Another Story From Ferelden di ary91 (/viewuser.php?uid=160134)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Quando
Red si
incontra con Dragon Age e con la mia mente bacata ahah.
Premessa:
questa storiella che sto per raccontarvi in chiave romanzata
l’ho praticamente
sognata stanotte *D* sono talmente profondamente innamorata di questo
videogioco che la mia mente mi porta a “giocarlo”
anche di notte ahah. Alloraaaa,
gli eventi narrano della protagonista Maya, che non è un
Custode, e non si
svolge ai tempi di Alistair e Co. O di Hawke, ma presumibilmente dopo,
durante
un altro Flagello. Maya però vive nel 21° secolo
come noi, solo che eheh beh si
trova però nel Thedas, non certo sulla Terra e ho rubato
l’idea dai romanzi
Red, Blue e Green di renderla una Viaggiatrice nel Tempo :3
D’accordo allora
buona lettura e non esitate a criticarmi nel caso sia proprio tutta da
buttare
via l’idea strampalata =P
Parte
1
Tentando di mantenere regolare il
respiro, strinsi le
ginocchia al petto, osservando il cielo plumbeo fuori dalla finestra.
La
giornata era fin troppo grigia e buia per potermi permettere di
conservare un
briciolo d’ottimismo per ciò che stavo per andare
ad affrontare.
Mordendomi il labbro inferiore
disegnai dei ghirigori nella
condensa del mio alito sul vetro e mormorai brevi preghiere in cerca di
un
aiuto che potesse infondermi coraggio.
Vivere nel XXI secolo non aiuta e
prepara a quello che mi
stava aspettando, un destino triste e allo stesso tempo amaro, pronto a
rivelare quella che poteva essere la mia fine. Per scrupolo non avevo
avuto
voglia di sfogliare i libri di storia per carpire da essi quale sarebbe
stato
l’esito di tutto questo, preferivo di gran lunga trovarmi ad
affrontare gli
eventi faccia a faccia senza sapere a cosa stessi di preciso andando
incontro.
La nonna, unica persona presente in
casa, era impegnata a
cucire nell’altra stanza perciò non le sarebbe di
sicuro preso un colpo a vedermi
svanire nel nulla, pensai confortata. Sarei voluta andare ad
abbracciarla e
darle un bacio sulla guancia, poi con una punta di terrore sperai di
non
tornare morta, perché sarebbe stato difficile spiegare una
cosa del genere al
mondo.
Inserii data e ora per la
trasmigrazione nel mio cellulare,
che avevo ormai imparato a usare come cronografo per organizzare i miei
viaggi
nel tempo, impostando come visita nel passato cinque ore di spazio.
Chiusi gli occhi, tenendomi stretto lo
stomaco, poi quando
li riaprii caddi col sedere sul terreno molliccio e tre ragazzi intorno
a me
scoppiarono a ridere. C’era anche un quarto con loro
– del
tutto immune alla mia entrata in scena –
di cui a dire il vero mi sfuggiva il nome, ma a mia discolpa potevo
affermare
di non averci mai scambiato più di mezza parola, in quanto
era un tipo
piuttosto taciturno e costantemente con la luna storta.
Lily, una ragazza alta dai capelli
lunghi e corvini, mi
tese la mano assieme a Jimmy, un longilineo elfo magro come un chiodo.
«Dovresti lavorare un bel
po’ sul tuo equilibrio, shemlen!»
scoppiò a ridere Jimmy, dandomi una forte pacca che mi fece
traballare e
ruzzolare di nuovo per terra, facendo scoppiare gli altri in un altro
moto
d’ilarità.
Imbronciata incrociai le braccia sotto
il seno, fingendomi
offesa, poi Jimmy mi prese per il polso, attirandomi a sé e
schioccandomi un
bacio a fior di labbra. Rimasi un attimo interdetta
dall’improvviso contatto
ravvicinato, ma gli sorrisi e lasciai correre l’episodio di
presa per i
fondelli.
Salutai tutti con una riverenza e
dando un’occhiata
all’orologio appurai che mancavano ancora un paio
d’ore all’inizio della guerra
che avrebbe coinvolto l’alleanza tra orlesiani e fereldiani
contro la
darkspawn.
«Bello quel coso, devi
portarne uno dal futuro anche a me, Maya!»
s’illuminò Tammy, il ragazzo di colore che avevo
ormai imparato a conoscere
come uno che si esalta facilmente.
«Te lo regalo»,
dissi, porgendoglielo con un sorriso e
passandogli la mano tra i riccioli neri.
«Davvero?»
sbottò inquieto il
ragazzo-di-cui-non-ricordo-il-nome, facendosi avanti tra gli altri e
osservando
me e Tammy con aria truce.
Biascicai un sì titubante,
stringendomi vicino al ragazzo
dalla pelle scura come per proteggermi, aspettandomi che dicesse
qualcosa, ma
questo invece che preoccuparsi dell’altro si strinse
felicemente il cinturino
attorno al polso.
Il ragazzo-di-cui-non-ricordo-il-nome
grugnì qualcosa
alterato e fece per strappare dal braccio di Tammy
l’orologio, questo
sentendosi aggredito sfilò velocemente una freccia dalla
faretra, puntandola
alla gola dell’aggressore. «Eric sta’
indietro! Non voglio farti del male…»
«Devi ridarlo a lei! Non
puoi tenerlo!»
Eric! Era quello il nome! Bravo Tammy.
Assieme a Lily ci fiondammo a dividere
i due litiganti
prima che si ferissero gravemente, io con le semplici
facoltà che potrebbe mai
possedere un’umano e cioè voce più alta
di un’ottava e uso delle mani e lei
invece tracciò con molto più successo un glifo di
paralisi sul terreno per
impietrirli entrambi.
«Statemi a sentire voi due!
Siamo nel bel mezzo di una
guerra! Che vi salta in mente di arruffarvi come due
bambini?!» sbraitò lei,
agitando lo sguardo da uno all’altro, che paralizzati al
terreno potevano
muovere solo gli occhi. Tammy pareva affranto,
“Eric” ancora più imbestialito.
Non riuscivo davvero a comprendere
quale fosse il problema, stavo solo regalando un orologio a quel povero
ragazzino. Se questo avrebbe potuto tirargli su il morale prima di
affrontare
di petto esseri mostruosi come la darkspawn ben venga.
In silenzio mi affiancai a Lily, che
teneva lo sguardo sul glifo in attesa che svanisse, poi le poggiai una
mano
sulla spalla, cercando di farle coraggio tacitamente, capivo benissimo
quanto
dovesse essere agitata.
Il discendente di Calenhad aveva
voluto sul campo di battaglia ogni uomo o donna in grado di impugnare
un’arma.
A sua detta, cooperare tutti quanti sarebbe stato l’unico
modo di porre fine al
Flagello. Come sarebbe andata a finire però quello era un
mistero. Soprattutto
considerando che avevamo dovuto allearci al nostro nemico –
umano – giurato:
Orlais.
Riflettei che comunque se la mia
epoca sussisteva significava che quel giorno forse sarebbe stato un
successo,
altrimenti non mi sarei spiegata l’imperterrito
‘esistere’ del mio presente.
«Jimmy… tutto bene?» gli
domandai,
andandogli vicino.
L’elfo stava scrutando il limitare
del bosco, dove un folto viavai di soldati si stava avviando alla
brughiera
dove probabilmente sarebbe avvenuto lo scontro.
Gli accarezzai le orecchie a punta e
mi aggrappai alle sue spalle. Pur essendo umana non sono una stangona e
lui per
essere un elfo era invece piuttosto alto, il ché lo portava
a superarmi di un
paio di decimetri.
Scrollò i capelli rossicci
intrecciati al capo, facendo spallucce. Teneva l’arco
impuntato nel terreno e
sul viso era stampata l’incertezza.
«Sì. Mi chiedevo che fine faranno
queste persone… L’intero Ferelden si è
unito per combattere il Flagello,
persino Orlais è qui, ma come andrà a finire? E
se fossimo tutti qua congiunti
solo per essere una preda facile di quelle bestie? Rifletti: due
nazioni intere
alla loro mercé, pronti per essere trucidati in una botta
sola.»
«Non dire così…»
mormorai,
carezzandogli la schiena.
«Tu vieni dal futuro. Cosa accadrà
quest’oggi, da’len?»
m’interrogò, voltandosi a guardarmi con quei suoi
enormi
occhi blu.
Mi sentii una stupida a non aver
controllato i libri di storia. Se per caso fosse andato tutto storto,
avrei
potuto in qualche modo salvare almeno loro, i miei amici fidati. Invece
avevo
preferito far fronte al pericolo, incapace di prevederne
l’andamento
esattamente come loro.
Udii i due attaccabrighe dietro
riprendere il controllo dei propri corpi e continuare a litigare, con
la voce
di Lily che li minacciava di bloccarli per l’ennesima volta.
Gettai una breve occhiata a tutto
ciò che mi circondava, poi confessai di non essere a
conoscenza di quel che
sarebbe stato l’esito di quella giornata.
Jimmy inspirò profondamente, poi
alzando l’arco mi poggiò una mano sulla spalla e
mi scostò dal viso una ciocca
di capelli rossi. Continuò a guardarmi come se volesse dirmi
qualcosa, con la
mandibola serrata, finché non abbassò lo sguardo
e soggiunse:
«Dareth shiral, addio, nel caso non dovessimo vedere
l’alba di domani…»
«O il tramonto», concluse Eric
scontroso, passandoci accanto e tastando il tronco di una quercia poco
più in
là.
Lily e Tammy mi affiancarono,
chiedendomi cosa stesse facendo il nostro compagno dal temperamento
piuttosto
acceso.
«Credo stia cercando un albero dove
appostarsi», spiegai, osservando i rami più in
alto.
In effetti era un’idea che
poteva risultare geniale, da lì
sarebbe stato difficile per le darkspawn colpirci con le armi da
mischia di cui
erano dotati. «Ci saranno sicuramente degli
arceri», bofonchiò Jimmy, come se
mi avesse letto nel pensiero. Essendo figlio di un dalish,
chissà quali facoltà
mentali possedeva che non diceva. «Ma l’idea
può funzionare», aggiunse infine,
raggiungendo Eric, che aveva iniziato ad arrampicarsi per testare
quanto
potessero sopportare i rami della quercia.
«Se saliamo in alto,
dovremmo avere più possibilità di non
essere scovati, no?» disse Tammy, impugnando il suo arco
fatto d’osso di drago.
Gli sorrisi speranzosa, in attesa di
una risposta da
qualcuno di più autorevole, io avevo imparato da pochi anni
a scagliare frecce
e non avevo mai combattuto in una vera battaglia, ne sapevo quanto lui.
«Sì. Ma come
farai se nemmeno tu sarai in
grado di vedere i nemici, hmm?» borbottò Eric
seccato senza guardarlo.
Tammy si zittì un attimo
poi suggerì che forse così avremmo
potuto attaccare solo quelli che si avvicinavano al tronco
dell’albero e almeno
ci saremmo salvati.
Da fifona qual ero non potevo che
essere d’accordo con lui,
ma preferii zittirmi, nel vedere Eric e Jimmy guardare Tammy con
sguardo torvo.
Lily e io sbuffammo, entrambe del
tutto contrarie al
buttare all’aria la nostra vita, poi, prendendo sottobraccio
il povero Tammy,
ci trascinammo insieme verso il nostro personalissimo campo di
battaglia.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Ma
ciao bella gente! Allora premetto che io non ho mai scritto cose
puramente fantasy e perciò sono nuova del genere "Affilate
le torce e i forconi e mettiamoci a descrivere la guerra del secolo!"
quindi ammetto di aver bellamente scopiazzato la scena finale di Dragon
Age Origins, fissandola attentamente su youtube XD... tutto
ciò giusto per tentare di giustificarmi perché
non sono assolutamente capace a scrivere questo genere di cose, solo
che visto il soggetto direi che questa parte era immancabile
=P
Spero
non rimpiangerete di aver buttato all'aria 5 minuti della vostra vita a
leggere questo pasticcio ;
PARTE 2
Ben
sistemati
e coperti dalla chioma della quercia, la visibilità non era
del tutto pessima
come si sarebbero aspettati Eric e Jimmy. Così quando ognuno
di noi aveva
trovato la posizione più comoda, ce ne restammo impalati con
ad occhi sgranati
a fissare l’orizzonte, in attesa del nemico – di
cui non c’era fortunatamente
ancora traccia.
Di sottecchi
mi accorsi che Lily tremava e si stava mordendo forsennatamente le
labbra. Ci
conoscevamo più o meno da un paio d’anni, fin da
quando per sbaglio ero trasmigrata
sul tetto del Circolo dei Magi e mi aveva aiutata a nascondermi dai
Templari
finché non fossi tornata al mio tempo. Da allora ci eravamo
ritrovate
quotidianamente e avevamo fatto la conoscenza di quegli altri tre
strampalati
che ora se ne stavano con l’arco in mano ad aspettare di
andare incontro al
proprio destino. Quando vidi del sangue macchiarle il mento, mi
trascinai
accanto a lei e sorrisi, stringendole una mano per infonderle un
pizzico di
coraggio.
«Mi
mette più
ansia lui piuttosto che quelle bestiacce…»
confessò, alzando il viso verso Tammy
che sui rami più alti pregava a gran voce il Creatore di
riservagli un posto
speciale esattamente come aveva fatto per la Sua amatissima Andraste.
«Sei un tipetto niente male
se osi paragonarti a Lei», proferì Eric, alzando
il naso verso il ragazzo, che
lo ignorò bellamente, mettendosi a mormorare il Canto della
Luce.
«Lasciatelo in pace:
è
giusto che trovi un modo per rendere il tutto più
“dolce”», suggerii, gettando
un’occhiataccia a
colui-al-quale-non-avevo-mai-rivolto-prima-la-parola-o-quasi.
«La mia era solo
un’osservazione, mica volevo farlo smettere», si
giustificò il ragazzo,
spostandosi di modo da darmi le spalle. «Siamo qua per
ricacciare la prole
oscura da dove se n’è venuta, no?»
borbottò più a se stesso che a me.
«Però preferirei
non
giocare ai Custodi Grigi…» replicò
Tammy, prima di riprendere a recitare con
foga le sue preghiere.
«Forza ragazzi, smettetela
con questi musi lunghi!» sbraitò Jimmy dalla sua
postazione. Se ne stava in
piedi, tenendosi in equilibrio tra due rami, era così agile
che se fosse stato
un animale l’avrei definito un leopardo. «Siamo
stati invitati a una festa, no?
Allora balliamo!»
«Oh, sì, prode
James»,
assentì Lily, tirandosi anche lei in piedi e traballando
tutta. «Tiriamo fuori
arpa e liuto e danziamo!» e nel dirlo fece il gesto di
suonare, facendoci
scoppiare a ridere – perfino Eric! – il
ché la portò quasi a perdere stabilità
e io la tirai per la veste verso di me, riuscendo a non farla cadere di
sotto.
«Stai attenta! Potresti
cascare in testa a un hurlock!» la ammonnì Tammy,
dandoci tregua dai canti
della Chiesa. «Non vogliamo offenderli, vero? Non sia mai che
se ne corrano crucciati
a far rapporto all’arcidemone…»
«In questo caso: cattiva
Lily! Come osi offendere quei poveri cattivoni? Non ti vergogni neanche
un po’?»
commentai, divertita.
Scoppiando a ridere, sia
Tammy che Jimmy rischiarono più di una volta di ruzzolare
giù e la cosa
cominciava a essere un tantino preoccupante.
«Non puoi fare qualche
incanto che ci tenga stretti alla quercia?»
s’informò Jimmy, sedendosi a
cavallo del suo ramo.
Lily scosse la testa,
dubbiosa. «Non è che al Circolo dei Magi potessimo
fare chissà quanta magia…
Più che altro ci insegnavano a trattenerla», si
giustificò. «Al massimo potrei
tracciare un glifo di paralisi, ma non credo vogliate rimanere
pietrificati per
tutto il tempo, no? Sono una guaritrice, non una maleficar!»
Le scompigliai i capelli
corvini e scoppiai a ridere.
Stava per replicare
qualcosa, quando di colpo ci ammutolimmo tutti nel vedere
l’armata della nostra
fazione farsi compatta, preparando le armi in vista dello scontro.
Aguzzammo la
vista e notammo, dal nostro punto privilegiato, che
dall’altro lato della
brughiera una massa di bestie feroci coperte da rozze armature, in
procinto di
attaccare. Tra le fila disordinate sbucavano in tutta la loro mostruosa
stazza
ogre indemoniati, pronti a caricare contro i nostri.
Dalla nostra avevamo per
fortuna un fitto esercito di nani, uomini, elfi, mabari e anche
giganti, tutti
uniti sotto un unico vessillo per poter scongiurare il pericolo
incombente. Mi
ero sempre figurata gli ultimi come i membri del popolo dei Qunari,
dato che
nella mia epoca si erano estinti, e vederli combattere al nostro fianco
suscitava in me un moto d’entusiasmo e terrore. Erano invece
simili agli
alberi, ma dalla forma vagamente umana.
Pur essendo tanto diversi
tra loro, ogni membro dell’alleanza era pronto a sacrificare
la propria vita
nel tentativo di salvarne migliaia e migliaia di altre.
In testa al battaglione i
due sovrani a cavallo stavano tenendo il discorso di incoraggiamento
per le
loro truppe e all’urlo di incitamento In nome di
Orlais e del Ferelden! i
soldati risposero eccitati, chi battendo le lance a terra, chi
esultando con la
spada al cielo.
Noi, dal nostro canto ci
limitammo a guardarci negli occhi e strillare a nostra volta, agitando
i pugni
in aria: «Per il Ferelden!».
«Che il Creatore ci
assista…»
aggiunse Tammy, poggiando una mano sul cuore, per poi impugnare
l’arco con
forza.
La prima cosa che il nostro
Re fece, fu di dare l’ordine di lasciar andare i mabari e
questi, spinti dai
propri padroni, si fiondarono in una corsa disperata contro la
darkspawn,
andando a sbranare
e graffiare tutto ciò
che gli capitava a tiro.
Alcuni hurlock caddero
sotto il morso dei canidi, altri furono tanto scaltri da infilzarli.
Chiusi gli occhi atterrita,
certo non mi aspettavo che con la prima mossa avremmo vinto la guerra,
ma nel
veder perire così tanti mabari mi si strinse il cuore,
soprattutto al pensiero
che presto molti uomini, molti di noi, avrebbero
fatto la stessa
identica fine.
«Forza, ragazzi, preparate
le frecce», comandò Jimmy, tenendosi in piedi.
«Tu Lilian ce la fai a intanto a
tenerli lontani da qui?»
Lily annuì, risoluta, poi
mi sussurrò: «Creatore… per arrivare
fin quaggiù dovrebbero sorpassare
l’esercito…».
«Lo so, Lily, lo
so»,
ribattei, senza riuscire a guardarla.
I
miei occhi non riuscivano a staccarsi dalla brughiera.
Il generale di Orlais,
delegato direttamente dal suo imperatore, stava incaricando gli arcieri
di tenersi
pronti e nel momento in cui diede l’ordine di scoccare,
centinaia di frecce
infuocate andarono a impalarsi perfettamente nella lunghissima linea
d’olio che
era stata sciolta dai magi della Torre in precedenza sul terreno
erboso, facendo
sì che si creasse un muro di fuoco che avrebbe tenuto a bada
per un po’ la
fazione nemica.
«Voi lo vedete?»
domandò
Tammy, battendo i denti visibilmente e strizzando gli occhi
all’orizzonte,
oltre il muro di fiamme. «Dov’è
l’arcidemone? Voi lo vedete?»
All’unisono
tutti osservammo attentamente la fazione nemica, ma effettivamente non
c’era
traccia di enormi draghi sputafuoco o simili.
«Forse… non
c’è? Allora non
è un Flagello!» continuò, schermandosi
la vista dal sole ed esultando come un
bambino.
«Se anche non fosse qui
adesso, stai pur certo che quei caproni sono reali, non stiamo per
lottare
contro l’aria», confabulò Eric,
saggiando tra le dita la punta di uno dei suoi
dardi, per poi tenderla verso il nemico come per misurare la distanza
che li
separava.
Lily emise un gemito
strozzato, rivolsi il viso verso il campo di battaglia e singhiozzai a
mia volta.
Le bestie avevano usato i corpi dei loro stessi compagni più
deboli come
“pezza” per passare sul fuoco e stavano avanzando
di corsa verso di noi.
Si stavano
facendo violentemente largo nella brughiera.
Mi sentii
crescere dentro la paura e per la prima volta realizzai che forse
davvero non
avrei visto il tramonto.
Solo il
guardare quelle bestie demoniache mi provocava la pelle d’oca
e la tremarella.
In cosa sono andata a immischiarmi…
Prossimi
allo
scontro corpo a corpo, i valorosi soldati tennero preparate le proprie
armi e
al momento giusto con un urlo battagliero si gettarono in mischia,
portandosi
nella tomba quanti più prole oscura possibile.
Aumentai la
stretta attorno all’impugnatura dell’arco, pervasa
dai brividi.
Deglutendo
mi
resi conto che anche gli altri erano agitati quanto me, nei loro occhi
l’angoscia era un sentimento inamovibile.
Se solo ci
fosse stato un po’ più tempo a disposizione mi
sarei arrampicata da ognuno di
loro e li avrei stretti al petto, assicurandogli che ce la saremmo
cavata alla
grande.
Per un
momento
fin troppo lungo mi diedi dell’imbecille, perché
mai ero trasmigrata in tempo
di guerra? L’affetto per quei ragazzi mi aveva portata a
intromettermi in qualcosa
che non mi apparteneva e che forse mi avrebbe mandata dritta dritta
all’Oblio.
Imbecille, imbecille, imbecille!
Il suono
straziante
di per sé era già abbastanza, non mi sentivo in
grado di vedere i nostri cadere
al suolo feriti o morti; preferii di gran lunga canticchiare con voce
sommessa
e rivolgere lo sguardo al cielo terso e brillante, l’unica
cosa che non si
sarebbe mai spenta nell’arco dei secoli. L’unico
punto fermo in un mondo fatto
di incertezze.
Grida
tormentate
dal dolore risuonarono nell’aria, andando a confondersi col
clangore delle
spade e quello degli scudi, usati disperatamente per proteggersi
dall’indifendibile.
Trattenemmo
unanimemente il fiato, quando Tammy, preso dal terrore,
scoccò la prima freccia
che andò a impalarsi nel collo di un hurlock e nel vederlo
cadere a terra privo
di vita, brandimmo tutti un po’ di coraggio e, sperando nella
buona sorte,
seguimmo l’esempio del ragazzo dalla pelle color ebano,
prendendo parte alla
guerra della nostra era.
Della loro era.
Scagliai frecce contro ogni
bersaglio che mi capitava a tiro, tentando di essere il più
veloce possibile e
senza allo stesso tempo perdere l’equilibrio, essendo in
piedi sul ramo di una
quercia.
Lily si
destreggiava
piuttosto abilmente con la sua staffa magica, stendendo con successo
più di una
darkspawn alla volta. Era senza ombra di dubbio la più forte
di noi e dopo
l’iniziale timore sembrava quasi prenderci gusto in quel che
faceva. Il suo
glifo di repulsione attorno all’albero funzionava a
meraviglia e ci stava
tenendo al sicuro da pericolosi incontri ravvicinati.
In un impeto
di terrore misto a tenacia, riuscimmo ad abbattere quanti
più genlock, hurlock
e shriek possibili. Certo non sempre i tiri andavano a segno, ma
trafiggere
anche solo di striscio quei mostri dava una soddisfazione immensa.
Mi
paralizzai
un secondo, fissando senza fiato gli ogre sul campo. Si trattava di
colossi
demoniaci sovrastati da smisurate corna ricurve e dall’aria
molto, troppo micidiale.
Vidi un paio di loro prendere la carica contro un manipolo di guerrieri
e
nell’istante in cui alcuni di loro sopravvissero alla botta,
i primi li
afferrarono, sollevandoli da terra e spezzandoli in due come grissini.
Inghiottii
troppo velocemente e, dopo essermi fatta andare di traverso la saliva,
presi a
tossire forsennatamente.
Divisa tra
il
dolore per la caduta e il tossire, sentii a malapena Jimmy urlare un
ordine
infuriato ai suoi uomini, che
prontamente obbedirono senza un battito di ciglia.
Mi alzai a
fatica e spalancai gli occhi, di sasso per la paura.
Un enorme
ogre
stava avanzando rapidamente in mia direzione, emettendo dei mostruosi
grugniti
e chinando la nuca per incornarmi.
«Colpitelo
in
testa! In testa!» ringhiò Jimmy
dall’alto, scoccando tre dardi alla volta e
seguito a ruota da Eric, che abbaiò a sua volta di mirare
invece alla gola, per
non rischiare che i colpi rimbalzassero sulle corna.
Il buon
senso
mi urlava a squarciagola di mettermi in salvo. Infatti se in quel
momento fossi
stata un briciolo lucida, probabilmente mi sarei messa a correre come
una
forsennata attorno al tronco della quercia, invocando la mamma, ma
essendo
invece bloccata da testa a piedi non mi mossi di un millimetro,
strizzando gli
occhi in attesa della fine.
Sentii solo
un
fortissimo crack, che
però non
proveniva dal mio corpo, ma dal glifo di repulsione tracciato da
Lilian. Sgranai
gli occhi entusiasta e riacquistai il potere di muovermi. Improvvisai
una
specie di danza felice, insultando pesantemente l’ogre, che
ancora più
indemoniato aveva cercato più volte di oltrepassare la
barriera invisibile per
atterrarmi.
«Smettila
di
ballare, idiota! Arrampicati!» gridò Jimmy,
facendomi cenno di salire su.
Annuii,
troppo
contenta per potermi sentire imbarazzata, e feci per issarmi sul
tronco.
«Svelta!
Sta
per finire l’effetto della magia!»
strillò Lily con gli occhi fuori dalle
orbite.
«Traccia
un
altro glifo, no?!» la sgridò Tammy, tendendo
l’arco verso l’ogre.
«Non
ho
abbastanza mana!» si giustificò lei.
Il panico
stava tornando a impadronirsi di me, ma cercai di non dargli retta,
tentando di
mettermi furiosamente in salvo. Per un pelo le corna non mi colpirono,
avevo
raggiunto un punto abbastanza alto perché il mostro colpisse
soltanto la
corteccia.
Mi tenni
stretta a un ramo. L’albero vibrò paurosamente e
quando l’ogre lo colpì
nuovamente con rinnovato furore, lo sradicò quasi
completamente dal suolo.
«Aggrappatevi
ai rami!!!» sbraitai con tutto il fiato che avevo nei
polmoni.
Prima di cozzare a terra,
fummo sballottati qua e là da altre percosse
dell’essere.
Il capitombolo poi venne
attutito dalle fronde della pianta, permettendoci di non rimanere
feriti
gravemente.
Terrorizzata da ciò che
poteva aspettarmi, rimasi nascosta tra i rami e le foglie, in attesa
che il
dannatissimo ogre si allontanasse. Di preciso non so quanto fossi stata
lì
sotto.
Il corpo mi doleva tutto a
causa delle botte ricevute e il cuore mi martellava furiosamente nel
petto. Con
un’imprecazione mi lamentai per aver perso.
Una volta lontano il
bestione, uscii allo scoperto, sputacchiando foglie e terriccio.
Mi guardai intorno in cerca
degli altri e nel vederla in difficoltà, aiutai Lily a
tirarsi via un grosso
ramo di dosso.
«State bene?!»
s’informò
Jimmy, raggiungendoci con la faccia pesta.
«Noi
sì… Ma te? Stai
sanguinando…» mormorai con un filo di voce,
tendendo le dita verso il suo
volto.
«Ho sbattuto il naso contro
una roccia…» spiegò, facendo spallucce.
Lily si era offerta di guarirlo,
ma lui rifiutò galantemente, preferendo che
l’umana conservasse energia per
salvarsi la pelle.
«Dov’è
Tammy?» chiesi
all’improvviso, guardandomi attorno. «E
l’altro? Dove sono Eric e Tammy, eh?»
ripetei, scrollando le spalle dell’elfo presa dal panico.
Lui in tutta risposta non
fece altro che scuotere la testa dispiaciuto.
«C-cosa…?»
bisbigliò Lily,
volgendo lo sguardo affranto alla quercia abbattuta. «Non
può essere… non
può…»
«Ho visto Tammy coi miei
occhi: un ramo l’ha… l’ha
squarc…» s’interruppe bruscamente,
quando venimmo
circondati a tradimento da un gruppo di genlock inferociti che emisero
disgustosi versi disumani, come per incitarci ad attaccare per primi.
Lilian non si fece prendere
dal panico e prontamente sventolò il suo bastone
d’acero, scagliando addosso al
manipolo di prole oscura un’esplosione mentale che ci permise
di guadagnare un
attimo in più.
Jimmy sguainò una daga dal
fodero sulla schiena e diede man forte alla maga, atterrando a fatica
il
genlock più vicino a lui per impedire che accadesse il
contrario.
Afferrai un ramo spezzato
piuttosto spesso da terra e con tempismo riuscii a colpire con tutto
ciò che
restava della mia non-famosa forza una di quelle bestiacce deformi,
senza però
ottenere il risultato sperato, dato che la mia botta sembrò
averlo appena
sfiorato.
Il genlock appena colpito,
prese la carica e a spada sguainata si accanì su di me. Mi
difesi alla bell’e
meglio con l’aiuto del bastone, le unghie, i denti e gli
stivali.
Con un grido agguerrito,
Lily mi tolse di dosso quell’essere, ma nel momento in cui si
voltò per
affrontare un altro genlock, questo la trapassò crudelmente
da una parte
all’altra.
«NO!» strillai,
disperata.
A quel punto, se Lilian
Amell era morta, che era la più forte di tutti noi, quante
possibilità poteva
avere una semplice e inutile mortale come me di salvarsi?
|
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Capitolo 3 *** 3 ***
PARTE
3
In silenzio
mi
dissi che forse la cosa migliore sarebbe stata quella di smettere di
combattere, tanto valeva raggiungere l’Oblio
all’istante, invece che rimandare
inutilmente.
Venni
strattonata via da qualcuno e scaraventata lontano dal pericolo in
mezzo alle
fronde della quercia abbattuta poco prima.
Dall’altra
parte proveniva il suono del cozzare delle lame e i grugniti affaticati
degli
umani contro quelli più gutturali delle darkspawn.
Deglutendo faticosamente,
azzardai un’occhiata e con mio sommo entusiasmo notai che
Eric stava
combattendo fianco a fianco con Jimmy e ne stavano uscendo vincitori.
Alle mie
spalle percepii un respiro gorgogliante e fetido che non mi
lasciò alcun dubbio
su a chi o cosa appartenesse. Con occhi terrorizzati, lasciai andare la
presa
del ramo che avevo tra le mani, arrendendomi all’idea della
fine.
Solo che
questa non arrivò come mi sarei aspettata, venne al
contrario sostituita dal
grido infuriato di Eric, che trafisse violento il genlock che avevo
dietro,
direttamente da sopra la mia spalla. A distanza così
ravvicinata non potei non
osservare che stava impugnando una daga della prole oscura, forse
l’aveva
raccattata da qualcuno dei loro cadaveri.
Ritrasse
l’arma, poi roteandola abilmente picchiò
l’elsa contro la testa del mostro.
Fummo entrambi schizzati di orrido sangue scuro, poi quando finalmente
eravamo
liberi dall’attacco ripresi a respirare.
Mi lasciai
cadere sulle ginocchia e mi trascinai fino al corpo di Lily, affondando
la
faccia nel suo ventre e sporcandomi del suo sangue ormai freddo.
Piansi e
piansi, stringendomi così forte a lei da sentirmi il viso in
fiamme e la testa
pesante. Non riuscii a smettere di singhiozzare e fui scossa da
violenti spasmi
dovuti alla disperazione. Non riuscivo a capacitarmi di
com’era potuta accadere
una cosa simile. Poco prima eravamo lì a ridere e scherzare
e ora… ora non
c’era più.
Sentii una
mano carezzarmi i capelli, poi mi tirò a sé
dolcemente e Jimmy mi sorrise,
sussurrando parole di conforto. «Non abbandonare la speranza,
Lilian ora è in
pace. Se n’è andata in modo eroico e
nell’Oblio non avrà rimpianti.»
«Come
lo sai?
Aveva solo diciassette anni…» mormorai senza fiato.
«Sapeva
a cosa
stava andando incontro», disse deciso, tirandomi su.
«Maya, questa è la guerra.
Chi combatte sa che ci sono ben poche possibilità di uscirne
vivi», continuò
con sguardo duro, per poi volgerlo velocemente altrove.
Fece un
cenno
col capo ad Eric, che lo vidi avvicinarsi a me a passi veloci.
«Che
sta suc…»
Non potei finire di parlare, perché sentii il ragazzo
taciturno afferrarmi per
il gomito e trascinarmi via di lì.
Protestai a
gran voce, ma proprio in quell’istante un manipolo di hurlock
e genlock stava
accorrendo nel punto in cui ci trovavamo.
«E
Jimmy?!»
urlai, tremante.
«Non
c’è tempo!»
borbottò l’altro, continuando a tirarmi con la
forza.
L’elfo,
intanto, baciando la lama della sua daga, si preparò ad
affrontare una nuova
battaglia, in quello che forse sarebbe stato il suo ultimo gesto eroico
nel
tentativo di farci fuggire.
Eric
grugnì
qualcosa e mi buttò nell’erba. Mi tirai su
indolenzita e rimasi impietrita
nell’udire il ruggito gutturale, che avevo ormai imparato a
riconoscere. Volsi
la vista oltre le mie spalle e vidi la creatura enorme dalla
corporatura
massiccia e muscolosa, la pelle bluastra e corna nere e ritorte che le
davano
un’aria demoniaca.
Eric tolse
rapidamente dalla fibbia il suo arco e in un’unica mossa
scattante scagliò a
raffica delle frecce contro l’ogre, che
s’impennò e calò i pugni con
incredibile forza contro il terreno, provocando all’impatto
un’onda d’urto che
scosse l’intera radura.*
Presa dal
panico, come un’idiota iniziai a lanciare sassolini contro le
corna del mostro,
sperando di indurlo ad andarsene, ma questo non fece altro che
provocargli
ancor più fastidio, si voltò verso di me e prese
la rincorsa, chinandosi su se
stesso.
«Corri
verso
la foresta! Maya corri!» gridò Eric, continuando a
gettare una pioggia di
frecce contro la creatura.
Jimmy
alzò le
braccia al cielo e mormorando qualcosa, l’ogre
andò in fiamme. Mugghiando e
agitando le braccia tentò di spegnere il fuoco che lo stava
consumando.
«Non
durerà a
lungo! Presto correte! Io lo terrò a bada un altro
po’» sbraitò Jimmy,
riponendo in tasca la runa del fuoco ereditata dai dalish.
Scossi la
testa,
non potevamo abbandonarlo, ma tutto quello che stava succedendo mi
aveva tolto
il dono della parola.
Nel mentre
che
il ragazzo mi trascinava con sé verso la foresta, gettai
un’occhiata alla
desolazione del campo da cui provenivamo. C’erano morti
ovunque di entrambe le
fazioni, mentre i combattenti più valorosi erano ancora in
procinto di
abbattere i propri nemici provenienti dalle viscere delle Vie Profonde.
Ad occhi
sgranati mi accorsi che sparsi qui e lì c’erano i
corpi infernali degli
abomini, che si stavano ritorcendo contro la propria fazione,
massacrando
chiunque gli capitasse a tiro. Evidentemente, dalla disperazione del
momento, i
magi che non erano collassati erano invece precipitati nel baratro
della Magia
del Sangue.
Questa
guerra
era un delirio unico.
Tirai su col
naso, Jimmy era ormai lontano, tutto era perduto.
Non mi
restava
che seguire il ragazzo che mi stava salvando la vita, standogli dietro
in
silenzio, troppo esausta per poter affrontare anche solo moralmente
tutto ciò
che aveva a che fare con la guerra che mi aveva strappato crudelmente
ogni cosa
che di più cara avevo in quest’epoca… e
in segreto ero grata a Eric per avermi
portata via da quel posto.
Non riuscii
a
definire per quanto camminammo nel folto della foresta. Eravamo stati
sopraffatti un paio di volte da lupi selvaggi ed enormi ragni velenosi,
ma
grazie all’abilità del ragazzo ce
l’eravamo sempre cavata con qualche ferita
leggera.
Ero stanca e
indolenzita, ma Eric era così taciturno e sicuro di
sé che non mi andava di mostrarmi
come una bambinetta capricciosa. Ad ogni passo ripensavo a quel che era
successo, senza riuscire davvero ad arrendermi all’idea che
era tutto andato. Dissolto.
«Possiamo
riposarci qui», annunciò Eric, spezzando il
silenzio e indicando il luogo tranquillo
che avevamo raggiunto senza che me ne accorgessi.
Si trattava
di
una parte del Lago Calenhad, nascosto dall’ombra delle
sequoie, circondato da
un verdeggiante prato fiorito.
Chissà
quanto
mancava alla trasmigrazione. Sbuffando atterrita mi ricordai, nel gesto
di
guardarmi il polso, che non avevo più l’orologio
che avevo regalato a Tammy per
incoraggiarlo… prima di morire. Mi sentii una morsa
invisibile stritolarmi il
petto, togliendomi il respiro. Mi accasciai sull’erba,
finendo per l’ennesima volta
in un pianto amaro per i miei caduti.
A
gattoni riuscii a raggiungere l’acqua, che mi affrettai a
bere per riprendermi
un pochino dallo shock che mi stava pian piano prosciugando ogni
energia.
Dopo
aver perlustrato la zona circostante per accertarsi che fossimo al
sicuro dalla
Corruzione, Eric mi si affiancò, abbassandosi alla mia
altezza sulle ginocchia.
Senza
dire una parola mi afferrò piano il mento, voltandomi la
faccia a destra e a
sinistra, poi si tolse il guanto di pelle dalla mano destra,
calò la manica
della camicia sulla mano e la intinse nel lago, per pulirmi le ferite
che avevo
sparse un po’ ovunque.
Mi
tolse dal viso sangue e terriccio, poi si strappò un lembo
di tessuto di dosso
e me lo strinse attorno al braccio sinistro, dove un brutto taglio
aveva già
macchiato abbondantemente la mia manica.
«Mostrami
le mani.»
Obbedii
e passò la manica umida sui palmi, detergendo i taglietti
che mi ero procurata.
A
distanza
praticamente nulla, non potei impedirmi di esaminargli il viso. I
capelli
lunghi e neri gli ricadevano disordinati attorno al viso dai tratti
aguzzi,
entrambe le guance erano sfregiate da piccole e numerose cicatrici, e
gli occhi
di un azzurro acceso sfavillavano dal suo incarnato reso scuro dal sole
e dalla
sporcizia del campo di battaglia.
Stavo
per ringraziarlo di essersi preso cura di me, ma nel momento in cui
aprii bocca
un rumoroso fruscio proveniente dall’acqua spezzò
la quiete del posto. Eric mi
trascinò via dalla riva, indicandomi in silenzio di correre
dietro le rovine di
una vecchia torre poco più in là.
Restammo
nascosti, schiacciati immobili contro la fredda pietra e lui mi teneva
una mano
premuta contro le labbra per impedirmi di emettere un qualsiasi rumore,
visto
che stavo ancora piangendo. Era più forte di me, non
riuscivo a smettere.
Ci
giunsero all’orecchio delle voci divertite e guardandoci
perplessi, entrambi
sporgemmo la testa oltre le rovine, tentando di nasconderci
però dietro le
rampicanti.
Nel
lago stava sguazzando allegramente una giovane coppia, a dispetto di
morte e
distruzione che regnavano là fuori.
Scambiai
una rapida occhiata interrogativa col ragazzo, poi aguzzando la vista
ci
rendemmo ambedue conto che i due a mollo – e palesemente
nudi. Che avessero
appena…? – erano i giovani eredi al trono! Lei era
la principessa del Ferelden,
Anita Theirin, e lui il figlio dell’Imperatrice di Orlais,
Jean De Lauville; il
loro matrimonio era stato combinato da poche settimane, in vista
dell’unione
forzata dei due Paesi, a causa della guerra. Così, per
rendere buoni i rapporti
delle due nazioni, era stato deciso di unire coi Sacramenti i due
rampolli
delle casate più importanti.
Gli
sposini sembrava se la stessero spassando alla grande e, arrossendo, mi
schiacciai contro il muro della vecchia torre, poi afferrai bruscamente
Eric
per la camicia, gettandogli un’occhiataccia.
«Smettila
di guardarli! Non… non è
educato…» bofonchiai in imbarazzo, tentando di
nascondermi dietro la massa di capelli rossi e ricci.
Tornò
dietro le rovine di malavoglia e solenne dichiarò:
«Non stavo spiando».
«Ah,
no, eh?» replicai con un sopracciglio alzato.
«Controllavi soltanto che fossero
in salute, allora…»
«Esattamente.»
«Come
no», conclusi, dandogli di gomito.
«Senti… ora che facciamo?» domandai
infine,
sporgendomi un poco, curiosa com’ero di osservare i due
piccioncini.
Ma
non vidi quel che mi aspettavo.
Tirai
Eric per il bavero, costringendolo a guardare quello per cui trattenni
il
fiato, impedendomi di gridare.
L’erede
dell’Imperatrice stava abbracciando affettuosamente la sua
amata, poggiandole
il mento sulla spalla, poi aveva sollevato appena una mano fuori
dall’acqua,
facendo cenno a qualcuno nascosto nell’ombra, di cui potei
vedere solo i piedi
fasciati da un ingombrante paio di stivali scamosciati. Un sibilo
fendette
l’aria e una freccia trafisse da dietro il cuore di Anita,
che fece in tempo a
gemere brevemente per poi afflosciarsi tra le braccia di colui che
l’aveva
tradita.
Sulle
labbra del consorte reale era disegnato un ghigno beffardo e fece segno
all’assassino di andarsene, macchiando entrambi del sangue
dell’innocenza.
Era
troppo da sopportare, mossi un passo per andare ad ammazzare quel
bastardo,
quando Eric me lo impedì, trattenendomi contro il suo petto
e comprimendomi la
bocca con una mano. Mi intimò all’orecchio di non
muovermi e fare silenzio se
non volevo che il traditore ci scoprisse e ci accusasse ingiustamente
del
crimine.
«Gente
come lui ci mette tre secondi a fregarti.»
Si
guardò intorno per cercare una via di fuga, poi mi
agguantò il polso e mi
condusse nuovamente verso la foresta. Intanto che ci stavamo
allontanando udii
chiaramente l’orlesiano urlare a pieni polmoni:
«Sporchi fereldiani avete
ucciso mia moglie!» e continuò a ripeterlo con
quel suo odioso accento
straniero, finché non sentimmo il frastuono di un manipolo
di cavalieri,
raggiungere il nobile.
Inizialmente
camminai senza protestare, ma sentendo le infondate accuse verso il mio
popolo,
pronunciate da quel viscido essere e accecata dall’ira che
covavo nel profondo,
afferrai lestamente l’arco di Eric, rubandogli
contemporaneamente un’unica
freccia dalla faretra.
L’avrei
fatta pagare cara a quel maniaco omicida, sangue blu o no, e
l’avrei spedito
all’istante al Creatore.
Corsi
indietro verso il lago, ma lui fu più veloce di me. Mi si
parò davanti e mi
strinse per le spalle, bisbigliando: «Che hai intenzione di
fare, stupida?».
«Cosa
voglio fare? Non è forse chiaro? Quel verme non
può passarla liscia. Vuole
scatenare Orlais contro di noi, non lo vedi?!» sbraitai,
indemoniata, tentando
di divincolarmi dalla sua presa.
«Metti
in moto il cervello, Maya, quello è l’erede al
trono: sai che ti accadrebbe se
ti acchiappassero?» sentenziò, aumentando la
stretta. «Andresti al patibolo e
con te ci finirebbe tutta la tua famiglia. È davvero questo
che vuoi?»
Trattenni
una risata isterica. «Famiglia? Ricordi che vengo dal futuro
o la cosa ti
sfugge?»
Lui
non replicò immediatamente e mi lasciò andare.
Gli
fui tacitamente grata, accennai una riverenza, poi strinsi ben bene la
sua
arma, pronta a usarla per fare giustizia. Mossi pochi passi verso le
rovine
della torre, quando lo sentii chiaramente dire: «Non voglio
che diventi
un’assassina. Non voglio che diventi come lui».
* Qui ho
riportato
un pezzo del romanzo di Gaider "La Chiamata" perché sono
totalmente
incapace nella descrizione di mostri sanguinolenti o di quel che fanno
XD
Ed ecco la
fine
della 3 parte di questa storia un po' assurda... So che probabilmente
farà
svenire per l'orrore tutti voi, ci sarà di sicuro chi
vorrà tagliarsi le vene
dalla disperazione, ma a me diverte un sacco! Mi piace tantissimo
scrivere di
qualcosa che avviene in questo fantastico mondo inventato dalla
BioWare. Santi
subito!!!
|
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Capitolo 4 *** 4 ***
Ciaoooo! Chiedo umilmente
settordici volte perdono per l'enorme ritardo con cui aggiorno!!!
Però come qualcuno saprà sono in quinta superiore
ed egoisticamente quando sono libera dallo studio preferisco uscire,
che stare in casa a scrivere. Forse ora la divinità della
Scrittura mi fulminerà, perché credo di aver
appena detto una bestemmia grande e grossa xD
Beh, ad ogni modo: ringrazio anticipatamente chi sarà tanto
dolce e gentile da passare da qui a dare un'occhiata alla mia storia
del tutto campata in aria, spero non mi lapiderete per l'enorme
banalità che sto mettendo per iscritto ahah.
Un bacione e vi prego e vi scongiuro: anche se vi farà un
sacco schifo o vi piacerà tanto da buttarvi giù
da una finestra... potreste dirmi che ne pensate? Fa sempre piacere
ricevere critiche ;)
BUONA 'VISIONE'
PARTE 4
Serrai la
mascella e strinsi il manico dell’arco fino a sentir dolore.
Percepivo d’essere
paonazza per la rabbia e il respiro era accelerato.
Ero del
tutto
in balia di un’agonizzante battaglia interiore contro i miei
stessi principi.
Se fossi
stata
una comune diciannovenne del ventunesimo secolo avrei avuto la
coscienza
perfettamente candida e un’anima pura, nel mio periodo le
cose filavano lisce
come l’olio: Orlais e il Ferelden collaboravano
pacificamente, i Qunari erano
diventati abili agenti bancari, i magi erano riusciti ad acquistare
pari
diritti come ogni altro mortale, e soprattutto chi se lo meritava
finiva a
scontare le pene dei propri crimini nelle prigioni di Antiva, sotto il
controllo dei Corvi. Non c’era scampo per chi trasgrediva la
legge, per chi
toglieva ingiustamente la vita a un innocente.
Dato che
possedevo la facoltà di Viaggiare attraverso il tempo e mi
trovavo in un secolo
in cui non sempre veniva fatta giustizia, mi sentivo assolutamente in
dovere di
vendicare quella povera ragazza. Non tanto perché si
trattava dell’erede al
trono della terra a cui appartenevo, ma perché se non
l’avessi fatta pagare a
quello stronzo, nessuno avrebbe mai saputo la verità e forse
sarebbe
addirittura passato per vittima innocente.
Nel caso
fossi
stata dominata dall’istinto e avessi scagliato la freccia, mi
sarei sporcata le
mani in maniera irreversibile e per quante volte le avrei mai potute
sciacquare, le macchie di sangue sarebbero ugualmente rimaste
lì per sempre.
«Non voglio che diventi
un’assassina… Non
voglio che diventi come lui», aveva detto Eric e il
pensiero che se avessi
trapassato la trachea di quella sottospecie di Imperatore mi avrebbe
resa
uguale a lui, mi provocò un’ondata di nausea.
Sospirai
sconfortata, feci un passo indietro e porsi a Eric ciò che
gli apparteneva.
«Beh, se anche facessi giustizia lei non tornerebbe in
vita… e nemmeno gli
altri.»
«Giustizia?
O
forse vendetta?» puntualizzò, riponendo le armi
dietro la schiena.
Distolsi lo
sguardo dal suo e lo superai di qualche centimetro. «Di
qualunque cosa si
tratti, lo stesso per colpa di quel che è successo
laggiù – se mai vincessimo
contro la prole oscura, il ché la vedo dura senza
l’aiuto dei Custodi Grigi –
ci sarà una nuova battaglia contro Orlais.»
«Temo
tu abbia
ragione. Quello là saprà di sicuro come rigirare
le carte in suo favore»,
concordò Eric, osservandosi intorno per capire da che parte
andare.
«Ma
per quale
motivo l’ha fatto?» riflettei, seguendolo.
«Insomma anche fosse perché mai un
fereldiano dovrebbe uccidere la sua Principessa?»
Eric si
volse
appena in mia direzione, intanto stava schiacciando i rovi con
l’aiuto dei
pesanti stivali, in modo da farci strada nella foresta. Per andare
dove, poi?
«È
stato
astuto invece, quale momento migliore per scatenare uno scandalo se non
in
tempo di guerra?» disse tutto d’un fiato.
«Pensaci: per unirci tutti sotto
un’unica fazione i due piccioncini sono stati forzati a
sposarsi…»
«Non
mi
sembravano tanto “forzati”, anzi erano piuttosto
propensi a…», lo interruppi e
nel vedere la sua occhiata truce mi zittii all’istante e lo
lasciai continuare:
«Perché non far uccidere la mogliettina dando la
colpa a noi, facendo credere
che come atto di ribellione abbiamo preferito spappolare il cuore della
“traditrice”
piuttosto che sottometterci a un’alleanza costretta?
È un movente perfetto».
Ne aveva
avuto
di tempo per pensarci, eh? Trovai la faccenda piuttosto inquietante e
rabbrividii per tutti quegli intrighi e sotterfugi di corte. Eric aveva
evidentemente ragione.
«Non
avrei mai
creduto fossi più profondo di un bicchiere
d’acqua», bofonchiai, tenendo il
passo, era troppo veloce per i miei gusti. Ma mi aveva salvato la vita,
quindi
niente storie.
«Lo
prendo
come un complimento», concluse.
Quando
captai il
clangore dell’acciaio e dei lamenti degli uomini capii che
eravamo tornati alla
brughiera. Evidentemente Eric sapeva che dovevo trovarmi
nell’esatto posto in
cui ero sopraggiunta per poter tornare indietro – o avanti,
se vogliamo essere
pignoli – nel tempo. Mi resi conto in quell’istante
che non avevo segnato
affatto il punto dove ero Arrivata e la cosa era grave, molto grave,
perché se
mi fossi trovata altrove sarei anche potuta finire su un lampadario, in
mezzo
alla strada trafficata o persino dentro un muro per quanto ne sapevo.
«Fottuta
Andraste…» sussurrò Eric,
apparentemente sconvolto.
«Cosa?
Cos’è
succ…» le parole mi morirono in gola.
Un enorme
drago, cavalcato da un cavaliere coperto da un’armatura, era
al centro del
campo. Gran parte della prole oscura era stata abbattuta, mentre i
fereldiani
erano stati quasi in totale sopraffatti dalle fiamme
dell’essere gigantesco. Ma
la cosa che più mi lasciò interdetta fu vedere
come i giganti – che sarebbero
dovuti essere amici del Ferelden – stessero dando manforte ai
traditori
orlesiani nel trucidare i miei connazionali.
Mi sentii le
lacrime cominciare a scorrermi lungo le guance.
Nel sentirmi
strattonare via da Eric, sentendolo dire solamente Tornare
e secolo, tirai
su col naso e asciugandomi il viso con l’avambraccio,
diventai la sua ombra. Ma
i singhiozzi disperati mi sopraffarono, troppo debole moralmente per
poter
affrontare tutto con lucidità. Non sarei mai riuscita a
togliermi dalla mente
il pensiero di quante vittime aveva mietuto quella giornata. Quella
dannata,
stupida, tragica giornata.
Cercai di
mantenere il passo, ma vidi solamente il buio.
Quando mi
risvegliai rimasi un attimo confusa, incapace di credere che fossi di
nuovo a
casa. Nella mia dolce, amatissima, sicura casa.
Ero sdraiata
nel mio letto e tenni gli occhi fissi sul soffitto. Il respiro smorzato
dallo
shock e seppur in quelle ore ne avessi versate a fiumi, mi lasciai
andare ad un
pianto silenzioso, non riuscivo proprio a trattenermi ed era
l’unico modo per
sfogarmi.
Avevo sempre
sospettato che la facciata buona e diplomatica di Orlais fosse una
bufala, ma
non avevo mai pensato che sarebbero mai arrivati al punto di ingannare
i propri
alleati durante un Flagello. Ora che ero stata testimone di tutto
ciò mi
domandai se fosse il caso di urlarlo al mondo intero, ma chi mai mi
avrebbe
creduto? Nei libri di storia non c’era traccia
dell’alto tradimento e
dell’imbroglio del Principe Jean, non ne avevo alcuna prova. E poi diciamoci la verità: a che
gioverebbe
la verità detta da una ragazzina dopo secoli e secoli?
Aggiunsi
mentalmente, asciugando il viso contro il cuscino.
Tornando a
una
parvenza di lucidità mi chiesi come ero finita a letto e
quando mi avessero
infilato dei vestiti puliti, l’ultima cosa che ricordavo era
di essere svenuta
in mezzo al bosco, dopo essere rimasta sconvolta
dall’orribile visuale del
campo di guerra. Stavo per esplodere in un altro pianto, quando mi
sentii
accarezzare dolcemente il capo e venni inondata da un delizioso profumo
di
vaniglia e rose. Alzai il viso in fiamme e trovai quello radioso della
nonna,
che mi stava guardando con un sorriso.
«Che
c’è
bambina mia, qualcosa è andato storto
laggiù?»
Oh, se solo sapesse… Se solo le potessi
raccontare di cos’ero stata testimone…
Lei era al corrente della mia
particolare facoltà. Eravamo in ben pochi sul Thedas a
possedere un dono
simile, ma in famiglia questo saltava una generazione e anche lei in
passato si
era ritrovata a bazzicare da un’epoca all’altra. A
sua detta, una volta passati
i cinquant’anni tutto questo finisce. Non vedevo
l’ora di solcare la mezza età,
ma mi interrogai se mai ci sarei arrivata considerando il peso che
d’ora in poi
mi sarei portata dietro.
Mi tirai su
a
fatica e senza dir niente mi strinsi a lei, abbracciandola
così forte da
togliere il fiato ad entrambe. Mi carezzò delicatamente la
schiena,
sussurrandomi parole di conforto all’orecchio e dandomi tanti
baci sulla nuca.
«Nonna…
fa
così male… fa tanto male…»
«Sfogati,
bambina, sfogati. L’unico modo per buttare fuori quel che si
ha dentro è
piangere. Quello è la cosa che aiuta di
più», mormorò senza lasciarmi mai.
Quando vide
che mi stavo rasserenando mi scansò piano e mi
liberò delle lacrime, passandomi
le dita rugose sulle guance poi mi diede un buffetto e mi
suggerì di seguirla
in cucina, dove mi stavano aspettando una fumante cioccolata calda e un
vassoio
di biscotti al miele.
Se solo bastassero a cancellare tutto questo
dolore… Pensai, amareggiata, infilando le
pantofole per andarle dietro.
Inzuppando
un
biscotto nella bevanda calda non potei impedirmi di pensare al da
farsi. Quello
che avevo visto era stato tremendo senza alcun dubbio, ma a pensarci
bene non
tutto era necessariamente perduto. In fondo ero o no una Viaggiatrice?
E
soprattutto possedevo o no un cronografo grazie al quale avrei potuto
scegliere
l’esatto momento in cui trasmigrare?
«Perché
non farlo
a un paio d’ore prima della guerra e avvertire tutti? Potrei
mettere in guardia
il Re da Orlais! Sarei in grado di trarre in salvo un sacco di
persone… e
soprattutto sottrarrei da quel destino Lily e
Tammy…» sussurrai.
Ebbi un
tuffo al cuore e mi strinsi il petto. Non sapevo nemmeno se Jimmy se la
fosse
cavata o se invece… Oh,
Jimmy…
«Non
ti hanno
mai detto che non si parla con la bocca piena?» mi
sgridò ironicamente la nuova
arrivata, che non mi ero accorta fosse appena entrata in casa assieme
al noioso
marito.
Tabita
è mia
sorella, anche se non ne sono mai stata tanto sicura a giudicare dalle
differenze abissali del nostro aspetto fisico – io rossa,
pallida e con gli
occhi chiari, lei mora, piuttosto scura e con due occhi simili a pozze
di
petrolio – della nostra mentalità e soprattutto
dei nostri “doni”, io
Viaggiatrice e lei commessa in un’agenzia di viaggi.
Piuttosto strambo il
Destino, soprattutto se analizziamo nei dettagli il suo carattere
ironico e pungente
messo a confronto con quello da perfetto zombie del suo consorte.
«Mi
piace
sconvolgere il povero Florent», sottolineai, aprendo ancora
di più la bocca.
Quell’uomo era un damerino coi fiocchi, visto che arrivava da
una ricca
famiglia di Val Royeaux.
Arg, Orlais, Orlais, sempre Orlais c’era
di
mezzo!
«Tappati
occhi
e orecchie, tesoro. Oggi la nostra Maya ha la luna storta»,
commentò acida,
rubandomi un sorso di cioccolata. «A proposito: chi
è il tizio in soggiorno?»
aggiunse, posandomi davanti la tazza in fantasia di mabari stilizzati.
«Nonna
dice che è un tuo amico.»
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Capitolo 5 *** 5 ***
PARTE
5
Deglutii
tutto d’un colpo. «Amico?»
Tabita annuì, sicura, continuando a
ingollare dolcetti e offrendone di tanto in tanto al suo amore.
Normalmente le
coppiette felici mi inondano di tenerezza, ma osservare quei due invece
mi
provocava sempre un vago sentore di nausea. Non ricordavo un solo
discorso con
l’orlesiano che non includesse le parole jolie
e absolutement… se quel
damerino
viziato non avesse avuto il fegato di sposare mia sorella, sarei stata
certa al
cento per cento che appartenesse all’altra sponda.
Presa da un’incontenibile curiosità
e dalla voglia di sottrarmi alla presenza frustrante di Tabita e
Florent,
raggiunsi quasi di corsa il soggiorno.
Con un sussulto mi bloccai sullo
stipite della porta, osservando le sneakers firmate calzate dal paio di
piedi
che penzolavano dal bracciolo della poltrona; il loro proprietario non
era però
visibile, perché nascosto dallo schienale e a giudicare dal
suono del suo
respiro regolare si era addirittura bellamente addormentato.
Mossi qualche passo e rimasi di
stucco nel vedere il viso di quell’estraneo, diventatomi
però fin troppo
familiare, ormai. Di primo acchito avrei voluto scrollargli le spalle e
svegliarlo all’istante, ma vedere il suo volto rilassato nel
sonno mi strinse
innegabilmente il cuore in una morsa di tenerezza e cedetti al
lasciarlo
riposare un po’.
Oltrepassai di qualche metro il
ragazzo, andando a sedermi sul bordo del camino e lasciando che le
fiamme mi
scaldassero la schiena nel loro abbraccio.
«Che carino…»
commentò Tabita, sulla
soglia della porta. «Visto, Florent, lui
com’è sciolto? Non è mai stato qui
prima d’ora eppure si comporta esattamente come fosse casa
sua. La plebaglia sa
essere tanto dolce…»
«Sta’ zitta, Tabita»,
bofonchiai a
bassa voce.
«Noi Dubois siamo absolument
beneducati, ma jolie», si
giustificò lo zombie,
aggiustandosi il nodo della cravatta a pois neri.
Le voci dei due intrusi sortirono
l’effetto di un colpo di cannone, a giudicare dal modo brusco
con cui Eric – il
ragazzo che centinaia d’anni prima mi aveva salvato la vita,
allontanandomi dal
campo di battaglia – si tirò su a sedere.
«Che ci fai tu
nel mio tempo?» chiesi
semplicemente.
Lui si guardò per un attimo intorno,
spaesato, poi poco galantemente si asciugò il rivolo di bava
che gli era calato
lungo il mento durante il sonno.
«Horrible»,
osservò Florent, rabbrividendo.
Gettai un’occhiata torva a mio
cognato, visto che continuava a borbottare commenti schifati riguardo
al
comportamento disdicevole dell’ospite.
«Beh, non è mica solo tuo»,
rispose
Eric, scocciato. «Chi è il damerino? Uno dei tuoi
ragazzi?» aggiunse, pulendosi
la mano contro la canottiera pulita – e chiaramente del mio
secolo.
Incassai a testa alta il commento
velenoso, facendogli notare che non era molto educato inveire contro i
padroni
dell’abitazione in cui si ritrova, per poi ricordargli che il
galateo di norma
non permette agli sconosciuti di appisolarsi sotto il tetto altrui.
«E comunque non me la farei mai con
la sorella cattiva della “principessa
buona”», ci tenne a precisare Florent,
scoccando un bacio alla consorte e guardandomi in cagnesco.
Già: in mia presenza lo zombie amava
denominarmi così, poiché era sempre stato certo
che le mie “capacità” fossero
frutto di un qualche patto con un demone dell’Oblio. Di
frequente l’avevo pizzicato
a parlare di me a Madre Jocelyn, la Sorella più importante
della nostra Chiesa,
nonostante più volte nonna gli avesse spiegato chiaramente
che possedevo soltanto
una dote che la mia famiglia deteneva da sempre, ma lui si ostinava
ugualmente
a considerarmi un Abominio. Indubbiamente, riflettendoci, il fatto che
gli
remassi costantemente contro non aiutava certo a sollevare la bassa
opinione
che aveva di me.
Eric sghignazzò. «Principessa?
Non hai nemmeno
lontanamente idea di cosa si cela dietro quella
parola…» disse più a se stesso,
che all’altro.
Affranta da ciò che aveva appena accennato
mi cinsi i fianchi con entrambe le braccia, impedendomi assolutamente
di
rievocare alla mente l’immagine della povera Anita Theirin
priva di vita fra le
mani del suo stesso carnefice.
«D’accordo, uomo-del-mistero, tu e
io dovremmo fare proprio quattro chiacchiere», affermai
trascinando il giovane
per un braccio e sorpassando senza una parola Tabita e il marito che
schifato
borbottò di sentire nell’altro la stessa identica
aura negativa che percepiva
in me.
Lo portai in camera mia, chiudendomi
la porta alle spalle e facendolo accomodare sul letto appena fatto. In
silenzio
gli osservai i capelli legati da un elastico rosa che mi accorsi
appartenere a
me con dubbio alcuno.
Che
sia
trasmigrato nel mio stesso istante e la nonna l’abbia aiutato
a darsi una
ripulita mentre io ero priva di conoscenza?
«Perché non me l’hai mai
detto?»
interloquii, provando a mantenere un tono pacato da sorella-non-cattiva.
«La domanda corretta è:
perché avrei
dovuto?» ribatté, così serio che
iniziai a sospettare fosse in qualche modo
imparentato con mio cognato.
«Sei a casa mia, indossi una mia
canottiera e perfino il mio elastico, una spiegazione me la devi, ti
pare?»
«E tanti cari saluti ai
ringraziamenti per averti portata qui sana e
salva…»
«Me la sarei cavata in qualche modo…
come sempre, d’altronde.»
«Sì, trasmigrando priva di sensi in
mezzo al binario Denerim-Kirkwall… ce l’avresti
fatta sicuramente, hai ragione.»
«Quindi sei un Viaggiatore»,
attestai, spezzando il suo umorismo pungente.
«Tu che dici?»
«Secondo mio cognato Florent, io
avrei fatto un patto coi demoni: tu, invece
«Sicuro! E nelle
notti di luna piena ululo nudo
assieme ai miei amici maleficarum…»
replicò, massaggiandosi il collo e la
schiena indolenziti dalla battaglia.
Di regola sono un tipo allegro che
ama lasciarsi andare all’ironia, ma in quel particolare
frangente non ero
proprio dell’umore adatto.
«Ti invidio, sai?» dissi tutto
d’un
fiato e lui rispose con aria interrogativa. «Riesci a fare
del sarcasmo subito
dopo aver visto i tuoi amici stessi e un migliaio di persone trucidate
brutalmente come bestie… Ti invidio davvero»,
mormorai infine, trattenendomi
dal piangere nuovamente.
Lui si improvvisò serio, dandomi
tacitamente ragione, per poi giustificarsi con l’assurda
scusa che comunque nel
presente tutte quella gente sarebbe solo un mucchio di cenere.
A quelle parole il muro di fredda
razionalità che avevo tanto faticato a costruire intorno a
me, crollò
crudelmente, lasciando libero sfogo alle lacrime e alla disperazione, e
in un attimo
mi ritrovai a martellare i pugni contro il petto di Eric. Non avevo
intenzione
di fargli male, ma covavo dentro così tanta rabbia e
malinconia da avere un
terribile bisogno di sfogarmi in qualche maniera.
Per un po’ fu comprensivo e lasciò
che manifestassi la mia ira contro di lui, senza emettere una parola,
poi
lentamente strinse le dita attorno ai miei polsi, fermandomi e
intimandomi con
quel suo limpido sguardo azzurro cielo di smetterla di continuare a
torturare
entrambi.
«Scusa…» sussurrai con un
filo di
voce.
«No, è meglio buttare fuori
tutto.»
«Lo dice sempre anche mia nonna»,
ammisi voltando il capo verso la porta chiusa.
«Saggia donna. Senti, sono tutti
morti in modo tremendo, non lo nego, ma quel che è stato
è stato, è
completamente inutile continuare a pensare di cambiare gli
eventi», affermò con
tono duro, poi senza lasciare che replicassi, continuò:
«Odio tutto questo. Non
l’ho mai chiesto, eppure ogni giorno sono costretto a
trasmigrare alla data che
tu inserisci nel
cronografo!».
Lo guardai confusa. «Che c’entri te
col mio cronografo?»
«Tuo nonno offrì una cifra
esorbitante per averlo e la mia famiglia all’epoca non
poté rifiutare tanto
denaro; ma il cronografo in origine venne fabbricato appositamente per
me, al
suo interno infatti c’è il mio sangue, e ogni
volta che lo usi, sono
ineluttabilmente strappato dal mio Tempo, a prescindere da dove o quando
mi trovi.»
Andai alla finestra, facendo
scorrere l’indice lungo il vetro appannato. «Dici
che mio nonno ha dato ai tuoi
parecchi soldi… perché non hai un altro
cronografo?»
«Ce l’ho, infatti; ma per qualche
motivo gli effetti dell’originale annullano quelli del
mio.»
«Non ti ho mai sentito parlare
tanto…» notai con un sorriso sbieco.
Dunque, se lui possedeva a sua volta
il gene dei Viaggi allora avremmo sicuramente potuto unire le nostre
forze per
far sì che Orlais venisse smascherata prima di commettere il
tradimento.
Insieme saremmo stati in grado di rendere vincitore il Ferelden e
salvare i
nostri cari da morte certa. Ero così felice di aver trovato
qualcuno simile a
me, che il dolore per ciò che avevo vissuto era perfino
passato in secondo
piano e non potei trattenermi dal fare un enorme, sentito e sincero
sorriso, e
lui sembrò quasi avermi letto nel pensiero.
«Frena, Maya, se pensi che ti
aiuterò nella follia di Tornare là, ti sbagli di
grosso.»
«Ma, ma…»
«Ti ho già detto che odio
trasmigrare o Viaggiare e non intendo affatto mettermi in mezzo a una
causa che
non mi appartiene. E tutto ciò, solo perché tu
non riesci ad accettare che il
tuo ragazzo sia schiattato. Ricorda che lui non è il primo
né sarà l’ultimo a
fare quella fine.»
Punta sul vivo non mi sentii di
replicare alcunché. Che differenza avrebbe potuto fare se
gli avessi detto che,
sì tra me e Jimmy intercorreva un rapporto particolare, ma
che non
appartenevamo assolutamente l’uno all’altra. Eric
si stava dimostrando
solamente un egoista egocentrico e senza cuore per cui non valeva la
pena star
lì a perdere tempo a parlare della mia vita privata.
Capii finalmente perché da che
ricordavo lui era sempre stato l’eterno imbronciato e
taciturno, era
semplicemente costantemente di cattivo umore poiché
trascinato assieme a me in
un’epoca diversa dalla sua. Ma allora come mai non
l’avevo mai trovato con
abiti diversi da quelli indossati dalle genti dell’era di
Jimmy e gli altri?
«Credevo volessi bene a quei
ragazzi…» bisbigliai, andandogli vicino e provando
a tenere a bada l’umore
altalenante.
«Non stiamo parlando di sentimenti,
qui c’è in gioco ben altro.»
«Per esempio cosa?»
«Maya, non si può cambiare il corso
degli eventi senza che ne derivino delle conseguenze, te ne rendi
conto?» dichiarò,
alzando la voce e cambiando rapidamente colorito.
Avevo sentito dire che toccare la
pelle di chi è paonazzo dà la sensazione di avere
sottomano un calorifero, mi
chiesi quanto ciò potesse essere vero, dato che io in vita
mia non ero mai
arrossita. Forse ero difettosa, chissà… Beh, ora
il problema fondamentale non
era certo l’epidermide altrui.
Sospirai, sconfitta. Non mi ero mai
resa conto di vivere il tradimento di Orlais come una faccenda
personale, ma a
voler essere obiettivi si trattava di un fatto storico avvenuto secoli
prima e
che in un modo o nell’altro aveva plasmato e influenzato
– seppur
indirettamente – il mondo moderno.
«Perché non possiamo almeno fare un
tentativo?» domandai infine, andando perfino contro le mie
stesse conclusioni.
Si passò una mano sul viso stanco e
sbuffando mugugnò che le cose non erano semplici come
credevo. «E che vorresti
fare? Non puoi presentarti davanti al re e dire “Salute,
Vostra Maestà,
provengo dal futuro e so per certo che se non vi guardate dallo
stringerci
amicizia, l’Imperatore vi pugnalerà alle spalle.
Oh, sì e sapete vostra figlia?
Ecco, sarebbe meglio non lasciarla sguazzare allegramente con vostro
genero,
altrimenti sarà assassinata. Grazie di avermi
ascoltata.”» mi scimmiottò, inchinandosi
addirittura.
«Per te è tutto un gioco,
vero?»
sbottai, affranta, sentendomi ferita.
«E per te, Maya?» ribatté,
crucciato, con la solita espressione che aveva assunto negli ultimi due
anni.
«Credi di poter salvare il Ferelden? Hai letto troppe fiabe,
è ora di
svegliarsi e dire buongiorno alla vita reale.»
«Io… io non posso lasciare che una
simile barbarie resti impunita.»
«Ma è già successo! Il
mondo è
andato avanti con o senza il tuo aiuto», grugnì.
«Pensi davvero che io sia
fatto di pietra? Oh, Creatore, se tutto fosse facile come credi, non
esiterei
un solo istante a salvarli tutti», confessò e
riuscii a cogliere della
sincerità nella sua voce.
«Ma ugualmente non alzerai un dito
per far sì che degli innocenti non cadano per colpa di uno
sporco inganno», terminai
per lui.
«Esatto», confermò, poi
senza
aggiungere nient’altro uscì dalla stanza e poco
dopo lo sentii sbattere dietro
di se la porta di casa.
Dopo un secolo, eccomi
di ritorno. Pian piano sto
cercando di mandare avanti tutte le mie storie =) Che dire? So che sono
un clichè,
ma io adoro i ragazzi incazzosi, quindi perdonatemi se ce ne sono a
bizzeffe in
ciò che scrivo. Personalmente preferisco un uomo con le
balls, pronto a difendere
i suoi ideali con le unghie, con i denti e un pizzico di bastardaggine,
piuttosto che quelli mollicci che ti lasciano fare tutto quel che vuoi
con aria
ebete e vagamente sdolcinata.
Non succede
moltissimo, ma spero non sia stato un
totale disastro il capitolo, ciaoo!
Vi ringrazio
anticipatamente per il vostro
passaggio J
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