Tsugumi

di Dagon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Chiamata ***
Capitolo 2: *** Sakura ***
Capitolo 3: *** L'uomo in nero ***
Capitolo 4: *** Il labirinto d'oro ***
Capitolo 5: *** La prigione ***
Capitolo 6: *** Ryou ***
Capitolo 7: *** Scompaio ***



Capitolo 1
*** Prima Chiamata ***


Capitolo I
Prima chiamata

 

Si chiama Tsugumi, e il nome non gli appartiene.
L'uomo continua a sfiorare fogli di carta col tocco leggero di una penna e siede come il ragazzo che compare nel poster sulla parete: accovacciato, le ginocchia a sfiorargli il mento e i piedi nudi che poggiano sulla sedia. Si ferma, lascia riposare la mano.
La luce nella camera è scarsa: dalla finestra penetra un debole raggio di sole e il suo riflesso rimbalza sulla superficie bianca delle tazze da tè. Sono ovunque, le tazze. Ricoprono un mobile intero, nascoste da un vetro sottile che sembra invisibile.
L'uomo si sofferma a guardarle e accenna un sorriso: colleziona tazze da così tanto tempo che gli è difficile ricordare quando ha iniziato. Alcune di esse provengono dall'Inghilterra, altre dalla Cina. A Tsugumi piace viaggiare ed è stato in molti luoghi: a cominciare dall'Europa, nella quale ogni tanto torna.
Distoglie lo sguardo e torna ai fogli. La sua grafia sghemba scorre disordinata sulla carta, alcune frasi segnate da una linea fugace. È nel suo stile: tornare sempre sulla trama, assicurarsi che tutto ritorni. Far sì che il lettore rimanga incollato alle pagine del manga, quello che lui sceneggia e per cui sta sudando molto: Death Note.
Un lavoro che lo appaga e lo sfianca: non ha importanza se nel cielo splende il sole o il tenue chiarore della luna, lui è sempre lì, a scrivere. Quei pochi che lo conoscono gli hanno detto che per lui il lavoro è diventato ossessione, ma lui rinnega quella parola. Ossessione.
Ha riletto rapidamente la scaletta che ha preparato, quando decide che è stanco ed è ora di riposare.
È l'alba. La luce del sole fra poco irromperà nella stanza, ma Tsugumi ha bisogno di dormire. Dorme sempre nello studio. Prima era in affitto, l'ha comprato appena il successo gli ha permesso di farlo.
Death Note: di Tsugumi Ōba e Takeshi Obata.
Lui è Tsugumi Ōba. Non proprio, quello è lo pseudonimo con cui si firma. Lui è lo sceneggiatore della serie.
Il geniale autore di uno dei manga più seguiti del Giappone.
Non è anche il disegnatore, no. Perché non ne sarebbe capace. Lo è Takeshi, e ne è grato: così ha la possibilità di occuparsi solo della storia e della sua qualità. Insieme compongono una squadra formidabile. È tutto ciò che ha sempre sognato, d'altronde, il successo. E il suo è stato un successo impressionante, persino per lo Shonen Jump, la rivista che settimanalmente pubblica i capitoli della sua serie.
Il telefono squilla.
Tsugumi si alza e va a rispondere. Il suono acuto che ferisce il silenzio deve cessare.
“Pronto?”
“Non ti...”
Tsugumi non capisce. Chi è l'uomo che parla? Gli sembra una voce familiare.
“Non ti scordare...”
“Scusi, chi...” Appena apre la bocca per rispondere, Tsugumi capisce e tace. Non può credere a quello che sta succedendo.
“Non ti scordare di me.”
La voce è identica alla sua. Non può essere. Si tratta di un caso, è ovvio. Ma cosa significano le parole dell'uomo?
“Non ti scordare di me.”
Apre gli occhi. È stato un sogno.
È notte. Ha dormito molto, troppo. Si alza e spalanca le finestre, e da esse penetra una gelida brezza. Le ombre incombono su di lui, sopra le cime dei palazzi e avvolgono Tokyo in una nube nera ravvivata da poche, fredde luci.
Con il dorso di una mano, Tsugumi asciuga la fronte madida di sudore e ripensa al sogno. Sbuffa. Era così vero.
Io che telefono a me stesso. Potrei riutilizzarlo in una delle mie storie.
Tsugumi si volta e il suo sguardo ammicca sul telefono che giace sulla scrivania.
È... inquietante.

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Capitolo 2
*** Sakura ***


Capitolo II
Sakura

 

Quando era bambino, Tsugumi non viveva a Tokyo. Viveva nella campagna giapponese, lontano da qualsiasi palazzo che sfiorasse il cielo, dalla quantità impressionante di persone che affluiscono per la strada e che indossano tutte la stessa faccia. Dove viveva c'era spazio per i silenzi e per la tranquillità. Avresti potuto abbandonarti alla visione del vento che investiva le chiome degli alberi di ciliegio, e rimanere indisturbato per ore. Adesso tutto è cambiato e per la calma non c'è più posto.
Pensa a questo, Tsugumi, mentre continua a fissare il telefono.
Vorrà dire qualcosa, questo sogno – o dovrei chiamarlo incubo? Perché da qualche tempo faccio sempre dei sogni così strani?
Il buio continua a incombere, fuori.
Forse avrei bisogno di una pausa, sto lavorando senza sosta da mesi, forse anni... non mi ricordo più neanche quando ho iniziato. Perché a Takeshi non accade lo stesso?
Tsugumi non ha acceso la luce, e il buio di fuori permea anche lo studio. Si può scorgere solo il tenue chiarore dei riflessi della strada.
Aspetta, ma Taskeshi una pausa se l'è presa. Tre giorni... tre giorni dove? Me l'ha detto, quando ci siamo salutati, possibile che non ricordi? È per questo che sei solo, in questo momento! E domani verranno gli assistenti a rifinire le sue tavole...
Tsugumi distoglie lo sguardo dal telefono e fa un passo indietro. Il sudore si sta asciugando a contatto con la fredda brezza che giunge dalla finestra aperta. È meglio che la chiuda, pensa, e dopo pochi secondi è di nuovo là a fissare il vuoto senza che il gelo lo disturbi.
Accendi la luce, diamine. Hai dormito troppo e non puoi permetterti di perdere tempo. Il tempo è prezioso, soprattutto per uno sceneggiatore di manga. Devi lavorare.
L'uomo si volta e cammina cieco verso la parete, dove c'è l'interruttore. Arranca nel buio, ha paura di cadere.
Una volta, quando era bambino e viveva in campagna, è caduto in un pozzo, dove è rimasto per ore prima che qualcuno lo salvasse. Da allora rifugge sia il buio che il freddo, i peggiori demoni che possano tormentarlo.
Ora è il cellulare a squillare, sulla scrivania. Il display luminoso proietta una languida luce sul soffitto e assomiglia a una piccola torcia.
È notte, chi può chiamarmi?
Tsugumi sta per accendere l'interruttore, ma si volta bruscamente e urta il mobile che contiene le tazze tè. Il vetro permette agli oggetti di non finire a terra.
L'uomo afferra il cellulare e risponde. “Pronto?”
“Non ti scordar...”
Tsugumi impallidisce. Questo non è un sogno.
“Non ti scordare mai di me.”
Tsugumi non apre bocca.
“Cercami.”
È surreale.
“Trovami.”
Impossibile.
“Prendimi.”
“Scusi, ma chi è lei?” dice Tsugumi, incurante del fatto che sta quasi gridando. “Chi è?”
“Mi hai perso e adesso devi ritrovarmi. Non ti scordar...”
Tsugumi sta sudando di nuovo. Chiude la chiamata, e ora è davvero stravolto. Qualcosa non quadra. Niente quadra, è tutto così surreale che l'uomo comincia a pensare di essere impazzito. Alza lo sguardo.
Sulla parete, proprio sopra la scrivania, L continua a fissarlo con sguardo riflessivo e tagliente. Muove il capo verso Tsugumi, nel buio, e sembra aprire bocca.
Tsugumi chiude gli occhi. Li riapre. Il poster è ancora lì, fermo, e lui si è immaginato tutto, forse suggestionato dalla chiamata. Sbuffa, e si dirige a grandi passi verso l'interruttore.
La luce irrompe nel buio.
L'uomo sospira, cercando di calmarsi. In una mano stringe ancora il cellulare.
Se guardo il registro delle chiamate, forse posso risalire al numero di chi mi ha appena chiamato. Oppure scoprire che ho immaginato tutto.
Scorre il menu e digita l'opzione desiderata.
Okay, qualcuno lo ha chiamato: e lui non ha la più pallida idea di chi si tratti, né del perché questi abbia la sua stessa voce. Ma non ha proprio sognato tutto.
Mi serve riposo, riposo, continua a dirsi, e la frase echeggia nella sua mente finché non sposta lo sguardo verso il mobile delle tazze da tè. Oltre il vetro, una delle tazze è riversa su un fianco. Il disegno di un albero di ciliegio percorre la bianca ceramica. Un nome folgora la memoria di Tsugumi: Sakura.
Il nome evoca un volto, un volto lontano nel tempo che è rimasto immutato da anni. Perché sono anni che Tsugumi non lo vede, e non lo ricorda. Sakura appartiene al passato dell'uomo, e in questa zona è rimasto relegato fino ad ora.
Oh, Sakura. Tsugumi guarda ancora il ciliegio che si estende sulla bianca superficie della tazza, quando decide che è meglio tornare al lavoro, e scordare tutto ancora una volta.
Il passato è il passato. E lui è al futuro che è volto.

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Capitolo 3
*** L'uomo in nero ***


Capitolo III
L'uomo in nero

 

Dopo un paio di ore il cielo di Tokyo si tinge di rosa e per le strade si riversa una folla indistinta.
Un raggio di sole sfiora la mano di Tsugumi, ma l'uomo non se ne accorge e continua a scrivere sul foglio bianco. Alla fine, alza lo sguardo. Chiude e riapre gli occhi. Poi comincia a rileggere la scaletta e le annotazioni che scorrono a fiumi sulla carta.
Nelle ultime puntate, Light si è fatto chiudere da L in una cella per dimostrare la sua innocenza: non era lui che uccideva criminali col Quaderno della Morte, guadagnando così il soprannome di Kira. Ovviamente, mentiva: questo era solo un modo per depistare il temibile detective che era L. Così, lo shinigami Ryuk ha chiesto al ragazzo di rinunciare al Death Note, perdendo di conseguenza memoria di esso, e Light ha accettato.
Ora Tsugumi deve riprendere le fila, e costruire una situazione ancora più appassionante a partire dal punto di tensione raggiunto. Un punto che difficilmente raggiungerà di nuovo, se continua a scrivere sciocchezze.
Le mani dell'uomo spingono ai bordi della carta, e questa si lacera scalfendo il silenzio. Il foglio di carta si riduce presto in pezzetti sempre più piccoli, finché Tsugumi non decide di gettare tutto nel cestino e ripulire la scrivania.
Ricomincerò da capo. Ancora.
Sbuffa. Di ricominciare ne ha abbastanza, e la testa gli fa male. Gli occhi sono affaticati, e hanno bisogno di riposo. Ma no, lui deve continuare a scrivere. Non solo, deve anche scrivere meglio.
I vetri della finestra sono insonorizzati, e il rumore del traffico sempre più forte non sfiora il silenzio dello studio. Quel silenzio così lungo e assordante, che sembra una prigione e isola Tsugumi dal resto del mondo. Lui, così famoso e misterioso. Ed è famoso lo pseudonimo con cui si firma, non il suo nome reale; è famosa la storia che scrive, non la propria. Lui è solo una figura evanescente.
Non esce all'aria aperta per fare una passeggiata da troppo tempo. Non torna nel paese natale da anni. Ma è quello che voleva, arrivare a scrivere il manga più bello dello Shonen Jump. Come esordiente, poi!
La verità è che sono sempre più solo.
D'un tratto, il cellulare squilla.
Tsugumi sussulta. Risponde, e tira un sospiro di sollievo. È uno degli assistenti di Takeshi.
“Faremo un po' di ritardo” dice il ragazzo. “Mi dispiace.”
“Non preoccuparti, può capitare.”
“La ringrazio, Tsugumi-san.”
L'uomo attacca, sollevato. Guarda il registro delle chiamate:
Numero Sconosciuto. Ore: 03.21
Non è la prima volta che torna sul menu, e ormai è certo che la chiamata è stata reale, reale quella voce, reali quelle parole.
Posa il cellulare, prende una penna e un foglio di carta e ricomincia a scrivere, e a pensare. Potrebbe stravolgere completamente la sua idea iniziale, e creare una situazione tipica dei gialli: molti indiziati, un solo assassino. Che uccide col Death Note, e non è Light. Ma un'altra persona, insospettabile, che ha fini completamente diversi.
Sorride. Forse credo di aver trovato la strada giusta.
Entusiasta, guarda fuori dalla finestra e scopre quanta lucentezza ora bagni il grigiore dei palazzi, rendendoli bianchi. Solo poco prima c'erano sprazzi di luce rossastra: ma l'aurora è scivolata via già da un paio di ore e il sole è allo zenit.
Caspita.
Il suono del campanello riverbera nel silenzio. Tsugumi si alza e si dirige verso la porta: la apre, ed ecco gli assistenti di Takeshi.
Sono due ragazzi appena maggiorenni col sogno di diventare mangaka. Dicono di sapere cosa significhi: poche ore di riposo e vita sociale che finisce nello sciacquone. E tanto, tanto lavoro. Ma i due non mollano, e sono determinati, tanto che Tsugumi rivede nei loro occhi quel bagliore che animava i suoi, fino a pochi anni fa.
L'uomo conduce gli assistenti nella zona dello studio che appartiene a Takeshi, quella dove sono ammucchiati pennini, retini, chine e tavole da completare.
Prima di sedersi, l'uomo guarda dalla finestra, e nello stesso istante il telefono riprende a suonare. Lui esita. Lo sguardo degli assistenti si posa curioso sulla sua espressione. È preoccupato, e sa di apparirlo.
“Be', perché non risponde?” gli chiede uno.
Tsugumi non dice una parola e si limita a dare un'occhiata al display del cellulare. Numero Sconosciuto.
Sospira, guarda dalla finestra. Decide di lasciare squillare, vuole rimanere in pace. Gli assistenti non chiedono nulla, e prendono in mano le tavole di Takeshi. Tsugumi apre i vetri per prendere un po' d'aria, e guarda la strada. Dopo qualche secondo lo sguardo gli scivola su una persona completamente vestita di nero, una macchia scura d'inchiostro nel fiume in piena della folla. Ha in mano un cellulare, e lo avvicina all'orecchio.
Il cellulare di Tsugumi squilla di nuovo.
E' solo un caso.
Sul display lampeggia il Numero Sconosciuto, che finisce tra le chiamate perse.
L'uomo in nero alza il capo verso Tsugumi. I loro sguardi si incrociano, e mentre l'uno rimane impassibile, l'altro si contrae in un'espressione di pura sorpresa.
Quelli sono i miei occhi, pensa Tsugumi. Quello è il mio naso, quella la mia bocca. Quello sono io.
Il telefono ricomincia a squillare per la terza volta. L'uomo risponde.
“Pronto?”
Le labbra dell'uomo in nero si muovono. “Mi hai trovato.”
“Vuoi dirmi chi sei?” sbotta Tsugumi, attirando l'attenzione degli assistenti. “Perché mi tormenti?”
“Mi hai trovato. Ma non del tutto.” L'uomo in nero chiude la chiamata e si muove via a passi lenti.
“Aspetta!” urla Tsugumi, ma lo sentono solo i due ragazzi. “Aspetta!”
Il mangaka infila il cellulare in tasca e si precipita verso la porta. L'attraversa di corsa e scende lungo le scale, sbucando nel gelo invernale senza neanche avere un cappotto che lo riscaldi. Ma non importa. Vede l'uomo in nero in lontananza, e quello vede lui. Comincia a correre.
E' mio.
Tsugumi si getta nella folla e non bada agli sguardi interrogativi che la gente gli lancia. La macchia nera è come la luce che emanano i pesci pescatori negli oscuri abissi marini: è ipnotica, e l'uomo non può fare a meno d'inseguirla. Finché, dopo pochi minuti, questa si ferma in un vicolo buio. E Tsugumi la raggiunge.

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Capitolo 4
*** Il labirinto d'oro ***


Capitolo IV
Il labirinto d'oro

 

Il vicolo è deserto, e buio. L'uomo in nero ha fatto un passo, e ora è un'ombra fra le ombre. Tsugumi guarda in ogni direzione, ma non vede nulla se non la strada che si perde nell'oscurità. Comincia ad accorgersi del freddo invernale che punge la sua pelle nuda.
Non è possibile. Non è possibile. È scomparso.
Il mangaka muove un passo indietro, ma poi si ferma e decide di entrare fra le ombre. Il buio si chiude intorno a lui, e una luce comincia a rifulgere in lontananza, attirando il suo sguardo. La luce cresce, si allunga e genera forme diverse ma sempre uguali, che si sommano all'infinito e finiscono per creare le alte mura di un labirinto dorato.
L'uomo in nero lo attende alla soglia. Sulle sue labbra affiora un sorriso, che scompare dopo alcuni istanti. “Non mi hai ancora trovato. Continua a cercare.”
Sto perdendo il lume della ragione. Prima le telefonate, ora questo: sto impazzendo. Io sto impazzendo.
“Avanti, seguimi.”
L'uomo in nero si getta nel labirinto dorato e Tsugumi non può far altro che guardarlo scomparire. Il mangaka non si muove, e rimane fermo a lungo senza compiere alcuna azione. Si limita a guardarsi indietro, dove rifulge una luce accecante che lo costringe a voltarsi. Non rimane che il labirinto, e l'unica cosa che può fare è addentrarvisi. Non ha alternative.
Ho perso il senno, si dice, mentre segue le orme dell'uomo in nero e supera la soglia del labirinto dalle mura d'oro. Tutto risplende di fronte a lui, e non appena percorre qualche metro scopre che il corridoio iniziale si divide in quattro. È costretto a scegliere. Non sa dove andare. L'uomo in nero potrebbe essere ovunque, e Tsugumi deve trovarlo.
Vai avanti.
Il mangaka segue la direzione già intrapresa, e continua dritto finché anche quel corridoio non si spezza in due.
Non finirò mai. Sono troppo lento.
Tsugumi comincia a correre e non deve più scegliere quale strada prendere. Non si sofferma più a pensare. Inforca corridoi a caso, ma passano i minuti e ancora non è successo niente.
Alla fine, Tsugumi si ferma e si guarda indietro. Non saprebbe più come tornare al punto di partenza.
Mi sono perso.
Ma ecco che, quando il suo sguardo torna a fissare la strada che si srotola dinanzi a lui, la luce diminuisce e fra le alte mura del labirinto calano le ombre.
Cosa sta succedendo?
Ora è tutto buio, e Tsugumi ha paura. Ovunque guardi, solo liquida oscurità. Il nulla assoluto.
Poi, da qualche parte balugina una nuova luce, e altre dai colori più diversi si aggiungono a questa per formare una grande immagine. E l'immagine si muove. È un ricordo.
Tsugumi ha cinque anni, e corre in un vasto prato. Le nuvole assumono nel cielo le forme più diverse, e il bambino si ferma per indicarne una. Dice qualcosa, ma non si capisce cosa. Sorride. Poi, subentra una nuova figura. Una bambina. Anche lei ride spensierata, e il suo sguardo ammicca sul viso di Tsugumi per poi tornare a guardare il cielo. Il ragazzino non se ne accorge, e continua a indicare forme nel manto azzurro, finché non decide di sdraiarsi sul prato umido di rugiada, e la bambina lo imita.
Oh, Sakura, pensa lo Tsugumi di oggi, immerso in un ricordo ormai dimenticato.
D'un tratto, il buio evapora e torna la luce accecante della mura dorate. Il labirinto si dispiega nuovamente ai piedi dell'uomo, e tocca a lui percorrerlo per trovar quel che cerca.
Ma cosa cerco, esattamente? L'uomo in nero?
Tsugumi conosce la risposta, ma non la formula e preferisce continuare a correre. I corridoi ne intersecano altri, e questi altri ancora, e più di una volta il mangaka ha la sensazione di aver percorso la stessa strada. Dell'uomo in nero, come al solito, nessuna traccia. Quando sente il respiro affannato, decide di fermarsi a riposare, e scoppia a ridere.
Dovrei scrivere, in questo momento! E guarda cosa mi trovo a fare! Va a finire che mi sveglio e scopro di essere finito in un manicomio!
La luce si spegne all'improvviso, come pochi minuti fa, e il riso di Tsugumi sparisce.
Poi subentrano quelle piccole luci colorate che formano una seconda immagine.
Qualcuno ha bussato alla porta di uno Tsugumi tredicenne. Il ragazzo corre ad aprire e scopre il viso di una ragazza che piange sotto la cornice di lunghi e lisci capelli neri.
“Sakura, cosa è successo?” chiede, facendo entrare l'amica.
La ragazza non apre bocca, e continua a piangere. “Hai un bicchiere d'acqua?” chiede.
“Sì, te lo porto subito. Ma cosa è successo?”
“Papà” balbetta Sakura.
Il ragazzo l'ascolta.
“Ha avuto un infarto, e” – singhiozza – “e non ce l'ha fatta.”
All'ingresso si avvicinano i genitori di Tsugumi, e si intravedono le ombre dei nonni che arrancano con una stampella nella stessa direzione. Sono tutti allarmati.
“Cosa?” sbotta la madre di Tsugumi, che non ha parole per descrivere ciò che prova.
Sakura continua a piangere, e il ragazzo le offre una spalla su cui riversare tutto il suo dolore mentre l'immagine scompare e al suo posto torna il labirinto dorato.
Anche lo Tsugumi di adesso trattiene le lacrime. Non pensa a quel momento da troppo tempo, e il suo improvviso riapparire riapre una vecchia ferita.
Qualcuno, da lontano, si schiarisce la voce. “Ehm, fuochino.”
Tsugumi si volta e guarda l'uomo in nero che scompare in un altro corridoio.
Forse tutto questo ha senso. Tocca a me scoprirlo.
E si getta sulle tracce dell'uomo in nero, deciso più che mai a scoprire ciò che nasconde.

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Capitolo 5
*** La prigione ***


Capitolo V
La prigione

 

L'uomo in nero è sempre di fronte a lui, una macchia scura che sfreccia fra i corridoi e sembra irraggiungibile. Le pareti del labirinto si stringono sempre di più, e Tsugumi quasi non riesce a respirare.
Un corvo si lancia in quella fessura di cielo che a stento si riesce a vedere. È nero, come l'uomo che lo sceneggiatore sta inseguendo. Ma non è solo: al volatile se ne aggiunge un altro, e un altro ancora, finché uno sciame oscuro ricopre il cielo limpido e le mura dorate si ricoprono di un riflesso nero. Il buio sta calando di nuovo, e Tsugumi solo ora capisce che sono i corvi a generarlo.
L'occhio della memoria torna a spalancarsi su di lui.
Lo sceneggiatore non è ancora diventato tale, e il suo corpo è quello di un adolescente. È chino su un foglio, e scrive. La sua postura è la stessa che in seguito avrebbe dato a L, ed egli non ricorda di essersi mai seduto diversamente. Quando posa la penna, rilegge ciò che ha scritto e sorride. Un racconto di poche pagine, per Sakura. Che ora è la sua ragazza. Che lui ama da morire e per la quale farebbe di tutto. A cominciare da un racconto, per esempio, come regalo per il loro primo anniversario di fidanzamento.
Tsugumi è deciso, e i suoi occhi brillano come diamanti. Si alza e svanisce oltre la porta per pochi istanti, facendo ritorno con una vecchia macchina da scrivere. Non ha mai visto un computer, se non in televisione, e i suoi genitori non possono permetterselo. Ma non gli importa: basta che possa trascrivere il racconto in una forma migliore, anche se non sa quanto tempo impiegherà: non ha mai usato una tastiera, e le sue dita potrebbero faticare a trovare il tasto giusto.
Battiti isolati spezzano il silenzio. Oltre la finestra le nubi scorrono e le ombre scivolano sul prato verde, e quando il ragazzo ha finito è passata un'ora. Prende i fogli, e, dopo aver avvisato i genitori, esce. Non è mai stato così contento.
I corvi risucchiano l'immagine, e il cielo torna limpido di luce.
Tsugumi li guarda mentre si sparpagliano nel manto azzurro e, senza rendersene conto, ora insegue loro, e non l'uomo in nero. Corre per minuti interi, ma i volatili non si riuniscono mai e il buio non cala più sulla luce dorata di quel posto metafisico.
D'un tratto, il mangaka vede giganteggiare qualcosa sul labirinto: un palazzo fatiscente, che si nasconde sotto una leggera foschia. Forse è quella la sua meta: il punto in cui convergeranno i corvi, e in cui lui troverà l'uomo in nero.
Come a confermare le sue ipotesi, gli uccelli gracchiano e il loro verdetto fa accapponare la pelle.
Anche se non ne può più di correre, Tsugumi decide di continuare perché è sempre più vicino a quel che voleva: e il diradarsi delle alte mura non fa che incoraggiarlo a proseguire.
Quando è più vicino, il palazzo in rovina appare più vivido e alle sue finestre sembrano affacciarsi sbarre di ferro. Delle crepe lo attraversano come ragnatele e l'edera ne ricopre una vasta superficie. L'edificio assomiglia a una prigione antica e abbandonata. E i corvi volano spediti verso di essa, finché non scompaiono nella foschia.
L'uomo continua ad avanzare, il fiato che gli manca. Ora anche lui è entrato nella nebbia, e dei bagliori dorati delle alte mura non c'è più traccia. Se guarda avanti, può cogliere solo il profilo del palazzo con le crepe che lo attraversano.
V'è silenzio.
Sembra spirare una corrente gelida, che punge la pelle nuda di Tsugumi e porta con sé uno strano odore. Non cattivo, ma proprio strano. Forse perché l'uomo lo conosce e lo rievoca dopo così tanto tempo che neanche ricorda dove l'abbia già sentito.
Non importa l'odore. Devi trovare una sola persona.
Lo sceneggiatore si guarda attorno per cercare una porta che conduca all'interno dell'edificio. Non la trova, sul fianco del palazzo scorge solo finestre sbarrate.
Fai il giro.
Il gracchiare dei corvi rompe il silenzio. Tsugumi guarda in alto, d'istinto: sopra di lui, dal cornicione della struttura sporgono i becchi dei volatili neri che si sono appollaiati sul tetto. I loro occhi spalancati sono fissi su di lui.
Non badare a loro. Trova l'entrata.
L'uomo fiancheggia la parete grigia e il velo di foschia gli impedisce una vista limpida della zona circostante. All'improvviso, un rumore lo spaventa. Si volge a guardarsi intorno, ma non vede niente; solo dopo si accorge di aver calpestato un ramo e il suo cuore torna a battere più lentamente.
Ma cosa ci fa qui un ramo? Non ci sono alberi.
La risposta giunge quando Tsugumi gira l'angolo: in lontananza si delineano i contorni rosati di un bosco di ciliegi. Il loro profumo si fa trasportare da quella soffice brezza.
Ecco qual era l'odore. Neanche mi ricordavo che profumo avessero gli alberi di ciliegio. Eppure, quando ero piccolo ero abituato a sentirlo.
La prigione. Il bosco di ciliegi. La foschia leggera che vela ogni cosa. La luce debole del sole che getta un chiarore tenue sul paesaggio. Tutto questo gli ricorda qualcosa.
Il mangaka china il capo e chiude gli occhi, delle lacrime gli scivolano sulle guance. Ora, ricorda tutto.
Lui è già stato lì, molto tempo prima, quando era ragazzo e viveva ancora in campagna. Vi era stato con Sakura.
Il giorno in cui ho deciso si andare via.
Apre gli occhi e si guarda attorno, come se nel paesaggio potesse scorgere l'esile figura di Sakura che scappava e la sagoma longilinea che gli era appartenuta da ragazzo inseguirla attraverso il prato fin dentro la prigione grigia, abbandonata.
La ragazza aveva varcato quella soglia in lacrime, con in mano un coltello. Senza un perché, spinta solo dalla confusione. Tsugumi l'aveva inseguita attraverso le scale di pietra rose dal tempo, finché non erano giunti all'ultimo piano, e si erano fermati di fronte a una delle finestre sbarrate. Una vecchia cella buia, toccata solo dalle lame rosate dell'alba che sfuggivano alla foschia.
“Non ti voglio parlare, maledetto!” aveva urlato Sakura. “Non ti voglio più vedere! Vattene! VATTENE, HO DETTO!”
“Sakura, ti posso spiegare!”
“Spiegare cosa? So tutto!”
“Non sai tutto.”
“No?” Lo sguardo della ragazza era scivolato sul suo. “Invece sì.” Aveva preso il coltello e lo aveva puntato contro Tsugumi.
“Che fai? È pericoloso, rischi di ferirmi...”
Ma Sakura aveva fatto scivolare la lama sul proprio braccio, e del sangue le aveva rigato la pelle nuda. Aveva sorriso.
“No! Che stai facendo?”
“Vattene!”
“Che stai facendo! Sakura, ti sei impazzita! Sakura!”
Un nuovo taglio, più deciso, più profondo. Il sangue che le aveva inondato le vesti.
“No!” Tsugumi si era gettato su di lei e aveva cercato di sottrarle il coltello, ma Sakura aveva cominciato a gridare.
Dei passanti, da fuori, avevano colto le urla. Tsugumi aveva guardato dalla finestra: stavano venendo verso di loro.
Alla fine, il coltello era finito a terra. E quando la ragazza aveva ricominciato a urlare, il giovane, in preda al panico, aveva deciso di scappare prima che qualcuno potesse pensare qualcosa di sbagliato. L'aveva lasciata lì, gemente, mentre delle ombre emergevano dalle scale e lui si calava da una finestra.
Tsugumi sbatte le palpebre e la scena scompare. Di fronte agli occhi ha semplicemente una vecchia prigione e un bosco di ciliegi. Una leggera foschia vela il tutto, la foschia che in quella zona è sempre presente al sorgere del sole.
L'uomo sospira, mentre qualcuno compare alle sue spalle e lo costringe a voltarsi.
“Mi hai trovato” dice l'uomo in nero.

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SPAZIO AUTORE:
Ringrazio veramente di cuore chi ha recensito finora la fanfic: Zuli Yuki, Rebl_fleur, Angel666, Aras13, Nickname CM.
E anche chi l'ha inserita fra le seguite: Amaterasu82, Angel666, Nickname Cm, Rebl_fleur. 
E, infine, chi l'ha inserita fra le preferite: Zuli Yuki, Lupa nera.

La verità è che scrivo questa storia per chi ha voglia di sentirla, e se non ci foste voi narrare questa fanfic non avrebbe senso. Per cui, grazie. Non lo sapete, ma siete uno stimolo.


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Capitolo 6
*** Ryou ***


Capitolo VI
Ryou

Tsugumi non dice una parola. Non ne ha. La testa gli fa male, agli occhi si affacciano lucide lacrime. Ha trovato l'uomo in nero. Ma non importa: nulla importa più. Crede che impazzirà, se non è già impazzito.
Non sa che fare: ha lo sguardo basso ed evita di guardare il volto di quella persona. Quella persona che ha i suoi stessi occhi, le sue stesse labbra, i suoi stessi capelli, i suoi stessi occhi: ma si nasconde sotto vesti scure. “Ti ho trovato” ripete il mangaka.
L'uomo in nero sorride. “Ora chiedimi ciò che vuoi sapere”.
Tsugumi alza lo sguardo. È come guardarsi in uno specchio. “Perché mi perseguiti?” chiede, la voce flebile.
“No, no. La domanda è un'altra.”
Silenzio. Tsugumi non riesce più a trattenersi. Nella mente affiorano mille ricordi: come un fiume, lo travolgono e lui non può resistere alla loro forza dirompente. Scoppia in lacrime. Vorrebbe parlare, ma ha il fiato spezzato e una gran confusione.
Perché è lì? Questa è la domanda?
Oppure: questo è un sogno?
Ha perso il senno?
Ma Tsugumi stesso sa cosa intende l'uomo in nero.
“Fai quella domanda” ordina l'uomo in nero, sorridendo.
Il mangaka non riesce a guardarlo negli occhi. Quegli occhi che dovrebbero appartenere solo a lui. Muove le labbra, in silenzio, esitando. Quindi, con una flebile voce, dice: “Chi sei tu?”
L'uomo in nero fa un passo in avanti. Non risponde.
“Chi sei tu?” urla Tsugumi, piangendo.
“Mi chiamo Ryou.”
Cade il silenzio.
Il mangaka non sa cosa dire. Un nome, un nome familiare. Un nome dimenticato, che affiora d'improvviso alla memoria.
“Io mi chiamo Ryou” dice Tsugumi. “Questa era il mio nome. Così mi chiamavano.”
“No. Così chiamavano me, solo me” dice l'uomo in nero.
“Non riesco a capire”
“Sì che riesci a capire.”
“No!” urla Tsugumi. “Sto impazzendo! Cosa vuoi da me? Perché mi perseguiti? Perché hai il mio stesso aspetto, dici di avere il mio stesso nome?”
“Noi ci conosciamo.”
“No!”
“Sì. Noi ci conosciamo da tanto tempo. O meglio, tu una volta mi conoscevi. Vivevi ancora in campagna, nutrivi ancora dei sogni. Amavi una ragazza che si chiamava Sakura, e avevi intenzione di sposarla.”
“Cosa c'entra questo?”
“Tu. Chi. Sei?”
Il mangaka esita. Una domanda semplice: e lui non sa come rispondere. “Ryou è il mio nome, ma ora molti mi chiamano Tsugumi.”
“Tu non sei Tsugumi. Quel nome non ti appartiene.”
“Cosa vuoi dire con questo?”
“Non ti appartiene questa vita. Non è quello che davvero volevi.”
“Volevo il successo.”
“Volevi vivere.”
Ancora silenzio. Tsugumi non sa cosa pensare, come rispondere. “Ho ottenuto esattamente ciò che volevo.”
“E dimmi, allora: sei felice?”
“Sì.”
“Il tuo sguardo tradisce le tue parole. Stai mentendo. Ripongo la domanda: sei felice?”
Tsugumi abbassa lo sguardo. “Non lo so.”
L'uomo in nero indica la prigione. “Cosa è successo fra quelle mura, Ryou?”
Tsugumi non viene chiamato da troppo tempo con quel nome: il cuore sussulta. E vengono richiamati ricordi sopiti.
Cos'è successo, Ryou?
Sakura...
Perché ha fatto quel che ha fatto, quel giorno?
Perché...
Perché?
Perché lei aveva letto nel mio diario. Che l'avrei lasciata, e sarei andato a vivere a Tokyo.
Come hai potuto fare una cosa del genere? A Sakura, che tu amavi? Che tu sognavi di sposare, e che senza di te era persa? Sapevi che lei era bipolare, che sarebbe crollata in quel modo. Che si sarebbe fatta del male.
Ryou sente scivolare lucide lacrime sul viso. Vede l'uomo in nero avvicinarsi ancora di più. Le loro labbra si toccano, solo per un momento.
Poi tutto cambia, e calano le ombre.
Ryou non vede più alcuna prigione, alcun uomo. È solo, in quel vicolo buio. E forse, da quando ha visto per l'ultima volta Sakura, lo è sempre stato.

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Capitolo 7
*** Scompaio ***


Capitolo VII
Scompaio


Scompaio, pensa Ryou.
Percorre con passo lento e pesante la strada che lo porterà allo studio. In un certo senso, svanire non serve: nella folla, lui è già invisibile. Una persona che non conta nulla. Un numero. Uno spettro che lascia una traccia silenziosa ed evanescente in un luogo lontano.
A nessuno importa davvero di lui.
Chi scompare? Ryou o Tsugumi?
Forse entrambi. Io non sono un nome. Sono una persona che soffre, ride, piange e ama – che ha amato.
Una persona, soprattutto, che ha dimenticato.
Quando varca la soglia dello studio, Ryou pensa di ritrovarsi in un ambiente vuoto. Invece ecco gli assistenti: sono dove li aveva lasciati, gli sguardi incerti, gli occhi tremanti.
Mi guardano come se fossi impazzito.
Non dice una parola, Ryou. Gli assistenti continuano a esitare. Anche loro, tacciono: sulle loro labbra affiora una parola, folle, ma nessun suono l'accompagna.
Ryou giunge di fronte alla scrivania.
Anche L mi guarda come fossi impazzito. I suoi occhi indagatori, il suo sguardo tagliente e provocatorio.
Ma L non esiste.
E' grazie a personaggi come lui che ho raggiunto il successo.
Che Tsugumi ha raggiunto il successo.
Che tutti mi conoscono.
Ma nessuno sa chi sei.
Sulla scrivania, nel disordine più completo, giacciono pennelli, tavole e chine. Ryou prende un calamaio pieno d'inchiostro.
Sorride.
Il calamaio si disintegra sul viso di L; frammenti di vetro volano in ogni direzione, taglienti, come migliaia di piccole scintille. L'inchiostro si riversa sul poster e in pochi secondi parte del muro è come ricoperta di un sangue grumoso, scuro e viscido.
Il sangue di un personaggio di carta.
C'è anche sangue vero, però. Mille ferite infiammano viso, collo, braccia e mani di Ryou: costellate di piccolissimi frammenti di vetro, disegnano macchie cremisi che si spandono e scivolano sul pavimento.
C'è una piccola pozza rossa, ora, per terra.
L'uomo digrigna i denti.
Scompaio.
Alle sue spalle, ancora integra, c'è la collezione di tazze. A passo lento, Ryou la raggiunge. Nel silenzio. Un silenzio assordante.
Gli assistenti non sanno cosa fare. Gridano: “Cosa stai facendo, Tsugumi?”
Ma Ryou non risponde.
Non risponderà più a quel nome.
“Sei impazzito?”
“Andatevene!” urla l'uomo. La sua voce squarcia il silenzio, fa tremare i vetri delle finestre, il cristallo che si interpone fra lui e le tazze.
Gli assistenti scappano; si sente il rumore della porta che sbatte.
Ryou dissemina il suo sangue ovunque. Tante macchie rosse, sempre più numerose, sul pavimento. Come fiori che sboccino per ricoprire di nuovo colore un prato antico.
Ryou apre la bacheca.
Poi Ryou estrae una tazza.
E su quella tazza c'è un disegno.
È il disegno di un albero di ciliegio.
Che va in frantumi, quando l'uomo decide di lasciare la presa. Altri piccoli frammenti scivolano ovunque, e arricchiscono il pavimento di nuove sfumature. Ora è tutto bianco e rosso. Da qualche parte si vede del rosa.
Torna il silenzio.
Ryou torna a guardare il mobile.
Poi Ryou vi si getta contro.
E il mobile si rovescia a terra, e altri piccoli, piccolissimi frammenti di cristallo, ceramica e legno si riversano ovunque, rimbalzando ovunque, come biglie, come stelle, come scintille.
E Ryou grida per il dolore.
Per la disperazione.
Il dolce viso di Sakura squarcia i suoi ricordi, infiamma la sua mente, tortura la sua anima. La prigione, il sangue che scivolava dalle braccia della ragazza e si spargeva ovunque. Come ora.
Tutto era cominciato nel sangue, e nel sangue tutto sarebbe finito. Nel sangue di Tsugumi.
Tutto quanto..
Ora.
Scompaio, pensa Ryou. Scompaio, scompaio...
Si guarda attorno. È ferito, ma il dolore non lo fermerà.
Scompaio. Non ci sarò per nessuno. Ho bisogno di una pausa. Ho bisogno... di ricominciare.
E Death Note? Qualcuno dovrà pur scrivere la serie: ci sono di mezzo lo Shonen Jump, la carriera di Takeshi. Non puoi fare questo a Takeshi. Ai migliaia di fans che hai in tutto il mondo.
Non mi importa.
Ryou decide che sparirà da Tokyo: tornerà nel suo paese natale, un lungo pellegrinaggio che lo ricondurrà sulle orme della sua gioventù. Per ricordarsi di chi è stato. Di chi è.
Si avvicina alla scrivania, attraversando il cimitero di frammenti e di sangue del pavimento. Recupera una penna, un foglio che non sia sporco.
Scrive questo:

«La serie è interrotta.
Takeshi, mi dispiace.
Chiedo solo questo: non cercatemi.»

Lascia il foglio sulla scrivania. Poi attraversa di nuovo lo studio. Cerca del disinfettante. Dei cerotti. Si deve medicare.
Trascorre mezz'ora.
Nessun frammento di vetro è rimasto intrappolato nelle ferite: e nessuna delle ferite è profonda. Sono tante, ma per fortuna sono piccole e superficiali.
Trascorre un'ora.
Nello studio Ryou ci ha praticamente vissuto: quasi tutti i suoi effetti personali si trovano fra quelle mura. Recupera una valigia, e vi butta dentro biancheria, vestiti e quante altre cose gli serviranno.
Trascorre un'ora e mezza.
Ryou recupera anche il denaro. Ha liquidità sufficiente per affrontare il viaggio: non sa come se ne procurerà altro. Ma tanto basta.
Ryou chiama un Taxi.
Poi Ryou butta il cellulare nel cesso.
Si allontana, valigia al seguito. Scende le scale, nel silenzio, e quando si ritrova per la strada, è più sicuro che mai. Non si preoccupa che qualcuno noti le piccole ferite che tempestano il suo volto e le sue mani. È invisibile, nella folla di persone che come un fiume travolge Tokyo.
Gli viene in mente una frase. L'aveva pronunciata qualche filosofo: ne aveva sentito parlare in un suo viaggio in Grecia.
Panta rei.
“Tutto scorre.”
Il taxi arriva e si ferma a pochi metri da lui. Il traffico è bloccato: il tassista lo esorta a salire al più presto.
“Dove è diretto?” chiede poi, quando Ryou è salito a bordo.
“All'aereoporto.”
Mentre il taxi raggiunge la destinazione, Ryou chiude gli occhi. Quasi, si addormenta. Alla radio passano un pezzo di musica classica. Forse Mozart. Il brano lo culla, lo accoglie: e a metà fra il sogno e la veglia, Ryou è sicuro di sognare.
Sogna che Sakura lo attende.

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