My scary savior

di redseapearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosario ***
Capitolo 2: *** Crocefisso ***
Capitolo 3: *** Verità ***



Capitolo 1
*** Rosario ***


My scary savior

 

Rosario

 

 

 

 

Le tenebre striscianti l’avvolgevano come un anaconda di ombre. Giorno e notte non esistevano più in quella angusta stanza umida e fredda. Il sole e la luna si alternavano in cielo, ma non c’erano finestre per vedere la loro cavalcata celeste.

Tremava come una foglia al vento. Il freddo era opprimente e le ghiacciava le ossa. Temeva che se avesse compiuto anche il semplice gesto di sollevare la mano, l’ulna si sarebbe frantumata come il più fragile dei cristalli. Immobile attendeva che qualcosa accadesse… o che non accadesse.

In quel pozzo oscuro e ignoto, Sayu non sapeva cosa aspettarsi. Se restava ferma, allora niente di male le sarebbe accaduto, ma se avesse provato a muoversi, avrebbe dato segno della sua presenza e quella fiera spaventosa che si nascondeva nel buio l’avrebbe vista e attaccata.

Poi una luce. Inizialmente era solo un puntino luminoso e lontano, indefinito ma brillante, estremamente piccolo ma perfettamente visibile su quel manto nero che le si parava dinanzi come la pesante tenda di un grande sipario pronto ad aprirsi per dare inizio ad uno spettacolo.

La ragazza notò che quel punto lucente, piccolo quanto un granello di sabbia, si andava lentamente ingrandendo, delineandosi sempre più in una forma precisa. Una forma che ormai per Sayu era diventata sinonimo di terrore: una croce.

Quando riconobbe l’oggetto, la ragazza emise un urlo acuto. Il grido dissolse la luce emanata dal crocifisso come se avesse spento una candela: gli ultimi barlumi luminosi si inerpicarono sulla parete di tenebre sottoforma di fumo, per poi svanire inghiottito dal nulla.

Era di nuovo precipitata in quel baratro oscuro come se fosse caduta nella tana di un qualche misterioso animale sotterraneo. Non seppe mai cosa l’avrebbe attesa una volta arrivata sul fondo, perché due mani amorevoli cominciarono a scuoterla dolcemente, ma con decisione e una voce rassicurante invocò il suo nome più volte, finché non aprì gli occhi, incrociando lo sguardo preoccupato di sua madre.

“È tutto a posto, Sayu. Sei a casa. Sei qui con me. È stato solo un altro incubo!”

La rincuorante realtà riuscì a insinuarsi nella mente sconvolta di Sayu con fatica, come un filo di lana troppo spesso per riuscire a passare attraverso la cruna di un ago. Il cuore le martellava in petto così forte da ovattare ogni altro suono intorno a lei. Quando le braccia di sua madre la strinsero, trasmettendole quel calore materno che solo Sachiko avrebbe potuto infonderle, allora gli ultimi residui del gelido sogno si sciolsero come ghiaccio al sole, colando lungo le guance di Sayu sottoforma di calde lacrime.

“Non ce la faccio più! Quando finirà? Quando?”

Sachiko non contava più le volte in cui di notte aveva sentito Sayu urlare durante quei tre mesi. Tutte le sere, quando si coricavano nelle rispettive camere, la donna si addormentava con la costante paura di udire la figlia gridare nel sonno. Ogni volta sempre la stessa voce straziata, sempre lo stesso pianto, sempre le stesse domande, ma mai alcuna risposta. La condusse con sé nella propria camera, facendola distendere sul lato del letto che un tempo veniva occupato da suo marito. Anche Sachiko avrebbe voluto sfogare il proprio dolore, ma come madre non le era concesso. Doveva essere forte per sua figlia e inghiottire quelle lacrime che minacciavano di rigarle il viso ogni volta che l’assenza dell’uomo che aveva amato diventava insopportabile.

Perché tutto questo era accaduto a loro? Perché?

 

 

Minako non era mai stata la personificazione della puntualità. L’appuntamento era per le 17:30 e Sayu l’attendeva da già venti minuti abbondanti, anzi, per la precisione, da ventitre minuti. Paradossalmente avevano scelto come luogo per l’incontro proprio un negozio di orologi, quasi una beffa del caso che mostrasse a Sayu ogni minuto perso nell’attesa dell’amica. Con sempre maggior frequenza si voltava verso la vetrina per controllare l’ora. Nell’attesa, si soffermò ad ammirare un modello di orologio da polso color rosa antico che le piacque tanto, ma il cartellino del prezzo posto accanto l’ammoniva di non innamorarsene troppo, in quanto troppo costoso per le sue esigue finanze.

Sbuffando irritata, rivolse la propria attenzione alla strada e ai passanti, adocchiando di tanto in tanto qualche ragazzo carino che le camminava dinanzi. Un paio di volte il suo sguardo interessato era stato anche ricambiato. Purtroppo non era mai stata una ragazza molto audace con il sesso opposto, nonostante avesse avuto conferma di essere piuttosto piacente in più di un'occasione. Quando si accorgeva di essere notata da un ragazzo, distoglieva lo sguardo senza riuscire a nascondere il velo di imbarazzo che le colorava le guance all’istante: il calore che avvertiva sul viso le faceva capire di essere arrossita senza necessità di guardarsi allo specchio.

Il cellulare nella borsetta suonò, annunciando un sms di Minako.

-Scusa x il ritardo. Arrivo subitixximo! Il pullman è rimasto blokkato dal traffiko. Baci baci-

Sayu sospirò avvilita e ripose il cellulare nella borsetta senza rispondere. Minako era una ragazza abbastanza intelligente, ma Sayu ancora non capiva perché quando scriveva gli sms o chattava su internet usava quel linguaggio da bimbaminkia. Avrebbe voluto dirle più volte di non scrivere in modo tanto sgrammaticato, ma per educazione si era sempre trattenuta dal farlo.

Riportò la propria attenzione alla strada. Sul semaforo davanti a lei scattò il rosso e un ragazzo in moto, vestito con un completo nero da motociclista e con un casco integrale in testa, le si fermò proprio di fronte.

Quel genere di ragazzi avevano sempre esercitato un certo fascino su di lei grazie al senso di ribellione che trasmettevano soltanto nel vederli cavalcare delle moto grosse e rumorose, in pieno stile belli e dannati dei film americani d’altri tempi.

Sayu si incantò nell’osservare sfacciatamente il fisico asciutto del giovane motociclista, con i suoi pantaloni aderenti che gli fasciano le gambe e il fondoschiena. Essendo leggermente chinato in avanti, il giubbetto di pelle era sollevato quel tanto che bastava per scoprire la zona lombare della schiena. Poche volte Sayu usava il termine sexy per definire un ragazzo, ma davanti a quel motociclista non le sovvenne nessun’altra parola che potesse calzare meglio. Dal casco erano evase alcune ciocche bionde, che spiccavano nettamente sull’abbigliamento nero come un ricamo di fili dorati su di un tessuto scuro, e ciò non fece altro che aumentare il fascino del giovane straniero.

L’incanto tuttavia si frantumò quando lo vide voltare la testa verso di lei, forse essendosi reso conto di avere un paio d’occhi puntati addosso. Più imbarazzata che mai per la sua spudoratezza, Sayu restò un paio di secondi pietrificata sul posto, quando il suo sguardo fu catturato da un oggetto che pendeva al collo del ragazzo.

Vide chiaramente un rosario oscillare come un pendolo all’altezza del petto e la croce dorata all’estremità, brillante alla luce del sole pomeridiano, le gelò il sangue nelle vene e le provocò un senso di vertigine che minacciava di farla rovinare per terra. Sbarrò gli occhi terrorizzati verso quell’oggetto innocuo, simbolo universale del cristianesimo a cui i fedeli attribuivano ogni significato buono e sacro di questo mondo; ma per Sayu la croce, e in particolare quel rosario, era il segno di riconoscimento del suo rapitore.

Lui era lì, a pochi metri da lei. Era forse tornato per rapirla di nuovo?

Spaventata, quasi si trovasse dinanzi all’animale più letale del pianeta, Sayu iniziò a indietreggiare lentamente, temendo che il motociclista le piombasse addosso come un rapace su di un coniglio.

La luce verde smeraldo del semaforo si accese, ma lo straniero, notando l’atteggiamento della ragazza, rimase fermo a guardarla attraverso il vetro oscurato del casco. Il suono dei clacson degli automobilisti in coda dietro la moto distrasse il ragazzo che alzò la testa per vedere il semaforo. Quando  riabbassò gli occhi verso il punto in cui si trovava la ragazza, questa era già sparita. Gli bastò lanciare uno sguardo dietro di sé per vederla correre a perdifiato sul marciapiede nella direzione opposta al suo senso di marcia.

Spronato dai clacson prima e poi dagli incitamenti poco garbati delle persone dietro di lui, il giovane partì con una brusca accelerata e, con una manovra non consentita su quella strada, si immise nella corsia opposta con il preciso intento di seguire la giovane sconosciuta.

 

 

Mai come in quel momento Sayu fu tanto felice di rientrare a casa. La porta d’ingresso era diventata il suo personale salvagente nell’oceano della paura in cui stava annaspando per evitare di affondare. Si fermò sulla soglia per rovistare nella borsetta e prendere le chiavi, ma la foga e il tremore delle mani le impediva di trovarle. Suonò frenetica il campanello nella speranza che sua madre le aprisse quanto prima. Nell’attesa, fece un secondo tentativo nella borsetta e finalmente sentì tra le dita il freddo metallo del mazzo di chiavi e il loro rassicurante tintinnio.

La tentazione di girare la testa per vedere se il suo rapitore l’avesse inseguita era forte, ma al contempo temeva di incrociare lo sguardo con il vetro nero del casco del motociclista e di precipitare, come nei suoi incubi, in quel pozzo di oscurità marcescente.

Fu sua madre a risolvere quel dilemma per lei, aprendole la porta. Quando vide la figlia tutta trafelata, con i capelli spettinati per la corsa, il fiato grosso e gli occhi spiritati, sentì lo stomaco compresso in una tenaglia di angoscia.

Sayu aveva avuto un altro attacco di panico, pensò. Non ne capitava più uno da almeno un mese e, anche se questo non era un tempo sufficiente per dichiarare la ragazza completamente guarita, Sachiko aveva già intimamente festeggiato il ritorno alla normalità di Sayu. Solo gli incubi erano rimasti a tormentarla ancora, ma per quelli ci voleva molto più tempo, poiché essi attaccavano di notte, quando le barriere psichiche della figlia erano fragili come mura di castelli di carta.

“Mamma!” Sayu si lanciò tra le braccia della madre, cercando di trarre quanto più conforto e calore dal suo corpo. Avvertì la differenza di velocità con cui i loro cuori battevano: il suo era veloce come un cavallo al galoppo, quello della mamma era più lento e cadenzato.

Sachiko chiuse la porta prima di afferrare Sayu per le spalle e guardarla negli occhi, con la vana speranza di essersi sbagliata e di non aver scorto nelle sue pupille quel cieco terrore che dal giorno del rapimento l’accompagnava come una tetra dama di compagnia.

Sayu, cosa è…”

“L’ho visto! L’ho visto, mamma! L’ho visto! Lui… lui… era lì, lì, proprio davanti a me… È tornato per prendermi. Lo so! Lo so! Vuole portami via!” farneticava la ragazza, senza riuscire a comporre un solo periodo di senso compiuto.

“Calmati” disse la madre con tono fermo. “Spiegami bene. Chi hai visto?”

“Lui, mamma, lui. Il mio rapitore! Aveva il rosario, quel rosario, capisci? L’ho riconosciuto e lui mi ha guardata.” Mentre parlava, Sayu gesticolava con le mani, accompagnando le sue parole con l’indiavolata gestualità del corpo.

Sachiko sospirò, sconsolata. “Sayu. Ne hai parlato con il dottor Myabe, ti ricordi? Hai visto solo un uomo con un rosario al collo. La tua paura, non ricordi? Hai solo avuto un nuovo attacco, come le prime settimane.”

“No, no, no, no, no! Era lui ti dico, lui! L’avrei riconosciuto tra mille!”

“Va bene, va bene!” l’assecondò la madre, stringendola ancora una volta. La condusse in soggiorno, accomodandosi entrambe sul divano ancora strette. Sayu non aveva smesso di tremare un solo secondo da quando aveva varcato la soglia di casa. Sachiko si sentiva impotente come i primi tempi.

“Tesoro, che ne dici se andiamo dal dottore questo pomeriggio? Lui ti ha aiutata tanto e…”

“No!” urlò la ragazza in modo isterico. “Lui potrebbe essere lì fuori! Se esco di casa mi porterà via. Non posso uscire, non posso.” Scoppiò a piangere sul petto della madre senza freno alcuno, come un fiume libero di proseguire il proprio naturale corso dopo aver distrutto una diga. “Chiamalo! Chiama il dottor Myabe e fallo venire qui” riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro. “Io non posso uscire. Non posso uscire. Non posso… uscire. Non posso.”

 

 

Il dottor Myabe ascoltò il racconto di Sayu prendendo di tanto in tanto qualche appunto sul suo quaderno. La ragazza non aveva mai visto lo psicologo senza quell’oggetto in mano, quasi fosse una naturale appendice del suo corpo. Durante tutto il tempo, la ragazza non aveva mai smesso di tremare, come se una corrente ghiacciata le solleticasse la nuca costantemente.

Sayu” esordì lo psicologo con un tono fermo, venato di rimprovero, “tu hai solo creduto di vedere lo stesso rosario che portava al collo il tuo rapitore. L’uomo sulla moto probabilmente ne portava uno e tu ti sei lasciata suggestionare dalla tua paura, trasformando il suo rosario con la tua fantasia fino a fargli assumere il medesimo aspetto di quello del tuo sequestratore. Ne abbiamo già parlato. Ricordi le sedute di ipnosi? Si chiama staurofobia, paura delle croci.”

“Non ero suggestionata dalla mia paura, era lui le dico. Deve credermi!” Neanche la voce incrinata dalle lacrime di Sayu riuscì a smuovere le convinzioni del dottore, troppo forte della sua laurea e dei suoi anni di studi per credere alle parole di una giovane impaurita come un pulcino.

“Hai fatto gli esercizi che ti avevo detto?” chiese come un maestro che parli ad un’allieva pigra.

“Sì.” Sayu aveva riempito pagine e pagine di quaderni con disegni di croci. I primi tentativi erano stati una tortura, la semplice vista di quel simbolo le faceva tremare la mano e il risultato erano degli scarabocchii dalle linee distorte. A poco a poco il tratto divenne sempre più deciso e il disegno più complesso, tanto che riusciva tranquillamente a riportare su carta la figura di un rosario più elaborato, ma dopo ciò che era successo quel pomeriggio, Sayu dubitava che sarebbe riuscita persino a prendere in mano una matita con fermezza.

Il dottor Myabe sosteneva che una paura, specie una come quella di Sayu che era stata indotta da un forte trauma, poteva essere superata solo affrontandola a testa alta.

“Allora voglio che questa sera tu esca e…”

“No, non ce la faccio!”

Sayu, devi! So che è una terapia insolita, ma è anche vero che il tuo caso è molto particolare e fin’ora mi sembra che abbiamo avuto ottimi risultati. Non lasciare che un singolo incidente rovini tutto il percorso fatto.”

La ragazza annuì, anche se in cuor suo non era molto convinta. Sapeva che non poteva vincere contro il suo psicologo e, per quanto fosse sicura di ciò che aveva visto, fu costretta a chinare la testa e deporre le armi.

Rimase immobile come una statua con gli occhi fissi sulle ginocchia mentre il dottore prendeva il soprabito e la ventiquattrore, salutava sua madre e usciva di casa.

Sachiko le si avvicinò con evidente preoccupazione. Gli occhi di sua figlia erano vitrei, come se la sua coscienza avesse spiccato il volo verso un cielo che lei non poteva raggiungere in alcun modo.

“Mi lavo la faccia ed esco” disse Sayu con un tono monocorde più simile ad un androide che ad un essere umano. Meccanicamente si alzò e andò in bagno. Neanche l’acqua ghiacciata che le sferzò il viso riuscì a lavarla di quel senso di impotenza e disagio che le si erano incollati addosso.

Si infilò il giubbetto viola, prese la borsa e imboccò la porta senza salutare sua madre che versava in un evidente stato di agitazione e angoscia.

Quando Sayu svoltò l’angolo di casa, camminando meccanicamente seguendo un percorso ormai imparato a memoria, non si accorse della presenza di un ragazzo dai capelli biondi, nascosto dietro un muro, in attesa che lei uscisse.

 

 

 

 

Note dell’autrice

Premetto che questa sarà una fanfic molto ma molto breve. Inizialmente doveva essere di soli 2 capitoli poi mi sono resa conto che per mantenere una lunghezza costante doveva aggiungerne un altro, per evitare di rendere il secondo molto più lungo del primo. Per cui è una minilong di soli 3 capitoli.

E’ una storia senza molte pretese, nel senso che non mi aspetto certo orde e orde di lettrici visto che il rating è poco interessante e la coppia ancora meno, ma la MelloxSayu mi ha sempre stuzzicato la fantasia e volevo rendere loro un piccolo omaggio, sperando di trovare qualche altra fan che come me li apprezzi.

 




Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

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Questa storia partecipa alla challenge: Diamo visibilità a chi non ne ha.

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Capitolo 2
*** Crocefisso ***


My scary savior

 

Crocefisso

 

 

 

 

Mello seguiva la ragazza passo dopo passo, mantenendosi a debita distanza per non far sentire la propria presenza. Tuttavia, notò che la giovane camminava spedita, con la testa dritta davanti a sé, muovendo le gambe in modo automatico: non voltava mai il capo di lato per guardare una vetrina o un passante che le lanciava qualche apprezzamento. Probabilmente avrebbe anche potuto camminarle attaccato come un’ombra fino ad alitarle direttamente sul collo e lei non se ne sarebbe accorta.

Possibile che fosse sprofondata in un simile stato di shock vedendolo solamente per strada? Mello non riusciva a spiegarselo in alcun modo. Il comportamento della ragazza era stato assurdo, insensato.

In sella alla sua moto, fermo al semaforo, l’aveva vista chiaramente attraverso il vetro oscurato del casco mentre lo stava osservando con un certo interesse. Poi, qualcosa era scattato in lei, così, all’improvviso ed era fuggita a gambe levate. A Mello erano bastati quei pochi secondi per riconoscerla subito: Sayu Yagami, la figlia del defunto Soichiro Yagami.

Ricordava bene quell’uomo. Una persona retta e integerrima, guidata da un profondo senso della giustizia e del dovere, nonché da uno smisurato amore paterno. Non avrebbe mai voluto ucciderlo, il mondo aveva bisogno di uomini come lui, ma il ragazzo non aveva avuto scelta: era la spietata legge della giungla.

Vide la giovane dirigersi senza esitazioni verso una chiesa, salire i gradini che conducevano alla maestosa porta di legno e sparire oltre la soglia come se fosse stata inghiottita da un’altra dimensione.

Perplesso, Mello rimase fuori ad osservare l’imponente struttura in stile moderno. Non riusciva a trovare alcun nesso tra tutti quegli eventi. Fu la curiosità a spingerlo ad andare avanti per risolvere quel mistero. In realtà aveva ben altro da fare: indagare su Kira per battere Near, come sempre, ma sapeva che se avesse voltato le spalle a quell’enigma, la sua mente vi sarebbe tornata continuamente, distogliendo la sua concentrazione da cose molto più importanti.

Decise quindi di entrare a sua volta nella chiesa. Non intinse le dita nell’acquasantiera, né si fece il segno della croce: benché fosse cristiano, non aveva mai condiviso il potere che la Chiesa esercitava sui fedeli facendosi scudo con la Bibbia, la fede e l’ingenuità del popolo. Non sarebbe certo stato un Padre Nostro in più a salvarlo dall’Inferno o un Ave Maria in meno per farlo condannare.

Vide Sayu sedersi alla quarta fila di panche dall’altare. Lui rimase vicino all’ingresso, in piedi, appoggiato ad una colonna bianca con le mani in tasca.

Il luogo non presentava l’opulenza tipica delle chiese europee, ricche di ori, marmi pregiati e dipinti ultrasecolari. Non c’era da stupirsi, in fondo, considerando che la religione del Giappone non era certo il cristianesimo e quelle chiese erano sorte solo in epoca moderna, come segno di apertura mentale del popolo nipponico ad altre razze e culture.

Due donne anziane erano inginocchiate sulla prima panca, facendo scivolare tra le dita le perle di un rosario ad ogni preghiera pronunciata. Un’altra invece si era accomodata sulla penultima panca, evidentemente troppo debole alle ginocchia per genuflettersi.

Mello non poteva vedere cosa stesse facendo Sayu di preciso, ma non sembrava intenta a pregare. Tirò fuori dalla borsa un piccolo quaderno e una matita, se li poggiò in grembo ed iniziò a scrivere o disegnare qualcosa. Probabilmente era la seconda ipotesi, dato che, regolarmente, sollevava la testa per guardare il crocefisso che aleggiava sull’altare, sostenuto da fili in acciaio tanto sottili da sembrare invisibili.

Trascorsero i minuti, scanditi solo dai bisbigli delle pie donne che recitavano i loro rosari senza sosta. Una cantilena dall’effetto soporifero che più di una volta aveva persuaso Mello ad andare via. Stava solo perdendo tempo dietro quella ragazza. I loro destini avevano preso strade diverse dopo essersi incrociati per pochi giorni. Non vi era alcuna utilità in tutto quello, ma il corpo non voleva obbedire ai comandi della mente.

Rimase lì, immobile, come un guardiano pronto ad intervenire in caso di pericolo. Fu persino tentato di avvicinarsi a lei per sbirciare quello che stava facendo, ma non sarebbe stata un’azione saggia, specie in un luogo di culto come quello che, per quanto si trattasse solo di un edificio come un altro per Mello, comunque riusciva ad incutere un certo rispetto, merito delle orazioni delle anziane devote.

Infine, dopo un’attesa che pareva essere durata secoli, la ragazza ripose il quaderno e la matita nella borsa, si alzò e, dopo essersi segnata, si incamminò verso l’uscita. Ma lì davanti c’era Mello, una figura ammantata di nero impossibile da non vedere sullo sfondo bianco delle pareti.

Come era accaduto per strada, la scena sembrò ripetersi, quasi si trattasse di un nastro riavvolto al punto di partenza e fatto ripartire: solo lo scenario era cambiato, ma gli occhi sbarrati e l’espressione di puro terrore che si dipinse sul volto di Sayu erano identici.

La ragazza si bloccò sul posto. Tremava come se si trovasse nuda in una tundra ghiacciata.

Mello non poté non notare il suo turbamento e questa volta non le avrebbe permesso di fuggire senza ottenere una minima spiegazione. Era illogico quel terrore nei suoi confronti, specialmente dopo quello che era successo nel covo sotterraneo dove era rimasta prigioniera… dopo quello che lui aveva fatto per lei.

La vide indietreggiare, in evidente stato di panico. Uno, due, tre passi. Camminava a ritroso lentamente, come se si trovasse davanti ad un pericoloso predatore e ogni movimento brusco avrebbe potuto far scattare la bestia. Probabilmente avrebbe gridato se non avesse avuto rispetto per il luogo in cui si trovava.

Mello avanzò, ma non appena la gamba destra si allungò in avanti, lei scattò, dirigendosi a passo svelto verso una porta laterale che solo in quel momento il ragazzo notò. Mandando all’aria ogni forma di deferenza, iniziò a correre per raggiungerla, una scena che attirò immediatamente l’attenzione delle anziane interrompendo le loro preghiere al Signore.

In poche falcate, Mello raggiunse la porta da cui Sayu si era defilata. La vide correre a perdifiato sul marciapiede, in procinto di attraversare la strada per mettere quanti più metri di distanza tra lei e la sua nemesi.

La luce verde del semaforo dei pedoni si spense, lasciando la scena a quella rossa raffigurante un omino stilizzato fermo sul posto. Sayu non lo notò. La sua vista era limitata, come se avesse indossato dei paraocchi che le impedissero di vedere a destra e a sinistra. La sua mente cercava solo un percorso sgombro di ostacoli e persone, in modo da avere la strada libera per correre senza freni: se si fosse fermata sarebbe stata la fine per lei.

Abbandonò il marciapiede per attraversare la strada, ma il suono di un clacson la riportò bruscamente alla realtà. Il suo campo visivo si ampliò e davanti agli occhi si materializzarono i fari di una macchina che puntavano dritto su di lei, come gli occhi di un felino che balzi addosso ad una preda. Si fermò, quasi ipnotizzata da quel bagliore, terrorizzata da ciò che stava per accadere.

Finiva dunque così?

Improvvisamente le mancò il terreno sotto i piedi. I secondi si dilatarono. Il clacson suonò di nuovo, così vicino da assordarla. Lo spostamento d’aria provocato dalla macchina in corsa le schiaffeggiò la pelle. E un calore, stranamente familiare, l’avvolse prima che potesse impattare sull’asfalto.

Qualcuno l’aveva protetta, facendole scudo per impedire che si facesse male. Non riuscì a vedere il volto del suo salvatore. Quella overdose di emozioni le mandò in tilt il cervello. I sensi lentamente si affievolirono e, prima di svenire, avvertì un intenso profumo di cioccolato saturarle le narici: dentro di sé sapeva che era un odore di cui si poteva fidare e cullata da quel dolce effluvio si rilassò, consapevole di essere al sicuro.

 

 

I curiosi che si erano accalcati intorno ai due giovani, sopravvissuti per miracolo ad un terribile incidente (le anziane donne uscite dalla chiesa avevano più volte ribadito il concetto indicando proprio l’edificio di fronte alla strada), avevano insistito per chiamare un’ambulanza e farli portare entrambi all’ospedale più vicino. Ma Mello era stato irremovibile: non servivano medici, solo un po’ di riposo. Era bastata una telefonata a Matt e subito l’amico era andato a prenderlo con la macchina, salvandolo così dalla folla di persone che insistevano per prestar loro i primi, inutili soccorsi.

“Avevo sentito parlare di uomini capaci di far cadere le donne ai propri piedi, ma non immaginavo che tu fossi uno di quelli!” Matt amava sempre scherzare e non era riuscito a trattenersi dal fare un po’ di umorismo nel vedere la ragazza svenuta sul sedile posteriore.

“Non potevo portarla all’ospedale, troppe rogne con i documenti poi” aveva risposto Mello ad una domanda che non gli era stata posta.

“E non potevi lasciare che l’ambulanza portasse via solo lei?”

“Diciamo che abbiamo un conto in sospeso.”

Matt, dopo averli accompagnati all’appartamento che avevano adibito a momentaneo centro operativo, era uscito per continuare a spiare Misa Amane per conto di Mello, lasciando il complice solo con Sayu.

Mentre la giovane dormiva profondamente, Mello ne approfittò per guardare il misterioso quaderno che le aveva visto in mano dentro la chiesa. Lo sfogliò con attenzione, pagina dopo pagina, da prima lentamente per assimilarne al meglio il contenuto, poi sempre più veloce rendendosi conto che i fogli erano ingombri di crocefissi, alcuni stilizzati, altri più elaborati.

Si soffermò in particolar modo su di uno, prese la croce pendente dal proprio rosario e l’affiancò al disegno, constatandone così la discreta somiglianza. Sayu aveva disegnato proprio il suo rosario, più di una volta in effetti, ma ancora Mello non riusciva a comprendere il significato di quelle riproduzioni. Si fermò all’ultima pagina dove la ragazza aveva riportato il crocefisso presente nella chiesa. Notò che il tratto del disegno era incerto, tremolante, esattamente come quello delle prime pagine, quasi la ragazza avesse avuto paura di raffigurare su carta quell’immagine.

La fissò a lungo. Il suo viso era sereno, come se stesse dormendo sul letto di casa sua, tra le proprie confortevoli lenzuola: il pericolo scampato di un paio d’ore prima sembrava essere stato del tutto cancellato dal suo volto.

La vide sbattere leggermente le palpebre e il respiro diventò più intenso: si stava svegliando.

Il ragazzo si appoggiò allo schienale della poltrona consunta. Meglio non fare troppo rumore, pensò: avrebbe potuto spaventarla eccessivamente e ciò non era conciliabile con i suoi propositi di avere risposte.

Sayu socchiuse appena gli occhi. La penombra della stanza aiutò le pupille ad adattarsi alla debole luce senza traumi. La mente era vuota. Tutto ciò che sapeva era di trovarsi in un letto, al caldo, al sicuro e quindi, per logica, a casa sua. Poi affiorò l’immagine del suo rapitore in chiesa, ma lei non lo classificava come un ricordo: per Sayu si era trattato solo di un brutto sogno, uno dei tanti, ma questa volta più chiaro e nitido.

Guardò il soffitto per una manciata di secondi, poi voltò la testa verso la finestra. Una finestra?, si domandò. Camera sua aveva un bel balcone che si affacciava sul giardinetto davanti casa e le tende non erano certo rovinate e strappate in più punti. Ripescò dalla mente i fotogrammi di quello che era successo prima di addormentarsi, premendo l’immaginario pulsante di riavvolgimento della bobina mnemonica: la chiesa, il ragazzo con il rosario vestito di nero, la fuga, la macchina e poi… il profumo del cioccolato. Sì, quello lo ricordava ed era strano perché i sogni non producevano odori, eppure lei era certa di averlo sentito e se ne era così sicura voleva dire solo una cosa: che quello non era stato un sogno ma la realtà e lei non si trovava nella sua camera.

Si alzò di scatto facendo scivolare le coperte lungo il busto, ma se ne pentì subito dopo a causa dell’eccessivo afflusso di sangue che come un fiume in piena le aveva inondato il cervello. Ebbe un capogiro, ma non volle ristendersi sul materasso, quasi avesse paura fosse cosparso di chiodi e vetri rotti.

Tutto ciò avvenne in poco meno di dieci secondi e prima ancora che Sayu potesse esplorare con lo sguardo il resto della stanza, una voce alla sua sinistra la spaventò, dandole così la definitiva conferma dei suoi terribili sospetti. No, non era a casa sua e questa volta non ci sarebbe stato suo padre a salvarla.

“Non agitarti” disse Mello in tono piatto e fermo.

Sayu si voltò verso di lui. I suoi occhi furono subito attratti dal rosario che gli pendeva dal collo e d’istinto indietreggiò verso la parete a cui il letto era addossato: si sentiva in trappola, eppure il muro che le copriva le spalle le dava un insensato conforto e una blanda sicurezza.

“No, no. Perché di nuovo?”

Era in evidente stato di shock e Mello restò immobile. Ogni suo movimento avrebbe potuto provocare una reazione indesiderata della ragazza. Era chiaro cosa stesse pensando Sayu, ma lei non avrebbe dovuto reagire così alla sua vista: non dopo quello che aveva fatto per lei, in ben due occasioni.

“Non sei stata rapita. Al contrario, ti ho salvato la vita: stavi per farti investire.”

Sayu iniziò a tremare. Voleva afferrare la coperta e coprirsi con quella per godere di un illusorio senso di protezione, ma non osava compiere alcun gesto per timore di contrariare il suo carnefice. Lui l’aveva salvata e probabilmente era vero, ma la ragazza non pensava che lo avesse fatto per puro altruismo, ma solo perché gli serviva viva, niente di più. Non disse nulla, ogni parola avrebbe potuto peggiorare la sua già preoccupante situazione.

Mello prese il quaderno rimasto aperto sulle gambe e solo in quel momento Sayu lo notò. Il ragazzo lo sollevò per mostrarle due pagine a caso e chiese: “Perché hai disegnato tutte queste croci?”. Non ottenne alcuna risposta e provò ad essere più specifico. Abbassò il quaderno e prese il proprio rosario, lo sollevò all’altezza del viso e il crocefisso all’estremità oscillò come l’orologio di un ipnotizzatore. Dopo quattro oscillazioni si fermò e Mello pose il suo secondo quesito. “Perché hai disegnato questo?”

Sayu era combattuta interiormente. Se non avesse risposto il suo rapitore si sarebbe certamente infuriato e chissà a quali indicibili torture l’avrebbe sottoposta per cavarle di bocca ciò che voleva sapere. Se invece avesse dato una spiegazione a quei disegni, forse questa non sarebbe stata gradita al ragazzo che aveva davanti e anche in quel caso Sayu non osava immaginare cosa le avrebbe fatto. Non si chiese perché mai il suo quaderno e la sua paura per le croci suscitasse la curiosità del suo sequestratore: era troppo occupata ad aver paura per rifletterci.

“Rispondimi!” Mello stava iniziando a perdere la pazienza, per non parlare del tempo prezioso che stava sprecando dietro quella ragazzina quando aveva cose molto più importanti di cui occuparsi: per esempio, definire meglio i dettagli del rapimento di Takada.

“E’ una… terapia” disse titubante Sayu.

Le sue parole suscitarono la curiosità di Mello. “Terapia per cosa?”

Il tono di voce dello sconosciuto si era ammorbidito dopo aver dato la prima risposta. Dedusse quindi che il silenzio sarebbe stato dannoso per lei, ma doveva fare attenzione a ciò che diceva. “Staurofobia.

“Paura delle croci? E perché ti terrorizzano e in particolare perché questo rosario ti terrorizza?” Mello sapeva che il rosario era solo un oggetto di identificazione: la ragazza non aveva paura del suo girocollo ma di lui.

“Per quello che successe la prima volta. Con il buio, l’unica cosa che riuscii a vedere era quel rosario. E ogni volta che vedo quella forma da qualche parte mi sento mancare.” La ragazza si rannicchiò su se stessa, probabilmente temeva che le sue frasi avrebbero provocato una reazione violenta da parte di Mello.

Invece lui restò impassibile, il suo volto era una maschera di freddezza. “Credi che io sia l’uomo che voleva violentarti?”

L’ultima parola ebbe l’effetto di una stilettata di ghiaccio nel cuore di Sayu. Aveva cercato di reprimere quel ricordo, ma ora il suo rapitore lo stavo portando alla luce con spietatezza. Cosa avrebbe dovuto rispondere a quella domanda così diretta? Tacque.

“Il tuo silenzio lo conferma” rispose per lei Mello. Chiuse il quaderno, si chinò per prendere la borsa della ragazza afflosciata ai suoi piedi e lo ripose all’interno. Si alzò, e a quel movimento Sayu desiderò con tutta se stessa di fondersi con il muro dietro di lei, trasformare i suoi muscoli in mattoni, il suo sangue in malta e la sua pelle in intonaco.

Ecco, ora sarebbe avvenuta quella violenza a cui era riuscita miracolosamente a scampare la prima volta, in un modo che, effettivamente, nemmeno lei che ne era stata la protagonista ricordava.

“Ti riporto a casa. Alzati!”

Quell’ordine generò una sensazione di déjà vu in Sayu, come se avesse già udito quel ragazzo dirle di mettersi in piedi in un momento imprecisato del passato o di un sogno, chissà. E c’era anche una risposta che lei aveva dato in quel ricordo sbiadito, evanescente: “Non ci riesco” bisbigliò con voce flebile, non capendo se avesse davvero pronunciato quelle parole o se le avesse solo immaginate.

“Cosa hai detto?”

“Nulla” si affrettò a rispondere lei, mettendosi in piedi. La schiena ingobbita e la testa china.

Mello non si premurò neanche di bendarla per tenere nascosto il proprio nascondiglio. A cosa sarebbe servito, in fondo? Tra due giorni avrebbe rapito Takada e le probabilità di sopravvivere erano irrisorie. Inoltre, la ragazza era così terrorizzata che certamente avrebbe dimenticato tutto e di sicuro si sarebbe ben tenuta alla larga da quel posto sapendo che vi viveva il suo aguzzino.

Prima di allontanarsi in macchina, Sayu riuscì a vedere la facciata dell’edificio da cui erano usciti. C’era un’insegna, ma, sebbene alcune lettere si fossero staccate, riuscì a decifrare il nome del negozio abbandonato che c’era prima: ‘Fas   n  ’ r  ck’ ovvero ‘Fashion n’ rock’. Non gli era nuovo come nome in quanto passava davanti alla nuova sede tutti i giorni mentre si recava all’università. Scorse un manichino riverso a terra senza la gamba e il braccio sinistri, una figura inquietante nella cornice della vetrina sporca e opaca. Il quartiere non era dei più rassicuranti, il degrado invadeva le strade. Un posto di cui lei ne conosceva a stento l’esistenza in quella grande città.

Il viaggio avvenne nel silenzio più assoluto. Sayu aveva gli occhi fissi sulla strada e non osava mai voltarsi verso il guidatore, quasi che il suo sguardo avesse potuto suscitare qualche reazione violenta. Tuttavia, da quella distanza così ravvicinata non poté a fare a meno di inebriarsi del profumo del ragazzo. Sapeva di cioccolata e ancora una volta quell’effluvio così dolce la fece sentire protetta. Come può una persona con un odore così buono essere maligna?, si chiese senza trovare risposta.

La strada di casa sua le parve un miraggio e non scese dalla macchina fino a che non le fosse stato ordinato.

Mello sembrò titubare. Voleva chiederle delle cose, ma sapeva che non avrebbe ottenuto risposte soddisfacenti. Inoltre, la giovane, a causa dello shock subito durante la prigionia mesi addietro, aveva un vuoto di memoria e questo gli era stato chiaro nel momento in cui lei lo aveva additato come suo potenziale stupratore.

“Se la cosa può consolarti” esordì lui, “da dopodomani puoi stare certa che io non sarò più una minaccia per te.” Sayu, stuzzicata nel suo lato più curioso, avrebbe voluto chiedere delucidazioni su quella frase enigmatica ma lui concluse con un perentorio: “Scendi.”

La ragazza obbedì. Chiuse la portiera e si diresse verso casa sua, girandosi solo una volta per verificare se la macchina rossa con a bordo il ragazzo fosse ancora ferma a pochi metri dal cancello di casa. Sì, Mello era rimasto ad osservarla fino a quando non vide la sua esile figura scomparire dietro il muro che delimitava il giardinetto.

 

 

 

 

Note dell’autrice

Io non posso credere solo nel primo capitolo abbia ottenuto ben 9 recensioni *o* Voglio dire, considerata la coppia non mi sarei mai aspettata un simile interesse da parte dei lettori! Vi ringrazio, vi ringrazio infinitamente! Questo secondo capitolo non so sinceramente se sia uscito bene o male, forse avrei dovuto allungare un po’ il dialogo tra Mello e Sayu ma non sapevo proprio che farli dire :s  Con i dialoghi litigo un po’! Bene, non mancate di farmi sapere cosa ne pensate e ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo di questa minilong!

 




Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

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Capitolo 3
*** Verità ***


My scary savior

 

Verità

 

 

 

 

Per quanto Sayu tentasse di dimenticare le sue disavventure, proprio non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine del suo giovane rapitore. Il rosario che pendeva del suo collo era stato completamente sostituito dal viso sfregiato del ragazzo.

Il seme del dubbio era germogliato in lei fino a sbocciare in un fiore carnivoro che le dilaniava l’animo e il cuore. Se lui era la stessa persona meschina che aveva tentato di abusare di lei la prima volta, perché in quel loro secondo incontro non l’aveva sfiorata neanche con un dito? Anzi, l’aveva persino salvata da un tragico incidente automobilistico.

Nel buio della notte, rannicchiata in posizione fetale sotto le lenzuola, le pareva di scorgere i suoi occhi azzurri brillare nel buio come due zaffiri lucenti: lo sguardo di un felino predatore.

Si girò dall’altro lato nella vana convinzione di dare le spalle a quel miraggio, il quale prontamente si materializzò ancora una volta davanti a lei.

Si alzò: decise di prepararsi una camomilla che le conciliasse il sonno. Si diresse in cucina in punta di piedi per non svegliare sua madre. Tante volte l’aveva destata dal suo sonno per colpa degli incubi che l’avevano assillata nei mesi precedenti e non voleva certo recarle disturbo quando non era strettamente necessario.

Mise l’acqua a bollire e si concentrò sull’ipnotico sibilo del gas che bruciava sotto il pentolino. In fondo la notte era davvero bella per certi versi. La quiete che infondeva con il suo silenzio era un balsamo per la mente di Sayu: per troppo tempo, invece, era stata sua nemica. Osservò sovrappensiero la fiamma del fornello accesso: celeste, proprio come gli occhi di lui.

Distolse lo sguardo repentinamente come se si fosse bruciata le pupille. Perché continuava a pensarlo così? Perché ogni cosa che la circondava sembrava cospirare per farglielo ricordare? Stranamente non veniva più assalita da quel cieco terrore che aveva provato il giorno prima, quando aveva visto il rosario al collo del motociclista.

L’acqua iniziò a bollire e Sayu se ne accorse solo quando vide traboccare la schiuma che bagnò il piano cottura di acciaio. Girò la manopola del fornellino per spegnere il fuoco. Le bolle si rassettarono. Versò il liquido fumante nella tazza e vi mise la bustina in infusione.

E poi c’era quella frase che aveva detto poco prima di lasciarla andare via: “Se la cosa può consolarti, da dopodomani puoi stare certa che io non sarò più una minaccia per te.” Cosa aveva voluto comunicarle?

C’era qualcosa che non quadrava in quella storia. Lui non poteva essere l’uomo che cercò di violentarla tre mesi prima. Pensandoci, in effetti, come era riuscita a salvarsi? La sua verginità non era stata violata: che l’uomo avesse desistito per pietà? Ne dubitava. Allora cosa era accaduto?

Forse sarebbe diventata davvero pazza se non avesse trovato la soluzione a quel rompicapo.

Di certo il ragazzo dai capelli biondi sapeva le risposte, ma la frase che le aveva riferito sembrava preannunciare la sua imminente morte. Ma no, forse stava solo facendo delle tragedie per niente. Tuttavia, era certa che non l’avrebbe mai più rivisto.

Dopodomani…

Aveva solo un giorno di tempo, dunque. Un’idea malsana affiorò alla sua mente con una spontaneità tale da farle credere di essere veramente impazzita. Se avesse ritrovato il suo appartamento, avrebbe potuto parlargli e chiedergli di raccontarle quella verità che per troppo tempo le era stata negata.

Il dottor Myabe lo diceva sempre: ‘Per sconfiggere la propria paura bisogna affrontarla’. Quel ragazzo era la personificazione della sua fobia. Se fosse andata da lui di sua spontanea volontà, sarebbe guarita e avrebbe esorcizzato le proprie paure per sempre. Inoltre, voleva sapere cosa le era capitato. Voleva riempire quel vuoto di memoria che a lungo era stato occupato dalla sola immagine di uno scintillante e inquietante rosario dorato.

Soffiò sulla camomilla ormai pronta e bevve a piccoli sorsi il soporifero decotto, cullando dentro di sé ogni buon proposito per il giorno dopo. Era rischioso, ma era l’unica occasione che aveva per scoprire la verità e se non ci fosse riuscita, avrebbe vissuto il resto della sua vita a tormentarsi per la sua vigliaccheria e a macerare nei propri dubbi e domande senza risposta.

 

 

Non era stato difficile trovarlo. Si era ricordata del negozio abbandonato, ‘Fashion ‘n rock’, proprio al piano terra del palazzo in cui viveva il suo rapitore. Era bastato fare una ricerca su internet per scoprire il vecchio indirizzo in cui era ubicato l’esercizio.

Aveva detto a sua madre che sarebbe uscita con un’amica per fare una passeggiata. In effetti, Minako le aveva mandato uno dei suoi soliti sms sgrammaticati per rimproverarla del bidone che le aveva fatto il giorno prima. Lo spavento provato alla vista del rosario al collo del motociclista misterioso, le aveva fatto dimenticare ogni cosa, compreso l’appuntamento con Minako. Si era scusata in modo sbrigativo, dicendo che aveva avuto un contrattempo che le aveva impedito di avvisarla. L’amica aveva scherzato maliziosamente supponendo che ci fosse di mezzo un ragazzo: nella burla non avrebbe potuto immaginare quanto vicina alla realtà fosse andata.

Sayu non aveva più risposto e Minako aveva tradotto il suo silenzio come una conferma dei propri sospetti, tanto che le aveva tempestato il cellulare di messaggi per sapere chi era, come si chiamava, se era carino o meno. Frivolezze di poca importanza per lo più.

Dopo essersi allontanata abbastanza da casa (Sayu aveva il netto sospetto che qualche volta sua madre la seguisse per timore che venisse colta da un nuovo attacco di panico), fermò un taxi e gli disse dove voleva essere portata.

L’uomo la guardò attraverso il riflesso dello specchietto retrovisore con un cipiglio perplesso. “È sicura di voler andare lì? È una zona parecchio pericolosa per una ragazza!” le aveva detto.

Sayu avrebbe voluto dirgli di farsi gli affari propri, ma la sua buona educazione ebbe il sopravvento come sempre. Gli rispose in modo cordiale: “Grazie per l’interessamento, ma non si preoccupi. Mi devo vedere con una persona appena arrivo lì: non mi accadrà nulla.” Lo disse in un modo abbastanza convincente da rassicurare l’uomo che subito partì. Avrebbe tanto voluto credere anche lei alle proprie parole, ma le risultò alquanto difficile.

Le strade piene di negozi, pedoni, mamme con le carrozzelle e coppiette che passeggiavano mano nella mano furono sostituite da marciapiedi desolati, degrado e facce losche che sbucavano dalle finestre dei palazzi.

Cosa sto facendo?

Si pentì amaramente della propria decisione, ma la lingua le si era incollata al palato e non trovò la forza di dire al tassista di fare inversione di marcia e riportarla indietro.

Quando la macchina si fermò, il cuore parve frenarsi assieme ad essa. Sentiva che non appena avesse messo piede fuori, un’orda di male intenzionati l’avrebbe assaltata come un branco di lupi su una cerbiatta.

L’uomo al volante notò il suo turbamento. Quella ragazza era tanto giovane: poteva avere su per giù l’età di sua figlia, per cui provava un senso di protezione paterna. “Vuole che la porti da qualche altra parte?”

“No!” esclamò Sayu prima che potesse ripensarci e accettare l’allettante proposta. Pagò e scese dalla macchina. Persino il venticello che le scompigliò i capelli pareva ostile.

Il taxi alle sue spalle partì solo dopo una buona manciata di minuti. Quando il rombo del motore fu fuori dalla portata del suo orecchio, la giovane realizzò di essere completamente sola e indifesa.

Si avvicinò al portone, ma non c’era nessun nome sul citofono, solo otto targhette bianche accanto ad altrettanti pulsanti. Che sciocca! si disse: non sapeva nemmeno come si chiamava il ragazzo biondo.

Forse era un segno del destino quello: magari le stava lanciando un esplicito segnale per scappare finché era in tempo.

Le gambe erano cementate al suolo. Si guardò attorno furtiva, temendo di essere notata da qualche sguardo molesto.

“Che ci fai qui?” La voce metallica le trapanò l’orecchio e per lo spavento la ragazza lanciò persino un gridolino facendo un passo indietro. Non c’era nessuno.

“Io… i… io… voglio…” Le parole stentavano ad uscire.

Dal citofono fuoriuscì un suono molto simile ad uno sbruffo. “Aspetta” disse la voce robotica.

Un minuto dopo, Mello aprì il portone, palesandosi agli occhi della ragazza. La sua vista, inspiegabilmente per Sayu, le diede un senso di sollievo, come se adesso fosse al sicuro.

Era un pensiero paradossale, ma la sua mente lo aveva formulato con una naturalezza sconvolgente. Notò che non portava al collo il rosario che tanto l’aveva terrorizzata. Si illuse che lui lo avesse tolto per rendere la propria immagine meno minacciosa e paurosa agli occhi di lei: non avrebbe mai saputo se fosse stato così o meno.

“Allora, che sei venuta a fare?” la incalzò a parlare il ragazzo, evidentemente infastidito. Sembrava che lo avesse disturbato in un momento poco opportuno.

“Sono venuta per conoscere la verità.” Sayu si sorprese di se stessa e di come, adesso che il ragazzo era davanti a lei, fosse riuscita a parlare fluidamente e senza balbettare in modo imbarazzante.

“La verità” le fece eco Mello. “Immagino quello che vuoi sapere e devi essere davvero molto motivata o molto pazza per essere venuta qui da sola. Credevo avessi paura di me.”

“Ne avevo, ma se avessi voluto farmi del male avresti potuto farlo ieri.”

L’ombra di un sorriso appena visibile guizzò sul volto di Mello. “Osservazione acuta.” Si fece da parte per farla passare. “Se vuoi sapere la verità devi entrare.”

Era chiaramente una sfida e ormai Sayu pareva guidata da una volontà estranea alla sua. Avanzò fino a superare la soglia del portone. Mello lo richiuse alle sue spalle sbattendolo con forza: la vibrazione del tonfo rischiò di far rovinare la ragazza per terra tanto aveva le gambe molli.

Mello salì per le scale e lei lo seguì, in silenzio. Giunti al secondo piano entrarono nell’appartamento che era stato il teatro del loro incontro del giorno prima. Non era mutato nulla, tranne che per dei fogli poggiati su un tavolino davanti ad un divano. Da quel po’ che Sayu riuscì a scorgere, sembravano delle mappe di Tokyo su cui erano state tracciate due linee: una rossa e una blu. Che fossero dei percorsi? Vide anche una tavoletta di cioccolata sbocconcellata a metà. Mello si apprestò a girare le carte e ad ammassarle per nasconderle alla vista della sua ospite inattesa, poi prese il dolciume e vi tirò un morso. Infine si sedette sulla poltrona che Sayu riconobbe essere la stessa della volta precedente.

La ragazza fece guizzare lo sguardo attorno per trovare una seduta per lei. Dietro il tavolino c’era un divano polveroso, squarciato in più punti da cui fuoriuscivano pezzi dell’imbottitura spugnosa. Vi si adagiò con garbo, rimanendo un po’ in tensione per evitare di poggiarsi troppo e sporcarsi tutta. Era l’unica sistemazione che le permettesse di rimanere un po’ distante dal giovane straniero: il timore per lui non l’aveva abbandonata del tutto. Non osò parlare per prima.

“Ho fretta” disse Mello, addentando il cioccolato staccandone un pezzo consistente. Il suono che ne scaturì era simile a quello di un osso che si rompa in seguito ad una forte pressione.

Sayu rabbrividì a quell’associazione mentale involontaria. “Cosa successe di preciso quando venni imprigionata?” chiese titubante. Aveva paura che la sua curiosità la portasse a scoprire una realtà che era meglio ignorare. Si domandò se non sarebbe stato più saggio rimanere all’oscuro di tutto.

Mello diede un ulteriore morso alla barretta, quindi iniziò a raccontare.

 

Sono stato io ad ordinare ai miei uomini di rapirti. Come figlia di Soichiro Yagami eri la merce di scambio ideale per ottenere quello che volevo. Ti facemmo rinchiudere in una stanza sotterranea, dove delle telecamere di sorveglianza ti riprendevano 24 ore su 24: motivi precauzionali in realtà, anche se per come eri spaventata dubitavamo fortemente che avresti trovato il coraggio di ribellarti e scappare.

Non vi era alcun interesse nel farti del male. Come detto, eri solo merce di scambio, ma sicuramente era meglio restituirti a tuo padre sana e salva per evitare inutili lamentele.

Erano proprio quelle telecamere a tenerti al sicuro. Finché saresti rimasta alla portata del loro occhio, nessuno ti avrebbe toccata. Avevo messo un veto assoluto al riguardo e in quegli ambienti tutti sanno cosa succede ai trasgressori. – Mello tracciò una linea immaginaria con il pollice da un lato all’altro del collo: l’antifona era molto chiara alla sua ascoltatrice.

Accadde però che un giorno, il tizio che veniva a portarti regolarmente i pasti ricevette una chiamata mentre era all’interno della tua stanza. Si distrasse e quando uscì dimenticò di chiudere la porta a chiave.

La tua fame di libertà ti fece notare subito quella distrazione e altrettanto presto pensasti di approfittarne.

Che ingenua sei stata!

Uscendo dalla tua cella ti sei esposta al pericolo. Nessuno poteva più vederti, sorvegliarti e questo ti rese vulnerabile.

Camminasti per i corridoi in penombra del bunker alla ricerca della via d’uscita, ma non la trovasti. Più precisamente ti perdesti, ma qualcuno ti trovò.

L’uomo che ti si parò di fronte sapeva che non dovevi essere toccata con un dito, ma sapeva anche che senza nessuna telecamera a registrare il misfatto, nessuno lo avrebbe mai scoperto. Iniziò a… – “Ti prego” lo interruppe Sayu con un fil di voce, “tralascia questi dettagli.”  Per tua fortuna riuscii ad arrivare in tempo. Avevo visto la tua stanza vuota dai monitor di sorveglianza e sono andato personalmente a controllare.

In pratica avevi girato in tondo, sicché ti eri ritrovata a pochi metri dalla porta della tua cella. Udii le tue urla e i grugniti del mio sottoposto che voleva violentarti. “Jhon, per caso i miei ordini non sono stati abbastanza chiari?” gli dissi alle spalle e lui, terrorizzato, si voltò verso di me. Un energumeno grande e grosso che in quel momento aveva gli occhi spauriti di un bambino colto con le mani nella marmellata. Mi viene da ridere al ricordarmelo.

Fisicamente avrebbe potuto sopraffarmi in qualsiasi momento, ma c’era una gerarchia da rispettare e se solo mi avesse torto un capello, il boss, di cui ero il braccio destro, gliela avrebbe fatta pagare cara.

Mi disse che voleva solo riportati in cella e che tu stavi opponendo resistenza. “Dovresti vergognarti: farti mettere in difficoltà da una ragazzina così minuta” lo beffai e lui, consapevole di essere stato beccato mentre disobbediva agli ordini, mi chiese scusa, pregandomi persino di non dirlo al boss. Gli dissi che gli avrei dato una possibilità per riscattarsi e farsi perdonare. Alla fine, dopo questa patetica scena, andò via.

Mi avvicinai a te. Dire che eri terrorizzata era solo un eufemismo. Tremavi come se ti trovassi nuda al Polo Nord. In ginocchio per terra, con le mani premute contro il petto, la testa chinata e il viso bagnato di lacrime. No, non provai pietà se è quello che stai pensando. Ti avevo salvata, ma a quanto pare tu hai completamente dimenticato tutto questo. Il tuo cervello non ha memorizzato nulla di ciò che avvenne: spirito di autoconservazione, suppongo. Probabilmente un simile ricordo ti avrebbe annichilita del tutto, portandoti al suicidio, chi lo sa.

“Alzati” ti dissi.

Ma tu non ti muovesti. Con un filo di voce, però, mi rispondesti: “Non ci riesco.”

Non potevo certo lasciarti lì. Così mi chinai per prenderti in braccio. È stato in quel momento che avrai di certo visto il mio rosario scintillare alla debole luce della lampadina. Questo è tutto ciò che la tua mente ha memorizzato di quell’evento, portandoti quindi a credere che questa croce apparteneva all’uomo che voleva abusare di te.

Ti adagiai sul letto. La cosa curiosa era che tu sembrasti quasi dispiaciuta nel vedermi andare via. Dentro di te sapevi che io ero il tuo salvatore, l’unico che anche senza le telecamere o il divieto di toccarti non ti avrebbe fatto del male comunque.

Ma hai dimenticato anche questo.

 

Al termine del racconto, molte cose divennero chiare per Sayu. Per esempio, quando Mello l’aveva salvata dall’incidente per strada, lei aveva percepito il suo profumo dolce, il suo aroma al cioccolato, e lo aveva subito associato a qualcosa di rassicurante, anche se non riusciva a capirne il motivo. Adesso lo capiva.

Forse era solo una sua impressione, ma le parve di scorgere sul viso del ragazzo un velo di amarezza, come se lui fosse dispiaciuto del fatto che Sayu non abbia riconosciuto da subito il suo salvatore, identificandolo invece come una minaccia.

“Dunque è andata così. Questo è tutto.” Cosa avrebbe dovuto fare, ringraziarlo forse per averle salvato la vita in ben due occasioni? No, in fondo, se lei si era ritrovata in pericolo era stato per colpa sua, quindi non gli doveva nessun ringraziamento. “Perché mi hai detto che da domani non sarai più una minaccia per me? Cosa accadrà domani?”

Mello parve titubare. Non immaginava che la curiosità della ragazza potesse raggiungere simili livelli. “Domani il regno di Kira inizierà a sgretolarsi.”

Kira? Sgretolarsi?” gli fece eco Sayu. “Tu… tu lavori per catturare Kira?” Quel nome era diventato portatore di disgrazia in casa sua. Suo padre era morto per contrastare quel pericoloso criminale e suo fratello rischiava la vita ogni giorno come il loro genitore. “Ma perché allora mi hai fatto rapire? Mio padre anche voleva catturarlo. Se tu eri dalla sua stessa parte perché…”

“Basta con le domande” la rimproverò il ragazzo. “Volevi delle informazioni e te le ho date. Il resto non sono affari che ti riguardano.” I suoi occhi si incupirono. Il cobalto delle sue iridi si scurì fino a sembrare blu.

“Morirai, non è vero?” domandò Sayu. Ormai non vedeva più una minaccia nel giovane che aveva davanti. Vedeva solo un ragazzo solo, triste, trascinato dalla corrente degli eventi come un fantoccio senza volontà.

“Sembra che la cosa ti dispiaccia” rispose Mello con un lieve sorriso ironico. Anche se non lo aveva confermato direttamente, le sue parole lasciarono chiaramente intendere che la sua morte era vicina.

Un'altra vittima di Kira, pensò Sayu. “Mio padre è morto per colpa sua. Quel criminale ci ha rovinato la vita.” Strinse i pugni in grembo e la tensione muscolare li faceva vibrare come sassi scossi da un terremoto.

Mello ricordava cheSoichiro Yagami era un brav’uomo: gli era dispiaciuto enormemente che fosse morto. Fino all’ultimo aveva sperato che potesse sopravvivere, ma ormai era giunta la sua ora. Non si era mai sentito realmente colpevole della sua dipartita, perché era Kira il vero boia, lui, Mello, era stato solo l’ascia.

Tuttavia, davanti lo sguardo triste di Sayu non poté evitare di sentire un senso di colpa affiorargli al cuore. Adesso lei lo vedeva come un ragazzo giusto, buono: se le avesse rivelato di essere l’assassino di suo padre, quello sguardo si sarebbe dissolto… lo stesso sguardo colmo di riconoscenza e ammirazione che gli aveva rivolto il giorno in cui l’aveva salvata dalle grinfie del suo stupratore.

Erano belli gli occhi di Sayu quando lo guardavano così. Lo facevano sentire bene, una panacea per il suo animo pieno di affanni e delusioni.

“Adesso devi andare” le disse. Avrebbe voluto riaccompagnarla a casa sua, ma sentiva che non era saggio, che sarebbe stata una distrazione che in quel momento non poteva assolutamente permettersi.

“Sì” rispose la ragazza, quindi si alzò. Mello non la imitò. Come detto, lei era una distrazione ed era meglio tenerla a distanza.

Sayu si diresse verso la porta, ma prima di uscire si voltò e disse: “Non morire, per favore.”

Che ingenua! pensò Mello. Come se la Morte si fermasse davanti ad un semplice ‘per favore’.

 

 

Quando si vive in un quartiere molto tranquillo e con dei vicini educati, ogni suono che esuli dalla normalità, perché troppo forte o perché poco frequente, viene udito anche a qualche chilometro di distanza. Così, Sayu, mentre era intenta a navigare tra le pagine di internet per distrarsi un po’, sentì l’arrivo di Mello a cavallo della sua moto prima ancora di vederlo fermarsi sotto casa sua.

Si affacciò per verificare che la sua deduzione fosse esatta e qualche secondo dopo lui inchiodò proprio di fronte al cancello, il rombo del motore che inquinava l’aria con il suo ronzio e il casco integrale in testa.

Era chiaro che tutto quel trambusto serviva solo a richiamarla, ma non era solo l’attenzione della ragazza che Mello era riuscito ad attrarre.

Sayu?” La voce di sua madre non si fece attendere dal piano di sotto. Il tono con cui l’aveva chiamata era chiaramente di rimprovero, come se avesse detto anziché il suo nome ‘Spero per te che questo non sia il tuo ragazzo!’. Sayu dovette ammettere che se fosse stata nei panni della madre, avrebbe pensato la medesima cosa.

Si affrettò a scendere. Il cuore le galoppava nel petto, ma non era paura, affatto. Era una sensazione strana, piacevole e disagevole al contempo. Avrebbe persino osato dire che era felice di vedere quel ragazzo un’altra volta ancora.

Sayu!” ripeté la madre e la giovane le rivolse un sorriso tirato ma rassicurante.

“È solo un… amico” aveva esitato, ma in effetti non poteva dire a sua madre la verità sull’identità del motociclista e al contempo nemmeno lei sapeva di preciso come definirlo.

Sachiko non sembrò molto convinta della risposta: in fondo era stata giovane pure lei e sapeva bene quale potere ammaliante aveva una bella e pericolosa moto sulle ragazzine. Si fidava di sua figlia e non le aveva mai dato alcuna delusione in nessun campo, ma stava crescendo ed era come se solo in quel momento la mamma si fosse accorta che davanti a sé non aveva più una bambina, ma una ragazza in procinto di sbocciare nella donna che sarebbe diventata in futuro.

Sayu uscì di casa e si premurò di chiudere la porta, anche se sapeva che sua madre avrebbe potuto vedere tutta la scena dalla finestra del soggiorno. Si avvicinò a Mello e questi nel frattempo spense il motore della moto e si tolse il casco, rivelando così quella chioma color grano che tanto affascinava Sayu. Abbassò persino gli occhi, come se temesse che da essi potesse trasparire qualche sentimento inopportuno: non poteva negare che fosse davvero un bel ragazzo, nonostante tutto.

“Ciao” esordì lei. Se avesse potuto si sarebbe schiaffeggiata da sola: sembrava una scolaretta alle prese con la sua prima cotta.

“Ieri non ti ho detto una cosa molto importante, una cosa che è giusto tu sappia.”

Sayu sollevò di scatto la testa a quelle parole che non presagivano nulla di buono. Il ragazzo le porse una lettera e lei con mani tremanti l’afferrò. Prima che potesse aprirla, Mello la fermò posando la mano sinistra sulle sue. Avrebbe voluto togliersi i guanti per godere a pieno di quel contatto fugace. “Dopo che me ne sarò andato.”

O-ok.”

“Ieri mi hai chiesto di non morire: perché?”

La domanda colse la ragazza talmente alla sprovvista che lei sussultò come se fosse stata attraversata da una piccola scossa elettrica. “La mia risposta cambierebbe qualcosa?”

“No, ormai ho deciso e non ho intenzione di tirarmi indietro. Consideralo l’ultimo desiderio di un condannato.” Ogni sillaba suonava tetra come il rintocco di una campana che suoni ad un funerale. Sayu avrebbe voluto piangere, ma le lacrime avrebbero trasformato quell’addio in qualcosa di più orribile di quanto già non fosse.

Se era il suo ultimo desiderio, allora non aveva nulla di cui vergognarsi o temere. “Perché mi hai salvato la vita due volte e perché sei disposto a sacrificarti per catturare Kira e così mio padre verrà vendicato e questo vuol dire che sei un ragazzo buono e…” frenò la fiumana di parole, titubante se aprirsi completamente a lui o meno, infine decise di lasciare liberi i suoi pensieri senza più arrestarli, “… e perché mi piaci, un po’, e io non voglio vederti morire per colpa di Kira, l’assassino che ha ucciso anche mio padre: non potrei sopportarlo.”

Mantenne gli occhi fissi sulla punta delle proprie scarpe marroni in attesa di un qualsiasi responso da parte del ragazzo.

Per la prima volta in vita sua, Mello si sentì bene.

Avrebbe voluto dirle grazie, ma lei non avrebbe compreso. Le afferrò il mento tra l’indice e il pollice, le sollevò il viso fino ad incrociare i loro sguardi. Le si avvicinò e Sayu, benché stupita e un po’ timorosa, non si scansò. Il profumo del cioccolato l’aveva stregata e il sapore che percepì sulle labbra di lui era sublime.

Non era il suo primo bacio, ma non aveva mai provato una sensazione così intima e avvolgente in vita sua. Un formicolio le saettò lungo la spina dorsale.

E poi il giovane straniero si allontanò, si infilò il casco, riaccese il motore e ripartì.

Anche se era rimasta preda del languore, Sayu era riuscita scorgere un sorriso felice sul viso di Mello. Osservò il tratto di strada che aveva percorso prima di svoltare l’angolo e svanire dalla sua vista. Si ricordò della busta che ancora stringeva in mano. L’aprì e le poche righe che vi lesse le fecero così male da liberare finalmente quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.

 

Avrei dovuto dirti questo già ieri, ma non avrei sopportato di vedere nei tuoi occhi il disprezzo e l’odio che di certo questa verità susciterà in te.

Tuo padre è morto per colpa di Kira, ma sono stato io a ucciderlo.

Penserai che sono un vigliacco a dirtelo ora e in questo modo così brutale, ma tuo padre non è morto invano e se sono sopravvissuto è solo per assicurare Kira alla giustizia con il mio sacrificio.

Odiami pure e non avere più paura da oggi in poi.

Addio.

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

Ultimamente non riesco più a scriverli i finali XD Di fatti speravo di concludere un’altra long ma ahimè mi sono accorta che mi occorre ancora un capitolo per farlo e anche questa ha rischiato di allungarsi troppo ma alla fine ho trovato il modo di rispettare i tre capitoli, anche se questo è venuto leggermente più lungo dei precedenti.

Alla fine forse sono andata un po’ in OOC con Mello, ma ci tenevo troppo a concludere così la storia, quindi perdonatemi se ho stravolto il suo carattere coriaceo >.<

Francamente non mi aspettavo un tale successo per questa minilong, insomma la coppia non è certo tra le più gettonate del fandom, anzi, ma le vostre recensioni sono state meravigliose, dico sul serio *.* Avete fatto la gioia di questa autrice :3

Ringrazio immensamente le 2 persone che l’hanno inserita nelle preferite, le 9 nelle seguite e l’1 delle ricordate e non dimenticate di lasciarmi il vostro parere per quest’ultimo capitolo! Grazie a tutti! Alla prossima fanfic spero ;D

 




Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

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