Kikyo's Kiss

di skeight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Questa è una storia che ho scritto alcuni anni fa, nel 2007 se ricordo bene, per partecipare ad un contest di fan fiction sul forum Inuyasha’s Portal, che era ai tempi – e penso tuttora – la più grande community dedicata al manga Inuyasha di Rumiko Takahashi.

Questa fan fiction è un rifacimento più o meno libero del film Il bacio di Venere di William A. Seiter (1948), ed è al momento il mio unico tentativo di scrivere una storia romantica. Ero sicuro di averla già pubblicata su Efp, ma invece non c’è. Non mi ricordo se l’avevo cancellata o se l’avevo pubblicata su un altro archivio, ma in tutti i casi eccola qui, con qualche correzione marginale rispetto alla prima versione. Lo stile, con i suoi limiti, è lo stesso di quando la scrissi, ma la pubblico comunque perché su Efp ci sono tutte le mie fan fiction su Inuyasha, ed è giusto che ci sia anche questa.

 

CAPITOLO I

INU-NO-TAISHO E FIGLI – ALTA MODA DAL 1527 recita l’insegna dagli ideogrammi d’oro su sfondo rosso fuoco. E, sotto l’insegna, uno splendido portone in avorio intagliato fa accedere al più antico e rinomato negozio d’abbigliamento del paese. Clientela selezionatissima, eppure sempre molti girano tra manichini e modelli perché da ogni dove arrivano nobili e demoni che vogliono dimostrare la loro appartenenza al bel mondo, indossando quegli abiti prestigiosi o anche solo mostrando confidenza con il padrone del negozio, l’erede del fondatore Inu-no-taisho, il grande Lord Sesshomaru.

In realtà non è lui il solo padrone del negozio. Ma questo non lo deve sapere nessuno...

 

“Buongiorno, duchessa! La mia boutique è orgogliosa di ospitarvi di nuovo, dopo tanto tempo.”

“Lord Sesshomaru, mi confondete sempre con la vostra galanteria.”

“Più sincerità che galanteria, ve lo posso assicurare. In cosa posso esservi utile?”

“Tra sei mesi celebreremo il matrimonio tra mio figlio e la principessa Wakana. E voi, milord, siete il primo a cui do la notizia.”

“I miei complimenti più vivi, madame!”

“Grazie, carissimo. Per un evento così fausto voglio che tutta la mia famiglia indossi le creazioni del vostro negozio... ad iniziare da me!”

“Non mancherò di soddisfarvi, madame. Bisognerà iniziare a lavorare da subito, affinché lo splendore degli abiti sia degno di queste nozze. Bando dunque agli indugi; chiamo il giovine di negozio per le misure.”

Il ‘giovine di negozio’ altri non era che Inuyasha, fratellastro di Sesshomaru. Stava adornando un manichino con l’ultima creazione dell’atelier, quando il fratello lo chiamò:

Coglionazzo, vieni qua.”

La duchessa rise. Senza far trasparire nessuna reazione, tranne che per un guizzo negli occhi ambrati, Inuyasha si avvicinò ai due:

“Desiderate?”

Coglionazzo, prendi le misure della duchessa per un modello matrimoniale... direi il numero 15... e sii delicato!”

Senza protestare per quel bel trattamento, Inuyasha con grazia estrasse dalla tasca del gilet un metro, e iniziò a misurare la madama. Operazione che, data la notevole stazza della gaudente duchessa, richiese un tempo non indifferente.

“Benissimo” disse Sesshomaru quando il fratello ebbe terminato “ora torna alla vetrina, coglionazzo. Cara duchessa, pur dispiacendomi di dover sottrarre tempo ai vostri numerosi impegni, vi devo chiedere di tornare in boutique tra una settimana... nel frattempo realizzerò alcuni bozzetti per l’abito, e li potrò sottoporre al vostro gusto.”

“Milord, venire qui e poter al contempo ammirare questi abiti stupendi e godere della vostra compagnia sono per me un incentivo sufficiente a tornare, anche prima se me lo chiedeste. So di essere in buone mani. A presto, dunque!”

La duchessa uscì dal negozio, e prima di salire sulla sua limousine diede un’ultima occhiata alla vetrina, intravide Inuyasha che continuava a sistemarla, e rise ancora.

 

Nel Beauborg non è mai sera: anche quando il sole cala le grandi luci dei lampioni stile liberty illuminano a giorno le eleganti vie del centro. A parte questo però, anche questo ricco quartiere non è poi diverso dagli altri, con i negozi che chiudono e i proprietari che si accingono a tornare alle proprie case.

Anche il grande portone di Inu-no-taisho era chiuso. Era stato lo stesso Sesshomaru a serrarlo, cosa inusuale per lui, e dopo averlo chiuso stirò le braccia e si lasciò cadere su una sedia; si tolse giacca e cravatta e rimase con la camicia, perfettamente inamidata nonostante la giornata di lavoro. Sospirò.

“Si preannunciano giorni impegnativi, ma vuol dire molto lavoro, e molto prestigio.”

“Come se ne avessimo bisogno” disse una voce dal ripostiglio. Sesshomaru non si voltò neanche a guardarlo.

Inuyasha, non perdi mai occasione di dimostrare la tua totale ignoranza di questioni economiche. Il prestigio non è eterno, una volta che lo si ha bisogna mantenerlo, e per mantenerlo va rinforzato. La presenza dei nostri capi firmati a questo matrimonio ci garantirà ulteriori anni di dominio nella moda.”

“Ti garantirà, vorrai dire” replicò Inuyasha uscendo dallo stanzino e avanzando verso di lui “visto che qua pare che l’unico proprietario sei tu e io solo un commesso. Ma ti ricordo che nostro padre ha lasciato il negozio ad entrambi, siamo soci con quote paritarie.”

Sesshomaru ebbe un gesto di fastidio.

“Sempre gli stessi discorsi... quante volte ti ho già detto che la nostra clientela è composta esclusivamente da demoni? Se sapessero che un mezzo demone è comproprietario del negozio, il nostro prestigio crollerebbe, perderemmo quasi tutti i clienti... e tu non saresti proprietario più di nulla. È questo che vuoi?”

“Lo so bene, e infatti ho accettato questo ruolo. Però ho una mia dignità! E non sopporto che tu mi debba chiamare sempre coglionazzo di fronte ai clienti, come se fossi uno stupido qualsiasi.”

Inuyasha, io ti chiamo coglionazzo per due motivi. Uno: perché lo sei; due: perché ai nostri clienti piace vedere che tratto male gli hanyou, si sentono rinvigoriti nella loro superiorità di razza demoniaca... stupido compiacimento, d’accordo; ma se è utile per il negozio, perché no?”

“E certo, tu scrupoli non te ne fai... come quando volevi uccidere Totosai.”

Totosai il notaio, intendi? Essendo il depositario del testamento di nostro padre, era l’unico oltre a noi a sapere del fatto della comproprietà. Se ne avesse parlato con qualcuno ci avrebbe fatto correre dei rischi... ma siccome tu sei così scioccamente generoso, com’è tipico dei mezzidemone, mi hai impedito di ucciderlo.”

“E mi pare che non abbia detto niente a nessuno.”

“Solo perché gli ho fatto bruciare lo studio.”

Sesshomaru si alzò con un gesto deciso, il suo metodo per troncare le discussioni.

“Tu sai solo lamentarti, Inuyasha, quando devi ringraziare di essere ancora vivo in un ambiente in cui nessun hanyou è accettato. E ora, se permetti, non ho intenzione di passare la sera ad ascoltare le tue storie. Io mando avanti il negozio, e ho il diritto a svagarmi un po’.”

Così dicendo, si recò all’uscita secondaria. Fuori, ad attenderlo, una donna bellissima in un tailleur rosso sangue.

“Finalmente, mio caro” gli disse, dopo un bacio di dieci minuti.

“Mia cara Kagura, il lavoro è il lavoro... ma la notte è per te, lo sai. Inuyasha, finisci tu di chiudere il negozio. E non dimenticare nulla.”

Senza aspettare risposte, Sesshomaru prese sottobraccio la sua donna e si allontanò in pochi minuti.

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Capitolo 2
*** II ***


L’indomani Sesshomaru sperava di non dover riprendere la discussione, ma dovette amaramente constatare che il malumore di Inuyasha non era diminuito nemmeno un po’ dopo la reprimenda.

“Ancora? Giuro, Inuyasha, se in te non scorresse in parte il sangue di nostro padre ti avrei già strozzato con una cintura di cuoio.”

“Lo stesso pensiero che mi ha impedito di fare lo stesso a te. Ma ascoltami, per una volta. Lo dici tu stesso che il sangue di nostro padre è anche in me. Perché non farlo fruttare? Non devo apparire come proprietario? D’accordo, non è questo il mio problema, sai che m’importa. Ma dammi qualche lavoro più dignitoso.”

“Tipo?”

“Tipo concedimi di fare il commesso, di parlare con i clienti.”

Sesshomaru sentì gli artigli incancrenirsi.

“Vorresti parlare con i clienti?”

“Perché no?”

“Santo cielo, Inuyasha, tutto sto facendo per preservare il buon nome del negozio, e tu di punto in bianco vorresti uno degli incarichi più delicati?”

“Mi sembra di essere adatto. Le buone maniere le hanno insegnate a me come a te, i vestiti li conosco anche io, la pazienza verso i clienti ce l’ho, visto che sono duecento anni che sopporto te... Fammi provare, disastri non ne posso combinare.”

Sesshomaru iniziò a sentirsi come quei bambini con un fratellino più piccolo che fanno i capricci e strillano finché non ottengono, per disperazione, ascolto. Con fare insofferente estrasse dalla tasca un’agendina rilegata, e lesse attentamente.

“Vediamo un po’... oggi non se ne parla nemmeno, però domani non ci sono appuntamenti importanti in negozio... e sia! So già che me ne pentirò, ma domani ti concederò di fare una prova.”

“Davvero!?”

“Non mi hai sentito? Però ti avverto, Inuyasha: se combini il minimo guaio te ne torni alle vetrine... e se è un guaio più che minimo ti spedirò a trovare nostro padre! Siamo intesi?”

Inuyasha non poteva arrabbiarsi per le minacce, in quel momento: “Farò del mio meglio!” esclamò, entusiasta.

 

Il giorno dopo Inuyasha sedeva con postura impeccabile dietro il tavolo in mogano del negozio. Indossava un gessato blu retrò e guanti bianchi. Sesshomaru lo osservava perplesso.

“È come mettere un frac ad uno spaventapasseri” pensò; e poi, a voce più alta: “Come abito siamo a posto; ma non potevi sistemarti meglio i capelli?”

“Perché? Li pettino sempre così.”

“Ma ora non sei un vetrinista, devi metterci più cura... troppo lunghi.”

“Da che pulpito... da piccolo ti scambiavano sempre per donna.”

“I miei capelli non sparano da tutte le parti. E vedi di evitare questo linguaggio quando entreranno i clienti, chiaro?”

“Tranquillo, fratello. So come ci si comporta in società.”

Sesshomaru disse qualcosa di incomprensibile sotto voce, e si recò nell’atelier a iniziare i bozzetti per la duchessa. Finalmente solo, Inuyasha si rilassò, sospirando per la contentezza. Ma dovette tornare quasi immediatamente composto, perché tre persone entrarono nel negozio.

Era un coppia con figlio appresso, e dagli abiti e dal modo di fare si riconoscevano subito per “nuovi ricchi”. L’uomo indossava un completo da sera grigio e fumava un sigaro pestilenziale, la moglie aveva gioielli alle orecchie, alle dita, e anche sopra i gioielli. Infine, il bimbo aveva dei ridicoli pantaloni corti da cui spuntavano zampette curiose, ed oscillava di qua e là, con classica mancanza di educazione, una lunga coda fulva.

“Buongiorno, signori. In cosa posso esservi utile?” chiese cortesemente Inuyasha.

Garçon, sono la signora Kawasaki. Vorremmo un abito per il nostro bambino” disse, con orrenda pronuncia del francese, la donna “ma qualcosa di veramente elegante... la settimana prossima è il suo primo giorno d’école.”

“Capisco. Che genere preferite? Un completo occidentale anni Cinquanta? Uno più tradizionale? Colori vivi o cupi?”

“Come lo preferisci, Shippuccio?” chiesa la madre al suo bambino. Shippuccio storse la bocca e sbadigliò ostentatamente.

“Non gli piacciono le cose che avete proposto”

“Nessun problema” disse prontamente Inuyasha “se il signorino vuole seguirmi gli mostrerò i modelli dei nostri abiti e tutti i campioni di tessuto, così potrà scegliere quello che più gli aggrada.”

Shippo, segui il signore” gli disse il padre. Shippo scosse la testa.

“No, è brutto e ha un’aria stupida.”

“Se lo segui poi ti compriamo una macchinina nuova.”

“Ma avevi già detto che me ne compravi una oggi!”

“Ah, davvero? Eh, vabbé, allora... d’accordo, te ne compreremo due!”

“Facciamo tre.”

Dopo una lunga contrattazione Shippo si decise a seguire Inuyasha, il quale inizio a sfilare dagli scaffali i vestiti con la grazia di un creatore di ikebana. Ma mentre li poggiava sul tavolo con la massima delicatezza sentì un dolore improvviso alla caviglia: abbassò lo sguardo e vide il piccolo Shippo che gli aveva affondato i denti nella gamba.

“Ehi!”

Mon petit enfant!” esclamò la madre intenerita “è così ansioso di diventare forte come il padre che ogni volta che può si allena con il suo ‘kokoro no kizu’!”

“I ragazzi d’oggi son vivaci eh?” disse il padre soddisfatto.

“Eh, certo, signori” disse Inuyasha, determinato a mantenere il contegno “però bimbo, da bravo, se non mi lasci la gamba non posso farti vedere i vestiti tra cui potrai scegliere...”

Dopo aver maciullato un po’ di carne e stoffa, Shippo si decise a guardare i vestiti. Tuttavia, essendo molto basso anche per un bambino, non arrivava a vedere quel che c’era sul tavolo. Inuyasha fece per prenderlo in braccio, ma agilmente Shippo saltò sul mobile, e le piccole unghie delle sue zampette graffiarono orrendamente il legno. A vedere lo scempio di quello che era il pezzo di mobilio più pregiato del negozio Inuyasha ebbe un mezzo mancamento, ma con sforzo eroico riuscì a mantenersi calmo.

“Bene, vediamo un po’... guarda questa camicia, ottima qualità, e trama vivace... l’ideale, mi sembra, per un giovane attivo ma distinto come te. Che te ne pare?”

Shippo la osservò attentamente, la prese tra le mani, la annusò, e alla fine la strappò con i dentini.

“Non mi piace” sentenziò.

Inuyasha era terreo in viso.

“Signori, mi duole dirvi che dovrete pagare questa camicia... che vostro figlio ha inavvertitamente lacerato...”

“Non l’ho fatto apposta” esclamò Shippo simulando una voce già tremante di pianto, con due lucciconi artificiali che già facevano capolino sul suo volto di angelico figlio di puttana.

“Su, piccolino, ne pleure pas” lo consolò la madre accarezzandogli la coda.

“Pure voi, però, fate giocare un bambino con le vostre camice così delicate?” borbottò il padre “Pagherò il danno, ma proprio perché sono uno degli uomini più ricchi della città e me lo posso permettere, modestia a parte.”

“Scusate... non accadrà più” mormorò Inuyasha chinando la testa, più per nascondere gli occhi iniettati di sangue che non in segno di contrizione. Dopo di che continuò a mostrare altre opzioni d’abito a Shippo, sempre con risposta negativa, e andarono avanti così per tre quarti d’ora finché Inuyasha, ormai allo stremo delle forze, fece una proposta.

“Siccome mi pare che al momento non abbiamo in negozio abiti che rispondono al gusto del signorino, che ne dite di realizzarne uno su misura? Basta che il signorino mi dica l’abbinamento di colori che preferisce e faremo realizzare un abito in breve tempo.”

“Non è mauvaise come idea” disse la madre.

“Per essere una famosa boutique mi sembrate piuttosto sforniti” ironizzò il padre.

“Allora, che colori preferisci?” chiese Inuyasha al bambino.

“Voglio un paio di pantaloni verde pisello” rispose prontissimo Shippo “una camicia blu elettrico e una giacchettina fucsia, e il fazzoletto da taschino avana.”

Inuyasha avrebbe potuto sopportare anche un coltello nel costato senza eccessive lamentele, ma quell’accostamento di colori ripugnava così tanto al suo senso estetico che per poco non svenne. Tuttavia, sentendosi fissato dai genitori del pargolo, riuscì a simulare l’impassibilità.

“D’a... d’accordo. Realizzeremo quest’abito in men che non si dica.”

“Me lo auguro” disse il padre di Shippo “su, andiamo, mi sono stancato.”

“Ma no, cheri” disse la moglie “guarda quanti bei vestitucci, diamo un po’ un’occhiata.”

“Benedetta donna, sino ad ora non potevi guardare, eh? E va bene, ma solo dieci minuti.”

La signora iniziò ad osservare i vari manichini mentre il marito con un sospirò profondo si gettò su una sedia e si accese un nuovo sigaro (l’altro era ancora a metà, ma l’aveva buttato). Inuyasha, senza farsi sentire, emise un sospiro di sollievo, ma un rumore strano lo fece irrigidire: sembrava un ruscello di montagna... e poco dopo terminò, ma per essere sostituito da una nuova sensazione, non più sonora ma tattile, di umidiccio. Abbassò gli occhi e vide il piccolo Shippo che si richiudeva il vestito dopo aver orinato sulle sue scarpe. A quel punto, Inuyasha non ci vide più: sfoderò gli artigli, alzò un braccio verso il cielo, fissò il bimbo con occhi carichi di odio e... sentì qualcosa stringergli la mano levata, qualcosa di gelido. Volse lo sguardo, e vide Sesshomaru, che lo aveva bloccato, e ora lo fissava con occhi di ghiaccio.

Coglionazzo, vai a sistemare la vetrina sul retro, mi occupo io di questi clienti.”

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Downtown, il quartiere più squallido della città: ogni sera, mentre le pescherie abbassavano le saracinesche e inevitabilmente scoppiavano risse tra i commercianti e gli ubriachi che sin dal tramonto iniziavano ad affollare le vie, la massa dei pendolari che tornavano dai loro posti di lavoro arrivava, e si aggirava impaurita in quella zona così insicura, ma anche così poco costosa, dal punto di vista degli alloggi.

Pochi erano quelli che non avevano paura; tra questi, Inuyasha, che in quanto mezzodemone certo non si faceva intimorire da quattro umani ubriaconi, anzi: se avesse voluto li avrebbe fatti a pezzi con poche mosse, anche se sapeva benissimo che non lo avrebbe mai fatto, era troppo generoso di carattere. Eppure, quella sera il suo umore era così nero che probabilmente non si sarebbe preoccupato di squartare il malcapitato beone che lo avesse importunato. Non che si sentisse particolarmente sanguinario, ma l’unica cosa che desiderava era tornare a casa, sdraiarsi sul letto e fare finta che quella maledetta giornata fosse stata solo un brutto sogno. Certo, prima di tutto ciò doveva assicurarsi che il suo coinquilino non stesse combinando casini come al solito, ma di sicuro non avrebbe perso tempo ad ascoltarlo. Questo si diceva mentre girava la chiave nella serratura.

Miroku ti avviso che sono incazzato nero, non mi scocc...” ma non fece in tempo a finire la frase che un bellissimo vaso da fiori lo colpì in piena faccia. A tirarlo era stata una donna, che non perse nemmeno tempo a scusarsi, ma continuò piuttosto a inveire contro il vero obiettivo di quel lancio, il coinquilino di Inuyasha, Miroku.

“Mi hai stancato! È la terza volta questo mese!”

“Ma, Sango, calma, non abbiamo fatto nulla...” cercava di tranquillizzarla Miroku.

“Nulla, sì, come l’altra volta che hai detto lo stesso e poi ti ho ritrovato con le tasche piene di condom usati!”

“Ma dai, quello è stato un caso...”

“Pure per scema mi vuoi pigliare? Io ti ammazzo!”

“Ma si può sapere che sta succedendo?” chiese Inuyasha, mentre si toglieva dalla faccia le schegge del vaso.

“Chiedilo al tuo compagno di merende, chiedilo” disse Sango furiosa “Miroku sei fortunato, proprio perché c’è Inuyasha non ti uccido. Ma sappi che con me hai chiuso, non mi vedrai più, capito!?” e così dicendo afferrò il suo cappotto, si diresse a grandi passi verso l’uscita, scostò Inuyasha dandogli uno spintone che lo fece sbattere con l’anca contro uno spigolo e sparì sbattendo la porta così forte che dal soffitto un po’ di intonaco si staccò e cadde sui capelli del mezzodemone.

“Beh, domani sarà più calma” commentò Miroku con filosofia.

“Accidenti a te, Miroku, ma possibile che non potete passare una settimana senza litigare?” disse furioso Inuyasha.

“Ma dai, sai com’è Sango, si ingelosisce per le minime cose...”

“Eh sì, figuriamoci per le cose massime che fai tu allora...”

Miroku non raccolse la frecciatina, ma solo i cocci del vaso.

“E comunque lasciamo perdere che stasera non ho voglia di mettermi a discutere.”

“Che c’è, Inuyasha? Ti vedo nervoso.”

“E vorrei vedere! Oggi ho avuto la mia unica possibilità di fare un salto di qualità nel negozio e mi è capitato un bambino rompiscatole che mi ha fatto impazzire e ha mandato tutto all’aria, ecco cosa c’è!”

“Ah, mi dispiace... però vedrai che Sesshomaru capirà, ti darà una seconda possibilità.”

“Dici così perché non lo conosci... basta vedere come mi tratta, guadagniamo la stessa somma ma per non far vedere che sono proprietario requisisce la mia parte e mi dà soldi sufficienti appena a stare in un condominio di questo schifoso quartiere a dover dividere un monolocale con un maniaco sessuale!”

“Ehi, piano con le parole!” ribatté Miroku offeso.

“Perché, non è vero? Ti devo ricordare tutte le volte che ti sei portato una ragazza in casa e per lasciarvi fare dovevo dormire a terra, o in bagno se lei era timida?”

“Ih, quanti problemi che ti fai...”

“Sì bravo, sminuisci sminuisci... però stasera sono incavolato e non voglio problemi, capito?”

“Tranquillo, tanto stasera non mi vedo con nessuna, il letto è libero.”

“Ecco, almeno questo. Ci mancava solo che dovevo dormire a terra con il nervoso che mi trovo...”

Mentre parlava, un telefonino squillò. Quello di Miroku.

“Pronto? Ciao Shima! Come stai, bellissima? Sì? Benissimo... Come? Ma certo che puoi, tranquilla, nessun problema! Certo, stasera son libero, tranquilla... ma sì, a casa mia come al solito, ok? Benissimo, a dopo, ciao stupenda, ricordati il completino sadomaso viola che mi fa impazzire eh? Ciao!”

Chiuse la conversazione con un bacetto, poi alzò lo sguardo su Inuyasha e l’espressione ieratica che aveva dipinta sul viso svanì di colpo.

Inuyasha... sii paziente... ti devo chiedere un favore...”

Il mezzodemone si portò una mano al volto, e, senza una parola, svenne.

 

La giornata successiva fu anche peggiore. Inuyasha si presentò in boutique pallido e con gli occhi gonfi di sonno e – orrore! – il vestito spiegazzato. Sesshomaru lo squadrò con disprezzo padronale e gli disse: “Coglionazzo, sono arrivati i manichini nuovi, valli a disimballare.”

Disimballare? Neanche il vetrinista poteva più fare?

Doveva lavorare nel magazzino, l’ala sotterranea del negozio che niente aveva dell’eleganza dei piani superiori, una serie di catacombe umide e scure, illuminate solo da vividi neon senz’anima, e abitate unicamente dal magazziniere, uno degli esseri più viscidi che Inuyasha avesse mai incontrato. Proprio questi osservò stupito il mezzodemone scendere a capo chino in quel luogo miserevole.

Inuyasha! Che ci vieni a fare qui?”

“Non rompere, Jaken! Sesshomaru mi ha mandato a disimballare i manichini.”

Il magazziniere Jaken gli piantò addosso le pupille sottili.

“Mi stai dicendo che il signor Sesshomaru non ti fa più lavorare in vetrina ma in magazzino?”

“Che intuito, eh? Sì.”

“Aspetta un attimo, allora.”

Jaken gli voltò le spalle e iniziò a rimuginare tra sé: “Finalmente ho un po’ di aiuto, questo è un lavoraccio... dovrò ringraziare il signor Sesshomaru... però ora che ci penso, se ha mandato Inuyasha in magazzino vuol dire che è davvero arrabbiato con lui... allora se tratto male Inuyasha il signor Sesshomaru sarà contento di me... benissimo!”

Jaken tornò a guardare Inuyasha, con un sorriso strano sul volto di rospo.

“Bene bene, caro mio. Giacché il signor Sesshomaru ti ha dato l’incarico per i manichini arrivati oggi, li lascerò a te. Io mi occuperò delle altre faccende.”

“Vuoi dire che dovrò disimballarli tutti io? Quanti sono?”

“Fammi pensare... questa è la fornitura quinquennale della ditta di Urasue... se ricordo bene dovrebbero essere seicentosettantaquattro manichini, in totale.”

“Quanti!?”

“Invece di perdere tempo a fare domande fila a lavorare! Avanti, march!”

Inuyasha marciò, ma non prima di avere assestato sulla testa di Jaken tanti pugni quanti erano i manichini.

 

“Seicentosettantaquattro manichini... perché così tanti, dico io...”

Terminato il lavoro, si gettò a terra, esausto. Il magazzino era ora pieno di figure dalle parvenze umane, ma di legno, e in tante pose diverse: alcuni in guisa di camminare, altri con le braccia levate al cielo, altri piegati a mo’ di sodomiti, ma tutti rigidi e inanimati, e nel complesso davano un’impressione inquietante, come un esercito di fantasmi.

Esaurito, arrabbiato e madido di sudore, Inuyasha fece per riprendersi la giacca e andarsene. Quando si bloccò. Durante il lavoro non ci aveva fatto caso, ma ora percepiva chiaramente un odore nuovo, che proveniva dai manichini, ma non era loro. Incuriosito, iniziò a girare tra quelle figure, finché individuò la fonte dell’odore. Sembrava un manichino come gli altri, ma il naso gli suggeriva chiaramente che c’era qualcosa di diverso. Si avvicinò e lo guardo meglio: era un manichino femminile, in una posa rilassata, con le braccia lungo i fianchi. Dov’era la differenza? Il mezzodemone notò che tra le dita della mano sinistra c’era un foglio, un’etichetta. La prese, c’era scritto un nome.

Kikyo?”

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Kikyo?”

Appena pronunciò quel nome scritto sull’etichetta, il manichino iniziò a brillare. Inuyasha indietreggiò spaventato, e vide le venature del legno riempirsi di luce abbagliante, come fiumi in piena: in pochi istanti tutta la sagoma fu circonfusa di luce, che rischiarò a giorno l’intero magazzino. Il mezzodemone, accecato e stupito, si coprì gli occhi con una mano e cadde all’indietro. Dopo interminabili minuti avvertì che il bagliore era diminuito, e si arrischiò a guardare cos’era avvenuto. Ciò che vide gli mozzò il fiato.

Al posto del manichino c’era una donna, una giovane donna dalla pelle chiara e i lunghi capelli neri. Era in punta di piedi, ma pareva che si librasse in aria, tanto era leggiadra la sua figura. E se anche non emanava più quella luce innaturale, comunque il suo volto abbagliava lo stesso, per quanto era bello. Inuyasha la osservava, incapace di spiccicare una parola. Poi l’essere aprì gli occhi, e lo fissò in volto.

“E tu chi sei?” chiese.

“Io... io lavoro qui...” balbettò Inuyasha, confuso.

“Lavori qui? Dove mi trovo?”

“Questo è... il magazzino del negozio di abbigliamento Inu-no-taisho...”

“Un negozio di abbigliamento? Come ci sono arrivata?”

“Beh me lo dovresti dire tu... eri tra gli altri manichini...”

“Ho capito” disse la donna spazientita “dovevo immaginare che sarebbe successo prima o poi.”

Con fare deciso la donna iniziò a camminare, ma quasi subito si fermò, e tornò a parlare ad Inuyasha.

“Dimmi, da dove si esce?”

“Da... da quella...parte.”

“Perché così balbuziente? E poi, è da prima che continui a fissarmi, che c’è?”

“Beh... non è una cosa che avviene tutti i giorni” disse Inuyasha, e si riferiva all’apparizione sovrannaturale, certo, ma non poteva dire che il suo sguardo era così fisso anche perché la donna era completamente nuda, e si muoveva con naturalezza come se non lo fosse.

“Grazie, comunque” disse lei, e si mosse verso l’uscita. Inuyasha la seguì, prevedendo che ci sarebbe stato bisogno di lui. Infatti appena la donna aprì la porta di uscita vide davanti a sé una strada affollata di gente, auto che sfrecciavano, bambini che piangevano, beoni che ridevano, predicatori che predicavano, vip che cincischiavano, nip che si infiltravano, fotografi che scattavano, atleti che correvano, moto che sgasavano, stilisti che stilavano, sonnambuli che camminavano e manager che telefonavano. E tutti poco a poco, come un’onda anomala, si voltarono verso di lei, ad osservarla basiti. La donna chiuse di scatto la porta.

“Non pensavo di essere in piena città” disse.

“Forse è meglio che ti copri” suggerì Inuyasha, sebbene in cuor suo avrebbe preferito che restasse in déshabillée.

“Sì, hai ragione... hai dei vestiti, qua?”

“È l’unica cosa che non mi manca” rispose il giovane.

 

Nel magazzino si tenevano anche i vestiti con errori di realizzazione, ma la maggior parte di quelli alla vista sembravano in ottime condizioni. Dato il prestigio del negozio, Sesshomaru era puntigliosissimo nel pretendere che ogni particolare di ogni abito fosse realizzato con la massima cura, e quindi anche un piccolo errore condannava un vestito all’ergastolo magazziniero. Inuyasha trovò un tailleur la cui scollatura aveva un’asimmetria quasi impercettibile, e lo diede alla donna perché lo indossasse.

“Grazie” disse questa.

“Figurati. Ma mi puoi raccontare chi sei, e come sei arrivata qua? Non ci sto capendo niente.”

“E sia. Mi chiamo Kikyo, e un tempo ero una miko, una sacerdotessa sull’isola di Hokkaido. Giravo per tutti i villaggi del paese a curare i malati e pregare per i defunti...”

“Aspetta un attimo. Quali villaggi? Qua son tutte città.”

“Nei tempi in cui parlo erano villaggi, ma si tratta di secoli fa.”

“Come sarebbe a dire, secoli fa? Tu sei solo una donna umana, non puoi vivere così a lungo.”

“Infatti non sono viva.”

“Cosa?”

“Ascoltami, invece di interrompermi sempre. Io morii giovane, uccisa da un demone. Dopo la morte venni bruciata e le mie ceneri conservate nel mio villaggio natale. Tuttavia un giorno una strega di nome Urasue le rubò, e fece su di esse un incantesimo, e mi ricreò un corpo artificiale, in cui fece rientrare la mia anima. Lo fece perché aveva bisogno della mia forza spirituale per i suoi incantesimi. E da allora andiamo avanti così, lei mi rinchiude in un corpo artificiale, quello che hai visto prima, e quando ha bisogno di me mi richiama in vita.”

“E quindi prima sei stata richiamata in vita? Ma come è successo?”

“Quando hai pronunciato il mio nome, il mio spirito si è risvegliato e ha ripreso possesso del corpo, e quello che credevi un manichino ha ripreso vita.”

“Ma io questa Urasue la conosco! È quella che ci fornisce i manichini per il negozio!”

“Quella è l’attività che Urasue porta avanti per vivere senza preoccupazioni economiche, ma il suo vero mestiere è la strega”

“E quindi ora tu vuoi tornare da lei?”

“Sì.”

“Ma se hai detto che ti costringe a lavorare per lei”

“E che vuol dire? Comunque mi ha riportato in vita. Questo corpo finto non è male, mi ci trovo bene. Forse non mi posso definire libera, ma certo lo sono più in questo modo che non stando nel regno dei morti.”

“Capisco...”

“Tu sai quanto distiamo dalla dimora di Urasue?”

“A dire il vero... no. Ma chiediamo a mio fratello Sesshomaru, che è quello che si occupa degli affari: lui lo saprà di sicuro.”

 

“Non ne ho la minima idea” disse Sesshomaru attorcigliandosi i capelli lungo un dito.

“Come no? Urasue è una nostra fornitrice!” protestò Inuyasha.

“Certo, certo... però è Urasue che ci manda i manichini, non noi che andiamo a prenderli, quindi non sappiamo dove abita... anche perché è proprio lei che tiene una barriera intorno alla sua abitazione, per non essere disturbata da estranei. Probabilmente non aveva preventivato che si potessero creare simili situazioni...” e lanciò uno sguardo molto significativo in direzione di Kikyo, che lo ignorò.

“E quindi, come si fa? Kikyo non potrà tornare a casa sua?”

“Beh, può provarci ma dubito che ci riuscirà, così da sola. Comunque non c’è da preoccuparsi, quando Urasue si renderà conto della sua assenza verrà qui a riprendersela, e risolveremo ogni cosa. Si tratta solo di avere un po’ di pazienza. Nel frattempo, Inuyasha, sarai a tu a prenderti cura di lei, mi auguro.”

“Io? Come se non avessi già abbastanza lavoro da fare in negozio, e un buco d’appartamento! Perché non te ne occupi tu?”

“State tranquilli” disse Kikyo alzandosi “non ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me” e uscì dalla stanza.

“Bravo, coglionazzo” commentò Sesshomaru.

“Che intendi dire?”

“Non vedi? L’hai offesa. Vai a scusarti, prima che si allontani e si metta in qualche guaio.”

L’aveva offesa? Inuyasha corse da lei, per fermarla.

“Scusa Kikyo se prima sono sembrato offensivo...”

“Tranquillo. Comunque non ho bisogno di cure, sono autonoma.”

“Sì, d’accordo, ma finché Urasue non si fa viva che farai? Non hai una casa, soldi, niente!”

“Me la caverò. In fondo, sono già morta, non posso morire di nuovo.”

“Ne sono convinto... però non posso mica lasciarti per strada. Se almeno oggi vuoi dormire a casa mia, e poi da domani ti do anche una mano per orientarti qua in città.”

“Dormire a casa tua? Non farti strane idee...”

“Ma che vai pensando!? Non ho alcuna intenzione di fare... sì insomma, quella cosa...”

Kikyo lo fissò a lungo in volto, poi scrollò le spalle.

“Penso di potermi fidare, sei davvero troppo timido per essere un pericolo.”

“Com’è gentile!” pensò Inuyasha, stizzito. Comunque ormai si era offerto di ospitarla, e la condusse con sé a casa.

 

Miroku non credeva ai suoi occhi: Inuyasha, che era un tipo molto riservato, chiuso, scontroso, timidissimo con le ragazze, il classico sfigato nonostante l’aspetto nient’affatto sgradevole, portava a casa una bellezza sfolgorante come quella che vedeva incedere sdegnosa nel corridoio?

Inuyasha! Lei...?”

Miroku, ti presento Kikyo” tagliò corto il mezzodemone.

“Onorato, signora” disse prontamente Miroku con un inchino “spero che si troverà bene qui in casa nostra... può fermarsi tutto il tempo che vuole, e se oltre all’alloggio dovesse desiderare anche un po’ di compagnia...” si interruppe: sentiva su di sé gli sguardi gelidi sia della donna che, soprattutto di Inuyasha, e capì che avrebbe dovuto troncare la frase che stava per dire per evitare spiacevoli conseguenze fisiche.

Inuyasha tirò un sospiro di sollievo: il problema Miroku era risolto. Però se ne presentava un altro. I due coinquilini avevano un solo letto, a due piazze, in cui dormivano entrambi, mantenendo il più possibile la distanza, a rischio di cadere a terra. Tuttavia una terza presenza, e per di più femminile, comportava una chiara difficoltà.

“Potremmo stringerci...” propose Miroku ma come risposta ricevette un pugno in testa.

“Non voglio crearvi problemi” disse Kikyo “Posso benissimo dormire a terra.”

“Non se ne parla neanche” disse deciso Inuyasha “Sei nostra ospite quindi dormirai nel letto. Io e Miroku dormiremo a terra.”

“Cosa? Ma, Inuyasha...”

“Io e te dormiremo a terra. Chiaro?”

Il tono non ammetteva regole, e Miroku dovette cedere. Così dormirono sul pavimento, e per giunta nel corridoio, per consentire alla donna di riposare lontana da occhi indiscreti.

“Ma dove l’hai incontrata?” chiese Miroku ad Inuyasha.

“Se te lo racconto non ci credi” fu la risposta “Dormi.”

“Come non ci credo? Su, dimmi.”

“È una storia lunga, Miroku, e sono stanco. Te la racconto un’altra volta.”

“D’accordo. Certo però che è proprio bella.”

“Sì, è vero. Dormi.”

“E bravo Inuyasha che si trova le belle ragazze! A forza di stare in casa con me un po’ hai imparato come si fa.”

“Per favore, Miroku, invece di dire sciocchezze te ne stai zitto e mi fai dormire?”

“Certo, certo. Ma ti piace, vero?”

“Sono fatti miei. Dormi.”

“Va là, sta a vedere che te ne venivi a riposare nel corridoio a far compagnia ai topi se non ti piaceva.”

“Nel corridoio ci dormo una sera sì e l’altra pure per colpa tua, ma non per questo mi piaci.”

Touché. Però non venirmi a dire che non ti piace, perché non ci credo.”

“D’accordo, Miroku. Mi piace. Ora potresti chiudere quella stradannata bocca e metterti a dormire!?”

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il giorno dopo Inuyasha portò con sé Kikyo al negozio. In cuor suo ringraziò il cielo che la ragazza fosse di un’epoca passata, non avrebbe fatto commenti sulla sua auto, una Panda del 1975 capitata in Giappone chissà come.

“Perché vuoi che venga con te?” chiese Kikyo.

“Così mi ha detto Sesshomaru. Pare che abbia una proposta da farti.”

“Nulla di scabroso, spero.”

“Tranquilla, Sesshomaru è già fidanzato, e la ragazza che ha lo tiene impegnato a sufficienza.”

“Ah, bene.”

Restarono in silenzio per alcuni minuti, apparentemente concentrati entrambi sul traffico intorno a loro. Poi Kikyo posò gli occhi sull’autoradio, sintonizzata su IsoRanma 0.5, e chiese “Cos’è questa musica orrenda?”

“È la radio, trasmettono canzoni... non ti piace?”

“Sono così lamentose...”

“Mi dispiace, ma purtroppo la manopola è rotta, non posso cambiare frequenza.”

“Tranquillo, ci penso io.”

La miko poggiò una mano sulla radio, e chiuse gli occhi. Dopo pochi istanti le note si mutarono in quelle de L’uccello di fuoco di Stravinskij. Inuyasha era sbalordito.

“Incredibile! Come hai fatto?”

“Anche se sono morta, conservo ancora un po’ di potere spirituale” disse lei sorridendo.

“Fenomenale” pensò il giovane “ma è ancora più straordinaria quando sorride.”

 

Sesshomaru dopo aver mandato il coglionazzo del fratello a sistemare una vetrina si rivolse con un radioso sorriso a Kikyo:

“Mia cara – posso darti del tu? – nell’attesa che Urasue torni a riprenderti, dovrai pur fare qualcosa, no? E allora mi chiedevo, che ne diresti di aiutarmi qui in negozio? Già ieri avevo notato la tua classe, la tua eleganza, anche con quel vestito difettoso. Figuriamoci come staresti con un abito ben più degno!”

“E allora?”

“E allora ti chiedo di indossare una delle mie ultime creazioni, e di sfoggiarla qui in negozio.”

“Dovrei fare la modella?”

“No, no, non fraintendere. Non dovrai fare altro che indossare quell’abito e poi girare per il negozio facendo quel che vuoi, osservando i vestiti, le vetrine, i mobili, come più ti piace. I clienti ti ammireranno, e il vestito con te, e per la boutique sarà un’ottima pubblicità.”

“In tutta sincerità, non mi entusiasma l’idea di fare da reclame.”

“Ma certo, ti capisco, però considera che si tratterebbe soltanto di farlo per questi giorni che sei costretta a restare qua, e poi avresti un trattamento migliore. Non oso pensare come avrai dormito male a casa di mio fratello, ma se accetti la proposta ti pagherò di tasca mia l’alloggio all’hotel più lussuoso della città.”

L’offerta era buona, ma Kikyo non era persona da cedere così facilmente. Le trattative andarono avanti per un’ora, e Inuyasha, mentre lavorava, di tanto in tanto gettava lo sguardo sui due per capire a che conclusione fossero giunti. Finalmente, una stretta di mano segnalò che l’accordo era stato trovato. Il mezzodemone da una parte era seccato dal fatto che Kikyo non avrebbe più dormito da lui, ma dall’altra l’idea di averla sempre vicina in negozio gli fece un enorme piacere.

 

Nelle due ore successive Inuyasha avrebbe voluto parlare con Kikyo, ma non trovò mai l’occasione. Alla sacerdotessa l’incarico affidatole chiaramente non piaceva, ma poiché aveva accettato cercava di svolgerlo bene, e per tutto il tempo girò per il negozio, ammirando i vestiti o chiacchierando amabilmente con Sesshomaru. I clienti che entravano restavano tutti ammirati dalla sua bellezza, e più di uno cercò di attaccare bottone con lei, ma Kikyo mantenne sempre gentilmente le distanze, e ciò non fece che aumentare il suo fascino. Soprattutto agli occhi di Inuyasha, che ad ogni approccio altrui sussultava preoccupato, per poi esultare interiormente quando il galletto di turno si ritirava con la coda tra le gambe.

Finalmente, all’ora di pranzo, il negozio si vuotò, e anche Sesshomaru andò a pranzare con Kagura, lasciando il campo libero. Inuyasha prese il coraggio a due mani e si avvicinò a Kikyo, ora seduta con gli occhi chiusi e la testa appoggiata sulla mano.

“Sei stanca?” le chiese.

“Un po’ sì.”

“Ti capisco... i ritmi in negozio sono sempre così. Comunque...”

“Comunque cosa?” chiese Kikyo, notando che il mezzodemone si era interrotto.

“Beh, intendevo dire... mi chiedevo se...”

Maledetta timidezza, continuava a incespicarsi. Kikyo lo guardava spazientita.

“Accidenti a me, non è il momento di fare ‘ste figure” pensò Inuyasha, e poi a voce alta riprese il discorso, con più sicurezza: “Insomma, volevo chiederti di...”

Bonjour!” lo interruppe una tonante voce femminile. Inuyasha sentì materialmente un baratro aprirsi sotto i suoi piedi, mentre facevano l’ingresso in negozio i coniugi Kawasaki, scortati dal figlioletto Shippo.

“Non potevo non tornare” cinguettò la donna “Con tutti questi vestitini così jolis!”

“C’è qualcosa in particolare che desidera?” chiese Inuyasha, ficcandosi gli artigli nei palmi per forzarsi a restare calmo.

Mais non, voglio solo dare un’altra occhiata.”

“Mamma, mi annoio!” si lamentò Shippo.

“Un po’ di pazienza, mon petit chou, gioca un po’ con il commesso”

“Cosa?” disse Inuyasha “ma io veramente dovrei sistemare la vetrina...”

Garçon, cosa vuole che siano dieci minuti a prendersi cura del mio frugoletto?”

Nulla da fare, il cliente ha sempre ragione. Con un sospiro simil-bora Inuyasha prese in braccio Shippo e gli chiese “Allora, cosa vuoi fare di bello?”

“Voglio perfezionare le mie tecniche!” esclamò il bimbo. Prima di capire cosa stesse accadendo, Inuyasha fu travolto da una serie di schiaffi, calci e ditate negli occhi. Intanto, mentre la donna si perdeva nella goduria dei vestiti, il marito pensò bene di iniziare a chiacchierare con Kikyo, facendo apprezzamenti più che coloriti. Il mezzodemone sentì salirsi ulteriormente il sangue alla testa, ma non poteva fare niente finché Shippo, che continuava a picchiarlo, non fosse stato ripreso dalla madre. La quale madre continuò a rimirare i vestiti per un’ora abbondante.

In conclusione, quando Sesshomaru tornò dal ristorante a occuparsi dei clienti, intimando al fratellastro di tornare alle vetrine, Inuyasha accolse l’ordine come un dono del cielo, e mai fu più contento di sentirsi dare del coglionazzo.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


“Allora, come è andata oggi con Kikyo?”

“Non è andata proprio. Sono tornati i clienti rompiscatole dell’altra volta proprio sul più bello, e alla fine della giornata Sesshomaru la ha accompagnata alla sua nuova residenza, e io non le ho potuto parlare per niente.”

“Accidenti... mi spiace per te.”

“Come mai tutto questo interessamento, Miroku?”

“Beh, mi sembra che ti piaccia molto, quindi speravo che ci combinassi qualcosa.”

“E cosa ti fa pensare che mi piaccia molto Kikyo?”

“Beh, ad esempio il fatto che di solito se frequenti ragazze non sopporti che io ti faccia domande a proposito. Adesso invece ne parli diffusamente.”

Inuyasha ammutolì. Per quanto il suo amico fosse donnaiolo, pervertito, maniaco e assatanato, quando voleva riusciva a capire molte cose.

“Hai ragione” sospirò “Mi piace davvero, quella ragazza. Incredibile che in così poco tempo mi abbia preso tanto.”

“Di sicuro è una speciale, basta vederla.”

“Già... pazienza.”

“Ma che pazienza e pazienza? Non mi dire che ti dai già per vinto?”

“E che posso fare?”

“Insisti! Oggi non sei stato fortunato, ma perseverando l’occasione giusta arriverà! Altrimenti non ci sarebbe possibilità per nessun uomo al mondo.”

Era in momenti come quelli che Inuyasha ricordava il motivo per cui considerava Miroku un amico. Gli sorrise con simpatia.

“Hai ragione; ma basta parlare di me, dimmi piuttosto... come mai stasera posso dormire nel letto? Niente ragazze?”

“No, è che voglio fare pace con Sango, quindi per qualche giorno mi asterrò da altre avventure. Però per favore non farmici pensare, l’idea che ora potrei essere in piacevole convegno con una giovane e invece condivido il letto con te mi fa venire i brividi di orrore.”

Risero entrambi, e si diedero la buona notte.

 

Il giorno dopo fu molto migliore, se non altro perché la famiglia Kawasaki non si fece vedere. Una faccia nota che apparve in negozio fu invece quella della duchessa, che venne ad osservare i bozzetti per gli abiti del matrimonio. Sesshomaru si mise di impegno per realizzare un modello il più dettagliato possibile, e il lavoro si prolungò ben oltre l’orario di chiusura.

“Sarà una serata campale” commentò, osservando l’orologio che segnava le ventitre. Poi il suo sguardo si posò su Kikyo.

“Mia cara, temo che non potrò accompagnarti all’hotel, vedi come sono impegnato. Ti dispiace se lascio l’incarico ad Inuyasha? Almeno a guidare è buono.”

“Non c’è problema per me” disse Kikyo. A quelle parole Inuyasha fu preso da una gioia tale che passò sopra all’apprezzamento del fratello, e subito andò a prendere la giacca per uscire e accompagnare Kikyo, e mentre la prendeva ne approfittò per guardarsi allo specchio e sistemarsi i capelli. Dieci minuti dopo erano nella Panda e sfrecciavano, si fa per dire, per le strade della città. Non parlarono molto, Inuyasha stava riflettendo bene su cosa dire una volta arrivati, per evitare di ricadere nei balbetti del giorno precedente, e Kikyo osservava la gente oltre il finestrino, pensierosa.

Quando arrivarono all’hotel, il mezzodemone con gran galanteria andò ad aprire lo sportello a Kikyo, che però non sembrò apprezzare più di tanto il gesto.

“Grazie del passaggio” si limitò a dire.

“Di nulla. Ma ti posso chiedere una cosa?”

“Cosa?”

“Ma niente, mi chiedevo se potevo invitarti a cena... così, per parlare...”

“Potevi trovare una scusa migliore.”

Inuyasha esitò, confuso da quelle parole aspre.

“Pensi che non si capisca che ci vuoi provare con me? È dal primo momento che ci siamo visti che te lo si legge in faccia. Ma comunque mettiti in testa che non mi interessi, non mi interessa nessuno e men che meno tu.”

La confusione si trasformò in rabbia.

“Ah davvero? D’accordo, fai come vuoi. Ma cosa ti autorizza a usare questo tono? Solo perché ti faccio da autista pensi di potermi trattare a pezza da piedi? Grazie tante ma io non ci sto, già sono abituato a sopportare di tutto, a partire da mio fratello che mi fa lavorare come un dannato nel negozio che è anche mio solo perché il mio sangue non è abbastanza puro e sono la vergogna della famiglia, ma non sono disposto a sopportare di essere trattato come uno stupido solo perché ho voluto essere gentile con te e conoscerti meglio. Bene, vedo che non c’è nulla da conoscere di buono, le apparenze ingannano! Buonanotte.”

E così dicendo ritornò in macchina, e fece per rimettere in moto. Ma si accorse che Kikyo si era avvicinata, e sbuffando abbasso il finestrino e si sporse. “Che vuoi?” stava per chiedere, ma si interruppe quando osservò il volto della donna, e in particolare gli occhi, da cui trapelava una tristezza sconfinata.

“Vuoi venire con me su in hotel?” gli chiese Kikyo. Inuyasha la seguì, stupito da quell’improvviso cambiamento.

Una volta in camera, Kikyo lo invitò a sedersi sul divano a fianco a lei, e subito iniziò a parlare.

“Ti devo chiedere scusa per prima. Certo, sono stata brusca, maleducata. E mi dispiace in particolare di esserlo stato con te, ora che vedo che siamo così simili.”

“Simili? Noi?” ripetè Inuyasha, senza comprendere.

“Sì. Abbiamo storie diversissime, ma in comune c’è che ci troviamo in un ruolo che non abbiamo scelto, e che ci opprime. Quando ero viva, tutti pregavano per avere il mio aiuto, ma in realtà le loro preghiere erano ordini. Siccome ero nata con un grande potere spirituale, era naturale usarlo per il bene di tutti, e all’inizio ero contenta di farlo. Ma presto gli uomini hanno iniziato a considerarlo come un atto dovuto, e se per qualsiasi ragione avessi rifiutato di usare i miei poteri per i loro desideri, non sempre giusti, essi la avrebbero vista come un rifiuto insopportabile, e mi avrebbero cacciato dai loro villaggi. Così la mia condizione di apparente privilegio mi ha portato ad essere meno libera di tante schiave, al punto che oggi fare da serva ad una strega è per me una libertà che mai ho avuto in vita. In fondo, anche per te è così, no? Sei figlio di uno dei più importanti demoni della storia recente, e per questo devi vivere nell’ombra e accettare ogni angheria.”

“Ma non sarà sempre così” esclamò Inuyasha “le cose presto cambieranno, quando avrò i mezzi per mettermi in affari sarò autonomo, per questo riesco a tollerare tutto. C’è una speranza.”

“Perché sei vivo. Forse ci sarebbe stata speranza anche per me, in vita, ma ora è troppo tardi...” disse Kikyo, tristemente.

“E invece no! C’è speranza anche per te!”

La miko guardò Inuyasha, con un’espressione di stupore. Il mezzodemone parlava con voce vibrante.

“Sì che c’è speranza. Forse il tuo corpo è morto, ma la tua anima è viva, ed è quello che conta, quello che ti permette di fare delle scelte. Se anche tutto va male, come puoi perdere la fiducia che un miglioramento possa avvenire? In un modo o nell’altro, è possibile.”

Era così accalorato in quel discorso che non si era accorto che Kikyo gli si era avvicinata.

“... anche io spesso vengo preso dallo sconforto, ma so che prima o poi le cose cambieranno, che se mi impegno posso arrivare ad ottenere, finalmente, una vera libertà...”

La miko gli prese con delicatezza una mano, e solo allora Inuyasha interruppe l’eloquio, e la fissò stupito, arrossendo violentemente.

“Non solo la libertà può rendere le cose migliori...” gli sussurrò dolcemente Kikyo.

Si fissarono a lungo negli occhi.

 

La mattina dopo Inuyasha abbandonò l’hotel abbastanza presto, per andare a lavorare. Era domenica, ma nel magazzino doveva sempre svolgere mansioni secondarie. Quel giorno però non c’era in lui svogliatezza o malumore, anzi, per la prima volta sentiva di avere una completa serenità d’animo.

Kikyo lo accompagnò sino all’ingresso dell’albergo, e lo osservò raggiungere l’auto, salire e, prima di mettere in moto, lanciarle uno sguardo pieno di un sentimento nuovo, che lei mai aveva conosciuto.

Lo vide allontanarsi. Pensò intensamente a come mostrargli la sua vicinanza, in ogni momento. Ed ebbe l’intuizione.

 

Inuyasha guidava fischiettando. IsoRanma trasmetteva la solita musica orribile, ma nemmeno il peggior frastuono avrebbe potuto turbarlo. Nemmeno la coda di auto in cui, come al solito, andò ad infilarsi.

Era una giornata calda. Abbassò il finestrino e si sporse, ad osservare il cielo, e mentre era così perso nella contemplazione, gli parve di sentire un qualcosa che cambiava. Cos’era? Era un suono... pareva che la radio stesse cambiando trasmissione. Incuriosito, ritornò con la testa nell’abitacolo, e sentì distintamente dalle casse uscire una musica nuova, dolcissima.

 

I wake from my sleep and face the day
That I have the hope to reach you someday
I cannot go on take other step,
'cause my way is not easy to go

 

Gli occhi chiusi, e le mani poggiate su un radio: Kikyo si stava concentrando.

 

No, even I do really wanna see you,
I need to take my time,
Spend some days alone, being be myself, will be all I do
If doesn't exist an everlasting love in which I could believe,
I got hurt because, I was very awkward
Know it but I don't want no losing, no

 

Strano davvero, quando mai su IsoRanma avevano trasmesso musica così? Ma mentre se lo domandava, a Inuyasha tornò in mente l’episodio del giorno prima, e capì cosa stava accadendo.

 

Thinkin' of you made me cry,
So my eyes, they were filled with tears,
And all I've got is my will to be with you again.
Thinkin' of you made me cry so many times,
The only thing that made me strong was you,
And I have my will to be with you someday

 

E pensare che di solito quelle pratiche spirituali la stancavano! Ma nella sua concentrazione Kikyo non sentiva sfinimento o stanchezza, c’era qualcosa di nuovo in lei che le dava forza e teneva in piedi il suo corpo fittizio, più di ogni magia o incantesimo.

 

Inuyasha sorrise. Come si poteva perdere la fiducia nell’arrivo di un miglioramento?

 

I felt like I was so independent,
And I kept the words, and I want you to know.
You were the one who made me smile

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Passò un mese, e furono trenta giorni di felicità. Inuyasha era diventato praticamente un altro. Qualsiasi lavoro Sesshomaru gli affidasse, anche il più ingrato, lo svolgeva a cuor leggero, come se non si sentisse più sminuito da quegli incarichi. Non girava più in maniera trasandata, ma anzi sembrava metterci più cura nel vestire; non solo, pareva avere una nuova carica per cui portava con eleganza anche l’abito più semplice. Ma non solo l’aspetto esteriore aveva subito quel mutamento, anche il carattere sembrava mutato: non più scontroso con tutti, ma sempre disponibile, e pronto allo scherzo. Il suo sarcasmo corrosivo si era tramutato in garbata ironia.

“La forza dell’amore!” commentava Miroku con Sango, dopo che finalmente era riuscito a convincerla a tornare da lui. Fecero anche delle uscite a quattro, loro due insieme a Kikyo ed Inuyasha, ma poche, in quanto la nuova coppia tendeva ad appartarsi sempre, come se volessero creare un mondo solo per loro due.

Dopo una settimana di quell’andazzo, iniziarono ad aversi anche altre conseguenze. I clienti del negozio erano sempre più ammirati da Inuyasha. “Sembra un demone come noi!” commentavano, e Sesshomaru non lo insultava più davanti a tutti, non avrebbe più portato vantaggi alla boutique. Anzi, anche lui restò impressionato dal mutamento del fratellastro, e iniziò ad affidargli di nuovo, e con sempre maggior frequenza, il rapporto con i clienti, con risultati che andarono oltre ogni più rosea previsione.

Il caso più clamoroso avvenne quando tornarono per la terza volta i coniugi Kawasaki. Inuyasha li accolse con un inchino galante che mandò in visibilio la signora:

Parbleu, che classe! Le posso chiedere di aiutarmi nella scelta di un vestito?”

“Ma certo, signora, son qui per questo!”

La signora fu come travolta dall’eloquio galante del mezzodemone, sebbene tale eloquio si limitasse a poche frasi necessarie. Mentre Inuyasha sistemava con grazia sul tavolo i vari abiti, il piccolo Shippo gli si avvicinò e iniziò a giocare con il bordo dei suoi pantaloni.

Shippaccio! Non dare fastidio a questo giovanotto così simpatico!” lo sgridò immediatamente la madre, dandogli uno scappellotto sulla nuca. Shippo, che mai era stato rimproverato e men che meno picchiato, rimase così traumatizzato che non proferì parola alcuna per i cinque anni successivi.

 

Quanto poteva durare quella sensazione di vivere ogni istante come sotto l’influsso di una meravigliosa droga leggera? Inuyasha voleva illudersi che sarebbe durata per sempre, anche se in fondo sapeva che non poteva andare così. Tuttavia non avrebbe potuto aspettarsi che finisse in maniera tanto brutale.

Avvenne tutto il giorno in cui lui e Kikyo arrivarono in negozio e trovarono un Sesshomaru decisamente preoccupato.

“Abbiamo visite” disse. Inuyasha aggrottò la fronte, e poi vide, sull’uscio della porta del magazzino, una vecchia canuta dagli occhi sporgenti, che li fissava con aria maligna. Anche Kikyo la vide, ed impallidì.

Urasue!” esclamò. Quel nome, per Inuyasha, fu come una mazzata. Aveva praticamente rimosso il pensiero di quella strega, ed eccola lì davanti a lui. Per quale motivo? Era chiaro, tremendamente chiaro, purtroppo.

Kikyo, mia cara” sibilò la vecchia “ti ho ritrovato finalmente. Sei pronta a tornare a casa?”

Kikyo chinò la fronte, e non disse nulla. Inuyasha strinse i pugni.

“Cosa aspetti? Su, andiamo” riprese a parlare Urasue.

“Lasciala stare, vecchia!” disse Inuyasha cercando di trattenere l’ira “Kikyo vuol rimanere qui.”

“Ah, davvero? Peccato che non possa... io sono la sua padrona.”

“Tu non sei padrona di nessuno! Kikyo è un essere umano, è libera come ogni essere umano!”

“I vivi sono liberi, e forse nemmeno loro. Ma Kikyo è un corpo morto, e solo io l’ho riportata alla vita. Lei mi deve gratitudine per ciò che ho fatto, e nient’altro.”

Kikyo finalmente alzò lo sguardo su di lei.

“È vero, mi hai restituito il corpo, e te ne ringrazio. Ma lui, Inuyasha, mi ha restituito l’anima.”

Urasue strinse gli occhi miopi per fissare meglio la sacerdotessa.

“La pensi così, Kikyo? La gratitudine non è di questo mondo... ma penso di avere buoni mezzi per farti fare come dico io.”

“Bada a quello che dici, vecchia!” minacciò Inuyasha, sfoderando gli artigli.

“Ci bado sin troppo, ragazzino. Io ho ridato un corpo a Kikyo, io posso benissimo toglierglielo.”

A quella minaccia Inuyasha non ci vide più, e si lanciò contro Urasue, la mano protratta per colpirla, e lo avrebbe fatto se un braccio non lo avesse bloccato a mezz’aria. Sesshomaru lo aveva fermato, e lo fissava truce.

“Niente violenza nel negozio di nostro padre” disse, glaciale “vediamo piuttosto di trovare un compromesso.”

“Che compromesso, eh? Che compromesso?” ringhiò Inuyasha, furibondo.

“Se Urasue ha bisogno solo a volte dei servizi di Kikyo, allora è possibile un accordo. Chi impedisce a Kikyo di tornare qui da Inuyasha, nei periodi in cui non ne hai bisogno?”

La vecchia strega scosse la testa.

“Nessun compromesso, lord Sesshomaru. Kikyo è mia proprietà,  non ho nessun dovere di cederla. E in quanto a te, ragazzino, non credere di risolvere niente uccidendomi. Senza di me Kikyo non può continuare a vivere, e lei lo sa bene!”

“Cosa dici?”

“Dico quel che dico. Chiedi a lei, se non mi credi.”

Inuyasha si voltò verso Kikyo. La sacerdotessa stava immobile, come persa nei suoi pensieri. Poi fissò Urasue e disse: “Verrò con te.”

“Alla buon’ora” commentò la vecchia.

Kikyo!” esclamò Inuyasha, sconvolto.

“Ma prima lasciami parlare con Inuyasha” disse la miko.

 

“Perché? Perché?”

“È l’unica cosa che possa fare, Inuyasha. Sono stata una stupida a non pensarci prima, a coinvolgerti in questa avventura che non poteva avere un lieto fine... perdonami.”

“Ma non è vero! Io ti posso liberare da quella strega, la ucciderò se necessario...”

“No, tu non sai. La mia anima di adesso è solo una parte di quella che avevo in vita: quando Urasue mi ha fatto rinascere buona parte di essa si era già reincarnata in un’altra persona. Per questo, ora, da sola non ho energia sufficiente per sopravvivere in questo corpo, è Urasue che mi dà il potere necessario. Se morisse...”

“Ma non c’è un altro modo?”

“L’unico modo per me sarebbe di assorbire le anime degli altri defunti, in modo da nutrire la mia.”

“E allora...!”

“Ma non capisci cosa vorrebbe dire? Impedire alle anime di tanti di raggiungere il nirvana... e per cosa? Per garantirmi un’ulteriore permanenza nel mondo dei vivi, a me che sono morta da tanto tempo?”

“Ma...”
”Niente ma, Inuyasha. Pagherei qualsiasi prezzo per stare con te, ma non posso farlo pagare ad altri. Vedi che non posso abbandonare Urasue.”

“Ma Kikyo, l’hai detto anche tu, ho liberato la tua anima, e anche tu hai liberato la mia quando ero oppresso e senza prospettive, come posso adesso rimanere da solo, senza...?” si interruppe, un nodo alla gola gli impediva di proseguire. Kikyo se ne accorse, lo attirò a sé e lo baciò.

Restarono stretti e abbracciati a lungo, per quell’ultima volta. Poi Inuyasha avvertì sulle labbra un contatto diverso. Aprì gli occhi: al posto di Kikyo c’era un manichino, lo stesso manichino di trenta giorni prima.

 

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Passò parecchio tempo, ma non servì a lenire il dolore nell’anima di Inuyasha. Miroku in tutti i modi cercò di risollevargli il morale, portandolo a feste di addio al celibato, locali di lapdance, anteprime di film hard, ma l’unico risultato che ottenne fu di farsi lasciare di nuovo da Sango.

Nulla pareva avere più attrattive per Inuyasha. Anche il desiderio di aprire un negozio proprio per sottrarsi al controllo di Sesshomaru era ormai privo di importanza. Del resto, il lavoro in boutique era diventato molto meno faticoso: anche dopo la scomparsa di Kikyo Inuyasha aveva mantenuto il nuovo comportamento compito, e il fratello aveva deciso di dargli un ruolo maggiore nella gestione degli affari. Ma questo riconoscimento non servì a rallegrare il mezzodemone, che ricordava bene come il suo mutato atteggiamento era stato dovuto proprio a Kikyo, e quindi quegli apprezzamenti al suo lavoro non facevano altro che rendere ancor più vivido il ricordo, ed il dolore.

 

Una sera, poco prima della chiusura, Inuyasha stava mettendo in ordine il registro contabile del negozio. Sesshomaru era già andato via con Kagura, Jaken aveva chiuso il magazzino, lui era rimasto solo. Mentre richiudeva i quaderni, sentì una voce femminile:

“Buonasera...”

Alzò gli occhi per vedere chi fosse, a quell’ora, e restò sconcertato: possibile? Era lei?

Kikyo?”

La nuova arrivata lo guardò, senza capire. Allora Inuyasha si rese conto che, sebbene in volto fosse veramente identica a Kikyo, la ragazza aveva di sicuro qualche anno di meno, e indossava una divisa da studentessa che difficilmente la miko avrebbe mai potuto avere.

“Mi scusi, l’avevo confusa per una mia amica.”

“Ah... non importa, figurati! Scusa se vengo così in ritardo, solo che voglio fare un regalo a mia madre, domani è il suo compleanno, e volevo comprarle un cappello, in vetrina ne ho visti di così carini!”

“Va bene. Se mi dice l’età di sua madre, le porto alcuni dei modelli migliori così può scegliere.”

Mentre la ragazza osservava i cappelli, Inuyasha osservava la ragazza. Quest’ultima, a lungo andare, se ne rese conto, e lanciò un’occhiata infastidita al mezzodemone.

“Hai ancora molto da guardare?”

“Prego?”

“È tutto il tempo che mi fissi, nemmeno fossi un’opera d’arte!”

“Mi scusi, allora. Ero solo stupito dalla somiglianza di cui le dicevo.”

La studentessa, che evidentemente doveva aver avuto brutte esperienze di maniaci, lo guardò sospettosa. Ma nel farlo vide i suoi occhi, e ne restò colpita: in quello sguardo c’era tanta malinconia, e nostalgia, che davvero non si poteva credere che avesse cattive intenzioni.

“Ma no...” disse allora lei “scusami tu, anzi, se sono stata troppo brusca!”

“Non si preoccupi.”

“Ma dai, è vero che questo è un negozio di classe, ma tu non sei poi molto più vecchio di me, dammi del tu.”

“Be’, l’etichetta del negozio lo vieterebbe.”

“D’accordo, ma chi vuoi che ti senta? Ci siamo solo io e te a quest’ora.”

“In effetti... d’accordo, come vuoi. Ti posso chiedere come ti chiami?”

Kagome, molto piacere.”

Inuyasha.”

La scelta impegnò altri venti minuti, ma alla fine Kagome trovò ciò che le piaceva. Inuyasha fece un pacco dono di gusto squisito e, poiché ormai l’orario di chiusura era stato abbondantemente superato, spense tutte le luci e accompagnò lui stesso la ragazza all’uscita.

“Beh, è stato un piacere, spero che tornerai al negozio.”

“Certo, ci sono vestiti bellissimi... anche se con questi prezzi mi sa che posso solo guardare e sognare!”

Risero entrambi. Certo la somiglianza fisica era il tratto più impressionante, ma ad Inuyasha sembrava che, nonostante fosse molto più allegra ed estroversa, anche nel carattere Kagome avesse qualcosa in comune con Kikyo.

“Ora devo proprio andare, o perderò anche l’ultimo treno per tornare a casa” disse Kagome.

“Sì, certo. Però ti volevo chiedere... se dovessi tornare al negozio, ti andrebbe di organizzare per una sera una cena insieme?”

Kagome lo guardò stupita, ma anche divertita.

“Un po’ improvvisa come proposta, non credi?”

“Sì, lo so... ma non farti strane idee, te lo chiedo solo perché mi sembri simpatica, mi piacerebbe conoscerti meglio.”

“Beh... perché no, allora?” rispose la ragazza.

Si guardarono, e sorrisero.

 

FINE

Grazie a chi ha seguito questa storia.

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