Fall into the Sky

di Vyvyan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wycombe Square ***
Capitolo 2: *** What do I do with a boy like you? ***



Capitolo 1
*** Wycombe Square ***


Fall into the Sky

 

Christopher sospirò profondamente e una nuvoletta di vapore condensato uscì dalle sue labbra.
Si trovava di fronte al portone di uno dei tanti palazzi in Wycombe Square e, inutile negarlo, si sentiva euforico come una ragazzina al suo primo appuntamento. Quale fosse il motivo era presto detto: a soli sei piani di distanza da dove aveva i piedi fissati in quel momento, lo aspettava un appartamento completamente ed esclusivamente per sé.
Il ragazzo non indugiò oltre; spinse il pomello in ottone dell'ingresso ed entrò nella palazzina beige che, da quel momento, poteva chiamare casa sua. Nell’androne vide distrattamente il portiere seduto in una stanzetta vetrata, ma i suoi occhi vagavano con più interesse alla ricerca dell’ascensore. Appena lo ebbe visto, costatò felicemente che era libero. Vi si fiondò dentro con poca grazia, molto poca in effetti, e cliccò il pulsante sei ansioso. Passarono alcuni secondi, troppi pensò Christopher, e uno scampanellio meccanico annunciò l'arrivo al tanto atteso sesto piano.
Nel pianerottolo rettangolare, il cui pavimento era rivestito da una moquette beige, c'erano due appartamenti. Si avvicinò al campanello di destra esitante e lesse sulla targhetta bianca il cognome "Ellis".
Bene, quindi per esclusione doveva essere l'altro.
Christopher si concesse un secondo per ammirare la porta in legno del suo appartamento. Poi, decidendo di mettere fine a quell'attesa che lui stesso stava prolungando inutilmente, prese le chiavi dalla tracolla che portava in spalla e le fece girare tre volte nella toppa della serratura.
Rimase esterrefatto per un attimo. Le pareti bianche ed essenziali, i divani in pelle nere, il tavolo in vetro e l'enorme televisione a muro. Era tutto esattamente come sperava che fosse. Corse verso la sua camera, salendo una piccola rampa di scale e ritrovandosi in un corridoio stretto e lungo, e non appena vi arrivò, gli venne quasi da piangere per la felicità. Era anche meglio, si ritrovò a pensare il ragazzo, poggiando la schiena sullo stipite della porta aperta per avere una visione più generale.
Un enorme letto matrimoniale con coperte blu notte e tanti cuscini sparsi sopra era al centro della stanza e sulla scrivania in legno chiaro si trovava un computer con il modem. Due finestre a lucernario davano sull'interno del complesso residenziale e formavano con il muro una piccola nicchia su cui, eventualmente, ci si poteva appoggiare.
Con una certa felicità sprofondò sul morbido materasso e socchiuse gli occhi, beandosi di quella sensazione di sofficità.
Ancora non poteva crederci, che quell'appartamento fosse suo. Doveva ringraziare sua zia Cheryl per tutto quello che aveva davanti agli occhi. Era stata lei, infatti, a trovare a Christopher una casa così bella.
Cheryl era un'agente immobiliare e aveva un fiuto per gli affari simile a quello di un mastino per la sua preda. Anche lei viveva in Wycombe Square, esattamente nel palazzo dirimpetto a quello di suo nipote. La donna aveva detto che era stato un caso quello di avergli scovato un'abitazione proprio di fronte alla sua, e Christopher aveva fatto finta di crederci. Solo finta, però. Lui, infatti, rimaneva dell'idea che sua zia l'avesse fatto di proposito per controllarlo; magari saltando nel suo appartamento alle ore più disparate per vedere cosa stesse combinando di bello. O di brutto, nel caso avesse fatto qualche casino.
In fondo, Cheryl non aveva tutti i torti a voler sorvegliare suo nipote. Christopher era un diciassettenne e viveva da solo senza nessuna protezione. E si sa, nell'età dei grandi cambiamenti se ne fanno di disastri, specialmente con una casa libera a disposizione.
Il ragazzo digitò sulla tastiera del cellulare il numero di sua zia -lo sapeva a memoria, date le innumerevoli volte che l'aveva chiamata per sapere come procedevano i lavori di casa sua- e attese pazientemente che la voce allegra di Cheryl facesse capolino dall'altra parte del telefono.
«Fammi indovinare, è il mio nipotino estasiato dalla sua nuova casa che vuole ringraziarmi?»
Christopher rise e con un cenno del capo che la donna non poteva vedere, mimò un sì.
«Grazie mille, miliardi, zia! Voglio dire, i mobili, i colori! Sono proprio come li volevo! Ti ho già detto che ti adoro?» Domandò contento, sperando di aver dato a Cheryl una risposta di senso compiuto. Nella sua testa vorticavano, infatti, centinaia di grazie e di "è perfetta" che si univano l'uno all'altro in una frase senza fine. La donna scoppiò a ridere, con quel suo modo un po' buffo per cui Christopher la prendeva sempre in giro.
«Quindi devo dedurre che ti sia piaciuta! Sono proprio soddisfatta, anche se detto fra noi non avevo dubbi. Tua zia ha un occhio particolare per l'arredamento.»
«Sì, va bene. Adesso tiratela pure quanto vuoi, per oggi te lo meriti.»
Per dieci minuti buoni la donna non fece altro che raccontare di come, appena vista la casa, avesse pensato a suo nipote o di quando aveva trovato quel tavolino in vetro che gli era parso perfetto con l'arredamento che aveva in mente. Christopher la stette ad ascoltare interessato e fu felice di sapere che gli oggetti che vedeva avessero tutti una storia un po' bizzarra.
C'era il letto dove adesso sedeva che era stato messo in commercio da poco e per cui sua zia aveva letteralmente combattuto: restava infatti un solo esemplare di quel modello e, sebbene la ditta ne stesse già producendo altri, prima che fossero diventati nuovamente disponibili sarebbe passato come minimo un mese. Cheryl si era affrettata per comprarlo immediatamente, ma anche un'altra signora voleva fare altrettanto. Così, dopo una lunga discussione, ne era uscita vittoriosa e con il letto come trofeo.
Christopher rise di cuore a quel racconto, arricchito da dettagli esilaranti e riportato con voce grave, quasi sua zia stesse parlando di un poema epico e di una grande lotta.
Poi c'era anche la mensola bianca in cucina, sopra il lavabo, che meritava di essere annoverata tra le storie improbabili.
Si dà il caso che proprio il tipo che Cheryl stava disperatamente cercando fosse prodotto nella sola Germania e che entro i confini della Gran Bretagna non si trovasse nulla di simile. Così si era data da fare per l'importazione.
Peccato che non appena il pacco della mensola era arrivato a destinazione, il contenuto fosse del tutto sbagliato. Gli era stato portato un ripiano bianco panna, non bianco lucido! Perciò, la donna si era dovuta arrabbiare parecchio al telefono con un tizio che d’inglese sapeva dire solo Yes e Ok, prima di poter parlare con qualcuno di più competente.
Definiva quel lavoro la sua Odissea personale.
«Ora devo andare Chris,» borbottò Cheryl vagamente irritata. Probabilmente le era venuto in mente un qualche lavoro che doveva fare, ma di cui si era completamente dimenticata, e adesso doveva andare a rimediare. Non sarebbe stato così impossibile, conoscendo la sbadataggine patologica della zia. «e tu, da bravo padrone di casa, vai a salutare il vicino. Mi raccomando, abbi pazienza con lui. E' un tipo un po'...particolare.»
«Se dici così mi fai preoccupare. Non è che è un serial killer con qualche cadavere sotto il letto?»
Nel suo ufficio elegante Cheryl scosse la testa platealmente e lo salutò con un «Chi lo sa. Fai il bravo e martedì sono a pranzo da te.»
Queste ultime parola a Christopher suonarono quasi come una minaccia ed ebbe la riprova che il suo ragionamento fosse giusto: sua zia l'avrebbe controllato costantemente.
 
 
Christopher aveva suonato il campanello di casa Ellis con la grinta tipica di un diciassettenne sempre positivo. Al primo trillo, però, non aveva ricevuto risposta e così aveva pigiato il piccolo tasto un'altro paio - o forse qualcuna in più - di volte. Stava quasi per rinunciare alla sua visita a sorpresa quando sull'uscio della porta fece la sua comparsa un uomo. E non uno qualunque, ma uno alto, bello e dall'aspetto nettamente irritato.
«Ciao! Io mi chiamo Christopher, sono appena venuto a stare nell'appartamento di fronte al tuo. Piacere di conoscerti.» Christopher concluse la sua piccola presentazione con un sorriso diabetico e sperò di aver fatto una buona impressione sull'altro. Perchè il ragazzo aveva intenzione di abitare a lungo lì e coltivare un sano rapporto di amicizia con il proprio vicino, almeno per lui, non poteva essere considerata cosa di poco conto.
Ricordava innumerevoli occasioni in cui, nella sua vecchia casa, l’adorabile coppietta di anziani della porta accanto gli era stata d’aiuto. Come quando aveva lasciato il gas acceso e loro lo avevano avvertito prontamente evitando così un’esplosione di tutto rispetto; o in quella settimana in cui Christopher si era preso cura del loro gatto perché i due signori erano andati in Irlanda da amici.
Insomma, si erano dati una mano a vicenda e voleva fosse così anche con quell’uomo.
«Ah.» Si limitò a sibilare l'uomo, vagando con gli occhi sulla giovane figura che aveva davanti. Occhi grigi, capelli castani, fisico mingherlino. Un moccioso, decretò fra sé e sé. «Quindi sei tu quello che camminava a passo d'elefante sul pianerottolo venti minuti fa.» Dedusse lui, inarcando un sopracciglio con espressione poco rassicurante.
Christopher a quelle parole rimase interdetto, non sapendo come rispondere: certo, era cosciente del fatto che forse, data la contentezza, avesse un po' esagerato e saltellato più del dovuto, ma allo stesso tempo non gli sembrava di aver fatto tanto rumore. E poi, mica poteva muoversi a passo felpato ogni volta che passava di lì, solo perchè il suo vicino aveva un udito sopraffino.
«Sì, ero io» bofonchiò piccato il ragazzino, portandosi le braccia al petto. «Comunque-»
«I ragazzini non mi piacciono, ma li tollero. Quello che più mi irrita è il rumore.» Commentò l'uomo con uno sguardo di superiorità che irritò immediatamente Christopher. Gli balenò l'idea di domandare all'uomo chi, esattamente, gli avesse chiesto qualcosa in proposito, ma decise saggiamente di starsene zitto.
«Non c'è problema. Sono abbastanza silenzioso. Pensa che alle interrogazioni tutti mi fanno i complimenti dato che il più delle volte non fiato mai. Peccato che non si possa prendere un voto in proposito.» Disse il ragazzo per sdrammatizzare, cercando di scalfire il volto di ghiaccio dell'altro. Fu comunque tutto inutile: né un sorrisetto appena accennato né tantomeno una qualche manifestazione più evidente apparvero sul viso dell’uomo. Aveva fatto un fallimento su tutta la linea.
«Senti bene Christian»
«No» disse il ragazzo scuotendo violentemente la testa «E' Christopher, non Christian. Il Chris c'è e se vuoi puoi chiamarmi anche solo così. Tanto lo fanno tutti. E poi è più semplice.»
«Sei petulante, ragazzino.»
Christopher accusò il colpo imbronciandosi e si morse la lingua per non offendere con epiteti davvero poco lusinghieri quel tizio. «Sì, certo» concesse per l'esasperazione il ragazzino, sospirando profondamente.
L'altro si passò una mano fra i capelli scuri e bagnati, segno che era appena uscito dalla doccia, indeciso se sbattergli la porta in faccia o continuare a guardarlo male, tanto per fargli capire il concetto di "odio il rumore".
«Almeno posso sapere come ti chiami? Sai questa si chiama educazione» sussurrò a bassa voce Christopher con l'espressione più mite che aveva nel suo repertorio. Non che servì a molto: l'uomo lo guardava ancora dall'alto in basso e non accennava a dire una parola. Perfetto, voleva fare il duro? Bene, imprecò Christopher nella sua mente, dando le spalle al suo interlocutore per dirigersi verso la porta di casa sua. La risata cristallina e melodica dell'altro lo fece voltare infastidito.
«Sei proprio un moccioso.» Lo schernì l'uomo con tono irrisorio e le labbra piegate in una smorfia beffarda.
«E tu un vecchiaccio dalla lingua biforcuta.»
L'uomo s'incupì e le labbra di Christopher si stirarono in un sorrisetto trionfante. Il ragazzino lo osservò con la stessa aria di scherno, mista a saccenza, con cui l'altro aveva guardato lui e si sentì come Odisseo vincitore su Polifemo.
«Ho ventitrè anni»
«Te l'ho chiesto?» Replicò il ragazzino, rincarando la dose sulla sua arroganza e prendendo il coltello dalla parte del manico. Le linee del volto dell'uomo si arcuarono in un'espressione tagliente ed i suoi occhi azzurri venati di nocciola si fecero affilati come lame.
«Piccolo. Stronzetto.» Sibilò il simpatico signor Ellis - di cui ancora Christopher non conosceva il nome - non abituato a sentirsi rispondere in quel modo. Specialmente non da qualcuno che raggiungeva il metro e settanta con grandi sforzi e doveva alzare il mento per guardarlo in viso.
«Quando busserai alla mia porta staremo a vedere se sarò ancora un piccolo stronzetto.» Sibilò il ragazzino con sfacciataggine, sbattendo volutamente la porta del suo appartamento, senza voltarsi indietro.



 

Salve a tutti quelli che passeranno di qui.
Questo è il prologo di una storia slash/yaoi dunque se non gradite il genere probabilmente non è la storia più adatta a voi :D
Per tutti gli altri, spero che possa essere una lettura interessante. E' una storia nata da un'idea del tutto casuale di un po' di tempo fa, ma che ho deciso di mettere per iscritto da poco. Scrivo senza troppe pretese e per divertimento, come credo si capisca dalle battute idiote di alcuni personaggi xD
Se vi va -non posso obbligarvi, no? ;)- lasciatemi pure una recensione, sia positiva che negativa ovviamente. Per andare avanti fanno sempre piacere pareri altrui.
Alla prossima,
Vyvyan

 

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Capitolo 2
*** What do I do with a boy like you? ***


«Quell'uomo è il demonio!»
«Non ti sembra di esagerare, Chris?»
Cheryl e suo nipote erano seduti al tavolo bianco di fronte alla finestra del salone. Sulla superficie lucida erano poggiate numerose confezioni di cibo cinese portato d'asporto e due bottigliette di coca cola. Christopher, infatti, sapeva preparare solo l'insalata, e anche in quella abbondava troppo d'aceto. Di comune accordo quindi avevano pensato di chiamare il ristorante dietro l'angolo per ricevere qualcosa di meno sano, ma più mangiabile.
Come aveva promesso nella sua chiamata di qualche giorno prima, Cheryl era andata da Christopher per il pranzo, con tutta l'intenzione di sapere le ultime novità sulla scuola, sulla vita di tutti giorni e sul vicino. In particolar modo quest'ultimo era stato il protagonista di un acceso dibattito. Grazie a sua zia, il ragazzo aveva scoperto il nome del misterioso uomo, che comunque rimaneva ancora avvolto da una coltre di enigmi. Si chiamava Leighton Ellis, ma la donna non aveva saputo dirgli altro.
Quest’ultima l'aveva definito bello e tenebroso, mentre Christopher aveva preferito appellativi decisamente meno gentili.
«Zia, mi è venuto a sgridare tre volte perchè tenevo la musica alta. Ma non è possibile!» Esclamò il diciassettenne, alzando le spalle incredulo e continuando con il suo discorso. «E lo sai perchè?»
«No, perchè?» Chiese Cheryl assecondando il nipote che non vedeva l'ora di esporre il proprio ragionamento. Lei addentò un raviolo al vapore caldo e lo masticò con lo sguardo incuriosito puntato sul ragazzo. Voleva davvero sapere cosa stesse passando in quella testolina contorta.
«Perchè io avevo il computer acceso con la musica in salone, ma quando sono salito un attimo in camera non sentivo nulla. L'avevo tenuta bassa per evitare proprio una rottura del genere. Quindi come è possibile che lui l'abbia sentita?»
«E dove vuoi arrivare?»
«Lui l'ha fatto apposta!» Sibilò furente il ragazzino, battendo una mano sul tavolo e facendo vibrare di conseguenza tutte le confezioni di carta. Cheryl inarcò un sopracciglio e sospirò pazientemente. Poi allungò a suo nipote gli involtini primavera che tanto gli piacevano e con un sorrisino convincente gli fece un cenno del capo. Quel gesto voleva dire chiaramente "mangia". Christopher, infatti, da quando avevano toccato quel discorso si era talmente infervorato da lasciare le bacchette di legno abbandonate a se stesse e il piatto mezzo vuoto.
«Non credi di esagerare un pochino?» Domandò la donna, che ricevette in risposta solo un'occhiataccia dal significato evidente.
«Lucifero si apposta davanti casa per rimproverarmi appositamente! Un giorno lo troverò con un bicchiere ad origliare alla porta.» Bofonchiò leggermente sgonfiato Christopher, afferrando le posate e cominciando a mangiucchiare qualcosa. Cheryl sogghignò a quella battuta e versò nei bicchieri di vetro un po' di coca cola ad entrambi.
«Così lo fai sembrare più un maniaco, però.» Constatò lei mentre analizzava il suo riso alla cantonese e si deliziava con il suo profumo.
Cheryl adorava i gusti orientali, in special modo quelli cinesi e giapponesi. Suo nipote, però, concordava con lei solo per metà: mangiava volentieri dei calamari al curry o del cavolo rosso cotto, mentre considerava il cibo giapponese un insulto alla buona cucina. Ogni volta che la donna gli proponeva di fare un salto a un qualche sushi bar appena aperto, suo nipote la guardava malissimo e poi cominciava ad elencare tutti i buoni motivi per cui ordinare una pizza fosse meglio.
«Da quello che ne so, potrebbe essere questo o altro.»
«E dimmi Sherlock, qualche ipotesi?»
«Non ancora, Watson, ma ti terrò informata. Giusto oggi pensavo di introdurmi in casa di Ellis.» Borbottò sovrappensiero il ragazzino con tono cospiratore. La donna lo guardò fintamente contrariata e, teatralmente, si poggiò una mano sulla fronte perlacea, per indicare la sua incredulità mista a scetticismo.
«In teoria sarebbe illegale, Chris.» Gli fece notare la donna con cipiglio materno. Ma a Christopher non piacquero per nulla quelle parole, per questo decise di ignorarle bellamente. Doveva pur trovare un modo per scoprire un po’ di più su quell’uomo che veniva puntualmente chiamato da lui “Ellis” o più simpaticamente “Lucifero”, nonostante ormai ne conoscesse il vero nome.
«Se non si rischia un po’ nella vita, che divertimento c’è?»
Cheryl aggrottò le sopracciglia e sospirò rassegnata. «Spero che tu non ci stia pensando seriamente, a questa storia d’irrompere in casa di Leighton Ellis.»
«In realtà no, non credo. Se mi scoprisse stronzo com’è, mi denuncerebbe per violazione della privacy. Ma devo trovare qualcos’altro.»
«Non potresti mettere una pietra sopra al vostro primo incontro?»
«Zia!» Gracchiò il ragazzino, con gli occhi grigi sgranati. «Non ci penso nemmeno.» Disse scandendo sillaba per sillaba, manifestando tutta l’impossibilità di quell’affermazione. Non avrebbe perdonato il suo vicino nemmeno se questo gli si fosse presentato alla porta in ginocchio con una lettera di scuse.
«Perché ero certa che mi avresti risposto così?» Borbottò la donna esasperata, poggiando il volto incorniciato da capelli biondi sulle dita intrecciate fra loro. Aveva i gomiti poggiati sul tavolo e un sorriso appena accennato sulle labbra carnose, lucidate da burro di cacao.
«Perché sei la mia adorata zietta che mi vuole tanto bene e mi conosce come le sue tasche, ecco il motivo.»
 
 
Christopher stava buttando le confezioni vuote nel cestino; avevano appena finito di pranzare e sua zia era scappata per impegni lavorativi. E probabilmente anche perché odiava sistemare. Al contrario, quella di pulire era una delle poche faccende domestiche che non urtavano troppo i nervi al diciassettenne, anzi. Si sentiva soddisfatto a vedere tutto sistemato, anche se la maggior parte delle volte non aveva tempo per rassettare, come dimostrava la sua camera. All’interno, i suoi vestiti erano sparsi ovunque e aveva già rischiato di rompersi una gamba tre volte a causa di un asciugamano bagnato lasciato sulle scale.
Il campanello suonò nello stesso istante in cui il ragazzino finì di pulire il tavolo e dunque camminò verso la porta a passo svelto. Pensò fosse sua zia. In fondo, non sarebbe stato inusuale se, dimenticatasi qualcosa, avesse fatto marcia indietro.
Quando aprì la porta, però, vide qualcos’altro. O meglio, qualcun altro. Precisamente un uomo alto con una maglia scura che aderiva al petto ampio, jeans chiari e scarpe da ginnastica. Aveva occhi blu oceano e capelli castani. Le labbra di Christopher si piegarono in una smorfia divertita e superba quando incrociò lo sguardo del suo simpaticissimo vicino.
«Guarda guarda chi si vede.» Mormorò compiaciuto il più giovane, appoggiando la schiena sullo stipite della porta ed incrociando le braccia al petto. «Qual buon vento ti porta, qui, Signor Ellis? Deve essere proprio un vento forte per averti trascinato alla porta di un piccolo stronzetto.» Disse calcando bene sulle ultime due parole che altre non erano se non quelle usate dallo stesso Ellis al loro primo incontro.
L’uomo strinse i denti, ora veramente irritato, ma tenne duro. «Mi si è rotta la doccia.» Sibilò in tono minaccioso, quasi stesse annunciando al ragazzino la sua morte imminente proprio per mano propria, invece che una disgrazia del bagno.
Christopher sorrise ancora di più, non riuscendo a contenere la sua gioia.
«Ah sì? La mia invece funziona perfettamente, talmente tanto bene che potrei classificarla come la migliore doccia del mondo.»
«Ti devo chiedere un favore.» Disse l’uomo con stizza e si vedeva lontano un miglio che quel sacrificio gli costasse tantissimo.
«Sì, dimmi. Sono tutto orecchi.»
«Potresti…» Leighton tentennò, non sapendo come proseguire. Di certo tutto sperava tranne che in quel tipo di situazione. Bussare alla porta del moccioso per chiedergli un favore invece che rimproverarlo era un’opzione che non aveva contemplato e adesso si ritrovava con il ghigno sadico dell’altro davanti.
Purtroppo, però, non c’erano molte altre prospettive se non chiedere a quel ragazzino piccolo ed irritante. Doveva, infatti, sbrigarsi e il suo amico più vicino abitava dall’altra parte di Londra. Ci avrebbe messo troppo tempo ad andare lì e poi tornare indietro, quindi quel moccioso era la sua unica speranza.
Peccato solo che Christian, o forse si chiamava Christmas?, abbondasse di sadismo e non avesse nessuna intenzione di venirgli incontro. O almeno così pensava Leighton. Fu smentito pienamente quando una manciata di secondi dopo il ragazzino aprì maggiormente la porta, in un chiaro invito ad entrare.
«Ti ricordo che usando la mia doccia, mi dovrai un favore. Anzi due favori, dato che sono stato così magnanimo da non farti finire la frase.»
Leighton borbottò un’imprecazione a denti stretti, ma decise di non mettersi a discutere. Seguì il moccioso che gli fece strada nel bagno e gli lanciò un asciugamano pulito.
Christopher, quando l’altro si chiuse la porta alle spalle, rise di gusto e non si preoccupò minimamente dell’eventualità di farsi sentire dall’altro. Anzi, se fosse accaduto il contrario, tanto meglio.
Si sedette sul divano nero del salone e si mise a pensare a cosa facesse più al caso suo. Avrebbe potuto chiedergli tutto o quasi e al solo pensarci ghignava come un cretino o uno di quei personaggi cattivi dei cartoni animati.
Aveva nuovamente il coltello dalla parte del manico e Christopher non si sarebbe fatto troppi scrupoli ad usarlo. Doveva ammettere che la fortuna era stata dalla sua parte e il tempismo altrettanto perfetto e non avrebbe sprecato tale occasione.
Sì, sapeva cosa gli avrebbe chiesto.
Dieci minuti buoni dopo, Leighton Ellis fece la sua comparsa dal bagno, con i capelli spettinati e bagnati. Il suo aspetto attuale assomigliava a quello del primo giorno in cui l’aveva visto.
«Allora, non si dice un grazie al buon Christopher?»
«Quindi se dico grazie ti ricambio il favore.» Affermò l’altro guardingo e il ragazzino gli rise in faccia. Certo, se sperava di cavarsela con così poco era davvero ingenuo.
«No, sbagliato caro vicino rompiballe. Il grazie puoi tenertelo. Io voglio vedere casa tua. Ma non così, una visitina appena. Io la devo studiare angolo per angolo, in modo da capire cosa nascondi.» Annunciò Christopher trionfante, poggiando il mento sullo schienale del divano.
Leighton inarcò un sopracciglio, ma non protestò. Gli parve una cosa di poco conto, quella di fargli fare un giro turistico del suo appartamento. Alzò le spalle in un gesto disinteressato e borbottò un «se è questo che vuoi.»
Il maggiore si diresse verso la porta dell’abitazione del ragazzino e si voltò a guardarlo.
«Torno alle cinque oggi pomeriggio, dalle cinque alle sei puoi venire a disturbare. Silenziosamente.»
«Bene. Ci sarò.» Sibilò il più giovane, in una promessa che sembrava più una minaccia.
E per Leighton quel ragazzino, lo era davvero una minaccia. Una minaccia per i suoi nervi solitamente saldi.
 
Christopher era uscito di casa sua, per recarsi a quella esattamente di fronte, alle cinque e trenta del pomeriggio. Si era immerso nello studio –avvenimento più unico che raro- e aveva perso la cognizione del tempo, arrivando così mezz’ora dopo l’ora che si era prefissato.
Tuttavia non aveva intenzione di mancare a quell’appuntamento e, con tanta buona volontà, aveva suonato il campanello. Gli sembrava quasi di rivivere una scena passata.
Leighton Ellis aprì la porta un minuto dopo, tanto che per un attimo Christopher pensò che l’altro non volesse mantenere la promessa, e non lo degnò di un saluto.
«Salve.» Esordì il ragazzino con finto tono professionale, ed entrando nell’abitazione appena l’uomo si spostò dall’ingresso.
Si guardò bene intorno: il salone era privo di elementi superflui, solo una televisione, un divano e qualche mensola nera lucida dove erano poggiati telecomandi e altre cose varie. Studiò attentamente e con sguardo indagatore ogni singola piastrella della cucina e analizzò con cura il bagno totalmente bianco. La doccia rotta era effettivamente inagibile e Christopher proseguì con la più sospetta delle camere: quella da letto.
Appena entrato, dovette trattenere il fiato per la bellezza. Non tanto per l’arredamento che era semplice ed essenziale, quanto per le ampie finestre che erano presenti: una era sopra la testata del letto e le altre due si disponevano sulla parete di destra, intervallate solo da un camino particolare, in cui non c’era una cappa evidente, ma solo un rettangolo al cui interno ardeva un piccolo fuoco.
«Che figo!» Esclamò il più giovane, correndo verso le vetrate. La vista era differente rispetto a quella della sua camera: si vedeva tutta Londra.
Si girò verso l’uomo, ma quello non c’era più. Per un attimo pensò alla possibilità che fosse andato a prendere un coltello per ucciderlo, ma dovette tentare di pensare positivo. Dato che era stato lasciato da solo, doveva proseguire con la fase due: controllare la presenza di cadaveri et similia.
Si diresse verso il letto e si piegò in basso, analizzando per bene ogni centimetro.
In quello stesso momento, Leighton rientrò nella stanza, con il suo passo silenzioso quanto quello di un gatto, e la scena che si ritrovò davanti, lo fece rimanere perplesso.
Il ragazzino gli dava il sedere fasciato dai jeans, in quanto piegato a guardare sotto il letto, e per un attimo pensò che forse c’era una parte del ragazzino che gli piaceva.
Scosse la testa. «Che stai facendo?»
Christopher alzò di scatto la testa, ma andò a sbattere contro la superficie del letto sopra di se. Quando finalmente riuscì a mettersi in una posizione meno ambigua, alzò le spalle. «Controllavo se sotto al letto c’era qualche cadavere. Però nulla. Forse li nascondi nell’armadio.» Disse come se fosse la cosa più normale del mondo.
Leighton gli scoccò un’occhiataccia perplessa e roteò gli occhi al cielo. «Se pensi di essere normale.»
Ma il diciassettenne non lo stava già più ascoltando. Aveva preso a frugare nel guardaroba del suo vicino, ridendo di tanto in tanto. Ellis si chiedeva perché stesse ridendo e soprattutto se la scena che stavano vivendo potesse essere considerata da persone sane di mente. Decise di non pensarci.
«Hm, nemmeno qui niente. In compenso però ho scoperto che non ti vesti troppo male.» Decretò il ragazzino, chiudendo le ante dell’armadio.
«Sei soddisfatto adesso moccioso?»
Christopher parve pensarci su e camminando verso il salone si ricordò di avere un altro favore a disposizione. Forse però non avrebbe dovuto utilizzarlo subito. Lo avrebbe dovuto tenere in caldo per qualche altro momento.
I suoi occhi grigi guizzarono sul tavolino di vetro scuro poco lontano da lui –aveva visto qualcosa che lo interessava-, ma nell’avvicinarsi cadde rovinosamente inciampando nel tappeto bianco.
Finì col sedere a terra, o meglio sui piedi del suo vicino. Già s’immaginava la sgridata apocalittica per aver urtato la quiete di casa Ellis, ma ciò che ricevette fu solo una risata. L’altro si prendeva gioco di lui, in poche parole.
«Ma sai guardare dove metti i piedi?»
«I miei no, ma i tuoi so benissimo dove sono.» Bofonchiò irritato il ragazzino accennando a dove era atterrato con poca grazia. L’altro continuava a ridere alle sue spalle e Christopher si alzò con difficoltà. Non si era fatto un male esagerato, e certamente finire su della stoffa di scarpe invece che sul pavimento freddo e duro, aveva aiutato, ma sentiva comunque fastidio.
«Dovresti chiedermi scusa, sai. Pesi.»
Ok, si ritrovò a pensare Leighton, forse non pesava granché, ma dato che aveva dovuto sopportare il suo sguardo ironico prima, pensava di ripagarlo con la stessa moneta. A forza di stare a contatto con i bambini, la sua mente stava regredendo.
«Sognatelo, sei tu che metti tappeti improbabili in posizioni altrettanto improbabili.»
«Come dare la colpa agli altri, quando è evidentemente colpa propria.»
«Dio, giorno dopo giorno mi stai sempre di più sulle palle.» Borbottò il ragazzino irritato, facendo un check-up delle ossa. C’era tutto, più o meno.
«E inoltre, io non sarò delicato, ma tu sei uno squilibrato. Ce l’hai con me dal primo momento che mi hai visto, solo perché ho fatto un filino di rumore appena arrivato.»
«Filino? Una mandria di bufali inferociti avrebbe fatto più piano.» Ironizzò l’altro, guardando il più piccolo con sguardo incredulo. Christopher sbuffò rumorosamente e stavolta stando attento al tappeto, si diresse verso il tavolino. Su di esso era poggiato un libro che conosceva, avendolo anche lui. Il ritratto di Dorian Gray.
Christopher aveva letto e riletto quel libro migliaia di volte e poteva citare a memoria citazioni e spezzoni interi. Si rigirò il volume fra le dita, osservandone la copertina e il titolo, e lo poggiò al suo posto.
«Ok, direi che ho visto abbastanza.»
«Era ora.» Rispose il più grande poco cordialmente, avviandosi verso la porta. Era un gesto ben eloquente: lo voleva mandare via senza farsi troppi problemi. Il ragazzino scosse la testa, ammonendo quell’uomo nella sua mente, e si diresse verso l’uscita. Prima di andarsene, però, sulla soglia dell’appartamento ricordò all’uomo che gli era ancora debitore di un favore e poi, ridacchiando, tornò a casa sua. 



Salve a tutti!
Per prima cosa volevo ringraziare chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e in special modo chi l'ha recensita.
Sono molto felice che il prologo vi sia piaciuto; spero che anche questo primo capitolo non sia da meno.
Giusto per specificare, i calamari al curry e il cavolo rosso cotto sono specialità della cucina cinese.
Giusto per specificare 2, la Wycombe Square esiste davvero e gli appartamenti in questa zona di Londra sono i più costosi di tutta l'Inghilterra. Ho dimenticato di scriverlo nel prologo XD
Bene credo di aver detto tutto, un bacio
Vyvyan. 
 

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