Hopeless di driu (/viewuser.php?uid=162914)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Please, give me a life ***
Capitolo 2: *** 4th November ***
Capitolo 3: *** I thought you were worse ***
Capitolo 4: *** Only thank you. ***
Capitolo 5: *** He's just mine ***
Capitolo 6: *** you're my friend ***
Capitolo 7: *** you remind me someone ***
Capitolo 8: *** Hic et nunc ***
Capitolo 9: *** Love me ***
Capitolo 10: *** You don't know who i am ***
Capitolo 1 *** Please, give me a life ***
PROLOGO
Salve
a tutti, io sono Axel.
Mmm,
inizio troppo scontato e
diretto? Forse. Nome troppo “maschiaccio”?
Probabile. Ma questa è la storia
della mia vita, quindi lasciate che ve la racconti nel modo che ritengo
più
opportuno. Prima di cominciare però, voglio avvisarvi e
darvi la possibilità di
non sprecare più tempo di quello che avete già
fatto leggendo fin qui, nel caso
vi foste fatti un’idea sbagliata: magari vi aspetterete, che
ne so, una ragazza
tutta rose e fiori, frivola e gioiosa, che sogna il vero amore, che
abita in
una bella villetta con piscina, con genitori amorevoli e apprensivi,
circondata
da frasi come “andrà tutto bene” o
“non ti lascerò mai da sola” che
svolazzano
qua e là ogni tre righe e, ciliegina sulla torta, con
fidatissime amiche con le
quali confidarsi e scambiarsi sostegno reciproco. Bhe, se questa
è la storia
che bramate di leggere, il personaggio che volete incontrare e i vostri
effettivi desideri di lettura, tornate indietro e dimenticatevi di
questa Axel
che avete conosciuto per così poco tempo, perché
non sono il genere di
protagonista che ha le fortune sopra elencate.
Ho
17 anni e abito da poco in
uno squallido appartamentino nell’altrettanto squallida
cittadina di Holmes
Chapel, in compagnia di qualche scarafaggio e un topolino che si
è gentilmente
fatto la tana in una delle pareti… o forse sono io che mi
sono fatta la tana
fra le sue pareti? È uguale. Cosa ci faccio qui? Ah, adesso
entriamo nella
sfera dei genitori amorevoli e apprensivi. Non sono mai stata il genere
di
figlia che loro avrebbero disperatamente voluto e che hanno
disperatamente
cercato di creare da quella che sono realmente io. Non ho mai dato la
colpa a
loro per quello che hanno fatto, a dir la verità non la do a
nessuno, è un
semplice dato di fatto: io e loro vivevamo su due mondi completamente
separati,
con ambizioni e desideri agli antipodi gli uni dagli altri e caratteri
assolutamente differenti; così, prendendo molto astutamente
come scusa una mia
bravata, mi hanno caricata sul primo aereo Australia-Holmes Chapel e
spedita
qui, da sola, solo con una valigia, un mazzo di chiavi della casa
più orrida
che ci possa essere sulla faccia della terra e un fottutissimo “buona fortuna” che
ancora devo capire
cosa farmene.
Per
quanto riguarda amici e amiche…
mai avuti. A quanto pare, non sono stata un abominio solo per i miei
genitori,
ma anche per le persone che mi circondavano. Mi guardavano tutti spesso
e
volentieri con diffidenza e timore, come se al posto delle braccia
avessi avuto
dei tentacoli. Ma per favore. Ero molto peggio. Ero diversa. Diversa da tutte
quelle specie di veline con cui mi trovavo ad avere a che fare. Diversa
da
tutte quelle persone superficiali e ipocrite che entravano nella mia
vita.
Diversa nel sognare. Diversa nel vedere il mondo. Diversa, purtroppo,
da tutto
ciò che la mia generazione richiedeva e richiede
tutt’ora per essere accettata
nella comunità.
Paura
eh? Bene, perché se sono
riuscita a spaventarvi ora, vi risparmierete una lunga serie di fatti
che
(forse) riusciranno ad incasinare ancora di più la mia
misera esistenza. Se
invece ho attirato la vostra attenzione, allora benvenuti, questa sono
io,
questa è la mia vita e questa è la mattina del 4
novembre, l’inizio della mia
storia.
Eccomi
qui, a postare il primo capitolo di
una nuova storia di cui sono particolarmente orgogliosa :) Questo
è solo il
prologo, ma conto che per domani dovrei pubblicare già il
primo capitolo! Voi
nel frattempo se vi riesce buttategli un’occhiata e fatemi
sapere cosa ne
pensate.
L’ispirazione
mi è venuta al cinema
guardando un film particolarmente noioso… ed è
nata Axel. Come personaggio mi
fa impazzire, ci disegnerò sopra di tutto e di
più. Ah, l’ispirazione è stata
anche accentuata ascoltando la canzone Crawling back to you
dei Daughtry che
ora come ora ascolto una ventina di volte al giorno :D
Che
altro dire? A questo punto solo BUONA
LETTURA e, bhe, spero davvero che vi piaccia <3 |
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Capitolo 2 *** 4th November ***
Pov.
Axel
La bambina
corre. Non
c’è una meta, corre e basta, solo per il gusto di
sentire il cuore battere più
veloce, il sangue scorrere impetuoso nelle vene, la terra che cede
sotto i suoi
passi, i polmoni colmi di aria fresca.
“Tesoro!
Vieni dalla mamma!”
Si gira,
ridendo
affannosamente. Due profonde fossette le si formano ai lati della
bocca. I
candidi capelli le sfiorano le guance. Ma non ne vuol sapere di
fermarsi, non
ancora. Vuole divertirsi un altro po’ a farsi richiamare da
quella donna, sua madre.
Ma poi… frena, con gli occhi sbarrati. Una ragazza, molto
simile a lei, le si
para davanti, grondante di sangue.
“No…”
La bambina
comincia a
tremare, chiama ripetutamente la madre, arretrando.
“Amore,
che succ…
ODDIO! Vieni! Tesoro allontanati da li!”
La donna fissa
terrorizzata la giovane che si trova dirimpetto la figlia, trascinando
quest’ultima verso di se.
“Stai
tranquilla,
bambina mia, andrà tutto bene… la mia piccola
Axel.”
La donna si
allontana
con la piccolina, rassicurandola.
La ragazza
allunga un braccio.
Emette un urlo muto…
Non riesce a
raggiungerla. Poi un suono…
Driiin.
Driiin.
Mi misi di
scatto seduta sul letto, completamente sudata e con le lenzuola
arrotolate a
formare una palla di tessuto buttata ai miei piedi. Rimproveri
interiori,
rimorsi, rimpianti e ora anche gli incubi. Quando sarebbe finito
quell’inferno?
Mi passai stancamente una mano sulla faccia, forse per cercare di
svegliarmi
oppure, più probabile, con l’intento di scacciare
via quei pensieri che mi
continuavano ad assillare. Guardai torva la sveglia che non accennava a
smettere di strillare come un ossessa e le diedi un colpo con la mano,
facendola zittire. 7.00. Era
arrivato, in fine, quello stramaledetto giorno. Girai la testa ancora
incricchiata verso il comodino e notai la data: 4 novembre.
Così tardi? Mio
dio, avevo completamente perso la cognizione del tempo. Forse
cominciare ad
andare a scuola mi avrebbe aiutata a riadattarmi almeno un poco a
quella che
sarebbe dovuta essere la mia normale vita di adolescente, anche se non
ci
speravo più di tanto. Mi alzai dal letto stiracchiandomi e
raggiunsi il
balcone, dove scostai le finestre per sbirciare fuori: il mio
disgustoso
appartamento si affacciava su una vecchia ferrovia abbandonata; quando
vidi
l’ambiente per la prima volta, pensai subito che fosse il
posto perfetto per un
circolo di pericolosissimi spacciatori oppure il covo ideale per una
possibile
gang del paese, e forse non avevo tutti i torti. Ma nessuno, nessuno mi
aveva
mai dato fastidio… l’ho già detto che
sono diversa dal resto dei miei coetanei,
no? In quel momento, divertita, guardando il cielo coperto di nubi
scure, feci
una constatazione che mi colpì in tutta la sua
verità: gli altri si poteva dire
che mi temessero, avevano paura di me, dei miei atteggiamenti, del mio
modo di
rapportarmi al resto del mondo e, sinceramente, a me andava
più che bene
l’isolamento. Meno persone mi ronzavano attorno dandomi
nient’altro che
compassione, meglio era. E quel giorno, per la prima volta dopo quasi
un anno
di difficoltà, ritornavo come strisciando proprio in quel
mondo.
Una
mezz’ora
dopo ero fuori di casa, dirigendomi a passo sostenuto verso
l’edificio
scolastico. Dei tuoni cominciavano a farsi sentire e qualche gocciolina
già mi
cadeva sui capelli lisci e castani. Quel giorno avevo optato per una
maglietta
nera piuttosto larga di Bob Marley, delle calze a rete ugualmente nere
coperte
solo al bacino da un paio di pantaloncini corti di jeans e, in fine, le
mie Dr
Martens a stivaletto. Si insomma, il mio normale abbigliamento. Sbuffai
rumorosamente,
provocando una grossa nuvola di nicotina che mi uscì dalla
bocca per poi
disperdersi nell’aria, quando sentii il vociare dei ragazzi
provenire da dietro
un’ampia curva a cento metri di distanza, segno che ero quasi
arrivata a
destinazione.
Axel, mi
raccomando! Trillò
una voce stridula dentro alla
mia testa.
Almeno per
oggi, cerca di non
uccidere nessuno.
Sorrisi con
quel sorriso che solitamente i miei genitori (o come si potevano
chiamare
quelle persone) temevano da morire, un po’ assassino ecco, e
svoltai l’angolo,
sicura.
Pov.
Zayn
“Che
cazzo di tempo di merda c’è?!”
“Oè
Zayn! ‘ngiorno anche a te!”
Mi avviai
sorridendo verso Louis e combriccola, tutti intenti (già
alle otto meno dieci
del mattino, tanto per puntualizzare) a strusciarsi contro un paio di
ragazze
particolarmente interessate al nostro giro. Al mio
giro. Appoggiati al pick up di qualche sfigato che doveva
essere lì intorno e che non aveva il fegato per dirli nulla,
erano avvolti
completamente da una nube di fumo che usciva dalle sigarette di ognuno
di loro.
Alla mia vista, si scostarono per lasciarmi lo spazio centrale del
cofano su
cui mi stravaccai circa 16 secondi dopo essere arrivato, osservando
compiaciuto
i gruppeti di ragazze che mi mangiavano con gli occhi, i ragazzi che mi
guardavano bramando la mia amicizia e pregustandomi lo sguardo
rispettoso che i
professori mi avrebbero rivolto come sempre quando fossi passato per i
corridoi
di quella che potevo benissimo e senza alcun dubbio definire la mia
scuola.
Merda! Che
maleducato! Non mi sono neanche presentato! Io sono Zayn Malik e sono
il
ragazzo più popolare dell’intera Holmes Chapel.
Questa semplice frase secondo
il mio punto di vista dovrebbe già rendervi l’idea
di come sia la mia vita, ma
nel caso in cui a qualcuno di voi servano più
approfondimenti, allora vi
accontenterò subito: oltre ad essere invidiato dai tre
quarti della cittadina,
i miei genitori sono degli imprenditori molto ricchi e molto impegnati
che mi
lasciano casa libera più o meno otto mesi su dodici. Come vi
dicevo, molti
bramano anche solo il mio saluto e farebbero di tutto per ottenerlo, ma
quelli
che posso considerare i miei migliori amici sono Harry, Liam e Louis.
Il primo
l’ho conosciuto ad un merdosissimo corso di teatro al quale i
miei genitori mi
hanno costretto ad andare circa un anno fa (ovviamente smisi dopo
neanche una
settimana) e dove stringemmo subito amicizia; l’ultimo era il
fratello di una
ragazza con cui mi ero messo un migliaio di anni fa e che adesso
dovrebbe
trovarsi in qualche punto non ben definito dell’Africa (per
lavoro) e per
quanto riguarda Liam, bhè, semplice: siamo compagni di
classe.
“Ehi
Zayn, che facciamo questo
pomeriggio?” Mi
chiese Louis, mentre con una mano reggeva il mozzicone di sigaretta e
l’altra
era impegnata a massaggiare i glutei di una delle ragazze.
“E
io che cazzo ne so! Certo che se
per una stramaledettissima volta prendeste voi l’iniziativa
non vi farebbe male
a quei gabinetti che chiamate cervelli!” Dissi
pigramente, prendendo nel
frattempo una ragazza e facendomela sedere sulle ginocchia.
“Uff
e va bene! Pensavamo a qualcosa
come andare alla solita discoteca verso… le
cinque?” Propose
timidamente Harry.
“Si,
e magari prima divertirci un po’
a ficcare la testa di quel merdoso biondino nel cassonetto!”
Annunciò Liam con gli occhi che
brillavano per l’eccitazione.
“Bho…
si dai, si può fare.” Acconsentii
pensieroso stringendo tra
le mani le cosce della ragazza che avevo tra le braccia. Con la coda
dell’occhio vidi Harry irrigidirsi e lo sentii farfugliare
subito dopo un
“Ah…
ehm scusate ma non mi ricordavo
che sono in punizione e mia mamma non mi fa uscire.”
“Fanculo
Harry! E in punizione per
cosa, sentiamo.”
Sbuffai cominciando ad irritarmi.
“C-cioè io, ecco…”
non riuscì a
formulare la frase che fu interrotto da un “Guardate!
E quella chi cazzo è?!” di Louis.
Ancora
più
incazzato per l’interruzione mi voltai spingendo via la
ragazza che ormai si
era installata sulle mie gambe e mi voltai, pronto a prendere a calci
Louis per
aver parlato a sproposito, come era solito fare. Una ragazza, mai vista
prima,
marciava a un centinaio di metri di distanza da noi verso
l’entrata della
scuola. I suoi occhi lampeggiavano e lanciavano saette a chiunque si
avvicinasse
per salutarla e chiederle chi fosse, facendolo arretrare. Camminava a
testa
alta, ondeggiando il corpo lungo e le gambe snelle, sbuffando grandi
quantità
di fumo in aria.
“Ma
questa?” Sussurrai,
riducendo gli occhi a due
fessure per osservarla meglio.
“Qualcuno
di voi la conosce?” Chiese
titubante una delle ragazze.
“Shh!” Girai la
testa di scatto lanciandole
un’occhiata omicida, facendola tremare, per poi tornare ad
osservare la nuova
arrivata, che ormai passeggiava tranquillamente a non più di
una decina di
metri di distanza.
“EHI!
Bel culo!” Urlai con un
ghigno, provocando
risate di ilarità in più o meno tutto il
parcheggio. Incerta, rallentò il
passo, forse per assicurarsi del fatto che mi stessi effettivamente
rivolgendo
a lei. Per toglierle del tutto il dubbio, le dissi ancora
“Si,
tu con le gambe da ballerina erotica!”
La ragazza
si arrestò del tutto, voltando lentamente la testa verso di
me, che rimanevo
immobile sogghignando, ancora appoggiato al pick up. Improvvisamente,
cambiò
rotta e invece che puntare all’ingresso della scuola, si
diresse verso di noi.
Sentii provenire da Louis un “Oh-oh
Malik, questa ti fa male.” e da Harry “Mmm
sbattitela per bene amico!”, mentre le ragazze con
noi si atteggiavano da
troie personali; io intanto mi raddrizzai, con un sorriso arrogante
stampato in
faccia. La ragazza mi si fermò a pochi millimetri dalle
labbra, piantando i
suoi occhi marroni nei miei. Mi scrutò un attimo, il che mi
fece innervosire,
ma non lo diedi a vedere più di tanto. In fine, prendendomi
la sigaretta dalle
mani e buttando via la propria, mi si avvicinò ancora di
più, fino a sfiorarmi
con i denti il lobo dell’orecchio destro, e in un soffio mi
disse “E tu chi saresti, Topo
Gigio?” Mentre
ancora spiazzato cercavo di elaborare un insulto degno di quella
domanda
insolente, lei girò i tacchi ed entrò
definitivamente nell’edificio,
lasciandomi li fuori come un baccalà, con ancora la bocca
dischiusa e gli occhi
strabuzzati. Udii un chiaro “Ahia…”
provenire da Liam e, guardandolo con odio, mandai la maggior parte
delle
persone in quell’orrendo parcheggio al diavolo ed in poche
falcate entrai a mia
volta a scuola.
Pov.
Axel
Mmm
complimenti per l’ottimo sforzo a
socializzare!
Ancora
quella stupida vocina nella testa. Ma cos’era?! Una sorta di
coscienza?
Si ehm
ascolta, facciamo che io mando
al diavolo chi mi pare e piace e tu non mi rompi le palle, ci stai?
Sbuffando
tra me e me entrai in classe, proprio quando la prof stava per chiudere
la
porta.
“O
ciao! Tu devi essere la ragazza
nuova, Axel, giusto?”
Mi chiese
allegra. Che cazzo hai da essere allegra,
strega? Avrei voluto dirle, ma mi trattenni. D'altronde, non
era colpa sua
se la mia vita faceva schifo.
“In
persona.” Le porsi la
mano accennando ad un
sorriso che probabilmente uscì come una linguaccia.
“Bene!
Accomodati pure, io arrivo tra
un momento e ti presento alla classe.”
Mi diressi
svogliatamente vicino alla cattedra e osservai uno per uno gli occhi
stupiti
che mi osservavano, fino ad incontrarne un paio famigliari…
ottimo, era uno di
quelli che facevano da zerbino a Topo Gigio nel parcheggio, uno con i
capelli
riccioli e la faccia angelica ma, già me lo sentivo, con un
animo da stronzo.
“Ehi,
ma guarda chi c’è! Senti, una
curiosità:
quanto vuoi all’ora? No perché immagino che con il
corpo da urlo che ti ritrovi
non devi essere esattamente economica, dico bene?” La classe
scoppiò in una risata
fragorosa, mentre il riccetto mi guardava con aria di sfida. Io gli
sorrisi
amorevolmente.
“Come
ti chiami, tesoro?”
“Harry,
amore.”
“Harry…
capisco. Ascolta Harry, vieni
qui un attimo, che ti devo dire una cosa.”
“No
dai, vieni tu, che devo
risparmiare le forze per utilizzarle dopo con tua
madr…”
Mi fiondai
verso di lui e, piantando gli occhi nei suoi proprio come avevo fatto
con il
suo amichetto poco prima, gli sussurrai con un filo di voce ma che
avrebbe
fatto gelare il sangue nelle vene anche ad un puma affamato
“Ascoltami
molto attentamente: stai
attento a quello che dici, stai attento a quello che fai con me. Tu non
mi
conosci minimamente, e se non vuoi presentarti a scuola domani con gli
attributi legati al collo, non rompermi i coglioni, è
chiaro? Non hai la più
pallida idea di quello che sono capace di fare al genere di persone
come te.
Potresti non rivedere mai più il tuo fidanzatino,
mi sono spiegata?”
Lui
deglutì
rumorosamente ed io, con uno scatto, ritornai a recuperare la borsa che
avevo
abbandonato di fianco alla cattedra. Il resto della classe guardava il
presunto
Harry in attesa di una sua risposta a tono che non arrivò.
“Okay
ragazzi, eccomi qua! Avete già
fatto conoscenza con Axel?”
“Ma
si, diciamo così prof.” Risposi io
per loro, che si erano
ammutoliti.
“Bene,
allora direi di iniziare la
lezione, accomodati pure Axel.”
Liquidandomi
così la professoressa iniziò la lezione, mentre
io mi diressi verso l’ultimo
banco in fondo, senza persone a fianco, e mi accomodai, puntando gli
occhi
sulla nuca di Harry e pronta a torturarlo per il resto
dell’ora lanciandogli
delle occhiate perforatrici.
Pov.
Harry
“Voi
non mi state ascoltando, vero?!
Merda Zayn! Almeno tu! Quella ragazza mi ha minacciato!”
“Uuuh
paura! Cristo santo Harry Tira
fuori le palle! Che ti succede? Ti ha minacciato una ragazza, cazzo!
Una
fottutissima ragazza! Io le uso di notte e le butto via il giorno dopo,
e tu
non sei in grado di tirarle un ceffone e zittirla con la tua
virilità?!” Mi rispose
Zayn alzando di un ottava
la voce, facendo voltare tutti nella sala della mensa.
“Tu
non sai con che tono mi ha
minacciato, Za! Sembrava volesse seriamente uccidermi! Credimi,
è una psicopatica!”
“Okay
Hazza, se ti fa sentire più
tranquillo, finita la scuola usciamo io, te Liam e Louis, ti mettiamo
un
pannolino e poi andiamo ad affrontare faccia a faccia questo mostro di
ragazza,
okay? Ora levati dalle palle però, che mi hai seccato
più che a sufficienza!”
Così
dicendo, mi diede una manata facendomi arretrare e tornò a
concentrarsi sulla
bocca di una tizia del primo anno.
“Ma
vaffanculo.” Mormorai,
allontanandomi furente. Perché
ogni volta mi trattava così? Dopotutto, rientravo nella
cerchia dei suoi
migliori amici e anche io lo consideravo tale… forse. No,
con Zayn era tutto
più complicato: mi sentivo in obbligo a sottostare alle sue
regole e non a
comportarmi come… Harry. Non riuscivo a dirgli neanche il
mio più grande
segreto, quello che mi tenevo dentro da così tanto tempo!
Con chi mi sarei
potuto confidare se non che con il mio migliore amico? No, non andava
affatto
bene così. Mi fermai di scatto e feci retromarcia tornando
da lui. Appena mi
vide riavvicinarmi, si alzò, pronto a mandarmi al diavolo
con qualche insulto
pesante, ma io lo precedetti
“Ascolta
Zayn, io non ce la faccio
più. Oggi non sarò in vostra compagnia, ma
stasera, alle otto, possiamo
trovarci almeno per dieci minuti in piazza? Ti devo parlare ed
è piuttosto
importante.” Dissi
tutto ciò con la massima serietà e lui si accorse
che doveva trattarsi di
qualcosa di fondamentale per me, così si limitò
ad annuire e allontanarsi dalla
tavola, pronto per andare in classe.
Pov.
Liam
“Ehi
tu! Dove pensi di andare?” Con un ghigno
Zayn apparve da un
angolo ed affiancò la ragazza (Axel, da come ci aveva detto
Harry), fermandola
con un braccio.
“Che
c’è, Gigio, l’amichetto qui è
venuto a nascondersi sotto la tua gonna perché gli ho fatto
tanta paura?” Rispose con
sguardo di sfida e
imitando la voce di un poppante spaventato, scrollandosi Zayn di dosso
e
voltandosi dall’altra parte, consapevolissima che saremmo
spuntati tutti noi.
Però, quella ragazza doveva essere stata una macchina nella
vita precedente.
“Ah,
complimenti, una ragazza contro
quattro conigli. Non avete un’opinione molto alta di me, o
sbalglio?” Aggiunse,
ironica.
“No,
bhe, vedi, il fatto che tu venga
qui e assumi il ruolo di capobranco sfascia minchia non mi sta affatto
bene,
quindi vedi di cambiare atteggiamento, o ti convinco io.” Disse
minaccioso il mio amico,
ignorando il suo secondo commento e riafferrandole il polso per
sbattersela
violentemente sul petto. Ero piuttosto certo che non le avrebbe fatto
del male,
ma Zayn era davvero un tipo imprevedibile, così aggiunsi
“Ti conviene ascoltarlo, bellezza, non si sa
mai!”
Lei non mi
considerò neanche e, mentre noi ci avvicinavamo a
mò di semicerchio (prima io,
poi Louis, in fine Harry ed in mezzo Zayn abbarbicato ad Axel), gli
sibilò
all’orecchio:
“Lasciami
andare.”
“Altrimenti?” Rispose lui,
beffardo, stringendo la
presa. Lei rimase immobile e lo osservò a lungo, senza dire
una parola.
Improvvisamente, con un gesto fulmineo si sciolse dalla presa e gli
tirò una
ginocchiata dritta in pancia. Zayn si piegò in due
allontanandosi strizzando
gli occhi per riprendersi, ed in quel momento vidi Harry avvicinarsi
alla
ragazza furibondo, tirandole uno schiaffo che la sbalzò
completamente a
sinistra. Lentamente, Axel si portò una mano alla guancia e
girò la testa verso
Harry, che la guardava minaccioso, mentre Zayn si avvicinava a grandi
falcate.
“T-tu
sei un pazzo.”
“Non
azzardarti a dire una parola,
chiaro?!”
Urlò il
riccio. Zayn la afferrò per un braccio e glielo
stortò dietro la schiena,
facendole strizzare gli occhi per il dolore.
“Zayn…” mi azzardai a
dire io, ma Louis mi
mise una mano sulla spalla intimandomi al silenzio.
“Non fare mai più una cosa del genere,
mai.
Complimenti, sei arrivata qui da neanche un giorno e ti sei
già fatta dei
nemici.”
“E
che nemici.” Rispose lei
arrogante. Quella
ragazza mi affascinava. Nessuno aveva mai osato tener testa a Zayn
così a
lungo. Questo la lasciò andare e, guardandola in cagnesco,
ci fece un segno per
dirci di seguirlo e ci allontanammo. Prima di svoltare
l’angolo, lanciai
un’ultima, breve occhiata a quella strana creatura, che
ricambiò lo sguardo. La
differenza era che il suo era carico di odio e rancore.
Pov.
Harry
19.45
“Ciao piccolo,
ci
vediamo domani, d’accordo?”
“Si…
non vedo l’ora. Ah, voglio che
tu sappia che apprezzo davvero quello che stai per fare. So che per te
è molto
difficile affrontare Zayn, ma credimi: è la cosa
giusta.”
“Lo
so, lo so. Zayn mi accetterà se è
davvero mio amico.”
“SI,
ma se non lo fa, vuol dire che
la tua vita diventerà un inferno per colpa sua!”
Riflettei un
attimo sulle parole che mi aveva detto il biondino, il MIO biondino, e
in fine
risposi, sorridendo
“Per
te, correrò il rischio.”
Niall mi
guardò con un’espressione impenetrabile e, senza
dire una parola, mi afferrò il
bavero della camicia facendo scontrare le sue labbra con le mie. Chiusi
gli
occhi e mi godetti quel dolce contatto, seguendo il profilo della sua
mascella
con una mano, i contorni delle sue spalle con l’altra, non
desiderando niente
di meglio dalla vita. Mi staccai leggermente, poggiando i palmi sul suo
torace,
e sussurrai
“Devo
andare…”
“Vai…
grazie per oggi… per avermi
avvertito dell’ ”agguato” da parte dei
tuoi amici.”
“Ma
figurati.”
Così
dicendo, presi la strada per la piazzetta, alla quale sarei dovuto
arrivare nel
giro di pochi minuti. Guardai il cielo: le nuvole si stavano diradando
per
lasciare spazio ad un cielo ormai quasi nero, segno che le giornate si
stavano
accorciando sempre di più. Puntai gli occhi verso una
palazzina con le mura
scrostate che si affacciavano su una ferrovia abbandonata. Chi avrebbe
potuto
mai vivere in un posto così triste? Ripensai ad Axel, quella
troia che mi aveva
così tanto fatto incazzare. Non sapevo nemmeno io
perché l’avevo colpita, forse
per vedere negli occhi di Zayn un briciolo di approvazione e
orgoglio… no, la
verità era che quella ragazza aveva toccato un punto debole
della mia
personalità dicendo “Potresti
non
rivedere mai più il tuo fidanzatino, mi sono
spiegata?” Come diavolo faceva
a saperlo?! Alla fine, comunque, non ero poi così pentito di
averle tirato uno
schiaffo. Se lo meritava. La odiavo, con tutto me stesso, probabilmente
per
quel suo coraggio e faccia tosta che anche io avrei ardentemente voluto
avere.
L’aria
che
mi sfiorava la pelle era gelida, istintivamente mi portai una mano
sulla faccia
per coprirmi da un po’ di sabbiolina che mi entrava negli
occhi e con il
pollice mi sfiorai le labbra. Chiusi gli occhi e riportai alla memoria
tutti i
baci rubati, le notti d’amore, il desiderio insaziabile di
lui che avevo dovuto
contenere per timore del giudizio pubblico. Ma adesso basta.
L’unica cosa
importante, per me, era il mio Niall.
“Wellà!
Frocio! Come te la passi?”
Mi bloccai
di colpo, il sangue gelato nelle vene ed un senso di terrore nelle
ossa. Come
mi aveva chiamato? Perché?
“S-scusa?”
“Non
fare lo stronzo! Ti abbiamo
visto prima mentre infilavi la lingua nella bocca del biondo!”
“N-non
sono affari vostri…” Balbettai
(perché balbettavo poi?!
Ovvio, perché mi stavo paralizzando dalla paura), cercando
di recuperare un po’
di coraggio e dignità di fronte a quei tizi
dall’aria molto più che pericolosa.
“Ma
certo che sono affari nostri!
Perché, vedi, anche noi ogni tanto ci vogliamo divertire un
po’, e tu… tu sei
così carino…”
Disse
uno dei tre, sfiorandomi la guancia con la mano.
“Non
mi toccare!” Protestai in
un sussurro, arretrando
per sottrarmi al contatto. Scappa Harry!
Cosa fai lì impalato?! Scappa!
Ahh il buon
senso. Ma in quel momento, il mio cervello non era propriamente
collegato ai
muscoli, tanto meno a quelli delle gambe. Così tentai di
fare un passo in
dietro…
Caddi.
Mi vennero
addosso.
Mi
trascinarono in un vicolo buio, tappandomi la bocca.
E fu la
fine.
-Vi prego,
portatemi dal mio Zayn- fu
l’ultimo
pensiero sensato.
Ed
ecco a voi il nuovo capitolo e primo capitolo!
Prima
di tutto, voglio assolutamente ringraziare per
recensione/seguimenti(?)/preferiti directioner4life, The
white soul,
DemzCarrots, ale_sunshine, marthine, sam_91 e un grazie
speciale a nevaeh
che mi ha scritto una recensione BELLISSIMA, proprio di quelle che
piacciono a
me hahahah J
GRAZIE MILLE a tutte, davvero!
Per
quanto riguarda il capitolo, sono abbastanza
soddisfatta di questo e soprattutto sono felice di averlo reso
così lungo! Lo
so, ci ho buttato dentro un po’ di cose ma mi sembrano messe
giù in modo
abbastanza chiaro!
In
fine, oltre ad esortarvi (come sempre d’altronde!) a
dirmi cosa ne pensate, spero continuerete a seguirmi! Un bacione a
tutte e passate
una buona giornata!
Andrea
|
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Capitolo 3 *** I thought you were worse ***
Mi avevano
svuotato di
tutto.
Non provavo
più nulla,
né dolore, né paura, né vergogna.
Niente.
Ero diventato
una
bambola di pezza nelle loro mani.
Non opponevo
resistenza, non urlavo.
Piangevo?
Forse.
Non aveva
importanza,
non più ormai.
Levai gli
occhi al
cielo: era diventato nero come la pece, riuscivo a scorgere qualche
stella
tremolante in lontananza, offuscata dalla luce del lampione poco
distante da
me, da noi. Una folata di vento mi scompigliò i capelli e mi
fece rabbrividire.
Sorrisi, chiudendo gli occhi, cercando di riportare alla memoria i miei
amici,
Zayn, Liam, Louis, il mio piccolo Niall, i miei genitori.
Com’era semplice la
vita solo un anno fa: ancora non ero consapevole della mia
omosessualità,
giravo allegro e gioioso per le strade di Holmes Chapel giurando a me
stesso
che nessuno sarebbe mai riuscito a portarmi via quella
felicità immensa.
Illuso. “Svegliati Harry! Si cresce prima o poi!”
avrei voluto urlarmi tornando
indietro. Ma forse era giusto così, anzi, sicuramente. Udii
un battito di ali e
subito dopo un piccione si posò delicatamente sul muretto
davanti a noi, piantando
i suoi occhietti scuri nei miei. –Portami via da qui, ti
prego- pensai. –Portami
in un paese sconosciuto, affinchè possa ricominciare tutto
da capo-. Un singhiozzo
interruppe i miei pensieri. Solo dopo qualche minuto (o qualche ora,
chissà) mi
accorsi che le mie guance ospitavano una cascata inarrestabile di
lacrime
salate, salate come la mia anima, se ancora ne avevo una. Appoggiai una
guancia
al cemento freddo su cui ero disteso, chiudendo gli occhi e sperando
ardentemente dentro di me di risvegliarmi in fretta e ritrovarmi nella
mia
camera, con mia madre di fianco ad accarezzarmi amorevolmente la testa.
Ma ormai non
sentivo
più niente.
Non sentivo lo
squarcio
lungo e profondo nella gamba.
Non sentivo i
graffi
sulla schiena e sulla faccia.
Non sentivo le
brutali
spinte dell’uomo dietro di me che mi violentava.
Non sentivo i
risolini
di apprezzamento degli altri due.
Non avevo
né freddo né
caldo.
Mi avevano
svuotato di
tutto.
Pov.
Zayn
Dove. Diavolo.
Era. Erano ormai scoccate le nove e mezza e io
stavo aspirando nervosamente la mia milionesima sigaretta. Mi aveva
preso per
il culo? Pregai per lui che non fosse così, che il giorno
dopo mi avrebbe dato
una motivazione più che valida per la sua assenza al nostro
appuntamento. Cosa
stava succedendo a quel ragazzo, quello che meno di tre mesi prima era
il mio
più fidato amico, compagno di sventure e avventure, il mio
sostegno personale
nei momenti di difficoltà e amico di sfogo.
Dov’era? Non lo trovavo più,
l’avevo irrimediabilmente perso. Non era più
così solare e sfacciato, non aveva
più quella sicurezza con cui mi dava la carica ogni giorno
e, cosa più
importante, sembrava non si fidasse più di me. Non ci capivo
dentro più nulla,
merda! Mi accorsi solo in quel momento di star tremando violentemente;
come
prova del nove, mi portai la mano in viso toccandomi il naso e
trovandoci al
suo posto un cubetto di ghiaccio. Come pensavo. Se fossi rimasto cinque
minuti
di più, mi sarei trasformato in una scultura di ghiaccio.
Così mi raddrizzai e,
dopo aver lanciato un’ultima occhiata intorno, mi avviai a
casa, deluso e infreddolito.
Pov.
Axel
Camminavo a
passo sostenuto, impaziente di giungere a casa e
sbattere la porta in faccia a quel freddo maledetto che mi stava
divorando le
budella. Ero di ritorno dalle poste, dove avevo ritirato i soldi che
“gentilmente” i miei genitori mi spedivano ogni
mese per mantenermi. Che
carini. Inciampai sbattendo il piede contro un sasso e imprecai al
dolore causato
dal contatto delle dita dei piedi (pressoché congelate) con
la punta della
scarpa. Raddrizzandomi, ripresi la mia corsa, stringendomi ancora di
più nella
giacca e portandomi la borsa al petto con la speranza di ripararmi
almeno un
po’ da quegli spifferi insolenti che si insinuavano sotto la
mia maglietta
giungendo a contatto con la pelle. Finalmente, svoltato
l’angolo, vidi in
lontananza la palazzina disastrata in cui vivevo, e portai la mano
nella tasca
per prendere le chiavi, gesto che mi provocò una smorfia di
dolore giunto dal
braccio che quello stronzo figlio di papà di Zayn mi aveva
quasi rotto. Ero
ancora scandalizzata. Ma non per il suo comportamento, sia chiaro! Ma
per il
semplice motivo che mi ritrovavo ancora a scandalizzarmi per persone
del genere,
ecco tutto. Ormai avrei dovuto farci l’abitudine ad
incontrare gente come lui,
e invece…
Salii sul
marciapiede su cui si affacciava il portone,
inserii la chiave nella toppa e… mi bloccai di colpo,
atterrita. Dei gemiti.
Delle risate. Ancora dei gemiti. Voltai la testa, lentamente, lasciando
le
chiavi lì dov’erano, e mi avvicinai con la
medesima velocità ad un cunicolo
molto stretto, di cui riuscii a vedere l’entrata solo grazie
ad un lampione
poco lontano. Presi telefono e spray al peperoncino in mano, buttai la
borsa in
un angolo e mi affacciai cautamente verso la stradina.
Mio
Dio… lo spettacolo che mi si presentò davanti
agli occhi
mi fece rivoltar lo stomaco: Harry, lo stronzo compare di Zayn, era
buttato a
terra, con una gamba da cui uscivano fiotti di sangue e circondato da
tre
uomini che ridacchiavano eccitati, di cui uno spingeva violentemente
dentro di
lui. Discostandomi dalla mia postazione cominciai a pigiare
freneticamente i
tasti del telefono per chiamare la polizia, ma… mi fermai,
il sangue raggelato
improvvisamente nelle vene. Harry era immobile, con gli occhi chiusi e
con una
faccia più pallida di un foglio di carta bianco. E
se… no, non ci volevo
neanche pensare. Non c’era tempo per chiamare la polizia,
forse dopo, ma ora la
priorità era salvare quel ragazzo. Presi un respiro
profondo, mi aggiustai il
seno, mettendolo in bella evidenza, spinsi fuori il sedere, assunsi
un’aria da
oca giuliva (vale a dire occhi vacui e stupidi ed un sorriso da ebete)
e la
puttanella era pronta. Afferrai lo spray e, sicura, mi diressi verso
quegli
uomini. I due che tenevano Harry non mi videro neanche e
l’altro men che meno,
visto che mi era di spalle.
“Ehm,
scusa…”
Lo chiamai con
una voce da rincretinita, picchiettandogli
sulla spalla con un dito per farlo girare.
“Ma
che vu…”
Non fece in
tempo a finire di parlare. I miei occhi
ritornarono vigili e scattanti, la mia mano saettò verso la
sua faccia e una
nuvola di peperoncino lo pervase, facendolo allontanare dal ragazzo. Di
riflesso, vidi un pugno (appartenente ad uno degli altri due)
avvicinarsi
velocemente al mio viso. Lo schivai e, prendendo come vantaggio la
slancio
dell’aggressore, gli rifilai una ginocchiata in pancia e
anche questo finì con
gli occhi colmi di spray. Improvvisamente mi sentì
circondare la vita da un
paio di braccia forti che mi strinsero ad un corpo ugualmente
corpulento,
facendomi mozzare il fiato. Con grande sforzo, riuscii a liberare un
braccio e,
con tutta la forza che mi era rimasta, gli tirai una gomitata sulla
tempia.
Questo, mollata la presa, vacillò per qualche istante,
finendo poi disteso sul
pavimento, incosciente. Rimasi in piedi con i pugni ancora stretti sui
fianchi e
la faccia inferocita osservandoli con odio, intenta a riprendere fiato.
“Luridi
invertebrati
schifosi.”
Mormorai
disgustata, rimettendomi apposto la giacca. In quel
mentre, sentii uno sguardo che mi perforava la nuca. Girata la testa
verso la
presunta direzione, vidi un paio di occhi arrossati piantati nei miei.
Ebbi un
fremito. Questi occhi, dai quali trapelava ancora un po’ di
verde brillante,
erano vuoti, senza fondo, senza espressione. Non sapendo cosa fare,
attesi che
fosse lui a compiere la prima mossa, come, per esempio, rivestirsi, ma
non
mosse un muscolo. Stava li, guardandomi, per terra. Con cautela, andai
a
recuperare i suoi jeans gettati ad una cosa come due metri di distanza
e glieli
porsi, lentamente. Nulla. Non dava segno di volersi muovere o parlare.
Io non
avevo idea di cosa fare: già nelle relazioni comuni non
andavo alla grande, poi
rapportarmi con uno che era appena stato violentato mi riusciva ancora
peggio.
Non so quanto stemmo li ad osservarci, in silenzio, fatto sta che alla
fine,
chinandomi, sussurrai con il tono più dolce che riuscissi a
sfoderare un “vieni, ti aiuto
io”, lo presi per le
braccia e lo feci appoggiare su di me, tirandogli su le mutande e
coprendogli
le gambe con la mia giacca. Lui stava immobile, mi osservava e si
faceva
manovrare come un burattino.
“I-io…
ascolta, ora
chiamo l’ambulanza e la polizia, va bene?”
Per la prima
volta in quella che mi sembrò
un’eternità, fece
saettare gli occhi in basso e scosse la testa violentemente.
“No…
non l’ambulanza…
non ancora.”
A malapena lo
sentii. Sembrava stessa parlando più con se
stesso che con me.
“Va
bene, va bene.”
Non aggiunsi
altro e lo portai semplicemente in casa mia,
facendolo sedere su un divanetto color prugna marcia. Sempre senza dire
una
parola, presi il telefono e chiamai la polizia, denunciando tre
pericolosi
delinquenti nella zona periferica di Holmes Chapel. Sospirando,
recuperai uno
straccio ed un catino d’acqua e li portai ai piedi di Harry,
che aveva
appoggiato la testa su un bracciolo del divano e teneva gli occhi
chiusi.
Delicatamente, scostai dalla gamba un lembo di tessuto dei boxer e mi
misi a
tamponargliela, attenta a non fargli male. Lui sussultò e
aprì leggermente gli
occhi, osservando il mio lavoro.
“Cosa
ti hanno fatto…”
Sussurrai a me
stessa, conscia del fatto che Harry non mi
avrebbe risposto. Il taglio era molto profondo e non sembrava voler
smettere di
sanguinare, così dopo averlo ripulito gli legai lo straccio
ben stretto intorno
alla coscia e ne presi un altro. Sfiorando un braccio al ragazzo, lo
feci
voltare verso di me e gli annuii per farlo alzare. Lui, sempre come un
automa,
mi obbedì e, una volta in piedi, gli sfilai la maglietta e
ripulii anche le
ferite che aveva sulla schiena. Poi, gentilmente, mi alzai in punta di
piedi e,
con una spugnetta, gli tolsi la terra da qualche graffio che aveva
anche in
faccia. Una volta finito di soccorrerlo, mi misi a sedere e, affondando
la
faccia nelle mie mani sporche, gli sussurrai, senza guardarlo:
“Adesso
però devi
andare in ospedale Harry, non puoi far finta che non sia successo
niente.
Quella gamba ti andrà in cancrena se non fai qualcosa e,
credimi, in ospedale
ci finirai comunque, per il volere di qualcun altro.”
Harry mi
guardò e balbettò in un unico soffio un “No, ti prego, no…
no…” senza quasi
muovere le labbra. Io, spazientita (infatti di me si poteva dire tutto
ma non
che fossi una persona paziente ed apprensiva), afferrai il suo telefono
e,
girando nervosamente per la camera, mi misi a cercare in rubrica. Zayn.
Eccolo.
Uno squillo, due squilli, tre sq…
“Harry,
ma sei
stronzo?! Si può sapere che fine hai fatto?! Ti ho aspettato
per un’ora e
mezza, UN’ORA E MEZZA! E poi ti sembra l’ora di
chiamare? A mezzanotte?!”
Ops.
“Non
sono Harry.”
Silenzio.
“E
chi cazzo sei?!”
“Axel,
quella a cui hai
quasi spaccato il braccio.”
Pausa.
“Nooo!
Harry si è
portato a letto pur…”
“Senti,
non ho davvero
né voglia né tempo da sprecare con te, quindi
ascoltami” tagliai
corto, stanca e dolorante,
portandomi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi, sfinita “Non so come dirtelo, quindi
sarò il più
concisa e diretta possibile: Harry è stato
stuprato.”
Milionesimo
silenzio. Mi girai verso il ragazzo, ancora in
piedi, senza maglietta e senza pantaloni, che era concentrato a
guardare una
macchiolina del muro. Mi avvicinai a lui e gli poggiai una mano sulla
spalla,
facendolo sussultare, lo spinsi delicatamente verso il basso e lo feci
sedere.
Una smorfia di dolore si dipinse sul suo volto e capii che quella non
era la
posizione migliore, così gli sollevai le gambe e,
spingendolo nuovamente, lo
feci coricare. Lui, facendo ciò che io gli imponevo con i
gesti, mi ubbidì e,
lanciandomi un’ultima occhiata vacua, sembrò
addormentarsi.
“I-in
che senso stupr…
oddio… quando? Come?”
Zayn mi
rispose con voce tremante e a stento lo capii.
“Il
senso è quello che
ti ho detto. Stasera e per quanto riguarda il come… sicuro
di voler sapere i
dettagli?” Mi
accorsi solo dopo aver dato voce ai miei pensieri di essere stata
davvero
troppo rude ed insensibile. D'altronde, anche se due stronzi, erano pur
sempre
amici e sapere una cosa del genere non doveva far esattamente piacere.
Così,
sospirando, gli dissi più con calma e sforzandomi di non
mandarlo a cagare per
la storia del braccio:
“Ascolta,
adesso Harry
è qui a casa mia, ma mi sembra, ecco, sotto shock o qualcosa
del genere. Gli ho
detto che avrei chiamato l’ambulanza, ma lui non ha voluto.
Non mi sento di
forzarlo in alcun modo ora come ora, soprattutto dopo quello che gli
è successo.
Adesso ti do il mio indirizzo e tu vieni qua, io non so più
cosa fare. Ah, senti
Zayn, dovresti davvero darti una mossa perché anche
fisicamente non è messo
bene e ho paura che ciò potrebbe peggiorare ancora di
più la situazione.”
Sentii un
sospiro all’altro capo del telefono, forse uno
sforzo per reprimere le lacrime e, finalmente, rispose.
“S-si,
arrivo il più in
fretta possibile. Ah, Axel” sentire il
mio nome pronunciato dalla sua bocca mi fece aggrottare la
fronte in segno di disapprovazione, ma lasciai correre.
“Si?”
“Perché
non hai
chiamato i suoi genitori?”
“Perché…” Mi voltai a
guardare Harry, che
sembrava dormisse profondamente “Perché
non so se voglia farglielo sapere proprio ora e, anche se so che
è sbagliato
perché i suoi genitori sono le prime persone che dovrebbero
essere informate, rispetto
sempre le decisioni degli altri, soprattutto se non mi riguardano;
inoltre… no,
niente. Sbrigati.”
E
così dicendo chiusi la linea, non dandogli il tempo di
rispondere. Massaggiandomi il braccio, andai verso un comodino e vi
appoggiai
il telefono, con cautela per non far svegliare il ragazzo. Dopo, in
silenzio,
mi inginocchiai posando una coperta di lana sul corpo distrutto di
Harry e gli
sussurrai all’orecchio, incerta:
“Adesso
sta arrivando
Zayn, okay? Stai tranquillo e dormi un po’, io vado a farmi
una doccia e dopo,
che tu lo voglia o no, ti portiamo dritto
all’ospedale.”
Lui
strizzò impercettibilmente gli occhi ma rimase immobile,
non rispondendomi. Stancamente, mi trascinai verso il bagno e chiusi la
porta,
spogliandomi. I vestiti erano umidicci del sangue di Harry e puzzavano
di paura
allo stato puro. Li misi a mollo in un catino colmo di acqua e sapone e
mi
gettai a mia volta in una cascata di bolle, determinata a lavarmi di
tutto quel
male che già avevo visto e che mi si era ripresentato
proprio quella sera.
Pov.
Zayn
Harry, cosa ti
hanno fatto?
Camminavo
velocemente per i vicoli bui della città.
Fortunatamente, quella era una delle sere in cui i miei genitori erano
in
chissà quale posto del globo ad arricchirsi, così
non dovetti dare spiegazioni
a nessuno per la mia uscita fuori programma. Il mio amico, il mio
migliore
amico… stuprato. Non riuscivo neanche a pensare quella
parola, odiosa alla mia
mente. Solo in quel momento mi resi conto di come avevo e stavo
trattando Harry
tutt’ora, come se fosse un giocattolo privo di sentimenti,
come se fosse solo a
mia disposizione ed esistesse solo per assistermi. Era tutto sbagliato.
Mi
odiavo per quello che gli avevo fatto passare e odiavo più
di ogni altra cosa
il fatto che c’era stato bisogno di uno stupro, uno
schifosissimo stupro, per
farmelo capire. Pieno di odio, terrore e disgusto, mi strinsi nel
giaccone come
per nascondermi da quei pensieri e affrettai il passo verso
l’indirizzo della
ragazza.
Pov.
Axel
Uscii dalla
doccia, corroborata da quel dolce calore, mi
strinsi nell’asciugamano e andai in camera da letto,
infilandomi un paio di
pantaloni della tuta ed una canotta nera. Mi stavo asciugando i
capelli,
intenta a sciogliere un nodo, quando sentii dei singulti, dei
singhiozzi… un
pianto. Perplessa, appoggiai il phon sul letto e, con ancora i capelli
fradici,
tornai in sala. La coperta era abbandonata sul divano e una leggera
striscia di
sangue delineava un percorso preciso. La seguii, timorosa di trovare
qualcosa
che non mi sarebbe per niente piaciuto, e così fu: Harry,
coperto solo dai
boxer, piangeva sommessamente, raggomitolato in un angolo, con le
ginocchia
strette al petto e il torace scosso da profondi singhiozzi. In quel
momento,
l’avrei definito come una pallina di carta stagnola gettata
nel cestino.
Titubante, mi inginocchiai davanti a lui e gli dissi:
“Ehi,
ascolta, adesso
arriva Zayn, stai tranquillo okay?”
Merda Axel,
quello era
il meglio che sapessi fare?! Si, schifosa
vocina di merda, si. Sospirando, feci un passo
indietro pronta a lasciarlo lì fino all’arrivo
dell’amico, ma il ragazzo fece
una cosa che mi lasciò sbalordita: i suoi occhi, ridotti a
due fessure,
apparvero da sotto un avambraccio e, dopo alcuni istanti, si
lanciò in avanti,
circondandomi le spalle con le braccia ed affondando il viso nel mio
incavo del
collo, accucciandosi contro di me. Io, senza parole per quel contatto
inaspettato, indietreggiai, fino a sbattere la schiena contro una
parete, ma
lui niente, mi si era incollato addosso. Io avevo le gambe ripiegate
sotto il
sedere, mentre le sue erano stese sul pavimento, tremanti. Lo guardai
per
qualche minuto, immobile, incerta se spingerlo via e andarmene oppure
se… Axel, dio santo! Un
po’ di umanità! Dolcemente,
gli avvolsi le braccia intorno al busto e cominciai ad accarezzarlo,
con l’intenzione
di calmarlo.
“Shh,
ehi… è tutto
apposto, stai tranquillo.”
Tutto apposto
un tubo.
Era da mesi
che non mi sbilanciavo così tanto, emotivamente
intendo. Dalla bocca di Harry continuavano ad uscire singhiozzi
disperati e ben
presto la mia maglietta fu bagnata delle sue lacrime. Non sapevo cosa
fare, non
sapevo dove toccarlo per rassicurarlo (oltre che per non fargli male),
non
sapevo un accidenti di niente! Titubante, gli portai una mano sulla
guancia e
cominciai a lasciargli leggere carezze lì. Il ragazzo chiuse
gli occhi (rituale
che si era ripetuto una centinaia di volte ormai, quella sera) e si
abbandonò
alle mie mani, fino a regolare sia il respiro, sia la mente,
perché si
addormentò, stringendomi. Lo guardai in faccia e constatai
che, pur apparendo
stronzo, era fragile, la creatura più fragile che avessi mai
visto e guardarlo
dormire, lontano per un prezioso istante da tutto ciò che
aveva passato quella
serata (e, forse, in quegli ultimi mesi), mi fece sentire…
leggera. Sorrisi,
continuandogli ad accarezzare la guancia con una mano ed una spalla con
l’altra,
non notando una figura in piedi davanti a noi. Solo dopo qualche
minuto,
disincantandomi dal viso tranquillo del ragazzo, me ne resi conto,
alzando di
scatto la testa, pronta a tutto. Zayn era appena dopo la porta di
ingresso e
osservava con occhi lucidi e colmi di rabbia il corpo sfigurato
dell’amico.
“Harry…”
Sussurrò,
avvicinandosi e chinandosi su di lui.
“Shh,
non fare troppo
rumore. È un miracolo che si sia addormentato.”
Dissi sotto
voce, arrabbiata che mi avesse visto in un mio
momento di debolezza. Alzò gli occhi, come se si fosse
accorto solo allora
della mia presenza, e appoggiò una mano sulla schiena del
ragazzo,
svegliandolo. Harry ruotò gli occhi fino ad incontrare i
suoi, riempiendosi
nuovamente di lacrime.
“Zayn,
forse è meglio
portarlo sul divano.”
Dissi,
discostandomi dal giovane e lasciando che l’amico gli
mettesse una mano dietro la schiena, permettendogli di portarlo in
braccio sul
divano.
“Chiamo
l’ambulanza
allora?”
Zayn, senza
neanche guardarmi, occupato ad accarezzare Harry
sulla testa, mi annuì, dandomi finalmente l’okay
di chiamare quel
maledettissimo e benedettissimo numero.
Gentee!
J
Dunque,
affrontiamo le cose per punti: RECENSIONI/SEGUIMENTI/PREFERITI….
Ringrazio con tutto il cuore le persone a cui
appartengono le 6 recensioni e le 4 anime generose che mi hanno
aggiunta ai
preferiti. GRAZIE DAVVERO, è bellissimo leggere opinioni
sulla storia (comprese
ovviamente anche le critiche!).
Storia:
che dire? Eccola qua! Lo so, è un capitolo intero dedicato
solo alle emozioni dei personaggi e
“all’inconveniente” (e chiamalo
inconveniente!) di Harry, ma sinceramente penso mi sia venuto piuttosto
bene,
anche perché sono orgogliosa delle figure di Harry ed Axel.
Si insomma, per ora
sono i miei personaggi preferiti, ma ho un bel progettuzzo anche per
gli altri
(soprattutto per uno che inizia con la Z e finisce con YN!), non temete!
Spero
sia di vostro gradimento il modo in cui sto
sviluppando la storia, continuate a dirmi cosa ne pensate (dal
“wooo stupenda!”
al “che schifo…” :D) e… BUONA
LETTURA! <3
Andrea
Ps. Ripropongo la canzone Crawling
back to you dei
Daughtry. È
da questa che è nata Axel, sappiatelo!
|
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Capitolo 4 *** Only thank you. ***
Pov.
Grace
Guardavo con
occhi spalancati e mascella a terra il tabellone
degli orari, rassegnata al fatto che già il primo giorno di
scuola sarei
arrivata in ritardo. I corridoi brulicavano di studenti e ogni due
secondi ero
costretta a ripararmi gli occhi con la mano dalla spessa cortina di
fumo che
riempiva il piano terra. E voi intanto vi starete dicendo: ma questa
che
c’entra nella storia? Ogni cosa a suo tempo. Per ora vi basti
sapere che il mio
nome è Grace, ho 14 anni (quasi 15, fra un mese per la
precisione), un’autostima
pari a quella di un opossum morto, estroversa come un cane bastonato e,
per
ultimo, che sia le mie amiche sia i miei genitori mi dicono che sono
molto
bella (ma, ovviamente, io non ci credo). Cosa ci facevo in questo
paesino? Bhe,
i miei genitori (e quindi automaticamente anche io) si erano trasferiti
ad
Holmes Chapel perché la nostra vecchia casa era troppo
piccola; così, avendo
adocchiato l’offerta di un delizioso trilocale sul giornale
proprio in questo paese,
avevano fatto su valige e pacchetti e da un giorno all’altro
mi ero ritrovata
qui. Non che la cosa mi dispiacesse, anzi! Ma il fatto di dovermi
praticamente
fare nuovi amici, bhe… diciamo che mi creava un
po’ di problemi, ecco. L’unica
mia fortuna in questo era che, essendo solo al primo anno ed a
metà di esso,
quasi sicuramente nella classe non si erano già formati
gruppetti, o almeno
speravo ardentemente che fosse così. Ritornando a noi:
fissavo quelle migliaia
di caselline stampate sul tabellone contenenti ognuna il nome di una
prof, un
determinato anno e una sezione, incolonnate ordinatamente in verticale
sotto il
giorno di una settimana, in orizzontale secondo le varie ore, mentre
cercavo di
non scagliare la borsa per terra e mettermi ad urlare per la
disperazione (e la
stanchezza). Ad un certo punto mi voltai e vidi una ragazza che calzava
ai piedi
delle Dr. Martens seguite da un paio di calze a rete nere e, per
finire, una
maglietta molto larga con stampati su due bambini piccoli che si
baciavano.
Doveva avere almeno tre anni più di me ma, nonostante questo
(dato che spesso e
volentieri ero restia ad avvicinarmi a ragazzi/e più grandi
di me), mi ispirava
fiducia e, cosa più importante, non era circondata da un
gruppo di studenti ma
bensì era in completa solitudine mentre cercava di leggere
un romanzo
dall’aspetto piuttosto sciupato e ogni tanto aspirava una
boccata di fumo dalla
sigaretta che reggeva con l’altra mano. Stampatomi un sorriso
a trentadue denti
in faccia, mi avviai verso di lei, speranzosa.
Pov.
Axel
“Agitando
le due braccia con smisurate
imprecazioni urlò a distesa: - Sì, sì!
e le darò la caccia oltre il Capo di
Buona Speranza, al di là di Capo Horn, al di là
del grande Maelstrom di
Norvegia, oltre le fiamme della perdizione, prima di abbandonarla."
Sebbene
fosse sempre stato
chiaro a tutti coloro che mi circondavano (e a me per prima) che la
lettura non
era né una mia priorità né una
passione sfrenata, quel romanzo, Moby Dick, mi
attirava a se in un modo che neanche io riuscivo a spiegare.
Sarà stata, quale,
forse la nona volta che lo rileggevo? Si, e ogni volta mi soffermavo e
rivedevo
più punti, riflettevo sul significato profondo delle parole
che più mi
colpivano, mi annotavo delle frasi su un quaderno. Era un
sensazione… magica,
definirei.
“Ciao.”
Spostai
appena lo sguardo
dal libro ed incontrai gli occhi nocciola di una ragazzina sui 15 anni
imbambolata
di fronte a me. Era visibilmente più bassa di me di almeno
una spanna, aveva
una bocca sottile e delicata e degli occhi dalla forma molto bella
(ricordavano
vagamente quelli di un gatto); due fattori colpirono particolarmente la
mia
attenzione: i capelli castani, tagliati a spazzola per tutta la testa
fatta
eccezione per un ciuffo riccio che le cadeva sul lato destro
e… un paio di Dr.
Martens nere. Sebbene fossi altamente infastidita per
l’interruzione della mia
lettura, mi imposi di essere gentile con quella ragazzina
così timida (lo notai
dal fatto che si stava torturando una mano e si mordeva nervosamente il
labbro
inferiore).
“Si?”
Alla
mia risposta garbata,
si aprì in un sorriso esageratamente grande e mi porse la
mano, più sicura.
“Piacere,
io sono Grace! Scusami se ti disturbo ma è il mio primo
giorno
di scuola
e non capisco un
accidenti! Voglio dire, la mia classe dovrebbe essere la 1^E, ma non
riesco a
capire dove sia l’aula.”
Le
strinsi la mano e mi
presentai, con la fronte leggermente aggrottata nel tentativo di capire
chi
rispecchiasse in modo vagamente uguale questa Grace. Ma
certo… Me!
“Piacere,
sono Axel. Guarda la 1^E, se non sbaglio, dovrebbe essere al
secondo
piano. Lì
troverai delle commesse che ti diranno dove
andare…”
La
mia voce si affievolì
mano a mano che parlavo, poiché mi accorsi che quella
ragazza stava recependo molto
distrattamente le mie informazioni: in pratica, io stavo parlando con
la sua
nuca, mentre occhi bocca e orecchie erano girate verso un gruppetto di
ragazzi
(a pochi metri da noi) e verso uno in particolare.
“Carino
eh?”
Domandai,
ironica,
stravaccandomi nuovamente sul calorifero con un sorriso sbilenco e
pronta a
ritornare alla mia lettura. Giustamente la mia ironia non venne colta e
Grace,
sentendo le mie parole, si girò leggermente viola in volto e
balbettò:
“B-bhè
è… carino, si. Lo conosci?”
Annuii,
distrattamente,
mentre finivo il mozzicone di sigaretta e lo gettavo via. Il suo volto
si
illuminò e il sorrisone fece nuovamente capolino sul suo
viso da bambolina.
“Davvero?
Che fortuna!”
Si
vedeva lontano un miglio
che in quel momento la ragazza ambiva ad ottenere più
informazioni possibili su
quel misterioso-sexy-uomo e che l’aula da raggiungere era
andata a farsi
benedire. Esteriormente, sospirando ma con un sorrisino in faccia, mi
misi
ancora più comoda sul calorifero e mi preparai ad una
fucilata di domande,
interiormente mi stavo spanciando dal ridere. “Che
fortuna!”… dipende dai punti
di vista, mettiamola così.
“Ma…
come si chiama?”
Appunto.
“Louis.”
“Sai
quanti anni ha?”
Ahh
povera ragazza.
“19
all’incirca.”
“Che
classe fa?”
Molto
probabilmente,
dall’espressione che fece, si morse la lingua dopo aver
capito di starmi
sottoponendo ad un interrogatorio e abbassò lo sguardo,
sempre più
viola/bordeaux. Io, sebbene mi fossi divertita nel vedere i suoi ormoni
impazziti alla vista del ragazzo, avevo esaurito la mia scorta di
pazienza,
così le dissi (e subito dopo non ne andai fiera), per
levarmela dalle scatole:
“Guarda,
perché non chiedi a lui informazioni su come raggiungere la
classe?
Sono sicura che
ti farebbe più piacere conversare con lui invece che con
me.”
Grace
era completamente nel
panico, da una parte forse perché pensava di avermi offesa,
dall’altra perché
ora che gliel’avevo proposto, non poteva tirarsi indietro dal
parlare con il
ragazzo (probabilmente mi avrebbe dimostrato di essere una ragazza
sicura di se
e decisa). Io, sorridendole, attesi e lei, dopo aver deglutito, mi
ricambiò il
sorriso e si diresse verso il gruppo di ragazzi. In quel momento, Louis
stava
ridendo fragorosamente appoggiato alla spalla di Liam, mentre Zayn li
guardava
ridacchiando e Harry…
“Ehm
ciao…”
La
ragazza gli si piantò
davanti reggendo con entrambe le mani la borsa a tracolla e spostando
di
continuo lo sguardo per tutto il corridoio, attendendo una risposta.
Louis
asciugandosi una lacrima e sempre con la mano appoggiata sulla spalla
dell’amico si girò, piantandole gli occhi addosso.
Con un sorriso arrogante la
squadrò dalla testa ai piedi mentre anche gli amici (escluso
Harry) si
sporgevano per osservarla, anche loro ridacchiando. La ragazza, forse
al limite
della tensione, aprì la bocca per dire qualcosa ma venne
zittita dalla voce
altezzosa di Louis che diceva:
“Tesoro
guarda sei gnocca, ma quelle due cosette che hai li sopra cosa
dovrebbero essere? Ti potrò
accontentare
magari tra un po’ di tempo, quando vedrò
degli sviluppi, ci stai? E poi scusa, ma quanti anni hai,
nove?”
Così
dicendo le indicò il
seno (effettivamente poco sviluppato) con una mano appoggiandosi
l’altra sul
fianco e, terminata la frase, provocò uno sghignazzamento
quasi generale del
gruppetto. Vidi Grace abbassare ancora di più lo sguardo,
confusa, con il
labbro inferiore tremante e, dopo aver pronunciato un sommesso
“Scusate…”
girò i tacchi e si avviò
quasi correndo verso il secondo piano. Louis si girò
ridacchiando e commentando
l’accaduto con gli amici. La campanella suonò ed
io, preso lo zaino, mi
avvicinai al gruppo, come aveva fatto poco prima la ragazzina ma con la
differenza che io ero più grande, più alta e
più irascibile, e passandogli di
fianco piantai gli occhi in quelli di Louis sussurrandogli:
“Complimenti,
davvero galante.”
Lui
mi guardò con uno
sguardo impenetrabile e si avviò senza dire una parola verso
la sua classe, ma
prima si beccò un ghigno derisorio da parte mia. Io, ancora
sogghignando,
voltai la testa ed andai a sbattere contro il petto di Zayn, che mi
“parò”
stringendomi i polsi con le mani. Lui, a differenza di Louis che in
altezza mi
eguagliava, mi superava di almeno dieci centimetri, o almeno quanto
bastava
affinchè io potessi sentire sulla nuca il suo respiro
pesante. Dalla serata… da
quella serata, avevo leggermente cambiato opinione su di loro: ora,
soprattutto
con Zayn, comunque non ci calcolavamo (o non lo calcolavo?), ma i
conflitti
erano finiti. Ci ignoravamo, ecco tutto. In quel momento sentivo i suoi
occhi
su di me e le sue mani che allentavano la presa ma che non avevano
intenzione
di mollarla. Tranquillamente, anche se un po’ infastidita da
quell’insistente
contatto, mi scansai e, mostrandogli un sorriso palesemente finto, gli
diedi
una forte pacca sulla spalla riprendendo il mio tragitto. Arrivata alla
porta
della classe, stavo per entrare quando, di punto in bianco, mi ritrovai
a
contendermi il passaggio per quell’angusta porticina con
un’altra persona.
Alzai la sguardo ed incontrai quello vitreo di Harry che, fermo con le
mani in
tasca, attendeva che io passassi.
“Vai
pure.”
Gli
dissi fermandomi. Il
ragazzo non mi aveva più rivolto la parola da quando me
n’ero andata
dall’ospedale, due settimane prima, lasciandolo nelle mani
dei medici e degli
amici…
FLASHBACK
L’ambulanza
sfrecciava per le stradine di Holmes Chapel, agile nel
muoversi tra le altre macchine, colorando di un blu elettrico alternato
ad un
rosso brillante i bui viottoli addormentati della città,
senza però emettere
alcun suono. Le ruote stridevano di tanto in tanto e,
all’interno, i vari
macchinari collegati ad Harry sobbalzavano. Il ragazzo era steso su una
barella
di ferro con la testa fasciata e la gamba bendata in modo molto
arrangiato, in
attesa di arrivare all’ospedale. Guardandolo
dall’esterno, il suo viso
trasmetteva una sensazione di grande tranquillità, rilassato
nel tepore del
sonno, mentre il petto si alzava ad intervalli regolari. Ma
l’apparenza,
purtroppo, inganna. Io, seduta su uno sgabello di fianco alla barella,
tenevo
stretta la mano di Zayn, appoggiata sul mio ginocchio, mentre la mia
testa era
debolmente appoggiata tra la sua spalla destra e il suo collo. Come ci
ero
finita in quella posizione? Probabilmente in un altro momento il solo
pensiero
di trovarmi in una posa del genere con qualunque essere umano (quindi
figuriamoci con Zayn!) mi avrebbe provocato ribrezzo, ma in quel
momento io ero
stremata e lui sembrava distrutto psicologicamente. Di tanto in
tanto… no, a
dirla tutta, SPESSO, ci fissavamo negli occhi anche per minuti interi
e, quando
vedevo che era palesemente sul punto di cedere, gli stringevo forte la
mano e
ritornavo nella mia posizione supina. Senza neanche accorgercene, da
seduti in
un’ambulanza ci ritrovammo a correre dietro alla barella con
su Harry che
sfrecciava per le corsie di un orrendo ospedale. Di punto in bianco,
noi due
eravamo gli unici in tutto il corridoio: senza accorgercene, il ragazzo
era
stato trascinato dagli infermieri in una sala e una pesante porta color
verdastro ci si era chiusa in faccia, lasciandoci lì in
piedi. Trascinando i
piedi, ci andammo a sedere. Dopo forse un millennio, vidi Zayn muoversi
e
sprofondare la faccia nelle mani, sospirando. Con uno sforzo immane
riuscii a
raddrizzare la testa e gli presi una mano.
“Ehi,
guarda che Harry è un
ragazzo forte! Ce la farà, vedrai!”
Axel,
ma che cazzo stai dicendo?! Primo, ce la farà a far cosa?
Secondo,
come fai a sapere che è un ragazzo forte?! Zitta,
vocina di merda.
“E
tu che ne sai?” Appunto.
Sentii
a malapena queste parole uscire dalle mani del ragazzo in cui la faccia
era stata inghiottita. Sospirai, mettendomi in piedi e stiracchiandomi.
“Zayn,
è una frase fatta…
vedi di collaborare, su.”
Dissi,
con un tono da stocercandodiaiutartiedinonandarmeneacasaadormire barra
nonromperelepalle e, inaspettatamente, lo feci ridere.
Raddrizzò il busto per
poi accasciarsi contro lo schienale della sedia, osservandomi con
sguardo
mesto, distratto e sorridente. Si, quel ragazzo era un mosaico di
emozioni.
“Vieni
qui, ti prego…”
Mi
sussurrò, allungando le mani ed aspettando che io mi sedetti
sulle
sue ginocchia. Sbagliato.
“Aspetta…
ho un’idea
migliore.”
Facendo
una smorfia buffa (un po’ per lo sforzo, un po’ per
la
stanchezza e, chissà, forse anche per il tentativo di farlo
sorridere), mi
infilai una mano dietro la schiena, feci qualche saltello sul posto e,
con una
faccia esageratamente trionfante, mi sfilai il reggiseno blu e glielo
lanciai
in faccia.
“Tò,
coccola questo!”
Lui,
confuso, sollevò quello strano pezzo di stoffa e, dopo
esserselo
rigirato per un po’ nelle mani, strabuzzò gli
occhi e quasi si strozzò con la
lingua.
“Ma
è un reggiseno!”
“Complimenti
per la
perspicacia! Cosa pensavi mi sarei tolta dalla schiena, un
cactus?!”
In
quel momento si creò una sorta di paradosso nella mia vita:
non avevo
praticamente né una casa né una famiglia
né degli amici, solo me stessa, ero
stanca da far schifo e avevo appena assistito ad uno stupro. Eppure
ridevo. Ridevo
sguaiatamente in un triste ospedale, attendendo che ci dessero
informazioni
riguardo la salute di un ragazzo violentato, in compagnia di un
bulletto di
prima categoria. Ridevo, punto, senza pensare ad altro. Ad un certo
punto però
vidi il volto di Zayn trasformarsi completamente: gli occhi divennero
lucidi,
le labbra si incurvarono in una smorfia e le mani corsero sulla sua
fronte per
sorreggerla. Mi avvicinai e, chinandomi, gli presi un braccio, senza
dire una
parola, solo per confortarlo. Era lo scopo della mia esistenza, lo era
sempre
stato: soccorrere e preoccuparmi degli altri senza ricevere mai nulla
in
cambio, solo diffidenza e distaccamento. Nessuno mai si era curato
della mia
salute, del mio benessere, se avessi fame o sonno, la febbre o la
tosse, se
fossi innamorata… mai. E io mi ero adattata, trasformandomi
lentamente in una
ragazza già vecchia, diffidente all’inizio, per
poi congelare definitivamente
il mio cuore e buttarci sopra una colata di cemento armato. Nessuno
sarebbe più
riuscito a scaldarmelo, era una promessa che mi ero fatta molto tempo
prima. Mentre
eravamo in quella posizione, sentimmo dei passi provenire da dietro e
ci voltammo:
Louis e Liam stavano percorrendo il corridoio diretti verso di noi e
dagli
occhi trapelava ansia allo stato puro. Mi voltai confusa verso Zayn.
“L-li
ho mandato un
messaggio prima, in ambulanza.”
Mi
rispose con tono flebile e si staccò da me, alzandosi, per
andare
incontro agli amici. Si abbracciarono e cominciarono a parlare tra di
loro,
senza degnarmi di uno sguardo. Andarono avanti così per una
mezz’ora buona e ad
ogni minuto che passava io mi incazzavo sempre di più. Alla
fine, stanca e
delusa, mi alzai e imboccai la porta d’uscita
dell’edificio. Complimenti,
davvero complimenti. Avevo affrontato tre uomini da sola, chiamato la
polizia,
occupatami di informare un amico, contattato un’ambulanza e
tutto per un
ragazzo che neanche conoscevo e in cambio non avevo neanche ricevuto un
“Grazie”
o “Tu stai bene?”. No, non stavo bene, cazzo. Mi
ficcai le mani nelle tasche,
pronta per tornare a casa a piedi, quando una mano mi fermò
e una figura mi si
parò davanti. Liam.
“Che
vuoi?”
“Abbiamo
visto che te ne sei
andata, così pensavo di riaccompagnarti a casa.”
“Che
carino, ma guarda non
ce n’è bisogno, davvero.”
Risposi
più o meno gentilmente, cercando di mantenere un tono calmo
e
controllato e riprendendo il cammino. Ancora una volta, delle mani mi
bloccarono e io mi voltai sbuffando.
“Forza,
muoviti, la macchina
è dietro l’angolo.”
Senza
che potessi rispondere, Liam mi prese il braccio e cominciò
a
trascinarmi verso la vettura, mi ci caricò sopra e
partì, in silenzio. Il viaggio
fu tranquillo e relativamente veloce. Nessuno dei due aveva aperto
bocca, lui
concentrato a guidare ed io mezza addormentata sul sedile del
passeggero.
“Ehi…”
Sentii
una mano sulla guancia che mi accarezzava gentilmente, cercando
di svegliarmi. Aprii gli occhi di scatto e mi ritrassi dal ragazzo,
trucidandolo con lo sguardo.
“Scusa…
siamo arrivati.”
Sussurrò
abbassando gli occhi e ritornando al suo posto, stringendo il
volate con le mani. Mi voltai e scesi dalla macchina, alzando di mezzo
centimetro le labbra per sdebitarmi con il ragazzo che mi aveva
accompagnata. Lui,
di rimando, mi sorrise sollevato dal fatto che non fossi né
arrabbiata né altro
per il suo gesto di poco prima.
“Ciao.”
Dissi, prima di sbattere la portiera.
“Grazie.”
Mormorò Liam, per poi di partire.
Grazie…
FINE
FLASHBACK
Pov.
Axel
Osservai
il ragazzo che,
incerto, metteva un piede di fronte all’altro e si avvicinava
alla porta,
indeciso se far passare prima me o seguire il mio suggerimento. Con
fare
teatrale, mi misi dritta come uno stuzzicadenti e, sguardo serio, mi
inchinai
allungando la mano come si fa con i re quando passano. Harry,
vedendomi,
sorrise triste e mi regalò uno sguardo che mi diede un
po’ di serenità. Non sapevo
perché, ma in un certo modo mi sentivo responsabile per quel
ragazzo e, senza
neanche conoscerlo veramente, mi ci ero affezionata tantissimo. Gli
sorrisi
anche io rilassandomi e, appoggiandogli una mano sulla schiena, lo
spinsi
delicatamente dentro l’aula, per poi seguirlo a ruota. Lui si
girò verso di me
e, sempre con occhi bassi, mi mormorò:
“Grazie.”
Due
grazie in una settimana.
Cosa stava succedendo al cosmo? Sfiorandogli la mano, lo salutai e mi
diressi
verso il mio posto sedendomi un attimo prima che la prof fece la sua
comparsi
dinnanzi alla classe.
Ciao
a tutte! :D lo so sono un po’ in ritardo ma sono stata
occupatissima,
perdonatemi. Cominciamo.
RINGRAZIAMENTI:
grazie
davvero per le 9 recensioni, gli 8 seguimenti e le 4 persone che mi
hanno
aggiunta ai preferiti. Sono felicissima sapere che ad alcuni questa
storia
piaccia :)
STORIA:
da
come potrete notare voi stesse, i personaggi si stanno sempre di
più definendo
ed ognuno prende il suo ruolo. Questo capitolo non è niente
di che, ma è
servito appunto per chiarire di più i vari ruoli :) spero vi
piaccia comunque. Presto,
molto presto, spero di far succedere qualcosa di più
sostanziale (o
sostanzioso? Oddio!), comunque non preoccupatevi perché la
situazione non
rimarrà così stazionaria! ;)
Bhè,
credo di aver detto tutto, come sempre vi incito a dirmi cosa ne
pensate e
AUGURO A TUTTE BUONA FORTUNA SE AVETE INTENZIONE DI PARTECIPARE AL MeG!
:) alla
prossima,
Andrea
<3
|
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Capitolo 5 *** He's just mine ***
Pov.
Niall 7.50 a.m, 2
dicembre
Siamo
spiacenti, il
cliente da lei chiamato non è al momento raggiung…
“Merda.”
Bofonchiai,
mentre pigiavo nervosamente il tasto rosso sul
telefonino e me lo ricacciavo in tasca, camminando velocemente verso
scuola.
Perché? Perché non mi rispondeva?
Perché da più o meno un mese non mi calcolava
di striscio? Perché mi aveva dimenticato? Le cose erano tre:
o Zayn gli aveva
fatto il lavaggio del cervello, o lo aveva ucciso e rimpiazzato con un
robot o…
semplicemente non mi amava più. Rabbrividii al solo pensiero
di quella frase.
No, non poteva essere, maledizione! Doveva darmi delle spiegazioni, me
lo
doveva. Mi passai con frustrazione una mano tra i capelli, inspirai ed
espirai
più volte e, in fine, mi decisi a girare l’angolo,
conscio che l’avrei trovato
come sempre davanti all’entrata insieme a tutti i suoi
“amichetti”. Era
appoggiato al cofano di una macchina e ascoltava quello che gli altri
dicevano…
no, non era vero, non ascoltava proprio un bel niente. I suoi occhi,
apparentemente presenti, erano invece distanti e… vuoti. Di
scatto, li sollevò
e li piantò nei miei, sobbalzando. Io, fissandolo a mia
volta, avanzai, senza
accorgermi che ormai ero entrato nella cerchia del suo gruppo.
“Harry…”
Sussurrai,
indeciso.
“Ehi
tu, che cazzo
fai?”
Una mano
bloccò ogni mio tentativo di parlare con il riccio
costringendomi ad arrestarmi.
Pov.
Harry
Che diavolo
aveva intenzione di fare?! Si avvicinava senza
dare segnali di voler smettere, anzi… si piazzò a
pochi centimetri dal mio
naso, mormorando qualcosa che non riuscii a recepire. Non ce la facevo,
non
riuscivo neanche a guardarlo. Il mio piccolo Niall, la persona che mi
aveva
così tanto reso felice: lo osservai e rabbrividii. Quelle
labbra che avevano
così tante volte conosciuto le mie, quelle mani che mi
avevano sfiorato
centinaia di volte la pelle, che avevano avvolto la mia vita e stretto
fino ai
graffi le mie spalle quando facevamo l’amore, quegli occhi
che erano stati i
miei punti di riferimento per molto tempo… tutto sparito.
Quei rituali, quei
percorsi, quelle mie stesse spalle, tutte quelle memorie erano state
violate
brutalmente da un uomo, un singolo uomo sconosciuto. Il solo pensiero
che Niall
potesse ancora toccare la stessa schiena percorsa anche
dall’aggressore, dal
mio assassino, mi faceva rivoltare lo stomaco. Improvvisamente sentii
gli occhi
lucidi, troppo lucidi per essere solo a causa del vento insistente. Mi
toccai
una guancia: una lacrima, una stramaledettissima lacrima! No, non
potevo, non volevo
assolutamente farmi vedere così. Strizzai gli occhi, strinsi
i pugni e mi
raddrizzai, mentre Louis cercava inutilmente di trascinare indietro
Niall,
visto che il ragazzo non sembrava avere intenzione di retrocedere.
“Che
stai facendo?”
Gli domandai
minaccioso. Da dove mi usciva quella voce? Le
lacrime premettero ancora di più, sentendo il tono che stavo
rivolgendo alla persona
che mai e poi mai avrei potuto ferire. Lui, come per contraddire i miei
pensieri, contrasse la faccia in una smorfia di dolore, scrollandosi
Louis di
dosso.
“Harry…
Harry ti prego
non fare così. Vuoi che me ne vada? Eh? Giuro che me ne
vado, ma poi tu mi
chiamerai, eh? Mi chiamerai Harry? Ti prego Harry, parlami, dimmi
qualcosa…”
La sue parole
vennero interrotte da un brusco singhiozzo che
si fece strada con arroganza tra gli altri, trattenuti, fino a
manifestarsi
rumorosamente. Stava impazzendo di dolore, gli trapelava da ogni suo
minimo
gesto, dal torturasi le mani al non riuscire a parlare.
Pronunciò queste frasi
con le lacrime agli occhi ed un sorriso speranzoso sulle labbra,
assolutamente
fuori luogo. Non riuscivo a vederlo in quello stato, ma le mie braccia
si rifiutavano
di accoglierlo. Così, feci l’unica cosa che il mio
corpo mi imponeva: piansi,
singhiozzai, affondai la faccia nelle mani sotto lo sguardo incredulo
dei miei
amici e piansi con tutte le forze che avevo.
“Biondo,
allontanati
subito da lì, mi hai sentito?”
Sfocata, vidi
la scena di Niall che tentava di raggiungermi e
Zayn che lo respingeva sempre più ferocemente, urlandogli
contro. Ad un certo
punto arrivò uno spintone troppo forte che fece sbilanciare
il ragazzo fino a
farlo cadere per terra.
“Smettila!”
Senza
rendermene conto, ero scattato in piedi ed ora davo le
spalle a Niall, sovrastandolo e proteggendolo da Zayn.
“Harry,
che stai
facendo? Dai, entriamo a scuola…”
Liam
lentamente fece qualche passo in avanti, portando le
mani in bella vista come se stesse parlando ad un pericoloso
pregiudicato. Ad
un tratto… alzai gli occhi, scorgendo una figura al di
là del marciapiede. Axel
mi osservava, in piedi con la sua solita borsa a tracolla stretta nelle
mani
inguantate. Mi sorrideva rassicurante e, impercettibilmente,
annuì con la
testa. Io le risposi con gli occhi, le mandai un grazie che sperai le
arrivasse
grande come una casa, mi chinai e abbracciai Niall che riprese a
singhiozzare
contro la mia spalla. La ragazza, soddisfatta, ricominciò a
camminare fino a
sparire dalla mia visuale. Tutti mi guardavano confusi, senza parole e
attendendo una qualsiasi spiegazione.
“Lui
è mio.”
Dissi
semplicemente, in un sussurro. Zayn mi guardava
impassibile, al contrario degli altri che sembravano non capire cosa
stesse
succedendo.
“Vieni,
andiamo a
casa.”
Dissi al
biondo, sollevandolo. Cintagli la vita con un
braccio, ci incamminammo un po’ goffi verso la via del
ritorno, alle 8 del
mattino.
Pov.
Grace 14.00 p.m, 2
dicembre
“Stai
scherzando,
vero?”
Replicai,
sbigottita dalla proposta (o meglio, dall’imposizione)
della ragazza che si ostinava a bloccarmi il passaggio tra la porta del
bagno
ed il corridoio, mentre mi schiaffava addosso uno dei suoi soliti
ghigni da
brivido.
“Perché
scusa? A me
sembra un’ottima idea.”
“Hai
una concezione
dell’ottima idea un po’ distorta, lo sai?”
Parlavo
gesticolando con le mani e sventolandole di tanto in
tanto il volantino dell’evento serale che si sarebbe tenuto
il giorno dopo
sotto il naso. Ah già, il riassunto delle prime, deliziose
quattro settimane
che avevo passato in quell’inferno di scuola? Da quando avevo
avuto la
brillante idea di rivolgere la parola a Louis-sonofigo, quello non
aveva perso occasione
di sfottermi davanti a mezza scuola mettendomi in imbarazzo o cose
simili; dall’altra
parte, data la sua solitudine e la mia scarsa capacità a
tirarmi fuori dal mio
bozzolo di timidezza, io ed Axel eravamo diventate (più o
meno) amiche. La
differenza tra lei e me era che la sua non era assolutamente
introversione: più
che altro, terrorizzava tutti con la sua innata disposizione a tener
testa
anche ai bulli più affiatati e al fatto che di sua scelta
non voleva essere
circondata da “scocciatori” (come li chiamava lei).
Comunque, ritornando a noi:
la sua idea “geniale” era nata quando era appunto
venuta a conoscenza di questo
evento. Secondo il suo cervello brillante, quella sarebbe dovuta essere
un’ottima occasione per mettermi un po’
più in mostra e farmi notare. IO farmi
notare. La ragazza doveva avere qualche rotella fuori posto.
“Ascolta,
vuoi passare
i prossimi anni a recitare la parte dell’emarginata sociale?
Non penso. Penso
invece che, andando a questa festa, potresti conoscere un po’
di gente in più e
mostrare a Louis che te la passi alla grande anche senza la sua
“preziosissima”
compagnia.”
Disse
quest’ultima frase biascicando molto le parole, ma
afferrai comunque il significato.
“Scusa?!
Ci sarà anche
Louis? Tu sei un caso clinico allora se pensi di avere anche solo
qualche
possibilità di riuscire a convincermi a mettere piede in
questo pidocchioso
locale!”
“Dici?
Io invece penso
che ci andrai.”
Strabuzzai gli
occhi, scoppiando a ridere.
“Ah
si? E sentiamo, da
cosa lo deduci?”
“Semplicemente
dal fatto
che se non ci andrai, io dirò a tutti come ti abbia trovata
in bagno a piangere
dopo che Louis ti ha dato della poppante arrapata.”
Disse,
tranquillamente. Con uno scatto, mi cancellai dalla
faccia la mia aria di sfida e, balbettando, le sussurrai:
“N-non
lo faresti…”
“Davvero
vuoi mettermi
alla prova?”
Mi
sfidò, cominciando ad avvicinarsi ad un ragazzo poco
lontano.
“Ferma!
Vieni qui!”
Le urlai
quasi, facendo voltare qualche studente. Lei,
soddisfatta, mi si ripiazzò davanti, incrociando le braccia.
“Okay,
okay… ci andrò,
ma ad una condizione.”
“Ti
metti anche a
contrattare?”
“Si.”
Il mio sguardo
doveva essere stato talmente risoluto che,
assottigliando gli occhi, mi disse:
“Sentiamo…”
“Tu
verrai con me.”
Strabuzzando
gli occhi arretrò, mentre mi fulminava con lo
sguardo.
“Non
se ne parla
neanche!”
“Okay,
allora te lo
puoi scordare che quella sera uscirò anche solo di casa e va
bene, vai a dire a
chi ti pare del mio sfogo nel bagno. Tu perderesti l’unica
quasi-amica che hai,
mentre io collezionerei solo un’altra figuraccia, niente di
più.”
“Sai
che c’è? Non
capisco neanche perché sia qui a cercare di convincerti a
farti una vita
sociale! Cosa vuoi che me ne importi? Stattene pure nel tuo buchino di
sfigataggine.”
Così
dicendo, fece per allontanarsi, ma la fermai:
“Piuttosto
perché tu ti
ostini a non volerti mettere in gioco! Potremmo riuscirci entrambe,
insieme…”
Si
voltò e mi osservò per quella che
sembrò un’eternità. In
fine, con un sospiro, ritornò davanti a me, puntandomi un
dito contro.
“Ci
sto, ma vedi di
conciarti decentemente che non ho voglia di uscire con un barboncino,
è chiaro?
Ah, e sappi che io domani sera ci sarò solo per assicurarmi
che tu non faccia
stupidaggini, me ne starò in un angolo tranquillo e
mangerò vivo chiunque mi
venga a rompere le palle!”
Senza neanche darmi il
tempo di replicare, si girò e mi piantò in asso,
avviandosi verso l’uscita
della scuola. Solo quando fu molto lontana, si girò e, con
un ghigno beffardo
in volto, mi urlò:
“A
domani
principessina!”
Per poi
sparire dietro il famoso angolo della scuola.
Holaaa!
:D Ed eccomi qua. Se avrete notato, il capitolo è
più corto dei precedenti:
questo perché preferisco pubblicare più spesso
piuttosto che stare giorni e
giorni, sempre che trovi il tempo, a rompermi la testa per scrivere un
capitolo
molto lungo e pubblicarlo dopo una settimana o giù di
lì! Quindi la mia domanda
è: più corto e più spesso o
più lungo e più attesa (?)? Io opto per la prima,
ma vorrei sapere anche cosa ne pensate voi :)
Per
quanto riguarda il capitolo in sé: lo so, non succede niente
di particolarmente
“woooo” ma serviva per agganciare il successivo,
che invece sarà più
movimentato… NO, NIENTE SPOILER! Vabbè dai,
almeno ora Harry caro è riuscito ad
“annunciarsi” (non mi viene il termine!
>.<) con i suoi amici! Sappiate
però che descrivere i sentimenti di Niall è stato
piuttosto difficile… povero
cucciolo! Insomma, lui non sa un cacchio di nulla! :’(
Ringrazio
con tutto il cuore le 7 persone che mi hanno messa nei preferiti, le 11
nelle
ricordate e le 9 nelle seguite :) grazie grazie grazie grazie grazie
davvero!
Alla
prossima,
andrea
|
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Capitolo 6 *** you're my friend ***
Pov.
Zayn
Confusione.
Confusione confusione ed ancora confusione, in
tutti i sensi. La musica mi entrava prepotentemente nelle orecchie
stordendomi
e le luci mi disorientavano. La bionda si strusciò con fare
sensuale contro il
mio corpo e mi cinse il collo con le braccia. Le mie mani erano
avvinghiate
alla sua vita, le accarezzavano i fianchi e la premevano ancora ed
ancora su di
me.
“Lui
è mio.” Cosa
significava?
Musica, luci,
ragazza, alcool, musica…
Non fare
l’allocco Zayn, lo sai benissimo cosa significa.
Gente,
pressione, corpi che si scontrano, risate, musica…
Harry
è gay.
“Mmm.
Tesoro, che ne
dici di ritirarci un po’ nei bagni?”
La ragazza mi
prese per mano invitandomi a seguirla.
Harry
è gay. Il mio migliore amico era gay ed io non me
n’ero
mai accorto. Uno schifo, ecco cos’ero. Tante volte eravamo
andati contro quel
biondino e non avevo mai notato il modo in cui Harry lo guardava, la
sua
espressione di dolore e la sua paura di confessarmi la sua vera natura.
Ed ora
anche Louis… non capivo più i miei amici. Mi
lasciai guidare dalla bionda
ossigenata verso l’entrata dei bagni, finchè non
mi fermai e rivolsi la mia
attenzione verso una figura familiare: calze nere a rete, Dr. Martens,
un
giubbotto di pelle marrone scura, degli occhi che saettavano su alcuni
ragazzi
che la circondavano, facendoli arretrare…
Axel?
Pov.
Axel
Mi attaccai al
campanello, furiosa ed al contempo paziente.
Non me ne sarei andata per nessuna ragione. Dopo due minuti buoni la
porta si
aprì di scatto, rivelandomi una faccia scocciata e sconvolta.
“Okay,
okay! Dio mio
andiamo!”
Guardai
impassibile la Grace che ero passata a prendere per
portarla al locale. Il cielo era ormai privo di sole e la luna
troneggiava sul
paesaggio.
“Questo
cosa sarebbe?”
Le chiesi, con
voce neutra, indicandola. La ragazza indossava
un paio di jeans, all star verdi, una semplice maglietta dei Nirvana ed
una
felpa rossa.
“Questo
cosa?”
Mi rispose,
con aria innocente. Assottigliai gli occhi,
incenerendola e con una falcata entrai in casa, spingendola dentro e
sbattendomi la porta alle spalle.
“Forza,
dov’è la tua
camera?”
“Ma
che diavolo fai?!”
“Io
nulla, tu invece ti
cambi all’istante togliendoti di dosso questi vestiti da
scaricatore di porto.”
“Non
ci penso neanche!
Io esco così, se proprio devo uscire. E poi, scusa tanto, ma
il mio look non è
che vari tanto da quello che adotti tu solitamente.”
“Uno,
a me non
interessa nessun ragazzo e tantomeno avere una vita sociale, mentre a
te si.
Due, tu sei tu ed io sono io.”
Tagliai corto.
Vedendo che non aveva intenzione di muoversi,
la presi per mano e cominciai a sbirciare in ogni stanza, trovando
finalmente
la sua. Spalancai un armadio e cominciai a frugarvici dentro, paziente.
Pov.
Grace
“Porta
il culo su
questa macchina o ti ci infilo a forza.”
Mi
minacciò la ragazza, appoggiandosi alla portiera della
vettura
e guardandomi con insistenza. Io avanzai, arrabbiata, barcollando su
dei
sottospecie di trampoli e mi sedetti incrociando le braccia. Dopo
svariati
minuti passati a devastarmi l’armadio, Axel era riuscita a
scovare un vestito
troppo aderente, troppo corto, troppo nero, troppo striminzito e troppo
provocante per i miei gusti, costringendomi a metterlo.
“Axel
ti prego, sembro
una squillo!”
Mi lamentai
mentre lei scrutava la strada buia, come se
avessi avuto una qualche possibilità di convincerla a fare
inversione e
riportarmi a casa.
“La
smetti di frignare?
Invece stai molto bene.”
La guardai
teatralmente, sbarrando gli occhi e portandomi una
mano alla bocca.
“Axel
mi ha appena
fatto un complimento o i miei neuroni mi giocano brutti
scherzi?”
Sbuffando,
fece roteare gli occhi verso di me e, sorridendo
in modo sarcastico, mi disse:
“Se
vuoi ritiro tutto,
no problem.”
“Nah,
grazie!”
Improvvisamente
accostò e scorsi una folla enorme di persone
davanti a noi. Ricominciai ad agitarmi visibilmente, deglutendo
più volte rumorosamente.
“Scendi
un attimo, devo
recuperare l’ombrello che è finito sotto il tuo
sedile.”
Ero talmente
nervosa che scesi di filata, stringendomi il
corpo con le braccia. Guardai nuovamente la massa di gente che si
trovava
all’ingresso del locale e scorsi una serie di ragazze con
vestiti che le
arrivavano a metà culo il più delle
volte…
Un momento.
Perché ad Axel avrebbe dovuto interessare
recuperare l’ombrello per entrare in una discoteca? Mi voltai
di scatto,
facendo appena in tempo a vedere il suo ghigno malefico, prima che
ripartisse
con la macchina lasciandomi lì da sola. Rimasi imbambolata
per quello che mi
parve un tempo infinito ad osservare con occhi sbarrati e mascella
serrata lo
spiazzo occupato poco prima dalla vettura. Non poteva averlo fatto
veramente,
non poteva… il cellulare tremò, riportandomi alla
realtà. Lo recuperai e aprì
il messaggio che mi era arrivato:
Lo sappiamo entrambe che se fossi rimasta
mi saresti stata appiccicata tutta la sera come una cozza. Credimi, quando avrai acquistato un po’
più
di sicurezza mi ringrazierai per questo gesto. Vai e colpisci tigre!
Axel
P.s non me ne
starei lì
impalata tutta la sera. 1. Fa freddo. 2. Potrebbero rapirti.
Pps.
Risparmiati la
fatica di cercare di contattare i tuoi. Sono al cinema e non ti
risponderanno
per più di due ore.
“Fanculo
fanculo
fanculo!”
Digrignai i
denti, furiosa, e mi ricacciai il telefono in
borsa. Mi veniva da piangere. Io, da sola, in mezzo a tutti quei
ragazzi
sconosciuti… decretai che se mai fossi uscita viva da quella
situazione, avrei
ucciso a badilate in testa Axel, poco ma sicuro. Respirai
profondamente,
tentando di calmarmi, e mi diressi verso l’entrata. Mostrai
il biglietto
d’ingresso all’addetto e mi avviai in una stanza
che sembrava più un covo di
alcolizzati. Povera me. Mi misi in un angolino sperando che quelle due
ore
passassero in fretta, anche se non ero sicura sarei potuta sopravvivere
a
quella musica assordante ad al puzzo di alcool e tabacco insopportabile.
23.00. Ma
accidenti! Com’era possibile? Erano passati più o
meno 30 minuti da quando ero arrivata lì e ciò
significava ancora un’ora e
mezza di attesa. Era un incubo, un brutto, orribile incubo. Mi mossi
con la
speranza di riuscire in qualche modo a raggiungere l’uscita,
ma un paio di mani
mi bloccarono, facendomi voltare.
“Tò
guarda chi c’è! La
piccola Grace.”
Louis. No. No,
no no! Non era possibile che tra quel mare di
persone fosse riuscito a scovare proprio me. Mi squadrò da
capo a piedi ed in
fine mi sorrise malizioso. Gli lanciai un’occhiataccia e me
lo scrollai di
dosso.
“Perché
non te ne torni
a ballare, eh Louis? Non sono neanche sicura che tu sia sobrio, quindi
sciò!”
Grace. Sul
serio pensavi di allontanarlo con queste parole?
Deficiente. Mi accorsi troppo tardi di essere stata eccessivamente
delicata e
di non aver ottenuto alcun risultato, quando mi ritrovai al centro
della pista
con Louis che mi ballava addosso.
“Sobrissimo.”
Mi
sussurrò all’orecchio, facendomi venire i brividi.
Sentii
che le sue mani stavano lentamente percorrendo i miei fianchi e si
avviavano
verso il sedere.
Svegliati
Grace! Ma non
l’hai visto? Si porterà a letto minimo quattro
ragazze al giorno e tu che fai?
Ci stai?! Tiragli un pugno, uno schiaffo, mordigli il naso, tiragli una
chiave
inglese in testa, fai qualsiasi cosa ma levati da lì!
Lo spinsi
leggermente indietro, guardando i suoi occhi
confusi.
“Mi
spiace Louis. Prima di provarci con una ragazza, non
dirle le cose che hai detto a me.”
Detto questo,
lo mollai lì e mi andai a sedere su un
divanetto, appoggiando la testa contro un lato di esso e rilassando le
gambe
che continuavano a tremare. Dopo circa cinque minuti, qualcuno si
sedette
composto al mio fianco. Voltai la testa, stufa.
“Ancora
qui?”
Lui
corrugò la fronte, guardandosi le mani, come se stesse
cercando delle parole precise da rivolgermi.
“Grace…
io credo che tu
forse, potresti piacermi, ecco. Mi dispiace per quello che ti ho detto,
il
fatto è che ho paura del giudizio degli altri ed io ho 19
anni! Insomma, come
potrebbe uno come me stare con una quindicenne.”
Bam. Il mio
cuore perse un battito. In quel momento la mia
autostima già precaria precipitò inesorabilmente
sotto la soglia minima.
“Sai,
forse sarebbe
meglio se tu le ragazze te le portassi solo a letto e non ci parlassi
proprio,
Louis.”
Dissi, acida e
con la voce tremante, alzandomi dal divano.
Lui si rese conto del significato della frase che mi aveva appena
rivolto e
sbarrò gli occhi.
“N-no
io non intendevo
questo, davvero!”
“Vai
al diavolo.”
Gli sibilai.
Presi la borsa e per l’ennesima volta tentai di
uscire da quell’inferno di posto. Tentativo inutile. Andai a
sbattere contro la
schiena di qualcuno che si girò poco dopo, con la faccia di
chi stesse cercando
di capire cosa fosse successo, reazione dovuta molto probabilmente ad
una
vagonata di alcool che doveva aver ingerito. Liam. Liam con a fianco
Zayn.
Ottimo.
“Ehi!
La nostra Grace.”
Si
aprì in un sorriso strano, molto strano…
stranissimo.
Improvvisamente mi accorsi di una presenza alla mia sinistra, mi voltai
e vidi
Louis che guardava gli amici con occhi impenetrabili. Dopo qualche
secondo,
sotto lo sguardo confuso degli altri, alzò la mano, la
portò sul mio collo,
reclinò il viso e fece unire le nostre bocche. Io rimasi
immobile, sconcertata,
non capendo cosa stesse realmente succedendo. Sentii Louis aggrottare
la fronte
e premere ancora di più sulle mie labbra, non avendo
ricevendo nessuna reazione
e volendo provocarne una. Finalmente capii. Portai una mano sulla sua
mascella,
accarezzandola, e unii ancora di più i nostri corpi
attirandolo a me per una
spalla. Dischiusi le labbra permettendo alla sua lingua di accarezzare
la mia.
I nostri denti cozzavano di tanto in tanto e le mani si intrecciavano,
ci
scoprivamo, giocavamo con le nostre bocche. Dopo un po’ si
staccò da me e
rivolse agli altri un sorrisetto. In quel momento ebbi una paura
allucinante,
paura che fosse stata solo una scommessa o qualcosa del genere, ma poi
notai la
sua mano intrecciata nella mia e lo sentii dire ai suoi amici, ancora
spiazzati:
“Con
permesso.”
E,
superandoli, mi riportò a sedere su uno dei divanetti.
Pov.
Zayn
“E
tu cosa ci fai qui?”
Mi avvicinai
alla ragazza, mollando sconvolta la biondina
all’entrata dei bagni. Lei si voltò confusa e
quando incontrò i miei occhi si
rilassò, per così dire.
“Sto
sorvegliando una
ragazzina per evitare che si metta nei casini… o che faccia
casini, fai un po’
tu.”
Osservò
una ragazza seduta su un divanetto, avvinghiata ad un
ragazzo di mia conoscenza.
“Grace?
Sul serio? E da
quando fai da balia alle quindicenni?”
Lei mi
osservò, glaciale.
“Per
quello che conosci
di me, potrei anche allevare armadilli e vendere palle di
neve.”
Si
appoggiò nuovamente al bancone e ritirò un
cocktail che
doveva aver ordinato poco prima, iniziando a sorseggiarlo.
“Ah.”
Ah. Zayn?
Yuhuuu! Un
po’ più loquace, su. Se stai cercando di attaccare
bottone, bhe, lo stai
facendo nel modo sbagliato. Feci una
smorfia, tentando di ignorare quella vocina
irritante.
“Eh…
non balli?”
Pensi di avere
qualche
speranza? Sei serio?
Okay, hai rotto le palle, coscienza (o qualsiasi cosa tu sia) di merda.
Si
rigirò verso di me, mescolando il liquido trasparente con
la cannuccia e alzò le spalle, rispondendomi poi con fare
misterioso ed un
sorrisetto.
“Non
posso… Sono in
incognito.”
“Mmm
interessante. Sei
sicura però che non ti voglia svagare un po’,
super spia?”
Dissi,
avvicinandomi a lei e mettendole le mani sui fianchi.
Lei sorrise, guardando prima le mie mani, poi i miei occhi.
“Non
credo proprio Za…”
Successe tutto
velocemente, troppo velocemente. Le parole le
morirono in gola. I suoi occhi si dilatarono e il corpo
cominciò a vacillare.
La afferrai saldamente, guardandola in faccia.
“Axel,
che hai? Axel!”
Mi
scansò e barcollò in avanti, vacillando ed
appoggiandosi
su qualsiasi cosa si trovasse nel suo raggio d’azione,
tentando disperatamente
di uscire dal locale.
“Che
succede?”
Domandò
Grace, spaventata, andando incontro alla ragazza e
cingendole la vita con un braccio. Louis intanto si era avvicinato a me
e mi
scuoteva, chiedendomi cosa fosse successo e tentando di sbloccarmi
dallo stato
di shock in cui ero caduto. Ci riuscì. Mi fiondai verso Axel
e cercai di
trattenerla per le spalle, ma lei mi scansò nuovamente ed
afferrò Louis per un
braccio.
“P-porta
via Grace,
subito.”
Gli
sussurrò con fatica ad un orecchio. Lui annuì
deciso e si
trascinò via a forza la ragazzina che non voleva abbandonare
l’amica. Ero
confuso, terrorizzato, non sapevo cosa fare... afferrai il telefono e
digitai i
tasti per chiamare l’ambulanza, ma un paio di mani non me lo
permise, strappandomi
via il cellulare.
“Non
chiamare l’amb…”
Un grido le
uscì dalla bocca facendole portare le mani sullo
stomaco.
Pov.
Liam
Correvamo per
il parcheggio in cerca della macchina della
ragazza, accompagnati dal rumore dei nostri respiri affannati, dei
nostri passi
e dei suoi gemiti strazianti. Zayn la portava in braccio,
poiché era più
corpulento e resistente di me, mentre io scrutavo velocemente ogni fila
di
macchine nella speranza di trovare la nostra al più presto.
Dovevano averle
messo qualcosa nel bicchiere, quei luridi schifosi. L’opzione
più probabile era
un allucinogeno o qualcosa del genere, tipo lsd, visto il modo in cui
si
agitava tra le braccia del moro. Ad un certo punto un gemito diverso mi
costrinse a voltarmi: dal collo del ragazzo scendeva un rivolo di
sangue. Axel,
senza rendersene conto, aveva conficcato le sue unghie nel collo di
Zayn, che
ora ansimava e mi guardava terrorizzato: non gliene fregava niente del
taglio,
era preoccupato per lei.
“E-eccola…”
La ragazza
alzò debolmente una mano e ci indicò una
macchina.
Un sospiro di sollievo uscì dalle labbra sia mie che del mio
amico, mentre
correvamo verso di essa.
Pov.
Axel
Tantissima
confusione. Rumore, voci, ancora rumori, una mano
sulla mia faccia, una fitta lancinante allo stomaco, un grido che
doveva essere
mio e, finalmente, silenzio. Mi ero addormentata? Probabile e,
comunque,
qualunque cosa fosse volevo non finisse.
Un raggio di
sole si soffermò ostinatamente sui miei occhi,
svegliandomi. Mi guardai intorno, leggermente disorientata e con un mal
di
testa infernale. Le tende erano chiuse ma lasciavano comunque entrare
un po’ di
luce. Io ero adagiata sul mio letto, circondata da stracci, asciugamani
ed un
catino verde. La cosa che più mi stupì fu
però la visione di tre ragazzi, ognuno
con una faccia sfinita, che dormivano in posizioni assurde, chi sul
divano, chi
sulla poltrona e chi addirittura sul pavimento. Liam, Zayn
e… Harry. Harry?
Cercai di tirarmi su, spingendomi con un braccio. La mia pancia,
ovviamente,
reagì all’istante, affliggendomi una fitta acuta.
Strizzai gli occhi e cercai
di reprimere inutilmente un gemito. Vidi Harry sollevare le palpebre
contornate
da una linea violacea, segno della notte che avevo appena fatto passare
ad
ognuno di loro, e mi sorrise debolmente, alzandosi e strascicando i
piedi per
raggiungermi.
“Come
stai?”
Mi chiese con
un filo di voce. Io per tutta risposta annuii,
sistemandomi con difficoltà in una posizione più
o meno comoda.
“Che
ci fate qui?”
Domandai con
il suo stesso timbro di voce.
“Non
ti ricordi di come
stavi ieri sera?”
“Si
ma…”
“Allora
dovresti
capirlo da sola.”
Aggrottai la
fronte. Loro erano rimasti per… aiutarmi?
Impossibile, nessuno, in tutta la mia vita, si era mai preoccupato per
me.
Perché cominciare ora.
“Che
ci fai tu qui?”
Variai i
soggetti. Lui annuì e si sedette di fianco a me.
“I
ragazzi mi hanno
chiamato stanotte con una voce piuttosto sconvolta. Dicevano che avevi
ingerito
non so cosa in un drink di ieri sera e che loro cercavano di aiutarti,
ma tu
non glielo permettevi e… chiamavi il mio nome.”
Concluse,
sorridendomi stancamente. Io sprofondai ancora un
po’ nel cuscino, sospirando nel tentativo di comprendere le
sue parole.
Chiamarlo? E perché mai avrei dovuto farlo? Lo osservai a
lungo in volto,
mentre lui giocava con un lembo del lenzuolo, piuttosto assorto nei
suoi
pensieri. Il suo viso mi trasmetteva pace e allegria, in qualche modo.
Ad un
certo punto mi venne in mente una domanda assolutamente essenziale:
“Grace?”
“Oh,
lei deve essere a
casa con Louis.”
Lo guardai
torva, e il ragazzo si affrettò ad aggiungere.
“Sembrava
parecchio
turbato anche lui, da come l’ho potuto sentire al telefono,
quindi immagino la
ragazzina… non è un animale fino a questo
punto.”
Affermò
per tranquillizzarmi, sott’intendendo che non si
sarebbe approfittato di Grace in un momento come quello.
“Ah,
ok.”
Stemmo un
po’ in silenzio, beandoci della pace che regnava
una volta tanto nell’aria. Erano rari quei momenti,
maledettamente rari, ma una
domanda mi ronzava in testa, infastidendomi, fino a che dovetti
sputarla fuori,
in un sussurro.
“Harry…
perché siete
qui, perché sei qui? Sai cosa intendo.”
Lui
sembrò rifletterci per un po’, fino a che si
decise a
parlare.
“Siamo
qui per
aiutarmi, suppongo. D'altronde, tu sei nostra amica ormai. O almeno, lo
sei per
me.”
Lo fissai a
lungo, cercando di comprendere il significato di
quelle parole che mi sembravano irreali per quanto belle. Lo ringraziai
con un
misero sorriso di cui mi vergognai terribilmente, dopo tutto
ciò che gli avevo
fatto passare quella notte, per poi andare ad ispezionarmi le unghie.
Ad un
tratto lo sentii respirare rumorosamente ed alzai gli occhi per
osservarlo
meglio. Aveva uno sguardo corrucciato e si stava torturando le mani.
“Axel?”
“Mh?” risposi,
alzando completamente la
testa, non immaginando le parole che mi avrebbe rivolto, dopo un lungo,
lunghissimo silenzio.
“Posso
chiederti una
cosa?”
“Certo,
dimmi.”
Con un sospiro
secco, piantò i suoi occhi verdi nei miei e
disse, tutto d’un fiato.
“Posso
baciarti?”
Ta-da-da-daaaan!
Non ve l’aspettavate eh? Dite la
verità! Bella bella mi piace le fine di questo capitolo,
finalmente succede
qualcosa di più coinvolgente e già
c’è il primo inciuccio :D wooow sono
orgogliosa di me.
Okay
non preoccupatevi, momento sclero finito :) spero
piaccia anche a voi questo capitolo. Si, in effetti potrei fare moolto
meglio,
ma sembra sia nella mia natura non essere mai soddisfatta per qualcosa
che
scrivo (a parte il prologo di questa storia che, bhe, modestia a parte
lo
ADORO). Grr. Che altro dire? Niente, a parte ringraziarvi per le
recensioni e i
preferiti, i seguimenti e le ricordate… mi fate sentire
importante :’) Crazzie
mille <3 Muha!
P.s
per una personcina che mi recensisce ogni capitolo
dall’inizio della storia e che mi dice tutto quello che
pensa, anche le
perplessità :) Andate a leggere la sua ff che,
personalmente, trovo molto WOW! Every
breath you
take di nevaeh
|
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Capitolo 7 *** you remind me someone ***
Pov.
Harry
Continuavo a
deglutire rumorosamente, incerto se le parole
che ancora veleggiavano nell’aria fossero uscite proprio
dalla mia bocca o se
invece non fosse stato semplicemente frutto della mia contorta
immaginazione.
Sfortunatamente, dagli occhi di Axel sembrava proprio che fosse la
prima
opzione. La ragazza aveva improvvisamente assunto uno sguardo
impenetrabile,
quasi vitreo, che avevo cominciato ad imparare andasse associato ad una
reazione molto poco piacevole, che comportava quasi sicuramente un
urtamento
psicologico o, forse più spesso, fisico (chi lo sa, di
questo non ero potuto
accertarmene di persona) da parte sua. Nella mia mente cominciarono a
formularsi varie ipotesi su come affrontare quella situazione: fuggire?
Mh, a
che sarebbe servito? Il giorno successivo (e quello dopo ancora) me la
sarei
comunque ritrovata in classe, pronta a scannarmi. Scoppiare in una
risata
sonora, fingendo che fosse tutto uno scherzo? Bocciata anche questa, in
quanto
facevo pena a raccontare bugie e probabilmente se ne sarebbe accorta
anche un
alpaca. Fare un casino infernale e svegliare tutti gli altri, in modo
tale che
avrei sviato l’argomento? Quasi sicuramente a quelle di Axel
si sarebbero
aggiunte anche le bastonate dei miei amici. Improvvisamente mi
comparve, chiara
e semplice, la soluzione più ovvia: la ragazza si sarebbe
comunque alterata,
sia se me ne fossi stato lì ad attendere una sua risposta
sia se avessi agito.
Tanto valeva tentare, no? Senza pensarci su troppo, conscio che
altrimenti avrei
ricominciato a sbudellarmi il cervello in cerca di qualche soluzione
alternativa, mi lanciai in avanti e poggiai al contempo delicatamente
ma anche
con vigore le mie labbra su quelle della ragazza, che si premette sulla
testata
del letto probabilmente in cerca di una via di fuga. Chiusi gli occhi e
subito
la mia lingua si lanciò tra le labbra di Axel, scontrandosi
però
inesorabilmente contro l’ostacolo invalicabile costituito dai
denti serrati
della giovane. Strizzai gli occhi e mi premetti di più
contro la ragazza, che
si reggeva a stento sotto il peso del mio corpo poggiando i gomiti
traballanti
(indeboliti dalla droga assunta quella notte) sul materasso. Schiusi le
labbra
e, finalmente, la mia lingua ebbe libero accesso al territorio
inesplorato. Incontrai
la sua lingua, rintanata in un angolo della bocca, e la costrinsi ad
avvinghiarsi
alla mia, mentre le mie labbra si inumidivano sempre di più,
scivolando e
muovendosi su quelle di Axel, al contrario immobili. Mi misi a
cavalcioni sulla
ragazza (ormai seduta con la schiena appoggiata alla testata del
letto), che
aveva le gambe incrociate sotto le coperte, costringendola a stenderle
e permettendomi
così di spalmarmi meglio contro di lei. Misi in moto anche
braccia e mani: una
scivolò sul suo braccio, accarezzandolo, mentre
l’altra si adagiò contro la sua
guancia. Non so per quanto stemmo in quella posizione, ma ad un certo
punto mi
resi conto che dall’altra parte non stavo ricevendo segnali
apprezzabili, né di
rifiuto né di accettazione; senza staccarmi ma rallentando
semplicemente,
socchiusi un occhio, così che potessi avere una visuale del
volto di Axel: non
aveva gli occhi chiusi, ma neanche totalmente aperti, piuttosto
sembrava stesse
cercando di… scrutare le mie labbra appiccicate alle sue?
Probabile, molto
probabile, anche se lo sforzo era evidentemente vano, visto che il suo
sguardo
non poteva giungere fino a lì, impedito com’era
dai nostri nasi e dall’eccessiva
vicinanza dei nostri visi. Mani, labbra, gambe e braccia erano comunque
immobili, come privi di vita, come se fossero appartenute ad un
burattino. Di
punto in bianco, il mio cervello sembrò risvegliarsi dal
torpore in cui era
stato immerso fino a quel momento e, accortosi della situazione, mi
volle
punire scagliandomi addosso una serie di ricordi, tutti con un unico
punto
centrale: Niall.
Niall sotto la
porta di casa mia, mentre scrutiamo i dintorni
alla ricerca di qualche anima curiosa e che, non trovandola, ci
guardiamo
sorridendo lasciandoci come promessa d’amore un lieve bacio
sulle labbra.
Niall seduto
su un marciapiede, con il naso sanguinante,
appena lasciato lì dai miei amici, intento ad asciugarsi una
lacrima dispettosa
sfuggita al suo controllo ed io che mi avvicino di soppiatto, senza
farmi
vedere da nessuno, mentre mi inginocchio di fianco a lui, che mi
sorride
tentando di mascherare il dolore e la sofferenza. Io che gli tampono il
naso,
lui che mi regala una carezza sulla guancia, io che sgattaiolo via, lui
che si
lascia scappare un altro paio di lacrime.
Niall che mi
graffia dolcemente la schiena, mentre si muove
con un misto di passione e dolcezza su di me, intento a soffocare i
gemiti che
nascono dal suo petto, luogo di sicurezza e di conforto per me.
Perché quello era
ciò che desideravo, riporre tutto me stesso tra le sue
braccia, affidare tutto
ciò che ero a lui, abbandonarmi a lui, fare
l’amore con lui, perché solo Niall era
riuscito ad insegnami cosa voleva dire veramente quella parola: amore.
Io amavo il
mio piccolo.
Perché
gli stavo facendo tutto questo?
Perché
stavo disperatamente cercando di rinnegare tutto ciò
che ero?
Perché
lo stavo abbandonando, da solo, tenendomi le sue
promesse e violando le mie?
Un gemito si
manifestò esteriormente, come per dimostrare il
mio malessere e, potrei giurarlo tutt’ora, mi parve di
sentire Axel sorridere
dolcemente sulle mie labbra prima che io mi allontanassi
definitivamente e per
sempre dalle sue.
Pov.
Axel
Con
espressione afflitta si scostò da me, appoggiandosi a sua
volta contro la testata del letto, mentre abbandonava la testa sui
palmi delle
mani. Io lo guardavo semplicemente, aspettando che facesse qualsiasi
cosa. Dopo
alcuni minuti passati a respirare affannosamente, alzò il
capo e, finalmente,
mi guardò negli occhi, con espressione triste e tormentata.
“Sc…scusami.”
Disse con un
filo di voce, dopo di che riabbassò la testa e tacque nuovamente. Fui io,
allora, a mandare
avanti il discorso, capendo che da lui non sarebbe giunto
nient’altro.
“Ti
piace, Harry?”
Lui
sollevò lo sguardo, confuso, facendo saettare gli occhi
da un angolo all’altro della stanza, a disagio.
“Come?”
“Il
biondino, ti
piace?”
Lui
aggrottò la fronte, per poi assumere un’aria
contrita.
Stette per un lunghissimo tempo a concentrarsi su quella domanda
apparentemente
semplice, ma che, ne ero sicura, rappresentava il nocciolo della
questione.
“Si…
io credo di si.”
Gli sorrisi
rassicurante, posandogli una mano sulla spalla.
“Qual’è
il problema
allora?”
Sapevo
benissimo qual’era, ma volevo che lui riuscisse a
sfogarsi apertamente. A quel punto si abbandonò
completamente alle proprie
esigenze e cominciò a sputare parole una dietro
l’altra, segno che non aveva
più la forza di tenersi tutto dentro.
“Io..
io non lo so cosa
voglio. So solo che è così maledettamente
difficile essere diversi
dagli altri e farsi accettare per come si è! Axel, io amo
Niall, ma non voglio
essere gay… non voglio.”
Aggrottai la
fronte, lasciando la mano sulla spalla del
ragazzo e portandomi l’altra alla tempia, massaggiandola, nel
tentativo di
scegliere le parole più azzeccate da rivolgere al ragazzo.
Infine rinunciai e
dissi semplicemente ciò che pensavo.
“Harry,
non ti dirò
frasi consolatorie o cose simili, quindi prima che cominci a parlare,
ti voglio porre una domanda: vuoi davvero sentirti dire le cose come
stanno?”
Lui,
continuando a torturarsi un’unghia della mano, mi
guardò
negli occhi ed assentì.
“Bene.”
Mi sistemai
meglio sul letto e cominciai a parlare.
“Harry,
tu sei
oggettivamente diverso dalla maggior parte delle altre persone. Se tutti
sapessero come sei fatto, ti guarderebbero con occhi diversi, uno
sguardo
riservato solo ed unicamente a te. Ti conosco da poco tempo, ma ho
capito una
cosa: tu sei probabilmente molto meglio di tutte le persone presenti in
questa
cittadina, sei meglio dei tuoi amici e, sicuramente, sei meglio di me.
Pensi
sia facile farsi accettare? No, non lo è, Harry. Ma se tu
avessi davvero
rispetto di te stesso, te ne fregheresti di tutto quello che gli altri
pensano.
Perché, ribadisco, tu sei meglio di loro e non sei tenuto ad
adattarti alle
esigenze di un mondo che non ti comprende. Capisci quello che ti sto
dicendo?
Se la tua esigenza primaria è quella di diventare come gli
altri, allora non ho
niente da dirti. Ma se invece ciò che desideri è
trovare una stabilità dentro
di te, allora io sono qui.”
Finii di
parlare, chiudendo gli occhi per il mal di testa, ed
attesi che il ragazzo mi rispondesse. Dopo qualche minuto,
però, sentii dei
respiri pesanti, così aprii nuovamente gli occhi, guardando
la sua faccia
rigata dalle lacrime.
“È
tremendamente
sbagliata questa società, Axel. È difficile,
così difficile…”
Sussurrò
con voce rotta mentre inclinava la testa sulla mia
spalla e si faceva avvolgere dal mio braccio. Con quel
“sbagliata” si riferiva
anche allo stupro subito? Probabile. Gli passai un dito sulle guance,
tentando
di spazzare via le lacrime che scendevano copiose dai sui bei occhi
verdi,
mentre gli sorridevo dolcemente.
“Lo
so, Harry, lo so.”
Lui si strinse
ancora di più a di me, annuendo senza una
ragione precisa. L’aria era diventata più pesante
di quello che avrei voluto,
così decisi che era meglio alleggerirla un po’.
“Sai
una cosa?”
“Cosa?”
“Sei
molto emotivo,
ragazzo!”
Ridacchiai
mentre lo dicevo e sentii lui che sorrideva.
“Axel?”
“Si
Harry?”
“Posso
chiederti una
cosa?”
Girai la testa
con aria terrorizzata fino a guardarlo negli
occhi.
“Devi
proprio?”
Lo feci ridere.
“Tranquilla,
è solo una
domanda.”
“Allora
in questo caso dimmi!”
“Perché
ti comporti
così con me? Voglio dire, cacci via chiunque ti si avvicini,
mentre con me sei
sempre gentile. Penso che se Louis avesse anche solo provato a
baciarti, a
quest’ora sarebbe appeso dalle mutande fuori dalla
finestra!”
Ridemmo di
gusto immaginandoci la scena. Dopo di che, mi
ricomposi e presi un respiro profondo, prima di parlare.
“Mi
ricordi me stessa,
Harry. Me stessa qualche anno fa, quando ancora ero confusa e mi
sentivo un’estranea
nel mondo in cui vivevo. Poi però ho cominciato a costruirmi
una mia realtà,
considerando gli altri degli estranei rispetto a
me. Ti voglio aiutare,
tutto qui. Mi piaci, Harry. Non in quel senso, ma mi piaci.”
Lui
rifletté qualche minuto sulle mie parole, prima di
parlare.
“Come
fai ad accorgerti
sempre di tutto, Axel?”
Mi prese in
contropiede per un attimo, ma poi capii la sua
domanda e gli risposi.
“Ti
riferisci al fatto
che mi ero accorta della tua relazione con Niall? Sono quella che si
può
definire un’acuta osservatrice, tutto qui. Ho imparato a
studiare l’ambiente e
le persone che mi circondano. E se vogliamo aggiungere, diciamo che mi
sono
accorta anche di come guardi Zayn…”
Dissi
sogghignando quando, pronunciata l’ultima frase, vidi
lo sguardo atterrito del ragazzo.
“Non
glielo dirai,
vero?”
Mi chiese,
incerto. Finsi di pensarci su un po’, ma dopo gli
risposi, con ovvietà:
“Per
chi mi hai preso?
Certo che non glielo dirò.”
Ritornò
ad appoggiarsi sulla mia spalla, con un sospiro.
“È
solo una cotta
passeggera, mi passerà.”
“Ne
sono sicura.”
Stemmo un
po’ in silenzio, ascoltando gli uccelli che
cinguettavano fuori dalla finestra, corroborandoci nel caldo che
cominciava a
scaldare la camera e udendo i respiri sommessi dei due ragazzi che
dormivano
ancora, grugnendo di tanto in tanto data la scomoda posizione.
Riflettei sul
fatto che, probabilmente, una volta svegliati si sarebbero trovati
qualche osso
ribaltato.
“Axel?”
Sorrisi,
poiché il modo del ragazzo di ripetere costantemente
il mio nome mi ricordava quello di un bambino piccolo, indifeso.
“Mh?”
“Qual’era
la tua vita
prima di arrivare qui? Prima di cambiare scuola?”
Mi irrigidii
all’istante e smisi di accarezzargli la guancia.
Quella era una domanda a cui sicuramente non avrei mai dato una
risposta, mai.
“Magari
un altro giorno
te ne parlerò, ok? Adesso mi sembra prematuro.”
Tagliai corto.
In quel momento uno sbadiglio ci distrasse dai
nostri discorsi e notammo che Zayn e Liam cominciavano a svegliarsi.
Harry si
mise seduto e, prima di alzarsi del tutto, avvicinò le
labbra al mio orecchio e
veloce mi sussurrò.
“È
vero, sei brava a
prenderti cura degli altri quando vuoi, ma non cogli dei fattori che
riguardano te stessa.”
Eh? Confusa,
lo guardai.
“Che?”
“Mi
sa proprio che hai
attirato l’attenzione di qualcuno, sai?”
Quei messaggi
criptici cominciarono ad infastidirmi.
“Harry
ma che diav…”
“Grazie
di nuovo,
Axel.”
Non mi fece
finire e, dopo avermi schioccato un bacio sulla
guancia, si girò ed esclamò un:
“Buongiorno,
ragazzi!”
Pov.
Liam
Un mal di
schiena allucinante mi fece sgranare gli occhi e
barcollare fino al letto, dove mi sedetti pesantemente, poggiandomi una
mano
sulla schiena.
“Cosa
mi è passato
sopra, una squadra di rugby?”
“No,
hai solo dormito
sul pavimento.”
Mi rispose il
riccio, il quale aveva delle occhiaie paurose
che gli cerchiavano gli occhi. Mi voltai e guardai la ragazza, che si
stropicciava gli occhi pigramente.
“Come
stai?”
Le chiesi, con
tono dolce, appoggiandole una mano sul
braccio. Lei mi guardò, guardò Harry (che
sorrise), ritornò su di me e mi
rivolse un sorriso. Ma che diavolo…?
“Bene,
grazie. Ho solo
molto mal di testa, quindi vi prego, non urlat…”
Giustamente,
un forte gemito giunse dalla poltrona e,
giratici tutti preoccupati, vedemmo Zayn che saltellava da una parte
all’altra
della stanza tenendosi un piede.
“Un
crampo! Un crampo!”
Scoppiammo
tutti a ridere mentre lui si sedeva per terra e
mugugnava dal dolore.
“Che
c’è da ridere?! Fa
male, accidenti se fa male!”
Scuotendo la
testa, mi rivolsi ad Axel che si era portata un
mano sulla fronte e, ad occhi chiusi, sorrideva.
“Vuoi
che restiamo qui?
Che ne so, ti prepariamo qualcosa da mangiare, prendiamo
le medicine…”
Mi interruppe
con un gesto della mano, alzandosi.
“Davvero,
siete stati
gentilissimi, ma ora andate a casa a riposarvi, avete delle facce
spaventose. Mi dispiace se stanotte ho fatto casino
e…”
Si
voltò verso Zayn e gli osservò il collo: si
potevano
vedere, rossi ed evidenti, i buchi che la ragazza gli aveva inflitto la
sera
prima con le unghie.
“Mi
dispiace.”
Sussurrò,
abbassando lo sguardo. Il ragazzo ci guardò,
confuso. Io mi toccai il collo e lui fece lo stesso, sfiorando la
ferita. Capì
e si alzò in piedi, sorridendo alla ragazza.
“Figurati,
non l’hai
fatto apposta.”
Detto
ciò, ci mettemmo tutti a sistemare la stanza, mentre
Harry chiamava Louis e gli chiedeva di venirci a prendere. Dopo una
mezz’ora
suonò al campanello e noi ci preparammo per lasciare la
casa.
“Sei
sicura che non
vuoi che rimaniamo? Non c’è nessun problema,
davvero.”
Le chiesi
nuovamente, sperando in una risposta affermativa.
Sbagliato.
“No,
andate a casa. Io
sto bene.”
Mi disse,
puntando i suoi magnetici occhi marroni nei miei.
Io le sorrisi e la salutai, mentre gli altri già si erano
già avviati giù per
le scale. Poggiai il piede sul primo gradino quando mi fermai di colpo.
Da dietro
la porta udii un singhiozzo soffocato. Tornai indietro, il
più silenziosamente
possibile, e appiccicai un orecchio al legno freddo della porta.
Axel…
piangeva? No, non era possibile. Misi una mano sul pomello della porta
e,
pregando tutti i santi esistenti, la girai cercando di non illudermi
troppo. Invece,
alla faccia della mia ormai rinomata e storica sfiga, ci fu un lieve
‘clac’ e
la porta si aprì. Sbircia dentro e vidi Axel seduta
scompostamente sul letto,
con occhi vitrei e colmi di lacrime. Prima di entrare del tutto, presi
il
telefono ed inviai ai miei amici un messaggio dove dicevo loro di
andare. Lo misi
via e mi avvicinai silenziosamente alla ragazza, fino a trovarmi a
pochi
centimetri da lei. Presi un respiro e mi sedetti, smascherandomi. Lei
si voltò
e mi guardò negli occhi, mentre le lacrime presero a
scendere più copiose di
prima. Com’era possibile che Axel, quella Axel, stesse
piangendo? Era così
bella, anche in quelle condizioni. Non aveva mai messo il trucco,
neanche una
volta, e i suoi capelli erano lunghi e tagliati in modo irregolare;
era… davvero
bellissima. Quando mi ridestai dai miei pensieri, trovai una mia mano
sulla sua
guancia. Come ci era finita lì? Deglutendo rumorosamente, mi
avvicinai con
cautela al suo viso, fino a trovarmi a pochi centimetri da esso. Quanto
schifo
facevo ad approfittarmi di lei mentre era in quelle condizioni? Axel
era
immobile, non muoveva un muscolo e non sapevo se interpretarlo come un
segno
positivo o negativo. Perché era sempre così
difficile per me lasciarsi andare? In
quel momento avrei tanto voluto avere un po’ più
di sicurezza, magari prenderne
un po’ in prestito da Louis, ecco! Un momento… ma
io potevo essere chi mi
pareva, tutti potevano esserlo, se solo lo si desiderava sul serio.
Sorridendo della
conclusione a cui ero giunto, azzerai la distanza che separava le
nostre labbra
unendole dolcemente, mentre la ragazza avvolgeva il mio collo con le
braccia.
*spunta
fuori dalla montagna di fazzoletti in cui è sommersa e
saluta*
Non
so cosa dire, sul serio… 8 recensioni allo scorso capitolo?!
Grazie grazie
grazie grazie grazie! Davvero :’) Non sapevo se crederci
o… o? Bhò, vi adoro,
solo questo. Sapere che ciò che si scrive è
apprezzato è… davvero gratificante.
Caaapitolo:
eccolo qua :) non so se esserne soddisfatta oppure no, quindi
suggeritemelo
voi! C’è stato un po’ da ridire sulla
forse-coppia Axel-Harry, ma alla fine
sono entrambi ragazzi assennati (?), su!
Ora,
ho davvero paura che mi scanniate per quello che ho fatto, voglio dire:
la
storia presenta comunque come uno dei protagonisti principali Zayn e io
che
faccio? Lo trascuro. Non temete, assolutamente! Fra qualche capitolo
(se non
già dal prossimo, chissà!) si metterà
in gioco anche lui :) anche perché,
diciamocelo, io per prima tifo per la coppia Zayn-Axel,
senza raccontarci
troppe balle (della serie: spoiler che volano per la stanza -.-
complimenti
Andrea)! Bhò, spero davvero che il capitolo vi piaccia e di
non aver deluso
qualcuno (oddio, solo al pensiero mi sento male D:). Buona lettua,
Andrea
Ps.
Ho voluto rendere Harry l’adolescente doc, quello che ha le
sue insicurezze e i
suoi timori. Spero di aver accostato bene i personaggi Axel-Harry che,
secondo
me, sono molto simili.
Pps.
Auguro sinceramente a tutte coloro che hanno partecipato al concorso di
incontrarli, penso che ognuna di noi se lo meriti :)
N.b
ho in mente un’altra trama di una ff che mi ispira un sacco,
ma non voglio
iniziarla perché non riuscirei a portarle aventi tutte e due!
Ppsnb.
Ma ho finito?
|
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Capitolo 8 *** Hic et nunc ***
Pov.
Axel
Un brivido mi
scosse la gamba, facendomi grugnire di
disapprovazione. Aprii pigramente un occhio, scorgendo le mura della
mia stanza
avvolte dal buio, con qualche accenno di luce proveniente dalla luna
all’esterno che si stagliava sulle pareti scrostate. Mi misi
a sedere
lentamente, poggiando una mano sulla testa e la schiena sulla testata
del
letto. Mi massaggiai un po’ le tempie, prima di far ricadere
il braccio
penzoloni sul fianco, stanca ed insonnolita. Mi voltai verso il
comodino ed
afferrai il cellulare, premendo un tasto a caso per far illuminare lo
schermo:
4.57 di notte. Aggrottai la fronte, confusa: quale mente sana si
sveglierebbe a
quell’ora della notte?! Solo alzandomi, però,
potei rendermi conto del perché
il mio corpo era stato colpito da un violento spiffero ghiacciato: ero
oggettivamente, stranamente e (soprattutto) completamente nuda. Senza
un motivo
ben preciso mi posizionai davanti al grande specchio che rifletteva la
mia
completa immagine e, nel muovermi, percepii un distinto e piccato
dolore ai
lati dell’interno coscia. Portai lo sguardo su di esse, nello
specchio, e le
vidi visibilmente arrossate, come lo erano altre zone del mio corpo.
Sfiorai
con le dita il fianco destro, su cui spuntavano dei lievi gonfiori
rosini, percorsi
le chiazzette rosse visibili sul collo e, infine, posai la mano sulla
spalla,
su quello che sembrava… un morso? Guardai l’Axel
riflessa allo specchio, domandandole
stupidamente con gli occhi il perché di tutto
ciò, quando un sospiro mi fece
voltare di scatto…
Con
un veloce movimento della mano, il ragazzo le sposta i capelli che le
ricadono
sul volto e che ostacolano il loro baciarsi frenetico ed impetuoso;
l’altra
mano scivola sulla gamba di lei che stringe la vita del ragazzo a se,
con fare
possessivo.
Perché
effettivamente è questo quello che vuole, al momento:
averlo, non pensare alle
conseguenze ma concentrarsi solo su quell’istante che scorre
veloce davanti ai
loro inesperti occhi da giovani, come se fosse un attimo da cogliere al
volo,
sfruttarlo e lasciarlo andare nuovamente, aspettando che torni.
D’altronde, la
sua vita, la vita di Axel è costituita in questo modo:
cogliere momenti
sfuggenti e sfruttarli appieno. Solo così, secondo lei, una
vita vale davvero
la pena di essere vissuta. Forse sono pensieri troppo grevi per
appartenere a
una diciassettenne, e lei ne è consapevole, ma ha anche
imparato a vivere
secondo le proprie regole, senza dare conto a nessuno. Sbagliato? Chi
lo sa, ma
lei ha trovato una sua dimensione, impedendo a chiunque di
stravolgergliela.
Con
un gesto brusco il ragazzo le strappa via la maglietta raffigurante
Andy Warhol
e la lancia di lato, senza mai perdere il contatto con le labbra di
lei. A sua
volta, la ragazza gli sbottona i pantaloni senza preoccuparsi troppo
delle
maniere dolci e mielose che solitamente accompagnano due persone che si
amano
quando… bhè, stanno per fare quella cosa.
Ma
lei non lo ama neanche lontanamente, non è nemmeno sicura
che le piaccia, ha
semplicemente voglia di andarci a letto, tutto qui. In fondo, cosa
c’è di male?
Nulla, secondo la sua mentalità! Il sesso lo vede non solo
come una maniera di
amarsi (che poi, a quell’età, la ragazza non crede
esista davvero l’amore, ma
solo reciproche attrazioni ed attenzioni), ma anche come uno sfogo, un
divertimento, un… gioco. Ecco, gioco è
l’epiteto più appropriato da affiancare
a “sesso”, secondo Axel. Sesso e gioco, gioco e
sesso, che differenza c’è? È
nient’altro che uno scambio di effusioni, un modo di
confortarsi l’un l’altro,
un modo per provare un piacere fisico e psicologico che ti stacca dalla
crosta
terrestre per qualche secondo. Perché le persone dicono che
il sesso (o
l’amore, o come volete chiamarlo) si deve fare solo ed
esclusivamente con la
persona destinata a rimanerci a fianco per un periodo di tempo che
arrivava dai
sei mesi ai sessant’anni? O ancora, perché
quell’atto così semplice e naturale
deve essere intrapreso con qualcuno che necessariamente si ama? A volte
Axel
trova le persone che la circondano di una chiusura mentale assoluta,
senza a
riuscire a capire come facciano a ragionare effettivamente in quel
modo.
Le
mutande della ragazza e i boxer di lui, oramai superflui, vengono tolti
gli uni
dalle mani dell’altro, con irruenza e foga. Ma, una volta
finita l’operazione,
l’avidità e la disperazione che caratterizzavano i
gesti di poco prima sembrano
svanire, rimpiazzati invece da cenni più rilassati ed azioni
più spontanee. Le bocche
dei giovani finalmente si staccano, lasciandoli lì, lui a
sovrastare lei,
mentre annaspano in cerca d’aria, con respiri corti e veloci
e di tanto in
tanto qualche leggero gemito dovuto dalla consapevolezza di quello che
sarebbe
successo di lì a poco e l’impazienza di
realizzarlo. I loro occhi infine si
incrociano, fondendosi gli uni con gli altri, lei con ancora le gambe
strette
sul busto forte di Liam, così grande e possente in tutti i
suoi muscoli al
confronto di quello slanciato ed esile di lei, e le mani aggrappate
alle sue
spalle, lui invece con le ginocchia appoggiate alla porzione di
materasso
ritagliata tra le gambe della giovane, le quali sorreggono in parte il
peso di
tutti e due, distribuito anche sul gomito destro premuto di fianco alla
testa
di Axel. Una mano del ragazzo, che poco prima aveva egoisticamente
pressato i
fianchi della giovane fino a lasciarle i segni, si poggiano sulla
guancia di
lei, facendo muovere in circolo i pollici, che disegnano dei piccoli
cerchietti
ai lati degli occhi. Tutti e due si specchiano nello sguardo reciproco,
gli
occhi lucidi di desiderio e carichi di quella voglia che colpisce fino
allo
sfinimento. I sospiri si mischiano tra di loro, lasciando intendere che
si
stanno prendendo entrambi una pausa prima di donarsi l’uno
all’altra e, nel contempo,
che si stanno beando dei pochi istanti come quelli che si riescono a
strappare
alla vita, in cui la persona che ti ritrovi davanti è
l’unica tua ancora di
salvezza, colei che in quell’istante sarà tutto e
niente per te, la cosa più
importante delle tua vita e quella che odierai di più,
perché sai che, una
volta giunto tutto al termine, te la ritroverai davanti, priva di
magia, priva
di quel potere che avevi ritrovato in lui/lei di trascinarti in una
dimensione
di felicità allo stato brado.
La
mano del giovane, prima impegnata sul volto di Axel, si fa strada sul
braccio,
dolcemente, sino ad installarsi sul fianco di lei, avvolgendolo e
sentendone le
pulsazioni del sangue, le costole arcuate e il calore ardente emanato.
Senza
che potesse, o meglio, volesse impedirglielo, la ragazza, sazia di quei
momenti
carichi di desiderio, decide di consumarli, facendo leva sulle gambe
ancora
avvinghiate al bacino di lui, fino a sentirlo completamente ed
interamente
dentro di lei. Liam la osserva con occhi sgranati, immobile, confuso e
spiazzato da quello che è appena successo. Non vedendo
reazione apprezzabile,
la ragazza, con un vigoroso colpo di fianchi, ribalta la situazione
portandolo
al di sotto di lei. Arcuando la schiena e dopo aver trovato un punto
d’appoggio
soddisfacente per le sue ginocchia, Axel si piega sul torace di lui,
facendo
aderire addome, petto e seni al suo corpo robusto, mentre le mani gli
accarezzano le spalle come per rilassarlo, mentre il vero intento
è quello di
trovare una posizione ancora più comoda. Finalmente il
ragazzo si ridesta dallo
stupore iniziale e, preso nuovamente il contatto dei suoi fianchi, alza
il
bacino, come per incitarla a cominciare. Con un sorriso, la ragazza
comincia a
muoversi lentamente, concentrandosi sul membro del compagno che sfrega
insistentemente all’interno della sua intimità,
fino a farlo diventare una cosa
sola con lei. Il calore si diffonde in tutto il suo corpo, riesce a
percepire i
battiti cardiaci della persona al di sotto di lei aumentare, i respiri
che si
fanno sempre più irregolari, il sudore che comincia a
caratterizzare la pelle
di entrambi, il cervello che viene come anestetizzato da un piacere
immenso e,
al contempo, tutte le sinapsi possibili ed immaginabili che si
staccano, saltano,
si spengono, lasciano che quel momento non sia ragionato, che sia la
cosa più
semplice e bella possibile, senza bisogno di pensieri superflui. Liam
stringe
gli occhi e geme forte, premendo ancora ed ancora le dita sulla pelle
di lei,
fino a farle affondare in certi punti. Le gambe gli si irrigidiscono
per
l’eccitazione e capisce che a quel punto tocca a lui:
trattenendola ancora più
saldamente per gli avambracci, la trascina sotto di se e si gira di
scatto,
riportando repentinamente il suo membro dove dovrebbe stare in quel
momento.
Axel allaccia nuovamente le gambe al busto di lui, in un misto di
vigore e
violenza: le spinte di Liam sono veloci e forti, ma lei vuole di
più, vuole che
si spinga oltre, vuole che lui riesca a tirare fuori la voce anche da
lei oltre
che da se stesso. Stringe sempre di più la morsa delle
gambe, fin quasi ad
immobilizzare i movimenti del ragazzo, strozzati dalla troppa pressione
esercitata. Il giovane è costretto a staccare le mani dal
corpo di lei e a
portarle alle sbarre della testata del letto, stringendole, per poi
prendere la
rincorsa e rifilare, seppur più lente, spinte tre volte
più forti di quelle di
prima. La ragazza sorride, finalmente soddisfatta, e allenta un
po’ la stretta
delle gambe, permettendo a Liam di aumentare anche la
velocità. Porta le mani
sulle natiche di lui e vi ci prende confidenza, fino a controllare
anche lei un
po’ i giochi. Adesso i loro bacini si scontrano con ritmi
definiti, i loro
sessi entrano ed escono all’unisono, la stanza è
pervasa anche dai gemiti della
ragazza. Quest’ultima, sentendo che il piacere è
quasi al massimo, ritorna a
stringere il busto di lui con le gambe, mozzandogli il respiro ormai
già
precario e facendogli uscire un urlo sonoro, dovuto
all’improvvisa fitta di
piacere. Anche il ragazzo capisce che sono giunti quasi alla fine,
così
attornia la guancia di lei con una mano, porta l’altra alla
base della schiena
di Axel e la preme forte a se, fondendo del tutto i loro copri. La
ragazza
aggancia lo sguardo negli occhi di lui, lucidi e ridotti ormai a due
fessure, e
si perde a studiare i suoi lineamenti in quel momento distorti, i
capelli
appiccicati alla fronte (a causa del sudore creatosi), lo sguardo
lontano e i
denti che tiene stretti, reazione dovuta allo sforzo e al tentare di
soffocare
inutilmente i gemiti. Ad un tratto, però, il giovane sgrana
gli occhi e la
ragazza sente da sotto le mani le sue spalle tremare violentemente, per
poi
percepire il suo rilascio dentro di se. Liam geme forte e affonda il
viso
nell’incavo del collo della ragazza, mordendole subito dopo
una spalla. Il suo
corpo sfinito si accascia un istante, ma si costringe a tirarsi su e,
dopo un
altro paio di spinte irregolari e decise, sente l’ansimo di
lei giungerli alle
orecchie e, finalmente, le sue gambe che abbandonano il suo busto,
appagate.
Tutti i ricordi di quelle
poche ore precedenti
si ripresentarono al mio cervello poco lucido. Mi avvicinai al corpo
del
ragazzo immerso nell’oscurità e mi accovacciai per
terra, in modo da portare il
mio volto all’altezza del suo. I capelli, arruffati e sparati
in direzioni
differenti, incorniciavano un viso rilassato… o meglio, una
metà-viso. Il
cuscino infatti inghiottiva buona parte del volto, lasciando scoperto
solo un
occhio, il naso schiacciato su di esso e la bocca, che era dischiusa e
dalla
quale provenivano respiri regolari e di tanto in tanto qualche
grugnito. Mi
alzai nuovamente in piedi e notai che anche lui, completamente nudo,
era privo
di coperte (le quali non mi spiegavo che fine avessero fatto) ed era
scosso da
piccoli tremolii. Chissà come doveva essere comportarsi da
fidanzatini; chissà
come doveva essere svolgere la parte della ragazza innamorata;
chissà come
doveva essere sdraiarsi l’una di fianco all’altro e
riscaldarsi a vicenda in
situazioni come quella; chissà…
Ritornai nella
mia
parte di letto e, incerta, mi schiacciai sul fianco di Liam,
passandogli
incerta un braccio intorno al petto. In quel momento, il ragazzo si
girò e mi
tirò a se, facendo intrecciare le sue gambe con le mie e
nascondendo il mio
corpo nel suo, forse nel tentativo di riscaldarmi o, ipotesi
più probabile,
come gesto involontario nel sonno. Rimasi paralizzata per qualche
istante,
sconcertata da quell’azione inaspettata, sciogliendomi da
quella presa poco
dopo e accoccolandomi su me stessa nella mia porzione di letto,
sorridendo. No,
non facevano per me quelle cose, abbandonarsi a smancerie, ai
sentimenti,
accogliere qualcun altro tra le mie braccia… chiusi gli
occhi e mi strinsi
ancora di più tra le mie stesse braccia, ignorando il fatto
che, di fianco a
me, si trovava un ragazzo che mi osservava con fare malinconico.
Pov.
Liam
Aprii gli
occhi, impastati completamente dalla lunga dormita,
e mi costrinsi a mettermi seduto, seppur con fatica. Mi facevano male
gambe e
busto, per non parlare poi del dolore alla testa. Quella,
però, era stata senza
dubbio una delle nottate migliori della mia vita. Mi stropicciai la
faccia come
un bambino piccolo e, quando finalmente riuscii a focalizzare la stanza
illuminata ormai dalla luce del giorno, notai con rammarico, ma anche
con un
filo di consapevolezza già assunta, che ad attendermi non
c’era nessuna Axel.
Misi un broncio assolutamente inutile, anche perché non
c’era nessuno a cui
sbatterlo in faccia, o almeno così credevo…
“Buon
giorno sconvolto.”
Sobbalzai e
misi in moto le mani alla ricerca di un lenzuolo
che non trovai per coprirmi, fermandomi poi quasi subito, alzando lo
sguardo.
“Louis!
Vattene
subito!”
Sbraitai, nel
vederlo comodamente seduto sul divano, con le
braccia dietro la nuca, le gambe accavallate e un sorrisetto
compiaciuto sul
suo volto da schiaffi.
“Oh
oh, nervosetto!
Dormito poco?”
Mi chiese
allusivo allargando ancora di più il sorriso e
alzandosi in piedi. Io presi i due cuscini, un per utilizzarlo come
copertura
momentanea, l’altro per farlo finire sulla faccia di quella
sottospecie di
amico.
“Che
diavolo ci fai
qui?!”
“Mmm
bhè, oggi nessuno
di voi due si è presentato a scuola, tu non rispondevi al
cellulare, così sono
venuto a cercarti nell’ultimo posto dove gli altri ti avevano
visto, cioè qui.
Sono arrivato davanti alla porta e l’ho trovata
aperta… ah, si, mi sa che avete
fatto gnic gnac con la porta aperta… e sono
entrato.”
“Storia
emozionante,
ora puoi sparire?”
Ignorando le
mie proteste, si sedette sul letto e mi prese le
mani assumendo lo sguardo di una dodicenne in preda agli ormoni e
urlandomi
nelle orecchie, stridulo:
“Raccontami
dai dai dai
dai…”
Una figura
comparve dietro di lui e gli picchiettò sulla
spalla. Lui si girò, confuso, e un getto di acqua gelida si
infranse sulla sua
faccia, facendolo indietreggiare e finendo così tra le mie
braccia. A mia
volta, ridendo, andai ancora un po’ indietro catturandolo in
una morsa,
immobilizzandolo e permettendo così ad Axel di innaffiarlo
per bene. Per i due
minuti successivi la stanza sentì solo urla provenienti da
Louis e risate
sguaiate da me e la ragazza, che si stringeva in un asciugamano che le
arrivava
appena sopra le ginocchia. Trascorso questo tempo, convenimmo di
lasciarlo
libero e, appena lo liberai, lui schizzò in avanti come una
molla e sia
allontanò da noi due, per poi girarsi e ringhiarci contro:
“Ma
siete stupidi?! E
io adesso come ci torno a casa?”
Io e la
ragazza ci guardammo un attimo negli occhi, per poi
scoppiare a ridere fino alle lacrime: Louis teneva le braccia
allargate, i
capelli erano completamente appiccicati al suo volto e gli occhi erano
ridotti
a due fessure.
“O
scusaci pulcino!”
Lo derise
Axel, girandosi per mettere a posto il filo del
doccino. Nel farlo, sia io che il mio amico notammo una striscia nera
spuntare
da sotto l’asciugamano, sulla spalla destra. Mi alzai,
dimenticandomi di ogni
sorta di copertura, e mi avvicinai alla ragazza, sfiorandole quella
cosa
misteriosa.
“Cos’è?”
Axel si
girò nuovamente e mi guardò interrogativa. Poi si
portò una mano nel punto che le avevo sfiorato e
capì. Incurante del ragazzo
fradicio che ci guardava incuriosito sulla soglia della porta, pronto
per un
piano di fuga nel caso avessimo deciso di avventarci nuovamente su di
lui, si
slacciò l’asciugamano e lo calò fino
alla vita, rivelandoci un enorme tatuaggio:
partiva dal fianco destro e si protraeva fino alla spalla, lasciando
però
pulita sia la maggior parte della schiena, sia il seno destro, il quale
era
sfiorato dalle strane ramificazioni in cui il disegno si snodava; erano
strani
segni che si intrecciavano, linee varie che giocavano tra di loro per
poi
sfumare e definitivamente scomparire. Non sapevo cosa volesse
rappresentare, ma
ero certo di una cosa: era bellissimo. Sfioravo con le dita quei
contorti
lineamenti che mi avevano ipnotizzato, per poi fermarmi
improvvisamente:
all’altezza della scapola, incastonate tra due ramificazioni,
c’erano tre
parole, scritte a caratteri molto piccoli: hic et nunc. Qui ed ora. Era
latino,
non l’avevo mai fatto seriamente, ma riuscii comunque a
tradurle.
“Che
significa?”
Le chiesi,
generico, indicando con un cenno il disegno. Lei
per tutta risposta si tirò nuovamente su
l’asciugamano e, con un finto
sorrisino, andò in bagno.
“Magari
un’altra volta,
eh?”
Mi
urlò dall’altra stanza. Io e Louis ci guardammo,
straniti.
Lei ritornò pochi minuti dopo, con su un paio di pantaloni
blu della tuta, una
felpa ben allacciata, un cappello grigio calcato in testa e le sue
immancabili
Dr. Martens.
“Ancora
così sei?
Muoviti, che usciamo.”
Tagliò
corto. Io mi alzai in silenzio e comincia ad infilarmi
i vestiti, mentre lei si buttava sul letto e si strizzava di tanto in
tanto i
capelli umidi.
“Grace?”
Chiese a
bruciapelo, facendo sussultare Louis che doveva
essere immerso nei suoi pensieri.
“Eh?”
“Grace…
ti dice
qualcosa?”
Riprovò
la ragazza, scandendo bene ogni parola e
accentuandole con i gesti di proposito. Louis finse di non accorgersene
e si
grattò la testa, in evidente imbarazzo.
“Oh,
si, Grace… bhè, a
quanto pare stiamo insieme ora…”
Rise
nervosamente, dondolandosi sui talloni come un bambino
autistico. Ridacchiai tra me e me alla vista del mio amico in quelle
condizioni. E dire che l’avevo sempre valutato una persona
estremamente
estroversa e sempre con tutto sotto controllo. Dovevo cambiare
opinioni, a
quanto pareva. Axel si mise meglio e lo guardò impassibile.
“Come
sta, Louis, come
sta. Questa era la domanda. Capisco che per te, bambina di nove anni,
sia difficile
contenerti dall’urlare a tutti con le lacrime agli occhi e le
treccine che
svolazzano in aria che ti sei fidanzata, ma cerca di sforzarti,
su.”
Guardai in
faccia il ragazzo, che la stava fulminando con lo
sguardo, digrignando i denti, per poi osservare Axel, che lo sfidava
arricciando le labbra per non scoppiargli a ridere in faccia. Io invece
non mi
trattenni. La mia risata riempì la camera, tra tutti quegli
sguardi truci.
“Ragazza,
sei simpatica
come un ananas nel culo, lasciatelo dire.”
Sputò
Louis, frustrato. Lei si concesse un sorriso e poi lo
ritornò ad osservare.
“Davvero,
come sta?”
“Sta
bene, sta bene per
l’amor del cielo!”
La ragazza si
alzò, divertita, e andò alla porta.
“Liam,
hai fatto?”
“Si
si, eccomi.”
Dissi, e la
raggiunsi.
“Louis,
se vuoi farti
una doccia fai pure, basta che uno rimetti a posto, due non frughi nei
miei
cassetti e tre quando te ne vai chiudi la porta, tanto non ti servono
le
chiavi, si apre solo dall’interno. Se no, esci ora con
noi.”
“No,
faccio una
doccia.”
“Prego,
Louis.”
Disse Axel,
incrociando le braccia al petto, come per
incitarlo ad un grazie. Lui la guardò e, con un alzata di
spalle, si ritirò in
bagno senza dire una parola, facendo partire lo scroscio
dell’acqua ed
iniziando a cantare, mentre noi uscivamo divertiti.
Il giardino
pullulava di gente, soprattutto di bambini che
scorrazzavano felici con gelati o palloncini in mano, inseguendosi tra
di loro.
Mi sentivo un colosso quando mi sfioravano le gambe e mi fissavano dai
loro sessanta
centimetri di altezza, impauriti e curiosi al contempo, inducendomi a
sorriderli. Loro ricambiavano lo sguardo e, una volta ritrovati i loro
genitori, riprendevano la loro corsa. Axel mi camminava di fianco, in
silenzio,
con una mano in tasca, la bottiglietta d’acqua
nell’altra e la testa alta, al
contrario della mia che fissava il terreno. Non prestava
benché minima
attenzione ai bambini che ci circondavano, sembrava assorta nei suoi
pensieri e
per un momento pensai di fermarla e chiederle il perché di
quell’uscita. Anche
se, bisogna dirlo, anche io non mi sforzavo di essere molto loquace, ma
solo
perché il suo sguardo mi intimidiva. Era
così… attenta, a tutto, sicura,
risoluta, bella… oh, non era bella, era bellissima, era
davvero qualcosa di
stupendo. Eppure esteticamente non aveva niente di più di
altre ragazze forse
anche più belle che avevamo incrociato per strada; era
indubbiamente una bella
ragazza, ma non era quello a colpire: era il suo modo di fare, diverso
dal
normale.
“Andiamo
lì.”
Decretò,
distogliendomi dai miei pensieri, e indicò con un cenno
del capo uno spiazzo libero nel prato. Ci avviammo in quel punto e ci
sedemmo
uno di fianco all’altra, in silenzio. Poi, con un gesto
inaspettato per me ma
apparentemente di nessun effetto per lei, si sdraiò per
terra appoggiando la
testa sulla mia coscia, puntando gli occhi marroni al cielo.
“Che
cosa pensi della
vita, Liam?”
Rimasi un
attimo perplesso da quella domanda. Si, era senza
dubbio una strana ragazza. Riflettei per alcuni minuti, mentre lei,
paziente,
strappava piccoli fili d’erba per poi vivisezionarli tra le
mani.
“Credo…
credo che vada
vissuta come più ci piace, ma anche tenendo conto delle
conseguenze delle
azioni che si compiamo, ecco.”
Dissi
brevemente, confuso da quella strana domanda. Lei
annuì, seria, continuando il suo lavoro di sterminatrice del
prato.
“Allora
cosa ti
aspetti, Liam, come conseguenza di quello che è successo
stanotte?”
Certo che le
sapeva formulare proprio bene le domande, lei.
Mi portai un dito alla tempia e cominciai a massaggiarla lentamente,
cercando
una risposta adeguata. Che cosa mi aspettavo? Sinceramente che ci
saremmo messi
insieme, che avremmo girato mano nella mano per il paesino scambiandoci
effusioni continue ed imbarazzanti in pubblico, ma sapevo anche che
tutto ciò era
possibile con una ragazza qualsiasi, non con Axel, assolutamente.
Così decisi
di rispondere nel modo più sincero e sintetico possibile.
“Mi
aspetto cose che so
non essere ricambiate, credo.”
Lei
arrestò il movimento delle mani e aggrottò la
fronte,
meditabonda, per poi allargarsi in un sorriso dolce. Si rimise seduta e
mi
guardò negli occhi, sempre con quell’espressione
rassicurante in volto. Mi appoggiò
una mano sul ginocchio facendomi alzare gli occhi e, finalmente, mi
rispose.
“Credimi
Liam, non ti
piacerebbe stare con me. Sei un ragazzo troppo buono, cerchi una
ragazza da
proteggere e da amare, non me. Ti renderei solo infelice, saresti
costretto a
diventare qualcun altro per sopportare il rapporto che si verrebbe a
creare tra
noi.”
Io la guardavo
senza capire. Perché non mi spiegava
semplicemente il motivo alla base? Perché tutti questi
dannati giri di parole?
“Perché?”
Le chiesi
infatti, con una voce che mi uscì come quella di un
bambino in procinto di fare i capricci. Axel sospirò e
puntò di nuovo gli occhi
al cielo, deglutendo.
“Un
giorno ti
racconterò, Liam, ma non oggi, non adesso, non sono pronta
io e non lo sei
neanche tu, Harry, Louis, Zayn e Grace.”
Pronunciò
queste parole con un tono che poteva benissimo
essere una gigantesca linea di confine invalicabile, quella dietro cui
probabilmente
si nascondeva sempre. Senza che potessi aggiungere altro,
ritornò seria e
ricominciò:
“Liam
senti, io lo
sapevo che ti saresti aspettato qualcosa di più che un
semplice ‘andiamo a letto insieme e
finita lì’, ma
nonostante ciò ho comunque deciso di farlo. Mi dispiace,
credimi. Sei un
ragazzo che in qualche modo non è stato ancora toccato da
questo mondo
orribile, sei… innocente, ecco. Ti rovinerei. Ma non
è questo il punto. Il punto
è che voglio chiederti scusa se in qualche modo ho dato
false speranze.”
Io la guardavo
senza dire una parola. Quella era davvero una
ragazza fuori dal comune, ce ne si poteva accorgere solo dal modo in
cui
parlava. Anche se una piccola scheggia del mio cuore, quella che
probabilmente aveva
sperato in un qualcosa, si staccava inesorabilmente da esso, ero felice
di
averla incontrata. Le presi una mano e le sorrisi.
“Axel,
non importa,
davvero. Si, speravo che in qualche modo anche tu provassi quello che
provo io
per te, ma me ne farò una ragione. Almeno, ti
prego… rimarremo amici, vero?”
Lei
sgranò gli occhi e scoppiò a ridere, riempiendomi
le
orecchie di quel suono melodioso. Poco dopo si ricompose e mi prese le
mani,
guardandomi con lo sguardo più dolce che le avessi mai visto
addosso.
“Liam,
sarei felice di
essere tua amica.”
“Grazie
Axel.”
Bu-yaaaa!
Lo
so, lo so, sono in un ritardo mostruoso, mi vergogno di ciò
e vi prometto che
potrete percuotermi quanto riterrete opportuno (?).
Sono
le 23.48 e mia madre sclerata mi sclera contro, quuuindi
scriverò poco in
questo spazio-autrice: vi ringrazio come sempre del supporto, spero che
il
capitolo vi piaccia, anche perché io ne sono soddisfatta
(strano ma vero!),
sono tipo la persona più felice del mondo per il premio che
quelle 5 scimmie
urlatrici hanno vinto, ho sgobbato tipo una giornata intera per
corrergli
dietro inutilmente e… che altro dire? Sicuramente
avrò dimenticato qualcosa,
quindi alla peggio l’aggiungerò inseguito :)
Un
bacio gigante, Andrea <3
|
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Capitolo 9 *** Love me ***
Vi
consiglio di mettere “I should’ve kissed
you” :)
Buona
lettura xx
Pov. Zayn
I keep playing it inside
my head
All that you said to me
I lie awake just to
convince myself
This wasn’t just a dream
‘cos you were right here
And I should’ve taken the
chance
But I got so scared
And I lost the moment
again
It’s all that I think about,
oh
You’re all that I can
think about…
Accelerai
istintivamente la corsa al partire del
ritornello di quella canzone che rappresentava così bene la
mia immane
stupidità. Come, come avevo potuto lasciarmela scappare
così?
E
adesso che era andata a letto con Liam potevo
anche dire addio ad ogni minima possibilità di costruirci
qualcosa insieme..
Voglio
dire, quel ragazzo era così assurdamente
carino e coccoloso che avrei potuto farci un pensierino anche io.
Aggrottai
la fronte rendendomi conto del mio
ultimo pensiero ed accelerai ancora di più, sentendo i
muscoli che si
tendevano, l’aria che usciva affannosamente dai miei polmoni
ormai stanchi, la
pelle ricoperta da un delicato strato di sudore che impregnava anche
parte dei
miei capelli.
A
pensarci bene, inoltre, perché parlavo (o
meglio, pensavo) in modo così sicuro? Stavamo parlando di
Axel dopo tutto, per
la miseria! Sarebbe stata capacissima di restare indifferente anche ad
un tipo
come me.
Is your heart taken?
Is there somebody else on
your mind?
I’m so sorry, I’m so
confused just tell me..
Am
I outta time?
Cazzo
si.
Ero
definitivamente, completamente ed
inesorabilmente fuori tempo massimo, e probabilmente ormai il suo cuore
era
stretto avidamente tra le grinfie di Liam.
Le
piante dei piedi chiedevano pietà, me le
immaginavo urlarmi stridule di fermarmi, di concederle qualche minuto
di pausa.
No.
Se
adesso venivo intralciato anche dalle mie
parti del corpo, che speranze potevo avere di sopravvivere?
Correre
era sempre stato una sorta di sfogo per
me, per non parlare poi di come mi tonificava gli addominali, i
pettorali, le
gambe… si, ero innamorato del mio corpo.
Nonostante
questo, però, non mi ero mai ritrovato
a scorrazzare nel parco vicino a casa alle quattro del pomeriggio, mai.
Ma
se volevo riflettere, quale soluzione migliore
di un po’ di movimento (che equivaleva quindi a una buona
dose di svago) e
della musica sparata nelle orecchie?
Is your heart breaking?
How do you feel about me
now?
I can’t believe I let you
walk away when..
When
I should’ve kissed you
Socchiusi
per un momento gli occhi, permettendo
ad una lacrima di adagiarsi su uno zigomo, per poi scivolare
giù, verso la gote
e, infine, staccarsi definitivamente dalla mia guancia.
Non
posso credere di averti lasciata andare via quando avrei
dovuto baciarti..
Tirai
fuori l’ipod, senza smettere di correre, e
ne osservai lo schermo: One Direction.
Sospirai,
sentendo il mio fiato che tremolava, un
po’ per la fatica e un po’ per la frustrazione.
Cari
One Direction, quanto avete ragione.
Me
lo ricacciai in tasca e ripresi la corsa,
lasciando invece che adesso tutte quelle dannatissime lacrime di rabbia
si
liberassero una volta per tutte.
Every morning when I
leave my house
I always look for you
I see you everytime I
close my eyes
What am I gonna do…
And all my friends say
That I’m punching over my
weight
But in your eyes I
Saw how you were looking
at me..
Con
un balzo mi spostai di mezzo metro dalla figura che trotterellava
indisturbata
e tranquilla al mio fianco da chissà quanto tempo, dopo
essermene accorto solo
in quel momento, e mi preparai ad incenerirla con lo sguardo.
Insomma,
adesso non si poteva neanche più soffrire in santa pace?!
Voltai
la testa lentamente, con aria truce e probabilmente una faccia da
appestato, e
piantai gli occhi sulla faccia dell’importunatore. Mi
strozzai quasi con la
saliva nel constatare che colei che mi seguiva da un bel pezzo era
proprio la
causa di quel mio aspetto indecente.
Mi
affrettai a voltare la testa e, con una vigorosa e decisa strusciata di
braccio
sul mio viso per cancellare ogni forma di emozione manifestatasi poco
prima, mi
voltai nuovamente verso di lei, che trottava tranquillamente senza dare
segni
di fatica.
“Sai,
pensavo che
avrei dovuto assistere ad una scenata adolescenziale da parte tua prima
di venir
notata. Grazie per avermela risparmiata.”
Si
voltò verso di me, con un sorriso palesemente finto e
soprattutto palesemente
innocente stampato in volto.. una tigre siberiana sarebbe stata
più docile di
quell’essere che mi aveva stregato.
“Prima
di tutto,
buongiorno anche a te Axel. Secondo, mi fa piacere che ti sei ripresa
dalla
sbandata dell’altra sera, vedo
che
sei tornata più carica di prima.”
Le
dissi, rivolgendole lo stesso sorrisetto arrogante. Lei mi fece una
sorta di
inchino e tornò pacificamente a concentrarsi sulla propria
corsa.
Io
a mia volta mi rinfilai le cuffie e tornai a fare lo stesso, forse con
un po’
meno nonchalance e naturalezza…
Okay,
dopo neanche due minuti scoppiai e spensi con una furia nascosta
l’apparecchio
e mi sforzai di assumere un tono disinteressato.
“Che
mi dici di
oggi? Troppo occupata per venire a scuola?”
Lei
mi sorrise pigramente e rallentò.
“Mh,
Zayn, vuoi
davvero sapere che altro avevo da fare?”
Mi
fermai di botto, allibito e sconvolto da quelle parole così
assurdamente
sfacciate, guardandola con odio e (probabilmente) con una mascella che
toccava
terra. Mi affrettai a chiuderla, vedendo il suo sguardo compiaciuto, e
mi
avvicinai pericolosamente a lei, puntandole un dito in faccia e
assottigliando
gli occhi.
“T-tu…
sei.. brutta
piccola…”
Balbettavo
parole a caso in preda alla furia, mentre la ragazza mi osservava
divertita a
braccia incrociate e con la testa reclinata da un lato, come se stesse
ascoltando un cerebroleso.
“Fanculo!”
Riuscii
solo ad esclamare alla fine, alzando le braccia in aria per poi
lasciarle ricadere
pesantemente lungo i fianchi, guardandola con occhi sgranati.
Perché
più i miei occhi la percorrevano da cima a fondo e
più desideravo che fosse
mia?
Perché
più mi sfotteva e più desideravo che continuasse,
solo per sentire la sua voce?
Ma
soprattutto, cosa mi stava succedendo?
Io
ero Zayn Malik, Zayn Jawaad Malik, che cavolo! Quello sexy e seducente,
la
celebrità della scuola, il donnaiolo! Come avevo potuto
ridurmi così, ad avere paura di
una ragazza?
Mi
sarei tirato volentieri un pugno in pancia da solo.
Zayn!
Svegliati!
Quella che hai davanti è Axel, non una ragazza, ma una
specie di androide
mutante super-sexy!
Stupidi
ormoni.
Lei
continuò a guardarmi imperterrita con un sorrisino
compiaciuto e si avvicinò al
mio petto ansante e sudato, appoggiandovici sopra una mano. La fece
scorrere
lentamente facendomi deglutire più volte. Alzai lo sguardo e
la vidi che si
tratteneva dal ridere, notando le mie reazioni. Infine, posò
la mano sul mio
collo e raccolse una cuffia che penzolava scompostamente, per poi
accendere
l’Ipod. La guardai sconvolto, non avendo neanche la forza di
strapparle il
dispositivo dalle mani, conscio che appena lo avrebbe acceso e avrebbe
visto la
canzone che stavo ascoltando, non ci avrebbe messo molto a fare due
più due:
io, lacrime, canzone, lei= 4!
E
così fu.
Si
concentrò per tutti e tre i minuti della canzone su di essa
e, al termine, mi
guardò divertita, porgendomi nuovamente l’affarino
che in quel momento avrei
voluto distruggere.
“Domani
sera
pensavo di invitarvi a casa mia per parlarvi di un paio di
cose.”
Disse
glaciale, cambiando il suo umore e tono di punto in bianco. Senza
neanche
lasciarmi il tempo di rispondere, mi lanciò un bacio volante
e se ne andò, con
la stessa velocità con cui me l’ero trovata
affianco poco prima.
Osservai
per non so quanto tempo il punto in cui prima si trovava la ragazza,
quando mi
decisi finalmente di tornare alla realtà. In quel momento mi
accorsi di un
numero considerevole di ragazze che mi guardavano trasognanti.
Con
un’alzata di capo e un sorriso seducente le salutai, facendo
fare piccoli
sospiri a quelle che si trovavano lì da sole e urletti di
approvazione invece a
coloro che erano in compagnia di amiche, e mi allontanai
trotterellando, con
sempre il sorriso stampato in faccia e l’unica frase che in
quel momento
riusciva a frullarmi per il cervello: perché
non può essere come loro, cazzo?
Pov.
Niall
“Arrivo,
arrivo!”
Urlai
uscendo dal bagno, cercando di incastrarmi tra i fianchi un asciugamano
che non
si decideva a stare su.
D’altronde
è naturale che appena uno si infila sotto la doccia il
campanello debba
suonare, no?
“Chi
diavolo è che
rompe..”
Borbottai
tra me e me mentre abbassavo la maniglia della porta e assumevo
l’aria meno
incazzosa che mi riusciva.
Harry
stava di fronte a me, con le mani nelle tasche dei pantaloni, lo
sguardo spento
e un sorriso tirato.
Lasciai
che l’aria fredda si abbatté sul mio busto, mentre
lo osservavo impietrito.
Da
quando mi aveva raccontato di quell’orrenda serata, avevo
tentato di tutto per
far tornare indietro il mio Harry. Lo avevo consolato, gli avevo
rivolto parole
di conforto ed incoraggianti, talvolta lo avevo anche sgridato, nella
speranza
che reagisse e uscisse da quel bozzolo in cui si era chiuso, ma niente.
Mi
guardava come se lo disgustasse anche solo l’idea che avrei
potuto sfiorarlo,
baciarlo, accarezzarlo. Quell’uomo lo aveva marchiato a
fondo, gli aveva
strappato brutalmente ogni emozione positiva, aveva offuscato quella
luce
fantastica che caratterizzava i suoi occhi verdi, fino quasi a
spegnerla.
Ma
era quel quasi che non mi aveva ancora fatto gettare la spugna.
Harry
aveva bisogno di tutto l’amore possibile in quel momento, dei
suoi amici, dei
suoi genitori, di… me, anche se poteva sembrare il contrario.
Per
questo la mia mente si scollegò quando me lo ritrovai
davanti, fragile e
diverso come lo era stato in quell’ultimo periodo.
“Ciao.”
Mi
disse, senza neanche alzare gli occhi dal pavimento. I miei si
inumidirono al
sentire quella voce e quasi non riconoscerla più.
“Harry...”
Dissi
con voce strozzata, come se in un’unica parola si
racchiudessero tutte le mie
preghiere, come se lo stessi scongiurando di guardarmi e di sorridermi
solare,
proprio come faceva una volta, poco tempo prima.
“Posso
entrare?”
Domandò
incerto, muovendo un piede in avanti.
Io
semplicemente mi discostai e lui mi passò davanti veloce,
entrando in
soggiorno.
Stemmo
lì in piedi, un lontano dall’altro, per minuti che
mi parvero ore.
Quando,
finalmente, parlò.
“Niall
io.. io ti
devo parlare.”
Crack.
Solo
al suono del tono con cui aveva pronunciato quelle parole mi si
parò davanti il
discorso che avrebbe fatto di lì a poco tempo. Una lacrima
scivolò giù dal mio
occhio destro e mi affrettai a spazzarla via, senza dire una parola.
Sentii
dei singhiozzi e mi accorsi che gli occhi del ragazzo vicino a me erano
arrossati e gonfi, nido di una cascata salata che cominciò a
sgorgare.
“I-io
non ce la
faccio, Niall..”
“Harry.”
Lo
supplicai, con voce rotta, tentando di raggiungerlo con un passo, ma
lui
indietreggiò ed alzò le mani a mò di
resa, gemendo forte, nel tentativo di
soffocare la sua debolezza.
“N..no
Niall no, ti
prego!”
“Harry
non farlo,
per favore. Ce la puoi fare, ce la possiamo fare insieme a superare
tutto
questo. Permettimi di aiutarti, maledizione!”
Con
un balzo riuscii a raggiungerlo e ad avvolgerlo con le mie braccia
nude. Appena
lo toccai, le gambe del ragazzo cedettero e mandò ogni
tentativo di trattenere
i singhiozzi a quel paese, piangendo incontrollatamente sul mio collo,
stringendo forte le mie spalle con le mani.
Piangemmo
insieme, forse la prima cosa che condividevamo dopo tanto tempo.
Ad
un certo punto però, Harry si staccò da me ed
indietreggiò, dicendo forse le
parole più dure e dolorose che mi era mai capitato di
sentire.
“N-no,
Niall, non
ce la faccio. Non ce la faccio a far percorrere alle tue mani la stessa
pelle
che ha visto quella sera. Non ce la farei a far l’amore con
te senza
immaginarmi quell’uomo. Il mio corpo non è degno
di te, non più. Sono diventato
un mostro, lo vuoi capire?!”
Urlò
quest’ultima frase, girandosi e uscendo fuori da casa mia,
lasciandomi
sconvolto, completamente sconvolto.
Non
era degno di me..
Era
un mostro..
Mi
girai di scatto e ferrai un pugno alla parete, urlando.
Un
mostro, ecco come si vedeva!
E
io? Io cosa potevo fare? Come potevo fargli cambiare idea?
Mi
accasciai per terra, soffocato dal peso di quella
responsabilità che vedevo
come mia e nel contempo troppo grande per me.
E
piansi.
Piansi
come mai in tutta la mia vita avevo fatto, sputai fuori la rabbia, la
frustrazione, l’odio, la tristezza, la disperazione.
Era
finita, dunque?
Come
potevo aiutarlo, se il punto a cui eravamo arrivati era quello?
Il
campanello suonò nuovamente, ma io non accennai ad alzarmi.
Dopo alcuni minuti
la maniglia si abbassò e quella che doveva essere Axel
entrò in casa,
guardandosi intorno. Che diavolo ci faceva qui? Io e lei non ci eravamo
mai
veramente conosciuti. Mi alzai in piedi e tentai inutilmente di
ricompormi. Al
mio movimento la ragazza si accorse di me e mi puntò gli
occhi addosso.
“Mio
Dio santissimo..
Anche tu? Non sai mai dove girarti che trovi qualcuno che
piange.”
Disse
sbuffando, mettendosi le mani sui fianchi.
Ma
che diavolo…?
Mi
morsi ferocemente un labbro, sentendo i miei occhi colmarsi nuovamente
di
lacrime, e mi imposi di non piangere.
Due
minuti dopo, ovviamente, la stanza era intrisa dei miei singhiozzi
pesanti,
mentre la ragazza tentava di consolarmi accarezzandomi un braccio.
Ottimo
primo incontro, Horan, complimenti.
Tirai
su con il naso un paio di volte prima di discostarmi da lei e
sorriderle
mestamente.
“Va
meglio?”
Mi
chiese dolcemente, ma traspariva dai suoi occhi un velo di irritazione.
Scossi
la testa in segno di diniego, per poi ridere di una risata
assolutamente fuori
luogo, alla quale si unì anche lei.
“Ascolta,
ti va di
venire a casa mia domani sera? Ci sarà un pò di
gente.. insomma, mi farebbe
piacere.”
Mi
disse, guardandomi intensamente. Quella ragazza aveva degli occhi
assurdi, poco
ma sicuro. Incrocia le braccia al petto come a simulare una protezione
e mi
dondolai sui talloni.
“Verrei
volentieri,
ma perché hai pensato anche a me?”
Fece
un’alzata di spalle e cacciò le mani in tasca,
mentre già si avviava verso
l’uscita.
“Più
gente c’è
meglio è, no?”
Non
credevo minimamente alle sue parole, ma.. perché no? Fece
per uscire quando fu
fermata dalla mia voce.
“Axel.
Ci.. ci sarà
anche Harry?”
Domandai
timoroso, non sapendo bene se desideravo ricevere una risposta
affermativa o
negativa. Mi guardò per una manciata di secondi, prima di
rispondermi.
“No,
Harry non ci
sarà.”
Annuii
e ci salutammo, mentre nella mia testa si faceva largo un sollievo
inaspettato.
Pov.
Grace
Osservai
la figura della ragazza riflessa allo specchio, compiacendomi di quello
che
vidi: una persona finalmente più sicura di sé,
meno timorosa degli altri e
soprattutto.. bella.
Si,
mi vedevo bella in quel momento, nei miei semplici jeans scoloriti,
nella mia
maglietta dei Nirvana e nelle mie All Star bianche.
Mi
sorrisi, facendo una piroetta giocosa su me stessa seguita da un
inchino
altezzoso.
Suonò
il campanello.
Guardai
l’orologio e potei constatare che Louis era in anticipo di
una mezz’ora
abbondante.
Tanto
meglio.
Mi
sorrisi nuovamente e poi mi diressi quasi di corsa alle scale, aprendo
con il
fiatone la porta.
Il
ragazzo che mi si parò davanti mi sorrise scaldandomi il
cuore, allargando le
braccia subito dopo come per invitarmi tra di esse.
Non
me lo feci ripetere due volte e mi ci buttai, facendolo barcollare e
sprofondando il viso nell’incavo del collo per assaporandone
il buon profumo
vanigliato.
“Ma
buongiorno.”
Mi
sussurrò all’orecchio, facendo giungere il suo
alito caldo sul mio collo.
Rabbrividii e mi strinsi ancora di più a lui.
“Sarebbe
sera,
pirlotto.”
Non
disse nulla, e immaginai che avesse aggrottato la fronte facendo finta
di
riflettere, per poi dire:
“Ma
buonasera.”
Risi
e lo presi per mano, portandolo in casa.
Si
lanciò a peso morto sul divano, cominciando a giocherellare
con il telecomando,
mentre io ritornavo dalla cucina con un bicchiere d’acqua,
appoggiandomi ad un
mobile che era lì in salotto e guardandolo con tenerezza.
Era
vero, Louis di primo acchito poteva sembrare una persona egoista e, ma
si,
stronza, ma la verità era che se teneva a qualcuno, poteva
diventare il miglior
amico, cugino, fratello, compagno di banco.. fidanzato, del mondo.
“Sei
bellissima…”
Sussurrò,
senza staccare gli occhi dal telecomando che reggeva in mano, ma
allargandosi
in un sorriso che nacque anche sulle mie labbra.
“Sei
in anticipo.”
Dissi
con lo stesso tono di voce, mentre le mie mani cominciarono a tremare
lievemente.
“Lo
so. Volevo
stare un po’ in pace con te.”
Questa
volta alzò lo sguardo ed incontrò il mio e, per
chissà quale motivo, entrambi
divennero immediatamente seri. Poggiai il bicchiere sul ripiano e mi
avvicinai
lentamente a lui, sedendomi poi sulle sue ginocchia ed iniziando ad
accarezzarlo sulla guancia.
Voglio
fare l’amore
con te, Louis.
Avrei
disperatamente voluto pronunciare quella frase…
Ma
non ci riuscivo.
Non
ci riuscivi un po’ per imbarazzo, ma soprattutto per paura
che mi sarebbe
scoppiato a ridere in faccia.
Così
lo baciai, beandomi delle sue lievi carezze sulla mia schiena, della
sua lingua
sul mio collo, del suo petto appoggiato al mio.
Sorrisi
tra me e me, mentre mi alzavo e mi mettevo davanti a lui, prendendogli
le mani
e facendolo alzare.
“Andiamo
in
spiaggia.”
Annunciai,
cominciando a trascinarlo fuori di casa.
“Piccola,
tra un’ora
dobbiamo essere a casa di Axel!”
Disse
poco convinto il ragazzo, segno che dopo tutto approvava la mia scelta.
“Allora
c’è tempo a
sufficienza.”
Gli
sorrisi e ci guardammo, stringendoci l’uno
all’altra come solo gli innamorati
sanno fare, e ci avviammo verso la macchina, intrisi di una splendida
felicità
infantile ma vera.
Bu…
ya…
Sono
in un ritardo
mostruoso e me ne rendo conto, mi disgusto da sola.
D:
Ebbene,
QUESTO
CAPITOLO MI FA SCHIFO.
Ma
ci si
accontenta, no? E poi non potevo permettermi di scriverne un altro, se
no altro
che ritardo mostruoso!
Quindi…
perché non
lasciare qualche recensioncina per tirarmi su il morale (dai,
è anche appena
passato il mio compleanno, fatemi felice! :D).
Come
sempre, vi
ringrazio TUTTE, da quelle che aggiungono la storia nei preferiti a
quelle
nelle seguite, da chi mi recensisce e chi no (perché
comunque vuol dire che
leggete :)).
Spero
di non aver
deluso nessuno perché si, io mi sono delusa.
*piange
in un
angolino*
Un
bacio a tutte,
Andrea
xx
p.s
mi ero anche
ripromessa di scrivere tante belle cose in questo spazio autrice,
invece ne è venuta
fuori una mezza schifezzina.. accidenti! Non era proprio capitolo! ;)
<3
|
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Capitolo 10 *** You don't know who i am ***
AAH!
Linciatemi,
mi sono scordata
di dirvi (anzi imporvi) una cosa essenziale!
Se
non l’avete già fatto,
fiondatevi su questa storia: La
ragazza di King's Cross.
Davvero,
vi perdereste moltissimo se non lo faceste.
È una ff
stupenda e se siete (come me) in cerca di storie un po’
diverse,
non potete assolutamente lasciarla nel dimenticatoio -mh, sembra una
televendita su EFP o.ò-.
E colgo anche
l’occasione per ringraziare la sua splendida e carinissima
autrice che mi diletta con recensioni jksduferuibfjdk
èé. <3
Pov.
Axel
“Zayn,
apri!”
Il
moro mi guardò scocciato (forse per la centesima volta da
quando aveva messo
piede nell’appartamento, cioè una mezzoretta) e si
avviò pigramente alla porta.
Mi
dava sui nervi il modo in cui fulminava con lo sguardo sia me che Liam
ogni
qualvolta ci rivolgevamo anche solo la parola; insomma, lo sapevo di
piacergli,
ma non ero certo una di quelle ragazze che danno troppo peso alla cosa.
E
comunque pensavo di essere abbastanza responsabilizzata ed indipendente
per
fare quello che mi pareva.
Appena
spalancò l’uscio, due figure abbastanza sconvolte
e con un sorriso ebete
stampato in volto ci si presentarono davanti: Louis e Grace.
Il
moro stette alcuni secondi in piedi davanti a loro senza accennare a
spostarsi;
la situazione mi incuriosii, così mi sporsi un poco dalla
cucina (nella quale
stavo preparando dei tramezzini) e mi misi ad osservare la scena, senza
comunque far accorgere della mia presenza agli altri.
Lentamente,
Zayn alzò l’indice e lo puntò contro la
coppia, sibilando:
“Voi
avete fatto
sesso..”
I
due seguitarono a guardarlo come degli allocchi, senza togliersi di
dosso sia
quello sguardo poco furbo sia senza sciogliere l’abbraccio in
cui si
avvolgevano reciprocamente.
Ancora
più convinto, il ragazzo si sciolse in un sorriso trionfante
e, girandosi con
uno scatto, portò le mani a megafono attorno alla bocca e
urlò più forte, in
modo tale che tutti quelli nella casa (vale a dire io e Liam) potessero
sentire
il suo annuncio:
“Questi
due hanno
fatto sesso da non più di venti minuti!”
Quelli,
come risvegliatisi da una sorta di trance, diventarono bordeaux nel
giro di
pochi secondi e corsero a tappargli la bocca, sia buttandoglisi
addosso, sia
aggrappandosi alla sua schiena.
Il
moro cominciò a ridere, mentre barcollava verso il divano
con i due ragazzi
ancora appiccicati a se. La scena mi provocò un moto di
tenerezza, che
manifestai attraverso una risata sincera, seguita da Liam, che mi si
era
affiancato poco prima anche lui incuriosito dalla situazione.
Al
suono della mia voce, Grace si girò di scatto e, dopo avermi
vista, mi corse
incontro, tirandomi tre pugni abbastanza forti sul braccio destro.
Io
mi ritrassi, massaggiandomi il punto colpito e guardandola confusa.
“Il
primo era per
avermi abbandonata come un cane alla
discoteca”
dichiarò stizzita, alzando un dito per contare i motivi di
quel gesto “Il secondo per avermi
fatto prendere un
accidenti quando sei stata male e l’ultimo è per
non esserti fatta sentire
mezza volta”.
Mi
guardò truce, mentre io assumevo una finta aria colpevole,
per poi alzare gli
occhi al cielo. Dopo poco, però, il suo sguardo si
addolcì e annunciò:
“Ma
questo, questo
è perché mi sei mancata e sono felice di
vederti!”
Detto
questo mi si aggrappò addosso, avvolgendomi le spalle nelle
sue braccia esili e
affondando il viso nel mio incavo del collo. Guardai con occhi sbarrati
gli
altri, che nel frattempo avevano finito di fare i bambini e ci
guardavano
mimando con le labbra un “Oooh”, come per prenderci
in giro.
“Ehi
ehi ehi!
Ragazzina scollati immediatamente!”
Dissi
con convinzione, mentre tentavo di liberarmi da
quell’abbraccio assolutamente
indesiderato. Lei fece come gli avevo ordinato e mi fece la linguaccia,
sussurrandomi un “antipatica” e avviandosi poi
verso la cucina per prendere un
finocchio appoggiato sul bancone. Il suo viaggio però fu
interrotto da un paio
di altre braccia che la tirarono a se e permisero alla persona padrona
di esse
di depositarle un bacio leggero sulla guancia e sussurrarle
all’orecchio a
bassa voce –forse con l’intento di non far sentire
nulla a nessuno di noi, ma
fallendo- un:
“Ti amo, tanto tanto
tanto..”
Sia
io che Liam imitammo la scenetta dei ragazzi di poco prima, sospirando
un
“Oooh” un po’ più forte,
abbracciandoci teatralmente e asciugandoci
reciprocamente delle lacrime immaginarie, facendo ridere la coppia.
Notai che
Zayn aveva uno sguardo afflitto e triste, e in quel momento mi venne
voglia di
tirargli la scodella dell’insalata dietro.
Alla
fine mi limitai a ritornare in cucina, esattamente nel momento in cui
il
campanello suonò nuovamente.
“Zayn..”
“..Vai
ad aprire.
Si ho afferrato.”
Concluse
il moro, girando il pomello della porta ed aprendola.
Nei
momenti che seguirono si assistette allo sguardo confuso di Zayn e a
quello
terrorizzato di Niall che guardava il ragazzo indietreggiando.
“Niall
tranquillo.
Non ti faranno niente, entra pure.”
Gli
andai incontro io, appoggiandogli una mano sulla schiena e
permettendogli così
di entrare.
“Axel,
che cazzo ci
fa questo qui?”
Ringhiò
Zayn, mentre Louis e Grace entravano in soggiorno, avvinghiati e
confusi, e
Liam si sporgeva dalla cucina, come caduto dal pero.
“Questo”
Indicai con un
braccio il ragazzo che era dietro di me, pronto ad un’azione
di fuga “è il fidanzato
del tuo migliore amico ed
anche un mio amico, quindi se la cosa non ti sta bene, quella
è la porta,
Zayn.”
Risposi
con un tono pericolosamente basso e pericolosamente tranquillo,
guardandolo
insistentemente.
Lui
mi osservò con odio, andando a grandi passi sul divano e
buttandocisi sopra.
Perché
doveva fare così? Perché non tentava di aprire
quella sua mente così
esageratamente chiusa ed usciva dal suo piccolo ed insignificante
mondo? Ah si,
perché era un cavolo di bambino viziato ed egocentrico.
Eppure,
dopotutto, ero sicura che si potesse fargli capire tutti i suoi sbagli.
E io,
come sempre, mi sarei cimentata in questa impresa apparentemente
impossibile.
“Vai
pure di là,
Niall. Adesso ti raggiunge Liam. Per favore, non andartene.
È importante che ci
sia anche tu ora.”
Lui
mi guardò titubante per qualche secondo, poi
sospirò e mi sorrise mestamente,
alzando gli occhi e guardandosi intorno.
“No,
non c’è
Harry.”
Dissi
semplicemente, voltandomi e ricominciando a preparare
l’insalata. Lo sentii
balbettare qualcosa come giustificazione, ma io lo liquidai con un
gesto della
mano e con un “Và di là”.
Finalmente il biondo fece come gli avevo detto e
lasciò la stanza, passando velocemente davanti a Zayn e
andandosi a sedere su
una sedia in sala, lontano da tutti.
Louis
e Grace mi guardarono ed io, annuendo con il capo, li incitai ad andare
dal
ragazzo. Loro si alzarono e gli si avvicinarono, sedendosi a loro volta
su delle
sedie lì vicino e cominciando a parlargli.
“Ma
allora è vero.”
Guardai
Liam che, intento a sbucciare una carota, sorrise dicendomi
ciò, senza alzare
gli occhi dal suo lavoro.
“Cosa
è vero?”
“Che
sei una
paladina della giustizia!”
Dopo
avergli affibbiato una forte gomitata nella spalla e averlo cacciato
dalla
cucina, mi concessi un sorriso, pensando che, in fondo, potevo essere
vista
così dagli altri.
Io,
io una paladina della giustizia?! Questa era bella.
“E
così.. tu e Liam
eh?”
Sbuffai
sonoramente e chiusi gli occhi, fermando il lavoro che le mie mani
stavano
svolgendo su una patata.
“Zayn,
mi spieghi
che vuoi? Ti rendi conto di come ti comporti?”
Dissi
arrabbiata, voltandomi repentinamente verso il ragazzo che, appoggiato
allo
stipite della porta, lontano da tutti, aggrottò la fronte e
poi la rilassò,
forse avendo capito il significato delle mie parole.
“Non
mi hai
risposto.”
“E
non intendo
farlo.”
Si
massaggiò un tempia, inspirando profondamente. Si stava
arrabbiando? Oh, si
salvi chi può.
Ma
per piacere.
“Perché?”
Disse,
e non capii se fosse una domanda o un principio di frase che si
aspettava
completassi. E così feci.
“Perché
finiresti
per rompermi ancora più di quello che già fai
l’anima.”
Rimase
immobile, con gli occhi chiusi ed il respiro pesante, che gli faceva
alzare
ritmicamente il petto ampio.
“È
un si?”
Sussurrò
dopo alcuni minuti.
“Vuoi
che sia un
si?”
Risposi
io, sorridendo e finalmente abbandonando il tubero che avevo torturato
fino a
quel momento, per poi girarmi verso di lui ed appoggiarmi al piano
cottura
della cucina, attendendo una risposta che non tardò ad
arrivare, accompagnata
da uno sbuffo irritato e un’alzata repentina delle palpebre.
“No.”
“Perché?”
Imitai
il tono con cui aveva pronunciato lui stesso quella singola parola poco
prima.
Dio,
quanto mi stavo divertendo.
Si
passò una mano tra i capelli, frustrato, per poi lasciarla
cadere pesantemente
lungo il fianco e alzarla subito dopo insieme all’altra come
gesto di
esasperazione, emettendo un verso gutturale.
“Perché
secondo te?!”
Mi
sbraitò contro sottovoce.
Sorridendo,
mi voltai, mi sciacquai le mani e raccolsi le verdure in un recipiente,
tutto
in totale silenzio, per poi avviarmi verso la sala e, solo in quel
momento, gli
dissi con tono divertito e fintamente ingenuo, sempre camminando:
“Ah,
non ne ho
idea.”
E,
senza che riuscii controllarmi, scoppiai a ridere quando sentii
provenire dalla
cucina un “Dio” sbiascicato seguito da un rumore di
pentole che venivamo
sbattute per terra.
Pov.
Niall
Stupido,
stupido Horan!
Prima
andavo lì, a casa di quella strana ragazza che mi aveva
invitato, con un senso
di leggerezza nel sapere che il riccio non sarebbe stato presente,
mentre
l’attimo dopo lo cercavo come un claustrofobico cerca
l’aria.
Eppure
mi aveva avvertito, lei.
Cercai
di giustificare il mio stato d’animo così
irrequieto constatando che,
dopotutto, ero in un mini appartamentino con le persone che fino alla
settimana
prima mi infilavano la testa nei cassonetti della spazzatura.
No,
la verità era che Harry mi mancava davvero, e non
c’era niente o nessuno che
influiva su tutto ciò.
Sognavo
ad occhi aperti, mentre Louis e quella che avevo capito essere la sua
nuova-mini-ragazza, che il mio Curly Boy spalancasse l’uscio
di casa, con una
bottiglia di champagne contornata da un voluminoso fiocco dorato in
mano,
mentre esclamava, sorridendo festoso provocando le sue fossette che mi
avevano
attratto sin dal primo momento, una frase come “Ehi, non
avrete cominciato
senza di me, vero?”.
Sogna
Niall, sognare non costa niente.
E
così, per quella che mi parve
un’infinità, tra gli irritanti sguardi civettuoli
che gli sposini si scambiavano (credevo di essere finito in un romanzo
rosa,
per intenderci), le loro personalità logorroiche e, cosa
più importante, la
preoccupazione costante verso il pakistano che, pur non avendomi
degnato di un
solo sguardo mezza volta, riusciva ad infondermi puro e vero terrore,
trascorsero una ventina di minuti, prima che Axel ci portasse, seguita
da un
Liam tutto sorridente, la cena tanto attesa.
Chiacchierarono
del più e del meno (loro), qualche volta le due ragazze
cercarono di
coinvolgermi in qualche discorso, aiutate talvota da Liam e Louis,
ricevendo
dalla mia parte solo insoddisfacenti “Uhm”,
“Interessante”, “Si”,
“No” e altre
risposte di questo genere.
“Okay,
direi che
qui abbiamo finito. Che ne dite di trasferirci sul balcone?”
Domandò
Axel, alzandosi in piedi svogliatamente.
Louis
assunse uno sguardo shockato e “Hai addirittura un
balcone?!”, esclamò,
portandosi una mano alla bocca.
La
ragazza assottigliò gli occhi e sussurrò, in un
misto tra il divertito e il
finto minaccioso:
“Esilarante. Grace, tienimelo
lontano se
vuoi copularci ancora.”
Scoppiammo
tutti a ridere (si, anche io), tutti tranne il ragazzo tirato in
questione, che
guardò la fidanzata terrorizzato. Questa a sua volta si rese
conto dopo delle
parole della ragazza ed arrossì in modo fulmineo,
nascondendosi nel petto
accogliente del ragazzo, che prese ad accarezzarle la schiena
amorevolmente
guardandole sorridente la nuca.
Dio
mio.
Erano
davvero tutte così le persone innamorate?
Eravamo
così io ed Harry?
Scossi
la testa, arrabbiato con me stesso per non riuscire a staccarmi da quel
pensiero costante e fastidioso.
Comunque,
dopo questo breve sketch, ci alzammo per dare una mano a sparecchiare.
Proprio
mentre svoltavo un angolo per portare una pila di piatti in cucina, mi
scontrai
con Zayn, che a sua volta aveva tra le mani tovaglioli e posate.
“Scusami..”
Sussurrai
abbassando lo sguardo, come in segno di sottomissione, e superandolo
velocemente, desideroso di non sentirmi uno schifo anche grazie a lui,
come se
non bastasse di suo la mia scarsa autostima.
Quando
però, subito dopo un sospiro pesante, il ragazzo mi
afferrò per un polso
trattenendomi, mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Mi
riportò nel punto in cui mi ero trovato durante lo
‘scontro’ e mi osservò di
sottecchi, sospirando per una seconda volta.
Che
voleva fare? Tirarmi un pugno così, con tutti presenti? La
serata non poteva
finire in modo più adeguato alla giornata penosa appena
trascorsa.
Mi
appiattii al muro ed attesi che facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per
poi
essere libero di andar via.
Tutto
ciò che mi ero immaginato, però, non successe, e
l’ultima cosa che mi aspettavo
era sentirlo pronunciare, a voce sommessa e colpevole, ciò
che mai avrei
creduto sentir uscire dalle labbra di Zayn Jawaad Malik:
“Niall..
senti, scusami
tu. Io non lo so perché mi comporto così,
soprattutto dopo che ho scoperto.. si
insomma.. tu ed Harry.”
Si
bloccò un attimo e si fece passare una mano sulla faccia,
mentre io me ne stavo
ancora spiaccicato al muro sporco, questa volta però con la
bocca spalancata
dalla sorpresa.
“Mi…
mi dispiace,
volevo dirti solo questo. Mi piacerebbe conoscerti meglio, scoprire chi
sei e
riportare indietro Harry.. sono sicuro che manca tanto a te quanto a
me.”
E
dopo tutte queste belle parole, ecco che arrivò
l’esplosione: uno Zayn fragile,
uno Zayn stanco, uno Zayn che, nonostante fosse stato sempre visto da
tutti
come il ragazzo figo e strafottente, aveva solo bisogno di riavere il
suo
migliore amico al suo fianco, esattamente come io avevo bisogno di
sentire la Sua
mano nella mia, la Sua risata nell’aria e la Sua voce nelle
orecchie, di
qualsiasi intonazione fosse.
Dopotutto,
io e Malik non eravamo poi così diversi.
“O..okay
Zayn.
Dammi solo il tempo di metabolizzare il tutto.”
Dissi
corrucciando la fronte e facendolo così ridere.
Almeno
a qualcosa ero servito, alla fine.
“Andiamo
di là,
prima che Axel ci venga a prendere per i capelli.”
Sospirò
nuovamente, invitandomi a precederlo, mentre ci avviavamo verso il
balcone,
dove già tutti si erano sistemati per terra con una coperta
e chiacchieravano
tra loro.
Solo
in quel momento, mi resi conto del tono che il moro aveva usato nel
pronunciare
il nome della ragazza, e non solo pochi secondi prima..
Il
rimbombo del pendolo che segnava la mezzanotte mi fece ridestare dai
miei
pensieri e raggiunsi gli altri sorridendo: dopotutto, quella serata si
stava
rivelando più interessante del previsto.
Pov.
Zayn
Che
diavolo avevo appena detto?
Mi
ero appena scusato con Niall Horan? E mi ero sentito bene nel farlo?!
Mi
stava succedendo qualcosa, poco ma sicuro.
Comunque,
in tutto quel casino che era la mia testa, di una cosa ero
assolutamente certo:
odiavo profondamente ogni minimo contatto che Liam e Axel prendevano
tra di
loro, ogni qualvolta che si ‘accorgevano’
dell’esistenza dell’altro. Insomma,
stavano insieme, okay –il breve dialogo che avevo avuto poco
prima con la
ragazza me lo aveva praticamente confermato-, ma io non riuscivo
comunque a
passare sopra alla cosa e a non continuare a darmi
dell’imbecille per non aver fatto
qualcosa io prima per conquistarla.
Conquistare
Axel…
Bella
questa.
“Ragazzi,
direi che
ci siamo svagati abbastanza, ora vorrei iniziare con le cose serie, se
non vi
dispiace.”
Tutti
ci voltammo verso di lei, che se ne stava appoggiata al muretto del
balcone e
giocherellava con la Marlboro che aveva tra le dita.
Ah,
era una festa ‘apposta’ questa? Mi ero perso
qualcosa, ma sicuramente,
conoscendo la mia storica disattenzione, me lo aveva accennato.
Sicuramente.
“Io
so tante cose
di voi, e quello che non so lo riesco ad intuire.”
Ci
guardò tutti, uno per uno, mentre pronunciava questa frase, e in quel momento mi
ritrovai a constatare
quanto quella ragazza fosse fuori dal normale.
“Vedete,
ieri io e
Liam…”
Si
bloccò un attimo per prendersi il tempo di accendersi la
sigaretta e, potrei
giurarlo tutt’ora, il suo sguardo guizzò su di me
per un tempo brevissimo,
proprio nel momento in cui facevo una smorfia indefinita.
“Dicevo,
io e Liam abbiamo parlato un po’, e mi sono resa conto che in
effetti voi, di
me, sapete poco e niente. Per me è abbastanza difficile
raccontare ciò che è la
mia storia, ma ve lo devo, davvero.”
Ci
sorrise, forse per la prima volta ci sorrise, a tutti.
Da
Louis e Grace (che ormai erano diventati un unico essere, stando
perennemente
appiccicati), che le sorrisero incoraggianti, a Liam, il quale la
guardò
complice, in un certo senso, al piccolo ed indifeso Niall, che sembrava
curioso
e dubbioso allo stesso tempo, per finire con… me. Non so
quale fosse la mia
espressione in quel momento, fatto sta che Axel mi osservò a
lungo, per poi
distogliere lo sguardo che si era fatto malinconico, oserei dire.
“Insomma,
bando ai
fronzoli, io sono Axel, e questa è la mia storia.”
Sussurrò,
già sollevata dal peso che stava per scaricare.
Quando
la bambina
nacque, ai genitori fu detto, forse da rituale, forse no,
“Questa è la vostra
speciale creatura.”
Speciale.
Ci
avevano creduto,
loro, come ogni genitore avrebbe fatto.
Ma
ci avevano creduto
nel modo sbagliato, perché lei era speciale, ma non come
loro avrebbero voluto.
Cresceva
sana e
tranquilla, dedita alle costruzioni con i cubetti di legno e
all’osservare
attentamente e affascinata le ruspe che lavoravano instancabili le
macerie, la
terra, l’asfalto, immaginandoseli come giganteschi mostri di
metallo.
Si
beava dei gesti
semplici, non dei grandi regali; odiava quando le maestre di asilo
gridavano
contro i bambini, seppur lei non stesse particolarmente a cuore a
nessuno di
loro.
Odiava
la folla, la
ressa, la gente schiamazzante.
Odiava
andare al mercato
per questo motivo, e odiava gli spazi deserti per la causa opposta.
Osservava.
Lei,
semplicemente,
osservava e apprendeva dai gesti quotidiani di chi la circondava.
Crebbe
così fino ai
dodici anni, senza amici e senza problemi, esattamente come la bambina
sola ed
isolata che amava essere, quella che si intrufolava di nascosto dalle
uscite di
emergenza dei cinema per gustarsi quei piccoli momenti di pace, quella
che, nonostante
le preoccupazioni che i genitori già iniziavano a
manifestare riguardo i suoi
atteggiamenti ‘sbagliati’, viveva felicemente la
sua esistenza.
Poi,
i tredici anni.
Non
le bastava più ciò
che aveva.
La
sua testa le giocava
brutti scherzi, evidenziando di nero ciò che gli altri
semplicemente vedevano
in positivo e colorando le cose che disgustavano la gente comune.
Il
carattere cominciava
a mutare da sé: mentre prima era tollerante a certi fattori,
ora si sentiva in
dovere di reagire.
D’improvviso,
Axel,
quella Axel, emerse, spingeva arrogante per uccidere la piccola bambina
innocente.
Tutto
ciò provocava
pianti incontrollati e talvolta improvvisi alla piccola creatura, nella
quale
cercavano di coesistere senza successo due entità opposte:
la bambina e Axel.
E
poi, come una
tempesta, come un segnale, arrivò il circo in
città.
I
genitori decisero di
portarla ad assistere a quello spettacolo che incantava tutti i bambini
del
mondo, la portarono, stupidamente, in quel luogo dove Axel ebbe
finalmente il
sopravvento.
Barriti,
belati,
muggiti, nitriti, miagolii, ruggiti… tutto ai suoi occhi
suonava come una
richiesta d’aiuto, come un urlo disperato.
Guardava
atterrita gli
animali che la osservavano a loro volta, non riuscendo a capire il
motivo di
quella insensata schiavitù, mentre i genitori battevano le
mani per incitare il
lavoro degli ammaestratori.
Quella
notte, mentre la
casa dormiva e le stelle sorridevano alla luna, mentre il suo letto
giaceva
silenzioso nella sua stanza, privo di padrone per quella sera, la
bambina
apriva il primo lucchetto della gabbia delle zebre, inconscia del fatto
che ad
ogni scatto di serratura si stava rinchiudendo lei stessa
chissà dove, mentre
l’Axel in lei prendeva il sopravvento, destinato a farla
scomparire
completamente con il tempo.
E
quella notte, la sua
vita cambiò, con l’arrivo di lui.
“Che
stai facendo?”, una
voce, una singola, tenebrosa voce nell’oscurità le
fece gelare il sangue nelle
vene.
Si
girò, pronta a
fuggire, quando una mano le coprì la bocca e
l’altra la afferrava per il
braccio, trascinandola via da quello che per lei era una prigione.
Cosa
le avrebbe fatto?
Aveva
paura, una
dannatissima paura… di essere trascinata indietro
nuovamente, quando ancora
ignorava tutto ciò che ora il suo cervello stava elaborando.
Si
fermò solo un quarto
d’ora dopo, giunto in un vasto campo senza nome e senza
età, infinito ai suoi
giovani occhi.
“Perché
stavi aprendo
quelle gabbie, ragazzina?”
Provò
nuovamente,
riformulando la frase e incrociando le braccia al petto, conscio del
fatto che
anche volendo, la bambina non sarebbe potuta scappare tanto lontano.
Questa,
a sua volta,
deglutì rumorosamente e si strinse a sé,
inginocchiandosi per terra e puntando
i suoi grandi e umidi occhi marroni in quelli verdi e bui
dell’uomo, impaurita
ma, nello stesso tempo, con un senso di sicurezza e pace mai provati.
“N…non
mi piace vederli
in trappola. Nessuno dovrebbe esserlo.”
Sbiascicò,
con una tenue
voce bambinesca.
Lui
corrugò la fronte e
stette ad osservarla a lungo, prima di rilassarsi e sedersi a sua volta
di
fronte a quella minuta creatura, incrociando le gambe e poggiando una
mano sul
suo braccio.
“Neanche
a me piace.”,
soffiò, stupefatto di quanto la sua mentalità e
quella di una semplice
creaturina coincidessero.
Si
osservarono per quello
che parve un tempo infinito, mentre il vento soffiava e le stelle
brillavano
più che mai.
Non
si conoscevano, non
si erano mai visti, eppure sapevano per certo una cosa: si
appartenevano, da
sempre e per sempre, le loro anime erano nate per intrecciarsi.
Il
ragazzo vide quel
meraviglioso esserino tremare leggermente a causa del clima gelido e
stringersi
ancora di più su se stessa, abbassando lo sguardo e
cominciando a tirare su con
il naso.
Senza
pensarci due
volte, si trascinò di fianco a lei e la avvolse dentro alla
sua giacca,
realizzando solo in quel momento quanto lui fosse colossale in
confronto al
piccolo corpo della bambina.
“Come
ti chiami?”
Risentire
la sua voce procurò
ad Axel una strana e sconosciuta stretta al cuore, cuore che aveva
cominciato a
battere forsennatamente da quando il Suo odore le era entrato nelle
narici e il
Suo braccio le aveva avvolto le spalle.
Alzò
di poco lo sguardo,
attenta a non farsi vedere, e scrutò il volto del ragazzo:
gli occhi,
spaventosamente verdi, erano socchiusi mentre scrutavano il cielo, i
capelli,
biondi cenere con delle sfumature castane, erano corti ma non tanto da
non
permettere al vento di alzarli in più direzioni, la bocca
era leggermente
dischiusa e contornata da una rada barba forse sfuggita al rasoio o
forse
graziata, per quel giorno, dalla pigrizia del padrone.
Era
uno degli esseri più
belli che avesse mai visto in tredici anni di vita.
“Axel..”,
sussurrò
quasi, facendosi comunque sentire dal giovane, il quale
annuì e non aggiunse
altro. Decise allora lei di farsi più intraprendente,
cercando di intavolare
una conversazione avrebbe aiutato entrambi a capire più cose
dell’altro.
“Ho..
ho tredici anni.
Tu?”
Il
ragazzo sorrise al
vento e finalmente portò lo sguardo negli occhi della
ragazzina, decidendo di
risponderle nel modo più soddisfacente possibile.
“Ho
ventidue anni..”,
fece già una pausa, stupefatto dai numerosi sentimenti che
passavano sulla
faccia di Axel e che lui riusciva a cogliere: emozione, paura,
attrazione.
Sorrise nuovamente, facendola arrossire e facendole spostare lo sguardo
altrove. Le prese il viso e lo voltò nuovamente verso di
sé, assottigliando lo
sguardo e poi rilassandolo.
“Mi
piace il tuo viso,
non nasconderlo per favore.”, disse ciò come fosse
una profonda confidenza,
insicuro ma anche convinto al tempo stesso del significato delle sue
parole.
Axel
sostenne lo sguardo
finchè lui non riprese a parlare, subito dopo che ebbe
sospirato e chiuso gli
occhi.
“..Ho
ventidue anni, mi
chiamo Galen e sto congelando.”
Detto
ciò si alzò in
piedi, trascinando la bambina con se e cominciò a
riaccompagnarla a casa, in
silenzio, dopo il consenso di lei.
Sapevano
entrambi di
aver trovato uno una sorella e l’altra un fratello, e questo
si manifestò nei
mesi successivi: non facevano nulla che non implicasse la presenza
dell’altro,
vivevano dei loro sorrisi e silenzi in compagnia, si accompagnavano nei
piccoli
furti e nelle esperienze di tutti i giorni, odiavano insieme ed amavano
insieme.
Galen
le fece conoscere
il sapore della vita, quella dura, quella quasi impossibile,
l’unica libera,
priva di costrizioni, il vivere alla giornata e secondo i propri
ideali, anche
quelli che andavano contro tutto e tutti, che venivano trascurati e
talvolta
dimenticati dai più, come la concezione di
libertà di pensiero, la libertà
delle azioni, il rispetto verso gli altri e verso se stessi,
l’uguaglianza tra
persone considerate diverse.
Axel
gli mostrò i
piccoli gesti, piacevoli nella loro enorme semplicità, gli
insegnò la
tolleranza e la disponibilità verso il prossimo, in una
fusione di buone azioni
e cattive, che favorivano chi era bisognoso di soccorso.
Le
giornate si
bruciavano come l’erba nelle cartine, si dissolvevano come il
fumo nell’aria, e
si guadagnavano, insieme, come i soldi derivanti dalla droga.
Era
ormai questo il suo
mondo, quello di una ragazzina prossima ai quattordici anni, ancora
senza
nessun amico ma con qualcuno che nessuno avrebbe mai trovato: un
compagno di
vita, di quelli veri, concreti, reali.
Ma
non tutto è destinato
a durare: questo detto Axel lo imparò e l’avrebbe
ancora imparato più volte
sulla sua pelle.
Era
una giornata
limpida, simile a quella in cui si erano incontrati, praticamente un
anno
prima.
Ma
no, questa volta le
stelle non accompagnavano una felicità inesistente nel
nostro tempo, bensì dei
gemiti strazianti che fuoriuscivano dal corpo sfigurato dai troppo mali
e dalle
troppe siringhe che il ragazzo si era inferto.
Il
motivo non fu mai
chiarito, neanche ad Axel, la quale guardava sulla soglia della porta,
in
silenzio, quel fratello che mai aveva visto in quelle condizioni.
Cominciò
anche lei a
piangere.
Pianse
per il dolore che
lo affligeva, pur non conoscendolo.
Pianse
per tutte quelle
volte che non avevano mai pianto insieme.
Pianse
per un amore che
non poteva emergere.
Ma
emerse, solo per
quella notte, emerse.
Sotto
un tetto ormai
decadente, sotto ragnatele e polvere, sotto il peso di una vita forse
iniziata
e vissuta nel modo sbagliato, ma comunque vissuta, Axel e Galen fecero
l’amore.
All’esterno
le lacrime
imperavano, lei troppo giovane per capire, lui troppo libero per
comprendere lo
sbaglio inesistente, in un vortice di voci indefinite, quelle
provenienti dal
corpo dolorante della ragazzina, con le ossa troppo strette per non
allargarsi
e il seno troppo infertile per non aumentare, segno
dell’adolescenza alle porte
(o forse già iniziata), quelle provenienti dal corpo
eccessivamente vissuto
dell’angelo nero.
All’interno,
quella
notte si conserva ancora adesso, sebbene gli eventi li abbiano divisi,
nell’anima indelebile ed indistruttibile di entrambi, la
notte in cui amarono
forse veramente in tutta la loro vita, un amore sbagliato e
giustissimo, sporco
e limpido come gli occhi appena schiusi di un bambino di due ore di
vita.
Quella
stessa notte, le
loro strade si separarono.
Camminavano
verso la
casa di Axel, in silenzio, lei stringendosi a se, esattamente come
quella sera,
la loro sera, lui camminando pensieroso, con una mano in tasca,
l’altra stesa
sul fianco e una Marlboro tra le labbra.
Axel
non seppe e ancora
adesso se lo chiede cosa successe nei momenti successivi, quando Galen
la avvolse
tra le sue confortanti braccia, fermandosi di colpo, e i battiti del
suo cuore accelerarono
irrimediabilmente.
Degli
uomini
cominciarono ad avvicinarsi alle due figure strette tra loro, parlando
e talvolta
urlando frasi infernali, dolorose non per suono ma per significato
nelle sue
piccole orecchie.
Successe
tutto troppo
velocemente.
Lei
si trovava per
terra, forse col cuore fermo, forse appena udibile, lui le stava
affianco,
pallido come la luna e bellissimo tra le numerose screziature rosse che
cominciavano a formarsi.
“Vivi
sempre, Axel. Giorno
per giorno, non lasciare mai che qualcuno ti ostacoli.”
Sussurrò
sorridendole,
conscio del fuggi fuggi che si creava intorno a loro ma non
particolarmente
interessato.
Allungò
una mano,
tremante, e le asciugò una lacrima che silenziosa marchiava
il volto di quella
che per lui sarebbe per sempre rimasta la sua bambina intenta ad aprire
la
gabbia delle zebre.
Axel
lo chiamò, forse lo
chiama ancora adesso, scuotendo piano il corpo ormai vuoto del ragazzo.
Osservò
ancora i suoi
occhi verdi, ora simili a delle biglie di vetro, e si accorse con
stupore di
essere arrivata tardi, di non avergli insegnato
l’insegnabile, di non averlo
portato a sognare veramente, lei, una ragazzina di quattordici anni.
Quel
tuono, quel
rimbombo nel cielo nero proveniente dalla pistola nemica, è
ancora nei pensieri
della ragazza, sempre, vive di quel ricordo, assordante e assurdo
insieme.
Venne
trascinata di peso
dalla polizia, mentre suo fratello veniva coperto da un telo bianco,
spaventoso.
Per
sei mesi fu
coinvolta in indagini in qualità i testimone, il mondo
attorno a lei girava,
ogni tanto si fermava per donarle compassione, e poi ripartiva.
Lei
intanto invecchiava,
ogni minuto un anno di più, mentre Axel e Galen coesistevano
dentro la sua
anima, come non erano mai riusciti a farlo Axel e la bambina.
Ben
presto si estraniò
dal mondo circostante, intenta a ritrovare il suo paradiso, la sua
dimensione,
mentre gli altri cominciavano a vederla sotto una cattiva luce, con
odio quasi.
Ma
lei cercava il suo
Galen, lo cercava pur sapendo che mai lo avrebbe ritrovato, ma
bisognosa di
avere qualcosa in cui credere.
Si
ritrovò così sulle
spalle diciassette anni e un’adolescenza morta.
Per
suoi genitori (che poi
genitori non erano più) la figlia era ancora dispersa nei
meandri della città,
intenta a giocare con quel ragazzo che le aveva donato e distrutto la
vita.
Ormai
non badavano più
alle siringhe e alle canne che trovavano per casa, perché
non aveva senso
discutere con un corpo di cristallo.
Arrivò
poi la rissa.
Il
poliziotto stava
manganellando un ragazzino nero, chissà sporco di quale colpa inesistente, e
il pugno di Axel
sul naso dell’uomo non tardò ad arrivare.
Passò
tre mesi nel
carcere minorile, tra conoscenze e nemici.
Poi,
chissà come, si
ritrovò su un aereo, in una giornata fredda e piovosa, con
il Suo viso vivido
più che mai nella memoria e quel rimbombo sempre presente.
Ciao
gente!
Ebbene
no, ancora morta
non sono, ma sono sulla buona strada (scuola, genitori, problemi
esistenziali,
One Direction mezzi nudi… cose così).
Questo
capitolo è stato
allucinante, non potete capire. Per tipo tre settimane mi metteo
davanti alla
pagina vuota di word, la riempivo e la svuotavo di nuovo.
Un
bordello, insomma :D
Ma
ecco qui, finally!
Dunque,
io sono una
pippa a raccontare avvenimenti importanti facendo parlare il
personaggio,
quindi ci ficco la terza persona e risolvo così (per chi mi
stesse uccidendo
virtualmente per aver reso implicito il rapportuccio tra il nostro
Louis e la
nostra Grace… arriverà anche lui, don’t
worry!), quindi spero sia stata chiara
la descrizione dell’infanzia di Axel: lei intanto la sta
raccontando agli
altri.
Non
so che altro dire.
Ah,
si! Non perdete le
sperane per i Zaxel… già da prossimo
capitolo… bhe… BASTA SPOILER!
Spero
vi piaccia e vi
ringrazio per le cose carinissime che mi dite sempre: VI
AMO, come Niall ama il cibo, come Harry venera la pussy
(èé),
come Liam odia i cucchiai… okey, questo esempio non
centrava… credo.
Ccciaoo!
Andrea
xx
Ps.
Faccio una cosa
squallidissima: mi auto pubblicizzo!
Titanium
Nb.
Il collasso
imminente…
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