Quando un volo ti cambia la vita

di Nyktifaes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo rivisto e corretto.

                  

                        

Beh, innanzitutto grazie per essere entrate/i! Questa storia mi frullava in testa già da qualche tempo e ho sentito il bisogno di pubblicarla! Mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate, visto che è da questo che dipenderà il proseguimento della storia. 
Buona lettura!!
Vero

 

 

 

I capitolo



«Si avvisano i gentili passeggeri che il volo 765489 delle ore diciannove, con direzione Seattle, Stato di Washington, è in partenza».

Salutai per l’ennesima volta mia madre Renée, dopo averle giurato ancora e ancora di chiamarla ogni settimana e di mandarle almeno tre mail al giorno. Baciai la guancia di quella donna dai tratti ancora estremamente infantili, che era mia madre, e salii sull’aereo. Una volta seduta, la osservai dall’oblò. Era completamente concentrata nell'osservazione del mezzo, probabilmente tentava di autoconvincersi che fosse in grado di portare a destinazione e, possibilmente, viva e vegeta, la sua bambina. Un uomo in uniforme le si avvicinò e, dopo aver parlottato un po’, le fece segno di allontanarsi. Renée non sembrava per niente contenta, ma fu costretta ad obbedire. Scossi il capo, non poteva certo restare vicino ad un aereo che si preparava al decollo. Ma Renée era così: sprovveduta e apprensiva allo stesso tempo. E decisivamente cocciuta, anche. Sì, perché la mia cara mamma – non compresi mai in che modo – era riuscita ad avvicinarsi al mezzo prima della mia partenza. Avevo fatto il checkin, attraversato la porta scorrevole che conduceva alla pista e me l'ero ritrovata davanti, sorridente e vittoriosa come una bambina che è finalmente riuscita ad ottenere un nuovo e agognato giocattolo.

Continuavo ad osservarla mentre, scortata dall’uomo in divisa, rientrava nell’edificio principale dell’aeroporto. I biondi capelli erano scompigliati dal vento e potevo facilmente immaginare l’espressione imbronciata del suo volto e i suoi occhi, azzurri quanto il mare in una calda giornata estiva, avviliti. Era il mio opposto: lei bionda con occhi blu, io mora con occhi cioccolato. Lei solare, impulsiva ed estroversa. Io timida, seria e responsabile. Si era da poco sposata con Phil, un giocatore di baseball di leghe minori e, poiché lui viaggiava molto, soffriva nel dover stare a casa con me e lontana da lui. Ma, d’altra parte, non sopportava l'idea di lasciarmi sola per seguirlo. Avevo quindi deciso che era arrivato il momento di andare ad abitare da mio padre, nel nord-ovest dello Stato di Washington, nella penisola d’Olympia, più precisamente in una minuscola cittadina di tremila e qualche abitante, Forks.

Ed è un bel salto di qualità se si pensa che avevo vissuto per anni a Phoenix, capitale dell'Arizona, e che mi stavo trasferendo in un paesino sperduto nel quale l’intera scuola superiore contava solamente poco più di trecento alunni. Da Phoenix, una delle città più calde e assolate dell’America, a Forks, capitale della pioggia e del muschio.
Mi riscossi quando la voce di una hostess avvertì i passeggeri dell’immediata partenza e solo allora mi resi conto che erano parecchi minuti che fissavo fuori dall’oblò, e che un altro passeggero si era accomodato nel posto accanto al mio.

Un uomo biondo, dalla pelle estremamente pallida, teneva le mani sulle gambe e, anche da seduto, potei capire che doveva essere alto. Si voltò e mi sorrise. Non avevo mai un sorriso così bello, o un volto così bello. Avrebbe fatto invidia a qualunque star di Hollywood.

«Salve! Perdonami, non ti ho nemmeno chiesto se potessi sedermi, ma non volevo interrompere il filo dei tuoi pensieri. Il posto è libero?», mi chiese gentilmente, accennando alla poltrona dov’era seduto. Osservandolo in volto la mia attenzione venne catturata dal singolare e quasi innaturale castano dorato dei suoi occhi. Non ne avevo mai visti di quel colore, prima.
«No, stia tranquillo e mi scusi per non averle prestato attenzione», risposi, mentre le mie guance si coloravano leggermente. Non ero certa però che l'imbarazzo fosse causato solamente dalla mia sbadataggine: quell'uomo mi metteva in soggezione. 
«Figurati, ma dammi pure del tu, non sono poi così vecchio!». Come se non potesse farne a meno, ridacchiò. Mi porse la mano. «Carlisle». 
«Bella».
Gli strinsi la mano e fui percorsa da un brivido: la sua pelle era terribilmente fredda. Anche nell’abitacolo, pur essendoci l’aria condizionata, c’erano almeno venti gradi. Continuai a osservarlo – era difficile distogliere lo sguardo – e, mentre era impegnato a frugare nella sua borsa, notai che davvero non doveva essere molto più grande di me. Doveva avere venticinque anni, al massimo. C’era qualcosa, però, in quello sguardo profondo e nel sorriso cordiale che lo invecchiavano di parecchio.
«Sei sola?».

Annuii.

«Se non sono indiscreto, per quale motivo vai a Seattle in pieno Gennaio, e pure da sola?». Sembrava sinceramente preoccupato per me, come un padre, così gli risposi.
«Vado ad abitare da mio padre, a Forks, nella Penisola di Olympia. Non so se conosci la cittadina, è molto piccola».
Dare certe informazioni ad uno sconosciuto non è certo una scelta saggia, eppure c'era qualcosa nel suo sguardo che mi impediva di mentirgli.  
«Davvero? Che coinc-». Dal suo cellulare arrivò un trillo e lui si interruppe: un messaggio. Lo lesse e aggrottò la fronte, un cipiglio pensieroso si formò sulla fronte marmorea, mentre osservava intensamente il display.
«Scusa, Carlisle, ma quello dovresti spegnerlo, per sicurezza. Non vorrei morire in questo aereo per colpa di un telefono!», gli dissi sorridendo ironicamente, ma lui mi osservò in viso più del dovuto e il mio sorriso vacillò. Poi annuì, forse più a se stesso che a me.
«Sì, hai ragione».

Mi sorrise, poi prese un libro dalla valigia che aveva con sé e cominciò a sfogliarlo. Mi accomodai meglio sul mio sedile e mi preparai a recuperare le ore di sonno che avevo perso quella notte, impegnata com'ero a preparare le valigie.

 
Mi risvegliai di soprassalto con la sensazione di essere sbalzata. Mi aggrappai alla base della poltroncina, spaventata. Impiegai qualche secondo per ricordare che sedevo su un sedile e che mi trovavo su un aereo. È sorprendente quanti dettagli si possano registrare in pochi secondi di panico. Ricordo perfettamente i visi spaventati dei passeggeri, la hostess che si aggrappava ad una fila di sedili, la mascherina che usciva dal soffitto dell’aereo, a un soffio dal mio viso, un boato. E poi il buio.
 


Annegavo nelle acque buie di un lago profondo. Tentavo di risalire in superficie, ma più mi agitavo più finivo sotto, sempre più in basso.
Dolore.
Un improvviso, acuto e mai avvertito dolore mi riportò velocemente in superficie. Spalancai gli occhi, ma non vidi nulla. Pensai di essere ancora avvolta dalle acque nere. Avvertivo delle fiamme avvolgermi, mi laceravano la carne e incendiavano ogni mia cellula. Eppure solo l'oscurità mi circondava e il fuoco non brucia sott’acqua.

Poi capii. Le fiamme venivano dall’interno del mio corpo, erano dentro di me. Il rogo si sviluppava dal cuore e si estendeva, allo stesso tempo, lentamente e velocemente, in tutto il corpo.

Avvertii un suono stridulo e potente, che mi infastidì, un urlo? Il bruciore alla gola, intensificato dal fuoco, fu il chiaro segnale che ero stata io stessa ad emetterlo. Avvertii qualcosa di freddo sulla mano destra. La cercai tra le fiamme e mossi le dita. M'immobilizzai immediatamente, il fuoco pareva intensificarsi ad ogni mio più piccolo movimento. Eppure, ne ero certa, qualcosa stringeva la mia mano. Cercai di concentrarmi su di essa, di non pensare al fuoco, di visualizzare la stretta che la avvolgeva… Era forte, molto forte, ma gentile. Un leggero spostamento d’aria.
«Perdonami».

Qualcuno mi aveva soffiato vicino all’orecchio, una voce conosciuta, melodiosa. La ricollegai a due gemme dorate, incastonate ad un viso bellissimo. Sapevo chi era! Era… Il suo nome era…

«Carlisle», lo chiamai. Ma la mia voce era troppo bassa, troppo debole. Ma lui doveva sentirmi, doveva aiutarmi e spegnere l’incendio!
«Perdonami, ti prego».

Avvertii un altro spostamento d'aria e la sua presenza accanto alla mia testa. Che si fosse seduto? Questo doveva voler dire che mi trovavo distesa, quasi certamente supina. Concentrandomi sulla schiena, o le braci che ne rimanevano, avvertii qualcosa di duro e umido. Terreno? Una brezza leggera, che comunque non serviva a darmi sollievo dalle fiamme, mi sfiorava il volto. Dovevamo trovarci all'aperto.  
Mi prese una mano e continuò: «Perdonami, era l’unico modo per salvarti la vita. Non avrei voluto dannarti per l’eternità, ma stavi morendo e… No, comincio dall’inizio». In quel momento un altro urlo proruppe dalle mie labbra, il fuoco si intensificava sempre di più. La poca luce presente – la luna, forse? – mi permetteva ora di scorgere i tratti del suo viso. Era piegato dal dolore e i suoi occhi, brillanti nell’oscurità, colmi di rimorso.

«Perdonami», ripeté. Lo guardai dritto negli occhi: doveva spiegarmi cosa stesse succedendo. Per quanto il dolore occupasse la maggior parte della mia mente, e quasi mi impedisse di pensare ad altro, avevo bisogno di risposte. E di tentare di distrarmi dal fuoco che mi logorava. Prese un profondo respiro.
«Bella, io sono nato a Londra nel 1640 e… sono un vampiro».

Ammutolii.

Per un attimo mi parve che anche il dolore fosse cessato.

Mi sbagliavo.

Urlai, mentre il fuoco divampava con maggior forza nelle giunture. Mi imposi di ascoltare, tentando di non pensare a quanto assurdo mi sembrasse tutto ciò. Sapevo di non avere nemmeno la minima possibilità di scappare, il fuoco non me l’avrebbe permesso. Vampiri, roba da pazzi!
«Lo stai diventando anche tu Bella, il dolore che senti è dovuto alla trasformazione in immortale. Tra tre giorni il fuoco cesserà e sarai molto più forte, veloce, intelligente e… pallida. I vampiri si nutrono di sangue, sono, siamo, freddi». E rafforzò la stretta sulla mia mano.
Continuavo ascoltarlo scettica e convinta di ritrovarmi davanti un matto. Nonostante il fuoco, il mio cervello lavorava speditamente. Era pericoloso? Il pensiero, in quel momento, fu talmente assurdo che non mi fossi trovata a soffrire le pene dell’inferno, probabilmente avrei riso. Non c’era niente peggio del fuoco, niente. E in quel momento avrei preferito qualsiasi cosa, anche la morte per mano di qualcuno convinto di essere un vampiro, pur di fare finire l’incendio.

Eppure, proprio a causa del fuoco, una parte di me non poteva fare a meno di credere alle sue parole. Esisteva una motivazione razionale al dolore che stavo provando? Per un attimo abbandonai la realtà e la razionalità. Cercai di convincermi di poter diventare una vampira, mi immaginai nelle vesti di una creatura immortale bevitrice di... Inorridii.

I vampiri si nutrivano di sangue, sangue umano. Il terrore e il disgusto dovevano essere evidenti nel mio sguardo, perché Carlisle continuò:
«Aspetta, non trarre conclusioni affrettate! I vampiri possono nutrirsi anche di sangue animale, è possibile vivere senza uccidere esseri umani, proprio come facciamo io e la mia famiglia. Siamo come… una sorta di “vegetariani”. Ma di loro ti parlerò più tardi. Vedi Bella io ho-». Ma dovette interrompersi a causa del mio, ennesimo urlo.

Tentavo in tutti i modi di soffocare le grida, per permettergli di continuare a parlare, ma non riuscivo nemmeno a concentrarmi sulla sua voce, tanto il dolore si stava intensificando
«Perdonami, ti prego. Prima della partenza una vampira, che considero come figlia mia, ti ha "vista" trasformata in vampira, membro della nostra famiglia. Poi quando l’aereo ha perso quota e siamo precipitati ho capito che dovevo… salvarti, per così dire».
Assimilai quelle parole e per quanto poco mi permettesse il dolore, tentai di rifletterci sopra. L’aereo su cui viaggiavo è precipitato, sto diventando una vampira e mi nutrirò di sangue. Una veggente ha previsto ciò che sarebbe successo e ora sono qui a contorcermi in un fuoco che mi brucia da dentro e un uomo che nemmeno conosco tenta di rassicurarmi sul fatto che potrò essere “vegetariana”.

Decisamente non si trattava della mia normale routine. Non riuscivo più a riflettere, desideravo solo che chiunque spegnesse il fuoco, anche uccidendomi, non mi sarebbe importato.
Carlisle dovette capire in che condizioni versavo perché non parloò più, limitandosi a tenermi stretta la mano tra le sue.
Rimase accanto a me durante i tre giorni della trasformazione, assistendomi nel dolore e rispondendo ad ogni mio urlo con un “perdonami” appena sussurrato, intriso di sofferenza.
 

 

 

Ehi, siete arrivati fin qua?! Bravissimi/e  xD 
Ricordate:è dimostrato da studi odierni che recensire fa estremamente bene alla salute del corpo e dello spirito! (?)
A presto,
Vero

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo rivisto e corretto

 

 

Diciassette recensioni?! Un commento?! Quattordici preferiti?! Trentacinque seguiti?!
WOW, ragazze/i ma siete meravigliose/i!! Non mi aspettavo un successo del genere! Vi giuro che sto morendo dalla felicità! Mi avete fatto mille complimenti, a mio parere immeritati, nelle recensioni da farmi sembrare un coniglio di Pasqua in miniatura, saltellante per tutta la casa :D Dovete sapere che io sono molto giovane, in confronto a molte di voi e sapere che pensate che quello che scrivo sia anche solo decente… Beh… Per me è tanto!
Ma bando alle ciance e via alla lettura!
Riporterò nelle note finali i nomi delle meravigliose creature che mi hanno resa felicissima!
Ci leggiamo a fine capitolo ;)
Vero

 

 


 
II capitolo
Avevo perso la cognizione del tempo, non riuscivo più a capire quanto fosse passato dall’inizio del processo di trasformazione e quanto mancasse alla fine dei tre giorni stabiliti. Ricordavo d’aver più volte supplicato Carlisle di uccidermi, per far smettere quella tortura, ma lui mi chiedeva di resistere, mi sussurrava parole di conforto e si scusava per quello che stavo provando.  
Così, quando il fuoco sembrava leggermente attenuarsi, pensai che fosse giunta la mia ora. Finalmente avrei smesso di soffrire. Lentamente, il fuoco stava abbandonando le mani e i piedi, le giunture principali, per riversarsi nel petto. Non avrei mai creduto che un cuore potesse battere così forte, che potesse sopportare tanto dolore. E infatti, all’apice della sofferenza, mi sollevai appena dal terreno, spinta dal fuoco. Sperai nella morte, perché nemmeno l’inferno sarebbe potuto essere peggiore.

Infine, il mio cuore cessò di battere. Per sempre.
Ma non ero morta.  
Aprii gli occhi sulla mia nuova vita e rimasi qualche secondo ad osservare il cielo. Era grigio, quasi plumbeo, a causa della presenza di una massa infinita di nuvole. Ma era normale perché eravamo in… inverno, giusto? Mi resi conto di non essere sola. Il vento mi portò l’odore dolce di… non sapevo esattamente di cosa fosse, non avevo mai avvertito un profumo simile prima d’allora e una piccola parte del mio cervello l’analizzò. Nel giro di un ottantesimo di secondo il mio corpo reagì irrigidendosi. In un decimo di secondo mi ritrovai a dieci metri di distanza, acquattata, mentre dalla mia bocca usciva uno strano sibilo, simile ad un ringhio, nato nel petto, che risuonò potentissimo tra gli alberi. Precedentemente mi trovavo supina, esposta e vulnerabile. Mi resi conto solo allora di quanto fosse intollerabile quella sensazione. La cosa più sorprendente fu accorgermi che durante il movimento velocissimo, avevo continuato a vedere perfettamente il paesaggio circostante, come fossi rimasta ferma. Un’altra parte del mio cervello si occupò dell'analisi di quella stranezza, affascinata dalla mia nuova rapidità. Il vento, inoltre, aveva portato anche un altro odore, più pungente e forte. Forse avrebbe piovuto.

Un uomo biondo si trovava a quindici metri da me, in posizione rilassata. L’espressione e la postura erano quasi forzate, come se si forzasse di mostrarsi così innocuo. Riconobbi in lui Carlisle, ma questo non mi permise di lasciare la posizione di difesa. Come mosse un passo nella mia direzione emisi un altro ringhio, istintivo, allontanandomi di tre passi.

La mia mente l’aveva automaticamente classificato come un pericolo, l’unico nel raggio di mezzo chilometro. Senza realmente volerlo avevo già elaborato sette diversi piani di fuga.
«Bella, non voglio farti del male!».

Un altro passo avanti. Questa volta portò le braccia avanti, i palmi rivolti verso di me, sembrava voler aggiungere “vengo in pace”. Non mi allontanai.

«Perché dovrei? Ora sei forte e veloce, molto più di me». Mi si avvicinò ancora e accennò un leggero sorriso. Non parlai, mi limitai ad osservarlo. Era ancora più bello di quanto ricordassi, solo ora potevo vederlo davvero. Ogni più piccolo particolare del suo viso era perfetto, quasi luminoso. Provai la strana sensazione di aver bisogno di strizzare gli occhi, come davanti al sole.
Abbandonai la posizione di difesa e raddrizzai la schiena. Incerta, mossi un passo verso di lui. Per quanto tutto dentro di me gridasse di allontanarmi, la piccola parte sopravvissuta del mio essere razionale mi obbligò a porgli l’unica domanda davvero importante.
«Cosa… cosa sono diventata?».

Un trillo, simile al suono di mille campane, melodiose e perfette, uscì dalle mie labbra. Le sfiorai, stupita. Era la mia voce? Carlisle parve capire il mio stupore e mi rispose con un sorriso.
«Lo so, il primo periodo è difficile, ma vedrai che in poco tempo ci farai l’abitudine», poi, prendendo un profondo respiro e abbandonando il sorriso, continuò: «Sei diventata una vampira, Isabella. La trasformazione è terminata».
Continuai ad osservarlo, mentre le sue parole rimbalzavano nella mia testa. Una vampira. Allora non l’avevo sognato, tutto ciò che mi aveva detto non era stata un’allucinazione dettata dall’agonia del fuoco.

Rievocare gli ultimi tre giorni, che di certo non potevo aver immaginato, mi causava un vero e proprio dolore fisico. Rimasi stupita: i ricordi non bruciano le membra, non arrivano fino alle ossa.
Cercai di capire in che altro modo fosse cambiato il mio corpo.

Mi osservai le mani: erano molto più pallide di quanto non fossero prima, nei muscoli tesi avvertivo una sorta di forza bruta, grezza. La sentivo scorrere nelle braccia e nelle gambe, anche nell’immobilità più totale.

Improvvisamente un dolore, simile a quello della trasformazione, mi colpì alla gola. Per un attimo fui terrorizzata dall'idea che il rogo potesse ricominciare. Portai entrambe le mani sul collo, stringendolo. Tentavo di spegnere il fuoco dall'esterno. 
«Lo so, fa male. È la sete Bella, devi andare a caccia». Sorrise amaramente e mi invitò a seguirlo. Non avevo idea di dove stessi andando, né di cosa avrei fatto. Ma Carlisle sembrava intenzionato ad aiutarmi e io non potevo attendere oltre. Ero certa che sarei morta se non avessi bloccato immediatamente il bruciore alla gola.

Corremmo nel bosco e mi resi conto che, senza alcuno sforzo fisico, gli ero accanto. Lo superai disinvolta, come se correre a oltre centotrenta chilometri orari fosse la cosa più naturale del mondo.  
Mi lasciai andare all’istinto.

Chiusi gli occhi, in attesa.

Un odore dolce, caldo, che prometteva di mettere a tacere il fuoco che mi bruciava in gola, attirò la mia attenzione. Dallo stesso punto arrivava il suono di un forte cuore. Senza riflettere, andai incontro alla mia preda: un puma. Senza troppe cerimonie gli balzai addosso, preda dell’istinto, e lo morsi al collo. Arrivai con facilità all’arteria pulsante, gli strati di pelle e muscoli del suo corpo erano come burro, sotto i miei denti. Bevetti con avidità e ferocia il prezioso nettare che fuori usciva dalla sua carne. Troppo velocemente il puma smise di muoversi e il suo cuore di battere. Lasciai andare la carcassa e mi guardai le mani e i vestiti, mezzi lacerati nella lotta contro l'animale e sporchi di sangue. Inorridii a quella vista. Ero stata io ad ucciderlo?
Carlisle mi fu subito accanto e, poggiandomi una mano sulla spalla, mi disse:
«Bella, o loro o gli essere umani. Lo so che è qualcosa di… mostruoso e per questo ti chiedo perdono… Ma davvero era l’unico modo per permetterti di continuare a “vivere”, almeno in parte. E poi, Bella… puoi scegliere. Non ti obbligo di certo a vivere da “vegetariana”, puoi decidere di intraprendere la dieta classica».
Ritornai a due giorni prima, quando mi aveva parlato della sua famiglia. Loro erano diversi dalla maggior parte dei vampiri, non uccidevano gli esseri umani per sopravvivere. Scossi il capo, disgustata. Senza dubbio l’idea di uccidere degli innocenti era peggiore di quella di cibarmi di animali.

«Carlisle, non ho la minima intenzione di uccidere delle persone per vivere».

Di nuovo, lo scampanellio della mia voce mi suonò estraneo. Lui accennò un sorriso soddisfatto.

«Bene. Non ho mai visto un vampiro di poche ore capace di parlare e ragionare con così tanta padronanza di sé».

Lo guardai senza comprendere.

«Di solito, i giovani vampiri sono troppo assetati per pensare a qualcosa che non sia il sangue. E, essendo molto più forti e veloci dei vampiri maturi, sono difficilissimi da controllare».

Si aspettava una pazza furiosa pronta a divorare chiunque le capitasse sotto tiro? Mi presi un momento per riflettere, per ascoltare nuovamente la forza grezza negli arti. Non mi sentivo per niente senza controllo. Sorrisi, evidentemente era un’ottima cosa.

Dovetti ricredermi quasi subito: il fuoco tornò repentino a bruciare nella gola. Ero di nuovo frustrata e assetata. Carlisle, ovviamente, capì.
«Sta' tranquilla, come ho detto sei giovane e per questo motivo hai bisogno di molto sangue. Torna pure a cacciare, non c’è nessun umano nelle vicinanze».

Seguii immediatamente il suo consiglio.

Nel giro di poco tempo uccisi due grossi alci e, finalmente, mi sentii sazia.

Seguii il suono dello scrosciare dell’acqua e arrivai ad un ruscello: il sangue ormai ricopriva interamente i miei vestiti e avevo bisogno di una ripulita. Mi piegai sulle ginocchia e mi sporsi in avanti, indecisa se immergermi completamente o meno.

Una ragazza dal volto pallido e le fattezze di un angelo, ricambiò il mio sguardo. La osservai, stupita: il viso meraviglioso era incorniciato da una folta chioma color ebano e due occhi cremisi acceso mi fissavano, allarmati. In un primo momento mi spaventai. Chi era quella? Impiegai dieci secondi a riconoscere il mio riflesso.

Carlisle, che mi aveva raggiunta, sorrise.
«Ti avevo detto che saresti cambiata anche fisicamente! Gli occhi sono di questo colore perché sei giovane, ma nel giro di qualche mese di caccia animale diventeranno dorati, proprio come i miei e quelli della mia famiglia».

Lanciai un’ultima occhiata alla me stessa d’acqua, poi mi voltai verso Carlisle. Mi resi conto di non sapere quasi nulla su ciò che ero, sulla mia nuova natura, sulla famiglia di cui tanto parlava.

«Parlami di loro, parlami di quelli come noi».

 

 

 

 
Eccoci ragazze/i! Che ne dite? Questo è una sorta di capitolo di passaggio, infatti come in molte si aspettavano Bella non ha ancora conosciuto i Cullen, ma mi sembrava importante dedicare un capitolo alla reazione della nuova vampirella alla sua nuova natura!
SUPER IMPORTANTE: Capitolo betato da quelle due sante delle mie migliori amiche: Ele Cullen e Sarah__98!! Vi adoro ragazze *-* Ditemi cosa ne pensate ;)
A presto!!
Vero

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo rivisto e corretto

 

 

 

Salve gente!! È una settimana che non posto e per questo chiedo scusa, vi ho lasciati così, senza un avviso e senza risposte alle recensioni LQuesto capitolo, come potrete notare, è un po’ più lungo degli altri e in un certo senso anche più difficile da scrivere rispetto ai precedenti e ai prossimi. È infatti il capitolo dell’incontro con i Cullen, di cui tutte mi chiedevate xD Avevo in mente come sarebbe dovuto avvenire, ma il fatto che tutte eravate così impazienti di leggerlo mi ha messo un po’ di para. Ogni volta che scrivevo qualcosa la cancellavo, per paura che non fosse all’altezza delle vostre aspettative, così ci ho messo più del previsto.
Grazie mille a tutti coloro che hanno messo la storia tra preferite/seguite/ricordate, ma soprattutto un enorme bacio alle ragazze che hanno recensito! Vi adoro :D
Ci “leggiamo” a fine capitolo!
Ps: IMPORTANTE: ho deciso che posterò una volta alla settimana, stiamo infatti entrando nel vivo della storia e ho bisogno di un po’ più di tempo per scrivere :D
 
Capitolo betato da Ele Cullen. Grazie tesoro, sei unica!!

 
 
Capitolo III

Passai la mia prima settimana da vampira cacciando e ascoltando i racconti di Carlisle sulla sua vita. Nelle pause – lunghe anche ore –  tra una caccia e l'altra, mi istruiva sulle regole degli immortali, delle quali non avrei nemmeno mai immaginato l’esistenza. Mi parlò dei vampiri neonati, cioè di quei vampiri che, come me, avevano completato da un anno o meno la trasformazione. Mi spiegò che, in noi, velocità e forza erano amplificati rispetto agli standard degli altri vampiri, a causa della presenza di sangue nei nostri tessuti. Via via che i mesi sarebbero passati il mio organismo l’avrebbe assorbito, e forza e velocità sarebbero rientrate nei normali parametri.

Parlò di un codice, la cui legge fondamentale, che racchiudeva tutte le altre, era la segretezza. L’ordine era rigorosamente mantenuto dal clan di vampiri più importante al mondo: i Volturi, in Italia.

Mi raccontò di quel poco che ricordava della sua vita umana, di come suo padre, un pastore anglicano intollerante, si aspettasse di vederlo guidare spedizioni per scovare e uccidere vampiri, licantropi e streghe. Della sua trasformazione, avvenuta proprio perché era riuscito a trovare un clan di veri immortali nelle fogne di Londra, del seguente periodo neonatale e della scelta di diventare “vegetariano”, per non essere un mostro. Dei secoli passati sui libri, a girare il mondo, della decisione di diventare medico.  
Quando mi parlò della sua professione dovetti fare appello a tutto il mio controllo per non scoppiare a ridere. Assurdo. Un vampiro che, non solo non si nutre di umani, ma salva loro la vita?! Era un controsenso e, stando a ciò che mi disse, anche il resto. Ma quello strano vampiro, con le sue idee cella specie lo pensava. Ma quel vampiro, quell’uomo, così insolito, buono e gentile, mi aveva colpita. Il suo modo di comportarsi con me, la dolcezza e l’accondiscendenza miste ad una dose di autorità, mi ricordavano in tutto e per tutto un genitore nei confronti del proprio figlio.
In una settimana già iniziavo ad affezionarmi al vampiro che mi aveva salvato la vita e che mi insegnava a vivere secondo le regole di quella nuova, confortandomi ogni qualvolta mi arrabbiavo con me stessa per il continuo bisogno di sangue.

Ero insaziabile. Dovevo nutrirmi a intervalli di poche ore, non potevo farne a meno. Continuava a dirmi che per essere una neonata ero fenomenale, che il fatto che non lo avessi mai attaccato o che riuscissi a parlargli con così tanta calma e interesse già dai primi giorni di vita, era stupefacente.  
Rifletteva spesso su quest’argomento, con me o per conto suo, a voce alta. Si era convinto, dopo svariate teorie, che dipendesse dal mio carattere così tranquillo e riservato. Dal canto mio non mi ero mai sentita pericolosa, tranne in un momento, per il quale avevo chiesto scusa a Carlisle per ore e ore, ma lui aveva continuato a sorridere e a rassicurarmi. Non si fidava a lasciarmi andare a caccia da sola, temeva che potessi intercettare la scia di un umano e ucciderlo, paura che condividevo pienamente. Così, ogni volta mi stava a qualche decina di metri di distanza, per consentirmi di nutrirmi in pace. Ma il quarto giorno dopo la trasformazione si era avvicinato un po’ troppo, correndo, mentre io ero sul punto di assalire la mia preda, un grosso cervo maschio. Troppo concentrata nella caccia impiegai più tempo per accorgermi di una presenza estranea alle mie spalle e quando lo feci, era troppo tardi per riconoscerlo.

Il mio istinto prese il sopravento e lo attaccai.

Ma, quando mi ritrovai a una spanna dai tratti gentili del suo volto, rinsavii e corsi via. Persi il conto delle volte in cui gli avevo chiesto scusa, ma lui si addossò le colpe, affermando di avere commesso un errore ad avvicinarsi tanto durante la caccia di una neonata.
Un altro argomento che trovavo particolarmente interessante – l’unico che riusciva a distrarmi davvero dalla sete – era la sua famiglia. Mi parlava di loro, raccontava aneddoti divertenti su tutti loro, ma ogni volta che gli chiedevo di dirmi qualcosa di più, diventava evasivo. “Appena sarà passata la tua prima settimana da vampira, li raggiungeremo.”

Temeva che potessi non essere ancora pronta a ritrovarmi a dover interagire con altri sei vampiri e ad avvicinarmi un po’ di più al mondo civilizzato.

Una volta, il primo giorno che gli chiesi qualcosa di più, me li descrisse così: “Sappi che la mia famiglia è costituita da me, mia moglie Esme, e quelli che consideriamo come figli, anche se non lo sono biologicamente: Rosalie ed Emmett, Alice e Jasper, e infine Edward. Sarà più bello conoscerli, senza troppe anticipazioni da parte mia!”

Così mi ritrovavo con informazioni minime e una curiosità che minacciava di esplodere da un momento all’altro. Un altro fattore che mi ero resa conto essersi amplificato con la trasformazione, era proprio il continuo desiderio di conoscenza, già presente nel mio carattere.

Ma, finalmente, la settimana era finita.

Stavamo correndo da circa due ore, con destinazione villa Cullen, la cui ubicazione era incognita per me, ma poco mi interessava. Ero euforica. Dopo giorni che mi erano parsi interminabili avevo finalmente il permesso di rapportami con qualcun altro che non fosse Carlisle. Non vedevo l’ora di conoscere la sua famiglia, di parlare con qualcun altro. Eppure, allo stesso tempo, ero intimorita dall'idea che avrebbero potuto non accettarmi. Ecco un altro lato del mio carattere che avevo conservato: l'insicurezza cronica. I miei precedenti, durante la vita umana, non erano certo confortanti. Per quanto fosse fastidioso ricercare le memorie in quella strana nebbiolina che pareva avvolgerle perennemente, ricordavo di non essere mai riuscita ad inserirmi granché a scuola e in qualsiasi altro ambiente frequentato dai miei coetanei. O esseri viventi in generale.
Scossi la testa scacciando quei malinconici pensieri e affiancai Carlisle, il quale mi precedeva di qualche metro per indicarmi la strada.
«Quanto manca?». L'impazienza doveva trapelare dalle mie parole perché lui ridacchiò.

«Pochissimo, ma ora fermiamoci un attimo. Alla fine di questo bosco c’è la cittadina dove abitiamo. Tranquilla, la casa è completamente distaccata dal centro abitato, non correrai il rischio di incontrare umani. Immagino però che, prima di essere presentata, tu voglia cambiarti».

Annuii.

Cominciavano ad infastidirmi i vestiti che portavo da una settimana, ormai completamente sporchi di sangue e logori.
«Aspettami qui, vado a prenderti qualcosa da metterti in un negozio. Non muoverti!».
«Certo, Carlisle! Non preoccuparti, non mi sposto».

Euforica, mi poggiai ad un albero e lo osservai correre via. Rimasi in quella posizione finché non lo vidi tornare con una busta, che mi consegnò. Sorrise, si voltò e si allontanò nuovamente per permettermi di indossare i nuovi vestiti: una paio di jeans chiari e una camicetta blu sbracciata. Semplice ma carina.
Lo chiamai non appena mi fui cambiata e riprendemmo a correre.

Il tragitto non fu lungo. Pochi minuti dopo eravamo davanti ad un’enorme villa, rettangolare e bianca, bellissima. Doveva essere moderna o perfettamente ristrutturata, divisa in tre piani e circondata da un giardino perfettamente curato.
Davanti ad essa ci aspettavano sei vampiri: tre uomini e tre donne.  Bellissimi e pallidissimi, come da norma.

Tutti diversissimi, avevano in comune solo il colore degli occhi, dorati, che lasciava intendere la loro scelta di vita. Fu semplice individuare due coppie: un ragazzo alto e leonino, con i capelli color miele, teneva per mano quella che a prima vista dava l'impressione di essere un folletto. La statura, il fisico magro e i capelli neri, corti e spettinati, le davano un’aria molto giovane e sbarazzina. L’altra coppia era composta da un enorme e muscoloso vampiro che sfiorava i due metri d’altezza e i riccioli neri, e da una vampira dalla bellezza irreale, anche per un immortale. Fisico slanciato, folti e lunghi capelli biondi incorniciavano un viso angelico, impossibile da ignorare. Il tipo di ragazza da far morire d’invidia Venere in persona. Lui le cingeva la vita con un braccio e, se non fosse stato per l’espressione ridente del suo volto, avrei temuto che mi volesse attaccare.

Riconobbi Esme, la moglie di Carlisle, dal modo in cui osservava il biondo accanto a me. Era una donna dai capelli caramello, il viso a cuore e il sorriso dolce. Mi ricordò le svampite dei vecchi film muti.

Al suo fianco, il ragazzo più bello che avessi mai visto in vita mia: era alto, muscoloso ma non quanto gli altri due, dinoccolato, il viso dai tratti ancora infantili incorniciato da una zazzera di capelli ramati. Sembrava un angelo. Per un momento mi chiesi chi fosse più bello tra il rosso e la bionda da rivista patinata. 
Esme ci venne incontro con un sorriso amorevole, dimostrava qualche anno in più rispetto agli altri, ma comunque non più di venticinque anni. Non mi feci ingannare dalle apparenze: sapevo che anche a quattrocento anni avrei continuato a dimostrare i miei diciassette. Venni scossa da una sorta di brivido interiore. Da una settimana a quella parte riflettevo sul concetto di immortalità ma, per quanto vampira, non riuscivo a farmene ancora un’idea precisa. Mentre ero immersa in queste riflessioni, che non durarono più di qualche secondo, Esme era arrivata davanti a noi.

Mi ero resa conto che si era mossa con cautela, senza togliermi gli occhi di dosso. Ecco qualcun altro che mi considerava una pazza senza autocontrollo. Ero in allerta e forse, se ci avessi riflettuto, avrei capito che la lentezza di Esme non era stata per niente una cattiva idea. Avvertivo su di me gli occhi di tutti, specie quelli del biondo. Ciò non mi piacque per niente. In più non potevo fare a meno di provare diffidenza nei confronti di quei vampiri estranei, certa che se avessero deciso di attaccarmi non avrei avuto via di scampo. Come se ciò non bastasse avvertii Carlisle irrigidirsi al mio fianco, alla vista di sua moglie così vicina a me. Per quanto me ne scordassi continuamente, il mostro al momento ero io. Ero io la vampira instabile che poteva perdere la ragione in ogni momento.
«Piacere di conoscerti, cara. Io sono Esme».

Voleva sembrare innocua, proprio come Carlisle appena mi ero “risvegliata”, per mettermi a mio agio. Strinsi la mano che mi porgeva e, mettendo a tacere quella parte selvaggia di me che mi imponeva di saltarle al collo e scappare, tentai un sorriso.
«È un vero piacere conoscerla, Esme. Sono Bella».
«Oh, ne sono felice anch’io, Bella! Carlisle ci ha parlato di te nelle sue telefonate. Ma dammi pure del tu, cara». Poi il marito la prese per mano e, facendomi cenno di seguirli, ci avvicinammo agli altri. Ci fermammo ad un paio di metri di distanza.
«Ecco, Bella! Loro sono: Jasper e Alice, Emmett e Rosalie ed Edward, ora li puoi conoscere», li presentò. Ognuno di loro, sentendo il proprio nome, mi rivolse un sorriso o un cenno del capo.

«Ragazzi, lei è Bella, la vostra nuova sorella».

Non feci in tempo a dir nulla perché un tornado formato mini mi si materializzò affianco e mi prese sotto braccio.
«Bene, Bella, sei proprio come ti avevo vista! Io sono Alice, diventeremo grandi amiche, io lo so! Ma ora passiamo alle cose serie, devi assolutamente vedere la tua camera e dire ad Esme se ti piace, l’ha arredata lei. Ma soprattutto tu, io e Rose dobbiamo…».

Trascinandomi in casa, si fermò solo per un decimo di secondo. «Rose! Vieni, su! Dobbiamo mostrare a Bella il suo nuovo guardaroba e apportare delle modifiche se non dovesse andare bene».

Mi ritrovai in un ampio salone perfettamente arredato, dai color candidi, arioso e allo stesso tempo estremamente elegante. A destra, su un rialzo, si trovava un meraviglioso pianoforte a coda che attirò subito la mia attenzione. Nel giro di mezzo secondo ci raggiunsero tutti e Rosalie mi si avvicinò, con un sorriso leggermente tirato.
«Sono Rosalie, piacere di conoscerti».
«Bella», fu la mia semplice risposta.

Non avrei saputo spiegare la ragione, ma mi sentivo intimorita da quella bellissima vampira. Fortunatamente la mia voce non tradì alcuna emozione particolare.
Prima che Alice potesse riprendere a parlare, mi sentii mancare la terra da sotto i piedi e volteggiai in aria, avvolta da un paio di braccia forti. Una risata tuonava vicinissima nelle orecchie.
«Ehi Bellina, io sono Emmett! Il più simpatico, qui! Sappi che entrando a far parte della famiglia ti ritroverai a dover convivere con gente estremamente noiosa… Tipo Eddy! Non fa altro che leggere e ascoltare musica tutto il giorno, tranne quando non passiamo il nostro prezioso tempo in quella prigione chiamata “scuola”. C’è da morire di noia, fidati. E noi siamo vampiri!». Sembrava esasperato, ma un sorrisetto nacque improvvisamente sul suo volto, mentre esclamava: «Quasi dimenticavo, si diverte anche un mondo a ficcarsi nelle teste altrui!».

Il diretto interessato, dopo aver fatto roteare gli occhi al cielo, ci venne incontro. Mi resi con che da vicino, per quanto la mia vista fosse molto più acuta di quella di un falco, era ancora più bello, con quel fisico slanciato e gli occhi dorati così intensi.
«Primo, scimmione, non chiamarmi Eddy! Secondo: io non mi “ficco nelle teste altrui”, non è certo colpa mia se sento ciò che pensate!». Scosse il capo. Poi si voltò verso di me e sorrise, porgendomi la mano. Non avevo mai visto un sorriso così: era obliquo, imperfetto.

«Lieto di fare la tua conoscenza, mi chiamo Edward». Gli strinsi la mano, la mia scomparve dentro la sua, molto più grande e dalle dita lunghe e affusolate.

«Lo sono anch’io. Piacere, Bella», risposi e ricambiai il sorriso. Edward però non abbassò lo sguardo né allontanò la mano, al contrario continuò a osservarmi.

Dal canto mio, io stavo ancora cercando di capire cosa Emmett intendesse per “ficcarsi dentro le teste altrui” o Edward con il dire “sentire i pensieri”.  Non leggerà mica…
«Non riesco… Non capisco! Non riesco a leggerla». Lasciò la mia mano e si voltò verso Carlisle, confuso. Poi tornò a fissare me, scrutandomi il volto.

«Cosa intendi “per sentire i pensieri”? Leggi la mente?!».

Mi resi conto solo dopo aver parlato di quanto il mio tono suonasse allarmato. L’idea che qualcuno, seppur vampiro, potesse sentire ciò che passa per la testa agli altri mi sembrava incredibile. Invece lui accennò nuovamente il sorriso sghembo e annuì.

Quello fu il mio turno di voltarmi verso Carlisle in cerca di risposte.
«Beh Bella, ricordi che ti ho parlato del fatto che alcuni vampiri hanno dei poteri “supplementari”? Ecco uno di loro è Edward. Legge nel pensiero sia degli umani sia in quello dei vampiri, ma sarà lui stesso a spiegarti meglio come funziona». Poi si voltò e io seguii il suo sguardo. «Anche Alice e Jasper possiedono dei poteri speciali: Alice vede il futuro, o meglio, le conseguenze delle decisioni prese. Mentre Jazz sente le emozione di chi gli sta intorno e riesce a manipolarle, ad esempio è capace di placare degli animi un po’ troppo irruenti o di vivacizzarne degli altri».
Avevo ascoltato senza fiatare le spiegazioni di Carlisle, ma dire che ero stupefatta è un eufemismo. Mi aveva già accennato a qualche sorta di poteri extra, ma non immaginavo delle cose così… fiche! Perché io non facevo nulla del genere?

Alice mi sorrideva tranquilla, mentre il suo compagno non smise di studiarmi. La sua pelle era ricoperta di cicatrici. Il volto, il collo, ogni lembo del suo corpo portava incisi per sempre segni di morsi di vampiro. Tutto di lui, la sua posizione irrigidita, le spalle ingobbite, quasi fosse pronto ad attaccare, le cicatrici, pareva urlare “pericolo”. Ed io quel segnale lo percepivo fin troppo bene.
Avevo ancora gli occhi sgranati, quando un pensiero mi balenò in testa: Edward leggeva ciò che pensavo? Mi voltai verso di lui, improvvisamente imbarazzata e anche leggermente infastidita, ero gelosa della mia privacy mentale!
«Mi leggi… senti quello che sto pensando?».

Lui scosse il capo, quasi frustrato.
«No, non sento nulla. Come sei io avessi sintonizzato una radio in a.m. e tu trasmettessi in f.m. Il buio più totale. Carlisle, tu hai qualche idea a riguardo?».
«No. Fino ad ora il tuo potere ha funzionato su chiunque avessi incontrato, giusto?». Edward annuì. «Mi metterò a fare ricerche. Potremmo chiedere ad Eleazar, magari lui, avendo girato il mondo per conto dei Volturi, potrebbe aiutarci».
Ero più confusa che mai quando Emmett, che aveva osservato per tutto il tempo Carlisle con le sopracciglia arcuate, si illuminò in volto ed esclamò convinto:
«Forse Bellina non pensa! Ecco perché Edward non riesce a leggerle nel pensiero! Bellina, sei certa di pensare?».

Sgranai gli occhi mentre lui mi si avvicinava e bussava sulla mia testa. Gli altri scoppiarono a ridere, Esme e Carlisle scuotevano la testa sorridendo bonariamente e anche Jasper pareva essersi sciolto, un po’.

Mi trovavo nel più totale imbarazzo. Per me era sempre stato difficile ambientarmi in un posto e le persone mi avevano sempre messa a disagio, spesso ero arrivata a pensare di avere qualcosa di sbagliato. Ma in quel momento, tra quelli che sarebbero dovuti essere quasi totalmente degli estranei, mi sentii a mio agio.

Mi sentii a casa. 
 
 
 
Ecco qua, che ne dite? Spero non siate rimaste deluse dal fatto che Bella e Edward non abbiano avuto questo fantastico e super romantico incontro xD Ho pensato infatti che comunque Bella è una neonata appena trasformata, Edward è convinto di poter provare per nessuno sentimenti che vanno oltre l’amore fraterno, quindi… In più è il loro primo incontro xD Non mi sembrava per niente realistico la scena di Bella e Edward che si guardano negli occhi, lei capisce che lui è il suo grande amore e gli getta le braccia al collo e lui la bacia con trasporto dicendole che è tutta la sua vita.
Spero davvero di non avervi deluse!
Fatemi sapere che ne pensate ;)
Bacii
 
Vero

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


 Quando un volo ti cambia la vita

Ehilà! Chi si rivede! Ehm… ok ok scusate! Posto in ritardo, di nuovo, questa volta di dodici giorni  ): Scusate scusate scusate! Ma se vi dico che la mia best e beta mi ha già messa sui ceci eviterete di lanciarmi i pomodori? No, eh? E se ci aggiungo anche che il prossimo capitolo è già in fase di scrittura? xD
Ok, smetto di rompervi le scatole e vi lascio al capitolo! Spero proprio che vi piaccia, ci ho messo un po’ a scriverlo perché ero davvero molto indecisa su cosa far succedere, la storia è tutta nella mia testa (la mia pazza e un po’ troppo fantasiosa testolina), ma alcune parti non sono esattamente inserite cronologicamente xD
Va bene, va bene, mi dileguo!
Ci leggiamo a fine capitolo!! :D
Vero


Ps: Capitolo, come sempre, betato da Ele Cullen. Grazie tesoro, se non ci fossi tu!! E scusa se, come sempre, quando scrivo mi dimentico anche della tua presenza! xD


Capitolo IV
Isabella Pov
Eravamo seduti attorno ad un lungo tavolo di legno massiccio dall’aspetto antico, di sicuro utilizzato per le riunioni di famiglia, dato che nessuno in quella casa mangiava. Carlisle ed Esme stavno seduti ai capitavola, Edward alla destra del padre adottivo, io al centro tra lui ed Alice, davanti a me Rosalie, tra Emmett e Jasper. Avevamo deciso di accantonare il discorso “poteri” e di passare a “questioni ben più urgenti”, come le aveva definite Carlisle, perciò avevamo preso posto attorno al tavolo.
<< Famiglia, abbiamo un importante problema di cui discutere. >> Si alzò e accese un enorme televisore piatto appeso al muro davanti al tavolo, il canale che Carlisle selezionò trasmetteva un telegiornale locale.
<< Continuano le ricerche dei due passeggeri dispersi del volo di dieci giorni fa partito da Phoenix e diretto a Seattle, precipitato a pochi chilometri dalla meta per via di un malfunzionamento ai motori. Non essendoci stati sopravvissuti si teme il peggio per una ragazza, Isabella Marie Swan, e Michael Power, medico di trenta. I due sembrerebbero spariti, i loro corpi non sono stati ritrovati né all’interno dell’aereo, né nei dintorni. >>
Osservavo lo schermo come incantata dall’atrocità delle immagini che trasmetteva: un video amatoriale, girato da un cacciatore che si trovava a poche centinaia di metri di distanza, ritraeva un aereo in caduta libera, con del fumo che usciva dall’ala destra. Subito dopo, quando l’elegante giornalista pronunciò il mio nome, comparve una mia foto di qualche mese prima.
Mi cercavano. O per lo meno ciò che di me sarebbe dovuto restare. Tutti sicuramente mi credevano morta, compresi Renée e Charlie. I miei genitori. Come stavano? Cosa stavano facendo? Come avevano reagito alla notizia dell’incidente? Un improvviso senso di colpa mi attanagliò il petto. Per quanto vampira mi sentivo oppressa da un macigno di dolore che minacciava di schiacciarmi da un momento all’altro. Come avevo potuto non pensare a loro in quei giorni? Come avevo potuto essere così presa da quella nuova vita da dimenticarmi persino di avere una famiglia? Ero troppo affascinata da quel nuovo mondo, da quella nuova me, da scordarmi di tutto il resto, di ciò che ero stata e grazie a chi. Che figlia spregevole ero. Durante quella settimana, dopo la trasformazione, non avevo pensato ad altro che non riguardasse la mia nuova natura o la caccia. Il sangue aveva preso il dominio del mio essere e anche in quel momento, per quanto mi fosi nutrita poco più di sette ore prima, potevo avvertire con chiarezza un fastidioso bruciore alla gola, che in poche ore sarebbe peggiorato.
Come stava Renéè? Phil riusciva ad aiutarla, a sostenerla e a consolarla con il suo amore? Lei che mi aveva allevata con la sua pazzia e allegria, lei che aveva fatto di tutto per me, lei che quasi non vedevo più in quei ricordi annebbiati, nascosti in qualche cassetto della mia memoria.
E Charlie? Lui era solo, che io sapessi non aveva alcuna compagna, e il suo tempo lo passava quasi completamente alla centrale di polizia. Come aveva reagito alla notizia della mia presunta morte? Per quanto poco ci vedessimo sapevo quanto mi amasse, quanto avesse desiderato che andassi a vivere con lui. E proprio quando questo suo desiderio si stava avverando il destino mi aveva strappata a lui, alla mia natura, alla vita.
Mi accorsi di essere rimasta imbambolata a fissare lo schermo nero solo quando una mano si era poggiata sul mio braccio, con gentilezza. Sobbalzai, non mi ero accorta di nulla. Esme alle mie spalle, in piedi, mi osservava con un sorriso triste ma estremamente dolce, il più dolce che avessi mai visto.
<< Mi dispiace, tesoro. Mi dispiace. >> Mi sussurrò portando la mano che teneva sul mio braccio a sfiorarmi leggermente i capelli, come si fa con una bambina. O con una figlia.
Gli altri erano immobili, in religioso silenzio. Carlisle incrociò il suo sguardo triste con il mio, mentre gli altri furono tanto rispettosi da abbassare il volto. Solo Jasper continuò ad osservarmi, la mascella contratta e sul viso rovinato dalle cicatrici un espressione di profondo dolore, come se stesse vivendo ciò che sentivo io.
<< Basta! Ti prego, troppo dolore! >> Sbottò improvvisamente alzandosi in piedi e facendo cadere la sedia all’indietro. << Non è colpa tua! Non hai deciso tu che l’aereo precipitasse! Perché provi tutto questo? Per chi? >>
Tutti si voltarono verso di lui, stupiti, poi verso di me. Alice mi strinse la mano e mi sorride, come ad incoraggiarmi a parlare. Non ero mai stata molto abituata ad esternare i miei sentimenti e le rare volte che l'avevo fatto mi imbarazzavo tantissimo, così continuai ad osservare in viso la mia nuova sorella-vampira, senza proferir parola.
<< Ti prego, dicci quello che pensi. È… insopportabile non saperlo. >> Mi supplicò Edward con gentilmente, ma una sonora nota quasi di lamento nella voce. Presi un profondo respiro, che comunque non mi servì a molto visto che respirare non faceva più parte dei bisogni primari.
<< Pensavo ai miei  genitori, al fatto che non mi sono minimamente ricordata di loro dopo la trasformazione. Non mi sono preoccupata né di come stanno, né di come hanno reagito alla mia mai presunta morte! >> Chinai il capo colpevole e, seppur bellissima come sempre, la mia voce suonava estremamente angosciata, perfetto specchio del mio stato d’animo. << Ero interessato solo a sapere il più possibile su come IO sarei diventata, conoscere i particolari della mia nuova vita e… il sangue. Non ho fatto altro che pensare alla caccia, a nutrirmi, ad uccidere! >>
<< Bella >> La voce calda e gentile di Carlisle era vicinissima, si era inchinato di fianco a me e mi aveva poggiato una mano sulla spalla. << Figliola, come ti ho già detto, è normale che per il primo periodo neonatale pensare solamente a nutrirsi, non sentirti in colpa. In più i ricordi umani tendono a scomparire, come ti sarai accorta, e visto che non ti sei ritrovata sola il tuo primo pensiero non è andato a coloro con cui prima trascorrevi la maggior parte del tuo tempo. >> Sul suo viso comparve un sorriso mentre pronunciava queste parole. << Bella, tu sei fin troppo controllata per essere una neonata! Hai appena una settimana ma riesci già a ragionare con lucidità, sei calma e controllata. Non sottovalutarti. >>
Quelle parole mi confortarono, ma il senso di colpa non diminuì di molto. Restava infatti il fatto che io avrei continuato a vivere la mia vita, i miei genitori avrebbero pensato che fossi morta e sarebbero stati male.
<< Bellina, anche i miei genitori erano ancora vivi quando Carlisle mi ha trasformato per salvarmi la vita da un orso, così anche quelli di Rose e quelli Jazz, quando è stato morso. Noi continuiamo a vivere, loro non lo sanno è vero, ma credi che vorrebbero che tu ti deprimessi in questo modo?! >> Non mi aspettavo quelle parole da Emmett e sentirle era stata una sorpresa, lo conoscevo da appena un'ora, ma l'avevo giudicato come un tipo da pensieri non troppo profondi. Dovette accorgersi della mia sorpresa perché rise rumorosamente, alzando un sopracciglio. << Non credevi che potessi fare un discorso del genere, eh? Sto solo cercando di impedire che questa famiglia guadagni un altro noioso, guastafeste che passa il tempo a deprimersi! >> Sospirò teatralmente e mi indicò con lo sguardo Edward, che lo fulminò, alzando gli occhi al cielo. Poi si voltò verso di me e mi sorrise sghembo. E che sorriso!
<< Ogni citazione ad un vampiro esistente è puramente casuale, eh? >>
Emmett gli rispose con un sorrisetto impertinente. Si voltò nuovamente verso di me, fece un gesto con una mano e col capo, come una riverenza.
<< Visto che non c’è modo migliore di far felice una donna che facendola parlare di sé, perché non ci racconti un po’ della tua vita? Così magari smetti di deprimerti e deprimerci, ricorda che Jazz è empatico e io… beh io mi scoccio facilmente! >> Rise con quella sua strana risata tonante e profonda. Esme mi sorrise nuovamente e, stringendomi una mano, mi esortò a raccontare. Presi un altro inutile respiro profondo, facendo mente locale per mettere assieme le notizie fondamentali della mia vita passata, che mi pareva essere lontana decenni invece che pochi giorni.
<< Beh non c’è molto da dire: mia madre e mio padre si sono sposati giovanissimi e pochi mesi dopo la mia nascita lei lo ha lasciato perché non poteva sopportare… >> Cosa non poteva sopportare mia madre? Ah, sì! << l’assenza di sole e l’umidità. Sono cresciuta con lei, ma siamo molto diverse: io sono troppo introversa, lei è un’eccentrica romantica. È la mia migliore amica. >> Aggrottai le sopracciglia << O meglio, lo era. Si è risposata l’anno scorso con un giocatore di baseball di leghe minori, viaggia molto per lavoro e Renée, mia madre, per stare a casa con me soffre la sua lontananza. Così ho deciso di andare a vivere con mio padre, a Forks. >> Terminai il mio racconto osservando in volto un po’ tutti, avevo appena raccontato loro tutta la mia noiosa e piatta esistenza umana. Provai un moto d’imbarazzo per l’estrema semplicità della mia vita, subito scacciato dalla perplessità per le espressioni stupefatte e leggermente preoccupate dei miei nuovi familiari. Tutti si erano fatti immobili, gli occhi sgranati che mi fissavano. Il primo a parlare fu Carlisle, l’unico che a non sembrare un pesce fuor d'acqua.
<< Dovevo appunto dirvelo ragazzi, Bella ha preso l’aereo per venire qui a Forks, anc… >>
<< Aspetta, Isabella Marie Swan! Come il capo Swan! Non sarai la figlia del capo della polizia di Forks, Charlie Swan?! >> Ad interromperlo fu Edward, che evidentemente aveva fatto due più due.
<< Sì, è mio padre. >> Fu la mia semplice risposta.
<< La figlia del capo della polizia! La stava aspettando tutta la città, ti rendi conto Carlisle?! >> Rosalie, visibilmente alterata e preoccupata pronunciò quelle parole con tono di voce stridulo. << La cercheranno, smuoveranno mari e monti anche solo per ritrovarne il corpo! >>
<< Lo so perfettamente Rose, per questo motivo… >> Carlisle tentò di parlare, ma venne nuovamente interrotto dalla ragazza:
<< Non voglio trasferirmi un’altra volta, qui stiamo così bene! Non c’è quasi mai il sole, possiamo vivere una vita quasi normale! Non voglio andarmene nuovamente solo perché hai voluto salvarle la vita! >> Pronunciò le ultime parole con tono capriccioso. Pur bellissima, aveva assunto l'aria di una bambina viziata.
Abbassai lo sguardo, tutt’ad un tratto il senso di colpa e l’imbarazzo tornarono più vivi che mai. Il senso di inadeguatezza, d’inferiorità che mi aveva sempre accompagnata durante la vita umana tornò a farsi pressante, per quanto fossi molto più bella e forte di prima.
<< Mi dispiace. Non volevo… io non… non era mia intenzione sconvolgere la vostra esistenza. Me ne posso andare, non c'è alcun problema >> Mormorai velocemente quelle parole, che mi riempirono subito di dolore, iniziando ad alzarmi dalla mia sedia, ma una mano mi fermò. Il tocco era diverso, la stretta più grande e più vigorosa di quella di Esme, per quanto gentile.
<< Non devi andartene. >> Edward mi sorrise, facendo pressione sulla mano perché mi risedessi, poi si rivolse a Rosalie, con tono duro ma garbato. << Se non l’avessi notato non sei il centro dell’universo. >>
<< Rose, cara, non fare così, non ci dovremmo trasferire per forza! Voi continuerete la scuola e Bella resterà con me a casa, tanto potrebbe comunque uscire giovane com’è. >> Esme rappresentava esattamente l’emblema di mamma ideale, dolce, buona, gentile e amorevole con tutti. Il tono che usò con Rosalie fu dolce e accondiscendente, proprio come quello che una madre usa per utilizza per una figlia cocciuta. Mi sorrise amorevole.
<< Non potremmo mai mandarti via, Bella! Tesoro, non potremmo mai fare una cosa del genere! Sei così giovane e hai bisogno di una guida e non parlo solo della tua età vampiresca, ma anche di quella umana. Quanti anni avevi? Diciannove? >> Allungò una mano sul tavolo ed afferrò la mia in modo estremamente affettuoso.
<< Diciassette >> Dissi, stringendo la sua mano.
Parve sorpresa, sul suo sguardo dorato passò un lampo di tristezza e aumentando la stretta della mia mano mormorò:
<< Diciassette... È così piccola… >> Intrecciò lo sguardo con quello di Carlisle e lui annuì impercettibilmente, come se quel semplice scambio contenesse un lungo discorso.
<< Ovviamente Bella resterà a vivere con noi, come ti ho già detto sei parte della famiglia. Ancor più ovvio è che non potrai uscire, oltre che per la sicurezza degli umani anche per la tua, in quanto nessuno deve sapere che sei ancora viva. >> Mi sorrise, poi tornò ad osservare gli altri. << Continueremo le nostre normali vite, voi andrete ancora a scuola ed io a lavorare in ospedale. Ci trasferiremo solo quando Bella avrà superato la fase neonatale. >>
<< Evvai! >> Trillò Alice alzandosi e abbracciandomi di slancio. Prese saltellare per la stanza tenendomi per le mani. << Ora sei ufficialmente parte della famiglia Cullen! Congratulazioni! >>
Fui immediatamente contagiata dall’allegria che emanava quella stravagante immortale, molto più simile ad un folletto che ad una vampira. A noi si aggiunse anche Emmett, che ci prese in braccio e ci fece volteggiare un paio di volte.
<< Benvenuta Bellina! >> Risi della loro esuberanza, mentre qualcuno si schiariva la voce. Jasper ci osservava sorridente, sicuramente tutta quella felicità doveva fargli bene, ma con uno strano sguardo, quasi rammaricato.
<< Mi dispiace fare il guastafeste, ma penso sia importante che Isabella sappia dei licantropi. >> Mi voltai sbalordita verso di lui. Licantropi? Nessuno mi aveva parlato di licantropi! Esistevano? Sicuramente la mia espressione mi tradiva, mostrando chiaramente cosa stessi pensando. Edward rise e annuì.
<< Sì, esistono. Tu sei di Forks, almeno in parte, no? >> Annuì << Allora sai chi sono i Quileute, una popolazione di indiani che vive a La Push. Beh alcuni di loro possono trasformarsi in lupi, enormi e fortissimi lupi che hanno il compito di combattere e uccidere i vampiri, per difendere gli umani. >>
La mia espressione sbalordita dovette risultare piuttosto comica poiché tutti sghignazzaerono. Edward continuò a spiegarmi:
<< Carlisle,Esme, Rose, Emmett ed io, la prima volta che arrivammo a Forks, circa settant’anni fa, stringemmo un patto con i lupi. Carlisle, dimostrando come sempre la sua indole pacifica  >> Sorrise al padre << concesse loro una sorta di armistizio, erano in minoranza numerica quindi accettarono. I punti salienti del patto erano e sono tutt’ora: il mantenimento della segretezza, il non sconfinare nelle terre dell’altro clan, abbiamo infatti diviso il territorio intorno a Forks così da non doverci per forza incontrare, e il divieto di uccidere umani. >> A queste ultime parole sul bellissimo viso di Edward passò un ombra di preoccupazione, si voltò verso Carlisle, ma prima che potesse dire qualcosa Alice mi fu accanto e prese a tirarmi per un braccio.
<< Parleremo di questo domani! È l’alba e non sono ancora riuscita a mostrare a Bella la sua stanza! Ti piacerà, vedrai! Come ho già detto Esme è un’ottima arredatrice! E poi, beh, la cabina armadio è strepitosa! >> Così dicendo, euforica, mi trascinò di sopra. Solo in cima alle scale mi resi conto che qualcuno non era scoppiato a ridere per l’allegria di Alice. Rosalie non mi guardava, ma i suoi occhi erano glaciali.


Che ne dite? Vi è piaciuto? In questo capitolo ho fondamentalmente cercato di rispondere alle vostre domande sulla presenza di alcuni personaggi, ma dal prossimo chappy inizierà (ALLELUJA) il BellaxEdward :)
Prima di salutarvi mi piacerebbe davvero tanto farvi una domanda, anzi prima introduco il discorso, poi la domanda xD Immagino che tutte, o per lo meno la maggior parte, di voi sia Team Edward, visto che leggete questa storia. Lo sono anch’io e sono una davvero davvero accanita sostenitrice della coppietta del leone e dell’agnello, ma avete mai riflettuto sul fatto che anche jacob è un personaggio, e per giunta buono, della saga? Molte ragazze si professano (come fosse una religione xD) Team Svizzera, cioè non preferiscono né il bel vampiro né il lupetto, ma il apprezzano entrambi poiché sono personaggi della saga. Voi cosa ne pensate? Tra di voi c’è qualche Team Svizzera? Sto iniziando a riflettere su questo argomento (invece che studiare -.-) e mi piacerebbe davvero sapere la vostra opinione? Siete d’accordo sullo scegliere di essere Team Edward o Team Jacob oppure siete Team Svizzera?
E adesso i ringraziamenti: un enorme GRAZIE ha tutte colore che recensiscono ogni capitolo, che con le loro meravigliose parole mi scaldano il cuore, ogni volta. Grazie, davvero!
Un grande ringraziamento a tutti i lettori silenziosi, che anche senza lasciare traccia del proprio passaggio leggono e mi seguono!
Con la promessa di postare prima vi mando un enorme bacio,
Vero
Ps: Importante “Se uno qualsiasi di loro morde un umano la tregua è rotta. Ho detto morde, non uccide” e “Il patto non ha limiti geografici”….
Eh eh vi sto facendo almeno un po’ incuriosire? xD
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Quando un volo ti cambia la vita 
 

*Entra in punta di piedi, sperando di non essere assalita e si schiarisce mestamente la voce* Ehi, eh eh, quanto tempo gente! *Sempre che ci sia qualcuno o.O’* Come va? Ok ok…. Ho molto da farmi perdonare… Più di un mese di assenza! Lo so, sono una pessima autrice!! Perdonatemi, ho avuto problemi con la scuola che mi sta uccidendo, letteralmente, sono stata malata e in più un virus, che non si è nemmeno preso il disturbo di guardare di striscio l’antivirus: è passato dritto -.-‘’, mi ha impedito di scrivere!!
Davvero vi chiedo scusa, non posso garantire che gli aggiornamenti saranno puntualissimi, ma prometto che non sarò più in ritardo così … Enorme!
Ecco il quinto capitolo, nel quarto avevo detto che sarebbe iniziato il BellaxEdward, cioè non è che manco a farsi benedire i miei buoni propositi di andare lentamente e di essere realistica, intendevo che iniziano a conoscersi… Leggete leggete ;)
Come sempre grazie grazie grazie alle meravigliose ragazze che hanno commentato, i nomi delle quali sono riportati alla fine dell’ultima pagina, lo scorso capitolo, siete meravigliose! *-*
Questa volta un grazie speciale va a Chiaretta85_, continua a mandarmi messaggi, il senso di colpa mi smuove bene nella scrittura!! E a dafne46 per aver commentato gli scorsi quattro capitoli e avermi chiesto con così tanta allegria un aggiornamento veloce :D
E infine grazie mille alla mia fantastica beta, Ele Cullen, che legge e corregge (e corregge e corregge e corregge) ogni capitolo *.*
Beh, se non mi odiate al punto tale da farvi schifo la lettura del capitolo vi auguro
Buona lettura :D
Vero
 

 
 
 
Capitolo V 
Isabella Pov
<< Esme questi dove li metto? >> chiesi, sollevando il mazzo di rose bianche e violette, uno dei tanti che avevo composto raccogliendo i fiori di Esme nel suo giardino.
<< Mettili lì, dentro quel vaso lilla. >> mi rispose lei, dopo un’attenta analisi del mazzolino, dall’alto della scala su cui era aggrappata per posizionarne un altro su un mobile del soggiorno.
Sistemai i fiori nel vaso indicato, creando una composizione di colori meravigliosa: le rose bianche, con gli steli più lunghi, a far da cornice al mazzo di violette, così da mettere in risalto il colore intenso di queste. Iniziavo a cavarmela bene, infondo dopo buona parte della mattina passata ad abbellire casa con composizioni floreali, sotto la guida di Esme s’intende, sarebbe stato impossibile il contrario.
Eravamo sole, come deciso infatti i ragazzi erano andati a scuola e Carlisle a lavoro, dopo avermi fatto mille raccomandazioni: “Non uscire di casa da sola”, “Se vedi o senti umani allontanati il più possibile velocemente”. Mi pareva di sentire mia madre con le sue mille paranoie per quando uscivo di casa da sola, allora però ero ancora la preda, non il predatore. Con orrore mi ero resa conto tutte le regole che mi erano state imposte servivano esclusivamente a proteggere gli umani dal mostro che ero, o che sarei potuta diventare.
Scossi il capo, scacciando quei pensieri. Per quanto potessi essere pericolosa non mi sarei mai trasformata in un'assassina! Mi riavvicinai ad Esme, intenta nell’osservazione del nostro capolavoro floreale.
<< Ora cosa facciamo? >> Domandai.
<< Abbiamo finito. Oh beh io pensavo di andare a disegnare un po’, sai sto iniziando a pensare alla nuova casa, Carlisle me ne ha fatto vedere alcune davvero graziose! Pensavo di abbinare il bianco latte al panna per le pareti del soggiorno… >>
E con quello capii che Esme si era completamente immersa nel suo universo di architettura, dal quale difficilmente sarebbe uscita prima del pomeriggio. Così decisi di trovarmi anch’io qualcosa da fare, soprattutto per non pensare al bruciore alla gola che, prepotente, stava tornando.
Salii al piano di sopra, diretta nello studio di Carlisle, ma come la notte precedente rimasi incantata ad osservare l’insolito, per una casa di vampiri, oggetto appeso al muro. L’antico crocifisso del padre di Carlisle, costruito in un legno levigato dal tempo, ma tenuto benissimo, faceva bella mostra di sé e mi incantava. Sapevo già che il padre di Carlisle era stato un uomo di Chiesa, ma non avrei mai immaginato che il suo unico figlio, nonché vampiro, avesse conservato un oggetto dal simile significato.
Rimasi ad osservarla stupefatta, esattamente come la notte precedente, durante il “giro turistico” della casa, con come guida ufficiale Alice, la quale aveva insistito per mostrarmi l’intera abitazione da cima a fondo.
Il crocifisso mi affascinava e mi ripromisi di domandare a Carlisle il motivo della sua presenza in casa, insomma cosa avrebbe dovuto spingere un vampiro ad adornare casa propria con un oggetto simile?
Entrai nello studio. Esme sedeva alla sua scrivania ed era intenta a disegnare e sfogliare cataloghi di mobili, così iniziai la perlustrazione delle librerie e degli scaffali, stracolmi di pesanti tomi. Ricoprivano quasi completamente ogni parete, tanto da impedire la vista dei pannelli di legno scuro sottostanti. L’unica parete libera dai volumi era quella della porta, sulla quale erano appesi quadri di tutte le forme e dimensioni, che rappresentavano alcuni dei momenti della vita di Carlisle. Un piccolo olio su tela ritraeva la Londra del 1650, come mi aveva raccontato Carlisle, la Londra della sua giovinezza. Il più grande e imponente, e sul quale mi soffermai di più, ritraeva quattro uomini: Carlisle insieme ai tre fondatori del clan dei Volturi: Aro, Marcus e Caius, in Italia. Aveva vissuto come loro ospite per alcuni decenni, durante i suoi studi.
Mi spostai fino ad arrivare ai primi scaffali, facendo scorrere il dito sui libri mentre ne leggevo velocemente i titoli. Si trattava quasi completamente di antichi e complicati trattati di medicina, enciclopedie, pesanti tomi che non attiravano minimamente la mia attenzione, anche perché molti erano scritti in qualche lingua neolatina o addirittura in latino stesso.
Aprii più di un volume, con delicatezza li sfogliai sperando di trovare qualcosa di comprensibile per me. Appurato che non vi era assolutamente nulla che potessi capire e apprezzare uscii dallo studio, velocemente attraversai il corridoio, superando le porte delle stanze di Alice e Jasper e di Rosalie ed Emmett, fino ad arrivare alla rampa di scale che portava al piano superiore.
Al secondo piano, come mi aveva mostrato Alice, vi era la “biblioteca”, la stanza da letto di Esme e Carlisle e a sud, alla fine del corridoio la camera di Edward, proprio alla destra della mia. Entrai nella mia camera e mi gettai supina sul divano bianco che sostituiva il letto, facendo attenzione perché non si rompesse. Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcosa di interessante da fare per scacciare la noia, ma soprattutto la sete, che si faceva sentire sempre di più.
Il divano era addossato al muro, nella parete parallela ad esso vi era una scrivania, sulla quale stava, spento, un portatile bianco. Di fianco ad essa una porta a due ante segnava l’ingresso dell’inferno, per me. Non ero mai stata un’amante della moda, di questo ero certa, ma ad Alice questo, lo avevo capito presto, non importava più di tanto. Aveva infatti riempito l’enorme cabina armadio, forse più grande dell’intera camera, di abiti elegantissimi, tacchi vertiginosi e accessori di tutti i tipi. La notte precedente ero riuscita a farla desistere dall’intento di farmene provare “qualcuno” con l’aiuto di tutti i componenti della famiglia, soprattutto Jasper, che era stato costretto a trascinarla via. Scossi il capo e ridacchiai a quell’immagine, la folletta non aveva intenzione di mollare e aveva addirittura messo il broncio, aggrappandosi alla porta e giurando di staccarla se avessero tentato di portarla via.
In camera era presente anche uno stereo, lo accesi e ascoltai un po’ di musica trasmessa da una stazione radio locale, ma anche di ciò mi stancai presto.
Passai non so quanto tempo a sfogliare alcuni libri che mi avevano messo su uno scaffale, ma non si trattava del mio genere. Accesi il computer, ma non essendo mai stata un’amante della tecnologia e non avendo molto da fare sul web lo spensi dopo pochi minuti.
I Cullen erano stati gentilissimi a preoccuparsi di darmi qualcosa da fare, ma mi sarei dovuta ricordare di chiedere ad Esme se in casa ci fosse qualche romanzo di Jane Austen.
Mi ricordai che la sera precedente, quando Alice mi aveva mostrato tutte le stanze, avevo notato che in camera di Edward vi erano tantissimi dischi. Non sapendo cosa fare decisi di dare una veloce occhiata, magari al suo ritorno gli avrei potuto chiedere di prestarmene qualcuno.
La porta era socchiusa, ma già da fuori si potevano intravedere enormi scaffali stracolmi di CD, dai quali venni irrimediabilmente attirata. Entrai. Come avevo intuito da fuori la stanza era piena di CD, ma mai avrei immaginato ve ne fossero così tanti, era più fornito di un negozio! Tutta la parete ovest era talmente ricoperta dagli scaffali di dischi da impedire la vista del muro. Uno spesso tappeto dorato ricopriva quasi interamente il pavimento, sui muri non coperti dagli scaffali erano appesi lunghi drappi un poco più scuri. Addossato al muro un divano di pelle nera, uguale in tutto e per tutto al mio, sostituiva il letto. All’angolo era presente un sofisticatissimo impianto stereo, il genere d’apparecchio che, ricordai, avrei distrutto sfiorando con un dito, da umana. Incuriosita premetti leggermente uno dei tastini dello stereo e le note di una dolce e familiare melodia si diffusero nella stanza. Le note stuzzicarono la mia memoria, riportandomi a quando ero ancora umana, avevo già sentito quella sinfonia… Poi un immagine di mia madre, uno stereo, molto diverso da quello che avevo davanti…
<< Claire de lune! >> Mormorai, ancora completamente persa nei miei pensieri.
<< Conosci Debussy? >> Una voce bassa e melodiosa mi ridestò e mi voltai sussultando. Ero una vampira, maledizione! Possibile che fossi ancora così sbadata?!
Edward mi osservava con un cipiglio sorpreso e leggermente infastidito, poggiato allo stipite della sua porta. Solo in quel momento mi ricordai di essere in camera sua, imbarazzata gli risposi velocemente.
<< Scusa se sono entrata qui senza il tuo permesso, solo che mi annoiavo e tutti questi CD… Wow sono tantissimi! >> Spostai lo sguardo sugli stracolmi scaffali, per enfatizzare il concetto. Ecco mi ero distratta, di nuovo. Carlisle aveva ragione quando mi disse che i vampiri si distraggono facilmente . << Comunque sì, conosco Debussy, Claire de lune era uno dei miei brani preferiti. >>
<< Davvero? Non me lo sarei mai aspettato. >> Sembrava sorpreso, gli occhi dorati non mostravano più nemmeno quel piccolo guizzo infastidito per il fatto che avessi invaso la sua privacy.
<< Perché, pensi che tutti i ragazzi del ventesimo secolo siano degli ignoranti tanto da non conoscere uno dei più grandi compositori ottocenteschi? >>
Sul viso angelico di Edward si dipinse un sorriso sghembo davvero affascinante.
<< Beh tutti i ragazzi degli ultimi… decenni, non apprezzano più tanto i capolavori di musica classica >>
<< Io sì, o meglio mia madre. Conosco bene solo i miei preferiti. >> Nuovamente cercai di schiarire quel fango che erano i miei ricordi.
<< È anche uno dei miei preferiti! >> Sembrava sempre più sorpreso.
<< Beeella! >> Un tornado formato mini mi travolse letteralmente abbracciandomi e saltellando affianco a me  << Allora ti sei divertita? Cosa hai fatto durante la mattinata? Perché non hai provato i vestiti della cabina armadio?  Oh non importa, li proveremo assieme, seguimi! >> Mi trascino letteralmente via, colsi solo di sfuggita Edward scoppiare in una fragorosa risata e, una volta in camera mia, lo sentì augurarmi un “buona fortuna”, seguito da un’altra risata.
Passai le seguenti tre ore a provare abiti da sera di seta che mai avrei usato, jeans, maglie e maglioncini di tutte le più famose marche esistenti, mentre Alice ripiegava da una parte gli abiti che a parer suo mi stavano bene e gettava in un angolo gli altri.
Riuscì a scampare dalle grinfie della folletta folle solo quando quella santa donna di Esme  la costrinse letteralmente a mollarmi.
<< Alice, su lascia in pace Bella! Tanto sai già come le stanno i vestiti, non è una barbie! >> Mimai un grazie con le labbra a Esme e corsi giù per le scale prima che Alice potesse riacciuffarmi.
In salotto trovai Carlisle intento nella lettura di un libro mentre Emmett ed Edward guardavano una partita di baseball alla tv e Jasper preparava una scacchiera per una partita. Solo Rosalie sembrava tutt’altro che impegnata in una qualche attività, stava seduta su uno dei divanetti con lo sguardo perso nel vuoto. Non sapevo cosa aspettarmi da lei, la sera precedente non mi poteva vedere, in quel momento invece mi rivolse un’occhiata veloce, senza però, con mio gran sollievo, la nota d’odio della sera precedente.
Carlisle lasciò il libro e sorridendo mi venne incontro.
<< Come è andata la giornata Bella? >> Ci accomodammo su un divano, insieme ad Esme, che aveva portato con sé il suo album da disegno.
<< Abbastanza bene: ho aiutato Esme a cogliere e sistemare i fiori nei vasi e ho ascoltato un po’ di musica. Carlisle, ho di nuovo sete… >> Mi infastidiva dover continuamente ripeterlo ma, come mi aveva spiegato Carlisle, la sete sarebbe stata al centro dei miei pensieri per ancora qualche tempo.
<< Lo so, cara, sei ancora molto giovane… Vedrai che in poco tempo avrai altri tanti interessi che non centrino per forza con il sangue! >> Fece una piccola pausa. << Più tardi andrai nuovamente a caccia ma, Bella, ricorda che ti devi abituare a nutrire sempre meno: non puoi certo rovinare la fauna locale! >> Non troppo convinta annuì.
<< Vinto! >> L’urletto di giubilo di Alice invase la stanza. Saltellava sul posto con un enorme sorriso sulle labbra, mentre Jasper scuoteva il capo, rassegnato.
<< Ti ho battuto di nuovo Jazz, sei proprio pessimo! >> Ridendo come una bambina abbracciò il marito, il quale si fingeva deluso e stizzito, ma un dolce sorriso lo tradiva.
<< Alice, non vale se usi il tuo potere! Non sei per niente sportiva! >> Sorrisi a quella dolce scenetta. Alice e Jasper erano due persone completamente diverse, lei esuberante e lui introverso, ma ero perfetti l’uno per l’altra.
<< Su, Bella! Si va a caccia! Ti faccio compagnia, anche se mi sono già nutrita una settimana fa non sia mai che ti lascio cenare da sola! >> Rise nuovamente, ma si beccò una bella occhiataccia da parte di Carlisle, che non sembrava troppo contento della decisione.
Improvvisamente Emmett si alzò e ci affiancò, con un cipiglio serio che non prometteva nulla di buono.
<< Ehi, ehi ferma nana! Prima dobbiamo spiegare le regole alla novellina! >> Esme e Carlisle ridacchiarono, Jasper sbuffò ed Edward alzò gli occhi al cielo, divertito. Rosalie continuava a non badare minimamente a ciò che le accadeva attorno.  Emmett non diede loro peso, anzi mi mise una mano sulla spalla e continuò ancora più serio di prima.
<< Come membro della famiglia Cullen devi sottostare a delle regole riguardanti la caccia… >>
<< Non devo uccidere umani! >> Lo precedetti, affermando convinta.
<< Naah, non c’entra niente questo! È trascurabile! >> E anche lui si beccò un’occhiataccia da parte di Carlisle. Intanto io ero stupefatta, quali altre regole c'erano che mi ero persa?
<< Ognuno di noi nel modo di cacciare somiglia maggiormente ad un differente animale e questo rispecchia anche i suoi gusti. Ad esempio io, stando a ciò che dicono, sembro un orso, Edward un leone e così via. Di conseguenza NON DEVI MANGIARTI I MIEI GRIZZLY!! >> Le ultime parole le urlò letteralmente, tanto che il mio istinto da neonata mi costrinse ad allontanarmi da lui.
<< Grazie >> Finì, con tono angelico e ritornò alla sua poltrona e riprese a fare zapping alla tv, come se non si fosse mai spostato. Io lo guardavo ancora con gli occhi sgranati.
<< Oh Emmett, smettila di scocciare! Bella puoi cacciare ciò che preferisci, non dargli retta. >> Mi disse Edward, tranquillo.
<< Infatti, Emmett. Non rompere! >> Alice fece una linguaccia al nerboruto fratello e, prendendomi sotto braccio, mi portò fuori dalla porta a finestra.
<< Non allontanatevi! >> Sentimmo le parole di Carlisle mentre già correvamo inoltrandoci nella foresta.
 
 

 
 
Ecco i nomi delle “recensitrici”
 
 
giova71
 giova71
 ary94
 vanderbit
 bedw
LadySile 
 Nadia1992
 totta_cullen 
 nanerottola
Alice_Nekkina_Pattinson
 gabry01121992 
 Adria_Volturi
 ese96
 MaryAc_Cullen
 Aleswan
 chiaretta85_
 iaele santin
 Lissy 1996 
 dafne46
 

 
Spero di sentire i vostri commenti sul nuovo capitolo,
a presto
Vero (:
Ps: Non ho ancora risposto alle vostre precedenti recensioni, ma lo farò sta sera o domani :*

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Quando un volo ti cambia la vita

 

Ragazze, come promesso posto oggi, che brava eh? ;)
Ok, ok lo so neanche poco poco xD
Non ho risposto alle vostre recensioni e temo che non riuscirò a farlo neanche oggi, spero di farcela nel fine settimana :( Penso che risponderò a qualcuna un giorno, ad altre domenica :(
Beh non credo di avere altro da dire questa volta… Ah sì, purtroppo ho una brutta notizia: potrei sparire per altre due settimane ç___ç  Scuola, scuola, scuola -.-
Vi lascio al capitolo!
Buona lettura,
Vero :*
Ps. Il capitolo NON è betato, chiedo quindi  scusa per eventuali errori.

 
Capitolo VI
Isabella Pov

Io ed Alice correvamo a pochi metri di distanza. Stavo avanti io in quanto, essendo una neonata, ero molto più veloce.
Radissimo, tanto che solo un flash rosso me ne rivelò il movimento, qualcosa o qualcuno mi superò in un lampo. Rallentai, leggermente allarmata, fino ad affiancare nuovamente Alice. Arrestammo contemporaneamente la corsa.
<< Bella >> Alice mi guardava interdetta, il capo inclinato << perché ti sei fermata? >>
Prima che potessi rispondere dai cespugli davanti a noi comparì nuovamente una zazzera di capelli rossi e compresi chi mi avesse superato.
<< Che succede, non cacciate? >> Edward ci osservava, un sorrisetto strafottente sulle labbra. << Ho cacciato qualche giorno prima di te, Alice, quindi ho più diritto di te di nutrirmi! >> Rispose sicuramente ad una domanda silenziosa delle folletta. Tradotto: Carlisle l’aveva mandato per controllarmi, evidentemente pensava che Alice non fosse sufficiente a placare una neonata senza controllo.
<< Bella, muoviamoci! O Edward si prenderà tutti i puma! >> Alice mi diede un colpetto sulla spalla ridacchiando mentre il rosso continuava a sogghignare. Impiegai un bel po' della mia volontà per non farmi distrarre dalla bellezza di quel mezzo sorriso. Dato che il bruciore alla gola cresceva di minuto in minuto decisi che non era il momento di rimuginare sul fatto che certamente Carlisle avesse ragione e concentrai i miei sensi sulla caccia.
In quel momento una folata di vento mi portò l’odore di un piccolo branco di cervi non troppo lontano dal punto in cui mi trovavo. Senza che nemmeno me ne accorgessi stavo già correndo verso la polla in cui si trovavano.
E fu in quel momento che accadde. Il vento cambiò direzione e un nuovo profumo, ben più allettante, mi spinse ad invertire direzione e ad aumentare la corsa.
Era un obbligo. Il mio corpo mi imponeva di seguire quell’afrodisiaco profumo, avevo il bisogno di impadronirmene. Nient’altro contava in quel momento, ogni mio pensiero era dominato dalla consapevolezza della sete bruciante e dalla scia che prometteva di spegnerla.
In quegli attimi solo un istinto poteva far breccia nella mia mente, qualcosa di più importante del sangue: l’autodifesa.
Avvertì qualcuno inseguirmi e, prima che me ne rendessi conto, quel qualcosa mi cadde addosso e mi gettò una decina di metri indietro.
Edward era davanti a me, semi accucciato, le braccia allargate come a contenere un mio tentavo di attacco. Ringhiai. Fu istintivo, un’azione  spontanea del mio corpo che rispondeva alla minaccia di un vampiro avrebbe potuto attaccarmi da un momento all'altro. Ma che, soprattutto, si frapponeva tra me e la mia preda.
Altri passi dietro di me ed Alice sbucò dai cespugli, accuatandosi nella stessa posizione di Edward. L’istinto ancora una volta si impadronì di me: saltai parecchi metri più a est e, quando mi ritrovai sia Alice che Edward davanti, mi accucciai e ringhia ancora. 
<< Bella, sono degli umani! >> Alice mi parlò lentamente, decisa.
<< Non vuoi ucciderli davvero! Riprendi controllo di te! >> Il tono di Edward era duro.
Fu solo grazie a quelle parole che rinsavì. Degli umani. E stavo per ucciderli. Li fissai per un’altra frazione di secondo poi diedi loro le spalle e corsi il più velocemente possibile dalla parte opposta agli umani.
Mi fermai solo quando fui certa di aver messo abbastanza distanza tra me e quelli che fino a poco prima erano stati la mia preda. Venni quasi immediatamente raggiunta da Edward, che manteneva però qualche metro di distanza tra noi, per sicurezza. Puntai il mio sguardo nel suo, chissà quanto gli apparivo sconvolta, dovevo sembrare una pazza.
In risposta lui accennò un sorriso e rilassò le spalle.
<< Il vento ha nuovamente cambiato direzione, non si sente più la loro scia. >>
Inizialmente titubante odorai lentamente l’aria attorno a me. Alberi, felci, polline, scoiattoli. Niente umani. Sollevata, ripresi a respirare regolarmente proprio nel momento in cui Alice ci raggiunse.
Riprendemmo la caccia, ma questa volta i miei fratelli mi restarono sempre il più vicino possibile. Parte della mia mente era sempre concentrata ed attenta a qualsiasi cambio di direzione del vento per non ricommettere l’ errore precedente. Ma per il resto era ingombrata da  un intricato insieme di pensieri carichi di senso di colpa e vergogna per ciò che avevo quasi fatto. 
 
 
<< Cosa stai pensando? Mi sembra ancora così strano non saperlo… >> Mi domandò gentilmente Edward, sedendosi accanto a me.
Dopo la caccia eravamo tornati a casa, ma non ero riuscita a rimanere per più di qualche minuto insieme alla mia famiglia, in salotto. Ero invece salita in camera mia, mi ero raggomitolata sul mio divanetto bianco a rimuginare sull’accaduto. Edward era entrato in camera mia e mi osservava.
<< Ho quasi ucciso degli umani, ho attaccato te ed Alice, ho perso letteralmente la ragione!! Ecco a cosa sto pensando! >> Risposi vergognandomi delle mie azioni, poggiai la testa sulle ginocchia, come a proteggere il volto.
<< Bella, non li hai attaccati e non hai fatto del male né ad Alice né a me! La tua è stata una reazione naturale all’odore del sangue umano e l’istinto di autodifesa dei neonati, specie durante la caccia, è estremamente forte! >>
Sembrava convinto di ciò che diceva, l’oro fuso dei suoi occhi non aveva nemmeno un’ombra. Annuì, incerta.
<< Ma non mi sembra che tu ed Alice abbiate perso il controllo durante la caccia, ed eravate come me a un centinaio di metri dagli escursionisti. >>
Alzò gli occhi al cielo, il suo sguardo era un misto tra il divertito e l’irritato mentre sulle sue labbra si dipingeva il sorriso sghembo tanto affascinante.
<< Come te lo devo dire? Noi abbiamo dalla nostra una certa esperienza… >> Scosse il capo e continuò, sempre con quel sorriso sghembo sulle labbra << Temo ti serva un passatempo… O hai intenzione di continuare a crogiolarti nel rimorso? Per qualcosa, tra l’atro, che non hai fatto >> Un ombra passò, veloce, sul suo sguardo, ma venne immediatamente scacciata.
<< Forse sì… Non ho molto da fare durante il giorno… Beh neanche la notte a dir il vero. >> A parte attentare alla vita di qualche innocente umano. Ma questo non lo dissi.
<< Ah! Allora credo proprio che sia il momento che tu inizi ad ingegnarti per trovare qualcosa che tenga i tuoi sensi ben impegnati, specie durante la notte. Sai, in casa ci sono tre coppiette… Se campisci cosa intendo… >> Sorrise sghembo nuovamente, accennando alla porta con il capo. Se fossi stata umana sarei certamente arrossita. Abbassai lo sguardo, la pelle bianca del divanetto diventava estremamente interessante.
Edward rise. << Vedrai che ci farai l’abitudine, in fondo non si possono passare tutte le notte fuori o a caccia! >>
<< Immagino che per te sia piuttosto fastidioso… >> Storse la bocca e alzò un sopraciglio, quasi disgustato. Fui io a ridere.
<< Beh, te l’ho detto: ci si fa l’abitudine. Più o meno… >>
La risata rombante di Emmett arrivò forte e chiara da due piani sotto, Edward scuoté il capo rassegnato.
<< Tornando al discorso dei passatempi, non è che per caso avete una copia di qualche opera Jane Austen? >> Domandai della mia autrice preferita, che mi ricordassi, infatti, la lettura era il mio hobby preferito anche da umana.
Sul volto di Edward si dipinse la stessa espressione stupefatta del pomeriggio precedente, quando gli avevo parlato dei miei gusti musicali.
<< Jane Austen, davvero? >> Sembrava scettico.
Alzai un sopraciglio, interdetta.
<< Beh, va bene anche Cime Tempestose se non avete nulla di Jane Austen. Non importa. >> Il sorriso accondiscendente mi morì sulle labbra quando l’espressione di Edward da confusa si fece esterrefatta.
<< Non ti piacerà davvero Cime tempestose?! >> Era tra lo scandalizzato e l’incredulo.
<< Perché, cos’ha di male Cime Tempestose? >> Stava per caso insultando velatamente il mio romanzo prediletto?
<< Tutto! I protagonisti, i loro strambi sentimenti, il modo di esternarli, la storia d’amore che non è una storia d’amore! >> Enfatizzò le ultime parole, per sottolineare il suo dissenso nei confronti del racconto.
<< Heathcliff è distruttivo, com’è possibile che ami Catherine se le rovina continuamente la vita? E lei poi… Insomma è fondamentalmente una donna egocentrica e troppo concentrata in se stessa e nel suo mondo per rendersi conto del dolore che provoca! Come può, questa, essere una storia d’amore? >>
<< Io invece trovo meraviglioso Cime Tempestose! Catherine e Heathcliff non sono certo perfetti e, anzi, hanno tanti difetti, il loro unico pregio è l’amore che condividono. E non è forse tutto ciò degno di una perfetta storia d’amore? >> Difesi tenacemente il romanzo dalle accuse di Edward che, dopo la mia risposta, appariva contrariato ed estremamente confuso.
<< Ma com’è possibile che si possa pensare che… Oh non capisco! >> Scosse il capo, poi fisso il suo sguardo d’oro fuso nel mio, incatenandomi. Sembrava volesse scrutarmi dentro. Ciò mi provocò una strana sensazione nel petto e distolsi, faticosamente, lo sguardo dal suo.
<< Non capisco minimamente come tu possa pensare qualcosa del genere! Non ti comporti come una normale neonata, come un’adolescente del tuo secolo! >> Rialzai lo sguardo, Edward mi fissava ancora. << Insomma qualunque neonato avrebbe attaccato me ed Alice e poi avrebbe raggiunto gli umani! Ed ogni adolescente del XXI secolo che si rispetti ascolta musica che distrugge i timpani e odia qualsiasi cosa non sia “all’ultima moda”… >> Scosse il capo, sembrava frustato. Da cosa non riuscivo a capirlo.
<< Non fai niente di quello che mi aspetto! E… la tua mente è impenetrabile per me! >> La sua voce suonava esasperata. Attesi un secondo, riflettendo, prima di rispondere.
<< Sono una specie di mostro? >> Inclinai il capo su un lato, preoccupata. Davvero ero così strana e anomala anche da vampira?
<< Io leggo nel pensiero della gente e tu pensi di essere un mostro? >> Era incredulo, scosse il capo e spuntò un sorriso incerto sulle sue labbra << No, tu sei semplicemente… diversa. >>  
<< Ed è una cosa buona? >> Ero ancora incerta su cosa fosse positivo e cosa negativo, forse le mie stranezze erano davvero causate da qualche anomalia nel mio cervello, come ricordai che sospettavo da umana.
Edward alzò gli occhi al cielo e si alzò, porgendomi una mano.
<< Su, andiamo a chiedere a Carlisle se ci sono libri di Jane Austen in casa. >> Afferrai incerta la sua mano e, per quanto non ne avessi bisogno, accettai quel gesto di cortesia che sapeva tanto di una cavalleria ormai dimenticata.
Quando scendemmo in salotto, seduti su uno dei divani, c’erano solo Esme e Carlisle. Dov’erano Emm, Rosalie, Jazz ed Alice? Poi mi venne in mente che loro erano due delle coppiette della famiglia, così lancia un’occhiata veloce ad Edward, il quale intuendo i miei pensieri, sghignazzò.
Riportai lo sguardo su Carlisle ed Esme, i quali mi sorrisero e fecero spazio sul divano perché mi sedessi con loro, intanto Edward si accomodò sul divano accanto.
Feci per parlare, ma la mia espressione colpevole doveva dirla lunga sul discorso che volevo iniziare. Esme mi accarezzò i capelli e disse:
<< Tranquilla, cara. Va tutto bene, non c’è bisogno di parlarne. >> Carlisle, annuì sorridendo alle parole della moglie. Mi limitai a ricambiare il sorriso, grata di avere accanto due persone così premurose e attente.
<< Carlisle, Esme sapete se ci sono in casa dei libri della Austen? >> Domandò Edward.
<< Oh, ma va bene anche Cime Tempestose! >> Lo dissi solo per rivedere quel cipiglio infastidito e disgustato che, a parer mio, era estremamente divertente. Le mie speranze vennero accontentate immediatamente. Non potei fare a meno di ridere dell’espressione di Edward e, poco dopo, si unì a me Esme.
Poi un’intuizione si fece largo in me, che non sopportasse neanche…
<< Mi piace molto anche “Romeo e Giulietta”! >>
<< Dimmi che stai scherzando! >> Se l’espressione di Edward prima era divertente in quel momento diventò spassosa. Come sospettavo non amava nemmeno l’altro mio romanzo preferito... Che fossimo agli opposti in tutto?
<< Non ridere, non c’è nulla di divertente! >> Si era imbronciato, quell’espressione accentuava i tratti infantili ed angelici del suo volto. Risi ancor di più, benché, senza capirne il motivo, faticavo a distogliere lo sguardo da quel viso così bello. << “Romeo e Giulietta”! >> Scosse il capo.
<< Siamo scesi qui non per criticare i miei gusti letterari, ma per trovarmi qualcosa da fare, Edward! >> Lo rimproverai ancora divertita. Mi rivolsi nuovamente a Carlisle ed Esme e notai che anche loro faticavano a trattenere le risate.
<< Bella, che anno di superiori frequentavi da umana? >> Mi chiese Carlisle.
<< Il terzo, ho diciassette anni, lo sapevi già. >> Non capivo dove volesse arrivare, conosceva già la mia età. A cosa gli serviva sapere l’anno che frequentavo?
<< Pensavo: perché non riprendi gli studi? Da vampira sarà molto più facile apprendere ed avrai un ottimo passatempo. >>
Ci riflettei un momento, riordinando le memorie della mia vita umana. Che ricordassi non avevo mai odiato più del normale la scuola. Annuì.
<< Va bene, posso provarci! >>
                                  
Che ne pensate? Ma voi, al posto di Bella, avreste accettato la proposta di Carlisle? Io gli avrei fatto una pernacchia e avrei preteso i miei libri della Austen xD xD
Fatemi sapere se vi è piaciuto ;)
Vero

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Ehm... Coff coff... Saaalve ^^
Ma guardate un po' chi si fa viva dopo un anno, questo sgorbietto qui! *riceve pomodori in testa*
Lo so che mi odiate, lo so. Me lo merito. Mi odio anch' io ç___ç

Non sto nemmeno a dirmi che ho avuto problemi, che la mia vena scrittoria ( e pure la voglia) se n’è andata a farsi un giro e bla bla bla. Per quanto tutte questo sia vero non ho scuse, sono un mostro. Al confronto con me Jane è un angioletto. Domando venia ç.ç
Niente folla inferocita e niente forconi per favore, sempre che sia rimasto qualcuno, perché in teoria dovrei essere tornata. Ma tornata davvero.
E per questo dovete ringraziare solo e soltanto  
ChocolateEyesquesta meravigliosa ragazza che, dopo avermi scovata su twitter, mi ha spronata e incoraggiata nella scrittura. Quindi picchiate pure me ed erigete un statua d’oro massiccio a lei.
Bando alle ciance, questo è il capitolo, non betato.
Spero davvero che vi piaccia,
ci leggiamo sotto.
Vero <3
Ps. Il capitolo è ovviamente dedicato a Greta, grazie grazie grazie <3

IMPORTANTE: se volete aggiungermi su facebook sono 'EndlessTwilight Efp'.


Capitolo VII

Chiusi il libro sbuffando. Avevo passato tutta la mattina a leggere il volume di Trigonometria del terzo anno e iniziavo a vedere triangoli rettangoli in tutto ciò che mi stava attorno. Però Carlisle aveva ragione, assimilavo nozioni davvero molto più velocemente di quando ero umana e di questo passo sarei stata in grado di diplomarmi entro la fine della fase neonatale.
Mi sedetti sul divanetto della mia camera e presi ad osservare insistentemente l’orologio a muro, nemmeno sperassi che ciò aumentasse la velocità delle lancette. Ma il tempo sembrava rallentare, come fossi condannata ad attendere in eterno. Anche se, forse, era davvero così. In fondo ero stata trasformata in una vampira, un essere dalla vita eterna per il quale, il tempo, non è un grande amico. Emmett per lo meno mi aveva detto che la noia è una delle emozioni maggiormente presenti nelle nostre eterne vite.
Tic tac, tic tac. Quando mi parve che le lancette si fossero fermate, per quanto fossi totalmente in grado di osservarne ogni minimo movimento, decisi che era il caso di indirizzare altrove lo sguardo. Mi alzai e nella stessa frazione di secondo ero già dall’altra parte della stanza, affacciata alla finestra. Mi persi nell’osservazione del mondo circostante, i monti all’orizzonte, il fiume, il bosco con tutti i suoi abitanti che potevo osservare nei minimi dettagli pur trovandomi ancora all’interno della villa. La possibilità di poter vedere finalmente tutto con chiarezza era forse la parte che più preferivo della mia nuova natura. E anche quella che mi destabilizzava di più, a dire il vero. Esattamente come la possibilità di sentire rumori provenienti da svariate centinaia di metri di distanza, mi perdevo spesso nell’osservare minuziosamente i dettagli più microscopici di ciò che mi stava attorno. La sbadataggine era una delle mie caratteristiche dominanti da umana e fu fin da subito evidente che me la fossi trascinata dietro pure nella nuova vita da vampira. Ecco che, per l’ennesima volta, mi ero distratta ed ero stata assorta nella contemplazione del manto bruno di uno scoiattolo intento a sgranocchiare una nocciolina. Potevo addirittura sentire il suo piccolo cuore pompare sangue nelle vene, continuamente e instancambilmente…
Con un solo balzo mi ritrovai con le spalle premute contro la porta chiara della mia stanza, i cardini cigolanti. Possibile che provassi il desiderio di uccidere anche quel minuscolo animaletto? Quel piccolo esserino che non sarebbe stato in grado di soddisfare nemmeno lontanamente una parte della mia sete. Eppure non riuscivo a smettere di immaginare quanto sarebbe stato meraviglioso lacerare il suo fragile collo e succhiar via fino all’ultima goccia quella linfa vitale che tanto agognavo.
La gola bruciava e sentivo ogni muscolo in tensione, già pronto a balzare oltre il vetro della finestra. Ero nauseata da me stessa.
Certo, in mia discolpa c’è da dire che erano oltre quaranta ore che non andavo  a caccia. Carlisle infatti sosteneva che fosse il caso che iniziassi ad abituarmi a nutrirmi secondo certi tempi stabiliti. Per non parlare del fatto che i miei continui banchetti a base di cervi e alci avrebbero potuto sconvolgere l’ecosistema locale.
Avvertì l’ormai familiare rompo di una volvo in avvicinamento: erano loro, con l’auto di Edward. Discesi in un soffio le scale, uscì fuori dalla porta d’ingresso e mi precipitai in garage. Alice scese dall’auto prendendo per mano Jazz e, prima di dirigersi verso casa, mi salutò scoccandomi un bacio sulla guancia. Suo marito mi rivolse un sorriso, Emmett mi scompigliò i capelli, Rosalie mi lanciò un’occhiata veloce ed uscì dal garage. Non era cambiato nulla tra noi, il nostro inesistente rapporto procedeva rigido ormai da giorni. Per lo meno non aveva più provato ad incenerirmi con lo sguardo.
E per ultimo, dallo sportello del guidatore, saltò fuori Edward. L’eleganza con cui compì quel gesto era straordinaria, forse anche per un vampiro. Mi sorrise. « Buon pomeriggio, com’è andata la mattinata? »
Lo affiancai e gli risposi sorridendo anch’io.
«Noiosa: ho letto tutto il libro di Trigo. E non ce la faccio più!» Terminai la frase con un gesto plateale delle braccia.
«Quindi hai studiato abbastanza per oggi, no?» Mi domandò con il suo solito e meraviglioso sorriso sghembo. Sapevo dove voleva andare a parare, così sorrisi entusiasta.
«Tocca a me? »
«Non se ne parla neanche!» Si mostrava fintamente indignato «Oggi è ancora mio!»
Era una sorta di gioco che avevamo inventato: Edwad si lamentava del fatto che non riuscisse a leggermi nel pensiero, così avevamo deciso che lui doveva sapere qualcosa di me e, siccome anch’io era molto curiosa, a giorni alterni ci saremo fatti domande sulle nostre precedenti vite.
«Ma non è giusto!» Misi su un broncietto degno di una bambina di cinque anni. «Sono due giorni che vai avanti tu, quando toccherà a me? Ieri hai detto domani!»
«Domani, infatti.»
 Sorrise di nuovo, straffontente. E, mi resi conto, quel sorriso aveva tenuto la mia mente occupata per troppo tempo. Ci misi un secondo intero ad elaborare una risposta. Ringraziai la mia buona stella per avermi dato una strana mente impenetrabile.
«Prepotente»
«Deduco, dal tono dispregiato utilizzato, che non ti piacciono i prepotenti.»
Sospirai, rassegnata. Ecco che ricominciava un nuovo attacco di domande.
«No, non mi piacciono. Ma poi, a chi piacciono i prepotenti?» Domandai, inarcando un sopraciglio. Lo sguardo che gli riservai lo fece ridacchiare.
«Non a molti, è vero.» Sorrise  «E chi altro non ti piace?»
Esasperata, e allo stesso tempo divertita e lusingata da tutto quell’interesse, risposi:
«I bugiardi, i disonesti e gli sbruffoni.»
Annuì, concentrato. Non si era nemmeno accorto dell’occhiataccia che gli avevo indirizzato nel pronunciare quella frase. Lo interruppi prima che potesse ripartire a raffica.
«Ok, ora tocca a me!»
«Ma non ho ancora finito!»
« E io non ho nemmeno iniziato. Ho deciso che andremo ad intervalli: un po’ tu e un po’ io.» Affermai, decisa.
Tentò ancora di obbiettare, ma lo interruppi con un gesto secco della mano.
«Quanti anni hai?»
«Diciasette»
«E da quanto tempo hai diciassette anni?»
«Da un po’.»
Inarcai un sopraciglio, non contenta: non era la risposta che volevo. Puntai il mio sguardo nel suo, alla ricerca di risposte. Dovette convincersi che non mi sarei arresa tanto facilmente o che avrei sopportato la sua risposta, per quanto strana potesse essere. Gli avevo già confidato i miei ‘problemi’ nel realizzare che sarei vissuta molto più di quanto un qualsiasi essere umano possa anche solo immaginare.
Sbuffò. «Sono nato a Chicago, nel 1901.» Aveva misurato ogni parola usata e non aveva distolto lo sguardo dal mio nemmeno per un attimo, come ad accertarsi che riuscissi a prendere bene la notizia. Impedì al mio sguardo, che sperai rimase impenetrabile, di mostrare tutto lo stupore che mi aleggiava dentro mentre constatavo che aveva centoquattro anni.
«Ma hai… Centoquattro anni! Sei decrepito!»
Edward rilassò le spalle, abbandonando la posizione contratta e sul suo viso prese vita il solito sorriso obliquo.
«Perché Carlisle ti ha trasformato?»
«Avevo diciassette anni e stavo morendo di spagnola. Carlisle mi ha trovato in punto di morte e mi ha trasformato, portandomi con sé.» Scrollò le spalle con noncuranza, come se quel fatto non avesse la benché minima importanza, ma io avvertì un brivido salirmi su per la schiena al pensiero della sua morte.
«Fu lui il primo ad accorgersi del mio potere» Continuò «Rispondevo a domande che lui non esprimeva.» Ridacchiò ed io lo seguì, chissà come era stato strano per Carlisle constatare che qualcuno riusciva ad infilarsi nella sua mente! «Con il tempo si è abituato.»
«E così è iniziata la vostra lunga convivenza .» Sorrisi, ma lui non ricambiò. Una leggera rughetta increspò la sua fronte d’alabastro, gli occhi si intristirono e fuggirono dai miei.
«Quasi.» Pronunciò con tono di voce talmente basso da farmi pensare di averlo immaginato. Lo sguardo tornò ad incontrare il mio, l’oro dei suoi occhi si era indurito eppure riuscivo a scorgervi un luccichio particolare. Imbarazzo.
«Quasi?»
Sospirò, non contento di rispondermi.
«Diciamo che ho passato anch’io un periodo di… ribellione adolescenziale. Non ero contento della nostra dieta, non sopportavo il fatto che Carlisle soffocasse la mia sete. Ci sono voluti dieci anni prima che riuscissi a ribellarmi a lui e ad andarmene per i fatti miei. Vedevo la verità e la purezza nei suoi pensieri: capivo perché avesse scelto quella vita. In pochi anni tornai da lui. Prima ero convinto che sarei stata immune alla… despressione… che la coscienza porta con sé.» Capì cosa volesse dire: anche solo il rischio di uccidere degli umani innocenti aveva creato in me enormi sensi di colpa. Addirittura l’idea di nutrirmi del sangue degli animali era difficile da accettare. «Visto che leggevo i pensieri delle mie prede potevo assalire i malvagi e risparmiare gli innocenti. Se seguivo un assassino in un vicolo buio dove aveva intrappolato una ragazza… Se salvavo lei allora non avevo motivo di sentirmi così terribile. Ma erano comunque vite umane e io stavo diventando il peggior mostro in circolazione. Carlisle ed Esme mi riaccolsero come il figliol prodigo. Non meritavo tanto.» Continuavo ad osservarlo, gli occhi nei suoi. Attendeva che dicessi qualcosa.
«E’ comprensibile.»
Aggrottò le sopraciglia. Non era questa la risposta che si aspettava. Un sorriso spuntò dalle sue labbra, scuoteva il capo.
«Sei del tutto incomprensibile, per me.» Rialzò lo sguardo nel mio. «Io ti dico che ho passato degli anni ad uccidere umani e tu mi rispondi che è comprensibile. Ma se tu rischi, da neonata e durante la caccia, di attaccarne uno o due è il finimondo!»
«Erano tutti mostri.»
Alzò gli occhi al cielo, un gesto che gli avevo visto fare così tante volte in quei pochi giorni. Lo ripeteva spesso, quasi quante volte passava una mano tra quella zazzera perennemente scompigliata.
«Erano solo queste le tue domande?»
Non mi lascio rispondere anzi, riprese sorridendo arrogante.
«Bene, allora tocca di nuovo a me. Un po’ tu e un po’ io, parole tue.» Il sorrisetto sghembo non abbandonò il suo volto.
«Parlami di Jacksonville, cosa c’è di tanto bello da fartela amare più di Forks?»
«Gli abitanti della Florida, ecco cosa c’è a Jacksonville!» Stavo prendendo le sembianze di una bambina di cinque anni, ormai era evidente. Lui mi inchiodò con il suo sguardo di oro puro e io non riuscì a resistergli. Gli raccontai quanto quel paesaggio arido e afoso esercitasse un fascino irresistibile per me, di come ai miei occhi fosse meraviglioso, pur così poco ricco di vita. Di come mi ero sentita sempre protetta dalle montagne e dagli alti piani rossicci del mio stato.
«Qui c’è troppo verde, decisamente.»
Mi aveva ascoltata attentamente, senza smettere di osservarmi. Per un attimo mi chiesi come dovessi apparire ai suoi occhi. La nuova arrivata, la vampira continuamente assetata e allo stesso tempo nauseata dal sangue. Ero un controsenso continuo. In più, stando al suo punto di vista, il mio modo di pensare era totalmente assurdo. Eppure, per qualche altrettanto assurdo motivo, pareva affascinarlo.
Si lasciò cadere all’indietro, sul divano bianco. Senza che neppure me ne fossi resa conto avevamo raggiunto la mia stanza, tanto mi era già divenuto familiare la casa.
Mi sorrise. «Ho capito, ho capito. Hai bisogno di aiuto per biologia?» Ecco un’altra passione che avevamo in comune, oltre la musica classica e la lettura. Non che da umana passassi il mio tempo libero a giocare al piccolo chimico, ma biologia era una delle materie che mi veniva più semplice apprendere. E ora, grazie anche alla mia nuova mente potenziata, potevo comprenderla e studiarla molto più velocemente. Quindi no, non avevo bisogno di aiuto. Eppure, ogni volta che mi chiedeva se volessi una mano per studiare, accettavo.
Avevamo preso a passare gran parte del tempo assieme. Il pomeriggio, tra una lezione di biologia e l’altra, lui andava avanti con le sue domande e io non potevo fare a meno di rispondergli. Non era umanamente, e inumanamente, possibile dire no a quello sguardo d’ambra. Anche durante la notte non ci separavamo. Di solito ci allontanavamo dalla villa quel tanto che bastava per lasciare privacy alle coppiette. Non che avessi mai avuto conferma dei racconti di Edawrd, ma meglio non rischiare. Solitamente ci rintanavamo su qualche ramo particolarmente alto, oppure facevamo corse di velocità, che puntualmente vinceva lui. Una volta o due mi aveva anche portata a caccia, il che in teoria non era granché come idea, dato che ci sarebbe voluto ben più di un solo vampiro per placare la furia di una neonata assetata. Nonostante ciò cacciare fianco a fianco era qualcosa di stranamente rilassante. La sua presenza aveva uno strano potere tranquillizzante su di me, d’improvviso la vampira veniva messa a tacere e lasciava spazio a Bella. Per non parlare del fatto che Edward durante la caccia era estremamente sexy, una delizia per gli occhi.
«Mh, sì. Siamo rimasti alla mitosi.» Risposi.
«Aspetta un attimo.» E davvero non dovetti aspettare più di un momento. A velocità vampiresca si precipitò fuori dalla porta e il secondo dopo già se la chiudeva alle spalle. Stringeva nella mano sinistra un oggetto bianco di forma piuttosto particolare, che riconobbi subito come un microscopio. Un microscopio molto potente, a giudicare dal design laboratorio-nasa-sezione-protetta. Ma a Edward non pareva importare, lo teneva dalla parte inferiore degli oculari, nemmeno fosse un giocattolino.
«Oggi si fa lezione pratica, collega.»
«Perché avete un microscopio del genere, in casa?»
Allontanò la domanda con una scrollata di spalle. Ma forse non mi sarei dovuta stupire date le conoscenze dei Cullen su ogni campo esistente al mondo.
Posizionò l’oggetto al centro della mia scrivania e si accomodò sulla sedia accanto a me. Ormai, data l’abitudine di studiare insieme, la sedia della sua stanza era stata trasferita nella mia. Con la mano che non reggeva il microscopio aveva portato dei vetrini e una cipolla.
«Oh, vuoi analizzare l’epitelio della cipolla. Capito.»
Accennò  una riverenza con il capo.
«Prima le signore, mademoiselle.»
«Lei è molto gentile, monsieur.»
Perché il sorriso che mi rivolse fu così sconvolgente?
Sistemai un vetrino sotto il microscopio e misi a fuoco l’ingranditore. Non mi ci volle più di una frazione di secondo per dichiarare il responso. «Profase.»
«Permetti che dia un occhiata?» Di nuovo il sorrisetto impertinente.
«Perché, pensi che mi sia sbagliata?» Eravamo entrambi chini sulla scrivania, le nostre teste quasi si sfioravano. Rendermene conto mi causò una strana stretta allo altezza dello stomaco.
Mi lanciò una veloce occhiata divertita da sotto le lunghe ciglia e si avvicinò al microscopio per esaminare il vetrino. «Profase.»
«Proprio come ho detto io.» Fu il mio turno di sorridere impertinente.
Sostituì il vetrino e si chinò nuovamente sul microscopio, poi me lo avvicinò.
«Ecco, controlla questo.»
Lo osservai e diedi il responso il più rapidamente possibile. «Anafase.» Allungai una mano, senza guardarlo. «Prossimo?» Posizionai il vetrino che mi aveva passato e gli diedi una veloce occhiata.
«Interf… »
«Hai già fatto questo esperimento, vero?» Mi interruppe prima ancora che riuscissi a pronunciare il mio responso. Alzai lo sguardo. Mi osservava attentamente, le labbra assottigliate in una linea dritta. Non mi chiese nemmeno di poter verificare che la mia risposta fosse giusta.
«Potrebbe essere, non ricordo esattamente…» Che frequentassi un corso di biologia avanzata, a Phoenix, lo ricordavo benissimo invece. Ma come spiegargli che semplicemente ogni scusa era buona per passare del tempo con lui quando nemmeno io capivo il perché di tale desiderio?
«E perché, allora, mi chiedi sempre aiuto?» No, la domanda era: perché su quel suo visetto d’angelo si stava formando il solito, irriverente mezzo sorriso? Seppi che se fossi stata umana la mia faccia sarebbe andata a fuoco per l’imbarazzo. Beccata.
«In realtà sei tu che mi chiedi ogni giorno se mi va di studiare biologia insieme.»
«E tu, per non offendermi, accetti sempre. Dico bene?»
«Per l’esattezza.» Decisamente quella scusa era patetica. Dovette pensarlo anche lui, perché il sorrisetto arrogante non abbandonò il suo volto, anzi.
Si alzò e riprese microscopio e vetrini.
«Per oggi abbiamo finito. Magari, se continuerai a essere tanto gentile, potremmo studiare comunque assieme biologia.» Annuì, decisamente a corto di parole. A velocità vampiresca uscì dalla stanza, per riportare tutto a posto.
Decisi che era il caso di evitare nuove figuracce, così scesi di sotto.
Trovai buona parte della famiglia intenta nelle solite attività pomeridiane e serali. Zapping alla televisione, partita a scacchi, lettura di libri e riviste di ogni genere. Mi guardai intorno, Carlisle non era ancora rientrato. Alice, dopo aver stracciato per l’ennesima volta Jasper a scacchi, mi si avvicinò.
«Ehi, sorellina. Ti sei divertita oggi?»
Emmett, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla tv, rispose per me.
«Esme dice che ha passato tutta la mattina sui libri, come credi che possa essersi divertita? E tra l’altro pure da quando siamo tornati non ha fatto altro che studiare biologia.» Sbuffò, ma un inquietante ombra di sorriso aleggiava sulle sue labbra. «Per non parlare del fatto che Edward, per quanto si impegni, non riesce nemmeno a flirtare decentemente.» Sgranai gli occhi per la sorpresa e rimasi impalata al centro del salone. Emmett sbuffò nuovamente, questa volta il suono era apertamente divertito.
«Ma Bellina, credi che nessuno si sia accorto che passate ogni attimo disponibile assieme? E noi siamo vampiri, hai presente? Super udito e compagnia. Beh, potresti trovarti una scusa migliore per rapire Eddy ogni pomeriggio. La biologia è roba vecchia.» Decisamente quella conversazione, o meglio monologo dato che non avevo ancora aperto bocca, stava diventando imbarazzante.
«Piantala Emmett. Lo scherzo è bello quando dura poco, te l’hanno mai detto?» Edward aveva disceso la scalinata che portava in salotto e ora fissava truce suo fratello. Dalle sue parole sembrava che quella non fosse la prima volta che ne discutevano. Di male in peggio, non c’è che dire.
Dalla televisione arrivò la voce chiara e bassa della conduttrice di un telegiornale. Informava, con poche parole, che le forze dell’ordine cercavano ancora i due passeggeri dispersi del volo diretto a Seattle precipitato due settimane prima. Passò poi ad un’altra notizia, questa volta non ci fu alcun servizio dei reporter.
Il silenzio era precipitato nella sala, gli sguardi puntati alla TV.
«Tutti parlano di te, a scuola.» Alice, che non si era spostata dal mio fianco, parlò. «Di te, di tuo padre, di tutto l’accaduto.» Non sembrava particolarmente addolorata, triste e dispiaciuta per me sì, ma niente di più. Mi resi conto che probabilmente per loro non era poi così strano dover fingere di essere morti, di tanto in tanto.
Di mio padre. Queste parole continuarono a rimbalzarmi in testa, ripetendosi all’infinito, come una strana cantilena. Si bloccarono solo quando, senza nemmeno rendermene conto, presi una decisione.



E questo è quanto. ^^
Se c'è ancora qualcuno disposto a leggere la storia, senza possibilmente trucidare l'autrice qui presente, avrà l'ottavo capitolo entro settimana prossima.
Vi amo taanto, ricordatelo :3
*scappa via terrorizzata*

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Salve gente ^^
Scusate per il leggero ritardo, avrei dovuto postare ieri ma una persona a me vicina ha avuto un grosso problema e questo mi ha impedito di terminare e pubblicare il capitolo.
Un enorme grazie alle ragazze che, nonostante tutto, hanno recensito lo scorso capitolo *sparge cuoricini*, ai lettori silenziosi e a tutti i nuovi arrivati che hanno inserito la storia tra preferite/seguite/ricordate.
Senza ulteriori indugi vi lascio al capitolo,

ci leggiamo alle note finali. uu




Capitolo VIII

Il sole, quella mattina, non voleva saperne di restare pigramente nascosto dietro le nuove come da routine. Alice, ovviamente, l’aveva previsto ed era stata organizzata una caccia in grande stile per il giorno e quello seguente, troppo luminosi per permetter loro di mostrarsi agli umani.

Sdraiata sul divano del salone, le gambe mollemente distese al mio fianco, lasciavo che i raggi solari passanti per le enormi vetrate lambissero e riscaldassero la mia pelle. Era una sensazione piuttosto particolare, simile ai raggi del sole sulla pelle umana, ma mille volte più potente. Avvertivo la calura come mai prima mi era capitato, pareva quasi scottare, mi trapassava la pelle gelida fino alle ossa. Eppure non era doloroso, anzi, piuttosto piacevole. Allo stesso tempo però, per quanto avvertissi il raggi solari scottanti, il loro calore non riusciva a riscaldarmi davvero. Esattamente come capita ad una lastra lasciata ore e ore al sole, abbandona la sua abituale freddezza, ma non potrà mai diventare davvero calda.
Alice mi passò accanto, avvertì lo spostamento d’aria al suo passaggio. Socchiusi gli occhi. La vidi, attraverso le ciglia, osservarmi per un momento. Quando si rese conto che anch’io la stavo guardando mi rivolse un sorrisetto allegro e impertinente.
«Alice, piantala. Sai che è fastidioso.» Edward comparve in cucina, indossoava una tuta da ginnastica scura. In realtà tutti si erano vestiti con abiti comodi, di tonalità più o meno scura. Abiti elastici, ottimi per i movimenti, perfetti per la caccia. Beh, tutti tranne Alice, ovviamente. Lei non aveva certo rinunciato ai suoi jeans scoloriti ad arte, a una camicetta chiara elegante e a scarpe con tacco vertiginoso.
«Non so di cosa tu stia parlando, Edward.» Decisamente, Alice sapeva di cosa il fratello stesse parlando.
«Del fatto che sono ore e ore che traduci l’inno nazionale americano in tutte le lingue. E, per la cronaca, in arabo non ha esattamente una gradevole musicalità.»
Seguivo quello scambio dal divano, gli occhi ancora socchiusi, beandomi del calore del sole di mezzogiorno.
Edward mosse qualche passo in avanti, verso Alice, uscendo dall’ombra proiettata da una delle credenze della sala. Dal canto suo, la piccola vampira attraversò la porta d’ingresso e andò a rifugiarsi in giardino.
Il fascio di luce lo investì e la sua pelle prese a brillare. Ero perfettamente a conoscenza degli effetti dei raggi solari sui vampiri, li avevo visti sia su di me sia su Carlisle, ma su Edward erano mille volte più sconvolgenti. Potevo dire con assoluta certezza che in quel momento fosse la più bella creatura che avesse mai camminato su questa Terra. Era impossibile distogliere lo sguardo dal meraviglioso scintillio della sua pelle, i tratti da bambino messi in risalto dallo sfavillare dei raggi solari. Era impossibile distogliere lo sguardo.
Osservai il suo capo voltarsi e gli occhi concentrarsi sulla mia figura. Ci mise qualche secondo a rendersi conto che anche io lo stavo guardando, decisamente troppo tempo per un vampiro. Per un attimo mi passò per la mente l’idea che anche lui non riuscisse a togliermi gli occhi di dosso.
Voltò le spalle e si allontanò nuovamente su per le scale. E ora che diavolo succedeva?
Alice, o meglio la sua testa e una sua mano aggrappata alla porta, ricomparvero oltre la soglia di casa. Mi sorrise sorniona e fuggì nuovamente.
Era dalla sera precedente che mi lanciava sorrisetti obliqui ogni qualvolta ci trovavamo faccia a faccia. Le avevo chiesto cosa stesse succedendo, ma in risposta avevo ricevuto solo la visione della sua schiena che si allontanava.
Vedendo Rosalie entrare nella stanza mi misi immediatamente seduta, la schiena rigida. Un piccolo soldatino sull’attenti.
«Stiamo andando.»  Meravigliosa come sempre nella sua tuta color del ghiaccio non potei fare a meno di sentirmi inferiore, ancora una volta. E a disagio, dato che il colore dei suoi abiti rispecchiava la sua espressione. Per lo meno il tono era garbato e le iridi dorate non cercavano in alcun modo di fulminarmi. A piccoli passi Bella, a piccoli passi.
Ma questo non spiegava certo perché venisse a dirmelo proprio lei.
«Carlisle mi ha chiesto di avvisarti, se non te ne fossi accorta siamo tutti già fuori.» Mistero svelato.
«Sì, arrivo subito.» Mi affrettai ad alzarmi e in una frazione di secondo ci trovammo entrambe nel giardino sul retro.
Tutti i Cullen ci aspettavano al limitare del bosco.
« Bene ragazzi, ora che ci siamo tutti qui, dettiamo un paio di importanti regole.» Perché avevo la strana sensazione che si stesse rivolgendo solo a me? «La prima: non allontanatevi troppo dal gruppo, si caccia a poche centinaia di metri gli uni dagli altri. La seconda: ovviamente assicuratevi che non ci siano umani nelle vicinanze. E terzo» questa volta si rivolse apertamente ad Emmett «per favore, un po’ di rispetto per l’ecosistema locale. Emmett, non vogliamo portare degli animali all’estinzione, vero?» Domanda più che retorica, alla quale il mio nerboruto fratello rispose con uno sbuffo divertito.
«Abbiamo solo un giorno e mezzo a disposizione, quindi non ci allontaneremo troppo. Giusto una cinquantina di chilometri, così saremmo in grado di tornare a casa velocemente.»
«E all’ospedale, non è vero Carlisle?» Jasper ridacchiava sotto i baffi.
Sul volto di Carlisle si dipinse un sorriso bonario. «Proprio così, Jazz.»
«Possiamo andare.»
Correvamo fianco a fianco e più ci inoltravamo nei boschi più la distanza tra noi aumentava. Gli alberi si facevano sempre più alti, la vegetazione più fitta e la fauna sempre più numerosa.
Nessuno si era disturbato a chiudere la porta sul retro, ma in fondo non era poi così strano. Alice di certo non aveva visto tentativi di scasso nell’immediato futuro.
Alice.
Come diavolo avevo fatto a non pensare a lei? Avevo preso una decisione e lei di certo l’aveva visto. Nel momento esatto in cui, la sera prima, un’idea aveva preso forma nella mia mente il mio sguardo aveva incrociato quello di Alice. Edward le aveva chiesto cosa stesse succedendo, ma lei gli aveva risposti con una scrollata di spalle.
Ecco cosa stava nascondendo. Come faceva Alice a impedire a Edward di leggerle il pensiero? Ma domanda ben più importante: perché lo stava facendo?
Mi fermai. Non avvertivo più Jasper e Edward, che mi stavano ai fianchi all’inizio, nelle immediate vicinanze. Rimasi in silenzio, in ascolto del mondo circostante. Niente. Evidentemente erano andati avanti e nessuno si era accorto della mia assenza.
Era il momento giusto. Mi voltai e presi a correre il più velocemente possibile al ritroso. Di nuovo osservai la vegetazione attorno a me modificarsi, la foresta diradarsi sempre più, fino a lasciar spazio al bosco che, a sua volta, diventava sempre meno fitto.
Superai il fiume e mi ritrovai nuovamente nel giardino di casa Cullen. Non mi fermai. Continuai la mia corsa verso Forks, mantenendomi comunque al limitare del bosco, protetta dalla fitta ombra degli alberi. A dirla tutta non ero esattamente certa di quale direzione dovessi prendere, non ricordavo di aver mai attraversato i boschi  per tornare a casa da bambina, perciò mi limitai a seguirne il confine. Ero però certa che si trovasse in periferia, al confine con il bosco. Prima o poi sarei arrivata.
Ricordavo bene. Un piccolo stabile bianco si ergeva solitario a pochi metri dal fitto del bosco, in periferia rispetto al resto della cittadina. Era una casa di modeste dimensioni, su due piani. Semplice e familiare. Ricordavo con certezza che conteneva due stanze da letto e un solo bagno. Io e Charlie eravamo costretti a condividerlo. La cucina e un piccolo salotto stavano al piano terra, le stanze e il bagno a quello superiore.
Mi avvicinai il più possibile all’edificio. Salii sull’albero più vicino al giardino sul retro, che distava sì e no pochi metri dalla staccionata, e mi sedetti su un ramo di media altezza. Da quella postazione godevo di un’ottima visuale. I portelloni delle finestre erano aperti, ma dall’interno non proveniva alcun rumore. Charlie non c’era. Potevo chiaramente vedere oltre le finestra della cucina e del minuscolo salotto. Tutto era rimasto uguale. Anche il giardino non era cambiato, un piccolo fazzoletto di prato senza alcuna pianta particolare.
Attesi lì il suo ritorno.
Fu strano. Non mi resi conto delle ore che passavano finché non avvertì il rompo di un auto che costeggiava sul vialetto. Il sole, ormai, stava calando sull’orizzonte.
Charlie fece il suo ingresso in casa, avvertì il portoncino sbattere, e andò direttamente in salotto. Qui accese la tv e si sdraiò comodamente sulla poltrona. Anche dal punto in cui mi trovavo potevo sentire il suo cuore caldo e umido pompare sangue in tutto il corpo. Il bruciore alla gola tornò, prepotente. Non avevo cacciato prima di andare da lui ed erano diversi giorni che non mi nutrivo. Forse non era stata una grande idea. Oltre la forza di volontà, la razionalità – e il vento favorevole – qualcos’altro mi spingeva a restare saldamente ancorata a quel ramo. L’affetto che avevo provato per mio padre durante la vita umana non era sparito. Certo, nessuno dei due era mai riuscito a dimostrarlo davvero, eppure eravamo sempre stati consapevoli dell’esistenza di quei sentimenti.
Come il battito del suo cuore, potevo sentire anche il rumore prodotto dalla tv. Era in onda un telegiornale, eppure ricordavo che Charlie guardasse solo programmi sportivi. Lo ascoltava attentamente, l’espressione del volto concentrata, le sopraciglia corrugate. Dopo una manciata di minuti la giornalista congedò il pubblico e partì la solita sigla finale.
Charlie cambiò canale, di nuovo un telegiornale. Lanciò una fugace occhiata alla parete al suo fianco, parallela a quella della finestra. Vi erano innumerevoli foto, tutte avevano come soggetto la stessa ragazza, immortalata in età diverse. Quando, per la terza volta, scelse come programma un notiziario compresi che stava aspettando un particolare servizio. Uno su di me e sul mio incidente.
Andò avanti così per un po’, poi si alzò e scomparve oltre la porta.
Un improvviso spostamento d’aria alla base dell’albero mi portò un dolce profumo di lillà e sole. Si sedette accanto a me, in silenzio. Attese qualche istante prima di parlare.
«È  tanto che ti cerco, sai?»
Continuai a tenere lo sguardo puntato in direzione della casa. Charlie trafficava in cucina, improvvisava una cena a base di toast. Aprì il frigo, probabilmente in cerca degli insaccati.
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Esme ha pensato fossi tornata a casa.» Fece una pausa. «Serve del tempo per abituarsi all’idea di averne una nuova. E tu non ci sei ancora riuscita.» La sua voce era estremamente malinconica. Di nuovo non lo guardai quando parlai.
«Venivo qui ogni estate, passavamo insieme un mese. Poi all’età di quattordici anni mi stufai, deve  averne sofferto.» Non riuscì a pronunciare né ‘papà’ né ‘Charlie’, ma Edward capì ugualmente. «Finalmente avevo deciso di venire a vivere con lui, era il suo sogno. E ora è finito tutto.» Improvvisamente tutto il malessere e il dolore che provavo si aprirono un varco nella mia maschera di apatia. Mi voltai finalmente verso di lui, disperata. «E’ tutto finito, capisci? Non potrò più andare a vivere con lui, non potrò più instaurare quel rapporto con mio padre che ho sempre desiderato. Non potrò abbracciarlo e dirgli che mi dispiace perché lui mi crede morta e io sono troppo pericolosa per lui! Mi amava e io non gli ho mai detto che, nonostante tutto, gli volevo bene anch’io! » Senza alcun preavviso due braccia forti, marmoree, mi cinsero la vita. Posai il capo sul suo petto. Singhiozzavo. Il senso di colpa, la frustrazione, il dolore e la rabbia per una vita che non avevo scelto, che ero stata costretta ad accettare per un brutto scherzo del destino, si erano riversate fuori. Edward mi stringeva a sé con forza, eppure la sua presa era estremamente gentile. Con una mano mi accarezzava dolcemente i capelli. Attese che i singhiozzi si fossero calmati prima di parlare.
«Non usare il passato, ti ama ancora. Ti amerà sempre.» Mi lasciai cullare dalle sue braccia per un tempo che parve infinito.
«Sta soffrendo molto, vero?» Sapevo che, anche da quella distanza, Edward era in grado di sentire i suoi pensieri. E di conseguenza le sue emozioni.
«Con il tempo starà meglio. Gli umani tendono a dimenticare la sofferenza. Se non lo facessero ne morirebbero, sono troppo fragili. Per quelli come noi è diverso. »
I singhiozzi erano terminati, la crisi era passata proprio come era arrivata. Eppure Edward non mi lasciò andare, continuava a tenermi stretta a sé e ad accarezzarmi i capelli. E di certo io non mi sarei scostata. Pure in quella situazione di dolore, una parte di me non poteva che imbarazzarsi e… gioire di quella vicinanza. Stavo così bene tra le sue braccia.
«I miei genitori furono uccisi dalla spagnola.» Non mi aspettavo che riprendesse a parlare. E, a giudicare dalla pausa che seguì queste parole, nemmeno lui. Rimasi in silenzio, il volto premuto contro il suo petto, in attesa che continuasse.
« Anch’io ci misi un po’ ad accettare la situazione. Insomma, la mia nuova vita mi imponeva di allontanarmi dalla mia città, da tutto ciò che conoscevo e da chi mi era stato accanto. Non potevo nemmeno avvicinarmi alle persone perché ero troppo pericoloso, vivevo solo con Carlisle.» Di nuovo un’altra pausa. Questa volta lo sentì sospirare. «In più non riuscivo a capacitarmi della morte dei miei genitori, mentre io iniziavo una nuova vita. Perché io sì e loro no? Come te, anch’io avevo un rapporto molto speciale con mia madre. Mio padre era un avvocato di successo, passava la maggior parte del tempo fuori casa. Certe volte non ci vedevamo per mesi.» Inclinai leggermente il capo verso l’alto, per osservare Edward. Lo sguardo era rivolto ad un punto indefinito dell’orizzonte, perso nei ricordi.
«Era il centro del mio universo. Non era la mia migliore amica.» Di nuovo il sorriso sghembo da infarto. «No, era mia madre, e non le potevo nascondere nulla, né lo volevo. Era… davvero troppo per me. Non riuscivo ad accettare l’idea che non ci fosse più, che non l’avrei più rivista, che io stessi bene mentre lei… Lei era morta. Devo ammettere che, soprattutto il primo periodo, superate le prime settimane di sete incontrollabile, provavo un certo rancore nei confronti del… destino, penso si possa chiamare così. Ciò che era accaduto non era giusto, per niente. Non capivo perché a me era stata risparmiata la vita e a lei no. In segreto serbavo risentimento anche nei confronti di Carlisle.
«Poi un giorno saltò fuori l’argomento e diedi sfogo a tutta la mia rabbia e al mio dolore. Mio padre» sorrise, pronunciando quelle parole «mi raccontò che fu mia madre a chiedergli di trasformarmi. In realtà non gli disse proprio così, ma gli prese la mano e gli chiese di fare quello che agli altri non era permesso, per me. In un primo momento Carlisle si spaventò, temette che quella donna, non seppe mai in quale modo, avesse scoperto la sua vera natura. Ma mia madre morì un’ora dopo e lui scelse di esaudire il suo ultimo desiderio.» Di colpo tornò al presente e, chinando il capo verso di me, riprese a parlare. «Il succo del discorso è che, Bella, per quanto si tratti di situazioni totalmente opposte, sia mia madre sia tuo padre sono dei genitori. Mia madre voleva che continuassi a vivere, in un modo o nell’altro. Non le importava se la mia vita si sarebbe svolta lontano da lei, né in quale modo l’avrei condotta. Voleva semplicemente un’altra possibilità, per me. Non credi che per tuo padre sia la stessa cosa? Se sapesse che continui a vivere, anche se lontano da lui e da tua madre, non pensi sarebbe comunque felice?»
Era una domanda retorica, io stessa non avevo minimamente bisogno di riflettere tanto per capire quale fosse la risposta.
«Lo so, hai ragione.» A Charlie e Renée sarebbe bastato sapermi ancora viva per essere felici, ma il problema stava proprio nel fatto che non sarebbero mai venuti a conoscenza della mia seconda vita.
Sospirai e il mio respiro si infranse contro le sue labbra.
Prima non mi ero accorta di quanto fossimo vicini, i nostri volti erano ad un soffio l’uno dall’altro, i nostri sguardi incatenati. Anche lui dovette rendersene conto, perché d’un tratto rafforzò la presa sulla mia vita e qualcosa nei suoi occhi cambiò. L’ambra, resa lucente e senza ombre dalla recente caccia, aveva assunto uno sfumatura calda, infinitamente dolce.
Mi aveva incantata, allontanarsi era impossibile. Sarebbe bastato un minimo movimento perché i nostri nasi si toccassero, per poi essere seguiti dalle labbra… Mi ritrovai a desiderare quel contatto con tutta me stessa e, nemmeno si trattasse di un’illuminazione divina, capì cosa mi stesse succedendo.
Edward mi piaceva, e anche tanto. Ormai ero diventata dipendente dal suo sguardo, dal suo profumo, dalla sua presenza. Ero totalmente intossicata, quando c’era lui intorno non riuscivo ad essere totalmente razionale. Oppure, in altri momenti, era l’unico che riusciva ad aiutarmi nella mia nuova vita. Come in quel momento, ad esempio. Avevo totalmente dimenticato dove fossi e perché. Lentamente si avvicinò, i nostri nasi si sfiorarono.
Un rumore di vetri infranti invase l’aria.
Aprì gli occhi, non mi ero accorta di averli chiusi. Edward lasciò la presa sulla mia vita e allontanò lo sguardo. Esattamente ciò che feci io, in totale imbarazzo. (LOL, trollate)
Guardai verso la casa, Charlie aveva semplicemente rotto un bicchiere, ma per il nostro udito era un suono fin troppo udibile. Restammo in quella posizione per non so quanto tempo, lui addossato al tronco e io che fissavo ostinatamente mio padre addentare un panino e risedersi sulla sua poltrona.
Edward si schiarì la gola «Credo che sia il momento di tornare a casa, devo chiamare Carlisle per avvisarlo che ti ho trovato. Erano tutti preoccupati.»
Gli rivolsi finalmente lo sguardo e annuì, per poi tornare a guardare verso la casa. Charlie aveva riacceso la tv, questa volta su un programma sportivo e gustava il suo panino. Diedi un’ultima occhiata alle mie foto appese alle pareti.
Phil avrebbe aiutato mia madre a superare tutto. Charlie era forte, aveva sempre tirato avanti da solo, ce l’avrebbe fatta.
Mi alzai e, con un balzo, raggiunsi Edward alla base dell’albero.
Non mi voltai più indietro.
Addio, papà.




Mh, *coff coff* piaciuto lo scherzetto? u.u
E ora due noticine giusto per rompervi un po' le scatole e darvi qualche noiosa spiegazione in più sulla fic.
Alors, questo capitolo, nella mia originale idea di trama, non ci sarebbe dovuto essere. Bella si sarebbe dovuta fregare bellamente della sua vita umana e avrebbe dovuto proseguire in tutta tranquillità (e voglia di far fuori un po' di gente) la sua nuova esistenza. Però poi, dopo aver scritto il settimo capitolo, mi sono resa conto che non avrebbe avuto senso. Tutti i Cullen, nella prima fase neonatale per lo meno, erano stati legati alle loro precedenti famiglie, quindi perchè far passare Bella per un'insensibile priva di memoria? Per non parlare del fatto che, dato che siete tutte così estasiate dall'idea di vedere 'sti due combinare qualcosa, ho colto l'occasione per trollarvi di brutto. Peace and love <3
Inoltre ora Bella si è finalmente lasciata alle spalle la sua vita umana e può iniziare a vivere davvero, e solamente, la sua nuova esistenza. Si è in un certo senso evoluta.
Okay, ho finito, a sabato prossimo belle!

Non volete uccidermi, vero? <3

Ps. in serata risponderò alle recensioni. ^^

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo 9

Salve!

Sono passati altri nove mesi, lo so. Le motivazioni sono sempre le stesse, scuola, casini personali, scuola e scuola.

Cos’altro posso dire? Mi dispiace tantissimo, perdonatemi.

Vero

 

 

Capitolo IX

(Bella)

Chiusi le ante della cabina armadio con una lieve pressione della mano. Mi ero cambiata d’abiti, pur non avendoli sporcati e senza essere andata a caccia. Il perché non lo capivo nemmeno io. Appena tornata a casa avevo sentito il bisogno di rintanarmi un po’ nella mia stanza, in solitudine. Avevo perfino fatto una doccia, giusto per rispettare la vecchia abitudine di lasciare che l’acqua calda lavasse via qualsiasi preoccupazione. Mi ero avvolta nell’asciugamano e poi avevo frizionato i capelli e li avevo pettinati, lasciandoli leggermente umidi.
Mi ritrovai a riflettere anche se, a dirla tutta, non avevo mai smesso di farlo da quando avevamo lasciato la casa di Charlie. Era strano come, dopo aver preso la decisione di mettere la parola ‘fine’ alla mia esistenza umana, questa mi apparisse distante, quasi vissuta da qualcun altro.
Sembrava quasi che il pomeriggio appena terminato fosse lontano anni, non poche ore.
La nebbia che avvolgeva i miei ricordi si era fatta più compatta, quasi solida. Potevo scegliere di allontanarla e immergermi nei ricordi, nelle emozioni e nelle sensazioni della mia umanità, oppure tenere tutto sigillato, cristallizzato dietro un muro che le separava da tutto il resto.
Il muro di nebbia fu definitivamente chiuso da dei suoni leggeri e carezzevoli che si diffusero nell’aria e che mi attirarono oltre la stanza, verso il piano di sotto.
Erano note, note di una melodia.
Scesi le scale lentamente, a velocità umana. Anche volendo non avrei potuto muovermi più velocemente: seguire un ritmo diverso rispetto alla placida armonia di quelle note ne avrebbe rovinato la perfezione.
Arrivai in sala e non mi sorprese trovare Edward al pianoforte. Se non altro perché, a parte noi due, la casa era vuota. Mi avvicinai lentamente, fermandomi dietro di lui. Osservai le sue dita muoversi veloci e incredibilmente aggraziate sui tasti d’avorio.
Si voltò un momento verso di me e mi fece cenno di sedermi accanto a lui, sullo sgabello.
Pareva impossibile che una sola persona, un solo paio di mani, potessero creare una melodia tanto meravigliosa. Eppure Edward si dimostrava ancora una volta capace di tutto, troppo speciale per i limiti umani a cui ero ancora abituata.
Lentamente, avvertì la musica cambiare, le note volteggiare sempre più tenui, sempre più basse, fino ad arrivare alla conclusione. Le dita di Edward, però, non si fermarono. Non vi fu alcuno stacco tra una melodia e la successiva, semplicemente dove terminò l’una terminò l’altra iniziò, come se fossero due parti di uno stesso intero, l’una conseguente all’altra. Le note si fecero ancora più avvolgenti, più calde e ricche di sentimento. Andò in crescente, la tenerezza, la dolcezza, la forza era espressi attraverso quei suoni. Era una sequenza perfetta di note e pause, un tripudio di suoni forti e deboli, acuti e bassi, perfettamente combacianti tra loro. Più andava avanti più la melodia si faceva dolce e struggente. Eppure, anche le note più alte e passaggi più struggenti trasmettevano una particolare sensazione di pace ed equilibrio incontrastabile.
Le note si susseguivano veloci e leggere, malinconiche e dolci.
Una ninnananna, ecco di cosa si trattava.
Uno spartito era ordinatamente posato sul piccolo leggio, ma lui non gli prestava attenzione.
Guardava me.
Mi scrutava attentamente da sopra la spalla, senza mai allontanare il suo sguardo dorato dalla mia figura. Io invece ero incantata dal movimento delle sue dita, veloci ed esperte, sui tasti d’avorio e alabastro.
Nella parte alta dello spartito, al centro, v’era scritto ‘Bella’s Lullaby’.
La grafia era elegante e svolazzante, molto simile a quelle delle firme dei vecchi documenti. Non c’era dubbio, era stata la mano di Edward a tracciare le eleganti lettere del titolo.
Bella’s Lullaby.
Bella. Quella sinfonia perfetta, dolce e melodiosa, portava il mio nome.
Quella consapevolezza mi procurò un’ondata di irrefrenabili emozioni:  gioia, lusinga ed esultanza si riversarono nel mio stomaco, dando vita nuovamente a quella sensazione calda e stringente all’altezza del ventre.
Mi resi conto solo in quel momento di cosa tutti intendessero con l’espressione ‘farfalle nello stomaco.’
Le mie c’erano già da un po’, ma non l’avevo ancora realizzato.
Mi voltai verso Edward, accennai con il capo agli spartiti. Sicuramente non riuscì a nascondere un accenno di sorriso compiaciuto.
«Questa» ed era ovvio che si stesse riferendo alla melodia «è dedicata ad una persona molto speciale che, anche se non può più dormire, spero saprà apprezzare ugualmente una ninnananna. »
Non aveva mai smesso di guardarmi, nemmeno mentre pronunciava le ultime frasi. Il suo tono si era fatta vellutato, esattamente come la melodia che era giunta al termine. L’espressione rilassata del volto sparì, diventando più solenne.
Le farfalle nel mio stomaco aprirono le ali e iniziarono a sbatacchiare l’una contro l’altra.
Si voltò totalmente verso di me, le mani avevano lasciato lo strumento e ora stavano mollemente posate sulle sue gambe.
«Bella,» le farfalle si esibirono in una capriola al sentire pronunciare il mio nome. «questa canzone è per te, ovviamente. Mi hai ispirata e… Spero che possa esserti di conforto nei momenti tristi.»
Non sapevo che rispondere. Cosa si dice in casi come quello? Un “grazie” sarebbe stato decisamente troppo riduttivo.
Ma anche volendo, l’effetto che esercitava su di me lo sguardo di Edward mi impediva di proferire sillaba. Poteva un vampiro incantarsi? Perché io ero totalmente persa nei suoi occhi d’ambra.
Lentamente avvicinò il suo volto al mio. Avvertì il mondo fermarsi, in quel momento avrei potuto giurare che le lancette degli orologi si fossero fermate e che anche l’aria si fosse condensata. Lo vidi avvicinarsi sempre di più, non allontanai mai lo sguardo dai suoi occhi, incatenati ai miei. Quando le nostre fronti si sfiorarono lo avvertii esitare, la sua bocca a un soffio dalla mia.
Fu la cosa più naturale del mondo eliminare l’insignificante distanza tra di noi e posare le mie labbra sulle sue.
Inizialmente fu un lieve sfiorarsi, le sue labbra premevano dolci e incerte sulle mie. Una sua mano mi accarezzò la schiena fino a posarsi alla base, attirandomi a sé.
Le farfalle nel mio stomaco impazzirono, e io con loro.
Non so esattamente cosa accadde dopo, ma nel giro di una frazione di secondo mi ritrovai seduta sulle sue gambe, le mani infilate in quella zazzera rossastra. Quant’erano morbidi e setosi i suoi capelli!
Mi strinse maggiormente a sé, le mani che vagavano delicate sulla mia schiena e sulle braccia.
Schiusi le labbra e lui approfondì immediatamente il bacio, come se non avesse desiderato fare altro da molto tempo.
Ero totalmente assuefatta dalle sensazioni che stavo provando, incredibilmente amplificate dalla mia nuova natura. Non che da umana avessi avuto molte esperienze simili, eppure – ne ero certa – prima non sarei stata capace di avvertire così intensamente le emozioni e le sensazioni che quel bacio mi provocavano. O forse sarebbe stato lo stesso se con me ci fosse stato ugualmente Edward. Continuammo a baciarci per un tempo che parve interminabile e allo stesso tempo troppo breve, avvinghiati stretti. Nuovamente l’irruenza cedette il passo alla dolcezza. Sfiorai lentamente i ciuffi rossicci sulla sua nuca e lui portò le mani a coppa sul mio viso, accarezzandomi le guance. Nella foga del momento la mia schiena era andata a scontrarsi con i tasti del pianoforte, producendo quindi un suono forte e cacofonico, decisamente poco adatto al momento. Edward allontanò di un soffio le sue labbra dalle mie e lo avvertì sorridere su di esse.
Il suo sguardo d’oro ardente si fissò nel mio. Non potevo sapere come fossero i miei occhi o cosa trasparisse da loro, ma dentro di me sentivo le stesse emozioni che esprimevano quelli di Edward: emozione, felicità e affetto.
«Edward» sussurrai.
Le farfalle del mio stomaco, intanto, continuavano svolazzare, causandomi leggeri brividi.

 

 

 

(Edward)

Mi mossi veloce su per le scale, questa volta reggendo tra le braccia tre mensole di legno chiaro che io ed Emmett avremmo montato nella camera vuota accanto alla mia. Vuota ancora per poco, a dire il vero.
Tutti erano in fibrillazione per l’arrivo del nuovo membro della famiglia ed erano ormai cinque giorni che progettavamo la sua stanza, modificavamo i mobili secondo le previsioni di Alice e poi li rimontavamo. Esme, dal canto suo, non smetteva di agitarsi e di brontolare per il totale disastro che avevamo creato. “E se arrivassero tra pochi minuti? Penserebbe che siamo degli animali, incivili e soprattutto affetti da disordine cronico. Ah, povero Carlisle, che imbarazzo sarebbe per lui. E che delusione per me!” A nulla erano servite le rassicurazioni sul fatto che se Carlisle fosse tornato con la giovane vampira Alice l’avrebbe visto. Esme odiava la confusione.
«Il folletto ha detto che il divano deve stare sulla parete di destra o di sinistra?» Una volta nella stanza trovai Emmett che teneva in braccio il divano a tre posti, nel centro della stanza.
«A destra, mi pare. È stata Esme ha deciderlo, però.» Poggiai al muro le assi e mi avvicinai alla parete bianca sui cui avrei dovuto fissarle, per calcolare l’altezza giusta.
«Quindi, oltre che per l’ordine, ora Esme si farà venire una crisi isterica se metto il divano a sinistra?» Emmett era a dir poco 
divertito dall’insolita ansia di nostra madre, solitamente così attenta e impeccabile.
Ridacchiai.
«Forse. Ma non sarebbe per niente cortese verificare tale supposizione.»
Annuì e, il ghigno divertito ancora sulle labbra, addossò il divano alla parete giusta, strisciando volutamente i piedi sul pavimento.
«Emmett, disgraziato! Il parquette!» L’urlo strozzato di Esme arrivò da due piani più in basso.
Ridemmo entrambi, senza smettere di dedicarci alla nostra recente occupazioni di arredatori d’interni.
«Alice ha detto quando la ragazza arriverà?»
«Non ancora, finché Carlisle non prende una decisione non lo può vedere.»
Da quando Alice era piombata in stato di trans nel bel mezzo dell’ora di letteratura inglese, pochi giorni prima, non facevamo altro che cercare di prevedere come sarebbe stata la nuova ragazza. Il suo arrivo aveva di gran lunga smorzato l’apatia che la minuscola Forks trasmetteva.
«Ma non potrebbe almeno chiamare e farci sapere qualcosa? Insomma, due minuti per dirci che è riuscito a salvarla e farci sapere che il suo nome è Isabella sono informazioni troppo limitate.» Emmett sbuffò, avvertivo il fastidio nei suoi pensieri. Per quanto anche Rosalie, che odiava con tutta sé stessa i cambiamenti, fosse incuriosita dalla nuova ragazza, Emmett era di gran lunga il più impaziente tra noi.
«È una neonata, Emm. Sai che Carlisle deve stare attento ad ogni suo passo.»
I suoi pensieri volarono a settant’anni prima, rievocando i primi ricordi della sua nuova vita. Compresi i primi omicidi e la voglia irrefrenabile di sangue umano.
Distolsi lo sguardo dal mio lavoro, nel tentativo di allontanarmi anche da quei pensieri molesti.
Scusa, fratello.” Emmett scacciò l’immagine della donna dal collo lacerato.
«Sì, ma almeno un messaggio per dirci ‘Ehi, ragazzi! A Bella piace tale cosa, smettete pure di eseguire gli ordini disparati di quella psicopatica di vostra sorella e comprate questo e questo.’» Scimmiottò la voce di Carlisle. «Non sopporto più Alice e le sue scemenze.» Brontolò.
Risi nuovamente, anche se io stesso ero infastidito dai continui cambiamenti di Alice. Un giorno diceva che a Bella sarebbe piaciuta la camera lilla, il giorno dopo diceva che era meglio il rosa e qualche ora dopo che bisognava modificare l’intera struttura della stanza perché avrebbe preferito le finestre rivolte verso est invece che a ovest.
«Le ho già detto che per il momento sarebbe meglio qualcosa di più semplice, così che poi sia la nuova inquilina a personalizzarla secondo i suoi gusti.»
«E ti ha almeno ascoltato?» Non era per nulla convinto.
«Beh, non proprio. Ma Esme è d’accordo con me e Rose pure, magari se ci si mettono d’impegno riescono a convincerla.» Mi strinsi nelle spalle.
«Lo spero. Confido in Rose, sa essere piuttosto persuasiva quando vuole.» Fortunatamente nessuna immagine molesta accompagnò le sue parole.
Una volta fissate le tre mensole – non che avessi impiegato più di qualche minuto – mi dedicai al trasporto della scrivania di frassino, ancora al piano di sotto.
Emmett sghignazzò nel constatare quale qualità di legno avesse scelto Esme per la camera.
«Penserà che vogliamo prenderla per i fondelli.» Mi unì alla sua risata.
Passò un altro minuto intero, durante il quale io sistemai la scrivania e i suoi cassetti, mentre Emmett si dedicava alla preparazione del portatile bianco che aveva scelto per Isabella. Tentai di non badare alla direzione in cui si stavano dirigendo i suoi pensieri, illudendomi che almeno mio fratello avrebbe evitato di darmi il tormento. Speranza vana.
«Quindi… – iniziò – Alice dice che questa Bella é proprio carina.»
«Emmett, ti prego. Non ti ci mettere anche tu.» Il tono della mia voce fu più lagnoso di quanto io stesso mi aspettassi.
«Ehi, non voglio infastidirti o insinuare qualcosa! Solo… Insomma, abbiamo già verificato che le bionde non ti piacciono e lei è unamoretta niente male.»
Emisi un lamento esasperato.
«Alice l’ha anche disegnata, hai visto, no? Più che carina direi che è davvero bella. Con le forme nei punti giusti e…»
«Emmett!»
«Okay, okay, messaggio ricevuto. La pianto.» Ritornò agli aggiornamenti del software.
Esme spera davvero che questa sia la volta buona e confida nelle sensazioni di Alice. Lo diceva anche ieri, quando Edward era a caccia.
Bloccò nuovamente il flusso di pensieri, rivolgendomi lo sguardo.
«Scusami, Ed. Davvero, non voglio darti fastidio.» Fece una pausa. «Non è intenzione di nessuno. Vorremmo solo che tu fossi felice.»
«E lo sono Emm, davvero. Per me non è un problema, sto bene così. Ho tutti voi, siete la famiglia migliore che potessi desiderare.
Ancora una volta mi si sarebbe presentata l’opportunità di avere una compagna e ancora una volta, ne ero certo, non sarei riuscito  provare assolutamente nulla per lei. Sarebbe stata un’amica, una sorella, nel giro di qualche anno si sarebbe trovata un compagno  io sarei stata nuovamente l’unico scapolo della famiglia, costretto a vivere con l’ennesima coppietta di innamorati perfetti.
Non permisi a nessuna emozione di farsi largo sul mio volto.
Entrambi sapevamo che le mie parole non corrispondevano alla realtà, non totalmente per lo meno, ma ancora una volta potei essere grato ad Emmett per il suo spiccato talento nell’alleggerire la tensione.
Un sorriso a metà tra la dolcezza e la presa in giro si dipinse sul suo volto.
«Fratellino, cosa sono questi eccessi smielati? Non è che mi stai diventando un po’… finocchietto?» E batté le dita dietro il lobo dell’orecchio, sottolineando l’ultima parola.
«Non credo proprio. Ma anche se fosse siamo in un secolo nuovo, devi adeguarti ed accettare le novità.»
Le nostre risate furono interrotte dal suono delle gomme di un’auto sul vialetto di casa. Avvertimmo tre sportelli aprirsi e chiudersi silenziosamente e il fruscio di diverse buste cariche di vestiti. Alice e Rose erano tornate con il loro bottino di guerra, quasi l’intero nuovo guardaroba di Isabella, e Jasper faceva loro da facchino.
Potevo sentire distintamente la soddisfazione nei pensieri di Alice per i suoi nuovi acquisti, ma anche la ferma decisione di continuare a schiavizzarci per la preparazione dell’armadio.
Voltai lo sguardo verso Emmett, che finse un brivido.

«Ragazzi!»
Può un vampiro rischiare l’esaurimento nervoso?

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***



Capitolo betato da Joan Douglas, grazie tesoro! <3

 

Capitolo X

(Bella)

Tenevo il capo posato sulla spalla di Edward, le braccia ad avvolgere il suo busto, mentre lui mi accarezzava i capelli e le spalle. Era ancora seduto sullo sgabello del pianoforte e io sulle sue gambe. Diversi minuti erano già passati dal nostro bacio, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare.

Come era accaduto prima con i baci, anche le carezze sembravano arrivare a toccare le mie ossa e i miei nervi, da cui poi partivano esaltanti impulsi che arrivavano fino al cervello e si espandevano, simili a ondate di calore, per tutto il mio corpo.

Eppure, in quel caleidoscopio di emozioni rassicuranti e allo stesso tempo inebrianti, una nuova sensazione prese a farsi spazio nel mio petto, piuttosto fastidiosa e fuori posto.

Imbarazzo.

Mano a mano che i minuti passavano, il silenzio tra noi si faceva più opprimente. E divenne decisamente insopportabile quando mi resi conto che sarebbe toccato a me parlare. Edward mi aveva dedicato la canzone, mi aveva baciata – o meglio, aveva iniziato il bacio – e ora mi teneva stretta a sé. E io non avevo tirato fuori nemmeno mezza sillaba. A meno che sussurrare il suo nome non valesse come discorso. Ne dubitavo.

Levai lentamente il capo dalla sua spalla, sfiorandogli il collo con la punta del naso, prima di allontanarmi un po’ per guardarlo in viso.

Di’ qualcosa, di’ qualcosa!

«La ninnananna è davvero bellissima, mi è piaciuta molto.» Beh almeno qualcosa l’avevo detta ed era anche la verità.

Alzò un sopraciglio e sul suo volto d’angelo si dipinse il solito mezzo sorriso malizioso.

«Sì, me l’hai dimostrato con una certa solerzia.»

Imbarazzata, allontanai lo sguardo e lo colpii scherzosamente al petto. Bloccò la mia mano con una delle sue e se la portò alle labbra, per poi depositare un bacio sul dorso.

«Grazie, davvero. È stato il gesto più dolce che qualcuno abbia mai fatto per me.» E non ebbi bisogno di scavare nei ricordi della mia vita umana per esserne certa.

«Credo che ti dedicherò altre mille melodie, se questo è il ringraziamento che ottengo!» Ed ecco di nuovo il sorriso malizioso, che ricambiai con una risata.

«E io, per ognuna di loro, sarò ben felice di ripagarti sempre allo stesso modo.»

Piegai leggermente il collo e posai un bacio sul suo mento.

Invece che accoccolarmi nuovamente sul suo petto, cosa che al momento mi attraeva particolarmente, mi allungai in avanti e afferrai gli spartiti dal leggio. Con finta aria pensierosa li avvicinai al viso, come se davvero potessi capirci qualcosa.

«Quindi devo aggiungere la voce ‘musicista’ alla lista delle tue doti, oltre che vampiro buono, medico, letterato e poliglotta?»

Durante i ‘giorni delle domande’ – che tra l’altro non erano nemmeno ancora terminati – avevo scoperto che Edward aveva acquisito, nel corso dei decenni, svariate lauree in ancor più numerose facoltà. Le sue preferite erano appunto medicina e lingue.

«Hai dimenticato cantante e baciatore provetto.»

«Cantante?»

«Beh, ho una bella voce.»

«E sei anche estremamente modesto.» Scossi il capo, divertita dalla sua strafottenza.

«Ehi, ho detto solo ‘bella’ infatti!»

Scoppiai a ridere, alzando quindi gli occhi al cielo.

«Me ne darai prova, vero?» Suonò più come un’affermazione, che come una domanda. Edward scrollò le spalle, come se non avesse nessuna rilevanza confermare.

«E ora che ti va di fare?»

«Non stiamo bene qui?» Inarcai un sopraciglio, tornando ad acciambellarmi sull’incavo del suo collo.

«Certo che sì, – sorrise – ma non ti andrebbe di fare anche qualcos’altro?»

Ci pensai su un momento, combattuta tra il magnetismo dell’abbraccio di Edward e l’idea altrettanto allettante di fare qualsiasi altra cosa con lui.

«Beh, potremmo… guardare un film, no?»

«Molto scontato, decisamente umano.» Ridacchiò.

Brontolai qualcosa di incomprensibile tra le labbra serrate, allontanandomi di qualche centimetro dal petto di Edward. Non oppose alcuna resistenza, pur limitandosi ad allentare la stretta delle braccia, ma mi rifilò un’occhiata stranita, non capiva cosa avesse fatto di sbagliato.

«Non ne so molto di queste cose.» Sostenni il suo sguardo confuso solo per qualche frazione di secondo, interessandomi quasi immediatamente ai tasti d’avorio del piano. «I vampiri hanno regole diverse in quanto a… rapporti?»

Anche se non lo stavo guardando fui certa che sul volto di Edward si stesse distendendo un sorriso. Portò nuovamente la mia schiena a combaciare con il suo petto.

«Devo ammettere di non essere un esperto in materia. Temo che le mie tecniche di corteggiamento siano leggermente superate.» Un’espressione pensierosa si era poi fatta spazio sul suo volto. «A meno che tu non desideri fare lunghe passeggiate sorvegliate e comunicare esclusivamente con lunghe lettere, per poi chiedere il permesso prima di poter restare soli anche solo per pochi minuti.»

Poi, indicando i nostri corpi abbracciati, ghignò. «E decisamente temo che con questo abbiamo già infranto tutte le regole della mia educazione.»

«Allora è davvero un bene che tu sappia adattarti agli usi di ogni epoca.»

«Paese che vai…».

Risi ancora, tornando a posare il capo sulla sua spalla.

«Quindi… è tanto che non corteggi una ragazza?»

«Ormai ero convinto che non avrei considerato più nessuno più di un fratello o di una sorella. Da quando è iniziata la mia… nuova vita non ho incontrato nessuno che potesse essere qualcosa di più.»

Lo osservai per una frazione di secondo, incredula.

«Mi prendi in giro.»

Ora quello incredulo era lui.

«Non potrei mai. Tra l’altro, per quale ragione?»

«Mi sembra assolutamente impossibile che un uomo come te non abbia avuto una donna per così tanto tempo.» Se fossi stata umana sarei arrossita di certo. Parlavo di lui in termini di ‘uomo’ e in effetti, per quanto il suo aspetto potesse trarre in inganno, lo era. Mentre io, in confronto, ero a malapena una ragazzina. «Sono lusingato dal giudizio che hai di me» mi lasciò una carezza sulla guancia «ma no, davvero, non c’è stata nessuna donna. Nemmeno quando ero umano. Te l’ho detto, al tempo era diverso.»

Non risposi.

«Che succede, non mi credi?»

«Ti credo, ma sono ancora molto stupita. Nessuna donna si è mai interessata a te?» Che domanda stupida. Era impossibile che uno come lui passasse inosservato, anche tra i vampiri. Per di più, subito dopo aver parlato, mi resi conto che quasi certamente non mi avrebbe dato una risposta  esaustiva: era troppo gentiluomo per vantarsi di una qualunque conquista, specie con me.

«Per un periodo, negli anni successivi alla mia creazione, Carlisle ed Esme si preoccuparono per me, pensavano che potessi soffrire di solitudine. Così una notte Carlisle trovò Rosalie in fin di vita e la trasformò, sperando che potesse essere per me ciò che Esme era per lui.» Ammutolii. Rosalie sarebbe dovuta essere la compagna di Edward?

«Ovviamente però non andò come sperava. Il rapporto tra me e Rosalie è sempre stato di affetto fraterno, non sempre idilliaco, mettiamola così.»

Mentalmente tirai un sospiro di sollievo, non avrei mai potuto competere con la bellezza di Rosalie. Per non parlare di quanto, nonostante tutto, quella vampira mi incutesse ancora timore.

«Mmmh, quindi è tutto okay, immagino.»

«Direi di sì.» Sorrise ancora, lasciandomi un bacio sulla punta del naso.

Ebbi a malapena un paio di secondi per capire che, alla fine, non mi aveva parlato di nessuna donna cadutagli ai piedi, ma semplicemente dell’inizio del rapporto con Rosalie. Era assolutamente impossibile che nessuna, in così tanti decenni, non avesse pensato a Edward come a qualcosa di più di un amico o di un fratello.

«Ora però sono curioso io: a Phoenix hai avuto tanti pretendenti?»

Non si preoccupò particolarmente di nascondere la nota di fastidio nella voce. Risi.

«Se tu sei geloso di qualche semplice annetto, cosa dovrei fare io?»

«Ma ti ho già detto che io non ho avuto nessun’altra donna.»

«E io non ho avuto nemmeno un ragazzo.»

Attese diversi secondi, prima di rispondere.

«Sul serio, nemmeno uno?»

«Nemmeno uno.»

La povertà della mia vita sentimentale dovette renderlo immensamente felice, perché d’un tratto mi ritrovai le labbra notevolmente impegnate.

Quando ci staccammo mi resi conto che entrambi avevamo il fiato corto, ma ciò non gli impedì di dimostrarsi pienamente soddisfatto. Un sorriso aperto gli incorniciava il volto.

«Beh, comunque mi sembra strano. Sei troppo meravigliosa per non aver avuto nemmeno un pretendente.»

«Valgono i fidanzati delle elementari? Perché alle elementari andavo forte.»

«Definisci forte.» Aveva smesso di sorridere, si fingeva nervoso, ma negli occhi perseverava lo scintillio malizioso.

«Mah, ti dico solo che mi riempivano di regali. E ne cambiavo anche tre in una settimana.» Mi tornò in mente l’immagine di un anello di plastilina e di qualche biscotto al cioccolato.

«Mmmh» Si avvicinò nuovamente al mio viso e di nuovo ci perdemmo in un diverso genere di conversazione.

«Non avevi detto che volevi fare qualcos’altro?» Soffiai.

«Non ti piace ciò che stiamo facendo?» Sorrise sulle mie labbra ma, allontanando il viso, mi fece cenno di alzarmi.

Non  andammo molto lontano, la nostra meta era infatti dall’altra parte della stanza. Mi accomodai direttamente sul divano, mentre Edward si cimentava nella ricerca di un DVD. Andò avanti per diversi minuti proponendo film di più o meno tutti i generi, dal musical al thriller. Quando me ne mostrò uno con degli zombie sulla copertina gli dissi che sarebbe stato meglio cercare la replica notturna di qualche film alla tv.

Annuì e venne a sedersi accanto a me, passando un braccio dietro le mie spalle. «Non so se riusciremo a trovare qualche film decente, a quest’ora.»

Osservai la parte bassa dello schermo, dove di solito si trova scritto l’orario. Le tre e dodici minuti.

«Prova in uno dei canali dedicati al cinema, non li avete?»

Strinse le labbra, in difficoltà.

«Giusto, non ci avevo pensato. In casa è Emmett quello che passa le ore davanti a questa cosa, a me non piace.» Fece una smorfia.

«Certo che no, sei troppo vecchio per queste cose.» Risi, sapevo che non amava essere punzecchiato sull’argomento.

«Non è la prima volta che mi schernisci. Potrei offendermi, sai?» Brontolando continuava a scorrere velocemente decine di canali. «E si dà il caso che Emmett non sia di tanto più vecchio di me.»

Voltai lo sguardo, incuriosita.

«No?»

«Carlisle lo trasformò nel ’35, fu aggredito da un orso.»

«Da un orso? E perché si era avventurato nei boschi da solo? È pericoloso, lo sanno anche i bambini.»

«Era a caccia.»

Dovette leggermi la confusione in volto perché, sorridendo, aggiunse:

«La sua famiglia non era benestante e lui li aiutava cacciando, era molto forte anche da umano. E per quei tempi non era insolito.»

Annuii, mentre accettavo l’idea che Emmett si procacciasse il cibo da solo, per non far morire di fame la sua famiglia. Erano altri tempi, d’altronde. Quasi gli stessi tempi in cui aveva vissuto anche Edward. Di nuovo l’idea di eternità mi risultava difficile da digerire. Tutti loro esistevano, immutati, da un secolo circa. E Carlisle da molto di più.

Distolsi l’attenzione da quegli inutili ragionamenti che, come sempre, non mi avrebbero portata a nulla.

«Anche Carlisle era a caccia e per questo l’ha trovato?» Trassi le conclusioni.

«No, fu Rosalie a trovarlo. Lo portò, sanguinante e mezzo morto, per miglia e miglia, fino a Carlisle e gli chiese di trasformarlo. Immagina la difficoltà di quel viaggio.» Accennò un sorriso, io inorridii. Di certo non ne sarei stata capace.

«Rosalie deve essere molto forte, allora. Però è dolce, no? Lei l’ha salvato e si sono innamorati. Molto romantico.»

Ora rideva apertamente.

«Sì, anche se in una maniera un po’ macabra e catastrofica, penso si possa definire una storia d’amore a lieto fine. Stanno insieme da allora. Emmett si innamorò di Rose durante il viaggio verso Carlisle. Lui la scambiò per un angelo.»

«Rosalie è senza dubbio molto bella.» Non faticavo a credere che qualcuno avesse potuto scambiarla per una qualsiasi manifestazione divina.

«Ma è un vampiro, una creatura tutt’altro che angelica. Per non parlare del suo caratteraccio.»

«Ora non essere cattivo.» Gli lasciai un buffetto sul petto, pur concordando con le sue parole.

«Hai ragione, non è stata un’uscita da gentiluomo. La tua epoca mi sta rovinando.» Si esibì in un teatrale cenno di rimorso.

Scossi il capo, divertita.

«E Rosalie? Lei perché fu trasformata?»

Si fece nuovamente serio, non era felice di rispondermi. Com’era già successo in precedenza, d’altronde. Mi chiesi se fosse a causa del suo essere tanto riservato o per paura di scavalcare la privacy altrui dato che, volente o nolente, veniva sempre a sapere qualsiasi cosa.

Mi guardò di sottecchi e io rimasi in attesa.

«Rosalie fu… aggredita da un gruppo di uomini, Carlisle la trovò mezza morta e decise di salvarla. Nessuno merita una fine del genere.»

Rabbrividii interiormente. Non avevo pensato che qualcuno di loro poteva essersi avvicinato alla morte per una causa diversa da un incidente o da una malattia. Improvvisamente la diffidenza che provavo nei confronti della biondissima vampira si sciolse in tristezza. Non sarei più riuscita a provar alcun tipo di astio nei suoi confronti, anche se avesse continuato a trattarmi come un’intrusa.

«È terribile… Povera Rosalie.»

E decisi che per quella sera ne avevo avuto abbastanza di macabre rivelazioni.

Intanto Edward afferrò il telecomando e prese a fare zapping. Contai: uno, due, tre. Tre canali al secondo. Un minuto e quasi duecento canali dopo bloccai la mano di Edward e gli sfilai il telecomando.

« Come facciamo a scegliere qualcosa se non riusciamo nemmeno a cogliere qualcosa più di qualche fotogramma?»

Sbuffò «Ma non c’è nulla!»

«Dai a me»

Scartai velocemente tutti i film contenenti inseguimenti di auto, spargimenti di sangue e canzoncine smielate dalla dubbia sensatezza.

Mi bloccai quando riconobbi dei fotogrammi familiari. Una musica cadenzata faceva da colonna sonora ad un paesaggio serale, diverse figure vestite di abiti sfarzosi si muovevano a passo di danza. Non mi ci volle tanto per riconoscere il primo atto di Romeo e Giulietta. E Edward fu svelto quanto me.

«No, ti prego!» La sua espressione mi ricordò tanto quella di un condannato al patibolo.

«Oh, Edward! È solo un film, non durerà tanto. E poi è già iniziato!»

«Lo vedo, sono esattamente sedici minuti.» In quel momento, invece, somigliava tanto ad un bambino capriccioso.

«Per favore» Gli sfiorai il viso a pochi centimetri dalle labbra, con la punta delle dita. Affilò lo sguardo, ma non allontano la mano.

«Sei una creatura davvero pericolosa»

Sprofondò per bene sul divano e mi attirò a sé, senza più protestare.

Sorpresa e compiaciuta dall’ascendente che avevo su Edward, mi lasciai stringere, pronta a vedere Montecchi e Capuleti distruggersi a vicenda.

«Non sarà tanto male, vedrai»

Scrollò le spalle «Tanto io guarderò te»

Alla scena del primo bacio Edward parlò di nuovo.

«Non ho mai sopportato Romeo. Insomma, prima dice di essere innamorato di questa Rosalina e poi, nel giro di una serata, decide di sposare Giulietta. Un po’ volubile il ragazzo. Quindi uccide il cugino di sua moglie. Per non parlare del fatto che sono entrambe delle Capuleti e che ovviamente nessuno avrebbe acconsentito ad un matrimonio con una di loro. Pure poco furbo.»

«Ehi, non parlare male di Romeo.» mormorai «È stato il mio primo amore!»

Ed era vero. Fin da bambina avevo avuto una strana cotta per Romeo Montecchi. Se avessi dovuto immaginare l’uomo perfetto avrebbe avuto il suo volto e il suo modo di fare. Certo, questo prima di incontrare Edward.

«Bene, una ragione in più per odiarlo»

Guardare il film con Edward, comunque, si rivelò anche meglio del previsto.

Prima di tutto non criticò più l’opera e mi tenne stretta a sé per tutta la sua durata. E mi sussurrava tutte le battute di Romeo all’orecchio, cosa che mi causava non pochi brividi immaginari sulla pelle.

Quando poi, alla fine, Romeo trovò la moglie morta e Edward soffiò sul mio collo «La morte, che ha già succhiato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezzami parve quasi strano non sentire alcuna lacrima rigarmi il volto.

Non ebbi però modo di soffermarmi a lungo su tale pensiero né di vedere l’ultimo atto, perché Edward suggellò la fine del film con un lungo e appassionato bacio. Strinse le dita tra i miei capelli e mi ritrovai schiacciata tra il suo corpo e l’imbottitura del bracciolo del divano. Di certo non mi lamentai.

Intanto, una qualche parte della mia mente registrò una risata tonante e delle velocissime falcate impercettibili dirigersi verso la villa.

 

Bene, eccomi di nuovo qui.

Questo capitolo è stato un parto, pure gemellare. L’ho scritto e riscritto diverse volte e temo ancora che possa essere di una noia mortale. Se lo è ditelo pure, capirò ç.ç

Beh, spero che questi momenti di zucchero vi piacciano, io sono una persona che ama i punzecchiamenti e battibeccare ergo mi rompo delle stucchevolezze.

Ho inoltre cambiato l’impaginazione, spero che in questo modo la storia sia più leggibile.

Okay, ho terminato le note. ^^

Ah, no. Voglio ringraziare tutte voi che ci siete ancora e soprattutto le ragazze che hanno recensito l’ultimo capitolo. Graziegraziegrazie *^*

Sono proprio contenta che siano cresciuti tanto preferiti e seguiti!

Tanti cuori per tuuutti voi <3

Vero

Ps. Avete visto che brava? Solo una settimana per il nuovo capitolo uwu

Pps. ‘Ste note sono più lunghe del capitolo stesso, aiut. ^^’

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Ehi, salve a tutte!

Sono tornata, ci ho messo un po’, ma sono tornata. ‘Sta volta vi ho fatto attendere 20 giorni, vi chiedo scusa, ma questo capitolo proprio non voleva venir fuori dalla mia testa.

Immagino abbiate notato che non ho parlato di frequenza di pubblicazione et similia. Bene, perché non ho intenzione di farlo. Non vi prometto nulla, ho troppa paura di non riuscire a mantenere la parola data. Quindi aspettatevi un capitolo ogni tanto, può essere ogni 7 giorni come ogni 10 o 20, dubito di più.

Spero vi piaccia il nuovo prodotto, ci leggiamo sotto *w*

Vero

 

 

 

Capitolo XI

(Bella)

Edward non parve particolarmente infastidito dalla presenza dell’intera famiglia in giardino e dal fatto che, ovviamente, erano in grado di sentirci. Per lo meno non quanto lo fu nel vedersi allontanare da me. A giudicare dalla sua espressione corrucciata, reputava più che accettabile farsi trovare avviluppati peggio di polipi sul divano del salone.

Un suono a metà tra un colpo di tosse e una risata precedette le parole di Emmett.

«Stiamo entrando! Niente scene raccapriccianti, grazie.»

Edward sibilò e io mi sedetti in maniera consona, maledicendo mentalmente Emmett e il suo senso dell’umorismo.

Avvertii dei rumori inconsueti per dei vampiri provenire da fuori, che identificai come passi esageratamente accentuati.

«Okay, sto aprendo la porta!»

Emmett non accennava a chiudere il sipario della sua personale comica e Edward continuava a irritarsi.

«Idiota»

Con un colpo secco la porta si spalancò ed Emmett balzò dentro, lo sguardo già rivolto alle scale. Ma, accorgendosi della nostra presenza, si voltò verso il divano. Il tutto in una frazione di secondo.

Un’espressione delusa si dipinse sul suo volto.

«Oh, siete qui»

Sbuffò e tornò in giardino.

«Hanno i vestiti addosso, che delusione»

Osservai Edward con la coda dell’occhio: era livido.

Gli accarezzai lievemente un braccio e mi rivolse lo sguardo, inarcando leggermente le sopraciglia.

«È un idiota»

«Sei ripetitivo»

Alzò gli occhi al cielo, tornando ad osservare la porta di casa, leggermente più rilassato.

Nei quattro secondi successivi alle parole di Emmett, l’intera famiglia attraversò l’ingresso.

Fu abbastanza strano ritrovarsi davanti Emmett che continuava a sghignazzare – sembrava trovare genuinamente esilarante l’imbarazzo che certamente mi si leggeva in volto – e gli altri che ostentavano indifferenza. Indifferenza totalmente falsa, date le occhiate veloci che ci lanciavano. Sembravano avere tutti qualcosa da fare di fondamentale importanza in salone, poiché fingevano di non badare a noi, ma nemmeno accennavano a lasciare la stanza. Esme si avvicinò al piano e studiò con immotivata attenzione i tasti, Carlisle pareva essere alla ricerca di qualcosa. Più di una volta aveva puntato lo sguardo alle scale, ma all’ultimo sembrava decidere di non volersene andare. Gli altri gironzolavano, Jasper finse addirittura di trovare qualcosa di profondamente interessante oltre una delle finestre. Solo Alice ridacchiava e scambiava, di tanto in tanto, una gomitata con Emmett.

Nessuno, però, si azzardò ad avvicinarsi all’area del nostro divano. Come se fossimo all’interno di una bolla, invisibile ma impenetrabile.

Edward era nuovamente seduto, il braccio disteso dietro le mie spalle. Anche lui osservava i movimenti degli altri ma, per quanto il suo sguardo seguisse ogni mossa, l’espressione era distante, in ascolto.

Dopo diversi minuti di placido silenzio, interrotto solo dalle risatine di Emmett ed Alice, mi schiarii la voce.

«Allora, com’è andata la caccia?»

Ah, parlare faceva male. Il persistente bruciore alla gola s’intensificò improvvisamente, ricordando che avevo uno spuntino in sospeso.

A rispondermi fu Esme, che evidentemente aveva risolto l’enigma del pianoforte, perché si era avvicinata al divano, senza però attraversare il confine inviolato della bolla.

«Molto bene, cara! Ci siamo spinti lontano, fino al Canada. Ci saresti dovuta essere, hai mai visto le foreste che ci sono al confine? Meravigliose.» Ovviamente perfino una caccia poteva sembrare un’idilliaca e interessante escursione, se raccontata da Esme. «E poi siamo stati molto attenti a non incrociare nessun escursionista. È stato divertente!»

Emmett scoppiò a ridere fragorosamente.

«Tranquilla Esme, Bella si è divertita molto più di noi! »

In quel momento accaddero diverse cose contemporaneamente: Alice scoppiò a ridere; un cuscino attraversò l’intera stanza talmente velocemente da essere sfuocato anche per la vista di un vampiro e atterrò dritto sulla faccia di Emmett; Esme si voltò e scoccò a Emmett un’occhiata di rimprovero.

Mi chiesi se, lanciato a quella velocità, anche un cuscino potesse fare male. Evidentemente no, o comunque non a un vampiro, perché Emmett lo rilanciò a Edward, senza smettere di emettere strani versi a metà tra una risata e un bramito.

«Beh, vi risparmiamo l’onere di raccontare, dato che l’ha già fatto Alice.»

«Alice!» Mi alterai. Un conto era essere messi in imbarazzo da Emmett di fronte all’intera famiglia, un altro sapere che l’intera famiglia conosceva i dettagli della mia serata con Edward. Non che avessimo fatto chi sa che, ma erano momenti privati, solo nostri.

E Alice li aveva sbandierati ai quattro venti.

«Capisci cosa intendevo quando ti ho detto che in questa famiglia il concetto di privacy non esiste?» bisbigliò Edward. Anche se, per quanto si potesse sforzare di parlare piano, chiunque nella stanza poté sentirlo.

«Non mi pare che tu volessi allontanarti, prima, quando stavano tornando» Borbottai, imbarazzata e per nulla sicura che si fosse capito qualcosa.

Nuovamente il sorriso sghembo fece capolino sul volto angelico.

«Io li ho sopportati per decenni, ora come minimo devono lasciarci fare ciò che vogliamo dove vogliamo»

«Ah-ah! È vendetta, la tua!» Mentre Esme si era allontanata, per fingere almeno di non sentire ciò che ci dicevamo, Emmett infranse la bolla e puntò un dito contro Edward. «Hai sentito, Jasper?»

Il biondo rise, stirando le cicatrici attorno alla bocca e sulle guancie.

«Non mi riferivo a Jasper e Alice.»

«Allora non capisco in che modo ti possano aver irritato Carlisle ed Esme.» L’indifferenza di Emmett era comica.

«Cosa non mi hai raccontato?» Risi, immaginando ciò cui si riferiva e che certamente non riguardasse i suoi genitori.

«Ciò che non gli interessa, ecco cosa non ti ha raccontato.» Emmett si avvicinò a Rosalie, che avevo fatto di tutto per ignorare. Il ricordo del racconto di Edward che lottava contro il fastidio per le occhiate glaciali che ancora ricevevo. Le passò un braccio sulle spalle, riprendendo a sghignazzare.

«Non è vero, Rose?»

Esme lanciò nuovamente un’occhiataccia a Emmet

«Emmett, lasciali in pace. Non vedi che li metti in imbarazzo?»

«Dai, Esme. Ci stiamo solo divertendo con la nuova coppietta. Non sono carinissimi?»

«Certo che lo sono» E il sorriso di Esme fu una delle cose più dolci e materne che io avessi mai visto. Ma i suoi pensieri dovettero esserlo ancora di più, perché Edward sorrise a sua volta e mi baciò una guancia.

Posai il capo sulla spalla di Edward, serafica. Incrociai lo sguardo di Carlisle, che ci osservava dall’altro lato della stanza, e se la felicità era leggibile sul volto della moglie, lui era entusiasta. La calma ambrata che solitamente regnava nei suoi occhi era stata sostituita da uno scintillio di allegria. E, non seppi spiegarmi perché, il suo sguardo esprimeva anche una sorta di fierezza paterna. Mi resi conto che anche Edward lo stava guardando e, probabilmente, si trovavano immersi in una silenziosa conversazione unilaterale.

Distolsi lo sguardo. Continuare a osservarli sarebbe stato come violare la loro privacy, anche se alla fine non potevo nemmeno ascoltare cosa stesse dicendo Carlisle.

Alzai gli occhi al cielo.

«Non è colpa mia se io ho la vista» sentenziò Alice, offesa.

«Alice, tu non hai diritto di parola. Non riesci proprio a farti gli affari tuoi, vero?»

«Se è per questo nemmeno Edward sa farsi gli affari suoi»

Di certo non mi sarei aspettare che fosse Rosalie a prendere la parola. O, ancora meno, che la rivolgesse a me.

Era stata distaccata per tutto il tempo, come se lei davvero ci ignorasse totalmente. Eppure, in quel momento, la regina dei ghiacci sembrava essersi sciolta. Un po’. Non tanto, ma quel che bastò a rivolgermi qualcosa più di uno sguardo sprezzante o totalmente indifferente.

Mi resi conto che, con quella risposta e con lo sguardo insolitamente rilassato, aveva tentato una sorta di approccio scherzoso.

E io non mi sarei lasciata perdere l’occasione di essere odiata un po’ meno.

«Tra Edward, Alice e Jasper, per noi altri vampiri comuni è difficile la sopravivenza in questa famiglia, vero?»

Lo scampanellio della mia voce non tradì l’agitazione che avevo dentro. Lei non rispose, né sorrise, si limitò a scuotere i lunghi capelli biondi e ad annuire.

Sperai di non aver scritto in fronte “Enorme passo avanti”.

Anche Emmett dovette notare il cambiamento perché diede, sorridendo, una leggera pacca sul fianco della moglie.

«Bella, hai cacciato?»

Scossi il capo «Non ho... avuto tempo, Carlisle»

«Allora è meglio che vada. È ancora presto, il momento migliore per evitare incontri nei boschi»

Carlisle temeva ancora che la mia natura di neonata saltasse fuori e decidessi di far fuori qualcuno. Il che, a dirla tutta, sarebbe potuto accadere benissimo.

Annuii e mi alzai, scoprendomi improvvisamente impaziente di mettere qualcosa sotto i denti. Il collo di un alce, magari. O magari di puma, anche se ne dubitavo. Dopo il passaggio del resto della famiglia gli animali si dovevano essere spaventati, quindi mi sarei ritenuta fortuna a trovare qualche erbivoro.

Edward mi affiancò.

«Nemmeno io ho cacciato alla fine, quindi vado con lei.» Mi voltai, inarcando le sopraciglia. Le sue iridi erano ambrate, anche se screziate di pagliuzze nere. Erano presenti anche le occhiaie, ma non sembravano ustioni come le mie.

«A me non sembri affamato»

«Beh, non ho cacciato quanto avrei voluto» Ammise scrollando le spalle.

Emmett rise di nuovo.

«Fratello, ammettilo che vuoi semplicemente spupazzartela ancora un po’» E questa volta Rosalie si unì alla sua risata. «Mi hai molto deluso! Se avessi continuato come prima Jasper avrebbe vinto la scommessa. Che disgrazia!»

«Stai barando, non erano questi i patti! Ho già vinto, ora paga.» Jasper allungò la mano, muovendo le dita in un chiaro invito a depositarvi dentro il suo pegno.

Alternai lo sguardo tra i due «Avete scommesso su di noi?»

Edward scosse  il capo «È puerile, loro scommettono su tutto.»

«E vince sempre Jasper, chiede ad Alice e imbroglia!» sbuffò Emmett.

«Non è assolutamente vero, non farei mai favoritismi!» trillò la diretta interessata.

«Invece sì, li fai. Emm non perderebbe così spesso, altrimenti.»

«Grazie, Rosellina mia!»

Continuai ad ascoltare i battibecchi, alternando lo sguardo da una parte all’altra, finché non iniziai ad avere l’impressione di stare seguendo una partita di tennis e non una conversazione.

Edward mi sfiorò il braccio «Non andiamo?»

«Quindi staresti morendo di sete? Non mi sembra che abbia bisogno di cacciare» ghignai.

«Se non mi vuoi resto qui, eh. Serve qualcuno che metta pace tra le due fazioni» sogghignò anche lui, certo del mio bluff.

Sbuffai e gli presi la mano «Andiamo»

Esme ci venne incontro un momento prima che attraversassimo la porta sul retro.

«Tesoro, Alice ci ha detto anche di tuo padre»

La interruppi, prima che potesse dire altro «Tranquilla, Esme. Ora va tutto bene» E rafforzai la presa sulla mano di Edward.

Lei dovette notarlo perché sorrise, prima a me e poi a lui.

«Buona caccia»

Senza lasciarci la mano corremmo e saltammo il fiume. Fu elettrizzante, come sempre. Attorno a noi il bosco era silenzioso, gli animali dormivano. Improvvisamente Edward si fermò, i capelli più scompigliati del solito a causa della corsa, l’entusiasmo della velocità dipinto in volto.

«Facciamo una gara. Chi riesce a trovare e catturare più carnivori, vince.»

«Non credo riusciremo a trovarne, ormai se li saranno presi tutti gli altri.»

«Mh, non è detto. Non è che hai paura di perdere contro il più veloce della famiglia?»

Assottiglia lo sguardo, già pronta.

«Neanche per sogno. Io sono una neonata, quindi sono più veloce. E più forte.»

«Questo è tutto da verificare»

«Certo, certo» lo liquidai «quale sarà il mio premio, dopo averti stracciato?»

«Mh, a tempo debito deciderò quale sarà il mio premio» e sottolineò l’aggettivo possessivo.

Inarcò la schiena in avanti, un piede dinanzi l’altro.

«Al mio tre. Uno, due..»

Partii prima che avesse finito di contare, decisa a vincere.

Lo sentii poco dietro di me, avevo solo una frazione di secondo di vantaggio, ma lui si stava allontanando in un’altra direzione.

«Sei un’imbrogliona!»

La mia risata di perse tra le fronde degli alberi.

Quando fui certa di essermi allontanata abbastanza da non correre il rischio di farmi soffiare una pista da Edward, mi fermai. Chiusi gli occhi e concentrai tutta l’attenzione su udito e olfatto.

L’aria era immobile.

Odore di sottobosco, umidità, muschio, respiri impercettibili delle piccole creature nelle tane, un gufo che bubbolava in lontananza. Un battito regolare, lontano, umido…

Aprii gli occhi di scatto e prima che potessi pensarlo le mie gambe correvano già verso la metà. Era più lontano di quanto mi aspettassi, ma più mi avvicinavo e più il battito si faceva forte e il suo odore più invitante. Era un puma. E, stando alla frequenza regolare del suo cuore, doveva essere ancora addormentato. Meglio così, avrei impiegato meno tempo e mi sarei potuta dedicare a un’altra caccia. Edward avrebbe miseramente perso.

Continuai a correre, schivai centinai di alberi, utilizzai la forza da neonata e saltai l’ennesimo fiume. Ci avevo messo un po’ troppo entusiasmo perché, una volta atterrata sull’altra sponda – a pochi passi da una sequoia secolare – mi guardai indietro. A occhio e croce dovevano essere trentacinque metri. Non mi fermai.

Concentrai allo spasimo tutti i sensi sul rumoroso e profumato cuore, senza badare particolarmente a ciò che avevo intorno. Mancava pochissimo, ancora qualche metro e avrei trovato il puma addormentato.

Simultaneamente percepii uno spostamento d’aria proveniente da destra, ma non feci in tempo a scansarmi. Qualcosa di incredibilmente forte mi spinse lontano, battei la schiena contro un albero. Mi rimisi immediatamente in piedi e sibilai.

Mi ritrovai davanti un lupo. Un lupo con l’altezza di un cavallo e la stazza di un orso. Ringhiava a poco più di due metri di distanza da me. Ai suoi lati altri due lupi, leggermente più bassi del primo, mostravano i denti. Uno di loro aveva il pelo fulvo, a differenza degli altri, più o meno scuri. Le dimensioni degli animali mi impedivano di vedere oltre, ma a giudicare dai versi dovevano esserci almeno altri tre lupi dietro.

Il più grosso, quello che li precedeva tutti, digrignò più forte i denti e mi si drizzarono i capelli sulla nuca. Quelle zanne avevano l’aria di essere piuttosto appuntite. Ringhiai, l’istinto mi urlava di scappare, ma ero pietrificata sul posto.

Valutai velocemente le alternative: avrei potuto attaccare, ma quegli esseri sembrava capaci di ferire perfino un vampiro. Avrei potuto tentare la fuga, ma erano veloci ed erano in superiorità numerica: non avrei avuto comunque scampo.

Mi sentivo in trappola e l’istinto ebbe la meglio: quando il lupo fulvo si mosse in avanti lanciai un ringhio talmente bestiale da infastidire pure me. Prima che potessi scagliarmi contro il capo, un altro lupo si fece avanti dalle retrovie.

Me lo ritrovai addosso, bloccata tra il terreno e il corpo della creatura. I suoi denti a un soffio dalla mia spalla.

Un millesimo di secondo prima che potesse affondare le sue fauci nella mia carne, un altro ringhio si aggiunse a quello dei lupi e mi ritrovai nuovamente libera. Un guaito arrivò da lontano: il lupo che mi sovrastava era stato scagliato a decine di metri di distanza.

Edward, in posizione di attacco, era davanti a me.

Fronteggiava il lupo più grosso e quello gli si avventò contro, seguito dagli altri. Ma Edward era veloce. Riuscì a toglierselo di dosso, travolgendo così altri due lupi. Con uno scatto felino si voltò verso di me e mi afferrò per un braccio, trascinandomi via.

Mi ero impietrita di nuovo.

I lupi, poco distanti, iniziarono l’inseguimento.

«Dannazione, corri!» ringhiò.

Lo seguii, un passo dietro di lui. Un pensiero stupido mi balenò in mente: Edward era davvero più veloce di me, di sicuro avrebbe vinto la gara.

Accelerò ancora, senza però voltarsi mai indietro. Continuava a tenermi per un polso e seguirlo stava diventando difficoltoso. Dovette accorgersene perché, dopo aver saltato il fiume, rallentò un poco.

Oppure era certo che i lupi avrebbero perso molto terreno cercando di superare il fiume.

Riprese la corsa nel momento esatto in cui i suoi piedi sfiorarono il terreno, ma mi lasciò il polso.

«Cos’è successo?» Io stessa avvertii la mia voce pregna d’ansia.

«Dobbiamo avvisare Carlisle!» Non mi guardò quando rispose, troppo concentrato a schivare gli alberi sul nostro cammino.

Intanto i primi tiepidi raggi del sole violavano l'oscurità del sotto bosco.

 

 

 

Eccoci qui, come vi è sembrato?

Alloora, penso siano doverose alcune precisazioni:

Rileggendo il capitolo mi sono resa conto che Carlisle sembra pressoché assente o disinteressato, ma non è così. Carlisle è una persona riservata e molto rispettosa, ama i suoi figli ed è forse il più felice della famiglia nel vedere Edward iniziare un nuovo capitolo della sua esistenza (personalmente ritengo che Carlisle sia più contento perfino di Esme). Solo che non ha bisogno di metterli in imbarazzo con dei discorsi o, tanto meno, con delle battute. Dimostrerà la sua felicità in seguito, vedrete.

Per quanto riguarda Rosalie (dato che spesso mi chiedete di lei), è una persona molto volubile e lunatica. Presto capirete cosa le prende, anche se non è pur nulla difficile indovinare. Andiamo, è uno dei problemi che ha con Bella anche nella saga c’:

Inoltre, ricordate quando, diversi capitoli fa (davvero troppi mesi fa), vi avevo parlato della minaccia dei licantropi? Ecco, dal prossimo capitolo ci sarà qualche cambiamento a causa loro.

Grazie mille – come sempre – a chi recensisce (mille cuori a voi), ai lettori silenziosi e anche a chi critica o si lamenta. Qualsiasi commento, purché non irrispettoso o irritante, è ben accetto ;)

A presto,

Vero

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Hola!

Ma guardate un po’ chi c’è, dopo soli sette giorni! Merito un applauso, su su. uwu

Ehm, va beh, lasciamo perdere l’applauso ^^”

Bando alle ciance, ci si legge sotto per delle veloci – veloci, seee – comunicazioni di servizio.

Capitolo betato da quella buon anima di Joan Douglas. In questo momento sta ingaggiando una guerra contro i miei punti fermi, porella. <3

 

 

Capitolo XII

(Bella)

«Carlisle!» urlò Edward, ancora prima che mettessimo piede in giardino.

La prima ad arrivare fu Alice e definirla sconvolta sarebbe un eufemismo. Si precipitò fuori dalla porta, l’ansia le storpiava i tratti angelici del volto.

«Cos’è successo? Siete spariti, era tutto nero!»

«Edward, va tutto bene?» Carlisle si fermò a un passo da Alice, a differenza sua manteneva una parvenza di calma.

«Dei cani giganti ci hanno attaccati!» esclamai, isterica.

«I licantropi, Carlisle. Temo abbiano intenzione di attaccarci.» La voce di Edward era cupa «Non abbiamo molto tempo.»

Anche Carlisle si fece scuro in volto «Entrate. E raccontatemi per filo e per segno ciò che è successo.»

Rapidamente fummo tutti in casa, Carlisle entrò per ultimo e chiuse la porta, imposte comprese. Gli altri ci attendevano in salotto, avevano ascoltato tutto. Notai Edward annuire brevemente e Esme si precipitò dall’altra lato della stanza. Sfiorò con le dita i tasti di un pannello segreto nel muro e subito un’enorme paratria d’acciaio iniziò a sigillare la vetrata sul retro della casa. Per un minuto intero l’unico rumore udibile era lo stridio dell’acciaio. Non riuscivo a levare gli occhi di dosso dalla paratria, mi parve di essere stata catapultata in una storia alla James Bond. Una storia di James Bond con vampiri e licantropi come protagonisti. Licantropi, proprio come aveva detto Edward. Quindi erano loro i nostri “vicini di territorio”, quelli di cui mi avevano parlato la prima sera. Ma avremmo dovuto avere una sorta di pace a proteggerci, no? Con quale ragione mi avevano attaccata?

«Bella ha inavvertitamente sconfinato, pochi minuti fa» Il racconto di Edward fu interrotto sul nascere da Rosalie.

«Che vuol dire che ha sconfinato?!»

«Non conosce con esattezza il patto, Rosalie. Non poteva certo sapere quali fossero i confini» sibilò, Edward.

«Lei no, ma tu sì! Dove diavolo eri, si può sapere?!»

Lo sguardo che le indirizzò Edward fu agghiacciante, da vero vampiro.

«Basta!» Carlisle zittì entrambi «Continua, Edward.»

Continuavo a fissare l’acciaio della paratria, inorridita: avevo creato un altro casino e ora sarebbe toccato ai Cullen risolverlo.

«Dicevo: Bella ha sconfinato e i licantropi l’hanno immediatamente attaccata. Sono intervenuto e siamo riusciti a seminarli, anche se ci hanno inseguiti per un buon tratto.»

Questa volta fui io a interromperlo, rivolgendo finalmente lo sguardo a lui e poi a Carlisle. «Ho rotto il patto, cosa succederà adesso?»

Edward mi guardò per un momento, poi rivolse nuovamente lo sguardo a Carlisle. «Erano inferociti, il loro capo sembra pronto alla battaglia.»

Emmett balzò in piedi, il pugno alzato e lo sguardo scintillante di entusiasmo. «Bene, allora. Che vengano! Daremo loro una bella lezione!»

Carlisle non gli badò nemmeno, continuò a tenere lo sguardo fisso su Edward. Quando parlò, nella voce risuonarono delusione e gravità. «Sei stato un vero incosciente, Edward. Hai commesso un grosso errore, oggi.»

Lui volse lo sguardo altrove, strinse i pugni e chinò leggermente il capo. «Lo so, Carlisle. E mi dispiace davvero. Ma» febbrile, riportò lo sguardo sul padre «non è questo il peggio. Uno di loro l’ha riconosciuta.»

«Mi ha riconosciuta? Loro sanno chi sono?»

«Jacob, Jacob Black. Il nipote di Ephrain Black, presumo. Ha ricollegato il tuo volto alle foto del telegiornale e ad alcune appese a casa di tuo padre. Sembra che lo conosca piuttosto bene.»

Gemetti, mio padre. Ancora. Avevo commesso l’ennesimo disastro. E poi quel nome, Black… Ero certa di doverlo ricollegare a qualcosa, a qualcuno…  Ma non trovai nulla di soddisfacente nella memoria nebulosa.

Si scatenò il putiferio.

«Allora ci attaccheranno di sicuro, abbiamo infranto tutte le leggi fondamentali del patto! Dobbiamo prepararci.» Jasper

«Lo diranno agli umani, sveleranno il nostro segreto!» Rosalie.

«Non accadrà, anche per loro è importante la segretezza», Carlisle.

«Dannazione, Carlisle! Rifletti: non sono certo costretti a rivelare anche la loro natura!»

«Anche se dovessero decidere di fare una cosa del genere, noi saremmo già lontani. Andrà tutto bene.»

«E se anche fosse? Se volessero attaccarci per poi raccontare tutto agli umani? Io dico di affrontarli, sono pochissimi. Quanti, due, tre?» Emmett non avrebbe abbandonato l’idea della battaglia tanto facilmente.

«No, sono cresciuti di numero rispetto a prima dell’arrivo di Bella. Ora sono sei» spiegò Edward.

«Siamo comunque di più noi, ce la possiamo fare!» ribatté Emmett.

«Nessuno combatterà, non se potremo evitarlo. Se le cose non si rimetteranno a posto partiremo per un po’ e torneremo tra qualche decennio.»

«Carlisle, non hanno intenzione di ascoltarci, l’ho visto chiaramente! Dovremmo andarcene immediatamente.» Edward si muoveva inquieta accanto a me.

«Andarcene» si lamentò Rosalie «di nuovo. Stiamo così bene qui… Non c’è quasi mai il sole, un piccolo paese, nessun problema  con gli umani… Non voglio andarmene!» strillò, infine.

«Non c’è altra soluzione, Rosalie. Non li uccideremo per rimediare ad un errore nostro. Noi abbiamo rotto la tregua, noi ne subiamo le conseguenze» rispose pacatamente Carlisle. Se prima aveva insolitamente perso la calma, ora sembrava aver ritrovato i soliti modi pacifici e sereni.

«Io non ho fatto nulla.» scandì Rosalie «È stata lei. Sono stati loro a rovinare tutto! Non voglio pagare per la loro stupiddità!» Stranamente, però, il suo sguardo schifato non sfiorò nemmeno Edward. Era evidente che, alla fine, si stesse riferendo soltando a me.

A quel punto persi le staffe. Forse perché, anche se insolitamente mansueta, ero comunque una neonata. O forse perché mi ero stancata davvero di essere trattata come uno straccio senza una vera e propria ragione da quella arrogante vampira bionda.

«Credi che l’abbia fatto a posto, Rosalie? Non pensi che mi senta in colpa per ciò che sta succedendo? Dannazione, certo che sì! Ma se qualcuno si fosse degnato di dirmi che c’era un confine da non superare, non mi ci sarei nemmeno avvicinata! Non so che diavolo abbia tu con me, non so perché non mi sopporti, ma puoi star certa che non era assolutamente mia intenzione rovinarti la vita. Scusa tanto.» Non pensavo di essere stata tanto aggressiva, evidentemente però mi sbagliavo perché mi ritrovai davanti Jasper e un’improvvisa ondata di calma mi circondò fino a farmi rilassare. Ciò mi infastidì: ero arrabbiata e volevo esserlo, perché non ero nemmeno più libera di fare ciò che volevo? Mi dimenai un poco, intorpidita dalle catene invisibili e gettai lo sguardo su Rosalie. Emmett aveva fatto un passo avanti, coprendola in parte alla mia vista, sicuramente anche lui preoccupato che potessi saltarle al collo. Anche l’espressione di Rosalie si era fatta più rilassata, evidentemente Jasper non aveva usato il suo potere solo su di me.

Ma Rosalie era Rosalie e non avrebbe potuto lasciare a me l’ultima parola del discorso.

«Ma l’hai fatto lo stesso, entrando in questa famiglia. Ero certa che, con tutti quelli che sapevano di te, ci avresti messi in pericolo.»

Prima che potessi replicare, prima che la calma appena conquistata potesse sparire, fu Edward a rispondere.

«Sei sempre la solita egoista, egocentrica e pure ipocrita! Perché se non ricordo male anche tu saresti potuta essere un pericolo, a Rochester tutti ti conosceva. Eppure Carlisle non ha esitato un attimo a trasformarti e a farti fare tutto ciò che volevi. E noi ti abbiamo accol-»

«Sì, me lo ricordo benissimo come mi hai accolta! Mi disprezzavi! E non hai nessun diritto di rivangare un passato che non ti riguarda! Sei tu l’egoista, la vuoi per te e non vedi oggettivamente ciò che è: un problema! E sarebbe stato meglio se fosse morta!»

Dopo quello che parve un istante immaginario Edward ringhiò e si avventò contro Rosalie. Mi slanciai in avanti per tentare di afferrargli un braccio, ma le mie dita strinsero l’aria. Prima che potesse arrivare a lei, però, Jasper riuscì ad immobilizzarlo ed Emmett si piazzò davanti alla moglie, in posizione di attacco. Non l’avevo mai visto così. Anzi, posso dire non averlo mai visto se non allegro o esuberante o su di giri. E in quel momento era semplicemente terrificante: digrignava i denti e sibilava, l’espressione del volto a dir poco feroce. D’istinto mi mossi in avanti e fiancheggiai Edward, il bisogno di proteggerlo era più forte dell’istinto di autoconservazione.

«Basta! Ora basta, tutti quanti!» Carlisle si pose nel mezzo, tra le due parti, passando lo sguardo dall’una all’altra. «Non serve a nulla litigare tra noi o cercare qualcuno a cui affibbiare le colpe. Pensiamo piuttosto a come comportarci.»

Lentamente, senza smettere di studiarci gli uni gli altri, ritornammo ad uno stato civile: Jasper permise a Edward di sollevarsi e lo lasciò andare, Emmett tornò in posizione eretta e Rosalie non proferì più parola.

Quando fu soddisfatto della situazione, Carlisle riprese a parlare: «Bene, bravi. Alice?»

Volsi lo sguardo oltre Carlisle: Alice era rannicchiata sul secondo gradino della scala, la testa tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto.

«Niente. Non vedo niente.»

«Alice, cara?» Esme, rimasta in disparte per tutta la durata della discussione, si sedette accanto ad Alice e le sfiorò i capelli con le dita.

«È tutto nero, come se non ci fosse un futuro. Ogni tanto ho degli… sprazzi di visione, dei flash, non li colgo bene nemmeno io. È come se ci fosse un’interferenza e io non riesco ad isolarla.»

Alice sembrava persa, lontana, esattamente come le sue visioni.

«Prima, quando io e Bella siamo arrivati, hai detto che vedevi ‘tutto nero’. Quando è cominciato?» Edward sembrava aver riassunto totalmente il controllo di sé.

«Non lo so, mentre eravate a caccia. A un certo punto Bella è sparita e pochi istanti dopo anche tu. Subito dopo che hai deciso di andare a salvarla dai licantropi, suppongo.»

Anche lo sguardo di Edward si fece vitreo mentre riviveva con Alice le ultime visioni.

«E non potrebbero essere loro il problema?»

«È ovvio che sono loro il problema. Noi abbiamo deciso di non attaccarli e ora il nostro futuro è scomparso perché saranno loro ad ammazzare noi» borbottò Emmett.

«Intendevo dire» riprese Edward «che magari sono loro che interferiscono con il tuo potere. In fondo non hai mai avuto visioni su di loro.»

«Certo, perché non ho mai controllato il loro futuro.» Alice fece una smorfia, lo sguardo ancora perso nel nulla.

«Riflettici: è capitato che ci avvicinassimo, nei pressi del confine, eppure tu non hai mai avuto nessuna visione a riguardo. Forse, se avessi cercato, anche in quei casi avresti trovato il nulla.» più andava avanti più la sua teoria sembrava far combaciare i tasselli del puzzle «E poi è accaduta più o meno la stessa cosa quando il patto è stato riconfermato, due anni fa.»

«Al tempo avevamo pensato che fosse per via del fatto che i Quileute non avevo preso una decisione... Ma stavolta hai detto che quasi certamente stanno prendendo una decisione, no?»

«Sì, ma non è questo il punto. Ciò che conta è che quando ci sono di mezzo i lupi tu non vedi il nostro futuro. Prova ad aggirarli, a vedere oltre!»

«Mi sembra una teoria piuttosto verosimile.» Carlisle annuì tra sé e sé.

Alice mugugnò, infastidita, ma questa volta i suoi occhi erano limpidi e osservavano Edward.

«Posso tentare, ma non credo di farcela. Se, come dici tu, il problema è che non posso vedere i licantropi, allora la cosa si fa complessa. Dato che non posso vedere le conseguenze delle loro decisioni e queste influenzeranno anche il nostro futuro, automaticamente anche quest’ultimo sparisce.»

«Proprio ciò che intendevo!» Edward sembrava piuttosto soddisfatto del successo riscosso dalla sua teoria.

«Ma è un problema» asserii.

«Certo che lo è. Se non conosciamo le loro decisioni non possiamo prevenire le loro mosse» Jasper si grattò per un momento il mento nervosamente.

«L’avevo detto, io, che avremmo dovuto attaccarli.» Emmett era una cantilena continua.

«Forse potremmo mediare in qualche modo, nemmeno loro sono particolarmente numerosi e sono certo che non vogliano mettere in pericolo la tribù.»

«Carlisle, te l’ho già detto: abbiamo rotto il patto, non sono intenzionati a concederci una seconda possibilità.»

«Allora ce ne andremo il più velocemente possibile e eviteremo combattimenti inutili.»

Esme, che non aveva mai smesso di accarezzare la testa scura di Alice, si alzò in piedi e affiancò Carlisle.

«Prepariamo le valigie. Prendete giusto le cose più importante, quelle di cui pensate di non poter fare a meno. Vestiti comodi e poco vistosi, mi raccomando.»

Salimmo le scale e ognuno raggiunse la propria stanza.

Aprii le porte della cabina armadio e mi ci infilai. Afferrai diverse paia di jeans – scansando tutti quelli che, oltre al denim, presentavano paillettes e perline – qualche maglia e qualche giacca. Mi guardai i piedi: gli anfibi scuri che portavo sarebbero stati sufficienti. Mi guardai intorno, le braccia ingrombrate dai vestiti, alla ricerca di qualcosa di fondamentale importanza che avevo dimenticato.

«Alice» chiamai «mi serve una bor-»

«Terza anta a destra, ripiano più basso» sentii risponde dal piano di sotto.

Posai i vestiti su una cassettiera e seguii le indicazioni di Alice: effettivamente trovai una sacca da viaggio bianca – munita di paillettes fucsia sui manici, s’intende – e la riempii.

Tornai in camera e presi dalla libreria la raccolta di romanzi della Austen e la copia di Cime Tempestose che mi aveva portato Carlisle. Dalla scrivania presi anche alcuni testi scolastici del terzo anno: biologia e letteratura. Trigonometria rimase tristemente abbandonata accanto al portatile, che non reputai minimamente importante.

Infilai anche i libri nella borsa e poi la chiusi. Mi fermai un momento, le mani sui fianchi, a osservare la stanza che mi apprestavo a lasciare. No, non possedevo nient’altro d’importante. E se avessi avuto voglia di ascoltare un po’ di musica avrei chiesto a Edward.

Per quanto la situazione fosse pericolosa e difficile, le mie labbra si incurvarono spontaneamente in un sorriso al pensiero di Edward.

Sorriso che morì quando, affacciandomi alla porta della sua stanza, mi resi conto che non era nemmeno salito, ancora.

Ripresi la mia sacca e scesi le scale, fermandomi però al primo piano. Riconobbi il tono degli sbuffi di Alice e mi diressi verso la sua stanza, utilizzando il rumore come guida. Davanti alla pesante porta di noce, a scanso di equivoci voltai lo sguardo e contai le stanze: due a sinistra e una a destra. Non era quello il momento per finire per sbaglio nella stanza di Rosalie.

Alzai il pugno per bussare, ma Alice mi precedette sussurrando un “entra”.

Aprii e richiusi la porta velocemente, posando la sacca terra. Alice era seduta al centro del letto, le gambe incrociate e nuovamente la testa fra le mani. Questa volta però non potevo vederle gli occhi, perché teneva il capo chino, raggomitolata su sé stessa.

«Alice, tutto bene?» mi sedetti sul materasso accanto a lei e le posai una mano sulla spalla.

«No, ho un'emicrania.»

Tratenni una risatina, il tono lamentoso che aveva usato mi ricordava molto una bambina.

«I vampiri hanno l’emicrania?»

«Gli altri no, solo io.»

«Mh, un’aspirina non servirebbe a nulla, vero?»

Alzò il capo e mi trucidò con lo sguardo. Evidentemente non aveva gradito la battuta.

«Tutto questo “aggirare il nero” mi sta distruggendo.»

«Ce la stai facendo, almeno?»

«Circa, ogni tanto ho dei flash, ma sono poco chiari. Ho visto che ci metteremo in viaggio e riusciremo ad allontanarci da Forks, di questo sono certa. Qualche minuto fa ho visto anche che ci dirigeremo a nord, probabilmente Carlisle ha preso una decisione.»

Annuii, sollevata. Se ci vedeva in viaggio voleva dire che ce l’avremmo fatta e che i licantropi, alla fine, non avrebbero creato grossi problemi.

«E poi resta in sospeso il perché i lupi oscurino le mie visioni. Non mi piace essere cieca, mi sento un’invalida.» Le sfiorai i capelli corti con le dita, come aveva fatto Esme pochi minuti prima. Per lei doveva essere davvero frustrante essere privata del suo potere. Non l’avevo mai vista sotto questo punto di vista, non avendo alcun potere supplementare – a parte il superautocontrollo, quindi comunque niente di lontanamente figo – non potevo capire cosa provasse. Sicuramente era simile alla bizzarra frustrazione che sentiva Edward ogni volta che il mio strano cervello gli impediva di leggere i miei pensieri.

«Rilassati un po’, ora. Non credo serva più di tanto, ora come ora, capire il perché. Ti stai impegnando tanto, mi dispiace che tu debba stare male così per un guaio che ho combinato io.» Smisi di accarezzarle i capelli quando mi cinse la vita con le braccia sottili.

«Bella, sta’ tranquilla, non potevi saperlo. Non dare retta a Rose, lei è solo… nervosa e un po’ suscettibile. Qui tutti ti vogliamo bene. Io ti voglio bene. Ti ho vista arrivare e so che la nostra amicizia sarà sempre più forte» mi scoccò un rumoroso bacio sulla guancia e io non potei fare altro che sorriderle. Alice era davvero come una bambina: ne aveva la dolcezza, l’altruismo e la genuinità. La strinsi anch’io e in quel momento, anticipato dai suoi stessi passi, Jasper entrò in camera.

Sorrise vedendoci ancora abbracciate. Probabilmente aveva ascoltato anche la nostra conversazione.

«Ragazze, mi spiace interrompere questo adorabile quadretto, ma dobbiamo andare. Le auto sono pronte e mancano solo le vostre valigie.»

Alice annuì e ci separammo. Sparì per una manciata di secondi nella cabina armadio e tornò con due enormi trolley e un borsa da viaggio. Ovviamente si trattava di un set di valigie coordinate, tutte giallo. Giallo canarino.

«Ehm, Alice, non pensi di esagerare? Carlisle ha detto di portare solo il minimo indispensabile.» Che diavolo aveva messo dentro quelle valigie?

«Lo so, infatti ho deciso di rinunciare all’altro trolley. Andiamo, su» Scossi il capo e la seguii fuori e giù per le scale. Al piano di sotto le luci erano già state tutte spente e ci dovemmo muovere nel buio per arrivare al giardino. Non che fosse un problema, ovviamente. Jasper chiuse la porta alle nostre spalle a doppia mandata e poi prese un trolley e la borsa da viaggio di Alice.

Come da lei previsto, si preannunciava una giornata soleggiata, pur essendo il sole ancora molto lontano dall’arrivare alla massima altezza. Perciò, negli attimi impiegati per raggiungere il garage, potei osservare il mio corpo e quelli di Alice e Jasper – le parti non coperte dai vestiti, ovviamente – ricoprirsi di diamanti.

Notai Emmett finire di caricare delle valigie nel cofano di un enorme jeep. Carlisle, Edward ed Esme ci aspettavano in piedi, vicino alle auto.

«Bene, eccovi. Emmett e Rosalie prenderanno la jeep, Edward e Bella la volvo e Alice e Jasper verranno con me ed Esme. Quindi-»

Evidentemente Carlisle si rese conto solo in quel momento della quantità spropositata di valigie di Alice, la quale stava tentando di far entrare sia i trolley sia la borsa nel ridotto spazio del cofano della Mercedes. Si interrupe e le rivolse un’occhiata esterrefatta.

«Alice, tutta quella roba non ci sta in auto! Ci sono già le mie valigie, quelle di Esme e quelle di Jasper. Almeno uno dei trolley devi darlo a Edward.»

Alice annuì e, a passo di danza, portò il trolley davanti alla volvo. Carlisle scosse il capo, rassegnato alla strampalata versione di minimalismo di Alice.

Edward prese la valigia e la caricò nel cofano dell’auto.

«Bene, detto ciò siamo tutti pronti. Passeremo dall’autostrada, cerchiamo di aggirare Forks e allontaniamoci il più in fretta possibile dai boschi. Alice, il tempo?»

«Non resterà buono per molto. E poi, salendo, troveremo pioggia e temporale.» Alice non ebbe nemmeno bisogno di riflettere, solo ciò che riguardava i licantropi era oscurato, quindi il tempo doveva essere ancora facile da prevedere.

«Perfetto. La strada per Denali la conoscete tutti. Guiderò comunque io, voi statemi dietro.»

Tra i consensi generali tutti si diressero verso le rispettive auto. Edward mi aprì lo sportello del passeggero e io mi accomodai sul sedile della volvo. Fui subito inebriata dal profumo di Edward, di cui era impregnato l’intero abitacolo. Sprofondai nel sedile e respirai a pieni polmoni quello strano misto di lillà e sole. Sperai che Edward non mi avesse notata, ma sembrava troppo impegnato nel fare retromarcia per accorgersene. Mentre uscivamo dal garage lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore e gli angolo della sua bocca si incurvarono verso il basso.

Voltai il capo per capire cosa lo rattristasse e notai, dietro l’enorme jeep di Emmett un telo chiaro che, a giudicare dalla forma, copriva un’auto.

«Lasciamo una macchina qui?»

«La mia Aston, non possiamo portarci tutto dietro e tre auto sono sufficienti. Spero solo che ai cani non venga in mente di mettere piede in casa.» le ultime parole si persero in un sibilo.

«Ma tutto il resto delle nostre cose? I mobili, i libri, i quadri… Che fine faranno?» per qualche ragione mi balenò in mente l’immagine del crocifisso di Carlisle. L’aveva portato con sé o era ancora appeso alla parete vicino al suo studio? Lasciai uno sguardo veloce al cofano della mercedes che ci precedeva, ma non vidi nulla a causa dei vetri oscurati.

«Li faremo trasportare nella nostra nuova casa, dato che probabilmente non potremmo più avvicinarci a Forks per decenni.»

«A Denali? È lì che stiamo andando, no?»

«No, non esattamente. Denali è una sistemazione momentanea. Andiamo a stare da dei…cugini.»

Era ancora nervoso a causa del litigio con Rosalie, era evidente. In più stavamo passando proprio ai margini del bosco e avvertivo dei movimenti tra gli alberi. Edward imprecò e la mercedes accelerò, seguita a ruota dalla volvo. Feci in tempo, però, a voltarmi: a pochi metri dalla strada un grosso lupo fulvo era spuntato fuori dalla boscaglia e ci correva accanto. Mi fissava e io non potei fare a meno di ricambiare lo sguardo. C’era qualcosa in quegli occhi scuri che aveva ben poco di animalesco. Erano intelligenti, mi osservavano come se mi conoscessero. Capii all’istante a quale lupo si riferisse Edward quando aveva detto che uno di loro sapeva chi ero.

Quest’ultimo, da bravo vampiro, ringhiava sottovoce senza distogliere lo sguardo dalla strada. Lanciai un’occhiata al tachimetro: segnava 180 chilometri orari. Se fosse stato per Edward sicuramente avremmo accelerato ancora, ma l’auto di Carlisle ci bloccava il passaggio.

Ben presto ci lasciammo alle spalle il lupo, evidentemente incapace di correre così velocemente tanto a lungo. Pregai che, qualsiasi cosa sapesse, non rivolesse nulla a mio padre.

Passarono diversi minuti di silenzio, Edward non sembrava intenzionato a proferire parola. Il volto era ancora livido, non seppi dire se a causa del lupo o di Rosalie.

Mi schiarii la gola e cercai di iniziare una conversazione.

«Quindi… abbiamo dei cugini?»

«Qualcosa del genere, sì. Le consideriamo cugine perché il loro capo clan, Tanya, ha scelto la dieta vegetariana e ha coinvolto tutti gli altri membri.» Non sembrava particolarmente felice di rispondere.

«Tanya si è creata una famiglia come Carlisle?»

«No. Lei, Kate e Irina sono state trasformate da una vampira che le tenne con sé come figlie sue, perciò loro si considerano sorelle. La madre è morta da diversi anni ormai, ma loro sono ancora insieme.»

«Un clan tutto al femminile?» senza una ragione precisa le paragonai a una confraternita del college esclusivamente femminile. Doveva essere divertente.

«Quasi. Diversi secoli dopo la morte della madre conobbero una coppia, Carmen ed Eleazer. Questi rimasero molto affascinati dalla loro dieta e si unirono al clan. In seguitoi Carlisle conobbe il clan di Denali e diventammo una sorta di famiglia allargata.»

«E perché non vivete tutti assieme?»

Quella domanda non parve piacergli particolarmente, strinse il volante con molta più energia di quanto servisse.

«Abbiamo vissuto insieme, per un breve periodo. Ma una famiglia così numerosa attira l’attenzione ed è difficile fingere rapporti di parentela così ampi.»

Stavo imparando a conoscere Edward e sapevo che, quando usava quel tono distaccato, stava in realtà misurando le parole per cercare di nascondermi qualcosa.

«Solo per questo?» finsi disinteresse.

«Sì» si voltò verso di me e scatenò tutta la forza del suo sguardo su di me. Risi, ignorando la stretta allo stomaco che mi causava.

«Usi quello sguardo ogni volta che vuoi qualcosa, vero? Immagino funzioni.»

Rise con me e il fatto che non avesse negato mi convinse ancora di più della mia tesi: mi nascondeva qualcosa. E averne la certezza, a dire la verità, mi sembrò una sorta di cattivo presagio.

Scacciai quella sensazione quando Edward allungò una mano e afferrò la mia, sospirando.

«Mi dispiace per prima, Bella. Ho esagerato con Rosalie, non avrei dovuto attaccarla. Mi scuso anche da parte sua. È solo… sconvolta, raramente riusciamo a trovare un posto in cui stare a lungo. Forks è il più sicuro che abbiamo mai trovato e sapere che probabilmente non potremmo più mettere piede nella penisola di Olimpia non le ha fatto piacere» sussurrò, per evitare che qualcun altro ci sentisse.

«La capisco, davvero. E mi dispiace di aver combinato questo casino. Ma non sopporto il fatto che mi odi così tanto senza una ragione precisa.»

Portò le nostre mani intrecciate sul cambio con un sospiro.

«Però devo scusarmi di un’altra cosa ben più grave e importante. Ti ho messa in pericolo, è stata colpa mia se i licantropi ti hanno attaccata, avrei dovuto parlarti dei confini. E invece che faccio? Ti lascio sola. Se non fossi arrivato in tempo chissà cosa sarebbe successo… Carlisle ha ragione: sono un incosciente. Un vero idiota.»

«Non mi pare che Carlisle ti abbia dato dell’idiota. Smettila di incolparti, non potevi sapere che mi sarei spinta così in là.» Sorrisi e strinsi più forte le dita attorno al suo palmo.

«Mi dispiace»

Mi allungai verso di lui e gli lasciai un bacio all’angolo della bocca. Avvertii le sue labbra incurvarsi in un sorriso e mormorò un «Grazie» senza distogliere lo sguardo dalla strada.

 

 

Blah, fluff moment. *inorridisce*

Anyway, che ve ne pare?

Avete notato la lunghezza? È quasi il doppio dei soliti capitoli, quanto sono brava uwu A dire il vero volevo dividerlo, per lo meno eliminare l’ultima parte per alleggerirlo un po’, ma mi sono resa conto che ne sarebbe uscita una schifezza, si tratta di un blocco unico e non potevo tagliare via nulla.

Alluuora, niente battaglia vera e propria come avrete notato. Primo perché avrei dovuto far morire qualche cagnolotto e non mi andava per nulla, visto e considerato lo spirito alla Gandhi di Carl, secondo perché sarebbe stato davvero stupido che i lupi si scagliassero davvero contro i Cullen in minoranza numerica così evidente. Oh, un’altra cosa: avrete notato che, cronologicamente parlando, sto stravolgendo delle cosette: ci sono troppi licantropi, Jacob di certo è molto più giovane rispetto all’età originale della trasformazione. Giustifico ciò in questo modo: è arrivata una nuova vampira che spesso, anche se inconsapevolmente, si è avvicinata parecchio al confine e questo a portato la reazione a catena di trasformazione e compagnia. Si tratta comunque di licantropi giovanissimi e inesperti, cosa che si nota facilmente anche dall’eccessiva impulsività. Persino Sam stava per portare al massacro i suoi fratelli pur sapendo che non  ne sarebbero usciti vivi.

Se queste giustificazioni non dovessero soddisfarvi, beh, fatevene una ragione. Concedetemi la licenza poetica e via. lol

Ah, ho notato dalle ultime recensioni che stavate già esultando per lo scioglimento di Rose. TROL. AHAHAHAH  vi amo, lo sapete c’:

Nel prossimo capitolo saremo a Denali, quanto sono contenta! Voi, cosa vi aspettate? ahahah

Mille grazie, come sempre, a voi tutti che leggete e ancor di più a chi recensisce. Quanto sono contenta di sapervi contente della storia, aw.

Infine vi chiedo un ultimo favore: pregate per me, da ieri ho iniziato i corsi di recupero e temo di non arrivare alla fine dell’estate. ÇÇ

Ora scappo al mare,

sciau sciau <3

Vero


Ps. Stasera rispondo alle recensioni!

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo betato da Joan Douglas. Thank you so much, darling!



Capitolo XIII

«Se avessi saputo che mi avresti dato tante noie, non ti avrei lasciata venire con me.»

Edward si fingeva infastidito, ma sotto i baffi rideva. Dopo nove ore di lunghissimo viaggio – più una breve pausa per permettermi di cacciare, dato che in tutto quel caos non ero ancora riuscita a fare un pasto decente – avevo iniziato a non sopportare più lo stare rinchiusa in quell’auto. Una delle caratteristiche più evidenti dei vampiri è la tendenza alla totale immobilità, anche per lunghi periodi di tempo.

Evidentemente io ero l’eccezione che conferma la regola.

«Mh-mh, certo. Quindi non siamo ancora arrivati?»

Oppure, più semplicemente, iniziavo a essere afflitta da una noia mortale.

Si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

Mi posizionai meglio sul sedile e voltai il capo verso il finestrino: pioveva. Sbuffai.

Alice aveva avuto ragione – non che ne dubitassi – riguardo al tempo. Al confine con il Canada il sole aveva iniziato a giocare a nascondino dietro a delle nuvole che, simpaticamente, avevano deciso di buttar giù una pioggerella leggera. La pioggerella leggera si era quindi trasformata in qualcosa di molto vicino al diluvio universale. Il paesaggio era più o meno invariato da quando eravamo partiti: chilometri e chilometri di boschi, oppure lunghe distese di campagne, ogni tanto fiancheggiavamo una città, senza mai avvicinarci troppo. Cercavamo di tenerci alla larga dai centri urbani, prima di tutto perché entrarvi avrebbe significato rallentare l’andatura e quindi l’allungamento di un viaggio già pressoché interminabile. E poi, certo, c’era anche la trascurabile questione del sangue umano e del mio essere una vampira neonata. Non che non avvertissi il caldo sangue dei passeggeri nelle auto che ci sfrecciavano accanto o che non ne fossi attratta, ma riuscivo a resistere alla tentazione di gettarmi fuori dalla volvo. Ritrovarsi bloccati in un ingorgo, circondata da migliaia di persone, cuori pulsanti e sangue delizioso avrebbe certamente fatto degenerare la situazione.

Saggia decisione, quella di viaggiare sulla superstrada a super velocità.

Quindi, oltre alla noia, l’immobilità obbligata, si aggiungeva anche l’istinto di strappar via lo sportello e di fiondarmi sulla prima auto, e sui passeggeri al suo interno, che avessi trovato. Quell’abitacolo era sempre più soffocante.

«Edward, credo di stare per morire di noia.»

Lui ridacchiò, ma non allontanò lo sguardo dalla strada.

«Sai, è in questi casi che l’immortalità torna utile.»

Sbuffai, per l’ennesima volta e lui rise, per l’ennesima volta. Quel viaggio stava diventando decisamente troppo monotono.

«Perché non ascolti la pioggia? È rilassante.»

Mi soffermai per un attimo ad ascoltare lo sciabordio dell’acqua sui vetri e sul tetto dell’auto, il suono ritmico dei tergicristalli e quello delle ruote che corrono sull’asfalto bagnato. Per niente armonioso o rilassante.

«Io odio la pioggia», grugnii.

«E allora devi essere contenta di aver lasciato Forks! A Denali niente pioggia.»

«Davvero?» Mi sporsi verso di lui, entusiasta.

«L’acqua scende già congelata: solo neve, lì.»

Mi lasciai ricadere sul sedile, mugolando.

«Altra roba fredda e bagnata, puah!»

Edward rise.

 

 

 

Diverse ore e svariate miglia dopo, quando il sole era già calato oltre l’orizzonte e, come preannunciato da Edward, la pioggia aveva ceduto il passo alla neve, arrivammo a Denali.

Rimasi incantata ad osservare il paesaggio oltre il finestrino: gli alti alberi della taiga, i salici e gli enormi abeti rossi che avevano assunto una particolare colorazione vicina al violetto a causa dell’assenza di luce solare. Oltre le foreste era possibile vedere risplendere nella notte i monti perennemente bianchi e le pianure sconfinate della tundra.

«Ne è valsa l’attesa, vero?»

Non allontanai nemmeno il naso dal vetro, troppo impegnata a contemplare il paesaggio.

Ci volle un’ora buona ancora per arrivare fino alla casa del clan di Denali. Dopo aver fiancheggiato le foreste ed essere saliti per diverse centinaia di metri, ci trovammo su un’enorme piana sul fianco di un monte. Addossata alla parete rocciosa si trovava quella che aveva tutta l’aria di una baita di montagna, solo molto, molto più grande. Lasciammo le auto sul sentiero che terminava contro la parete rocciosa e scendemmo.

Fuori dalle strade, o dai sentieri, ripuliti per consentire il passaggio delle auto, la neve era alta e i miei stivali vi affondarono per venti centimetri buoni. Edward mi fu accanto in un attimo, gli presi la mano e lui mi sorrise, incoraggiante. Osservai la casa: le luci del pian terreno e una di quello superire erano accese. Ci muovemmo in silenzio e, una volta messo piede sul vialetto, la porta d’ingresso si aprì e la luce al piano superiore si spense.

Osservai Carlisle fermarsi sulla soglia e abbracciare un vampiro moro e sorridente.

«Carlisle, è sempre un piacere averti qui!»

«Lo stesso vale per me, Eleazar.»

 Subito dopo fu il turno di Esme di essere abbracciata, mentre il marito scompariva dentro la casa. Edward mi lasciò la mano ed entrò anche lui, salutando con una pacca sulla spalla il vampiro Eleazar. A differenza di Carlisle ed Esme, che avevano già superato la soglia, Edward mi aspettò da un lato, le spalle al muro e mi invitò ad entrare. Posando il suo sguardo su di me, l’altro vampiro, sorrise affettuosamente e mi porse una mano per aiutarmi, cavallerescamente parlando, a salire i due gradini dell’ingresso.

«Tu devi essere la nuova recluta di Carlisle! Io sono Eleazar. È un piacere conoscerti, Bella.» La stretta della sua mano era poderosa, ma gentile. La sua postura e le spalle aperte mi ricordarono un soldato.

«Anche per me, Eleazar.»

Edward mi sorrise nuovamente e, insieme, ci dirigemmo verso una porta aperta alle spalle di Eleazar, che lasciava intravedere una sala. Si trattava di uno spazio ampio, anche se non quanto quello del salone di villa Cullen, e ben arredato. Una delle pareti era vera e propria roccia. Diverse credenze e mobili di legno scuro-rossastro la adornavano. Il pavimento, di parquet, era ricoperto di tappeti che avevano tutta l’aria di essere stati pellicce di animale, in una vita passata. Al centro della stanza era situato un tavolino di vetro e, attorno ad esso, tre divani. Nell’unico lato non occupato da un divano, scavato nella roccia, c’era un caminetto. Al suo interno il fuoco scoppiettava allegramente.

Carlisle ed Esme, proprio accanto al focolare, stavano parlando con delle donne. Quattro, per l’esattezza: tre bionde e una mora. Le tre bionde potevano benissimo essere scambiate per sorelle da quanto erano simili. Tanya, Kate ed Irina, supposi.

Una di loro ci venne incontro e gettò le braccia al collo a Edward.

«Edward! Mi sei mancato!»

Aveva il capo sepolto tra il suo collo e la sua spalla e gli era letteralmente spalmata addosso.

Una morsa mi strinse lo stomaco e un moto di rabbia mi si riversò in gola, pronto a venire fuori in un ringhio. Mi imposi di stare calma e sperai di non avere la gelosia dipinta in faccia. Il mio autocontrollo fu notevolmente agevolato quando Edward, ridacchiando, sfiorò per un momento le spalle della vampira e la allontanò con gentile fermezza dal suo corpo. Fece un passo indietro e le sorrise, imbarazzato.

«Tanya, ti trovo bene.»

Trovai il sorriso di risposta della vampira sgradevolmente troppo entusiasta.

Edward, quindi, si voltò verso di me.

«Tanya» e fece una breve pausa, per lanciare uno sguardo alle altre donne, come a renderle partecipi della presentazione «lei è Bella, la nuova recluta, come l’ha definita Eleazar.»

Mi sforzai di sorridere alla vampira, ma dentro di me la morsa si fece più stretta e la gola arse dal desiderio di ringhiare. Ero delusa dalla scarna presentazione di Edward: “la nuova recluta”? Tutto qui? Avrei voluto che mi qualificasse in qualche altro modo, magari con un termine che mi avvicinasse più a lui e meno allo status di sorella.

Dal canto suo, Tanya, mi squadrò per un momento e rispose al mio sorriso. Lei però era certamente più allegra di me.

«Piacere di conoscerti, Bella. Loro sono le mie sorelle: Irina e Kate. E lei è Carmen, la compagna di Eleazar.» Accompagnò ogni nome con un gesto della mano, indicandomi chi fosse chi. Irina era più bassa di Kate, ma entrambe avevano i capelli liscissimi. Carmen invece sembrava più anziana rispetto alle altre. Fu lei ad avvicinarmisi per prima – non avevo la benché minima intenzione di allontanarmi da Edward, non finché ci fosse stata anche Tanya accanto a lui – e mi porse la mano. La strinsi.

«È un vero piacere conoscerti, querida

«Anche per me, Carmen.»

Mi sorrise e pensai che dovesse essere amica di Esme, i loro sorrisi erano dolci allo stesso modo.

Kate e Irina seguirono Carmen, ma si limitarono a sorridere o a rivolgermi qualche frase di benvenuto. Volsi lo sguardo oltre le due sorelle, dov’erano Carlisle ed Esme, e li vidi osservare Tanya e poi Edward. Esme non sembrava contenta.

Gli altri, che dovevano aver terminato di entrare e di salutare Eleazar, si erano già avvicinati ai divani e vi si erano seduti. Il padrone di casa, invece, rimase in piedi. Li imitammo e io ed Edward ci trovammo seduti, insieme ad Esme, in uno dei divani rimasti liberi. Suppongo non sia difficile immaginare chi si fosse seduta sul bracciolo, proprio accanto a Edward.

«Allora, Carlisle» iniziò Tanya «stamattina hai accennato a dei problemi con quei lupi vostri vicini. Ci spieghi con esattezza cosa è successo?»

Carlisle annuì e cominciò il racconto: parlò prima del patto, delle regole fondamentali di “non uccidere” e “non trasformare esseri umani”, specie se della zona. E proseguì con le mie origini di Forks, con la storia della mia trasformazione e, in fine, del mio sconfinamento.

Ebbi un momentaneo dejà-vu: quella situazione mi ricordava terribilmente il mio arrivo tra i Cullen. Iniziavo a odiare lo status di nuova arrivata combina guai.

«Perciò Bella, non sapendo con esattezza quali fossero esattamente i confini tra i nostri territori, li ha attraversati e i lupi l’hanno attaccata. Siamo quindi stati costretti ad andarcene in fretta, per evitare una battaglia, capite» terminò Carlisle.

«Non che avremmo avuto qualche problema nel distruggerli, eravamo anche in superiorità numerica. Ma Carlisle, ovviamente, non ha nemmeno preso in considerazione l’idea» ghignò Emmett.

«Non uccidiamo, specie se a scatenare i problemi sono stati dei nostri errori.» Carlisle non ammetteva repliche e non permise a Emmett di continuare a scherzarci su.

«Quindi, in sintesi, a causa di Bella siete dovuti scappare.» Tanya trasse le sue conclusioni e io mi irrigidii. Bene, ci mancava solo una nuova Rosalie.

«Non è stata colpa di Bella, Tanya. Non conosceva i confini e si è trattato di una mia negligenza, sono stato un incosciente a lasciarla andare da sola.»

Il fatto che Edward avesse preso ancora una volta le mie difese, addossandosi la colpa dell’accaduto, alleviò la precedente delusione per la presentazione.

«Quindi cosa farete ora? Pensate che i licantropi possano cercare vendetta?» domandò Irina, dal divano accanto al camino.

Fu Edward a rispondere: «Ne dubito. Ho potuto ascoltare i pensieri di uno di loro, quello che ha riconosciuto Bella, e non ho visto alcuna intenzione del genere. A patto che ce ne andassimo, ovviamente. Sono consapevoli della nostra superiorità e non hanno intenzione di sprecare inutilmente delle vite.

«Comunque non potremo tornare, non per i prossimi settant’anni per lo meno. Se decidessimo spontaneamente di ricomparire, scoppierebbe la guerra. Diciamo che è come se si trattasse di una pace momentanea: finché noi restiamo lontani, loro stanno tranquilli nel loro territorio. Se noi tornassimo loro ci attaccherebbero. E temo che questo varrà anche per i loro discendenti.»

«Il che è davvero un peccato, dato che Forks era assolutamente il luogo perfetto in cui vivere.» Tutti avvertirono l’astio nella voce di Rosalie, ma nessuno fece domande. Specie perché mi rifilò un’occhiata glaciale, che ricambia non altrettanta durezza.

«Per questa ragione abbiamo deciso di andarcene in fretta e furia, senza nemmeno portare via tutto. Ciò che abbiamo lasciato lì ce lo faremo portare nella nostra prossima sistemazione. E domani chiamerò l’ospedale e sistemerò le cose.» Emmett ridacchiò alle parole di Carlisle, evidentemente trovava buffo il rammarico nella sua voce quando parlava dell’ospedale che aveva dovuto abbandonare. Kate, Irina e Carmen sorrisero, probabilmente d’accordo con lui.

Non sapevo con esattezza cosa intendesse Carlisle con “sistemare le cose”, ma supposi che si trattasse dell’inscenare una balla, magari quella di un trasferimento improvviso causato da qualche avvenimento particolare. A pensarci bene, non era per niente una balla.

«Siete ovviamente i benvenuti nella nostra cosa, per tutto il tempo che vorrete.» Carmen sorrise e strinse la mano a Esme.

«Grazie, ma non abbiamo intenzione di abusare della vostra ospitalità. Giusto il tempo di trovare un nuovo posto e sbrigare un po’ di burocrazia.» Carlisle sorrise.

«Ma quale abuso, siamo sempre felici di avervi con noi!» Kate rise e scosse i lunghi capelli biondi. «Non porti inutili problemi, Carlisle.»

Lui sorrise e non fu possibile dubitare dell’affetto e della gratitudine che provava, gli si leggevano in faccia.

«Immagino che le visioni in questo caso non servano a molto, per lo meno se questi licantropi hanno preso la decisione di attaccare in risposta a un vostro ritorno, dovrete aspettare la nascita della nuova generazione per vedere se cambiano idea. In questo caso il potere di Alice è inutile», riprese Tanya.

Fui certa che Alice si fosse offesa quando, con uno scatto repentino, Jasper la trattenne per un braccio per evitare che scattasse in piedi e rispondesse in malo modo. Trassi una frivola soddisfazione dalle occhiate acide di mia sorella verso Tanya.

«A dire il vero, Alice non vede proprio i licantropi. Abbiamo scoperto che, non solo non può vedere il loro futuro, ma che il “nero” che li avvolge abbraccia anche chi è interessato nelle loro decisioni. Noi, in questo caso.»

E l’ego di Alice subì la batosta finale.

«Volevo parlarti anche di questo, Eleazar. Pensi che possa essere un potere particolare dei licantropi? Noi abbiamo messo su diverse teorie, ma non siamo certi di nessuna.»  Carlisle si rivolse direttamente al vampiro e in un primo momento non ne capii il motivo: come faceva lui a dare una risposta alle visioni di Alice?

«Eleazar ha il potere di riconoscere le capacità extra degli altri vampiri e di valutarle» spiegò Edward, a bassa voce. Annuii.

«Oppure dipende da Alice, fino ad ora ha avuto solo visioni sui vampiri, giusto?» Eleazar si passò un dito sul mento, pensieroso.

«Anche sugli umani, nessuna eccezione né tra mortali né tra immortali», aggiunse la diretta interessata.

«Quindi su entrambe le forme che hai assunto, prima quella umana e poi quella vampira. Forse dipende da questo. O forse questi licantropi possiedono delle sorta di scudi che li proteggono dai poteri dei vampiri-»

«Io però riesco a sentire i loro pensieri e Jasper le loro emozioni, può anche condizionarle. Si è assicurato che il lupo che ci ha visti andare via stesse calmo e non provasse ad attaccarci», precisò Edward.

«Interessante.» Eleazar si staccò dal muro su cui era appoggiato e prese a camminare per la stanza. «Sembra quasi il fenomeno capovolto rispetto a quello che succede con Bella.»

«Come fai a saperlo?» Carlisle si sporse in avanti, guardando fisso il vampiro.

«Ma certo! Perché non ci ho pensato prima? È sicuramente così!», esclamò Edward, l’entusiasmo dipinto in volto.

«Potreste, per favore, renderci partecipi?», domandò Rosalie.

«Certo, perdonatemi, Edward ha letto nei miei pensieri ciò che stavo per dire a voce alta. Sospetto, anzi sono quasi certo, che Bella sia uno scudo.»

«Uno scudo?», mi ritrovai a domandare, stupefatta. Provai a farmi un’idea della cosa, ma tutto ciò che mi venne in mente fu un’armatura medievale.

«Sì, uno scudo mentale. Piuttosto potente, anche. In questo momento sta bloccando il mio potere e sospetto che nemmeno tu riesca a leggerle il pensiero, Edward. Eppure Alice vede il suo futuro…» Eleazar, che si era fermato un momento, riprese a percorrere a grandi passi la stanza.

«E io posso manipolare le sue emozioni», aggiunge Jasper, osservandomi.

«Non riesco, infatti.» Anche Edward mi osservava, lo stesso scintillio negli occhi che aveva anche Carlisle, ardente di conoscenza.

«Cosa vuol dire che sono uno scudo, esattamente?», domandai. Di nuovo, non potei fare a meno di evocare l’immagine dell’armatura medioevale.

«Vuol dire che la tua mente è protetta da una barriera e quindi i poteri dei vampiri che riguardano la sfera mentale non possono raggiungerti. Infatti, Edward, il cui potere è strettamente legato ai pensieri e non ha riscontri fisici, non può leggerti. Alice e Jasper, invece, possiedono dei poteri che sì, partono dalla mente, ma hanno riscontri fisici e non riguardano strettamente la tua mente.» Si fermò nuovamente, stavolta però guardava Kate. «Mi chiedo se sia immune a tutti i nostri poteri…»

«No, non è necessario!» Edward allungò un braccio e mi afferrò un polso, senza distogliere lo sguardo da Kate. La voce era alterata dal nervosismo.

Prima che potessi avere la benché minima reazione, me la ritrovai davanti che già premeva una mano sul braccio che non stringeva Edward. Tutti ci osservavano in silenzio, in attesa. Dopo un paio di secondi che non accadeva nulla, confusa, rivolsi il mio sguardo a Kate. Lei pareva un poco delusa. Probabilmente avevo un enorme punto interrogativo sulla testa.

«Stupefacente! Nessuno aveva mai resistito a una tua scarica elettrica, vero?» Eleazar era impressionato.

Edward si rilassò al mio fianco e lasciò la presa sul mio polso per poi accarezzarmi la mano, rincuorato. Non potei fare a meno di lanciare un’occhiata di sottecchi a Tanya. Aveva visto il gesto di Edward, ma manteneva un’espressione neutra.

«Cosa? Tu puoi fulminare le persone?» Ero a dir poco scioccata da quell’idea. E soprattutto dal fatto che avesse appena cercato di fare una cosa del genere a me.

Kate ridacchiò e lasciò la presa. «Non proprio, ma posso lasciare una scarica di elettricità alle persone.»

«Ma si tratta di un potere puramente mentale, per questo Bella è riuscita a bloccarlo. Kate riesce a trasmettere con il tatto la sensazione di una scossa elettrica, non si tratta di vera elettricità. Il soggetto non riporta alcun danno fisico, è solo un dolore mentale che però risulta incredibilmente vero», spiegò Eleazar.

«Hai mai provato a estenderlo?», anche Kate sembrava particolarmente interessata al mio potere, come tutti nella stanza, del resto.

«Kate, non ha nemmeno due mesi pieni», le ricordò Esme.

«Estenderlo?», chiesi invece io.

«Sì, allargarlo ad altri per difenderli dai poteri mentali. Credo potresti farcela, gli scudi hanno questa particolare caratteristica di poter essere estesi oltre il proprio possessore. Anche gli altri poteri, se allenati, possono essere migliorati. Inizialmente io avevo la corrente solo nelle mani, ora posso lasciare la scossa da qualsiasi parte del corpo.»

Ancora, l’armatura medioevale fece capolino tra i miei pensieri, solo che questa volta possedeva uno scudo sproporzionatamente grande.

«Potrei imparare, tu potresti insegnarmi?», chiesi a Kate. Lei annuì e mi sorrise.

«Certo! E sarebbe anche un ottimo modo per conoscersi tra cugine.»

«Credo che tu sia ancora troppo giovane per riuscire a padroneggiare davvero il tuo potere, ma puoi comunque tentare.» Eleazar si era finalmente fermato.«Ma comunque resta in sospeso la questione dei licantropi: non so dire davvero come sia possibile questa “resistenza” al potere di Alice, mi dispiace.»

Carlisle scosse il capo e gli lasciò una pacca sulla spalla.

«Non importa Eleazar, la questione fondamentale è il mantenimento della pace. Ci sarebbe piaciuto scoprire il perché di questa particolarità, ma è una semplice curiosità scientifica. E non sapremo comunque se dovessero cercare di attaccarci, dato che scompariremmo anche noi dalle visioni di Alice.»

Smisi di ascoltare le riflessione e le congetture che, comunque, l’intera famiglia continuò a fare. Ero impegnata a pensare al mio potere, il mio scudo. Non sembrava per niente figo come la lettura del pensiero o la capacità di fulminare con un solo tocco, ma non era male. Per lo meno avevamo capito che, alla fin fine, il mio cervello non aveva niente di particolarmente strano.

Volsi lo sguardo alle finestre: fuori continuava a nevicare.

 

 

 

Tirai fuori dalla sacca l’ultimo paio di jeans e lo sistemai sul ripiano dell’armadio. Riposi quindi la sacca in basso e mi sedetti su una poltroncina, più per fare qualcosa che per vera necessità. Il clan di Denali ci aveva “dato alloggio” nelle uniche due camere libere della casa. In realtà si erano offerti di farci spazio anche nelle loro stanze, ma nessuno aveva voluto essere di troppo peso per i nostri ospiti.

La divisione nelle due camere era stata semplice e quasi forzata: dato che io ero quella con meno bagagli e Alice quella che si era portata dietro mezza casa, fummo considerate elementi complementare e ci ritrovammo a dividere la stessa stanza. A noi si erano quasi matematicamente uniti Jasper ed Edward.

Nell’altra, invece, si erano già sistemati Carlisle, Esme, Emmett e Rosalie.

Io avevo già finito di riempire la mia parte di armadio, vale a dire un ripiano, tre grucce e un cassetto, e la mia mensola con i libri che mi ero portata dietro. Inutile dire che invece Alice stava ancora svuotando la prima valigia. Jasper, appoggiato alla parete, osservava a braccia conserte la moglie. Sembrava allo stesso modo divertito e annoiato. Ci scambiammo un’occhiata e lui ridacchiò, io alzai gli occhi al cielo.

Edward invece, con mia grande sorpresa, non aveva ancora terminato di disporre le sue cose. Non che si fosse portato dietro l’intero guardaroba – tutt’altro, dato che avevo visto solo jeans, qualche camicia e uno o due maglioni –, ma aveva trovato il modo di riempire comunque la sua valigia: libri. E non pochi. Mentre Alice sbuffava a causa di un qualche problema causato dall’assenza di grucce dotate di non so quale peculiarità, mi avvicinai a Edward. Stava posizionando su una mensola quelli che scoprii non essere libri, bensì quaderni.

«Sono diari, questi?» domandai.

«Già, ci sono racchiusi circa una quindicina d’anni. Ovviamente non ho potuto portarli tutti, solo i più importanti.» Edward sorrise, sistemando il tredicesimo quaderno scuro, perfettamente rilegato in pelle. Lo sfiorai con le dita.

«I più importanti? Li rileggi, a volte?»

«In realtà no. Però in questi» e li indicò «sono racchiusi i momenti salienti della mia vita. Mi piace averli con me, non so se sai cosa si prova a tenere un diario».

Ci pensai su, ma poi scossi il capo. «No, devo aver provato qualche volta, ma poi ho sempre mollato. Non so, penso non lo trovassi particolarmente entusiasmante».

Lui sorrise e sistemò l’ultimo quaderno: aveva l’aria di essere molto più recente rispetto agli altri, la rilegatura non era in pelle e, da ciò che s’intravedeva, le pagine non erano ingiallite dal tempo.

«Non credo la penseresti così se avessi vissuto più di un secolo e avessi bisogno di riordinare le idee, di tanto in tanto».

Sorrisi anch’io. «Probabilmente no. Hai finito?»

«Non ancora, manca solo questo».

Si chinò sulla valigia e portò fuori un cofanetto scuro delle dimensioni di un portatile.

«Che cos’è?» Allungai il collo prima che potesse farlo sparire dentro l’armadio.

«Mh, nulla. Ci sono dentro vecchie cose: qualche documento, niente di che».

Fece spallucce, minimizzando, e infilò il cofanetto su uno degli scaffali alti dell’armadio. Poi si voltò e si rivolse ad Alice, sbuffando: «Ne hai ancora per molto? Com’è possibile che ti sia portata tutta questa roba? Spiegami come pensi di usarla».

Alice non aveva smesso un momento di lamentarsi, a quanto pareva ora si era resa conto che l’armadio non le sarebbe bastato per sistemare tutti i vestiti.

«Bisogna essere sempre pronti a ogni evenienza, Edward», la sentii dichiarare, risoluta. Ero certa che Jasper se la stesse spassando nel vedere i due fratelli battibeccare e l’avrei fatto anch’io, se non fossi stata tanto presa dal cofanetto ancora in bella vista. Edward aveva lasciato l’anta dell’armadio aperta, praticamente un invito ad allungarmi verso l’alto e ad afferrare l’oggetto.

«Alice, lo spazio per dei costumi da bagno? Cosa pensi di farci con dei costumi da bagno, in Alaska?»

Volsi lo sguardo verso i due, che non accennavano a smettere con i vari battibecchi. Edward mi dava le spalle, Alice era troppo presa dall’assenza di spazio e Jasper dalle sue risate per badare a me. Mi sarebbe bastato davvero poco: in una frazione di secondo avrei fatto un passo in avanti, saltato per afferrare il cofanetto e sarei riuscita a sbirciarci dentro. Sperai che Edward non si arrabbiasse. Non avrei saputo dire perché fossi tanto curiosa: forse perché ero una neonata e la maggior parte delle mie emozioni erano amplificati. Forse perché Edward aveva glissato la mia domanda, come a sottolineare che lì dentro ci fosse qualcosa di importante. Oppure, più semplicemente, perché qualsiasi cosa lo riguardasse mi attraeva in maniera quasi incontrollabile. Provavo continuamente lo strano desiderio di sapere tutto su di lui.

«Guarda che il mare c’è anche qui. E stavolta niente licantropi che si prendono la spiaggia come loro proprietà.»

«Il mare c’è, ma a centinaia di miglia di distanza. Ed è congelato!»

«Prima o poi si scioglierà!»

«Certo, di sicuro aspetteremo qui che il riscaldamento globale compia il suo dovere.»

Scattai verso l’alto, afferrai il cofanetto e lo aprii, consapevole che nel giro di un ottantesimo di secondo anche gli altri si sarebbero accorti della mia malefatta.

Feci scattare la serratura e osservai ciò che vi era dentro: dei fogli ingialliti, una scatolina di raso nero e altri piccoli sacchetti dorati, di quelli che si usano per i ciondoli o i piccoli gioielli. Sopra ai vari fogli vi erano delle fotografie in bianco e nero, rovinate dal tempo. Una in particolare attirò la mia attenzione: l’inquadratura a mezzo busto ritraeva un giovane ragazzo sorridente, le guance totalmente ricoperte di lentiggini. Non vi erano colori, ma non mi fu difficile riconoscerlo: il tempo non aveva potuto nulla contro la sua eterna giovinezza.

Non mi ero nemmeno resa conto di essermi voltata e rannicchiata su me stessa, per impedire che qualcuno mi togliesse dalle mani il cofanetto. Mi voltai lentamente, probabilmente sorridevo. Mi sentivo un po’ come Tom Sawyer quando la zia Polly lo becca con le mani nel barattolo della marmellata.

Edward mi osservava e sembrò chiedersi se qualcosa avesse improvvisamente intaccato la mia sanità mentale. Anche Alice cercava di capire cosa stessi facendo, ma non pareva particolarmente interessa. Jasper tratteneva le risate: evidentemente le mie emozioni erano più eloquenti delle azioni.

«Ehm, volevo solo dare un’occhiata. Comunque… sai che quando Emmett verrà a sapere che avevi le lentiggini, ti prenderà per i fondelli a vita?»

Lasciai il cofanetto sulla scrivania e sventolai la foto, attenta però a non avvicinarmi troppo al suo proprietario.

Edward assottigliò lo sguardo.

«Non oseresti. Ridammela».

«No».

Feci un passo indietro mentre Edward veniva avanti, rannicchiato in posizione di attacco. Nel momento esatto in cui lui scattò per riprendersi la foto, io saltai di lato e con due rapide falcate uscii dalla stanza. Mi voltai giusto il momento necessario per vedere Edward scattare verso di me. Corsi, ridendo, per tutto il corridoio del piano, la foto stretta al petto. In poco tempo però mi ritrovai la strada sbarrata da un muro, mi voltai in fretta ma Edward mi aveva già raggiunto. Fece un passo in avanti, il solito sorrisetto sghembo in volto.

«Ora non mi scappi».

Sul lato destro del corridoio, al posto di un muro, scorreva una lunga ringhiera, che permetteva la vista del salone. Mi aggrappai a essa e saltai fuori, per poi ricadere sul pavimento del corridoio, oltre Edward. Scappai nella direzione opposta, ma fui nuovamente al punto di partenza: la nostra camera. Alice e Jasper erano ancora lì e sghignazzavano tra loro. Prima che potessi dir loro di aiutarmi, mi sentii avvolgere all’altezza della vita e mi ritrovai bloccata tra il pavimento e il corpo di Edward. Mi dimenai, ma non tentai davvero di allontanarlo, anche se avrei avuto tutta la forza necessaria per farlo. Mi piaceva averlo così vicino, il suo naso che sfiorava il mio e le sue braccia che mi avvolgevano con forza ma senza farmi male.

«Ridammela», soffiò di nuovo sulle mie labbra.

«No». E non potei fare a meno di ridacchiare.

«Allora mi vedo costretto a riprendermela da solo».

Mosse le mani sul mio petto, tentando di raggiungere le mani che stringevano la foto. In risposta la avvicinai ancora di più a me.

«Credi che dovremmo lasciarli soli, Jazz?»

Mi ero totalmente dimenticata della presenza di Alice e Jasper. Sgranai gli occhi, in imbarazzo. Mi ero scordata anche delle altre presenze in tutta la casa. Chiunque poteva sentirci. Niente privacy nelle famiglie di vampiri, specie in quelle allargate.

«Le emozioni stanno cambiando, direi proprio che è il caso di andare».

Li avvertii uscire dalla camera e richiudersi la porta alle spalle. Le loro risate erano un po’ meno silenziose dei loro passi.

«Allora?»

Edward si riprese tutta la mia attenzione quando avvertii le sue mani posarsi sopra le mie e cercare di allentare la stretta delle dita. Mi resi conto che, per quanto le sue mani avessero vagato sul mio petto, era stato attendo a non toccarmi mai in maniera impropria.

«Non me la puoi lasciare? È davvero una bella foto, la vorrei tenere con me», soffiai sulle sue labbra, tendendo ancora di più il capo verso il suo.

Mi osservò per un momento, poi allentò la presa sulle mie dita e mi sfiorò le mani. L’oro delle sue iridi era fuso.

«Se la vuoi, è tua», acconsentì, ma non accennò a spostarsi dal mio corpo.

Sorrisi e posai nuovamente il capo sul parquet.

«Lo sai che eri proprio bello anche da umano? E anche se avevi le lentiggini».

Ricambiò il mio sorriso e si protese verso di me, questa volta per unire le sue labbra alle mie.

Lì, stesa sul pavimento, mentre ci baciavamo ancora abbracciati, mi dissi che ero stata proprio una stupida a provare gelosia nei confronti di Tanya. Certo, Edward non aveva chiarito il nostro legame alla famiglia, ma a dirla tutta nemmeno noi avevamo ancora dato un nome al nostro rapporto. Stavamo insieme? Era troppo presto?

Finché Edward avesse continuato a stringermi a sé e a baciarmi con così tanto amore, non mi sarebbe importato né di quello né di nient’altro.

 

 

Ehilà!

Ce l’ho fatta, dopo oltre due settimane, ma ce lo fatta! Allora, che ve ne pare di questo arrivo a Denali?

Personalmente, la prima parte del capitolo mi ha creato non poche paranoie. Paranoie che ho, come sempre, rigettato sulla mia povera beta, lol (Perdonami, Jò). Trovo che l’arrivo a Denali sia pesantuccio, ripetitivo e che sembri quasi scopiazzato da BD. Ma, dopo mille complessi, sono arrivata alla conclusione che le cose non sarebbero potute andare diversamente. Che Eleazar scoprisse per primo il potere di Bella è scontato, dato che nessun altro, nemmeno nella saga, ci è riuscito prima. E poi è quello il suo potere, mica potevo toglierglielo, ahah.

Ma parliamo di cose serie: Tanya.

Alzino la mano tutte quelle che non vedevano l’ora di ritrovarsela davanti. lol Svelatemi una curiosità: prima dello scorso capitolo, vi sareste aspettate una capatina a Denali?

E… Okay, credo che questo sia tutto.

Grazie come sempre a tutte voi, specie a chi recensisce *^*

Fatemi sapere se questa cosa fa davvero troppo schifo, perché seriamente mi sono fatta complessi per giorni e giorni.

A presto, belle!

Vero

 

Ps. Il capitolo è chilometrico anche stavolta, temo stia diventando un’abitudine c’:

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo non betato, domando venia per eventuali orrori.


Capitolo XIV

Mi sfiorava il capo, accarezzava i capelli e il volto. La consistenza fredda e perfetta lambiva la mia pelle ma non ne ero infastidita e lei non risentiva del contatto.

Precipitava sul terreno, morbida e silenziosa.

Per il resto, il mondo era immobile. Nessuno scalpitio veloce, nessun fruscio di ali in fuga, anche l’aria avevo perso la sue musicali movenze. Tutto era fermo, congelato per mesi, fino all’arrivo della nuova primavera.

Intorno a me, il buio. Perfino i miei occhi erano immobili sotto le palpebre serrate. Non un raggio di luce filtrava la pelle. Il mio corpo, le mie gambe, le mie braccia, erano congelate. Un tutt’uno con il mondo circostante.

Sarei dovuta essere più rilassata.

Riaprii gli occhi.

La neve non aveva smetto di cadere, il mondo tutt’attorno era immobile sotto il terribile inverno.

«Così non va, Bella. Devi concentrarti di più». Anche il corpo di Kate, al mio fianco, riprese vita.

L’odore di freddo e di torpore infastidiva il mio olfatto.

«Lo so, mi spiace. Riproviamo», mi scusai.

«Chiudi gli occhi. Questa volta taglia tutto fuori e resta confinata nella tua mente».

Chiusi gli occhi e feci come aveva detto Kate: tagliai tutto fuori e mi rifugiai nella mia testa.

Assurdo come fosse facile, una volta presa questa decisione.

I miei sensi erano atrofizzati, attorno a me il nulla. Avvertivo il mio corpo e, al suo interno, la mia mente. Mi ritrovai ad abbracciarne i confini, come se fosse qualcosa di fisico e materiale. Percepii, per la prima volta in tutta la mia esistenza, un qualcosa che la avvolgeva. Tentai di toccare quella particolare barriera, di smuoverla. E per un attimo mi parve di riuscirci.

Riaprii gli occhi.

«Kate, l’ho sentita!», esclamai, entusiasta. Il mio intero corpo riprese vita, mossi le gambe e le dita, quasi intorpidite. Finalmente, dopo ore di tentativi totalmente inutili, avevo sentito qualcosa. Mi resi conto, però, di una particolare sensazione che non pensavo avrei provato di nuovo: stanchezza. Ero provata dalla fatica, ma non a livello fisico, il mio corpo, per quanto intorpidito, non aveva la capacità di affaticarsi. Era qualcosa di diverso, prettamente psichico.

 Forse anch’io avrei scoperto le emicranie.

«Te l’avevo detto», anche Kate si dimostrò soddisfatta e mi sorrise «È già un passo avanti. Ora prova a estenderlo».

Annuii e mi concentrai. Sfiorai nuovamente la barriera e la spinsi. Riuscii ad allontanarla da me. La sentii avanzare un poco, qualche centimetro oltre i miei stivali.

Annuii. «Okay».

Improvvisamente mi sentii afferrare per un braccio e feci un salto indietro di tre metri buoni, scoprendo i denti in un riflesso involontario. Lo scudo ritornò indietro con una sorta di tonfo sordo che potei sentire solo io. Kate era ancora allungata in avanti, il braccio steso e la mano aperta.

«Che diavolo fai?», sibilai, ritornando in posizione eretta.

«L’unico modo per capire se davvero riesci ad allontanare lo scudo è usare un potere psichico e verificare se funziona o meno». Anche lei si ricompose e portò il braccio accanto al corpo. «Infatti, ha funzionato. Hai sentito la scossa e ti sei allontanata».

«Non c’è bisogno di farle del male, però». Edward uscì dal bosco e si avvicinò a noi. Dietro di lui, Alice.

Se Edward era sembrato infastidito dalle azioni di Kate, lei lo era ancora di più.

«Mi sembrava di aver esplicitamente richiesto l’assenza di un pubblico. Se ci siete voi si distrae e non riesce ad allontanare lo scudo».

«Se è per questo non ha funzionato nemmeno poco fa: non ho sentito nessuna scossa», risposi, ancora nervosa.

Edward annuì. «E io non ho sentito i suoi pensieri».

«Pensavo fossi riuscita ad allontanare lo scudo». Kate mi osservava, interrogativa.

«Lo pensavo anch’io, infatti. L’ho sentito e visto andare avanti qualche centimetro oltre i miei piedi» diedi un’occhiata alla punta degli stivali «Forse non basta, però».

«O forse non l’hai allontanato da te, come pensavamo. Bensì l’hai semplicemente esteso». Kate annuì della sua stessa teoria.

«Vuole verificare utilizzando la sua energia su uno di noi, per vedere se lo scudo di Bella può aprirsi come un ombrello», disse Alice, con nonchalance.

Kate sorrise. O forse sarebbe meglio dire che ghignò.

«No no» mi affrettai a bloccare tutti «non sono sicura che funzioni, faresti loro del male, Kate». Scossi la testa più volte, per rimarcare il concetto. Kate sbuffò.

«Bella, è l’unico modo per verificare concretamente se il fatto che tu continui a essere immune ai nostri poteri è perché il tuo scudo si può solo estendere.»

«Oppure potremmo usare il potere di Edward al posto del tuo!» Non ero per niente certa di riuscire a stirare abbastanza lo scudo da proteggere qualcun altro. Al contrario di Kate, io ero già certa che il suo potere non avesse funzionato perché non ero capace di allontanare da me “l’ombrello” protettivo. L’avevo visto e sentito estendersi per qualche centimetro, ma non lasciare me.

Edward annuì, soddisfatto, e fece un passo avanti.

«Bene, iniziamo».

Alice mi si avvicinò e io le cinsi il busto con le braccia: sapevo che non sarei riuscita ad estendere lo scudo per più di qualche centimetro e forse il contatto fisico mi avrebbe potuta aiutare. Schiusi gli occhi, visualizzando di nuovo lo scudo. Spinsi con forza, finché non lo avvertii espandersi di qualche centimetro. Riaprii gli occhi e rimasi decisamente colpita: l’intero corpo di Alice emanava una sorta di particolare bagliore. Volsi lo sguardo su Edward e Kate, ma nessuno dei due sembrava vedere la luce. Perfino Alice ne era ignara. La sorpresa mi deconcentrò e lo scudo ne risentì: ritornò indietro, ma riuscii a fermarlo prima che mi si riavvolgesse attorno. Questa volta fui più cauta: spinsi nuovamente lo scudo osservandolo guadagnare terreno, millimetro dopo millimetro. Lentamente abbracciò anche il corpo di Alice: prima i talloni, i capelli e la schiena, poi i piedi, le gambe e il petto. Infine ne fu totalmente avvolta e il bagliore si intensificò. Fu in quel momento che mi resi che lo scudo non era semplicemente un elastico o una barriera, era una parte di me. Direttamente collegato alla mia mente e al mio corpo, era una sorta di prolungamento di entrambi. Risentiva delle mie emozioni perché, essendo una parte di me, le provava direttamente.

Una volta capito ciò fu notevolmente più facile impedire allo scudo di schizzare indietro.

«Non la sento più, non sento più i pensieri di Alice», esultò, Edward. Sorrisi, ma senza deconcentrarmi.

«Kate, avvicinati», mormorai.

La bloccai quando fu a circa mezzo metro da me e Alice, e spinsi lo scudo verso di lei. Dopo poco più di un minuto anche lei iniziò a emanare lo stesso bagliore di Alice. Guardai Edward, che annuiva, compiaciuto.

Forte dei risultati appena raggiunti allentai la presa su Alice, allontanandomi di un passo e poi di un altro. Lo scudo si spostò con me ma, invece che lasciare andare Alice e Kate, si estese nella direzione che prendevo io.

Sorrisi, vittoriosa. Kate voltò il capo, compiendo movimenti lenti e misurati, probabilmente per timore di infastidire lo scudo, e mi rivolse un mezzo sorriso.

«Ottimo, Bella! Ma sono certa che con il mio metodo saresti stata più motivata e avremmo impiegato meno tempo».

Scossi il capo e, contemporaneamente, Alice sollevò un braccio in aria, in segno di vittoria.

«Sapevo che ce l’avresti fatta, sorellina. L’avevo visto».

«Edward, pensavo: se ora che Alice e Kate sono sotto il mio scudo e tu non le senti, se ci fossi anche tu qui, potresti sentirle?» Se lo scudo era una parte integrante di me e io avevo la caratteristica di bloccare qualsiasi potere psichico, mi chiedevo dal primo momento che avevo saputo della possibilità di estenderlo, se fosse possibile che chiunque proteggessi diventasse immune ai poteri anche di tutti gli altri che tenevo sotto l’ombrello. Avevo appositamente chiesto a Edward, non volevo nemmeno che Kate pensasse di usare la sua corrente su qualcuno.

«Questa è un’ottima domanda, la cui risposta è molto semplice da ottenere». Edward fece un paio di passi in avanti e io mi stavo già preparando a estendere lo scudo oltre Kate quando, dallo stesso punto in cui erano spuntati Alice e Edward, un’altra chioma rossastra fece capolino nel bianco della neve.

«Eccovi qui, vi stavo cercando. Kate, io e gli altri stiamo per andare a cacciare» Tanya sorrideva, era la placidità in persona. Dopo aver parlato alla sorella, si rivolse a me, Edward e Alice. Più a Edward, a dire il vero. «Carlisle ha detto che siete andati a caccia da poco, anche se Emmett sarebbe stato felice di unirsi a noi. Sembrava intenzionato a disturbare il letargo di qualche grizzly», rise e sembrò che mille campanellini avessero deciso di suonare in perfetta sincronia.

«Comunque ha rinunciato, ha detto che deve cercare un posto adatto per creare un campo di baseball».

«Giochiamo a baseball?» Kate sembrava decisamente entusiasta dell’idea «Non vedo l’ora di stracciarvi, tutti quanti».

«Sorella, non conosci ancora il significato delle parole “gioco di squadra”, vero? Comunque, Alice, avete-»

«Io ho cacciato due giorni fa e Bella ieri, ma grazie dell’invito», Alice la interruppe prima ancora che potesse terminare la domanda. Mi limitai ad annuire, cercando di mantenere la presa sullo scudo per il maggiore tempo possibile. Mi stavo auto cronometrando: quattro minuti e undici secondi e, contemporaneamente, seguivo una conversazione. Non male per essere il primo giorno.

Tanya sorrise ad Alice ma, voltandosi, il suo sguardo subì un leggero cambiamento. Non saprei descriverlo, ma fui certa che nessun umano sarebbe riuscito a dirle di no, quel momento. Mi innervosii perché quello sguardo fu accompagnato da due passi avanti in direzione di Edward. Lo scudo tremò e indietreggiò di qualche centimetro. Strinsi i denti nel tentativo di bloccarlo e, soprattutto, di soffocare un sibilo.

«Allora, Edward, anche tu declinerai l’invito? Sarei felice se mi accompagnassi a caccia», sorrise, perfetta e ammaliante. E lo scudo scattò all’indietro, ritornando al suo posto, stretto attorno a me. Mi bloccai, anche se già sapevo che nessuno poteva aver notato quell’improvvisa dimostrazione di instabilità. Non potevo distogliere lo sguardo dai due, impaziente di ascoltare la risposta di Edward.

«Ti ringrazio, Tanya, ma ho cacciato anch’io due giorni fa. E poi penso che Emmett abbia bisogno di una mano per il campo da baseball», fu educato e gentile, come sempre.

Di nuovo, ciò mi irritò, anche se oggettivamente sapevo che non avrebbe né voluto né potuto mandarla a quel paese.

«Va bene, ci vediamo più tardi, vero? Bella, Alice» era più dispiaciuta di quando avrebbe dovuto e non si voltò nemmeno nella nostra direzione, mentre ci salutava «Kate, andiamo».

Kate si congedò con un gesto della mano ed entrambe scomparvero tra gli alberi.

«Continuiamo, Bella?», domandò, Edward.

«No, sono troppo stanca. Non pensavo una vampira potesse provare stanchezza, anche se solo mentale».

Alice fece una smorfia, corrucciata. «Ora capisci come mi sono sentita, vero?»

Improvvisai una risatina, ma nemmeno la battuta di Alice sarebbe bastata a risollevarmi il morale. Ovviamente ero molto stanca, ma forse sarei potuta andare avanti ancora per un po’ se non mi fossi innervosita tanto. Con quell’instabilità emotiva lo  scudo non ne avrebbe voluto sapere di collaborare.

«Andiamo, prima che pure a Bella venga un’emicrania». E Alice scomparve nel bosco. Edward si voltò verso di me e mi porse la mano. La guardai e mi avvicinai a lui, senza afferrarla. Ero arrabbiata e volevo che lo sapesse.

«Tanya sembrava piuttosto entusiasta all’idea di restare sola con te. E lo era anche quando siamo arrivati qui. Mi chiedo il perché».

Le parole furono più taglienti di quando desiderassi, ma rendevano bene l’idea di ciò che mi si agitava dentro. Tenevo lo sguardo puntato nel suo e, dopo pochi secondi lui abbassò il suo, nervoso. Ottimo presagio, davvero.

«Era tanto che non ci vedevamo, sai. Siamo tutti felici di riunirci ai nostri cugini». La sua voce era ferma, ma non mi guardò negli occhi mentre parlava. Incrociai le braccia al petto, più come un secondo scudo che per sembrare minacciosa.

«Edward, per favore, non trattarmi come una stupida».

«Io non penso che tu sia stupida», si lamentò, ma poi fece una pausa, lo sguardo puntato sulla neve fresca che ricopriva tutto ciò che ci circondava.

«Tanya manifestò un certo interesse, nei miei confronti.»

«Dimmi qualcosa che non so». Fino a prova contrario ero capace a fare due più due da sola.

Edward continuò come se non avessi parlato: «Ma io, assicurandomi di non ferire i suoi sentimenti, le feci capire che non era ricambiata. È stato tanti anni fa, fine della storia».

«Eppure non mi sembra che sia cambiato molto, anche se è stato tanti anni fa». Le ultime parole somigliarono terribilmente a una lagna.

Riportò lo sguardo su di me e, lentamente, sul suo volto, si formò il solito mezzo sorriso. «Sei gelosa?»

Sbuffai e feci passare il peso da una gamba all’altra. Di nuovo, le mie reazioni fisiche erano tutto fuorché vampiresche.

«No, certo che no, perché dovrei? In fondo hai solo glissato qualsiasi accenno al nostro rapporto con l’intera famiglia, mi hai presentata come una sorella, assecondato Tanya continuamente. Perché dovrei infastidirmi, non ne ho alcun motivo».

«Bella», colmò la distanza tra i nostri corpi e allungò le mani per sciogliere il groviglio delle mie braccia «mi spiace che tu abbia potuto pensare che, per me, il nostro rapporto non sia importante. Perché lo è, più di ogni altra cosa. Te l’ho già detto, ma non mi stancherò di ripeterlo: sei ciò che di meglio mi sia capitato negli ultimi cinquant’anni».

Gli permisi di intrecciare le nostre dita e mi accostai più vicino al suo petto. «Il problema è proprio questo, Edward: hai detto tante parole, ma non ci sono stati fatti che le concretizzassero. Sì, quando siamo insieme o con qualche altro membro della nostra famiglia mi baci e ci comportiamo come una coppia, ma se c’è intorno il clan di Denali nemmeno mi guardi. Non mi piace che le cose vadano così, specie perché non mi sembra che Tanya si sia arresa al tuo rifiuto».

«Ti chiedo scusa. Ho pensato che, non avendone parlato tra noi, considerassi prematura l’idea di dichiararci una coppia. Specie perché sei sempre così in imbarazzo quando sto con te davanti agli altri».

Alzai una mano, sciogliendola dalla presa della sua, per fermarlo. «Aspetta. Io mi imbarazzo solo perché sono fatta così: non amo stare al centro dell’attenzione e sono abbastanza impacciata. Non mi vergogno di noi, non potrei mai».

Edward sorrise e mi cinse la vita, avvicinandomi ancora di più al suo corpo. «In questo caso, temo che si sia trattato di una serie di incomprensioni tra noi. Mi spiace di aver tratto le conclusioni sbagliate e che tu non abbia compreso le mie intenzioni. Per il futuro promettiamoci che parleremo sempre prima di interpretare a modo nostro le azioni dell’altro, va bene?»

Annuii e posai il capo sul suo petto, sollevata.

«Lo sai che sei adorabile quando fai la gelosa? Non pensavo fosse tanto piacevole».

Sollevai la testa di scatto, con l’intenzione di ribadire che non fossi gelosa bensì leggermente infastidita, ma mi ritrovai le labbra improvvisamente impegnate. Edward tolse una mano dalla mia vita e prese ad accarezzarmi il collo. In tutta risposta gli cinsi con forza il busto, sfiorandogli la schiena con le dita. Schiusi le labbra quando avvertii la sua lingua lambire il mio labbro inferiore, ma fui io ad approfondire il bacio. Edward mi spinse indietro, ma quasi non me ne resi conto finché non avvertii la consistenza fredda del tronco di un albero contro la schiena. Feci leva su di esso per spingermi ancora di più su di lui. Sfregai il mio corpo contro il suo per arrivare più facilmente al volto e sentii un ringhio nascergli in petto. Interiormente mi compiacqui di me stessa. Non riuscivo a smettere di toccarlo, le spalle, la schiena, i capelli. E lo stesso valeva per lui: la sua lingua non lasciava mai la mia e le sue mani, tornate sulla schiena, scendevano sempre più in basso, sempre più in basso…

Ero talmente presa dal bacio che mi resi conto che stavamo per sradicare l’albero solo quando, ansanti, ci staccammo.

 «Devi mettere in chiaro le cose con Tanya, o lo farò io», mormorai senza fiato.

«No, lo faccio io, non voglio umiliarla. E poi, meglio non correre il rischio che la neonata impazzisca e la faccia a pezzi», sussurrò, strafottente, ancora a pochi centimetri dal mio volto.

Una volta ripreso fiato ci separammo e potei quasi sentire il sollievo dell’albero, finalmente non più minacciato dalle nostre coccole. Intrecciai le sue dita alle mie e tornammo alla casa. Non la mia casa perché quella, decisamente, non era il posto in cui avrei voluto vivere.

Alice ci aspettava davanti all’ingresso, tra le braccia reggeva due paia di pattini da ghiaccio.

«Ehilà, guardate cosa ci hanno prestato le nostre cugine! Qui vicino c’è un lago ghiacciato al punto giusto, perfetto per pattinare un po’» Alice sprizzava gioia da tutti i pori mentre ci veniva incontro «Edward, so che tu vuoi andare ad aiutare Emmett, ma io e Bella passeremo proprio un bel pomeriggio con questi. Ne sono certa».

Edward sospirò e mi lasciò la mano. «Bene, la sibilla ha parlato. Ci vediamo più tardi». Mi lasciò un bacio sulla guancia e salutò Alice con un cenno del capo. «Credo proprio che Emmett non abbia ancora abbandonato l’idea dei grizzly, vado a salvaguardare la quiete della fauna locale». E si dileguò velocemente.

Alice mi porse un paio di stivaletti bianchi con la pelliccia chiara sulla parte superiore. «Questi sono per te. Appartengono a Tanya, ha il tuo stesso numero».

«Fantastico». Ci mancava solo che indossassi le sue stesse scarpe.

Alice ridacchiò. «So che l’idea non ti entusiasma, ma almeno i tuoi non sono di un numero e mezzo più grandi. Irina è l’unica la cui misura si avvicina alla mia».

 

Fu un pomeriggio divertente e spensierato. Dopo aver raggiunto il lago, io e Alice pattinammo per ore, mi insegnò addirittura qualche passo. Per quanto non avessi mai indossato un paio di pattini in tutta la mia vita – da umana sarebbe stato un po’ come condannarmi a morte da sola – non ebbi alcuna difficoltà nemmeno durante i primi istanti in cui posai i piedi sul ghiaccio. Ogni attività fisica era facile, naturale.

Ridemmo, saltammo e piroettammo fino al crepuscolo, quando riprese a nevicare e non potemmo più stare sul ghiaccio.

«Dovremmo concederci più spesso queste serate tra sorelle» esclamai, quando rallentammo nei pressi della casa.

«Dovremmo, sì!», esclamò Alice «Vedrai che ora che i ragazzi hanno trovato lo spiazzo adatto al campo da baseball passeremo un’infinita di pomeriggio così divertenti in famiglia».

«Tu l’hai visto, non è vero?»

«Certo, nel momento esatto in cui Emmett ha deciso di voler giocare anche qui. Ma se gliel’avessi detto non si sarebbero divertiti a cercarlo».

La risata mi morì in gola quando, poco oltre gli alberi, vidi Tanya e Edward.

Vidi Tanya sorridere, fare un passo avanti e saltare in braccio a Edward. Vidi Edward afferrarla per la vita. Vidi Tanya baciare Edward.

Ma non vidi Edward respingere Tanya.

Di nuovo, non mi immobilizzai come avrebbe fatto un qualsiasi vampiro.

Semplicemente mi voltai indietro e corsi via.

Dentro di me sapevo di stare commettendo un errore. Sapevo che non si trattava di un film, che mi sarei dovuta fermare e chiedere cosa stesse succedendo. Arrabbiarmi, magari. Non saltare subito alle conclusione.

Ma in quel momento tutto svanì. Le parole di Edward di poche ore prima, il nostro bacio, l’allegria del pomeriggio, Alice che mi chiamava e mi chiedeva di fermarmi.

Quasi non badai a Rosalie che, da lontano, vicino all’ingresso, osservava la scena. Quella stessa scena che vedeva come protagonista Edward e Tanya, assieme, che si baciavano.

 

 

 

 

Salve, care! ^^

Eccoci qui, non penso di avere grandi spiegazioni da dare riguardo questo capitolo.

Solo, non uccidetemi, pleeease. Due giorni fa è stato anche il mio compleanno, non vogliatemi male solo per questo ultimo, innocente bacetto.

Non funziona, eh?

Allora mi dileguo prima di ricevere frustate LOL

A presto!

Vero

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo non betato (Joan è in vacanza, odiamola tutti insieme ewe), chiedo scusa per gli orrori.

Capitolo XV

«Bella, ti prego!»

«No, va’ via Alice, non voglio parlarti!»

«Bella, sei su un albero, non in un bunker. Se voglio salire da te, lo faccio. E se voglio parlarti lo faccio comunque, anche da qui».

Alice si stava innervosendo e andava avanti sbuffando e sibilando, io costringevo me stessa a non distruggere, ramo dopo ramo, l’albero che mi ospitava.

Inspirai ed espirai, come se potesse essermi utile.

«Alice, ti prego, ho bisogno di stare sola».

«Oh no, tu hai bisogno di avere qualcuno accanto proprio perché non vuoi nessuno attorno», me la ritrovai davanti, seduta sul mio stesso ramo «È un comnportamento piuttosto comune, specie se si è depressi come lo sei tu ora. Alcuni arrivano addirittura al suicidio e a me servi, quindi ti evito la morte».

«Alice, non ho intenzione di suicidarmi», borbottai raggomitolandomi e facendo sparire buona parte del viso tra braccia e ginocchia.

«Preferisco assicurarmene, sai com’è, non si può prevedere tutto».

«Già, a proposito, dove diavolo erano le tue visioni quando Edward ha deciso di farsi Tanya?», sibilai. Dire quelle parole a voce alta fu insieme una liberazione e una pugnalata. Finalmente smisero di lacerarmi la mente con i loro artigli ma, al contempo, permettendo loro di prendere forma nell’aria, diventavano sempre più reali.

E non smise di fare male.

Guardai Alice. Non so cosa vide sul mio volto, ma improvvisamente abbandonò qualunque tentativo di umorismo e abbassò lo sguardo.

«Non ha preso nessuna decisione, Bella. Sono sicura che sia tutto un enorme malinteso».

«Sì, certo».

Nessun malinteso, avevo visto ciò che stava succedendo: Tanya in braccio a Edward, loro che si baciavano. Non aveva bisogno di grandi spiegazioni

«Forse non ha iniziato lui, ma non l’ha nemmeno respinta».

«Probabilmente l’ha colto di sorpresa».

«Alice, lui legge il pensiero. Non credo che esista qualcuno di più difficile da cogliere di sorpresa. Per favore, non sono stupida, non trattarmi come tale».

Scosse il capo, contrariata.

«Non ti sto prendendo per stupida, Bella. Non potrei mai. Ma Edward non è infallibile, anche il suo potere può avere delle falde. Ci sono alcuni gesti che sono istintivi, che non hanno come precedente una decisione pensata, capisci? Sono puro istinto, emozioni. E Edward non legge l’istinto».

Scrollai le spalle.

«Posso dirti però che Edward l’aveva presa, una decisione. Ero determinato a dire a Tanya di voi due. Se solo gli permettessi di spiegarsi-»

«Sei dalla sua parte!», l’accusai balzando in piedi «Sei qui per lui, non per me!»

Non poteva farmi questo, non dopo aver visto ciò che stava succedendo! Non Alice.

Ero già pronta a saltare giù, ma mi afferrò per un braccio. Sibilai, ma mi fermai: il suo sguardo supplichevole mi costrinse.

«Ti prego, ascoltami. Non sono qui per difenderlo, voglio aiutarvi».

«No, Alice, tu vuoi solo che io ti creda, ma io mi fido dei miei occhi. Per favore, non tormentarmi. Sei mia sorella, non mi sarei aspettata questo da te».

Tornai contro il tronco dell’albero, ma non mi sedetti.

«Sono anche sua sorella e voglio che sia felice, esattamente come voglio che lo sia tu. E credimi se ti dico che, da quando sei arrivata, lui lo è davvero».

«Avrebbe dovuto pensarci prima, non trovi?»

«Bella, lui non ha fatto nulla, ne sono certa!»

«E come fai? Hai qualche prova?». Incrocia le braccia al petto, ero già abbastanza nervosa e non era il caso di sfidare la sorte di Alice permettendo alle mie braccia di avvicinarsi troppo a lei. Amavo e odiavo la sensazioni di forza grezza che impregnava i miei muscoli nei momenti di rabbia.

«No, non ne ho. Non materiali. Ma lo conosco da cinquant’anni ormai, e so non sarebbe capace di una bassezza del genere. Il fatto che tu non ti fidi di lui è un’altra storia».

«Anche io pensavo di fidarmi di lui. Ma, Alice, ho visto ciò che ho visto. E questa non è il primo fatto ad avermi lasciata perplessa: non mi pare abbia respinto Tanya, né si sia almeno impegnato un tantino per mettere in chiaro qualcosa».

Scivolai sul tronco fino a ritrovarmi nuovamente nella posizione iniziale. Anche Alice tornò seduta: di fronte a me, la schiena ritta senza il supporto di alcun ramo.

«Perché ci sono state delle incomprensioni precedenti tra voi. Ne avete anche paralato, no? Edward ti adora, Bella, e lo sai anche tu». Fantastico, non si poteva avere un po’ privacy manco nei boschi. Dannata Alice.

Fui sul punto di prenderla a parole, parole non tanto carine, ma lei alzò una mano, il palmo rivolto verso di me.

«Okay, ascolta senza interrompere. Edward, prima che arrivassi tu, non era alla ricerca di una donna. Forse lo era stato, un tempo, ma ormai sono passati diversi anni. Credo avesse accettato l’idea di non riuscire a intrecciare rapporti più che amichevoli o fraterni. Quando ti ho vista arrivare, sapendo che eri una ragazza, ovviamente abbiamo sperato tutti che nascesse qualcosa tra voi. Esme, poi, avresti dovuto vederla: era eccitatissima all’idea di averti per casa, e quando ha saputo che eri pure bella! Mh, sì, ma sto divagando» scacciò con la mano le sue stesse parole e riprese «Il punto è che Edward non ne voleva sapere, cioè non pensava nemmeno che avresti suscitato in lui qualcosa di più! E invece… Credo che il più stupito, fra noi, fosse proprio lui. E anche il più felice. Erano almeno quarant’anni che non lo vedevo così allegro e spensierato. Sai che ho perso il conto dei mesi che sono passati dall’ultima volta che aveva suonato? E poi ha scritto la tua canzone e tutti noi eravamo così felici-»

«Alice», la interruppi, irritata «per favore, erano questioni private. Perché continui a immischairti così tanto?». Ero infastidita da quelle continue intromissioni da parte del resto del mondo. A quando pareva eravamo strettamente controllati in qualsiasi momento.

«Sai che non lo faccio apposta! E poi, dopo aver visto che andavi da tuo padre e Edward che veniva da te, è stato quasi istantaneo che arrivassero anche le altre visioni. Ed Esme ci teneva così tanto a sapere che le cose tra voi procedevano per il verso giusto… Non sono un’impiccione e tanto meno pettegola».

Si era offesa, fu evidente.

Sbuffai, irritata e intenerita. E doppiamente irritata anche per la tenerezza ch suscitavano in me quelle parole.

«Edward era euforico, beh per lo meno per i suoi standard. E ora è terrorizzato dall’idea di poterti perdere. Se non fosse così, Bella, non te lo direi. Io ti voglio bene, te l’ho detto fin dal primo momento che saresti diventata la mia migliore amica barra sorella preferita. Non dirlo a Rose, però.

«Non so cosa sia successo tra Edward e Tanya, ma ti ripeto che sono certa di una cosa: Edward non prova assolutamente niente per lei e non è assolutamente possibile che possa commettere una bassezza simile».

Sospirai di nuovo, lasciando che il mio volto si sciogliesse e lasciasse trapelare lo strazio che mi lacerava.

«Io lo so, Alice. Oggettivamente lo so: Edward è a dir poco perfetto, sotto questo punto di vista. No, che dico, sotto tutti i punti di vista. E penso che sia proprio per questa ragione che sono rimasta così sconvolta da quella scena».

Non mi sentivo inferiore a lui, ma Edward era… Perfetto, davvero perfetto, in qualsiasi cosa facesse. Non si sporcava mai quando cacciava, sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto, capiva tutto al volo anche senza l’ausilio del suo potere, suonava il piano divinamente, parlava almeno mezza dozzina di lingue, era sempre gentile e controllato anche quando perdeva le staffe – perlomeno di solito -, sapeva sempre di cosa avevo bisogno, mi capiva, mi aiutava, era un gentiluomo. Tutto questo poteva essere, appunto, racchiuso in un’unica parola: perfezione. Che a sua volta era sinonimo di Edward.

«Forse dovresti smettere di vederlo come l’incarnazione di una divinità e più come l’essere imperfetto che è. Non posso dirti che sia umano e quindi incline agli errori, ma resta comunque un uomo. E, in questo caso, non ha sbagliato, semplicemente ha dimostrato, a suo discapito, che non è infallibile».

Finì di parlare, ma io non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo. Continuammo a fissarci per attimi infiniti, finché non abbassai lo sguardo.

Un insieme di emozioni contrastanti guerreggiavano nel mio petto: la rabbia si mischiava al sollievo, la vergogna grattava via la sofferenza, e poi speranza, senso di colpa, tenerezza e gelosia in un connubio di colori e percosse.

Annaspavo interiormente. «Hai ragione, Alice».

Sentii una carezza leggera sui capelli e la piccola mano di Alice che si posava sulla mia, in grembo.

«So che è così, so che lui non potrebbe mai fare, farmi, una cosa del genere. E io mi fido, davvero. Ma ero terrorizzata», perché vedere realmente che aveva delle alternative oltre me faceva male, perché era diventato tutto ciò di cui avevo bisogno per andare avanti, per migliorare e per crescere, perché riempiva le mie giornate, perché accendeva ogni momento come nessun altro aveva mai saputo fare, perché, ormai, non potevo immaginare la mia esistenza lontana dal suo fianco «perché lo amo e non posso perderlo».

Rialzai lo sguardo e incrociai quello di Alice, illeggibile. Fu come se del pulviscolo mi si fosse infilato tra le ciglia, poi negli occhi. La testa quasi pulsava, ma ciò non infastidiva la mia vista perfetta. Forse era questo che i vampiri provano, quando piangono.

Sorrise. «E non lo perderai, fidati di me».

«Tu l’hai visto?»

Mi fissò, ma non rispose. Forse l’aveva visto, o forse no. In ogni caso, capii che non me l’avrebbe detto.

Strinsi le sue dita e mi tirai in piedi, trascinandola con me.

«Ora parlerai con lui», esultò.

Annuii e alzai gli occhi al cielo. «Vedrò cosa posso fare».

Alzò un sopraciglio, scettica. «Tu ora devi assolutamente parlare con lui, altrimenti io non potrò preparare i vostri nuovi abiti coordinati. Capisci quanto è importante? Ho già fatto gli schizzi, se non andrà tutto bene potrei dover buttar via tutto e sarebbe stato tempo sprecato».

Parlava lentamente, accompagnando ogni sillaba ad un cenno del capo. Era condiscendente e cercava di convincermi.

«Non sei Jazz, Alice».

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Poi scoppiò a ridere e non potei fare a meno di imitarla, un po’. Pace era fatta.

 

 

Facemmo in tempo ad arrivare al limitare del bosco, a poche decine di metri dalla casa, prima che Edward ci comparisse davanti. Alice si volatilizzò prima che potessi chiederle di lasciarci soli e fui certa che, almeno quella volta, si sarebbe sforzata di non venire a sapere cosa stesse succedendo.

L’espressione di Edward era tormentata, semplicemente tormentata. Tutto, dall’inclinazione delle sopraciglia alla smorfia della bocca, faceva trapelare il suo tormento.

«Qualsiasi cosa tu stia pensando o abbia capito non è vera.».

Parlai lentamente, soppesando le parole. «In questo momento penso che probabilmente sia tutto un malinteso».

L’ansia lasciò spazio alla sorpresa, sul suo volto. Sorprendere Edward era talmente difficile che non avevo mai visto quell’espressione stupita sul suo viso. Se fosse stata un'altra situazione probabilmente l’avrei trovato comico.

«Oh» raddrizzò le spalle, forse non si era nemmeno reso di conto di essere ingobbito in avanti. «In tal caso, hai ragione. Totalmente».

«Ma voglio comunque delle spiegazioni», continuai.

«Certo, tutto ciò che desideri», si affrettò a rispondere.

«Parti dall’inizio, per favore».

«Sì, allora. Io, Emmett e Jazz avevamo appena trovato lo spiazzo adatto per il campo da baseball, li ho lasciati mentre tracciavano le basi con l’intenzione di aspettare a casa che Tanya tornasse dalla cacci, per parlarle. È arrivata prima di quanto mi aspettassi, mi è venuta incontro e prima che potessi capire cosa stesse succedendo, mi ha baciato. Ti giuro che non desideravo niente del genere, Bella! Non ha preso una decisione, non ho potuto prevederlo!».

Si infervorava mano a mano che andava avanti nel discorso, ma io lo bloccai con la mano.

«Ci credo, ma quando ho visto le tue mani sui suoi fianchi…»

Scosse il capo. «Me la sono ritrovata in braccio, è stata una reazione istintiva quella di sostenerla, mi avrebbe fatto cadere altrimenti. E poi l’ho immediatamente allontanata».

Si voltò improvvisamente, e fissò un punto alle sue spalle. Seguii il suo sguardo: dietro ad una delle finestre del pian terreno, probabilmente una di quelle della sala, c’era Rosalie.

«Rose lo può confermare, era qui anche lei. Rose!», la chiamò.

Rosalie sparì e la tenda tornò a oscurare la vista dell’interno. Pochi istanti dopo aprì la porta e scese gli scalini dell’ingresso. Aveva la solita espressione composta in volto.

«Stai cercando un avvocato difensore che ti tiri fuori dai guai, Edward?»

«No, e lo sai anche tu».

«A me sembra di sì, invece. A Bella non bastano le tue spiegazioni e l’arringa di Alice?»

Fui certa che Edward si fosse totalmente pentito di aver chiamato in causa Rosalie. «Ti sto solo chiedendo un favore. E penso proprio che tu me lo deva, anzi ce lo deva, dopo tutto quello che hai fatto», ringhiò.

Rosalie serrò i denti e si volse verso di me. Rimasi in silenzio, in attesa.

«Edward non ha fatto nulla, come sempre. A lui non interessa Tanya, come sempre. E Tanya gli è saltata addosso, come sempre. Fine della storia». Incrociò le braccia al petto, senza allontanare lo sguardo dal mio. «Davvero», aggiunse. Non è esatto dire che addolcì il tono di voce, ma ci andò vicino. Capii che, qualsiasi avversione provasse nei miei confronti, possedeva comunque uno spiccato senso della lealtà.

Edward annuì, non del tutto soddisfatto.

«Grazie, Rose», la congedò.

Lei sbuffò e tornò dentro, palesemente contrariata. Evidentemente non le era piaciuto essere chiamata al banco dei testimoni per una così breve deposizione e poi, una volta terminata la sua utilità, rispedita indietro.

Osservai la finestra per un minuto intero, ma non si riaffacciò.

«Non serviva che chiamassi Rosalie, ti credevo già». Lo guardai e lui parve imbarazzato.

«Lo so, ma io volevo esserne sicuro. Ho il terrore di perderti e non posso permettere che qualcosa si metta tra noi». Mi prese le mani nelle sue. «Per questo ora andiamo in salotto e aspettiamo che arrivino gli altri».

«Cosa vuoi fare?». Le mie labbra si incurvarono in un sorriso spontaneo, che lui ricambiò immediatamente.

«Far sapere a tutti che sei la mia ragazza», affermò.

«Non pensi di essere troppo ufficiale, ora? Sembrerà quasi che stiamo annunciando il nostro matrimonio» lo prendevo in giro, ma ero profondamente felice di quell’iniziativa.

Sorrise, sghembo. «Oh, tranquilla, per quello possiamo aspettare ancora un po’».

«Un po’?»

«Un paio di mesi al massimo».

«Spero che tu stia scherzando».

 

 

Mezz’ora e qualche spiegazione dopo, Carmen mi abbracciava ed Eleazar si congratulava con Edward. C’eravamo riuniti lì, insieme all’intero clan di Denali e alla nostra famiglia. All’appello mancavano solo Jasper ed Emmett, come aveva fatto notare Irina, ma non li aspettammo dato che, alla fine, la notizia non era indirizzata ai nostri familiari più stretti. Edward si era addirittura scusato a nome di entrambi per il ritardo in cui arrivava l’annuncio. Si erano dimostrati felici e soddisfatti, specie per Edward che aveva – parola di Carmen – “finalmente messo la testa apposto con una ragazza tanto graziosa e intelligente”. Ero certa che la testa di Edward fosse apposto anche prima che mi incontrasse, forse anche di più, ma non dissi nulla e ricambiai il suo abbraccio. Più passava il tempo e più trovavo somiglianze tra Carmen ed Esme. La storia fu diversa per Irina e Kate, loro sicuramente speravano in un avvicinamento tra Edward e Tanya, almeno per amore nei confronti della sorella. Non me la presi né mi sorpresi quando si dimostrarono genuinamente colte in contro piede, in un primissimo istante. Subito corressero il tiro entrambe, sorridendo e congratulandosi. Kate aggiunse addirittura di aver intuito qualcosa durante l’allenamento, sostenendo che solo un fidanzato potesse preoccuparsi tanto per le sue innocenti scossette. Tutti risero, per nulla d’accordo, e io ringraziai ancora una volta per l’esistenza del mio scudo. Dal canto loro Esme, Carlisle ed Alice si limitarono a sorridere, dalle loro postazioni sui divani. Alice alzò addirittura i pollici in alto e sillabò un “ce l’abbiamo fatta” silenzioso. Perfino Rose fu contagiata dall’aria festosa e la scoprii per ben due volte a guardare nella nostra direzione – mia e di Edward – e a sorridere. Beh, quasi sorridere, ma considerai quel piccolo quasi gesto un ottimo miglioramento. Notai, però, che lanciava diverse occhiate anche a Tanya e quest’ultima sembrava divertila ancora di più, tanto da farla sorridere apertamente.

Per tutto il tempo, Tanya aveva mantenuto un’espressione composta e aveva atteso che gli altri si fossero allontanati per avvicinarsi a me e Edward. Più di una volta i nostri occhi si erano incontrati e più di una volta entrambe avevamo sostenuto lo sguardo dell’altra.

Si alzò in piedi e ci venne incontro, guardò prima Edward e poi me.

«Congratulazioni», disse, sorridendo. Nemmeno Rosalie sorrideva in maniera così inquietante.

«Grazie, Tanya. Ci tengo a chiarire la faccenda, per quanto riguarda quello che è successo qualche ora fa…»

Tanya alzò una mano e lo interruppe. «Capisco, niente più baci, ormai ti sei incatenato a lei». Mi guardò dall’alto in basso, continuando a mantenere un cipiglio inquietantemente cordiale. «Spero che non te la sia presa».

Sorrisi anch’io, stringendo la mano di Edward.

«Figurati, non avrei mai potuto. Quel bacio non vale niente».

Ebbi la somma soddisfazione di vedere un lampo di rabbia attraversarle il volto, prima che tornasse a sorridere.

«Chissà se in futuro sarà ancora così».

«Se fossi umana ti direi di non trattenere il fiato, mentre aspetti». Il mio cervello urlava di prenderla per i capelli e di strapparle via la testa, ma mi limitai a ricambiare il suo ghigno.

«Vedremo».

Edward fece per parlare, ma lo bloccai. Quella vampira doveva imparare a rispettarmi e se lui avesse continuato a parlare al posto mio le cose non sarebbero mai cambiate.

Continuammo a fissarci, nessuna delle due era disposta ad abbassare lo sguardo per prima. Fummo costrette a farlo quando, poco dopo, Emmett e Jasper fecero capolino nella sala, scherzando sul fatto che avevano piazzato le basi davvero troppo lontane anche per dei vampiri. Si bloccarono vedendoci lì, immobili nel bel mezzo della sala.

«Ci siamo persi qualcosa?», domandò Emmett.

Tanya li osservò e, mantenendo l’espressione cordiale, disse: «Temo si sia fatto tardi, buonanotte a tutti». Ci guardammo per un’ultima volta, poi girò i tacchi e scomparve al piano di sopra.

Mi sentii profondamente fiera di me: non solo ero riuscita riaggiustare le cose con Edward – se non addirittura a migliorarle –, ma non avevo nemmeno creato una faida tra i due clan e per di più Tanya camminava ancora autonomamente. Pensai che, per essere una sola giornata, avevo raggiunto parecchi traguardi.

 

 

 

Eccomi qui, bellezze! **

Mi spiace di farvi aspettare tanto per i capitoli, ma il greco mi sta uccidendo. cwc

Anyway, ho notato che non eravate contente per lo sbaciucchiamento tra Edward e Tanya. Come mai? *scappa via terrorizzata*

Avete visto che è tutto apposto? Pft, donne di poca fede ^^

Ehm, quindi, che ve ne pare? Personalmente trovo molto noiose tutte ‘ste spiegazioni (altra ragione per cui ho impiegato tanto a scrivere il capitolo).

Comunicazione di servizio: la storia è quasi giunta al termine. Ve lo aspettavate? Io non proprio, ho iniziato a capirlo solo verso il tredicesimo capitolo. Al 90% ci saranno altri due capitoli più l’epilogo e poi diremo, dopo due lunghi anni (quasi tre), addio a Quando. Okay, l’idea mi spaventa un po’, ma penso sia normale dato che sono l’autrice lol

Quuuuindi, dopo la notizia shock, saluto le new entry che hanno recensito lo scorso capitolo. Benvenute ragazzuole! <3

Grazie mille a tutte voi che, capitolo dopo capitolo, continuate a seguirmi, commentate o anche solo leggete in silenzio. Vi amo sempre di più! *w*

Detto ciò, mi eclisso.

Buonanotte!

Vero

 

Ps. Le risposte alle recensioni arriveranno domani uwu

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Questo capitolo è dedicato a Joan e alle sue registrazioni,

scusa per averti fatta dannare con gli indizi <3.

Capitolo XVI

Le cose andarono migliorando di giorno in giorno. Trascorrevamo il tempo in famiglia, spesso anche con classici passatempi umani. Una sera giocammo tutti insieme a sciarada e fu forse uno dei momenti migliori del mese passato a Denali. Giocammo in squadre da due, ovvero tutte le coppiette della casa si unirono le une contro le altre in una faida durata circa tre ore. Ovviamente Edward non aveva potuto giocare e, essendo anche in numero dispari, aveva scelto di fare l’arbitro. Da quel che avevo capito non erano molto corretti mentre giocavano. Emmett aveva addirittura cercato di corrompere Edward affinché gli desse qualche indicazione sui pensieri degli altri giocatori, ma il mio ragazzo era stato irremovibile. Specie in seguito alle lamentele di Alice, la quale sosteneva che, se lei “veniva marcata stretta”, nemmeno gli altri, tanto meno Emmett, avrebbero potuto barare o corrompere l’arbitro. Rivelò inoltre che la bustarella silenziosa, ovvero la promessa da parte di Emmett di piantarla di fare commenti sulla vita intima mia e di Edward, sarebbe stata rispettata per massimo un’ora. Al che, io mollai un pugno sulla spalla di Emmett – che ebbi la soddisfazione di vedere dolorante – e lanciai un’occhiataccia ad Alice. Tra le risatine generali, Edward liquidò entrambi con un semplice “Forza, Tanya e Kate, tocca a voi”. Emmett, da quando avevamo apertamente dichiarato di stare insieme, si era sentito in pieno diritto di fare battute più o meno squallide ogni volta che io ed Edward ci trovavamo a meno di trenta metri l’una dall’altro. Cosa che, ovviamente, accadeva molto di frequente. Praticamente non ci allontanavamo mai, facevamo qualsiasi cosa insieme. Per iniziare dalla caccia e terminare con la lettura, di libri diversi, certo, ma pur sempre sullo stesso divano.

E, ovviamente, Emmett e le sue battute si nutrivano di ciò.

Dato che Edward non poteva giocare, quella sera avevo fatto coppia con Irina e presto scoprimmo che nessuna delle due era particolarmente portata per le sciarade. Ma fu divertente soprattutto per questo, azzeccammo tre parole in tutto, ma passavamo i turni a sparare qualsiasi idea ci passasse per la testa. Ben presto fu evidente che si trattasse invece di una sfida tra Jasper, con Alice, e Kate, con Tanya. Jasper era un asso a sciarada. Probabilmente la sua mente da ex soldato – come mi aveva raccontato Edward in uno dei tanti pomeriggi passati ad oziare nei boschi di Denali – lo aiutava nel gioco. Aveva un’ottima capacità di concentrazione ed era intuitivo di natura. Kate, invece, adorava vincere. Aveva la competizione radicata fino al midollo e sembrava intenzionata a non lasciare che la vittoria andasse a qualcuno che non fosse lei. Alla fine fu Kate a trionfare. Alice sostenne che Jasper si fosse comportato da gentiluomo, lasciando alle due avversarie più temibili la vittoria, ma Edward proclamò che non c’era stato nessun imbroglio e che quindi le vincitrici erano Kate e Tanya. Un altro che non amava perdere era Emmett: impiegò diversi giorni per accettare la sconfitta e per smettere di assillare tutti con le sue lamentele. Alla fine arrivò alla conclusione che sciarada fosse un gioco stupido e da cervelloni e che lui non avesse tempo da sprecare con simili sciocchezze.

«Perché ridi?», chiese Edward, accarezzandomi una guancia.

«Ripensavo a Emmett, credi che gli sia passata?».

«Per la sciarada, intendi? Sì, ma sta progettando la vendetta. Credo che rimarrà parecchio deluso quando scoprirà che il clan di Denali non parteciperà alla battaglia di palle di neve», rise anche lui.

«Non potrà vendicarsi su Kate!».

«Già», annuì e si tirò indietro, posando la schiena sulla sedia. «Abbiamo finito con biologia?».

«Oh sì, basta, non ce la faccio più».

Avevamo terminato il libro del terzo anno, finalmente. Ce l’eravamo presa con comodo, nel tacito accordo di non fare terminare quei momenti di pace e tranquillità che erano solo nostri. Però eravamo comunque vampiri e io, oltre che aver frequentato un corso di biologia avanzata, apprendevo anche troppo velocemente. La lentezza mi annoiava.

«Cosa vuol dire che non ce la fai più? Devo ritenermi offeso?».

Edward si imbronciò e incrociò le braccia al petto. Mi morsi forte le labbra per evitare di ridergli in faccia.

«No, certo che no, cucciolotto».

«Ah-ah, lo spero per te. E per me. Ora, senza la scusa del dovere, come farò a rapirti tutte le volte che voglio?», brontolò, avvicinandosi nuovamente a me.

Mi mossi anch’io verso di lui, fino a sfiorare il suo naso con il mio.

«Ma tu puoi rapirmi tutte le volte che vuoi. E poi… ho portato anche il libro di letteratura!», terminai e gli scoccai un bacio a fior di labbra.

«Ah, la mia ragazza è un genio!», esclamò, facendomi ridere.

«E ora in piedi, Alice e la neve ci aspettano».

Obbedii anch’io alle mie parole e in un attimo ci ritrovammo fuori dalla stanza e poi giù, in sala. Alice era già lì, coperta da un piumino, dei pantaloni e degli stivali da nevi, il tutto rigorosamente bianco. Forse, in quel modo, pensava di potersi mimetizzare meglio.

Vedendoci, mi venne incontro e mi lasciò un oggettino argenteo in mano. Lo osservai: uno smartphone di ultima generazione, incredibilmente sottile e dall’aria incredibilmente fragile.

«Mh, Alice, ma cos’è?».

«Un telefono, mi sembra ovvio», rispose, alzando un sopraciglio.

«Sì, questo lo vedo. Intendevo: perché mi dai un telefono? Non è che io abbia tante persone da chiamare, eh».

«Non ti servirà per chiamare, infatti. Lo userai nella battaglia di neve, tutti noi useremo i nostri telefoni».

Continuavo a non capire. «Vuoi che ce li lanciamo contro insieme alla neve?».

Soppesai l’oggettino. Se l’avessi lanciato non avrebbe nemmeno avuto il  tempo di colpire il mio bersaglio, si sarebbe sbriciolato in aria.

Alice sbuffò. «Certo che no! Li useremo per comunicare tra noi, durante la battaglia. Ci comunicheremo le rispettive posizioni metteremo in atto piani d’attacco». Annuì, infine, fiera del suo programma.

«Mh, capisco. E in quante squadre ci divideremo?».

Effettivamente sembrava una bella idea, piuttosto divertente.

«Due: maschi contro femmine», rispose.

Mi rimangiai tutto mentalmente.

Risi. «Alice, siamo tornati all’asilo?»

«Zitta, tu. Mia l’idea, mio il gioco e mie le regole». Ci mancava poco che mi facesse pure una linguaccia.

«Veramente, tesoro, l’idea è stata mia». Jasper era entrato, insieme ad Emmett e Rosalie dalla porta principale.

Alice liquidò la sua protesta con un gesto della mano. «Sì, non importa. Ma perché Esme e Carlisle non sono ancora scesi?», chiese, a nessuno in particolare. Poi li chiamò, sbatacchiando ritmicamente il piede a terra.

Esme comparve sulle scale che poi scese, a passo quasi umano. «Alice! Carlisle è al telefono, sta parlando con il primario dell’ospedale di Forks», la rimproverò.

«Che cosa dice? Ci sono stati problemi con i lupi?», domandò Rosalie.

Da quando eravamo partiti per Denali, Carlisle aveva chiamato a Forks diverse volte, sia per avvisare del suo licenziamento e quindi per tutte le pratiche burocratiche che ne conseguono, sia per assicurarsi che i licantropi non avessero terminato la rottura del patto, rivelando la verità su di noi. In realtà nessuno la riteneva una possibilità concreta, ma Carlisle, con una scusa o con un’altra, faceva qualche domanda per assicurarsi che andasse tutto bene. Il problema era sorto quando gli avevano chiesto di tornare a Forks per firmare delle carte e completare il licenziamento. In un primo momento avevamo preso in considerazione l’idea di far accompagnare Carlisle da qualcuno di noi e restare il meno possibile in città. Il gruppo sarebbe dovuto essere formato da Carlisle, Edward, che avrebbe potuto controllare i lupi anche alla discreta distanza di uno o due chilometri, ed Emmett, per la sua forza. In questo modo sarebbero però stati in minoranza numerica e, in caso di attacco, sarebbero stati in pericolo. Allora Jasper si era proposto per accompagnarli, cosa che aveva portato Alice ad annunciare che li avrebbe seguiti. A Rose non piaceva per nulla l’idea di far andare Emmett da solo e io di sicuro non avrei lasciato che Edward partisse senza di me. Il tutto era sfociato in una discussione colossale su chi dovesse andare e sul fatto che fosse estremamente discriminatorio lasciare a casa le donne perché “potreste farvi male”. Fu Esme a risolvere la questione, proibendo categoricamente a chiunque di fare ritorno a Forks. Carlisle avrebbe completato le pratiche dall’Alaska, per via telematica, in modo che nessuno rischiasse di farsi male o di dare inizio a una guerra. Suo marito si era dichiarato d’accordo e tutto era stato archiviato.

Esme scosse il capo, in segno di diniego, ma non servì che rispondesse, dato che Carlisle scese le scale proprio in quel momento.

«Tutto bene. Richard mi ha detto che tre giorni fa è passato in ospedale un uomo della tribù che chiedeva di me. Lui gli ha risposto che ci siamo trasferiti e l’uomo ha annuito e se n’è andato. Richard è rimasto stranito ma, grazie alla sua fobia per qualsiasi cosa non sia pallida e di origine europea, si è limitato a sostenere che gli indiani sono assurdi», raccontò.

«Vuoi vedere che ora ci andranno, in ospedale?», ironizzò Edward.

Carlisle sorrise, bonario, poi batté le mani. «Beh, ma non dovevamo farci guerra a vicenda?».

Alice annuì, soddisfatta. «Esatto! Andiamo».

Prima che potesse trascinare tutti, uno per uno, fuori dalla porta, Esme esclamò: «Alice, aspetta! Devo ancora cambiarmi!»

«Non c’è tempo, abbiamo già aspettato troppo!»

«Alice, ricordi il concetto di eternità?», le chiesi.

«Piantatela, tutti quanti. Ora noi usciremo da quella porta e faremo le cose per bene. Ci muniremo dei telefoni e ci allontaneremo gli uni dagli altri dei tre chilometri e mezzo già concordati. Dopo di che, via alla guerra».

Alice non ammetteva repliche, così fummo costretti, per l’ennesima volta, a seguire i suoi ordini. Perfino Carlisle si limitò a seguirla.

«Perché ci allontaniamo così tanto? Vuoi creare pure delle trincee?», mi rivolsi a Alice, ma mi rispose Emmett.

«Perché altrimenti il tuo ragazzo bara», rise.

«Smettila, io non baro! Non ci posso fare niente, e lo sai!» A Edward non piaceva per niente che, qualsiasi cosa si facesse, Emmett lo accusasse di imbrogliare. Era un vizio, e poi si divertiva un mondo a fare arrabbiare Edward.

«Buoni, bambini», li zittì Rosalie.

Mi voltai verso Edward, ridacchiando. «C’è una guerra da combattere, te ne sei dimenticato?».

«Per niente. Proprio come non mi sono dimenticato che passeremo la giornata separati», rispose.

«Passerà in fretta, vedrai». Mi allungai sulle punte e lui si chinò per lasciarsi baciare.

«Cosa credi che non sia chiaro dei concetti “guerra” e “nemici”?»

«Non so, forse dovremmo prestar loro dei dizionari».

Notai che Emmett e Jasper erano in vena di battutine.

Alice, intanto, scalpitava per l’impazienza. «Sappiamo tutti cosa fare, vero?».

«Certo che sì: distruggervi, tesoro», ghignò Jasper.

Emmett scoppiò a ridere e gli batté il cinque. Come volevasi dimostrare.

Alice lo guardò di traverso, poi voltò le spalle e si infilò tra gli alberi. «Au revoir, trésors. Fate attenzione, potreste ritrovarvi sepolti sotto la neve quando meno ve lo aspettate».

Quella vampira sapeva essere inquietante, anche per gli standard della nostra specie. Nel giro di pochi secondi ci dividemmo nei due gruppi prestabiliti e corremmo, gli uni lontani dagli altri.

Mentre ci allontanavamo dalla casa sentii Esme mormorare, affranta: «Però mi piaceva questo golf, era il mio preferito».

Corremmo per qualche minuto, finché Alice non si ritenne soddisfatta e iniziò a rallentare, fino a fermarsi del tutto.

«Bene, ora non siamo più a portata della telepatia di Edward». Ci fermammo sotto un abete. I rami erano stracolmi di neve, così come la terra, quasi un lontano ricordo sotto quindici centimetri buoni di pesanti fiocchi bianchi.

«Peccato che non riesca ad estendere il tuo scudo, Bella. Sarebbe perfetto, potremmo evitare totalmente il potere di Edward», sospirò. Liquidò la questione con una scrollata di spalle, anche se continuò a sembrare piuttosto rammaricata.

Alice stava prendendo un po’ troppo sul serio la questione della “guerra a palle di neve”.

«Tenete i telefoni vicini, comunicheremo con i messaggi, come vi ho detto».

«Ora ci dividiamo?», chiesi.

Alice annuì. «Io vado a est, Esme, tu resta intorno a un chilometro più a sud, Rose tu, più lentamente, muoviti verso sud-ovest. Bella, tu, che non puoi essere intercettata da Edward, dirigiti un po’ più a nord di Rose. Ora io inizio a tenerli d’occhio, ma dobbiamo circondarli e coglierli di sorpresa per batterli. Vi aggiorno sullo schema tra qualche minuto».

Esme storse le labbra, sorpresa. «Alice! Mi sembrava che avessimo preso tutte le precauzioni perché il gioco fosse pulito. I ragazzi non hanno vantaggi grazie ai loro poteri».

Alice sorrise, furba. «Abbiamo preso precauzioni sul potere di Edward, non sul mio».

«Ti sarei grata se non imbrogliassi».

«Uff, non imbroglierò».

Esme era scettica. «Promesso?»

«Croce sul cuore». Alice sghignazzò. Dubitai dell’attendibilità della sua promessa e, stando alle loro espressioni, anche Rose ed Esme.

«E ora andiamo, su, prima che siano loro a trovarci».

Ci sparpagliammo nelle direzioni dateci da Alice. Corsi per circa mezzo chilometro, poi rallentai, in ascolto. Sarei dovuta essere ancora abbastanza lontana da chiunque dei ragazzi: si erano diretti a ovest, nella direzione opposta alla nostra, ma probabilmente avevano adottato il nostro stesso schema e rischiavo di andare incontro a uno di loro. Sperai non Emmett, o mi sarei probabilmente ritrovata sotto mezzo metro di neve senza nemmeno rendermene conto.

Il telefono mi vibrò nella tasca, lo presi e lo osservai: sullo schermo illuminato, era comparso il nome “Alice” accanto all’immagini stilizzata di una busta da lettere. Vi premetti sopra con il dito e immediatamente si aprì una nuova finestra, in alto, a sinistra, era comparso il messaggio “Ferma!”, sopra uno sfondo giallo. Ferma? Stava arrivando qualcuno? Mi guardai intorno, velocemente, ma non vidi né sentii niente di sospetto. Mi accucciai comunque ai piedi di un albero, per sicurezza. Stavo per rispondere al messaggio, per chiederle cosa stesse succedendo, quando il cellulare vibrò di nuovo. Sotto il messaggio di Alice ne comparve un altro “Con chi parli?” su uno sfondo rosa. Sopra vi era scritto “Rose”. Pochi secondi dopo comparve un altro messaggio, questa volta di Esme, su uno sfondo verde: “Alice?”. Fantastico, una chat di gruppo. Ci saremmo incasinate all’inverosimile.

“Per me è morta. Oppure l’hanno catturata”, risposi.

“Fantastico, abbiamo perso la nostra arma”, Rose.

“Come facciamo ora?”, replicai.

“Tranquilla, mi sono comunque assicurata la nostra vittoria: ho minacciato Emmett, prima di tornare a casa”, rispose lei.

“Non penso che Emmett si lasci convincere a perdere così facilmente”.

“Ma io ho ottimi argomenti”, terminò Rose. Subito dopo mandò uno smile. Ridacchiai. I suoi cambiamenti di umore mi facevano quasi venire il mal di testa ma, se fossero continuati in quella direzione, non mi sarei certo lamentata. Da quando c’era stato il chiarimento con Tanya, il rapporto tra me e Rose era in qualche modo cambiato. Non che fossimo diventate amiche per la pelle, ma lei aveva smesso di guardarmi in cagnesco e io non mi sentivo più a disagio a stare nella stessa stanza con lei. Un paio di volte avevamo addirittura scambiato qualche parola.

Il telefono vibrò nuovamente, questa volta però, accanto a “Alice” c’era un piccolo tastino del play. Forse ascoltare una registrazione vocale con il pericolo che Emmett e il mezzo metro di neve mi piombassero addosso da un momento all’altro, non era una buona idea. Ma se Alice l’aveva mandato voleva dire che potevamo ascoltarla tutte, no?

«Rose, parlavo con Rose! Ti stavi avvicinando troppo a Jazz, ma lui ha cambiato direzione diverse centinai di metri prima di poter sentire il tuo odore. Tutto okay».

Bene, se non si trattava di me potevo andare avanti, avrei dovuto proseguire per almeno altri trecento metri.

Il telefono vibrò nuovamente e lessi velocemente il messaggio, ma non era Alice. Esme si lamentava per la poca correttezza dei gesti di Rose e per le visioni di Alice. Quest’ultima replicò che lei non stava commettendo alcuna scorrettezza, semplicemente utilizzava tutte le armi di cui era in possesso. E che Rose faceva lo stesso, circa. E poi Emmett era libero di prendere qualsiasi decisione volesse, no? Testuali parole di Alice. Risi, ma evitai di rispondere.

Camminavo, più tranquilla, facendo comunque attenzione a qualsiasi suono o movimento causato anche solo dal vento.

Quando fui certa di aver percorso un intero chilometro mi feci ancora più guardinga, evitai di toccare gli alberi, nella speranza che il vento e la neve rovinassero almeno un po’ la traccia olfattiva che stavo lasciando. Cambiai direzione e ritornai sui miei passi per tre volte, così da confondere la scia. Mi sentivo tanto un super agente segreto alle prese con la sua missione più importante. James Bond sarebbe stato fiero di me. Più di una volta mi voltai a destra o a sinistra a causa di qualche movimento sospetto, anche se ero certa che non ci fosse nessuno nel raggio di quattrocento metri da me. Avvertii un movimento alle mie spalle, mi voltai di scatto, ma si trattava solo di un animaletto del bosco ritardatario. Quel gesto, però, mi servì a comprendere quanto fossi stata stupida negli ultimi dieci minuti: non solo avevo lasciato una meravigliosa scia olfattiva, ma anche delle più che riconoscibili impronte sulla neve che, guarda un po’, portavano dritte dritte al punto in cui eravamo partite e, dal quale, sarebbe stata una sciocchezza trovare anche le altre. Di sicuro Jasper aveva previsto qualcosa del genere e gli altri erano già sulle nostre tracce. Ma perché Alice non mi aveva avvisata? Dannazione.

Saltai sull’albero più vicino e mi arrampicai per quattro metri. Da lì avrei avuto una visione migliore dell’ambiente circostante. Notai, a quasi un chilometro di distanza, che le fronde di un albero venivano scosse, ma non sembrava opera del vento. Scesi di un metro e mi accucciai contro il tronco dell’albero. Afferrai il cellulare nel momento esatto in cui vibrò. Entrai immediatamente nella chat, probabilmente se avessero potuto mi sarebbero tremate le mani. Provavo qualcosa di molto simile ad una scarica di adrenalina.

“Ti stai avvicinando troppo a Carlisle! Non siamo ancora in posizione. Esme, ci vedremo tra sette secondi esatti. Rose, dirigiti a sud, verso Bella. Ma fai attenzione, c’è anche Edward da quelle parti!”

Ringrazia mentalmente Alice per la sua inutilità. Avevo capito anch’io che mi stavo avvicinando a qualcuno, ma mi serviva sapere dove andare per evitare di essere presa! Decisi che la scelta migliore sarebbe stata aggirare il problema: saltai da un albero all’altro – in quel momento mi sentii più Tarzan che James Bond – per un buon mezzo chilometro, mettendo distanza tra me e Carlisle, così da poter poi riprendere la mia direzione, evitando di incontrarlo. Stavo quasi per battermi il cinque da sola quando, Alice mandò nuovamente un messaggio vocale.

«Bella, stanno giocando con le mie visioni! Non-».

Ma la registrazione si interruppe prima che Alice avesse finito di parlare.

Cos’era successo? L’avevano raggiunta? E che voleva dire che stavano giocando con le sue visioni? Esme era con lei? Cosa dovevo fare?

Per un attimo fui quasi certa di essere circondata, ma presto mi resi conto di quanto mi stessi autosuggestionando: non c’era nessuno attorno a me, non sentivo né l’odore né tanto meno vedevo o avvertivo dei movimenti. Saltai altri quattro alberi, senza distogliere lo sguardo dal telefono. Intanto arrivarono diversi messaggi di Esme e Rose. Esme non aveva trovato Alice e Rose voleva sapere cosa stesse succedendo dato che era certa di aver sentito qualcosa a quattrocento metri da lei.

Finalmente Alice ricomparve e inviò un altro audio. Non fui certa fosse una mossa intelligente, dato che molto probabilmente se Rose avesse ascoltato la registrazione l’avrebbe fatto anche il suo inseguitore.

«Scusate, stavo avendo una visione e mi è scivolato il telefono di mano. Tutto bene, non l’ho rotto», “Come se me ne fregasse qualcosa della caduta del telefono”, rispose Rose. «Bella, spostati, qualcuno ha intercettato la tua scia e ti sta venendo dietro. Non capis-». Di nuovo, la registrazione si interruppe. Soffocai un ringhio esasperato. Possibile che quella vampira avesse le mani di burro e che non riuscisse a completare una frase in grazia di Dio?

Volai da un albero all’altro, nel tentativo di mettere distanza tra me e il mio inseguitore. Eppure, quando mi fermai, mezzo chilometro più avanti, fui quasi certa di avere qualcuno davanti, non dietro.

Il telefono vibrò di nuovo.

«Mi hanno ingannata! Bella, non è Carlisle che ti insegue, ma Edward! Scappa verso est, stai correndo tra le braccia di Emmett! Rose, hai Jazz alle calcagna! Quei bastardi-», Alice ringhiava per la rabbia e, di nuovo, non aveva completato la registrazione.

Eseguii i suoi ordini, inorridita al pensiero di Emmett e del famoso mezzo metro di neve che si sarebbe raddoppiato, dato che non ero tanto sicura che Edward mi avrebbe salvata.

Arrivò una nuova registrazione e fui tentata di non aprirla, certa che non sarei stata l’unica a sentirla. Era Alice, ma a parlare fu Esme. Si erano incontrate?

«Vogliono imbrogliarci con i nostri stessi imbrogli! Non possiamo permetterlo! Sentite, allontaniamoci tutte verso sud, va bene? Torniamo alla base e facciamo il punto della situazione». Simultaneamente arrivò un altro messaggio, questa volta scritto, da parte di Alice: “Io ed Esme siamo insieme, non fate niente di ciò che vi ha detto! Rose e Bella, dirigetevi a est, ma più a sud del punto di partenza. Li coglieremo di sorpresa proprio lì”.

Annuii, tra me e me, seguendo le indicazioni di Alice. Ma fui totalmente certa del genio di mia sorella solo quando mi resi conto di essere nuovamente del tutto sola. Edward e Emmett mi avevano preceduta, evidentemente convinti di poterci sorprendere una volta arrivate là. Più mi avvicinavo alla meta e più mi rendevo conto di aver già percorso quei sentieri. Fui certa che, se mi fossi spostata di qualche centinaio di metri a sinistra, avrei trovato le mie stesse orme sulla neve. Orme che, probabilmente, stavano conducendo i ragazzi dritti dritti nella nostra trappola.

Esultai tra me e me, già pregustando la vittoria e la neve che avrei riversato sulle teste di Edward ed Emmett, che erano stati tanto carini da pensare di attaccarmi in due. Quello sì che era un comportamento scorretto. Avvertii il telefono vibrare nuovamente ma, presa dalla corsa sugli alberi, non controllai il nuovo messaggio. A duecento metri dal punto prestabilito vidi Rose, sull’albero accanto al mio. Mi fece cenno di seguirla e io lo feci, aumentando però la distanza tra noi due, in modo che, una voltai arrivate dai ragazzi, saremo state in grado di tagliare loro la strada da più lati.

Una volta lì feci a malapena in tempo a registrare i quattro vampiri molto spaesati e Edward che, leggendo i pensieri delle altre, aveva capito l’imbroglio e stava intimando agli altri di scappare.

Troppo tardi.

L’urlo – o ringhio – di guerra più assurdo e terrificante che avessi mai sentito arrivò da un albero di fronte a me. Assurdo perché proveniva da una minuscola ragazza che in quel momento si dondolava con forza indicibile da un ramo e sparava terribili bombe di neve contro dei vampiri totalmente disorientati, a terra. Terribile perché, nonostante tutto, era una vampira. Molto inquietante, per giunta. Seguii il suo esempio e, saltando da un ramo all’altro del mio abete, scrollai via diversi chili di neve che finirono, alla rinfusa, un po’ sulla terra e un po’ addosso ai ragazzi. Rosalie ed Esme non si risparmiarono e pregustavo già la vittoria quando, finalmente, i nostri nemici si decisero a reagire.

Non era facile colpire qualcuno che, dall’alto, nascosto tra le fronde degli alberi, ti bombardava con la neve e impediva, non solo i movimenti, ma anche la visuale. Dopo i primi attimi di stordimento iniziale, Emmett riprese vigore e, ringhiando, raccolse tra le braccia una massa esorbitante di neve che lanciò contro l’albero di Alice. In quel momento tutto iniziò a essere confuso, mentre saltavo da un albero all’altro, scuotendo i rami per riversare la neve a terra, iniziai a sentire i tronchi che venivano smossi e più di una volta rischiai di cadere di sotto. Mentre noi attaccavamo dall’altro, loro ci bombardavano dal basso e cercavano di farci cadere. Vidi, nella confusione generale, Esme precipitare a terra e Jasper riempirla di neve da testa a piedi. Presto mi ritrovai a non essere più sola sul mio albero e vidi arrivare Emmett – e la neve – arrivare, un secondo prima di essere sbalzata a terra. Da quel momento in poi, non saprei dire con esattezza cosa sia successo, fatto sta che mi arrivò neve da qualunque direzione e io stessa ne lanciavo più che potevo dappertutto. Probabilmente colpii anche le mie stesse alleate.

Non ci fu più alcuna logica, finimmo tutti inzuppati dalla neve e mezzo sepolti sotto di essa. Non ci furono vinti e vincitori, ma fu uno dei giorni più belli della mia vita.

 

 

 

NOTE IMPORTANTI

Ieri, io e Joan, abbiamo parlato a lungo della storia e della sua trama. Mi ha fatto notare – anche se io stessa ci riflettevo su da un po’ – che, a parer suo, nella storia manca qualcosa. Una vera crisi, un punto di rottura ben definito in cui le cose vanno in malora e, solo dopo sforzi titanici, i protagonisti riescono a riportare la pace e la tranquillità, per poi arrivare al tanto agognato “e vissero per sempre, felici e contenti”. Sospetto che questo sia il pensiero anche di alcune di voi, per questo ho deciso di annoiarmi con un piccolo – si fa per dire – papiro.

Questa storia è nata da una domanda che mi posi circa tre anni fa: cosa sarebbe e successo se Edward e Bella si fossero conosciuto da vampiri? La risposta è stata quasi scontata: si sarebbero innamorati lo stesso, in circostanze diverse, ma sarebbero diventati ugualmente compagni di vita. E questa storia è ciò che la mia mente ha prodotto, dopo essersi data questa risposta. Ragazze, questa è la storia di un innamoramento, di due persone che, conoscendosi, scoprono di essere fatte l’una per l’altra. In questo caso le due persone sono due vampiri, di cui una appena trasformata e alle prese non solo con una nuova vita, ma anche con l’ingresso in una nuova famiglia. Famiglia di vampiri che convive, in precario equilibrio, con una comunità di licantropi e che, nel momento del bisogno, si rivolge al “resto” della famiglia di cui – a causa della sfiga nera che perseguita Ed e Bella per tutta la saga – fa parte anche una vampira che ha una cotta per lui da decenni. In questa storia ci possono essere solo dei piccoli drammi, quelli della vita quotidiana di due vampiri (fa un po’ strano dirlo, no?) che si innamorano. Più annessi e connessi, ovvio. È la storia di un innamoramento, nessuna sottotrama, nessun casino pronto a saltare fuori. Ormai siamo quasi alla conclusione e mi dispiace se ho deluso qualcuno, se ora questi ultimi capitoli vi possono sembrare piatti e noiosi. Mi scuso per questo, ma non posso fare altrimenti, perché questa storia non ha una trama avventurosa, o drammatica, o ciò che volete, è una romantica. Una romantica terribilmente flluffosa, aggiungerei.

Un altro fattore è l’IC dei personaggi, che ho tentato di rispettare al massimo. Avrei potuto permettere a Carlisle di iniziare una guerra contro i licantropi, sapendo che si sarebbero sprecate delle vite per un loro errore? No, Carlisle non farebbe nulla del genere. Avrei potuto costringere Tanya a fare la scassaboccini di turno, facendole fare la parte della troietta (passatemi la volgarità) senza un minimo di amor proprio? No, lei non si ridicolizzerebbe tanto. Avrei potuto far arrivare i licantropi dall’America all’Alaska? No, sarebbe un’assurdità. Avrei potuto far litigare Edward e Bella fino a farli quasi rompere? E quanto mai ‘sti due hanno litigato? Queste sono le domande, e annesse risposte, che mi sono posta. Ora capite perché le cose non sarebbero potute andare in maniera diversa? È la storia di un amore, non di una guerra, non di una famiglia o di una nuova vita. Solo un amore – un amore molto IC – senza sottotrame. Mi sono detta di essere capace a scrivere storie drammatiche, incentrate su un problema, una questione da risolvere, una guerra, ma non è questo il caso.   

Ieri sono riuscita a spiegare il mio punto di vista a Joan, spero di avercela fatta anche con voi e spero che lo condividiate. In caso contrario, vi chiedo scusa per aver deluso le vostre aspettative, non era mia intenzione.

Ho terminato, scusatemi se vi ho annoiate ancora di più con ‘sta cosa. Ci tenevo a farvi sapere qualche questione così. ^^

Come accennavo prima, siamo allo scioglimento della vicenda, che si coronerà nel prossimo, e ultimo, capitolo. Ci sarà poi un epilogo e la storia sarà conclusa.

Questo è un capitolo davvero molto leggere, uno ‘slice of life’, che fa da ponte il precedente capitolo e la conclusione. Serve soltanto a dimostrarvi come le cose, dopo circa due mesi, stanno prendendo la piega giusta.

Ho davvero finito, giuro!

Grazie, come sempre, a Joan Douglas per la betatura e, soprattutto, per l’ottima consulenza. Ho sempre bisogno dei tuoi consigli (e dei tuoi problemi con le registrazioni che mi ispirano lool). Grazie a tutte voi che recensite e che leggete la storia. Senza di voi non sarei mai arrivata qui.

A presto!

Vero

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo – come sempre – betato da Joan Douglas.




Capitolo XVII

 

«E per questa ragione abbiamo vinto noi».

«No, io non credo proprio! Vi abbiamo teso una trappola e voi ci siete cascati in pieno!».

«Sì, ma poi vi abbiamo distrutte!».

Emmett ed Alice, tra le risate generali, non avevano smesso un attimo di rimbeccarsi giocosamente su chi fosse il vincitore. Da quando la battaglia di neve era terminata, causa lo sradicamento del quarto albero, era iniziata la lotta per aggiudicarsi il titolo di vincitore. E ora, mentre tornavamo alla villa a passo quasi umano, la situazione era stava degenerando fino alle liti tra infanti. Era uno spasso osservarli.

«Emm, ti ricordo che vi abbiamo ingannati utilizzando il vostro stesso imbroglio!», risi, dando man forte ad Alice.

«Ma noi siamo riusciti a confondere Alice e senza imbrogliare, a differenza vostra!», replicò e mi spintonò. Scoprii che, anche se la sua mole era sensibilmente maggiore rispetto alla mia, riuscì soltanto a farmi indietreggiare.

«Ehi!». Feci leva sulle gambe e mi lanciai con tutto il peso contro di lui, che finì a cinque metri di distanza, a terra. Scoppiai a ridere e diedi il cinque ad Alice.

«Senti, solo perché sei una neonata non significa che puoi-», ma non completò mai la frase a causa di un eccesso di risate, provocato dalla palla di neve che mi aveva centrato la faccia in pieno.

Mi voltai, pronta a rendere pan per focaccia a chiunque avesse osato, e mi ritrovai davanti Edward e Jasper che ridevano di gusto. Capii, dal sorriso malizioso, che era stato Edward a tirarmi la neve. Mi chinai e nel giro di una frazione di secondo anche lui aveva una buona quantità di neve spiccicata tra i capelli e in faccia.

«Guerra!».

Emmett aveva già caricato le braccia, ma Rosalie stroncò il suo entusiasmo sul nascere.

«Se ti azzardi a lanciarmi altra neve addosso farò diventare le minacce di stamattina realtà».

Emmett osservò Rose per un momento, poi allargò le braccia e lasciò cadere tutto a terra. Evidentemente Rosalie era il tipo di persona che mantiene le sue promesse – o minacce –, che riguardano sempre buoni argomenti.

L’arrendevolezza di Emmett alimentò le risate generali mentre raggiungevamo il limitare del bosco.

Una volta arrivati alla villa, quando Emmett fece per entrare, Esme lo bloccò.

«Ragazzi, preferirei evitare di distruggere la casa dei nostri parenti disseminandola di neve». Lei e Carlisle erano stati in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, limitandosi ad osservarci o a ridere quando riprendevamo la battaglia, senza farsi coinvolgere. Per un attimo mi soffermai sul maglioncino di Esme, sporco di neve ma intatto. Immaginai che, chiunque si fosse battuto contro di lei, non avesse avuto il cuore di rovinarglielo.

«Diamoci una ripulita qua fuori, prima di entrare», terminò.

Facemmo come ci aveva detto. Essere dei vampiri alle prese con la neve poteva avere i suoi pregi – ad esempio, niente vestiti fradici – ma, poiché la neve a contatto con la nostra temperatura non si scioglieva, risultava anche più difficile eliminarla. Impiegai diversi minuti solo per liberare i capelli, avevo neve ovunque. Forse avremmo dovuto prevedere un’eventualità del genere e lasciare dei vestiti puliti in giardino. Anzi, niente forse.

Improvvisamente avvertii un tocco freddo alla base del collo e subito qualcosa di altrettanto freddo mi accarezzò lentamente la schiena, per poi depositarsi sul fondo, sotto la maglietta. Edward, mezzo passo dietro di me, ghignò soddisfatto.

Assottigliai lo sguardo.

«Pensavo che la battaglia fosse finita», mormorai.

Lui si abbassò sulla mia gola, baciandomi nell’incavo del collo e io abbandonai la testa sulla sua spalla. «Infatti, ora bisogna stipulare la pace». Con le dita seguì lo stesso percorso della neve ma, una volta sui miei fianchi, la spazzò via per sostituirla con la sua mano. Cercai di ricordare a me stessa che non eravamo soli e che mugolare non sarebbe stato esattamente educato.

Avvertii qualcuno schiarirsi rumorosamente la voce. Nel suono per metà infastidito e per metà divertito riconobbi Emmett. Istantaneamente feci un passo avanti e Edward si staccò da me, sbuffando.

In quel momento ero indecisa se essere più infastidita o più imbarazzata per l’interruzione. Ci saremmo dovuti dare un contegno.

Emmett rise delle nostre facce. «Spiacente, piccioncini, ma in questa famiglia certe cose si fanno solo dopo il matrimonio. Non è vero, Carlisle?».

Lui abbozzò un sorriso e annuì.

Se prima ero imbarazzata in quel momento avrei voluto scavarmi la fossa da sola. Perché continuavo a dimenticare che in quella casa il più giovane aveva vissuto la recessione dei venti?

«Okay, basta, ci rinuncio». Ringraziai Rosalie e i suoi problemi con la neve per aver allontanato l’attenzione dal nostro siparietto. Mollai una gomitata nelle costole a Edward e mi avvicinai a Rose. Avrei potuto giurare che, dietro di me, lui stesse sorridendo.

I capelli della vampira erano un disastro, se possibile anche peggio dei miei. Ad entrambe sarebbe convenuto lavarli. Lei dovette avere lo stesso pensiero perché vagò con lo sguardo per tutto il giardino, fino a soffermarsi sul rubinetto dell’acqua poco lontano. Dubitavo che sarebbe riuscita a fare uscire qualcosa di meno solido del ghiaccio.

Un tono ripetuto, squillante, si diffuse nell’aria, proveniva dall’interno della casa. Carlisle si voltò di scatto e, togliendosi in fretta le scarpe, schizzò verso la porta. «Scusate, è il mio».

Tesi l’orecchio, finché non avvertii Carlisle parlare. «Pronto? Sì, sono io. Salve dott. Parker, ieri ho telefonato perché…».

Smisi di ascoltare e mi voltai verso gli altri: mi resi conto che non era stata l’unica a tendere un po’ troppo l’orecchio.

Esme si sciolse in un sorriso. «Carlisle sta cercando un ospedale in cui esercitare, non riesce a stare troppo tempo lontano da chi ha bisogno di aiuto».

«Sì, è un’esigenza di tutti i dottori: non riescono a stare troppo tempo senza aprire qualcuno», rise Emmett.

Esme alzò gli occhi al cielo e finse di ignorarlo. «Su, ragazzi, via le scarpe ed entriamo. Bella, Rose… Voi legate i capelli, magari».

Stavo per rispondere, ma Rosalie mi precedette. «In realtà pensavo di lavarli direttamente qua fuori, così evitiamo di creare pasticci in bagno».

«Mi sembra un’ottima idea. A dopo, ragazze».

Un momento, ragazze? No no, io non sarei rimasta sola con Rosalie per così tanto tempo. Una cosa era accettarci reciprocamente, un’altra lavarsi i capelli assieme stile best friends forever.

Nel giro di un attimo gli altri sparirono oltre la soglia dell’ingresso e io mi ritrovai in giardino, sola con Rosalie. Anche Edward si era limitato a rivolgermi un semplice sorriso, prima di seguire gli altri. Il che era quanto meno sospetto, dato che non gli era mai andato a genio il modo in cui mi aveva trattata Rosalie fino a una manciata di giorni prima.

La seguii fino al rubinetto, diversi metri più vicino al fianco roccioso del monte. Tentò di aprirlo ma era, come avevo previsto, bloccato.

«Credo dovremmo usare un tubo da giardino», disse.

«Non penso servirebbe a molto, il rubinetto mi sembra bloccato».

Rimase piegata davanti ad esso e mi rispose senza guardarmi. «Temo che tu abbia ragione». Tentò un’ultima volta di aprirlo. «Ci tocca lavarci dentro, pazienza. Qualcuno dirà addio al suo bel bagno».

Mi ero già voltata per entrare in casa, ma Rosalie parlò di nuovo.

«Bella», mi chiamò. Oh no, ti prego fai che non voglia rovinare questa splendida giornata. «Mi dispiace».

Cosa? Le dispiaceva?

Riprese a parlare, ma non si voltò.

«Mi dispiace di essermi comportata in quel modo odioso, senza nemmeno darti la possibilità di farti conoscere. Sono stata un’egoista immatura». Finalmente si alzò in piedi e mi guardò. Ero frastornata. Lei si stava scusando?

«Ti ha obbligata Edward a farlo?», mi insospettii.

Lei in risposta rise e scosse i capelli, ancora intricati di diamanti di ghiaccio. «No, non mi ha obbligata nessuno». Smise di ridere e mi sorrise, incerta. «Mi sono solo resa conto di non essere stata giusta nei tuoi confronti».

Non dissi nulla, ancora stordita dalla situazione. Ma i vampiri potevano essere storditi?

«Non amo i… cambiamenti, mi spaventano, in un certo senso. Sto bene nella mia routine, nell’equilibrio che mi sono costruita, giorno dopo giorno». Fece una pausa. «E poi stavo così bene lì, a Forks. Finalmente un posto in cui potevamo avere una vita pubblica pressoché normale, semplice e senza problemi. Equilibrio perfetto. E poi sei arrivata tu». Accennò nuovamente un sorriso, questa volta quasi imbarazzata. «Non voglio dire che tu abbia rovinato tutto, non sarebbe giusto e nemmeno lo penso, per lo meno non più. Non è certo stata colpa tua se quell’aereo è caduto e nemmeno lo è se hai infranto il patto con i licantropi. Anche quella è stata una negligenza d’altri, non tua». Sospirò, osservandomi. Si aspettava che le rispondessi qualcosa? Mi morsi il labbro, tentando di arrovellare una risposta decente.

«Beh, sono… felice, sì, che la pensi così. E… mi dispiace di avere, uhm, incasinato la tua quotidianità». Perfino io capii che l’ultima frase suonava più come una domanda, che come un “scuse accettate”.

«Non intendevo questo, beh a parte per ciò che è venuto dopo la rottura del patto. Il fatto è che il tuo arrivo è stata la prima cosa un minimo… eclatante, penso di poter dire così, da cinquant’anni a questa parte. Ha rotto la routine della famiglia. Il cambiamento più grande è stato per Edward, ovviamente, ma tutti noi abbiamo dovuto fare i conti con una nuova arrivata, neonata, per giunta». Si bloccò nuovamente e mi rifilò un’occhiata significativa. Non intendeva dire che fossi una cattiva novità, ma semplicemente una novità. E le novità portano sempre cambiamenti. E lei non amava i cambiamenti.

Annuii, per farle capire che avevo afferrato il senso del discorso.

La sua espressione mutò e nel suo sguardo potei scorgere un lampo particolare, che prima, ne ero certa, non c’era.

«C’è anche un’altra ragione, ed è davvero mortificante ammetterlo. Io… sono sempre stata molto ammirata, mettiamola così, dagli uomini. Anche quando ero umana, dai dodici anni, nessun uomo mi ha mai ignorata. Sono sempre stata molto fiera della mia bellezza anche se, alla fine, è stata lei la mia rovina». Per un attimo il suo sguardo si perse nel vuoto, lontano decenni e decenni. Non capivo dove volesse arrivare – di certo non si sentiva minacciata dalla mia bellezza dato che io ero bella come una vampira, lei praticamente era una dea – ma capii a cosa si riferisse.

Mi affrettai ad annuire, non volevo sentire di nuovo quella storia, né costringere Rosalie a raccontarla. «Lo so».

«Lo sai?», rimase interdetta. «Te l’ha raccontato Edward?»

«Non proprio, ma ha accennato al perché Carlisle ti abbia trasformato».

Annuì. «Fu il mio fidanzato, lui e i suoi amici. Ci saremmo dovuti sposare di lì a sette giorni».

Rimasi spiazzata e la tristezza che mi aveva colta la prima volta che Edward mi aveva accennato qualcosa di quella storia tornò, più forte di prima. Era stata tradita da una persona che amava, dall’uomo con il quale avrebbe dovuto passare il resto della sua vita. «È orribile, Rose. Mi… dispiace, davvero. Immagino che ora non sia facile fidarsi delle persone».

Lei scosse il capo, puntando nuovamente lo sguardo nel mio e fui certa che fosse tornata al presente. «Non te lo sto dicendo perché voglio la tua compassione o per giustificarmi. Immagino che c’entri anche la mia diffidenza nel modo in cui mi sono comportata, ma non è questo che intendevo quando ti ho parlato di un’altra ragione. Non sono mai stata indifferente a nessun uomo, mai. Con una sola eccezione: Edward. Lui era libero e io ero così bella dopo la trasformazione… Ma lui non mi guardò mai come qualcosa di più di una sorella. Anzi, mi disprezzava proprio. Me la presi parecchio, per anni ho provato del risentimento nei suoi confronti, ma vedendo che tutte le femmine che incontrava gli erano indifferenti, mi misi l’anima in pace. Poi sei arrivata tu e lui è praticamente impazzito per te. Non lo sopportavo».

Mi immobilizzai. «Cosa? Come… Tu ami Emmett, non puoi-».

«No no!», rise. «Non sopportavo il fatto che lui guardasse te e non me, non perché io provi qualcosa per lui, ma per pura frivolezza. Sono fatta così, mi dispiace. Amo Emmett, non potrei desiderare uomo migliore. E io e Edward, l’avrai notato, non andiamo proprio d’amore e d’accordo».

Buttai fuori l’aria che, mi ero resa conto, mi si era bloccata nei polmoni. Non che avessi bisogno di respirare, ma era un gesto istintivamente umano.

«Quindi non… insomma, non c’è problema, immagino».

Rise ancora, non so cosa trovasse di tanto divertente in quella conversazione.

«Il problema c’è, ma è mio e io ti sto chiedendo scusa per averlo creato. Perché dieci giorni fa, quando è successo quel disastro con Tanya, ho visto la disperazione di mio fratello. Temeva di poterti perdere e ho capito che non avevo alcun diritto di mettere i bastoni tra le ruote del vostro rapporto. Lui merita la sua felicità e, se sei tu, ben venga. Senza contare il fatto che, comunque, io e Tanya non siamo mai andate particolarmente d’accordo. E nemmeno gli altri sono stati felici di ciò che è successo. Non vogliamo raffreddare i rapporti, ma, ad esempio, entrambe le parti erano concordi sull’evitare che i Denali partecipassero alla nostra battaglia in famiglia», terminò.

Mi presi sette secondi e mezzo per valutare la situazione. Capivo Rosalie, per lo meno in parte – la questione sulla bellezza e l’invidia non era nelle mie corde – e l’idea di farmi odiare meno mi attraeva troppo per non perdonarla. E, in fondo, forse l’avevo giudicata troppo prematuramente. Mi chiesi come avrei reagito io se qualcuno, un nuovo membro della famiglia, fosse arrivato da un giorno all’altro, avesse incasinato tutto e ci fossimo ritrovati a dover scappare da un branco di lupi inferociti. La riposta era scontata.

«Capisco, Rosalie. E accetto le tue scuse, davvero. Voglio porgertele anch’io per la questione dei licantropi, in fondo è stata davvero colpa mia».

Lei sorrise e annuì.

«Trovo davvero assurdo il fatto che io ti abbia accolta nello stesso modo in cui fui accolta da Edward. E, nonostante tutto, anche io e te ci stiamo preparando a convivere in armonia».

Mi lasciai scappare una risata, mentre un peso spariva dal mio petto.

«Forse c’entra qualche strana reazione psicologica, dovremmo chiedere a Carlisle».

Sorrise. «Non dico che diventeremo sorelle per la pelle nel giro di un paio d’ore, ma potremmo provare a essere amiche, no?».

Sorrisi anch’io. «Amiche».

 

 

 

 

Guardai in basso, stupita. C’erano solo alberi, alberi a perdita d’occhio, e neve. Visti da lì sembravano un’enorme coperta verde, arricchita da ricami di cotone bianco. Sfiorai la parete rocciosa che, in quel punto, era stata scavata dalle intemperie fino a formare una rientranza, una piccola grotta scura e accogliente, riparata dal vento e dalle bufere. La pietra, per quanto aguzza e plumbea, lì sembrava quasi accogliente e protettiva. Il posto non era tanto grande, ma quanto bastava perché due persone potessero muoversi liberamente senza rischiare di cadere e sfracellarsi al suolo. Comunque io e Edward non avevamo quel problema.

«Perché mi hai portata qui?», domandai, osservandolo mentre si sporgeva un poco oltre la grotta, verso il cielo. «Facciamo trekking notturno?».

Si voltò e mi raggiunse, qualche passo indietro rispetto a lui.

«No, voglio farti vedere una cosa. Questa dovrebbe essere la notte giusta e», osservò l’orologio che portava al polso. «Anche l’ora giusta. Sediamoci».

Si sedette sul bordo del pavimento della grotta, lasciando penzolare le gambe nel vuoto. Lo imitai.

Per diversi minuti non capii cosa stessimo aspettando, ma lui non staccava gli occhi dal cielo.

«Edward, non capisco».

«Ssh, guarda», mi zittì indicando l’alto.

Feci come mi aveva detto, ma di nuovo non accadde nulla. Quando ero sul punto di chiedergli se si aspettasse una stella cadente o qualcosa del genere, avvertii un rumore. Più che un rumore, era un sibilo quasi impercettibile. Si diramava nell’aria, arrivava ovunque ma non aveva un’origine.

Capii solo quando, pochi istanti dopo, l’orizzonte si illuminò di vermiglio. Delle onde di colore invasero lentamente il cielo. Salivano verso l’alto e oscillavano, si muovevano e si scambiavano tra loro, fino a che non si impadronirono dell’intera volta celeste. Il cielo, le stelle, erano avvolte da turbini e maree color del sangue. Al loro cospetto il paesaggio notturno cambiò le sue vesti per ricoprirsi di porpora regale.

Non avevo mai visto niente di più meraviglioso. Era come se un miliardo di rubini fossero stati disposti sull’orizzonte e ora stessero riflettendo la loro luce nel mondo.

«È la cosa più bella che abbia mai visto», mormorai, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello spettacolo.

«L’aurora boreale è meravigliosa, sì, ma non posso dichiararmi d’accordo con te», rispose, circondandomi con un braccio.

«Perché non l’avevamo ancora vista? Siamo qui da due settimane, ormai», chiesi, accoccolandomi su di lui.

«Il tempo e la luce ci sono stati nemici. In realtà l’aurora c’è stata, ma non spettacolare come stanotte», rispose.

Mi voltai per osservare Edward e rimasi incantata dai giochi che la luce creava sulla sua pelle diafana. Gli sfiorai una guancia e lui si abbassò un poco, permettendomi di accarezzargli le labbra con le mie.

«Pensavo che l’aurora boreale fosse verde, al massimo azzurra, non rosso sangue», mormorai.

Lui sorrise e allontanò il viso dal mio, per rivolgere lo sguardo al cielo.

«Lo è, di solito. Ma ci sono dei giorni, ogni dieci anni, in cui il cielo si ricopre di rosso. Oggi è uno di quei giorni».

«Un’aurora boreale rosso sangue per due vampiri, mi sembra quanto meno azzeccato», ridacchiai.

Fece scontrare le nostre fronti e questa volta fu lui a baciarmi, premendo le labbra sulle mie con più forza.

«Grazie per questa meraviglia», sussurrai sulla sua bocca.

«Ciò che desideri, quando lo desideri. Per sempre».

Mentre ci baciavamo quelle parole mi vorticarono in testa, rimbalzando da una parte all’altra e producendo un caos infernale nel silenzio della notte.

Per sempre.

E le parole attirarono altre parole, dette tempo prima e da voci diverse.

“Sembrerà quasi che stiamo annunciando il nostro matrimonio”.

“Tranquilla, per quello possiamo aspettare ancora un po’. Qualche mese al massimo”.

“Certe cose non si fanno prima del matrimonio”.

Improvvisamente “per sempre” stava acquistando un nuovo significato nella mia mente.

Mi staccai da lui, ansante, ed ebbi la conferma che, in fondo, lui mi leggesse nel pensiero.

«Che c’è, pensi di non riuscire a sopportarmi per l’eternità?», chiese, anche lui con il fiato corto.

«No, certo che no», sorrisi, ma il mio stomaco era di nuovo pieno di farfalle. Come la prima volta, quando eravamo rimasti soli e lui aveva suonato per me, quando ci eravamo dati il nostro primo bacio, le farfalle graffiavano le pareti del mio petto. Danzavano, sconclusionate, da una parte all’altra, nel caos più dolce e timoroso che esista. Quella notte era perfetta, armoniosa e spettacolare allo stesso tempo. Perché impedire alle farfalle di coronare la notte già perfetta, di esprimere finalmente con la voce ciò che loro urlavano da sempre? Sapevo che la risposta ero io, io e la mia insicurezza cronica che nemmeno il veleno aveva potuto sanare. Quel sentimento che sentivo agitarsi dentro da diverso tempo ormai, ma a cui ero riuscita a dare un vero nome solo pochi giorni prima, era stanco di aspettare. Le farfalle volavano, eccitate e spaventate.

Ma quando lui mi accarezzò la guancia con il palmo della mano e fece quel sorriso imperfetto che mi aveva conquistata, seppi che non avevo nulla da temere.

«No, Edward. Io ti amo».

Assurdo come quelle tre piccole parole possano tormentare una persona fino a sfinirla, a farle credere di non essere abbastanza, a farla rimuginare e aspettare.

A farle temere il momento in cui, mettendo a nudo la propria anima e i propri sentimenti, potrebbe farsi male. Assurdo come un solo sguardo possa cambiare tutto e far diventare ogni insicurezza solo un ricordo illogico.

«Temo che la mia risposta sia piuttosto scontata, perdonami quindi se ti dico semplicemente che ti amo anch’io».

E le farfalle furono libere di invadere il mio intero corpo, libere di essere manifestazione di pura e concreta felicità.

Edward impiegò diversi minuti per staccarsi nuovamente da me, una scintilla divertita negli occhi.

«Dimmi, allora: qual è il problema?», chiese.

Non riusciva ad abbandonare il discorso e io non sapevo se esserne orgogliosa o divertita.

«Stiamo insieme da nemmeno un mese», risi.

«Quasi un mese. Un mese domani», mormorò.

Sorrisi ma non replicai, sfregando il naso contro il suo.

«Presto riuscirò a infilarti un anello al dito, puoi starne certa», rispose e potrei giurare di non averlo mai sentito così deciso.

«Parli come se ne avessi uno in tasca proprio ora».

«Potrebbe essere, sai?»

Fissai il mio sguardo nel suo e capii che non scherzava. Mi persi nell’ambra delle sue iridi, nel loro calore, e vi trovai tutto ciò che avevo sempre cercato: dolcezza, comprensione, affetto, decisione, passione, intelligenza, amore.

In quegli occhi trovai la soluzione al concetto di eternità che mi tormentava da quando avevo completato la trasformazione.

Perché improvvisamente “per sempre” stava acquistando un nuovo significato nella mia mente, e niente mi era mai sembrato più perfetto.

 

 

 

 

E, oh mio Dio.

Cioè, oh mio Dio.

Siamo alla fine, alla frutta, alla conclusione, the end.

Non riesco a realizzare, davvero, non riesco e non posso. Dopo quasi tre anni, questa storia ha visto la sua conclusione. Ieri, mentre scrivevo il capitolo, giuro di aver bloccato a stento le lacrime. Niente più problemi, Edward e Bella stanno insieme, si amano (OMG SI AMANO gbhjnk) e sono pronti per il loro “e vissero per sempre felici e contenti”.

Voi riuscite a crederci? Io no. Non dopo così tanto tempo, non dopo i problemi, le assenze, lo scoraggiamento e i mesi.

Però è così. Ci siamo. *piange nell’angolino*

Ora la pianto, giuro. Anche perché la storia non è ancora completa, manca l’epilogo uwu Che verrà pubblicato entro (salvo professori stronzi che riempiono di verifiche dai primi giorni) la settimana **

Ci leggiamo tra una settimana, nei commenti finali. Mi riconoscere, sarò quella che allaga tutto EFP con le sue lacrime çwç

Come sempre grazie a tutte per le recensioni, siete meravigliose! <3

Love you all,

Vero

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


Joan ha betato anche questo, thanks!



Epilogo

Un anno dopo

Mi voltai ancora una volta, facendo frusciare la lunga coda dell’abito sul pavimento. Sfiorai con delicatezza la guaina stretta che si allargava nello strascico quasi fosse una calla capovolta, sotto i polpastrelli la seta era morbida e armoniosa. Alzai il capo e la donna riflessa nello specchio fece lo stesso, lanciandomi uno sguardo assorto. Osservai con attenzione il taglio perfetto e il modo in cui le avvolgeva il corpo, il modo in cui la rendeva ancora più aggraziata e flessuosa.

Era bellissima.

Vidi i suoi occhi di ambra fusa scintillare, quando constatai che lei ero io. Le iridi avevano lentamente abbandonato il cremisi acceso, per diventare di un caldo vermiglio e poi, nel giro di pochi mesi, oro fuso. Sorrisi, per un po’ avevo temuto che non avrebbero fatto in tempo a schiarirsi entro il giorno del matrimonio.

Era una bella giornata di sole e i raggi che filtravano dalla finestra facevano scintillare anche la mia pelle. Qualcosa, però, brillò con maggiore intensità, lanciando un raggio che colpì lo specchio. Alzai la mano destra e, con le dita, accarezzai l’anello all’anulare destro. Era un ovale con intricati decine di piccoli diamanti, montato su un anello d’oro giallo. Era antico e stupendo, esattamente come Edward. Il giorno che me lo aveva dato, diversi mesi prima, era stata la prima e l’ultima volta che l’avevo visto seriamente nervoso per qualcosa. In seguito mi aveva giurato che, se avessero potuto, gli sarebbero tremate le ginocchia.

Era una mattina grigia e fredda e noi eravamo ancora in alto mare con il trasloco nella nuova casa, a Vancouver. Carlisle si era assicurato che fosse abbastanza in periferia così da poterci tenere lontani da occhi indiscreti e per permettermi di terminare i miei ultimi mesi da neonata in totale tranquillità. Beh, tranquillità mia, loro e degli abitanti della città. Nonostante fossimo ancora piuttosto sepolti dagli scatoloni, ero euforica: non solo avevamo lasciato l’Alaska – e Tanya – ma nel giro di qualche mese avrei potuto avvicinarmi anche agli umani. Un po’, almeno.

Edward ed io avevamo avuto una camera in comune, non senza che Carlisle storcesse un po’ il naso. Pensavo che Emmett scherzasse quando diceva che, davvero, in famiglia la mentalità era rimasta molto all’antica. Mi sbagliavo. Dopo una lunga arringa, i cui argomenti fondamentali erano il nostro amore e la sincerità dei nostri sentimenti, sia Esme sia Carlisle acconsentirono a lasciarci avere un’unica stanza. In realtà fu Edward a convincerli davvero, sostenendo il nostro enorme rispetto nei confronti dell’intera famiglia e la nostra affidabilità sul “non fare alcunché di sconveniente prima di un’unione ufficiale”. Mi chiesi come avesse fatto a non sentirsi in colpa, mentre mentiva loro in maniera così spudorata. Non impiegai molto a capire che la sua coscienza non aveva subito alcun danno semplicemente perché lui non mentiva, era davvero determinato a portare a termine i suoi propositi.

Quella mattina stavamo cercando di convergere i nostri averi in un solo armadio e in poche mensole, cosa che per Edward era totalmente impossibile, vista la moltitudine di dischi e libri che possedeva. Tentavo di lasciargli il maggior spazio possibile, anche perché ai miei romanzi e ai miei testi scolastici bastava una sola mensola. Per aiutarlo, mi occupavo di ridare un ordine, quanto meno cronologico, a dischi, libri e diari. Afferrai da una delle tante scatole impilate l’ultimo oggetto che conteneva: un vecchio cofanetto scuro, che ricordavo perfettamente. Sorrisi, avvicinandomi a lui, ancora impegnato a trovare un posto per Debussy nello scaffale alto. Feci scattare l’apertura e, per la seconda volta, vidi i vecchi fogli ingialliti, le istantanee e i sacchetti dorati. Nella parte più interna del cofanetto, sopra i vari fogli, rividi la scatolina foderata di raso nero. Incuriosita, la presi e posai il cofanetto. Dopo averla studiata per un istante, alzai lo sguardo e sorrisi: di nuovo, Edward non si era accorto che avevo preso il cofanetto. Godendo dalla carezza del raso sotto i polpastrelli, mi portai accanto a lui.

«Cos’è questo?», chiesi. Ma prima che avesse il tempo di rispondermi, prima ancora che si voltasse, aprii la scatolina. Al suo interno, protetto da altro raso, l’anello più bello e brillante che avessi mai visto. Mi persi un momento ad osservare gli intricati e sottilissimi intrecci di oro giallo nei quali erano stati inseriti, con un’abilità che solo mani esperte possono avere, decine di piccoli diamanti. Lo accarezzai delicatamente, timorosa di poterlo rovinare.

Edward che, dopo un dodicesimo di secondo si era voltato, imprecò sotto voce.

«Doveva essere una sorpresa, dannazione», borbottò.

Alzai il capo e lo trovai a mezzo metro da me, corrucciato.

«Una sorpresa?», domandai.

«Sì… Questo è l’anello di fidanzamento di mia madre». Mi osservò per un momento, poi sbuffò. «La mia vera madre, Elizabeth. Assurdo. Me lo porto dietro da mesi e tu lo trovi proprio il giorno che decido di rimetterlo a posto per qualche ora».

Non gli badai particolarmente, ancora affascinata dalla luce emanata dalle minuscole pietre. «È molto bello, davvero».

Esitò per un istante e io puntai lo sguardo nel suo. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, una qualche strana incertezza… Vulnerabilità.

«Vorrei che diventasse anche il tuo anello di fidanzamento», scandì.

Per quanto un velo di ansia gli avesse oscurato il volto, pronunciò le parole non decisione, senza tentennamenti.

Rimasi stupita e bloccata per diversi secondi, accettando le implicazioni di quella frase. Ero sorpresa, ormai agitata quanto lui, ma emozionata. Stava davvero ufficializzando la proposta che faceva, indirettamente, da mesi?

«Avrei voluto che fosse in un posto migliore, magari più ordinato e romantico, ma ormai siamo qui e devo cogliere la palla al balzo. Anche perché tu l’hai già trovato, quindi…». Lo vidi sfilarmi dalle dita la scatolina e piegarsi, fino a inginocchiarsi davanti a me. Avvolse la mia mano sinistra nella sua.

«Isabella, prometto di amarti sempre, in ogni situazione e contesto, per l’eternità. Vuoi farmi lo straordinario onore di diventare mia moglie?».

Fu così che, con semplici parole e tra decine di scatoloni, Edward mi chiese di sposarlo. Furono attimi intensi, durante i quali non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo. Fu la prima volta che vidi il miele dei suoi occhi, di solito così intelligente e malizioso, sciogliersi in un’emozione più calda. Non vi era più alcun velo, nessuna barriera: mi stava mostrando la sua anima.

Fu molto più facile di quanto mi aspettassi pronunciare quel “sì” che, contro ogni aspettativa, fu sicuro e determinato, esattamente come suonava nella mia testa.

Mi infilò l’anello nell’anulare sinistro, lo sfiorò con le labbra e poi si rimise in piedi, attirandomi a sé. Mi baciò le labbra e sussurrò: «Grazie, amore mio».

Mi sciolsi contro il suo petto e gli accarezzai la schiena con la punta delle dita. Le farfalle, mie fedeli compagne, avevano invaso il corpo intero. Mi sembrava di fluttuare a qualche metro da terra e mi chiesi per quale ragione avessi associato l’idea del matrimonio a un problema, qualcosa da cui scappare. Forse era collegato a un ricordo, a un’esperienza passata, ma non fui capace di riportarla a galla. Di qualsiasi cosa si trattasse, sapevo che non sarebbe potuta essere applicata a quel caso. Edward sarebbe diventato mio marito, non un uomo qualunque, ma Edward. E sarebbe stato perfetto.

«Quel cofanetto sembra lo scrigno del tesoro di un pirata», mormorai, dopo qualche minuto.

Ghignò. «Ce l’hai ancora?». Non c’era bisogno che dicesse di cosa stesse parlando. Feci un cenno con il capo verso la libreria dove, in bella vista, spiccava la mia copia di Romeo e Giulietta. Lì, protetta da carta, inchiostro e una delle più forti storie d’amore mai narrate, stava la sua foto.

Un leggero bussare alla porta mi riportò al presente. Esme fece capolino nella stanza, sorridente e serena. Era bellissima con i capelli legati in un alto chignon e il lungo abito lilla. La vedevo riflessa nello specchio, mentre muoveva il primo passo verso di me.

«Si può?», chiese.

Ridacchiai. «Mi pare tu sia già entrata. Sei la benvenuta, comunque».

«Sei meravigliosa, tesoro mio». Colmò la distanza che ci separava e mi cinse con le braccia. «Davvero perfetta, bambina mia».

Strinsi forte le braccia attorno alla sua vita sottile. In fondo quel giorno non avrebbe cambiato davvero la mia vita: avrei continuato a vivere con la mia – ormai la consideravo tale a tutti gli effetti – famiglia, non mi sarei trasferita, non avrei iniziato una nuova vita, non avrei dovuto affrontare veri e propri cambiamenti radicali. Per lo meno, in teoria. In pratica sapevo che, nonostante tutto, il matrimonio è un cambiamento. È il cambiamento. Quel giorno avrei giurato di dedicare la mia vita a un’altra persona, a dividere con lui gioia e dolore, pace e problemi, ogni singolo istante del resto della mia esistenza. E anche se non avremmo messo al mondo dei figli, anche se non ci saremmo dovuti guadagnare il pane lavorando, anche se non saremmo invecchiati e non ci sarebbe stato nessuno “in salute e in malattia”, sapevo che tutto avrebbe acquisito un significato diverso.

Di lì a poco più di un’ora non sarebbero più esistiti due soli e fragili io, ma un unico, perfetto noi.

Per quella ragione non potei non lasciare che le braccia di Esme mi confortassero. Perché, per quanto provassi una totalizzante felicità, un’irrequieta impazienza di iniziare a far parte di quel noi con Edward, non potevo non avere bisogno del sostegno di mia madre. In quei giorni avevo sentito più che mai la mancanza di Renée, mentre il suo volto sbiadiva nei miei ricordi. Mi ero chiesta cosa stesse facendo, se avesse superato il dolore, se avrebbe appoggiato la mia scelta.

Sapevo che Edward le sarebbe piaciuto, ma nessun’altra domanda aveva trovato risposta.

Non avrei saputo dire se Esme avesse intuito il mio stato d’animo, se lo comprendesse o se anche lei l’avesse attraversato, ma in quel momento la sentii più vicina che mai.

Mi strinse a sé ancora per un lungo momento poi, premendo sulle braccia, mi allontanò un po’ da sé. Sorrise – non aveva mai smesso di farlo – e mi baciò la fronte. «Andrà tutto bene».

Feci in tempo ad annuire appena perché la porta si spalancò, permettendo l’ingresso ad Alice e Rosalie. Entrambe erano già vestite, perfette nei loro abiti rosa pallido. Avevano tonalità simili, ma l’abito di Alice era corto, con una cinta sulla vita, mentre quello di Rose era più lungo ed elegante, con un taglio imperiale.

Vedendoci così avvinghiate, ad Alice venne quasi un colpo.

«Ma dico io, sei matta?! Sai quanto può stropicciarsi il tessuto di questo abito? È seta, Bella, seta», scandì, allontanandomi da Esme e lisciandomi il vestito.

Mi tirò fino a una sedia poi, con infinita attenzione, mi ci fece accomodare.

«Rose, sistemale i capelli!».

La diretta interessata, che era rimasta in disparte a ridacchiare, si avvicinò. «Allora, cara, come vanno le gambe?».

«Bene, non tremano neanche un po’». Ed era vero: se c’era una cosa di cui ero sicura, era la scelta dello sposo.

Rose mi sorrise, sfiorandomi una spalla. «Sei molto bella».

«È felice e la felicità rende belli», replicò Esme.

«Certo, certo. La felicità e il veleno di vampiro», ci liquidò Alice. «Quindi dopo diremo un bel grazie a Carlisle. Ma ora, Rose, rendi ancora più bella la sposina. E tu», mi puntò un dito contro, impedendomi di parlare, «torna nella tua bolla felice e non ti azzardare a contestare qualcosa. Non ti permetterò di tenere i capelli sciolti il giorno del tuo matrimonio, intese? Devo già sopportare il fatto che Siobhan abbia indossato un abito scuro. Scuro, ad un matrimonio! Rovinerà tutte le foto…».

Smisi di ascoltare Alice e le sue lamentele, e mi concentrai davvero per tornare nella mia bolla felice. In quella piccola dimensione in cui il matrimonio era già finito, tutto era andato alla perfezione ed io e Edward ci trovavamo nel luogo della nostra luna di miele. In realtà l’ambientazione di quei momenti variava in continuazione, dato che Edward non aveva voluto rivelarmi la nostra meta. Era uno dei suoi regali di nozze, aveva detto. E, anche se la curiosità mi divorava, sapevo che sarebbe stato tutto perfetto. Non solo perché Edward non avrebbe mai lasciato nemmeno un dettaglio al caso, ma perché le attività della nostra luna di miele avrebbero eclissato qualsiasi inconveniente. Quel pensiero mi portò indietro a una sera di quattro mesi prima, quando avevo capito quanto potesse essere forte la tenacia di Edward nel “fare le cose per bene”. E quanto fosse irritante l’educazione in stile prima guerra mondiale.

Ci eravamo trasferiti a Vancouver da una settimana, ma le attività familiari erano già ricominciate: Carlisle, infatti, aveva il turno di notte nell’ospedale in cui lavorava, Rosalie ed Emmett avevano deciso di uscire per passare una serata romantica in tranquillità. Noi altri, invece, dovevamo andare a caccia, dato che l’indomani sarebbe iniziata la scuola. Beh, Jasper, Alice e Edward dovevano cacciare per tale motivazione, io per semplice necessità. Era ancora troppo presto perché potessi interagire con gli umani, per il momento mi limitavo ad avvicinarmi sporadicamente al centro abitato. Avevo da poco cacciato con Carlisle, prima che mi portasse con sé fino alle prime abitazione, per verificare la mia reazione alla vicinanza con gli umani. Edward sarebbe dovuto andare con gli altri, dato che le sue occhiaie stavano diventando pericolosamente simili a ustioni, ma aveva scelto di restare con me.

E così ci eravamo ritrovati soli, di notte, con l’intera casa a disposizione per ore. Avevamo visto un film, anche se sarebbe meglio dire che avevamo acceso il televisore e scelto un film, dato che non l’avevamo propriamente guardato. Per la maggior parte del tempo ci eravamo limitati a baciarci appassionatamente sul divano. Non era la prima volta che restavamo soli, né tanto meno che ci baciavamo in quel modo, ma da qualche tempo a quella parte le nostre effusioni si erano fatte diverse, più esigenti. E quella sera sembrava perfetta, perfetta per i nostri baci, perfetta per le nostre carezze, perfetta per noi. Amavo Edward e sapevo che ormai eravamo un’unica mente, lo vedevo ogni volta che bastava uno sguardo per capirci, un unico cuore, perché ero certa che se i nostri cuori avessero potuto battere sarebbero stati una sincronia perfetta, e non vedevo niente di male nel diventare anche un unico corpo. Anzi, lo desideravo. Desideravo lui perché lo amavo, perché volevo condividere tutto con Edward.

I nostri corpi erano allacciati mentre le nostre lingue si scontravano tra loro in una spirale infinita. Stringevo e tiravo i suoi capelli e le sue mani vagavano sul mio corpo, accarezzandomi il ventre e fianchi. Ansimai quando, con impeto crescente, una sua mano scese e mi arpionò una coscia. Lo attirai ancora più vicino a me, forse con troppo forza, perché ci ritrovammo stesi per terra. Probabilmente se si fosse trattato di un altro contesto avrei riso, ma in quel momento l’ultima cosa che mi passava per la mente era l’ilarità. Edward, nella caduta, si era staccato da me e ora mi fissava a pochi centimetri dal mio volto. I suoi occhi erano neri come non li avevo mai visti, due pozze profonde di desiderio.

Ci fu un istante in cui entrambi rimanemmo immobili, persi l’uno nello sguardo dell’altro, poi Edward si tuffò sul mio collo, lasciando una scia di baci infuocati sulla mia pelle. Ansimavo il suo nome, premendo le unghie sulla sua schiena. Senza nemmeno rendermene conto ridussi la sua camicia in brandelli, ritrovandomi a premere sui muscoli guizzanti delle sue spalle. Fu il suo turno di ansimare. Non smise per un momento di baciare e venerare la mia pelle. Con la bocca scese sul mio petto, e premette le labbra proprio dove, un tempo, batteva il mio cuore. Avvertivo le sue mani che ora accarezzavano le mie gambe in tutta la loro lunghezza. Lo strinsi forte a me, avvicinando ancora di più i nostri corpi e, per la prima volta, lo sentii premere davvero contro di me. Buttai fuori l’aria in un sibilo.

«Ti amo», mormorai, tentando di avvicinarmi ancora di più a lui.

Inspiegabilmente, si immobilizzò. Riportò il volto vicino al mio e, gli occhi chiusi, mi lasciò un bacio sulle labbra, allontanando i nostri corpi. Rimasi bloccata, stupefatta, mentre lo vedevo sedersi con una certa rigidità contro il divano. Che diavolo gli prendeva?

«Edward?», lo chiamai, riemergendo dallo stato di shock. Perché si era allontanato? Stava andando tutto così bene… «Edward, che succede?».

Mi guardò, ma distolse subito lo sguardo, muovendosi irrequieto sul posto. L’unica espressione che potei leggervi era tormento, puro ed evidente tormento.

«Mi dispiace, Bella», mormorò, voltando il capo con uno scatto verso la finestra scura.

Mi sedetti, osservandomi per capire perché non mi guardasse. La mia maglietta non era messa meglio della sua camicia, ormai ridotta in brandelli. Non me n’ero nemmeno accorta.

«Sono così repellente?», chiesi, sperando di risultare ironica. In realtà mi sentivo morire dentro mentre una nuova sensazione si faceva largo in me, sgradevolmente calda e logorante. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?».

Incrociai le braccia al petto, improvvisamente a disagio. Non mi voleva?

«No, certo che no. Io…», scosse il capo, continuando a non guardarmi. Gliene fui grata: non volevo che lo facesse, non volevo che mi vedesse.

Scattai in piedi e in una frazione di secondo mi ritrovai nella nostra stanza. Mi ficcai nella cabina armadio e infilai la prima maglietta che trovai.

Mi voltai e trovai Edward a sbarrarmi la strada. Evitai di guardarlo negli occhi mentre provavo ad allontanarlo per uscire dalla stanza. Non me lo permise. Mi bloccò, tenendomi per un polso. Mi divincolai, ma la mia forza stava iniziando a scemare e lui non mollava la presa. Forse scappare non era la cosa giusta da fare, ma in quel momento tutto quello che sentivo era il viscerale imbarazzo, unito alla frustrazione: mi aveva rifiutata e io avevo solo voluto amarlo.

Mi lasciò andare il polso e mi strinse a sé con forza. Le mie braccia rimasero mollemente abbandonate lungo i miei fianchi.

«Mi dispiace», mormorò tra i miei capelli. «Sono un idiota».

Non replicai nemmeno quando mi lasciò andare e feci un passo indietro, guardandolo in volto. Era teso, tentennante e, ne fui certa, anche lui in imbarazzo.

Incrociai nuovamente le braccia al petto, anche se ormai ero vestita. Non volevo che mi abbracciasse ancora.

«Sto facendo tutto… male», riprese. «Niente va come avevo programmato: volevo farti una proposta con i fiocchi, darti un regalo prima di chiederti di sposarmi, fare qualcosa di più», sospirò. «Non ci sono riuscito. E almeno questo, almeno questo voglio che sia giusto. Voglio che tu mi appartenga e che io appartenga a te solo dopo che saremo ufficialmente marito e moglie, anche se ti amo come se fossi già la mia sposa. Voglio dimostrarti il rispetto che meriti almeno in questo modo».

Rispetto? Non riuscivo a capire il senso del suo discorso, eppure avvertii il sollievo espandersi velocemente per tutto il corpo.

«Quindi… non è che non mi vuoi?», chiesi, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Sbuffò, roteando gli occhi al cielo. «Mi spieghi come fai a pensare che io non ti voglia dopo… beh, almeno dopo stasera dovrebbe essere chiaro», rispose, occhieggiando la mia maglietta. «Tu sei perfetta e io ti amo più di ogni altra cosa al mondo».

Continuai a fissarlo in malo modo ma, sciogliendo le braccia, colmai la distanza che ci separava e gli permisi di stringermi.

«Quindi è solo la tua stupita mentalità da prima guerra mondiale a parlare?», borbottai contro il suo petto ancora nudo.

Rise. «Non è per niente stupida».

Tentai per diverso tempo di fargli capire che non avevo bisogno di quello per sapere che mi rispettava, ma fu irremovibile. Non che non fossi lusingata da una simile dimostrazione d’amore, ma davvero avrei preferito non dover aspettare. Si dice che l’attesa accresca il desiderio, io avrei detto che accresce solo la voglia di dar di matto.

D’improvviso sentii qualcuno tirarmi per i capelli e, se una parte del mio iper-funzionale cervello non avesse ricordato dove mi trovassi, sarei saltata addosso a mia sorella.

«Alice, lasciala in pace, è nella sua bolla felice», rise Rose.

«Certo, la bolla felice però deve scoppiare in fretta, o non farà in tempo a vedersi allo specchio prima dell’inizio della cerimonia! Emmett e Carlisle arriveranno tra tre minuti e quarantasette secondi», la rimbeccò Alice, per poi darmi un paio di bottarelle sulle spalle. «Su, allo specchio!».

Mi ci trascinò davanti e potei constatare, con una punta di frivolo orgoglio, che ero ancora più bella di prima. Rose aveva davvero fatto un ottimo lavoro con i miei capelli: li aveva agghindati in una lunga e semplice treccia a spina di pesce, lasciando però, attorno al viso, qualche ciocca più corta fuori dall’acconciatura, creando un effetto naturale ma non meno raffinato. Era perfetta per quel vestito un po’antiquato: nel complesso sembravo uscita dal 1918. Sorrisi, Edward ne sarebbe stato colpito.

Esme mi si avvicinò, tenendo un lungo velo tra le mani. Lo inserì con maestria tra i miei capelli, poi mi posò le mani sulle spalle.

«Ecco, ora sei davvero perfetta. Hai qualcosa di regalato, pur essendo anche vecchio. È il mio velo nuziale, so che è un po’ fuori moda, ma ho pensato che con questo vestito sarebbe stato perfetto».

Mi voltai e l’abbracciai stretta. Non ci fu bisogno di grandi discorsi, la strinsi semplicemente a me, trasmettendole tutto il mio affetto e la mia gratitudine. «Grazie».

Alice, che non si era allontanata che di pochi passi, si rifece avanti, più serena.

«Bene, ora hai tutto. Una cosa regalata, una cosa nuova e blu – e si riferiva al fermacapelli impreziosito con zaffiri oltremare che ora bloccava il velo – e una cosa prestata», poi aggiunse, come se nulla fosse: «Di’ al tuo futuro marito di andarci piano, rivoglio la mia giarrettiera».

Sentimmo un battere leggero contro la porta e mezzo secondo dopo Carlisle ed Emmett erano nella stanza, perfetti nei loro tight scuri.

Dovevano aver sentito ogni nostra parola, perché Emmett conteneva a stento le risate. Gli avevo fatto giurare che almeno il giorno del matrimonio avrebbe dovuto piantarla con le battutine. Alla fine eravamo arrivati al compresso di “niente battutine prima e durante la cerimonia”. Dire che ero preoccupata per il ricevimento era un eufemismo.

Carlisle mi si avvicinò e mi abbracciò. Era la giornata degli abbracci, quella. Nessuno riusciva a restare più di un quarto d’ora senza stringermi tra le braccia.

Tra tutte, però, quella di Carlisle era una delle strette più importanti. Sapevo di dovergli molto, tutto. Esme mi era stata vicina, mi aveva amata e mi amava come fossi figlia sua dal primo momento, Alice era diventata tutto ciò che potessi desiderare in una sorella e gli altri erano parti fondamentali del mio cuore. Ma era solo grazie a Carlisle se quel giorno ero lì.

Come con Esme, non ci fu bisogno di parlare. Sapevo che avrebbe potuto vedere ogni singola parola nei miei occhi, esattamente come io potevo leggere alla perfezione i suoi.

«Sei davvero bellissima, tesoro», proferì semplicemente.

«Grazie», risposi.

Accanto a noi, Alice non aveva ancora abbandonato i suoi ragionamenti.

«Peccato non avere niente di vecchio, però», sbuffò.

«Cara, non c’è tempo. Gli invitati sono pronti», rispose Carlisle.

Gli invitati, la cui buona parte non avevo mai visto prima. Erano quasi tutti amici di Carlisle arrivati dai paesi più disparati, dall’Europa e dall’America del nord. Erano quasi tutti nomadi, compresi gli amici di Jasper, Peter e Charlotte, e gli amici di Edward. A parte i cugini di Denali, nessuno seguiva la nostra dieta. Carlisle si era ritrovato costretto a chiedere a tutti di non cibarsi nelle immediate vicinanze della città, dato che non potevamo attirare troppo l’attenzione degli umani.

«Allora è il momento di andare!», esclamò Emmett. Mi prese a braccetto e mi condusse verso la porta. «Vedrai, ci divertiremo un mondo!».

Ad accompagnarmi all’altare sarebbe dovuto essere Carlisle, ma Emmett aveva insistito tanto sul fatto che senza di lui io e Edward non ci saremmo mai dati una mossa ed era così evidente quanto ci tenesse che, pochi giorni prima, gli avevo chiesto se gli andasse di accompagnarmi all’altare. Ne era stato così felice che mi ero sentita quasi in colpa ad aver desiderato che fosse qualcun altro a prendere quel posto. Carlisle sarebbe stato il testimone di Edward ed in fondo era giusto così.

Gli altri si congedarono in fretta, ognuno pronto a prendere il suo posto. Sapevo che, una volta nella sala, avrei trovato Esme e Jasper in prima fila, Rose al pianoforte e Alice a pochi passi da Edward e Carlisle, pronta a testimoniare il mio amore.

Pochi istanti dopo le note della marcia nuziale si diffusero nell’aria. Emmett mi fece un cenno ed io annuii. Mi sorpresi come, in fondo, fossi rilassata. Ero impaziente di diventare la moglie di Edward, ma ormai percepivo quel passo come spontaneo e naturale. Alle fine, forse, pensare troppo non è davvero un male.

Movemmo i primi passi fuori dalla stanza, verso la sala, e la musica si fece più forte.

Alice si sbagliava, io avevo qualcosa di vecchio. Niente di materiale, non mi occorreva alcun oggetto. Avevo i ricordi. Ogni singolo istante passato con Edward, con Carlisle, con Esme e con i miei fratelli era impresso nella mia memoria. Tutto ciò di importante della mia vecchia vita che volevo portare con me, era dentro di me. Edward e ogni suo sorriso, ogni bacio, ogni risata, ogni incomprensione, ogni gesto, ogni carezza, erano serbati nel centro esatto del mio petto.

Li avrei custoditi lì, insieme a tutti quelli che sarebbero arrivati, con affetto e gratitudine. Per sempre.

 

 

 

Fine

 

 

 

 

Ed eccoci qui, è finita, è finita davvero.

Non trovo le parole per esprimere l’immensa gratitudine nei vostri confronti, per aver seguito la storia, per essere arrivate fino a qui.

Fino a sei mesi fa non credevo che avrei mai scritto questo epilogo, eppure siamo qua. Lo ammetto, sto trattenendo le lacrime. In questo momento Joan sta betando e io sto qui a scrivere queste note finali senza capo né coda.

Ho un giorno di ritardo e mi scuso per questo, avevo promesso che l’epilogo sarebbe arrivato entro la settimana, ma oggi è lunedì. Eppure, prima ancora, vi avevo promesso che avrei portato a termine la storia entro la fine dell’estate. E questa è l’ultima notte d’estate. Almeno questo impegno l’ho mantenuto.

Ho passato l’ultimo mese a progettare questo momento, a pensare cosa scrivere e vi giuro che avevo tanto da dire, ma ora non trovo più le idee.

Sono emozionatissima, è la prima long che scrivo e tra pochi minuti inserirò la v nel tastino “completa”. Questa storia mi è stata accanto nel periodo più brutto della mia vita, ha avuto la sfortuna di nascere nei mesi in cui tutto si è complicato ed è a causa dei miei problemi se ha conosciuto così tante pause e ritardi. Sono qui e vi faccio la mia confessione: l’ho odiata, perché non riuscivo ad andare avanti, perché il blocco che avevo si manifestava nella pagina bianca con cui mi sono scontrata per mesi. E ho amato e amo questa storia perché mi ha aiutata a risollevarmi. So che non è niente di speciale, so che oggettivamente né la trama né la mia scrittura sono chissà quale meraviglia, ma è mia e io la amo e la odio.

Bene, dopo questo momento di depressione/confessione (il mio prete vi ringrazia, la prossima volta la mia confessione sarà più breve e non toglierò tempo alla messa, lol), passo al congedo.

Grazie di cuore a tutte coloro che hanno seguito la storia fin dall’inizio (ne avete di pazienza, eh!) e a coloro che si sono aggiunte dopo, a chi ha messo la storia tra le preferite (75), le seguite (246) e le ricordate (30). In realtà non so perché abbia messo questi numeri, dato che probabilmente sono cifre anche abbastanza limitate, ma penso sia più che altro perché vorrei abbracciarvi tutte, singolarmente. Ma, dato che non posso, vi inserisco sotto forma di numeri. Molto stile Hitler, I know.

Grazie a Saretta28 che ha segnalato la storia per essere inserita tra le seguite. So che non succederà, ma un infinito grazie a te! <3

Grazie ad ary94 che, da che ne ho memoria, recensisce ogni singolo capitolo e perdona ogni mio ritardo. <3

Grazie alle mie due beta, Eleonora prima e Jò ora. Senza di voi non avrei mai potuto pubblicare nulla, lo sapete. lool

Grazie specialmente a Jò, che ha buttato parte del suo tempo in consultazioni di stato per stupide decisioni (e per le mie ricerche snervanti e senza senso).

GRAZIE A TUTTE VOI CHE RECENSITE, COMMENTATE E OGNI TANTO MI FATE PURE PIANGERE, bitches. e.e

Okay, credo di aver finito davvero.

Ah no. Non so se avete notato, ma ho iniziato la revisione della storia (i primi capitoli erano un oltraggio alla lingua italiana) e… E quindi niente, ci tenevo semplicemente a dirvelo uwu

Okay, ora ho finito davvero.

Addio, mie care. Mi mancherete davvero, davvero tanto.

Forse ci sentiremo in qualche storia futura, magari in qualche os.

E quindi nulla, addio!

E continuate a occuparvi, beate, di quelle piccole ma perfette parti delle vostre eternità.

È tardi, l’autrice ha sonno ed è reduce da tre ore di filosofia, perdonatela *va a piangere nell’angolino*

Love you all! <3

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