Pop Tart

di Stupid Lamb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Regalo di Natale ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Nuovo esperimento/delirio

Nuovo esperimento/delirio.

Sei capitoli, ogni capitolo conta mille parole.

Posterò il giorno dopo aver aggiornato Farfalle Colorate.

Buona lettura.

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Pop Tart

 

Capitolo 1

 

Mi chiamo Edward. Ho ventiquattro anni. Vivo in strada.

A quattordici anni sono scappato dalla casa-famiglia in cui i Servizi Sociali mi hanno sistemato quando di anni ne avevo solo due.

Non ho mai conosciuto i miei veri genitori. Sapendo come vanno queste cose, suppongo che fossero due barboni come me, due drogati o, più semplicemente, due persone a cui non è mai importato nulla del proprio figlio.

Non credo di avere fratelli e sorelle. Alla casa-famiglia ci sono arrivato da solo.

Vivo a Brooklyn, adesso. Mi sono trasferito qui con Adam, il ragazzo di colore con cui ho progettato ed eseguito la fuga da Chicago. Era il mio migliore amico.

Adam è morto due anni fa per overdose. Aveva la mia età. Ventiquattro anni. Quando è morto io non c’ero o meglio, ero lì, ma ero troppo fatto per rendermi conto che stava morendo. Me ne sono accorto solo il mattino dopo, quando ho provato a svegliarlo.

Da allora non mi sono più fatto. Ho smesso anche di bere.

Ci chiamano barboni, ma la mia barba è corta. Rossastra, come i capelli. Sono alto, sono magro. Indosso sempre un vecchio cappello rosso da Babbo Natale. Mi ripara dal freddo.

 

Come fa un ragazzo come me a ritrovarsi in strada?

Facile: bisogna fare le scelte sbagliate.

Quando siamo scappati, Adam ed io avevamo in tasca duecento dollari. Li avevamo rubati dalle casse della casa-famiglia, dai dipendenti. Un dollaro al giorno, cinque dollari al giorno.

Pensavamo di essere furbi, di aver capito tutto.

I soldi sono finiti nel giro di una settimana. Fumavamo, mangiavamo, bevevamo.

Pensavamo di essere grandi.

Alla fine ci siamo ritrovati a fare l’elemosina per poter continuare a fumare. Siamo venuti a New York con l’idea di guadagnare più soldi per fumare e per bere.

Eravamo dei coglioni.

Abbiamo vissuto per due mesi in un appartamento vuoto, ma poi il palazzo è stato demolito.

Non avevamo da mangiare, ma avevamo sempre tanto alcool e tanta droga.

La gente ci scansava, e continua a farlo.

Perché dovrebbero fare la carità ad uno come me? Non la merito, e non sono neanche uno di quelli  che pensa di meritarla.

Mi vergogno nel chiedere denaro ai passanti, e mi limito ad accettare ciò che mi offrono volontariamente.

Sono stato picchiato, derubato.

Sono una fantasma travestito da Babbo Natale.

Sopravvivo e, tutto sommato, sono felice di poter aprire gli occhi ogni mattina.

 

La fila per il pranzo è lunga. Non mi stanco di aspettare, né di essere uno degli ultimi. Spero soltanto che la zuppa non finisca prima del mio arrivo.

Volendo, potrei andare ad un’altra mensa, una meno frequentata. Questa, però, è la più vicina al mio appartamento, ed è quella in cui vengono a prendere il pranzo i miei nuovi amici, Emmett e Jasper.

Sono davanti a me, adesso, ma non posso raggiungerli. Se avanzassi, gli altri mi salterebbero addosso e mi picchierebbero. Penserebbero che voglio rubargli il posto. Per questo mi limito a salutare Emmett e Jasper con un cenno del capo. Loro fanno altrettanto.

Non conosco la loro storia, non so neppure dove vivono.

Ci siamo conosciuti un anno fa, quando mi hanno protetto da due vecchi.

Una volta preso il pranzo, bisogna uscire dalla mensa con gli occhi spalancati e il cibo stretto al petto. Quel giorno ero distratto, ma Emmett e Jasper mi hanno aiutato a recuperare la frutta che avevo in un sacchetto. Sono stati buoni. Gli sono debitore.

 

Emmett e Jasper mi aspettano all’uscita. “Hai fatto la spesa?” dice il primo.

E’ quello più simpatico. Jasper è il più cupo.

“Ho preso la zuppa e le polpette. Mi hanno dato anche un pezzo di torta,” aggiungo a bassa voce.

“Sei andato dalla biondina, non è vero? E’ quella che dà le porzioni giganti.”

“Alice è la più gentile.” Jasper indica una delle postazioni, dietro la quale c’è una donna bassa con i capelli neri. In genere è molto silenzioso, per cui ogni parola che esce dalla sua bocca vale oro.

La donna dai capelli neri sembra averlo sentito, perché solleva la testa e ci saluta con un gesto della mano.

“Andiamo, Romeo,” dice Emmett, “o faremo tardi. Domani potrai tornare da Giulietta e chiederle di sposarti. Ciao, Edward. Ci si vede. Mi raccomando, occhio a quei sacchetti. Oggi non ho tempo per fare l’eroe.”

Mi dice la stessa cosa ogni giorno.

Con i sacchetti fra le braccia vado a rubare in un minimarket. E’ più facile se ho già qualcosa fra le mani. Il cappello da Babbo Natale e il mio sorriso fanno credere alla gente che sono un barbone buono, uno di quelli da non temere.

 

I sacchetti pesano, e ne sono felice.

Il mio appartamento è la stazione della metropolitana di Dean Street. La stazione è chiusa da quindici anni, ed è perfetta per me. Calda, sicura. Ogni tanto devo proteggermi dagli altri barboni che vorrebbero portarmela via, ma non posso lamentarmi.

Scendo i gradini e sposto il cancello-porta arrugginito. Le coperte sono nella stessa posizione in cui le ho lasciate tre ore fa.

Appoggio i sacchetti a terra e le sfioro i capelli. Sta dormendo. “Bella? Sono tornato, ho portato da mangiare.”

Apre gli occhi lentamente.

“Mi hanno dato anche il dolce.”

Apro un sacchetto mentre lei si mette seduta.

“Hai freddo?”

“No,” risponde. “Però ho fame.”

“Tieni.” Le do la torta. “Mi hanno dato anche le polpette di carne.”

Ci diamo un bacio sulle labbra.

“Grazie, Edward.” Si muove poco, e non posso biasimarla.

Sono preoccupato, ma lo nascondo bene.

“Più tardi andrò a cercare un materasso nuovo. Questo è da buttare.”

“Non preoccuparti, sto bene,” dice, mentre mastica velocemente.

E’ affamata. Vorrei darle molto di più.

“Ho pensato ad altri nomi,” dice ad un certo punto. “Mi piacerebbe Michael. O Patrick.”

Prende la mia mano, la porta sul pancione. “Lo senti?”

“Si sta muovendo?”

Annuisce. “Manca poco,” dice, sorridendo. “Sei felice?”

Siamo due senzatetto che vivono in strada, che rubano per mangiare. Aspettiamo un bambino.

“Sì,” rispondo. “Sono felice.”

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L’idea per questa mini ff è nata dal video degli Smashing Pumpkins per la canzone che s’intitola Try, Try, Try. Potete vederlo qui, ma vi avviso: è molto crudo. (Se invece volete semplicemente ascoltare la canzone e leggere il testo, andate qui.)

La ff non sarà altrettanto cruda ed esplicita, ma non sarà un’esplosione di fluff.

 

Grazie in anticipo a chi lascerà un commento, e grazie a Lele Cullen, che crede in me sempre e comunque.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Per ringraziarvi della risposta al primo capitolo, eccovi il secondo in anticipo. Il numero tre arriverà, come previsto all’inizio, il giorno dopo l’aggiornamento di Farfalle Colorate.

 

Buona lettura.

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Capitolo 2

 

Nei dieci anni in strada sono stato violento in due sole occasioni.

La prima nel 2002, per difendere Adam da un tipo che dormiva nel nostro stesso vicolo e gli diceva quotidianamente di essere uno sporco negro. Una sera, dopo una giornata passata ad ascoltare lui e a cercare di ripararci dalla neve, lo colpii fino a fargli sputare sangue.

Il giorno dopo se ne andò in un altro vicolo.

La seconda volta in cui ho usato violenza è stato nel 2007, quando ho salvato Bella da un ragazzo che voleva stuprarla. Ero con Adam, ed eravamo entrambi strafatti, ma quando ho sentito le sue grida in quel parcheggio ho saputo subito che dovevo aiutarla e che ci sarei riuscito.

Adam ha protetto Bella mentre io colpivo il ragazzo ben vestito fino a lasciarlo sul cemento freddo.

Bella era sola, ubriaca. Indossava un costume da Babbo Natale, con tanto di gonna.

La presi in braccio perché aveva perso le scarpe. Non ricordo ciò che le ho detto, ma da quel momento non ci siamo più lasciati.

Quella sera mi regalò il cappello del costume, per ringraziarmi.

E’ l’unica persona con cui ho fatto l’amore. Darei la mia vita per lei.

 

La vita di Bella è stata molto più brutta della mia.

Suo padre era un ubriacone che picchiava lei e sua madre ogni sera; quando il bastardo le ha lasciate, al suo posto è arrivato il nuovo compagno della madre, un pezzo di merda che, oltre a picchiarla, l’ha violentata per due anni.

Bella è scappata di casa a dodici anni e a tredici (dopo aver conosciuto Jessica) ha iniziato a drogarsi. Si è venduta per una dose, si è venduta anche per pagare l’affitto dell’appartamento in cui viveva con Jessica.

Poi ha trovato lavoro in un negozio di abbigliamento usato. Ha continuato a drogarsi, ma ha smesso di vendersi.

La sera in cui l’ho salvata, pochi giorni prima di Natale, stava tornando a casa dopo aver lavorato.

Il giorno dopo si è trasferita in strada con me.

Preferisco vivere in strada con te che sotto un tetto con Jessica. Voglio cambiare.

Io non ho niente da darti. Io non sono migliore della tua amica.

Sì, invece. Devi solo rendertene conto.

Una settimana dopo ha smesso di farsi. Ha impiegato due anni per far smettere anche me, e ci è riuscita solo quando Adam è morto.

E’ dolce. E’ golosa.

 

All’inizio non facevamo che litigare.

L’unico a farci calmare era Adam. Diceva che se avesse voluto vivere all’inferno sarebbe rimasto alla casa-famiglia.

Quando sei un barbone, i litigi sono diversi da quelli delle coppie normali. Discuti quando devi scegliere il negozio in cui andare a rubare, o il lato del vicolo in cui dormire. Litighi per i risparmi, ma non per quelli con cui vorresti mandare i figli al college, bensì per quelli con cui vorresti acquistare una bottiglia di gin.

Bella è, allo stesso tempo, testarda e fragile. Non è stato semplice capirla. Ancora oggi, a volte, fatico a comprenderla.

A parte questo, Bella è anche un insieme di cose meravigliose. La sua testardaggine mi ha salvato dalla morte. La sua dolcezza è il cibo che preferisco.

Siamo perfetti insieme e ce ne siamo accorti fin da subito, nonostante i litigi.

L’idea di avere un bambino è stata sua, e io non ho saputo dirle No.

Io gli vorrò bene, tu gli vorrai bene. Saremo felici.

Ma non potremo dargli niente.

Saremo felici comunque.

Il suo ottimismo mi ha sempre spaventato.

Nonostante il suo passato - o forse proprio per quello - Bella è molto più forte di me.

 

Il bambino dovrebbe nascere fra tre settimane. Credo.

Negli ultimi mesi Bella è diventata molto debole. Non riesce a stare in piedi per più di cinque minuti di fila. Non riesce a camminare. Ha i piedi gonfi e spesso le gira la testa.

Ha freddo, e le coperte che ho recuperato per lei non bastano a tenerla al caldo, anche se siamo al coperto.

Ha sempre fame, e io non riesco a procurarle tutto il cibo di cui lei e il bambino hanno bisogno. Alla mensa non danno porzioni anche per le fidanzate incinte e deboli, per cui ogni giorno devo lavorarmi le ragazze che preparano i sacchetti per ottenere un po’ di zuppa in più. Devo rubare di più, devo digiunare ancora di più.

Che succederà quando il bimbo nascerà? Che faremo? Bella è ottimista, ma io sono preoccupato. Ho paura.

Sveglio come se fosse mezzogiorno, mi faccio queste domande quando, poco prima dell’alba, sento dei rumori. Bella è stretta al mio fianco, la testa sepolta sotto le coperte.

Intravedo delle ombre accanto al cancello-porta, poi sento le voci.

“I lavori inizieranno fra sei mesi, giusto?”

“Già. Nel frattempo dobbiamo dare un’occhiata. Spero che i topi non siano giganti.”

 

I due poliziotti, un uomo e una donna, si accorgono subito di noi. Ci puntano addosso le torce. “Sveglia!” grida l’uomo. “Forza!”

Bella apre gli occhi. La sua mano va al pancione.

“Avanti!” grida la poliziotta. “La pacchia è finita. Questo posto va sgombrato. Dovrete cercarvi un’altra tana.”

“Edward…”

“Non preoccuparti.”

Mi alzo lentamente e mi avvicino ai poliziotti. “La mia ragazza è incinta; è molto debole, non possiamo spostarci.”

“Mi dispiace per te, amico, ma questo non è un ricovero. Dovete sgombrare, la stazione sta per essere riconvertita. Dovete andarvene.”

“A sei isolati da qui c’è un ricovero,” interviene la donna. La sua voce sembra commossa.

“Non possiamo andare al ricovero. Dobbiamo restare qui.”

“Amico, non faccio io le regole,” dice l’uomo. “Avete mezzora per raccogliere le vostre cose ed andarvene. Forza.”

Bella piange in silenzio quando mi vede raccogliere le coperte, i cuscini, i vestiti. Resta seduta fino all’ultimo momento, mentre io sistemo tutti i nostri averi in modo da poterli caricare sulle spalle.

Impieghiamo dieci minuti per salire i gradini che ci portano in strada. Bella ha il fiatone.

“Dove andremo adesso?”

“Non lo so,” rispondo, “ma andrà tutto bene.”

E in quel momento inizia a piovere.

 

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L’ho già detto su Twitter e su Facebook, ma voglio ripeterlo. L’ispirazione per Pop Tart è arrivata tramite il video degli Smashing Pumpkins (trovate il link alla fine dello scorso capitolo), ma questa ff non sarà in alcun modo così cruda. Triste sì, ma non cruda.

 

Grazie in anticipo a chi leggerà e a chi lascerà un commento. Grazie ancora una volta a Lele Cullen per il suo supporto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Ancora una volta grazie a chi legge e commenta. Grazie anche a chi resta in silenzio.

 

In molti avete espresso dei dubbi legittimi circa il desiderio di mettere al mondo una creatura nella situazione in cui Edward e Bella si trovano: i vostri dubbi sono i miei. Personalmente non lo farei mai, e non ho la più pallida idea di ciò che passa per la mente dei senzatetto che decidono di avere un figlio.

Mi avete anche chiesto se questa ff avrà o meno un lieto fine: preferisco non dirlo, visto che non sarà una storia lunga.

 

Grazie, Lele Cullen.

 

Buona lettura.

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Capitolo 3

 

Arriviamo alla mensa due ore dopo, alle nove. La pioggia ha smesso di cadere a pochi passi dall’ingresso, quasi per prenderci in giro. I capelli di Bella sono bagnati, nonostante la coperta che le ho sistemato addosso. Anche i suoi piedi sono bagnati.

Ha freddo, ma non dice nulla. Non ha detto mezza parola in queste due ore, e neanche io ho aperto bocca. Le ho tenuto la mano e mi sono fermato quando aveva bisogno di riposare per un po’.

Ci siamo guardati in silenzio. Le ho accarezzato il pancione.

La mensa è vuota. La maggior parte dei barboni dorme a quest’ora, e a quelli svegli non interessano le ciambelle secche e le bevande annacquate del mattino.

Faccio sedere Bella a uno dei tavoli, l’aiuto a liberarsi della coperta fradicia, e vado a prendere da mangiare.

Non ho idea di dove andremo a dormire stasera. Spero che a stomaco pieno possa venirmi qualche idea.

Sistemo le ciambelle e il tè caldo su un vassoio e quando mi giro per tornare al tavolo noto che Bella non è sola. Accanto a lei c’è la ragazza che lavora qui, quella bassa con i capelli neri. Alice.

Stanno parlando. E Bella sorride.

 

Alice ci chiede di seguirla in una specie di magazzino. Aiuta Bella ad alzarsi, la sorregge.

Bella si fida di lei. Sembra che nei due minuti senza di me siano diventate amiche.

La stanza in cui ci porta è piena di scaffali colmi di pacchi.

“Stenditi,” dice Alice, conducendola al lettino sistemato in un angolo.

“Questo è il deposito,” dice a me. “Lì c’è anche un bagno.” Indica una porta di metallo. “E’ piccolo, ma potete usarlo, se volete.”

“Non possiamo rimanere qui,” è tutto quello che dico. Mi avvicino a Bella, l’aiuto a sdraiarsi.

“Solo per oggi,” dicono entrambe nello stesso momento.

“Solo per oggi,” ripete Alice. “Andrò a cercarvi dei vestiti asciutti.”

Sembra che voglia aiutarci. Sembra che Bella le creda, ma io non mi fido.

“Chiamerai la Polizia?”

“No,” risponde subito. “Voglio solo aiutarvi, credetemi. Lei aspetta un bambino…”

Bella sorride. “Solo per oggi,” dice.

Non posso negarle un letto. Non posso.

Annuisco. “Grazie,” dico ad Alice. “Io mi chiamo Edward,” aggiungo, dandole la mano.

“Io Alice. Ti vedo tutti i giorni,” dice. “Mi sono sempre chiesta perché sei così magro nonostante tutto il cibo che riesci a prendere.” Guarda Bella, il suo pancione. “Ora l’ho capito.”

 

Alice esce dal magazzino e torna dopo pochi minuti con un sacchetto pieno di cibo. Ciambelle, marmellata, panini al latte e cialde. “Ho preso un po’ di tutto,” dice, appoggiando il sacchetto su una sedia. “Vi ho portato anche dell’acqua e dell’altro tè.”

“Grazie,” dico con un groppo alla gola. “Grazie infinite.”

Lei sorride e poi si rivolge a Bella. “Come ti senti? A che settimana sei?” chiede, indicando il pancione.

Bella scuote il capo. “Non lo so. Forse manca un mese, forse meno.”

“Non hai mai fatto un’ecografia?”

“No.”

Alice resta in silenzio. Riflette. “Mio padre è un medico,” dice poi. “Potrei chiamarlo, chiedergli di venire qui e di-”

“No!” esclama Bella, mettendosi a sedere. “No.” Si tocca il pancione. “Nessun medico, ti prego. Nessun medico.”

Alice allarga gli occhi. Guarda me, nella speranza che io dica qualcosa per farle cambiare idea. “E’ un medico molto bravo, e discreto. Potrebbe contr-

“No, no!” esclama di nuovo Bella mentre scuote il capo. “No.”

“No,” le faccio eco. “Non vogliamo un medico.”

“Va bene. D’accordo. Verrò fra poco a portarvi dei vestiti e delle scarpe.

“Grazie, Alice,” dice Bella.

“Non ringraziarmi. Vorrei fare di più,” ribatte lei.

Anch’io lo vorrei. Davvero.

 

Nessuna persona sana di mente metterebbe al mondo un bambino nelle nostre condizioni. Non abbiamo niente. Non sappiamo neppure se nascerà sano. Non sappiamo neanche dove dormiremo stanotte.

Non possiamo essere genitori, non possiamo dare nulla a nostro figlio.

Abbiamo sbagliato. Ho sbagliato.

Non sono stato in grado neppure di trovarmi un lavoro.

Se andassimo in ospedale ci terrebbero d’occhio, ci costringerebbero a darlo in adozione. Lo porterebbero via subito dopo il parto. Direbbero che non siamo in grado di dargli un futuro… e non sbaglierebbero.

L’ottimismo di Bella rasenta la follia, ma io la amo troppo e sono troppo debole per farglielo notare.

“A che pensi?” mi chiede ad un tratto. Indossa vestiti nuovi, adesso. Alice ne ha portati due sacchi, uno per me e uno per Bella. Anch’io mi sono cambiato.

“Penso al bambino,” rispondo. “Penso che non possiamo avere un figlio in mezzo alla strada.”

Siamo entrambi sul lettino, abbracciati.

“Ma lo avremo,” sussurra lei. “E lui ci salverà. So che posso sembrarti pazza,” continua, “ma ne sono certa, lo sento. L’ho sempre saputo. Ci salverà.”

E’ per questo che ha voluto un bambino. A lui ha affidato il nostro futuro.

“Fidati di me,” aggiunge.

 

Alice ci porta il pranzo – lasagna, frutta e budino – e ci assicura che nessuno verrà a disturbarci. “Però questa sera dovrete andare via,” aggiunge. “Mi dispiace, ma non posso fare diversamente.”

“Certo,” rispondo. “Grazie, Alice. Questa sera andremo via. Grazie per quello che stai facendo per noi.

Ci guarda con un misto di dolcezza e compassione prima di lasciarci soli.

“Chiederò aiuto a Jasper e Emmett,” dico a Bella. “Loro mi daranno una mano.”

Lei annuisce, accarezzandomi il viso.

Mangiamo con calma, cercando di ignorare il conto alla rovescia che scadrà questa sera.

Ad un certo punto facciamo una cosa che non facevamo da tempo: sogniamo ad occhi aperti.

“Avrà i capelli rossi come i tuoi,” dice lei. “E gli occhi marroni come i miei.”

“Sarà femmina,” ribatto. “Imparerà a leggere e andrà al college.”

“Suonerà il piano. Prenderemo tutti e tre lezioni di piano. E sarà un maschio.”

“Vivremo in una vera casa, e la sua camera avrà le pareti gialle.”

“E saremo felici,” sussurra lei. “Felici davvero.”

Andiamo avanti per un’ora ad immaginare il futuro che non avremo mai.

Vederla sorridere mi dà speranza e forza.

Mi fa pensare che forse non tutto è perduto per due barboni come noi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Grazie ancora una volta a chi legge questa mini-ff.

Grazie a Lele Cullen, che anche oggi mi ha dato la sua benedizione :***

 

Buona lettura.

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Capitolo 4

 

Tonight Tonight

 

Jasper e Emmett ci aiutano a traslocare. Hanno una macchina, per cui non siamo costretti a camminare nel freddo della sera.

“Grazie per quello che hai fatto,” dico ad Alice.

“Vorrei fare di più. Fra poco avrete un bambino. Dove partorirà, in strada? Avrete bisogno di assistenza.”

“In qualche modo faremo.”

Alice non lo sa, ma ho un piano.

Jasper e Emmett vivono in un palazzo abbandonato, con diversi amici. Il posto è dannatamente freddo. Nella nostra camera c’è un letto matrimoniale. La finestra, rotta, è coperta da un cartone bagnato.

“Hai freddo?” chiedo, conoscendo già la sua risposta.

“No,” mente, accarezzandosi il pancione.

Dopo un po’ Emmett viene a trovarci assieme ad una ragazza bionda; si chiama Rosalie. E’ truccata pesantemente. Ci chiede se abbiamo bisogno di qualcosa.

“Dov’è il bagno?” chiede Bella.

Lo raggiungono assieme, mentre io preparo il letto per la notte.

Parlo a Emmett del mio piano. Dice che mi accompagnerà con l’auto.

Bella torna dopo quindici minuti. Il suo viso è contratto.

“Bella? Che c’è? Stai male?”

Si accarezza il pancione, prova a sorridere. “Tranquillo, Edward. Va tutto bene.”

 

Il giorno dopo indosso dei vestiti puliti e vado a cercare un lavoro.

L’officina è a metà strada fra la nostra nuova casa e la mensa. Adam ha lavorato qui per qualche mese prima di essere stato sorpreso a drogarsi nel bagno. So poco di macchine, ma posso imparare. Devo imparare. Con un lavoro nessuno potrà toglierci il bambino, e Bella potrà partorire in ospedale.

“In bocca al lupo, Edward,” dice Emmett, frenando davanti all’officina.

All’interno c’è un ragazzo di nome Seth. Mi presento, gli dico che me la cavo abbastanza bene a riparare motori e che sono disposto a lavorare anche venti ore al giorno.

E nonostante il mio aspetto trascurato, la mia mancanza di qualifica, la mia inesperienza, Seth decide di darmi una possibilità. “Torna domani alle sette,” dice.

Bella mi abbraccia con forza quando le do la notizia. “Ce la faremo, Edward. Andrà tutto bene.”

Ci addormentiamo sentendo il bambino muoversi. “Anche lui è felice,” dice lei prima di chiudere gli occhi.

Il giorno dopo, ad attendermi all’officina, c’è un ragazzo alto di nome Jacob.

Mi dice che non hanno bisogno di personale, che Seth si è sbagliato.

Gli dico che sono disposto a lavorare per metà di quello che dà agli altri. Arrivo a supplicarlo, dicendogli che io e Bella aspettiamo un bambino e viviamo in strada.

Mi dice che se non vado via chiamerà la Polizia.

Non ho il coraggio di tornare indietro e di dire a Bella che il sogno si è trasformato in un incubo.

 

Il nostro fondo-cassa conta trenta dollari e ottanta centesimi.

Senza sapere come, mi trovo davanti ad un minimarket. Entro e inizio a vagare nelle corsie.

Penso al lavoro andato a puttane, penso ai sogni ad occhi aperti. Penso che sto per diventare padre di un bambino che non avrà mai niente.

Le bottiglie di gin mi chiamano a gran voce da uno degli scaffali. Bevendo dimenticherei tutto, almeno per un po’. Bevendo potrei continuare a sognare. Bevendo tornerei ad essere un irresponsabile.

Ma poi penso a Bella, al suo ottimismo, alla sua forza.

Non posso deluderla. Non posso arrendermi.

Compro una confezione di tortine alla fragola, le sue preferite.

Scappo dall’alcool e cerco di rialzarmi. Ancora una volta.

Alla mensa, Alice mi dà una doppia porzione di ogni piatto e mi chiede di Bella. Mi dà anche l’indirizzo di una pizzeria in cui stanno cercando un lavapiatti, ma quando vado a chiedere mi dicono che ne hanno già trovato uno.

Racconto tutto a Bella, mortificato.

“Non preoccuparti,” dice. “Ce la caveremo.”

 

I giorni seguenti sono gelidi.

Di giorno, quando io vado a caccia di un lavoro, Bella sta con Rosalie, la sua nuova amica. Parlano del bambino, e Rosalie la pensa come Bella: sarà un maschietto. Si divertono ad inventare nomi e a disegnarne il viso sulle pareti.

Una notte, una settimana dopo il nostro arrivo nel palazzo, inizia a nevicare.

“Stringiti a me,” le dico. “Avvicina i piedi ai miei. Sei al caldo?”

“Sì,” sussurra. “Si sta muovendo,” dice dopo un po’. “Dammi la mano, sentilo.”

Quando sento nostro figlio muoversi dentro di lei, è come una scarica di energia che da lui arriva a me. Forse è per questo che Bella è così sicura che tutto andrà bene. E’ nostro figlio a darle la forza. E’ lui a dirle che ce la faremo.

Nei giorni successivi inizio a notare qualcosa di strano. Il viso di Bella è più sofferente del solito, e il colorito è pallido, biancastro. Dopo ogni visita al bagno, i suoi sono gli occhi di chi sta soffrendo atrocemente.

“Che cos’hai?” le chiedo. “Bella, stai male?”

“No,” dice ogni volta. “Sto bene, Edward. Tranquillo.”

 

“Sei sveglia?” le chiedo una sera.

“Sì,” dice, stringendomi la mano. Mi sento sollevato, perché nonostante la neve, la mano è calda.

“Bella, non riesco a trovare un lavoro. Non ci riuscirò mai. Il bambino sta per nascere, e non possiamo… non abbiamo nulla. Mi giro verso di lei, appoggiando le nostre mani sul pancione. “Potremmo darlo in adozione,” sussurro. “Così facendo, tu partoriresti in un luogo sicuro e il bambino… il bambino vivrebbe in una famiglia…” Dirlo è difficile, ma devo farlo. “Il bambino avrebbe una famiglia capace di dargli tutto. Dobbiamo pensarci, Bella. Dobbiamo-”

“No,” è tutto ciò che dice. “Non lo daremo mai in adozione.”

“Bella, è l’unica scelta sensata. E’ l’unica cosa che-”

“No,” ripete. “Saremo noi la sua famiglia. Gli daremo ciò che potremo dargli, e lo ameremo. Sempre. Promettimi che non lo daremo mai in adozione. La voce le si spezza. Il bambino si muove. “Promettimelo, Edward.”

Dovrò rubare. Ruberò, pur di dargli del cibo, pur di comprargli i pannolini, i vestiti, una culla.

“Te lo prometto,” sussurro, e in quel momento il corpo di Bella si rilassa.

Le sue labbra calde baciano il palmo della mia mano. “Grazie.”

 

Il mattino dopo, quando provo a svegliarla, non ottengo risposta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Grazie a tutti per l’affetto che, in pochissimo tempo, avete dimostrato a Pop Tart

Grazie a tutti per l’affetto che, in pochissimo tempo, avete dimostrato a Pop Tart. Sto cercando di rispondere a tutti i vostri commenti, ma uno dei banner pubblicitari rallenta il mio browser fino a farlo andare in crash. Non so da cosa dipende, comunque è per questo motivo che sono indietro con le risposte. Posso rimanere poco sul sito.

Ho anticipato ancora una volta l’aggiornamento perché nel fine settimana non sarò a casa, e siccome domani aggiornerò FC ho preferito darvi ora questo capitolo invece che lunedì.

 

Per la parte medica mi sono affidata a Lele Cullen: grazie, monamùr :*

 

Buona lettura.

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Capitolo 5

 

Vado a svegliare Emmett. Gli dico che Bella sta male, e che la sua pelle brucia come il fuoco.

Emmett dice che ci porterà al pronto soccorso.

“No,” dico io. “Andiamo alla mensa. Accompagnaci alla mensa.”

Arriviamo alla mensa dieci minuti dopo. “Dobbiamo andare immediatamente al pronto soccorso,” dice Alice dopo aver appoggiato una mano sulla fronte di Bella. “Mio padre è di turno.”

Tutto accade rapidamente.

Bella trema. “Ho fr-freddo,” dice. Non l’ha mai detto.

Al pronto soccorso ci attende un uomo di mezza età, il dottor Cullen.

“Ha la febbre molto alta,” dice, dopo averle infilato un aggeggio nell’orecchio. Poi nota il pancione. “A che settimana è?”

Non-non lo so,” è tutto quello che riesco a dire.

Il dottor Cullen e un’infermiera caricano Bella su una barella e la portano via. Mi dicono che non posso seguirli, ma che mi terranno aggiornato.

Alice aspetta con me. “Che cosa è successo?”

Io-io non lo so.” Ho paura. “Non-non voglio che… Bella non può morire.”

Sapevo che stava male, eppure le ho creduto quando mi ha detto che tutto andava bene.

Sono stato un incosciente. E’ colpa mia.

Il dottor Cullen ritorna mezzora dopo.

“Come sta? Che cos’ha?”

“Bella sta bene,” dice con voce rassicurante. “Non è in pericolo di vita. Credo abbia un’infezione alle vie urinarie, ma dobbiamo fare degli esami per esserne certi.

“E il bambino?”

“Ho già contattato la dottoressa Weber. Dobbiamo fare un’ecografia per accertarci che non-

“Mio figlio non deve morire,” dico con le lacrime agli occhi. “Dovete fare tutto per…Vi prego. Dottore, io-”

“Non preoccuparti,” dice lui. “Faremo del nostro meglio.”

Alice si alza. “Papà, devo parlarti.”

Si allontanano, e a me non resta che pregare.

Chiedo a Dio di farli vivere. Chiedo a Dio un’altra possibilità.

Prendi me, ma non il mio bambino.

 

Ad un tratto Alice mi dice che deve tornare alla mensa. Dice che tornerà nel pomeriggio.

La ringrazio, l’abbraccio.

Il dottor Cullen arriva poco dopo. Mi guarda negli occhi, sorride. “Stanno bene. Sia Bella che il bambino.”

Il mio pianto è di sollievo, di gioia. Piango per qualche minuto, prima di sentire la mano del dottore sulla spalla. “Edward…” Mi asciugo gli occhi con la manica del cappotto. “Alice mi ha spiegato la vostra situazione,” dice.

Annuisco, per nulla meravigliato dalle sue parole. Sta per metterci alla porta, visto che non abbiamo soldi. “Starà bene, vero? Questa infezione, potrò… potrò occuparmi io di lei quando-

“No, no! Quello che voglio dire… L’infezione di Bella è curabile, ma è necessario che lei e il bambino restino qui per qualche giorno.

“Non possiamo,” dico subito. “Non possiamo rimanere in ospedale, e-”

“Vorrei occuparmi di voi,” dice. “Vorrei occuparmi di Bella e del vostro bambino.”

“Ma noi non-”

“Bella è alle trentasettesima settimana, Edward. Partorirà da un momento all’altro.”

“Ce lo porteranno via,” dico con il cuore in gola. “Se rimaniamo qui-”

“Se andate via sarà peggio. Rischieranno entrambi la vita. Lascia che vi aiuti.”

Mi parla con gentilezza, non con arroganza.

E’ buono, come Alice. Vuole aiutarci.

“Ma io non ho niente da darle in cambio. Noi non abbiamo niente.”

“Non lo faccio per avere qualcosa in cambio,” dice sorridendo. Mi porge la cartella che ha in mano. “Compila questi fogli. Io andrò a cercare una camera libera per Bella.

“Perché, allora? Perché vuole aiutarci?”

“Potreste essere miei figli,” dice dopo qualche istante. “Immagino ne abbiate passate tante, troppe. Voglio aiutarvi.”

“Grazie.” Gli stringo la mano. “Grazie, dottore.”

“Chiamami Carlisle.”

Carlisle torna un’ora dopo, dicendomi che Bella è stata trasferita al terzo piano.

La raggiungo prendendo l’ascensore. E’sdraiata nel letto. “Bella…” Indossa un camice azzurro. Il suo viso è stanco. “Come ti senti?” Prendo la mano da cui parte un filo collegato ad una flebo.

“Sto bene,” risponde, sorridendo. “Mi dispiace, Edward. Pensavo fosse normale, non sapevo cosa-”

 

“Eccomi qui,” interviene una donna alle nostre spalle. Indossa un camice bianco, ha gli occhiali e i capelli lisci. Trascina con sé un macchinario, lo posiziona accanto al letto. “Sono la dottoressa Weber. Tu devi essere Edward.” Mi porge la mano, gliela stringo.

S-sì.”

“In gravidanza è molto facile contrarre una cistite,” spiega dopo aver azionato il macchinario. “Si tratta di un’infezione curabile in poco tempo. L’antibiotico non avrà alcun effetto sul bambino, ma è necessario che entrambi restino sotto controllo. Come va?” chiede poi a Bella. “Si è mosso ancora?”

Bella annuisce, stringendomi la mano.

La dottoressa Weber mi sorride. “Io e Bella lo abbiamo già visto,” dice, facendomi l’occhiolino, “ma è giusto che anche il papà abbia il suo momento.”

Nel monitor del macchinario vedo mio figlio. Con gli occhi chiusi e le mani piegate sotto il mento.

“E’ a testa in giù,” è la prima cosa che dico.

“E’ pronto per nascere,” risponde la dottoressa, sorridendo.

Asciugo nuove lacrime, mentre mi spiega cose che non riesco ad ascoltare.

“E’ un maschio,” dice Bella, “ed è sano.”

Mi chino a baciarla. “E’ sano,” dico piangendo. “E’ sano. Andrà tutto bene, Bella.”

“Lo so. L’ho sempre saputo.”

La dottoressa stampa le foto di nostro figlio. “Congratulazioni,” dice.

Le osservo, piangendo, mentre Bella riposa.

 

Carlisle mi offre il pranzo.

“La febbre è scesa. L’antibiotico inizierà a fare effetto questa sera.

“Grazie,” gli dico. “Grazie, Carlisle.”

Lui sorride. “Cosa sai fare, Edward? Hai un diplo-

Scuoto il capo. “No. Non so… Non so fare niente.”

Osservo la foto di mio figlio. L’ho appoggiata al piccolo vaso di fiori, sul tavolo.

“Mia moglie progetta giardini,” dice ad un tratto. “Ha sempre bisogno di giovani disposti a lavorare.”

Alzo gli occhi rapidamente. “Cosa… No… non posso accettare, non-”

“Edward, tuo figlio avrà bisogno di un tetto, di cibo. Si tratta di un lavoro modesto, ma ti permetterà di lasciare la strada. E’ lì che vuoi che il tuo bambino cresca?

“No,” rispondo mortificato, sapendo che ha ragione. “Certo che no.”

“Telefonerò a mia moglie e le chiederò di venire qui a parlarti, d’accordo?”

Guardo il viso capovolto di mio figlio. E’ lui a rispondere per me.

“D’accordo.”

---

 

Il prossimo è l’ultimo!

Mi mancano già :(

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Capitolo 6

 

Today

 

Mi trovo nell’ufficio di Carlisle.

Sono rimasto con Bella per tutto il giorno. Abbiamo parlato del bambino, dell’opportunità che la moglie di Carlisle, Esme, vuole offrirmi, e di ciò che questo potrebbe significare per noi.

Potremo avere una casa, una casa vera.

Con una camera da letto vera, e una cameretta per il bambino.

Accetterò, Bella. Accetterò il lavoro.

Alice è venuta a trovarci nel pomeriggio, ed è rimasta con noi fino all’ora di cena.

La febbre di Bella è scesa, e il suo colorito è ritornato ad essere quello di sempre.

Al bar dell’ospedale le ho comprato due tortine alla fragola, le sue preferite. Ne ha mangiata una sola, ma l’ha fatto sorridendo.

Carlisle è venuto a svegliarmi alle 2 di notte, alla fine del suo turno, e mi ha convinto a spostarmi nel suo ufficio.

Lì c’è un divano, starai comodo.

Non voglio lasciarla, voglio rimanere qui, con lei.

Devi riposare, Edward. Devi essere in forze per loro. Vai a dormire nel mio ufficio. Domattina verrò a svegliarti.

I Cullen sono degli angeli. I nostri angeli custodi.

Non so cos’avremmo fatto senza di loro.

 

Carlisle arriva alle otto, con sua moglie. “Edward, lei è Esme.” Esme mi stringe la mano con calore, sorridendo.

“Piacere di conoscerla, signora Cullen,” dico, emozionato.

“Chiamami pure Esme, Edward.”

“Grazie, Esme.”

Carlisle ci annuncia che deve recarsi ad una riunione. Dalla grandezza del suo ufficio e dalle targhe che ho avuto modo di leggere prima di addormentarmi, immagino che Carlisle non sia un medico qualunque. Forse è un primario, forse è il direttore dell’ospedale.

“Tranquillo, caro,” dice Esme. “Edward e io ne approfitteremo per fare colazione.”

Esme è gentile e cortese. Mi chiede di Bella, vuole sapere come ci siamo conosciuti. Il suo sguardo è pieno di tristezza quando le racconto di come le ho salvato la vita.

“Sei un ragazzo molto coraggioso,” dice mentre beve un caffè. “Bella è stata fortunata ad incontrarti.”

Mi sento in dovere di essere onesto con lei, di dirle la verità. Le dico che sia io che Bella abbiamo avuto un passato come tossicodipendenti, e che entrambi abbiamo rubato per sfamarci.

Farlo va contro i miei interessi, ma non me la sento di mentire ad una donna così buona e compassionevole.

“Tutti abbiamo commesso i nostri sbagli, Edward,” dice quando torniamo nell’ufficio di Carlisle. “Ma non è mai troppo tardi per ritrovare la strada giusta.”

Dopodiché iniziamo a parlare di lavoro. La mia sarà un’occupazione manuale, faticosa ma di responsabilità. Costruire un giardino richiede ingegno e sforzo fisico. Avrò un salario di quarantamila dollari all’anno, e anche se sono relativamente pochi a me sembrano una fortuna.

“Grazie,” non faccio che ripetere a Esme. “Grazie, davvero. Grazie.”

Lei sembra profondamente commossa dal mio ringraziamento.

“La vostra è una famiglia eccezionale,” dico ad un tratto, soffermandomi sulle foto che tappezzano una delle pareti dell’ufficio. Esme non dice nulla, ma si avvicina ad una foto, la più grande, e ne sfiora il bordo con un dito.

“La gente di strada ci sta molto a cuore,” dice, quasi a se stessa.

Nella foto riconosco una Esme molto giovane. E’ al mare, seduta su una sedia. In mano ha una coppa di gelato e sulle ginocchia ha una bambina sorridente.

“E’ Alice?”

“No,” risponde subito, senza sorridere. “E’ suo fratello, Anthony.”

“Oh.” Guardando meglio la foto mi rendo conto che si tratta di un maschietto. Il viso è tondo, i capelli rossastri come quelli di Esme. “E’ anche lui-”

“No,” dice, prima che io possa continuare. “Anthony è…” Si ferma, sospira. Accarezza la foto come se il bambino fosse vero. Le guance, le braccia, infine i piedi. Sul tallone di quello sinistro c’è una macchia rossa, forse una goccia di gelato. “Anthony è scomparso,” dice, voltandosi e mostrandomi gli occhi pieni di lacrime. “Aveva diciotto mesi, eravamo in vacanza e… lo abbiamo perso di vista per un attimo, e lui… è scomparso,” ripete.

“Mi dispiace,” sussurro. “Mi dispiace molto.” Penso a come reagirei io se mio figlio sparisse. No, non posso neanche immaginarlo.

“Non ho idea di dove sia, di cosa… di come… Ad un certo punto le ricerche sono terminate,” dice, “ma noi non abbiamo mai smesso di cercarlo. Negli orfani arrivati in ospedale, nella gente di strada che va alla mensa. Ognuno di voi potrebbe essere mio figlio,” dice commuovendosi, “ed è per questo che vogliamo aiutarvi.”

“Grazie,” dico con un nodo alla gola. “Mi dispiace per Anthony,” aggiungo, guardando il bambino sorridente.

Esme abbozza un sorriso. “Spero che stia bene. Ovunque sia.”

 

Bella partorisce tre giorni dopo.

Temo di svenire, non appena iniziano i dolori, ma mi impongo di essere forte.

Carlisle e la dottoressa Weber mi permettono di assistere al parto.

Nella sala d’aspetto ci sono Alice, Esme, Jasper, Emmett e Rosalie.

Bella è forte dall’inizio alla fine, e piange quando la dottoressa le mostra nostro figlio, Michael Adam Masen. Ha i capelli (pochi) biondi e gli occhi sembrano chiari. E’ sano, ed è il bambino più bello del mondo.

Alice e Esme gli hanno comprato di tutto: tutine, biberon, una carrozzina, e Carlisle mi permette di rimanere nel nido anche oltre l’ora di chiusura.

“Sta sorridendo,” dico a Bella il giorno dopo il parto, mentre lo tengo in braccio.

“Dubito che sappia già sorridere,” dice lei.

“Secondo me sì. E’ molto intelligente. E’ felice. Sa che tutto andrà bene.”

Mi siedo sul letto, accanto a lei. “Troppe volte ho dubitato, ho avuto paura. Ma adesso… adesso so che possiamo farcela, Bella.

“Ho avuto paura anch’io, Edward. Ma con te e con lui… ce la faremo.” Si avvicina per darmi un bacio. “Ti amo.”

“Per sempre.”

 

Il giorno dopo un’infermiera mi lascia cambiargli il pannolino. Ed è mentre lo spoglio - Bella che mi dice di essere lento e delicato - che mi accorgo della piccola macchia rossa che si trova sotto il tallone sinistro.

“E’ come la tua,” dice Bella alle mie spalle.

“Cosa?”

“Quella voglia di fragola. Tu ne hai una nello stesso punto. Strano, vero?”

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Quanti senzatetto nelle condizioni di Edward e Bella riescono a salvarsi? Pochi.

Quanti genitori ritrovano un figlio scomparso dopo più di vent’anni? Pochissimi.

Quanti bambini nascono in strada, in condizioni orribili, e muoiono poche ore dopo? Troppi.

 

Questo è un racconto di fantasia, e per questo mi sono permessa di andare oltre la cruda realtà. Ho scelto il finale migliore per tutti, il finale più bello sia per gli adulti che per il bambino. Ogni tanto c’è bisogno anche di serenità e di speranza, no?

 

Grazie a tutti coloro che hanno letto Pop Tart e che si sono emozionati con questi Edward e Bella. Grazie anche a chi è rimasto in silenzio, ma ha comunque apprezzato.

E grazie a Lele Cullen che approva, supporta e incoraggia le mie idee ad ogni ora del giorno e della notte.

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Capitolo 7
*** Regalo di Natale ***


Come scritto sul blog, questo extra natalizio è ambientato nel futuro rispetto alla fine della storia vera e propria. All’ultimo capitolo di Pop Tart, Edward e Bella notano che il piccolo Michael Adam ha una voglia sul tallone uguale a quella di Edward. La stessa voglia è presente anche sul piede di Anthony, il figlio perduto dei Cullen.

Nell’extra che state per leggere sono passati poco più di due anni dopo quel momento. Con non poche difficoltà, Edward ha scoperto che Carlisle ed Esme sono i suoi veri genitori e che Alice è sua sorella. Lui ha ritrovato la sua famiglia, e loro hanno ritrovato un figlio e un fratello. Edward lavora ancora nella società di Esme, ma ora è non è più un operaio. Adesso si occupa di gestire il personale, e grazie all’aiuto di sua madre dà spesso lavoro ad ex senzatetto alla ricerca di una nuova opportunità per ricominciare. Bella fa la mamma a tempo pieno, invece: si prende cura del bambino nella nuova casa – più grande rispetto all’appartamento degli inizi – ed è decisa a riprendere gli studi. La vita procede in maniera tranquilla, e sia lei che suo marito (sì, c’è stato anche un matrimonio!) vivono in maniera modesta e serena. Lontani dalla strada, circondati dall’amore della famiglia e degli amici, oltre che di quello dato loro dal piccolo di casa, si preparano a festeggiare un nuovo Natale insieme.

Ed è qui che comincia questo extra. Buona lettura.

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Pop Tart – Extra natalizio

Regalo di Natale

Edward

Quando vivi in strada, il Natale è una ricorrenza estremamente particolare. Non solo perché le persone impegnate negli acquisti tendono a lasciarti qualche spicciolo in più, e neppure perché alle mense il cibo è migliore, più caldo e più saporito. Quando vivi in strada – soprattutto a New York – il Natale è una ricorrenza particolare perché la possibilità che tu muoia diventa altissima. Rapina, freddo, percosse. A Natale, la vita dei senzatetto diventa ancora più pericolosa, più sottile, più precaria.

Quando vivevo in strada ho visto più gente morire durante i giorni di Natale che in un mese intero. Il freddo è il nemico numero uno. E’ un freddo unico, diverso da quello che senti quando sei sotto le coperte in una casa calda e aspetti che le piume d’oca ti riscaldino a dovere. Il freddo dei senzatetto è quello che ti rende immobile, morto dentro ancor prima che fuori. A nulla servono i quattro cappotti che non sono mai della tua misura. A nulla servono le bevande calde che diventano fredde non appena esci dal ricovero con il bicchiere in mano. A nulla serve l’alcool, che bevi fio a sentirti male, nella speranza che ti dia calore. Quando il sole cala, la gente termina gli acquisti e torna a casa, tu resti sul marciapiede da solo, senza la compagnia delle scarpe altrui che ti passano accanto, e non hai altro che il freddo con te. Ed è un freddo che può ucciderti.

Ma questo è il passato. Questa è la mia vita passata. La vita che ho lasciato due anni fa, quando Carlisle ed Esme hanno dato a me e a Bella l’opportunità di ricominciare a vivere. Adesso i miei giorni natalizi sono diversi: più caldi, più sereni, più felici. Il camino è acceso nella nostra casa, e su di esso spiccano le calze che qualche settimana fa Bella ed io abbiamo appeso. Il frigorifero è pieno di cibo, e nostro figlio dorme in un lettino caldo e sicuro.

Nonostante questo, non riesco a non pensare a chi vive in strada. A chi non ha nulla, se non una bottiglia o un po’ di droga. A chi non avrà nessuno al suo fianco quando le strade si svuoteranno e nelle case e nei palazzi si festeggerà.

Io e Bella non abbiamo dimenticato cosa significa vivere in un vicolo, o nella stazione della metropolitana. Non abbiamo dimenticato le volte in cui rubavamo per mangiare. Non abbiamo dimenticato le notti in cui non riuscivamo a dormire, tanto era il dolore fisico causato dal freddo.

Ma il passato è passato, ed è mio dovere guardare al futuro. Sono un padre, adesso; sono un marito. Sono un uomo che lavora e che ha delle responsabilità. Sono un figlio che sta imparando a conoscere la sua famiglia.

E il Natale fa parte della mia nuova vita.

Vorrei poter dire che sono completamente sereno, in questi giorni. Vorrei poter dire che la mia esistenza è priva di ombre, ma non posso. C’è qualcosa che non va. C’è qualcosa che mi tormenta. C’è qualcosa che, pian piano, mi sta togliendo il sonno.

Bella.

In apparenza, le cose fra di noi vanno a gonfie vele. Viviamo in una nuova casa, graziosa, con il giardino. Bella si è data da fare molto per arredarla, e non ha perso un colpo: Michael, i mobili, i pavimenti, la carta da parati. E’ una donna eccezionale, e nella nostra casa è una regina. E’ una madre attenta ma piena d’amore per nostro figlio. Lo ricopre di coccole, perfino quando lui dorme.

In apparenza, come dicevo, le cose sembrano andare nel verso giusto. In realtà, però, qualcosa non va.­ E’ iniziato tutto tre mesi fa, quando Bella ha deciso di iscriversi in palestra. In questi due anni, complici uno stile di vita diverso, la gravidanza e tanto cibo, Bella è aumentata di quasi dieci kg. Per me il suo peso non è mai stato un problema, ma lei ha sentito il bisogno di fare qualcosa. Non ho battuto ciglio quando si è iscritta, e sono stato felice con e per lei quando abbiamo visto i primi risultati. Il suo corpo è sempre stato magnifico, però mentirei se dicessi che le ore di aerobica fanno male ai suoi glutei o alle sue cosce.

Da quando ha iniziato ad allenarsi, tre volte alla settimana, qualcosa è cambiato in lei. Bella è diventata distante, silenziosa, nervosa perfino. Come se nascondesse qualcosa, come se non volesse rendermi partecipe della sua vita al di fuori della casa.

In principio mi sono detto che si trattava solo di una stupida paranoia maschile, e che Bella era la stessa persona di sempre, ma poi alcuni avvenimenti mi hanno fatto cambiare idea.

Circa due mesi fa sono tornato a casa mentre lei parlava al telefono. A differenza delle volte in cui era al telefono con Rosalie o con Alice, quella sera, quando si è accorta della mia presenza, ha riagganciato in fretta e furia, e quando le ho chiesto con chi stesse parlando mi ha detto Oh, nulla. Era solo Angela. Angela dovrebbe essere una sua amica, conosciuta in palestra. Dico dovrebbe perché in tre mesi non l’ho mai avuto il piacere di conoscerla. Neanche la volta in cui sono andato a prendere Bella alla fine di una lezione di step, pronto a stringere la mano alla fantomatica Angela. Oggi Angela non è venuta, mi ha detto. Sarà per la prossima volta. La prossima volta non è ancora arrivata.

Il mese scorso, invece, è rientrata due ore dopo la fine di una lezione. Le ho chiesto cosa fosse successo, e lei ha detto: L’istruttore ha allungato di mezzora gli esercizi e poi le docce si sono rotte. Ecco perché ho tardato. Nulla di strano nella sua spiegazione, se non fosse che le sue parole mi sono sembrate recitate, come se avesse preparato bene la scusa da rifilarmi. Non mi ha neppure guardato negli occhi, mentre lo diceva.

Pochi giorni dopo quella sera, un sabato pomeriggio, si è precipitata a rispondere al suo cellulare strappandomelo letteralmente di mano: era appoggiato su un tavolino e lei era lontana. Volevo semplicemente passarglielo, ma Bella – innervosita dal mio gesto – mi ha detto: Lascia fare a me, Edward. Rispondo io. Non volevo rispondere al suo telefono. Volevo solo passarglielo, con un gesto gentile, come ho fatto altre mille volte.

Da quel momento non ho più visto il cellulare di Bella. Lo tiene sempre con sé, nelle tasche dei jeans o nella borsa.

E poi, come se queste (e tante altre) piccolezze non fossero sufficienti a farmi avere dei dubbi, l’atteggiamento di mia moglie è cambiato anche in camera da letto. Nell’ultimo mese si è negata più volte, e l’ha fatto sempre con una scusa recitata, senza mai guardarmi negli occhi. So che può accadere che il desiderio diminuisca, e non pretendo che Bella abbia sempre voglia di me, ma non posso fare a meno di pensare che la mancanza di sesso sia un altro indizio, un altro problema.

Siamo ancora una coppia, siamo ancora marito e moglie, ma ci stiamo allontanando.

So che Bella mi nasconde qualcosa, so che la sua mente è occupata in attività di cui non so nulla. Qualcuno potrebbe dire che sono paranoico. Qualcuno potrebbe pensare che sono soltanto un marito geloso che non sopporta l’idea che sua moglie vada in palestra. No, non è questo. Conosco Bella da un bel po’ di tempo: so che mi ha mentito nel giustificare i ritardi. So che non è con Angela che parla al telefono quando io sono fuori casa. So che la distrazione delle ultime settimane non può essere causata solamente dai preparativi per il Natale, come lei dice.

E’ per questo che ho deciso di seguirla. Ebbene sì, sto seguendo mia moglie, la donna di cui dovrei fidarmi ciecamente, la donna con cui dovrei parlare di ciò che mi angoscia. Mi sono preso un pomeriggio di vacanza dall’ufficio, e l’ho seguita alla palestra.

Bella esce puntuale dalla porta della sala attrezzi. Non può notarmi: sono nella mia auto, nascosto completamente da un cassonetto. E’ da sola, Angela non c’è. Neppure questa volta.

Ha davvero inventato l’esistenza di un’amica? Perché lo avrebbe fatto? Per coprire l’esistenza di qualcun altro? Di un uomo, magari? Sto cercando di non far andare la mente in quella direzione, ma non ce la faccio, è più forte di me.

Bella e un uomo. Bella e un altro uomo. Conosciuto in palestra, che la chiama a casa quando io non ci sono, con il quale si incontra quando fa tardi. Bella e un amante. E’ possibile?

Dio, fa che non sia possibile. Ti prego.

Abbiamo un figlio, siamo felici. Siamo felici, vero? Riesco sempre a darle ciò di cui ha bisogno, vero? Perché dovrebbe avere un amante? Non è più soddisfatta di me, di noi?

La guardo salire nella sua auto, avvolta dall’abbigliamento sportivo e dal cappotto pesante. Metto in moto poco dopo di lei e inizio a seguirla.

Non percorre il tragitto che dovrebbe portarla a casa. Prende la strada della periferia. Conosco bene questo posto, è il posto in cui abbiamo vissuto insieme quando non avevamo nulla. La seguo in uno dei vicoli più poveri, rimanendo a debita distanza dalla sua auto. Perché sei qui, Bella? Ci vieni spesso? Che cosa stai facendo?

Parcheggia la sua auto di fronte ad un negozio di fiori. Scende e entra nel palazzo, una vecchia struttura meno fatiscente di quelle che la circondano. Non si guarda attorno, e non sembra spaesata. Non conosce solo il quartiere: conosce qualcuno nel palazzo. Chi vive lì? Perché mia moglie non mi ha mai detto che viene qui?

Parcheggio anch’io, sempre a distanza di sicurezza dalla sua vettura, e spengo il motore. Posso solo aspettare, mi dico. Aspettare e pensare.

Penso che sto seguendo mia moglie come il peggiore dei mariti. Penso che ho paura. Penso che non voglio perderla e che temo che invece stia accadendo proprio questo. Gli indizi ci sono tutti, maledizione. La sua improvvisa freddezza, la sua lontananza. Le telefonate, i ritardi immotivati. Angela. L’atteggiamento di chi nasconde qualcosa.

I minuti passano, il sole tramonta dietro i palazzi della periferia di New York. In questo quartiere ci siamo innamorati. In questi vicoli ci siamo conosciuti, amati, difesi, protetti. Proprio qui, io, Bella e il mio amico Adam abbiamo lottato contro il freddo e contro i ladri. Contro la fame e contro l’astinenza. Siamo cresciuti, siamo diventati forti, siamo anche stati felici.

E’ buffo che sia proprio qui che adesso io mi chieda se il nostro amore è alla fine. E’ buffo, e fa tanto male.

Soprattutto quando, un’ora dopo il suo arrivo, Bella esce dal portone accompagnata da un uomo. E’ alto, ha i capelli neri pettinati indietro con il gel e il viso torvo di chi ne ha viste parecchie. Indossa un giubbotto di pelle nera e ha le mani in tasca. Vederlo al fianco di Bella è come un pugno nello stomaco. No, più di un pugno nello stomaco. E’ qualcosa di più doloroso, di più forte. E’ l’aria che va via dai polmoni, è il corpo che diventa fuoco e cenere.

Bella si ferma accanto alla sua auto, lui le apre lo sportello. Le dice qualcosa e lei annuisce, sorridendo. Sembra serena. E’ serena. Come se ciò che lui le ha detto l’abbia messa di buonumore.

Poi, prima di salire in macchina, Bella lo abbraccia. Appoggia la testa sul suo petto, chiude gli occhi, e gli cinge la vita con le braccia. Lui risponde al gesto con un braccio solo, mentre con l’altro tiene ancora aperto lo sportello. Si salutano. Bella entra in macchina e mette in moto. Lo saluta di nuovo, sorridendo, mentre lui si allontana e la guarda andare via.

La mia paura era fondata. Bella mi nasconde davvero qualcosa: il suo amante.

 

***

 

Nei giorni che seguono, vivo e mi comporto come un robot. Mi alzo, vado a lavoro, torno a casa. Mangio, bevo, dormo. Gioco con Michael, parlo con i miei genitori e con mia sorella, parlo perfino con mia moglie. Le parlo, ma non riesco più a guardarla negli occhi. Se lo facessi, rivedrei quell’abbraccio, rivivrei il dolore di quel momento. Il momento in cui l’ho vista con un altro uomo.

Non le ho detto nulla, dopo aver scoperto che ha un amante. Non l’ho confrontata, non le ho chiesto il perché del suo nuovo ritardo, non le ho neppure domandato com’è andata in palestra.

Vivo in un perenne stato di shock, e non so se sarò mai in grado di venirne fuori. Mio figlio è l’unica persona in grado di strapparmi un sorriso. Come ora, mentre gattona verso di me sul tappeto colorato che si trova al centro della sua cameretta. Si butta fra le mie braccia ridendo, e chiude le sue attorno al mio collo.

“Papà!” dice con la voce festosa. “Papà! Papà!”

Lo stringo al mio petto e cerco di trovare in lui la forza per pensare, per ragionare. Perché la verità è che, nonostante cerchi di rimanere tranquillo, dentro di me si agita un fuoco infinito, che non mi permette di essere concentrato.

Dov’è che ho sbagliato? Cosa ho fatto di male? L’ho trascurata per dedicarmi al lavoro? Sono stato meno attento, meno amorevole? Si è stancata di me, della nostra nuova vita? In questi due anni, Bella ha sempre accolto con gioia i cambiamenti che hanno riguardato me, soprattutto quelli relativi alla mia famiglia. Ha pianto di gioia quando l’esame del DNA ha confermato il fatto che sono Anthony Cullen. Lei e Alice sono come due sorelle, e Esme è una madre anche per lei oltre che per me. Che cosa è successo, allora, per farle desiderare un altro uomo? Perché? Che cosa devo fare, adesso? Affrontarla? Dirle che l’ho seguita e che ho scoperto il suo segreto? Immagino i litigi, immagino le sue lacrime, immagino di perderla per sempre, e la paura mi pietrifica, mi rende inerme.

Non so immaginare la mia vita senza Bella. Non so immaginarmi senza di lei. Assieme a Michael, lei è tutto il mio mondo. Non voglio perderla.

“Edward? Ehi, Edward!” Bella mi riporta al presente, appoggiando una mano sulla mia spalla. E’ in piedi, dietro di me. Mi sorride, e il suo gesto è un nuovo pugno allo stomaco, poiché la serenità che leggo nei suoi occhi sembra quasi sincera, priva di segreti.

Sembra felice di vedermi, di sorridermi.

“Che ne dici di metterlo a letto?” domanda, inginocchiandosi sul tappeto per prendere Michael dalle mie braccia. Il bambino indossa già il suo pigiama, natalizio come le lenzuola e le coperte che io e sua madre abbiamo scelto per il lettino. Bella rimane in ginocchio al mio fianco. Regge Michael con una mano, mentre con l’altra gli sistema la maglia e i pantaloni. “Edward, stai bene?” chiede. “Sei pallido…”

“S-Sì,” rispondo, guardando a terra. “Sto bene.” Mi avvicino a Michael, gli do un bacio sulla fronte. Gli accarezzo i capelli, rossicci come i miei. “Buonanotte, amore. Sogni d’oro.” Quando mi alzo in piedi, incrocio gli occhi con quelli di Bella. Non riesco a dirle nulla.

Sono già a letto quando lei esce dal bagno per infilarsi sotto le coperte. “Edward, sei sicuro di stare bene?” chiede quando è al mio fianco. Spegne l’unica luce presente in camera, quella della lampada sul suo comodino, e fa una cosa che ha sempre fatto,  anche quando vivevamo in strada: cerca la mia mano. E’ un gesto automatico il suo, e l’ho sempre adorato. Si addormenta così, Bella: con la mano nella mia. Lo ha fatto anche in questi mesi e, a pensarci bene, questa è stata l’unica cosa che non è cambiata fra di noi, ma adesso darle la mano mi sembra una presa in giro. Come può cercare la mia mano e poi incontrarsi di nascosto con un uomo che non sono io? Lo ama? Ama sia me che lui?

“Sì,” rispondo alla sua domanda. “Sono solo un po’ stanco.” Stringo la sua mano senza pensarci, come ho sempre fatto. Quando vivevamo nella stazione della metropolitana e dormivamo sulle coperte e sui cartoni. Quando rubavamo per drogarci. Quando eravamo nel nostro piccolo appartamento di Brooklyn. Ci siamo sempre addormentati così, mano nella mano.

“Bella, sei felice?” Le parole sono più veloci della mia testa: non riesco a fermarle.

“Che domande fai,” dice lei, girandosi, al buio, verso di me. “Certo che sono felice. Perché me lo chiedi? A cosa pensi?”

Penso che non voglio che il nostro matrimonio finisca. Penso che quando ti ho visto con quell’uomo sono morto dentro, e quello che ora è vicino a te è solo un fantasma. Te ne accorgi, Bella? Te ne accorgi che sono un fantasma?

“Non penso a niente,” rispondo, portando le nostre mani sul petto.

Bella si avvicina a me, appoggiando la testa sulla mia spalla. “Sei sicuro che vada tutto bene, Edward? Se c’è qualcosa di cui vuoi par…”

“No, non c’è nulla. Va tutto bene,” ripeto di nuovo, stringendo le sue dita. “Sono solo stanco.”

“Quello di domani sarà l’ultimo giorno di lavoro,” dice, strusciando i piedi sui miei. “Potrai riposare fino all’anno nuovo,” aggiunge con un sospiro. “Ti preparerò tutte le cose che ti piacciono di più, e passerai il tempo a leggere, guardare la tv e giocare con Mickey.” Si avvicina fino a darmi un bacio sulla guancia. “Grazie per tutto quello che fai per noi, Edward. Sei un padre meraviglioso, e un marito unico.”

Sembra sincera. Come fa? Come fa a parlarmi come se le pensasse davvero, quelle cose? Come fai, Bella?

“Dici sul serio?” sussurro.

“Certo che sì! Sono una donna molto fortunata,” dice ridendo. “Angela mi invidia da morire. Il suo Ben non le dà neppure la metà delle attenzioni che tu dai a me.”

Angela. Perché la nomina? Perché continua a fingere che la sua amica esista?

“Sarà meglio che mi metta a dormire,” dico fra i denti, senza commentare la sua battuta. “La sveglia suonerà presto.”

“D’accordo,” dice lei. “Buonanotte, Edward. Sogni d’oro.”

Rimane al mio fianco, non si allontana. La mano nella mia, come ogni notte.

“Buonanotte, Bella,” dico quando sento il suo respiro farsi pesante. “Ti amo.”

 

***

 

Il giorno di Natale, la nostra casa è piena di gente. Oltre ai miei genitori e a mia sorella, Emmett, Rosalie e Jasper sono con noi. In questi due anni le cose sono migliorate anche per i nostri tre amici e adesso tutti hanno un lavoro e una casa. Sebbene entrambi neghino e fingano di essere soltanto amici, credo che Alice e Jasper si frequentino più di quanto lascino intendere. Alla presenza di Carlisle ed Esme, però, Jasper è un perfetto gentiluomo: educato, sorridente, affettuoso come un semplice amico.

Michael Adam è la vera e propria attrazione della giornata. Indossa un completo di ciniglia rosso, regalo dei nonni, e un cappellino da elfo verde e bianco, regalo di Alice. Sorride a tutti e passa dalle braccia di mio padre a quelle di Rosalie a quelle di Emmett senza battere ciglio.

Bella si dà da fare in cucina, invece, e fra di noi, è l’unica a sembrare ad un funerale invece che ad un pranzo natalizio. Questa mattina, pensando che non la vedessi, ha controllato più volte il telefono nella speranza, forse, di ricevere una chiamata o un messaggio. Ha indossato una tuta per iniziare a cucinare ed è stata di poche parole, almeno fino all’arrivo dei nostri amici.

Si è comportata come se non esistessi, evitando di guardarmi negli occhi quando (che stupido!) le ho chiesto se stesse bene. Ha detto: Sì, sto bene. Non preoccuparti, ho solo un forte mal di testa. Ha continuato a controllare il telefono per tutta la mattinata, e ad un tratto si è perfino chiusa in bagno con esso.

In quel momento il dolore si è trasformato in rabbia: è triste perché il suo amante non le ha fatto gli auguri? Sente la sua mancanza e odia essere costretta qui con me, con la mia famiglia? Mentre mi facevo queste domande, la rabbia è scemata ed è apparso lo smarrimento, la paura. E poi, il bisogno di mettere fine a tutto questo, di confrontarla, di chiederle una spiegazione.

Ho bisogno di conoscere la verità, ho bisogno di sapere se e perché il nostro matrimonio è davvero finito. Non oggi, non adesso. Dopo pranzo, quando tutti andranno via. Quando nostro figlio sarà a letto. Quando ci guarderemo negli occhi.

 

***

 

Manca poco all’inizio del pranzo, quando il telefono di Bella prende a squillare. Lei è in cucina, intenta a cucinare, ma risponde subito. Attraversa il salotto per andare in camera da letto, e tutti sono presi da Michael che cerca di dire Babbo Natale per rendersene conto. Tutti, tranne me.

La porta della stanza resta aperta quel tanto che basta per sentirla dire: Fra venti minuti al solito posto, sì. Non vedo l’ora. Aspettami. Arrivo subito.

Felicità e sollievo, ecco cosa c’è nella sua voce.

Sta per incontrarlo. Sta per andare da lui, da quell’uomo. Sta per lasciare la sua casa, la sua famiglia, me, per andare dal suo amante.

No. Non posso permetterlo. No.

Entro in camera da letto spalancando la porta e chiudendomela alle spalle con un solo movimento. Bella salta in aria, sorpresa nel vedermi. “Edward, cosa…”

“Chi era?” chiedo, indicando il telefono. “Con chi stavi parlando?”

“Io? Umh…” Le sue guance sono rosse. “Era Angela. Sì, era Angela.”

“Bella.” Scuoto la testa, cercando di respirare profondamente. Sento la rabbia ritornare, sento la rabbia e la frustrazione unirsi in una palla incandescente nel mio petto. “Devi uscire?” chiedo. “Ti ho sentita dire che…”

“Edward…” E’ in difficoltà. Me lo dicono i suoi occhi, il suo tono di voce. Si mordicchia il labbro inferiore prima di continuare. “Adesso non posso parlarne, ma ti prometto che più tardi ti spiegherò tutto. Adesso sarà meglio che vada,” aggiunge, guardando l’orologio. “Devo proprio andare, Edward, non posso… Non posso spiegarti in questo momento.”

Mi passa accanto rapidamente, afferrando la borsa e il cappotto da una sedia. Dice qualcosa a mia madre, probabilmente una scusa per allontanarsi. La sento mentre saluta Michael, dicendogli di fare il bravo. La sento chiudere la porta e mettere in moto l’auto.

E’ davvero così che deve andare? Sono davvero destinato a perderla in questo modo? Vedendola preferire un estraneo alla sua famiglia? Rimanendo immobile ad ascoltarla mentre dice bugie? Rinunciando a lottare?

No. Non posso. Non posso arrendermi così. Non posso perderla senza aver lottato, senza aver sentito tutta la verità dalle sue labbra.

Mi precipito fuori casa cinque minuti dopo la sua partenza, evitando di rispondere alle domande dei miei genitori. Bella ha un certo vantaggio, ma stavolta so dove andare, so dove cercarla. E infatti, quando raggiungo il vicolo di periferia, vedo la sua auto parcheggiata nello stesso punto dell’altra volta. Lei è lì, davanti al negozio di fiori, stavolta chiuso, con lui. Parlano e sorridono, vicini, intimi.

Non si accorgono di me, se non quando inchiodo sull’asfalto ed esco dalla macchina.

A guidarmi, non più la paura e l’insicurezza. A guidarmi, ora, c’è solo la furia.

“E’ così, eh? E’ così che deve finire?” Il sangue ribolle nelle vene. Lo sento perfino negli occhi, perfino nelle punte delle dita. “Perché?” grido, camminando verso di lei. “Che cosa ho fatto, Bella? Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”

Bella impallidisce quando mi vede. “Edward. Che cosa ci fai qui…”

“Rispondimi,” dico, affannato come se avessi corso per mille isolati. “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”

“Bella, che diavolo succede?” E’ lui a parlare. Mi guarda come se venissi da Marte. “Ehi, amico. Ci sono dei problemi? Perché non ti dai una calmata, mi sembri…”

“Lasciami in pace,” sibilo, scrollando di dosso la mano che mi ha messo sulla spalla. “Sparisci,” aggiungo, guardandolo negli occhi. “Sparisci,” ripeto. “Questo riguarda me e mia moglie. Tu devi sparire.”

“Edward, tesoro, calmati.” Bella mi guarda con gli occhi sgranati, e sembra sinceramente spaventata. “Come hai fatto a trovarmi? Come hai scoperto che sarei venuta qui?” chiede.

“Ti ho seguita,” dico, decidendomi a vuotare il sacco. “E non è la prima volta. L’ho già fatto, più o meno una settimana fa. Ti ho vista qui, con lui,” dico, lanciando un altro sguardo all’uomo. Sa che sono pochi i secondi che lo separano dal finire spiaccicato sul muro come una mosca? Sa che la sua presenza su questo pianeta mi disturba, mi irrita, mi impedisce di respirare come si deve?

“Perché, Bella? Perché le bugie, perché i segreti? Perché…” Mi avvicino a lei fino a sussurrare la nuova domanda. “Perché mi tradisci? Perché? Eh, Bella? Perché?”

Bella, se possibile, allarga ancora di più gli occhi. “Tradisci?” domanda ad alta voce. “Pensi che ti abbia tradito? Pensi che io e Aro… Edward… pensi che io ti abbia tradito?”

L’uomo, Aro, dice qualcosa in una lingua che non conosco. E ride. Ride di gusto.

“Edward, non è come pensi!” esclama Bella. “Come puoi pensare… come puoi pensare che io…” Scuote il capo, si passa una mano sul viso. “Non è così,” dice. “Amore. Amore mio.” Si avvicina a me, appoggia la mano sulla mia guancia. “Dio, Edward. Come hai potuto pensare che ti stessi tradendo? Non lo sai quanto ti amo? Non lo sai?”

Il calore della sua pelle riesce a calmarmi, stranamente. “Ti ho vista,” dico, tremando. “Sono venuto qui, tu eri con lui.” Sollevo il braccio per indicare Aro, ma mi sento immobile, ferito a morte. “Lo hai… lo hai abbracciato. Perché? Che cosa hai fatto? Dimmi la verità, Bella. Ti prego.”

Bella sorride, e mi mostra due occhi pieni di lacrime. Solleva la mano libera e in essa vedo un fagotto di tessuto. “E’ questa la verità,” dice, scoprendo l’oggetto nascosto dalla stoffa. “E’ il tuo regalo, Edward. Il tuo regalo di Natale.”

“Pensavi davvero che ti stesse tradendo con me, ragazzo?” Aro, al suo fianco, ride come se questa fosse la cosa più divertente del mondo. “Tua moglie potrebbe essere mia figlia, e mia moglie mi farebbe a fette se solo pensasse che vado in giro a fare il furfante con un’altra donna.” Mi picchietta un dito sulla fronte. “Cerca di usare il cervello, la prossima volta. Ok?”

Che sta dicendo? Non è il suo amante? Il mio regalo? Che cosa sta succedendo?

“Aro mi ha aiutata a ritrovarlo, Edward. Il tuo orologio. Il tuo vecchio orologio.” Bella mi mostra il palmo della mano, e in esso c’è il mio regalo di Natale. L’orologio che il mio amico Adam mi ha regalato due giorni prima di morire.  

“Ma… questo è… Tu hai… Tu lo hai ritrovato?”

“Non io,” dice lei. “Aro. E’ stato lui. E’ stato lui a ritrovarlo.”

“Ma come… Come hai fatto?” chiedo, direttamente a lui. “Mi è stato rubato. Pensavo di… Pensavo di averlo perso durante una rapina. Ricordi,” dico a Bella. “Quella notte, quando ci hanno lasciato senza nulla? Eravamo proprio… Eravamo lì,” dico, indicando la fine del vicolo. “Come hai fatto a ritrovarlo?”

Aro sorride e scuote la testa. “Un mago non svela mai i propri trucchi,” dice. “Non è stato semplice, ma la tua Bella è una donna testarda. E’ stata lei a motivarmi nella ricerca. Mi ha detto che si trattava di un oggetto importante, speciale. Il tuo regalo di Natale.”

I miei occhi ballano da Aro a Bella, e ad un tratto mi chiedo come ho fatto a pensare che fra di loro potesse esserci qualcosa. “Vi siete abbracciati,” dico senza pensarci. “Vi ho visti, la scorsa settimana. Vi stavate abbracciando.”

“E hai pensato che ti stessi tradendo?” chiede Bella. “No, Edward, no! Non è così! Sapevo quanto fosse importante quell’orologio per te, sapevo che ti avrei fatto felice con questo regalo. E in questi mesi le ricerche sono sempre andate male, tanto che perfino Aro aveva perso le speranze di venirne a capo. Quello che hai visto è stato un abbraccio affettuoso, un abbraccio fra due persone che si stavano dando coraggio. Non c’è nulla fra di noi, te lo giuro. Aro, diglielo anche tu!”

“Lo giuro sulla tomba di mia madre, che Dio l’abbia in gloria,” dice lui immediatamente, facendosi il segno della croce. “La tua Bella è venuta a trovarmi spesso in questi tre mesi, è diventata una di casa. Una cliente speciale, mettiamola così,” dice con un sorriso. “Ma la storia finisce qui. E se ora non vi dispiace,” aggiunge con un forte accento italiano, “ho diciotto persone che mi aspettano a tavola per iniziare a mangiare.” Mi dà uno schiaffetto sulla guancia. “Goditi il tuo regalo, Edward. E cerca di non far arrabbiare Bella. Fra i miei talenti non c’è solo quello di ritrovare merce rubata, ok?”

Non mi dà il tempo di rispondere, parlare, pensare, e sparisce nel palazzo in cui la sua famiglia lo attende.

Bella mi prende per mano. “Edward. Edward, amore. Guardami.” Ho ancora il cuore in gola, ma mi giro verso di lei. “Come hai potuto pensare che avessi un amante? E’ per questo che eri così turbato nelle ultime settimane? Pensavi che io…” Mi sorride, ma gli occhi sono ancora colmi di lacrime.

“Non sapevo cosa stesse accadendo,” sussurro. “Sei cambiata, Bella. Sei diventata fredda nei miei confronti, e poi le telefonate strane, i ritardi. Ti ho seguita e ti ho vista qui con lui… Bella, ho pensato di morire.” Senza pensarci due volte l’attiro a me per abbracciarla, per stringerla con tutta la forza che posseggo. Lei risponde con una stretta altrettanto forte, altrettanto piena d’amore.

E in quel momento mi rendo conto che lei e Aro mi hanno detto la verità, e che la mia è stata davvero una stupida paranoia.

“L’idea mi è venuta quando ho iniziato ad andare in palestra,” dice Bella quando si scosta da me. “Angela mi ha raccontato del regalo che pensava di fare a Ben per il suo compleanno, e…”

“Aspetta un momento. Quindi Angela esiste davvero? Non te la sei inventata?”

“No, Edward! Certo che esiste! Perché avrei dovuto inventarla?!”

Rispondere è quasi umiliante. “Pensavo che… Pensavo che l’avessi inventata per coprire… per coprire la tua nuova storia. Non l’ho mai vista, Bella, non sapevo che pensare.”

“Non l’hai mai vista perché ha tre gemelli a cui badare, Edward, e spesso è talmente impegnata che non riesce neppure a ritagliarsi un’ora per la palestra.” Inclina la testa sulla spalla, guardandomi come se fossi un cagnolino smarrito. “La conoscerai oggi pomeriggio,” dice. “L’ho convinta ad unirsi a noi, visto che lei e Ben sono rimasti in città per il Natale. Ho pensato che i suoi bambini potessero diventare compagni di giochi di Mickey. Te l’ho detto due giorni fa, non ricordi?”

“Io… no,” rispondo. “Devo averlo dimenticato… Bella, questi giorni, queste settimane… Ero convinto di averti persa, capisci? Ero convinto che il nostro matrimonio…”

“Non mi perderai mai, tesoro,” dice lei, accarezzandomi la guancia. “E mi dispiace se in questi mesi ti ho dato l’impressione di essere lontana, di nascondere qualcosa. In realtà nascondevo due cose,” dice sorridendo. “Aro. Sapevo che lui avrebbe potuto aiutarmi a ritrovare l’orologio rubato, ne ero certa. E sapevo che sarebbe stato il regalo perfetto per te. Allora l’ho contattato, e ho cercato di ricostruire con lui quella notte, quella rapina. Il quartiere non è dei più sicuri, lo sai anche tu, ma lui ha occhi e orecchie ovunque, e ha ricordato subito quel furto. Gli ho descritto l’orologio, e lui ha iniziato le ricerche. Quando pensava di averlo ritrovato, mi telefonava per descrivermi il pezzo che aveva fra le mani, ed è per questo che mi allontanavo da te in quei momenti: non volevo che sapessi. E la scorsa settimana, quando mancava così poco a Natale, mi ha detto che nessuno dei suoi contatti era riuscito a ritrovare l’orologio. Ero triste, sconsolata. E’ per quello che l’ho abbracciato, Edward. Perché è vero quando dice che in questi mesi sono diventata di casa, per lui. Gli ho raccontato di noi, del nostro bambino. Gli ho raccontato di Adam, e di quanto fosse importante per te quell’orologio. Non era più un semplice affare per lui, non era più un lavoro. Anche Aro voleva renderti felice.”

“Ma poi… poi l’ha ritrovato,” dico, guardando fra le sue mani.

“Sì,” risponde lei, con un sorriso. “Mi ha chiamato non appena glielo hanno riportato, e mi ha detto di venirlo a prendere. Vedi, è quello di Adam,” dice, mostrandomi il cinturino di pelle ormai rovinata. “C’è la stessa croce che lui aveva inciso con il chiodo. E’ il suo. E’ il tuo.”

Durante quella rapina, dovetti scegliere fra proteggere Bella e proteggere i nostri pochi averi. Perdemmo le coperte, le bottiglie, i sacchi a pelo, i vestiti che facevano parte del nostro armadio ambulante. Persi l’orologio di Adam, l’ultimo legame con il mio migliore amico.

“Come ha fatto a ritrovarlo? Quanto ti è costato? Bella, questo Aro…”

Lei scuote subito il capo. “Non devi preoccuparti,” dice. “Aro non è un santo, non ti dirò il contrario, ma ha mantenuto fede al nostro patto. Mi ha aiutata a ritrovare l’orologio, ed è stato un gentiluomo. Serio e preciso, mai sopra le righe, mai approfittatore.”

“Quindi… è per questo che stamattina eri silenziosa? Lontana?”

Annuisce. “Ero così contenta all’idea di poterti restituire quello che ti era stato tolto, che non ho mai pensato all’eventualità di non ritrovarlo… Non ti ho neppure comprato un altro regalo!” esclama, “e questa mattina ero così triste, così rammaricata… ma poi Aro ha telefonato…”

“Dove lo ha trovato?” chiedo. “A chi apparteneva adesso?”

“Non lo so,” risponde. “Stava per raccontarmi tutto quando tu sei arrivato.” Si avvicina e appoggia una mano sul mio petto, coperto dal cappotto di lana. “Come hai potuto pensare che ti stessi tradendo?” dice a voce bassa. “Tu sei la mia vita, Edward. Con questo regalo ho cercato di ripagarti per tutto ciò che tu dai a me e a nostro figlio. Non potrei mai fare a meno di te, mai. Perché hai dubitato di me, tesoro? Sono stata davvero così assente, così distante?”

“Un po’,” sussurro, vergognandomi di nuovo. “Non so cosa mi è preso, Bella. Probabilmente sono diventato geloso, insicuro. Forse può sembrarti una sciocchezza, ma prima… prima, quando vivevamo qui,” dico, indicando il vicolo, “certe cose erano più semplici. Eravamo noi due, eravamo soli. Non avevo paura di perderti. Ora è come se… abbiamo tante cose, tanto benessere, tante nuove opportunità. Ho pensato che io… che non fossi più abbastanza, per te. Ho pensato che magari… che magari stavo sbagliando qualcosa. Non…”

“Non pensarlo mai,” mi interrompe. “Mai più. Tu sei tutto ciò di cui ho bisogno per sentirmi appagata e felice, Edward. Ti amavo quando vivevamo sotto terra, come topi, e ti amo ora, che abbiamo una camera da letto e un giardino pieno di fiori. Ti amerò sempre, ovunque saremo. Non dubitare mai del mio amore, mai.”

Mi trovo ad annuire senza sapere come. Le sue parole, le parole di mia moglie, riescono sempre a darmi forza e coraggio.

“Mi dispiace per aver dubitato,” mormoro. Prendo il suo viso fra le mani, e al freddo della nostra vecchia casa ne bacio le guance, gli zigomi, il mento, e infine le labbra. Con dolcezza, con riverenza, e per la prima volta da troppo tempo mi lascio andare alla mia Bella, alla donna che non ha mai smesso di amarmi. “Grazie per aver ritrovato l’orologio,” le dico guardandola poi negli occhi. “Grazie per tutto l’amore che mi dai. Non pensare mai di dovermi ripagare per ciò che faccio per te e per Mickey: voi siete la mia famiglia, Bella. Andrei all’inferno per voi.” Le do un altro bacio, stavolta più profondo.

“Voglio continuare a parlarne,” dice lei, “ma credo sia ora di tornare a casa. La nostra famiglia si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.”

“Hai ragione,” rispondo, guardandola infilare l’orologio in borsa.

“Ho preso un pacchetto,” dice con un sorriso. “Voglio fare le cose perbene. Ripulirlo e incartarlo.”

L’attiro a me di nuovo, le do un altro bacio. “Ti amo, Bella. Ti amo tanto.”

I suoi occhi si riempiono di lacrime. “Ti amo anch’io.”

 

***

 

La sera stessa, dopo un ricco pranzo e un pomeriggio divertente con Angela, Ben e i tre bambini più indemoniati del mondo, Bella ed io ci ritroviamo sotto le coperte. Il mio vecchio orologio, rovinato dal tempo ma ancora funzionante, è sul mio comodino.

Non mi vergogno a dire che ho pianto quando l’ho indossato. Ho pensato al mio amico, ho pensato ai giorni passati dormendo per strada. Ho pensato ai sogni di una vita diversa, sogni che si sono realizzati come nella più bella delle favole. Ho pensato alla fortuna che possiedo nell’avere una moglie ed un figlio che mi amano, che mi proteggono e che sono sempre pronti a rendermi felice, a farmi sorridere. Ho pensato a questo Natale, magico e perfetto sotto ogni aspetto, nonostante le mie paure e le mie insicurezze.

La mano di Bella si chiude come sempre nella mia, ma stasera è lei a portarle entrambe sul suo cuore. Rimaniamo in silenzio per un po’, fino a che non ricordo le sue parole di questa mattina.

“Hai detto che avevi due segreti,” dico, al buio della camera da letto. “Mentre eravamo in quel vicolo,” chiarisco. “Hai detto che nascondevi due cose. Una era Aro, l’altra?”

Siamo al buio, ma riesco ad avvertire il suo sorriso. “Finalmente te ne sei ricordato,” dice.

“Di cosa si tratta?” chiedo.

“Mi dispiace per aver… per averti rifiutato nelle ultime settimane,” dice a bassa voce. “Ma non… Non ero sicura di poter…”

Giro la testa verso di lei. “Che c’è, Bella? Di cosa si tratta?”

Dal cuore, Bella spinge le nostre mani verso il basso, verso il suo ventre. “Aspetto un bambino,” sussurra. “Aspettiamo un bambino.”

***

Che siate da soli o in compagnia, vicini o lontani dai vostri cari, sereni o tristi, mi auguro che questi giorni di festa siano per tutti tranquilli e pieni di piccole-grandi gioie: cibo, film, musica, coccole, libri, passeggiate, regali. Buon Natale a tutti o, se non lo festeggiate, buon Qualsiasi Cosa Festeggiate.

 

 

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