Quando un volo ti cambia la vita di Nyktifaes (/viewuser.php?uid=151972)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Capitolo
rivisto e corretto.
Beh,
innanzitutto grazie per essere entrate/i! Questa storia
mi frullava in testa già da qualche tempo e ho sentito il
bisogno di
pubblicarla! Mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate, visto
che è da
questo che dipenderà il proseguimento della storia.
Buona
lettura!!
Vero
I
capitolo
«Si avvisano i gentili passeggeri che il volo 765489 delle
ore diciannove, con
direzione Seattle, Stato di Washington, è in
partenza».
Salutai
per l’ennesima volta mia madre Renée,
dopo averle giurato ancora e ancora di chiamarla ogni settimana e di
mandarle
almeno tre mail al giorno. Baciai la guancia di quella donna dai tratti
ancora
estremamente infantili, che era mia madre, e salii
sull’aereo. Una volta
seduta, la osservai dall’oblò. Era completamente
concentrata nell'osservazione
del mezzo, probabilmente tentava di autoconvincersi che fosse in grado
di
portare a destinazione e, possibilmente, viva e vegeta, la sua bambina.
Un uomo
in uniforme le si avvicinò e, dopo aver parlottato un
po’, le fece segno di
allontanarsi. Renée non sembrava per niente contenta, ma fu
costretta ad
obbedire. Scossi il capo, non poteva certo restare vicino ad un aereo
che si
preparava al decollo. Ma Renée era così:
sprovveduta e apprensiva allo stesso
tempo. E decisivamente cocciuta, anche. Sì,
perché la mia cara mamma – non
compresi mai in che modo – era riuscita ad avvicinarsi al
mezzo prima della mia
partenza. Avevo fatto il checkin, attraversato la porta scorrevole che
conduceva alla pista e me l'ero ritrovata davanti, sorridente e
vittoriosa come
una bambina che è finalmente riuscita ad ottenere un nuovo e
agognato
giocattolo.
Continuavo
ad osservarla mentre, scortata
dall’uomo in divisa, rientrava nell’edificio
principale dell’aeroporto. I biondi
capelli erano scompigliati dal vento e potevo facilmente immaginare
l’espressione imbronciata del suo volto e i suoi occhi,
azzurri quanto il mare
in una calda giornata estiva, avviliti. Era il mio opposto: lei bionda
con
occhi blu, io mora con occhi cioccolato. Lei solare, impulsiva ed
estroversa. Io
timida, seria e responsabile. Si era da poco sposata con Phil, un
giocatore di
baseball di leghe minori e, poiché lui viaggiava molto,
soffriva nel dover
stare a casa con me e lontana da lui. Ma, d’altra parte, non
sopportava l'idea
di lasciarmi sola per seguirlo. Avevo quindi deciso che era arrivato il
momento
di andare ad abitare da mio padre, nel nord-ovest dello Stato di
Washington,
nella penisola d’Olympia, più precisamente in una
minuscola cittadina di
tremila e qualche abitante, Forks.
Ed
è un bel salto di qualità se si pensa che
avevo vissuto per anni a Phoenix, capitale dell'Arizona, e che mi stavo
trasferendo in un paesino sperduto nel quale l’intera scuola
superiore contava
solamente poco più di trecento alunni. Da Phoenix, una delle
città più calde e
assolate dell’America, a Forks, capitale della pioggia e del
muschio.
Mi riscossi quando la voce di una hostess avvertì i
passeggeri dell’immediata
partenza e solo allora mi resi conto che erano parecchi minuti che
fissavo
fuori dall’oblò, e che un altro passeggero si era
accomodato nel posto accanto
al mio.
Un
uomo biondo, dalla pelle
estremamente pallida, teneva le mani sulle gambe e, anche da seduto,
potei
capire che doveva essere alto. Si voltò e mi sorrise. Non
avevo mai un sorriso
così bello, o un volto così bello. Avrebbe fatto
invidia a qualunque star di
Hollywood.
«Salve!
Perdonami, non ti ho nemmeno chiesto se
potessi sedermi, ma non volevo interrompere il filo dei tuoi pensieri.
Il posto
è libero?», mi chiese gentilmente, accennando alla
poltrona dov’era seduto.
Osservandolo in volto la mia attenzione venne catturata dal singolare e
quasi
innaturale castano dorato dei suoi occhi. Non ne avevo mai visti di
quel
colore, prima.
«No,
stia tranquillo e mi scusi per non
averle prestato attenzione», risposi, mentre le mie guance si
coloravano
leggermente. Non ero certa però che l'imbarazzo fosse
causato solamente dalla
mia sbadataggine: quell'uomo mi metteva in soggezione.
«Figurati,
ma dammi pure del tu, non
sono poi così vecchio!». Come se non potesse farne
a meno, ridacchiò. Mi porse
la mano. «Carlisle».
«Bella».
Gli
strinsi la mano e fui percorsa
da un brivido: la sua pelle era terribilmente fredda. Anche
nell’abitacolo, pur
essendoci l’aria condizionata, c’erano almeno venti
gradi. Continuai a
osservarlo – era difficile distogliere lo sguardo –
e, mentre era impegnato a
frugare nella sua borsa, notai che davvero non doveva essere molto
più grande
di me. Doveva avere venticinque anni, al massimo. C’era
qualcosa, però, in
quello sguardo profondo e nel sorriso cordiale che lo invecchiavano di
parecchio.
«Sei
sola?».
Annuii.
«Se
non sono indiscreto, per quale motivo vai a
Seattle in pieno Gennaio, e pure da sola?». Sembrava
sinceramente preoccupato
per me, come un padre, così gli risposi.
«Vado
ad abitare da mio padre, a
Forks, nella Penisola di Olympia. Non so se conosci la cittadina,
è molto
piccola».
Dare
certe informazioni ad uno
sconosciuto non è certo una scelta saggia, eppure c'era
qualcosa nel suo
sguardo che mi impediva di mentirgli.
«Davvero?
Che coinc-». Dal suo
cellulare arrivò un trillo e lui si interruppe: un
messaggio. Lo lesse e
aggrottò la fronte, un cipiglio pensieroso si
formò sulla fronte marmorea,
mentre osservava intensamente il display.
«Scusa,
Carlisle, ma quello dovresti
spegnerlo, per sicurezza. Non vorrei morire in questo aereo per colpa
di un
telefono!», gli dissi sorridendo ironicamente, ma lui mi
osservò in viso più del
dovuto e il mio sorriso vacillò. Poi annuì, forse
più a se stesso che a me.
«Sì,
hai ragione».
Mi
sorrise, poi prese un libro dalla valigia che
aveva con sé e cominciò a sfogliarlo. Mi
accomodai meglio sul mio sedile e mi
preparai a recuperare le ore di sonno che avevo perso quella notte,
impegnata
com'ero a preparare le valigie.
Mi
risvegliai di soprassalto con la
sensazione di essere sbalzata. Mi aggrappai alla base della
poltroncina,
spaventata. Impiegai qualche secondo per ricordare che sedevo su un
sedile e
che mi trovavo su un aereo. È sorprendente quanti dettagli
si possano
registrare in pochi secondi di panico. Ricordo perfettamente i visi
spaventati
dei passeggeri, la hostess che si aggrappava ad una fila di sedili, la
mascherina che usciva dal soffitto dell’aereo, a un soffio
dal mio viso, un
boato. E poi il buio.
Annegavo
nelle acque buie di un lago
profondo. Tentavo di risalire in superficie, ma più mi
agitavo più finivo
sotto, sempre più in basso.
Dolore.
Un
improvviso, acuto e mai avvertito
dolore mi riportò velocemente in superficie. Spalancai gli
occhi, ma non vidi
nulla. Pensai di essere ancora avvolta dalle acque nere. Avvertivo
delle fiamme
avvolgermi, mi laceravano la carne e incendiavano ogni mia cellula.
Eppure solo
l'oscurità mi circondava e il fuoco non brucia
sott’acqua.
Poi
capii. Le fiamme venivano dall’interno del
mio corpo, erano dentro di me. Il rogo si sviluppava dal cuore e si
estendeva,
allo stesso tempo, lentamente e velocemente, in tutto il corpo.
Avvertii
un suono stridulo e potente, che mi
infastidì, un urlo? Il bruciore alla gola, intensificato dal
fuoco, fu il chiaro
segnale che ero stata io stessa ad emetterlo. Avvertii qualcosa di
freddo sulla
mano destra. La cercai tra le fiamme e mossi le dita. M'immobilizzai
immediatamente, il fuoco pareva intensificarsi ad ogni mio
più piccolo
movimento. Eppure, ne ero certa, qualcosa stringeva la mia mano. Cercai
di
concentrarmi su di essa, di non pensare al fuoco, di visualizzare la
stretta
che la avvolgeva… Era forte, molto forte, ma gentile. Un
leggero spostamento
d’aria.
«Perdonami».
Qualcuno
mi aveva soffiato vicino all’orecchio,
una voce conosciuta, melodiosa. La ricollegai a due gemme dorate,
incastonate
ad un viso bellissimo. Sapevo chi era! Era… Il suo nome
era…
«Carlisle»,
lo chiamai. Ma la mia voce era troppo
bassa, troppo debole. Ma lui doveva sentirmi, doveva aiutarmi e
spegnere
l’incendio!
«Perdonami,
ti prego».
Avvertii
un altro spostamento d'aria e la sua
presenza accanto alla mia testa. Che si fosse seduto? Questo doveva
voler dire
che mi trovavo distesa, quasi certamente supina. Concentrandomi sulla
schiena,
o le braci che ne rimanevano, avvertii qualcosa di duro e umido.
Terreno? Una
brezza leggera, che comunque non serviva a darmi sollievo dalle fiamme,
mi
sfiorava il volto. Dovevamo trovarci all'aperto.
Mi
prese una mano e continuò: «Perdonami,
era l’unico modo per salvarti la vita. Non avrei voluto
dannarti per
l’eternità, ma stavi morendo e… No,
comincio dall’inizio». In quel momento un
altro urlo proruppe dalle mie labbra, il fuoco si intensificava sempre
di più.
La poca luce presente – la luna, forse? – mi
permetteva ora di scorgere i
tratti del suo viso. Era piegato dal dolore e i suoi occhi, brillanti
nell’oscurità, colmi di rimorso.
«Perdonami»,
ripeté. Lo guardai dritto negli
occhi: doveva spiegarmi cosa stesse succedendo. Per quanto il dolore
occupasse
la maggior parte della mia mente, e quasi mi impedisse di pensare ad
altro,
avevo bisogno di risposte. E di tentare di distrarmi dal fuoco che mi
logorava.
Prese un profondo respiro.
«Bella,
io sono nato a Londra nel
1640 e… sono un vampiro».
Ammutolii.
Per
un attimo mi parve che anche il dolore fosse
cessato.
Mi
sbagliavo.
Urlai,
mentre il fuoco divampava con maggior
forza nelle giunture. Mi imposi di ascoltare, tentando di non pensare a
quanto
assurdo mi sembrasse tutto ciò. Sapevo di non avere nemmeno
la minima
possibilità di scappare, il fuoco non me l’avrebbe
permesso. Vampiri, roba da
pazzi!
«Lo
stai diventando anche tu Bella,
il dolore che senti è dovuto alla trasformazione in
immortale. Tra tre giorni
il fuoco cesserà e sarai molto più forte, veloce,
intelligente e… pallida. I
vampiri si nutrono di sangue, sono, siamo,
freddi». E rafforzò la stretta sulla mia mano.
Continuavo
ascoltarlo scettica e
convinta di ritrovarmi davanti un matto. Nonostante il fuoco, il mio
cervello
lavorava speditamente. Era pericoloso? Il pensiero, in quel momento, fu
talmente assurdo che non mi fossi trovata a soffrire
le pene dell’inferno, probabilmente avrei riso.
Non c’era niente peggio del
fuoco, niente. E in quel momento avrei preferito qualsiasi cosa, anche
la morte
per mano di qualcuno convinto di essere un vampiro, pur di fare finire
l’incendio.
Eppure,
proprio a causa del fuoco, una parte di
me non poteva fare a meno di credere alle sue parole. Esisteva una
motivazione
razionale al dolore che stavo provando? Per un attimo abbandonai la
realtà e la
razionalità. Cercai di convincermi di poter diventare una
vampira, mi immaginai
nelle vesti di una creatura immortale bevitrice di... Inorridii.
I
vampiri si nutrivano di sangue, sangue umano.
Il terrore e il disgusto
dovevano essere evidenti nel mio sguardo, perché Carlisle
continuò:
«Aspetta,
non trarre conclusioni
affrettate! I vampiri possono nutrirsi anche di sangue animale,
è possibile
vivere senza uccidere esseri umani, proprio come facciamo io e la mia
famiglia.
Siamo come… una sorta di “vegetariani”.
Ma di loro ti parlerò più tardi. Vedi
Bella io ho-». Ma dovette interrompersi a causa del mio,
ennesimo urlo.
Tentavo
in tutti i modi di soffocare le grida,
per permettergli di continuare a parlare, ma non riuscivo nemmeno a
concentrarmi sulla sua voce, tanto il dolore si stava intensificando
«Perdonami,
ti prego. Prima della
partenza una vampira, che considero come figlia mia, ti ha "vista"
trasformata in vampira, membro della nostra famiglia. Poi quando
l’aereo ha
perso quota e siamo precipitati ho capito che dovevo…
salvarti, per così dire».
Assimilai
quelle parole e per quanto
poco mi permettesse il dolore, tentai di rifletterci sopra. L’aereo
su cui
viaggiavo è precipitato, sto diventando una vampira e mi
nutrirò di sangue. Una
veggente ha previsto ciò che sarebbe successo e ora sono qui
a contorcermi in
un fuoco che mi brucia da dentro e un uomo che nemmeno conosco tenta di
rassicurarmi sul fatto che potrò essere
“vegetariana”.
Decisamente
non si trattava della mia normale
routine. Non riuscivo più a riflettere, desideravo solo che
chiunque spegnesse
il fuoco, anche uccidendomi, non mi sarebbe importato.
Carlisle
dovette capire in che
condizioni versavo perché non parloò
più, limitandosi a tenermi stretta la mano
tra le sue.
Rimase
accanto a me durante i tre
giorni della trasformazione, assistendomi nel dolore e rispondendo ad
ogni mio
urlo con un “perdonami” appena sussurrato, intriso
di sofferenza.
Ehi,
siete arrivati fin qua?! Bravissimi/e
xD
Ricordate:è
dimostrato da studi odierni che
recensire fa estremamente bene alla salute del corpo e dello spirito!
(?)
A
presto,
Vero
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Capitolo
rivisto e corretto
Diciassette
recensioni?! Un commento?! Quattordici preferiti?! Trentacinque
seguiti?!
WOW, ragazze/i ma siete meravigliose/i!! Non mi aspettavo un successo
del
genere! Vi giuro che sto morendo dalla felicità! Mi avete
fatto mille
complimenti, a mio parere immeritati, nelle recensioni da farmi
sembrare un
coniglio di Pasqua in miniatura, saltellante per tutta la casa :D
Dovete sapere
che io sono molto giovane, in confronto a molte di voi e sapere che
pensate che
quello che scrivo sia anche solo decente… Beh…
Per me è tanto!
Ma bando alle ciance e via alla lettura!
Riporterò nelle note finali i nomi delle meravigliose
creature che mi hanno
resa felicissima!
Ci leggiamo a fine capitolo ;)
Vero
II
capitolo
Avevo
perso la cognizione del tempo, non riuscivo
più a capire quanto fosse passato dall’inizio del
processo di trasformazione e
quanto mancasse alla fine dei tre giorni stabiliti. Ricordavo
d’aver più volte
supplicato Carlisle di uccidermi, per far smettere quella tortura, ma
lui mi
chiedeva di resistere, mi sussurrava parole di conforto e si scusava
per quello
che stavo provando.
Così, quando il fuoco sembrava leggermente attenuarsi,
pensai che fosse giunta
la mia ora. Finalmente avrei smesso di soffrire. Lentamente, il fuoco
stava
abbandonando le mani e i piedi, le giunture principali, per riversarsi
nel
petto. Non avrei mai creduto che un cuore potesse battere
così forte, che
potesse sopportare tanto dolore. E infatti, all’apice della
sofferenza, mi
sollevai appena dal terreno, spinta dal fuoco. Sperai nella morte,
perché
nemmeno l’inferno sarebbe potuto essere peggiore.
Infine,
il mio cuore cessò di battere. Per sempre.
Ma non ero morta.
Aprii gli occhi sulla mia nuova vita e rimasi qualche secondo ad
osservare il
cielo. Era grigio, quasi plumbeo, a causa della presenza di una massa
infinita
di nuvole. Ma era normale perché eravamo in…
inverno, giusto? Mi resi conto di
non essere sola. Il vento mi portò l’odore dolce
di… non sapevo esattamente di
cosa fosse, non avevo mai avvertito un profumo simile prima
d’allora e una
piccola parte del mio cervello l’analizzò. Nel
giro di un ottantesimo di
secondo il mio corpo reagì irrigidendosi. In un decimo di
secondo mi ritrovai a
dieci metri di distanza, acquattata, mentre dalla mia bocca usciva uno
strano
sibilo, simile ad un ringhio, nato nel petto, che risuonò
potentissimo tra gli
alberi. Precedentemente mi trovavo supina, esposta e vulnerabile. Mi
resi conto
solo allora di quanto fosse intollerabile quella sensazione. La cosa
più
sorprendente fu accorgermi che durante il movimento velocissimo, avevo
continuato a vedere perfettamente il paesaggio circostante, come fossi
rimasta
ferma. Un’altra parte del mio cervello si occupò
dell'analisi di quella
stranezza, affascinata dalla mia nuova rapidità. Il vento,
inoltre, aveva
portato anche un altro odore, più pungente e forte. Forse
avrebbe piovuto.
Un
uomo biondo si trovava a quindici metri da me,
in posizione rilassata. L’espressione e la postura erano
quasi forzate, come se
si forzasse di mostrarsi così innocuo.
Riconobbi in lui Carlisle, ma questo non mi permise di lasciare la
posizione di
difesa. Come mosse un passo nella mia direzione emisi un altro ringhio,
istintivo, allontanandomi di tre passi.
La
mia mente l’aveva automaticamente classificato
come un pericolo, l’unico nel raggio di mezzo chilometro.
Senza realmente
volerlo avevo già elaborato sette diversi piani di fuga.
«Bella, non voglio farti del male!».
Un
altro passo avanti. Questa volta portò le
braccia avanti, i palmi rivolti verso di me, sembrava voler aggiungere
“vengo
in pace”. Non mi allontanai.
«Perché
dovrei? Ora sei forte e veloce, molto più
di me». Mi si avvicinò ancora e accennò
un leggero sorriso. Non parlai, mi
limitai ad osservarlo. Era ancora più bello di quanto
ricordassi, solo ora potevo
vederlo davvero. Ogni più piccolo particolare del suo viso
era perfetto, quasi
luminoso. Provai la strana sensazione di aver bisogno di strizzare gli
occhi,
come davanti al sole.
Abbandonai la posizione di difesa e raddrizzai la schiena. Incerta,
mossi un
passo verso di lui. Per quanto tutto dentro di me gridasse di
allontanarmi, la
piccola parte sopravvissuta del mio essere razionale mi
obbligò a porgli
l’unica domanda davvero importante.
«Cosa… cosa sono diventata?».
Un
trillo, simile al suono di mille campane,
melodiose e perfette, uscì dalle mie labbra. Le sfiorai,
stupita. Era la mia
voce? Carlisle parve capire il mio stupore e mi rispose con un sorriso.
«Lo so, il primo periodo è difficile, ma vedrai
che in poco tempo ci farai
l’abitudine», poi, prendendo un profondo respiro e
abbandonando il sorriso,
continuò: «Sei diventata una vampira, Isabella. La
trasformazione è terminata».
Continuai ad osservarlo, mentre le sue parole rimbalzavano nella mia
testa. Una
vampira. Allora non l’avevo sognato, tutto ciò che
mi aveva detto non era stata
un’allucinazione dettata dall’agonia del fuoco.
Rievocare
gli ultimi tre giorni, che di certo non
potevo aver immaginato, mi causava un vero e proprio dolore fisico.
Rimasi
stupita: i ricordi non bruciano le membra, non arrivano fino alle ossa.
Cercai di capire in che altro modo fosse cambiato il mio corpo.
Mi
osservai le mani: erano molto più pallide di
quanto non fossero prima, nei muscoli tesi avvertivo una sorta di forza
bruta,
grezza. La sentivo scorrere nelle braccia e nelle gambe, anche
nell’immobilità
più totale.
Improvvisamente
un dolore, simile a quello della
trasformazione, mi colpì alla gola. Per un attimo fui
terrorizzata dall'idea
che il rogo potesse ricominciare. Portai entrambe le mani sul collo,
stringendolo. Tentavo di spegnere il fuoco dall'esterno.
«Lo so, fa male. È la sete Bella, devi andare a
caccia». Sorrise amaramente e
mi invitò a seguirlo. Non avevo idea di dove stessi andando,
né di cosa avrei
fatto. Ma Carlisle sembrava intenzionato ad aiutarmi e io non potevo
attendere
oltre. Ero certa che sarei morta se non avessi bloccato immediatamente
il
bruciore alla gola.
Corremmo
nel bosco e mi resi conto che, senza
alcuno sforzo fisico, gli ero accanto. Lo superai disinvolta, come se
correre a
oltre centotrenta chilometri orari fosse la cosa più
naturale del mondo.
Mi lasciai andare all’istinto.
Chiusi
gli occhi, in attesa.
Un
odore dolce, caldo, che prometteva di mettere
a tacere il fuoco che mi bruciava in gola, attirò la mia
attenzione. Dallo
stesso punto arrivava il suono di un forte cuore. Senza riflettere,
andai
incontro alla mia preda: un puma. Senza troppe cerimonie gli balzai
addosso,
preda dell’istinto, e lo morsi al collo. Arrivai con
facilità all’arteria
pulsante, gli strati di pelle e muscoli del suo corpo erano come burro,
sotto i
miei denti. Bevetti con avidità e ferocia il prezioso
nettare che fuori usciva
dalla sua carne. Troppo velocemente il puma smise di muoversi e il suo
cuore di
battere. Lasciai andare la carcassa e mi guardai le mani e i vestiti,
mezzi
lacerati nella lotta contro l'animale e sporchi di sangue. Inorridii a
quella
vista. Ero stata io ad ucciderlo?
Carlisle mi fu subito accanto e, poggiandomi una mano sulla spalla, mi
disse:
«Bella, o loro o gli essere umani. Lo so che è
qualcosa di… mostruoso e per
questo ti chiedo perdono… Ma davvero era l’unico
modo per permetterti di
continuare a “vivere”, almeno in parte. E poi,
Bella… puoi scegliere. Non ti
obbligo di certo a vivere da “vegetariana”, puoi
decidere di intraprendere la
dieta classica».
Ritornai a due giorni prima, quando mi aveva parlato della sua
famiglia. Loro
erano diversi dalla maggior parte dei vampiri, non uccidevano gli
esseri umani
per sopravvivere. Scossi il capo, disgustata. Senza dubbio
l’idea di uccidere
degli innocenti era peggiore di quella di cibarmi di animali.
«Carlisle,
non ho la minima intenzione di
uccidere delle persone per vivere».
Di
nuovo, lo scampanellio della mia voce mi suonò
estraneo. Lui accennò un sorriso soddisfatto.
«Bene.
Non ho mai visto un vampiro di poche ore
capace di parlare e ragionare con così tanta padronanza di
sé».
Lo
guardai senza comprendere.
«Di
solito, i giovani vampiri sono troppo
assetati per pensare a qualcosa che non sia il sangue. E, essendo molto
più
forti e veloci dei vampiri maturi, sono difficilissimi da
controllare».
Si
aspettava una pazza furiosa pronta a divorare
chiunque le capitasse sotto tiro? Mi presi un momento per riflettere,
per
ascoltare nuovamente la forza grezza negli arti. Non mi sentivo per
niente
senza controllo. Sorrisi, evidentemente era un’ottima cosa.
Dovetti
ricredermi quasi subito: il fuoco tornò
repentino a bruciare nella gola. Ero di nuovo frustrata e assetata. Carlisle, ovviamente,
capì.
«Sta' tranquilla, come ho detto sei giovane e per questo
motivo hai bisogno di
molto sangue. Torna pure a cacciare, non c’è
nessun umano nelle vicinanze».
Seguii
immediatamente il suo consiglio.
Nel
giro di poco tempo uccisi due grossi alci e,
finalmente, mi sentii sazia.
Seguii
il suono dello scrosciare dell’acqua e
arrivai ad un ruscello: il sangue ormai ricopriva interamente i miei
vestiti e
avevo bisogno di una ripulita. Mi piegai sulle ginocchia e mi sporsi in
avanti,
indecisa se immergermi completamente o meno.
Una
ragazza dal volto pallido e le fattezze di un
angelo, ricambiò il mio sguardo. La osservai, stupita: il
viso meraviglioso era
incorniciato da una folta chioma color ebano e due occhi cremisi acceso
mi
fissavano, allarmati. In un primo momento mi spaventai. Chi era quella?
Impiegai
dieci secondi a riconoscere il mio riflesso.
Carlisle,
che mi aveva raggiunta, sorrise.
«Ti avevo detto che saresti cambiata anche fisicamente! Gli
occhi sono di
questo colore perché sei giovane, ma nel giro di qualche
mese di caccia animale
diventeranno dorati, proprio come i miei e quelli della mia
famiglia».
Lanciai
un’ultima occhiata alla me stessa
d’acqua, poi mi voltai verso Carlisle. Mi resi conto di non
sapere quasi nulla
su ciò che ero, sulla mia nuova natura, sulla famiglia di
cui tanto parlava.
«Parlami
di loro, parlami di quelli come noi».
Eccoci
ragazze/i! Che ne dite? Questo è una
sorta di capitolo di passaggio, infatti come in molte si aspettavano
Bella non
ha ancora conosciuto i Cullen, ma mi sembrava importante dedicare un
capitolo
alla reazione della nuova vampirella alla sua nuova natura!
SUPER IMPORTANTE: Capitolo betato da quelle due sante delle mie
migliori
amiche: Ele Cullen e Sarah__98!! Vi adoro ragazze *-* Ditemi cosa ne
pensate ;)
A presto!!
Vero
|
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo
rivisto e corretto
Salve
gente!! È una settimana che non posto e
per questo chiedo scusa, vi ho lasciati così, senza un
avviso e senza risposte
alle recensioni LQuesto
capitolo, come potrete notare, è un po’
più
lungo degli altri e in un certo senso anche più difficile da
scrivere rispetto
ai precedenti e ai prossimi. È infatti il capitolo
dell’incontro con i Cullen,
di cui tutte mi chiedevate xD Avevo in mente come sarebbe dovuto
avvenire, ma
il fatto che tutte eravate così impazienti di leggerlo mi ha
messo un po’ di
para. Ogni volta che scrivevo qualcosa la cancellavo, per paura che non
fosse
all’altezza delle vostre aspettative, così ci ho
messo più del previsto.
Grazie mille a tutti coloro che hanno messo la storia tra
preferite/seguite/ricordate, ma soprattutto un enorme bacio alle
ragazze che
hanno recensito! Vi adoro :D
Ci “leggiamo” a fine capitolo!
Ps: IMPORTANTE: ho deciso che posterò una volta
alla settimana, stiamo
infatti entrando nel vivo della storia e ho bisogno di un po’
più di tempo per
scrivere :D
Capitolo betato da Ele Cullen. Grazie tesoro, sei unica!!
Capitolo
III
Passai la mia prima settimana da vampira cacciando e ascoltando i
racconti di Carlisle
sulla sua vita. Nelle pause – lunghe anche ore – tra una caccia e l'altra, mi
istruiva sulle
regole degli immortali, delle quali non avrei nemmeno mai immaginato
l’esistenza. Mi parlò dei vampiri neonati,
cioè di quei vampiri che, come me,
avevano completato da un anno o meno la trasformazione. Mi
spiegò che, in noi,
velocità e forza erano amplificati rispetto agli standard
degli altri vampiri,
a causa della presenza di sangue nei nostri tessuti. Via via che i mesi
sarebbero passati il mio organismo l’avrebbe assorbito, e
forza e velocità
sarebbero rientrate nei normali parametri.
Parlò
di un codice, la cui legge fondamentale,
che racchiudeva tutte le altre, era la segretezza. L’ordine
era rigorosamente
mantenuto dal clan di vampiri più importante al mondo: i
Volturi, in Italia.
Mi
raccontò di quel poco che ricordava della sua
vita umana, di come suo padre, un pastore anglicano intollerante, si
aspettasse
di vederlo guidare spedizioni per scovare e uccidere vampiri,
licantropi e
streghe. Della sua trasformazione, avvenuta proprio perché
era riuscito a
trovare un clan di veri immortali nelle fogne di Londra, del seguente
periodo
neonatale e della scelta di diventare
“vegetariano”, per non essere un mostro.
Dei secoli passati sui libri, a girare il mondo, della decisione di
diventare
medico.
Quando mi parlò della sua professione dovetti fare appello a
tutto il mio
controllo per non scoppiare a ridere. Assurdo. Un vampiro che, non solo
non si
nutre di umani, ma salva loro la vita?! Era un controsenso e, stando a
ciò che
mi disse, anche il resto. Ma quello strano vampiro, con le sue idee
cella
specie lo pensava. Ma quel vampiro, quell’uomo,
così insolito, buono e gentile, mi aveva colpita. Il suo
modo di comportarsi
con me, la dolcezza e l’accondiscendenza miste ad una dose di
autorità, mi ricordavano
in tutto e per tutto un genitore nei confronti del proprio figlio.
In una settimana già iniziavo ad affezionarmi al vampiro che
mi aveva salvato
la vita e che mi insegnava a vivere secondo le regole di quella nuova,
confortandomi ogni qualvolta mi arrabbiavo con me stessa per il
continuo
bisogno di sangue.
Ero
insaziabile. Dovevo nutrirmi a intervalli di
poche ore, non potevo farne a meno. Continuava a dirmi che per essere
una
neonata ero fenomenale, che il fatto che non lo avessi mai attaccato o
che
riuscissi a parlargli con così tanta calma e interesse
già dai primi giorni di
vita, era stupefacente.
Rifletteva spesso su quest’argomento, con me o per conto suo,
a voce alta. Si
era convinto, dopo svariate teorie, che dipendesse dal mio carattere
così
tranquillo e riservato. Dal canto mio non mi ero mai sentita
pericolosa, tranne
in un momento, per il quale avevo chiesto scusa a Carlisle per ore e
ore, ma
lui aveva continuato a sorridere e a rassicurarmi. Non si fidava a
lasciarmi
andare a caccia da sola, temeva che potessi intercettare la scia di un
umano e
ucciderlo, paura che condividevo pienamente. Così, ogni
volta mi stava a
qualche decina di metri di distanza, per consentirmi di nutrirmi in
pace. Ma il
quarto giorno dopo la trasformazione si era avvicinato un po’
troppo, correndo,
mentre io ero sul punto di assalire la mia preda, un grosso cervo
maschio.
Troppo concentrata nella caccia impiegai più tempo per
accorgermi di una presenza
estranea alle mie spalle e quando lo feci, era troppo tardi per
riconoscerlo.
Il
mio istinto prese il sopravento e lo attaccai.
Ma,
quando mi ritrovai a una spanna dai tratti
gentili del suo volto, rinsavii e corsi via. Persi il conto delle volte
in cui
gli avevo chiesto scusa, ma lui si addossò le colpe,
affermando di avere
commesso un errore ad avvicinarsi tanto durante la caccia di una
neonata.
Un altro argomento che trovavo particolarmente interessante –
l’unico che
riusciva a distrarmi davvero dalla sete – era la sua
famiglia. Mi parlava di
loro, raccontava aneddoti divertenti su tutti loro, ma ogni volta che
gli
chiedevo di dirmi qualcosa di più, diventava evasivo.
“Appena sarà passata la
tua prima settimana da vampira, li raggiungeremo.”
Temeva
che potessi non essere ancora pronta a
ritrovarmi a dover interagire con altri sei vampiri e ad avvicinarmi un
po’ di
più al mondo civilizzato.
Una
volta, il primo giorno che gli chiesi
qualcosa di più, me li descrisse così:
“Sappi che la mia famiglia è costituita
da me, mia moglie Esme, e quelli che consideriamo come figli, anche se
non lo
sono biologicamente: Rosalie ed Emmett, Alice e Jasper, e infine
Edward. Sarà
più bello conoscerli, senza troppe anticipazioni da parte
mia!”
Così
mi ritrovavo con informazioni minime e una curiosità
che minacciava di esplodere da un momento all’altro. Un altro
fattore che mi
ero resa conto essersi amplificato con la trasformazione, era proprio
il
continuo desiderio di conoscenza, già presente nel mio
carattere.
Ma,
finalmente, la settimana era finita.
Stavamo
correndo da circa due ore, con
destinazione villa Cullen, la cui ubicazione era incognita per me, ma
poco mi
interessava. Ero euforica. Dopo giorni che mi erano parsi interminabili
avevo
finalmente il permesso di rapportami con qualcun altro che non fosse
Carlisle.
Non vedevo l’ora di conoscere la sua famiglia, di parlare con
qualcun altro. Eppure,
allo stesso tempo, ero intimorita dall'idea che avrebbero potuto non
accettarmi. Ecco un altro lato del mio carattere che avevo conservato:
l'insicurezza cronica. I miei precedenti, durante la vita umana, non
erano
certo confortanti. Per quanto fosse fastidioso ricercare le memorie in
quella
strana nebbiolina che pareva avvolgerle perennemente, ricordavo di non
essere
mai riuscita ad inserirmi granché a scuola e in qualsiasi
altro ambiente
frequentato dai miei coetanei. O esseri viventi in generale.
Scossi la testa scacciando quei malinconici pensieri e affiancai
Carlisle, il
quale mi precedeva di qualche metro per indicarmi la strada.
«Quanto manca?». L'impazienza doveva trapelare
dalle mie parole perché lui
ridacchiò.
«Pochissimo,
ma ora fermiamoci un attimo. Alla
fine di questo bosco c’è la cittadina dove
abitiamo. Tranquilla, la casa è
completamente distaccata dal centro abitato, non correrai il rischio di
incontrare umani. Immagino però che, prima di essere
presentata, tu voglia
cambiarti».
Annuii.
Cominciavano
ad infastidirmi i vestiti che
portavo da una settimana, ormai completamente sporchi di sangue e
logori.
«Aspettami qui, vado a prenderti qualcosa da metterti in un
negozio. Non
muoverti!».
«Certo, Carlisle! Non preoccuparti, non mi sposto».
Euforica,
mi poggiai ad un albero e lo osservai
correre via. Rimasi in quella posizione finché non lo vidi
tornare con una
busta, che mi consegnò. Sorrise, si voltò e si
allontanò nuovamente per
permettermi di indossare i nuovi vestiti: una paio di jeans chiari e
una
camicetta blu sbracciata. Semplice ma carina.
Lo chiamai non appena mi fui cambiata e riprendemmo a correre.
Il
tragitto non fu lungo. Pochi minuti dopo eravamo
davanti ad un’enorme villa, rettangolare e bianca,
bellissima. Doveva essere
moderna o perfettamente ristrutturata, divisa in tre piani e circondata
da un
giardino perfettamente curato.
Davanti ad essa ci aspettavano sei vampiri: tre uomini e tre donne. Bellissimi e pallidissimi,
come da norma.
Tutti
diversissimi, avevano in comune solo il
colore degli occhi, dorati, che lasciava intendere la loro scelta di
vita. Fu
semplice individuare due coppie: un ragazzo alto e leonino, con i
capelli color
miele, teneva per mano quella che a prima vista dava l'impressione di
essere un
folletto. La statura, il fisico magro e i capelli neri, corti e
spettinati, le
davano un’aria molto giovane e sbarazzina. L’altra
coppia era composta da un
enorme e muscoloso vampiro che sfiorava i due metri d’altezza
e i riccioli
neri, e da una vampira dalla bellezza irreale, anche per un immortale.
Fisico
slanciato, folti e lunghi capelli biondi incorniciavano un viso
angelico,
impossibile da ignorare. Il tipo di ragazza da far morire
d’invidia Venere in
persona. Lui le cingeva la vita con un braccio e, se non fosse stato
per
l’espressione ridente del suo volto, avrei temuto che mi
volesse attaccare.
Riconobbi
Esme, la moglie di Carlisle, dal modo
in cui osservava il biondo accanto a me. Era una donna dai capelli
caramello,
il viso a cuore e il sorriso dolce. Mi ricordò le svampite
dei vecchi film
muti.
Al
suo fianco, il ragazzo più bello che avessi
mai visto in vita mia: era alto, muscoloso ma non quanto gli altri due,
dinoccolato, il viso dai tratti ancora infantili incorniciato da una
zazzera di
capelli ramati. Sembrava un angelo. Per un momento mi chiesi chi fosse
più
bello tra il rosso e la bionda da rivista patinata.
Esme ci venne incontro con un sorriso amorevole, dimostrava qualche
anno in più
rispetto agli altri, ma comunque non più di venticinque
anni. Non mi feci ingannare
dalle apparenze: sapevo che anche a quattrocento anni avrei continuato
a
dimostrare i miei diciassette. Venni scossa da una sorta di brivido
interiore.
Da una settimana a quella parte riflettevo sul concetto di
immortalità ma, per
quanto vampira, non riuscivo a farmene ancora un’idea
precisa. Mentre ero
immersa in queste riflessioni, che non durarono più di
qualche secondo, Esme
era arrivata davanti a noi.
Mi
ero resa conto che si era mossa con cautela,
senza togliermi gli occhi di dosso. Ecco qualcun altro che mi
considerava una
pazza senza autocontrollo. Ero in allerta e forse, se ci avessi
riflettuto,
avrei capito che la lentezza di Esme non era stata per niente una
cattiva idea.
Avvertivo su di me gli occhi di tutti, specie quelli del biondo.
Ciò non mi
piacque per niente. In più non potevo fare a meno di provare
diffidenza nei
confronti di quei vampiri estranei, certa che se avessero deciso di
attaccarmi
non avrei avuto via di scampo. Come se ciò non bastasse
avvertii Carlisle
irrigidirsi al mio fianco, alla vista di sua moglie così
vicina a me. Per
quanto me ne scordassi continuamente, il mostro al momento ero io. Ero
io la
vampira instabile che poteva perdere la ragione in ogni momento.
«Piacere di conoscerti, cara. Io sono Esme».
Voleva
sembrare innocua, proprio come Carlisle
appena mi ero “risvegliata”, per mettermi a mio
agio. Strinsi la mano che mi
porgeva e, mettendo a tacere quella parte selvaggia di me che mi
imponeva di
saltarle al collo e scappare, tentai un sorriso.
«È un vero piacere conoscerla, Esme. Sono
Bella».
«Oh, ne sono felice anch’io, Bella! Carlisle ci ha
parlato di te nelle sue
telefonate. Ma dammi pure del tu, cara». Poi il marito la
prese per mano e,
facendomi cenno di seguirli, ci avvicinammo agli altri. Ci fermammo ad
un paio
di metri di distanza.
«Ecco, Bella! Loro sono: Jasper e Alice, Emmett e Rosalie ed
Edward, ora li
puoi conoscere», li presentò. Ognuno di loro,
sentendo il proprio nome, mi
rivolse un sorriso o un cenno del capo.
«Ragazzi,
lei è Bella, la vostra nuova sorella».
Non
feci in tempo a dir nulla perché un tornado
formato mini mi si materializzò affianco e mi prese sotto
braccio.
«Bene, Bella, sei proprio come ti avevo vista! Io sono Alice,
diventeremo
grandi amiche, io lo so! Ma ora passiamo alle cose serie, devi
assolutamente
vedere la tua camera e dire ad Esme se ti piace, l’ha
arredata lei. Ma soprattutto
tu, io e Rose dobbiamo…».
Trascinandomi
in casa, si fermò solo per un
decimo di secondo. «Rose! Vieni, su! Dobbiamo
mostrare a Bella il suo
nuovo guardaroba e apportare delle modifiche se non dovesse andare
bene».
Mi
ritrovai in un ampio salone perfettamente
arredato, dai color candidi, arioso e allo stesso tempo estremamente
elegante. A
destra, su un rialzo, si trovava un meraviglioso pianoforte a coda che
attirò
subito la mia attenzione. Nel giro di mezzo secondo ci raggiunsero
tutti e
Rosalie mi si avvicinò, con un sorriso leggermente tirato.
«Sono Rosalie, piacere di conoscerti».
«Bella», fu la mia semplice risposta.
Non
avrei saputo spiegare la ragione, ma mi
sentivo intimorita da quella bellissima vampira. Fortunatamente la mia
voce non
tradì alcuna emozione particolare.
Prima che Alice potesse riprendere a parlare, mi sentii mancare la
terra da
sotto i piedi e volteggiai in aria, avvolta da un paio di braccia
forti. Una
risata tuonava vicinissima nelle orecchie.
«Ehi Bellina, io sono Emmett! Il più simpatico,
qui! Sappi che entrando a far
parte della famiglia ti ritroverai a dover convivere con gente
estremamente
noiosa… Tipo Eddy! Non fa altro che leggere e ascoltare
musica tutto il giorno,
tranne quando non passiamo il nostro prezioso tempo in quella prigione
chiamata
“scuola”. C’è da morire di
noia, fidati. E noi siamo vampiri!». Sembrava
esasperato, ma un sorrisetto nacque improvvisamente sul suo volto,
mentre
esclamava: «Quasi dimenticavo, si diverte anche un mondo a
ficcarsi nelle teste
altrui!».
Il
diretto interessato, dopo aver fatto roteare
gli occhi al cielo, ci venne incontro. Mi resi con che da vicino, per
quanto la
mia vista fosse molto più acuta di quella di un falco, era
ancora più bello,
con quel fisico slanciato e gli occhi dorati così intensi.
«Primo, scimmione, non chiamarmi Eddy! Secondo: io non mi
“ficco nelle teste
altrui”, non è certo colpa mia se sento
ciò che pensate!». Scosse il capo. Poi
si voltò verso di me e sorrise, porgendomi la mano. Non
avevo mai visto un
sorriso così: era obliquo, imperfetto.
«Lieto
di fare la tua conoscenza, mi chiamo
Edward». Gli strinsi la mano, la mia scomparve dentro la sua,
molto più grande
e dalle dita lunghe e affusolate.
«Lo
sono anch’io. Piacere, Bella», risposi e
ricambiai il sorriso. Edward però non abbassò lo
sguardo né allontanò la mano,
al contrario continuò a osservarmi.
Dal
canto mio, io stavo ancora cercando di capire
cosa Emmett intendesse per “ficcarsi dentro le teste
altrui” o Edward con il
dire “sentire i pensieri”. Non
leggerà mica…
«Non riesco… Non capisco! Non riesco a
leggerla». Lasciò la mia mano e si
voltò
verso Carlisle, confuso. Poi tornò a fissare me, scrutandomi
il volto.
«Cosa
intendi “per sentire i pensieri”? Leggi la
mente?!».
Mi
resi conto solo dopo aver parlato di quanto il
mio tono suonasse allarmato. L’idea che qualcuno, seppur
vampiro, potesse
sentire ciò che passa per la testa agli altri mi sembrava
incredibile. Invece lui
accennò nuovamente il sorriso sghembo e annuì.
Quello
fu il mio turno di voltarmi verso Carlisle
in cerca di risposte.
«Beh Bella, ricordi che ti ho parlato del fatto che alcuni
vampiri hanno dei
poteri “supplementari”? Ecco uno di loro
è Edward. Legge nel pensiero sia degli
umani sia in quello dei vampiri, ma sarà lui stesso a
spiegarti meglio come
funziona». Poi si voltò e io seguii il suo
sguardo. «Anche Alice e Jasper
possiedono dei poteri speciali: Alice vede il futuro, o meglio, le
conseguenze
delle decisioni prese. Mentre Jazz sente le emozione di chi gli sta
intorno e
riesce a manipolarle, ad esempio è capace di placare degli
animi un po’ troppo
irruenti o di vivacizzarne degli altri».
Avevo ascoltato senza fiatare le spiegazioni di Carlisle, ma dire che
ero
stupefatta è un eufemismo. Mi aveva già accennato
a qualche sorta di poteri
extra, ma non immaginavo delle cose così… fiche!
Perché io non facevo nulla del
genere?
Alice
mi sorrideva tranquilla, mentre il suo compagno
non smise di studiarmi. La sua pelle era ricoperta di cicatrici. Il
volto, il
collo, ogni lembo del suo corpo portava incisi per sempre segni di
morsi di
vampiro. Tutto di lui, la sua posizione irrigidita, le spalle
ingobbite, quasi
fosse pronto ad attaccare, le cicatrici, pareva urlare
“pericolo”. Ed io quel
segnale lo percepivo fin troppo bene.
Avevo ancora gli occhi sgranati, quando un pensiero mi
balenò in testa: Edward
leggeva ciò che pensavo? Mi voltai verso di lui,
improvvisamente imbarazzata e
anche leggermente infastidita, ero gelosa della mia privacy mentale!
«Mi leggi… senti quello che sto
pensando?».
Lui
scosse il capo, quasi frustrato.
«No, non sento nulla. Come sei io avessi sintonizzato una
radio in a.m. e tu
trasmettessi in f.m. Il buio più totale. Carlisle, tu hai
qualche idea a
riguardo?».
«No. Fino ad ora il tuo potere ha funzionato su chiunque
avessi incontrato,
giusto?». Edward annuì. «Mi
metterò a fare ricerche. Potremmo chiedere ad
Eleazar, magari lui, avendo girato il mondo per conto dei Volturi,
potrebbe
aiutarci».
Ero più confusa che mai quando Emmett, che aveva osservato
per tutto il tempo
Carlisle con le sopracciglia arcuate, si illuminò in volto
ed esclamò convinto:
«Forse Bellina non pensa! Ecco perché Edward non
riesce a leggerle nel
pensiero! Bellina, sei certa di pensare?».
Sgranai
gli occhi mentre lui mi si avvicinava e
bussava sulla mia testa. Gli altri scoppiarono a ridere, Esme e
Carlisle
scuotevano la testa sorridendo bonariamente e anche Jasper pareva
essersi
sciolto, un po’.
Mi
trovavo nel più totale imbarazzo. Per me era
sempre stato difficile ambientarmi in un posto e le persone mi avevano
sempre
messa a disagio, spesso ero arrivata a pensare di avere qualcosa di
sbagliato.
Ma in quel momento, tra quelli che sarebbero dovuti essere quasi
totalmente
degli estranei, mi sentii a mio agio.
Mi
sentii a casa.
Ecco
qua, che ne dite? Spero non siate rimaste
deluse dal fatto che Bella e Edward non abbiano avuto questo fantastico
e super
romantico incontro xD Ho pensato infatti che comunque Bella
è una neonata
appena trasformata, Edward è convinto di poter provare per
nessuno sentimenti
che vanno oltre l’amore fraterno, quindi… In
più è il loro primo incontro xD
Non mi sembrava per niente realistico la scena di Bella e Edward che si
guardano negli occhi, lei capisce che lui è il suo grande
amore e gli getta le
braccia al collo e lui la bacia con trasporto dicendole che
è tutta la sua
vita.
Spero davvero di non avervi deluse!
Fatemi sapere che ne pensate ;)
Bacii
Vero
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Quando un volo ti cambia la vita
Ehilà! Chi si rivede! Ehm… ok ok scusate! Posto in ritardo, di nuovo, questa volta di dodici giorni ): Scusate scusate scusate! Ma se vi dico che la mia best e beta mi ha già messa sui ceci eviterete di lanciarmi i pomodori? No, eh? E se ci aggiungo anche che il prossimo capitolo è già in fase di scrittura? xD
Ok, smetto di rompervi le scatole e vi lascio al capitolo! Spero proprio che vi piaccia, ci ho messo un po’ a scriverlo perché ero davvero molto indecisa su cosa far succedere, la storia è tutta nella mia testa (la mia pazza e un po’ troppo fantasiosa testolina), ma alcune parti non sono esattamente inserite cronologicamente xD
Va bene, va bene, mi dileguo!
Ci leggiamo a fine capitolo!! :D
Vero
Ps: Capitolo, come sempre, betato da Ele Cullen. Grazie tesoro, se non ci fossi tu!! E scusa se, come sempre, quando scrivo mi dimentico anche della tua presenza! xD
Capitolo IV
Isabella Pov
Eravamo seduti attorno ad un lungo tavolo di legno massiccio dall’aspetto antico, di sicuro utilizzato per le riunioni di famiglia, dato che nessuno in quella casa mangiava. Carlisle ed Esme stavno seduti ai capitavola, Edward alla destra del padre adottivo, io al centro tra lui ed Alice, davanti a me Rosalie, tra Emmett e Jasper. Avevamo deciso di accantonare il discorso “poteri” e di passare a “questioni ben più urgenti”, come le aveva definite Carlisle, perciò avevamo preso posto attorno al tavolo.
<< Famiglia, abbiamo un importante problema di cui discutere. >> Si alzò e accese un enorme televisore piatto appeso al muro davanti al tavolo, il canale che Carlisle selezionò trasmetteva un telegiornale locale.
<< Continuano le ricerche dei due passeggeri dispersi del volo di dieci giorni fa partito da Phoenix e diretto a Seattle, precipitato a pochi chilometri dalla meta per via di un malfunzionamento ai motori. Non essendoci stati sopravvissuti si teme il peggio per una ragazza, Isabella Marie Swan, e Michael Power, medico di trenta. I due sembrerebbero spariti, i loro corpi non sono stati ritrovati né all’interno dell’aereo, né nei dintorni. >>
Osservavo lo schermo come incantata dall’atrocità delle immagini che trasmetteva: un video amatoriale, girato da un cacciatore che si trovava a poche centinaia di metri di distanza, ritraeva un aereo in caduta libera, con del fumo che usciva dall’ala destra. Subito dopo, quando l’elegante giornalista pronunciò il mio nome, comparve una mia foto di qualche mese prima.
Mi cercavano. O per lo meno ciò che di me sarebbe dovuto restare. Tutti sicuramente mi credevano morta, compresi Renée e Charlie. I miei genitori. Come stavano? Cosa stavano facendo? Come avevano reagito alla notizia dell’incidente? Un improvviso senso di colpa mi attanagliò il petto. Per quanto vampira mi sentivo oppressa da un macigno di dolore che minacciava di schiacciarmi da un momento all’altro. Come avevo potuto non pensare a loro in quei giorni? Come avevo potuto essere così presa da quella nuova vita da dimenticarmi persino di avere una famiglia? Ero troppo affascinata da quel nuovo mondo, da quella nuova me, da scordarmi di tutto il resto, di ciò che ero stata e grazie a chi. Che figlia spregevole ero. Durante quella settimana, dopo la trasformazione, non avevo pensato ad altro che non riguardasse la mia nuova natura o la caccia. Il sangue aveva preso il dominio del mio essere e anche in quel momento, per quanto mi fosi nutrita poco più di sette ore prima, potevo avvertire con chiarezza un fastidioso bruciore alla gola, che in poche ore sarebbe peggiorato.
Come stava Renéè? Phil riusciva ad aiutarla, a sostenerla e a consolarla con il suo amore? Lei che mi aveva allevata con la sua pazzia e allegria, lei che aveva fatto di tutto per me, lei che quasi non vedevo più in quei ricordi annebbiati, nascosti in qualche cassetto della mia memoria.
E Charlie? Lui era solo, che io sapessi non aveva alcuna compagna, e il suo tempo lo passava quasi completamente alla centrale di polizia. Come aveva reagito alla notizia della mia presunta morte? Per quanto poco ci vedessimo sapevo quanto mi amasse, quanto avesse desiderato che andassi a vivere con lui. E proprio quando questo suo desiderio si stava avverando il destino mi aveva strappata a lui, alla mia natura, alla vita.
Mi accorsi di essere rimasta imbambolata a fissare lo schermo nero solo quando una mano si era poggiata sul mio braccio, con gentilezza. Sobbalzai, non mi ero accorta di nulla. Esme alle mie spalle, in piedi, mi osservava con un sorriso triste ma estremamente dolce, il più dolce che avessi mai visto.
<< Mi dispiace, tesoro. Mi dispiace. >> Mi sussurrò portando la mano che teneva sul mio braccio a sfiorarmi leggermente i capelli, come si fa con una bambina. O con una figlia.
Gli altri erano immobili, in religioso silenzio. Carlisle incrociò il suo sguardo triste con il mio, mentre gli altri furono tanto rispettosi da abbassare il volto. Solo Jasper continuò ad osservarmi, la mascella contratta e sul viso rovinato dalle cicatrici un espressione di profondo dolore, come se stesse vivendo ciò che sentivo io.
<< Basta! Ti prego, troppo dolore! >> Sbottò improvvisamente alzandosi in piedi e facendo cadere la sedia all’indietro. << Non è colpa tua! Non hai deciso tu che l’aereo precipitasse! Perché provi tutto questo? Per chi? >>
Tutti si voltarono verso di lui, stupiti, poi verso di me. Alice mi strinse la mano e mi sorride, come ad incoraggiarmi a parlare. Non ero mai stata molto abituata ad esternare i miei sentimenti e le rare volte che l'avevo fatto mi imbarazzavo tantissimo, così continuai ad osservare in viso la mia nuova sorella-vampira, senza proferir parola.
<< Ti prego, dicci quello che pensi. È… insopportabile non saperlo. >> Mi supplicò Edward con gentilmente, ma una sonora nota quasi di lamento nella voce. Presi un profondo respiro, che comunque non mi servì a molto visto che respirare non faceva più parte dei bisogni primari.
<< Pensavo ai miei genitori, al fatto che non mi sono minimamente ricordata di loro dopo la trasformazione. Non mi sono preoccupata né di come stanno, né di come hanno reagito alla mia mai presunta morte! >> Chinai il capo colpevole e, seppur bellissima come sempre, la mia voce suonava estremamente angosciata, perfetto specchio del mio stato d’animo. << Ero interessato solo a sapere il più possibile su come IO sarei diventata, conoscere i particolari della mia nuova vita e… il sangue. Non ho fatto altro che pensare alla caccia, a nutrirmi, ad uccidere! >>
<< Bella >> La voce calda e gentile di Carlisle era vicinissima, si era inchinato di fianco a me e mi aveva poggiato una mano sulla spalla. << Figliola, come ti ho già detto, è normale che per il primo periodo neonatale pensare solamente a nutrirsi, non sentirti in colpa. In più i ricordi umani tendono a scomparire, come ti sarai accorta, e visto che non ti sei ritrovata sola il tuo primo pensiero non è andato a coloro con cui prima trascorrevi la maggior parte del tuo tempo. >> Sul suo viso comparve un sorriso mentre pronunciava queste parole. << Bella, tu sei fin troppo controllata per essere una neonata! Hai appena una settimana ma riesci già a ragionare con lucidità, sei calma e controllata. Non sottovalutarti. >>
Quelle parole mi confortarono, ma il senso di colpa non diminuì di molto. Restava infatti il fatto che io avrei continuato a vivere la mia vita, i miei genitori avrebbero pensato che fossi morta e sarebbero stati male.
<< Bellina, anche i miei genitori erano ancora vivi quando Carlisle mi ha trasformato per salvarmi la vita da un orso, così anche quelli di Rose e quelli Jazz, quando è stato morso. Noi continuiamo a vivere, loro non lo sanno è vero, ma credi che vorrebbero che tu ti deprimessi in questo modo?! >> Non mi aspettavo quelle parole da Emmett e sentirle era stata una sorpresa, lo conoscevo da appena un'ora, ma l'avevo giudicato come un tipo da pensieri non troppo profondi. Dovette accorgersi della mia sorpresa perché rise rumorosamente, alzando un sopracciglio. << Non credevi che potessi fare un discorso del genere, eh? Sto solo cercando di impedire che questa famiglia guadagni un altro noioso, guastafeste che passa il tempo a deprimersi! >> Sospirò teatralmente e mi indicò con lo sguardo Edward, che lo fulminò, alzando gli occhi al cielo. Poi si voltò verso di me e mi sorrise sghembo. E che sorriso!
<< Ogni citazione ad un vampiro esistente è puramente casuale, eh? >>
Emmett gli rispose con un sorrisetto impertinente. Si voltò nuovamente verso di me, fece un gesto con una mano e col capo, come una riverenza.
<< Visto che non c’è modo migliore di far felice una donna che facendola parlare di sé, perché non ci racconti un po’ della tua vita? Così magari smetti di deprimerti e deprimerci, ricorda che Jazz è empatico e io… beh io mi scoccio facilmente! >> Rise con quella sua strana risata tonante e profonda. Esme mi sorrise nuovamente e, stringendomi una mano, mi esortò a raccontare. Presi un altro inutile respiro profondo, facendo mente locale per mettere assieme le notizie fondamentali della mia vita passata, che mi pareva essere lontana decenni invece che pochi giorni.
<< Beh non c’è molto da dire: mia madre e mio padre si sono sposati giovanissimi e pochi mesi dopo la mia nascita lei lo ha lasciato perché non poteva sopportare… >> Cosa non poteva sopportare mia madre? Ah, sì! << l’assenza di sole e l’umidità. Sono cresciuta con lei, ma siamo molto diverse: io sono troppo introversa, lei è un’eccentrica romantica. È la mia migliore amica. >> Aggrottai le sopracciglia << O meglio, lo era. Si è risposata l’anno scorso con un giocatore di baseball di leghe minori, viaggia molto per lavoro e Renée, mia madre, per stare a casa con me soffre la sua lontananza. Così ho deciso di andare a vivere con mio padre, a Forks. >> Terminai il mio racconto osservando in volto un po’ tutti, avevo appena raccontato loro tutta la mia noiosa e piatta esistenza umana. Provai un moto d’imbarazzo per l’estrema semplicità della mia vita, subito scacciato dalla perplessità per le espressioni stupefatte e leggermente preoccupate dei miei nuovi familiari. Tutti si erano fatti immobili, gli occhi sgranati che mi fissavano. Il primo a parlare fu Carlisle, l’unico che a non sembrare un pesce fuor d'acqua.
<< Dovevo appunto dirvelo ragazzi, Bella ha preso l’aereo per venire qui a Forks, anc… >>
<< Aspetta, Isabella Marie Swan! Come il capo Swan! Non sarai la figlia del capo della polizia di Forks, Charlie Swan?! >> Ad interromperlo fu Edward, che evidentemente aveva fatto due più due.
<< Sì, è mio padre. >> Fu la mia semplice risposta.
<< La figlia del capo della polizia! La stava aspettando tutta la città, ti rendi conto Carlisle?! >> Rosalie, visibilmente alterata e preoccupata pronunciò quelle parole con tono di voce stridulo. << La cercheranno, smuoveranno mari e monti anche solo per ritrovarne il corpo! >>
<< Lo so perfettamente Rose, per questo motivo… >> Carlisle tentò di parlare, ma venne nuovamente interrotto dalla ragazza:
<< Non voglio trasferirmi un’altra volta, qui stiamo così bene! Non c’è quasi mai il sole, possiamo vivere una vita quasi normale! Non voglio andarmene nuovamente solo perché hai voluto salvarle la vita! >> Pronunciò le ultime parole con tono capriccioso. Pur bellissima, aveva assunto l'aria di una bambina viziata.
Abbassai lo sguardo, tutt’ad un tratto il senso di colpa e l’imbarazzo tornarono più vivi che mai. Il senso di inadeguatezza, d’inferiorità che mi aveva sempre accompagnata durante la vita umana tornò a farsi pressante, per quanto fossi molto più bella e forte di prima.
<< Mi dispiace. Non volevo… io non… non era mia intenzione sconvolgere la vostra esistenza. Me ne posso andare, non c'è alcun problema >> Mormorai velocemente quelle parole, che mi riempirono subito di dolore, iniziando ad alzarmi dalla mia sedia, ma una mano mi fermò. Il tocco era diverso, la stretta più grande e più vigorosa di quella di Esme, per quanto gentile.
<< Non devi andartene. >> Edward mi sorrise, facendo pressione sulla mano perché mi risedessi, poi si rivolse a Rosalie, con tono duro ma garbato. << Se non l’avessi notato non sei il centro dell’universo. >>
<< Rose, cara, non fare così, non ci dovremmo trasferire per forza! Voi continuerete la scuola e Bella resterà con me a casa, tanto potrebbe comunque uscire giovane com’è. >> Esme rappresentava esattamente l’emblema di mamma ideale, dolce, buona, gentile e amorevole con tutti. Il tono che usò con Rosalie fu dolce e accondiscendente, proprio come quello che una madre usa per utilizza per una figlia cocciuta. Mi sorrise amorevole.
<< Non potremmo mai mandarti via, Bella! Tesoro, non potremmo mai fare una cosa del genere! Sei così giovane e hai bisogno di una guida e non parlo solo della tua età vampiresca, ma anche di quella umana. Quanti anni avevi? Diciannove? >> Allungò una mano sul tavolo ed afferrò la mia in modo estremamente affettuoso.
<< Diciassette >> Dissi, stringendo la sua mano.
Parve sorpresa, sul suo sguardo dorato passò un lampo di tristezza e aumentando la stretta della mia mano mormorò:
<< Diciassette... È così piccola… >> Intrecciò lo sguardo con quello di Carlisle e lui annuì impercettibilmente, come se quel semplice scambio contenesse un lungo discorso.
<< Ovviamente Bella resterà a vivere con noi, come ti ho già detto sei parte della famiglia. Ancor più ovvio è che non potrai uscire, oltre che per la sicurezza degli umani anche per la tua, in quanto nessuno deve sapere che sei ancora viva. >> Mi sorrise, poi tornò ad osservare gli altri. << Continueremo le nostre normali vite, voi andrete ancora a scuola ed io a lavorare in ospedale. Ci trasferiremo solo quando Bella avrà superato la fase neonatale. >>
<< Evvai! >> Trillò Alice alzandosi e abbracciandomi di slancio. Prese saltellare per la stanza tenendomi per le mani. << Ora sei ufficialmente parte della famiglia Cullen! Congratulazioni! >>
Fui immediatamente contagiata dall’allegria che emanava quella stravagante immortale, molto più simile ad un folletto che ad una vampira. A noi si aggiunse anche Emmett, che ci prese in braccio e ci fece volteggiare un paio di volte.
<< Benvenuta Bellina! >> Risi della loro esuberanza, mentre qualcuno si schiariva la voce. Jasper ci osservava sorridente, sicuramente tutta quella felicità doveva fargli bene, ma con uno strano sguardo, quasi rammaricato.
<< Mi dispiace fare il guastafeste, ma penso sia importante che Isabella sappia dei licantropi. >> Mi voltai sbalordita verso di lui. Licantropi? Nessuno mi aveva parlato di licantropi! Esistevano? Sicuramente la mia espressione mi tradiva, mostrando chiaramente cosa stessi pensando. Edward rise e annuì.
<< Sì, esistono. Tu sei di Forks, almeno in parte, no? >> Annuì << Allora sai chi sono i Quileute, una popolazione di indiani che vive a La Push. Beh alcuni di loro possono trasformarsi in lupi, enormi e fortissimi lupi che hanno il compito di combattere e uccidere i vampiri, per difendere gli umani. >>
La mia espressione sbalordita dovette risultare piuttosto comica poiché tutti sghignazzaerono. Edward continuò a spiegarmi:
<< Carlisle,Esme, Rose, Emmett ed io, la prima volta che arrivammo a Forks, circa settant’anni fa, stringemmo un patto con i lupi. Carlisle, dimostrando come sempre la sua indole pacifica >> Sorrise al padre << concesse loro una sorta di armistizio, erano in minoranza numerica quindi accettarono. I punti salienti del patto erano e sono tutt’ora: il mantenimento della segretezza, il non sconfinare nelle terre dell’altro clan, abbiamo infatti diviso il territorio intorno a Forks così da non doverci per forza incontrare, e il divieto di uccidere umani. >> A queste ultime parole sul bellissimo viso di Edward passò un ombra di preoccupazione, si voltò verso Carlisle, ma prima che potesse dire qualcosa Alice mi fu accanto e prese a tirarmi per un braccio.
<< Parleremo di questo domani! È l’alba e non sono ancora riuscita a mostrare a Bella la sua stanza! Ti piacerà, vedrai! Come ho già detto Esme è un’ottima arredatrice! E poi, beh, la cabina armadio è strepitosa! >> Così dicendo, euforica, mi trascinò di sopra. Solo in cima alle scale mi resi conto che qualcuno non era scoppiato a ridere per l’allegria di Alice. Rosalie non mi guardava, ma i suoi occhi erano glaciali.
Che ne dite? Vi è piaciuto? In questo capitolo ho fondamentalmente cercato di rispondere alle vostre domande sulla presenza di alcuni personaggi, ma dal prossimo chappy inizierà (ALLELUJA) il BellaxEdward :)
Prima di salutarvi mi piacerebbe davvero tanto farvi una domanda, anzi prima introduco il discorso, poi la domanda xD Immagino che tutte, o per lo meno la maggior parte, di voi sia Team Edward, visto che leggete questa storia. Lo sono anch’io e sono una davvero davvero accanita sostenitrice della coppietta del leone e dell’agnello, ma avete mai riflettuto sul fatto che anche jacob è un personaggio, e per giunta buono, della saga? Molte ragazze si professano (come fosse una religione xD) Team Svizzera, cioè non preferiscono né il bel vampiro né il lupetto, ma il apprezzano entrambi poiché sono personaggi della saga. Voi cosa ne pensate? Tra di voi c’è qualche Team Svizzera? Sto iniziando a riflettere su questo argomento (invece che studiare -.-) e mi piacerebbe davvero sapere la vostra opinione? Siete d’accordo sullo scegliere di essere Team Edward o Team Jacob oppure siete Team Svizzera?
E adesso i ringraziamenti: un enorme GRAZIE ha tutte colore che recensiscono ogni capitolo, che con le loro meravigliose parole mi scaldano il cuore, ogni volta. Grazie, davvero!
Un grande ringraziamento a tutti i lettori silenziosi, che anche senza lasciare traccia del proprio passaggio leggono e mi seguono!
Con la promessa di postare prima vi mando un enorme bacio,
Vero
Ps: Importante “Se uno qualsiasi di loro morde un umano la tregua è rotta. Ho detto morde, non uccide” e “Il patto non ha limiti geografici”….
Eh eh vi sto facendo almeno un po’ incuriosire? xD
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Quando un volo ti cambia la vita
*Entra in punta di piedi, sperando di non essere assalita e si schiarisce mestamente la voce* Ehi, eh eh, quanto tempo gente! *Sempre che ci sia qualcuno o.O’* Come va? Ok ok…. Ho molto da farmi perdonare… Più di un mese di assenza! Lo so, sono una pessima autrice!! Perdonatemi, ho avuto problemi con la scuola che mi sta uccidendo, letteralmente, sono stata malata e in più un virus, che non si è nemmeno preso il disturbo di guardare di striscio l’antivirus: è passato dritto -.-‘’, mi ha impedito di scrivere!!
Davvero vi chiedo scusa, non posso garantire che gli aggiornamenti saranno puntualissimi, ma prometto che non sarò più in ritardo così … Enorme!
Ecco il quinto capitolo, nel quarto avevo detto che sarebbe iniziato il BellaxEdward, cioè non è che manco a farsi benedire i miei buoni propositi di andare lentamente e di essere realistica, intendevo che iniziano a conoscersi… Leggete leggete ;)
Come sempre grazie grazie grazie alle meravigliose ragazze che hanno commentato, i nomi delle quali sono riportati alla fine dell’ultima pagina, lo scorso capitolo, siete meravigliose! *-*
Questa volta un grazie speciale va a Chiaretta85_, continua a mandarmi messaggi, il senso di colpa mi smuove bene nella scrittura!! E a dafne46 per aver commentato gli scorsi quattro capitoli e avermi chiesto con così tanta allegria un aggiornamento veloce :D
E infine grazie mille alla mia fantastica beta, Ele Cullen, che legge e corregge (e corregge e corregge e corregge) ogni capitolo *.*
Beh, se non mi odiate al punto tale da farvi schifo la lettura del capitolo vi auguro
Buona lettura :D
Vero
Capitolo V
Isabella Pov
<< Esme questi dove li metto? >> chiesi, sollevando il mazzo di rose bianche e violette, uno dei tanti che avevo composto raccogliendo i fiori di Esme nel suo giardino.
<< Mettili lì, dentro quel vaso lilla. >> mi rispose lei, dopo un’attenta analisi del mazzolino, dall’alto della scala su cui era aggrappata per posizionarne un altro su un mobile del soggiorno.
Sistemai i fiori nel vaso indicato, creando una composizione di colori meravigliosa: le rose bianche, con gli steli più lunghi, a far da cornice al mazzo di violette, così da mettere in risalto il colore intenso di queste. Iniziavo a cavarmela bene, infondo dopo buona parte della mattina passata ad abbellire casa con composizioni floreali, sotto la guida di Esme s’intende, sarebbe stato impossibile il contrario.
Eravamo sole, come deciso infatti i ragazzi erano andati a scuola e Carlisle a lavoro, dopo avermi fatto mille raccomandazioni: “Non uscire di casa da sola”, “Se vedi o senti umani allontanati il più possibile velocemente”. Mi pareva di sentire mia madre con le sue mille paranoie per quando uscivo di casa da sola, allora però ero ancora la preda, non il predatore. Con orrore mi ero resa conto tutte le regole che mi erano state imposte servivano esclusivamente a proteggere gli umani dal mostro che ero, o che sarei potuta diventare.
Scossi il capo, scacciando quei pensieri. Per quanto potessi essere pericolosa non mi sarei mai trasformata in un'assassina! Mi riavvicinai ad Esme, intenta nell’osservazione del nostro capolavoro floreale.
<< Ora cosa facciamo? >> Domandai.
<< Abbiamo finito. Oh beh io pensavo di andare a disegnare un po’, sai sto iniziando a pensare alla nuova casa, Carlisle me ne ha fatto vedere alcune davvero graziose! Pensavo di abbinare il bianco latte al panna per le pareti del soggiorno… >>
E con quello capii che Esme si era completamente immersa nel suo universo di architettura, dal quale difficilmente sarebbe uscita prima del pomeriggio. Così decisi di trovarmi anch’io qualcosa da fare, soprattutto per non pensare al bruciore alla gola che, prepotente, stava tornando.
Salii al piano di sopra, diretta nello studio di Carlisle, ma come la notte precedente rimasi incantata ad osservare l’insolito, per una casa di vampiri, oggetto appeso al muro. L’antico crocifisso del padre di Carlisle, costruito in un legno levigato dal tempo, ma tenuto benissimo, faceva bella mostra di sé e mi incantava. Sapevo già che il padre di Carlisle era stato un uomo di Chiesa, ma non avrei mai immaginato che il suo unico figlio, nonché vampiro, avesse conservato un oggetto dal simile significato.
Rimasi ad osservarla stupefatta, esattamente come la notte precedente, durante il “giro turistico” della casa, con come guida ufficiale Alice, la quale aveva insistito per mostrarmi l’intera abitazione da cima a fondo.
Il crocifisso mi affascinava e mi ripromisi di domandare a Carlisle il motivo della sua presenza in casa, insomma cosa avrebbe dovuto spingere un vampiro ad adornare casa propria con un oggetto simile?
Entrai nello studio. Esme sedeva alla sua scrivania ed era intenta a disegnare e sfogliare cataloghi di mobili, così iniziai la perlustrazione delle librerie e degli scaffali, stracolmi di pesanti tomi. Ricoprivano quasi completamente ogni parete, tanto da impedire la vista dei pannelli di legno scuro sottostanti. L’unica parete libera dai volumi era quella della porta, sulla quale erano appesi quadri di tutte le forme e dimensioni, che rappresentavano alcuni dei momenti della vita di Carlisle. Un piccolo olio su tela ritraeva la Londra del 1650, come mi aveva raccontato Carlisle, la Londra della sua giovinezza. Il più grande e imponente, e sul quale mi soffermai di più, ritraeva quattro uomini: Carlisle insieme ai tre fondatori del clan dei Volturi: Aro, Marcus e Caius, in Italia. Aveva vissuto come loro ospite per alcuni decenni, durante i suoi studi.
Mi spostai fino ad arrivare ai primi scaffali, facendo scorrere il dito sui libri mentre ne leggevo velocemente i titoli. Si trattava quasi completamente di antichi e complicati trattati di medicina, enciclopedie, pesanti tomi che non attiravano minimamente la mia attenzione, anche perché molti erano scritti in qualche lingua neolatina o addirittura in latino stesso.
Aprii più di un volume, con delicatezza li sfogliai sperando di trovare qualcosa di comprensibile per me. Appurato che non vi era assolutamente nulla che potessi capire e apprezzare uscii dallo studio, velocemente attraversai il corridoio, superando le porte delle stanze di Alice e Jasper e di Rosalie ed Emmett, fino ad arrivare alla rampa di scale che portava al piano superiore.
Al secondo piano, come mi aveva mostrato Alice, vi era la “biblioteca”, la stanza da letto di Esme e Carlisle e a sud, alla fine del corridoio la camera di Edward, proprio alla destra della mia. Entrai nella mia camera e mi gettai supina sul divano bianco che sostituiva il letto, facendo attenzione perché non si rompesse. Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcosa di interessante da fare per scacciare la noia, ma soprattutto la sete, che si faceva sentire sempre di più.
Il divano era addossato al muro, nella parete parallela ad esso vi era una scrivania, sulla quale stava, spento, un portatile bianco. Di fianco ad essa una porta a due ante segnava l’ingresso dell’inferno, per me. Non ero mai stata un’amante della moda, di questo ero certa, ma ad Alice questo, lo avevo capito presto, non importava più di tanto. Aveva infatti riempito l’enorme cabina armadio, forse più grande dell’intera camera, di abiti elegantissimi, tacchi vertiginosi e accessori di tutti i tipi. La notte precedente ero riuscita a farla desistere dall’intento di farmene provare “qualcuno” con l’aiuto di tutti i componenti della famiglia, soprattutto Jasper, che era stato costretto a trascinarla via. Scossi il capo e ridacchiai a quell’immagine, la folletta non aveva intenzione di mollare e aveva addirittura messo il broncio, aggrappandosi alla porta e giurando di staccarla se avessero tentato di portarla via.
In camera era presente anche uno stereo, lo accesi e ascoltai un po’ di musica trasmessa da una stazione radio locale, ma anche di ciò mi stancai presto.
Passai non so quanto tempo a sfogliare alcuni libri che mi avevano messo su uno scaffale, ma non si trattava del mio genere. Accesi il computer, ma non essendo mai stata un’amante della tecnologia e non avendo molto da fare sul web lo spensi dopo pochi minuti.
I Cullen erano stati gentilissimi a preoccuparsi di darmi qualcosa da fare, ma mi sarei dovuta ricordare di chiedere ad Esme se in casa ci fosse qualche romanzo di Jane Austen.
Mi ricordai che la sera precedente, quando Alice mi aveva mostrato tutte le stanze, avevo notato che in camera di Edward vi erano tantissimi dischi. Non sapendo cosa fare decisi di dare una veloce occhiata, magari al suo ritorno gli avrei potuto chiedere di prestarmene qualcuno.
La porta era socchiusa, ma già da fuori si potevano intravedere enormi scaffali stracolmi di CD, dai quali venni irrimediabilmente attirata. Entrai. Come avevo intuito da fuori la stanza era piena di CD, ma mai avrei immaginato ve ne fossero così tanti, era più fornito di un negozio! Tutta la parete ovest era talmente ricoperta dagli scaffali di dischi da impedire la vista del muro. Uno spesso tappeto dorato ricopriva quasi interamente il pavimento, sui muri non coperti dagli scaffali erano appesi lunghi drappi un poco più scuri. Addossato al muro un divano di pelle nera, uguale in tutto e per tutto al mio, sostituiva il letto. All’angolo era presente un sofisticatissimo impianto stereo, il genere d’apparecchio che, ricordai, avrei distrutto sfiorando con un dito, da umana. Incuriosita premetti leggermente uno dei tastini dello stereo e le note di una dolce e familiare melodia si diffusero nella stanza. Le note stuzzicarono la mia memoria, riportandomi a quando ero ancora umana, avevo già sentito quella sinfonia… Poi un immagine di mia madre, uno stereo, molto diverso da quello che avevo davanti…
<< Claire de lune! >> Mormorai, ancora completamente persa nei miei pensieri.
<< Conosci Debussy? >> Una voce bassa e melodiosa mi ridestò e mi voltai sussultando. Ero una vampira, maledizione! Possibile che fossi ancora così sbadata?!
Edward mi osservava con un cipiglio sorpreso e leggermente infastidito, poggiato allo stipite della sua porta. Solo in quel momento mi ricordai di essere in camera sua, imbarazzata gli risposi velocemente.
<< Scusa se sono entrata qui senza il tuo permesso, solo che mi annoiavo e tutti questi CD… Wow sono tantissimi! >> Spostai lo sguardo sugli stracolmi scaffali, per enfatizzare il concetto. Ecco mi ero distratta, di nuovo. Carlisle aveva ragione quando mi disse che i vampiri si distraggono facilmente . << Comunque sì, conosco Debussy, Claire de lune era uno dei miei brani preferiti. >>
<< Davvero? Non me lo sarei mai aspettato. >> Sembrava sorpreso, gli occhi dorati non mostravano più nemmeno quel piccolo guizzo infastidito per il fatto che avessi invaso la sua privacy.
<< Perché, pensi che tutti i ragazzi del ventesimo secolo siano degli ignoranti tanto da non conoscere uno dei più grandi compositori ottocenteschi? >>
Sul viso angelico di Edward si dipinse un sorriso sghembo davvero affascinante.
<< Beh tutti i ragazzi degli ultimi… decenni, non apprezzano più tanto i capolavori di musica classica >>
<< Io sì, o meglio mia madre. Conosco bene solo i miei preferiti. >> Nuovamente cercai di schiarire quel fango che erano i miei ricordi.
<< È anche uno dei miei preferiti! >> Sembrava sempre più sorpreso.
<< Beeella! >> Un tornado formato mini mi travolse letteralmente abbracciandomi e saltellando affianco a me << Allora ti sei divertita? Cosa hai fatto durante la mattinata? Perché non hai provato i vestiti della cabina armadio? Oh non importa, li proveremo assieme, seguimi! >> Mi trascino letteralmente via, colsi solo di sfuggita Edward scoppiare in una fragorosa risata e, una volta in camera mia, lo sentì augurarmi un “buona fortuna”, seguito da un’altra risata.
Passai le seguenti tre ore a provare abiti da sera di seta che mai avrei usato, jeans, maglie e maglioncini di tutte le più famose marche esistenti, mentre Alice ripiegava da una parte gli abiti che a parer suo mi stavano bene e gettava in un angolo gli altri.
Riuscì a scampare dalle grinfie della folletta folle solo quando quella santa donna di Esme la costrinse letteralmente a mollarmi.
<< Alice, su lascia in pace Bella! Tanto sai già come le stanno i vestiti, non è una barbie! >> Mimai un grazie con le labbra a Esme e corsi giù per le scale prima che Alice potesse riacciuffarmi.
In salotto trovai Carlisle intento nella lettura di un libro mentre Emmett ed Edward guardavano una partita di baseball alla tv e Jasper preparava una scacchiera per una partita. Solo Rosalie sembrava tutt’altro che impegnata in una qualche attività, stava seduta su uno dei divanetti con lo sguardo perso nel vuoto. Non sapevo cosa aspettarmi da lei, la sera precedente non mi poteva vedere, in quel momento invece mi rivolse un’occhiata veloce, senza però, con mio gran sollievo, la nota d’odio della sera precedente.
Carlisle lasciò il libro e sorridendo mi venne incontro.
<< Come è andata la giornata Bella? >> Ci accomodammo su un divano, insieme ad Esme, che aveva portato con sé il suo album da disegno.
<< Abbastanza bene: ho aiutato Esme a cogliere e sistemare i fiori nei vasi e ho ascoltato un po’ di musica. Carlisle, ho di nuovo sete… >> Mi infastidiva dover continuamente ripeterlo ma, come mi aveva spiegato Carlisle, la sete sarebbe stata al centro dei miei pensieri per ancora qualche tempo.
<< Lo so, cara, sei ancora molto giovane… Vedrai che in poco tempo avrai altri tanti interessi che non centrino per forza con il sangue! >> Fece una piccola pausa. << Più tardi andrai nuovamente a caccia ma, Bella, ricorda che ti devi abituare a nutrire sempre meno: non puoi certo rovinare la fauna locale! >> Non troppo convinta annuì.
<< Vinto! >> L’urletto di giubilo di Alice invase la stanza. Saltellava sul posto con un enorme sorriso sulle labbra, mentre Jasper scuoteva il capo, rassegnato.
<< Ti ho battuto di nuovo Jazz, sei proprio pessimo! >> Ridendo come una bambina abbracciò il marito, il quale si fingeva deluso e stizzito, ma un dolce sorriso lo tradiva.
<< Alice, non vale se usi il tuo potere! Non sei per niente sportiva! >> Sorrisi a quella dolce scenetta. Alice e Jasper erano due persone completamente diverse, lei esuberante e lui introverso, ma ero perfetti l’uno per l’altra.
<< Su, Bella! Si va a caccia! Ti faccio compagnia, anche se mi sono già nutrita una settimana fa non sia mai che ti lascio cenare da sola! >> Rise nuovamente, ma si beccò una bella occhiataccia da parte di Carlisle, che non sembrava troppo contento della decisione.
Improvvisamente Emmett si alzò e ci affiancò, con un cipiglio serio che non prometteva nulla di buono.
<< Ehi, ehi ferma nana! Prima dobbiamo spiegare le regole alla novellina! >> Esme e Carlisle ridacchiarono, Jasper sbuffò ed Edward alzò gli occhi al cielo, divertito. Rosalie continuava a non badare minimamente a ciò che le accadeva attorno. Emmett non diede loro peso, anzi mi mise una mano sulla spalla e continuò ancora più serio di prima.
<< Come membro della famiglia Cullen devi sottostare a delle regole riguardanti la caccia… >>
<< Non devo uccidere umani! >> Lo precedetti, affermando convinta.
<< Naah, non c’entra niente questo! È trascurabile! >> E anche lui si beccò un’occhiataccia da parte di Carlisle. Intanto io ero stupefatta, quali altre regole c'erano che mi ero persa?
<< Ognuno di noi nel modo di cacciare somiglia maggiormente ad un differente animale e questo rispecchia anche i suoi gusti. Ad esempio io, stando a ciò che dicono, sembro un orso, Edward un leone e così via. Di conseguenza NON DEVI MANGIARTI I MIEI GRIZZLY!! >> Le ultime parole le urlò letteralmente, tanto che il mio istinto da neonata mi costrinse ad allontanarmi da lui.
<< Grazie >> Finì, con tono angelico e ritornò alla sua poltrona e riprese a fare zapping alla tv, come se non si fosse mai spostato. Io lo guardavo ancora con gli occhi sgranati.
<< Oh Emmett, smettila di scocciare! Bella puoi cacciare ciò che preferisci, non dargli retta. >> Mi disse Edward, tranquillo.
<< Infatti, Emmett. Non rompere! >> Alice fece una linguaccia al nerboruto fratello e, prendendomi sotto braccio, mi portò fuori dalla porta a finestra.
<< Non allontanatevi! >> Sentimmo le parole di Carlisle mentre già correvamo inoltrandoci nella foresta.
Ecco i nomi delle “recensitrici”
giova71
giova71
ary94
vanderbit
bedw
LadySile
Nadia1992
totta_cullen
nanerottola
Alice_Nekkina_Pattinson
gabry01121992
Adria_Volturi
ese96
MaryAc_Cullen
Aleswan
chiaretta85_
iaele santin
Lissy 1996
dafne46
Spero di sentire i vostri commenti sul nuovo capitolo,
a presto
Vero (:
Ps: Non ho ancora risposto alle vostre precedenti recensioni, ma lo farò sta sera o domani :* |
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Quando un volo ti cambia la vita
Ragazze, come promesso posto oggi, che brava eh? ;)
Ok, ok lo so neanche poco poco xD
Non ho risposto alle vostre recensioni e temo che non riuscirò a farlo neanche oggi, spero di farcela nel fine settimana :( Penso che risponderò a qualcuna un giorno, ad altre domenica :(
Beh non credo di avere altro da dire questa volta… Ah sì, purtroppo ho una brutta notizia: potrei sparire per altre due settimane ç___ç Scuola, scuola, scuola -.-
Vi lascio al capitolo!
Buona lettura,
Vero :*
Ps. Il capitolo NON è betato, chiedo quindi scusa per eventuali errori.
Capitolo VI
Isabella Pov
Io ed Alice correvamo a pochi metri di distanza. Stavo avanti io in quanto, essendo una neonata, ero molto più veloce.
Radissimo, tanto che solo un flash rosso me ne rivelò il movimento, qualcosa o qualcuno mi superò in un lampo. Rallentai, leggermente allarmata, fino ad affiancare nuovamente Alice. Arrestammo contemporaneamente la corsa.
<< Bella >> Alice mi guardava interdetta, il capo inclinato << perché ti sei fermata? >>
Prima che potessi rispondere dai cespugli davanti a noi comparì nuovamente una zazzera di capelli rossi e compresi chi mi avesse superato.
<< Che succede, non cacciate? >> Edward ci osservava, un sorrisetto strafottente sulle labbra. << Ho cacciato qualche giorno prima di te, Alice, quindi ho più diritto di te di nutrirmi! >> Rispose sicuramente ad una domanda silenziosa delle folletta. Tradotto: Carlisle l’aveva mandato per controllarmi, evidentemente pensava che Alice non fosse sufficiente a placare una neonata senza controllo.
<< Bella, muoviamoci! O Edward si prenderà tutti i puma! >> Alice mi diede un colpetto sulla spalla ridacchiando mentre il rosso continuava a sogghignare. Impiegai un bel po' della mia volontà per non farmi distrarre dalla bellezza di quel mezzo sorriso. Dato che il bruciore alla gola cresceva di minuto in minuto decisi che non era il momento di rimuginare sul fatto che certamente Carlisle avesse ragione e concentrai i miei sensi sulla caccia.
In quel momento una folata di vento mi portò l’odore di un piccolo branco di cervi non troppo lontano dal punto in cui mi trovavo. Senza che nemmeno me ne accorgessi stavo già correndo verso la polla in cui si trovavano.
E fu in quel momento che accadde. Il vento cambiò direzione e un nuovo profumo, ben più allettante, mi spinse ad invertire direzione e ad aumentare la corsa.
Era un obbligo. Il mio corpo mi imponeva di seguire quell’afrodisiaco profumo, avevo il bisogno di impadronirmene. Nient’altro contava in quel momento, ogni mio pensiero era dominato dalla consapevolezza della sete bruciante e dalla scia che prometteva di spegnerla.
In quegli attimi solo un istinto poteva far breccia nella mia mente, qualcosa di più importante del sangue: l’autodifesa.
Avvertì qualcuno inseguirmi e, prima che me ne rendessi conto, quel qualcosa mi cadde addosso e mi gettò una decina di metri indietro.
Edward era davanti a me, semi accucciato, le braccia allargate come a contenere un mio tentavo di attacco. Ringhiai. Fu istintivo, un’azione spontanea del mio corpo che rispondeva alla minaccia di un vampiro avrebbe potuto attaccarmi da un momento all'altro. Ma che, soprattutto, si frapponeva tra me e la mia preda.
Altri passi dietro di me ed Alice sbucò dai cespugli, accuatandosi nella stessa posizione di Edward. L’istinto ancora una volta si impadronì di me: saltai parecchi metri più a est e, quando mi ritrovai sia Alice che Edward davanti, mi accucciai e ringhia ancora.
<< Bella, sono degli umani! >> Alice mi parlò lentamente, decisa.
<< Non vuoi ucciderli davvero! Riprendi controllo di te! >> Il tono di Edward era duro.
Fu solo grazie a quelle parole che rinsavì. Degli umani. E stavo per ucciderli. Li fissai per un’altra frazione di secondo poi diedi loro le spalle e corsi il più velocemente possibile dalla parte opposta agli umani.
Mi fermai solo quando fui certa di aver messo abbastanza distanza tra me e quelli che fino a poco prima erano stati la mia preda. Venni quasi immediatamente raggiunta da Edward, che manteneva però qualche metro di distanza tra noi, per sicurezza. Puntai il mio sguardo nel suo, chissà quanto gli apparivo sconvolta, dovevo sembrare una pazza.
In risposta lui accennò un sorriso e rilassò le spalle.
<< Il vento ha nuovamente cambiato direzione, non si sente più la loro scia. >>
Inizialmente titubante odorai lentamente l’aria attorno a me. Alberi, felci, polline, scoiattoli. Niente umani. Sollevata, ripresi a respirare regolarmente proprio nel momento in cui Alice ci raggiunse.
Riprendemmo la caccia, ma questa volta i miei fratelli mi restarono sempre il più vicino possibile. Parte della mia mente era sempre concentrata ed attenta a qualsiasi cambio di direzione del vento per non ricommettere l’ errore precedente. Ma per il resto era ingombrata da un intricato insieme di pensieri carichi di senso di colpa e vergogna per ciò che avevo quasi fatto.
<< Cosa stai pensando? Mi sembra ancora così strano non saperlo… >> Mi domandò gentilmente Edward, sedendosi accanto a me.
Dopo la caccia eravamo tornati a casa, ma non ero riuscita a rimanere per più di qualche minuto insieme alla mia famiglia, in salotto. Ero invece salita in camera mia, mi ero raggomitolata sul mio divanetto bianco a rimuginare sull’accaduto. Edward era entrato in camera mia e mi osservava.
<< Ho quasi ucciso degli umani, ho attaccato te ed Alice, ho perso letteralmente la ragione!! Ecco a cosa sto pensando! >> Risposi vergognandomi delle mie azioni, poggiai la testa sulle ginocchia, come a proteggere il volto.
<< Bella, non li hai attaccati e non hai fatto del male né ad Alice né a me! La tua è stata una reazione naturale all’odore del sangue umano e l’istinto di autodifesa dei neonati, specie durante la caccia, è estremamente forte! >>
Sembrava convinto di ciò che diceva, l’oro fuso dei suoi occhi non aveva nemmeno un’ombra. Annuì, incerta.
<< Ma non mi sembra che tu ed Alice abbiate perso il controllo durante la caccia, ed eravate come me a un centinaio di metri dagli escursionisti. >>
Alzò gli occhi al cielo, il suo sguardo era un misto tra il divertito e l’irritato mentre sulle sue labbra si dipingeva il sorriso sghembo tanto affascinante.
<< Come te lo devo dire? Noi abbiamo dalla nostra una certa esperienza… >> Scosse il capo e continuò, sempre con quel sorriso sghembo sulle labbra << Temo ti serva un passatempo… O hai intenzione di continuare a crogiolarti nel rimorso? Per qualcosa, tra l’atro, che non hai fatto >> Un ombra passò, veloce, sul suo sguardo, ma venne immediatamente scacciata.
<< Forse sì… Non ho molto da fare durante il giorno… Beh neanche la notte a dir il vero. >> A parte attentare alla vita di qualche innocente umano. Ma questo non lo dissi.
<< Ah! Allora credo proprio che sia il momento che tu inizi ad ingegnarti per trovare qualcosa che tenga i tuoi sensi ben impegnati, specie durante la notte. Sai, in casa ci sono tre coppiette… Se campisci cosa intendo… >> Sorrise sghembo nuovamente, accennando alla porta con il capo. Se fossi stata umana sarei certamente arrossita. Abbassai lo sguardo, la pelle bianca del divanetto diventava estremamente interessante.
Edward rise. << Vedrai che ci farai l’abitudine, in fondo non si possono passare tutte le notte fuori o a caccia! >>
<< Immagino che per te sia piuttosto fastidioso… >> Storse la bocca e alzò un sopraciglio, quasi disgustato. Fui io a ridere.
<< Beh, te l’ho detto: ci si fa l’abitudine. Più o meno… >>
La risata rombante di Emmett arrivò forte e chiara da due piani sotto, Edward scuoté il capo rassegnato.
<< Tornando al discorso dei passatempi, non è che per caso avete una copia di qualche opera Jane Austen? >> Domandai della mia autrice preferita, che mi ricordassi, infatti, la lettura era il mio hobby preferito anche da umana.
Sul volto di Edward si dipinse la stessa espressione stupefatta del pomeriggio precedente, quando gli avevo parlato dei miei gusti musicali.
<< Jane Austen, davvero? >> Sembrava scettico.
Alzai un sopraciglio, interdetta.
<< Beh, va bene anche Cime Tempestose se non avete nulla di Jane Austen. Non importa. >> Il sorriso accondiscendente mi morì sulle labbra quando l’espressione di Edward da confusa si fece esterrefatta.
<< Non ti piacerà davvero Cime tempestose?! >> Era tra lo scandalizzato e l’incredulo.
<< Perché, cos’ha di male Cime Tempestose? >> Stava per caso insultando velatamente il mio romanzo prediletto?
<< Tutto! I protagonisti, i loro strambi sentimenti, il modo di esternarli, la storia d’amore che non è una storia d’amore! >> Enfatizzò le ultime parole, per sottolineare il suo dissenso nei confronti del racconto.
<< Heathcliff è distruttivo, com’è possibile che ami Catherine se le rovina continuamente la vita? E lei poi… Insomma è fondamentalmente una donna egocentrica e troppo concentrata in se stessa e nel suo mondo per rendersi conto del dolore che provoca! Come può, questa, essere una storia d’amore? >>
<< Io invece trovo meraviglioso Cime Tempestose! Catherine e Heathcliff non sono certo perfetti e, anzi, hanno tanti difetti, il loro unico pregio è l’amore che condividono. E non è forse tutto ciò degno di una perfetta storia d’amore? >> Difesi tenacemente il romanzo dalle accuse di Edward che, dopo la mia risposta, appariva contrariato ed estremamente confuso.
<< Ma com’è possibile che si possa pensare che… Oh non capisco! >> Scosse il capo, poi fisso il suo sguardo d’oro fuso nel mio, incatenandomi. Sembrava volesse scrutarmi dentro. Ciò mi provocò una strana sensazione nel petto e distolsi, faticosamente, lo sguardo dal suo.
<< Non capisco minimamente come tu possa pensare qualcosa del genere! Non ti comporti come una normale neonata, come un’adolescente del tuo secolo! >> Rialzai lo sguardo, Edward mi fissava ancora. << Insomma qualunque neonato avrebbe attaccato me ed Alice e poi avrebbe raggiunto gli umani! Ed ogni adolescente del XXI secolo che si rispetti ascolta musica che distrugge i timpani e odia qualsiasi cosa non sia “all’ultima moda”… >> Scosse il capo, sembrava frustato. Da cosa non riuscivo a capirlo.
<< Non fai niente di quello che mi aspetto! E… la tua mente è impenetrabile per me! >> La sua voce suonava esasperata. Attesi un secondo, riflettendo, prima di rispondere.
<< Sono una specie di mostro? >> Inclinai il capo su un lato, preoccupata. Davvero ero così strana e anomala anche da vampira?
<< Io leggo nel pensiero della gente e tu pensi di essere un mostro? >> Era incredulo, scosse il capo e spuntò un sorriso incerto sulle sue labbra << No, tu sei semplicemente… diversa. >>
<< Ed è una cosa buona? >> Ero ancora incerta su cosa fosse positivo e cosa negativo, forse le mie stranezze erano davvero causate da qualche anomalia nel mio cervello, come ricordai che sospettavo da umana.
Edward alzò gli occhi al cielo e si alzò, porgendomi una mano.
<< Su, andiamo a chiedere a Carlisle se ci sono libri di Jane Austen in casa. >> Afferrai incerta la sua mano e, per quanto non ne avessi bisogno, accettai quel gesto di cortesia che sapeva tanto di una cavalleria ormai dimenticata.
Quando scendemmo in salotto, seduti su uno dei divani, c’erano solo Esme e Carlisle. Dov’erano Emm, Rosalie, Jazz ed Alice? Poi mi venne in mente che loro erano due delle coppiette della famiglia, così lancia un’occhiata veloce ad Edward, il quale intuendo i miei pensieri, sghignazzò.
Riportai lo sguardo su Carlisle ed Esme, i quali mi sorrisero e fecero spazio sul divano perché mi sedessi con loro, intanto Edward si accomodò sul divano accanto.
Feci per parlare, ma la mia espressione colpevole doveva dirla lunga sul discorso che volevo iniziare. Esme mi accarezzò i capelli e disse:
<< Tranquilla, cara. Va tutto bene, non c’è bisogno di parlarne. >> Carlisle, annuì sorridendo alle parole della moglie. Mi limitai a ricambiare il sorriso, grata di avere accanto due persone così premurose e attente.
<< Carlisle, Esme sapete se ci sono in casa dei libri della Austen? >> Domandò Edward.
<< Oh, ma va bene anche Cime Tempestose! >> Lo dissi solo per rivedere quel cipiglio infastidito e disgustato che, a parer mio, era estremamente divertente. Le mie speranze vennero accontentate immediatamente. Non potei fare a meno di ridere dell’espressione di Edward e, poco dopo, si unì a me Esme.
Poi un’intuizione si fece largo in me, che non sopportasse neanche…
<< Mi piace molto anche “Romeo e Giulietta”! >>
<< Dimmi che stai scherzando! >> Se l’espressione di Edward prima era divertente in quel momento diventò spassosa. Come sospettavo non amava nemmeno l’altro mio romanzo preferito... Che fossimo agli opposti in tutto?
<< Non ridere, non c’è nulla di divertente! >> Si era imbronciato, quell’espressione accentuava i tratti infantili ed angelici del suo volto. Risi ancor di più, benché, senza capirne il motivo, faticavo a distogliere lo sguardo da quel viso così bello. << “Romeo e Giulietta”! >> Scosse il capo.
<< Siamo scesi qui non per criticare i miei gusti letterari, ma per trovarmi qualcosa da fare, Edward! >> Lo rimproverai ancora divertita. Mi rivolsi nuovamente a Carlisle ed Esme e notai che anche loro faticavano a trattenere le risate.
<< Bella, che anno di superiori frequentavi da umana? >> Mi chiese Carlisle.
<< Il terzo, ho diciassette anni, lo sapevi già. >> Non capivo dove volesse arrivare, conosceva già la mia età. A cosa gli serviva sapere l’anno che frequentavo?
<< Pensavo: perché non riprendi gli studi? Da vampira sarà molto più facile apprendere ed avrai un ottimo passatempo. >>
Ci riflettei un momento, riordinando le memorie della mia vita umana. Che ricordassi non avevo mai odiato più del normale la scuola. Annuì.
<< Va bene, posso provarci! >>
Che ne pensate? Ma voi, al posto di Bella, avreste accettato la proposta di Carlisle? Io gli avrei fatto una pernacchia e avrei preteso i miei libri della Austen xD xD
Fatemi sapere se vi è piaciuto ;)
Vero |
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Ehm... Coff coff... Saaalve ^^
Ma guardate un po' chi si fa viva dopo un anno, questo sgorbietto qui! *riceve pomodori in testa*
Lo so che mi odiate, lo so. Me lo merito. Mi odio anch' io ç___ç
Non sto nemmeno a dirmi che ho avuto problemi, che la mia vena scrittoria ( e pure la voglia) se n’è andata a farsi un giro e bla bla bla. Per quanto tutte questo sia vero non ho scuse, sono un mostro. Al confronto con me Jane è un angioletto. Domando venia ç.ç
Niente folla inferocita e niente forconi per favore, sempre che sia rimasto qualcuno, perché in teoria dovrei essere tornata. Ma tornata davvero.
E per questo dovete ringraziare solo e soltanto ChocolateEyes, questa meravigliosa ragazza che, dopo avermi scovata su twitter, mi ha spronata e incoraggiata nella scrittura. Quindi picchiate pure me ed erigete un statua d’oro massiccio a lei.
Bando alle ciance, questo è il capitolo, non betato.
Spero davvero che vi piaccia,
ci leggiamo sotto.
Vero <3
Ps. Il capitolo è ovviamente dedicato a Greta, grazie grazie grazie <3
IMPORTANTE: se volete aggiungermi su facebook sono 'EndlessTwilight Efp'.
Capitolo VII
Chiusi il libro sbuffando. Avevo passato tutta la mattina a leggere il volume di Trigonometria del terzo anno e iniziavo a vedere triangoli rettangoli in tutto ciò che mi stava attorno. Però Carlisle aveva ragione, assimilavo nozioni davvero molto più velocemente di quando ero umana e di questo passo sarei stata in grado di diplomarmi entro la fine della fase neonatale.
Mi sedetti sul divanetto della mia camera e presi ad osservare insistentemente l’orologio a muro, nemmeno sperassi che ciò aumentasse la velocità delle lancette. Ma il tempo sembrava rallentare, come fossi condannata ad attendere in eterno. Anche se, forse, era davvero così. In fondo ero stata trasformata in una vampira, un essere dalla vita eterna per il quale, il tempo, non è un grande amico. Emmett per lo meno mi aveva detto che la noia è una delle emozioni maggiormente presenti nelle nostre eterne vite.
Tic tac, tic tac. Quando mi parve che le lancette si fossero fermate, per quanto fossi totalmente in grado di osservarne ogni minimo movimento, decisi che era il caso di indirizzare altrove lo sguardo. Mi alzai e nella stessa frazione di secondo ero già dall’altra parte della stanza, affacciata alla finestra. Mi persi nell’osservazione del mondo circostante, i monti all’orizzonte, il fiume, il bosco con tutti i suoi abitanti che potevo osservare nei minimi dettagli pur trovandomi ancora all’interno della villa. La possibilità di poter vedere finalmente tutto con chiarezza era forse la parte che più preferivo della mia nuova natura. E anche quella che mi destabilizzava di più, a dire il vero. Esattamente come la possibilità di sentire rumori provenienti da svariate centinaia di metri di distanza, mi perdevo spesso nell’osservare minuziosamente i dettagli più microscopici di ciò che mi stava attorno. La sbadataggine era una delle mie caratteristiche dominanti da umana e fu fin da subito evidente che me la fossi trascinata dietro pure nella nuova vita da vampira. Ecco che, per l’ennesima volta, mi ero distratta ed ero stata assorta nella contemplazione del manto bruno di uno scoiattolo intento a sgranocchiare una nocciolina. Potevo addirittura sentire il suo piccolo cuore pompare sangue nelle vene, continuamente e instancambilmente…
Con un solo balzo mi ritrovai con le spalle premute contro la porta chiara della mia stanza, i cardini cigolanti. Possibile che provassi il desiderio di uccidere anche quel minuscolo animaletto? Quel piccolo esserino che non sarebbe stato in grado di soddisfare nemmeno lontanamente una parte della mia sete. Eppure non riuscivo a smettere di immaginare quanto sarebbe stato meraviglioso lacerare il suo fragile collo e succhiar via fino all’ultima goccia quella linfa vitale che tanto agognavo.
La gola bruciava e sentivo ogni muscolo in tensione, già pronto a balzare oltre il vetro della finestra. Ero nauseata da me stessa.
Certo, in mia discolpa c’è da dire che erano oltre quaranta ore che non andavo a caccia. Carlisle infatti sosteneva che fosse il caso che iniziassi ad abituarmi a nutrirmi secondo certi tempi stabiliti. Per non parlare del fatto che i miei continui banchetti a base di cervi e alci avrebbero potuto sconvolgere l’ecosistema locale.
Avvertì l’ormai familiare rompo di una volvo in avvicinamento: erano loro, con l’auto di Edward. Discesi in un soffio le scale, uscì fuori dalla porta d’ingresso e mi precipitai in garage. Alice scese dall’auto prendendo per mano Jazz e, prima di dirigersi verso casa, mi salutò scoccandomi un bacio sulla guancia. Suo marito mi rivolse un sorriso, Emmett mi scompigliò i capelli, Rosalie mi lanciò un’occhiata veloce ed uscì dal garage. Non era cambiato nulla tra noi, il nostro inesistente rapporto procedeva rigido ormai da giorni. Per lo meno non aveva più provato ad incenerirmi con lo sguardo.
E per ultimo, dallo sportello del guidatore, saltò fuori Edward. L’eleganza con cui compì quel gesto era straordinaria, forse anche per un vampiro. Mi sorrise. « Buon pomeriggio, com’è andata la mattinata? »
Lo affiancai e gli risposi sorridendo anch’io.
«Noiosa: ho letto tutto il libro di Trigo. E non ce la faccio più!» Terminai la frase con un gesto plateale delle braccia.
«Quindi hai studiato abbastanza per oggi, no?» Mi domandò con il suo solito e meraviglioso sorriso sghembo. Sapevo dove voleva andare a parare, così sorrisi entusiasta.
«Tocca a me? »
«Non se ne parla neanche!» Si mostrava fintamente indignato «Oggi è ancora mio!»
Era una sorta di gioco che avevamo inventato: Edwad si lamentava del fatto che non riuscisse a leggermi nel pensiero, così avevamo deciso che lui doveva sapere qualcosa di me e, siccome anch’io era molto curiosa, a giorni alterni ci saremo fatti domande sulle nostre precedenti vite.
«Ma non è giusto!» Misi su un broncietto degno di una bambina di cinque anni. «Sono due giorni che vai avanti tu, quando toccherà a me? Ieri hai detto domani!»
«Domani, infatti.»
Sorrise di nuovo, straffontente. E, mi resi conto, quel sorriso aveva tenuto la mia mente occupata per troppo tempo. Ci misi un secondo intero ad elaborare una risposta. Ringraziai la mia buona stella per avermi dato una strana mente impenetrabile.
«Prepotente»
«Deduco, dal tono dispregiato utilizzato, che non ti piacciono i prepotenti.»
Sospirai, rassegnata. Ecco che ricominciava un nuovo attacco di domande.
«No, non mi piacciono. Ma poi, a chi piacciono i prepotenti?» Domandai, inarcando un sopraciglio. Lo sguardo che gli riservai lo fece ridacchiare.
«Non a molti, è vero.» Sorrise «E chi altro non ti piace?»
Esasperata, e allo stesso tempo divertita e lusingata da tutto quell’interesse, risposi:
«I bugiardi, i disonesti e gli sbruffoni.»
Annuì, concentrato. Non si era nemmeno accorto dell’occhiataccia che gli avevo indirizzato nel pronunciare quella frase. Lo interruppi prima che potesse ripartire a raffica.
«Ok, ora tocca a me!»
«Ma non ho ancora finito!»
« E io non ho nemmeno iniziato. Ho deciso che andremo ad intervalli: un po’ tu e un po’ io.» Affermai, decisa.
Tentò ancora di obbiettare, ma lo interruppi con un gesto secco della mano.
«Quanti anni hai?»
«Diciasette»
«E da quanto tempo hai diciassette anni?»
«Da un po’.»
Inarcai un sopraciglio, non contenta: non era la risposta che volevo. Puntai il mio sguardo nel suo, alla ricerca di risposte. Dovette convincersi che non mi sarei arresa tanto facilmente o che avrei sopportato la sua risposta, per quanto strana potesse essere. Gli avevo già confidato i miei ‘problemi’ nel realizzare che sarei vissuta molto più di quanto un qualsiasi essere umano possa anche solo immaginare.
Sbuffò. «Sono nato a Chicago, nel 1901.» Aveva misurato ogni parola usata e non aveva distolto lo sguardo dal mio nemmeno per un attimo, come ad accertarsi che riuscissi a prendere bene la notizia. Impedì al mio sguardo, che sperai rimase impenetrabile, di mostrare tutto lo stupore che mi aleggiava dentro mentre constatavo che aveva centoquattro anni.
«Ma hai… Centoquattro anni! Sei decrepito!»
Edward rilassò le spalle, abbandonando la posizione contratta e sul suo viso prese vita il solito sorriso obliquo.
«Perché Carlisle ti ha trasformato?»
«Avevo diciassette anni e stavo morendo di spagnola. Carlisle mi ha trovato in punto di morte e mi ha trasformato, portandomi con sé.» Scrollò le spalle con noncuranza, come se quel fatto non avesse la benché minima importanza, ma io avvertì un brivido salirmi su per la schiena al pensiero della sua morte.
«Fu lui il primo ad accorgersi del mio potere» Continuò «Rispondevo a domande che lui non esprimeva.» Ridacchiò ed io lo seguì, chissà come era stato strano per Carlisle constatare che qualcuno riusciva ad infilarsi nella sua mente! «Con il tempo si è abituato.»
«E così è iniziata la vostra lunga convivenza .» Sorrisi, ma lui non ricambiò. Una leggera rughetta increspò la sua fronte d’alabastro, gli occhi si intristirono e fuggirono dai miei.
«Quasi.» Pronunciò con tono di voce talmente basso da farmi pensare di averlo immaginato. Lo sguardo tornò ad incontrare il mio, l’oro dei suoi occhi si era indurito eppure riuscivo a scorgervi un luccichio particolare. Imbarazzo.
«Quasi?»
Sospirò, non contento di rispondermi.
«Diciamo che ho passato anch’io un periodo di… ribellione adolescenziale. Non ero contento della nostra dieta, non sopportavo il fatto che Carlisle soffocasse la mia sete. Ci sono voluti dieci anni prima che riuscissi a ribellarmi a lui e ad andarmene per i fatti miei. Vedevo la verità e la purezza nei suoi pensieri: capivo perché avesse scelto quella vita. In pochi anni tornai da lui. Prima ero convinto che sarei stata immune alla… despressione… che la coscienza porta con sé.» Capì cosa volesse dire: anche solo il rischio di uccidere degli umani innocenti aveva creato in me enormi sensi di colpa. Addirittura l’idea di nutrirmi del sangue degli animali era difficile da accettare. «Visto che leggevo i pensieri delle mie prede potevo assalire i malvagi e risparmiare gli innocenti. Se seguivo un assassino in un vicolo buio dove aveva intrappolato una ragazza… Se salvavo lei allora non avevo motivo di sentirmi così terribile. Ma erano comunque vite umane e io stavo diventando il peggior mostro in circolazione. Carlisle ed Esme mi riaccolsero come il figliol prodigo. Non meritavo tanto.» Continuavo ad osservarlo, gli occhi nei suoi. Attendeva che dicessi qualcosa.
«E’ comprensibile.»
Aggrottò le sopraciglia. Non era questa la risposta che si aspettava. Un sorriso spuntò dalle sue labbra, scuoteva il capo.
«Sei del tutto incomprensibile, per me.» Rialzò lo sguardo nel mio. «Io ti dico che ho passato degli anni ad uccidere umani e tu mi rispondi che è comprensibile. Ma se tu rischi, da neonata e durante la caccia, di attaccarne uno o due è il finimondo!»
«Erano tutti mostri.»
Alzò gli occhi al cielo, un gesto che gli avevo visto fare così tante volte in quei pochi giorni. Lo ripeteva spesso, quasi quante volte passava una mano tra quella zazzera perennemente scompigliata.
«Erano solo queste le tue domande?»
Non mi lascio rispondere anzi, riprese sorridendo arrogante.
«Bene, allora tocca di nuovo a me. Un po’ tu e un po’ io, parole tue.» Il sorrisetto sghembo non abbandonò il suo volto.
«Parlami di Jacksonville, cosa c’è di tanto bello da fartela amare più di Forks?»
«Gli abitanti della Florida, ecco cosa c’è a Jacksonville!» Stavo prendendo le sembianze di una bambina di cinque anni, ormai era evidente. Lui mi inchiodò con il suo sguardo di oro puro e io non riuscì a resistergli. Gli raccontai quanto quel paesaggio arido e afoso esercitasse un fascino irresistibile per me, di come ai miei occhi fosse meraviglioso, pur così poco ricco di vita. Di come mi ero sentita sempre protetta dalle montagne e dagli alti piani rossicci del mio stato.
«Qui c’è troppo verde, decisamente.»
Mi aveva ascoltata attentamente, senza smettere di osservarmi. Per un attimo mi chiesi come dovessi apparire ai suoi occhi. La nuova arrivata, la vampira continuamente assetata e allo stesso tempo nauseata dal sangue. Ero un controsenso continuo. In più, stando al suo punto di vista, il mio modo di pensare era totalmente assurdo. Eppure, per qualche altrettanto assurdo motivo, pareva affascinarlo.
Si lasciò cadere all’indietro, sul divano bianco. Senza che neppure me ne fossi resa conto avevamo raggiunto la mia stanza, tanto mi era già divenuto familiare la casa.
Mi sorrise. «Ho capito, ho capito. Hai bisogno di aiuto per biologia?» Ecco un’altra passione che avevamo in comune, oltre la musica classica e la lettura. Non che da umana passassi il mio tempo libero a giocare al piccolo chimico, ma biologia era una delle materie che mi veniva più semplice apprendere. E ora, grazie anche alla mia nuova mente potenziata, potevo comprenderla e studiarla molto più velocemente. Quindi no, non avevo bisogno di aiuto. Eppure, ogni volta che mi chiedeva se volessi una mano per studiare, accettavo.
Avevamo preso a passare gran parte del tempo assieme. Il pomeriggio, tra una lezione di biologia e l’altra, lui andava avanti con le sue domande e io non potevo fare a meno di rispondergli. Non era umanamente, e inumanamente, possibile dire no a quello sguardo d’ambra. Anche durante la notte non ci separavamo. Di solito ci allontanavamo dalla villa quel tanto che bastava per lasciare privacy alle coppiette. Non che avessi mai avuto conferma dei racconti di Edawrd, ma meglio non rischiare. Solitamente ci rintanavamo su qualche ramo particolarmente alto, oppure facevamo corse di velocità, che puntualmente vinceva lui. Una volta o due mi aveva anche portata a caccia, il che in teoria non era granché come idea, dato che ci sarebbe voluto ben più di un solo vampiro per placare la furia di una neonata assetata. Nonostante ciò cacciare fianco a fianco era qualcosa di stranamente rilassante. La sua presenza aveva uno strano potere tranquillizzante su di me, d’improvviso la vampira veniva messa a tacere e lasciava spazio a Bella. Per non parlare del fatto che Edward durante la caccia era estremamente sexy, una delizia per gli occhi.
«Mh, sì. Siamo rimasti alla mitosi.» Risposi.
«Aspetta un attimo.» E davvero non dovetti aspettare più di un momento. A velocità vampiresca si precipitò fuori dalla porta e il secondo dopo già se la chiudeva alle spalle. Stringeva nella mano sinistra un oggetto bianco di forma piuttosto particolare, che riconobbi subito come un microscopio. Un microscopio molto potente, a giudicare dal design laboratorio-nasa-sezione-protetta. Ma a Edward non pareva importare, lo teneva dalla parte inferiore degli oculari, nemmeno fosse un giocattolino.
«Oggi si fa lezione pratica, collega.»
«Perché avete un microscopio del genere, in casa?»
Allontanò la domanda con una scrollata di spalle. Ma forse non mi sarei dovuta stupire date le conoscenze dei Cullen su ogni campo esistente al mondo.
Posizionò l’oggetto al centro della mia scrivania e si accomodò sulla sedia accanto a me. Ormai, data l’abitudine di studiare insieme, la sedia della sua stanza era stata trasferita nella mia. Con la mano che non reggeva il microscopio aveva portato dei vetrini e una cipolla.
«Oh, vuoi analizzare l’epitelio della cipolla. Capito.»
Accennò una riverenza con il capo.
«Prima le signore, mademoiselle.»
«Lei è molto gentile, monsieur.»
Perché il sorriso che mi rivolse fu così sconvolgente?
Sistemai un vetrino sotto il microscopio e misi a fuoco l’ingranditore. Non mi ci volle più di una frazione di secondo per dichiarare il responso. «Profase.»
«Permetti che dia un occhiata?» Di nuovo il sorrisetto impertinente.
«Perché, pensi che mi sia sbagliata?» Eravamo entrambi chini sulla scrivania, le nostre teste quasi si sfioravano. Rendermene conto mi causò una strana stretta allo altezza dello stomaco.
Mi lanciò una veloce occhiata divertita da sotto le lunghe ciglia e si avvicinò al microscopio per esaminare il vetrino. «Profase.»
«Proprio come ho detto io.» Fu il mio turno di sorridere impertinente.
Sostituì il vetrino e si chinò nuovamente sul microscopio, poi me lo avvicinò.
«Ecco, controlla questo.»
Lo osservai e diedi il responso il più rapidamente possibile. «Anafase.» Allungai una mano, senza guardarlo. «Prossimo?» Posizionai il vetrino che mi aveva passato e gli diedi una veloce occhiata.
«Interf… »
«Hai già fatto questo esperimento, vero?» Mi interruppe prima ancora che riuscissi a pronunciare il mio responso. Alzai lo sguardo. Mi osservava attentamente, le labbra assottigliate in una linea dritta. Non mi chiese nemmeno di poter verificare che la mia risposta fosse giusta.
«Potrebbe essere, non ricordo esattamente…» Che frequentassi un corso di biologia avanzata, a Phoenix, lo ricordavo benissimo invece. Ma come spiegargli che semplicemente ogni scusa era buona per passare del tempo con lui quando nemmeno io capivo il perché di tale desiderio?
«E perché, allora, mi chiedi sempre aiuto?» No, la domanda era: perché su quel suo visetto d’angelo si stava formando il solito, irriverente mezzo sorriso? Seppi che se fossi stata umana la mia faccia sarebbe andata a fuoco per l’imbarazzo. Beccata.
«In realtà sei tu che mi chiedi ogni giorno se mi va di studiare biologia insieme.»
«E tu, per non offendermi, accetti sempre. Dico bene?»
«Per l’esattezza.» Decisamente quella scusa era patetica. Dovette pensarlo anche lui, perché il sorrisetto arrogante non abbandonò il suo volto, anzi.
Si alzò e riprese microscopio e vetrini.
«Per oggi abbiamo finito. Magari, se continuerai a essere tanto gentile, potremmo studiare comunque assieme biologia.» Annuì, decisamente a corto di parole. A velocità vampiresca uscì dalla stanza, per riportare tutto a posto.
Decisi che era il caso di evitare nuove figuracce, così scesi di sotto.
Trovai buona parte della famiglia intenta nelle solite attività pomeridiane e serali. Zapping alla televisione, partita a scacchi, lettura di libri e riviste di ogni genere. Mi guardai intorno, Carlisle non era ancora rientrato. Alice, dopo aver stracciato per l’ennesima volta Jasper a scacchi, mi si avvicinò.
«Ehi, sorellina. Ti sei divertita oggi?»
Emmett, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla tv, rispose per me.
«Esme dice che ha passato tutta la mattina sui libri, come credi che possa essersi divertita? E tra l’altro pure da quando siamo tornati non ha fatto altro che studiare biologia.» Sbuffò, ma un inquietante ombra di sorriso aleggiava sulle sue labbra. «Per non parlare del fatto che Edward, per quanto si impegni, non riesce nemmeno a flirtare decentemente.» Sgranai gli occhi per la sorpresa e rimasi impalata al centro del salone. Emmett sbuffò nuovamente, questa volta il suono era apertamente divertito.
«Ma Bellina, credi che nessuno si sia accorto che passate ogni attimo disponibile assieme? E noi siamo vampiri, hai presente? Super udito e compagnia. Beh, potresti trovarti una scusa migliore per rapire Eddy ogni pomeriggio. La biologia è roba vecchia.» Decisamente quella conversazione, o meglio monologo dato che non avevo ancora aperto bocca, stava diventando imbarazzante.
«Piantala Emmett. Lo scherzo è bello quando dura poco, te l’hanno mai detto?» Edward aveva disceso la scalinata che portava in salotto e ora fissava truce suo fratello. Dalle sue parole sembrava che quella non fosse la prima volta che ne discutevano. Di male in peggio, non c’è che dire.
Dalla televisione arrivò la voce chiara e bassa della conduttrice di un telegiornale. Informava, con poche parole, che le forze dell’ordine cercavano ancora i due passeggeri dispersi del volo diretto a Seattle precipitato due settimane prima. Passò poi ad un’altra notizia, questa volta non ci fu alcun servizio dei reporter.
Il silenzio era precipitato nella sala, gli sguardi puntati alla TV.
«Tutti parlano di te, a scuola.» Alice, che non si era spostata dal mio fianco, parlò. «Di te, di tuo padre, di tutto l’accaduto.» Non sembrava particolarmente addolorata, triste e dispiaciuta per me sì, ma niente di più. Mi resi conto che probabilmente per loro non era poi così strano dover fingere di essere morti, di tanto in tanto.
Di mio padre. Queste parole continuarono a rimbalzarmi in testa, ripetendosi all’infinito, come una strana cantilena. Si bloccarono solo quando, senza nemmeno rendermene conto, presi una decisione.
E questo è quanto. ^^
Se c'è ancora qualcuno disposto a leggere la storia, senza possibilmente trucidare l'autrice qui presente, avrà l'ottavo capitolo entro settimana prossima.
Vi amo taanto, ricordatelo :3
*scappa via terrorizzata* |
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
Salve
gente ^^
Scusate
per il leggero ritardo, avrei dovuto postare ieri ma una
persona a me vicina ha avuto un grosso problema e questo mi ha impedito
di terminare e pubblicare il capitolo.
Un
enorme grazie alle ragazze che, nonostante tutto, hanno recensito lo
scorso capitolo *sparge cuoricini*, ai lettori silenziosi e a tutti i
nuovi arrivati che hanno inserito la storia tra
preferite/seguite/ricordate.
Senza ulteriori indugi vi lascio al capitolo,
ci
leggiamo alle note finali. uu
Capitolo VIII
Il sole, quella
mattina, non voleva saperne di restare pigramente nascosto dietro le
nuove come
da routine. Alice, ovviamente, l’aveva previsto ed era stata
organizzata una
caccia in grande stile per il giorno e quello seguente, troppo luminosi
per
permetter loro di mostrarsi agli umani.
Sdraiata
sul
divano del salone, le gambe mollemente distese al mio fianco, lasciavo
che i
raggi solari passanti per le enormi vetrate lambissero e riscaldassero
la mia
pelle. Era una sensazione piuttosto particolare, simile ai raggi del
sole sulla
pelle umana, ma mille volte più potente. Avvertivo la calura
come mai prima mi
era capitato, pareva quasi scottare, mi trapassava la pelle gelida fino
alle
ossa. Eppure non era doloroso, anzi, piuttosto piacevole. Allo stesso
tempo
però, per quanto avvertissi il raggi solari scottanti, il
loro calore non
riusciva a riscaldarmi davvero. Esattamente come capita ad una lastra
lasciata
ore e ore al sole, abbandona la sua abituale freddezza, ma non
potrà mai
diventare davvero calda.
Alice
mi passò
accanto, avvertì lo spostamento d’aria al suo
passaggio. Socchiusi gli occhi.
La vidi, attraverso le ciglia, osservarmi per un momento. Quando si
rese conto
che anch’io la stavo guardando mi rivolse un sorrisetto
allegro e impertinente.
«Alice,
piantala.
Sai che è fastidioso.» Edward comparve in cucina,
indossoava una tuta da
ginnastica scura. In realtà tutti si erano vestiti con abiti
comodi, di
tonalità più o meno scura. Abiti elastici, ottimi
per i movimenti, perfetti per
la caccia. Beh, tutti tranne Alice, ovviamente. Lei non aveva certo
rinunciato
ai suoi jeans scoloriti ad arte, a una camicetta chiara elegante e a
scarpe con
tacco vertiginoso.
«Non
so di cosa
tu stia parlando, Edward.» Decisamente, Alice sapeva di cosa
il fratello stesse
parlando.
«Del
fatto che
sono ore e ore che traduci l’inno nazionale americano in
tutte le lingue. E,
per la cronaca, in arabo non ha esattamente una gradevole
musicalità.»
Seguivo
quello
scambio dal divano, gli occhi ancora socchiusi, beandomi del calore del
sole di
mezzogiorno.
Edward
mosse
qualche passo in avanti, verso Alice, uscendo dall’ombra
proiettata da una
delle credenze della sala. Dal canto suo, la piccola vampira
attraversò la
porta d’ingresso e andò a rifugiarsi in giardino.
Il
fascio di luce
lo investì e la sua pelle prese a brillare. Ero
perfettamente a conoscenza degli
effetti dei raggi solari sui vampiri, li avevo visti sia su di me sia
su
Carlisle, ma su Edward erano mille volte più sconvolgenti.
Potevo dire con
assoluta certezza che in quel momento fosse la più bella
creatura che avesse
mai camminato su questa Terra. Era impossibile distogliere lo sguardo
dal
meraviglioso scintillio della sua pelle, i tratti da bambino messi in
risalto dallo
sfavillare dei raggi solari. Era impossibile distogliere lo sguardo.
Osservai
il suo
capo voltarsi e gli occhi concentrarsi sulla mia figura. Ci mise
qualche
secondo a rendersi conto che anche io lo stavo guardando, decisamente
troppo
tempo per un vampiro. Per un attimo mi passò per la mente
l’idea che anche lui
non riuscisse a togliermi gli occhi di dosso.
Voltò
le spalle e
si allontanò nuovamente su per le scale. E ora che diavolo
succedeva?
Alice,
o meglio
la sua testa e una sua mano aggrappata alla porta, ricomparvero oltre
la soglia
di casa. Mi sorrise sorniona e fuggì nuovamente.
Era
dalla sera
precedente che mi lanciava sorrisetti obliqui ogni qualvolta ci
trovavamo
faccia a faccia. Le avevo chiesto cosa stesse succedendo, ma in
risposta avevo
ricevuto solo la visione della sua schiena che si allontanava.
Vedendo
Rosalie
entrare nella stanza mi misi immediatamente seduta, la schiena rigida.
Un
piccolo soldatino sull’attenti.
«Stiamo
andando.» Meravigliosa
come sempre nella
sua tuta color del ghiaccio non potei fare a meno di sentirmi
inferiore, ancora
una volta. E a disagio, dato che il colore dei suoi abiti rispecchiava
la sua
espressione. Per lo meno il tono era garbato e le iridi dorate non
cercavano in
alcun modo di fulminarmi. A piccoli passi Bella, a piccoli passi.
Ma
questo non
spiegava certo perché venisse a dirmelo proprio lei.
«Carlisle
mi ha
chiesto di avvisarti, se non te ne fossi accorta siamo tutti
già fuori.»
Mistero svelato.
«Sì,
arrivo
subito.» Mi affrettai ad alzarmi e in una frazione di secondo
ci trovammo
entrambe nel giardino sul retro.
Tutti
i Cullen ci
aspettavano al limitare del bosco.
«
Bene ragazzi,
ora che ci siamo tutti qui, dettiamo un paio di importanti
regole.» Perché
avevo la strana sensazione che si stesse rivolgendo solo a me?
«La prima: non
allontanatevi troppo dal gruppo, si caccia a poche centinaia di metri
gli uni
dagli altri. La seconda: ovviamente assicuratevi che non ci siano umani
nelle
vicinanze. E terzo» questa volta si rivolse apertamente ad
Emmett «per favore,
un po’ di rispetto per l’ecosistema locale. Emmett,
non vogliamo portare degli
animali all’estinzione, vero?» Domanda
più che retorica, alla quale il mio
nerboruto fratello rispose con uno sbuffo divertito.
«Abbiamo
solo un
giorno e mezzo a disposizione, quindi non ci allontaneremo troppo.
Giusto una
cinquantina di chilometri, così saremmo in grado di tornare
a casa velocemente.»
«E
all’ospedale,
non è vero Carlisle?» Jasper ridacchiava sotto i
baffi.
Sul
volto di
Carlisle si dipinse un sorriso bonario. «Proprio
così, Jazz.»
«Possiamo
andare.»
Correvamo
fianco
a fianco e più ci inoltravamo nei boschi più la
distanza tra noi aumentava. Gli
alberi si facevano sempre più alti, la vegetazione
più fitta e la fauna sempre
più numerosa.
Nessuno
si era
disturbato a chiudere la porta sul retro, ma in fondo non era poi
così strano.
Alice di certo non aveva visto tentativi di scasso
nell’immediato futuro.
Alice.
Come
diavolo
avevo fatto a non pensare a lei? Avevo preso una decisione e lei di
certo
l’aveva visto. Nel momento esatto in cui, la sera prima,
un’idea aveva preso
forma nella mia mente il mio sguardo aveva incrociato quello di Alice.
Edward
le aveva chiesto cosa stesse succedendo, ma lei gli aveva risposti con
una
scrollata di spalle.
Ecco
cosa stava
nascondendo. Come faceva Alice a impedire a Edward di leggerle il
pensiero? Ma
domanda ben più importante: perché lo stava
facendo?
Mi
fermai. Non
avvertivo più Jasper e Edward, che mi stavano ai fianchi
all’inizio, nelle
immediate vicinanze. Rimasi in silenzio, in ascolto del mondo
circostante.
Niente. Evidentemente erano andati avanti e nessuno si era accorto
della mia
assenza.
Era
il momento
giusto. Mi voltai e presi a correre il più velocemente
possibile al ritroso. Di
nuovo osservai la vegetazione attorno a me modificarsi, la foresta
diradarsi
sempre più, fino a lasciar spazio al bosco che, a sua volta,
diventava sempre
meno fitto.
Superai
il fiume
e mi ritrovai nuovamente nel giardino di casa Cullen. Non mi fermai.
Continuai
la mia corsa verso Forks, mantenendomi comunque al limitare del bosco,
protetta
dalla fitta ombra degli alberi. A dirla tutta non ero esattamente certa
di
quale direzione dovessi prendere, non ricordavo di aver mai
attraversato i
boschi per tornare
a casa da bambina,
perciò mi limitai a seguirne il confine. Ero però
certa che si trovasse in
periferia, al confine con il bosco. Prima o poi sarei arrivata.
Ricordavo
bene.
Un piccolo stabile bianco si ergeva solitario a pochi metri dal fitto
del
bosco, in periferia rispetto al resto della cittadina. Era una casa di
modeste
dimensioni, su due piani. Semplice e familiare. Ricordavo con certezza
che
conteneva due stanze da letto e un solo bagno. Io e Charlie eravamo
costretti a
condividerlo. La cucina e un piccolo salotto stavano al piano terra, le
stanze
e il bagno a quello superiore.
Mi
avvicinai il
più possibile all’edificio. Salii
sull’albero più vicino al giardino sul retro,
che distava sì e no pochi metri dalla staccionata, e mi
sedetti su un ramo di
media altezza. Da quella postazione godevo di un’ottima
visuale. I portelloni delle
finestre erano aperti, ma dall’interno non proveniva alcun
rumore. Charlie non
c’era. Potevo chiaramente vedere oltre le finestra della
cucina e del minuscolo
salotto. Tutto era rimasto uguale. Anche il giardino non era cambiato,
un piccolo
fazzoletto di prato senza alcuna pianta particolare.
Attesi
lì il suo
ritorno.
Fu
strano. Non mi
resi conto delle ore che passavano finché non
avvertì il rompo di un auto che
costeggiava sul vialetto. Il sole, ormai, stava calando
sull’orizzonte.
Charlie
fece il
suo ingresso in casa, avvertì il portoncino sbattere, e
andò direttamente in
salotto. Qui accese la tv e si sdraiò comodamente sulla
poltrona. Anche dal
punto in cui mi trovavo potevo sentire il suo cuore caldo e umido
pompare
sangue in tutto il corpo. Il bruciore alla gola tornò,
prepotente. Non avevo
cacciato prima di andare da lui ed erano diversi giorni che non mi
nutrivo.
Forse non era stata una grande idea. Oltre la forza di
volontà, la razionalità –
e il vento favorevole – qualcos’altro mi spingeva a
restare saldamente ancorata
a quel ramo. L’affetto che avevo provato per mio padre
durante la vita umana
non era sparito. Certo, nessuno dei due era mai riuscito a dimostrarlo
davvero,
eppure eravamo sempre stati consapevoli dell’esistenza di
quei sentimenti.
Come
il battito
del suo cuore, potevo sentire anche il rumore prodotto dalla tv. Era in
onda un
telegiornale, eppure ricordavo che Charlie guardasse solo programmi
sportivi.
Lo ascoltava attentamente, l’espressione del volto
concentrata, le sopraciglia
corrugate. Dopo una manciata di minuti la giornalista
congedò il pubblico e
partì la solita sigla finale.
Charlie
cambiò
canale, di nuovo un telegiornale. Lanciò una fugace occhiata
alla parete al suo
fianco, parallela a quella della finestra. Vi erano innumerevoli foto,
tutte
avevano come soggetto la stessa ragazza, immortalata in età
diverse. Quando,
per la terza volta, scelse come programma un notiziario compresi che
stava
aspettando un particolare servizio. Uno su di me e sul mio incidente.
Andò
avanti così
per un po’, poi si alzò e scomparve oltre la porta.
Un
improvviso
spostamento d’aria alla base dell’albero mi
portò un dolce profumo di lillà e
sole. Si sedette accanto a me, in silenzio. Attese qualche istante
prima di
parlare.
«È
tanto che ti cerco,
sai?»
Continuai
a
tenere lo sguardo puntato in direzione della casa. Charlie trafficava
in
cucina, improvvisava una cena a base di toast. Aprì il
frigo, probabilmente in
cerca degli insaccati.
«Come
hai fatto a
trovarmi?»
«Esme
ha pensato
fossi tornata a casa.» Fece una pausa. «Serve del
tempo per abituarsi all’idea
di averne una nuova. E tu non ci sei ancora riuscita.» La sua
voce era
estremamente malinconica. Di nuovo non lo guardai quando parlai.
«Venivo
qui ogni
estate, passavamo insieme un mese. Poi all’età di
quattordici anni mi stufai,
deve averne
sofferto.» Non riuscì a
pronunciare né ‘papà’
né ‘Charlie’, ma Edward capì
ugualmente. «Finalmente
avevo deciso di venire a vivere con lui, era il suo sogno. E ora
è finito
tutto.» Improvvisamente tutto il malessere e il dolore che
provavo si aprirono
un varco nella mia maschera di apatia. Mi voltai finalmente verso di
lui,
disperata. «E’ tutto finito, capisci? Non
potrò più andare a vivere con lui,
non potrò più instaurare quel rapporto con mio
padre che ho sempre desiderato.
Non potrò abbracciarlo e dirgli che mi dispiace
perché lui mi crede morta e io
sono troppo pericolosa per lui! Mi amava e io non gli ho mai detto che,
nonostante tutto, gli volevo bene anch’io! » Senza
alcun preavviso due braccia
forti, marmoree, mi cinsero la vita. Posai il capo sul suo petto.
Singhiozzavo.
Il senso di colpa, la frustrazione, il dolore e la rabbia per una vita
che non
avevo scelto, che ero stata costretta ad accettare per un brutto
scherzo del
destino, si erano riversate fuori. Edward mi stringeva a sé
con forza, eppure
la sua presa era estremamente gentile. Con una mano mi accarezzava
dolcemente i
capelli. Attese che i singhiozzi si fossero calmati prima di parlare.
«Non
usare il
passato, ti ama ancora. Ti amerà sempre.» Mi
lasciai cullare dalle sue braccia
per un tempo che parve infinito.
«Sta
soffrendo
molto, vero?» Sapevo che, anche da quella distanza, Edward
era in grado di
sentire i suoi pensieri. E di conseguenza le sue emozioni.
«Con
il tempo starà
meglio. Gli umani tendono a dimenticare la sofferenza. Se non lo
facessero ne
morirebbero, sono troppo fragili. Per quelli come noi è
diverso. »
I
singhiozzi
erano terminati, la crisi era passata proprio come era arrivata. Eppure
Edward
non mi lasciò andare, continuava a tenermi stretta a
sé e ad accarezzarmi i
capelli. E di certo io non mi sarei scostata. Pure in quella situazione
di
dolore, una parte di me non poteva che imbarazzarsi e…
gioire di quella
vicinanza. Stavo così bene tra le sue braccia.
«I
miei genitori
furono uccisi dalla spagnola.» Non mi aspettavo che
riprendesse a parlare. E, a
giudicare dalla pausa che seguì queste parole, nemmeno lui.
Rimasi in silenzio,
il volto premuto contro il suo petto, in attesa che continuasse.
«
Anch’io ci misi
un po’ ad accettare la situazione. Insomma, la mia nuova vita
mi imponeva di
allontanarmi dalla mia città, da tutto ciò che
conoscevo e da chi mi era stato
accanto. Non potevo nemmeno avvicinarmi alle persone perché
ero troppo pericoloso,
vivevo solo con Carlisle.» Di nuovo un’altra pausa.
Questa volta lo sentì
sospirare. «In più non riuscivo a capacitarmi
della morte dei miei genitori,
mentre io iniziavo una nuova vita. Perché io sì e
loro no? Come te, anch’io
avevo un rapporto molto speciale con mia madre. Mio padre era un
avvocato di
successo, passava la maggior parte del tempo fuori casa. Certe volte
non ci
vedevamo per mesi.» Inclinai leggermente il capo verso
l’alto, per osservare
Edward. Lo sguardo era rivolto ad un punto indefinito
dell’orizzonte, perso nei
ricordi.
«Era
il centro
del mio universo. Non era la mia migliore amica.» Di nuovo il
sorriso sghembo
da infarto. «No, era mia madre, e non le potevo nascondere
nulla, né lo volevo.
Era… davvero troppo per me. Non riuscivo ad accettare
l’idea che non ci fosse
più, che non l’avrei più rivista, che
io stessi bene mentre lei… Lei era morta.
Devo ammettere che, soprattutto il primo periodo, superate le prime
settimane
di sete incontrollabile, provavo un certo rancore nei confronti
del… destino, penso
si possa chiamare così. Ciò che era accaduto non
era giusto, per niente. Non
capivo perché a me era stata risparmiata la vita e a lei no.
In segreto serbavo
risentimento anche nei confronti di Carlisle.
«Poi
un giorno
saltò fuori l’argomento e diedi sfogo a tutta la
mia rabbia e al mio dolore.
Mio padre» sorrise, pronunciando quelle parole «mi
raccontò che fu mia madre a
chiedergli di trasformarmi. In realtà non gli disse proprio
così, ma gli prese
la mano e gli chiese di fare quello che agli altri non era permesso,
per me. In
un primo momento Carlisle si spaventò, temette che quella
donna, non seppe mai
in quale modo, avesse scoperto la sua vera natura. Ma mia madre
morì un’ora
dopo e lui scelse di esaudire il suo ultimo desiderio.» Di
colpo tornò al presente
e, chinando il capo verso di me, riprese a parlare. «Il succo
del discorso è
che, Bella, per quanto si tratti di situazioni totalmente opposte, sia
mia
madre sia tuo padre sono dei genitori. Mia madre voleva che continuassi
a
vivere, in un modo o nell’altro. Non le importava se la mia
vita si sarebbe
svolta lontano da lei, né in quale modo l’avrei
condotta. Voleva semplicemente un’altra
possibilità, per me. Non credi che per tuo padre sia la
stessa cosa? Se sapesse
che continui a vivere, anche se lontano da lui e da tua madre, non
pensi
sarebbe comunque felice?»
Era
una domanda
retorica, io stessa non avevo minimamente bisogno di riflettere tanto
per
capire quale fosse la risposta.
«Lo
so, hai ragione.» A Charlie e Renée sarebbe
bastato sapermi
ancora viva per essere felici, ma il problema stava proprio nel fatto
che non sarebbero
mai venuti a conoscenza della mia seconda vita.
Sospirai
e il mio
respiro si infranse contro le sue labbra.
Prima
non mi ero accorta di quanto fossimo vicini, i nostri volti
erano ad un soffio l’uno dall’altro, i nostri
sguardi incatenati. Anche lui
dovette rendersene conto, perché d’un tratto
rafforzò la presa sulla mia vita e
qualcosa nei suoi occhi cambiò. L’ambra, resa
lucente e senza ombre dalla recente
caccia, aveva assunto uno sfumatura calda, infinitamente dolce.
Mi
aveva incantata, allontanarsi era impossibile. Sarebbe bastato
un minimo movimento perché i nostri nasi si toccassero, per
poi essere seguiti
dalle labbra… Mi ritrovai a desiderare quel contatto con
tutta me stessa e,
nemmeno si trattasse di un’illuminazione divina,
capì cosa mi stesse
succedendo.
Edward
mi piaceva, e anche tanto. Ormai ero diventata dipendente dal
suo sguardo, dal suo profumo, dalla sua presenza. Ero totalmente
intossicata,
quando c’era lui intorno non riuscivo ad essere totalmente
razionale. Oppure,
in altri momenti, era l’unico che riusciva ad aiutarmi nella
mia nuova vita. Come
in quel momento, ad esempio. Avevo totalmente dimenticato dove fossi e
perché. Lentamente
si avvicinò, i nostri nasi si sfiorarono.
Un
rumore di vetri infranti invase l’aria.
Aprì
gli occhi, non mi ero accorta di averli chiusi. Edward
lasciò
la presa sulla mia vita e allontanò lo sguardo. Esattamente
ciò che feci io, in
totale imbarazzo.
(LOL,
trollate)
Guardai
verso la casa, Charlie aveva semplicemente rotto un
bicchiere, ma per il nostro udito era un suono fin troppo udibile.
Restammo in
quella posizione per non so quanto tempo, lui addossato al tronco e io
che
fissavo ostinatamente mio padre addentare un panino e risedersi sulla
sua
poltrona.
Edward
si schiarì la gola «Credo che sia il momento di
tornare a
casa, devo chiamare Carlisle per avvisarlo che ti ho trovato. Erano
tutti
preoccupati.»
Gli
rivolsi finalmente lo sguardo e annuì, per poi tornare a
guardare verso la casa. Charlie aveva riacceso la tv, questa volta su
un
programma sportivo e gustava il suo panino. Diedi un’ultima
occhiata alle mie
foto appese alle pareti.
Phil
avrebbe aiutato mia madre a superare tutto. Charlie era
forte, aveva sempre tirato avanti da solo, ce l’avrebbe fatta.
Mi
alzai e, con un balzo, raggiunsi Edward alla base dell’albero.
Non
mi voltai più indietro.
Addio,
papà.
Mh,
*coff coff* piaciuto lo scherzetto? u.u
E
ora due noticine giusto per rompervi un po' le scatole e darvi qualche
noiosa spiegazione in più sulla fic.
Alors,
questo capitolo, nella mia originale idea di trama, non ci sarebbe
dovuto essere. Bella si sarebbe dovuta fregare bellamente della sua
vita umana e avrebbe dovuto proseguire in tutta tranquillità
(e voglia di far fuori un po' di gente) la sua nuova esistenza.
Però poi, dopo aver scritto il settimo capitolo, mi sono
resa conto che non avrebbe avuto senso. Tutti i Cullen, nella prima
fase neonatale per lo meno, erano stati legati alle loro precedenti
famiglie, quindi perchè far passare Bella per un'insensibile
priva di memoria? Per non parlare del fatto che, dato che siete tutte
così estasiate dall'idea di vedere 'sti due combinare
qualcosa, ho colto l'occasione per trollarvi di brutto. Peace and love
<3
Inoltre
ora Bella si è finalmente lasciata alle spalle la sua vita
umana e può iniziare a vivere davvero, e solamente, la sua
nuova esistenza. Si è in un certo senso evoluta.
Okay,
ho finito, a sabato prossimo belle!
Non volete uccidermi, vero? <3
Ps. in serata risponderò alle recensioni. ^^
|
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
Capitolo 9
Salve!
Sono
passati altri nove mesi, lo
so. Le motivazioni sono sempre le stesse, scuola, casini personali,
scuola e
scuola.
Cos’altro
posso dire? Mi dispiace
tantissimo, perdonatemi.
Vero
Capitolo IX
(Bella)
Chiusi
le ante della cabina armadio con una lieve pressione della mano. Mi ero
cambiata d’abiti, pur non avendoli sporcati e senza essere
andata a caccia. Il
perché non lo capivo nemmeno io. Appena tornata a casa avevo
sentito il bisogno
di rintanarmi un po’ nella mia stanza, in solitudine. Avevo
perfino fatto una
doccia, giusto per rispettare la vecchia abitudine di lasciare che
l’acqua
calda lavasse via qualsiasi preoccupazione. Mi ero avvolta
nell’asciugamano e
poi avevo frizionato i capelli e li avevo pettinati, lasciandoli
leggermente
umidi.
Mi
ritrovai a riflettere anche se, a dirla tutta, non avevo mai smesso di
farlo da
quando avevamo lasciato la casa di Charlie. Era
strano come, dopo aver preso la decisione di mettere la parola
‘fine’ alla mia
esistenza umana, questa mi apparisse distante, quasi vissuta da qualcun
altro.
Sembrava
quasi che il pomeriggio appena terminato fosse lontano anni, non poche
ore.
La
nebbia che avvolgeva i miei ricordi si era fatta più
compatta, quasi solida.
Potevo scegliere di allontanarla e immergermi nei ricordi, nelle
emozioni e
nelle sensazioni della mia umanità, oppure tenere tutto
sigillato,
cristallizzato dietro un muro che le separava da tutto il resto.
Il
muro di nebbia fu definitivamente chiuso da dei suoni leggeri e
carezzevoli che
si diffusero nell’aria e che mi attirarono oltre la stanza,
verso il piano di
sotto.
Erano
note, note di una melodia.
Scesi
le scale lentamente, a velocità umana. Anche volendo non
avrei potuto muovermi
più velocemente: seguire un ritmo diverso rispetto alla
placida armonia di
quelle note ne avrebbe rovinato la perfezione.
Arrivai
in sala e non mi sorprese trovare Edward al pianoforte. Se non altro
perché, a
parte noi due, la casa era vuota. Mi avvicinai lentamente, fermandomi
dietro di
lui. Osservai le sue dita muoversi veloci e incredibilmente aggraziate
sui
tasti d’avorio.
Si
voltò un momento verso di me e mi fece cenno di sedermi
accanto a lui, sullo
sgabello.
Pareva
impossibile che una sola persona, un solo paio di mani, potessero
creare una
melodia tanto meravigliosa. Eppure Edward si dimostrava ancora una
volta capace
di tutto, troppo speciale per i limiti umani a cui ero ancora abituata.
Lentamente,
avvertì la musica cambiare, le note volteggiare sempre
più tenui, sempre più
basse, fino ad arrivare alla conclusione. Le dita di Edward,
però, non si
fermarono. Non vi fu alcuno stacco tra una melodia e la successiva,
semplicemente dove terminò l’una
terminò l’altra iniziò, come se fossero
due
parti di uno stesso intero, l’una conseguente
all’altra. Le note si fecero
ancora più avvolgenti, più calde e ricche di
sentimento. Andò in crescente, la
tenerezza, la dolcezza, la forza era espressi attraverso quei suoni.
Era una sequenza
perfetta di note e pause, un tripudio di suoni forti e deboli, acuti e
bassi,
perfettamente combacianti tra loro. Più andava avanti
più la melodia si faceva
dolce e struggente. Eppure, anche le note più alte e
passaggi più struggenti
trasmettevano una particolare sensazione di pace ed equilibrio
incontrastabile.
Le
note si susseguivano veloci e leggere, malinconiche e dolci.
Una
ninnananna, ecco di cosa si trattava.
Uno
spartito era ordinatamente posato sul piccolo leggio, ma lui non gli
prestava
attenzione.
Guardava
me.
Mi
scrutava attentamente da sopra la spalla, senza mai allontanare il suo
sguardo
dorato dalla mia figura. Io invece ero incantata dal movimento delle
sue dita,
veloci ed esperte, sui tasti d’avorio e alabastro.
Nella
parte alta dello spartito, al centro, v’era scritto
‘Bella’s Lullaby’.
La
grafia era elegante e svolazzante, molto simile a quelle delle firme
dei vecchi
documenti. Non c’era dubbio, era stata la mano di Edward a
tracciare le
eleganti lettere del titolo.
Bella’s
Lullaby.
Bella.
Quella sinfonia perfetta, dolce e melodiosa, portava il mio nome.
Quella
consapevolezza mi procurò un’ondata di
irrefrenabili emozioni: gioia,
lusinga ed esultanza si riversarono
nel mio stomaco, dando vita nuovamente a quella sensazione calda e
stringente
all’altezza del ventre.
Mi
resi conto solo in quel momento di cosa tutti intendessero con
l’espressione
‘farfalle nello stomaco.’
Le
mie c’erano già da un po’, ma non
l’avevo ancora realizzato.
Mi
voltai verso Edward, accennai con il capo agli spartiti. Sicuramente
non riuscì
a nascondere un accenno di sorriso compiaciuto.
«Questa»
ed era ovvio che si stesse riferendo alla melodia
«è dedicata ad una persona
molto speciale che, anche se non può più dormire,
spero saprà apprezzare
ugualmente una ninnananna. »
Non
aveva mai smesso di guardarmi, nemmeno mentre pronunciava le ultime
frasi. Il
suo tono si era fatta vellutato, esattamente come la melodia che era
giunta al
termine. L’espressione rilassata del volto sparì,
diventando più solenne.
Le
farfalle nel mio stomaco aprirono le ali e iniziarono a sbatacchiare
l’una
contro l’altra.
Si
voltò totalmente verso di me, le mani avevano lasciato lo
strumento e ora
stavano mollemente posate sulle sue gambe.
«Bella,»
le farfalle si esibirono in una capriola al sentire pronunciare il mio
nome.
«questa canzone è per te, ovviamente. Mi hai
ispirata e… Spero che possa
esserti di conforto nei momenti tristi.»
Non
sapevo che rispondere. Cosa si dice in casi come quello? Un
“grazie” sarebbe
stato decisamente troppo riduttivo.
Ma
anche volendo, l’effetto che esercitava su di me lo sguardo
di Edward mi
impediva di proferire sillaba. Poteva un vampiro incantarsi?
Perché io ero
totalmente persa nei suoi occhi d’ambra.
Lentamente
avvicinò il suo volto al mio. Avvertì il mondo
fermarsi, in quel momento avrei
potuto giurare che le lancette degli orologi si fossero fermate e che
anche
l’aria si fosse condensata. Lo vidi avvicinarsi sempre di
più, non allontanai
mai lo sguardo dai suoi occhi, incatenati ai miei. Quando le nostre
fronti si
sfiorarono lo avvertii esitare, la sua bocca a un soffio dalla mia.
Fu
la cosa più naturale del mondo eliminare
l’insignificante distanza tra di noi e
posare le mie labbra sulle sue.
Inizialmente
fu un lieve sfiorarsi, le sue labbra premevano dolci e incerte sulle
mie. Una
sua mano mi accarezzò la schiena fino a posarsi alla base,
attirandomi a sé.
Le
farfalle nel mio stomaco impazzirono, e io con loro.
Non
so esattamente cosa accadde dopo, ma nel giro di una frazione di
secondo mi
ritrovai seduta sulle sue gambe, le mani infilate in quella zazzera
rossastra.
Quant’erano morbidi e setosi i suoi capelli!
Mi
strinse maggiormente a sé, le mani che vagavano delicate
sulla mia schiena e
sulle braccia.
Schiusi
le labbra e lui approfondì immediatamente il bacio, come se
non avesse
desiderato fare altro da molto tempo.
Ero
totalmente assuefatta dalle sensazioni che stavo provando,
incredibilmente
amplificate dalla mia nuova natura. Non che da umana avessi avuto molte
esperienze simili, eppure – ne ero certa – prima
non sarei stata capace di
avvertire così intensamente le emozioni e le sensazioni che
quel bacio mi
provocavano. O forse sarebbe stato lo stesso se con me ci fosse stato
ugualmente Edward. Continuammo
a baciarci per un tempo che parve interminabile e allo stesso tempo
troppo
breve, avvinghiati stretti. Nuovamente l’irruenza cedette il
passo alla
dolcezza. Sfiorai lentamente i ciuffi rossicci sulla sua nuca e lui
portò le
mani a coppa sul mio viso, accarezzandomi le guance. Nella foga del
momento la
mia schiena era andata a scontrarsi con i tasti del pianoforte,
producendo
quindi un suono forte e cacofonico, decisamente poco adatto al momento.
Edward
allontanò di un soffio le sue labbra dalle mie e lo
avvertì sorridere su di
esse.
Il
suo sguardo d’oro ardente si fissò nel mio. Non
potevo sapere come fossero i
miei occhi o cosa trasparisse da loro, ma dentro di me sentivo le
stesse
emozioni che esprimevano quelli di Edward: emozione,
felicità e affetto.
«Edward»
sussurrai.
Le
farfalle del mio stomaco, intanto, continuavano svolazzare, causandomi
leggeri
brividi.
(Edward)
Mi
mossi veloce su per le scale, questa volta reggendo tra le braccia tre
mensole
di legno chiaro che io ed Emmett avremmo montato nella camera vuota
accanto
alla mia. Vuota ancora per poco, a dire il vero.
Tutti
erano in fibrillazione per l’arrivo del nuovo membro della
famiglia ed erano
ormai cinque giorni che progettavamo la sua stanza, modificavamo i
mobili
secondo le previsioni di Alice e poi li rimontavamo. Esme, dal canto
suo, non
smetteva di agitarsi e di brontolare per il totale disastro che avevamo
creato.
“E se arrivassero tra pochi minuti? Penserebbe che siamo
degli animali,
incivili e soprattutto affetti da disordine cronico. Ah, povero
Carlisle, che
imbarazzo sarebbe per lui. E che delusione per me!” A nulla
erano servite le
rassicurazioni sul fatto che se Carlisle fosse tornato con la giovane
vampira
Alice l’avrebbe visto. Esme odiava la confusione.
«Il
folletto ha detto che il divano deve stare sulla parete di destra o di
sinistra?» Una volta nella stanza trovai Emmett che teneva in
braccio il divano
a tre posti, nel centro della stanza.
«A
destra, mi pare. È stata Esme ha deciderlo,
però.» Poggiai al muro le assi e mi
avvicinai alla parete bianca sui cui avrei dovuto fissarle, per
calcolare
l’altezza giusta.
«Quindi,
oltre che per l’ordine, ora Esme si farà venire
una crisi isterica se metto il
divano a sinistra?» Emmett era a dir poco
divertito dall’insolita ansia di
nostra madre, solitamente così attenta e impeccabile.
Ridacchiai.
«Forse.
Ma non sarebbe per niente cortese verificare tale
supposizione.»
Annuì
e, il ghigno divertito ancora sulle labbra, addossò il
divano alla parete
giusta, strisciando volutamente i piedi sul pavimento.
«Emmett,
disgraziato! Il parquette!» L’urlo strozzato di
Esme arrivò da due piani più in
basso.
Ridemmo
entrambi, senza smettere di dedicarci alla nostra recente occupazioni
di
arredatori d’interni.
«Alice
ha detto quando la ragazza arriverà?»
«Non
ancora, finché Carlisle non prende una decisione non lo
può vedere.»
Da
quando Alice era piombata in stato di trans nel bel mezzo
dell’ora di
letteratura inglese, pochi giorni prima, non facevamo altro che cercare
di
prevedere come sarebbe stata la nuova ragazza. Il suo arrivo aveva di
gran
lunga smorzato l’apatia che la minuscola Forks trasmetteva.
«Ma
non potrebbe almeno chiamare e farci sapere qualcosa? Insomma, due
minuti per
dirci che è riuscito a salvarla e farci sapere che il suo
nome è Isabella sono
informazioni troppo limitate.» Emmett sbuffò,
avvertivo il fastidio nei suoi
pensieri. Per quanto anche Rosalie, che odiava con tutta sé
stessa i
cambiamenti, fosse incuriosita dalla nuova ragazza, Emmett era di gran
lunga il
più impaziente tra noi.
«È
una neonata, Emm. Sai che Carlisle deve stare attento ad ogni suo
passo.»
I
suoi pensieri volarono a settant’anni prima, rievocando i
primi ricordi della
sua nuova vita. Compresi i primi omicidi e la voglia irrefrenabile di
sangue
umano.
Distolsi
lo sguardo dal mio lavoro, nel tentativo di allontanarmi anche da quei
pensieri
molesti.
“Scusa, fratello.”
Emmett scacciò
l’immagine della donna dal collo lacerato.
«Sì,
ma almeno un messaggio per dirci ‘Ehi, ragazzi! A Bella piace
tale cosa,
smettete pure di eseguire gli ordini disparati di quella psicopatica di
vostra
sorella e comprate questo e questo.’»
Scimmiottò la voce di Carlisle. «Non
sopporto più Alice e le sue scemenze.»
Brontolò.
Risi
nuovamente, anche se io stesso ero infastidito dai continui cambiamenti
di
Alice. Un giorno diceva che a Bella sarebbe piaciuta la camera lilla,
il giorno
dopo diceva che era meglio il rosa e qualche ora dopo che bisognava
modificare
l’intera struttura della stanza perché avrebbe
preferito le finestre rivolte
verso est invece che a ovest.
«Le
ho già detto che per il momento sarebbe meglio qualcosa di
più semplice, così
che poi sia la nuova inquilina a personalizzarla secondo i suoi
gusti.»
«E
ti ha almeno ascoltato?» Non era per nulla convinto.
«Beh,
non proprio. Ma Esme è d’accordo con me e Rose
pure, magari se ci si mettono
d’impegno riescono a convincerla.» Mi strinsi nelle
spalle.
«Lo
spero. Confido in Rose, sa essere piuttosto persuasiva quando
vuole.»
Fortunatamente nessuna immagine molesta accompagnò le sue
parole.
Una
volta fissate le tre mensole – non che avessi impiegato
più di qualche minuto –
mi dedicai al trasporto della scrivania di frassino, ancora al piano di
sotto.
Emmett
sghignazzò nel constatare quale qualità di legno
avesse scelto Esme per la
camera.
«Penserà
che vogliamo prenderla per i fondelli.» Mi unì
alla sua risata.
Passò
un altro minuto intero, durante il quale io sistemai la scrivania e i
suoi
cassetti, mentre Emmett si dedicava alla preparazione del portatile
bianco che
aveva scelto per Isabella. Tentai di non badare alla direzione in cui
si
stavano dirigendo i suoi pensieri, illudendomi che almeno mio fratello
avrebbe
evitato di darmi il tormento. Speranza vana.
«Quindi…
– iniziò – Alice dice che questa Bella
é proprio carina.»
«Emmett,
ti prego. Non ti ci mettere anche tu.» Il tono della mia voce
fu più lagnoso di
quanto io stesso mi aspettassi.
«Ehi,
non voglio infastidirti o insinuare qualcosa! Solo… Insomma,
abbiamo già
verificato che le bionde non ti piacciono e lei è unamoretta
niente male.»
Emisi
un lamento esasperato.
«Alice
l’ha anche disegnata, hai visto, no? Più che
carina direi che è davvero bella.
Con le forme nei punti giusti e…»
«Emmett!»
«Okay,
okay, messaggio ricevuto. La pianto.» Ritornò agli
aggiornamenti del software.
“Esme spera davvero che questa sia
la volta
buona e confida nelle sensazioni di Alice. Lo diceva anche ieri, quando
Edward
era a caccia.”
Bloccò
nuovamente il flusso di pensieri, rivolgendomi lo sguardo.
«Scusami,
Ed. Davvero, non voglio darti fastidio.» Fece una pausa.
«Non è intenzione di
nessuno. Vorremmo solo che tu fossi felice.»
«E
lo sono Emm, davvero. Per me non è un problema, sto bene
così. Ho tutti voi,
siete la famiglia migliore che potessi desiderare.
Ancora
una volta mi si sarebbe presentata l’opportunità
di avere una compagna e ancora
una volta, ne ero certo, non sarei riuscito provare
assolutamente nulla per
lei. Sarebbe stata un’amica, una sorella, nel giro di qualche
anno si sarebbe
trovata un compagno io sarei stata nuovamente
l’unico scapolo della famiglia,
costretto a vivere con l’ennesima coppietta di innamorati
perfetti.
Non
permisi a nessuna emozione di farsi largo sul mio volto.
Entrambi
sapevamo che le mie parole non corrispondevano alla realtà,
non totalmente per
lo meno, ma ancora una volta potei essere grato ad Emmett per il suo
spiccato
talento nell’alleggerire la tensione.
Un
sorriso a metà tra la dolcezza e la presa in giro si dipinse
sul suo volto.
«Fratellino,
cosa sono questi eccessi smielati? Non è che mi stai
diventando un po’…
finocchietto?» E batté le dita dietro il lobo
dell’orecchio, sottolineando
l’ultima parola.
«Non
credo proprio. Ma anche se fosse siamo in un secolo nuovo, devi
adeguarti ed
accettare le novità.»
Le
nostre risate furono interrotte dal suono delle gomme di
un’auto sul vialetto
di casa. Avvertimmo tre sportelli aprirsi e chiudersi silenziosamente e
il
fruscio di diverse buste cariche di vestiti. Alice e Rose erano tornate
con il
loro bottino di guerra, quasi l’intero nuovo guardaroba di
Isabella, e Jasper
faceva loro da facchino.
Potevo
sentire distintamente la soddisfazione nei pensieri di Alice per i suoi
nuovi
acquisti, ma anche la ferma decisione di continuare a schiavizzarci per
la
preparazione dell’armadio.
Voltai
lo sguardo verso Emmett, che finse un brivido.
«Ragazzi!»
Può
un vampiro rischiare l’esaurimento nervoso?
|
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Capitolo 10 *** Capitolo X ***
Capitolo
betato da Joan Douglas,
grazie tesoro! <3
Capitolo
X
(Bella)
Tenevo
il capo posato sulla spalla di Edward, le braccia ad avvolgere il suo
busto,
mentre lui mi accarezzava i capelli e le spalle. Era ancora seduto
sullo
sgabello del pianoforte e io sulle sue gambe. Diversi minuti erano
già passati
dal nostro bacio, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare.
Come
era accaduto prima con i baci, anche le carezze sembravano arrivare a
toccare
le mie ossa e i miei nervi, da cui poi partivano esaltanti impulsi che
arrivavano fino al cervello e si espandevano, simili a ondate di
calore, per
tutto il mio corpo.
Eppure,
in quel caleidoscopio di emozioni rassicuranti e allo stesso tempo
inebrianti,
una nuova sensazione prese a farsi spazio nel mio petto, piuttosto
fastidiosa e
fuori posto.
Imbarazzo.
Mano
a mano che i minuti passavano, il silenzio tra noi si faceva
più opprimente. E
divenne decisamente insopportabile quando mi resi conto che sarebbe
toccato a
me parlare. Edward mi aveva dedicato la canzone, mi aveva baciata
– o meglio,
aveva iniziato il bacio
– e ora mi
teneva stretta a sé. E io non avevo tirato fuori nemmeno
mezza sillaba. A meno
che sussurrare il suo nome non valesse come discorso. Ne dubitavo.
Levai
lentamente il capo dalla sua spalla, sfiorandogli il collo con la punta
del naso,
prima di allontanarmi un po’ per guardarlo in viso.
Di’
qualcosa, di’ qualcosa!
«La
ninnananna è davvero bellissima, mi è piaciuta
molto.» Beh almeno qualcosa
l’avevo detta ed era anche la verità.
Alzò
un sopraciglio e sul suo volto d’angelo si dipinse il solito
mezzo sorriso
malizioso.
«Sì,
me l’hai dimostrato con una certa solerzia.»
Imbarazzata,
allontanai lo sguardo e lo colpii scherzosamente al petto.
Bloccò la mia mano
con una delle sue e se la portò alle labbra, per poi
depositare un bacio sul
dorso.
«Grazie,
davvero. È stato il gesto più dolce che qualcuno
abbia mai fatto per me.» E non
ebbi bisogno di scavare nei ricordi della mia vita umana per esserne
certa.
«Credo
che ti dedicherò altre mille melodie, se questo è
il ringraziamento che
ottengo!» Ed ecco di nuovo il sorriso malizioso, che
ricambiai con una risata.
«E
io, per ognuna di loro, sarò ben felice di ripagarti sempre
allo stesso modo.»
Piegai
leggermente il collo e posai un bacio sul suo mento.
Invece
che accoccolarmi nuovamente sul suo petto, cosa che al momento mi
attraeva
particolarmente, mi allungai in avanti e afferrai gli spartiti dal
leggio. Con
finta aria pensierosa li avvicinai al viso, come se davvero potessi
capirci
qualcosa.
«Quindi
devo aggiungere la voce ‘musicista’ alla lista
delle tue doti, oltre che
vampiro buono, medico, letterato e poliglotta?»
Durante
i ‘giorni delle domande’ – che tra
l’altro non erano nemmeno ancora terminati –
avevo scoperto che Edward aveva acquisito, nel corso dei decenni,
svariate
lauree in ancor più numerose facoltà. Le sue
preferite erano appunto medicina e
lingue.
«Hai
dimenticato cantante e baciatore provetto.»
«Cantante?»
«Beh,
ho una bella voce.»
«E
sei anche estremamente modesto.» Scossi il capo, divertita
dalla sua
strafottenza.
«Ehi,
ho detto solo ‘bella’ infatti!»
Scoppiai
a ridere, alzando quindi gli occhi al cielo.
«Me
ne darai prova, vero?» Suonò più come
un’affermazione, che come una domanda.
Edward scrollò le spalle, come se non avesse nessuna
rilevanza confermare.
«E
ora che ti va di fare?»
«Non
stiamo bene qui?» Inarcai un sopraciglio, tornando ad
acciambellarmi
sull’incavo del suo collo.
«Certo
che sì, – sorrise – ma non ti andrebbe
di fare anche qualcos’altro?»
Ci
pensai su un momento, combattuta tra il magnetismo
dell’abbraccio di Edward e
l’idea altrettanto allettante di fare qualsiasi altra cosa
con lui.
«Beh,
potremmo… guardare un film, no?»
«Molto
scontato, decisamente umano.» Ridacchiò.
Brontolai
qualcosa di incomprensibile tra le labbra serrate, allontanandomi di
qualche
centimetro dal petto di Edward. Non oppose alcuna resistenza, pur
limitandosi
ad allentare la stretta delle braccia, ma mi rifilò
un’occhiata stranita, non
capiva cosa avesse fatto di sbagliato.
«Non
ne so molto di queste cose.» Sostenni il suo sguardo confuso
solo per qualche
frazione di secondo, interessandomi quasi immediatamente ai tasti
d’avorio del
piano. «I vampiri hanno regole diverse in quanto
a… rapporti?»
Anche
se non lo stavo guardando fui certa che sul volto di Edward si stesse
distendendo un sorriso. Portò nuovamente la mia schiena a
combaciare con il suo
petto.
«Devo
ammettere di non essere un esperto in materia. Temo che le mie tecniche
di
corteggiamento siano leggermente superate.»
Un’espressione pensierosa si era
poi fatta spazio sul suo volto. «A meno che tu non desideri
fare lunghe
passeggiate sorvegliate e comunicare esclusivamente con lunghe lettere,
per poi
chiedere il permesso prima di poter restare soli anche solo per pochi
minuti.»
Poi,
indicando i nostri corpi abbracciati, ghignò. «E
decisamente temo che con questo abbiamo
già infranto tutte le
regole della mia educazione.»
«Allora
è davvero un bene che tu sappia adattarti agli usi di ogni
epoca.»
«Paese
che vai…».
Risi
ancora, tornando a posare il capo sulla sua spalla.
«Quindi…
è tanto che non corteggi una ragazza?»
«Ormai
ero convinto che non avrei considerato più nessuno
più di un fratello o di una
sorella. Da quando è iniziata la mia… nuova vita
non ho incontrato nessuno che
potesse essere qualcosa di più.»
Lo
osservai per una frazione di secondo, incredula.
«Mi
prendi in giro.»
Ora
quello incredulo era lui.
«Non
potrei mai. Tra l’altro, per quale ragione?»
«Mi
sembra assolutamente impossibile che un uomo come te non abbia avuto
una donna
per così tanto tempo.» Se fossi stata umana sarei
arrossita di certo. Parlavo di
lui in termini di ‘uomo’ e in effetti, per quanto
il suo aspetto potesse trarre
in inganno, lo era. Mentre io, in confronto, ero a malapena una
ragazzina. «Sono
lusingato dal giudizio che hai di me» mi lasciò
una carezza sulla guancia «ma
no, davvero, non c’è stata nessuna donna. Nemmeno
quando ero umano. Te l’ho
detto, al tempo era diverso.»
Non
risposi.
«Che
succede, non mi credi?»
«Ti
credo, ma sono ancora molto stupita. Nessuna donna si è mai
interessata a te?»
Che domanda stupida. Era impossibile che uno come lui passasse
inosservato,
anche tra i vampiri. Per di più, subito dopo aver parlato,
mi resi conto che
quasi certamente non mi avrebbe dato una risposta
esaustiva: era troppo gentiluomo per vantarsi
di una qualunque conquista, specie con me.
«Per
un periodo, negli anni successivi alla mia creazione, Carlisle ed Esme
si
preoccuparono per me, pensavano che potessi soffrire di solitudine.
Così una
notte Carlisle trovò Rosalie in fin di vita e la
trasformò, sperando che
potesse essere per me ciò che Esme era per lui.»
Ammutolii. Rosalie sarebbe
dovuta essere la compagna di Edward?
«Ovviamente
però non andò come sperava. Il rapporto tra me e
Rosalie è sempre stato di
affetto fraterno, non sempre idilliaco, mettiamola
così.»
Mentalmente
tirai un sospiro di sollievo, non avrei mai potuto competere con la
bellezza di
Rosalie. Per non parlare di quanto, nonostante tutto, quella vampira mi
incutesse ancora timore.
«Mmmh,
quindi è tutto okay, immagino.»
«Direi
di sì.» Sorrise ancora, lasciandomi un bacio sulla
punta del naso.
Ebbi
a malapena un paio di secondi per capire che, alla fine, non mi aveva
parlato
di nessuna donna cadutagli ai piedi, ma semplicemente
dell’inizio del rapporto
con Rosalie. Era assolutamente impossibile che nessuna, in
così tanti decenni,
non avesse pensato a Edward come a qualcosa di più di un
amico o di un
fratello.
«Ora
però sono curioso io: a Phoenix hai
avuto tanti pretendenti?»
Non
si preoccupò particolarmente di nascondere la nota di
fastidio nella voce.
Risi.
«Se
tu sei geloso di qualche semplice annetto, cosa dovrei fare
io?»
«Ma
ti ho già detto che io non ho avuto nessun’altra
donna.»
«E
io non ho avuto nemmeno un ragazzo.»
Attese
diversi secondi, prima di rispondere.
«Sul
serio, nemmeno uno?»
«Nemmeno
uno.»
La
povertà della mia vita sentimentale dovette renderlo
immensamente felice,
perché d’un tratto mi ritrovai le labbra
notevolmente impegnate.
Quando
ci staccammo mi resi conto che entrambi avevamo il fiato corto, ma
ciò non gli
impedì di dimostrarsi pienamente soddisfatto. Un sorriso
aperto gli
incorniciava il volto.
«Beh,
comunque mi sembra strano. Sei troppo meravigliosa per non aver avuto
nemmeno
un pretendente.»
«Valgono
i fidanzati delle elementari? Perché alle elementari andavo
forte.»
«Definisci
forte.» Aveva smesso di sorridere, si fingeva nervoso, ma
negli occhi
perseverava lo scintillio malizioso.
«Mah,
ti dico solo che mi riempivano di regali. E ne cambiavo anche tre in
una
settimana.» Mi tornò in mente l’immagine
di un anello di plastilina e di
qualche biscotto al cioccolato.
«Mmmh»
Si avvicinò nuovamente al mio viso e di nuovo ci perdemmo in
un diverso genere
di conversazione.
«Non
avevi detto che volevi fare qualcos’altro?» Soffiai.
«Non
ti piace ciò che stiamo facendo?» Sorrise sulle
mie labbra ma, allontanando il
viso, mi fece cenno di alzarmi.
Non
andammo molto
lontano, la nostra meta
era infatti dall’altra parte della stanza. Mi accomodai
direttamente sul
divano, mentre Edward si cimentava nella ricerca di un DVD.
Andò avanti per
diversi minuti proponendo film di più o meno tutti i generi,
dal musical al
thriller. Quando me ne mostrò uno con degli zombie sulla
copertina gli dissi
che sarebbe stato meglio cercare la replica notturna di qualche film
alla tv.
Annuì
e venne a sedersi accanto a me, passando un braccio dietro le mie
spalle. «Non
so se riusciremo a trovare qualche film decente, a
quest’ora.»
Osservai
la parte bassa dello schermo, dove di solito si trova scritto
l’orario. Le tre
e dodici minuti.
«Prova
in uno dei canali dedicati al cinema, non li avete?»
Strinse
le labbra, in difficoltà.
«Giusto,
non ci avevo pensato. In casa è Emmett quello che passa le
ore davanti a questa
cosa, a me non piace.» Fece una smorfia.
«Certo
che no, sei troppo vecchio per queste cose.» Risi, sapevo che
non amava essere
punzecchiato sull’argomento.
«Non
è la prima volta che mi schernisci. Potrei offendermi,
sai?» Brontolando
continuava a scorrere velocemente decine di canali. «E si
dà il caso che Emmett
non sia di tanto più vecchio di me.»
Voltai
lo sguardo, incuriosita.
«No?»
«Carlisle
lo trasformò nel ’35, fu aggredito da un
orso.»
«Da
un orso? E perché si era avventurato nei boschi da solo?
È pericoloso, lo sanno
anche i bambini.»
«Era
a caccia.»
Dovette
leggermi la confusione in volto perché, sorridendo, aggiunse:
«La
sua famiglia non era benestante e lui li aiutava cacciando, era molto
forte
anche da umano. E per quei tempi non era insolito.»
Annuii,
mentre accettavo l’idea che Emmett si procacciasse il cibo da
solo, per non far
morire di fame la sua famiglia. Erano altri tempi,
d’altronde. Quasi gli stessi
tempi in cui aveva vissuto anche Edward. Di nuovo l’idea di
eternità mi
risultava difficile da digerire. Tutti loro esistevano, immutati, da un
secolo
circa. E Carlisle da molto di più.
Distolsi
l’attenzione da quegli inutili ragionamenti che, come sempre,
non mi avrebbero
portata a nulla.
«Anche
Carlisle era a caccia e per questo l’ha trovato?»
Trassi le conclusioni.
«No,
fu Rosalie a trovarlo. Lo portò, sanguinante e mezzo morto,
per miglia e
miglia, fino a Carlisle e gli chiese di trasformarlo. Immagina la
difficoltà di
quel viaggio.» Accennò un sorriso, io inorridii.
Di certo non ne sarei stata
capace.
«Rosalie
deve essere molto forte, allora. Però è dolce,
no? Lei l’ha salvato e si sono
innamorati. Molto romantico.»
Ora
rideva apertamente.
«Sì,
anche se in una maniera un po’ macabra e catastrofica, penso
si possa definire
una storia d’amore a lieto fine. Stanno insieme da allora.
Emmett si innamorò
di Rose durante il viaggio verso Carlisle. Lui la scambiò
per un angelo.»
«Rosalie
è senza dubbio molto bella.» Non faticavo a
credere che qualcuno avesse potuto scambiarla
per una qualsiasi manifestazione divina.
«Ma
è un vampiro, una creatura tutt’altro che
angelica. Per non parlare del suo
caratteraccio.»
«Ora
non essere cattivo.» Gli lasciai un buffetto sul petto, pur
concordando con le
sue parole.
«Hai
ragione, non è stata un’uscita da gentiluomo. La
tua epoca mi sta rovinando.»
Si esibì in un teatrale cenno di rimorso.
Scossi
il capo, divertita.
«E
Rosalie? Lei perché fu trasformata?»
Si
fece nuovamente serio, non era felice di rispondermi. Com’era
già successo in
precedenza, d’altronde. Mi chiesi se fosse a causa del suo
essere tanto
riservato o per paura di scavalcare la privacy altrui dato che, volente
o
nolente, veniva sempre a sapere qualsiasi cosa.
Mi
guardò di sottecchi e io rimasi in attesa.
«Rosalie
fu… aggredita da un gruppo di uomini, Carlisle la
trovò mezza morta e decise di
salvarla. Nessuno merita una fine del genere.»
Rabbrividii
interiormente. Non avevo pensato che qualcuno di loro poteva essersi
avvicinato
alla morte per una causa diversa da un incidente o da una malattia.
Improvvisamente la diffidenza che provavo nei confronti della
biondissima
vampira si sciolse in tristezza. Non sarei più riuscita a
provar alcun tipo di
astio nei suoi confronti, anche se avesse continuato a trattarmi come
un’intrusa.
«È
terribile… Povera Rosalie.»
E
decisi che per quella sera ne avevo avuto abbastanza di macabre
rivelazioni.
Intanto
Edward afferrò il telecomando e prese a fare zapping.
Contai: uno, due, tre.
Tre canali al secondo. Un minuto e quasi duecento canali dopo bloccai
la mano
di Edward e gli sfilai il telecomando.
«
Come facciamo a scegliere qualcosa se non riusciamo nemmeno a cogliere
qualcosa
più di qualche fotogramma?»
Sbuffò
«Ma non c’è nulla!»
«Dai
a me»
Scartai
velocemente tutti i film contenenti inseguimenti di auto, spargimenti
di sangue
e canzoncine smielate dalla dubbia sensatezza.
Mi
bloccai quando riconobbi dei fotogrammi familiari. Una musica cadenzata
faceva
da colonna sonora ad un paesaggio serale, diverse figure vestite di
abiti
sfarzosi si muovevano a passo di danza. Non mi ci volle tanto per
riconoscere
il primo atto di Romeo e Giulietta. E Edward fu svelto quanto me.
«No,
ti prego!» La sua espressione mi ricordò tanto
quella di un condannato al
patibolo.
«Oh,
Edward! È solo un film, non durerà tanto. E poi
è già iniziato!»
«Lo
vedo, sono esattamente sedici minuti.» In quel momento,
invece, somigliava
tanto ad un bambino capriccioso.
«Per
favore» Gli sfiorai il viso a pochi centimetri dalle labbra,
con la punta delle
dita. Affilò lo sguardo, ma non allontano la mano.
«Sei
una creatura davvero pericolosa»
Sprofondò
per bene sul divano e mi attirò a sé, senza
più protestare.
Sorpresa
e compiaciuta dall’ascendente che avevo su Edward, mi lasciai
stringere, pronta
a vedere Montecchi e Capuleti distruggersi a vicenda.
«Non
sarà tanto male, vedrai»
Scrollò
le spalle «Tanto io guarderò te»
Alla
scena del primo bacio Edward parlò di nuovo.
«Non
ho mai sopportato Romeo. Insomma, prima dice di essere innamorato di
questa
Rosalina e poi, nel giro di una serata, decide di sposare Giulietta. Un
po’
volubile il ragazzo. Quindi uccide il cugino di sua moglie. Per non
parlare del
fatto che sono entrambe delle Capuleti e che ovviamente nessuno avrebbe
acconsentito ad un matrimonio con una di loro. Pure poco
furbo.»
«Ehi,
non parlare male di Romeo.» mormorai «È
stato il mio primo amore!»
Ed
era vero. Fin da bambina avevo avuto una strana cotta per Romeo
Montecchi. Se
avessi dovuto immaginare l’uomo perfetto avrebbe avuto il suo
volto e il suo
modo di fare. Certo, questo prima di incontrare Edward.
«Bene,
una ragione in più per odiarlo»
Guardare
il film con Edward, comunque, si rivelò anche meglio del
previsto.
Prima
di tutto non criticò più l’opera e mi
tenne stretta a sé per tutta la sua durata.
E mi sussurrava tutte le battute di Romeo all’orecchio, cosa
che mi causava non
pochi brividi immaginari sulla pelle.
Quando
poi, alla fine, Romeo trovò la moglie morta e Edward
soffiò sul mio collo «La
morte, che ha già succhiato il
miele del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezza.»
mi
parve quasi strano non sentire alcuna lacrima rigarmi il volto.
Non
ebbi però modo di soffermarmi
a lungo su tale pensiero né di vedere l’ultimo
atto, perché Edward suggellò la
fine del film con un lungo e appassionato bacio. Strinse le dita tra i
miei
capelli e mi ritrovai schiacciata tra il suo corpo e
l’imbottitura del
bracciolo del divano. Di certo non mi lamentai.
Intanto,
una qualche parte della
mia mente registrò una risata tonante e delle velocissime
falcate
impercettibili dirigersi verso la villa.
Bene,
eccomi di nuovo qui.
Questo
capitolo è stato un parto,
pure gemellare. L’ho scritto e riscritto diverse volte e temo
ancora che possa
essere di una noia mortale. Se lo è ditelo pure,
capirò ç.ç
Beh,
spero che questi momenti di
zucchero vi piacciano, io sono una persona che ama i punzecchiamenti e
battibeccare ergo mi rompo delle stucchevolezze.
Ho
inoltre cambiato l’impaginazione,
spero che in questo modo la storia sia più leggibile.
Okay,
ho terminato le note. ^^
Ah,
no. Voglio ringraziare tutte
voi che ci siete ancora e soprattutto le ragazze che hanno recensito
l’ultimo
capitolo. Graziegraziegrazie *^*
Sono
proprio contenta che siano
cresciuti tanto preferiti e seguiti!
Tanti
cuori per tuuutti voi <3
Vero
Ps.
Avete visto che brava? Solo
una settimana per il nuovo capitolo uwu
Pps.
‘Ste note sono più lunghe del capitolo stesso,
aiut. ^^’
|
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Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
Ehi,
salve a tutte!
Sono
tornata, ci ho messo un po’,
ma sono tornata. ‘Sta volta vi ho fatto attendere 20 giorni,
vi chiedo scusa,
ma questo capitolo proprio non voleva venir fuori dalla mia testa.
Immagino
abbiate notato che non
ho parlato di frequenza di pubblicazione et similia. Bene,
perché non ho
intenzione di farlo. Non vi prometto nulla, ho troppa paura di non
riuscire a
mantenere la parola data. Quindi aspettatevi un capitolo ogni tanto,
può essere
ogni 7 giorni come ogni 10 o 20, dubito di più.
Spero
vi piaccia il nuovo prodotto,
ci leggiamo sotto *w*
Vero
Capitolo
XI
(Bella)
Edward
non parve particolarmente infastidito dalla presenza
dell’intera famiglia in
giardino e dal fatto che, ovviamente, erano in grado di sentirci. Per
lo meno
non quanto lo fu nel vedersi allontanare da me. A giudicare dalla sua
espressione corrucciata, reputava più che accettabile farsi
trovare avviluppati
peggio di polipi sul divano del salone.
Un
suono a metà tra un colpo di tosse e una risata precedette
le parole di Emmett.
«Stiamo
entrando! Niente scene raccapriccianti, grazie.»
Edward
sibilò e io mi sedetti in maniera consona, maledicendo
mentalmente Emmett e il
suo senso dell’umorismo.
Avvertii
dei rumori inconsueti per dei vampiri provenire da fuori, che
identificai come
passi esageratamente accentuati.
«Okay,
sto aprendo la porta!»
Emmett
non accennava a chiudere il sipario della sua personale comica e Edward
continuava a irritarsi.
«Idiota»
Con
un colpo secco la porta si spalancò ed Emmett
balzò dentro, lo sguardo già
rivolto alle scale. Ma, accorgendosi della nostra presenza, si
voltò verso il divano.
Il tutto in una frazione di secondo.
Un’espressione
delusa si dipinse sul suo volto.
«Oh,
siete qui»
Sbuffò
e tornò in giardino.
«Hanno
i vestiti addosso, che delusione»
Osservai
Edward con la coda dell’occhio: era livido.
Gli
accarezzai lievemente un braccio e mi rivolse lo sguardo, inarcando
leggermente
le sopraciglia.
«È
un idiota»
«Sei
ripetitivo»
Alzò
gli occhi al cielo, tornando ad osservare la porta di casa, leggermente
più
rilassato.
Nei
quattro secondi successivi alle parole di Emmett, l’intera
famiglia attraversò
l’ingresso.
Fu
abbastanza strano ritrovarsi davanti Emmett che continuava a
sghignazzare –
sembrava trovare genuinamente esilarante l’imbarazzo che
certamente mi si
leggeva in volto – e gli altri che ostentavano indifferenza.
Indifferenza
totalmente falsa, date le occhiate veloci che ci lanciavano. Sembravano
avere
tutti qualcosa da fare di fondamentale importanza in salone,
poiché fingevano
di non badare a noi, ma nemmeno accennavano a lasciare la stanza. Esme
si
avvicinò al piano e studiò con immotivata
attenzione i tasti, Carlisle pareva
essere alla ricerca di qualcosa. Più di una volta aveva
puntato lo sguardo alle
scale, ma all’ultimo sembrava decidere di non volersene
andare. Gli altri
gironzolavano, Jasper finse addirittura di trovare qualcosa di
profondamente
interessante oltre una delle finestre. Solo Alice ridacchiava e
scambiava, di
tanto in tanto, una gomitata con Emmett.
Nessuno,
però, si azzardò ad avvicinarsi
all’area del nostro divano. Come se fossimo
all’interno di una bolla, invisibile ma impenetrabile.
Edward
era nuovamente seduto, il braccio disteso dietro le mie spalle. Anche
lui
osservava i movimenti degli altri ma, per quanto il suo sguardo
seguisse ogni
mossa, l’espressione era distante, in ascolto.
Dopo
diversi minuti di placido silenzio, interrotto solo dalle risatine di
Emmett ed
Alice, mi schiarii la voce.
«Allora,
com’è andata la caccia?»
Ah,
parlare faceva male. Il persistente bruciore alla gola
s’intensificò
improvvisamente, ricordando che avevo uno spuntino in sospeso.
A
rispondermi fu Esme, che evidentemente aveva risolto l’enigma
del pianoforte,
perché si era avvicinata al divano, senza però
attraversare il confine
inviolato della bolla.
«Molto
bene, cara! Ci siamo spinti lontano, fino al Canada. Ci saresti dovuta
essere,
hai mai visto le foreste che ci sono al confine?
Meravigliose.» Ovviamente
perfino una caccia poteva sembrare un’idilliaca e
interessante escursione, se
raccontata da Esme. «E poi siamo stati molto attenti a non
incrociare nessun escursionista.
È stato divertente!»
Emmett
scoppiò a ridere fragorosamente.
«Tranquilla
Esme, Bella si è divertita molto più di noi!
»
In
quel momento accaddero diverse cose contemporaneamente: Alice
scoppiò a ridere;
un cuscino attraversò l’intera stanza talmente
velocemente da essere sfuocato
anche per la vista di un vampiro e atterrò dritto sulla
faccia di Emmett; Esme
si voltò e scoccò a Emmett un’occhiata
di rimprovero.
Mi
chiesi se, lanciato a quella velocità, anche un cuscino
potesse fare male.
Evidentemente no, o comunque non a un vampiro, perché Emmett
lo rilanciò a
Edward, senza smettere di emettere strani versi a metà tra
una risata e un
bramito.
«Beh,
vi risparmiamo l’onere di raccontare, dato che l’ha
già fatto Alice.»
«Alice!»
Mi alterai. Un conto era essere messi in imbarazzo da Emmett di fronte
all’intera famiglia, un altro sapere che l’intera
famiglia conosceva i dettagli
della mia serata con Edward. Non che avessimo fatto chi sa che, ma
erano
momenti privati, solo nostri.
E
Alice li aveva sbandierati ai quattro venti.
«Capisci
cosa intendevo quando ti ho detto che in questa famiglia il concetto di
privacy
non esiste?» bisbigliò Edward. Anche se, per
quanto si potesse sforzare di
parlare piano, chiunque nella stanza poté sentirlo.
«Non
mi pare che tu volessi allontanarti, prima, quando stavano
tornando» Borbottai,
imbarazzata e per nulla sicura che si fosse capito qualcosa.
Nuovamente
il sorriso sghembo fece capolino sul volto angelico.
«Io
li ho sopportati per decenni, ora come minimo devono lasciarci fare
ciò che
vogliamo dove vogliamo»
«Ah-ah!
È vendetta, la tua!» Mentre Esme si era
allontanata, per fingere almeno di non
sentire ciò che ci dicevamo, Emmett infranse la bolla e
puntò un dito contro
Edward. «Hai sentito, Jasper?»
Il
biondo rise, stirando le cicatrici attorno alla bocca e sulle guancie.
«Non
mi riferivo a Jasper e Alice.»
«Allora
non capisco in che modo ti possano aver irritato Carlisle ed
Esme.»
L’indifferenza di Emmett era comica.
«Cosa
non mi hai raccontato?» Risi, immaginando ciò cui
si riferiva e che certamente
non riguardasse i suoi genitori.
«Ciò
che non gli interessa, ecco cosa non ti ha raccontato.»
Emmett si avvicinò a
Rosalie, che avevo fatto di tutto per ignorare. Il ricordo del racconto
di
Edward che lottava contro il fastidio per le occhiate glaciali che
ancora
ricevevo. Le passò un braccio sulle spalle, riprendendo a
sghignazzare.
«Non
è vero, Rose?»
Esme
lanciò nuovamente un’occhiataccia a Emmet
«Emmett,
lasciali in pace. Non vedi che li metti in imbarazzo?»
«Dai,
Esme. Ci stiamo solo divertendo con la nuova coppietta. Non sono
carinissimi?»
«Certo
che lo sono» E il sorriso di Esme fu una delle cose
più dolci e materne che io
avessi mai visto. Ma i suoi pensieri dovettero esserlo ancora di
più, perché
Edward sorrise a sua volta e mi baciò una guancia.
Posai
il capo sulla spalla di Edward, serafica. Incrociai lo sguardo di
Carlisle, che
ci osservava dall’altro lato della stanza, e se la
felicità era leggibile sul
volto della moglie, lui era entusiasta. La calma ambrata che
solitamente
regnava nei suoi occhi era stata sostituita da uno scintillio di
allegria. E,
non seppi spiegarmi perché, il suo sguardo esprimeva anche
una sorta di
fierezza paterna. Mi resi conto che anche Edward lo stava guardando e,
probabilmente, si trovavano immersi in una silenziosa conversazione
unilaterale.
Distolsi
lo sguardo. Continuare a osservarli sarebbe stato come violare la loro
privacy,
anche se alla fine non potevo nemmeno ascoltare cosa stesse dicendo
Carlisle.
Alzai
gli occhi al cielo.
«Non
è colpa mia se io ho la vista»
sentenziò Alice, offesa.
«Alice,
tu non hai diritto di parola. Non riesci proprio a farti gli affari
tuoi,
vero?»
«Se
è per questo nemmeno Edward sa farsi gli affari
suoi»
Di
certo non mi sarei aspettare che fosse Rosalie a prendere la parola. O,
ancora
meno, che la rivolgesse a me.
Era
stata distaccata per tutto il tempo, come se lei davvero ci ignorasse
totalmente. Eppure, in quel momento, la regina dei ghiacci sembrava
essersi
sciolta. Un po’. Non tanto, ma quel che bastò a
rivolgermi qualcosa più di uno
sguardo sprezzante o totalmente indifferente.
Mi
resi conto che, con quella risposta e con lo sguardo insolitamente
rilassato,
aveva tentato una sorta di approccio scherzoso.
E
io non mi sarei lasciata perdere l’occasione di essere odiata
un po’ meno.
«Tra
Edward, Alice e Jasper, per noi altri vampiri comuni è
difficile la
sopravivenza in questa famiglia, vero?»
Lo
scampanellio della mia voce non tradì l’agitazione
che avevo dentro. Lei non
rispose, né sorrise, si limitò a scuotere i
lunghi capelli biondi e ad annuire.
Sperai
di non aver scritto in fronte “Enorme passo avanti”.
Anche
Emmett dovette notare il cambiamento perché diede,
sorridendo, una leggera
pacca sul fianco della moglie.
«Bella,
hai cacciato?»
Scossi
il capo «Non ho... avuto tempo, Carlisle»
«Allora
è meglio che vada. È ancora presto, il momento
migliore per evitare incontri
nei boschi»
Carlisle
temeva ancora che la mia natura di neonata saltasse fuori e decidessi
di far
fuori qualcuno. Il che, a dirla tutta, sarebbe potuto accadere
benissimo.
Annuii
e mi alzai, scoprendomi improvvisamente impaziente di mettere qualcosa
sotto i
denti. Il collo di un alce, magari. O magari di puma, anche se ne
dubitavo.
Dopo il passaggio del resto della famiglia gli animali si dovevano
essere
spaventati, quindi mi sarei ritenuta fortuna a trovare qualche erbivoro.
Edward
mi affiancò.
«Nemmeno
io ho cacciato alla fine, quindi vado con lei.» Mi voltai,
inarcando le
sopraciglia. Le sue iridi erano ambrate, anche se screziate di
pagliuzze nere.
Erano presenti anche le occhiaie, ma non sembravano ustioni come le mie.
«A
me non sembri affamato»
«Beh,
non ho cacciato quanto avrei voluto» Ammise scrollando le
spalle.
Emmett
rise di nuovo.
«Fratello,
ammettilo che vuoi semplicemente spupazzartela ancora un
po’» E questa volta
Rosalie si unì alla sua risata. «Mi hai molto
deluso! Se avessi continuato come
prima Jasper avrebbe vinto la scommessa. Che disgrazia!»
«Stai
barando, non erano questi i patti! Ho già vinto, ora
paga.» Jasper allungò la
mano, muovendo le dita in un chiaro invito a depositarvi dentro il suo
pegno.
Alternai
lo sguardo tra i due «Avete scommesso su di noi?»
Edward
scosse il capo
«È puerile, loro
scommettono su tutto.»
«E
vince sempre Jasper, chiede ad Alice e imbroglia!»
sbuffò Emmett.
«Non
è assolutamente vero, non farei mai favoritismi!»
trillò la diretta
interessata.
«Invece
sì, li fai. Emm non perderebbe così spesso,
altrimenti.»
«Grazie,
Rosellina mia!»
Continuai
ad ascoltare i battibecchi, alternando lo sguardo da una parte
all’altra,
finché non iniziai ad avere l’impressione di stare
seguendo una partita di
tennis e non una conversazione.
Edward
mi sfiorò il braccio «Non andiamo?»
«Quindi
staresti morendo di sete? Non mi sembra che abbia bisogno di
cacciare» ghignai.
«Se
non mi vuoi resto qui, eh. Serve qualcuno che metta pace tra le due
fazioni»
sogghignò anche lui, certo del mio bluff.
Sbuffai
e gli presi la mano «Andiamo»
Esme
ci venne incontro un momento prima che attraversassimo la porta sul
retro.
«Tesoro,
Alice ci ha detto anche di tuo padre»
La
interruppi, prima che potesse dire altro «Tranquilla, Esme.
Ora va tutto bene»
E rafforzai la presa sulla mano di Edward.
Lei
dovette notarlo perché sorrise, prima a me e poi a lui.
«Buona
caccia»
Senza
lasciarci la mano corremmo e saltammo il fiume. Fu elettrizzante, come
sempre.
Attorno a noi il bosco era silenzioso, gli animali dormivano.
Improvvisamente
Edward si fermò, i capelli più scompigliati del
solito a causa della corsa,
l’entusiasmo della velocità dipinto in volto.
«Facciamo
una gara. Chi riesce a trovare e catturare più carnivori,
vince.»
«Non
credo riusciremo a trovarne, ormai se li saranno presi tutti gli
altri.»
«Mh,
non è detto. Non è che hai paura di perdere
contro il più veloce della famiglia?»
Assottiglia
lo sguardo, già pronta.
«Neanche
per sogno. Io sono una neonata, quindi sono più veloce. E
più forte.»
«Questo
è tutto da verificare»
«Certo,
certo» lo liquidai «quale sarà il mio
premio, dopo averti stracciato?»
«Mh,
a tempo debito deciderò quale sarà il mio
premio» e sottolineò l’aggettivo
possessivo.
Inarcò
la schiena in avanti, un piede dinanzi l’altro.
«Al
mio tre. Uno, due..»
Partii
prima che avesse finito di contare, decisa a vincere.
Lo
sentii poco dietro di me, avevo solo una frazione di secondo di
vantaggio, ma
lui si stava allontanando in un’altra direzione.
«Sei
un’imbrogliona!»
La
mia risata di perse tra le fronde degli alberi.
Quando
fui certa di essermi allontanata abbastanza da non correre il rischio
di farmi
soffiare una pista da Edward, mi fermai. Chiusi gli occhi e concentrai
tutta
l’attenzione su udito e olfatto.
L’aria
era immobile.
Odore
di sottobosco, umidità, muschio, respiri impercettibili
delle piccole creature
nelle tane, un gufo che bubbolava in lontananza. Un battito regolare,
lontano,
umido…
Aprii
gli occhi di scatto e prima che potessi pensarlo le mie gambe correvano
già
verso la metà. Era più lontano di quanto mi
aspettassi, ma più mi avvicinavo e
più il battito si faceva forte e il suo odore più
invitante. Era un puma. E,
stando alla frequenza regolare del suo cuore, doveva essere ancora
addormentato. Meglio così, avrei impiegato meno tempo e mi
sarei potuta
dedicare a un’altra caccia. Edward avrebbe miseramente perso.
Continuai
a correre, schivai centinai di alberi, utilizzai la forza da neonata e
saltai
l’ennesimo fiume. Ci avevo messo un po’ troppo
entusiasmo perché, una volta
atterrata sull’altra sponda – a pochi passi da una
sequoia secolare – mi
guardai indietro. A occhio e croce dovevano essere trentacinque metri.
Non mi
fermai.
Concentrai
allo spasimo tutti i sensi sul rumoroso e profumato cuore, senza badare
particolarmente a ciò che avevo intorno. Mancava pochissimo,
ancora qualche
metro e avrei trovato il puma addormentato.
Simultaneamente
percepii uno spostamento d’aria proveniente da destra, ma non
feci in tempo a
scansarmi. Qualcosa di incredibilmente forte mi spinse lontano, battei
la
schiena contro un albero. Mi rimisi immediatamente in piedi e sibilai.
Mi
ritrovai davanti un lupo. Un lupo con l’altezza di un cavallo
e la stazza di un
orso. Ringhiava a poco più di due metri di distanza da me.
Ai suoi lati altri
due lupi, leggermente più bassi del primo, mostravano i
denti. Uno di loro
aveva il pelo fulvo, a differenza degli altri, più o meno
scuri. Le dimensioni
degli animali mi impedivano di vedere oltre, ma a giudicare dai versi
dovevano
esserci almeno altri tre lupi dietro.
Il
più grosso, quello che li precedeva tutti,
digrignò più forte i denti e mi si
drizzarono i capelli sulla nuca. Quelle zanne avevano l’aria
di essere
piuttosto appuntite. Ringhiai, l’istinto mi urlava di
scappare, ma ero
pietrificata sul posto.
Valutai
velocemente le alternative: avrei potuto attaccare, ma quegli esseri
sembrava
capaci di ferire perfino un vampiro. Avrei potuto tentare la fuga, ma
erano
veloci ed erano in superiorità numerica: non avrei avuto
comunque scampo.
Mi
sentivo in trappola e l’istinto ebbe la meglio: quando il
lupo fulvo si mosse
in avanti lanciai un ringhio talmente bestiale da infastidire pure me.
Prima
che potessi scagliarmi contro il capo, un altro lupo si fece avanti
dalle
retrovie.
Me
lo ritrovai addosso, bloccata tra il terreno e il corpo della creatura.
I suoi
denti a un soffio dalla mia spalla.
Un
millesimo di secondo prima che potesse affondare le sue fauci nella mia
carne,
un altro ringhio si aggiunse a quello dei lupi e mi ritrovai nuovamente
libera.
Un guaito arrivò da lontano: il lupo che mi sovrastava era
stato scagliato a
decine di metri di distanza.
Edward,
in posizione di attacco, era davanti a me.
Fronteggiava
il lupo più grosso e quello gli si avventò
contro, seguito dagli altri. Ma
Edward era veloce. Riuscì a toglierselo di dosso,
travolgendo così altri due
lupi. Con uno scatto felino si voltò verso di me e mi
afferrò per un braccio,
trascinandomi via.
Mi
ero impietrita di nuovo.
I
lupi, poco distanti, iniziarono l’inseguimento.
«Dannazione,
corri!» ringhiò.
Lo
seguii, un passo dietro di lui. Un pensiero stupido mi
balenò in mente: Edward
era davvero più veloce di me, di sicuro avrebbe vinto la
gara.
Accelerò
ancora, senza però voltarsi mai indietro. Continuava a
tenermi per un polso e
seguirlo stava diventando difficoltoso. Dovette accorgersene
perché, dopo aver
saltato il fiume, rallentò un poco.
Oppure
era certo che i lupi avrebbero perso molto terreno cercando di superare
il
fiume.
Riprese
la corsa nel momento esatto in cui i suoi piedi sfiorarono il terreno,
ma mi
lasciò il polso.
«Cos’è
successo?» Io stessa avvertii la mia voce pregna
d’ansia.
«Dobbiamo
avvisare Carlisle!» Non mi guardò quando rispose,
troppo concentrato a schivare
gli alberi sul nostro cammino.
Intanto
i primi tiepidi raggi del sole
violavano l'oscurità del sotto bosco.
Eccoci
qui, come vi è sembrato?
Alloora,
penso siano doverose
alcune precisazioni:
Rileggendo
il capitolo mi sono
resa conto che Carlisle sembra pressoché assente o
disinteressato, ma non è
così. Carlisle è una persona riservata e molto
rispettosa, ama i suoi figli ed
è forse il più felice della famiglia nel vedere
Edward iniziare un nuovo
capitolo della sua esistenza (personalmente ritengo che Carlisle sia
più
contento perfino di Esme). Solo che non ha bisogno di metterli in
imbarazzo con
dei discorsi o, tanto meno, con delle battute. Dimostrerà la
sua felicità in
seguito, vedrete.
Per
quanto riguarda Rosalie (dato
che spesso mi chiedete di lei), è una persona molto volubile
e lunatica. Presto
capirete cosa le prende, anche se non è pur nulla difficile
indovinare.
Andiamo, è uno dei problemi che ha con Bella anche nella
saga c’:
Inoltre,
ricordate quando,
diversi capitoli fa (davvero troppi mesi fa), vi avevo parlato della
minaccia
dei licantropi? Ecco, dal prossimo capitolo ci sarà qualche
cambiamento a causa
loro.
Grazie
mille – come sempre – a chi
recensisce (mille cuori a voi), ai lettori silenziosi e anche a chi
critica o
si lamenta. Qualsiasi commento, purché non irrispettoso o
irritante, è ben
accetto ;)
A
presto,
Vero
|
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Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
Hola!
Ma
guardate un po’ chi c’è, dopo soli sette
giorni! Merito un applauso, su su. uwu
Ehm,
va beh, lasciamo perdere l’applauso ^^”
Bando alle
ciance, ci
si legge sotto per delle veloci – veloci, seee –
comunicazioni di servizio.
Capitolo
betato da quella buon anima di Joan
Douglas. In questo momento sta
ingaggiando una guerra contro i miei punti fermi, porella. <3
Capitolo XII
(Bella)
«Carlisle!»
urlò Edward, ancora prima che mettessimo piede in giardino.
La
prima ad arrivare fu Alice e definirla sconvolta sarebbe un eufemismo.
Si
precipitò fuori dalla porta, l’ansia le storpiava
i tratti angelici del volto.
«Cos’è
successo? Siete spariti, era tutto nero!»
«Edward,
va tutto bene?» Carlisle si fermò a un passo da
Alice, a differenza sua
manteneva una parvenza di calma.
«Dei
cani giganti ci hanno attaccati!» esclamai, isterica.
«I
licantropi, Carlisle. Temo abbiano intenzione di attaccarci.»
La voce di Edward
era cupa «Non abbiamo molto tempo.»
Anche
Carlisle si fece scuro in volto «Entrate. E raccontatemi per
filo e per segno
ciò che è successo.»
Rapidamente
fummo tutti in casa, Carlisle entrò per ultimo e chiuse la
porta, imposte
comprese. Gli altri ci attendevano in salotto, avevano ascoltato tutto.
Notai
Edward annuire brevemente e Esme si precipitò
dall’altra lato della stanza.
Sfiorò con le dita i tasti di un pannello segreto nel muro e
subito un’enorme
paratria d’acciaio iniziò a sigillare la vetrata
sul retro della casa. Per un
minuto intero l’unico rumore udibile era lo stridio
dell’acciaio. Non riuscivo
a levare gli occhi di dosso dalla paratria, mi parve di essere stata
catapultata in una storia alla James Bond. Una storia di James Bond con
vampiri
e licantropi come protagonisti. Licantropi, proprio come aveva detto
Edward.
Quindi erano loro i nostri “vicini di territorio”,
quelli di cui mi avevano
parlato la prima sera. Ma avremmo dovuto avere una sorta di pace a
proteggerci,
no? Con quale ragione mi avevano attaccata?
«Bella
ha inavvertitamente sconfinato, pochi minuti fa» Il racconto
di Edward fu
interrotto sul nascere da Rosalie.
«Che
vuol dire che ha sconfinato?!»
«Non
conosce con esattezza il patto, Rosalie. Non poteva certo sapere quali
fossero
i confini» sibilò, Edward.
«Lei
no, ma tu sì! Dove diavolo eri, si può
sapere?!»
Lo
sguardo che le indirizzò Edward fu agghiacciante, da vero
vampiro.
«Basta!»
Carlisle zittì entrambi «Continua,
Edward.»
Continuavo
a fissare l’acciaio della paratria, inorridita: avevo creato
un altro casino e
ora sarebbe toccato ai Cullen risolverlo.
«Dicevo:
Bella ha sconfinato e i licantropi l’hanno immediatamente
attaccata. Sono
intervenuto e siamo riusciti a seminarli, anche se ci hanno inseguiti
per un
buon tratto.»
Questa
volta fui io a interromperlo, rivolgendo finalmente lo sguardo a lui e
poi a
Carlisle. «Ho rotto il patto, cosa succederà
adesso?»
Edward
mi guardò per un momento, poi rivolse nuovamente lo sguardo
a Carlisle. «Erano
inferociti, il loro capo sembra pronto alla battaglia.»
Emmett
balzò in piedi, il pugno alzato e lo sguardo scintillante di
entusiasmo. «Bene,
allora. Che vengano! Daremo loro una bella lezione!»
Carlisle
non gli badò nemmeno, continuò a tenere lo
sguardo fisso su Edward. Quando
parlò, nella voce risuonarono delusione e
gravità. «Sei stato un vero
incosciente, Edward. Hai commesso un grosso errore, oggi.»
Lui
volse lo sguardo altrove, strinse i pugni e chinò
leggermente il capo. «Lo so,
Carlisle. E mi dispiace davvero. Ma» febbrile,
riportò lo sguardo sul padre «non
è questo il peggio. Uno di loro l’ha
riconosciuta.»
«Mi
ha riconosciuta? Loro sanno chi sono?»
«Jacob,
Jacob Black. Il nipote di Ephrain Black, presumo. Ha ricollegato il tuo
volto
alle foto del telegiornale e ad alcune appese a casa di tuo padre.
Sembra che
lo conosca piuttosto bene.»
Gemetti,
mio padre. Ancora. Avevo commesso l’ennesimo disastro. E poi
quel nome, Black…
Ero certa di doverlo ricollegare a qualcosa, a qualcuno… Ma non trovai nulla di
soddisfacente nella
memoria nebulosa.
Si
scatenò il putiferio.
«Allora
ci attaccheranno di sicuro, abbiamo infranto tutte le leggi
fondamentali del
patto! Dobbiamo prepararci.» Jasper
«Lo
diranno agli umani, sveleranno il nostro segreto!» Rosalie.
«Non
accadrà, anche per loro è importante la
segretezza», Carlisle.
«Dannazione,
Carlisle! Rifletti: non sono certo costretti a rivelare anche la loro
natura!»
«Anche
se dovessero decidere di fare una cosa del genere, noi saremmo
già lontani.
Andrà tutto bene.»
«E
se anche fosse? Se volessero attaccarci per poi raccontare tutto agli
umani? Io
dico di affrontarli, sono pochissimi. Quanti, due, tre?»
Emmett non avrebbe
abbandonato l’idea della battaglia tanto facilmente.
«No,
sono cresciuti di numero rispetto a prima dell’arrivo di
Bella. Ora sono sei»
spiegò Edward.
«Siamo
comunque di più noi, ce la possiamo fare!»
ribatté Emmett.
«Nessuno
combatterà, non se potremo evitarlo. Se le cose non si
rimetteranno a posto
partiremo per un po’ e torneremo tra qualche
decennio.»
«Carlisle,
non hanno intenzione di ascoltarci, l’ho visto chiaramente!
Dovremmo andarcene
immediatamente.» Edward si muoveva inquieta accanto a me.
«Andarcene»
si lamentò Rosalie «di nuovo. Stiamo
così bene qui… Non c’è quasi
mai il sole,
un piccolo paese, nessun problema
con
gli umani… Non voglio andarmene!»
strillò, infine.
«Non
c’è altra soluzione, Rosalie. Non li uccideremo
per rimediare ad un errore
nostro. Noi abbiamo rotto la tregua, noi ne subiamo le
conseguenze» rispose
pacatamente Carlisle. Se prima aveva insolitamente perso la calma, ora
sembrava
aver ritrovato i soliti modi pacifici e sereni.
«Io
non ho fatto nulla.» scandì Rosalie
«È stata lei. Sono stati loro a rovinare
tutto! Non voglio pagare per la loro stupiddità!»
Stranamente, però, il suo
sguardo schifato non sfiorò nemmeno Edward. Era evidente
che, alla fine, si
stesse riferendo soltando a me.
A
quel punto persi le staffe. Forse perché, anche se
insolitamente mansueta, ero
comunque una neonata. O forse perché mi ero stancata davvero
di essere trattata
come uno straccio senza una vera e propria ragione da quella arrogante
vampira
bionda.
«Credi
che l’abbia fatto a posto, Rosalie? Non pensi che mi senta in
colpa per ciò che
sta succedendo? Dannazione, certo che sì! Ma se qualcuno si
fosse degnato di
dirmi che c’era un confine da non superare, non mi ci sarei
nemmeno avvicinata!
Non so che diavolo abbia tu con me, non so perché non mi
sopporti, ma puoi star
certa che non era assolutamente mia intenzione rovinarti la vita. Scusa
tanto.»
Non pensavo di essere stata tanto aggressiva, evidentemente
però mi sbagliavo
perché mi ritrovai davanti Jasper e un’improvvisa
ondata di calma mi circondò
fino a farmi rilassare. Ciò mi infastidì: ero
arrabbiata e volevo esserlo,
perché non ero nemmeno più libera di fare
ciò che volevo? Mi dimenai un poco,
intorpidita dalle catene invisibili e gettai lo sguardo su Rosalie.
Emmett
aveva fatto un passo avanti, coprendola in parte alla mia vista,
sicuramente
anche lui preoccupato che potessi saltarle al collo. Anche
l’espressione di
Rosalie si era fatta più rilassata, evidentemente Jasper non
aveva usato il suo
potere solo su di me.
Ma
Rosalie era Rosalie e non avrebbe potuto lasciare a me
l’ultima parola del
discorso.
«Ma
l’hai fatto lo stesso, entrando in questa famiglia. Ero certa
che, con tutti
quelli che sapevano di te, ci avresti messi in pericolo.»
Prima
che potessi replicare, prima che la calma appena conquistata potesse
sparire,
fu Edward a rispondere.
«Sei
sempre la solita egoista, egocentrica e pure ipocrita!
Perché se non ricordo
male anche tu saresti potuta essere un pericolo, a Rochester tutti ti
conosceva. Eppure Carlisle non ha esitato un attimo a trasformarti e a farti fare tutto ciò che volevi.
E noi
ti abbiamo accol-»
«Sì,
me lo ricordo benissimo come mi hai accolta! Mi disprezzavi! E non hai
nessun
diritto di rivangare un passato che non ti riguarda! Sei tu
l’egoista, la vuoi
per te e non vedi oggettivamente ciò che è: un
problema! E sarebbe stato meglio
se fosse morta!»
Dopo
quello che parve un istante immaginario Edward ringhiò e si
avventò contro
Rosalie. Mi slanciai in avanti per tentare di afferrargli un braccio,
ma le mie
dita strinsero l’aria. Prima che potesse arrivare a lei,
però, Jasper riuscì ad
immobilizzarlo ed Emmett si piazzò davanti alla moglie, in
posizione di
attacco. Non l’avevo mai visto così. Anzi, posso
dire non averlo mai visto se
non allegro o esuberante o su di giri. E in quel momento era
semplicemente
terrificante: digrignava i denti e sibilava, l’espressione
del volto a dir poco
feroce. D’istinto mi mossi in avanti e fiancheggiai Edward,
il bisogno di
proteggerlo era più forte dell’istinto di
autoconservazione.
«Basta!
Ora basta, tutti quanti!» Carlisle si pose nel mezzo, tra le
due parti,
passando lo sguardo dall’una all’altra.
«Non serve a nulla litigare tra noi o
cercare qualcuno a cui affibbiare le colpe. Pensiamo piuttosto a come
comportarci.»
Lentamente,
senza smettere di studiarci gli uni gli altri, ritornammo ad uno stato
civile:
Jasper permise a Edward di sollevarsi e lo lasciò andare,
Emmett tornò in
posizione eretta e Rosalie non proferì più parola.
Quando
fu soddisfatto della situazione, Carlisle riprese a parlare:
«Bene, bravi.
Alice?»
Volsi
lo sguardo oltre Carlisle: Alice era rannicchiata sul secondo gradino
della
scala, la testa tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto.
«Niente.
Non vedo niente.»
«Alice,
cara?» Esme, rimasta in disparte per tutta la durata della discussione, si sedette accanto ad Alice
e le sfiorò i capelli con
le dita.
«È
tutto nero, come se non ci fosse un futuro. Ogni tanto ho
degli… sprazzi di
visione, dei flash, non li colgo bene nemmeno io. È come se
ci fosse
un’interferenza e io non riesco ad isolarla.»
Alice
sembrava persa, lontana, esattamente come le sue visioni.
«Prima,
quando io e Bella siamo arrivati, hai detto che vedevi ‘tutto
nero’. Quando è
cominciato?» Edward sembrava aver riassunto totalmente il
controllo di sé.
«Non
lo so, mentre eravate a caccia. A un certo punto Bella è
sparita e pochi
istanti dopo anche tu. Subito dopo che hai deciso di andare a salvarla
dai
licantropi, suppongo.»
Anche
lo sguardo di Edward si fece vitreo mentre riviveva con Alice le ultime
visioni.
«E
non potrebbero essere loro il problema?»
«È
ovvio che sono loro il problema. Noi abbiamo deciso di non attaccarli e
ora il
nostro futuro è scomparso perché saranno loro ad
ammazzare noi» borbottò
Emmett.
«Intendevo
dire» riprese Edward «che magari sono loro che
interferiscono con il tuo
potere. In fondo non hai mai avuto visioni su di loro.»
«Certo,
perché non ho mai controllato il loro futuro.»
Alice fece una smorfia, lo
sguardo ancora perso nel nulla.
«Riflettici:
è capitato che ci avvicinassimo, nei pressi del confine,
eppure tu non hai mai
avuto nessuna visione a riguardo. Forse, se avessi cercato, anche in
quei casi
avresti trovato il nulla.» più andava avanti
più la sua teoria sembrava far
combaciare i tasselli del puzzle «E poi è accaduta
più o meno la stessa cosa
quando il patto è stato riconfermato, due anni fa.»
«Al
tempo avevamo pensato che fosse per via del fatto che i Quileute
non avevo preso una decisione... Ma
stavolta hai
detto che quasi certamente stanno prendendo
una decisione, no?»
«Sì,
ma non è questo il punto. Ciò che conta
è che quando ci sono di mezzo i lupi tu
non vedi il nostro futuro. Prova ad aggirarli, a vedere
oltre!»
«Mi
sembra una teoria piuttosto verosimile.» Carlisle
annuì tra sé e sé.
Alice
mugugnò, infastidita, ma questa volta i suoi occhi erano
limpidi e osservavano
Edward.
«Posso
tentare, ma non credo di farcela. Se, come dici tu, il problema
è che non posso
vedere i licantropi, allora la cosa si fa complessa. Dato che non posso
vedere
le conseguenze delle loro decisioni e queste influenzeranno anche il
nostro
futuro, automaticamente anche quest’ultimo
sparisce.»
«Proprio
ciò che intendevo!» Edward sembrava piuttosto
soddisfatto del successo riscosso
dalla sua teoria.
«Ma
è un problema» asserii.
«Certo
che lo è. Se non conosciamo le loro decisioni non possiamo
prevenire le loro
mosse» Jasper si grattò per un momento il mento
nervosamente.
«L’avevo
detto, io, che avremmo dovuto attaccarli.» Emmett era una
cantilena continua.
«Forse
potremmo mediare in qualche modo, nemmeno loro sono particolarmente
numerosi e
sono certo che non vogliano mettere in pericolo la
tribù.»
«Carlisle,
te l’ho già detto: abbiamo rotto il patto, non
sono intenzionati a concederci
una seconda possibilità.»
«Allora
ce ne andremo il più velocemente possibile e eviteremo
combattimenti inutili.»
Esme,
che non aveva mai smesso di accarezzare la testa scura di Alice, si
alzò in
piedi e affiancò Carlisle.
«Prepariamo
le valigie. Prendete giusto le cose più importante, quelle
di cui pensate di
non poter fare a meno. Vestiti comodi e poco vistosi, mi
raccomando.»
Salimmo
le scale e ognuno raggiunse la propria stanza.
Aprii
le porte della cabina armadio e mi ci infilai. Afferrai diverse paia di
jeans –
scansando tutti quelli che, oltre al denim, presentavano paillettes e
perline –
qualche maglia e qualche giacca. Mi guardai i piedi: gli anfibi scuri
che
portavo sarebbero stati sufficienti. Mi guardai intorno, le braccia
ingrombrate
dai vestiti, alla ricerca di qualcosa di fondamentale importanza che
avevo
dimenticato.
«Alice»
chiamai «mi serve una bor-»
«Terza
anta a destra, ripiano più basso» sentii risponde
dal piano di sotto.
Posai
i vestiti su una cassettiera e seguii le indicazioni di Alice:
effettivamente
trovai una sacca da viaggio bianca – munita di paillettes
fucsia sui manici,
s’intende – e la riempii.
Tornai
in camera e presi dalla libreria la raccolta di romanzi della Austen e
la copia
di Cime Tempestose che mi aveva portato Carlisle. Dalla scrivania presi
anche
alcuni testi scolastici del terzo anno: biologia e letteratura.
Trigonometria
rimase tristemente abbandonata accanto al portatile, che non reputai
minimamente importante.
Infilai
anche i libri nella borsa e poi la chiusi. Mi fermai un momento, le
mani sui
fianchi, a osservare la stanza che mi apprestavo a lasciare. No, non
possedevo
nient’altro d’importante. E se avessi avuto voglia
di ascoltare un po’ di
musica avrei chiesto a Edward.
Per
quanto la situazione fosse pericolosa e difficile, le mie labbra si
incurvarono
spontaneamente in un sorriso al pensiero di Edward.
Sorriso
che morì quando, affacciandomi alla porta della sua stanza,
mi resi conto che
non era nemmeno salito, ancora.
Ripresi
la mia sacca e scesi le scale, fermandomi però al primo
piano. Riconobbi il
tono degli sbuffi di Alice e mi diressi verso la sua stanza,
utilizzando il rumore
come guida. Davanti alla pesante porta di noce, a scanso di equivoci
voltai lo
sguardo e contai le stanze: due a sinistra e una a destra. Non era
quello il
momento per finire per sbaglio nella stanza di Rosalie.
Alzai
il pugno per bussare, ma Alice mi precedette sussurrando un
“entra”.
Aprii
e richiusi la porta velocemente, posando la sacca terra. Alice era
seduta al
centro del letto, le gambe incrociate e nuovamente la testa fra le
mani. Questa
volta però non potevo vederle gli occhi, perché
teneva il capo chino,
raggomitolata su sé stessa.
«Alice,
tutto bene?» mi sedetti sul materasso accanto a lei e le
posai una mano sulla
spalla.
«No,
ho un'emicrania.»
Tratenni
una risatina, il tono lamentoso che aveva usato mi ricordava molto una
bambina.
«I
vampiri hanno l’emicrania?»
«Gli
altri no, solo io.»
«Mh,
un’aspirina non servirebbe a nulla, vero?»
Alzò
il capo e mi trucidò con lo sguardo. Evidentemente non aveva
gradito la
battuta.
«Tutto
questo “aggirare il nero” mi sta
distruggendo.»
«Ce
la stai facendo, almeno?»
«Circa,
ogni tanto ho dei flash, ma sono poco chiari. Ho visto che ci metteremo
in
viaggio e riusciremo ad allontanarci da Forks, di questo sono certa.
Qualche
minuto fa ho visto anche che ci dirigeremo a nord, probabilmente
Carlisle ha
preso una decisione.»
Annuii,
sollevata. Se ci vedeva in viaggio voleva dire che ce
l’avremmo fatta e che i
licantropi, alla fine, non avrebbero creato grossi problemi.
«E
poi resta in sospeso il perché i lupi oscurino le mie
visioni. Non mi piace
essere cieca, mi sento un’invalida.» Le sfiorai i
capelli corti con le dita,
come aveva fatto Esme pochi minuti prima. Per lei doveva essere davvero
frustrante essere privata del suo potere. Non l’avevo mai
vista sotto questo
punto di vista, non avendo alcun potere supplementare – a
parte il
superautocontrollo, quindi comunque niente di lontanamente figo
– non potevo
capire cosa provasse. Sicuramente era simile alla bizzarra frustrazione
che
sentiva Edward ogni volta che il mio strano cervello gli impediva di
leggere i
miei pensieri.
«Rilassati
un po’, ora. Non credo serva più di tanto, ora
come ora, capire il perché. Ti
stai impegnando tanto, mi dispiace che tu debba stare male
così per un guaio
che ho combinato io.» Smisi di accarezzarle i capelli quando
mi cinse la vita
con le braccia sottili.
«Bella,
sta’ tranquilla, non potevi saperlo. Non dare retta a Rose,
lei è solo… nervosa
e un po’ suscettibile. Qui tutti ti vogliamo bene. Io ti
voglio bene. Ti ho
vista arrivare e so che la nostra amicizia sarà sempre
più forte» mi scoccò un
rumoroso bacio sulla guancia e io non potei fare altro che sorriderle.
Alice
era davvero come una bambina: ne aveva la dolcezza,
l’altruismo e la genuinità.
La strinsi anch’io e in quel momento, anticipato dai suoi
stessi passi, Jasper
entrò in camera.
Sorrise
vedendoci ancora abbracciate. Probabilmente aveva ascoltato anche la
nostra
conversazione.
«Ragazze,
mi spiace interrompere questo adorabile quadretto, ma dobbiamo andare.
Le auto
sono pronte e mancano solo le vostre valigie.»
Alice
annuì e ci separammo. Sparì per una manciata di
secondi nella cabina armadio e
tornò con due enormi trolley e un borsa da viaggio.
Ovviamente si trattava di
un set di valigie coordinate, tutte giallo. Giallo canarino.
«Ehm,
Alice, non pensi di esagerare? Carlisle ha detto di portare solo il
minimo
indispensabile.» Che diavolo aveva messo dentro quelle
valigie?
«Lo
so, infatti ho deciso di rinunciare all’altro trolley.
Andiamo, su» Scossi il
capo e la seguii fuori e giù per le scale. Al piano di sotto
le luci erano già
state tutte spente e ci dovemmo muovere nel buio per arrivare al
giardino. Non
che fosse un problema, ovviamente. Jasper chiuse la porta alle nostre
spalle a
doppia mandata e poi prese un trolley e la borsa da viaggio di Alice.
Come
da lei previsto, si preannunciava una giornata soleggiata, pur essendo
il sole
ancora molto lontano dall’arrivare alla massima altezza.
Perciò, negli attimi
impiegati per raggiungere il garage, potei osservare il mio corpo e
quelli di
Alice e Jasper – le parti non coperte dai vestiti, ovviamente
– ricoprirsi di
diamanti.
Notai
Emmett finire di caricare delle valigie nel cofano di un enorme jeep.
Carlisle,
Edward ed Esme ci aspettavano in piedi, vicino alle auto.
«Bene,
eccovi. Emmett e Rosalie prenderanno la jeep, Edward e Bella la volvo e
Alice e
Jasper verranno con me ed Esme. Quindi-»
Evidentemente
Carlisle si rese conto solo in quel momento della quantità
spropositata di
valigie di Alice, la quale stava tentando di far entrare sia i trolley
sia la
borsa nel ridotto spazio del cofano della Mercedes. Si interrupe e le
rivolse
un’occhiata esterrefatta.
«Alice,
tutta quella roba non ci sta in auto! Ci sono già le mie
valigie, quelle di
Esme e quelle di Jasper. Almeno uno dei trolley devi darlo a
Edward.»
Alice
annuì e, a passo di danza, portò il trolley
davanti alla volvo. Carlisle scosse
il capo, rassegnato alla strampalata versione di minimalismo di Alice.
Edward
prese la valigia e la caricò nel cofano dell’auto.
«Bene,
detto ciò siamo tutti pronti. Passeremo
dall’autostrada, cerchiamo di aggirare
Forks e allontaniamoci il più in fretta possibile dai
boschi. Alice, il tempo?»
«Non
resterà buono per molto. E poi, salendo, troveremo pioggia e
temporale.» Alice
non ebbe nemmeno bisogno di riflettere, solo ciò che
riguardava i licantropi
era oscurato, quindi il tempo doveva essere ancora facile da prevedere.
«Perfetto.
La strada per Denali la conoscete tutti. Guiderò comunque
io, voi statemi
dietro.»
Tra
i consensi generali tutti si diressero verso le rispettive auto. Edward
mi aprì
lo sportello del passeggero e io mi accomodai sul sedile della volvo.
Fui
subito inebriata dal profumo di Edward, di cui era impregnato
l’intero
abitacolo. Sprofondai nel sedile e respirai a pieni polmoni quello
strano misto
di lillà e sole. Sperai che Edward non mi avesse notata, ma
sembrava troppo
impegnato nel fare retromarcia per accorgersene. Mentre uscivamo dal
garage
lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore e
gli angolo della sua bocca si
incurvarono verso il basso.
Voltai
il capo per capire cosa lo rattristasse e notai, dietro
l’enorme jeep di Emmett
un telo chiaro che, a giudicare dalla forma, copriva un’auto.
«Lasciamo
una macchina qui?»
«La
mia Aston, non possiamo portarci tutto dietro e tre auto sono
sufficienti.
Spero solo che ai cani non venga in mente di mettere piede in
casa.» le ultime
parole si persero in un sibilo.
«Ma
tutto il resto delle nostre cose? I mobili, i libri, i
quadri… Che fine
faranno?» per qualche ragione mi balenò in mente
l’immagine del crocifisso di
Carlisle. L’aveva portato con sé o era ancora
appeso alla parete vicino al suo
studio? Lasciai uno sguardo veloce al cofano della mercedes che ci
precedeva,
ma non vidi nulla a causa dei vetri oscurati.
«Li
faremo trasportare nella nostra nuova casa, dato che probabilmente non
potremmo
più avvicinarci a Forks per decenni.»
«A
Denali? È lì che stiamo andando, no?»
«No,
non esattamente. Denali è una sistemazione momentanea.
Andiamo a stare da
dei…cugini.»
Era
ancora nervoso a causa del litigio con Rosalie, era evidente. In
più stavamo
passando proprio ai margini del bosco e avvertivo dei movimenti tra gli
alberi.
Edward imprecò e la mercedes accelerò, seguita a
ruota dalla volvo. Feci in
tempo, però, a voltarmi: a pochi metri dalla strada un
grosso lupo fulvo era
spuntato fuori dalla boscaglia e ci correva accanto. Mi fissava e io
non potei
fare a meno di ricambiare lo sguardo. C’era qualcosa in
quegli occhi scuri che
aveva ben poco di animalesco. Erano intelligenti, mi osservavano come
se mi
conoscessero. Capii all’istante a quale lupo si riferisse
Edward quando aveva
detto che uno di loro sapeva chi ero.
Quest’ultimo,
da bravo vampiro, ringhiava sottovoce senza distogliere lo sguardo
dalla
strada. Lanciai un’occhiata al tachimetro: segnava 180
chilometri orari. Se
fosse stato per Edward sicuramente avremmo accelerato ancora, ma
l’auto di
Carlisle ci bloccava il passaggio.
Ben
presto ci lasciammo alle spalle il lupo, evidentemente incapace di
correre così
velocemente tanto a lungo. Pregai che, qualsiasi cosa sapesse, non
rivolesse
nulla a mio padre.
Passarono
diversi minuti di silenzio, Edward non sembrava intenzionato a
proferire
parola. Il volto era ancora livido, non seppi dire se a causa del lupo
o di Rosalie.
Mi
schiarii la gola e cercai di iniziare una conversazione.
«Quindi…
abbiamo dei cugini?»
«Qualcosa
del genere, sì. Le consideriamo cugine perché il
loro capo clan, Tanya, ha
scelto la dieta vegetariana e ha coinvolto tutti gli altri
membri.» Non sembrava
particolarmente felice di rispondere.
«Tanya
si è creata una famiglia come Carlisle?»
«No.
Lei, Kate e Irina sono state trasformate da una vampira che le tenne
con sé
come figlie sue, perciò loro si considerano sorelle. La
madre è morta da
diversi anni ormai, ma loro sono ancora insieme.»
«Un
clan tutto al femminile?» senza una ragione precisa le
paragonai a una
confraternita del college esclusivamente femminile. Doveva essere
divertente.
«Quasi.
Diversi secoli dopo la morte della madre conobbero una coppia, Carmen
ed
Eleazer. Questi rimasero molto affascinati dalla loro dieta e si
unirono al
clan. In seguitoi Carlisle conobbe il clan di Denali e diventammo una
sorta di
famiglia allargata.»
«E
perché non vivete tutti assieme?»
Quella
domanda non parve piacergli particolarmente, strinse il volante con
molta più
energia di quanto servisse.
«Abbiamo
vissuto insieme, per un breve periodo. Ma una famiglia così
numerosa attira
l’attenzione ed è difficile fingere rapporti di
parentela così ampi.»
Stavo
imparando a conoscere Edward e sapevo che, quando usava quel tono
distaccato,
stava in realtà misurando le parole per cercare di
nascondermi qualcosa.
«Solo
per questo?» finsi disinteresse.
«Sì»
si voltò verso di me e scatenò tutta la forza del
suo sguardo su di me. Risi,
ignorando la stretta allo stomaco che mi causava.
«Usi
quello sguardo ogni volta che vuoi qualcosa, vero? Immagino
funzioni.»
Rise
con me e il fatto che non avesse negato mi convinse ancora di
più della mia
tesi: mi nascondeva qualcosa. E averne la certezza, a dire la
verità, mi sembrò
una sorta di cattivo presagio.
Scacciai
quella sensazione quando Edward allungò una mano e
afferrò la mia, sospirando.
«Mi
dispiace per prima, Bella. Ho esagerato con Rosalie, non avrei dovuto
attaccarla. Mi scuso anche da parte sua. È solo…
sconvolta, raramente riusciamo
a trovare un posto in cui stare a lungo. Forks è il
più sicuro che abbiamo mai
trovato e sapere che probabilmente non potremmo più mettere
piede nella
penisola di Olimpia non le ha fatto piacere»
sussurrò, per evitare che qualcun
altro ci sentisse.
«La
capisco, davvero. E mi dispiace di aver combinato questo casino. Ma non
sopporto il fatto che mi odi così tanto senza una ragione
precisa.»
Portò
le nostre mani intrecciate sul cambio con un sospiro.
«Però
devo scusarmi di un’altra cosa ben più grave e
importante. Ti ho messa in
pericolo, è stata colpa mia se i licantropi ti hanno
attaccata, avrei dovuto
parlarti dei confini. E invece che faccio? Ti lascio sola. Se non fossi
arrivato in tempo chissà cosa sarebbe successo…
Carlisle ha ragione: sono un
incosciente. Un vero idiota.»
«Non
mi pare che Carlisle ti abbia dato dell’idiota. Smettila di
incolparti, non
potevi sapere che mi sarei spinta così in
là.» Sorrisi e strinsi più forte le
dita attorno al suo palmo.
«Mi
dispiace»
Mi
allungai verso di lui e gli lasciai un bacio all’angolo della
bocca. Avvertii
le sue labbra incurvarsi in un sorriso e mormorò un
«Grazie» senza distogliere
lo sguardo dalla strada.
Blah,
fluff moment. *inorridisce*
Anyway,
che ve ne pare?
Avete
notato la lunghezza? È quasi il doppio dei soliti capitoli,
quanto sono brava
uwu A dire il vero volevo dividerlo, per lo meno eliminare
l’ultima parte per
alleggerirlo un po’, ma mi sono resa conto che ne sarebbe
uscita una schifezza,
si tratta di un blocco unico e non potevo tagliare via nulla.
Alluuora,
niente battaglia vera e propria come avrete notato. Primo
perché avrei dovuto
far morire qualche cagnolotto e non mi andava per nulla, visto e
considerato lo
spirito alla Gandhi di Carl, secondo perché sarebbe stato
davvero stupido che i
lupi si scagliassero davvero contro i Cullen in minoranza numerica
così
evidente. Oh, un’altra cosa: avrete notato che,
cronologicamente parlando, sto
stravolgendo delle cosette: ci sono troppi licantropi, Jacob di certo
è molto
più giovane rispetto all’età originale
della trasformazione. Giustifico ciò in
questo modo: è arrivata una nuova vampira che spesso, anche
se
inconsapevolmente, si è avvicinata parecchio al confine e
questo a portato la
reazione a catena di trasformazione e compagnia. Si tratta comunque di
licantropi giovanissimi e inesperti, cosa che si nota facilmente anche
dall’eccessiva impulsività. Persino Sam stava per
portare al massacro i suoi
fratelli pur sapendo che non ne
sarebbero usciti vivi.
Se
queste giustificazioni non dovessero soddisfarvi, beh, fatevene una
ragione.
Concedetemi la licenza poetica e via. lol
Ah,
ho notato dalle ultime recensioni che stavate già esultando
per lo scioglimento
di Rose. TROL. AHAHAHAH vi
amo, lo
sapete c’:
Nel
prossimo capitolo saremo a Denali, quanto sono contenta! Voi, cosa vi
aspettate? ahahah
Mille
grazie, come sempre, a voi tutti che leggete e ancor di più
a chi recensisce.
Quanto sono contenta di sapervi contente della storia, aw.
Infine
vi chiedo un ultimo favore: pregate per me, da ieri ho iniziato i corsi
di
recupero e temo di non arrivare alla fine dell’estate.
ÇÇ
Ora
scappo al mare,
sciau
sciau <3
Vero
Ps. Stasera rispondo alle recensioni!
|
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Capitolo 13 *** Capitolo XIII ***
Capitolo
betato da Joan
Douglas. Thank you so much, darling!
Capitolo
XIII
«Se
avessi saputo che mi avresti dato tante noie, non ti avrei lasciata
venire con
me.»
Edward
si fingeva infastidito, ma sotto i baffi rideva. Dopo nove ore di
lunghissimo
viaggio – più una breve pausa per permettermi di
cacciare, dato che in tutto
quel caos non ero ancora riuscita a fare un pasto decente –
avevo iniziato a
non sopportare più lo stare rinchiusa in
quell’auto. Una delle caratteristiche più
evidenti dei vampiri è la tendenza alla totale
immobilità, anche per lunghi
periodi di tempo.
Evidentemente
io ero l’eccezione che conferma la regola.
«Mh-mh,
certo. Quindi non siamo ancora arrivati?»
Oppure,
più semplicemente, iniziavo a essere afflitta da una noia mortale.
Si
limitò ad alzare gli occhi al cielo.
Mi
posizionai meglio sul sedile e voltai il capo verso il finestrino:
pioveva.
Sbuffai.
Alice
aveva avuto ragione – non che ne dubitassi –
riguardo al tempo. Al confine con
il Canada il sole aveva iniziato a giocare a nascondino dietro a delle
nuvole
che, simpaticamente, avevano deciso di buttar giù una
pioggerella leggera. La
pioggerella leggera si era quindi trasformata in qualcosa di molto
vicino al
diluvio universale. Il paesaggio era più o meno invariato da
quando eravamo
partiti: chilometri e chilometri di boschi, oppure lunghe distese di
campagne,
ogni tanto fiancheggiavamo una città, senza mai avvicinarci
troppo. Cercavamo
di tenerci alla larga dai centri urbani, prima di tutto
perché entrarvi avrebbe
significato rallentare l’andatura e quindi
l’allungamento di un viaggio già
pressoché interminabile. E poi, certo, c’era anche
la trascurabile questione
del sangue umano e del mio essere una vampira neonata. Non che non
avvertissi il
caldo sangue dei passeggeri nelle auto che ci sfrecciavano accanto o
che non ne
fossi attratta, ma riuscivo a resistere alla tentazione di gettarmi
fuori dalla
volvo. Ritrovarsi bloccati in un ingorgo, circondata da migliaia di
persone,
cuori pulsanti e sangue delizioso avrebbe certamente fatto degenerare
la
situazione.
Saggia
decisione, quella di viaggiare sulla superstrada a super
velocità.
Quindi,
oltre alla noia, l’immobilità obbligata, si
aggiungeva anche l’istinto di
strappar via lo sportello e di fiondarmi sulla prima auto, e sui
passeggeri al
suo interno, che avessi trovato. Quell’abitacolo era sempre
più soffocante.
«Edward,
credo di stare per morire di noia.»
Lui
ridacchiò, ma non allontanò lo sguardo dalla
strada.
«Sai,
è in questi casi che l’immortalità
torna utile.»
Sbuffai,
per l’ennesima volta e lui rise, per l’ennesima
volta. Quel viaggio stava
diventando decisamente troppo monotono.
«Perché
non ascolti la pioggia? È rilassante.»
Mi
soffermai per un attimo ad ascoltare lo sciabordio dell’acqua
sui vetri e sul
tetto dell’auto, il suono ritmico dei tergicristalli e quello
delle ruote che
corrono sull’asfalto bagnato. Per niente armonioso o
rilassante.
«Io
odio la pioggia», grugnii.
«E
allora devi essere contenta di aver lasciato Forks! A Denali niente
pioggia.»
«Davvero?»
Mi sporsi verso di lui, entusiasta.
«L’acqua
scende già congelata: solo neve, lì.»
Mi
lasciai ricadere sul sedile, mugolando.
«Altra
roba fredda e bagnata, puah!»
Edward
rise.
Diverse
ore e svariate miglia dopo, quando il sole era già calato
oltre l’orizzonte e,
come preannunciato da Edward, la pioggia aveva ceduto il passo alla
neve,
arrivammo a Denali.
Rimasi
incantata ad osservare il paesaggio oltre il finestrino: gli alti
alberi della
taiga, i salici e gli enormi abeti rossi che avevano assunto una
particolare
colorazione vicina al violetto a causa dell’assenza di luce
solare. Oltre le
foreste era possibile vedere risplendere nella notte i monti
perennemente
bianchi e le pianure sconfinate della tundra.
«Ne
è valsa l’attesa, vero?»
Non
allontanai nemmeno il naso dal vetro, troppo impegnata a contemplare il
paesaggio.
Ci
volle un’ora buona ancora per arrivare fino alla casa del
clan di Denali. Dopo aver
fiancheggiato le foreste ed essere saliti per diverse centinaia di
metri, ci
trovammo su un’enorme piana sul fianco di un monte. Addossata
alla parete
rocciosa si trovava quella che aveva tutta l’aria di una
baita di montagna,
solo molto, molto più grande. Lasciammo le auto sul sentiero
che terminava
contro la parete rocciosa e scendemmo.
Fuori
dalle strade, o dai sentieri, ripuliti per consentire il passaggio
delle auto,
la neve era alta e i miei stivali vi affondarono per venti centimetri
buoni.
Edward mi fu accanto in un attimo, gli presi la mano e lui mi sorrise,
incoraggiante. Osservai la casa: le luci del pian terreno e una di
quello
superire erano accese. Ci muovemmo in silenzio e, una volta messo piede
sul
vialetto, la porta d’ingresso si aprì e la luce al
piano superiore si spense.
Osservai
Carlisle fermarsi sulla soglia e abbracciare un vampiro moro e
sorridente.
«Carlisle,
è sempre un piacere averti qui!»
«Lo
stesso vale per me, Eleazar.»
Subito
dopo fu il turno di Esme di essere
abbracciata, mentre il marito scompariva dentro la casa. Edward mi
lasciò la
mano ed entrò anche lui, salutando con una pacca sulla
spalla il vampiro
Eleazar. A differenza di Carlisle ed Esme, che avevano già
superato la soglia,
Edward mi aspettò da un lato, le spalle al muro e mi
invitò ad entrare. Posando
il suo sguardo su di me, l’altro vampiro, sorrise
affettuosamente e mi porse
una mano per aiutarmi, cavallerescamente parlando, a salire i due
gradini
dell’ingresso.
«Tu
devi essere la nuova recluta di Carlisle! Io sono Eleazar. È
un piacere
conoscerti, Bella.» La stretta della sua mano era poderosa,
ma gentile. La sua
postura e le spalle aperte mi ricordarono un soldato.
«Anche
per me, Eleazar.»
Edward
mi sorrise nuovamente e, insieme, ci dirigemmo verso una porta aperta
alle
spalle di Eleazar, che lasciava intravedere una sala. Si trattava di
uno spazio
ampio, anche se non quanto quello del salone di villa Cullen, e ben
arredato.
Una delle pareti era vera e propria roccia. Diverse credenze e mobili
di legno
scuro-rossastro la adornavano. Il pavimento, di parquet, era ricoperto
di
tappeti che avevano tutta l’aria di essere stati pellicce di
animale, in una
vita passata. Al centro della stanza era situato un tavolino di vetro
e,
attorno ad esso, tre divani. Nell’unico lato non occupato da
un divano, scavato
nella roccia, c’era un caminetto. Al suo interno il fuoco
scoppiettava
allegramente.
Carlisle
ed Esme, proprio accanto al focolare, stavano parlando con delle donne.
Quattro, per l’esattezza: tre bionde e una mora. Le tre
bionde potevano benissimo
essere scambiate per sorelle da quanto erano simili. Tanya, Kate ed
Irina,
supposi.
Una
di loro ci venne incontro e gettò le braccia al collo a
Edward.
«Edward!
Mi sei mancato!»
Aveva
il capo sepolto tra il suo collo e la sua spalla e gli era
letteralmente spalmata addosso.
Una
morsa mi strinse lo stomaco e un moto di rabbia mi si
riversò in gola, pronto a
venire fuori in un ringhio. Mi imposi di stare calma e sperai di non
avere la
gelosia dipinta in faccia. Il mio autocontrollo fu notevolmente
agevolato
quando Edward, ridacchiando, sfiorò per un momento le spalle
della vampira e la
allontanò con gentile fermezza dal suo corpo. Fece un passo
indietro e le
sorrise, imbarazzato.
«Tanya,
ti trovo bene.»
Trovai
il sorriso di risposta della vampira sgradevolmente troppo entusiasta.
Edward,
quindi, si voltò verso di me.
«Tanya»
e fece una breve pausa, per lanciare uno sguardo alle altre donne, come
a
renderle partecipi della presentazione «lei è
Bella, la nuova recluta, come
l’ha definita Eleazar.»
Mi
sforzai di sorridere alla vampira, ma dentro di me la morsa si fece
più stretta
e la gola arse dal desiderio di ringhiare. Ero delusa dalla scarna
presentazione di Edward: “la nuova recluta”? Tutto
qui? Avrei voluto che mi
qualificasse in qualche altro modo, magari con un termine che mi
avvicinasse
più a lui e meno allo status di sorella.
Dal
canto suo, Tanya, mi squadrò per un momento e rispose al mio
sorriso. Lei però
era certamente più allegra di me.
«Piacere
di conoscerti, Bella. Loro sono le mie sorelle: Irina e Kate. E lei
è Carmen,
la compagna di Eleazar.» Accompagnò ogni nome con
un gesto della mano,
indicandomi chi fosse chi. Irina era più bassa di Kate, ma
entrambe avevano i
capelli liscissimi. Carmen invece sembrava più anziana
rispetto alle altre. Fu
lei ad avvicinarmisi per prima – non avevo la
benché minima intenzione di
allontanarmi da Edward, non finché ci fosse stata anche
Tanya accanto a lui – e
mi porse la mano. La strinsi.
«È
un vero piacere conoscerti, querida!»
«Anche
per me, Carmen.»
Mi
sorrise e pensai che dovesse essere amica di Esme, i loro sorrisi erano
dolci
allo stesso modo.
Kate
e Irina seguirono Carmen, ma si limitarono a sorridere o a rivolgermi
qualche
frase di benvenuto. Volsi lo sguardo oltre le due sorelle,
dov’erano Carlisle
ed Esme, e li vidi osservare Tanya e poi Edward. Esme non sembrava
contenta.
Gli
altri, che dovevano aver terminato di entrare e di salutare Eleazar, si
erano
già avvicinati ai divani e vi si erano seduti. Il padrone di
casa, invece,
rimase in piedi. Li imitammo e io ed Edward ci trovammo seduti, insieme
ad
Esme, in uno dei divani rimasti liberi. Suppongo non sia difficile
immaginare
chi si fosse seduta sul bracciolo, proprio accanto a Edward.
«Allora,
Carlisle» iniziò Tanya «stamattina hai
accennato a dei problemi con quei lupi
vostri vicini. Ci spieghi con esattezza cosa è
successo?»
Carlisle
annuì e cominciò il racconto: parlò
prima del patto, delle regole fondamentali
di “non uccidere” e “non trasformare
esseri umani”, specie se della zona. E
proseguì con le mie origini di Forks, con la storia della
mia trasformazione e,
in fine, del mio sconfinamento.
Ebbi
un momentaneo dejà-vu: quella situazione mi ricordava
terribilmente il mio
arrivo tra i Cullen. Iniziavo a odiare lo status di nuova arrivata
combina
guai.
«Perciò
Bella, non sapendo con esattezza quali fossero esattamente i confini
tra i
nostri territori, li ha attraversati e i lupi l’hanno
attaccata. Siamo quindi
stati costretti ad andarcene in fretta, per evitare una battaglia,
capite»
terminò Carlisle.
«Non
che avremmo avuto qualche problema nel distruggerli, eravamo anche in
superiorità numerica. Ma Carlisle, ovviamente,
non ha nemmeno preso in considerazione l’idea»
ghignò Emmett.
«Non
uccidiamo, specie se a scatenare i problemi sono stati dei nostri
errori.»
Carlisle non ammetteva repliche e non permise a Emmett di continuare a
scherzarci su.
«Quindi,
in sintesi, a causa di Bella siete dovuti scappare.» Tanya
trasse le sue
conclusioni e io mi irrigidii. Bene, ci mancava solo una nuova Rosalie.
«Non
è stata colpa di Bella, Tanya. Non conosceva i confini e si
è trattato di una
mia negligenza, sono stato un incosciente a lasciarla andare da
sola.»
Il
fatto che Edward avesse preso ancora una volta le mie difese,
addossandosi la
colpa dell’accaduto, alleviò la precedente
delusione per la presentazione.
«Quindi
cosa farete ora? Pensate che i licantropi possano cercare
vendetta?» domandò Irina,
dal divano accanto al camino.
Fu
Edward a rispondere: «Ne dubito. Ho potuto ascoltare i
pensieri di uno di loro,
quello che ha riconosciuto Bella, e non ho visto alcuna intenzione del
genere.
A patto che ce ne andassimo, ovviamente. Sono consapevoli della nostra
superiorità e non hanno intenzione di sprecare inutilmente
delle vite.
«Comunque
non potremo tornare, non per i prossimi settant’anni per lo
meno. Se
decidessimo spontaneamente di ricomparire, scoppierebbe la guerra.
Diciamo che
è come se si trattasse di una pace momentanea:
finché noi restiamo lontani,
loro stanno tranquilli nel loro territorio. Se noi tornassimo loro ci
attaccherebbero. E temo che questo varrà anche per i loro
discendenti.»
«Il
che è davvero un peccato, dato che Forks era assolutamente
il luogo perfetto in
cui vivere.» Tutti avvertirono l’astio nella voce
di Rosalie, ma nessuno fece
domande. Specie perché mi rifilò
un’occhiata glaciale, che ricambia non
altrettanta durezza.
«Per
questa ragione abbiamo deciso di andarcene in fretta e furia, senza
nemmeno
portare via tutto. Ciò che abbiamo lasciato lì ce
lo faremo portare nella
nostra prossima sistemazione. E domani chiamerò
l’ospedale e sistemerò le
cose.» Emmett ridacchiò alle parole di Carlisle,
evidentemente trovava buffo il
rammarico nella sua voce quando parlava dell’ospedale che
aveva dovuto
abbandonare. Kate, Irina e Carmen sorrisero, probabilmente
d’accordo con lui.
Non
sapevo con esattezza cosa intendesse Carlisle con “sistemare
le cose”, ma
supposi che si trattasse dell’inscenare una balla, magari
quella di un
trasferimento improvviso causato da qualche avvenimento particolare. A
pensarci
bene, non era per niente una balla.
«Siete
ovviamente i benvenuti nella nostra cosa, per tutto il tempo che
vorrete.» Carmen
sorrise e strinse la mano a Esme.
«Grazie,
ma non abbiamo intenzione di abusare della vostra
ospitalità. Giusto il tempo
di trovare un nuovo posto e sbrigare un po’ di
burocrazia.» Carlisle sorrise.
«Ma
quale abuso, siamo sempre felici di avervi con noi!» Kate
rise e scosse i
lunghi capelli biondi. «Non porti inutili problemi,
Carlisle.»
Lui
sorrise e non fu possibile dubitare dell’affetto e della
gratitudine che
provava, gli si leggevano in faccia.
«Immagino
che le visioni in questo caso non servano a molto, per lo meno se
questi
licantropi hanno preso la decisione di attaccare in risposta a un
vostro
ritorno, dovrete aspettare la nascita della nuova generazione per
vedere se
cambiano idea. In questo caso il potere di Alice è
inutile», riprese Tanya.
Fui
certa che Alice si fosse offesa quando, con uno scatto repentino,
Jasper la
trattenne per un braccio per evitare che scattasse in piedi e
rispondesse in
malo modo. Trassi una frivola soddisfazione dalle occhiate acide di mia
sorella
verso Tanya.
«A
dire il vero, Alice non vede proprio i licantropi. Abbiamo scoperto
che, non
solo non può vedere il loro futuro, ma che il
“nero” che li avvolge abbraccia
anche chi è interessato nelle loro decisioni. Noi, in questo
caso.»
E
l’ego di Alice subì la batosta finale.
«Volevo
parlarti anche di questo, Eleazar. Pensi che possa essere un potere
particolare
dei licantropi? Noi abbiamo messo su diverse teorie, ma non siamo certi
di
nessuna.» Carlisle
si rivolse
direttamente al vampiro e in un primo momento non ne capii il motivo:
come
faceva lui a dare una risposta alle visioni di Alice?
«Eleazar
ha il potere di riconoscere le capacità extra degli altri
vampiri e di valutarle»
spiegò Edward, a bassa voce. Annuii.
«Oppure
dipende da Alice, fino ad ora ha avuto solo visioni sui vampiri,
giusto?»
Eleazar si passò un dito sul mento, pensieroso.
«Anche
sugli umani, nessuna eccezione né tra mortali né
tra immortali», aggiunse la
diretta interessata.
«Quindi
su entrambe le forme che hai assunto, prima quella umana e poi quella
vampira.
Forse dipende da questo. O forse questi licantropi possiedono delle
sorta di
scudi che li proteggono dai poteri dei vampiri-»
«Io
però riesco a sentire i loro pensieri e Jasper le loro
emozioni, può anche
condizionarle. Si è assicurato che il lupo che ci ha visti
andare via stesse
calmo e non provasse ad attaccarci», precisò
Edward.
«Interessante.»
Eleazar si staccò dal muro su cui era appoggiato e prese a
camminare per la
stanza. «Sembra quasi il fenomeno capovolto rispetto a quello
che succede con
Bella.»
«Come
fai a saperlo?» Carlisle si sporse in avanti, guardando fisso
il vampiro.
«Ma
certo! Perché non ci ho pensato prima? È
sicuramente così!», esclamò Edward,
l’entusiasmo
dipinto in volto.
«Potreste,
per favore, renderci partecipi?», domandò Rosalie.
«Certo,
perdonatemi, Edward ha letto nei miei pensieri ciò che stavo
per dire a voce
alta. Sospetto, anzi sono quasi certo, che Bella sia uno
scudo.»
«Uno
scudo?», mi ritrovai a domandare, stupefatta. Provai a farmi
un’idea della
cosa, ma tutto ciò che mi venne in mente fu
un’armatura medievale.
«Sì,
uno scudo mentale. Piuttosto potente, anche. In questo momento sta
bloccando il
mio potere e sospetto che nemmeno tu riesca a leggerle il pensiero,
Edward.
Eppure Alice vede il suo futuro…» Eleazar, che si
era fermato un momento,
riprese a percorrere a grandi passi la stanza.
«E
io posso manipolare le sue emozioni», aggiunge Jasper,
osservandomi.
«Non
riesco, infatti.» Anche Edward mi osservava, lo stesso
scintillio negli occhi
che aveva anche Carlisle, ardente di conoscenza.
«Cosa
vuol dire che sono uno scudo, esattamente?», domandai. Di
nuovo, non potei fare
a meno di evocare l’immagine dell’armatura
medioevale.
«Vuol
dire che la tua mente è protetta da una barriera e quindi i
poteri dei vampiri
che riguardano la sfera mentale non possono raggiungerti. Infatti,
Edward, il
cui potere è strettamente legato ai pensieri e non ha
riscontri fisici, non può
leggerti. Alice e Jasper, invece, possiedono dei poteri che
sì, partono dalla
mente, ma hanno riscontri fisici e non riguardano strettamente la tua
mente.»
Si fermò nuovamente, stavolta però guardava Kate.
«Mi chiedo se sia immune a tutti
i nostri poteri…»
«No,
non è necessario!» Edward allungò un
braccio e mi afferrò un polso, senza
distogliere lo sguardo da Kate. La voce era alterata dal nervosismo.
Prima
che potessi avere la benché minima reazione, me la ritrovai
davanti che già
premeva una mano sul braccio che non stringeva Edward. Tutti ci
osservavano in
silenzio, in attesa. Dopo un paio di secondi che non accadeva nulla,
confusa,
rivolsi il mio sguardo a Kate. Lei pareva un poco delusa. Probabilmente
avevo
un enorme punto interrogativo sulla testa.
«Stupefacente!
Nessuno aveva mai resistito a una tua scarica elettrica,
vero?» Eleazar era
impressionato.
Edward
si rilassò al mio fianco e lasciò la presa sul
mio polso per poi accarezzarmi
la mano, rincuorato. Non potei fare a meno di lanciare
un’occhiata di sottecchi
a Tanya. Aveva visto il gesto di Edward, ma manteneva
un’espressione neutra.
«Cosa?
Tu puoi fulminare le persone?» Ero a dir poco scioccata da
quell’idea. E
soprattutto dal fatto che avesse appena cercato di fare una cosa del
genere a
me.
Kate
ridacchiò e lasciò la presa. «Non
proprio, ma posso lasciare una scarica di
elettricità alle persone.»
«Ma
si tratta di un potere puramente mentale, per questo Bella è
riuscita a
bloccarlo. Kate riesce a trasmettere con il tatto la sensazione
di una scossa elettrica, non si tratta di vera
elettricità. Il soggetto non riporta alcun danno fisico,
è solo un dolore
mentale che però risulta incredibilmente vero»,
spiegò Eleazar.
«Hai
mai provato a estenderlo?», anche Kate sembrava
particolarmente interessata al
mio potere, come tutti nella stanza, del resto.
«Kate,
non ha nemmeno due mesi pieni», le ricordò Esme.
«Estenderlo?»,
chiesi invece io.
«Sì,
allargarlo ad altri per difenderli dai poteri mentali. Credo potresti
farcela,
gli scudi hanno questa particolare caratteristica di poter essere
estesi oltre
il proprio possessore. Anche gli altri poteri, se allenati, possono
essere
migliorati. Inizialmente io avevo la corrente solo nelle mani, ora
posso
lasciare la scossa da qualsiasi parte del corpo.»
Ancora,
l’armatura medioevale fece capolino tra i miei pensieri, solo
che questa volta
possedeva uno scudo sproporzionatamente grande.
«Potrei
imparare, tu potresti insegnarmi?», chiesi a Kate. Lei
annuì e mi sorrise.
«Certo!
E sarebbe anche un ottimo modo per conoscersi tra cugine.»
«Credo
che tu sia ancora troppo giovane per riuscire a padroneggiare davvero
il tuo
potere, ma puoi comunque tentare.» Eleazar si era finalmente
fermato.«Ma
comunque resta in sospeso la questione dei licantropi: non so dire
davvero come
sia possibile questa “resistenza” al potere di
Alice, mi dispiace.»
Carlisle
scosse il capo e gli lasciò una pacca sulla spalla.
«Non
importa Eleazar, la questione fondamentale è il mantenimento
della pace. Ci
sarebbe piaciuto scoprire il perché di questa
particolarità, ma è una semplice
curiosità scientifica. E non sapremo comunque se dovessero
cercare di
attaccarci, dato che scompariremmo anche noi dalle visioni di
Alice.»
Smisi
di ascoltare le riflessione e le congetture che, comunque,
l’intera famiglia
continuò a fare. Ero impegnata a pensare al mio potere, il
mio scudo. Non
sembrava per niente figo come la lettura del pensiero o la
capacità di
fulminare con un solo tocco, ma non era male. Per lo meno avevamo
capito che,
alla fin fine, il mio cervello non aveva niente di particolarmente
strano.
Volsi
lo sguardo alle finestre: fuori continuava a nevicare.
Tirai
fuori dalla sacca l’ultimo paio di jeans e lo sistemai sul
ripiano
dell’armadio. Riposi quindi la sacca in basso e mi sedetti su
una poltroncina,
più per fare qualcosa che per vera necessità. Il
clan di Denali ci aveva “dato
alloggio” nelle uniche due camere libere della casa. In
realtà si erano offerti
di farci spazio anche nelle loro stanze, ma nessuno aveva voluto essere
di
troppo peso per i nostri ospiti.
La
divisione nelle due camere era stata semplice e quasi forzata: dato che
io ero
quella con meno bagagli e Alice quella che si era portata dietro mezza
casa,
fummo considerate elementi complementare e ci ritrovammo a dividere la
stessa stanza.
A noi si erano quasi matematicamente uniti Jasper ed Edward.
Nell’altra,
invece, si erano già sistemati Carlisle, Esme, Emmett e
Rosalie.
Io
avevo già finito di riempire la mia parte di armadio, vale a
dire un ripiano,
tre grucce e un cassetto, e la mia mensola con i libri che mi ero
portata
dietro. Inutile dire che invece Alice stava ancora svuotando la prima
valigia.
Jasper, appoggiato alla parete, osservava a braccia conserte la moglie.
Sembrava allo stesso modo divertito e annoiato. Ci scambiammo
un’occhiata e lui
ridacchiò, io alzai gli occhi al cielo.
Edward
invece, con mia grande sorpresa, non aveva ancora terminato di disporre
le sue
cose. Non che si fosse portato dietro l’intero guardaroba
– tutt’altro, dato
che avevo visto solo jeans, qualche camicia e uno o due maglioni
–, ma aveva
trovato il modo di riempire comunque la sua valigia: libri. E non
pochi. Mentre
Alice sbuffava a causa di un qualche problema causato
dall’assenza di grucce dotate
di non so quale peculiarità, mi avvicinai a Edward. Stava
posizionando su una
mensola quelli che scoprii non essere libri, bensì quaderni.
«Sono
diari, questi?» domandai.
«Già,
ci sono racchiusi circa una quindicina d’anni. Ovviamente non
ho potuto
portarli tutti, solo i più importanti.» Edward
sorrise, sistemando il tredicesimo
quaderno scuro, perfettamente rilegato in pelle. Lo sfiorai con le dita.
«I
più importanti? Li rileggi, a volte?»
«In
realtà no. Però in questi» e li
indicò «sono racchiusi i momenti salienti della
mia vita. Mi piace averli con me, non so se sai cosa si prova a tenere
un
diario».
Ci
pensai su, ma poi scossi il capo. «No, devo aver provato
qualche volta, ma poi
ho sempre mollato. Non so, penso non lo trovassi particolarmente
entusiasmante».
Lui
sorrise e sistemò l’ultimo quaderno: aveva
l’aria di essere molto più recente
rispetto agli altri, la rilegatura non era in pelle e, da
ciò che s’intravedeva,
le pagine non erano ingiallite dal tempo.
«Non
credo la penseresti così se avessi vissuto più di
un secolo e avessi bisogno di
riordinare le idee, di tanto in tanto».
Sorrisi
anch’io. «Probabilmente no. Hai finito?»
«Non
ancora, manca solo questo».
Si
chinò sulla valigia e portò fuori un cofanetto
scuro delle dimensioni di un
portatile.
«Che
cos’è?» Allungai il collo prima che
potesse farlo sparire dentro l’armadio.
«Mh,
nulla. Ci sono dentro vecchie cose: qualche documento, niente di
che».
Fece
spallucce, minimizzando, e infilò il cofanetto su uno degli
scaffali alti
dell’armadio. Poi si voltò e si rivolse ad Alice,
sbuffando: «Ne hai ancora per
molto? Com’è possibile che ti sia portata tutta
questa roba? Spiegami come
pensi di usarla».
Alice
non aveva smesso un momento di lamentarsi, a quanto pareva ora si era
resa
conto che l’armadio non le sarebbe bastato per sistemare
tutti i vestiti.
«Bisogna
essere sempre pronti a ogni evenienza, Edward», la sentii
dichiarare, risoluta.
Ero certa che Jasper se la stesse spassando nel vedere i due fratelli
battibeccare e l’avrei fatto anch’io, se non fossi
stata tanto presa dal
cofanetto ancora in bella vista. Edward aveva lasciato l’anta
dell’armadio
aperta, praticamente un invito ad allungarmi verso l’alto e
ad afferrare l’oggetto.
«Alice,
lo spazio per dei costumi da bagno? Cosa pensi di farci con dei costumi
da
bagno, in Alaska?»
Volsi
lo sguardo verso i due, che non accennavano a smettere con i vari
battibecchi.
Edward mi dava le spalle, Alice era troppo presa dall’assenza
di spazio e
Jasper dalle sue risate per badare a me. Mi sarebbe bastato davvero
poco: in
una frazione di secondo avrei fatto un passo in avanti, saltato per
afferrare
il cofanetto e sarei riuscita a sbirciarci dentro. Sperai che Edward
non si
arrabbiasse. Non avrei saputo dire perché fossi tanto
curiosa: forse perché ero
una neonata e la maggior parte delle mie emozioni erano amplificati.
Forse perché
Edward aveva glissato la mia domanda, come a sottolineare che
lì dentro ci
fosse qualcosa di importante. Oppure, più semplicemente,
perché qualsiasi cosa
lo riguardasse mi attraeva in maniera quasi incontrollabile. Provavo
continuamente lo strano desiderio di sapere tutto su di lui.
«Guarda
che il mare c’è anche qui. E stavolta niente
licantropi che si prendono la
spiaggia come loro proprietà.»
«Il
mare c’è, ma a centinaia di miglia di distanza. Ed
è congelato!»
«Prima
o poi si scioglierà!»
«Certo,
di sicuro aspetteremo qui che il riscaldamento globale compia il suo
dovere.»
Scattai
verso l’alto, afferrai il cofanetto e lo aprii, consapevole
che nel giro di un
ottantesimo di secondo anche gli altri si sarebbero accorti della mia
malefatta.
Feci
scattare la serratura e osservai ciò che vi era dentro: dei
fogli ingialliti,
una scatolina di raso nero e altri piccoli sacchetti dorati, di quelli
che si
usano per i ciondoli o i piccoli gioielli. Sopra ai vari fogli vi erano
delle fotografie
in bianco e nero, rovinate dal tempo. Una in particolare
attirò la mia
attenzione: l’inquadratura a mezzo busto ritraeva un giovane
ragazzo
sorridente, le guance totalmente ricoperte di lentiggini. Non vi erano
colori,
ma non mi fu difficile riconoscerlo: il tempo non aveva potuto nulla
contro la
sua eterna giovinezza.
Non
mi ero nemmeno resa conto di essermi voltata e rannicchiata su me
stessa, per
impedire che qualcuno mi togliesse dalle mani il cofanetto. Mi voltai
lentamente, probabilmente sorridevo. Mi sentivo un po’ come
Tom Sawyer quando
la zia Polly lo becca con le mani nel barattolo della marmellata.
Edward
mi osservava e sembrò chiedersi se qualcosa avesse
improvvisamente intaccato la
mia sanità mentale. Anche Alice cercava di capire cosa
stessi facendo, ma non
pareva particolarmente interessa. Jasper tratteneva le risate:
evidentemente le
mie emozioni erano più eloquenti delle azioni.
«Ehm,
volevo solo dare
un’occhiata.
Comunque… sai che quando Emmett verrà a sapere
che avevi le lentiggini, ti
prenderà per i fondelli a vita?»
Lasciai
il cofanetto sulla scrivania e sventolai la foto, attenta
però a non
avvicinarmi troppo al suo proprietario.
Edward
assottigliò lo sguardo.
«Non
oseresti. Ridammela».
«No».
Feci
un passo indietro mentre Edward veniva avanti, rannicchiato in
posizione di
attacco. Nel momento esatto in cui lui scattò per
riprendersi la foto, io
saltai di lato e con due rapide falcate uscii dalla stanza. Mi voltai
giusto il
momento necessario per vedere Edward scattare verso di me. Corsi,
ridendo, per
tutto il corridoio del piano, la foto stretta al petto. In poco tempo
però mi
ritrovai la strada sbarrata da un muro, mi voltai in fretta ma Edward
mi aveva
già raggiunto. Fece un passo in avanti, il solito sorrisetto
sghembo in volto.
«Ora
non mi scappi».
Sul
lato destro del corridoio, al posto di un muro, scorreva una lunga
ringhiera,
che permetteva la vista del salone. Mi aggrappai a essa e saltai fuori,
per poi
ricadere sul pavimento del corridoio, oltre Edward. Scappai nella
direzione
opposta, ma fui nuovamente al punto di partenza: la nostra camera.
Alice e
Jasper erano ancora lì e sghignazzavano tra loro. Prima che
potessi dir loro di
aiutarmi, mi sentii avvolgere all’altezza della vita e mi
ritrovai bloccata tra
il pavimento e il corpo di Edward. Mi dimenai, ma non tentai davvero di
allontanarlo, anche se avrei avuto tutta la forza necessaria per farlo.
Mi
piaceva averlo così vicino, il suo naso che sfiorava il mio
e le sue braccia
che mi avvolgevano con forza ma senza farmi male.
«Ridammela»,
soffiò di nuovo sulle mie labbra.
«No».
E non potei fare a meno di ridacchiare.
«Allora
mi vedo costretto a riprendermela da solo».
Mosse
le mani sul mio petto, tentando di raggiungere le mani che stringevano
la foto.
In risposta la avvicinai ancora di più a me.
«Credi
che dovremmo lasciarli soli, Jazz?»
Mi
ero totalmente dimenticata della presenza di Alice e Jasper. Sgranai
gli occhi,
in imbarazzo. Mi ero scordata anche delle altre presenze in tutta la
casa.
Chiunque poteva sentirci. Niente privacy nelle famiglie di vampiri,
specie in
quelle allargate.
«Le
emozioni stanno cambiando, direi proprio che è il caso di
andare».
Li
avvertii uscire dalla camera e richiudersi la porta alle spalle. Le
loro risate
erano un po’ meno silenziose dei loro passi.
«Allora?»
Edward
si riprese tutta la mia attenzione quando avvertii le sue mani posarsi
sopra le
mie e cercare di allentare la stretta delle dita. Mi resi conto che,
per quanto
le sue mani avessero vagato sul mio petto, era stato attendo a non
toccarmi mai
in maniera impropria.
«Non
me la puoi lasciare? È davvero una bella foto, la vorrei
tenere con me»,
soffiai sulle sue labbra, tendendo ancora di più il capo
verso il suo.
Mi
osservò per un momento, poi allentò la presa
sulle mie dita e mi sfiorò le
mani. L’oro delle sue iridi era fuso.
«Se
la vuoi, è tua», acconsentì, ma non
accennò a spostarsi dal mio corpo.
Sorrisi
e posai nuovamente il capo sul parquet.
«Lo
sai che eri proprio bello anche da umano? E anche se avevi le
lentiggini».
Ricambiò
il mio sorriso e si protese verso di me, questa volta per unire le sue
labbra
alle mie.
Lì,
stesa sul pavimento, mentre ci baciavamo ancora abbracciati, mi dissi
che ero
stata proprio una stupida a provare gelosia nei confronti di Tanya.
Certo,
Edward non aveva chiarito il nostro legame alla famiglia, ma a dirla
tutta
nemmeno noi avevamo ancora dato un nome al nostro rapporto. Stavamo
insieme?
Era troppo presto?
Finché
Edward avesse continuato a stringermi a sé e a baciarmi con
così tanto amore, non mi
sarebbe importato né di
quello né di nient’altro.
Ehilà!
Ce
l’ho fatta, dopo oltre due settimane, ma ce lo fatta! Allora,
che ve ne pare di
questo arrivo a Denali?
Personalmente,
la prima parte del capitolo mi ha creato non poche paranoie. Paranoie
che ho,
come sempre, rigettato sulla mia povera beta, lol (Perdonami,
Jò). Trovo che
l’arrivo a Denali sia pesantuccio, ripetitivo e che sembri
quasi scopiazzato da
BD. Ma, dopo mille complessi, sono arrivata alla conclusione che le
cose non
sarebbero potute andare diversamente. Che Eleazar scoprisse per primo
il potere
di Bella è scontato, dato che nessun altro, nemmeno nella
saga, ci è riuscito
prima. E poi è quello il suo potere, mica potevo
toglierglielo, ahah.
Ma
parliamo di cose serie: Tanya.
Alzino
la mano tutte quelle che non vedevano l’ora di ritrovarsela
davanti. lol
Svelatemi una curiosità: prima dello scorso capitolo, vi
sareste aspettate una
capatina a Denali?
E…
Okay, credo che questo sia tutto.
Grazie
come sempre a tutte voi, specie a chi recensisce *^*
Fatemi
sapere se questa cosa fa davvero troppo schifo, perché
seriamente mi sono fatta
complessi per giorni e giorni.
A
presto, belle!
Vero
Ps.
Il capitolo è chilometrico anche stavolta, temo stia
diventando un’abitudine
c’:
|
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Capitolo 14 *** Capitolo XIV ***
Capitolo non betato,
domando venia per eventuali orrori.
Capitolo
XIV
Mi
sfiorava il capo, accarezzava i capelli e il volto. La consistenza
fredda e
perfetta lambiva la mia pelle ma non ne ero infastidita e lei non
risentiva del
contatto.
Precipitava
sul terreno, morbida e silenziosa.
Per
il resto, il mondo era immobile. Nessuno scalpitio veloce, nessun
fruscio di
ali in fuga, anche l’aria avevo perso la sue musicali
movenze. Tutto era fermo,
congelato per mesi, fino all’arrivo della nuova primavera.
Intorno
a me, il buio. Perfino i miei occhi erano immobili sotto le palpebre
serrate.
Non un raggio di luce filtrava la pelle. Il mio corpo, le mie gambe, le
mie braccia,
erano congelate. Un tutt’uno con il mondo circostante.
Sarei
dovuta essere più rilassata.
Riaprii
gli occhi.
La
neve non aveva smetto di cadere, il mondo tutt’attorno era
immobile sotto il
terribile inverno.
«Così
non va, Bella. Devi concentrarti di più». Anche il
corpo di Kate, al mio
fianco, riprese vita.
L’odore
di freddo e di torpore infastidiva il mio olfatto.
«Lo
so, mi spiace. Riproviamo», mi scusai.
«Chiudi
gli occhi. Questa volta taglia tutto fuori e resta confinata nella tua
mente».
Chiusi
gli occhi e feci come aveva detto Kate: tagliai tutto fuori e mi
rifugiai nella
mia testa.
Assurdo
come fosse facile, una volta presa questa decisione.
I
miei sensi erano atrofizzati, attorno a me il nulla. Avvertivo il mio
corpo e,
al suo interno, la mia mente. Mi ritrovai ad abbracciarne i confini,
come se
fosse qualcosa di fisico e materiale. Percepii, per la prima volta in
tutta la
mia esistenza, un qualcosa che la
avvolgeva. Tentai di toccare quella particolare barriera, di smuoverla.
E per
un attimo mi parve di riuscirci.
Riaprii
gli occhi.
«Kate,
l’ho sentita!», esclamai, entusiasta. Il mio intero
corpo riprese vita, mossi
le gambe e le dita, quasi intorpidite. Finalmente, dopo ore di
tentativi
totalmente inutili, avevo sentito qualcosa. Mi resi conto,
però, di una
particolare sensazione che non pensavo avrei provato di nuovo:
stanchezza. Ero
provata dalla fatica, ma non a livello fisico, il mio corpo, per quanto
intorpidito, non aveva la capacità di affaticarsi. Era
qualcosa di diverso, prettamente
psichico.
Forse
anch’io avrei scoperto le emicranie.
«Te
l’avevo detto», anche Kate si dimostrò
soddisfatta e mi sorrise «È già un
passo
avanti. Ora prova a estenderlo».
Annuii
e mi concentrai. Sfiorai nuovamente la barriera e la spinsi. Riuscii ad
allontanarla da me. La sentii avanzare un poco, qualche centimetro
oltre i miei
stivali.
Annuii.
«Okay».
Improvvisamente
mi sentii afferrare per un braccio e feci un salto indietro di tre
metri buoni,
scoprendo i denti in un riflesso involontario. Lo scudo
ritornò indietro con
una sorta di tonfo sordo che potei sentire solo io. Kate era ancora
allungata
in avanti, il braccio steso e la mano aperta.
«Che
diavolo fai?», sibilai, ritornando in posizione eretta.
«L’unico
modo per capire se davvero riesci ad allontanare lo scudo è
usare un potere psichico
e verificare se funziona o meno». Anche lei si ricompose e
portò il braccio
accanto al corpo. «Infatti, ha funzionato. Hai sentito la
scossa e ti sei allontanata».
«Non
c’è bisogno di farle del male,
però». Edward uscì dal bosco e si
avvicinò a
noi. Dietro di lui, Alice.
Se
Edward era sembrato infastidito dalle azioni di Kate, lei lo era ancora
di più.
«Mi
sembrava di aver esplicitamente richiesto l’assenza di un
pubblico. Se ci siete
voi si distrae e non riesce ad allontanare lo scudo».
«Se
è per questo non ha funzionato nemmeno poco fa: non ho
sentito nessuna scossa»,
risposi, ancora nervosa.
Edward
annuì. «E io non ho sentito i suoi
pensieri».
«Pensavo
fossi riuscita ad allontanare lo scudo». Kate mi osservava,
interrogativa.
«Lo
pensavo anch’io, infatti. L’ho sentito e visto
andare avanti qualche centimetro
oltre i miei piedi» diedi un’occhiata alla punta
degli stivali «Forse non
basta, però».
«O
forse non l’hai allontanato da te, come pensavamo.
Bensì l’hai semplicemente esteso».
Kate annuì della sua stessa teoria.
«Vuole
verificare utilizzando la sua energia su uno di noi, per vedere se lo
scudo di
Bella può aprirsi come un ombrello», disse Alice,
con nonchalance.
Kate
sorrise. O forse sarebbe meglio dire che ghignò.
«No
no» mi affrettai a bloccare tutti «non sono sicura
che funzioni, faresti loro
del male, Kate». Scossi la testa più volte, per
rimarcare il concetto. Kate
sbuffò.
«Bella,
è l’unico modo per verificare concretamente se il
fatto che tu continui a
essere immune ai nostri poteri è perché il tuo
scudo si può solo estendere.»
«Oppure
potremmo usare il potere di Edward al posto del tuo!» Non ero
per niente certa
di riuscire a stirare abbastanza lo scudo da proteggere qualcun altro.
Al contrario
di Kate, io ero già certa che il suo potere non avesse
funzionato perché non
ero capace di allontanare da me
“l’ombrello” protettivo.
L’avevo visto e sentito
estendersi per qualche
centimetro, ma non lasciare me.
Edward
annuì, soddisfatto, e fece un passo avanti.
«Bene,
iniziamo».
Alice
mi si avvicinò e io le cinsi il busto con le braccia: sapevo
che non sarei
riuscita ad estendere lo scudo per più di qualche centimetro
e forse il
contatto fisico mi avrebbe potuta aiutare. Schiusi gli occhi,
visualizzando di
nuovo lo scudo. Spinsi con forza, finché non lo avvertii
espandersi di qualche
centimetro. Riaprii gli occhi e rimasi decisamente colpita:
l’intero corpo di
Alice emanava una sorta di particolare bagliore. Volsi lo sguardo su
Edward e
Kate, ma nessuno dei due sembrava vedere la luce. Perfino Alice ne era
ignara.
La sorpresa mi deconcentrò e lo scudo ne risentì:
ritornò indietro, ma riuscii
a fermarlo prima che mi si riavvolgesse attorno. Questa volta fui
più cauta:
spinsi nuovamente lo scudo osservandolo guadagnare terreno, millimetro
dopo millimetro.
Lentamente abbracciò anche il corpo di Alice: prima i
talloni, i capelli e la
schiena, poi i piedi, le gambe e il petto. Infine ne fu totalmente
avvolta e il
bagliore si intensificò. Fu in quel momento che mi resi che
lo scudo non era
semplicemente un elastico o una barriera, era una parte di me.
Direttamente
collegato alla mia mente e al mio corpo, era una sorta di prolungamento
di
entrambi. Risentiva delle mie emozioni perché, essendo una
parte di me, le
provava direttamente.
Una
volta capito ciò fu notevolmente più facile
impedire allo scudo di schizzare
indietro.
«Non
la sento più, non sento più i pensieri di
Alice», esultò, Edward. Sorrisi, ma
senza deconcentrarmi.
«Kate,
avvicinati», mormorai.
La
bloccai quando fu a circa mezzo metro da me e Alice, e spinsi lo scudo
verso di
lei. Dopo poco più di un minuto anche lei iniziò
a emanare lo stesso bagliore
di Alice. Guardai Edward, che annuiva, compiaciuto.
Forte
dei risultati appena raggiunti allentai la presa su Alice,
allontanandomi di un
passo e poi di un altro. Lo scudo si spostò con me ma,
invece che lasciare
andare Alice e Kate, si estese nella direzione che prendevo io.
Sorrisi,
vittoriosa. Kate voltò il capo, compiendo movimenti lenti e
misurati,
probabilmente per timore di infastidire lo scudo, e mi rivolse un mezzo
sorriso.
«Ottimo,
Bella! Ma sono certa che con il mio metodo saresti stata più
motivata e avremmo
impiegato meno tempo».
Scossi
il capo e, contemporaneamente, Alice sollevò un braccio in
aria, in segno di
vittoria.
«Sapevo
che ce l’avresti fatta, sorellina. L’avevo
visto».
«Edward,
pensavo: se ora che Alice e Kate sono sotto il mio scudo e tu non le
senti, se
ci fossi anche tu qui, potresti sentirle?» Se lo scudo era
una parte integrante
di me e io avevo la caratteristica di bloccare qualsiasi potere
psichico, mi
chiedevo dal primo momento che avevo saputo della
possibilità di estenderlo, se
fosse possibile che chiunque proteggessi diventasse immune ai poteri
anche di
tutti gli altri che tenevo sotto l’ombrello. Avevo
appositamente chiesto a
Edward, non volevo nemmeno che Kate pensasse di usare la sua corrente
su
qualcuno.
«Questa
è un’ottima domanda, la cui risposta è
molto semplice da ottenere». Edward fece
un paio di passi in avanti e io mi stavo già preparando a
estendere lo scudo
oltre Kate quando, dallo stesso punto in cui erano spuntati Alice e
Edward,
un’altra chioma rossastra fece capolino nel bianco della neve.
«Eccovi
qui, vi stavo cercando. Kate, io e gli altri stiamo per andare a
cacciare»
Tanya sorrideva, era la placidità in persona. Dopo aver
parlato alla sorella,
si rivolse a me, Edward e Alice. Più a Edward, a dire il
vero. «Carlisle ha
detto che siete andati a caccia da poco, anche se Emmett sarebbe stato
felice
di unirsi a noi. Sembrava intenzionato a disturbare il letargo di
qualche grizzly»,
rise e sembrò che mille campanellini avessero deciso di
suonare in perfetta
sincronia.
«Comunque
ha rinunciato, ha detto che deve cercare un posto adatto per creare un
campo di
baseball».
«Giochiamo
a baseball?» Kate sembrava decisamente entusiasta
dell’idea «Non vedo l’ora di
stracciarvi, tutti quanti».
«Sorella,
non conosci ancora il significato delle parole “gioco di
squadra”, vero?
Comunque, Alice, avete-»
«Io
ho cacciato due giorni fa e Bella ieri, ma grazie
dell’invito», Alice la
interruppe prima ancora che potesse terminare la domanda. Mi limitai ad
annuire, cercando di mantenere la presa sullo scudo per il maggiore
tempo
possibile. Mi stavo auto cronometrando: quattro minuti e undici secondi
e,
contemporaneamente, seguivo una conversazione. Non male per essere il
primo
giorno.
Tanya
sorrise ad Alice ma, voltandosi, il suo sguardo subì un
leggero cambiamento.
Non saprei descriverlo, ma fui certa che nessun umano sarebbe riuscito
a dirle
di no, quel momento. Mi innervosii perché quello sguardo fu
accompagnato da due
passi avanti in direzione di Edward. Lo scudo tremò e
indietreggiò di qualche
centimetro. Strinsi i denti nel tentativo di bloccarlo e, soprattutto,
di
soffocare un sibilo.
«Allora,
Edward, anche tu declinerai l’invito? Sarei felice se mi
accompagnassi a
caccia», sorrise, perfetta e ammaliante. E lo scudo
scattò all’indietro,
ritornando al suo posto, stretto attorno a me. Mi bloccai, anche se
già sapevo
che nessuno poteva aver notato quell’improvvisa dimostrazione
di instabilità.
Non potevo distogliere lo sguardo dai due, impaziente di ascoltare la
risposta
di Edward.
«Ti
ringrazio, Tanya, ma ho cacciato anch’io due giorni fa. E poi
penso che Emmett
abbia bisogno di una mano per il campo da baseball», fu
educato e gentile, come
sempre.
Di
nuovo, ciò mi irritò, anche se oggettivamente
sapevo che non avrebbe né voluto
né potuto mandarla a quel paese.
«Va
bene, ci vediamo più tardi, vero? Bella, Alice»
era più dispiaciuta di quando
avrebbe dovuto e non si voltò nemmeno nella nostra
direzione, mentre ci
salutava «Kate, andiamo».
Kate
si congedò con un gesto della mano ed entrambe scomparvero
tra gli alberi.
«Continuiamo,
Bella?», domandò, Edward.
«No,
sono troppo stanca. Non pensavo una vampira potesse provare stanchezza,
anche
se solo mentale».
Alice
fece una smorfia, corrucciata. «Ora capisci come mi sono
sentita, vero?»
Improvvisai
una risatina, ma nemmeno la battuta di Alice sarebbe bastata a
risollevarmi il
morale. Ovviamente ero molto stanca, ma forse sarei potuta andare
avanti ancora
per un po’ se non mi fossi innervosita tanto. Con
quell’instabilità emotiva lo scudo
non ne avrebbe voluto sapere di
collaborare.
«Andiamo,
prima che pure a Bella venga un’emicrania». E Alice
scomparve nel bosco. Edward
si voltò verso di me e mi porse la mano. La guardai e mi
avvicinai a lui, senza
afferrarla. Ero arrabbiata e volevo che lo sapesse.
«Tanya
sembrava piuttosto entusiasta all’idea di restare sola con
te. E lo era anche
quando siamo arrivati qui. Mi chiedo il perché».
Le
parole furono più taglienti di quando desiderassi, ma
rendevano bene l’idea di
ciò che mi si agitava dentro. Tenevo lo sguardo puntato nel
suo e, dopo pochi
secondi lui abbassò il suo, nervoso. Ottimo presagio,
davvero.
«Era
tanto che non ci vedevamo, sai. Siamo tutti felici di riunirci ai
nostri
cugini». La sua voce era ferma, ma non mi guardò
negli occhi mentre parlava.
Incrociai le braccia al petto, più come un secondo scudo che
per sembrare
minacciosa.
«Edward,
per favore, non trattarmi come una stupida».
«Io
non penso che tu sia stupida», si lamentò, ma poi
fece una pausa, lo sguardo
puntato sulla neve fresca che ricopriva tutto ciò che ci
circondava.
«Tanya
manifestò un certo interesse, nei miei confronti.»
«Dimmi
qualcosa che non so». Fino a prova contrario ero capace a
fare due più due da
sola.
Edward
continuò come se non avessi parlato: «Ma io,
assicurandomi di non ferire i suoi
sentimenti, le feci capire che non era ricambiata. È stato
tanti anni fa, fine
della storia».
«Eppure
non mi sembra che sia cambiato molto, anche se è stato tanti anni fa».
Le ultime
parole somigliarono terribilmente a una lagna.
Riportò
lo sguardo su di me e, lentamente, sul suo volto, si formò
il solito mezzo
sorriso. «Sei gelosa?»
Sbuffai
e feci passare il peso da una gamba all’altra. Di nuovo, le
mie reazioni
fisiche erano tutto fuorché vampiresche.
«No,
certo che no, perché dovrei? In fondo hai solo glissato
qualsiasi accenno al
nostro rapporto con l’intera famiglia, mi hai presentata come
una sorella,
assecondato Tanya continuamente. Perché dovrei infastidirmi,
non ne ho alcun
motivo».
«Bella»,
colmò la distanza tra i nostri corpi e allungò le
mani per sciogliere il
groviglio delle mie braccia «mi spiace che tu abbia potuto
pensare che, per me,
il nostro rapporto non sia importante. Perché lo
è, più di ogni altra cosa. Te
l’ho già detto, ma non mi stancherò di
ripeterlo: sei ciò che di meglio mi sia
capitato negli ultimi cinquant’anni».
Gli
permisi di intrecciare le nostre dita e mi accostai più
vicino al suo petto.
«Il problema è proprio questo, Edward: hai detto
tante parole, ma non ci sono
stati fatti che le concretizzassero. Sì, quando siamo
insieme o con qualche
altro membro della nostra famiglia mi baci e ci comportiamo come una
coppia, ma
se c’è intorno il clan di Denali nemmeno mi
guardi. Non mi piace che le cose
vadano così, specie perché non mi sembra che
Tanya si sia arresa al tuo
rifiuto».
«Ti
chiedo scusa. Ho pensato che, non avendone parlato tra noi,
considerassi
prematura l’idea di dichiararci una coppia. Specie
perché sei sempre così in
imbarazzo quando sto con te davanti agli altri».
Alzai
una mano, sciogliendola dalla presa della sua, per fermarlo.
«Aspetta. Io mi
imbarazzo solo perché sono fatta così: non amo
stare al centro dell’attenzione
e sono abbastanza impacciata. Non mi vergogno di noi, non potrei
mai».
Edward
sorrise e mi cinse la vita, avvicinandomi ancora di più al
suo corpo. «In
questo caso, temo che si sia trattato di una serie di incomprensioni
tra noi.
Mi spiace di aver tratto le conclusioni sbagliate e che tu non abbia
compreso
le mie intenzioni. Per il futuro promettiamoci che parleremo sempre
prima di
interpretare a modo nostro le azioni dell’altro, va
bene?»
Annuii
e posai il capo sul suo petto, sollevata.
«Lo
sai che sei adorabile quando fai la gelosa? Non pensavo fosse tanto
piacevole».
Sollevai
la testa di scatto, con l’intenzione di ribadire che non
fossi gelosa bensì leggermente
infastidita, ma mi ritrovai le
labbra improvvisamente impegnate.
Edward tolse una mano dalla mia vita e prese ad accarezzarmi il collo.
In tutta
risposta gli cinsi con forza il busto, sfiorandogli la schiena con le
dita.
Schiusi le labbra quando avvertii la sua lingua lambire il mio labbro
inferiore, ma fui io ad approfondire il bacio. Edward mi spinse
indietro, ma
quasi non me ne resi conto finché non avvertii la
consistenza fredda del tronco
di un albero contro la schiena. Feci leva su di esso per spingermi
ancora di
più su di lui. Sfregai il mio corpo contro il suo per
arrivare più facilmente
al volto e sentii un ringhio nascergli in petto. Interiormente mi
compiacqui di
me stessa. Non riuscivo a smettere di toccarlo, le spalle, la schiena,
i
capelli. E lo stesso valeva per lui: la sua lingua non lasciava mai la
mia e le
sue mani, tornate sulla schiena, scendevano sempre più in
basso, sempre più in
basso…
Ero
talmente presa dal bacio che mi resi conto che stavamo per sradicare
l’albero
solo quando, ansanti, ci staccammo.
«Devi
mettere in chiaro le cose con Tanya, o
lo farò io», mormorai senza fiato.
«No,
lo faccio io, non voglio umiliarla. E poi, meglio non correre il
rischio che la
neonata impazzisca e la faccia a pezzi», sussurrò,
strafottente, ancora a pochi
centimetri dal mio volto.
Una
volta ripreso fiato ci separammo e potei quasi sentire il sollievo
dell’albero,
finalmente non più minacciato dalle nostre coccole.
Intrecciai le sue dita alle mie e tornammo alla casa. Non la mia casa perché quella,
decisamente, non
era il posto in cui avrei voluto vivere.
Alice
ci aspettava davanti all’ingresso, tra le braccia reggeva due
paia di pattini
da ghiaccio.
«Ehilà,
guardate cosa ci hanno prestato le nostre cugine! Qui vicino
c’è un lago
ghiacciato al punto giusto, perfetto per pattinare un
po’» Alice sprizzava
gioia da tutti i pori mentre ci veniva incontro «Edward, so
che tu vuoi andare
ad aiutare Emmett, ma io e Bella passeremo proprio un bel pomeriggio
con questi.
Ne sono certa».
Edward
sospirò e mi lasciò la mano. «Bene, la
sibilla ha parlato. Ci vediamo più
tardi». Mi lasciò un bacio sulla guancia e
salutò Alice con un cenno del capo.
«Credo proprio che Emmett non abbia ancora abbandonato
l’idea dei grizzly, vado
a salvaguardare la quiete della fauna locale». E si
dileguò velocemente.
Alice
mi porse un paio di stivaletti bianchi con la pelliccia chiara sulla
parte
superiore. «Questi sono per te. Appartengono a Tanya, ha il
tuo stesso numero».
«Fantastico».
Ci mancava solo che indossassi le sue stesse scarpe.
Alice
ridacchiò. «So che l’idea non ti
entusiasma, ma almeno i tuoi non sono di un
numero e mezzo più grandi. Irina è
l’unica la cui misura si avvicina alla mia».
Fu
un pomeriggio divertente e spensierato. Dopo aver raggiunto il lago, io
e Alice
pattinammo per ore, mi insegnò addirittura qualche passo.
Per quanto non avessi
mai indossato un paio di pattini in tutta la mia vita – da
umana sarebbe stato
un po’ come condannarmi a morte da sola – non ebbi
alcuna difficoltà nemmeno durante
i primi istanti in cui posai i piedi sul ghiaccio. Ogni
attività fisica era
facile, naturale.
Ridemmo,
saltammo e piroettammo fino al crepuscolo, quando riprese a nevicare e
non
potemmo più stare sul ghiaccio.
«Dovremmo
concederci più spesso queste serate tra sorelle»
esclamai, quando rallentammo
nei pressi della casa.
«Dovremmo,
sì!», esclamò Alice «Vedrai
che ora che i ragazzi hanno trovato lo spiazzo
adatto al campo da baseball passeremo un’infinita di
pomeriggio così divertenti
in famiglia».
«Tu
l’hai visto, non è vero?»
«Certo,
nel momento esatto in cui Emmett ha deciso di voler giocare anche qui.
Ma se
gliel’avessi detto non si sarebbero divertiti a
cercarlo».
La
risata mi morì in gola quando, poco oltre gli alberi, vidi
Tanya e Edward.
Vidi
Tanya sorridere, fare un passo avanti e saltare in braccio a Edward.
Vidi
Edward afferrarla per la vita. Vidi Tanya baciare Edward.
Ma
non vidi Edward respingere Tanya.
Di
nuovo, non mi immobilizzai come avrebbe fatto un qualsiasi vampiro.
Semplicemente
mi voltai indietro e corsi via.
Dentro
di me sapevo di stare commettendo un errore. Sapevo che non si trattava
di un
film, che mi sarei dovuta fermare e chiedere cosa stesse succedendo.
Arrabbiarmi,
magari. Non saltare subito alle conclusione.
Ma
in quel momento tutto svanì. Le parole di Edward di poche
ore prima, il nostro
bacio, l’allegria del pomeriggio, Alice che mi chiamava e mi
chiedeva di
fermarmi.
Quasi
non badai a Rosalie che, da lontano, vicino all’ingresso,
osservava la scena.
Quella stessa scena che vedeva come protagonista Edward e Tanya,
assieme, che
si baciavano.
Salve,
care! ^^
Eccoci
qui, non penso di avere grandi spiegazioni da dare riguardo questo
capitolo.
Solo,
non uccidetemi, pleeease. Due giorni fa è stato anche il mio
compleanno, non
vogliatemi male solo per questo ultimo, innocente bacetto.
Non
funziona, eh?
Allora
mi dileguo prima di ricevere frustate LOL
A
presto!
Vero
|
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Capitolo 15 *** Capitolo XV ***
Capitolo non betato
(Joan è in vacanza, odiamola tutti insieme ewe), chiedo
scusa per gli orrori.
Capitolo
XV
«Bella,
ti prego!»
«No,
va’ via Alice, non voglio parlarti!»
«Bella,
sei su un albero, non in un bunker. Se voglio salire da te, lo faccio.
E se
voglio parlarti lo faccio comunque, anche da qui».
Alice
si stava innervosendo e andava avanti sbuffando e sibilando, io
costringevo me
stessa a non distruggere, ramo dopo ramo, l’albero che mi
ospitava.
Inspirai
ed espirai, come se potesse essermi utile.
«Alice,
ti prego, ho bisogno di stare sola».
«Oh
no, tu hai bisogno di avere qualcuno accanto proprio perché
non vuoi nessuno
attorno», me la ritrovai davanti, seduta sul mio stesso ramo
«È un
comnportamento piuttosto comune, specie se si è depressi
come lo sei tu ora.
Alcuni arrivano addirittura al suicidio e a me servi, quindi ti evito
la morte».
«Alice,
non ho intenzione di suicidarmi», borbottai raggomitolandomi
e facendo sparire
buona parte del viso tra braccia e ginocchia.
«Preferisco
assicurarmene, sai com’è, non si può
prevedere tutto».
«Già,
a proposito, dove diavolo erano le tue visioni quando Edward ha deciso
di farsi
Tanya?», sibilai. Dire quelle parole a voce alta fu insieme
una liberazione e
una pugnalata. Finalmente smisero di lacerarmi la mente con i loro
artigli ma,
al contempo, permettendo loro di prendere forma nell’aria,
diventavano sempre
più reali.
E
non smise di fare male.
Guardai
Alice. Non so cosa vide sul mio volto, ma improvvisamente
abbandonò qualunque
tentativo di umorismo e abbassò lo sguardo.
«Non
ha preso nessuna decisione, Bella. Sono sicura che sia tutto un enorme
malinteso».
«Sì,
certo».
Nessun
malinteso, avevo visto ciò che stava succedendo: Tanya in
braccio a Edward,
loro che si baciavano. Non aveva bisogno di grandi spiegazioni
«Forse
non ha iniziato lui, ma non l’ha nemmeno respinta».
«Probabilmente
l’ha colto di sorpresa».
«Alice,
lui legge il pensiero. Non credo che esista qualcuno di più
difficile da
cogliere di sorpresa. Per favore, non sono stupida, non trattarmi come
tale».
Scosse
il capo, contrariata.
«Non
ti sto prendendo per stupida, Bella. Non potrei mai. Ma Edward non
è
infallibile, anche il suo potere può avere delle falde. Ci
sono alcuni gesti
che sono istintivi, che non hanno come precedente una decisione
pensata,
capisci? Sono puro istinto, emozioni. E Edward non legge
l’istinto».
Scrollai
le spalle.
«Posso
dirti però che Edward l’aveva presa, una
decisione. Ero determinato a dire a
Tanya di voi due. Se solo gli permettessi di spiegarsi-»
«Sei
dalla sua parte!», l’accusai balzando in piedi
«Sei qui per lui, non per me!»
Non
poteva farmi questo, non dopo aver visto ciò che stava
succedendo! Non Alice.
Ero
già pronta a saltare giù, ma mi
afferrò per un braccio. Sibilai, ma mi fermai:
il suo sguardo supplichevole mi costrinse.
«Ti
prego, ascoltami. Non sono qui per difenderlo, voglio
aiutarvi».
«No,
Alice, tu vuoi solo che io ti creda, ma io mi fido dei miei occhi. Per
favore,
non tormentarmi. Sei mia sorella, non mi sarei aspettata questo da
te».
Tornai
contro il tronco dell’albero, ma non mi sedetti.
«Sono
anche sua sorella e voglio che sia felice, esattamente come voglio che
lo sia
tu. E credimi se ti dico che, da quando sei arrivata, lui lo
è davvero».
«Avrebbe
dovuto pensarci prima, non trovi?»
«Bella,
lui non ha fatto nulla, ne sono certa!»
«E
come fai? Hai qualche prova?». Incrocia le braccia al petto,
ero già abbastanza
nervosa e non era il caso di sfidare la sorte di Alice permettendo alle
mie
braccia di avvicinarsi troppo a lei. Amavo e odiavo la sensazioni di
forza
grezza che impregnava i miei muscoli nei momenti di rabbia.
«No,
non ne ho. Non materiali. Ma lo conosco da cinquant’anni
ormai, e so non
sarebbe capace di una bassezza del genere. Il fatto che tu non ti fidi
di lui è
un’altra storia».
«Anche
io pensavo di fidarmi di lui. Ma, Alice, ho visto ciò che ho
visto. E questa
non è il primo fatto ad avermi lasciata perplessa: non mi
pare abbia respinto
Tanya, né si sia almeno impegnato un tantino per mettere in
chiaro qualcosa».
Scivolai
sul tronco fino a ritrovarmi nuovamente nella posizione iniziale. Anche
Alice tornò
seduta: di fronte a me, la schiena ritta senza il supporto di alcun
ramo.
«Perché
ci sono state delle incomprensioni precedenti tra voi. Ne avete anche
paralato,
no? Edward ti adora, Bella, e lo sai anche tu». Fantastico,
non si poteva avere
un po’ privacy manco nei boschi. Dannata Alice.
Fui
sul punto di prenderla a parole, parole non tanto carine, ma lei
alzò una mano,
il palmo rivolto verso di me.
«Okay,
ascolta senza interrompere. Edward, prima che arrivassi tu, non era
alla
ricerca di una donna. Forse lo era stato, un tempo, ma ormai sono
passati
diversi anni. Credo avesse accettato l’idea di non riuscire a
intrecciare
rapporti più che amichevoli o fraterni. Quando ti ho vista
arrivare, sapendo
che eri una ragazza, ovviamente abbiamo sperato tutti che nascesse
qualcosa tra
voi. Esme, poi, avresti dovuto vederla: era eccitatissima
all’idea di averti
per casa, e quando ha saputo che eri pure bella! Mh, sì, ma
sto divagando»
scacciò con la mano le sue stesse parole e riprese
«Il punto è che Edward non
ne voleva sapere, cioè non pensava nemmeno che avresti
suscitato in lui
qualcosa di più! E invece… Credo che il
più stupito, fra noi, fosse proprio
lui. E anche il più felice. Erano almeno
quarant’anni che non lo vedevo così
allegro e spensierato. Sai che ho perso il conto dei mesi che sono
passati
dall’ultima volta che aveva suonato? E poi ha scritto la tua
canzone e tutti
noi eravamo così felici-»
«Alice»,
la interruppi, irritata «per favore, erano questioni private.
Perché continui a
immischairti così tanto?». Ero infastidita da
quelle continue intromissioni da
parte del resto del mondo. A quando pareva eravamo strettamente
controllati in
qualsiasi momento.
«Sai
che non lo faccio apposta! E poi, dopo aver visto che andavi da tuo
padre e
Edward che veniva da te, è stato quasi istantaneo che
arrivassero anche le
altre visioni. Ed Esme ci teneva così tanto a sapere che le
cose tra voi
procedevano per il verso giusto… Non sono
un’impiccione e tanto meno
pettegola».
Si
era offesa, fu evidente.
Sbuffai,
irritata e intenerita. E doppiamente irritata anche per la tenerezza ch
suscitavano in me quelle parole.
«Edward
era euforico, beh per lo meno per i suoi standard. E ora è
terrorizzato
dall’idea di poterti perdere. Se non fosse così,
Bella, non te lo direi. Io ti
voglio bene, te l’ho detto fin dal primo momento che saresti
diventata la mia
migliore amica barra sorella preferita. Non dirlo a Rose,
però.
«Non
so cosa sia successo tra Edward e Tanya, ma ti ripeto che sono certa di
una cosa:
Edward non prova assolutamente niente per lei e non è
assolutamente possibile
che possa commettere una bassezza simile».
Sospirai
di nuovo, lasciando che il mio volto si sciogliesse e lasciasse
trapelare lo
strazio che mi lacerava.
«Io
lo so, Alice. Oggettivamente lo so: Edward è a dir poco
perfetto, sotto questo
punto di vista. No, che dico, sotto tutti i punti di vista. E penso che
sia
proprio per questa ragione che sono rimasta così sconvolta
da quella scena».
Non
mi sentivo inferiore a lui, ma Edward era… Perfetto, davvero
perfetto, in
qualsiasi cosa facesse. Non si sporcava mai quando cacciava, sapeva
sempre dire
la cosa giusta al momento giusto, capiva tutto al volo anche senza
l’ausilio
del suo potere, suonava il piano divinamente, parlava almeno mezza
dozzina di
lingue, era sempre gentile e controllato anche quando perdeva le staffe
–
perlomeno di solito -, sapeva sempre di cosa avevo bisogno, mi capiva,
mi
aiutava, era un gentiluomo. Tutto questo poteva essere, appunto,
racchiuso in
un’unica parola: perfezione. Che a sua volta era sinonimo di
Edward.
«Forse
dovresti smettere di vederlo come l’incarnazione di una
divinità e più come
l’essere imperfetto che è. Non posso dirti che sia
umano e quindi incline agli
errori, ma resta comunque un uomo. E, in questo caso, non ha sbagliato,
semplicemente ha dimostrato, a suo discapito, che non è
infallibile».
Finì
di parlare, ma io non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo.
Continuammo a
fissarci per attimi infiniti, finché non abbassai lo sguardo.
Un
insieme di emozioni contrastanti guerreggiavano nel mio petto: la
rabbia si
mischiava al sollievo, la vergogna grattava via la sofferenza, e poi
speranza,
senso di colpa, tenerezza e gelosia in un connubio di colori e percosse.
Annaspavo
interiormente. «Hai ragione, Alice».
Sentii
una carezza leggera sui capelli e la piccola mano di Alice che si
posava sulla
mia, in grembo.
«So
che è così, so che lui non potrebbe mai fare,
farmi, una cosa del genere. E io
mi fido, davvero. Ma ero terrorizzata», perché
vedere realmente che aveva delle
alternative oltre me faceva male, perché era diventato tutto
ciò di cui avevo
bisogno per andare avanti, per migliorare e per crescere,
perché riempiva le
mie giornate, perché accendeva ogni momento come nessun
altro aveva mai saputo
fare, perché, ormai, non potevo immaginare la mia esistenza
lontana dal suo
fianco «perché lo amo e non posso
perderlo».
Rialzai
lo sguardo e incrociai quello di Alice, illeggibile. Fu come se del
pulviscolo
mi si fosse infilato tra le ciglia, poi negli occhi. La testa quasi
pulsava, ma
ciò non infastidiva la mia vista perfetta. Forse era questo
che i vampiri
provano, quando piangono.
Sorrise.
«E non lo perderai, fidati di me».
«Tu
l’hai visto?»
Mi
fissò, ma non rispose. Forse l’aveva visto, o
forse no. In ogni caso, capii che
non me l’avrebbe detto.
Strinsi
le sue dita e mi tirai in piedi, trascinandola con me.
«Ora
parlerai con lui», esultò.
Annuii
e alzai gli occhi al cielo. «Vedrò cosa posso
fare».
Alzò
un sopraciglio, scettica. «Tu ora devi assolutamente parlare
con lui,
altrimenti io non potrò preparare i vostri nuovi abiti
coordinati. Capisci
quanto è importante? Ho già fatto gli schizzi, se
non andrà tutto bene potrei
dover buttar via tutto e sarebbe stato tempo sprecato».
Parlava
lentamente, accompagnando ogni sillaba ad un cenno del capo. Era
condiscendente
e cercava di convincermi.
«Non
sei Jazz, Alice».
Sbuffò
e alzò gli occhi al cielo. Poi scoppiò a ridere e
non potei fare a meno di
imitarla, un po’. Pace era fatta.
Facemmo
in tempo ad arrivare al limitare del bosco, a poche decine di metri
dalla casa,
prima che Edward ci comparisse davanti. Alice si volatilizzò
prima che potessi
chiederle di lasciarci soli e fui certa che, almeno quella volta, si
sarebbe
sforzata di non venire a sapere cosa stesse succedendo.
L’espressione
di Edward era tormentata, semplicemente tormentata. Tutto,
dall’inclinazione
delle sopraciglia alla smorfia della bocca, faceva trapelare il suo
tormento.
«Qualsiasi
cosa tu stia pensando o abbia capito non è vera.».
Parlai
lentamente, soppesando le parole. «In questo momento penso
che probabilmente
sia tutto un malinteso».
L’ansia
lasciò spazio alla sorpresa, sul suo volto. Sorprendere
Edward era talmente
difficile che non avevo mai visto quell’espressione stupita
sul suo viso. Se
fosse stata un'altra situazione probabilmente l’avrei trovato
comico.
«Oh»
raddrizzò le spalle, forse non si era nemmeno reso di conto
di essere ingobbito
in avanti. «In tal caso, hai ragione. Totalmente».
«Ma
voglio comunque delle spiegazioni», continuai.
«Certo,
tutto ciò che desideri», si affrettò a
rispondere.
«Parti
dall’inizio, per favore».
«Sì,
allora. Io, Emmett e Jazz avevamo appena trovato lo spiazzo adatto per
il campo
da baseball, li ho lasciati mentre tracciavano le basi con
l’intenzione di
aspettare a casa che Tanya tornasse dalla cacci, per parlarle.
È arrivata prima
di quanto mi aspettassi, mi è venuta incontro e prima che
potessi capire cosa
stesse succedendo, mi ha baciato. Ti giuro che non desideravo niente
del
genere, Bella! Non ha preso una decisione, non ho potuto
prevederlo!».
Si
infervorava mano a mano che andava avanti nel discorso, ma io lo
bloccai con la
mano.
«Ci
credo, ma quando ho visto le tue mani sui suoi
fianchi…»
Scosse
il capo. «Me la sono ritrovata in braccio, è stata
una reazione istintiva
quella di sostenerla, mi avrebbe fatto cadere altrimenti. E poi
l’ho
immediatamente allontanata».
Si
voltò improvvisamente, e fissò un punto alle sue
spalle. Seguii il suo sguardo:
dietro ad una delle finestre del pian terreno, probabilmente una di
quelle
della sala, c’era Rosalie.
«Rose
lo può confermare, era qui anche lei. Rose!», la
chiamò.
Rosalie
sparì e la tenda tornò a oscurare la vista
dell’interno. Pochi istanti dopo
aprì la porta e scese gli scalini dell’ingresso.
Aveva la solita espressione
composta in volto.
«Stai
cercando un avvocato difensore che ti tiri fuori dai guai,
Edward?»
«No,
e lo sai anche tu».
«A
me sembra di sì, invece. A Bella non bastano le tue
spiegazioni e l’arringa di
Alice?»
Fui
certa che Edward si fosse totalmente pentito di aver chiamato in causa
Rosalie.
«Ti sto solo chiedendo un favore. E penso proprio che tu me
lo deva, anzi ce lo deva, dopo
tutto quello che hai
fatto», ringhiò.
Rosalie
serrò i denti e si volse verso di me. Rimasi in silenzio, in
attesa.
«Edward
non ha fatto nulla, come sempre. A lui non interessa Tanya, come
sempre. E
Tanya gli è saltata addosso, come sempre. Fine della
storia». Incrociò le
braccia al petto, senza allontanare lo sguardo dal mio.
«Davvero», aggiunse.
Non è esatto dire che addolcì il tono di voce, ma
ci andò vicino. Capii che,
qualsiasi avversione provasse nei miei confronti, possedeva comunque
uno
spiccato senso della lealtà.
Edward
annuì, non del tutto soddisfatto.
«Grazie,
Rose», la congedò.
Lei
sbuffò e tornò dentro, palesemente contrariata.
Evidentemente non le era
piaciuto essere chiamata al banco dei testimoni per una così
breve deposizione
e poi, una volta terminata la sua utilità, rispedita
indietro.
Osservai
la finestra per un minuto intero, ma non si riaffacciò.
«Non
serviva che chiamassi Rosalie, ti credevo già». Lo
guardai e lui parve
imbarazzato.
«Lo
so, ma io volevo esserne sicuro. Ho il terrore di perderti e non posso
permettere che qualcosa si metta tra noi». Mi prese le mani
nelle sue. «Per
questo ora andiamo in salotto e aspettiamo che arrivino gli
altri».
«Cosa
vuoi fare?». Le mie labbra si incurvarono in un sorriso
spontaneo, che lui
ricambiò immediatamente.
«Far
sapere a tutti che sei la mia ragazza», affermò.
«Non
pensi di essere troppo ufficiale, ora? Sembrerà quasi che
stiamo annunciando il
nostro matrimonio» lo prendevo in giro, ma ero profondamente
felice di
quell’iniziativa.
Sorrise,
sghembo. «Oh, tranquilla, per quello possiamo aspettare
ancora un po’».
«Un
po’?»
«Un
paio di mesi al massimo».
«Spero
che tu stia scherzando».
Mezz’ora
e qualche spiegazione dopo, Carmen mi abbracciava ed Eleazar si
congratulava
con Edward. C’eravamo riuniti lì, insieme
all’intero clan di Denali e alla nostra
famiglia. All’appello mancavano solo Jasper ed Emmett, come
aveva fatto notare
Irina, ma non li aspettammo dato che, alla fine, la notizia non era
indirizzata
ai nostri familiari più stretti. Edward si era addirittura
scusato a nome di
entrambi per il ritardo in cui arrivava l’annuncio. Si erano
dimostrati felici
e soddisfatti, specie per Edward che aveva – parola di Carmen
– “finalmente
messo la testa apposto con una ragazza tanto graziosa e
intelligente”. Ero
certa che la testa di Edward fosse apposto anche prima che mi
incontrasse,
forse anche di più, ma non dissi nulla e ricambiai il suo
abbraccio. Più
passava il tempo e più trovavo somiglianze tra Carmen ed
Esme. La storia fu
diversa per Irina e Kate, loro sicuramente speravano in un
avvicinamento tra
Edward e Tanya, almeno per amore nei confronti della sorella. Non me la
presi
né mi sorpresi quando si dimostrarono genuinamente colte in
contro piede, in un
primissimo istante. Subito corressero il tiro entrambe, sorridendo e
congratulandosi. Kate aggiunse addirittura di aver intuito qualcosa
durante
l’allenamento, sostenendo che solo un fidanzato potesse
preoccuparsi tanto per
le sue innocenti scossette. Tutti risero, per nulla
d’accordo, e io ringraziai
ancora una volta per l’esistenza del mio scudo. Dal canto
loro Esme, Carlisle
ed Alice si limitarono a sorridere, dalle loro postazioni sui divani.
Alice
alzò addirittura i pollici in alto e sillabò un
“ce l’abbiamo fatta”
silenzioso. Perfino Rose fu contagiata dall’aria festosa e la
scoprii per ben
due volte a guardare nella nostra direzione – mia e di Edward
– e a sorridere.
Beh, quasi sorridere, ma considerai quel piccolo quasi gesto un ottimo
miglioramento. Notai, però, che lanciava diverse occhiate
anche a Tanya e
quest’ultima sembrava divertila ancora di più,
tanto da farla sorridere
apertamente.
Per
tutto il tempo, Tanya aveva mantenuto un’espressione composta
e aveva atteso
che gli altri si fossero allontanati per avvicinarsi a me e Edward.
Più di una
volta i nostri occhi si erano incontrati e più di una volta
entrambe avevamo
sostenuto lo sguardo dell’altra.
Si
alzò in piedi e ci venne incontro, guardò prima
Edward e poi me.
«Congratulazioni»,
disse, sorridendo. Nemmeno Rosalie sorrideva in maniera così
inquietante.
«Grazie,
Tanya. Ci tengo a chiarire la faccenda, per quanto riguarda quello che
è
successo qualche ora fa…»
Tanya
alzò una mano e lo interruppe. «Capisco, niente
più baci, ormai ti sei
incatenato a lei». Mi guardò dall’alto
in basso, continuando a mantenere un
cipiglio inquietantemente cordiale. «Spero che non te la sia
presa».
Sorrisi
anch’io, stringendo la mano di Edward.
«Figurati,
non avrei mai potuto. Quel bacio non vale niente».
Ebbi
la somma soddisfazione di vedere un lampo di rabbia attraversarle il
volto,
prima che tornasse a sorridere.
«Chissà
se in futuro sarà ancora così».
«Se
fossi umana ti direi di non trattenere il fiato, mentre
aspetti». Il mio
cervello urlava di prenderla per i capelli e di strapparle via la
testa, ma mi
limitai a ricambiare il suo ghigno.
«Vedremo».
Edward
fece per parlare, ma lo bloccai. Quella vampira doveva imparare a
rispettarmi e
se lui avesse continuato a parlare al posto mio le cose non sarebbero
mai
cambiate.
Continuammo a
fissarci, nessuna
delle due era disposta ad abbassare lo sguardo per prima. Fummo
costrette a
farlo quando, poco dopo, Emmett e Jasper fecero capolino nella sala,
scherzando
sul fatto che avevano piazzato le basi davvero troppo lontane anche per
dei
vampiri. Si bloccarono vedendoci lì, immobili nel bel mezzo
della sala.
«Ci
siamo persi qualcosa?»,
domandò Emmett.
Tanya li
osservò e, mantenendo
l’espressione cordiale, disse: «Temo si sia fatto
tardi, buonanotte a tutti».
Ci guardammo per un’ultima volta, poi girò i
tacchi e scomparve al piano di
sopra.
Mi sentii
profondamente fiera di
me: non solo ero riuscita riaggiustare le cose con Edward –
se non addirittura
a migliorarle –, ma non avevo nemmeno creato una faida tra i
due clan e per di
più Tanya camminava ancora autonomamente. Pensai che, per
essere una sola
giornata, avevo raggiunto parecchi traguardi.
Eccomi qui,
bellezze! **
Mi spiace di
farvi aspettare
tanto per i capitoli, ma il greco mi sta uccidendo. cwc
Anyway, ho
notato che non eravate
contente per lo sbaciucchiamento tra Edward e Tanya. Come mai? *scappa
via
terrorizzata*
Avete visto che
è tutto apposto?
Pft, donne di poca fede ^^
Ehm, quindi, che
ve ne pare?
Personalmente trovo molto noiose tutte ‘ste spiegazioni
(altra ragione per cui
ho impiegato tanto a scrivere il capitolo).
Comunicazione di
servizio: la storia
è quasi giunta al termine. Ve lo
aspettavate? Io non proprio, ho iniziato a capirlo solo verso il
tredicesimo
capitolo. Al 90% ci saranno altri due capitoli più
l’epilogo e poi diremo, dopo
due lunghi anni (quasi tre), addio a Quando. Okay, l’idea mi
spaventa un po’,
ma penso sia normale dato che sono l’autrice lol
Quuuuindi, dopo
la notizia shock,
saluto le new entry che hanno recensito lo scorso capitolo. Benvenute
ragazzuole! <3
Grazie mille a
tutte voi che,
capitolo dopo capitolo, continuate a seguirmi, commentate o anche solo
leggete
in silenzio. Vi amo sempre di più! *w*
Detto
ciò, mi eclisso.
Buonanotte!
Vero
Ps.
Le risposte alle recensioni
arriveranno domani uwu
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Capitolo 16 *** Capitolo XVI ***
Questo capitolo
è dedicato a Joan
e alle sue registrazioni,
scusa per averti fatta
dannare
con gli indizi <3.
Capitolo
XVI
Le
cose andarono migliorando di giorno in giorno. Trascorrevamo il tempo
in
famiglia, spesso anche con classici passatempi umani. Una sera giocammo
tutti
insieme a sciarada e fu forse uno dei momenti migliori del mese passato
a
Denali. Giocammo in squadre da due, ovvero tutte le coppiette della
casa si
unirono le une contro le altre in una faida durata circa tre ore.
Ovviamente
Edward non aveva potuto giocare e, essendo anche in numero dispari,
aveva
scelto di fare l’arbitro. Da quel che avevo capito non erano
molto corretti
mentre giocavano. Emmett aveva addirittura cercato di corrompere Edward
affinché gli desse qualche indicazione sui pensieri degli
altri giocatori, ma
il mio ragazzo era stato irremovibile. Specie in seguito alle lamentele
di
Alice, la quale sosteneva che, se lei “veniva marcata
stretta”, nemmeno gli
altri, tanto meno Emmett, avrebbero potuto barare o corrompere
l’arbitro.
Rivelò inoltre che la bustarella silenziosa, ovvero la
promessa da parte di
Emmett di piantarla di fare commenti sulla vita intima mia e di Edward,
sarebbe
stata rispettata per massimo un’ora. Al che, io mollai un
pugno sulla spalla di
Emmett – che ebbi la soddisfazione di vedere dolorante
– e lanciai
un’occhiataccia ad Alice. Tra le risatine generali, Edward
liquidò entrambi con
un semplice “Forza, Tanya e Kate, tocca a voi”.
Emmett, da quando avevamo
apertamente dichiarato di stare insieme, si era sentito in pieno
diritto di
fare battute più o meno squallide ogni volta che io ed
Edward ci trovavamo a
meno di trenta metri l’una dall’altro. Cosa che,
ovviamente, accadeva molto di
frequente. Praticamente non ci allontanavamo mai, facevamo qualsiasi
cosa
insieme. Per iniziare dalla caccia e terminare con la lettura, di libri
diversi, certo, ma pur sempre sullo stesso divano.
E,
ovviamente, Emmett e le sue battute si nutrivano di ciò.
Dato
che Edward non poteva giocare, quella sera avevo fatto coppia con Irina
e
presto scoprimmo che nessuna delle due era particolarmente portata per
le
sciarade. Ma fu divertente soprattutto per questo, azzeccammo tre
parole in
tutto, ma passavamo i turni a sparare qualsiasi idea ci passasse per la
testa.
Ben presto fu evidente che si trattasse invece di una sfida tra Jasper,
con
Alice, e Kate, con Tanya. Jasper era un asso a sciarada. Probabilmente
la sua
mente da ex soldato – come mi aveva raccontato Edward in uno
dei tanti
pomeriggi passati ad oziare nei boschi di Denali – lo aiutava
nel gioco. Aveva
un’ottima capacità di concentrazione ed era
intuitivo di natura. Kate, invece,
adorava vincere. Aveva la competizione radicata fino al midollo e
sembrava
intenzionata a non lasciare che la vittoria andasse a qualcuno che non
fosse
lei. Alla fine fu Kate a trionfare. Alice sostenne che Jasper si fosse
comportato da gentiluomo, lasciando alle due avversarie più
temibili la
vittoria, ma Edward proclamò che non c’era stato
nessun imbroglio e che quindi
le vincitrici erano Kate e Tanya. Un altro che non amava perdere era
Emmett:
impiegò diversi giorni per accettare la sconfitta e per
smettere di assillare tutti
con le sue lamentele. Alla fine arrivò alla conclusione che
sciarada fosse un
gioco stupido e da cervelloni e che lui non avesse tempo da sprecare
con simili
sciocchezze.
«Perché
ridi?», chiese Edward, accarezzandomi una guancia.
«Ripensavo
a Emmett, credi che gli sia passata?».
«Per
la sciarada, intendi? Sì, ma sta progettando la vendetta.
Credo che rimarrà
parecchio deluso quando scoprirà che il clan di Denali non
parteciperà alla
battaglia di palle di neve», rise anche lui.
«Non
potrà vendicarsi su Kate!».
«Già»,
annuì e si tirò indietro, posando la schiena
sulla sedia. «Abbiamo finito con
biologia?».
«Oh
sì, basta, non ce la faccio più».
Avevamo
terminato il libro del terzo anno, finalmente. Ce l’eravamo
presa con comodo,
nel tacito accordo di non fare terminare quei momenti di pace e
tranquillità
che erano solo nostri. Però eravamo comunque vampiri e io,
oltre che aver
frequentato un corso di biologia avanzata, apprendevo anche troppo
velocemente.
La lentezza mi annoiava.
«Cosa
vuol dire che non ce la fai più? Devo ritenermi
offeso?».
Edward
si imbronciò e incrociò le braccia al petto. Mi
morsi forte le labbra per
evitare di ridergli in faccia.
«No,
certo che no, cucciolotto».
«Ah-ah,
lo spero per te. E per me. Ora, senza la scusa del dovere, come
farò a rapirti
tutte le volte che voglio?», brontolò,
avvicinandosi nuovamente a me.
Mi
mossi anch’io verso di lui, fino a sfiorare il suo naso con
il mio.
«Ma
tu puoi rapirmi tutte le volte che vuoi. E poi… ho portato
anche il libro di
letteratura!», terminai e gli scoccai un bacio a fior di
labbra.
«Ah,
la mia ragazza è un genio!», esclamò,
facendomi ridere.
«E
ora in piedi, Alice e la neve ci aspettano».
Obbedii
anch’io alle mie parole e in un attimo ci ritrovammo fuori
dalla stanza e poi
giù, in sala. Alice era già lì,
coperta da un piumino, dei pantaloni e degli
stivali da nevi, il tutto rigorosamente bianco. Forse, in quel modo,
pensava di
potersi mimetizzare meglio.
Vedendoci,
mi venne incontro e mi lasciò un oggettino argenteo in mano.
Lo osservai: uno
smartphone di ultima generazione, incredibilmente sottile e
dall’aria
incredibilmente fragile.
«Mh,
Alice, ma cos’è?».
«Un
telefono, mi sembra ovvio», rispose, alzando un sopraciglio.
«Sì,
questo lo vedo. Intendevo: perché mi dai un telefono? Non
è che io abbia tante
persone da chiamare, eh».
«Non
ti servirà per chiamare, infatti. Lo userai nella battaglia
di neve, tutti noi
useremo i nostri telefoni».
Continuavo
a non capire. «Vuoi che ce li lanciamo contro insieme alla
neve?».
Soppesai
l’oggettino. Se l’avessi lanciato non avrebbe
nemmeno avuto il tempo
di colpire il mio bersaglio, si sarebbe
sbriciolato in aria.
Alice
sbuffò. «Certo che no! Li useremo per comunicare
tra noi, durante la battaglia.
Ci comunicheremo le rispettive posizioni metteremo in atto piani
d’attacco».
Annuì, infine, fiera del suo programma.
«Mh,
capisco. E in quante squadre ci divideremo?».
Effettivamente
sembrava una bella idea, piuttosto divertente.
«Due:
maschi contro femmine», rispose.
Mi
rimangiai tutto mentalmente.
Risi.
«Alice, siamo tornati all’asilo?»
«Zitta,
tu. Mia l’idea, mio il gioco e mie le regole». Ci
mancava poco che mi facesse
pure una linguaccia.
«Veramente,
tesoro, l’idea è stata mia». Jasper era
entrato, insieme ad Emmett e Rosalie
dalla porta principale.
Alice
liquidò la sua protesta con un gesto della mano.
«Sì, non importa. Ma perché
Esme e Carlisle non sono ancora scesi?», chiese, a nessuno in
particolare. Poi
li chiamò, sbatacchiando ritmicamente il piede a terra.
Esme
comparve sulle scale che poi scese, a passo quasi umano.
«Alice! Carlisle è al
telefono, sta parlando con il primario dell’ospedale di
Forks», la rimproverò.
«Che
cosa dice? Ci sono stati problemi con i lupi?»,
domandò Rosalie.
Da
quando eravamo partiti per Denali, Carlisle aveva chiamato a Forks
diverse
volte, sia per avvisare del suo licenziamento e quindi per tutte le
pratiche
burocratiche che ne conseguono, sia per assicurarsi che i licantropi
non
avessero terminato la rottura del patto, rivelando la verità
su di noi. In
realtà nessuno la riteneva una possibilità
concreta, ma Carlisle, con una scusa
o con un’altra, faceva qualche domanda per assicurarsi che
andasse tutto bene.
Il problema era sorto quando gli avevano chiesto di tornare a Forks per
firmare
delle carte e completare il licenziamento. In un primo momento avevamo
preso in
considerazione l’idea di far accompagnare Carlisle da
qualcuno di noi e restare
il meno possibile in città. Il gruppo sarebbe dovuto essere
formato da
Carlisle, Edward, che avrebbe potuto controllare i lupi anche alla
discreta
distanza di uno o due chilometri, ed Emmett, per la sua forza. In
questo modo
sarebbero però stati in minoranza numerica e, in caso di
attacco, sarebbero
stati in pericolo. Allora Jasper si era proposto per accompagnarli,
cosa che
aveva portato Alice ad annunciare che li avrebbe seguiti. A Rose non
piaceva
per nulla l’idea di far andare Emmett da solo e io di sicuro
non avrei lasciato
che Edward partisse senza di me. Il tutto era sfociato in una
discussione
colossale su chi dovesse andare e sul fatto che fosse estremamente
discriminatorio lasciare a casa le donne perché
“potreste farvi male”. Fu Esme
a risolvere la questione, proibendo categoricamente a chiunque di fare
ritorno
a Forks. Carlisle avrebbe completato le pratiche dall’Alaska,
per via
telematica, in modo che nessuno rischiasse di farsi male o di dare
inizio a una
guerra. Suo marito si era dichiarato d’accordo e tutto era
stato archiviato.
Esme
scosse il capo, in segno di diniego, ma non servì che
rispondesse, dato che
Carlisle scese le scale proprio in quel momento.
«Tutto
bene. Richard mi ha detto che tre giorni fa è passato in
ospedale un uomo della
tribù che chiedeva di me. Lui gli ha risposto che ci siamo
trasferiti e l’uomo
ha annuito e se n’è andato. Richard è
rimasto stranito ma, grazie alla sua
fobia per qualsiasi cosa non sia pallida e di origine europea, si
è limitato a
sostenere che gli indiani sono assurdi», raccontò.
«Vuoi
vedere che ora ci andranno, in ospedale?»,
ironizzò Edward.
Carlisle
sorrise, bonario, poi batté le mani. «Beh, ma non
dovevamo farci guerra a
vicenda?».
Alice
annuì, soddisfatta. «Esatto! Andiamo».
Prima
che potesse trascinare tutti, uno per uno, fuori dalla porta, Esme
esclamò:
«Alice, aspetta! Devo ancora cambiarmi!»
«Non
c’è tempo, abbiamo già aspettato
troppo!»
«Alice,
ricordi il concetto di eternità?», le chiesi.
«Piantatela,
tutti quanti. Ora noi usciremo da quella porta e faremo le cose per
bene. Ci
muniremo dei telefoni e ci allontaneremo gli uni dagli altri dei tre
chilometri
e mezzo già concordati. Dopo di che, via alla
guerra».
Alice
non ammetteva repliche, così fummo costretti, per
l’ennesima volta, a seguire i
suoi ordini. Perfino Carlisle si limitò a seguirla.
«Perché
ci allontaniamo così tanto? Vuoi creare pure delle
trincee?», mi rivolsi a
Alice, ma mi rispose Emmett.
«Perché
altrimenti il tuo ragazzo bara», rise.
«Smettila,
io non baro! Non ci posso fare niente, e lo sai!» A Edward
non piaceva per
niente che, qualsiasi cosa si facesse, Emmett lo accusasse di
imbrogliare. Era
un vizio, e poi si divertiva un mondo a fare arrabbiare Edward.
«Buoni,
bambini», li zittì Rosalie.
Mi
voltai verso Edward, ridacchiando. «C’è
una guerra da combattere, te ne sei
dimenticato?».
«Per
niente. Proprio come non mi sono dimenticato che passeremo la giornata
separati»,
rispose.
«Passerà
in fretta, vedrai». Mi allungai sulle punte e lui si
chinò per lasciarsi
baciare.
«Cosa
credi che non sia chiaro dei concetti “guerra” e
“nemici”?»
«Non
so, forse dovremmo prestar loro dei dizionari».
Notai
che Emmett e Jasper erano in vena di battutine.
Alice,
intanto, scalpitava per l’impazienza. «Sappiamo
tutti cosa fare, vero?».
«Certo
che sì: distruggervi, tesoro», ghignò
Jasper.
Emmett
scoppiò a ridere e gli batté il cinque. Come
volevasi dimostrare.
Alice
lo guardò di traverso, poi voltò le spalle e si
infilò tra gli alberi. «Au
revoir, trésors. Fate attenzione,
potreste ritrovarvi sepolti sotto la neve quando meno ve lo
aspettate».
Quella
vampira sapeva essere inquietante, anche per gli standard della nostra
specie.
Nel giro di pochi secondi ci dividemmo nei due gruppi prestabiliti e
corremmo,
gli uni lontani dagli altri.
Mentre
ci allontanavamo dalla casa sentii Esme mormorare, affranta:
«Però mi piaceva
questo golf, era il mio preferito».
Corremmo
per qualche minuto, finché Alice non si ritenne soddisfatta
e iniziò a
rallentare, fino a fermarsi del tutto.
«Bene,
ora non siamo più a portata della telepatia di
Edward». Ci fermammo sotto un
abete. I rami erano stracolmi di neve, così come la terra,
quasi un lontano
ricordo sotto quindici centimetri buoni di pesanti fiocchi bianchi.
«Peccato
che non riesca ad estendere il tuo scudo, Bella. Sarebbe perfetto,
potremmo
evitare totalmente il potere di Edward», sospirò.
Liquidò la questione con una
scrollata di spalle, anche se continuò a sembrare piuttosto
rammaricata.
Alice
stava prendendo un po’ troppo sul serio la questione della
“guerra a palle di
neve”.
«Tenete
i telefoni vicini, comunicheremo con i messaggi, come vi ho
detto».
«Ora
ci dividiamo?», chiesi.
Alice
annuì. «Io vado a est, Esme, tu resta intorno a un
chilometro più a sud, Rose
tu, più lentamente, muoviti verso sud-ovest. Bella, tu, che
non puoi essere
intercettata da Edward, dirigiti un po’ più a nord
di Rose. Ora io inizio a
tenerli d’occhio, ma dobbiamo circondarli e coglierli di
sorpresa per batterli.
Vi aggiorno sullo schema tra qualche minuto».
Esme
storse le labbra, sorpresa. «Alice! Mi sembrava che avessimo
preso tutte le
precauzioni perché il gioco fosse pulito. I ragazzi non
hanno vantaggi grazie
ai loro poteri».
Alice
sorrise, furba. «Abbiamo preso precauzioni sul potere di
Edward, non sul mio».
«Ti
sarei grata se non imbrogliassi».
«Uff,
non imbroglierò».
Esme
era scettica. «Promesso?»
«Croce
sul cuore». Alice sghignazzò. Dubitai
dell’attendibilità della sua promessa e,
stando alle loro espressioni, anche Rose ed Esme.
«E
ora andiamo, su, prima che siano loro a trovarci».
Ci
sparpagliammo nelle direzioni dateci da Alice. Corsi per circa mezzo
chilometro, poi rallentai, in ascolto. Sarei dovuta essere ancora
abbastanza
lontana da chiunque dei ragazzi: si erano diretti a ovest, nella
direzione
opposta alla nostra, ma probabilmente avevano adottato il nostro stesso
schema e
rischiavo di andare incontro a uno di loro. Sperai non Emmett, o mi
sarei
probabilmente ritrovata sotto mezzo metro di neve senza nemmeno
rendermene
conto.
Il
telefono mi vibrò nella tasca, lo presi e lo osservai: sullo
schermo
illuminato, era comparso il nome “Alice” accanto
all’immagini stilizzata di una
busta da lettere. Vi premetti sopra con il dito e immediatamente si
aprì una
nuova finestra, in alto, a sinistra, era comparso il messaggio
“Ferma!”, sopra
uno sfondo giallo. Ferma? Stava arrivando qualcuno? Mi guardai intorno,
velocemente, ma non vidi né sentii niente di sospetto. Mi
accucciai comunque ai
piedi di un albero, per sicurezza. Stavo per rispondere al messaggio,
per
chiederle cosa stesse succedendo, quando il cellulare vibrò
di nuovo. Sotto il
messaggio di Alice ne comparve un altro “Con chi
parli?” su uno sfondo rosa.
Sopra vi era scritto “Rose”. Pochi secondi dopo
comparve un altro messaggio,
questa volta di Esme, su uno sfondo verde:
“Alice?”. Fantastico, una chat di
gruppo. Ci saremmo incasinate all’inverosimile.
“Per
me è morta. Oppure l’hanno catturata”,
risposi.
“Fantastico,
abbiamo perso la nostra arma”, Rose.
“Come
facciamo ora?”, replicai.
“Tranquilla,
mi sono comunque assicurata la nostra vittoria: ho minacciato Emmett,
prima di
tornare a casa”, rispose lei.
“Non
penso che Emmett si lasci convincere a perdere così
facilmente”.
“Ma
io ho ottimi argomenti”, terminò Rose. Subito dopo
mandò uno smile. Ridacchiai.
I suoi cambiamenti di umore mi facevano quasi venire il mal di testa
ma, se
fossero continuati in quella direzione, non mi sarei certo lamentata.
Da quando
c’era stato il chiarimento con Tanya, il rapporto tra me e
Rose era in qualche
modo cambiato. Non che fossimo diventate amiche per la pelle, ma lei
aveva
smesso di guardarmi in cagnesco e io non mi sentivo più a
disagio a stare nella
stessa stanza con lei. Un paio di volte avevamo addirittura scambiato
qualche
parola.
Il
telefono vibrò nuovamente, questa volta però,
accanto a “Alice” c’era un
piccolo tastino del play. Forse ascoltare una registrazione vocale con
il
pericolo che Emmett e il mezzo metro di neve mi piombassero addosso da
un
momento all’altro, non era una buona idea. Ma se Alice
l’aveva mandato voleva
dire che potevamo ascoltarla tutte, no?
«Rose,
parlavo con Rose! Ti stavi avvicinando troppo a Jazz, ma lui ha
cambiato
direzione diverse centinai di metri prima di poter sentire il tuo
odore. Tutto
okay».
Bene,
se non si trattava di me potevo andare avanti, avrei dovuto proseguire
per
almeno altri trecento metri.
Il
telefono vibrò nuovamente e lessi velocemente il messaggio,
ma non era Alice.
Esme si lamentava per la poca correttezza dei gesti di Rose e per le
visioni di
Alice. Quest’ultima replicò che lei non stava
commettendo alcuna scorrettezza,
semplicemente utilizzava tutte le armi di cui era in possesso. E che
Rose
faceva lo stesso, circa. E poi Emmett era libero di prendere qualsiasi
decisione volesse, no? Testuali parole di Alice. Risi, ma evitai di
rispondere.
Camminavo,
più tranquilla, facendo comunque attenzione a qualsiasi
suono o movimento
causato anche solo dal vento.
Quando
fui certa di aver percorso un intero chilometro mi feci ancora
più guardinga,
evitai di toccare gli alberi, nella speranza che il vento e la neve
rovinassero
almeno un po’ la traccia olfattiva che stavo lasciando.
Cambiai direzione e
ritornai sui miei passi per tre volte, così da confondere la
scia. Mi sentivo
tanto un super agente segreto alle prese con la sua missione
più importante.
James Bond sarebbe stato fiero di me. Più di una volta mi
voltai a destra o a
sinistra a causa di qualche movimento sospetto, anche se ero certa che
non ci
fosse nessuno nel raggio di quattrocento metri da me. Avvertii un
movimento
alle mie spalle, mi voltai di scatto, ma si trattava solo di un
animaletto del
bosco ritardatario. Quel gesto, però, mi servì a
comprendere quanto fossi stata
stupida negli ultimi dieci minuti: non solo avevo lasciato una
meravigliosa
scia olfattiva, ma anche delle più che riconoscibili
impronte sulla neve che,
guarda un po’, portavano dritte dritte al punto in cui
eravamo partite e, dal
quale, sarebbe stata una sciocchezza trovare anche le altre. Di sicuro
Jasper
aveva previsto qualcosa del genere e gli altri erano già
sulle nostre tracce.
Ma perché Alice non mi aveva avvisata? Dannazione.
Saltai
sull’albero più vicino e mi arrampicai per quattro
metri. Da lì avrei avuto una
visione migliore dell’ambiente circostante. Notai, a quasi un
chilometro di
distanza, che le fronde di un albero venivano scosse, ma non sembrava
opera del
vento. Scesi di un metro e mi accucciai contro il tronco
dell’albero. Afferrai
il cellulare nel momento esatto in cui vibrò. Entrai
immediatamente nella chat,
probabilmente se avessero potuto mi sarebbero tremate le mani. Provavo
qualcosa
di molto simile ad una scarica di adrenalina.
“Ti
stai avvicinando troppo a Carlisle! Non siamo ancora in posizione.
Esme, ci
vedremo tra sette secondi esatti. Rose, dirigiti a sud, verso Bella. Ma
fai
attenzione, c’è anche Edward da quelle
parti!”
Ringrazia
mentalmente Alice per la sua inutilità. Avevo capito
anch’io che mi stavo
avvicinando a qualcuno, ma mi serviva sapere dove andare per evitare di
essere
presa! Decisi che la scelta migliore sarebbe stata aggirare il
problema: saltai
da un albero all’altro – in quel momento mi sentii
più Tarzan che James Bond –
per un buon mezzo chilometro, mettendo distanza tra me e Carlisle,
così da
poter poi riprendere la mia direzione, evitando di incontrarlo. Stavo
quasi per
battermi il cinque da sola quando, Alice mandò nuovamente un
messaggio vocale.
«Bella,
stanno giocando con le mie visioni! Non-».
Ma
la registrazione si interruppe prima che Alice avesse finito di parlare.
Cos’era
successo? L’avevano raggiunta? E che voleva dire che stavano
giocando con le
sue visioni? Esme era con lei? Cosa dovevo fare?
Per
un attimo fui quasi certa di essere circondata, ma presto mi resi conto
di
quanto mi stessi autosuggestionando: non c’era nessuno
attorno a me, non
sentivo né l’odore né tanto meno vedevo
o avvertivo dei movimenti. Saltai altri
quattro alberi, senza distogliere lo sguardo dal telefono. Intanto
arrivarono
diversi messaggi di Esme e Rose. Esme non aveva trovato Alice e Rose
voleva
sapere cosa stesse succedendo dato che era certa di aver sentito
qualcosa a
quattrocento metri da lei.
Finalmente
Alice ricomparve e inviò un altro audio. Non fui certa fosse
una mossa
intelligente, dato che molto probabilmente se Rose avesse ascoltato la
registrazione l’avrebbe fatto anche il suo inseguitore.
«Scusate,
stavo avendo una visione e mi è scivolato il telefono di
mano. Tutto bene, non
l’ho rotto», “Come se me ne fregasse
qualcosa della caduta del telefono”,
rispose Rose. «Bella, spostati, qualcuno ha intercettato la
tua scia e ti sta
venendo dietro. Non capis-». Di nuovo, la registrazione si
interruppe. Soffocai
un ringhio esasperato. Possibile che quella vampira avesse le mani di
burro e
che non riuscisse a completare una frase in grazia di Dio?
Volai
da un albero all’altro, nel tentativo di mettere distanza tra
me e il mio
inseguitore. Eppure, quando mi fermai, mezzo chilometro più
avanti, fui quasi
certa di avere qualcuno davanti,
non
dietro.
Il
telefono vibrò di nuovo.
«Mi
hanno ingannata! Bella, non è Carlisle che ti insegue, ma
Edward! Scappa verso
est, stai correndo tra le braccia di Emmett! Rose, hai Jazz alle
calcagna! Quei
bastardi-», Alice ringhiava per la rabbia e, di nuovo, non
aveva completato la
registrazione.
Eseguii
i suoi ordini, inorridita al pensiero di Emmett e del famoso mezzo
metro di
neve che si sarebbe raddoppiato, dato che non ero tanto sicura che
Edward mi
avrebbe salvata.
Arrivò
una nuova registrazione e fui tentata di non aprirla, certa che non
sarei stata
l’unica a sentirla. Era Alice, ma a parlare fu Esme. Si erano
incontrate?
«Vogliono
imbrogliarci con i nostri stessi imbrogli! Non possiamo permetterlo!
Sentite,
allontaniamoci tutte verso sud, va bene? Torniamo alla base e facciamo
il punto
della situazione». Simultaneamente arrivò un altro
messaggio, questa volta scritto,
da parte di Alice: “Io ed Esme siamo insieme, non fate niente
di ciò che vi ha
detto! Rose e Bella, dirigetevi a est, ma più a sud del
punto di partenza. Li
coglieremo di sorpresa proprio lì”.
Annuii,
tra me e me, seguendo le indicazioni di Alice. Ma fui totalmente certa
del
genio di mia sorella solo quando mi resi conto di essere nuovamente del
tutto
sola. Edward e Emmett mi avevano preceduta, evidentemente convinti di
poterci
sorprendere una volta arrivate là. Più mi
avvicinavo alla meta e più mi rendevo
conto di aver già percorso quei sentieri. Fui certa che, se
mi fossi spostata
di qualche centinaio di metri a sinistra, avrei trovato le mie stesse
orme
sulla neve. Orme che, probabilmente, stavano conducendo i ragazzi
dritti dritti
nella nostra trappola.
Esultai
tra me e me, già pregustando la vittoria e la neve che avrei
riversato sulle
teste di Edward ed Emmett, che erano stati tanto carini da pensare di
attaccarmi in due. Quello sì che era un comportamento
scorretto. Avvertii il
telefono vibrare nuovamente ma, presa dalla corsa sugli alberi, non
controllai
il nuovo messaggio. A duecento metri dal punto prestabilito vidi Rose,
sull’albero accanto al mio. Mi fece cenno di seguirla e io lo
feci, aumentando
però la distanza tra noi due, in modo che, una voltai
arrivate dai ragazzi,
saremo state in grado di tagliare loro la strada da più lati.
Una
volta lì feci a malapena in tempo a registrare i quattro
vampiri molto spaesati
e Edward che, leggendo i pensieri delle altre, aveva capito
l’imbroglio e stava
intimando agli altri di scappare.
Troppo
tardi.
L’urlo
– o ringhio – di guerra più assurdo e
terrificante che avessi mai sentito
arrivò da un albero di fronte a me. Assurdo
perché proveniva da una minuscola ragazza
che in quel momento si dondolava con forza indicibile da un ramo e
sparava
terribili bombe di neve contro dei vampiri totalmente disorientati, a
terra.
Terribile perché, nonostante tutto, era una vampira. Molto
inquietante, per
giunta. Seguii il suo esempio e, saltando da un ramo
all’altro del mio abete,
scrollai via diversi chili di neve che finirono, alla rinfusa, un
po’ sulla
terra e un po’ addosso ai ragazzi. Rosalie ed Esme non si
risparmiarono e
pregustavo già la vittoria quando, finalmente, i nostri
nemici si decisero a
reagire.
Non
era facile colpire qualcuno che, dall’alto, nascosto tra le
fronde degli
alberi, ti bombardava con la neve e impediva, non solo i movimenti, ma
anche la
visuale. Dopo i primi attimi di stordimento iniziale, Emmett riprese
vigore e,
ringhiando, raccolse tra le braccia una massa esorbitante di neve che
lanciò
contro l’albero di Alice. In quel momento tutto
iniziò a essere confuso, mentre
saltavo da un albero all’altro, scuotendo i rami per
riversare la neve a terra,
iniziai a sentire i tronchi che venivano smossi e più di una
volta rischiai di
cadere di sotto. Mentre noi attaccavamo dall’altro, loro ci
bombardavano dal
basso e cercavano di farci cadere. Vidi, nella confusione generale,
Esme
precipitare a terra e Jasper riempirla di neve da testa a piedi. Presto
mi
ritrovai a non essere più sola sul mio albero e vidi
arrivare Emmett – e la
neve – arrivare, un secondo prima di essere sbalzata a terra.
Da quel momento
in poi, non saprei dire con esattezza cosa sia successo, fatto sta che
mi arrivò
neve da qualunque direzione e io stessa ne lanciavo più che
potevo dappertutto.
Probabilmente colpii anche le mie stesse alleate.
Non
ci fu più alcuna logica, finimmo tutti inzuppati dalla neve
e mezzo sepolti
sotto di essa. Non ci furono vinti e vincitori, ma fu uno dei giorni
più belli
della mia vita.
NOTE IMPORTANTI
Ieri,
io e Joan, abbiamo parlato
a lungo della storia e della sua trama. Mi ha fatto notare –
anche se io stessa
ci riflettevo su da un po’ – che, a parer suo,
nella storia manca qualcosa. Una
vera crisi, un punto di rottura ben definito in cui le cose vanno in
malora e,
solo dopo sforzi titanici, i protagonisti riescono a riportare la pace
e la
tranquillità, per poi arrivare al tanto agognato
“e vissero per sempre, felici
e contenti”. Sospetto che questo sia il pensiero anche di
alcune di voi, per
questo ho deciso di annoiarmi con un piccolo – si fa per dire
– papiro.
Questa
storia è nata da una
domanda che mi posi circa tre anni fa: cosa sarebbe e successo se
Edward e
Bella si fossero conosciuto da vampiri? La risposta è stata
quasi scontata: si
sarebbero innamorati lo stesso, in circostanze diverse, ma sarebbero
diventati
ugualmente compagni di vita. E questa storia è
ciò che la mia mente ha
prodotto, dopo essersi data questa risposta. Ragazze, questa
è la storia di un
innamoramento, di due persone che, conoscendosi, scoprono di essere
fatte l’una
per l’altra. In questo caso le due persone sono due vampiri,
di cui una appena
trasformata e alle prese non solo con una nuova vita, ma anche con
l’ingresso
in una nuova famiglia. Famiglia di vampiri che convive, in precario
equilibrio,
con una comunità di licantropi e che, nel momento del
bisogno, si rivolge al “resto”
della famiglia di cui – a causa della sfiga nera che
perseguita Ed e Bella per
tutta la saga – fa parte anche una vampira che ha una cotta
per lui da decenni.
In questa storia ci possono essere solo dei piccoli drammi, quelli
della vita
quotidiana di due vampiri (fa un po’ strano dirlo, no?) che
si innamorano. Più
annessi e connessi, ovvio. È la storia di un innamoramento,
nessuna sottotrama,
nessun casino pronto a saltare fuori. Ormai siamo quasi alla
conclusione e mi
dispiace se ho deluso qualcuno, se ora questi ultimi capitoli vi
possono
sembrare piatti e noiosi. Mi scuso per questo, ma non posso fare
altrimenti,
perché questa storia non ha una trama avventurosa, o
drammatica, o ciò che
volete, è una romantica. Una romantica terribilmente
flluffosa, aggiungerei.
Un
altro fattore è l’IC dei
personaggi, che ho tentato di rispettare al massimo. Avrei potuto
permettere a
Carlisle di iniziare una guerra contro i licantropi, sapendo che si
sarebbero
sprecate delle vite per un loro errore? No, Carlisle non farebbe nulla
del
genere. Avrei potuto costringere Tanya a fare la scassaboccini di
turno,
facendole fare la parte della troietta (passatemi la
volgarità) senza un minimo
di amor proprio? No, lei non si ridicolizzerebbe tanto. Avrei potuto
far
arrivare i licantropi dall’America all’Alaska? No,
sarebbe un’assurdità. Avrei
potuto far litigare Edward e Bella fino a farli quasi rompere? E quanto
mai ‘sti
due hanno litigato? Queste sono le domande, e annesse risposte, che mi
sono
posta. Ora capite perché le cose non sarebbero potute andare
in maniera
diversa? È la storia di un amore, non di una guerra, non di
una famiglia o di
una nuova vita. Solo un amore – un amore molto IC –
senza sottotrame. Mi sono
detta di essere capace a scrivere storie drammatiche, incentrate su un
problema, una questione da risolvere, una guerra, ma non è
questo il caso.
Ieri
sono riuscita a spiegare il
mio punto di vista a Joan, spero di avercela fatta anche con voi e
spero che lo
condividiate. In caso contrario, vi chiedo scusa per aver deluso le
vostre
aspettative, non era mia intenzione.
Ho
terminato, scusatemi se vi ho
annoiate ancora di più con ‘sta cosa. Ci tenevo a
farvi sapere qualche
questione così. ^^
Come
accennavo prima, siamo allo
scioglimento della vicenda, che si coronerà nel prossimo, e
ultimo, capitolo.
Ci sarà poi un epilogo e la storia sarà conclusa.
Questo
è un capitolo davvero
molto leggere, uno ‘slice of life’, che fa da ponte
il precedente capitolo e la
conclusione. Serve soltanto a dimostrarvi come le cose, dopo circa due
mesi, stanno
prendendo la piega giusta.
Ho
davvero finito, giuro!
Grazie,
come sempre, a Joan
Douglas per la betatura e, soprattutto, per l’ottima
consulenza. Ho sempre
bisogno dei tuoi consigli (e dei tuoi problemi con le registrazioni che
mi
ispirano lool). Grazie a tutte voi che recensite e che leggete la
storia. Senza
di voi non sarei mai arrivata qui.
A
presto!
Vero
|
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Capitolo 17 *** Capitolo XVII ***
Capitolo – come
sempre – betato
da Joan Douglas.
Capitolo XVII
«E
per questa ragione abbiamo vinto noi».
«No,
io non credo proprio! Vi abbiamo teso una trappola e voi ci siete
cascati in
pieno!».
«Sì,
ma poi vi abbiamo distrutte!».
Emmett
ed Alice, tra le risate generali, non avevano smesso un attimo di
rimbeccarsi
giocosamente su chi fosse il vincitore. Da quando la battaglia di neve
era
terminata, causa lo sradicamento del quarto albero, era iniziata la
lotta per
aggiudicarsi il titolo di vincitore. E ora, mentre tornavamo alla villa
a passo
quasi umano, la situazione era stava degenerando fino alle liti tra
infanti.
Era uno spasso osservarli.
«Emm,
ti ricordo che vi abbiamo ingannati utilizzando il vostro stesso
imbroglio!», risi,
dando man forte ad Alice.
«Ma
noi siamo riusciti a confondere Alice e senza imbrogliare, a differenza
vostra!», replicò e mi spintonò.
Scoprii che, anche se la sua mole era sensibilmente
maggiore rispetto alla mia, riuscì soltanto a farmi
indietreggiare.
«Ehi!».
Feci leva sulle gambe e mi lanciai con tutto il peso contro di lui, che
finì a
cinque metri di distanza, a terra. Scoppiai a ridere e diedi il cinque
ad
Alice.
«Senti,
solo perché sei una neonata non significa che
puoi-», ma non completò mai la
frase a causa di un eccesso di risate, provocato dalla palla di neve
che mi
aveva centrato la faccia in pieno.
Mi
voltai, pronta a rendere pan per focaccia a chiunque avesse osato, e mi
ritrovai davanti Edward e Jasper che ridevano di gusto. Capii, dal
sorriso
malizioso, che era stato Edward a tirarmi la neve. Mi chinai e nel giro
di una
frazione di secondo anche lui aveva una buona quantità di
neve spiccicata tra i
capelli e in faccia.
«Guerra!».
Emmett
aveva già caricato le braccia, ma Rosalie stroncò
il suo entusiasmo sul
nascere.
«Se
ti azzardi a lanciarmi altra neve addosso farò diventare le
minacce di
stamattina realtà».
Emmett
osservò Rose per un momento, poi allargò le
braccia e lasciò cadere tutto a
terra. Evidentemente Rosalie era il tipo di persona che mantiene le sue
promesse – o minacce –, che riguardano sempre buoni argomenti.
L’arrendevolezza
di Emmett alimentò le risate generali mentre raggiungevamo
il limitare del
bosco.
Una
volta arrivati alla villa, quando Emmett fece per entrare, Esme lo
bloccò.
«Ragazzi,
preferirei evitare di distruggere la casa dei nostri parenti
disseminandola di
neve». Lei e Carlisle erano stati in silenzio per tutto il
viaggio di ritorno,
limitandosi ad osservarci o a ridere quando riprendevamo la battaglia,
senza
farsi coinvolgere. Per un attimo mi soffermai sul maglioncino di Esme,
sporco
di neve ma intatto. Immaginai che, chiunque si fosse battuto contro di
lei, non
avesse avuto il cuore di rovinarglielo.
«Diamoci
una ripulita qua fuori, prima di entrare»,
terminò.
Facemmo
come ci aveva detto. Essere dei vampiri alle prese con la neve poteva
avere i
suoi pregi – ad esempio, niente vestiti fradici –
ma, poiché la neve a contatto
con la nostra temperatura non si scioglieva, risultava anche
più difficile
eliminarla. Impiegai diversi minuti solo per liberare i capelli, avevo
neve
ovunque. Forse avremmo dovuto prevedere
un’eventualità del genere e lasciare
dei vestiti puliti in giardino. Anzi, niente forse.
Improvvisamente
avvertii un tocco freddo alla base del collo e subito qualcosa di
altrettanto
freddo mi accarezzò lentamente la schiena, per poi
depositarsi sul fondo, sotto
la maglietta. Edward, mezzo passo dietro di me, ghignò
soddisfatto.
Assottigliai
lo sguardo.
«Pensavo
che la battaglia fosse finita», mormorai.
Lui
si abbassò sulla mia gola, baciandomi nell’incavo
del collo e io abbandonai la
testa sulla sua spalla. «Infatti, ora bisogna stipulare la
pace». Con le dita
seguì lo stesso percorso della neve ma, una volta sui miei
fianchi, la spazzò
via per sostituirla con la sua mano. Cercai di ricordare a me stessa
che non
eravamo soli e che mugolare non sarebbe stato esattamente educato.
Avvertii
qualcuno schiarirsi rumorosamente la voce. Nel suono per
metà infastidito e per
metà divertito riconobbi Emmett. Istantaneamente feci un
passo avanti e Edward
si staccò da me, sbuffando.
In
quel momento ero indecisa se essere più infastidita o
più imbarazzata per
l’interruzione. Ci saremmo dovuti dare un contegno.
Emmett
rise delle nostre facce. «Spiacente, piccioncini, ma in
questa famiglia certe
cose si fanno solo dopo il matrimonio. Non è vero,
Carlisle?».
Lui
abbozzò un sorriso e annuì.
Se
prima ero imbarazzata in quel momento avrei voluto scavarmi la fossa da
sola.
Perché continuavo a dimenticare che in quella casa il
più giovane aveva vissuto
la recessione dei venti?
«Okay,
basta, ci rinuncio». Ringraziai Rosalie e i suoi problemi con
la neve per aver
allontanato l’attenzione dal nostro siparietto. Mollai una
gomitata nelle
costole a Edward e mi avvicinai a Rose. Avrei potuto giurare che,
dietro di me,
lui stesse sorridendo.
I
capelli della vampira erano un disastro, se possibile anche peggio dei
miei. Ad
entrambe sarebbe convenuto lavarli. Lei dovette avere lo stesso
pensiero perché
vagò con lo sguardo per tutto il giardino, fino a
soffermarsi sul rubinetto
dell’acqua poco lontano. Dubitavo che sarebbe riuscita a fare
uscire qualcosa
di meno solido del ghiaccio.
Un
tono ripetuto, squillante, si diffuse nell’aria, proveniva
dall’interno della
casa. Carlisle si voltò di scatto e, togliendosi in fretta
le scarpe, schizzò
verso la porta. «Scusate, è il mio».
Tesi
l’orecchio, finché non avvertii Carlisle parlare.
«Pronto? Sì, sono io. Salve
dott. Parker, ieri ho telefonato
perché…».
Smisi
di ascoltare e mi voltai verso gli altri: mi resi conto che non era
stata l’unica
a tendere un po’ troppo l’orecchio.
Esme
si sciolse in un sorriso. «Carlisle sta cercando un ospedale
in cui esercitare,
non riesce a stare troppo tempo lontano da chi ha bisogno di
aiuto».
«Sì,
è un’esigenza di tutti i dottori: non riescono a
stare troppo tempo senza
aprire qualcuno», rise Emmett.
Esme
alzò gli occhi al cielo e finse di ignorarlo. «Su,
ragazzi, via le scarpe ed
entriamo. Bella, Rose… Voi legate i capelli,
magari».
Stavo
per rispondere, ma Rosalie mi precedette. «In
realtà pensavo di lavarli
direttamente qua fuori, così evitiamo di creare pasticci in
bagno».
«Mi
sembra un’ottima idea. A dopo, ragazze».
Un
momento, ragazze? No no, io non sarei rimasta sola con Rosalie per
così tanto
tempo. Una cosa era accettarci reciprocamente, un’altra
lavarsi i capelli
assieme stile best friends forever.
Nel
giro di un attimo gli altri sparirono oltre la soglia
dell’ingresso e io mi
ritrovai in giardino, sola con Rosalie. Anche Edward si era limitato a
rivolgermi un semplice sorriso, prima di seguire gli altri. Il che era
quanto meno
sospetto, dato che non gli era mai andato a genio il modo in cui mi
aveva
trattata Rosalie fino a una manciata di giorni prima.
La
seguii fino al rubinetto, diversi metri più vicino al fianco
roccioso del
monte. Tentò di aprirlo ma era, come avevo previsto,
bloccato.
«Credo
dovremmo usare un tubo da giardino», disse.
«Non
penso servirebbe a molto, il rubinetto mi sembra bloccato».
Rimase
piegata davanti ad esso e mi rispose senza guardarmi. «Temo
che tu abbia
ragione». Tentò un’ultima volta di
aprirlo. «Ci tocca lavarci dentro, pazienza.
Qualcuno dirà addio al suo bel bagno».
Mi
ero già voltata per entrare in casa, ma Rosalie
parlò di nuovo.
«Bella»,
mi chiamò. Oh no, ti prego fai che
non
voglia rovinare questa splendida giornata. «Mi
dispiace».
Cosa?
Le dispiaceva?
Riprese
a parlare, ma non si voltò.
«Mi
dispiace di essermi comportata in quel modo odioso, senza nemmeno darti
la
possibilità di farti conoscere. Sono stata
un’egoista immatura». Finalmente si
alzò in piedi e mi guardò. Ero frastornata. Lei
si stava scusando?
«Ti
ha obbligata Edward a farlo?», mi insospettii.
Lei
in risposta rise e scosse i capelli, ancora intricati di diamanti di
ghiaccio.
«No, non mi ha obbligata nessuno». Smise di ridere
e mi sorrise, incerta. «Mi
sono solo resa conto di non essere stata giusta nei tuoi
confronti».
Non
dissi nulla, ancora stordita dalla situazione. Ma i vampiri potevano
essere
storditi?
«Non
amo i… cambiamenti, mi spaventano, in un certo senso. Sto
bene nella mia
routine, nell’equilibrio che mi sono costruita, giorno dopo
giorno». Fece una
pausa. «E poi stavo così bene lì, a
Forks. Finalmente un posto in cui potevamo
avere una vita pubblica pressoché normale, semplice e senza
problemi.
Equilibrio perfetto. E poi sei arrivata tu».
Accennò nuovamente un sorriso,
questa volta quasi imbarazzata. «Non voglio dire che tu abbia
rovinato tutto,
non sarebbe giusto e nemmeno lo penso, per lo meno non più.
Non è certo stata
colpa tua se quell’aereo è caduto e nemmeno lo
è se hai infranto il patto con i
licantropi. Anche quella è stata una negligenza
d’altri, non tua». Sospirò,
osservandomi. Si aspettava che le rispondessi qualcosa? Mi morsi il
labbro,
tentando di arrovellare una risposta decente.
«Beh,
sono… felice, sì, che la pensi così.
E… mi dispiace di avere, uhm, incasinato
la tua quotidianità». Perfino io capii che
l’ultima frase suonava più come una
domanda, che come un “scuse accettate”.
«Non
intendevo questo, beh a parte per ciò che è
venuto dopo la rottura del patto.
Il fatto è che il tuo arrivo è stata la prima
cosa un minimo… eclatante, penso
di poter dire così, da cinquant’anni a questa
parte. Ha rotto la routine della
famiglia. Il cambiamento più grande è stato per
Edward, ovviamente, ma tutti
noi abbiamo dovuto fare i conti con una nuova arrivata, neonata, per
giunta».
Si bloccò nuovamente e mi rifilò
un’occhiata significativa. Non intendeva dire
che fossi una cattiva novità, ma semplicemente una
novità. E le novità portano
sempre cambiamenti. E lei non amava i cambiamenti.
Annuii,
per farle capire che avevo afferrato il senso del discorso.
La
sua espressione mutò e nel suo sguardo potei scorgere un
lampo particolare, che
prima, ne ero certa, non c’era.
«C’è
anche un’altra ragione, ed è davvero mortificante
ammetterlo. Io… sono sempre
stata molto ammirata, mettiamola così, dagli uomini. Anche
quando ero umana,
dai dodici anni, nessun uomo mi ha mai ignorata. Sono sempre stata
molto fiera
della mia bellezza anche se, alla fine, è stata lei la mia
rovina». Per un
attimo il suo sguardo si perse nel vuoto, lontano decenni e decenni.
Non capivo
dove volesse arrivare – di certo non si sentiva minacciata
dalla mia bellezza
dato che io ero bella come una vampira, lei praticamente era una dea
– ma capii
a cosa si riferisse.
Mi
affrettai ad annuire, non volevo sentire di nuovo quella storia,
né costringere
Rosalie a raccontarla. «Lo so».
«Lo
sai?», rimase interdetta. «Te l’ha
raccontato Edward?»
«Non
proprio, ma ha accennato al perché Carlisle ti abbia
trasformato».
Annuì.
«Fu il mio fidanzato, lui e i suoi amici. Ci saremmo dovuti
sposare di lì a
sette giorni».
Rimasi
spiazzata e la tristezza che mi aveva colta la prima volta che Edward
mi aveva
accennato qualcosa di quella storia tornò, più
forte di prima. Era stata
tradita da una persona che amava, dall’uomo con il quale
avrebbe dovuto passare
il resto della sua vita. «È orribile, Rose.
Mi… dispiace, davvero. Immagino che
ora non sia facile fidarsi delle persone».
Lei
scosse il capo, puntando nuovamente lo sguardo nel mio e fui certa che
fosse
tornata al presente. «Non te lo sto dicendo perché
voglio la tua compassione o
per giustificarmi. Immagino che c’entri anche la mia
diffidenza nel modo in cui
mi sono comportata, ma non è questo che intendevo quando ti
ho parlato di
un’altra ragione. Non sono mai stata indifferente a nessun
uomo, mai. Con una
sola eccezione: Edward. Lui era libero e io ero così bella
dopo la trasformazione…
Ma lui non mi guardò mai come qualcosa di più di
una sorella. Anzi, mi
disprezzava proprio. Me la presi parecchio, per anni ho provato del
risentimento nei suoi confronti, ma vedendo che tutte le femmine che
incontrava
gli erano indifferenti, mi misi l’anima in pace. Poi sei
arrivata tu e lui è
praticamente impazzito per te. Non lo sopportavo».
Mi
immobilizzai. «Cosa? Come… Tu ami Emmett, non
puoi-».
«No
no!», rise. «Non sopportavo il fatto che lui
guardasse te e non me, non perché
io provi qualcosa per lui, ma per pura frivolezza. Sono fatta
così, mi
dispiace. Amo Emmett, non potrei desiderare uomo migliore. E io e
Edward,
l’avrai notato, non andiamo proprio d’amore e
d’accordo».
Buttai
fuori l’aria che, mi ero resa conto, mi si era bloccata nei
polmoni. Non che
avessi bisogno di respirare, ma era un gesto istintivamente umano.
«Quindi
non… insomma, non c’è problema,
immagino».
Rise
ancora, non so cosa trovasse di tanto divertente in quella
conversazione.
«Il
problema c’è, ma è mio e io ti sto
chiedendo scusa per averlo creato. Perché
dieci giorni fa, quando è successo quel disastro con Tanya,
ho visto la
disperazione di mio fratello. Temeva di poterti perdere e ho capito che
non
avevo alcun diritto di mettere i bastoni tra le ruote del vostro
rapporto. Lui
merita la sua felicità e, se sei tu, ben venga. Senza
contare il fatto che,
comunque, io e Tanya non siamo mai andate particolarmente
d’accordo. E nemmeno
gli altri sono stati felici di ciò che è
successo. Non vogliamo raffreddare i
rapporti, ma, ad esempio, entrambe le parti erano concordi
sull’evitare che i
Denali partecipassero alla nostra battaglia in famiglia»,
terminò.
Mi
presi sette secondi e mezzo per valutare la situazione. Capivo Rosalie,
per lo
meno in parte – la questione sulla bellezza e
l’invidia non era nelle mie corde
– e l’idea di farmi odiare meno mi attraeva troppo
per non perdonarla. E, in
fondo, forse l’avevo giudicata troppo prematuramente. Mi
chiesi come avrei
reagito io se qualcuno, un nuovo membro della famiglia, fosse arrivato
da un
giorno all’altro, avesse incasinato tutto e ci fossimo
ritrovati a dover
scappare da un branco di lupi inferociti. La riposta era scontata.
«Capisco,
Rosalie. E accetto le tue scuse, davvero. Voglio porgertele
anch’io per la
questione dei licantropi, in fondo è stata davvero colpa
mia».
Lei
sorrise e annuì.
«Trovo
davvero assurdo il fatto che io ti abbia accolta nello stesso modo in
cui fui
accolta da Edward. E, nonostante tutto, anche io e te ci stiamo
preparando a
convivere in armonia».
Mi
lasciai scappare una risata, mentre un peso spariva dal mio petto.
«Forse
c’entra qualche strana reazione psicologica, dovremmo
chiedere a Carlisle».
Sorrise.
«Non dico che diventeremo sorelle per la pelle nel giro di un
paio d’ore, ma
potremmo provare a essere amiche, no?».
Sorrisi
anch’io. «Amiche».
Guardai
in basso, stupita. C’erano solo alberi, alberi a perdita
d’occhio, e neve.
Visti da lì sembravano un’enorme coperta verde,
arricchita da ricami di cotone
bianco. Sfiorai la parete rocciosa che, in quel punto, era stata
scavata dalle
intemperie fino a formare una rientranza, una piccola grotta scura e
accogliente,
riparata dal vento e dalle bufere. La pietra, per quanto aguzza e
plumbea, lì
sembrava quasi accogliente e protettiva. Il posto non era tanto grande,
ma
quanto bastava perché due persone potessero muoversi
liberamente senza
rischiare di cadere e sfracellarsi al suolo. Comunque io e Edward non
avevamo
quel problema.
«Perché
mi hai portata qui?», domandai, osservandolo mentre si
sporgeva un poco oltre
la grotta, verso il cielo. «Facciamo trekking
notturno?».
Si
voltò e mi raggiunse, qualche passo indietro rispetto a lui.
«No,
voglio farti vedere una cosa. Questa dovrebbe essere la notte giusta
e»,
osservò l’orologio che portava al polso.
«Anche l’ora giusta. Sediamoci».
Si
sedette sul bordo del pavimento della grotta, lasciando penzolare le
gambe nel
vuoto. Lo imitai.
Per
diversi minuti non capii cosa stessimo aspettando, ma lui non staccava
gli
occhi dal cielo.
«Edward,
non capisco».
«Ssh,
guarda», mi zittì indicando l’alto.
Feci
come mi aveva detto, ma di nuovo non accadde nulla. Quando ero sul
punto di
chiedergli se si aspettasse una stella cadente o qualcosa del genere,
avvertii
un rumore. Più che un rumore, era un sibilo quasi
impercettibile. Si diramava
nell’aria, arrivava ovunque ma non aveva un’origine.
Capii
solo quando, pochi istanti dopo, l’orizzonte si
illuminò di vermiglio. Delle
onde di colore invasero lentamente il cielo. Salivano verso
l’alto e
oscillavano, si muovevano e si scambiavano tra loro, fino a che non si
impadronirono dell’intera volta celeste. Il cielo, le stelle,
erano avvolte da
turbini e maree color del sangue. Al loro cospetto il paesaggio
notturno cambiò
le sue vesti per ricoprirsi di porpora regale.
Non
avevo mai visto niente di più meraviglioso. Era come se un
miliardo di rubini
fossero stati disposti sull’orizzonte e ora stessero
riflettendo la loro luce
nel mondo.
«È
la cosa più bella che abbia mai visto», mormorai,
senza riuscire a distogliere
lo sguardo da quello spettacolo.
«L’aurora
boreale è meravigliosa, sì, ma non posso
dichiararmi d’accordo con te»,
rispose, circondandomi con un braccio.
«Perché
non l’avevamo ancora vista? Siamo qui da due settimane,
ormai», chiesi,
accoccolandomi su di lui.
«Il
tempo e la luce ci sono stati nemici. In realtà
l’aurora c’è stata, ma non
spettacolare come stanotte», rispose.
Mi
voltai per osservare Edward e rimasi incantata dai giochi che la luce
creava
sulla sua pelle diafana. Gli sfiorai una guancia e lui si
abbassò un poco,
permettendomi di accarezzargli le labbra con le mie.
«Pensavo
che l’aurora boreale fosse verde, al massimo azzurra, non
rosso sangue»,
mormorai.
Lui
sorrise e allontanò il viso dal mio, per rivolgere lo
sguardo al cielo.
«Lo
è, di solito. Ma ci sono dei giorni, ogni dieci anni, in cui
il cielo si
ricopre di rosso. Oggi è uno di quei giorni».
«Un’aurora
boreale rosso sangue per due vampiri, mi sembra quanto meno
azzeccato»,
ridacchiai.
Fece
scontrare le nostre fronti e questa volta fu lui a baciarmi, premendo
le labbra
sulle mie con più forza.
«Grazie
per questa meraviglia», sussurrai sulla sua bocca.
«Ciò
che desideri, quando lo desideri. Per sempre».
Mentre
ci baciavamo quelle parole mi vorticarono in testa, rimbalzando da una
parte
all’altra e producendo un caos infernale nel silenzio della
notte.
Per
sempre.
E
le parole attirarono altre parole, dette tempo prima e da voci diverse.
“Sembrerà
quasi che stiamo annunciando il nostro matrimonio”.
“Tranquilla,
per quello possiamo aspettare ancora un po’. Qualche mese al
massimo”.
“Certe
cose non si fanno prima del matrimonio”.
Improvvisamente
“per sempre” stava acquistando un nuovo significato
nella mia mente.
Mi
staccai da lui, ansante, ed ebbi la conferma che, in fondo, lui mi
leggesse nel
pensiero.
«Che
c’è, pensi di non riuscire a sopportarmi per
l’eternità?», chiese, anche lui
con il fiato corto.
«No,
certo che no», sorrisi, ma il mio stomaco era di nuovo pieno
di farfalle. Come
la prima volta, quando eravamo rimasti soli e lui aveva suonato per me,
quando
ci eravamo dati il nostro primo bacio, le farfalle graffiavano le
pareti del
mio petto. Danzavano, sconclusionate, da una parte all’altra,
nel caos più
dolce e timoroso che esista. Quella notte era perfetta, armoniosa e
spettacolare allo stesso tempo. Perché impedire alle
farfalle di coronare la
notte già perfetta, di esprimere finalmente con la voce
ciò che loro urlavano
da sempre? Sapevo che la risposta ero io, io e la mia insicurezza
cronica che
nemmeno il veleno aveva potuto sanare. Quel sentimento che sentivo
agitarsi
dentro da diverso tempo ormai, ma a cui ero riuscita a dare un vero
nome solo
pochi giorni prima, era stanco di aspettare. Le farfalle volavano,
eccitate e
spaventate.
Ma
quando lui mi accarezzò la guancia con il palmo della mano e
fece quel sorriso
imperfetto che mi aveva conquistata, seppi che non avevo nulla da
temere.
«No,
Edward. Io ti amo».
Assurdo
come quelle tre piccole parole possano tormentare una persona fino a
sfinirla,
a farle credere di non essere abbastanza, a farla rimuginare e
aspettare.
A
farle temere il momento in cui, mettendo a nudo la propria anima e i
propri
sentimenti, potrebbe farsi male. Assurdo come un solo sguardo possa
cambiare
tutto e far diventare ogni insicurezza solo un ricordo illogico.
«Temo
che la mia risposta sia piuttosto scontata, perdonami quindi se ti dico
semplicemente che ti amo anch’io».
E
le farfalle furono libere di invadere il mio intero corpo, libere di
essere
manifestazione di pura e concreta felicità.
Edward
impiegò diversi minuti per staccarsi nuovamente da me, una
scintilla divertita
negli occhi.
«Dimmi,
allora: qual è il problema?», chiese.
Non
riusciva ad abbandonare il discorso e io non sapevo se esserne
orgogliosa o
divertita.
«Stiamo
insieme da nemmeno un mese», risi.
«Quasi un mese. Un mese domani»,
mormorò.
Sorrisi
ma non replicai, sfregando il naso contro il suo.
«Presto
riuscirò a infilarti un anello al dito, puoi starne
certa», rispose e potrei
giurare di non averlo mai sentito così deciso.
«Parli
come se ne avessi uno in tasca proprio ora».
«Potrebbe
essere, sai?»
Fissai
il mio sguardo nel suo e capii che non scherzava. Mi persi
nell’ambra delle sue
iridi, nel loro calore, e vi trovai tutto ciò che avevo
sempre cercato:
dolcezza, comprensione, affetto, decisione, passione, intelligenza, amore.
In
quegli occhi trovai la soluzione al concetto di eternità che
mi tormentava da
quando avevo completato la trasformazione.
Perché
improvvisamente “per sempre” stava acquistando un
nuovo significato nella mia
mente, e niente mi era mai sembrato più perfetto.
E,
oh mio Dio.
Cioè,
oh mio Dio.
Siamo
alla fine, alla frutta,
alla conclusione, the end.
Non
riesco a realizzare, davvero,
non riesco e non posso. Dopo quasi tre anni, questa storia ha visto la
sua
conclusione. Ieri, mentre scrivevo il capitolo, giuro di aver bloccato
a stento
le lacrime. Niente più problemi, Edward e Bella stanno
insieme, si amano (OMG
SI AMANO gbhjnk) e sono pronti per il loro “e vissero per
sempre felici e
contenti”.
Voi
riuscite a crederci? Io no.
Non dopo così tanto tempo, non dopo i problemi, le assenze,
lo scoraggiamento e
i mesi.
Però
è così. Ci siamo. *piange
nell’angolino*
Ora
la pianto, giuro. Anche
perché la storia non è ancora completa, manca
l’epilogo uwu Che verrà
pubblicato entro (salvo professori stronzi che riempiono di verifiche
dai primi
giorni) la settimana **
Ci
leggiamo tra una settimana,
nei commenti finali. Mi riconoscere, sarò quella che allaga
tutto EFP con le
sue lacrime çwç
Come sempre grazie a tutte
per le
recensioni, siete meravigliose! <3
Love
you all,
Vero
|
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Capitolo 18 *** Epilogo ***
Joan
ha betato anche questo, thanks!
Epilogo
Un
anno dopo
Mi
voltai ancora una volta, facendo frusciare la lunga coda
dell’abito sul
pavimento. Sfiorai con delicatezza la guaina stretta che si allargava
nello
strascico quasi fosse una calla capovolta, sotto i polpastrelli la seta
era
morbida e armoniosa. Alzai il capo e la donna riflessa nello specchio
fece lo
stesso, lanciandomi uno sguardo assorto. Osservai con attenzione il
taglio
perfetto e il modo in cui le avvolgeva il corpo, il modo in cui la
rendeva
ancora più aggraziata e flessuosa.
Era
bellissima.
Vidi
i suoi occhi di ambra fusa scintillare, quando constatai che lei ero
io. Le
iridi avevano lentamente abbandonato il cremisi acceso, per diventare
di un
caldo vermiglio e poi, nel giro di pochi mesi, oro fuso. Sorrisi, per
un po’ avevo
temuto che non avrebbero fatto in tempo a schiarirsi entro il giorno
del
matrimonio.
Era
una bella giornata di sole e i raggi che filtravano dalla finestra
facevano
scintillare anche la mia pelle. Qualcosa, però,
brillò con maggiore intensità,
lanciando un raggio che colpì lo specchio. Alzai la mano
destra e, con le dita,
accarezzai l’anello all’anulare destro. Era un
ovale con intricati decine di
piccoli diamanti, montato su un anello d’oro giallo. Era
antico e stupendo,
esattamente come Edward. Il giorno che me lo aveva dato, diversi mesi
prima,
era stata la prima e l’ultima volta che l’avevo
visto seriamente nervoso per
qualcosa. In seguito mi aveva giurato che, se avessero potuto, gli
sarebbero
tremate le ginocchia.
Era
una mattina grigia e fredda e noi eravamo ancora in alto mare con il
trasloco
nella nuova casa, a Vancouver. Carlisle si era assicurato che fosse
abbastanza
in periferia così da poterci tenere lontani da occhi
indiscreti e per
permettermi di terminare i miei ultimi mesi da neonata in totale
tranquillità.
Beh, tranquillità mia, loro e degli abitanti della
città. Nonostante fossimo
ancora piuttosto sepolti dagli scatoloni, ero euforica: non solo
avevamo
lasciato l’Alaska – e Tanya – ma nel giro
di qualche mese avrei potuto
avvicinarmi anche agli umani. Un po’, almeno.
Edward
ed io avevamo avuto una camera in comune, non senza che Carlisle
storcesse un
po’ il naso. Pensavo che Emmett scherzasse quando diceva che,
davvero, in
famiglia la mentalità era rimasta molto
all’antica. Mi sbagliavo. Dopo una
lunga arringa, i cui argomenti fondamentali erano il nostro amore e la
sincerità dei nostri sentimenti, sia Esme sia Carlisle
acconsentirono a
lasciarci avere un’unica stanza. In realtà fu
Edward a convincerli davvero,
sostenendo il nostro enorme rispetto nei confronti
dell’intera famiglia e la
nostra affidabilità sul “non fare
alcunché di sconveniente prima di un’unione
ufficiale”. Mi chiesi come avesse fatto a non sentirsi in
colpa, mentre mentiva
loro in maniera così spudorata. Non impiegai molto a capire
che la sua
coscienza non aveva subito alcun danno semplicemente perché
lui non mentiva,
era davvero determinato a portare a termine i suoi propositi.
Quella
mattina stavamo cercando di convergere i nostri averi in un solo
armadio e in
poche mensole, cosa che per Edward era totalmente impossibile, vista la
moltitudine di dischi e libri che possedeva. Tentavo di lasciargli il
maggior
spazio possibile, anche perché ai miei romanzi e ai miei
testi scolastici bastava
una sola mensola. Per aiutarlo, mi occupavo di ridare un ordine, quanto
meno
cronologico, a dischi, libri e diari. Afferrai da una delle tante
scatole
impilate l’ultimo oggetto che conteneva: un vecchio cofanetto
scuro, che
ricordavo perfettamente. Sorrisi, avvicinandomi a lui, ancora impegnato
a
trovare un posto per Debussy nello scaffale alto. Feci scattare
l’apertura e,
per la seconda volta, vidi i vecchi fogli ingialliti, le istantanee e i
sacchetti dorati. Nella parte più interna del cofanetto,
sopra i vari fogli,
rividi la scatolina foderata di raso nero. Incuriosita, la presi e
posai il
cofanetto. Dopo averla studiata per un istante, alzai lo sguardo e
sorrisi: di
nuovo, Edward non si era accorto che avevo preso il cofanetto. Godendo
dalla
carezza del raso sotto i polpastrelli, mi portai accanto a lui.
«Cos’è
questo?», chiesi. Ma prima che avesse il tempo di
rispondermi, prima ancora che
si voltasse, aprii la scatolina. Al suo interno, protetto da altro
raso, l’anello
più bello e brillante che avessi mai visto. Mi persi un
momento ad osservare
gli intricati e sottilissimi intrecci di oro giallo nei quali erano
stati
inseriti, con un’abilità che solo mani esperte
possono avere, decine di piccoli
diamanti. Lo accarezzai delicatamente, timorosa di poterlo rovinare.
Edward
che, dopo un dodicesimo di secondo si era voltato, imprecò
sotto voce.
«Doveva
essere una sorpresa, dannazione», borbottò.
Alzai
il capo e lo trovai a mezzo metro da me, corrucciato.
«Una
sorpresa?», domandai.
«Sì…
Questo è l’anello di fidanzamento di mia
madre». Mi osservò per un momento, poi
sbuffò. «La mia vera madre, Elizabeth. Assurdo. Me
lo porto dietro da mesi e tu
lo trovi proprio il giorno che decido di rimetterlo a posto per qualche
ora».
Non
gli badai particolarmente, ancora affascinata dalla luce emanata dalle
minuscole pietre. «È molto bello,
davvero».
Esitò
per un istante e io puntai lo sguardo nel suo. C’era qualcosa
di strano nel suo
sguardo, una qualche strana incertezza…
Vulnerabilità.
«Vorrei
che diventasse anche il tuo anello di fidanzamento»,
scandì.
Per
quanto un velo di ansia gli avesse oscurato il volto,
pronunciò le parole non decisione,
senza tentennamenti.
Rimasi
stupita e bloccata per diversi secondi, accettando le implicazioni di
quella
frase. Ero sorpresa, ormai agitata quanto lui, ma emozionata. Stava
davvero
ufficializzando la proposta che faceva, indirettamente, da mesi?
«Avrei
voluto che fosse in un posto migliore, magari più ordinato e
romantico, ma
ormai siamo qui e devo cogliere la palla al balzo. Anche
perché tu l’hai già
trovato, quindi…». Lo vidi sfilarmi dalle dita la
scatolina e piegarsi, fino a
inginocchiarsi davanti a me. Avvolse la mia mano sinistra nella sua.
«Isabella,
prometto di amarti sempre, in ogni situazione e contesto, per
l’eternità. Vuoi
farmi lo straordinario onore di diventare mia moglie?».
Fu
così che, con semplici parole e tra decine di scatoloni,
Edward mi chiese di
sposarlo. Furono attimi intensi, durante i quali non riuscii a
distogliere lo
sguardo dal suo. Fu la prima volta che vidi il miele dei suoi occhi, di
solito
così intelligente e malizioso, sciogliersi in
un’emozione più calda. Non vi era
più alcun velo, nessuna barriera: mi stava mostrando la sua anima.
Fu
molto più facile di quanto mi aspettassi pronunciare quel
“sì” che, contro ogni
aspettativa, fu sicuro e determinato, esattamente come suonava nella
mia testa.
Mi
infilò l’anello nell’anulare sinistro,
lo sfiorò con le labbra e poi si rimise
in piedi, attirandomi a sé. Mi baciò le labbra e
sussurrò: «Grazie, amore mio».
Mi
sciolsi contro il suo petto e gli accarezzai la schiena con la punta
delle
dita. Le farfalle, mie fedeli compagne, avevano invaso il corpo intero.
Mi
sembrava di fluttuare a qualche metro da terra e mi chiesi per quale
ragione avessi
associato l’idea del matrimonio a un problema, qualcosa da
cui scappare. Forse
era collegato a un ricordo, a un’esperienza passata, ma non
fui capace di
riportarla a galla. Di qualsiasi cosa si trattasse, sapevo che non
sarebbe
potuta essere applicata a quel caso. Edward sarebbe diventato mio
marito, non
un uomo qualunque, ma Edward. E sarebbe stato perfetto.
«Quel
cofanetto sembra lo scrigno del tesoro di un pirata»,
mormorai, dopo qualche
minuto.
Ghignò.
«Ce l’hai ancora?». Non c’era
bisogno che dicesse di cosa stesse parlando. Feci
un cenno con il capo verso la libreria dove, in bella vista, spiccava
la mia
copia di Romeo e Giulietta. Lì, protetta da carta,
inchiostro e una delle più
forti storie d’amore mai narrate, stava la sua foto.
Un
leggero bussare alla porta mi riportò al presente. Esme fece
capolino nella
stanza, sorridente e serena. Era bellissima con i capelli legati in un
alto
chignon e il lungo abito lilla. La vedevo riflessa nello specchio,
mentre
muoveva il primo passo verso di me.
«Si
può?», chiese.
Ridacchiai.
«Mi pare tu sia già entrata. Sei la benvenuta,
comunque».
«Sei
meravigliosa, tesoro mio». Colmò la distanza che
ci separava e mi cinse con le
braccia. «Davvero perfetta, bambina mia».
Strinsi
forte le braccia attorno alla sua vita sottile. In fondo quel giorno
non
avrebbe cambiato davvero la mia vita: avrei continuato a vivere con la
mia –
ormai la consideravo tale a tutti gli effetti – famiglia, non
mi sarei
trasferita, non avrei iniziato una nuova vita, non avrei dovuto
affrontare veri
e propri cambiamenti radicali. Per lo meno, in teoria. In pratica
sapevo che,
nonostante tutto, il matrimonio è un cambiamento.
È il cambiamento. Quel
giorno avrei giurato di dedicare la mia vita a
un’altra persona, a dividere con lui gioia e dolore, pace e
problemi, ogni
singolo istante del resto della mia esistenza. E anche se non avremmo
messo al
mondo dei figli, anche se non ci saremmo dovuti guadagnare il pane
lavorando,
anche se non saremmo invecchiati e non ci sarebbe stato nessuno
“in salute e in
malattia”, sapevo che tutto avrebbe acquisito un significato
diverso.
Di
lì a poco più di un’ora non sarebbero
più esistiti due soli e fragili io, ma un
unico, perfetto noi.
Per
quella ragione non potei non lasciare che le braccia di Esme mi
confortassero.
Perché, per quanto provassi una totalizzante
felicità, un’irrequieta impazienza
di iniziare a far parte di quel noi con Edward, non potevo non avere
bisogno
del sostegno di mia madre. In quei giorni avevo sentito più
che mai la mancanza
di Renée, mentre il suo volto sbiadiva nei miei ricordi. Mi
ero chiesta cosa
stesse facendo, se avesse superato il dolore, se avrebbe appoggiato la
mia
scelta.
Sapevo
che Edward le sarebbe piaciuto, ma nessun’altra domanda aveva
trovato risposta.
Non
avrei saputo dire se Esme avesse intuito il mio stato
d’animo, se lo
comprendesse o se anche lei l’avesse attraversato, ma in quel
momento la sentii
più vicina che mai.
Mi
strinse a sé ancora per un lungo momento poi, premendo sulle
braccia, mi
allontanò un po’ da sé. Sorrise
– non aveva mai smesso di farlo – e mi
baciò la
fronte. «Andrà tutto bene».
Feci
in tempo ad annuire appena perché la porta si
spalancò, permettendo l’ingresso
ad Alice e Rosalie. Entrambe erano già vestite, perfette nei
loro abiti rosa
pallido. Avevano tonalità simili, ma l’abito di
Alice era corto, con una cinta
sulla vita, mentre quello di Rose era più lungo ed elegante,
con un taglio
imperiale.
Vedendoci
così avvinghiate, ad Alice venne quasi un colpo.
«Ma
dico io, sei matta?! Sai quanto può stropicciarsi il tessuto
di questo abito? È
seta, Bella, seta», scandì, allontanandomi da Esme
e lisciandomi il vestito.
Mi
tirò fino a una sedia poi, con infinita attenzione, mi ci
fece accomodare.
«Rose,
sistemale i capelli!».
La
diretta interessata, che era rimasta in disparte a ridacchiare, si
avvicinò.
«Allora, cara, come vanno le gambe?».
«Bene,
non tremano neanche un po’». Ed era vero: se
c’era una cosa di cui ero sicura,
era la scelta dello sposo.
Rose
mi sorrise, sfiorandomi una spalla. «Sei molto
bella».
«È
felice e la felicità rende belli»,
replicò Esme.
«Certo,
certo. La felicità e il veleno di vampiro», ci
liquidò Alice. «Quindi dopo
diremo un bel grazie a Carlisle. Ma ora, Rose, rendi ancora
più bella la
sposina. E tu», mi puntò un dito contro,
impedendomi di parlare, «torna nella
tua bolla felice e non ti azzardare a contestare qualcosa. Non ti
permetterò di
tenere i capelli sciolti il giorno del tuo matrimonio, intese? Devo
già
sopportare il fatto che Siobhan abbia indossato un abito scuro. Scuro,
ad un
matrimonio! Rovinerà tutte le foto…».
Smisi
di ascoltare Alice e le sue lamentele, e mi concentrai davvero per
tornare
nella mia bolla felice. In quella piccola dimensione in cui il
matrimonio era
già finito, tutto era andato alla perfezione ed io e Edward
ci trovavamo nel
luogo della nostra luna di miele. In realtà
l’ambientazione di quei momenti
variava in continuazione, dato che Edward non aveva voluto rivelarmi la
nostra
meta. Era uno dei suoi regali di nozze, aveva detto. E, anche se la
curiosità mi
divorava, sapevo che sarebbe stato tutto perfetto. Non solo
perché Edward non
avrebbe mai lasciato nemmeno un dettaglio al caso, ma perché
le attività della
nostra luna di miele avrebbero eclissato qualsiasi inconveniente. Quel
pensiero
mi portò indietro a una sera di quattro mesi prima, quando
avevo capito quanto
potesse essere forte la tenacia di Edward nel “fare le cose
per bene”. E quanto
fosse irritante l’educazione in stile prima guerra mondiale.
Ci
eravamo trasferiti a Vancouver da una settimana, ma le
attività familiari erano
già ricominciate: Carlisle, infatti, aveva il turno di notte
nell’ospedale in
cui lavorava, Rosalie ed Emmett avevano deciso di uscire per passare
una serata
romantica in tranquillità. Noi altri, invece, dovevamo
andare a caccia, dato
che l’indomani sarebbe iniziata la scuola. Beh, Jasper, Alice
e Edward dovevano
cacciare per tale motivazione, io per semplice necessità.
Era ancora troppo
presto perché potessi interagire con gli umani, per il
momento mi limitavo ad
avvicinarmi sporadicamente al centro abitato. Avevo da poco cacciato
con
Carlisle, prima che mi portasse con sé fino alle prime
abitazione, per
verificare la mia reazione alla vicinanza con gli umani. Edward sarebbe
dovuto
andare con gli altri, dato che le sue occhiaie stavano diventando
pericolosamente simili a ustioni, ma aveva scelto di restare con me.
E
così ci eravamo ritrovati soli, di notte, con
l’intera casa a disposizione per
ore. Avevamo visto un film, anche se sarebbe meglio dire che avevamo
acceso il
televisore e scelto un film, dato che non l’avevamo
propriamente guardato. Per
la maggior parte del tempo ci eravamo limitati a baciarci
appassionatamente sul
divano. Non era la prima volta che restavamo soli, né tanto
meno che ci
baciavamo in quel modo, ma da qualche tempo a quella parte le nostre
effusioni
si erano fatte diverse, più esigenti.
E quella sera sembrava perfetta, perfetta per i nostri baci, perfetta
per le
nostre carezze, perfetta per noi. Amavo Edward e sapevo che ormai
eravamo
un’unica mente, lo vedevo ogni volta che bastava uno sguardo
per capirci, un
unico cuore, perché ero certa che se i nostri cuori avessero
potuto battere
sarebbero stati una sincronia perfetta, e non vedevo niente di male nel
diventare anche un unico corpo. Anzi, lo desideravo. Desideravo lui
perché lo
amavo, perché volevo condividere tutto con Edward.
I
nostri corpi erano allacciati mentre le nostre lingue si scontravano
tra loro
in una spirale infinita. Stringevo e tiravo i suoi capelli e le sue
mani
vagavano sul mio corpo, accarezzandomi il ventre e fianchi. Ansimai
quando, con
impeto crescente, una sua mano scese e mi arpionò una
coscia. Lo attirai ancora
più vicino a me, forse con troppo forza, perché
ci ritrovammo stesi per terra.
Probabilmente se si fosse trattato di un altro contesto avrei riso, ma
in quel
momento l’ultima cosa che mi passava per la mente era
l’ilarità. Edward, nella
caduta, si era staccato da me e ora mi fissava a pochi centimetri dal
mio
volto. I suoi occhi erano neri come non li avevo mai visti, due pozze
profonde
di desiderio.
Ci
fu un istante in cui entrambi rimanemmo immobili, persi l’uno
nello sguardo
dell’altro, poi Edward si tuffò sul mio collo,
lasciando una scia di baci infuocati
sulla mia pelle. Ansimavo il suo nome, premendo le unghie sulla sua
schiena.
Senza nemmeno rendermene conto ridussi la sua camicia in brandelli,
ritrovandomi a premere sui muscoli guizzanti delle sue spalle. Fu il
suo turno
di ansimare. Non smise per un momento di baciare e venerare la mia
pelle. Con
la bocca scese sul mio petto, e premette le labbra proprio dove, un
tempo,
batteva il mio cuore. Avvertivo le sue mani che ora accarezzavano le
mie gambe
in tutta la loro lunghezza. Lo strinsi forte a me, avvicinando ancora
di più i
nostri corpi e, per la prima volta, lo sentii premere davvero contro di
me.
Buttai fuori l’aria in un sibilo.
«Ti
amo», mormorai, tentando di avvicinarmi ancora di
più a lui.
Inspiegabilmente,
si immobilizzò. Riportò il volto vicino al mio e,
gli occhi chiusi, mi lasciò
un bacio sulle labbra, allontanando i nostri corpi. Rimasi bloccata,
stupefatta, mentre lo vedevo sedersi con una certa rigidità
contro il divano.
Che diavolo gli prendeva?
«Edward?»,
lo chiamai, riemergendo dallo stato di shock. Perché si era
allontanato? Stava
andando tutto così bene… «Edward, che
succede?».
Mi
guardò, ma distolse subito lo sguardo, muovendosi irrequieto
sul posto. L’unica
espressione che potei leggervi era tormento, puro ed evidente tormento.
«Mi
dispiace, Bella», mormorò, voltando il capo con
uno scatto verso la finestra
scura.
Mi
sedetti, osservandomi per capire perché non mi guardasse. La
mia maglietta non
era messa meglio della sua camicia, ormai ridotta in brandelli. Non me
n’ero
nemmeno accorta.
«Sono
così repellente?», chiesi, sperando di risultare
ironica. In realtà mi sentivo
morire dentro mentre una nuova sensazione si faceva largo in me,
sgradevolmente
calda e logorante. «Ho fatto qualcosa di
sbagliato?».
Incrociai
le braccia al petto, improvvisamente a disagio. Non mi voleva?
«No,
certo che no. Io…», scosse il capo, continuando a
non guardarmi. Gliene fui
grata: non volevo che lo facesse, non volevo che mi vedesse.
Scattai
in piedi e in una frazione di secondo mi ritrovai nella nostra stanza.
Mi ficcai
nella cabina armadio e infilai la prima maglietta che trovai.
Mi
voltai e trovai Edward a sbarrarmi la strada. Evitai di guardarlo negli
occhi
mentre provavo ad allontanarlo per uscire dalla stanza. Non me lo
permise. Mi
bloccò, tenendomi per un polso. Mi divincolai, ma la mia
forza stava iniziando
a scemare e lui non mollava la presa. Forse scappare non era la cosa
giusta da
fare, ma in quel momento tutto quello che sentivo era il viscerale
imbarazzo,
unito alla frustrazione: mi aveva rifiutata e io avevo solo voluto
amarlo.
Mi
lasciò andare il polso e mi strinse a sé con
forza. Le mie braccia rimasero
mollemente abbandonate lungo i miei fianchi.
«Mi
dispiace», mormorò tra i miei capelli.
«Sono un idiota».
Non
replicai nemmeno quando mi lasciò andare e feci un passo
indietro, guardandolo
in volto. Era teso, tentennante e, ne fui certa, anche lui in imbarazzo.
Incrociai
nuovamente le braccia al petto, anche se ormai ero vestita. Non volevo
che mi
abbracciasse ancora.
«Sto
facendo tutto… male», riprese. «Niente
va come avevo programmato: volevo farti
una proposta con i fiocchi, darti un regalo prima di chiederti di
sposarmi,
fare qualcosa di più», sospirò.
«Non ci sono riuscito. E almeno questo, almeno
questo voglio che sia giusto. Voglio che tu mi appartenga e che io
appartenga a
te solo dopo che saremo ufficialmente marito e moglie, anche se ti amo
come se
fossi già la mia sposa. Voglio dimostrarti il rispetto che
meriti almeno in
questo modo».
Rispetto?
Non riuscivo a capire il senso del suo discorso, eppure avvertii il
sollievo
espandersi velocemente per tutto il corpo.
«Quindi…
non è che non mi vuoi?», chiesi, senza distogliere
lo sguardo dal suo.
Sbuffò,
roteando gli occhi al cielo. «Mi spieghi come fai a pensare
che io non ti voglia
dopo… beh, almeno dopo stasera dovrebbe essere
chiaro», rispose, occhieggiando
la mia maglietta. «Tu sei perfetta e io ti amo più
di ogni altra cosa al
mondo».
Continuai
a fissarlo in malo modo ma, sciogliendo le braccia, colmai la distanza
che ci separava
e gli permisi di stringermi.
«Quindi
è solo la tua stupita mentalità da prima guerra
mondiale a parlare?», borbottai
contro il suo petto ancora nudo.
Rise.
«Non è per niente stupida».
Tentai
per diverso tempo di fargli capire che non avevo bisogno di quello per sapere che mi rispettava, ma
fu irremovibile. Non che non fossi lusingata da una simile
dimostrazione
d’amore, ma davvero avrei preferito non dover aspettare. Si
dice che l’attesa
accresca il desiderio, io avrei detto che accresce solo la voglia di
dar di
matto.
D’improvviso
sentii qualcuno tirarmi per i capelli e, se una parte del mio
iper-funzionale
cervello non avesse ricordato dove mi trovassi, sarei saltata addosso a
mia
sorella.
«Alice,
lasciala in pace, è nella sua bolla felice», rise
Rose.
«Certo,
la bolla felice però deve scoppiare in fretta, o non
farà in tempo a vedersi
allo specchio prima dell’inizio della cerimonia! Emmett e
Carlisle arriveranno
tra tre minuti e quarantasette secondi», la
rimbeccò Alice, per poi darmi un
paio di bottarelle sulle spalle. «Su, allo
specchio!».
Mi
ci trascinò davanti e potei constatare, con una punta di
frivolo orgoglio, che ero
ancora più bella di prima. Rose aveva davvero fatto un
ottimo lavoro con i miei
capelli: li aveva agghindati in una lunga e semplice treccia a spina di
pesce,
lasciando però, attorno al viso, qualche ciocca
più corta fuori
dall’acconciatura, creando un effetto naturale ma non meno
raffinato. Era
perfetta per quel vestito un po’antiquato: nel complesso
sembravo uscita dal
1918. Sorrisi, Edward ne sarebbe stato colpito.
Esme
mi si avvicinò, tenendo un lungo velo tra le mani. Lo
inserì con maestria tra i
miei capelli, poi mi posò le mani sulle spalle.
«Ecco,
ora sei davvero perfetta. Hai qualcosa di regalato, pur essendo anche
vecchio.
È il mio velo nuziale, so che è un po’
fuori moda, ma ho pensato che con questo
vestito sarebbe stato perfetto».
Mi
voltai e l’abbracciai stretta. Non ci fu bisogno di grandi
discorsi, la strinsi
semplicemente a me, trasmettendole tutto il mio affetto e la mia
gratitudine.
«Grazie».
Alice,
che non si era allontanata che di pochi passi, si rifece avanti,
più serena.
«Bene,
ora hai tutto. Una cosa regalata, una cosa nuova e blu – e si
riferiva al
fermacapelli impreziosito con zaffiri oltremare che ora bloccava il
velo – e
una cosa prestata», poi aggiunse, come se nulla fosse:
«Di’ al tuo futuro
marito di andarci piano, rivoglio la mia giarrettiera».
Sentimmo
un battere leggero contro la porta e mezzo secondo dopo Carlisle ed
Emmett
erano nella stanza, perfetti nei loro tight scuri.
Dovevano
aver sentito ogni nostra parola, perché Emmett conteneva a
stento le risate.
Gli avevo fatto giurare che almeno il giorno del matrimonio avrebbe
dovuto
piantarla con le battutine. Alla fine eravamo arrivati al compresso di
“niente
battutine prima e durante la cerimonia”. Dire che ero
preoccupata per il
ricevimento era un eufemismo.
Carlisle
mi si avvicinò e mi abbracciò. Era la giornata
degli abbracci, quella. Nessuno
riusciva a restare più di un quarto d’ora senza
stringermi tra le braccia.
Tra
tutte, però, quella di Carlisle era una delle strette
più importanti. Sapevo di
dovergli molto, tutto. Esme mi era
stata vicina, mi aveva amata e mi amava come fossi figlia sua dal primo
momento, Alice era diventata tutto ciò che potessi
desiderare in una sorella e
gli altri erano parti fondamentali del mio cuore. Ma era solo grazie a
Carlisle
se quel giorno ero lì.
Come
con Esme, non ci fu bisogno di parlare. Sapevo che avrebbe potuto
vedere ogni
singola parola nei miei occhi, esattamente come io potevo leggere alla
perfezione i suoi.
«Sei
davvero bellissima, tesoro», proferì semplicemente.
«Grazie»,
risposi.
Accanto
a noi, Alice non aveva ancora abbandonato i suoi ragionamenti.
«Peccato
non avere niente di vecchio, però»,
sbuffò.
«Cara,
non c’è tempo. Gli invitati sono
pronti», rispose Carlisle.
Gli
invitati, la cui buona parte non avevo mai visto prima. Erano quasi
tutti amici
di Carlisle arrivati dai paesi più disparati,
dall’Europa e dall’America del
nord. Erano quasi tutti nomadi, compresi gli amici di Jasper, Peter e
Charlotte, e gli amici di Edward. A parte i cugini di Denali, nessuno
seguiva
la nostra dieta. Carlisle si era ritrovato costretto a chiedere a tutti
di non
cibarsi nelle immediate vicinanze della città, dato che non
potevamo attirare
troppo l’attenzione degli umani.
«Allora
è il momento di andare!», esclamò
Emmett. Mi prese a braccetto e mi condusse
verso la porta. «Vedrai, ci divertiremo un mondo!».
Ad
accompagnarmi all’altare sarebbe dovuto essere Carlisle, ma
Emmett aveva
insistito tanto sul fatto che senza di lui io e Edward non ci saremmo
mai dati una mossa ed era
così evidente
quanto ci tenesse che, pochi giorni prima, gli avevo chiesto se gli
andasse di
accompagnarmi all’altare. Ne era stato così felice
che mi ero sentita quasi in
colpa ad aver desiderato che fosse qualcun altro a prendere quel posto.
Carlisle sarebbe stato il testimone di Edward ed in fondo era giusto
così.
Gli
altri si congedarono in fretta, ognuno pronto a prendere il suo posto.
Sapevo
che, una volta nella sala, avrei trovato Esme e Jasper in prima fila,
Rose al
pianoforte e Alice a pochi passi da Edward e Carlisle, pronta a
testimoniare il
mio amore.
Pochi
istanti dopo le note della marcia nuziale si diffusero
nell’aria. Emmett mi
fece un cenno ed io annuii. Mi sorpresi come, in fondo, fossi
rilassata. Ero
impaziente di diventare la moglie di Edward, ma ormai percepivo quel
passo come
spontaneo e naturale. Alle fine, forse, pensare troppo non è
davvero un male.
Movemmo
i primi passi fuori dalla stanza, verso la sala, e la musica si fece
più forte.
Alice
si sbagliava, io avevo qualcosa di vecchio. Niente di materiale, non mi
occorreva alcun oggetto. Avevo i ricordi. Ogni singolo istante passato
con
Edward, con Carlisle, con Esme e con i miei fratelli era impresso nella
mia
memoria. Tutto ciò di importante della mia vecchia vita che
volevo portare con
me, era dentro di me. Edward e ogni
suo sorriso, ogni bacio, ogni risata, ogni incomprensione, ogni gesto,
ogni
carezza, erano serbati nel centro esatto del mio petto.
Li
avrei custoditi lì, insieme a tutti quelli che sarebbero
arrivati, con affetto
e gratitudine. Per sempre.
Fine
Ed
eccoci qui, è finita, è finita
davvero.
Non
trovo le parole per esprimere
l’immensa gratitudine nei vostri confronti, per aver seguito
la storia, per
essere arrivate fino a qui.
Fino
a sei mesi fa non credevo
che avrei mai scritto questo epilogo, eppure siamo qua. Lo ammetto, sto
trattenendo le lacrime. In questo momento Joan sta betando e io sto qui
a
scrivere queste note finali senza capo né coda.
Ho
un giorno di ritardo e mi
scuso per questo, avevo promesso che l’epilogo sarebbe
arrivato entro la
settimana, ma oggi è lunedì. Eppure, prima
ancora, vi avevo promesso che avrei
portato a termine la storia entro la fine dell’estate. E
questa è l’ultima
notte d’estate. Almeno questo impegno l’ho
mantenuto.
Ho
passato l’ultimo mese a
progettare questo momento, a pensare cosa scrivere e vi giuro che avevo
tanto
da dire, ma ora non trovo più le idee.
Sono
emozionatissima, è la prima
long che scrivo e tra pochi minuti inserirò la v nel tastino
“completa”. Questa
storia mi è stata accanto nel periodo più brutto
della mia vita, ha avuto la
sfortuna di nascere nei mesi in cui tutto si è complicato ed
è a causa dei miei
problemi se ha conosciuto così tante pause e ritardi. Sono
qui e vi faccio la
mia confessione: l’ho odiata, perché non riuscivo
ad andare avanti, perché il
blocco che avevo si manifestava nella pagina bianca con cui mi sono
scontrata
per mesi. E ho amato e amo questa storia perché mi ha
aiutata a risollevarmi.
So che non è niente di speciale, so che oggettivamente
né la trama né la mia
scrittura sono chissà quale meraviglia, ma è mia
e io la amo e la odio.
Bene,
dopo questo momento di
depressione/confessione (il mio prete vi ringrazia, la prossima volta
la mia
confessione sarà più breve e non
toglierò tempo alla messa, lol), passo al
congedo.
Grazie
di cuore a tutte coloro
che hanno seguito la storia fin dall’inizio (ne avete di
pazienza, eh!) e a coloro
che si sono aggiunte dopo, a chi ha messo la storia tra le preferite
(75), le
seguite (246) e le ricordate (30). In realtà non so
perché abbia messo questi
numeri, dato che probabilmente sono cifre anche abbastanza limitate, ma
penso
sia più che altro perché vorrei abbracciarvi
tutte, singolarmente. Ma, dato che
non posso, vi inserisco sotto forma di numeri. Molto stile Hitler, I
know.
Grazie
a Saretta28 che ha
segnalato la storia per essere inserita tra le seguite. So che non
succederà,
ma un infinito grazie a te! <3
Grazie
ad ary94 che, da che ne ho
memoria, recensisce ogni singolo capitolo e perdona ogni mio ritardo.
<3
Grazie
alle mie due beta,
Eleonora prima e Jò ora. Senza di voi non avrei mai potuto
pubblicare nulla, lo
sapete. lool
Grazie
specialmente a Jò, che ha
buttato parte del suo tempo in consultazioni di stato per stupide
decisioni (e
per le mie ricerche snervanti e senza senso).
GRAZIE
A TUTTE VOI CHE RECENSITE,
COMMENTATE E OGNI TANTO MI FATE PURE PIANGERE, bitches. e.e
Okay,
credo di aver finito
davvero.
Ah
no. Non so se avete notato, ma
ho iniziato la revisione della storia (i primi capitoli erano un
oltraggio alla
lingua italiana) e… E quindi niente, ci tenevo semplicemente
a dirvelo uwu
Okay,
ora ho finito davvero.
Addio,
mie care. Mi mancherete
davvero, davvero tanto.
Forse
ci sentiremo in qualche
storia futura, magari in qualche os.
E
quindi nulla, addio!
E
continuate a occuparvi, beate,
di quelle piccole ma perfette parti delle vostre eternità.
È
tardi, l’autrice ha sonno ed è
reduce da tre ore di filosofia, perdonatela *va a piangere
nell’angolino*
Love
you all! <3
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