Il peggior nemico del mondo

di Marciux
(/viewuser.php?uid=49902)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio matrimonio ***
Capitolo 2: *** Nibelheim ***
Capitolo 3: *** Polvere e fuoco ***
Capitolo 4: *** Il reattore ***
Capitolo 5: *** La dimora sotterranea ***
Capitolo 6: *** Battaglia ***
Capitolo 7: *** Domenica ***
Capitolo 8: *** La città dell'avvenire ***
Capitolo 9: *** Visita medica ***
Capitolo 10: *** Allergia da trucco ***
Capitolo 11: *** Dottor Hojo ***
Capitolo 12: *** Cavia da laboratorio ***
Capitolo 13: *** Masamune ***
Capitolo 14: *** Vincent Valentine ***
Capitolo 15: *** Allenamento - Parte prima: il serpente ***
Capitolo 16: *** Cosmo Canyon ***
Capitolo 17: *** Allenamento - Parte seconda: Cerberus ***
Capitolo 18: *** Junon ***



Capitolo 1
*** Il mio matrimonio ***


Capitolo I

Siamo alle solite, penso, sdraiato sul grande letto matrimoniale. Dagli ampi finestroni, la luce del sole entra nella stanza, illuminando le pareti bianche e conferendo alla camera da letto un'atmosfera serena e pacifica. Tuttavia, mia moglie urla.

D'accordo, non sono un padre perfetto. Non riesco a cambiare i pannolini, non riesco ad alleviare il pianto della neonata durante a notte, quasi non riesco neanche a tenerla bene in braccio. Ma, davvero, non c'è bisogno di urlare.

 

In questo momento sta dando la colpa a me, se la marmocchia ha anticipato la nostra sveglia di una mezz'ora scarsa. La sento dal bagno, che continua ad strepitare mentre le cambia il pannolino. Nella mia totale inettitudine mi chiedo: ma la bambina smetterà mai di piangere, a contatto con una donna isterica ed urlante?

 

Nel mio lettone bianco, bianco come le pareti, l'armadio, i comodini, la piantana e le finestre, giungo ad una conclusione: la mia vita è un incubo.

Da quando ti ho sposata, cara Gaiana, sei diventata insopportabile, odiosa, opprimente, ansiosa, ansiogena, chiassosa e... non trovo altri aggettivi.

Il timore che incutevo nei miei compagni di SOLDIER... a casa posso anche scordarmelo. Mia moglie controlla, in maniera a dir poco tiranneggiante, ogni aspetto della mia vita. Ho dovuto abbandonare il mio lavoro, tagliare ogni contatto con la ShinRa e diventare medico. Almeno, così lei crede. Ultimamente ho iniziato a dire un mucchio di bugie.

 

È una così grande fortuna che abbia deciso di lasciare quel tuo lavoro barbaro! E se un giorno fossi morto in un combattimento? Davvero, non avrei retto il dispiacere!

 

Stupida. Sephiroth non teme nessuno!

 

«Sephiroth!»

«A-arrivo subito!»

Ancora in mutande, mi scaravento fuori dal letto e raggiungo in pochi secondi il bagno, dove Gaiana culla la bambina profumata.

 

«Sephiroth. Stasera dobbiamo andare a fare compere. I pannolini stanno finendo, ne avanzano solo due pacchi. Prendiamo la macchina e andiamo in città, così ne approfittiamo per andare a trovare mia madre. Potremmo fare la spesa anche per lei e, già che ci siamo, accompagnarla dall'oculista e...»

«Il punto è, Iana...» la interrompo, prima che sia troppo tardi, «che oggi lavoro. Ricordi? Ti avevo parlato, no, di quegli straor...».

«Straordinari! Non sai dire altro! Non pensi a Eydìs? Sta crescendo senza suo padre! E la cena da mia madre quando la faremo?»

 

Eccolo, il mio incubo. Devo contrastarlo, prima che mi sconfigga.

 

«Ogni giorno! Andremo da tua madre ogni giorno della settimana prossima

 

Gaiana tace, interdetta e leggermente confusa. So cosa sta facendo. Pian piano, calcola quante volte ceneremo da mia suocera e, con un'abile somma, ottiene il numero di ore che passeremo con lei. Contemporaneamente, lo faccio anche io e mi rendo conto di avere esagerato un po' troppo. Troppo tardi per tornare indietro!

 

«Ci penso io ai pannolini» risolve, oltrepassandomi ed uscendo dal bagno.

 

La seguo pigramente verso la camera da letto, la osservo mentre poggia delicatamente la mocciosa sul nostro lettone e, poi, la seguo nuovamente sino al salotto, dove si siede sul divano bianco. Casa mia è completamente bianca, sì. Non sto troppo a pensarci, sennò mi tornano in mente i salti mortali che ho dovuto fare per accontentare mia moglie a riguardo, dato che il bianco è molto rilassante. Mi siedo al tavolo bianco, taciturno. La missione si preannuncia lunga e noiosa. Un bel viaggio sino a Nibelheim per controllare un guasto al Reattore. Non muoio dalla voglia, insomma, se penso poi alle bugie che devo inventarmi per poterci andare...!

 

«Che cosa è che devi andare a fare, di preciso?»

 

Ecco, appunto.

 

«Caso gravissimo. Un trapianto di cervello.»

«... cervello? Non sapevo fosse possibile!»

«Beh... diciamo che è un esperimento!»

«Esperimento? Su un essere umano?»

«Ma... ma no, certo che no, cosa vai a pensare! Abbiamo dei Sahagin su cui fare l'esperimento. Roba noiosa»

«Scusami, e tu che c'entri?»

«Sono un chirurgo piuttosto affermato, quando ci sono di queste novità io sono sempre informato o, come in questo caso, tirato in ballo»

«E il caso grave di cui parlavi? È questo?»

«No. Ci stiamo allenando per il vero trapianto, prima riusciamo e meglio è!»

 

La sento, sta arrivando. Quell'orribile sensazione di quando la bugia inizia a crollare e bisogna correre subito ai ripari.

 

«Ad ogni modo, Iana, si sta facendo tardi. Devo prepararmi e ho bisogno di estrema concentrazione. Potresti farmi un caffè, per favore?»


Fortunatamente mia moglie non insiste con le sue domande pericolose, così posso andare in camera. La bambina dorme di nuovo, pacificamente. Apro l'anta dell'armadio e osservo il mio riflesso sullo specchio interno, annoiato. Non riesco a credere all'idea che la settimana prossima dovremo andare ogni giorno a casa di mia suocera. È stata una trovata totalmente deficiente. Spero di evitarmi in qualche modo questa seccatura.

 

In quel momento non potevo saperlo, ma... mi aspettavano ben altri tipi di seccature, di lì a poco. E mia suocera non l'avrei rivista per un po' di tempo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Nibelheim ***


Capitolo II

Nibelheim è un minuscolo villaggio di montagna, perlopiù composto da un piazzale in terra battuta, abbracciato da piccole casette dai tetti spioventi. Al centro della piazza si erge un alto pozzo, davanti al quale stanno diverse persone, pronte per accoglierci: diversi uomini e una ragazzina, timidamente in disparte.

L'uomo più anziano si fa avanti e mi stringe la mano, presentandosi come il proprietario della locanda nella quale alloggeremo; dietro la barbetta bianca sorride come un bambino emozionato per il primo giorno di scuola, neanche fossi il Presidente ShinRa in persona. A turno si presentano gli altri uomini, un maestro di karaté, altri semplici cittadini un po' curiosi e, infine si fa avanti la ragazza, aprendosi in un garbato sorriso; inarco un po' le sopracciglia, accorgendomi che indossa un completo da cow-girl. È uno scherzo?

 

«Io sono Tifa. Nessuno conosce il monte Nibel meglio di me, quindi sarò la vostra guida!»

 

Per prima cosa ci sistemiamo nella locanda. Siamo quattro: due SOLDIER prima classe e due soldati semplici. Staremo tutti in un'unica stanza, dalla quale si vede il monte illuminato dal chiarore del mattino. Resto ad osservarlo per qualche minuto, mentre gli altri si riposano, stremati dal lungo viaggio. Tutto sommato non si sta male.

 

Siamo distanti anni luce da Midgar e la sua confusione, le luci abbaglianti, i clacson delle auto, la vita all'ombra del terribile palazzo ShinRa. Qui la gente è semplice e piacevole, si entusiasma per l'arrivo del nostro gruppo, facendo a gara per offrirci la loro ospitalità. Non manca, tuttavia, chi ci rivolge sguardi ostili, o semplicemente preoccupati. D'altronde sanno benissimo che non siamo venuti per stare nella cittadina. Siamo qui per risolvere un problema, e quel problema viene dal reattore mako, ovvero dalla ShinRa stessa.

 

Poco più tardi ci mettiamo al lavoro e, seguendo Tifa, usciamo dal villaggio, passando a fianco ad una grande villa palesemente trascurata e disabitata.

 

«Quella è la ShinRa Mansion. Per anni i ricercatori della ShinRa ci hanno lavorato, per effettuare studi sull'energia Mako» spiego agli altri.

 

Il paesaggio del monte è spoglio e squallido, costituito principalmente da fredde rocce. Un tempo, a detta del locandiere, era ricoperto da foreste, ma da quando il reattore ha cominciato a funzionare, la vegetazione è pian piano morta, lasciando spazio alla desolazione.

 

Mentre ci incamminiamo per il sentiero, il mio nervosismo cresce sempre di più: sapevo benissimo che sarebbe andata a finire così, in missione con Zack Fair; Zack è l'altro SOLDIER e ciò gli basta per sentirsi in dovere di fare il pagliaccio. Conduce il gruppo, spesso superando addirittura Tifa e, ovviamente, sbagliando strada; smaschera presunte imboscate da parte di mostri che, probabilmente, non facevano altro che sonnecchiare placidamente tra le rocce, e, di tanto in tanto, elogia il suo stupido spadone. È un buon soldato, ma quando si tratta di ragazze diventa insopportabile.

 

Al contrario, i due soldati camminano dietro di me, esageratamente silenziosi. Il casco che indossano li fa sembrare addirittura dei robot. Atteggiamento più che normale e giusto, per due soldati semplici, ma la cosa mi sorprende. Uno dei due, di cui non ricordo il nome, si trova nella sua città natale, eppure non ha salutato nessuno, non ha chiesto il permesso di andare a trovare parenti, anzi, non ha proprio fatto una piega. Continua a camminare e a guardare dritto davanti a sé, senza dire una parola.

 

Tutto sommato, la situazione non sarebbe poi così stressante, se Tifa non avesse portato con sé un amico fotografo, che non ha fatto altro che immortalare la nostra lunga camminata, chiedendo pose e sorrisi, neanche fossimo in gita scolastica. L'occhiata minacciosa che gli ho rivolto quando mi ha chiesto di fare una foto in posa da combattimento deve averlo dissuaso e, del resto, i miei due taciturni compagni non devono essere un soggetto interessante per un servizio fotografico, così ha finito per concentrarsi su Tifa e Zack, costringendoci di tanto in tanto a fermarci per catturare l'immagine di una fontana di Mako o di una roccia dalla forma particolarmente curiosa.

 

In tutto questo trambusto, son riuscito addirittura a far passare inosservata una telefonata a mia moglie, trasformatasi in un fastidioso battibecco.

 

«Non mi avevi mica detto che ti saresti trattenuto così tanto a lungo fuori casa!»

«Cara Iana, non me ne hai dato il tempo! E poi cosa ti aspetti, non sto mica curando un raffreddore!»

«Farai bene, piuttosto, a prepararti allo spaventoso raffreddore che ha mia madre! Ha urgente bisogno di cure, spero che tu torni presto! Ieri siamo andate a cena da lei, alla fine, ti sei perso dei fagotti di Cockatoris eccezionali!»

«Lo immagino» rispondo io; d'altronde mia suocera è una perfetta cuoca, bisogna dargliene atto. Ogni boccone delizioso, però, costa caro. «Senti, non è che ci sentiamo più tardi?»

«Certo, basta che ti muova a fare questa dannata cosa e torni qui, perché a dire il vero neanche io mi sento tanto bene, ho bisogno che mi visiti. E stai attento alle allergie»

 

Ovviamente, spacciandomi per medico, devo far fronte a tante richieste di consulenze da parte di mia moglie, la sua famiglia, le sue amicizie... Sino ad ora son riuscito più o meno a scamparmela, ma mi chiedo per quanto ancora durerà questa storia. Chiudo finalmente la comunicazione e torno al silenzio dei miei due compagni, chiedendomi se abbiano seguito la telefonata. Ad ogni modo, non sembrano capaci di poterne divulgare il contenuto.

 

La lunga escursione sul monte giunge infine al termine, quando ci ritroviamo al grande reattore di Nibel: una ricompensa non tanto gloriosa, per chi ha faticato ad arrivare sin qui. La torre è lunga e alta, un ammasso di ferraglia decisamente poco gradevole alla vista, ma tanto caro alla ShinRa: l'aver trovato il modo per assorbire l'energia vitale del Pianeta, il Mako, l'ha resa la compagnia più ricca e potente al mondo, dominatrice di un taciuto impero che ha come capitale Midgar. Esistono diversi reattori in tutto il Pianeta, di cui questo è il primo ad essere stato costruito. ed è grazie a loro se oggi la qualità della vita ha raggiunto alti livelli. Quando c'è un problema, però, son rogne. E noi siam qui per questo. Tra il guasto al reattore e il pranzo dalla suocera, davvero, la scelta è ardua.

 

Io e Zack entriamo nell'edificio, lasciando fuori Tifa, Mr. Fotografo e i due morti viventi. Di tutti i reattori che ho visitato, questo è senza dubbio il più inquietante; ha qualcosa che va oltre le migliaia di cavi, tubi, circuiti, ma non saprei dire cosa. Pian piano perdo la cognizione del tempo passato là dentro, ma sicuramente sono trascorse delle ore, prima di aver trovato la causa del problema: una valvola lasciata semiaperta, sulla scalinata che porta al cuore del reattore. Ci troviamo in una stanza dalle pareti rosse, costruita in salita nella direzione di una porta che, fortunatamente, non ci riguarda. Ai lati della scala ci sono, allineate, grandi capsule sigillate, il cui contenuto si può osservare attraverso un ristretto oblò. Percorro la scalinata per ispezionare la parte superiore della stanza, quando Zack si lascia scappare un'esclamazione di sorpresa e incespica sui suoi passi, capitombolando sul pavimento.

 

«Che spavento! Vieni un po' a vedere che cosa c'è qui dentro!»

 

Ma io non gli do ascolto: sono immobilizzato davanti alla porta, gli occhi sbarrati che fissano la grande scritta che la sovrasta. “Jenova”.

 

Che diamine ci fa qui il nome di mia madre?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Polvere e fuoco ***


Capitolo III

 

«Zack... vorrei essere lasciato da solo»

 

«Come dici? Che succede?»

 

«Fai come ti ho chiesto, per favore. Tornate al villaggio, io saprò cavarmela da solo»

 

Per fortuna Zack non insiste. Lo sento rialzarsi, e poi i suoi passi si fanno sempre più lontani, sino a svanire. Ora tutto è perfettamente silenzioso, e posso mettere in ordine la pericolosa serie di pensieri che si è delineata nella mia testa.

 

Mi avvicino lentamente alla grande porta metallica, quasi con timore. Mia madre è morta dandomi alla luce, quindi non l'ho mai conosciuta. Ma allora che cosa significa questo? E se fosse che...

 

Etciù!

 

Malediz...

 

Etciù! Etciù!

 

Indietreggio velocemente, alla cieca, gli occhi colmi di lacrime e la gola impastata. Con un ultimo starnuto riesco a rimettermi in sesto e ad aprire gli occhi, vedendo tutto un po' sfocato. Questo posto avrà accumulato polvere in tutti questi anni e io ne sono assolutamente...

 

Etciù!

 

allergico.

 

Come se non bastasse, in quel momento il mio cellulare comincia a vibrare all'impazzata, nella mia tasca. Volto le spalle alla porta, scendendo di qualche gradino, e rispondo alla telefonata, la vista ancora troppo annebbiata per controllare chi mi chiama.

 

«Etciù!»

«Sephiroth! Non dirmi che hai uno dei tuoi soliti attacchi di allergia!»

«No, cioè... insomma, questo posto è pieno di polvere e... ET... ah. Passato»

«Pieno di polvere? Ma in che razza di posto sei?»

«Nel... magazzino. Sono andato a prendere un po' di mangime per i Sahagin, ma c'è un bel po' di polvere. Però è tutto a posto ora, non preoccuparti!»

«Sappi che hai una famiglia da mantenere, quindi cerca di tornare integro!»

Come dimenticarlo.

 

Ripongo il cellulare e lancio un'ultima occhiata al grande portone in cima alla stanza, scuotendo la testa. Prima di giungere a conclusioni affrettate, forse, è meglio indagare. E so già dove posso farlo.

 

***

 

La mia permanenza all'interno della ShinRa Mansion mette a dura prova la mia resistenza alla polvere. Potrei seriamente rischiare la morte, ma ciò non perturba particolarmente la mia già instabile psiche. Ciò che pian piano apprendo, conducendo lunghe ricerche sui tomi che costituiscono la biblioteca del laboratorio sotterraneo, è più cruciale di qualsiasi allergia.

 

Decenni or sono, fu rinvenuto dalla ShinRa un organismo apparentemente morto, in uno strato geologico risalente a 2000 anni fa. Fu chiamato dal Professor Gast “Jenova”, e venne classificato come Cetra, l'antica popolazione che abitava il pianeta. Poco tempo dopo, venne approvato il suo uso in sperimentazioni per conto della compagnia, con sede nel Reattore Uno.

 

Reattore Uno” si riferisce al reattore del monte Nibel, dato che è stato il primo ad essere costruito; e gli esperimenti di cui si parla sono proprio dentro di esso. Il Mako, il flusso vitale del pianeta, può essere utilizzato come fonte di energia per noi uomini. Se il Mako si condensa, viene a crearsi una Materia, strumento grazie al quale chiunque di noi può usare la magia. Ma cosa succede se un essere umano viene contaminato dal Mako? Le grandi capsule della stanza rossa, quelle per cui Zack si è spaventato... contengono i risultati di quegli esperimenti, di incrocio tra vite umane ed energia Mako; a quanto pare, Jenova gioca un ruolo molto importante in tutto ciò.

 

Sarà una coincidenza? Lo stesso nome di mia madre... la madre che non ho mai conosciuto, che è morta dandomi alla luce... Quanto c'è di vero in tutto ciò? Qual è il limite tra coincidenza e triste realtà? Se il Professor Gast fosse ancora vivo, potrebbe spiegarmi tutto.

 

Dove sono le sigarette quando servono? Ne fumo una, due, tre... interrotto, di tanto in tanto, da violenti colpi di tosse e starnuti, dovuti al mix di fumo e polvere. Certe volte mia moglie ha proprio ragione di rimproverarmi! Se solo mi telefonasse in questo momento...!

 

La quarta sigaretta trema tra indice e medio, mentre, il mio corpo si raggela. Gli occhi sbarrati, rimango in ascolto di ogni scricchiolio che mi circonda, temendo di sentire il vibrare del cellulare.

 

Paranoie. Sto impazzendo, lo sento. Devo fare qualcosa, prima che mi venga l'impulso improvviso di buttare giù tutti gli scaffali della libreria. Dopo diversi giorni che ho trascorso qui a leggere e a riflettere, la mia mente inizia a crollare, anche se spero non definitivamente. Forse il primo passo verso la sanità fisica e mentale può essere l'uscire fuori da questa topaia piena di fumo di sigaretta.

 

Così, esco per fare due passi, rincontrando dopo giorni e giorni la brezza serale; i miei occhi chiari, color Mako, ci mettono un po' ad abituarsi alla penombra, ma dopo pochi attimi riesco a distinguere la strada che da una parte porta al villaggio, dall'altra sale verso il reattore.

 

Occhi color Mako?

 

Adesso questo non c'entra proprio un bel niente. Inizio a camminare in direzione del monte, lasciandomi alle spalle Nibelheim. Non voglio incontrare proprio nessuno. Passeggio lentamente, continuando a fumare e a fumare. Pian piano sento che l'aria fresca, il silenzio e le sigarette, assieme, hanno un effetto fortemente benefico sui miei nervi. La mente si fa improvvisamente più libera e l'indolenzimento si affievolisce, man mano che proseguo la strada verso il reattore. Ho sempre amato stare da solo, fin da quando ero piccolo e già abbastanza forte per far parte di SOLDIER.

 

Così piccolo, eppure già così forte... quasi disumano!

 

È inutile scacciare questi pensieri molesti. Prima o poi dovrò pensarci e forse è meglio togliersi questo peso subito. Ogni ricordo legato alla mia esistenza, il mio fisico, la mia – modestamente – potenza fuori dal normale... tutto mi fa pensare di non essere totalmente umano; e alla luce di ciò che ho scoperto su Jenova, forse non ho tutti i torti. Purtroppo non ho abbastanza elementi per indagare. Se, però, il Professor Gast è morto, il Professor Hojo, attuale capo del dipartimento scientifico della ShinRa, potrà dirmi qualcosa. Potrei portare Jenova alla ShinRa e chiedergli di darmi delle spiegazioni... Forse questa è la soluzione giusta.

 

Mi fermo improvvisamente, per prendere una decisione. Proseguirò sulla strada per il reattore, recupererò un campione di Jenova – Un braccio? La testa? L'idea non mi affascina tanto! - e torneremo a Midgar. D'altronde, anche gli altri saranno preoccupati per me. Supero la fontana Mako, presso la quale, durante la prima salita sul monte, il fotografo ci aveva costretti a sostare per almeno dieci minuti, ed accelero il passo, gettando via la sigaretta. Improvvisamente, un lampo mi costringe a fermarmi, e una figura mi si para davanti. Spalanco gli occhi, incredulo.

 

Sono io. O meglio, lui è me. Un momento, questo non è possibile. Che diamine...?

 

Il mio clone non mi lascia il tempo di riflettere oltre. Si lancia contro di me, impugnando Masamune – incredibile, è uguale alla mia! Sfodero la mia katana e scarto di lato, schivando l'offensiva. Le nostre lunghe spade cozzano tra di loro ripetutamente, scagliando scintille tutt'attorno. Lui indietreggia, visibilmente colpito dalla mia forza. Ma insomma, lui è me, di che cosa si stupisce? Essendo lui, dovrei... maledizione, sto iniziando a confondermi.

 

Sephiroth Due, improvvisamente, balza in alto, sopra di me, con un salto che non sarei assolutamente capace di fare. Atterra alle mie spalle e io mi volto giusto in tempo per parare l'attacco. Le due Masamune premono l'una contro l'altra, tremando.

 

«Ok, questo mi ha stupito» dico io, inarcando le sopracciglia. «Ma dimentichi che io sono SOLDIER Prima Classe, mentre tu... di' un po', non ti ho mai visto in giro per la ShinRa!»

 

Lui spinge via la mia spada e schizza lontano dalla mia portata, su una roccia alta, come per prendere fiato. Ma se io son SOLDIER e lui è me...? Allora anche lui è SOLDIER? Che poi, che cosa me ne frega?

 

«Avresti per caso il buonsenso di dirmi chi sei e chi ti ha mandato, FalSephiroth?» gli grido contro, indignato. Che diamine, questo non è certo ciò che si dice un degno avversario.

 

Forse FalSephiroth non sa parlare; fatto sta che, subito dopo, si lancia ancora contro di me, puntandomi il taglio di Masamune. Io concentro tutta la mia potenza nelle mie mani, preparandomi a parare, ma lui improvvisamente cambia direzione, confondendomi le idee. Il mio fendente va a scagliarsi contro una roccia, penetrando dentro di essa.

 

Maledetto.

 

Estraggo la spada, con un ringhio e mi faccio da parte per schivare una pioggia di palle di fuoco, scaraventatami contro senza tanti complimenti. Così Sephiroth Due ha anche delle Materie!

 

Un'improvvisa esplosione ci sbalza via, facendoci rotolare lontano. Appena riesco a mettermi seduto, mi rendo conto del terribile spettacolo che ci si prospetta innanzi. Dalla roccia che ho frantumato zampilla verso l'alto un forte getto di Mako che, dalle tonalità di blu elettrico, si trasforma in un violento impeto di fiamme, su nel cielo. Il mio avversario si alza con uno scatto e sfreccia a velocità disumana giù per il sentiero, in direzione del villaggio, e io son costretto ad evocare una barriera per difendermi dalla tempesta di fiamme che ne consegue. Non dura molto, ma quando lascio svanire la mia protezione, le fiamme stanno già divorando tutto. Compreso il villaggio ai piedi del monte. Quel Sephiroth ha rovinato tutto!

 

Maledizione!!!

 

Mi fiondo giù per il pendio, in mezzo al fumo ed alle fiamme, con la speranza di raggiungerlo, ma già non riesco più a vederlo. Sento grida lontane e cerco di fare più in fretta, in preda all'ansia. Quando raggiungo la piazza principale, divisa in due da una barriera di fuoco, mi rendo conto che è già troppo tardi. Le case attorno a me vengono gradualmente divorate dalle fiamme. Ai miei piedi stanno diversi cadaveri di uomini, il terrore ancora dipinto sul volto; alcuni di loro li riconosco. Mi chino su di loro, per vedere se effettivamente ogni speranza è vana, ma noto che non sono ricoperti di bruciature, bensì di sangue. Aggrotto le sopracciglia. Che diamine è successo?

 

«Sephiroth! No!»

 

Mi alzo di scatto e, oltre il fuoco, scorgo il viso incredulo e spaventato di Zack.

 

«Sephiroth!»

 

Tutto attorno a noi, l'unico rumore è il rombo dell'incendio. Le urla son cessate. Ora siamo solo noi due, l'uno di fronte all'altro, separati dalle alte fiamme. Una consapevolezza mi crolla addosso, pesante. Conosco benissimo i suoi pensieri, e io non posso contraddirli. Ormai è inutile. Mi ha visto mentre scatenavo quell'inferno. Potrò mai avere perdono per la tragedia di cui non ho colpa? I suoi occhi mi implorano e allo stesso tempo mi odiano.

 

Lo squadro un'ultima volta, con la morte nel cuore. Poi mi volto, lentamente, e scorgo la sagoma lontana del reattore, in alto. Quella sarà l'ultima tappa. Spero solo che Zack non mi segua.



Nota dell'autore: essendo questo finesettimana in partenza per Cremona, il prossimo aggiornamento sarà ritardato a martedì o mercoledì! Un saluto a tutti.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il reattore ***


Capitolo IV

 

L'ultima scalata è quella più difficile, la più tragica. La notte si tinge del bagliore del fuoco, conferendo al monte un aspetto infernale. La divisa si fa sempre più pesante e mi sento soffocare; vorrei alleggerirmi almeno della lunga giacca in pelle, ma non mi fermo nemmeno un solo istante. Alle mie spalle, di tanto in tanto, sento ancora la voce di Zack che mi chiama, ma io la ignoro. Lui potrà anche avere buone intenzioni, ma conosco bene la ShinRa. Tutto quello che posso fare è allontanarmi il più velocemente possibile. Intanto, Jenova si fa sempre più vicina.

 

Il reattore, come al solito, rappresenta un mondo totalmente a parte. Fuori il caos infuria sul piccolo villaggio, ma qui tutto procede come al solito, gli ingranaggi continuano inesorabilmente a girare, e il Mako si trasforma in energia. Se solo l'incendio propagasse sin qui, sarebbe una catastrofe. La sala rossa sembra attendermi. Il mio cuore batte all'impazzata, mentre salgo lentamente la fatidica scalinata, gli occhi fissi sulla grande porta metallica che mi separa dal mio obiettivo. Alle mie spalle risuonano dei passi lontani, affrettati. Mi stanno raggiungendo.

 

«Apriti, maledetta porta!»

 

I passi si fermano improvvisamente, alla base della scalinata. Mi volto appena, credendo di trovare Zack, e invece...

 

«Sephiroth! Come hai potuto farci questo?»

 

Tifa brandisce Masamune, in alto sopra di sé - non ricordo di averla persa - un piede posato sul primo gradino della scala. Sembra stravolta e i suoi stivali sono rovinati dalle bruciature. Ha affrontato l'incendio solo per raggiungere me? Non so come rispondere. Che cosa posso dirle? L'ira, il terrore, la disperazione le segnano i tratti del viso e io non posso fare più niente.

 

«Il mio papà... come hai potuto?» grida ancora, in lacrime, e corre all'impazzata verso di me, risalendo la scalinata.

 

Masamune si innalza su di me, fredda e severa, ma non osa attaccare il suo padrone. Afferro il polso di Tifa, immobilizzandolo, e la guardo nei suoi occhi lucidi, pieni d'odio.

 

«Scusami» sussurro, piano.

 

Con uno strattone, libero la katana dalla debole presa di Tifa. È quasi al rallentatore che vedo la ragazza perdere l'equilibrio, spaventata per la potenza di quel contrattacco, cadere sulle scale e rotolare diversi metri più in basso. Non si muove più. La disperazione mi assale, ancora più di quanto già non avesse fatto sinora.

 

Tranquillo. Non è morta.

 

Sento altri passi frettolosi, in lontananza. Saranno Zack e gli altri soldier. Si occuperanno loro della ragazza, io devo proseguire per la mia strada da solo. Impugno Masamune con entrambe le mani e, in un batter d'occhio, la porta metallica si squarcia a metà, aprendo la via verso Jenova. Senza indugiare oltre, la supero.


Un silenzio religioso mi circonda. Il laboratorio è piuttosto piccolo, con pianta circolare, e si estende più che altro in altezza. Cammino lentamente, cercando di contenere il rumore degli stivali sul pavimento in metallo, in segno di rispetto per l'atmosfera quasi sacra che mi circonda. Giungo su una piattaforma rotonda, ampia, il cui perimetro non combacia con le pareti della stanza. Probabilmente, sotto i miei piedi, il laboratorio si estende per altri piani. Dall'estremità della piattaforma, davanti a me, un largo tubo rosso risale sino a raggiungere, alla parete di fronte, i piedi di una statua; più che altro un'armatura. Jenova. Lungo tutta la superficie della stanza si intreccia una fitta rete di cavi e tubi, la maggior parte dei quali confluisce verso la corazza.

 

«Tu... sei mia madre?» sussurro piano, ma con fare nervoso.

 

L'unica cosa che dona vita alla statua è il riflesso delle tetre luci al neon alle pareti. Il viso è una maschera dall'aspetto inquietante, con sottili fessure al posto degli occhi. Il busto ha forme femminili, con rigogliosi seni metallici. Al posto delle braccia due ali spiegate, scolpite con cura, piuma per piuma. I capelli son costituiti da un intreccio di cavi che scendono dal soffitto.

 

Percorro la piattaforma e mi arrampico lungo il tubo rosso, sfidando l'oscurità che incombe sotto di me. Infine raggiungo Jenova. La statua è ovviamente un falso. Jenova sarà dietro, o forse dentro di essa?

 

Un vibrare alla tasca interrompe i miei ragionamenti su come giungere al mio obiettivo. Ti prego, non adesso.

 

«Gaiana, in realtà son molto impegnato. Non ho tanto tempo, ora...»

«Ma certo! Ovviamente! Avrei dovuto pensarlo! E tu ti rendi conto che ormai manchi da una settimana? Quando hai intenzione di tornare?» domanda la sua voce, con tono minaccioso.

«Presto, molto presto. Ma non posso dirti quando, esattamente» dato che non so neanche se ritornerò.

«Perché parli a voce così bassa, scusa?» mi interrompe lei, disinteressata.

«Beh... il paziente riposa. Scusami, Gaiana, ma...»

«Ah, quindi avete smesso di giocare con i Sahagin?»

«Senti, ti garantisco che quanto tornerò avrai un resoconto dettagliato, va bene?»

Alle mie spalle risuonano passi frettolosi, probabilmente sulle scale che portano a questa stanza. Il tempo stringe.

«Lo so che tu stai facendo il possibile per rimandare i pranzi da mia madre. Sappi che è tutto inutile. Appena potrai prenderti un po' di ferie... La terra promessa!»

«La terra promessa?!» esclamo io, sconcertato, dimenticando di parlare a bassa voce.

«Ma sì, andiamo a passare un finesettimana alla villetta di mia madre, quella vicino a Rocket Town!»

«... tua madre? Oh, senti, io...»

I passi son sempre più vicini e non ho altra scelta. Il mio cellulare scivola dalla mia mano e precipita verso il basso. La caduta è lunga e non sento l'impatto col suolo.

 

«Sephiroth!»

 

Ecco qua. Tempismo perfetto. Il mio cervello lavora febbrilmente, escogitando un piano per uscire da questa situazione piuttosto imbarazzante.


«Sephiroth!» urla ancora la voce di Zack, probabilmente sulla piattaforma. «Perché hai ucciso gli abitanti del villaggio? Perché hai ferito Tifa?»


 

Nella mia mente si accavallano milioni di plausibili risposte, una più stupida dell'altra. Son in trappola.

 

«Rispondimi, Sephiroth!»

 

Non posso fare altro che proseguire per la mia strada, sperando di cavarmela. Afferro con entrambe le mani l'armatura di Jenova, per le spalle, e la tiro a me con tutte le forze. Pian piano la corazza cede e, in un'esplosione di cavi elettrici spezzati, riesco a portare alla luce la vera Jenova, custodita in un grande cilindro di vetro, immersa in un liquido trasparente. I suoi lunghi capelli argentati fluttuano attorno alla sua testa come tentacoli, e l'unico occhio visibile oltre le ciocche si illumina di un fucsia fosforescente. Spero sia solo una mia impressione, ma sembrerebbe fissarmi, anche se con sguardo assente. Dietro la sua schiena noto delle ali rattrappite e storte verso il basso, per il ristretto ambiente. Non hanno nulla a che vedere con le grandi ali piumate promesse dalla statua. Il suo corpo è femminile e si tinge di un'opaca tonalità bluastra.

 

Abbandono la struttura di metallo e cavi ancora sibilanti che ho fra le mani, lasciandola cadere nel vuoto e, ancora una volta, non sento il rumore del suo presumibilmente brusco atterraggio. Continuo ad osservare il mostro sotto vetro, ignorando il blaterare del SOLDIER.

 

«Finalmente ci incontriamo» sussurro io, inarcando le sopracciglia. «Ora devo trovare il modo di portarti fuori di qui senza essere disturbato dai...»

 

Un sibilo dietro il mio orecchio destro mi avverte della lenta entrata in scena della Buster Sword di Zack. Il suo taglio è minacciosamente puntato contro la mia gola, con una presa tremante.

 

«... seccatori.»

 

«Sephiroth... Tu... hai completamente perso la testa!»

 

Sospiro. Non sarebbe difficile liberarmi da questa situazione, ma non sempre trovo piacevole menar le mani, specie se con ex colleghi. Con un rapido scatto, ruoto su me stesso e oppongo alla spada di Zack la mia Masamune, costringendolo ad indietreggiare lungo il tubo rosso. Purtroppo per lui, la differenza fra noi due è lampante, e un istante più tardi si ritrova catapultato qualche metro indietro, in ginocchio sulla piattaforma. Mi avvicino lentamente a lui, deciso a metterlo fuori combattimento prima che possa ancora intralciarmi. Devo solo concentrarmi e non fare cretinate: non voglio nessuno sulla coscienza!

 

«Io... mi fidavo di te! Non sei il Sephiroth che conoscevo» ansima Zack, rialzandosi con difficoltà.

 

Solleva la Buster Sword sopra la sua testa, ma ancora una volta questa viene intercettata dall'impeto della mia spada; stavolta, con un grido di dolore, il SOLDIER viene sbalzato oltre la porta e lo sento cadere giù per la scalinata, raggiungendo Tifa.

 

Non c'è tempo da perdere. Volto le spalle al nemico e risalgo verso Jenova. Basta una carezza della mia katana per mandare in frantumi il vetro che mi separa da lei. Sopra di me risuona un sistema d'allarme e il liquido viene trasferito attraverso il tubo su cui poggio i piedi, liberando il corpo del Cetra. Senza tante cerimonie, passo a fil di lama il collo della mia presunta madre e mi impossesso della sua testa, con quei capelli che ora ricadono lisci verso il basso. Prossimo obiettivo: guadagnare l'uscita. Qualcuno, però, non la pensa al mio stesso modo.

 

Urlo di dolore, quando improvvisamente sento una fredda lama ferire il mio fianco destro, lacerando i miei vestiti. Il bruciore si acuisce ancora quando lo spadone viene estratto. Mi volto lentamente, piegato su di me per la ferita, e vedo chi è stato ad attaccarmi. Il viso nascosto dal casco, non riesco ad identificare quale, ma si tratta di uno dei due soldier, che regge quasi con difficoltà la spada di Zack. Piccolo, nella sua divisa blu, sembra quasi terrorizzato dal gesto che ha appena compiuto; ma poi l'audacia ha la meglio e impugna la Buster Sword con forza.

 

«Come... osi?» gli sibilo contro, la voce spezzata dal dolore. Se solo non mi avesse preso alla sprovvista, avrei potuto ridurlo in polvere in meno di un secondo.

 

Gli indirizzo contro un montante un po' debole, ma lui si fa da parte e Masamune colpisce il suo casco, facendolo volar via e rivelandomi il volto del mio avversario. Ha i capelli biondi, acconciati in grandi ciocche sparate in tutte le direzioni. I suoi occhi son chiari e impauriti.

 

«Ridammi Tifa! Ridammi la mia famiglia! Ridammi il mio villaggio!» ruggisce, correndo verso di me e tentando un fendente.

 

Cerco di schivarlo, facendo attenzione a non lasciar cadere la testa di Jenova da sotto il mio braccio destro, ma stavolta mi colpisce alla spalla sinistra, provocandomi una ferita ancora più dolorosa della precedente.

 

«Bas... Bastardo!»

 

Prima che continui a distruggermi, mi faccio coraggio e tento un affondo, ma con la spalla in queste condizioni non riesco ad avere successo. Il ragazzo afferra la lama della katana, lacerando la pelle nera dei guanti e versando il sangue delle proprie mani. Con sforzo immane spingo Masamune verso di lui e finalmente lo colpisco, penetrando nel suo ventre. Lui spalanca la bocca e stringe gli occhi, incapace di emettere alcun suono. Poi stringe ancora più forte la lama e, urlando dal dolore, la estrae dal proprio corpo. Cade in ginocchio e sputa sangue per terra, tossendo. È ora di concludere questo gioco al massacro, se non voglio uccidere questo ragazzino.

 

Mi trascino lentamente in direzione della porta, la testa di Jenova sempre sotto il braccio destro. Ancora una volta, la Buster Sword mi sbarra la strada.

 

«Tu... non... uscirai... di qui» biascica il soldier, ansimando. Si solleva, con difficoltà, e torna in posizione d'attacco, scrutandomi con sguardo esasperato. «Tu... non... dopo aver... Tifa...»

 

Le nostre spade si scontrano ancora, ma stavolta è la rabbia del mio nemico a prevalere. Indietreggio sempre di più. Se impugnassi Masamune con due mani potrei farcela... Ma non posso lasciar andare Jenova. Pian piano mi ritrovo in trappola. Dietro di me il vuoto, davanti a me la spada. Son circondato dalla morte. Se non altro posso scegliere quella che preferisco.

 

Spingo Masamune verso l'alto, liberandomi della pressione della Buster Sword, e, chiudendo gli occhi, mi volto e salto verso il buio, in caduta libera verso la fine dei miei giorni.

 

***

 

Inizio a riprendere coscienza di quello che accade attorno a me quando improvvisamente la mia caduta rallenta, sino a diventare una dolce discesa. Qualche istante più tardi sono inginocchiato su un pavimento duro e irregolare, in mezzo al buio pesto. I miei occhi non riescono a distinguere nulla, neanche le mie mani. Non ricordo se avevo con me Masamune quando mi son lasciato cadere. Chissà dove è adesso. E Jenova?

 

Per un po' di tempo mi convinco del fatto di essere morto. Certo, un po' noioso come aldilà; non che sapessi cosa aspettarmi, d'altronde! Non ho fame, non ho freddo, non provo nessun dolore. Le mie ferite sembrano essere svanite. Non ci sono dubbi, direi!

 

In lontananza scorgo improvvisamente un minuscolo puntino luminoso. Galleggia a mezz'aria. Tendo la mano per cercare di afferrarlo, ma è irraggiungibile. Pian piano ingrandisce, forse si sta avvicinando. Sento anche un accenno di musica, anche se non riesco a capire che cosa la produca. Tutto si spiega, all'interno della mia mente: quello è solo il viaggio per l'aldilà – che ora si sta avvicinando. Si direbbe qualcosa di... fulgido ed etero.

 

La musica si fa più vicina e chiara e, turbato, capisco che è un canticchiare spensierato. Qualcosa non mi convince.

 

La luce si fa sempre più vicina, accecando i miei occhi; quando riesco ad abituarmi di nuovo ad essa, mi ritrovo davanti alla sagoma di una donna. Regge tra le mani una torcia puntata verso il basso, che illumina in parte la sua veste rosa.

 

«Finalmente! Sei leggermente in ritardo. Credevo arrivassi almeno un'ora fa, ma a quanto pare hai avuto qualche contrattempo» dice, con una voce acuta ma dolce. Vorrei vedere il suo viso, questo buio mi innervosisce.

 

«Chi sei? Dove siamo? Che... che cosa succede?» domando, con la voce secca di chi non parla per ore.

 

«Alla prima domanda risponderò dopo, con più calma. Per quanto riguarda la seconda, ci troviamo diverse centinaia di metri sotto Nibelheim, se non ricordo male. Non deve essere stato un viaggio piacevole, immagino. Ad ogni modo, vorresti essere così cortese da seguirmi all'interno della mia dimora?».

 

Una piccola mano candida emerge dall'oscurità, tesa verso di me. Non ho capito niente di quello che ha detto, son troppo stordito per riuscire a ragionare. Ad ogni modo, credo di non essere morto. La mano si avvicina ancora, come per invitarmi a prenderla. Forse è questo che vuole?

 

«Capisco che tu sia piuttosto... stordito, caro Sephiroth, ma qui il tempo scarseggia. Alzati, per favore, raccogli la tua spada e seguimi»

 

In quella voce c'è qualcosa di vagamente minaccioso che mi convince ad obbedire agli ordini. Tastando il pavimento roccioso attorno a me riesco a recuperare Masamune, poi afferro la mano e quella mi tira a sé, costringendomi in piedi.

 

«Ecco fatto. Andiamo?»

 

La ragazza si volta, mostrandomi nella penombra una lunga treccia scura. Poi inizia a camminare, lungo quello che credo essere un corridoio scavato nella roccia, e io non posso fare altro che seguirla, con il terribile presentimento di non essere ormai più padrone del mio futuro.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La dimora sotterranea ***


Capitolo V

 

Guidato dalla donna sconosciuta, cammino attraverso l'oscurità. Sembra quasi di essere in un sogno. I nostri passi sul suolo irregolare di pietra risuonano nel silenzio, lungo il corridoio sotterraneo. La sagoma di lei è l'unica cosa che riesco a distinguere, sebbene molto debolmente. Non sento più nessuna stanchezza, nessun dolore. Qualcosa è cambiato durante quella caduta e so che la mia compagna ne è la responsabile. Tuttavia, per il momento, non le rivolgo alcuna domanda. Vediamo un po' dove mi porta.

 

Pian piano l'atmosfera si rischiara ed accediamo ad una grande sala circolare, trovandoci improvvisamente alla luce. I miei occhi impiegano un po' di tempo per abituarsi, e quando riesco a guardarmi finalmente attorno ci siamo fermati al centro della circonferenza. Il pavimento e le pareti, improvvisamente levigati, mostrano un intervento dell'uomo sulla grande caverna sotterranea, sovrastata da una sorta di alta cupola illuminata da... che cosa sono quelle...?

 

Centinaia di minuscole lingue di fuoco galleggiano a mezz'aria, sprigionando un'incredibile luce tutt'attorno. Qui c'è traccia di magia. Ma dove mi trovo?

 

«Questa è la Sala degli Incontri e siamo all'interno della mia casa, se così la possiamo chiamare» spiega lei, quasi leggendomi nel pensiero. «Tra un po' capirai perché è così grande»

 

La luce del fuoco accende un funesto bagliore nel marmo nero di cui è composta la stanza, creando giochi di luce ed illusioni sulle pareti lontane. La sommità della cupola rimane nell'ombra, ma distinguo una sorta di oculo che sfocia in un corridoio ascendente.

Poi osservo la donna, in piedi a fianco a me con le braccia conserte, come in attesa. È decisamente più bassa di me, la sua testa non arriva al mio mento. Il suo viso ha lineamenti aggraziati e si illumina di due occhi di un verde cristallino. I suoi lunghi capelli castani sono raccolti in una elaborata treccia, alla cui base è legato un fiocco rosso. Sopra l'elegante veste rosa porta una giacchetta rossa, a maniche corte. Ad osservarla attentamente non dimostra più di venticinque anni. Di corporatura è esile, ma qualcosa mi costringe a stare sul chi va là. Ne ho viste troppe nelle ultime ore per potermi permettere un attimo di rilassamento.

 

«Dove siamo?» chiedo.

«Ancora? Lo hai già chiesto e io ti ho già risposto. Avanti, hai altre domande da farmi. Prima di passare al dunque risolviamo i tuoi dubbi, sennò non la finiamo più» risponde, abbozzando un sorriso.

 

Aggrotto le sopracciglia. Tutto ciò è surreale.

 

«Va bene. Dunque, sono morto?» chiedo, esponendo il primo grande dubbio insoluto.

«Certo che no. Purtroppo per te sei vivo» spiega, senza lasciare appassire il sorriso.

«Quindi sei viva anche tu»

«A rigor di logica... sì!»

 

D'accordo, quindi un problema è risolto. Ma ora giunge quello secondario: che cosa è successo alle mie ferite? Perché non mi sento stanco dopo tutto quello che ho passato nelle ultime ore?

 

«... Come hai fatto a sopravvivere alla caduta? Sì, sì, ho fatto tutto io, dovresti esserne grato! Trovo che sia una cortese forma di benvenuto. Sono sempre stata attenta alle buone maniere. Poi ti spiegherò come»

 

La ragazza parla velocemente, con la sua vocina amabile. La mia presa su Masamune si fa più debole. Ehi, ma...

 

«Un momento, come fai a...?»

«Andiamo avanti con le domande» intima lei, portando le mani dietro la schiena e strizzando gli occhi in un buffo sorriso. Non mi frega.

«Chi sei? Voglio tutta la verità. Dimmi cosa vuoi da me»

 

Il suo sorriso sfiorisce e viene sostituito da un'espressione più seria.

 

«Mi chiamo Aerith, ti basti questo. Abito qualche centinaio di metri sotto il suolo del Pianeta...»

«Perché?»

«... non mi piace il sole. Ho la pelle molto sensibile e potrei avere seri problemi, esponendola alla luce del giorno» risponde lei, sollevando le braccia e mostrandomi il loro colorito pallido.

 

Fermi tutti. Si è costruita una casa sotterranea sotto il reattore di Nibelheim solo per non stare alla luce del sole? Andiamo, chi ci crede?

 

«Ovviamente è una fesseria, fai bene a non crederci. Ma non puoi aspettarti una risposta sincera, saranno affari miei se vivo qui sotto» sillaba, con voce improvvisamente più grave e irriverente, come se avesse abbandonato ogni tentativo di essere amabile.

«Tu leggi i miei pensieri?» sibilo io, spalancando gli occhi.

«La tua psiche è piuttosto labile, non so se perennemente o forse semplicemente perché sei stanco. Ad ogni modo, Sephiroth, mi rincresce dirti che sono davvero delusa. Io ero pronta per accogliere due persone, ma ti ritrovo da solo»

 

Rimango immobile, basito, mentre lei mi volta le spalle, allontanandosi. Devo essermi perso qualcosa, ultimamente. Perché questa donna ha l'aria di sapere più di quanto dovrebbe? Come riesce a leggere i miei pensieri? Come fa a sapere il mio nome? Continuo a fissarla e, con espressione ebete, non riesco a dire altro che...

 

«... eh?»

«Che succede, Sephiroth, la caduta ti ha stordito? Quando sei caduto, eravate in due. No, non intendo né il moro, né il patetico biondo. Intendo lei»

 

Inizialmente non capisco, ma il mio cervello lavora febbrilmente e giunge alla conclusione. Jenova. Me ne ero totalmente dimenticato. Dove sarà andata a finire?

 

«Capisco, l'hai persa mentre cadevi. Che idiota. Che idiota!» conclude, nervosamente, e inizia a camminare, descrivendo un cerchio attorno a me.

«Un momento, ma... che cosa vuoi fare con Jenova? E come fai a sapere...»

«Vedi, chiamalo gusto per l'orrido, ma ho sempre avuto una passione per l'arredamento alternativo. Trovo che la testa di Jenova avrebbe dato quel senso di completezza al mio salotto. Avevo già pronta una teca apposita, ma ora dovrò accantonare questa idea, a quanto pare...»

«... Sul serio?»

«Certo che no, idiota»


La situazione inizia a seccarmi. Sono ancora più confuso di prima. Aerith smette di camminare, improvvisamente, e mi squadra con un cipiglio infastidito, le braccia conserte.

 

«Tu hai rovinato i miei piani. Era tutto perfetto. Tanto più che hanno mandato te, così legato a Jenova. Non dovevo costringere nessuno a far niente, hai fatto tutto da solo. Certo, con un piccolo aiuto del mio Sephiroth»

«Aspetta un attimo! Il tuo Sephiroth?»

 

Mi ha aizzato contro quella sorta di clone con lo scopo di ottenere Jenova. Quindi tutto ciò che è successo dipende da lei? Da quando ho smesso di essere padrone delle mie azioni?

 

«Esattamente. È stata davvero una fortuna che tu venissi a scoprire quelle cose su di te in quel preciso istante. Io ho solo fatto in modo di farti arrivare fino a qui, senza lasciarti altre vie di fuga» spiega lei, la voce sempre più tremante e rabbiosa.

«Che cosa era quel... Sephiroth

«Uno dei miei tredici servi, se proprio ti interessa. A breve farai la loro conoscenza. Ti sei portato la spada, sì?»

 

Indietreggio, strizzando gli occhi e cercando di fare ordine nella mia mente, ma è impossibile! Non capisco più niente!

 

«Povero, povero Sephiroth. È tutto troppo difficile per la tua testolina?»

«Se tu mi spiegassi tutto quello che c'è da spiegare, capirei qualcosa!» sbotto io, puntandole contro Masamune con un gesto involontario.

«Ma noi non siamo alleati, Sephiroth. Lo dovresti sapere, dato che mi stai minacciando con la tua spada» dice lei avvicinandosi lentamente, con tranquillità. «Io ti dico ciò che fa comodo ai miei piani»

«Chi sono questi tredici servitori?» domando io, abbassando la katana.

«Bando alle ciance. Te li presento immediatamente!»

 

Prima ancora che Aerith concluda la frase, il pavimento inizia a tremare. Mi guardo attorno, nervosamente, ma l'unica cosa che vedo è il suo sguardo leggermente divertito, davanti a me. Poi, improvvisamente, il marmo nero viene trapassato da delle sagome di polvere e fumo. Una decina di... - che cosa sono, spiriti? - di spiriti volteggiano per la sala, come felici di essere stati chiamati. Aerith continua a fissarmi, aspettando una mia reazione. Io strizzo gli occhi, il respiro affannoso e...

 

«Etciù!»

«Come, scusa?»

 

Gli occhi mi lacrimano e sento un dolore acuto al naso. Riesco a calmare l'attacco di allergia, trattenendo il respiro e concentrandomi. Non è il momento adatto.

 

«Questi et... ah! Questi che cosa sono?» chiedo, gli occhi ridotti a due fessure.

«Sono i miei spiriti servitori, se così li vogliamo chiamare. Son piuttosto docili» spiega la ragazza, incrociando le braccia. «Possono prendere le sembianze di qualsiasi persona, questa è una cosa molto utile! Inoltre ti hanno portato quaggiù vivo e vegeto. Insomma, mi aiutano quando ho bisogno!»

«E di cosa hai bisogno, ora?» chiedo, con un funesto presentimento.

«Di risolvere la faccenda, ovviamente. Tu sei venuto qui per portarmi Jenova, ma ti presenti senza di lei. Questo è un serio problema!»

«Io non son venuto qui per portarti...»

«Ad ogni modo, mi aiuteranno a ritrovare ciò che tu hai perso e poi ad ucciderti»

«Che cos... etciù!»

 

Lo starnuto mi coglie alla sprovvista, costringendomi a chinare la testa. Aerith mi ignora e continua a parlare come se nulla fosse.

 

«Certo, a meno che tu non decida di cambiare strada e...»

«Etciù! Etciù!»

«... e aiutarmi nel mio compito, cosa che non credo sarà tanto...»

«Etciù!»

«... semplice, dato che i corridoi e gli antri di queste caverne son tanti e complessi, ma immagino che...»

«Etc...»

«Basta!»

 

D'improvviso mi ritrovo inginocchiato sul freddo marmo. Il mio corpo trema, come se avessi appena ricevuto una scarica elettrica. Ansimo, gli occhi lacrimanti ridotti a due fessure e, inevitabilmente...

 

«... etciù»

«Capisco. Hai proprio un'allergia. Allora devo escludere l'ipotesi di mandarti a cercare Jenova qui sotto, non credo sopravviveresti. Bene, allora, ti lascio la spada giusto per poterti illudere per un po' di poter uscire di qui»

«Tu... non puoi uccidermi! Che ho fatto? Lasciami andare, non ha senso!»

«Nessun ospite, desiderato o indesiderato, ha mai avuto il piacere di abbandonare la mia dimora. Sai, non si sa in giro che io abito qui»

«Tu? Ma chi sei tu

«Hai sentito parlare di Antichi fin troppo in questi ultimi giorni, non voglio tediarti oltre»

 

Non so che cosa rispondere. Quindi lei ha a che fare con gli Antichi? Ha a che fare con Jenova, esattamente come me? Lei alza gli occhi al cielo. Riesce ancora a leggere i miei pensieri?

Mi alzo, lentamente, stringendo Masamune nel pugno sinistro. Non c'è molto da discutere.

 

«Tu... credo che tu abbia qualche rotella fuori posto. Mi converrà farti fuori, per il bene dell'umanità» ringhio, cercando di farmi coraggio.

«Ah-ah» annuisce lei, osservandosi le unghie, senza fare una piega. Ma chi diamine è questa qui?

«Sai che io sono un SOLDIER Prima Classe, vero?» aggiungo, aggrottando le sopracciglia. «Sai che posso polverizzarti in... meno di dieci secondi?»

«Ma certo, sì. Spero, piuttosto, che lo sappiano loro. Ma come, ti sei già dimenticato di loro

 

Sollevo lo sguardo di scatto, con un colpo al cuore. Gli spiriti hanno smesso di svolazzare sotto la cupola, ora sono tutti schierati qualche metro sopra la loro padrona. Ad un suo gesto, le sagome si riuniscono in un'unica nube di fumo e si scagliano in mia direzione. Con un montante di Masamune riesco a deviare la calata degli spettri, che risalgono verso la cupola. Poi, volteggiando tra le lingue di fuoco, la nube si infiamma, tramutandosi in una gigante vampata che torna a sfrecciarmi contro. Questo è un problema.

 

«Buon divertimento...!»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Battaglia ***


Capitolo VI

 

Il marmo color pece si illumina del riflesso della vampata distruttrice che mi sfreccia incontro. La mia sfera di emozioni si riduce ad attimi, nanosecondi. Un istante per riflettere, poi scarto di lato, rotolando sul pavimento. Scatto in ginocchio. Gli spettri infuocati cambiano direzione, verso l'alto. Poi di nuovo verso di me. La mia mano corre immediatamente alla cintura e trova quel che cercava. Un'imponente parete ghiacciata si innalza, di fronte a me, come protezione contro il nemico.

 

Gli spiriti trapassano con facilità la barriera, ma il fuoco viene intrappolato dal ghiaccio, che si trasforma in una cascata d'acqua, inondando il pavimento nero. Tutto si conclude in pochi attimi, e nella sala scendono di nuovo silenzio e immobilità, ma anche tensione. Gli spettri son fermi, di nuovo a mezz'aria, e aspettano un nuovo ordine. Questo, però, non arriva. Aerith agita la mano e l'acqua al pavimento si nebulizza, diventando vapore che sale lentamente verso il soffitto.

 

Il freddo rumore degli stivali contro il pavimento risuona e rimbomba sotto la possente cupola. La donna si sta avvicinando lentamente, una sagoma leggermente nascosta dalla nube che aleggia attorno a noi. Mi alzo, in fretta.

 

«Ah, sei vivo!» esclama poi, fermandosi a qualche passo da me ed emergendo dal vapore. «Per un attimo ho smesso di sentire i tuoi pensieri e a guardarti in faccia sembreresti un cadavere. Ad ogni modo, bravo!»

 

Sta di nuovo cercando di fregarmi, con questo tono adulatorio. Lo so che vuole tornare all'attacco da un momento all'altro. La visuale torna a farsi nitida, pian piano. Dovrei escogitare un piano per fuggire di qui, ma... come faccio a tenerglielo nascosto?

 

«Fortuna che avevi qualche Materia con te. Le tieni sempre là sotto?»

«Ero in missione per la ShinRa, non mi mandano mica impreparato» rispondo io, a denti stretti.

«Ma certo. Vediamo quanto sei preparato, allora. Si rincomincia?»

 

Mi volto di scatto verso gli spettri, sollevando Masamune, ma un attimo dopo capisco di aver sbagliato. Qualcosa mi colpisce alla schiena, dandomi una scarica elettrica, e mi fa ruzzolare di nuovo sul pavimento. Aerith ride di gusto.

 

«Quanto è facile beffarti!» esclama, mentre io mi rimetto in piedi con qualche difficoltà. Lei stringe tra le mani un lungo bastone metallico, alle cui estremità sono incastonate delle Materia. «Quasi quasi ti risparmio e ti tengo quaggiù come giullare! Sei un vero spasso

 

Questa qui si è totalmente bevuta il cervello. Al diavolo Jenova, io me la do a gambe e dimentico tutto.

 

«Certo, ammesso che tu riuscirai ad uscire di qui e a tornare sano e salvo dalla tua famiglia, credo che ci sarebbe comunque qualche problema» riflette lei, sfiorandosi il mento con un dito. «Credi forse che alla ShinRa ti accoglieranno come un eroe?»

«So benissimo che con la ShinRa ho chiuso» borbotto io, avvertendo un'improvvisa fitta al petto.

«Vogliamo parlare dei sensi di colpa per aver distrutto il villaggio di Nibelheim, bruciandolo dalle fondamenta?» continua lei.

«Io... non ho fatto proprio niente! Sei stata tu!» esclamo, indignato.

«Ma certo. Eppure gli abitanti del villaggio – quelli che son sopravvissuti – chi hanno visto? Se non sbaglio, hanno visto proprio te»

«Finiscila! Non ero io!» sbotto, sempre più adirato.

 

Lei si apre in un sorriso maligno, ma non risponde. Solleva la mano libera e chiama a sé una delle piccole fiamme che abitano la stanza. Quella svolazza verso di lei, obbediente, e galleggia qualche centimetro sopra il suo palmo sinistro.

 

«Il villaggio è bruciato, ma il reattore sembrerebbe ancora in piedi. Ciò vuol dire che Jenova è ancora salva. So che tu vorresti lasciar perdere tutto e andartene, ma una piccola parte di te vuole andare a fondo in questa faccenda» dice Aerith, con tono più grave. «Ma poiché Jenova sta particolarmente a cuore anche a me, potremmo indire una gara. Chi la troverà prima?»

 

La scruto con occhi ridotti a fessure. Che cosa ha in mente?

 

«Ammetto, tuttavia, che questa è un'idea sterile, quindi faremo in questo modo: tu ruberai il resto del suo corpo, io troverò la testa. Te la affiderò per una settimana, un mese, un anno, il tempo che ti occorre per fare le ricerche che vuoi, poi torni qua e me la rendi. Fine»

 

Potrebbe essere un'idea ragionevole? D'altronde non mi conviene averla come nemica, ora che ho voltato le spalle anche alla ShinRa. Questa tipa mi sembra abbastanza pericolosa.

 

La sua mano si chiude a pugno e la fiamma svanisce. Il suo bastone batte ripetutamente contro il marmo, sollevando a poco a poco una feroce tempesta di vento e...

 

Starnuto.

 

La tromba d'aria che si stava formando cessa improvvisamente, assieme al battere del bastone contro il suolo.

 

«Neanche questa va bene, vero? Allora facciamo così. Faremo finta di non esserci mai incontrati. Sei pronto a ripetere la tua lunga caduta? Con la differenza che stavolta morirai»

 

Respiro affannosamente, sentendo la gola asciutta e irritata. Mi rialzo, brandendo Masamune e cercando di raccogliere tutto il coraggio di cui dispongo.

 

«Dovremo trovare prima una soluzione per la tua famiglia, però. Vuoi che le faccia avere un tuo messaggio? O preferisci sparire nel nulla? Vedo che sei piuttosto combattuto tra le due opzioni»

«Finiscila» intimo io, con tono implorante. «Questo adesso non c'entra niente»

«Se non avessi lasciato cadere il tuo cellulare quaggiù nelle mie caverne, non ci sarebbe neanche bisogno di fare questi discorsi. Te la saresti cavata con una breve telefonata. Invece hai preferito disfartene» continua lei, ignorando i miei sforzi. «Sai, credo che come uomo tu sia stato un totale fallimento. Diviso tra due vite che non sai gestire assieme. Tanti inutili segreti e bugie. Non appena hai scoperto qualcosa di terribile su di te, hai deciso di voltare le spalle a tutto e tutti e proseguire per la tua strada. Questa è stata la tua prima scelta coraggiosa. Ma sei caduto nella mia trappola. Quindi...»

 

Muovo un debole fendente in avanti, quasi alla cieca, e lei non ha neanche bisogno di schivarlo.

 

«Vuoi aprire le danze? Almeno li conosci i passi?»

 

Un montante e ancora un fendente, un tondo, un ridoppio e ancora un fendente, lascio sibilare Masamune in ogni direzione, avanzando lentamente. Lei indietreggia e, senza alcuna difficoltà, si sottrae all'ira della katana, ma pian pieno sento una nuova energia scorrere nelle vene delle mie braccia, che sembra sfociare nella spada e darle vita. Questo è il coraggio che troppo a lungo ho lasciato riposare dentro me.
 

«Posso sapere che cosa credi di fare?» mi chiede Aerith, tenendo il bastone in posizione di guardia e continuando ad indietreggiare.

«Non riesci più a leggere nella mia mente?» chiedo, con un affondo.

 

Lei non risponde. Balza di lato, evadendo dalla mia traiettoria, e si lancia su di me, il bastone sollevato. Paro l'attacco e lascio scivolare di lato la mia arma, trascinando la sua e liberandomi dal pericolo. Le mie stoccate si fanno più serrate e meno timide, incontrando ogni volta il metallo del bastone di Aerith, che continua ad indietreggiare. Dalle sue Materia sprizzano scintille di un blu elettrico sempre più nervose. La mia nemica è improvvisamente in difficoltà e sembra aver perso un vantaggio su di me: il controllo della mente.

Mi riconosco di nuovo. Non so quale vincolo incatenasse le mie forze, ma ora son di nuovo padrone di me stesso. Tra una parata e l'altra, intravedo il suo viso sempre più contratto, a denti stretti. Forse non è tanto abituata allo scontro fisico. L'avevo avvertita che, contro un SOLDIER, non sarebbe stata una passeggiata.

 

Disegno una scia di fiamme a separarci e lei balza all'indietro. Le scintille si propagano improvvisamente verso l'alto e si crea una rete infuocata lungo le fiaccole che popolano la stanza. La cupola viene illuminata a giorno, rivelando l'obolo che corre verso l'alto ed entrambi tratteniamo il respiro, stupiti. Con uno scatto del suo bastone, Aerith trasforma le fiamme in saette che scaglia contro di me, in una pioggia di lampi. Evoco una protezione, grazie alla Materia di difesa, ma questa trema violentemente, sotto la potenza della magia nemica, e mi lascia scoperto agli ultimi fulmini. Cado in ginocchio, scosso dai sussulti, posando a terra la spada che si è fatta improvvisamente pesantissima. Aerith sembra tirare un sospiro di sollievo. Si avvicina, con pochi passi, e solleva il bastone per sferrare un colpo dall'alto, ma, impugnata con entrambe le mani, sollevo Masamune. Quella rilascia una seconda scarica elettrica, assorbita da quella precedente, e colpisce violentemente il bastone, rimandandolo indietro. Una Materia cade a terra, con un tintinnio di vetro, e rimbalza via; Aerith realizza ciò che è successo e fa per lanciarsi per afferrarla, ma io son più rapido. Un attimo dopo stringo in mano una Materia dell'aria, caduta dal suo bastone.

 

«Adesso basta» ringhia lei, con l'aria di aver totalmente perso il controllo di sé. «A me!»

 

Un brivido mi percorre la schiena. Mi ero totalmente dimenticato. Con un violento spostamento d'aria, gli spettri piombano su di me e attraversano il mio corpo, come mille fredde pugnalate. Urlo di dolore, piegandomi su me stesso, ma non son ferito. È già tutto finito. Mi volto di scatto e, alla seconda offensiva, oppongo una barriera, ma anche questa si frantuma come la precedente, e mi ritrovo in ginocchio, fuori di me per il dolore. Maledizione alle Materia scadenti che mi rifilano là alla ShinRa!

 

Mi rialzo, testardo, e stavolta sfrutto l'ira di Masamune. Con un montante, la scia degli spettri si divide in due lingue, che crollano verso il basso e spariscono, attraversando il pavimento di marmo.

 

In un teso silenzio, io e la ragazza ci fissiamo, lontani. Il bastone è sparito e tiene le braccia incrociate, come ad assistere allo spettacolo dall'esterno.

 

«Non preoccuparti per loro, stanno per tornare. Addio, Sephiroth!» esclama lei, agitando la mano in mia direzione.

 

Non rispondo. Stringo la nuova Materia nella mano destra e scateno attorno a me una tempesta di vento, costringendo Aerith a ripararsi dietro ad una barriera. Vedo gli spiriti riemergere dal suolo, in tante sagome affusolate, ma sono paralizzati dalle raffiche, incapaci di riunirsi. Muovo la spada verso l'alto e una corrente ascensionale mi trascina a mezz'aria, come prendendo vita. Starnutisco più volte, ritrovandomi in mezzo ad una sfrecciante nube di polvere, ma pian piano riesco ad assumerne il comando ed a sfrecciare verso il centro della cupola. Sotto di me, anche gli spettri riprendono il controllo della situazione, e mi stanno alle calcagna. Mi volto verso di loro, nel momento in cui ancora una volta si incendiano, e decido di affidarmi alla Materia ancora inutilizzata.

 

«Addio, Aerith!»

 

Sospeso a mezz'aria, alla bocca dell'obolo, scaglio verso il basso una scarica di fulmini e saette. Illuminato dal bagliore della violenta esplosione, sfreccio lungo lo stretto corridoio verticale e, un momento dopo, mi ritrovo in mezzo ai monti e alle stelle.

***

Nota dell'autore: un saluto a tutti quelli che mi seguono! Arrivato al sesto capitolo, prendo la decisione di cambiare titolo, ma in questo momento sono a corto d'idee. Si accettano suggerimenti! Buona settimana.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Domenica ***


Capitolo VII


Dlin-Dlon!


«Seph...»


 

Ignoro quello smielato richiamo, concentrandomi sull'edera che risale i muri della casetta di fronte a cui ci troviamo. I miei occhi fanno di tutto per non guardare la porta, che potrebbe spalancarsi come delle fauci, da un momento all'altro, e inghiottirci. Qualcosa però mi tira per il polsino destro della camicia rossa, e son costretto a voltarmi, fingendo sorpresa. Gaiana osserva con aria critica il mio abbigliamento.


 

«Non hai stirato la camicia, vero? Sempre il solito pigrone? E il colletto, poi! Ma almeno ti sei guardato allo specchio, prima di uscire?»


 

Si impegna a lisciare le pieghe del cotone sul mio torace, con mano pesante, continuando a borbottare a mezza voce. Io alzo gli occhi al cielo, cercando invano di sottrarmi a quelle che pian piano diventano pacche e, infine, potrebbero rientrare nella la categoria delle violenze.


 

«La vuoi smettere?» sibilo spazientito, allontanandola con la mano destra, mentre con quella sinistra reggo saldamente Eydìs, che si dondola freneticamente in qualsiasi direzione.


 

«E questa che cosa è... forfora?»

«Che diamine stai dicendo?»


 

Non sono abbastanza svelto per impedirle di assestarmi una poderosa manata alla spalla destra, seguita da tante altre.


 

«Seph, quale shampoo stai usando?»

«Ti dico che non è forfora, è gel!» protesto io, occupandomi di spolverare la spalla sinistra.

«Mi prendi in giro? Il gel è liquido!»

«Ma ti sei bevuta il cervello?»


 

Eydìs ride a crepapelle, probabilmente senza capire una parola dei nostri discorsi, aumentando lo scompiglio nel cortile della casetta. Almeno non si è messa a frignare. Gaiana continua a percuotere il mio petto, sputando una valanga di parole e frasi di cui non capisco assolutamente nulla. In tutto quel trambusto, con un sinistro cigolio – o ringhio? - le fauci si spalancano.


 

Dall'ombra emerge una piccola figura tozza. Una grassoccia mano, dalle lunghe unghie smaltate di rosso, striscia sullo stipite della porta, afferrandolo saldamente. Il sinistro luccicare di due occhi fa capolino nel buio, brillando cupamente. Un tossire cavernoso echeggia nell'oscurità, con un respiro sempre più affannato. Eydìs ha smesso di dimenarsi e la sua mano stringe con forza la mia. Tra un colpo di tosse e l'altro, la figura si avvicina...


 

«Mamma!»


 

Gaiana si avvicina alla donna che lentamente esce dalla casa e smette di tossire.


 

«Tesoro, ciao! Tutto bene?»

«Tu, piuttosto! Questa tosse sta peggiorando!»

«Ma non diciamo sciocchezze. Tesoro della nonna!»


 

Lascio d'improvviso la mano della piccola, abbandonandola al destino che la aspetta. Inghiottita tra le enormi braccia di mia suocera, resta immobile e zitta, gli occhi spalancati. Quella voce un po' rauca continua, asma permettendo, a cantilenare e cinguettare melense sciocchezze.

Nonostante non ci sia una grande differenza di età con mia moglie, la signora si direbbe ultracentenaria. La pelle scura e grinzosa, come quella di chi abbia passato un'intera vita sotto il sole, i ricci capelli del colore dell'acciaio, gli occhiali tondi e spessi dietro cui si nascondono dei minuscoli occhi di cui non ho mai saputo vedere il colore, lo strato adiposo che caratterizza la mascella, il collo, le braccia, le gambe e, in generale, l'intera persona: tutto di lei dà l'idea di non essere neanche lontanamente imparentata con Gaiana, così esile, dalla pelle candida, grandi occhi castani come la chioma liscia.

La nonna lascia andare la nipote e si erge in tutta la sua modesta statura, scalando con lo sguardo la mia irraggiungibile altezza.


 

«Buongiorno, signor Sephiroth» sillaba, con tono formale.

«Buongiorno, Signora Knife» rispondo io, con un lieve inchino.


 

Pochi secondi di sguardo sostenuto sono un saluto adeguato alla situazione. Dopodiché, la signora torna a squittire su Eydìs, baciandola, abbracciandola, strapazzandola, tra un Sei tutta tua madre! e un Come sei grande!, come se invece di una settimana fossero passati svariati decenni, dal loro ultimo incontro. Mia figlia, nel frattempo, ha scelto la tattica dell'indifferenza e tiene lo sguardo sgranato fisso davanti a sé.

Una parte di me, tuttavia, si unisce alla sorpresa della nonna; è pur vero che la piccola cresce a vista d'occhio e sembra avere come traguardo le fattezze di Iana. I suoi capelli castani son raccolti in due treccine, realizzate dalle delicate mani di sua madre; sul suo viso lentigginoso, si aprono due grandi occhi scuri; nelle sue prime settimane di vita erano molto chiari e io mi ero illuso di averle regalato i miei, ma da buon padre mi son rassegnato ad avere due cloni che girano per casa mia.


 

Perso tra i pensieri, non mi ero accorto del silenzio calato tra noi.


 

«Seph...!»

«Signore, vuole seguirci nella mia dimora?» domanda la signora Knife, con una formalità che mi dà ai nervi.


 

Entriamo a casa e, un quarto d'ora dopo ci apprestiamo a sederci a tavola. Nonostante l'agitazione per il trovarmi sotto lo stesso tetto della mia suocera, sono emozionato per ciò che mangeremo. Le leccornie sfornate dalla sua cucina sono una lauta consolazione per ciò che mi tocca passare ogni sette giorni.

Eydìs, come succede sempre da un po' di tempo a questa parte, si arrampica da sola sulla sedia, rifiutando il mio aiuto.


 

«Ce la faccio, papi, sono grande» dice, issandosi.


 

Io le faccio il verso e le tiro dolcemente una treccina, strappandole quell'espressione imbronciata tanto carina.

L'arrivo della fumante pietanza interrompe il mio scherzo. Gaiana aiuta la madre a posarla tra caraffe, bicchieri e piatti.


 

«Rane e verdure scottate al fuoco di Pyros!» annuncia la signora Knife.


 

Serviti i piatti – Eydìs mangia solo verdure – io mi ritrovo catapultato al centro dell'ordine del giorno: e, come al solito, l'argomento sono i miei capelli.


 

«Dica un po', li lascia crescere?» chiede mia suocera.

«Sì, da un po'» rispondo, tralasciando di dirle che Iana non mi ha mai conosciuto con i capelli corti.

«Certo, ma un medico dovrebbe essere più presentabile, no? Non starebbero meglio corti?»

«N... non saprei» rispondo, incrociando lo sguardo preoccupato di mia moglie. Anche lei è tenuta sotto stress da questi interrogatori, con la differenza che ciò che la preoccupa principalmente sono le mie risposte leggermente insolenti.

«Ma d'altronde Gaia mi diceva che non sta più andando al lavoro»


 

Il mio cuore sprofonda nel petto.


 

«Non sto più andando all'ospedale! Sto lavorando per corrispondenza. Gli orizzonti della medicina si allargano sempre più» blatero, senza sapere neanche io che cosa dico.

«Lavora dal suo studio a casa e non esce mai» spiega Gaiana.

«Il fatto che sia un lavoro a domicilio non vuol dire che sia meno impegnativo. E poi non ho più di quegli straordinari per cui tanto ti lamentavi» borbotto io. È proprio vero che le donne non si accontentano mai.

«Dopo quello straordinario, ne hai fatto abbastanza per tutta la carriera!» protesta lei. «Adesso possiamo quasi considerarti un padre!»


 

Taccio, infastidito, ma preferisco non sollevare la questione che spesso ci porta al litigio. Intimo ad Eydìs di mangiare le verdure che stanno sul piatto a raffreddare.


 

«Brava, bambina, mangia. Approfittane qui per mangiare, se vuoi crescere sana e robusta!»


 

Sia io che Gaiana rivolgiamo un'occhiata leggermente interdetta alla signora Knife, che spolpa i ranocchi e li divora con gesti taglienti.


 

«È un po' magrolina, lo riconoscerete pure voi!» esclama.

«Eydìs è una bambina sana e cresce bene» dice Gaiana, fermamente.

«Tu crescevi molto meglio» ribatte la nonna.

«Nostra figlia è più alta dei suoi coetanei del vicinato. Hanno tutti sette anni come lei» intervengo io, pulendomi la bocca col tovagliolo.

«Cinque anni!» mi corregge mia moglie, in un sussurro fin troppo udibile.

«È quello che volevo dire. Ad ogni modo, mangia con grande voracità e il suo peso è normale, così come la sua altezza»

«Con grande voracità» ripete la signora Knife, alzando lievemente un sopracciglio.


 

Ci voltiamo verso Eydìs. La bambina gioca con la piccola forchetta, infilzando e macellando con veemenza le zucchine.


 

«Ed è magra» conclude mia suocera, bevendo un sorso d'acqua.

«Didi, tesoro, mangia» intimo io, sentendo il cuore battere all'impazzata. «Fai la brava, come sempre, su!»

«Amore della nonna, che cosa mangi a casa?» domanda la signora Knife.

«Latte!» esclama la bambina, euforicamente.

«... e poi?»

«Latte, latte, latte!»

«Mangia molto pane, va ghiotta per le zuppe di carne, ma cerchiamo di farle mangiare anche verdure, ortaggi e frutta» rispondo io, sempre più infastidito. «Non è vero, Didi?»

«Mmm-mmm» annuisce lei, facendo volare la forchetta come un aereo

«Non sembra convinta» osserva la signora Knife.

«La bambina non fa caso a quello che mangia!» insisto io.

«Andiamo, non sia ridicolo! I bambini adorano mangiare»

«Lei preferisce giocare» ribatto io.

«Solo perché voi non le date da mangiare!»

«Mamma, per favore... Anche Eydìs ha dato ragione a Sephiroth» interviene Gaiana, in una delle sue rare difese.

«Solo perché glielo ha suggerito lui. Non dovreste abituare la piccola a dire bugie»

«Adesso basta! Nessuno ha detto bugie, Eydìs mangia come dovrebbe mangiare una bambina della sua età!» sbotta Gaiana, rossa in volto.

«Tu mangiavi molto di più!»

«Io ero grassa!»


 

Il nostro putiferio di voci viene sovrastato dal pianto straziante della bambina. Mia suocera borbotta qualcosa tra i denti.


 

«Oh, no...» mormora Gaiana, nascondendo il viso tra le mani.

«Faccio io» taglio corto, freddamente; mi alzo, prendo in braccio Eydìs che frigna e la porto fuori dalla stanza.


 

Lasciando alle mie spalle tensione e litigi, attraverso il corridoio sino a giungere alla cucina; faccio sedere la bambina su una delle sedie di legno e cerco di tranquillizzarla.


 

«Didi, non piangere, per favore» la supplico, inginocchiandomi per avere i suoi occhi all'altezza dei miei.

«Non vi volete bene, vero?» chiede, tra i singhiozzi.

«Ma che dici, dai» faccio io, asciugandole le lacrime con un fazzoletto di stoffa. «Certo, se contiamo che ogni domenica va a finire così...!»


 

Pian piano la bambina smette di piangere e le faccio soffiare il naso.


 

«Ma allora perché urlate sempre?» chiede, rabbuiata.

«Sai che più si litiga, più ci si vuole bene?» le spiego, dicendo una delle prime cose che mi vengono in mente. «Perché... ci teniamo a stare assieme! Altrimenti non staremmo neanche a parlare, tanto chi se ne frega!»


 

Eydìs ridacchia e io le scompiglio i capelli.


 

«Andiamo a finire la verdura?» le propongo, alzandomi.

«Ok!»


 

Salta giù dalla sedia e corre via dalla cucina, precedendomi nel funesto ritorno alla tana del lupo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La città dell'avvenire ***


 

 

Capitolo VIII

 

«Sappi che sono adirata con te, Sephiroth»

 

La porta di casa viene chiusa con violenza, alle spalle di Gaiana. Io seguo una trotterellante Eydìs verso la sua cameretta, senza prestare troppa attenzione alle insinuazioni e minacce di mia moglie, e la aiuto a cambiarsi. Poi mi sposto nella mia – ahimé, nostra – camera, irradiata dall'accecante luminosità del mobilio. Sfortunatamente, Gaiana mi raggiunge e si lascia sopraffare dal sangue Knife che ribolle nelle sue vene.

 

«Quella battuta sul coltello te la potevi davvero risparmiare! Sei stato disgustoso!» sibila, mentre io mi sbottono la camicia per indossare una maglietta di cotone. «La prossima domenica io ed Eydìs andiamo senza di te!»

 

Mi lascerei affascinare dall'allettante proposta, se solo, dopo averla ascoltata in media una volta alla settimana, non sapessi che si tratta di semplici promesse non mantenute.

 

«Ma tu non aspetti altro, vero? Ti interessa solo del cibo, tutto il resto può anche andarsene al diavolo!»

 

Pazzesco come talvolta mia moglie riesca a indovinare i miei pensieri, quasi come leggesse la mia mente. A quanto ne so, è totalmente sprovvista di poteri del genere, quindi la cosa non mi turba affatto; sospetto che si tratti di semplice sagacia.

 

«Te ne freghi totalmente dei miei sentimenti. È mia madre, ma è anche tua suocera, dopotutto!»

«Appunto. E tu non sai che cosa vuol dire averne una» replico, con un po' di coraggio.

«Così come tu non sai cosa vuol dire avere una madre!»

«Carino da parte tua» borbotto, sedendomi sul letto per sfilarmi le scarpe.

«Lei ti vuole tanto bene e si sforza perché anche tu gliene voglia! Se solo tu la accettassi non solo come suocera, ma anche come la madre che ti manca...!»

 

Ancora una volta, mia moglie legge i miei pensieri, o forse decifra semplicemente l'espressione vagamente orripilata che si dipinge sul mio viso. Mi manda a quel paese e se ne va dalla stanza, con un freddo rumore di tacchi. Io indosso le pantofole, prendo dal comodino il libriccino che sto leggendo – la cui copertina rossa litiga con il biancore che pervade l'ambiente – e vado in corridoio per tornare nella stanzetta di Eydìs, la quale è intenta a giocare sul tappeto.

 

«Didi cara, non è l'ora dei compiti?» faccio io, indugiando sulla soglia. «Fatti aiutare da mamma, dai»

 

Con sguardo imbronciato, lascia andare le bambole, prende la sua cartella dalla scrivania e va a cercare sua madre; il mio obiettivo è raggiunto: conquistare la cameretta, ovvero l'unico ambiente della casa che si tinga di tonalità umanamente accettabili. Al momento di creare lo spazio personale di Eydìs, infatti, ho fatto leva sulle mie presunte conoscenze da medico per convincere Gaiana che i bambini hanno bisogno di crescere in mezzo ai colori. Non so se sia vero, ma per quanto mi riguarda non sono mai troppo grande per desiderarli, così quando posso mi rifugio qui dentro, per rilassarmi o leggere un libro. In un primo periodo, mia moglie mi ha creduto pazzo e ho seriamente rischiato la clinica psichiatrica, ma poi se n'è fatta una ragione; d'altronde questo fatto non disturba minimamente Eydìs, non vedo perché debba disturbare lei.

 

Il mako: l'energia del futuro per un mondo del futuro – la città dell'avvenire.

 

Già il titolo preannuncia la marea di bugie e inganni che il lettore deve affrontare, ma d'altronde questi opuscoli sono l'unico mezzo di informazione che ho per tenermi informato sui movimenti della ShinRa Inc. Sono passati ben cinque anni da quando il mio ultimo lavoro per SOLDIER ebbe un'amara conclusione. Le parole del dottor Hojo furono lapidarie: «Sparisci di qui». Fu lui a trovarmi da qualche parte sul monte Nibel, vagabondo in cerca di una qualsiasi forma di umanità. Sordo alle mie domande, apprese da me le informazioni a lui necessarie, poi fece in modo di farmi tornare qui a casa. Davvero una fortuna aver nascosto l'esistenza della mia famiglia; almeno non sanno dove trovarmi. Chissà se mi cercano ancora o mi hanno abbandonato. Ciò che è certo è che non posso mettere tranquillamente il naso fuori di casa. Perlomeno, di domenica la strada che conduce a casa di mia suocera è deserta.

 

Se mi son risparmiato le tremende conseguenze a cui sarei andato incontro con la ShinRa, non ho potuto certo evitare la terribile ira di mia moglie e sua madre. Irraggiungibile per poco più di una settimana, mi presentai alla soglia di casa in condizioni pietose e opposi a tutti gli interrogatori uno strenuo silenzio, affermando di non ricordare niente di ciò che mi fosse successo. Come provvedimento, Gaiana mi tenne quasi prigioniero in casa, come per timore che fuggissi per sempre; ma in ogni caso io non osavo mostrarmi alla luce del sole, ogni notte l'incubo dell'incendio mi perseguitava e temevo che la ShinRa mi trovasse. Avevo paura di aver riposto in Hojo una fiducia immeritata. Tuttavia, negli anni, non ho mai avuto motivo di pentirmene.

Eydìs all'epoca era troppo piccola per conservare il ricordo di questa mia assenza, la quale non passò invece inosservata ai severi occhi della signora Knife. Se possibile, da allora i rapporti iniziarono ad inasprirsi sempre più; lei non si era mai fidata di me, ma quella fu l'occasione in cui perse ogni briciolo di stima nei miei confronti.

 

In tutto ciò, io mi sento stranamente libero, sebbene non felice. Questa mia permanenza a casa è una situazione del tutto nuova alle mie abitudini. Da che io ho ricordi, ho vissuto tra le reclute della ShinRa, ad addestrarmi per diventare un SOLDIER, un soldato scelto, senza mai vedere la luce del sole o il prato verde di una campagna. Avevo già conosciuto Gaiana da qualche tempo quando, diversi anni fa, nella guerra contro Wutai ebbi finalmente l'occasione per mostrare chi ero diventato: da allora fui considerato il SOLDIER più forte di tutti, e per Gaiana non fu semplice sopportare tutti gli straordinari che turbavano la nostra vita di coppia. Poi di lì a poco nacque Eydìs e la situazione si fece sempre più difficile. Ricordo di essere arrivato ad un punto in cui odiavo le missioni della ShinRa, stanco di tutte le responsabilità che derivavano dall'essere una celebrità, ma odiavo anche stare a casa mia, dato che non potevo stare ad osservare quel cielo azzurro senza che le urla di mia moglie mi richiamassero all'ordine.

 

Lascio stare l'opuscolo per qualche secondo, il tempo di sollevare lo sguardo oltre la finestra aperta e osservare il lontano ammasso di ferraglia che è Midgar. Alimentata da nove reattori, è la capitale del Mako, al centro della quale si erge il palazzo ShinRa, la mia vecchia casa che ora mi odia.

 

Certo, ormai son lontano anni luce dalla mia precedente vita lavorativa; in tutti i precedenti anni ho guadagnato abbastanza da poter vivere di rendita e mantenere una figlia, ma devo comunque mantenere la copertura del medico. Il lavoro di Gaiana la rende abbastanza impegnata da non poter esercitare uno stretto controllo su di me, quindi tutto sommato la mia vita non è poi così difficile. Piccolo inconveniente: è una noia mortale. I pranzi della domenica, a pensarci bene, sono un piacevole diversivo alla monotonia della settimana, dunque hanno la loro utilità.

 

Tuttavia, sento che non è finita qui. Ho ancora un ruolo da giocare in questa storia. E quella donna, Aerith... Ricordo quel combattimento mozzafiato, nel quale mi aveva promesso di non lasciarmi uscire vivo di lì. Ebbene, non ne ho avuto più notizie. Si è dimostrata meno pericolosa del previsto, a quanto pare. Mi chiedo se sia riuscita a trovare Jenova, alla fine. Poco me ne importa, dopotutto. Ho rinunciato ad indagare sulla verità che si cela dietro alle mie origini, dato che nella posizione in cui mi trovo ho le mani legate. Per ora mi basta stare acquattato in questa cameretta, ad estorcere quante più informazioni posso sulla faccenda: in mezzo a tutte le menzogne della ShinRa, si nasconde sempre qualche piccola verità.

 

In questo periodo, sembra ci siano stati problemi di vario genere in città. L'opuscolo indica lavori di riparazione al Reattore Uno, assicurando di terminare tutto entro pochi giorni lavorativi; non viene invece trattato il motivo che rende necessario questo intervento. Questo silenzio nasconde senz'altro qualcosa. Sempre in merito all'urbanistica, vengono glorificate le operazioni di recupero da parte dell'azienza nel Settore Sette, in seguito a problemi non meglio identificati. Che cosa si nasconde dietro a queste cose? Scoprire la verità non è altrettanto semplice che scoprire una bugia.

 

«Seph! Sephiroth!»

 

La voce di Gaiana interrompe le mie riflessioni.

 

«Oh, sei qui» mormora, aprendo la porta. Non commenta la mia postazione, ma il suo sguardo vale più di qualsiasi rimprovero. «Ho parlato con mia madre, a quanto pare la sua tosse sta peggiorando. Potresti visitarla, per favore?»

 

Un rivolo di sudore percorre la mia lunga schiena, lentamente. sono anni che cerco di evitare situazioni di questo tipo.

 

«Gaiana, sai bene che io non mi occupo di geriatria» protesto, con voce che tradisce la mia ansia.

«Andiamo, Seph, non c'entra nulla! Si tratta di tosse! Le dico di venire domani?»

 

Il fatale appuntamento è preso, e a me non resta che abbandonare Il Mako sul lettino di Eydìs: pesanti volumi di medicina mi faranno compagnia stanotte.

 

 

Nota dell'autore: perdonate la mia assenza la scorsa settimana! Ho preso una pausa per riflettere sulla trama e per studiare un po' tutti gli elementi di cui dovrò disporre nei prossimi capitoli. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Visita medica ***


Capitolo IX


 

Il campanello risuona per la casa, con tre squilli secchi e taglienti. Il cinguettare degli uccelli dall'esterno si fa più forte e agitato, nonché fastidioso. Indosso il camice bianco sopra la maglietta in cotone e vado a rispondere, frettolosamente. Apro il portone e, con occhi gonfi, scruto l'espressione imbronciata di mia suocera. Quella, salutandomi con un accesso di tosse, mi spinge da parte ed entra in casa, borbottando qualcosa.


 

«Gaia è in casa?» domanda, con voce arrochita dal malessere.

«No, è uscita un attimo fa per andare in ufficio.»

«E tu sei qui a non far nulla» conclude lei, sistemandosi gli spessi occhiali sul naso e guardandosi attorno nel luminoso atrio.

«Aspettavo lei per la visita» le faccio notare io, aggrottando le sopracciglia.

«Eydìs?»

«Eydìs dorme, Gaia mi ha detto che è un po' raffreddata, quindi credo sia meglio lasciarla riposare» spiego io.

«Ma certo» borbotta lei, un po' delusa. «Allora andiamo, no?»


 

Ci facciamo strada lungo il corridoio dall'aria pulita – mi sento in ospedale – e la conduco nel mio ambulatorio, situato aldilà delle stanze da letto. Le tapparelle sono alzate, proiettando la luce splendente del lunedì mattina sulla scrivania vuota e sul lettino su cui è steso il primo lenzuolo di carta mai utilizzato in casa mia. Chiudo i libri ancora aperti sulla scrivania e li riordino velocemente.


 

«Il mestiere del medico non è mica semplice» borbotto, con tono saccente. «Bisogna sempre aggiornarsi e studiare. Dietro ad un semplice mal di gola chissà che cosa si può nascondere»

«Ho i brividi» commenta la signora Knife, con un'aria distaccata.

«Ma non si preoccupi, tutto può essere risolto» concludo io, una volta liberata la scrivania, e cerco di assumere un'aria professionale.


 

Lei annuisce e mi fissa, con uno dei suoi soliti sguardi che non riesco ad indovinare, dietro a quelle fallaci lenti spesse quasi un centimetro.


 

«Beh? Che facciamo? Restiamo qui a guardarci?» sbotta lei all'improvviso, facendomi sussultare.

«Ma no, ma no. Si sieda sul lettino, per favore» dico io, andando ad aprire l'armadietto e cercando qualcosa che possa fare al mio caso, mentre lei getta borsetta e giacca sulla mia scrivania e si accomoda, lasciando le grosse gambe a penzolare.


 

La confusione di marchingegni e scatole – perlopiù ancora sigillate – mi intimorisce, ma mi armo di coraggio e rovisto un po' tra il disordine. Ecco lo stretoscopio. Prendo anche quello strumento che serve per misurare la pressione, dal nome molto più difficile ed impronunciabile perché io lo possa ricordare. So solo che ha qualcosa a che fare con la sfortuna, e la cosa mi pare anche appropriata, dato che solitamente la pressione si misura a qualcuno che non se la passa troppo bene.


 

«Sentiamo un po' il respiro. Si sollevi la maglietta, per fav-no, non tutta! Lasci scoperta solo la schiena»



 

La donna riabbassa la maglia il tanto giusto, e, tempo di lasciar calmare i battiti del mio cuore, mi preparo per dare inizio alle danze. Sistemo i... cosi nelle orecchie e avvicino il...coso alla pelle flaccida e bianchiccia della mia prima paziente. Resto in ascolto, con grande concentrazione, pronto a captare ogni minimo rumore. Ciò che dovrei sentire, immagino, è la pulsazione cardiaca e il respiro. Eppure sento solo un lieve fruscio e il silenzio gravido di tensione che mi attanaglia. Dove sto sbagliando?


 

«Sicuro di averlo messo bene?» chiede lei, tossendo ancora.


 

Mi accorgo, in effetti di averlo posizionato al contrario. Stavo auscultando la mia mano. Rimedio all'errore e la corpulenta massa della mia suocera sussulta, a contatto con il freddo metallo dello strumento. Stavolta va tutto bene. Rimango in ascolto per qualche secondo, udendo una sinfonia di strani gorgoglii, rintocchi, fruscii, tempeste e fischi di treni. Può bastare, forse.


 

«Mah direi che è tutto a posto, non c'è niente di irregolare qui. Solo una sorta di fischietto che...»

«Ah, il soffio al cuore? Quello l'ho sempre avuto, non è un problema» mi interrompe lei, salvandomi da eventuali figuracce.

«Sì, certo, si sentiva» mi affretto a dire io, rimettendo a posto il... quelloscopio e iniziando ad armeggiare con... quell'altro.

«Lo sfigmomanometro ce l'ho anche io in casa, solo che credo funzioni male»

«Sì, sì. Silenzio, per favore. Si riabbassi la maglietta e mi porga il braccio, per cortesia»


 

La signora Knife assume un'aria contrariata, ma obbedisce alla richiesta.

 

Non molto tempo fa, mi recai in gran segreto da un medico, per problemi di spossatezza; in quell'occasione rimasi affascinato dai gesti e dalle procedure che accompagnavano la misurazione della pressione. Spero di ricordarmeli.

Avvolgo la fascia al possente braccio della donna e prendo quella sorta di cronometro nella mano sinistra. Dovrò farlo partire? Forse dopo. Stringo la pompetta, gonfiando la fascia sino a temere di vederla esplodere. Osservo il cronometro. Sistemo meglio lo stretoscopio. Non so come, ma alla fine la fascia è di nuovo sgonfia. Il cronometro non ha fatto una piega.


 

«Tutto regolare. 160 su 120, a quanto pare» dichiaro io, abbandonando le armi.

«Non mi sembra tutto regolare!»

«Ma infatti non lo è. Le consiglio una dieta ferrea con poco sale. Via quell'aria preoccupata, non è niente»


 

Ripongo finalmente il cosomanometro e tiro un sospiro di sollievo. Mia suocera si schiarisce la voce e tossisce.


 

«Sephiroth, mi scusi... Ma ora possiamo passare alla mia gola?»


 

La gola. Giusto. Ma perché ho fatto salti mortali per misurarle la pressione?


 

«Ma certo, questo era solo l'inizio!» esclamo io, il cuore in lacrime. «Passiamo alla gola, passiamo alla gola...! Spalanchi la bocca, per favore»

«Non usa l'abbassalingua?»

«Metodi antiquati. Via, se parla non riesco a veder niente»


Il leone spalanca le fauci con un'apertura che non avrei mai immaginato. Cerco di osservare la situazione, nonostante l'impedimento della grossa lingua che tremola e si dimena all'interno della bocca. Mi pare di intravedere le tonsille, imponenti e violentemente arrossate. L'unica altra volta in cui mi è capitato di vedere delle tonsille fu durante un litigio in cui Gaiana diede il meglio di se, e se ricordo bene le sue erano decisamente meno gonfie e colorate. Certo, se avessi davvero quella dannata stecca di legno sarebbe tutto molto più semplice.


«Mh mh» mugugno io incerto, abbandonando la visuale e girando per la stanza.

«Niente di grave, spero» mormora la signora Knife.

«Sarei più sicuro a mandarla da uno specialista. A prima vista direi una semplice infiammazione, ma un otorinolinguoiatra potrà essere molto più preciso»


Mia suocera mi fissa con un sopracciglio leggermente sollevato e io smetto di muovermi. Senza che glielo chieda, scende dal lettino e recupera le sue cose, una mano che rovista nella borsetta come per cercare qualcosa.


«Non si preoccupi, andrà tutto bene» tento di rassicurarla, con espressione gioviale, e lei sembra trattenersi dallo scoppiare a ridere.

«Beh, dottor Sephiroth, la ringrazio tanto» cinguetta, con un tono non troppo amabile, dandomi le spalle per tornare nel corridoio.

«È stato un piacere!» esclamo io, rincorrendola per accompagnarla al portone, ma lei fa tutto da sola e un attimo dopo son solo a casa. Avrò detto qualcosa di male?


 

Mi volto per andare a cambiarmi, ancora un po' scosso dalle forti emozioni che hanno perturbato il mio ultimo quarto d'ora, quando la mia attenzione è catturata da una macchia scura sul candido pavimento. Ad una seconda occhiata, è un pezzo di carta nero. Anzi, una busta da lettere molto piccola. Mi chino per raccoglierla, confuso, e spezzo il familiare sigillo, estraendo un foglietto bianco che riporta un messaggio scritto in fretta e furia.


 

Ho qualcosa che potrebbe interessarti, qui in laboratorio. Perché non fai un salto da me? Vieni entro stasera, divertimento assicurato.

Hojo


 

Rileggo le frasi più e più volte, cercando di elaborarne il significato. Un messaggio del dottor Hojo? Qui? Oggi? Come ci è arrivato?

Rileggo ancora, cercando di calmare le domande che si accumulano nella mia mente.

Divertimento assicurato. Il suo concetto di divertimento è sempre stato un po' distorto, se non ricordo male.

Il mio cuore batte all'impazzata.


Che cosa faccio?


Sento che la mia giornata sarà molto più movimentata del previsto.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Allergia da trucco ***


Attenzione! Chiedo scusa a voi lettori, ma questo capitolo presenta una discordanza con quello precedente. Nel capitolo "Visita Medica", infatti, Sephiroth in una delle prime battute afferma che Gaiana ed Eydìs son fuori casa. Per scelte di trama, mi son trovato costretto a cambiare questo particolare: Eydìs è ancora a letto e non andrà a scuola perché sta sviluppando l'influenza. Provvederò a modificare lo scorso capitolo, mi scuso ancora e farò in modo che non accada più. Buona lettura :)


Capitolo X

 

Con tre giri di chiave, la porta della cantina scatta in avanti, permettendomi di accedere all'ambiente buio e freddo, inviolato ormai da diversi anni. La mia mano corre alla parete di fianco e incontra l'interruttore della luce. La lampadina al neon che penzola dal soffitto si illumina, gettando un freddo bagliore sui mucchi di scatoloni e oggetti sparpagliati nella decina di metri quadri in cui conservo i miei numerosi segreti. Cercando di mantenere la calma, rovisto tra i pacchi sigillati, sino a trovarne uno familiare, che rispetto agli altri ha resistito meglio all'umidità. Strappo via il nastro sigillante e le Materia si riversano sulle mattonelle del pavimento, con un tintinnare vetroso. Le lascio rotolare via, poi mi faccio strada tra le scatole, spingendole via, sino a che non trovo, in un angolo, una lunga e stretta imballatura di nastro adesivo e buste imbottite. Tiro fuori dalla tasca dei jeans il coltellino a serramanico che ho portato con me e dilanio con gesti secchi carta e pezzi di plastica, sino a che non stringo in mano Masamune.


 

Il mio cuore batte all'impazzata. La pallida luce al neon si riflette sulla lunga e sottile lama, attraverso uno strato opaco di polvere. Ha bisogno di una lucidata e, magari, anche di un'affilatura. Ma è lei. La sento pesante, tra le mie mani, come se avessi perso tutta la forza delle mie braccia, ma anche come se lei non fosse più abituata a danzare silenziosamente, fendendo l'aria per ferire le sue prede.

Racimolo diverse Materie da terra – una del fuoco, una di cura e una di protezione – e abbandono la cantina, senza tralasciare di richiudere la porta con più giri di serratura. Attraverso di fretta la piccola aiuola fiorita, gesto che, commesso di fronte a mia moglie, mi varrebbe come minimo uno schiaffo, e rientro in casa. Vado alla finestra e, con cautela, osservo la situazione del vicinato. A quest'ora del mattino non corro troppi rischi, ma non vorrei che quei coniugi pettegoli che abitano nella casetta di fronte abbiano visto troppo. Sembrerebbe tutto a posto.


 

Mi fiondo nella mia camera e tiro fuori dall'armadio una vecchia sacca in cui infilare le Materie. Recupero tra la biancheria la cintura speciale alla quale posso assicurare la katana, poi corro in cucina e scarabocchio sulla lavagna magnetica un breve messaggio, in cui avviso che ho impegni urgenti di lavoro. Poi torno nell'atrio, indosso una giacca a vento e recupero le mie chiavi di casa, pronto per uscire, quand'ecco che i miei piani crollano tutto d'un colpo.


 

«Papà?»


 

Il mio primo istinto è di infilare Masamune nel portaombrelli, poi mi volto verso la bambina ed esibisco un rigido sorriso, il cuore che batte all'impazzata. Come ho potuto dimenticarla?


 

«Tesoro, che c'è?»

«Stai uscendo?» chiede lei, sorpresa. Si dondola sulle gambe, stretta nel suo pigiamino in pile.


 

Rifletti, non dare risposte affrettate.


 

«Ma certo, tesoro! Ti accompagno a scuola, oggi è lunedì!» esclamo io, aggrappandomi alla prima idea che mi balza in mente.

«Scuola? Ma la mamma ha detto che mi sto ammalando, ho un po' di tosse»


 

Tosse? Non ci si metterà anche lei, adesso. Come posso fare?


 

«Ma quale tosse! Sei sanissima. Vai a vestirti, Didi, io... devo prima fare una cosa»


 

***


 

La distanza che separa Kalm e Midgar è abbastanza ridotta, ma la caffettiera che guido al momento mi fa rimpiangere di non averla affrontata a piedi. È una macchina che usa Gaiana esclusivamente per accompagnare Eydìs a scuola e altri saltuari impegni, dato che lei lavora in un ufficio di fianco a casa. Comprarne un'altra sarebbe solo uno spreco di soldi, ma le rare volte che mi metto al volante mi maledico per non averlo ancora fatto. Se non altro, il portabagagli è spazioso, punto che gioca a mio favore.

Lancio uno sguardo allo specchietto retrovisore e incontro lo sguardo un po' confuso di Eydìs.


 

«Papi, ma perché sei uscito così

«Perché oggi papi aveva voglia di uscire così»


 

Gli occhiali da sole non mi hanno mai donato granché, e questo modello è pure fuori moda da un pezzo. Ho raccolto i capelli in una coda, cercando di contenerli al minimo volume possibile, e ho indossato un cappellino blu, prezioso regalo di compleanno da parte della mia adorata suocera. Ma ciò che mi rovina sul serio è la barba; se avessi progettato questa uscita qualche giorno fa, avrei anche potuto cercare di farla crescere, senza dover ricorrere alla matita nera di mia moglie che, oltretutto, mi sta dando allergia. Le guance mi prudono da morire, ma ho paura che il trucco, costato mezz'ora di fronte allo specchio, possa sbavare al minimo tocco. Spero che questa sia la prima e l'ultima volta.

Sephiroth. Il grande Soldier dalla barba finta. Improvvisamente mi viene in mente che dovrò farmi vedere da Hojo in questo stato. Tremo al pensiero.


 

«Papi, io non posso andare a scuola! Ho la tosse!»

«Stai tossendo? No. E allora?»


 

La sagoma di Midgar si staglia sull'orizzonte e si avvicina molto, molto lentamente. Parecchie auto mi superano, strombazzando con furore e, qualche volta, lanciandomi contro qualche epiteto indistinto.


 

«E se la mamma si arrabbia?»

«Perché dovrebbe?»

«Lei ha detto che oggi non devo andare a scuola!»

«Si arrabbierebbe di più se ti lasciassi a casa da sola»

«Non potevo andare dalla nonna?»

«Lei ha molta più tosse di te. Così sì che ti ammaleresti!»


 

Purtroppo Eydìs è appena entrata nel momento delle domande. Non si fermerà sino a che non l'avrò mollata a scuola. Premo più a fondo il piede sull'acceleratore.


 

«Ma tu che cosa devi fare?»

«Devo andare a comprare qualcosa da mangiare per pranzo. Oppure vuoi i cavoli

«No, i cavoli no!»


 

Tanto meglio. Non piacciono neppure a me.


 

«Devi fare uno scherzo al negozio? O alla mamma?»

«Di quale scherzo stai parlando?»

«Tutta quella barba lunga lunga... fai paura!»

«Ah sì? Meglio così»


 

Quindici minuti più tardi siamo nel bel mezzo di Midgar e mi oriento per le strade dei diversi Settori, gli otto quartieri che costituiscono la città. Perdo molto tempo girando a vuoto per le vie, scoprendo che in questi anni molti sensi di circolazione son cambiati. Neanche avessi affrontato secoli di isolamento! Finalmente giungiamo alla scuola elementare, riconoscibile soprattutto per gli infantili schiamazzi che la infestano. Accosto in seconda fila e spengo il motore, riflettendo sul da farsi.


 

«Didi, vai pure! Io ti guardo da qui» dico io, speranzoso.

«Ma la mamma mi accompagna sempre alla porta e suona il campanello!»

«Non puoi suonarlo tu?»

«Io non ci arrivo!»


 

E va bene...!

Scendo dalla macchina, con aria disinvolta, e aiuto la bambina a scendere a sua volta. Camminiamo verso il portone e, con un discreto batticuore, premo il dito sul tasto del citofono.


 

«Perfetto, ora vado! Ti aspetto da...»

«Eydìs! Che ci fai qui?»

Il cigolare del portone e la voce tintinnante mi interrompono, segnando un definitivo colpo al cuore. Una ragazza giovane sorride alla bambina, scompigliandole i capelli, poi solleva lo sguardo e l'espressione gioviale dipinta nei suoi occhi scuri si trasforma in sorpresa.


 

«Ah, salve! Mi aspettavo di trovare la mamma, come al solito... ma che strano, lei mi ha chiamato per dirmi che Eydìs stava male...»

«... e invece eccola qui!» esclamo io, con un cenno della testa. «Vai, Didi tesoro. A più tardi, eh?»

«Aspetti un minuto, accompagno Eydìs in classe e sono subito da lei per due chiacchiere!»


 

Due chiacchiere. Potrei morire per la vergogna. Avrei dovuto prevedere una situazione simile, quando mi conciavo in questo modo ridicolo. Maledizione, che vergogna!

La ragazza sparisce dietro la soglia della porta, trascinando con sé Eydìs. I secondi passano e io mi asciugo il sudore della fronte, temendo di danneggiare il trucco. Peraltro, l'allergia si fa sempre più fastidiosa e cresce il pizzicore su tutto il viso. Il mio cervello lavora faticosamente, cercando un modo di farmi sembrare meno ridicolo. Era da tanto che non mi trovavo in una situazione così ansiogena.


 

«Bene, bene! Piacere di conoscerla, signor...?»


 

La voce squillante mi fa sobbalzare.


 

«Signor... Gainsborough» rispondo io, stringendo la mano tesa della ragazza.


 

Lei è carina. Ha i capelli castani raccolti in una coda di cavallo e la carnagione è chiara e pulita. Tuttavia, qualcosa nel suo sguardo mi dà un'idea di antipatia. Soprattutto quando indugia sulla parte inferiore del mio viso.


 

«Ah» mormora lei, un po' interdetta. «Credevo che lei fosse il padre di Eydìs»

«No, no! Sono... lo zio! Il... marito della sorella del padre. Zio acquisito. Qualche volta... accompagno mia nipote»

«Strano, non l'avevo mai vista qui»

«A scuola non l'avevo ancora accompagnata! La accompagno... come ha detto che si chiama, mi scusi?»

«Say. Faccio l'educatrice qui a scuola» risponde lei, inarcando lievemente le sopracciglia.


 

Io annuisco e getto un'occhiata alle mie spalle per controllare che il vecchio macinino sia ancora al suo posto. Anche Say rivolge lo sguardo all'interno dell'edificio, come sentendo il richiamo del lavoro. Ormai la conversazione è durata abbastanza, mi son reso fin troppo ridicolo.


 

«Capisco, capisco. Beh, Say, a presto! Io devo proprio andare!»


 

La ragazza ricambia il saluto e ognuno va per la propria strada. Io torno a sedermi di fronte al volante, chiedendomi quanto starà soffrendo Masamune chiusa nel bagagliaio. Lancio un ultimo sguardo disgustato allo specchietto retrovisore, osservando il volto ormai paonazzo per il prurito.

Via, devo resistere ancora per poco. Risistemo lo specchietto e accendo il motore. Prossima tappa: la ShinRa.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Dottor Hojo ***


Capitolo XI


 

«Eccolo qua. Il nostro SOLDIER!»


 

Hojo mi dà le spalle, lievemente chinato su un tavolo in cui si affollano provette, cilindri e becher fumanti, assieme ad una grande quantità di fogli sparsi. Le sue mani serpeggiano velocemente lungo le pagine ammucchiate, cercando qualcosa.


 

«Ex-SOLDIER» puntualizzo io, muovendo in avanti un passo abbastanza lungo da superare i cavi elettrici che corrono lungo il pavimento.

«Sciocchezze! Non si smette mai di essere SOLDIER, purtroppo per voi»


 

Il suo laboratorio non è cambiato tanto; lo ricordo piuttosto bene. Sono tante le volte in cui noi SOLDIER siamo stati chiamati qui per controlli regolari e trattamenti di natura non meglio conosciuta. Alle pareti sono allineati diversi scaffali, contenenti libri e schedari, ma anche collezioni di Pozioni, Antidoti e altre sostanze che non riesco ad identificare. I cavi elettrici costituiscono il maggiore arredamento; corrono lungo pavimento e pareti, quasi fini a sé stessi. Alla mia destra, una grande capsula metallica, richiusa, dentro la quale immagino sia contenuto uno dei suoi soliti mostri. Al centro di tutto, il tavolo al quale lavora Hojo.


 

Lo scienziato si volta appena, sistemandosi gli occhiali sul naso e fissandomi attraverso le lenti lucide. Poi si raddrizza, aprendosi in un pericoloso sorriso. Il camice che indossa è lindo e ordinato, come ricordavo. La stempiatura sul cranio è accentuata dalla coda in cui sono raccolti i lunghi capelli neri. Le sopracciglia si curvano sugli occhi, che si socchiudono come in esame di un esperimento. La larga bocca ora si stringe in atteggiamento di riflessione, ora si curva in un malizioso sorriso.


 

«I nostri migliori lavoratori son sempre i benvenuti alla ShinRa» dice, aprendo le braccia.

«Eppure son dovuto entrare di nascosto» bofonchio io.

«Ci manchi, Sephiroth. Le cavie che oggi popolano le file di SOLDIER non sono assolutamente alla tua altezza» dice lui, annuendo con aria melodrammatica. «Certo, sei cambiato. Quella barba, quel cappellino...»

«Io... non sono più quello che conoscevi un tempo» replico io, sfilando il copricapo dalla testa e sciogliendo i capelli. «A parte la barba che... ehm...»


 

Hojo rovista nelle tasche del camice, poi mi lancia contro una fiaschetta dal liquido trasparente. Io lo afferro all'ultimo momento, con la mano destra.


 

«Posa quell'arma, su, non devi combattere contro nessuno, per ora. Ungiti il viso con quel liquido, laverà via il trucco e calmerà l'allergia» mi suggerisce Hojo, tornando ai suoi documenti.


 

Certo, non è tanto educato entrare nello studio di una persona con una lunga katana sfoderata. Dopo essermi guardato attorno, la poso sul pavimento metallico e seguo il consiglio dello scienziato, avvertendo subito una sensazione di freschezza alle guance.


 

«Quella soluzione è un toccasana! È nato come amplificatore sensoriale per soldati in battaglia, ma ha un sacco di altri effetti benefici. Certo, anche tante controindicazioni» cantilena Hojo, dandomi le spalle.

«Ad esempio?» chiedo, smettendo all'improvviso di massaggiare la pelle del viso.

«Non saprei, ancora non li ho verificati tutti... Comunque, non sei qui per parlare di questo, giusto?»

«Beh... questo dovresti dirmelo tu, sei tu che mi hai convocato» faccio notare io, lievemente perplesso, abbandonando la fiaschetta.

«Ah, giusto»


 

Lo scienziato torna a concentrarsi su di me, grattandosi il mento sporgente. Poi mi raggiunge, mi supera e io mi volto per osservare i suoi spostamenti.


 

«Vediamo un po' se la riconosci...»


 

Lui si è fermato di fronte alla capsula. Preme un pulsante e la parete metallica frontale scorre verso un fianco, rivelando una vetrata che mostra il contenuto. Una delle ultime cose che mi sarei aspettato di trovare.


 

Jenova.


 

Il corpo di Jenova.


 

Le sinuose gambe che risalgono sino ai generosi fianchi. Il petto squamoso che si dilata nei grotteschi seni gonfi, di quella sfumatura cerulea. Le ali strette dietro la schiena, dall'aria sempre più rattrappita. La testa non c'è.


 

Il mio cuore batte all'impazzata. Ma sì, la testa. Gliel'ho tagliata via qualche tempo fa. Fisso il punto in cui dovrebbero stare gli occhi di Jenova e, con un brivido, ricordo quel scintillare cupo. In quel momento mi sento travolgere dai ricordi, le sensazioni, le paure che animarono quella sera di qualche anno fa.


 

Mi volto verso Hojo, senza parole.


 

«L'ho prelevata dal Reattore Uno, dove la incontrasti per la prima volta. Mi confermi che è lei?» chiede, sistemandosi gli occhiali.


 

Torno ad osservare l'interno della capsula. Non riesco a calmare il martellare nel mio petto, sento rivoli di sudore scendere lungo la schiena. Ma che mi prende?


 

«Sì. È lei» mormoro io, con voce rauca.

«Perfetto, se ha ingannato pure te, allora è perfetta»

«Come?»


 

Hojo preme di nuovo il pulsante e la visuale di Jenova scompare pian piano, dietro lo sportello metallico.


 

«Ma no, niente, è che quella non è Jenova»

«... ah no?»


 

Lo scienziato torna alla sua scrivania, prendendo appunti sul primo foglio che gli capita tra le mani.


 

«Potresti spiegarmi...?» chiedo, iniziando ad agitarmi. Non capisco più nulla.

«Quella è una copia che ho creato in questi giorni... è perfetta, vero? Beh, sì, ci sei rimasto secco»

«Io... dovrei rivederla, per giudicare!»

«Ma no, è la prima impressione, quella che conta. Test superato...!»


 

L'agitazione inizia a diventare fastidio. Aggrotto le sopracciglia, imbronciato.


 

«E quindi non è vero che hai preso Jenova da Nibelheim?» aggiungo, sentendomi preso in giro.

«Ti sbagli, l'ho presa eccome. Ma questa è uno specchietto per Chocobo. Quella vera è ben nascosta, sotto il suolo calpestato dagli umani. Ho svolto qualche ricerca, dati gli avvenimenti recenti. Oh, ecco! Mi hai fatto ricordare qual è l'altra cosa che ti devo mostrare»


 

Hojo smette di armeggiare con la roba sulla scrivania e si muove in direzione opposta alla capsula e alla porta di ingresso.


 

«Mi segui?» intima, senza voltarsi.


 

Molte altre domande affollano la mia testa, ma forse per il momento è meglio rimandarle. Mi affretto a corrergli dietro, non prima di aver recuperato Masamune. Entriamo in un piccolo ascensore, più che altro un montacarichi, e lui preme un pulsate per salire. Mi ricordo improvvisamente del bruciore alle guance. È sparito. Un punto per Dottor Hojo.


 

«Che cosa intendi per avvenimenti recenti? Gli ultimi attentati a Midgar?» chiedo, costretto a tenere Masamune in verticale.

«Vedo che sei informato. In ogni caso no, quelli sono affari di Avalanche e Turks. Pare abbiano litigato».


 

L'ascensore si ferma, un piano più in alto. Accediamo al secondo livello del laboratorio, che non ricordo di avere mai visitato. Rispetto all'altro, è vasto, ordinato e la luce regna sui diversi macchinari. Al centro di esso, un alto cilindro di vetro svetta sino al soffitto. È vuoto.

Hojo cammina verso di esso e si posiziona davanti ad una piattaforma di comando, premendo tasti con violenza.


 

«Ti chiederai perché mi è saltato in testa di prendere Jenova»

«Perché... sei uno scienziato pazzo?» azzardo io, tenendomi in disparte.

«Negativo. Stavolta ho agito con cognizione di causa. Una causa piuttosto succulenta»


 

Con un rumore di macchine in azione, la base vetrata del cilindro scende verso il piano di sotto, mentre una nuova cala lentamente dall'alto, andando a sostituire l'altra. Su di essa sta un corpo rannicchiato su sé stesso.


 

«Io ne ho sentito parlare solo da te, quindi non ho assoluta certezza...» mormora Hojo, il mento stretto tra pollice e indice, le sopracciglia curve sulle lenti degli occhiali, mentre osserva la sagoma che pian piano si avvicina.


 

I capelli castani raccolti in una treccia. Il soffice fiocco rosa in cima al capo. Quel familiare abito lungo, rosa.


 

Per la seconda volta nel giro di dieci minuti il mio corpo viene scosso da un tremito.


 

Le macchine smettono di funzionare, la piattaforma si ferma all'interno del cilindro. La ragazza solleva il capo, mostrando gli occhi sgranati, e scatta in piedi, guardandosi attorno e premendo le mani contro il vetro.


 

«... ecco, volevo chiederlo a te: è lei


 

La fisso con sgomento, e lei ricambia con un'espressione atterrita. I suoi occhi mi implorano aiuto, comprensione, alleanza. Sono occhi terrorizzati. Il tempo sembra fermarsi, mentre i nostri sguardi si confrontano, con crescente tensione. Non c'è nessun dubbio: è lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cavia da laboratorio ***


Capitolo XII

 

«Allora, Sephiroth? È lei?»

 

Distolgo gli occhi da quello sguardo magnetico, risvegliandomi da una sorta di trance. Hojo mi scruta con sguardo avido, impaziente.

 

«Sì. È lei» affermo io, pensieroso.

«Bene. Perfetto! Ed è davvero interessante, dato che...»

«Tuttavia» lo interrompo io, socchiudendo gli occhi nel tentativo di concentrarmi, «c'è qualcosa che non quadra. Questa situazione è... inverosimile»

 

Hojo abbandona l'aria trionfante e il suo volto si contrae in una smorfia perplessa.

«Che cosa vuoi dire?»

«Aerith – questo è il nome della ragazza – abita centinaia di metri sotto Nibelheim. Lei è... crudele, spietata, forte, pericolosa. Questa ragazza mi sembra così indifesa» mormoro io, confuso.

«Ti ricordo che è prigioniera nel mio laboratorio» controbatte lo scienziato.

 

Dal momento in cui abbiamo smesso di rivolgerle attenzioni, l'esile figura oltre il vetro inizia a dimenarsi, a battere i pugni contro le pareti, ad urlare frasi che non giungono alle nostre orecchie. Sembra sinceramente spaventata.

 

«Dove l'hai trovata?» chiedo.

«Non sono stato io a trovarla, bensì quelle volpi dei Turks. Ma è una storia lunga. Sai, questa ragazza la conosco da un bel po' di tempo. Io l'ho vista nascere»

«Sul serio?»

«Affermativo. È da anni che la ShinRa vuole catturarla per condurre delle ricerche. Lei è l'ultima degli Antichi» continua a spiegare Hojo. «O almeno così pensavo»

 

Stringo gli occhi, perplesso. Il tono di Hojo è quello di chi nasconde qualcosa; o forse, semplicemente, di chi si prepara a dare una sconcertante notizia.

 

«Son tutto orecchie» lo incoraggio io.

 

«Qualche tempo fa, parlando con uno dei Turks, mi è capitata una foto tra le mani. La mia, come ben sai, è una memoria infallibile. Ho riconosciuto subito quella descrizione che mi facesti, al freddo del Monte Nibel». Lo scienziato si aggiusta gli occhiali e riprende a parlare, con un tono più concitato. «Mi son ricordato di tutto quello che mi raccontasti e ho pensato di portare Jenova qui alla ShinRa, dato che la temibile ragazza voleva impossessarsene. Sarebbe stato anche un modo per farla uscire allo scoperto, ma i Turks sono infine riusciti a catturarla da soli. Son pagati per questo, eppure riescono puntualmente ad essere degli inetti. Ancora i piani alti non mi hanno permesso di migliorare scientificamente il loro rendimento lavorativo»

«Parlavamo di Aerith» lo interrompo io, alzando gli occhi al cielo.

«Sì, Aerith» biascica lui. «Me l'hanno portata e ho iniziato a studiare le sue capacità. Tuttavia, in lei non ho trovato lo spirito che un tempo animava i Cetra. Avrei concluso che la ShinRa ha preso il solito Ceasar, se solo al piano di sotto non avessi un intero schedario che parla della neonata Aerith, metà umana, metà Antica»

«Uno schedario...? Vuoi dire che...?» mormoro io, spalancando gli occhi.

«Sette anni! Sette anni di esperimenti e di studi su madre e figlia dal sangue Cetra! Centinaia, migliaia di pagine che testimoniano ogni singolo momento delle mie ricerche! Tutto negato in quell'istante in cui quella ragazza mi si è parata davanti!»

 

Hojo sta ormai gridando. Indietreggio di un passo, cercando di non dare a vedere i miei spostamenti, ma lo scienziato colma la distanza e si avvicina ancora di più, con un'autentica espressione dissennata sul viso. Mi scruta con occhi spalancati, il volto animato da un sorriso folle. Sento che sta per arrivare il climax del suo discorso, sta per sputare la rivelazione che ha tenuto in serbo per far calare il sipario in grande stile sul suo trionfo di parole.

 

«Ma non è tutto! Ah no, Sephiroth, non è tutto! La cosa più interessante, mio caro SOLDIER, è che quando ho avviato le procedure per un esame del DNA... beh, non l'ho trovato!»

«Che cosa?»

«Sembrerebbe la nostra signorina Cavia ne sia sprovvista! Subito mi son adoperato in altri esami, ma son giunto ad una conclusione: questa ragazza non solo non è un'Antica, ma non è neanche un essere umano!»

 

Hojo scoppia in una sincera risata, che echeggia per la grande sala. Sembra provare gusto nello spaventarmi. Ma io non sono spaventato. Gli ingranaggi del mio cervello lavorano, più veloci di quelli di un Reattore Mako. Il puzzle, o meglio i pochi pezzi di cui dispongo, combaciano perfettamente.

 

«Questa non è Aerith» concludo, fissando la ragazza con un'improvvisa indifferenza. «Questa è una sua copia»

«Una copia?» ripete Hojo, spalancando gli occhi. Nuovi e succulenti orizzonti si spalancano di fronte alla sua mente. «Una copia, dici. Dimmi di più, avanti!»

 

La smania dello scienziato diventa quasi furia. Come impulso involontario stringo più forte l'elsa di Masamune. Sembra fuori di sé. Posso fidarmi?

 

«Questa Aerith ha al suo comando degli... spettri, diciamo così. Mi pare fossero poco più di dieci» spiego, ricordando con un poco di amarezza quell'assurda battaglia. «Questi spettri possono cambiare aspetto e assumere le sembianze di altre persone. In questo modo ha creato una mia copia, quella che poi avrebbe appiccato fuoco al villaggio»

 

Adesso che mi ritorna tutto in mente, me ne rendo conto: ma quanto è stata bastarda con me?

 

Lo scienziato cade in riflessione e i suoi occhi tornano ad una dimensione normale, la sua bocca si stringe, le sopracciglia si aggrottano per la concentrazione. Si è calmato. Posso tirare un sospiro di sollievo.

 

«Così si spiega tutto. Sono ancora uno scienziato degno di questo nome» conclude Hojo, improvvisamente rilassato. «Quindi, la vera Aerith ha creato questa copia, evidentemente per attirare l'attenzione di... oh. Adesso si spiegano tantissime cose» riflette lo scienziato, cominciando a camminare intorno al cilindro. FalsAerith continua ad agitarsi all'interno della sua gabbia. «Sarà meglio sedare questa qui, inizia a darmi ai nervi. Potresti, per favore, digitare il codice quattro-quattro-due

 

Io mi avvicino alla piattaforma di comando e, localizzata la tastiera numerica, eseguo l'ordine di Hojo. Il cilindro si riempie improvvisamente di un gas semitrasparente. La ragazza smette di muoversi, guardandosi attorno con spavento, poi cade sulle ginocchia, gli occhi roteanti, e infine stramazza sul pavimento in vetro. Rimango a fissare quell'indifeso corpo, con un misto di odio e pena.

 

«Così va molto meglio» esclama Hojo, concludendo il giro e tornando al mio fianco. Lancia anche lui una rapida occhiata alla figura esanime accasciata sul pavimento.

 

Per qualche minuto restiamo in silenzio. Sono certo che la sua mente sta elaborando una spiegazione a tutto; anche la mia ci prova, ma con scarsi risultati. Jenova e Aerith. Questi due nomi frullano nella mia testa, cercando di ricostruire tutti i fatti in maniera plausibile.

 

«Cerchiamo di ragionare un po'» propongo io, nella speranza di avere nuove informazioni.

 

Hojo annuisce e sistema gli occhiali, schiarendosi la voce.

 

«Aerith Gainsborough. All'età di sette anni, assieme alla sua madre naturale, abbandonò il mio laboratorio»

«Scaltra già dall'epoca!»

«Senza dubbio. Da allora non se ne ebbe più traccia, sino a quando...»

«... sino a quando non la incontrai io, cinque anni fa. Al comando degli spettri, era in cerca di Jenova. Il perché non lo ha spiegato» proseguo io.

«Aerith nacque ventidue anni fa. Ne possiamo desumere che cinque anni fa aveva diciassette anni. La nostra cronologia ha un buco di ben dieci anni»

«Che fortuna» commento. «Ora invece, ci ritroviamo di fronte ad una sua copia. La domanda è: a che pro?»

«Il pro, immagino, era proprio quello di attirare la nostra attenzione. Abbiamo già convenuto sulle sue abilità, se avesse voluto evitarci ci sarebbe riuscita senza alcun problema. Se poi pensiamo ai poveri mezzi di cui la ShinRa è fornita al momento... Rispetto ai bei tempi che ricordo con...»

«E della vera Aerith non sappiamo nulla» lo interrompo, prevedendo l'ennesima digressione. «Non ho mai sentito di una cronologia meno accurata»

 

Hojo storce il naso, forse d'accordo con la mia affermazione.

 

«E per quanto riguarda Jenova, c'è il problema della testa» osserva. «Senza il resto del corpo non dovrebbe essere in grado di far niente»

«Quindi siamo fuori pericolo, no?»

«Lo saremmo di meno se non avesse neanche quella»

«Si, hai ragione»

 

Pausa di riflessione. Le informazioni pian piano si ordinano nella mia mente. Ma ancora non basta. Bisogna trovare altre risposte.

 

«Hojo... perché la ShinRa è così interessata ad Aerith? Ok, abbiamo detto che è un'Antica, ma...»

«Mai sentito parlare di Terra Promessa?» domanda, cantilenante. «Gli Antichi son la chiave per raggiungerla, molto probabilmente»

«E alla ShinRa che cosa importa della Terra Promessa?»

«Il Mako, Sephiroth, il Mako! Come SOLDIER eri fantastico, ma ai piani alti saresti stato un autentico fallimento»

 

Non so se prenderlo come un complimento. La serietà del momento mi impone di mettere da parte la questione, per ora.

 

«Aerith è l'ultima Antica, abbiamo detto. Quindi io non... non sono...?» balbetto, emozionato.

«No» dice Hojo, con solennità. «Non lo sei»

 

Le sue parole suonano alle mie orecchie come la liberazione da un peso. I battiti del cuore nel mio petto son laceranti. Non lo sei. Questo pone fine alle domande che hanno attanagliato i miei ultimi anni. Quelle domande che ho cercato di far finta di non ascoltare, ma che rimbombavano nella mia mente, ogni volta che osservavo il mio riflesso sullo specchio.

 

«Ma mia madre... Jenova...?»

«Tua madre non si chiama Jenova. Tua madre si chiama Lucrecia»

 

Il mio corpo si irrigidisce. Lucrecia. Jenova. Continuo a ripetere dentro di me quel nome, come per esaminarne il suono. Mi madre è Lucrecia. Non Jenova.

 

«Perché, allora, sin da piccolo...? Perché ho sempre pensato...?»

 

Ogni domanda si spezza nella mia gola. Il cuore pulsa come un forsennato. Quasi mi manca il respiro.

 

«Lascia che ti spieghi come stanno le cose» borbotta Hojo, incrociando le braccia. La tua madre naturale è Lucrecia. Tuttavia, nel tuo sangue, scorrono le cellule di Jenova. Sin da quando eri un neonato, anzi, a dirla tutta, sin da quando eri un semplice feto»

 

«Ma questo vuol dire che mia madre... Che cosa le hanno fatto?» domando io, con voce tremante.

«Io ho impiantato le cellule di Jenova nel corpo di tua madre, mentre portava te nel suo grembo» spiega Hojo, e i suoi occhi tornano a brillare, la sua bocca torna ad aprirsi in un ghigno soddisfatto. «Non volermene, Sephiroth. In questo modo son riuscito a creare il SOLDIER più forte mai esistito! La leggenda! Sephiroth!»

 

Un misto di rabbia, tristezza, odio, paura attraversa il mio sistema nervoso, gettandomi in balia di troppe emozioni. Hojo si sposta lentamente, dandomi le spalle, e muovendo qualche passo, come per sgranchirsi le gambe. La testa mi gira.

 

«Io... sapevo degli esperimenti fatti con Jenova, ma non avrei mai pensato... porco pianeta, su una donna incinta! Come hai potuto?» sbotto io. «E mio padre? Chi è l'uomo che ha potuto permettere tutto ciò?»

 

Hojo abbassa gli occhi, con espressione grave.

 

«Tuo padre non era la persona più adatta a opporsi. Ma, purtroppo, temo il nostro discorso abbia ancora vita breve. Faresti meglio ad uscire di qui»

 

Hojo torna ad armeggiare con pulsanti e levette che controllano la capsula, spedendo la ragazza esanime al piano di sopra.

 

«Come... cosa?»

«Abbiamo visite, Sephiroth. Ti converrebbe uscire di qui. Ti sconsiglio vivamente l'entrata principale o l'ascensore»

«Chi sta arrivando?» insisto, con tono concitato. La mia mano sinistra stringe con violenza l'elsa di Masamune. I miei piedi sembrano incollati al pavimento.

«Sospetto siano quelli dell'Avalanche, stavano scorrazzando liberamente per il palazzo, almeno sino ad un'oretta fa. I fidati sensori mi hanno già riferito che sono arrivati al piano inferiore del laboratorio. Questione di minuti e saranno qui, quanto ci scommetti? Vuoi rimanere per controllare tu stesso?»

«Dimmi da dove passare» intimo io, il cuore in gola.

«Segui il corridoio alle tue spalle ed entra nel condotto di areazione. Non girare in bella mostra per i corridoi, qualcuno afferma di averti visto ciondolare nell'atrio. Ho dovuto zittire qualche guardia»

«Atrio?» ripeto, incredulo. «Io non ho messo piede nell'atrio!»

 

Hojo smette di armeggiare con i comandi e si volta a guardarmi, lievemente sorpreso.

 

«Ah già, che stolto. Quello non potevi essere tu. Lui portava la tua vecchia divisa SOLDIER, non quegli interessanti jeans che indossi ora» riflette, con un'enfasi un po' esagerata. «Sarà stato qualcuno che si spacciava per te!»

«Che si spacciava per me?» erompo, quasi gridando. «Hojo, che cosa sta succedendo?»

«Temo che la tua voce non sia arrivata all'ufficio del Signor Shinra. Potresti ripetere un po' più forte?»

«Hojo!»

«Sephiroth, che ci fai ancora qui

 

Volto le spalle a Hojo e mi affretto verso il corridoio, reprimendo l'istinto di sfogare la mia ira a suon di Masamune.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Masamune ***


Capitolo XIII

 

La sfera di forti emozioni che pulsano nella mia testa è contenuta nello stretto condotto in cui striscio lentamente, trascinandomi dietro Masamune. Le parole di Hojo rimbombano nella mia mente, così come milioni di immagini balenano davanti ai miei occhi; da quelle più nitide, come il viso impaurito di FalsAerith e l'espressione folle di Hojo, a quelle ormai lontane e sfocate, risalenti a quella terribile notte in cui tutto è iniziato. Il mio cervello non riesce a sostenere il peso di tutte le informazioni che ha ricevuto oggi.

 

Non so dove sto andando. Non so che cosa mi succederà nei prossimi minuti, a dire il vero non so neanche che cosa faccio qui. Sto scappando dalle persone che mi credono un nemico, dalle persone che potrebbero imprigionarmi; ma forse sto scappando anche da Hojo, che mi vuole a tutti i costi coinvolgere in questa complicata faccenda. La mia meta è casa mia – mi domando se mai la rivedrò; ma forse è anche il mio alter ego, lo spettro dalle mie sembianze, alias FalSephiroth. Si aggira per i piani della ShinRa, ma perché? Due dei servi di Aerith sono qui, in questo momento, e questa non può essere una coincidenza. Qualcosa sta per accadere, e in un modo o nell'altro io sarò immischiato.

 

Ho male alle gambe. Questa fuga sta diventando estenuante, quanto tempo sarà passato? Forse ore. Chissà che cosa sta succedendo a casa. Gaiana sarà già in allarme per la mia assenza ingiustificata, Eydìs starà piangendo, la signora Knife starà scuotendo la testa con disappunto. Ma che ho fatto per meritare questo? Le mie ginocchia continuano a trascinarsi lungo il pavimento metallico dei corridoi che serpeggiano tra i piani e gli uffici dell'azienda. Ogniqualvolta mi ritrovo di fronte ad un bivio, prendo una direzione a caso, senza stare troppo a pensarci. Potrei anche aver girato a vuoto per ore. Ogni tanto borbotto tra me un solo nome: Lucrecia.

 

Qualche volta il corridoio vira verso l'alto, con una dolce salita o con una scala a pioli. In quei momenti posso sgranchire un po' le gambe, ma stare in piedi mi costa fatica. La testa mi gira e certe volte mi sento come se stessi per perdere conoscenza.


 

«Signorina, lasci stare quei documenti, ha già fatto troppi... stia attenta con quell'inchiostro!»


 

Lancio un breve sguardo oltre la grata alla quale sto passando di fianco, intravedendo una disputa tra due sagome, una delle quali si dimena con una certa furia. Subito dopo mi ritrovo ad arrampicarmi su una scaletta, issandomi lentamente verso il piano superiore. Qualche tempo più tardi mi fermo per riposare, sdraiandomi sulla schiena. Cerco di liberare la mia mente dai numerosi pensieri molesti. Chiudo gli occhi, mi concentro sul buio. Il quantitativo di ossigeno di cui ho a disposizione è piuttosto scarso ed inizio ad avvertire un sentore di claustrofobia. Stranamente, invece, non ho ancora starnutito una volta, e temo di non trovarmi in un posto molto pulito.


 

«Ma papà! Ti pregooo!»

«Non se ne parla. Stai zitto e fermo, sto lavorando»


 

Due voci spezzano il filo dei miei pensieri. La prima infantile, la seconda di adulto.


 

«Ti ho detto... Stai...! Se non stai buono ti darò un vero motivo per piangere! Altro che parco!»


 

Effettivamente il bimbo inizia a frignare, in modo incredibilmente straziante. Non credo che Eydìs sia capace di emettere suoni simili.


 

«Tu... mi avevi promesso!» sono le parole affannate che riesco a captare tra singhiozzi e spasimi.


 

Chissà come reagirebbe l'uomo, nel sapere che il temibile Sephiroth è vivo e si trova a meno di qualche metro di distanza da lui. Immagino filerebbe di corsa al parco assieme al suo pargolo. Mi rimetto carponi e torno a camminare, alzando gli occhi al cielo. Non è proprio il momento giusto per sorbirmi capricci di bambini. Mi ritengo abbastanza fortunato con mia figlia, lei è abbastanza matura per la sua età.


 

Il riposo non è servito a niente, son ancora più stanco di prima. La testa mi gira e comincio ad avvertire nausea. Il mio sistema nervoso sta raggiungendo il capolinea. Non posso sopportare altro. Mi costringo a liberare la mente, a pensare a cose stupide. Perché i condotti di areazione son grigi e non rossi?

Ora che ci penso, quando è l'ultima volta che ho portato Eydìs al parco? Non nell'ultimo anno sicuramente, e neanche l'anno prima. A dire il vero non ricordo di averlo fatto, da quando son costretto agli arresti domiciliari. La accompagna sempre Gaiana, altre volte mia suocera.


 

Non credo che questo sia il momento migliore per rifletterci su. Mi arrampico per l'ennesima scala a pioli e avanzo lungo un silenzioso corridoio. Fin troppo silenzioso, qui non si sentono le voci degli impiegati. Raggiungo una grata laterale e osservo un ufficio vuoto, ma illuminato. La ventola al soffitto gira con un debole ronzio, causando scompiglio sui documenti della scrivania. La sedia è rovesciata per terra.

Aggrotto le sopracciglia. Con il cuore che batte forte, attendo. Non un rumore, non una voce, non un movimento. Cautamente, spingo la grata in avanti, e quella ruota sui cardini, lasciandomi un ristretto passaggio per uscire dal labirinto. Non so dove sono – sicuramente son il più distante possibile dall'uscita – ma troverò un altro modo per fuggire di qui, non ne posso più di camminare carponi.

Mi calo nella stanza, ma le gambe non riescono a reggermi, così cado sulle ginocchia, con un grande dolore. Trattengo un ruggito di rabbia, ma Masamune avrà già richiamato l'attenzione dell'intero edificio, con il suo clangore. Mi metto a sedere, distendendo le gambe, e restando come in attesa dell'arrivo di qualche guardia. Non credo di essermi rotto niente. Certo, se fossi allenato, sarebbe tutta un'altra storia. Mi alzo, lentamente, e raccolgo la spada. Mi guardo attorno. La porta è socchiusa. Mi avvicino ad essa e la apro, con un debole cigolio. Il silenzio regna anche nel lungo corridoio, in cui molte altre porte sono aperte. La tremolante luce al neon conferisce all'andito bianco un aspetto spettrale. Poi i miei occhi sono attratti da un largo alone scuro sul pavimento. Con un lieve capogiro, muovo qualche passo verso la macchia. Non c'è dubbio: è sangue.


 

Ancora una volta mi volto e scruto l'ambiente attorno a me. Niente, non c'è nessuno. Mi accorgo, però, che più avanti il pavimento è imbrattato da una seconda striscia di sangue. Senza indugiare troppo, seguo le tracce, girando con cautela per i corridoi e salendo al piano superiore. Improvvisamente, mi rendo conto di dove mi trovo. Una delle stanze più importanti e sfarzose dell'intero palazzo. Questo è l'ufficio del Presidente ShinRa. Poche volte fui convocato al suo cospetto, ma ricordo ogni particolare di questa sala. L'alto soffitto retto da colonne, il pavimento lucido, l'immensa vetrata che offre il tetro panorama di una Midgar già avvolta dalle tenebre; la scrivania, costituita da un'enorme semicerchio dietro al quale...


 

«Tu! Che fortuna! Pensavo non arrivassi più!»


 

Una voce femminile mi costringe a voltarmi di scatto, provocandomi un altro capogiro. Il mio cuore martella nel petto. Aerith cammina verso di me, avanzando dal fondo della sala. Le braccia incrociate, mi osserva con aria soddisfatta, come se la sua giornata avesse preso una piega piacevole.


 

«Che cosa gli... Che cosa...?»


 

Mi manca il fiato. Torno a guardare la scrivania, come per controllare di aver visto bene. Il presidente ShinRa è accasciato sul piano, ed è palesemente morto. Il suo abito rosso è stracciato e i suoi pochi capelli biondi son schizzati di sangue. Una lunga spada attraversa il suo petto da parte a parte. Una smorfia di terrore è stampata sul suo volto grassoccio.


 

«Sei stata tu!» esclamo io, spalancando gli occhi e dando le spalle al cadavere.

«Io? Non se ne parla proprio» nega lei, continuando a camminare, mentre io indietreggio per tenermi a distanza. Nei suoi occhi lampeggia lo sguardo beffardo che ricordavo.

«Tu... come sei entrata qui, come...?»

«Sephiroth, Sephiroth. Rilassati. Prendi un bel respiro, stai rischiando l'infarto. Certo, capisco che sei stravolto dalle conseguenze delle tue avventate azioni...»

«Quali azioni? Che cosa stai dicendo?» esclamo io, sempre più confuso. Un vero e proprio terrore si è impadronito di me. Non sono nelle condizioni di combattere, non ora. Sono fuori allenamento, son stanco e per di più la testa mi gira come se avessi bevuto troppo.

«Sephiroth, nel caso non te ne fossi accorto, è la tua spada ad aver ucciso il vecchio. Questo potrebbe essere un indizio lampante...»

«Ma che...?»


 

Aerith ha ragione. Il presidente è infilzato da una perfetta copia della mia Masamune. Osservo quella che stringo nelle mani. Chiudo gli occhi e cerco di concentrarmi. Ma che diavolo...


 

«È uno degli spettri» ragiono io. «Non possono trasformarsi solo in persone»

«Ma bravo. Questo, però, lo sappiamo solo in due. Ora, quindi, meglio levarci dalla scena del crimine, non vorrei che la guastassimo accidentalmente...»

«Noi non ci muoviamo di qui. Ora arriveranno tutti e...»


 

Le voce mi si spegne in gola. Aerith scoppia a ridere.


 

«Sia che rimaniamo qui, sia che ce ne andiamo, il colpevole di tutto sarai sempre e solo tu» spiega lei, in un fastidioso cinguettio.

«Dov'è l'altro Sephiroth?»

«È andato a sbrigare una faccenda al Dipartimento Scientifico. Là c'è qualcosa che mi interessa parecchio...!»


 

Un lampo attraversa la mia mente. Jenova. Il mio cuore oggi è stato davvero messo a dura prova e mi chiedo quanta tachicardia dovrà ancora subire.


 

«Così sei qui per prendere Jenova» dico io lentamente.

«Ma certo. Non ricordi? Ne avevo piuttosto bisogno. Ah, giusto, non ti ho spiegato il perché. Ma non credo che sia necessario, no?»


 

La mia mente lavora febbrilmente. Non so se la ragazza possa ancora leggere i miei pensieri ma non devo correre rischi. Lei mi scruta con sospetto.


 

«Perché fai quella faccia? Che cosa...»


 

Senza indugiare oltre, mi lancio all'attacco, brandendo Masamune con entrambe le mani, ma Aerith è più veloce e balza di lato, evocando il bastone dal nulla, e colpisce con una stoccata il mio fianco, spedendomi a terra dolorante. Tutto attorno a me gira vorticosamente e ho addirittura un conato di vomito.


 

«Peggio dell'altra volta. Che hai fatto in questi ultimi anni? Ti sei dato al giardinaggio

«Tu...» ansimo io, interrompendola, «hai mandato qui una tua copia per distrarre Hojo e, nel mentre, hai ordinato al falso me di uccidere il Presidente e andare a prendere Jenova. Perché proprio stasera? Sapevi che sarei venuto?»

«Che cosa stai dicendo sulla mia copia? Lei è qui?» chiede la ragazza, aggrottando le sopracciglia.

«L'hai mandata tu! Stai cercando di nuovo di prendermi in giro?»


 

Aerith mi scruta con sospetto, poi solleva gli occhi in atteggiamento di riflessione.


 

«Che coincidenza. Andrei a recuperarla, se solo ne avessi l'occasione. Ma no, forse mi tornerà utile in qualche modo»

«Che diavolo stai dicendo?» ruggisco io, fuori di me, e un altro conato mi costringe a zittirmi.

«I miei piani non ti concernono. O meglio, ma non c'è bisogno di dirti tutto. L'edificio è stato evacuato, dopo che è stato avvistato un Sephiroth girare in lungo e in largo e far fuori metà dei Soldier che nutrono le file della Shinra...»

«Che... cosa?»

«... ma prima o poi qualcuno arriverà. Ho già predisposto un testimone del delitto, girava da queste parti e ho pensato di servirmene, l'ho giusto addormentato per un po', non si sa mai che senta più del dovuto...»

«Tu sei totalmente... sei... Non so perché tu accanisca così contro di me, ma, giuro sul Pianeta, tu la pagherai!»


 

Mi rialzo, reggendomi a stento sulle gambe, ma tanto io quanto lei sappiamo che la situazione è ridicola. Riesco a malapena a sollevare Masamune. È finita. Non posso fare niente.


 

«Si avvicinano dei passi. Meglio allontanarsi» taglia corto Aerith.


 

Ad un gesto del bastone metallico, la vetrata va in frantumi, con un rumore assordante. La piccola mano della ragazza mi afferra per il colletto e mi trascina lontano. Un vortice di colori e luci balena attorno a me, sino a quando l'impatto contro un duro pavimento non mi strappa un grido di dolore, mentre il mio corpo rotola ancora per la forza con cui è stato scagliato. Il grave cielo color pece incombe sopra di noi. Ansante, cerco di mettermi in ginocchio, ma ogni parte di me brucia per il dolore. Colgo l'immagine sfocata e traballante di una Aerith che si avvicina lentamente. Siamo su un terrazzo, in cima alla struttura che domina sulla città. Tossisco violentemente, sputando sangue.


 

«Non so proprio che farne di te. Ucciderti o tenerti prigioniero? Non vorrei compiere azioni avventate»


 

La voce di Aerith è una lontana eco e, sebbene riesca a distinguere le parole, mi è impossibile capire. L'unica cosa certa è il dolore. Dolore ovunque. I miei occhi son colmi di lacrime.


 

«... vorrai... Terra Promessa...»


 

Un lampo improvviso abbaglia la mia vista offuscata. Riesco a distinguere di fronte a me un'accesa macchia rossa. Un secondo lampo e mi sento investire da un'ondata di energia. Il mio ansimare si calma e i sensi riprendono un po' della loro efficacia. Una figura alta mi dà le spalle; tutto ciò che vedo è un lungo mantello rosso e una capigliatura scura.


 

«Tu?»

«Buonasera, Aerith» pronuncia, una voce calma e profonda. «Spiacente di interromperti. Hai giocato fin troppo, per oggi»


 

Un forte vento scompiglia i miei capelli, così come quelli dell'uomo. La mia mente riprende pian piano a funzionare. È stato lui a curarmi?


 

«Che cosa fai qui?» sibila Aerith, fuori di sé. «Come... dopo tutto questo tempo...»


 

Non avevo mai sentito tanto nervosismo nella voce della ragazza. Chi è questo qui, ora?


 

«Quest'uomo viene con me. Non ostacolarci»

«Hai il coraggio di metterti contro di me? Questa sì che è una sorpresa»

«Stai oltrepassando il limite, Aerith. Un giorno ti pentirai amaramente di tutto questo. Ci puoi giurare»


 

La voce è una fredda sentenza.


 

«Stavolta non ti lascerò scappare» risponde Aerith, con voce tremante.


 

Con entrambe le braccia, fa roteare il bastone sopra la sua testa, scatenando una tempesta d'aria, ma l'uomo, rapido, impugna un revolver e spara un colpo verso di lei, disarmandola. Poi avvolge attorno a sé il mantello, tramutandosi di nuovo in una sagoma scarlatta, e, fulmineo, sfreccia contro di me. Una salda presa al petto mi mozza il fiato, poi tutto attorno a me diventa nero.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Vincent Valentine ***


Capitolo XIV


 

Non ricordo da quanto tempo ho aperto gli occhi. Poco a poco mi sono abituato alla luce che filtra attraverso le persiane e il lontano cinguettio degli uccelli è diventato un piacevole sottofondo al silenzio di questa piccola stanza. Ho tirato via le coperte, per il troppo caldo, e mi sono accorto di indossare una camicia da notte. Non è mia, questo è certo. Ma l'ho indossata io? Non ricordo davvero niente.

Tanti pensieri affollano la mia mente. Tuttavia, mi sento in pace. In questo luogo c'è un'atmosfera di tranquillità che, ad essere sincero, non assaporavo da tempo. L'aria è impregnata dell'odore del legno, il materiale di cui son composti l'alto armadio a due ante, il piccolo tavolo e la sedia, la montatura del letto su cui ho riposato stanotte. I miei vestiti sono piegati e posati sullo schienale della sedia. È stato quell'uomo ad aiutarmi e a prendersi cura di me? Non l'ho mai visto in vita mia, ma al momento non posso che figurarmelo come una brava persona. Sono curioso di sapere chi sia.

Gli ultimi ricordi nitidi risalgono alla conversazione con Hojo, il resto è composto da immagini sconnesse e frasi di cui non ricordo il contesto. Ricordo Aerith e il Presidente ShinRa, mortalmente ferito dalla copia di Masamune. Poi il mantello rosso dell'uomo e nient'altro. Sarà passata almeno un'ora da che mi son svegliato, la luce diventa pian piano più intensa e si illumina dell'intonaco bianco alle pareti.

Con un forte cigolio mi sposto su un fianco, sempre sovrappensiero. In quel momento la porta si apre, lentamente.


 

«Ah, sei sveglio»


 

Scatto a sedere, non appena la voce profonda mi sveglia dal trance. Il pesante passo dei suoi stivaloni sul parquet sovrasta il cinguettare degli uccellini e tutti gli altri sottofondi rilassanti del mattino. L'uomo sposta la mia roba dalla sedia al tavolo e si accomoda di fronte a me, esaminandomi con attenzione.

Rimango subito ipnotizzato dai suoi occhi di un rosso acceso. Sono indagatori e sembrano non lasciar tregua. Mi sento vulnerabile, come se ogni mio segreto potesse venire a galla solo al cospetto di quello sguardo. La fronte è fasciata da una banda scarlatta, sopra la quale cascano i lunghi capelli neri. La pelle del viso è liscia e giovane, di un colorito spaventosamente cadaverico. Non saprei dire la sua età. Il suo aspetto parla chiaro, ma l'ombra nascosta dietro alle sue pupille racconta un'altra storia.


 

«Hai un aspetto orribile» commenta l'uomo, inaspettatamente.

«Ah... ti ringrazio»


 

La sua mano destra, calzata da un lungo guanto in pelle nera, si avvicina al mio viso e con due dita mi spalanca un occhio, scrutando con attenzione. Non posso che lasciarlo fare.


 

«Però stai meglio. Ieri notte eri drogato»

«Drogato?»


 

L'uomo lascia andare le mie palpebre già indolenzite e incrocia le braccia, poggiandosi allo schienale.


 

«Palesemente drogato. Stanotte non ti reggevi in piedi, ho dovuto metterti a letto. Hai delirato per un paio d'ore, poi ti sei finalmente addormentato. Hai ancora un colorito malsano, ma i tuoi occhi non sono più irritati, almeno. Come ti senti?»

«Io... bene. Ma davvero, non capisco... Drogato?»


 

Più cerco di radunare le immagini confuse del giorno precedente, più mi sembra di non ricordare nulla. Gli occhi fissi sulla scrivania, provo a concentrarmi e a fare mente locale.


 

«Mi pare di capire che tu non abbia assunto nessuna droga, ieri»

«Non che io ricordi. No, perché avrei dovuto farlo?»

«Qualcuno allora te l'avrà fatta prendere con l'inganno. Non ti viene in mente niente?»

«Io non ricordo assolutamente niente di quello che è successo ieri» concludo, leggermente infastidito. «Sarebbe ottimo se mi raccontassi qualcosa tu»


 

La camicia da notte è un bagno di sudore. Desidero ardentemente una doccia rinfrescante, ma questo non è il momento giusto. L'uomo si alza e cammina verso la finestra, aprendola e scostando le persiane. Il cielo è terso di nuvole e la camera si tinge di un'atmosfera tetra.


 

«Quando sono arrivato alla ShinRa tu eri già innocuo, accasciato sul pavimento. Aerith ti aveva in pugno. Questa è l'unica cosa che so. Ti ho portato qui al sicuro prima che fosse troppo tardi»


 

La voce è lenta e pacata, priva di qualsiasi emozione. I suoi occhi continuano a vagare tristemente per il lontano paesaggio a me invisibile.


 

«Sì, ma... Senti, andiamo con ordine. Vorresti dirmi chi sei tu?»


 

L'uomo riporta il suo sguardo sul mio e si allontana dalla finestra, per tornare a sedersi di fronte a me.


 

«Il mio nome è Vincent Valentine. Sono un ex Turk. Ti basti sapere questo su di me»

«Ex Turk? Com'è possibile che io non mi ricordi di te? Sono un Ex SOLDIER, conoscevo bene...» borbotto io, cercando di spremere le meningi per ricordare quel viso.

«Non perdiamoci in inutili discorsi sulla ShinRa. Io son stato Turk prima ancora che tu esistessi»


 

Inarco le sopracciglia, sorpreso. Prima ancora che... ma allora quanti anni ha?


 

«Troverei più costruttivo discutere brevemente di ciò che è successo finora e di ciò che ci attende nel prossimo periodo. Come immagino avrai già capito, il nostro nemico comune è Aerith» taglia corto Vincent, incrociando le braccia.

«Quindi noi saremmo alleati?» azzardo io, ancora incredulo di trovarmi qui, sano e salvo.

«Trovo la tua idea inesatta. Io sono il tuo maestro. O se preferisci, il tuo mentore. Ti aiuterò a capire ciò che ti occorre per la tua missione, riporterò la tua forza fisica e mentale a quella del Sephiroth di una volta, ti insegnerò i segreti che ti consentiranno di superare quello che eri in passato per poter combattere ad armi pari con Aerith»


 

Gli occhi di Vincent brillano improvvisamente, come già proiettati nella missione. Non posso fare altro che annuire, perplesso. Immagino non mi sia data la possibilità di sottrarmi a questa lotta


 

«Tutto questo per...?» chiedo io.


 

La mia domanda non sembra essere particolarmente apprezzata. Vincent stringe gli occhi.


 

«Secondo te? Spero che tu sia svelto di ragionamenti, perché non voglio stare a spiegarti ogni minima sciocchezza» scandisce, con tono infastidito.

«No, ecco, però se solo mi dicessi qualcosa in più potrei essere più ehm... motivato»


 

L'espressione sul volto di Vincent si rilassa appena, in atteggiamento comprensivo. Stringe le labbra, riflettendo.


 

«Chiedimi quello che vuoi sapere, se posso cercherò di darti una risposta»

«Che legame c'è tra te ed Aerith?»

«Ecco, a questo non posso rispondere»

«Come sarebbe a dire?»


 

Vincent si alza di scatto e comincia a camminare per la piccola stanza, a grandi passi, lo sguardo fisso a terra.


 

«O meglio, posso spiegarti brevemente che anni fa lottavamo assieme contro la ShinRa. Ognuno aveva i propri motivi, ma l'obiettivo era comune. Poi... Aerith ha iniziato ad avere un po' di manie di grandezza. Il suo obiettivo ha iniziato a discordare dal mio e ci siamo ritrovati l'uno contro l'altra. Ecco tutto»


 

Io annuisco, debolmente. La spiegazione è tutto meno che esauriente, ma riesco a fare i primi collegamenti nella mia testa.


 

«Per quale motivo Aerith combatteva contro la ShinRa? E che cosa è successo poi per mettervi contro?»

«Aerith ha tutte le ragioni del mondo per odiare la ShinRa. Fin da quando era solo una neonata fu rinchiusa in un laboratorio assieme alla sua madre, divenendo oggetto di ricerche. Aerith è un'Antica»

«Sì, ricordo. Di questo me ne ha parlato Hojo»


 

Vincent si ferma di scatto e un lampo d'odio attraversa i suoi occhi sgranati. Poi riprende lentamente a camminare e si ferma di fronte alla finestra, nascondendo il suo sguardo.


 

«E tu» proseguo io, con voce sottile, «perché combattevi contro la ShinRa?»

«Questo argomento è vietato»

«... Ah»


 

D'accordo, lo terrò a mente. Chissà quante domande mi sono rimaste a disposizione, prima di scatenare la sua ira che, temo, riposa da qualche parte dentro di lui.


 

«Che cosa è successo poi ad Aerith?»

«Lei conduceva ricerche sulla sua stirpe, nella speranza di trovare un suo compagno di sventura ancora vivente, ma il suo proposito è fallito. Allora ha iniziato ad abbandonare la battaglia contro la ShinRa, animata da altri intenti che non rivelava. Un giorno mi ha pregato di aiutarla a trovare Jenova»

«Jenova! Perché è così ossessionata da quella... cosa? Io mi son ritrovato coinvolto in questa storia solo per questo, non capisco che cosa significhi...»

«Sul momento» mi interrompe Vincent, sempre rivolto verso la finestra, «non mi ha spiegato il vero motivo, eppure io ho inizialmente acconsentito. Pensavo potesse essere una potente arma contro la ShinRa. Invece, poco tempo dopo, ho capito il suo scopo: raggiungere la Terra Promessa»

«Raggiungere...?» ripeto io, incredulo. «Ma che diavolo...»

«Il suo nuovo scopo era molto più deciso del precedente. Per perseguirlo era disposta a tutto, anche usare la violenza con chi non c'entrava nulla. Le nostre strade si sono separate»


 

Qualche istante per riflettere. Aerith, Vincent, la Shinra, Jenova, la Terra Promessa.


 

«Perché Aerith vuole raggiungere la Terra Promessa?»

«Prova a pensarci. Che cosa si trova là?»


 

Rifletto febbrilmente, ricordando le parole di Hojo.


 

«Il Mako! Ma allora...»

«Risposta sbagliata»


 

Aggrotto le sopracciglia. Questo Vincent ha l'aria di sapere molto di più di chiunque altro. Sicuramente più di me, che mi sento come l'allievo stupido interrogato dal maestro severo. Quest'ultimo viene in mio aiuto, non prima di aver emesso un sospiro.


 

«La Terra Promessa è l'aldilà della stirpe degli Antichi. La gente di Aerith si trova laggiù, e lei vuole raggiungerla»

«Hai detto aldilà? Ma allora non le basterebbe aspettare di morire?» suggerisco io, confuso.

«Temo che l'argomento sia più complicato. Immagino che Jenova sia la chiave per raggiungere il suo scopo in diversa maniera»

«Quindi tutta questa confusione solo perché Aerith vuole riabbracciare i suoi parenti?» faccio, iniziando a capire i piani della nostra nemica.

«Non lo so. Credo che ci sia dell'altro e sta a noi scoprirlo, per poi impedire che succeda» conclude Vincent, voltandosi appena per gettarmi un'occhiata. «Come ti senti?»

«Io? Bene! Sto bene, anche se sono un po' indolenzito»

«Eppure avevi l'aria di aver preso brutti colpi. Credo che tu abbia bisogno di qualche giorno di riposo, poi inizieremo subito con gli allenamenti. Abbiamo poco tempo. Prenderai una medicina e andrai a lavarti alla fonte. Ti darò dei vestiti adatti»

«Adatti a cosa?»

«La tua spada ha bisogno di essere lucidata e affilata. Credo che sia tutto» prosegue Vincent.

«Aspetta! Devo farti altre domande!» esclamo io, temendo di vederlo sparire.

«Che siano veloci. Intanto prendi questa»


 

L'uomo si volta verso di me e prima ancora che me ne accorga, una fiala di vetro scivola tra le mie mani, rischiando di cadere sul pavimento.


 

«I tuoi riflessi sono ancora alterati. Dovrai fare in modo di guarire in fretta. È una Panacea, ti farà bene»

«Tu e Aerith combattevate ancora assieme cinque anni fa?» chiedo, stappando la fiaschetta e portandola alle labbra. Era da anni che non ricordavo questo sapore dolce.

«Cinque anni fa è proprio il periodo in cui ci siamo scontrati» risponde Vincent.

«E non vi siete più visti in questi anni?»

«No, sino a ieri notte»

«Allora come facevi a sapere di me?» domando, esponendo il dubbio ancora irrisolto.

«Hojo. Son rimasto in contatto con lui per tutti questi anni.»


 

Il tono di Vincent si fa più grave, ma non aggiunge altro. C'è qualcosa che non gli va a genio in questo discorso.

Ma certo, Hojo. Lui è l'unico che conosce la verità. Ha un piano in mente e ho come l'impressione che noi ne saremo protagonisti. Per il momento, meglio fidarsi di lui, non c'è alternativa.


 

«Oggi ho parlato a lungo con Hojo. Dopo aver ascoltato sia te che lui, capisco l'importanza di difendere Jenova da Aerith. Probabilmente la testa ce l'ha già lei, ma...»

«Errato» mi interrompe Vincent, voltandosi ed aprendosi per la prima volta in un'impercettibile espressione di soddisfazione. «La testa di Jenova non ce l'ha Aerith, e nemmeno la ShinRa»


 

L'uomo, mosso da un'improvvisa agitazione, attraversa la stanza sino all'armadio e lo spalanca, tirando fuori un piccolo forziere in metallo. Lo posa sulla sedia di fronte a me e inizia ad armeggiare con un mazzo di chiavi che ha preso da sotto il mantello. Con movimenti veloci fa scattare le tre serrature e il coperchio si alza da solo, mostrando il contenuto: la testa mozza di Jenova. Vengo improvvisamente assalito dalle stesse sensazioni ed emozioni di cinque anni fa, tutte racchiuse nel luccicare di quegli occhi magnetici.


***

Nota dell'autore:
Salve a tutti! Finalmente son tornato: poveri voi! ... e povero Sephiroth, ovviamente. Chiedo scusa per questo lungo periodo di assenza da Efp e dal mondo in generale, ora cercherò di rimettermi un po' al lavoro. Anticipo già che, dopo il prossimo appuntamento del lunedì, sarò lontano da un qualsiasi PC per dieci giorni, quindi ci sarà un'ulteriore pausa. Me la sto prendendo un po' comoda!
Ok, fine degli scherzi. Vorrei fare una precisazione su questa fanfiction, prima che sia troppo tardi: nella stesura della trama, ho scelto fin dall'inizio di dedicarmi esclusivamente al titolo di Final Fantasy VII, senza dipendenze dagli spin-off vari ed eventuali. Ciò vuol dire che alcune scelte potranno discordare con gli avvenimenti di Advent Children o Dirge of Cerberus. Non vogliatemene!
Grazie per aver letto il capitolo. A presto!

Marcello

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Allenamento - Parte prima: il serpente ***


Capitolo XV
 

Il mio soggiorno a Villa Valentine è più problematico di quanto avessi potuto immaginare. Son passati ben tre giorni dal mio brusco arrivo nella graziosa casetta di montagna; per le prime ventiquattro ore, smaltiti gli effetti del disastroso combattimento contro Aerith, ho assaporato una serenità mai provata prima, lontana da qualsiasi fonte di preoccupazione quali Jenova o Gaiana. Dopo aver rilassato le membra affaticate, rinfrescato la mente e il corpo con una doccia alla gelida sorgente di fianco al nostro alloggio – ecco, forse questo è stato meno piacevole del previsto – dopo aver provato l'ebbrezza del silenzio assoluto, con la mente assorta in complicati ma pacati ragionamenti, dopo aver dedicato un po' di cura alla mia fedele compagna di combattimenti, Masamune, sino a renderla lucida ed affilata come solo io riesco a fare, mi son coricato nel mio comodo giaciglio con un sorriso e una dolce sensazione di calma, rara componente delle mie vicissitudini. La temuta svolta ha avuto luogo all'alba del secondo giorno, quando mi son visto offrire dal mio ospite un'impolverata divisa da Soldier. Da quel momento in poi, non ho fatto altro che camminare.

A detta sua, questa prima fase si chiamerebbe “La Passeggiata”. I tortuosi viottoli di montagna scendono lungo pendii talvolta dolci, talvolta decisamente accidentati, addentrandosi in caverne gelide e buie, per poi tornare alla luce del sole cocente. Le difficili scalate verso le alture costituiscono un altro capitolo delle sofferenti imprese a cui mi trovo costretto a prendere parte. Il tutto, ovviamente, scandito da un passo di marcia non esattamente moderato. Ecco, questa idea di passeggiata differisce parecchio dalla mia.

Il panorama mozzafiato che circonda i monti è una delle poche consolazioni che mi hanno permesso di affrontare con decisione l'allenamento propinatomi dal mio mentore. Tuttavia, anche questo aspetto dell'escursione finisce per essere spiacevole, dato che ogni scorcio, ogni luogo fanno sorgere riflessioni malinconiche.

La visuale di Midgar ha appesantito il mio cuore, ricordandogli lo sforzo al quale è stato sottoposto pochi giorni addietro, per colpa delle intense emozioni provate. Anche la vista di Kalm è risultata penosa; nel silenzio del mattino ho ripensato alla mia Eydìs, ancora una volta senza il suo papà. L'idea mi ha dilaniato le viscere, rendendo il mio passo nervoso e spedito. Un'ora più tardi, quando alla mia sinistra ho iniziato a scorgere la prateria e, adiacente ad essa, la palude, mi son pentito di quell'impeto che ha animato le mie gambe ormai affaticate. Successivamente, rivolgendo il passo verso sud e discendendo verso altitudini meno vertiginose, ho scorto le coste frastagliate dell'area di Junon e, infine, più ad ovest, la città, divisa in due zone: una antica e povera, abitata per la maggior parte da quelli che un tempo erano pescatori, ed una seconda sopraelevata, ricca, imponente, nella quale mi son recato spesso per conto della ShinRa. Laggiù si trova una dislocazione dei quartieri generali della società, nonché il Sister Ray, il possente cannone alle cui polveri vien dato fuoco in casi più unici che rari.

A metà giornata, dopo un'irrisoria pausa di venti minuti per dar tempo al corpo di riprendersi dalla fatica, ne abbiamo dovuta affrontare una decisamente più ardua: la risalita verso casa. Una volta raggiunto il letto, ricordo di aver desiderato di risvegliarmi il giorno seguente da tutt'altra parte.


 

Stamattina si è dato il via al terzo giorno di marcia e ho giurato di non lasciarmi mai più trascinare ad una scarpinata simile. Eppure ora, con il sole al picco della sua altezza, continuo la sfacchinata che, se non altro, mi assicura un'approfondita conoscenza della zona. I muscoli delle mie gambe, così come quelli del resto del corpo, tremano di stanchezza. Cammino ormai come se non ci fosse altro al mondo, tranne me e il pavimento non sempre agevole sotto le piante brucianti dei miei piedi. Mi sembra quasi di essere intrappolato dentro un incubo: il Pianeta ha deciso che camminerò per il resto della mia vita. Ogniqualvolta i miei pesanti stivali solcano il terreno, mi sembra di crescere – o meglio, di invecchiare. I dolori e l'estenuazione si accumulano sempre di più, oltrepassando soglie che credevo irraggiungibili. Oltretutto, oggi Vincent mi ha intimato di portare Masamune con me. Pensavo fosse finalmente giunto il momento di combattere, invece l'unico scopo sembrerebbe quello di intralciarmi ulteriormente. Mi chiedo sino a che punto mi sono rammollito in questi anni di ozio, animati da tiepide emozioni quali cucinare, affrontare anziane signore pungenti, fingere di essere medico. Tuttavia, sento una certa resistenza che pian piano matura dentro di me. Forse l'Uomo in Rosso non ha torto. Se mai qualcosa di diverso dalla morte potrà porre fine a questo mio tormentato arrancare, recuperare le mie sopite energie sarà una bazzecola.


 

In tutto questo passeggiare, desidererei almeno portare avanti le mie fatiche in totale solitudine. La presenza di Vincent non fa nulla per alleggerire l'allenamento, anzi, contribuisce a renderlo ancora più estenuante, a causa dell'imbarazzo che permea ogni nostro contatto verbale. Perlomeno, il mio è imbarazzo; la sua temo sia semplice pigrizia sociale. Le poche volte in cui mi rivolge la parola è per invitarmi ad accelerare il passo, o per prendere in giro la mia andatura fiacca. Lui sembra reggere bene “La Passeggiata”: cammina spedito, lasciando svolazzare il suo mantello scarlatto al vento e, di tanto in tanto, si ferma per aspettarmi; a giornata inoltrata, tuttavia, viene colto dall'improvviso dubbio di eventuali trappole o imboscate da parte di ignoti, così si dissolve a mezz'aria e ricompare parecchi metri più avanti, anticipandomi. Questo si chiama barare.


 

«Sbaglio oppure oggi stiamo camminando più veloci del solito?» chiedo io, desideroso di prendermela più comoda.

«Fossi in te, farei attenzione a dove metti i piedi»


 

Effettivamente, nella discesa che percorriamo in questo momento il terreno è piuttosto friabile, e l'avanzata si trasforma piuttosto in un tentativo di non concludere con un'unica, lunga scivolata sino alla piana. Masamune diventa una zavorra; non essendo più abituato a maneggiarla, la sua lunga lama sbatte ovunque, talvolta con il rischio di ferirmi.

Quest'ultimo scambio di battute è l'unico episodio rilevante per parecchie ore.

Nei frequenti silenzi impacciati, ho modo di riflettere sugli avvenimenti recenti, ma soprattutto sulle informazioni apprese. Non so più cosa pensare neanche di me: non sono un Antico, ma le cellule di Jenova scorrono nelle mie vene; il nome di mia madre è Lucrecia, ma l'ho sentito per la prima volta pochi giorni fa; e mio padre... chi è? Hojo sembra saperne molto più di quanto non dia a vedere, ma temo che farlo parlare sarà particolarmente difficile.

Un moto di rabbia invade il mio petto, mentre calcio via un sasso all'entrata di una caverna oscura, illuminata da una Materia del fuoco usata da Vincent. Che cosa starà tramando Aerith, mentre io spreco il mio tempo a camminare? Come staranno Gaiana ed Eydìs? Saranno preoccupate? O deluse, magari arrabbiate? Un mucchio di preoccupazioni affolla il mio cervello, tra gli accessi di nervosismo dovuti a stanchezza e fame.

Quando usciamo dalla caverna, il sole del tardo pomeriggio irradia i nostri volti, costringendoci ad abbassare gli sguardi. La strada in discesa prosegue sino a voltare sulla sinistra, costeggiando lo strapiombo che dà sulla palude, giungendo infine alla prateria in lontananza. Vincent si ferma e poggia la schiena alla parete di roccia sulla destra, osservando il vuoto. Le nostre pause iniziano sempre così, senza una parola. Lui smette di camminare e io, che non aspetto altro, seguo il suo esempio. Lascio indugiare i miei occhi verso la palude, alla quale siamo più vicini che mai rispetto a questi ultimi giorni. Non eravamo mai scesi così tanto e ciò vuol dire che il ritorno sarà una catastrofe. Poso Masamune sul terreno roccioso e mi siedo, adagiando le spalle alla bocca dell'antro. Scruto Vincent e provo un'improvvisa voglia di chiacchierare, per mia e sua sfortuna.


 

«Ho capito che cosa hai mente» esordisco, con voce un po' pastosa per non aver parlato tutto il giorno. «Vuoi arrivare sino alla Fattoria per rubare un Chocobo e tornare a casa di un batter d'occhio»

«La tua fantasia è apprezzabile. Di tanto in tanto mi riesce difficile scorgere in te il più grande SOLDIER di tutti i tempi. Specie da quando indossi quella divisa da Soldier semplice»


 

Effettivamente, non avevo mai vestito prima i panni azzurri dei Soldati ShinRa. Entrai nelle file di SOLDIER in tenera età, annientando qualsiasi altro primato. Divenni il più forte, e nel giro di pochi anni conquistai la mia divisa da Prima Classe, la quale in questo momento riposa in pace da qualche parte nella mia casa di Kalm. Mi manca da morire.


 

«Quanto credi che starò lontano da casa?» azzardo, imbarazzato.

«Impossibile dirlo. Dipende da tante cose. Da te, da me, da Aerith...»

«Ma perché proprio io? Non ho fatto niente per meritarmi tutto questo! Perché io e non qualche altro... SOLDIER della ShinRa?» protesto, assecondando il lampo d'odio che attraversa la mia mente.

«Da qualche parte ho sentito che tu sei il combattente più forte del mondo, ma è ancora tutto da vedersi»

«Questa non è una delle scaramucce della ShinRa! Non è una lotta contro l'Avalanche! Nessuno di noi sa che cosa sia, stiamo andando allo sbaraglio! Non so niente di ciò che mi aspetta, o di ciò che devo combattere, come posso sperare di... riuscire in qualche modo?»


 

Vincent tace, continuando ad osservare la prateria in lontananza. Cerco di calmare il battito del cuore, ansimando, con fiumi di nervosismo che scorrono nelle mie vene.


 

«Puoi approfittare di questi minuti di pausa per chiedermi tutto ciò che desideri. Quasi tutto» annuncia il mio mentore, con tono strascicato e quasi lamentoso. «Dopo questi giorni di allenamento te lo meriti»

«Voglio saperne di più sul passato tuo e di Aerith. O meglio, non sul tuo, però... insomma, voglio sapere quali sono le sue vere intenzioni, chi sono questi suoi spettri...»

«Io e Aerith abbiamo stretto il nostro rapporto in occasione dell'odio contro la ShinRa. Entrambi eravamo nel loro mirino e abbiamo dovuto unire le forze. Sai bene per quale motivo la ShinRa fosse interessata ad Aerith, ne abbiamo già parlato»

«E tu? Perché eri ricercato?»

«Affari che riguardano il mio passato da Turk, nonché vicende strettamente personali. Ad ogni modo, la nostra era una lotta molto debole, perché ci era impossibile esporci a rischi come l'essere catturati. Le cose son cambiate con l'arrivo degli spiriti»

«Già, quelli. Sono proprio una bella rogna! Quella può ingannare chiunque, spedendo la sua coppia dritta dritta nelle grinfie della ShinRa. Ma perché lo fa?» rimugino io, rabbioso.

«Per avere un alibi, così come è successo con la mia copia» spiega Vincent, scrollando le spalle.

«Quindi esiste anche un... FalsVincent

«Prego?»

«Esiste anche una tua copia?»

«Sia lo spettro di Aerith che il mio son stati creati per confondere le nostre tracce, una volta che la ShinRa ci stava alle costole. Il mio è stato catturato quasi subito, tanto tempo fa. A detta di Hojo, è stato utilizzato come cavia per qualche suo piccolo esperimento, prima di finire rinchiuso non so bene dove»

«Quindi Hojo è a conoscenza di quegli spettri!» esclamo io, spalancando gli occhi. «Ma allora perché...»

«Lui sa più cose di quanto entrambi possiamo pensare. Non si è mai abbastanza prudenti con lui. Non è un nemico ed è consigliabile tenerlo dalla propria parte, ma diffida quando puoi»


 

La figura di Hojo è piuttosto sospetta, e di questo ero già consapevole da parecchio tempo. Nella mia memoria son rimasti solo alcuni stralci della nostra ultima conversazione, ma ricordo l'interesse dimostrato per la FalsAerith che è riuscito a mettere sotto vetro. Vincent ha ragione, lui conosce molto più di quanto dovrebbe. Son stato un ingenuo davanti alle perfette recite dello scienziato: mi ha sfruttato per avere quel poco di verità di cui dispongo.


 

«Se non temessi l'idea di un'altra visita clandestina alla ShinRa, tornerei da Hojo per costringerlo a parlare» ringhio io stringendo i pugni.

«Perderesti il tuo tempo. La verità verrà fuori da sola, pian piano» controbatte Vincent.

«Gli spettri son tredici, no? Esistono infinite possibilità di ingannarci, con quelli a disposizione!»

«Tieni conto che ognuno di loro, una volta prese le sembianze di qualcuno, ritorna ad essere uno spettro solo con la morte» interviene Vincent, «e questa non può essere data dalla padrona stessa».


 

Ciò è estremamente interessante. Dunque le potenzialità del nostro nemico si riducono radicalmente. La mia mente lavora, con un improvviso moto di entusiasmo.


 

«Ciò vuol dire che... che non dobbiamo farli fuori, dobbiamo imprigionarli!»

«Certo, una volta fatti fuori tornerebbero nuovamente agli ordini di Aerith. Tuttavia, se vengono imprigionati dalla ShinRa o da noi, tenendoli lontano dalla loro padrona, diventano totalmente innocui. Sta' attento, non è il momento di cantare vittoria: Aerith ha dimostrato una grande parsimonia nell'utilizzarli in questi ultimi anni, e temo continuerà a fare altrettanto»

«Cominciamo dal principio» propongo, alzandomi e incrociando le braccia. «Chi sono questi spiriti e in che modo lei ha conquistato il loro potere?»

«Il momento in cui ha avuto il loro appoggio risale a poco prima che separassimo le nostre strade. Lei aveva appena scoperto il rifugio sotterraneo degli Antichi, ormai disabitato da tempo, e quello era diventato il nostro quartier generale. Poi mi chiese di aiutarla a trovare Jenova e io, una volta compreso il suo reale obiettivo, risolsi di rifiutare. Così lei partì per il nord, per cercare informazioni per conto suo, e tornò accompagnata dalla schiera di spettri. Non seppi mai dove fosse andata e che cosa avesse scoperto, ma Aerith era cambiata. Ancora non sapeva dove trovare Jenova, ma si era procurata un'arma di minaccia contro la ShinRa che, allo stesso tempo, le permettesse di non risultare responsabile. Creò innanzitutto le nostre copie per liberarci della seccatura di essere ricercati, ma nacque un diverbio sull'utilizzo di queste. Per me, le copie dovevano essere usate in casi di emergenza, perché la loro presenza alla ShinRa ci avrebbe legato le mani. Lei, invece, intendeva sguinzagliarle, per confondere i sospetti, ma ciò sarebbe stato troppo pericoloso: avrebbero capito subito l'inganno, riconoscendo le copie. Di fatto, la sua copia non avrebbe dovuto fare passi azzardati, per evitare di destare sospetti, ma la copia di... la mia copia, le interessava di meno. Infatti, presto ha avuto un'idea per la quale il mio... il Vincent copia avrebbe dovuto sacrificarsi, sacrificando così anche la reputazione del Vincent vero. D'altronde, una volta creato il mio... il me...»

«... FalsVincent?» propongo io, iniziando ad intravedere una certa confusione nel discorso.

«... Ecco, una volta creato FalsVincent, mi aveva in pugno e poteva minacciarmi a suo piacimento. Voleva spedirlo dritto alla ShinRa per scoprire dove fosse custodita Jenova, ma non sapeva quanto di folle ci fosse nella sua impresa. Conoscendo la ShinRa come le mie tasche, tentai di farle capire che era impossibile sperare di ottenere dei risultati inviando una sola persona – un falso me, peraltro – ad interrogare non si sa bene chi. Ma lei non volle rinunciare. Così, come avevo previsto, il... com'era? FalsVincent non tornò mai a Nibelheim. Io abbandonai Aerith, stanco e amareggiato, e lei mi dichiarò guerra. Quello fu il nostro ultimo incontro. Se non contiamo, ovviamente, il diverbio di pochi giorni fa»


 

Ci siamo. Il silenzio di Vincent si è finalmente infranto. Tutte le informazioni che mi ero visto negare stanno emergendo, una per volta. Una certa cronologia inizia a disegnarsi nella mia mente, ma è ancora troppo confusa per avere una qualche utilità.


 

«E che hai fatto dopo?»

«Rimasi solo, così come tuttora. Più avanti, incontrai Hojo e mi spiegò che cosa ne era del FalsVincent; mi raccontò di te e di ciò che ti era accaduto. Poi, in cambio del rifugio sulla montagna, mi incaricò di addentrarmi nei sotterranei di Aerith per ritrovare la testa di Jenova, spiegandomi di quanto fosse pericolosa nelle mani della ragazza. Io la trovai, ma mentii. Hojo pensa ancora che la testa sia in mano nemica, o comunque perduta» spiega Vincent, e nella sua voce lenta e grave colgo una punta di orgoglio.

«Hai ragione. Ne abbiamo parlato anche l'altro giorno. Ma perché hai fatto così?»

«Io non devo nessun favore alla ShinRa. Se mi impegno in questa battaglia è per la salvezza del Pianeta»

«Del... Pianeta

«Hai sentito bene»


 

L'affermazione di Vincent ha un che di catastrofista, ma mi rendo conto di non poter ancora stimare l'esatta portata del pericolo. Il parlare dell'uomo è caotico, contrariamente alla sua apparente personalità. L'argomento deve stargli davvero a cuore, e vorrei conoscere i motivi che lo spingono a comportarsi così. Conserva un atteggiamento di accentuata inimicizia nei confronti di Aerith, ma serba un grande rancore nei confronti della ShinRa, e ciò è davvero palese. La mia mente ha bisogno di un po' d'ordine, al momento, così mi schiarisco la voce.


 

«Rimangono undici spettri. Togliamo anche FalSephiroth e FalsMasamune e siamo a quota nove. Sempre che non ne abbia utilizzati altri per questioni che non ci riguardano» rifletto io. «Si tratta comunque di un notevole vantaggio su di noi. Non vedo vie di scampo»

«La via di scampo esiste. Perché credi che ti stia allenando? Ora, impugna la tua Masamune, perché l'addestramento rincomincerà a momenti»

«Che cosa?»


 

Prima ancora che mi sia data spiegazione di quell'ultima minaccia, Vincent sfodera da sotto il mantello il suo pesante revoler, Cerberus, e dalle tre canne viene sparato un getto di fiamme che, con un suono sibilante, sfreccia in direzione della palude. Non so che cosa stia succedendo. So solo che non posso muovermi. Pochi istanti dopo le lingue di fuoco colpiscono la superficie dello stagno, trionfando in un'esplosione di melma. Le torbide acque si agitano per l'impeto dell'improvviso attacco, come risvegliate bruscamente dal loro pacato sonno. Quando si rendono conto che tutto è passato, tornano a rilassarsi, placando le onde verso quello stato di quiete appena abbandonato.

Povere illuse.

In quel momento la superficie della palude si spezza e una gigante bestia emerge parzialmente dall'acqua, lasciando sfrecciare il capo verso l'alto, sino a raggiungere la nostra altezza. Il serpentone, probabilmente in grado di inghiottire senza problemi decine di Vincent e Sephiroth, posa le sue minacciose pupille su di noi, come per valutare quale dei due sia stato a disturbare il suo riposo. Poi spalanca le fauci, con schizzi di saliva ovunque, e mostra la lingua biforcuta, con uno stridio sommesso. Vincent ripone Cerberus, con una calma un po' fuori luogo.


 

«È tuo»

«Eh?»


 

Il muso della creatura scatta in avanti e il peso del corpo di Vincent mi getta sul terreno roccioso, con un boato e il rumore di un'esplosione. Afferro Masamune, spaventato, e vedo che il serpente ha gettato la squamosa testa all'indietro, strepitando e sibilando per il dolore.


 

«Vuoi svegliarti? Devi combattere!» esclama Vincent, agitandomi contro il revolver ancora fumante. «Non sfodererò l'arma un'altra volta!»


 

Poi mi afferra con la mano guantata per il maglione della divisa e mi costringe ad alzarmi, ma rischio di cadere di nuovo, tanto le mie gambe tremano. Impugno Masamune con entrambe le mani, osservando nervosamente il contorcersi disperato della bestia.


 

«Stai in posizione di difesa. Tra poco ti attaccherà di nuovo» suggerisce Vincent.

«Lo so!»


 

La spada però è troppo pesante per i miei muscoli fuori allenamento, e quasi spero che il serpente torni all'assalto presto, perché non ne posso più di reggerla. Il mio nemico non tarda ad esaudire i miei desideri. Non appena sembra riprendersi dall'offensiva di Vincent, focalizza di nuovo la sua attenzione su di me e fa un altro tentativo.


 

«Colpisci!»


 

D'istinto, muovo la katana in un tondo che incontra le squame dorate del serpente, ma l'unico effetto che ottengo è quello di neutralizzare l'attacco, rispedendo il rettile nella palude. La lama è sporca di fango, ma non di sangue.


 

«Tornerà» mi avvisa il mio mentore. «Se non metti forza in quegli attacchi, non puoi sperare di farlo fuori»

«Ma io non ho forza

«Intanto troviamo un modo per raggirarlo. Non vorrai sprecare questo vantaggio»


 

Vincent si avvicina velocemente e il suo braccio sinistro si avvinghia attorno al mio petto, trascinandomi in un vortice di colori sino a che non mi ritrovo in ginocchio su un pavimento roccioso diverso da prima. Ci troviamo sopra la caverna dalla quale siamo arrivati poco fa.


 

«Beh? Alzati!»


 

Maledicendo il giorno in cui sono nato, mi rimetto in piedi, riportando Masamune in posizione di difesa, di fronte al mio volto. Il serpente riemerge fulmineo e si scaglia contro il punto esatto in cui ci trovavamo prima; tuttavia il suo muso cozza contro la dura roccia e l'impatto sembra essere doloroso. Tra stridii insopportabili, la bestia torna a dimenarsi, voltando lo sguardo ovunque per trovare i suoi nemici. Abbasso Masamune, lasciandomi scappare una risatina.


 

«Non sembra poi così intelligente»

«Tu invece ritieni di esserlo?»


 

Indirizzo in direzione di Vincent un'occhiata imbronciata, e al momento di riportare l'attenzione sul combattimento son costretto a gettarmi da un lato per evitare l'impeto del mostro, che si risolve nella solita testata alla montagna. Mi rialzo in fretta, cercando di non decapitarmi con la lunga lama della spada, e balzo tra le rocce, allontanandomi dal nemico.


 

«Tutto bene laggiù?» chiede la lontana voce di Vincent, mossa da un leggero turbamento. «Hai qualche secondo di tempo, prima che questo bestione si riprenda. Ti consiglio di valutare bene la tua prossima mossa»


 

Di tanto in tanto la suola dei miei stivali scivola sul terreno dissestato, e non so quale grazia del Pianeta mi conceda di non rovinare decine di metri più in basso, dritto verso la morte. A giudicare da sibili che sento alle mie spalle, il rettile sta seguendo il mio incespicare, valutando il momento opportuno per attaccarmi – evidentemente ha imparato la lezione, a furia di sbatterci il muso.


 

«Che cosa diamine stai facendo? Vuoi smetterla di scappare?»


 

Una forte presa mi cinge il polso destro, costringendomi a fermarmi di scatto. Vincent mi fissa con sdegno e io ricambio con sguardo stupito. Il serpente è rimasto indietro e si contorce e dispera, evidentemente in seguito ad un doloroso intervento dell'uomo.


 

«Devi affrontarlo, imbecille!»

«Non combatto più da anni! Che cosa pretendi da me?» protesto io, liberandomi con uno strattone dalla mano dell'altro. «Quello mi fa fuori!»

«Devi correre il rischio»


 

Con una giravolta, Vincent viene inghiottito dal fluttuare del mantello, scomparendo dalla mia visuale. Il serpente è già pronto per partire all'attacco e si scaglia su di me, le fauci spalancate. Tento di tenerlo a distanza con Masamune, ma son costretto pian piano ad indietreggiare, schivando le lunghe zanne e la lingua sibilante.


 

«Stai... lontano... bestione... schifoso!»


 

Con un ultimo montante, rispedisco indietro l'animale, sempre più furioso, ma quello ritorna subito alla carica e io son costretto a balzare di lato, perdendo l'equilibrio e franando lungo il pendio con un tonfo al cuore e lo sguardo fisso al vuoto sotto di me...


 

L'aria frizzante sferza la pelle del mio viso, mentre strabuzzo gli occhi increduli e capisco che la mia sorte si è rovesciata. Due braccia forti cingono le mie spalle, riportandomi in salvo verso un piccolo spiazzo erboso stretto tra la palude e la montagna.


 

«Ti sei giocato l'ultimo salvataggio a disposizione. Ora è tutto nelle tue mani»

«In che senso? No, aspetta, tu non mi avevi detto...»


 

Il mio salvatore mi abbandona a mezz'aria, lasciandomi piombare sul terreno duro. Mi rialzo, stiracchiando i muscoli e borbottando proteste e insulti di ogni genere, poi raccolgo Masamune. Un lontano stridio annuncia l'inizio del secondo round.


 

«Come dovrei sconfiggerlo da qui?» chiedo, puntando la vista offuscata dalla nebbia sulla lontana sagoma del serpente che si avvicina con andatura incerta. «Non mi addentrerò nel suo habitat»

«Vedi altre soluzioni?» chiede Vincent, andando a poggiare la schiena sul fianco della montagna. «Devi solo far lavorare il cervello, dato che entrambi sappiamo bene che con la spada non risolverai nulla»

«Dammi le tue Materia» intimo io, speranzoso.

«E sia. Fuoco, Acqua o Terra?»

«Acqua e Terra» decido, lasciando cadere Masamune tra l'erba.


 

Le mani di Vincent si infilano tra le pieghe del mantello, estraendo due sfere vetrose tinte di un verde acceso e lanciandomele contro. Un secondo stridio mi fa sobbalzare, impedendomi di afferrare le Materia prima che tocchino terra.


 

«Arriva!»


 

Il lungo corpo sinuoso del serpente ci ha ormai raggiunti, sempre immerso per metà nello stagno, e i suoi occhi son fissi su di noi, mentre la lingua si dimena emettendo sibili sinistri. Ringrazio il Lifestream per avermi concesso un avversario dall'intelligenza limitata, mentre mi prendo il tempo per incastrare le Materia alla cintura in tutta tranquillità.

Il terreno trema debolmente, sotto il mio comando. La bestia sussulta e si scaglia all'attacco. Fulmineo, mi getto fuori dalla traiettoria del suo muso, afferrando Masamune con la sinistra. Ad un mio gesto, le acque torbide si agitano, spruzzando schizzi di fango che si solidificano istantaneamente in un lungo spuntone acuminato, minacciando di trafiggere le squame lucenti del serpente. Quello volta il testone, come cercando di capire che succede, e, con un colpo del muso, manda in frantumi il palo. Io torno alla carica, concentrando tutte le mie energie sul combattimento. Il bestione viene circondato da lingue di melma che si trasformano in altrettante punte; alcune lo pizzicano e lo feriscono, altre cedono sotto la mole del suo corpo. La situazione gli sfugge definitivamente di mano e inizia ad accalorarsi, lanciando strepiti di protesta. Un'ondata del pantano cinge il suo ventre, addensandosi sino a diventare una catena di fango.


 

«Le sorti si ribaltano» esclamo, sentendo rivoli di sudore scorrere lungo la fronte. Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho usato una Materia?

«Aspetta a dirlo»


 

Nel momento in cui comando l'attacco finale, evocando nuove lance di melma, il serpente si libera dalla presa e si scaglia su di me, costringendomi ad usare la spada. La lama di Masamune cozza contro il cranio dell'animale, spingendolo indietro.


 

«Avresti dovuto usare subito la spada» commenta Vincent.

«Dammi il tempo di scaldarmi! Non hai una Materia dell'Aria, vero?» chiedo io, voltandomi a guardare il mio compagno. Lui scuote la testa, con fare disinteressato.


 

Con un ringhio sommesso, abbandono la spada e punto entrambe le mani contro il nemico stordito, su cui si accanisce un'improvvisa tempesta fangosa. Un tremito della terra mette a dura prova il suo equilibrio, facendolo oscillare pericolosamente.


 

«Devi passare al dunque, Sephiroth. Così non fai altro che infastidirlo»

«Ci sto provando!»


 

Le mie braccia tremano per lo sforzo, e io mi scervello, cercando una soluzione per infliggere il colpo di grazia alla mostruosa creatura. Continuando in questo modo potrei stordirlo per avere il tempo di finirlo con la spada. Il pantano si ingrossa e lambisce le pareti della montagna; il tremore della terra inizia a sovrastare qualsiasi altro rumore e cerco di rimediare, ma la natura non mi obbedisce più.


 

«Sephiroth, stai per perdere il controllo della situazione» osserva Vincent, con voce grossa.


 

In effetti, il serpente non è più la sola vittima in balia della palude furiosa. Le possenti onde invadono il nostro campo, inzaccherando i nostri stivali e spingendoci contro la montagna. I miei piedi son piantati contro il terreno improvvisamente scivoloso, e più il panico invade la mia psiche, più la situazione mi sfugge di mano. Ormai le acque si muovono da sole, mosse dalle scosse del terremoto, e lungo la parete montuosa alle nostre spalle ruzzolano pietruzze e sassi di più importante stazza. Vincent si sposta dal suo comodo riparo, guardandosi attorno vagamente turbato, e io recupero da terra una Masamune ricoperta di fango.


 

«Fa' qualcosa, siamo in pericolo!»

«Tu sei in pericolo, io no di certo. Posso abbandonarti quando voglio» controbatte lui, sollevando appena il mantello ed esaminando le macchie di melma sul tessuto rosso.

«Vincent!»


 

Torno a voltarmi verso la palude. La bestia se ne sta lì immobile, la lingua sibilante e gli occhi che saettano in ogni direzione. Stringo i pugni, invocando disperatamente l'aiuto delle Materia, ma il tremore della mia voce tradisce la mia sicurezza, traducendosi in un nuovo cavallone minaccioso. Alle mie spalle il rombo della montagna cresce, sino a farsi insopportabile.


 

«Siamo tra l'annegamento e la frana»


 

La constatazione di Vincent mi fa saltare i nervi.


 

«Vincent, da qui non ne usciamo vivi!»

«Sei tu che hai avuto la brillante idea di usare le Materia senza ancora aver riacquistato le capacità di...»

«Vincent! Smettila di parlare e fa' qualcosa!»

«Sei il grande Sephiroth, il combattente più abile al mondo. Riuscirai ad inventarti qualcosa?»


 

In un accecante lampo di rabbia, Masamune si solleva sulla testa dell'uomo in rosso, ma quello, fulmineo, dirotta la traiettoria della spada con i proiettili di Cerberus. Il contraccolpo rischia di farmi cadere nel pantano. Gli occhi di Vincent fiammeggiano su di me, e la sua bocca è serrata. Lo squillo di un cellulare fa sussultare entrambi. Vincent distoglie lo sguardo, sollevandolo al cielo per un istante.


 

«Questa è importante. Da' qui le Materia, per favore» intima, riponendo il revolver e tendendo le mani.


 

Senza esitare un solo momento, estraggo le sfere dalla cintura e le consegno a lui. Istantaneamente, la furia della natura si placa, la palude si ritira e il ruggire della montagna si acquieta. Il serpente sembra ancora sotto shock e punta lo sguardo su di noi, senza muoversi. Per qualche secondo, l'unico suono che giunge alle mie orecchie è il trillo del cellulare di Vincent. Poi, un unico, gigante spuntone schizza fuori dalla melma e trapassa il corpo della creatura, uccidendola.


 

«L'idea non era niente male, bastava saperla mettere in pratica. Pronto?»


 

Vincent risponde al cellulare, riponendo le Materia sotto il mantello, e io continuo ad osservare la carcassa del serpente con un'imprevista stretta al cuore, senza ascoltare i monosillabi del mio mentore. Tra le nuvole si è fatto spazio qualche raggio di sole che scalda il paesaggio. Alcuni solitari sassolini rotolano ancora lungo il pendio, sino ad atterrare sull'erba. Osservo Masamune, con sguardo critico. Avrebbe bisogno di una bella pulita, dopo questo combattimento movimentato. Poi sposto lo sguardo su Vincent. La mia agitazione sta pian piano scemando, lasciando spazio alla delusione. Sono stato un buono a nulla.


 

«A domani»


 

La telefonata si conclude e Vincent si guarda attorno, esaminando la situazione.


 

«Tutto in ordine, no?»

«Più o meno» rispondo io. «L'allenamento però è stato un disastro»

«Rimedierai presto, il tempo stringe ma non troppo. Ora torniamo a casa»

«Riprendiamo domani?»

«Domani abbiamo una gita di piacere. Conosci Cosmo Canyon?»

«La conosco, certo, ma non ci son mai stato»

«Beh, c'è sempre una prima volta»


 

Vincent scrolla le spalle e strizza l'orlo del mantello, visibilmente infastidito.


 

«Torniamo con... col...?»

«Coi piedi, mi sembra ovvio. I tuoi nervi hanno bisogno di un po' di pace. Ti risparmierò giusto questa salita»

«Troppo gentile» borbotto io, osservando l'uomo che si avvicina e lasciandomi portare sotto il suo mantello scarlatto.




Nota dell'autore:
Chiedo umilmente perdono per questa lunghissima assenza ç_ç ultimamente l'ispirazione non mi arride! Cercherò di farmi perdonare con un capitolo un po' più lungo del solito. Alla prossima!

Marcello


 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Cosmo Canyon ***


Capitolo XVI

 

Il vento tempestoso scuote violentemente le nostre vesti nere e rende penosa la scalata, costringendo entrambi a tener fermo il cappuccio con una mano. La scomodità della circostanza accende la tentazione di gettare all'aria qualsiasi precauzione e spogliarsi di questi mantelli, ma Vincent è stato fin troppo chiaro nelle raccomandazioni, e d'altronde io stesso conosco bene il rischio che corriamo questa mattina. La scalinata sembra allungarsi man mano che la percorriamo, ma infine i gradini terminano e possiamo sollevare lo sguardo in direzione dell'alta montagna che ci sovrasta, di un acceso color rame che contrasta contro il grigio plumbeo del cielo annuvolato.

Gli scavi nella montagna hanno dato vita a questo piccolo villaggio, che domina dall'alto le terre circostanti per chilometri e chilometri, godendo di un arido paesaggio articolato in salite e discese vertiginose che si addolciscono in lontananza sino alla pianura erbosa. A parte la guardia che sta in piedi a qualche metro da noi, osservandoci con sguardo sospettoso, la piazza in terra battuta è quasi deserta. Al centro di essa arde un grande falò, che scoppietta debolmente, messo a dura prova dalla forza del vento, ma senza mai arrendersi, come per magia. Un sottile filo di fumo si leva da esso, impregnando l'atmosfera di un dolciastro odore di braci. Dalla piazza si innalzano scalinate scoscese che portano nelle cavità del monte, grossolanamente squadrato in cilindri di diverse dimensioni, all'interno dei quali immagino sia radunata la popolazione, e sino ai piani più alti, occupati da casette, bancarelle vuote e grandi pale che turbinano sotto il soffio dell'aria, fornendo energia all'abitato. In cima alla rupe più alta, sorge una piccola capanna, sovrastata da un largo cannone, orientato verso l'alto.

Aggrotto le sopracciglia, turbato. Quest'ultimo particolare stona con il resto del paesaggio.


 

Vincent mi fa cenno di stare in disparte, sul bordo del precipizio, e si avvicina alla guardia per scambiare qualche parola a mezza voce. Il nerboruto china il capo in un segno d'assenso e l'Uomo in Rosso – anzi, attualmente in nero come me – mi intima di seguirlo verso la scalinata più vicina, per entrare nell'insediamento. Le mie gambe protestano silenziosamente, ma non mi resta che forzarle all'obbedienza.


 

«Vincent» sussurro io, mentre saliamo. «Se dovesse succedere qualcosa... se dovessero riconoscerci, che cosa hai previsto?»

«Non ci riconosceranno, stai tranquillo» sentenzia lui, calcando di riflesso il cappuccio sul viso.

«Sì, ma se...»

«Non ho previsto niente, d'accordo?»


 

Il tono del mio mentore non ammette repliche, né io ho l'ardire di insistere sulla questione. Entriamo all'interno di una stanza scavata nella roccia, illuminata da qualche piccola lampadina appesa al soffitto, tra grovigli di cavi che scendono lungo le pareti e vanno a perdersi in fori sul pavimento. Prima ancora che mi renda conto di dove siamo, una voce femminile richiama la nostra attenzione.


 

«Siete qui per le armi? Abbiamo una vasta gamma di prodotti, non lasciatevi scappare le nostre offerte!»


 

Sotto l'insegna del piccolo banco, una signora dall'aria esageratamente entusiasta cerca di attirare l'attenzione degli astanti, ma i risultati sono piuttosto scarsi.


 

«Avanti, signori, fatevi avanti! Abbiamo copie delle più belle armi mai fabbricate sul Pianeta!»

«Papà, me lo compri il fucile?»

«Guai a te se me lo chiedi di nuovo!»


 

Il piccolo negozio è occupato da alcuni gruppetti di persone, avvicinati non tanto da l'interesse per gli articoli in vendita, quanto per il riparo che il luogo chiuso offre loro, ma l'acuto fischio del vento giunge sino a là, e di tanto in tanto una folata alza la gonna di qualche signora. Vincent si avvicina per chiedere qualcosa all'entusiasta commessa, illusa di poter concludere qualche trattativa, poi delusa nell'accorgersi che l'uomo domanda una semplice indicazione. Con il sorriso incrinato, si volta e indica una piccola scalinata che porta ad un piano superiore. Vincent la saluta con un lieve inchino del capo, poi si fa strada tra la folla per salire, seguito da me.


 

«C'è una discreta attività bellica qui su, no?» domando, raggiungendo il mio compagno che attraversa a grandi falcate una seconda saletta ricolma di mamme con bambini piuttosto provati dalla noia. All'uscita della caverna, sulla sinistra, due guardie ci scrutano con sospetto.


 

«E voi chi sareste? Come siete entrati nel villaggio?» domanda uno dei due, il più alto e minaccioso; ancora una volta, Vincent si avvicina per riferire qualcosa a bassa voce. La guardia spalanca gli occhi. «Ma avete un appuntamento con lui? Non vi consiglio di disturbarlo, in caso contrario»

«E io non vi consiglio di occuparvi troppo dei nostri affari» replica Vincent, portando una mano al cappuccio e sollevandolo appena per mostrare lo sguardo. L'energumeno, impressionato, non aggiunge altro, permettendoci di attraversare il passaggio.

«Ancora scale?» domando io, provato.

«Se è l'unica cosa che sai dire, puoi anche tacere» replica Vincent, tornando a celare il capo.


 

All'interno della stanza successiva è riunito un altro gruppetto di famigliole in apprensione per il maltempo. Qualche bimbo sonnecchia, qualche altro ciondola avanti e indietro per alcune bancarelle, senza poter comprare niente. I venditori si sono stufati di urlare a squarciagola, così stanno seduti con espressione vacua, in attesa di un possibile cliente.


 

«Ma siam sicuri che il nuovo gruppo di reclute arrivi oggi?» chiede uno di questi, al collega.

«Lo spero proprio, sennò non starei qui ad aspettare tutta la mattina» commenta l'interlocutore, grattandosi il mento barbuto. «Sarà questione di momenti, con tutte le guardie che son piazzate in giro»

«Magari hanno rimandato a domani. C'è da dire che, con questa bufera, solo un pazzo salirebbe sino a qui»

«Concordo» borbotto io, a mezza voce.


 

Vincent si avvicina ad una scaletta a pioli, ignorando una grande porta in ferro sulla destra che ha attirato la mia attenzione, e si arrampica con agilità, decine di occhi puntati addosso. Nessuno fa domande, saranno abituati a vedere gente strana, con questa storia dell'accademia militare. Eppure, i loro sguardi son piuttosto straniti. Scuoto la testa, come per tornare ai miei pensieri, e mi dirigo anche io verso il piano superiore, trattenendo uno starnuto.

Ci ritroviamo in una terrazza deserta, su cui il vento è ancora più forte di prima. Le pale eoliche ruotano forte, contribuendo al frastuono della tempesta. Il terreno roccioso è umido; una leggera pioggerellina scende dal cielo.


 

«Abbiamo intenzione di trovare un riparo?»

«Oggi sei particolarmente lamentoso. Sappi che stasera hai il secondo allenamento, quindi ti conviene non guastarmi l'umore» avverte il mio mentore, con tono di minaccia. Poi si volta in direzione opposta per osservare la casupola che domina incontrastata il paesaggio esotico. Il cannone è là, molto più grande di quanto avessi immaginato.

«Andiamo» intima Vincent, e si avvicina alla porta di entrata, battendo le nocche su di essa; dopodiché inizia a bisbigliare degli avvertimenti frettolosi. «Non fare troppe domande. Non fare domande stupide. Non interromperlo mentre parla. Non innervosirlo. Non distrarti. Annuisci quando ti parla. Non toccare ni-»

«Avanti!» esclama una voce squillante, dall'interno. Vincent mi rivolte un ultimo sguardo di ammonimento, intimorendomi ancora di più. Poi spinge la porticina di legno per entrare e lo seguo, il cuore che pulsa nel mio petto.


 

L'atmosfera all'interno della capanna è piuttosto calma, rassicurante. Il pavimento in parquet è ricoperto da stravaganti tappeti multicolore, su cui ricade la luce calda di piccoli lampadari al soffitto basso. La stanza è piccola ed è principalmente occupata da un tavolo, sopra il quale poggia qualsiasi oggetto la mia mente possa immaginare, da bottiglie di vino a enormi fogli costellati di complessi calcoli matematici. Attorno al tavolo si affollano sgabelli, botti, sedie, e, a completare l'arredamento, ci sono un piccolo frigorifero, una statua in legno dipinto che raffigura un uomo anziano, una porta sulla destra e una scala a chiocciola al suo fianco.

Vincent continua a rivolgermi occhiate preoccupate, come nel timore che possa dire qualcosa di sconveniente da un momento all'altro. Ma non c'è pericolo, dato che la persona che ci ha invitati ad entrare non è presente. Mi chiedo come ciò sia possibile.


 

«Benvenuti a Cosmo Canyon, Hoooo!»


 

Con un improvviso accesso di tosse, mi accorgo che la statua ha parlato, e si muove sinuosamente verso di noi, volteggiando sopra il pavimento. Poi il tossire si trasforma in una serie di starnuti, e l'espressione perplessa del vecchio è l'ultima immagine che distinguo, prima di dare sfogo ad uno dei peggiori attacchi allergici degli ultimi dieci anni. Il naso pizzica, la gola brucia, gli occhi lacrimano, il mio corpo rabbrividisce, e l'unico mio apparato che più o meno funziona, quello uditivo, registra l'invisibile caos che esplode attorno a me. Finestre che sbattono, fogli che volano, vociare indistinto, cassetti e ante che cigolano prima di essere di nuovo serrati con forza. Ma più cerco di fare respiri profondi, più i germi si riversano nei miei polmoni, alternando agli starnuti dei violenti colpi di tosse. Improvvisamente, un olezzo floreale si insinua nelle mie narici e rilassa ogni muscolo del corpo, come un'onda che mi attraversa dal capo ai piedi. Starnutisco un'ultima volta, poi mi schiarisco la voce, raschiando sulla gola ancora infiammata. Ansimando, apro gli occhi per ritrovarmi davanti alle facce spaventate di Vincent e del vecchio. Quest'ultimo regge in una mano una fialetta vuota, tappata.


 

«Tutto bene?» fa Vincent, imbarazzato.

«Sì, io... che... che cosa era quel...?» balbetto io, ancora scosso. Il vecchio sorride e mi porge l'oggetto, affidandomelo.

«Anche io son allergico alla polvere, Ho! ma non ho mai tempo per spolverare, e l'impresa di pulizie ha il brutto vizio di trattenersi alla taverna più del dovuto, così... ho trovato uno stratagemma. È un aroma di diversi fiori e piante, se lo prendi prima di affrontare posti... come questo, inibisce la reazione allergica. Tuttavia, ha un effetto limitato a circa venti ore, dunque bisogna usarlo con parsimonia, Ho!» spiega il vecchio. «Ho diversi armadi pieni, giù al magazzino, ma da poco son riuscito a farmi dei sigari con lo stesso effetto, uno al giorno toglie... com'era?»


 

Ad ogni Ho! Dell'anziano, aggrotto sempre di più le sopracciglia. Ciò che mi ritrovo davanti contrasta sempre più con la severa immagine di sapiente che dovevamo andare a disturbare. Il vecchino ha un aspetto decisamente bizzarro; il corpo scheletrico, avvolto da una veste blu, siede a gambe incrociate su un luminoso globo verde, che volteggia a qualche decina di centimetri da terra. Il capo è calvo e lucido, mentre il viso è celato da una lunga barba bianca e da piccoli occhiali da sole posati sul naso.


 

«L'aroma andrà benissimo, il fumo l'ho eliminato da anni con tanto sforzo...» commento io, cercando di non dare ascolto al ricordo delle agghiaccianti urla di mia moglie.

«D'accordo, ma ricorda: una fialetta, se usata con accortezza, può durare per una decina di volte. Quando stai per finirla, puoi venire qui per prenderne altre, te ne farò trovare un po'»

«Sei... Lei è... Siete molto gentile» ringrazio io, impacciato, intascando l'oggetto prezioso. Il dolore alla gola è sempre più tenue.


 

Terminato l'episodio dell'allergia, per un momento nessuno sembra sapere che cosa dire. Vincent decide di fare il primo passo, chinandosi in segno di reverenza.


 

«Saggio Bugenhagen, vi siamo grati per aver accolto con così poco preavviso la nostra richiesta. Il vostro aiuto è davvero di vitale importanza, per noi» scandisce, con tono grave.


 

Segue un attimo in silenzio, in cui il saggio Bugenhagen sembra indeciso se essere lusingato o imbarazzato. Forse dovrei inchinarmi anche io, ma ho paura di fare qualche figuraccia. Il vecchio scrolla le spalle e ci fa cenno di seguirlo al tavolo, iniziando a liberarlo dalla catasta di oggetti. Noi due ci sediamo, io su una botte e Vincent su uno sgabello alto, infine il nostro ospite si posiziona dall'altro lato del tavolo, sempre con quel dondolio che inizia a darmi ai nervi.


 

«Dovete aver fatto un lungo viaggio, per arrivare qui dall'altra parte del mondo, Ho!»

«Bugenhagen, abbiamo bisogno del vostro aiuto» ripete Vincent, ignorando la domanda. «Il Pianeta sta forse per affrontare una nuova guerra, e noi non siamo preparati»

«Un'altra guerra inutile, scommetto! Il Pianeta è ormai uno stanco spettatore che si spegne lentamente. Potrebbe accadere domani, o tra cent'anni, ma... in quel giorno, nessuna guerra avrà più senso. Tutti saremo uguali, di fronte alla distruzione totale» commenta l'anziano, le mani giunte dietro la schiena.

«Questa guerra riguarda la salvezza del Pianeta» insiste Vincent. «Abbiamo bisogno di voi, ora più che mai. Ci son domande senza risposta, e queste potrebbero essere la chiave per il nostro successo»

«Ho Hoooo!»


 

Bugenhagen sembra saltare – o meglio, volteggiare più intensamente – di gioia, le braccia sollevate in segno di esultanza. Son sempre più perplesso.


 

«Siete nel posto giusto! Chiedetemi qualsiasi cosa e io farò il possibile per aiutarvi!»

«Vincent» sussurro io, chinando il capo verso il mio compagno di viaggio. «Non avrai intenzione di chiedergli di usare il cannone...?»


 

Vincent mi lancia un'occhiata a metà tra il confuso e il minaccioso. Poi mi ignora, e torna a rivolgersi a Bugenhagen.


 

«Vorremo sapere di più su Jenova e sulla Terra Promessa»


 

Bugenhagen sembra spegnersi d'improvviso, deluso. La domanda non era quella che si aspettava.


 

«Posso dirvi qualcosa sulla Terra Promessa, un luogo in cui il reale significato rimane oscuro anche per una persona saggia come me. Ma per Jenova siete fuori strada, dovreste rivolgervi a... chi si occupa di queste faccende!»

«Nemmeno la ShinRa sa che pesci pigliare» risponde Vincent.

«Ho Hoo Hoooo!! Quelli hanno sempre sbagliato tutto dall'inizio! E ciò non mi stupisce affatto! Son troppo arroganti per porsi delle domande su ciò che fanno!»

«Almeno vorrei sapere che cosa ne pensate di Jenova. Pare che... ehm... ultimamente sia un oggetto molto ambito e vorremo sapere il perché. Che poteri ha?»

«Secondo le dicerie è un esemplare Cetra! Ma io mi fido solo del mio giudizio! Ho Hooo! Sarebbe interessante darle uno sguardo!»

«Posso accontentarvi, se lo volete. Mi trovo in possesso di una... parte del corpo di Jenova, e mi piacerebbe avere un vostro parere»

«Hooooo!! Fantastico!»


 

La situazione inizia seriamente a scocciarmi. Questa specie di fenomeno da baraccone mi sembra il peggior ciarlatano mai comparso sulla faccia della terra. Mi riesce difficile pensare che sia a capo di un'accademia militare.


 

«Se posso permettermi...» mi intrometto, timidamente. Vincent ha l'aria di essersi pentito di avermi portato, ma non ci faccio caso. «Sarà di certo utile esaminare la testa di Jenova, ma secondo me dovremmo anche pensare ai fatti. Forse, se avessimo a disposizione un piccolo esercito, potremmo risolvere la situazione con più semplicità»

«... esercito?» ripete Bugenhagen.

«Che diavolo stai blaterando?» biascica Vincent, coprendosi la bocca con una mano.

«Ma anche un esercito messo su così, senza troppe pretese» continuo io, accorgendomi di aver avanzato una richiesta un po' esagerata. «Qualche recluta dall'accademia per tendere un'imboscata ad Aerith»

«Accademia? Imboscata? Aerith?»

«Il mio compagno» si intromette Vincent, «ha le idee un po' confuse. Vi prego di scusarlo»

«Volete dirmi che un'accademia militare non dispone neanche di un piccolo esercito?» mi riscaldo io.


 

All'improvviso, mi rendo conto che c'è qualcosa di sbagliato in ciò che dico. Vincent alza gli occhi al cielo, le dita che tamburellano sul tavolo; Bugenhagen sembra sul punto di parlare, ma non sa da dove incominciare. Prendo la saggia decisione di non dire altro e di prestare orecchio alla delucidazione in arrivo.


 

«Ho Ho... Mio caro, lascia che ti spieghi qualche cosa sul luogo in cui ti trovi. Cosmo Canyon è un importante luogo di studio ricerca sul Pianeta. Come avrai notato, disponiamo anche di un osservatorio, un po' improvvisato ma efficace. Ogni anno arrivano qui frotte di giovani reclute che vogliono approfondire le loro conoscenze tramite la mia saggezza! Se non avessi l'aiuto di Hargo e Bugah, inizierei a non farcela più: i centoventinove anni iniziano a farsi sentire!»


 

La snervante risata da esaltato disturba i miei ragionamenti. Il mio viso si fa rosso di vergogna, rendendomi conto di aver preso un Ceasar. Chissà perché ero sicuro che Vincent mi avesse condotto qui per chiedere un aiuto bellico per gli scontri che ci aspettano. Nel sollievo di aver finalmente capito qualcosa, mi sento sprofondare per la delusione.


 

«Dunque... la Terra Promessa? Che cosa è realmente? Perché Aerith è così interessata?» domando, cercando di non farmi prendere dallo sconforto.

«La Terra Promessa... è la promessa di una felicità eterna; è il convergere della vita Cetra verso il Pianeta, il momento di riunione dell'Energia Spirituale con sé stessa. Questo è il poco che sappiamo sulla Terra Promessa»

«Una volta, Aerith mi disse che la Terra Promessa non era altro che l'aldilà della gente Cetra» commenta Vincent, interessato.

«Non è tanto diverso da ciò che ho detto io, se rifletti. I Cetra, al termine del loro lungo peregrinare, incontrano la Terra Promessa, nel loro ritorno al Pianeta» spiega il vecchio. «D'altronde, ciascuno può avere una diversa idea della Terra Promessa, a seconda della propria idea di felicità»


 

Vincent annuisce, sovrappensiero. Il suo sguardo vacuo posa sul piano in legno del tavolo.


 

«Per Aerith la terra promessa è una possibilità di raggiungere la sua stirpe» mormora, riflettendo.

«Per la ShinRa... la Terra Promessa è il Mako» aggiungo io, timidamente.

«Ho Hoooo! Vedo che avete afferrato il concetto!»

«Ma non sappiamo nient'altro! Dove si trova questo posto? Come si può raggiungere?» domando, agitandomi sulla botte.

«Mio caro... la Terra Promessa non è un luogo fisico! La Terra Promessa è una... un'idea che non esiste! O almeno, non esiste per noi. Solo i Cetra possono afferrarne l'essenza, al momento del riunione con il Pianeta»

«Il problema è che Aerith vuole raggiungerla ora. C'è qualcosa che non quadra nel suo piano.» insiste il mio compagno.

«Aerith dovrebbe avere normale accesso alla Terra Promessa, no? È una Cetra!» osservo io.

«Sì, ma solo al momento del ritorno al Pianeta. Non è che può andare e tornare come vuole» ribatte lui, sollevando lo sguardo al soffitto.

«Ma che vuol dire ritorno al Pianeta? Ritorno da dove?»


 

Gli occhi di Vincent si spalancano, esasperati. Bugenhagen agita le manine, come cercando di riprendere il controllo della situazione.


 

«Il ritorno dell'anima al Pianeta, mio giovane! La pace dei sensi! Il tornare ad essere parte di... Hoooo, come spiegare?»

«La morte» viene in mio aiuto Vincent, lapidario.

«Quindi l'anima degli Antichi ritorna al Pianeta, incontrando la Terra Promessa» concludo io.

«L'anima di ogni essere vivente, al termine del ciclo vitale, torna al Pianeta, si fonde con le altre allo scorrere del Lifestream» spiega Bugenhagen, continuando a volteggiare a mezz'aria. «In altre parole, un fiume di energia che alimenta il Pianeta, in cui le anime vagano. Ogni nuova vita, ogni bambino, viene portato al mondo dall'Energia Spirituale. Quando poi arriva il momento... la sua anima ritorna al Pianeta. Certo, ci son delle eccezioni, ma funziona così!»

«Questa Energia è ciò che rende possibile la vita; ciò che rende possibile il Pianeta stesso. Questo è ciò per cui io e Aerith volevamo combattere» prosegue Vincent.

«L'Energia che viene estratta con la forza dagli uomini... è Energia che viene sottratta alla vita del Pianeta, Ho!»

«Stiamo parlando del Mako e della ShinRa, no?» domando io.

«Esattamente! La ShinRa estrae dal pianeta l'Energia Vitale, per poi trasformarla in Energia Mako attraverso i reattori! Hooo! Tutte le anime, le vite, i non nati... vengono usati e distrutti dagli uomini stessi! L'Energia Mako distruggerà il mondo!»


 

Bugenhagen si interrompe per prendere un po' di fiato, lasciando alle nostre menti il tempo per elaborare le informazioni. Vincent poggia le braccia conserte sul tavolo, sospirando.


 

«Aerith diceva sempre che il chiasso della vita, della gente, dei reattori... non le permette di ascoltare le parole del Pianeta, lei che sola al mondo può ancora farlo. Ma spesso ne sentiva il lamento, il pianto. Questo la ossessionava, alimentando ancora l'odio nei confronti della ShinRa»

«Se la ShinRa dovesse continuare a utilizzare l'Energia Vitale... il Pianeta morirebbe» rifletto io. «Tutto questo è assurdo! Quante bugie, quante menzogne continuano a propinare agli uomini! Perché fanno tutto ciò? Bisogna fermarli al più presto! Il vero nemico non è Aerith, ma la ShinRa!»

«Non farti prendere dall'agitazione» mi rimprovera Vincent. «Aerith che vuole combattere contro la ShinRa e salvare il Pianeta... Aerith che vuole trovare Jenova... Aerith che vuole raggiungere la Terra Promessa... Lei ha sicuramente un piano ben preciso in mente, ma bisogna capire quale. È senza dubbio qualcosa di grande, di pericoloso»

«Pericoloso o no, il suo obiettivo non è tanto diverso dal nostro» faccio notare, aggrottando le sopracciglia. «Tutti noi vogliamo salvare il Pianeta»

«Ma allora perché ci dichiara guerra a questo modo?» obietta Vincent. «Io temo che ci sia qualcosa sotto, qualcosa che ci è sfuggito e che dobbiamo capire al più presto... La sua non è un'azione di salvataggio, ma di terrorismo. Che motivo ha avuto per assassinare il Presidente ShinRa, se non l'odio? Perché si serve degli altri come burattini? Forse tutti noi abbiamo come scopo la salvezza del Pianeta, ma chi può dire se la sua idea di salvezza coincide con la nostra? Per questo dobbiamo scoprire i suoi piani e, in caso ce ne fosse bisogno, fermarla prima che commetta qualcosa di pericoloso. Lifestream, Jenova, Pianeta... stiamo parlando di grandi misteri irrisolti dall'umanità, segreti che possono nascondere qualcosa di terribile. Non mi rassicura affatto l'idea che sia proprio lei a smascherare gli enigmi che dominano il mondo. Bugenhagen, potreste cortesemente offrirmi un bicchiere d'acqua?»

«Ma certo, che stolto! Non vi ho offerto da bere!»


 

Vincent si schiarisce la voce, mentre l'anziano porta alla luce da diversi angoli della capanna svariate bottiglie di ogni forma e dimensione, disponendole sul tavolo.


 

«Bile di Sahagin, Liquore di Drago, Essenza di Molboro... poi ho Rosso di Kalm, Bianco di Gongaga, Sakè di Wutai, Rum Costa del Sol. Hoooo, ma se preferite stare leggeri, possiamo andare sugli analcolici! Abbiamo Distillato di Mandragola, Succhi Gastrici, Spremuta di Banora; e per i più golosi, Fragoletere, Coda di Ananas, Bananelisir... Ora che ci penso potrei prepararvi anche un semplice Cosmofiamma, ma quello lo trovate anche giù alla taverna, offre la casa»

«Per me semplicemente un bicchiere d'acqua, grazie» conferma Vincent, strascicando la voce.

«Io invece gradirei uhm... Che cosa è esattamente questo Cosmo...?»


 

Bugenhagen versa un bicchiere d'acqua per Vincent e inizia a riporre le bottiglie, assaggiando di tanto in tanto un sorso di qualcuna, come per verificarne la qualità.


 

«Ho, Ho! La Cosmofiamma è l'eterno falò di Cosmo Cayon! Ogni abitante del villaggio, a turno, veglia per non farlo spegnere mai! Si rinnova solo alla morte del capo villaggio, dunque il più tardi possibile! È un simbolo importante per tutti noi, tant'è che gli hanno dedicato pure una bevanda. Provala, non te ne pentirai!» spiega il vecchio, iniziando già ad armeggiare con bollitore e barattoli vari.


 

La tazza bollente riscalda le mie mani, colma di un fumante liquido scuro. Al primo sorso riconosco subito la dolcezza del cioccolato, che si arricchisce, dopo qualche istante, del gusto pungente di spezie, tra le quali culmina il peperoncino, bruciante sorpresa, che chiude la gamma di sapori della bevanda. Di colpo, una vera e propria fiammata investe il mio palato e il mio viso, facendo lacrimare gli occhi.


 

«Forse sarebbe stato opportuno avvisarlo» commenta Vincent, scolando il suo terzo bicchiere. «Potreste dare un po' d'acqua anche a lui? Mi servirebbe tutto intero, stasera»


 

L'acqua è servita, l'incendio è domato, e la fumante tazza di Cosmofiamma è posata ad un lato del tavolo. Bugenhagen torna a galleggiare placidamente di fronte a noi, sorseggiando un liquido color verde.


 

«Dunque, non ci resta che continuare ad osservare le mosse di Aerith, per decidere il da farsi» conclude Vincent, ponendo fine alla breve pausa. «L'altra cosa di cui dovremmo occuparci è...»

«Scusami» lo interrompo io, tornando a riempire il bicchiere dalla caraffa. «Come sarebbe a dire continuare? Noi stiamo sprecando tempo con il mio allenamento, ma non abbiamo la minima idea di che cosa abbia in mente Aerith, in questo momento»

«Parla per te» ribatte l'altro. «Proprio in questi istanti dovrei ricevere un messaggio da... oh!»


 

Il breve squillo di un telefonino interrompe a metà la sua frase. Bugenhagen aggrotta le sopracciglia, guardandosi attorno con aria sospettosa, mentre Vincent cerca il cellulare sotto il mantello e controlla il messaggio ricevuto.


 

«Ho ho ho, ancora non mi sono abituato a questi... cosi! Bugah e Hargo vogliono convincermi ad acquistarne alcuni per il villaggio, ma, dico io, a che ci servirebbero?»

«Io me ne sono disfatto anni fa, e vi assicuro che non ne sento la mancanza» faccio io, scrollando le spalle.

«Perfetto» sillaba Vincent, continuando ad armeggiare con l'aggeggio per poi, con un sospiro, riporlo nella veste. «Temo che il tempo stringa, faremmo meglio a partire prima che il sole sia alto. La nostra presenza è richiesta a Junon»

«Junon?» ripeto io, confuso.

«Il nuovo Presidente ShinRa ha intenzione di deliziare il Pianeta con una bella parata di festeggiamento» spiega Vincent, con aria nervosa. «Immagino che il lutto per il suo defunto padre sia già terminato»

«E noi che dovremmo fare?» chiedo.

«Sembra che qualcuno abbia intenzione di rendere questa festa ancora più speciale. Sarà meglio andare a dare un'occhiata»

«Ma si può sapere chi è che ti spiffera tutte queste cose?»

«Non è affar tuo»


 

Bugenhagen ascolta pazientemente lo scambio di battute, in equilibrio sul suo globo luminoso, sino a che noi non ci alziamo per congedarci.


 

«Bugenhagen, riguardo all'altro problema...» mormora Vincent, incerto.

«Jenova? Hoooo, miei cari, sarei lieto di potervi aiutare!»

«Torneremo appena possibile» promette Vincent.

«Io son sempre qui, potete venire in qualsiasi momento!» esclama l'anziano, spalancando le braccia in segno di accoglienza.

«Stanotte... o al più tardi domattina» conferma il mio mentore. «Piuttosto, è un problema se lasciamo il villaggio evitando il controllo delle guardie? Abbiamo un po' di fretta»

«Assolutamente no, avviserò io della vostra partenza!» garantisce lo scienziato. «D'altronde, con il gruppo di giovani studiosi che arriverà oggi ci sarà talmente tanto caos che nessuno si ricorderà di voi! Tuttavia, quando tornerete, sarà meglio passare per l'ingresso principale, il villaggio è piccolo ed è facile spaventare la gente. Due uomini incappucciati che escono senza essere visti non sono un problema; mi preoccupa piuttosto il contrario! Hoooo!»

«Ma certo, come preferite» assicura l'altro, con un piccolo inchino del capo.

«Perfetto! Allora arrivederci, Vincent e... Giovanotto, come hai detto di chiamarti?» domanda Bugenhagen, grattandosi il capo lucente.


 

La domanda mi coglie alla sprovvista, trovandomi incapace di decidere che cosa rispondere. Cerco con lo sguardo l'aiuto di Vincent e lui subito parla al posto mio.


 

«Sephiroth. Il suo nome è Sephiroth» dice, tranquillamente. «Magari, se vi è possibile, non ripetete questo nome in pubblico. Sapete, con i tempi che corrono...»

«Ma certo, Ho! Arrivederci Seth... Senh... ehm... e Vincent!»

«Con questo qui non c'è proprio pericolo» mormora Vincent, a mezza voce. «A presto, Bugenhagen. Ancora mille grazie per tutto ciò che avete fatto per noi!»


 

«Esattamente, che cosa ha fatto per noi?» chiedo, mentre usciamo dalla capannuccia sotto i nostri mantelli neri. La pioggia si è fatta più intensa, e i tuoni rimbombano lungo il canyon.

«Non sottovalutare questo vecchio, può davvero aiutarci. Son sicuro che saprà darci un grande aiuto con Jenova e tutto il resto. Non hai seguito il discorso che ha fatto su Lifestream e Terra Promessa?» spiega Vincent, con il solito tono un po' scocciato, coprendosi la testa con il cappuccio.

«Beh, sì, era davvero interessante... però...»

«Aerith vuole combattere la ShinRa per salvare il Pianeta dall'incubo del Mako. Aerith vuole raggiungere a tutti i costi la Terra Promessa. Il tuo cervello non riesce ad unire queste due informazioni?»

«Quindi... Aerith cerca un aiuto da parte della Terra Promessa nella sua lotta contro la ShinRa?»

«È possibile. D'altronde, lei è l'unica al mondo a poterlo ancora fare. Tutto ciò può essere positivo o negativo, a seconda di quello che ha in mente. Non so se abbia idea della gravità della cosa, ma non credo che violare l'accesso alla Terra Promessa sia una cosa da nulla, anche se da parte di un Cetra. Potremo iniziare a capirci qualcosa quando sapremo di più su Jenova. Nel frattempo... è meglio sperare che Aerith non ne entri in possesso»


 

Una folata di vento fa rabbrividire il mio corpo, mentre ascolto il ragionamento del mio mentore. Ancora è tutto troppo confuso per capirci qualcosa, e non posso che affidarmi a lui.


 

«Dunque ora siamo diretti a Junon?» chiedo.

«Scherzi? Dimentichi l'allenamento. Abbiamo diverse ore a disposizione, la parata inizierà nel tardo pomeriggio»

«Bene. Andiamo, allora, ho l'impressione che stasera ci sarà da menar le mani»

«Speravo proprio che ci arrivassi da solo» confessa Vincent, sarcastico.


 

La mano dell'uomo afferra il mio braccio con presa salda, per trascinarmi sul soffiare del vento che ci conduce indietro nel nostro continente, a casa.


 

Nota dell'autore:

Ormai questo è l'angolo delle scuse ufficiali...! Ho in mente di trasformarlo in una vera e propria rubrica in cui elenco i motivi per cui posto un capitolo ogni tre mesi! Stavolta l'ho fatta davvero grossa, le mie peripezie mi hanno condotto addirittura in Cina. Ma eccomi qua, a farvi un augurio di buon 2013, al quale partecipa l'intero cast! In particolare: il povero Sephiroth, l'enigmatico Vincent, il buffo Bugenhagen, il folle Hojo, la sfortunata Gaiana, la piccola Eydìs, la simpaticissima Signora Knife, lo staff della ShinRa al completo (eccezion fatta per il Presidente, pace all'anima sua), e la dolce Aerith. Ebbene sì, pure lei.

Sperando di “ritrovarci” entro il 2014, vi ringrazio in anticipo per la lettura e per i commenti. La trama inizia ad infittirsi e ormai aggiornare la fiction non si limita più solo alla stesura del capitolo, ma anche ad una serie di lunghe ricerche nei meandri della Wikia di Final Fantasy. Senza di lei non saprei proprio come fare!

Ancora grazie e a presto.

Marcello

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Allenamento - Parte seconda: Cerberus ***


Capitolo XVII


 

«Ritengo possa essere utile fare un piano della situazione di stasera» annuncia Vincent, le braccia incrociate, il mantello leggermente sollevato dal vento.


 

Tornare a Kalm è stato un sollievo. Le nostre vesti zuppe asciugano sotto i deboli raggi del sole che fanno capolino tra leggere nuvole passeggere. Ho avuto giusto il tempo di mangiare un uovo di Chocobo fritto, in silenzio, mentre Vincent camminava su e giù per la casetta, impegnato in riflessioni delle quali non ha voluto rendermi partecipe. Infine, siamo saliti qui sopra, sul cucuzzolo dei monti, le armi sfoderate.


 

«Son tutto orecchi»

«Negli ultimi giorni, son state registrate insolite presenze nella città di Junon. A quanto pare, una delegazione degli spettri di Aerith ha intenzione di prendere parte alla parata del nuovo presidente, Rufus ShinRa. Per quanto un po' di scompiglio ad una cerimonia ufficiale della ShinRa sia da parte nostra più che auspicabile, sarebbe forse il caso di andare a dare un'occhiata, nel caso la situazione dovesse sfuggire di mano» spiega Vincent, mantenendo la calma.

«Questo è il terrorismo di cui si parlava stamattina» commento io, preoccupato.

«È proprio qui che ti sbagli. Immagino che tu, in una situazione del genere, ti saresti fiondato a Junon senza pensarci due volte» mi contraddice.

«No, però... beh, scusa, non è esattamente quello che stiamo facendo?»

«Non esattamente. Ci preoccuperemo di nascondere le nostre tracce da questo luogo e di portare via la testa di Jenova con noi, perché, mentre gli spettri faranno trambusto alla parata, Aerith verrà qui a farci visita»

«Come, scusa?» faccio io, spiazzato.

«Hai sentito perfettamente. Lei sa che una parte del corpo di Jenova si trova qui»

«Ma scusa, com'è che tu sai tutto questo? Le hai rubato l'agenda?»

«Non dimenticare che ho lavorato nei Turks. Ho i miei contatti più o meno fidati» spiega l'uomo in rosso, con tono sprezzante.

«Quindi noi che cosa dovremmo fare?» domando, turbato.

«Tu devi semplicemente seguire le mie indicazioni, il resto è nelle mie mani» sentenzia, con voce glaciale.


 

La mia presa su Masamune si fa più nervosa. Il suo modo di fare comincia a stufarmi. Non sono certo abituato a stare sotto il comando di qualcuno. Ero io a comandare, là alla ShinRa.


 

«Vincent, sto iniziando a stancarmi» protesto, senza riuscire a trattenermi. «Il fatto che mi stia aiutando negli allenamenti, non significa che io sia un ragazzino. Ti ricordo che un tempo ero un valido generale, la ShinRa vinse la guerra contro Wutai grazie a me»

«Tutto ciò che riguarda il tuo passato con la ShinRa qui non ci interessa. Ho intenzione di farti diventare un guerriero diverso da quello che eri prima» ribatte pazientemente il mio mentore.

«Se però, di tanto in tanto, condividessi qualche tuo piano con me, magari potremmo avere più speranze contro Aerith» insisto io. «In questo momento la mia forza non è al massimo, ma la strategia può essere ancora il mio forte. Alla ShinRa ho avuto ottimi maestri...»

«Mi pare ti sfugga un elemento fondamentale del mio discorso» sillaba Vincent, con tono vagamente scocciato. «Durante i nostri allenamenti, non voglio sentire neanche nominare la ShinRa. Non si parla né di strategia, né di Wutai. Oggi imparerai ciò che può renderti un combattente vero, piuttosto che lo squallido concetto di macchina da guerra che tuo padre aveva ideato per te»

«Come hai detto?»


 

Una sensazione di gelo stringe il mio petto, non appena le ultime parole giungono alle mie orecchie. Vincent scuote la testa con fare indifferente, ma il suo sguardo schivo lo tradisce, vagando sul terreno erboso.


 

«Era una semplice considerazione. Direi che possiamo dare inizio al combattimento, ricorda che puoi usare le Materia, ma ti prego di fare attenzione, in ricordo dell'ultima...»

«Vincent» lo interrompo io, muovendo un passo verso di lui. «Che cosa sai di mio padre?»

«Ti ricordo che il tempo stringe e noi abbiamo una missione. Junon...»

«Non mi interessa nulla di Junon! Rispondi alla mia domanda!»


 

Vincent inarca le sopracciglia. Forse non si aspettava una reazione tanto impulsiva da parte mia. O forse sì? Il disegno delle sue labbra si piega in un sorrisetto compiaciuto, mentre la mia mente viaggia veloce, febbrile.


 

«Che cosa voleva mio padre per me? Perché macchina da guerra? Vincent, parla!»

«Controllati, Sephiroth, non vorrai far degenerare la situazione» suggerisce l'uomo.


 

Il metallo di Masamune vibra sonoramente, incontrando quello di Cerberus. L'espressione di Vincent si mantiene composta, di fronte al digrignare dei miei denti, il suo volto ad un pelo dal mio.


 

«Chi è mio padre? Chi è Lucrecia?» sibilo, ancorandomi all'ultimo barlume di lucidità che mi rimane per non lasciarmi travolgere dall'ondata d'ira. «Tu sai, esattamente come Hojo, e mi prendi in giro anche tu!»


 

Con un impeto del braccio, Vincent si libera dalla mia minaccia e spara un colpo sopra la mia spalla destra, in segno di ammonimento.


 

«Quel nome non deve essere pronunciato al mio cospetto» sillaba, sollevando il revolver fumante. «Vai a tediare qualcun altro, con le tue domande»


 

Con un ruggito di rabbia, mi avvento una seconda volta su di lui, lasciando saettare la lama della mia katana in un tondo contro il suo fianco. Vincent si sottrae all'offensiva, con un balzo all'indietro, e la sua Cerberus scaglia un potente getto d'acqua che si cristallizza ai miei piedi, innalzando una spessa barriera di ghiaccio a separarci. La distorta sagoma di Vincent si ricompone.


 

«Non avrei potuto sperare in un migliore inizio per questo allenamento. Il tuo obiettivo è quello di riuscire a sparare un proiettile di Cerberus, che dovrai ovviamente conquistare con le tue forze. Non risparmiare colpi, perché neanche io lo farò. Detto questo, cerca di guadagnarti al meglio le informazioni che mi chiedi, perché non ho intenzione di regalarti nulla»


 

Masamune frantuma le lastre di ghiaccio, permettendo al mio sguardo tempestoso di incontrare quello beffardo di Vincent. Ad un gesto della sua mano, il ghiaccio si scioglie in una cascata, e io scivolo sulla roccia, inzuppandomi. La sagoma del mio avversario viene avvolta dal mantello rosso, inghiottita con un lampo scarlatto. Mi volto, incespicando nel tentativo di rimettermi in piedi, e scorgo Vincent a qualche metro di distanza, il revolver puntato verso di me.


 

«Sei già a terra. Come pretendi che ti tratti da compagno, se ti comporti come il peggiore degli allievi?»


 

Con un ringhio, salto in piedi e impugno nella mano destra la Materia del fuoco, scatenando intorno a noi una violenta tempesta di fiamme. L'atmosfera si tinge di un bagliore rovente, mentre mi lancio all'assalto verso l'uomo in rosso, la lama tesa a nutrirsi della potenza delle vampate. L'altro spara diversi colpi in risposta, alimentando delle forti esplosioni che scuotono il suolo sotto i miei piedi. Mi fermo, con il cuore che batte all'impazzata. Sono perso tra le lingue di fuoco, non riesco più a scorgere Vincent. Cerco di tenere a bada l'ansia e scuoto la Materia stretta nel pugno.


 

Va' via, porco Pianeta!


 

Le fiamme si dissolvono in fumo nero, che come un pesante sipario si solleva sul placido paesaggio che avevo scordato di avere attorno. Il vento si è calmato così come ogni altro rumore, salvo un lieve fruscio alle mie spalle.

Mi volto d'istinto, sferrando un calcio alto, e il mio stivale colpisce l'addome di Vincent, che perde l'equilibrio e cade sulla roccia. Lo fisso, ansimante, e lui si rialza, illeso ma incredulo.


 

«Non abbiamo escluso il corpo a corpo, no?» ringhio, soddisfatto.

«No, certo»


 

Un balzo e mi è addosso, mi afferra per il maglione della divisa e mi scaraventa lontano, facendomi rotolare sino al ciglio del precipizio. Con un colpo al cuore mi accorgo di aver perso la presa di Masamune. Mi isso velocemente sulle braccia. Vincent avanza verso la mia katana, abbandonata a pochi passi da me, e io striscio velocemente in avanti, afferrandone la lama con la destra. Con un gemito, la tiro verso di me e la impugno tra le mani insanguinate, mettendomi sulle ginocchia. Poi salto in piedi, con immane sforzo, e posiziono Masamune in orizzontale, a difendermi. Qualche metro più in là, la mia Materia rotola giù dallo strapiombo, annunciando con cristallini rintocchi ogni suo rimbalzo sulla pietra.


 

Cazzo!


 

«Per cosa combatti, Sephiroth? Per conquistare Cerberus? Per ferirmi? Per non farti ferire? O per conoscere la verità?» domanda Vincent, infuriato. «Credi che Aerith sia più forte di te? Come potrai affrontarla, allora?»

«Aerith non c'entra proprio nulla!» sputo io, tremante. «Ti ridurrò in ginocchio, Vincent, e mi dirai tutto ciò che voglio sapere prima ancora che te lo chieda!»


 

Mi scaglio contro di lui e Masamune gli strappa uno schizzo di sangue, facendolo indietreggiare. La sua mano sinistra corre alla spalla opposta, scoperta da uno squarcio del mantello. Il suo viso si contrae in ira e i suoi occhi rossi lampeggiano. L'ho messo in difficoltà.


 

«Ti consiglio di andare dietro alla tua Materia...» ringhia, sollevando lentamente il revolver.

«Che cosa?» faccio, indietreggiando appena.

«... se non vuoi che ti ci spedisca io»


 

Il braccio destro di Vincent si abbassa di scatto e balzo all'indietro, spaventato dal fragore del triplo sparo. Il seguente colpo mi costringe a scartare di lato e un ultimo ad inginocchiarmi alla svelta.


 

«Certo che non vale così!» esclamo. «Non combattiamo ad armi pari!»

«Non mi sembra di aver mai parlato di parità tra noi due»


 

Il mio avversario mi balza contro, il mantello che sferza violentemente l'aria, e io indietreggio ancora, ma il terreno manca sotto i miei piedi. Lo scorrere dei secondi si ferma, lacerato da una forte fitta al mio cuore, poi la mia schiena incontra la dura pietra. Per qualche momento, le mie urla devono aver viaggiato per l'intero continente.

Tra le lacrime intravedo la sagoma di Vincent che si sporge dal ciglio, pochi metri più in alto di me. Asciugo i miei occhi con il polso, giusto in tempo per distinguere i contorni del revolver ancora puntato verso di me.


 

«No! Per... favore!»

«Tre... due... uno...»


 

Le tre pallottole sgusciano fuori dalle canne come al rallentatore, roteano nell'aria e si discostano l'una dalle altre, formando un grande triangolo che sfreccia infine contro di me, colpendo il pavimento roccioso.

Non capisco. Ascolto il lieve fruscio del vento, ansimando e guardandomi attorno. Ad ogni movimento della schiena, ricordo l'esistenza di ogni singola vertebra, ognuna delle quali cerca di avere la mia attenzione, supplicando pietà. Vincent è ancora là, aspettando non so bene che cosa.


 

«Che diamine...?»


 

Un rombare sommesso giunge al mio udito, accompagnato da un lieve tremore del terreno sotto di me. Vincent armeggia con Cerberus ed estrae da essa una Materia verde, brillante, per riporla sotto il mantello. Infine ricarica di proiettili il tamburo della pistola.

Un improvviso sobbalzo della roccia mi fa rotolare di lato, e sfrutto il movimento per rimettermi in piedi sul sentiero in discesa. L'equilibrio dura poco, perché una nuova scossa proveniente dalla direzione opposta mi rispedisce in ginocchio. Levo uno sguardo fulminante verso Vincent, che si gode lo spettacolo, e mi guardo attorno. Profonde crepe incidono la montagna. Mi alzo, stringo Masamune e pianto la katana sul fianco roccioso della montagna. La mia mano destra, ancora dolorante, corre alla cintura, alla ricerca di Materie.

Vincent esamina con aria annoiata la ferita alla spalla.


 

«Come hai intenzione di uscirne? Hai già praticato l'alpinismo?»

«E tu?» gli ringhio contro, sfiorando con le dita guantate la Materia dell'aria e cercando allo stesso tempo di restare in equilibrio.

«Io posso controllare il terremoto a mio piacimento»


 

Il terreno sotto di me si frantuma, sgretolandosi in pietruzze che rotolano giù lungo il pendio. La mia caduta viene arrestata subito, da un soffice cuscino d'aria sollevatosi a sostenermi. Cerco di distendere la schiena dolorante, mentre galleggio sul precipizio. Sollevo lo sguardo verso un Vincent piuttosto stupito.


 

«E così adesso voliamo?»

«A quanto pare» rispondo, compiaciuto.

«Bastava dirlo prima»


 

L'uomo si inginocchia e scatta in alto, a diversi metri da me. Punto le gambe contro il fianco della montagna ed estraggo Masamune, con una capriola a mezz'aria. Poi una corrente ascendente mi porta all'altezza di Vincent. È una strana sensazione, ma mi abituo velocemente. L'avevo già fatto, la prima volta che incontrai Aerith.

Vincent solleva la pistola, ma con uno scintillare di Masamune quella viene costretta verso l'alto, spingendo via il mio avversario. Stringo entrambe le mani attorno all'elsa e la katana sfreccia verso il basso, incontrando una resistenza metallica nel braccio sinistro di Vincent.

Sgrano gli occhi, sorpreso. Masamune preme contro una sottile lama che corre lungo l'avambraccio dell'uomo. Gli rivolgo un'occhiata perplessa, e lui con un movimento rotatorio della spalla mi rispedisce in dietro, lasciando scivolare le due lame l'una contro l'altra.


 

«L'organizzazione è alla base di ogni vittoria»

«Smettila di blaterare» intimo, galleggiando a mezz'aria.

«Come vuoi»


 

Nel momento in cui il mio udito percepisce il rumore dello sparo, la pallottola raggiunge il mio petto. Il sostegno sotto i miei piedi cede, per poi riacciuffarmi qualche metro più in basso. Infine cado sulla roccia, ancora una volta. La sorpresa è più forte del dolore. Sento il rimbombare del cuore sino alla testa.


 

«Tu mi hai sparato!» esclamo, furente, portando la mano al petto.

«Idiota, non hai neanche perso sangue» ribatte Vincent, discendendo verso di me. «Son proiettili speciali, vengono direttamente assorbiti dall'organismo. Son quelli utilizzati dalla ShinRa per sparare sulle folle, dovresti conoscerli. Fai attenzione a non prenderne troppi, però, o potresti farti male sul serio»

«Questa invece è autentica!»


 

Dalla mia posizione sferro un roverso, lacerando la cintura di Vincent. Salto in piedi e lo afferro per il mantello, ma lui risponde con un pugno foderato di cuoio sul mio viso. Barcollo di lato e cado sulle ginocchia. Ne approfitto per afferrare la cinta abbandonata di Vincent e pescare una delle Materie. Dal suolo roccioso spuntano quattro liane che sfrecciano contro il mio avversario, attorcigliando le sue gambe e braccia.


 

«Bella trovata» commenta, puntandomi contro Cerberus con una torsione del braccio. «Ma come al solito non usi il cervello»


 

Il revolver spara contro la Materia della terra, che schizza via dalle mie mani e rotola giù dalla montagna.


 

«Spero che tu abbia una bella scorta di queste, perché le stiamo perdendo tutte!»


 

Mi sposto di lato e uso la Materia curativa, rigenerando le energie perdute. Vincent spara ancora qualche colpo, ma Masamune si frappone quasi automaticamente per difendermi. Poi sfreccio verso di lui, sollevandomi da terra, e con un calcio gli strappo via di mano il revolver, che rotea nell'aria, lontano.

Nei pochi istanti in cui vedo la pistola scomparire dal mio raggio visivo, mi rendo conto dell'idiozia che ho appena prodotto.


 

«Stolto!»


 

Con uno strattone, Vincent strappa via i lacci che lo legano e si lancia all'inseguimento dietro di me. Cerberus rotola giù, lanciando delle metalliche grida di dolore, e Vincent mi raggiunge, balzando di roccia in roccia. Mi avvento contro di lui ed entrambi ruzzoliamo verso il basso, malmenandoci a vicenda.


 

«Lasciami andare, idiota!» sibila il mio mentore, rifilandomi un pugno, e così anche Masamune sfugge dalle mie mani, seguendo il destino del revolver.

«Che Jenova ti fulmini!» replico, tirandogli un calcio.


 

Vincent si libera dal guazzabuglio e spicca il volo, sfrecciando a velocità folle, e io lo seguo a ruota, sfruttando la fidata Materia dell'aria. Il vento sferza il mio viso, mozzandomi il respiro, e tutto attorno a me sembra nient'altro che un vortice di colori. La roccia della montagna, l'azzurrino del cielo e infine il verde degli alberi che costeggiano la base della catena. Vincent atterra sull'erba, in ginocchio, e io a fianco a lui. Cerberus e Masamune giacciono pochi metri più avanti, ai piedi di un grasso Sahagin, che zampetta amenamente avanti e indietro, come indeciso su cosa farne. I cinguettii, gracidii, gorgheggi, grugniti, ringhi che giungono da ogni direzione testimoniano la natura del luogo in cui ci siamo addentrati.


 

«Ma guarda un po' chi abbiamo qua» commenta Vincent, con voce svogliata. «E sembra che la famiglia al completo lo stia raggiungendo»


 

Effettivamente, da dietro gli alberi giungono quatti quatti altri Sahagin, che si guardano attorno con circospezione e agitano i tridenti, lanciando qualche inclassificabile verso eccitato. Scaglio una magia di ghiaccio contro il più grosso della tribù, che prende a saltellare ed emettere strilli assordanti, aizzando i suoi simili a fare altrettanto, così da sembrare una banda di dementi. Qualcuno si rannicchia, cercando di nascondersi nel piccolo guscio. Corro verso Cerberus e la raccolgo, puntandola verso l'alto, e infine premo il grilletto.


 

Lo sparo è una sensazione totalmente nuova, mai provata prima. È una cannonata, un'esplosione mozzafiato, una violenta pressione che mi scuote e che mi costringe ad indietreggiare. Il boato manda in panico la famigliola, costringendola alla fuga tra i rovi, così come l'intero regno animale della foresta, con un frastuono bestiale che rimbomba ovunque, allontanandosi pian piano.

Mi volto di scatto e punto il revolver contro Vincent.


 

«Stai ancora tremando» commenta, avvicinandosi e strappandomi la pistola di mano. «Immagino che tu abbia già avuto modo di usare delle armi da fuoco, alla ShinRa»


 

Lo seguo con lo sguardo, mentre con un ampio volteggio del mantello mi dà le spalle e muove qualche passo in direzione della montagna.


 

«Sì, ma...»

«Cerberus è speciale, questo è fuori discussione. Sei riuscito a sparare un colpo, molto bene. Si stava facendo tardi, quindi ho deciso di lasciartelo fare. Adesso è ora di andare»

«Un momento!» protesto, infuriato. «Noi abbiamo un discorso da terminare!»

«Non fare lo sciocco, il tempo stringe. Raccogli la tua spada e andiamo»


 

Una folata di vento particolarmente impetuosa scuote le foglie degli alberi e dei cespugli. Vincent ruota appena il busto, per rivolgermi uno sguardo fermo.


 

«Perché?» chiedo piano, cercando di soffocare l'ira.

«Seguimi» intima Vincent, con un tono che non ammette repliche. «Dobbiamo preparare la nostra spedizione. Tu ti occuperai di pozioni e medicinali. Io mi occuperò di Jenova. Dovremo pensare ad un camuffamento più convincente di quello di stamattina, a Junon avremo a che fare con la ShinRa. Infine, allestiremo una sorpresa speciale per la nostra Aerith, facendole trovare null'altro che natura incontaminata nel raggio di chilometri»


 

Abbasso lo sguardo e cerco di impormi una fredda calma, ascoltando appena i passi felpati degli stivali di Vincent sull'erba. In questo momento non mi interessa nulla né di Aerith, né della natura incontaminata, né di camuffamenti, né di Junon. La parola padre risuona ancora nelle mie orecchie, mentre Vincent si allontana.


 

«Stasera, quando saremo più tranquilli, avremo modo di parlare un po' di ciò che preferisci» promette la sua voce, sempre più distante. «Questo è il momento di combattere»


 

Il silenzio della montagna torna grave a dar voce ai miei pensieri, mentre mi chino a raccogliere Masamune e la stringo forte, cercando di trarne il coraggio di cui ho bisogno per procedere.


 

Nota dell'autore:

Buongiorno a tutti! Benvenuti a ciò che diventa ormai la rubrica più gettonata dell'anno 2013: “I settecento motivi per cui non ho aggiornato prima”! Non li esaminerò uno ad uno, perché ciò richiederebbe più spazio del capitolo stesso.

Bando alle ciance. Insomma, sì, mi viene la nausea solo a pensare al fatto che non ho aggiornato per OTTO mesi. Chiedo umilmente perdono, ma finalmente in questo momento la mia vita sta tornando ad essere abbastanza stabile! Speriamo anche la mia vena artistica (?).

Saluti a tutti e... commentate, commentate, commentate! ;D


 

Marcello

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Junon ***


Buongiorno a tutti!
L'ultimo capitolo di questa fiction è stato postato quasi due anni fa. Dedichiamo tutti assieme un minuto di silenzio in onore della vergogna dell'autore, che dopo aver scritto questo messaggio andrà a scavare una buca profonda per sotterrarsi!
Per chi di voi sarà così carino da continuare la lettura nonostante questo lungo periodo di On Hiatus ho realizzato un semplice ma efficace "Riassunto delle Puntate Precedenti". Perché temo che in ventidue mesi gran parte della trama sia stata dimenticata (perlomeno, io al vostro posto l'avrei dimenticata).
 

Dopo cinque anni di ritiro forzato, Sephiroth si sottopone ad un duro allenamento sotto la guida del suo improvvisato mentore Vincent Valentine, per prepararsi ai duri scontri che lo attendono. Il loro nemico comune è Aerith, una perfida fanciulla che complotta alle spalle dell'inconsapevole Pianeta.

Dopo aver visitato Cosmo Canyon per chiedere l'aiuto di Bugenhagen, i nostri due eroi partono alla volta di Junon, dove si terrà la grande parata per celebrare il nuovo presidente ShinRa. Vincent avrebbe infatti ricevuto una misteriosa soffiata a proposito dei piani di Aerith, che avrebbe il duplice scopo di sabotare la parata e di attaccare la base segreta di Vincent.

Purtroppo le trame di Aerith e dei suoi spiriti (in grado di prendere le sembianze altrui) sono molto meno semplici del previsto, e il nostro Sephiroth si ritrova spesso in balia degli eventi, con tante domande irrisolte ad affollare la sua mente. Perché Aerith è alla ricerca del corpo di Jenova? Perché aspira alla Terra Promessa? Quale mistero si cela dietro l'enigmatica figura del padre di Sephiroth?

 

E dopo questo riassunto da quattro soldi vi risparmio almeno la sigla di Cristina D'Avena. Passiamo direttamente al capitolo, che è meglio.




Capitolo XVIII


 

L'echeggiare lontano della pomposa fanfara accompagna il nostro ingresso nel villaggio di Junon, assorto in una densa penombra. Nel momento in cui raggiungiamo la nostra meta, il sole dovrebbe essere ancora alto nel cielo, ma la massiccia parete metallica che segna il confine tra la ricca città e il povero abitato rende impossibile la verifica.

Non è certo la prima volta che passo di qui, ma quello che ricordavo come un tranquillo villaggio di pescatori ora è sovrastato, centinaia di metri più in alto, dalla pista aerea della città, che getta un'ombra malinconica sulle poche case e sulla spiaggia. La stradina è illuminata flebilmente dal bagliore che fa capolino dalle finestre delle abitazioni.


 

I preparativi per la partenza sono stati frenetici, una corsa contro l'avanzare del sole nel suo tragitto quotidiano. Ho messo assieme una scorta di pozioni e antidoti dalla collezione di Vincent, mentre lui passava in rassegna alle diverse possibilità di travestimenti offerte dal suo guardaroba, giungendo ad una scelta della quale non posso che rammaricarmi. Cerberus e Masamune hanno trovato spazio tra le pieghe del mantello rosso di Vincent, un accessorio che sembra nascondere più poteri di quanti immaginassi. Abbiamo infine stipato i medicinali, alcune Materia ed un semplice equipaggiamento da battaglia in una spaziosa borsa a tracolla, assieme al terribile scrigno contenente la terribile testa di Jenova.


 

«Sai, non è che mi senta tanto sicuro ad andarmene in giro con questa roba addosso» ho borbottato, chiudendo i lacci della borsa e soppesandola per verificare la tenuta della tracolla.

«È più al sicuro qui con noi, piuttosto che in questa vulnerabile casa. Una volta terminata la nostra piccola missione torneremo da Bugenhagen per consegnarla» spiega pazientemente Vincent, sistemandosi la parrucca davanti allo specchio del piccolo bagno.

Questa gita a Junon ha tutte le premesse per diventare un incubo, e la presenza di Jenova tra noi non è certo di buon auspicio. Tuttavia, Vincent sembrava sicuro di sé quando ha sollevato un lembo del suo mantello rosso, nascosto sotto un secondo mantello nero, per invitarmi a teletrasportarmi con lui dall'altra parte del continente. Sembra essersi addolcito nei miei confronti. Ripensa probabilmente alla promessa fatta nel pomeriggio. Stasera avrò finalmente qualche informazione di più sul mio passato.


 

I nostri pesanti passi sul sentiero lastricato vengono spudoratamente ignorati dall'esigua popolazione che si affaccenda per il villaggio, in preda alla fibrillazione. La porta della casa più vicina si spalanca, sotto l'impeto di un'anziana signora che, totalmente incurante della sicurezza del domicilio, solleva i lembi della gonna e si affretta a raggiungere un gruppetto di persone di età media piuttosto avanzata, pochi metri più in là.


 

«Vincent, siamo ancora in tempo» sussurro, arrestandomi e trattenendo il mio compagno. «Se aggiriamo la casa a sinistra attraverso il giardinetto ed evitiamo quelle persone...»

«Smettila di lamentarti. Andiamo a chiedere informazioni» mi zittisce lui, liberando il braccio dalla mia presa.

«Ti ricordo che non siamo a Wall Market.»

«E io ti ricordo che devi fare un po' di silenzio. Salve, buonuomo!»


 

Troppo tardi. Il vecchio, chiamato in causa, si volta verso di noi e trasalisce, saltando su dalla cassa di legno su cui sedeva. Si sfila gli occhiali, tenendo la pipa tra i denti, e li pulisce con un lembo della camicia di flanella. Ad una seconda occhiata verso di noi trasalisce nuovamente, piombando di nuovo a sedere. Vincent sfodera un inquietante sorriso e si avvicina a lui, scostandosi dal viso una ciocca di capelli rosso fuoco.


 

«Buonuomo, saprebbe per caso indicarci una via per raggiungere la città alta?» chiede Vincent, con un cinguettio che mai avrei pensato di sentir provenire dalle sue corde vocali.


 

Il vecchio prende a fumare nervosamente, guardandosi attorno e balbettando alcune sillabe incomprensibili. Il rumoroso gruppo di abitanti riunito fuori dalle case si accorge della nostra presenza e decide di venire in aiuto del loro compaesano. In tutto ciò, preferisco restare in disparte, tentando inutilmente di passare inosservato. Gli sguardi degli astanti saettano dalle nostre vesti nere alla mia parrucca rosa, dagli occhi di Vincent alla mia borsa, piena sino a quasi scoppiare.


 

«Salve! Buongiorno a lei, signora!» saluta Vincent, con voce calda. «Ci chiedevamo se potreste cortesemente aiutarci. Ve ne saremmo davvero grati»

«Da dove... chi...?» balbetta il vecchio.

«O piuttosto che cosa...?» aggiunge un giovane, trattenendo un sorrisetto di scherno.

«Veniamo da molto lontano, apposta per assistere alla parata» spiega Vincent. «Non vorremmo perdercela per nulla al mondo! Ma mi pare che sia già iniziata, o sbaglio? Dobbiamo assolutamente trovare un modo per salire il più in fretta possibile!»

«Stai fresco!»

«Prego?» mormora il mio compagno, abbandonando il falsetto.


 

La piccola folla inizia ad agitarsi e diverse persone si battono la mano sulla fronte, ricordando immancabili impegni verso i quali decidono di correre. Alcune mamme allontanano i bambini, trascinandoli via con fermezza, ma due ragazze si fanno avanti, osservandoci con interesse. Una delle due, adornata di bracciali multicolori sino al gomito, smette di bisbigliare per rispondere a Vincent.


 

«Ad avercelo, un modo per salire! Perché ti credi che siamo ancora qui?» borbotta, agitando le mani.

«Il soldato all'ascensore vuole mille Gil per farci passare! Non ci arriviamo nemmeno in due!» aggiunge l'altra, stretta nel suo pigiama di pile.

«Mille Gil?» mi intrometto io. «Mi pare di...»

«Ma che peccato, non abbiamo contanti con noi, sennò vi avremmo senz'altro aiutate» sospira Vincent, allargando le braccia.

«Ma non siete mica i primi strambi ad arrivare qui! C'erano dei tipi prima, al villaggio» disse, la ragazza in pigiama.

«E che tipi!» esclama, la compare.

«Che tipi?» chiedo io, avvicinandomi cautamente. In reazione al mio gesto, il gruppo si sfoltisce ulteriormente, lasciando sole le due ragazze con il vecchio, forse paralizzato.

«Un figo pazzesco, biondo e con una spada così» descrive la tipa dei bracciali, illuminandosi.

«Un tipo nero, gigante, con una mitragliatrice al posto del braccio» elenca l'amica.

«Una tettona coi capelli scuri, che fa sicuramente il filo al biondo.»

«Una ragazzina rompicoglioni che ha messo a soqquadro la mia casa, mentre ero fuori a comprare il pesce.»

«Un cane un po' strambo.»

«Una graziosa fioraia» aggiunge il vecchio, con sguardo rapito. «Con una lunga treccia, delle piccole manine bianche, due dolci occhi color Materia. Si chiama...»

«Aerith» mormoriamo io e Vincent, scambiandoci un'occhiata.

«Si chiama... com'è che si chiamava?»


 

Il vecchio rimane sovrappensiero, la pipa che fuma a vuoto. Le due ragazze continuano a fissarci con insistenza. Vincent schiarisce la voce, lo sguardo smarrito nella riflessione. Un pomposo accordo di ottoni, condito da fragore di piatti e grancassa, risuona nell'aria, risvegliando un po' tutti.


 

«Beh, noi andiamo di là a parlare col tipo dell'ascensore» cinguetta la ragazza in pigiama.

«Vi ringraziamo per l'aiuto prezioso» sorride Vincent, con un lieve inchino.

«E di che» risponde, scuotendo la testa. «Se avete ancora bisogno noi siamo a vostra disposizione, ragazz... ragazze ehm... raga... Beh, a più tardi»


 

Le due si allontanano, ancheggiando e ridacchiando istericamente, scambiando qualche battuta con la gente che ciondola per la strada. Il vecchio è ammutolito.


 

«Caro buonuomo» riprende Vincent, avvicinandosi di un passo al povero vecchio. «Lei ha proprio l'aria di non lasciarsi sfuggire nulla, di quello che accade qui, lei è un grande osservatore. Dico bene?»

«Beh... Sono piuttosto attento, sì. Un tempo passavo tutto il giorno a pescare, ma ora i pesci sono immangiabili, con tutte le schifezze che quelli là gettano in mare. Non ho altro da fare che starmene qui seduto.»

«Dunque, questa graziosa fioraia. Ha per caso palesato i suoi progetti per la serata?» interroga Vincent, inclinando la testa e ingrossando la voce.

«Co... come?»

«Le ha detto dove andava?» taglia corto Vincent.

«Oh, no. No» risponde il vecchio, senza nascondere un'aria sconsolata. «È stato il ragazzone biondo a parlare con me. Hanno salvato la piccola Priscilla, giù alla spiaggia, poi... Un momento. Se mi posso permettere... perché chiedete della signorina?»


 

Subito l'uomo impallidisce, come pentito della domanda. Sembra aver perso di nuovo la parola. Animato dalla stessa ansia, lancio un'occhiata in fondo alla strada, dove le due ragazze discutono animatamente con il Soldato ShinRa. Vincent si affretta a rispondere, assumendo un tono di voce più basso e agitato.


 

«Lei non sa... lei non può sapere quanto ci costi parlarne. Ma oggi è un giorno speciale, un giorno benedetto dal Pianeta. Oggi potremo finalmente riabbracciare la nostra sorella Aerith, che cerchiamo da tempo, e non dovremo più evitare di parlarne per paura di... di piangere.»


 

Vincent tira su col naso rumorosamente e scuote il capo. La scena potrebbe quasi essere davvero commovente, se Vincent non fosse un pessimo attore drammatico. Il vecchio tuttavia è colpito da questa manifestazione di sofferenza, ed annuisce con aria rassegnata.


 

«Ehm... fatti coraggio, fratello» mormoro, incerto, avvicinandomi a Vincent e rifilandogli delle violente pacche sulla spalla. «Se tutto va bene, oggi... insomma, quello che hai detto tu.»

«Non so proprio come aiutarvi» riflette l'uomo, alzando le spalle. «Loro cercavano un modo per salire, ma non so altro.»

«Ha già fatto tanto per noi, buonuomo» lo rassicura il mio compagno, asciugandosi gli occhi lucidi. «Adesso riposi un po', ne ha senz'altro bisogno... Dorma pure, se lo desidera. Avanti, dorma»


 

Di colpo, gli occhi del vecchio si chiudono, e le sue braccia scivolano sulle sue ginocchia. Vincent sospira e si volta verso di me.


 

«Ho incastrato qualche Materia sulla cintura, durante queste missioni non si sa ma che cosa può succedere» spiega, guardandosi attorno.

«Sei pessimo» commento, sollevando le sopracciglia.

«Un riposino gli farà bene, tra una mezz'ora sarà già sveglio. Noi faremmo meglio ad occuparci dei nostri affari, piuttosto.»

«Sappiamo già che Aerith è qui» ragiono, abbassando la voce. «A meno che non si tratti di FalsAerith.»

«Così pare. Dovremo fare in modo di trovarla e tenerla d'occhio» riflette lui, mordendosi il labbro inferiore.

«Se però è accompagnata da quegli altri, credo proprio sia FalsAerith» aggiungo. «Potrebbero essere quelli dell'Avalanche che hanno fatto irruzione alla ShinRa pochi giorni fa.»

«Lo sapremo solo una volta che saremo saliti lassù, ma dobbiamo trovare un modo. Vorrei evitare di usare il mantello per teletrasportarci» bisbiglia. «Potremmo ritrovarci proprio davanti a dei Soldier ShinRa, o peggio delle telecamere. Siamo fin troppo vistosi senza cominciare ad comparire davanti agli occhi della folla.»

«Sei stato tu ad occuparti dei travestimenti, se non ricordo male.»

«Non avevo altro a casa» risponde, sollevando gli occhi al tetro soffitto del villaggio.

«Poi mi spiegherai che ci facevano quelle...»


 

La mia voce si spezza e la frase viene lasciata a metà. Indico al mio compagno una minuta sagoma che fa capolino dal retro di una delle case sulla sinistra, e sembra osservarci nell'ombra. Vincent aggrotta le sopracciglia e mi rivolge un'occhiata perplessa.

La figura avanza di qualche passo, svelando alla luce le sue fattezze di bambina, e i suoi piccoli occhietti scuri saettano in nostra direzione, aprendo il viso in un ghigno beffardo. Una manina si scosta dalla parete in legno della baracca e ci fa segno di seguirla. Io e Vincent ci guardiamo ancora. Dal vecchio si è levato un fragoroso ronfare, e il resto del villaggio è tornato ad occuparsi delle sue faccende. Vincent si dirige silenziosamente in direzione della ragazzina e io lo seguo.


 

«E tu che cosa...»

«Shhhhhh!!!» fa la ragazzina, interrompendo Vincent e portando una mano davanti alla piccola bocca. «Non deve sentirci nessuno!»

«D'accordo» sussurra Vincent, inarcando le sopracciglia. «Ci... hai chiamati?»

«Precisamente» bisbiglia la bambina, incrociando le braccia. La sua altezza complessiva di scarpe e acconciatura non raggiunge le nostre cinture, ma l'aria sul visetto è piuttosto sveglia. «Ho ascoltato un po' che cosa stavate blaterando con gli altri, ho un piano che fa al vostro caso.»


 

Socchiude gli occhi e ci rivolge uno sguardo d'intesa, annuendo.


 

«Ovviamente, dovremo trovare un compromesso» prosegue, portando le manine ai fianchi. «Avrete sicuramente anche voi qualcosa che fa al mio caso.»

«Vincent, forse è meglio se lasciamo perdere» bisbiglio, ma il mio consiglio viene ignorato e l'uomo si avvicina di un passo alla ragazzina, ergendosi in tutta la sua altezza.

«Ebbene, che cosa vorresti?» sillaba, abbandonando la recita e assumendo la sua posa minacciosa preferita. La ragazzina non si scompone, ma raddrizza anche lei la schiena, squadrando dalla testa ai piedi Vincent.

«La guardia all'ascensore chiede mille Gil. Io te ne chiedo novecento per un modo più veloce e discreto.»

«Novecento...? Ma che...?»

«Dimmi un po'» risponde Vincent, sovrastando le mie esclamazioni indignate, «perché dovremmo fidarci di te?»

«Perché sennò chiamo i Soldati ShinRa» canticchia la bambina, con un sorrisetto malefico. «Voi due li avete i mille Gil, ne sono sicura, ma anziché andare a darli alla guardia vi siete nascosti qui dietro per trovare un piano secondario. O siete spilorci, oppure non volete farvi notare dalla guardia. Io e il mio delfino potremmo portarvi su in un battibaleno, direttamente alla stazione aeronavi.»


 

Vincent incrocia le braccia, disarmato. La ragazzina prende a canticchiare tra sé e improvvisa una coreografia, ripetendo quelli che sembrano essere slogan pubblicitari.


 

«Double shake, il frullato che ti fa andare... in Limit Break!»

«Vorrebbe farci salire su con un delfino?» farfuglio, avvicinandomi a Vincent.

«Così pare. Cerchiamo di capire quale sarebbe il suo piano.»

«Di' un po', come ti chiami?» chiedo alla bambina, cercando di suonare autorevole. «E che ci vuoi fare con novecento Gil?» Dovrebbe avere pochi anni in più di Eydìs, e quei pochi anni sembrano essere stati decisivi per lo sviluppo della sua mente subdola.


 

La bambina si interrompe a metà di una piroetta, il gonnellino svolazzante, e con un saltello si mette sull'attenti.


 

«Priscilla, al vostro servizio! Sono una cara e graziosa bambina che vorrebbe tanto la bambola androide Shiva Tre Punto Zero!»


 

I suoi occhietti guizzano di lato e la bocca si deforma in un ghigno perfido. Poi, in un batter d'occhi rialza la testa verso di noi e si esibisce in un tenero sorriso innocente.


 

«Tu non mi convinci» scandisce Vincent, scuotendo la testa. «Sputa il rospo. Che te ne fai di novecento Gil?»

«Io vorrei tanto giocare con Shiva Tre Punto Zero» insiste Priscilla, con un risolino. «La Due Punto Zero l'ho persa e Leviathan Due Punto Cinque non spara più acqua.»

«Se Leviathan non spara più acqua possiamo provare ad aggiustarlo noi» suggerisce Vincent, andando a cercare con la mano l'elsa di Masamune da sotto il mantello.

«E va bene!» esclama Priscilla, furente, abbandonando la maschera innocente. «Sto mettendo su un progetto incredibile, tutti potranno salire alla città quando vogliono, grazie a me! Un progetto che mi frutterà un miliardo di Gil! Ma per questo ho bisogno di più delfini, uno solo non mi basta. Ne devo domarne almeno un centinaio. Ho bisogno della nuova Frusta Kyaktus e di un fischietto ad ultrasuoni, per attirare i delfini da ogni parte dell'oceano!»


 

Questa bambina è un mostro. Rimango ammutolito e così pure Vincent, per qualche secondo, mentre lei si sfrega le mani con soddisfazione.


 

«Non ti darò più di cinquecento Gil» conclude il mio compagno, con tono fermo.

«Vincent, non dobbiamo dargliene neanche mezzo!»

«E io non ti farò salire in città!» esclama Priscilla, dondolandosi sulle gambe.

«E tu non avrai mai né frusta, né fischietto» ribatte Vincent.

«E tu sei scemo, scemo, scemo!»

«Cinquecento Gil.»

«Ottocentonovantanove!»

«Cinquecento Gil.»

«Ottocentonovantotto!»


 

I due litigano come due bambini, e le loro voci si fanno sempre più forti, con il rischio di attirare nuovamente l'attenzione su di noi. Do uno strattone al braccio di Vincent, e lui sembra capire il messaggio, lanciandomi un'occhiata furibonda.

«Vincent lasciamo perdere questa bambina, troveremo da noi una soluzione» bisbiglio.

«Prenditi i dannati novecento Gil e portaci in questa dannata città» sibila lui, in direzione di Priscilla. «Sephiroth, tira fuori novecento Gil.»

«Come... che cosa?» esclamo, indignato. «Stai facendo una cosa illegale per finanziare una roba altrettanto illegale, e per giunta con i miei soldi!»

«Sephiroth, tira fuori novecento Gil» ripete, con voce sempre più grave.


 

L'euforica bambina saltella in tutte le direzioni, mentre io sbuffo e tiro fuori dei soldi dalla tasca interna del mantello. Vincent respira profondamente, come per calmarsi, e socchiude gli occhi.


 

«Allora, spiegaci un po' il tuo piano con il delfino.»


 

***


 

«Ci ha fregati» borbotta Vincent, imbronciato e inzuppato, mentre attraversiamo la deserta pista di decollo per aeronavi.

«Tecnicamente no. Siamo riusciti a raggiungere la città» biascico io, altrettanto fradicio.

«Sì, ma tramite quale modalità. E con quale discrezione. Avremmo fatto meglio a usare il mantello, a questo punto. Meno faticoso.»

«Meno dispendioso» aggiungo io, con un'alzata di spalle.


 

Le parrucche sono calcate sulle nostre teste, grondanti d'acqua come le nostre vesti. Anche la borsa è zuppa, ma non mi preoccupo per Jenova, rinchiusa nell'astuccio metallico. Cavalcare un delfino acrobata è stata una delle esperienze meno gradevoli della mia intera vita, compreso il viaggio di nozze a Rocket Town, e dubito che una nuova frusta e un nuovo fischietto potrebbero migliorare il servizio di “ascensore” clandestino. Spero che il progetto della marmocchia venga troncato sul nascere.


 

«Così piccola e già così svitata!» faccio, scuotendo la testa.

«Come?»

«Niente, mi sento colpevole di aver finanziato qualcosa di orribile.»


 

Vincent ignora la mia constatazione ed affretta il passo, costringendomi a fare altrettanto. La luce del tramonto irradia la nuova città, i cui palazzi sono disposti in diversi livelli che scendono lungo il pendio della montagna, verso la costa. La città è divisa in due metà, una nord ed una sud, separate dall'imponente cannone Sister Ray, proteso verso il mare. Attraversiamo la pista, in direzione dell'imponente muraglia che cela la città, e imbocchiamo corridoio metallico, vuoto, accedendo al livello più alto della zona sud, per il momento deserto. Vincent si volta verso di me e mi intima di accelerare il passo.


 

«Qual è il piano?» chiedo, raggiungendo il mio compagno. «La parata sembra essere già passata di qui» osservo, calciando una lattina vuota verso un mucchio di cartaccia su un lato della strada.

«Non c'è alcun piano» replica Vincent. «Stiamo all'erta e vediamo che cosa succede. È tardi, ma per ora sembra essere tutto tranquillo. Dobbiamo assicurarci che la parata si concluda senza guai.»

«Ancora non ho capito perché siamo venuti qui» faccio, scostandomi dal viso i capelli appiccicosi della parrucca. «Che senso ha aiutare la ShinRa?»

«Non siamo qui per aiutare la ShinRa, siamo qui per tenere d'occhio i movimenti di Aerith e dei suoi piccoli spettri» spiega Vincent, spazientito. «Ti ricordo che uno di loro ti somiglia in modo particolare.»

«Credi che Aerith voglia seminare il panico dando la colpa a me?» domando, indignato.

«Non mi stupirebbe.»

«Certo, non sarebbe una novità» ammetto.


 

Il lontano suono della fanfara converge verso la nota finale del brano, seguita da uno scroscio di applausi. Poi le trombe annunciano un nuovo tema e, con un rullo di tamburi, inizia una nuova musica, più incalzante e festosa di prima. La parata deve essere giunta ad un momento decisivo. Vincent poggia fermamente una mano sulla mia spalla destra e mi costringe a svoltare in un viottolo stretto, nel quale si proiettano le nostre lunghe ombre.


 

«Andiamo a prendere qualcosa da bere» intima Vincent, spingendomi verso l'uscio di quello che sembra essere un pub.

«Come sarebbe a dire? Noi...»

«Fa' silenzio, stiamo entrando nella tana del lupo. Non dire una sola parola» scandisce Vincent, precedendomi nell'atmosfera calorosa del locale. «Occhio alla borsa e non farti notare.»

«Totalmente fradici e con queste parrucche?»


 

Farci notare, in ogni caso, sarebbe molto difficile. La piccola sala è letteralmente piena di persone, la maggior parte delle quali ubriache fradice. Le urla si levano dai tavoli, inframezzate da rumori di sedie che grattano sul pavimento, voci che tentano di intonare la musica della parata, fracasso di vetri rotti in tentativi di fare brindisi. Dopo un esame più attento, constato che non ce n'è uno solo che non sia ubriaco fradicio.

Vincent attraversa la calca, spingendo via gli uomini dal suo cammino. Mi affretto a seguirlo sino al bancone, dietro il quale due serissimi baristi si occupano delle ordinazioni, versando da bere fiumi di alcolici. Uno dei due è impegnato a scodellare, uno dietro l'altro, bicchierini di liquori, i quali vengono buttati giù da due anziani bevitori seduti al bancone. Ad ogni bicchiere, lanciano un suono gutturale, come di gorilla inferocito, e si danno il cinque con entrambe le mani. I loro palmi sono lividi.

Dall'altro lato del bancone, un uomo ed una donna in completo elegante blu. Una divisa che conosco bene. Sono Turks.


 

«Vorrei una doppia camomilla!» esclama Vincent con tono melenso, indirizzandosi ad uno dei due baristi. Quest'ultimo, gettando alle sue spalle una bottiglia vuota, si china dietro il banco per cercarne un'altra e continua la sua attività, senza dar segno di aver sentito la richiesta.

«Sai, qui non sanno nemmeno che cosa significa “camomilla”» ridacchia il Turk. «Preferisci un po' di questa roba? Fa dormire proprio come la camomilla.»


 

Lo scruto di sottecchi, stando in disparte come Vincent mi ha ordinato. I suoi capelli sono di un rosso fuoco, scarmigliati sopra il cranio e raccolti in una lunga coda che cade sulla giacca blu dell'abito. La sua mano bianca è stretta attorno ad un bicchiere che svuota in un ultimo sorso. La sua collega lo squadra con disapprovazione, scuotendo i capelli biondi e lisci. Davanti a lei, una tazza di un liquido scuro e fumante.


 

«Ehm... come hai detto?» cinguetta Vincent, con una vocina che mi dà sui nervi. «Forse non mi ha sentito. Adesso riprovo. Mi scusi...?»

«La sua camomilla le sarà servita tra cinque minuti e venti secondi» annuncia il barista con voce monotona, senza alzare lo sguardo.

«Molto bene!» esclama Vincent., sfregandosi le mani guantate e indirizzandosi al Turk. «Ho proprio bisogno di riscaldarmi, dopo il bagno che ho fatto! Come ti chiami, tu, belloccio?»

«Io? Come mi chiamo? Chiedilo alla mia compare, perché io non ricordo granché.»

«Reno, faresti meglio a darti un contegno, o Tseng si adirerà con te» interviene la bionda con voce cantilenante, tutt'altro che sobria.

«Bevi, Elena, così finalmente ti fai Tseng e siamo tutti più tranquilli.»


 

La ragazza si lascia scappare un verso di esclamazione e il suo viso si tinge di rosso. In quel momento, da una porticina al lato del bancone esce un terzo Turk. È proprio lo Tseng con cui ho lavorato per anni. Il suo volto è calmo e composto, come sempre. Al centro della fronte spaziosa è disegnato un tilaka nero, come un neo. Gli occhi sono a mandola, e hanno un'aria felina. I suoi capelli sono lunghi e lisci, di un nero lucente, tenuti ordinatamente dietro le spalle.

Raggiunto il suo posto vicino ad Elena, resta in piedi e ci esamina con tranquillità. Il suo sguardo si posa su di me e sento una morsa di gelo stringermi le gambe, poi il petto. Mi ha riconosciuto, ne sono sicuro. Distolgo gli occhi, guardando il barista più vicino, e tiro nervosamente un lembo della veste di Vincent. Lui mi ignora e si avvicina a Tseng. Che cosa ha in mente?


 

«Piacere di conoscerti... Tseng? È così che ti chiami?» esclama Vincent, allargando le braccia.

«Esatto» risponde l'altro, con tono neutro. La sua voce è un sussurro appena percettibile tra le grida che ci circondano.

«Non ci siamo già visti da qualche parte?» insiste Vincent. «Non ricordo bene, sai ho una tale testolina con me!»


 

Tseng sorride cortesemente, stringendo gli occhi. Elena lo osserva con timore, mentre Reno attacca un altro boccale, sghignazzando.


 

«Meglio essere cauti qui a Junon, oggi qualcuno potrebbe essere interessato da quella tua testolina» mormora, senza staccare lo sguardo da Vincent. «Qualche anima male intenzionata celata nella folla, chi lo sa? Ma fai ancora più attenzione a chi invece male intenzionato lo sembra soltanto. Meglio non perdere di vista nessuno. Davanti al negozio di armi, un minuto fa. Secondo livello.»


 

Vincent non sembra scomporsi, all'ascolto di quelle parole enigmatiche. Il gelo ha ormai raggiunto il mio cervello, e non riesco più a condurre un semplice ragionamento. Parla di me? La persona malintenzionata sarei io?


 

«Grazie per il consiglio» dice il mio compagno, con un lieve inchino. «E piacere di aver fatto la vostra conoscenza, ragazzi!»

Reno si volta, alzando il bicchiere. «E la tua camomilla? Dovrebbe arrivare tra un minuto al massimo!»

«Sarà per un'altra volta!» ridacchia Vincent, allontanandosi e trascinandomi con lui. «Muoviti, andiamo via da questo inferno» borbotta.


 

Uscire all'aria aperta è quasi una rinascita, e il sole, più grande e splendente che mai, scioglie la mia paralisi. Vincent, senza aggiungere una parola, riprende a correre lungo la strada principale e mi affretto a seguirlo, supplicandolo di aspettarmi. Nella via ci imbattiamo nella folla che ritorna dalla parata, ormai terminata, e avanzare diventa impossibile. I capelli rossi della parrucca di Vincent a tratti scompaiono dalla mia visuale, e sono costretto a sgomitare tra le persone, che sembrano moltiplicarsi ad ogni istante che passa.

Vincent si è fermato in mezzo alla strada, guardandosi attorno nervosamente, e riesco infine a raggiungerlo.


 

«Che caspita succede, dove stiamo andando? Che cosa ti ha detto Tseng? Lo conosci? Spiegami che cosa sta succedendo!» esclamo, afferrandogli una spalla per costringerlo a girarmi verso di me. Con un gesto noncurante si libera della presa.

«Aerith è qui a Junon» annuncia. «È stata avvistata nel secondo livello.»

«Questo lo sapevamo già, no? È stata vista anche al villaggio, giù.»

«Sono entrambe qui a Junon» spiega Vincent, «ma non sappiamo come riconoscerle. In ogni caso fai sempre attenzione alla tua borsa».

«La tengo stretta» lo rassicuro. «Se sono entrambe a Junon, ci sarà da aspettarsi qualcosa, no?»

«Adesso ascoltami attentamente» decide infine Vincent, tirando fuori da sotto la veste il suo cellulare e dando un'occhiata al display. «Io vado dritto al secondo livello e controllo se Aerith è ancora da quelle parti. Tu perlustri i livelli superiori e ti occupi di trovare l'altra, a tutti i costi. Dobbiamo capire che cosa sta succedendo. Ci teniamo in stretto contatto telefonico, non possiamo perdere tempo.»

«C'è solo un problema» lo interrompo io, imbarazzato. «Non ho un cellulare. L'ultimo che ho avuto è stato diversi anni fa e... ha fatto una brutta fine.»

«Patetico. Dovremo fare altrimenti. Al negozio di armi, subito. E se non la troviamo là...»


 

Una passante urta improvvisamente contro la schiena di Vincent, facendolo barcollare. La ragazza lancia un grido e perde l'equilibrio, cadendo sull'asfalto. Vincent mi lancia un'occhiata incredula. È Aerith.


 

«Mi... mi dispiace, davvero! Correvo così veloce che non l'ho vista» si scusa Aerith, in un piagnucolio, e afferra la mano di Vincent, tesa per aiutarla a rialzarsi.

«Non ti preoccupare, signorina» mormora lui, con voce indecisa. «Spero non ti sia fatta nulla»


 

Osservo la scena, ancora una volta incredulo. Dopo l'incontro coi Turks, ci ritroviamo di fronte ad Aerith senza neanche doverla cercare. Il problema ora è capire se sia quella vera o quella falsa. Dubito che con questi ridicoli travestimenti potremmo darla a bere alla vera Aerith, lei ci avrebbe smascherati subito.


 

«Sto bene, non è niente» ansima lei, mettendosi in piedi e prendendo fiato. «Lei piuttosto, tutto bene?»


 

La sua candida voce non tradisce alcun sospetto, alcuna esitazione. Vincent, al contrario sembra non sapere che pesci pigliare, ma resto in silenzio per timore di causare guai.

«Figurati, nessun problema» risponde Vincent, freddamente. «Per qual motivo correvi così? Ti succede qualcosa?»

Aerith esamina con incertezza le nostre parrucche fluorescenti, poi si avvicina a noi e la sua voce diventa un sussurro concitato. «Sta per accadere qualcosa qui a Junon. I miei compagni avrebbero potuto risolvere tutto, ma ci siamo persi tra la folla, non riesco più a ritrovarli. Non so più che fare, non posso rivolgermi ai soldati.»

«Saremmo lieti di aiutarti» le assicura Vincent, cauto.

«Tra pochi minuti ci sarà un attentato. Dovete seguirmi, vi prego!» ci scongiura, congiungendo le mani.

«Un attentato?» intervengo io, sorpreso.

«Non c'è tempo!»


 

Aerith si lancia in una corsa forsennata, in direzione del cannone. Io e Vincent ci precipitiamo dietro di lei, scansando la folla che non sembra volersi diradare.


 

«Che cosa significa tutto questo?» lo interrogo, correndo al suo fianco.

«Non lo so. Direi che è la falsa, ma non ne sono sicuro.»

«L'altra ci avrebbe riconosciuti, no?»

«Sì, ma meglio stare all'erta» mi avvisa. «Un attentato? Come lo avrebbe scoperto? Perché sembra essere l'unica a saperlo?»

«Pensi ci sia dietro la vera Aerith?» domando, reggendo con la mano sinistra la parrucca e con la destra la borsa.


 

Lontano, echeggia il rombare della sirena di una nave.


 

«Se ci sarà un attentato qui a Junon, molto probabilmente ci sarà dietro la vera Aerith. In ogni caso, teniamo gli occhi bene aperti» intima Vincent. «Questa è la nave del Presidente ShinRa che lascia Junon, la maggior parte dei soldati presenti alla parata saranno saliti a bordo, lasciando la città sguarnita»


 

Aerith raggiunge il confine tra la il sud e il nord della città, imboccando un corridoio deserto sotto la struttura del cannone. Improvvisamente si ferma, e si volta per assicurarsi che l'abbiamo seguita, il suo viso pallido illuminato dai neon al soffitto.


 

«È qui, dobbiamo fare presto!» esclama, e si affretta lungo un pasaggio sulla sinistra, verso quello che ricordo essere l'ascensore per il reattore subacqueo.

«Dove ci stai portando?» le grido dietro, e la mia voce rimbomba contro le pareti metalliche.


 

La ragazza si ferma davanti ad un portone blindato spalancato, di fianco all'ascensore. Lo attraversa e noi con lei. È una stanza buia e minuscola, di pochi metri quadrati, sulle cui pareti scorrono cavi elettrici che attraversano il pavimento e si inoltrano verso il reattore. Sulla parete destra sta un contatore, con un display acceso che indica una serie di cifre. Su di esso sta aggrappato un marchingegno lucente e metallico, di forma cilindrica, con una spia gialla che si illumina ad intermittenza.


 

«Questa è una bomba» osservo io, mentre Vincent si avvicina ad esaminare meglio i cavi che collegano l'arnese al contatore.

«Un ordigno piuttosto semplice, di produzione ShinRa» conferma lui. «Un modello rudimentale, veniva prodotto ai miei tempi. Chi l'ha piazzato qui voleva creare qualche danno al reattore, ma niente di più.»


 

Con un cigolio ed un forte clangore, la porta alle nostre spalle si chiude, lasciandoci al buio. La serratura scatta più volte.

Prontamente, Vincent accende una minuscola ma potente pila, che illumina la stanza. Aerith non è più là con noi.


 

«Perfetto» commento io, lanciando un'occhiata nervosa a Vincent. «Ovviamente non era FalsAerith.»

«Sciocca Aerith, mi ci vogliono meno di due minuti per disinnescare questa roba. La spia è ancora gialla, ciò significa che ce ne restano più di cinque. Dammi subito la Materia di ghiaccio.»

«Vincent, non ho più la mia borsa!» esclamo, incredulo, guardandomi attorno. «Jenova!»


 

Vincent volta di scatto la sua testa verso di me, lanciandomi uno sguardo furioso.


 

«L'avevi quando siamo entrati qui» ricorda.

«Sì, ne sono più che sicuro.»


 

Vincent chiude gli occhi e scuote la testa, digrignando i denti.


 

«Quella maledetta puttana ci ha fregati. Lo sapevo.»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=973678