Mi chiamo Morte

di Pseudopolis Yard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piacere, Cedric Diggory. ***
Capitolo 2: *** Mi chiamo Black. Sirius Black. ***
Capitolo 3: *** Preferirei che mi chiamaste Sir Nicholas de Mimsy-Porpington. ***
Capitolo 4: *** Albus Percival Wulfric Brian Silente, Ordine di Merlino, Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confed. Internaz. dei Maghi. Qualcuno mi ha chiamato anche Obsoleto Pisq ***
Capitolo 5: *** Li chiamavano Mangiamorte ***
Capitolo 6: *** Quelli del Ministero ***
Capitolo 7: *** Ciao, io sono Gred, il fratello di Forge ***
Capitolo 8: *** Professor Severus Piton, al vostro servizio. Ma anche no ***
Capitolo 9: *** Son Io Lord Voldemort ***



Capitolo 1
*** Piacere, Cedric Diggory. ***




“Piacere, Cedric Diggory.”


Cedric Diggory era nato per essere fondamentalmente un bravo ragazzo.
Aiutava sua madre con i lavori domestici, studiava durante i fine settimana, era il migliore nel gioco di squadra e, incredibilmente, era riuscito a mantenersi modesto malgrado tutto ciò. Durante lo Smistamento al Cappello Parlante erano occorsi approssimativamente tre decimi di secondo per strillare Tassorosso... e, be', non c'era molto altro da dire in proposito.
I Tassorosso erano sostanzialmente bravi ragazzi. Gente contenta. Se avevi problemi finivi a Grifondoro, se creavi problemi finivi a Serpeverde, se il tuo problema erano troppe rotelle nel cervello finivi a Corvonero. Quando lo Smistamento esauriva gli studenti problematici, il resto, ecco, andava a Tassorosso.
Il Capo della Casa di Tassorosso era la più contenta di tutti. Era una donna rotonda e felice che aveva un sorriso anche per i cretini; e di cretini, nella casa dei tassi contenti, per qualche ragione ce n'erano tanti. Zacharias Smith, ad esempio, era un affascinante esemplare di imbecille.
Comunque.
Cedric Diggory era nato per essere fondamentalmente un bravo ragazzo. Un bravo studente, un bravo amico, un bravo figliuolo, un bravo giocatore di Quidditch. E anche un bravo Mago, va'. Per far contenti i suoi genitori aveva studiato, studiato, studiato, e tutto quello studio a qualcosa doveva essere servito: perché quando l'ultima strisciolina di pergamena era scivolata fuori dal Calice di Fuoco – l'ultima, cioè, se non si contava la striscia fuori quota di Harry Potter – c'era stato il suo nome scritto sopra.
Essere Campione del Tremaghi aveva i suoi lati positivi e aveva i suoi momenti no. Questo, ad esempio, sembrava essere un momento molto no.
Faceva freddo. Erano in un cimitero. Non sapevano come c'erano arrivati, men che meno sapevano perché. E, oltretutto...
“Ehi, Harry! Quello era un Anatema che uccide! E' stata una fortuna che mi abbia mancato, eh...?”
HEM.
Qualcuno si schiarì la voce proprio alla sinistra di Cedric. Era uno schiarirsi di voce stranamente riecheggiante. Uno schiarirsi di voce molto... come dire?... solenne.
Cedric si girò e si ritrovò a fissare un'imponente figura ammantata di nero, misteriosamente apparsa dal nulla proprio tra lui ed Harry. Era un'apparizione bizzarramente inquietante; d'altronde, un completo costituito da lungo mantello nero con cappuccio e falce annessa non è pensato per essere rassicurante. C'era anche da dire, certo, che tutto sommato poco di quel che avevano visto quella sera, Sfingi, Mollicci, grossi Schiopodi e via discorrendo, era pensato per essere rassicurante; la figura col mantello, tuttavia, sembrava essere qualche gradino più in su sulla scala della non-rassicurazione.
Una mano scheletrica emerse da sotto l'orlo del manto in questione, lentamente, e indicò verso il basso. A quel punto ci sarebbe stato molto da dire e da chiedere sulla figura, sulla mano, sulla falce: ma il gesto, pur molto garbato, risultava in qualche modo più perentorio di un cartello. Era uno di quei gesti ai quali ubbidisci; non perché tu lo voglia: ubbidisci. E basta.
Cedric guardò verso terra.
La forma afflosciata sul terreno, che fino a quel momento aveva aleggiato indistinta ai margini dell'attenzione di Cedric, assunse tutto ad un tratto ai suoi occhi un'importanza pressoché assoluta.
“Oh...”
GIA'.
Era la figura supina di qualcuno dotato di una faccia estremamente familiare: una faccia che Cedric vedeva tutti i giorni, almeno una volta al giorno. Nello specchio.
“Ehm... uh...” Fu il turno di Cedric di schiarirsi la voce – ma il suono, emergendo da lui, non risultò per niente solenne. “... ah.”
La figura in nero non disse niente.
A Cedric sarebbe piaciuto credere che la somiglianza della sua faccia con la faccia per terra fosse dovuta ad un qualche curioso esperimento con gli Incantesimi di Sdoppiamento; sfortunatamente, era nato per essere un bravo ragazzo, non per essere un ragazzo stupido.
Tutto ad un tratto le possibilità che l'Avada Kedavra l'avesse mancato sembrarono ridursi drasticamente.
“Sono io.”
La figura in nero annuì.
A Cedric ricordò vagamente il professor Piton: e in particolare, il modo in cui questi annuiva (con malcelata soddisfazione, per inciso) quando tu ti accorgevi che la pozione all'interno del tuo calderone non solo non era quella richiesta, ma non c'era più speranza alcuna che lo diventasse. Questa non fu una buona associazione mentale.
Cedric dovette fermarsi e pensarci sopra un istante. L'Avada Kedavra non l'aveva mancato. Ecco, quello non era un concetto che si potesse accettare con la stessa facilità di qualcosa come, che so, oggi piove o hai sbagliato cravatta. La vista del proprio stesso cadavere, decise, meritava almeno un attimo di raccoglimento.
Avrebbe dovuto sentirsene inquietato: dopotutto era il suo corpo, ci aveva convissuto per diciassette serenissimi anni... un tuffo al cuore sarebbe stato ragionevole. Un tuffo al cuore. Uh, ad avercene ancora uno, ecco.
Il fatto era che una parte sempre più grossa di Cedric di minuto in minuto si sentiva sempre meno interessata a quel che era ragionevole e a quel che non lo era. Pensandoci su, sembrava tutto sempre meno... importante.
La figura in nero annuì nuovamente.
E' NORMALE.
Sembrava condividesse con il professor Piton qualcosa di più della capacità di farti sentire cretino con un semplice assenso. Cedric aveva sempre sospettato che l'uomo fosse capace di leggergli nel pensiero – e non era mai stato un sospetto rassicurante.
Si schiarì di nuovo la voce.
“Non sembra così male. Voglio dire... E' stato... Voglio dire... non fa freddo.”
NO.
“Non fa... Non fa neanche male!”
VERO.
“Me l'aspettavo... diverso.”
CAPITA SPESSO.
“Ehm.” Per qualche ragione, sembrava che schiarirsi la voce fosse diventato l'incipit necessario ad ogni sua affermazione. “Uh. Quindi, uhm... tu saresti...”
SI'.
“Oh.”
Un lungo istante di pausa.
“C'è qualcosa, non saprei... che devo fare...?”
NIENTE DI PARTICOLARE. IO SONO QUI PER PORTARTI AVANTI.
Cedric Diggory si guardò le mani: poteva vederci attraverso, scoprì, e continuavano a farsi sempre più trasparenti. Anche il cimitero sembrava offuscarsi gradualmente.
“Be', allora...”
E stava per dire qualcosa sul tono di Si va?, quando il cimitero tornò improvvisamente a fuoco in un'esplosione di luce bianca. Cedric si sentì strattonare indietro e quasi cascò con il sedere per terra.
“Che succede...? Tutto, uh, tutto normale?”
Nel riflesso della luce bianca la Morte in nero sembrava ancora più buia. Sembrava anche, in effetti, vagamente infastidita.
MAGHI. DEVONO SEMPRE COMPLICARE LE COSE.
Cedric sentì il terreno scivolargli da sotto i piedi mentre veniva trascinato indietro, indietro, sempre più indietro, verso la luce: c'era un reticolo di raggi bianchissimi nel mezzo del cimitero, e al suo interno si poteva discernere la figura minuta di Harry e quella di qualcuno molto pallido e dal naso stranamente schiacciato. Tutt'attorno a loro due sembrava in corso una riunione del Club del Mantello Nero.
“E adesso?”
NON C'E' DI CHE PREOCCUPARSI. E' UNA COSA DA POCO.
Cedric si sentì vagamente offeso – dopotutto era il suo trapasso quello che si stava complicando – ma non ebbe il tempo di protestare: uno strattone più forte lo fece schizzare indietro attraverso il cimitero e dritto verso il reticolo.
NON AGITARTI, disse la Morte, rimanendo dov'era. E poi:
CI RIVEDIAMO TRA CINQUE MINUTI.






Note degli Autori: Settecento pagine di Harry Potter e i Doni della Morte e la strage si compie: il lettore è lasciato con un lungo conto delle vittime tra le mani, qualcosa sul genere di ce l'ho, ce l'ho, mi manca, e con una sensazione di perdita inenarrabile.
Ma quello che per noi è un elenco di trapassati, per altri è LAVORO: e se poco si può dire per la morte del quarto personaggio da sinistra della terza scena, per individui di grande importanza si muove LUI, in persona.

Preso a prestito per l'occasione dalle pagine del mai troppo lodato Terry Pratchett, Morte si presta ad una trasferta nell'universo di Harry Potter.
Dopotutto, qualcuno una volta ha detto ha detto che la morte non è altro che l'ultima, grande avventura.

Per gli aggiornamenti, possiamo dirvi solo: vegliate, vegliate, perché non saprete in anticipo né il giorno, né l'ora. E neanche noi, in effetti.

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Capitolo 2
*** Mi chiamo Black. Sirius Black. ***




“Mi chiamo Black. Sirius Black.”


Un colpo di una certa forza contro il petto. Il tempo di provare un fugace disappunto – stava andando tutto così bene, così divertente, proprio come ai vecchi tempi...
“Macheccav...”
E poi la sensazione di essere risucchiato attraverso l'arco oscurato dal Velo. L'istinto gli disse che ciò non era una buona cosa, e con un guizzo Sirius si aggrappò agli ultimi lembi del Velo, cercando di non farsi trascinare via, mentre il vento che lo risucchiava lo teneva sospeso in orizzontale a fluttuare nel vuoto.
Perché lì dietro l'arco sembrava esserci un enorme vuoto.
Aggrappato al Velo come una banderuola, Sirius non vedeva più né pavimento né pareti o soffitto. Solo una sorta di buio molto buio, però profondo. E il vento gli turbinava attorno, strattonandolo e facendo riecheggiare in quello spazio infinito l'ultima cosa che aveva sentito: la risata isterica della pazza cugina Bellatrix.
Aveva sempre avuto una risata piuttosto folle, la pazza Bella, anche quando aveva dieci anni, i codini e un vestitino ricamato a nido d'ape: i codini, anzi, contribuivano solo a rendere più inquietante il tutto. Cygnus Black, nella migliore tradizione dei bravi padri di famiglia (perché anche i Black erano padri di famiglia), aveva cercato di instillare nelle sue figlie un qualche genere di istinto materno regalando a tutte e tre piccoli e graziosi gattini (neri): Andromeda aveva amato e vezzeggiato il suo, Narcissa lo pettinava e lo infiocchettava, Bellatrix li aveva terrorizzati tutti e tre con la sua... hem... peculiare risata.
Sirius si riscosse da quel poco allegro pensiero: al momento la sua priorità era decisamente tornare di là, dove il pavimento era una realtà solida e tangibile. Sirius smise di guardarsi attorno e cominciò ad arrampicarsi lungo il Velo.
Solo, si accorse che ciò a cui stava aggrappato non era il Velo: era un mantello. Un mantello nero che avvolgeva un'alta figura nera incappucciata.
La figura voltò il cappuccio verso di lui: allungò un braccio, afferrò Sirius, e senza alcuno sforzo apparente lo depositò in piedi davanti a sé.
Il vento sembrava essersi fermato e non lo risucchiava più. E sotto i piedi gli sembrava anche di avere un pavimento, ora. Non lo vedeva, ma, dato che non stava precipitando nel vuoto, su qualcosa doveva trovarsi.
Risolte le cose urgenti, Sirius guardò meglio la figura, e si chiese se fosse o meno il caso di alzare la bacchetta: c'era il mantello nero, c'era il cappuccio, ma lui ci avrebbe pensato due volte prima di classificarla Mangiamorte. Una vecchia vocina che se ne stava assopita da un paio d'anni nel fondo della sua testa tirò fuori tutti gli allarmi e cominciò a strillare Dissennatore!, Dissennatore!, pericolo!, Dissennatore! ma... no. Non sembrava neanche un Dissennatore. Immobile e solenne, pareva aver accolto l'arrivo di una persona che si era aggrappata al suo manto trascinata da un vento sovrannaturale come la cosa più normale di questo mondo, con assoluta indifferenza. Un po' come Silente quando aveva il suo sacchetto di Pallini Acidi. O un ghiacciolo al limone. O un'Ape Frizzola. O qualsiasi cosa avesse un tasso di zucchero sufficiente a farlo classificare nella categoria “dolciumi e affini”. Ecco, quello stesso tipo di indifferenza, solo un po' di più.
Un vago sospetto si fece largo nella testa di Sirius.
“Tu non sei un Mangiamorte, vero?”
La figura in nero non aveva una bocca che fosse visibile al di sotto del cappuccio – diamine, sembrava non avere niente al di sotto del cappuccio – ma la voce che risuonò nella stanza fu profonda e potente:
NO.
“Non... Non sei nemmeno un mago, vero?”
NO.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Sono morto?”
NON PRECISAMENTE.
“...mi sembra una risposta un po' vaga”.
LA TUA NON E' UNA SITUAZIONE CHIARA.
La figura incappucciata estrasse una piccola clessidra dalle pieghe del mantello, e la mostrò a Sirius, reggendola tra due dita estremamente scheletriche: sul bordo superiore, in lettere dorate, si leggeva il nome Sirius Black. La maggior parte della sabbia si trovava nella metà inferiore, ma nella metà superiore se ne vedeva ancora qualche granello.
IL TUO TEMPO SI E' FERMATO, spiegò la voce riecheggiante.
Sirius si piegò fin quasi a toccare il vetro con il naso.
“Ma no, vedi? Ci sono ancora dei granelli, sopra!”
SI, MA NON SI MUOVONO.
“... una scrollatina?”
Morte rovesciò platealmente la clessidra: non si mosse un solo granello.
Sirius si schiarì la voce:
“Un fenomeno... hem, interessante...”
La voce della figura suonò niente affatto interessata:
FONTE DI FASTIDIOSE SECCATURE.
I Malandrini avevano fatto una scienza del causare fastidiose seccature al prossimo traendone tra l'altro il massimo del piacere; ma in quel momento Sirius sentì gravare su di sé tutto il peso dell'essere al centro di quella particolare fastidiosa seccatura.
Si grattò la testa e si guardò intorno. Il Velo sembrava così vicino... Sirius sapeva riconoscere a fiuto una situazione dalla quale sarebbe stato meglio allontanarsi in fretta, ma negli anni aveva coltivato più una grifondoresca abitudine a tuffarcisi dentro, in tali situazioni, che non non la necessaria tecnica per evitarle.
Fu per questo che nacque in lui il pensiero di potersela cavare con un po' di disinvolta nonchalanche: dopotutto, era sempre parsa funzionare piuttosto bene con la McGranitt, e se funzionava con la McGranitt...
“Be'...” cominciò, abbozzando un passo verso il Velo, “...quando sblocchi la clessidra....” Altro mezzo passo. “...mandami un gufo, eh?”
Si voltò verso il Velo, e fu molto sorpreso di trovarsi una lama di falce davanti agli occhi. Era abbastanza sicuro di essersi lasciato l'incappucciato tre passi alle spalle, non di averlo esattamente di fianco.
Girandosi verso la figura, ebbe l'impressione che qualunque cosa ci fosse sotto al mantello non fosse irritata. Non sembrava preoccupata. Non sembrava interessata. Non sembrava niente, in effetti, però la falce era lì e sembrava che nessuna forza a questo mondo fosse in grado di scansarla.
“Era una proposta ragionevole,” bofonchiò Sirius.
NO, rispose Morte.
“Non si può proprio fare niente...?”
NO.
“Niente niente niente?”
NO.
Rimasero a fissarsi in silenzio per un attimo.
«Mi potresti venire incontro almeno un po', lo sai?»
NO.
Altro attimo di silenzio, più lungo.
“E dunque?”
IL PROBLEMA DI VOI MAGHI E' CHE VI METTETE SEMPRE A GIOCARE CON COSE PIU' GRANDI DI VOI.
Sirius sentiva di trovarsi perfettamente d'accordo con lui. … con lei. Con qualunque cosa ci fosse dietro il cappuccio, insomma. Ma questo non risolveva il suo problema.
Guardò verso il Velo: da quella parte c'era il suo vecchio amico Remus, e c'era Harry. E forse stavano ancora combattendo e forse avevano ancora bisogno di lui.
Ma quella strada sembrava ormai chiusa.
Però.
...però, facendo due più due (e non era difficile fare due più due: mantello nero, clessidra, falce...), dall'altra parte avrebbe dovuto esserci il suo vecchio amico James. E Lily. E Regulus. E Dorcas e Fabian e Gideon... ma soprattutto James!
E forse poteva raggiungerli!
Certo, c'erano di mezzo ancora quei granelli di sabbia. Piccoli granelli di sabbia. Gli pareva che non fossero comunque molti... Pochi granelli di sabbia. Insignificanti e trascurabili.
“Senti...” iniziò, cautamente, “... hai detto che di là non posso andare, vero?”
NO.
“Allora... dall'altra parte?”
NO.
“Ma non vorrai che resti qui in eterno!”
La figura - che era Morte, ormai anche Sirius lo aveva afferrato chiaramente - non rispose. Percependo una crepa nella sequela dei NO inesorabili, Sirius si affrettò ad approfittarne:
"Risolverebbe il tuo problema. Anche il mio problema, ma soprattutto il tuo problema.” Morte non parlava e il suo silenzio, protraendosi, fece pensare a Sirius che fosse il caso di battere il ferro finché era caldo. “Avanti... non faremmo male a nessuno!"
Morte rimase in silenzio per un lunghissimo, siderale istante, durante il quale Sirius assunse e mantenne l'espressione più innocente e complice che ricordasse di poter avere.
Alla fine Morte levò la falce in un lento, ampio gesto che tradiva una certa rassegnazione.
DOVRO' RIEMPIRE UNO SCAFFALE DI MODULI PER QUESTO.
Sirius sentì il proprio sorriso allargarsi ulteriormente.
Morte vibrò con la falce un leggero colpetto contro la clessidra: gli ultimi granelli scivolarono pigramente verso il basso.
E tutto ad un tratto Sirius si sentì leggero, leggero, senza più una preoccupazione al mondo; mentre lo spazio vuoto e buio attorno a loro cominciava a svanire, la voce di Morte risuonò un'ultima volta.
NESSUNO DOVRA' MAI VENIRLO A SAPERE.
Sirius sorrise in maniera estremamente siriusesca.
"Non lo dirò ad anima viva."






Note degli AutorI: Tremate, tremate, le stregh... uhm... oh, be', le streghe/i son tornate/i.
In una raccolta come questa non si poteva saltare il signor Black: dite la verità, quanti di voi hanno sperato fino all'ultima pagina del settimo libro che non fosse proprio proprio proprio morto, ma solo un po' e un po'...?

E invece, zac.

Come sempre, Morte appartiene al signor Pratchett, Sirius alla signora Rowling, e noi li abbiamo solo presi un po' in prestito. Si accettano scommesse sul prossimo Onorevole Morto!

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Capitolo 3
*** Preferirei che mi chiamaste Sir Nicholas de Mimsy-Porpington. ***




“Preferirei che mi chiamaste Sir Nicholas de Mimsy-Porpington.”


“Questo potrebbe fare un po' male,” disse il boia, con un tono premuroso che suonava alquanto ingiustificato, vista la situazione.
Sir Nicholas de Mimsy-Porpington piegò la testa all'indietro per quanto il ceppo glielo permettesse.
“Voi per caso avete provato?” chiese al boia con estrema cortesia, cercando di trovare, se non altro, un certo qual conforto in un giudizioso uso del sarcasmo.
“Uh? … no!” La sana, solida ottusità del boia filtrò anche attraverso il cappuccio, parlando di una salutare disabitudine al pensiero portata avanti con costanza per anni, e tolse a Sir Nicholas anche le ultime speranze: il Fato, non contento di averlo portato fin lì, lo condannava adesso ad essere giustiziato da un indubitabile cretino.
Sir Nicholas sospirò:
“Perdonatemi: non avrei dovuto chiedere.”
E il boia, desolatamente benevolo:
“Ah, nessun problema, nessun problema...”
La storia non registrò l'ultima, rassegnata espressione di Sir Nicholas che alzava gli occhi al cielo come a chiedere perché?
Poche cose sono peggiori dell'essere in mano ad uno stupido di buone intenzioni; e Sir Nicholas pensò che c'era dell'ironia nel fatto che avrebbe dovuto apprezzare lo sforzo caritatevole del boia che, mentre alzava l'ascia e si preparava a vibrare il colpo, cercava di confortarlo dicendogli con il tono più rassicurante che fosse possibile produrre dietro ad un cappuccio integrale di cuoio nero:
“Sarà questione di un attimo...”

Svariati minuti più tardi, un osservatore di passaggio nel cortile della Torre di Londra si sarebbe trovato di fronte ad una scena piuttosto curiosa.
L'intera corte e gli occasionali amanti di questo genere di spettacoli che si erano di buon mattino radunati per assistere all'esecuzione erano come pietrificati in uno stato di vago, crescente imbarazzo sottolineato dal casuale colpo di tosse che si levava qua e là e dai piedi che strisciavano per terra. Il cancelliere di corte, scelto per quel ruolo anche in virtù della sua straordinaria bravura nell'assumere diverse qualità di espressioni impassibili e di mantenerle a lungo, pur facendo appello a tutte le sue abilità, non sembrava in grado di impedirsi un tremito convulso alla mano serrata attorno al rotolo di pergamena della condanna, sempre più stropicciato. Alle sue spalle, tra l'aristocratico pubblico di frequentatori abituali (la nobiltà ha sempre subito l'ambiguo fascino delle esecuzioni capitali – in special modo di quelle dei propri ex-membri) latitavano gli usuali gridolini delle dame eccitate dal dramma e dal pathos, così come i più tecnici e distaccati commenti dei gentiluomini. La maggior parte di loro stava invece scoprendo in sé un inedito quanto inaspettato interesse per i corvi, le merlature, i dettagli delle finestre, e in generale tutto ciò che si trovasse ai bordi del cortile e a più di due metri e qualcosa da terra. Le guardie non parevano dimostrare una particolare sensibilità allo spettacolo; forse ciò era frutto di una tempra fortificatasi su innumerevoli campi di sanguinose battaglie, sicuro, ma un certo qual peso doveva averlo il fatto che dessero tutte doverosamente le spalle al patibolo, potendo godere in tal modo soltanto del sonoro della scena.
Invece il prete, che aveva accompagnato il condannato fino a un passo dal ceppo, sembrava mantenersi ritto al suo posto solo in virtù di uno smisurato senso del dovere: aveva assunto un'interessante sfumatura verdolina, che si faceva sempre più intensa ogni volta che uno schizzo veniva a decorargli ulteriormente la tonaca nera. Sapientemente piazzatasi, infine, in un angolo discreto e poco appariscente, in penultima fila e opportunamente distante dallo stormo di dame (in tutte le epoche e in tutti i luoghi dotate di un'eccellente vista, di una lingua tagliente e di nessun amore per la privacy altrui), unica nella folla a tenere lo sguardo inchiodato al patibolo, Lady Grieve sedeva su un alto scranno, il viso coperto da un velo pesante che non riusciva tuttavia a mascherare del tutto né la sua espressione di odio feroce, né una bizzarra escrescenza normalmente non riscontrabile su visi umani.
E tutto ciò si svolgeva al suono di un'ascia che si abbatteva ritmicamente, ostinatamente, ossessivamente su qualcosa che avrebbe potuto anche essere legna... se la legna, certo, fosse stata in grado di produrre un suono così bagnato, così... così umidiccio, così... sanguinolento.
Thump, splack. Thump, splack. Thump
Ecco, un osservatore di passaggio si sarebbe trovato di fronte a tutto questo. Ma, per quanto fossero stati acuti i suoi occhi e attento il suo sguardo, nessun osservatore sarebbe mai stato in grado di vedere altre due figure poste ai lati del patibolo: la lattiginosa ombra evanescente del fu Sir Nicholas De Mimsy-Porpington e una figura in nero dall'aspetto particolarmente inquietante se ne stavano lì ad osservare il protrarsi dell'esecuzione.
Sir Nicholas si schiarì la voce. Aveva la vaga percezione di non aver più bisogno di farlo, ma certe vecchie abitudini sono dure a morire.
“Credete che andrà avanti ancora per molto...?”
Il boia, ignaro della conversazione in corso, stava facendo del suo meglio per rimuovere la sfortunata testa di Sir Nicholas dal resto delle sue altrettanto sfortunate spoglie. Thump, splack. L'ascia si alzava e si abbatteva, ma qualcuno doveva essersi dimenticato di affilarla anche solo un pochino: mentre Sir Nicholas stava a guardare, l'ennesimo schizzo di sangue centrò il prete, che barcollò, si fece giallino in viso, ma coraggiosamente resistette.
Thump, splack.
Sir Nicholas si lasciò sfuggire un penoso sospiro sconsolato.
Morte, in piedi accanto a Sir Nicholas, allungò una mano scheletrica e gliela posò sulla spalla. Generalmente le mani scheletriche non sono fatte per essere rassicuranti; ma Sir Nicholas seppe apprezzare il gesto comunque.
Scosse lentamente la testa e agitò un braccio in un gesto vago verso il patibolo:
“Non è tanto l'esecuzione di per sé...”
Un attimo di silenzio.
“Voglio dire, può capitare di venire giustiziati, è sgradevole, non piace a nessuno, ma può capitare. E' che finire in mano a un simile imbecille...” Il viso di Sir Nicholas si contrasse in una smorfia, la voce contratta ad un falsetto mentre sbeffeggiava: “Potrebbe fare un po' male…!
Thump, splack.
Ma Sir Nicholas riprese poi una qual certa compostezza inglese: essere morti non è, dopotutto, una buona ragione per cedere a comportamenti da popolani.
“Quel che davvero mi infastidisce...” si rivolse a Morte, “... è vedere un lavoro che sembra fatto coi piedi. Non siete d'accordo?”
EMETTERE GIUDIZI NON RIENTRA TRA I MIEI COMPITI.
“Eppure oserei supporre che nessuno sia più qualificato di voi, qui, per farlo. Parliamo di quell'ascia: non credo d'esagerare se dico che è affilata quanto un martello...”
DEVO AMMETTERE CHE IO MI SAREI ORGANIZZATO DIVERSAMENTE.
Thump, splack.
Fu a quel punto che un colpo d'ascia più energico degli altri provocò uno schizzo che si levò a centrare l'immacolata e curatissima barba del Cancelliere. Questi sollevò due dita e, con estrema lentezza, se le portò a toccarsi la barba: il grumo di sangue gli rimase incollato alle nocche e il Cancelliere lo fissò con espressione vacua.
Qualcosa nella sua testa sembrò improvvisamente rimettersi in moto; si schiarì a sua volta la voce e apostrofò cautamente il boia:
“Così può bastare.”
Il boia si bloccò con l'ascia a metà di un'oscillazione e alzò la testa verso il Cancelliere. Nonostante il cappuccio, la sua perplessità era evidente.
“Ma è ancora un po' attaccata.”
La voce di Sir Nicholas grondava sarcasmo, ed era un peccato che nessuno a parte Morte potesse sentirla:
“E' proprio così importante?”
Era chiaro che il Cancelliere avrebbe dato davvero molto per non vedere un altro colpo d'ascia. Anzi, avrebbe dato ancora di più per dimenticare di averne visto anche solo uno. Si rivolse quindi al boia con la sua espressione più rassicurante:
“Credo che sia morto comunque.”
Il boia abbassò l'ascia (thump!) e si grattò la testa sotto al cappuccio con atteggiamento evidentemente dubbioso.
“Se lo dite voi...”
Sir Nicholas si sporse ad esaminare quel che era stato lui stesso. Scosse la testa con aria sempre più sconsolata.
“Un lavoro fatto coi piedi, e neanche finito...”
Il Cancelliere fece un cenno verso il portone, e i becchini si avvicinarono solleciti, portando la cassa. La posarono a fianco del patibolo, e constatarono che il cadavere, così com'era, si poneva in contrasto con la consolidata tradizione delle buone decapitazioni, che permettevano ai bravi addetti alle pompe funebri di risparmiare buon legno e di voltare più facilmente le curve. Lo sguardo che rivolsero al boia diceva che disapprovavano fortemente il fatto di doversi andare a prendere una cassa più lunga. Il boia non poté che rispondere alzando le spalle e allargando le braccia, come a dire: “Io avrei anche continuato...”.
Sir Nicholas osservò quel che era stata la sua testa ciondolare appesa a una strisciolina di pelle e tendine, giusto quel che bastava a non farne un corpo decapitato a puntino.
“E l'ha tirata anche per le lunghe! Quanti colpi saranno stati? Dieci... venti...?”
QUARANTACINQUE.
Sir Nicholas rimase pietrificato per un attimo. E poi, girandosi verso il boia:
Sarà questione di un attimo… Un attimo un accidente, incompetente bifolco!”
Mentre i becchini si allontanavano in cerca di una nuova cassa, Morte si rivolse a Sir Nicholas:
SAREBBE ORA DI ANDARE.
L'annuncio parve in grado di far passare rapidamente Sir Nicholas dal suo stato di virtuosa indignazione ad uno di vago allarme:
“Andare? Andare dove, prego?”
AVANTI.
“Adesso...? Di già...?”
NON C'E' NESSUN MOMENTO COME IL PRESENTE.
“Voi dite?” chiese Sir Nicholas, confuso.
NON IO.
Sir Nicholas si guardò intorno con aria spaesata, come in cerca di supporto. In quel momento gli pareva tutto stranamente attraente: il cielo, gli uccellini, le guardie nel cortile... Lady Grieve e la sua zanna... che non era poi così grossa e non ci sarebbe stata proprio ragione di arrabbiarsi a quel modo, per una simile minuzia, dopotutto era un errore che sarebbe potuto capitare a chiunque, proprio a chiunque
E poi era stato tutto così rapido, la storia della zanna, l'arresto, il processo, l'esecuzione... be', quella avrebbe forse potuto esserlo un po' di più… che Sir Nicholas non era certo di sentirsi adeguatamente preparato a quello che tutti sentivano come un passo determinante nella propria vita... morte... insomma, ci siamo capiti. Avrebbe voluto avere un altro po' di tempo...
Sir Nicholas non aveva aperto bocca, ma Morte sembrava sapere quello a cui stava pensando.
TUTTO IL TEMPO DEL MONDO NON BASTEREBBE.
Sir Nicholas rivolse a Morte un'occhiataccia e ritentò con quel giudizioso uso del sarcasmo che con il boia era andato sprecato:
“Parlate per esperienza personale?”
NO.
Sir Nicholas De Mimsy-Porpington provò la sensazione più brutta per qualsiasi aristocratico di questo mondo (e anche dell'altro): quella di aver detto qualcosa di sconveniente. Si schiarì la voce a disagio e si guardò nuovamente attorno.
“Ad ogni modo...” ritentò Sir Nicholas dopo un attimo di imbarazzato silenzio: “... sento che non mi dispiacerebbe rimanere qui. In qualunque forma. So che mi capite...”
ESSERE UN FANTASMA NON E' POI QUESTA GRAN COSA.
“... e tuttavia...”
Sir Nicholas fissò Morte con aria speranzosa. La figura in nero rimase immobile e silenziosa per un lunghissimo istante, prima di affermare, in una certa qual maniera definitiva:
SONO CERTO CHE VI TROVERETE IN BUONA COMPAGNIA.
Sir Nicholas si sentì rinfrancato. Era ancora lì. Sarebbe rimasto ancora lì. Certo, non come prima, ma tutto sommato... Come mago, i fantasmi non erano una realtà nuovissima. Era sicuro che si potesse fare una buona vita, da fantasma. Ehm. Morte. Insomma, quello.
Mentre Morte si girava e sembrava sul punto di andarsene, Sir Nicholas gli si rivolse con tutta la cortesia di questo mondo:
“Suppongo ci rivedremo tra qualche tempo, allora...”
Morte si fermò.
Si girò, molto lentamente, e disse:
IL TEMPO HA UN'IMPORTANZA ESTREMAMENTE RELATIVA.
Detto ciò, si volse e Sir Nicholas lo vide scomparire.

Sir Nicholas rimase nel cortile mentre il nobile pubblico iniziava a lasciare il cortile – camminando in lunghi giri il più lontano possibile dal patibolo. Il prete venne rianimato con uno spruzzo d'acqua e mandato per la sua strada e i becchini tornarono con una cassa della lunghezza appropriata. Più o meno. Fu necessario contrarre un po' le gambe dell'illustre defunto e storcergli un po' la testa da una parte per farcelo entrare del tutto, ma la testa pareva disposta a collaborare attivamente allo scopo e, come commentò uno di essi, dopotutto a chi importava...?
A Sir Nicholas importava, e rimase a guardare depresso il proprio indegno feretro allontanarsi.
E adesso...?






Note degli Autori: Heilà! Chi non muore si rivede, eh?
Ci dispiace per chi aveva votato Silente, ma Sir Nick è indubbiamente arrivato prima, e in fondo si meritava un po' di considerazione dopo sette libri da comparsa.

Prima di salutarvi con i consueti ringraziamenti vogliamo invitarvi a tener d'occhio la pagina del fandom domani sera attorno alle 22: il Missing Moment Quest sta arrivando! Cos'è? Non ve lo diciamo, venite a vedere domani sera!

Quanto a noi, un sacco di personaggi muoiono dalla voglia di comparire in questa raccolta, l'elenco è ancora lungo da morire, ma un po' di attesa non li ucciderà. Ci ha già pensato qualcos'altro.
Con tanti ringraziamenti a voi che leggete, e sappiate che se ci lasciate un commento ve ne saremo mortalmente grati.

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Capitolo 4
*** Albus Percival Wulfric Brian Silente, Ordine di Merlino, Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confed. Internaz. dei Maghi. Qualcuno mi ha chiamato anche Obsoleto Pisq ***




“Albus Percival Wulfric Brian Silente, Ordine di Merlino, Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confed. Internaz. dei Maghi. Qualcuno mi ha chiamato anche Obsoleto Pisquano.”


Il parco di Hogwarts era considerato dalla comunità magica europea nella sua totalità uno dei paesaggi più ameni di tutta la Scozia, e pochi erano i maghi inglesi che, tornandovi per una visita, non provassero la sensazione struggente di sentirsi a casa, di ritornare giovani, passeggiando per i suoi sentieri. In estate il drappo fitto d'erba verde ingentilito dai fiori azzurri dell'erica abbracciava la base chiara delle mura del castello, velate di muschi e di licheni che, con la bella stagione, prendevano il colore dell'oro. Il lago era una lastra d'argento visibile da tutti i punti del parco, e a camminare verso le colline si incontrava una distesa di papaveri e margherite che non appassivano che in autunno inoltrato. In inverno il parco di Hogwarts era bello, bellissimo e magico, circondato dagli alberi della Foresta Proibita che la neve e i ghiaccioli trasformavano in una quinta teatrale di forme fantastiche, e il cielo si rifletteva nel lago come in uno specchio, ma era in primavera che, davvero, il paesaggio dava il meglio di sé. Certo, di notte i colori si attutivano un poco, quel verde e quel rosso e quel bianco che diventavano tutto ad un tratto, be', blu, e le mura non erano poi tanto chiare, la notte, il lago nel buio si vedeva a malapena, e l'effetto di magico abbraccio con cui il parco ti circondava durante il giorno si attenuava notevolmente. Ma, tutto sommato, ciò forse era un bene, visto il cadavere che quella sera si era aggiunto alla scena.
“Che sfortunata circostanza,” osservò Silente. “La professoressa Sprite ha sempre avuto grande cura per quell'aiuola di peonie alla base della torre. Erano una gioia per gli occhi. Sembrava che l'impatto avesse prodotto un danno limitato, ma adesso le stanno calpestando tutti.”
Morte annuì. Sapeva apprezzare il valore di una buona aiuola di peonie.
“Povera Pomona,” sospirò Silente.
Dal parapetto della Torre di Astronomia le due figure osservavano la folla assieparsi ai piedi delle mura attorno al cadavere scomposto, una macchia più scura sull'erba nera. In lontananza crepitava il rogo della capanna di Hagrid e dal basso giungevano fin lassù le voci e il suono dei primi pianti.
“Oh, cielo, poveri ragazzi. Questo spettacolo avrei voluto davvero risparmiarglielo.”
SONO GIOVANI, SAPRANNO REAGIRE.
“Minerva e Filius tanto giovani non sono...”
Morte non replicò.
Malgrado il buio e la distanza, Silente era in grado di distinguere perfettamente la figura diritta della McGranitt, ora in piedi vicino al cadavere.
“Povera Minerva... “
E quello chino sul corpo doveva essere Harry.
“Povero Harry...”
E quello lì accanto non poteva che essere Hagrid, il buon Hagrid, così sensibile, i cui ululati di tristezza arrivavano chiaramente fino in cima alla torre. E la sua casa stava ancora bruciando.
“Povero Hagrid...”
Povera Minerva, povero Harry, povero Hagrid: le preoccupazioni che avevano tanto angustiato Silente ora sembravano essergli scivolate via dalle spalle, ricadendo con precisione, poteva immaginarlo, su quelle dei vivi. Visto dopo un Avada Kedavra, tutto pareva più semplice: erano quelli che stavano giù, alla base della torre, che ancora ignoravano la quantità e la qualità delle fregature che correvano loro incontro di gran carriera. Poteva quasi sentirle, mentre si libravano da lui per precipitarsi verso il basso, puntando decise i loro nuovi bersagli. Doveva essere certamente un riflesso del suo nuovo stato, quel sentirsi molto più distaccati, indifferenti quasi, riguardo a cose che avevano pur avuto grande importanza fino a due minuti prima; fior di scrittori avevano versato fiumi d'inchiostro, dopotutto, sulla caducità delle vanità umane. Niente come la morte dovrebbe liberarti dai pensieri della vita.
Ci fu un attimo di silenzio, mentre Silente meditava.
Suddetta mediazione fu tuttavia di breve durata: Silente aveva sempre avuto una strisciante e patologica necessità di avere il controllo della situazione, e anche ora che la situazione non era più umanamente controllabile questa sua pulsione si faceva sentire di secondo in secondo più forte. C'era, tutto considerato, lì con lui un potenziale interlocutore dei più affascinanti. Quello era Morte. Ultraterreno, eterno e ubiquitario, indefinibilmente antico, migliaia e migliaia, milioni di anni, di vite, di conoscenze passate, presenti.... future!
Persone ben meno curiose di Silente avrebbero e avevano ceduto alla tentazione di porre qualche domanda. Dopotutto lui aveva passato metà dell'ultimo secolo a scoprire trame, intessere trame, intralciare, dipanare, confondere trame. Tramare trame. Tutto per la fine di quella guerra, ovviamente.
Perciò si girò verso Morte e cominciò con disinvoltura:
“Dunque...”
Il cappuccio di Morte si volse verso di lui.
“Non vorrei sembrare indiscreto ma... dopo tutti questi anni di lavoro, di sforzi...”
Morte non disse nulla.
“Le energie di tutta una vita sono andate in questa battaglia...”
Il silenzio di Morte suonava particolarmente neutro mentre questi attendeva che si giungesse al dunque.
“Insomma,” concluse Silente. “Sarebbe per me un indicibile sollievo essere rassicurato sulle sorti di di questa guerra.”
Silente non era il primo ad aver passato una vita a tessere trame: individui del genere si dimostravano spesso restii a permettere che un piccolo, anche se inevitabile, incidente di percorso come la propria dipartita interrompesse definitivamente tale stimolante attività. Morte si sentiva porre da millenni domande sul futuro di questa o quella persona, città, regno, battaglia, guerra, nobile impresa, tutte certamente degnissime e meritevoli... agli occhi di chi poneva la domanda, sicuro. E da millenni lui rispondeva, fedele al proprio ruolo, in uno e un solo modo:
AVVERRA' CIO' CHE E' SCRITTO.
E questa era una verità inoppugnabile, interpretabile a piacimento da chiunque volesse cercare in questa risposta un minimo di soddisfazione. Silente, tuttavia, aveva a sua volta un'esperienza quasi secolare nell'indagare, esaminare e gestire tre precise entità, politici, Maghi Oscuri e adolescenti, che avevano in comune poco se non una spiccata tendenza, se interrogati, a non rispondere mai in maniera diretta. Di conseguenza non si lasciò scoraggiare:
«Per l'appunto, essendo ciò che è scritto, sarei davvero curioso.»
NON CREDE CHE SIANO STATE DATE GIA' TROPPE SBIRCIATE AL FUTURO IN QUESTA STORIA? VOI MAGHI L'AVETE COME ABITUDINE, MA NON FATE ALTRO CHE GENERARE CONFUSIONE.
«Una cosa ormai oltre le mie possibilità, non trova?»
NON CREDA CHE NON SAPPIA DEI QUADRI DEL SUO EX UFFICIO.
«Oh, ne è al corrente? Mi scusi. Deve perdonare le debolezze di un vecchio...»
Sembrava che la situazione alla base della torre fosse un poco meno caotica: Minerva aveva cominciato a indirizzare gli studenti verso i portoni del castello, e qualcuno stava facendo levitare il corpo sui gradini della scuola. Anche i singhiozzi di Hagrid – che risuonavano sopra tutti gli altri – si erano affievoliti.
Quando anche l'ultimo degli studenti fu rientrato e il portone si chiuse alle spalle della folla, nel nuovo silenzio fu Morte, stavolta, a parlare per primo:
LEI HA QUALCOS'ALTRO DA CHIEDERMI.
Non suonava come una domanda e Silente non la prese come tale:
“Supponiamo che tutto vada come è possibile che vada...”
Morte non reagì in alcun modo.
“Se così fosse, ci sono alcune cose delle quali mi piacerebbe parlare con il signor Potter. Lei pensa che potrebbe verificarsi la possibilità di un incontro?”
SE TUTTO ANDASSE COME SAREBBE POSSIBILE CHE ANDASSE, rispose Morte molto, molto lentamente, LA POSSIBILITA' POTREBBE VERIFICARSI.
Non era neanche lontanamente un , ma non era nemmeno un no. Se c'era una cosa che l'esperienza aveva insegnato a Silente era che le probabilità che un improbabilmente forse si verificasse erano di gran lunga superiori a quelle che si verificasse un quasi certamente sì: era una di quelle leggi delle probabilità che non avevano senso... però ne avevano (1).
Nella notte si levò da qualche parte un canto di fenice. Morte si girò verso Silente; e se la sua non fosse stata una voce disincarnata e tecnicamente inespressiva, si sarebbe detto che suonava perplessa:
MI TOLGA UNA CURIOSITA': MA, A LEI, COMPLICARSI LA VITA NON E' BASTATO?






(1) "Secondo gli scienziati, le probabilità che esista davvero qualcosa di tanto patentemente assurdo sono di una su un milione.
Secondo i calcoli di alcuni maghi, invece, capita una volta su dieci che si verifichino probabilità di una su un milione."
(T. PRATCHETT, "Morty l'apprendista")


Note degli AutorI: Salve! Siamo di nuovo qui! Dite la verità, morivate dalla voglia di leggere un altro capitolo, eh? Alla fine abbiamo deciso di non star lì a far troppo i difficili: l'obsoleto pisquano era stato il più votato alle ultime nomination, ed eccolo a voi. I vostri compiti per casa consistono nel rammentare/scoprire perché lo chiamiamo obsoleto pisquano. Non occorre che veniate a riferircelo, noi lo sappiamo già (scusateci, in questo momento abbiamo addosso il Magico Medaglione della Boria Tracotante: +5 alla Spocchia).
Come sempre, degneremo della nostra graziosa e sovrana attenzione le inevitabili parole di entusiastico commento che non potrete fare a meno di lasciarci (Ok, è meglio se andiamo a toglierci questo medaglione).
Ringraziando ancora chi ci ha lasciato un'opinione sui capitoli precedenti, vi salutiamo festosi.
Al prossimo morto!

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Capitolo 5
*** Li chiamavano Mangiamorte ***




“Li chiamavano Mangiamorte”


Nell'aria aleggiava quel caratteristico odore che normalmente annuncia il passaggio della bistecca dallo stadio di bistecca davvero ben cotta a quello di uh, guarda, carbone. Lui non aveva mai avuto una particolare predilezione per i barbecue, e non sarebbe stata questa esperienza quella che l'avrebbe spinto a cambiare opinione in proposito.
“Gira il mondo, diceva mamma. Incontrerai persone interessanti, diceva mamma. Ti farai un sacco di nuovi amici, diceva mamma.”
SUPPONGO PENSASSE CHE SARESTI STATO CAPACE DI BADARE A TE STESSO.
“Ti darò il potere, diceva lui. Cadranno tutti ai tuoi piedi, diceva lui.”
Ai suoi piedi, più che altro, c'era soltanto il suo stesso cadavere. La faccia non era precisamente in buone condizioni: avete presente la bistecca di cui sopra? Ecco.
“Nessuno potrà opporsi a te, diceva lui.”
Il ragazzino pareva dormisse, così carino, così innocente, tutto raggomitolato con le manine attorno alla testa. L'avrebbe preso volentieri a calci, il maledetto, molesto quattrocchi ficcanaso.
“Usa il ragazzo, diceva lui. Afferralo, diceva. Eh, non erano mica sue le mani!”
Quirinus Raptor lanciò un'ultima, depressa occhiata a quell'ammasso di vesciche e bruciature che era stata la sua faccia. La sua povera faccia. Poteva non essere stata la faccia più bella del mondo, ma, per Merlino, a lui era piaciuta. Era stata la sua faccia.
Scosse il capo con aria sconsolata e Morte gli posò una mano sulla spalla.

* * *



Di Gibbon non si poteva dire che fosse mai stato l'uomo di punta di qualche organizzazione; il suo ruolo naturale era più il gregario di seconda linea. Quella sera non era compito suo uccidere Silente: la sua parte nel piano prevedeva solo salire le scale, sbucare in cima alla torre, lanciare il Marchio Nero, ridiscendere le scale, riunirsi agli altri Mangiamorte.
Evitare un Avada Kedavra lanciato da quell'invasato di Thorfinn Rowle, invece, non faceva parte del piano.
“Dannazione, Rowle! L'ho schivato per un soffio, l'ho schivato, mi ha mancato di tanto così, idiota! Che cos'è, volevi uccidermi?”
E la figura incappucciata accanto a lui – che non era stata lì fino ad un momento prima, non c'era stata – si girò, lo guardò e disse:
SONO CERTO CHE NON L'ABBIA FATTO APPOSTA.

* * *



Cinque minuti più tardi erano ancora tutti lì, tranne Lucius Malfoy e Bellatrix Lestrange, che almeno un talento in più di altri lo avevano: sapevano scappare meglio. C'era chi piagnucolava deluso, chi protestava, sentendosi tradito, chi, prendendola tutto sommato con filosofia, si ripeteva che sarebbe potuta andare peggio, chi ancora non aveva afferrato bene tutta la dinamica dell'evento e si guardava intorno un po' spaesato ma ancora speranzoso. William Magpie stava battendo piccole pacche confortanti sulla schiena di Jeremiah Grumbler, ripetendogli con tono gentile:
“Ma lo sai com'è fatto... Non ce l'aveva proprio con te... No, non è qualcosa che hai fatto tu... E' capitato, eravamo solo nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo.”
Nel mezzo della stanza, un folletto dall'aria avvilitissima stava considerando che il vecchio detto “mal comune, mezzo gaudio” si stava rivelando un'emerita corbelleria. L'abbondante compagnia nella quale si trovava non lo confortava minimamente; leggermente più confortante poteva essere il pensiero che, in fondo, tutto considerato, in tanti anni di onorato servizio come responsabile delle Pubbliche Relazioni della Banca con gli Umani, questa era solo la prima rogna seria: a rovinare la sensazione di conforto era la certezza che sarebbe stata anche l'ultima.
Beatamente ignaro di questa piccola folla di ombre, della cui creazione era interamente responsabile, Lord Voldemort si aggirava avanti e indietro per la stanza male illuminata, scavalcando occasionalmente un cadavere e bofonchiando di coppe, anelli, Horcrux e altre amenità. Di tanto in tanto passava, inconsapevolmente, attraverso una delle ombre in questione, che in genere si ritraeva offesa.
Perfettamente a suo agio in mezzo a questa congrega di Mangiamorte neo-deceduti, Morte fece sentire la propria voce:
SIGNORI, SE CORTESEMENTE VOLESTE SEGUIRMI, SAREBBE ORA DI ANDARE.
Una delle ombre più vicine alzò verso Morte due occhi lacrimevoli e disse, con voce tremula:
“Non ci posso credere. Dopo tanti anni di fedele servizio, di duro lavoro... mi ha ucciso!”
BE', disse Morte, chinandosi verso di lui, PROVI A CONSIDERARLA SOLTANTO UNA FORMA MOLTO DEFINITIVA DI LICENZIAMENTO.





Note degli AutorI: Buon anno!
Riemergiamo dal coma post-festeggiamenti apposta per pubblicare questo nostro piccolo, modesto omaggio a quegli umili e dimenticati lavoratori del lato oscuro, anonimi operai del male sulle cui schiene poggia il dominio dei Cattivi con la 'C' maiuscola.
Diciamoci la verità: chi di voi ha pianto una sola lacrima per il Professor Raptor? Eppure ha l'indubbio onore di essere il primo Morto In Diretta di una saga che ne produrrà parecchi...
E che dire del povero Gibbon! Chi di voi ha anche solo notato la morte del povero Gibbon?
Due righe, ventiquattro parole. Questo è il suo spazio nella saga. HP6, pag 553, righe dalla 19 alla 21. Giusto per dire che è morto per niente, ucciso da fuoco amico. E il suo nome lo veniamo a sapere solo dopo, per caso, giusto perché Remus Lupin ha una buona memoria per i dettagli.
Quanto all'ultimo pezzo: chi di voi almeno si ricordava che c'era stata questa piccola allegra strage?
Avrete pensato: “L'unico Mangiamorte buono è un Mangiamorte morto, e torniamo a occuparci di cose serie”, eh?
Ne approfittiamo per festeggiare con voi un anno dalla stesura del primo capitolo di questa raccolta. Se vi è avanzato un po' di spumante da ieri, questo è il momento di usarlo. Ringraziando, come sempre, tutti coloro - tuuuuuuuuutti coloooooooooro - che si fermeranno a lasciarci un'opinione, vi rinnoviamo i nostri più sentiti auguri per un felice 2013.
AUGURI.

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Capitolo 6
*** Quelli del Ministero ***




“Quelli del Ministero”


Morte trovò Broderick Bode seduto su una seggiola del reparto Lesioni da Incantesimo del San Mungo, corsia quarantanove: aveva le braccia incrociate sul petto, un'espressione estremamente corrucciata stampata sulla faccia e circa tre metri di tentacoli di Tranello del Diavolo arrotolati attorno al collo. Il resto della pianta – tutto quello che Bode non era riuscito a strappar via nell'ultimo, disperato tentativo di non farsi strangolare – era ancora avvolto attorno al suo cadavere sul letto.
Morte gli si fermò di fronte e considerò la situazione per un momento. Un lungo dito ossuto si sporse ad indicare il lungo tratto di tentacolo evanescente che penzolava dal collo di Bode.
IMMAGINO CHE QUELLA VOGLIA PORTARLA VIA CON SE'.
Broderick Bode alzò la testa e lo guardò malissimo.

* * *



Quando vivi una vita come quella di Alastor Malocchio Moody, metti in conto che è così che potresti finire. In effetti, è così che probabilmente finirai. Alastor Moody aveva da tempo fatto pace con l'idea che non sarebbe morto nel suo letto. Certo, difficile prevedere precisamente di poter morire precipitando da una scopa a trecento e rotti metri da terra nel bel mezzo del Buckinghamshire, piantati in asso a crepare da soli sulla suddetta scopa da quella lurida zecca rognosa, vigliacca, inutile e inaffidabile di Mundungus Pesca-Nel-Torbido Fletcher.
Comunque, sapeva che sarebbe potuto succedere.
Considerazioni sulla plausibilità di un eventuale decesso inaspettato e violento a parte, la prima cosa a cui Alastor pensò aprendo gli occhi e trovandosi di fronte un'alta figura incappucciata e vestita di nero fu, ovviamente
“MANGIAMORTE!”
seguita da uno Schiantesimo.
Perché l'abitudine di una vita è dura a morire.
Lo Schiantesimo attraverso la figura, apparentemente senza causarle danno alcuno. Fu a quel punto che Alastor, superato il primo e sempre salutare istinto, notò la falce e si permise alcune riflessioni: il dipanarsi delle quali lo portò a guardarsi intorno in cerca di... in cerca di...
Eccolo lì. Mezzo dentro uno stagno, mezzo fuori, un piede rimasto senza uno stivale, sbalzato via dall'urto, le braccia spalancate e l'occhio blu che gli girava ancora nell'orbita. C'erano posti peggiori in cui il tuo cadavere poteva finire, ma non molti.
Morte si avvicinò ad Alastor. Lui sollevò la bacchetta e gliela puntò contro – l'abitudine di cui sopra.
VIGILANZA COSTANTE?
Alastor abbassò la bacchetta.
“La prudenza non è mai troppa.”
Morte gli posò una mano ossuta sulla spalla.
FORSE E' ORA DI RILASSARSI UN PO'.

… nel frattempo, giusto un po' più in là



Edvige aveva viaggiato spesso chiusa nella gabbietta trasportata da Harry. Ma quello era decisamente il viaggio peggiore che avesse mai fatto. Il vento, gli scossoni, il rombo … e poi quell'accecante lampo verde.
Morte dei Ratti[1] aveva cercato di declinare quell'incarico giunto all'ultimo momento, ma chi lavora alle dipendenze del Fato ha voce in capitolo solo fino ad un certo punto. D'altronde Morte era già altrimenti occupato, e certo questo non era un incarico alla portata di Morte delle Pulci (ha ha ha).
Edvige non era abituata a vedere topi avvolti in mantelli neri o che portassero con se una falce. Era anche un topo piuttosto magro, anzi, scheletrico. Ma erano dettagli sui quali un rapace poteva sorvolare, se era sostenuto da un appetito sufficiente.
Lo sguardo della civetta diceva a Morte dei Ratti che, lungi dal crucciarsi per la propria dipartita, l'uccello stava valutando la possibilità di un rapido spuntino. Decisa a stroncare sul nascere ogni equivoco, si disse che se l'approccio con tono deciso e mano ferma funzionava con i cani e i bambini, poteva funzionare anche con le civette morte.
Piantò il bastone della falce a terra, si erse per tutta l'altezza dei suoi quindici centimetri, gonfiò il petto ed esclamò in tono perentorio:
“SQUITT!”





[1] Non ce la siamo inventata, esiste davvero! Uscita anch'essa dalla penna di Terry Pratchet (possa non esaurire mai il suo inchiostro), potete leggere della sua comparsa in “Il Tristo Mietitore”. (Né Pratchett né la Salani ci allungano un euro per questa pubblicità, ma riteniamo sia uno di quei libri che non devono mancare nel bagaglio culturale di una persona dabbene). Torna alla storia




Note: Abbiam fatto una terna di cattivi di secondo piano, il karma vuole che ne facciamo una di buoni. Possibilmente di buoni di secondo piano.
Ecco, sì, magari Malocchio non è proprio di secondo-ondo-ondo piano. Edvige anche meno. Bode però è secondissimo.
Qualcuno obietterà che non ci siamo occupati, per esempio, di Ted Tonks. Perché, voi avreste voglia di ridere pensando alla morte di Ted Tonks? Ma non vi vergognate?
Ecco, trovarne di secondissimo piano sui quali venisse voglia di scherzare è stato stranamente difficile.
Che poi, ammettetelo, avete pianto molto più per Edwige che per Alastor, dite la verità.
Oggi siamo in vena di grandi promesse: vi promettiamo che i prossimi aggiornamenti arriveranno in molto meno tempo di quello trascorso tra il precedente capitolo e questo.
Non ci meritiamo una torta di commenti solo per questo?
*__*   *__*

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Capitolo 7
*** Ciao, io sono Gred, il fratello di Forge ***




“Ciao, io sono Gred, il fratello di Forge”


“Hai davvero fatto una battuta, Perce... l'ultima che ti avevo sentito fare era...”

Ricordarsi a quando risalisse la famosa ultima battuta di Percy aveva improvvisamente perso d'importanza a confronto della necessità di schivare il muro che qualcuno aveva deciso di fargli cadere addosso, e di schivarlo in fretta, anche.
“E che cavolo,” esclamò, mentre una nuvola di polvere e frammenti invadeva il corridoio. “Ho capito che Perce ha fatto una battuta, ma non è che debba venir giù tutto per questo...” In quel mentre la polvere, diradandosi, cominciò a scoprire una figura riversa per terra e l'ultima sillaba di quel questo si perse in un “Oh.” imbarazzato.
Il suo primo pensiero fu che si trattasse di George: ma il corpo per terra aveva entrambe le orecchie.
Momento di sollievo: ehi, non è George.
Fine del sollievo: ehi, sono io.
Cacca. Molta, molta, molta cacca.
Qualcuno – uno dei suoi fratelli, a giudicare dalla capigliatura – stava abbracciando convulsamente il corpo in mezzo alle macerie. Ehi, questo era George. Cacca di nuovo.
SUCCEDE.
Accanto a Fred si era materializzata un'alta figura nera, incappucciata e munita di una lunga falce. Fred guardò la falce, guardò il cappuccio. Non ci voleva un genio per fare due più due, e sette interessanti anni ad Hogwarts gli avevano permesso di sviluppare un'istintiva e molto utile capacità di capire al volo le situazioni per togliersi in tempo da quelle problematiche.
Aveva il sospetto che in questo caso il momento del in tempo fosse passato un quarto d'ora prima.
Lui e la Morte se ne stettero per un lungo minuto in silenzio uno accanto all'altro, guardando George e il fu-Fred sul pavimento.
Alla fine, Fred si schiarì la voce:
“Questo si potrebbe chiamare morire dal ridere,” disse, accennando un sorriso.
Fece anche per dare di gomito alla Morte, ma ci ripensò a metà del gesto. Il gomito venne riabbassato speditamente.
Pur avendo un viso tecnicamente privo di sopracciglia da inarcare, Morte rendeva l'idea perfettamente. Fred ebbe uno sgradevolissimo deja vu di uno dei migliori sopraccigli inarcati del professor Piton: uno di quelli che ti spiegavano, senza bisogno di parole, che quel che avevi appena detto dimostrava che eri un imbecille.
Spinto dall'impulso del momento, Fred aprì bocca per chiedergli se conoscesse Piton e se fosse stato lui ad insegnargli il trucchetto del sopracciglio. Poi la richiuse: un sopracciglio alzato era più che sufficiente.
Morte piegò il capo verso di lui:
C'E' QUALCOSA CHE VORRESTI CHIEDERE?
Fred alzò entrambe la mani e scosse energicamente la testa:
“A posto così, grazie.”






Note degli AutorI: Salve! Sapete che giorno è oggi?
E non rispondeteci “due giorni dopo Halloween” perché vi togliamo il saluto.
Se c'è un giorno dell'anno in cui dovevamo pubblicare qualcosa, è oggi. È venuto un capitolo corterello, ne siamo coscienti, ma proprio non riuscivamo a prolungare la scena. Ci sembrava di rigirare il dito nella piaga. Alzino la mano quelle/i di voi che hanno avuto almeno uno spettro di lacrimuccia sugli occhi. Vale anche un occhio solo.
Abbiamo una buona notizia: per il prossimo capitolo vi basterà aspettare un mesetto o poco più.
Contenti?
Bene, fa piacere sapere di tanta gente felice di leggere di persone morte. Bravi, eh!
d-: :oP
Ma sì, stavamo scherzando!

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Capitolo 8
*** Professor Severus Piton, al vostro servizio. Ma anche no ***




“Professor Severus Piton, al vostro servizio. Ma anche no.”


Severus riaprì gli occhi. Aveva la sensazione di essersi svegliato dopo essersi assopito brevemente, come quando si addormentava sulla poltrona del suo studio nel mezzo della correzione dei noiosissimi (e di frequente anche desolatamente sbagliati) compiti di quegli zucconi dei suoi allievi. Solo che non c'era nessuna poltrona, ora, e nessun compito; lui si trovava già in piedi, e fissava sé stesso steso a terra.
Morto.
Indiscutibilmente morto.
“Doveva succedere,” si disse. Era facile prenderla con filosofia: d'altronde, erano alcuni mesi che sospettava un epilogo del genere.
Con la coda dell'occhio scorse una figura scura. Si voltò a guardarla.
La figura si voltò a guardare lui.
Il volto era adombrato da un cappuccio, ma quel poco che se ne vedeva bastò comunque a Severus, vista e considerata la situazione, per trarre le dovute conclusioni.
Con un sospiro, si volse di nuovo verso il proprio corpo a terra.
«Avrei preferito qualcosa di meno truculento. Un po' più di classe.»
MI SPIACE.
«Suppongo che tu non avresti potuto farci nulla.»
NON RIENTRA NEI MIEI COMPITI.
«No, certo. Il Fato, le Parche... quel genere di cose.»
C'È CHI LA VEDE COSÌ.
Severus tacque per un lungo momento, immerso nei propri pensieri. Non erano necessariamente buoni pensieri; tuttavia, la consapevolezza che i dadi erano già stati tratti – e non da lui – lo lasciò, per la prima volta in diciassette anni, finalmente privo di preoccupazioni. Harry Potter? Facesse quel che più gli aggradava. I piani di Albus Silente? Non lo comprendevano più. L'Oscuro Signore? Problema di qualcun altro.
La sensazione doveva essere simile a quella dell'anima del buddista che raggiunge finalmente il Nirvana: il dissolvimento in un oceano di serena indifferenza. La beatitudine del potersene infischiare.
Fu solo un residuo di umana curiosità che lo spinse a rivolgersi nuovamente a Morte.
«Ti prenderai anche lui
QUALE DEI DUE LUI INTENDI?
Severus ci pensò sopra per un momento.
«Anche tutti e due non sarebbe male».
UNO DEI DUE, POTREBBE DARSI.
Severus considerò per un momento la risposta. E poi:
«Conosci un certo Albus Silente?»
L'HO CONOSCIUTO DI RECENTE. UNA PERSONA MOLTO GARBATA.
Se anche c'era dell'ironia, nella voce di Morte, era davvero molto ben celata. Quella di Piton, invece, veniva abitualmente esibita senza troppi patemi.
«Oh, certo. Dei modi davvero impeccabili.»
Rimasero in silenzio per qualche istante.
«E, dimmi,» chiese Severus, alla fine «Pensi che potrei per caso raggiungerlo?»
È UNA POSSIBILITÁ.
La stanza della Stamberga Strillante cominciò a perdere consistenza attorno a loro. Severus pensò ad Albus Silente, a diciassette anni di reciproca conoscenza e meno reciproche macchinazioni, e, se non cominciò a rimboccarsi le maniche, poco ci mancava.
«Sai,» spiegò a Morte con un piccolo, preoccupante sorriso, «ci terrei molto a reincontrarlo. Avrei alcune domande da fargli...»



Note degli AutorI: Salve! Innanzi tutto, vogliamo dedicare questo capitolo a MeiyoMakoto e Shenhazai, a cui non abbiamo ancora detto grazie per i loro ultimi commenti. Lo dedichiamo anche alla Charme, che è arrivata a recensire lo scorso capitolo talmente tardi che se ne becca subito un altro a stretto giro (e vediamo se stavolta arrivi prima dell'anno nuovo :oP). E infine lo dedichiamo anche Laelia e Iurin, perché c'è una certa casa a Firenze dove l'eco si sente ancora (loro sanno cosa, chi e perché).
Non avete pensato anche voi “Apperò!” per quelle pagine fra la Stamberga Strillante e l'ultima gita di Harry nel Pensatoio?
Vogliamo essere sinceri, crudemente sinceri, e vi segnaliamo che questa è la penultima uscita di questa raccolta. Abbiamo ancora un paio di personaggi minori di cui occuparci, roba di poco conto certamente, non stiamo neanche a nominarlo, e poi dovremo inventarci qualcos'altro.
Quindi, se volete scriverci per dirci qualcosa, questo è un buon momento per farlo.
Ma, se può consolarvi, vedremo di arrivare sotto l'albero, come i regali per bene.
A presto!

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Capitolo 9
*** Son Io Lord Voldemort ***




“Son Io Lord Voldemort”



dieci minuti prima...

Bellatrix Lestrange era troppo presa dal proprio Sacro Furore per rendersi pienamente conto di come procedeva effettivamente il combattimento. Ebbe, per un attimo, la vaga impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato. Ma una Mangiamorte fedele, leale, dedita, votata al servizio del suo Grande, e Magnifico, e Onnipotente, Più Bello Di Tutti, Oscuro Signore non poteva fermarsi a tener conto di minuzie quali il balenio di un lampo verde.
“Avada Kedavra! AVADA KEDAVRA! Muori! Perché non muori! Muori! MUORI! MUORIIIIIIIIIIIIIIIII!”
Mentre i penetranti acuti di Bellatrix Lestrange arrivavano a toccare frequenze tipiche solo di alcune specie di pipistrelli e delle psicopatie ossessivo-compulsive, Morte capì di trovarsi di fronte ad un cliente molto, molto difficile.


* * *



Di nuovo.
Era successo di nuovo.
Svenire ogni volta che colpiva Harry Potter con l'Avada Kedavra stava diventando un'abitudine estremamente seccante: soprattutto considerando che, tecnicamente, l'evento avrebbe dovuto avere luogo una e una sola volta.
E invece no.
Voldemort si rialzò faticosamente, pronto a strillare (di nuovo) “Sto bene, non mi serve aiuto!” prima che quella gli si appiccicasse (di nuovo) addosso. Lord Voldemort odiava il contatto fisico.
Con sé stesso poteva essere franco e ammettere di essere forse stato un po' ingenuo nel non tenere conto dei deplorevoli effetti che il tempo ha su tutte le cose - in particolar modo su quelle umane. Nel caso di Bellatrix Lestrange, era imbarazzante dover constatare che diciassette anni ad Azkaban avevano trasformato quella che era sembrata allora solo una curiosa vena di graziosa eccentricità ed una sana dedizione al proprio Signore&Padrone in una psicosi monomaniacale ossessiva le cui manifestazioni si facevano di giorno in giorno più moleste.
La prima cosa che Voldemort rilevò, emergendo dal flusso di nostalgiche memorie incentrate sull'aggraziata figura della poco più che ventenne Bellatrix che saltellava sui cadaveri sfigurati dei suoi nemici, lanciando leggiadramente Cruciatus a destra e a manca, ed evitando con piede agile e lieve le pozze scivolose di sangue, fu una sospetta carenza della Bellatrix attuale.
C'era comunque un'alta figura ammantata di nero di fianco a lui. Lord Voldemort era abituato a vedersi intorno gente intabarrata in mantelli neri (molto più che gente senza mantelli neri, in effetti), ma quello specifico mantello nero aveva qualcosa di strano. Innanzitutto, il proprietario del suddetto non si era precipitato ad offrirgli ansiosamente il suo aiuto. Lord Voldemort era anche abituato a vedere molta ansia in chi aveva intorno.
Fece per alzare la bacchetta, perché una Cruciatus non si negava mai a quel Mangiamorte impigrito che necessitasse di una vibrante sferzata di energia, ma, prima ancora che Voldemort potesse sollevare la mano, gli occhi gli caddero su Harry Potter.
Harry Potter.
Lui. Qui. Ancora.
La sua rachitica e scarmigliata figura osava ancora offendere le pupille di Lord Voldemort, il Signore Oscuro, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, terrore di Babbani e Mezzosangue. Doveva esserci una qualche forma di ironia cosmica nel fatto che i suoi incontri con lo smilzo piagnucolone si fossero fatti sempre più frequenti, da quella prima sfortunata volta, in maniera inversamente proporzionale al piacere ricavato dagli stessi. Diciassette anni prima era entrato in quella casa a Godric's Hollow (maledetta profezia e maledetta quella vecchia oca che l'aveva pronunciata) con il cuore pieno di speranza, di fiducia nel fatto che ci fosse giustizia a questo mondo, un ordine naturale delle cose: c'erano cose che dovevano succedere e cose che non dovevano succedere. Quel che doveva succedere era: Harry Potter morto, la profezia neutralizzata e Lord Voldemort, tiranno benevolo, che si ergeva sul popolo dei maghi guidandolo verso un'era di prosperità e di pace dove nessuno avrebbe mai fatto mancare una Cruciatus a un Babbano.
Quel che non doveva succedere, invece...
Bé. Questo era storia nota.
Ne erano seguiti undici anni a mangiare topi nelle foreste dell'Albania, e poi una lunga serie di incontri sempre più ravvicinati e sempre più frustranti.
Non c'era ragione, non ne vedeva alcuna, per la quale una buona Avada Kedavra piazzata al momento giusto non dovesse funzionare. Tranne che non funzionava.
Ma non c'era ragione, non ne vedeva alcuna, per non tentare di nuovo. Non c'è due senza tre, e il quarto vien da sé. Ha ha ha.
Ecco, concentrarsi sul momento presente stava diventando sempre più difficile, tra una divagazione e l'altra.
Ma Harry Potter era lì, davanti a lui (lui, qui, ancora), e tutta la scena parve farsi improvvisamente più buia, più fredda, mentre l'attenzione di Lord Voldemort tornava a focalizzarsi sul Bambino Che Era Anche Troppo Sopravvissuto; i contorni del mondo attorno a lui sembrarono sparire nella foschia, con la figura di Potter che incombeva nel mezzo. Con movimenti lenti e solenni, levò la mano, puntò la bacchetta... e fu lì che si accorse che c'era veramente qualcosa che non andava.
La bacchetta.
La bacchetta!
Come poteva aver smarrito la propria bacchetta? Era come aver smarrito un... un dito! Un braccio! Da quando aveva compiuto undici anni, non c'era mai stato un momento della sua vita in cui fosse stato sprovvisto di bacchetta!
… almeno, non in quei momenti in cui era stato in possesso di un pollice opponibile in grado di stringerla.
E questa non era un pezzo di legno qualsiasi: era la Bacchetta di Sambuco.
Ma Harry Potter era sempre lì. Lui. Qui. ANCORA.
Anche la Bacchetta di Sambuco poteva aspettare.
Lord Voldemort si sentì ribollire il sangue. Bè, ribollire... diciamo che ebbe la sensazione di un tiepido brivido. Ma lui era Lord Voldemort: Lord Voldemort non rabbrividisce. Senza voltarsi, allungò un braccio verso la figura in nero.
“Dammi la tua bacchetta!”
NON MI PARE IL CASO, replicò questa.
Strana voce. Cupa ma riecheggiante. Mica male.
Ma, interesse professionale a parte, la risposta non era quella prevista.
“Come osi?” sibilò Lord Voldemort. La sua stessa voce gli parve meno tagliente del solito: colpa, forse, di una lunga nottata passata in piedi e all'aperto (dopotutto, gli anni non erano trascorsi solo per Bellatrix); ma magari anche colpa della nebbia, che sembrava aver perso la sua funzione di cornice alla figura di Harry Potter ed aveva cominciato a farsi densa, avvolgente, corposa. Era arrivata a lambirgli l'orlo del mantello.
Non era però questo il momento di mostrarsi esitanti.
“La tua bacchetta! Ora!”
La figura in nero non reagì.
Questo era spiazzante. Lord Voldemort, l'Oscuro Signore, si girò e indirizzò alla figura una delle sue famose Occhiatacce. Pochi ne avevano viste più di una. Chi ne aveva viste più di due non era più della partita.
La figura non fece una piega.
“Dammi. La tua. Bacchetta” scandì Lord Voldemort. Il tono minaccioso continuava a riuscirgli solo a metà, ma sembrò bastare:
SE PROPRIO CI TIENI, rispose la figura in nero.
Un braccio si alzò dal fianco ammantato e offrì una bacchetta dall'aspetto diafano.
Lord Voldemort afferrò sbrigativamente la bacchetta senza notare, almeno coscientemente, la mano scheletrica che la porgeva: perché, come esaurientemente spiegato dal Professor Mordicus Egg nel suo “Perché i Babbani Preferiscono Non Sapere”, gli uomini, semplicemente, rifiutano di vedere ciò che le loro menti non riescono ad ammettere.
E Lord Voldemort non aveva mai ammesso seriamente, neanche con sé stesso, la possibilità della propria morte.
Lord Voldemort, il Signore Oscuro, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, terrore di Babbani e Mezzosangue, ma che prima di ogni altra cosa era stato Tom Orvoloson Riddle, guardò di nuovo verso Harry Potter. La nebbia aveva cominciato ad inghiottire anche lui. Per individuare meglio l'ossuto moccioso – ed essere certo di non mancare il colpo – Tom strizzò gli occhi e aguzzò lo sguardo; puntò la bacchetta ed esclamò:
Avada Kedavra!
Non successe nulla. Nessuna luce verde. Nessun cadavere. Potter non era morto. Certo, neanche Tom era svenuto: tutto sommato, era un passo avanti.
Ma non bastava.
Avada Kedavra!
Non successe nulla. Nessuna luce verde. Nessuno svenimento... e nessun cadavere: Tom avrebbe potuto sopravvivere senza nessuna luce verde, e avrebbe potuto anche passare sopra agli svenimenti, se a ciò fosse comunque seguito un qualche cadavere.
A quel punto, chiunque avrebbe cominciato a porsi delle domande e a chiedersi se non fosse il caso di riconsiderare l'intera situazione. Ma Tom non permise al tarlo del dubbio di incrinare la solida corazza di certezze che l'aveva sostenuto fino a quel momento: aveva una missione, aveva una bacchetta, e le abitudini di una vita sono dure a morire.
Avada Kedavra!
UNA VOLTA, FORSE, disse la figura in nero, mentre Potter, indisturbato, continuava a sbiadire.
Le spalle di Tom si abbassarono un po'. Più timidamente, tentò:
Crucio?
L'alta figura nera di Morte scosse il cappuccio.
NON PIÙ.



E, mentre gli ultimi barlumi di Harry Potter sparivano nel buio, il tarlo del dubbio – che a quel punto aveva assunto più le dimensioni di una trivella petrolifera e stava lavorando di lena – si fece risentire: Tom iniziò ad esaminare con attenzione e per la prima volta la figura in nero, e a chiedersi quale, fra i suoi Mangiamorte, avesse mai portato una falce.
“Lucius?”
NO.
Non sembrava una cosa alla Lucius, in effetti. Troppo grossa, troppo plateale, e niente serpenti sul manico.
“Avery?”
NO.
Uhm. Su Avery avrebbe puntato davvero, invece. Non era Lucius, non era Avery, non gli si era avvinghiata ad un ginocchio e quindi non era Bellatrix... Il tarlo-trivella stava facendo del suo meglio, ma quel che si trovava ad affrontare era qualcosa che, bisogna riconoscerlo, era stato in grado di tenere insieme uno spirito privo di corpo per più di dieci anni.
Non poté esimersi da un rapido riepilogo: NON PIÙ poteri magici; non più Harry Potter; il che avrebbe anche potuto essere un fatto positivo, se non fosse che, assieme a non più Harry Potter si era verificato anche un sospetto non più tutto il resto. Erano rimasti solo lui, la figura in nero, e il buio.
C'era poi la questione di quella mano, la cui immagine era finalmente filtrata attraverso le difese naturali descritte dal già citato prof. Egg e si era manifestata in tutta la sua scheletrica scheletricità dritta davanti alla parte cosciente del cervello di Tom.
E tuttavia, davanti all'ineluttabilità del dover, prima o dopo, fare due più due, la mente di Tom era in grado di opporre una feroce resistenza e di arroccarsi, inamovibile, su un solido tre virgola nove.
Considerò il freddo, considerò il buio, considerò lo scheletrico, unì tutti i puntini, e questa volta un innegabile brivido di quello che anche lui, nonostante il tre virgola nove, non poteva non riconoscere come timore, gli corse giù per la schiena. Il tono si fece molto più esitante quando Tom alzò una mano e, cautamente, si informò:
“...Severus?”





Note degli AutorI: Buon anno (che ci sta sempre bene)!

Siamo arrivati ad occuparci di Lui, Voi-Sapete-Chi, l'Oscuro Signore, Colui-che-non-deve-essere-nominato e soprattutto Colui alla cui iniziativa dobbiamo, in ultima analisi, l'intera storia della saga di Harry Potter, nonché una larghissima fetta della materia prima alla base di questa nostra piccola raccolta; ed è per questo che abbiamo voluto dedicare a lui questo nostro ultimo, sudatissimo capitolo.
Poiché questo è l'ultimo morto di cui si abbia notizia all'interno della saga, pensiamo di poterci fermare qui. Non è detto che su Pseudopolis Yard non appaiano in futuro altre storie ambientate nello stesso universo… per cui fatevi vivi ogni tanto. Ha ha ha.

Ringraziamo ancora le pagine di Terry Pratchett e J.K.Rowling, Morte, che si è prestato per la storia, e tutti voi che ci avete seguiti, preferiti, ricordati, e soprattutto letti, e che speriamo vorrete lasciarci un ultimo saluto.
No, non quel genere di ultimo saluto.



Ah, e Bellatrix? Niente, avevamo cercato di recluderla in un capitolo a parte, ma non ha voluto in alcun modo lasciarsi separare dal suo Oscuro Signore. Abbiamo provato a tirarla via a forza, ma strillava, strillava… In effetti è ancora in Sala Grande a Hogwarts che strilla.

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