo ragazzo.

Tsubaki, stringendo convulsamente la porta, si trattenne dal fare una smorfia, un capello si liberò dalla sua coda di cavallo ricandendole sul viso. Si disse che sarebbe diventata calva per lo stress.

“Sono stato silenzioso come mi avevi chiesto” esordì lui orgoglioso, gli costava tanto non mettersi in mostra, ma per Tsubaki l’aveva fatto senza lamentarsi troppo.

La ragazza lo gratificò con un sorriso fintissimo e piuttosto teso “Oh, bene” cominciò “ti va di fare un bagno prima di pranzo? La mamma ha preparato l’arrosto” propose.

Ci fu un attimo di silenzio e poi fu lui a domandare “Lo facciamo insieme, il bagno?”

 

§

 

Elka, seduta al sole su una panchina di legno nel bel mezzo del cortile, piangeva copiosamente, senza speranza di fermare le lacrime. Free, che non era granché a consolare le persone che gli piangevano su una spalla, cercò di accarezzarle goffamente i capelli chiari.  Elka sembrava davvero inconsolabile, gli aveva bagnato di lacrime tutta la maglietta, se si fosse lanciato in mare l’effetto sarebbe stato pressoché lo stesso.

“Su, su, Elka…” cercò di dire, non gli veniva in mente nessuna frase di senso compiuto per consolarla.

“Mi sono distratta solo un attimo, un attimo solo…e lei le ha ammazzate le mie rane…le mie povere ranocchiette. Ha riempito il loro acquario di detersivo…quella strega…” piagnucolò col naso che le colava. Si asciugò le lacrime sulla maglia del giardiniere, lo fissò per un secondo e poi si rimise a piangere disperata.

Free, che aveva letto Alice nel paese delle meraviglie da piccolo, sperò di non annegare in quel fiume salato che si sarebbe venuto a creare, se Elka non si fosse fatta chiudere chirurgicamente i condotti lacrimali al più presto.

Le accarezzò ancora la testa cercando di calmarla, quella ragazzina sembrava non aver passato nemmeno un giorno felice da quando viveva in quella casa, e a lui dispiaceva un po’.

“Tra un po’ nascono i girini, con tutta l’acqua con cui ho innaffiato, il prato è diventato un acquitrino, ce ne saranno un sacco. So che non potranno prendere il posto delle tue amiche anfibie precedenti, ma saranno delle nuove amiche” provò a dire, ignorando del tutto in che periodo le rane si riproducessero. Elka si asciugò la lacrime di nuovo e tirò su col naso annuendo. Sembrò convinta perché biascicò un grazie poco udibile. Free tirò un sospiro di sollievo.

Qualche piano più su, l’assassina era intenta a bere tea e mangiare biscotti in compagnia del dottor Stein.

Composti e impettiti, uno davanti all’altra seduti al tavolo della cucina, sarebbero potuti essere l’immagine del buongusto e dell’eleganza, se non fossero stati entrambi in mutande per via del caldo.

“Il tea caldo non mi sembra affatto una bevanda adatta a combattere l’afa” fece notare Stein, sentendo il liquido scendergli nelle viscere.

Medusa aprì gli occhi fingendosi stupita “Ma cosa dici!” esclamò con aria sdegnosa “La figlia di Spirit dice di aver appreso questo metodo innovativo da sua madre, che è stata nel deserto” spiegò quasi offesa.

“Ah, sì? Chissà perché avrei detto che nella tua tazza invece ci fosse del tea freddo” azzardò Stein.

“Stai forse insinuando che non tratto a dovere i miei ospiti?” chiese lei fissandolo con quell’espressione che la faceva somigliare a un rettile.

“Non è un’insinuazione, è un’accusa precisa” rispose lui bevendo stoicamente la sua bevanda e strinandosi il palato. Medusa fece una smorfietta divertita prima di sorseggiare ancora il suo tea glaciale.

Ci fu un minuto di silenzio durante il quale i due sorseggiavano libidine e tortura a seconda di che bevanda avessero tra le mani, poi Medusa ricominciò schioccando la lingua “Non volevo ucciderle quelle rane. O meglio, non volevo ucciderle così, è stata una sorpresa anche per me. Non mi sono accorta di averci rovesciato dentro il detersivo” spiegò a un Stein dall’aria disinteressata.

“Adesso Elka è lì che piange come una scema sulla spalla di Free. Avrei almeno voluto godermelo questo momento. Decidere il modo in cui sbarazzarmene…non mi sono mai piaciute quelle maledette rane!” brontolò scocciata. E Stein, per quanto un po’ dispiaciuto per l’inconsolabile Elka, non poté che essere soddisfatto del malumore della donna.

Fu in quel momento che bussarono alla porta mestamente, non era Elka si sarebbe messa a far notare la sua presenza con più impeto.

“Mamma, posso entrare? Ho sete” pregò Crona dall’altra parte della porta.

“No, io e il dottor Stein siamo nudi e stiamo indaffarati in cose che tu farai quando sarai molto più grande” esclamò Medusa con voce austera, da madre di famiglia.

“Ma io ho sete…” piagnucolò la ragazzina.

“Vai a bere dalla fontana in giardino” ordinò sua madre, senza esitazione, mentre Stein passava lo sguardo da lei alla porta chiusa.

Ci fu un brontolio sommesso che si poteva tradurre con Nella fontana ci sono i pesci, non posso bere la loro acqua, sarebbe scortese. Non so come comportarmi con i pesci.

Fu quando Crona si fu allontanata che l’uomo rimise lo sguardo sulla sua interlocutrice con aria interrogativa.

Lei se ne accorse e fece finta di accigliarsi “Non volevo mica che ci trovasse in queste condizioni. Non voglio mica che finisca come la figlia di Spirit, a copulare in spiaggia di nascosto”

“Non credo ce ne sia il pericolo” commentò il dottore “E comunque non vedo niente di così disdicevole nella nostra posa”

Medusa sbatté le palpebre qualche volta guardandolo con aria di rimprovero “E’ qui che sbagli. Nel tea c’è la teina, che non fa per niente bene ai ragazzi. Saresti un pessimo genitore” lo canzonò.

 

§

 

Subito fuori dal cancello, Liz stava battendo le mani per pulirle dalla polvere e, tutto sommato, sembrava soddisfatta mentre Kirikou, difronte a lei, chiudeva con un botto lo sportello posteriore del camion.

“Secondo me, Kid si arrabbierà” commentò il ragazzo, assicurandosi che anche la maniglia fosse chiusa come di dovere. Fire e Thunder, gli altri due fattorini dell’antiquario, lo guardarono in attesa.

Liz alzò le spalle “Era un sacrificio che andava fatto. Kid in questo momento sta pescando la nostra cena nella fontana condominiale. È da stamattina che è lì” spiegò, e la cosa non la faceva neanche più di tanto arrabbiare.

“Ma non ci sono solo i pesci rossi?” domandò Kirikou risistemandosi al meglio gli occhiali sul naso. Patty annuì per poi dire “Sono grandi così” e lasciare un piccolo spazio tra pollice ed indice. “Non ci mangeremmo granché” aggiunse.

“Non ho alcuna intenzione di mangiare pesci rossi” fece eco Liz, con uno sguardo che avrebbe spaventato chiunque.

“Beh, comunque mi pare che il mio titolare vi abbia dato un bel po’ per questo lampadario” continuò Kirikou, che pensava che con gli affari che faceva il suo datore di lavoro avrebbe anche potuto aumentare la paga a lui, Fire e Thunder, anche se quello era solo un lavoretto estivo in attesa che ricominciasse di nuovo la scuola.

“Meno del dovuto” sbuffò la sua interlocutrice alzando gli occhi al cielo “Patty ha staccato due delle sue preziose gocce”

Patty fece un sospirone a sua volta “Skiusimii” disse priva della sua solita allegria per poi aggiungere, del tutto inaspettatamente “Secondo me stavano meglio sulla giraffa”

“Non importa, Patty. Adesso abbiamo un sacco di soldi” tagliò corto la sorella maggiore che poi si affrettò a salutare uno stanco Kirikou, che salì sul suo camioncino intenzionato a tornare al negozio d’antiquariato, e prendere sottobraccio la sorellina “Forza Patty, andiamo a preparare un sedativo per quando Kid si accorgerà che manca il suo amato lampadario. Dici che la dottoressa Medusa abbia qualche cosa da prestarci?”

 

§

 

Maka sospirò chiudendo gli occhi, mentre Soul le mordicchiava l’indice. Aveva caldo e non era solo per colpa dell’afa estiva. Si sentiva andare a fuoco, con lui che la fissava e le accarezzava i fianchi.

Pensò che Soul, visto dall’alto, accaldato e con le guance rosse, intento a baciare, leccare e mordicchiare la sua mano sinistra fosse davvero carino e ogni volta che incrociava il suo sguardo maledettamente rosso era come se qualcuno gli rovesciasse una cascata di acqua bollente sul petto, mentre il bassoventre le andava in fiamme.

Lui la guardò facendo un sorrisetto strafottente di quelli con cui mostrava al mondo la sua dentatura da squalo. A Maka facevano arrabbiare quei sorrisetti, ma, anche se non lo avrebbe mai ammesso, le piaceva comunque un sacco quando ammiccava nella sua direzione. Avrebbe potuto sciogliersi solo per quel sorriso se non fosse stato per un movimento del bacino di lui che le fece sentire una potente scarica elettrica lungo la schiena e la costrinse a chiudere nuovamente gli occhi.

Pensava da sempre che Soul fosse un ragazzo carino, davvero carino, ma all’inizio dell’estate, quando si preoccupava di quale costume scegliere per andare alla gita al mare, non avrebbe mai detto che si sarebbe trovata a quel punto solo un po’ di tempo dopo.

“I documenti relativi all’appartamento li abbiamo messi in camera dei ragazzi, ma dovremmo parlarne comunque anche con il signor amministratore” disse qualcuno spalancando senza remore la porta di legno e vetro della camera di Soul.

La signora Evans e tantomeno il signor Albarn, entrambi a cavallo della porta, non si accorsero immediatamente di cosa stava accadendo nella penombra, fu una questione di attimi.

La porta che si apriva con un gran fracasso, la signora Evans che accendeva la luce intenzionata ad andare a raspare nell’armadio dei documenti e Maka che urlava vedendo tutto fin troppo distintamente. In quella stanza c’erano sicuramente più persone di quante ne avrebbe volute.

Spirit, non aspettandosi di trovare lì la propria figlia e di sicuro non aspettandosi di trovarla addosso a Soul Eater Evans, rimase per un secondo inebetito a cavallo della porta.

La ragazzina si sporse in avanti nascondendo il viso nell’incavo del collo di Soul, che con uno slancio si era messo a sedere e l’aveva circondata con le braccia nella vana speranza di coprirla appena un po’.

Le pupille del signor Albarn si dilatarono per la sorpresa, mentre la mandibola stringeva così forte che qualche dente scricchiolò mentre fissava con un cipiglio satanico la scena. Durò tutto una manciata di secondi, ma a Maka, che dava la schiena ai nuovi venuti, sembrarono secoli e fu quasi un sollievo sentir urlare suo padre come di consueto “Cosa stai facendo alla mia bambina!?”

Il signor Spirit strillò afferrando una lampada da tavolo e impugnandola come un’arma. La bocca della signora Evans si aprì come poco prima avevano fatto gli occhi del suo vicino di casa. Se avesse trovato Soul a fornicare con la figlia di Spirit si sarebbe limitata a rifilar loro un’occhiataccia e a uscire in attesa che si fossero vestiti per poter fare la sua ramanzina da madre accorta, ma quell’uomo aveva tutta l’intenzione di spaccare la testa al suo secondogenito. “Per la miseria!” strillò, e gli fece uno sgambetto. Il signor Albarn cadde per terra come una pera cotta lasciando andare la lampada che si schiantò, poco lontano, con un gran fracasso.

“Tesoro!” chiamò la donna “Vieni, presto! Il signor Albarn sta dando di matto e Soul ha bisogno di un discorsino!” urlò con voce non troppo ferma, richiamando il marito.

“Maledetto ragazzino…” biascicò Spirit con la faccia sul pavimento, cercando faticosamente di afferrare il cadavere della lampada. La signora Evans gli pestò la mano con il tacco a spillo dei suoi sandali e l’uomo urlò di dolore.

Mezzora dopo, Soul e Maka si trovavano di fronte, l’una appoggiata contro il muro, l’altro contro l’armadio, entrambi dietro la porta della camera di lui. Si fissavano con aria stanca, a lei non pareva vero che fino a poco prima erano intenti a rotolare sul letto di lui, mentre in quel momento si trovavano sudati e vestiti in attesa di una condanna a morte, da quello che si evinceva dagli urli provenienti dalla camera affianco.

“Non posso credere che non teniate d’occhio la casa e permettiate a chiunque di entrarvi! E soprattutto mi avete fatto male alla mano!” stava strillando, isterico, il signor Albarn Soul e Maka non potevano vederlo ma potevano immaginarselo mentre si teneva la mano dolorante.

La ragazza si coprì il volto con le mani, esasperata, e Soul appoggiò la sua su quella di lei per spostarla e poterla guardare di nuovo. Lei alzò lo sguardò su di lui, perplessa, e ricevette un suo sorrisetto strafottente che sembrava voler dire Non è poi così terribile.

Sapeva che anche lui era piuttosto preoccupato, ma era carino da parte sua non volerlo far capire.

“Quel maledetto teppista!” strillò a quel punto Spirit con voce sempre più acuta, facendola ridacchiare, erano di nuovo vicini e Soul le teneva stretta una mano.

“Teppista” ripeté divertita, scandendo ogni sillaba e guardandolo negli occhi con aria di sfida. Soul rimase serio a guardarla mentre lei si divertiva.

“Mio figlio non è un teppista! Credo che sia normale per un ragazzino di quindici anni interessarsi alle ragazze, è sua figlia che è una donna del popolo!” strillò la signora Evans fuori di sé.

“Donna del popolo?” sghignazzò Soul, stringendo forte la mano di Maka, lei lo incenerì con lo sguardo ma non fece in tempo a protestare perché lui la spiazzò con un bacio umido che non le lasciò scampo, mentre con il braccio libero le passava dietro al collo per non lasciarla scappare.

Fu in quel momento che si sentì un altro gran frastuono di vetri e legno e la porta della camera si aprì rivelando due ragazzini di nuovo indissolubilmente attaccati.

“Per la miseria!” esclamò la signora Evans, mentre i due si voltavano a guardarli spiazzati.

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

 

Eccomi, di nuovo in ritardo. Questa volta non ho scuse, non ero nemmeno impegnata a scrivere City of blinding ligths come mi era successo tempo fa, semplicemente mancava l’ispirazione. Spero comunque che il capitolo valga l’attesa, non ne sono troppo convinta, l’ho riletto, ma come al solito mi ritrovo a postare alla sera, quando sono notoriamente un po’ cotta, spero che sia leggibile.

Essendo l’ultimo capitolo ho cercato di dare, bene o male, una conclusione a tutte le vicende, ovviamente vi sarà un epilogo, ma questo è il vero e proprio finale. Per quanto riguarda Kim e Ox, la loro storia finisce con il capitolo scorso, avrei voluto scrivere di più su di loro, ma essendo gli altri i protagonisti ho preferito dar loro la priorità.

Ci tenevo a precisare una cosa su questa storia, io non parlo molto di sentimenti, non mi piace molto descrivere nei dettagli quello che provano i personaggi, preferisco che si capisca dalle loro azioni, e spero di esserci riuscita. Quindi non vorrei che pensiate che questa storia sia basata sul puro rapporto fisico, anche se non lo scrivo esplicitamente, Soul e Maka (e così tutti gli altri), si vogliono bene. Avevo pensato di mettere una semi-dichiarazione alla fine di questo capitolo, giusto prima che i genitori riaprissero la porta, ma alla fine ho cambiato idea, spero che l’effetto sia carino lo stesso.

Non conosco molto bene Wes, spero che sia IC, purtroppo nel manga è apparso troppo poco per riuscire a farmene un’idea precisa, se non va bene mi scuso in anticipo.

Infine, vi ringrazio per aver seguito la storia fino a qui e grazie anche a chi ha letto lo spin-off, spero davvero che vi sia piaciuto. ^.^

Aki_Penn

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Epilogo ***


Trentotto scalini

Epilogo

 

Spirit lanciò l’ultima cassetta dentro al buco che lui e il signor Sid avevano scavato in giardino a suon di zappa “Bene, con questa abbiamo finito” esclamò sfinito, mentre Sid si appoggiava esausto alla vanga, non aveva neppure più le forze di stare in piedi.

“Queste quarantotto ore ininterrotte di visione di vita estiva del Chupa Cabras sono state le peggiori della mia vita, in assoluto. E dopo uno studio non particolarmente lungo è stato chiaro che fosse meglio bruciare le prove di tutto quello che è successo questa estate. In particolare: mia figlia non ha mia visto un uomo nudo. Questo non è mai accaduto!”

Sid, sempre appoggiato alla vanga, alzò la testa e le sopracciglia “Anche se distruggiamo le cassette ce lo ricorderemo tutto, le abbiamo viste tutti insieme” fece notare stancamente. “Ssssh!” lo zittì, acido, il suo interlocutore, prima di passarsi una mano sulla faccia e urlare “Reset, reset!” per autoconvincersi che tutto ciò non era mai successo.

Sid scrollò le spalle “E va beh” si disse, Spirit sembrava intenzionato a fare tutto di testa sua.

Dopo qualche interminabile minuto di reset-reset si riprese, facendo sobbalzare anche l’aiuto amministratore, che ormai si era addormentato appoggiato alla pala.

“Stein!” urlò per richiamare il dottore, che stava fumando e passeggiando in cortile per sgranchirsi le gambe dopo la visione di quarantotto ore di video (in realtà era sparito più volte, da solo o in compagnia della dottoressa Medusa, ma la cosa era passata inosservata, dato che Liza e Arisa erano impegnate a trangugiare popcorn e a non perdersi nemmeno un fotogramma).

“Mi presteresti il tuo accendino? È ora di fare un bel falò. Dimentichiamoci tutto quello che è successo quest’estate!”

Stein alzò le spalle e glielo allungò “C’è davvero tutto quello che Arachne ha registrato, lì in mezzo?” domandò curioso, non era particolarmente preoccupato per i filmati che lo riguardavano, non era mai stato un tipo che si impensieriva sapendo che la gente era interessata ai fatti suoi.

“Tutti” esclamò Spirit, per poi aggiungere a bassa voce “a parte quelli dove c’è Blair che fa la doccia. Quelli li ho nascosti sotto il mio cuscino”

Stein annuì “Facciamo questo falò allora. Sei così sconvolto all’idea che tua figlia abbia un ragazzo?” domandò poi sapendo che quella domanda l’avrebbe fatto infuriare.

“Mia figlia non ha un ragazzo!” urlò con voce stridula, fuori da ogni logica. Stein si voltò verso Sid, perplesso, e questo si limitò a dire, passandosi una mano sulla faccia “Pare si sia resettato”

Stein alzò le spalle e diede fuoco al mucchio di cassette.

Subito fuori dal Chupa Cabras si fermò una limousine, non era un tipo di automobile che si vedeva spesso da quelle parti, ma i condomini erano così presi a chiacchierare di altro che non notarono Arachne e Giriko che vi si infilavano dentro.

“Buona sera Miss” salutò il vecchio Mosquito, lanciando un’occhiataccia a Giriko che, per tutta risposta, sputò per terra. Mosquito rabbrividì, saliva sulla sua preziosa limousine, si chiese dove, una signora rispettabile e distinta come Arachne, avesse raccattato un elettricista tanto bifolco.

“Buonasera Mosquito” rispose la donna lisciandosi la gonna e lasciando i due a discutere col loro gioco di sguardi e sputi senza intrometterli.

“Cos’è quel fumo?” domandò il vecchio, con l’enorme naso che iniziava a sentire odore di bruciato. Arachne alzò le spalle “Il mio vecchio progetto che va in fumo. Pare che il signor Albarn se la sia presa a cuore perché sua figlia è meno timida di quanto avrebbe invece immaginato, ma non importa” spiegò con un sospiro.

“Ho un’idea migliore” esordì poi, con un lampo di gioia negli occhi. Non era tipo da entusiasmarsi, ma si chinò in avanti verso il signor Mosquito, che si avvicinò a sua volta.

“Dieci persone, per sei mesi, dentro un ascensore” sibilò come se fosse una cospirazione. Mosquito sgranò gli occhi “Meraviglioso!” esclamò colpito. “Sarà il miglior reality del prossimo anno. Tutta l’Arachnophobia ne sarà entusiasta!”

Arachne si rimise seduta con la schiena appoggiata allo schienale e lo gratificò con un sorriso lascivo.

“Vuoi che venga condotto qui, il programma?” domandò allora l’uomo, indicando il Chupa Cabras.

Arachne scosse la testa assumendo un’espressione fintamente dispiaciuta, per poi dire “Purtroppo l’ascensore è rotto, dovremo trovare un’altra location”. Non ne poteva più di quel posto, non voleva rimanerci un minuto di più.

Mosquito annuì “Parti” disse all’autista e con un rombo la limousine partì rischiando di investire un ex giardiniere e una ragazza alla pari che volevano fuggire all’estero con il primo treno.

Poco più in là, il signor amministratore batté forte le mani per decretare la fine dell’assemblea di condominio, senza che si fosse menzionata nemmeno per sbaglio la riparazione dell’ascensore o la messa a norma dell’impianto elettrico.

“Oh, bene, signori, credo sia ora di tornare a casa, i nostri figli, dopo due giorni, si chiederanno dove siamo finiti, ma prima io propongo i farci un goccetto!” e l’interò Chupa Cabras si riversò su Kim che teneva una tanica di vodka in braccio e Ox, con una carriola di ghiaccio.

“E chi è che la paga questa roba?” chiese Kim acida poco prima di venire aggredita.

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

 

Non posso credere che questo sia l’ultimo capitolo e non so davvero come ringraziarvi per tutto il sostegno che mi avete dato per questa storia, mi avete resa incredibilmente felice. Spero che l’epilogo non vi abbia deluso, siamo tornati alla situazione dell’inizio, l’assemblea condominiale di settembre, mi sembrava giusto concludere come avevo iniziato.

Ora che questa long è finita credo proprio che potrò proprio scrivere la one-shot natalizia di cui avevo favoleggiato tempo fa, senza paura di spoilerare nulla, quindi tra qualche giorno cercherò di pubblicare pure quella, e magari anche un’altra lemon collegata, ma non lo so. Anche perché credo che per un po’ di tempo potrò dedicarmi solo a capitoli autoconclusivi oltre a occuparmi di City of Blingding Lights, per colpa di alcune incombenze per qualche mese non credo proprio che potrò permettermi di iniziare un'altra storia a capitoli, nonostante abbia qualche idea.

Vi ringrazio ancora, mi avete resa davvero felice!

 

Aki_Penn

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=761557