Hundred suns

di Leaena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Past. ***
Capitolo 3: *** Hard to say I'm sorry. ***
Capitolo 4: *** Tears, joy and sadness ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


P

Hundred suns

Era l’alba.

Il cielo blu chiaro, con sfumature che andavano dal rosso all’arancione, fino al rosa, illuminava il mio cammino.

I miei passi strisciavano sull’erba bagnata dalla rugiada; la stanchezza mi pesava addosso, quasi avessi un macigno, ma le mie braccia reggevano benissimo la piccola Ruthie. Dormiva fra le mie braccia, come un angioletto. Alexander e Julia mi seguivano, silenziosi e agili.

Più avanzavamo, più l’ansia e la tensione saliva. Non credevo che sarei stata capace di affrontare Jacob.

Mi odiava. Di sicuro.

Ma quello che avevo fatto, l’avevo fatto per lui. L’amavo troppo per pensare ad un mondo senza di lui. Mi sarei sempre sacrificata per le persone che amavo. E per Jacob ero partita per l’Italia, ai servigi dei Volturi. Se non l’avessi fatto, ci sarebbe stata una battaglia, che non avremmo mai vinto.

Ci fu un piccolo ostacolo, che mi costrinse a ritornare a Forks.

Ruthie.

Mia figlia.

La mia e di Jacob.

Non potevo far stare una parte di lui nelle mani dei Volturi. Troppo pericoloso. Così avevo deciso di portarla da suo padre, al sicuro e Alexander e Julia mi avevano aiutato, sia a nascondere la gravidanza, sia a portare mia figlia da Jacob.

La porta di casa Black si aprì.

E i Quileute, capeggiati da Jacob Black, ci fissavano minacciosi.

 

Ebbene sì.
Ce l'ho fatta a postare questo piccolo prologo, che, in pratica, è il continuo di "Deep Shiver.
"
Non ho molto da dire, man mano capirete meglio.
A presto.

 

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Capitolo 2
*** Past. ***


44



Il primo a parlare fu Sam.

Lui, con Jared e Paul, era quello più arrabbiato, più cattivo.
Arrabbiato con me.
«Bella, cosa ci fai con questi due succhiasangue?» ringhiò, facendosi più avanti.
Comprensibile che si mettesse sulle difese, c’erano due vampiri nel suo territorio.
«Non sono succhiasangue - odiavo questa sottospecie di soprannome -, Alexander e Julia sono miei amici.»
Ruthie iniziò a piangere. Probabilmente, la mia voce più alta del normale l’aveva svegliata. Dalla loro faccia, i Quileute sembravano sorpresi. Jacob, in particolar modo.
Iniziai a coccolare mia figlia. L’abbracciai, la baciai, la strinsi più a me. Mi mise le mani nei capelli, ridendo.
Sorrisi. La risata e il sorriso di Ruthie erano quelli di Jacob.
Incredibilmente contagiosi.
Seth si avvicinò a noi. Era stato in disparte fino ad all’ora, calmo, poi, vedendo la piccola, aveva sorriso.
«E lei chi è?» grattò delicatamente il nasino di Ruthie, che portò le braccia paffute verso lui.
Voleva giocare.
Seth mi guardò. Io gli sorrisi leggermente. Certo, che puoi prenderla. Mi fido di te.
Quando ebbi le braccia libere, mi sentii quasi vuota. L’avevo tenuta per tutto il viaggio e in quel momento mi faceva strano non averla più stretta al petto. Mi guardai le braccia, poi le lasciai cadere sui miei fianchi. E guardai Jacob.

Sì, Jake. So che lo sai. Lo sai perfettamente. Perché non me lo chiedi? Perché non mi chiedi se Ruthie è tua figlia? So che sai già anche la risposta. Perché c’è ne una, sola ed unica. Perché solo tu, Jake, puoi essere suo padre. È una Black. Proprio come te. E poi, non c’è bisogno che te lo dica. Basta che tu la guardi. È la tua fotocopia.

«Ragazzi, non c’è bisogno di aggredire in questo modo Bella. Se ha portato nella nostra Riserva… loro è perché si fida. Ora fatela entrare. Probabilmente avrà bisogno di riposarsi.»
Lo ascoltarono. Ascoltarono Billy e ad uno ad uno entrarono. L’ultimo fu Jacob, che dopo avermi guardato ed essersi passato una mano sulla faccia, si voltò ed entrò.
«Dai, Bella, andiamo anche noi» disse Seth, euforico, con ancora in braccio mia figlia.
Annuii, poi feci cenno ad Alexander e Julia di seguirmi. Non li avrei lasciati fuori. Loro erano con me.
C’era chi era appoggiato al muro, chi era seduto sulle sedie o sul davanzale della finestra. Ma c’era anche chi non avevo ancora visto.
Leah, seduta sul tavolo col capo rivolto verso il pavimento ad occhi chiusi.
Jacob e Sam erano seduti sul divano con Billy, sulla sedia a rotelle, di fianco a loro. Il secondo divano, probabilmente messo di fronte all’altro per l’occasione, era libero.
Invito accettato, pensai appena mi sedetti.
I miei amici rimasero in piedi dietro me, mentre Seth, che pensava solo a giocare con mia figlia, si sedette al mio fianco. Lo guardai per un attimo.
Quanto mi sarebbe piaciuto se al posto di Seth ci fosse stato Jacob…
Chiusi gli occhi per poi riaprirli proprio su Jacob, che saettava gli occhi da me alla bambina.
«Bella, credo tu abbia delle cose da dirci, ma… c’è una piccola cosa che ci ha stupito tutti.» Billy mi guardò. Ma non vi fu nessuno sguardo duro, anzi. Nei suoi occhi… non seppi definire bene che emozione mi trasmise, ma sapeva di qualcosa di buono.
«Lei - ne accarezzai i capelli folti - è… » le parole mi morirono in bocca. «Lei è mia figlia Ruthie.»
Mia figlia.
Cosa ovvia, Bella, che sia tua figlia. Probabilmente l’avevano capito pure i muri che lo era.
Nessuno mi chiese chi era il padre. Anche questo un’ovvietà.
Così mi chiesero di iniziare a raccontare ed io iniziai.

Avevo appena varcato la linea di confine del territorio Quileute, quando dovetti frenare d’improvviso.
Una vampira, a me sconosciuta, si era fermata davanti al mio Pick Up, bloccandomi il passaggio. Le mie mani erano ferme sul volante, ero pietrificata. Sapevo perfettamente che scappare era inutile, così come trovare un sotterfugio per scamparla. Cosa impossibile. Affrontarla era la “soluzione” più plausibile.
Scesi dalla macchina, andandole incontro, ma rimanendo sempre ad una certa distanza. Non sapevo cosa dirle. Non sapevo manco chi fosse. Be’… non è vero. Sapevo a chi era “legata”. Quel mantello l’avrei riconosciuto per sempre.
Volturi.
«Isabella Swan, giusto?»
Annuii, poco convinta.
«Sono Corin, una recluta dei Volturi. Ma credo che tu questo l’abbia capito, no?» mi sorrise…misteriosamente.
L’ansia, che stava crescendo man mano, aveva incominciato a diminuire sempre di più.
Mi sentivo leggera.
«Mi manda Aro» continuò lei. «Vuole ricordarti la sua offerta. È ben lieto di accettarti nel suo castello.»
Mai, schifoso!
Dai, Bella. Pensa alla sua proposta. Mica male.
No, mai!
«Poi, poi. Aro vuole anche ribadire un’altra… questione. Al mio signore farebbe molto piacere la tua presenza a Volterra. E… sai com’è. Non vorrebbe che si creasse un inconveniente.»
Inconveniente.
Jacob.
Charlie.
Famiglia.
No! Non possono. Non. Possono.
Bella, va’ con loro. Così sarà tutto più semplice.
«Allora. Accetti?»
La confusione, l’indecisione mi presero.
«Io…ehm.»
Bella, non ti piacerebbe vedere un posto nuovo? Volterra?
No!
Dài!
«Sì… okay.»
Corin schioccò le dita. «Perfetto!»
Convinsi Corin a lasciarmi scrivere un biglietto d’addio per Jacob. Fu una delle cose più complicate che potessi fare. Non sapevo cosa scrivere. In realtà, non volevo scrivere niente. Ma la mia forza di volontà, il mio interiore, era stata come manomessa. Sentivo una gran confusione dentro di me. E poi… avevo accettato così velocemente! Non era da me. Anche se, veloce o lenta, avrei accettato lo stesso. C’erano di mezzo la mia famiglia e l’uomo che amavo. Non potevo assolutamente rischiare.
Alla fine riuscii a scrivere quel biglietto, tutto inzuppato di lacrime.
Poi, io e Corin partimmo.
Abituarmi alla vita di “palazzo” fu davvero difficile ed estenuante.
Jane mi odiava. Appena poteva mi sfidava e ogni volta che c’incrociavamo mi lanciava occhiate infuocate. La lasciavo perdere. Non mi interessavo più di tanto di lei.
Conobbi Alexander e Julia, due vampiri dallo sguardo cupo. Erano… infelici. Pian piano, facemmo amicizia, diciamo, ma io ero lo stesso distaccata. Non potevo sapere bene se davvero potevo fidarmi di loro. Capii di sì, capii che loro, nonostante la loro natura, erano buoni. Giusti. Umani. E tutto ciò, lo capii quando mi aiutarono con la gravidanza. Non ci fu bisogno che glielo dissi; Julia capì da sola che ero incinta. Così, decisero di aiutarmi. Sarei stata loro riconoscente per il resto della mia vita; avevano permesso di far nascere la mia bambina.
Julia aveva il potere dell’illusione; grazie a questo, avevamo potuto nascondere la pancia, che con il passare dei mesi si faceva sempre più grande.
Alexander aveva uno strano potere; esso poteva modificare i ricordi. Poteva cancellarli, poteva crearne dei falsi, anche se tutto questo aveva una determinata durata. Grazie a questo, avevamo potuto cancellare i ricordi dei Volturi, da quando io ero andata lì. Così, avevamo avuto il tempo di portare la piccola Ruthie a La Push, da Jacob, da suo padre.


Quando finii di raccontare, c’era un silenzio che mi spaventava a dir poco.
Volevo che Jacob dicesse qualcosa.
Volevo che Jacob facesse qualcosa.
Volevo vedere una sua qualunque reazione. Tutta quella calma mi metteva i brividi.
«Ehi, Jake. E noi che pensavamo che fossi ancora un verginello!»
I ragazzi iniziarono a prenderlo in giro. Lui ringhiò leggermente, si alzò ed uscì di casa sbattendo la porta.
Ecco.
Lo rincorsi; lui era all’inizio del bosco.
«Jake! Jake!» Cercai di raggiungerlo, ma fra stanchezza e la mia goffaggine fu una cosa decisamente impossibile.
«Jacob Black, fermati immediatamente!» tuonai.
Mi ascoltò e prima di raggiungerlo mi annotai mentalmente di capire da dove fosse arrivata tutta quella mia tenacia.
«Cosa fai? Scappi?» lo provocai.
Rise ironicamente. «Qui quello che scappa non sono io, Bella.»
Bella.
Era proprio arrabbiato.
«Ti ho spiegato il perché, Jake… e poi… e poi non sono scappata. Se sono andata via è stato per un valido motivo.»
«Un valido motivo!?»
Quasi mi fece paura. Iniziò a respirare affannosamente. Le sue vene s’ingrossarono abbastanza che io potetti vederle.
«L’ho fatto per te. Per Charlie. Per il branco. Credi che avreste potuto affrontare una guerra, eh, Jacob? Non avrei mai lasciato che qualcuno rischiasse la vita per me.»
«Cazzo, Bella, cazzo! Siamo una famiglia e in famiglia ci si aiuta a vicenda. Nessuno fa niente da solo, o tutti o nessuno.»
Chiusi gli occhi. Le tempie pulsavano, non lasciandomi mai tregua.
Forse avevo sbagliato. Forse. Ma l’avevo fatto per una buona causa.
«Cerca di capirmi. L’ho fatto… perché ti amo.»
«Se mi amassi davvero, saresti restata con me» chiuse gli occhi, respirò a fondo. Strinse i pugni. «Se mi amassi davvero, mi avresti fatto vivere la gravidanza con te.»
Sobbalzai, atterrita dalle sue parole; gli occhi mi si riempirono di lacrime. Lo amavo per davvero, lo amavo più della mia stessa vita… ciò non toglieva che ero stata egoista. Una grande egoista.
Gli avevo tolto la possibilità di vedere crescere la pancia, di sentire il piccolo cuoricino che batteva, o di assistere all’ecografie.
Perdonami, Jake.
Mi diede le spalle, iniziando a correre.
L’ululato di un lupo spezzò il silenzio. Quel lupo, dal manto rossiccio, che sparì nella foresta.

***

Ho una cosuccia da dire su questo capitolo:
la signorina Dragana, che ringrazio ancora profondamente, mi ha dato gentilmente una mano con i Volturi, in questo capitolo su Corin. E' stata lei a consigliarmela. Una parte di merito va anche a lei. Ne approfitto per consigliarvi le sue fan fiction. E' molto brava e merita davvero di essere letta.
Grazie! 

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Capitolo 3
*** Hard to say I'm sorry. ***


Capitolo II.

 
Hard to say I’m sorry

 

After all that we've been through, I will make it up to you. I promise to.
And after all that's been said and done,
You're just the part of me I can't let go.
Hard to say I’m sorry - Chicago
 

 
Rientrai nella casa di Jacob, da mia figlia. Ruthie dormiva fra le braccia di Seth. Il suo viso era rilassato e sereno. Aveva il pugno stretto intorno al pollice di Seth, quasi non lo volesse lasciare andare via. Quella scena mi fece sorridere: c’era molta tenerezza.
Sospirai, strizzando gli occhi per non piangere. Mi chinai e presi mia figlia, facendo attenzione a non svegliarla. Me l’accoccolai al petto, poi feci cenno ad Alexander e Julia di seguirmi. Salutai Billy e il branco, dicendo loro che sarei andata da Charlie.
Ecco, ora avrei dovuto affrontare anche lui. L’avevo lasciato solo, peggio di come aveva fatto mia madre. Il dolore che aveva provato mi sarebbe sempre rimasto sulla coscienza, una grossa lama dentro al mio cuore. Avevo fatto soffrire il sangue del mio sangue… non me lo sarei mai perdonata.
Arrivai al vialetto di casa mia, la macchina dello sceriffo era sempre parcheggiata al solito posto. Suonai al campanello con le budella dello stomaco attorcigliate talmente tanto che quasi respiravo a fatica.
«Bella… sei tornata» sia dall’espressione sia dalla voce di mio padre c’era solo delusione.
Dovetti combattere contro i miei occhi per non fare versare loro nemmeno una lacrima.
«Stai bene?»
Feci un respiro per provare a sentirmi un po’ meglio. «Sì… tu?»
«Mi chiedi se sto bene?! Mi chiedi se sto bene dopo più di nove mesi che mi hai lasciato da solo?!». Il viso di mio padre si fece rosso per la rabbia. Mai l’avevo visto così.
Abbassai lo sguardo colpevole. «Perdonami… io…».
«Tu cosa, eh? Sei peggio di tua madre… mi hai deluso questa volta, Isabella.»
Eccolo, il mio primo singhiozzo. Uno, due, tre… finché non scoppiai letteralmente in lacrime. Charlie si voltò, senza degnarmi di uno sguardo, poi entrò in casa, lasciando la porta aperta. Almeno non mi aveva chiuso la porta in faccia. Non ebbi coraggio di entrare. Mi voltai anch’io e uscii dal viale, dove Alexander e Julia mi aspettavano con Ruthie.
Non chiesero nulla, capirono subito che era andata peggio del previsto.
«Dove andiamo ora, Bella?» mi chiese Julia, che aveva fra le braccia una Ruthie addormentata.
Scossi la testa. «Non,,,»
«Potete venire da noi» la voce dura di Sam riecheggiò alle mie spalle. Era al limite del bosco, accompagnato da Paul, Jared e Quil.
Sam che mi diceva che potevo stare da lui? Anzi, potevamo.
«Davvero?» domandai stupita. «Anche…»
«Sì, anche loro. A patto che stiano buoni» alla fine quasi ringhiò.
«Staranno buonissimi. Te lo posso garantire.»
 
Arrivammo alla casetta di Sam ed Emily, passando per il bosco. Per tutto il tragitto Jared e Paul non fecero altro che guardare storto i miei amici e anche un po’ me.
Quil aveva iniziato a farmi domande su i Volturi e anche sulla mia piccola. Gli avevo risposto, per non sembrare maleducata, ma distrattamente. Avevo altro a cui pensare.
C’era anche Jacob da Emily?
Una parte di me lo sperava… il mio cuore voleva stargli accanto, il mio corpo voleva poterlo toccare, ma l’altra parte avrebbe voluto che non ci fosse, perché non sarei mai riuscita a guardarlo negli occhi.
Quando varcai la porta, avevo il cuore a mille. Mi guardai subito attorno: lui non c’era.
Tutti mi guardarono, chi bene, chi male. Seth mi abbracciò, poi si prese Ruthie.
«Bella… vuoi mangiare qualcosa? Vuoi riposare?» Emily mi accarezzò il braccio, gentile come sempre.
«No, grazie. Sto bene così» mi sforzai di sorriderle decentemente, almeno per ricambiare la sua gentilezza.
«Guardate chi sta arrivando! Il grande capo».
Schiamazzi, urla. Risate, finti pugni.
Più si facevano forti, più mi girava la testa. Dovetti sedermi. Non ero pronta per un altro confronto… non con lui.
Lui, che si trovava a pochi passi da me; il suo sguardo che fra poco mi avrebbe trapassato… da parte a parte; il suo calore, il suo odore di boschi, che sentivo anche a distanza. Tutto di lui mi faceva girare la testa.
E io con lui la testa dovevo averla ben salda.
Nessuna giocata strana. Tutto con la massima prudenza.
Dovevo giocarmela d’astuzia, se volevo riprendermelo. E io dovevo riprendermelo.
«Emily? Vado un attimo in bagno, va bene?».
«Certo. Ti ricordi la strada?».
Annuii e, cercando di non cadere e non inciampare, andai al bagno. Appoggiai le mani sul lavabo per sorreggermi; chiusi gli occhi, respirai a fondo.
Avanti, Bella. Ce la puoi fare.
È solo Jacob, Jake. Lo conosci meglio di te stessa.
Vai lì fuori e affrontalo.
Hai bisogno di lui.
Mi sciacquai la faccia, poi aprii la porta, cercando di tirare fuori un carattere e una determinazione, che probabilmente non erano mie.
Fallo almeno per tua - vostra - figlia, mi dissi.
Quando tornai in cucina, lui era lì, con lo sguardo fisso su sua figlia. Sicuramente mi aveva sentito arrivare, ma non si era mosso di un solo millimetro. Ne ero felice, felice che prestasse attenzione su Ruthie.
Ruthie lo osservava pure lei. Si guardavano come fossero complici; lo facevano immobili. Chissà da quanto erano così.
Fu un’azione che durò pochi secondi, ma si mostrò ai miei occhi eterna.
Ruthie allungò una manina verso suo padre; lui sorrise e gliela prese.
Poi fu il turno di Seth: porse mia figlia verso Jacob; esitò un attimo, poi la prese e l’appoggiò al suo petto con delicatezza. Quasi piansi per la dolcezza che ci fu in quei gesti.
Bella, devi parlargli. Dovete chiarire.
Avevo un disperato bisogno di un suo bacio.
«Jake,» lo chiamai «andiamo a farci una passeggiata?».
Mi guardò duramente e nonostante fosse ancora arrabbiato con me accettò il mio invito.
Jake, ti prego, non mi guardare così, avrei tanto voluto dirgli.
Uscimmo fuori, dopo che Jake ebbe dato Ruthie, questa volta, a Emily.
Finché non eravamo abbastanza lontani da orecchie indiscrete, nessuno dei due spicciò parola.
Eravamo immobili, l’uno di fronte all’altra, occhi negli occhi. Il suono delle onde, che si rompevano contro gli scogli, ci faceva da sottofondo.
Volevo dirgli tante cose, volevo provare a fargli capire il perché delle mie azioni, ma dalla mia bocca non usciva nessuna parola. L’unica cosa che volevano le mie labbra era poter assaggiare quelle di Jacob Black, l’uomo che amavo più della mia stessa vita.
Mi avvicinai a lui lentamente, con la paura che potesse allontanarmi.
Un passo mio… lui immobile.
Due passi miei… lui immobile.
Tre passi miei… lui immobile.
 
Le mie labbra toccano le tue, Jake. La mia lingua accarezza la tua, ma tu sei immobile, fermo, congelato nella tua rabbia nei miei confronti.
Non ti sono mancata nemmeno un po’ in questi mesi?
Possibile che la rabbia sorpassi l’amore?
Non puoi darmi anche un solo bacio prima di metterci a discutere?
Proprio non puoi perdonarmi, Jacob?
 
Mi lasciai alle spalle l’uomo che credevo mi amasse.  


:::::Note dell'autrice:::::

Sì, beh, sì.
Lo so, probabilmente l'ultima volta che ho postato è stata due mesi fa. 
Non sto nemmeno a dirvi quali siano state le cause: è una totale e inutile perdita di tempo.
Bene, che dire?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto, si spera. 
L.

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Capitolo 4
*** Tears, joy and sadness ***


Capitolo III.
 

Tears, joy and sadness

 

Mi lasciai alle spalle l’uomo che credevo mi amasse e tornai indietro da mia figlia. Ferma sulla soglia della porta c’era Julia.
«Hai sentito…»
«Sì, è uno stronzo. Un grandissimo stronzo. No, ma dico: tu sei appena tornata, scappata dai Volturi, con una figlia, sua figlia,  e lui ti tratta così?» Non mi lasciò nemmeno finire di parlare. Il suo solito. «Uomini» fu il suo ultimo commento.
«Ha ragione.»
«Non provare a difenderlo, sai? Lo prenderei a calci nel culo! Un po’ di comprensibilità. E che cazzo!»
Alzai gli occhi al cielo. Quando iniziava con gli insulti, non la smetteva più. Probabilmente era per questo che mi piaceva. Aveva una gran sfacciataggine, cosa che io non avevo. Abbassai il volto e asciugai una goccia. «Entriamo, sta iniziando a piovere.»
Mossi gli occhi lentamente, da sinistra verso destra, in cerca di Ruthie, mentre Julia andò da Alexander, che straordinariamente conversava con Embry.
Ruthie era fra le braccia di Emily e vicino a lei c’era Sam, che le cingeva i fianchi e la guardava. Leah guardava loro e sapeva esattamente cosa stava pensando Sam, una cosa che era una un pugno in faccia, un calcio nello stomaco, una coltellata al cuore.  Vidi Leah stringere gli occhi e poi scappare via. Mi si strinse lo stomaco a vedere quella scena, a vedere il dolore che passava sulla faccia, negli occhi, di Leah. Giuro che vidi qualche lacrima caderle dagli occhi. Raggiunsi mia figlia e me la ripresi, poi l’avvolsi nella mia giacca. Uscii fuori, nonostante piovesse; volevo raggiungere Leah. Volevo parlarle, volevo provare a farla stare meglio. Speravo di riuscirci grazie a Ruthie, trasmetteva dolcezza a chiunque le stava accanto.
«Leah!» urlai il suo nome all’inizio del bosco.
Nessuna risposta, nessun ululato.
«Leah, ti prego. Ho la bambina con me.»
Ho la bambina con me.
Avevo toccato il tasto giusto.
«Cosa vuoi?»
«Ruthie. Non vedi che si sporge da te?»
Mia figlia sorrideva e allargava le braccia; già una volta l’avevo vista intenzionata ad andare in braccio a lei, ma forse Leah non si era osata.
«Non la prendi?» tentai di spronarla.
«Io?» mi guardò meravigliata. Non avevo mai visto quel suo sguardo. «Non ho mai presto un bambino in braccio» ammise.
«Non c’è problema, Leah.» Mi avvicinai a lei, una di fronte all’altra, e le appoggiai delicatamente Ruthie fra le braccia.
«Ora stringi le braccia attorno a lei.»
Leah mi guardò, poi mise gli occhi su mia figlia e delicatamente strinse le braccia attorno a lei.
«Visto?» sorrisi. «È facile.»
Leah si guardò attorno. «Jacob esci fuori.»
Jacob.
Jacob era lì? Ci stava guardando?
Bum bum. Bum bum.
Oh, Jake. Vieni da me, ti prego.
Vieni. Da. Me.
«Clearwater, ma i cazzi tuoi mai, eh?»
«Fai poco il cafone» replicò Leah. «Prenditi le tue responsabilità e metti il tuo fottuto orgoglio maschile da parte per una volta.»
Le parole di Leah sembravano aver colpito Jacob, come una pallottola sparata nel suo cuore.
«Fatti i cazzi tuoi» ripeté.
«No, Jake. Mi devo fare i cazzi miei. La vedi tua figlia? È tua figlia, diamine! Come fai a essere così menefreghista? Come fai a non pensare a lei? Sia tu che Bella avete le vostre ragioni e i vostri torti. Metti da parte il tuo cazzo di orgoglio! E sii uomo.»
Jacob sbuffò. «Sei la solita stronza.»
«Stronza a fin di bene.» Leah Clearwater sorrise. Un sorriso sincero, un sorriso che la rese ancora più bella.
Jacob guardò Ruthie, poi me. Me e Ruthie. Ruthie e me.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… passi e mi ritrovai stretta a Jacob.
Jake, il mio amore.
«Oh, Jake!» scoppiai in lacrime. In lacrime tanto attese, disperate, amare, dolci.
«Bells» sussurrò al mio orecchio. «Bells. Bells. Quanto mi sei mancata.»
Mi aggrappai a lui con tutte le mie forze. Ne avevo bisogno.
Avevo bisogno della sua forza. La sua era la mia.
«Ragazzi?» ci richiamò Leah, poi ci diede nostra figlia.
Ruthie era in braccio a suo padre; lo guardava con occhi adoranti, agognanti. Le avevo tanto parlato di lui, fin da quando era dentro di me. Avevo come l’impressione che loro due già si conoscessero.
«È… è bellissima, Bells.»
«È bella come suo padre. È la tua fotocopia.»
Jacob mi baciò teneramente le labbra, poi un altro bacio sulla fronte. «Ora torniamo dagli altri. Piove troppo.» Mi prese per mano. «Leah, anche tu!»
«Non credo sia il caso.»
«Cosa? Sei scema? Oh, al diavolo Sam ed Emily.»
Leah rise. «Prima faccio una corsettina, poi arrivo, d’accordo? Ah, fammi preparare dei vestiti asciutti.»
«Agli ordina, signora!»
Leah gli fece l’occhiolino, poi si voltò.
«Ah, Leah? Grazie.»
Leah non disse né fece nulla, si trasformò e corse via.
Grazie, Leah. Grazie davvero.
Prima o poi avrei ricambiato. Prima o poi sarebbe toccato a me aiutarla.
 
«Ciao, Bells.» La voce roca e profonda di Billy suonò alle mie orecchie.
Il nonno di Ruthie.
Non avevo pensato a lui, a come avrebbe potuto prendere la notizia di essere diventato nonno. Ma  quando lo vidi a casa di Emily, con una bottiglia di birra in mano, e con un sorriso, quello di Jake, capii.
«Ciao, Billy.» Diedi un bacio sulla fronte di mia figlia, prima di poggiarla sulle gambe di suo nonno, che rimase a fissarla.
Si mise a ridere. «Dio, Jake. L’hai fatta proprio bene.»
«Sono un Black, no? Insomma,» allargò le braccia «basta vedere me!»
«Che sbruffone!» esclamò Rachel.
«È stupenda come sua zia.» Paul l’abbracciò da dietro e le bacio teneramente il collo. Rachel arrossì.
In quel momento mi sembrava tutto perfetto. Sembravamo una famiglia perfetta.
Quante volte avevo immaginato quel momento, mentre ero prigioniera dei Volturi? Quante volte l’avevo fatto accarezzandomi dolcemente la pancia sporgente?
Molte volte l’avevo descritto alla piccola Ruthie dentro di me.
Parlavo, parlavo, parlavo.
Parlavo con voce singhiozzante, tremante, debole.
Qualche volta ne avevo parlato anche con Julia.
«Ehi, Bella. Perché le hai messo il nome Ruthie?» Emily mi passò una fetta di torta.
«Be’, è una storia complicata» guardai Julia. Se le avevo messo quel nome, era per poter ricambiare in qualche modo quello che lei aveva fatto e faceva per me.
 
«Rimasi incinta a sedici anni. Quello stronzo prima mi aveva sedotta, poi mi aveva mollata non appena gli dissi del mio ritardo. Proseguii con la gravidanza, poi decisi di dare quella creatura in adozione. Io mi sentivo troppo una merda per crescerlo. Era una bambina e le diedi il nome Ruthie. Partorii, poi non seppi più nulla di lei. Sono passati venticinque anni da allora.»
 
Il racconto di Julia era ben impresso nella mia mente. Mi si stringeva ancora il cuore, quando ci pensavo. Mi chiedevo come aveva fatto a stare tutti quegli anni lontana da sua figlia. Io non riuscivo a stare più di due secondi senza la mia piccola Ruthie.
«Mia figlia si chiamava così.» Quelle furono le uniche parole di Julia.
Gli altri tutti zitti.
 


Innanzitutto, prima che mi dimentichi, vorrei dirvi una cosa. 
So che i miei capitoli sono molto corti. Ogni volta che mi metto a scrivere un capitolo cerco di farli più lunghi, ma non riesco molto. Pian piano sto cercando di migliorare e di fare i capitoli un po' più lunghi, ma la "missione" non mi sta riuscendo un granché bene. Quindi perdonatemi. Spero di riuscire a scrivere qualche pagina in più pian piano. 
Poi vorrei ringraziarvi. Vorrei ringraziare i lettori silenziosi, vorrei ringraziare a chi mi lascia delle splendide parole. In particolare un grazie alla mia piccola, al mio biscottino, al mio passerotto e alla mia Hila. Grazie, ragazze, siete fantastiche!
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia. 
A presto,
L.

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Capitolo IV.
 

Epilogo

 

Mi svegliai, perché Jacob non la smetteva di ricoprirmi di baci il viso.
Quando aprii gli occhi del tutto infastidita e borbottai qualcosa di incomprensibile persino a me stessa, Jacob, il mio tanto amato Jake, scoppiò letteralmente a ridere. Gli tirai il cuscino, ma il colpo andò a vuoto.
Sbuffai. «Ma che ore sono?»
«Le sette.»
«Cosa? Le sette? Ma… spero che tu abbia un valido motivo per avermi svegliato così presto, Jacob Black» gli puntai contro il dito, a mo’ di minaccia.
«Mhm…» ci pensò su lui.
Mi fece pensare che non aveva nessun buon motivo e la mia mano era già andata a prendere un altro cuscino da usare come pallottola.
Ruthie iniziò a strillare.
Jake sorrise. «Eccolo, il motivo.»
Lo guardai. Si era salvato in corner. Mi alzai, indossai velocemente una maglietta e dei pantaloncini e mi affrettai a prendere mia figlia.
Era l’ora della pappa.
Jacob amava guardaci. Amava guardare la madre di sua figlia allattarla. Questo non me l’aveva detto lui, no, semplicemente l’avevo capito dal suo sguardo. Uno sguardo pieno d’amore.
Erano passati sei mesi da quando ero tornata a Forks e molte cose erano cambiate da allora.
Io e mio padre avevamo fatto pace e Charlie era un gran nonno, così come Billy; mentre il mio rapporto con Jake era migliorato di giorno in giorno ed eravamo riusciti a riprendere l’affiatamento di una volta.
Leah Clearwater si rivelò un’ottima zia… e anche un’ottima amica. Era la madrina di mia figlia ed era impeccabile. Era una seconda madre per Ruthie.
Per quanto riguarda i Volturi, i Cullen ritornarono con dei loro amici per aiutarci. Ci fu una battaglia, ma noi eravamo preparatissimi per ciò e tutto andò bene. Aro & company dovettero ritirarsi a Volterra, inevitabilmente sconfitti.
Finii di allattare Ruthie e la posai nuovamente nella culla. Ancora un po’ e sarebbe caduta nel baratro del sonno.
«Spero che lei non sia stanca, futura signora Black.» Jacob mi sorrise, malizioso.
Arrossii. «Non dovresti essere qui… fra poche ore ci sposiamo. Se ci beccano, siamo morti.»
Mi strinse a sé. «Abbiamo ancora due ore, prima che le ragazze ti vengano a rapire. Che ne dici di sfruttare questo tempo?»



Sì, avete letto bene. Questo è un epilogo. E non sapete quanto mi dispiace che sia così, ma davvero non potevo fare altrimenti. 
Non so se qualcuno si ricorda che la mia vena per Twilight era già sparita. Ora l'ho persa veramente. Ed era da un po' che ero in questa situazione, ma non volevo ammetterlo. Non sapevo se lasciare a metà questa long o finirla alla cavolo. Ho scelto di finirla alla cavolo. Almeno c'ha uno stupido finale e non è incompleta. A parte la mia vena per Twilight persa, non sto passando un bel periodo (un periodo che non finisce più) e alcune di voi lo sanno. In generale, scrivo lentamente. Molto lentamente. Capita che ci metta due mesi per scrivere metà capitolo. 
Spero di non avervi deluso troppo,
L.

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