Come Andromeda

di gaccia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cattura e fuga ***
Capitolo 2: *** tradimento ***
Capitolo 3: *** sacrificio ***
Capitolo 4: *** verità ***
Capitolo 5: *** è morto il re, viva il re ***



Capitolo 1
*** cattura e fuga ***


 

 

 

Buonasera, non vi trattengo a lungo.

Questa è una piccola storiella, ambientata in un tempo passato, pieno di mostri e magie... con personaggi di proprietà di Stephenie Meyer, in una storia senza scopo di lucro.

Sarà una storia breve e senza pretese. Buona lettura


Vivevo in una terra tranquilla, in una casa circondata di campi, con un ruscello che scorreva accanto alla pala del mulino. Avevamo un buon tiro di cavalli per arare, e mucche per fare il formaggio. Avevamo un appezzamento che ci rendeva tutto il grano necessario per vivere e per venderne una parte. Le galline ci regalavano parecchie uova e anche la scrofa si dava da fare col partorire maialini.

Era una bella fattoria, con tanti animali. Ci vivevamo io con la nonna, lo zio e i miei genitori. Il lavoro era massacrante ma non ci lamentavamo ed eravamo felici.

 

Tutto si infranse una notte… quella notte, quando arrivarono i soldati, nelle loro armature brunite, armati di lance e spadoni.

Lo zio li aveva sentiti all’inizio della valle ed era corso a casa per avvertirci. Ci eravamo rinchiusi nella grande cucina, vicino al camino.

Mio padre voleva uscire, parlare con loro, difendere la sua terra ma mia madre glielo impedì, piangendo, implorando, trattenendolo, e lui, alla fine, si rifugiò con noi, come un topolino in attesa del gatto che ci avrebbe stanati.

 

I colpi alla porta erano fortissimi e in pochi istanti il pesante legno si infranse sotto di essi.

Entrarono, gettando in aria mobili e sedie che ostacolavano il loro cammino. Dall’entrata arrivarono subito alla cucina e lì ci presero spingendoci all’aperto.

“Fuori!” urlavano spintonandoci. Due volte inciampò la nonna, la terza volta rimase a terra, colpita a morte dalla spada di un soldato.

Avevano armature con venature rosse, come se il sangue fosse rappreso, a futuro monito contro chiunque volesse contrapporsi alla loro forza bruta. Altro sangue si era versato quella notte.

 

“Che volete? Non siamo ricchi, abbiamo quello che serve per mangiare, ma quel poco lo possiamo dividere con voi” mio padre mormorava a quello che sembrava il capo di quei barbari.

“Ci sono altri?” domandò quello, senza neanche accennare a quanto detto dal mio papà.

“No, nessun altro. Nella valle abitiamo solo noi e altre due fattorie a qualche lega più a nord” rispose mio zio.

Il capo indicò la mia persona “E’ vostra figlia? Quanti anni ha?”

“Sì, è mia figlia, ha appena compiuto 18 anni, è in età da marito. La prego non le faccia del male” implorò mia madre, sbiancando alle minacce che potevano nascondersi dietro la domanda.

“E’ pura?”. Cosa potevo rispondere? Che ero illibata? Mi avrebbero lasciata stare?

“No” rispose mio padre, senza timore per la bugia appena detta.

“Chiamate la donna! Controlleremo e se hai detto il falso tu e il resto della tua famiglia morirete”. La minaccia mi gelò il sangue. Verso di me avanzava una figura traballante, avvolta da un mantello nero come la notte senza luna.

Terrorizzata mi lanciai ai piedi del capo dei soldati “Sono pura! Ho mentito a mio padre perché voleva farmi sposare con un vecchio, ma lo giuro sulla croce, sono pura!”

 

Il comandante aprì le labbra a un sorriso sardonico, poi alzò il braccio e fece un gesto con la mano. Immediatamente mio padre e mio zio vennero circondati e mentre io venivo strappata dalle braccia di mia madre, udii urla di dolore e terrore, seguite da un silenzio innaturale.

“Padre! Padre! Madre!” urlavo, ma nessuno mi rispondeva.

Venni trascinata e gettata su un carro, senza alcuna gentilezza. Accanto a me una donna vecchia e raggrinzita mi fece cenno di sedermi e restare in silenzio.

“La... mia famiglia...” pigolai singhiozzando.

La vecchia scosse la testa “Dimenticali! Ormai non esistono più”.

La durezza di quelle parole mi gelò il sangue. Ero rimasta sola, rapita da questi soldati senza alcuna ragione apparente.

Il carro iniziò a muoversi e sentii in lontananza i lamenti strazianti di animali uccisi mentre si alzava una funesta voluta di fumo. Il mio passato stava bruciando.

 

 

 

“Dove stiamo andando?” chiesi dopo un giorno di viaggio.

Non avevo osato proferire una parola da quando eravamo partiti... ero terrorizzata. Dopo un primo momento di sconforto e desiderio di morire come i miei famigliari, la voglia di sopravvivere e l'istinto di conservazione aveva avuto il sopravvento. Non volevo morire, ero giovane e avevo tante cose da fare, sposarmi, avere dei figli e servire il mio futuro marito e la famiglia.

“Lo saprai al momento opportuno” rispose la vecchia. Non si era mossa di un centimetro da quando eravamo partiti.

Avevo solo visto un paio di soldati che porgevano i pasti attraverso la tenda del carro, senza neanche guardare dentro. Sembrava quasi fosse vietato sbirciare dalla nostra parte e di questo fui molto grata. Non avrei retto le occhiate o le mani di quegli assassini.

“Da dove venite voi?” chiesi ancora, sperando invano in una risposta. Nessuno parlò, come se la vecchina fosse congelata.

 

Dovevo pensare, dovevo scappare, mentre credevano di avermi in pugno. Avevo intuito che la mia condizione di vergine era importante. Probabilmente era l’unica cosa che mi aveva salvata e quasi certamente quello che mi proteggeva dalla violenza o peggio, dalla morte.

Partendo dal presupposto che nessuno mi avrebbe toccata, passai a pensare a come allontanarmi dai soldati. L’unica cosa che mi venne in mente, fu la necessità di evacuare. Sicuramente non mi avrebbero spiata, visto che non mi sbirciavano neanche ora che ero vestita. Magari mi avrebbero mandata in un luogo appartato con la vecchietta, e questa era facile da sopraffare per poi fuggire.

Era un piano pericoloso, ma d’altra parte, che altro potevo fare se non provarci?

 

“Ho bisogno di espletare i miei bisogni... non riesco più a trattenere” mormorai con voce bassa ma udibile dalla vecchina. Lei alzò la testa quel tanto che bastava per verificare se stavo mentendo, poi, giudicando che avevo detto la verità, tirò una corda che sembrava abbandonata sul fondo del carro e immediatamente lo stesso si fermò.

Con passo malfermo si alzò ed avanzò verso il retro per parlare con il soldato che probabilmente sarebbe venuto ad informarsi su quanto avevamo bisogno.

Li sentii bisbigliare qualcosa, poi la vecchia si voltò verso di me: “Scendi, ti accompagnerò io” Stava andando meglio del previsto, non sarebbe stato difficile sopraffare quella megera.

 

Venni aiutata a scendere e seguita dalla vecchia che mi teneva per un braccio. A una decina di passi da noi sentivo distintamente il cigolare dei giunti di una corazza, probabilmente un soldato che ci scortava con discrezione.

Trovammo un ruscello, dove poter fare le abluzioni. La megera mi indicò uno spiazzo quasi completamente circondato da cespugli, mentre lei si accomodava su una pietra piatta a larga, accanto all’acqua.

“Fai presto. Poi vieni a lavarti qui, che io ti veda bene. Devo esaminarti per stabilire se sei adatta” ordinò, ma io mi persi nei significati delle sue parole.

“Adatta per cosa?” chiesi.

“Per quello per cui sei stata presa” mi rispose evasiva. La conversazione era finita perché mi indicò la macchia verde con il dito adunco e tornò a fissare l’acqua.

 

Cercai di vedere dove si era posizionato il soldato, dovevo essere ben nascosta per cominciare la mia fuga. Mi voltai, mi spinsi sulle punte ma niente, neanche lo scintillio dell’armatura si vedeva, e la vecchia era assorta in chissà quali pensieri, non mi prestava attenzione.

Mi nascosi dietro i cespugli, guardando attentamente quale sentiero avrei potuto seguire per fuggire.

Non avevamo fatto giri strani, eravamo arrivati in linea retta da levante e la carovana stava viaggiando verso ponente. Tutte e due le strade sarebbero state un azzardo, perciò decisi di indirizzarmi verso mezzodì, seguendo il corso del ruscello.

Sentii un guizzo d’acqua e mi voltai spaventata, convinta che il soldato mi volesse sorprendere proprio attraversando il corso d’acqua… invece vidi solo sparire la coda di un pesce.

Beato lui che viveva libero e felice, almeno sino a quando non fosse stato pescato e cucinato da qualcuno. Tutti dovevano preoccuparsi per garantire la propria sopravvivenza, e ora lei stava per agire per salvaguardare la sua.

 

Cercando di fare meno rumore possibile, iniziai a camminare velocemente verso la direzione che mi ero prefissa, avendo cura di calpestare l’erba per attutire ogni rumore possibile. Quando pensai di essere abbastanza lontana sollevai la gonna per non bagnarne il bordo e iniziai ad avanzare tenendo al centro del ruscello per un lungo tratto, in modo che neanche il fiuto dei cani potesse rintracciare il mio odore, nel caso mi avessero inseguita.

Quando mi ritenni abbastanza lontana, tornai sulla riva ed iniziai nuovamente a correre verso la salvezza.

All’improvviso un riflesso argenteo mi abbagliò e mi bloccai terrorizzata, per poi ridere sommessamente quando mi accorsi che era stato sicuramente una squama del pesce che stava riaffondando nell’acqua ad avermi accecata.

 

Continuai il cammino, intervallandolo alla corsa appena il sentiero diventava più largo. Era fondamentale allontanarsi il più possibile, prima che i soldati mi raggiungessero. Non ero sicura che la mia verginità mi avrebbe difesa dall’ira del feroce comandante.

All’imbrunire crollai sfiancata ai piedi di un albero. Avevo le gambe doloranti e il cuore che mi scoppiava in petto, dovevo riposare o non sarei stata in grado di fuggire oltre.

Quello che all’inizio pareva un boschetto isolato, si era dimostrato una intricata foresta, che aveva coperto la mia fuga ma che rischiava di inghiottirmi senza lasciarmi scampo. Dovevo trovare al più presto la via d’uscita da quella macchia di verde scuro che, a causa dell’oscurità crescente, diventava sempre più ostile.

 

Mi disposi su un letto di foglie ai piedi dell’albero e chiusi gli occhi addormentandomi subito. Nelle orecchie suonava lo sciabordio delle acque del torrente vicino, interrotte da qualche spruzzo di acqua fatto sicuramente da un pesciolino un po’ troppo allegro.

Il mattino arrivò troppo in fretta, ma soprattutto in modo spaventoso: una mano di chiuse violentemente la bocca, mentre un braccio mi cingeva per la vita e mi trascinava a ridosso dell’albero che mi aveva vegliato la notte.

Ero terrorizzata, i soldati mi avevano trovata, tutto era stato inutile.

Iniziai ad agitarmi, scalciando e cercando di liberarmi.

“Schhh. Zitta. La foresta è piena di soldati di Nimuve, non voglio che mi trovino o mi impiccheranno” a questo punto mi rilassai. Se questo uomo aveva lo stesso mio nemico, allora era mio amico, o avrebbe potuto aiutarmi.

Sentii i passi cadenzati e pesanti dei soldati con le armature che si avvicinavano per poi allontanarsi e internamente sospirai di sollievo.

 

Il braccio e la mano mi lasciarono libera. “Scusami, ma se ti fossi messa ad urlare, per me sarebbe stata la fine” si giustificò quello che, a prima vista, era un giovane uomo della mia età.

Aveva la pelle scura, ricordava il cuoio lavorato, capelli lunghi neri e occhi che parevano due immensi pozzi di olio.

“Tu che ci fai nella foresta tutta sola?” mi chiese, squadrandomi curioso.

“Anche io sono fuggita dai soldati, ma non sapevo che fossero di Nimuve. Mi hanno rapita ed hanno ucciso i miei genitori, forse mi volevano vendere come schiava” ipotizzai.

“Probabile, è un commercio fiorente in città. Dove sei diretta?” chiese ancora.

“A sud, poi non so” risposi imbarazzata. Avevo solo abbozzato il piano di fuga, non deciso tutto.

“Perfetto! Anche io vado a sud. Voglio imbarcarmi verso le nuove terre che hanno scoperto al di là del grande mare. Così avrò la mia terra e potrò crearmi un futuro” i suoi occhi luccicavano di entusiasmo che contagiò anche me.

“E’ una buona idea. Verrò anche io… se posso” forse non voleva avermi tra i piedi. Lui era più alto di me e sicuramente più forte, visti i muscoli possenti che mostravano le sue braccia, non aveva bisogno di uno scricciolo come la sottoscritta.

Il suo sorriso fu semplicemente abbagliante “Certo che puoi! Sono felice di fare con te questo viaggio. Ci aiuteremo a vicenda e insieme riusciremo a superare i controlli delle guardie. Si aspettano di trovare una ragazza o un ragazzo da soli, non una coppia” sembrava avesse già un piano e prese a spiegare come potevamo giustificare il nostro viaggiare insieme e senza bagagli.

Il suo entusiasmo mi contagiò all’istante e anche io proposi alcune idee.

“A proposito! Io mi chiamo Isabella” dissi ad un certo punto, ricordandomi che non sapevo ancora il nome del ragazzo.

“Giusto. Io mi chiamo Jacob” rispose facendo un buffo inchino e facendomi ridere.

 

Angolino mio:
Siamo al tempo dei cavalieri, del medioevo, del tempo di Re Artù, di maghi, maledizioni e lotte di potere, in una terra lontana e indefinita con città e paesi ormai distrutti.
Pochi capitoli... spero che vi piaccia

Grazie per l'attenzione
alla prossima
baciotti

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Capitolo 2
*** tradimento ***


 

 

Ciao a tutti…

Tanti auguri a meeeeeee, tanti auguri a meeeeee, tanti auguri a Graziaaaaaaa, tanti auguri a meeeeeee (sembro una pecora…)

Ebbene sì, ieri compivo gli anni… e visto che sono arrivata a un punto dove l’età si tiene nascosta… è il terzo anno di fila che compio la stessa età: è più comodo, cifra tonda, non mi sbaglio…tutte le giustificazioni possibili per barare sulla carta d’identità!

Vi lascio con il secondo capitolo di questa storiella…

Per chi si chiedesse dov’è Edward, sappiate che l’abbiamo già incontrato…

Ricordatevi che questa è una storia piena di magie!

Adesso vi lascio alla lettura…

 

---ooOoo…

 

Continuavamo ad avanzare con gran fatica tra i giunchi di quella parte di terra paludosa.

Avevo seguito Jacob, diretta verso sud, con la speranza di salvarmi dalle guardie che ci seguivano e nello stesso tempo, la voglia di crearmi un futuro, visto che quello che avevano sperato i miei genitori mi era ormai precluso.

“Forza, Isabella, dovremmo esserne quasi usciti”. Era almeno mezza giornata che il mio compagno ripeteva la stessa frase a cadenze regolari. Non avrei mai creduto che la gioia di essere uscita dalla foresta si sarebbe trasformata in questa agonia.

Meno male che, in fatto di paludi, ero abbastanza esperta, avendo vissuto in quello strano microcosmo che era la mia valle di origine. Oltre i nostri campi e il torrente, c’era una piccola palude con tanto di sabbie mobili. Sin da piccola, lo zio mi aveva insegnato come distinguere ed aggirare i pericoli, pertanto ero sufficientemente sicura di riuscire ad uscirne sana e salva e con me Jake.

 

Non potevo sperare in un compagno di viaggio migliore, era allegro e arguto.

Mi raccontò che era originario di un villaggio ai piedi della catena montuosa che cingeva il regno di Nimuve. I suoi genitori erano intagliatori del legno ed erano molto apprezzati per i loro manufatti.

Purtroppo gli piaceva la lotta, e ovunque scoppiasse un tafferuglio, lui era presente, sin da piccolo.

Era il classico ragazzino vivace, ma amorevole con la sua famiglia.

Il podestà del villaggio, non la pensava così, invece e, all’ennesimo guaio, chiamò i soldati per farlo arrestare.

In pochissimo si ritrovò a lavorare nelle caserme dell'esercito, come garzone tuttofare, sottoposto a tutte le angherie possibili e vessazioni che avrebbero spezzato chiunque.

“Pensa che mi facevano pulire anche le incrostazioni sugli stivali...” ed iniziò a ridere al ricordo di qualcosa “una volta avevo anche riempito gli stivali di sterco... dovevi sentire le urla, credo che le abbiano sentite sino a Gamsca” e anche io mi misi a ridere.

Alla fine era riuscito a scappare e per questo ora era inseguito per tutta la regione.

 

Alla fine del quarto giorno dalla mia fuga, eravamo riusciti ad uscire dalla foresta e dalla palude. Una vasta pianura si stendeva ai nostri piedi, a perdita d'occhio mischiando il suo colore verde e giallo con l'azzurro del cielo, sino a confondersi all'orizzonte.

Là in fondo, sorgeva la città libera di Sfinghertea, con il suo porto da dove poter salpare alla volta delle nuove terre.

“Ci vorranno ancora dieci giorni di cammino, ma se non ci sono incidenti e il tempo sarà buono, ce la faremo senza ritardi”. Il pronostico di Jacob mi riempì il cuore, ancora dieci giorni e la mia vita sarebbe definitivamente cambiata.

 

Avevamo preso a dormire abbracciati sotto le ampie fronde degli alberi. Jake cercava sempre di proteggermi dal freddo, prepararmi il giaciglio più comodo, cedermi le parti migliori degli animali che cacciava per mangiare. Era anche riuscito a trovare alcune pesche e non ne aveva assaggiato neanche una fetta, regalandola a me, con la scusa che ero troppo magra e gracile e dovevo nutrirmi bene.

Mi sentivo protetta e onestamente la compagnia di Jacob mi stava piacendo più del lecito. Obbiettivamente era un bel ragazzo e vederlo così concentrato sulla sicurezza della mia persona mi faceva sentire importante.

Quando si avvicinava, cominciavo a sentire le mie guance diventare sempre più rosse, mentre il mio cuore batteva più forte. Mi ero sentita vagamente così, quando il garzone del fabbro passava dalla fattoria. Mi aveva fatto capire che gli piacevo, ed io mi sentivo lusingata, poi però aveva spezzato il mio cuore quando avevo saputo che si era fidanzato con la figlia del fornaio del villaggio.

Adesso era diverso, più intenso, più vero.

 

Quella sera trovammo un capanno spoglio e abbandonato, che era adattissimo al nostro riparo notturno. Jacob, cominciò subito a preparare i giacigli mentre io andai alla ricerca di frutta e bacche per cena, non avevamo trovato selvaggina e dovevamo accontentarci.

Il sole mandava ancora i suoi ultimi raggi, regalando la luce più intensa prima del tramonto.

Avevamo ripreso a seguire il corso del torrente che adesso si era trasformato in un vero fiume.

Camminando mi ritrovai in riva alle acque. Desideravo lavarmi, mi sentivo sporca e stanca e l'acqua scorreva cristallina ed invitante.

Decisi in un secondo ed iniziai a spogliarmi, rimanendo in sottoveste, scendendo poi in mezzo ai flutti, rilasciando un lieve sospiro di piacere.

Nuotai sino al centro del fiume, lasciandomi poi trascinare dalla corrente. Non era molto prudente, ma in quel momento non mi interessava, volevo solo rilassarmi senza pensare a nulla.

 

Non so quanto tempo passò, ma quando mi decisi a tornare sui miei passi, mi trovai prigioniera della corrente, trascinata lontano tra i flutti. Il fiume sembrava ingrossato, e mi stava spostando violentemente verso alcune rocce che spuntavano minacciose.

Iniziai ad avere paura e cominciai a urlare con tutto il fiato che avevo in gola, nella speranza che Jacob riuscisse a sentirmi. Avevo freddo, ero stanca e si stava facendo buio rapidamente.

Ero quasi arrivata al limite, ed iniziavo a sputacchiare l’acqua che cercava di entrare nei miei polmoni, quando percepii una superficie viscida e squamata sotto la mia mano.

Era un pesce, ed era… enorme, più grande di me.

 

Sentii l’acqua mulinare, come se quell’essere subacqueo mi girasse attorno. Avevo paura, voleva mangiarmi? La coda del pesce si spinse nuovamente contro la mia mano, come a invitarmi ad afferrare una pinna. L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio ed afferrai saldamente l’appiglio che mi veniva offerto.

Subito venni trascinata a velocità folle, lontano dai pericoli e verso il punto in cui avevo lasciato i miei abiti. Ogni tanto puntavo la testa sotto l’acqua, per vedere com’era l’essere che mi stava portando in salvo, ma, proprio perché era buio e molto veloce, non riuscivo a distinguere nulla oltre la lunga coda argentata.

Non so quanto tempo fosse passato, ma mi trovai esausta in pochissimo e pian piano persi le forze lasciando il mio appiglio e la coscienza.

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“Isabella, Isabella. Ti prego svegliati”. Qualcuno cercava di togliermi il velo dell’oblio dagli occhi. Ero stanca, non potevano volere anche questo.

Con uno sforzo sovraumano, cercai di focalizzare il viso preoccupato che era chinato su di me.

“Dio! Ti ringrazio! Eri come morta. Ho avuto tanta paura di averti perso” disse Jacob, stringendomi.

Solo in quel momento mi accorsi di essere completamente nuda sotto la coperta lacera che copriva entrambi.

Anche lui era nudo, abbracciato a me, e continuava a fregare le braccia per scaldarmi.

“Cosa…” la gola era secca e raschiava al passaggio dell’aria “Cosa è successo?”

“Era tardi e tu non eri ancora tornata, così sono venuto a cercarti. Ti ho trovata sulla riva del fiume, bagnata e fredda… non ti muovevi e respiravi a fatica… eri talmente fredda. Così ti ho portata qui, ho acceso il fuoco, ti ho spogliata ed ho cercato di scaldarti con il mio corpo… scusami”. L’ultima parola la disse arrossendo, mentre si allontanava da me e si infilava la camiciola, senza guardare il mio viso.

 

Un’immagine di sfuggita del suo torace muscoloso, mi fecero arrossire come non mai. Non ero mai stata così vicina a un uomo, né mi ero fatta vedere così discinta da qualcuno che non fosse mia madre. Subito mi spaventai… mi aveva fatto qualcosa? Era stato irrispettoso della mia persona?

Questi pensieri erano stupidi, Jacob non l’avrebbe mai fatto, se avesse voluto farmi del male o prendermi con la forza, ne avrebbe avuto tutte le possibilità in quei giorni. In più, sentirlo così vicino, senza l’ostacolo dei vestiti era stato qualcosa di sconvolgente, nel senso buono del termine.

Non sapevo come comportarmi ma non volevo che si allontanasse da me, a dispetto di tutte le conseguenze possibili.

Tesi la mano e lo trattenni, avvicinandomi a lui. Nel gesto, mi ero seduta, e la coperta era scivolata sul grembo, mostrando il mio seno ai suoi occhi. In quel momento non mi vergognai, volevo solo sentire la sua pelle sulla mia, sentirmi ancora protetta.

 

Mi allungai verso di lui e lo accarezzai. Lo sentii tremare sotto le mie dita, mentre guardava ipnotizzato i miei occhi, per poi passare alle labbra, al seno, e poi ricominciare.

Ci ritrovammo nuovamente abbracciati, le sue mani vagavano delicate sul mio corpo, soffermandosi sul mio petto.

Quando le sue dita sfiorarono il mio capezzolo, non riuscii a trattenere un gemito ed inarcare la schiena chiedendo di più. Il suo viso si avvicinò lentamente al mio.

Volevo baciarlo, volevo farmi baciare. Desideravo ardentemente il mio primo bacio, in quel momento, in quel posto, con lui.

Chiusi gli occhi e mi sporsi ulteriormente, sentivo il suo respiro infrangersi sulle mie labbra, vicinissimo…

Poi, più nulla. Aprii gli occhi di scatto e lo vidi alzarsi ed infilarsi i vestiti.

“Jacob”. Che voce strana avevo, sembrava il pigolio di un uccellino smarrito.

Si inginocchiò vicino a me e mi carezzò la guancia che ancora scottava dal rossore.

“Non voglio prendermi delle libertà sull’onda del momento… preferisco che ne siamo ambedue convinti e sicuri” disse dolcemente, aggiungendo “Vado a cercare un po’ di legna, tu vestiti nel frattempo” e indicò i miei abiti appoggiati accanto al giaciglio.

Quella notte non lo sentii tornare. Mi ero addormentata subito dopo la sua uscita e mi svegliai solo il tardo mattino seguente, quando sentii crepitare il fuoco, accompagnato dal profumo di carne.

Jacob era di nuovo vicino a me, sereno, e decisi che per il momento mi stava bene così.

 

Altri giorni trascorsero tranquillamente. Non facevamo menzione di quanto accaduto la prima notte nella pianura, così come io non dissi nulla sulla strana creatura che mi aveva salvato dalle acque.

Continuavamo a seguire il corso del fiume, così era più facile imbatterci in fattorie e poter mangiare qualche pezzo di pane o una zuppa di orzo.

I contadini erano poveri, ma dividevano generosamente il poco che avevano anche con noi.

Ogni tanto sentivo il rumore degli schizzi d’acqua e sorridevo, pensando che fossero provocati dall’essere che mi aveva aiutato.

 

Eravamo quasi arrivati alla città, in lontananza se ne intuivano le ombre, circondate dalla foschia.

Sembrava che Jacob mi avesse letto nella mente perché confermò “Ancora un paio di giorni e ci s…” non riuscì a terminare la frase che il sibilo di una freccia ruppe il silenzio, colpendo il mio compagno alla spalla.

“Ahhh!”. Un gemito di dolore fu tutto quanto disse accasciandosi, prima di gettarmi a terra per coprirmi da altre armi “Stai giù!” ordinò, poi iniziò a strisciare tra l’erba alta.

Il rumore che sentii subito dopo furono una serie di colpi e qualche urlo, poi il silenzio.

Ero preoccupata e spaventata, qualcuno aveva tentato di uccidere Jacob, e magari c’era riuscito.

Mi alzai e incurante del pericolo corsi verso i rumori che avevo sentito prima.

 

“Maledetto… tu e tutti quelli come te… meriti l’inferno…” un uomo, vestito con umili panni, era riverso sul terreno, mentre Jake stringeva una corda attorno al suo collo.

Era orribile, spaventoso. Vedevo le braccia del mio amico gonfiarsi e tendersi nello sforzo di procurare la morte a quell’uomo che adesso mi sembrava indifeso.

Quando smise di agitarsi e la fine lo colse, le braccia di Jacob si rilassarono e si lasciò scappare un sospiro di sollievo voltando il capo verso di me.

I suoi occhi erano freddi, il suo viso tirato in una maschera di odio. Mi spaventai e mi uscì un gemito simile a un singhiozzo, subito coperto dalle mani. Non lo avevo mai visto così, era terribile.

 

“Isabella, Isabella, vieni. Non aver paura. È tutto finito” mi disse non appena mi vide così sconvolta. Non sapevo cosa fare, le gambe non reagivano e non riuscivo a muovermi.

Si avvicinò a me e mi abbracciò, carezzandomi la schiena e continuando a ripetermi che non vi era più pericolo e che sarebbe andato tutto bene.

Poco a poco mi rilassai. Ero al sicuro e tra poco saremmo giunti in città, per salpare alla volta delle nuove terre. Ero quasi arrivata alla fine del viaggio, grazie a lui che mi aveva protetta. Come potevo averne paura? Mi riscossi e medicai immediatamente la sua ferita, prima che si infettasse.

 

Finalmente, laceri e sporchi, giungemmo a Sfinghertea. Grazie all’intraprendenza di Jacob, riuscimmo a passare i cancelli di guardia ed addentrarci nella città.

Era davvero bellissima, con alti palazzi in pietra e vicoli puliti. I cittadini giravano indaffarati con le loro ceste piene di mercanzie e ovunque si sentiva il profumo di pesce e carne alla brace.

“Vieni, mi è stato detto che per gli imbarchi dobbiamo recarci in una casa vicino alla cattedrale” disse Jacob, prendendo il mio polso e trascinandomi verso questa destinazione.

Sembrava quasi posseduto, camminava velocemente come se fosse inseguito, tanto che io dovevo correre per stargli dietro e non cadere sul selciato.

In pochissimo tempo arrivammo alla casa. Era l’imbrunire del decimo giorno, come aveva predetto Jake, uscendo dalla foresta.

Bussò alla porta, tre colpi forti, seguiti da due deboli e nuovamente tre forti. Sembrava un segnale.

Non sentii togliere alcun catenaccio, ma la porta si aprì silenziosamente e il mio compagno entrò senza altro indugio, trascinando anche me all’interno della casa.

 

Feci alcuni passi sino ad arrivare al centro di una stanza in penombra. Non era spoglia come mi aspettavo, anzi, era riccamente arredata, con cassettoni, panche, arazzi alle pareti e morbidi tappeti a terra.

“Jacob” mormorai, mentre iniziavo a tremare, inquieta. C’era qualcosa che non andava.

“Bravo Jacob! L’hai riportata sana e salva!”. La voce sprezzante del comandante ruppe il silenzio, mentre da un angolo buio della stanza, si ergeva in tutta la sua terribile figura.

“Come mi avevate ordinato, comandante”. Jake, il mio amico, colui che mi aveva protetta tutto quel tempo… mi aveva tradita. Era un impostore, un inganno.

Mi vennero in mente gli ultimi insulti dell’uomo che aveva ucciso pochi giorni prima ‘Maledetto tu e tutti quelli come te, meriti l’inferno’ poi mi ricordai della storia che mi aveva narrato. Non era stato un garzone, era stato arruolato a forza nell’esercito. Era un soldato ed era mio nemico.

“E’ ancora integra, vero?” chiese ancora il comandante.

Un altro colpo al mio cuore, venne inferto con quelle parole. Mi aveva rifiutata per questo, dovevo rimanere pura, per il compito per il quale ero stata rapita e la mia famiglia uccisa.

“Sì” confermò il ragazzo sconosciuto che era stato al mio fianco in quei giorni.

“Puoi andare” ordinò il comandante prima di iniziare ad avvicinarsi a me “E ora a noi… piccola Isabella”.

In quel momento capii di essere perduta.

 

---ooOoo---

 

Angolino mio:

per chiunque volesse, sono a disposizione pale e forconi per infilzare questo stronzo.

E non credo si debba aggiungere altro…

Pertanto, ringrazio per l’attenzione

Alla prossima (martedì prossimo con il terzo capitolo)

baciotti

 

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Capitolo 3
*** sacrificio ***


 

Buongiorno a tutti.

Visto che domani sono impegnata e che il capitoletto è già pronto, anticipo la scadenza, sperando che apprezziate il regalo anticipato.

Ricordatevi:  questa è una storia fantasy, dove la magia la fa da padrone, tutto e il contrario di tutto sono possibili.

Buona lettura

 

---ooOoo---

 

 

Avrei voluto piangere, strapparmi gli occhi e il cuore dal dolore che mi era stato inferto, invece l’unica cosa che sentivo era odio. Profondo, intenso odio contro Jacob.

Lui mi aveva ingannata, mi aveva tradita, aveva fatto in modo che mi fidassi e mi aveva venduta nel più meschino e viscido dei modi.

Come aveva potuto? E come avevo potuto io, fidarmi così ciecamente di lui?

Come aveva potuto battere così forte il mio cuore con lui vicino? Mi aveva abbracciata, mi aveva salvata dal congelamento, mi aveva toccata… non significava niente?

Ormai non avevo più lacrime da versare.

Quando il soldato, dall’armatura brunita venne a prelevarmi dalla cella nella quale ero stata rinchiusa, non cercai minimamente di ribellarmi. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma ormai non avevo più la forza per combattere.

 

Venni scortata attraverso numerosissime scale e attraversai altrettanti corridoi. Il soldato era sempre al mio fianco, completamente coperto dalle piastre della sua cotta e dall’elmo.

Quando giungemmo di fronte al portone di accesso di quella che pareva la nostra destinazione, si tolse l’elmo e a me si bloccò il fiato.

Era lui, il traditore. Jacob.

Sentii nuovamente le lacrime pungermi, lottando per scorrere libere. “Perché?” chiesi. Solo questo, volevo sapere solo questo.

Cosa gli avevo fatto di male per meritarmi questo trattamento da parte sua? Non mi aveva conosciuta? Non sapeva che non ero cattiva?

“Dovere” rispose secco… poi osservandomi con la coda dell’occhio, aggiunse in un sussurro “Grazie per avermi medicato, Isabella… mi… mi dispiace” e detto questo tornò ad assumere un’espressione vuota ed aprì la porta, introducendomi al cospetto della persona che aveva ordito contro di me.

 

Il salone, nel quale ero entrata, era immenso. Con stucchi dorati, marmi e preziosi arazzi alle pareti e tappeti riccamente elaborati sul pavimento. Sulla parete opposta alla porta, si trovava un rialzo, dove spiccava un grande trono dorato, riccamente intarsiato.

Jacob mi fece un gesto secco per farmi avanzare al centro del salone e chiuse la porta, lasciandomi sola ad aspettare.

“Benvenuta tra noi… tu dovresti essere Isabella? Giusto?”. Una voce melodiosa di donna, proveniente dal retro di alcuni pannelli posti alle spalle del trono, ruppe il silenzio, ghiacciandomi sul posto.

 

Attesi alcuni minuti, senza avere il coraggio di muovere un muscolo. Sentivo dei rumori soffocati dietro al pannello, come due persone che stessero parlando… o facendo altro.

“Dimmi, Isabella, tu sai perché sei qui?” chiese ancora la voce, sospirando subito dopo.

“No” bisbigliai. Probabilmente non mi sentirono, non mi ero sentita io stessa, così ripetei l’affermazione con voce più alta. “No”.

“Te l’ho detto… è forte”. Quella affermazione mi gelò ancora di più: era il comandante.

Una risata riempì la sala. “Andiamo” un ordine trasformato in preghiera da parte della donna mi rese attenta. Stavano arrivando.

 

Sbattei le palpebre diverse volte, per abituarmi allo splendore di donna che mi trovai davanti. Vero che avevo vissuto quasi in isolamento, con le uniche donne che conoscevo bene: la mamma e la nonna, ma in qualche sporadica visita al villaggio, ne avevo incontrate altre. Lei le superava tutte in grazia e bellezza.

I suoi capelli biondi come il grano maturo incorniciavano un viso cesellato dagli angeli. Le ciocche scendevano lungo la schiena per arricciarsi sopra le natiche che ora lasciava scoperte. La sua bocca era rossa, carnosa, come il ricordo di un peccato. La sua pelle era diafana, trasparente, porcellana perfetta. Gli occhi, erano pezzi di cielo incastonati in lunghe ciglia scure, il suo corpo era splendido.

Si presentò completamente nuda ai miei occhi, accompagnata dal comandante che vedevo privo di armatura per la prima volta.

Anche lui era nudo, se si faceva eccezione per un misero pezzo di stoffa che gli circondava i lombi, coprendo il suo sesso.

Anche questa volta mi sentii minuscola in confronto alla sua corporatura. Era enorme, con muscoli guizzanti in tutto il corpo. Se Jacob mi era sembrato molto sviluppato, era nulla paragonato a quell’uomo. Bruno con gli occhi grigi, il petto lucido, seguiva la sua donna con una devozione quasi religiosa.

 

“Aiutami per favore” chiese dolcemente all’uomo consegnandogli un drappo dorato. Lui lo prese e l’aiutò ad indossarlo, dopo aver deposto un bacio adorante sulla spalla di lei.

Ero completamente affascinata dalla scena. I due erano in intimità, eppure si mostravano a me senza alcun pudore.

La donna non si preoccupò di chiudere la vestaglia infilata e si sedette tranquillamente sul trono, lasciando in mostra un seno e le gambe completamente nude. Il comandante si sedette ai piedi della donna, lasciando che la mano di lei gli accarezzasse i capelli.

“Allora, Isabella, sai chi sono io?” chiese dolcemente la donna.

Negai. Sapevo che doveva essere una donna importante per avere il controllo del comandante e i soldati ai suoi ordini, ma non avevo idea di chi esattamente fosse.

“Sono la Regina! Sono a capo del regno di Nimuve e della città di Sfinghertea, il mio dominio va dal mare alle montagne del cielo oscuro, dalle colline d’oro alla pianura degli sherpa. Io posso tutto su queste terre, quindi, visto che tu vivevi nella valle di Vatia, posso tutto anche su di te” concluse con un sorriso accondiscendente.

La sua mano continuava ad accarezzare i capelli corti del comandante, come se fosse il suo gatto.

Sembrava una scena dolce, ma in realtà, il fuoco inestinguibile che leggevo nei loro occhi, mi faceva tremare di paura.

 

“Cosa… cosa volete da me? Perché sono qui?” chiesi cercando di farmi coraggio.

“Perché sono qui? Cosa volete da me?” scimmiottò il comandante facendo ridere la regina.

La risata argentina della donna si spense all’improvviso “Devi essere sacrificata… per il bene del regno. Alice!” urlò infine.

La vecchina che mi aveva accompagnato all’inizio del mio viaggio, si fece avanti comparendo dal nulla, come se si fosse materializzata in quel momento staccandosi dal muro. Avanzò con il suo passo incerto e sicuro allo stesso tempo. Sembrava volesse andare veloce ma fosse costretta di forza a rallentare.

“Prendila e ripuliscila. Controlla che sia perfetta. Poi vestila. Che sia bella e desiderabile! Lui dovrà essere soddisfatto!”. La regina ordinò senza più guardarmi, poi si alzò e si ritirò dietro i pannelli, seguita immediatamente dal suo amante che ghignava al mio indirizzo.

 

La vecchia mi prese per il polso, trascinandomi con poca delicatezza verso la porta dalla quale ero entrata. “Sei sporca” fu il suo unico commento.

Come potevo essere pulita e profumata dopo quindici giorni di fuga, tra paludi, fiumi, terreni per poi essere rinchiusa nelle segrete? Era assurdo solo pensarci.

Venni nuovamente scortata da un soldato verso le stanze dove mi avrebbero ripulito. Avevo ancora addosso i vestiti stracciati e sporchi di quando mi avevano rapito e desideravo ardentemente cambiarmi.

Mi ritrovai in una stanza, piena di vapori, con una enorme tinozza di acqua calda al centro e quattro ancelle pronte a servirmi. Ero stupita… poteva una schiava, pur vergine, essere trattata in questo modo? In cosa consisteva questo sacrificio?

Provai a dare voce alle mie perplessità, ma né la vecchia, né le ancelle risposero a una sola delle mie domande.

Venni spogliata e lavata accuratamente.

Poi, dopo essere stata asciugata, la vecchia prese ad esaminarmi minuziosamente. Controllò tutto, occhi, denti, capelli, seno, ventre, gambe, piedi e soprattutto se ero davvero vergine.

Cercai di trattenere le lacrime di umiliazione che mi spuntarono. Ero trattata peggio di una mucca al mercato.

 

Le ancelle presero a ungere il mio corpo di oli profumati e setosi e a intrecciare i miei capelli in modo da lasciare scoperto il collo e la schiena.

Alla fine mi misero un vestito argentato, se vestito si poteva definire. Era un insieme di strisce di stoffa divise alle spalle che si riunivano in vita, fermate da una cintura di placche d’argento, che poi proseguivano sino ai piedi.

Non mi sarei mai messa un pezzo di stoffa come quello, addosso: lasciava scoperto le braccia, parte dei seni, il ventre, i fianchi e le gambe. In pratica ero nuda.

La vecchia mi fece indossare dei sandali e mi indicò la porta. Scortata nuovamente da un soldato, venni condotta, per la seconda volta, nella sala del trono, dove trovai ad attendermi la regina, vestita di tutto punto, e accanto a lei il comandante dei soldati.

 

“Sembra perfetta… è integra?” chiese con una certa irritazione la regina.

“Sì, maestà” rispose Alice con tono fermo.

“Benissimo! Allora, mio caro, conducila alla roccia. E tu Alice, porta le catene del rito. Deve compiersi questa notte… domani festeggeremo il prossimo anno di pace” e con questo ordine, la regina si alzò e lasciò la sala.

 

Io mi guardai attorno. Cosa dovevo fare? Dove mi avrebbero portato? Cos’era la roccia e perché servivano le catene del rito? Quale rito?

Cosa doveva compiersi questa notte?

Avevo paura, tanta paura.

 

Il comandante, vestito con la solita corazza e senza elmo, mi indicò l’uscita e mi scortò a una carrozza che sostava davanti al portone principale del palazzo. Insieme a noi, salirono anche la vecchia di nome Alice e un valletto, curvo sotto il peso di un sacco.

“Dove stiamo andando?” chiesi, appena la carrozza si mosse.

Sembrava essere tornata indietro di due settimane, la stessa domanda ottenne la stessa risposta: il silenzio.

Ogni tanto la vecchina mi lanciava occhiate tristi e compassionevoli, ma le sue labbra erano sigillate in una linea dura da dove non usciva nemmeno un sospiro.

 

Il tragitto non durò molto. In meno di mezz'ora la carrozza si fermò ed io fui invitata a scendere, aiutata dalle forti braccia del comandante.

Eravamo arrivati alla scogliera, un ammasso di rocce a strapiombo sul mare, dove le onde si abbattevano feroci.

Scavata nella pietra stessa, una specie di scala, portava al livello del mare, permettendo di scendere a riva. Sembrava che questo passaggio, fosse stato creato da poco tempo, come se questa scena avesse avuto pochissimi attori negli anni.

Arrivammo al termine del passaggio, su una grossa pietra liscia, bagnata dalle onde più alte del mare.

 

Il valletto posò a terra il sacco e ne aprì la sommità, mentre io venivo spinta verso la parete di sassi che delimitava quello spazio.

Nel momento che salii su una specie di rialzo presente, attaccato alla parete sul fondo di quello spazio, sentii una forza sovraumana e misteriosa, immobilizzarmi.

Alice allungò le braccia davanti a lei, sopra il sacco, con i palmi rivolti verso il basso e gli occhi chiusi e, come un serpente una grossa catena uscì strisciando verso di me.

Urlai dalla paura, tutto mi sembrava sinistro e malefico. Gli spruzzi delle onde mi bagnavano, lasciando la mia pelle gelida e tremante.

Quando la catena arrivò ai miei piedi, scattò verso l'alto, ancorandosi ad un anello posto a circa due metri sopra la mia testa, e da lì scese per legarmi i polsi trascinandoli sopra il mio capo.

Mi ritrovai così, legata ad una roccia, inerme e impaurita.

 

“Addio, Isabella. Spero che il sovrano non ti faccia soffrire molto. Ci rivedremo nella terra dei morti” mi salutò il comandante con il suo ghigno di cattiveria, mentre iniziava a risalire la scala.

“Se permettete, io e il mio valletto, torneremo più tardi. Rimandateci la carrozza!” ordinò la vecchia con voce flebile. L'uomo si limitò ad annuire e se ne andò.

 

Lasciai passare alcuni minuti, durante i quali la vecchia si era accomodata sul sacco e guardava seria e silenziosa il mare, senza badare agli spruzzi che le bagnavano la veste.

“Cosa mi accadrà ora?” chiesi agitata, incapace di attendere oltre.

 

“Sarai tu a scegliere il tuo destino, dopo che ti avrò rivelato le alternative”

Sobbalzai al suono della voce. Era maschile, dolce e calda, profonda e vicina. Ovviamente non era stata la vecchia che aveva parlato, ma un essere strano, appena uscito dalle acque e seduto sul bordo della roccia. Aveva le spalle larghe, muscoli scolpiti, capelli scuri con qualche riflesso rosso, un viso stupendo, adatto a un essere mitologico e, al posto delle gambe, una coda argentata di pesce, che terminava con due larghe pinne trasparenti.

 

Avevo troppa paura per spaventarmi oltre, riuscii solo a chiedere tremante “Chi sei?”

“Mi chiamo Edward” rispose sorridendo tranquillo “e probabilmente sono la tua sola possibilità di sopravvivere a colui a cui sei destinata”.

Stavo tremando.

 

----ooOoo---

 

Angolino mio:

Finalmente abbiamo incontrato Edward il pesce… chi aveva indovinato?

Il prossimo capitolo sarà la lunga, lunga spiegazione di tutto questo mistero.

Cosa ve ne pare della regina? E del comandante? Li ho pensati fuori dai canoni, sfacciati nella loro cattiveria… e vagamente… chi?

 

Ok, vi ringrazio per l’apprezzamento

Rimando alla prossima (martedì 20)

baciotti

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Capitolo 4
*** verità ***


 


 


 

Buon giorno a tutti,

nuovo capitolo con tutte le spiegazioni del caso... o quasi tutte.

Ci avviciniamo alla fine, quindi godetevi questo pezzo e sospirate il prossimo.

Ci leggiamo di sotto. Buona lettura.


 

---ooOoo---


 

Mi chiamo Edward” rispose sorridendo tranquillo “e probabilmente sono la tua sola possibilità di sopravvivere a colui a cui sei destinata”.


 

Mio signore, non sapete se lei è adatta!” protestò Alice “potreste perdervi definitivamente ed io non potrei più nulla per voi!”.

Calmati, Alice. Lo sento... lei è adatta... e mio padre non l'avrà! Non questa volta” ripose alla prima obiezione.


 

Guardò il cielo, valutando l’angolazione del sole.

Abbiamo ancora qualche ora, prima che arrivi mio padre. Isabella, vuoi conoscere tutta la storia?” a quella domanda sobbalzai, e strattonai le catene che mi legavano alla roccia.

Slegami, in modo che possa sedermi, e raccontami tutto” lo pregai.

Scosse la testa, mentre si trascinava ai miei piedi e il valletto ricopriva la sua coda con un drappo di velluto rosso.

Mi dispiace, non posso. Quelle catene sono incantate e solo mio padre può scioglierle” rispose.

Ma lei le ha fatte muovere” obiettai indicando la vecchia con la testa.

Infatti, ma può fare solo questo, non può operare la magia contraria e farle ritornare nel sacco” rispose.


 

Sembrava rilassato, come in un salotto, la sua coda aveva smesso di agitarsi e restava ferma coperta dalla stoffa pregiata. Le rare squame che gli coprivano piccoli pezzi di pelle del torace e delle spalle, stavano diventando sempre più pallide, come se fossero destinate a sparire man mano che la sua pelle si asciugava.

Ascoltare la sua voce mi faceva un effetto strano. Avevo sentito storie di marinai incantati dalle sirene e portati alla pazzia e alla morte, ma non avrei mai pensato che ascoltare un tritone mi facesse sentire così calma e tranquilla… quasi fiduciosa.


 

Hai conosciuto la regina?” chiese ed io annuii.

Mio padre, il sovrano, voleva una nuova compagna. Mia madre era ormai vecchia per i suoi canoni di bellezza, inoltre non l’aveva mai veramente amata. L’aveva sposata per allargare il suo regno e stipulare alleanze vantaggiose.

In effetti, non credo di essere mai stato affezionato a mia madre neanche io. L’ho sempre rispettata, questo sì, ma ho sentito più affetto verso Alice che non verso chi mi aveva partorito” confessò indicando la vecchia con un gesto elegante, quanto affettuoso.


 

Decise di far sparire la sua sposa, e dopo un mese, senza neanche aver fatto lo sforzo di cercarla, la dichiarò morta e lui libero di risposarsi. Ho provato a dissuaderlo e a cercare mia madre, ma è stata un’impresa impossibile e dopo un poco, mi sono arreso.

Lui nel frattempo aveva iniziato a frequentare una donna molto più giovane e bellissima.

A palazzo ne eravamo tutti affascinati e lei non perdeva occasione di mostrarsi, anche più della comune decenza, per ammaliare tutti quanti” sospirò, come se ricordasse qualcosa di preciso, poi con nuovo vigore ricominciò il racconto.


 

Mio padre, in brevissimo tempo, fu completamente soggiogato. Non riusciva più a mangiare, a dormire, a gestire il regno, senza avere lei al suo fianco. Ne era dipendente, in modo malato, quasi morboso.

Arrivò al punto di vietare a chiunque di alzare lo sguardo su di lei, oltre che impedirle di uscire dai suoi appartamenti.

Avevo intuito il carattere ribelle e autoritario che aveva questa donna, e già immaginavo gli scontri tra lei e mio padre”


 

Mi resi conto che la situazione stava precipitando, quando mi annunciarono le nozze. Non potevo permetterlo. Quella donna era infida, pericolosa e sentivo che mio padre non era al sicuro con lei.

Non fraintendermi, non ho mai avuto un legame profondo neanche con lui, ma, in quel momento sentivo che dovevo proteggere il regno, la mia eredità… e in seguito capii che volevo proteggere prima di tutti lui.

A nulla valsero le mie obiezioni, i miei tentativi di boicottaggio e i miei ricatti. Si sposarono in pompa magna e partirono per la luna di miele.


 

Prima di partire, la mia nuova regina, mi portò in una stanza isolata e mi chiese di brindare con lei alle nozze, in modo da dimostrarle che non le portavo rancore.

Acconsentii. Quello che non sapevo era che lei non era una semplice donna, ma aveva ereditato le arti magiche delle sacerdotesse antiche, e, nello stesso momento in cui bevvi, il veleno mi portò verso la morte”


 

A quel punto intervenne Alice, facendomi trasalire dallo spavento visto che ero completamente assorta dal racconto e avvolta dai toni della voce di Edward.

Mi accorsi subito del tranello. Ho sempre intuito chi si celasse dietro quei capelli biondi e quando Edward scomparve dalla sala e non vidi più la nuova regina, capii che dovevo agire subito.

Non riuscii ad eliminare il veleno ma ne variai gli effetti, salvando la vita al mio signore”

Sembrava strano sentire la vecchia, parlare con tanta forza e tanto affetto, proprio lei che mi era parsa così fredda e dura.


 

Edward riprese il suo racconto.

Non ero ancora come oggi! Mi aveva congelato un secondo prima di spirare. Ero nel limbo e continuavo ad aggirarmi nelle sale del palazzo, in preda all’ansia su cosa avrebbe potuto fare la nuova regina.

La risposta mi arrivò quando una mattina mi svegliai trasformato in una specie di sirena… un tritone dei mari. E capii ancora meglio, quando, vicino a queste coste… incontrai lui” la sua voce divenne un tremolio indistinto.


 

Aveva scoperto che la donna non era mai stata davvero sua. Aveva una tresca con il comandante dell’esercito e voleva liberarsi del re per governare. Fece bere anche lui, ma qualcosa andò storto… probabilmente una magia di protezione molto potente che i re si tramandano di generazione in generazione quando salgono al trono.

Quando lo trovai era un’immensa massa di carne e sangue nerastra, con tentacoli, aghi e spine, occhi rossi e denti a forma di zanne.

Non mi riconobbe e tentò di uccidermi… non si controlla ed ha perso totalmente la sua umanità”


 

Per un lungo istante tutti tacquero. Aspettai che il racconto riprendesse ma nessuno parlava, occupati a scrutare l’orizzonte piatto del mare, senza neanche vederlo, persi nei loro pensieri.

Alla fine domandai la cosa che mi pareva più ovvia “In tutto questo, cosa centro io?”.

Il valletto rise anticipando tutti gli altri e lo guardai incuriosita, per la prima volta.

Era un uomo di mezza età, gobbo, con radi capelli biondi sulle tempie e mani ridotte a uncini per colpa dell’artrite, ma il suo sorriso e i suoi occhi grigi, erano quanto di più gioioso avessi mai visto.

E’ quello che mi sono sempre chiesto anche io” affermò, come a rispondere alla mia domanda.

Jasper” rispose Alice paziente “lo sai cosa è successo: con la magia che ha colpito il re, tutti quelli che erano legati alla famiglia in qualche modo, hanno subito delle trasformazioni. Se vuoi dare una colpa, dalla pure a me. Non sai quanto soffra, vederti così” bisbigliò contrita.

Mai. Non ti darei mai la colpa. Sei la mia vita” rispose l’uomo accucciandosi accanto alla vecchia.

Mi sembrava impossibile che quei due parlasse di amore… forse davvero non tutto era come sembrava.


 

Ti stai chiedendo perché sei stata rapita? E come mai ti trovi legata qui?” chiese Edward guardandomi fisso negli occhi per la prima volta. Seduto ai miei piedi, ancora gocciolante, era l’uomo più bello che avessi mai visto. O almeno il tritone più bello.

Annuii in risposta della sua domanda, attendendo trepidante nuove rivelazioni.

Nella sua nuova forma, mio padre ha solo un pensiero in testa: la vendetta verso quella donna che l’ha ingannato.

La regina, però, ha scoperto che se gli viene portata una vergine, una volta all’anno, lui si distrae, non pensa alla vendetta ma a sfamarsi e non semina morte e distruzione. Non stavano cercando te in modo specifico, avevi solo la caratteristica fondamentale che cercavano. Con una fanciulla vergine sacrificata il regno è salvo… anche se in realtà, dubito che mio padre andrebbe a fare danni in giro, il suo obbiettivo è sempre e solo uno”

E allora tutto mi fu chiaro. Io ero destinata a sfamare un mostro, a salvare una anima nera facendomi mangiare da un’altra. Non potevo sfuggire, non avevo scampo… o forse sì?


 

Come posso salvarmi?” chiesi cercando di mostrarmi forte e con voce chiara.

Edward abbassò lo sguardo, come se si vergognasse di quanto stava per confessare: “Mio padre vuole una vergine. Se tu non lo sarai nel momento del suo arrivo questa sera al calar del sole… sarai salva. Lui non ti guarderà e proseguirà per cercare la sua vera sposa…”

In quel momento si alzò, avvolgendosi nel drappo che sino a quel momento gli aveva coperto la coda.

Spalancai gli occhi: non aveva più le squame e le pinne ma due gambe toniche e piedi ben saldi sulla roccia, era in tutto e per tutto un uomo.

Era alto, molto più di me, ed era immenso nella sua bellezza e fisicità.

In quel momento capii “Eri tu! Al torrente che mi spiavi… e… poi al fiume mi hai salvata! Perché? Perché mi hai salvata se poi dovevo morire qui? Non potevi lasciarmi semplicemente annegare? Non hai avuto pietà di me? Perché?” urlai e le lacrime che avevo trattenuto per tanto tempo, iniziarono a sgorgare senza freno.


 

Avrei dovuto perdere la verginità? Avrei dovuto amare un uomo? Chi? Dove? Come potevo salvarmi? Io non conoscevo l’amore, non ero mai stata profondamente innamorata, preda di quel sentimento totalizzante che tante volte aveva descritto la mia mamma, alla sera prima di rimboccarmi le coperte, rispondendo alle mie domande curiose.

Come avrei potuto amare qualcuno? E chi poi avrebbe voluto una come me? Rovinata ed impura? Non avevo altro se non me stessa... ma se non facevo nulla, la mia fine era certa.

C... Chi?” chiesi balbettando, chiudendo forte gli occhi.

Io” un sussurro al mio orecchio rispose alla mia domanda e il cuore mi schizzò in gola.

Aprii gli occhi sorpresa, mentre Edward carezzava la mia guancia con dolcezza.


 

No! Non potete! Mio signore, è troppo pericoloso. Anche il suo cuore deve essere puro! Potrebbe avvelenarvi e sareste perduto per sempre!” Alice si alzò faticosamente, aiutata dal suo valletto, e accorse verso il principe, tirando un lembo del drappo per attirare la sua attenzione.

Vi prego, mio signore, non fatelo. Troveremo un'altra soluzione. Rischierete la vita così!” continuò supplicandolo.

Sai che Jasper non può, e non c'è tempo per cercare qualcuno... Non ti preoccupare, Alice. Sento che andrà bene, che posso fidarmi, se invece sbaglio non importa. Salvarle la vita vale il mio sacrificio”. La sua risposta mi lasciò senza parole.

Mi aveva visto pochi secondi qualche giorno prima, come poteva sacrificare la sua vita per la mia senza neanche conoscermi? Avevo solo pensato, ma mi rispose come se mi avesse letto nella mente.


 

In realtà, io ti conosco. Sono anni che ti seguo, al ruscello del tuo mulino... per questo non ho potuto lasciarti morire nel fiume. Sarebbe stato più clemente, vista la sorte e il pericolo che stai correndo, ma il mio cuore me lo ha vietato... perdonami”. Il suo mormorio contrito mi arrivò dritto al cuore, facendolo battere più forte.

Mi aveva visto per tutto quel tempo? Non voleva che morissi, mi aveva protetto e metteva a rischio la sua vita per proteggermi anche adesso. C'era più amore nei suoi gesti e nelle sue parole di quanto me ne fosse mai stato dato negli anni. Nessuno aveva mai tenuto a me in questo modo così totale.

Dovevo concedermi? Dovevo rischiare?


 

Ormai è quasi ora, Isabella. Mi dispiace ma devi decidere, non ci resta molto tempo” il suo sguardo era rivolto ai miei piedi, vergognoso per quello che la domanda implicava.

La sua mano aveva smesso di carezzarmi ed era stretta a pugno lungo il suo fianco.

Alice guardava ora me ora lui, incapace di aggiungere altro ai suoi tormenti, appoggiandosi a Jasper come a un sostegno nella tempesta.

Chiusi gli occhi e respirai profondamente, poi comunicai la mia decisione.


 


 

Angolino mio:

Adesso sappiamo tutto o quasi... se avete altri dubbi ditemelo, magari mi è sfuggito qualche dettaglio.


 

Dai, qui Edward è un pochino marpione, vero?

No, assolviamolo, è solo imprigionato in una terribile magia... e forse è proprio Bella quella destinata a liberarlo.


 


 

Adesso passiamo ai ringraziamenti

Ringrazio chi ha inserito nei preferiti questa storiella:


 

1 - Akiram Vampire
2 - Beth96
3 - Let_It_Be
4 - Suellen


 

E chi l'ha inserita nei seguiti:


 


 


 

1 - annie77
2 - artemide88
3 - BennySmolder
4 - claudia swan
5 - corny83
6 - cri riga
7 - cullengirl
8 - Edward96
9 - Fantasy_Mary88
10 - Giulia_Cullen
11 - iaia_twl
12 - jensy
13 - Lalayasha
14 - michi88
15 - milkywa2
16 - nahenia
17 - noemi90
18 - Toru85
19 - UAUI84


 

Con questo vi ringrazio per l'attenzione

alla prossima

baciotti


 

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Capitolo 5
*** è morto il re, viva il re ***


 

Lettori et lettrici, salve a tutti.

La storia finisce con questo capitolo. Avevo spergiurato di postare martedì, ma questo è già pronto e finito da almeno cinque giorni… aspettare ancora era stupido, quindi spero di fare un regalo e posto oggi con un giorno di anticipo.

 

Siamo arrivati all’ultimo capitolo della storia, per quanto mi riguarda.

Come avevo premesso, non era una storia lunga.

Vi prego solo di leggere anche tutte le note in fondo pagina, e di pensarci…

… e vi auguro buona lettura.

 

---ooOoo---

 

“Accetto” dissi con voce ferma e chiara.

 

Non un muscolo si mosse sul viso di Edward. Mi guardava, serio ed impassibile.

“Alice, vai via” ordinò alla vecchia.

“No, mio signore. Se dovesse andare storto qualcosa, potrei cercare di salvarvi” implorò lei a mani giunte.

A quel punto Edward si voltò verso di lei e le prese entrambe le mani: “Non voglio che rischi la tua vita. Potrei semplicemente morire, ma potrei anche trasformarmi come mio padre e tu saresti comunque in pericolo. Jasper, portala via” ordinò deciso al valletto.

La vecchia allora sospirò, fece un gesto verso le mie catene che si allentarono un poco e se ne andò zoppicando sui gradini di pietra, accompagnata dal fido Jasper.

 

“Dicevi… dicevi sul serio che potresti morire?” chiedi titubante.

Lui si avvicinò a me e mi scostò alcune ciocche di capelli dal viso.

“No, sono sicuro che andrà tutto bene. Tu ti salverai e potrai tornare a vivere. So che sarà difficile, ma hai comunque della terra, troverai sicuramente un uomo disposto a prenderti, avrai una famiglia e sarai felice” cercava di rassicurarmi, ma non rassicurava se stesso.

“E tu?” chiesi ancora, mentre lui si avvicinava.

“Non pensarci” mormorò, poi posò le sue labbra sulle mie iniziando quello che era il mio primo bacio.

Il mio cuore schizzò in gola ed iniziò a battere forsennato, mentre, inconsapevole mi stringevo al principe, assaporando questo tocco dolce e salato che mi stavano donando le sue labbra.

 

Probabilmente, sentendo la mia resa, osò prendermi tra le braccia e stringermi a sè, diventando più esigente.

Rumori smorzati arrivarono alle mie orecchie e mi ci volle qualche istante per capire che erano i miei gemiti.

Le sue mani iniziarono a vagare lungo il mio corpo, regalandomi brividi sconosciuti, eppur piacevoli. Sentivo il mio respiro farsi sempre più spezzato ed ansante.

Le sensazioni che sentivo erano davvero potenti, tanto che fui costretta a chiudere gli occhi, mentre lui scioglieva la cinta e toglieva i tessuti che coprivano il mio corpo.

Mi trovai nuda davanti a lui, senza neanche potermi coprire. Chinai la testa di lato arrossendo vistosamente. Anche lui era ormai nudo davanti a me, con il drappo rosso ammonticchiato ai suoi piedi.

Non sapevo più dove guardare, se era giusto o sbagliato, sentivo solo un dolce calore al basso ventre che reclamava un’attenzione alla quale non avrei saputo come rispondere.

 

“Guardami, Bella. Non aver paura, non voglio farti male, non più di quanto non sia costretto”.

La sua voce era smorzata, ma mi spaventò lo stesso. Avrei sentito male? Tanto? Mia madre mi aveva spiegato qualche cosa, ma non essendo neanche promessa, non era stato necessario arrivare ai dettagli più intimi.

Lo guardai negli occhi e sentii sorgere in me una fiducia che non avrei mai creduto di poter provare per una persona. Lui voleva salvarmi, ma si stava trattenendo per non spaventarmi né farmi male. Quale amore, quale abnegazione la sua! Potevo forse dubitare?

Abbassai le braccia per quanto mi fosse concesso e circondai il suo collo, reclamando le sue labbra, ancora una volta.

 

“Mi dispiace non poterti offrire un letto, un amore dolce come meriti” mormorò sulla mia bocca prima di baciare il collo e spostarsi sempre più in basso.

Dolce e delicato, baciò ovunque prima di prendermi per la vita ed entrare in me con una unica spinta.

Il dolore fu accecante, dissolse tutta l’eccitazione avuta sino a quel momento. Urlai.

“Scusami, scusami… scusami… scusami” continuava a mormorare mentre mi teneva stretta.

Ero in lacrime ma quando sollevai gli occhi, vidi il suo viso contratto in una smorfia di dolore. Anche lui stava piangendo… per me. Continuava a scusarsi e mi baciava i capelli, la fronte, le guance…

Non si muoveva, respirava a fatica.

Avvolsi le mie gambe ai suoi fianchi, non so neanche io il perché, sapevo solo che non potevo restare in bilico in quel modo.

Così facendo sfregai la parte interna, rinvigorendo il dolore che stava scemando. Un gemito lasciò le labbra di Edward.

“Non muoverti. Possiamo smettere ora” mi sussurrò con voce spezzata.

 

“No” fu il mio istinto a parlare “Non è finita… sento che non è finita… vero?” chiesi. Mi sentivo stupida, ma, per analogia con gli animali della fattoria, mi ero convinta che non ci si dovesse fermare.

Edward sorrise “No, non è finita, se non vuoi, ma sentirai ancora male, ed io non potrò più fermarmi” rispose mentre si spostava verso la parete di roccia, liscia e fredda. Sentii un brivido quando la mia schiena aderì alla scogliera. Mi accorsi allora che la mia pelle e quella del principe erano bollenti, come avessimo la febbre.

 

Lui aveva rischiato per me, mettendo la sua vita nelle mie mani, come io, la mia nelle sue. Non potevo negargli la mia parte del patto, dovevo essere sua, completamente.

“Non fermarti allora” risposi in un sibilo.

D’impeto mi baciò, famelico, con un ardore nuovo, mentre iniziava a spingere dentro di me.

Il dolore tornò e mi lasciò vigile tutto il tempo, eppure felice di sentirmi… completa, come se dovesse essere così, come se lui dovesse essere lì con me, in quel modo.

Era qualche cosa di giusto, quasi sacro.

Dopo un’ultima vigorosa spinta, sudato e ansante, posò la sua testa sulla mia spalla, senza lasciarmi andare, ma stringendomi più forte, come a far fondere la mia pelle con la sua.

Ancora gli circondai il collo con le braccia per abbracciarlo. Ero indolenzita, ma ero felice di essermi donata a lui, lo strinsi e gli baciai il capo con tutta la tenerezza che avevo nel cuore in quel momento.

 

All’improvviso divenne trasparente, come l’alone di una fiammella di candela. Mi sentii cadere, non mi abbracciava più. Vedevo le sue mani tendersi verso di me ma non riuscivo ad afferrarle, mi attraversavano la carne senza alcun problema.

“Edward! No! Ho fallito! Edward” lo chiamai disperata, tendendomi verso di lui.

Lo vedevo muovere le labbra ma non udivo le sue parole, ero terrorizzata.

Ad un tratto lo vidi voltare la testa verso il mare, per poi girarsi verso di me, spaventato.

“Sta arrivando?” chiesi con le lacrime agli occhi. Mi fece cenno di sì. Provò ancora a toccarmi, poi si voltò e scomparve.

 

Tremavo, mentre vedevo quell’ammasso nero che lentamente usciva dalle acque profonde. Era orribile, ributtante, la cosa peggiore che avessi mai visto. In quel momento ebbi la certezza che se fossi sopravvissuta, nulla mi avrebbe fatto dimenticare quello che stavo vedendo in quel momento.

Tremavo mentre si avvicinava a me. Voltai la testa e chiusi gli occhi mentre mi sfiorava con uno dei suoi tentacoli.

Mi sentii avvolgere in più spire, venni sollevata in aria e mi trovai libera dalle catene ma prigioniera del mostro. Terrorizzata, vidi quando aprì una apertura circondata di zanne aguzze… pareva una caverna… mi avvicinò… sentivo il suo fiato repellente sul mio corpo nudo.

Non riuscii più a divincolarmi, stava per arrivare la fine, speravo almeno che il mio sacrificio avrebbe salvato Edward… chiusi gli occhi e mi lasciai scivolare nell’oblio, aspettando la morte.

 

Non sapevo quanto ero rimasta incosciente… mi sentivo galleggiare. È questa la morte? Strana cosa…

“Isabella, mia cara… Bambina, svegliati… apri gli occhi…” una voce di donna, gentile, mi stava chiamando. Con un grande sforzo, cercai di aprire gli occhi.

Era tutto sfocato, sembrava… mia madre.

 

A poco a poco, misi a fuoco l’immagine che avevo davanti e vidi una donna matura, con splendidi capelli neri intrecciati, che mi stava gentilmente scuotendo per riportarmi alla vita.

“Oh cielo, ti ringrazio. Ho avuto paura che ti avesse uccisa comunque” mormorò stringendo le mie mani.

Ero vestita di una tunica di lana calda, coricata sopra una coperta di pelo, sulla sommità della scogliera. Era stato un sogno? No, non era possibile…

“Chi siete?” chiesi alla donna. Le uscì un risolino allegro nel rispondermi.

“Sono Alice, non ti ricordi?”. Spalancai gli occhi stupita. Era bella, nonostante dimostrasse l’età di mia madre. Era bassa ma elegante e flessuosa.

“Quando hai spezzato il sortilegio del principe Edward, io sono tornata normale, e anche Jasper” disse, indicando un uomo alto, robusto e forte, accovacciato accanto a lei.

“Ma non ha funzionato… lui è sparito” risposi. Era diventato un fantasma. Avevo fallito.

 

“Non hai sbagliato, lo hai riportato nel limbo dove lo avevo confinato io, prima della trasformazione. Adesso studieremo il modo per farlo tornare normale” spiegò.

Ed allora lo vidi, in piedi, dietro ad Alice, che mi scrutava preoccupato. Gli sorrisi.

“Sto bene, davvero” risposi alla sua muta domanda. In quel momento vidi il suo sorriso. Era sollevato e, in quel modo, rincuorava anche me.

“Cosa è successo?” chiesi. Ricordavo vagamente di essere stata presa dal mostro e quasi mangiata, poi ero svenuta e non sapevo più nulla.

“Come avevamo predetto, lui si è accorto della tua condizione e ti ha scartato, lasciandoti sullo scoglio. Ha proseguito verso la città… a quest’ora starà seminando panico e terrore da tutte le parti” rispose Alice aiutandomi a sedermi.

 

All’improvviso notai che il corpo di Edward stava tremolando e mi spaventai.

“Cosa succede, mio signore?” chiese Alice preoccupata. Sembrava che piano piano la figura del principe diventasse sempre più consistente.

Si inginocchiò accanto a me e mi tese la mano. Con sorpresa di entrambi, riuscii a stringerla e mi sentii talmente felice che d’impeto lo abbracciai, arrossendo subito dopo e volgendo il capo dalla sua nudità.

Subito il valletto procurò dei calzoni e una casacca, in modo che il principe potesse coprirsi.

Eravamo curiosi, cosa era accaduto? Perché Edward era tornato dal limbo?

Neanche Alice riuscì a dare una risposta, decidemmo quindi di usare la carrozza e tornare a palazzo.

 

Il tragitto fu veloce e breve.

Non si sentivano urla da nessuna parte, un silenzio irreale avvolgeva tutta la città. Il re, tornando in quelle forme aveva lasciato una traccia che era facile seguire. Arrivammo velocemente al castello.

Nessuna guardia era alle porte.

Edward, dopo avermi aiutato a scendere dalla carrozza, mi prese per mano ed iniziò a correre verso la sala del trono, l’unica che conoscessi anche io, in quel palazzo.

Qui, dietro il portone di entrata, scoprimmo il macabro spettacolo: ammassati lungo la sala vi erano i corpi mutilati della guardia, tra cui riconobbi il viso di Jacob, orrendamente sfregiato.

Al centro, vicino al trono, giacevano morti, il comandante accanto alla regina, davanti a un uomo biondo e imponente e una donna bruna minuta, più vecchia.

 

Voltai il viso, disgustata da quello spettacolo. Il sangue scorreva ancora dalle ferite relativamente fresche, ma nessuno pareva sopravvissuto.

“Chi sono?” chiesi in un sussurro indicando le persone accanto alla regina. Non sapevo chi poteva rispondermi, e forse neanche lo volevo sapere.

“Mio padre il re e mia madre” rispose Edward, mentre una lacrima solitaria solcava la sua guancia.

“Usciamo, mio signore. Non possiamo far nulla qui” disse Alice, cercando di trascinare fuori da quella stanza il principe, ormai re del reame.

 

Passarono alcuni giorni, durante i quali le salme vennero cristianamente ricomposte e date alla sepoltura, la sala venne completamente smantellata e gli arredi dati alle fiamme, come a voler cancellare l’orrore delle morti.

Alice aveva studiato una teoria a spiegare quanto accaduto. Il re, era andato a cercare la nuova regina per ucciderla, e aveva massacrato chiunque avesse avuto davanti ad ostacolarlo, comprese le guardie e il comandante. La regina a sua volta aveva tentato di uccidere il re, con il risultato che entrambi erano morti. Con la morte della regina, venivano a dissolversi gli incantesimi effettuati quando era in vita, pertanto questo aveva portato alla liberazione totale di Edward e al ritrovamento del corpo della regina madre.

Non eravamo sicuri che questa fosse la spiegazione, ma era inutile formalizzarsi, visto che non avevamo più timore di sorta.

 

Rimanevo solo io da riportare a quanto rimaneva della mia fattoria, ma tutte le volte che iniziavo questo discorso, il nuovo re, provvedeva a cambiare argomento, impedendomi di fatto di allontanarmi dal palazzo.

Continuava a cercarmi ed esigeva la mia compagnia ogni ora del giorno e a volte anche la notte, se voleva parlare.

Non mi aveva più sfiorata, se non per casti baci sulle guance e continuava a chiedere scusa per tutto quanto avevo subito.

Avrei voluto scuoterlo, sapere quel che veramente pensava, cosa… provava per me, perché io, ormai, sapevo di essere legata a lui, per sempre. Non avrei potuto essere di nessun altro uomo. Lui riempiva i miei sogni ed era al centro dei miei pensieri e dei miei desideri.

Perché sì, nonostante il brutto ricordo, lo desideravo, volevo sentirmi nuovamente amata, come su quello scoglio.

 

A distanza di due settimane, la corte iniziò a preparare il rituale dell’incoronazione del nuovo re.

Lo trovai nella nuova sala del trono, solo e pensieroso ed approfittai del momento.

“Maestà, è ora che torni alla mia casa” dissi flebile, prostrandomi in ginocchio davanti a lui.

“No” rispose deciso. “Non posso lasciarti andare da sola. Non stai bene qui? Non sei felice?” mi guardava intensamente. Mi fece sollevare per poi abbracciarmi.

“Ti prego… non mi lasciare” bisbigliò al mio orecchio.

Il cuore batté all’impazzata “Perché non dovrei andare?” chiesi speranzosa.

“Perché… perché voglio…” sospirò poi mi prese il viso tra le mani fissandomi intensamente.

“Il mio cuore ti appartiene, non posso vivere lontano da te, anche se tu non mi volessi, non riuscirei mai ad allontanarti, sarebbe peggio della morte… diventa la mia regina… sii felice con me” la sua voce si spense in un sussurro accorato.

Lacrime di gioia iniziarono a scorrere sulle mie guance mentre le mie labbra si aprivano a un sorriso felice. “Sì” risposi.

Niente altro fu possibile dire, la mia bocca venne chiusa da un bacio dolcissimo del mio amore, promessa di una eterna felicità.

 

 

Angolino mio:

probabilmente qualcuno mi prenderà per pazza, ma credo che questa storia fantasy potrebbe offrire ancora qualche cosa di buono.

 

Purtroppo io non ho più nulla da aggiungere, ma ho deciso di lasciare libera questa storia.

Nelle caratteristiche impostate nella storia, c’è il roundrobin, che, se non ho capito male, permette di aggiungere capitoli liberamente da parte di altri autori.

 

Ho intenzione di flaggare questa casella, domenica primo aprile (e non sarà un pesce) e lasciare che chiunque di voi possa aggiungere qualcosa.

 

Vi chiedo solo di non cancellare i primi cinque capitoli e relative recensioni e rispettare il rating arancione e lo spirito dell’ambientazione fantasy.

Per il resto, vi lascio la storia da stravolgere come volete… sono curiosa anche io di vedere quello che vi viene in mente.

 

Non so come funzionerà, se sarà possibile visualizzare l’autore… onde evitare problemi o confusioni, firmatevi in fondo al capitolo quando postate.

 

 

Ho scritto “Come Andromeda” perché mi sono accorta che avevo bisogno di qualcosa di serio e relativamente drammatico per controbilanciare la comicità spicciola di “Ciao Edwardina”, la storia che sto scrivendo in contemporanea.

E’ stata una storia ‘terapeutica’ ma spero che non abbia risentito in male di questo fatto.

Adesso, voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno recensito sino a oggi, facendo sentire apprezzata questa storia e spronandomi ad impegnarmi.

Hilary, che ho apprezzato per essersi accorta per le correzioni stilistiche che mi aveva indicato.

Corny83, che mi sopporta stoicamente tutte le volte che ho bisogno di un consiglio (ragazze, questa è un mito, oltre che un’enciclopedia di libri e film)

Iaele santin, dal nick dolcissimo entrata in punta di piedi (non so perché ma il nick mi piace molto)

Lalayasha, Ross, oltre che autrice, mago del foto shop (ancora grazie)

Cri riga, mia quasi coscritta, vicina di vacanze, quasi collega, anche lei mamma di due maschietti… oddio! Quante similitudini!

Artemide88, minuziosa nelle sue recensioni, incredibile nella sua costanza

Suellen, affezionatissima che ricambio con affetto

Edward96, come ho scritto, molto leale, anche nelle recensioni…

Beth96, entusiasta lettrice che spazia su tutta la sezione

Akiram Vampire, Mary, dalle recensioni stringate ed essenziali… che è controbilanciata da

Let_it_Be, Martina, dalle recensioni chilometriche, approfondite e puntuali nelle sue curiosità.

_LadyAnne_ che ha scoperto questa storia poco prima della sua fine.

Tutte voi mi avete sollevato il morale e per questo vi ringrazio.

Per chi non lo sapesse (ancora) consiglio di farsi un giro nelle loro pagine… quasi tutte hanno scritto storie interessanti che aspettano solo di essere lette ed apprezzate. (cliccate sul loro nome)

 

 

In ultimo mi concedo un poco di pubblicità sulle mie storie, per chi volesse avventurarsi

Basta cliccare sul titolo e vi troverete al primo capitolo della storia.

[Ciao Edwardina] in corso, racconto comico, Edward costretto per una scommessa a frequentare il liceo travestito da donna.

[AAA – Affittasi moglie]  in corso,  racconto romantico, commedia. Cosa può spingere un giovane uomo affascinante ad affittare una moglie?. Momentaneamente sospesa.

[Si dice – In Vino Veritas]  in corso,  racconto  generale romantico, una sfida tra una Bella ricca e viziata che vuole l’azienda vinicola di Edward.

[Sakura – Fiore di ciliegio]  conclusa , racconto romantico storico, la storia di Bella agli inizi del 1900, che attraversa mezzo mondo per trovare la felicità che merita.

[Boy e girl – scambio d’identità] conclusa,  racconto comico romantico, scambio di corpi, un Edward nel corpo di Bella alle prese con i problemi femminili e Bella viceversa, alle prese con i problemi maschili e un obbiettivo .

[Acqua che cade] conclusa,  mini fic. racconto misterioso, fantasy, Bella adora la particolare pioggia di Forks, che sembra mandata apposta per lei.

[Prima di essere un pensiero]  one shot  commedia fantasy, cosa potevano essere i nostri eroi, prima di essere concepiti? Questa potrebbe essere la risposta.

[Un colpo sul retro] one shot  commedia, una giornata particolare, dove quattro ragazze senza pensieri vogliono solo divertirsi.

[Smettere di fumare] one shot commedia. Un incontro tra due amici che non si vedono da tanto e una sigaretta.

[Déjà-vu, il sogno diventa realtà] one shot rating rosso. Il sogno di Bella diventa realtà in modo inquietante e romantico.

 

Dunque aspetto i vostri nuovi capitoli di “Come Andromeda”

E con questo tolgo il disturbo

Ringrazio per l’attenzione

Alla prossima

Baciotti

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