Hopeless

di driu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Please, give me a life ***
Capitolo 2: *** 4th November ***
Capitolo 3: *** I thought you were worse ***
Capitolo 4: *** Only thank you. ***
Capitolo 5: *** He's just mine ***
Capitolo 6: *** you're my friend ***
Capitolo 7: *** you remind me someone ***
Capitolo 8: *** Hic et nunc ***
Capitolo 9: *** Love me ***
Capitolo 10: *** You don't know who i am ***



Capitolo 1
*** Please, give me a life ***



PROLOGO

Salve a tutti, io sono Axel.

Mmm, inizio troppo scontato e diretto? Forse. Nome troppo “maschiaccio”? Probabile. Ma questa è la storia della mia vita, quindi lasciate che ve la racconti nel modo che ritengo più opportuno. Prima di cominciare però, voglio avvisarvi e darvi la possibilità di non sprecare più tempo di quello che avete già fatto leggendo fin qui, nel caso vi foste fatti un’idea sbagliata: magari vi aspetterete, che ne so, una ragazza tutta rose e fiori, frivola e gioiosa, che sogna il vero amore, che abita in una bella villetta con piscina, con genitori amorevoli e apprensivi, circondata da frasi come “andrà tutto bene” o “non ti lascerò mai da sola” che svolazzano qua e là ogni tre righe e, ciliegina sulla torta, con fidatissime amiche con le quali confidarsi e scambiarsi sostegno reciproco. Bhe, se questa è la storia che bramate di leggere, il personaggio che volete incontrare e i vostri effettivi desideri di lettura, tornate indietro e dimenticatevi di questa Axel che avete conosciuto per così poco tempo, perché non sono il genere di protagonista che ha le fortune sopra elencate.

Ho 17 anni e abito da poco in uno squallido appartamentino nell’altrettanto squallida cittadina di Holmes Chapel, in compagnia di qualche scarafaggio e un topolino che si è gentilmente fatto la tana in una delle pareti… o forse sono io che mi sono fatta la tana fra le sue pareti? È uguale. Cosa ci faccio qui? Ah, adesso entriamo nella sfera dei genitori amorevoli e apprensivi. Non sono mai stata il genere di figlia che loro avrebbero disperatamente voluto e che hanno disperatamente cercato di creare da quella che sono realmente io. Non ho mai dato la colpa a loro per quello che hanno fatto, a dir la verità non la do a nessuno, è un semplice dato di fatto: io e loro vivevamo su due mondi completamente separati, con ambizioni e desideri agli antipodi gli uni dagli altri e caratteri assolutamente differenti; così, prendendo molto astutamente come scusa una mia bravata, mi hanno caricata sul primo aereo Australia-Holmes Chapel e spedita qui, da sola, solo con una valigia, un mazzo di chiavi della casa più orrida che ci possa essere sulla faccia della terra e un fottutissimo “buona fortuna” che ancora devo capire cosa farmene.

Per quanto riguarda amici e amiche… mai avuti. A quanto pare, non sono stata un abominio solo per i miei genitori, ma anche per le persone che mi circondavano. Mi guardavano tutti spesso e volentieri con diffidenza e timore, come se al posto delle braccia avessi avuto dei tentacoli. Ma per favore. Ero molto peggio. Ero diversa. Diversa da tutte quelle specie di veline con cui mi trovavo ad avere a che fare. Diversa da tutte quelle persone superficiali e ipocrite che entravano nella mia vita. Diversa nel sognare. Diversa nel vedere il mondo. Diversa, purtroppo, da tutto ciò che la mia generazione richiedeva e richiede tutt’ora per essere accettata nella comunità.

Paura eh? Bene, perché se sono riuscita a spaventarvi ora, vi risparmierete una lunga serie di fatti che (forse) riusciranno ad incasinare ancora di più la mia misera esistenza. Se invece ho attirato la vostra attenzione, allora benvenuti, questa sono io, questa è la mia vita e questa è la mattina del 4 novembre, l’inizio della mia storia.

 

 

 

 

Eccomi qui, a postare il primo capitolo di una nuova storia di cui sono particolarmente orgogliosa :) Questo è solo il prologo, ma conto che per domani dovrei pubblicare già il primo capitolo! Voi nel frattempo se vi riesce buttategli un’occhiata e fatemi sapere cosa ne pensate.

L’ispirazione mi è venuta al cinema guardando un film particolarmente noioso… ed è nata Axel. Come personaggio mi fa impazzire, ci disegnerò sopra di tutto e di più. Ah, l’ispirazione è stata anche accentuata ascoltando la canzone Crawling back to you dei Daughtry che ora come ora ascolto una ventina di volte al giorno :D

Che altro dire? A questo punto solo BUONA LETTURA e, bhe, spero davvero che vi piaccia <3

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Capitolo 2
*** 4th November ***


Pov. Axel

La bambina corre. Non c’è una meta, corre e basta, solo per il gusto di sentire il cuore battere più veloce, il sangue scorrere impetuoso nelle vene, la terra che cede sotto i suoi passi, i polmoni colmi di aria fresca.

“Tesoro! Vieni dalla mamma!”

Si gira, ridendo affannosamente. Due profonde fossette le si formano ai lati della bocca. I candidi capelli le sfiorano le guance. Ma non ne vuol sapere di fermarsi, non ancora. Vuole divertirsi un altro po’ a farsi richiamare da quella donna, sua madre. Ma poi… frena, con gli occhi sbarrati. Una ragazza, molto simile a lei, le si para davanti, grondante di sangue.

“No…”

La bambina comincia a tremare, chiama ripetutamente la madre, arretrando.

“Amore, che succ… ODDIO! Vieni! Tesoro allontanati da li!”

La donna fissa terrorizzata la giovane che si trova dirimpetto la figlia, trascinando quest’ultima verso di se.

“Stai tranquilla, bambina mia, andrà tutto bene… la mia piccola Axel.”

La donna si allontana con la piccolina, rassicurandola.

La ragazza allunga un braccio. Emette un urlo muto…

Non riesce a raggiungerla. Poi un suono…

 

Driiin. Driiin.

Mi misi di scatto seduta sul letto, completamente sudata e con le lenzuola arrotolate a formare una palla di tessuto buttata ai miei piedi. Rimproveri interiori, rimorsi, rimpianti e ora anche gli incubi. Quando sarebbe finito quell’inferno? Mi passai stancamente una mano sulla faccia, forse per cercare di svegliarmi oppure, più probabile, con l’intento di scacciare via quei pensieri che mi continuavano ad assillare. Guardai torva la sveglia che non accennava a smettere di strillare come un ossessa e le diedi un colpo con la mano, facendola zittire. 7.00. Era arrivato, in fine, quello stramaledetto giorno. Girai la testa ancora incricchiata verso il comodino e notai la data: 4 novembre. Così tardi? Mio dio, avevo completamente perso la cognizione del tempo. Forse cominciare ad andare a scuola mi avrebbe aiutata a riadattarmi almeno un poco a quella che sarebbe dovuta essere la mia normale vita di adolescente, anche se non ci speravo più di tanto. Mi alzai dal letto stiracchiandomi e raggiunsi il balcone, dove scostai le finestre per sbirciare fuori: il mio disgustoso appartamento si affacciava su una vecchia ferrovia abbandonata; quando vidi l’ambiente per la prima volta, pensai subito che fosse il posto perfetto per un circolo di pericolosissimi spacciatori oppure il covo ideale per una possibile gang del paese, e forse non avevo tutti i torti. Ma nessuno, nessuno mi aveva mai dato fastidio… l’ho già detto che sono diversa dal resto dei miei coetanei, no? In quel momento, divertita, guardando il cielo coperto di nubi scure, feci una constatazione che mi colpì in tutta la sua verità: gli altri si poteva dire che mi temessero, avevano paura di me, dei miei atteggiamenti, del mio modo di rapportarmi al resto del mondo e, sinceramente, a me andava più che bene l’isolamento. Meno persone mi ronzavano attorno dandomi nient’altro che compassione, meglio era. E quel giorno, per la prima volta dopo quasi un anno di difficoltà, ritornavo come strisciando proprio in quel mondo.

 

Una mezz’ora dopo ero fuori di casa, dirigendomi a passo sostenuto verso l’edificio scolastico. Dei tuoni cominciavano a farsi sentire e qualche gocciolina già mi cadeva sui capelli lisci e castani. Quel giorno avevo optato per una maglietta nera piuttosto larga di Bob Marley, delle calze a rete ugualmente nere coperte solo al bacino da un paio di pantaloncini corti di jeans e, in fine, le mie Dr Martens a stivaletto. Si insomma, il mio normale abbigliamento. Sbuffai rumorosamente, provocando una grossa nuvola di nicotina che mi uscì dalla bocca per poi disperdersi nell’aria, quando sentii il vociare dei ragazzi provenire da dietro un’ampia curva a cento metri di distanza, segno che ero quasi arrivata a destinazione.

Axel, mi raccomando! Trillò una voce stridula dentro alla mia testa.

Almeno per oggi, cerca di non uccidere nessuno.

Sorrisi con quel sorriso che solitamente i miei genitori (o come si potevano chiamare quelle persone) temevano da morire, un po’ assassino ecco, e svoltai l’angolo, sicura.

 

Pov. Zayn

“Che cazzo di tempo di merda c’è?!”

“Oè Zayn! ‘ngiorno anche a te!”

Mi avviai sorridendo verso Louis e combriccola, tutti intenti (già alle otto meno dieci del mattino, tanto per puntualizzare) a strusciarsi contro un paio di ragazze particolarmente interessate al nostro giro. Al mio giro. Appoggiati al pick up di qualche sfigato che doveva essere lì intorno e che non aveva il fegato per dirli nulla, erano avvolti completamente da una nube di fumo che usciva dalle sigarette di ognuno di loro. Alla mia vista, si scostarono per lasciarmi lo spazio centrale del cofano su cui mi stravaccai circa 16 secondi dopo essere arrivato, osservando compiaciuto i gruppeti di ragazze che mi mangiavano con gli occhi, i ragazzi che mi guardavano bramando la mia amicizia e pregustandomi lo sguardo rispettoso che i professori mi avrebbero rivolto come sempre quando fossi passato per i corridoi di quella che potevo benissimo e senza alcun dubbio definire la mia scuola.

Merda! Che maleducato! Non mi sono neanche presentato! Io sono Zayn Malik e sono il ragazzo più popolare dell’intera Holmes Chapel. Questa semplice frase secondo il mio punto di vista dovrebbe già rendervi l’idea di come sia la mia vita, ma nel caso in cui a qualcuno di voi servano più approfondimenti, allora vi accontenterò subito: oltre ad essere invidiato dai tre quarti della cittadina, i miei genitori sono degli imprenditori molto ricchi e molto impegnati che mi lasciano casa libera più o meno otto mesi su dodici. Come vi dicevo, molti bramano anche solo il mio saluto e farebbero di tutto per ottenerlo, ma quelli che posso considerare i miei migliori amici sono Harry, Liam e Louis. Il primo l’ho conosciuto ad un merdosissimo corso di teatro al quale i miei genitori mi hanno costretto ad andare circa un anno fa (ovviamente smisi dopo neanche una settimana) e dove stringemmo subito amicizia; l’ultimo era il fratello di una ragazza con cui mi ero messo un migliaio di anni fa e che adesso dovrebbe trovarsi in qualche punto non ben definito dell’Africa (per lavoro) e per quanto riguarda Liam, bhè, semplice: siamo compagni di classe.

“Ehi Zayn, che facciamo questo pomeriggio?” Mi chiese Louis, mentre con una mano reggeva il mozzicone di sigaretta e l’altra era impegnata a massaggiare i glutei di una delle ragazze.

“E io che cazzo ne so! Certo che se per una stramaledettissima volta prendeste voi l’iniziativa non vi farebbe male a quei gabinetti che chiamate cervelli! Dissi pigramente, prendendo nel frattempo una ragazza e facendomela sedere sulle ginocchia.

“Uff e va bene! Pensavamo a qualcosa come andare alla solita discoteca verso… le cinque?” Propose timidamente Harry.

“Si, e magari prima divertirci un po’ a ficcare la testa di quel merdoso biondino nel cassonetto!” Annunciò Liam con gli occhi che brillavano per l’eccitazione.

“Bho… si dai, si può fare.” Acconsentii pensieroso stringendo tra le mani le cosce della ragazza che avevo tra le braccia. Con la coda dell’occhio vidi Harry irrigidirsi e lo sentii farfugliare subito dopo un

“Ah… ehm scusate ma non mi ricordavo che sono in punizione e mia mamma non mi fa uscire.”

“Fanculo Harry! E in punizione per cosa, sentiamo.” Sbuffai cominciando ad irritarmi.

C-cioè io, ecco…” non riuscì a formulare la frase che fu interrotto da un “Guardate! E quella chi cazzo è?!” di Louis.

Ancora più incazzato per l’interruzione mi voltai spingendo via la ragazza che ormai si era installata sulle mie gambe e mi voltai, pronto a prendere a calci Louis per aver parlato a sproposito, come era solito fare. Una ragazza, mai vista prima, marciava a un centinaio di metri di distanza da noi verso l’entrata della scuola. I suoi occhi lampeggiavano e lanciavano saette a chiunque si avvicinasse per salutarla e chiederle chi fosse, facendolo arretrare. Camminava a testa alta, ondeggiando il corpo lungo e le gambe snelle, sbuffando grandi quantità di fumo in aria.

“Ma questa?” Sussurrai, riducendo gli occhi a due fessure per osservarla meglio.

“Qualcuno di voi la conosce?” Chiese titubante una delle ragazze.

“Shh!” Girai la testa di scatto lanciandole un’occhiata omicida, facendola tremare, per poi tornare ad osservare la nuova arrivata, che ormai passeggiava tranquillamente a non più di una decina di metri di distanza.

“EHI! Bel culo!” Urlai con un ghigno, provocando risate di ilarità in più o meno tutto il parcheggio. Incerta, rallentò il passo, forse per assicurarsi del fatto che mi stessi effettivamente rivolgendo a lei. Per toglierle del tutto il dubbio, le dissi ancora

“Si, tu con le gambe da ballerina erotica!”

La ragazza si arrestò del tutto, voltando lentamente la testa verso di me, che rimanevo immobile sogghignando, ancora appoggiato al pick up. Improvvisamente, cambiò rotta e invece che puntare all’ingresso della scuola, si diresse verso di noi. Sentii provenire da Louis un “Oh-oh Malik, questa ti fa male.” e da Harry “Mmm sbattitela per bene amico!”, mentre le ragazze con noi si atteggiavano da troie personali; io intanto mi raddrizzai, con un sorriso arrogante stampato in faccia. La ragazza mi si fermò a pochi millimetri dalle labbra, piantando i suoi occhi marroni nei miei. Mi scrutò un attimo, il che mi fece innervosire, ma non lo diedi a vedere più di tanto. In fine, prendendomi la sigaretta dalle mani e buttando via la propria, mi si avvicinò ancora di più, fino a sfiorarmi con i denti il lobo dell’orecchio destro, e in un soffio mi disse “E tu chi saresti, Topo Gigio?” Mentre ancora spiazzato cercavo di elaborare un insulto degno di quella domanda insolente, lei girò i tacchi ed entrò definitivamente nell’edificio, lasciandomi li fuori come un baccalà, con ancora la bocca dischiusa e gli occhi strabuzzati. Udii un chiaro “Ahia…” provenire da Liam e, guardandolo con odio, mandai la maggior parte delle persone in quell’orrendo parcheggio al diavolo ed in poche falcate entrai a mia volta a scuola.

 

Pov. Axel

Mmm complimenti per l’ottimo sforzo a socializzare!

Ancora quella stupida vocina nella testa. Ma cos’era?! Una sorta di coscienza?

Si ehm ascolta, facciamo che io mando al diavolo chi mi pare e piace e tu non mi rompi le palle, ci stai?

Sbuffando tra me e me entrai in classe, proprio quando la prof stava per chiudere la porta.

“O ciao! Tu devi essere la ragazza nuova, Axel, giusto?”

Mi chiese allegra. Che cazzo hai da essere allegra, strega? Avrei voluto dirle, ma mi trattenni. D'altronde, non era colpa sua se la mia vita faceva schifo.

“In persona.” Le porsi la mano accennando ad un sorriso che probabilmente uscì come una linguaccia.

“Bene! Accomodati pure, io arrivo tra un momento e ti presento alla classe.”

Mi diressi svogliatamente vicino alla cattedra e osservai uno per uno gli occhi stupiti che mi osservavano, fino ad incontrarne un paio famigliari… ottimo, era uno di quelli che facevano da zerbino a Topo Gigio nel parcheggio, uno con i capelli riccioli e la faccia angelica ma, già me lo sentivo, con un animo da stronzo.

“Ehi, ma guarda chi c’è! Senti, una curiosità: quanto vuoi all’ora? No perché immagino che con il corpo da urlo che ti ritrovi non devi essere esattamente economica, dico bene?” La classe scoppiò in una risata fragorosa, mentre il riccetto mi guardava con aria di sfida. Io gli sorrisi amorevolmente.

“Come ti chiami, tesoro?”

“Harry, amore.”

“Harry… capisco. Ascolta Harry, vieni qui un attimo, che ti devo dire una cosa.”

“No dai, vieni tu, che devo risparmiare le forze per utilizzarle dopo con tua madr…”

Mi fiondai verso di lui e, piantando gli occhi nei suoi proprio come avevo fatto con il suo amichetto poco prima, gli sussurrai con un filo di voce ma che avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene anche ad un puma affamato

“Ascoltami molto attentamente: stai attento a quello che dici, stai attento a quello che fai con me. Tu non mi conosci minimamente, e se non vuoi presentarti a scuola domani con gli attributi legati al collo, non rompermi i coglioni, è chiaro? Non hai la più pallida idea di quello che sono capace di fare al genere di persone come te. Potresti non rivedere mai più il tuo fidanzatino, mi sono spiegata?”

Lui deglutì rumorosamente ed io, con uno scatto, ritornai a recuperare la borsa che avevo abbandonato di fianco alla cattedra. Il resto della classe guardava il presunto Harry in attesa di una sua risposta a tono che non arrivò.

“Okay ragazzi, eccomi qua! Avete già fatto conoscenza con Axel?”

“Ma si, diciamo così prof.” Risposi io per loro, che si erano ammutoliti.

“Bene, allora direi di iniziare la lezione, accomodati pure Axel.”

Liquidandomi così la professoressa iniziò la lezione, mentre io mi diressi verso l’ultimo banco in fondo, senza persone a fianco, e mi accomodai, puntando gli occhi sulla nuca di Harry e pronta a torturarlo per il resto dell’ora lanciandogli delle occhiate perforatrici.

 

 

Pov. Harry

“Voi non mi state ascoltando, vero?! Merda Zayn! Almeno tu! Quella ragazza mi ha minacciato!”

“Uuuh paura! Cristo santo Harry Tira fuori le palle! Che ti succede? Ti ha minacciato una ragazza, cazzo! Una fottutissima ragazza! Io le uso di notte e le butto via il giorno dopo, e tu non sei in grado di tirarle un ceffone e zittirla con la tua virilità?!” Mi rispose Zayn alzando di un ottava la voce, facendo voltare tutti nella sala della mensa.

“Tu non sai con che tono mi ha minacciato, Za! Sembrava volesse seriamente uccidermi! Credimi, è una psicopatica!”

“Okay Hazza, se ti fa sentire più tranquillo, finita la scuola usciamo io, te Liam e Louis, ti mettiamo un pannolino e poi andiamo ad affrontare faccia a faccia questo mostro di ragazza, okay? Ora levati dalle palle però, che mi hai seccato più che a sufficienza!”

Così dicendo, mi diede una manata facendomi arretrare e tornò a concentrarsi sulla bocca di una tizia del primo anno.

“Ma vaffanculo.” Mormorai, allontanandomi furente. Perché ogni volta mi trattava così? Dopotutto, rientravo nella cerchia dei suoi migliori amici e anche io lo consideravo tale… forse. No, con Zayn era tutto più complicato: mi sentivo in obbligo a sottostare alle sue regole e non a comportarmi come… Harry. Non riuscivo a dirgli neanche il mio più grande segreto, quello che mi tenevo dentro da così tanto tempo! Con chi mi sarei potuto confidare se non che con il mio migliore amico? No, non andava affatto bene così. Mi fermai di scatto e feci retromarcia tornando da lui. Appena mi vide riavvicinarmi, si alzò, pronto a mandarmi al diavolo con qualche insulto pesante, ma io lo precedetti

“Ascolta Zayn, io non ce la faccio più. Oggi non sarò in vostra compagnia, ma stasera, alle otto, possiamo trovarci almeno per dieci minuti in piazza? Ti devo parlare ed è piuttosto importante.” Dissi tutto ciò con la massima serietà e lui si accorse che doveva trattarsi di qualcosa di fondamentale per me, così si limitò ad annuire e allontanarsi dalla tavola, pronto per andare in classe.

 

Pov. Liam

“Ehi tu! Dove pensi di andare?” Con un ghigno Zayn apparve da un angolo ed affiancò la ragazza (Axel, da come ci aveva detto Harry), fermandola con un braccio.

“Che c’è, Gigio, l’amichetto qui è venuto a nascondersi sotto la tua gonna perché gli ho fatto tanta paura?” Rispose con sguardo di sfida e imitando la voce di un poppante spaventato, scrollandosi Zayn di dosso e voltandosi dall’altra parte, consapevolissima che saremmo spuntati tutti noi. Però, quella ragazza doveva essere stata una macchina nella vita precedente.

“Ah, complimenti, una ragazza contro quattro conigli. Non avete un’opinione molto alta di me, o sbalglio?” Aggiunse, ironica.

“No, bhe, vedi, il fatto che tu venga qui e assumi il ruolo di capobranco sfascia minchia non mi sta affatto bene, quindi vedi di cambiare atteggiamento, o ti convinco io.” Disse minaccioso il mio amico, ignorando il suo secondo commento e riafferrandole il polso per sbattersela violentemente sul petto. Ero piuttosto certo che non le avrebbe fatto del male, ma Zayn era davvero un tipo imprevedibile, così aggiunsi

Ti conviene ascoltarlo, bellezza, non si sa mai!”

Lei non mi considerò neanche e, mentre noi ci avvicinavamo a mò di semicerchio (prima io, poi Louis, in fine Harry ed in mezzo Zayn abbarbicato ad Axel), gli sibilò all’orecchio:

“Lasciami andare.”

“Altrimenti?” Rispose lui, beffardo, stringendo la presa. Lei rimase immobile e lo osservò a lungo, senza dire una parola. Improvvisamente, con un gesto fulmineo si sciolse dalla presa e gli tirò una ginocchiata dritta in pancia. Zayn si piegò in due allontanandosi strizzando gli occhi per riprendersi, ed in quel momento vidi Harry avvicinarsi alla ragazza furibondo, tirandole uno schiaffo che la sbalzò completamente a sinistra. Lentamente, Axel si portò una mano alla guancia e girò la testa verso Harry, che la guardava minaccioso, mentre Zayn si avvicinava a grandi falcate.

“T-tu sei un pazzo.”

“Non azzardarti a dire una parola, chiaro?!” Urlò il riccio. Zayn la afferrò per un braccio e glielo stortò dietro la schiena, facendole strizzare gli occhi per il dolore.

“Zayn…” mi azzardai a dire io, ma Louis mi mise una mano sulla spalla intimandomi al silenzio.

Non fare mai più una cosa del genere, mai. Complimenti, sei arrivata qui da neanche un giorno e ti sei già fatta dei nemici.”

“E che nemici.” Rispose lei arrogante. Quella ragazza mi affascinava. Nessuno aveva mai osato tener testa a Zayn così a lungo. Questo la lasciò andare e, guardandola in cagnesco, ci fece un segno per dirci di seguirlo e ci allontanammo. Prima di svoltare l’angolo, lanciai un’ultima, breve occhiata a quella strana creatura, che ricambiò lo sguardo. La differenza era che il suo era carico di odio e rancore.

 

Pov. Harry

19.45

 

Ciao piccolo, ci vediamo domani, d’accordo?”

“Si… non vedo l’ora. Ah, voglio che tu sappia che apprezzo davvero quello che stai per fare. So che per te è molto difficile affrontare Zayn, ma credimi: è la cosa giusta.”

“Lo so, lo so. Zayn mi accetterà se è davvero mio amico.”

“SI, ma se non lo fa, vuol dire che la tua vita diventerà un inferno per colpa sua!”

Riflettei un attimo sulle parole che mi aveva detto il biondino, il MIO biondino, e in fine risposi, sorridendo

“Per te, correrò il rischio.”

Niall mi guardò con un’espressione impenetrabile e, senza dire una parola, mi afferrò il bavero della camicia facendo scontrare le sue labbra con le mie. Chiusi gli occhi e mi godetti quel dolce contatto, seguendo il profilo della sua mascella con una mano, i contorni delle sue spalle con l’altra, non desiderando niente di meglio dalla vita. Mi staccai leggermente, poggiando i palmi sul suo torace, e sussurrai

“Devo andare…”

“Vai… grazie per oggi… per avermi avvertito dell’ ”agguato” da parte dei tuoi amici.”

“Ma figurati.”

Così dicendo, presi la strada per la piazzetta, alla quale sarei dovuto arrivare nel giro di pochi minuti. Guardai il cielo: le nuvole si stavano diradando per lasciare spazio ad un cielo ormai quasi nero, segno che le giornate si stavano accorciando sempre di più. Puntai gli occhi verso una palazzina con le mura scrostate che si affacciavano su una ferrovia abbandonata. Chi avrebbe potuto mai vivere in un posto così triste? Ripensai ad Axel, quella troia che mi aveva così tanto fatto incazzare. Non sapevo nemmeno io perché l’avevo colpita, forse per vedere negli occhi di Zayn un briciolo di approvazione e orgoglio… no, la verità era che quella ragazza aveva toccato un punto debole della mia personalità dicendo “Potresti non rivedere mai più il tuo fidanzatino, mi sono spiegata?” Come diavolo faceva a saperlo?! Alla fine, comunque, non ero poi così pentito di averle tirato uno schiaffo. Se lo meritava. La odiavo, con tutto me stesso, probabilmente per quel suo coraggio e faccia tosta che anche io avrei ardentemente voluto avere.

L’aria che mi sfiorava la pelle era gelida, istintivamente mi portai una mano sulla faccia per coprirmi da un po’ di sabbiolina che mi entrava negli occhi e con il pollice mi sfiorai le labbra. Chiusi gli occhi e riportai alla memoria tutti i baci rubati, le notti d’amore, il desiderio insaziabile di lui che avevo dovuto contenere per timore del giudizio pubblico. Ma adesso basta. L’unica cosa importante, per me, era il mio Niall.

“Wellà! Frocio! Come te la passi?”

Mi bloccai di colpo, il sangue gelato nelle vene ed un senso di terrore nelle ossa. Come mi aveva chiamato? Perché?

“S-scusa?”

“Non fare lo stronzo! Ti abbiamo visto prima mentre infilavi la lingua nella bocca del biondo!”

“N-non sono affari vostri…” Balbettai (perché balbettavo poi?! Ovvio, perché mi stavo paralizzando dalla paura), cercando di recuperare un po’ di coraggio e dignità di fronte a quei tizi dall’aria molto più che pericolosa.

“Ma certo che sono affari nostri! Perché, vedi, anche noi ogni tanto ci vogliamo divertire un po’, e tu… tu sei così carino…” Disse uno dei tre, sfiorandomi la guancia con la mano.

“Non mi toccare!” Protestai in un sussurro, arretrando per sottrarmi al contatto. Scappa Harry! Cosa fai lì impalato?! Scappa!

Ahh il buon senso. Ma in quel momento, il mio cervello non era propriamente collegato ai muscoli, tanto meno a quelli delle gambe. Così tentai di fare un passo in dietro…

Caddi.

Mi vennero addosso.

Mi trascinarono in un vicolo buio, tappandomi la bocca.

E fu la fine.

-Vi prego, portatemi dal mio Zayn- fu l’ultimo pensiero sensato.

 

 

Ed ecco a voi il nuovo capitolo e primo capitolo!

Prima di tutto, voglio assolutamente ringraziare per recensione/seguimenti(?)/preferiti directioner4life, The white soul, DemzCarrots, ale_sunshine, marthine, sam_91 e un grazie speciale a nevaeh che mi ha scritto una recensione BELLISSIMA, proprio di quelle che piacciono a me hahahah J GRAZIE MILLE a tutte, davvero!

Per quanto riguarda il capitolo, sono abbastanza soddisfatta di questo e soprattutto sono felice di averlo reso così lungo! Lo so, ci ho buttato dentro un po’ di cose ma mi sembrano messe giù in modo abbastanza chiaro!

In fine, oltre ad esortarvi (come sempre d’altronde!) a dirmi cosa ne pensate, spero continuerete a seguirmi! Un bacione a tutte e passate una buona giornata!

Andrea

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Capitolo 3
*** I thought you were worse ***


Mi avevano svuotato di tutto.

Non provavo più nulla, né dolore, né paura, né vergogna.

Niente.

Ero diventato una bambola di pezza nelle loro mani.

Non opponevo resistenza, non urlavo.

Piangevo? Forse.

Non aveva importanza, non più ormai.

Levai gli occhi al cielo: era diventato nero come la pece, riuscivo a scorgere qualche stella tremolante in lontananza, offuscata dalla luce del lampione poco distante da me, da noi. Una folata di vento mi scompigliò i capelli e mi fece rabbrividire. Sorrisi, chiudendo gli occhi, cercando di riportare alla memoria i miei amici, Zayn, Liam, Louis, il mio piccolo Niall, i miei genitori. Com’era semplice la vita solo un anno fa: ancora non ero consapevole della mia omosessualità, giravo allegro e gioioso per le strade di Holmes Chapel giurando a me stesso che nessuno sarebbe mai riuscito a portarmi via quella felicità immensa. Illuso. “Svegliati Harry! Si cresce prima o poi!” avrei voluto urlarmi tornando indietro. Ma forse era giusto così, anzi, sicuramente. Udii un battito di ali e subito dopo un piccione si posò delicatamente sul muretto davanti a noi, piantando i suoi occhietti scuri nei miei. –Portami via da qui, ti prego- pensai. –Portami in un paese sconosciuto, affinchè possa ricominciare tutto da capo-. Un singhiozzo interruppe i miei pensieri. Solo dopo qualche minuto (o qualche ora, chissà) mi accorsi che le mie guance ospitavano una cascata inarrestabile di lacrime salate, salate come la mia anima, se ancora ne avevo una. Appoggiai una guancia al cemento freddo su cui ero disteso, chiudendo gli occhi e sperando ardentemente dentro di me di risvegliarmi in fretta e ritrovarmi nella mia camera, con mia madre di fianco ad accarezzarmi amorevolmente la testa.

Ma ormai non sentivo più niente.

Non sentivo lo squarcio lungo e profondo nella gamba.

Non sentivo i graffi sulla schiena e sulla faccia.

Non sentivo le brutali spinte dell’uomo dietro di me che mi violentava.

Non sentivo i risolini di apprezzamento degli altri due.

Non avevo né freddo né caldo.

Mi avevano svuotato di tutto.

 

 

Pov. Zayn

Dove. Diavolo. Era. Erano ormai scoccate le nove e mezza e io stavo aspirando nervosamente la mia milionesima sigaretta. Mi aveva preso per il culo? Pregai per lui che non fosse così, che il giorno dopo mi avrebbe dato una motivazione più che valida per la sua assenza al nostro appuntamento. Cosa stava succedendo a quel ragazzo, quello che meno di tre mesi prima era il mio più fidato amico, compagno di sventure e avventure, il mio sostegno personale nei momenti di difficoltà e amico di sfogo. Dov’era? Non lo trovavo più, l’avevo irrimediabilmente perso. Non era più così solare e sfacciato, non aveva più quella sicurezza con cui mi dava la carica ogni giorno e, cosa più importante, sembrava non si fidasse più di me. Non ci capivo dentro più nulla, merda! Mi accorsi solo in quel momento di star tremando violentemente; come prova del nove, mi portai la mano in viso toccandomi il naso e trovandoci al suo posto un cubetto di ghiaccio. Come pensavo. Se fossi rimasto cinque minuti di più, mi sarei trasformato in una scultura di ghiaccio. Così mi raddrizzai e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata intorno, mi avviai a casa, deluso e infreddolito.

 

 

Pov. Axel

Camminavo a passo sostenuto, impaziente di giungere a casa e sbattere la porta in faccia a quel freddo maledetto che mi stava divorando le budella. Ero di ritorno dalle poste, dove avevo ritirato i soldi che “gentilmente” i miei genitori mi spedivano ogni mese per mantenermi. Che carini. Inciampai sbattendo il piede contro un sasso e imprecai al dolore causato dal contatto delle dita dei piedi (pressoché congelate) con la punta della scarpa. Raddrizzandomi, ripresi la mia corsa, stringendomi ancora di più nella giacca e portandomi la borsa al petto con la speranza di ripararmi almeno un po’ da quegli spifferi insolenti che si insinuavano sotto la mia maglietta giungendo a contatto con la pelle. Finalmente, svoltato l’angolo, vidi in lontananza la palazzina disastrata in cui vivevo, e portai la mano nella tasca per prendere le chiavi, gesto che mi provocò una smorfia di dolore giunto dal braccio che quello stronzo figlio di papà di Zayn mi aveva quasi rotto. Ero ancora scandalizzata. Ma non per il suo comportamento, sia chiaro! Ma per il semplice motivo che mi ritrovavo ancora a scandalizzarmi per persone del genere, ecco tutto. Ormai avrei dovuto farci l’abitudine ad incontrare gente come lui, e invece…

Salii sul marciapiede su cui si affacciava il portone, inserii la chiave nella toppa e… mi bloccai di colpo, atterrita. Dei gemiti. Delle risate. Ancora dei gemiti. Voltai la testa, lentamente, lasciando le chiavi lì dov’erano, e mi avvicinai con la medesima velocità ad un cunicolo molto stretto, di cui riuscii a vedere l’entrata solo grazie ad un lampione poco lontano. Presi telefono e spray al peperoncino in mano, buttai la borsa in un angolo e mi affacciai cautamente verso la stradina.

Mio Dio… lo spettacolo che mi si presentò davanti agli occhi mi fece rivoltar lo stomaco: Harry, lo stronzo compare di Zayn, era buttato a terra, con una gamba da cui uscivano fiotti di sangue e circondato da tre uomini che ridacchiavano eccitati, di cui uno spingeva violentemente dentro di lui. Discostandomi dalla mia postazione cominciai a pigiare freneticamente i tasti del telefono per chiamare la polizia, ma… mi fermai, il sangue raggelato improvvisamente nelle vene. Harry era immobile, con gli occhi chiusi e con una faccia più pallida di un foglio di carta bianco. E se… no, non ci volevo neanche pensare. Non c’era tempo per chiamare la polizia, forse dopo, ma ora la priorità era salvare quel ragazzo. Presi un respiro profondo, mi aggiustai il seno, mettendolo in bella evidenza, spinsi fuori il sedere, assunsi un’aria da oca giuliva (vale a dire occhi vacui e stupidi ed un sorriso da ebete) e la puttanella era pronta. Afferrai lo spray e, sicura, mi diressi verso quegli uomini. I due che tenevano Harry non mi videro neanche e l’altro men che meno, visto che mi era di spalle.

“Ehm, scusa…”

Lo chiamai con una voce da rincretinita, picchiettandogli sulla spalla con un dito per farlo girare.

“Ma che vu…”

Non fece in tempo a finire di parlare. I miei occhi ritornarono vigili e scattanti, la mia mano saettò verso la sua faccia e una nuvola di peperoncino lo pervase, facendolo allontanare dal ragazzo. Di riflesso, vidi un pugno (appartenente ad uno degli altri due) avvicinarsi velocemente al mio viso. Lo schivai e, prendendo come vantaggio la slancio dell’aggressore, gli rifilai una ginocchiata in pancia e anche questo finì con gli occhi colmi di spray. Improvvisamente mi sentì circondare la vita da un paio di braccia forti che mi strinsero ad un corpo ugualmente corpulento, facendomi mozzare il fiato. Con grande sforzo, riuscii a liberare un braccio e, con tutta la forza che mi era rimasta, gli tirai una gomitata sulla tempia. Questo, mollata la presa, vacillò per qualche istante, finendo poi disteso sul pavimento, incosciente. Rimasi in piedi con i pugni ancora stretti sui fianchi e la faccia inferocita osservandoli con odio, intenta a riprendere fiato.

“Luridi invertebrati schifosi.”

Mormorai disgustata, rimettendomi apposto la giacca. In quel mentre, sentii uno sguardo che mi perforava la nuca. Girata la testa verso la presunta direzione, vidi un paio di occhi arrossati piantati nei miei. Ebbi un fremito. Questi occhi, dai quali trapelava ancora un po’ di verde brillante, erano vuoti, senza fondo, senza espressione. Non sapendo cosa fare, attesi che fosse lui a compiere la prima mossa, come, per esempio, rivestirsi, ma non mosse un muscolo. Stava li, guardandomi, per terra. Con cautela, andai a recuperare i suoi jeans gettati ad una cosa come due metri di distanza e glieli porsi, lentamente. Nulla. Non dava segno di volersi muovere o parlare. Io non avevo idea di cosa fare: già nelle relazioni comuni non andavo alla grande, poi rapportarmi con uno che era appena stato violentato mi riusciva ancora peggio. Non so quanto stemmo li ad osservarci, in silenzio, fatto sta che alla fine, chinandomi, sussurrai con il tono più dolce che riuscissi a sfoderare un “vieni, ti aiuto io”, lo presi per le braccia e lo feci appoggiare su di me, tirandogli su le mutande e coprendogli le gambe con la mia giacca. Lui stava immobile, mi osservava e si faceva manovrare come un burattino.

“I-io… ascolta, ora chiamo l’ambulanza e la polizia, va bene?”

Per la prima volta in quella che mi sembrò un’eternità, fece saettare gli occhi in basso e scosse la testa violentemente.

“No… non l’ambulanza… non ancora.”

A malapena lo sentii. Sembrava stessa parlando più con se stesso che con me.

“Va bene, va bene.”

Non aggiunsi altro e lo portai semplicemente in casa mia, facendolo sedere su un divanetto color prugna marcia. Sempre senza dire una parola, presi il telefono e chiamai la polizia, denunciando tre pericolosi delinquenti nella zona periferica di Holmes Chapel. Sospirando, recuperai uno straccio ed un catino d’acqua e li portai ai piedi di Harry, che aveva appoggiato la testa su un bracciolo del divano e teneva gli occhi chiusi. Delicatamente, scostai dalla gamba un lembo di tessuto dei boxer e mi misi a tamponargliela, attenta a non fargli male. Lui sussultò e aprì leggermente gli occhi, osservando il mio lavoro.

“Cosa ti hanno fatto…”

Sussurrai a me stessa, conscia del fatto che Harry non mi avrebbe risposto. Il taglio era molto profondo e non sembrava voler smettere di sanguinare, così dopo averlo ripulito gli legai lo straccio ben stretto intorno alla coscia e ne presi un altro. Sfiorando un braccio al ragazzo, lo feci voltare verso di me e gli annuii per farlo alzare. Lui, sempre come un automa, mi obbedì e, una volta in piedi, gli sfilai la maglietta e ripulii anche le ferite che aveva sulla schiena. Poi, gentilmente, mi alzai in punta di piedi e, con una spugnetta, gli tolsi la terra da qualche graffio che aveva anche in faccia. Una volta finito di soccorrerlo, mi misi a sedere e, affondando la faccia nelle mie mani sporche, gli sussurrai, senza guardarlo:

“Adesso però devi andare in ospedale Harry, non puoi far finta che non sia successo niente. Quella gamba ti andrà in cancrena se non fai qualcosa e, credimi, in ospedale ci finirai comunque, per il volere di qualcun altro.”

Harry mi guardò e balbettò in un unico soffio un “No, ti prego, no… no…” senza quasi muovere le labbra. Io, spazientita (infatti di me si poteva dire tutto ma non che fossi una persona paziente ed apprensiva), afferrai il suo telefono e, girando nervosamente per la camera, mi misi a cercare in rubrica. Zayn. Eccolo. Uno squillo, due squilli, tre sq…

“Harry, ma sei stronzo?! Si può sapere che fine hai fatto?! Ti ho aspettato per un’ora e mezza, UN’ORA E MEZZA! E poi ti sembra l’ora di chiamare? A mezzanotte?!”

Ops.

“Non sono Harry.”

Silenzio.

“E chi cazzo sei?!”

“Axel, quella a cui hai quasi spaccato il braccio.”

Pausa.

“Nooo! Harry si è portato a letto pur…”

“Senti, non ho davvero né voglia né tempo da sprecare con te, quindi ascoltami” tagliai corto, stanca e dolorante, portandomi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi, sfinita “Non so come dirtelo, quindi sarò il più concisa e diretta possibile: Harry è stato stuprato.”

Milionesimo silenzio. Mi girai verso il ragazzo, ancora in piedi, senza maglietta e senza pantaloni, che era concentrato a guardare una macchiolina del muro. Mi avvicinai a lui e gli poggiai una mano sulla spalla, facendolo sussultare, lo spinsi delicatamente verso il basso e lo feci sedere. Una smorfia di dolore si dipinse sul suo volto e capii che quella non era la posizione migliore, così gli sollevai le gambe e, spingendolo nuovamente, lo feci coricare. Lui, facendo ciò che io gli imponevo con i gesti, mi ubbidì e, lanciandomi un’ultima occhiata vacua, sembrò addormentarsi.

“I-in che senso stupr… oddio… quando? Come?”

Zayn mi rispose con voce tremante e a stento lo capii.

“Il senso è quello che ti ho detto. Stasera e per quanto riguarda il come… sicuro di voler sapere i dettagli?” Mi accorsi solo dopo aver dato voce ai miei pensieri di essere stata davvero troppo rude ed insensibile. D'altronde, anche se due stronzi, erano pur sempre amici e sapere una cosa del genere non doveva far esattamente piacere. Così, sospirando, gli dissi più con calma e sforzandomi di non mandarlo a cagare per la storia del braccio:

“Ascolta, adesso Harry è qui a casa mia, ma mi sembra, ecco, sotto shock o qualcosa del genere. Gli ho detto che avrei chiamato l’ambulanza, ma lui non ha voluto. Non mi sento di forzarlo in alcun modo ora come ora, soprattutto dopo quello che gli è successo. Adesso ti do il mio indirizzo e tu vieni qua, io non so più cosa fare. Ah, senti Zayn, dovresti davvero darti una mossa perché anche fisicamente non è messo bene e ho paura che ciò potrebbe peggiorare ancora di più la situazione.”

Sentii un sospiro all’altro capo del telefono, forse uno sforzo per reprimere le lacrime e, finalmente, rispose.

“S-si, arrivo il più in fretta possibile. Ah, Axel” sentire il mio nome pronunciato dalla sua bocca mi fece aggrottare la fronte in segno di disapprovazione, ma lasciai correre.

“Si?”

“Perché non hai chiamato i suoi genitori?”

“Perché…” Mi voltai a guardare Harry, che sembrava dormisse profondamente “Perché non so se voglia farglielo sapere proprio ora e, anche se so che è sbagliato perché i suoi genitori sono le prime persone che dovrebbero essere informate, rispetto sempre le decisioni degli altri, soprattutto se non mi riguardano; inoltre… no, niente. Sbrigati.”

E così dicendo chiusi la linea, non dandogli il tempo di rispondere. Massaggiandomi il braccio, andai verso un comodino e vi appoggiai il telefono, con cautela per non far svegliare il ragazzo. Dopo, in silenzio, mi inginocchiai posando una coperta di lana sul corpo distrutto di Harry e gli sussurrai all’orecchio, incerta:

“Adesso sta arrivando Zayn, okay? Stai tranquillo e dormi un po’, io vado a farmi una doccia e dopo, che tu lo voglia o no, ti portiamo dritto all’ospedale.”

Lui strizzò impercettibilmente gli occhi ma rimase immobile, non rispondendomi. Stancamente, mi trascinai verso il bagno e chiusi la porta, spogliandomi. I vestiti erano umidicci del sangue di Harry e puzzavano di paura allo stato puro. Li misi a mollo in un catino colmo di acqua e sapone e mi gettai a mia volta in una cascata di bolle, determinata a lavarmi di tutto quel male che già avevo visto e che mi si era ripresentato proprio quella sera.

 

Pov. Zayn

Harry, cosa ti hanno fatto?

Camminavo velocemente per i vicoli bui della città. Fortunatamente, quella era una delle sere in cui i miei genitori erano in chissà quale posto del globo ad arricchirsi, così non dovetti dare spiegazioni a nessuno per la mia uscita fuori programma. Il mio amico, il mio migliore amico… stuprato. Non riuscivo neanche a pensare quella parola, odiosa alla mia mente. Solo in quel momento mi resi conto di come avevo e stavo trattando Harry tutt’ora, come se fosse un giocattolo privo di sentimenti, come se fosse solo a mia disposizione ed esistesse solo per assistermi. Era tutto sbagliato. Mi odiavo per quello che gli avevo fatto passare e odiavo più di ogni altra cosa il fatto che c’era stato bisogno di uno stupro, uno schifosissimo stupro, per farmelo capire. Pieno di odio, terrore e disgusto, mi strinsi nel giaccone come per nascondermi da quei pensieri e affrettai il passo verso l’indirizzo della ragazza.

 

 

Pov. Axel

Uscii dalla doccia, corroborata da quel dolce calore, mi strinsi nell’asciugamano e andai in camera da letto, infilandomi un paio di pantaloni della tuta ed una canotta nera. Mi stavo asciugando i capelli, intenta a sciogliere un nodo, quando sentii dei singulti, dei singhiozzi… un pianto. Perplessa, appoggiai il phon sul letto e, con ancora i capelli fradici, tornai in sala. La coperta era abbandonata sul divano e una leggera striscia di sangue delineava un percorso preciso. La seguii, timorosa di trovare qualcosa che non mi sarebbe per niente piaciuto, e così fu: Harry, coperto solo dai boxer, piangeva sommessamente, raggomitolato in un angolo, con le ginocchia strette al petto e il torace scosso da profondi singhiozzi. In quel momento, l’avrei definito come una pallina di carta stagnola gettata nel cestino. Titubante, mi inginocchiai davanti a lui e gli dissi:

“Ehi, ascolta, adesso arriva Zayn, stai tranquillo okay?”

Merda Axel, quello era il meglio che sapessi fare?! Si, schifosa vocina di merda, si. Sospirando, feci un passo indietro pronta a lasciarlo lì fino all’arrivo dell’amico, ma il ragazzo fece una cosa che mi lasciò sbalordita: i suoi occhi, ridotti a due fessure, apparvero da sotto un avambraccio e, dopo alcuni istanti, si lanciò in avanti, circondandomi le spalle con le braccia ed affondando il viso nel mio incavo del collo, accucciandosi contro di me. Io, senza parole per quel contatto inaspettato, indietreggiai, fino a sbattere la schiena contro una parete, ma lui niente, mi si era incollato addosso. Io avevo le gambe ripiegate sotto il sedere, mentre le sue erano stese sul pavimento, tremanti. Lo guardai per qualche minuto, immobile, incerta se spingerlo via e andarmene oppure se… Axel, dio santo! Un po’ di umanità! Dolcemente, gli avvolsi le braccia intorno al busto e cominciai ad accarezzarlo, con l’intenzione di calmarlo.

“Shh, ehi… è tutto apposto, stai tranquillo.”

Tutto apposto un tubo.

Era da mesi che non mi sbilanciavo così tanto, emotivamente intendo. Dalla bocca di Harry continuavano ad uscire singhiozzi disperati e ben presto la mia maglietta fu bagnata delle sue lacrime. Non sapevo cosa fare, non sapevo dove toccarlo per rassicurarlo (oltre che per non fargli male), non sapevo un accidenti di niente! Titubante, gli portai una mano sulla guancia e cominciai a lasciargli leggere carezze lì. Il ragazzo chiuse gli occhi (rituale che si era ripetuto una centinaia di volte ormai, quella sera) e si abbandonò alle mie mani, fino a regolare sia il respiro, sia la mente, perché si addormentò, stringendomi. Lo guardai in faccia e constatai che, pur apparendo stronzo, era fragile, la creatura più fragile che avessi mai visto e guardarlo dormire, lontano per un prezioso istante da tutto ciò che aveva passato quella serata (e, forse, in quegli ultimi mesi), mi fece sentire… leggera. Sorrisi, continuandogli ad accarezzare la guancia con una mano ed una spalla con l’altra, non notando una figura in piedi davanti a noi. Solo dopo qualche minuto, disincantandomi dal viso tranquillo del ragazzo, me ne resi conto, alzando di scatto la testa, pronta a tutto. Zayn era appena dopo la porta di ingresso e osservava con occhi lucidi e colmi di rabbia il corpo sfigurato dell’amico.

“Harry…”

Sussurrò, avvicinandosi e chinandosi su di lui.

“Shh, non fare troppo rumore. È un miracolo che si sia addormentato.”

Dissi sotto voce, arrabbiata che mi avesse visto in un mio momento di debolezza. Alzò gli occhi, come se si fosse accorto solo allora della mia presenza, e appoggiò una mano sulla schiena del ragazzo, svegliandolo. Harry ruotò gli occhi fino ad incontrare i suoi, riempiendosi nuovamente di lacrime.

“Zayn, forse è meglio portarlo sul divano.”

Dissi, discostandomi dal giovane e lasciando che l’amico gli mettesse una mano dietro la schiena, permettendogli di portarlo in braccio sul divano.

“Chiamo l’ambulanza allora?”

Zayn, senza neanche guardarmi, occupato ad accarezzare Harry sulla testa, mi annuì, dandomi finalmente l’okay di chiamare quel maledettissimo e benedettissimo numero.

 

 

 

 

Gentee! J

Dunque, affrontiamo le cose per punti: RECENSIONI/SEGUIMENTI/PREFERITI…. Ringrazio con tutto il cuore le persone a cui appartengono le 6 recensioni e le 4 anime generose che mi hanno aggiunta ai preferiti. GRAZIE DAVVERO, è bellissimo leggere opinioni sulla storia (comprese ovviamente anche le critiche!).

Storia: che dire? Eccola qua! Lo so, è un capitolo intero dedicato solo alle emozioni dei personaggi e “all’inconveniente” (e chiamalo inconveniente!) di Harry, ma sinceramente penso mi sia venuto piuttosto bene, anche perché sono orgogliosa delle figure di Harry ed Axel. Si insomma, per ora sono i miei personaggi preferiti, ma ho un bel progettuzzo anche per gli altri (soprattutto per uno che inizia con la Z e finisce con YN!), non temete!

Spero sia di vostro gradimento il modo in cui sto sviluppando la storia, continuate a dirmi cosa ne pensate (dal “wooo stupenda!” al “che schifo…” :D) e… BUONA LETTURA! <3

Andrea

Ps. Ripropongo la canzone Crawling back to you  dei Daughtry. È da questa che è nata Axel, sappiatelo!

 

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Capitolo 4
*** Only thank you. ***


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Pov. Grace

Guardavo con occhi spalancati e mascella a terra il tabellone degli orari, rassegnata al fatto che già il primo giorno di scuola sarei arrivata in ritardo. I corridoi brulicavano di studenti e ogni due secondi ero costretta a ripararmi gli occhi con la mano dalla spessa cortina di fumo che riempiva il piano terra. E voi intanto vi starete dicendo: ma questa che c’entra nella storia? Ogni cosa a suo tempo. Per ora vi basti sapere che il mio nome è Grace, ho 14 anni (quasi 15, fra un mese per la precisione), un’autostima pari a quella di un opossum morto, estroversa come un cane bastonato e, per ultimo, che sia le mie amiche sia i miei genitori mi dicono che sono molto bella (ma, ovviamente, io non ci credo). Cosa ci facevo in questo paesino? Bhe, i miei genitori (e quindi automaticamente anche io) si erano trasferiti ad Holmes Chapel perché la nostra vecchia casa era troppo piccola; così, avendo adocchiato l’offerta di un delizioso trilocale sul giornale proprio in questo paese, avevano fatto su valige e pacchetti e da un giorno all’altro mi ero ritrovata qui. Non che la cosa mi dispiacesse, anzi! Ma il fatto di dovermi praticamente fare nuovi amici, bhe… diciamo che mi creava un po’ di problemi, ecco. L’unica mia fortuna in questo era che, essendo solo al primo anno ed a metà di esso, quasi sicuramente nella classe non si erano già formati gruppetti, o almeno speravo ardentemente che fosse così. Ritornando a noi: fissavo quelle migliaia di caselline stampate sul tabellone contenenti ognuna il nome di una prof, un determinato anno e una sezione, incolonnate ordinatamente in verticale sotto il giorno di una settimana, in orizzontale secondo le varie ore, mentre cercavo di non scagliare la borsa per terra e mettermi ad urlare per la disperazione (e la stanchezza). Ad un certo punto mi voltai e vidi una ragazza che calzava ai piedi delle Dr. Martens seguite da un paio di calze a rete nere e, per finire, una maglietta molto larga con stampati su due bambini piccoli che si baciavano. Doveva avere almeno tre anni più di me ma, nonostante questo (dato che spesso e volentieri ero restia ad avvicinarmi a ragazzi/e più grandi di me), mi ispirava fiducia e, cosa più importante, non era circondata da un gruppo di studenti ma bensì era in completa solitudine mentre cercava di leggere un romanzo dall’aspetto piuttosto sciupato e ogni tanto aspirava una boccata di fumo dalla sigaretta che reggeva con l’altra mano. Stampatomi un sorriso a trentadue denti in faccia, mi avviai verso di lei, speranzosa.

 

 

Pov. Axel

“Agitando le due braccia con smisurate imprecazioni urlò a distesa: - Sì, sì! e le darò la caccia oltre il Capo di Buona Speranza, al di là di Capo Horn, al di là del grande Maelstrom di Norvegia, oltre le fiamme della perdizione, prima di abbandonarla."

Sebbene fosse sempre stato chiaro a tutti coloro che mi circondavano (e a me per prima) che la lettura non era né una mia priorità né una passione sfrenata, quel romanzo, Moby Dick, mi attirava a se in un modo che neanche io riuscivo a spiegare. Sarà stata, quale, forse la nona volta che lo rileggevo? Si, e ogni volta mi soffermavo e rivedevo più punti, riflettevo sul significato profondo delle parole che più mi colpivano, mi annotavo delle frasi su un quaderno. Era un sensazione… magica, definirei.

“Ciao.”

Spostai appena lo sguardo dal libro ed incontrai gli occhi nocciola di una ragazzina sui 15 anni imbambolata di fronte a me. Era visibilmente più bassa di me di almeno una spanna, aveva una bocca sottile e delicata e degli occhi dalla forma molto bella (ricordavano vagamente quelli di un gatto); due fattori colpirono particolarmente la mia attenzione: i capelli castani, tagliati a spazzola per tutta la testa fatta eccezione per un ciuffo riccio che le cadeva sul lato destro e… un paio di Dr. Martens nere. Sebbene fossi altamente infastidita per l’interruzione della mia lettura, mi imposi di essere gentile con quella ragazzina così timida (lo notai dal fatto che si stava torturando una mano e si mordeva nervosamente il labbro inferiore).

“Si?”

Alla mia risposta garbata, si aprì in un sorriso esageratamente grande e mi porse la mano, più sicura.

“Piacere, io sono Grace! Scusami se ti disturbo ma è il mio primo giorno di scuola e non capisco un accidenti! Voglio dire, la mia classe dovrebbe essere la 1^E, ma non riesco a capire dove sia l’aula.”

Le strinsi la mano e mi presentai, con la fronte leggermente aggrottata nel tentativo di capire chi rispecchiasse in modo vagamente uguale questa Grace. Ma certo… Me!

“Piacere, sono Axel. Guarda la 1^E, se non sbaglio, dovrebbe essere al secondo piano. Lì troverai delle commesse che ti diranno dove andare…”

La mia voce si affievolì mano a mano che parlavo, poiché mi accorsi che quella ragazza stava recependo molto distrattamente le mie informazioni: in pratica, io stavo parlando con la sua nuca, mentre occhi bocca e orecchie erano girate verso un gruppetto di ragazzi (a pochi metri da noi) e verso uno in particolare.

“Carino eh?”

Domandai, ironica, stravaccandomi nuovamente sul calorifero con un sorriso sbilenco e pronta a ritornare alla mia lettura. Giustamente la mia ironia non venne colta e Grace, sentendo le mie parole, si girò leggermente viola in volto e balbettò:

“B-bhè è… carino, si. Lo conosci?”

Annuii, distrattamente, mentre finivo il mozzicone di sigaretta e lo gettavo via. Il suo volto si illuminò e il sorrisone fece nuovamente capolino sul suo viso da bambolina.

“Davvero? Che fortuna!”

Si vedeva lontano un miglio che in quel momento la ragazza ambiva ad ottenere più informazioni possibili su quel misterioso-sexy-uomo e che l’aula da raggiungere era andata a farsi benedire. Esteriormente, sospirando ma con un sorrisino in faccia, mi misi ancora più comoda sul calorifero e mi preparai ad una fucilata di domande, interiormente mi stavo spanciando dal ridere. “Che fortuna!”… dipende dai punti di vista, mettiamola così.

“Ma… come si chiama?”

Appunto.

“Louis.”

“Sai quanti anni ha?”

Ahh povera ragazza.

“19 all’incirca.”

“Che classe fa?”

Molto probabilmente, dall’espressione che fece, si morse la lingua dopo aver capito di starmi sottoponendo ad un interrogatorio e abbassò lo sguardo, sempre più viola/bordeaux. Io, sebbene mi fossi divertita nel vedere i suoi ormoni impazziti alla vista del ragazzo, avevo esaurito la mia scorta di pazienza, così le dissi (e subito dopo non ne andai fiera), per levarmela dalle scatole:

“Guarda, perché non chiedi a lui informazioni su come raggiungere la classe? Sono sicura che ti farebbe più piacere conversare con lui invece che con me.”

Grace era completamente nel panico, da una parte forse perché pensava di avermi offesa, dall’altra perché ora che gliel’avevo proposto, non poteva tirarsi indietro dal parlare con il ragazzo (probabilmente mi avrebbe dimostrato di essere una ragazza sicura di se e decisa). Io, sorridendole, attesi e lei, dopo aver deglutito, mi ricambiò il sorriso e si diresse verso il gruppo di ragazzi. In quel momento, Louis stava ridendo fragorosamente appoggiato alla spalla di Liam, mentre Zayn li guardava ridacchiando e Harry…

“Ehm ciao…”

La ragazza gli si piantò davanti reggendo con entrambe le mani la borsa a tracolla e spostando di continuo lo sguardo per tutto il corridoio, attendendo una risposta. Louis asciugandosi una lacrima e sempre con la mano appoggiata sulla spalla dell’amico si girò, piantandole gli occhi addosso. Con un sorriso arrogante la squadrò dalla testa ai piedi mentre anche gli amici (escluso Harry) si sporgevano per osservarla, anche loro ridacchiando. La ragazza, forse al limite della tensione, aprì la bocca per dire qualcosa ma venne zittita dalla voce altezzosa di Louis che diceva:

“Tesoro guarda sei gnocca, ma quelle due cosette che hai li sopra cosa dovrebbero essere? Ti potrò accontentare magari tra un po’ di tempo, quando vedrò degli sviluppi, ci stai? E poi scusa, ma quanti anni hai, nove?”

Così dicendo le indicò il seno (effettivamente poco sviluppato) con una mano appoggiandosi l’altra sul fianco e, terminata la frase, provocò uno sghignazzamento quasi generale del gruppetto. Vidi Grace abbassare ancora di più lo sguardo, confusa, con il labbro inferiore tremante e, dopo aver pronunciato un sommesso “Scusate…” girò i tacchi e si avviò quasi correndo verso il secondo piano. Louis si girò ridacchiando e commentando l’accaduto con gli amici. La campanella suonò ed io, preso lo zaino, mi avvicinai al gruppo, come aveva fatto poco prima la ragazzina ma con la differenza che io ero più grande, più alta e più irascibile, e passandogli di fianco piantai gli occhi in quelli di Louis sussurrandogli:

“Complimenti, davvero galante.”

Lui mi guardò con uno sguardo impenetrabile e si avviò senza dire una parola verso la sua classe, ma prima si beccò un ghigno derisorio da parte mia. Io, ancora sogghignando, voltai la testa ed andai a sbattere contro il petto di Zayn, che mi “parò” stringendomi i polsi con le mani. Lui, a differenza di Louis che in altezza mi eguagliava, mi superava di almeno dieci centimetri, o almeno quanto bastava affinchè io potessi sentire sulla nuca il suo respiro pesante. Dalla serata… da quella serata, avevo leggermente cambiato opinione su di loro: ora, soprattutto con Zayn, comunque non ci calcolavamo (o non lo calcolavo?), ma i conflitti erano finiti. Ci ignoravamo, ecco tutto. In quel momento sentivo i suoi occhi su di me e le sue mani che allentavano la presa ma che non avevano intenzione di mollarla. Tranquillamente, anche se un po’ infastidita da quell’insistente contatto, mi scansai e, mostrandogli un sorriso palesemente finto, gli diedi una forte pacca sulla spalla riprendendo il mio tragitto. Arrivata alla porta della classe, stavo per entrare quando, di punto in bianco, mi ritrovai a contendermi il passaggio per quell’angusta porticina con un’altra persona. Alzai la sguardo ed incontrai quello vitreo di Harry che, fermo con le mani in tasca, attendeva che io passassi.

“Vai pure.”

Gli dissi fermandomi. Il ragazzo non mi aveva più rivolto la parola da quando me n’ero andata dall’ospedale, due settimane prima, lasciandolo nelle mani dei medici e degli amici…

 

FLASHBACK

L’ambulanza sfrecciava per le stradine di Holmes Chapel, agile nel muoversi tra le altre macchine, colorando di un blu elettrico alternato ad un rosso brillante i bui viottoli addormentati della città, senza però emettere alcun suono. Le ruote stridevano di tanto in tanto e, all’interno, i vari macchinari collegati ad Harry sobbalzavano. Il ragazzo era steso su una barella di ferro con la testa fasciata e la gamba bendata in modo molto arrangiato, in attesa di arrivare all’ospedale. Guardandolo dall’esterno, il suo viso trasmetteva una sensazione di grande tranquillità, rilassato nel tepore del sonno, mentre il petto si alzava ad intervalli regolari. Ma l’apparenza, purtroppo, inganna. Io, seduta su uno sgabello di fianco alla barella, tenevo stretta la mano di Zayn, appoggiata sul mio ginocchio, mentre la mia testa era debolmente appoggiata tra la sua spalla destra e il suo collo. Come ci ero finita in quella posizione? Probabilmente in un altro momento il solo pensiero di trovarmi in una posa del genere con qualunque essere umano (quindi figuriamoci con Zayn!) mi avrebbe provocato ribrezzo, ma in quel momento io ero stremata e lui sembrava distrutto psicologicamente. Di tanto in tanto… no, a dirla tutta, SPESSO, ci fissavamo negli occhi anche per minuti interi e, quando vedevo che era palesemente sul punto di cedere, gli stringevo forte la mano e ritornavo nella mia posizione supina. Senza neanche accorgercene, da seduti in un’ambulanza ci ritrovammo a correre dietro alla barella con su Harry che sfrecciava per le corsie di un orrendo ospedale. Di punto in bianco, noi due eravamo gli unici in tutto il corridoio: senza accorgercene, il ragazzo era stato trascinato dagli infermieri in una sala e una pesante porta color verdastro ci si era chiusa in faccia, lasciandoci lì in piedi. Trascinando i piedi, ci andammo a sedere. Dopo forse un millennio, vidi Zayn muoversi e sprofondare la faccia nelle mani, sospirando. Con uno sforzo immane riuscii a raddrizzare la testa e gli presi una mano.

“Ehi, guarda che Harry è un ragazzo forte! Ce la farà, vedrai!”

Axel, ma che cazzo stai dicendo?! Primo, ce la farà a far cosa? Secondo, come fai a sapere che è un ragazzo forte?!  Zitta, vocina di merda.

“E tu che ne sai?” Appunto.

Sentii a malapena queste parole uscire dalle mani del ragazzo in cui la faccia era stata inghiottita. Sospirai, mettendomi in piedi e stiracchiandomi.

“Zayn, è una frase fatta… vedi di collaborare, su.”

Dissi, con un tono da stocercandodiaiutartiedinonandarmeneacasaadormire barra nonromperelepalle e, inaspettatamente, lo feci ridere. Raddrizzò il busto per poi accasciarsi contro lo schienale della sedia, osservandomi con sguardo mesto, distratto e sorridente. Si, quel ragazzo era un mosaico di emozioni.

“Vieni qui, ti prego…”

Mi sussurrò, allungando le mani ed aspettando che io mi sedetti sulle sue ginocchia. Sbagliato.

“Aspetta… ho un’idea migliore.”

Facendo una smorfia buffa (un po’ per lo sforzo, un po’ per la stanchezza e, chissà, forse anche per il tentativo di farlo sorridere), mi infilai una mano dietro la schiena, feci qualche saltello sul posto e, con una faccia esageratamente trionfante, mi sfilai il reggiseno blu e glielo lanciai in faccia.

“Tò, coccola questo!”

Lui, confuso, sollevò quello strano pezzo di stoffa e, dopo esserselo rigirato per un po’ nelle mani, strabuzzò gli occhi e quasi si strozzò con la lingua.

“Ma è un reggiseno!”

“Complimenti per la perspicacia! Cosa pensavi mi sarei tolta dalla schiena, un cactus?!”

In quel momento si creò una sorta di paradosso nella mia vita: non avevo praticamente né una casa né una famiglia né degli amici, solo me stessa, ero stanca da far schifo e avevo appena assistito ad uno stupro. Eppure ridevo. Ridevo sguaiatamente in un triste ospedale, attendendo che ci dessero informazioni riguardo la salute di un ragazzo violentato, in compagnia di un bulletto di prima categoria. Ridevo, punto, senza pensare ad altro. Ad un certo punto però vidi il volto di Zayn trasformarsi completamente: gli occhi divennero lucidi, le labbra si incurvarono in una smorfia e le mani corsero sulla sua fronte per sorreggerla. Mi avvicinai e, chinandomi, gli presi un braccio, senza dire una parola, solo per confortarlo. Era lo scopo della mia esistenza, lo era sempre stato: soccorrere e preoccuparmi degli altri senza ricevere mai nulla in cambio, solo diffidenza e distaccamento. Nessuno mai si era curato della mia salute, del mio benessere, se avessi fame o sonno, la febbre o la tosse, se fossi innamorata… mai. E io mi ero adattata, trasformandomi lentamente in una ragazza già vecchia, diffidente all’inizio, per poi congelare definitivamente il mio cuore e buttarci sopra una colata di cemento armato. Nessuno sarebbe più riuscito a scaldarmelo, era una promessa che mi ero fatta molto tempo prima. Mentre eravamo in quella posizione, sentimmo dei passi provenire da dietro e ci voltammo: Louis e Liam stavano percorrendo il corridoio diretti verso di noi e dagli occhi trapelava ansia allo stato puro. Mi voltai confusa verso Zayn.

“L-li ho mandato un messaggio prima, in ambulanza.”

Mi rispose con tono flebile e si staccò da me, alzandosi, per andare incontro agli amici. Si abbracciarono e cominciarono a parlare tra di loro, senza degnarmi di uno sguardo. Andarono avanti così per una mezz’ora buona e ad ogni minuto che passava io mi incazzavo sempre di più. Alla fine, stanca e delusa, mi alzai e imboccai la porta d’uscita dell’edificio. Complimenti, davvero complimenti. Avevo affrontato tre uomini da sola, chiamato la polizia, occupatami di informare un amico, contattato un’ambulanza e tutto per un ragazzo che neanche conoscevo e in cambio non avevo neanche ricevuto un “Grazie” o “Tu stai bene?”. No, non stavo bene, cazzo. Mi ficcai le mani nelle tasche, pronta per tornare a casa a piedi, quando una mano mi fermò e una figura mi si parò davanti. Liam.

“Che vuoi?”

“Abbiamo visto che te ne sei andata, così pensavo di riaccompagnarti a casa.”

“Che carino, ma guarda non ce n’è bisogno, davvero.”

Risposi più o meno gentilmente, cercando di mantenere un tono calmo e controllato e riprendendo il cammino. Ancora una volta, delle mani mi bloccarono e io mi voltai sbuffando.

“Forza, muoviti, la macchina è dietro l’angolo.”

Senza che potessi rispondere, Liam mi prese il braccio e cominciò a trascinarmi verso la vettura, mi ci caricò sopra e partì, in silenzio. Il viaggio fu tranquillo e relativamente veloce. Nessuno dei due aveva aperto bocca, lui concentrato a guidare ed io mezza addormentata sul sedile del passeggero.

“Ehi…”

Sentii una mano sulla guancia che mi accarezzava gentilmente, cercando di svegliarmi. Aprii gli occhi di scatto e mi ritrassi dal ragazzo, trucidandolo con lo sguardo.

“Scusa… siamo arrivati.”

Sussurrò abbassando gli occhi e ritornando al suo posto, stringendo il volate con le mani. Mi voltai e scesi dalla macchina, alzando di mezzo centimetro le labbra per sdebitarmi con il ragazzo che mi aveva accompagnata. Lui, di rimando, mi sorrise sollevato dal fatto che non fossi né arrabbiata né altro per il suo gesto di poco prima.

“Ciao.” Dissi, prima di sbattere la portiera.

“Grazie.” Mormorò Liam, per poi di partire.

Grazie…

 

FINE FLASHBACK

 

Pov. Axel

Osservai il ragazzo che, incerto, metteva un piede di fronte all’altro e si avvicinava alla porta, indeciso se far passare prima me o seguire il mio suggerimento. Con fare teatrale, mi misi dritta come uno stuzzicadenti e, sguardo serio, mi inchinai allungando la mano come si fa con i re quando passano. Harry, vedendomi, sorrise triste e mi regalò uno sguardo che mi diede un po’ di serenità. Non sapevo perché, ma in un certo modo mi sentivo responsabile per quel ragazzo e, senza neanche conoscerlo veramente, mi ci ero affezionata tantissimo. Gli sorrisi anche io rilassandomi e, appoggiandogli una mano sulla schiena, lo spinsi delicatamente dentro l’aula, per poi seguirlo a ruota. Lui si girò verso di me e, sempre con occhi bassi, mi mormorò:

“Grazie.”

Due grazie in una settimana. Cosa stava succedendo al cosmo? Sfiorandogli la mano, lo salutai e mi diressi verso il mio posto sedendomi un attimo prima che la prof fece la sua comparsi dinnanzi alla classe.

 

 

Ciao a tutte! :D lo so sono un po’ in ritardo ma sono stata occupatissima, perdonatemi. Cominciamo.

RINGRAZIAMENTI: grazie davvero per le 9 recensioni, gli 8 seguimenti e le 4 persone che mi hanno aggiunta ai preferiti. Sono felicissima sapere che ad alcuni questa storia piaccia :)

STORIA: da come potrete notare voi stesse, i personaggi si stanno sempre di più definendo ed ognuno prende il suo ruolo. Questo capitolo non è niente di che, ma è servito appunto per chiarire di più i vari ruoli :) spero vi piaccia comunque. Presto, molto presto, spero di far succedere qualcosa di più sostanziale (o sostanzioso? Oddio!), comunque non preoccupatevi perché la situazione non rimarrà così stazionaria! ;)

Bhè, credo di aver detto tutto, come sempre vi incito a dirmi cosa ne pensate e AUGURO A TUTTE BUONA FORTUNA SE AVETE INTENZIONE DI PARTECIPARE AL MeG! :) alla prossima,

Andrea <3

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Capitolo 5
*** He's just mine ***


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Pov. Niall 7.50 a.m, 2 dicembre

Siamo spiacenti, il cliente da lei chiamato non è al momento raggiung…

“Merda.”

Bofonchiai, mentre pigiavo nervosamente il tasto rosso sul telefonino e me lo ricacciavo in tasca, camminando velocemente verso scuola. Perché? Perché non mi rispondeva? Perché da più o meno un mese non mi calcolava di striscio? Perché mi aveva dimenticato? Le cose erano tre: o Zayn gli aveva fatto il lavaggio del cervello, o lo aveva ucciso e rimpiazzato con un robot o… semplicemente non mi amava più. Rabbrividii al solo pensiero di quella frase. No, non poteva essere, maledizione! Doveva darmi delle spiegazioni, me lo doveva. Mi passai con frustrazione una mano tra i capelli, inspirai ed espirai più volte e, in fine, mi decisi a girare l’angolo, conscio che l’avrei trovato come sempre davanti all’entrata insieme a tutti i suoi “amichetti”. Era appoggiato al cofano di una macchina e ascoltava quello che gli altri dicevano… no, non era vero, non ascoltava proprio un bel niente. I suoi occhi, apparentemente presenti, erano invece distanti e… vuoti. Di scatto, li sollevò e li piantò nei miei, sobbalzando. Io, fissandolo a mia volta, avanzai, senza accorgermi che ormai ero entrato nella cerchia del suo gruppo.

“Harry…”

Sussurrai, indeciso.

“Ehi tu, che cazzo fai?”

Una mano bloccò ogni mio tentativo di parlare con il riccio costringendomi ad arrestarmi.

 

Pov. Harry

Che diavolo aveva intenzione di fare?! Si avvicinava senza dare segnali di voler smettere, anzi… si piazzò a pochi centimetri dal mio naso, mormorando qualcosa che non riuscii a recepire. Non ce la facevo, non riuscivo neanche a guardarlo. Il mio piccolo Niall, la persona che mi aveva così tanto reso felice: lo osservai e rabbrividii. Quelle labbra che avevano così tante volte conosciuto le mie, quelle mani che mi avevano sfiorato centinaia di volte la pelle, che avevano avvolto la mia vita e stretto fino ai graffi le mie spalle quando facevamo l’amore, quegli occhi che erano stati i miei punti di riferimento per molto tempo… tutto sparito. Quei rituali, quei percorsi, quelle mie stesse spalle, tutte quelle memorie erano state violate brutalmente da un uomo, un singolo uomo sconosciuto. Il solo pensiero che Niall potesse ancora toccare la stessa schiena percorsa anche dall’aggressore, dal mio assassino, mi faceva rivoltare lo stomaco. Improvvisamente sentii gli occhi lucidi, troppo lucidi per essere solo a causa del vento insistente. Mi toccai una guancia: una lacrima, una stramaledettissima lacrima! No, non potevo, non volevo assolutamente farmi vedere così. Strizzai gli occhi, strinsi i pugni e mi raddrizzai, mentre Louis cercava inutilmente di trascinare indietro Niall, visto che il ragazzo non sembrava avere intenzione di retrocedere.

“Che stai facendo?”

Gli domandai minaccioso. Da dove mi usciva quella voce? Le lacrime premettero ancora di più, sentendo il tono che stavo rivolgendo alla persona che mai e poi mai avrei potuto ferire. Lui, come per contraddire i miei pensieri, contrasse la faccia in una smorfia di dolore, scrollandosi Louis di dosso.

“Harry… Harry ti prego non fare così. Vuoi che me ne vada? Eh? Giuro che me ne vado, ma poi tu mi chiamerai, eh? Mi chiamerai Harry? Ti prego Harry, parlami, dimmi qualcosa…”

La sue parole vennero interrotte da un brusco singhiozzo che si fece strada con arroganza tra gli altri, trattenuti, fino a manifestarsi rumorosamente. Stava impazzendo di dolore, gli trapelava da ogni suo minimo gesto, dal torturasi le mani al non riuscire a parlare. Pronunciò queste frasi con le lacrime agli occhi ed un sorriso speranzoso sulle labbra, assolutamente fuori luogo. Non riuscivo a vederlo in quello stato, ma le mie braccia si rifiutavano di accoglierlo. Così, feci l’unica cosa che il mio corpo mi imponeva: piansi, singhiozzai, affondai la faccia nelle mani sotto lo sguardo incredulo dei miei amici e piansi con tutte le forze che avevo.

“Biondo, allontanati subito da lì, mi hai sentito?”

Sfocata, vidi la scena di Niall che tentava di raggiungermi e Zayn che lo respingeva sempre più ferocemente, urlandogli contro. Ad un certo punto arrivò uno spintone troppo forte che fece sbilanciare il ragazzo fino a farlo cadere per terra.

“Smettila!”

Senza rendermene conto, ero scattato in piedi ed ora davo le spalle a Niall, sovrastandolo e proteggendolo da Zayn.

“Harry, che stai facendo? Dai, entriamo a scuola…”

Liam lentamente fece qualche passo in avanti, portando le mani in bella vista come se stesse parlando ad un pericoloso pregiudicato. Ad un tratto… alzai gli occhi, scorgendo una figura al di là del marciapiede. Axel mi osservava, in piedi con la sua solita borsa a tracolla stretta nelle mani inguantate. Mi sorrideva rassicurante e, impercettibilmente, annuì con la testa. Io le risposi con gli occhi, le mandai un grazie che sperai le arrivasse grande come una casa, mi chinai e abbracciai Niall che riprese a singhiozzare contro la mia spalla. La ragazza, soddisfatta, ricominciò a camminare fino a sparire dalla mia visuale. Tutti mi guardavano confusi, senza parole e attendendo una qualsiasi spiegazione.

“Lui è mio.”

Dissi semplicemente, in un sussurro. Zayn mi guardava impassibile, al contrario degli altri che sembravano non capire cosa stesse succedendo.

“Vieni, andiamo a casa.”

Dissi al biondo, sollevandolo. Cintagli la vita con un braccio, ci incamminammo un po’ goffi verso la via del ritorno, alle 8 del mattino.

 

 

Pov. Grace 14.00 p.m, 2 dicembre

“Stai scherzando, vero?”

Replicai, sbigottita dalla proposta (o meglio, dall’imposizione) della ragazza che si ostinava a bloccarmi il passaggio tra la porta del bagno ed il corridoio, mentre mi schiaffava addosso uno dei suoi soliti ghigni da brivido.

“Perché scusa? A me sembra un’ottima idea.”

“Hai una concezione dell’ottima idea un po’ distorta, lo sai?”

Parlavo gesticolando con le mani e sventolandole di tanto in tanto il volantino dell’evento serale che si sarebbe tenuto il giorno dopo sotto il naso. Ah già, il riassunto delle prime, deliziose quattro settimane che avevo passato in quell’inferno di scuola? Da quando avevo avuto la brillante idea di rivolgere la parola a Louis-sonofigo, quello non aveva perso occasione di sfottermi davanti a mezza scuola mettendomi in imbarazzo o cose simili; dall’altra parte, data la sua solitudine e la mia scarsa capacità a tirarmi fuori dal mio bozzolo di timidezza, io ed Axel eravamo diventate (più o meno) amiche. La differenza tra lei e me era che la sua non era assolutamente introversione: più che altro, terrorizzava tutti con la sua innata disposizione a tener testa anche ai bulli più affiatati e al fatto che di sua scelta non voleva essere circondata da “scocciatori” (come li chiamava lei). Comunque, ritornando a noi: la sua idea “geniale” era nata quando era appunto venuta a conoscenza di questo evento. Secondo il suo cervello brillante, quella sarebbe dovuta essere un’ottima occasione per mettermi un po’ più in mostra e farmi notare. IO farmi notare. La ragazza doveva avere qualche rotella fuori posto.

“Ascolta, vuoi passare i prossimi anni a recitare la parte dell’emarginata sociale? Non penso. Penso invece che, andando a questa festa, potresti conoscere un po’ di gente in più e mostrare a Louis che te la passi alla grande anche senza la sua “preziosissima” compagnia.”

Disse quest’ultima frase biascicando molto le parole, ma afferrai comunque il significato.

“Scusa?! Ci sarà anche Louis? Tu sei un caso clinico allora se pensi di avere anche solo qualche possibilità di riuscire a convincermi a mettere piede in questo pidocchioso locale!”

“Dici? Io invece penso che ci andrai.”

Strabuzzai gli occhi, scoppiando a ridere.

“Ah si? E sentiamo, da cosa lo deduci?”

“Semplicemente dal fatto che se non ci andrai, io dirò a tutti come ti abbia trovata in bagno a piangere dopo che Louis ti ha dato della poppante arrapata.”

Disse, tranquillamente. Con uno scatto, mi cancellai dalla faccia la mia aria di sfida e, balbettando, le sussurrai:

“N-non lo faresti…”

“Davvero vuoi mettermi alla prova?”

Mi sfidò, cominciando ad avvicinarsi ad un ragazzo poco lontano.

“Ferma! Vieni qui!”

Le urlai quasi, facendo voltare qualche studente. Lei, soddisfatta, mi si ripiazzò davanti, incrociando le braccia.

“Okay, okay… ci andrò, ma ad una condizione.”

“Ti metti anche a contrattare?”

“Si.”

Il mio sguardo doveva essere stato talmente risoluto che, assottigliando gli occhi, mi disse:

“Sentiamo…”

“Tu verrai con me.”

Strabuzzando gli occhi arretrò, mentre mi fulminava con lo sguardo.

“Non se ne parla neanche!”

“Okay, allora te lo puoi scordare che quella sera uscirò anche solo di casa e va bene, vai a dire a chi ti pare del mio sfogo nel bagno. Tu perderesti l’unica quasi-amica che hai, mentre io collezionerei solo un’altra figuraccia, niente di più.”

“Sai che c’è? Non capisco neanche perché sia qui a cercare di convincerti a farti una vita sociale! Cosa vuoi che me ne importi? Stattene pure nel tuo buchino di sfigataggine.”

Così dicendo, fece per allontanarsi, ma la fermai:

“Piuttosto perché tu ti ostini a non volerti mettere in gioco! Potremmo riuscirci entrambe, insieme…”

Si voltò e mi osservò per quella che sembrò un’eternità. In fine, con un sospiro, ritornò davanti a me, puntandomi un dito contro.

“Ci sto, ma vedi di conciarti decentemente che non ho voglia di uscire con un barboncino, è chiaro? Ah, e sappi che io domani sera ci sarò solo per assicurarmi che tu non faccia stupidaggini, me ne starò in un angolo tranquillo e mangerò vivo chiunque mi venga a rompere le palle!”

 Senza neanche darmi il tempo di replicare, si girò e mi piantò in asso, avviandosi verso l’uscita della scuola. Solo quando fu molto lontana, si girò e, con un ghigno beffardo in volto, mi urlò:

“A domani principessina!”

Per poi sparire dietro il famoso angolo della scuola.

 

 

Holaaa! :D Ed eccomi qua. Se avrete notato, il capitolo è più corto dei precedenti: questo perché preferisco pubblicare più spesso piuttosto che stare giorni e giorni, sempre che trovi il tempo, a rompermi la testa per scrivere un capitolo molto lungo e pubblicarlo dopo una settimana o giù di lì! Quindi la mia domanda è: più corto e più spesso o più lungo e più attesa (?)? Io opto per la prima, ma vorrei sapere anche cosa ne pensate voi :)

Per quanto riguarda il capitolo in sé: lo so, non succede niente di particolarmente “woooo” ma serviva per agganciare il successivo, che invece sarà più movimentato… NO, NIENTE SPOILER! Vabbè dai, almeno ora Harry caro è riuscito ad “annunciarsi” (non mi viene il termine! >.<) con i suoi amici! Sappiate però che descrivere i sentimenti di Niall è stato piuttosto difficile… povero cucciolo! Insomma, lui non sa un cacchio di nulla! :’(

Ringrazio con tutto il cuore le 7 persone che mi hanno messa nei preferiti, le 11 nelle ricordate e le 9 nelle seguite :) grazie grazie grazie grazie grazie davvero!

Alla prossima,

andrea

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Capitolo 6
*** you're my friend ***


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Pov. Zayn

Confusione. Confusione confusione ed ancora confusione, in tutti i sensi. La musica mi entrava prepotentemente nelle orecchie stordendomi e le luci mi disorientavano. La bionda si strusciò con fare sensuale contro il mio corpo e mi cinse il collo con le braccia. Le mie mani erano avvinghiate alla sua vita, le accarezzavano i fianchi e la premevano ancora ed ancora su di me.

“Lui è mio.” Cosa significava?

Musica, luci, ragazza, alcool, musica…

Non fare l’allocco Zayn, lo sai benissimo cosa significa.

Gente, pressione, corpi che si scontrano, risate, musica…

Harry è gay.

“Mmm. Tesoro, che ne dici di ritirarci un po’ nei bagni?”

La ragazza mi prese per mano invitandomi a seguirla.

Harry è gay. Il mio migliore amico era gay ed io non me n’ero mai accorto. Uno schifo, ecco cos’ero. Tante volte eravamo andati contro quel biondino e non avevo mai notato il modo in cui Harry lo guardava, la sua espressione di dolore e la sua paura di confessarmi la sua vera natura. Ed ora anche Louis… non capivo più i miei amici. Mi lasciai guidare dalla bionda ossigenata verso l’entrata dei bagni, finchè non mi fermai e rivolsi la mia attenzione verso una figura familiare: calze nere a rete, Dr. Martens, un giubbotto di pelle marrone scura, degli occhi che saettavano su alcuni ragazzi che la circondavano, facendoli arretrare…

Axel?

 

 

Pov. Axel

Mi attaccai al campanello, furiosa ed al contempo paziente. Non me ne sarei andata per nessuna ragione. Dopo due minuti buoni la porta si aprì di scatto, rivelandomi una faccia scocciata e sconvolta.

“Okay, okay! Dio mio andiamo!”

Guardai impassibile la Grace che ero passata a prendere per portarla al locale. Il cielo era ormai privo di sole e la luna troneggiava sul paesaggio.

“Questo cosa sarebbe?”

Le chiesi, con voce neutra, indicandola. La ragazza indossava un paio di jeans, all star verdi, una semplice maglietta dei Nirvana ed una felpa rossa.

“Questo cosa?”

Mi rispose, con aria innocente. Assottigliai gli occhi, incenerendola e con una falcata entrai in casa, spingendola dentro e sbattendomi la porta alle spalle.

“Forza, dov’è la tua camera?”

“Ma che diavolo fai?!”

“Io nulla, tu invece ti cambi all’istante togliendoti di dosso questi vestiti da scaricatore di porto.”

“Non ci penso neanche! Io esco così, se proprio devo uscire. E poi, scusa tanto, ma il mio look non è che vari tanto da quello che adotti tu solitamente.”

“Uno, a me non interessa nessun ragazzo e tantomeno avere una vita sociale, mentre a te si. Due, tu sei tu ed io sono io.”

Tagliai corto. Vedendo che non aveva intenzione di muoversi, la presi per mano e cominciai a sbirciare in ogni stanza, trovando finalmente la sua. Spalancai un armadio e cominciai a frugarvici dentro, paziente.

 

 

Pov. Grace

“Porta il culo su questa macchina o ti ci infilo a forza.”

Mi minacciò la ragazza, appoggiandosi alla portiera della vettura e guardandomi con insistenza. Io avanzai, arrabbiata, barcollando su dei sottospecie di trampoli e mi sedetti incrociando le braccia. Dopo svariati minuti passati a devastarmi l’armadio, Axel era riuscita a scovare un vestito troppo aderente, troppo corto, troppo nero, troppo striminzito e troppo provocante per i miei gusti, costringendomi a metterlo.

“Axel ti prego, sembro una squillo!”

Mi lamentai mentre lei scrutava la strada buia, come se avessi avuto una qualche possibilità di convincerla a fare inversione e riportarmi a casa.

“La smetti di frignare? Invece stai molto bene.”

La guardai teatralmente, sbarrando gli occhi e portandomi una mano alla bocca.

“Axel mi ha appena fatto un complimento o i miei neuroni mi giocano brutti scherzi?”

Sbuffando, fece roteare gli occhi verso di me e, sorridendo in modo sarcastico, mi disse:

“Se vuoi ritiro tutto, no problem.”

“Nah, grazie!”

Improvvisamente accostò e scorsi una folla enorme di persone davanti a noi. Ricominciai ad agitarmi visibilmente, deglutendo più volte rumorosamente.

“Scendi un attimo, devo recuperare l’ombrello che è finito sotto il tuo sedile.”

Ero talmente nervosa che scesi di filata, stringendomi il corpo con le braccia. Guardai nuovamente la massa di gente che si trovava all’ingresso del locale e scorsi una serie di ragazze con vestiti che le arrivavano a metà culo il più delle volte…

Un momento. Perché ad Axel avrebbe dovuto interessare recuperare l’ombrello per entrare in una discoteca? Mi voltai di scatto, facendo appena in tempo a vedere il suo ghigno malefico, prima che ripartisse con la macchina lasciandomi lì da sola. Rimasi imbambolata per quello che mi parve un tempo infinito ad osservare con occhi sbarrati e mascella serrata lo spiazzo occupato poco prima dalla vettura. Non poteva averlo fatto veramente, non poteva… il cellulare tremò, riportandomi alla realtà. Lo recuperai e aprì il messaggio che mi era arrivato:


Lo sappiamo entrambe che se fossi rimasta mi saresti stata appiccicata tutta la sera come una cozza. Credimi, quando avrai acquistato un po’ più di sicurezza mi ringrazierai per questo gesto. Vai e colpisci tigre! Axel

P.s non me ne starei lì impalata tutta la sera. 1. Fa freddo. 2. Potrebbero rapirti.

Pps. Risparmiati la fatica di cercare di contattare i tuoi. Sono al cinema e non ti risponderanno per più di due ore.

“Fanculo fanculo fanculo!”

Digrignai i denti, furiosa, e mi ricacciai il telefono in borsa. Mi veniva da piangere. Io, da sola, in mezzo a tutti quei ragazzi sconosciuti… decretai che se mai fossi uscita viva da quella situazione, avrei ucciso a badilate in testa Axel, poco ma sicuro. Respirai profondamente, tentando di calmarmi, e mi diressi verso l’entrata. Mostrai il biglietto d’ingresso all’addetto e mi avviai in una stanza che sembrava più un covo di alcolizzati. Povera me. Mi misi in un angolino sperando che quelle due ore passassero in fretta, anche se non ero sicura sarei potuta sopravvivere a quella musica assordante ad al puzzo di alcool e tabacco insopportabile.

 

23.00. Ma accidenti! Com’era possibile? Erano passati più o meno 30 minuti da quando ero arrivata lì e ciò significava ancora un’ora e mezza di attesa. Era un incubo, un brutto, orribile incubo. Mi mossi con la speranza di riuscire in qualche modo a raggiungere l’uscita, ma un paio di mani mi bloccarono, facendomi voltare.

“Tò guarda chi c’è! La piccola Grace.”

Louis. No. No, no no! Non era possibile che tra quel mare di persone fosse riuscito a scovare proprio me. Mi squadrò da capo a piedi ed in fine mi sorrise malizioso. Gli lanciai un’occhiataccia e me lo scrollai di dosso.

“Perché non te ne torni a ballare, eh Louis? Non sono neanche sicura che tu sia sobrio, quindi sciò!”

Grace. Sul serio pensavi di allontanarlo con queste parole? Deficiente. Mi accorsi troppo tardi di essere stata eccessivamente delicata e di non aver ottenuto alcun risultato, quando mi ritrovai al centro della pista con Louis che mi ballava addosso.

“Sobrissimo.”

Mi sussurrò all’orecchio, facendomi venire i brividi. Sentii che le sue mani stavano lentamente percorrendo i miei fianchi e si avviavano verso il sedere.

Svegliati Grace! Ma non l’hai visto? Si porterà a letto minimo quattro ragazze al giorno e tu che fai? Ci stai?! Tiragli un pugno, uno schiaffo, mordigli il naso, tiragli una chiave inglese in testa, fai qualsiasi cosa ma levati da lì!

Lo spinsi leggermente indietro, guardando i suoi occhi confusi.

“Mi spiace Louis. Prima di provarci con una ragazza, non dirle le cose che hai detto a me.”

Detto questo, lo mollai lì e mi andai a sedere su un divanetto, appoggiando la testa contro un lato di esso e rilassando le gambe che continuavano a tremare. Dopo circa cinque minuti, qualcuno si sedette composto al mio fianco. Voltai la testa, stufa.

“Ancora qui?”

Lui corrugò la fronte, guardandosi le mani, come se stesse cercando delle parole precise da rivolgermi.

“Grace… io credo che tu forse, potresti piacermi, ecco. Mi dispiace per quello che ti ho detto, il fatto è che ho paura del giudizio degli altri ed io ho 19 anni! Insomma, come potrebbe uno come me stare con una quindicenne.”

Bam. Il mio cuore perse un battito. In quel momento la mia autostima già precaria precipitò inesorabilmente sotto la soglia minima.

“Sai, forse sarebbe meglio se tu le ragazze te le portassi solo a letto e non ci parlassi proprio, Louis.”

Dissi, acida e con la voce tremante, alzandomi dal divano. Lui si rese conto del significato della frase che mi aveva appena rivolto e sbarrò gli occhi.

“N-no io non intendevo questo, davvero!”

“Vai al diavolo.”

Gli sibilai. Presi la borsa e per l’ennesima volta tentai di uscire da quell’inferno di posto. Tentativo inutile. Andai a sbattere contro la schiena di qualcuno che si girò poco dopo, con la faccia di chi stesse cercando di capire cosa fosse successo, reazione dovuta molto probabilmente ad una vagonata di alcool che doveva aver ingerito. Liam. Liam con a fianco Zayn. Ottimo.

“Ehi! La nostra Grace.”

Si aprì in un sorriso strano, molto strano… stranissimo. Improvvisamente mi accorsi di una presenza alla mia sinistra, mi voltai e vidi Louis che guardava gli amici con occhi impenetrabili. Dopo qualche secondo, sotto lo sguardo confuso degli altri, alzò la mano, la portò sul mio collo, reclinò il viso e fece unire le nostre bocche. Io rimasi immobile, sconcertata, non capendo cosa stesse realmente succedendo. Sentii Louis aggrottare la fronte e premere ancora di più sulle mie labbra, non avendo ricevendo nessuna reazione e volendo provocarne una. Finalmente capii. Portai una mano sulla sua mascella, accarezzandola, e unii ancora di più i nostri corpi attirandolo a me per una spalla. Dischiusi le labbra permettendo alla sua lingua di accarezzare la mia. I nostri denti cozzavano di tanto in tanto e le mani si intrecciavano, ci scoprivamo, giocavamo con le nostre bocche. Dopo un po’ si staccò da me e rivolse agli altri un sorrisetto. In quel momento ebbi una paura allucinante, paura che fosse stata solo una scommessa o qualcosa del genere, ma poi notai la sua mano intrecciata nella mia e lo sentii dire ai suoi amici, ancora spiazzati:

“Con permesso.”

E, superandoli, mi riportò a sedere su uno dei divanetti.

 

Pov. Zayn

“E tu cosa ci fai qui?”

Mi avvicinai alla ragazza, mollando sconvolta la biondina all’entrata dei bagni. Lei si voltò confusa e quando incontrò i miei occhi si rilassò, per così dire.

“Sto sorvegliando una ragazzina per evitare che si metta nei casini… o che faccia casini, fai un po’ tu.”

Osservò una ragazza seduta su un divanetto, avvinghiata ad un ragazzo di mia conoscenza.

“Grace? Sul serio? E da quando fai da balia alle quindicenni?”

Lei mi osservò, glaciale.

“Per quello che conosci di me, potrei anche allevare armadilli e vendere palle di neve.”

Si appoggiò nuovamente al bancone e ritirò un cocktail che doveva aver ordinato poco prima, iniziando a sorseggiarlo.

“Ah.”

Ah. Zayn? Yuhuuu! Un po’ più loquace, su. Se stai cercando di attaccare bottone, bhe, lo stai facendo nel modo sbagliato. Feci una smorfia, tentando di ignorare quella vocina irritante.

“Eh… non balli?”

Pensi di avere qualche speranza? Sei serio? Okay, hai rotto le palle, coscienza (o qualsiasi cosa tu sia) di merda.

Si rigirò verso di me, mescolando il liquido trasparente con la cannuccia e alzò le spalle, rispondendomi poi con fare misterioso ed un sorrisetto.

“Non posso… Sono in incognito.”

“Mmm interessante. Sei sicura però che non ti voglia svagare un po’, super spia?”

Dissi, avvicinandomi a lei e mettendole le mani sui fianchi. Lei sorrise, guardando prima le mie mani, poi i miei occhi.

“Non credo proprio Za…”

Successe tutto velocemente, troppo velocemente. Le parole le morirono in gola. I suoi occhi si dilatarono e il corpo cominciò a vacillare. La afferrai saldamente, guardandola in faccia.

“Axel, che hai? Axel!”

Mi scansò e barcollò in avanti, vacillando ed appoggiandosi su qualsiasi cosa si trovasse nel suo raggio d’azione, tentando disperatamente di uscire dal locale.

“Che succede?”

Domandò Grace, spaventata, andando incontro alla ragazza e cingendole la vita con un braccio. Louis intanto si era avvicinato a me e mi scuoteva, chiedendomi cosa fosse successo e tentando di sbloccarmi dallo stato di shock in cui ero caduto. Ci riuscì. Mi fiondai verso Axel e cercai di trattenerla per le spalle, ma lei mi scansò nuovamente ed afferrò Louis per un braccio.

“P-porta via Grace, subito.”

Gli sussurrò con fatica ad un orecchio. Lui annuì deciso e si trascinò via a forza la ragazzina che non voleva abbandonare l’amica. Ero confuso, terrorizzato, non sapevo cosa fare... afferrai il telefono e digitai i tasti per chiamare l’ambulanza, ma un paio di mani non me lo permise, strappandomi via il cellulare.

“Non chiamare l’amb…”

Un grido le uscì dalla bocca facendole portare le mani sullo stomaco.

 

Pov. Liam

Correvamo per il parcheggio in cerca della macchina della ragazza, accompagnati dal rumore dei nostri respiri affannati, dei nostri passi e dei suoi gemiti strazianti. Zayn la portava in braccio, poiché era più corpulento e resistente di me, mentre io scrutavo velocemente ogni fila di macchine nella speranza di trovare la nostra al più presto. Dovevano averle messo qualcosa nel bicchiere, quei luridi schifosi. L’opzione più probabile era un allucinogeno o qualcosa del genere, tipo lsd, visto il modo in cui si agitava tra le braccia del moro. Ad un certo punto un gemito diverso mi costrinse a voltarmi: dal collo del ragazzo scendeva un rivolo di sangue. Axel, senza rendersene conto, aveva conficcato le sue unghie nel collo di Zayn, che ora ansimava e mi guardava terrorizzato: non gliene fregava niente del taglio, era preoccupato per lei.

“E-eccola…”

La ragazza alzò debolmente una mano e ci indicò una macchina. Un sospiro di sollievo uscì dalle labbra sia mie che del mio amico, mentre correvamo verso di essa.

 

Pov. Axel

Tantissima confusione. Rumore, voci, ancora rumori, una mano sulla mia faccia, una fitta lancinante allo stomaco, un grido che doveva essere mio e, finalmente, silenzio. Mi ero addormentata? Probabile e, comunque, qualunque cosa fosse volevo non finisse.

Un raggio di sole si soffermò ostinatamente sui miei occhi, svegliandomi. Mi guardai intorno, leggermente disorientata e con un mal di testa infernale. Le tende erano chiuse ma lasciavano comunque entrare un po’ di luce. Io ero adagiata sul mio letto, circondata da stracci, asciugamani ed un catino verde. La cosa che più mi stupì fu però la visione di tre ragazzi, ognuno con una faccia sfinita, che dormivano in posizioni assurde, chi sul divano, chi sulla poltrona e chi addirittura sul pavimento. Liam, Zayn e… Harry. Harry? Cercai di tirarmi su, spingendomi con un braccio. La mia pancia, ovviamente, reagì all’istante, affliggendomi una fitta acuta. Strizzai gli occhi e cercai di reprimere inutilmente un gemito. Vidi Harry sollevare le palpebre contornate da una linea violacea, segno della notte che avevo appena fatto passare ad ognuno di loro, e mi sorrise debolmente, alzandosi e strascicando i piedi per raggiungermi.

“Come stai?”

Mi chiese con un filo di voce. Io per tutta risposta annuii, sistemandomi con difficoltà in una posizione più o meno comoda.

“Che ci fate qui?”

Domandai con il suo stesso timbro di voce.

“Non ti ricordi di come stavi ieri sera?”

“Si ma…”

“Allora dovresti capirlo da sola.”

Aggrottai la fronte. Loro erano rimasti per… aiutarmi? Impossibile, nessuno, in tutta la mia vita, si era mai preoccupato per me. Perché cominciare ora.

“Che ci fai tu qui?”

Variai i soggetti. Lui annuì e si sedette di fianco a me.

“I ragazzi mi hanno chiamato stanotte con una voce piuttosto sconvolta. Dicevano che avevi ingerito non so cosa in un drink di ieri sera e che loro cercavano di aiutarti, ma tu non glielo permettevi e… chiamavi il mio nome.”

Concluse, sorridendomi stancamente. Io sprofondai ancora un po’ nel cuscino, sospirando nel tentativo di comprendere le sue parole. Chiamarlo? E perché mai avrei dovuto farlo? Lo osservai a lungo in volto, mentre lui giocava con un lembo del lenzuolo, piuttosto assorto nei suoi pensieri. Il suo viso mi trasmetteva pace e allegria, in qualche modo. Ad un certo punto mi venne in mente una domanda assolutamente essenziale:

“Grace?”

“Oh, lei deve essere a casa con Louis.”

Lo guardai torva, e il ragazzo si affrettò ad aggiungere.

“Sembrava parecchio turbato anche lui, da come l’ho potuto sentire al telefono, quindi immagino la ragazzina… non è un animale fino a questo punto.”

Affermò per tranquillizzarmi, sott’intendendo che non si sarebbe approfittato di Grace in un momento come quello.

“Ah, ok.”

Stemmo un po’ in silenzio, beandoci della pace che regnava una volta tanto nell’aria. Erano rari quei momenti, maledettamente rari, ma una domanda mi ronzava in testa, infastidendomi, fino a che dovetti sputarla fuori, in un sussurro.

“Harry… perché siete qui, perché sei qui? Sai cosa intendo.”

Lui sembrò rifletterci per un po’, fino a che si decise a parlare.

“Siamo qui per aiutarmi, suppongo. D'altronde, tu sei nostra amica ormai. O almeno, lo sei per me.”

Lo fissai a lungo, cercando di comprendere il significato di quelle parole che mi sembravano irreali per quanto belle. Lo ringraziai con un misero sorriso di cui mi vergognai terribilmente, dopo tutto ciò che gli avevo fatto passare quella notte, per poi andare ad ispezionarmi le unghie. Ad un tratto lo sentii respirare rumorosamente ed alzai gli occhi per osservarlo meglio. Aveva uno sguardo corrucciato e si stava torturando le mani.

“Axel?”

“Mh?” risposi, alzando completamente la testa, non immaginando le parole che mi avrebbe rivolto, dopo un lungo, lunghissimo silenzio.

“Posso chiederti una cosa?”

“Certo, dimmi.”

Con un sospiro secco, piantò i suoi occhi verdi nei miei e disse, tutto d’un fiato.

“Posso baciarti?”

Ta-da-da-daaaan! Non ve l’aspettavate eh? Dite la verità! Bella bella mi piace le fine di questo capitolo, finalmente succede qualcosa di più coinvolgente e già c’è il primo inciuccio :D wooow sono orgogliosa di me.

Okay non preoccupatevi, momento sclero finito :) spero piaccia anche a voi questo capitolo. Si, in effetti potrei fare moolto meglio, ma sembra sia nella mia natura non essere mai soddisfatta per qualcosa che scrivo (a parte il prologo di questa storia che, bhe, modestia a parte lo ADORO). Grr. Che altro dire? Niente, a parte ringraziarvi per le recensioni e i preferiti, i seguimenti e le ricordate… mi fate sentire importante :’) Crazzie mille <3 Muha!

P.s per una personcina che mi recensisce ogni capitolo dall’inizio della storia e che mi dice tutto quello che pensa, anche le perplessità :) Andate a leggere la sua ff che, personalmente, trovo molto WOW! Every breath you take di nevaeh

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Capitolo 7
*** you remind me someone ***


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Pov. Harry

Continuavo a deglutire rumorosamente, incerto se le parole che ancora veleggiavano nell’aria fossero uscite proprio dalla mia bocca o se invece non fosse stato semplicemente frutto della mia contorta immaginazione. Sfortunatamente, dagli occhi di Axel sembrava proprio che fosse la prima opzione. La ragazza aveva improvvisamente assunto uno sguardo impenetrabile, quasi vitreo, che avevo cominciato ad imparare andasse associato ad una reazione molto poco piacevole, che comportava quasi sicuramente un urtamento psicologico o, forse più spesso, fisico (chi lo sa, di questo non ero potuto accertarmene di persona) da parte sua. Nella mia mente cominciarono a formularsi varie ipotesi su come affrontare quella situazione: fuggire? Mh, a che sarebbe servito? Il giorno successivo (e quello dopo ancora) me la sarei comunque ritrovata in classe, pronta a scannarmi. Scoppiare in una risata sonora, fingendo che fosse tutto uno scherzo? Bocciata anche questa, in quanto facevo pena a raccontare bugie e probabilmente se ne sarebbe accorta anche un alpaca. Fare un casino infernale e svegliare tutti gli altri, in modo tale che avrei sviato l’argomento? Quasi sicuramente a quelle di Axel si sarebbero aggiunte anche le bastonate dei miei amici. Improvvisamente mi comparve, chiara e semplice, la soluzione più ovvia: la ragazza si sarebbe comunque alterata, sia se me ne fossi stato lì ad attendere una sua risposta sia se avessi agito. Tanto valeva tentare, no? Senza pensarci su troppo, conscio che altrimenti avrei ricominciato a sbudellarmi il cervello in cerca di qualche soluzione alternativa, mi lanciai in avanti e poggiai al contempo delicatamente ma anche con vigore le mie labbra su quelle della ragazza, che si premette sulla testata del letto probabilmente in cerca di una via di fuga. Chiusi gli occhi e subito la mia lingua si lanciò tra le labbra di Axel, scontrandosi però inesorabilmente contro l’ostacolo invalicabile costituito dai denti serrati della giovane. Strizzai gli occhi e mi premetti di più contro la ragazza, che si reggeva a stento sotto il peso del mio corpo poggiando i gomiti traballanti (indeboliti dalla droga assunta quella notte) sul materasso. Schiusi le labbra e, finalmente, la mia lingua ebbe libero accesso al territorio inesplorato. Incontrai la sua lingua, rintanata in un angolo della bocca, e la costrinsi ad avvinghiarsi alla mia, mentre le mie labbra si inumidivano sempre di più, scivolando e muovendosi su quelle di Axel, al contrario immobili. Mi misi a cavalcioni sulla ragazza (ormai seduta con la schiena appoggiata alla testata del letto), che aveva le gambe incrociate sotto le coperte, costringendola a stenderle e permettendomi così di spalmarmi meglio contro di lei. Misi in moto anche braccia e mani: una scivolò sul suo braccio, accarezzandolo, mentre l’altra si adagiò contro la sua guancia. Non so per quanto stemmo in quella posizione, ma ad un certo punto mi resi conto che dall’altra parte non stavo ricevendo segnali apprezzabili, né di rifiuto né di accettazione; senza staccarmi ma rallentando semplicemente, socchiusi un occhio, così che potessi avere una visuale del volto di Axel: non aveva gli occhi chiusi, ma neanche totalmente aperti, piuttosto sembrava stesse cercando di… scrutare le mie labbra appiccicate alle sue? Probabile, molto probabile, anche se lo sforzo era evidentemente vano, visto che il suo sguardo non poteva giungere fino a lì, impedito com’era dai nostri nasi e dall’eccessiva vicinanza dei nostri visi. Mani, labbra, gambe e braccia erano comunque immobili, come privi di vita, come se fossero appartenute ad un burattino. Di punto in bianco, il mio cervello sembrò risvegliarsi dal torpore in cui era stato immerso fino a quel momento e, accortosi della situazione, mi volle punire scagliandomi addosso una serie di ricordi, tutti con un unico punto centrale: Niall.

Niall sotto la porta di casa mia, mentre scrutiamo i dintorni alla ricerca di qualche anima curiosa e che, non trovandola, ci guardiamo sorridendo lasciandoci come promessa d’amore un lieve bacio sulle labbra.

Niall seduto su un marciapiede, con il naso sanguinante, appena lasciato lì dai miei amici, intento ad asciugarsi una lacrima dispettosa sfuggita al suo controllo ed io che mi avvicino di soppiatto, senza farmi vedere da nessuno, mentre mi inginocchio di fianco a lui, che mi sorride tentando di mascherare il dolore e la sofferenza. Io che gli tampono il naso, lui che mi regala una carezza sulla guancia, io che sgattaiolo via, lui che si lascia scappare un altro paio di lacrime.

Niall che mi graffia dolcemente la schiena, mentre si muove con un misto di passione e dolcezza su di me, intento a soffocare i gemiti che nascono dal suo petto, luogo di sicurezza e di conforto per me. Perché quello era ciò che desideravo, riporre tutto me stesso tra le sue braccia, affidare tutto ciò che ero a lui, abbandonarmi a lui, fare l’amore con lui, perché solo Niall era riuscito ad insegnami cosa voleva dire veramente quella parola: amore.

Io amavo il mio piccolo.

Perché gli stavo facendo tutto questo?

Perché stavo disperatamente cercando di rinnegare tutto ciò che ero?

Perché lo stavo abbandonando, da solo, tenendomi le sue promesse e violando le mie?

Un gemito si manifestò esteriormente, come per dimostrare il mio malessere e, potrei giurarlo tutt’ora, mi parve di sentire Axel sorridere dolcemente sulle mie labbra prima che io mi allontanassi definitivamente e per sempre dalle sue.

 

Pov. Axel

Con espressione afflitta si scostò da me, appoggiandosi a sua volta contro la testata del letto, mentre abbandonava la testa sui palmi delle mani. Io lo guardavo semplicemente, aspettando che facesse qualsiasi cosa. Dopo alcuni minuti passati a respirare affannosamente, alzò il capo e, finalmente, mi guardò negli occhi, con espressione triste e tormentata.

“Sc…scusami.”

Disse con un filo di voce, dopo di che riabbassò la testa e  tacque nuovamente. Fui io, allora, a mandare avanti il discorso, capendo che da lui non sarebbe giunto nient’altro.

“Ti piace, Harry?”

Lui sollevò lo sguardo, confuso, facendo saettare gli occhi da un angolo all’altro della stanza, a disagio.

“Come?”

“Il biondino, ti piace?”

Lui aggrottò la fronte, per poi assumere un’aria contrita. Stette per un lunghissimo tempo a concentrarsi su quella domanda apparentemente semplice, ma che, ne ero sicura, rappresentava il nocciolo della questione.

“Si… io credo di si.”

Gli sorrisi rassicurante, posandogli una mano sulla spalla.

“Qual’è il problema allora?”

Sapevo benissimo qual’era, ma volevo che lui riuscisse a sfogarsi apertamente. A quel punto si abbandonò completamente alle proprie esigenze e cominciò a sputare parole una dietro l’altra, segno che non aveva più la forza di tenersi tutto dentro.

“Io.. io non lo so cosa voglio. So solo che è così maledettamente difficile essere diversi dagli altri e farsi accettare per come si è! Axel, io amo Niall, ma non voglio essere gay… non voglio.”

Aggrottai la fronte, lasciando la mano sulla spalla del ragazzo e portandomi l’altra alla tempia, massaggiandola, nel tentativo di scegliere le parole più azzeccate da rivolgere al ragazzo. Infine rinunciai e dissi semplicemente ciò che pensavo.

“Harry, non ti dirò frasi consolatorie o cose simili, quindi prima che cominci a parlare, ti voglio porre una domanda: vuoi davvero sentirti dire le cose come stanno?”

Lui, continuando a torturarsi un’unghia della mano, mi guardò negli occhi ed assentì.

“Bene.”

Mi sistemai meglio sul letto e cominciai a parlare.

“Harry, tu sei oggettivamente diverso dalla maggior parte delle altre persone. Se tutti sapessero come sei fatto, ti guarderebbero con occhi diversi, uno sguardo riservato solo ed unicamente a te. Ti conosco da poco tempo, ma ho capito una cosa: tu sei probabilmente molto meglio di tutte le persone presenti in questa cittadina, sei meglio dei tuoi amici e, sicuramente, sei meglio di me. Pensi sia facile farsi accettare? No, non lo è, Harry. Ma se tu avessi davvero rispetto di te stesso, te ne fregheresti di tutto quello che gli altri pensano. Perché, ribadisco, tu sei meglio di loro e non sei tenuto ad adattarti alle esigenze di un mondo che non ti comprende. Capisci quello che ti sto dicendo? Se la tua esigenza primaria è quella di diventare come gli altri, allora non ho niente da dirti. Ma se invece ciò che desideri è trovare una stabilità dentro di te, allora io sono qui.”

Finii di parlare, chiudendo gli occhi per il mal di testa, ed attesi che il ragazzo mi rispondesse. Dopo qualche minuto, però, sentii dei respiri pesanti, così aprii nuovamente gli occhi, guardando la sua faccia rigata dalle lacrime.

“È tremendamente sbagliata questa società, Axel. È difficile, così difficile…”

Sussurrò con voce rotta mentre inclinava la testa sulla mia spalla e si faceva avvolgere dal mio braccio. Con quel “sbagliata” si riferiva anche allo stupro subito? Probabile. Gli passai un dito sulle guance, tentando di spazzare via le lacrime che scendevano copiose dai sui bei occhi verdi, mentre gli sorridevo dolcemente.

“Lo so, Harry, lo so.”

Lui si strinse ancora di più a di me, annuendo senza una ragione precisa. L’aria era diventata più pesante di quello che avrei voluto, così decisi che era meglio alleggerirla un po’.

“Sai una cosa?”

“Cosa?”

“Sei molto emotivo, ragazzo!”

Ridacchiai mentre lo dicevo e sentii lui che sorrideva.

“Axel?”

“Si Harry?”

“Posso chiederti una cosa?”

Girai la testa con aria terrorizzata fino a guardarlo negli occhi.

“Devi proprio?”

Lo feci ridere.

“Tranquilla, è solo una domanda.”

“Allora in questo caso dimmi!”

“Perché ti comporti così con me? Voglio dire, cacci via chiunque ti si avvicini, mentre con me sei sempre gentile. Penso che se Louis avesse anche solo provato a baciarti, a quest’ora sarebbe appeso dalle mutande fuori dalla finestra!”

Ridemmo di gusto immaginandoci la scena. Dopo di che, mi ricomposi e presi un respiro profondo, prima di parlare.

“Mi ricordi me stessa, Harry. Me stessa qualche anno fa, quando ancora ero confusa e mi sentivo un’estranea nel mondo in cui vivevo. Poi però ho cominciato a costruirmi una mia realtà, considerando gli altri degli estranei rispetto a me. Ti voglio aiutare, tutto qui. Mi piaci, Harry. Non in quel senso, ma mi piaci.”

Lui rifletté qualche minuto sulle mie parole, prima di parlare.

“Come fai ad accorgerti sempre di tutto, Axel?”

Mi prese in contropiede per un attimo, ma poi capii la sua domanda e gli risposi.

“Ti riferisci al fatto che mi ero accorta della tua relazione con Niall? Sono quella che si può definire un’acuta osservatrice, tutto qui. Ho imparato a studiare l’ambiente e le persone che mi circondano. E se vogliamo aggiungere, diciamo che mi sono accorta anche di come guardi Zayn…”

Dissi sogghignando quando, pronunciata l’ultima frase, vidi lo sguardo atterrito del ragazzo.

“Non glielo dirai, vero?”

Mi chiese, incerto. Finsi di pensarci su un po’, ma dopo gli risposi, con ovvietà:

“Per chi mi hai preso? Certo che non glielo dirò.”

Ritornò ad appoggiarsi sulla mia spalla, con un sospiro.

“È solo una cotta passeggera, mi passerà.”

“Ne sono sicura.”

Stemmo un po’ in silenzio, ascoltando gli uccelli che cinguettavano fuori dalla finestra, corroborandoci nel caldo che cominciava a scaldare la camera e udendo i respiri sommessi dei due ragazzi che dormivano ancora, grugnendo di tanto in tanto data la scomoda posizione. Riflettei sul fatto che, probabilmente, una volta svegliati si sarebbero trovati qualche osso ribaltato.

“Axel?”

Sorrisi, poiché il modo del ragazzo di ripetere costantemente il mio nome mi ricordava quello di un bambino piccolo, indifeso.

“Mh?”

“Qual’era la tua vita prima di arrivare qui? Prima di cambiare scuola?”

Mi irrigidii all’istante e smisi di accarezzargli la guancia. Quella era una domanda a cui sicuramente non avrei mai dato una risposta, mai.

“Magari un altro giorno te ne parlerò, ok? Adesso mi sembra prematuro.”

Tagliai corto. In quel momento uno sbadiglio ci distrasse dai nostri discorsi e notammo che Zayn e Liam cominciavano a svegliarsi. Harry si mise seduto e, prima di alzarsi del tutto, avvicinò le labbra al mio orecchio e veloce mi sussurrò.

“È vero, sei brava a prenderti cura degli altri quando vuoi, ma non cogli dei fattori che riguardano te stessa.”

Eh? Confusa, lo guardai.

“Che?”

“Mi sa proprio che hai attirato l’attenzione di qualcuno, sai?”

Quei messaggi criptici cominciarono ad infastidirmi.

“Harry ma che diav…”

“Grazie di nuovo, Axel.”

Non mi fece finire e, dopo avermi schioccato un bacio sulla guancia, si girò ed esclamò un:

“Buongiorno, ragazzi!”

 

Pov. Liam

Un mal di schiena allucinante mi fece sgranare gli occhi e barcollare fino al letto, dove mi sedetti pesantemente, poggiandomi una mano sulla schiena.

“Cosa mi è passato sopra, una squadra di rugby?”

“No, hai solo dormito sul pavimento.”

Mi rispose il riccio, il quale aveva delle occhiaie paurose che gli cerchiavano gli occhi. Mi voltai e guardai la ragazza, che si stropicciava gli occhi pigramente.

“Come stai?”

Le chiesi, con tono dolce, appoggiandole una mano sul braccio. Lei mi guardò, guardò Harry (che sorrise), ritornò su di me e mi rivolse un sorriso. Ma che diavolo…?

“Bene, grazie. Ho solo molto mal di testa, quindi vi prego, non urlat…”

Giustamente, un forte gemito giunse dalla poltrona e, giratici tutti preoccupati, vedemmo Zayn che saltellava da una parte all’altra della stanza tenendosi un piede.

“Un crampo! Un crampo!”

Scoppiammo tutti a ridere mentre lui si sedeva per terra e mugugnava dal dolore.

“Che c’è da ridere?! Fa male, accidenti se fa male!”

Scuotendo la testa, mi rivolsi ad Axel che si era portata un mano sulla fronte e, ad occhi chiusi, sorrideva.

“Vuoi che restiamo qui? Che ne so, ti prepariamo qualcosa da mangiare, prendiamo le medicine…”

Mi interruppe con un gesto della mano, alzandosi.

“Davvero, siete stati gentilissimi, ma ora andate a casa a riposarvi, avete delle facce spaventose. Mi dispiace se stanotte ho fatto casino e…”

Si voltò verso Zayn e gli osservò il collo: si potevano vedere, rossi ed evidenti, i buchi che la ragazza gli aveva inflitto la sera prima con le unghie.

“Mi dispiace.”

Sussurrò, abbassando lo sguardo. Il ragazzo ci guardò, confuso. Io mi toccai il collo e lui fece lo stesso, sfiorando la ferita. Capì e si alzò in piedi, sorridendo alla ragazza.

“Figurati, non l’hai fatto apposta.”

Detto ciò, ci mettemmo tutti a sistemare la stanza, mentre Harry chiamava Louis e gli chiedeva di venirci a prendere. Dopo una mezz’ora suonò al campanello e noi ci preparammo per lasciare la casa.

“Sei sicura che non vuoi che rimaniamo? Non c’è nessun problema, davvero.”

Le chiesi nuovamente, sperando in una risposta affermativa. Sbagliato.

“No, andate a casa. Io sto bene.”

Mi disse, puntando i suoi magnetici occhi marroni nei miei. Io le sorrisi e la salutai, mentre gli altri già si erano già avviati giù per le scale. Poggiai il piede sul primo gradino quando mi fermai di colpo. Da dietro la porta udii un singhiozzo soffocato. Tornai indietro, il più silenziosamente possibile, e appiccicai un orecchio al legno freddo della porta. Axel… piangeva? No, non era possibile. Misi una mano sul pomello della porta e, pregando tutti i santi esistenti, la girai cercando di non illudermi troppo. Invece, alla faccia della mia ormai rinomata e storica sfiga, ci fu un lieve ‘clac’ e la porta si aprì. Sbircia dentro e vidi Axel seduta scompostamente sul letto, con occhi vitrei e colmi di lacrime. Prima di entrare del tutto, presi il telefono ed inviai ai miei amici un messaggio dove dicevo loro di andare. Lo misi via e mi avvicinai silenziosamente alla ragazza, fino a trovarmi a pochi centimetri da lei. Presi un respiro e mi sedetti, smascherandomi. Lei si voltò e mi guardò negli occhi, mentre le lacrime presero a scendere più copiose di prima. Com’era possibile che Axel, quella Axel, stesse piangendo? Era così bella, anche in quelle condizioni. Non aveva mai messo il trucco, neanche una volta, e i suoi capelli erano lunghi e tagliati in modo irregolare; era… davvero bellissima. Quando mi ridestai dai miei pensieri, trovai una mia mano sulla sua guancia. Come ci era finita lì? Deglutendo rumorosamente, mi avvicinai con cautela al suo viso, fino a trovarmi a pochi centimetri da esso. Quanto schifo facevo ad approfittarmi di lei mentre era in quelle condizioni? Axel era immobile, non muoveva un muscolo e non sapevo se interpretarlo come un segno positivo o negativo. Perché era sempre così difficile per me lasciarsi andare? In quel momento avrei tanto voluto avere un po’ più di sicurezza, magari prenderne un po’ in prestito da Louis, ecco! Un momento… ma io potevo essere chi mi pareva, tutti potevano esserlo, se solo lo si desiderava sul serio. Sorridendo della conclusione a cui ero giunto, azzerai la distanza che separava le nostre labbra unendole dolcemente, mentre la ragazza avvolgeva il mio collo con le braccia.

 

 

 

*spunta fuori dalla montagna di fazzoletti in cui è sommersa e saluta*

Non so cosa dire, sul serio… 8 recensioni allo scorso capitolo?! Grazie grazie grazie grazie grazie! Davvero :’) Non sapevo se crederci o… o? Bhò, vi adoro, solo questo. Sapere che ciò che si scrive è apprezzato è… davvero gratificante.

Caaapitolo: eccolo qua :) non so se esserne soddisfatta oppure no, quindi suggeritemelo voi! C’è stato un po’ da ridire sulla forse-coppia Axel-Harry, ma alla fine sono entrambi ragazzi assennati (?), su!

Ora, ho davvero paura che mi scanniate per quello che ho fatto, voglio dire: la storia presenta comunque come uno dei protagonisti principali Zayn e io che faccio? Lo trascuro. Non temete, assolutamente! Fra qualche capitolo (se non già dal prossimo, chissà!) si metterà in gioco anche lui :) anche perché, diciamocelo, io per prima tifo per la coppia Zayn-Axel, senza raccontarci troppe balle (della serie: spoiler che volano per la stanza -.- complimenti Andrea)! Bhò, spero davvero che il capitolo vi piaccia e di non aver deluso qualcuno (oddio, solo al pensiero mi sento male D:). Buona lettua,

Andrea

Ps. Ho voluto rendere Harry l’adolescente doc, quello che ha le sue insicurezze e i suoi timori. Spero di aver accostato bene i personaggi Axel-Harry che, secondo me, sono molto simili.

Pps. Auguro sinceramente a tutte coloro che hanno partecipato al concorso di incontrarli, penso che ognuna di noi se lo meriti :)

N.b ho in mente un’altra trama di una ff che mi ispira un sacco, ma non voglio iniziarla perché non riuscirei a portarle aventi tutte e due!

Ppsnb. Ma ho finito?

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Capitolo 8
*** Hic et nunc ***


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Pov. Axel

Un brivido mi scosse la gamba, facendomi grugnire di disapprovazione. Aprii pigramente un occhio, scorgendo le mura della mia stanza avvolte dal buio, con qualche accenno di luce proveniente dalla luna all’esterno che si stagliava sulle pareti scrostate. Mi misi a sedere lentamente, poggiando una mano sulla testa e la schiena sulla testata del letto. Mi massaggiai un po’ le tempie, prima di far ricadere il braccio penzoloni sul fianco, stanca ed insonnolita. Mi voltai verso il comodino ed afferrai il cellulare, premendo un tasto a caso per far illuminare lo schermo: 4.57 di notte. Aggrottai la fronte, confusa: quale mente sana si sveglierebbe a quell’ora della notte?! Solo alzandomi, però, potei rendermi conto del perché il mio corpo era stato colpito da un violento spiffero ghiacciato: ero oggettivamente, stranamente e (soprattutto) completamente nuda. Senza un motivo ben preciso mi posizionai davanti al grande specchio che rifletteva la mia completa immagine e, nel muovermi, percepii un distinto e piccato dolore ai lati dell’interno coscia. Portai lo sguardo su di esse, nello specchio, e le vidi visibilmente arrossate, come lo erano altre zone del mio corpo. Sfiorai con le dita il fianco destro, su cui spuntavano dei lievi gonfiori rosini, percorsi le chiazzette rosse visibili sul collo e, infine, posai la mano sulla spalla, su quello che sembrava… un morso? Guardai l’Axel riflessa allo specchio, domandandole stupidamente con gli occhi il perché di tutto ciò, quando un sospiro mi fece voltare di scatto…

 

Con un veloce movimento della mano, il ragazzo le sposta i capelli che le ricadono sul volto e che ostacolano il loro baciarsi frenetico ed impetuoso; l’altra mano scivola sulla gamba di lei che stringe la vita del ragazzo a se, con fare possessivo.

Perché effettivamente è questo quello che vuole, al momento: averlo, non pensare alle conseguenze ma concentrarsi solo su quell’istante che scorre veloce davanti ai loro inesperti occhi da giovani, come se fosse un attimo da cogliere al volo, sfruttarlo e lasciarlo andare nuovamente, aspettando che torni. D’altronde, la sua vita, la vita di Axel è costituita in questo modo: cogliere momenti sfuggenti e sfruttarli appieno. Solo così, secondo lei, una vita vale davvero la pena di essere vissuta. Forse sono pensieri troppo grevi per appartenere a una diciassettenne, e lei ne è consapevole, ma ha anche imparato a vivere secondo le proprie regole, senza dare conto a nessuno. Sbagliato? Chi lo sa, ma lei ha trovato una sua dimensione, impedendo a chiunque di stravolgergliela.

Con un gesto brusco il ragazzo le strappa via la maglietta raffigurante Andy Warhol e la lancia di lato, senza mai perdere il contatto con le labbra di lei. A sua volta, la ragazza gli sbottona i pantaloni senza preoccuparsi troppo delle maniere dolci e mielose che solitamente accompagnano due persone che si amano quando… bhè, stanno per fare quella cosa.

Ma lei non lo ama neanche lontanamente, non è nemmeno sicura che le piaccia, ha semplicemente voglia di andarci a letto, tutto qui. In fondo, cosa c’è di male? Nulla, secondo la sua mentalità! Il sesso lo vede non solo come una maniera di amarsi (che poi, a quell’età, la ragazza non crede esista davvero l’amore, ma solo reciproche attrazioni ed attenzioni), ma anche come uno sfogo, un divertimento, un… gioco. Ecco, gioco è l’epiteto più appropriato da affiancare a “sesso”, secondo Axel. Sesso e gioco, gioco e sesso, che differenza c’è? È nient’altro che uno scambio di effusioni, un modo di confortarsi l’un l’altro, un modo per provare un piacere fisico e psicologico che ti stacca dalla crosta terrestre per qualche secondo. Perché le persone dicono che il sesso (o l’amore, o come volete chiamarlo) si deve fare solo ed esclusivamente con la persona destinata a rimanerci a fianco per un periodo di tempo che arrivava dai sei mesi ai sessant’anni? O ancora, perché quell’atto così semplice e naturale deve essere intrapreso con qualcuno che necessariamente si ama? A volte Axel trova le persone che la circondano di una chiusura mentale assoluta, senza a riuscire a capire come facciano a ragionare effettivamente in quel modo.

Le mutande della ragazza e i boxer di lui, oramai superflui, vengono tolti gli uni dalle mani dell’altro, con irruenza e foga. Ma, una volta finita l’operazione, l’avidità e la disperazione che caratterizzavano i gesti di poco prima sembrano svanire, rimpiazzati invece da cenni più rilassati ed azioni più spontanee. Le bocche dei giovani finalmente si staccano, lasciandoli lì, lui a sovrastare lei, mentre annaspano in cerca d’aria, con respiri corti e veloci e di tanto in tanto qualche leggero gemito dovuto dalla consapevolezza di quello che sarebbe successo di lì a poco e l’impazienza di realizzarlo. I loro occhi infine si incrociano, fondendosi gli uni con gli altri, lei con ancora le gambe strette sul busto forte di Liam, così grande e possente in tutti i suoi muscoli al confronto di quello slanciato ed esile di lei, e le mani aggrappate alle sue spalle, lui invece con le ginocchia appoggiate alla porzione di materasso ritagliata tra le gambe della giovane, le quali sorreggono in parte il peso di tutti e due, distribuito anche sul gomito destro premuto di fianco alla testa di Axel. Una mano del ragazzo, che poco prima aveva egoisticamente pressato i fianchi della giovane fino a lasciarle i segni, si poggiano sulla guancia di lei, facendo muovere in circolo i pollici, che disegnano dei piccoli cerchietti ai lati degli occhi. Tutti e due si specchiano nello sguardo reciproco, gli occhi lucidi di desiderio e carichi di quella voglia che colpisce fino allo sfinimento. I sospiri si mischiano tra di loro, lasciando intendere che si stanno prendendo entrambi una pausa prima di donarsi l’uno all’altra e, nel contempo, che si stanno beando dei pochi istanti come quelli che si riescono a strappare alla vita, in cui la persona che ti ritrovi davanti è l’unica tua ancora di salvezza, colei che in quell’istante sarà tutto e niente per te, la cosa più importante delle tua vita e quella che odierai di più, perché sai che, una volta giunto tutto al termine, te la ritroverai davanti, priva di magia, priva di quel potere che avevi ritrovato in lui/lei di trascinarti in una dimensione di felicità allo stato brado.

La mano del giovane, prima impegnata sul volto di Axel, si fa strada sul braccio, dolcemente, sino ad installarsi sul fianco di lei, avvolgendolo e sentendone le pulsazioni del sangue, le costole arcuate e il calore ardente emanato. Senza che potesse, o meglio, volesse impedirglielo, la ragazza, sazia di quei momenti carichi di desiderio, decide di consumarli, facendo leva sulle gambe ancora avvinghiate al bacino di lui, fino a sentirlo completamente ed interamente dentro di lei. Liam la osserva con occhi sgranati, immobile, confuso e spiazzato da quello che è appena successo. Non vedendo reazione apprezzabile, la ragazza, con un vigoroso colpo di fianchi, ribalta la situazione portandolo al di sotto di lei. Arcuando la schiena e dopo aver trovato un punto d’appoggio soddisfacente per le sue ginocchia, Axel si piega sul torace di lui, facendo aderire addome, petto e seni al suo corpo robusto, mentre le mani gli accarezzano le spalle come per rilassarlo, mentre il vero intento è quello di trovare una posizione ancora più comoda. Finalmente il ragazzo si ridesta dallo stupore iniziale e, preso nuovamente il contatto dei suoi fianchi, alza il bacino, come per incitarla a cominciare. Con un sorriso, la ragazza comincia a muoversi lentamente, concentrandosi sul membro del compagno che sfrega insistentemente all’interno della sua intimità, fino a farlo diventare una cosa sola con lei. Il calore si diffonde in tutto il suo corpo, riesce a percepire i battiti cardiaci della persona al di sotto di lei aumentare, i respiri che si fanno sempre più irregolari, il sudore che comincia a caratterizzare la pelle di entrambi, il cervello che viene come anestetizzato da un piacere immenso e, al contempo, tutte le sinapsi possibili ed immaginabili che si staccano, saltano, si spengono, lasciano che quel momento non sia ragionato, che sia la cosa più semplice e bella possibile, senza bisogno di pensieri superflui. Liam stringe gli occhi e geme forte, premendo ancora ed ancora le dita sulla pelle di lei, fino a farle affondare in certi punti. Le gambe gli si irrigidiscono per l’eccitazione e capisce che a quel punto tocca a lui: trattenendola ancora più saldamente per gli avambracci, la trascina sotto di se e si gira di scatto, riportando repentinamente il suo membro dove dovrebbe stare in quel momento. Axel allaccia nuovamente le gambe al busto di lui, in un misto di vigore e violenza: le spinte di Liam sono veloci e forti, ma lei vuole di più, vuole che si spinga oltre, vuole che lui riesca a tirare fuori la voce anche da lei oltre che da se stesso. Stringe sempre di più la morsa delle gambe, fin quasi ad immobilizzare i movimenti del ragazzo, strozzati dalla troppa pressione esercitata. Il giovane è costretto a staccare le mani dal corpo di lei e a portarle alle sbarre della testata del letto, stringendole, per poi prendere la rincorsa e rifilare, seppur più lente, spinte tre volte più forti di quelle di prima. La ragazza sorride, finalmente soddisfatta, e allenta un po’ la stretta delle gambe, permettendo a Liam di aumentare anche la velocità. Porta le mani sulle natiche di lui e vi ci prende confidenza, fino a controllare anche lei un po’ i giochi. Adesso i loro bacini si scontrano con ritmi definiti, i loro sessi entrano ed escono all’unisono, la stanza è pervasa anche dai gemiti della ragazza. Quest’ultima, sentendo che il piacere è quasi al massimo, ritorna a stringere il busto di lui con le gambe, mozzandogli il respiro ormai già precario e facendogli uscire un urlo sonoro, dovuto all’improvvisa fitta di piacere. Anche il ragazzo capisce che sono giunti quasi alla fine, così attornia la guancia di lei con una mano, porta l’altra alla base della schiena di Axel e la preme forte a se, fondendo del tutto i loro copri. La ragazza aggancia lo sguardo negli occhi di lui, lucidi e ridotti ormai a due fessure, e si perde a studiare i suoi lineamenti in quel momento distorti, i capelli appiccicati alla fronte (a causa del sudore creatosi), lo sguardo lontano e i denti che tiene stretti, reazione dovuta allo sforzo e al tentare di soffocare inutilmente i gemiti. Ad un tratto, però, il giovane sgrana gli occhi e la ragazza sente da sotto le mani le sue spalle tremare violentemente, per poi percepire il suo rilascio dentro di se. Liam geme forte e affonda il viso nell’incavo del collo della ragazza, mordendole subito dopo una spalla. Il suo corpo sfinito si accascia un istante, ma si costringe a tirarsi su e, dopo un altro paio di spinte irregolari e decise, sente l’ansimo di lei giungerli alle orecchie e, finalmente, le sue gambe che abbandonano il suo busto, appagate.

 

 Tutti i ricordi di quelle poche ore precedenti si ripresentarono al mio cervello poco lucido. Mi avvicinai al corpo del ragazzo immerso nell’oscurità e mi accovacciai per terra, in modo da portare il mio volto all’altezza del suo. I capelli, arruffati e sparati in direzioni differenti, incorniciavano un viso rilassato… o meglio, una metà-viso. Il cuscino infatti inghiottiva buona parte del volto, lasciando scoperto solo un occhio, il naso schiacciato su di esso e la bocca, che era dischiusa e dalla quale provenivano respiri regolari e di tanto in tanto qualche grugnito. Mi alzai nuovamente in piedi e notai che anche lui, completamente nudo, era privo di coperte (le quali non mi spiegavo che fine avessero fatto) ed era scosso da piccoli tremolii. Chissà come doveva essere comportarsi da fidanzatini; chissà come doveva essere svolgere la parte della ragazza innamorata; chissà come doveva essere sdraiarsi l’una di fianco all’altro e riscaldarsi a vicenda in situazioni come quella; chissà…

Ritornai nella mia parte di letto e, incerta, mi schiacciai sul fianco di Liam, passandogli incerta un braccio intorno al petto. In quel momento, il ragazzo si girò e mi tirò a se, facendo intrecciare le sue gambe con le mie e nascondendo il mio corpo nel suo, forse nel tentativo di riscaldarmi o, ipotesi più probabile, come gesto involontario nel sonno. Rimasi paralizzata per qualche istante, sconcertata da quell’azione inaspettata, sciogliendomi da quella presa poco dopo e accoccolandomi su me stessa nella mia porzione di letto, sorridendo. No, non facevano per me quelle cose, abbandonarsi a smancerie, ai sentimenti, accogliere qualcun altro tra le mie braccia… chiusi gli occhi e mi strinsi ancora di più tra le mie stesse braccia, ignorando il fatto che, di fianco a me, si trovava un ragazzo che mi osservava con fare malinconico.

 

Pov. Liam

Aprii gli occhi, impastati completamente dalla lunga dormita, e mi costrinsi a mettermi seduto, seppur con fatica. Mi facevano male gambe e busto, per non parlare poi del dolore alla testa. Quella, però, era stata senza dubbio una delle nottate migliori della mia vita. Mi stropicciai la faccia come un bambino piccolo e, quando finalmente riuscii a focalizzare la stanza illuminata ormai dalla luce del giorno, notai con rammarico, ma anche con un filo di consapevolezza già assunta, che ad attendermi non c’era nessuna Axel. Misi un broncio assolutamente inutile, anche perché non c’era nessuno a cui sbatterlo in faccia, o almeno così credevo…

“Buon giorno sconvolto.”

Sobbalzai e misi in moto le mani alla ricerca di un lenzuolo che non trovai per coprirmi, fermandomi poi quasi subito, alzando lo sguardo.

“Louis! Vattene subito!”

Sbraitai, nel vederlo comodamente seduto sul divano, con le braccia dietro la nuca, le gambe accavallate e un sorrisetto compiaciuto sul suo volto da schiaffi.

“Oh oh, nervosetto! Dormito poco?”

Mi chiese allusivo allargando ancora di più il sorriso e alzandosi in piedi. Io presi i due cuscini, un per utilizzarlo come copertura momentanea, l’altro per farlo finire sulla faccia di quella sottospecie di amico.

“Che diavolo ci fai qui?!”

“Mmm bhè, oggi nessuno di voi due si è presentato a scuola, tu non rispondevi al cellulare, così sono venuto a cercarti nell’ultimo posto dove gli altri ti avevano visto, cioè qui. Sono arrivato davanti alla porta e l’ho trovata aperta… ah, si, mi sa che avete fatto gnic gnac con la porta aperta… e sono entrato.”

“Storia emozionante, ora puoi sparire?”

Ignorando le mie proteste, si sedette sul letto e mi prese le mani assumendo lo sguardo di una dodicenne in preda agli ormoni e urlandomi nelle orecchie, stridulo:

“Raccontami dai dai dai dai…”

Una figura comparve dietro di lui e gli picchiettò sulla spalla. Lui si girò, confuso, e un getto di acqua gelida si infranse sulla sua faccia, facendolo indietreggiare e finendo così tra le mie braccia. A mia volta, ridendo, andai ancora un po’ indietro catturandolo in una morsa, immobilizzandolo e permettendo così ad Axel di innaffiarlo per bene. Per i due minuti successivi la stanza sentì solo urla provenienti da Louis e risate sguaiate da me e la ragazza, che si stringeva in un asciugamano che le arrivava appena sopra le ginocchia. Trascorso questo tempo, convenimmo di lasciarlo libero e, appena lo liberai, lui schizzò in avanti come una molla e sia allontanò da noi due, per poi girarsi e ringhiarci contro:

“Ma siete stupidi?! E io adesso come ci torno a casa?”

Io e la ragazza ci guardammo un attimo negli occhi, per poi scoppiare a ridere fino alle lacrime: Louis teneva le braccia allargate, i capelli erano completamente appiccicati al suo volto e gli occhi erano ridotti a due fessure.

“O scusaci pulcino!”

Lo derise Axel, girandosi per mettere a posto il filo del doccino. Nel farlo, sia io che il mio amico notammo una striscia nera spuntare da sotto l’asciugamano, sulla spalla destra. Mi alzai, dimenticandomi di ogni sorta di copertura, e mi avvicinai alla ragazza, sfiorandole quella cosa misteriosa.

“Cos’è?”

Axel si girò nuovamente e mi guardò interrogativa. Poi si portò una mano nel punto che le avevo sfiorato e capì. Incurante del ragazzo fradicio che ci guardava incuriosito sulla soglia della porta, pronto per un piano di fuga nel caso avessimo deciso di avventarci nuovamente su di lui, si slacciò l’asciugamano e lo calò fino alla vita, rivelandoci un enorme tatuaggio: partiva dal fianco destro e si protraeva fino alla spalla, lasciando però pulita sia la maggior parte della schiena, sia il seno destro, il quale era sfiorato dalle strane ramificazioni in cui il disegno si snodava; erano strani segni che si intrecciavano, linee varie che giocavano tra di loro per poi sfumare e definitivamente scomparire. Non sapevo cosa volesse rappresentare, ma ero certo di una cosa: era bellissimo. Sfioravo con le dita quei contorti lineamenti che mi avevano ipnotizzato, per poi fermarmi improvvisamente: all’altezza della scapola, incastonate tra due ramificazioni, c’erano tre parole, scritte a caratteri molto piccoli: hic et nunc. Qui ed ora. Era latino, non l’avevo mai fatto seriamente, ma riuscii comunque a tradurle.

“Che significa?”

Le chiesi, generico, indicando con un cenno il disegno. Lei per tutta risposta si tirò nuovamente su l’asciugamano e, con un finto sorrisino, andò in bagno.

“Magari un’altra volta, eh?”

Mi urlò dall’altra stanza. Io e Louis ci guardammo, straniti. Lei ritornò pochi minuti dopo, con su un paio di pantaloni blu della tuta, una felpa ben allacciata, un cappello grigio calcato in testa e le sue immancabili Dr. Martens.

“Ancora così sei? Muoviti, che usciamo.”

Tagliò corto. Io mi alzai in silenzio e comincia ad infilarmi i vestiti, mentre lei si buttava sul letto e si strizzava di tanto in tanto i capelli umidi.

“Grace?”

Chiese a bruciapelo, facendo sussultare Louis che doveva essere immerso nei suoi pensieri.

“Eh?”

“Grace… ti dice qualcosa?”

Riprovò la ragazza, scandendo bene ogni parola e accentuandole con i gesti di proposito. Louis finse di non accorgersene e si grattò la testa, in evidente imbarazzo.

“Oh, si, Grace… bhè, a quanto pare stiamo insieme ora…”

Rise nervosamente, dondolandosi sui talloni come un bambino autistico. Ridacchiai tra me e me alla vista del mio amico in quelle condizioni. E dire che l’avevo sempre valutato una persona estremamente estroversa e sempre con tutto sotto controllo. Dovevo cambiare opinioni, a quanto pareva. Axel si mise meglio e lo guardò impassibile.

“Come sta, Louis, come sta. Questa era la domanda. Capisco che per te, bambina di nove anni, sia difficile contenerti dall’urlare a tutti con le lacrime agli occhi e le treccine che svolazzano in aria che ti sei fidanzata, ma cerca di sforzarti, su.”

Guardai in faccia il ragazzo, che la stava fulminando con lo sguardo, digrignando i denti, per poi osservare Axel, che lo sfidava arricciando le labbra per non scoppiargli a ridere in faccia. Io invece non mi trattenni. La mia risata riempì la camera, tra tutti quegli sguardi truci.

“Ragazza, sei simpatica come un ananas nel culo, lasciatelo dire.”

Sputò Louis, frustrato. Lei si concesse un sorriso e poi lo ritornò ad osservare.

“Davvero, come sta?”

“Sta bene, sta bene per l’amor del cielo!”

La ragazza si alzò, divertita, e andò alla porta.

“Liam, hai fatto?”

“Si si, eccomi.”

Dissi, e la raggiunsi.

“Louis, se vuoi farti una doccia fai pure, basta che uno rimetti a posto, due non frughi nei miei cassetti e tre quando te ne vai chiudi la porta, tanto non ti servono le chiavi, si apre solo dall’interno. Se no, esci ora con noi.”

“No, faccio una doccia.”

“Prego, Louis.”

Disse Axel, incrociando le braccia al petto, come per incitarlo ad un grazie. Lui la guardò e, con un alzata di spalle, si ritirò in bagno senza dire una parola, facendo partire lo scroscio dell’acqua ed iniziando a cantare, mentre noi uscivamo divertiti.

 

Il giardino pullulava di gente, soprattutto di bambini che scorrazzavano felici con gelati o palloncini in mano, inseguendosi tra di loro. Mi sentivo un colosso quando mi sfioravano le gambe e mi fissavano dai loro sessanta centimetri di altezza, impauriti e curiosi al contempo, inducendomi a sorriderli. Loro ricambiavano lo sguardo e, una volta ritrovati i loro genitori, riprendevano la loro corsa. Axel mi camminava di fianco, in silenzio, con una mano in tasca, la bottiglietta d’acqua nell’altra e la testa alta, al contrario della mia che fissava il terreno. Non prestava benché minima attenzione ai bambini che ci circondavano, sembrava assorta nei suoi pensieri e per un momento pensai di fermarla e chiederle il perché di quell’uscita. Anche se, bisogna dirlo, anche io non mi sforzavo di essere molto loquace, ma solo perché il suo sguardo mi intimidiva. Era così… attenta, a tutto, sicura, risoluta, bella… oh, non era bella, era bellissima, era davvero qualcosa di stupendo. Eppure esteticamente non aveva niente di più di altre ragazze forse anche più belle che avevamo incrociato per strada; era indubbiamente una bella ragazza, ma non era quello a colpire: era il suo modo di fare, diverso dal normale.

“Andiamo lì.”

Decretò, distogliendomi dai miei pensieri, e indicò con un cenno del capo uno spiazzo libero nel prato. Ci avviammo in quel punto e ci sedemmo uno di fianco all’altra, in silenzio. Poi, con un gesto inaspettato per me ma apparentemente di nessun effetto per lei, si sdraiò per terra appoggiando la testa sulla mia coscia, puntando gli occhi marroni al cielo.

“Che cosa pensi della vita, Liam?”

Rimasi un attimo perplesso da quella domanda. Si, era senza dubbio una strana ragazza. Riflettei per alcuni minuti, mentre lei, paziente, strappava piccoli fili d’erba per poi vivisezionarli tra le mani.

“Credo… credo che vada vissuta come più ci piace, ma anche tenendo conto delle conseguenze delle azioni che si compiamo, ecco.”

Dissi brevemente, confuso da quella strana domanda. Lei annuì, seria, continuando il suo lavoro di sterminatrice del prato.

“Allora cosa ti aspetti, Liam, come conseguenza di quello che è successo stanotte?”

Certo che le sapeva formulare proprio bene le domande, lei. Mi portai un dito alla tempia e cominciai a massaggiarla lentamente, cercando una risposta adeguata. Che cosa mi aspettavo? Sinceramente che ci saremmo messi insieme, che avremmo girato mano nella mano per il paesino scambiandoci effusioni continue ed imbarazzanti in pubblico, ma sapevo anche che tutto ciò era possibile con una ragazza qualsiasi, non con Axel, assolutamente. Così decisi di rispondere nel modo più sincero e sintetico possibile.

“Mi aspetto cose che so non essere ricambiate, credo.”

Lei arrestò il movimento delle mani e aggrottò la fronte, meditabonda, per poi allargarsi in un sorriso dolce. Si rimise seduta e mi guardò negli occhi, sempre con quell’espressione rassicurante in volto. Mi appoggiò una mano sul ginocchio facendomi alzare gli occhi e, finalmente, mi rispose.

“Credimi Liam, non ti piacerebbe stare con me. Sei un ragazzo troppo buono, cerchi una ragazza da proteggere e da amare, non me. Ti renderei solo infelice, saresti costretto a diventare qualcun altro per sopportare il rapporto che si verrebbe a creare tra noi.”

Io la guardavo senza capire. Perché non mi spiegava semplicemente il motivo alla base? Perché tutti questi dannati giri di parole?

“Perché?”

Le chiesi infatti, con una voce che mi uscì come quella di un bambino in procinto di fare i capricci. Axel sospirò e puntò di nuovo gli occhi al cielo, deglutendo.

“Un giorno ti racconterò, Liam, ma non oggi, non adesso, non sono pronta io e non lo sei neanche tu, Harry, Louis, Zayn e Grace.”

Pronunciò queste parole con un tono che poteva benissimo essere una gigantesca linea di confine invalicabile, quella dietro cui probabilmente si nascondeva sempre. Senza che potessi aggiungere altro, ritornò seria e ricominciò:

“Liam senti, io lo sapevo che ti saresti aspettato qualcosa di più che un semplice ‘andiamo a letto insieme e finita lì’, ma nonostante ciò ho comunque deciso di farlo. Mi dispiace, credimi. Sei un ragazzo che in qualche modo non è stato ancora toccato da questo mondo orribile, sei… innocente, ecco. Ti rovinerei. Ma non è questo il punto. Il punto è che voglio chiederti scusa se in qualche modo ho dato false speranze.”

Io la guardavo senza dire una parola. Quella era davvero una ragazza fuori dal comune, ce ne si poteva accorgere solo dal modo in cui parlava. Anche se una piccola scheggia del mio cuore, quella che probabilmente aveva sperato in un qualcosa, si staccava inesorabilmente da esso, ero felice di averla incontrata. Le presi una mano e le sorrisi.

“Axel, non importa, davvero. Si, speravo che in qualche modo anche tu provassi quello che provo io per te, ma me ne farò una ragione. Almeno, ti prego… rimarremo amici, vero?”

Lei sgranò gli occhi e scoppiò a ridere, riempiendomi le orecchie di quel suono melodioso. Poco dopo si ricompose e mi prese le mani, guardandomi con lo sguardo più dolce che le avessi mai visto addosso.

“Liam, sarei felice di essere tua amica.”

“Grazie Axel.”

 

 

Bu-yaaaa!

Lo so, lo so, sono in un ritardo mostruoso, mi vergogno di ciò e vi prometto che potrete percuotermi quanto riterrete opportuno (?).

Sono le 23.48 e mia madre sclerata mi sclera contro, quuuindi scriverò poco in questo spazio-autrice: vi ringrazio come sempre del supporto, spero che il capitolo vi piaccia, anche perché io ne sono soddisfatta (strano ma vero!), sono tipo la persona più felice del mondo per il premio che quelle 5 scimmie urlatrici hanno vinto, ho sgobbato tipo una giornata intera per corrergli dietro inutilmente e… che altro dire? Sicuramente avrò dimenticato qualcosa, quindi alla peggio l’aggiungerò inseguito :)

Un bacio gigante, Andrea <3

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Capitolo 9
*** Love me ***


Vi consiglio di mettere “I should’ve kissed you” :)

Buona lettura xx

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Pov. Zayn

I keep playing it inside my head

All that you said to me

I lie awake just to convince myself

This wasn’t just a dream

‘cos you were right here

And I should’ve taken the chance

But I got so scared

And I lost the moment again

 

It’s all that I think about, oh

You’re all that I can think about…

 

Accelerai istintivamente la corsa al partire del ritornello di quella canzone che rappresentava così bene la mia immane stupidità. Come, come avevo potuto lasciarmela scappare così?

E adesso che era andata a letto con Liam potevo anche dire addio ad ogni minima possibilità di costruirci qualcosa insieme..

Voglio dire, quel ragazzo era così assurdamente carino e coccoloso che avrei potuto farci un pensierino anche io.

Aggrottai la fronte rendendomi conto del mio ultimo pensiero ed accelerai ancora di più, sentendo i muscoli che si tendevano, l’aria che usciva affannosamente dai miei polmoni ormai stanchi, la pelle ricoperta da un delicato strato di sudore che impregnava anche parte dei miei capelli.

A pensarci bene, inoltre, perché parlavo (o meglio, pensavo) in modo così sicuro? Stavamo parlando di Axel dopo tutto, per la miseria! Sarebbe stata capacissima di restare indifferente anche ad un tipo come me.

 

Is your heart taken?

Is there somebody else on your mind?

I’m so sorry, I’m so confused just tell me..

Am I outta time?

 

Cazzo si.

Ero definitivamente, completamente ed inesorabilmente fuori tempo massimo, e probabilmente ormai il suo cuore era stretto avidamente tra le grinfie di Liam.

Le piante dei piedi chiedevano pietà, me le immaginavo urlarmi stridule di fermarmi, di concederle qualche minuto di pausa.

No.

Se adesso venivo intralciato anche dalle mie parti del corpo, che speranze potevo avere di sopravvivere?

Correre era sempre stato una sorta di sfogo per me, per non parlare poi di come mi tonificava gli addominali, i pettorali, le gambe… si, ero innamorato del mio corpo.

Nonostante questo, però, non mi ero mai ritrovato a scorrazzare nel parco vicino a casa alle quattro del pomeriggio, mai.

Ma se volevo riflettere, quale soluzione migliore di un po’ di movimento (che equivaleva quindi a una buona dose di svago) e della musica sparata nelle orecchie?

 

Is your heart breaking?

How do you feel about me now?

I can’t believe I let you walk away when..

When I should’ve kissed you

 

Socchiusi per un momento gli occhi, permettendo ad una lacrima di adagiarsi su uno zigomo, per poi scivolare giù, verso la gote e, infine, staccarsi definitivamente dalla mia guancia.

Non posso credere di averti lasciata andare via quando avrei dovuto baciarti..

Tirai fuori l’ipod, senza smettere di correre, e ne osservai lo schermo: One Direction.

Sospirai, sentendo il mio fiato che tremolava, un po’ per la fatica e un po’ per la frustrazione.

Cari One Direction, quanto avete ragione.

Me lo ricacciai in tasca e ripresi la corsa, lasciando invece che adesso tutte quelle dannatissime lacrime di rabbia si liberassero una volta per tutte.

 

Every morning when I leave my house

I always look for you

I see you everytime I close my eyes

What am I gonna do…

And all my friends say

That I’m punching over my weight

But in your eyes I

Saw how you were looking at me..

 

Con un balzo mi spostai di mezzo metro dalla figura che trotterellava indisturbata e tranquilla al mio fianco da chissà quanto tempo, dopo essermene accorto solo in quel momento, e mi preparai ad incenerirla con lo sguardo.

Insomma, adesso non si poteva neanche più soffrire in santa pace?!

Voltai la testa lentamente, con aria truce e probabilmente una faccia da appestato, e piantai gli occhi sulla faccia dell’importunatore. Mi strozzai quasi con la saliva nel constatare che colei che mi seguiva da un bel pezzo era proprio la causa di quel mio aspetto indecente.

Mi affrettai a voltare la testa e, con una vigorosa e decisa strusciata di braccio sul mio viso per cancellare ogni forma di emozione manifestatasi poco prima, mi voltai nuovamente verso di lei, che trottava tranquillamente senza dare segni di fatica.

 

“Sai, pensavo che avrei dovuto assistere ad una scenata adolescenziale da parte tua prima di venir notata. Grazie per avermela risparmiata.”

 

Si voltò verso di me, con un sorriso palesemente finto e soprattutto palesemente innocente stampato in volto.. una tigre siberiana sarebbe stata più docile di quell’essere che mi aveva stregato.

 

“Prima di tutto, buongiorno anche a te Axel. Secondo, mi fa piacere che ti sei ripresa dalla sbandata dell’altra sera, vedo che sei tornata più carica di prima.”

 

Le dissi, rivolgendole lo stesso sorrisetto arrogante. Lei mi fece una sorta di inchino e tornò pacificamente a concentrarsi sulla propria corsa.

Io a mia volta mi rinfilai le cuffie e tornai a fare lo stesso, forse con un po’ meno nonchalance e naturalezza…

Okay, dopo neanche due minuti scoppiai e spensi con una furia nascosta l’apparecchio e mi sforzai di assumere un tono disinteressato.

 

“Che mi dici di oggi? Troppo occupata per venire a scuola?”

 

Lei mi sorrise pigramente e rallentò.

 

“Mh, Zayn, vuoi davvero sapere che altro avevo da fare?”

 

Mi fermai di botto, allibito e sconvolto da quelle parole così assurdamente sfacciate, guardandola con odio e (probabilmente) con una mascella che toccava terra. Mi affrettai a chiuderla, vedendo il suo sguardo compiaciuto, e mi avvicinai pericolosamente a lei, puntandole un dito in faccia e assottigliando gli occhi.

 

“T-tu… sei.. brutta piccola…”

 

Balbettavo parole a caso in preda alla furia, mentre la ragazza mi osservava divertita a braccia incrociate e con la testa reclinata da un lato, come se stesse ascoltando un cerebroleso.

 

“Fanculo!” 

 

Riuscii solo ad esclamare alla fine, alzando le braccia in aria per poi lasciarle ricadere pesantemente lungo i fianchi, guardandola con occhi sgranati.

Perché più i miei occhi la percorrevano da cima a fondo e più desideravo che fosse mia?

Perché più mi sfotteva e più desideravo che continuasse, solo per sentire la sua voce?

Ma soprattutto, cosa mi stava succedendo?

Io ero Zayn Malik, Zayn Jawaad Malik, che cavolo! Quello sexy e seducente, la celebrità della scuola, il donnaiolo! Come avevo potuto ridurmi così, ad avere paura di una ragazza?

Mi sarei tirato volentieri un pugno in pancia da solo.

Zayn! Svegliati! Quella che hai davanti è Axel, non una ragazza, ma una specie di androide mutante super-sexy!

Stupidi ormoni.

Lei continuò a guardarmi imperterrita con un sorrisino compiaciuto e si avvicinò al mio petto ansante e sudato, appoggiandovici sopra una mano. La fece scorrere lentamente facendomi deglutire più volte. Alzai lo sguardo e la vidi che si tratteneva dal ridere, notando le mie reazioni. Infine, posò la mano sul mio collo e raccolse una cuffia che penzolava scompostamente, per poi accendere l’Ipod. La guardai sconvolto, non avendo neanche la forza di strapparle il dispositivo dalle mani, conscio che appena lo avrebbe acceso e avrebbe visto la canzone che stavo ascoltando, non ci avrebbe messo molto a fare due più due: io, lacrime, canzone, lei= 4!

E così fu.

Si concentrò per tutti e tre i minuti della canzone su di essa e, al termine, mi guardò divertita, porgendomi nuovamente l’affarino che in quel momento avrei voluto distruggere.

 

“Domani sera pensavo di invitarvi a casa mia per parlarvi di un paio di cose.”

 

Disse glaciale, cambiando il suo umore e tono di punto in bianco. Senza neanche lasciarmi il tempo di rispondere, mi lanciò un bacio volante e se ne andò, con la stessa velocità con cui me l’ero trovata affianco poco prima.

Osservai per non so quanto tempo il punto in cui prima si trovava la ragazza, quando mi decisi finalmente di tornare alla realtà. In quel momento mi accorsi di un numero considerevole di ragazze che mi guardavano trasognanti.

Con un’alzata di capo e un sorriso seducente le salutai, facendo fare piccoli sospiri a quelle che si trovavano lì da sole e urletti di approvazione invece a coloro che erano in compagnia di amiche, e mi allontanai trotterellando, con sempre il sorriso stampato in faccia e l’unica frase che in quel momento riusciva a frullarmi per il cervello: perché non può essere come loro, cazzo?

 

 

Pov. Niall

 

“Arrivo, arrivo!”

 

Urlai uscendo dal bagno, cercando di incastrarmi tra i fianchi un asciugamano che non si decideva a stare su.

D’altronde è naturale che appena uno si infila sotto la doccia il campanello debba suonare, no?

 

“Chi diavolo è che rompe..”

 

Borbottai tra me e me mentre abbassavo la maniglia della porta e assumevo l’aria meno incazzosa che mi riusciva.

Harry stava di fronte a me, con le mani nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo spento e un sorriso tirato.

Lasciai che l’aria fredda si abbatté sul mio busto, mentre lo osservavo impietrito.

Da quando mi aveva raccontato di quell’orrenda serata, avevo tentato di tutto per far tornare indietro il mio Harry. Lo avevo consolato, gli avevo rivolto parole di conforto ed incoraggianti, talvolta lo avevo anche sgridato, nella speranza che reagisse e uscisse da quel bozzolo in cui si era chiuso, ma niente. Mi guardava come se lo disgustasse anche solo l’idea che avrei potuto sfiorarlo, baciarlo, accarezzarlo. Quell’uomo lo aveva marchiato a fondo, gli aveva strappato brutalmente ogni emozione positiva, aveva offuscato quella luce fantastica che caratterizzava i suoi occhi verdi, fino quasi a spegnerla.

Ma era quel quasi che non mi aveva ancora fatto gettare la spugna.

Harry aveva bisogno di tutto l’amore possibile in quel momento, dei suoi amici, dei suoi genitori, di… me, anche se poteva sembrare il contrario.

Per questo la mia mente si scollegò quando me lo ritrovai davanti, fragile e diverso come lo era stato in quell’ultimo periodo.

 

“Ciao.”

 

Mi disse, senza neanche alzare gli occhi dal pavimento. I miei si inumidirono al sentire quella voce e quasi non riconoscerla più.

 

“Harry...”

 

Dissi con voce strozzata, come se in un’unica parola si racchiudessero tutte le mie preghiere, come se lo stessi scongiurando di guardarmi e di sorridermi solare, proprio come faceva una volta, poco tempo prima.

 

“Posso entrare?”

 

Domandò incerto, muovendo un piede in avanti.

Io semplicemente mi discostai e lui mi passò davanti veloce, entrando in soggiorno.

Stemmo lì in piedi, un lontano dall’altro, per minuti che mi parvero ore.

Quando, finalmente, parlò.

 

“Niall io.. io ti devo parlare.”

 

Crack.

Solo al suono del tono con cui aveva pronunciato quelle parole mi si parò davanti il discorso che avrebbe fatto di lì a poco tempo. Una lacrima scivolò giù dal mio occhio destro e mi affrettai a spazzarla via, senza dire una parola.

Sentii dei singhiozzi e mi accorsi che gli occhi del ragazzo vicino a me erano arrossati e gonfi, nido di una cascata salata che cominciò a sgorgare.

 

“I-io non ce la faccio, Niall..”

 

“Harry.”

 

Lo supplicai, con voce rotta, tentando di raggiungerlo con un passo, ma lui indietreggiò ed alzò le mani a mò di resa, gemendo forte, nel tentativo di soffocare la sua debolezza.

 

“N..no Niall no, ti prego!”

 

“Harry non farlo, per favore. Ce la puoi fare, ce la possiamo fare insieme a superare tutto questo. Permettimi di aiutarti, maledizione!”

 

Con un balzo riuscii a raggiungerlo e ad avvolgerlo con le mie braccia nude. Appena lo toccai, le gambe del ragazzo cedettero e mandò ogni tentativo di trattenere i singhiozzi a quel paese, piangendo incontrollatamente sul mio collo, stringendo forte le mie spalle con le mani.

Piangemmo insieme, forse la prima cosa che condividevamo dopo tanto tempo.

Ad un certo punto però, Harry si staccò da me ed indietreggiò, dicendo forse le parole più dure e dolorose che mi era mai capitato di sentire.

 

“N-no, Niall, non ce la faccio. Non ce la faccio a far percorrere alle tue mani la stessa pelle che ha visto quella sera. Non ce la farei a far l’amore con te senza immaginarmi quell’uomo. Il mio corpo non è degno di te, non più. Sono diventato un mostro, lo vuoi capire?!”

 

Urlò quest’ultima frase, girandosi e uscendo fuori da casa mia, lasciandomi sconvolto, completamente sconvolto.

Non era degno di me..

Era un mostro..

Mi girai di scatto e ferrai un pugno alla parete, urlando.

Un mostro, ecco come si vedeva!

E io? Io cosa potevo fare? Come potevo fargli cambiare idea?

Mi accasciai per terra, soffocato dal peso di quella responsabilità che vedevo come mia e nel contempo troppo grande per me.

E piansi.

Piansi come mai in tutta la mia vita avevo fatto, sputai fuori la rabbia, la frustrazione, l’odio, la tristezza, la disperazione.

Era finita, dunque?

Come potevo aiutarlo, se il punto a cui eravamo arrivati era quello?

Il campanello suonò nuovamente, ma io non accennai ad alzarmi. Dopo alcuni minuti la maniglia si abbassò e quella che doveva essere Axel entrò in casa, guardandosi intorno. Che diavolo ci faceva qui? Io e lei non ci eravamo mai veramente conosciuti. Mi alzai in piedi e tentai inutilmente di ricompormi. Al mio movimento la ragazza si accorse di me e mi puntò gli occhi addosso.

 

“Mio Dio santissimo.. Anche tu? Non sai mai dove girarti che trovi qualcuno che piange.”

 

Disse sbuffando, mettendosi le mani sui fianchi.

Ma che diavolo…?

Mi morsi ferocemente un labbro, sentendo i miei occhi colmarsi nuovamente di lacrime, e mi imposi di non piangere.

Due minuti dopo, ovviamente, la stanza era intrisa dei miei singhiozzi pesanti, mentre la ragazza tentava di consolarmi accarezzandomi un braccio.

Ottimo primo incontro, Horan, complimenti.

Tirai su con il naso un paio di volte prima di discostarmi da lei e sorriderle mestamente.

 

“Va meglio?”

 

Mi chiese dolcemente, ma traspariva dai suoi occhi un velo di irritazione. Scossi la testa in segno di diniego, per poi ridere di una risata assolutamente fuori luogo, alla quale si unì anche lei.

 

“Ascolta, ti va di venire a casa mia domani sera? Ci sarà un pò di gente.. insomma, mi farebbe piacere.”

 

Mi disse, guardandomi intensamente. Quella ragazza aveva degli occhi assurdi, poco ma sicuro. Incrocia le braccia al petto come a simulare una protezione e mi dondolai sui talloni.

 

“Verrei volentieri, ma perché hai pensato anche a me?”

 

Fece un’alzata di spalle e cacciò le mani in tasca, mentre già si avviava verso l’uscita.

 

“Più gente c’è meglio è, no?”

 

Non credevo minimamente alle sue parole, ma.. perché no? Fece per uscire quando fu fermata dalla mia voce.

 

“Axel. Ci.. ci sarà anche Harry?”

 

Domandai timoroso, non sapendo bene se desideravo ricevere una risposta affermativa o negativa. Mi guardò per una manciata di secondi, prima di rispondermi.

 

“No, Harry non ci sarà.”

 

Annuii e ci salutammo, mentre nella mia testa si faceva largo un sollievo inaspettato.

 

 

 

Pov. Grace

 

Osservai la figura della ragazza riflessa allo specchio, compiacendomi di quello che vidi: una persona finalmente più sicura di sé, meno timorosa degli altri e soprattutto.. bella.

Si, mi vedevo bella in quel momento, nei miei semplici jeans scoloriti, nella mia maglietta dei Nirvana e nelle mie All Star bianche.

Mi sorrisi, facendo una piroetta giocosa su me stessa seguita da un inchino altezzoso.

Suonò il campanello.

Guardai l’orologio e potei constatare che Louis era in anticipo di una mezz’ora abbondante.

Tanto meglio.

Mi sorrisi nuovamente e poi mi diressi quasi di corsa alle scale, aprendo con il fiatone la porta.

Il ragazzo che mi si parò davanti mi sorrise scaldandomi il cuore, allargando le braccia subito dopo come per invitarmi tra di esse.

Non me lo feci ripetere due volte e mi ci buttai, facendolo barcollare e sprofondando il viso nell’incavo del collo per assaporandone il buon profumo vanigliato.

 

“Ma buongiorno.”

 

Mi sussurrò all’orecchio, facendo giungere il suo alito caldo sul mio collo. Rabbrividii e mi strinsi ancora di più a lui.

 

“Sarebbe sera, pirlotto.”

 

Non disse nulla, e immaginai che avesse aggrottato la fronte facendo finta di riflettere, per poi dire:

 

“Ma buonasera.”

 

Risi e lo presi per mano, portandolo in casa.

Si lanciò a peso morto sul divano, cominciando a giocherellare con il telecomando, mentre io ritornavo dalla cucina con un bicchiere d’acqua, appoggiandomi ad un mobile che era lì in salotto e guardandolo con tenerezza.

Era vero, Louis di primo acchito poteva sembrare una persona egoista e, ma si, stronza, ma la verità era che se teneva a qualcuno, poteva diventare il miglior amico, cugino, fratello, compagno di banco.. fidanzato, del mondo.

 

“Sei bellissima…”

 

Sussurrò, senza staccare gli occhi dal telecomando che reggeva in mano, ma allargandosi in un sorriso che nacque anche sulle mie labbra.

 

“Sei in anticipo.”

 

Dissi con lo stesso tono di voce, mentre le mie mani cominciarono a tremare lievemente.

 

“Lo so. Volevo stare un po’ in pace con te.”

 

Questa volta alzò lo sguardo ed incontrò il mio e, per chissà quale motivo, entrambi divennero immediatamente seri. Poggiai il bicchiere sul ripiano e mi avvicinai lentamente a lui, sedendomi poi sulle sue ginocchia ed iniziando ad accarezzarlo sulla guancia.

Voglio fare l’amore con te, Louis.

Avrei disperatamente voluto pronunciare quella frase…

Ma non ci riuscivo.

Non ci riuscivi un po’ per imbarazzo, ma soprattutto per paura che mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia.

Così lo baciai, beandomi delle sue lievi carezze sulla mia schiena, della sua lingua sul mio collo, del suo petto appoggiato al mio.

Sorrisi tra me e me, mentre mi alzavo e mi mettevo davanti a lui, prendendogli le mani e facendolo alzare.

 

“Andiamo in spiaggia.”

 

Annunciai, cominciando a trascinarlo fuori di casa.

 

“Piccola, tra un’ora dobbiamo essere a casa di Axel!”

 

Disse poco convinto il ragazzo, segno che dopo tutto approvava la mia scelta.

 

“Allora c’è tempo a sufficienza.”

 

Gli sorrisi e ci guardammo, stringendoci l’uno all’altra come solo gli innamorati sanno fare, e ci avviammo verso la macchina, intrisi di una splendida felicità infantile ma vera.

 

 

 

Bu… ya…

Sono in un ritardo mostruoso e me ne rendo conto, mi disgusto da sola.

D:

Ebbene, QUESTO CAPITOLO MI FA SCHIFO.

Ma ci si accontenta, no? E poi non potevo permettermi di scriverne un altro, se no altro che ritardo mostruoso!

Quindi… perché non lasciare qualche recensioncina per tirarmi su il morale (dai, è anche appena passato il mio compleanno, fatemi felice! :D).

Come sempre, vi ringrazio TUTTE, da quelle che aggiungono la storia nei preferiti a quelle nelle seguite, da chi mi recensisce e chi no (perché comunque vuol dire che leggete :)).

Spero di non aver deluso nessuno perché si, io mi sono delusa.

*piange in un angolino*

Un bacio a tutte,

Andrea xx

 

p.s mi ero anche ripromessa di scrivere tante belle cose in questo spazio autrice, invece ne è venuta fuori una mezza schifezzina.. accidenti! Non era proprio capitolo! ;) <3

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Capitolo 10
*** You don't know who i am ***


AAH!

Linciatemi, mi sono scordata di dirvi (anzi imporvi) una cosa essenziale!

Se non l’avete già fatto, fiondatevi su questa storia: La ragazza di King's Cross.

Davvero, vi perdereste moltissimo se non lo faceste.

È una ff stupenda e se siete (come me) in cerca di storie un po’ diverse, non potete assolutamente lasciarla nel dimenticatoio -mh, sembra una televendita su EFP o.ò-.

E colgo anche l’occasione per ringraziare la sua splendida e carinissima autrice che mi diletta con recensioni jksduferuibfjdk èé. <3

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Pov. Axel

“Zayn, apri!”

Il moro mi guardò scocciato (forse per la centesima volta da quando aveva messo piede nell’appartamento, cioè una mezzoretta) e si avviò pigramente alla porta.

Mi dava sui nervi il modo in cui fulminava con lo sguardo sia me che Liam ogni qualvolta ci rivolgevamo anche solo la parola; insomma, lo sapevo di piacergli, ma non ero certo una di quelle ragazze che danno troppo peso alla cosa. E comunque pensavo di essere abbastanza responsabilizzata ed indipendente per fare quello che mi pareva.

Appena spalancò l’uscio, due figure abbastanza sconvolte e con un sorriso ebete stampato in volto ci si presentarono davanti: Louis e Grace.

Il moro stette alcuni secondi in piedi davanti a loro senza accennare a spostarsi; la situazione mi incuriosii, così mi sporsi un poco dalla cucina (nella quale stavo preparando dei tramezzini) e mi misi ad osservare la scena, senza comunque far accorgere della mia presenza agli altri.

Lentamente, Zayn alzò l’indice e lo puntò contro la coppia, sibilando:

 

“Voi avete fatto sesso..”

 

I due seguitarono a guardarlo come degli allocchi, senza togliersi di dosso sia quello sguardo poco furbo sia senza sciogliere l’abbraccio in cui si avvolgevano reciprocamente.

Ancora più convinto, il ragazzo si sciolse in un sorriso trionfante e, girandosi con uno scatto, portò le mani a megafono attorno alla bocca e urlò più forte, in modo tale che tutti quelli nella casa (vale a dire io e Liam) potessero sentire il suo annuncio:

 

“Questi due hanno fatto sesso da non più di venti minuti!”

 

Quelli, come risvegliatisi da una sorta di trance, diventarono bordeaux nel giro di pochi secondi e corsero a tappargli la bocca, sia buttandoglisi addosso, sia aggrappandosi alla sua schiena.

Il moro cominciò a ridere, mentre barcollava verso il divano con i due ragazzi ancora appiccicati a se. La scena mi provocò un moto di tenerezza, che manifestai attraverso una risata sincera, seguita da Liam, che mi si era affiancato poco prima anche lui incuriosito dalla situazione.

Al suono della mia voce, Grace si girò di scatto e, dopo avermi vista, mi corse incontro, tirandomi tre pugni abbastanza forti sul braccio destro.

Io mi ritrassi, massaggiandomi il punto colpito e guardandola confusa.

 

“Il primo era per avermi abbandonata come un cane alla discoteca” dichiarò stizzita, alzando un dito per contare i motivi di quel gesto “Il secondo per avermi fatto prendere un accidenti quando sei stata male e l’ultimo è per non esserti fatta sentire mezza volta”.

 

Mi guardò truce, mentre io assumevo una finta aria colpevole, per poi alzare gli occhi al cielo. Dopo poco, però, il suo sguardo si addolcì e annunciò:

 

“Ma questo, questo è perché mi sei mancata e sono felice di vederti!”

 

Detto questo mi si aggrappò addosso, avvolgendomi le spalle nelle sue braccia esili e affondando il viso nel mio incavo del collo. Guardai con occhi sbarrati gli altri, che nel frattempo avevano finito di fare i bambini e ci guardavano mimando con le labbra un “Oooh”, come per prenderci in giro.

 

“Ehi ehi ehi! Ragazzina scollati immediatamente!”

 

Dissi con convinzione, mentre tentavo di liberarmi da quell’abbraccio assolutamente indesiderato. Lei fece come gli avevo ordinato e mi fece la linguaccia, sussurrandomi un “antipatica” e avviandosi poi verso la cucina per prendere un finocchio appoggiato sul bancone. Il suo viaggio però fu interrotto da un paio di altre braccia che la tirarono a se e permisero alla persona padrona di esse di depositarle un bacio leggero sulla guancia e sussurrarle all’orecchio a bassa voce –forse con l’intento di non far sentire nulla a nessuno di noi, ma fallendo- un:


“Ti amo, tanto tanto tanto..”

 

Sia io che Liam imitammo la scenetta dei ragazzi di poco prima, sospirando un “Oooh” un po’ più forte, abbracciandoci teatralmente e asciugandoci reciprocamente delle lacrime immaginarie, facendo ridere la coppia. Notai che Zayn aveva uno sguardo afflitto e triste, e in quel momento mi venne voglia di tirargli la scodella dell’insalata dietro.

Alla fine mi limitai a ritornare in cucina, esattamente nel momento in cui il campanello suonò nuovamente.

 

“Zayn..”

“..Vai ad aprire. Si ho afferrato.”

 

Concluse il moro, girando il pomello della porta ed aprendola.

Nei momenti che seguirono si assistette allo sguardo confuso di Zayn e a quello terrorizzato di Niall che guardava il ragazzo indietreggiando.

 

“Niall tranquillo. Non ti faranno niente, entra pure.”

 

Gli andai incontro io, appoggiandogli una mano sulla schiena e permettendogli così di entrare.

 

“Axel, che cazzo ci fa questo qui?”

 

Ringhiò Zayn, mentre Louis e Grace entravano in soggiorno, avvinghiati e confusi, e Liam si sporgeva dalla cucina, come caduto dal pero.

 

“Questo” Indicai con un braccio il ragazzo che era dietro di me, pronto ad un’azione di fuga “è il fidanzato del tuo migliore amico ed anche un mio amico, quindi se la cosa non ti sta bene, quella è la porta, Zayn.”

 

Risposi con un tono pericolosamente basso e pericolosamente tranquillo, guardandolo insistentemente.

 

Lui mi osservò con odio, andando a grandi passi sul divano e buttandocisi sopra.

Perché doveva fare così? Perché non tentava di aprire quella sua mente così esageratamente chiusa ed usciva dal suo piccolo ed insignificante mondo? Ah si, perché era un cavolo di bambino viziato ed egocentrico.

Eppure, dopotutto, ero sicura che si potesse fargli capire tutti i suoi sbagli. E io, come sempre, mi sarei cimentata in questa impresa apparentemente impossibile.

 

“Vai pure di là, Niall. Adesso ti raggiunge Liam. Per favore, non andartene. È importante che ci sia anche tu ora.”

 

Lui mi guardò titubante per qualche secondo, poi sospirò e mi sorrise mestamente, alzando gli occhi e guardandosi intorno.

 

“No, non c’è Harry.”

 

Dissi semplicemente, voltandomi e ricominciando a preparare l’insalata. Lo sentii balbettare qualcosa come giustificazione, ma io lo liquidai con un gesto della mano e con un “Và di là”. Finalmente il biondo fece come gli avevo detto e lasciò la stanza, passando velocemente davanti a Zayn e andandosi a sedere su una sedia in sala, lontano da tutti.

Louis e Grace mi guardarono ed io, annuendo con il capo, li incitai ad andare dal ragazzo. Loro si alzarono e gli si avvicinarono, sedendosi a loro volta su delle sedie lì vicino e cominciando a parlargli.

 

“Ma allora è vero.”

 

Guardai Liam che, intento a sbucciare una carota, sorrise dicendomi ciò, senza alzare gli occhi dal suo lavoro.

 

“Cosa è vero?”

“Che sei una paladina della giustizia!”

 

Dopo avergli affibbiato una forte gomitata nella spalla e averlo cacciato dalla cucina, mi concessi un sorriso, pensando che, in fondo, potevo essere vista così dagli altri.

Io, io una paladina della giustizia?! Questa era bella.

 

“E così.. tu e Liam eh?”

 

Sbuffai sonoramente e chiusi gli occhi, fermando il lavoro che le mie mani stavano svolgendo su una patata.

 

“Zayn, mi spieghi che vuoi? Ti rendi conto di come ti comporti?”

 

Dissi arrabbiata, voltandomi repentinamente verso il ragazzo che, appoggiato allo stipite della porta, lontano da tutti, aggrottò la fronte e poi la rilassò, forse avendo capito il significato delle mie parole.

 

“Non mi hai risposto.”

“E non intendo farlo.”

 

Si massaggiò un tempia, inspirando profondamente. Si stava arrabbiando? Oh, si salvi chi può.

Ma per piacere. 

 

“Perché?”

 

Disse, e non capii se fosse una domanda o un principio di frase che si aspettava completassi. E così feci.

 

“Perché finiresti per rompermi ancora più di quello che già fai l’anima.”

 

Rimase immobile, con gli occhi chiusi ed il respiro pesante, che gli faceva alzare ritmicamente il petto ampio.

 

“È un si?”

 

Sussurrò dopo alcuni minuti.

 

“Vuoi che sia un si?”

 

Risposi io, sorridendo e finalmente abbandonando il tubero che avevo torturato fino a quel momento, per poi girarmi verso di lui ed appoggiarmi al piano cottura della cucina, attendendo una risposta che non tardò ad arrivare, accompagnata da uno sbuffo irritato e un’alzata repentina delle palpebre.

 

“No.”

“Perché?”

 

Imitai il tono con cui aveva pronunciato lui stesso quella singola parola poco prima.

Dio, quanto mi stavo divertendo.

Si passò una mano tra i capelli, frustrato, per poi lasciarla cadere pesantemente lungo il fianco e alzarla subito dopo insieme all’altra come gesto di esasperazione, emettendo un verso gutturale.

 

“Perché secondo te?!”

 

Mi sbraitò contro sottovoce.

Sorridendo, mi voltai, mi sciacquai le mani e raccolsi le verdure in un recipiente, tutto in totale silenzio, per poi avviarmi verso la sala e, solo in quel momento, gli dissi con tono divertito e fintamente ingenuo, sempre camminando:

 

“Ah, non ne ho idea.”

 

E, senza che riuscii controllarmi, scoppiai a ridere quando sentii provenire dalla cucina un “Dio” sbiascicato seguito da un rumore di pentole che venivamo sbattute per terra.

 

 

Pov.  Niall

 

Stupido, stupido Horan!

Prima andavo lì, a casa di quella strana ragazza che mi aveva invitato, con un senso di leggerezza nel sapere che il riccio non sarebbe stato presente, mentre l’attimo dopo lo cercavo come un claustrofobico cerca l’aria.

Eppure mi aveva avvertito, lei.

Cercai di giustificare il mio stato d’animo così irrequieto constatando che, dopotutto, ero in un mini appartamentino con le persone che fino alla settimana prima mi infilavano la testa nei cassonetti della spazzatura.

No, la verità era che Harry mi mancava davvero, e non c’era niente o nessuno che influiva su tutto ciò.

Sognavo ad occhi aperti, mentre Louis e quella che avevo capito essere la sua nuova-mini-ragazza, che il mio Curly Boy spalancasse l’uscio di casa, con una bottiglia di champagne contornata da un voluminoso fiocco dorato in mano, mentre esclamava, sorridendo festoso provocando le sue fossette che mi avevano attratto sin dal primo momento, una frase come “Ehi, non avrete cominciato senza di me, vero?”.

Sogna Niall, sognare non costa niente.

E così, per quella che mi parve un’infinità, tra gli irritanti sguardi civettuoli che gli sposini si scambiavano (credevo di essere finito in un romanzo rosa, per intenderci), le loro personalità logorroiche e, cosa più importante, la preoccupazione costante verso il pakistano che, pur non avendomi degnato di un solo sguardo mezza volta, riusciva ad infondermi puro e vero terrore, trascorsero una ventina di minuti, prima che Axel ci portasse, seguita da un Liam tutto sorridente, la cena tanto attesa.

Chiacchierarono del più e del meno (loro), qualche volta le due ragazze cercarono di coinvolgermi in qualche discorso, aiutate talvota da Liam e Louis, ricevendo dalla mia parte solo insoddisfacenti “Uhm”, “Interessante”, “Si”, “No” e altre risposte di questo genere.

 

“Okay, direi che qui abbiamo finito. Che ne dite di trasferirci sul balcone?”

 

Domandò Axel, alzandosi in piedi svogliatamente.

Louis assunse uno sguardo shockato e “Hai addirittura un balcone?!”, esclamò, portandosi una mano alla bocca.

La ragazza assottigliò gli occhi e sussurrò, in un misto tra il divertito e il finto minaccioso:


“Esilarante. Grace, tienimelo lontano se vuoi copularci ancora.”

 

Scoppiammo tutti a ridere (si, anche io), tutti tranne il ragazzo tirato in questione, che guardò la fidanzata terrorizzato. Questa a sua volta si rese conto dopo delle parole della ragazza ed arrossì in modo fulmineo, nascondendosi nel petto accogliente del ragazzo, che prese ad accarezzarle la schiena amorevolmente guardandole sorridente la nuca.

Dio mio.

Erano davvero tutte così le persone innamorate?

Eravamo così io ed Harry?

Scossi la testa, arrabbiato con me stesso per non riuscire a staccarmi da quel pensiero costante e fastidioso.

Comunque, dopo questo breve sketch, ci alzammo per dare una mano a sparecchiare.

Proprio mentre svoltavo un angolo per portare una pila di piatti in cucina, mi scontrai con Zayn, che a sua volta aveva tra le mani tovaglioli e posate.

 

“Scusami..”

 

Sussurrai abbassando lo sguardo, come in segno di sottomissione, e superandolo velocemente, desideroso di non sentirmi uno schifo anche grazie a lui, come se non bastasse di suo la mia scarsa autostima.

Quando però, subito dopo un sospiro pesante, il ragazzo mi afferrò per un polso trattenendomi, mi sentii gelare il sangue nelle vene.

Mi riportò nel punto in cui mi ero trovato durante lo ‘scontro’ e mi osservò di sottecchi, sospirando per una seconda volta.

Che voleva fare? Tirarmi un pugno così, con tutti presenti? La serata non poteva finire in modo più adeguato alla giornata penosa appena trascorsa.

Mi appiattii al muro ed attesi che facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per poi essere libero di andar via.

Tutto ciò che mi ero immaginato, però, non successe, e l’ultima cosa che mi aspettavo era sentirlo pronunciare, a voce sommessa e colpevole, ciò che mai avrei creduto sentir uscire dalle labbra di Zayn Jawaad Malik:

 

“Niall.. senti, scusami tu. Io non lo so perché mi comporto così, soprattutto dopo che ho scoperto.. si insomma.. tu ed Harry.”

 

Si bloccò un attimo e si fece passare una mano sulla faccia, mentre io me ne stavo ancora spiaccicato al muro sporco, questa volta però con la bocca spalancata dalla sorpresa.

 

“Mi… mi dispiace, volevo dirti solo questo. Mi piacerebbe conoscerti meglio, scoprire chi sei e riportare indietro Harry.. sono sicuro che manca tanto a te quanto a me.”

 

E dopo tutte queste belle parole, ecco che arrivò l’esplosione: uno Zayn fragile, uno Zayn stanco, uno Zayn che, nonostante fosse stato sempre visto da tutti come il ragazzo figo e strafottente, aveva solo bisogno di riavere il suo migliore amico al suo fianco, esattamente come io avevo bisogno di sentire la Sua mano nella mia, la Sua risata nell’aria e la Sua voce nelle orecchie, di qualsiasi intonazione fosse.

Dopotutto, io e Malik non eravamo poi così diversi.

 

“O..okay Zayn. Dammi solo il tempo di metabolizzare il tutto.”

 

Dissi corrucciando la fronte e facendolo così ridere.

Almeno a qualcosa ero servito, alla fine.

 

“Andiamo di là, prima che Axel ci venga a prendere per i capelli.”

 

Sospirò nuovamente, invitandomi a precederlo, mentre ci avviavamo verso il balcone, dove già tutti si erano sistemati per terra con una coperta e chiacchieravano tra loro.

Solo in quel momento, mi resi conto del tono che il moro aveva usato nel pronunciare il nome della ragazza, e non solo pochi secondi prima..

Il rimbombo del pendolo che segnava la mezzanotte mi fece ridestare dai miei pensieri e raggiunsi gli altri sorridendo: dopotutto, quella serata si stava rivelando più interessante del previsto.

 

 

Pov. Zayn

 

Che diavolo avevo appena detto?

Mi ero appena scusato con Niall Horan? E mi ero sentito bene nel farlo?!

Mi stava succedendo qualcosa, poco ma sicuro.

Comunque, in tutto quel casino che era la mia testa, di una cosa ero assolutamente certo: odiavo profondamente ogni minimo contatto che Liam e Axel prendevano tra di loro, ogni qualvolta che si ‘accorgevano’ dell’esistenza dell’altro. Insomma, stavano insieme, okay –il breve dialogo che avevo avuto poco prima con la ragazza me lo aveva praticamente confermato-, ma io non riuscivo comunque a passare sopra alla cosa e a non continuare a darmi dell’imbecille per non aver fatto qualcosa io prima per conquistarla.

Conquistare Axel…

Bella questa.

 

“Ragazzi, direi che ci siamo svagati abbastanza, ora vorrei iniziare con le cose serie, se non vi dispiace.”

 

Tutti ci voltammo verso di lei, che se ne stava appoggiata al muretto del balcone e giocherellava con la Marlboro che aveva tra le dita.

Ah, era una festa ‘apposta’ questa? Mi ero perso qualcosa, ma sicuramente, conoscendo la mia storica disattenzione, me lo aveva accennato. Sicuramente.

 

“Io so tante cose di voi, e quello che non so lo riesco ad intuire.”

 

Ci guardò tutti, uno per uno, mentre pronunciava questa frase, e  in quel momento mi ritrovai a constatare quanto quella ragazza fosse fuori dal normale.

 

“Vedete, ieri io e Liam…”

 

Si bloccò un attimo per prendersi il tempo di accendersi la sigaretta e, potrei giurarlo tutt’ora, il suo sguardo guizzò su di me per un tempo brevissimo, proprio nel momento in cui facevo una smorfia indefinita.

 

“Dicevo, io e Liam abbiamo parlato un po’, e mi sono resa conto che in effetti voi, di me, sapete poco e niente. Per me è abbastanza difficile raccontare ciò che è la mia storia, ma ve lo devo, davvero.”

 

Ci sorrise, forse per la prima volta ci sorrise, a tutti.

Da Louis e Grace (che ormai erano diventati un unico essere, stando perennemente appiccicati), che le sorrisero incoraggianti, a Liam, il quale la guardò complice, in un certo senso, al piccolo ed indifeso Niall, che sembrava curioso e dubbioso allo stesso tempo, per finire con… me. Non so quale fosse la mia espressione in quel momento, fatto sta che Axel mi osservò a lungo, per poi distogliere lo sguardo che si era fatto malinconico, oserei dire.

 

“Insomma, bando ai fronzoli, io sono Axel, e questa è la mia storia.”

 

Sussurrò, già sollevata dal peso che stava per scaricare.

 

 

 

 

Quando la bambina nacque, ai genitori fu detto, forse da rituale, forse no, “Questa è la vostra speciale creatura.”

Speciale.

Ci avevano creduto, loro, come ogni genitore avrebbe fatto.

Ma ci avevano creduto nel modo sbagliato, perché lei era speciale, ma non come loro avrebbero voluto.

Cresceva sana e tranquilla, dedita alle costruzioni con i cubetti di legno e all’osservare attentamente e affascinata le ruspe che lavoravano instancabili le macerie, la terra, l’asfalto, immaginandoseli come giganteschi mostri di metallo.

Si beava dei gesti semplici, non dei grandi regali; odiava quando le maestre di asilo gridavano contro i bambini, seppur lei non stesse particolarmente a cuore a nessuno di loro.

Odiava la folla, la ressa, la gente schiamazzante.

Odiava andare al mercato per questo motivo, e odiava gli spazi deserti per la causa opposta.

Osservava.

Lei, semplicemente, osservava e apprendeva dai gesti quotidiani di chi la circondava.

Crebbe così fino ai dodici anni, senza amici e senza problemi, esattamente come la bambina sola ed isolata che amava essere, quella che si intrufolava di nascosto dalle uscite di emergenza dei cinema per gustarsi quei piccoli momenti di pace, quella che, nonostante le preoccupazioni che i genitori già iniziavano a manifestare riguardo i suoi atteggiamenti ‘sbagliati’, viveva felicemente la sua esistenza.

Poi, i tredici anni.

Non le bastava più ciò che aveva.

La sua testa le giocava brutti scherzi, evidenziando di nero ciò che gli altri semplicemente vedevano in positivo e colorando le cose che disgustavano la gente comune.

Il carattere cominciava a mutare da sé: mentre prima era tollerante a certi fattori, ora si sentiva in dovere di reagire.

D’improvviso, Axel, quella Axel, emerse, spingeva arrogante per uccidere la piccola bambina innocente.

Tutto ciò provocava pianti incontrollati e talvolta improvvisi alla piccola creatura, nella quale cercavano di coesistere senza successo due entità opposte: la bambina e Axel.

E poi, come una tempesta, come un segnale, arrivò il circo in città.

I genitori decisero di portarla ad assistere a quello spettacolo che incantava tutti i bambini del mondo, la portarono, stupidamente, in quel luogo dove Axel ebbe finalmente il sopravvento.

Barriti, belati, muggiti, nitriti, miagolii, ruggiti… tutto ai suoi occhi suonava come una richiesta d’aiuto, come un urlo disperato.

Guardava atterrita gli animali che la osservavano a loro volta, non riuscendo a capire il motivo di quella insensata schiavitù, mentre i genitori battevano le mani per incitare il lavoro degli ammaestratori.

Quella notte, mentre la casa dormiva e le stelle sorridevano alla luna, mentre il suo letto giaceva silenzioso nella sua stanza, privo di padrone per quella sera, la bambina apriva il primo lucchetto della gabbia delle zebre, inconscia del fatto che ad ogni scatto di serratura si stava rinchiudendo lei stessa chissà dove, mentre l’Axel in lei prendeva il sopravvento, destinato a farla scomparire completamente con il tempo.

E quella notte, la sua vita cambiò, con l’arrivo di lui.

“Che stai facendo?”, una voce, una singola, tenebrosa voce nell’oscurità le fece gelare il sangue nelle vene.

Si girò, pronta a fuggire, quando una mano le coprì la bocca e l’altra la afferrava per il braccio, trascinandola via da quello che per lei era una prigione.

Cosa le avrebbe fatto?

Aveva paura, una dannatissima paura… di essere trascinata indietro nuovamente, quando ancora ignorava tutto ciò che ora il suo cervello stava elaborando.

Si fermò solo un quarto d’ora dopo, giunto in un vasto campo senza nome e senza età, infinito ai suoi giovani occhi.

“Perché stavi aprendo quelle gabbie, ragazzina?”

Provò nuovamente, riformulando la frase e incrociando le braccia al petto, conscio del fatto che anche volendo, la bambina non sarebbe potuta scappare tanto lontano.

Questa, a sua volta, deglutì rumorosamente e si strinse a sé, inginocchiandosi per terra e puntando i suoi grandi e umidi occhi marroni in quelli verdi e bui dell’uomo, impaurita ma, nello stesso tempo, con un senso di sicurezza e pace mai provati.

“N…non mi piace vederli in trappola. Nessuno dovrebbe esserlo.”

Sbiascicò, con una tenue voce bambinesca.

Lui corrugò la fronte e stette ad osservarla a lungo, prima di rilassarsi e sedersi a sua volta di fronte a quella minuta creatura, incrociando le gambe e poggiando una mano sul suo braccio.

“Neanche a me piace.”, soffiò, stupefatto di quanto la sua mentalità e quella di una semplice creaturina coincidessero.

Si osservarono per quello che parve un tempo infinito, mentre il vento soffiava e le stelle brillavano più che mai.

Non si conoscevano, non si erano mai visti, eppure sapevano per certo una cosa: si appartenevano, da sempre e per sempre, le loro anime erano nate per intrecciarsi.

Il ragazzo vide quel meraviglioso esserino tremare leggermente a causa del clima gelido e stringersi ancora di più su se stessa, abbassando lo sguardo e cominciando a tirare su con il naso.

Senza pensarci due volte, si trascinò di fianco a lei e la avvolse dentro alla sua giacca, realizzando solo in quel momento quanto lui fosse colossale in confronto al piccolo corpo della bambina.

“Come ti chiami?”

Risentire la sua voce procurò ad Axel una strana e sconosciuta stretta al cuore, cuore che aveva cominciato a battere forsennatamente da quando il Suo odore le era entrato nelle narici e il Suo braccio le aveva avvolto le spalle.

Alzò di poco lo sguardo, attenta a non farsi vedere, e scrutò il volto del ragazzo: gli occhi, spaventosamente verdi, erano socchiusi mentre scrutavano il cielo, i capelli, biondi cenere con delle sfumature castane, erano corti ma non tanto da non permettere al vento di alzarli in più direzioni, la bocca era leggermente dischiusa e contornata da una rada barba forse sfuggita al rasoio o forse graziata, per quel giorno, dalla pigrizia del padrone.

Era uno degli esseri più belli che avesse mai visto in tredici anni di vita.

“Axel..”, sussurrò quasi, facendosi comunque sentire dal giovane, il quale annuì e non aggiunse altro. Decise allora lei di farsi più intraprendente, cercando di intavolare una conversazione avrebbe aiutato entrambi a capire più cose dell’altro.

“Ho.. ho tredici anni. Tu?”

Il ragazzo sorrise al vento e finalmente portò lo sguardo negli occhi della ragazzina, decidendo di risponderle nel modo più soddisfacente possibile.

“Ho ventidue anni..”, fece già una pausa, stupefatto dai numerosi sentimenti che passavano sulla faccia di Axel e che lui riusciva a cogliere: emozione, paura, attrazione. Sorrise nuovamente, facendola arrossire e facendole spostare lo sguardo altrove. Le prese il viso e lo voltò nuovamente verso di sé, assottigliando lo sguardo e poi rilassandolo.

“Mi piace il tuo viso, non nasconderlo per favore.”, disse ciò come fosse una profonda confidenza, insicuro ma anche convinto al tempo stesso del significato delle sue parole.

Axel sostenne lo sguardo finchè lui non riprese a parlare, subito dopo che ebbe sospirato e chiuso gli occhi.

“..Ho ventidue anni, mi chiamo Galen e sto congelando.”

Detto ciò si alzò in piedi, trascinando la bambina con se e cominciò a riaccompagnarla a casa, in silenzio, dopo il consenso di lei.

Sapevano entrambi di aver trovato uno una sorella e l’altra un fratello, e questo si manifestò nei mesi successivi: non facevano nulla che non implicasse la presenza dell’altro, vivevano dei loro sorrisi e silenzi in compagnia, si accompagnavano nei piccoli furti e nelle esperienze di tutti i giorni, odiavano insieme ed amavano insieme.

Galen le fece conoscere il sapore della vita, quella dura, quella quasi impossibile, l’unica libera, priva di costrizioni, il vivere alla giornata e secondo i propri ideali, anche quelli che andavano contro tutto e tutti, che venivano trascurati e talvolta dimenticati dai più, come la concezione di libertà di pensiero, la libertà delle azioni, il rispetto verso gli altri e verso se stessi, l’uguaglianza tra persone considerate diverse.

Axel gli mostrò i piccoli gesti, piacevoli nella loro enorme semplicità, gli insegnò la tolleranza e la disponibilità verso il prossimo, in una fusione di buone azioni e cattive, che favorivano chi era bisognoso di soccorso.

Le giornate si bruciavano come l’erba nelle cartine, si dissolvevano come il fumo nell’aria, e si guadagnavano, insieme, come i soldi derivanti dalla droga.

Era ormai questo il suo mondo, quello di una ragazzina prossima ai quattordici anni, ancora senza nessun amico ma con qualcuno che nessuno avrebbe mai trovato: un compagno di vita, di quelli veri, concreti, reali.

Ma non tutto è destinato a durare: questo detto Axel lo imparò e l’avrebbe ancora imparato più volte sulla sua pelle.

Era una giornata limpida, simile a quella in cui si erano incontrati, praticamente un anno prima.

Ma no, questa volta le stelle non accompagnavano una felicità inesistente nel nostro tempo, bensì dei gemiti strazianti che fuoriuscivano dal corpo sfigurato dai troppo mali e dalle troppe siringhe che il ragazzo si era inferto.

Il motivo non fu mai chiarito, neanche ad Axel, la quale guardava sulla soglia della porta, in silenzio, quel fratello che mai aveva visto in quelle condizioni.

Cominciò anche lei a piangere.

Pianse per il dolore che lo affligeva, pur non conoscendolo.

Pianse per tutte quelle volte che non avevano mai pianto insieme.

Pianse per un amore che non poteva emergere.

Ma emerse, solo per quella notte, emerse.

Sotto un tetto ormai decadente, sotto ragnatele e polvere, sotto il peso di una vita forse iniziata e vissuta nel modo sbagliato, ma comunque vissuta, Axel e Galen fecero l’amore.

All’esterno le lacrime imperavano, lei troppo giovane per capire, lui troppo libero per comprendere lo sbaglio inesistente, in un vortice di voci indefinite, quelle provenienti dal corpo dolorante della ragazzina, con le ossa troppo strette per non allargarsi e il seno troppo infertile per non aumentare, segno dell’adolescenza alle porte (o forse già iniziata), quelle provenienti dal corpo eccessivamente vissuto dell’angelo nero.

All’interno, quella notte si conserva ancora adesso, sebbene gli eventi li abbiano divisi, nell’anima indelebile ed indistruttibile di entrambi, la notte in cui amarono forse veramente in tutta la loro vita, un amore sbagliato e giustissimo, sporco e limpido come gli occhi appena schiusi di un bambino di due ore di vita.

Quella stessa notte, le loro strade si separarono.

Camminavano verso la casa di Axel, in silenzio, lei stringendosi a se, esattamente come quella sera, la loro sera, lui camminando pensieroso, con una mano in tasca, l’altra stesa sul fianco e una Marlboro tra le labbra.

Axel non seppe e ancora adesso se lo chiede cosa successe nei momenti successivi, quando Galen la avvolse tra le sue confortanti braccia, fermandosi di colpo, e i battiti del suo cuore accelerarono irrimediabilmente.

Degli uomini cominciarono ad avvicinarsi alle due figure strette tra loro, parlando e talvolta urlando frasi infernali, dolorose non per suono ma per significato nelle sue piccole orecchie.

Successe tutto troppo velocemente.

Lei si trovava per terra, forse col cuore fermo, forse appena udibile, lui le stava affianco, pallido come la luna e bellissimo tra le numerose screziature rosse che cominciavano a formarsi.

“Vivi sempre, Axel. Giorno per giorno, non lasciare mai che qualcuno ti ostacoli.”

Sussurrò sorridendole, conscio del fuggi fuggi che si creava intorno a loro ma non particolarmente interessato.

Allungò una mano, tremante, e le asciugò una lacrima che silenziosa marchiava il volto di quella che per lui sarebbe per sempre rimasta la sua bambina intenta ad aprire la gabbia delle zebre.

Axel lo chiamò, forse lo chiama ancora adesso, scuotendo piano il corpo ormai vuoto del ragazzo.

Osservò ancora i suoi occhi verdi, ora simili a delle biglie di vetro, e si accorse con stupore di essere arrivata tardi, di non avergli insegnato l’insegnabile, di non averlo portato a sognare veramente, lei, una ragazzina di quattordici anni.

Quel tuono, quel rimbombo nel cielo nero proveniente dalla pistola nemica, è ancora nei pensieri della ragazza, sempre, vive di quel ricordo, assordante e assurdo insieme.

Venne trascinata di peso dalla polizia, mentre suo fratello veniva coperto da un telo bianco, spaventoso.

Per sei mesi fu coinvolta in indagini in qualità i testimone, il mondo attorno a lei girava, ogni tanto si fermava per donarle compassione, e poi ripartiva.

Lei intanto invecchiava, ogni minuto un anno di più, mentre Axel e Galen coesistevano dentro la sua anima, come non erano mai riusciti a farlo Axel e la bambina.

Ben presto si estraniò dal mondo circostante, intenta a ritrovare il suo paradiso, la sua dimensione, mentre gli altri cominciavano a vederla sotto una cattiva luce, con odio quasi.

Ma lei cercava il suo Galen, lo cercava pur sapendo che mai lo avrebbe ritrovato, ma bisognosa di avere qualcosa in cui credere.

Si ritrovò così sulle spalle diciassette anni e un’adolescenza morta.

Per suoi genitori (che poi genitori non erano più) la figlia era ancora dispersa nei meandri della città, intenta a giocare con quel ragazzo che le aveva donato e distrutto la vita.

Ormai non badavano più alle siringhe e alle canne che trovavano per casa, perché non aveva senso discutere con un corpo di cristallo.

Arrivò poi la rissa.

Il poliziotto stava manganellando un ragazzino nero, chissà sporco di  quale colpa inesistente, e il pugno di Axel sul naso dell’uomo non tardò ad arrivare.

Passò tre mesi nel carcere minorile, tra conoscenze e nemici.

Poi, chissà come, si ritrovò su un aereo, in una giornata fredda e piovosa, con il Suo viso vivido più che mai nella memoria e quel rimbombo sempre presente.

 

 

 

 

 

 

 

Ciao gente!

Ebbene no, ancora morta non sono, ma sono sulla buona strada (scuola, genitori, problemi esistenziali, One Direction mezzi nudi… cose così).

Questo capitolo è stato allucinante, non potete capire. Per tipo tre settimane mi metteo davanti alla pagina vuota di word, la riempivo e la svuotavo di nuovo.

Un bordello, insomma :D

Ma ecco qui, finally!

Dunque, io sono una pippa a raccontare avvenimenti importanti facendo parlare il personaggio, quindi ci ficco la terza persona e risolvo così (per chi mi stesse uccidendo virtualmente per aver reso implicito il rapportuccio tra il nostro Louis e la nostra Grace… arriverà anche lui, don’t worry!), quindi spero sia stata chiara la descrizione dell’infanzia di Axel: lei intanto la sta raccontando agli altri.

Non so che altro dire.

Ah, si! Non perdete le sperane per i Zaxel… già da prossimo capitolo… bhe… BASTA SPOILER!

Spero vi piaccia e vi ringrazio per le cose carinissime che mi dite sempre: VI AMO, come Niall ama il cibo, come Harry venera la pussy (èé), come Liam odia i cucchiai… okey, questo esempio non centrava… credo.

Ccciaoo!

Andrea xx

Ps. Faccio una cosa squallidissima: mi auto pubblicizzo!

 Titanium

Nb. Il collasso imminente…

 

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