Nelle spirali del tempo - Ritorno al Titanic

di Avion946
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Antefatto ***
Capitolo 2: *** A bordo del Titanic ***
Capitolo 3: *** Tappa a Cherbourg ***
Capitolo 4: *** Tappa a Queenstown ***
Capitolo 5: *** A bordo, conoscenza con i compagni di viaggio ***
Capitolo 6: *** Nelle viscere del Titanic ***
Capitolo 7: *** Comincia a muoversi qualcosa ***
Capitolo 8: *** Ora le cose iniziano a farsi serie ***
Capitolo 9: *** Un brutto quartod'ora ***
Capitolo 10: *** Commiato dai compagni di viaggio ***
Capitolo 11: *** L'impatto ***
Capitolo 12: *** Cronaca di un naufragio ***
Capitolo 13: *** Compimento della missione ed epilogo ***



Capitolo 1
*** Antefatto ***


Ritorno al Titanic Cap 1

NELLE SPIRALI DEL TEMPO

RITORNO AL TITANIC

 Capitolo 1^

 15 marzo 2108 – Tempo 'normale'

 Seduto in una delle comodissime poltrone della sala d' aspetto dell' ufficio del 'capo', Alan Russel, anziano giornalista del Morning Star di Londra, attendeva da quasi un'ora. Prossimo alla pensione, era ormai convinto che l' ultimo periodo di lavoro si sarebbe svolto tranquillamente, come nella tradizione, all' interno degli uffici, ma questa convocazione sembrava invece presagire un nuovo incarico. Nei suoi lunghi anni di attivita' Alan aveva viaggiato per conto del suo giornale in lungo e in largo, praticamente per tutto il mondo. Il suo fisico asciutto e muscoloso, il suo aspetto distinto, la sua pronta intelligenza ed una discreta dose di coraggio lo avevano reso adatto per incarichi di qualsiasi genere, spesso pericolosi, in luoghi dove fare buoni servizi, comportava frequentemente  un notevole rischio. Quando poi dieci anni prima, nel 2098, il progresso scientifico rese possibili i viaggi nel tempo, accettò immediatamente e con grande entusiasmo di entrare a far parte di quel ristretto gruppo  i cui componenti venivano inviati  in varie epoche del passato, per ricerche su eventi  in merito ai quali erano emersi alcuni  interrogativi o che risultavano insufficientemente documentati. Finalmente la segretaria del capo, la favolosa signorina Milly, gli comunicò che si poteva accomodare. Entrò deciso nel salone che fungeva da ufficio. Non aveva alcuna soggezione di Charles Backer, il suo direttore. Per prima cosa, nella sua vita aveva affrontato eventi che lo avevano reso piuttosto coriaceo alle emozioni e poi aveva visto il suo direttore letteralmente crescere, in tanti anni che era al giornale. Lo mise invece in ansia la figura di un uomo molto anziano, magro, con folti e lunghi capelli bianchi che gli scendevano fino alle spalle. Dall' abito, aveva subito riconosciuto l' uomo come un Archivista del Tempo. Questi uomini erano delle figure create per preservare il tempo, dopo la possibilità di viaggi nel passato, da possibili inquinamenti, da iniziative incoscienti o volutamente scellerate che avrebbero potuto creare pericolosi paradossi in grado di innescare chissà quali mutamenti nel presente. Allo scopo di avere un controllo sulla situazione, erano stati scelti degli uomini con particolari caratteristiche di equità, saggezza e onestà ai quali era stato affidato il controllo di tutte le iniziative collegate con i viaggi in questione e gli erano stati attribuiti particolari ed importanti poteri. Ora, solo in pochi erano autorizzati ad effettuare i viaggi. Studiosi, scienziati, studenti, giornalisti opportunamente accreditati, storici. E tutti sotto la discreta guida di un archivista del tempo che attentamente verificava che nulla interferisse con la normale successione degli eventi. Questi era in piedi al lato del 'capo', il quale era seduto alla sua magnifica ed enorme scrivania in noce chiaro, che era lì dai tempi di suo nonno, il fondatore del giornale. Sul piano lucidissimo, oggetti da scrittoio di finissima fattura, un vaso di cristallo con una gradevole e artistica composizione floreale, un modernissimo apparecchio di comunicazione in grado di collegarsi con ogni parte del mondo, al quale faceva riscontro, sul lato sinistro della scrivania un magnifico orologio antico, che sotto una campana di vetro, segnava precisamente il tempo da almeno due secoli.  Appena vide il giornalista, il 'capo' gli fece cordialmente segno di entrare e di sedersi. Questi tranquillamente, eseguì dopo aver educatamente salutato. Seguì il solito scambio di battute, chiacchiere, osservazioni, al quale l'anziano restò estraneo. Dopo una decina di minuti, visto che il suo capo non veniva al punto, Russel decise di prendere il toro per le corna. “Signor Backer, ormai la conosco da un bel po'. Piu' tira in lungo i convenevoli e più ingrato e' l' incarico che mi vuole affidare. Lei si ricorda che ormai sono prossimo alla pensione e quindi praticamente in disarmo?” Il tono bonario del capo sparì all' istante sostituito da un atteggiamento che Alan non  riuscì a classificare, cosa che lo preoccupò non poco.”Hai ragione Alan. Ma qui si tratta di una cosa della massima importanza. Due giorni fa sono stato contattato  dall' organizzazione di questo signore che vedi a fianco a me e che, a proposito, ti presento, - e indicandolo con la mano – si tratta dell' Archivista Marcus – l' uomo si limitò ad un minimo cenno con il capo, subito imitato dal giornalista. Gli archivisti parlavano di rado ed altrettanto di rado uscivano dalla loro sede di lavoro. - “La loro richiesta riguarda l' invio di un nostro giornalista sul luogo di un famoso evento per registrare e verificare  specifici fatti. Anzi avrebbero richiesto proprio te, in particolare, perchè sanno che hai già svolto compiti simili e conoscono ed apprezzano te ed il tuo modo di lavorare. Alan, un ultimo lavoro, che ti consenta di concludere davvero in bellezza e con un compenso che tenterebbe chiunque.”. Non che la cosa non lo stimolasse, visto che non aveva fra l' altro fatto alcun progetto per il suo futuro, ma lo trattenevano dall' accettare due fatti in particolare. L' atteggiamento indefinibile del suo capo, (imbarazzo ? senso di colpa? mancanza di sincerità?) e la presenza dell' Archivista già in una fase meno che preliminare, che denotava la particolare serietà della missione. “Qualcosa mi dice che il lavoro e' particolarmente pericoloso ed io non posso decidere senza sapere qualcosa di piu' e un po' di tempo per pensarci. Posso intanto sapere quale sarebbe il luogo dove dovrei recarmi?” Dopo aver scambiato un rapido sguardo con l' anziano a fianco a lui, Backer, con voce quasi soffocata disse “A bordo del Titanic!”. “Il Titanic? - Pensava Alan, - ma non ci sono piu' misteri. Tutto e' stato ormai scoperto, risaputo, sviscerato! Che ci andrei a  fare a bordo di quello sfortunato piroscafo?” Espresse anche a voce alta i suoi dubbi. E qui, finalmente, intervenne l'Archivista che dopo un malcelato sguardo di rimprovero verso Backer, disse con voce particolarmente calda e gentile: “Signor Russel, a bordo di quel piroscafo e' accaduto qualcosa che e' sfuggito a tutti, qualcosa che rischia di influire pesantemente sul nostro destino e che solo un occhio esercitato di un abile giornalista, quale voi siete, può cogliere al volo documentandolo e operando in modo da consentirci di intervenire efficacemente. Ecco perchè noi contiamo che lei sia disposto ad accettare l' incarico.” “Ma non posso saperne di più?” - azzardò il giornalista. “Spiacenti ma la delicatezza dell' incarico e' tale che i dettagli potranno essere comunicati a colui che accetterà e solo all' ultimo momento, nella nostra sede, durante la fase di preparazione, prima della partenza.” Il colloquio era evidentemente terminato. Alan si alzò e comunicò che avrebbe dato la sua risposta il giorno seguente. Appena uscito, Backer si rivolse all' anziano. “Accetterà, che dite, sarà disposto a fare il lavoro?” . "Sei uno stupido Charles,” - ribattè questi con voce tagliente -” Per poco con il tuo atteggiamento non mandi tutto all'aria. Accetterà, stai tranquillo, lo sai che non ha scelta”. “E' che ho un senso di colpa che non riesco a cancellare.”. “Bene, cancellalo, invece! Il lavoro va fatto e ci serve proprio lui, lo sai. Quanto ai rischi, stanne certo, non ce ne sono, andrà tutto come  previsto!”

 
Russel non dormì affatto quella notte. Poteva essere la sua ultima occasione per essere di nuovo sul campo. Assaporare quel senso del rischio che era l' unica cosa di cui avrebbe sentito la mancanza negli anni che lo aspettavano. Chiudere in bellezza, e a bordo di una nave celebre, il Titanic, conoscere persone importanti, vivere in quell'ambiente lussuoso toccando con mano gli oggetti di quella mitica e favolosa nave, forse perfino assistere alla tragica conclusione del viaggio. Non c' entrava il compenso, avrebbe accettato anche gratis. Ma era l' atteggiamento di Backer che non capiva e che lo metteva in allarme. Alla fine decise. Avrebbe accettato ma solo a condizione di sapere punto per punto in cosa sarebbe consistita la sua missione. Avrebbe chiesto la garanzia dell' Archivista. Sapeva che queste figure per dovere e tradizione non potevano mentire. Essi erano legati ad un severissimo codice di comportamento che gli imponeva, ad esempio, di rispettare la sequenza degli eventi interferendo il meno possibile con essi. Ricordo' anzi, a proposito proprio del Titanic, che un suo collega, che aveva assunto il nome Morgan Robertson, spedito nel passato per un particolare incarico, esattamente nel 1898, quattordici anni prima della tragedia, cerco' di “barare” scrivendo un romanzo dal titolo “Futility, or the Wreck of the Titanor”. In questo romanzo l' autore scrisse la storia di un transatlantico, il Titan, considerato inaffondabile, che finisce in rotta di collisione con un iceberg nel Nord Atlantico ed affonda in poche ore, nottetempo, nel mese di aprile. Il suo intento era quello di avvertire in qualche modo del pericolo a cui andavano incontro i costruttori del celebre transatlantico. Purtroppo, la sua iniziativa non servì a nulla.

 Il mattino seguente, appena si presento' alla signorina Milly, questa, senza farlo minimamente attendere, lo introdusse nell' ufficio di Backer. Con somma sorpresa alla scrivania trovo' seduto Marcus, ma dopotutto era proprio con lui che voleva parlare. Dopo i consueti convenevoli, l' uomo anziano, quasi avesse letto nella mente dell' altro, inizio' : “Signor Russel, nel corso del viaggio del Titanic, accaddero vari eventi importanti. Il calibro dei personaggi imbarcati fece sì che particolari accordi, contatti e iniziative, portassero a delle conseguenze che ancora oggi influiscono sul periodo attuale. Le ricordo che molti sopravvissero al disastro e in modo particolare proprio coloro che per la loro importanza e il loro peso politico e finanziario, furono in grado di condizionare gli eventi successivi. Ora noi vogliamo che lei, nel caso accettasse, segua la vita di bordo di tutti i giorni, ascolti discretamente e documenti con particolari dispositivi che noi le forniremo, tutto ciò che reputerà interessante, degno di nota, raccogliendo più materiale possibile.  Durante il viaggio, in un momento imprecisato, accadra' qualcosa in grado di mutare profondamente il destino dell' umanita' e lei dovra' essere lì per documentarlo. Purtroppo non posso essere più preciso, poichè rischierei di condizionare le sue azioni e le sue scelte. E' evidente che per un incarico del genere ci serve qualcuno che conosce il mestiere , che si sappia muovere in ambienti eleganti e che alla bisogna non si faccia intimidire dall'importanza delle persone che si troverà davanti. Ci serve soprattutto la sua particolare abilità, dimostrata in più occasioni, di essere nel posto giusto nel momento giusto”. Russel dopo aver attentamente ascoltato si decise a fare la domanda che veramente gli interessava e che avrebbe naturalmente condizionato la sua risposta. “Archivista Marcus, so che dite sempre la verita', per cui le chiedo: questa missione comporterà dei pericoli per me, correrò il rischio di morire anche io?”. La risposta fu immediata e pronunciata con voce decisa e serena: “Signor Russel, quello che la rende particolarmente adatto per questa missione e' non solo la sua notevole abilità professionale, ma anche la sua indubbia prestanza fisica, la sua volontà e la sua comprovata resistenza. Molto importante risulterà la sua conoscenza delle lingue in quanto sul Titanic, specie nelle classi inferiori lei troverà persone, fra cui moltissimi emigranti di diverse nazionalità con i quali si troverà a scambiare qualche parola. Contiamo molto anche sulla sua capacità di giudizio, sulla sua maturità e umanità, doti queste che si sviluppano nell' arco di una vita intera e intensa come la sua. Ciò su cui lei dovrà lavorare e' un qualcosa che maturerà nel corso del viaggio ma che troverà la sua conclusione negli ultimi istanti di vita della nave. E già, “ - disse notando l'espressione del giornalista - “ questo significa che lei dovrà restare a bordo fino alla fine. E' questo che impensieriva tanto il signor Backer. ma io personalmente le garantisco che se lei seguirà alla lettera le nostre istruzioni, tornerà a casa sano, salvo e notevolmente più ricco. Inoltre porterà con sè il ricordo di persone eccezionali, persone che in buona parte hanno fatto la storia di quel periodo. Per tutto quello che le ho detto, serve controllo, freddezza d' animo e tanto, tanto mestiere”.   “La sua assicurazione mi basta. Accetto. Ora ditemi cosa devo fare.”

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Capitolo 2
*** A bordo del Titanic ***


A bordo del Titanic capitolo2 Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap II^

 10 aprile 1912. ore 09.00 –  "Tempo del Titanic"

 Russel osservava con grande interesse il movimento del traffico, dal finestrino della carrozza che lo stava portando al molo 44 del porto di Southampton. Diverse carrozze come la sua, qualche automobile, biciclette, molti carri trainati da cavalli, carichi di ogni sorta di mercanzie, e molti pedoni in un movimento caotico che aveva pero' un suo particolare ordine dovuto alla consuetudine. In prossimità dei cancelli del porto la carrozza si fermò impossibilitata a proseguire per la ressa che si era formata ai varchi, fra persone, bagagli, veicoli di ogni tipo. Il cocchiere, un omaccione piuttosto rude, vestito con una discutibile palandrana che aveva veduto di certo tempi migliori, gli comunicò che la situazione era complicata dal gran numero di persone connesse con le operazioni di imbarco e che ci sarebbe stato da aspettare un bel po'. Il giornalista decise di non perdere tempo e quindi scelse di scendere e proseguire a piedi. Si sentiva piuttosto infagottato negli abiti che aveva dovuto indossare. Un pesante pastrano di flanella con il collo bordato di pelliccia, marsina grigia completa di gilet, cravatta a papillon, stivaletti e, per completare il tutto, bastone e bombetta. Aveva dovuto adattarsi ai costumi dell' epoca ed in particolare a quelli di un uomo molto abbiente, appartenente alla buona società. Il ruolo che era stato scelto per lui era quello di un editore di giornali statunitense reduce da un giro di contatti con pari imprenditori inglesi, per collaborazioni e investimenti. Per fortuna l' aria rigida contribuiva a limitare i danni derivanti da quel vestiario così pesante. Recava con sè due pesanti valigie in pelle rigida, di cui avrebbe fatto volentieri a meno ma che era stato obbligato a portare per sostenere la parte da lui interpretata. Pur imbarcato regolarmente, il suo nome non sarebbe mai comparso sulle liste dei passeggeri. Infatti in quel periodo, ci fu un pesante sciopero nelle  miniere di carbone, che limitò le possibilità di approvvigionamento del Titanic proprio immediatamente prima  del suo viaggio inaugurale. Per evitare di rimandarlo, la compagnia White Star Line, prese il carbone necessario dalle altri navi della sua compagnia e se lo fece cedere anche da altre compagnie minori, con l' impegno che avrebbe imbarcato i loro passeggeri. Evidentemente, ciò portò ad una situazione di relativa confusione per ciò che riguardò le liste dei passeggeri. Ad un controllo successivo all' incidente, risultarono sei diverse liste, ognuna diversa dalle altre. Russel, in particolare, aveva approfittato dell'annullamento di una prenotazione che lasciò pertanto libera e disponibile la sua cabina. Avvicinandosi alla zona di imbarco, notò attorno a lui una moltitudine di persone, per la maggior parte eccitate e felici, giovani e meno giovani, vestite nei modi più disparati, in funzione del luogo di provenienza e della condizione economica. Pacchi, valigie, spesso malandate, ceste, involti, costituivano il bagaglio di quella gente. Erano i passeggeri della terza classe che venivano imbarcati  dal  ponte  C, posto quasi a 6 metri di altezza dal livello della banchina .  Guardando meglio si accorse che non tutti erano felici. Alcuni, spesso i meno giovani, apparivano tristi e scoraggiati. Certo avevano lasciato la loro casa, la loro terra e probabilmente anche i loro cari e non possedevano più l' energia dei giovani, per reagire appieno a questa avventura che li avrebbe portati nel 'nuovo mondo', a conquistarsi una vita diversa, una seconda occasione. Fatti pochi passi, quando gia' si era pentito della sua decisione, in quella bolgia, fu avvicinato da un facchino della compagnia nautica, la White Star Line, che aveva subito riconosciuto in lui un passeggero di prima classe in difficoltà. Affidategli le valigie, pote' approfittare per iniziare a svolgere il suo lavoro, riprendendo le immagini di quella bolgia. Il travestimento indubbiamente funzionava. Dopo aver chiesto conferma della appartenenza alla prima classe, sorreggendo vigorosamente il bagaglio, l' uomo gli disse di seguirlo e si incamminò deciso verso il piroscafo in attesa. Solo in quel momento Russel sembrò notare la grande nave che incombeva letteralmente sulla banchina. Incredibile! Lungo 270 metri, si ergeva per 18 metri sulla banchina (un palazzo di 6 piani), per non parlare della parte sommersa, altri 32 metri. Vide all' albero di poppa la “Blue Insegne”, la  fiamma azzurra che il capitano Edward John Smith aveva diritto di issare, in quanto capitano di fregata della marina reale e commodoro della White Star Line, segno che questi era gia' a bordo. All' albero di maestra era stata issata la bandiera della compagnia, la White Star, stella bianca in campo rosso, sotto la quale sventolava, orgoglio della nave la bandiera triangolare del Royal Mail Service, in quanto alla nave era stato conferito il titolo di Royal Mail Ship, con tanto di ufficio postale a bordo, al quale erano addetti cinque impiegati, due inglesi e tre americani. All' albero di trinchetto era issata invece la bandiera americana con 46 stelle, che indicava la destinazione. Noto' anche fra i due alberi principali i quattro cavi che costituivano l' antenna del modernissimo impianto radio di cui il piroscafo era stato dotato. Dalle prime tre ciminiere (quelle vere, in quanto la quarta era stata aggiunta solo per una questione di estetica ed era adibita al riciclo dell' aria per alcuni ambienti dei ponti inferiori) usciva del fumo, segno che le caldaie erano gia' accese e pronte a spingere quel gigante che, a pieno regime, era in grado di raggiungere l' incredibile velocita' di 23 nodi (circa 43 Km/h), incredibile almeno per quell' epoca. 29 caldaie di 5 metri di diametro ciascuna , in grado di divorare 728 tonnellate di carbone al giorno, alimentavano due motori, sinistro e destro, ed inoltre una turbina Parson a bassa pressione controllava  un ulteriore elica centrale posta proprio dietro al timone. I primi due motori potevano essere invertiti, mentre il terzo, quello centrale purtroppo no. Questo avrebbe avuto un ulteriore peso determinante sulla tragedia che sarebbe occorsa da lì a 5 giorni perche' , mentre i motori a vapore furono mandati su 'indietro tutta', l'elica centrale fu semplicemente fermata riducendo quindi ulteriormente l' effetto del timone già imprudentemente sottodimensionato in fase di progetto. Tutte queste informazioni, Russel le aveva apprese da un completo dossier che gli era stato consegnato prima di partire e che ora, in formato digitale, poteva consultare in ogni istante. Prima di partire, per favorirlo nel lavoro, lo avevano sottoposto a tre lunghe sedute di  istruzione sotto ipnosi, nel corso delle quali,  gli erano state trasmesse tutte le istruzioni necessarie per la sua missione, in modo da conoscere gli eventi principali di cui si aveva notizia, i luoghi più interessanti della nave e le fisonomie e i nomi di tutti i passeggeri di prima classe e di molti altri delle altre due classi. Aveva inoltre ricevuto informazioni estremamente dettagliate sui personaggi più importanti con i quali si sarebbe trovato in contatto. Infine aveva ricevuto un sistema di videoregistrazione ultra miniaturizzato occultato in un normalissima agenda personale che egli avrebbe dovuto recare sempre con sè. Altri dispositivi simili, per ulteriore sicurezza, erano contenuti in un anello che egli portava all' anulare sinistro e al fermaglio della catena del prezioso orologio da taschino che ornava il suo gilet, secondo la moda dell' epoca. Il tutto per circa 500 ore di registrazione, molto più di quelle necessarie, qualsiasi cosa avesse voluto documentare. Per concludere il suo armamentario, aveva anche un minuscolo microfono direzionale-registratore, occultato in un auricolare pressochè invisibile. Per salire a bordo, si accedeva ai ponti superiori e alla prima e alla seconda classe attraverso una incastellatura che portava ad una serie di passerelle sovrapposte ognuna relativa ad un preciso spazio della nave. La prima classe veniva imbarcata dal ponte A mentre la seconda dal ponte B.  In questa zona l' imbarco si svolgeva in modo assai più ordinato ma  quello che maggiormente colpì il giornalista fu l' incredibile quantità di bagaglio che accompagnava ogni passeggero. Alcuni, per soli 7 giorni di traversata, avevano appresso un numero incredibile di valigie e bauli. Dal suo dossier sapeva ad esempio che la signora Charlotte Drake Cardeza,, una ricchissima ereditiera che però si sarebbe imbarcata  a Queenstown, aveva recato con se' la bellezza di 70 vestiti! C'è da considerare però per  correttezza, che molti di questi crocieristi tornavano a casa dopo un periodo più o meno breve di soggiorno in Europa, come ad esempio il maggiore Archie Butt, mentre per altri, questa crociera rappresentava solo una tappa di un viaggio più articolato, come nel caso dei giovani coniugi  Victor e Maria Josè De Soto. Al momento dell'imbarco fu ricevuto da un gentilissimo ufficiale, il sig Charles Herbert Lightoller, ufficiale senior, il quale in quella situazione di festosa confusione si limitò a controllare il biglietto e la carta di imbarco, annotando il suo nome su una lista da aggiornare in seguito. Fu affidato ad un  addetto che, caricatosi il suo bagaglio, lo precedette alla cabina assegnata, la A-31, ossia posta sul ponte A, lato destro. Quì giunti, posate a terra le valigie, il cameriere si premurò di consegnargli un opuscolo che descrisse come il “Vademecum del Titanic”, distribuito a tutti i passeggeri della 1^ classe. Aveva 28 pagine e riportava i nomi dei passeggeri di prima classe, almeno quelli regolarmente registrati, indicava i vari servizi disponibili a bordo e le relative tariffe , se previste, ed il loro orario, così come  gli orari dei pasti. Si concludeva con un elenco delle traversate oceaniche della White Star previste per tutto il 1912.  Licenziato il cameriere, Russell rimase un momento attonito ad osservare ciò che lo circondava. Una cabina bellissima, arredata in stile olandese moderno, con gli arredi in legno chiaro, con gli odori caratteristici di un ambiente nuovo e tirato a lucido con la massima accuratezza. Godeva di un oblò e a contatto con la parete esterna, un modernissimo, per l' epoca, calorifero elettrico. Osservò l'ora sul suo prezioso orologio da panciotto e vedendo che si erano fatte le 11.30, decise di recarsi senza indugio sul ponte di passeggiata coperto. Sarebbe stato interessante riprendere l'evento che egli sapeva sarebbe successo di lì a poco. La passeggiata era gremita di passeggeri che,una volta  sistemati nelle loro cabine, ora erano intenti a scambiare saluti con amici e parenti sul molo, gremito all' inverosimile di persone fra amici, congiunti dei passeggeri o semplici curiosi. Si appoggiò al parapetto di sinistra del ponte C e osservò le manovre dei sei rimorchiatori che si disponevano a trainare il grosso piroscafo fuori dal porto. Alle 12.00 precise, un lungo fischio della sirena posta davanti al primo fumaiolo, al quale immediatamente risposero le sirene dei rimorchiatori, dette il via alle operazioni di partenza. A bordo della nave l' emozione era tangibile. Ad un secco ordine del capitano, il primo ufficiale, sig. McMaster Murdoch dette inizio alla procedura prevista. Fece mollare gli ormeggi e i rimorchiatori iniziarono a muoversi. Giunti in tensione, i grossi canapi agganciati al Titanic, iniziarono scostarlo dalla banchina del molo. Per agevolare la manovra, anche le macchine della nave collaboravano, sia pure al minimo della loro potenza. Lentamente, come per miracolo, quel gigante inizio' a muoversi, dirigendosi verso l'uscita del canale. Nel suo tragitto, sfilava davanti alle banchine sulle quali si era radunata una moltitudine di folla che non voleva perdere quell' evento straordinario, mentre dai ponti, instancabili i passeggeri continuavano a salutare quelli a terra. Il Titanic avanzando, raggiunse un punto in cui il fiume Test, utilizzato per l' uscita dal porto. si allargava, consentendo di ormeggiare altre imbarcazioni, senza ostacolare il passaggio. Dal ponte di comando della nave, allo scopo di avere maggior capacità di governo, giunse l' ordine di aumentare i giri dei motori. La potenza delle eliche, in quello spazio ristretto, mosse una incredibile quantità di acqua,  provocando forti correnti nel canale che causarono la rottura degli ormeggi della piccola nave New York che in quel momento era proprio a fianco del Titanic e che venne letteralmente risucchiata verso la sua fiancata sinistra. Immediatamente fu dato l' ordine di invertire le macchine di dritta e arrestare la turbina. Sembro' quasi la prova generale del disastro che avrebbe coinvolto il piroscafo da lì a quattro giorni. Con grande presenza di spirito, il comandante del rimorchiatore Vulcan che era immediatamente davanti alla nave più piccola, lanciò delle cime per agganciarne la prua e contemporaneamente manovrò per inserirsi fra le due navi. Il disastro sembrava imminente. Per fortuna, quando le fiancate delle imbarcazioni erano a soli tre metri, la manovra del rimorchiatore iniziò ad avere effetto ed esse furono di nuovo allontanate a distanza di sicurezza. Era stata una scena incredibile e Russell l'aveva ripresa dall' inizio alla fine. Notò che anche altri l'avevano fatto, seppure con i mezzi rudimentali dell' epoca. Infatti era imbarcato un novizio gesuita, padre Frank Browne, appassionato di fotografia, il quale a bordo riuscì a scattare innumerevoli foto, alcune delle quali rarissime, come quelle della sala radio, dell'ufficio postale, della palestra e di numerosi passeggeri di tutte le classi. Ricevuto il viaggio in regalo da un suo zio, si era imbarcato assieme alla famiglia Odell, ed anche la signora Lucy Odell era un'appassionata fotografa. Anche lei fotografò infatti il mancato impatto fra i due scafi. Le innumerevoli foto furono disponibili perchè tutto il gruppo viaggiò solo fra Southampton e Queenstown.  Padre Browne, preso in simpatia dalla facoltosissima famiglia Spadden, ricevette da essa l'invito a proseguire il viaggio in loro compagnia, completamente spesato. Per fortuna il suo superiore gli negò il permesso. Tutti, dopo aver assistito ammutoliti a quell'episodio, tirarono un sospiro di sollievo. Però l'atmosfera festosa di pochi minuti prima non c'era più, qualcosa l'aveva completamente cancellata. Strano, però che questo evento fosse accaduto, pensò il giornalista. Ciò dimostra veramente che l'esperienza, a volte, non conta nulla. Egli infatti ricordò che circa 5 mesi prima, esattamente il 20/09/1911, la nave gemella Olympic, al comando dello stesso capitano Edward Smith, in quel momento al timone, transitando lungo il braccio di mare chiamato Solent, fra l' isola di Wight e la gran Bretagna, con la stessa dinamica, entrò in collisione con l' incrociatore HMS Hawke riportando uno squarcio nella poppa che allagò due compartimenti stagni e la perdita di una pala dell' elica. Si dovette riportare la nave immediatamente nel bacino di Belfast. Le sue riparazioni ritardarono di un mese l' allestimento del Titanic. Certamente di questo episodio si sarebbe parlato molto. Essendosi fatte le ore 13.00 circa e ritenendo di essere vestito in modo acconcio, dato che essendo appena imbarcato sarebbero stati meno fiscali circa l'abito, si diresse verso la sala da pranzo di prima classe al ponte E. Per fare questo, avrebbe dovuto usare lo scalone di prima classe, posto a circa un terzo della lunghezza della nave da prua, che collegava tutti gli ambienti della prima classe dal ponte delle barche, era quello posto più in alto, al ponte E. Giunto nel vano dello scalone, per un attimo, rimase quasi senza fiato. Era bellissimo. Lo scalone in stile barocco con la balaustra in stile Luigi XVI,  era sormontato, in corrispondenza del ponte aperto, da una grande cupola in vetro e ferro battuto che illuminava l'intero ambiente. Al centro del pianerottolo del ponte A c' era un magnifico orologio con il quadrante inserito in un pannello in bronzo con scolpiti dal maestro Charles Wilson due bellissimi personaggi allegorici che raffiguravano  “l'onore e la gloria che incoronano il tempo”. Questo orologio era stato finito di montare la mattina stessa dell'imbarco e, fino a quel momento, era stato sostituito da un bello specchio.  Alla sua destra, d' angolo, un piano verticale e disseminati alle pareti in posizione simmetrica, dei comodi divanetti imbottiti, in velluto blu. Sui pannelli dei pianerottoli di mezzo ponte erano situati grandi quadri. Il corrimano del ponte B era  abbellito da uno splendido candeliere a 16 lampade. Il centro del corrimano del ponte D, che dava nella sala di reception, era abbellito con una statua di un cherubino di stile XVII secolo che reggeva una delicata lampada a forma di torcia.  Sul retro della scala erano situati tre ascensori, decorati nello stesso stile, a cui si accedeva attraverso le porte realizzate in un artistico ferro battuto. Aveva visto innumerevoli riproduzioni, ma l' originale non consentiva confronti. Iniziò a scendere quasi con rispetto gli scalini,  circondato dagli altri passeggeri che, come lui, si recavano a pranzo. Si rese conto che l' atteggiamento di soggezione e ammirazione per l' ambiente circostante era comune un po' a tutti. Le dotazioni e le rifiniture di quella nave erano veramente incredibili. L' attenzione per le necessita' dei passeggeri aveva quasi del maniacale. Peccato che però detta attenzione non fosse stata profusa anche nei riguardi della sicurezza. Preferì fare le scale a piedi malgrado le parole di un solerte steward che invitava ad usare gli ascensori. Non voleva perdersi nulla di quella meraviglia. Giunto alla base dello scalone, non potè fare a meno di fermarsi a guardare tutta la splendida struttura finemente realizzata e culminate in alto con quella bellissima cupola. Così come non  riuscì a frenarsi dallo sfiorare con le dita la statua del cherubino quando ci passò davanti. Fu solo un momento, ma si accorse che non era il solo ad avere ceduto a quell' impulso. Si accedeva alla sala da pranzo sul ponte D attraverso la sala di ricevimento, un ambiente molto elegante di discrete dimensioni, arredato con piccoli tavoli rotondi contornati da eleganti poltroncine imbottite con alto schienale,  in un locale con toni molto chiari nel quale si stava esibendo un' orchestra di 5 elementi, suonando un allegro motivo del genere ragtime, molto in voga in quel periodo. Quì i passeggeri avevano l' opportunità di consumare bevande prima dei pasti, da semplici aperitivi a elaborati cocktails. La sala da pranzo non era da meno. Realizzata anch'essa in stile giacobino, occupava l'intera larghezza della nave. Illuminata dalla luce che proveniva da eleganti finestroni e da innumerevoli plafoniere al soffitto decorato e sorretto da colonne dorate, poteva ospitare circa 530 commensali. C'erano tavoli rettangolari con otto posti e, adiacenti alle pareti esterne, tavoli più piccoli per tre posti. Russel, giunto sulla soglia, attese che un addetto gli indicasse il suo tavolo. Diverse persone erano gia' sedute ai loro posti, in attesa delle vivande. Un mètre lo raggiunse subito e gli fece da guida. Gli comunicò che essendo una persona sola, si era permesso di metterlo al tavolo con altri passeggeri. Russel non ebbe nulla da obiettare. Per lui quello era comunque lavoro e non aveva smesso di riprendere un attimo, attraverso la sua inseparabile “agenda” tutto quello che si svolgeva attorno a lui. Il tavolo assegnatogli era verso il centro della sala ed era in quel momento ancora vuoto. Accomodatosi, scoprì immediatamente sotto il tovagliolo il ricchissimo menù. Durante l' attesa approfittò per guardarsi attorno, favorito dalla posizione centrale. Riconobbe alcuni personaggi soli o con le famiglie. Altri li avrebbe conosciuti nel corso del viaggio. Alcuni leggevano e commentavano il “Vademecum” che era stato loro consegnato. Osservando il menù, per un attimo rimase esterrefatto davanti a tutto quel ben di Dio, anche perchè nella sua epoca non si mangiava più in quel modo. C' era di tutto, dagli antipasti, alle ostriche, ai primi piatti, diversi tipi di carne e di pesce, un' ampia gamma di verdure presentate in vari modi e dolci e addirittura stuzzichini da consumare fra una portata e l' altra. Seppure tentato da un' occasione irripetibile, decise di non sfidare la fortuna e si limitò ad ordinare un filet mignon con asparagi ed una porzione di dolce. Notò ai tavoli attorno  a lui comportamenti molto diversi. Alcuni stavano ordinando o già consumavano quasi tutto il menù, zuppe, carne, pesce con ogni tipo di salse e condimenti che i camerieri, imperterriti, portavano loro. Notò che per mantenere alla giusta temperatura quei piatti che non sarebbero stati consumati subito, essi erano serviti con particolari lampade ad alcool che mantenevano la giusta temperatura. Notò anche che molti piatti giunti dalle cucine, prima di essere serviti ai tavoli, venivano mantenuti in caldo da speciali fornetti elettrici posti su un lato della sala. Mentre attendeva di essere servito, Russel conobbe tre dei suoi commensali che furono condotti al suo tavolo. Mediante le presentazioni seppe che davanti a lui era seduto Algernon Barkwort, un giudice di pace di 47 anni, proveniente dallo Yorkshire. Era alloggiato alla cabina A33. Aveva una corporatura regolare, un viso ovale con baffi e non molti capelli. Era molto gentile e indubbiamente colto. Al suo fianco aveva preso posto Arthur Gee di 47 anni, imprenditore, responsabile di una importante attività di stampa e tipografie. Proveniva dal Lancashire. Aveva una corporatura piccola e nervosa e folti capelli pettinati all'indietro, un viso magro con baffi e dava l' idea di una grande determinazione ed efficienza. Il terzo era Charles C. Jones, 46 anni, sovraintendente di una enorme tenuta nel Vermont. Era un uomo corpulento, non molto elegante ma compito e misurato, non molto loquace. I tre davano l' impressione di conoscersi già e chiacchieravano con naturalezza fra di loro dei fatti del giorno. Cedendo all' impulso di un brutto gioco che non l' avrebbe certo aiutato nei prossimi giorni, dette una veloce sbirciata alla sua agenda e così Russel prese atto che di questi, solo Barkwort sarebbe sopravvissuto. Giunta la sua ordinazione, osservò che il cameriere di sua iniziativa aveva aggiunto una bottiglia di acqua White Rock ed una bottiglia piccola di vino Josephshofer Still. La carne si rivelo' eccezionale, tenera e saporita, e gli asparagi avevano un buonissimo sapore. Durante il pranzo giunsero al tavolo anche gli altri quattro commensali previsti. Si trattava della famiglia Beckwith, composta dal padre Richard Leonard 37 anni, alto funzionario di banca, sua moglie Sallie, 47 anni, ricca di famiglia, e sua figlia Elena Newson avuta dal suo primo matrimonio. L' ultimo a prendere posto fu John Bertrand Brady, 41 anni, apparentemente più giovane della sua eta', abile affarista. Alto, nerboruto con folti capelli scuri e ricci, scaltro, simpatico. Russel non resse alla curiosita' e, fatto un rapido controllo, verifico' che la famiglia si sarebbe salvata, Brady, purtroppo, no. Questa strana situazione rappresentava per lui una notevole prova. Non riusciva a non farsi coinvolgere. Marcus aveva detto:"Si limiti a guardarsi attorno con l' atteggiamento di un semplice cronista, viva momento per momento la sua avventura e nulla di più". Parlava bene, loro erano attorno a lui, mangiavano, scherzavano, parlavano della loro vita e dei loro progetti. Malgrado tutti gli scrupoli, consumò il suo delizioso pasto e decise di concluderlo con un bel bicchiere di porto Fine Old Tawny, che aveva visto sul menù. Da quello che aveva letto sul vademecum, ogni extra non previsto dal prezzo del biglietto, andava pagato "pronta cassa" ma se l' ordinazione veniva fatta al ristorante, essa veniva segnata sul conto e passava alla competenza del commissario di bordo, il signor Herbert Walter McElroy, che avrebbe poi incassato allo sbarco. Russel nel "suo tempo", era molto morigerato, come era usanza normale. Però, durante i suoi precedenti molteplici viaggi nel tempo, aveva sperimentato delle esperienze che, se possibile, riprendeva volentieri, usando come alibi la sua non più verde età. A parte quella degli alcolici e della buona cucina, gradiva di buon grado il caffè e non disdegnava un buon sigaro. Ordino' quindi al cameriere, prima di alzarsi dal tavolo, una scatola di Fernandez Garcia Vincedores, i migliori sigari di bordo. Il cameriere, nel portarglieli, avvisò tutti i commensali che da quella sera, sarebbe stato usato un segnale preciso per indicare l'apertura della sala da pranzo. Uno steward trombettista, il sig. P.W. Fletcher, avrebbe suonato con la tromba un brano della marcia 'Roastbeff of old England', come su tutte le altre navi della compagnia. Invece un breve squillo di tromba avrebbe segnalato alle ore 17.00 l'ora del thè.  Inoltre disse che i posti a tavola erano stati assegnati in via provvisoria e che il mètre sarebbe stato a disposizione per qualsiasi richiesta di cambiamento. Preso commiato, Russel si alzò e si recò come molti altri, nella sala di ricevimento, dove seduto ad un tavolo, ordinò un caffe'. Nell'attesa, completamente appagato per il magnifico pranzo, si accese un sigaro e senza esitare aspirò una profonda boccata. Eccellente! Mentre gustava il suo sigaro ed il suo buonissimo caffe' decise di non farsi piu' prendere da sentimenti come quelli di poco prima. Doveva svolgere il suo lavoro e, da quello che gli aveva detto Marcus, lo doveva fare bene, con attenzione. Ora era essenziale studiare un programma che gli consentisse di andare e visitare tutti i luoghi importanti della nave, contattare piu' persone possibile, essere presente a tutti i fatti salienti conosciuti e coglierne altri di cui non si era mai parlato.

 

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Capitolo 3
*** Tappa a Cherbourg ***


Cap III Cherbourg Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap III^

 10 aprile 1912. ore 15.00 –  "Tempo del Titanic"

 Al momento la nave stava attraversando la Manica per raggiungere Cherbourg, secondo porto d'imbarco. Nell'attesa Russel, approfittò per fare una bella passeggiata lungo i ponti. Volle salire al ponte A, immediatamente sotto al livello delle scialuppe che ospitava anche il ponte di comando. Da lì si godeva una ottima visuale del piroscafo dall'alto. Fu colpito a prua, dalle dimensioni della grande ancora centrale appoggiata sul ponte, in attesa di essere utilizzata. Pesava 15,5 tonnellate e per portarla ai cantieri si era dovuto usare un carro speciale tirato da 20 cavalli. Purtroppo non sarebbe stata mai usata. Camminò lentamente verso poppa, osservando il mare calmo e gli altri passeggeri attorno a lui. Le donne evidentemente avevano piacere di mostrare abiti eleganti e originali e, considerato il livello dei viaggiatori, era una lotta molto impegnativa anche se  la temperatura piuttosto rigida, non consentiva al momento, di sfoggiare nulla di veramente interessante. Molti passeggeri si conoscevano fra loro ed era un continuo di saluti e presentazioni lungo tutta la passeggiata. Alcuni bambini correvano inseguendosi lungo il ponte, pieni di contentezza ed entusiasmo. Si infilavano dove potevano, invano richiamati dai loro compassati genitori e accompagnatori. Alcuni crocieristi avevano al seguito il proprio cane a cui avevano dovuto pagare un salato biglietto ma, chi aveva la possibilità di permettersi la prima classe, non si sarebbe fatto spaventare da questo. Giunto all'estremità posteriore del ponte A , ebbe l'opportunità di osservare la poppa e la grande scia che la nave lasciava dietro di sé. E pensare che non andava nemmeno alla massima velocita'. Le attrezzature del ponte inferiore, stava guardando il livello D, fra verricelli, boccaporti e quant'altro non impedivano a diversi ospiti  di passeggiare tranquillamente. Una zona di quel ponte era aperta all' accesso della 3^ classe. Si vedevano molti di loro seduti a terra o appoggiati a qualcosa, che se ne stavano però in silenzio, rispetto agli altri, quasi non volessero farsi notare piu' del necessario. Rispetto alle procedure di imbarco dell'epoca questi passeggeri erano stati trattati piuttosto bene. C' e' da dire pero' che  veniva mantenuto un atteggiamento di grande prudenza da parte degli Stati Uniti nei confronti di questi passeggeri 'poveri'. L' immigrazione aveva preteso per ognuno un'accurata visita per verificare che non recassero malattie contagiose o parassiti. Chi aveva superato la visita, era stato imbarcato con una cartella clinica, unita al biglietto, che doveva essere consegnata alle autorità americane al momento dello sbarco. Una volta a bordo, poi, dovevano rimanere assolutamente nella zona a loro assegnata. Per loro, comunque, erano previsti, come zona esterna di passeggiata, uno spazio a poppa sul ponte D ed uno a prua sul ponte C, attrezzato con sedie e tavoli. Diversi corridoi che accedevano ai ponti superiori erano chiusi con inferriate per evitare il loro passaggio. Furono queste cancellate a causare un grande numero di vittime in quanto non consentirono a molti di loro, di raggiungere la coperta. Alle 17.00 un breve squillo di tromba avvertì i passeggeri che nelle sale apposite era servito il tè con biscotti e pasticcini. Russel, vista la sua posizione, optò per la sala del Veranda Palm Court Cafe', detta anche 'Giardino d' Inverno' a cui ebbe accesso attraverso una raffinata porta scorrevole. Circondata da vetrate e piante rampicanti dava l'idea di essere all' aperto. Anche quì, piccoli tavoli con attorno eleganti poltroncine in vimini. Si trovo' quasi solo, in quanto non tutti ne conoscevano l'ubicazione. Lui stesso, se non avesse studiato a lungo la pianta della nave sul suo dossier non ne avrebbe supposto l' esistenza.  Ad un angolo della sala vide due signori che parlavano fittamente fra loro, esaminando dei larghi fogli stampati, che sembravano mappe o disegni e che, per la loro dimensione ricadevano dal piano del piccolo tavolo quasi fino al pavimento. Uno di loro era Joseph Ismay e l' altro era uno dei progettisti della nave, il sig Thomas Andrews. . Joseph Ismay era l' amministratore delegato della compagnia White Star ed era stato uno degli ideatori della nave. Al momento era alloggiato nella mitica souite presidenziale B 52, dopo che stranamente questa era stata prenotata e disdetta più volte, a cominciare dal magnate dell' acciaio Hanry Clay Frick, al ricchissimo banchiere Horace Harding. Thomas Andrews era il capo dei progettisti disegnatori del Titanic. Era il nipote di lord Pirrie, proprietario dei cantieri Harland & Wolff, che avevano costruito la nave. Ciò non lo aveva affatto favorito poiché, per raggiungere la sua attuale posizione, aveva dovuto faticare come e più degli altri, con un durissimo apprendistato durato più di cinque anni. Al momento era a bordo per controllare che tutto andasse al meglio e per verificare cosa potesse essere migliorato o non all'altezza della situazione. I due uomini erano impegnati in una discussione e stavano probabilmente valutando qualcosa a proposito del piroscafo. Il gentilissimo cameriere che serviva i tavoli trovò il modo per informare i presenti con il massimo garbo che, a parte i momenti dedicati al tè o alla colazione del mattino, l'ingresso in questo locale prevedeva l' abito di gala. Alle 18.30 circa, con un' ora di ritardo per l' incidente del mattino relativo alla mancata collisione con la New York, il Titanic, con tutte le luci accese, gettò le ancore nella rada di Cherbourg in quanto era troppo  grande per entrare nel porto.  I passeggeri dovettero salire a bordo con due navette. La prima, il Nomadic, una piccola nave elegante, rifinita, trasporto' i 142 passeggeri di prima classe e i 30 di seconda e ne riporto' a terra 24 che sbarcarono. La seconda , il Trafic, un po' meno recente, non certo di lusso, porto' a bordo 102 passeggeri di 3^ classe e i 1412 sacchi della posta. Al momento della partenza a Southampton ne avevano gia' imbarcati 1750. Le operazioni andarono un po' per le lunghe e la nave pote' salpare solo alle 21.00. Russel non si perse nulla di tutti gli eventi e ando' a cena verso le 22.00, dopo essersi opportunamente cambiato d'abito. In realtà, l'ora prevista per la cena era passata da un pezzo ma, visto lo svolgersi degli eventi, fu dato modo a coloro che si erano imbarcati, di consumare regolarmente il pasto. Al tavolo trovò, con una certa soddisfazione  solo la famiglia Beckwith. Gli altri avevano già finito di cenare ed erano andati altrove. Anche il menù della sera era estremamente ricco ma si accontentò di un filetto di pesce con verdura. Non rinunciò invece ad una bottiglia piccola di vino Rudesheim Still, un fantastico 'bianco' raccomandato dal cameriere. Scambiò appena poche parole con i suoi commensali ma la signora Sallie tutta emozionata gli riferì che il comandante Smith aveva occupato fino a poco prima una tavola centrale, quindi vicina alla loro, alla quale si erano avvicendati, i personaggi più in vista della nave. Russel, che a quel punto desiderava solo un poco di tranquillità, ringraziò in cuor suo la sorte che lo aveva fatto giungere in ritardo. Cominciava ad essere stanco per la lunga ed intensa giornata e quindi non indugiò più di tanto per guardarsi attorno. D' altronde, diversi dei suoi compagni di viaggio, almeno alcuni dei meno giovani, anche loro provati dalle emozioni della prima giornata, avevano preferito farsi portare la cena in cabina. Avrebbe avuto tutto il tempo per osservare ed eventualmente prendere contatti. In ogni caso chi era rimasto in giro, si era già spostato in altri ambienti, un po' per curiosità e un po' per avere contatti con amici e nuove conoscenze. Anche lui, prima di ritirasi, decise di visitare il mitico salone per fumatori di prima classe. Questa volta, per raggiungere il ponte A, non si fece scrupolo di utilizzare l'ascensore. Dovette comunque percorrere un tratto di ponte dal secondo al quarto fumaiolo, sotto il quale si trovava la sua meta. Entrò nel salone con grande curiosità. Tutto su quel transatlantico gli era stato descritto come grandioso e sontuoso. Proprio il contrario della sua epoca, nella quale la norma prevedeva semplicità ed efficienza. Il salone, che occupava tutta la larghezza della nave, aveva l'aspetto di uno dei migliori circoli esclusivi dell'epoca. Un bellissimo tappeto rasato con disegni regolari, copriva l'intera superficie della sala. Tavoli e poltroncine in stile georgiano. Vetrate colorate e illuminate fornivano un bellissimo tono di luce, assieme a dei finissimi lampadari a otto fiamme. In fondo al salone un camino, più volte ripreso dai mini-sommergibili inviati in seguito sul relitto, sopra il quale era appeso un prezioso quadro di Norman Wilkinson, dal titolo  'Approccio verso il nuovo mondo'. Al centro della trave superiore del camino, era posta una preziosa statuetta raffigurante Artemide, realizzata  in bronzo. Russel si addentrò nel locale, notando che si erano formati dei gruppetti nei quali si discuteva, si scherzava o ci si scambiavano ricordi di altri viaggi, magari facendo paragoni. Pur sapendo praticamente un po' tutto di tutti, grazie al suo addestramento, personalmente non conosceva ancora nessuno, ma qua' e là gli venivano rivolti cenni di saluto un po' per educazione, o per rompere il ghiaccio. I frequentatori di quell'ambiente erano tutti uomini, come d' altronde, previsto. All'interno del salone c'era anche un piccolo bar ed un nutrito numero di camerieri serviva con celerità bevande a chiunque ne facesse richiesta. Notò che a diversi tavoli erano seduti dei passeggeri intenti a giocare a carte. Quello, specie la sera, avrebbe rappresentato uno degli svaghi più frequenti, poichè sulla nave, mancavano locali quali il casinò, una sala da ballo, un night club. Per i passeggeri erano disponibili, oltre le carte, anche giochi di scacchi, di dama, domino. Erano inoltre previsti lo shattleboard, sul ponte delle barche, e  tornei di tiri alla fune da organizzarsi su diversi ponti, in base alla classe dei partecipanti. Notò che fra i tavoli,con grande discrezione e facendo finta di nulla, passava di tanto in tanto il sig. Herbert Walter McElroy, commissario di bordo. In realtà era noto che, malgrado fosse severamente vietato, a bordo si sarebbe giocato d'azzardo e si temeva che fra i passeggeri si potessero intrufolare dei bari di professione, stimolati dall' occasione di trovare tanti ricconi disposti a farsi spennare. Il controllo era stato severissimo ma non aveva impedito ad  alcuni di loro di imbarcarsi lo stesso. Il giornalista, pescando nel suo fornitissimo archivio, ne riconobbe quasi subito due, già 'al lavoro'. Si trattava di Harry Omer, un ometto molto elegante e dai modi estremamente raffinati, che si era imbarcato sotto il falso nome di Henry Haven e di George Brereton, imbarcato con il nome di George Bryton, anche lui già in attività ad un altro tavolo.  Inoltre sapeva che ce n'era imbarcato ancora almeno un altro, di nome Charles Hallas Romain, salito a bordo sotto il nome di Charles Rolamn, che però in quel momento non era in vista. Mentre si accingeva ad andarsene, Russel fu attratto dal tono acceso di una discussione che proveniva da un gruppo di signori seduti attorno ad un tavolo. Riconobbe la persona che parlava in tono più animato rispetto agli altri. Si trattava di Arthur Godfrey Peuchen, un ricchissimo  industriale di 52 anni interessato in molteplici attività. Seduto davanti a lui c' era un signore anziano, William Thomas Stead, di 62 anni. Era un giornalista scrittore, diretto a New York per partecipare ad un importante seminario sulla pace. Partecipavano inoltre alla discussione Isidor Straus, un abbiente imprenditore di 67 anni e Annibal Grace, di 54 anni, colonnello e storico militare. Altri due passeggeri non riusciva proprio ad identificarli. La discussione verteva sulla capacità e sulla professionalità del capitano Smith. Peuchen, in particolare, diceva che quando aveva saputo chi era al comando, voleva  a tutti i costi annullare il viaggio. Gli altri cercavano di  smorzare i toni della discussione affermando che il comandante aveva una esemplare lunga carriera sia come militare, sia come civile, nel corso della quale aveva comandato ben 18 navi diverse. Peuchen allora inizio' ad elencare una serie di fatti relativi alla 'brillante' carriera di Smith. Disse che nel mese di gennaio 1899, al comando del Republic si incagliò nella rada si Sandy Hook, a New York e all'approdo esplose una caldaia compromessa dalle tremende sollecitazioni connesse con i tentativi di liberare la nave. Morirono 3 marinai e ne rimasero seriamente feriti dieci. Ricevuto il comando della nave Germanic, nel febbraio dello stesso anno, mentre era ormeggiato nel porto di New York, sottovalutò l' accumulo di ghiaccio sulle sovrastrutture e il vascello si rovesciò.  Non ci furono vittime per puro miracolo. “E non finì qui, -aggiunse -  nel dicembre del 1890 con il Coptic si arenò a Rio de Janeiro.  E poi toccò alla sfortuna. Ad agosto del 1901, mentre era al comando del Majesti, un corto circuito obbligò gli ottocento passeggeri a rifugiarsi in coperta per non essere soffocati dal fumo e ancora un altro incendio a bordo del Baltic per fortuna ancorato  nel porto di Liverpool”. Russel sapeva che tutto ciò che diceva Peuchen corrispondeva alla verità e le sue parole avevano seminato un certo nervosismo. “Un buon capitano eh? - aggiunse Peuchen - Nel dicembre del 1909 mandò l' Adriatic II con 880 passeggeri ad arenarsi su un banco di sabbia all'entrata del canale Ambrose. E per finire, alla quarta partenza con l'Olympic verso New York, con una manovra identica a quella di stamattina ma con minor fortuna, urtò l' incrociatore della Royal Navy, Hawke. Vi basta? Credetemi, siamo tutti in pericolo.” E concluse la sua tirata finendo di bere il bicchiere di wisky che aveva in mano. Le sue parole avevano lasciato un imbarazzato silenzio. Se Peuchen voleva creare una situazione di insicurezza e sospetto nei confronti del capitano, di certo, almeno in quel momento, c' era riuscito.  Qualcuno del gruppo riprese il discorso cambiando argomento per sdrammatizzare un po' la situazione. Ma non c'era dubbio che l' effetto voluto era stato raggiunto. Di certo dal giorno seguente la cosa avrebbe cominciato a circolare fra i passeggeri. Russel giudicò di averne avuto abbastanza e, preso commiato, decise di ritirarsi nella sua cabina. Giuntovi, ricontrollò per scrupolo il materiale che aveva ripreso. Era decisamente buono ma non gli diceva nulla che potesse essere veramente interessante. Buttò giù qualche appunto a proposito delle azioni che avrebbe potuto svolgere la mattina successiva e degli ambienti che avrebbe voluto visitare. Per concludere degnamente quella intensissima giornata, si versò un' abbondante dose di wisky, di cui si era fatto portare una bottiglia in cabina. Si distese nel comodo letto e spenta la luce di cortesia, si dispose  per dormire. Stette per un istante a valutare se quanto gli avevano detto corrispondeva a verità. Tutti i letti delle cabine di prima classe erano stati orientati verso prua per ridurre al minimo l'effetto del rollio e del beccheggio della nave. Prima di prendere sonno gli venne in mente che se avesse continuato a mangiare e bere e fumare come in quella giornata, avrebbe dovuto spendere una fortuna al suo 'ritorno' per farsi disintossicare. L' incubo giunse all'improvviso. Si risvegliò madido di sudore e ansante in piena notte con il cuore che gli batteva in petto all' impazzata. Aveva sognato il relitto del Titanic, che aveva veduto tante volte nei documentari di tanti anni prima, una tomba silenziosa. Si era visto al suo interno, prigioniero  di quelle lamiere contorte e arrugginite nel buio degli abissi. Si era visto trascinare a fondo mentre tutto intorno una nube di fango e sabbia si sollevava e copriva tutto. Si era sentito soffocare, afferrare, morire! Si alzò quasi tremante e subito si sciacquò il viso. Si sentiva ancora preso nel suo incubo, oppresso, circondato da fantasmi spaventosi che cercavano di ghermirlo mentre gli strisciavano  subdoli e insidiosi attorno. Gli mancava l' aria. Non poteva restare in cabina. Indossò un paio di scarpe, si gettò sulle spalle il cappotto e uscito dalla cabina, raggiunse il ponte di passeggiata del suo livello. Il freddo pungente, l'aria fresca, l'odore di salsedine, gli consentirono di riprendersi piuttosto in fretta. A parte alcuni marinai intenti ai loro compiti, il ponte era deserto. Tutti dormivano ignari del destino che li attendeva da lì a tre giorni. Non se la sentì di tornare subito in cabina e si ritrovò a percorrere il ponte verso poppa. Le assi del pavimento erano umide e lucide, il mare era calmissimo ma al di là della zona di luce prodotta dal piroscafo era buio come l'inchiostro. In compenso, il cielo stellato era splendido, nell'aria tersa gli astri si distinguevano nettamente. Eppure fra qualche notte, egli pensò che quel magnifico scenario sarebbe stato teatro di tragicissimi eventi. Passeggiando era giunto alla balaustra che limitava la passeggiata a poppa. Sotto di lui, una ampia zona che confinava con la sala da pranzo della 2^ classe e, al di la' di quella, leggermente rialzata, la zona di poppa con una grossa gru di carico e diversi elementi, necessari per le varie manovre, che egli non riuscì ad identificare causa la scarsa illuminazione. Chissà perchè quella parte della nave lo attirava tanto. Anche il pomeriggio aveva richiamato in qualche modo la sua attenzione. Forse l'istinto gli suggeriva che ciò che era venuto a cercare, l' avrebbe trovato in quella zona?  Decise comunque di smettere di considerare, in modo semplicemente maniacale,  per ogni persona con cui entrava in contatto, se sarebbe morta o sopravvissuta. Per lui quelle persone erano vive e vegete e questo gli doveva bastare, altrimenti avrebbe rischiato di diventare matto.  Ripresosi sufficientemente dal suo inatteso malessere tranquillamente se ne torno' in cabina dove, presa una pillola dalla sua farmacia personale, riprese un sonno profondo e, questa volta, senza sogni.

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Capitolo 4
*** Tappa a Queenstown ***


Cap IV si va per l' oceano Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap IV^

 11 aprile 1912 –  ore 08.30  - 'Tempo del Titanic'

 Russel si svegliò abbastanza fresco e riposato, nonostante la difficile nottata trascorsa. La sua ottima forma e la sua farmacia personale lo avevano preservato da guai peggiori derivanti dai suoi eccessi della sera prima. Non che avesse particolarmente esagerato ma non era abituato ad assumere tranquillamente caffè, alcool e tabacco. Pazienza, pensò, avrebbe avuto ancora qualche giorno per porre rimedio alla situazione. Alle ore nove precise si presentò al Cafè Parisienne , sul ponte B, per una gustosa colazione a base di vero caffe' (nella sua epoca era considerato troppo tossico ed era stato sostituito da tempo con infusi di diversa origine e di vario gusto) e brioches calde, fresche di forno, con accompagnamento di burro fresco e ben quattro gusti di marmellata. Inutile dire che fece onore a tutto! Malgrado i buoni propositi,  non seppe resistere ad assaggiare ogni cosa. Amarena, arancia, pesca, albicocca, superbe! E il burro, eccezionale! Avrebbe potuto consumare la colazione anche nella apposita sala da pranzo ma aveva avuto occasione di esaminare il menù la sera prima e onestamente non se la era sentita di partecipare. Infatti esso prevedeva, secondo la tradizione inglese, uova, bacon, rognone, pesce di vario genere ed in varie preparazioni, salsicce, salse, torte di vari tipi, verdure e frutta. Essendo sicuro che molti ne avrebbero approfittato, aveva preferito sottrarsi a quello spettacolo. Era praticamente solo nella sala. Probabilmente molti dei suoi compagni di traversata di che, avevano fatto le ore piccole, assorbiti in vari impegni mondani. In fin dei conti, in una crociera questo aspetto era considerato molto importante e poi, quella era una crociera speciale. Nel servirlo al tavolo, il cameriere gli aveva fornito una copia dell'Atlantic Daily Boullettin, una sorta di giornale stampato a bordo in un limitato numero  di copie, contenente articoli letterari e servizi su argomenti di interesse generale  preparati a terra prima della partenza e poi notizie sulla nave, i menù del giorno e altre notizie giunte via radio dalla terraferma, come valutazioni di titoli di borsa ed esiti di gare sportive, corse di cavalli, ecc. Una copia veniva anche affissa alla sera nella sala fumatori di prima classe, dove in base alle notizie riportate, si scommetteva sulla distanza che la nave avrebbe percorso il giorno seguente. La tipografia, che offriva anche un servizio steno-dattilo, si trovava a babordo sul ponte D, immediatamente dietro la sala da pranzo della 1^ classe ed era tenuta dal sig Albert Michellany, di origine libanese, coadiuvato da un giovane assistente di 27 anni, Theodore Ernest Corben. Il servizio steno-dattilo era invece svolto dal sig Gerge Frederik Tuner. A bordo venivano anche stampati i menù e, su ordinazione, gli inviti per frequenti feste private. Uscì sul ponte di passeggiata  e iniziò a guardarsi attorno. La nave cominciava ad animarsi,  e potè incontrare diverse persone, bei nomi della società, imbarcati per partecipare a quello che veniva considerato un evento irrinunciabile.  Quello che però lui cercava era un ufficiale al quale chiedere come avvicinare il comandante o, se proprio non era possibile, almeno il primo ufficiale, sig. McMaster Murdoch. Si imbattè nel sig. Godfrey Lowe, quinto ufficiale 'junior' al quale, dopo essersi presentato, fece la sua richiesta, motivandola con il desiderio di realizzare un servizio giornalistico sul Titanic per aumentare la tiratura dei suoi giornali e logicamente con un' importante ricaduta pubblicitaria a vantaggio della compagnia di navigazione. D' altronde, aggiunse, che quello era il principale motivo per cui era salito a bordo del Titanic. Il sig. Lowe gli rispose che avrebbe provveduto ad inoltrare la sua richiesta al più presto possibile, ma che ora tutto l'equipaggio sarebbe stato impegnato per la sosta a Queenstown, ultima tappa europea prima di iniziare la traversata dell' Atlantico. Alle ore 11.30 la nave gettò le ancore a 3 miglia nautiche dal porto di Queentown. Purtroppo le dimensioni della nave sconsigliavano anche quì di avvicinarsi ulteriormente. L' imbarco dei passeggeri avvenne tramite due traghetti a vapore, l' America e l' Ireland. Due incredibili battelli a ruote laterali che conferivano loro un aspetto goffo e pesante, agli occhi di Russel, che però li guardava affascinato.  Salirono a bordo 123 persone, di cui 3 di prima classe, 7 di seconda e 113 di terza. Il giornalista fu colpito dalla mole dei bagagli dei passeggeri di prima classe che eguagliava quasi quella totale dei passeggeri di terza. Non per nulla, fra i passeggeri di 'prima' c' era la signora Charlotte Wardle Drake Martinez Cardeza,  una bellissima donna di 58 anni, ereditiera di una consistentissima fortuna lasciatale dal padre divenuto famoso per la produzione e la vendita, fra l' altro, dei bluejeans Denim. Era in viaggio con il figlio Thomas e provenivano da un lungo safari in Africa. Il suo bagaglio consisteva in 14 bauli, 4 valigie, 2 casse ed un voluminoso necessaire di pronto soccorso. Furono imbarcati anche 194 sacchi di posta. Sbarcarono 7 passeggeri, fra cui Francis Brown, il fotografo gesuita e la famiglia Odell. Fu grazie a questo evento che furono disponibili tantissime fotografie relative alla nave a alle prime ore di traversata. Sbarcò anche, ma questo si seppe solo la sera, un fuochista, John Coffey, il quale per cause ignote, disertò. Mentre proseguivano le operazioni di imbarco, Russel notò un dialogo piuttosto concitato accanto al parapetto del ponte delle barche, fra il comandante, il primo ufficiale, sig  McMaster Murdoch, il commissario di bordo, sig Herbert Walter McElroy e due uomini di equipaggio ingaggiati come vedette. A causa della distanza non poteva capire quello che dicevano ma poiche' il dialogo sembrava interessante, decise di attivare il microfono direzionale e d ascoltare. Il capitano stava chiedendo spiegazioni ai due ufficiali, Il commissario spiegò che non c' era soluzione alla cosa se non procedendo con un' operazione di scasso.  Il primo ufficiale chiese alle due vedette se proprio non se la sentivano di fare il loro lavoro senza binocoli. I due, forse intimiditi, dissero che non ci sarebbero stati problemi e furono quindi congedati. Il primo ufficiale rientrò nella timoneria. A quel punto il commissario di bordo spiegò al comandante come erano andate le cose. Russel ascoltò attentamente anche perchè finalmente avrebbe capito di cosa stavano parlando. Il commissario disse che tutto era accaduto nel momento in cui, alla vigilia dalla partenza per Southampton, il 9 aprile, era giunta a bordo la notizia che il sig Hanry Tingle Wilde, secondo ufficiale del' Olimpyc sarebbe stato  trasferito sul Titanic, considerando la sua maggior esperienza rispetto all' attuale secondo, sig. David Blair. Quest'ultimo non prese la notizia molto bene e, arrabbiato e nervoso per quella che considerava un' ingiustizia,  nella fretta di fare i bagagli per abbandonare la nave e trasferirsi al suo nuovo incarico, dimenticò nelle tasche di una divisa il mazzo delle chiavi relative all' armadietto blindato dei binocoli e della cassetta telefonica della coffa. Il comandante replicò che la cassetta telefonica era stata facilmente aperta ma che per l' armadietto blindato ci sarebbero stati problemi. Comunque non avrebbero dovuto preoccuparsi piu' del dovuto. Il tempo era stato previsto bello stabile per tutta la traversata e fra l' equipaggio essi avevano due delle vedette più in gambe della flotta inglese, Frederick Fleet e Robinson Lee, rinomati per la loro acutissima speciale vista sia di giorno che di notte. Detto questo rientrò anche lui nella timoneria e dispose per la partenza. Ora erano pronti per il viaggio vero e proprio. Fu issata sull' albero di trinchetto la bandiera bianca con un rettangolo blu all'interno, che significava 'tutti a bordo'. Con un prolungato fischio della sirena, al quale risposero quelle dei due traghetti che si allontanavano, issate le ancore, alle ore 13.30, il Titanic iniziò la sua fatale traversata. Era stato dato già da un bel pezzo il segnale che indicava l' apertura delle sale da pranzo ma gran parte dei passeggeri, attratti dalle operazioni di imbarco, si era attardata sui ponti. In attesa di essere contattato da qualche ufficiale per portare avanti il suo progetto, Russel, che non aveva molto appetito, certamente per l'abbondantissima colazione di poche ore prima, evento a cui non era affatto abituato, si diresse verso poppa, di nuovo stranamente attratto da qualcosa di indefinibile. Già il giorno precedente aveva notato a bordo dei passeggeri che si spostavano accompagnati dal loro cane. La cosa lo aveva sorpreso un poco. Intanto, perchè nel suo tempo questa moda si era andata perdendo e poi comunque di norma gli animali, su  mezzi di quel genere, erano trasportati in zone apposite. Ma il denaro, si sa....... Il prezzo del biglietto per un cane era uguale a quello previsto per un bambino. Molti passeggeri americani, affascinati dalla moda europea che prevedeva per le persone di alto rango di possedere uno o più cani di razza, nel corso delle loro vacanze europee, ne avevano acquistato diversi esemplari. Il sig Clearence Moore Bloomfield, un importante agente di borsa americano, addirittura ne aveva acquistate 40 coppie, addestrate nella caccia alla volpe, che però  non avevano fatto a tempo ad essere imbarcate, con grande rabbia e delusione del proprietario che avrebbe dovuto attendere una spedizione successiva. Tutti i cani normalmente erano alloggiati in un apposito spazio a prua sul ponte F, dove erano accuditi con la massima cura da personale di bordo appositamente imbarcato. Diversi passeggeri, però, specie quelli di rango più alto, avevano ottenuto il permesso (o meglio se lo erano preso) di tenerli con loro in cabina e di portarli a passeggio personalmente. Era il caso di Robert William Daniels, un imprenditore e uomo politico,  che aveva acquistato un piccolo bulldog di razza Gamin, di Harry Anderson, facoltosissimo agente di borsa di Wall Street , possessore di un graziosissimo Chow Chow, di lord Astor IV, possessore di una preziosa femmina di razza Airdale e molti altri. La varietà di razze ed il valore degli esemplari, aveva spinto la signora Ann Elizabeth Isham, appartenente ad una ricca famiglia di Chicago,  in possesso di un magnifico Terranova, ad organizzare per il 15 mattina una sfilata canina sul ponte delle scialuppe. Parecchi di questi animali, ad ore fisse, erano condotti a passeggio dagli addetti che poi li lasciavano in liberta' in una zona circoscritta della poppa, sul ponte C, in corrispondenza della passeggiata della 2^ classe. E proprio in quella zona era giunto Russel, incuriosito da quel gruppo di esemplari, così raro nel suo tempo. Gli animali si aggiravano per lo spazio a loro riservato, giocando o rincorrendosi o facendosi carezzare da diversi bambini che erano stati attratti da quella particolare circostanza ed ora , sotto gli occhi attenti e preoccupati dei loro genitori, interagivano con quei nobili animali. Fu incuriosito da una bambina di circa sette anni che aveva stabilito un buon rapporto con il piccolo bulldog ed ora, insieme, correvano, giocando ad inseguirsi a vicenda. Russel notò un'altra bambina, seduta in disparte, quasi timorosa. Dagli abiti, si capiva chiaramente, che non faceva parte del bel mondo della prima classe, anzi, visto lo stato generale del suo abbigliamento, di certo nemmeno alla seconda.  In effetti lo spazio del ponte riservato alla terza classe era proprio a ridosso di quello in cui si trovavano ora, separato da una scaletta chiusa da un cancelletto su cui era affisso un cartello che avvisava del divieto ai passeggeri di 3^ classe di sorpassarlo. Dopo un po', la bambina si fece coraggio e si unì ai giochi della sua coetanea e del piccolo cane. Le due bambine non parlavano la stessa lingua ma si capivano scambiandosi gesti e cenni. Purtroppo, dopo un poco, uno degli addetti del ponte, si accorse della cosa, e si affrettò ad intervenire, riportando l' intrusa, più o meno gentilmente e sgridandola, dalla sua giusta parte del cancelletto.  La piccola, senza fare storie, si lasciò condurre via ma, voltandosi, salutava la sua piccola nuova amica che andò imbronciata a protestare dai suoi genitori che si erano tenuti un po' in disparte per tutta la durata dell'episodio. Russel riconobbe la piccola Eva Hart di sette anni, che viaggiava in seconda classe assieme al padre Benjamin  e alla madre Ester. Quest'ultima appariva visibilmente provata. In realtà aveva fatto di tutto per evitare quel viaggio. Fortemente religiosa, aveva considerato un' offesa al Signore l'impudenza dei costruttori di quella nave così grande e così futilmente lussuosa ed era certa che sarebbero stati tutti soggetti al suo castigo. Da quando era salita a bordo non aveva chiuso occhio e trascorreva la notte, vestita,  seduta su una sedia, costantemente in attesa del peggio. Piu' per dovere che per necessità, il giornalista decise di recarsi nella sala da pranzo.

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Capitolo 5
*** A bordo, conoscenza con i compagni di viaggio ***


Cap V A bordo, conoscenza con i compagni di viaggio Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap V^

 Giorno 11 aprile, ore 14.00 “Tempo del Titanic”

 Guardandosi attorno Russel aveva preso atto che per la sala da pranzo, durante la prima colazione, era tollerato un abito da passeggio, purchè completo di tutti gli elementi previsti per un abbigliamento elegante. Per la sera, invece, era praticamente di rigore, per gli uomini, lo smoking con il cravattino bianco, le scarpe di vernice rigorosamente tirate a lucido e, ove necessario, il cappello a cilindro. Per le donne, di norma, erano previsti vestiti molto colorati, con le maniche a sbuffo. Il tessuto maggiormente utilizzato era la seta. Seduto al suo solito tavolo, che per la sua posizione gli consentiva di osservare un po' tutta la sala, notò che dei gruppi si erano formati per via delle vecchie conoscenze che si erano ritrovate o per nuove che si erano strette nelle prime ore della traversata.  Notò a pochi tavoli di distanza un gruppo formato da Bruce Ismay, , Charles Melville Hais , magnate dei trasporti su binario in America, accompagnato dalla moglie Clara, dalla figlia Orian e suo marito Thornton Davison,  e da Paul Roman Chevre. La famiglia Hais era ospite di Ismay. Infatti era allo studio un piano per collegare i viaggi in mare con opportune coincidenze ferroviarie a terra che avrebbero permesso spostamenti organizzati e più convenienti. Inoltre Hais era anche in possesso di alcuni alberghi che avrebbero potuto essere compresi nel progetto. Il sig. Chevre, era un famoso scultore che aveva ornato con un busto in bronzo  del primo ministro canadese, sir Wilfried Laurier,  la hall dell'hotel Grand Trunk Pacific Railway Chateau Laurier  di Ottawa, che Hais aveva acquistato ed ora andava ad inaugurare.  Alla sua destra, accanto ad una elegante colonna dorata, una compagnia più discreta era formata  dal sig Thomas Andrews, che aveva ritrovato un vecchio amico nella persona del medico di bordo di prima classe, sig  O'Loughlin, e dalla coppia composta da Adrian e Vera Dick. Davano l' idea di stare rinvangando vecchi ricordi. Lo distrasse dalla sua osservazione il cameriere che era venuto a prendere la sua ordinazione. Decise di orientarsi sul pesce, e, saltando gli antipasti, ordinò ostriche, salmone con salsa Mousseline, piselli verdi e asparagi vinagrette, concludendo il tutto con un ice creem alla francese. Per il vino si affidò al sommelier. Da quel momento purtroppo non ebbe più una grande possibilità do osservare l'ambiente circostante poiche' giunse la famiglia Beckwith e si aggiunsero anche il sig Isidor Straus con la moglie Ida, una coppia anziana, almeno per quell'epoca, lui 67 anni e lei 63. Il sig Straus, che era il proprietario dei famosi magazzini Macy's , aveva un aspetto molto curato ed elegante. Aveva pochi capelli ma una lunga e folta barba grigia. La moglie, elegante ma estremamente semplice. Si presentarono e dissero che avevano chiesto di essere messi a quel tavolo poichè cercavano una compagnia tranquilla e che speravano di non disturbare. Rassel fu molto colpito da quella conoscenza, poichè quella coppia avrebbe potuto far riflettere molti sul significato della parola amore e attaccamento fra sposi. Avevano sette figli ma in quell'occasione viaggiavano soli, accompagnati da una cameriera ed un cameriere. Durante la cena, comunque, la loro attenzione venne attirata più volte da un tavolo posto ad una certa distanza, per fortuna, pensò il giornalista. A quel tavolo 'teneva banco' la signora Margaret Brown Tobin. Era una signora americana, di umili origini che con il marito aveva raccolto una fortuna considerevole nel campo minerario. Ora si rifaceva del tempo perduto, viaggiando e appagando molto suoi antichi desideri. Il tutto cercando contatti con l' alta società che naturalmente la 'snobbava' e che la frequentava se non altro perchè la trovava piuttosto 'divertente'. Con il tempo poi magari parecchie persone si rendevano conto che si trattava di una donna energica, intelligente e di gran cuore, che sapeva farsi apprezzare e voler bene. Non bisogna dimenticare che era stata una delle prime donne americane ad entrare in politica concorrendo per un posto al senato. La sua notevole intelligenza le aveva permesso di apprendere in poco tempo il francese, il tedesco ed il russo. Queste conoscenze  si sarebbero dimostrate estremamente importanti per poter comunicare con i superstiti raccolti dalla nave Carpatia dopo l' affondamento. In quel momento, accanto a lei era seduta in un aderente abito bianco lady Duff Gordon, moglie di Sir Cosmo. Era una donna di 48 anni, minuta, capelli neri e viso con tratti molto fini, elegantissima e almeno apparentemente piuttosto distaccata, seguiva la conversazione degli altri commensali, intervenendo di tanto in tanto. Malgrado la sua aria snob, era una donna che in situazioni difficili aveva dato prova di gran coraggio e di grande forza. Abbandonata dal marito nel 1988 con un figlio piccolo, in un momento difficile ed in una situazione molto precaria, aveva  saputo reagire ed era entrata a lavorare nel mondo della moda dalle posizioni  più modeste. Grazie al suo estro ed al suo carattere, seppe risalire tutte le posizioni arrivando ad aprire una boutique a Londra che divenne famosa con il nome di "Maison Lucie". Nel giro di poco tempo, aprì un salone a New York e gettò le basi per una boutique a Parigi. A quel punto, aveva da poco ottenuto il divorzio dal primo marito, conobbe Sir Cosmo Duff Gordon che la aiutò nella professione e nel 1900 accettò di sposarlo. Questo le aprì l' ingresso nel mondo della nobiltà inglese che, seppure la stimava come creatrice di moda, in realtà non la accettò mai completamente per via del suo precedente divorzio. Era seduta  al tavolo anche la signora Edith Rosenbaum, buona conoscente di lady Duff, in quanto famosa relatrice di moda per il pubblico femminile americano. Stava tornando in America dopo aver acquistato nelle migliori boutique europee decine e decine di abiti, che ora trasportava in numerosi bauli per venderli alle sue migliori clienti. In quel momento si stava lamentando a voce piuttosto alta, per il fatto che al momento dell' imbarco il commissario di bordo, sig Herbert Walker McElroy, aveva rifiutato di assicurarle il carico con il pretesto che essendo la nave inaffondabile, non c' era alcun motivo per farlo. Altra commensale seduta al tavolo era la sig na Doroty Gibson, una dinamica brunetta, accompagnata dall' onnipresente madre, sig ra Pauline Boesen Brown. La ragazza, dell' età di 23 anni, aveva già vissuto una vita alquanto intensa. Era stata una modella piuttosto nota che poi si era data al teatro. Sposata e divorziata in un tempo abbastanza breve, era diventata una famosa attrice di film muti. Dopo aver girato una pellicola che aveva riscosso un discreto successo, intitolato "La Pasqua Bonnet", aveva deciso di prendersi una vacanza in Europa. La verità è che aveva cercato contatti anche nell' ambiente del cinema europeo ma la cosa non aveva sortito grandi risultati. Aveva molti episodi da raccontare sul mondo del teatro e del cinema e non si faceva certo pregare. Allo stesso tavolo sedevano i coniugi Harris, Harry e Irene, imprenditori teatrali di grande fama a New York. Raccontavano di avere in piedi in quel momento ben 18 compagnie teatrali in giro per gli Stati Uniti. In realtà stavano tentando di 'agganciare' la signorina Gibson per uno spettacolo che avrebbe potuto con il suo indubbio successo risollevare la coppia dal mare di debiti che si erano procurati. Purtroppo per loro l' attrice non appariva  molto interessata alla cosa. Ben altra atmosfera si respirava al tavolo sul lato opposto rispetto a quello di Russel. A capotavola sedeva il maggiore Archibald Butt. Era un bell'uomo di 45 anni, dal portamento caratteristico di un ufficiale. Molto curato nell'aspetto e nel vestire, colto e compìto. Era il consigliere militare del presidente degli Stati Uniti Theodore Roosvelt. Dopo un pesantissimo impegno di carattere diplomatico, aveva deciso di prendere sei settimane di vacanza da trascorrere in Europa ed ora, pienamente ritemprato, ritornava in patria per riprendere con entusiasmo il suo lavoro. Accanto a lui sedeva  il suo amico Francis Davis Millet, un uomo abbastanza piacente, malgrado i suoi 65 anni di età. Capelli bianchi e grandi baffi ed un viso piuttosto fine apparentemente sempre atteggiato ad un espressione severa. Era  uno stimato giornalista ma anche un valente pittore. Si vedeva poco in giro per la nave in quanto era molto infastidito dall'atmosfera mondana che lo circondava in  prima classe. Trovava le donne attorno a lui, frivole, leggere, pettegole, ciarliere, insomma fastidiose. Avendo quasi in odio gli animali, era rimasto molto contrariato scoprendo che a bordo c'era un gran numero di cani, alcuni dei quali venivano addirittura portati in sala da pranzo in braccio alle loro padrone e cercava di starne più lontano possibile. Apprezzava invece molto la compagnia della sig ra Helen Churchill Candee, altra ospite del tavolo. Era una donna di 53 anni, di media statura, capelli neri e molto bella. Di carattere forte, decisa, molto energica era conosciuta in qualità di valente scrittrice, conosceva molte lingue, ricercata per valide consulenze di arredamento, rappresentava il movimento femminista dell'epoca che diffondeva con conferenze in tutto il paese. Era anche una discreta pittrice, amante della natura e delle cose semplici. Si vestiva sempre di nero ed anche i suoi abiti più eleganti erano neri ma bordati con strisce di ermellino. Tornava in patria perchè era stata informata che il figlio Harolod era rimasto vittima di un grave incidente. Il gruppo era completato dalla famiglia Widener. Il sig George Danton era un importante industriale che operava nel campo dei cavi elettrici e dei trasporti. Da un certo tempo aveva iniziato ad interessarsi anche di alberghi ed infatti ora, con la sua famiglia, tornava da un viaggio a Parigi, fatto allo scopo di trovare un eccellente cuoco per il suo nuovo albergo Ritz Charlton. Si interessava anche di arte ed era diventato direttore della Pennsylvania Academy fine arts. Viaggiava con la moglie Eleanor e con il figlio Hanry. Questi, oltre ad essere un valente collaboratore del padre, era un noto collezionista di libri rari. Era riuscito ad avere nella sua collezione un manoscritto di Shakespeare ed una copia originale della prima edizione della Bibbia di Goutemberg. Aveva approfittato del viaggio in Europa per acquistare a Londra un antico testo di Bacone. Consumato il suo lauto pasto, sotto lo sguardo critico della sua compagna di tavolo, signora Sally Backwith secondo la quale 'un uomo grande e grosso' avrebbe dovuto mangiare molto di più, consapevole di non avere poi tanto tempo a disposizione per la sua missione, decise di forzare un po' gli eventi. Aveva notato che il signor Ismay si era appena alzato da tavola e si dirigeva verso la sala attigua per bere qualcosa. Subito lo inseguì e trovò un modo di attaccare discorso. In breve fece scivolare la conversazione sul lato tecnico del piroscafo e trovò il modo di ripresentare la sua proposta, ossia di poter visitare un po' tutta la nave e in special modo quegli ambienti non riservati ai passeggeri ma, che per le loro caratteristiche di efficienza e modernità, garantivano loro un soggiorno eccellente a bordo del Titanic. Di fronte a queste argomentazioni il suo interlocutore  non potè tirarsi indietro e gli disse che forse aveva la persona adatta ad un compito del genere, anzi certamente sarebbe stata entusiasta di svolgerlo. Gli spiegò che alla partenza dai cantieri di Belfast, era stata imbarcata una particolare squadra chiamata "Guarantee group", costituita da un gruppo di uomini scrupolosamente ed appositamente scelti dalla compagnia di costruzione Harland and Wolff. Ne facevano parte il capo degli architetti navali, sig Thomas Handrews, uno dei progettisti Roderick Chrisolm,  due installatori esperti, sig. ri Artie Frost e Bob Kight ed infine  dieci apprendisti tuttofare. Questo gruppo di uomini aveva l'incarico di risolvere qualsiasi tipo di inconveniente tecnico che fosse emerso nel corso della navigazione e di spiegare a varie figure professionali imbarcate, come steward, personale di cucina, addetti alle macchine, ecc il funzionamento di tanti nuovi dispositivi montati a bordo. Per fare un esempio, tutti gli accessori della cucina erano alimentati ad energia elettrica e gli addetti avevano dovuto essere istruiti appositamente. Questo compito aveva portato i componenti della squadra a contatto con tutti gli ambienti e molti membri del personale. In particolare Roderick Chrisolm, con la sua efficienza e la sua naturale carica di simpatia, aveva stabilito ottimi contatti con tutti quanti nelle varie sezioni ed inoltre, il suo entusiasmo lo rendeva la persona piu' adatta a mostrare al giornalista tutto ciò che avrebbe desiderato. Questi accettò di buon grado e, accomiatatosi, si recò sul ponte per cercare di digerire con una buona passeggiata e magari aiutato anche da un buon sigaro  Fernandez Garcia Vincedores  della sua consistente riserva personale. Aveva anche provveduto a farsi rifornire la cabina di alcune bottiglie di Scotch whisky e brandy Hennessy. Le cose si stavano mettendo bene. Aveva preso contatto con i principali ambienti della nave, riservati ai passeggeri, aveva conosciuto molte delle persone imbarcate in prima classe e aveva cominciato a girare un bel pò di materiale che, prima o poi,  si sarebbe dovuto decidere a visionare. Ma non in quel momento, decise. Un po' per il bel pranzo, un po' per il vino e, forse maggiormente, per le scarse ore di sonno della notte precedente, si recò in cabina e disteso sul comodissimo letto, si lasciò andare ad una piacevole pennichella. Si svegliò che erano già le 17.00. Per bacco, ora anche la pennichella! Forse si stava calando un po' troppo nella parte. Cosa avrebbe detto Marcus, sapendo che aveva organizzato tutto quel complesso progetto perchè lui si facesse il sonnellino del dopo-pranzo. Beh, pazienza. Era lui, sul Titanic, lui che decideva le procedure, lui che magari aveva un po' esagerato, forse dimenticando che non aveva più 20 anni. Guardandosi allo specchio, osservò che i suoi capelli avevano bisogno di una sistematina.  Infatti, da molti anni aveva adottato un taglio quasi militare, con capelli cortissimi che si adattavano ad ogni evenienza ed egli li teneva rigorosamente in ordine. Si recò sul ponte C dove era la barberia di prima classe. Passò davanti alla biblioteca di seconda classe, ed entrò un attimo per vedere come era stata sistemata. Rimase favorevolmente impressionato nel trovarsi in un ambiente  confortevole e distinto, arredato con piccoli tavoli attorno ai quali erano posizionate eleganti e comode poltroncine imbottite e pregevoli divani. Alle pareti, diversi scaffali con un numero notevole di pubblicazioni, per la maggior parte in lingua inglese, ma anche in altre lingue e di argomento molto vario. Procedendo, passò davanti ad una porta chiusa da una cancellata metallica. Davanti ad essa, apparentemente per pura formalità, un paio di marinai di guardia che però in quel momento stavano più che altro conversando fra loro, con la mente chissà dove. Quel passaggio portava alla terza classe. Era chiuso per chiara disposizione delle autorità americane che intendevano con quel sistema, evitare il diffondersi di eventuali malattie. Da notare che al momento dell'imbarco, i passeggeri di terza classe erano stati già visitati uno per uno e riconosciuti idonei al viaggio, come testimoniava il documento sanitario che ognuno di loro aveva ricevuto e che avrebbe dovuto presentare alle autorità americane all'arrivo. Le norme erano così severe, che in caso di sospetta promiscuità, era possibile che l'intera nave venisse messa in quarantena,  per non meno di 40 giorni. Era chiaro che gli equipaggi erano interessati per primi a far osservare scrupolosamente le norme a bordo. La cosa buffa, pensava Russel, era che si presupponeva che l' eventuale contagio avrebbe viaggiato solamente in un senso, ossia che era proibito alla terza classe uscire, ma non era proibito alle altre classi scendere in terza per visitare amici o per altri motivi. Inoltre, durante la crociera, era consentito a piccoli gruppi di passeggeri della classe inferiore, di visitare, accompagnati, i locali importanti della nave, compresa la sala di comando. La barberia di prima classe era realizzata in uno spazio alquanto ristretto, munita di due eleganti poltrone da barbiere, poste davanti ad un banco attrezzato in mogano nel quale erano sistemati due eleganti lavandini in marmo chiaro. Alle pareti, coloratissimi manifesti e stampe di soggetto marinaro ed al soffitto bandierine e festoni in carattere. Il barbiere, sig August H. Weikman, era un uomo di 50 anni, di media statura, biondo ma molto stempiato, con baffi curati, non molto comunicativo, ma estremamente misurato e professionale. Purtroppo il giornalista non riuscì a stabilire un dialogo con lui, mentre sperava di avere qualche confidenza sui passeggeri a bordo. Comunque il sevizio, alla fine risultò inappuntabile. Risalito nella sua cabina, osservò la pianta della nave, sui diversi ponti, notando dei locali per i quali non esisteva una documentazione diretta. Le poche foto esistenti di alcune zone, ad esempio le stesse caldaie, erano della nave gemella Olympic, diffuse sostenendo che tanto i due scafi erano uguali. Per questi posti, avrebbe dovuto trovare il modo di visitarli. Consultò anche l' elenco delle 'celebrità' a bordo, per vedere quali non avesse ancora incontrato, cercando di ideare un contatto con loro o magari con i gruppi che frequentavano, poichè forse, proprio  da questi contatti poteva emergere l' elemento o gli elementi che avevano portato a svolgere quella strana missione. Fu distolto dai suoi pensieri dal suono della tromba che avvisava dell' ora della cena. Giunse nella sala da pranzo ancora relativamente vuota e fu servito con grande celerità. Decise di assaggiare un pò di piatti  nuovi, che aveva visto mangiare con grande soddisfazione dai suoi commensali. Prese antipasti, zuppa di pollo, roastbeef con piselli verdi e crema di carote, pesche affogate nello chartrese. Poi, quasi con vergogna, pensando che nel suo tempo era stato messo al bando, ordinò del patè de foigras con crostini. Per il vino, come al solito, si affidò al cameriere. Al suo tavolo c' erano solo i coniugi Straus, i quali stavano dicendo che erano stati, fino a quel momento, felicemente  sorpresi dalle esperienze a bordo. Essi, per convinzione, ove possibile, si erano sempre spostati, per i loro numerosi viaggi, tramite navi di nazionalità tedesca, ma questa volta avevano dovuto fare un'eccezione. Comunque, almeno per ora, non avevano trovato nulla da dire, anzi. Terminò la sua cena in santa pace, gustando ogni pietanza tranquillamente, accompagnando il tutto con una bella bottiglia di  Borgogna Volnay. Quando si recò nella sala fumatori di prima classe, appena si fu seduto in una comoda poltrona con il suo ormai consueto bicchiere di brandy Hennesy, fu avvicinato da un uomo alto, robusto, dal viso simpatico e cordiale. Si presentò come il sig Robert Chrisolm di Liverpool, dell' unità di manutenzione e controllo della nave. Disse di essere stato messo al corrente dal sig Ismay della richiesta di visitare la nave allo scopo di ricavarne un sevizio giornalistico. Si dichiarò totalmente disponibile, anche perchè comunque, per lavoro, era portato a visitare periodicamente un pò tutti i locali del Titanic.  Russel spiegò cosa avrebbe desiderato vedere e documentare e ' altro si dichiarò soddisfatto, resosi conto di avere davanti una persona seria e preparata e non, come aveva temuto, un damerino più portato per il gossip che per il vero giornalismo. Concertarono di incontrarsi il giorno seguente alle ore 08.30 al Cafè Parisienne dove, facendo colazione, avrebbero concertato un tragitto.Il giornalista, sapendo che il giorno seguente sarebbe stato  alquanto impegnativo, si recò nella sua cabina e, per non aver sorprese durante la notte, prese una pillola della sua 'magica'riserva. La notte trascorse serena e senza brutti sogni.

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Capitolo 6
*** Nelle viscere del Titanic ***


CapVI Nelle viscere del Titanic Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap VI^

 Giorno 12 aprile, ore 09.00 “Tempo del Titanic”

 Concordati il tragitto e le mete previste per la giornata, il giornalista, armato della sua inseparabile agenda, e la sua guida partirono. Arrivati allo scalone di seconda classe, posto fra il terzo ed il quarto fumaiolo, iniziarono a scendere fino al ponte D. Russel potè osservare che, pur senza lo sfarzo dello scalone di prima classe, era stato realizzato un lavoro notevole anche per questo ambiente, solo in proporzioni leggermente più piccole.  Identiche decorazioni e stessi materiali. La balaustra della stessa forma e materiale e i medesimi  intarsi di ferro forgiato. Preso un breve corridoio laterale, Chrisolm, munito di un poderoso mazzo di chiavi, aprì una porta rinforzata e con una serratura molto diversa da quelle delle cabine. Attraversatala, dopo un breve tragitto e dopo aver disceso una scaletta di ferro, si trovarono letteralmente in un altro mondo. Qui iniziava infatti il territorio in cui innumerevoli persone lavoravano nel totale anonimato, incessantemente, per consentire il funzionamento di tutto l' apparato a disposizione dei passeggeri dei ponti superiori. Come convenuto, si trovavano ad un ingresso delle cucine di prima e seconda classe, prima tappa del loro tragitto del giorno.  Da lì, passarono nella cucina vera e propria. Un ambiente che occupava la intera larghezza della nave. Russel rimase a bocca aperta nell'ammirare tutto quel poderoso macchinario: 19 forni, 4 enormi griglie, due grandi girarrosto, forni a vapore e numerose pentole a pressione di notevoli dimensioni, il tutto funzionante a pieno regime Un largo condotto, raccoglieva tutti i fumi e li convogliava nel quarto fumaiolo per essere scaricati.  Un angolo dell' enorme sala era affidato al signor Charles Kennel di 30 anni, cuoco specializzato nelle preparazioni della cucina destinata ai passeggeri di religione ebraica. In un' altra zona della cucina, uno chef , sig David Verdier, si occupava di curare le preparazioni per coloro che, per vari motivi, preferivano consumare i pasti nello loro cabine. Il sig Verdier, un corpulento francese molto simpatico e disponibile, parlò a lungo dell' importanza del suo servizio che secondo lui era in grado di testimoniare il livello di accuratezza che si pretendeva per quella nave. Un ampio montacarichi, sempre in funzione, collegava la cucina con le celle frigorifere del ponte 'stiva' ed i magazzini alimentari dei ponti E e G. In questo ambiente operavano senza sosta 50 persone su due turni, agli ordini del capo cucina, cheff  Chester Proctor, un uomo di 40 anni, magro, nervoso, un bel paio di baffi neri e occhi vigili. Nello scorgere Chrisolm, gli rivolse un cenno con la testa ed un breve sorriso, segno che probabilmente i due si erano già conosciuti ed il tecnico aveva risolto qualche problema anche in quella sezione. Passarono in un ambiente attiguo, l'anticucina, che dava a sua volta nella sala da pranzo di prima classe e che quindi consentiva ai camerieri di servire le vivande appena cucinate. Su un lato di questo ambiente erano conservate le stoviglie utilizzate per apparecchiare i tavoli della grande sala. Russel aveva già avuto modo di ammirare i bellissimi piatti in porcellana con le eleganti decorazioni sul bordo e lo stemma della compagnia stampato al centro, forniti dalla ditta Elkington & Company di Birmingham che, oltre ai tremila piatti, aveva anche fornito 20.000 pezzi di pregiata posateria. Attraverso una serie di rampe di scale alquanto austere proseguirono la loro discesa attraverso il ponte E, raggiungendo il ponte F. Chrisolm  guidò il suo ospite per il tragitto convenuto. Lo informò, però, che viste le funzioni presenti su quel ponte, ci sarebbero tornati il giorno seguente. Attraversarono la panetteria dove 12 addetti infaticabili,  provvedevano senza sosta ad impastare e infornare tutto il necessario per la giornata . Al comando di queste persone era un uomo corpulento, vigoroso, Charles Joughin, il capo-panettiere, che impartiva ordini ai suoi dipendenti con voce ferma  e decisa. Tutte le impastatrici, i vari dispositivi ed i forni, erano alimentati ad energia elettrica. In panetteria il lavoro iniziava alle ore 04.00 del mattino e proseguiva ininterrottamente su due turni fino alle ore 22.00 per preparare tutto il necessario per la giornata, da sei diversi tipi di pane ai croissant, alle brioches, ai diversi tipi di biscotti. La pasticceria più sofisticata era preparata in una zona apposita della cucina al comando dello chef sig. Sergio Barzino. Da lì, passarono in un ambiente che ospitava la macelleria,  regno incontrastato del capo-macellaio, signor Alfred Mayum, un uomo basso, massiccio di 49 anni, dall'aspetto severo. A differenza dei macellai che si muovevano ai suoi ordini attorno a lui, indossava un camice bianco immacolato.  Attraverso un' altra rampa di scale, scesero al ponte G, dove il giornalista ebbe modo di visitare l' ufficio postale e di conoscere alcuni addetti, mentre la sua guida controllava che un piccolo difetto all'impianto  di posta pneumatica, che collegava quell' ufficio alla sala radio, fosse stato risolto. Scambiò qualche parola con il capo servizio sig. John Richard Smith  ed altri due impiegati. I restanti due incaricati, Logan Gwinn  e Oscar Woody,  erano al piano inferiore, il ponte 'stiva', dove era situato il magazzino della posta. Preso commiato, la guida informò il suo ospite che ora la situazione sarebbe cambiata. I locali che si accingevano a visitare erano tali da mettere a dura prova coloro che ci si avventuravano. Le alte temperature, il continuo frastuono, la scarsa luce e l'impressione di mancanza d'aria, erano gli elementi che di norma maggiormente  influenzavano gli incauti visitatori. In realtà, Russel ringraziò il cielo che la sua guida non gli avesse rammentato un'altra situazione che invece, era per lui predominate rispetto a tutte quelle altre nominate. Per una sua precedente esperienza, provava una sorta di malessere dal momento che erano scesi sotto la linea di galleggiamento. Ed ora si accingevano a scendere a circa nove metri sotto la superficie del mare. Era comunque lì per una missione e lui era un professionista serio. Fattosi forza e, soprattutto, aiutato da una pillola della sua preziosissima farmacia, rassicurò  il suo accompagnatore e lo invitò a proseguire. Questi si diresse verso una porta blindata e la aprì facendo ricorso al suo proverbiale mazzo di chiavi. Da lì un breve corridoio ed una scaletta a chiocciola,  li portarono alla sala caldaie. Per un attimo l' impatto fu fortissimo ed al giornalista venne in mente una figura vista su un antico libro, in cui un poeta, Dante, veniva condotto da un poeta latino, che egli considerava un suo maestro, Virgilio,  attraverso l' inferno. Si trovavano su una stretta  passerella che correva per tutta la parete di tribordo  di un enorme locale scuro e rumoroso. Come preannunciato la temperatura era molto alta. Sotto di loro, guardando a sinistra, ossia verso la poppa erano allineate su 6 file, 29 caldaie,  enormi (ognuna di 5 metri di larghezza),  voracissime, in grado di fagocitare ognuna 30 tonnellate di carbone al giorno. Ogni fila, composta da sei caldaie, a parte quella più a prua che era da 5, era separata dall'altra dai relativi carbonili, dai quali i fuochisti prelevavano senza interruzione il combustibile. Russel osservò i carbonili con molta attenzione. Infatti, da alcune testimonianze dei sopravvissuti dell' equipaggio, testimonianze che avevano sollevato molti dubbi, risultava che già prima di arrivare a Southampton per imbarcare i primi passeggeri, in uno dei carbonili era scoppiato un incendio che si era riusciti a tenere sotto controllo e, per non rimandare il viaggio inaugurale della nave, si era deciso di tenere segreto. Consapevoli della pericolosità della situazione però, sia il comandante che l' armatore, avevano stabilito di arrivare a New York nel più breve tempo possibile e questo sarebbe quindi stato il motivo dell' affondamento della nave. Il giornalista però non notò nulla di strano che suffragasse questa storia.  Dalla passerella su cui si trovavano, partivano ad intervalli regolari delle scalette che permettevano di raggiungere le diverse sezioni.  Chrisolm, alzando la voce per farsi capire, chiese al suo ospite se se la sentiva di scendere in quella bolgia, poichè doveva parlare con un addetto alle caldaie di prua. Russel, pur con una malcelata agitazione, rispose che non chiedeva di meglio, visto che la sua missione gli imponeva di effettuare queste ricognizioni. E cosa di meglio che recarsi dove tutto era cominciato? Percorsero tutta la passerella verso prua  fino all' ultima scaletta quindi scesero al livello caldaie. In quel luogo la situazione si manifestò in tutta la sua drammaticità. In un'atmosfera rossastra per il riverbero dei fuochi, figure nere di fuliggine e lucide di sudore si muovevano incessantemente fra i carbonili e le caldaie dalle cui bocche proveniva una sorta di continuo ruggito. Davanti ad esse la temperatura era quasi insopportabile ed il calore, almeno all' inizio,  disseccava la pelle. Russel, quasi ipnotizzato da quello spettacolo, venne richiamato alla realtà dalla sua guida che, presolo per un braccio, lo condusse verso un uomo che stava impartendo disposizioni ad una squadra di fuochisti davanti ad una caldaia. Si trattava del sig Shepard, un giovane alto e solido, dai modi decisi e sicuri, secondo assistente ufficiale di macchina, ingegnere in servizio in quel momento. Il gruppo che lo ascoltava era al comando del caposquadra addetto al carbone, George Beauchamp, alto, quasi allampanato, apparentemente di mezza età ma vigoroso, viso dai tratti molto marcati, pochi capelli ma gli immancabili grossi baffi. Nello scorgere il tecnico, tutti mostrarono sollievo. La caldaia n 2 aveva un problema allo sportello di ventilazione che non si apriva completamente. Chrisolm prese nota e, mediante un telefono di servizio dette disposizioni perchè qualcuno della sua squadra intervenisse al più presto. Russel, cogliendo l' occasione, approfittò per fare qualche domanda sulla sicurezza. Il sig Shepard fu lietissimo di rassicurarlo asserendo che in caso di un incidente di qualsiasi genere, si sarebbe accesa in alto, nelle varie sezioni una luce rossa intensa con cui sarebbe trasmesso ai caposquadra l'ordine  di chiudere immediatamente le valvole di tiraggio delle caldaie, soffocando così i fuochi. In ogni sala caldaie c' era una leva che consentiva di far cadere delle porte stagne per separare i compartimenti. Se la situazione poi lo avesse richiesto, sarebbe stato possibile attivare direttamente dalla plancia un comando a cura dell'ufficiale di servizio, che avrebbe causato l' immediata chiusura di 5 paratie stagne in grado di dividere la zona della prua in 5 diversi compartimenti. La manovra sarebbe stata inoltre segnalata da cinque grosse campane acustiche progettate per  generare un suono di allarme in grado di sovrastare il rumore dell'ambiente. La nave in tutto contava 16 compartimenti alti fino al ponte E. Purtroppo questo era situato a tre metri sotto il livello del mare, mentre, per consentire un minimo di sicurezza, avrebbero dovuto raggiungere almeno il ponte C. Il personale avrebbe potuto velocemente essere evacuato attraverso delle scalette a chiocciola, del tipo di quelle che avevano usato loro per scendere. Ciò avrebbe consentito a tutti di lasciare le zone allagate. Russel stava girando del materiale incredibile per la sua missione. Ad un certo punto si rese conto, dalle descrizioni dei presenti di trovarsi nella sala caldaie n 6 a pochi passi dalla fiancata destra  della nave. Un brivido gli percorse la spina dorsale, malgrado la temperatura infernale del luogo. A pochi metri da lui, ad un 'altezza di 60 cm dalla piastra di acciaio che fungeva da pavimento, sarebbe iniziato lo squarcio che, costituito da ben  sei incisioni sovrapposte,  avrebbe mandato a fondo il Titanic, condannando quasi tutti quelli che si trovavano in quella sezione.  Una mostruosa cascata d' acqua avrebbe spazzato quei locali in barba a tutte quelle sicurezze di cui il personale andava così fiero. Russel notò che dal locale nel quale si trovavano partiva verso prua un lungo corridoio. Gli spiegarono che alla fine di quello, due scalette a chiocciola conducevano a dei locali al livello del ponte C, assolutamente separati dal resto della nave,  dove i fuochisti fuori servizio potevano mangiare e dormire in un ambiente molto confortevole. Per nessun motivo essi dovevano farsi vedere dai passeggeri. Insomma, essi svolgevano un lavoro essenziale, erano discretamente bel pagati, ma nessuno doveva avere contatti con loro. Lasciato il locale caldaie si diressero verso poppa rimanendo sullo stesso livello. Si trovarono nel locale macchine dove il signor Jemes Hesket, secondo ufficiale di macchina, andò loro incontro e li guidò per la sezione, mostrando con orgoglio gli imponenti organi meccanici in movimento. A parte il frastuono era una scena impressionante, vedere quel sistema da 51.000 cavalli, quelle enormi  bielle alte quattro piani  che agivano sugli alberi motore imprimendo alla nave una spinta  poderosissima. Un poco più a poppa, fra i due alberi motore principali, era posizionato il motore della turbina. Ancora più indietro, ma separati da una robusta parete di acciaio, quattro giganteschi generatori a vapore generavano ognuno 400 KW di potenza, necessari ad alimentare tutti i dispositivi elettrici della nave. L' impianto aveva richiesto la messa in opera di 320 Km di cavi elettrici. Per l'illuminazione erano state utilizzate per tutta la nave circa 10.000 lampade del nuovo modello con l'attacco a vite che si distingueva dal quelle tradizionali con innesto a baionetta per economia, efficienza e qualità della luce. Accanto al pannello elettrico principale c' erano due uomini che eseguivano delle misurazioni e prendevano nota dei risultati. Si trattava dei sig. Joseph Bell, primo ufficiale di macchina, alto, massiccio, rosso di capelli, di 51 anni e del sig Albert George Ervine, di 19 anni, snello, robusto, intelligente. Russel fu colpito e commosso nel trovarsi davanti quelle due persone. Chiese al suo accompagnatore di presentarglieli e fu con grande commozione, che egli tentò di dissimulare al meglio, che strinse loro la mano.  Ringraziato il sig Hesket per le spiegazioni, i due uomini lasciarono quel luogo strano e particolare per riemergere alla base dello scalone di prima classe sul ponte E. Russel salutò il suo accompagnatore dopo aver concordato di incontrarsi la mattina seguente alle ore 09.00 al Cafè Parisienne per il seguito della visita ai locali più interessanti della nave. Veramente stanco e provato, non ebbe scrupoli a prendere l' ascensore per raggiungere il ponte A. All' interno della cabina che saliva si accorse che il lift e altri tre passeggeri, lo osservavano in modo strano, addirittura tenendosi a distanza. Giunto in cabina, guardandosi allo specchio, capì subito il motivo. La visita alle caldaie lo aveva ricoperto di uno strato di fuliggine ed i suoi begli abiti erano totalmente impregnati di un  tremendo tanfo di affumicato. Chissa' cosa dovevano aver pensato di lui! Immediatamente si liberò di quegli abiti e, nel suo bagno privato, si tolse di dosso tutto quel nerofumo. Solo a quel punto si rese conto di essere veramente esausto e si risolse ad ordinare il pranzo in cabina. Si fece portare della carne fredda con asparagi e crema di carote, premiandosi poi con un ice creem alla cioccolata e vaniglia. Aspettando il servizio in camera, non poteva fare a meno di provare grande contentezza e commozione per aver potuto incontrare e stringere la mano al sig. Bell ed al suo giovane assistente. Forse, assieme ai componenti dell'orchestra del Titanic e all'operatore alla radio, fra i più coraggiosi a bordo, durante la fase dell' affondamento. Infatti fu solo grazie al loro sacrificio se la nave ebbe la corrente elettrica fino alla fine. Sapendo di non avere scampo, l' intera squadra di tecnici, costituita da 35 persone, scelse di rimanere al suo posto, evitando l' esplosione delle caldaie e facendo in modo da tenere in funzione le pompe elettriche, continuando a fornire l' elettricità per la radio e l'illuminazione che permise di ammainare le scialuppe in relativa sicurezza. Senza il loro sacrificio, infatti, la nave sarebbe colata a picco almeno un'ora prima, senza nemmeno aver potuto lanciare un segnale radio di soccorso e con un numero di vittime molto, molto più alto. Alla fine del gradevolissimo pasto e della ormai immancabile mezza bottiglia di Chateau Rouzan Secla, first quality, si versò una generosa razione di brandy e, senza farsi alcuno scrupolo per il tempo sottratto al suo lavoro, si distese nel suo letto e si fece una profonda dormita.

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Capitolo 7
*** Comincia a muoversi qualcosa ***


Cap VII Comincia a muoversi qualcosa Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap. VII^

12 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 17.00

 

Non avendo un programma preciso per il pomeriggio, Russel a cui non andava nemmeno molto di affaticarsi ulteriormente, decise di salire semplicemente al piano superiore rispetto a quello della sua cabina, andando a visitare il ponte delle barche, ossia il livello dove, fra l'altro, erano sistemate le scialuppe di salvataggio. Poichè a quel piano si trovavano diversi ambienti, non rimase affatto sorpreso di trovare il luogo piuttosto frequentato. Inoltre , sulle due piste predisposte, si stavano svolgendo delle partite di shuffleboard con squadre composte da diversi giocatori che si impegnavano, incitati dal tifo più o meno discreto di parenti e amici.  Con grande curiosità si avvicinò alle scialuppe. Aveva la  possibilità di vederle da vicino, di toccarle, dopo averle viste tante volte in vecchie foto e filmati d'epoca. Erano in tutto 16 ed  avevano le misure di   m 9,15 di lunghezza per m 2,27 di larghezza. La profondita' di m 1,20 consentiva di raggiungere un volume in grado di accogliere 65 passeggeri. Erano fabbricate con estrema cura:  le chiglie delle barche erano realizzate  in legno d'olmo. Le coppie della prua e del telaio di poppa invece in quercia. Le barche erano bordate di pino giallo, ed inchiodate con chiodi di rame. Le strutture erano in olmo,  i banchi in pino, fissati con giunti galvanizzati.  Ogni scialuppa era corredata delle vele, sistemate in borse, un albero, dei remi ed un'ancora marina. Era fornita anche di una bussola ad alcool e di quanto necessario per fissarla ed inoltre acqua, biscotti, lampade ed altre derrate indispensabili. Sui loro fianchi erano fissate diverse targhette con varie indicazioni. Il nome del cantiere, la data di immatricolazione, il numero della scialuppa,  il logo della compagnia ed il nome della nave, preceduto dalla sigla S.S. ossia Steam Ship (nave a vapore) poichè, evidentemente, all'epoca della loro consegna, al Titanic non era ancora stata conferita la carica di Royal Mail Steamer (nave postale del regno), corrispondente alla sigla RMS che le spettava attualmente. Le scialuppe erano disposte otto per lato del castello,  con i numeri pari sul lato di tribordo e i dispari sull' altro. Sulla parte anteriore del ponte, sopra l'alloggio ufficiali, erano stati posizionati quattro battelli pieghevoli. Ossia realizzati con un fondo rinforzato in stecche di legno e dei lati di tessuto che potevano essere montati per formare una barca. Contrassegnati con le lettere A,B,C, D e privi di mezzi di sollevamento per essere calati in mare, erano comunque in grado, almeno sulla carta, di ospitare 47 persone. Inoltre non erano dotati di alcun genere di conforto o accessori di sorta. "Belle, vero, le nostre scialuppe? Come tutto su questa nave, d' altronde!". Russel, preso alla sprovvista, ebbe un moto di sorpresa che addirittura aumentò quando si rese conto di chi gli aveva rivolto la parola. Accanto a lui si era fermato un bell' uomo sulla quarantina, aspetto molto curato ed espressione intelligente e simpatica. Riconobbe infatti subito il sig Thomas Andrews, nientemeno che uno dei principali progettisti della nave e nipote del fondatore della Harland & Wolff, lord Pirrie. "D' altronde sono lì proprio per bellezza e null'altro - continuò Andrews - visto che questa nave, come voi ben sapete, è inaffondabile!" Il giornalista sapeva che questa opinione un tempo era stata molto diversa. Anzi, assieme ad un altro progettista, Alexander  Carslile, Andrews due anni prima aveva  affrontato  una vera e propria battaglia su questo argomento. Considerato il fatto che venivano potenzialmente trasportati 3200 passeggeri, si riteneva che il numero minimo di scialuppe adeguato  fosse di 64 unità! Loro più acerrimi avversari furono lord Pirrie e l' armatore Joseph Ismay, che sostenevano che la cosa, a parte i costi, avrebbe rovinato l'estetica del loro transatlantico. Fu anche scartata la possibilità di sistemare le scialuppe per file parallele con gru in grado di calarle in sequenza. Ma poi Carlisle si ritirò restando semplicemente alla compagnia in veste di consulente. La questione venne quindi abbandonata, considerato che in ogni caso la situazione attuata rispettava le norme dell' epoca, anzi le superava. Quindi ora sedici scialuppe e quattro canotti rappresentavano tutto ciò che era disponibile per il salvataggio per tutte quelle persone. Prima che il giornalista potesse replicare, l' altro continuò : "Lei dovrebbe essere il giornalista che sta preparando un pezzo su questa splendida nave !" "Perbacco, - pensò Russel - le notizie volano!". Ad una sua risposta affermativa, l' altro si presentò e disse di essere stato informato della cosa da Chrisolm e di esserne molto compiaciuto. Da uomo moderno, almeno per la sua epoca, sapeva bene quale era il valore di una buona pubblicita'. Anche lui, in qualità di progettista, era a bordo, ospite della compagnia per valutare, correggere, consigliare, risolvere insomma qualsiasi inconveniente si fosse manifestato durante quel viaggio. In realtà avrebbe dovuto esserci addirittura lord Pirrie, ma un attacco febbrile lo aveva costretto a letto. "Visto che siamo quì - continuò Andrews - mi dia l'occasione di mostrarle le meraviglie di questo ponte! Stamattina lei è disceso all'inferno ed io la ammiro sinceramente per questo. Altri suoi colleghi a bordo stanno svolgendo un lavoro basato sulle chiacchiere e sui pettegolezzi, ma è una testimonianza come la sua, quella che farà più effetto sui lettori. Sarebbe per me un onore mostrarle da dove si controlla tutta quella potenza che ha visto generare, la sala comando!". Russel, che non credeva alle sue orecchie, accettò con vero entusiasmo. In realtà era ancora un po' provato dall' esperienza del mattino ma non poteva perdere quell'occasione e poi il tempo stringeva e lui ancora non aveva rilevato nulla di particolare che potesse giustificare la sua missione. Il progettista fece strada verso la sala comando dove vennero accettati senza alcun problema. Indubbiamente essere accompagnato dal nipote del costruttore, aveva i suoi vantaggi. Russel, prima di varcare la soglia, distrattamente, dette uno sguardo indietro verso le scialuppe e immediatamente prese atto di qualcosa di strano, che però non riusciva a mettere a fuoco. Avendo premura di seguire la sua guida, fece comunque una ripresa completa di tutta la scena. Riguardandola poi la sera con calma, magari si sarebbe potuto rendere conto di cosa lo aveva così colpito. Varcata la soglia, rimase per un attimo in rispettoso silenzio davanti allo scenario che gli si presentò. Pur essendo per lui una sala di comando obsoleta, aveva comunque un' aria imponente. Era posta a circa 23 metri sulla linea di galleggiamento per consentire una visione ampia della prua. Al centro della plancia, nella parte anteriore, colpiva la larga ruota del timone, in bronzo e ottone, con i raggi di quercia, che tramite un moderno telemotore, governava il timone. Dietro ad essa, un' ampia pedana rialzata consentiva al timoniere una visione ottimale. Erano inoltre di aiuto al timoniere una bussola illuminata, la tabella di rotta che prevedeva i cambi di direzione in funzione della posizione della nave e uno strumento elettrico che indicava, istante per istante, l'esatta posizione del timone. Ai lati della ruota, si ergevano imponenti due telegrafi di macchina, ossia due dispositivi elettromeccanici che trasmettevano istantaneamente con un sistema acustico e luminoso, gli ordini alla sala macchine, circa la velocita' e la direzione del moto dello scafo. In quel momento erano in servizio di guardia il sig  Mc Master Mardoch in qualità di ufficiale senior responsabile della navigazione, coadiuvato dagli ufficiali junor sig.  Pitman, terzo ufficiale e sig. Lowe, quinto ufficiale. Il capitano si trovava in quel momento in una saletta attigua, la sala di navigazione, assieme al sig. Ismay per valutare il procedere della crociera i base a quanto previsto dalla compagnia. Il sig. Pitman accettò di buon grado di completare le informazioni fornite da Andrews, mostrando con orgoglio al giornalista anche i moderni apparecchi telefonici che consentivano un collegamento immediato con il cassero di prua, la coffa, la sala macchine e la poppa. Mostrò il quadro di comando delle paratie stagne che potevano, nel remoto caso fosse necessario, essere calate, o tutte assieme o selezionate da un commutatore, con indicazione visiva del loro stato, tramite spie luminose. Mostrò anche con orgoglio un rivoluzionario strumento in grado di raccogliere tramite delle apposite campane subacquee,  i segnali di ostacoli dal fondo o dai lati da una distanza di 10/ 15 miglia, praticamente il progenitore del sonar. In un armadietto a vista erano conservati una parte dei precisissimi cronometri e sestanti che consentivano ad ore prefissate, di fare il punto della nave. Tutti gli ufficiali imbarcati erano degli esperti in questo genere di operazione. Era importante tenere presente che via via che la nave procedeva verso occidente, era necessario compensare l' orario di poco piu' di mezz'ora al giorno. A tal uopo, nella sala carte, erano posizionati due orologi di precisione in grado di comandare tutti e 48 gli orologi presenti sul Titanic nelle varie aree comuni, sincronizzandoli sul medesimo orario. Dopo la sala di comando, Andrews condusse il suo ospite a visitare la adiacente mitica sala radio del Titanic. Essa veniva normalmente chiamata "Marconi room" ed ospitava un potentissimo (per l'epoca) apparato radio della potenza di 5 KW, che, grazie alla imponente antenna che Russel aveva notato al momento dell' imbarco, era in grado di coprire una distanza di circa 400 miglia di giorno e addirittura 2000 miglia di notte, usando il codice morse. Il servizio era affidato al capo-marconista sig. JackPhilips di 25 anni ed al suo assistente. I due si avvicendavano alla radio con turni di 6 ore stabiliti di comune accordo. Sotto l'apparato radio, in un apposito spazio, era alloggiata una grossa batteria di accumulatori che consentiva di operare per almeno 6 ore in caso di sospensione della normale alimentazione. In quel momento però quell' elemento era scollegato in quanto aveva dato qualche problema e ci si riproponeva di sostituirlo immediatamente dopo l'arrivo a New York. Il lavoro era piuttosto pesante in quanto il servizio prevedeva anche l' invio di messaggi e telegrammi per conto dei clienti. Questi arrivavano di continuo, attraverso la posta pneumatica dalla reception del ponte D e dall' ufficio postale. Dalla sala si gestiva anche una sorta di centralino telefonico che controllava 50 linee distribuite per tutta la nave. Alla fine della visita, Russel avrebbe gradito di tornarsene in cabina per visionare il materiale girato e cercare di capire cosa lo aveva lasciato così turbato ma il suo accompagnatore insistette per condurlo in un'altra sala lì vicino con la scusa di fargli conoscere qualcuno di importante. Entrarono nella sala adibita a palestra, un ambiente ampio e luminoso, fornito dei più moderni attrezzi ginnici: dai normali manubri alle cyclette, vogatori e perfino cavalli meccanici. La cosa interessante però che catturò immediatamente l' attenzione del giornalista,  fu lo scontro fra due schermidori che, in perfetta tenuta sportiva, duellavano al centro della sala, con grande impegno e maestria, incitati, seppure con misurato entusiasmo, dai più bei nomi presenti sulla nave. Si notavano subito infatti lord Astor, il sig Guggenaim, il sig. Melville Hais, il sig Widener e il sig Staad, solo per citarne alcuni. I due contendenti, seppure duellando con il medesimo impegno, apparivano subito di livello diverso. Uno, dal fisico asciutto e scattante, mostrava uno stile impeccabile,  costante e controllato. L'altro, di figura più massiccia, aveva un modo irruento ed aggressivo di portare i colpi, la qual cosa apparentemente riequilibrava l'incontro tanto che, dopo diverso tempo, erano ancora in parità. Dopo l'ennesima stoccata ricevuta dal contendente più massiccio, questi fece un passo indietro e mostrando di voler sospendere lo scontro, salutò nel modo convenzionale e si tolse la maschera. Russel che si era lasciato entusiasmare come gli altri dall'evento, riconobbe subito il col Archibald Gracie che, fatto un brusco cenno del capo verso i presenti, piuttosto provato, si diresse agli spogliatoi. Quando si tolse la maschera l'altro duellante, il giornalista riconobbe immediatamente lord Cosmo Duff.  Ora era chiara la differenza fra i due. Uno, il col Gracie, usava una tecnica militare, aggressiva, di certo di grande efficacia ma l'altro, lord Cosmo, era uno spadaccino provetto che aveva rappresentato perfino la Gran Bretagna alla IV Olimpiade svoltasi a Londra nel 1908. Andrews approfittò per fare le presentazioni. Quando gli altri passeggeri seppero che Russel era un giornalista, ci fu un attimo di disagio ma fu subito chiarito che in realtà egli era soprattutto un importante  editore che stava facendo solo un servizio giornalistico sulla nave. A quel punto l'atmosfera ritornò serena ed il giornalista ricevette anche un paio di inviti a cena poichè l' amicizia di un editore importante, in certi ambienti e con particolari progetti, magari politici, poteva sempre fare comodo. Rientrato in cabina per preparasi per la cena, non resistette alla tentazione di guardare quanto girato sul ponte delle barche poco prima, per togliersi quel dubbio che lo impensieriva. Dalla sua magica agenda, proiettò le immagini su una parete della cabina. Osservò la ripresa delle scialuppe, i giocatori di shaffleboard, coloro che facevano il tifo per una o l' altra squadra, i curiosi e le varie installazioni. Nulla. Guardò di nuovo. Qualcosa nei passeggeri, certamente. Vide gli uomini, le donne, alcuni bambini, si concentrò sui singoli personaggi notando l' abbigliamento, l'atteggiamento e alla fine, ecco! Chi era quel passeggero? Un volto a lui completamente sconosciuto! Eppure era indubbiamente un passeggero di prima classe e quelli lui li conosceva tutti, grazie al suo addestramento. Un uomo di mezza età, capelli grigi argentati,  caratteri del viso piuttosto marcati con carnagione scura, abito di ottimo taglio, grossa catena d'oro al panciotto, paglietta e bastone con pomo di avorio, fiore all' occhiello. Completamente sconosciuto. E non finiva lì. La donna accanto a lui, piuttosto giovane, elegantemente vestita ma dai caratteri e dalle movenze piuttosto volgari, che egli teneva sottobraccio. E tre uomini, molto più giovani, egualmente eleganti ma apparentemente piuttosto impacciati e che, piuttosto a disagio, si guardavano continuamente attorno. Cinque, addirittura, cinque sconosciuti . Mai incontrati prima in nessuna occasione, nella sala da pranzo, lungo i ponti di passeggiata, nel salone fumatori. Forse aveva trovato ciò per cui lo avevano inviato. Ora doveva capire con cosa aveva a che fare e che ci facevano lì quei cinque. Alla prima impressione si sarebbe detto un personaggio importante con la sua donna, come si diceva in quell'epoca, e tre guardaspalle. Già, ma con quali intenzioni erano sulla nave? Il tempo stringeva ed era importante iniziare subito ad indagare. Recatosi nella sala da pranzo e salutati i suoi compagni di tavolo, iniziò a guardarsi attorno attentamente per vedere se per caso scorgeva quelle persone. Nulla da fare, ma era pur  vero che la sala era grande. Al momento di ordinare la cena, chiese al cameriere di loro, con la scusa che gli era sembrato di riconoscere un suo amico con le caratteristiche dello sconosciuto. Il cameriere, però, negò di aver mai veduto qualcuno che corrispondeva a quanto richiesto. Russel continuò per il resto della cena a pensare alla nuova situazione limitandosi a rispondere appena, quando veniva interpellato dai suoi compagni di tavolo. Al momento di servirgli il dessert, il cameriere però gli disse che aveva pensato alla cosa e che non era impossibile che i suoi amici, come molti altri a bordo, si fossero fatti servire tutti i pasti in cabina, magari disponendo di una souite con passeggiata privata. In tal caso avrebbe potuto chiedere informazioni al sig Verdier che dalle cucine, si occupava dei servizi in camera. Ma certo, Verdier, il simpatico cuoco francese! Saputo che lo avrebbe potuto trovare più tardi nel locale della birreria di seconda classe, al ponte C, si ripropose di andare a cercarlo al momento opportuno. Terminata la cena, con il suo ormai immancabile sigaro, si diresse passeggiando sul ponte verso poppa. Giunto al limite della passeggiata, si affacciò come due sere prima, a guardare distrattamente la scia leggermente fosforescente che il Titanic lasciava dietro di sè. Quasi per caso,con la coda dell' occhio, notò nella penombra, dietro un boccaporto del ponte inferiore, un rapido movimento, come se qualcuno si nascondesse. Curioso, e piuttosto incosciente, per natura, scese la scaletta che lo avrebbe portato dabbasso e, con molta cautela,  e cercando di fare il massimo silenzio, si avvicinò al punto che gli interessava. In realtà non è che dovesse stare molto attento  poichè,  fra il rumore del mare e dei motori della nave e il chiacchiericcio dei passeggeri del ponte superiore, sommato alle note dell' orchestra che filtravano fin laggiù, lo scenario era piuttosto rumoroso. Giunto a pochi passi dal punto che voleva raggiungere, scorse nella penombra una figura accucciata che sembrava spiare ciò che accadeva sul livello superiore. Si accostò ancora, notando solo all' ultimo momento le piccole dimensione della persona nascosta. Le mise una mano sulla spalla e la girò verso di lui. La sorpresa fu reciproca. Era una bambina, che rimase quasi paralizzata dalla paura di quell' approccio così brusco. Con gli occhi sgranati, lo guardava senza il coraggio di dire una parola, con l'atteggiamento di chi si aspetta una punizione esemplare per aver fatto qualcosa di molto grave. Russel rimase anche lui per qualche secondo fermo, non sapendo che fare. Poi, d' istinto, gli venne da chiedere : "Chi sei tu, che ci fai qui?". La bambina restò in silenzio ma si capiva che un pochino aveva recuperato il coraggio, tant'è che all' improvviso cercò di liberasi da quella mano che la teneva per la spalla. Il giornalista, dispiaciuto per quanto era accaduto, prima di lasciarla andare la voleva rassicurare, che c' era stato un equivoco e che gli dispiaceva per averla spaventata. Mentre la bambina continuava a tentare di liberarsi, le diceva:"Calmati, non ti voglio fare del male, e' stato uno sbaglio!". Poi visti gli scarsi risultati, preso da un'improvvisa ispirazione, ripetè in italiano: "Stai ferma, per favore. Non ti volevo spaventare. Calmati!". Alle sue parole, la bambina si fermò immediatamente e rimase in attesa degli eventi. Russel ci aveva visto giusto. Era una piccola passeggera della 3^ classe che semplicemente era venuta a spiare le persone importanti. Poi, osservatala meglio riconobbe quel cappottino striminzito, il nastro fra i capelli e le scarpe piuttosto consunte. "Ma tu sei la bambina che giocava col cane e che quel marinaio ha cacciato via!". Non ottenne risposta, ma pur essendo ormai libera, la ragazzina non si muoveva. Il giornalista notò che lanciava spesso delle occhiate verso la zona d'ombra in cui si era nascosta fino a poco prima. Cosa c' era lì? Guardando attentamente scorse un piccolo oggetto e quando lo raccolse, vide che era una bambola di pezza, sul cui viso erano stati rozzamente disegnati gli occhi, il naso e la bocca. Notò lo sguardo della bambina che sembrava più in apprensione per la bambola che per sè."E' mia! Ridammela!"- disse finalmente  la ragazzina con voce rauca, venata quasi dal pianto.  Russel, commosso per la povertà dell'oggetto, si sentiva realmente un verme per aver spaventato quella bambina che chissà che storia aveva dietro le spalle e che tutto sommato non faceva nulla di male. Le restituì la bambola che la bambina immediatamente riafferrò e si strinse al petto. Poi con voce più gentile possibile le chiese, sempre in italiano:"Ma tu, come ti chiami e da dove vieni?". La bambina continuava a tacere. Giustamente non si fidava. Russel ebbe un ispirazione. "Ti piace la musica?" La bambina quasi istintivamente annuì. "Allora vieni con me." La prese per mano e le fece salire la scaletta 'proibita' fino al ponte superiore, fermandosi a sedere sul penultimo gradino in modo da poter guardare da vicino senza essere visti. "Sono questi i signori che ti piacciono tanto?". Per la prima volta la bambina aprì bocca parlando con un marcato accento siciliano "I vestiti delle signore!". C' erano diverse coppie che in quel momento passeggiavano."E che ti piace di più, il vestito di quella signora grassa grassa o il cappello di quella con il nasone?". Per la prima volta vide sorridere la bambina. "Quello là" - e indicava davanti a loro una magnifica ragazza con un completo color turchese tutto bordato di pelliccia, che passeggiava teneramente abbracciata ad un bel giovanotto. Russel riconobbe immediatamente la coppia. "Hai scelto proprio bene. Lo sai chi sono quelli?" e ad un cenno negativo della bambina, continuò -"Lei e' una nobile spagnola, si chiama Maria Josepha Perez de Soto, ed e' la nipote del primo ministro di Spagna. Ha solo 17 anni. Poco tempo fa ha incontrato il suo principe azzurro, il sig Victor Penasco Y Castellana di 18 anni, quel giovanotto che la tiene stretta. Malgrado fossero giovanissimi, le famiglie visto che erano così innamorati, li hanno fatti sposare ed ora girano il mondo in un favoloso viaggio di nozze. Per far sì che tutto vada a posto, li accompagna una nobile amica di famiglia. Una sorta di fata buona che si chiama dona Femina Oliva Y Ocana. Ma anche la tua bambola è bellissima, come si chiama?". "Si chiama Lucia, come la mia mamma." "E lei e' con te?". "No." Con grande difficoltà e con molta discrezione Russel, un pò domandando e un pò mostrando i passeggeri ed altri particolari che interessavano la bambina, riuscì a sapere che si chiamava Teresa Curatolo, aveva otto anni e proveniva da San Cataldo, un paesino in provincia di Caltanissetta. Per motivi sui quali non si sentì di indagare ulteriormente, i due genitori erano morti assieme, pochi mesi prima ed ora lei era stata presa in casa da alcuni zii. Per qualcosa che li minacciava al loro paese, forse connessa con la morte dei genitori di Teresa, avevano fatto questa scelta, quasi obbligata, di lasciare casa loro e di andare per il 'nuovo mondo'. Gli zii erano abbastanza affezionati alla bambina ma avevano tre figli piccoli a cui badare e questo era il motivo per cui lei poteva girellare un pò a suo piacere. In terza classe si stava abbastanza bene e  avevano una cabina tutta per loro. Il giornalista, vista l' ora, consigliò a Teresa di andare a dormire. Che continuasse pure a girellare per la nave, ma le raccomandò di stare attenta. Poi salutò lei e la bambola e rimase a guardarla mentre agilmente riguadagnava la zona della terza classe. All'ultimo momento la bambina si girò, gli inviò un rapido gesto di saluto con la manina e poi sparì. Il giornalista, piuttosto toccato per questo incontro, si diresse verso la birreria sul ponte C. Qui giunto, si ritrovò in un simpatico ambiente, piuttosto spazioso e vivacemente arredato. Ai numerosi tavoli rotondi erano sedute diverse persone che allegramente chiacchieravano fra di loro. Un giovanotto, parte di una allegra e numerosa comitiva, si stava esibendo con notevole successo con una fisarmonica. Ad un tavolo d' angolo, con un bel boccale di birra davanti, sedeva il sig Verdier, proprio l'uomo che cercava. Il motivo che lo portava in quell' ambiente era probabilmente al suo fianco, nella persona di una avvenente prosperosa cameriera sulla trentina, che sembrava non disdegnare  affatto le attenzioni del cliente il quale allungava le mani senza molto ritegno. Russel si rese conto che certamente stava disturbando ma decise comunque di andare avanti nella sua ricerca. Tutto sommato avrebbe rubato al cuoco solo qualche minuto. Fece mostra di essere capitato lì per caso e salutò, simulando sorpresa, il sig  Verdier. Questi, riconoscendolo subito, non si mostrò affatto seccato dall'interruzione, anzi si premurò di presentargli la sua ragazza, come la definì lui con orgoglio, la quale con un bellissimo sorriso, rispose al saluto. Invitato a sedersi, Russel, a quel punto, non riuscì a rifiutare ed accettò con l' impegno di poter offrire da bere. Verdier era una persona allegra e spiritosa. Tutti sembravano conoscerlo e lo salutavano cordialmente. Il giornalista approfittò di questo fatto e gli chiese, visto che lui conosceva praticamente tutti a bordo, se non avesse notato delle persone con le caratteristiche del gruppo che gli interessava. Verdier smise immediatamente di ridere e chiese se le persone descritte fossero veramente suoi amici. Abbassando il tono della voce gli riferì che aveva capito di chi stava parlando. Aveva avuto ordine di preparare tutti i pasti e di inviarli nella souite C-10 e nella cabina C-16. Il cameriere che portava le ordinazioni aveva ricevuto buone mance ma era spaventato da quella gente. Non gli era stato mai permesso di entrare nelle cabine e i pasti, che dovevano essere serviti esattamente alle ore 13.00 e alle 20.00, ora della nave, venivano ritirati sulla porta delle medesime da dei giovanotti energici e dall' aria molto pericolosa. Gli sconsigliò di parlare con il cameriere in questione poichè non gli avrebbe detto nulla di più. Il giornalista ringraziò e, cambiando discorso passò su argomenti più leggeri come le ragazze, la qualità della birra e la musica. Verdier riprese il suo tono allegro e insistette per presentargli un' amica della sua ragazza. Russel declinò l' offerta, portando come scusa la sua non verde età ed il bisogno di riposarsi. Alla fine riuscì a sottrarsi alla compagnia e, veramente stanco si mise subito a letto dove piombò in un sonno pesante.

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Capitolo 8
*** Ora le cose iniziano a farsi serie ***


Cap VIII Si comincia a fare sul serio Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap VIII^

 

13 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 08.30

 

Riposato dopo la dormita della notte precedente. il giornalista si diresse verso il Cafè Parisienne per la sua colazione e per l'appuntamento con il sig Chrisolm. Non riusciva a togliersi dalla mente l' incontro con la ragazzina. Non aveva mai avuto la sensazione che gli mancasse qualcosa nella vita,  fino a qualche anno prima. Approssimandosi alla senilità si era accorto invece che sentiva la mancanza di un legame stabile e tranquillo e si era reso conto, suo malgrado, che quando si trovava a guardare  le famiglie dei suoi amici, sentiva un gran senso di vuoto. All'inizio, queste sensazioni lo avevano piuttosto turbato, poi aveva reagito prendendosi in giro, chiamandosi 'vecchio rimbambito' e tuffandosi totalmente nel lavoro, ma spesso questi pensieri tornavano a galla. Certo, che storia quella di Tersa. Chissà, forse avrebbe potuto scriverci sopra un libro. Dopo la pensione aveva in progetto di andare a trovare un suo carissimo amico in Italia che l'aveva più volte invitato. Avrebbe potuto recarsi facilmente in Sicilia per fare magari delle ricerche. Forse ci sarebbe rimasta traccia di quella famiglia. Magari Teresa Curatolo sarebbe stata l' eroina del suo libro. Quando la sua guida arrivò,  gli disse che gli avrebbe mostrato qualcosa di veramente interessante. Con una certa fretta lo guidò giù fino al ponte F, praticamente al livello del mare dove si trovava un locale, orgoglio della nave: la piscina coperta. Il motivo della fretta consisteva nel fatto che dalle 10.00 alle 13.00 il locale era riservato per le signore e quindi interdetto agli uomini che avrebbero potuto accedere di nuovo alla struttura dalle 14.00 alle 18.00. L'uso del locale richiedeva un modico pagamento, ma al mattino dalle 06.00 alle 09.00 era aperto gratis per gli uomini. La vasca misurava 10 metri per 5. L'acqua riscaldata era alta 1.80 metri. Considerando gli impianti moderni, poteva sembrare una cosa modesta, ma considerando che era la prima volta che si realizzava una struttura così su una nave, il discorso cambiava. Mentre osservavano l' impianto, uscì dallo spogliatoio i colonnello Archibald Gracie che con un cenno del capo li salutò. Chrisolm fece osservare che il colonnello non era mancato un solo giorno. Passarono poi al campo di squash ed al bagno turco annesso alla sauna. Chrisolm, anche dietro consiglio di Andrews, condusse il giornalista anche nei locali della terza classe, perchè potesse vedere e testimoniare che le condizioni di viaggio erano veramente incredibili ed innovative rispetto alle altre navi. Restando sempre sul ponte F entrarono nella cucina di 3^ classe. Anche quì era tutto pulito ed in ordine. 10 persone si affaccendavano per la preparazione dei pasti che erano certo meno ricchi e sofisticati delle altre classi, ma gustosi ed abbondanti. L'odore che si percepiva era molto stimolante, faceva venire in mente al giornalista la cucina casalinga di quando era piccolo. Pane fresco, carne col sugo, pasta o zuppa, e poi contorni e perfino un dolce. La sala da pranzo di 3^ classe era ampia e occupava per larghezza metà dello scafo della nave. Le pareti erano foderate con pannelli di legno di pino verniciati di bianco e l'arredamento consisteva in grandi tavoli da dodici posti e moderne sedie di teak non vincolate al pavimento, invece che quelle solite odiose panche dei locali modesti. Completava l'arredamento un bel pianoforte verticale, posto in un angolo. L' altra metà dello scafo adiacente era occupata dalla comunicante sala fumatori di 3^classe con tavoli rotondi e altre sedie di teak. Un discreto numero di passeggeri  era in questi due locali. Il loro abbigliamento era ben diverso da quello sfarzoso della prima classe ai piani superiori. Il clima confortevole mantenuto nei locali, consentiva ai passeggeri di vestire semplicemente. Le donne con gonne lunghe e camicette abbottonate fino al collo. Gli uomini con camicie, pantaloni, un gilet ed un immancabile cappello, di solito una scoppola. Tutti comunque erano vestiti in modo ordinato e decoroso, tanto per smentire le voci che tutti gli emigranti erano sporchi e violenti.  In sala da pranzo un uomo di mezz'età era seduto al pianoforte suonando una nostalgica melodia irlandese accompagnato da un altro che suonava un organetto. Passati pochi minuti, però, i due vennero letteralmente strappati dai loro posti e sostituiti da un gruppo di uomini più giovani che intonarono una indiavolata danza irlandese al suono della  quale molte coppie risposero gettandosi in un ballo vivace negli spazi liberi. Al suonatore di pianoforte si erano uniti due violinisti, un chitarrista e dei 'volontari' con percussioni di fortuna, dai cucchiai al semplice piano di una sedia. Il fenomeno degli strumenti musicali era molto diffuso fra queste persone, come se attraverso il loro strumento, di solito lasciato in eredità di padre in figlio, avessero voluto portare con loro, in questo paese lontano e straniero, almeno un po' dello spirito delle loro origini attraverso le canzoni e le melodie della loro terra di provenienza. In  questo spirito, si erano portati violini, chitarre, fisarmoniche, cornamuse, organetti ed anche più modestamente altri si erano contentati di semplici ocarine, zufoli o armoniche a bocca. Non tutte le coppie presenti si erano gettate nella danza. In un canto, teneramente abbracciati, erano appartati due giovani, come separati da tutto ciò che li circondava. Il giornalista riconobbe Denis Lennon di 20 anni e Mary Mollin di 18, una sorta di moderni Romeo e Giulietta. Provenienti da Clarinbridge, nella contea di Galway, lei di famiglia ricca, lui semplice garzone di una bottega della famiglia di lei. Innamoratisi perdutamente, furono immediatamente separati e lui cacciato in malo modo. Una notte, rubarono i soldi della cassa del negozio in cui lui aveva lavorato e fuggirono decisi a rifarsi una vita nel nuovo mondo. Avevano comprato i biglietti per New York sul Celtic ma poi, causa lo sciopero del carbone, erano stati dirottati sul Titanic. Il fratello di lei era partito al loro inseguimento con l'intenzione di uccidere il ragazzo e riportare la sorella a casa. Li aveva mancati per un soffio a Quennstown, quando si erano imbarcati sul traghetto Ireland  che li avrebbe portati a bordo del Titanic. Non essendo sposati, si erano imbarcati come fratello e sorella ma era chiaro a tutti che la verità era ben diversa. Stavano assieme tutto il giorno nei locali comuni poichè in 3^ classe la disciplina consentiva solo alle coppie sposate con figli di alloggiare assieme nella stessa cabina. Tutti gli altri si servivano di dormitori separati, gli uomini a prua e le donne a poppa. La sera, alle 22.00 le luci venivano spente e quindi tutti erano invitati per tempo, ad andare a dormire. Russel riconobbe almeno altre due coppie di sposi.  Una stava ballando allegramente ed era costituita da Edwuard  Beane, di 32 anni e sua moglie Ethel, di 19. Lui, sistemato in America come muratore  era tornato a Norwich per sposare la sua fidanzata e poi erano ripartiti immediatamente. Un altra coppia di sposi novelli era seduta ad un tavolo e seguiva allegramente la musica. Si trattava di Guillaume Joseph Massemaecker di 36 anni e sua moglie Anna di 22. Lui tornato dopo tanti anni in Belgio per visita alla famiglia, era rimasto letteralmente folgorato dalla bellezza di Anna. Innamoratosi perdutamente e immediatamente ricambiato, l'aveva sposata ed ora la portava nella sua nuova casa. In fondo, seduti ad un tavolo d' angolo, assistevano al ballo due coniugi non più giovanissimi. Lei aveva in braccio un bambino piccolo e lui sulle ginocchia una bambina di circa sette anni. Attorno a loro però giocavano altri bambini, di cui due seduti a terra ai piedi del tavolo. Erano Frederik Goodwin di 42 anni e sua moglie Augusta di 43 anni, che si recavano in America per raggiungere il fratello di lui che aveva aperto un'attività nel campo degli impianti elettrici ed aveva chiesto il loro aiuto. Viaggiavano con sei figli, la più grande una ragazza di 16 anni, Lilian, ed il più piccolo, quello in braccio alla madre, Sidney, di 19 mesi. La famiglia si poteva ricongiungere solo durante la giornata perchè, non avendo potuto permettersi una cabina privata, durante la notte, come da regolamento della Compagnia, il padre con tre figli maschi, dormiva a prua e la madre, con due figlie femmine ed il bambino, a poppa. Russel fu colpito da una bellissima e giovanissima ragazza che se ne stava anche lei in disparte, con un bambino in braccio. Si trattava di Leha Kosen Aks, di 18 anni, polacca. Viaggiava con il suo bambino, Frank Philips, di 10 mesi, per raggiungere il marito Samuel che era andato in Virginia per trovare una sistemazione ed ora l'aveva chiamata. Non abituata a viaggiare e con scarsissima conoscenza dell'inglese, si muoveva con grande timidezza e aveva pochissimi contatti con gli altri passeggeri. Chrisolm insistette per mostrare al suo ospite anche una delle cabine, perchè si rendesse conto della differenza con le altre navi. Effettivamente le cabine, che andavano da due a sei posti, apparivano piuttosto curate. Avevano dei letti a castello ed un lavabo. Anche quì l'acqua era di mare accompagnata da una brocca d'acqua dolce a persona al giorno. Comunque, un sogno a confronto delle altre navi. Nella sala fumatori, a differenza delle altre classi, non era prevista la condizione della separazione dei sessi e quindi ai tavoli erano seduti diversi altri passeggeri, uomini e donne. C' erano anche dei bambini che giocavano incuranti di ciò che avevano attorno. Lo sguardo di Russel cadde casualmente su un tavolo a cui erano seduti due adulti, un uomo tarchiato, sui 35 anni, con folti baffi e l'immancabile 'coppola' ed una donna abbastanza robusta, all'incirca della stessa età. Avevano in braccio ognuno un  bambino piccolo. Accanto a loro, per terra, giocavano un maschietto di circa cinque anni ed una bambina un pò più grande. Riconobbe immediatamente Teresa. Quindi quello era il nucleo familiare di cui faceva parte. Per un attimo pensò di andare a salutare la bambina ma poi si rese conto che non era il caso. Anche lei lo vide  ma pur avendolo riconosciuto, diede mostra di non essersi accorta di lui. Meglio così, lui avrebbe dovuto spiegare agli zii come l'aveva conosciuta e la cosa avrebbe rischiato di complicarsi perchè sarebbero venute fuori le fughe della bambina negli 'spazi proibiti'. Invitato a sedersi ad un tavolo anche lui con la sua guida, fu costretto ad accettare un bicchiere di vino offertogli da un gruppo di uomini che provenivano tutti dall' Italia, più precisamente dal Veneto. Scambiò con loro diverse battute, grazie alla sua conoscenza dell' Italiano, con grande meraviglia della sua guida che non se lo aspettava. Fu costretto a declinare però un generoso invito a pranzo, malgrado non gli sarebbe dispiaciuto mangiare con quella gente semplice ed in gran parte allegra, preferendola di gran lunga a quella piuttosto snob e sofisticata dei 'piani superiori'. Purtroppo aveva da svolgere un incarico importante e, con i tempi che stringevano, doveva affrettarsi. Salutò quindi i presenti, con la promessa che sarebbe tornato a trovarli al più presto. Chrisolm insistette però, prima di lasciarlo libero, per fargli visitare l'infermeria di bordo, raggiungibile dal luogo dove si trovavano semplicemente salendo due rampe di scale che li avrebbero portati al ponte D. Entrarono in una anticamera dove furono ricevuti dall' infermiera Evelin Masden, che in un'elegante divisa, li introdusse nello studio del dottor O'Loughlin, direttore della sezione medica del Titanic. Questi riconobbe Russel come vicino di tavolo nella sala da pranzo e fece accomodare i due uomini davanti alla sua scrivania. Ammise sinceramente di essere contento che si fossero recati in quel luogo solo per conversare. Nei giorni precedenti, assieme a tutto il personale medico, erano stati sottoposti ad un lavoro pesantissimo e stressante. Ora si stavano ancora riprendendo. La prassi aveva richiesto che lui ed il suo collaboratore dr. Simpson, visitassero tutti i passeggeri di 3^ classe e verificassero che questi fossero nelle condizioni di salute previste dall'immigrazione per recarsi in America. Inoltre avevano dovuto visitare tutti e 990 membri dell'equipaggio per controllare la loro idoneità al lavoro. Un tour de force incredibile. Disse comunque al giornalista che la zona in cui si trovavano era l'infermeria della 1^ classe. Una porta in vista conduceva ad una sala di medicazione utilizzabile, all'occorrenza, anche quale sala operatoria. Russel si mostrò molto ammirato ma nello stesso tempo si augurò di non avere mai bisogno di interventi in quell'epoca. Il dottor O'Loughlin aggiunse che sparsi per la nave, c'erano altri presidi medici destinati alla seconda classe e alla terza. Il suo collega, assieme ad un infermiere, il sig. William Dunford, gestivano in modo permanente l' infermeria della seconda classe. Per la terza c'era un presidio fisso nel quale prestava la sua opera  un'abilissima infermiera, la sig ra Katherin Jane Wallis, in grado di affrontare l'ordinaria amministrazione e che naturalmente. se necessario, avrebbe chiamato il dr Simpson. Interessante visita, anche perchè dell'infermeria non esistevano documentazioni fotografiche. In questo caso, la perfetta rassomiglianza con la nave gemella Olympic non avrebbe potuto avere nessuna utilità poichè quest'ultima non aveva una sala medica simile. Ora però Russel doveva proprio andare per un impegno urgentissimo. Alle 12.45 circa, il giornalista fece in modo di trovarsi dalle parti della souite C-10, mostrando di spostarsi per il corridoio, senza fretta, leggendo una copia del giornaletto di bordo, l'Atlantic Daily Boullettin. Finalmente, vide giungere il cameriere con il carrello delle vivande. Attese che si fermasse alla porta della souite in questione e fece in modo da passarci davanti  quando questa fu aperta per far entrare il cameriere. Per non perdere proprio nulla, attivò anche la videocamera  nell' anello e, distrattamente, passando, si aggiustò il cappello per mantenere l'inquadratura. Non guardò mai direttamente verso la porta, ma sentiva addosso uno sguardo penetrante e minaccioso. Giunto all'angolo del corridoio, si fermò. Doveva sapere assolutamente il più possibile su quella gente. Decise di rischiare il tutto per tutto. Attese il cameriere uscito dalla cabina e dietro l'angolo, lo bloccò. Sventolandogli sotto il naso un biglietto da un dollaro, una cifra davvero allettante per l' epoca, cercò di farsi dare informazioni sulle persone che erano in quella cabina. Di fronte al diniego del cameriere, il quale asseriva di non sapere nulla, probabilmente  per paura, il giornalista arrivò ad offrire cinque dollari, una somma pazzesca. Il cameriere lo guardò in modo strano, ma alla fine decise di raccontargli quel poco che sapeva. L' uomo anziano pareva un capo, che comandava a bacchetta tutti gli altri. Forse la donna era la sua amante ma non certo la moglie, o almeno così gli era sembrato dalle poche parole che aveva potuto ascoltare. I tre uomini alloggiavano nella cabina vicina, o meglio due erano in permanenza nella souite ed uno a turno dormiva nella cabina adiacente. Le cose erano congegnate in modo che la coppia non fosse mai sola. Russel si complimentò con il cameriere per la sua capacità di cogliere ogni indizio, certo frutto di anni di esperienza nel suo lavoro, e consegnatigli i cinque biglietti da un dollaro, si recò i fretta nella sua cabina, impaziente di vedere il materiale girato poco prima. Nella proiezione del materiale ripreso con l' agenda, vide la porta che si apriva, uno dei giovanotti che faceva entrare il cameriere e notò che questi, nel vederlo passare, ebbe un moto di sorpresa in seguito al quale portò immediatamente la mano destra sotto la giacca, all' altezza dell'ascella. E in questa posizione rimase a guardarlo mentre egli si allontanava e non lo perse mai di vista finchè non girò l'angolo del corridoio. Altro che osservato, quello sguardo sembrava volerlo passare da parte a parte. Chissà cosa temevano o  cosa avevano combinato. Dalla loro espressione sembravano persone pronte a tutto.  La proiezione di ciò che aveva ripreso con l'anello mostrava all' incirca la stessa scena, ma da un diverso punto di vista. Si vedeva un altro giovanotto, dietro al primo, con una pistola in mano, pronto ad intervenire se necessario. Forse l'aveva scampata bella. Comunque gli sembrò strano che il cameriere, che aveva di certo visto quell'arma, non gliene avesse parlato. Forse, malgrado i 5 dollari c' erano altre cose di cui non gli aveva detto nulla. Ancora pensando all'evento, si recò in sala da pranzo. Ad un piccolo tavolo vicino ad una delle pareti in fondo al salone scorse seduto il comandante che, apparentemente assorto e concentrato sul cibo che stava consumando, si limitava a rispondere con un cenno del capo ad eventuali saluti che gli venivano rivolti da alcuni passeggeri. A differenza di molti suoi colleghi di altre navi, il comandante Smith non gradiva molto di essere coinvolto in eventi di tipo mondano e men che meno aveva piacere ad intrattenere passeggeri facoltosi ed importanti in cerca di curiosità o novità. Al suo piccolo tavolo sedevano solo persone particolarmente gradite o alle quali non poteva dire di no. Fra queste, il sig. Ismay aveva preso l' abitudine di andare a sedersi per sottoporre al comandante questioni o per fargli proposte circa la conduzione della nave. Forse era per questo che i pasti del comandante erano così rapidi. Quanto agli altri ufficiali della nave, non comparivano quasi mai, a parte il commissario di bordo, in quanto preferivano consumare i loro pasti in una saletta attigua ai loro alloggi sul ponte delle barche. Ad un tavolo accanto a suo notò un sacerdote in piacevole conversazione con tre belle signore. Una delle donne, quella che spiccava maggiormente per autorità e portamento, era la contessa di Rothes, una bellissima ed elegantissima donna di 28 anni, che nel 1900 aveva sposato il 19^ conte di Rohtes, assumendo quindi il titolo nobiliare a cui faceva più che onore. L' altra signora era Gladys  Charry, la cugina,  a cui la contessa aveva offerto il viaggio in cambio della sua compagnia. La terza donna, una bella ragazza, vestita piuttosto sobriamente era la signorina Roberta Maioni, la cameriera personale della contessa, che questa considerava con grande familiarità e l'aveva voluta al tavolo con sè, malgrado la servitù fosse  destinata a mangiare in un'altra sala del ponte E. In realtà il fenomeno era abbastanza diffuso, specie perchè spesso il personale di sevizio svolgeva anche incarichi di assistenza e segreteria e quindi veniva trattato con maggior considerazione. Il sacerdote era padre Thomas Byles, un prete cattolico di 42 anni, piuttosto magro e di piccola statura. L' aspetto in realtà poteva ingannare in quanto si trattava di uomo di grande tempra e  volontà. Il sacerdote  era un passeggero di 2^ classe ma era un ospite quasi fisso della contessa la quale gradiva molto la sua compagnia, non tanto per questioni religiose, quanto perchè il prete era una persona di grande cultura e di gradevolissima conversazione. D'altronde, malgrado la netta separazione fra le classi, quando questo poteva in qualche modo far comodo, si chiudeva facilmente un occhio. Un classico esempio Russel lo aveva veduto quando, visitando la sala da squash, aveva veduto in campo il sig Charles Eugene Williams che era un passeggero di seconda classe e quindi non avrebbe avuto diritto di accesso alla struttura. In realtà era il campione del mondo in carica per quello sport e i passeggeri di prima classe, facevano la fila per sfidarlo. Al termine del pranzo, come ormai sua abitudine, passò alla sala attigua per un bel bicchiere di brandy ed il suo ormai immancabile sigaro. Quasi perso in una sorta di momentanea beatitudine, fu richiamato bruscamente alla realtà da una mano che gli si posò amichevolmente sulla spalla. Era stato il sig. Andrews che, anche su richiesta di altri passeggeri,  lo invitava per quella sera a cena al 'Ristorant A la Charte'. Avevano formato una comitiva scelta che, addirittura, la sera successiva avrebbe offerto una cena speciale in onore del comandante. Sapendo di aver ricevuto un grande onore Russel accettò di buon grado e, piuttosto soddisfatto, si incamminò verso la sua cabina. Il suo atteggiamento mutò di colpo nel notare che la porta del suo alloggio era semplicemente socchiusa. Pensò che forse il personale di servizio stesse ancora sistemandola e si dispose ad attendere pazientemente finchè, dopo un tempo ragionevolmente lungo durante il quale non accadde nulla, si decise ad aprire la porta. Dalla scarsa luce che filtrava attraverso la tenda che copriva l' oblò, si accorse con una certa angoscia, che la cabina era completamente sottosopra. Era stata frugata da cima a fondo. I cassetti erano stati tolti dai mobili e lasciati capovolti sul pavimento. La sua roba era stata sparsa sul letto. Avevano perfino rovesciato le tasche degli abiti. In bagno il contenuto del suo necessaire era stato rovesciato nel lavandino. Anche i tubetti delle sue medicine erano stati svuotati ed ora le pillole erano tutte mischiate sul fondo del lavabo. Apparentemente chi aveva fatto il lavoro non si era soffermato sulla loro strana forma e colore, insoliti per quel tempo. Il flacone del talco era stato aperto, parzialmente svuotato e abbandonato in mezzo al resto. Non si erano accorti che il flacone stesso, con qualche piccola modifica era un' arma da difesa piuttosto efficace. Ciò escludeva che chi aveva svolto il lavoro provenisse dal suo tempo, magari per sabotare la sua missione. Il sospetto lo aveva effettivamente sfiorato. Poi, con un senso di apprensione, tornò nella cabina e chinatosi a terra, in corrispondenza dell'oblò, usando un piccolo attrezzo multiuso che aveva in tasca e che lo accompagnava in tutte le sue avventure, iniziò a svitare un pezzo della cornice che delimitava il pavimento in legno. Sollevato un lembo del pannello, ebbe un sospiro di sollievo. Ciò che ci aveva nascosto era ancora lì. Rialzatosi, si dispose a riordinare tutto mentre ragionava sull'accaduto. Improvvisamente però notò qualcosa che gli fece venire i sudori freddi. Sul tavolo erano stati lasciati cinque biglietti da 1 dollaro stracciati in piccoli pezzi. Allora, ecco da dove veniva quel bel regalo! Ma come era possibile? Lui era stato attentissimo e il suo colloquio con il cameriere era avvenuto ben lontano dalla cabina degli sconosciuti. Decise di non parlare con nessuno dell'accaduto. Avrebbe continuato il suo lavoro, magari con maggiore prudenza, consapevole che, se avessero voluto fargli del male, non gli avrebbero lasciato quel messaggio così evidente. Probabilmente volevano solo fargli paura e fargli sapere che loro sapevano. Dopo che ebbe ridato alla sua cabina una parvenza di ordine, sedette in poltrona e, con la compagnia dell' ormai solito bicchiere di brandy e di un ottimo sigaro, riflettè su tutto quanto era accaduto. Certamente aveva centrato la questione. Evidentemente si trattava di qualcosa di grosso. Il personaggio era indubbiamente una persona importante nel suo ambiente, quale che fosse. Visto il tipo di donna che lo accompagnava,  non sembrava una persona che agiva in ambienti altolocati. Unendo tutto questo ad una condizione economica senza dubbio molto agiata, non rimaneva molta scelta. Poteva essere un uomo d' affari con qualcosa da nascondere o che scappava da qualcosa o un grosso rappresentante della malavita con qualche oscuro progetto forse riguardante la nave stessa o i passeggeri. Ora che doveva fare? Era stato mandato  lì per svolgere una missione e con grande probabilità aveva fatto centro. Un personaggio misterioso di cui nessuno sapeva nulla. Decise di continuare la sua indagine, seppure con maggiore attenzione, ammesso che ne fosse capace, perchè orami si conosceva bene. Quando fiutava qualcosa, partiva in quarta e nulla lo poteva fermare. Valutò che poteva muoversi tranquillo per la nave e decise pertanto di lasciare in cabina la sua arma. Magari sarebbe stato sufficiente evitare i luoghi bui e solitari. Gli seccava tuttavia mandare giù quella provocazione ma era uno contro cinque e forse ancora di più. Purtroppo ancora non aveva capito assolutamente nulla della situazione.  A questo punto, era inutile continuare a girare per il transatlantico, visto che ciò che cercava era venuto fuori. Aveva visitato buona parte del Titanic. Mancava solo la seconda classe, se non si contava quella sporadica puntata alla birreria. D'altronde, riflettendoci un momento, convenne che anche nel suo addestramento erano state fornite moltissime informazioni sulla prima classe e sulla terza. Come se la seconda non fosse importante. Era inoltre sicuro che tutto il materiale che aveva raccolto nei giorni precedenti rappresentasse un ottimo risultato.  Bene, aveva ancora un pomeriggio a disposizione e doveva sfruttarlo in modo utile.

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Capitolo 9
*** Un brutto quartod'ora ***


Cap IX Un brutto quarto d'ora Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap IX^

 13 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 16.00

 

Alle ore 16.00 uscì dalla sua cabina serrando per bene l'uscio. In realtà sembrava una precauzione inutile poichè sulla porta non aveva trovato il minimo segno di scasso quindi chi aveva fatto il lavoro era in grado di aprire di tutto senza lasciare tracce, un professionista dunque. Iniziò la sua passeggiata sul ponte A, diretto, come sempre ormai, senza pensarci, verso la poppa della nave. Riflettendo sulle mosse possibili da effettuare nel breve tempo rimastogli, non si avvide per tempo del cerchio di legno che gli arrivò all'improvviso tra le gambe, rischiando di fargli fare un rovinoso capitombolo. Afferrato l'oggetto appena in tempo, Russel, istintivamente allarmato, si trovò davanti un ragazzino di circa sette anni, che rosso in viso, presentava educatamente le sue scuse ma allo stesso tempo, richiedeva per favore il suo giocattolo. Il giornalista, immediatamente tranquillizzato, riconobbe il giovane Douglas Spadden che aveva incontrato più volte lungo la passeggiata, intento al suo gioco preferito, appunto il cerchio, assai di moda fra i ragazzi dell'epoca. Il giovanetto  appare infatti anche nelle foto scattate dal rev Francis Browne,  sbarcato a Queenstown . Russel sorridendo, più per la sua reazione che per il manifesto impaccio del ragazzino, gli restituì il giocattolo ma immediatamente si sentì chiamare da una voce femminile. Era la madre del ragazzo, sig ra Daisy Spadden, che assieme ad una sua amica, la sig ra Vera Dick, dopo essersi presentata , gli rivolse le scuse a nome del figlio e chiese se per caso si era fatto male. La sig ra Daisy Spadden, di una facoltosissima famiglia di New York, viaggiava assieme al figlio ed al marito Frederik, ed era di ritorno da una vacanza che l'aveva portata in Marocco e a Monte Carlo. La sua amica, a sua volta, accompagnata in viaggio dal marito Albert Adrian Dick, tornava a casa dopo aver viaggiato in giro per l'Europa, e in particolare a Londra,  in cerca di elementi di arredamento per la nuova casa da loro acquistata  a Calgary in Canada. Al diniego del giornalista, la sig ra Daisy  lo invitò  a scopo di risarcimento, come diceva lei, a bere un tè nella sala di scrittura di prima classe. Russel rimase un attimo interdetto poichè gli risultava che quell'ambiente era sempre passato per un locale strettamente riservato alle signore, quasi una degna risposta alla sala da fumo, rigorosamente riservata agli uomini. Le donne, ascoltata la sua osservazione, ridendo risposero che effettivamente era così, ma in realtà loro facevano come  ritenevano più opportuno, riservandosi il privilegio di essere più elastiche, invitando degli uomini, quando  lo ritenevano importante , come in questo caso. Russel non aveva ben chiaro il perchè della disponibilità e della sua popolarità fra le signore, ma accettò di buon grado poichè aveva l'occasione di visitare un ambiente estremamente esclusivo. Fra l'altro si chiedeva come era possibile che esse conoscessero il suo nome, non essendo mai stati presentati. Preferì non indagare. L'ambiente in cui fu introdotto era estremamente raffinato. Una bella sala in stile tardo-georgiano, separata in due diversi ambienti da un grande arco, sorretto da colonne corinzie. La tappezzeria alle pareti era di color celeste con decori floreali. Un caminetto era presente su una delle pareti. Era arredata con una serie di tavolini rotondi circondati da simpatiche poltroncine imbottite. Effettivamente non era l' unico uomo. Ad un tavolo infatti era seduto assieme alla sua giovane moglie Madalein e ad altre signore, lord Astor. con a fianco la sua inseparabile femmina di airdale  Kitty, e che vedendolo, gli rivolse un cenno di saluto. Russel prese posto ad un tavolo che gli venne indicato, e fu obbligato praticamente ad accettare una tazza di tè e pasticcini. Nel giro di pochi minuti, la compagnia si allargò ed il giornalista, dal tono che aveva preso la conversazione, scoprì finalmente che la sua improvvisa popolarità derivava dal fatto di essere stato invitato quella sera al Ristorante A la Carte, da quello che era ritenuto il fior fiore della buona società a bordo. Tutte le convenute volevano sapere di lui il più possibile, certo per inserirlo come nuovo elemento nelle conversazioni del giorno. Il giornalista ringraziò in cuor suo la attenta e scrupolosa preparazione a cui era stato sottoposto, altrimenti di certo non sarebbe stato in grado di superare il terzo grado a cui quelle professioniste del pettegolezzo lo stavano sottoponendo. Russel si rese conto però che questa poteva essere una occasione da sfruttare. Dopo un 'oretta circa, indubbiamente l'interesse si spostò dalla sua persona a qualcos'altro e la compagnia, così come si era formata, si sciolse. Egli allora approfittò per chiedere ad una delle signore rimaste, che si era dimostrata estremamente informata sulle cose di bordo e su tutti i passeggeri che contavano, se per caso non avesse qualche notizia anche di un gruppo formato secondo quello che aveva visto. La signora sembrò esitare un attimo, ma poi si avvicinò come per una comunicazione molto confidenziale. Appena un attimo prima che iniziasse a parlare, però, ebbe uno strano comportamento. Qualcosa o qualcuno, alle spalle del giornalista, attrasse la sua attenzione. Immediatamente la signora, cambiò atteggiamento e,  scostatasi da lui, con una scusa banale, approfittò per alzarsi ed andarsene. Per quanto Russel si fosse girato in fretta, non vide nulla se non altre signore ai tavoli o uno steward addetto al loro servizio. Arrivato alla conclusione che in quel luogo non avrebbe più concluso niente, salutando educatamente, se ne andò. Aveva bisogno di pensare a quanto accadeva. Quegli strani atteggiamenti della gente quando parlava delle persone del gruppo misterioso gli davano ai nervi. Come se gli altri sapessero tutto e non volessero o non potessero parlare. Arrivato allo scalone di 1^ classe, discese fino al ponte C, momentaneamente sollevato alla vista dello scenario che lo circondava. In particolar modo veniva affascinato dalla luce proveniente dalla cupola in vetro in  alto. Era una vera opera d'arte. Giunto sul ponte proseguì con la sua passeggiata verso poppa, come ormai era solito fare. Incontrò con una certa sorpresa il sig Guggenaim con la sua compagna. Era una cosa piuttosto insolita in quanto la loro souite era fornita  di una passeggiata privata e gran parte della loro vita a bordo si era svolta con grande riservatezza. Il punto, molto probabilmente, era che lui, un bell'uomo di 47 anni, robusto, massiccio, un bel viso simpatico e intelligente, capelli ondulati e striati di grigio, ricchissimo per proventi in campo minerario, era sposato ma non con la sua compagna di viaggio. Nel 1894 infatti, egli aveva sposato la sig ra Florette Seligman da cui aveva avuto tre figlie, Benita, Margaret e Barbara. Pur essendo dotato di una viva e spiccata intelligenza, non era estremamente portato per gli affari e quindi, fra le varie attività a cui si dedicava, c'era quella di viaggiare. Agli inizi del 1911, nel corso di un viaggio in Europa, aveva fatto la conoscenza della signorina Paoline Leontine Ninette Aubart, una bellissima cantante francese e se ne era immediatamente, perdutamente innamorato. Ora si stavano concedendo questa crociera per stare un poco assieme in pace. Evidentemente, però, la ragazza, amante di un certo stile di vita, ogni tanto insisteva per uscire dalla cabina, e respirare un poco di quella vita mondana a cui era abituata e che apprezzava in modo particolare. L'attenzione di  Russel fu attratta all' improvviso dalle risate di un gruppetto che lo incrociò andando verso prua. Si trattava di una signorina di una discreta classe, accompagnata da due giovani, apparentemente appartenenti all'equipaggio. Il giornalista riconobbe la signorina Marie Gricie Young, una donna di 36 anni, bionda, capelli corti, magra e apparentemente delicata, ma di carattere piuttosto forte e dotata di un notevolissimo entusiasmo. Aveva comprato in Europa, per un suo progetto, del pollame di razza estremamente selezionata, che era stato sistemato in capaci stie e imbarcato sul ponte F, accanto al canile. Era sorvegliato e accudito da un membro dell'equipaggio ma la signorina preferiva controllare tutti i giorni di persona il suo investimento. Aveva trovato un valido aiuto nella persona di un carpentiere di bordo, conosciuto per caso, John Atchison, con il quale era nata una bella amicizia. Spesso li accompagnava un amico di John, l' addetto alla tipografia Ernest Theodor Corben, il quale appena libero dai suoi incarichi, approfittava per uscire all' aperto per osservare il mare che era la sua passione. Questo rapporto, sia pure molto corretto, non era visto di buon occhio dalla sua compagna di viaggio, la sig ra Jenny Stuart White. Essa riteneva infatti che una musicista del suo livello, che era stata perfino insegnante di musica di Ethel Roosvelt, figlia del presidente in carica degli Stati Uniti, avrebbe dovuto scegliere con più attenzione le persone con cui trascorreva il suo tempo. Essa stessa, per evitare contatti con quella gente, come essa definiva i due giovanotti, si teneva a distanza dal gruppetto. La stessa opinione era stata espressa dal maggiore Boot, che aveva conosciuto la signorina Young a casa del presidente. Il giornalista raggiunse il limite della passeggiata a poppa del ponte C, affacciandosi come altre volte in passato per osservare la scia che la nave lasciava dietro di sè e la zona del del ponte D nella quale i bambini avevano preso l'abitudine di giocare assieme ai cani, sotto l' occhio vigile dei genitori e degli addetti agli animali. Quella vista riusciva a trasmettergli sempre una sensazione di serenità, cosa di cui, in questa avventura, aveva proprio bisogno. Notò in un canto una signora  che controllava due bambini piccoli mentre questi facevano delle carezze ad un piccolo pechinese di proprietà del sig. Hanry Harper, facoltoso imprenditore operante nel ramo della pubblicità. A breve distanza, un uomo guardava sorridendo la scena. I due bambini erano Edmund Roger, di anni 2, e Michel Marcel, di anni 3, entrambi nati a Nizza. Questi, nella loro innocenza non potevano sapere di essere al centro di una brutta avventura familiare. Il padre, l' uomo che li guardava sorridendo,  era un sarto di origine slovacca, Michel Navratil, il quale dopo diversi episodi burrascosi con la moglie, l'italo-francese Marcella Caretto, divorziò da questa. L'affido dei figli venne dato alla madre ma essa concesse comunque loro di trascorrere le vacanze di Pasqua con il padre a Monte Carlo. Dopo pochi giorni, però Navratil partì con i bambini, facendo perdere le loro tracce, dopo aver  deciso di emigrare in America di nascosto, per non essere privato dei figli. Così, giunti in segreto a Southampton, si imbarcarono con il nome fittizio di  Hoffman sul Titanic, in seconda classe. Il gruppetto fece amicizia con la donna che in quel momento controllava i bambini da vicino, la sig ra Bertha Lehmann, la quale non immaginava nemmeno lontanamente la verità, anzi come tutti gli altri, aveva accettato la storia secondo cui il sig Michel era un vedovo. Per quanto Russel cercasse, non vide traccia di Teresa. In realtà si era aspettato di vederla, ma probabilmente non le era stato possibile sgattaiolare via come al solito. Essendosi approssimata l'ora di cena, si recò in cabina per abbigliarsi in modo acconcio per quella serata speciale. Avrebbe fatto conoscenza direttamente, infatti, con il fior fiore della buona società, imbarcata sul Titanic. Si avvicinò alla sua cabina con molta circospezione ma non accadde nulla di strano ed entrato, potè verificare che non c'erano state ulteriori visite. Come prescriveva l'etichetta, indossò lo smoking di ottimo taglio che gli era stato fornito, con cravattino bianco e scarpe lucide di vernice. Completò il tutto con un magnifico ampio mantello nero e cilindro. Rispetto alla moda del suo tempo, sarebbe sembrato in maschera, ma dovette comunque riconoscere, guardandosi allo specchio, di avere invece un aspetto elegante. Quegli abiti, così curati, così adeguati all'occasione ed al periodo,  possedevano  un certo fascino, derivante dalle cose belle del passato. Terminò di vestirsi con cura ma senza perdere tempo, perchè doveva avere un importante  chiarimento. Alle ore 19,45 fece in modo di trovarsi nelle vicinanze della famigerata cabina C-10, con l' intenzione, però, questa volta di stare molto attento a non farsi vedere. Alle ore 20.00, puntualissimo, vide arrivare il cameriere con il carrello delle vivande e subito si nascose dietro un angolo del corridoio. Attese che le vivande fossero servite e quando la porta della cabina si richiuse dietro le spalle del cameriere, Russel uscì dal suo riparo per avere spiegazioni dal cameriere. Rimase molto sorpreso dal fatto che la persona che si trovò dinanzi non era quella con cui aveva parlato la prima volta. Quando chiese informazioni sull'altro cameriere, questo cadde dalle nuvole dicendo di avere sempre provveduto lui al servizio giurando di non aver mai visto il giornalista prima di quel momento. Accortosi che nella discussione i toni della voce si stavano alzando, temendo che dalla cabina interessata si potesse sentire qualcosa, Russel preferì lasciar perdere, almeno per il momento, prendendo atto che si era effettivamente imbattuto in qualcosa di veramente strano. Un cameriere scomparso, un sostituto che certamente sapeva tutto. Chi altri c'era in quella storia, e che cosa stava succedendo? Con questi interrogativi in mente, si affrettò al Ristorante A la Carte, posto sul ponte B, fra il grande scalone di prima classe e la sala fumatori di seconda. dove lo stavano aspettando. Entrando, rimase sorpreso per l' ennesima volta da ciò che i progettisti e i costruttori avevano realizzato su quella nave. Si trovò in un incredibile ambiente, di circa 300 metri quadri, decorato in stile Luigi XVI, con pannelli in noce chiaro cesellati con festoni dorati. Il pavimento era ricoperto con una moquette color rosa antico. Le vetrate erano abbellite da tende di seta color rosso rame, ricamate e bordate con motivi floreali. Il soffitto, rifinito in gesso con elaborate decorazioni, era sostenuto con colonne in bronzo su cui erano stati realizzati, complessi motivi floreali, modellati in bassorilievo. L'illuminazione era fornita da plafoniere decorate di bronzo al soffitto e da delicate applique alle pareti con elementi a forma di goccia. Nel locale, che era aperto ininterrottamente dalle 08.00 alle 23.00,  erano posti 49 piccoli tavoli in grado di accogliere dalle 2 alle 5 persone per un massimo di 137 posti. Su ogni tavolo era posizionata una lampada abat-giour rosa. Le poltroncine in noce chiaro, imbottite e rivestite con un fine tessuto con fantasia di rose. In un angolo, una orchestra di tre elementi, si esibiva con una musica discreta, adatta all'ambiente. Per l'occasione dirigeva il trio il capo dell'orchestra, sig Wallace Henry Hartley, il quale aveva avuto l'incarico di selezionare i migliori musicisti presenti a Londra in quel periodo, in grado di suonare ad alto livello sia brani classici che moderni.  Appena entrato, fu immediatamente riconosciuto e ricevuto da Andrews, il quale fece gli onori di casa, presentandolo a molti degli altri ospiti intervenuti a quella festicciola. Ebbe modo di conoscere quindi con grande emozione, suo malgrado, dei personaggi passati alla storia . Strinse la mano ai coniugi Widener, gli anfitrioni,  ed al loro figliolo Harry, ai signory Thayer, ai signori Carter, al maggiore Butt.  Erano presenti anche i coniugi Duff Gordon, i quali però si tennero piuttosto in disparte per tutto il tempo della cena. Fu fatto accomodare al tavolo con il maggiore Butt, accompagnato dall'inseparabile amico Francis Davis Millet e dalla loro 'protetta', la sig. ra  Helen Churchil Candee.  Russel ebbe modo di conoscere, con grande emozione, un autentico mitico personaggio che si presentò al tavolo con il menù per le ordinazioni.  Si trattava del gestore del ristorante, il sig. Luigi Gatti. Era un italiano originario di Montaldo Pavese, un uomo di 37 anni, alto, asciutto, elegantissimo e intransigente con il personale sulla qualità del servizio, atteggiamento questo che aveva fatto registrare come migliori del mondo i ristoranti che aveva gestito. Chiamato a dirigere il ristorante di lusso a bordo dell'Olympic, dopo l'ennesimo successo, si era visto offrire l'opportunità di spostare la sua attività a bordo del Titanic. Aveva accettato di buon grado ma aveva posto la condizione che lo seguisse lo chef  Pierre Rousseau, elemento di altissimo livello, a cui era dovuta buona parte del suo successo. Vestiva con estrema eleganza e sfoggiava un anello con un grosso brillante e dei vistosi gemelli in oro con sopra incise le sue iniziali L.G.  Russel, dopo un attimo di incertezza per la scelta delle vivande, una più appetitosa dell' altra, decise di seguire l' esempio degli altri commensali, ossia di affidarsi totalmente al sig Gatti, famoso, fra l'altro, per saper combinare le sue specialità in modo da servire pasti favolosi e indimenticabili, accompagnati da vini eccezionali. Ebbe effettivamente l'opportunita' di assaggiare piatti di carne e pesce sapientemente fusi insieme, con salse squisite e tutto annaffiato di volta in volta con vini particolari e unici, quali chiaretti Cheateau Rauzan Seglà, vini bianchi del Reno, come il Rudesheim, vini più robusti della Borgogna, come il Volnay. E poi champagne, favolose bottiglie di Moet and Chandon, Dry Imperial del 1898. Russel si sentì letteralmente estasiato da quell'esperienza. Non c'era dubbio che in quell' epoca, malgrado tutti i particolari problemi, chi aveva disponibilità di danaro, sapeva come soddisfare i propri desideri. Alla fine del pasto fu servito un delizioso sorbetto alla crema e vaniglia che chiuse degnamente la cena. Come da tradizione su ogni tavolo venne posata una ciotolina con dentro degli speciali bon-bon, segreto e specialità della casa. Russel vide che tutti gli ospiti si servivano generosamente ed a sua volta ne prese alcuni e se li mise in tasca. Era un omaggio del locale che li preparava e li confezionava in modo che i suoi clienti, al momento di andare a dormire, si potessero addolcire la bocca. Aveva trovato anche estremamente gradevole la conversazione con i suoi commensali, ambedue uomini di ingegno e buon carattere. La musica, presente tutto il tempo, era stata discreta e gradevole. Alla fine della serata tutti gli intervenuti si salutarono e il sig Widener li invitò anche per la serata successiva, dedicata al comandante che, eccezionalmente, avrebbe partecipato. Ognuno, entusiasta, dette il suo consenso, compreso Russel, il quale ben sapeva che la sua assenza non sarebbe certo stata notata. Il giornalista, lasciato il locale, approfittò della passeggiata per schiarirsi le idee. In realtà malgrado quello che aveva mangiato e quello che aveva bevuto si sentiva sorprendentemente in forma e respirare la fresca brezza marina concorse a farlo sentire veramente bene. Forse fu per questo che, improvvisamente, ebbe la netta sensazione di non essere solo, come se qualcuno lo stesse discretamente seguendo. Di solito dava retta a queste impressioni che più volte, in passato, in situazioni serie, gli avevano salvato la vita. Raggiunse lo scalone di seconda classe e iniziò a scendere con cautela. Se qualcuno lo avesse seguito, lo avrebbe di certo visto. Non vide nessuno ma udì dei passi. Giunto al ponte C, uscì sulla passeggiata quasi istintivamente. Ora i passi li aveva sentiti distintamente e si insospettì perchè questi si fermarono appena egli si arrestò per ascoltare con maggiore attenzione. Cercò di pensare i fretta. Quasi certamente si trattava di qualcosa legato con la sua indagine. Se il cameriere era d'accordo, certamente avrebbe avvisato il gruppo che lui non aveva desistito dal suo atteggiamento e forse, era stata decisa una nuova azione nei suoi confronti. Davanti a lui, a poppa, si trovava la solita parte di ponte piena di ombre e anfratti. Chissà perchè, praticamente dalla notte in cui si era imbarcato, immancabilmente finiva sempre in quel posto! Con una breve corsa superò lo spazio che lo separava dal parapetto e dalla scaletta per raggiungere il livello inferiore. Scesa la scaletta con la maggior velocità possibile, si nascose dietro un boccaporto in attesa di vedere cosa accadeva. Prima sentì i passi e poi vide le sagome di due uomini che alla balaustra, cercavano di scrutare nel buio per vedere di scorgerlo. Era chiaro che quei due ce l'avevano con lui. Rimpianse di non aver portato con sè la sua arma. In realtà si trattava solo di uno storditore e per di più a breve distanza. Quello però era l'unico strumento di difesa consentito a chi viaggiava nel tempo. Solo il cielo avrebbe potuto dire quali sarebbero state le conseguenza dell'uccisione di una persona del passato. Le due ombre, dopo un  breve conciliabolo, scesero lentamente la scaletta e poi si separarono per cercarlo con maggiore efficacia. Russel si spostò con grande cautela e continuò a farlo nella speranza di sfuggire a quei due. Purtroppo quelli si muovevano con una tecnica molto efficace, restringendo sempre di più le possibilità di fuga e sospingendo la loro vittima verso un punto preciso. Russel si sentiva perso. In quella situazione, al buio, senza testimoni, se qualcuno gli avesse fatto fare un volo al di là del parapetto, sarebbe semplicemente scomparso e nessuno ne avrebbe saputo più nulla. Ormai pochi metri lo separavano dai cacciatori ed egli si addossò ad una sorta di cassa metallica in attesa del peggio. D'improvviso il coperchio della cassa si sollevò ed una voce disse al giornalista di infilarsi dentro e di sbrigarsi. Russel, quasi senza pensare, eseguì all'istante. Il coperchio di quello che poi era un boccaporto destinato al passaggio dei marinai per carico e manutenzione,  tornò subito a posto e al passaggio delle due ombre, non risultò nulla di insolito. La loro caccia proseguì con l'ostinazione di chi, sicuro di aver messo la preda in trappola, improvvisamente non ne trova più traccia e non capisce come sia potuto accadere. Il giornalista, piuttosto agitato per il pericolo corso, ritrovato un minimo di controllo e di raziocinio, prese atto che si trovava all'interno di un ambiente di modeste dimensioni, da cui attraverso una scaletta, su cui ora si trovava, si aveva accesso al ponte D. Ricordava di aver visto, durante le soste a Cherbourg e a Queenstown, che i marinai avevano usato quella strada per eseguire lavori di sistemazione sul ponte e per caricare oggetti di piccole dimensioni. Poi si rese conto che ai piedi della scaletta c'era una figuretta che guardava verso di lui. Non credette ai suoi occhi quando abituatosi alla penombra dell'ambiente riconobbe Teresa, la bambina siciliana. "Signor Russel, stai bene? Chi erano quelli?" - chiese a bassa voce la bambina. "Ma tu che ci fai quì? E come hai fatto a capire che ero in pericolo?"-disse il giornalista. La bambina spiegò che quella era la strada che, quasi subito dopo l'imbarco, aveva scoperto durante le sue esplorazioni per arrivare 'di sopra'. In fondo al corridoio delle cabine di 3^, sul ponte F, c' era un portello che dava nel passaggio di sevizio fra il ponte D e i livelli inferiori. Era quella la via che le consentiva di arrivare nella zona preclusa ai passeggeri di 3^. La bambina aggiunse che l'aveva visto arrivare di corsa e poi aveva notato quei due che evidentemente lo seguivano, così si era rifugiata nel suo nascondiglio chiamandolo appena gli era passato vicino. Disse con parole sue  che aveva già vissuto un' esperienza simile, quando degli uomini di notte erano andati a casa sua e....  La bambina tacque di colpo e le si bagnarono gli occhi di pianto. Russel provò a farle aggiungere qualcosa ma non ci riuscì. Teresa non sapeva o non voleva ricordare e sembrava incapace di aggiungere altro. Il giornalista capì di aver fatto un altro piccolo passo avanti nella storia di quella ragazzina. Probabilmente i suoi zii, più che cercare un'occasione nel nuovo mondo, avevano deciso di scappare da qualcosa di molto pericoloso.  La seguì fino all'uscita sul corridoio delle cabine di 3^ e poi ringraziatala, le raccomandò di stare attenta nei suoi giri. Poi, ricordandosi di ciò che aveva in tasca, prima di andarsene, prese i bon -bon e li regalò tutti alla bambina.  Il tragitto fino alla sua cabina fu un incubo. Attendeva di veder sbucare qualcuno da ogni anfratto o piega del corridoio. Si muoveva ogni volta che incrociava altri passeggeri ma quando, per brevi tratti restava solo, era veramente terribile. Arrivato nella sua cabina entrò di corsa e si chiuse immediatamente la porta alle spalle. Solo dopo pochi secondi realizzò che forse era proprio lì che lo attendevano. Con dita di tremanti e sudando freddo allungò la mano verso l'interruttore e accese la luce. Non c'era nessuno. Tirò un sospiro di sollievo e per un attimo si sentì esausto per la tremenda tensione a cui era stato sottoposto. Per prima cosa si versò una generosissima dose di whisky e poi corse a recuperare la sua arma. Non era un granchè ma era capace comunque di infondergli un minimo di sicurezza. Ora doveva ragionare. Il giorno seguente sarebbe stato coinvolto in eventi terribili che avrebbero richiesto tutta la sua energia per essere affrontati nel modo previsto. Aveva quindi da scegliere: o passare tutta la notte in ansia riducendosi uno straccio, o trovare il modo di dormire e recuperare le energie per il giorno seguente. Scelse la seconda possibilità. Barricò al meglio la porta della cabina e poi ,aiutato dai liquori e dalla sua solita farmacia, si mise a dormire con la sua arma sotto il cuscino.

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Capitolo 10
*** Commiato dai compagni di viaggio ***


Capitolo X Primo commiato dai compagni di viaggio Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina

Cap X^

 

14 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 08.30

 

Dopo un sonno profondo costellato di strani sogni, Russel si svegliò puntualmente alle ore 08.00. Durante la notte non era successo nulla di particolare.  La porta era intatta e nessuno aveva provato ad entrare. Chiunque avesse avuto delle intenzioni nei suoi confronti, per quella notte aveva desistito. Si preparò con molto scrupolo per uscire e fare colazione. Fu solo passando davanti allo specchio per controllare il suo aspetto, che fu colpito come una mazzata dalla consapevolezza che quello era l'ultimo giorno, "quel, giorno!". Dopo un attimo di smarrimento, ripreso il controllo, decise di non fare ricorso a nessun aiuto proveniente dalla sua vastissima  farmacia. Nel suo tempo, purtroppo, era diventata consuetudine aiutarsi con pillole per tutte le occasioni, per l'ansia, per la fatica, per vincere l'insonnia, o l'insicurezza e quant'altro ogni individuo volesse risolvere e quindi era abitudine, specie in viaggio, disporre di un necessaire completo per affrontare ogni difficoltà. Fin'ora vi aveva fatto ricorso abbastanza spesso ma adesso le cose dovevano cambiare. Era consapevole che per affrontare quella giornata, avrebbe avuto bisogno di tutte le sue risorse e avrebbe dovuto valutare i fatti con attenzione ed estrema lucidità via via che si svolgevano. Prima di uscire, però, più per scaramanzia cha altro, si mise in tasca la sua arma da difesa. Certamente i sui 'amici' non avrebbero tentato nulla finchè restava fra la gente, ma non voleva più essere preso alla sprovvista e poi, visto che il tempo correva e voleva risolvere il mistero circa quelle persone, forse si sarebbe dovuto esporre. Seduto come al solito al Cafè Parisienne  per la sua colazione, con caffè forte e pane, burro e marmellate varie, quella mattina non riuscì a gustare nulla ma si sforzò di mandare giù qualcosa per attingere più energia possibile per la giornata da affrontare. Attorno a lui non c'era nessuno, forse per il fatto che era domenica e la gente riteneva di prendersela più comoda o perchè, molto più probabilmente, la sera prima avevano fatto le ore piccole. Mangiando aveva scorso più e più volte le prime righe di un articolo del giornaletto di bordo che riguardava le nuove prospettive legate alla diffusione dell'automobile nel mondo dei trasporti, ma non gli rimaneva nulla in mente, Alla fine gettò da un lato il giornale e terminata la colazione, si alzò ed uscì sul ponte. Si erano fatte le 09.00 e lui aveva diverse cose da fare. Il tempo stringeva e  non aveva ancora le idee chiare. Per avere tutta la nave sott'occhio e magari farsi venire qualche buona idea, salì al ponte delle barche. Data l'ora, c'erano pochissimi passeggeri ed alcuni marinai che ancora stavano asciugando il ponte dall'umidità della notte sotto lo sguardo critico del sesto ufficiale junior sig Paul Moody. Russel aveva seguito i suggerimenti fornitigli da Marcus. Aveva visitato un po' tutta la nave, almeno le zone più significative, aveva trovato il modo di avvicinare le figure più importanti presenti a bordo. Aveva perfino cenato con alcune di esse e non c'era dubbio che avesse fatto delle riprese quanto meno eccezionali sotto il profilo documentaristico. Ma non c' era stato nulla che avesse colpito la sua immaginazione in modo particolare, nulla che avesse fatto suonare il campanello d'allarme tipico, che gli indicava di aver messo le mani su qualcosa di veramente importante, tanto da giustificare il suo invio nel passato. Si, è vero, si era imbattuto in quel gruppo strano,  non certo appartenente all'alta società, anzi! Potevano essere gangster in incognito, cospiratori, agenti in missione. Avrebbe cercato di svelare il mistero nel poco tempo a disposizione ma, chissà perchè, malgrado l'indubbio alone di mistero collegato con quel fatto, non era convinto che fosse quello l'evento importante su cui era stato inviato per fare chiarezza. E poi la consapevolezza di essere stato in un certo qual modo condizionato nel corso del suo addestramento per la missione, verso la prima e la terza classe, quasi escludendo la seconda, per la quale quindi non aveva raccolto praticamente nessuna notizia particolare.  E poi ancora questa tendenza a recarsi a passeggiare sempre verso poppa. Che significato poteva avere tutto ciò? Avrebbe avuto occasione fra poco di incontrare molte persone contemporaneamente e magari ne sarebbe uscito qualcosa di utile. Di lì a poco, infatti,verso le 10.00, ci sarebbe stato un servizio religioso nel salone di prima classe al quale erano invitati a partecipare tutti i passeggeri. Russel vi si recò, ma rimase un poco deluso, vedendo un numero di persone decisamente inferiore a quello che aveva immaginato. IForse dipendeva dal fatto che la cerimonia, a cui avrebbe partecipato anche il capitano, era di rito anglicano e altre funzioni religiose di riti diversi sarebbero state officiate in altri luoghi per la seconda e la terza classe. L'orchestra al completo di tutti i suoi elementi, si era già disposta discretamente in un angolo del salone. Dopo una breve attesa, entrò il comandante Smith il quale, pronunciata una concisa premessa di saluto, aprì il suo libro di preghiere e lesse un brano del Vangelo Anglicano al quale fece seguire la preghiera "Our God, help in ages past" che era la preghiera classica delle persone che vanno per mare. Quindi invitò tutti i presenti a cantare l'inno che portava lo stesso nome, accompagnati dalle note dell'orchestra. Il tutto durò circa 40 minuti e Russel fece a tempo a recarsi in terza classe dove, nel salone, padre Bayles officiò la Santa Messa. L'atmosfera era molto diversa rispetto alla cerimonia a cui aveva partecipato il giornalista  poco prima. Egli notò una maggiore devozione, un maggior raccoglimento. Perfino i ragazzini della famiglia Goodwin, presente al completo, seguivano senza fare un fiato. In piedi, appoggiata alla parete, il giornalista non potè fare a meno di notare  Leha Kosen Aks, la bellissima ragazza polacca , con in braccio il suo bambino. Russel aveva un concetto della religione molto elastico e abbastanza superficiale. Il suo lavoro non l'aveva certo aiutato in questa direzione e molte tragedie a cui aveva assistito, anzi, avevano concorso a fargli venire molti dubbi. Ma ora, in quella particolare atmosfera si sentì coinvolgere. Provava un sentimento di commozione come non gli capitava da anni e alla fine della funzione si accorse di avere gli occhi umidi. Forse c'entrava il fatto che tutte quelle persone che affidavano la loro anima a Dio, fra qualche ora l'avrebbero fatto veramente, travolte in una delle più gravi tragedia del mare di tutti i tempi. Persone che la mattina precedente aveva visto ballare, festeggiare allegre e chiassose, ora erano tutte silenziose e assorte nella preghiera. La coppia formata da Danis Lannon e Mary Mallin, i due innamorati fuggitivi, era fra le prime file. Ambedue con gli occhi bassi,  intenti a pensare a cose ed eventi lontani. Se non altro, ad un avvenire assai incerto. Guillaume Massemaeker e la moglie Anna, mano nella mano seguivano attentamente le parole del sacerdote che parlava di speranza e, facendo un parallelo fra la vita e la navigazione, comparava la fede ad un salvagente sempre disponibile per chi vuol trovare un appiglio. Scorse in fondo al salone anche la famiglia Curatolo ma non vide la bambina, di certo più attratta dalle sue esplorazioni che non dalla funzione religiosa. Alla fine, facendo cenni di saluto alle persone che lo avevano riconosciuto, uscì dalla sala comune e attraverso lo scalone di seconda classe, giunse sul ponte delle barche per prendere un pò d'aria fresca che gli schiarisse le idee. Ora il tempo scorreva in fretta ed egli aveva l'impressione di dover fare ancora un mare di cose. Il suono della tromba che intonava l'aria di 'The roastbeef of old England', gli comunicò che il pranzo era servito e quindi, senza perdere tempo si incamminò. Giunto nel salone, percepì un'aria di particolare eccitazione e attesa. La giornata festiva preludeva a diverse iniziative mondane previste per il pomeriggio e per la sera. Era presente in sala anche il capitano ed al suo piccolo tavolo era seduto anche Ismay.  La gente in sala era particolarmente ciarliera, compresa quella al suo tavolo. La sig ra Sally Backwith eccitatissima per aver potuto scambiare poche battute con i signori Duff Gordon, asseriva che lo avrebbe raccontato a tutte le sue amiche e la sig ra Straus, sia pure in modo assai più pacato, enumerava i possibili eventi a cui partecipare nel pomeriggio. Russel che aveva ordinato appena un consommè e due fette di roast beef con patate al vapore, sempre sotto lo sguardo critico della sua commensale Sally, convinta della sua di certo non buona salute, si rese conto d'improvviso che, pur non avendo nemmeno ancora toccato la carne, stava già finendo la sua bottiglia di vino. No,così non andava. Mentre faceva queste considerazioni per poco non perdette il fatto saliente per cui era importante che lui si trovasse lì in quel momento. Giunse al tavolo del capitano, un marinaio che, con un certo disagio, gli porse un foglio di carta. Il capitano, dato uno sguardo al foglio congedò l'uomo, quindi, senza commenti passò il messaggio ad Ismay che lo lesse con attenzione e poi, piegatolo, se lo mise in tasca. Quel foglio era la trascrizione del messaggio giunto dalla nave Balthic, fra l'altro almeno un' ora prima, che riferiva di aver saputo dalla nave Athinai che sulla rotta del Titanic erano stati avvistati numerosi banchi di ghiaccio. Il foglio non arrivò mai in sala comando. Ora Russel ne aveva avuto la conferma. Il primo tassello del disastro aveva iniziato ad andare al suo posto. Dopo il pranzo, Russel si recò in cabina e rapidamente visionò gran parte del materiale girato, Osservò le registrazioni relative alle sue visite, ai vari personaggi, all'ambiente delle sale da pranzo, alcune conversazioni ma ancora non riusciva a trovare nulla di veramente interessante. Forse non ci arrivava perchè gli mancavano degli elementi che lo avrebbero aiutato nel giudizio. Ma poichè sarebbe stata un'avventura irripetibile, almeno per lui, perchè tacergli delle informazioni importanti? Comunque era contento di avere qualcosa da fare per occupare la mente. Se non avesse trovato il modo di distogliere il pensiero da ciò che lo aspettava, sapeva che molto probabilmente si sarebbe 'aiutato' con il contenuto delle bottiglie che aveva in cabina e non voleva, soprattutto perchè sapeva che era sbagliato e gli dispiaceva di aver esagerato nei giorni precedenti .Poi, con un deciso sforzo prese una ferma decisione. Voleva vedere per un'ultima volta il Titanic in una giusta prospettiva di nave di crociera di lusso. Passeggiò lungo il ponte A fino allo scalone di prima classe, quindi scese di un livello, dirigendosi verso prua. Giunto al limite della passeggiata, si fermò ad osservare l'orizzonte in direzione dell'America, dove non sarebbero mai arrivati.  Il mare calmo, con il disco del sole che stava ormai calando, consentiva di godere di un magnifico tramonto che sfolgorava insensibile e che sarebbe stato l'ultimo per quella sventurata nave. Tutta la gente che poco prima aveva incontrato, coloro che lo avevano salutato, gli era parso che si muovessero in un' altra dimensione , su un  diverso livello e poi comprese che in fondo era proprio così. Lui non era di quel tempo, non era uno di loro, era solo un intruso, un impostore che era giunto lì per rubare loro le ultimi immagini di serenità, di gioia. Si consolò, dicendo che quello era il suo lavoro, ma in fondo in fondo non ne era convinto nemmeno lui. In uno stato d'animo particolarmente grave, ritornò nella sua cabina per cambiarsi per la cena. Rimase fermo nella sua decisione di non andare alla festa della famiglia  Widener in onore del capitano, al Ristorante  A la Carte. Sarebbe andato nel ristorante 'normale' per prendere commiato dai suoi nuovi amici e per riprendere le ultime immagini serene di quelle persone. A questo punto aveva ormai rinunciato a capire cosa avrebbe dovuto trovare. Niente di particolare l'aveva realmente colpito se non la grandezza dei mezzi impiegati, per l'epoca, per realizzare quel  piroscafo, la ricerca del piacere in varie manifestazioni, l'ostentazione di un lusso sfrenato e il contrasto stridente con la separazione della 3^classe, che pure la compagnia si vantava di trattare in modo 'umano'(!!!). Poichè non sapeva con esattezza cosa aspettarsi nelle ore successive, preferì prendere subito il suo lasciapassare per la salvezza che Marcus gli aveva consegnato con tante precauzioni, con la raccomandazione di non perderlo, pena la sua vita. Vestito di tutto punto, si inginocchiò davanti alla parete, in corrispondenza dell'oblò e scostò la cornice di legno del pavimento, recuperando una scatolina di plastica. Al suo interno trovò un oggetto a forma di disco, largo circa un cm e spesso un paio di millimetri. Si mise tutto in tasca ed uscì dalla sua cabina. Sapeva che, con molta probabilità, non ci avrebbe messo più piede. Passò quasi ostentatamente davanti alla cabina C-10.  Poi sfidando il tutto per tutto, si avvicinò all'uscio e, con mille attenzioni, accostò l'orecchio alla porta. Dall'interno giungevano deboli rumori indistinguibili, poi uno più vicino. Troppo tardi Russel si rese conto che il rumore che stava ascoltando era quello della maniglia che veniva azionata e quindi rimase completamente sorpreso quando la porta di scatto si aprì. Questa volta l'aveva fatta grossa e chissà come ne sarebbe uscito, con quella gente che non andava per il sottile. Aveva la sua arma ma, contro tre o quattro persone contemporaneamente, non avrebbe avuto alcuna possibilità. Doveva pensare in fretta. Fu per questo che rimase praticamente paralizzato dalla sorpresa trovandosi davanti il viso altrettanto sorpreso di un cameriere addetto al piano. Quando Russel ripresosi, spiegò che era un amico degli occupanti della cabina, l'altro, che intanto senza meno lo stava classificando come inqualificabile impiccione e spione, rispose che ci doveva essere un errore,  perchè la cabina era vuota e lui era lì soltanto in quanto era previsto dalla routine di bordo, che i locali vuoti fossero ispezionati giornalmente per verificare che non ci fossero inconvenienti quali oblò aperti, perdite di acqua o corti circuiti nell'impianto elettrico. A quel punto, infischiandosene totalmente di cosa avrebbe potuto dire il cameriere, Russel, esasperato da quella storia, si infilò nella cabina e si ritrovò davanti un locale apparentemente disabitato nel quale aleggiava addirittura il classico odore di chiuso caratteristico dei locali che restano inutilizzati per diverso tempo. Nel bagno non trovò traccia di utilizzo recente. Tutto era perfettamente nitido e pulito. E forse proprio qui era la nota stonata. Se il locale fosse restato vuoto veramente, dal momento della partenza dal primo porto, ossia Belfast, ci sarebbero stati dei segni precisi, tipo un sottile velo di polvere, ma qui non c'era nulla. Il cameriere sembrava in buona fede e comunque era stato spostato a quella sezione della nave, quel pomeriggio, dopo aver lavorato dalla partenza per le cabine di seconda classe. Erano bravi, senza dubbio, a mascherarsi ma non ce l'avrebbero mai potuta fare senza la complicità di qualcuno a bordo e qualcuno di importante, per giunta. Era quindi in quella direzione che avrebbe dovuto indagare. Già, ma quando? Avrebbe potuto combinare qualcosa a quattro ore dal disastro? Doveva amministrare saggiamente il tempo che gli rimaneva. Per prima cosa, si recò nella sala da pranzo. Erano le ore 20.00. Il servizio come al solito inappuntabile e la musica che, molto gradevole, giungeva dalla attigua sala di ricevimento, rendevano il tutto molto piacevole. Il chiacchiericcio dei commensali avvolgeva il giornalista come tutte le altre volte. Molti, con grande emozione, raccontavano agli altri compagni di tavolo le esperienze di quella domenica. Raccontavano di aver conversato con il sig Guggenaim, vero gentiluomo, di aver preso il tè con 'Lucie' (Lady Duff), di aver giocato con il cane di Lord Astor, sotto lo sguardo bonario del padrone e altre favolose, irripetibili avventure di carattere mondano, tutte da riferire agli amici a casa, dopo il ritorno. Dovette sforzarsi di mangiare qualcosa, incitato dalle signore del suo tavolo che, vedendolo in viaggio da solo, avevano ritenuto che andasse seguìto perchè non dovesse sciuparsi. Si sa, un uomo solo....D'altronde, come dicevano, lo sapevano tutti che l'aria di mare sciupa le persone e che occorreva mangiare di più. Russel accettò il loro interessamento e di nuovo valutò se nella sua vita reale gli sarebbe piaciuto qualcuno, o meglio, qualcuna che si occupasse di lui in quel modo a tempo pieno.  Non solo una distante governante. Ne aveva già avute alcune, e anche molto efficienti, ma non era quello, che voleva. Gli sarebbe piaciuta una persona che lo abbracciasse al suo ritorno a casa, che lo ascoltasse per quello che aveva da dire, che gli volesse bene, insomma. Dette la colpa di questo momento di commozione a ciò che lo aveva circondato in quei giorni. Nel suo tempo i rapporti fra persone erano piuttosto freddi, distaccati. Gli stessi ritmi, non consentivano rapporti in cui  fossero previsti profondi scambi, gesti di affetto, atti di tenerezza. Ora però lui li aveva visti, come la signora Straus, che davanti a tutti, accarezzava il marito, malgrado la loro età avanzata con una estrema dolcezza, la coppia dei fuggitivi, giù in terza classe che abbracciati, sia pure in silenzio, riuscivano a trasmettersi le cose più incredibili, la tenerezza e la spontaneità del saluto con la manina di Teresa. Ora lui aveva vissuto questi episodi, e ne era rimasto profondamente colpito. Ecco cosa avrebbe portato da quella avventura, non avrebbe più voluto essere solo! Anche perchè dopo ciò che lo aspettava da lì a poche ore, avrebbe avuto bisogno di qualcuno 'speciale' per recuperare la sua serenità. Al termine del pranzo, si fece portare un bicchiere di brandy Frapin che offrì anche agli altri per ringraziarli delle loro gentilezze e delle loro attenzioni. Le signore gradirono invece un bicchierino di Chartreuse bianco. In realtà era un suo modo per prendere commiato da quelle persone ed, in senso lato, da tutti gli altri attorno a lui. Che sarebbe successo se ora si fosse alzato in piedi e li avesse avvertiti di ciò che stava per accadere? Sarebbe riuscito a salvarli tutti? O lo avrebbero piuttosto preso per pazzo o anche semplicemente per ubriaco? No, si rese conto, non sarebbe mai riuscito a cambiare la storia e non lo avrebbe mai fatto a rischio di scatenare chissà quali paradossi temporali! Prese commiato e lasciò la sala con il cervello in fiamme.

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Capitolo 11
*** L'impatto ***


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Cap XI^

 

14 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 21.00

 

Erano le 21.00 e Russel fece appena in tempo a vedere di sfuggita il Comandante che, lasciata la festa in suo onore al Ristorante A la Carte, si recava al ponte di comando. (Il giornalista sapeva che  avrebbe dato le ultime disposizioni della giornata al personale in servizio, ossia il primo ufficiale Mc Master Murdoch, assistito dal quarto ufficiale Groves Boxhall. Malgrado gli avvisi sul ghiaccio, non dette alcuna particolare istruzione  circa la velocità che quindi sarebbe rimasta invariata. Il giornalista si recò in sala fumatori di prima classe per  vedere come si comportavano i suoi compagni di viaggio. La scena che gli si presentò era quella consueta di alcune persone di buon livello che, dopo una lauta cena, aspettavano l'ora di andare a dormire, concedendosi il lusso di una buona conversazione, con l'aggiunta di un buon sigaro ed un piacevole bicchiere di liquore. Ad uno dei tavoli vide  un gruppo  formato dal sig Hays, dal colonnello Gracie  e dal capitano Edward Crosby. Il sig  Hays stava dicendo agli altri che era convinto che le grandi dimensioni di un mezzo di trasporto, come quello su cui si trovavano, secondo lui pregiudicavano la sicurezza invece di aumentarla. Il colonnello Gracie, accettava in parte la tesi dell'altro ma affermava che il viaggio che stavano facendo sarebbe stato comunque indimenticabile e dovevano ritenersi fortunati per aver potuto partecipare a quell'evento di cui si sarebbe parlato a  lungo. Diversi passeggeri erano intenti a giocare a carte come tutte le altre sere. Il giornalista notò al lavoro i 'sig.ri' George Brereton e Harry Homer, per citarli con il loro vero nome,  che in coppia, stavano tentando di 'mettere in mezzo' il sig. Rotschild che però sembrava un osso veramente duro. Si mosse per tutto il salone indugiando con lo sguardo su tutte quelle cose belle che fra poco sarebbero finite nel buio dell'oceano. In particolare giunse al caminetto in fondo al salone e volle poggiare le mani sulla sommità in marmo, e passare delicatamente le dita sui profili della statuetta di Artemide che lo adornava. Questi gesti gli trasmisero una notevole soddisfazione e poteva capire il sig  Andrews che indugiava quasi sempre la sera in quel luogo particolare, considerando un po' la nave come una sua creatura.  Si recò nel posto dove in quei giorni aveva vissuto dei bei momenti con piacevoli sensazioni. Entrando nel Cafè Parisienne,  rimase un attimo sorpreso. Non lo aveva mai visto così affollato. Ciò perchè lui aveva frequentato quel locale solo per  fare colazione al mattino. Ma il Cafè Parisienne era in realtà un ristorante dove si potevano consumare le stesse vivande della sala da pranzo, ma dall'ora di pranzo, senza interruzione, almeno fino alle ore 23.00. Il cameriere, riconosciutolo, lo condusse ad uno dei pochissimi tavoli liberi e prese la sua ordinazione relativa ad un caffè forte. Attorno a lui c'erano diverse persone conosciute che commentavano i fatti della giornata, terminando di cenare, assaporando i gustosissimi sorbetti caratteristici del locale o sorbendo un liquore. Ad un tavolo vicino vide lo scultore Romain Chevre che giocava tranquillamente a bridge con i suoi amici Pierre Merechal, Alfred Fernand Aumont e Lucien Smith. Russel, sorseggiando il suo buonissimo caffè, lontano 1000 miglia da quella gente, ripensava a quanto vissuto in quei favolosi giorni. Non aveva mai avuto un'esperienza simile nella sua vita e di questo doveva certo essere grato a Marcus. Ma sapeva che ora la 'vacanza' sarebbe terminata e il conto da pagare sarebbe stato salatissimo. Era abbastanza sicuro che la sua missione non era stata ancora portata a termine. Aveva conosciuto tante persone, ascoltato tante conversazioni, visitato praticamente ogni angolo interessante della nave. Poi si era imbattuto in gente strana, che probabilmente aveva addirittura cercato di farlo fuori ma che poi, inspiegabilmente, era semplicemente sparita. Lo rafforzava nella sua convinzione il fatto che avrebbe dovuto vivere il naufragio fino in fondo. Egli sperava solamente che quanto vissuto sul Titanic, magari negli ultimi istanti, lo mettesse in grado di agire nel modo giusto. Erano ormai le 22.00 e immaginò che in terza classe, come tutte le sere, il personale avesse iniziato a spengere le luci ed a chiedere ai passeggeri di raggiungere le loro cabine o i dormitori per andare a dormire. Mancava un'ora e mezza circa all'impatto. Doveva trovare il modo di occupare quel tempo o sarebbe diventato matto. Era in questi momenti che avvertiva i cambiamenti intervenuti con l'età. Suo malgrado aveva preso atto di essere diventato emotivamente più fragile di tanti anni prima. In altri tempi aveva assistito a scene di incredibile violenza e barbarie, limitandosi a registrare ciò che accadeva attorno a lui. Ora si trovò a chiedersi dove fosse in quelle circostanze la sua umanità. Si chiedeva addirittura chi fosse quella persona capace di assistere a certe scene con così totale distacco. Forse era questa la fama che si era fatta e questo era il motivo che aveva indotto Marcus a scegliere proprio lui per un incarico del genere. Bene! Al suo ritorno avrebbe messo in chiaro che si erano sbagliati sul suo conto. Lui era un essere umano, ora, ben contento di esserlo, di essere capace di commuoversi, di soffrire per la sorte di quelle persone e con molta probabilità, che ciò che l'avevano mandato a fare, gli sarebbe costata l'anima. Ritenne che sarebbe stato piuttosto importante poter assistere all'imbarco sulle scialuppe di salvataggio e quindi si recò sul ponte delle lance. Dall'alto, da prua a poppa, lo scenario del Titanic illuminato era grandioso. L' effetto era tanto più sensibile quanto più si prendeva atto che attorno, il mare, nella notte senza luna, era nero come l'inchiostro. Lo stellato fitto che  si vedeva in cielo, era incredibile e caratteristico di un mondo più pulito e senza smog, insufficiente però ad illuminare il mare sottostante. Dal blocco dei locali del ponte di comando non giungevano segni di particolare attività. Di certo ci si preparava ad una lunga notte di guardia in un mare che  si riteneva deserto, attenti più che altro a mantenere la rotta, a dispetto delle correnti marine ed a mantenere la velocità quasi al massimo. Sul ponte non c'era molta gente. Un po' per il freddo e un po' perchè era stata una giornata piuttosto impegnativa e densa di emozioni. Russel sapeva che da lì a poco quel posto sarebbe stato il centro di una attività frenetica e poi addirittura disperata. Si sarebbero svolti in quel luogo atti di coraggio, di generosità ma anche di violenza, vigliaccheria e brutalità. I passeggeri non si sarebbero potuti imbarcare sulle scialuppe da quel ponte. Infatti non c'era via di accesso alle barche che erano sollevate rispetto al livello di passeggiata di almeno un metro e mezzo. Per l' imbarco erano previsti dei portelloni sulle fiancate del ponte sottostante, il ponte A, per cui le scialuppe sarebbero prima state abbassate all'altezza di questo ponte e poi, una volta al completo, calate in mare. Russel scese sul ponte A e cercò un modo, una via che gli consentisse di spostarsi con una certa facilità sui due lati della nave per documentare le operazioni di imbarco dei passeggeri. La necessità di spostarsi sia a tribordo che a babordo derivava dal fatto che erano accaduti eventi particolari sui due lati, specie perchè i due ufficiali addetti a controllare le operazioni di imbarco, il sig William McMaster Murdock sul lato sinistro ed il sig Charles Herbert Lightoller  sul lato destro, dalle testimonianze dei superstiti, non avrebbero seguito le stesse direttive o non avrebbero comunque seguito lo stesso metro di giudizio. Infatti, mentre McMaster Murdock fece osservare scrupolosamente, salvo rarissime eccezioni, la norma "prima le donne e i bambini", Lightoller si dimostrò assai più elastico, badando più che altro a calare le scialuppe più in fretta possibile. Peccato che comunque tutti e due abbiano avuto lo stesso comportamento nel far ammainare le lance prima che fossero completamente piene. Avrebbero di certo consentito a molte più persone di salvarsi. Trovò un passaggio abbastanza diretto all'altezza degli scaloni di prima e seconda classe. Decise che si sarebbe servito di quello della prima classe finchè fosse stato possibile e poi con il salire dell'acqua a prua, avrebbe iniziato ad usare l'altro passaggio, quello a poppa. Consultò l'orologio e vide che erano le 22.45. Un'ora, ancora un'ora da trascorrere, un'ora di pace per chi si apprestava ad andare a dormire dopo una bella giornata, un'ora per dormire sonni tranquilli, un'ora per passeggiare al chiaro delle stelle, per fare progetti, per scambiarsi confidenze, per stare insieme. Il giornalista sentiva il cuore che gli martellava in petto, come se il suo movimento e l'intensità del suo battito crescessero all'avvicinarsi di quel mostro di ghiaccio che li aspettava nell'ombra da lì a poche miglia. E loro che ci stavano filando contro a piena velocità! Che pazzia, che stupido gioco!  Ma poi perchè, visto che non avrebbero mai potuto battere nessun record? Infatti ciò era stato realizzato dal piroscafo Mauritania della compagnia concorrente, la Cunard Line, nel settembre del 1909. Il record era stato ottenuto mantenendo in permanenza la velocità di 26 nodi. Visto che il Titanic procedeva ad una velocità massima di 23 nodi, ogni tentativo era completamente inutile. Sembra che però il sig. Ismay fosse convinto che sarebbe stato di grande impatto riuscire a raggiungere New York con un giorno di anticipo rispetto alla data prevista. Pensò a quali locali avrebbe potuto visitare nell'attesa,  per documentare quegli ultimi minuti. Sarebbe stato sufficiente per trovare quelle risposte che ci si aspettavano da lui? Scartò decisamente la terza classe, A quell'ora le luci erano state spente e la gente era stata invitata a dormire e poi, se qualcosa fosse andata storta, avrebbe rischiato di restare intrappolato con gli altri in fondo alla nave. Nervosamente tornò nel salone fumatori di prima classe. Se qualcosa di importante doveva accadere, forse, visto il calibro dei presenti, era lì che l'avrebbe notata. Ad un tavolo vide ancora  seduti il sig. Hays, il col Grace ed il capitano Edward Crosby che stavano ancora discutendo sull'argomento di poco prima. Hays insisteva nel definire la nave come troppo grande e pericolosa. Faceva notare, infatti, che se alla partenza non fosse stato evitato l'incidente con la nave New York, sarebbero colati a picco già nel canale di Southampton. Ascoltando quei discorsi che testimoniavano come parecchi dei passeggeri prevedessero qualcosa di pericoloso e drammatico, malgrado i suoi buoni propositi, il giornalista si fece portare un' altro bicchiere di whisky che ingoiò in un fiato e poi, vista l'ora, uscì e si recò alla balaustra posta in corrispondenza della parte anteriore della passeggiate del ponte A. Sotto di lui, lo spazio aperto del ponte C, riservato alla terza classe. Notò nella scarsa luce proveniente dalle lampade della nave in quel posto, che sedute ai tavoli c'erano alcune persone, segno che qualcuno era sfuggito al coprifuoco e si godeva la nottata con i compagni di viaggio. Alle  ore 23.40, ora della nave, Russel fissò il suo sguardo a prua. Voleva vedere con i suoi occhi l'iceberg che li avrebbe spediti in fondo al mare. Lui era avvantaggiato rispetto alle vedette, perchè, a differenza di loro, sapeva che l'ostacolo c'era ed era proprio lì, davanti a loro. Con il passare dei secondi, aguzzava lo sguardo, notando con disappunto che si era alzata una leggera nebbiolina. Le mani serrate sul  parapetto sembravano voler affondare nel legno del mancorrente. "Dove sei, maledetta montagna di ghiaccio, lo so che sei lì, fatti vedere!" Gli avevano detto che la presenza di un iceberg veniva segnalata da un odore particolare, che si avverte anche a grande distanza, derivante dai vegetali che il ghiaccio ingloba e che a contatto con l'acqua di mare marciscono. Ma non sentiva nulla, non sentiva e non vedeva nulla. Poi all'improvviso, tre tocchi di campana gli annunciarono che gli eventi stavano precipitando e da ora sarebbe stata una corsa per la sopravvivenza. Dalla coffa dell'albero di trinchetto, vide un uomo che scendeva precipitosamente. Si trattava di un delle vedette, il marinaio Frederik Fleert, una delle famose vedette dalla vista d'aquila, che, avvistato l'iceberg aveva suonato la campana, per indicare con  il segnale convenuto la presenza di un ostacolo a prua, ed ora si recava di corsa in sala comando per riferire. L' altra vedetta, Reginald Robinson Lee, a quell'ora stava facendo la stessa cosa, ma utilizzando l'apparecchio telefonico della coffa. Ed eccolo là! Ora lo vedeva anche lui. Imponente, massiccio, sinistro, se ne stava lì davanti, come a sfidare quel gioiello della tecnica, come per far vedere chi era il vero padrone del mare. E per questo avrebbe preteso un tributo di vite altissimo. Percepì una variazione nel moto della nave, una forte vibrazione, un rallentamento, ma rallentare quella massa non era un' impresa da poco. Sapeva che durante le prove in mare, ad una velocità di venti nodi, per fermare il Titanic ci erano voluti 950 metri. Ora invece, a 22 nodi, ne avevano a disposizione ormai meno di quattrocento, per evitare il disastro. Poi vide l'iceberg, lentamente, spostarsi sulla destra. Ed ora gli erano addosso. La cima della montagna di ghiaccio era alla loro destra e probabilmente almeno per un attimo, in plancia dovevano aver tirato un sospiro di sollievo, ma non avevano fatto i conti con la parte sommersa. Un suono terribile derivò dall' impatto. Una miscela di suoni, quali un rumore di lamiere lacerate, un suono simile ad un lamento profondo, un tambureggiare violento, uno stridio di metalli violentemente sfregati fra loro che durò per dieci secondi interminabili. Lo scafo ebbe un sobbalzo e per un attimo sembrò inclinarsi leggermente sulla sinistra. Era chiaro a tutti coloro che avevano assistito all'evento che l'impatto c'era stato. Vista la sequenza degli ordini che erano stati impartiti in sala comando, ossia : “macchine indietro tutta, turbina ferma e timone tutto a sinistra”, lo scafo era andato ad urtare l'ostacolo sbandando in frenata. La manovra peggiore in assoluto che poteva essere eseguita. Al momento solo in sala macchine sapevano di quale entità fosse il danno. Dalla sala comando, per precauzione, sarebbe stato dato l'ordine di abbassare le saracinesche e di soffocare i fuochi delle caldaie, in attesa di valutare la situazione. Era previsto che fosse comunque mantenuto il tiraggio sufficiente per produrre l'energia elettrica necessaria all'illuminazione della nave. Russel sapeva che malgrado le scalette a chiocciola previste per far mettere in salvo i fuochisti e i macchinisti, quelli delle prime due sezioni, a causa del tremendo flusso d'acqua che entrava dalla micidiale  falla che si era prodotta, non avevano avuto scampo. Inoltre per alcuni minuti si poterono avvertire suoni cupi e profondi provenire dalla prua,dovuti al fatto che pur avendo soffocato i fuochi, l'acqua gelida si trovò a contatto con elementi arroventati, producendo diverse esplosioni di vapore. Per i disgraziati che si trovavano lì sotto doveva essere stato un inferno. Diversi passeggeri intanto, si affacciavano alla murata di destra per vedere l'iceberg che, compiuta la sua micidiale missione, e lasciati sul ponte della nave alcuni pezzi di ghiaccio, staccatisi durante l' impatto, silenziosamente scivolava nel buio così come ne era venuto. Infatti, la nave, obbedendo alla fine agli ordini che aveva ricevuto, iniziò a indietreggiare e continuò ancora, causa l'abbrivio, per circa dieci minuti. A quel punto, ore 23.55, l'acqua nei compartimenti allagati, aveva raggiunto i 4 metri e stava iniziando ad allagare il quinto compartimento, fatto questo che dette il via agli eventi che portarono alla perdita della nave. L'altezza del ponte dalla superficie del mare e le scarse condizioni di luce, non permettevano a dei profani  che si erano affacciati al parapetto, di valutare se c'era un danno reale e quanto questo poteva essere grave. In quel momento, intanto, il sig. James Paul Moody, sesto ufficiale, era andato a svegliare personalmente il comandante, visto che non c'era linea telefonica fra la sala comando e la sua cabina. Fra coloro che erano ancora svegli, la notizia dell'incidente si era andata diffondendo. All'inizio veniva presa come un interessante argomento di conversazione, perchè nessuno poteva immaginare la reale portata dell' evento che li aveva colpiti. Finalmente comparve il comandante sul ponte C assieme al sig Andrews e tutti e due, affacciati alla murata di dritta, osservarono a lungo lo scenario visibile poi, parlando animatamente fra loro, accompagnati dal sig Hanry Tingle Wilde, comandante in seconda,  e da due marinai, si avviarono verso lo scalone di prima classe per scendere e valutare  con i loro occhi il danno. In realtà non riuscirono a vedere un granchè, questo Russel lo sapeva dalle nozioni che gli erano state trasferite in sede di addestramento. Infatti il gruppo scese fino al ponte F e poi procedette verso prua per raggiungere le scale che portavano al ponte G. Da lì, avanzarono ulteriormente per raggiungere la sala caldaie. Rimasero invece letteralmente impietriti dall'orrore quando, giunti all' altezza dell'ufficio postale, lo trovarono in parte allagato, con gli impiegati preoccupatissimi per mettere in salvo i sacchi della posta. La constatazione del danno, si rivelò per tutti come una mazzata. La nave era perduta! L'acqua, alle ore 00.10 del 15/4 aveva superato nella sezione allagata il livello di 14 metri, quindi aveva debordato dalle saracinesche e, fatto un rapido calcolo, il progettista dello scafo era giunto alla conclusione che la prua aveva già imbarcato almeno 8000 metri cubi d'acqua. Al Titanic restava non più di un'ora e mezza prima di finire in fondo all'oceano! Due fuochisti della sala caldaie n 4, una delle meno danneggiate, neri di fuliggine e con serie ustioni, che erano stati mandati dal sig. Edward Dodd, 3^ ingegnere  di macchina, per farsi medicare, e che risalivano da quell'inferno, confermarono l' incredibile, atroce verità. La falla era terribile e non c'era nulla da fare. L' acqua entrava senza controllo da una serie di squarci sovrapposti, se ne erano prodotti  almeno 6, e le pompe elettriche potevano solo ritardare l'inevitabile, almeno finchè fossero rimaste in funzione.  Occorse qualche minuto al comandante e agli altri per accettare la realtà. Per impedire il diffondersi del panico sui ponti inferiori, non dissero nulla, però, delle loro conclusioni al personale del ponte G. Gli impiegati dell'ufficio postale, nel tentativo di mettere al sicuro il maggior numero possibile di sacchi di posta, persero tutti e cinque la vita. Il comandante e gli altri del gruppo,  risaliti al ponte di comando, dettero ordine agli ufficiali di disporre per l'abbandono della nave. Intanto furono messi al lavoro i radiotelegrafisti per cercare aiuto da chiunque lo potesse fornire. Inoltre si sapeva che la nave Californian era piuttosto vicina e sarebbe potuta intervenire in modo efficace. Purtroppo la nave in questione, che era effettivamente  a breve distanza, e che si era fermata per la notte per paura dei ghiacci, aveva l'impianto radio spento. Questo ,vuoi perchè il capo-radiotelegrafista del Titanic aveva detto all'altro operatore di togliersi di mezzo, che aveva da spedire un sacco di telegrammi importanti e non voleva interferenze nei segnali, vuoi perchè sul Californian c' era un solo radiotelegrafista che, fatta eccezione per casi particolari, la notte dormiva. Erano le ore  00.25. Fu organizzato un servizio di informazione per avvisare tutti i passeggeri, poichè la nave non era dotata di altoparlanti. Fu disposto di avvertire anzitutto i passeggeri della prima classe e poi quelli della seconda. Tutti sapevano che le scialuppe non erano sufficienti che per la metà circa dei passeggeri. Se la terza classe avesse conosciuto immediatamente la reale gravità del danno, si sarebbe riversata in coperta per cercare di salvarsi, mettendo così a repentaglio la vita dei passeggeri di prima e di seconda, ritenuta più preziosa. Per evitare che il panico facesse perdere il controllo delle operazioni all'equipaggio, fu comunque fatta circolare la notizia che l'imbarco sulle scialuppe era più che altro una iniziativa legata ad un eccesso di prudenza poichè la situazione era tutt'ora sotto controllo. Fu quindi mandato del personale in terza classe, rassicurando tutti che non ci sarebbe stato alcun problema e che intanto indossassero, solo per cautela, il salvagente, e aspettassero tranquillamente di venire chiamati. Contemporaneamente l'equipaggio avrebbe verificato che i cancelli di separazione fossero accuratamente chiusi, almeno in quella prima fase dell'emergenza. In quel momento intanto il primo radiotelegrafista, sig John Philips, stava ancora disperatamente cercando di contattare chiunque fosse in grado di recare loro aiuto. La nave più vicina. che rispose all'appello fu purtroppo il Carpatia, che mettendo le macchine a tutta forza, li avrebbe potuti raggiungere però solo in tre, quattro ore. Avrebbe comunque fatto del suo meglio, se non altro per soccorrere i naufraghi. Malgrado la situazione di allarme, l' incredulità sul possibile affondamento della nave e la voce che l'imbarco fosse più che altro una precauzione, non invogliò più di tanto i passeggeri di prima classe ad imbarcarsi. Subito dopo l'ordine di abbandono nave, le squadre di marinai addetti alle scialuppe, ognuna costituita da dieci elementi, si era recata sul ponte delle lance e, agli ordini dei due nostromi appositamente addestrati, sgg. ri Albert Haines e Nichols Alfred, le aveva calate fuori bordo fino all'altezza del ponte A sottostante. In quel luogo, altri marinai addetti all'imbarco, avevano spalancato dei portelloni nella murata, permettendo così un migliore accesso alle barche. D' improvviso, dal ponte superiore, si udirono due esplosioni, seguite da un lampo di luce intenso.

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Capitolo 12
*** Cronaca di un naufragio ***


Cap XII Cronaca di un naufragio

Cap. XII^

 15 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 00.30

 Erano le ore 00.30 ed il comandante aveva dato ordine, seppure con scarse speranze, che fossero lanciati i razzi di segnalazione e richiesta di soccorso nell'eventualità che ci fosse a portata visiva una nave, magari priva di radio. L'incarico era stato affidato al quarto ufficiale, sig Groves Boxhall, che si era disposto alla postazione sul lato sinistro del ponte delle barche ed al timoniere Thomas Rowe che lanciava invece dal lato destro. Il Titanic disponeva in tutto di 48 razzi. Ne furono lanciati una trentina , in coppia, da babordo e da tribordo, con un intervallo di circa cinque minuti fino alle ore 01.40. Russel, che si era posizionato sul ponte A, verso la prua, sul lato destro della nave, vide arrivare i primi passeggeri che apparentemente senza molta fretta e anzi con atteggiamento alquanto seccato per i sicuri inconvenienti cui di certo andavano incontro, iniziarono a salire sulle lance. Su quel lato dirigeva le operazioni, come previsto,  il sig . Lightoller il quale, con il suo comportamento, ossia quello di velocizzare il più possibile gli imbarchi senza andare troppo per il sottile, confermò quanto riportato dai superstiti del naufragio.  Da un'indagine successiva, sarebbe infatti emerso che molte delle scialuppe furono ammainate mezze vuote e che chi era su di esse, pur consapevole che sarebbero potuti tornare verso la nave, cercando di salvare qualcun'altro, ne fu dissuaso dalla paura che sarebbero stati tirati sott'acqua dal gorgo dello scafo che affondava. Dallo scalone di prima classe giunse la coppia dei coniugi Duff, seguiti dalla loro cameriera,signora Francatelli. Assai preoccupati di subire le seccature di una convivenza promiscua e sgradevole,insistettero perchè la lancia fosse calata  subito. L'ufficiale, apparentemente succube di quelle persone, dette ordine di ammainare dopo aver destinato al governo della barca ben quattro marinai. Russel rimase sorpreso quando vide arrivare, quasi di corsa, l'uomo anziano del gruppo misterioso che, con una valigetta in mano, letteralmente saltò nella scialuppa che stava già scendendo. Il gesto fu imitato da altri 5 marinai che, con decisione fulminea, saltarono anche loro. La barca, la prima calata in mare,  venne quindi ammainata con soli 12 passeggeri di cui 7 di equipaggio alle ore 01.00 circa.  Russel era rimasto sconcertato dall'iniziativa dell'uomo misterioso, ma a questo punto non era la cosa più importante, l'avrebbe di sicuro ripescato a bordo del Carpatia. Per il momento l'unico interrogativo che poteva porsi, era semmai quale destino avevano seguito gli altri membri del gruppo. Intanto, affluivano passeggeri sempre in numero maggiore, certamente complice l'evidente appruamento della nave, che a quel punto aveva cominciato a farsi piuttosto manifesto, e quindi, malgrado le rassicurazioni degli ufficiali, la paura aveva cominciato a serpeggiare. Nel crescente frastuono conseguente all'evento che stavano vivendo, si fece sentire improvvisamente la musica dell'orchestra che, al completo, si era trasferita dall'ingresso della sala da pranzo di 1^ classe a quello dello scalone di 2^ classe sul ponte A, dove cercava in qualche modo di alleggerire la tensione in quel drammatico momento.  Per un attimo, come per magia, il suono di quelle note sembrò avere un effetto tranquillizzante sulle persone che si muovevano sul ponte, ma pur rappresentando un valido elemento per il morale, non dissolse completamente l'agitazione che sovrastava quello scenario. Vide imbarcarsi sulla scialuppa n 3 diversi personaggi, conosciuti in quei giorni. Riconobbe il sig Henry Sleeper con la moglie Myna, accompagnati dal cameriere egiziano e dal loro cucciolo pechinese. Seguirono Vera e Adrian Dick, reduci dalla cena con il capitano, la famiglia Spadden con il loro bambino che stringeva fortemente il famoso orsetto di pezza, accompagnato dalla bambinaia. Si aggiunsero la signora Charlotte Drake Cordeza con il figlio e poi il sig Charles Melville Hays accompagnò la moglie Clara e la figlia Orian ma rifiutò di salire affermando che la nave avrebbe galleggiato per almeno altre 10 ore e se ne andò. Lightoller, visto che non c' erano altre donne in arrivo, autorizzò l' imbarco di altri 20 uomini e dette l'ordine di calare la barca. Intanto l'atmosfera si faceva sempre più pressante ed aumentava in modo considerevole l'afflusso dei passeggeri che avevano capito che la situazione si faceva di minuto in minuto più seria. Venne ad aiutare per le operazioni sulla scialuppa 5 anche il sig. Lowe, quinto ufficiale, e Russel vide imbarcarsi con un certo sollievo, fra gli altri, anche i suoi compagni di tavolo, la famiglia Backwith al completo. Sulla 7 riconobbe Helen e Dikinson Bishop con il loro cane Frou Frou,, infine l'attrice Doroty Gibson insieme alla madre Paolin Carolin. Mentre la scialuppa iniziava a scendere, vi si lanciarono dentro, fra il disappunto e la disapprovazione generale, i tre amici Chevre , Aumont e Merechal. Il giornalista passò sull'altro lato della nave per vedere come andavano le cose da quella parte. Quando arrivò, parzialmente ostacolato dal flusso delle persone, la scialuppa n 2 era già stata calata.  Russel vide attorno a lui delle persone della 3^ classe, segno che qualcuno aveva trovato una strada per giungere sul ponte A. Infatti, quando dabbasso avevano  iniziato a vedere l'acqua salire nei dormitori, avevano capito che la situazione era ben diversa da quella che era stata loro descritta e chi aveva potuto, si era recato al ponte D, dove dalla zona all'aperto, riservata alla terza classe, attraverso delle scale ed un semplice cancelletto, erano riusciti ad arrivare alle scialuppe. Però questo non era sufficiente perchè il personale della nave, pur riservando la precedenza a donne e bambini, continuava a fare differenza fra le classi. Così il giornalista vide Leha Kosen Aks con il suo bambino in braccio, accanto alla scialuppa n 4 ma un marinaio la scostò bruscamente dicendole di andare a cercarsi un imbarco da un' altra parte. Lady Astor, in fila per salire, ne ebbe pena ma tutto quello che riuscì a fare per lei fu solamente di darle il suo scialle per coprire il bambino in quella notte fredda. Hanry Widener fece salire la madre sulla scialuppa ma, invitato a salire a sua volta, rinunciò dicendo  che doveva tornare in cabina, per salvare il prezioso libro che aveva comprato. Senza nessuno scrupolo si fecero avanti e salirono Martin Rotschild con la moglie Elizabeth che teneva in braccio il suo cucciolo di pomerania, segno questo che anche il sig. McMaster Murdok non aveva il pieno controllo della situazione.  Arthur Ryerson imbarcò la moglie Emily e le due figlie. Riuscì anche a far accettare il figlio Jack, insistendo sul fatto che aveva solo 13 anni. Anche William Carter imbarcò moglie e figli, Lucille e William. Lord Astor fece salire, con mille attenzioni,  la giovane moglie Madalain Force, incinta di tre mesi, assieme alla sua infermiera e alla governante. Poi osservò la scialuppa che scendeva lungo il fianco della nave finchè, sganciata dalle funi, si allontanò dallo scafo già evidentemente inclinato. Sulla scialuppa n 6 Lucien Smitth imbarcò la moglie Marie Eloise, di 18 anni e incinta di tre mesi. Venne quasi costretta a salire anche Margaret Brown Tobin, che avrebbe voluto invece restare sul ponte per aiutare altre donne a mettersi in salvo. Mentre stavano per calare, arrivò Helen Churchil Candee accompagnata dal maggiore Butt e da Francis Millet. Nella confusione, i due suoi accompagnatori, la fecero salire quasi di forza ma nella manovra la donna perse l'equilibrio e cadde malamente nella barca slogandosi gravemente una caviglia. Subito dopo gli uomini iniziarono a calare. Il sig Mc Master Murdok si accorse troppo tardi che nella barca c'èra un solo marinaio, insufficiente per governarla. Il maggiore Godfrey Peuchen, che era lì accanto per aiutare, disse che essendo un provetto velista, ci avrebbe pensato lui. Saltò dal mancorrente alle funi cui era agganciata ancora la scialuppa e, malgrado i suoi 51 anni, la raggiunse calandosi per almeno 25 metri. Con il passare dei minuti, la nave si inclinava  sempre di più. Dalle ciminiere non giungeva più alcun sibilo di vapore. Le caldaie erano in gran parte sommerse ormai e solo quelle più vicine alla turbina venivano ancora tenute disperatamente in attività, alimentate dalla squadra del sig, Bell e da alcuni  anonimi fuochisti, degli oscuri eroi, che al momento opportuno, erano stati capaci di un atto di indescrivibile coraggio, loro che ufficialmente non esistevano a bordo, tanto che non dovevano nemmeno essere visti dai passeggeri. Era solo per merito loro che le luci a bordo ancora funzionavano e che stavano evitando con il loro sacrificio, che lo scenario  divenisse da tragico ad apocalittico. Le scialuppe 8 e 10 erano già quasi pronte per essere abbassate e Russel fece a tempo a vedere e documentare solo poche immagini ma salienti. Sulla scialuppa 8 erano salite, fra gli altri la moglie e la cameriera del sig Straus. Ma mentre la barca stava per essere calata, la signora Ida si alzò e, data la sua pelliccia alla cameriera,  scese per raggiungere il marito,  dicendo che erano vissuti insieme e insieme potevano morire. Poi si allontanarono per raggiungere due poltrone della passeggiata dove si sedettero aspettando abbracciati quello che la sorte aveva riservato loro. Dalla murata salutava la sua giovane sposa, Maria Giosefa De Soto, il sig Victor Penasco Y Castellana, rassicurandola che si sarebbe salvato anche lui e si sarebbero riuniti da lì a poco.Alla scialuppa 10, la signora Ann Elisabeth Isham stava insistendo perchè fosse imbarcato  anche il suo cane terranova. All'ennesimo rifiuto, preferì rinunciare a salire sulla barca piuttosto che abbandonare il suo cane. Russel, che cercava di reprimere le sue emozioni concentrandosi sul suo lavoro, facendosi largo fra la folla che ora si muoveva in modo caotico e rumoroso sulla passeggiata,, tornò sull'altro lato della nave. Attraversando però l'androne dello scalone di prima classe, si trovò ad assistere ad una scena agghiacciante. Una robusta cancellata a maglie metalliche che portava su quel livello dalla terza classe, era stata presa d'assalto da un gruppo di disperati che risalendo dai ponti inferiori, cercavano di forzarla per avere almeno una speranza di salvezza. A quel punto infatti l'appruamento della nave aveva precluso il passaggio al ponte D nella parte anteriore dello scafo. A presidio della cancellata che resisteva ai tentativi di quei disperati, uomini e donne, c'erano tre marinai che, seppur impauriti e coinvolti emotivamente, controllavano che il varco restasse chiuso, malgrado le preghiere , le minacce e le invettive. Russel, che contemporaneamente a quelle urla disperate, alle raccomandazioni, alle preghiere, sentiva le note dell'orchestrina sul ponte, fu colpito dalla assurdità di quella scena terribile e grottesca e si chiese se sarebbe riuscito a non farsi coinvolgere. Non poteva fare nulla per quelle persone ma non riusciva ad andarsene, finchè decise che le direttive potevano andarsene al diavolo e si accinse ad intervenire. Fu però scostato, in modo brusco, da un gruppo di passeggeri che, assistendo alla scena, non si erano invece fatti scrupoli. Tolsero di mezzo in modo spiccio i marinai e con un'ascia spaccarono il lucchetto della cancellata. Un fiume di persone si riversò verso il ponte in cerca di una improbabile salvezza, comunque all'aria aperta e non prigionieri in una scatola d'acciaio. Dai racconti di alcuni che passando rispondevano a domande su amici e congiunti, seppe che taluni, rassegnati, si erano rinchiusi nelle cabine dove avrebbero atteso la fine. Nel salone di terza classe era sceso padre David Byles,  che aveva radunato attorno a sè un discreto gruppo di coloro che avevano rinunciato a lottare ed assieme a loro attendeva la fine recitando il rosario. Russel raggiunse il fianco sinistro della nave, giusto in tempo per vedere, davanti alla scialuppa 9, che veniva ammainata in quel momento, il commissario di bordo  sig Mc Elroy ed il dottore O'Loughlin, che  dopo aver assistito parecchi passeggeri, si scambiavano una lunga e significativa stretta di mano, da buoni amici, e poi li vide dirsi addio, allontanandosi ognuno in cerca di qualcosa di utile da fare. Dalla murata seguiva la scialuppa anche il sig. Guggenaim, vestito in modo piuttosto sommario, di certo per la fretta, che vi aveva fatto salire la sua compagna di viaggio. Vistala al sicuro , rivolto al suo cameriere, che era al suo fianco disse di andare a vestirsi come si doveva perchè 'avevano vissuto tutta la vita da signori ed ora era opportuno che morissero anche da signori'.  Leha Kosen stava tentando di salire sulla scialuppa 11, ormai quasi al completo. Qualcuno le strappò di mano il bambino e lo passò dentro la barca che iniziò subito dopo a scendere. La donna per lo shock di essere stata separata dal  figlio in quelle drammatiche condizioni, svenne. Alla fine due uomini ebbero pietà di quella ragazza e le caricarono di peso nella barca n 13. In quella arrivò, nero di fuliggine e con un aspetto completamente stravolto, praticamente irriconoscibile, il fuochista Beuchamp che Russel aveva incontrato durante la sua visita alle caldaie solo tre giorni prima. Stremato comunicò al sig Lightoller che il loro capo giù alle caldaie, il 2^ ufficiale di macchina sig James Esket, era rimasto seriamente ferito e con una gamba rotta, e loro adesso non sapevano che fare per aiutarlo. Lightoller, riconoscendo il valore di quegli uomini, decise di salvarne almeno uno, e gli ordinò di salire sulla scialuppa 13 per dare una mano ai suoi colleghi. Il fuochista, accennò a rifiutare ma poi, troppo stanco per discutere, salì sulla barca. che fu calata. Mentre la scialuppa scendeva, giunse il sig. Pierre Rousseau, cuoco del Ristorante A la Carte. Dalla barca più persone gli fecero segno di lanciarsi. Lo chef, parve quasi accettare ma poi, esitante sul bordo del ponte, cominciò a lamentarsi dicendo di essere troppo grasso e che non se la sentiva. Dopodichè, con le lacrime agli occhi, si girò e scomparve fra la folla. In piedi sul mancorrente Joseph Massemaker guardava la scialuppa 13 che si allontanava mezza vuota con la moglie Anna a bordo. All'improvviso, presa una rapida decisione, si gettò in acqua e, riemerso dopo quel tuffo incredibile, nuotò disperatamente verso la scialuppa dalla quale molte mani lo aiutarono ad issarsi a bordo. La folla  ora aveva perso ogni parvenza di controllo e organizzazione. La paura stava lasciando il posto al panico, manifestato da persone che correvano lungo i ponti senza una direzione precisa, da lotte disperate per assicurarsi gli ultimi salvagente o passeggeri che stavano seduti , quasi assenti, ormai insensibili a qualsiasi stimolo esterno. Russel decise di tornare sul lato destro ma poiché il passaggio per lo scalone di prima classe era ormai allagato, dovette spostarsi verso poppa, come d’altronde aveva previsto, per utilizzare il passaggio dello scalone di 2^ classe. Vide Michel Navratil, che era riuscito a mettere in salvo sulla scialuppa n 12 i suoi due bambini ed ora addolorato per la separazione, ma speranzoso per la loro salvezza, salutava la barca che si allontanava. Allo stesso modo salutava dalla murata Benjamin Hart che aveva imbarcato sulla scialuppa n 14 la moglie e la figlia Eva che il giornalista aveva visto giocare con il piccolo bulldog. Con la scialuppa 16 scendeva in mare l'ultima barca di salvataggio del Titanic. Erano le ore 02.00. La nave aveva raggiunto ora una inclinazione notevole verso prua. Per questo motivo i cavi della scialuppa 14 si erano imbrogliati trattenendola a circa 10 metri dalla superficie del mare e la 16, calata in tutta fretta, nel suo percorso l'aveva pesantemente urtata, senza che però, per fortuna ciò recasse danno a quelle già abbastanza sfortunate persone. Il livello dell'acqua era salito in fretta ed alcune onde ora spazzavano la parte anteriore del ponte A. Una, particolarmente forte, arrivò a sommergere la zona dove i coniugi Straus avevano deciso di andare abbracciati incontro al loro destino. Quando l'acqua si ritirò, dei due anziani sposi non c' era più traccia. Quì non c'era più nulla da vedere e Russel si trasferì sulla parte posteriore del ponte delle barche. Assieme a lui altri passeggeri, chi con il salvagente e chi senza, in una confusione crescente salivano verso il punto più alto della nave. Notò che le luci della palestra erano accese e dagli oblò potè vedere alcuni passeggeri che sulle cyclette pedalavano vigorosamente come se attorno a loro non stesse accadendo nulla di insolito. Invece c'era qualcosa di insolito. Alcuni ufficiali, aiutati da volenterosi e spaventati passeggeri stavano tentando di montare i quattro canotti pieghevoli, posti sul bordo anteriore del ponte. All'improvviso, dal gruppo dei naufraghi in attesa, uscirono i tre uomini del gruppo misterioso che, con le armi spianate, si impossessarono del canotto A, prendendo tutti di sorpresa. Russel sapeva a questo punto cosa sarebbe successo a quei tre sciagurati. Almeno una risposta ad uno dei tanti misteri del Titanic l’aveva  trovata. Infatti 26 giorni dopo il naufragio, la nave Celtika avrebbe scorto il battello alla deriva con dentro tre cadaveri non più identificabili e l'aveva affondato ritenendone inutile il recupero. Intanto intorno ai canotti la lotta cominciava a farsi serrata. Tutti avevano capito che quella sarebbe stata l'ultima speranza di salvezza. Poi...... Gli ufficiali addetti alle operazioni dovettero ordinare ad un numero ristretto di marinai di fiducia armati, di formare una barriera, anche contro i loro stessi compagni che, disperati cercavano salvezza. Fra coloro che aiutavano,  Russel scorse il radiotelegrafista più giovane, il sig Harold Sidney Bride, che, senza salvagente,  stava spingendo assieme agli altri, il canotto B in acqua. Una forte ondata spazzò quella zona del ponte, portando via canotto e soccorritori. Dopo pochi secondi riemerse il battello rovesciato. Chi era stato trascinato via ora stava cercando comunque di risalirci sopra. Vide che anche Bride, mezzo affogato veniva alla bell'e meglio tirato a bordo e riconobbe anche il barbiere, sig. August Weikman.  Il sig Lightoller aveva provveduto a montare il canotto C ed ora, con l'aiuto di alcuni marinai, ci aveva fatto salire più donne e bambini possibile. Al momento di metterlo in acqua, ci saltarono dentro il sig Ismay ed il suo amico sig. Carter. Per consentire il carico ed il varo dell'ultimo battello, il  D, Lightoller dovette respingere con le armi un assalto disperato di alcuni fuochisti che  erano riusciti ad arrivare fin lì. Le ultime donne salvate, fra cui Irene Harris, l'imprenditrice teatrale, vennero messe in mare alle ore 02.10. Lightoller, invitato a salire per guidare il canotto, rinunciò e cedette il posto a due dei marinai più fedeli. Ora iniziò ad accadere tutto in fretta. L'orchestra, che era già andata ben oltre i suoi compiti, causa l'inclinazione del ponte, non era più in grado di suonare. Come commiato e augurio sia per chi era riuscito ad imbarcarsi, sia per coloro che purtroppo si trovavano  ancora sulla nave, eseguirono il brano 'Nearer , my God, to thee'. Al termine, i membri si strinsero  la mano e si complimentarono a vicenda per l' onore che avevano avuto di suonare assieme. Poi il gruppo si sciolse.

 

A questo punto, e chiedo scusa, mi è sembrato opportuno, riconoscendo il valore di quegli uomini, che fosse giusto render loro un piccolo tributo, segnalando questo filmato che, personalmente mi ha molto colpito:


Titanic - Nearer My God to Thee


E' come se anche chi ha avuto la pazienza di seguire queste righe, prendesse un dovuto commiato dai protagonisti di una storia vera, giunta oramai quasi al termine. Se ciò non e' consentito mi scuso ma, intanto magari, fateci un salto, se non altro per curiosità.

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Capitolo 13
*** Compimento della missione ed epilogo ***


Cap XIII La fine della missione

Cap. XIII^

 15 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 02.10

 

L'interruzione della musica per Russel era il segnale. Veloce, si diresse al ponte A che l'acqua continuava implacabile a sommergere. A questo punto doveva andare tutto come un orologio. Era previsto che allestisse una sorta di zattera, mettendo insieme alcune sedie a sdraio della passeggiata. Messa in mare e salitovi sopra, doveva attivare il piccolo disco che aveva messo in tasca. Questo era uno speciale dispositivo, in grado di creare attorno al suo corpo un sottilissimo campo, che lo avrebbe protetto dall'acqua e dal freddo per circa 20 minuti, dopodichè avrebbe semplicemente smesso di funzionare. Sarebbe stato però più che sufficiente perchè dopo circa 15 minuti dall'affondamento della nave, sarebbe tornata a cercare dei naufraghi, la scialuppa n 6, di cui prese letteralmente il comando Margareth Brown Tobin, obbligando i suoi compagni, sia pure molto riluttanti, a tornare verso la nave. Tratto in salvo, quindi a bordo del  Carpatia e poi ancora a New York, e lì, contatto per il ritorno a casa. La sua missione, a quel punto, era praticamente finita. Mise la sua particolare agenda e gli altri dispositivi, protetti da una pellicola assolutamente impermeabile, sotto la camicia e scese a precipizio le scale. Dal centro del piroscafo, cominciavano a sentirsi dei rumori di metallo lacerato. Lo scafo non poteva resistere ancora per molto. In quel momento l'acqua aveva sfondato gli oblò della cabina di comando, travolgendo ed uccidendo il comandante Smith,  che vi si era recato, ritenendolo il posto più adatto per mettere fine alla sua carriera, e anche la volta in vetro dello scalone di prima classe aveva ceduto consentendo all'acqua di riversarsi ancora più velocemente nelle viscere dello scafo. Giunto sul ponte A, Russel vide che già un altro lo aveva preceduto nel medesimo  lavoro. Si trattava di Charles Joughin, il capo panettiere che, pur palesemente alticcio, aveva messo insieme una quindicina di sedie a sdraio e si preparava a varare la sua zattera. Ora la prua del Titanic era completamente immersa e la poppa iniziava a sollevarsi sempre di più. La superficie dell'acqua era vicinissima. Il giornalista, a sua volta cominciò a costruire il suo natante unendo assieme una ventina di sdraio. Quasi al termine del lavoro, notò una forma, sui gradini di una scaletta vicino a lui. Guardando meglio, con sorpresa e grande amarezza, riconobbe la bambina. Era Teresa Curatolo, intirizzita, terrorizzata e sola. Lo sguardo perduto nel vuoto, tremante, aggrappata alla sua bambola di stracci, lentamente dondolava avanti e indietro come se stesse ripassando una canzoncina da bambini. Ma cosa ci faceva lì? E dove erano gli altri della sua famiglia? Di certo gli zii avevano pensato per primi ai loro figli e lei l'avevano persa di vista. Accidenti, proprio ora che tutto doveva filare senza il minimo intoppo. Russel vide che la bambina lo aveva riconosciuto ed ora lo fissava con gli occhi sbarrati, piangendo ma senza dire un parola. Non resistette e corse da lei. Prima la prese  per le spalle e poi la dovette scuotere per farla uscire dal suo stato di apatia Poi la prese in braccio come a proteggerla, a consolarla, a scaldarla. La bambina fra i singhiozzi ripeteva: "Russel, ho paura, ho paura!!". Ed ora? Non ne aveva già passate abbastanza quella povera bambina? Maledizione, il dispositivo bastava per una persona sola. Perchè non glie ne avevano dati due, magari uno per riserva? Ora che doveva fare? Ma si, che lo sapeva! La decisione venne così, naturale, il tempo stringeva ed occorreva sbrigarsi. Mise il piccolo disco nella tasca del capottino della bambina e le disse che ora lui la metteva sulla zattera, che non c'era più tempo, che fra pochi minuti, la nave sarebbe affondata, ma che lui sarebbe arrivato subito. Non doveva avere paura e semmai sarebbe arrivata immediatamente una barca con una bella signora che si sarebbe presa cura di lei. Mettendola sulla zattera che poteva reggere il peso di una sola persona, dovette combattere quasi con la bambina che gli si era aggrappata e che non sentiva ragioni e non lo voleva lasciare. Attivò il disco e poi con uno strattone si liberò della presa della bambina spingendo la zattera lontano dalla sua posizione. Udiva Teresa che dal buio gridava di andare presto e lui, finchè riuscì a sentirla, continuò a rassicurarla. Ma che aveva fatto? Ed ora? Ma si, lui era vecchio e tanti altri, come lui, magari migliori di lui, quella notte se ne erano già andati. Lui aveva avuto in fondo una buona vita e poi non lasciava nessuno e nessuno avrebbe pianto per lui. Il suo istinto di conservazione lo spinse però a tornare sul ponte delle barche, anche per non rimanere completamente solo in quel momento estremo. Sapeva bene che non se  la sarebbe potuta cavare. A quel punto, lo scafo cedette e si spezzò fra il terzo e il quarto fumaiolo.  Erano le ore 02.13. La prua, tutta sott'acqua, fece drizzare ancora di più lo spezzone di poppa e poi si staccò iniziando il suo viaggio verso il fondo. La poppa, ora libera, ricadde con un  pesante tonfo e per un breve periodo rimase in posizione quasi orizzontale. Il contraccolpo fece staccare il fumaiolo n 4 che precipitò, schiacciando la sala fumatori di prima classe con tutti quelli che c'erano dentro. Lord Astor, che aveva presagito il pericolo, era uscito per tempo dalla sala ma venne egualmente travolto e ucciso. Russel si trovò a correre con gli altri  verso la poppa della nave. Vide accanto a sè l'operatore anziano alla radio sig. John Jack Philips, e poi con grande amarezza vide il gruppo al completo della famiglia Goodwin  che non aveva evidentemente potuto mettere in salvo nemmeno uno dei bambini. Vedendo la disperazione di quella gente, si ritenne veramente fortunato in quel momento e sempre di più si convinse che aveva agito per il meglio. Peccato per il suo materiale che sarebbe andato perduto assieme a lui. Alle ore 02.18 la nave restò al buio. A bordo la gente si sentì prendere dal terrore ma, per fortuna, se così si può dire, non ebbe tempo di pensare perchè, il troncone, messosi praticamente in verticale, iniziò ad andare giù, sempre più in fretta. Russel aggrappato ad una bitta d'ormeggio sentiva che sarebbe finita presto, bastava non resistere. Presto lui sarebbe morto e Teresa Curatolo sarebbe potuta vivere e magari avere una buona vita. Poi, un lampo! Forse la tensione dovuta al fatto di trovarsi davanti alla morte, aveva liberato la sua mente e la sua memoria da chissà quale condizionamento gli avessero trasmesso. Teresa Curatolo! Un dubbio che in pochi istanti divenne certezza. Teresa Curatolo! TERRY CURATOLO! Quella, TERRY CURATOLO! ma allora......! Come aveva fatto a non ricordarsene, a non accorgersene? Marcus bastardo! Maledetto imbroglione! E anche il suo capo, bastardi! Come avevano detto? "Bastera' che lei segua le nostre istruzioni e tornerà sano, salvo e notevolmente più ricco". Bastardi e farabutti! Marcus già sapeva come sarebbe andata! Per quello l'avevano mandato, altro che la missione misteriosa! Che farabutti! Ma contemporaneamente Russel ora era cosciente di aver veramente dato un senso alla sua vita, di aver fatto qualcosa di veramente importante paradossalmente, proprio negli ultimi istanti. L'avevano imbrogliato proprio per bene, un vero lavoro di cesello! Farabutti ma bravi.....! Poi l'acqua gelida lo raggiunse ed egli fu trascinato assieme agli altri nelle profondità dell' oceano.

 

 

Epilogo

 18 marzo – tempo 'normale', ore 11.00

 Nell'ufficio del direttore del Morning Star, Backer chiese per l'ennesima volta al consigliere Marcus, seduto davanti alla sua scrivania, sulla stessa poltroncina dove, nel tempo normale, solo due giorni prima, era stato seduto Russel:"Allora e' andato tutto a posto, è andato tutto bene?". E per l'ennesima volta Marcus lo aveva rassicurato. Le alterazioni nel passato, per fortuna,  non avevano un effetto immediato nel presente, ma si risentivano dopo un intervallo di tempo che dipendeva dalla distanza temporale. Questa volta avevano avuto a disposizione, per prendere atto della gravissima interferenza, per trovare una soluzione e per metterla in atto, tre giorni di tempo, di tempo normale. In realtà Russel era partito solo otto ore prima. "La linea del tempo mostra che la trama si sta ricomponendo come se nulla fosse accaduto", continuò Marcus," Russel era tuo amico ma non c'era altra soluzione e soprattutto non ti dimenticare che la colpa di tutto ciò è stata tua". Marcus iniziò a ricordare a Backer, con l'atteggiamento volutamente offensivo di un adulto che si rivolge ad un bambino, nemmeno tanto intelligente : “Il  10 marzo, tu, per fare un favore ad un tuo caro e potente amico, hai insistito perchè fosse inviato nella Londra del 1912, il 9 aprile  per la precisione, un giovanotto che voleva fare solo una particolare esperienza, accreditandolo come tuo reporter, e che a mio giudizio, per la scarsa preparazione e maturità, mai avrebbe dovuto essere mandato nel passato. Questo giovanotto, nel compiere male il suo lavoro, correndo lungo una pubblica via, ha malamente urtato una signora, la sig ra Margaret  Holden, alla quale, e almeno questo va riconosciuto a suo merito, ha poi prestato soccorso. Purtroppo la signora ha riportato nell'urto un discreto trauma alla caviglia destra. Il marito, il vicario della Chiesa di S. Paul, padre Herbert Holden, sarebbe dovuto partire assieme a lei il 12 aprile, guarda caso proprio sul Titanic, per partecipare come tanti suoi colleghi, al Christian Congress che si svolgeva il 20 aprile a New York alla Carnegy Hall. In seguito all'increscioso incidente, la coppia non e'più partita. E proprio padre Holden, la mattina del 15, sul Titanic, notando Teresa Curatolo che si aggirava sola e spaventata, la avrebbe presa sotto la sua protezione e avrebbe provveduto a imbarcarla, assieme alla moglie sulla scialuppa n 6. Lui poi, si sarebbe salvato sul battello B. Ma, padre Holden, causa il tuo indiretto, importuno e maldestro intervento nel passato, non è partito e la bambina non sarebbe stata salvata da nessuno!”. Il tono della voce di Marcus, andava crescendo di intensità via via che ripercorreva gli eventi. E Backer, non potendo dargli torto, saggiamente si astenne dal replicare quando Marcus, con una studiata pausa lo invitò a cercare delle scuse. L'anziano riprese: “Il punto è che quella bambina, non  era una bambina qualsiasi. Salita sulla scialuppa n 6, fu presa sotto la protezione della signora Tobin che appurato che Teresa era rimasta sola al mondo, in seguito la portò con sé quasi fosse una figlia. La fece poi studiare nelle migliori scuole dello stato e Teresa, anzi Terry, come ormai la chiamavano tutti, ormai una bella ragazza, preparata, colta e sicura di sé, seguì le orme della sua protettrice, diventando una giornalista di discreto successo. Nel 1937, ebbe una breve e disgraziata relazione con un suo collega, restando incinta. Teresa rifiutò di sposarsi e decise di allevare da sola il figlio, Joseph Vincenzo Curatolo che nacque nell'agosto del 1938. Il figlio diventò  un medico, molto in gamba, e nel 1976, sposò la sua infermiera Sally. Dal loro matrimonio nacque nel 1977 Martin Curatolo che, con entusiasmo,  seguì le orme paterne, diventando uno dei migliori ricercatori al mondo nel campo della medicina. Aveva 60 anni, quando nel 2037, una mutazione di un semplice virus influenzale, provocata da una casuale e sciagurata esposizione ad una sorgente radioattiva, dette luogo ad un vero flagello che diffondendosi a vista d'occhio rischiò di falciare miliardi di vittime, causa la sua estrema resistenza a tutti i rimedi conosciuti. Forte dei suoi studi e dei suoi rivoluzionari metodi di lavoro, Martin Curatolo, nei suoi futuristici laboratori riuscì dove nessun altro aveva raggiunto il benchè minimo risultato. Mise a punto, in tempi ragionevoli, un vaccino che, nel giro di poche ore, debellava l'infezione.  Dieci mesi dopo, Martin mise a punto un procedimento in grado si analizzare praticamente ogni tipo di virus mutato, identificando un valido antidoto. Forse è solo grazie a lui che tu ed io e chissà quanti altri ora siamo qui e possiamo condurre una vita normale dopo che circa 70 anni fa abbiamo rischiato l'estinzione”. Nuova pausa, poi alzatosi in piedi e poggiate  le mani, strette a pugno, sul piano di vetro della scrivania, continuò: “Una volta che il tracciato del tempo viene variato, l'evento non può essere semplicemente annullato. Occorre agire con un'azione ulteriore ed opportuna di correzione. Ora, per i motivi che ho appena esposto, siamo stati costretti a mandare nel passato un povero disgraziato che ha dovuto sacrificare la sua vita perchè la linea del tempo fosse recuperata in qualche modo, evitando chissà quale catastrofe. E io, ho dovuto praticamente ingannarlo per convincerlo ad accettare, cosa questa che non mi e non “ti” perdonerò mai. L' unica consolazione, se vogliamo, e' che uno dei criteri di scelta che ci ha portato ad Alan Russel e' che, lasciato il lavoro, fra una settimana, sarebbe partito secondo il suo progetto per l'Italia per andare a trovare un suo caro amico, e nel corso del viaggio sarebbe morto per un banalissimo incidente. Almeno gli abbiamo dato modo di vivere in bellezza i suoi ultimi giorni e se, alla fine ha capito, tanto meglio, si sarà reso conto di aver fatto una buona fine”. "Ma doveva proprio morire?", azzardò a quel punto Backer. "Si! Purtroppo si. Perchè Russel si era affezionato alla bambina, e su questo avevamo contato. Ma poi, proprio per questo motivo, una volta sul Carpatia, avrebbe interferito con gli eventi. Credi che non ci avessimo pensato? Credi che se fosse stato possibile, non l 'avremmo salvato? Ma che razza di gente pensate che siamo noi?". Si ripiegò in avanti come se avesse esaurito gran parte delle sue energie. Dopo pochi secondi,  fatto un profondo sospiro, si ritirò su e, sistemandosi al meglio la giacca, prese commiato, aggiungendo con voce ferma che dal quel momento in poi l'avrebbe fatto tenere  d'occhio e avrebbe curato personalmente la procedura che aggiungeva il nome del direttore del Morning Star alla 'lista nera' di coloro che avevano malamente interferito con il passato. Non avrebbe potuto interferire mai più con i viaggi nel tempo. Detto questo, si girò e se ne andò lasciando la porta aperta dietro di sé. Subito la signorina  Milly si affacciò per vedere se il suo capo aveva bisogno di qualcosa ma ad un suo secco cenno di diniego, si limitò a chiudere la porta. Backer, sotto quella 'tirata' aveva preferito tacere, consapevole di aver combinato un bel guaio, dal quale apparentemente erano usciti ma non certo per merito suo. In cuor suo si augurava che il dolore e l'angoscia. legati a quell'episodio, si potessero sopire con il tempo. Ma che ne sapeva lui di passato, viaggi nel tempo, interferenze temporali. Suo nonno gli aveva insegnato a fare il giornalista, e gli aveva insegnato bene. E lui, quello faceva. La storia dei viaggi nel tempo non gli era mai piaciuta ed aveva evitato il più possibile di farvi ricorso ed ora, per fare un piacere ad un suo amico importante,  aveva rischiato di creare un danno incalcolabile per l'umanità e indirettamente aveva causato la morte di un suo vecchio e valido collaboratore. Maledizione! Rimpiangeva i tempi di suo nonno, in cui le notizie, la gente se le cercava per strada e, se era necessario viaggiare, era solo per recarsi in paesi lontani. Bei tempi, quelli. E lasciandosi andare ad antichi sogni e ricordi, si ritrovò ad osservare davanti a lui, il prezioso orologio di suo nonno, e quasi ipnotizzato, non riusciva a staccare lo sguardo dalla lancetta dei secondi che imperturbabile continuava a correre da almeno due secoli su quell'antico quadrante.

 

IMPORTANTE!!!!

Riservato a tutti coloro che hanno avuto il coraggio e la pazienza di seguire il racconto fino alla fine : ho potuto scrivere il presente lavoro grazie alle notizie fornite dal fantastico sito del sig Claudio Bossi, "TITANIC",  alla fornitissima banca dati costituita dalla "Encyclopedia Titanica" ed alle discussioni del Forum "Titanic-Titanic.com". Mi sembra anche il caso di segnalare il sito "Miti del mare", sezione dedicata al Titanic, per ammirare l' incredibile lavoro svolto dal sig. Duilio Corradi.  

 

Ora è veramente finito. Se qualcuno affermerà che avrei potuto utilizzare il mio tempo in modo più proficuo, rispondo con l'osservazione che mi ha fatto la mia imperturbabile, saggia figliola: "Ma tu, ti sei divertito? Allora...........". Un saluto a tutti.

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