This day I fight. di xBreathe (/viewuser.php?uid=160954)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Angel ***
Capitolo 3: *** Is this real? ***
Capitolo 4: *** What the hell? ***
Capitolo 5: *** Here with me. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
This day I fight - Prologo
- PROLOGO
“Close the door, throw the key, don’t wanna be reminded, don’t wanna be
seen” – e i suoi occhi vagavano sulla folla – “don’t wanna be without you, my judgement is clouded, like tonight’s
sky”.
I suoi magnifici occhi blu si fermarono improvvisamente,
senza nessun avvertimento, sui miei.
Il mondo si fermò bruscamente, tutto
scomparve. Facevamo parte di una realtà dove esistevamo solo io e lui, era la
nostra realtà.
La sua anima si rifletteva nella mia.
Non sentivo più le urla persistenti delle altre persone, non
facevo più caso al caldo soffocante provocato da quell’ammasso di corpi
infiniti; ero incantata davanti a quello spettacolo, riuscivo a vedere il mondo
intero in quell’azzurro. Guardava proprio me?
Mi accorsi di stare trattenendo il respiro. Buttai fuori l’aria
e gli sorrisi.
Uno di quei sorrisi veri, che sorge sulle labbra solo quando si
è veramente felice, uno di quelli che si vorrebbe avere ogni giorno, eliminando
per sempre la finzione e la tristezza.
Ed era veramente così. Non ricordavo di
esser mai stata più felice. Era qualcosa che rincorrevo da tanto tempo, ero
arrivata finalmente a destinazione?
Lui ricambiò il sorriso, quello che avrei sempre voluto
vedere, quello che aspettavo da una vita intera, che mi dava la forza per
andare avanti, quello che molte, forse troppe persone criticavano, ma che per
me era perfetto. Ecco, proprio quel sorriso ora era rivolto proprio a una delle
persone che si trovava in quella orda di gente davanti a lui e che forse ero
proprio io.
Esisteva il paradiso? Fino a qualche minuto prima non avrei
saputo rispondere. Ora potevo dire di esserne certa, mi ci trovavo in quel
preciso momento. La musica continuava e il nostro sguardo reggeva alla realtà,
come se nessuno dei due avesse mai potuto spostare gli occhi altrove.
Avrei voluto quel momento continuasse per sempre e che si
riproducesse all’infinito, come una vecchia cassetta di cui si può riavvolgere
il nastro e mantenere vivi i ricordi nella propria mente.
Non avrei mai dimenticato quell’istante, ne ero certa.
La sveglia suonò.
“Dannazione!”
Il mio sogno si dissolse con la stessa velocità con cui prese
forma.
Sentì qualcosa spezzarsi dentro di me; era sembrato tutto così
dannatamente reale. Ero ad un passo dalla felicità e questa mi fu strappata
dalle mani, quando sembrava fossi un passo dall’avercela fatta.
Feci un respiro profondo, cercando di farmi forza e scacciare
la malinconia che mi aveva assalita; spensi la sveglia.
Mi alzai con
malavoglia, preparandomi alla giornata che, come al solito, sarebbe stata
animata dalla voglia di trovarsi altrove.
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Intanto grazie di essere arrivato fin qua :3
So che è molto corto e per questo non sono molto soddifatta neanche io..
Prometto che il prossimo sarà più avvincente (?) e probabilmente molto più lungo.
Intanto fatemi sapere cosa ne pensate come inizio, accetto qualsiasi tipo di critica e di commento, grazie mille in anticipo :3
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Capitolo 2 *** Angel ***
This day I fight - Chapter 1
Angel
"Giorno
Angelo" - Dominique era però il mio nome. Starete dicendo: "Che bel
nome!", ma io lo odiavo. Era un nome così assurdo; tra tutti i miei
avevano scelto proprio quello schifo. Di Dominique ce ne saranno state dieci
nel mondo, perchè io la sfigata di quel nome improbabile?! - e così mi ritrovai
davanti a casa della mia migliore amica , la mia salvezza, pronta per andare a
scuola.
Lei mi chiamava 'Angelo', non so per quale assurdo motivo, aveva preso spunto
da qualche libro che le avevo prestato, forse. E lei mi riteneva proprio così,
il suo angelo custode. Me lo diceva sempre e si era anche fatta una maglietta
con la scritta 'Angel'; era strano, ma lo adoravo da morire.
Come ogni mattina non mancò l'indispensabile abbraccio. Non era un semplice
abbraccio, il nostro aveva un minimo di tempo di almeno trenta secondi, sarebbe
potuto durare ore intere.
La gente molto spesso faceva commenti spastici o ci guardava in malomodo, ma a
noi non interessava. Noi avevamo bisogno di quell'abbraccio, almeno un paio di
volte al giorno. Era un modo per far sentire all'altra che c'eravamo e ci
saremmo sempre state; quando mi ritrovavo tra le sue braccia mi sentivo capita,
protetta, come se lei potesse sconfiggere ogni male per difendermi. Eravamo
come legate da un filo indistruttibile. Era l'unica persona a cui mi aggrappavo
per vivere.
Ci allontanammo e condividendo l'auricolare dell'iPod mi chiese, come ogni
mattina, la solita domanda: "come stai?" Cercai di sorridere, ma ciò
che venne fuori non convinse neanche me. E così le raccontai del sogno.
Secondo lei sarei dovuta essere felice per aver fatto un sogno così bello, si,
perchè lei è una di quelle persone che pensano positivo, sempre, qualunque cosa
succeda, ma era più forte di me.
Non sono mai stata una ragazza tanto 'sorridi alla vita che è bella'. Sono
quasi sempre piuttosto negativa e non mi capita spesso di essere felice. Credo
sia una specie di protezione, contro il mondo, perchè ho sempre paura di
illudermi e cerco di aspettarmi tutto, di rimanere impassibile davanti alle
delusioni, ma nel profondo, alla fine è come se ci avessi creduto. Ogni tanto
qualcuno mi dice che sono una ragazza particolare, diversa dalle altre.
Questo non è sempre un bene, però.
Decisi di non parlare più di nessun sogno, sarebbe stato tutto inutile.
Arrivai davanti alla mia classe e la salutai, iniziò così l'incubo.
Ero in prima superiore, in un liceo che non avevo scelto io e con i compagni
che non avevo la forza di sopportare; quella classe era incise da profonde
differenze: c'erano i due secchioni, gli sfigati, il ragazzo gay, il palestrato
e i morti di fame che sbavavano dietro a Caroline. Lei era la più grande, era
stata bocciata per tre anni e si vantava della sua provenienza londinese. Non
la reggevo, anche se ci avevo parlato probabilmente solo due volte dall'inizio
dell'anno. Poi c'ero io, quella che amava persone che non sapevano neanche
della mia esistenza e per questo molti di loro pensavano fossi pazza. Non
capivano.
Salutai il mio compagno di banco, Federico, l'unico che mi faceva ridere quando
ne sentivo il bisogno, e dopo quel breve momento di vita nella realtà, continuai
a viaggiare nel mio mondo, mentre Same Mistakes risuonava nella mia testa,
finchè entrò la prof di storia.
Dopo le cinque e infinite ore di scuola passate a scrivere frasi o pensieri
assurdi su ogni dove, ritornai a casa, intenta a prepararmi per catapultarmi
alla lezione di danza. La musica risuonava come sempre nelle mie orecchie. Mi
fermai, riportando la mente al sogno e pensando a quanto sarebbe stato bello
realizzarlo, a tutte quelle persone che avevano avuto la possibilità di
vederli, abbracciarli, agli sguardi che avrei voluto ci fossero. Ma chi volevo
prendere in giro? Ero solo una sfigata che viveva in un posto indecente in
mezzo al nulla. Sognavo ancora di incontrarli? E soprattutto speravo mi
notassero in mezzo ai 7 miliardi di abitanti sulla Terra? Era assurdo, forse
era meglio smettere di crederci, di pensarci.
Il mio flusso di pensieri fu interrotto da un messaggio di Luna (invidiavo
tantissimo il suo nome) - la mia migliore amica - che diceva:"Non reggo
più questa vita, prendiamo un treno, destinazione non definita, ho bisogno di
andarmene. Ti prego, ho bisogno di te".
Com'era possibile che lei, proprio quella ragazza con sempre il sorriso
stampato in faccia, sempre pronta a trasmettere felicità, ora avesse questo
improvviso getto di ribellione nei confronti del mondo?
Senza pensare due volte alla lezione di danza e ai compiti per il giorno dopo le
risposi: "Tra dieci minuti alla stazione".
Precisa come un orologio la vidi arrivare con le lacrime agli occhi. Non
l'avevo mai vista in questo stato, mi straziava il cuore. Appena mi scorse tra
la gente, iniziò a correre e mi saltò addosso in uno di quei nostri abbracci.
Rimanemmo così, semplicemente abbracciate per qualche minuto. Quando sciolse
l'abbraccio, la guardai negli occhi.
Aveva qualcosa che non avevo mai visto e pensavo di poter mai vedere addosso a
lei: tristezza, mancanza di speranza. Da quel magnifico verde che le illuminava
il viso ogni giorno, i suoi occhi si erano spenti, lasciando posto a un grigio
cupo.
"Che succede?" le chiesi.
"Andiamo, ti racconto dopo". Così la trascinai verso la biglietteria.
Chiesi due biglietti per il primo treno che sarebbe partito. Non sarebbe potuta
andarci meglio: una breve gita a Milano.
Salimmo sul treno e la guardai implorando una spiegazione.
Guardò fuori dalla finestra il paesaggio che scorreva e disse: "Sono
appena uscita dall'ospedale".
Mi stavo preoccupando.
"Cos'è successo? Luna, parla!"
"Mio padre è ritornato dentro a quello squallido posto. Sembrava si fosse
ripreso, ma evidentemente non è così. Sembra qualcosa di mai visto, ma i medici
non sanno ancora dire quanto sia grave" si asciugò una lacrima "e per
di più mia madre continua a dirmi cosa devo fare, chi devo essere, nota ogni
errore e non fa altro che farmi sentire inutile, ma lei non ha capito che la
perfezione non esiste. Vorrei prendere un aereo e andare ben più lontano di
Milano, ma non oserei mai lasciarti qua a morire da sola in questo inferno di
vita".
Non sapevo cosa dire, suo padre aveva avuto un tumore circa un anno prima,
l'avevano rimosso e quel giorno lei era come rinata con lui; ora però si era
ripresentata la stessa situazione.
Non osai dire una parola.
La attirai a me e le feci appoggiare la testa sulle mie gambe. Rimanemmo così
fino a destinazione, senza dire una parola, che probabilmente non avrebbe
espresso nulla di sensato. Speravo solo avesse capito una cosa: sono qui per
te, amica mia.
"A volte vorrei solo che il mio sogno si realizzasse; il nostro sogno.
Alla fine non credo di chiedere tanto. Ce lo meritiamo" mi disse. Sapevo
benissimo a cosa si riferiva.Voleva solo incontrare quelle persone che tanto
amava quanto me.
"Lo so, Luna, lo so".
"Grazie per aver lasciato tutto ed essere venuta qua con me. Ti devo tutta
la vita, Demi, tutta".
Le sorrsi, mentre ci incamminavamo verso il centro di quella bellissima città.
Non avevamo intenzione di comprare nulla, anche perchè eravamo delle fuggitive
senza un soldo in tasca. Avevamo solo bisogno di un'altra aria, di staccare la
spina per qualche ora.
Il tempo non prometteva nulla di buono e presto iniziò a piovere. Noi, scappate
di casa, non avevamo nulla per ripararci.
Senza motivo mi prese per mano e iniziammo a correre, come delle pazze, correre
per liberarci, correre per dimenticare. Lei rideva, sembrava tornata la ragazza
felice della mattina prima. Risi con lei. Era una bella sensazione, sembrava di
correre verso l'infinito.
In quel momento sarebbe potuta avvenire l'Apocalisse, non ci interessava.
Eravamo delle anime libere, nessuna paura, nessun pensiero. Completamente
libere.
Finchè andammo a sbattere senza pietà su due ragazzi di un piccolo gruppo.
Stavamo per cadere, persi la sua mano e mancava così poco al contatto con
l'asfalto.
Due braccia mi strinsero la vita ed evitarono la caduta. Persi il contatto con
il mondo esterno.
Sentii un brivido lungo la schiena. Avevo il cuore che batteva a mille, ero
incredibilmente vicina a quel ragazzo e la pioggia incessante continuava a
scorrere sui nostri corpi.
Alzai lo sguardo e mi sentii morire di felicità quando vidi il viso del mio
angelo custode.
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Per prima cosa scusatemi per il papiro che ho scritto, ma non mi sono resa conto fosse così lunga uù
Poi
volevo precisare che Dominique è un nome che amo tantissimo, ma
rendeva la protagonista brontolona fin dall'inizio e mi piaceva AHAHAH
Questo
capitolo è stato difficile, l'avrò cancellato una
cinquantina di volte, ma ora sono soddifatta. So che parla più
della mia migliore amica che dei One Direction, ma era un passaggio
obbligatorio per arrivare poi alla storia vera e propria.
Infine volevo ringraziare le persone che hanno recensito nel prologo, mi avete riempito di felicità, grazie mille :3
E grazie anche alla mia migliore amica, che è stata una fonte d'ispirazione perfetta.
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Capitolo 3 *** Is this real? ***
This day I fight - Chapter 2
Is this real?
"Demi, Demi, Demi non illuderti anche questa volta.
Apri gli occhi. Muoviti, cazzo!" - ma rimaneva tutto così com'era. Quel biondino mi stava guardando, come per
scusarsi di essere proprio lì davanti a me, gli occhi che guardavo solitamente
attraverso un pezzo di carta, ora guardavano me. I nostri corpi aderivano l'uno
a quello dell'altra, l'unica cosa che ci separava era il sottile strato di
vestiti che la pioggia rendeva fastidiosamente appiccicosi. Le sue mani mi
cingevano ancora la vita e sembrava non avessero intenzione di spostarsi dal
mio corpo. Non ci credevo, non era scientificamente possibile che il mio sogno
si stesse reallizzando.
Tutte le emozioni si stavano coalizzando dentro di me, ogni sensazione
cresceva, per poi esplodere improvvisamente da un momento all'altro. Stavo solo
aspettando quel momento e nonostante tutto fu improvviso, non avrei mai pensato
di poterlo fare, ma gli gettai le braccia al collo e lo abbracciai. Lo strinsi
più forte che potevo e non so per quale oscuro motivo iniziai a piangere. Ero
felice, Dio se lo ero. Non avevo parole, non avevo la forza di fare nient'altro,
se non di rimanere legata a lui per sempre. Mi sentivo libera da ogni peso,
come se nulla avesse più importanza, perchè ora avevo realizzato il mio sogno e
sarei vissuta solo per ricordare quel momento. Ero stata stupida a smettere di
crederci, ad essere convinta che sarebbe stato meglio lasciar perdere.
'Nothing is
impossible,
the word itself says
I'm possible'.
Audrey Hepburn
era un puro genio, quanto avrei potuto amare quella donna? Amavo quella frase e
ora potevo dire fosse vera.
Sentii la sorpresa di quel gesto in lui, con un po' di
incertezza mi strinse a sua volta, ricambiando l'abbraccio, sempre più forte.
Chiusi gli occhi, inspirai il suo profumo nell'incavo del suo collo. Sarebbe
stato quello che avrei ricordato per tutta la vita, quello in cui avrei cercato conforto
durante i momenti tristi, quello che mi diceva che era successo tutto realmente
e che avrei sentito ovunque immaginando di averlo accanto. Un'altra lacrima
scese involontariamente. Non riuscivo a capacitarmi di tutto questo.
Quando sciogliemmo l'abbraccio, si accorse di questa, avevo sperato di
confonderla con la pioggia, ma lui non si fece ingannare facilmente,
probabilmente era esperto di queste cose, probabilmente ripeteva la
stessa azione che avvenne dopo milioni di volte al giorno con milioni
di persone al giorno; così mi
alzò il viso dolcemente e con un dolce tocco delle sue dita
decise interrompere il percorso di questa. Il soffice contatto mi face
provare una serie di brividi per tutto il corpo. Con l'altra mano prese
la mia, come per rassicurarmi che lui non se ne sarebbe mai andato,
come per difendermi e rimanere con me per sempre.
Potevo collassare?
Cercai di non guardare in
quei suoi occhi così profondi per non provocarne altre;
stampai un sorriso sulle mie labbra, rivolto solo a lui. Il sorriso che avevo
nel sogno, il sorriso che aspettavo da tutta la vita. Quello che non pensavo mai di poter fare.
Con Luna avevo parlato spesso di questo momento: il momento in cui
sarei stata felice. Me lo ero immaginato in tutti i modi, con tutte le
persone possibili. Ma chi avrebbe mai pensato che quello più
assurdo e lontano sarebbe stato poi effettivamente diventato
reltà?
A rompere la magia del mio paradiso fu un colpo di tosse di un ragazzo riccioluto.
Ritrassi subito la mano, a malincuore, da quel ragazzo irlandese che amavo più della mia stessa vita.
Non mi ero accorta degli altri ragazzi. Li squdrai. Li fissai per un attimo e mi resi conto che erano loro.
Il battito accelerava.
Loro che ascoltavo ogni giorno sull'iPod.
Le gambe tremavano.
Loro che mi facevano sorridere attraverso un video ogni volta che ne sentivo il bisogno.
Allargai il mio sorriso.
Loro che anche se non lo sapevano, c'erano sempre stati per me.
Volevo saltare, urlare, ballare.
Improvvisamente avvampai, avevo già fatto la mia figura da fan
idemoniata che non sapeva controllarsi. Abbassai lo sguardo e cercando
di nascondermi mormorai al mio sogno in carne ed ossa un piccolo
"Scusa".
Sperai avesse sentito.
"Allora ragazzi, due ragazze maldestre come loro dite che potrebbero
essere delle buone guide per noi turisti?" annunciò Harry.
Stava parlando sul serio? Noi da guida a loro? Non poteva dire davvero. Il mio cuore non poteva reggere a tutti questi colpi.
"Ma che bella idea, Hazza! Dobbiamo solo stare attenti a dove mette i
piedi la signorina abbracciatutti e poi direi che è un'idea
meravigliosa" ribattè Louis riferendosi evidentemente alla
sottoscritta. Ecco, mi avevano già catalogato come la persona
che salta addosso alla gente. Brava Dominique, complimenti. Solo tu
avresti potuto.
"Si, credo sia un'idea fantastica, non è vero Demi?" disse Luna
riportandomi alla realtà e cercando di spronarmi a parlare.
Annuì. Fu l'unica cosa che riuscii a fare. Ero sotto shock.
"Allora ti chiami Demi?" mi chiese Niall.
Passarono un paio di secondi prima che riuscissi a formulare la risposta.
"No, mi piacerebbe. Io sono Dominique, sempre e solo Dominique" ridendo
pensando alla pronuncia che poteva prendere una volta uscito dalla loro
bocca. Gli posi la mano e continuai "piacere di conoscervi, lei
è Luna, la mia migliore amica".
"Allora ce l'hai una voce, orso abracciatutti. Iniziavo a temere
l'avessi ingioiata" disse Zayn ammiccando uno sguardo alquanto
attizzante.
Lo fulminai. Non so cosa venne fuori, perchè il respiro mi fu mozzato dalla sua bellezza.
Oddio, stavo impazzendo.
"Allora, vogliamo partire per questo piccolo viaggio all'insegna della
visita più veloce di sempre per Milano sotto la pioggia?" chiese
Luna.
Un coro di "si, siamo pronti" si alzò dal nulla e mi venne da ridere.
La mia amica si divertiva a trascinarli da una parte all'altra, aveva
ripreso la stessa vitalità ed energia di sempre.
Li tempestava di domande, non l'avevo mai vista così
esaltata. Saltellava tra uno e l'altro, felice. Sembrava si
conoscessero da una vita da sempre e la invidiavo.
Io mi limitavo a dire qualche "si", a fare qualche sorriso e a perdermi
nella bellezza di quell'accento britannico che tanto amavo.
Dopo aver fatto il giro della città in tempo record Zayn e Liam
comparvero dal nulla, circondando le mie spalle con le loro braccia
dicendo: "Dopo tutto questo freddo perchè non ci rifugiamo tutti
in un bel bar che vi offriamo una bella cioccolata?"
Demi, mantieni la calma. Devi solo dire che ti va e sembrare totalmente indifferente davanti a loro.
Come se fosse facile, no?
E ricorda di respirare.
"Certo, perchè no?"
Ce l'avevo fatta, ero fiera di me.
Ci incamminammo verso un bar vicino a noi; appena entrati si voltarono
tutti a guardarci. Eravamo in uno stato pietoso, tutti bagnati e
grondanti d'acqua, con i capelli appiccicati al viso e probabilmente
noi ragazze con tutto il trucco sbavato. M a non importava a nessuno di
noi e sospirammo di sollievo quando il calore ci venne incontro. Ci
sedemmo e ordinammo sette cioccolate calde con panna. La più
buona di tutta la mia vita. Soprattutto con i One Direction che
sedevano davanti a me e mi chiedevano se mi fossi scaldata
abbastanza.
Mi rifiutavo di crederci.
Continuammo a parlare di noi, di loro, della ragione per la quale erano
lì e della ragione per la quale eravamo lì, della scuola,
di quanto fossero differenti le nostre vite.
Mi liberai e riuscii ad entrare anche io nella conversazione. Passai il
tempo a ridere, erano così adorabilmente buffi.
Sarebbe stato difficile da credere una volta tornate a casa.
Rimanemmo lì per tutto il pomeriggio. Notai che Luna e Zayn
continuavano a mandarsi occhiate incomprensibili, e in treno, quando
avremmo poi sclerato e urlato, gli avrei chiesto spiegazioni.
Il tempo uggioso e quella meravigliosa avventura non mi permise di
avvertire il passare del tempo. Per caso mi cadde lo sguardo
sull'orologio dietro al bancone.
No. No. No. No. No. No.
"Luna! Sono le 11, dobbiamo andare. Cavolo i miei non sanno neanche
dove sono. Oddio, dobbiamo andare" esclamai in italiano, troppo
sorpresa per formulare una frase di senso compiuto in inglese. Guardai
il cellulare: otto chiamate perse di mia madre.
"Oh, merda".
Luna si occupò di giustificarci ai ragazzi spiegando cosa succedeva, mentre io raccoglievo le nostre cose.
Mia mdre mi avrebbe uccisa viva, mi avrebbe costretto ad ascoltare il
suo solito discorso sulla responsabilità e bla bla bla.
La punizione era assicurata. Ero indecisa tra la possibilità di
non poter più uscire e quella di non aver più il
cellulare. Probabilmente tutte e due.
Non ebbi neanche il tempo di realizzare che il mio sogno stava per
finire, mentre mi fiondavo sulla porta per uscire e andare di corsa
alla stazione.
Stavo per andarmene di corsa quando mi sentii afferrare un braccio e
una voce pronunciò il mio nome con un adorabile accento inglese:
"Demi, aspetta".
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Sono cotta, ci ho messo due ore per copiarlo tutto AHAHAH
E'
stato un capitolo difficile perchè avevo un milione di strade
che potevo prendere e probabilmente ho preso anche quella più
brutta, ma vedete voi.
Ditemi cosa ne pensate :3
Ci stiamo avviando verso il vero inizio, spero non vi abbia deluso.
Inoltre grazie a tutti i commenti su Twitter e le recensioni qua,
secondo me avete esagerato, ma accetto tutto molto volentieri AHAHAH
Beh, allora, al prossimo capitolo :3
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Capitolo 4 *** What the hell? ***
This day I fight - Chapter 3
What the hell?
Mi
voltai di scatto, avrei potuto riconoscere la sua voce tra mille, ma
rimasi comunque sorpresa dal vederlo così vicino a me, rimasi
sorpresa dalla sua mano sul mio braccio, dalle emozioni che mi
provocava.
Mamma poteva aspettare ancora un po', tanto ormai il danno era fatto, almeno avrei goduto tutto fino alla fine.
"Non ci rivedremo mai più?" sussurrò lui con una voce estremamente dolce.
Niall Horan che chiedeva
a questa sfigata qualcosa del genere? Impossibile. Dovevo essermi persa
qualche passaggio, magari era solo uno scherzo.
"Ma stai parlando s - sul serio?" datemi ossigeno.
Sorrise e io morii ulteriormente.
"Perchè dovrei scherzare?"
"Perchè tutto questo è impossibile".
"Quindi non ci rivedremo mai più?"
"Oh si, lo vorrei davvero tanto, ma..." cercai le parole giuste, che però si fecero attendere.
"Ma?"
"Ma io vivo in Italia, tu
a Londra, io passo le giornate a cercare di crearmi un futuro, tu lo
stai già vivendo. Ci rincontreremo in un poster appeso alla
parete di camera mia o magari un giorno potresti vedermi in
quell'ammasso di persone davanti al palco, che tende la mano verso di
te; solo questo." Sentii le lacrime salire agli occhi, ma continuai
"Tutto il resto va contro
natura. Perciò Nialler, è stato veramente bello
conoscerti. Mi hai reso la ragazza più felice di questo mondo,
mi hai fatto conoscere sensazioni mai provate e... vivrò sulla
base di questo momento per continuare la mia vita. Grazie. Ringrazia
anche gli altri ragazzi".
Sorrisi, per
rassicuarare me stessa più che lui, ma ancora una volta la
lacrima non si fece attendere. Impetuosa solcava la mia guancia per
arrivare a posarsi sull'angolo delle labbra. Sapeva di tristezza, ma
anche di felicità. Sapeva di speranza, che però piano
piano mi abbandonava. Sapeva di ingiustizia.
Lui mi attirò a
sè, mi strinse. Rimasi sorpresa. Non posso descrivere
quest'abbraccio. Non questo. Non saprei descrivere il caos di emozioni
che si agitavano dentro di me, ma il risultato, vi assicuro che fu
fantastico.
"Lo faremo diventare
reale. Ti prometto che ci rivedremo, te lo giuro, farò
l'impossibile perchè avvenga" sussurrò al mio orecchio,
con la voce che gli tremava.
Avete presente la
sensazione che si ha alla pancia quando l'aereo decolla , quella
sensazione di vuoto? Ecco, aggiungeteci le solite farfalle, ma questa
volta uno stormo indomato composto da tutte quelle presenti al mondo,
piùla cioccolata e la panna da digerire et voilà.
Più o meno siete arrivati a provare la sensazione che sentivo io
in quel momento.
Non volevo staccarmi, non volevo andarmene, non volevo lasciarlo.
Quando lo lasciai andare dalla morsa delle mie braccia, continuò a guardarmi. Sentivo il peso del suo sguardo su di me.
Chissà in che stato ero ridotta.
Alzai lo sguardo e capii di avere davanti la persona più dolce e bella che avessi mai visto.
Però non
capivo.Perchè lui teneva così tanto al nostro incontro?
In fondo mi aveva conosciuto sei ore prima, ci eravamo scambiati solo
qualche parola e una serie infinita di abbracci, ma poco importa. Non
erano motivi validi. Non era sufficiente.
Presi un respiro per
chiedergli spiegazioni, ma Luna non me lo permise. Mi prese per mano e
iniziò a correre, trascinandomi via.
Riuscii a guardare ancora
una volta in quegli occhi, sicura che sarebbe stata l'ultima in cui
avrei potuto godere di quello spettacolo e gli urlai un "grazie"
semplice, ma pieno di significato.
Mentre correvamo verso la
stazione mi venne spontaneo: "Ma dico, sei scema?" ero un goccio
alterata per il fatto che mi avesse portata via.
L'unica cosa che fece fu
una risata, che le partiva dal cuore e che si rifletteva nei suoi
occhi. La rabbia sbollì, era così bella quando rideva.
Salimmo sul treno di
corsa, ci sedemmo sui primi posti che trovammo, sfinite. Ci guardammo
per un attimo e iniziammo a ridere, un po' perchè il nostro
aspetto non era da invidiare e un po' perchè non ci
credavamo ancora. Noi che eravamo partite per dimenticare e ritornavamo
per ricordare.
Per tutto il viaggio
parlammo dei momenti passati con quei cinque ragazzi, la reicarnazione
fatta a persona del nostro sogno. Scoprii che Luna aveva parlato con
Zayn molto più di quanto me ne fossi accorta; mentre parlava
aveva quegli occhi sognanti che solo una ragazza inna...
Mi fermai.
"Luna, guardami".
Già, proprio quegli occhi e quel sorriso.
"Hei, hei, hei ragazzina. Cosa provi per quel ragazzo?"
"Eh cosa? Io? Che ragazzo?"
Alzai un sopracciglio e fui più che eloquente.
"Niente di niente, non provo nulla, giuro" alzò le mani in segno di innocenza.
Non mi convinceva, ma non avrebbe avuto senso continuare. Le lanciai un ultimo sguardo.
"E' solo che..." ecco,
appunto "è solo che mi fa stare bene, QUEL ragazzo. Veramente
tanto, ma è durato finchè è durato, ora bisogno
ritornare alla vita di tutti i giorni" disse convinta. Era stranamente
pimpante per essere un argomento così facile da accettare. C'era
qualcosa che non mi tornava, qualcosa che lui sapeva e mi nascondeva,
ma non avevo la forza di insistere.
"Domani ne riparliamo".
Quando arrivammo in
città, ognuno si diresse a casa propria con il timore di aprire
la porta e affrontare la realtà.
Infatti fu una tragedia.
Mamma mi urlò contro per circa tre quarti d'ora: mentre mi
toglievo il giubbotto fradicio, mentre salivo le scale, mi facevo la
doccia e mi asciugavo.
"Dove sei stata?
Perchè non mi hai avvisato? Perchè non rispondevi? Ti
sembra il caso? Io mi preoccupo per te e cerco di prendermi cura il
più possibile e tu mi compensi in questo modo? Non ti meriti
niente, ecco. Niente!"
Ad un tratto scoppiai,
non poteva parlarmi in questo modo: "Mamma, ho capito, okay? Ho
sbagliato, lo riconosco. Ma Luna aveva bisogno di me e di andarsene per
un istante da questa squallida città. Suo padre è
ritornato in ospedale. Siamo andate a Milano e sai cosa? Lo rifarei
mille volte, non me ne sono pentita, non c'è rimorso, non mi
sento in colpa, perchè ho vissuto il giorno più bello
della mia vita" ripresi fiato e con un tono di voce più
controllato finii il mio monologo "perciò mettimi in punizione,
toglimi il cellulare, il cinema, il computer, non mi interessa.
Perchè, da una parte, so di avere fatto la cosa giusta.
Ora, se permetti, io me ne vado a dormire con il sorriso stampato in
faccia, grazie a questa giornata. Ciao mamma" e mi avviai verso il
letto, decisa.
Lei rimase ferma a riflettere sulle mie parole, non mi disse più nulla, ma si allontanò borbottando.
Non le diedi peso e iniziai a pensare a quella giornata indescrivibile.
Non l'avrei mai raccontata a nessuno, mi avrebbero presa solo per pazza, considerando l'impossibilità del fatto.
Era già tanto ci credessi io.
Non feci in tempo a formulare un pensiero più lungo che caddi in un sonno profondo.
Stavo iniziando a
sognare, il buio del sonno si stava cancellando per lasciar posto alla
compagnia della notte, quando un rumore mi fece sobbalzare. Sembrava il
rumore di un sassolino contro il vetro della finestra.
Decisi di ignorarlo.
Tic. Tic. Tic.
"Chi caspita è alle..." aprii gli occhi che fecero una fatica immensa e guardai l'orologio "alle tre e mezza? Stiamo scherzando?!"
Mi alzai di scatto e mi fiondai alla finestra. Mentra la aprì un sassolino mi colpì la pancia.
"Chiunque tu sia sappi che hai appena commesso il più grande errore della tua v..." mi bloccai per la sorpresa.
Cosa ci faceva Luna alle tre di notte in pigiama che scalava un albero per raggiungere la mia finestra?
"Ma che diavolo?"
Lei mi fece segno di stare zitta e si sedette a cavalcioni a metà tra l'entrata e l'uscita, una volta arrivata.
Inspirò l'aria gelida di quella notte e mi sussurrò: "Pronta?"
Mi stavo innervosendo.
"Ma di cosa stai parlando? Ho sonno! Luna, se questo è uno scherzo, ti giuro che ti prendo a calci fino a casa tua".
Lei alzò gli occhi gli occhi al cielo e mi porse il cellulare.
Lessi più volte il messaggio, ma ancora una volta non capivo.
"Cosa?"
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Buona sera bella gente :3
Come ogni martedì eccoci al nostro consueto appuntamento (?)
La storia procede e io sono sempre meno soddisfatta AHAHAH uù
Ma comunque, grazie mille per tutte le recensioni.
Veramente.Vi adoro :')
Se vi va recensite anche questa, ma se vi rendete conto che è una schifezza e vi rifiuatae allora vi capisco.
Sappiate che concordo con voi :3
Bene, ora mi dileguo.
Ah, no. Prima devo fare pubblicità:http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=920060&i=1
Ve la consiglio.
E' ancora piccola, ma ne vale veramente la pena.
Grazie a tutti.
Al prossimo capitolo,
Francy
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Capitolo 5 *** Here with me. ***
This day I fight - Chapter 4
Here with me
-
Da quando ve ne siete andate, Niall è strano. Non ha toccato
cibo. Non parla più con nessuno. Ora ha preso e se n'è
andato; cosa gli ha fatto la tua amica? Ho paura per lui, è un
ragazzo troppo sensibile. Non voglio stia male - ecco cosa c'era scritto in quel messaggio.
Avevo un sacco di pensieri che mi frullavano in testa.
Riuscii a parlare solo dopo cinque minuti.
"Primo: perchè tu stai messaggiando con Zayn Malik, senza dirmi niente? Ti è sfuggito qualcosa, per caso?
Secondo:
cos'ho fatto? Questo arriva e con un tono quasi accusatorio mi dice che
sono io a far soffrire quel meraviglioso ragazzo, quando non sa neanche
chi sono e sicuramente farlo stare male è l'ultimo dei miei
intenti. Chi si crede di essere?" mi stava rimontando la rabbia,
probabilmente ero diventata paonazza per lo sforzo che stavo facendo.
Erano le tre di notte e non potevo mettermi ad urlare, dovevo
controllarmi, perciò feci un respiro profondo. Luna
approfittò della mia pausa per giustificarsi e per difendere il
suo adorato, ma le risparmiai quella scena, alzando una mano come per
fermarla. Non avevo ancora finito.
"Terzo: coprimi. In qualche modo. Io vado via. Con te ci parlerò dopo. Non so se tornerò prima dell'alba".
Non
le lasciai tempo per ribattere che mi ero già infilata un paio
di jeans, pronta per scendere le scale silenziosamente, cercando di non
svegliare nessuno.
Dovevo assicurarmi che le parole di quel pallone gonfiato non fossero vere. In ogni caso, ci avrei pensato io.
Una volta in strada corsi a perdifiato, mentre l'aria fredda mi
scendeva in gola rendendomi il respiro faticoso, le gambe si stavano
paralizzando, le mani avrebbero presto assunto la forma di due
ghiaccioli e il naso mi sarebbe potuto cadere da un momento all'altro.
Presi il biglietto e per la seconda volta in ventiquattro ore mi diressi in quella meravigliosa città.
Occupai
uno dei tanti posti liberi del treno, mi appoggiai al finestrino
stringendomi al giubbotto che nascondeva la maglia del pigiama.
Perchè lo stavo facendo?
Perchè
amavo quel ragazzo, pur essendo un amore impossibile, lo amavo
ugualmente. Non volevo stesse male per causa mia, anche se non me lo
sarei mai immaginato. Non capivo cos'avessi fatto. L'avevo abbracciato,
guardato un paio di volte e abbracciato di nuovo.
C'era stato solo quel piccolo dialogo che aveva spiazzato anche me, ma insomma, non credo avessi fatto niente di male.
Così
eccomi, su quel treno, sperando che Luna a casa stesse architettando un
buon piano per salvarmi la pelle, alla ricerca di cosa, non lo sapevo
ancora.
Non avevo idea di cos'avrei fatto una volta raggiunta la meta, visto che non avrei saputo da dove iniziare per cercarlo.
Ma volevo almeno provarci.
Mi addormentai profondamente, nonostante la mia mente continuasse a macchinare pensieri per tenermi sveglia.
All'arrivo sembravo una ragazza ubriaca che tentava di trovare la
strada per la felicità. Il sonno mi stava distruggendo e le
palpebre facevano una fatica incredibile per rimanere aperte.
Vagai per Milano, ripercorrendo le strade di quel giorno, ma non ci fu traccia nè di lui, nè di nessun altro.
Ad un tratto mi sentii la testa girare vorticosamente, le gambe non
riuscivano a reggere il mio peso, il corpo scosso da fremiti, sulla
schiena prendevano vita una serie infinita di brividi; mi lasciai
completamente. Spensi i pensieri e mi affidai alla forza di
gravità.
L'ultima cosa che percepì furono le mani di qualcuno sul mio corpo.
Ero tutta dolorante, non si salvava neppure un osso.
E avevo freddo; l'umidità mi era penetrata fin dentro la pelle. Non avevo la percezione del mondo attorno a me.
Ero una lastra di ghiaccio appoggiata su una superficie dura.
Mi accorsi però di qualcuno che mi stava accarezzando il viso
dolcemente, qualcuno che si era preso il disturbo di darmi il suo
giubbotto e di farmi poggiare la testa sulle sue gambe.
Cercai di aprire gli occhi. Erano troppo pesanti.
Mi uscì un lamento involontario.
"Ehi".
Era la sua voce, si. Pur non aprendo gli occhi sapevo chi fosse.
Sorrisi, perfino i muscoli delle guance mi facevano male.
Riuscii ad aprire gli occhi. Lo guardai.
Non mi sarei mai abituata a quello spettacolo indescrivibile.
"Ne è valsa la pena, nonostante tutto, ce l'ho fatta" dissi sussurrando. Non avevo la forza di parlare normalmente.
Cercai di tirarmi su, ma la mia testa non ne voleva sapere di stare ferma.
Così mi riaccucciai a lui.
"Da quanto tempo sono qui?"
"Mezz'ora. Cosa ci fai qui, si può sapere?" mi chiese quasi arrabbiato.
Mi lasciò spiazzata quella domanda.
Non era ovvio il perchè della mia presenza lì?
Non l'aveva capito che ero lì per lui?
Il sorriso mi morì sulle labbra.
"No, scusa, cosa ci fai tu qui? Sono le quattro di notte e tu sei in giro per una città a te sconosciuta a fare cosa? Me lo spieghi?"
"Avevo bisogno di pensare tutto qui".
Si certo, che razza di risposta!
"Pensare a cosa? A qualcosa a cui non potevi pensare a casa al caldo,
vero? Già, così importante che ne valeva la pena di
morire di freddo su una panchina, immagino" era assurdo.
"Non potevo rimanere con i ragazzi e pensare. Non coincidevano le due
cose, non mi andava di parlarne con loro, non mi andava che loro
sapessero cosa mi passasse per la testa, non questa volta".
"E io? Posso saperlo? Io non c'entro con loro e probabilmente non
c'entrerò mai. Ma so che hai bisogno di parlarne. Se non lo fai,
finirai per scoppiare. Coraggio, sono qui per te".
Non dicevo quelle cose perchè lui fosse Niall Horan, ma
perchè lui era una persona, un umano e come tutti aveva bisogno
di parlare, di sfogarsi.
Volevo veramente esserci per lui. Per sempre.
Ma mi accontentavo così, di un solo momento: era già troppo per me.
Perciò eccomi lì, a sua completa disposizione.
"Non so se è una buona idea..." tentennò.
L'insicurezza del pomeriggio sparì e mi imposi.
"Non ne voglio sapere mezza. Dimmi subito come ti passa per la testa, Horan. Liberati da ogni pensiero. Dagli vita".
"Il mio pensiero ha già preso vita. E' sdraiato sulle mie gambe in questo preciso momento".
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Buonasera bella gente :3
Eccomi con il nuovo capitolo.
Questa FF mi sta prendendo sempre di più
mi sembra tutto così reale *o*
*sognasogna*
AHAHAH nulla toglie che faccia schifo lo stesso u.u
Ditemi che ne pensate, mi affido a voi (?)
Francy
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