Nightmare before die di Luna95 (/viewuser.php?uid=72507)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
1
Savin' me
<< Hey
ragazzi… qualcuno sa perché siamo qui?
>>
domandò Geoff sorridendo, per nulla preoccupato.
<< Veramente
no. Mi è arrivato un messaggio di Chris,
diceva di trovarci tutti qui… >> rispose
Tyler. Qualcuno esclamò “Sì,
è
arrivato anche a me!” che scatenò un brusio
generale di assensi.
Nessuno voleva riprendere
a lavorare; la pausa era durata
troppo poco, un’altra stagione come le altre li avrebbe
definitivamente
distrutti.
Però Chris non
si era presentato e ora si ritrovavano tutti
in quel vecchio locale a riempire Chef di domande, il quale rispondeva,
scuotendo le spalle, che ne sapeva meno di loro.
<<
Conoscendo Chris, sarà uno dei suoi soliti
giochetti. Aspettiamolo, starà preparando
un’entrata trionfale >>
osservò pigramente Noah, per poi tornare al suo libro.
Tutti annuirono: i ragazzi
iniziarono a chiacchierare
tranquillamente e a bere i cocktail che gli assistenti –
sicuramente stagisti
sottopagati – offrivano loro, fiduciosi in una repentina
svolta interessante
della serata che però non avvenne.
Passarono
all’incirca venti minuti ma Chris non sembrava
aver intenzione di mostrarsi.
Heather si sedette su uno
sgabello e accavallò le gambe;
tamburellava le dita sul bancone con impazienza, sbuffando di tanto in
tanto.
Si stava annoiando
terribilmente, e le chiacchiere di Sierra
di certo non la aiutavano a svagarsi tuttavia le ascoltò
diligentemente;
interrompere Sierra mentre parlava del suo
Cody poteva essere davvero molto pericoloso.
<< Hey,
Heather. >> Gwen corse verso di lei,
seguita da Duncan; gli occhi le brillavano di curiosità.
<< Mi hanno
dato questo… io non so che cosa sia, tu lo
riconosci? >> era un semplice foglietto di carta piegato
in quattro, su
cui erano stati scritti il suo nome e quello di Gwen.
Heather assunse
un’espressione accigliata.
<<
L’hai già aperto? >> le
domandò, scrutando
quel foglietto come se potesse prendere vita all’improvviso e
trasformarsi in
un mutante.
<< No,
volevo leggerlo con te >> rispose la
gotica, posando il pezzo di carta sul bancone.
Proprio in quel momento
passò un assistente dall’aria
anonima, che distribuì dei drink.
L’asiatica
ignorò il bicchiere e dispiegò il biglietto, poi
lesse velocemente in silenzio; la sua espressione si fece sempre
più
corrucciata e cupa, ma decise di rileggerlo ad alta voce a Gwen.
<< Non ha
alcun senso >> esordì << Ma te
lo leggo comunque. C’è scritto: “Lascerete questa vita
alle vostre spalle; vale
la pena salvarvi?” >>.
Gwen scosse la testa
<< Non ne comprendo il
significato. >>.
Heather dondolò
le gambe indolenzite << Uno scherzo di
pessimo gusto. >> disse, bevendo qualche sorso del suo
drink, imitata da
Gwen; entrambe tossirono e sputarono la bevanda.
<<
È amaro! >> esclamò Heather,
disgustata, e
l’altra convenne con lei.
Abbandonarono il cocktail
e rimasero in silenzio per un po’;
Gwen si appoggiò al bancone di legno con la schiena,
cercando di trovare un
significato al biglietto.
Dopo diversi minuti le due
ragazze iniziarono a sentirsi
strane: Heather non faceva che passare le mani sulla gola e alla base
del
collo, sentendo un improvviso disagio, e Gwen continuava a strofinarsi
il viso
con espressione preoccupata.
Il respiro si fece sempre
più incalzante, il petto iniziava
a risentire dei primi, flebili spasmi.
Gwen cercò di
ignorare la strana sensazione… eppure c’era
qualcosa. Lo percepiva sotto la pelle, scorreva nelle vene, la
corrodeva
dall’interno; era qualcosa d’invisibile, di
spaventoso… e lei non poteva
fermarlo.
Fu un momento: in un
sobbalzo prese il cuore e lo tenne
stretto nella sua morsa dolorosa; poco dopo anche i polmoni sembrarono
riempirsi di ghiaccio.
Il respiro divenne
affannoso, la vista iniziò ad
annebbiarsi; con un ultimo spasimo Gwen voltò la testa e si
accorse che anche
Heather ansimava violentemente, spaventata quanto lei.
Le gambe di Gwen ormai
tremavano, le forze le iniziarono a
venir meno… le mani di Duncan furono le ultime cose che
sentì: il buio dei
sensi la inghiottì subito dopo.
Heather sapeva bene di
essere in un sogno: l’aria era troppo
tranquilla - non spirava vento e le foglie erano congelate sui rami
– non si
sentiva il vociare dei bambini o il gridare preoccupato delle madri.
Era tutto troppo
calmo.
Eppure lei si sentiva
così serena, così sicura in quel nido
tiepido e confortante: era il suo sogno, non sarebbe potuto accaderle
niente di
brutto.
Una risata ruppe
l’atmosfera ovattata e scaraventò la
ragazza in una stanza bianca.
Heather cercò
una via d’uscita, una finestra, una porta… ma
fu una ricerca vana; il bianco era così intenso da
accecarla, e i suoi occhi feriti
distinguevano a fatica il pavimento dai muri.
Si rannicchiò
in un angolo, schiacciata da tutta quella
luce; una risata familiare la fece sussultare all’improvviso,
ma non vide
nessuno.
“Così
va meglio?” domandò dolcemente l’uomo,
comparendo
davanti ai suoi occhi. Lei annuì, spaventata.
“Ah, Heather,
questa luce ti fa male?” non provò neanche a
nascondere la malignità nella sua voce “Sai, non
è così forte.”
Non era un tono
canzonatorio; sembrava volerle far prendere
consapevolezza di qualcosa con la forza.
“Che cosa
è successo?” balbettò infine
l’asiatica cercando
di guardarlo negli occhi, senza però riuscire nel suo
intento: il bagliore che
lo circondava la costrinse ad abbassare di nuovo lo sguardo.
“Sei
morta” le rispose semplicemente; nessun ‘mi
dispiace’,
nessun tatto o rispetto per la sua paura.
Quella verità
nuda e cruda la terrorizzò.
“Non
è vero!” negò debolmente; ma dentro di
sé sapeva che lui non le
aveva mentito.
“Invece ti ho
già convinta, mia piccola Heather.” –
sorrise
“Sai, avvelenarti è stato fin troppo
facile.”
Non voleva ascoltare i
dettagli della sua morte: in quel
momento cercava solo un modo per uscire da quella stanza infernale.
“Fammi
uscire!” pigolò, odiando quel tono così
penoso con
cui gli si rivolgeva.
“Ma certo, mia
cara”.
La riportò nel
parco, ma ora la flebile luce del sole le
faceva male come una fiamma viva sulla sua pelle.
Strillò di
dolore, cercò riparo da quei raggi che le
procuravano una rovente sofferenza, si coprì gli occhi con
le mani: tutto
questo sembrò divertire l’uomo, che
ridacchiò e la riportò subito nella stanza
bianca.
“Hai visto, mia
cara Heather?” sospirò teatrale, ma nella
voce c’erano ancora i rimasugli di una risata sadica
“Ti sto proteggendo”.
Heather
boccheggiò, ancora sconvolta per l’angoscia e il
terribile dolore.
“Perché
mi è successo tutto questo?” mormorò
infine, con una
voce flebile che lui udì
perfettamente.
Gli sfuggì
un’altra risata.
“Ah, questo non
lo so… svegliati, così potrai spiegarmelo
tu.”.
Il nero la travolse di
nuovo, ma stavolta Heather sapeva che
il suo sonno sarebbe durato poco.
Note
dell'autrice.
Ehm...
salve gente ^^'' sono io! Stavolta con una long....
Vi
rivelo una cosa: sono piuttosto scettica. Sì,
perché io ho il difetto di essere alquanto incostante e
questa cosa *indica schifata la fanfiction* è assurdamente
lunga e complicata da sviluppare. Non so come andrà a finire
o se devo andare avanti, perché non mi convince
granché: per ora ho già scritto qualche capitolo,
più o meno sei, ma sono ancora indietro. Terribilimente
indietro.
Boh,
non lo so... ditemi voi.
La citazione del bigliettino è una frase un po' riadattata
che ho preso da una canzone, "Savin' me" dei Nickelback, che mi ha
fatto da colonna sonora per la stesura della fanfiction.
Per
i primi capitoli la storia sarà incentrata su Heather e
Gwen, che però passeranno il testimone a quasi tutti gli
altri personaggi.
Spero di
non avervi annoiato... al prossimo capitolo (forse) :D
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Capitolo 2 *** 2 ***
2
Qualcuno urlò e
tutti accorsero; il cast vide Gwen e Heather
crollare a terra, svenute.
Noah mise volentieri da
parte il manuale di chimica e si
avviò anche lui, incredibilmente interessato.
<< Non
respirano! >> gridò Duncan, chino su
Gwen.
Noah si fece strada a
spintoni fino a Heather; tutti
brulicavano intorno alle ragazze svenute e nessuno fece caso ai due
drink,
posati sul bancone del bar lì vicino quasi per caso.
Si avvicinò e
ne saggiò il contenuto, molto attento a
toccare appena la lingua con il dito inumidito dalla bevanda: era la
cosa più
amara che avesse mai assaggiato.
Un’idea fulminea
si fece strada nella sua memoria e tutto
ciò che aveva letto riguardo ai veleni gli era chiaro
davanti agli occhi come
pagine stampate; lo travolse un’eccitazione febbrile, la
stessa di uno studente
seduto in prima fila che sa la risposta esatta ad una domanda
dell’insegnante.
<< Fate
spazio! >> gridò, colto da un improvviso
fervore.
Lui poteva salvarle.
<< Hanno
ingerito della stricnina >> spiegò,
cercando di sentire il battito del cuore sul polso di Heather: era
debole,
forse troppo, e lui non aveva abbastanza tempo…
Harold annuì
velocemente: probabilmente era l’unico ad aver
capito a cosa si riferisse Noah.
<< La
stricnina è un alcaloide tossico. >> disse
il nerd.
Poiché nessuno
sembrava aver capito, Noah decise di
intervenire.
<<
È un veleno >> spiegò velocemente,
prendendo
in braccio Gwen e stendendola su un divano in una stanza adiacente; DJ
fece lo
stesso con Heather.
<< Ho
bisogno di Benzodiazepine! >> esclamò,
cercando di farle respirare meglio.
<< E come
credi che troveremo un medicinale così
specifico, qui dentro? Ci siamo solo noi! >> gli fece
notare logicamente
Courtney, indicando con un gesto della mano il locale.
<< Nessuno
di voi ha del Diazepam? È un ansiolitico…
>>.
Tutti scossero la testa;
ma Noah non si aspettava che
qualcuno fosse in possesso di un tale farmaco, perciò
allontanò gli oggetti
appuntiti che vedeva perché le ragazze non si ferissero e
cercò di calmare le
convulsioni come meglio poteva.
<< Non
servirebbe in ogni caso >> sussurrò
Harold << I drink sono lievemente alcolici…
del Benzodiazepine servirebbe
solo a creare una depressione respiratoria e un collasso.
>>
<<
Maledizione! >> borbottò Noah, masticando tra
sé un’imprecazione peggiore.
<< Andate a
chiamare aiuto! Presto! >> urlò
infine, vedendo che tutti sembravano paralizzati sul posto; Courtney
afferrò il
cellulare, Bridgette cominciò a correre per la stanza
cercando di aprire le
porte << Sono chiuse a chiave! >> pianse,
agitata; Noah prese di
nuovo in mano la situazione e dava indicazioni ai ragazzi.
<< Geoff,
Trent, aiutatela! Courtney, hai chiamato il
911? >> il ragazzo parlava velocemente, ma Courtney
sembrava aver inteso
nonostante cercasse di sentire disperatamente qualcosa al telefono.
<< Non
c’è campo! >> urlò, con
voce stridula per
il panico.
Bene, –
pensò Noah – tutte le uscite sono sbarrate e il
cellulare non prende.
<< Ho
bisogno di tranquillità! >> esclamò
infine
il ragazzo, cercando di sembrare il più calmo possibile
<< Potrebbero
riaversi da un momento all’altro e devono restare in pace.
>>
<< Hey!
>> esclamò Duncan, minaccioso <<
Io voglio vedere che cosa fai alla mia ragazza! >>.
Noah alzò gli
occhi al cielo << La stricnina causa
spasmi e convulsioni. Una bella crisi respiratoria dovuta
all’agitazione è
proprio quello che ci vuole per ammazzarla >>
osservò, acido.
Il punk grugnì
qualcosa d’incomprensibile e si fece da
parte, ma Noah non aveva tempo per mostrarsi soddisfatto.
<< Non so se
ce la farò >> sussurrò
<< non
ho gli strumenti… cercate di chiamare aiuto, potrebbero non
sopravvivere fino a
domani. >>.
Note dell'autrice
Ehm...
salve :D sì, lo so cosa state pensando: per favore, uccidetela!
xD purtroppo devo ammettere che avete ragione, ma colgo ugualmente
l'occasione per ricordare che la violenza non è mai una
soluzione *sbatte le ciglia*
Be',
dovevo postare il capitolo in giornata perché domani parto,
gente! E andrò in un posto dove c'è mare, caldo, ma
soprattutto dove NON
c'è connessione internet... per quei venti/venticinque
giorni cercherò di arrangiarmi come posso, magari inviando i
capitoli (già scritti) 3 e 4 sul pc di mio padre e
lì tenterò come posso di aggiornare, giuro che ci
proverò xD ma sarà dura, tifate per me (a meno
che non stiate esultando perché non potrò
aggiornare questa schifez... ehm... questa fanfiction ^^''
ò.ò).
Ovviamente non sono un medico, ho cercato di documentarmi quindi correggetemi se ho sbagliato qualcosa... vi
ringrazio tanto per le recensioni! Vi adoro <3
Baci, Luna.
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Capitolo 3 *** 3 ***
Erano passate ormai delle
ore; Duncan si spazientì ed entro
nella stanza, dove Noah si stava affaccendando intorno ad Heather, con
un’espressione concentrata e rassegnata al contempo.
Forse non aveva mai
manifestato così tante emozioni in tutta
la sua vita, pensò il punk.
Gwen era tranquilla
sull’altro letto, in posizione supina:
sembrava che dormisse.
Rimase in silenzio per un
po’, osservando Noah muoversi
freneticamente per la stanza; alla fine il ragazzo si
allontanò anche da
Heather e si lasciò cadere su una poltrona, stanco e
svuotato da ogni energia e
da ogni speranza.
<<
È finita >> sussurrò, e le spalle
curve
sembravano arrendersi al peso di qualcosa, un qualcosa di troppo grande
e
pesante per lui. Qualcosa che non poteva portare da solo.
Duncan stava per
chiedergli che cosa intendesse con quel “è
finita”, ma Geoff e un assistente biondo entrarono
all’improvviso, gridando
<< Ci siamo riusciti! La porta è aperta, sta
arrivando l’ambulanza
>> ma lui li guardò con aria esausta e
colpevole.
<<
È tardi >> esalò Noah
<< sono morte
tutte e due. Mi dispiace. >>.
<< Che cosa
vuol dire “sono morte”!? >>
ringhiò
Duncan, furente, afferrando l’altro per il colletto della
camicia.
Anche gli altri accorsero,
preoccupati per le grida del
ragazzo.
<< Le loro
funzioni vitali sono cessate >> disse
freddamente Noah << così va meglio?
>>.
<< Non
possono essere morte! >> gridò il punk,
fuori di sé.
No, non era possibile. Non
doveva finire così…
<< Non sono
un medico, Duncan >> Noah soppesò
accuratamente le parole << e soprattutto non avevo gli
elementi necessari
per combattere un avvelenamento da stricnina. Non ho potuto creare un
antidoto.
>> abbassò gli occhi, vergognandosi di se
stesso e della sua incapacità.
<< Ha
sofferto? >> gli domandò infine Duncan,
ancora attonito per dolore che quella notizia aveva portato con
sé.
<< No. Gwen
è morta per arresto respiratorio >>
rispose Noah, ma fu di ben poca consolazione per Duncan e Trent.
<< Si
è sentita soffocare ed è morta dopo qualche
minuto. È stato veloce >>.
Era tutto vero,
naturalmente, ma non riuscì a dare conforto
agli amici.
<< E
Heather? >> la voce di Alejandro era
ridotta a un flebile mormorio.
Noah decise che non
c’era necessità di mentire: nessuno di
loro si meritava una bugia, neanche Alejandro. Neanche Heather.
<< Per lei
è stato infinitamente più doloroso.
>> scosse la testa, con aria mortificata <<
L’agonia è durata molto
di più: è morta per esaurimento fisico. Era allo
stremo, ha sofferto
tantissimo. >>
Tutti guardarono il corpo
di Heather e Alejandro emise un
suono strozzato, incredibilmente vicino al pianto; ma
d’altronde molti
piangevano già senza ritegno.
<< Heather
è rimasta cosciente per tutto il tempo, ha
sentito ogni singolo spasimo, ha sofferto per ogni convulsione, era
consapevole
di tutto il dolore… >> Noah
s’interruppe, sopraffatto da quella
confessione troppo crudele << Mi dispiace così
tanto… >> sussurrò
infine.
Alla fine anche lo
spagnolo aveva ceduto alla sofferenza e
aveva abbandonato ogni precedente riserva, scatenando la sorpresa e la
pena degli
altri ragazzi; lacrime amare gli bagnavano le guance.
L’ambulanza
arrivò pochi minuti dopo e trasportò i due
cadaveri in ospedale, ma anche i medici riconobbero che c’era
ben poco da fare.
Fecero degli esami
accurati delle due bevande e Noah non fu
sorpreso quando gli comunicarono che contenevano una dose di stricnina
sufficiente ad uccidere un lottatore di sumo.
Uno di loro diede una
pacca sulla spalla di Noah,
complimentandosi con lui per l’intuizione geniale e per la
diagnosi esatta, ma
il ragazzo la sentì appena.
Presto considerarono il
caso chiuso, lasciando che la
polizia si occupasse delle indagini.
Ma Duncan, Trent e
Alejandro non consideravano per nulla il
caso chiuso; rimasero a vegliare sui corpi delle ragazze per tutta la
notte,
sperando in un qualche miracolo.
Sembrava
un’illusione disperata, ma prima dell’alba il
miracolo avvenne.
Note Autrice
Ciaaaaao
gente! Avete visto? Sono riuscita ad aggiornare! Non sono stata brava?
**
Oggi
niente mare perché mi sono bruciata... -.- (non è
colpa mia se ho la carnagione paragonabile a quella di Gwen xD) quindi
ho preso in ostaggio il pc di papi per postare il nuovo capitolo xD.
No,
davvero, ho smosso le montagne per riuscire ad aggiornare xD solo per
voi.
Ora
corro a rispondere alle vostre recensioni (a proposito, grazie cari
<3) e se riesco a farmi una scorpacciata di qualche bella storia
(e magari recensire).
Vi
ho annoiati abbastanza.; fatemi sapere che ne pensate del nuovo
capitolo! :D
Baci, Luna
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Capitolo 4 *** 4 ***
Heather si
risvegliò all’improvviso e subito
annaspò in
cerca d’aria; non faticò a immetterla nei polmoni,
ancora indolenziti per le
convulsioni, quindi inspirò ed espirò
dolorosamente un paio di volte, fece
ancora dei respiri profondi e si premette una mano sul petto: le faceva
un male
terribile.
Stava lentamente
riappropriandosi del controllo del proprio
corpo; percepì un forte dolore ai muscoli e alla gola,
tossì e si piegò su se
stessa, cercando di non vomitare.
Poco dopo si accorse che
Alejandro la stava sorreggendo con
una profonda preoccupazione e una radiosa felicità negli
occhi; non credeva che
le due emozioni potessero coesistere, in passato, e le
sfuggì una piccola
risata, che le scatenò un altro minuto di tosse convulsa.
<< Stai
bene, mi amor? >> le domandò con voce
apparentemente calma, forse un po’ tremolante per
l’emozione. Be’, d’altronde
la sua quasi - ragazza era resuscitata davanti ai suoi occhi…
<<
Sì. Meglio. >> rispose lei; la voce di
Heather sarebbe dovuta essere aspra o gracchiante per le ore passate in
silenzio e per il tono seccato che voleva ostentare la ragazza, ma in
realtà fu
incredibilmente flautata.
La testa le pulsava
terribilmente, sentiva la gola riarsa e
una sensazione terribile le asciugava la bocca: aveva sete, una sete
terribile!
Tutto il corpo le doleva,
persino le gengive; il torace
risentiva dei precedenti spasmi, le gambe non riuscivano a sorreggerla.
Si abbandonò
esausta sul petto di Alejandro, la cui
preoccupazione non diminuì ma, se possibile,
aumentò.
Anche Gwen si stava
alzando su quel tavolo di metallo,
ancora intontita per le ore passate da morta.
Duncan e Trent
l’avevano abbracciata stretta, dimenticandosi
della rivalità: era viva!
I tre ragazzi chiamarono
immediatamente delle infermiere che
chiamarono a loro volta dei medici e l’espressione nei loro
occhi rispecchiava
la medesima sorpresa e incredulità: com’era
possibile?
<< Gwen,
Heather >> esordì dolcemente una donna,
facendo allontanare Duncan, Trent e Alejandro con un lieve gesto della
mano
<< sono la dottoressa Cameron. Vorremmo fare delle
analisi, se siete
d’accordo, e trattarvi con del carbone attivo per eliminare
ogni traccia di
stricnina. Va bene? >> la voce della donna era amabile e
persuasiva,
tant’è che le due ragazze si ritrovarono ad
annuire senza accorgersene; quella
dottoressa ispirava fiducia.
<< Riuscite
ad alzarvi? No? Aspettate sedute lì, i
miei colleghi >> indicò un medico biondo con
una cartellina e un
massiccio uomo di colore << prenderanno immediatamente
delle sedie a
rotelle >>.
<< Non
è necessario >> disse tranquillamente
Alejandro << Posso portare io Heather. Non
c’è problema. >> per
ribadire il concetto, fece passare le braccia intorno al collo e alle
gambe di
Heather e la adagiò delicatamente al suo petto; in
un’altra situazione la
ragazza si sarebbe sicuramente divincolata e gli avrebbe ordinato
imperiosamente di metterla giù, ma ora non ne aveva le forze
e non era il caso
di fare storie, sprecando energie preziose.
La donna alzò
le sopracciglia, ma non ebbe nulla da
obiettare.
<< Va bene,
se ce la fai. >> disse, rimettendo
in tasca il cercapersone.
<< Vieni, ti
mostro una stanza. >> il biondo lo
accompagnò per i corridoi dell’ospedale, in
silenzio.
La dottoressa si rivolse a
Gwen << Tu preferisci che
ti porti una carrozzina? >> le domandò con
tono rassicurante, ma Duncan
fu più svelto e la prese in braccio.
<< No. Mi
faccia strada, la porto io >>.
Cameron scrollò
le spalle << Certamente. >>
disse, e gli mostrò il percorso.
Trent tornò in
dietro fino ad arrivare nella sala d’aspetto,
dove trovò i suoi compagni.
<< Sono
vive! >> gridò, col cuore colmo di
gioia.
Tutti si guardarono,
felici, e alcuni scoppiarono in lacrime
per la commozione.
<<
È un miracolo! >> gridava Bridgette,
abbracciando Geoff.
“Sì”
pensò Trent, tra sé “è
davvero un miracolo.”
Note
Autrice
Salve! Avete visto
come sono brava? Riesco ad aggiornare regolarmente *-* (ringrazio il
mio papi e il suo pc, ovviamente xD altrimenti avrei pubblicato ad
agosto).
Ultimamente faccio
davvero poco mare D: tutta colpa dell'incombente matrimonio di mio zio,
con relativi scleri e giri infiniti per trovare vestito, scarpe,
borsa...
So che è
un capitolo cortino, ma questi sono capitoli di transizione... siate
pazienti, cari, ancora un po' e ci saranno chiarimenti ^^
Ho sparso un po' di
indizi qua e là... qualche ipotesi? Sono curiosa di leggere
le vostre teorie!
Nei prossimi
capitoli sarà ancora più evidente, ma preferisco
mettere prima il desclaimer già da prima; i
medici che ho citato sono i primi componenti del
cast di 'Dr. House' e faranno la loro piccola apparizione in questa
fanfiction come mio personale cameo a una serie tv che adoro; i
personaggi sono di proprietà di David Shore o di chi detiene
i diritti della serie tv 'Dr House'... in ogni caso non sono di mia
invenzione.
Già
che ci sono, ci tengo a precisare che nemmeno i personaggi di Total
Drama mi appartengono ma ovviamene sono di
proprietà di chi ne detiene i diritti e io li uso soltanto
per mio diletto ^^.
Oddio, le note sono
più lunghe del capitolo xD quindi smetto di annoiarvi e vi
saluto :D Ciao ciao!
|
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Capitolo 5 *** 5 ***
<< Devi solo
restare ferma e fare dei respiri profondi
>> la istruì il dottore biondo, che aveva poi
rivelato di chiamarsi
Chase.
“La fa facile,
lui” pensò Heather: ogni respiro le faceva
maledettamente male.
Il medico le fece tutti
gli esami, poi la riaccompagnò nella
camera.
<< I
risultati vi saranno comunicati a breve, non
appena ce li diranno >> dichiarò
distrattamente, mentre trafficava con i
fili delle apparecchiature nella stanza.
<< Questo
serve a monitorare il battito cardiaco,
questa invece è la flebo; fa’ attenzione a non
muoverti troppo bruscamente
>> spiegò il dottor Chase, che ogni tanto
guardava anche Alejandro come
se la spiegazione fosse rivolta anche a lui.
<< Accidenti
>> borbottò, mentre cercava di
collegare la macchina; i fili erano tutti ingarbugliati,
così il dottore
dovette farsi aiutare da una paziente infermiera.
<< Ecco
fatto! Ora dovrebbe funzionare… >> Chase
guardò il monitor, speranzoso, ma quello rimase stabile
sullo zero.
<< Annette,
non è possibile… è acceso…
>>
balbettò all’infermiera, in evidente imbarazzo.
<< Magari
dovremmo solo spegnerlo e riaccenderlo
>> azzardò la donna, mentre ripeteva
l’operazione.
Il risultato fu il
medesimo.
Gwen intanto,
nell’altra stanza, rimaneva nel letto
lasciando che la esaminassero passivamente.
Duncan le era sempre
rimasto vicino e aveva più volte
esibito il suo sorriso sghembo che doveva essere rassicurante, ma la
ragazza si
sentiva svuotata di ogni energia.
La dottoressa era
addirittura indecisa se collegarla a un
respiratore artificiale perché Gwen sembrava respirare
appena e a fatica, ma
alla fine considerò che riusciva ad ossigenare il corpo da
sola.
<< Se
dovessi avere problemi con la respirazione
>> le sussurrò pacatamente Cameron
<< dovrai solo dirmelo ed io
provvederò per aiutarti, va bene? >>.
Gwen annuì;
voleva solo dormire, quel mal di testa la stava uccidendo…
ma quando Trent entrò nella
stanza, anche il mal di testa si attenuò: gli occhi le
brillavano di
contentezza e le labbra parvero incurvarsi per un secondo.
Lui si sedette accanto a
lei in silenzio, ma la sua sola
presenza fu sufficiente a rendere un po’ meno pesanti i
momenti passati in
quella stanza d’ospedale.
Gli occhi azzurri di Chase
si posarono su Heather, e il suo
sguardo si fece dubbioso.
Avanzò verso di
lei, le afferrò il polso; vi posò due dita e
scrollò il proprio braccio sinistro per mostrare
l’orologio da polso, poi
aspettò.
La sua espressione divenne
sembra più sorpresa fino a
trasformarsi in una smorfia d’orrore: lasciò
cadere il polso di Heather e indietreggiò.
Afferrò una
lama, la disinfettò e si avvicinò di nuovo alla
ragazza.
<< Scusami,
ma è necessario. >> disse
frettolosamente all’asiatica, poi le fece un taglio sul
braccio.
Heather lo
guardò, basita, e ritirò in fretta il braccio;
non urlò soltanto perché le avrebbe fatto di
certo più male di un taglietto.
Il sangue fluiva lento,
viscoso dalla ferita e di un colore
inconfondibile: era sangue in gran parte coagulato, c’erano
poche tracce di
sangue fresco.
La
ferita si richiuse in pochi secondi; il dottore corse a chiamare
aiuto.
Angolo dell'autrice
Salve
gente! Vi annuncio che il matrimonio di mio zio è finalmente
terminato e io sono libera di sguazzare al mare quanto voglio :D okay,
non interressa a nessuno xD passiamo alle cose serie...
Vi
ringrazio tanto per i commenti, li leggo sull'Iphone e mi tirano sempre
su il morale *.* e incrementano un pochino la mia autostima, una cosa
nient'affatto negativa :D (Noah: in effetti, al momento è
sotto zero. O meglio, non è mai salita molto in alto).
Be', considerando che una persona mi ha detto che non so scrivere e
sono noiosa e poco professionale... *piange disperata* okay, devo
ricompormi ç.ç
Carissimi,
non avete trovato tutti gli indizi! Male male, rileggetevi i capitoli
u.u *in realtà gongola soddisfatta*
So
che questi capitoli saranno noiosetti, ma sono di transizione... sto
spargendo indizi qua e là, servono per permettermi di
assestare un discreto colpo di scena quindi... pazientate e godetevi il
cast di Dr House ;D (nonostante l'abbia reso un tantino OOC, va be'
ç.ç)
Ribadisco il desclaimer
e vi saluto... alla prossima, cari :D
|
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Capitolo 6 *** 6 ***
<< Heather,
devi dirmi che cosa senti. Hai dolore?
Dove? >> le domandò nervosamente il dottor
Chase, mentre compilava dei
fogli.
<< Ho sete.
>> annaspò lei.
Un’infermiera le
portò dell’acqua che lei bevve in fretta,
ma non placò la sete terribile che sentiva.
<< Chica, io
vado a parlare con il dottor Foreman
>> le sussurrò Alejandro, indicando
l’uomo di colore che aveva visto
prima << sarò subito da te. >>.
Heather si sentiva
terribilmente in colpa; lei lo aveva
spinto giù da un vulcano, ma ad Alejandro non sembrava
importare. Era
preoccupato e molto più premuroso di prima.
<< Gwen
>> balbettò Heather << come sta
Gwen? Dov’è? >>.
I medici le sistemarono le
apparecchiature e i cuscini per
farla stare seduta senza l’aiuto di Alejandro, ma lei non
riusciva a stare
ferma: tremava e si agitava, ovviamente per quanto il suo fisico
esausto lo
permettesse.
<< Forse
è una crisi di panico >> ipotizzò
Chase
<< comunica a Cameron i risultati delle analisi di
Heather; forse anche
l’altra ragazza è nelle stesse condizioni.
>>.
***
La gotica giocherellava
distrattamente con il cibo che le
avevano portato; aveva già finito l’acqua, ma la
sete non le era passata.
<< Devi
mangiare >> le disse Duncan,
accarezzandole un braccio << non ti faranno uscire, se
non ti vedono in
forze. >>.
Alcune gocce salate
cominciarono a scivolare sulle gote di
Gwen.
<< Hey, va
tutto bene >> le sussurrò il ragazzo,
passandole una mano sulla schiena.
<< Scusami
>> mormorò, asciugandosi cautamente
le lacrime e cercando di non strappare i fili che la collegavano alle
macchine
<< non riesco a controllare l’umore.
>>.
<< Questa
è l’ultima cosa di cui dovresti
preoccuparti, Gwen >> la scrutò con i suoi
liquidi occhi azzurri <<
questi idioti ti dimetteranno presto >> la
rassicurò poi, abbracciandola
con attenzione: aveva quasi paura di spezzarla.
***
<< No! Vai
via, lasciami in pace >> pianse
Heather, gridando contro un uomo che vedeva sogghignare, appoggiato
alla porta.
I medici cercarono di
tenerla ferma per impedire che si
facesse male.
Alejandro tornò
subito nella stanza, quando vide le deboli
convulsioni della ragazza, e aiutò i medici afferrandone i
polsi e mormorandole
parole tranquillizzanti; ma invano.
<<
Lasciatemi! Non sto sognando, è lì! È
lì! Fatelo
andare via! >> singhiozzò la ragazza,
dimenandosi ancora più
violentemente per scappare.
<< Ha le
allucinazioni, Foreman, iniettale un calmante
>> disse il biondo, cercando di tenere ferma Heather;
l’altro eseguì
l’iniezione ma senza l’effetto immediato che
avevano sperato.
“Mia cara
Heather!” esclamò l’uomo, cordiale
“Ti sei
svegliata, alla fine.”
<< Vattene,
Chris >> disse ad alta voce l’altra,
con voce roca per lo sforzo.
“Non hai
sete?” la voce del conduttore era suadente,
ipnotica “Puoi placare questa fame che ti divora…
dormi, al tuo risveglio l’istinto
saprà guidarti.”
Non voleva ascoltarlo, non
voleva dormire, ma aveva così sonno…
Il sedativo fece effetto
dopo diversi minuti, lasciando
sbigottiti i due medici: si aspettavano un effetto repentino,
poiché la
somministrazione era per via endovenosa e il calmante avrebbe dovuto
raggiungere velocemente i centri nervosi tramite la circolazione
sanguigna.
Foreman guardò
nella direzione in cui Heather aveva detto di
vedere qualcuno.
<< Forse si
riferiva a Chris McLean, il conduttore.
>> ipotizzò Chase, come se avesse letto nei
pensieri del collega <<
Quel reality è stata una tortura e il conduttore
è un pazzo sadico. Non mi stupisce
che abbia ancora gli incubi. >>
Note dell'autrice
Eccomi.
Lo so, vi starete chiedendo dove io sia finita, se mi abbiano tenuta in
ostaggio, rapita gli alieni, o roba simile ma... no. Sono
solo una delle tante vittime del "blocco dello scrittore", abbinato a
una sana dieta a base di abbondanti verifiche e professori pazzi (come
diavolo si fa a infilare nove verifiche in una settimana?): insomma,
per farla breve, sono stata profondamente scorretta nei vostri
confronti: vi chiedo perdono, mi cospargerò il capo di
cenere e indosserò tutti i giorni il cilicio.
Non appena ho avuto un attimo di respiro (leggasi: le vacanze
natalizie) sono andata a leggiucchiare qualcosina e, soprattutto,
scrivere il decimo capitolo: the story must go on!
Dopo aver pubblicato, mi metterò subito a lavoro per
rispondere alle vostre recensioni (a proposito, grazie di cuore: siete
tutti meravigliosi <3).
Spero mi perdonerete per
questo indecente ritardo... vi saluto!
Un bacio, Luna95.
|
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Capitolo 7 *** 7 ***
7
<< Heather
presenta episodi di paranoia e
allucinazioni >> disse il dottor Chase alla collega,
snocciolandole
sbrigativamente i sintomi.
<< crede di
vedere Chris McLean. Anche la tua paziente
ha le allucinazioni? >>.
La dottoressa
annuì.
<<
Sì, stessi sintomi. Non dovremmo trattarle
separatamente, ma come un caso solo. >>
Foreman continuava a
controllare le cartelle, sempre più
irritato.
<< Non
c’è un nesso. L’avvelenamento da
stricnina non
causa allucinazioni, per prima cosa, e poi non appena si sono svegliate
abbiamo
fatto loro un’accurata lavanda gastrica e abbiamo provveduto
a trattarle con
carbone attivo… non ci sono più tracce di veleno
nell’organismo. >>
concluse l’uomo, posando la cartella di Gwen sul tavolo.
<< Magari
è una malattia autoimmune… che ne dici
dell’anemia emolitica?
>> sussurrò Cameron,
poco convinta.
<<
No,
spiegherebbe solo una minima parte dei sintomi. >>
intervenne Foreman,
stroncando la teoria della donna.
<< Forse non
è la stricnina a causare quei sintomi.
Forse c’è qualcos’altro.
>> suppose la dottoressa, ma l’ipotesi venne
subito smentita da un’osservazione del suo collega biondo.
<< Non hanno
nient’altro in comune, Cameron, a parte
l’avvelenamento. >>.
La donna si sedette,
stravolta; non sarebbero mai riusciti a
elaborare una diagnosi in tempo…
Alejandro osservava
Heather dormire: era stata sedata per
evitare un’altra crisi.
Era attaccata a un
respiratore artificiale e le sue braccia
erano piene di flebo: gli sembrava di essere tornato indietro di
qualche mese,
quando era lui a essere sdraiato su un lettino d’ospedale.
Ora la vedeva
così minuscola, ingarbugliata nelle lenzuola,
così indifesa… era un piccolo pulcino inerme,
così fragile da scatenare il suo
istinto di protezione: ora toccava a lui difenderla.
Gwen si era risvegliata,
quella notte, e si era guardata
furtivamente intorno: non c’era nessuno.
Era stanca di rimanere
chiusa lì dentro; aveva recuperato un
po’ di forze, abbastanza da riuscire a staccare delicatamente
i fili delle
macchine dalle proprie braccia e sgattaiolare fuori dal letto.
Il fantasma di Chris la
perseguitava, le ricordava ogni
volta che la sua gola ardeva di sete. Lo odiava.
Si appoggiò al
comodino, cercando di rimanere in equilibrio
sulle proprie gambe, ferme da molte ore.
Quando
riacquistò un po’ di fiducia e di esercizio, mosse
qualche passo al di fuori della stanza, verso il corridoio
dell’ospedale.
Voleva fuggire da
lì.
Aprì
prudentemente la porta, controllando che non ci fossero
delle infermiere che facevano il turno di notte in giro; non
c’era nessuno.
Perfetto.
S’infilò
un paio di babbucce da ospedale e sgusciò fuori
dalla stanza, cercando di non fare rumore; chiuse la porta dietro di
sé e si
girò di nuovo verso il corridoio, ma andò a
sbattere contro qualcosa che le
fece perdere l’equilibrio e il panico la colse
improvvisamente; delle mani
grandi e ferme le impedirono di cadere rovinosamente a terra.
Gwen trattenne il fiato,
col cuore ancora a mille per lo
spavento.
<< Trent!
>> esclamò, espirando di scatto; una
pessima mossa, perché il petto le faceva ancora un male
d’inferno.
<< Sei forse
impazzita? >> le domandò duramente
il ragazzo, guardandola con evidente preoccupazione <<
Non puoi ancora
camminare, devi rimanere a letto o rischierai di farti male sul serio
>>.
La ragazza
abbassò lo sguardo.
<< Non
voglio rimanere lì dentro da sola: Chris mi sta
facendo impazzire, Trent, ho paura. >> gemette lei,
fissando i suoi occhi
umidi di pianto in quelli di Trent.
Il ragazzo
sospirò e il suo sguardo s’intenerì.
<< Vieni,
rimango io con te. >> la prese in
braccio senza sforzo e la riportò nel letto; poi
avvicinò una sedia e rimase lì
vicino a lei finché non si riaddormentò.
Quando Gwen
scivolò nel sonno, Trent chiamò
un’infermiera
perché le riattaccasse la flebo e controllasse velocemente
la salute della
ragazza.
Quella notte si ripromise
che non l’avrebbe più lasciata
sola.
Note
dell'autrice
Ehilà :D come
promesso, il settimo capitolo è online in tempi decenti!
Aw, non sapete
quant'è bello poter tornare ad aggiornare questa storia...
sono felice, è come tornare a casa! ^^.
Perdonate la
scandalosa brevità (e lo scandoloso contenuto
ç.ç) di questi capitoli, ma sono un passaggio
obbligato: li uso per distribuire indizi e aMMMore,
A proposito... avete
gradito le scene diabetiche? Portate pazienza, non sono una scrittrice
romantica: giuro che mi sono impegnata tanto per inserirne un po' qua e
là xD.
Vi ringrazio qui,
oltre che in privata sede, i recensitori (grazie, siete sempre
meravigliosi!), coloro che preferiscono/seguono/ricordano la fanfiction
e i lettori.
Arrivederci,
miei cari, all'ottavo capitolo! Baci, Luna.
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Capitolo 8 *** 8 ***
“Hey, piccola
Heather!” la chiamò allegramente Chris
“Come
ti senti?”
La ragazza, ora sveglia,
si voltò nella sua direzione
evidentemente seccata.
<< Tu non
esisti. Sei una proiezione della mia mente,
l’hanno detto i dottori >> mugugnò,
cercando di alzarsi con cautela.
Dov’era Alejandro?
“Deve essere
andato in bagno, o forse al bar…” le rispose,
pensieroso. Lei gli lanciò un’occhiataccia e il
conduttore scoppiò a ridere.
“Certo che lo
sono, Heather.” le disse l’uomo suadentemente
“Non sono altro che un’illusione, una visione, un
fantasma; ma se il tuo
subconscio vuole dirti qualcosa, forse dovresti ascoltarlo”.
Heather strinse le labbra,
che divennero pallide per quel
semplice sforzo.
“Hai
sete… una fame ti divora, non dimenticarlo” le
ricordò
Chris “e tu non hai malattie che in questo posto possano
curare.”
Quando Alejandro
entrò, la visione di Chris era già
scomparsa ma si era appropriata della mente di Heather abbastanza a
lungo da
provocarle un debole attacco di panico.
L’ispanico la
bloccò con dolcezza e le sussurrò parole
rassicuranti, dicendole che era tutto un sogno e nessuno
l’avrebbe ferita;
riuscì a smorzare quella piccola crisi in pochi minuti, ma
Heather si accasciò
lo stesso sul suo petto, esausta.
Trent si era allontanato
per chiamare sua madre e Geoff, il
quale avrebbe a sua volta aggiornato gli altri ragazzi sullo stato di
salute
delle ragazze: erano migliorate un po’, ma lui era comunque
preoccupato.
Una gentile infermiera gli
portò anche un caffè e gli diede
una pacca sulla spalla, dicendogli che Gwen si sarebbe rimessa presto e
che era
molto nobile da parte sua vegliarla senza sosta; lui la
ringraziò di cuore e le
sorrise.
Quando rientrò
nella stanza, trovò Gwen sul pavimento e
tutti i fili e le flebo staccati dalle braccia; si precipitò
da lei,
inizialmente preoccupato e immaginando uno svenimento o un malore, ma
la trovò
seduta per terra con un’aria imbronciata: si era strappata
senza troppi
complimenti i tubicini, che ora le penzolavano dalle braccia, e aveva
tentato
di alzarsi ma era caduta a terra, ancora troppo debole per alzarsi.
<< Odio
questi aggeggi >> borbottò la ragazza,
abbracciandosi le ginocchia << e odio questo posto. Ah, e
odio anche
Chris. >>.
Trent sospirò,
intimamente sollevato.
<< Non posso
lasciarti da sola cinque minuti che tenti
la fuga? Vieni, ti aiuto a rialzarti. >>.
Il ragazzo la rimise sul
letto ma Gwen si rifiutò
categoricamente di farsi riattaccare a quei “cosi
infernali”: la dottoressa
Cameron dovette insistere molto per rimetterle almeno le flebo che
servivano a
idratarla.
<< Non
voglio rimanere più qui, Trent. Portami via
>> lo supplicò la gotica.
Trent cercò di
mantenere un tono fermo e di non farsi
smuovere da quelle parole pietose.
<< Quando ti
sarai rimessa >> le promise,
spostandole una ciocca di capelli dal volto.
Quel pomeriggio un
biglietto identico fu recapitato nelle
camere di entrambe le ragazze; assomigliava a quello che avevano
ricevuto il
giorno prima - la carta e l’inchiostro erano gli stessi - e
vi erano scritte queste poche righe:
“Vi
auguro un buon
risveglio, mie meravigliose creature… spero che renderete
più semplice il mio
lavoro, vi basterà ascoltare il vostro istinto: dimostratemi
che è valsa la
pena salvarvi.”
C’era anche un
post scriptum, alla fine; “PS:
Uscite da quel luogo così triste, la
cura per il vostro male è più accessibile e
facilmente reperibile di quanto
crediate.”
In stanze diverse, le due
ragazze stracciarono il biglietto,
ma qualcosa in loro gridava e scalpitava per scappare, persuaso dalle
parole e
dalla fame, quell’incontenibile appetito che era riuscito in
breve tempo ad
annientarle.
Complice della loro
bramosia, Chris vegliava su entrambe con
aria strafottente: aveva già vinto, e lo sapeva.
Lo sapeva perfettamente.
Note dell'Autrice
Ehi
gente! *saluta con la manina* ma quanto sono brava? ben DUE capitoli
consecutivi online in tempi ragionevoli xD ... sorvolando sulla loro
indecente brevità, s'intende. E sui contenuti. E...
BUON ANNO! Anche se con spaventoso ritardo, ci tenevo a farvi gli
auguri ^^
Come avete passato Capodanno? Vi siete divertiti? Per quento mi
riguarda, non poteva iniziare peggio; ma, si sa, la delusione fomenta
la mia voglia di scrivere (non so se questo sia un bene o un male!),
così cercherò di vedere positivamente codesta
delusione per il genere maschile: più idee, più
fanfiction *coro di NOOO di sottofondo*.
Dato
che ci sono, rinnovo il desclaimer (i personaggi di Total Drama mi
appartengono, ma ovviamene sono di proprietà di chi ne
detiene i diritti e blablabla...) e ringrazio, come al solito, coloro
che preferiscono, seguono o ricordano questa fanfiction, i lettori e
ovviamente i miei meravigliosi recensitori!
Al prossimo capitolo! Baci, Luna.
|
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Capitolo 9 *** 9 ***
<< Cameron,
non sto scherzando. Il suo cuore non
batteva e da un taglio sul braccio ne è uscito
più sangue coagulato che fresco;
il calmante non ha fatto effetto subito perché il cuore non
riesce a pompare il
sangue in tutto il corpo! >> urlò Chase,
sbattendo una risma di fogli
sulla scrivania con aria frustrata.
<< Certo,
come no! A quest’ora sarebbe all’obitorio,
non in una camera per vivi a
respirare aria come tutti i comuni
mortali… >> replicò sarcasticamente
la dottoressa, fulminando il collega
con lo sguardo.
<< Ora
basta! >> intervenne Foreman, cercando di
mitigare la situazione << La mancanza di sangue che porta
ossigeno al
cervello potrebbe causare le allucinazioni. >>.
<<
Sì, ma se non sappiamo perché il cuore batte
appena
non possiamo curarla >> sospirò Cameron,
passandosi una mano tra i
capelli.
<< Possiamo
farle una trasfusione, poi passeremo al
problema del cuore >> propose Chase.
<< Se
è una malattia autoimmune o qualcosa di simile,
il corpo potrebbe respingere un aiuto esterno… e potrebbe
farle più male che
bene >> osservò Foreman, pensieroso.
<< Ma se non
facciamo nulla, morirà! >> ringhiò
l’altro, infuriato per la prudenza quasi ridicola dei
colleghi.
<< E se
facciamo qualcosa potrebbe stare peggio di
così! >> rispose a tono la dottoressa
<< Ieri sera le ragazze
stavano già meglio; dovremmo rimandare l’inizio di
una cura. >>
I tre medici annuirono;
avrebbero sospeso ogni medicinale,
per il momento.
**
<< Voglio
andarmene da qui >> sibilò a fatica
Heather, togliendosi con uno scatto rabbioso la mascherina del
respiratore
artificiale.
<< Mi amor,
sai bene che non è possibile >>
sospirò pazientemente Alejandro << non
finché non starai meglio, almeno.
>>.
Heather bevve con bramosia
l’acqua che un infermiere le aveva
portato, evitando lo sguardo del ragazzo. << Io sto
già meglio >>
replicò freddamente.
L’ispanico
sospirò. Lui non poteva proteggerla, se lei
faceva di tutto per impedirglielo… perché la sua
ragazza doveva essere sempre così
complicata e testarda?
**
Duncan svoltò a
sinistra, addentrandosi in un vicolo
piuttosto angusto e buio; non era spaventato, lo percorreva tutti i
giorni per
arrivare a casa prima.
Saltò la
staccionata di legno traballante e si addentrò
ancora di più nello stretto viale che divideva due casupole,
ormai disabitate
da anni; improvvisamente una mano afferrò il suo collo e lo
sbatté contro il
muro con violenza, mentre il punk si divincolava, spaventato e sorpreso.
Il suo assalitore,
protetto dalla coltre d’ombra umida del
vicolo, portava un cappuccio nero che lo rendeva irriconoscibile,
strinse Duncan
così forte da impedirgli ogni possibilità di
divincolarsi e premette
delicatamente la lama fredda di un coltello contro la sua gola.
<< Le
ragazze devono uscire dall’ospedale >>
sussurrò l’aggressore, con voce appena udibile;
attese una risposta da parte di
Duncan, che, confuso, annuì febbrilmente; in quel momento
percepiva solo il freddo della
lama e dallo sfarfallio dell’adrenalina nel suo stomaco.
Non appena ottenne la
conferma desiderata, l’assalitore lo
lasciò cadere bruscamente a terra e corse via, indisturbato,
con la
consapevolezza di aver vinto di anche questa volta.
**
Gwen decise che aveva
voglia di sgranchirsi le gambe: non ce
la faceva più a rimanere seduta nel letto a farsi
controllare di continuo, era
stufa.
Chiamò
un’infermiera che la aiutasse ad alzarsi, prese la
sbarra di acciaio a cui era agganciata la sacca con la sua flebo,
s’infilò le
scarpine e mosse qualche passo nel corridoio, sorretta dalla donna; il
sostegno
della flebo era freddo, ma le dava una certa sicurezza.
<< In che
camera sta Heather? >> domandò
all’infermiera, sussurrando per non sforzare la voce.
<< Oh, credo
sia quella lì in fondo: vuoi andare a
trovarla? >> le chiese la donna gentilmente, spingendo
insieme a Gwen l’asta:
la ragazza sembrava troppo debole per riuscire a muoverne le ruote da
sola.
Lei annuì,
abbozzando un sorriso.
<< Certo,
cara. Vieni, cammina con calma… >>
**
Alejandro aveva insistito
molto perché Heather rimettesse la
mascherina; la dottoressa Cameron gli aveva affidato
l’oneroso compito di
assistere la ragazza, anche quando faceva i capricci, sottolineando in
particolare l’importanza di un’accurata
ossigenazione.
Heather, però,
non era dello stesso avviso; aveva indossato
malvolentieri la mascherina del respiratore ma si era rinchiusa in un
cupo
silenzio, aveva incrociato le braccia ed era sprofondata tra i cuscini
con un
irresistibile broncio.
Era addirittura riuscito a
persuaderla a tenere acceso il
saturimetro, un’impresa non da poco che era stata
precedentemente abbandonata
da un esasperato dottor Chase.
Insomma,
l’ascendente che l’ispanico aveva su di lei si era
rivelato molto utile.
Gwen bussò ed
entrò, salutando Alejandro con un cenno del
capo.
<< Ehi,
Heather. Come stai? >> le domandò
allegramente ed entrò, cercando si non inciampare nelle
ruote della staffa.
L’asiatica
guardò di sbieco Alejandro, che le tolse la
mascherina con un’espressione divertita.
<< Bene
>> le rispose, soddisfatta; finalmente
riusciva a respirare un po’ da sola, senza
quell’odiosa mascherina.
Gwen alzò le
sopracciglia, scettica, e il suo sguardo si
posò platealmente sul respiratore e poi di nuovo sulla
ragazza, che sbuffò
seccata.
<< Al, come
vedi, esagera sempre >> rispose Heather
all’implicita domanda, calcando
malignamente sull’odiato soprannome dello spagnolo.
<<
Possiamo
parlare? >>
Heather guardò
sottecchi Alejandro, che recepì il messaggio
senza bisogno di parole.
<< Va bene,
va bene >> capitolò infine lui, dopo
un altro sguardo eloquente della ragazza << ma solo
cinque minuti
>>.
<< Se
dovessero esserci problemi >>, aggiunse
l’infermiera << suonate il campanello e
sarò subito da voi >>; le
pazienti annuirono debolmente con la testa.
Lui e
l’infermiera uscirono dalla stanza, chiudendo la porta
e le ragazze finalmente ebbero l’opportunità di
parlarsi liberamente.
<< Io non
voglio rimanere qui >> disse Gwen,
cupa, e Heather annuì: nonostante non si sopportassero,
stipulare una tregua
silenziosa poteva essere un buon compromesso.
<< Nemmeno
io. So che quel biglietto era inquietante,
ma ha ragione. Qui non ci cureranno, sono stanca di rimanere in
ospedale.
>> sibilò l’altra, con voce ancora
flebile.
<< Allora
andiamocene >> sussurrò la gotica, con
un sorriso furbo sul volto.
Note dell'autrice
Salve!
Qui qualcosa sta iniziando a smuoversi... chi sa che cosa
avrà in mente l'autrice? *risata malefica*
Be',
non credo ci sia molto da dire su questo capitolo... ma se avete
qualcosa da chiedermi, sarò felice di rispondere alle vostre
domande! (a patto che non siano di importanza fondamentale per la trama
della storia, of course xD).
Vi
ringrazio e vi saluto! Alla prossima :)
Baci, Luna.
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Capitolo 10 *** 10 ***
<< Non se ne
parla! >> ruggì Alejandro, con gli
occhi spalancati << Non uscirai di qui, non
m’importa se senti di dover
andartene… qui si tratta di salute, Heather, non ho
intenzione di transigere su
questo… >>
<< Nemmeno
io >> replicò Heather, lapidaria.
<< Non rimarrò in ospedale a farmi iniettare
acqua fisiologica, non sono
stupida. Se dovrò morire, succederà nel mio
letto. Mi sono spiegata? >>.
Alejandro si trattenne a
stento dallo schiaffarsi una mano
in fronte; con Heather qualunque discussione sarebbe stata una
battaglia persa
sin dal principio.
**
La dottoressa Cuddy, il
capo dell’ospedale dov’erano
ricoverate le due ragazze, per la prima volta non sapeva che cosa fare;
rigirò
ancora una volta la minacciosa lettera tra le mani per poi firmare, un
po’
perplessa, l’autorizzazione del rilascio di Gwen Fahlenbock e Heather Wilson.
Lanciò
un ultimo
sguardo sospettoso alla lettera; forse avrebbe potuto far uscire le
ragazze
dall’ospedale, ma di certo non fermare House.
Sorrise,
scettica:
se Gregory House si fosse impuntato su quel caso, nessuno avrebbe
potuto
dissuaderlo dall’intervenire. Neanche lei. Neanche lui.
**
Il giorno dopo, molto
prima che i timidi raggi del sole
s’insinuassero tra le pieghe delle persiane bianche, le
valigie di Gwen e
Heather facevano bella mostra di sé sul letto dove prima
giacevano le loro
proprietarie, accuratamente impacchettate da una perplessa infermiera e
dai
ragazzi, le cui espressioni erano a dir poco furiose.
<< Che cosa
diavolo ti frulla in testa, Gwen? Credevo
che almeno tu avessi un po’ di sale in zucca, santo cielo!
>> sbraitava
Trent da almeno mezz’ora, << Tu stai male! Entrambe state male, e ti dirò
di più: potreste rimetterci anche la
pelle! Per tutti i santi, Gwen, mi stai ascoltando? >>.
La diretta interessata, in
realtà, aveva mantenuto
un’espressione neutra durante tutta l’eterna
sfuriata di Trent: il suo volto
cinereo non mostrava alcun segno d’interesse o di reazione.
<<
Sì. >> asserì semplicemente,
stringendo in
una linea sottile le labbra pallide e, stranamente, prive di rossetto
colorato.
<< E allora
si può sapere perché non rinsavisci? Posso
capire la testardaggine di Heather, sarà uno dei suoi soliti
colpi di testa, ma
mi stupisce la tua completa mancanza di buonsenso! Duncan, diglielo
anche tu!
>> ringhiò il chitarrista, ancora furioso:
Gwen realizzò, ascoltando una
vocina flebile nella sua testa, che probabilmente Trent non si era mai
arrabbiato tanto prima d’ora.
Il punk fece una smorfia
pensierosa, quasi buffa.
<< No. Se
vuole uscire, va bene: a quanto ho capito
non le stanno somministrando alcun farmaco, giusto? Che differenza fa
se rimane
qui o se torna a casa? >>.
Trent serrò le
labbra e sgranò gli occhi, impietrito.
Era una congiura, quella?
Si vedeva costretto a desistere;
<< Va bene >> sospirò
tristemente << ma al primo malore
torneremo immediatamente. Chiaro? >>.
Gwen si limitò
ad alzare un sopracciglio, vagamente
divertita: Trent proprio non ce la faceva a sembrare autorevole,
neanche ne
andasse della sua stessa vita.
<< Andata
>> acconsentì, scrollando le spalle
magre.
D’altronde, che
differenza avrebbe fatto?
***
Alejandro
sospirò profondamente per raccogliere tutta la
pazienza che gli era rimasta in corpo.
<< Heather, querida,
luce dei miei occhi… ti prego, ripensaci. Hai tutta
l’aria di chi sta per
svenire da un momento all’altro. >>
La ragazza lo
fulminò con lo sguardo, sillabando
chiaramente, senza bisogno di parole, che non aveva alcuna intenzione
di
ascoltarlo.
L’ispanico si
passò una mano sulla faccia, esasperato,
cercando inutilmente di contenere la disperazione.
<< Voglio
tornare a casa. Adesso.
>> la voce di Heather, seppur vagamente afona,
pronunciò quelle poche parole con il tono imperioso di chi
è abituato a
comandare: sapeva che Alejandro l’avrebbe accontentata anche
quella volta.
**
La macchina percorse il
vialetto ben lastricato della villa,
frenando dolcemente per parcheggiare: dall’auto sportiva
scesero Alejandro e,
da lui sorretta, Heather, che esibiva un’espressione di
palese e profonda
irritazione.
Il finestrino del
conducente si abbassò, rivelando la
slanciata figura di un ispanico, di circa ventitré anni, che
guardava Alejandro
con aria piuttosto preoccupata.
<< Ehi, Al,
la chica
non ha una bella cera. >> disse << Vuoi che
ti aiuti o resto qui?
>>.
Alejandro ebbe un fremito
involontario, ma non aveva tempo
per rimproverare il fratello per l’odioso soprannome.
<< No,
Carlos, me la cavo da solo. Resta qui. >>
rispose, distratto da Heather che bussava alla porta
d’ingresso di casa sua con
nervosa debolezza.
Gli occhi di Carlos, di un
castano caldo e rassicurante, si
adombrarono sotto il peso di un cipiglio inquieto.
<< Okay, ma
chiamami, se serve aiuto. >>
borbottò, ma le sue parole si persero tra il suono secco del
finestrino che si
chiudeva e il frastuono insopportabile dei pensieri di Alejandro.
**
<< Oh, cara
>> esalò Margaret Wilson, quasi
incredula nel vedere la figlia e poterla finalmente stringere tra le
braccia
<< Heather… tesoro…
>> le parole le morivano in gola e le lacrime
premevano dolorosamente per uscire, incastrandosi tra le ciglia come
piccoli
cristalli.
Sua figlia, che i medici avevano dichiarato morta e, dopo poche ore,
miracolosamente resuscitato, stava in piedi davanti a lei, cerea come
un
fantasma, tanto che la madre dubitò dei suoi occhi: una
triste vocina nella sua
testa le suggeriva che poteva essere solo l’immagine
di Heather, la stessa pallida figura che aveva sognato con la disperata
forza
di una madre che ha perso la figlia.
<< Ciao,
mamma >> la voce di Heather fu lieve e
fioca, ma per la madre era più che sufficiente per
convincersi che era davvero
sua figlia, la ragazza pallida che si reggeva appena in piedi, e non
l’ennesima
ombra distorta della sua mente.
Margaret regalò
uno dei suoi rari sorrisi al ragazzo ispanico
che sorreggeva Heather, e si scambiò con lui uno sguardo
carico di gratitudine;
non ci fu bisogno di parole.
Angolo Autrice
Ehm
ehm... buonasera! :D perdonate il lieve ritardo, ma ho dei problemi con
il pc che, purtroppo, non so quando potranno essere risolti...
perciò spero perdonerete la mia assenza forzata,
è a causa di forza maggiore ^^''
Ma
non temete, in qualche modo riuscirò ad aggiornare :)
Vi
lascio con l'ennesimo capitoletto insapore in attesa di più
interessanti scene (che ho già scritto, of course, e saranno
online a breve... spero) e corro a rispondere alle vostre recensioni!
Ringrazio tutti i lettori! Un
bacio, Luna.
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Capitolo 11 *** 11 ***
Catherine
Fahlenbock si torceva nervosamente le mani,
seduta nella piccola sala
d’attesa: era stata chiamata nel cuore della notte da
un’infermiera che si era
categoricamente rifiutata di lasciare che, come l’aveva
testualmente definito,
“quel ragazzo punk poco raccomandabile”
accompagnasse Gwen a casa.
Poche ore dopo, la donna aveva visto passare
l’altra ragazza del reality,
quella mora con i capelli lunghi e un colorito notevolmente cadaverico,
scortata da due ragazzi ispanici; dentro di sé si domandava
se anche Gwen fosse
in quelle condizioni…
La ragazza comparve faticosamente: un ragazzo con
stupefacenti occhi
verdi la supportava, mentre un flebile sorriso increspava le labbra
della figlia.
Catherine deglutì dolorosamente,
scrutando con affanno il viso della ragazza
e catalogando quasi per un riflesso involontario, affinato in anni di
normali
preoccupazioni materne, tutti gli inquietanti elementi che, sul viso di
Gwen,
sembravano urlare dolore e morte: il pallore, per esempio,
paragonabile a quello dell’altra ragazza o le occhiaie,
più simili a lividi; il
tutto venne incassato da sua madre come fossero pugni nello stomaco.
Catherine aprì la bocca, forse per dire
qualcosa, ma, mentre le parole le
sfioravano la lingua, decise di recidere ogni possibile discorso; la
abbracciò
e la riaccompagnò a casa, stringendo le mani fredde della
figlia come se non ci
fosse un domani.
***
Alejandro risalì sulla macchina sportiva
del fratello ancora un
intontito, un po’ per il sonno e un po’ per gli
assurdi avvenimenti di quelle
ultime ventiquattro ore.
Nell’abitacolo riecheggiavano sorde le
parole di una canzone spagnola,
attutite dai sedili e dall’agrodolce pensiero che Heather era
ancora viva.
<< Come sta la chica?
>> domandò Carlos, cercando di sembrare
disinvolto.
Alejandro
sollevò pigramente la
testa, inclinandola un poco da un lato, e rispose con altrettanta
disinvoltura:
<< Bene. Spero solo che non muoia per mancanza di
ossigeno nel suo letto
o nella doccia. >>.
Il
tono delle sue parole era
freddo, ma Carlos percepì la sofferenza graffiante che
dilaniava il fratello
come fosse sua.
<<
Casa sua dista venti
minuti di macchina dalla nostra… >>
sussurrò, soppesando attentamente le
parole << posso prestarti la mia macchina o
accompagnarti, se vuoi
>>.
Il
ragazzo gli scoccò uno sguardo
di sincera gratitudine.
<<
Grazie, Carlos. Lo
apprezzo davvero. >>
***
Duncan
attraversò i corridoi
dell’ospedale con le mani affondate nelle tasche,
fischiettando distrattamente
per cancellare dalla sua mente l’immagine di Gwen che si
allontanava e il suo
volto pallido, riflesso nel vetro dell’auto.
All’uscita
scorse Trent a pochi
passi dalla porta, seduto su una panchina, che fissava con consapevole
tristezza il punto da cui la macchina della signora
Fahlenbock era frettolosamente partita; il suo sguardo
amaro, che
sembrava specchiarsi in quello di Gwen, lo colpì,
sorprendentemente, come uno
schiaffo in pieno viso.
**
Una
figura sogghignò, nascosto
dalla penombra, mentre ripiegava con cura delle buste di carta; scrisse
lentamente i nomi sul retro e lasciò che
l’inchiostro asciugasse all’aria,
mentre osservava pigramente il liquido trasparente in una boccetta, che
bolliva
emettendo di tanto in tanto sbuffi di vapore.
La
sua mano guantata afferrò una
busta di carta, che recava l’indirizzo
dell’ospedale; sapeva che cosa voleva
fare quel fastidioso, inopportuno dottore: Gregory House era una spina
nel
fianco, la sua curiosità e la sua testardaggine lo
infastidivano non poco.
Si
premurò di spedire la suddetta
lettera alla direttrice Cuddy la sera stessa, sperando che il Dr House
non si
fosse già intromesso in una situazione che non lo
riguardava.
Le
ragazze dovevano seguire il
percorso che aveva preparato per loro, e uscire dall’ospedale
era la prima
tappa; non poteva permettere che uno sciocco dottore intralciasse il
suo piano.
Un
poco infastidito, prese i due
fogli di carta e, controllando che l’inchiostro fosse
asciutto, aggiunge un
post scriptum che lo tranquillizzò un po’;
conosceva il potere di quelle
lettere.
Sorrise
appena: sapeva di aver
escogitato il delitto perfetto.
Nessuno
lo avrebbe fermato.
Note
dell'autrice (ritardataria!)
... sono in
ritardo. Un tremendo ritardo.
... Perdono!
ç.ç So bene di non avere scuse, ma in mia difesa
posso dire che la scuola ci ha massacrati e che non ho avuto un momento
libero... mi sono dileguata da questo fandom per troppo tempo, era ora
di tornare! xD.
Che posso dire
di questo capitolo? Avevo voglia di un po' d'introspezione... e di
dedicare qualche riga al fantomatico lui;
vi
è piaciuta l'idea? ^^
Vi ringrazio
tanto per la vostra costanza nel seguire questa ff, nonostante venga
aggiornata in modo tutt'altro che costante xD
Un grazie
speciale anche ai recensitori! <3
A presto
(spero xD), Luna.
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Capitolo 12 *** 12 ***
Il cellulare vibrava
insistentemente sul comodino di legno
scuro, tanto a lungo da meritarsi un’occhiata scocciata di
Noah, che, dopo
diversi minuti di frastuono, si arrese; lo afferrò e
rispose, sospirando per la
noia.
<< Noah!
Amico! >> esclamò un ragazzo, la cui
voce era fastidiosamente amplificata dall’apparecchio.
<<
Sì, Geoff, che c’è? >>
sibilò l’indiano,
irritato: erano le quattro del mattino, per la miseria!
<< Sai che
le ragazze sono tornate a casa? Me l’ha
detto Bridgette >> gongolava rumorosamente il festaiolo,
irritando, se
possibile, ancora di più l’interlocutore.
<< Wow. Sono
felice che stiano meglio >> replicò
Noah, desideroso di interrompere la conversazione e tornare a dormire.
<< Oh, no,
non credo stiano bene, anzi: penso che non
volessero morire su un letto d’ospedale >>
ciarlò il biondo, privo di una
qualsiasi, minima quantità di tatto; ma Noah era troppo
stanco per
accorgersene, e di mattino non aveva abbastanza pietà
né energie per sdegnarsi.
<<
Sì, bene. Ciao. >> chiuse la telefonata,
laconico
come d’abitudine, e tornò a dormire.
Almeno, ci
provò; l’idea delle due ragazze, apparentemente
morte
e poi miracolosamente sopravvissute a un avvelenamento (che superbo
materiale
di studio!), gli impedì di chiudere occhio per tutta la
notte.
<< Vita,
perché mi odi così tanto? >>
sospirò,
ma, come al solito, non c’era nessuno ad ascoltarlo.
**
Cody tamburellò
le dita sul tavolo, senza più riuscire a
prendere sonno; pochi minuti prima era stato chiamato da
un’entusiasta Sierra,
che gli aveva comunicato le ultime novità: Gwen e Heather
avevano deciso di
tornare a casa, e lei non vedeva l’ora di andare a trovare
quest’ultima per
aggiornarsi e distribuire generosamente succosi pettegolezzi.
Era indeciso se chiamare
Gwen o se andare a trovarla, ma la
sua stalker ufficiale sicuramente glielo avrebbe impedito… e
in più Sierra era
capacissima di controllare i suoi tabulati telefonici,
perciò decise
saggiamente che era meglio non rischiare.
Emise un lungo sospiro,
poi riprese in mano in cellulare per
chiamare Bridgette e aggiornarla sulle ultime novità.
**
Chef osservò
con curiosa perizia il biglietto che gli era
stato da poco recapitato e infilato sotto la porta
d’ingresso; il messaggio,
stampato su carta bianca e spessa, riportava le indicazioni di Chris, o
almeno
così immaginava, che voleva organizzare un secondo incontro
ufficiale del cast,
visto il triste esito del precedente.
L’omaccione non
si fece troppe domande: scrollò le spalle,
ripiegò il foglietto e si preparò per tornare -
finalmente - a dormire.
**
Il mattino dopo, i signori
Wilson si svegliarono presto,
elettrizzati all’idea che la loro figlia minore stava davvero dormendo al piano di sopra, nel
suo letto, dopo molti mesi
di assenza trascorsi tra reality e ospedale; bastarono poche ore di
convivenza
per convincerli che, forse, non era poi così bello come
sembrava.
<<
Tesoro… >> tentò debolmente la
madre di
Heather, guardando la figlia con espressione quasi timorosa
<< che ne
dici di mangiare un po’? >>.
La ragazza la
guardò senza vederla davvero, con un’aria
smarrita e decisamente poco accomodante.
Margaret
sospirò, affranta: Heather non aveva più detto
una
parola, era rimasta seduta tutta la mattina sul suo letto, intorpidita,
fissando il vuoto con una smorfia di dolore.
Quando il campanello
suonò, la donna corse ad aprire la
porta d’ingresso quasi con gratitudine.
<<
Sì? Chi è? >> domandò
gentilmente,
socchiudendo l’uscio di casa.
<< Sono il
Dr House, signora >> replicò l’uomo
che le stava davanti: portava delle scarpe da ginnastica, del tutto
inadatte
alla sua età, e aveva un bastone << avevo in
cura sua figlia, mentre era
in ospedale. Posso entrare? >>.
La signora Wilson
boccheggiò, sorpresa. << Dottore…
sì, certo, ricordo il suo nome ma… non credo di
averla mai vista, mi sbaglio?
>> balbettava, cercando di mantenere la sua consueta,
pacata educazione.
L’uomo parve
divertito << Certo che non mi ha mai
visto, di solito non voglio avere nulla a che fare né con i
pazienti, né con i
loro adorabili parenti
>> disse
il dottore, e, mentre parlava, a Margaret parve quasi di vedere
l’ironia
trasudare dal suo sorrisetto beffardo.
La donna serrò
le labbra e assunse una posizione altera, che
accompagnò a uno sguardo freddo e sospettoso.
<< Entri
>> sibilò, facendosi da parte per
permettere il passaggio del dottore.
L’uomo
zoppicò fino alla stanza di Heather, scortato da una
sempre più diffidente signora Wilson.
Una volta giunti nella
stanza della ragazza, il Dr House
socchiuse lievemente gli occhi e inclinò la testa, come per
studiarla meglio.
<<
Affascinante… >> si lasciò sfuggire
qualche
piccolo commento tecnico, mentre misurava a grandi passi
l’ampiezza della
camera: aveva bisogno di riflettere.
La madre di Heather rimase
appoggiata allo stipite della
porta per tutto il tempo, come una civetta che attende il momento
propizio per
afferrare il topolino e portarlo lontano.
A un tratto si
fermò davanti alla ragazza - che appariva
persino più pallida del giorno prima, quasi del tutto
esangue – e si abbassò
sulle ginocchia, finché il suo limpido sguardo ceruleo non
incrociò gli occhi
grigi e assenti della ragazza.
<< Ti ho
visto in televisione, sai. >> esordì,
del tutto calmo << So come sono fatte, le persone come
te: credono di
difendersi dietro un muro di strategie e battute al vetriolo, ma sappi
che con
me non funzionerà: io sono molto, molto peggio. E sono
autorizzato a usare il
bisturi. >> continuò poi, divertito,
<< Quindi è meglio che tu
collabori, cara Heather, così sarà meno
traumatico per entrambi: se tu e la tua
amica tornerete in ospedale, ti prometto che renderò la cura
il più veloce e
indolore possibile. >>
Heather, per la prima
volta in quella giornata, alzò lo
sguardo: gli occhi si erano riaccesi di una flebile vivacità.
<< Se ne
vada. >> sussurrò, come se le costasse
un enorme sforzo spingere fuori le parole, muovere le labbra aride:
<<
Lei non può curarci >>.
Il dottore
aggrottò le sopracciglia, ma non insistette;
c’era un particolare che aveva catturato la sua attenzione,
qualcosa di degno
d’essere analizzato.
Aveva visitato entrambe le
ragazze, in quella giornata, e le
aveva trovate nella stessa posizione: al suo discorso –
perfettamente uguale
per entrambe – avevano dato la stessa, enigmatica risposta.
La madre di Heather si
agitò un po’, come se stesse
aspettando solo un rifiuto da parte della figlia per parlare.
<< Heather
è stanca, dottore. Credo che il suo aiuto
non sia necessario. >> sillabò gelidamente.
Ma l’uomo non la
ascoltò: uscì, zoppicando, dall’enorme
villa, immerso nei propri pensieri.
Note dell'autrice.
Eccomi
qui! *non vola una mosca* ehm, bene... ragazzi, vi rendete conto? 100 recensioni! Io
vi adoro! ** non mi sarei mai aspettata un numero a tre cifre! (be',
neanche di continuare questa storia, in effetti xD ma non importa...)
Bene,
avrei una piccola curiosità: il grande momento si avvicina,
siamo già al dodicesimo capitolo! vi confesserò
un segreto: il prossimo capitolo, il tredicesimo, è il mio
preferito in assoluto, rispetto a tutti gli altri che ho scritto... per
questo motivo vorrei un giudizio imparziale di voi lettori; finora,
qual è stato il vostro capitolo preferito? Come mai? Questa
è una piccola curiosità che vorrei togliermi,
nulla di più... fatemelo sapere nelle recensioni, mi
raccomando :D
A
grande richiesta, è comparso il Dr House! Su, non siate
tanto delusi, l'avevo detto che sarebbe stata un'apparizione piccina...
inoltre ho ritenuto opportuno dare un piccolo spazio anche agli altri
personaggi, visto che finora si sono visti poco!
Credo
di aver detto tutto... ringrazio, come al solito, tutti i lettori: alla
prossima!
Baci, Luna.
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