Another Story From Ferelden

di ary91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Quando Red si incontra con Dragon Age e con la mia mente bacata ahah.

 

Premessa: questa storiella che sto per raccontarvi in chiave romanzata l’ho praticamente sognata stanotte *D* sono talmente profondamente innamorata di questo videogioco che la mia mente mi porta a “giocarlo” anche di notte ahah. Alloraaaa, gli eventi narrano della protagonista Maya, che non è un Custode, e non si svolge ai tempi di Alistair e Co. O di Hawke, ma presumibilmente dopo, durante un altro Flagello. Maya però vive nel 21° secolo come noi, solo che eheh beh si trova però nel Thedas, non certo sulla Terra e ho rubato l’idea dai romanzi Red, Blue e Green di renderla una Viaggiatrice nel Tempo :3 D’accordo allora buona lettura e non esitate a criticarmi nel caso sia proprio tutta da buttare via l’idea strampalata =P

 

Parte 1

 

Tentando di mantenere regolare il respiro, strinsi le ginocchia al petto, osservando il cielo plumbeo fuori dalla finestra. La giornata era fin troppo grigia e buia per potermi permettere di conservare un briciolo d’ottimismo per ciò che stavo per andare ad affrontare.

Mordendomi il labbro inferiore disegnai dei ghirigori nella condensa del mio alito sul vetro e mormorai brevi preghiere in cerca di un aiuto che potesse infondermi coraggio.

Vivere nel XXI secolo non aiuta e prepara a quello che mi stava aspettando, un destino triste e allo stesso tempo amaro, pronto a rivelare quella che poteva essere la mia fine. Per scrupolo non avevo avuto voglia di sfogliare i libri di storia per carpire da essi quale sarebbe stato l’esito di tutto questo, preferivo di gran lunga trovarmi ad affrontare gli eventi faccia a faccia senza sapere a cosa stessi di preciso andando incontro.

La nonna, unica persona presente in casa, era impegnata a cucire nell’altra stanza perciò non le sarebbe di sicuro preso un colpo a vedermi svanire nel nulla, pensai confortata. Sarei voluta andare ad abbracciarla e darle un bacio sulla guancia, poi con una punta di terrore sperai di non tornare morta, perché sarebbe stato difficile spiegare una cosa del genere al mondo.

Inserii data e ora per la trasmigrazione nel mio cellulare, che avevo ormai imparato a usare come cronografo per organizzare i miei viaggi nel tempo, impostando come visita nel passato cinque ore di spazio.

Chiusi gli occhi, tenendomi stretto lo stomaco, poi quando li riaprii caddi col sedere sul terreno molliccio e tre ragazzi intorno a me scoppiarono a ridere. C’era anche un quarto con loro –  del tutto immune alla mia entrata in scena – di cui a dire il vero mi sfuggiva il nome, ma a mia discolpa potevo affermare di non averci mai scambiato più di mezza parola, in quanto era un tipo piuttosto taciturno e costantemente con la luna storta.

Lily, una ragazza alta dai capelli lunghi e corvini, mi tese la mano assieme a Jimmy, un longilineo elfo magro come un chiodo.

«Dovresti lavorare un bel po’ sul tuo equilibrio, shemlen!» scoppiò a ridere Jimmy, dandomi una forte pacca che mi fece traballare e ruzzolare di nuovo per terra, facendo scoppiare gli altri in un altro moto d’ilarità.

Imbronciata incrociai le braccia sotto il seno, fingendomi offesa, poi Jimmy mi prese per il polso, attirandomi a sé e schioccandomi un bacio a fior di labbra. Rimasi un attimo interdetta dall’improvviso contatto ravvicinato, ma gli sorrisi e lasciai correre l’episodio di presa per i fondelli.

Salutai tutti con una riverenza e dando un’occhiata all’orologio appurai che mancavano ancora un paio d’ore all’inizio della guerra che avrebbe coinvolto l’alleanza tra orlesiani e fereldiani contro la darkspawn.

«Bello quel coso, devi portarne uno dal futuro anche a me, Maya!» s’illuminò Tammy, il ragazzo di colore che avevo ormai imparato a conoscere come uno che si esalta facilmente.

«Te lo regalo», dissi, porgendoglielo con un sorriso e passandogli la mano tra i riccioli neri.

«Davvero?» sbottò inquieto il ragazzo-di-cui-non-ricordo-il-nome, facendosi avanti tra gli altri e osservando me e Tammy con aria truce.

Biascicai un sì titubante, stringendomi vicino al ragazzo dalla pelle scura come per proteggermi, aspettandomi che dicesse qualcosa, ma questo invece che preoccuparsi dell’altro si strinse felicemente il cinturino attorno al polso.

Il ragazzo-di-cui-non-ricordo-il-nome grugnì qualcosa alterato e fece per strappare dal braccio di Tammy l’orologio, questo sentendosi aggredito sfilò velocemente una freccia dalla faretra, puntandola alla gola dell’aggressore. «Eric sta’ indietro! Non voglio farti del male…»

«Devi ridarlo a lei! Non puoi tenerlo!»

Eric! Era quello il nome! Bravo Tammy.

Assieme a Lily ci fiondammo a dividere i due litiganti prima che si ferissero gravemente, io con le semplici facoltà che potrebbe mai possedere un’umano e cioè voce più alta di un’ottava e uso delle mani e lei invece tracciò con molto più successo un glifo di paralisi sul terreno per impietrirli entrambi.

«Statemi a sentire voi due! Siamo nel bel mezzo di una guerra! Che vi salta in mente di arruffarvi come due bambini?!» sbraitò lei, agitando lo sguardo da uno all’altro, che paralizzati al terreno potevano muovere solo gli occhi. Tammy pareva affranto, “Eric” ancora più imbestialito.

            Non riuscivo davvero a comprendere quale fosse il problema, stavo solo regalando un orologio a quel povero ragazzino. Se questo avrebbe potuto tirargli su il morale prima di affrontare di petto esseri mostruosi come la darkspawn ben venga.

            In silenzio mi affiancai a Lily, che teneva lo sguardo sul glifo in attesa che svanisse, poi le poggiai una mano sulla spalla, cercando di farle coraggio tacitamente, capivo benissimo quanto dovesse essere agitata.

            Il discendente di Calenhad aveva voluto sul campo di battaglia ogni uomo o donna in grado di impugnare un’arma. A sua detta, cooperare tutti quanti sarebbe stato l’unico modo di porre fine al Flagello. Come sarebbe andata a finire però quello era un mistero. Soprattutto considerando che avevamo dovuto allearci al nostro nemico – umano – giurato: Orlais.

            Riflettei che comunque se la mia epoca sussisteva significava che quel giorno forse sarebbe stato un successo, altrimenti non mi sarei spiegata l’imperterrito ‘esistere’ del mio presente.

            «Jimmy… tutto bene?» gli domandai, andandogli vicino.

            L’elfo stava scrutando il limitare del bosco, dove un folto viavai di soldati si stava avviando alla brughiera dove probabilmente sarebbe avvenuto lo scontro.

            Gli accarezzai le orecchie a punta e mi aggrappai alle sue spalle. Pur essendo umana non sono una stangona e lui per essere un elfo era invece piuttosto alto, il ché lo portava a superarmi di un paio di decimetri.

            Scrollò i capelli rossicci intrecciati al capo, facendo spallucce. Teneva l’arco impuntato nel terreno e sul viso era stampata l’incertezza.

            «Sì. Mi chiedevo che fine faranno queste persone… L’intero Ferelden si è unito per combattere il Flagello, persino Orlais è qui, ma come andrà a finire? E se fossimo tutti qua congiunti solo per essere una preda facile di quelle bestie? Rifletti: due nazioni intere alla loro mercé, pronti per essere trucidati in una botta sola.»

            «Non dire così…» mormorai, carezzandogli la schiena.

            «Tu vieni dal futuro. Cosa accadrà quest’oggi, da’len?» m’interrogò, voltandosi a guardarmi con quei suoi enormi occhi blu.

            Mi sentii una stupida a non aver controllato i libri di storia. Se per caso fosse andato tutto storto, avrei potuto in qualche modo salvare almeno loro, i miei amici fidati. Invece avevo preferito far fronte al pericolo, incapace di prevederne l’andamento esattamente come loro.

            Udii i due attaccabrighe dietro riprendere il controllo dei propri corpi e continuare a litigare, con la voce di Lily che li minacciava di bloccarli per l’ennesima volta.

            Gettai una breve occhiata a tutto ciò che mi circondava, poi confessai di non essere a conoscenza di quel che sarebbe stato l’esito di quella giornata.

            Jimmy inspirò profondamente, poi alzando l’arco mi poggiò una mano sulla spalla e mi scostò dal viso una ciocca di capelli rossi. Continuò a guardarmi come se volesse dirmi qualcosa, con la mandibola serrata, finché non abbassò lo sguardo e soggiunse: «Dareth shiral, addio, nel caso non dovessimo vedere l’alba di domani…»

            «O il tramonto», concluse Eric scontroso, passandoci accanto e tastando il tronco di una quercia poco più in là.

            Lily e Tammy mi affiancarono, chiedendomi cosa stesse facendo il nostro compagno dal temperamento piuttosto acceso.

            «Credo stia cercando un albero dove appostarsi», spiegai, osservando i rami più in alto.

In effetti era un’idea che poteva risultare geniale, da lì sarebbe stato difficile per le darkspawn colpirci con le armi da mischia di cui erano dotati. «Ci saranno sicuramente degli arceri», bofonchiò Jimmy, come se mi avesse letto nel pensiero. Essendo figlio di un dalish, chissà quali facoltà mentali possedeva che non diceva. «Ma l’idea può funzionare», aggiunse infine, raggiungendo Eric, che aveva iniziato ad arrampicarsi per testare quanto potessero sopportare i rami della quercia.

«Se saliamo in alto, dovremmo avere più possibilità di non essere scovati, no?» disse Tammy, impugnando il suo arco fatto d’osso di drago.

Gli sorrisi speranzosa, in attesa di una risposta da qualcuno di più autorevole, io avevo imparato da pochi anni a scagliare frecce e non avevo mai combattuto in una vera battaglia, ne sapevo quanto lui.

«Sì. Ma come farai se nemmeno tu sarai in grado di vedere i nemici, hmm?» borbottò Eric seccato senza guardarlo.

Tammy si zittì un attimo poi suggerì che forse così avremmo potuto attaccare solo quelli che si avvicinavano al tronco dell’albero e almeno ci saremmo salvati.

Da fifona qual ero non potevo che essere d’accordo con lui, ma preferii zittirmi, nel vedere Eric e Jimmy guardare Tammy con sguardo torvo.

Lily e io sbuffammo, entrambe del tutto contrarie al buttare all’aria la nostra vita, poi, prendendo sottobraccio il povero Tammy, ci trascinammo insieme verso il nostro personalissimo campo di battaglia.

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Capitolo 2
*** 2 ***


 Ma ciao bella gente! Allora premetto che io non ho mai scritto cose puramente fantasy e perciò sono nuova del genere "Affilate le torce e i forconi e mettiamoci a descrivere la guerra del secolo!" quindi ammetto di aver bellamente scopiazzato la scena finale di Dragon Age Origins, fissandola attentamente su youtube XD... tutto ciò giusto per tentare di giustificarmi perché non sono assolutamente capace a scrivere questo genere di cose, solo che visto il soggetto direi che questa parte era immancabile =P 

Spero non rimpiangerete di aver buttato all'aria 5 minuti della vostra vita a leggere questo pasticcio ;

PARTE 2

 

Ben sistemati e coperti dalla chioma della quercia, la visibilità non era del tutto pessima come si sarebbero aspettati Eric e Jimmy. Così quando ognuno di noi aveva trovato la posizione più comoda, ce ne restammo impalati con ad occhi sgranati a fissare l’orizzonte, in attesa del nemico – di cui non c’era fortunatamente ancora traccia.

Di sottecchi mi accorsi che Lily tremava e si stava mordendo forsennatamente le labbra. Ci conoscevamo più o meno da un paio d’anni, fin da quando per sbaglio ero trasmigrata sul tetto del Circolo dei Magi e mi aveva aiutata a nascondermi dai Templari finché non fossi tornata al mio tempo. Da allora ci eravamo ritrovate quotidianamente e avevamo fatto la conoscenza di quegli altri tre strampalati che ora se ne stavano con l’arco in mano ad aspettare di andare incontro al proprio destino. Quando vidi del sangue macchiarle il mento, mi trascinai accanto a lei e sorrisi, stringendole una mano per infonderle un pizzico di coraggio.

«Mi mette più ansia lui piuttosto che quelle bestiacce…» confessò, alzando il viso verso Tammy che sui rami più alti pregava a gran voce il Creatore di riservagli un posto speciale esattamente come aveva fatto per la Sua amatissima Andraste.

«Sei un tipetto niente male se osi paragonarti a Lei», proferì Eric, alzando il naso verso il ragazzo, che lo ignorò bellamente, mettendosi a mormorare il Canto della Luce.

«Lasciatelo in pace: è giusto che trovi un modo per rendere il tutto più “dolce”», suggerii, gettando un’occhiataccia a colui-al-quale-non-avevo-mai-rivolto-prima-la-parola-o-quasi.

«La mia era solo un’osservazione, mica volevo farlo smettere», si giustificò il ragazzo, spostandosi di modo da darmi le spalle. «Siamo qua per ricacciare la prole oscura da dove se n’è venuta, no?» borbottò più a se stesso che a me.

«Però preferirei non giocare ai Custodi Grigi…» replicò Tammy, prima di riprendere a recitare con foga le sue preghiere.

«Forza ragazzi, smettetela con questi musi lunghi!» sbraitò Jimmy dalla sua postazione. Se ne stava in piedi, tenendosi in equilibrio tra due rami, era così agile che se fosse stato un animale l’avrei definito un leopardo. «Siamo stati invitati a una festa, no? Allora balliamo!»

«Oh, sì, prode James», assentì Lily, tirandosi anche lei in piedi e traballando tutta. «Tiriamo fuori arpa e liuto e danziamo!» e nel dirlo fece il gesto di suonare, facendoci scoppiare a ridere – perfino Eric! – il ché la portò quasi a perdere stabilità e io la tirai per la veste verso di me, riuscendo a non farla cadere di sotto.

«Stai attenta! Potresti cascare in testa a un hurlock!» la ammonnì Tammy, dandoci tregua dai canti della Chiesa. «Non vogliamo offenderli, vero? Non sia mai che se ne corrano crucciati a far rapporto all’arcidemone…»

«In questo caso: cattiva Lily! Come osi offendere quei poveri cattivoni? Non ti vergogni neanche un po’?» commentai, divertita.

Scoppiando a ridere, sia Tammy che Jimmy rischiarono più di una volta di ruzzolare giù e la cosa cominciava a essere un tantino preoccupante.

«Non puoi fare qualche incanto che ci tenga stretti alla quercia?» s’informò Jimmy, sedendosi a cavallo del suo ramo.

Lily scosse la testa, dubbiosa. «Non è che al Circolo dei Magi potessimo fare chissà quanta magia… Più che altro ci insegnavano a trattenerla», si giustificò. «Al massimo potrei tracciare un glifo di paralisi, ma non credo vogliate rimanere pietrificati per tutto il tempo, no? Sono una guaritrice, non una maleficar!»

Le scompigliai i capelli corvini e scoppiai a ridere.

Stava per replicare qualcosa, quando di colpo ci ammutolimmo tutti nel vedere l’armata della nostra fazione farsi compatta, preparando le armi in vista dello scontro. Aguzzammo la vista e notammo, dal nostro punto privilegiato, che dall’altro lato della brughiera una massa di bestie feroci coperte da rozze armature, in procinto di attaccare. Tra le fila disordinate sbucavano in tutta la loro mostruosa stazza ogre indemoniati, pronti a caricare contro i nostri.

Dalla nostra avevamo per fortuna un fitto esercito di nani, uomini, elfi, mabari e anche giganti, tutti uniti sotto un unico vessillo per poter scongiurare il pericolo incombente. Mi ero sempre figurata gli ultimi come i membri del popolo dei Qunari, dato che nella mia epoca si erano estinti, e vederli combattere al nostro fianco suscitava in me un moto d’entusiasmo e terrore. Erano invece simili agli alberi, ma dalla forma vagamente umana.

Pur essendo tanto diversi tra loro, ogni membro dell’alleanza era pronto a sacrificare la propria vita nel tentativo di salvarne migliaia e migliaia di altre.

In testa al battaglione i due sovrani a cavallo stavano tenendo il discorso di incoraggiamento per le loro truppe e all’urlo di incitamento In nome di Orlais e del Ferelden! i soldati risposero eccitati, chi battendo le lance a terra, chi esultando con la spada al cielo.

Noi, dal nostro canto ci limitammo a guardarci negli occhi e strillare a nostra volta, agitando i pugni in aria: «Per il Ferelden!».

«Che il Creatore ci assista…» aggiunse Tammy, poggiando una mano sul cuore, per poi impugnare l’arco con forza.

La prima cosa che il nostro Re fece, fu di dare l’ordine di lasciar andare i mabari e questi, spinti dai propri padroni, si fiondarono in una corsa disperata contro la darkspawn, andando  a sbranare e graffiare tutto ciò che gli capitava a tiro.

Alcuni hurlock caddero sotto il morso dei canidi, altri furono tanto scaltri da infilzarli.

Chiusi gli occhi atterrita, certo non mi aspettavo che con la prima mossa avremmo vinto la guerra, ma nel veder perire così tanti mabari mi si strinse il cuore, soprattutto al pensiero che presto molti uomini, molti di noi, avrebbero fatto la stessa identica fine.

«Forza, ragazzi, preparate le frecce», comandò Jimmy, tenendosi in piedi. «Tu Lilian ce la fai a intanto a tenerli lontani da qui?»

Lily annuì, risoluta, poi mi sussurrò: «Creatore… per arrivare fin quaggiù dovrebbero sorpassare l’esercito…».

«Lo so, Lily, lo so», ribattei, senza riuscire a guardarla.

I miei occhi non riuscivano a staccarsi dalla brughiera.               

Il generale di Orlais, delegato direttamente dal suo imperatore, stava incaricando gli arcieri di tenersi pronti e nel momento in cui diede l’ordine di scoccare, centinaia di frecce infuocate andarono a impalarsi perfettamente nella lunghissima linea d’olio che era stata sciolta dai magi della Torre in precedenza sul terreno erboso, facendo sì che si creasse un muro di fuoco che avrebbe tenuto a bada per un po’ la fazione nemica.

«Voi lo vedete?» domandò Tammy, battendo i denti visibilmente e strizzando gli occhi all’orizzonte, oltre il muro di fiamme. «Dov’è l’arcidemone? Voi lo vedete?»

            All’unisono tutti osservammo attentamente la fazione nemica, ma effettivamente non c’era traccia di enormi draghi sputafuoco o simili.

«Forse… non c’è? Allora non è un Flagello!» continuò, schermandosi la vista dal sole ed esultando come un bambino.

«Se anche non fosse qui adesso, stai pur certo che quei caproni sono reali, non stiamo per lottare contro l’aria», confabulò Eric, saggiando tra le dita la punta di uno dei suoi dardi, per poi tenderla verso il nemico come per misurare la distanza che li separava.

Lily emise un gemito strozzato, rivolsi il viso verso il campo di battaglia e singhiozzai a mia volta. Le bestie avevano usato i corpi dei loro stessi compagni più deboli come “pezza” per passare sul fuoco e stavano avanzando di corsa verso di noi.

Si stavano facendo violentemente largo nella brughiera.

Mi sentii crescere dentro la paura e per la prima volta realizzai che forse davvero non avrei visto il tramonto.

Solo il guardare quelle bestie demoniache mi provocava la pelle d’oca e la tremarella.

In cosa sono andata a immischiarmi…

Prossimi allo scontro corpo a corpo, i valorosi soldati tennero preparate le proprie armi e al momento giusto con un urlo battagliero si gettarono in mischia, portandosi nella tomba quanti più prole oscura possibile.

Aumentai la stretta attorno all’impugnatura dell’arco, pervasa dai brividi.

Deglutendo mi resi conto che anche gli altri erano agitati quanto me, nei loro occhi l’angoscia era un sentimento inamovibile.

Se solo ci fosse stato un po’ più tempo a disposizione mi sarei arrampicata da ognuno di loro e li avrei stretti al petto, assicurandogli che ce la saremmo cavata alla grande.

Per un momento fin troppo lungo mi diedi dell’imbecille, perché mai ero trasmigrata in tempo di guerra? L’affetto per quei ragazzi mi aveva portata a intromettermi in qualcosa che non mi apparteneva e che forse mi avrebbe mandata dritta dritta all’Oblio. Imbecille, imbecille, imbecille!

Il suono straziante di per sé era già abbastanza, non mi sentivo in grado di vedere i nostri cadere al suolo feriti o morti; preferii di gran lunga canticchiare con voce sommessa e rivolgere lo sguardo al cielo terso e brillante, l’unica cosa che non si sarebbe mai spenta nell’arco dei secoli. L’unico punto fermo in un mondo fatto di incertezze.

Grida tormentate dal dolore risuonarono nell’aria, andando a confondersi col clangore delle spade e quello degli scudi, usati disperatamente per proteggersi dall’indifendibile.

Trattenemmo unanimemente il fiato, quando Tammy, preso dal terrore, scoccò la prima freccia che andò a impalarsi nel collo di un hurlock e nel vederlo cadere a terra privo di vita, brandimmo tutti un po’ di coraggio e, sperando nella buona sorte, seguimmo l’esempio del ragazzo dalla pelle color ebano, prendendo parte alla guerra della nostra era.

Della loro era.

Scagliai frecce contro ogni bersaglio che mi capitava a tiro, tentando di essere il più veloce possibile e senza allo stesso tempo perdere l’equilibrio, essendo in piedi sul ramo di una quercia.

Lily si destreggiava piuttosto abilmente con la sua staffa magica, stendendo con successo più di una darkspawn alla volta. Era senza ombra di dubbio la più forte di noi e dopo l’iniziale timore sembrava quasi prenderci gusto in quel che faceva. Il suo glifo di repulsione attorno all’albero funzionava a meraviglia e ci stava tenendo al sicuro da pericolosi incontri ravvicinati.

In un impeto di terrore misto a tenacia, riuscimmo ad abbattere quanti più genlock, hurlock e shriek possibili. Certo non sempre i tiri andavano a segno, ma trafiggere anche solo di striscio quei mostri dava una soddisfazione immensa.

Mi paralizzai un secondo, fissando senza fiato gli ogre sul campo. Si trattava di colossi demoniaci sovrastati da smisurate corna ricurve e dall’aria molto, troppo micidiale. Vidi un paio di loro prendere la carica contro un manipolo di guerrieri e nell’istante in cui alcuni di loro sopravvissero alla botta, i primi li afferrarono, sollevandoli da terra e spezzandoli in due come grissini.

Inghiottii troppo velocemente e, dopo essermi fatta andare di traverso la saliva, presi a tossire forsennatamente.

Divisa tra il dolore per la caduta e il tossire, sentii a malapena Jimmy urlare un ordine infuriato ai suoi uomini, che prontamente obbedirono senza un battito di ciglia.

Mi alzai a fatica e spalancai gli occhi, di sasso per la paura.

Un enorme ogre stava avanzando rapidamente in mia direzione, emettendo dei mostruosi grugniti e chinando la nuca per incornarmi.

«Colpitelo in testa! In testa!» ringhiò Jimmy dall’alto, scoccando tre dardi alla volta e seguito a ruota da Eric, che abbaiò a sua volta di mirare invece alla gola, per non rischiare che i colpi rimbalzassero sulle corna.

Il buon senso mi urlava a squarciagola di mettermi in salvo. Infatti se in quel momento fossi stata un briciolo lucida, probabilmente mi sarei messa a correre come una forsennata attorno al tronco della quercia, invocando la mamma, ma essendo invece bloccata da testa a piedi non mi mossi di un millimetro, strizzando gli occhi in attesa della fine.

Sentii solo un fortissimo crack, che però non proveniva dal mio corpo, ma dal glifo di repulsione tracciato da Lilian. Sgranai gli occhi entusiasta e riacquistai il potere di muovermi. Improvvisai una specie di danza felice, insultando pesantemente l’ogre, che ancora più indemoniato aveva cercato più volte di oltrepassare la barriera invisibile per atterrarmi.

«Smettila di ballare, idiota! Arrampicati!» gridò Jimmy, facendomi cenno di salire su.

Annuii, troppo contenta per potermi sentire imbarazzata, e feci per issarmi sul tronco.

«Svelta! Sta per finire l’effetto della magia!» strillò Lily con gli occhi fuori dalle orbite.

«Traccia un altro glifo, no?!» la sgridò Tammy, tendendo l’arco verso l’ogre.

«Non ho abbastanza mana!» si giustificò lei.

Il panico stava tornando a impadronirsi di me, ma cercai di non dargli retta, tentando di mettermi furiosamente in salvo. Per un pelo le corna non mi colpirono, avevo raggiunto un punto abbastanza alto perché il mostro colpisse soltanto la corteccia.

Mi tenni stretta a un ramo. L’albero vibrò paurosamente e quando l’ogre lo colpì nuovamente con rinnovato furore, lo sradicò quasi completamente dal suolo.

«Aggrappatevi ai rami!!!» sbraitai con tutto il fiato che avevo nei polmoni.

Prima di cozzare a terra, fummo sballottati qua e là da altre percosse dell’essere.

Il capitombolo poi venne attutito dalle fronde della pianta, permettendoci di non rimanere feriti gravemente.

Terrorizzata da ciò che poteva aspettarmi, rimasi nascosta tra i rami e le foglie, in attesa che il dannatissimo ogre si allontanasse. Di preciso non so quanto fossi stata lì sotto.

Il corpo mi doleva tutto a causa delle botte ricevute e il cuore mi martellava furiosamente nel petto. Con un’imprecazione mi lamentai per aver perso.

Una volta lontano il bestione, uscii allo scoperto, sputacchiando foglie e terriccio.

Mi guardai intorno in cerca degli altri e nel vederla in difficoltà, aiutai Lily a tirarsi via un grosso ramo di dosso.

«State bene?!» s’informò Jimmy, raggiungendoci con la faccia pesta.

«Noi sì… Ma te? Stai sanguinando…» mormorai con un filo di voce, tendendo le dita verso il suo volto.

«Ho sbattuto il naso contro una roccia…» spiegò, facendo spallucce.

Lily si era offerta di guarirlo, ma lui rifiutò galantemente, preferendo che l’umana conservasse energia per salvarsi la pelle.

«Dov’è Tammy?» chiesi all’improvviso, guardandomi attorno. «E l’altro? Dove sono Eric e Tammy, eh?» ripetei, scrollando le spalle dell’elfo presa dal panico.

Lui in tutta risposta non fece altro che scuotere la testa dispiaciuto.

«C-cosa…?» bisbigliò Lily, volgendo lo sguardo affranto alla quercia abbattuta. «Non può essere… non può…»

«Ho visto Tammy coi miei occhi: un ramo l’ha… l’ha squarc…» s’interruppe bruscamente, quando venimmo circondati a tradimento da un gruppo di genlock inferociti che emisero disgustosi versi disumani, come per incitarci ad attaccare per primi.

Lilian non si fece prendere dal panico e prontamente sventolò il suo bastone d’acero, scagliando addosso al manipolo di prole oscura un’esplosione mentale che ci permise di guadagnare un attimo in più.

Jimmy sguainò una daga dal fodero sulla schiena e diede man forte alla maga, atterrando a fatica il genlock più vicino a lui per impedire che accadesse il contrario.

Afferrai un ramo spezzato piuttosto spesso da terra e con tempismo riuscii a colpire con tutto ciò che restava della mia non-famosa forza una di quelle bestiacce deformi, senza però ottenere il risultato sperato, dato che la mia botta sembrò averlo appena sfiorato.

Il genlock appena colpito, prese la carica e a spada sguainata si accanì su di me. Mi difesi alla bell’e meglio con l’aiuto del bastone, le unghie, i denti e gli stivali.

Con un grido agguerrito, Lily mi tolse di dosso quell’essere, ma nel momento in cui si voltò per affrontare un altro genlock, questo la trapassò crudelmente da una parte all’altra.

«NO!» strillai, disperata.

A quel punto, se Lilian Amell era morta, che era la più forte di tutti noi, quante possibilità poteva avere una semplice e inutile mortale come me di salvarsi?


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Capitolo 3
*** 3 ***


 

PARTE 3

 

 

In silenzio mi dissi che forse la cosa migliore sarebbe stata quella di smettere di combattere, tanto valeva raggiungere l’Oblio all’istante, invece che rimandare inutilmente.

Venni strattonata via da qualcuno e scaraventata lontano dal pericolo in mezzo alle fronde della quercia abbattuta poco prima.

Dall’altra parte proveniva il suono del cozzare delle lame e i grugniti affaticati degli umani contro quelli più gutturali delle darkspawn. Deglutendo faticosamente, azzardai un’occhiata e con mio sommo entusiasmo notai che Eric stava combattendo fianco a fianco con Jimmy e ne stavano uscendo vincitori.

Alle mie spalle percepii un respiro gorgogliante e fetido che non mi lasciò alcun dubbio su a chi o cosa appartenesse. Con occhi terrorizzati, lasciai andare la presa del ramo che avevo tra le mani, arrendendomi all’idea della fine.

Solo che questa non arrivò come mi sarei aspettata, venne al contrario sostituita dal grido infuriato di Eric, che trafisse violento il genlock che avevo dietro, direttamente da sopra la mia spalla. A distanza così ravvicinata non potei non osservare che stava impugnando una daga della prole oscura, forse l’aveva raccattata da qualcuno dei loro cadaveri.

Ritrasse l’arma, poi roteandola abilmente picchiò l’elsa contro la testa del mostro. Fummo entrambi schizzati di orrido sangue scuro, poi quando finalmente eravamo liberi dall’attacco ripresi a respirare.

Mi lasciai cadere sulle ginocchia e mi trascinai fino al corpo di Lily, affondando la faccia nel suo ventre e sporcandomi del suo sangue ormai freddo.

Piansi e piansi, stringendomi così forte a lei da sentirmi il viso in fiamme e la testa pesante. Non riuscii a smettere di singhiozzare e fui scossa da violenti spasmi dovuti alla disperazione. Non riuscivo a capacitarmi di com’era potuta accadere una cosa simile. Poco prima eravamo lì a ridere e scherzare e ora… ora non c’era più.

Sentii una mano carezzarmi i capelli, poi mi tirò a sé dolcemente e Jimmy mi sorrise, sussurrando parole di conforto. «Non abbandonare la speranza, Lilian ora è in pace. Se n’è andata in modo eroico e nell’Oblio non avrà rimpianti.»

«Come lo sai? Aveva solo diciassette anni…» mormorai senza fiato.

«Sapeva a cosa stava andando incontro», disse deciso, tirandomi su. «Maya, questa è la guerra. Chi combatte sa che ci sono ben poche possibilità di uscirne vivi», continuò con sguardo duro, per poi volgerlo velocemente altrove.

Fece un cenno col capo ad Eric, che lo vidi avvicinarsi a me a passi veloci.

«Che sta suc…» Non potei finire di parlare, perché sentii il ragazzo taciturno afferrarmi per il gomito e trascinarmi via di lì.

Protestai a gran voce, ma proprio in quell’istante un manipolo di hurlock e genlock stava accorrendo nel punto in cui ci trovavamo.

«E Jimmy?!» urlai, tremante.

«Non c’è tempo!» borbottò l’altro, continuando a tirarmi con la forza.

L’elfo, intanto, baciando la lama della sua daga, si preparò ad affrontare una nuova battaglia, in quello che forse sarebbe stato il suo ultimo gesto eroico nel tentativo di farci fuggire.

Eric grugnì qualcosa e mi buttò nell’erba. Mi tirai su indolenzita e rimasi impietrita nell’udire il ruggito gutturale, che avevo ormai imparato a riconoscere. Volsi la vista oltre le mie spalle e vidi la creatura enorme dalla corporatura massiccia e muscolosa, la pelle bluastra e corna nere e ritorte che le davano un’aria demoniaca.

Eric tolse rapidamente dalla fibbia il suo arco e in un’unica mossa scattante scagliò a raffica delle frecce contro l’ogre, che s’impennò e calò i pugni con incredibile forza contro il terreno, provocando all’impatto un’onda d’urto che scosse l’intera radura.*

Presa dal panico, come un’idiota iniziai a lanciare sassolini contro le corna del mostro, sperando di indurlo ad andarsene, ma questo non fece altro che provocargli ancor più fastidio, si voltò verso di me e prese la rincorsa, chinandosi su se stesso.

«Corri verso la foresta! Maya corri!» gridò Eric, continuando a gettare una pioggia di frecce contro la creatura.

Jimmy alzò le braccia al cielo e mormorando qualcosa, l’ogre andò in fiamme. Mugghiando e agitando le braccia tentò di spegnere il fuoco che lo stava consumando.

«Non durerà a lungo! Presto correte! Io lo terrò a bada un altro po’» sbraitò Jimmy, riponendo in tasca la runa del fuoco ereditata dai dalish.

Scossi la testa, non potevamo abbandonarlo, ma tutto quello che stava succedendo mi aveva tolto il dono della parola.

Nel mentre che il ragazzo mi trascinava con sé verso la foresta, gettai un’occhiata alla desolazione del campo da cui provenivamo. C’erano morti ovunque di entrambe le fazioni, mentre i combattenti più valorosi erano ancora in procinto di abbattere i propri nemici provenienti dalle viscere delle Vie Profonde.

Ad occhi sgranati mi accorsi che sparsi qui e lì c’erano i corpi infernali degli abomini, che si stavano ritorcendo contro la propria fazione, massacrando chiunque gli capitasse a tiro. Evidentemente, dalla disperazione del momento, i magi che non erano collassati erano invece precipitati nel baratro della Magia del Sangue.

Questa guerra era un delirio unico.

Tirai su col naso, Jimmy era ormai lontano, tutto era perduto.

Non mi restava che seguire il ragazzo che mi stava salvando la vita, standogli dietro in silenzio, troppo esausta per poter affrontare anche solo moralmente tutto ciò che aveva a che fare con la guerra che mi aveva strappato crudelmente ogni cosa che di più cara avevo in quest’epoca… e in segreto ero grata a Eric per avermi portata via da quel posto.

 

Non riuscii a definire per quanto camminammo nel folto della foresta. Eravamo stati sopraffatti un paio di volte da lupi selvaggi ed enormi ragni velenosi, ma grazie all’abilità del ragazzo ce l’eravamo sempre cavata con qualche ferita leggera.

Ero stanca e indolenzita, ma Eric era così taciturno e sicuro di sé che non mi andava di mostrarmi come una bambinetta capricciosa. Ad ogni passo ripensavo a quel che era successo, senza riuscire davvero ad arrendermi all’idea che era tutto andato. Dissolto.

«Possiamo riposarci qui», annunciò Eric, spezzando il silenzio e indicando il luogo tranquillo che avevamo raggiunto senza che me ne accorgessi.

Si trattava di una parte del Lago Calenhad, nascosto dall’ombra delle sequoie, circondato da un verdeggiante prato fiorito.

Chissà quanto mancava alla trasmigrazione. Sbuffando atterrita mi ricordai, nel gesto di guardarmi il polso, che non avevo più l’orologio che avevo regalato a Tammy per incoraggiarlo… prima di morire. Mi sentii una morsa invisibile stritolarmi il petto, togliendomi il respiro. Mi accasciai sull’erba, finendo per l’ennesima volta in un pianto amaro per i miei caduti.

            A gattoni riuscii a raggiungere l’acqua, che mi affrettai a bere per riprendermi un pochino dallo shock che mi stava pian piano prosciugando ogni energia.

            Dopo aver perlustrato la zona circostante per accertarsi che fossimo al sicuro dalla Corruzione, Eric mi si affiancò, abbassandosi alla mia altezza sulle ginocchia.

            Senza dire una parola mi afferrò piano il mento, voltandomi la faccia a destra e a sinistra, poi si tolse il guanto di pelle dalla mano destra, calò la manica della camicia sulla mano e la intinse nel lago, per pulirmi le ferite che avevo sparse un po’ ovunque.

            Mi tolse dal viso sangue e terriccio, poi si strappò un lembo di tessuto di dosso e me lo strinse attorno al braccio sinistro, dove un brutto taglio aveva già macchiato abbondantemente la mia manica.

            «Mostrami le mani.»

            Obbedii e passò la manica umida sui palmi, detergendo i taglietti che mi ero procurata.

A distanza praticamente nulla, non potei impedirmi di esaminargli il viso. I capelli lunghi e neri gli ricadevano disordinati attorno al viso dai tratti aguzzi, entrambe le guance erano sfregiate da piccole e numerose cicatrici, e gli occhi di un azzurro acceso sfavillavano dal suo incarnato reso scuro dal sole e dalla sporcizia del campo di battaglia.                     

Stavo per ringraziarlo di essersi preso cura di me, ma nel momento in cui aprii bocca un rumoroso fruscio proveniente dall’acqua spezzò la quiete del posto. Eric mi trascinò via dalla riva, indicandomi in silenzio di correre dietro le rovine di una vecchia torre poco più in là.

Restammo nascosti, schiacciati immobili contro la fredda pietra e lui mi teneva una mano premuta contro le labbra per impedirmi di emettere un qualsiasi rumore, visto che stavo ancora piangendo. Era più forte di me, non riuscivo a smettere.

Ci giunsero all’orecchio delle voci divertite e guardandoci perplessi, entrambi sporgemmo la testa oltre le rovine, tentando di nasconderci però dietro le rampicanti.

Nel lago stava sguazzando allegramente una giovane coppia, a dispetto di morte e distruzione che regnavano là fuori.

Scambiai una rapida occhiata interrogativa col ragazzo, poi aguzzando la vista ci rendemmo ambedue conto che i due a mollo – e palesemente nudi. Che avessero appena…? – erano i giovani eredi al trono! Lei era la principessa del Ferelden, Anita Theirin, e lui il figlio dell’Imperatrice di Orlais, Jean De Lauville; il loro matrimonio era stato combinato da poche settimane, in vista dell’unione forzata dei due Paesi, a causa della guerra. Così, per rendere buoni i rapporti delle due nazioni, era stato deciso di unire coi Sacramenti i due rampolli delle casate più importanti.

Gli sposini sembrava se la stessero spassando alla grande e, arrossendo, mi schiacciai contro il muro della vecchia torre, poi afferrai bruscamente Eric per la camicia, gettandogli un’occhiataccia.

«Smettila di guardarli! Non… non è educato…» bofonchiai in imbarazzo, tentando di nascondermi dietro la massa di capelli rossi e ricci.

Tornò dietro le rovine di malavoglia e solenne dichiarò: «Non stavo spiando».

«Ah, no, eh?» replicai con un sopracciglio alzato. «Controllavi soltanto che fossero in salute, allora…»

«Esattamente.»

«Come no», conclusi, dandogli di gomito. «Senti… ora che facciamo?» domandai infine, sporgendomi un poco, curiosa com’ero di osservare i due piccioncini.

Ma non vidi quel che mi aspettavo.

Tirai Eric per il bavero, costringendolo a guardare quello per cui trattenni il fiato, impedendomi di gridare.

            L’erede dell’Imperatrice stava abbracciando affettuosamente la sua amata, poggiandole il mento sulla spalla, poi aveva sollevato appena una mano fuori dall’acqua, facendo cenno a qualcuno nascosto nell’ombra, di cui potei vedere solo i piedi fasciati da un ingombrante paio di stivali scamosciati. Un sibilo fendette l’aria e una freccia trafisse da dietro il cuore di Anita, che fece in tempo a gemere brevemente per poi afflosciarsi tra le braccia di colui che l’aveva tradita.

            Sulle labbra del consorte reale era disegnato un ghigno beffardo e fece segno all’assassino di andarsene, macchiando entrambi del sangue dell’innocenza.

            Era troppo da sopportare, mossi un passo per andare ad ammazzare quel bastardo, quando Eric me lo impedì, trattenendomi contro il suo petto e comprimendomi la bocca con una mano. Mi intimò all’orecchio di non muovermi e fare silenzio se non volevo che il traditore ci scoprisse e ci accusasse ingiustamente del crimine.

            «Gente come lui ci mette tre secondi a fregarti.»

            Si guardò intorno per cercare una via di fuga, poi mi agguantò il polso e mi condusse nuovamente verso la foresta. Intanto che ci stavamo allontanando udii chiaramente l’orlesiano urlare a pieni polmoni: «Sporchi fereldiani avete ucciso mia moglie!» e continuò a ripeterlo con quel suo odioso accento straniero, finché non sentimmo il frastuono di un manipolo di cavalieri, raggiungere il nobile.

            Inizialmente camminai senza protestare, ma sentendo le infondate accuse verso il mio popolo, pronunciate da quel viscido essere e accecata dall’ira che covavo nel profondo, afferrai lestamente l’arco di Eric, rubandogli contemporaneamente un’unica freccia dalla faretra.

            L’avrei fatta pagare cara a quel maniaco omicida, sangue blu o no, e l’avrei spedito all’istante al Creatore.

            Corsi indietro verso il lago, ma lui fu più veloce di me. Mi si parò davanti e mi strinse per le spalle, bisbigliando: «Che hai intenzione di fare, stupida?».

            «Cosa voglio fare? Non è forse chiaro? Quel verme non può passarla liscia. Vuole scatenare Orlais contro di noi, non lo vedi?!» sbraitai, indemoniata, tentando di divincolarmi dalla sua presa.

            «Metti in moto il cervello, Maya, quello è l’erede al trono: sai che ti accadrebbe se ti acchiappassero?» sentenziò, aumentando la stretta. «Andresti al patibolo e con te ci finirebbe tutta la tua famiglia. È davvero questo che vuoi?»

            Trattenni una risata isterica. «Famiglia? Ricordi che vengo dal futuro o la cosa ti sfugge?»

            Lui non replicò immediatamente e mi lasciò andare.

            Gli fui tacitamente grata, accennai una riverenza, poi strinsi ben bene la sua arma, pronta a usarla per fare giustizia. Mossi pochi passi verso le rovine della torre, quando lo sentii chiaramente dire: «Non voglio che diventi un’assassina. Non voglio che diventi come lui».

 

 

 

 

* Qui ho riportato un pezzo del romanzo di Gaider "La Chiamata" perché sono totalmente incapace nella descrizione di mostri sanguinolenti o di quel che fanno XD

 

Ed ecco la fine della 3 parte di questa storia un po' assurda... So che probabilmente farà svenire per l'orrore tutti voi, ci sarà di sicuro chi vorrà tagliarsi le vene dalla disperazione, ma a me diverte un sacco! Mi piace tantissimo scrivere di qualcosa che avviene in questo fantastico mondo inventato dalla BioWare. Santi subito!!!

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Capitolo 4
*** 4 ***


Ciaoooo! Chiedo umilmente settordici volte perdono per l'enorme ritardo con cui aggiorno!!! Però come qualcuno saprà sono in quinta superiore ed egoisticamente quando sono libera dallo studio preferisco uscire, che stare in casa a scrivere. Forse ora la divinità della Scrittura mi fulminerà, perché credo di aver appena detto una bestemmia grande e grossa xD
Beh, ad ogni modo: ringrazio anticipatamente chi sarà tanto dolce e gentile da passare da qui a dare un'occhiata alla mia storia del tutto campata in aria, spero non mi lapiderete per l'enorme banalità che sto mettendo per iscritto ahah.
Un bacione e vi prego e vi scongiuro: anche se vi farà un sacco schifo o vi piacerà tanto da buttarvi giù da una finestra... potreste dirmi che ne pensate? Fa sempre piacere ricevere critiche ;)  

BUONA 'VISIONE'

PARTE 4

 

Serrai la mascella e strinsi il manico dell’arco fino a sentir dolore. Percepivo d’essere paonazza per la rabbia e il respiro era accelerato.

Ero del tutto in balia di un’agonizzante battaglia interiore contro i miei stessi principi.

Se fossi stata una comune diciannovenne del ventunesimo secolo avrei avuto la coscienza perfettamente candida e un’anima pura, nel mio periodo le cose filavano lisce come l’olio: Orlais e il Ferelden collaboravano pacificamente, i Qunari erano diventati abili agenti bancari, i magi erano riusciti ad acquistare pari diritti come ogni altro mortale, e soprattutto chi se lo meritava finiva a scontare le pene dei propri crimini nelle prigioni di Antiva, sotto il controllo dei Corvi. Non c’era scampo per chi trasgrediva la legge, per chi toglieva ingiustamente la vita a un innocente.

Dato che possedevo la facoltà di Viaggiare attraverso il tempo e mi trovavo in un secolo in cui non sempre veniva fatta giustizia, mi sentivo assolutamente in dovere di vendicare quella povera ragazza. Non tanto perché si trattava dell’erede al trono della terra a cui appartenevo, ma perché se non l’avessi fatta pagare a quello stronzo, nessuno avrebbe mai saputo la verità e forse sarebbe addirittura passato per vittima innocente.

Nel caso fossi stata dominata dall’istinto e avessi scagliato la freccia, mi sarei sporcata le mani in maniera irreversibile e per quante volte le avrei mai potute sciacquare, le macchie di sangue sarebbero ugualmente rimaste lì per sempre.

«Non voglio che diventi un’assassina… Non voglio che diventi come lui», aveva detto Eric e il pensiero che se avessi trapassato la trachea di quella sottospecie di Imperatore mi avrebbe resa uguale a lui, mi provocò un’ondata di nausea.

Sospirai sconfortata, feci un passo indietro e porsi a Eric ciò che gli apparteneva. «Beh, se anche facessi giustizia lei non tornerebbe in vita… e nemmeno gli altri.»

«Giustizia? O forse vendetta?» puntualizzò, riponendo le armi dietro la schiena.

Distolsi lo sguardo dal suo e lo superai di qualche centimetro. «Di qualunque cosa si tratti, lo stesso per colpa di quel che è successo laggiù – se mai vincessimo contro la prole oscura, il ché la vedo dura senza l’aiuto dei Custodi Grigi – ci sarà una nuova battaglia contro Orlais.»

«Temo tu abbia ragione. Quello là saprà di sicuro come rigirare le carte in suo favore», concordò Eric, osservandosi intorno per capire da che parte andare.

«Ma per quale motivo l’ha fatto?» riflettei, seguendolo. «Insomma anche fosse perché mai un fereldiano dovrebbe uccidere la sua Principessa?»

Eric si volse appena in mia direzione, intanto stava schiacciando i rovi con l’aiuto dei pesanti stivali, in modo da farci strada nella foresta. Per andare dove, poi?

«È stato astuto invece, quale momento migliore per scatenare uno scandalo se non in tempo di guerra?» disse tutto d’un fiato. «Pensaci: per unirci tutti sotto un’unica fazione i due piccioncini sono stati forzati a sposarsi…»

«Non mi sembravano tanto “forzati”, anzi erano piuttosto propensi a…», lo interruppi e nel vedere la sua occhiata truce mi zittii all’istante e lo lasciai continuare: «Perché non far uccidere la mogliettina dando la colpa a noi, facendo credere che come atto di ribellione abbiamo preferito spappolare il cuore della “traditrice” piuttosto che sottometterci a un’alleanza costretta? È un movente perfetto».

Ne aveva avuto di tempo per pensarci, eh? Trovai la faccenda piuttosto inquietante e rabbrividii per tutti quegli intrighi e sotterfugi di corte. Eric aveva evidentemente ragione.

«Non avrei mai creduto fossi più profondo di un bicchiere d’acqua», bofonchiai, tenendo il passo, era troppo veloce per i miei gusti. Ma mi aveva salvato la vita, quindi niente storie.

«Lo prendo come un complimento», concluse.

Quando captai il clangore dell’acciaio e dei lamenti degli uomini capii che eravamo tornati alla brughiera. Evidentemente Eric sapeva che dovevo trovarmi nell’esatto posto in cui ero sopraggiunta per poter tornare indietro – o avanti, se vogliamo essere pignoli – nel tempo. Mi resi conto in quell’istante che non avevo segnato affatto il punto dove ero Arrivata e la cosa era grave, molto grave, perché se mi fossi trovata altrove sarei anche potuta finire su un lampadario, in mezzo alla strada trafficata o persino dentro un muro per quanto ne sapevo.

«Fottuta Andraste…» sussurrò Eric, apparentemente sconvolto.

«Cosa? Cos’è succ…» le parole mi morirono in gola.

Un enorme drago, cavalcato da un cavaliere coperto da un’armatura, era al centro del campo. Gran parte della prole oscura era stata abbattuta, mentre i fereldiani erano stati quasi in totale sopraffatti dalle fiamme dell’essere gigantesco. Ma la cosa che più mi lasciò interdetta fu vedere come i giganti – che sarebbero dovuti essere amici del Ferelden – stessero dando manforte ai traditori orlesiani nel trucidare i miei connazionali.

Mi sentii le lacrime cominciare a scorrermi lungo le guance.

Nel sentirmi strattonare via da Eric, sentendolo dire solamente Tornare e secolo, tirai su col naso e asciugandomi il viso con l’avambraccio, diventai la sua ombra. Ma i singhiozzi disperati mi sopraffarono, troppo debole moralmente per poter affrontare tutto con lucidità. Non sarei mai riuscita a togliermi dalla mente il pensiero di quante vittime aveva mietuto quella giornata. Quella dannata, stupida, tragica giornata.

Cercai di mantenere il passo, ma vidi solamente il buio.

 

Quando mi risvegliai rimasi un attimo confusa, incapace di credere che fossi di nuovo a casa. Nella mia dolce, amatissima, sicura casa.

Ero sdraiata nel mio letto e tenni gli occhi fissi sul soffitto. Il respiro smorzato dallo shock e seppur in quelle ore ne avessi versate a fiumi, mi lasciai andare ad un pianto silenzioso, non riuscivo proprio a trattenermi ed era l’unico modo per sfogarmi.

Avevo sempre sospettato che la facciata buona e diplomatica di Orlais fosse una bufala, ma non avevo mai pensato che sarebbero mai arrivati al punto di ingannare i propri alleati durante un Flagello. Ora che ero stata testimone di tutto ciò mi domandai se fosse il caso di urlarlo al mondo intero, ma chi mai mi avrebbe creduto? Nei libri di storia non c’era traccia dell’alto tradimento e dell’imbroglio del Principe Jean, non ne avevo alcuna prova. E poi diciamoci la verità: a che gioverebbe la verità detta da una ragazzina dopo secoli e secoli? Aggiunsi mentalmente, asciugando il viso contro il cuscino.

Tornando a una parvenza di lucidità mi chiesi come ero finita a letto e quando mi avessero infilato dei vestiti puliti, l’ultima cosa che ricordavo era di essere svenuta in mezzo al bosco, dopo essere rimasta sconvolta dall’orribile visuale del campo di guerra. Stavo per esplodere in un altro pianto, quando mi sentii accarezzare dolcemente il capo e venni inondata da un delizioso profumo di vaniglia e rose. Alzai il viso in fiamme e trovai quello radioso della nonna, che mi stava guardando con un sorriso.

«Che c’è bambina mia, qualcosa è andato storto laggiù?»

Oh, se solo sapesse… Se solo le potessi raccontare di cos’ero stata testimone… Lei era al corrente della mia particolare facoltà. Eravamo in ben pochi sul Thedas a possedere un dono simile, ma in famiglia questo saltava una generazione e anche lei in passato si era ritrovata a bazzicare da un’epoca all’altra. A sua detta, una volta passati i cinquant’anni tutto questo finisce. Non vedevo l’ora di solcare la mezza età, ma mi interrogai se mai ci sarei arrivata considerando il peso che d’ora in poi mi sarei portata dietro.

Mi tirai su a fatica e senza dir niente mi strinsi a lei, abbracciandola così forte da togliere il fiato ad entrambe. Mi carezzò delicatamente la schiena, sussurrandomi parole di conforto all’orecchio e dandomi tanti baci sulla nuca.

«Nonna… fa così male… fa tanto male…»

«Sfogati, bambina, sfogati. L’unico modo per buttare fuori quel che si ha dentro è piangere. Quello è la cosa che aiuta di più», mormorò senza lasciarmi mai.

Quando vide che mi stavo rasserenando mi scansò piano e mi liberò delle lacrime, passandomi le dita rugose sulle guance poi mi diede un buffetto e mi suggerì di seguirla in cucina, dove mi stavano aspettando una fumante cioccolata calda e un vassoio di biscotti al miele.

Se solo bastassero a cancellare tutto questo dolore… Pensai, amareggiata, infilando le pantofole per andarle dietro.

Inzuppando un biscotto nella bevanda calda non potei impedirmi di pensare al da farsi. Quello che avevo visto era stato tremendo senza alcun dubbio, ma a pensarci bene non tutto era necessariamente perduto. In fondo ero o no una Viaggiatrice? E soprattutto possedevo o no un cronografo grazie al quale avrei potuto scegliere l’esatto momento in cui trasmigrare?

«Perché non farlo a un paio d’ore prima della guerra e avvertire tutti? Potrei mettere in guardia il Re da Orlais! Sarei in grado di trarre in salvo un sacco di persone… e soprattutto sottrarrei da quel destino Lily e Tammy…» sussurrai.

            Ebbi un tuffo al cuore e mi strinsi il petto. Non sapevo nemmeno se Jimmy se la fosse cavata o se invece… Oh, Jimmy…

«Non ti hanno mai detto che non si parla con la bocca piena?» mi sgridò ironicamente la nuova arrivata, che non mi ero accorta fosse appena entrata in casa assieme al noioso marito.

Tabita è mia sorella, anche se non ne sono mai stata tanto sicura a giudicare dalle differenze abissali del nostro aspetto fisico – io rossa, pallida e con gli occhi chiari, lei mora, piuttosto scura e con due occhi simili a pozze di petrolio – della nostra mentalità e soprattutto dei nostri “doni”, io Viaggiatrice e lei commessa in un’agenzia di viaggi. Piuttosto strambo il Destino, soprattutto se analizziamo nei dettagli il suo carattere ironico e pungente messo a confronto con quello da perfetto zombie del suo consorte.

«Mi piace sconvolgere il povero Florent», sottolineai, aprendo ancora di più la bocca. Quell’uomo era un damerino coi fiocchi, visto che arrivava da una ricca famiglia di Val Royeaux.

Arg, Orlais, Orlais, sempre Orlais c’era di mezzo!

«Tappati occhi e orecchie, tesoro. Oggi la nostra Maya ha la luna storta», commentò acida, rubandomi un sorso di cioccolata. «A proposito: chi è il tizio in soggiorno?» aggiunse, posandomi davanti la tazza in fantasia di mabari stilizzati. «Nonna dice che è un tuo amico.»


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Capitolo 5
*** 5 ***


PARTE 5

 

 

Deglutii tutto d’un colpo. «Amico?»

            Tabita annuì, sicura, continuando a ingollare dolcetti e offrendone di tanto in tanto al suo amore. Normalmente le coppiette felici mi inondano di tenerezza, ma osservare quei due invece mi provocava sempre un vago sentore di nausea. Non ricordavo un solo discorso con l’orlesiano che non includesse le parole jolie e absolutement… se quel damerino viziato non avesse avuto il fegato di sposare mia sorella, sarei stata certa al cento per cento che appartenesse all’altra sponda.

            Presa da un’incontenibile curiosità e dalla voglia di sottrarmi alla presenza frustrante di Tabita e Florent, raggiunsi quasi di corsa il soggiorno.

            Con un sussulto mi bloccai sullo stipite della porta, osservando le sneakers firmate calzate dal paio di piedi che penzolavano dal bracciolo della poltrona; il loro proprietario non era però visibile, perché nascosto dallo schienale e a giudicare dal suono del suo respiro regolare si era addirittura bellamente addormentato.

            Mossi qualche passo e rimasi di stucco nel vedere il viso di quell’estraneo, diventatomi però fin troppo familiare, ormai. Di primo acchito avrei voluto scrollargli le spalle e svegliarlo all’istante, ma vedere il suo volto rilassato nel sonno mi strinse innegabilmente il cuore in una morsa di tenerezza e cedetti al lasciarlo riposare un po’.

            Oltrepassai di qualche metro il ragazzo, andando a sedermi sul bordo del camino e lasciando che le fiamme mi scaldassero la schiena nel loro abbraccio.

            «Che carino…» commentò Tabita, sulla soglia della porta. «Visto, Florent, lui com’è sciolto? Non è mai stato qui prima d’ora eppure si comporta esattamente come fosse casa sua. La plebaglia sa essere tanto dolce…»

            «Sta’ zitta, Tabita», bofonchiai a bassa voce.

            «Noi Dubois siamo absolument beneducati, ma jolie», si giustificò lo zombie, aggiustandosi il nodo della cravatta a pois neri.

            Le voci dei due intrusi sortirono l’effetto di un colpo di cannone, a giudicare dal modo brusco con cui Eric – il ragazzo che centinaia d’anni prima mi aveva salvato la vita, allontanandomi dal campo di battaglia – si tirò su a sedere.

            «Che ci fai tu nel mio tempo?» chiesi semplicemente.

            Lui si guardò per un attimo intorno, spaesato, poi poco galantemente si asciugò il rivolo di bava che gli era calato lungo il mento durante il sonno.

            «Horrible», osservò Florent, rabbrividendo.

            Gettai un’occhiata torva a mio cognato, visto che continuava a borbottare commenti schifati riguardo al comportamento disdicevole dell’ospite.

            «Beh, non è mica solo tuo», rispose Eric, scocciato. «Chi è il damerino? Uno dei tuoi ragazzi?» aggiunse, pulendosi la mano contro la canottiera pulita – e chiaramente del mio secolo.

            Incassai a testa alta il commento velenoso, facendogli notare che non era molto educato inveire contro i padroni dell’abitazione in cui si ritrova, per poi ricordargli che il galateo di norma non permette agli sconosciuti di appisolarsi sotto il tetto altrui.

            «E comunque non me la farei mai con la sorella cattiva della “principessa buona”», ci tenne a precisare Florent, scoccando un bacio alla consorte e guardandomi in cagnesco.

            Già: in mia presenza lo zombie amava denominarmi così, poiché era sempre stato certo che le mie “capacità” fossero frutto di un qualche patto con un demone dell’Oblio. Di frequente l’avevo pizzicato a parlare di me a Madre Jocelyn, la Sorella più importante della nostra Chiesa, nonostante più volte nonna gli avesse spiegato chiaramente che possedevo soltanto una dote che la mia famiglia deteneva da sempre, ma lui si ostinava ugualmente a considerarmi un Abominio. Indubbiamente, riflettendoci, il fatto che gli remassi costantemente contro non aiutava certo a sollevare la bassa opinione che aveva di me.

            Eric sghignazzò. «Principessa? Non hai nemmeno lontanamente idea di cosa si cela dietro quella parola…» disse più a se stesso, che all’altro.

            Affranta da ciò che aveva appena accennato mi cinsi i fianchi con entrambe le braccia, impedendomi assolutamente di rievocare alla mente l’immagine della povera Anita Theirin priva di vita fra le mani del suo stesso carnefice.

            «D’accordo, uomo-del-mistero, tu e io dovremmo fare proprio quattro chiacchiere», affermai trascinando il giovane per un braccio e sorpassando senza una parola Tabita e il marito che schifato borbottò di sentire nell’altro la stessa identica aura negativa che percepiva in me.

            Lo portai in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle e facendolo accomodare sul letto appena fatto. In silenzio gli osservai i capelli legati da un elastico rosa che mi accorsi appartenere a me con dubbio alcuno.

Che sia trasmigrato nel mio stesso istante e la nonna l’abbia aiutato a darsi una ripulita mentre io ero priva di conoscenza?

            «Perché non me l’hai mai detto?» interloquii, provando a mantenere un tono pacato da sorella-non-cattiva.

            «La domanda corretta è: perché avrei dovuto?» ribatté, così serio che iniziai a sospettare fosse in qualche modo imparentato con mio cognato.

            «Sei a casa mia, indossi una mia canottiera e perfino il mio elastico, una spiegazione me la devi, ti pare?»

            «E tanti cari saluti ai ringraziamenti per averti portata qui sana e salva…»

            «Me la sarei cavata in qualche modo… come sempre, d’altronde.»

            «Sì, trasmigrando priva di sensi in mezzo al binario Denerim-Kirkwall… ce l’avresti fatta sicuramente, hai ragione.»

            «Quindi sei un Viaggiatore», attestai, spezzando il suo umorismo pungente.

            «Tu che dici?»

            «Secondo mio cognato Florent, io avrei fatto un patto coi demoni: tu, invece   

«Sicuro! E nelle notti di luna piena ululo nudo assieme ai miei amici maleficarum…» replicò, massaggiandosi il collo e la schiena indolenziti dalla battaglia.

            Di regola sono un tipo allegro che ama lasciarsi andare all’ironia, ma in quel particolare frangente non ero proprio dell’umore adatto.

            «Ti invidio, sai?» dissi tutto d’un fiato e lui rispose con aria interrogativa. «Riesci a fare del sarcasmo subito dopo aver visto i tuoi amici stessi e un migliaio di persone trucidate brutalmente come bestie… Ti invidio davvero», mormorai infine, trattenendomi dal piangere nuovamente.

            Lui si improvvisò serio, dandomi tacitamente ragione, per poi giustificarsi con l’assurda scusa che comunque nel presente tutte quella gente sarebbe solo un mucchio di cenere.

            A quelle parole il muro di fredda razionalità che avevo tanto faticato a costruire intorno a me, crollò crudelmente, lasciando libero sfogo alle lacrime e alla disperazione, e in un attimo mi ritrovai a martellare i pugni contro il petto di Eric. Non avevo intenzione di fargli male, ma covavo dentro così tanta rabbia e malinconia da avere un terribile bisogno di sfogarmi in qualche maniera.

            Per un po’ fu comprensivo e lasciò che manifestassi la mia ira contro di lui, senza emettere una parola, poi lentamente strinse le dita attorno ai miei polsi, fermandomi e intimandomi con quel suo limpido sguardo azzurro cielo di smetterla di continuare a torturare entrambi.

            «Scusa…» sussurrai con un filo di voce.

            «No, è meglio buttare fuori tutto.»

            «Lo dice sempre anche mia nonna», ammisi voltando il capo verso la porta chiusa.

            «Saggia donna. Senti, sono tutti morti in modo tremendo, non lo nego, ma quel che è stato è stato, è completamente inutile continuare a pensare di cambiare gli eventi», affermò con tono duro, poi senza lasciare che replicassi, continuò: «Odio tutto questo. Non l’ho mai chiesto, eppure ogni giorno sono costretto a trasmigrare alla data che tu inserisci nel cronografo!».

            Lo guardai confusa. «Che c’entri te col mio cronografo?»

            «Tuo nonno offrì una cifra esorbitante per averlo e la mia famiglia all’epoca non poté rifiutare tanto denaro; ma il cronografo in origine venne fabbricato appositamente per me, al suo interno infatti c’è il mio sangue, e ogni volta che lo usi, sono ineluttabilmente strappato dal mio Tempo, a prescindere da dove o quando mi trovi.»

            Andai alla finestra, facendo scorrere l’indice lungo il vetro appannato. «Dici che mio nonno ha dato ai tuoi parecchi soldi… perché non hai un altro cronografo?»

            «Ce l’ho, infatti; ma per qualche motivo gli effetti dell’originale annullano quelli del mio.»

            «Non ti ho mai sentito parlare tanto…» notai con un sorriso sbieco.

            Dunque, se lui possedeva a sua volta il gene dei Viaggi allora avremmo sicuramente potuto unire le nostre forze per far sì che Orlais venisse smascherata prima di commettere il tradimento. Insieme saremmo stati in grado di rendere vincitore il Ferelden e salvare i nostri cari da morte certa. Ero così felice di aver trovato qualcuno simile a me, che il dolore per ciò che avevo vissuto era perfino passato in secondo piano e non potei trattenermi dal fare un enorme, sentito e sincero sorriso, e lui sembrò quasi avermi letto nel pensiero.

            «Frena, Maya, se pensi che ti aiuterò nella follia di Tornare là, ti sbagli di grosso.»

            «Ma, ma…»

            «Ti ho già detto che odio trasmigrare o Viaggiare e non intendo affatto mettermi in mezzo a una causa che non mi appartiene. E tutto ciò, solo perché tu non riesci ad accettare che il tuo ragazzo sia schiattato. Ricorda che lui non è il primo né sarà l’ultimo a fare quella fine.»

            Punta sul vivo non mi sentii di replicare alcunché. Che differenza avrebbe potuto fare se gli avessi detto che, sì tra me e Jimmy intercorreva un rapporto particolare, ma che non appartenevamo assolutamente l’uno all’altra. Eric si stava dimostrando solamente un egoista egocentrico e senza cuore per cui non valeva la pena star lì a perdere tempo a parlare della mia vita privata.

            Capii finalmente perché da che ricordavo lui era sempre stato l’eterno imbronciato e taciturno, era semplicemente costantemente di cattivo umore poiché trascinato assieme a me in un’epoca diversa dalla sua. Ma allora come mai non l’avevo mai trovato con abiti diversi da quelli indossati dalle genti dell’era di Jimmy e gli altri?

            «Credevo volessi bene a quei ragazzi…» bisbigliai, andandogli vicino e provando a tenere a bada l’umore altalenante.

            «Non stiamo parlando di sentimenti, qui c’è in gioco ben altro.»

            «Per esempio cosa?»

            «Maya, non si può cambiare il corso degli eventi senza che ne derivino delle conseguenze, te ne rendi conto?» dichiarò, alzando la voce e cambiando rapidamente colorito.

            Avevo sentito dire che toccare la pelle di chi è paonazzo dà la sensazione di avere sottomano un calorifero, mi chiesi quanto ciò potesse essere vero, dato che io in vita mia non ero mai arrossita. Forse ero difettosa, chissà… Beh, ora il problema fondamentale non era certo l’epidermide altrui.

            Sospirai, sconfitta. Non mi ero mai resa conto di vivere il tradimento di Orlais come una faccenda personale, ma a voler essere obiettivi si trattava di un fatto storico avvenuto secoli prima e che in un modo o nell’altro aveva plasmato e influenzato – seppur indirettamente – il mondo moderno.

            «Perché non possiamo almeno fare un tentativo?» domandai infine, andando perfino contro le mie stesse conclusioni.

            Si passò una mano sul viso stanco e sbuffando mugugnò che le cose non erano semplici come credevo. «E che vorresti fare? Non puoi presentarti davanti al re e dire “Salute, Vostra Maestà, provengo dal futuro e so per certo che se non vi guardate dallo stringerci amicizia, l’Imperatore vi pugnalerà alle spalle. Oh, sì e sapete vostra figlia? Ecco, sarebbe meglio non lasciarla sguazzare allegramente con vostro genero, altrimenti sarà assassinata. Grazie di avermi ascoltata.”» mi scimmiottò, inchinandosi addirittura.

            «Per te è tutto un gioco, vero?» sbottai, affranta, sentendomi ferita.

            «E per te, Maya?» ribatté, crucciato, con la solita espressione che aveva assunto negli ultimi due anni. «Credi di poter salvare il Ferelden? Hai letto troppe fiabe, è ora di svegliarsi e dire buongiorno alla vita reale.»

            «Io… io non posso lasciare che una simile barbarie resti impunita.»

            «Ma è già successo! Il mondo è andato avanti con o senza il tuo aiuto», grugnì. «Pensi davvero che io sia fatto di pietra? Oh, Creatore, se tutto fosse facile come credi, non esiterei un solo istante a salvarli tutti», confessò e riuscii a cogliere della sincerità nella sua voce.

            «Ma ugualmente non alzerai un dito per far sì che degli innocenti non cadano per colpa di uno sporco inganno», terminai per lui.

            «Esatto», confermò, poi senza aggiungere nient’altro uscì dalla stanza e poco dopo lo sentii sbattere dietro di se la porta di casa.

 

 

Dopo un secolo, eccomi di ritorno. Pian piano sto cercando di mandare avanti tutte le mie storie =) Che dire? So che sono un clichè, ma io adoro i ragazzi incazzosi, quindi perdonatemi se ce ne sono a bizzeffe in ciò che scrivo. Personalmente preferisco un uomo con le balls, pronto a difendere i suoi ideali con le unghie, con i denti e un pizzico di bastardaggine, piuttosto che quelli mollicci che ti lasciano fare tutto quel che vuoi con aria ebete e vagamente sdolcinata.

Non succede moltissimo, ma spero non sia stato un totale disastro il capitolo, ciaoo!

Vi ringrazio anticipatamente per il vostro passaggio J

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