Helena

di Wallie
(/viewuser.php?uid=156463)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciao, vorresti essere mio amico? ***
Capitolo 2: *** Hellsing, Capo Dipartimento Auror. ***
Capitolo 3: *** Il passato di mio padre. ***
Capitolo 4: *** APRITI SESAMO! ***
Capitolo 5: *** Camera Blindata Numero 1453 ***
Capitolo 6: *** Eredità ***



Capitolo 1
*** Ciao, vorresti essere mio amico? ***


Helena



Mi chiamo Helena. Ho sempre reputato bellissimo questo nome, anche perchè vuole dire 'Raggio di sole', purtoppo non c'entra molto con me perchè fa molto contrasto con il mio comportamento e il mio cognome..
Io mi chiamo Helena Alice..
Anzi, meglio di no, il cognome lo vorrei tenere per dopo, altrimenti finirei per rovinare un'amicizia che forse potrebbe durare, perchè mi piacerebbe instaurare un bel legame con te, caro lettore, che stai sfogliando con gli occhi queste righe scritte da un dodicenne
Tornando a noi, rovinare una probabile o futura amicizia con la menzione di un cognome è una cosa pazza quanto stupida.
Se non lo sai -e molto probabilmente, non lo sai davvero-, il mio cognome allontana da me molte, molte persone che non hanno la fantasia di usare il cervello che Dio gli ha donato, e pensare per un momento che è il mio cognome a portare sfiga -se proprio vuoi essere superstizioso, altrimenti è una balla anche quella- e non sono io la bambina maledetta da chissà quale incantesimo.
Difatti, questa assurda storia mi ha portato a passare un'infanzia piena di solitudine e vuoto, che veniva riempito dal canto dell'usignolo che tenevo ingiustamente ingabbiato e che si sfogava con me, cantando a squarciagola, tutte le volte che non gli permettevo di farsi una volatina intorno alla stanza per fargli sgranchire le ali; dal suo canto leggermente incazzato deriva il suo nome: Hellsing -tradotto 'Canto del diavolo'-.
Dopo il devastante abbandono da parte di mio padre di quando avevo appena cinque anni scarsi -secondo alcune fonti li avrei compiuti qualche mesetto dopo- venni presa in adozione da una famiglia che mi trovò per fortuna incastrata in un cesto di vimini per una strada sperduta della periferia di Londra, uno di quei luoghi dove l'unico essere vivente che osa camminaraci è un cane rabbioso.
La famiglia in questione è di origini messicane: Janira Suarez e suo marito Pablo Lopez, con il figlioletto di nome Juan.
Okay, la cosa è fastidiosa perchè, tutte le volte in cui i due genitori litigano escono sempre fuori delle urla dalla cucina rigorosamente messicane, del tipo 'Carroña' da parte di lei e '¡Ay, chingate güera!' da parte di lui. Tra l'altro il figlio è un mio coetaneo che, maledico il giorno in cui mi hanno trovata per strada, ha il delizioso hobby di tirarmi i capelli che commenta con 'Bellissimi ricci neri' e annessa la mia risposta 'A me non interessa, smettila di tirarli o ti faccio cambiare sesso' che lui non calcola come minaccia perchè sa che se mi azzardo a tirargli un calcio mi arriva un proiettile in mezzo al petto da parte della madre con tanto amore -per lui-.
Frequentavo una scuola elementare di basso grado, con insegnanti che avevo trovato la laurea come sorpresina nei cereali e bidelle così irose che se trovavano residui di gomma per terra chiamavano le forze dell'ordine descrivendo l'accaduto in modo così grave e ingigantito che la polizia arrivava con l'FBI.
Ricordo che lì avevo un amico, si chiamava Harry Potter; anche lui era stato adottato, però i suoi genitori erano morti in un incidente d'auto dove lui, presente durante l'accaduto, non si fece nulla a parte una cicatrice a forma di saetta sulla fronte.
Mi descrisse un giorno suo cugino, disse che aveva una zazzera bionda sulla testa e due occhi marroni, 'Non sembra male' dissi io, lui rise di gusto per poi aggiungere 'Infatti dovrebbe essere molto carino se non fosse che mangia come un invasato e che non lo fanno entrare al cinema per quanto è largo'.
Devo ammettere che Harry non me lo aspettavo così pronto a scherzare dopo quello che aveva passato, mi sarei aspettato più un bambino insicuro e sottomesso..
Quanto avrei voluto essere come lui; io serbavo rancore da una vita contro quell'uomo che mi aveva lasciata sola per strada tra le fauci prominenti di un cane incazzato con il mondo e contro una madre, se mai fosse esistita, che glie lo aveva lasciato fare.
Torniamo a quel famoso Harry Potter di cui vi stavo parlando, tagliando corto sulla nostra bellissima amicizia, volevo arrivare al dunque più bello della mia vita: a lui diedi il primo bacio. Cioè, più o meno, e lui che diede il primo bacio a me; fu lui ad avvicinarsi piano piano e a poggiare le sue labbra sulle mie per lungo tempo -con un abbraccio consolatore-.
Mi piacque molto, devo ammetterlo. Ci baciammo l'ultimo giorno delle elementari, lo presi come un saluto, come un arrivederci, anche se suo cugino Dudley, che ci aveva beccati mentre ci baciavamo, aveva spifferato tutto ai suoi genitori che stavano facendo di tutto per allontanarlo da me, quindi, più che un 'Arrivederci' sarebbe stato un 'Addio e stammi bene'.
Ma, lasciando da parte le relazioni con il mondo esterno, volevo parlarvi di una cosa che mi accadde il tredici giugno dell'anno scorso, mentre Janira preparava la colazione. Era mattina, finita la scuola da una settimana, quando aprì gli occhi mi ritrovai la gabbia di Hellsing aperta e, mentre mi disperavo nel cercarlo, mi cadde sulla fronte un biglietto. Okay, non ricevevo mai lettere, tantomeno non me ne cadeva mai nessuna sulla fronte.
Era indirizzata a me, non c'era dubbio, vidi il mio nome scritto per esteso sul retro, con la via e addirittua la stanza della casa -terza stanza a destra infondo al corridoio del terzp piano-.
''Janira, Janira! Ho ricevuto una lettera!'' gridai euforica dal terzo piano -mi rifiutavo di chiamarla 'Mamma' o 'Madre'-
''Fammi leggere!'' rispose titubante.
''Tesoro! Come il tuo papà!'' Tesoro?! Tutto questo affetto, Janira?
''Non vediamo l'ora di portartici, Helena!'' dissero padre e madre mentre di stringevano in un abbraccio.
Beh, non c'è bisogno di dire da dove proveniva la lettera, perchè, se state leggendo queste righe, ci siete arrivati da soli, vero?
Comunque piacere, Helena Alice Riddle; vuoi essere mio amico?


Angolo dell'autrice:
SBADABAAM.
Il mio angolino piccino piccino >=D
Ciau. Come state? Tutto bene, sì?
Okay, lei è Helenaa! *spara coriandoli*
Voglio che la immaginiate, più o meno, così http://i40.tinypic.com/29urkgn.jpg
Chiamarla 'Raggio di sole' con quel comportamento obbobrioso e quel cognome che trasmette proprio le parole 'Signore Oscuro' è stata una folgorazione stupida durante l'ora di francese.
Allora, per chiudere questo angolino demenziale vi traduco lo spagnolo '
Carroña' =Carogna.
                                                                                                                          
'¡Ay, chingate güera!'= Fottiti, bionda! Delicata come sempre :').
Wallie-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Hellsing, Capo Dipartimento Auror. ***


Helena.

Un favorino per Wallie: Siete fan dei Thirty Seconds to Mars? Ecco bene, io conosco una scrittrice (di EFP) che scrive in modo SUBLIME e che mi aiuta sempre, in qualche modo, quindi vorrei farle un po' di pubblicità.
E' davvero bravissima e vi spronerò in tutti i modi possibili a leggere le sue FANTASTICHE storie.
Ora, spero leggerete le Fic di _Doll (che ringrazio e Saluto) e vi auguro una buona lettura :D



"Aspetta, cosa?''
''Sì, una 'Scuola di magia e stregoneria', figliuola!'' gridò isterica Janira.
'''Cosa?''
''SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA'' ribadì la bionda.
''Cosa?''
''Helena.''
''Sì?''
''Un'altra volta Cosa e ti faccio provare in modo molto ravvicinato la katana di tuo padre'' sibilò.
''Cosa?''
''Mi stai sfidando, nanerottola?'' abbaiò.
''E se anche fosse? Cosa mi farai? Se ti becca Pablo con quella katana millenaria fra le mani, la farà provare in modo molto ravvicinato a te'' socchiusi gli occhi, calcando bene il tono sulla parola molto.
Dopo aver compreso che guardarci in cagnesco per ore non rispondeva al mio ripetitivo Cosa? le chiesi perchè se ne era uscita con la frase 'Come il tuo papà!', perchè, per quanto fossi intelligente e perspicace, nell'archivio della mia psiche non risultava affatto che Pablo fosse un mago, uno stregone, o qualsivoglia creatura con poteri straordinari esistente sulla terra.
Non mi risultava fosse stato neanche Gandalf o Oz, ma qualcosa potevo ignorarla. Era plausibile -no, per niente- che lui in passato fosse stato Merlino e avesse aiutato Re Artù a estrarre la spada dalla roccia.. Oppure quel mago\alchimista di Panoramix, e avesse creato una pozioncina per farti diventare imbattibile. Infine, potrebbe anche essere stato l'inventore degli spinaci di Braccio di Ferro che, per quanto inutili nella realtà, nel mondo dei cartoni animati erano una svolta.
'Oooh! L'ho davvero detto? Non ricordo! Devo essermi sbagliata, piccina'' rispose titubante ''Vuoi del tè? Latte? Camomilla? Tisana? Caffè? Ginseng? Acqua? Coca Cola?''
Andò avanti per mezz'ora, elencando tutte le bevande esistenti su questo mondo, senza escludere nemmeno: Tequila, Wiskey, Rum, Martini e Martini Dry, non accorgendosi che quell'elenco non mi aveva fatto dimenticare l'ipotetico papà mago.
Quella lista, più che farmi scordare la domanda, fece svegliare quella 'Bestia' di Juan, che salutò la famiglia scatendando il suo fornitissimo vocabolario da scaricatore di porto ''MAMMAAAA! Cazzo ti urli? Sto cercando di dormire, porca merda! Forse tu e quella mocciosetta non vi siete accorti che stiamo durante le VACANZE ESTIVE, stupide microcefale!'' e ci salutò con il soave BUM della porta e il dolce PATATRACK del cornicione che cadeva a terra.
Janira spalancò la bocca e così feci io. Lei più per il cornicione e per il linguaggio scurrile del figlio undicenne, io più per la parola Microcefale che era volgarmente uscita dalla sua bocca. Davvero Juan conosceva quel vocabolo? Sapeva dell'esistenza di esso? Poi ci ragionai e mi venne in mente un ipotesi più plausibile: la conosceva ignorandone il significato. Non si diventa geni in un giorno, poi, si stava parlando di Juan che aveva il quoziente intellettivo pari a quello di un ornitorinco; anzi, non offendiamo quella povera specie.
Un clack provenne dalla porta d'entrata: Pablo era tornato dal turno di notte all'Ospedale.
Un'occhiataccia da parte di Janira e due secondi dopo ci ritrovammo a prenderci a cazzotti mentre scendevamo come due invasate le scale; motivo? Lei voleva far zittire suo marito, io volevo ''Estorcergli'' la verita e, dato che non ero molto amichevole quando mi sentivo presa per il culo -sì, detto proprio papale papale-, la donna cercava anche di tenere in vita sua marito.
Pablo, sentendoci urlare omicidi progettati sul momento, corse a vedere cosa stavamo combinando.
Non rimase esterrefatto dal comportamento della moglie -che il più delle volte partiva di testa e se la prendeva con l'essere vivente più vicino a lei- ma spalancò la bocca nel vedermi con un tagliacarte puntato sulla gola della donna che tremava, sapendo perfettamente che se solo avesse contraddetto ciò che dicevo, il coltellino sarebbe erroneamente caduto NELLA sua faringe.
'Eri un mago?' partì per iniziare quella che sarebbe stata la più strana conversazione della mia vita.
Deglutì, ma non rispose. Il suo pomo d'Adamo salì e riscese, ma la sua bocca non si aprì.
'Insomma. Devi solo dire sì o no!' gridai esasperata.
'Non capisco cosa intenti, Helena' si slegò la cravatta; sudava.
C'è qualcosa che non quadra.
'Come fai a non capire, Pablo! Hai mai detto Abra Cadabra e dalla punta della tua bacchetta bianca e nera è uscito uno sprizzo di luce?' ero immersa nella follia, ma me ne accorsi solo dopo, quando guardai il tagliacarte sulla gola di Janira e mentre ripensavo a ciò che avevo detto; sì, ero uscita di senno.
Sta volta, buttò la cravatta a terra e della sua aria autoritario non restò nulla: il volto spento e gli occhi che fissavano la moglie sia con paura che con rabbia.
Quella donna aveva detto qualcosa che non doveva dire..
'Aspetta' persi un'attimo la sguardo nel vuoto.
Janira aveva detto -cito testuali parole- ''Tesoro! Come il tuo papà!'', okay, fin qui ci siamo.
Ma Janira non si era mai riferita a Pablo, mentre parlava con me con lo pseudonimo di Papà..
E se fossi stata presa in giro per tutti questi anni, se loro fossero stati i miei 'VERI' genitori da sempre?
Oppure..
'Voi non mi avete trovata per caso nei sobborghi di Londra, vero?' proruppi spezzando quel teso silenzio 'Il mio VERO padre, mi ha lasciata a voi quand'ero piccina, ho ragione?'
fissavo il vuoto, temevo di avere ragione, speravo nel loro silenzio, nella loro negazione.
Mio padre non mi voleva affatto se mi aveva donato a loro senza biglietti, lettere o quant'altro.
'Helena.. noi-'
Un fischiettio ritmato scese le scale interrompendo la risposta di Pablo.
Hellsing.
'FOTTUTO UCCELLACCIO! Ora dovevi comparie?!' me la presi con l'usignolo. Doveva comparire in un momento di tanta tensione?! Non compare mai nel momento giusto?!
'Fottuto uccellaccio a chi, scusa?' una voce gelida provenì da Hellsing.
'Cribbio, l'uccello ha parlato!' feci cadere il tagliacarte, che sfiorò appena la gola di Janira che non esitò a correre e a nascondersi dietro il marito -più basso di lei-.
Un PUFF e il 'FOTTUTO UCCELLACCIO' si trasformò in un uomo alto dai capelli rossi e gli occhi azzurri.
'Sì, certo. Adesso che succede? Il nostro gatto sputa fuoco, è Pablo?' fissai l' -ex- uccellino che si era appena tramutato in una persona, con un ghigno folle sul volto.
Ognuno aveva puntato lo sguardo sull'altro.
Il mio ex-usignolo mi fissava con un sorriso amichevole, io lo fissavo con un'espressione sconvolta e curiosa.
'Avevi detto quindici anni, Jacobson' proruppe Janira irata.
'Era arrivata la lettera, dovevo comparire' spiegò Jacobson.
'A noi non interessa, Stewart.. Adesso la racconti tu la verità alla bambina' lo rimproverò di nuovo la donna.
'Chiamami per cognome, Suarez' rispose indignato il sopracitato.
'Cos'è 'sta roba, eh?' interruppi il loro inutile litigio; ora il punto, la sfigatella incoscente ero io, dovevano spiegarmi dettagliatamente tutto quanto.
'Okay, Riddle, dovrò farti vedere il tuo passato a quanto pare..'
'In che modo?'
'Ora vedrai' ammiccò e mi ordinò di chiudere gli occhi.
Immagini ovattate comparsero davanti a me.



Angolo dell'autrice:
Oggi non vi ruberò tempo con i miei stupidi ragionamenti sull'esistenza della vita e dell'universo D:
Capitolo due, eccolo quaa *spara coriandoli*.
Lui è Stewart Jacobson.     
Ora vi Zaludo.
Giau. (dono raffreddata :'D)



Wallie-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il passato di mio padre. ***


Helena





Le immagini sfocate si muovevano sinuose davanti al mio sguardo.
Un ragazzo.
Bello. Bello e attraente come il diavolo.
Sdraiato su una distesa verde, con un imponente castello davanti, il vento che gli scompigliava i capelli scuri.
Una ragazza si avvicinò a lui. Anche lei era bellissima: con una mano scostò delle ciocche dal volto del giovane.
'Tom. Sveglia, tra poco ricominciano le lezioni' sussurrò.
Doveva essere svegliato per andare in classe, ma lei, in cuor suo, sperava di poterlo ammirare ancora mentre dormiva.
Tom biascicò qualcosa poi aprì gli occhi.
'Sì, andiamo' sorrise il ragazzo.
Si allontanarono mano nella mano verso il castello di pietra e, mentre tutti gli altri ragazzi correvano frenetici, loro due andavano a passo lento verso quella reggia enorme.
Le immagini si mescolarono in un intruglio grigiastro e dal nulla ricomparse lo stesso ragazzo in una diversa situazione.
Tom, da qualche secondo prima, era cresciuto di circa cinque anni. Non era più un bambino, anzi, era forse quasi adulto. Quasi diciassettenne, per buttare un età.
Seduto sulla scrivania, con una mano bianca si tormetava i capelli scuri, con l'altra rigirava una piuma. I piedi distesi su un'altra sedia, accavallati senza scarpe. Un diciassettenne in procinto di studiare.
La visuale si spostò dietro di lui e, distesa dolcemente sul letto, una donna addormentata. I capelli ricci che le sfioravano il viso, le labbra socchiuse e le mani nivee che tenevano strette le lenzuola. Tom si alzò dalla poltrona dove studiava e si avvicinò al letto. Con le dita affusolate accarezzò la guancia di lei, che rabbrividì alla freddezza di quelle mani e si rigirò nel letto, tirando verso se le coperte.
Doveva essere successo qualcosa di molto importante, quella sera. Non ero stupida, ci arrivavo che quella era la famosa notte d'estate in cui Helena Alice Riddle era stata concepita da un giovane rampollo e da una ragazza meravigliosa.
Le immagini si confusero di nuovo, tornò quel misuglio grigio e poi si vide un altro quadretto.
Una donna disperata dal volto magro e scavato, i capelli ispidi, le braccia magre che tenevano strette un neonato e una figura incappucciata.
Sta volta le persone parlarono. Si sentì la voce tremante della donna supplicare ''Sei sicuro? La vuoi davvero abbandonarla a questo destino? Rimane tua figlia!''
Le lacrime solcavano i lineamenti spigolosi della donna, una smorfia colma di tristezza. Un volto rovinato dalla magrezza e dalla paura.
''Non abbiamo altra scelta'' una voce roca, senza sentimento, provenì dall'uomo incappucciato, che sfoderò una mano bianca e lucida e schiaffeggiò la donna che cadde a terra, proteggendo la bambina.
''Prendila e dalla a Georgia e Alphonse. Altrimenti, che sia mi figlia o no, intralcerà i miei piani''
La donna, esausta di continuare a combattere, barcollò e si avvicinò a due uomini mascherati che le strapparono la bambina dalle mani.
La piccola, per tutto il tempo, aveva fatto da sottofondo con i suoi pianti e i suoi strilli.
L'uomo incappucciato, levò una mano lattea dal mantello e prese un bastoncino, che interpretai come bacchetta.
''Mi dispiace, Bella, ma devo farlo'' sentenziò.
La donna, si accorse di ciò che sarebbe accaduto fra qualce secondo e si fiondò verso i due uomini che reggevano la neonata.
La piccola gridò, gridò più non posso quando vide un lampo di luce verde e sua madre a terra distesa, con gli occhi sbarrati a fissare il vuoto.
''Oh, Bella. Cosa hai fatto?'' disse l'uomo con falsa tristezza.
Diede un calcio al volto della donna e la bambina gridò di nuovo.
'' Prendete la bambina con voi, cambiatevi nome e fingete una vita babbana. E' un ordine'' intimò loro che si inchinarono subito.
L'uomo si allontanò e, dopo uno schiocco di dita, sparì.
Tutto si mescolò di nuovo e ritornai alla realtà.
La mano si staccò dalla mia fronte e caddi all'indietro.
Subito venni assalita da un milione di domande, ma, fortunatamente il Signor Jacobson ebbe pietà di me e mi pose un semplice ''Allora?''
Ero scandalizzata.
''Che c'è?'' disse Janira\Georgia, chi diavolo era?!
''Che c'è?! CHE C'E'?! C'è che mio padre era un figlio di puttana!'' sclerai li in mezzo.
Avevo capito che la donna morta per difendermi era mia madre. Che l'uomo che l'aveva uccisa era mio padre. Che quei due seguaci erano i miei genitori adottivi.
''Voi due, brutti..AAAH! NON SO NEMMENO CHE INSULTO LANCIARVI PER QUANTO MI FATE SCHIFO!''
Ops, sono stata pesante?
''Come vi è venuto in mente di non dirmi niente?! Non vi sembrava dovessi esserne a conoscenza?!''
Li guardavo in cerca di risposte che non arrivarono mai.
''Devo arrendermi a quanto pare'' sbuffai ''Signore, ora vengo con lei. Poi torno per prendere le valigie e parto per questa SCUOLA DI MAGIA''
''Va bene. Prendimi il braccio'' disse compassionevole.
Afferrai in modo alquanto violento il braccio dell'uomo che mugugnò.e salutò con la mano libera i tre.
Sentì il terreno mancarmi sotto i piedi e come un risucchio che partiva dall'ombelico.
Oh Dio che sensazione orribile.
''Arrivati'' disse sorridendo.
Ci ritrovammo dentro un bar squallido, dove tantissima gente beveva e mangiava.
Dei cucchiaini si muovevano da soli, delle sedie si rigiravano sul tavolo, dei bicchieri volavano sopra le nostre teste. Sto sognando?
Ad un certo punto, il mio sogno venne interrotto da un fastidio allo stomaco e..
vomitai.
''Oh Dio, ma che cosa..?'' dissi confusa.
''Sì, capita spesso se è la prima volta che ti materializzi'' sospirò dandomi una pacca sulla spalla.
''Oh, grazie per avermi avvisato prima'' risposi con un sorriso sarcastico.
''Ehi Hagrid!'' si voltò lui verso un uomo.
''E che ti pare mi ascolti pure?'' sussurrai fra me e me.
''Steve! Vecchia talpa'' l'omone si avvicinò a Jacobson e gli lasciò un ceffone sulla nuca.
''Ehi, ci vedo benissimo! Smettila di chiamarmi talpa!'' disse buttando il muso mentre l'omone rideva di gusto. ''Comunque, che ci fai qui? Non dovresti essere ad Hogwarts a controllare se i tuoi 'ANIMALETTI' siano in gabbia?'' calcò molto sulla parola animaletti, il vecchio Steve.
''No. Oggi sono venuto a prendere una chicca. Guarda un po' chi mi hanno incaricato?'' tutto altezzoso, si girò verso un ragazzo che aveva dietro e urlò un ''TADAAAN''
''
OH, PER TUTTI LE MANTICORE MANGIAUOMINI*, ma è Harry Potter!'' gridò stupefatto.
ASPETTA. COSACOSACOSA?!

''Harry Potter?'' Mi intromisi io sconcertata.
''Oh, Helena?'' mi guardò sbarrando gli occhi Harry.
''Ehi, voi due, vi conoscete?''





Angolo dell'autrice:
*=Manticora, creatura mitica, una sorta di chimera dotata di testa umana (spesso munita di corna), corpo di leone e coda di scorpione, in grado di scagliare spine velenose per rendere inerme la preda per poi mangiarla.


Ammetto di non aver dato del mio meglio per scrivere questo capitolo, ma spero vi piaccia comunque..
Scusate, la prossima volta mi ci metto d'impegno xD
Wallie :3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** APRITI SESAMO! ***


Helena


''Harry?! Per l'amor di Dio! Non era un pub di maghi?'' sbottai rivolta al rosso, che mi guardava sbigottito.
''Cioè'' iniziò il discorso ''Tu davvero non sai chi è?'' gesticolando un po' con le mani, arrivò a puntare l'indice contro Harry che ancora mi fissava stravolto.
''So chi è!'' urlai contro Jacobson ''Il problema, è che non so cosa ci azzecchi dentro un bar che possono vedere solo maghi!''
''Questo me lo sono chiesto anche io, quando ti ho vista, veramente'' si intromise Harry, un po' offeso.
''Ehi, ragazzina'' richiamò la mia attenzione il mago barbuto ''Lui è il mago più potente del secolo'' disse, sventolandomi Harry davanti come se fosse una bandierina.
''Potter. Harry Potter è un mago. Per giunta il più potente del secolo'' risi sotto i baffi al sentire quella supposizione ''WOW. Harry, siamo due maghi''
''Helena'' mi chiamò il ragazzino che si trovava a pochi metri da me, un po' scombussolato, dopo essere stato sbattuto in tutte le direzioni dal presunto Hagrid ''Non ricordavo avessi gli occhi marroni''
Eh? Wow Potter,  noto che ti sono mancata.
''Harry caro, la tua memoria mi stupisce alquanto.. E' passato solo un anno, vorrei aggiungere'' sentenziai, muovendo l'indice a mo' di rimprovero, assumendo un tono un po' saccente.
''Scusa è che.. non mi aspettavo di-''
''HARRY! QUASI CI DIMENTICAVAMO DI ANDARE A COMPRARE LA ROBA PER HOGWARTS'' gridò procurando un mini-infarto a tutti i presenti l'omone barbuto.
''In realtà anche io dovrei comprar-''
Prese Harry per il colletto che, quasi soffocando, sventolò la mano in segno di saluto e sparì dietro una porta mezza distrutta.
''Steve'' chiamai.
Uno ''MH'' da parte del rosso e capì subito che avevo attirato la sua attenzione.
''Quell'uomo..'' andai molto lenta nello spiegare, dato che nemmeno io ero coscente di quello che stavo per dire ''..ha sempre questa delicatezza di un Orango Medio del Borneo?'' teoria precedente: affermata.
''Beh. Non è cresciuto nel lusso, possiamo dire'' spiegò come se fosse cosa ovvia.
''Nemmeno io sono cresciuta tra oro e argento, eh. Quei due pseudogenitori erano peggio di un pugno nello stomaco'' mi lamentai.
''Hagrid è cresciuto da solo.. Dai dodici anni in su..'' sussurrò con uno sguardo leggermente addolorato.
''Ah.'' sentì una fitta nello stomaco, come se una corda lo stesse stringendo. Sono una senza cuore, viziata. Sono cresciuta un tesoro, in confronto a lui.
''BEH!'' gridai spezzando quel silenzio carico di tensione, facendo sobbalzare Jacobson.
''Andiamo anche noi a comprare la ''ROBA PER HOGWARTS?!'' '' mani sui fianchi e con uno scatto aprì la porta dove si erano diretti poco prima i due.
''Ehi, calmati furia. Non apri niente senza bacchetta'' sogghignò Stewart.
Aprì la porta che avevo sbattuto e mi ritrovò a dare pugni contro i mattoni mentre ripetevo sussurrando un ''APRITI SESAMO'' piuttosto convinto.
Esatto, dietro la porta c'era un vicolo strettissimo con un muro.
''Ti prego continua'' quando mi accorsi che il mago rosso mi stava fissando piangendo dalle risate, sbottai ''Allora apri tu, JA-COB-SON'' scandendo presuntuosamente le sillabe del suo cognome.
''No Problemo, bimba'' ancheggiando scherzosamente, si voltò verso il muro e sfoderò la bacchetta.
Mosse quest'ultima su una serie di mattoni, ripetendo a bassa voce piccole formule in una lingua a me sconosciuta; i laterizi (?) si spostarono verso l'esterno.
''Oh Mio Dio'' balbettai boccheggiando come un pesce.
''Eh già'' commentò mentre si sistemava giacca e riponeva la bacchetta ''Bello vero?''
Mi guardai intorno. Sembrava una città delle favole. Torri a punta, negozi che vendevano cose improponibili a Londra, bambini che correvano inseguendo un triciclo che correva da solo, donne con una lunga tunica nera ed un cappello a punta che si scambiavano fiori che bruciavano, che si muovevano o che avevano occhi.
''Credo che mi ci abituerò, sai?''
''Ti ci abituerai sì. Se non ti piace, troverai difficile viverci, sai?'' mi spiegò.
''Mh. ORA CHE SI FA? POSSO COMPRARMI UN GUFO? O UN GATTO? ANCHE UN ROSPO SE VA BENE. MI SONO PORTATA DUECENTO STERLINE, CHE CI COMPRO CON DUECENTO STERLINE, JACOBSON?'' gridai euforica, attirando l'attenzione di mezzo viale.
''Una ceppa. Ecco cosa ci compri con duecento sterline'' mi disse sbattendosi una mano sulla fronte.
''E con cosa pago?'' chiesi preoccupata.
''Per prima cosa: apriamo un conto alla Gringott.. A meno che tua madre..'' si posò un dito sul mento e pensò a qualcosa ''Sì, può darsi''
''Cos'è la Gringott?'' chiesi.
''Una banca dove estrai i tuoi galeoni, le tue falci e i tuoi zellini'' rispose con un sorriso, mentre ci incamminavamo verso la suddetta ''BANCA ESTRAI GALEONI, ZELLETTI, E FELLINI'' qualcosa del genere.
''Cosa?'' chiesi esasperata: stava sparando nomi che per me non avevano preciso significato.
''Una banca, Helena, una santissima banca'' rispose lui, più esasperato di me.
Ci fermammo davanti ad un edificio colossale, ma bellissimo.
Marmoreo, con un enorme portone con delle maniglie dorate, meravigliose.
''Uuuh. Andiamo ad estrarre i miei galeoni. IN MARCIA!''


Angolo dell'autrice:
SCUSATE L'ESTREMA CORTOSITA' (?) DEL CAPITOLO DDD:
WALLIE :3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Camera Blindata Numero 1453 ***


Helena




Entrammo.
La soggezione che mi davano quella sottospecie di omini pelati con le orecchie a punta e degli occhiali poggiati sul naso adunco fece scomparire tutto, e sottolineo tutto, l'entusiasmo che mi fece gridare quell' ''IN MARCIA'' carismatico di prima.
Risultato: mi aggrappai come un koala al braccio del povero Stewart che, comprensivo, mi schiaffò un ceffone sulla nuca intimandomi di ''MOLLARE. IL. SUO. BRACCIO.'' con uno sguardo che... beh, diciamo solo che ringraziando Dio gli sguardi non possono uccidere.
Tranquilla, Helena, non ti possono uccidere.. Giusto?, pensai.
Giusto. Forse..
Mi trascinò -sì, trascinò, non avevo alcuna intenzione di avvicinarmi a loro- al bancone dove risiedeva quel... quel cosa?... folletto!
Ecco cos'era! Un folletto! L'avevo letto in una storia a scuola!
Bene. Forse, adesso che sapevo che creatura fosse quella, avrei avuto meno timore di lei.
Ma appena si alzò dalla sedia dove contava delle monetone bronzate e mi fissò dall'alto con uno sguardo inceneritore, probabilmente perchè avevamo interrotto il suo divertente momento di contabilità, tutta l'inquietitudine che mi trasmetteva ritrovò rifugio dentro di me quindi mi nascosi dietro la schiena mingherlina di Steve.
''Buongiorno'' c'era un fremito nella sue voce, che avesse anche lui paura di quegli esseri?
''A lei'' disse il folletto con voce strascicata ''E a lei'' rivolto a me, sollevando appena gli angoli della bocca.
'' 'Giorno'' biascicai nella giacca di Steve.
Ci fissammo per un po', io e lui.
Quegli occhietti piccoli, grigiastri, scrutavano i miei grandi e nocciola. Per un momento provai un prezioso interesse per lui, per i suoi radi capelli biancastri, per le sue orecchie a punta, per il suo naso aquilino e per la sua pelle ruvida e rugosa. Mi ricordava una razza di cane, ma mi sembrava cattivo riferirglielo, perciò mi zittii.
Il rosso tossicchiò appena, per attirare l'attenzione del banchiere, che scrollò le spalle si rivolse a lui ''Mi dica''.
Steve deglutì ''Non posso.. diciamo.. pronunciare il suo nome, qui..'' gli consegnò un bigliettino. Letto ciò che c'era scritto -suppongo il mio nome- strabuzzò gli occhi e, come se gli si fosse seccata tutta la gola, si rivolse a me ''Allora sei tu'' poi, quell'espressione di paura che si era formata sul suo volto, si trasformò in disgusto.
''Andate da quel folletto in fondo, accanto al Grande Cancello..'' e si girò. Mentre ci avviavamo verso il Grande Cancello, mi girai a guardare di nuovo negli occhi il folletto e, anche se non era previsto che lo vedessi, notai che lui stava stracciando quel bigliettino per poi buttarlo nel secchio e senza escludere lo sputarci ripetutamente sopra.
''Tsk, stronzo'' bisbigliai. ''Magari non qui, eh, Helena?'' mi rimproverò Steve, doveva avermi sentito.
''Benvenuti'' ci salutò un altro folletto ''Mi chiamo Hemsworth, ma per voi, che sarete le persone che accompagnerò ogni volta che verrete ad estrarre galeoni, sarò Hem''
Oh Mio Dio, avevo una vocina così.. stridula. Non devi ridere, Helena. Non. Ridere, ordinai a me stessa. Così, dato che sono davvero troppo impotente, soffocai una risata nella giacca celeste pallido di Steve che mi tirò un calcio agli stinchi. Gentilmente, come sempre.
Hem, il fantastico folletto dalla voce stridula che mi faceva soffocare risate nella giacca dell'Auror, lesse il mio nome su l'ennesimo cartoncino -quanti ne aveva fatti?-che intascò e ci disse di salire su un carrello dall'aria squallida.
''Io non ci salgo. Dimenticalo'' risi sarcastica alla vista di quelle rotaie arrugginite e stridenti e di quel carrello che sarebbe potuto cadere a pezzi da un momento all'altro.
''Invece tu sali, adesso'' con un piccolo sforzo da parte sua, Stewart mi afferrò la vita e mi prese in braccio, infilandomi bruscamente nel carrello ''E ti stai anche zitta''
Sbuffai. ''Signori, devo avvisare che purtroppo la via per la vostra camera blindata è una delle più tortuose della Gringott'' Mandai giù un boccone di saliva ''Quindi, vi prego di tenervi stretti ai sedili per evitare incidenti'' Mandai giù un altro boccone di saliva ''Possono essere molto gravi.. forse morta-''
''Okay, scendo!''
Steve mi afferrò il polso e mi rimise a sedere, pregandomi di non muovermi per il resto del viaggio.
Cominciamo ad avanzare. Non sembrava poi così orrendamente pericoloso.. Si, fino a quando una curva ci fece sbalzare di lato.
Strinsi la mano a Stewart, cercando in lui un po' di conforto. Fortunatamente, a volte, sapeva essere anche comprensivo, quindi mi ristrinse la mano di rimando, accennando un sorriso nella mia direzione.
Un'altra curva, una altra stretta.
Un discesa paurosa e mi rifugiai sotto la stretta del suo braccio, spingendo la sua giacca sui miei occhi, naturalmente, senza risolvere nulla. Era la stessa identica sensazione che provai quando mi materializzai per la prima volta, sempre con Steve. Sentivo lo stomaco ritorcersi, le orecchie tapparsi e una forte voglia di vomitare. L'unica differenza era che in quel preciso momento provavo una paura, anzi, avevo praticamente il terrore di cadere da quel catorcio che si muoveva macchinoso sulle rotaie che ogni tanto mandavano scintille infuocate, che mi arrivavano sulla pelle, bruciacchiandomi un po' le dita.
''Ho paura'' sussurrai da sotto la giacca turchese di Jacobson -mi ci ero praticamente infilata dentro-. Sentì la sua mano accarezzarmi i capelli, cercando di tranquillizzarmi. Un po' ci riuscì, ma quando girammo in un'altra curva, ripresi la stessa inquietitudine che avevo provato qualche attimo prima.
Il tepore che mi arrivava dal suo corpo. Dal suo torace mi separava solo una camicia bianca.. Mi accorsi che volevo bene a Steve come volevo bene una volta a Harry.
Mi accorsi che non volevo lasciarlo dopo essere arrivata al treno che mi avrebbe portato a scuola. Che non volevo dimenticare tutti i suoi scappellotti sulla nuca. Che non volevo dimenticare tutte le volte che lo facevo esasperare e tutte le volte che mi riusciva a consolare.
Che non volevo dimenticare lui. Anche se lo conoscevosolo da qualche ora.
No. Io conoscevo Steve da ben 7 anni, da quando andò a sbattere contro il vetro della finestra. Da quando curai la sua ala, gli diedi del cibo e lo chiusi nella mia stanza. Tutte le volte che lo lasciavo libero nella mia camera, quando mi veniva a mordicchiare il dito, o quando mi si aggrappava con le zampette piccine sulla spalla. Quando cantava melodie bellissime, che mi facevano appisolare. Quello non era Hellsing, l'usignolo arrabbiato che cantava a squarciagola, quello era Steve, mandato dal mondo della magia per controllarmi e proteggermi. Mi resi conto che io adoravo quell'uomo per essere stato il mio migliore amico per ben sette anni, la mia unica compagnia... Lo strinsi forte, in un abbraccio che non ricordo se ricambiò. Però io lo strinsi fino a far aderire per bene la mia guancia sulla sua camicia, sussurrando un ''Grazie, Hellsing'' che doveva aver sentito, dato che tornò a massaggiarmi la testa, compiendo piccoli movimenti circolari su essa.. Poi si avvicinò al mio orecchio e canticchiò una di quelle canzoncine che mi riferiva la sera per farmi addormentare.
Stavo per assopirmi quando..
BING!
''ARRIVATI'' esclamò Hem.
''Sì!'' saltai in piedi da sotto la giacca dell'Auror che rise al mio entusiasmo.
''TERRA, AMATA MIA TERRA'' gridai entusiasta, felice di poter rimettere piede sul fresco terreno, ghiaioso e... coperto di cenere.
''Cenere?'' domandai al folletto che trafficava nella sua borsa alla ricarca di qualcosa che si rivelò alla fine essere una chiave.
Hem sogghignò e mi rivolse soltanto un ''Vedrai tra poco'' e poi, con un cenno della mano, ci intimò di seguirlo.
Ciò mi riportò solo ad aggrapparmi di nuovo al braccio del povero Steve che, lo facessero santo, mi sopportò ancora.
Credo di essere svenuta mentalmente, quando davanti a me si presentò un drago bianco che sputava fuoco tutt'intorno.
''Camera Blindata numero 1453''

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Eredità ***


Helena


Era un drago. Un drago. Gigantesco, imponente.
Si trovava nel centro di un patio, circondato da colonne decisamente troppo basse per contenerlo. Le sue squame brillavano alla luce di quei piccoli raggi di sole che riuscivano a penetrare l’edificio. Era incredibilmente affascinante, dormiva attorcigliato su se stesso e la coda gli toccava il naso, dal quale uscivano sbuffi di fumo nero e denso, che quasi coprivano la visuale.
‘’Posso chiederle, Hem, come faremo a passare quel drago?’’ la mia voce tremava, lo sapevo. Lo sentivo e capii che suonavo terrorizzata alle orecchie altrui quando Steve mi guardò non appena finì di parlare; i suoi occhi erano preoccupati nel vedermi così. A Steve importava di me, lo sapevo. Anche se era spesso distaccato, anche se in queste poche ore trascorse insieme la maggior parte delle volte mi allontanava, o si comportava in modo freddo, lui mi voleva bene. Mi aveva vista crescere, mi aveva vista piangere quando in prima elementare non volevo fare i compiti di matematica, mi aveva vista tornare da danza ogni martedì pomeriggio alle 18, mi aveva sentita cantare le canzoni che mi insegnavano a scuola e mi aveva vista suonare la chitarra. Gli avevo raccontato del mio primo bacio, stampato leggermente sulle labbra del mio caro amico Harry Potter e lui mi rispose canticchiando, come sempre.
Tornai alla realtà e sì, ero ancora terrorizzata, perché, sapete com’è: quel drago aveva le stesse misure del Big Ben e fidatevi di me: il Big Ben è grande. Estremamente grande.
Ma stava dormendo, perché preoccuparmi? Non avrebbe mai sentito dei passi leggeri come i nostri.
‘’Beh, lo passeremo aggirandolo, signorina’’ mi rispose, come se fosse una cosa così ovvia ‘’Ma stia attenta a non fare troppo rumore, il drago è cieco e di conseguenza ha l’udito più sviluppato’’
Ah, davvero? Ritiro tutto quello che ho detto prima, voglio tornare a casa, non voglio morire bruciata, non voglio.
‘’Steve, ho paura. Ti prego riportami a casa’’ lo supplicai.
Lui mi guardò con i suoi occhi azzurri, languidi. Mi capiva, capiva ciò che sentivo, tutta la mia paura. Lui lo capiva, perché anche lui era terrorizzato tanto quanto me.
Si abbassò per raggiungere il mio orecchio e sussurrò ‘’Se usciamo vivi, ti pago un gelato’’
Volevo ridere, ma dovetti trattenere la risata dentro per paura di disturbare il sonno del drago, quindi mi limitai a sorridere e lui mi rispose con un occhiolino.
Mi attaccai al suo braccio e con forza e coraggio, cominciammo una marcia talmente lenta che il folletto ci diede una spintarella e ci disse ‘’Orsù, non è così pericoloso’’.
Ah, vabbe. Come vuoi tu, amico.
Era pazzo, quel folletto era pazzo. Io e Steve continuammo la nostra marcia verso l’entrata del patio, sempre molto lentamente, con Hem che ci guidava, esasperato. I miei palmi sudavano, invece Steve sudava tutto. Era quasi divertente vederlo così immerso nel panico; si è sempre presentato come una persona autoritaria, che sapeva il fatto suo e adesso, vederlo così incerto mi faceva quasi ridere.
Capì che l’unico modo per distrarmi da quella passeggiata della morte era guardare Steve, così cominciai a fissarlo. Pessima idea.
Ero talmente presa dal fissare il mio caro amico che mi dimenticai di controllare il pavimento che proprio in quel momento doveva presentarmi davanti al piede destro un sasso infame in cui, ovviamente, inciampai.
Caddi a terra e Steve mi seguì, mancavano dieci metri alla porta e davanti ad essa il folletto stava già girando le chiavi per entrare.
Il silenzio irruppe nella stanza, il drago aveva smesso di sbuffare e i suoi profondi respiri si erano interrotti d’improvviso.
Un ruggito echeggiò nella stanza, rimbombò per le pareti di tutto l’edificio e Steve cominciò a correre, lasciandomi indietro. Corsi anche io per quel poco spazio che divideva me e la porta, alla ricerca di un nascondiglio purtroppo, con scarsi risultati. Mi ritrovai davanti alla porta, lo sguardo rivolto verso il drago, Steve e il folletto si erano nascosti agli angoli, coperti da una bella parte di cemento.
Non sapevo dove andare, ero terrorizzata. Volevo gridare aiuto ma la voce mi si bloccò in gola, le mie ginocchia tremavano.
Con la coda dell’occhio vidi il folletto che frugava nella borsa, alla ricerca di qualcosa, dall’altra parte vidi Steve con le ginocchia al petto, gli occhi spalancati, terrorizzati e le lacrime che gli sgorgavano senza freno rigandogli le guance, bagnandogli i pantaloni.
Non feci in tempo a girare lo sguardo che avevo il viso del drago a meno di un metro da me.
Gridai e sta volta la voce uscì, ma le gambe restarono attaccate al suolo, come se fossero state ricoperte di cemento. Il drago si avvicinava sempre di più, i suoi occhi erano bianchi come le sue squame e anch’essi risplendevano alla luce del sole.
Alla fine, mi ritrovai semplicemente ad ammirare la sua sconfinata bellezza, il suo candido biancore, il suo fiato caldo, la sua testa che piano piano si avvicinava e mi annusava, come se volesse riconoscermi.
Allungai la mano, ormai la paura era svanita ed era stata sostituita da un altro sentimento: la curiosità.
Cominciai a muovermi verso di lui, fino a quando la mia mano tremante non toccò il suo naso che ancora si muoveva, alla ricerca di un odore da riconoscere.
Stava quasi per chiudere gli occhi quando con uno scatto alzò la testa, facendomi sobbalzare. Tirai indietro la mano e mi allontanai il più possibile, spalmando la mia schiena sulla porta. Notai che Hem era sbalordito dalla situazione, le sue mani pendevano lungo i fianchi e fissava il drago con aria incredula. Dall’altra parte, Steve era in piedi ed anche lui fissava stupito l’animale, le sue guance ancora luccicavano di lacrime e ogni tanto lo si poteva sentire tirar su con il naso.
Tornai con lo sguardo sul drago che mi guardava dall’alto –fin troppo alto- verso il basso. Fece un passo indietro e con estrema grazia allungò in avanti la zampa destra, successivamente abbassò il capo e si inchinò.
‘’Co-cosa?’’ farfugliò il folletto.
‘’Io non so cosa sia appena successo, ma non sono morta e ciò mi rende molto più felice di quanto voi possiate immaginare’’ sputai tutte quelle parole senza riprendere fiato nemmeno un secondo.
Immediatamente il drago si rialzò, facendo spaventare un po’ tutti e con esagerata delicatezza si accoccolò su stesso, addormentandosi di nuovo.
‘’Ti ha riconosciuta, Helena’’ proruppe Steve, rompendo il silenzio con la sua voce titubante, quasi avesse paura di risvegliarlo. ‘’Ha capito che sei sangue del sangue della sua padrona, lui ti rispetterà, Helena. Non devi più temerlo’’.
Ero sconcertata, sono stata ad un passo dal morire bruciata e adesso mi ritrovo ad avere come animale da compagnia un drago.
‘’Steve’’ sentenziai.
‘’Si?’’
‘’Il gelato lo voglio alla vaniglia.’’
Rise, rise di gusto e si asciugò le lacrime. Risi anche io e il folletto, dopo qualche secondo si unì a noi.
Le lacrime di paura di Steve diventarono lacrime di gioia, la paura era svanita ed anche con tutto quel chiasso il drago dormiva beato.
Il folletto ci aprì la porta, facendo scoccare la chiave due volte e successivamente un meccanismo complicatissimo iniziò a ticchettare fino a quando la porta non si aprì.
Steve mi precedette e, notai per prima volta in quella giornata, delle cicatrici su tutta la mano che sembravano propagarsi lungo il braccio.
E immediatamente capii, capii il perché delle lacrime del mio amico, il suo tremolio, la sua paura, il suo sconfinato terrore.
Le sue cicatrici raccontavano chiaramente il suo passato; quelle cicatrici che un tempo furono forgiate dal fuoco.



Angolo dell'autrice:
Salva a tutti. Non ci credo, ho aggiornato ahahah Dopo tre anni, ce l'ho fatta. Chiedo scusa per chi mi seguiva, ma mi sono completamente dimenticata di avere un account, e proprio qualche giorno fa ho rispolverato EFP presa dalla noia; mi sono accorta di essere nostalgica.
Mi mancava scrivere. Mi mancava da morire.
Scusatemi se il capitolo non è fra i più lunghi, ma ricominciare a scrivere è stato complicato.
Adesso, spero vi piaccia il e inoltre prego che la gente che seguiva questa storia sia ancora qui!
Buona giornata a tutti! 
Con affetto,
Wallie! 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=949259