Fahrenheit: L'isola

di Payne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un isola perduta ***
Capitolo 2: *** Una curiosa nottata ***
Capitolo 3: *** Uno spiraglio di luce ***



Capitolo 1
*** Un isola perduta ***


 

Il sole era alto nel cielo, una sfera luminosa e possente.

In quel momento la volta celeste non era di certo priva di nuvole paffute e candide, ma stranamente non offuscarono mai il sole, come se avessero timore della sua ira.

Così, non ebbi nemmeno un momento di sollievo dal caldo torrido dell'estate.

Era la seconda settimana di Giugno, ma sembrava essere in pieno Agosto.

Turisti in infradito e cappellini, scendevano giù in spiaggia con gli ombrelloni sotto braccio, in cerca di un qualche spicchio di sabbia libera.

Sospirai sonoramente, sventolandomi il viso con una mano. Non sopportavo quel tipo di umidità. Ti si attaccava addosso, come cozze allo scoglio, l'unica cosa che desideravo in quel momento era tuffarmi nell'oceano.

Ed invece ero li, seduta ad una panchina sul molo, in mezzo all'odore nauseante di pesci e molluschi di vario genere. Non potei fare a meno di osservare i marinai scaricare, dalle loro imbarcazioni, il risultato di giorni di pesca allargo.

La maggior parte erano piuttosto giovani, la mia età, se non di meno!

Uno di loro mi gettò un occhiata interessata. Forse starà pensando a cosa ci facevo li, sotto il sole, invece di godermi delle ore di mare.

Glielo avrei spiegato volentieri, se me lo avesse chiesto, magari con tono irritato. Avevo voglia di sfogarmi con qualcuno al più presto.

Mi sarei lamentata di quella cittadina marittima, sperduta nella nazione francese! Mi sarei lamentata del caldo, della puzza di pesce e del mio cellulare scarico.

A pensarci meglio, era meglio per lui rimanere alla larga.

Il giovane marinaio distolse lo sguardo, riportandolo al suo carico. Nemmeno dieci minuti sparì insieme agli altri, con una cassa di pesci tra le braccia.

Ritornai all'oceano, forse un po delusa che non si fosse avvicinato.

Aspettavo da quanto? Due ore, due ore e mezzo?

Ormai avevo smesso anche di guardare l'orologio al polso.

Passare l'estate, nella città natale di mia madre, mi era sembrata una buona idea, quando me lo aveva proposto. Non avevo mai conosciuto i miei nonni, ne i mie parenti in diciannove anni della mia vita. Mi era sempre piaciuto viaggiare e vedere posti nuovi, anche se non lo avevo mai fatto da sola. Fino ad ora.

Un volo di ore, per quel paesino della Francia dell'ovest. Non erano nata li, ma su di un isola a chilometri di distanza da quelle coste, in mezzo all'Atlantico.

Se lo avessi saputo prima, non ci sarei mai andata!

Aspettavo che qualche mio parente mi venisse a prendere, ma evidentemente si erano dimenticati di me.

In lontananza, un altra barca si stava avvicinando al porto, ma questa sembrava molto più veloce dell'altra. Di sicuro aveva un carico leggero, non aveva incassato molto poveretto.

Ormeggiò proprio di fronte a me, aggrottai le sopracciglia quando il ragazzo alla guida mi squadrò attentamente.

«Maya?» chiese incerto.

«Si» risposi solamente, con una punta di sospetto nella voce.

Il ragazzo sorrise raggiante, l'oro dei suoi capelli era perfino più luminoso del sole.

«Scusa il ritardo, ma si stava avvicinando una tempesta e abbiamo dovuto controllare le barche prima»

«Qualcuno poteva avvertirmi!»

«Tuo nonno a provato a chiamarti, ma risultava spento»

Cavolo! Era vero, la batteria era scarica da quando avevo messo piede sull'autobus che mi avrebbe lasciata al molo.

«Bè e tu chi saresti?» cambiai argomento.

Il ragazzo legò stretta la sua piccola imbarcazione, poi scese sulla terra ferma con un paio di casse di legno.

«Tu abiti con i tuoi nonni ora, giusto?»

«Per l'estate, si»

«Allora, per l'estate, io sarò il tuo vicino di casa»

Detto questo, mi mise tra le mani una delle sue cassette di legno, mentre lui ne recuperava un altra dalla barca.

Lo guardai perplessa, lui rispose con un sorriso di scuse.

«Mi dovresti aiutare, ora»

«A fare cosa, esattamente?» fissai scettica quella cassetta.

«Vieni e te lo faccio vedere, ah approposito, io sono Reef»

Si diresse a passo spedito verso la città, lasciandomi dietro di se. Lo seguì di corsa. Per quanto potessi correre bene, con una cassetta di legno tra le mani.

«Reef?» ripetei con un sorrisetto «Come la barriera corallina?»

«Si, direi che mia madre si sia ispirata a quella famosa barriera» rispose tranquillo, guardando avanti e puntando ad una libreria.

«Che nome assurdo» mi sfuggì dalle labbra.

Gli gettai un occhiata di traverso, sperando non se la fosse presa.

«Ne sentirai di nomi assurdi tra un po»

Non commentai, mi sembrava impossibile trovare dei nomi più assurdi del suo. Ma non era male..solo strano!

Reef comprò almeno una ventina di libri, che andavano da “colora l'animale” a “La morte del Re”! Un misto per bambini ed adulti.

Proseguimmo per i vari negozi ed in meno di un ora visitai tutta quella cittadina. Reef ,sempre con una lista tra le mani, comprò giocattoli, accessori di uso personale, vari tipi di snack tipo patatine e tante bibite.

Dovevo aiutarlo a trasportare almeno una cassetta fino alla barca. Scelsi di portare quella con i libri, perchè avevo una profonda passione per la lettura e fu per me una scelta quasi ispirata. Purtroppo, dopo scoprii che era quella più pesante!

Ma non feci una piega, non mi lamentai neanche per un secondo sul tragitto per il molo.

«Perchè tutta questa roba?» domandai incuriosita «Non avete negozi sull'isola?»

«Qualcuno, ma oggi mi hanno mandato a fare delle commissioni».

Reef sistemò le casse, una ad una sulla nave, mentre io gliele passavo dal molo. Ero proprio al bordo, la punta delle scarpe da tennis era sospesa nel vuoto.

Le braccia mi facevano male, per tutto quello sforzo non programmato.

Fortuna che non avevo una valigia dietro, altrimenti i muscoli mi sarebbero scoppiati!

A casa dei nonni, avrei avuto tutto quello che serviva, avevano già tanti vestiti a sufficienza per me, non aveva senso portarne altri. Avevo con me solo il cellulare e il carica batterie.

«Dammi la mano»

Reef allungò la sua verso di me ed io l'afferrai, per poi balzare sulla barca che dondolò leggermente quando avvertì il mio peso.

Il mio nuovo vicino, liberò l'imbarcazione dai legacci, poi si mise al timone e accese il motore. Provocò un rombo ed alcuni gabbiani, spaventati, si librarono in volo.

«Pronta?» si voltò verso di me.

«No» non ero poi tanto sicura di voler andare ora, un mondo sperduto nel mondo!

«Benissimo» ridacchiò notando la mia espressione indecisa. Poi tirò una leva e lasciammo la terra ferma e la civiltà..

 

 

 

 

Ci vollero più di un paio d'ore per arrivare. Non andammo troppo veloci, il mare si era ingrossato allargo e non permetteva un andatura uniforme.

Rimasi tutto il tempo seduta sul bordo, osservando la scia bianca che lasciavamo sulla superficie dell'acqua. Una specie di... sentiero per l'isola sperduta.

Poteva essere un modo, per ritrovare la strada che mi avrebbe riportato sulla terra ferma. Ma il mio sogno ad occhi aperti si spezzò definitivamente quando notai che, quella spuma bianca, era destinata a cancellarsi inesorabilmente.

Sospirai sconsolata.

Reef era un navigatore esperto, la barca non si era incrinata neppure una volta. Eppure le onde continuavano a sbatterle contro da un lato.

Il sole si era completamente perso in mezzo alle nubi, queste erano di un grigio minaccioso, niente a che vedere con lo zucchero filato di quella mattina.

«Dici che ci arriviamo prima che piova? Sta per fare buio anche»

non ero il massimo della tranquillità, al pensiero di stare in un deserto d'acqua in piena notte. Ero cresciuta, guardando i film dello squalo in tv.

«Di sicuro arriveremo prima che inizi la tempesta, le nuvole non sono ancora cariche anche se non sembrerebbe» spiegò Reef «Però tra mezz'oretta massimo, sarà buio pesto, quindi se fossi in te mi metterei l'animo in pace per quello»

«ah! Grazie tante» sbuffai, alzandomi da li.

Cercai sostegno ad ogni cosa che mi sembrava anche minimamente stabile. Bordi, corde, attrezzi saldati al pavimento e finalmente lo raggiunsi al timone.

«Comunque non manca molto, fortuna che sei una che non soffre il mal di mare» sorrise voltandosi verso di me, gli risposi con una smorfia.

«è vero che non lo soffro, però sto incominciando a sentire la nausea. Non credevo abitaste così lontano!» commentai.

«è un ottimo posto» si limitò a dire, ritornando a guardare davanti a se.

«Non direi, è isolato dal mondo, ma come fate ad aggiornarvi? Spero che almeno abbiate la tv!»

«è proprio perchè è isolato che è un ottimo posto» affermò serio, questa volta «Nessun occhio indiscreto a guardare..»

evidentemente si accorse di aver detto troppo, perchè poco dopo aggiunse «e poi si, ce l'abbiamo la tv e anche altro tranquilla!» riprese a sorridere.

Lo fissai scettica, come faceva un posto isolato ad andare bene?

Stavo per chiederglielo, quando un suo gesto mi bloccò le parole in bocca.

«Guarda li, già si comincia a vedere l'isola» stava indicando con il dito, un punto all'orizzonte.

«Io non vedo niente, Reef»

Era la mossa più scontata che avessi mai visto! Cercare di distrarre con un trucco vecchio come il mondo.

Lui mi lanciò un occhiata stranita «Ma se stai guardando me»

Sbuffai, seguendo poi il suo indice.

Aggrottai le sopracciglia ed assottigliai gli occhi, per mettere meglio a fuoco.

«Ehi! È vero, si vede qualcosa!»

Non era niente di definito, sembrava solo una montagna che toccava il cielo. Un po sbiadita a causa della lontananza. Non avevo mica una vista da falco.

«Sembra piuttosto grande» commentai.

«Lo è» annuì «Non enorme come un continente, ma abbiamo molto spazio».

Più passavano i minuti, più il cielo andava sempre più ad imbrunire, spegnendo i colori che ci circondavano. Anche l'isola era sparita, l'oscurità l'aveva inghiottita come ogni altra cosa.

Come Reef aveva previsto, la notte era giunta prima che toccassimo terra. Mancava ancora un quarto d'ora, ma finalmente l'attesa stava per giungere al termine.

Avrei voluto vedere le stelle almeno, avevo letto da qualche parte che le stelle, se viste dal mare, sono ancora più luminose.

Una brezza fredda si levò, facendomi rabbrividire da capo a piedi.

Pantaloncini e maglietta a maniche corte, erano state una buona idea quella mattina, ma nell'Atlantico il tempo cambia in fretta ed in modo quasi drastico delle volte.

Squadrai Reef, anche lui portava una maglietta a maniche corte e dei pantaloncini, un po più lunghi dei miei. Ma sembrò non sentire minimamente quel cambio di temperatura improvviso.

«Hai detto che mancavano quindici minuti» presi a lamentarmi.

«Ora dieci, per l'esattezza» mi corresse «Ehi, mai hai freddo?»

Di sicuro notò che stavo tremando, mi sentivo tutta la pelle tirare.

«No, sto benissimo» tagliai corto quando notai una luce in lontananza.

Non me ne ero accorta prima, era una luce lampeggiante.

La sua luminosità si alternava, da bassa ad alta. Come una specie di faro, anche sei fari non erano proprio così.

La luce dei fari era gialla, una luce morta, priva di un proprio colore vitale.

Questa invece, mi dava la sensazione di qualcosa di vivo, presente. Qualcosa che chiama a se, che tende la sua mano fantasma per porgerti aiuto. Era un bagliore che mi fece rabbrividire nuovamente, anche se le punture che avvertivo sulla pelle non erano quelle del freddo, ma di un qualcosa che non riuscivo a definire.

«Che cos'è?» riuscì a farfugliare.

«Il faro» rispose, con uno strano tono.

«Non può essere il faro, so come sono i fari!» me la presi, sentendomi una punta sul vivo.

Ma immediatamente dopo, mi pentì di aver usato quel tono. Ero una sciocca a voler difendere le mie ragioni su di un faro. Non sapevo quasi niente dei fari, le poche informazioni che avevo erano state prese dai film. Le emozioni di poco prima non erano altro che frutto della stanchezza di quella giornata.

«Scusa»

«Non preoccuparti, lo so fa una luce diversa dagli altri fari, forse è colpa della foschia intorno all'isola» rispose vago.

«Foschia?»

«Siamo nell'Atlantico, ricordi?» mi fece l'occhiolino «Ti stupirai di molte cose qui...durante la tua permanenza»

Un rombo squarciò il cielo, ed io dovetti tapparmi le orecchie di colpo. Un riflesso condizionato.

Solo qualche secondo dopo, capii che il suono proveniva dalla barca.

«Ma che fai?!»

Lui rise della mia espressione spaventata «Perdonami, avevo promesso di avvisare non appena fossimo giunti in porto»

Ah.. perfetto! 

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Capitolo 2
*** Una curiosa nottata ***


 

Mi girai e rigirai tra le coperte, non riuscendo a prendere sonno.

Ero persa a guardare il soffitto, non era dipinto di alcun colore, erano semplici tegole di legno. Tutta la casa era costruita in legno.

L'abitazione era immersa nel silenzio più totale. Ogni tanto, fuori dalla mia finestra, un gufo emetteva i suoi versi.

Mi misi seduta sul letto, le molle cigolarono a quel movimento. Erano le due di notte,ed ancora la stanchezza non mi aveva fatta crollare.

La stanza era piuttosto spaziosa, come mi aveva avvisata la nonna, un tempo era appartenuta a mia madre.

Ma ancora, non riuscivo ad immaginarmi la mamma vivere li. Da sempre, mi era sembrata un tipo pratico, che amava la tecnologia ed il comfort, ogni cosa che sia moderno a lei andava a genio.

Chissà, allora,come doveva essere stata contenta di andarsene andata da qui!

Scostai le coperte leggere e scesi dal letto.

Da qualche parte doveva filtrare della luce, perchè riuscì ad orientarmi bene. Gli oggetti nella stanza erano chiari e ben definiti, raggiunsi la finestra senza cadere o urtarne qualcuno.

L'aprii, e quella emise un cigolio sinistro. Mi bloccai, mordicchiandomi il labbro inferiore. Rimasi in ascolto.

Nulla, non avevo svegliato nessuno.

L'aria tiepida si riversò nella camera, era una brezza piacevole. Niente in confronto a quella che mi aveva colpita sulla barca di Reef.

Respirai a fondo, l'odore fresco degli aghi di pino mi piaceva. L' avevo scoperto appena arrivata sull'isola.

 

 

 

Ad attenderci al porto, c'era un pick up scuro, tutto ammaccato sul tettuccio.

Aveva i fanali accesi, puntati verso di noi.

Ero perplessa. Guardandomi intorno, non vidi neppure una casa vicino alla spiaggia. C'era solo sabbia, scogli e poco più avanti iniziava una distesa d'erba e alberi tipici delle zone di mare.

Feci presente Reef dei miei dubbi a tal proposito.

«Ah! No, non ci sono case in riva al mare» mi rispose « non lo sapevi?»

Scossi il capo, mia madre non mi avevano mai raccontato nulla della sua isola. Ogni volta che provavo a parlare di ipotetici zii e nonni, lei bruscamente cambiava argomento come se avessi detto chissà quale bestemmia!

E all'improvviso, in un bel giorno di inizio estate, mi propose di andarli a conoscere. Meglio dire che fui costretta ad andarci.

«Il paese e a qualche chilometro di distanza» continuò, indicandomi un punto lontano.

Istintivamente, volsi lo sguardo verso le montagne. Ne riuscivo a distinguere le sagome ripide ed imponenti. Allora, non era così buio come credevo dalla barca.

«Esatto» mi sorrise.

«Esatto...» lo guardai confusa. Questo ragazzo era così criptico!

«Non viviamo proprio sulle montagne, ma se guardi attentamente c'è un bosco ai suoi piedi»

Tutte le mie speranze per un estate composta solo di mare, sole e spiaggia si frantumarono come vetro.

Non c'era bisogno di osservare oltre, gli credevo sulla parola.

Fino a quel momento avevo provato ad ignorare l'auto, cercando qualcosa da fare per aiutare Reef. Sapevo chi poteva esserci la dentro. I miei nonni materni, coloro che si sono così affettuosamente offerti di ospitarmi in casa loro.

Reef non sarebbe venuto con noi, doveva sistemare la barca ed assicurarla al molo, prima dell'arrivo del temporale.

Così, mi armai di coraggio e raggiunsi la coppia ferma vicino all'auto.

Mi stupì per quanto sembrassero giovani e...non proprio dei nonni! Non dimostravano più di cinquant'anni, anche meno. Ma sapevo che non era possibile. Feci mentalmente dei conti, ma non ne uscì altro che quello che già sapevo da mia madre,i nonni dovevano avere settant'anni in teoria.

Due potevano essere le spiegazioni, o mia madre era stata concepita in età adolescenziale e non lo sapeva, o la vita sull'isola portava dei benefici al corpo!

Mi fermai di fronte a loro, non sapevo che dire, quindi accennai a fare solo un sorriso imbarazzato.

«Maya!» il nonno si avvicinò a me, stringendomi in un abbraccio caloroso.

Aveva i capelli ramati, proprio come i miei. Finalmente sapevo da chi avevo preso.

Mia madre aveva i capelli castani, esattamente come la nonna, ora che la osservavo bene.

«Non sai quanto siamo contenti che tu sia venuta, andiamo, sarai affamata».

Il nonno mi condusse in auto, era spaziosa e comoda, anche se i sedili erano un poco consumati.

Lanciai un ultimo sguardo al molo, prima che sparisse completamente alla mia vista.

«Ho cucinato la torta al cioccolato, la tua preferita» ci tenne ad aggiungere la nonna.

Mi guardò dallo specchietto retrovisore, i suoi occhi avevano un taglio affilato. Assomigliava molto alla mamma.

«Non vedo l'ora, oggi ho fatto solo colazione»

«A questo rimedieremo subito» sorrise il nonno «Tua nonna ha cucinato per cento persone! Non sapevamo cosa ti piacesse»

La nonna fece una risata imbarazzata, commentando che tanto, tutto quel cibo doveva essere consumato prima o poi.

Sospettai, quindi, che nella settimana a venire avrei mangiato solo avanzi di questa famosa cena.

Ci inoltrammo nel bosco, lasciandoci dietro gli ultimi Pini d' Aleppo, conifere di medie dimensioni che crescono vicino al mare. L'odore di pino e di fresco mi invase le narici. Era uno dei profumi più buoni che avessi mai sentito.

Gli alberi, più ci avvicinavamo al cuore dell'isola, diventavano dei veri e propri giganti, le punte sembravano determinate a toccare il cielo.

«Allora è vero, abitate nel bosco»

Mi misi nello spazietto tra il conducente ed il passeggero davanti. Il mio sguardo vagava. Prima dal nonno, poi dalla nonna.

«Si, tua madre avrebbe dovuto spiegarti qualcosa in più, della tua terra d'origine»

«Che sconsiderata..»

Decisi di non commentare. Evidentemente ai nonni, non era ancora andato giù che la loro figlia se ne fosse andata di casa, si fosse sposata con mio padre, non originario dell'isola, ed avesse fatto una figlia a sua volta e non l'avevano portata a conoscerli.

Certo, mi sarei arrabbiata pure io, se non capissi le ragioni della mamma. Quel posto era così... primitivo!

«Uhm.. e come fate a raggiungere il mare?» eravamo da un bel po in auto ormai, quindi la strada era considerevole fatta a piedi «Sempre che...si possa fare il bagno»

Mi stava sorgendo qualche dubbio.

«Certo che si può fare!» ridacchiò la nonna, dovevo esserle sembrata un po stupida.

«E come ci arrivate?» ripetei insistente.

Non con l'auto di certo, come mi aveva confessato Reef poco prima, le persone che possedevano un auto sull'isola, si potevano contare sulle dita di una mano.

«Abbiamo i nostri mezzi» rispose il nonno enigmatico «Ma ti prometto che, neanche un paio di settimane che passerai qui, avrai tutto molto chiaro»

Sembrava più una minaccia che una promessa.

 

 

Mi persi completamente sullo sfondo davanti a me. Gli alberi ondeggiarono lievemente, sotto gli sbuffi gentili del vento.

C'era una bella vista, la casa aveva due piani, più la mansarda, usata come raccoglitore di ricordi. Foto, oggetti non usati, addirittura vecchi vestiti.

La camera della mamma era al secondo piano e la finestra dava proprio sul bosco.

Non che il bosco fosse lontanissimo, bastava che allungassi una mano e già riuscivo a sfiorare gli aghi dell'abete che cresceva nello spicchio del giardino dei nonni.

Sospirai, inspirando quell'aria salutare, completamente priva di smog. Almeno mi sarei depurata i polmoni prima di rientrare in città!

Il bosco era buio e profondo, sembrava l'infinito. Feci vagare lo sguardo tra un ramo e l'altro, seguendo il volo aggraziato di una civetta a caccia.

Sorrisi tra me, era la prima volta che vedevo un animale selvatico in libertà.

Era totalmente diverso dallo zoo. Quando li osservavo in quei posti, avevo sempre l'impressione che gli animali vivessero in un apatia costante. Infatti, ne a me, ne ai miei genitori, era mai piaciuto andarci.

Era come un carcere.

Pensandoci meglio,non era apatia, la loro. Ma forse, la rassegnazione di una libertà ormai perduta.

Scossi il capo, come a scrollarmi di dosso quei pensieri negativi. Qualche volta anche io mi sentivo così e non riuscivo a capirne il motivo.

Vorrei avere le ali pensai E volarmene via

Un bagliore luminoso attirò la mia attenzione, ritornai con lo sguardo verso un enorme tronco ,che sovrastava tutti gli altri per altezza e massa.

Cinque minuti.. dieci minuti.

Stavo per distogliere lo sguardo annoiata, quando quelle luci ritornarono.

No, non erano luci, ma non sapevo come definirle.

Deglutì, stringendo la presa sul bordo della finestra. Avevo l'impressione che mi stessero guardando, come occhi di un predatore.

Erano due mezze lune fluorescenti, simili agli occhi dei gatti quando li colpisce la luce.

E mi fissavano. Sentii i peli sulla nuca rizzarsi improvvisamente.

Mi morsi la lingua, stavo per gridare, a chiunque fosse, di uscire fuori da li. Odiavo certi giochetti.

Forse degli stupidi ragazzini che erano venuti a fare degli scherzetti alla nuova arrivata sull'isola.

Ma non potevo urlargli contro, avrei svegliato mezzo paese, se non tutto. Quel silenzio era così fitto che anche un bisbiglio poteva risultare rumoroso.

Ma qualcosa dovevo pur farla, altrimenti non mi sarei sentita in pace con me stessa.

Corsi alla scrivania, avevo notato una torcia in mezzo a vecchi quaderni e braccialetti di spago.

Eccola!

Provai ad accenderla, ma niente. La scossi un po e finalmente diede segni di vita, se pur minimi.

Puntai la luce pallida dove avevo notato quegli occhietti luminosi. Non c'erano più.

Provai ad illuminare altrove, ma non c'era più traccia di niente di sospetto. La civetta volò via, sicuramente disturbata dal mio intervento completamente inutile.

Bè, almeno ero soddisfatta di me.

Non c'erano animali pericolosi o maniaci guardoni, ma era la mia mente ad essere stressata.

Mi costrinsi ad andare a letto. Chiusi la torcia e ripiombai nel buio più assoluto.

La posai sotto il cuscino, sdraiandomi sotto le coperte fresche.

Chiusi gli occhi.

Dovevo star già sognando perchè, prima di piombare nell'incoscienza più assoluta, avvertì uno spostamento d'aria sul tetto. Come di un enorme battito d'ali.


 

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Capitolo 3
*** Uno spiraglio di luce ***


 Saaalve a tutti ^^
mi scuso in anticipo per eventuali errori, andavo un po di fretta.
Non ci sarò per una settimana, quindi ho voluto farlo più lungo eh eh spero che vi piaccia.







Fui svegliata dall'aroma di cioccolata, l'odore squisito proveniva dalla cucina. Sentivo padelle e posate tintinnare, scontrandosi tra loro. Qualcuno stava preparando la colazione, al piano di sotto.

Mi presi qualche minuto per riflettere e fare mente locale.

Non sono a casa mia, sono su di un'isola sperduta nell'Atlantico, insieme alla famiglia che non ho mai conosciuto..

La stanza era in penombra, con tutti quegli alberi a bloccare il sole,era già tanto che non fosse completamente al buio.

Mi presi del tempo per vestirmi. Frugare nell'armadio di mio madre aveva richiesto ben più di un semplice quarto d'ora.

Alla fine, dopo svariate critiche a quasi tutto, optai per un paio di jeans chiari ed una maglietta a maniche corte, con lo stemma di un aquila in volo rigorosamente bordeaux.

Quando scesi di sotto, trovai la tavola apparecchiata per uno. Di sicuro era per me.

La tazza era ricolma di cioccolata densa ed invitante ed accanto, una cesta in vimini strapieni di brioche calde.

«Sei una che dorme tanto, vedo» commentò la nonna, senza voltarsi.

Stava asciugando il lavandino con uno strofinaccio e mi dava le spalle.

«Anzi, oggi mi sono svegliata piuttosto presto» commentai accomodandomi a tavola «Di solito, quando non ho nulla da fare, mi alzo anche più tardi»

Erano le nove, un record per me. Anzi, era anche piuttosto presto.

Nella normalità, avrei dormito fino a mezzogiorno, senza contare che la scorsa notte mi ero addormentata tardi.

«Molto male, Maya» scosse il capo in senso di disapprovazione «Così facendo, ti perdi una parte importante della giornata»

Feci spallucce, iniziando a mangiare.

Non capivo il loro ragionamento. Essendo nata in una grande città, non sentivo tutta questa necessità di svegliarmi all'alba.

Forse loro si, magari svolgevano un lavoro nei campi, anche se non n'è avevo visti, ne avevo sentito Reef menzionarli. Non mi sembrava neppure il clima adatto per coltivare qualcosa.

Quindi, che lavoro svolgevano?

«Nonna, che lavoro fai?»

Lei si voltò verso di me, rimase per qualche secondo zitta, tanto che mi fece dubitare che non avesse capito la domanda.

«Io sono una raccoglitrice»

eh?

«E che cos'è?»

Perplessa, riposi la tazza sul tavolo, completamente vuota.

Quella cioccolata era finita anche troppo presto. A casa, avevo l'abitudine di lasciarne sempre un po nella tazza, perchè quella che rimaneva di solito sul fondo era amara.

Ora invece, neppure mi ero accorta di aver ripulito completamente la tazza.

«Raccogliamo i frutti della terra» mi spiegò pazientemente.

«Ah! Tipo coltivatori»

«No, noi non coltiviamo» sorrise, per poi ritornare a pulire.

Che strano lavoro. Non avevo mai sentito di “Raccoglitori”

Forse era qualcosa che esisteva solo sulle isole, chissà.

Non persi tempo a chiederglielo, l'ambiguità di tutti loro, mi avrebbe lasciato più domande che risposte.

«Ah, Maya, mi sono presa la libertà di invitare Hazel» iniziò la nonna «è da quando ha saputo che saresti venuta, che vorrebbe conoscerti»

Inarcai un sopracciglio.

E chi sarebbe questa?

«Non credo sia necessario, le amicizie le so fare da me» ci tenni a precisare.

«è tua cugina»

Sbarrai gli occhi, sorpresa per quel colpo.

Certo, questo cambia tutto, del resto, non ero forse andata li per conoscere la mia famiglia?

«Ah»

La nonna rise della mia espressione, dovevo essere davvero divertente allora, perchè lo fece con gusto.

«Non fare quella faccia Maya, sono sicura che andrete daccordo».

 

 

 

 

Hazel mi aspettava in giardino, come aveva preannunciato la nonna, era felicissima di conoscermi. Non la smetteva più di sorridere e guardarmi.

Aveva una folta chioma di capelli scuri e ricci, di un castano simile alle cortecce degli alberi, ed i suoi occhi erano del medesimo colore. Non avevamo quasi niente in comune, a parte i vestiti. Jeans e maglietta, semplice.

«Da dove vorresti cominciare?» mi chiese.

Non che avessi chissà quale scelta, quella comunità non mi sembrava una metropoli.

Mi guardai intorno.

C'erano solo due vie da percorrere, a destra e a sinistra.

Davanti a noi c'era il bosco, quindi la decisione ricadeva solo su quelle due opzioni.

«Tu che proponi?» lasciai scegliere a lei.

«Direi che fare un giro per la comunità, sia la cosa migliore per iniziare»

«Perfetto»

Prendemmo la stradina a sinistra, il terreno era accidentato, quindi difficilmente percorribile se non si era muniti di scarpe da tennis!

«Bè» sorrise Hazel «Che dicono gli zii di tutto questo?»

Era strano sentirle nominare i miei genitori come zii. Dovevo ancora farci l'abitudine.

«Ancora non li ho sentiti da quando sono qui, prima di partire abbiamo avuto dei problemi con la linea telefonica ed il mio cellulare è morto, aspetto che si ricarichi.» spiegai brevemente.

Il cellulare era già carico, ma non volevo sentire le loro raccomandazioni ancora e ancora, avevo intenzione di godermi almeno una tranquilla mattinata.

«Perchè non gli invii una lettera?» mi propose «Magari allegata ad una foto!»

Ci pensai su, non sarebbe una cattiva idea. Almeno, si sarebbero calmati un po nel vedermi con un sorriso!

«Si, perchè no?»

Raggiungemmo il paese, non era piccolo, ma neppure grande. Una via di mezzo.

Comunque, era superiore alle mie più tragiche aspettative.

Anche qui, le costruzioni erano in legno e mattoni, tipiche casette di montagna d'altronde.

Superammo un supermercato, Hazel, ogni quattro passi, si fermava a parlare un po con tutti e mi presentava ad altrettante persone.

Anche se il centro era già ricco di gente, gli isolani continuavano a gettarmi occhiate insistenti e curiose.

Odiavo essere squadrata in quel modo, neanche avessi la cresta e il corpo ricoperto di piercing!

«Non te la prendere»

Hazel mi riscosse dai miei pensieri, mi voltai verso di lei corrucciata.

«è normale che ti guardino così, sei tornata a casa finalmente...dopo quanto?» iniziò «diciotto, diciannove anni?»

«Questa non è casa mia» le ricordai.

Hazel non mi rispose, come se non avesse sentito il mio commento, o non volesse sentirlo.

«Oh, vieni a vedere se ti piace qualcosa qui» mi tirò all'interno di un negozio in mezzo alla piazzetta.

Si sentì immediatamente odore di castagne, strano ma vero, era piacevole.

Notai immediatamente dei corni da caccia, fatti d'ossa e pelli di animali.

C'erano cose assai curiose li dentro.

L'uomo al bancone, non alzò neppure una volta gli occhi dal suo giornale. Evidentemente non aveva il timore che potessimo rubare qualcosa.

Mi avvicinai ad un ripiano, era completamente circondato da una protezione di vetro.

Sopra c'era un libro chiuso. Provai a leggerne il titolo, ma era una lingua che non conoscevo.

Sembrava greco.. o forse no. Conoscevo un po il greco e le lettere erano molto simili.

Picchiettai con l'indice sul vetro, provocando un tintinnio che fece voltare l'uomo verso di me.

Non lo vedevo, ma avvertivo il suo sguardo sulla schiena come piccoli aghi.

Scrollai le spalle, per lasciar passare la stizza che mi provocava.

«Maya!» Hazel mi raggiunse.

Tra le mani aveva due blocchetti di carte da lettere e almeno una decina di buste.

«Dov'eri? Ti ho persa di vista!»

«Erano gli ultimi, per fortuna li ho trovati» raggiante mi mostrò la sua conquista «Nascosti sotto un cumulo di quaderni di scuola»

«Va bene, va bene. Ma adesso usciamo di qui!»

La condussi al bancone, dove l'uomo mise via il giornale donandoci tutta la sua completa attenzione.

Abbassai lo sguardo, sulle punte delle mie scarpe, preferivo non dover dare modo di attaccare bottone. Di solito il contatto visivo istigava almeno a presentarsi!

Hazel aggiunse anche tre penne, un numero considerevole di francobolli e altre cose necessarie per spedire una lettera, o una serie di lettere per quanto materiale avevamo.

L'uomo mise il tutto in un contenitore di carta, senza dire una parola.

«è un tipo strano!» non riuscì ad evitare di dire, non appena mettemmo un piede fuori di li.

«Chi? Thor?» lanciò uno sguardo dietro di se «In effetti è... piuttosto particolare, non lo conosco benissimo però»

In meno di un ora, visitammo tutto il centro della comunità. Per di più era composto di negozietti essenziali. Vestiti, edicole, supermercati...

Ritornammo sulla via verso casa dei nonni, Hazel aveva intuito il mio disagio nel stare in mezzo alla gente intenta a fissarmi, quindi per quel giorno aveva deciso di porre fine alle mie sofferenze.

Parlammo del più e del meno. Mi spiegò che ogni fine settimana, un gruppo prendeva la barca e raggiungeva la città per fare rifornimenti.

Comprava di tutto. Dai libri e giornali freschi di stampa al cibo in lattine, fino agli oggetti di uso personale, pettini, specchi e quant'altro.

«E come fate a pagare?» chiesi.

«Ogni fine mese, i giovani come noi, vanno a vendere le risorse dell'isola. Si guadagna molto bene» spiegò con un luccichio negli occhi.

Era evidente che non vedesse l'ora che arrivi l'ultimo del mese!

E approposito di ragazzi, ne avevo visti molti in paese, cosa assolutamente strana visto che era di solito si usciva il pomeriggio. Esposi la mia perplessità.

«Qui ci alziamo presto» mi fece l'occhiolino «Abbiamo un sacco di cose da fare! E poi non vogliono sprecarsi neppure un minuto di libertà, prima che inizino le lezioni tra qualche giorno»

«Frena, frena un secondo!» la bloccai in mezzo alla strada «Siamo a Giugno, la scuola è finita»

«Quasi finita» sorrise lei «I licei concludono tra un paio di giorni»

«Appunto, quindi immagino che ti sarai sbagliata» affermai «Hai detto che le lezioni iniziano tra qualche giorno e...vabbè lascia stare»

Scossi il capo, lasciando perdere. Non mi interessava.

Più mi cercavo di capire, più capivo sempre meno, mi stavano confondendo tutti!

«Quindi che si..» la parole mi morirono in bocca.

Hazel aveva la pelle del viso di un brillante verde chiaro. No, non pelle, squame. Le squame erano tutte ai lati del viso, intorno all'attaccatura dei capelli e attorno agli occhi castani.

Come un eruzione cutanea si sparse sul collo, alle spalle, fino a ricoprire tutte le braccia.

Feci un passo indietro, poi un altro ed un altro ancora. Fino a trovarmi ad una considerevole distanza, sotto lo sguardo stupito di Hazel.

I suoi occhi... Oddio i suoi occhi avevano la pupilla completamente schiacciata ai lati. Una forma affusolata, come quella dei gatti.

«Maya, che hai?»

Serrai per qualche secondo gli occhi, contai mentalmente fino a cinque. Poi li riaprì.

«Maya?!» Hazel si avvicinò «Ma cos'hai? Stai male?»

Feci un profondo respiro, stavo uscendo fuori di testa. Completamente!

Il suo viso era tornato normale, contratto dalla preoccupazione. La sua pelle era rosea e candida. Niente squame, niente mostri.

«Sono stanca, è meglio...che vada a casa»

«Oh, ok» mi toccò la fronte, per poi lasciarmi un mio spazio «Allora, ti passo a prendere uhm... domani pomeriggio?»

«Credevo avessimo già visto tutto del paese»

«Del paese si» ridacchiò «In effetti non c'è molto da vedere! Però dell'isola non hai visto molto»

Giusto, mi mancava fare una piccola escursione nel bosco! La giornate sarebbero passate con i fiocchi.

«Quindi, che dovremmo fare?» cercai di trattenere l'ironia, soprattutto dopo la figuraccia da pazza che avevo appena fatto

«Niente adulti, abbiamo organizzato un falò sulla spiaggia per il tuo arrivo» Il suo sorriso divenne ancora più largo.

Mi stupì per tanto interesse nei miei confronti.

«Ma non dovevate...»

«è un piacere e poi.. è la tradizione!» mi mostrò il pollice in su «Ti passo a prendere alle sei»

 

 

 

 

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La giornata proseguì tranquilla, come previsto, la nonna riscaldò le cose della cena precedente.

Non parlai con loro delle strane cose che mi stavano accadendo, anche perchè neppure io ci credevo molto. Le immagini, che fino a poco fa mi sembravano spaventose, stavano cominciando a sbiadire dalla mia mente, come un ricordo confuso.

Dopo pranzo chiamai mia madre, una conversazione ininterrotta che durò due ore. Dovetti raccontarle tutto il viaggio e la visita di quella mattina.

Mi chiese più volte se stavo bene.

«Ti ho detto di si, per la centesima volta!»

«Sicura? Niente giramenti di testa, niente nausea o mal di gola?»

Non si era mai preoccupata così tanto, nemmeno quando facevo gite con la scuola. Il che è strano, visto che qui ero con i suoi genitori e dovrebbe essere più tranquilla che mai.

C'è qualcosa sotto?

«Niente di niente! Cosa posso fare per farti stare più tranquilla?»

Fece un profondo sospiro ed iniziò a parlare di quanto le mancavo e quanto mi vorrebbe a casa. Poi mi passò papà, ma con lui mi sbrigai in meno di dieci minuti.

Quando riagganciai il telefono avevo l'orecchio dolorante.

Passa il resto del pomeriggio a scegliere a leggere ed a messaggiare con Jessica, la mia amica d'infanzia.

Purtroppo non c'era granchè linea ed i messaggi arrivavano tipo, ogni dieci minuti dall'invio!

Avrei preferito chiamarla ma da lei sarebbe stata notte fonda e sapevo quanto i suoi fossero dei rompi ba... ehm, simpatici!

La giornata successiva non fu meglio di quella precedente, feci un rapido giro da sola, la piazza era sempre piena di ragazzi, la maggior parte sopra i diciassette anni, come aveva detto Hazel, i liceali sono ancora a scuola.

Nel pomeriggio, mi misi all'opera. Passai ore alla ricerca di un qualcosa decente da mettermi, nell'armadio di mia madre c'erano un sacco di cose interessanti, ma alcune era davvero fuori moda!

Avrei dovuto fare un salto al negozio di vestiti che avevo notato quella mattina.

Ma era troppo tardi ormai, mi sarei dovuta accontentare di un vestito verde scuro, che mi arrivava a metà coscia.

Mhm.. almeno era in tinta con i miei occhi.

Udì un colpo di clacson, poi un parlottare giù in cucina.

Doveva essere Hazel, alle sei in punto. Meglio di un orologio svizzero!

«Maya!» mi urlò la nonna dal piano di sotto.

«Sono qui!» sbucai dalle scale, dopo averle percorse due a due.

Hazel si era raccolta i capelli in una coda alta, quei pinocchietti bianchi non li avrei consigliati per una falò in spiaggia ma, tutto sommato stava molto bene.

Dopo aver salutato i nonni, salimmo in auto. Anche quello un fuoristrada.

Lanciai uno sguardo alla villetta accanto alla mia, mi ero dimenticata di chiedere a Reef se volesse venire con noi.

Ma magari era già stato invitato, in fondo, i ragazzi da queste parti si conoscono un po tutti.

Abbandonammo ben presto quella via e le luci del paese divennero solo delle cosine simile a lucciole in mezzo al nulla.

«Hazel» mi voltai a guardarla «Conosci per caso Reef?»

Reef..non sapevo neppure il suo cognome! Bè, anche se non ero sicura che ci fossero tanti tipi che si chiamassero in quel modo sull'isola.

Hazel sembrò irrigidirsi, mostrando anche più concentrazione nella guida, di quanto ne avesse prima.

«Reef..ah..ma certo! Qui, insomma, qui ci conosciamo tutti» cercò di non dare peso alla mia domanda «Ahm.. perchè lo chiedi?»

Feci un sorrisetto, osservandola attentamente.

Era un po arrossita sulle gote, anche con quel buio riuscii a notalo subito.

«Così, è il mio vicino di casa. Lo sai, no?»

«Eh, lo so»

«Mi chiedevo se sarebbe venuto stasera...» giocai con il manico della mia borsetta, molto divertita.

«Dovrebbe, mi aveva detto così lui» si lasciò sfuggire, per poi mordersi il labbro inferiore.

«Dimmi un po» e mi feci ancora più vicina, sempre con quel sorrisetto sulle labbra «C'è qualcosa tra voi?»

L'auto sbandò di colpo, uscendo fuori strada. I bassi rami iniziarono a picchiare sui vetri e sul tettuccio, ma Hazel con un repentino movimento dello sterzo, rientrò in strada. Farfugliò delle scuse, intanto il rossore del suo viso, fu immediatamente coperto da un luccichio verde di squame, che però sparì quasi immediatamente.

Scossi il capo con vigore, era solo un problema di luci...

Solo un problema di luci..

Magari, si era messa solo dei brillantini intorno agli occhi prima di scendere.

«No, non stiamo insieme. Come ti è venuto in mente?» continuò a farfugliare, distraendomi dalla mia pazzia.

«Però ti piace» ghignai «Si vede lontano un miglio»

«è solo un amico...» riprese a mordersi il labbro.

Era un espressione di nervosismo che avevo anche io da piccola, solo che lo persi, quando inizia a masticare chewingum.

Purtroppo...

La voce di Hazel era più chiara di quanto ricordassi, come se mi stesse parlando nell'orecchio.

«Come?» aggrottai le sopracciglia «Cosa hai detto?»

«Ho detto che è solo un amico» ripetè simulando serenità da tutti i pori.

«E basta, non hai detto nient'altro?»

«Si, Maya..» mi lanciò uno sguardo interrogativo

Le sorrisi, un sorriso ancor più finto della sua amicizia con Reef.

Ora sentivo pure le voci, non bastavano le visioni!

Forse sarei dovuta andare da un dottore, dovevo informarmi di eventuali medici sull'isola.

 

 

 

Dopo svariati minuti di viaggio, avvistai in lontananza una luce traballante, ma forte.

Era buio, il sole era calato mentre proseguivamo verso la spiaggia,lasciandoci in mezzo all'oscurità della notte.

«Maya! Ci siamo quasi»

Sorrisi della sua euforia, immaginando il perchè fosse così agitata.

Hazel parcheggiò in uno spiazzo d'erba, notai altre quattro macchine oltre alla nostra.

Era una serata fresca, ma non gelida. Tutto sommato, si poteva stare con un vestito.

Sempre che più tardi non si alzi il vento.

Scesi dall'auto, in spiaggia c'erano un folto gruppo di ragazzi. Un po troppi, per essere entrati tutti in quattro fuoristrada.

Ce n'erano almeno una cinquantina, forse di più. Qui i conti non tornavano.

«Aspetta un secondo, ma..»

«Maya! Finalmente!»

Reef ci corse incontro dalla spiaggia, era munito solo di pantaloncini fino al ginocchio. Il petto era rigorosamente libero da ogni velo!

Gettai un occhiata a Hazel, curiosa della sua reazione alla vista del suo “amico”

Mi trattenni dal sorridere, la mia cuginetta stava cercando di guardare da tutt'altra parte, ma per sua sfortuna gli occhi non la pensavano a suo stesso modo.

«Reef!» gli sorrisi.

Era piacevole rivederlo, potevamo considerarci quasi amici, no?

«Siete le ultime»

«Eh sai, guidava Hazel!» l'attirai vicino a me «è molto prudente»

«Ciao Reef» lo salutò lei, con un gesto della mano.

Voleva fare l'indifferente. Ci riusciva, ed era anche piuttosto brava.

«Hazel» la salutò lui con un cenno del capo.

Mi tolsi le scarpe, avvertendo il fresco della sabbia sotto i piedi. Hazel mi avvisò che quello, era l'unico scorcio di spiaggia dell'isola.

A quanto pare il resto era formato solo da scogliere a strapiombo sull'oceano.

Avvicinandomi al falò, tutti i ragazzi sospesero le loro conversazioni puntando la loro attenzione su di me.

Di solito non mi imbarazzavo facilmente, ma essere fissati in quel modo darebbe i nervi anche alle star del cinema.

Reef e Hazel mi presentarono a quasi tutti i presenti, a molti dei quali, dimenticai i nomi un momento dopo avermeli detti. Altri invece, erano così particolari da esserai impressi nella mia mente come francobolli.

Per esempio, c'erano le gemelle Holly e Angelica, biondissime ai limiti possibili del biondo.

Erano vestite uguali, apparte i colori. Stavano attaccate sempre spalla contro spalla, che quasi mi sorse il dubbio se non lo fossero effettivamente.

Se gli si rivolgeva una domanda, capitava che rispondessero contemporaneamente e con lo stesso tono.

Scoprì da Hazel che erano soprannominate, le gemelle “Eco”. Mai soprannome fu più azzeccato.

Mi avvicinai al falò, avevo le spalle congelate.

Mi sedetti sulla sabbia tiepida, grazie alla vicinanza con le fiamme che l'avevano riscaldata a dovere.

Mi godetti quei piccoli momenti di solitudine, e ne approfittai per dare un occhiata al gruppo.

Erano tutti simpatici, o almeno così mi erano sembrati a primo impatto.

Allungai le mani verso le fiamme guizzanti e mossi le dita, godendomi il calore che avvertivo.

Il fuoco mi avevano da sempre affascinato, esprimeva la forza selvaggia di un qualcosa che non potrà mai essere domato fino in fondo.

Alzai lo sguardo, oltre le fiamme danzanti c'erano un paio di occhi azzurri che mi fissavano.

I peli della nuca si rizzarono, ma non a causa del freddo. Avvertì la medesima sensazione della notte del mio arrivo.

Quegli occhi erano incorniciati da un visino niente male. I capelli erano scuri, non riuscivo a decidere, però, se fossero neri o castani. Era buio e non si distinguevano troppi particolari.

Il fuoco aveva preso ad agitarsi, come se Zefiro gli stesse soffiando addosso con forza. Ma non c'era neppure una punta di vento quella sera.

Accennai un sorriso a mo di saluto.

Il signor bel-visino inarcò un sopracciglio, per poi voltarsi a parlare con un gruppetto di cui non conoscevo nessuno.

Sbarrai gli occhi incredula.

Dopo tanta gentilezza nei miei riguardi, quello era il primo atto scortese che avevo subito da quanto ero sull'isola!

Il mio carattere mi imponeva di alzarmi e andargliene a dire quattro a quello stronzo la dietro. L'avrei anche fatto, se non mi avesse raggiunta Hazel con un piattino tra le mani.

L'odore che avvertivo, mi fece venire l'acquolina in bocca, facendomi dimenticare per un istante quello che mi era successo.

«Guarda che ti ho portato!»

Si sedette accanto a me, con un sorrisetto mi porse il piatto.

Erano degli spiedini di carne deliziosamente arrostiti, mi trattenni dall'addentarmi come un lupo che non mangia da giorni.

«Grazie, ci voleva proprio» bofonchiai.

«Che c'è?» mi guardò interrogativa «Non ti piace qui?»

«Sono tutti fantastici a dire il vero, tranne quel tipo!»

Non persi tempo a dirglielo, perchè girarci intorno?

Indicai con l'indice il gruppetto oltre alle fiamme, ma descrissi il tizio che mi aveva voltato le spalle così spudoratamente.

«Ah..» rispose solamente.

Ah? ah cosa?

Non era una risposta decente, volevo delle spiegazioni visto che lei li conosceva più di me.

«Ebbene?» insistetti.

«Meglio che non te la prendi troppo» ritornò a sorridere «Drake è fatto così»

Drake eh?..

«Quindi, lo fa con tutti?»

«Ehm no, però è il suo carattere, quindi non inimicartelo suo padre è il capo della comunità e lui è destinato a succedergli un giorno»

«Suo padre è il sindaco quindi» feci una smorfia «Se non vi piace come gestisce le cose, alle prossime elezioni votate qualcun altro, no?»

Hazel scoppiò a ridere divertita, non l'avevo mai sentita ridere così di gusto.

Non che la conoscessi da molto.

«Sei divertente» mi diede un colpetto affettuoso sul braccio

Che avrò mai detto di divertente?

«Bella serata, vero?» un eco attirò la mia attenzione.

Angelica e Holly presero posto vicino a noi, la loro presenza non mi diede fastidio anzi.

«Perfetta per un falò!» rispose Hazel, addentando la sua carne.

Feci lo stesso anche io, era diventata tiepida, ma il sapore era comunque buono e gustoso.

«Che sapete dirmi del signor voltafaccia?» chiesi anche a loro.

Le gemelle Eco mi fissarono stranite, poi Hazel spiegò loro di chi stavo parlando e della vicenda che avevo passato.

«Lascialo perdere» dissero contemporaneamente, una volta che i loro dubbi furono chiariti.

«Drake è forte, ma piuttosto antipatico» iniziò Angelica.

«Se la tira parecchio» aggiunse Holly lanciandosi uno sguardo d'intesa con la sorella.

«Molto più che parecchio» ridacchiò Hazel dandole manforte.

«Va bene, ho capito» ghignai «è uno stronzo insensibile e arrogante, ricevuto»

Tutte e tre mi fissarono, annuendo daccordo con me. Poi scoppiammo a ridere senza un motivo preciso.

La serata passò così, ridendo e scherzando con quelle ragazze. Ci raccontammo un po di tutto, anche se loro rimasero molto riservate su certi argomenti personali, mentre io non avevo freni per nulla. Non avevo dei segreti così inconfessabili da tenere nascosti, la mia era una vita piuttosto banale.

Ogni tanto lanciavo, sguardi al gruppetto poco lontano con cui Drake, alias Stronzo, si era messo a discutere.

La rossa, accanto a lui, mi lanciò uno occhiata tutt'altro che amichevole. Se fosse stato fuoco, mi sarei bruciata sicuramente.

Mantenni lo sguardo sul suo, non volevo farle intendere che mi intimoriva. Ci vuole più che un paio di occhioni gelidi per farmi scappare via a gambe levate!

«La odio..» sussurrò Angelica accanto a me.

Quando la rossa distolse lo sguardo da me, accigliata, io potei fare lo stesso.

Mi voltai verso Angelica.

«Di chi parli?» chiesi, anche se avevo il vago sospetto di sapere chi sia.

«Pyxis»

Mi morsi il labbro inferiore, per non scoppiare a ridere come una matta.

Ma che razza di nome era Pyxis?!

Eppure Reef mi aveva avvertito che avrei trovato altri nomi strani sull'isola.

Holly indicò, cercando di non farsi accorgere, la ragazza con i capelli rossi di poco prima.

Si, l'avevo intuito.

«Ce l'ha, la faccia di una Pyxis» commentai.

«In che senso?» ridacchiò mia cugina.

«Bè, un nome altisonante, fuori dal comune e pure un po da barbie» spiegai ovvia.

«Giusto!» esclamarono allunisono le gemelle Eco, apprezzando il mio commento.

Andammo avanti a parlare per quel che parvero ore, qualcuno accese pure la musica ed un assortito gruppetto si mise a ballare.

Poco prima di andare via, si unirono alla nostra compagnia di ragazze, anche Reef ed un suo amico, che sicuramente avevo conosciuto al mio arrivo, ma che ora avevo dimenticato il nome.

Però,con quei capelli ondulati e castani e quegli occhi verdi come i miei, aveva la faccia di un Jack! O di un Tom.

Ormai ero fissata con i nomi abbinati ai visi, ogni tanti mi voltavo a squadrare alcuni ragazzi intorno a me, per associare loro un nome.

«Ashton si chiedeva cosa facevate qui, tutte sole» Reef si sedette accanto ad Hazel e Angelica. La mia cuginetta divenne improvvisamente silenziosa.

Ashton quindi, bè.. non era tanto lontano dalla seconda opzione, Tom!

AshTon e Tom, più o meno erano uguali.

«Disturbiamo?» chiese Ashton prendendo posto accanto a me.

La luce del falò, con il tempo, si era decisamente dimezzata. Non faceva più nemmeno quel calore bollente che mi piaceva tanto.

«No, stavamo parlando di voi maschi e di quanto siete stupidi» iniziò Holly, con un sorrisetto.

«Quindi, se volete beccarvi tutti gli insulti come rappresentati del genere maschile, siete i benvenuti» concluse la frase la sua gemella.

«Direi che è perfetto!» commentò Ashton entusiasta.

Iniziò una fervida discussione tra loro, quindi rimasi ad ascoltarli sentendomi d'impiccio.

In quel lasso di tempo, in cui rimasi zitta, capì tre cose assolutamente curiose e strane.

Prima di tutto, l'isola dove abitavano, si chiamava semplicemente Isola.

Secondo, tutti i loro nomi, o quasi, erano tratti dalle piante, minerali e fiori.

Hazel, si capiva, era il nome di un fiore. Angelica idem, Holly invece, era il nome inglese di Agrifoglio.

Reef era palese, la barriera corallina. Mentre Ashton, scoprii, significava “insediamento di Frassini”

Terzo, ma non meno importante, stavano parlando di alcune lezioni che sarebbero iniziate da li ad una settimana, anche meno.

Ah, si, c'era pure un quarto punto. Avrei dovuto partecipare anche io!

L'ultimo punto mi mise in ansia, non ero di certo venuta la per studiare. Ero incredula ed irritata.

Non sarei andata a lezione per niente al mondo, piuttosto mi sarei buttata dalla scogliera.

«Scusate un attimo» bloccai la conversazione, con uno sbuffo scocciato «Io non ho assolutamente intenzione di ritornare sui libri, specie ora che è estate»

Che lo capissero una volta per tutte. Sarei andata a dirlo pure ai nonni, poco ma sicuro.

I cinque mi guardarono interrogativi, poi Angelica lanciò uno sguardo a Reef.

Quello sguardo valeva più di mille parole, c'era qualcosa sotto. Ora, ne ero certa.

«Ora basta...» sibilai arrabbiata, non con loro in particolare, ma con tutta quella situazione, che era diventata assurda man mano che il tempo passava «Ditemi cosa c'è sotto!»

Loro si guardarono indecisi, avevano un espressione che aveva un non so che di colpevole.

«Maya..» iniziò Reef con un sospiro. Era afflitto, si vedeva. Non sapeva da che parte cominciare «Tutti noi credevamo che avessi già superato la metamorfosi, però in barca, quando ti ho sentita parlare in quel modo così..»

«Ignorante?» provai ad aiutarlo, con un grugnito.

«Bè, non era esattamente la parola che avevo in mente però..» accennò un sorriso «Insomma, sembravi scesa dalle nuvole. E poi abbiamo capito che non sapevi realmente nulla dell'isola, ne della tua vera natura così..»

«Abbiamo aspettato» si intromise Hazel, colpevole «Credevamo che facendoti ambientare, tempo qualche giorno l'isola ti avrebbe dato la spinta.»

Aggrottai le sopracciglia, contrariata.
Ma di cosa andavano blaterando?!

«Non vi capisco!» esplosi «Ma che state dicendo?»

«Siamo draghi» tuonò una voce dietro di me. Rabbrividì da capo a piedi, una sensazione sgradevole e piacevole allo stesso momento.

Mi voltai. Drake stava in piedi, accanto al fuoco scoppiettante.

Il resto dei ragazzi si zittì. Mi sembrò che all'improvviso qualcuno avesse spento l'audio, perchè udì solo il battito del mio cuore nella testa.

«E questo è il tuo primo Anno di fuoco, ed ancora non ti sei trasformata nemmeno una volta, come tutti qui, hai passato la Tempesta di Fulmini» proseguì guardandomi fisso «Esattamente ad Imbolc, a metà tra il Solstizio d'Inverno e l'Equinozio di primavera. Sono sicuro, che te lo ricordi»

Mi raggelai all'istante. Ricordavo una temporale, qualche mese fa.

Era stata la tempesta più spaventosa che abbia mai visto. Quella notte, avevo avuto il desiderio di rintanarmi nel letto dei miei genitori, proprio come facevo da piccola.

E ricordavo il luccichio rosso della mia pelle, il mio corpo in fiamme e la bocca secca. Avevo avuto la febbre, le memorie erano poche, ma vivide. Il rombo dei tuoni erano simili a ruggiti arrabbiati, potevo sentirli anche ora se ci ripensavo.

«Draghi?» sbuffai beffarda balzando in piedi, scacciando l'inquietudine «Siete tutti matti! È ora di crescere ragazzi! Non viviamo nell'isola che non c'è»

Feci per andarmene, quando me lo ritrovai a pochi passi da me. Non avevo notato la sua mole da lontano.

Wow... è messo bene però

Mi diedi mentalmente della stupida, questi sciocchi pensieri da ragazzina in un momento del genere erano proprio comici.

«Spostati!» puntai i miei occhi nei suoi, con sguardo di sfida.

In quel momento, una parte del mio cervello, aveva compreso che forse..non era stata proprio una buona idea.

Lui non la prese bene, il suo viso si contorse in una smorfia arrabbiata.

E i suoi occhi divennero sottili lame nere, luminose alla luna. Solo il bell'azzurro dell'iride era rimasto intatto.

Intorno al suo viso, comparvero delle squame nere che riflettevano le fiamme cadenti del falò.

Feci un passo indietro, pietrificata.

Mostro!

Gridava il mio cervello come un ossesso.

«Maya.. ascolta..»

Hazel si mise accanto a me, toccandomi un braccio per tranquillizzarmi.

Mi scostai, come se mi fossi bruciata.

Lei era esattamente come tutti loro, stesse pupille a gatto, solo le squame cambiavano di colore, le sue erano verdi come ricordavo.

«Maya!! aspetta un attimo!! Maya!»

La voce di Hazel era un eco lontano nella mia testa.

Le mie gambe si erano mosse da sole, spronate da un istinto vecchio miliardi di anni.

Mostri! Tutti mostri!

Non sentivo più la soffice sabbia sotto i piedi nudi, ma piuttosto il ruvido terreno. Non riuscivo a capire se mi stessero seguendo, negli orecchi avevo solo il cuore come un martello.

Mi mancava il respiro, non sapevo dove stavo andando. Il paesaggio era tutto uguale. Alberi e cespugli.

Dovevo tornare a casa, lontano dall'isola, lontano da tutti loro.

Mi fermai un momento, il dolore al fianco era diventato tale da impedirmi di proseguire. Poggiai le spalle ad un tronco, deglutendo.

In un gesto spontaneo, posai il palmo della mano contro le labbra, cercando di attutire il mio respiro affannoso.

Un fruscio in fondo al bosco mi mozzò il fiato.

Calma.. calma, il panico porta solo guai, solo guai..

Mi ripetei quella frase nella mente per qualche secondo. Dovevo ragionare.

Una luce attirò la mia attenzione, scostai i rami che mi impedivano di vedere.

«Il faro...» bisbigliai tra me.

Da li, potevo sicuramente vedere se c'erano navi in vista.

In quel momento, avevo un'adrenalina tale da avere la grinta di farmela anche a nuoto se necessario!

Però, dal boschetto fino al faro, c'era un bel po di strada da fare senza protezione. Completamente sgombra di ogni tipo di vegetazione.

Solo rocce umide e fredde.

O la va o la spacca.

Contai mentalmente fino a tre, poi mi buttai. Corsi a perdifiato verso quell'enorme struttura. Bianca e grigia, era molto più alta di un palazzo di sette piani.

Quella luce, fin da quando la vidi la prima volta, mi aveva dato un senso di protezione. Sapevo che era il posto giusto dove andare.

Una volta dentro, salì quelle scale a chiocciola. La fitta al fianco si fece risentire presto, ma tirai fino alla meta senza fare altre pause.

Ero alla vetta, dopo aver aperto una botola, mi issai al vertice del faro.

La luce non era così accecante come mi immaginavo, ma soffice e pacata.

La sensazione avvolgente si ripresentò più dolce che mai, tutte le preoccupazioni placarono facendomi sentire bene.

Non ero sicura, ma avevo l'impressione che, il lampeggiare della luce, andasse contemporanea al battito del mio cuore.

Mi avvicinai, spinta da una curiosità più forte della paura.

Non era una lampadina normale al centro di tutto, ma qualcosa che aveva la forma di un cristallo. Allungai una mano, volevo toccarlo

Un ombra mi bloccò, facendomi voltare verso il balconcino del faro.

Drake si fece avanti, sereno.

«Ne hai ancora per molto?» chiese.

«Sei un mostro...» strinsi i pugni, grazie alla luce potevo ragionare senza paura.

«Se hai finito, vorrei riportarti da tua cugina. È preoccupata» non fece caso ai miei commenti.

La sua faccia, era la tipica faccia perfetta da prendere a schiaffi.

«Come sei arrivato fino a qui?»

«Trucchetti che imparerai a fare anche tu, forse» fece spallucce annoiato «Ora vieni? O devo trasportarti con la forza?»

Ancora non potevo crederci, eppure l'avevo visto con i miei occhi.

«Non sono matta vero?» feci un respiro profondo «Insomma, è tutto vero quello che visto?»

Non mi rispose. Non né aveva bisogno tra l'altro, avevo già capito da sola.

E pensare, che nemmeno mi piacevano i fantasy!

I draghi non li avevo mai trovati particolarmente attraenti, non come i vampiri almeno, o i lupi mannari.

Poi gli gettai un occhiata, forse avrei dovuto rivedere il mio giudizio su di loro.

Ero insolitamente tranquilla, ma sospettavo fosse grazie a quella luce.

«Che cos'è?» la indicai.

Lui seguì il mio sguardo e decise che mi avrebbe risposto questa volta.

«è un cristallo fantasma» disse «Quarzo di rocca potenziato»

«un cristallo...» ero sorpresa, ecco perchè quella strana forma.

«Questa sensazione di benessere è provocata proprio da esso» spiegò «tu non la noti, ma l'isola è avvolta dalla foschia oceanica, e la luce del faro è l'unica fonte di aiuto per i draghi originari di qui, per ritrovare la strada nell'oceano. Chi perde la strada, sa cosa seguire»

Deglutì, mi ero sentita enormemente attratta quando la notai dal mare.

Quando alzai lo sguardo, mi accorsi che lui mi stava fissando attentamente, io non feci una piega, anche se sentivo un certo imbarazzo.

«è una fortuna che tu non l'abbia toccata» riprese.

«Perchè?» aggrottai le sopracciglia, perplessa.

«Perchè ti avrebbe uccisa all'istante»

Sbarrai gli occhi, allontanandomi di qualche passo da quel cristallo così bello e così pericoloso.

Mi guardai le dita, c'era mancato davvero poco!

«Stai dicendo sul serio?»

«No, scherzavo» tagliò corto lui senza ironia «Ora andiamo»

Gli gettai un occhiataccia, mi aveva fatto prendere un colpo.


 

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