Under The Table (tradotta da Nonna Minerva)

di Lady Bracknell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Over the Hill ***
Capitolo 2: *** 2. Between the Lines ***
Capitolo 3: *** 3. Out of the Woods ***
Capitolo 4: *** 3. Out of the Woods (seconda parte) ***
Capitolo 5: *** 3. Out of the Woods (terza e ultima parte) ***
Capitolo 6: *** 4. Out of question ***
Capitolo 7: *** 5. Under the influence (prima parte) ***
Capitolo 8: *** 5. Under the influence (seconda parte) ***
Capitolo 9: *** 6. Under the table (prima parte) ***
Capitolo 10: *** 6. Under the table (seconda parte) ***
Capitolo 11: *** 7. Looking for something (prima parte) ***
Capitolo 12: *** 7. Looking for something (seconda parte) ***
Capitolo 13: *** 7. Looking for something (terza parte) ***
Capitolo 14: *** 8. In the morning ***
Capitolo 15: *** 8. In the morning (la fine) ***



Capitolo 1
*** 1.Over the Hill ***


1. over the hill

Sto per imbarcarmi in una nuova colossale impresa: completare la traduzione di questa ficcy.

Il titolo è rimasto quello e l’autrice è Lady Bracknell.

A me è piaciuta moltissimo e spero di riuscire a rendere ogni sfumatura nella mia traduzione.

Un consiglio a tutti gli amanti della coppia Remus-Tonks: leggetela. Ne vale davvero la pena.

Magari aspettate di arrivare almeno in fondo al secondo capitolo.

 

Intanto gustatevi il primo capitolo.

 

 

Under the table

 

Capitolo 1

OVER THE HILL

 

“Ti prego Tonks,” disse Sirius.

“Non vedo perché dovrei farlo” rispose lei, guardandolo irritata dal divano. “Come sai che non ho già altri programmi, poi?”

“Ne hai?” chiese Sirius.

“Non è questo il punto.” Replicò, spostando la sua attenzione ad un filo allenato del divano. “Non lo conosco nemmeno.”

“Vedila come un’opportunità per conoscerlo, allora.

“Non mi sembra il mio tipo.” Disse “E penso mi trovi pure irritante.”

Le labbra di Sirius furono scosse da un tremito ed alzò un sopracciglio. “Lo immaginavo.”

Tonks lo guardò, gli occhi ridotti a due fessure.

“E’ un po’ all’antica,” disse. “Noioso, in un certo senso.”

“Può essere sorprendentemente di buona compagnia,” rispose Sirius. “Quando è di buon umore.”

E se non fosse di buon umore?”

“Allora suppongo trascorrerete la serata immersi in un silenzio imbarazzato a fissarvi l’un l’altra per tutto il tempo.”

 

L’idea di trascorrere la serata con Remus Lupin la terrorizzava. Non che non le piacesse – era sempre sufficientemente gentile ed educato – in effetti, era proprio questo che la spaventava. Era sempre così carino e così, dannatamente gentile; decisamente non il suo tipo. E non riusciva ad immaginare di cosa mai avrebbero potuto parlare.

 

Tonks incrociò le braccia e mantenne un cipiglio imbronciato per circa un minuto, cedendo poi all’espressione da cucciolo del cugino. “E va bene!” disse, alzando gli occhi al cielo. “Ma mi devi un enorme favore.”

 

Tonks si trascinò fuori dalla stanza, giù per le scale fino in cucina, dove Remus stava sfogliando le pagine di un tascabile decisamente logoro seduto a tavola.

 

“Ehilà!” disse.

“Tonks, non mi ero accorto che fossi arrivata.”

“Sirius vuole che ti porti fuori, stasera,” disse lei, ignorando quello che aveva detto lui, ed accasciandosi su una sedia per indicare cosa pensasse dell’idea.

“Non ce n’è davvero bisogno.”

“Beh, invece sembra che ce ne sia. Forse vuole passare del tempo da solo con Fierobecco. Ho provato a ribattere. Voglio dire, non è neanche il mio ideale di serata.

“Molto lusinghiero” commentò, alzando per un istante gli occhi dal libro andando ad incontrare i suoi, per poi tornare alla sua lettura.

 

Tonks iniziò a mangiarsi le unghie aspettando che posasse il libro, ma non lo fece. Al contrario, girò pagina con un’aria di intensa concentrazione sul volto. “Allora andiamo?” disse lei.

 

“Per quanto mi tenti,” rispose “Devo gentilmente declinare il tuo invito.

Perché, per spendere più tempo di qualità con i tuoi libri? Come se non lo facessi abbastanza. Perché Sirius vuole che ti porti fuori, comunque?”

“Credo,” disse Remus, “Che si aspetti che io esca, il giorno del mio compleanno.”

“E’ il tuo compleanno?”

“Sì.”

 

Il senso di colpa si fece strada in Tonks come una pozione particolarmente sgradevole. Si sentì in dovere di fare la cosa giusta.

 

“Forza, allora!” riprese lei, e si allungò sulla tavola per strappargli il libro dalle mani. Lui la fissò per un momento, scrutandola curioso.

“Non credo proprio.”

“Oh, andiamo,” lo pregò. “Andremo al pub babbano lì all’angolo. Sarà divertente!”

“Non credo proprio.” Ripeté.

Lei piantò il gomito sulla tavola, appoggiò la testa sulla mano e lo guardò, mettendo il broncio e facendo del suo meglio per apparire supplichevole. Lui sembrò un po’ seccato così smise.

 

“Non ho intenzione di accettare un no come risposta.”

“Stavo iniziando a sospettarlo.” Mormorò, inarcando un sopracciglio.

“Allora prendi il cappotto.”

 

Lui si alzò come se questo gli causasse un grande sforzo e si passò una mano fra i capelli.

“Va bene” acconsentì. “Ma solo il pub.”

 

“Wow, siamo di cattivo umore” mormorò seguendolo fuori dalla cucina e alzando gli occhi al cielo dietro di lui.

“Ti ho visto.” Disse.

Gli fece una linguaccia.

E ho visto anche quello.”

Cos’è, ha gli occhi anche dietro la testa, ora? Pensò. Fece un’altra smorfia.

“Tonks,” disse, indicandole il muro. “Vedo il tuo riflesso nello specchio.”

 

Chiuse gli occhi, rimproverandosi per essere stata così stupida ed infantile. Perfetto. Ora la odiava ancora più di quanto non lo facesse già. Si costrinse ad aprire gli occhi, ed incontrò i suoi nello specchio. Si stupì nel vedere che stava sorridendo. Ed appariva piuttosto, beh... non era sicura di voler finire il pensiero.

 

Camminarono in silenzio lungo la strada fino al Red Lion, e Tonks dovette con molta difficoltà nascondere la sua sorpresa quando Remus aprì la porta per lei e si spostò di lato per lasciarla entrare nell’atrio fumoso. Non era il tipo di ragazza cui la gente apriva le porte.

Lei era quel tipo di ragazza davanti  a cui gli altri imprecavano o si davano gomitate. Ed era così che le piaceva. Tutte quelle sciocchezze sulla gentilezza erano solo... beh, sciocchezze.

 

Il pub dava un’impressione logora e consunta, con i muri ingialliti dalla nicotina, mobili di legno scuro graffiati, e tappeti che sospettava essere sempre molto appiccicosi. Era pieno di gente, per la maggior parte studenti trasandati e alcune persone del quartiere che non batterono ciglio alla vista dei capelli verde acceso di Tonks o ai vestiti logori di Remus.

Tonks insistette per offrirgli da bere e lo trascinò via in cerca di un posto per sedersi.

Remus trovò un piccolo tavolo vuoto in un angolo sotto una vetrata e vi si abbandonò, chiedendosi perché mai avesse acconsentito, e a che gioco stesse giocando Sirius. Sperava solo di non tornare a Grimmauld Place per trovare Sirius riverso sul pavimento, con una bottiglia di Whiskey incendiario in mano, come stava succedendo regolarmente tutte le volte che lui doveva uscire per lunghi periodi.

 

Alzò lo sguardo per vedere Tonks che si faceva strada fra la folla, un pinta di birra in ciascuna mano, la lingua fra le labbra per la concentrazione. Arrivò al tavolo , e riuscì a posare i boccali senza rovesciarne una goccia. Lo guardò con aria trionfante, e poi si sedette quando fu chiaro che non aveva intenzione di complimentarsi per le sue capacità di equilibrio. Le ginocchia di lei sfiorarono le sue sotto il tavolo.

 

“Beh, buon compleanno!” esclamò, alzando il suo boccale in direzione di Remus.

“Grazie,” rispose lui bevendo un sorso di birra e poi appoggiando entrambe le mani sul tavolo.

 

“E’ forte questo posto, non trovi?” disse con animazione. “Non ho mai molto tempo per entrare nei pub babbani. Continuò. “Ma mi sono sempre particolarmente piaciuti, a te no? C’è qualcosa di tetro in loro.”

“Non posso dire di aver fatto uno studio sufficientemente approfondito per commentare. Rispose, sorseggiando la sua birra.

 

Lui notò dei quotidiani appesi alla parete accanto a lui, ed anche se l’edizione era del giorno prima, ne sfilò uno e lo spiegò sul tavolo.

“Non avrai intenzione di leggerlo, vero?”

“L’idea era quella.”

Perché?” chiese. Lui sospirò.

“Mi piace tenermi aggiornato sugli eventi babbani.

Perché?”

Trovo che sia utile.”

Perché?”

“Aiuta a vedere le cose dalla giusta prospettiva.

Perché?”

 

Lui appoggiò la testa sulla mano, massaggiandosi il sopracciglio con il dito medio. “Perché,” disse infine, incapace di pensare ad altro. Tonks ghignò, e si allungò prendendo uno dei fogli del giornale. Fissò la prima pagina con disinteresse e poi l’aprì.

 

“Accidenti!” esclamò. “Guarda qui, e in un giornale, poi!” girò il foglio per mostrargli l’immagine di una ragazza sulla terza pagina. “Ce n’è una anche sul tuo?”

 

Remus sospirò. Tutto quello che voleva era una serata tranquilla...

 

“No,” mormorò, voltando pagina. “Non c’è.”

Perché pensi l’abbiano messa?” chiese, continuando a fissare l’immagine con lo sguardo a metà fra il concentrato ed il divertito. Lui la ignorò. “E’ tipo un annuncio? Oh, guarda, qui dice che sta studiando legge e che ha ventitrè anni. Sembra forte. Mi chiedo se ce ne siano altre.”

 

Tonks sfogliò il giornale fino all’ultima pagina, arricciando il naso concentrata. Remus bevve un gran sorso dal suo boccale  provò a leggere. Aveva appena trovato un articolo che sembrava interessante quando Tonks tornò alla carica.

“Niente,” disse. “C’era solo quella. Divertente però. Sei sicuro che non ce ne sia una anche nel tuo? Sei fermo a quella pagina da ore.”

“Sto cercando di leggere.”

“Oh. va bene. Capito.” Disse lei, mimando il gesto di cucirsi le labbra. Remus tornò all’articolo. Era arrivato solo alla fine del primo paragrafo quando lei iniziò a tamburellare le dita sul tavolo con un ritmo altamente seccante.

 

Cedette, ripiegò il giornale e lo risistemò dove l’aveva preso, e lei gli sorrise dall’altra parte del tavolo.

“Allora, com’è che tu e Sirius siete amici?”

Cosa vuoi dire con ‘com’è che tu e Sirius siete amici’?”

“Voglio dire, sembrate così diversi,” spiegò. “Lui è così attivo e giocoso e tu sei così...

Remus alzò un sopracciglio, in attesa che lei terminasse la frase. Lei avvicinò il suo bicchiere alla bocca e borbottò oltre il bordo di esso, “..noioso” gli occhi fissi sul tavolo.

 

Remus represse un sorriso. “Suppongo che gli opposti si attraggano,” disse, e bevve un altro sorso dal suo bicchiere per nascondere il fatto che stava per mettersi a ridere. Lei era senza dubbio una compagnia incisiva.

“Non intendo noioso noioso,” rettificò, mordendo la pelle attorno alle unghie.

“Sì invece,” la corresse lui. “Ed è vero.” Continuò, guardandola con le sopracciglia ancora alzate, il mento abbassato così che ciocche di capelli gli cadevano davanti agli occhi.

“Sono terribilmente, spaventosamente, noioso.

 

Non sapeva perchè, ma improvvisamente le sembrò che si stesse prendendo gioco di lei, come se la sua osservazione l’avesse in qualche modo divertito. Non riusciva a capire come qualcuno potesse trovare divertente il fatto di essere chiamato noioso. Si morse il labbro e lo scrutò attraverso la debole cortina di fumo. Stava per chiedergli direttamente a che gioco stesse giocando, ma poi cambiò idea.

“Hai ricevuto qualcosa di interessante per il tuo compleanno?”

“A dire la verità, sì.” Rispose. “Un boccale di birra scadente ed una sbirciatina da vicino ad una donna che praticamente non conosco.”

 

Tonks stava per mettersi a ridere, ma per qualche ragione che non riusciva a capire, non voleva dargli la soddisfazione di vedere che l’aveva divertita. Portò una mano davanti alla bocca e finse di tossire, invece.

“Nient’altro?” chiese, sporgendosi verso di lui, la mano che teneva sempre coperta la bocca.

“Alla mia età, è il massimo in cui puoi sperare. Disse, e Tonks premette le dita sulla bocca per soffocare una risatina.

 

Lui la guardò con un’espressione simile a qualcuno che sta osservando un esperimento, come se volesse prevedere cosa sarebbe successo poi, o riuscire a capire come funzionava.

La faceva sentire estremamente nervosa, e non era certa del perché.

 

“Mi chiedo perché chiamino questo posto The Red Lion,” disse lei, cercando una domanda per distrarlo e non trovando niente di meglio che questo. “Ci sono leoni da queste parti?”

“Non di rossi.” Rispose, vuotando il boccale. “Grazie mille per avermi offerto da bere, ma forse ora è meglio che torni indietro.

Si alzò in piedi per andarsene, e lei si scoprì a desiderare che non se ne andasse. “Potresti almeno offrirmi una birra,” tentò lei. “Io te l’ho offerta”.  Lui serrò le labbra e le sopracciglia si mossero quasi impercettibilmente.

“Molto bene,” disse lui, e si fece strada verso il bar.

 

Tonks rimase seduta ad aspettarlo, con un’espressione alquanto ebete dipinta sul volto all’idea di essere riuscita a fargli fare quello che voleva, e che sarebbe riuscita a parlare ancora un po’ con lui. Quell’espressione sparì all’istante quando Remus tornò e piazzò un unico boccale sul tavolo di fronte a lei.

 

Lei lo fissò interdetta, poi il boccale e poi lui di nuovo.

“Salute,” disse,e se ne andò, con un vago sorriso malizioso sul viso, lasciandola sola in un pub affollato con un boccale pieno di birra.

 

Bastardo, pensò, capendo improvvisamente perché Remus e Sirius erano amici.

 

 

 

E siamo arrivati in fondo al primo capitolo, sto già lavorando sul secondo, che sarà ancora più movimentato, ma i primi veri sviluppi si avranno nel terzo.

Non ringrazierò mai abbastanza Lady Bracknell per avermi dato il permesso di tradurre e un grazie particolare va come sempre a Little Fanny, instancabile beta e compagna di notti sclerate... Grasie!! J J J

Ora vi lascio, con la speranza che andandovene scriviate un commentino per l’autrice e la mia traduzione...

 

A presto.

**Nonna Minerva**

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Capitolo 2
*** 2. Between the Lines ***


capitolo 2

Ed ecco a voi a tempo record (forse perché era corto?) il secondo capitolo!

Farò i salti mortali per riuscire a postare il terzo prima di partire per le vacanze giovedì...

Nel frattempo grazie per avere recensito numerosi ( a proposito Little Fanny, grazie mille per il papiro che dovrò tradurre all’autrice… tvb… vedrai che ti faccio appena ti prendo…!).

Qualcuno ha trovato il personaggio di Remus un po’ OOC.. secondo me questa parte gli calza benissimo, sottolinea il suo lato malandrino che pochi autori privilegiano.

Lo preferisco di gran lunga al solito Remus che fa il nobile e piange su se stesso e le sue disgrazie ( non ho detto che in quella veste non mi piaccia, è comunque adorabile... ).

Ora basta con i miei sproloqui, vi lascio alla lettura di ciò per cui avete aperto questa pagina..

 

Buon divertimento!

2.      Between the Lines.

 

“Oh, Malocchio no,” lo supplicò. “Tutti tranne lui.”

“Lupin è un mago dannatamente in gamba.” Rispose Moody. “Potresti imparare molto da lui.”

 

Tonks fece un rumore che assomigliava molto a ‘pfft’.

“E’ stato insegnante di Difesa contro le Arti Oscure l’anno prima che io in.. ehm, non insegnassi.” Grugnì Moody. “Sarebbe stato un ottimo Auror, se vuoi saperlo.”

 

“Ma... tutta la notte!” esclamò, il volto contorto in una smorfia. Moody fissò entrambi gli occhi su di lei, quello magico che tremava leggermente nell’orbita. “E va bene!” disse lei infine, alzando gli occhi al cielo.

 

Moody uscì dalla stanza borbottando fra sé, e lei tornò a dedicarsi all’allestimento di falsi testimoni oculari che avrebbero dovuto affermare di aver avvistato Sirius e fissò la pergamena con aria truce.

Dodici ore, intrappolata nel sottobosco fuori dalla tenuta dei Malfoy con Remus Lupin. Terribile. L’intera notte... gemette al pensiero e diede un colpo alla tavola con la testa.

 

Era così occupata a compiangersi immersa nella sua relazione che non notò nemmeno Remus entrare.

“Buona sera,” disse lui e lei alzò la testa, sorpresa.

 

“Hai visto Moody?”

 

“Sì,” rispose Remus attraversando la stanza e studiando con interesse la libreria. “Sono impaziente al pensiero di avere il piacere della tua compagnia, tutta la notte. E vedo che tu sei felicissima alla prospettiva di avere la mia.”

 

Lo guardò con gli occhi socchiusi, incapace di capire se il suo commento fosse sarcastico o meno.

 

Remus scelse un libro e, invece di portarselo nella sua stanza, come Tonks si aspettava, si sistemò in una delle poltrone accanto al caminetto e sfogliò le pagine finché non ebbe trovato quello che cercava.

 

Tornò a dedicarsi alla sua relazione, ma dopo alcuni minuti, passati a fissare la pergamena con aria assente, realizzò di non riuscire proprio a concentrarsi.

 

“Hai davvero insegnato Difesa contro le Arti Oscure a Hogwarts?” gli chiese.

“Perché?” domandò, senza alzare gli occhi. “Hai bisogno di aiuto con i compiti per casa?”

 

Tonks lanciò uno sguardo alla pila di pergamene s cui stava lavorando e poi tornò a fissare lui, accigliandosi. Infastidita dal fatto che non avesse nemmeno alzato lo sguardo per notare la sua occhiataccia, accartocciò un pezzetto di pergamena bianca e glielo lanciò, prendendolo sulla tempia e facendogli cadere un ciuffo di capelli sugli occhi. Rimase abbastanza colpita nel vedere che la cosa non lo aveva minimamente turbato.

 

“Sembri proprio il tipo.” Disse.

“Il tipo?” chiese lui, inarcando un sopracciglio.

“Per essere un insegnante”

“Fammi indovinare,” disse, voltando pagina, “Siamo tornati di nuovo sul fatto che sono noioso?”

“Non necessariamente,” rispose. “E’ solo che mi stavo chiedendo... io ero sempre nei guai a scuola.”

“Ci avrei scommesso.”

 

Giocherellò con la fine della sua piuma per un attimo, studiandolo. Non riusciva mai a capire cosa stesse pensando, e lo odiava.

 

“Scommetto che tu non ti sei mai messo nei guai.”

“Non sono mai stato preso.” Disse, guardandola con uno sguardo vagamente malizioso. “C’è differenza.”

 

Lei represse un sorriso con grande difficoltà. Risposta interessante, pensò. Si mordicchiò l’unghia del pollice e lui tornò alla sua lettura.

“E che tipo di guai combinavi?”

“Qualsiasi cosa.”

“Provalo,” lo sfidò. “Qual è la cosa peggiore che tu abbia mai fatto?”

 

Remus sospirò e girò pagina, per un momento lei pensò che non avrebbe risposto.

“Ho spinto tre altri studenti ad eseguire un incantesimo altamente avanzato e pericoloso, per non dire illegale, su di loro, e in una occasione ho quasi ucciso qualcuno. Tu?”

 

Alzò lo sguardo, le sopracciglia inarcate in un’espressione di garbata curiosità, e Tonks deglutì. Non si era aspettata qualcosa del genere. “Ho fatto diventare rosa i vestiti di Piton, una volta.” Mormorò debolmente.

 

“Sono sicuro che fosse molto attraente,” disse, “ma ho sempre preferito Severus in un abito di pizzo, e magari mentre indossa un cappello con sopra un avvoltoio impagliato.”

 

“Cosa?”

 

Remus le fece il più debole dei sorrisi.

“Uno dei miei studenti aveva molta paura di Severus,” disse, “e quando abbiamo affrontato i Mollicci, l’ho convinto a pensare a Piton con addosso i vestiti di sua nonna. Il risultato è stato decisamente più divertente di quanto mi fossi aspettato.”

 

“Piton l’ha poi scoperto?”

“Oh, sì,” le assicurò Remus. “Era sulla bocca di tutti.”

“E cosa ha detto?”

“Ci ha riso sopra.”

“Davvero?” chiese, sporgendosi verso di lui, scioccata.

“No.”

 

Lei rise e Remus sorrise leggermente prima di tornare al suo libro. Tonks avrebbe voluto parlare ancora con lui, ma non riusciva a pensare a niente da dire, e più tempo passava, più imbarazzante sarebbe stato.

 

Con riluttanza riportò la sua attenzione agli appunti sugli avvistamenti di Sirius per la sua relazione mensile su di lui. Yorkshire, pensò. Sì, dovrebbe essere un bel posto per...

 

La pergamena accartocciata la colpì sulla fronte, in mezzo agli occhi. Alzò lo sguardo su Remus per vederlo mentre voltava pagina serenamente, non guardando nemmeno dalla sua parte.

 

Ma sapeva che era stato lui.

 

Si trattenne dall’impulso di chiamarlo bastardo e represse un sorriso. Forse trascorrere una notte con lui non sarebbe stato poi così male, dopo tutto.

 

 

 

Questo è quello che pensi tu, cara Tonks... ma niente spoiler, spiacenti, dovrete aspettare il prossimo capitolo per sapere cosa succederà…

 

Fine secondo capitolo, ancora 6 alla fine.

 

L’ultima volta ho dimenticato di segnalarvi il sito dove potete trovare l’originale: www.fanfiction.net  l’autrice è Lady Bracknell e il titolo è invariato.

 

Continuate a seguire, perché sarà sempre meglio!

 

*-* Nonna Minerva *-*

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Capitolo 3
*** 3. Out of the Woods ***


capitolo 3

Buona sera a tutti!! Ho lavorato tantissimo in questi giorni e questo è il risultato... ho deciso di dividere in due il capitolo perché è lunghissimo e non volevo partire senza lasciarvi qualcosa da leggere…

I vostri commenti mi hanno fatto molto piacere (e faranno anche piacere all’autrice, prima o poi mi deciderò a tradurli e a mandarglieli!), vi chiedo scusa se la traduzione di questo capitolo potrà apparire un po’ sottotono rispetto ai precedenti… prometto che se fa proprio così schifo, al mio ritorno ci darò un’occhiata e la metterò a posto!

 

3. Out of the Woods.

 

Tonks strascicava i piedi nel sottobosco e giunse al punto in cui avrebbe dovuto incontrare Remus, imprecando sottovoce e strizzando i suoi abiti fradici. Tipico. Dannatamente tipico.

 

Lui era già lì, naturalmente, appoggiato al tronco di un albero, controllando l’orologio anche se lei non era in ritardo. Quando lei si avvicinò, lui alzò lo sguardo e smise di sorridere nel vederla apparire così in disordine. Guardò il cielo limpido senza la traccia di una nuvola attraverso le fronde degli alberi, disorientato, poi sbirciò di nuovo i suoi abiti bagnati, come per controllare di aver visto giusto  e infine si limitò a fissarla, con espressione confusa.

 

“Pioveva a Londra.” Disse lei, evitando i suoi occhi. Prese la bacchetta ed iniziò ad asciugarsi i vestiti. Remus contorse le labbra, divertito.

 

“Non hai pensato di evocare un ombrello?”

“Ho l’aspetto di una che ha pensato di evocare un ombrello?”

“No, “ rispose, “Domanda stupida. Chiedo scusa.”

 

Tacque per un istante e ficcò le mani nelle tasche, non sembrando neanche lontanamente dispiaciuto.

“Pensavo di iniziare con un sopralluogo preliminare e poi...

“Così hai deciso che sei tu a dirigere le operazioni, eh?” sbottò lei, interrompendolo.

“No, assolutamente,” disse con cortesia. “Era solo un suggerimento.”

“Bene,” rispose. “Faremo un primo sopralluogo e poi cercheremo un posto sufficientemente coperto da cui si possa vedere la porta d’ingresso.”

“Un ottimo suggerimento.”

 

“Bene” disse, con la crescente impressione che lui si stesse prendendo gioco di lei. Si eresse in tutta la sua statura e con tutta la professionalità che possedeva, gli intimò “Seguimi.

 

Si voltò e fece per iniziare a farsi strada fra le fronde. Dietro di lei, Remus scoppiò a ridere.

Si bloccò di colpo e si girò a guardarlo in faccia.

Cosa c’è?” chiese.

“Niente,” rispose, evitando il suo sguardo, un sorriso che faticava a reprimere in volto.

“No, dimmi, cosa c’è?” chiese più insistentemente, le mani sui fianchi.

“E’ solo...” fece un passo verso di lei e le tolse qualcosa da dietro la testa. “Avevi una piccola piuma fra i capelli.” Disse, mostrandogliela perché la vedesse.

 

Lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, e tentò disperatamente di non apparire imbarazzata all’idea che avesse capito cosa le era successo. Maledetti laghetti delle anatre, che ti compaiono sulla tua strada non appena ti sei Materializzato... la lotta per nascondere l’imbarazzo coinvolse tutti i muscoli della sua mascella. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di... beh, niente.

“Ecco fatto.” Disse lei, buttando la piuma per terra e pulendosi le dita.

 Lui riuscì a mantenere la sua espressione calma e controllata, ma i suoi occhi scintillavano divertiti.

 

“Oh, piantala!” sbottò.

Remus fece un notevole sforzo per non scoppiare a ridere, ma non ce la fece.

 

 

Piazzarono degli incantesimi di individuazione lungo tutto il perimetro della tenuta dei Malfoy, restando in silenzio, ma ogni tanto Tonks sbirciava nella sua direzione per cogliere sul suo volto un sorriso divertito, che spariva non appena si rendeva conto che lo stava guardando. Sapeva che stava pensando a lei e al laghetto delle anatre. Decisamente mortificata, si concentrò con decisione sul suo compito, cercando di non pensare a quanto tempo ancora avrebbero dovuto passare insieme. Fra tutte le cose che sarebbero potute succederle... e davanti a lui, fra tutte le persone...

 

Piazzare gli incantesimi che avrebbe impedito loro di essere scoperti o catturati, portò via loro quasi un’ora, e si diressero fra gli alberi verso i confini della tenuta.

 

Fuori un’ora, pensò cupamente, ancora undici.

 

Il limite della proprietà era marcato da un basso muro di mattoni, e loro vi si avvicinarono con prudenza lungo il sottobosco, anche se erano ad una distanza considerabile dalla casa.

Non credeva nemmeno di poterla chiamare casa, piccolo castello sarebbe stata una definizione migliore. L’ingresso che avrebbero dovuto sorvegliare era impressionante: un massiccio portone in legno di quercia con un grande battente nero, incastrata nel cuore di una torretta centrale. Aveva sempre pensato che i suoi parenti si dessero soltanto delle arie, chiamandola mansione, ma la sola porta diceva tutto. Lo era veramente.

 

Le istruzioni di Moody erano che loro dovessero prendere nota di tutte le partenze e gli arrivi e dell’ora: si diceva che i Mangiamorte stessero sfruttando la posizione sociale dei Malfoy per reclutare nuovi membri, e che quella sera ci sarebbe stato un party giusto per quello scopo. Ogni nuovo nome o faccia sarebbe stata un’informazione estremamente preziosa.

 

“Parli di umile dimora..” Disse Tonks, accennando con la testa alla mansione dei Malfoy, e stringendo la presa sulla bacchetta.

“Già,” rispose Remus. “Ci sei mai entrata?”

“No,” disse. “Perché avrei dovuto?”

“Pensavo che essendo una parente...” spiegò, fermandosi un attimo per strappare la gamba dei pantaloni da un cespuglio di rovi.

“Già,” disse, “Ma tu non inviti i tuoi scheletri nell’armadio a cena.”

Remus ridacchiò sommessamente.

“No,” concordò. “Suppongo di no.”

 

Si fermò al limite di una macchia d’alberi e lei lo seguì.

“E’ meglio se noi..

Estrasse da una tasca il Mantello dell’Invisibilità di Moody e toccò a terra, scintillando leggermente. Se lo buttò sulle spalle, alzò il cappuccio per sparire parzialmente facendole segno di venire più vicino e coprendola con il mantello quando lo fece.

 

Le venne in mente all’improvviso che era molto strano trovarsi a distanza tanto ravvicinata da Remus. Sentì il bisogno di dire qualcosa, per distrarla dal pensiero che non si sarebbe sentita così strana a stare così vicino a Moody o Kingsley, ma immaginò che fosse perché li conosceva ed era abituata alla loro vicinanza.

 

“Odio queste cose,” sussurrò, chiedendosi mentre lo faceva perché parlava a bassa voce.

Lui rimase immobile per un istante, aspettando che lei si sistemasse, in modo da essere completamente coperta dal mantello e poi le appoggiò cautamente una mano sulla spalla.

“Pronta?” chiese.

“Come sempre,” rispose,  adocchiando il suo piede traditore e il materiale argentato su cui sarebbe probabilmente inciampata o avrebbe calpestato senza cura.

“Guida.” Disse lui.

 

Procedere attraverso il sottobosco insieme era  insidioso come si era aspettata, e ci volle un bel po’ prima di trovare una posizione dove avessero un copertura adeguata per eseguire tutti gli incantesimi che si sperava, li avrebbero protetti, e da dove potessero allo stesso tempo essere in grado di non perdere di vista il loro obiettivo. Scelsero un posto parzialmente coperto, a metà strada dal muretto di mattoni e dietro un cespuglio di rododendri non controllato, e Remus piazzò una serie di incantesimi per nasconderli. Si tolsero il mantello e Tonks eseguì un incantesimo di silenziamento, così almeno avrebbero potuto trascorrere il tempo parlando.

 

Ma Remus non era affatto una compagnia semplice. Provò a parlare del più e del meno, dell’Ordine, e ricevette nient’altro che risposte educate, ma brevi. Stava quasi iniziando a desiderare che lì ci fosse Malocchio, con i suoi discorsi interminabili sulla vigilanza costante. Sbirciò Remus attraverso la crescente oscurità mentre si appoggiava al tronco di un albero, e decise di tentare di nuovo.

 

“A che ora dovrebbe cominciare questa cosa?” chiese.

“Intorno alle nove.”

Che ora è adesso?”

“Le sette.”

“Oh, maledizione.” Esclamò. Era peggio di quanto pensasse. Si aspettava che fossero almeno le otto.

“Vuoi fare un gioco o qualcosa per passare il tempo?”

Perché no?” rispose lui, inarcando un sopracciglio nella sua direzione. “Ho sempre pensato che i giochi fossero una parte integrante di ogni operazione sotto copertura. Quidditch?”

 

Lei lo guardò storto e poi sospirò. Se di fare un gioco non si parlava, restava solo una cosa da fare.

Dopo quella conversazione in biblioteca aveva deciso che valeva la pena conoscerlo meglio dopotutto, per quanto lui l’avrebbe reso difficile, ma d’altra parte non potevano restare in silenzio tutta la notte.

“Bene,” disse. “Parliamo di te.”

 

Remus le lanciò uno sguardo che diceva che avrebbe preferito ballare il tango con una manticora, ma lei persistette comunque.

 

“Qual è il tuo gruppo preferito?”

“Sono abbastanza certo di non averne uno.

 

“Qual è il tuo cibo preferito?”

Sospirò e chiuse gli occhi un istante.

“Tonks, ti prego..” disse.

“Non è difficile, Remus.”

“Cioccolata.” Rispose, sentendosi come se stesse partecipando ad una di quelle interviste a celebrità di secondo piano che si leggevano in quelle riviste come il Settimanale delle Streghe di Molly.

 

“Colore?”

“Lo preferisco.” Disse. Lei alzò gli occhi al cielo.

“Qual è il tuo colore preferito?”

“Non lo so, Tonks,” rispose, massaggiandosi la fronte confuso. “Blu?”

 

Questa cosa non stava portando da nessuna parte. Decise di cambiare tattica.

“Se ti capitasse di bere davvero molto e finissi a letto con qualcuno di veramente orribile –orribile tipo megera- scapperesti mentre è ancora addormentata sperando di non vederla mai più, o aspetteresti che si svegli e le diresti che sei stato molto bene con lei, così da non ferire i suoi sentimenti, o le cancelleresti la memoria?”

 

L’aveva detto solo per vedere se si fosse sentito a disagio, e quando aggottò la fronte più soprappensiero che in orrore, fu molto colpita. Remus sospirò, massaggiandosi la fronte con le lunghe dita mentre considerava la domanda.

“Qual era la seconda opzione?” chiese.

“Aspetteresti che si svegli e le diresti che sei stato molto bene con lei, così da non ferire i suoi sentimenti.”

“Non lo so,” disse infine, incrociando le braccia sul petto e lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato. “Quella, probabilmente.”

“Davvero?”

“Non lo so, Tonks,” rispose debolmente. “Non tendo ad andare a letto per caso con la gente, brutta o meno.

Ma vai a letto con la gente? Lo fai solo di proposito?”

“Come regola.”

“Come regola vai a letto con la gente?”

“No, come regola, se mi capita di dormire con qualcuno, tendo a farlo di proposito. Sbottò esasperato. Si chiese primo, perché mai volesse saperlo, e secondo, se queste capacità interrogative le avesse apprese durante il corso di addestramento per Auror.

 

“Stai andando a letto con qualcuno, di proposito, al momento?”

Lui la guardò, scioccato.

Cosa c’è?” chiese lei, sorridendo sorniona.

 

Remus si schiarì la voce e si raddrizzò.

“Forse dovremmo dividerci,” esordì. “Sorvegliare la porta da più angolazioni.”

“Lo dici solo perché non vuoi parlare della tua vita sessuale.

 

Remus sospirò seccato e chiuse gli occhi un momento prima di guardare altrove.

“Sì,” mormorò, mentre si allontanava nel sottobosco. “E’ così.”

 

Si voltò per seguirlo, il piede si incastrò in una radice quasi slogandosi la caviglia. Quando finalmente lo raggiunse pareva alquanto seccato.

“Chiedo scusa,” disse, “Ma ho sempre pensato che dividersi implicasse il fatto che io fossi da una parte e tu in un’altra.”

“Mi annoierò!” esclamò, con una nota di minaccia nella voce.

“Un rischio che credo di essere pronto a correre.” Affermò. “Preferisci il rododendro o quella cosa?”

 

Alzò lo sguardo e vide che Remus stava indicando , un grande cespuglio scuro sulla loro destra.

“Quella cosa” rispose tristemente, fissando il terreno con desolazione.

“Bene,” disse, non potendo fare a meno di sorridere leggermente. “Allora resta.”

 

Si trascinò pesantemente fino al rododendro, con un sospiro. Frusciò appena quando lui sparì dietro di esso.

 

Tonks sbuffò e si diresse verso il cespuglio che Remus le aveva assegnato, realizzando, troppo tardi, ed in modo a dir poco doloroso, che era ricoperto di lunghe spine appuntite.

 

Incrociò le braccia e lanciò un’occhiataccia nella sua direzione, anche se non riusciva a vedere dove fosse.

 

Fuori due ore, ancora dieci.

 

FINE PRIMA PARTE..

 

Il terzo capitolo non finisce qui, ma come ho già detto per mancanza di tempo, e non volendo partire senza avervi lasciato qualcosa da leggere, l’ho diviso in due…

Ho stampato la seconda parte e prometto di lavorarci durante queste due settimane, così da poterla postare al più presto al mio ritorno..

 

So che ci sono delle imprecisioni ( per esempio ho qualche problema con il rododendro, dal momento che non sono affatto sicura che si possa scrivere così…), vi prego, non siate troppo severi…

 

Vi assicuro che lavorato davvero fino all’ultimo minuto.. (Ore 00.13 in questo momento e parto all’1..).

 

Ciao ragassi.. mi mancherete…

Non aggiornate troppo in mia assenza…

Baci!

-NONNA MINERVA-

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Capitolo 4
*** 3. Out of the Woods (seconda parte) ***


out of the woods B

Ehilà! I’m back! Avrei postato molto prima, ma sto avendo un casino di problemi con word per quanto riguarda questo file ( si blocca ogni volta che batto una lettera ).. So che vi avevo promesso un pezzo più lungo, ma spezzettare il file è l’unica soluzione che ho trovato finora... spero di mandare il seguito presto..

 

3. Out of the woods (seconda parte)

 

Fuori due ore, ancora dieci.

 

Tonks sedeva rigidamente dietro al suo cespuglio, fissando l’oscurità.

Erano lì da ore e non era successo niente.

Non un cane che abbaiava, non il frusciare di una foglia, non un riccio con il raffreddore avevano disturbato la pacifica quiete primaverile che regnava attorno alla dimora dei Malfoy a parte uno stuolo di Mangiamorte che si materializzava per il party.

 

Illuminò la bacchetta tenendola fra le ginocchia in modo che il fascio di luce non fosse diretto verso la casa , quindi prese un pezzetto di pergamena dalla tasca e cercò una biro. Ne teneva sempre una a portata di mano, erano molto meno scomode delle piume.

 

-         Mi annoio – scribacchiò sulla pergamena, e lo lanciò dove sapeva era seduto Remus.

 

Il messaggio atterrò vicino alla sua caviglia, ma presumendo di avere soltanto immaginato il fruscio sulla gamba dei pantaloni, Remus lo ignorò.

 

Tonks mise il broncio quando dopo dieci minuti ancora nessuna risposta era giunta e tirò fuori un altro pezzo di pergamena.

 

-         Ho detto che mi annoio – scrisse, e questa volta fece attenzione a mirare direttamente a lui.

 

Sentì frusciare il suo rododendro e seppe che il messaggio era giunto a destinazione.

 

Qualche minuto dopo il pezzo di pergamena tornò indietro.

-         Strano, io mi sto divertendo un mondo, qui -

Lei aggrottò la fronte, leggendolo.

-         Sei esasperante – scribacchiò velocemente, e glielo rimandò.

-         Lo so. – diceva la risposta.

 

Tonks sbuffò esageratamente per l’irritazione e la noia. Era davvero l’uomo più esasperante che avesse incontrato. Era anche l’unica cosa che poteva salvarla dalla noia mortale, lì, fra gli arbusti. Mordicchiò la fine della biro, pensando a cosa scrivere poi – qualcosa che mettesse fine al suo essere esasperante ed alla sua noia. Si mosse sul posto considerando la cosa, ricordando troppo tardi che il cespuglio dietro al quale era nascosta aveva lunghe spine appuntite e venendo punita con un lungo graffio sulla gamba.

Borbottò un “Ahi!” e si sedette diritta, maledicendosi per non aver scelto il rododendro quando Remus gliene aveva dato la possibilità. Passò una mano sulla ferita.

 

-         Vuoi fare un gioco, ora?

Sicuramente era annoiato quanto lei. La pergamena tornò subito indietro.

-         Per favore, Tonks, non chiedermi di nuovo della mia vita sessuale.

Lei ridacchiò.

-         Ti conosco da nove mesi, - scrisse, con un ghigno stampato sulla faccia. – Sono praticamente certa che tu non ne abbia una.

 

La risposta arrivò quasi immediatamente, e un po’ più velocemente di quanto si fosse aspettata. Il lancio era lungo, e dovette cercare a tentoni nel buio per recuperarlo.

C’erano solo due parole.

 

-         Senti chi parla.

 

Per un attimo dovette combattere fra una risata e la rabbia. Come ci riusciva? Come faceva ad avere sempre la meglio?

 

Tenne il broncio per venti minuti, ma poi il terrore di trascorrere le seguenti nove ore e mezza in silenzio tombale placò la sua rabbia nei confronti di Remus, per quanto grande fosse.

 

-         Allora vuoi?

-         A cosa sto acconsentendo, adesso?

-         Un gioco, - rispose, chiedendosi cosa pensava che lei intendesse.

-         Del tipo? – diceva la risposta.

-         Dal momento che il mio cespuglio è pieno di spine, direi che strip poker è fuori discussione, - scribacchiò masticando la fine della penna e cercando di pensare ad un

gioco che potessero fare nella loro bizzarra situazione. – Verità o penitenza?

 

-         Come suggerisci di fare le penitenze senza compromettere la nostra posizione?-

scrisse lui. – Mi stai davvero proponendo di giocare a verità o verità?

Tonks continuò a mordicchiare la sua biro e rifletté.

 

-         Hai un’idea migliore? – scrisse, e gli lanciò la pergamena.

-         Immagino che concentrarsi sulla nostra missione non sia un’opzione da considerarsi?

-         Verità o verità sia, allora – disse – Ci faremo a turno due domande e dovremo rispondere sinceramente a una delle due.

 

Appallottolò la pergamena e gliela tirò. Non dovette attendere molto per la risposta.

 

-         Sembra un gioco molto sciocco, Tonks. Ci sto.

 

Le ci volle un po’ per registrare quello che c’era scritto. Poi qualche altro minuto per domandarsi cosa mai volesse chiedergli. Alla fine decise.

 

-         Hai mai avuto una ragazza, o è vero che i lupi mannari si eccitano prima della luna piena?

 

La risposta tornò subito indietro.

 

-         Sì.

 

Accidenti, pensò, dicendo a se stessa di ricordarsi di scegliere meglio le parole, la prossima volta. Lesse le sue due domande.

 

- Perché sei tanto interessata nella mia vita sessuale, o come sono realmente i tuoi capelli?

 

Di rispondere alla prima non se ne parlava.

 

-         Castani e noiosi. – scrisse, poi fece la sua domanda.

-         L’hai baciata, o qual era il suo nome?

-         Sì, l’ho fatto, molte volte. Sai cucinare, o qual è il tuo secondo nome?

Non ce l’ho, mia madre ha fatto tutti i danni possibili con il primo. Com’è stato il tuo primo bacio, o com’è stato l’ultimo?

-         Sei fissata. Di sera con la neve e molto romantico. Hai mai pensato ad una carriera come giornalista, o qual è il tuo dolce preferito?

 

Tonks stava per scrivere ‘sorbetto alla fragola’ quando decise che il tutto era assolutamente ridicolo. Sgattaiolò fino al cespuglio di Remus.

 

“E’ stupido.” Disse. “Perché non ci parliamo semplicemente?”

“Perché...” iniziò. Poi si bloccò, senza un motivo. Aveva creato una specie di fiammella che emanava una luce fioca, e il debole alone illuminava i suoi lineamenti quanto bastava per far sì che lei cogliesse il suo sguardo da cui capì che non aveva intenzione di scendere nei dettagli.

“Cosa?”

“Niente.” Disse, sorridendo affabile. “Hai ragione. Siediti.”

 

Si spostò un po’ facendole spazio e lei scivolò nell’erba accanto a lui, massaggiandosi le braccia per il freddo guardando le fiamme di fronte a loro tremolare.

 

“Mi prometti di non stancarti ancora di me?” chiese.

“No.” Rispose lui.

“Perché no?”

“Perché non faccio mai promesse che non sono sicuro di riuscire a mantenere.” Disse, voltando la testa per guardarla, gli occhi che brillavano divertiti.. “Forse se promettessi di non essere irritante...”

“Non ero irritante!” protestò lei. “Solo interessata. Ad alcune persona piace interessarsi di altre. Quelle che non sono limitate dal fatto di essere maledettamente noiose, almeno.”

“Quindi adesso sono maledettamente noioso?” chiese vagamente divertito.

“Sì.”

“Che è presumibilmente più che essere solo noioso.”

“Sì, almeno dieci volte tanto.”

“Bene.” Disse, annuendo e sorridendo fra sé.

“Cosa?”

“Niente,” rispose. “E’ solo che... se sono maledettamente noioso, mi chiedo perché mai in questo momento tu sia così ansiosa di parlare con me.”

 

Non riuscì a pensare a niente di appropriato da dire, così si limitò a fissarlo. Lui distolse lo sguardo ed il suo volto scomparve nell’ombra, ma sentì una risatina repressa. C’era indubbiamente qualcosa riguardo quella risatina che le diede la distinta ed ormai familiare sensazione che lui si stesse prendendo gioco di lei.

 

Fuori due ore e mezza, ancora nove e mezza.

 

 

 

Eccoci qui.. so benissimo che si interrompe un po’ all’improvviso la conversazione, ma quel pirla del mio computer non mi lascia andare avanti... ( l’ho già detto che è pirla? ). Che rabbia, che rabbia, che rabbia!! Quanto odio questi aggeggi infernali! Vabbè, me ne farò una ragione.

A presto.

 

Nonna Minerva

just in case... pensato di avvisarvi...d alla spiegazione del modo di dire, contattatemi, ve lo passo volentieri.uale di Remus

P.S. Quando i due fanno quel giochetto della ‘verità o verità’, arriva un punto in cui Tonks scherza sulla vita sessuale di Remus e lui le risponde dicendo “Senti chi parla.”

Nella versione originale lui rispondeva con un modo di dire che in italiano non esiste ( o se esiste non ho trovato l’associazione ) e che l’autrice mi ha detto che potevo tradurre anche così.

 

Se siete interessati al dialogo originale ed alla spiegazione del modo di dire, contattatemi, ve lo passo volentieri. Era curioso, così ho pensato di avvisarvi... just in case...

 

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Capitolo 5
*** 3. Out of the Woods (terza e ultima parte) ***


Fuori due ore e mezza, ancora nove e mezza

E... ce l’ho fatta!! Ho finito il terzo capitolo! Finalmente, era lunghissimo!

Chiedo scusa per l’inconveniente della divisione, le ultime tre parti che ho pubblicato (compresa questa) fanno parte di un unico capitolo nella storia originale. Sono stata costretta a dividerli per svariati motivi, spero non abbia rovinato l’effetto.

Mi scuso con Lady Bracknell per la mutilazione della sua storia.

Buona lettura.

 

 

3. Out of the Woods (terza e ultima parte)

 

Fuori due ore e mezza, ancora nove e mezza.

 

“Chi era?” sussurrò. “Non sono riuscita a vedere.”

“Rockwood,” bisbigliò Remus. Le venne in mente che non c’era alcun bisogno di parlare a bassa voce. Remus controllò il suo orologio, prese una piuma e prese nota dell’ora in un piccolo quadernetto con la copertina rossa. Lei allungò il collo per vedere cosa aveva scritto, ma la pagina era vuota.

 

“Oh, molto intelligente,” disse, “Inchiostro invisibile?”

“Non proprio.”

 

 

Fuori due ore e tre quarti, ancora nove e un quarto.

 

“Molto tranquillo come party, non trovi?” osservò. Remus alzò gli occhi al cielo.

“Se lo dici tu,” rispose.

 

Quando realizzò la sottile ironia nella sua risposta, il momento per essere palesemente irritata e rispondere a tono era ormai passato.

 

Fremette silenziosamente dalla rabbia. Bastardo.

 

 

Fuori tre ore, ancora nove.

 

Cosa credi facciano i Mangiamorte alle feste?” chiese lei, indicando con un cenno la casa ormai piena di Mangiamorte a loro noti, le loro consorti, gli strani membri delle loro famiglie e un paio che erano apparentemente nuove reclute.

 

“Penso tu possa archiviarlo fra le cosa che preferisco non sapere.” Disse Remus.

 

“Hmm. Mi chiedo come sia il cibo,” mormorò. “Mamma ha sempre detto che Narcissa era una cuoca orribile; suppongo abbia pagato qualcuno, o forse hanno un nuovo elfo domestico. Probabilmente si mangia bene. Appena meglio che a un buffet.”

Remus emise un suono come a dire ‘no comment’, senza distogliere lo sguardo dalla casa.

 

“Non è strano che tutti abbiano portato un regalo?” continuò Tonks. “E’ bizzarro pensare a  gente come loro che fa, per dire, cose normali. Anche se non sappiamo cosa fossero. Potrebbe essere stato qualsiasi cosa... formaggio incantato per individuare i traditori di sangue, vino che avvelena le persone lentamente, criceti pietrificati da aperitivo... immagino ci abbiano pensato molto. Cosa regalare a Malfoy – il Mangiamorte che ha tutto. Non vuoi inimicarti lui e Tu-Sai-Chi semplicemente portando un regalo inappropriato. Fece una pausa, per lasciare a Remus il tempo di parlare. Tacque. “Non credi?” Silenzio. “Remus?”

 

“Indubbiamente Magie Sinister ha avuto un weekend molto proficuo.” Disse infine.

 

“Allora stavi ascoltando!” esclamò. “Pensavo avessi messo un incantesimo di silenziamento su di me o qualcosa del genere..

 

“Questa sì che è un’idea.” Rispose Remus tranquillamente, il lampo d’un sorriso sul volto.

 

 

Fuori tre ore e mezza, ancora otto e mezza.

 

“Cos’è che dovremmo fare ora?” domandò Tonks.

“Aspettare.”

Cosa?”

“Qualsiasi cosa succeda adesso.” Rispose. “Oppure l’alba.”

 

O che io ti salti addosso e ti strangoli per essere così maledettamente seccante, pensò. Tonks giocherellò distrattamente con un filo allentato della sua maglia, tirando finché la stoffa non si increspò ed alla fine si formò un buco. Sbuffò per la noia e perché Remus non provvedeva a placarla con adeguate distrazioni.

 

 

Fuori quattro ore, ancora otto.

 

“Fai conversazione.” Disse. Lui non rispose. “Niente di straordinario.” Offrì. “Direi di fare una bella chiacchierata sul tempo.

 

“Ho sentito che sta piovendo, a Londra.”

 

Lei lo guardò torvo.

 

Lui la ignorò.

 

 

Fuori quattro ore e mezza, ancora sette e mezza.

 

“Sai,” persistette. “Ho intenzione di dire a Moody che la prossima volta che riterrà ch’io abbia bisogno di compagnia per una missione, quel vecchio gufo impagliato nell’ufficio di Scrimgeour andrà benissimo.”

C’era un lieve bagliore negli occhi di Remus, ma non disse niente.

“Sei sicuro che non vuoi fare un altro gioco?”

“No, grazie.”

Cosa vuoi fare allora?”

“Stare qui seduto tranquillo.” Rispose. “Anche se al momento mi sembra un sogno remoto.

Tonks incrociò le braccia sul petto.

“Quel gufo impagliato non sarebbe tanto palloso.

“Dubito che riusciresti a fare un gioco nemmeno con lui, però.

“Allora vuoi fare un gioco con me?”

“No.” Disse.

 

“Posso dare un’occhiata al tuo taccuino, allora?”

“Un’occhiata?” le chiese, guardandola incuriosito.

“Sì, sono solo interessata all’incantesimo che hai usato.

“D’accordo,” rispose, e glielo tirò. “Ma cerca di non, hai capito, danneggiarlo.

Lo guardò offesa.

“Sono una professionista! Cosa credi che abbia intenzione di fare? Di incenerire per caso le prove?”

 

Il modo in cui la guardò le fece desiderare di non averlo detto. Evidentemente era esattamente ciò che pensava stesse per fare.

“Fa’ del tuo peggio.” Disse alzando le mani in difesa, un leggero sorriso sulle labbra.

 

Tonks rigirò il taccuino fra le mani per circa un minuto, studiandolo, la fronte aggrottata per la concentrazione. Diede un colpetto con la bacchetta sull’angolino.

Revelo.” Mormorò.

Remus la guardò impassibile. Era ancora più irritante di quando sogghignava.

 “Ho pensato di iniziare dagli incantesimi più semplici. Spiegò, e quindi pronunciò sottovoce un altro paio di incantesimi.

“Aparecium.” Disse poi. Non accadde niente.

Continuò a provare, incantesimo dopo incantesimo, rifiutando di cedere, e Remus continuò ad osservarla con la stessa espressione di cordiale, esasperante intrigo.

 

Alla fine sospirò e lasciò cadere il taccuino. Tamburellò le dita su esso per un attimo, le labbra contratte in una smorfia umiliata.

“D’accordo.” Si arrese. “So che muori dalla voglia di dirmelo.”

 

“Al contrario.” Disse Remus. “Eri abbastanza vicina alla soluzione, ad un certo punto. Ti prego, continua.”

 

Incontrò i suoi occhi. C’era in essi un vago bagliore spassoso. Gli restituì il taccuino.

“Non è qualcosa di molto ovvio, non è vero?”

 

“Un pochino, forse,” rispose, annuendo con una debole traccia di divertimento.

 

Tonks tamburellò le dita sul taccuino di nuovo.

“Accio inchiostro!” disse.

 

“Molto astuto.” Osservò, ma non apparve nulla.

“Andiamo,” lo implorò, “Fammi vedere.”

 

Remus prese il quadernetto dalle sue mani.

“Giuro solennemente di prendere appunti,” disse, e diede un colpetto al taccuino con la bacchetta. Esso si aprì, e Tonks osservò, sorridendo nonostante tutto, mentre le parole riempivano le pagine bianche con un leggero gocciolio.

“Uno stratagemma che risale ai tempi della scuola.

“Ingegnoso. Moody sarebbe davvero impressionato.” Commentò.

 

Abbassò il mento e la guardò.

“Devo dedurre che tu non lo sei?” chiese, inarcando il sopracciglio di un millimetro.

 

“No, lo sono,” lo corresse velocemente, ma quando incontrò il suo sguardo, capì che stava scherzando e si sentì una sciocca per essere stata tanto ansiosa di dargli una risposta.

 

Remus colpì di nuovo il taccuino con la bacchetta, mormorò alcune parole che lei non riuscì a capire e le parole sparirono.

Che ora è?” chiese Tonks, parlando attraverso uno sbadiglio e Remus controllò l’orologio, piegandosi verso il fuoco per leggere l’ora.

 

“Qualche minuto dopo mezzanotte.” Rispose, lanciando un’occhiata alla porta.

Fuori cinque, ancora sette, pensò.

 

Considerando tutto, e a parte il laghetto delle anatre, pensò che le cose non stessero andando tanto male, dopo tutto. Per lo meno non si erano ancora strangolati a vicenda.

 

 

Fuori cinque ore e mezza, ancora sei e mezza.

 

“Hai fame?” le chiese Remus.

“Da morire.”

 

Frugò nelle sue tasche per un momento poi estrasse qualcosa, lo colpì con la bacchetta e diventò un pacchetto incartato con cura. Lo aprì, estrasse un paio di panini e gliene offrì uno, e lei per un attimo si chiese se lui la considerasse stupida per non aver portato niente per sé.

“Sono al formaggio e sottaceti, e non mordono,” disse, evidentemente male interpretando la sua esitazione.

 

“Grazie,” mormorò, accettando il panino. Lei tolse le croste e mangiò quelle per prime. Remus la guardò incuriosito.

“Sono la mia parte preferita,” spiegò lei.

 

“Se me l’avessi detto,” disse,  “Sarei stato lieto di procurati un panino con croste e sottaceti, invece del formaggio,”

 

Non riuscì a decidere se fosse semplicemente bizzarro o se si stesse prendendo gioco di lei, ed incapace di capirlo dalla sua espressione nell’oscurità, si limitò a masticare, soprapensiero.

“Ho portato anche del tè, se vuoi,” disse prendendo dalla tasca una fiaschetta in miniatura che prese presto le sue dimensioni originali ed evocando un paio di tazze.

 

“Ti piace partire preparato,” commentò, mentre lui dava un colpetto alla fiasca per scaldare il tè, e poi versava il liquido fumante nelle tazze e gliene porgeva una.

 

“Questa non è la mia prima nottata qui nel sottobosco, ad aspettare le mosse di Malfoy. Spiegò Remus.

 

“Oh?” si stupì lei. “Allora non siamo qui solo per spiare gli ospiti del party?”

 

Anche quello. Due piccioni con una fava. Ha in mente qualcosa.” Disse lui. “Da un po’ ormai.”

 

 

Fuori cinque ore e tre quarti, ancora sei e un quarto.

 

Tonks sorseggiava il suo tè mentre Remus finiva il panino e prendeva la sua tazza.

“Con chi passi le nottate seduto qui nel sottobosco, allora?”

Perché?” le chiese Remus. “Sei gelosa?”

“Solo se fai dei giochi con loro.

 

 

Fuori sei ore, ancora sei.

 

Remus si appoggiò sulle mani e le lanciò uno sguardo di divertita rassegnazione.

“A cosa vuoi giocare?”

 

“Guerra dei pollici?” propose.

 

 

Fuori sei ore e sette minuti, ancora cinque e cinquantatre minuti.

 

“Mi hai fatto vincere l’ultima partita!” protestò lei.

“Sì.”

Si stupì leggermente quando lui non negò.

Perché?” chiese.

“Ho pensato dovessi vincerne almeno una per l’impegno. Spiegò “Dopotutto ho un vantaggio decisamente spropositato.”

 

Era indecisa se considerarlo terribilmente irritante, o davvero molto dolce.

 

 

Fuori sei ore e mezza, ancora cinque e mezza.

 

“Posso farti una domanda?” chiese tranquillamente e lei si voltò verso di lui, in attesa. La guardò con curiosità come se lei fosse un enigma che stava cercando di risolvere.

Perché hai mentito?”

 

“Mentito?” chiese. “Riguardo cosa?”

 

Perché non volevi che sapessi che eri caduta nel laghetto?”

 

“Non è ovvio?”

“Se lo fosse,” disse, abbassando la testa e squadrandola con un’espressione divertita, “Non te lo starei chiedendo.”

 

Lei alzò gli occhi al cielo, più a se stessa che per lui. Guardò lontano nell’oscurità. Non poteva dirgli la verità e lasciare che la guardasse allo stesso tempo.

“Già pensi ch’io sia un’idiota.” Spiegò. “Immagino non volessi darti una ragione in più.”

 

Remus si lasciò scappare un debole sospiro.

“Lo sai,” disse, “Apprezzerei che tu mi lasciassi guadagnare la bassa opinione che hai di me, piuttosto che immaginare automaticamente il peggio. È più divertente.”

 

“La mia bassa opinione di te?” chiese.

 

“Sì,” rispose, “Hai subito supposto che io pensassi che tu fossi un’idiota, quando effettivamente, non lo penso affatto.”

 

“Davvero?”

 

“Sì, davvero.”

 

“Allora perché ridi continuamente di me?”

 

“Ti è mai passato per la mente,” disse, “Ch’io rida perché ti trovo divertente?”

 

“No.”

 

“Ecco, vedi?” precisò, inarcando un sopracciglio. “Bassa opinione.”

 

Tonks si mosse inquieta sul prato.

 

 

Fuori sei ore e tre quarti, ancora cinque e un quarto.

 

Cos’altro pensi di me?”

Lui inarcò un sopracciglio e prese la sua tazza, nascondendo il sorriso dietro al bordo.

“Adesso stai cercando complimenti.”

 

“Non è vero.”

“E’ vero.”

“Non è vero.”

“E’ vero.”

“Non è vero.”

“E’ vero.”

 

Aprì la bocca ma fu bloccata dal rumore della porta dei Malfoy che sbatteva ed i Lestrange che uscivano. Si Smaterializzarono senza dire una parola.

“Dissenso fra le fila.” Commentò Remus, “Forse non gli sono piaciuti i criceti pietrificati.

Lei rise.

 

 

Fuori sette ore e mezza, ancora quattro e mezza.

 

“Raccontami una storia,” lo pregò lei.

“Una storia?”

“Una storia su di te.”

“Moody ti racconta storie?”

“No, ma tu non sei Moody.”

“No,” sorrise, “Lui è molto più affascinante.”

“Ed ha un carattere leggermente migliore.

Fece un suono di vaga protesta, poi rise.

 

“Pensi davvero che io sia divertente?” chiese.

Lui incontrò brevemente il suo sguardo, poi scrutò l’oscurità, una debole traccia di quello che avrebbe potuto benissimo essere un ghigno, se lui avesse voluto.

 

Perché mai starei ridendo, sennò?” rispose serenamente.

 

 

Fuori otto, che significa... quante ancora? Oh, chi se ne frega, pensò.

 

Tonks sbadigliò, rendendosi conto solo ora di quanto stanca fosse. Scosse la testa per cercare di svegliarsi e si stiracchiò. Poi crollò sulle ginocchia, e chiuse semplicemente gli occhi, solo per un secondo...

 

Una voce, roca e tuttavia insistente, sembrava voler dire qualcosa.

“Tonks?” disse la voce. “Svegliati.”

 

Tonks pensò che, se l’avesse ignorata, probabilmente l’avrebbe lasciata in pace. Allungò la mano verso la coperta e la strinse a sé. L’unico problema era che il cuscino si muoveva ed era spigoloso.

“Tonks.”

 

“Hmm.” Borbottò, stringendo ancora di più la coperta.

 

“Ninfadora.”

 

La voce sembrava divertita. Si stava indubbiamente prendendo gioco di lei. Aprì gli occhi e si mise seduta, trovandosi faccia a faccia con Remus. Per un secondo si chiese cosa ci facesse in camera sua.

“Cosa c’è?” chiese assonnata.

 

“E’ mattina. Ti sei addormentata.”

 

Si rese conto della luce del giorno, e di dove era seduta, e di cosa stringeva fra le mani, e immaginò di essersi addormentata sulla sua spalla e che, ad un certo punto, lui l’avesse coperta con la sua giacca. Imbarazzata, la appallottolò e gliela restituì, massaggiandosi le braccia per allontanare il freddo che improvvisamente l’aveva invasa.

“Scusa,” mormorò.

 

“E’ tutto a posto.”

“No, non lo è. Non avrei dovuto addorm...”

 

“Ti ha mai detto nessuno che russi?”

“Non lo faccio.”

“Sì che lo fai.” Disse. “La terra tremava, gli alberi si muovevano... subito ho pensato ci fosse il terremoto.

Lo fissò.

“Da quanto dormo?”

“Qualche ora.”

“Avresti dovuto svegliarmi.”

E privarmi del piacere delle foglie che volteggiavano al tuo russare e farti il solletico sotto il mento per vedere le facce divertenti che avresti fatto?”

“Non lo hai fatto davvero.”

“Suppongo che non lo saprai mai.” Disse, alzandosi.

 

Bastardo, pensò, questa volta un po’ meno sentitamente.

 

“Andiamo,” la invitò lui, “Andiamocene da qui.”

Le offrì la mano e lei la prese e lasciò che l’aiutasse ad alzarsi. Aveva le gambe indolenzite.

 

Mentre si infilavano sotto il Mantello dell’invisibilità e si facevano strada nella luce del sole per tornare indietro, non poté fare a meno di pensare che il fatto di considerarlo un po’ meno bastardo di prima fosse preoccupante. Soprattutto se era una bugia. Non pensava veramente che fosse un bastardo. Non più. Preoccupante.

 

 

 

 

Bene, non aggiungo altro. A voi le parole nel recensire. Buona notte e alla prossima!

Nonna Minerva.

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Capitolo 6
*** 4. Out of question ***


4

Ma Ciao!!! Sono stata abbastanza veloce? So che siete impazienti e vi chiedo scusa se ci ho messo tanto, ma leggendo vi accorgerete che in effetti il capitolo è lunghino…

Gustatevelo con calma, perché non ho la più pallida idea di quando riuscirò a pubblicare il prossimo, il mio pc è andato in palla e non riesco a connettermi ( ora sto sfruttando quello di Little Fanny ), però riesco comunque a lavorare!

 

Ho tradotto a Lady Bracknell le vostre recensioni e ne è stata molto felice.

Mi ha chiesto di ringraziarvi e ha detto di essere contenta che ai fan italiani di questa coppia piaccia la sua storia…

 

E vi ringrazio anch’io per tutti i commenti positivi alla mia traduzione, non sapete quanto mi facciano piacere! GRAZIE!

 

 

4. Out of question

 

 

“Cosa ne pensi di Tonks?” chiese Sirius.

 

“Non cominciare,” rispose Remus, non prendendosi nemmeno la briga di alzare gli occhi dal libro che stava leggendo.

 

“Cominciare cosa?” disse Sirius. “Era una semplicissima domanda.”

“Per quanto ti riguarda, nessuna domanda riguardante una persona del sesso opposto è semplice,” disse, “Ricordo fin troppo bene la questione Celestia Fox. È cominciato tutto con un semplice ‘cosa ne pensi di Celestia Fox?’ ed è degenerato in un piano dettagliato per farci finire insieme.”

 

“Era per il tuo bene,” protestò Sirius. “E lei ti piaceva, no?”

 

Remus sospirò, sconfitto, capendo d’aver scelto un esempio sbagliato.

“Penso che Tonks sia un elemento importante per l’Ordine.” Acconsentì.

 

“E ti piace.”

 

“No.”

 

“Credi che io non ti conosca abbastanza per capire quando ti piace qualcuno?”

 

Remus voltò pagina, anche se non aveva ancora finito di leggerla. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che le allusioni di Sirius gli mettessero strane idee in testa, specialmente quando tali idee erano già lì; forse non completamente formate e definitivamente non bene elaborate, ma comunque lì, in tutta la loro vaga impulsività.

“Credo che Azkaban ti abbia fatto perdere la testa.” Asserì.

 

“Allora perché continui a flirtare con lei?”

 

“Non lo faccio.”

 

“Sì che lo fai.”

 

“Non lo faccio.”

 

“Lo fai.”

 

“No.”

 

“Sì.”

 

Remus sospirò, rifiutandosi di continuare ancora questo gioco infantile. Guardò Sirius negli occhi.

“Quando?” disse, inarcando un sopracciglio con aria di sfida.

 

“Tutto il tempo,” rispose Sirius,  gesticolando vagamente alla tavola, come fosse coperta di esempi.

“Tenti sempre di infastidirla.”

 

“Io non tento di infastidirla.” Precisò Remus, tornando al suo libro. “Lo faccio e basta.”

 

“E per te, questo è flirtare.”

 

Remus voltò un’altra pagina non letta, con grande cura.

“Non sto flirtando con Tonks.” Disse cautamente.

 

Per un piccolissimo istante pensò che Sirius gli avesse creduto.

“Ho visto il modo in cui la guardi.” Commentò quest’ultimo, evidentemente divertito.

 

“Forse hai bisogno di una visita oculistica?” suggerì Remus. “Ha metà dei miei anni. Solo perché tu hai il senso della morale di un ermellino arrapato, questo non vuol dire che per me sia lo stesso.”

 

“Primo,” sbottò Sirius indignato. “Io non ho il senso della morale di un ermellino arrapato. Tu pensi ch’io l’abbia perché tu hai il senso della morale di un ermellino castrato. Secondo, ha almeno tre quarti dei tuoi anni.”

 

Avrebbe dovuto immaginare che Sirius non avrebbe ceduto tanto facilmente. Chiuse il libro e gli sorrise cordiale.

“Che non ha alcuna importanza, visto che non mi piace.”

 

“E’ un peccato,” commentò Sirius, “Perché tu piaci a lei.”

 

“Non mi fregherai in quel modo.” Disse Remus. “Non un’altra volta.”

 

“Allora c’è qualcosa su cui poterti fregare.”

 

“No.”

 

Sirius si mostrò evidentemente e sinceramente deluso.

“Eri molto più divertente una volta.”

 

“Vuoi dire che ero molto più facile da manipolare.” Lo corresse Remus.

 

Sirius sorrise.

“Beh, sì, anche quello.” Disse.

 

La porta si aprì e Tonks entrò in cucina. Remus pensò che Sirius aveva probabilmente pianificato ogni cosa, il suo provvidenziale arrivo giusto in tempo per origliare le sue insinuazioni e qualsiasi appassionata confessione sarebbe riuscito a strappargli.

“Ehilà!” disse.

Tonks guardava alternativamente l’uno e l’altro, in cerca di una spiegazione di quel silenzio evidentemente teso, e Remus sentì lo sguardo di Sirius su di sé.

 

Svignarsela gli sembrò l’opzione migliore.

“Credo che andrò di sopra.” Annunciò, indicando il libro.

Si alzò e si avviò verso la porta, lanciando un “Non iniziare” a Sirius e guardandolo con aria severa, mentre chiudeva la porta dietro di lui.

 

Aveva appena mosso un passo nel corridoio e stava per tirare un sospiro di sollievo quando Tonks chiese: “Non iniziare cosa?”

 

Remus pregò mentalmente Sirius affinché non rispondesse, ma , naturalmente, non fu ascoltato.

“Gli piaci.” Disse Sirius.

 

Remus socchiuse la porta quanto bastava per infilare la testa nello spiraglio.

“No, non è vero.” Disse, e ritirò la testa.

Aveva appena chiuso la porta quando la voce di Sirius, carica di soddisfazione, lo raggiunse.

“Te l’ho detto. Gli piaci.”

 

Remus sospirò e spalancò la porta.

“Non è vero,” esclamò. “Senza offesa.” Aggiunse poi.

 

“Perché dovrei essere offesa?” chiese Tonks, incrociando le braccia al petto e squadrandolo in un modo che gli fece pensare che, in realtà, lo fosse veramente.

“Non è che io stia sveglia la notte sperando disperatamente di piacerti.”

 

“Ecco,” mormorò, più a se stesso che a qualcun altro, ed uscì.

 

“Gli piaci.” Commentò di nuovo Sirius.

 

Remus aprì di nuovo la porta e gli lanciò addosso il libro che lo colpì direttamente alla nuca.

Mentre Sirius palpava cautamente il punto dell’impatto, Remus sorrise a Tonks, come per scusarsi.

“E questa ti sembra la reazione di un uomo che non è innamorato di te?” sbottò Sirius, massaggiandosi la testa. Remus iniziò a massaggiarsi la fronte e tornò in cucina. Si chinò a raccogliere il suo libro, e quindi scelse la sedia accanto a Tonks, giusto per provare che non gli piaceva, e, sospirando, vi si sedette.

 

“E va bene,” disse infine, “Ma ricordati che te la sei cercata.”

 

‘Che cosa?’ tentò di dire Sirius, ma la sua bocca non emise alcun suono. Tentò di nuovo e poi lanciò uno sguardo glaciale a Remus. Sillabò qualcosa che sembrava molto ‘Oh Moony, andiamo...”

 

Remus appoggiò le mani sul tavolo, giocherellando con la bacchetta.

“A meno che tu non abbia intenzione di dire qualcosa di sensato,” spiegò, “Penso sia meglio che tu non parli affatto.”

 

Sirius lo guardò implorante, e quando in cambio ottenne solo uno sguardo deciso da parte di Remus, incrociò le braccia stizzito e lo fissò imbronciato.

 

“Per quanto tempo hai intenzione di lasciarlo così?” chiese Tonks.

 

“Sa benissimo come funziona.” Disse. “Scioglierò l’incantesimo quando prometterà di comportarsi bene. Farai il bravo?”

 

Sirius fece un gesto con la mano che fece ridacchiare Tonks.

“Ancora un po’, allora.” Convenne Remus, infilando la bacchetta in tasca. Si voltò verso di lei. Se doveva rimanere bloccato lì per un po’, voleva sfruttare quel tempo al meglio.

“Qualcosa da bere?” chiese. “C’è del tè o credo ci sia anche della Burrobirra da qualche parte.”

 

“Non farti troppi problemi.” Disse lei, inarcando un sopracciglio. “Non devi cercare di impressionarmi o chissà cosa.”

 

Punto sul vivo, distolse lo sguardo. Pensava che il fatto che lei si fosse offesa o turbata quando aveva detto che non gli piaceva fosse stato superato. Apparentemente no.

“Nessun problema.”

 

“Burrobirra allora.”

 

I loro sguardi si incrociarono e lei sorrise e lui immaginò che probabilmente era stato perdonato.

“Sirius?” domandò, alzandosi e dirigendosi verso la dispensa. Lui fece un altro gestaccio.

“Molto bene,” disse.

 

Frugò fra le mensole chiedendosi da quando ci fosse tutto quel disordine. Alla fine trovò due bottiglie e le aprì, porgendone una  a Tonks mentre tornava a l suo posto.

 

“Immagino non sia la prima volta che lo fai,” commentò, prendendo la bottiglia.

 

“Quand’eravamo a scuola era l’unico modo perché avessimo un po’ di pace e tranquillità,” disse Remus. “Sai com’è fatto. Tutto chiacchiere e pettegolezzi. E naturalmente tutti i suoi consigli sulle ragazze...” alzò gli occhi al cielo per enfatizzare le sue parole. “Era una lotta continua nella speranza di trovare un momento per se stessi.”

 

Sirius diede un colpo sulla tavola per attirare la loro attenzione. ‘Non è vero!’, gli occhi sgranati per l’irritazione. Tonks rise.

“Lo sai, lasciava che le sue ragazze facessero i compiti per lui,” insistette Remus, sfruttando il suo vantaggio. Sirius si alzò in piedi e si appoggiò alla tavola, sporgendosi verso di lui. ‘Smettila!’, sillabò, puntandogli un dito contro. “Non ricordo come riuscisse a convincerle,” disse Remus lentamente, godendosi il timore crescente sul volto di Sirius ed il crescente interessamento di Tonks. “Ah,sì. Solitamente lui...”

 

Sirius diede un altro colpo alla tavola e lo guardò malissimo. Remus lottò per non scoppiare a ridere. Stuzzicare Sirius lo faceva sempre divertire in modo spropositato.

‘Non oseresti’ sillabò Sirius.

 

“Ne sei sicuro?” lo sfidò Remus. Sirius arricciò le labbra, pensieroso, e quindi si sedette, incrociando le braccia e fissandolo imbronciato, avendo apparentemente, ed abbastanza correttamente dedotto che, probabilmente, avrebbe osato.

 

‘Va bene,’ sillabò.

 

“Sei pentito?” chiese Remus, e Sirius annuì a malincuore. “E prometti che farai il bravo?” chiese ancora. Sirius alzò gli occhi al cielo e poi annuì. Remus estrasse la bacchetta e la puntò al collo di Sirius.

 

Si portò le mani alla gola e fece alcuni suoni di prova.

“Era assolutamente ingiustificato,” disse, “Mi vendicherò, lo sai?”

 

“Non vedo l’ora,” rispose Remus, “La vuoi quella Burrobirra, ora?”

 

Sirius annuì come uno scolaretto appena rimproverato e Tonks ridacchiò. Remus prese la bottiglia dalla dispensa e gliela porse.

“Voglio sapere come convinceva le ragazze a fare i compiti per lui!” disse Tonks.

 

Sirius lanciò un’occhiataccia a Remus attraverso la tavola.

“Magari un’altra volta,” disse Remus, tentando disperatamente di non sorridere.

 

“Dovrai passare sopra il mio cadavere!” esclamò Sirius. “Non dimenticare che pure io conosco tutti i tuoi sporchi segreti, Moony.”

 

“Sirius,” commentò Remus impassibile. “Sappiamo entrambi benissimo che non c’è niente nel mio passato che sia remotamente imbarazzante come le tue trascorse vicende.”

 

Sirius si voltò verso Tonks e la guardò negli occhi mentre si sporgeva verso di lei.

“Lo sai, io e James eravamo etichettati da tutti come i maggiori combinaguai. Quello che nessuno sa, è che era lui,” e qui indicò Remus, “Quello che sviava tutto il gruppo.”

 

“Davvero?” chiese lei.

 

“Sì,” rispose.

Sorrise leggermente a Remus e poi fece il meno convincente degli sbadigli che Remus avesse mai visto.

“Oh, cielo,” disse, “Sono esausto. Pensò che sarò costretto ad augurarvi la buonanotte e lasciarvi soli. Spero davvero che non vi sentiate troppo imbarazzati o a disagio.”

 

Aggiunse un altro falso sbadiglio tanto per gradire, si alzò,  raccolse la sua Burrobirra dal tavolo e se ne andò.

 

“Che cos’erano tutti quei discorsi?” chiese Tonks.

 

“Niente, è solo che Azkaban gli ha fatto perdere la testa.”

 

“Oh,” mormorò, non sembrando affatto convinta. “Immagino che tocchi a te intrattenermi, ora.”

 

Lui incrociò il suo sguardo e sorrise.

“Credevo ne avessi avuto abbastanza l’altra sera del mio concetto di intrattenimento.”

 

“Se sei troppo noioso,” commentò, “Posso sempre andarmene a giocare con Fierobecco.”

 

Rise brevemente, chiedendosi se davvero sarebbe potuto essere più divertente di un dannato ippogrifo. Remus riprese in mano il vecchio libro che aveva tirato a Sirius, ed iniziò a scorrere il sommario sul retro della copertina e giocherellando con il dorso consumato.

“Cosa stai leggendo?” chiese Tonks, indicando il libro con un cenno.

 

“Jane Eyre,” rispose.

 

“Di cosa parla?”

 

“Robot.”

 

“Davvero?”

 

“No.”

 

Si chiese se sarebbe mai stancato di questo gioco, mentre la sua espressione variava da divertito e speranzoso interesse a profonda irritazione. Non sapeva esattamente perché lo divertisse tanto dare risposte così sciocche a domande tanto semplici. Immaginò avesse qualcosa a che fare col fatto che ci cascava sempre, non importava quanto la sua risposta fosse ridicola., e lui sperava avrebbe continuato a cascarci.

 

“Di cosa parla in realtà?”

 

E naturalmente, per quanto potesse arrabbiarsi, lo perdonava sempre per averla stuzzicata, cosa che lui trovava infinitamente accattivante.

“Di un sacco di cose,” rispose. “Principalmente, è una storia d’amore e mistero.”

 

Tonks lo guardò curiosa, evidentemente non soddisfatta della risposta, così lui continuò.

“Parla di una ragazza che cresce in un orfanotrofio e in seguito diventa governante.” Disse. “Va a lavorare per un uomo chiamato Mr Rochester, e si innamora di lui”

 

“Sembra un po’ da ragazza,” commentò.

Lui ridacchiò,  gli piaceva la sua capacità di dire esattamente quello che pensava e di arrivare subito al punto senza tanti giri di parole.

 

“Sì,” disse, sorseggiando la sua Burrobirra, “Immagino che dal modo in cui te l’ho descritto possa sembrarlo.”

 

“Ma non lo è?”

 

“No, in realtà.” Disse, “Anche se lui è innamorato di lei, Mr Rochester non si comporta molto bene con la povera Jane...” si mosse a disagio sulla sedia. Tutto ad un tratto la storia gli era sembrata familiare, e si pentì di non aver scelto Frankenstein, piuttosto. “Ed inoltre ha un segreto, che lei alla fine scopre e le si spezza il cuore.”

 

“Com’è?”

 

“Mmm.”

 

“Mi piacerebbe?”

 

“Questo dipende interamente, immagino, da che tipo di libri ti piacciono. Cosa leggi generalmente?”

 

Si mangiucchiò la pelle attorno alle unghie e gli sorrise imbarazzata.

“Non è che sia una lettrice accanita.” Mormorò quasi in tono di scusa. “Non in questo periodo, troppo impegnata la maggior parte del tempo, troppo occupata a cercare di recuperare un po’ di sonno il resto di esso.”

 

“Sì,” concordò lui. “Ho notato la tua tendenza a prendere sonno all’improvviso quando non si provvede con adeguate distrazioni.”

 

“Ero stanca,” brontolò. “E se tu non mi avessi lasciato usarti come cuscino o coperto non avrei mai dormito così tanto!”

 

“Ho capito,” mormorò, “Dovrò tenere la cavalleria per me, la prossima volta,”

 

“Che ne dici se tieni per te soltanto il tuo cappotto e le tue spalle?” disse, e lui rise.

“Beh,” disse infine, facendo scivolare il libro verso di lei. “Magari fra un sonnellino e l’altro puoi dare un’occhiata al primo capitolo e vedere che ne pensi, se è troppo femminile per me o no.”

 

“Ma lo stai leggendo tu!” protestò.

 

“L’ho già letto.” Disse. “Diverse volte.”

 

Lei prese il libro e gli sorrise sorniona.

“Ti capita spesso di leggere libri del genere?”

 

“Sì,” rispose. “Preferisco di gran lunga i corsetti ai robot.”

 

Lui bevve un sorso di Burrobirra e lei aspettò un po’ prima di chiedere:

“Credevo non volessi parlare della tua vita sessuale?”

 

Sospettava che prima o poi sarebbe tornata sull’argomento. Rispose con un incrocio fra un gesto stizzito ed una protesta indignata, e lei fece una risata roca, battendo le mani soddisfatta mentre lui iniziava a tossire poiché gli era andata di traverso la Burrobirra.

 

Quando si fu ripreso abbastanza le lanciò un’occhiata accigliata e lei distolse lo sguardo, con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Lui notò le bottiglie vuote.

“Ne vuoi un’altra?” disse.

 

“Intendi tentare di soffocarmi?”

 

“No,” rispose. “Non sarei mai così infantile.”

 

“Allora va bene.” Acconsentì. Lui si alzò ed iniziò a frugare fra il disordine disastroso della dispensa finché non trovò quello che cercava.

 

Riemerse un momento dopo e le passò una delle bottiglie. Lei la osservò sospettosa.

“Non è che l’hai scossa o qualcosa del genere, vero?”

 

“Perché me lo chiedi?” disse, “Non ti fidi di me?”

 

“Qualche ragione particolare per cui dovrei?”

 

“Sicuro.” Rispose. “Un uomo noioso non può essere altro che degno di fiducia. O, perlomeno, prevedibile.”

 

Guardò lui e poi la bottiglia, e sembrò prendere una decisione. Afferrò la bottiglia che lui aveva tenuto per sé, e gli porse quella che le aveva dato. Gli offrì un sorriso falsamente dolce e gli fece cenno con la testa di aprirla. Lui lo fece, non successe niente e lei parve vagamente delusa. Prese la sua bottiglia e l’aprì.

 

Fece un gridolino sorpreso quando il contenuto della bottiglia schizzò dappertutto, spruzzandola in viso.

 

Lui si dondolava sulla sedia, scosso da risate incontrollabili. La vista dei suoi capelli rosa fradici ed il liquido schiumoso che gocciolava dal suo naso era ancora più divertente di quanto si fosse aspettato. Si aggrappò al tavolo per non perdere l’equilibrio, ridendo a più non posso.

 

“Tu, bastardo!” gridò. “Come diavolo hai fatto a saper...”

 

Si asciugò le lacrime dagli occhi. Lei rimase lì seduta, gocciolante a guardarlo storto. Cosa che lo fece ridere, se possibile, ancora di più. Gli tirò addosso quel poco di Burrobirra che era rimasta nella bottiglia fino a che non smise di ridere, ma quando lui alzò lo sguardo, lei stava sorridendo.

 

“E’ un pessimo scherzo.”

 

“Dici?” disse lui. “Pensavo fosse piuttosto buono.”

“Buono?”

“E’ tutta colpa tua,” disse. “Se ti fossi fidata di me, ora non saresti bagnata.”

“Oh, grazie professore,” commentò acida. “La prossima volta che vuoi darmi una lezione, potresti farlo in una maniera  un po’ più ortodossa?”

“No,” rispose. “Dove starebbe il divertimento altrimenti?”

Mentre lei prendeva la bacchetta ed iniziava ad asciugarsi i vestiti, lui evocò un asciugamano per i suoi capelli e glielo porse.

“Che gentiluomo.” Commentò.

“A volte.”

Lui si alzò per procurarle un’altra bottiglia.

“Oh, no!” esclamò, vedendo la bottiglia che le stava porgendo. “Non ci casco di nuovo.”

“Non lo farei di nuovo.”

“Non lo faresti?”

“Penso sia stata sufficiente la prima volta.”

Gli lanciò uno sguardo cinico, quindi prese la bottiglia e la stappò, fremendo appena nel farlo, non fidandosi totalmente della sua assicurazione che non l’avrebbe rifatto.

“Come sapevi cosa avrei fatto, comunque?” chiese passandosi una mano fra i capelli ormai asciutti, prima di far sparire l’asciugamano.

“Non te lo dico,” scherzò, sopprimendo un ghigno.

Sorseggiarono la birra in silenzio per un po’.

“Visto che me lo devi, posso farti una domanda?”

“Certo.”

Per un attimo sembrò ripensarci, poi scosse leggermente la testa e la sua espressione diventò decisamente più risoluta.

“Perché non ti piaccio?” chiese. “Sono molto piacevole.”

 

Lui si appoggiò allo schienale della sedia e la osservò pensieroso. Si trattenne dal dire qualcosa di stupido, sapendo che avrebbe dovuto scegliere con cura le parole.

“Oserei dire che lo sei.”

 

“Cosa significa?”

 

“Niente,” rispose.

 

“Non credi che io sia piacevole?”

 

Lei lo fissava tanto attentamente quanto lui guardava lei ed il pensiero lo innervosiva un po’. Distolse lo sguardo prima di rispondere.

“Sono sicuro che molti ti trovino attraente.”

 

“Ma tu non sei uno di loro?”

 

“Non ho detto questo.”

 

“Allora ti piaccio?”

 

“Non ho detto neanche questo.”

 

La guardò, e la vide fissarlo come se stesse attentamente soppesando se sorridere o saltargli addosso e strangolarlo.

“Allora ti piaccio o no?”

“Credevo di essermi espresso prima a riguardo.”

 

“Sì,” disse, “Ma quello era prima, e avresti potuto dirlo solo perché c’era Sirius.”

 

“Sì,” acconsentì. “Potrei.”

 

Lei si lasciò scappare un sospiro esasperato e lui non seppe resistere e insistette.

“Comunque.” Iniziò, “Sono troppo vecchio per te.”

 

“Allora ti piaccio!” esclamò.

 

“Non l’ho detto.” Replicò. “Ho detto che sono troppo vecchio per te, il che è vero.”

 

“Non penso che tu lo sia.” Protestò. “E comunque, se non ti fossi piaciuta, me lo avresti semplicemente detto.”

 

Remus sorrise fra sé. Non poteva darle torto.

 

Anche se sapeva che non doveva flirtare con Tonks, ma proprio non riusciva a farne a meno.

“Non necessariamente.” Disse, passandosi una mano sul mento, nel tentativo di nascondere il sorriso malizioso. “Potrei essere stato semplicemente gentile.”

 

“Non ti curavi tanto di essere gentile, poco fa.”

 

“E tu l’hai presa davvero bene.” Disse, inarcando un sopracciglio. “Ho deciso di non fare lo stesso errore due volte.”

 

Lei incrociò le braccia al petto, assomigliando sempre più ad una adolescente scontrosa.

“Dai mai una risposta chiara a qualcuno?”

 

Lui non seppe resistere.

“Può essere.”

Lei lo guardò seccata, ma lui intuì che stava disperatamente cercando di non ridere.

 

“Sei esasperante.” Disse, “Se avessi qualcosa da lanciare, ora te lo tirerei addosso.”

 

Lieto di essere d’aiuto, Remus sorrise, prese la bacchetta, evocò un cuscino e glielo tirò. Lei ridacchiò e quindi iniziò a picchiarlo col cuscino.

 

Avendo subito ingiurie peggiori negli anni da Malandrini infuriati, non alzò nemmeno le mani per difendersi, cosa che lei trovò ancora più esasperante.

“Avevi detto che me l’avresti tirato addosso, non che mi avresti picchiato!”

 

“Ti spiace evitare la pedanticità?” sbottò, colpendolo di nuovo e facendogli cadere i capelli negli occhi.

 

Lui afferrò il cuscino e la guardò negli occhi da sopra di esso attraverso la frangia, cercando disperatamente di non sorridere.

“La parola,” mormorò lentamente, “E’ ‘pedanteria’.”

 

“Gah!”

 

I suoi occhi lampeggiavano seccati, e strappò il cuscino dalle mani di Remus, colpendolo tre volte sulla testa. Lui rise. Così lei lo colpì di nuovo. Per lo meno Remus suppose fosse per quello.

“Hai finito?” chiese.

 

“No.” Rispose. Lo colpì un altro paio di volte sulla spalla e poi si accasciò sulla sedia.

 

“E adesso?”

 

“Sì,” disse. Strinse al petto il cuscino e gli lanciò uno sguardo imbronciato da sopra di esso.

 

Lui guardò altrove, consapevole del fatto che, se avesse incontrato il suo sguardo, sarebbe scoppiato  a ridere, e chissà come sapeva che lei non l’avrebbe presa bene. Bevette un altro sorso di Burrobirra.

“Diventi sempre così irascibile quando qualcuno non ti vuole dire se gli piaci o no?”

 

Lei prese la sua bottiglia e bevette un lungo sorso.

“Solo non capisco perché non vuoi rispondere a quella maledetta domanda.”

 

“Io ho risposto alla maledetta domanda,” precisò. “Solo non ho detto sì o no.”

 

Lo fissò come se stesse per colpirlo di nuovo, e quando non lo fece, fu abbastanza sorpreso.

Pensò che se lo sarebbe meritato.

“Perché non lo fai?” chiese lei.

 

I muscoli del suo viso si contrassero leggermente contro la sua volontà, permettendo ad un mezzo sorriso di formarsi. Rifletté alcuni istanti e poi si sporse verso di lei, consapevole del fatto di essere più vicino a lei di quanto fosse mai stato.

 

“Di sicuro,” disse, incontrando il suo sguardo e scrutandola per qualche indizio di quello che stava pensando. “Una domanda molto più interessante è,” tacque un istante, non del tutto certo di volerglielo chiedere. “... perché ti interessa tanto saperlo?”

 

“Non è vero.”

 

La sua risposta affrettata, sconsiderata gli disse tutto quello che voleva sapere.

“Allora perché l’hai chiesto?”

 

Tonks sgranò gli occhi comprendendo infine.

 

“Tu credi di piacermi.”

 

“Non oserei mai supporre una cosa del genere.” Disse, le labbra contratte in un sorriso divertito. Non aveva immaginato che fosse così ovvio, nonostante sembrava avere la capacità di leggergli la mente, di quando in quando.

 

“Beh, non è così.” Precisò lei.

 

“Lo so.”

 

“Bene.”

 

Tonks studiò la tavola, un piede che giocherellava con la gamba della sedia.

“E anche se fosse,” disse, “Fossi in te non mi monterei la testa perché lo sanno tutti che ho dei gusti eccessivamente cattivi in fatto di uomini.”

 

“Giusto,” concordò lui, cercando disperatamente di nascondere un ghigno.

 

“Quindi se fosse così, e non lo è, non sarebbe un complimento.”

 

“Sono contento che l’abbiamo chiarito.”

 

Finì la sua Burrobirra, si alzò in piedi, pensando che una ritirata strategica fosse la mossa migliore, a quel punto. “Credo che me ne andrò a dormire.”  Disse.

 

“Oh.”

 

Si chiese se fosse davvero delusa  o se a lui parve tale perché era quello che voleva sentire. In ogni caso, pensò fosse meglio andarsene.

 

Era quasi fuori dalla porta, quando lei, inaspettatamente, disse: “Anche se fosse, non mi interesserebbe, comunque.”

 

Si fermò e si voltò verso di lei.

“No?” chiese, inarcando un sopracciglio.

 

“No,” disse, “Perché sei davvero molto irritante.”

 

Remus sorrise.

“Perché stai sorridendo?” chiese lei incuriosita.

 

“Perché mi hai elevato da noioso a irritante,” le spiegò, “E’ un progresso.”

 

Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, lui si voltò ed aprì la porta.

“Buona notte,” disse, ed uscì.

 

È sorprendente, pensò, quante cose possano venir fuori da una semplice domanda.

 

Mentre si infilava sotto le coperte e fissava il soffitto, si chiese cosa ne avrebbe fatto delle risposte.

 

 

 

 

 

FINE!  Del capitolo, non allarmatevi...

Adoro l’ultima frase di questo chappy! È fantastica! Spero vi sia piaciuta, insieme a tutto il resto.

Io vi saluto, ma ci sentiamo presto!

Ciaoooooooooooooo! NONNA MINERVA

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Capitolo 7
*** 5. Under the influence (prima parte) ***


5. Under the influence

 

 

Eccomi qui per il mio capitolo domenicale, mezzo capitolo in questo caso, visto che ho dovuto dividere anche questo altrimenti rischiavo di pubblicare a Natale.

Mi scuso con voi, ma a mia discolpa vi assicuro che non ho interrotto niente, mi sono fermata in un punto in cui non ci fosse nessuna discussione in corso o azioni che potessero rimanere a metà.

Prometto che farò di tutto per pubblicare il resto mercoledì o giovedì al più tardi...

 

Ora vi lascio alle prese con una Tonks decisamente ubriaca…

Buona notte.

 

5. Under the influence.

 

Remus alzò lo sguardo quando sentì di nuovo quel rumore. Non riusciva a capire cosa fosse – un suono come di piedi strascicati mescolato a delle specie di tonfi. Lo sentiva da circa dieci minuti. All’inizio pensava fosse Kreacher, poi l’aveva attribuito alla casa vecchia e cadente, ma c’era qualcosa di preoccupante in quei tonfi, sempre più vicini. Si alzò in piedi, abbandonando senza tante cerimonie il libro che stava leggendo sulla tavola ed andò ad indagare. Prese la bacchetta e spalancò la porta della cucina, e Tonks cadde in avanti, imprecando e ridacchiando a più non posso.

 

Per un attimo si chiese se fosse semplicemente inciampata, ma quando la squadrò con un sguardo divertito e lei sorrise guardandolo dal pavimento, gli venne in mente una spiegazione più plausibile.

 

“Molto gentile da parte tua venire a trovarmi, Tonks,” disse, offrendole una mano per alzarsi. Lei fece leva sulle ginocchia, cercando di rimettersi in piedi e per poco non facendo cadere anche lui. Remus si aggrappò allo stipite della porta con una mano, l’altra ancora tesa in invito. Lei fissò per un momento la sua mano, come se non fosse del tutto certa di cosa avrebbe dovuto farne, e poi l’accettò, aggrappandosi alla vita di lui con l’altra e rimettendosi in piedi. Oscillò per un attimo, cercando equilibrio e poi si staccò. Barcollò ancora un po’, poi lo guardò vacua.

 

“Ehi,” lo salutò, con un sorrisino.

 

“Tonks...”

 

Lei si portò un dito alle labbra e mormorò. “Shhhhh,” quindi si mise la mano sulla bocca, ondeggiò andando a sbattere sulla tavola e vi si aggrappò cercando un appoggio.

 

“Scommetto tutti i miei libri che hai bevuto,” le disse Remus. La guardò mentre prendeva una sedia, facendo per sedersi, poi cambiando idea all’ultimo minuto ed aggrapparsi forte alla tavola, come se non si fidasse di tentare il passaggio da in piedi a seduta.

 

Rise lievemente a sue spese, poi le appoggiò una mano sulla spalla e l’aiutò a sedersi.

 

Attraversò la cucina e prese un bicchiere dall’armadietto, lo riempì d’acqua e lo posò sulla tavola di fronte a lei.

“Dovresti berlo,” consigliò. “Domani mattina ti sentirai meglio.”

 

“Meglio?” chiese, guardandolo, gli occhi annebbiati e che non riuscivano a metterlo a fuoco. Lui si sedette sulla sedia accanto alla sua, cercando disperatamente di non ridere.

 

Appoggiò un gomito sul tavolo e la testa sulla mano, cercando di nascondere al meglio l’ilarità dietro le dita.

Che cosa ci fai qui?”

 

“Sono stata al pub,” rispose, mangiandosi le parole ed indicando col pollice un punto alle sue spalle.

 

“Credo che questo l’avessimo già confermato.”

 

“Ho bevuto solo un drink,” borbottò, tirando a sé il bicchiere e tenendolo con entrambe le mani. Se lo portò alle labbra e rovesciò gran parte dell’acqua, mancando completamente la bocca. Guardò con espressione confusa la macchia bagnata che era apparsa sulla sua maglietta, la asciugò infastidita e poi bevve un altro sorso, questa volta con più successo.

 

Lui si premette le dita sulle labbra, cercando di soffocare una risata, pensando a quanto fosse un adorabile ubriaca.

 

“C’era qualcosa che dovevi segnalare?” chiese Remus, tentando di non suonare divertito, e sospettando, non che lei se accorgesse in ogni caso, di aver fallito. Lei scosse violentemente la testa.

 

“Sono andata con Tom dopo il lavoro per un drink e poi ho iniziato a sentirmi strana.

 

“Strana?”

 

Si passò una mano sul viso infastidita, poi lo guardò con acuta sincerità.

“Remus?” disse. “Credo di essere decisamente brulla.”

 

Non resistette. Scoppiò a ridere in modo alquanto insolito per lui.

Cosa c’è?” chiese, corrugando la fronte, confusa. Per un istante non riuscì a rispondere, tanto incontrollabili erano le risate.

 

E’... è brilla.” Disse.

 

Cosa?”

 

“Il termine,” rispose, ridacchiando sommessamente. “E’ brilla, non brulla.”

 

“Oh.”

 

Si abbandonò sulla sedia e emise un sospiro esagerato. Lui tornò ad appoggiare la testa sulla mano, scrutandola con attenzione.

“Com’è che sei finita qui?” chiese.

 

“Non riuscivo a Smaterializzarmi.” Spiegò, faticando a pronunciare la parola, “E non sapevo che altro fare, così sono venuta qui a piedi.”

 

“Volevi vedere Sirius?” domandò Remus, pensando all’altro membro della famiglia Black che aveva visto allegro ed in delirio quella sera e a che bella coppia formavano.

 

Arricciò le labbra pensierosa.

“No, non credo.”

 

“Volevi vedere me?” chiese tranquillamente. Si morse il labbro e lui sentì un brivido che gli correva lungo la schiena mentre aspettava la risposta.

 

“Voglio sempre vedere te. Tu sei come un... uno scarafaggio calamitante. Disse indicandolo con un dito, convinta d’aver fatto una valida osservazione, anche se ondeggiava un po’ sulla sedia.

 

Sapeva che era ubriaca, e che non doveva prendere seriamente niente di quello che diceva, ma non poté fare a meno di sorridere.

“D’accordo,” disse, raddrizzandola visto che aveva iniziato ad accasciarsi sulla tavola. “Vuoi andare a casa, ora?”

 

Lei si avvicinò, aggrappandosi al suo braccio ed appoggiò la testa sulla sua spalla, sorridendo.

“Credo dovrò passare qui la notte.” Si avvicinò ancora di più, cercando una posizione comoda, gli occhi chiusi.

 

“Se mi dici dove abiti, posso accompagnarti a casa. Offrì lui.

 

“Voglio restare.” Affermò, aprendo a fatica gli occhi, per poi chiuderli di nuovo immediatamente. “Con te.”

 

“Perché?” chiese, e lo disse talmente piano che si domandò se lei avesse sentito.

 

Si tirò indietro un po’, in modo  da riuscire a guardarlo negli occhi e sostenne il suo sguardo, e per un momento lui si perse completamente nei suoi occhi che brillavano come diamanti.

“Lo so che credi di non piacermi,” disse, “Ma mi piaci.”

 

Lei distolse lo sguardo, rompendo qualsiasi incantesimo avesse gettato su di lui.

“O mi piaceresti, se non fossi un tale bastardo. Concluse, colpendolo sulle costole per sottolineare la cosa.

 

“Non lo sono!” protestò lui.

 

“Lo sei.”

 

“Non lo sono.” Ribatté, non riuscendo a resistere.

 

“Lo sei.”

 

“Non lo sono.”

 

“Lo sei. Se non fossi un bastardo non staresti discutendo con me.”

 

Sorrise.

“D’accordo,” concesse. “Hai ragione. Sono un bastardo.”

 

Lei appoggiò di nuovo la testa sulla sua spalla.

“Posso restare allora?”

 

“Sei sicura che non preferisci tornare a casa?” lei scosse la testa. “Lo sai, l’ultima volta che ti sei addormentata addosso a me, mi hai detto che avrei dovuto tenere la mia spalla per me, la prossima volta.”

 

“L’ho detto?”

 

“Mmmh.”

 

“Beh, è stato stupido.” Disse. “Hai delle spalle molto comode.”

 

“Grazie,” rispose. “Sei la benvenuta quando vuoi.”

 

Rimase lì tranquilla per un po’, poi si raddrizzò, il naso a pochi centimetri dal suo. Lei scrutava il suo volto e lui voleva disperatamente distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva. La ragazza sollevò la mano e quando gli sfiorò la tempia con le dita e accarezzò la sua guancia, si stupì di quanto delicato fosse il suo tocco.

“Hai davvero un bel volto.” Disse. “Immagino che non te lo dicano molto spesso.

 

“Quasi mai,” confermò. “ In effetti, credo tu sia la prima.”

 

Il suo sguardo si appoggiò sulle sue labbra e lui intuì le sue intenzioni un attimo prima che lei iniziasse ad avvicinarsi. Remus chiuse gli occhi e girò leggermente la testa, e quando  le labbra di Tonks lo sfiorarono, trovarono la sua guancia. Lei si scostò.

 

“Cosa..?” chiese confusa, la voce poco più che un sussurro.

 

“Tonks,” mormorò, “Non ho intenzione di lasciarti fare da ubriaca qualcosa che da sobria non faresti.”

 

Lei considerò la sua risposta per un attimo e poi appoggiò di nuovo la testa sulla sua spalla, facendogli il solletico con i capelli rosa.

“Chi ti dice che da sobria non lo farei?”

 

Lui rise brevemente al suo tono indignato.

“Beh, ne parliamo domani mattina d’accordo?” La sbirciò con la coda dell’occhio e riuscì a vedere che si mordeva il labbro combattendo contro un sorriso. Un secondo più tardi capì perché sorrideva, quando le dita di lei si appoggiarono sul suo ginocchio ed iniziò ad accarezzargli la gamba.

“E sicuramente non ti lascerò far quello. Disse, ridendo mentre fermava la mano con la sua.

 

“Guastafeste.” Borbottò lei, ridacchiando.

 

“Va bene,” intervenne prima che lei potesse dire, o fare, qualcosa di più sconveniente.

“E’ ora di metterti a letto.”

 

Negli ultimi mesi, Remus si era ormai abituato a confrontarsi con gente ubriaca, ma mentre passava un braccio attorno alla vita di Tonks e la sollevava dalla sedia, portandosi il suo braccio attorno alla spalla, ed iniziavano a barcollare attraverso il corridoio, non poté fare a meno di pensare che Sirius fosse decisamente molto più cooperativo. Tonks strascicava i piedi sul pavimento, minacciando continuamente di inciampare facendoli finire entrambi a terra.

 

Guardò con apprensione le due rampe di scale che c’erano fra loro e la prima stanza vuota e decise di intraprendere un’azione drastica.

“Ti senti male?” chiese, domandandosi come mai riuscisse a mettersi in situazioni del genere. Lei scosse la testa, gli occhi serrati mentre si aggrappava al corrimano per restare in piedi. Lui si passò una mano sul volto e prese una decisione.

 

La sollevò e se la buttò sulle spalle. Lei fece un gridolino di sorpresa e lui rinforzò la presa sulle gambe, sentendo le sue mani cercare affannosamente un appiglio sulla sua camicia.

Si aspettava che lei protestasse, ma non lo fece, così iniziò a salire le scale prima che cambiasse idea.

 

Dopo la prima rampa ne aveva abbastanza, e piuttosto di arrancare per la seconda fino ad una delle stanze degli ospiti, solitamente riservate ai Weasley, aprì la porta della sua camera e la scaricò sul suo letto.

 

Lei si lamentò voltandosi di fianco, mormorando qualcosa riguardo il suo essere un bastardo per far ondeggiare la stanza. Lui la osservò per un istante, tentando disperatamente di non ridere.

“E’ tutto a posto?” chiese. Lei mormorò qualcosa in risposta. Non seppe se fidarsi.

 

Sciolse i lacci delle scarpe e gliele sfilò, lasciandole cadere sul pavimento con un lieve tonfo. La coprì delicatamente con una coperta e spostò il cestino vicino al letto, nel caso servisse. Lei socchiuse gli occhi e lo guardò come se non fosse sicura che fosse reale.

“Riposa,” disse lui e lei annuì,  tirandosi la coperta fino al mento.

 

Per un attimo, lei sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi le palpebre si fecero pesanti e chiuse gli occhi. Remus attese nel caso li aprisse di nuovo, poi sussurrò un “Buonanotte”, e si avviò verso una delle stanze che erano state dichiarate sicure perché vi potessero dormire degli esseri umani, o degli adolescenti perlomeno.

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** 5. Under the influence (seconda parte) ***


5. Uder the influence B

Ci sono! Spero di non avervi fatto aspettare troppo con questa seconda parte del capitolo... lo so che avevo detto che avrei pubblicato al più tardi oggi, quindi sono entro i tempi indicati, ma volevo davvero pubblicare ieri...

Vabbè, godetevi l’ultima parte del quinto capitolo che a me fa sempre morire dal ridere…

E questa volta vi chiederò di leggere con attenzione le note in fondo, perché vi porrò una domanda a cui vorrei una risposta da voi, o un consiglio…

Ma non adesso, ora vi lascio a Lady Bracknell e al post sbornia di Tonks.

 

 

5. Under the influence (seconda parte).

Dopo sei ore passate a girarsi e rigirarsi in un letto che probabilmente era stato progettato per un uomo che era la metà di lui e senza sensibilità sulla schiena, Remus rinunciò all’idea di dormire e si alzò in piedi, passandosi una mano davanti agli occhi per ripararsi dai raggi di sole che filtravano dalle tendine logore. Controllò l’orologio e si chiese a che ora Tonks dovesse essere al lavoro e, con decisamente meno ardore, se si fosse trovata male nel suo letto.

 

Erano le nove. Pensò che probabilmente avrebbe dovuto svegliarla, così scese di sotto e le preparò un caffé abbastanza forte prima di arrampicarsi di nuovo su per le scale e bussare dolcemente alla porta.

 

Nessuna risposta. Bussò un po’ più forte e giunse un gemito in risposta.

“Tonks?”

Lei gemette di nuovo.

 

Socchiuse lentamente la porta e sbirciò nella stanza. Era stesa a pancia in giù sul letto, col cuscino premuto sopra la testa. C’era qualcosa di decisamente strano in quell’immagine anche se al momento non riusciva a definire esattamente cosa. Il suo sguardo si posò sulle spalle nude... sì, pensò, ecco cos’è.

 

Notò la scia di vestiti ai piedi del letto e sorrise fra sé.

 

Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che aveva avuto abiti da donna sparsi per tutta la stanza, ed aveva dimenticato quanto gli piacesse, la vista di indumenti insoliti buttati qua e là a casaccio. La biancheria intima color arancio cangiante era sicuramente il pezzo forte.

 

“Tonks?” tentò, appoggiando il caffé sul comodino. Si accucciò a fianco del letto e la sfiorò sulla spalla, chiedendosi come, se non era nemmeno stata in grado di far le scale, fosse riuscita a spogliarsi completamente ed infilarsi sotto le lenzuola. Lei gemette di nuovo, ma alla fine tirò fuori la testa da sotto il cuscino e lo guardò assonnata.

 

Cosa ci fai qui?” chiese. I capelli non erano ordinati e pettinati all’insù, ma una specie di groviglio scomposto e lui dovette trattenersi dall’impulso di allungare il braccio e passarle una mano fra i cappelli spettinandoli ancora di più. Adorabile, pensò. Attorno agli occhi quello che rimaneva del trucco, cosa che pensò avrebbe dovuto attenuare l’effetto, ma che invece, ed era preoccupante, non lo faceva.

 

“Sei nella mia stanza, Tonks.” La informò. Lei si stropicciò gli occhi, pasticciando ancora di più i resti del trucco.

 

“Oh,” mormorò, sedendosi e coprendosi col lenzuolo. Sgranò gli occhi. Scostò il lenzuolo di qualche centimetro  sbirciò sotto di esso, e spalancò gli occhi ancora di più.

“Pensò di non avere i vestiti addosso.”

 

“Apparentemente no.” Disse, gettando lo sguardo sui vestiti abbandonati sul tappeto.

 

“Me li hai tolti tu?” chiese, stringendo gli occhi in accusa.

 

“Non te lo ricordi?”

 

Lei deglutì.

“Direi di no.”

 

Per un attimo considerò l’idea di farle uno scherzo, ma alla fine non ne ebbe il coraggio.

“Ti ho solo tolto le scarpe.” Disse. “Suppongo che tu abbia fatto il resto.”

 

Quindi noi non abbiamo...” disse indicando loro due.

 

“No,” rispose, inarcando un sopracciglio. “Ma grazie per aver pensato di potermi scordare così in fretta.

 

Gli fece una vaga, debole, smorfia e poi si accasciò di nuovo sul cuscino, le mani sul viso. Ebbe compassione di lei.

“Ti ho portato un po’ di caffé,” disse alzandosi. “Perché non lo bevi e ti vesti mentre io scendo e vedo di preparati qualcosa da mangiare?”

 

Tolse una mano dalla faccia e lo guardò con un occhio solo.

“Non ho detto niente di imbarazzante, vero?” chiese titubante. “O... hai capito... fatto?”

 

“No,” rispose, sorridendo fra sé. “Non hai fatto niente.”

 

Aveva quasi raggiunto la porta quando lei chiese di nuovo.

“Me lo diresti se l’avessi fatto?”

 

“No.” Disse e chiuse la porta, sentendo il suono di quello che immaginò essere il cuscino colpirla dietro di lui.

 

 

Tonks appoggiò la testa sul tavolo e gemette. Remus le aveva preparato dei toast ed insisteva che bevesse un altro bicchiere d’acqua, ma finora, tutto quello che aveva fatto era stato borbottare qualcosa in risposta.

“Come ti senti?” domandò, sospettando di conoscere già la risposta.

 

“Come se qualcuno mi avesse rivoltato il cervello.

 

“Bene. Spero tu abbia imparato la lezione.”

 

Alzò la testa dal tavolo e gli lanciò un’occhiataccia.

“Sto bene,” sbottò.

 

“Quindi non hai bisogno di questo?” chiese sventolandole davanti agli occhi una bottiglietta marrone con l’etichetta che diceva ‘Cura di Henry Horshome contro la sbornia’, che aveva tirato fuori dalla tasca.

 

Ahhhh,” disse lei, tentando di afferrare la bottiglietta. “Sei il mio salvatore.”

 

Lui la spostò fuori portata.

“Credevo avessi detto che stavi bene?” disse inarcando un sopracciglio.

 

“Non sto bene, Remus,” ammise. “Sto morendo.”

 

Lei represse con un notevole sforzo una risata.

“D’accordo allora,” acconsentì, facendo cadere alcune gocce nel suo bicchiere. “Avanti, bevi.”

 

La osservò mentre beveva coraggiosamente un sorso e faceva una smorfia.

“Credo che mi sentirò male,” annunciò, ma poi bevve un alto sorso. Appoggiò di nuovo la testa sulla tavola e gemette.

 

Alcuni istanti dopo alzò la testa esitante e lo guardò battendo le palpebre mentre la pozione faceva effetto. Lui tentò di non sorridere. Essendoci passato tante volte lui stesso, pensò sarebbe stato ipocrita.

“Meglio?” chiese, alzando un sopracciglio. Lei provò a mettersi seduta.

 

“Sì,” rispose, “Credo di sì.”

 

Appariva un po’ più allegra.

“Lo sai,” commentò lui, senza preoccuparsi di nascondere un ghigno, questa volta, “Se non reggi l’alcool, probabilmente non dovresti andare in giro a bere la sera se il giorno dopo sei di turno.”

 

“Io non reggerei...” si infuriò. “Sarei capace di restare sobria più a lungo di te tutte le sere della settimana!”

 

Lui rispose inarcando di nuovo le sopracciglia.

“Vuoi che te lo provi?” lo sfidò.

 

“Penso di aver visto tutta l’evidenza di cui avevo bisogno la scorsa notte. Rispose. Gli lanciò uno sguardo indignato. “Spero solo tu abbia imparato la lezione sui cattivi effetti dell’alcool.

 

“Oh, taci,” sbottò, alzandosi in piedi, “Perché devi essere sempre così maledettamente ragionevole?”

 

“Perché,” disse, prendendo la Gazzetta del Profeta e nascondendo il volto dietro di essa, “Qualcuno deve esserlo.”

 

E devi essere sempre tu, vero?”

 

I loro sguardi si incrociarono brevemente e poi tornò al suo giornale. “Sembra proprio che debba essere così.”

 

Cosa intendi dire?”

 

“Niente,” rispose, scorrendo i titoli della pagina senza effettivamente leggere nessuna parola. “Solo che è difficile essere ragionevoli quando stai sbavando sopra la tavola.”

 

“Sbavando sulla... io non stavo sbavando su niente!”

 

“C’è una macchia umida sulla mia camicia che dice tutto il contrario,” affermò, tentando di suonare visibilmente annoiato e distratto.

 

Cosa?”

 

“Suppongo tu abbia convenientemente dimenticato che è stato necessario portarti di sopra a spalle?”

 

“Non è stato necessario portarmi di sopra a spalle! Solo io...”

 

“Me lo hai lasciato fare per divertimento?”

 

Sospirò esasperata. “Non c’è stato bisogno di portarmi di sopra di peso.

 

“Sì, sembrava proprio,” disse, voltando pigramente una pagina non letta. “Quando stavi sbavando sopra la tavola.”

 

“Non stavo..

 

La sbirciò da sopra il margine del giornale e lei lo guardò storto, le ,ani sui fianchi. Sbuffò esasperata.

“Non ho tempo per questo adesso, Remus.” Disse. “Grazie a te farò tardi al lavoro.”

 

“Grazie a me?” chiese. “Come ti è saltato in mente?”

 

“Ti avrebbe ucciso mettere un incantesimo sveglia?”

 

“Probabilmente.”

 

Riusciva quasi a percepire l’irritazione che lei emanava e si chiese se avrebbe dovuto dirle che stava avendo l’opposto dell’effetto desiderato.

 

“Tu sei...”

 

“Esasperante,” concluse per lei. “Lo so. Ma è un bel cambiamento da noioso, non trovi?”

 

L’irritazione calò e lo guardò evidentemente confusa.

“Non ti chiamo noioso da secoli.”

 

“No,” concordò, “Ma mi hai appena detto che sono ragionevole, che è un modo un po’meno peggiorativo di dire noioso.”

 

Si arrabbiò di nuovo.

“Devo andare.”

 

“Immagino di sì,” rispose.

 

“Tu pensi che me ne stia andando solo perché non so cosa significa peggiorativo. Disse, accigliandosi. Lui strinse le labbra nello sforzo di non sorridere.

 

“Quel pensiero non mi è mai passato per la mente.

 

Lei incrociò le braccia e lo fissò seccata, ma a lui sembrava che stesse disperatamente combattendo contro un sorriso.

“Lo sai,” disse, “Se oggi muoio, sarà tutta colpa tua.”

 

Smise di fingere di essere assorto nella lettura e la guardò da sopra il giornale.

“Com’è possibile?”

 

“Perché se muoio, sarà perché ero troppo impegnata a pensare alle risposte spiritose che avrei voluto darti adesso, piuttosto che concentrarmi su una questione di vita o di morte.”

 

Lui sorrise malizioso e tornò a fingere di leggere.

 

“Gigli o rose?”

 

Cosa?”

 

Se muori, vuoi che ti mandi gigli o rose?”

 

“Nessuno dei due,” sbuffò, chiaramente indignata sul fatto che non fosse sufficientemente interessato alla sua imminente dipartita. Alzò gli occhi al cielo e alla fine disse: “Mi piacciono i girasoli.

 

“Debitamente annotato. Buona giornata. E cerca di non morire.”

 

“Come se te ne importerebbe,” mormorò.

 

“Certo che mi importerebbe,” replicò, “Hai ancora la mia copia di Jane Eyre.”

 

Gli lanciò uno di quegli sguardi omicidi che pensò riservasse solo a lui prima di voltarsi e marciare verso la porta. Provò un improvviso e acuto senso di colpa.

 

“E mi mancheresti,” aggiunse velocemente.

 

Quando si voltò verso di lui era genuinamente scioccata. Incontrò il suo sguardo.

“Tanto,” aggiunse, dolcemente. “Quindi fammi il favore di non distrarti e tornare indietro tutta intera.

 

Per un attimo considerò l’idea di aggiungere una battuta sul fatto che l’aveva detto solo perché non poteva permettersi i girasoli, specialmente stravaganti girasoli fuori luogo in un funerale, ma lo sguardo di lei lo costrinse a trattenersi.

 

“Oh,” mormorò lei.

 

Sembrò pietrificata per un momento, sul viso aveva un’espressione piuttosto confusa, solo i suoi occhi si muovevano, vagando per la cucina e fermandosi ovunque tranne che su quelli di lui. Si morse un labbro e tornò dov’era seduto lui. Lui piegò con cura il giornale e lo posò sulla tavola di fronte a lui, senza sapere esattamente perché l’aveva fatto, anche mentre lo faceva.

 

“Quando avevo la testa sul tavolo prima,” iniziò Tonks, “Mi sono ricordata qualcosa a proposito di ieri sera.”

 

“Cos’hai ricordato?”

 

“Che ho tentato di baciarti,” disse. Lui cercò qualche traccia di nervosismo nel suo viso, ma era l’immagine della tranquillità.

 

“Esatto.”

 

“E mi sono ricordata che non me lo hai permesso.

 

Lui appoggiò il gomito sulla tavola e si coprì la bocca con la mano, appoggiandovi il mento.

Annuì brevemente.

“Ci stavo pensando,” continuò lentamente, “E mi sono venute in mente solo due ragioni per spiegare il tuo comportamento.”

 

“Ok,” disse, allungando la parola al limite di quanto fosse umanamente possibile.

 

“Bene, la prima,” iniziò, “E’ che davvero io non ti piaccio per niente e semplicemente non volevi che lo facessi.”

 

“Questa sarebbe una conclusione ragionevole, data l’evidenza,

 

“Questo è quello che pensavo,” disse. Si sporse lentamente verso di lui, e i suoi occhi scuri scintillavano. “Ma poi ho pensato che l’altra ragione per cui avresti potuto volere che non lo facessi è che io ti piaccio, e vuoi che io ti baci, solo vuoi che io sia sobria e totalmente in possesso delle mie facoltà quando lo faccio.”

 

Sotto le sue dita, le sue labbra si curvarono in un sorriso.

“Un’altra ragionevole conclusione.” Commentò. “Mi levo il cappello davanti alle tue facoltà deduttive.

 

Quindi qual è delle due?” chiese lei.

 

Remus considerò lei, e la domanda, per un attimo.

 

Poi per un altro ancora, durante il quale sembrò passare un’eternità.

 

Più ci pensava, più era convinto che ci fosse solo una cosa che poteva dire.

“Non avevi detto che eri in ritardo per il lavoro?”

 

 

 

 

 

Allora? Piaciuto? Io adoro il punto in cui le dice che se lei dovesse morire gli mancherebbe.. very much, come dice l’originale.

Ma veniamo al mio quesito:

 

STO RIFLETTENDO SULLA PROSSIMA STORIA DA TRADURRE (mancano ancora tre capitoli per finire questa, ma intanto sondo il terreno).

HO GIA’ IL PERMESSO INCONDIZIONATO DI LADY BRACKNELL DI ACCESSO ALLE SUE STORIE E CE NE SONO DI DAVVERO CARINE.

LA SCELTA PER ORA è FRA:

 

-         HOUSE OF CARDS: è una storia a capitoli in cui si racconta un finale alternativo a questo capitolo di Under the Table (ecco perché ve lo propongo adesso che siete freschi di lettura), è un po’ meno lunga di questa, ma molto divertente.

-         KISSING IT BETTER: è una one-shot sempre Remus-Tonks, di circa sette pagine. Tonks inciampa, Remus la soccorre e... se ve lo dico, io cosa la traduco a fare poi?

 

LE TRADURRO’ COMUNQUE ENTRAMBE, SU QUESTO NON CI PIOVE, MA VOLEVO SAPERE SE PREFERITE CHE PARTA DA UNA DELLE DUE IN PARTICOLARE O SE è INDIFFERENTE.

 

 Grazie per l’attenzione che vi ho rubato, spero mi sappiate consigliare, perché sono abbastanza indecisa. Ah, e grazie per le recensioni!

NONNA MINERVA

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Capitolo 9
*** 6. Under the table (prima parte) ***


6.Under the table A

E siamo arrivati finalmente al capitolo che da il suo nome alla storia, ma non è l’ultimo! Ce ne sono altri due che vi auguro di non perdere assolutamente... io come al solito lavorerò a ritmi serrati per farvi leggere il tutto in tempi ragionevoli.

Visti i miei impegni universitari, sarà inevitabile ch’io sia costretta ancora a spezzare i capitoli, ma è un modo per darvi qualcosa da leggere più spesso.

Se questa divisione (una comodità mia) rende il tutto più complicato (a voi) non avete che da dirmelo, e toglierò l’aggiornamento di metà settimana e pubblicherò un capitolo unico la domenica..

 

 

Dedico il capitolo alla mia Little Fanny che è tornata a “Bressia” e probabilmente non leggerà fino a sabato... hai visto che ci siamo, a ‘Under the table’? Buona settimana!

 

 

6.Under the table

 

“Ti ho comprato qualcosa,” annunciò Tonks.

 

Remus alzò lo sguardo dal suo libro. Stranamente, non l’aveva sentita entrare, ma era lì, un po’ nervosa, e apparentemente gli aveva comprato qualcosa. Si chiese se non fosse cacca di drago.

 

Inarcò un sopracciglio in attesa, e lei sfoderò la bottiglia che nascondeva dietro la schiena e la posò sulla tavola.

“E’ un’offerta di pace.” Disse timidamente.

 

“Un’offerta di pace?” chiese, confuso, guardando alternativamente lei è la bottiglia.

 

“Beh, non proprio un’offerta di pace, suppongo,” disse, “E’ più per farmi perdonare per averti trattato male ed avere detto che sei esasperante, la settimana scorsa.”

 

“Avrei pensato che se avessi dovuto scusarti per uno dei tuoi coloriti insulti, l’avermi chiamato patetico, evasivo, sentimentalmente rovinato fossero quelli che meritavano più delle scuse.”

 

“Va bene,” iniziò, ma prima che potesse continuare, la interruppe.

 

“Naturalmente, te che gridavi che sono più topo che Malandrino è stata la mia preferita,” commentò.

 

Emise un sospiro esasperato e lui incontrò il suo sguardo, sorridendo timidamente, fin troppo consapevole che, facendo così, le stava facendo capire che l’aveva in pugno. Lei sorrise a sua volta e si raddrizzò, mettendo su un’espressione di falsa serietà.

 

“Ti chiedo scusa per averti chiamato patetico, sentim...

 

“Evasivo,” puntualizzò. Lei si accigliò alla sua correzione, ma era quasi sicuro che stesse cercando disperatamente di non scoppiare a ridere.

 

“Ti chiedo scusa per averti chiamato patetico, evasivo, sentimentalmente rovinato e un bastardo esasperante, e per aver gridato che sei più topo che Malandrino.

 

“Non ce n’è davvero bisogno.”

 

Perché no?”

 

Si appoggiò allo schienale della sedia, squadrandola e sorridendo all’espressione confusa che era apparsa sul suo volto.

“Beh, è tutto vero,” spiegò. “Sono patetico, evasivo, sentimentalmente rovinato, definitivamente più topo che Malandrino in questi giorni e probabilmente un bastardo esasperante in tutto e per tutto. Non sono sicuro sia corretto portare rancore su cose che sono ovviamente tanto vere quanto il fatto che i miei capelli sono castani.”

“D’accordo allora,” disse alzando gli occhi al cielo, guardandolo poi pentita, “E’ più per scusarmi per averti trattato male.”

Lui ridacchiò sommessamente.

“Non ce n’è bisogno,” commentò tranquillamente. “Davvero.”

Lei gli sorrise e lui stranamente lo trovò stranamente più snervante di quando lo guardava furiosa. Distolse lo sguardo posandolo sulla bottiglia sul tavolo che conteneva un liquido chiaro ambrato.

“Cos’è, in ogni caso?” chiese, non senza un briciolo di trepidazione.

“Tequila.”

“Ah,” mormorò. “Davvero appropriato.”

“Sul serio? Perché?”

“Beh,” rispose, “Credo sia il tradizionale dono di scusa dei Messicani.”

“Davvero?” chiese e il suo volto si illuminò.

“No.”

Lo fissò delusa e lui non riuscì a trattenere un’altra risata, chiedendosi perché non fosse mai stanco di quel gioco.

“Allora la beviamo o no?” chiese sorridendogli e facendogli sapere che era, come sempre, perdonato per averla tormentata. Considerò la cosa per un minuto prima di tornare al suo libro, benché, se qualcuno gli avesse puntato la bacchetta alla testa e, minacciandolo di morte gli avesse chiesto cosa stava leggendo, non era certo sarebbe stato in grado di ricordare il titolo.

“Non sono certo sia una buona idea,” disse.

Perché no?”

Perché, come mi hai gentilmente ricordato in diverse occasioni, sono noioso. Le persone noiose non devono tequila.”

“Lo fanno se vogliono convincere le altre persone che si sbagliano.

“Su cosa?” domandò, alzando lo sguardo, interessato. La faccia di Tonks esibiva un sorriso malizioso.

“Vedila come un’opportunità di convincermi una volta per tutte che non sei così noioso come io penso tu sia.”

Sentì le sue labbra contrarsi, tradendolo. Sapeva che probabilmente avrebbe dovuto dire di no, ma sapeva altrettanto sicuramente che non l’avrebbe fatto.

“Beh, se la metti così,” acconsentì, e chiuse il libro, lo appoggiò sopra il caminetto e la raggiunse alla tavola.

 

 

Finisco qua questo pezzetto di capitolo perché poi inizia una sorta di sfida fra i due, colpo su colpo, e non mi pareva carino interrompere a metà la loro tenzone, ma d’altra parte non ce la facevo a non pubblicare un pezzo di capitolo e lasciarvi senza niente da leggere.

A presto!

P.s. grazie per i vostri commenti che ci fanno davvero molto piacere e per i consigli sulle traduzioni… vi farò sapere cosa deciderò alla fine! Baci.

 

Nonna Minerva

 

 

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Capitolo 10
*** 6. Under the table (seconda parte) ***


6. Under the table B

 

…fatemi i complimenti..! Cioè... voglio dire… ce l’ho fatta!! Prevedevo di pubblicare non prima di venerdì…! E vorrei farvi notare che quelle che state per leggere sono 12 pagine di word belle e piene... quindi esigo i complimenti per la mia celerità. No dai, scherzo, anche perché una volta arrivati in fondo mi maledirete per come vi lascia un po’ in sospeso…

Ma stavolta non è colpa di qualche mia subdola divisione fatta per venire incontro ai miei impegni scolastico-sportivi (e il sonno da recuperare dove lo mettiamo?), stavolta la colpa è di Lady Bracknell che ha finito così il capitolo.

 

Spero che la mole della lettura che segue possa esservi di conforto nell’attesa dell’aggiornamento di domenica...

Prometto che farò la brava.

 

Consiglio di avventurarsi nella lettura con mente lucida, perché state per assistere ai vaneggiamenti di due ubriachi che ogni tanto perdono il filo del discorso e la conversazione perde coerenza… ;)

 

6. Under the table (seconda parte)

 

Un bicchiere a testa.

 

Remus non aveva mai bevuto tequila prima, ma non la trovava affatto sgradevole.

 

Tonks riempì nuovamente i loro bicchieri.

“Ehm...” balbettò, incerto se stava protestando realmente o per finta. Lei si portò il bicchiere alle labbra.

 

“Se non lo bevi, devi pagare pegno,” annunciò.

 

Cosa?”

 

“Bevi o paghi pegno, queste sono le tue scelte. Pensavo avessi capito le regole del gioco. Disse, abbassando di nuovo il bicchiere.

 

“Per avere almeno la possibilità di capire le regole del gioco, immagino avessi bisogno di sapere che ne stavamo facendo uno.” Replicò, alzando un sopracciglio nella sua direzione.

 

Lei lo prese in giro.

“Tutti questi anni come presunto Malandrino e non sai nemmeno riconoscere un piccolo gioco alcolico quando ne vedi uno?” disse. Lo studiò per un attimo, gli occhi ridotti a fessure. “Bene, quando uno beve, anche l’altro deve farlo,” spiegò, “Altrimenti devi fare una penitenza. Il primo che finisce sotto la tavola perde.

 

“Ah,” commentò.

 

Lei inarcò un sopracciglio.

Ah’ cosa?”

 

“Vedo.”

 

“Vedi cosa?”

 

“E’ così che sei finita di sopra sul mio letto senza vestiti addosso.

 

“No,” lo corresse concisa, e bevve il suo. “Quella era vodka.”

 

Lei guardò da lui al piccolo bicchiere pieno di liquido ambrato di fronte a lui, non il minimo segno di sfida sul volto. Lui fissò a sua volta il bicchiere, sapendo che se avesse bevuto anche questo avrebbe effettivamente accettato la sua sfida e sarebbe finita con mezza bottiglia di tequila nel suo stomaco e una nottata trascorsa con la testa infilata in uno dei meno che salubri gabinetti di Grimmauld Place.

 

Il tutto solo per provare che non era noioso a qualcuno la cui opinione a riguardo non avrebbe dovuto interessargli minimamente.

 

“Di che tipo di penitenza stiamo parlando?” chiese, sporgendosi in avanti e massaggiandosi il mento con la mano, soppesando la situazione in cui era riuscito a cacciarsi.

 

“Scusa?”

 

“Beh,” iniziò, mostrando con la mano il bicchiere in questione, “Se devo prendere una decisione ponderata sul voler bere questo o meno, vorrei sapere qual è l’alternativa.”

 

“D’accordo,” acconsentì. Ci rifletté per un istante, mordendosi il labbro mentre lo faceva.

“O lo bevi, o rispondi alla mia domanda sinceramente una volta per tutte.”

 

E quale sarebbe la domanda?” chiese, anche se sospettava di conoscere la risposta.

 

“Ti piaccio o no?” disse.

 

Lui le offrì un mezzo sorriso e vuotò il bicchiere.

 

 

 

Due bicchieri a testa.

 

“Non credi dovremmo andarci piano consta roba?” chiese Remus, pulendosi le dita sui pantaloni dopo che Tonks aveva riempito di nuovo i loro bicchieri, versandone parte sul tavolo.

 

“Lo pensi davvero?” domandò.

 

“Sì.”

 

“Beh, questo perché tu sei quello razionale. Osservò.

 

“Immagino di sì,” rispose, notando quanto suonasse roca la sua voce e domandandosi come mai gli pesasse tanto la parola ‘razionale’ detta da lei. Era un’accusa che era praticamente abituato a sentire, eppure...

 

“Non sei mai stanco?” chiese lei.

 

“Di cosa?”

 

“Di essere sempre così dannatamente razionale... di fare sempre la cosa giusta.

 

“Non faccio sempre la cosa giusta.” Protestò, tamburellando le dita sul tavolo davanti a lui. “Tutt’altro.”

 

“Dammi un esempio,” lo esortò, “Quando ultimamente hai fatto qualcosa di sbagliato?”

“Qualcosa mi dice che accettare questa cosa è stato molto, molto sbagliato.” Mormorò, e Tonks sorrise alquanto inspiegabilmente.

 

“A dir la verità,” disse lei, “Penso sia la cosa più giusta che tu abbia fatto da quando ci siamo incontrati.”

 

Anche lui sorrise, chiedendosi se avesse ragione.

 

 

 

Tre bicchieri a testa.

 

“Azzarderei dire che me ne pentirò, domani mattina,” annunciò Remus, indicando accusatorio il bicchiere di nuovo colmo che reggeva in mano.

 

“Qualche volta, Remus,” rispose Tonks, sporgendosi sulla tavola e guardandolo dritto negli occhi, “E’ divertente fare cose di cui potresti pentirti il giorno dopo.”

 

 

 

Quattro bicchieri a testa.

 

Remus stava iniziando a percepire gli effetti. Il corpo era invaso da un dolce torpore e pensieri indistinti vagavano per la sua mente. Si allentò la cravatta e sbottonò il colletto della camicia e quindi decise di togliersi definitivamente la cravatta.

“Wow,” commentò Tonks, appoggiando la testa sulla mano e guardandolo maliziosamente, “Pensavo fosse attaccata chirurgicamente.”

 

Remus chiuse gli occhi per un istante, giusto per scacciare dalla sua mente l’immagine di Tonks che lo guardava in quel modo.

“Riguardo a quelle penitenze,” chiese, alla disperata ricerca di una distrazione, “Tanto per ricordarmelo in futuro, devono per forza essere tutte domande?”

 

“No,” rispose, “Le sfide sono assolutamente bene accette.”

 

“Di che genere di cose stiamo parlando?”

 

“Si rimanda tutto alla discrezione ed alla malizia di colui che decide,” sussurrò, “Il che significa che le cose non si mettono bene per te.

 

 

 

Cinque bicchieri a testa.

 

Parte del cervello di Remus sapeva che non ne sarebbe venuto niente di buono. Ma sfortunatamente sembrava che alla parte che al momento aveva il sopravvento piacesse la compagnia di Tonks, amasse stuzzicarla e come a volte lei lo stuzzicasse a sua volta in modo tutt’altro che innocente. Anche se l’altra parte del suo cervello gli stava dicendo che la prima parte aveva un’immaginazione iper attiva, ma la prima parte non voleva ascoltare e stava provvedendo con un’opposizione crescente proporzionale a quanto beveva.

 

“Rimarresti molto delusa se dovessi vincere io e non riuscissi nel tuo intento?” chiese lui.

 

Cosa?” domandò Tonks, alzando lo sguardo dall’unghia che si stava mordicchiando e fissandolo sorpresa.

 

“Beh, è ovvio che tu hai già pensato ad una penitenza.” Rispose, appoggiando le mani sul tavolo. “Sono un po’ curioso di scoprire cosa sei riuscita ad inventarti. Dopo tutto, ti ho lasciato un po’ per pensarci.”

 

“Sì,” disse, apparendo alquanto compiaciuta. “E’ vero, ce l’ho.”

 

Quindi cos’è?”

 

“Oh, è bellina,” rispose, con un sorriso malefico e ridacchiando sommessamente fra sé.

 

“Non sei preoccupata,” chiese lui inarcando un sopracciglio. “Che io possa saltar fuori con qualcosa di altrettanto subdolo?”

 

“Sì, come no,” lo schernì lei.

 

“Sono offeso,” commentò, appoggiando il gomito sul tavolo ed il mento sul palmo della mano. “Credevo che la mia reputazione mi avesse preceduto. Apparentemente no.”

 

“Reputazione?” chiese. “Quale reputazione?”

 

“Non importa,” disse, e poi, d’impulso, aggiunse, “Magari te lo mostro più tardi.”

 

Lei parve vagamente intrigata per un attimo, ma poi scosse la testa e l’espressione sparì.

“Credo che correrò il rischio.” Disse, un po’ troppo arrendevole per i suoi gusti.

Lui inarcò un sopracciglio.

 

“Lo sai, più mi deridi, più io sarò subdolo.

 

“Sono abbastanza sicura delle mie innate capacità.

 

Remus respirò profondamente, cercando di scacciare il ricordo del suo comportamento la settimana precedente.

“Suppongo tu sappia che i lupi mannari sono molto raramente sensibili all’alcool. Disse. Espose prosaicamente la questione, sebbene potesse sentire gli effetti annebbiargli la mente e non era nemmeno certo di aver pronunciato la parola ‘alcool’ correttamente.

 

“Ma ci sono delle eccezioni,” osservò lei, indicandolo e sorridendo maliziosamente, “L’ Whiskey Incendiario, per esempio, in genere viene assimilato più in fretta dai lupi mannari rispetto alle altre persone, facendoli di conseguenza ubriacare più velocemente.”

 

“Sì,” commentò, fissando mestamente la tavola. “Me ne sono accorto.”

 

“E la tequila,” continuò lei, “Essendo una miscela Babbana..”

 

 “Miscuglio,” la corresse lui ridendo. Tonks lo guardò confusa.

 

Cosa ho detto?”

 

“Miscela.”

 

Aggrottò la fronte ancora un po’, ondeggiando leggermente sulla sedia e rimproverandosi fra sé.

 

“Sei adorabile quando sei ubriaca,” disse, e poi aggrottò la fronte a sua volta, realizzando di averlo detto a voce alta. Tonks sorrise compiaciuta.

 

“Sono adorabile tutto il tempo, solo che tu non l’hai notato. Commentò. Remus fece per protestare, ma lei lo interruppe.

Comunque,” disse, “Dov’ero rimasta?”

 

“Non ne ho idea,” rispose Remus, scuotendo la testa e ridendo fra sé.

 

Lei sospirò esasperata, e sgranò gli occhi nel ricordare.

“Oh, sì. Tequila. Babbani... quelle cose lì. Livelli di cattiveria. Ora mi è venuto in mente.”

 

“Davvero impressionante,” commentò, “Salute.”

 

 

 

Sei bicchieri a testa.

 

“Allora, cos’è successo l’ultima volta che hai bevuto del Whiskey Incendiario?”

 

“Preferirei non parlarne.” Rispose lui.

 

“Oh, andiamo... non farti cavare le parole di bocca.

 

 

 

Sette bicchieri per Remus, sei per Tonks.

 

“La prima volta, credo di aver ballato,” iniziò, “E di essermi leggermente spogliato.”

 

“Tu?” chiese, gli occhi spalancati.

 

“Sì.”

 

“Ti sei spogliato?”

 

Leggermente spogliato.”

 

“Leggermente?” lo interrogò. “Come ci si può spogliare leggermente?”

 

Lui indicò il suo bicchiere ancora pieno e lei se lo portò alle labbra e lo vuotò.

“Qualcuno mi ha fermato prima che andassi troppo in là. Spiegò. “Se vuoi tutta la storia devi chiedere a Sirius,” disse, trasalendo mentre le immagini gli passavano davanti agli occhi. “Ho un ricordo alquanto vago dei dettagli.

 

“Non credere che non lo farò,” lo minacciò, “Credi che Sirius abbia fatto anche delle foto?”

 

Remus si distrasse versandosi dell’altra tequila.

 

 

 

Otto bicchieri a testa.

 

Tonks si sporse verso di lui, poggiando la testa su entrambe le mani e tamburellando le dita sulle guance. Gli sorrise e si morse un labbro mentre un pensiero le attraversava la mente.

“Quanto devo farti bere per farti togliere i vestiti?” chiese, inarcando le sopracciglia in modo seducente. Remus le lanciò un’occhiata di avvertimento che non sortì alcun effetto.

“Il doppio di quanto hai bevuto ora?” domandò, guardando la bottiglia con interesse.

 

Perché vuoi saperlo?”

 

“Ho solo chiesto,” rispose, mentre la bocca si contraeva lentamente in un sorriso di falsa innocenza.

 

“Vuoi che mi tolga i vestiti?” chiese prudentemente.

 

“Non necessariamente,” disse. “Potrei averlo chiesto semplicemente per fare una stima generale di quanto sarai divertente.”

 

“Oh.”

 

Tornò ad appoggiare la schiena allo schienale della sedia e si stiracchiò, massaggiandosi le spalle prima di sistemarsi.

“Prenderò il tuo ‘oh’ – che suonava leggermente deluso se vuoi saperlo – come un segno che tu vuoi che io voglia che tu ti tolga i vestiti, comunque,” annunciò, piegandosi verso di lui con un sorriso birichino sul volto. “Così lo sai.”

 

 

 

Nove bicchieri per Remus, uno curativo, per lo shock subito.

 

Ooh,” esordì Tonks, “Lo so io di cosa abbiamo bisogno.”

 

Prese la bacchetta dalla tasca e diede un colpetto leggero alla tavola. Apparvero una saliera e mezza dozzina di limoni, che iniziarono a rotolare verso il bordo della tavola finché Tonks, oscillando lievemente, non si alzò per andare a fermarli.

 

“E’ uno spuntino alquanto insolito, Tonks,” commentò Remus, “Se mi avessi detto che eri affamata...”

 

“E’ un gioco Babbano,” disse, “Lecchi il dorso della tua mano...” Lui la guardò affascinato mentre glielo dimostrava. Deglutì. “... poi ci versi sopra il sale.”

 

Perché?” chiese.

 

“Tu fallo,” lo esortò, la voce a metà fra l’incoraggiante e l’irritato. Lui la fissò. “Se non lo fai tu, lo farò io .”

 

“Promesse, promesse,” disse lui, senza veramente pensare.

 

Tonks sorrise maliziosa. Si allungò sopra la tavola e prese la mano di lui nella sua, se la portò alle labbra, senza mai distogliere lo sguardo da quello di Remus. Posò la lingua sul dorso della sua mano, leccandola una volta, delicatamente. Scosse la saliera sopra la sua  mano e poi la appoggiò sul tavolo risistemandosi sulla sedia. Lo guardò per un istante, un sopracciglio alzato in segno di trionfo e l’evidente traccia di un ghigno sulle sue labbra prima che lei prendesse la bacchetta e, con un semplice incantesimo dividesse uno dei limoni in quattro fette uguali e facendone scivolare una attraverso la tavola, verso di lui.

 

 

 

Undici bicchieri per Remus, uno con la strana aggiunta di limone e sale.

 

“Immagino che questo non sia un gioco che ti ha insegnato tuo padre?” commentò  Remus dopo essersi ripreso dai brividi che l’avevano scosso dopo aver morso il limone.

 

“Oh, no,” disse. “Uscivo con questo ragazzo babbano quando facevo l’addestramento per Auror. Però noi facevamo un’altra versione dove mettevamo il sale... Tonks si fermò, ridacchiando all’espressione orripilata che si era formata sul suo viso oppure al ricordo, e fece spallucce. “...beh, in altri posti.”

 

Se ti supplico, prometti di non entrare nei dettagli?” chiese. Tonks lo guardò, le labbra che si contraevano divertite mentre lo osservava.

 

“Hmm,” rispose.

 

Hmm’ cosa?”

 

“Beh, o sei geloso...” Remus si mosse leggermente sulla sedia mentre il peso del suo sguardo sembrava innalzare la sua temperatura corporea. “... oppure davvero non ami parlare di questo genere di cose.

 

“E’ decisamente la seconda opzione.” Disse.

 

Quindi smentì completamente le sue parole scoppiando a ridere.

 

 

 

Dodici bicchieri per Remus, due con la strana aggiunta di limone e sale, uno più gradevole dell’altro a causa di una leggera confusione nell’ordine degli ingredienti.

 

Remus chiuse gli occhi e fece una smorfia. Non era decisamente la stessa cosa con il sale poi ed il limone prima come nell’altro modo.

 

Posò il gomito sul tavolo e vi si appoggiò pesantemente, tenendo su la testa con la mano. Passò alcuni momenti a considerare quanto la sua faccia fosse vicina al tavolo e quindi un altro paio a considerare di dire qualcosa di davvero, davvero stupido.

“D’accordo,” cedette, “Sono abbastanza ubriaco.”

 

Tonks lo fissò senza riuscire a capire e lui realizzò che la parte più significante della conversazione si era svolta nella sua testa.

“Per rimediare al fatto di essere stato maleducato la scorsa settimana,” disse, “Penso tu possa domandarmi qualcosa. Qualsiasi cosa.”

 

Tonks lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, considerando con calma la sua affermazione, fissandolo – scrutandolo, pensò lui.

E non sarai un bastardo evasivo ed esasperante?”

 

Lui rise, passando l’unghia in uno dei solchi della tavola.

“Farò del mio meglio.”

 

Tonks lo guardò, sostenendo il suo sguardo una volta che lui ebbe alzato gli occhi.

“Lo sai cosa sto per chiederti.”

 

“Oh, non me lo chiederai.” Affermò lui, distogliendo di nuovo lo sguardo.

 

“No?”

 

“No,” rispose, “Perché più tu insisti nel voler conoscere la risposta, più io mi convincerò d’aver sempre avuto ragione sul motivo per cui vuoi saperlo, e sappiamo entrambi che tu non vuoi che io lo pensi.”

 

 

 

Tredici bicchieri a testa, tre con la strana aggiunta di limone e sale.

 

“Lo sai cosa odio di te?” chiese Tonks, mordendo il suo limone, scuotendo leggermente la testa per il sapore.

 

“Sono portato a pensare che ci siano un sacco di cose,” rispose.

 

Lei sbuffò, tirandogli quel che restava della sua fetta di limone. Lui abbassò la testa, ridendo, anche se la sua mira era scarsa e non l’avrebbe comunque colpito. La fetta atterrò con un vago ‘splat’ sul pavimento dietro di lui.

“Parlare con te è come giocare a scacchi. Continuò, con un lungo sospiro esasperato e, allo stesso tempo, rassegnato.

 

Remus ridacchiò confuso, incapace di decidere se quella era ciò che odiava di lui o una cosa a parte.

Cosa vuoi dire?”

 

“Beh, è come se tu fossi sempre sei mosse più avanti.

 

“Davvero?”

 

“Non vedo come altro tu possa riuscire a farlo.

 

“Fare cosa?”

 

“Quello che hai appena fatto.” Disse, indicandolo con un cenno di irritazione. Remus appoggiò la testa sulla mano e la fissò, incapace di formulare un qualsiasi pensiero. Tonks socchiuse di nuovo gli occhi. “Ma sai cosa ho notato?” chiese. Lui scosse la testa. “Lo fai solo con me,” concluse, battendo il pugno sulla tavola per enfatizzare la cosa, poi scuotendo la mano come, se avesse picchiato leggermente più forte di quanto intendesse.

 

Il gomito di Remus scivolò leggermente sulla tavola, portando la sua faccia più vicina alla superficie.

“Davvero?” chiese, rimettendosi seduto, tentando di tornare composto.

 

“Sì,” rispose, “E voglio sapere perché.”

 

“Forse sono semplicemente un bastardo.”

 

“Non lo sei,” disse ardentemente, scuotendo la testa per accentuare la sua affermazione.

 

Lui considerò le sue opzioni per un minuto.

“Forse non mi piaci poi così tanto,” osservò infine. Si aspettava che lei in qualche modo si arrabbiasse, ma non lo fece. Incontrò semplicemente il suo sguardo, sorridendo appena.

 

“Sappiamo entrambi che non è vero.”

 

Comprese di essere stato incastrato e per un attimo cercò di inventare una bugia, qualche ingegnosa risposta per uscirne, ma capì che la cosa non poteva infastidirlo.

 

La sbirciò attraverso la frangia.

“Forse,” iniziò, “L’unico motivo per cui lo faccio solo a te è perché so che l’unica ragione per cui tu sei anche appena interessata a me è che non riesci a comprendermi del tutto.”

 

Un proverbio riguardo pecore e labbra sciolte gli passò per la mente e si chiese se non avesse detto davvero, decisamente troppo.

 

 

 

Alcuni minuti di silenzio imbarazzato: sei e qualcosa.

 

“Lo pensi davvero?”

 

“Beh,” disse lui, “L’ho guardata da diversi punti di vista, e non riesco a pensare a nient’altro.”

 

 

 

Alcuni minuti di silenzio imbarazzato: due e tre quarti.

 

“Tu pensi troppo.” Disse Tonks.

 

“Non ti è mai venuto in mente,” osservò lui, “Che magari non sono io che penso troppo, ma tutti gli altri che pensano troppo poco?”

 

“No,” replicò lei, scandendo la parola. Oscillò appena sulla sedia, indicandolo con il bicchier appena vuotato. “Sei decisamente tu.”

 

Lui rise.

 

Tonks scivolò talmente in basso sulla sedia che si vedevano solo le sue spalle e la testa oltre il bordo della tavola, e lui si chiese se potesse cadere.

“Ti diverti mai, tu?” chiese lei, stravaccandosi leggermente sul fianco. Normalmente si sarebbe sorpreso del suo cambio di direzione, della domanda non inerente, ma ora era decisamente sollevato di non parlare più di quello di cui stavano parlando.

 

“Naturalmente.”

 

“Divertimento che non sia legato ai libri?”

 

Lui la guardò giocosamente, anche se stava disperatamente combattendo contro un sorriso.

“Mi sto divertendo, ora, a dir la verità.”

 

“Davvero?” chiese, mentre il suo volto si illuminava. Poi però aggrottò la fronte, alzò la mano per impedirgli di rispondere e scosse la testa. “No, aspetta, non rispondere.”

 

Perché no?”

 

“Perché non voglio che tu faccia quella cosa – che, tra l’altro, è dannatamente irritante – dove tu dici qualcosa e io dico ‘davvero?’ e tu dici ‘no’.”

 

Remus fissò il tavolo, seguendo con gli occhi le venature.

“Non stavo per dire no,” disse tranquillamente.

 

“Oh.”

 

 

 

Alcuni minuti di silenzio imbarazzato: quattro e mezzo.

 

“Lo sai che sono tutte balle, vero?” chiese Tonks.

 

Cosa?” domandò lui alzando lo sguardo, leggermente spiazzato. “Che cosa?”

 

“Il fatto che l’unico motivo per cui mi interessi è che non riesco a comprenderti.”

 

Remus emise un suono incredulo con la gola, inarcando le sopracciglia al meglio che poteva, visti i muscoli facciali addormentati per via dell’ebbrezza.

 

“Perché, Professore,” continuò, “Lo so che pensi di essere chissà quale grande misterioso enigma, ma io riesco a comprenderti, e l’ho fatto.”

 

“Davvero?” chiese, massaggiandosi la fronte ed appoggiandosi di nuovo alla mano.

 

“Sì. Non sei nemmeno la metà complicato di quanto pensi di essere.”

 

“Non lo pensi?”

 

“No.”

 

“No non lo pensi o no lo pensi?”

 

Le sopracciglia di lei erano talmente vicine che quasi si toccavano mentre lo fissava per un istante a bocca aperta.

Cosa?” domandò, inclinando la testa da un lato, confusa.

 

“Niente,” disse, ridendo sommessamente fra sé all’espressione disorientata sul volto di lei. “Non importa. Cos’è che sei riuscita a capire, allora?”

 

“Un sacco di cose,” rispose, gesticolando con le mani. “Ho capito che se io ora mi alzassi e venissi a sedermi accanto a te andresti completamente fuori di testa, perché penseresti che io voglia di nuovo tentare di baciarti. È per questo che sono seduta qui. E ho capito che il motivo per cui non vuoi dirmi se ti piaccio o no, è che ti piaccio, solo che pensi che non dovresti o che non vuoi, qualcosa del genere.”

 

Remus si coprì la bocca con una mano, sorridendo dietro le dita e respirando a fondo contro le nocche.

“Davvero intuitiva,” disse, “Ma no.”

 

L’espressione sul volto di Tonks cambiò di colpo.

“No cosa?” chiese in poco più che un sussurro.

 

No non sapevo fossero tutte balle.”

 

Le labbra di Tonks si curvarono in un incantevole sorriso che si diffuse sul volto e lentamente coinvolse anche i suoi occhi e rise dolcemente.

“Bene, ora lo sai.”

 

“Sì,” rispose tranquillamente, chiudendo un attimo gli occhi ed annuendo brevemente.

“Ora lo so.”

 

Lei tacque per circa un minuto e quindi si appoggiò allo schienale e lo guardò direttamente negli occhi.

“Posso farti una domanda?” chiese.

 

“Spara,” disse, combattendo il petulante impulso di puntualizzare che ne aveva appena fatta una.

 

E mi prometti di non essere evasivo ed esasperante?”

 

“Ci proverò.” Disse, “Anche se le vecchie abitudini sono dure a morire.

 

Lei rise brevemente.

Cosa hai intenzione di farne?”

 

Remus tacque, chiedendosi in effetti cosa intendesse fare con le nuove informazioni che aveva acquisito. Posò gli occhi sulla saliera e sui restanti limoni sopra la tavola.

 

Fissò lo sguardo nel suo e disse: “Insegnami l’altra versione.

 

 

 

Allora? Che ne pensate? Quello che dice Remus alla fine del capitolo – “Insegnami l’altra versione. – mi fa cadere dalla sedia dal ridere, che sarà poi la stessa reazione di Tonks, solo che lei cade dalla sedia per la sorpresa... ma non vi anticipo altro, altrimenti...

 

Ce lo lasciate un commentino, in cambio del mio spoiler??

 

Le recensioni per gli autori ( e i traduttori J ) sono come l’aria, non solo ci fanno un piacere immenso, ma non viviamo senza.

Vi ringrazio tantissimo per tutti i commenti positivi ottenuti finora, mi lasciano sempre piacevolmente sorpresa e anche l’autrice, che li riceve a rate, ne è molto felice.

 

A presto.

 

Nonna Minerva.

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Capitolo 11
*** 7. Looking for something (prima parte) ***


7. Looking for something.

 

 

Eccomi! Aggiornamento domenicale... Ehm.. lo so , è corto, ma… insomma, è domenica anche per me, no? Comunque, per farmi perdonare, cercherò di pubblicare un altro pezzettino domani, e uno dopodomani o mercoledì, così che possa accompagnarvi durante la settimana...

 

Aiuto! Manca sempre meno!! Ma ci pensate che fra 20 pagine (in italiano credo saranno un po’ di più) è finita?? O mio Dio... Ma non disperate, c’è il seguito, e poi il finale alternativo del 5° capitolo, e la one-shot, e il malloppone di 267 pagine... insomma, ne avremo da passarci via...

 

Intanto pubblico questo, ma poi non me ne vado a letto, giurò che continuo a lavorare...

 

Buon inizio settimana, buon lunedì e buona lettura!!

 

 

Capitolo ( o pezzetto di capitolo, meglio ) dedicato alla mia Coccia, che aspetta  con impazienza di leggere...

 

 

7. Looking for something.

 

Tonks cadde dalla sedia.

 

Remus pensò che probabilmente avesse qualcosa a che fare con la sorpresa per quello che aveva appena detto, sebbene quando sparì oltre il bordo della tavola ed atterrò con unoof’, era troppo occupato a tentare di soffocare una risata col palmo della mano per esserne veramente certo.

 

Ma quando non riapparve, si passò una mano sul viso nell’inutile tentativo di tornare un po’ più sobrio e poi ficcò la testa sotto il tavolo per vedere se era tutto a posto. La trovò distesa di schiena sul pavimento a fissare la parte sotto del tavolo, il corpo scosso da una silenziosa risata.

“Tonks?” tentò.

 

Lei non rispose e lui scivolo giù dalla sua sedia, un po’ meno aggraziatamente ed un po’ più rapidamente di quanto intendesse, atterrando dolorosamente sulle ginocchia ed evitando per un pelo di picchiare il mento sul bordo della tavola.

 

Si avvicinò a lei a gattoni, fermandosi accanto alle sue gambe distese e cercò di metterla a fuoco, battendo furiosamente le palpebre nel tentativo di trovare un po’ di lucidità..

“Stai bene?” chiese, offrendole la mano. Lei l’accettò, e, nonostante non fosse per niente cooperativa, riuscì a tirarla un po’ su. Lei crollò sulla sua spalla, ridacchiando, le sue dita che cercavano nella sua felpa qualcosa a cui aggrapparsi, stropicciandolo. “Lo sai,” disse, raddrizzandosi un po’, così che Tonks non lo tirasse giù con lei, e sbattendo puntualmente la testa sotto la tavola. “Ahia!”

 

Si portò una mano alla testa, premendo il punto dove aveva sbattuto, cercando di alleviare il dolore pulsante con le dita. Inspirò fra i denti.

 

“Checos’haifatto?” chiese Tonks alzando lo sguardo dal petto di lui. Remus si indicò la testa, e lei si trascinò un po’ più vicino e prese il volto di lui fra le mani, facendolo avvicinare a lei mentre gli piegava la testa verso il basso ed esaminava il punto che aveva indicato.

“Non è rotta,” disse con un ghigno mentre lo lasciava andare, “Sopravviverai.”

 

“Non ne sono sicuro.” Affermò con una risatina. “E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho bevuto così tanto.”

 

“Credi che potresti metterti a ballare, ora?” chiese lei, le labbra curvate in un debole sorriso. “Leggermente spogliato, possibilmente?”

 

“Credo di potermi contenere,” rispose, massaggiandosi la testa senza efficacia.

 

“Guastafeste.” Disse lei ridacchiando, facendo cadere le mani pesantemente in grembo. Emise un sospiro divertito.

 

“Tu piuttosto?” domandò lui, sorridendole. “Sei caduta dalla sedia. Non intendevo...”

 

“Beh,” commentò lei, le sopracciglia inarcate in un’adorabile espressione di scherno. “Non puoi fare l’evasivo e l’esasperante per settimane e poi all’improvviso diventare tutto sexy e civettuolo e non aspettarti ch’io non sia scioccata.” Incrociò le braccia sul petto. “Davvero sconsiderato da parte tua,” aggiunse, mangiandosi appena le parole, cosa che annullò completamente il tono severo della sua voce. “Non dare nessun tipo di avvertimento.”

 

Lui strinse le labbra per non ridere.

“Scusa,” disse, “Lo sai, se avessi saputo che era così facile scioccar...”

 

Tonks gli diede un colpetto sul braccio, forse un po’ più forte di quanto intendesse, ma lui non potè fare a meno di sorridere alla sua espressione infuriata, o al modo in cui il movimento improvviso l’aveva fatta ondeggiare e quindi tentare di rimettersi in equilibrio.

 

Quando ci riuscì, si guardarono per un istante, sorridendo nervosamente.

 

“Allora, che ne dici?” chiese lui esitante, chiedendosi se si fosse dimenticata il motivo che l’aveva fatta cadere, “Mi insegni...?”

 

Tonks mise su un sorriso malizioso e chiamò a sé la tequila con un colpo di bacchetta.

 

 

 

 

Remus fissò il bicchiere che Tonks aveva appena riempito per lui. Guardò sdegnata quello che era riuscita a rovesciare per terra prima di farlo sparire con un gesto della bacchetta e alzare lo sguardo. Gli sorrise furbetta, gli occhi un pelo vitrei.

“E’ davvero molto semplice.” Spiegò, mangiandosi appena le parole mentre indicava con un gesto della mano il sale e i limoni che avevano posizionato sul pavimento accanto a loro. Si sporse un po’ verso di lui, un malizioso scintillio negli occhi. “Devi solo decidere dove vuoi mettere il sale,” disse, colpendolo sul petto per enfatizzare la sua spiegazione, prima di risistemarsi di nuovo e squadrarlo, ridendo fra sé.

 

Per un attimo lui considerò le possibilità. Non era del tutto sicuro di quali fossero i parametri del gioco, cosa fosse permesso. Deglutì.

“Quando dici che devo decidere dove voglio mettere il sale,” disse lentamente, sbirciandola da sotto la frangia, “Sto decidendo dove metterlo su di me, o...?”

 

Mentre la sua voce si affievoliva, incerto se davvero voleva terminare il pensiero, meno che meno la frase, le labbra di Tonks si curvarono in un sorriso consapevole e malizioso.

O.” disse. Lui deglutì di nuovo e lei ridacchiò. Lui sorrise ed alzò gli occhi al cielo e rimproverandosi per quella domanda che l’aveva fatto apparire ancora più vecchio.

 

Un proverbio riguardo la fortuna che favoriva gli audaci balenò per un istante nella sua mente, ma non era sicura di ricordarlo abbastanza correttamente per prestargli attenzione. Prese la mano di lei.

 

“Remus,” protestò Tonks.  Non è che sia proprio...”

 

Si bloccò quando voltò la sua mano e leccò delicatamente l’interno del polso. Lui alzò lo sguardo, e lei assunse un’espressione stupita, ma non riuscì a pronunciare parola o suono. Remus si costrinse a non interrompere il contatto visivo mentre versava il sale.

E adesso?” sussurrò.

 

Lei prese la sua mano e la voltò lentamente, armeggiando con il bottone del polsino e quindi arrotolando la manica. Inarcò un sopracciglio nella sua direzione e poi sfiorò la pelle del polso con la lingua.

 

Lui rabbrividì. Tutt’ad un tratto fu felice di non aver iniziato con qualcosa di più drastico.

 

Il sale sul polso scintillava appena nella luce fioca della cucina e lui lo osservò, stranamente affascinato dal quel piccolo gioco di luce.

“Adesso,” disse Tonks a voce bassa, sorridendogli, “E’ esattamente come abbiamo fatto prima. Pronto?”

 

Lui annuì e lei inarcò un sopracciglio alquanto incredula mentre gli offriva il polso. Si aggrappò al suo, vacillando dal momento che non aveva più un appiglio per sostenersi.

“Uno, due, tre,” contò lentamente.

 

Remus non era sicuro se quella dolcissima sensazione fosse dovuta più al tocco della lingua di lei sulla sua pelle o alla pelle di Tonks sotto la sua lingua, ma comunque fosse, solo quando lei raccolse il bicchiere e se lo portò alle labbra ricordò che anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso. Buttò giù il liquido e morse il limone, scuotendo la testa per il sapore. Lei rise, e così fece lui, anche se non era certo del perché. Tonks si trascinò un po’ più vicino e appoggiò la testa sulla sua spalla. Lui le sorrise e lei alzò lo sguardo verso di lui, sorridendogli a sua volta.

“Come sono andato?” chiese.

 

“Molto bene.”

 

“Grazie.”

 

Ed hai delle spalle molto comode.” Mormorò. Lui ridacchiò, decisamente ubriaco.

 

Restarono così per un po’, e poi, apparentemente con un grande sforzo, si raddrizzò e riempì di nuovo i loro bicchieri, la lingua fra le labbra per la concentrazione nel versare la tequila, leccandosi le dita dopo averne rovesciata un po’.

“Bene,” disse, “Ora che hai capito come funziona, che ne dici di provare qualcosa di più avventuroso?”

 

Remus si chiese se gli fosse mai stata posta una domanda più pericolosa.

 

 

 

Hihihihihihi… credo che ora vi sia chiaro perché ho promesso di aggiornare anche domani...

 

Quanto credete di resistere senza sapere cos’ha in mente ora Tonks?

Lo sapevo.

Quindi, a domani.

 

Buona notte,

NONNA MINERVA

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** 7. Looking for something (seconda parte) ***


7. Looking for something B

 

 

Poche rapide parole: aggiorno adesso perché avevo promesso, e perché non ho saputo resistere alle vostre fantastiche recensioni...

Solo una cosa. Il capitolo non è ancora finito. Manca qualche pagina, ma non so quanto mi ci vorrà per arrivare in fondo.

Provate fra un’oretta, forse riesco a mandarlo.

Però non vi assicuro niente.

 

Adesso leggete... io ho ancora lo stomaco in subbuglio per le sensazioni che ‘sto capitolo mi sta dando, anche se già cosa succede…

 

 

7. Looking for something.

 

Quindici bicchieri per Remus, cinque con la strana aggiunta di sale e limone – due molto piacevole, uno molto spiacevole, uno assolutamente delizioso avendo dovuto leccare il sale sul polso delicato di Tonks, uno assolutamente spaventoso avendo dovuto leccare il sale sul collo di Tonks mentre lei faceva lo stesso con lui.

 

Tornarono entrambi a sedersi. Remus si chiese se appariva tanto stravolto quanto si sentiva. Si domandò pigramente se era stata in grado di sentire il suo battito irregolare mentre gli passava la lingua sul collo.

 

Era stato...

 

Ecco, era stato...

 

 

 

 

Minuti trascorsi in silenzio confuso e risolini ubriachi: due e mezzo.

 

“Dove il prossimo, Professore?”

 

Remus deglutì. Non aveva la più pallida idea di cosa suggerire, ed avvertì il suo sorriso farsi palesemente timido.

 

“Sei peloso?” chiese Tonks, indicandolo vagamente con un gesto del polso. Remus batté gli occhi, tentando di recuperare lucidità. Non era sicuro di niente.

 

Cosa?”

 

“Beh,” disse, avvicinandosi con fare cospiratorio, raddrizzandosi facendo peso con una mano sulla gamba di lui. “Volevo suggerire lo stomaco, poiché è sempre divertente, ma... lo sei?”

 

“Solo una volta al mese.” Rispose, la bocca che apparentemente aveva deciso di rispondere alla domanda senza consultare il cervello. Tonks rise.

 

“Pronto?” domandò, inarcando un sopracciglio.

 

Si sentì attraversare da un brivido. Non poteva esserne certo – poiché aveva bevuto troppo per poter essere certo di qualsiasi cosa se non del fatto che aveva bevuto troppo – ma pensò che lo stesse guardando in modo diverso, come se fosse in un certo senso impressionata dalle sue azioni.

 

Studiò il pavimento di pietra per un istante, assaporando quella sensazione prima di alzare gli occhi e guardarla.

 

“Sempre,” rispose.

 

 

 

Secondi trascorsi a riflettere se era una cattiva idea oppure una molto, molto buona: dieci.

 

Tonks si sedette di nuovo, sorridendogli in incoraggiamento e Remus le sollevò leggermente la maglia, scoprendo una decente, ma non inappropriata, area di lavoro intorno all’ombelico, un po’ di lato verso il fianco. Lei sussultò quando le sfiorò la pelle con le dita, e lui si chiese se soffriva il solletico e se fosse solo il contatto con la superficie fredda del pavimento.

 

Da quanto poteva vedere, aveva davvero un bello stomaco.

 

Considerò le sue possibilità su dove mettere il sale.

 

“Non avrai intenzione di tirarti indietro, vero?” chiese lei, risvegliandolo dalla trance in cui apparentemente era entrato. Si domandò per quanto fosse rimasto a fissarla, in quanto la nozione del tempo era diventata una delle ultime priorità del suo cervello.

 

“Certo che no. Sono un Malandrino, ricordi?” disse, e lei rise. Guardò il suo stomaco muoversi alla sua risata per un attimo, poi scelse il bacino, avendo deciso che, se avesse dovuto farlo una volta sola, tanto valeva fare le cose per bene.

 

Mentre versava il sale, sembrò realizzare l’assoluta assurdità di quella situazione, e scoppiò a ridere, arrancando sul pavimento per avvicinare il limone ed il suo bicchiere.

 

“Credevo avessi detto di essere più topo che Malandrino, in questi giorni,” commentò lei.

 

“E’ così,” confermò lui, il suo tono di voce che rivelava tutta la sorpresa per le sue azioni mentre sfiorava la sua pelle con la lingua, “Apparentemente mi sono sbagliato.”

 

 

 

Sedici bicchieri per Remus, sei  con la strana aggiunta di sale e limone – due molto piacevoli, uno molto spiacevole, uno assolutamente delizioso, uno assolutamente spaventoso e uno…beh, uno che pensò probabilmente eludeva qualsiasi descrizione.

 

Remus pensò che probabilmente non avrebbe dovuto pensare troppo allo stomaco di Tonks, o a cosa vi aveva appena fatto, specialmente mentre lei lo teneva inchiodato al pavimento e gli stava sbottonando la camicia.

 

Trattenne il respiro mentre la sua lingua sfiorava quel tratto di pelle accanto all’ombelico, aspettando che lei mordesse il limone prima di lasciare andare quel sospiro che aveva trattenuto per minuti. Gli giunse la sua risatina dal suo stomaco, dove apparentemente aveva appoggiato la testa. Non che gli dispiacesse; c’era qualcosa di rassicurante nella sensazione della pelle di lei sulla sua.

 

Aspettò che si spostasse, ma lei invece si sistemò meglio, arrivando ad appoggiargli la testa sul petto e guardandolo con un sorriso sornione. Lei si morse un labbro e i loro respiri si fusero mentre scoppiarono a ridere. Sentì le sue mani sistemarsi attorno alla vita di lei meravigliandosi di non sentirsi a disagio in quella posizione.

“E’ un gioco davvero sciocco, Tonks,” affermò.

 

“Ed io che ero qui che stavo per dirti qualcosa di carino,” disse lei, scuotendo la testa.

 

“Allora ritiro tutto,” replicò lui, interessato. “Questo non è affatto un gioco sciocco.”

 

Lei ridacchiò e la vibrazione della sua risata lo invase.

Cosa stavi per dire?” chiese, registrando appena i leggeri movimenti circolari che stavano facendo le sue dita sotto la maglietta di lei.

 

“Solo che hai uno stomaco molto leccabile,” affermò, annuendo una volta, molto seriamente. Lui inarcò un sopracciglio.

 

“E’ una buona cosa?”

 

“Beh, dipende,” spiegò, “Se a te piace essere leccato o meno.”

 

“Hmm,” mormorò, resistendo all’impulso di ridere, “Suppongo di sì.”

 

Lei alzò gli occhi al cielo.

“Mai una risposta diretta.” Sbottò. Lui batté le palpebre confuso.

 

“Mi avevi fatto una domanda?” chiese.

 

Lei appoggiò il gomito sul petto di lui, cercando di appoggiare la testa sulla mano, fallendo due volte prima di riuscire a ficcare il mento sul palmo.

“Era implicata,” rispose. Lui cercò disperatamente di non ridere.

 

“Implicita?” domandò, anche se sentiva che la sua riposta sarebbe stata, in effetti, implicante. Lei si accigliò.

 

“Sì,” disse, imbronciandosi, “E’ quello che ho detto.”

 

Lui sbuffò leggermente alla sua indignazione, e lei inarcò un sopracciglio, come se si stesse realmente aspettando una risposta.

“Mi è piaciuto,” disse, “Quindi suppongo sia una buona cosa che tu pensi sia leccabile. Anche se non esiste quella parola.” Lei gli lanciò uno sguardo d’avvertimento. “Scusa,” mormorò in una risatina.

 

“Bene,” sostenne lei, sorridendo. “E visto che non sei stato...” inspirò profondamente, alla ricerca della parola giusta, pizzicandosi la guancia e sospirando mentre pensava, “... assolutamente esasperante e bastardo come al solito...”

 

Lui ne approfittò per mostrarsi offeso, ma lei semplicemente rise.

“... penso che dovremmo approfittarne in pieno,” affermò. Si chiese a cosa mai alludesse e le mostrò un’espressione preoccupata. “Niente panico.” Lo rassicurò. “Ho solo intenzione di porti una piccolissima, innocente domanda.

 

“Oh,” rispose. Non era per niente tranquillo, ma non aveva la forza di protestare.

 

“Credi ancora che io sia adorabile quando sono ubriaca?”

 

Pensò che questa domanda fosse mille volte più pericolosa di quella di dove volesse mettere il sale, e sicuramente non si poteva utilizzare il termine innocente. Non c’era niente di innocente in essa.

 

Per un attimo considerò l’idea di mentire o di evitare di rispondere, ma scoprì di non volerlo fare. Evitò il suo sguardo e sorrise leggermente.

“Penso che tu sia sempre adorabile.” Disse tranquillamente, e per un istante gli mancò il respiro.

 

“Davvero?”

 

Lui sorrise ed incontrò il suo sguardo, ridacchiando appena. Non seppe resistere.

“No.” Rispose. Lei lo guardò storto, nonostante stesse ridendo pure lei, quindi spostò la mano che sosteneva la testa, e lo colpì sulla spalla, abbastanza forte, a causa dell’ebbro entusiasmo. Lui sussultò, cercando di evitare i suoi colpi.

 

“Stai mentendo?”

 

Allungò una mano sul collo di lei, giocando con una ciocca di capelli, mentre avvicinava il volto al suo.

“Sì.” Mormorò.

 

“Bastardo.”

 

Prima che potesse ripensarci o rimproverarsi per quello che stava facendo, sollevò appena la testa e sfiorò le sue labbra. Fu solo un leggerissimo bacio - pensò che probabilmente sarebbe potuto passare per un semplice gesto fra amici, se non fosse per il fatto che entrambi sapevano che non lo era, e che lei lo teneva inchiodato al pavimento sotto il tavolo della cucina.

 

Si scostò quanto bastava per guardarla negli occhi, per vedere quello che pensava. Immaginò stesse sorridendo, anche se erano talmente vicini che era difficile dirlo.

“Mi hai baciato,” sussurrò lei.

 

“Sì. Sono felice che tu l’abbia notato.”

 

“Le ragazze normalmente non si accorgono quando le baci?”

 

“Beh, ci sono state un paio d’occasioni... spiegò, adottando un’espressione di finto disagio. “Preferisco non parlarne.”

 

Lei rise  ed il suo stomaco fece una capriola. Perché non si era mai accorto di quanto gli piacesse farla ridere?

 

“Che ne è stato del pieno controllo delle tue facoltà?” chiese dolcemente. Lui sorrise appena per il modo in cui si mangiava le parole.

 

“Credo che i miei neuroni siano spaparanzati da qualche parte ubriachi fradici,” disse, agitando una mano infastidito, anche se non ricordava di essere mai stato così poco infastidito per qualcosa. “Suppongo saranno molto irritati con me domani mattina. Mi rimprovereranno in modo esemplare, con uno di quei mal di testa che ti fanno sentire come se ci fossero degli ippogrifi che ballano il tip tap sul tuo cranio.

 

Lei spalancò gli occhi, come se fosse sinceramente preoccupata per lui, piuttosto che prenderlo in giro, e non poté fare a meno di avvertire una stretta allo stomaco per quanto la cosa fosse intrigante.

Che cosa farai?” chiese.

 

Dirò che è colpa loro se si sono ubriacati lasciando il resto del corpo in balia di se stesso,” rispose.

 

Lei lo squadrò per un istante, e lui la osservò, cercando di capire cosa stesse pensando. Non ebbe risultati.

 

 

 

 

Beh??? Non è assolutamente, terribilmente, ecco insomma... avete capito no? … decisamente...

Ecco, spero che vi faccia sentire come mi sento io ora, perché allora significa che ho tradotto bene…

Ora basta, torno al lavoro.

 

La vostra Nonna Minnie

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Capitolo 13
*** 7. Looking for something (terza parte) ***


Looking for something C

 

 

Alla fine non ho mantenuto la mia promessa, in quanto essendo l’1.04 del mattino, tecnicamente è già martedì, quindi... vabbè, diciamo che l’ho mantenuta per metà…

Rubo ora un attimo della vostra attenzione perché alla fine credo sarete già abbastanza occupati a… beh, quando arrivate a tre quarti del capitolo sarete traviati da pensieri omicidi e non penserete più a me.

Quindi colgo l’occasione per dirvi:

- che ieri abbiamo raggiunto le 100 recensioni, cosa di cui sia io che Lady Bracknell vi siamo immensamente grate.

- che dal numero di letture è altissimo e gratifica immensamente il mio ego di traduttrice… l’autrice ha già abbastanza di cui bearsi, dopo una storia del genere.

- che il prossimo sarà l’ultimo capitolo e alcune di voi vedranno esaudito il loro desiderio di un Remus leggermente svestito ( anche se tale visione è riservata solo a Tonks, mi dispiace, qui l’autrice censura, ma spero che le allusioni prima e dopo siano sufficienti)

- che adesso vi lascio leggere sennò mi uccidete.

 

 

7. Looking for something (parte terza e ultima)

 

Dopodichè, lei gli afferrò il viso e portò le labbra alle sue, scacciando ogni apparente pensiero.

 

Per un attimo fu troppo sorpreso per fare qualsiasi cosa.

 

Ma solo per un attimo.

 

Rispose al bacio, passando le dita fra i suoi capelli ed avvicinandola a lui. Quasi non riusciva a credere che stesse accadendo. Lo accettò come il sogno di volare senza scopa o di un’esistenza intera senza la luna – non poteva essere reale, e perciò poteva fare tutto quello che voleva, in quanto, tutte le consuete regole che gli avrebbero impedito di farlo, non esistevano.

 

Il bacio si fece più profondo, e lei sapeva di tequila. Immaginò che fosse lo stesso per lui. era decisamente molto più inebriante dell’alcool, però. Gli faceva girare la testa e diventare le ginocchia deboli e se non fossero stati distesi sul pavimento, probabilmente si sarebbe accasciato per terra.

 

Gli accarezzò dolcemente la mascella, e lui si rese conto che la stava realmente baciando, che, per quanto potesse sembrare surreale, non era un sogno ad occhi aperti od una pigra fantasia. Le labbra sopra le sue erano reali, i capelli sotto le sue dita erano reali, le sensazioni... deglutì. Erano tutte assolutamente reali.

 

“Questa è probabilmente davvero una pessima idea,” disse lui, mormorando le parole fra i baci, non del tutto sicuro di pensarlo veramente.

 

“Uh-huh,” rispose lei, annuendo, anche se il modo in cui gli stava mordendo il labbro sembrava indicare che la pensava molto diversamente.

 

“Siamo troppo diversi,” mormorò, scostandosi appena.

 

“Beh, tu sei un bastardo , sentimentalmente rovinat...”

 

“Evasivo,” aggiunse lui, catturando di nuovo le sue labbra in un bacio. “Non dimenticare evasivo.”

 

Lei rise appena contro le sue labbra.

“Sei un bastardo, sentimentalmente rovinato ed evasivo,” si corresse, tenendo la sua faccia fra le mani e tornando a baciarlo.

 

“E tu sei una scocciatrice,” rispose, ricambiando il bacio con passione.

 

“E tu sei davvero noioso,” mormorò soddisfatta, scendendo un po’ per baciargli il collo. Lui ridacchiò, chiedendosi se la parola ‘noioso’ gli fosse mai parsa più sexy. “E decisamente troppo giudizioso. E un po’ soffocante. E un bastardo totale.”

 

“E tu non sai mai quando tacere,

 

Lei si scostò, la bocca spalancata per l’indignazione. Lo guardò e gli accarezzò la spalla, soprapensiero.

“Immagino che quindi tu voglia che io ti lasci andare?”

 

“A dire la verità no,” disse, stringendo la presa. Lei parve scioccata e lui sorrise, invertendo le posizioni. Ridacchiò sorpresa mentre lui si sistemava sopra di lei, inchiodandola al pavimento.

 

“Pensavo che pensassi ch’io fossi una seccatrice.” Esclamò, occhi sbarrati, ma sorridendo.

 

E’ così, lo sei.”

 

Gli offrì un adorabile broncio.

Ma, ecco...” sussurrò, accarezzandole dolcemente il collo con la punta delle dita. “Vedi...” Si fermò per seguire il sentiero tracciato dalle dita posandole piccoli baci delicati sul collo, e poi di nuovo su verso l’orecchio. Abbassò ulteriormente la voce, rendendola poco più che un bisbiglio provocante, sussurrando le parole contro i suoi capelli. “... alla fine sembra che...” continuò a posare baci lungo la mascella e poi tornò alle sue labbra ed infine incontrò il suo sguardo. abbassò la testa e la sbirciò attraverso le ciocche di capelli scomposte, inarcando un sopracciglio.  “... che tu mi piaccia un po’, dopo tutto.”

 

Lei sorrise e si morse un labbro.

“Oh,” mormorò. Lui ritornò desideroso alle sue labbra, e questa volta, nessuno dei due riuscì a pensare a qualcosa che dovesse essere detto.

 

L’intensità di questo momento lo colse leggermente di sorpresa, nonostante non fosse del tutto certo del perché. Le accarezzò il fianco e la strinse a sé, godendosi la sensazione di lei che gli aveva passato le braccia dietro il collo e gli accarezzava i capelli, tanto quanto gli piaceva sentire il corpo di lei muoversi contro il suo.

 

Si stava giusto chiedendo come sarebbe andata a finire – o, più precisamente, se era saggio continuarla fino a dove pensava sarebbe andata a finire – quando la porta si aprì. Si bloccarono entrambi, ma dividersi effettivamente non sembrava davvero una possibilità. Tonks allontanò la mano dai suoi capelli e Remus spostò la sua da dov’era – giocherellando con il punto dove prima aveva messo il sale. Remus guardò nella cucina, anche se sospettava di sapere chi fosse.

 

Vide le gambe nude di Sirius e l’orlo rosso della sua vestaglia.

 

“Non ho interrotto niente, vero?” chiese Sirius. Remus lanciò a Tonks uno sguardo imbarazzato e colpevole e lei si portò una mano davanti alla bocca per soffocare una risata.

 

“No,” rispose Remus con una smorfia, purtroppo consapevole che i loro corpi, ancora a stretto contatto, raccontavano tutta un’altra storia. Lei si morse un labbro e rise sommessamente, gli occhi che scintillavano verso di lui e facendogli provare sensazioni che non sentiva da un po’.

 

Lui si scostò da lei e si sedette, sbattendo la testa contro il tavolo. Tonks ridacchiò e si mise un po’ più diritta, appoggiandosi sui gomiti. Lui si massaggiò la testa.

 

Che state facendo, allora?” chiese la voce di Sirius dall’alto, le dita dei piedi che si dimenavano in modo che Remus pensò essere o infastidito o profondamente divertito.

 

“Stavamo solo...” iniziò Remus. Guardò Tonks disperato, che si limitò ad alzare le spalle e sorridere.

 

“Sì?” chiese Sirius, battendo un piede per terra.

 

“Stavamo...” lanciò uno sguardo esplicito a Tonks perché l’aiutasse ad inventare una scusa plausibile che spiegasse il motivo per cui si trovava ‘appartato’ sotto il tavolo della cucina  a quell’ora, con lei, dopo aver affermato, con evidente decisione che non gli piaceva. Una donna che fra l’altro aveva la metà dei suoi anni ed era la cugina del duo migliore amico.

“... cercando qualcosa.” Disse, rimproverandosi per la scusa penosa.

 

Le gambe di Sirius attraversarono la cucina, e Remus lo sentì svitare un tappo e riempire un bicchiere. Quindi tornarono indietro e le sue ginocchia lo fissarono accusatorie.

E l’avete trovato?”

 

“Ehm...” Remus chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte. “Non ancora.” Rispose. Era il meglio che potesse fare, date le circostanze.

 

“Beh, continuate allora,” disse, i piedi che facevano dietro-front e si avviavano verso la porta. “Anche se.. se posso dare un consiglio, a meno che non siano i denti che state cercando, forse dovreste guardare altrove che nelle rispettive bocche.”

 

La porta si chiuse dietro Sirius, e Remus batté le palpebre un paio di volte, quindi si passò una mano sul volto. Non ebbe certo l’effetto di alleviare la sbornia, anche se l’apparizione di Sirius un po’ l’aveva avuto.

Ed il premio per il miglior tempismo del mondo va…” disse Tonks, prima di scoppiare a ridere.

 

“Proprio,” concordò Remus. Indicò il resto della cucina.

Che ne dici di...” Tonks annuì.

 

Sgattaiolò fuori da sotto la tavola, e quando lei lo seguì, tenendo stretta la bottiglia, lui le offrì una mano per alzarsi. La tirò in piedi ed entrambi oscillarono lievemente. Lui si appoggiò alla tavola per mantenere l’equilibrio, e lei afferrò lo schienale di una delle sedie ondeggiando appena.

 

Remus non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto dire o fare ora – guardò Tonks in cerca di qualche indizio, ma lei stava semplicemente sorridendo, e non riusciva a capire se fosse un sorriso timido o brillo.  Pensò che la sua espressione non dovesse essere tanto diversa.

 

 

 

Minuti trascorsi in silenzio imbarazzato: tre e tre quarti.

 

Lei mani fremevano per avere qualcosa da fare, ed il suo cervello era invaso da mille pensieri e nessuno in particolare, come una trottola impazzita. Si chiese come fosse possibile che, quando solo pochi minuti prima era disteso sul pavimento sopra la donna che ora aveva di fronte, ora non riuscisse a pensare ad una sola parola da dirle, di come potesse sentirsi così imbarazzato.

 

A meno che, naturalmente, non fosse il fatto che si trovava sopra di lei fosse ciò che gli causava tanti problemi. Pensò che probabilmente era quello.

 

“Allora,” disse lei.

 

“Allora...” fece lui.

 

 

 

 

Minuti trascorsi in silenzio ancora più imbarazzato:due e qualcosa.

 

“Bene,” disse Tonks, “Penso che probabilmente sia meglio che vada a casa.”

 

“Sì,” concordò Remus, sollevato del fatto che avesse finalmente detto qualcosa. “Ed io devo andare di sopra, così Sirius può uccidermi per aver molestato sua cugina.

 

“Buonanotte allora,” mormorò Tonks, voltandosi. Appoggiò la bottiglia sulla tavola, giocherellando per un momento con l’etichetta.

 

“Ok,” disse Remus, “Io... ehm.. ti accompagno fuori.”

 

Si avviarono in silenzio alla porta d’ingresso, ed uscirono in strada.

 

 

 

Minuti trascorsi palpabile, snervante in silenzio:uno e mezzo.

 

Tonks alzò il colletto della giacca e si massaggiò le braccia. Lui pensò che probabilmente stava aspettando che dicesse qualcosa, o magari che facesse qualcosa, sebbene non avesse la più pallida idea di cosa.

 

 

 

 

Dita dei piedi che si dimenano imbarazzate: dieci.

 

Si chiese se dovesse baciarla di nuovo, se era questo che voleva, ma alla fine era passato troppo tempo, e la tensione che si era creata era talmente palpabile che la distanza fra di loro sembrava insormontabile.

 

 

 

Minuti trascorsi a desiderare una morte improvvisa: due.

 

Tonks sospirò ed alzò gli occhi al cielo.

“Senti,” disse, “Sono generalmente una fan dei silenzi imbarazzati, ma questo è ridicolo. Se aspetto abbastanza hai intenzione di dire qualcosa o me ne posso andare a casa?”

 

Remus emise un leggero sbuffo divertito. Era davvero una compagnia incisiva.

“Volevo dire qualcosa.” Spiegò. “Ma non sapevo cosa. Sono aperto ai suggerimenti.”

 

Lei rise, cosa che gli sembrò un progresso.

“Potevi dire che ti eri divertito,”

 

“Credevo che fosse evidente,

 

“Beh, sì,” mormorò, guardando il cielo. “Certe volte alle persone piace sentire cose che tu pensi siano evidenti.

 

Le labbra di lui si contrassero in divertito imbarazzo, e lei incrociò il suo sguardo, ondeggiando leggermente sul posto. Remus si domandò cosa avesse da perdere e quindi inspirò profondamente prima di buttarsi.

“Quando saremo entrambi un po’ più sobri,” iniziò, “Se ti chiedessi di uscire, pensi che mi diresti di sì?”

 

“Probabilmente,” rispose, offrendogli un sorriso malizioso. “Avrei pensato che fosse evidente.”

 

Lui sorrise e lei gli toccò leggermente la spalla. Lui fece un passo indietro per restare in piedi e lei lo osservò per un minuto. Quindi sorrise timidamente e scrollò le spalle.

“Beh, buonanotte Remus,” disse, e si voltò.

 

“Buonanotte,” rispose lui, non sapendo nemmeno se avesse sentito prima di Smaterializzarsi.

 

Rimase per un momento a fissare il punto in cui prima stava lei, poi tornò in cucina, dove quello che rimaneva della tequila ammiccava verso di lui dalla tavola, e arrancò fino al lavandino, versandosi un bicchiere d’acqua.

 

“Non capisco cosa ci sia da ridere,” mormorò rivolto alla bottiglia. “E’ tutta colpa tua.”

 

Si arrampicò su per le scale fino alla sua stanza, sorridendo come un idiota e rovesciando la maggior parte dell’acqua. Stava per aprire la porta quando la voce di Sirius lo raggiunse da lontano.

“Sei da solo, Moony?”

 

Remus alzò gli occhi al cielo mentre Sirius schiamazzava istericamente.

“Mi hai davvero sorpreso,” ridacchiò.

 

Beh, allora siamo in due, pensò Remus, e scivolò nella sua stanza, sentendo la voce di Sirius da qualche parte chiamarlo vecchio cane scaltro.

 

 

Beh?? Avevo ragione nel dire che non ci sarebbe stato verso di farmi ascoltare ora??

 

Nonna Minerva

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Capitolo 14
*** 8. In the morning ***


8. In the morning

Ed eccoci qui con le prime 6 pagine dell’ultimo capitolo…

Ho deciso di pubblicare oggi questa prima parte perché Little Fanny si è lamentata ( a ragione ) di non fare in tempo a leggere il mio aggiornamento domenicale, visto che è già partita per tornare all’uni a quell’ora.

Hai visto che ho pensato anche a te??

Però la fine prima di domani non la pubblico, porta pazienza…

 

Volevo anche segnalare che lunedì ho pubblicato due capitoli a distanza di breve tempo.. la maggior parte di voi li ha letti entrambi, ma dal numero di letture degli ultimi due sembra che qualcuno abbia perso un pezzetto per strada… volevo solo avvisare, ecco.

 

Che tristezza!!! L’ultimo capitolo!!! La prima parte almeno.

 

 

8. In the Morning.

 

Remus stava disteso a pancia in giù nel suo letto, gemendo sommessamente.

 

Aveva fatto lo sforzo di alzarsi e vestirsi, ma mentre rifaceva il letto aveva convenuto che decisamente non se la sentiva di stare in piedi ed era crollato sopra le coperte spiegazzate.

 

E da allora non si era mosso.

 

Mentre stava lì, la testa che gli doleva e lo stomaco che brontolava, si rallegrò di non essere arrivato fino ad aprire le tendine. Gemette di nuovo e poi smise, visto che lamentarsi non avrebbe fatto niente per placare gli ippogrifi che stavano danzando sul suo cranio.

Restò in quella posizione, godendosi la pace per un istante, e lasciando che quel pensiero indistinto che lo tormentava dal momento in cui aveva aperto gli occhi, si formasse chiaramente e completamente nella sua testa.

 

Ma chi mai gliel’aveva fatto fare di mettersi a bere tequila con Tonks?

 

Parte di lui avrebbe voluto suggerirgli che, in effetti, era stata la cosa più divertente che avesse fatto negli ultimi anni, mentre il resto di lui lo ammoniva per tale pensiero, cercando di convincere la parte che si beava in quei pensieri che era del tutto inutile, e che avrebbe portato solo guai.

 

Ma quando la sua mente tornò a quello che aveva fatto con Tonks sotto il tavolo...

 

Non era del tutto sicuro che fosse realmente accaduto.

 

Sembrava troppo irreale per essere vero e non poté fare a meno di pensare che il tutto fosse solo una fantasia che la sua mente ubriaca aveva immaginato durante quelle poche ore di sonno tormentato. Non riusciva a pensare nemmeno per un attimo a quello che qualcuno come Tonks avrebbe fatto sotto la tavola con uno come lui.

 

Lentamente tentò di rimettere insieme tutti i particolari, raccogliere tutti i pensieri e ricordi dispersi che aveva della sera prima, ma il suo cervello non ne era decisamente in grado – schiacciato, immaginò, dall’ippogrifo che si teneva delicatamente in equilibrio sul suo sopracciglio destro – e tutto quello a cui riusciva effettivamente a pensare era lei.

 

Si accorse vagamente di un colpetto alla porta, e brontolò una risposta che parve assolutamente evasiva fra le coperte.

 

La porta scricchiolò leggermente mentre veniva aperta, sentì dei passi , poi il letto si mosse e qualcuno si sistemò accanto a lui con un gemito. Riuscì a pensare ad un unico possibile candidato.

 

“Tonks?” chiese.

 

“Uh huh.”

“Solo controllato.” Aggiunse. “Non avevo voglia di alzare la testa e vedere.

 

così male?” domandò, la voce appena smorzata.

 

“Peggio.” Borbottò. Sentì Tonks spostarsi un po’ più vicino, il braccio di lei sfiorò il suo nel sistemarsi. “Fa’ come se fossi a casa tua, comunque.” Aggiunse, e lei rise sommessamente.

 

“Ero venuta a dirti che ho la tabella dei turni per la prossima settimana,” disse, “Ma il tuo letto sembrava così comodo...” si lamentò e lui ridacchiò.

 

“Come la tua testa?” chiese lui.

 

“Com’è che l’avevi definito?” domandò, “Ippogrifi che ballano il tip tap sul tuo cranio? Quello riassume tutto.” Remus emise uno sbuffo divertito. “Tu?” chiese lei.

 

“Lo stesso.” Rispose. “Non me la vedevo con i postumi di una sbornia da... si bloccò.

“In effetti,” si corresse, “Non credo di essere mai stato così male la mattina dopo, prima d’ora.”

 

Quindi sono una cattiva influenza?”

 

“In un certo senso,” rispose, “Anche se sono è ridicolamente facile da sviare.”

 

Sentì Tonks muoversi e si mosse anche lui, voltando la testa per poterla guardare. Si era rannicchiata accanto a lui, la testa sulle braccia, sbirciandolo da sopra le morbide maniche nere del suo maglione. Era adorabile come sempre, pensò. Forse era solo la sua fantasia sbronza che parlava.

 

“Dillo con me,” la esortò e lei inarcò un sopracciglio.

 

Cosa devo dire?” chiese.

 

“Il mantra dell’ubriaco pentito. Giuro solennemente...”

 

“... di non bere mai, mai più.” Terminò lei, gli occhi che brillavano nel realizzare cosa intendesse, e ridacchiarono entrambi sommessamente, prima di trasalire al suono delle loro voci sovrapposte. Per un attimo rimasero semplicemente a guardarsi, scambiando compassione e qualcosa di totalmente differente, esitanti confessioni, sebbene lui non fosse del tutto certo di potersi fidare di quel che vedeva, se invece non stesse soltanto vedendo quello che voleva vedere.

 

Remus le sorrise.

“C’è quella bottiglietta per le sbornie in bagno,” disse, “Se la chiamo, ti tiri su e la prendi al volo?”

 

“Avanti, fallo,” lo esortò lei.

 

Remus frugò nelle tasche alla ricerca della bacchetta e lanciò l’incantesimo, e mentre Tonks si sedeva e afferrava la bottiglia, lui tentò cautamente di mettersi su un fianco ed appoggiarsi sul gomito. Evocò due bicchieri, li riempì d’acqua e ne porse uno a Tonks con la mano che tremava leggermente. Si meravigliò per un attimo della sua forza di volontà.

 

“Quante gocce?” chiese lei.

 

“Normalmente due bastano.” Rispose, e la osservò mentre eseguiva. Lei inarcò un sopracciglio nella sua direzione, lui suppose, per chiedergli se davvero due gocce fossero sufficienti, viste le loro condizioni, quindi lui inclinò la testa pensando probabilmente no, e annuì brevemente. Tonks sorrise ed aggiunse una goccia ad ognuno dei loro bicchieri. Rimise il tappo alla bottiglietta e la appoggiò sul comodino, prendendo poi il suo bicchiere dalle mani di lui.

“Salute!” disse.

 

“Cincin.”

 

Appoggiò il bicchiere al suo, poi entrambi bevvero tutto d’un fiato. Tonks si portò una mano alla bocca resistendo ai conati di vomito e lui fu tentato di fare lo stesso mentre faceva scomparire i bicchieri.

“Questa roba è disgustosa,” affermò, spalancando la bocca e facendo una smorfia per il gusto.

 

“Però funziona,” disse lui, scuotendo leggermente la testa per il retrogusto amaro. “E penso che probabilmente ce lo meritiamo.”

Tonks innalzò un sopracciglio in disaccordo, e Remus chiuse gli occhi, attendendo che la nausea passasse e la stanza cessasse di ondeggiare.

 

Alcuni minuti dopo, tutto gli parve di nuovo più reale, lasciandolo solo con quella vaga, indefinita sensazione che Tonks – ed il fatto di averla accanto a lui, nel suo letto – provocava. Non era tanto differente dai postumi di una sbornia, in effetti – una starna sensazione allo stomaco, il timore che qualsiasi cosa possa andare storto da un momento all’altro. Allontanò quel pensiero ed aprì gli occhi, trovando quelli scintillanti di Tonks che lo guardavano.

“Meglio?” gli chiese, inarcando le sopracciglia.

 

“Mmm. Tu?”

 

“Sì.” Rispose tranquillamente. “Quella roba è disgustosa, ma geniale.”

 

Remus lasciò vagare i suoi occhi lungo il suo viso, assorbendo tutti i dettagli della sua espressione. Appariva timida, leggermente incerta, cosa che gli confermò la sua ipotesi, che l’aveva effettivamente baciata, le aveva confessato che gli piaceva e che le aveva in un certo senso chiesto di uscire, perché, se non l’avesse fatto, non avrebbe avuto alcun motivo per essere così.

 

Sfortunatamente, la consapevolezza che non era stata una ebbra fantasia, fece sentire lui timido ed insicuro, ed il silenzio crebbe fra loro.

 

Quasi desiderò di non averle offerto quelle gocce, poiché mentre stavano male, almeno avevano qualcosa di cui parlare.

 

“Allora,” iniziò lei.

 

“Allora...” ripeté lui.

 

“Non di nuovo,” sbottò lei, alzando gli occhi al soffitto.

 

Remus non riuscì a resistere, nonostante sapesse fosse tremendamente infantile.

“Hai iniziato tu,” affermò. Tonks lo guardò, come se stesse seriamente considerando di fargli una linguaccia.

 

“Non è vero,” con un tono autoritario, di finta petulanza.

 

“E’ vero,” replicò, combattendo duramente contro l’impulso di scoppiare a ridere.

 

“Non è vero.”

 

“E’ vero,

 

“Non è vero.”

 

“E’ vero,” continuò, cedendo infine ad una risatina.

 

“Fai apparire qualcosa che io ti possa lanciare addosso,” disse e lui rise.

 

Lei inarcò un sopracciglio, prese la bacchetta ed evocò una catapulta, quindi frugò nelle tasche alla ricerca di un proiettile. Trovò un paio di Tuttigusti+1 impolverate e le caricò, mirando direttamente a lui. lui alzò le mani in segno di resa, ridendo. Lei lo esaminò, poi sorrise e fece sparire tutto.

 

Remus sorrise fra sé. Due mesi prima si sarebbe trovato con un livido provocato da una gelatina Tuttigusti+1 sopra la tempia a questo punto, ed il fatto che non lo fosse sembrava importante, in qualche modo. Sapeva che era un progresso, ma ciò non significava che sapesse cosa farne, quindi tornò a stendersi sul letto, fissando il soffitto in cerca d’ispirazione ed incrociò ordinatamente le mani sul petto nella speranza che questo lo facesse sentire più in controllo della situazione. Credette di sentire Tonks fare un respiro profondo, poi la sentì stendersi accanto a lui.

 

Non poté fare a meno di pensare di essersi messo in una strana situazione.

Cosa stavi per dire?” chiese tranquillamente, “Voglio dire, prima, dopo il tuo ‘allora’ .”

 

I suoi occhi cercarono quelli di lei, nel tentativo di leggervi quello che voleva dire, ancora prima che lo dicesse, in modo da essere preparato se quello che avrebbe seguito quell’ ‘allora’ fosse qualcosa che non voleva sentire. Ma gli occhi di lei brillavano divertiti, e lui non pensò di vedervi niente di quello che aveva temuto di vedere, nonostante parte di lui pensava ancora di non potersi fidare del proprio giudizio.

“Niente,” rispose, alzando leggermente le spalle. “Voglio dire, non avevo niente in mente. Mi sarei basata su quello che dicevi tu.”

 

“Oh,” mormorò. “Quindi sta a me fare il primo passo, è così?”

 

“Beh, sei tu il ragazzo,” disse, posando velocemente gli occhi su di lui. “Apparentemente,” aggiunse, inarcando le sopracciglia.

 

Non riuscì a trattenere un sorriso.

“Suppongo di sì.”

 

“A te la parola dunque,” esclamò e lui rise per un attimo, prima di rendersi conto che spettava effettivamente a lui e che se lo voleva,  stava a lui fare in modo che si realizzasse.

 

Remus fissò la macchia di umidità sul soffitto – che, ci avrebbe giurato, lo stava guardando con disprezzo – e respirò a fondo.

“D’accordo,” disse infine, guardandola. “Mi sembra di avere un vago ricordo riguardo l’aver detto che quando saremmo stati entrambi un po’ più sobri, ti avrei chiesto di uscire.”

 

“Esatto,” confermò lei lentamente, “Ho anch’io un vago ricordo della cosa.”

 

“Bene,” disse, “Sono felice di non essermelo immaginato.” Tonks alzò lo sguardo su di lui, il labbro che tremava nell’evidente sforzo di reprimere un sorriso.

 

“Lo fai spesso?”

 

Cosa?” chiese, voltandosi per guardarla in faccia.

 

“Immaginare cose che potresti avere fatto con me.

 

Gli occhi di Tonks brillavano curiosi e Remus contrasse le labbra per non sorridere. Il suo primo pensiero fu di negare in qualche modo, ma la verità era che aveva passato tante notti disteso proprio lì dov’era ora ad immaginare diversi generi di cose da fare con lei sotto lo sguardo severo della macchia d’umidità.

 

All’inizio erano cose che desiderava aver detto, frecciatine che avrebbe voluto lanciarle, e stava lì disteso, a lamentarsi silenziosamente di quanto fosse esasperante. All’inizio. Ma lentamente questi pensieri erano stati rimpiazzati da qualcosa di totalmente diverso, qualcosa che aveva più a che fare con quanto gli piacesse farla arrabbiare, perché era adorabile quando era arrabbiata, e essere quella persona che la faceva infuriare significava, almeno per un momento, essere al centro del suo mondo.

 

“No,” rispose, sperando che il tono di voce non lo stesse tradendo. “Sei sempre in l’ultima cosa fra i miei pensieri.

 

“Bene,” disse lei, con un sorriso d’intesa che trovò estremamente piacevole, e non poté fare a meno di sorridere, ben sapendo che questo lo tradiva molto più del tono della sua voce poco prima.

 

 

Lo so che non vedevate l’ora che mi togliessi dai piedi, ma dovrete sopportarmi ancora un po’, perché non è finita. Mi dispiace.

 

Ma su, forza e coraggio, che domani vi aspetta l’ultimo semi-capitolo! Di questa serie… ce ne saranno altre, che inizierete a vostro rischio e pericolo..  ;-)

Bacioni!!

 

Buon weekend nel frattempo. A domani!!

 

 

 

NONNA MINERVA

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Capitolo 15
*** 8. In the morning (la fine) ***


in the morning B

 

Io.. non ci posso credere… ho appena postato il mio ultimo capitolo di Under the Table!

Che esperienza ragazzi… non riesco davvero a crederci di essere arrivata fin qui… è… incredibile.

 

Voglio ringraziarvi tantissimo, mi (ci) avete seguito, commentato, minacciato, lodato… sono… siamo, commosse.

Grazie davvero a tutti coloro che hanno recensito (se mi metto a fare nomi non finisco più, siete tantissimi!!), davvero non credevo in un successo del genere.

 

Grazie a Little Fanny, per il supporto morale e tutto il resto.

 

Grazie a Lady Bracknell, per avermi dato il permesso di tradurre questa splendida storia ed avermi permesso di rubarle un po’ (ma solo pochina, il resto del merito va tutto a lei) della sua gloria.

 

E adesso, il sospirato, agognato, desiderato e perché no, temuto, ultimo semi-capitolo.

 

 

8. In the morning (ultimissima parte).

 

Tonks lo osservò attentamente, sulle labbra un leggero accenno di un sorriso malizioso e incoraggiante.

“Sembra che siamo abbastanza sobri, adesso. Disse lei, mordendosi appena il labbro.

 

“E’ così.”

 

Quando lui non aggiunse altro, alzò un sopracciglio in attesa, lui volle credere, abbastanza speranzosa. “Quindi lo farai?”

 

Sapeva che avrebbe dovuto rispondere sì, che sarebbe stato lieto di chiederle di uscire, ma prenderla in giro era sempre così divertente che non fu affatto quello che disse.

“Non lo so,” mormorò, inarcando un sopracciglio, abbassando il tono di voce e suonando malizioso.

 

“No?”

 

“Beh, stanotte hai detto che probabilmente mi avresti risposto sì,” iniziò, “Ma mi domandavo. Era soltanto un probabilmente sì da ubriaca, o vale ancora adesso che gli effetti della tequila sono svaniti?

 

“Vuoi conoscere la mia risposta ancora prima di avere fatto la domanda?” Domandò, alzando la voce divertita o per l’irritazione, non seppe dirlo.

 

“Sentimentalmente distrutto e rovinato, ricordi?” spiegò, “Sei fortunata che io non mi sia rintanato sotto la scrivania e pretenda di condurre tutta questa conversazione via gufo.”

 

Remus guardò Tonks contrarre le labbra, disperatamente cercando di non ridere.

“E’ quello che normalmente fai, è così?”

 

Lui inarcò un sopracciglio.

“Oh, dimenticavo,” esclamò alzando gli occhi al cielo. “Tu odi parlare della tua vita sessuale.” Lui sorrise timidamente. “Lo sai,” disse, “Non eri lontanamente così timido ieri sera, quando mi hai fatto ubriacare e mi hai baciato spassionatamente.”

 

Remus distolse lo sguardo, tentando di non sorridere alle parole ‘baciato spassionatamente’ ed il fatto che qualcuno, specialmente Tonks, le avesse usate in relazione a lui.

“Non ti ho fatto ubriacare,” protestò. “Hai fatto tutto da sola.”

 

Quindi non contesti l’altra parte?” Lui guardava dappertutto tranne che nella sua direzione, cercando di non arrossire. “Odi proprio parlare di queste cose, vero?”

 

“Sì.”

 

Ma non ti dispiace farle?”

 

Lui ridacchiò silenziosamente ed il letto scricchiolò sotto di loro.

“No.” Rispose, sbirciando nella sua direzione, scoprendo che si era girata su un fianco per poterlo guardare in faccia, ed era un po’ più  vicina di quanto lo fosse prima.

“Ti diverte davvero vedermi penare, non è vero?” le chiese, per trattenersi dall’impulso di sfiorarle le labbra con le dita, cosa che, per qualche strana ragione, era appena diventata disperatamente allettante.

 

“Hmm,” rispose, con un sorriso, “Allora lo farai?”

 

Remus sussultò, sorpreso dall’improvviso cambio di argomento.

Cosa?”

 

Se ti dico di sì, dove hai intenzione di portarmi?”

 

Remus si girò sul fianco per guardarla in faccia, appoggiando la testa sulla mano, e notando, con molto interesse, quanto ora fossero vicini. Non si toccavano, ma avrebbe potuto farlo senza difficoltà, se l’avesse voluto. Abbassò la testa e la guardò, le labbra increspate in un mezzo sorriso.

“Devo supporre che la tua risposta dipenderà interamente dalla mia scelta del luogo?” chiese, e lei spalancò gli occhi, fingendo un’espressione sorpresa, alquanto divertita.

 

“Penso solo che mi piacerebbe prendere... com’è che l’hai chiamata tu? Una decisione informata.” Replicò lei nello stesso tono malizioso di lui.

 

“Lo sai, questo non fa molto bene al mio ego,” commentò lui, imbronciato.

 

Tonks rise e lo guardò con apprezzamento.

“Non sapevo fossi così fragile,” osservò.

 

“Oh, lo sono,” confermò lui, “Sono molto fragile in effetti.”

 

“D’accordo,” disse lei, alquanto incredula. Lui corrugò e si mise a fissare una piega della coperta, sotto il gomito di lei.

“Come mai?” domandò lei, tranquillamente, rinunciando al tono malizioso, preferendone uno più sincero e calmo.

 

Remus respirò a fondo, espirando lentamente, perfettamente consapevole del fatto che stava prendendo tempo e che lei lo sapeva.

“Forse non riuscivo a immaginare perché avresti dovuto dirmi di sì.” Rispose, e quando alzò lo sguardo il respiro gli si fece pesante, “Visto che tu pensi io sia noioso, razionale ed esasperante.

 

“Tu sei  noioso, razionale ed esasperante.” Disse.

 

“Grazie.”

 

“Ma,” aggiunse tranquillamente, mordendosi il labbro e guardandolo maliziosa, “Sei anche sexy, in un certo senso.”

 

Remus spostò appena la testa, in modo da poter nascondere la bocca dietro le dita. Premette le dita sulle labbra per poter evitare di scoppiare a ridere.

“Pensi che io sia sexy?” chiese, appena ripreso il controllo, leggermente sorpreso per quanto compiaciuto suonasse il suo tono di voce.

Tonks alzò gli occhi al cielo e distolse lo sguardo.

 

“Ho detto in un certo senso.” Lo corresse.

 

La lasciò per un attimo nel suo imbarazzo poi alzò la mano e le sfiorò delicatamente la guancia. Lei riportò lo sguardo su quello di lui, guardandolo con un espressione timida e sfacciata allo stesso tempo e il suo stomaco si sciolse.

“Cinese,” disse, riuscendo a malapena a pronunciare la parola. “Pensavo di portarti a mangiare cinese.”

Le dita si fermarono per un attimo sulla guancia, poi scivolarono verso il collo facendola avvicinare.

 

“Perfetto,” rispose lei, chiudendo la distanza.

 

Quando le loro labbra si incontrarono e un brivido di qualcosa di appena inatteso ma non assolutamente spiacevole lo percorse, e Remus pensò che fosse un miracolo che le ginocchia non gli avessero ceduto. All’improvviso fu molto felice di essere disteso. Si chiese pigramente se sarebbe mai stato capace di baciarla stando in piedi, ma al momento non gli interessava veramente se ne sarebbe stato in grado, era semplicemente felice di farlo in quell’istante. Le dita scivolarono fra i suoi capelli, attirandola a sé, baciandola più intensamente, e quando la sentì rispondere con eguale fervore, credette di poter andare a fuoco.

 

Tonks mormorò in approvazione contro le sue labbra e le sue dita sfiorarono la vita di lui, stingendo leggermente la presa ogni volta che lui faceva qualcosa che le piaceva. Remus tentò di concentrarsi, di assaporare ogni secondo, ogni movimento, ogni sensazione sussurrata, i fremiti del suo corpo al contatto delle sue labbra, ma era tutto piuttosto difficile da focalizzare.

 

Era completamente assorto. All’inizio pensò fossero solo i suoi baci, o il modo in cui gli passava la mano fra i capelli e lungo il collo, la squisita sensazione che derivava dal suo tocco, ma col passare dei minuti si rese conto che non era una sola cosa che lo assorbiva in quel modo – non era il suo tocco, il suo sapore o profumo, oppure i suoi deliziosi baci – era semplicemente lei.

 

Si scostò appena, pensando che probabilmente, stava esibendo un sorriso alquanto ebete.

“E’ un sì?” chiese, ma ancora prima che potesse finire di pronunciare quelle parole, lei lo aveva già attirato a sé, catturando le labbra di lui con le sue.

 

“Uh-huh,” mormorò, rispondendo con entusiasmo al suo bacio. Lui fece scivolare la mano lungo il suo fianco stringendola a sé, e la sentì sorridere contro le sue labbra mentre si appoggiava delicatamente sopra di lei.

“Lo sapevo che farti ubriacare sarebbe stata una buona idea,” disse, e lui si scostò leggermente, baciandole il collo ed assaporando la sensazione della pelle di lei sotto le sue labbra. Era felice che l’averla trovata inebriante non fosse solo frutto della sua ebbra immaginazione.

 

“Sul serio?” chiese, mormorando le parole contro la sua pelle.

 

Mmmm.”

 

“Allora avevi programmato tutto?”

 

“Oh sì,” rispose, passandogli una mano fra i capelli e riportandogli il viso al suo. “Sono molto disonesta.”

 

Catturò di nuovo le sue labbra, baciandolo intensamente e ardentemente, e lui onestamente non poteva dire che la cosa gli dispiacesse, e nemmeno la sua disonestà.

 

Le gambe si intrecciarono e i loro corpi si muovevano, si misero di fianco , Remus ritrovò quel punto sotto il maglione di lei che aveva dovuto bruscamente abbandonare la notte precedente e sentì Tonks armeggiare con i bottoni della sua camicia. Alla fine riuscì a sbottonarli, spostandosi in modo da poter posare delicati baci sulla sua pelle man mano che la scopriva, e quando ritornò alle sue labbra, lui non aveva più il potere di fare niente se non mormorare incoerentemente contro le labbra di lei. Fece scivolare le mani sul petto di lui e Remus si sentì sciogliere.

“Il tuo cuore batte,” sussurrò Tonks. Lui si scostò appena, quanto bastava per poter incontrare il suo sguardo e tentare di formulare una frase.

 

“Qualche particolare ragione per cui non dovrebbe?”

 

“No – solo – di solito sei sempre così inagitabile.

 

Lui sorrise al pensiero, e fece per tornare alle sue labbra, fermandosi per dire: “Non è una parola.

 

“Sì che lo è.”

 

“Non lo è.” Replicò, impressionato da quanto suonasse insistente quando correggere il vocabolario fosse l’ultima cosa che aveva per la testa, e che stava discutendo con lei solo perché adorava quando si arrabbiava.

 

“Sì.”

 

“No.”

 

“Sì.”

 

“No.”

 

“Sì.”

 

“No.”

 

Tonks emise un sospiro che si trasformò in una risatina, ed era il suono più sexy che avesse mai sentito, e lei inarcò un sopracciglio.

“Vuoi fare quello che tutte le persone che si piacciono normalmente fanno a letto, o discutere di semantica?”

 

“Discutere di semantica.”

 

Lei gli fece scherzosamente il broncio, e quando lui sorrise, lei lo spinse di nuovo sul letto, e lo baciò, gli occhi che le brillavano maliziosamente, non lasciandolo mai andare mentre si muoveva sopra di lui.

Comunque,” mormorò, le labbra contro quelle di lui e Remus la sentì sorridere. Rispose al bacio e quando lei lo circondò con le braccia, stringendolo a sé, emise un gemito che non aveva assolutamente niente a che fare con i postumi della sbornia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Remus stava disteso sul letto, fissando il soffitto e tentando di controllare il respiro affannoso.

 

Pensò di aver effettivamente visto le stelle, ad un certo punto.

 

Tonks era stesa accanto a lui, anche lei col respiro pesante, e la coperta si mosse mentre lei si stiracchiava. Sentì che avrebbe dovuto dire qualcosa, anche se non aveva la minima idea di cosa.

 

Disse la prima cosa che gli passò per la mente.

 

“Diavolo, Ninfadora. Dove l’hai imparato?”

 

Tonks ridacchiò sommessamente, e quindi si girò su un fianco per guardarlo, mordendosi un labbro e fissandolo con un sorriso birichino.

“Hogwarts.” Rispose.

 

Remus fece per alzarsi, nonostante fosse quasi certo che le sue gambe, che avevano preso la consistenza della gelatina pochi minuti prima, non l’avrebbero sostenuto.

Dove stai andando?” chiese Tonks.

 

“Devo scrivere immediatamente al preside,” spiegò, “Per complimentarmi dei cambiamenti che ha apportato al programma da quando sono andato via.”

 

Lei rise e lo tirò di nuovo sul letto. Non poté fare a meno di sorriderle, e lei rispose al sorriso, spostandosi poi per baciarlo. Le labbra di Remus incontrarono le sue, assaporando il momento fino a che lei non si allontanò e si sistemò contro di lui. lui l’abbracciò, giocando distrattamente con alcune ciocche di capelli rosa, ed appena sorpreso di quanto poco ci volesse per affezionarsi a lei.

“Allora, hai ancora intenzione di uscire con me?” mormorò.

 

“Naturalmente,” rispose e lui sorrise.

 

“E’ perché adesso sai quanto è ridicolmente facile portarmi a letto?”

 

“Sì,” disse, ridacchiando sommessamente contro il suo petto. spostò la mano sulla vita e si strinse a lui.

 

Remus aspettò che chiudesse gli occhi, mordendosi il labbro per non ridere.

“Mi rispetterai ancora il mattino?” chiese, e lei spalancò gli occhi e rise e gli diede in colpetto di avvertimento sulla spalla.

 

“E’ mattino,” disse, sistemandosi di nuovo contro di lui.

 

Remus aspettò, quanto bastava…

 

“Nel pomeriggio allora?”

 

In mezzo ad adorabili risatine, riuscì a pronunciare la parola ‘no’, e lui rise.

“D’accordo.”

 

“Adesso sta’ buono e lasciami dormire.”

 

“Stanca?”

 

“Sì,” rispose. “Qualcuno mi ha tenuto in piedi tutta la notte a bere tequila insistendo che leccassi parti della sua anatomia.”

 

Remus si spostò appena, voltandosi verso di lei e prendendole il viso fra le mani.

“Beh, sembra un terribile compagno,” disse, accarezzandole delicatamente la guancia col pollice e lei sorrise.

 

“Oh, lo è.” Confermò, avvicinandosi per un bacio. “E’ un bastardo totale.”

 

Ma ti piace, tuttavia?”

 

“Apparentemente,” rispose, e quando le loro labbra si incontrarono, Remus pensò che ‘apparentemente’ era probabilmente la parola che ora preferiva di più.

 

 

 

E… è FINITA!! Cavoli.. ce l’ho fatta! Sono arrivata in fondo!! E anche voi!

 

Stanchi? Non vi preoccupate, siamo finalmente arrivati in fondo.

 

Ecco i miei programmi per il prossimo futuro: prendermi una settimana di “riposo” per tradurre all’autrice i vostri numerosissimi commenti e riprendere al più presto il mio lavoro.

 

A questo punto la scelta è vostra: piantarla qua o aspettare il finale alternativo del 5° capitolo che inizierò presto.

 

Vi chiedo solo una cosa….

CE LO LASCIATE UN COMMENTINO??

Anche tutti quelli che finora hanno solo letto… in fondo è l’ultimo capitolo, che vi costa? Siete arrivati fin, qui, ci terremmo a sapere cosa ve ne è parso..

PLEASE…

 

Grazie... di tutto.

 

Nonna Minerva.

 

 

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